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Thursday, January 9, 2025

GRICE ITALO A-Z B BO

 

Grice e Bontempelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sintomo – scuola di Pisa –filosofia pisana – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pisa). Filosofo pisano. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Pisa, Toscana. Grice: “Bontempelli knows that the Romans never liked the Greek ‘symptom,’ but ‘coincidence’ seems weak: x means y if y coincides with x, or if x is a symptom of y.’ (‘those spots mean measles’ – and ‘dog’ means that there is a dog.”” -- “I suppose my favourite Bontempelli is his section on Roman philosophy in his history of philosophy series!” -- There is the other Massimo Bontempelli, nato a Como. Como-born Massimo Bontempelli had a son, called Massimo Bontempelli. Massimo Bontempello ha un cugino, nipotte di Massimo Bontempelli: Alessandro Bontempelli. Nato a Pisa, dopo il conseguimento della laurea in filosofia, Bontempelli dedica all'insegnamento negli istituti superiori, alla realizzazione di manuali scolastici di storia e filosofia e alla stesura di saggi di argomento filosofico. Storico di impostazione marxiana, e originale pensatore filosofico di orientamento neoidealista, realizza i suoi più importanti contributi imperniando lo studio dei processi storici attorno alla categoria di "modo di produzione". Tematizza con attenzione le strutture sociali entro i modi di produzione neo-litico, nomade-pastorale, prativo-campestre, antico-orientale, asiatico, africano, meso-americano, schiavistico, colonico, feudale e capitalistico, elaborando su queste basi una ri-costruzione della genesi sociale dei fenomeni filosofici. Rilevante è la sua interpretazione della figura storica di Gesù, ricostruita entro una totalità sociale a partire dalla analisi dell'economia pianificata del modo di produzione antico-orientale palestinese, sulla scorta di una prospettiva metodologica storico-scientifica nei confronti dei vangeli. Come storico della filosofia ha studiato in particolare il pensiero platonico, neo-platonico e la dialettica hegeliana. Come pensatore filosofico originale viene collocato da Costanzo Preve all'interno della corrente del neo-idealismo italiano, essendo il suo pensiero fortemente influenzato dalla Scienza della Logica hegeliana. Muove dalle profonde critiche al nichilismo contemporaneo e al relativismo anti-metafisico per approdare ad un tentativo di rifondazione onto-assiologica degli orizzonti di senso dell'esistenza umana sulla scorta di una indagine della natura trascendentale dell'uomo, alla luce di un superamento della polarità dualistica empiria/trascendenza. Si dedica alla critica serrata della sinistra politica e allo sviluppo del tema della decrescita.  Altre saggi: “Il senso della storia antica. Itinerari e ipotesi di studio” (Milano, Trevisini); “Antiche strutture sociali mediterranee” (Milano, Trevisini), “Storia e coscienza storica” (Milano, Trevisini); Per il triennio; “Civiltà e strutture sociali dall'antichità al medioevo” (Milano, Trevisini); “Antiche civiltà e loro documenti” (Milano, Trevisini); “Civiltà storiche e loro documenti” (Milano, Trevisini, Per il triennio); “Filosofia:  Il senso dell'essere nelle culture occidental” (Milano, Trevisini); Filosofia, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS,. [riedito nel  in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum] “Eraclito e noi”” (Milazzo, Spes); “Percorsi di verità della dialettica antica” (Milazzo, Spes); “Nichilismo, verità, storia” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero” (Pistoia, CRT); “La conoscenza del bene e del male, Pistoia, CRT); “La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT); “Tempo e memoria, Pistoia, CRT); “Il concetto di realtà e il nichilismo contemporaneo, Pistoia, CRT); “L'agonia della scuola italiana” (Pistoia, CRT); “Un sentiero attraverso la foresta hegeliana, Pistoia, CRT); “Eraclito e noi. La modernità attraverso il prisma interpretativo eracliteo, CRT, Diciamoci la verità, "Koiné" n.6, Pistoia, CRT, Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia, L'arbitrarismo della circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, -- very Griceian: Grice: “D. K. Lewis drew his example of the arbitrariness of a convention from Massimo Bomtempelli.” Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull'ambiente di Bin Laden e su quello di Bush” (Pistoia, CRT, -- cf. Grice: “I took the example, ‘those spots mean measle’ from Bontempelli, “Il sintomo e la malattia” – “Il SINTOMO” -- [ristampato nel  dalla casa editrice Petite Plaisance] Diciamoci la verità, CRT, Pistoia); “Il respiro del Novecento. Percorso di storia” (Pistoia, CRT, Il mistero della sinistra’ (Genova, Graphos,  La Resistenza Italiana. Dall'8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, La sinistra rivelata” (Bolsena, Massari, Il Sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC  [ristampato nel ] Civiltà occidentale” Genova, Il Canneto,. Marx e la decrescita, Trieste, Abiblio,. Platone e i preplatonici. Morale in Grecia, introduzione di Antonio Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS); “Un pensiero presente:  scritti su Indipendenza, Roma, Indipendenza Editore Francesco Labonia,. Capitalismo globalizzato e scuola, Roma, Indipendenza Editore Francesco Labonia, La sfida politica della decrescita, Roma, Aracne,. Gesù di Nazareth, Pistoia, Petite Plaisance; “Il respiro del Novecento, "Koiné" n.6, Pistoia, CRT); “Metamorfosi della scuola italiana, "Koiné" n.4, Pistoia, CRT, Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, "Koiné" n.5, Pistoia, CRT, Scienza, cultura, filosofia, "Koiné" n.8, Pistoia, CRT. I cattivi maestri, in I Forchettoni Rossi, Roberto Massari, Bolsena, Massari. Addio al professor Massimo Bontempelli, Il Tirreno.  Bontempelli individua, in diverse epoche, un feudalesimo ario, cinese, indiano, iranico del regno dei Parti, del Vicino Oriente islamico, del Ghana e infine il feudalesimo occidentale.   Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero (uaar)  Costanzo Preve, Ideologia italiana. Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia, Milano, Vangelista, 1993 (p. 201 sgg.)  Marxismo modo di produzione. Una vita semplice, una mente scintillante,Le idee forti di Massimo Bontempelli. Il bene come processo possibile concreto: natura umana e ontologia sociale.  u a  be US  (2 Se Um   %. Pr pn d Der  sd g,’ fr  Ben =  Ri  » e Wu  sIGM FREUD Hemmung, Symptom  und Angst    re et. Van A 1.1 ee ne ia he Hemmung, Symptom  und Angst von  Freud  Internationaler Psychoanalytischer Verlag  Leipzig u RE ai Zürich, Psychoanalytischer Verlag, Ges. m. b. H., Wien Druck: Elbemühl Papierfabriken und Graphische Industrie A.G.  Wien, Rüdengasse ıı I. Unser Sprachgebrauch läßt uns in der Beschreibung pathologischer Phänomene SYMPTOME und Hemmungen  unterscheiden, aber er legt diesem Unterschied nicht  viel Wert bei. Kämen uns nicht Krankheitsfälle vor,  von denen wir aussagen müssen, daß sie nur Hemmungen und keine SYMPTOME zeigen, und wollten wir  nicht wissen, was dafür die Bedingung ist, so brächten  wir kaum das Interesse auf, die Begriffe Hemmung  und SYMPTOM gegeneinander abzugrenzen. Die beiden sind nicht auf dem nämlichen Boden erwachsen. Hemmung hat eine besondere Beziehung zur Funktion und bedeutet nicht notwendig etwas Pathologisches, man kann auch eine normale Einschränkung einer Funktion eine Hemmung derselben nennen. SYMPTOM hingegen heißt soviel wie Anzeichen  eines krankhaften Vorganges. Es kann also auch eine Hemmung ein SYMPTOM sein. Der Sprachgebrauch verfährt dann so, daß er von Hemmung spricht, wo eine einfache Herabsetzung der Funktion vorliegt, von SYMPTOM [“Those spots are a symptom of measles”], wo es sich um eine ungewöhnliche Abänderung derselben oder um eine neue Leistung handelt. In vielen Fällen scheint es der Willkür überlassen, ob man die positive oder die negative Seite des pathologischen Vorgangs betonen, seinen Erfolg als SYMPTOM oder als Hemmung bezeichnen will. Das alles ist wirklich nicht interessant und die Fragestellung, von der wir ausgingen, erweist sich als wenig fruchtbar.Da die Hemmung begrifflich so innig an die Funktion geknüpft ist, kann:man auf die Idee kommen, die verschiedenen Ichfunktionen daraufhin zu untersuchen, in welchen Formen sich deren Störung bei  den einzelnen neurotischen Affektionen äußert. Wir  wählen für diese vergleichende Studie: die Sexualfunktion, das Essen, die Lokomotion und die Berufsarbeit. Die Sexualfunktion unterliegt sehr mannigfaltigen  Störungen, von denen die meisten den Charakter  einfacher Hemmungen zeigen. Diese werden als psychische Impotenz zusammengefaßt. Das Zustandekommen der normalen Sexualleistung setzt einen sehr  komplizierten Ablauf voraus, die Störung kann an  jeder Stelle desselben eingreifen. Die Hauptstationen  der Hemmung sind beim Manne: die Abwendung  der Libido zur Einleitung des Vorgangs (psychische Unlust), das Ausbleiben der physischen Vorbereitung  (Erektionslosigkeit), die Abkürzung des Aktes (Ejaculatio praecox, die ebensowohl als POSITIVES SYMPTOM beschrieben werden kann, die Aufhaltung desselben  vor dem natürlichen Ausgang, Ejakulationsmangel,  das Nichtzustandekommen des psychischen Effekts, der Lustempfindung des Orgasmus. Andere Störungen erfolgen durch die Verknüpfung der Funktion mit  besonderen Bedingungen, perverser oder fetischistischer  Natur. Eine Beziehung der Hemmung zur Angst kann  uns nicht lange entgehen. Manche Hemmungen sind  offenbar Verzichte auf Funktion, weil bei deren Ausübung Angst entwickelt werden würde. Direkte Angst  vor der Sexualfunktion ist beim Weibe häufig; wir  ordnen sie der Hysterie zu, ebenso das ABWEHRSYMPTOM des Ekels, das sich ursprünglich als nachträgliche Reaktion auf den passiv erlebten Sexualakt einstellt, später bei der Vorstellung desselben auftritt. Auch eine großse Anzahl von Zwangshandlungen erweisen sich als Vorsichten und Versicherungen gegen  sexuelles Erleben, sind also phobischer Natur. Man kommt da im Verständnis nicht sehr weit;  man merkt nur, daß sehr verschiedene Verfahren verwendet werden, um die Funktion zu stören: die  bloße Abwendung der Libido, die am ehesten zu  ergeben scheint, was wir eine reine Hemmung heißen, die Verschlechterung in der Ausführung  der Funktion, die Erschwerung derselben durch  besondere Bedingungen und ihre Modifikation durch  Ablenkung auf andere Ziele,ihre Vorbeugung durch Sicherungsmaßregeln, ihre Unterbrechung  durch Angstentwicklung, sowie sich ihr Ansatz nicht  mehr verhindern läßt, endlich eine nachträgliche REAKTION, die dagegen protestiert und das Geschehene  rückgängig machen will, wenn die Funktion doch  durchgeführt wurde.  Die häufigste Störung der Nahrungsfunktion ist  die Efunlust durch Abziehung der Libido. Auch  Steigerungen der Eßlust sind nicht selten; ein Eßzwang motiviert sich durch Angst vor dem Verhungern,  ist wenig untersucht. Als hysterische Abwehr des  Essens kennen wir das Symptom des Erbrechens.  Die Nahrungsverweigerung infolge von Angst gehört  psychotischen Zuständen an (Vergiftungswahn). Die Lokomotion wird bei manchen neurotischen  Zuständen durch Gehunlust und Gehschwäche gehemmt,  die hysterische Behinderung bedient sich der  motorischen Lähmung des Bewegungsapparates oder  schafit eine spezialisierte Aufhebung dieser einen  Funktion desselben (Abasie). Besonders charakteristisch  sind die Erschwerungen der Lokomotion durch Ein-  schaltung bestimmter Bedingungen, bei deren Nicht-  erfüllung Angst auftritt (Phobie). Die Arbeitshemmung, die so oft als isoliertes SYMPTOM Gegenstand der Behandlung wird, zeigt uns  verminderte Lust oder schlechtere Ausführung oder  Reaktionserscheinungen wie Müdigkeit (Schwindel, Er-  brechen), wenn die Fortsetzung der Arbeit erzwungen wird. Die Hysterie erzwingt die Einstellung der Arbeit  durch Erzeugung von Organ- und Funktionslähmungen,  deren Bestand mit der Ausführung der Arbeit unvereinbar ist. Die Zwangsneurose stört die Arbeit durch  fortgesetzte Ablenkung und durch den Zeitverlust bei  eingeschobenen Verweilungen und Wiederholungen.   Wir könnten diese Übersicht noch auf andere  Funktionen ausdehnen, aber wir dürfen nicht erwarten,  dabei mehr zu erreichen. Wir kämen nicht über die  Oberfläche der Erscheinungen hinaus. Entschließen wir  uns darum zu einer Auffassung, die dem Begriff der  Hemmung nicht mehr viel Rätselhaftes beläßt. Die  Hemmung ist der Ausdruck einer Funktions-  einschränkung des Ichs, die selbst sehr ver-  schiedene Ursachen haben kann. Manche der Mecha-  nismen dieses Verzichts auf Funktion und eine allgemeine Tendenz desselben sind uns wohlbekannt.   An den spezialisierten Hemmungen ist die Tendenz  leichter zu erkennen. Wenn das Klavierspielen, Schreiben  und selbst das Gehen neurotischen Hemmungen unter-  liegen, so zeigt uns die Analyse den Grund hiefür in  einer überstarken Erotisierung der bei diesen Funk-  tionen in Anspruch genommenen Organe, der Finger  und der Füße. Wir haben ganz allgemein die Einsicht  gewonnen, dafs die Ichfunktion eines Organs geschädigt  wird, wenn seine Erogeneität, seine sexuelle Bedeutung,  zunimmt. Es benimmt sich dann, wenn man den  einigermaßen skurrilen Vergleich wagen darf, wie eine Köchin, die nicht mehr am Herd arbeiten will, weil  der Herr des Hauses Liebesbeziehungen zu ihr ange-  knüpft hat. Wenn das Schreiben, das darin besteht,  aus einem Rohr Flüssigkeit auf ein Stück weißes  Papier fließen zu lassen, die symbolische Bedeutung  des Koitus angenommen hat, oder wenn das Gehen  zum symbolischen Ersatz des Stampfens auf dem Leib  der Mutter Erde geworden ist, dann wird beides,  Schreiben und Gehen, unterlassen, weil es so ist, als  ob man die verbotene sexuelle Handlung ausführen  würde. Das Ich verzichtet auf diese ihm zustehenden  Funktionen, um nicht eine neuerliche Verdrängung  vornehmen zu müssen, um einem Konflikt mit  dem Es auszuweichen. Andere Hemmungen erfolgen offenbar im Dienste  der Selbstbestrafung, wie nicht selten die der be-  ruflichen Tätigkeiten. Das Ich darf diese Dinge  nicht tun, weil sie ihm Nutzen und Erfolg bringen  würden, was das gestrenge Über-Ich versagt hat. Dann  verzichtet das Ich auch auf diese Leistungen, um  nieht in Konflikt mit dem Über-Ich zu geraten.   Die allgemeineren Hemmungen des Ichs folgen  einem einfachen anderen Mechanismus. Wenn das Ich  durch eine psychische Aufgabe von besonderer Schwere  in Anspruch genommen ist, wie z. B. durch eine  Irauer, eine großartige Affektunterdrückung, durch  die Nötigung, beständig aufsteigende sexuelle Phantasıen niederzuhalten, dann verarmt es so sehr an der  ihm verfügbaren Energie, dafs es seinen Aufwand an  vielen Stellen zugleich einschränken muß, wie ein  Spekulant, der seine Gelder in seinen Unternehmungen  immobilisiert hat. Ein lehrreiches Beispiel einer solchen  intensiven Allgemeinhemmung von kurzer Dauer konnte  ich an einem Zwangskranken beobachten, der in eine  lähmende Müdigkeit won einbis mehrtägiger Dauer  bei Anlässen verfiel, die offenbar einen Wutausbruch  hätten herbeiführen sollen. Von hier aus mufß auch  ein Weg zum Verständnis der Allgemeinhemmung zu  finden sein, durch die sich die Depressionszustände  und der schwerste derselben, die Melancholie, kenn-  zeichnen.  Man kann also abschließend über die Hemmungen  sagen, sie seien Einschränkungen der Ichfunktionen,  entweder aus Vorsicht oder infolge von Energie-  verarmung. Es ist nun leicht zu erkennen, worin  sich die Hemmung vom Symptom unterscheidet. Da  Symptom kann nicht mehr als ein Vorgang in oder  am.Ich beschrieben werden. Die Grundzüge der SYMPTOMBILDUNG sind längst  studiert und in hoffentlich unanfechtbarer Weise aus-  gesprochen worden. Das SYMPTOM sei Anzeichen und  Ersatz einer unterbliebenen Triebbefriedigung, ein Erfolg  des Verdrängungsvorganges. Die Verdrängung geht  vom Ich aus, das, eventuell im Auftrage des Über-  Ichs, eine im Es angeregte Triebbesetzung nicht mitmachen will. Das Ich erreicht durch die Verdrängung,  daß die Vorstellung, welche der Träger der unliebsamen Regung war, vom Bewußtwerden abgehalten  wird. Die Analyse weist oftmals nach, daß sie als unbewußste Formation erhalten geblieben ist. So weit  wäre es klar, aber bald beginnen die unerledigten  Schwierigkeiten. Unsere bisherigen Beschreibungen des Vorganges  bei der Verdrängung haben den Erfolg der Abhaltung  vom Bewußtsein nachdrücklich betont, aber in anderen  Punkten Zweifel offen gelassen. Es entsteht die Frage,  was ist das Schicksal der im Es aktivierten Triebregung, die auf Befriedigung abzielt? Die Antwort  war eine indirekte, sie lautete, durch den Vorgang der  Verdrängung werde die zu erwartende Befriedigungs-  lust in Unlust verwandelt, und dann stand man vor  dem Problem, wie Unlust das Ergebnis einer Triebbefriedigung sein könne. Wir hoffen den Sachverhalt  zu klären, wenn wir die bestimmte Aussage machen,  der im Es beabsichtigte Erregungsablauf komme infolge  der Verdrängung überhaupt nicht zustande, es gelingt  dem Ich, ihn zu inhibieren oder abzulenken. Dann  entfällt das Rätsel der Affektverwandlung bei der  Verdrängung. Wir haben aber damit dem Ich das  Zugeständnis gemacht, daß es einen so weitgehenden  Einfluß auf die Vorgänge im Es äußern kann, und  sollen verstehen lernen, auf welchem Wege ihm diese  überraschende Machtentfaltung möglich wird.   Ich glaube, dieser Einfluß fällt dem Ich zu infolge  seiner innigen Beziehungen zum Wahrnehmungssystem,  die ja sein Wesen ausmachen und der Grund seiner  Differenzierung vom Es geworden sind. Die Funktion  dieses Systems, das wir W-Bw genannt haben, ist mit  dem Phänomen des Bewußstseins verbunden; es empfängt  Erregungen nicht nur von außen, sondern auch von  innen her und mittels der Lust-Unlustempfindungen,  die es von daher erreichen, versucht es, alle Abläufe  des seelischen Geschehens im Sinne des Lustprinzips  zu lenken. Wir stellen uns das Ich so gerne als ohn-  mächtig gegen das Es vor, aber wenn es sich gegen einen Triebvorgang im Es sträubt, so braucht es blof3  ein Unlustsignal zu geben, um seine Absicht durch  die Hilfe der beinahe allmächtigen Instanz des Lust-  prinzips zu erreichen. Wenn wir diese Situation für  einen Augenblick isoliert betrachten, können wir sie  durch ein Beispiel aus einer anderen Sphäre illustrieren.  In einem Staate wehre sich eine gewisse Clique gegen  eine Mafsregel, deren Beschluß den Neigungen der  Masse entsprechen würde. Diese Minderzahl bemächtigt  sich dann der Presse, bearbeitet durch sie die souve-  räne „Öffentliche Meinung“ und setzt es so durch,  daf$ der geplante Beschluf3 unterbleibt.   An die eine Beantwortung knüpfen weitere Frage-  stellungen an. Woher rührt die Energie, die zur Erzeugung des Unlustsignals verwendet wird? Hier weist  uns die Idee den Weg, daß die Abwehr eines un-  erwünschten Vorganges im Inneren nach dem Muster  der Abwehr gegen einen äußeren Reiz geschehen  dürfte, daß das Ich den gleichen Weg der Verteidi-  gung gegen die innere wie gegen die äußere Gefahr  einschlägt. Bei äußerer Gefahr unternimmt das  organische Wesen einen Fluchtversuch, es zieht zunächst die Besetzung von der Wahrnehmung des  Gefährlichen ab; später erkennt es als das wirk-  samere Mittel, solche Muskelaktionen vorzunehmen,  dafs die Wahrnehmung der Gefahr, auch wenn man  sie nicht verweigert, unmöglich wird, also sich dem  Wirkungsbereich der Gefahr zu entziehen. Einem solchen Fluchtversuch gleichwertig ist auch die Verdrängung. Das Ich zieht die (vorbewußte) Besetzung  von der zu verdrängenden Triebrepräsentanz ab und  verwendet sie für die Unlust-(Angst-)Entbindung. Das  Problem, wie bei der Verdrängung die Angst entsteht,  mag kein einfaches sein; immerhin hat man das Recht,  an der Idee festzuhalten, daß das Ich die eigentliche  Angststätte ist, und die frühere Auffassung zurück-  zuweisen, die Besetzungsenergie der verdrängten Regung  werde automatisch in Angst verwandelt. Wenn ich  mich früher einmal so geäußert habe, so gab ich  eine phänomenologische Beschreibung, nicht eine meta-  psychologische Darstellung.   Aus dem Gesagten leitet sich die neue Frage ab,  wie es ökonomisch möglich ist, daß ein bloßer Abziehungs- und Abfuhrvorgang wie beim Rückzug der  vorbewufßsten Ichbesetzung Unlust oder Angst erzeugen  könne, die nach unseren Voraussetzungen nur Folge  gesteigerter Besetzung sein kann. Ich antworte, diese  Verursachung soll nicht ökonomisch erklärt werden,  die Angst wird bei der Verdrängung nicht neu erzeugt,  sondern als Affektzustand nach einem vorhandenen  Erinnerungsbild reproduziert. Mit der weiteren Frage  nach der Herkunft dieser Angst, wie der Affekte  überhaupt, verlassen wir aber den unbestritten  psychologischen Boden und betreten das Grenzgebiet  der Physiologie. Die Affektzustände sind dem Seelen-  leben als Niederschläge uralter traumatischer Erlebnisse einverleibt und werden in ähnlichen Situationen  wie Erinnerungssymbole wachgerufen. Ich meine, ich  hatte nicht Unrecht, sie den spät und individuell erwor-  benen hysterischen Anfällen gleichzusetzen und als  deren Normalvorbilder zu betrachten. Beim Menschen  und ihm verwandten Geschöpfen scheint der Geburts-  akt als das erste individuelle Angsterlebnis dem Aus-  druck des Angstaffekts charakteristische Züge geliehen  zu haben. Wir sollen aber diesen Zusammenhang nicht  überschätzen und in seiner Anerkennung nicht übersehen, daß ein Affektsymbol für die Situation der  Gefahr eine biologische Notwendigkeit ist und auf  jeden Fall geschaffen worden wäre, Ich halte es auch  für unberechtigt anzunehmen, daß bei jedem Angst-  ausbruch etwas im Seelenleben vor sich geht, was  einer Reproduktion der Geburtssituation gleichkommt.  Es ist nicht einmal sicher, ob die hysterischen Anfälle,  die ursprünglich solche traumatische Reproduktionen  sind, diesen Charakter dauernd bewahren.   Ich habe an anderer Stelle ausgeführt, daß die  meisten Verdrängungen, mit denen wir bei der  therapeutischen Arbeit zu tun bekommen, Fälle von  Nachdrängen sind. Sie setzen früher erfolgte  Urverdrängungen voraus, die auf die neuere  Situation ihren anziehenden Einfluß ausüben. Von  diesen Hintergründen und Vorstufen der Verdrängung  ist noch viel zu wenig bekannt. Man kommt leicht  in Gefahr, die Rolle des Über-Ichs bei der Verdrängung zu überschätzen. Man kann es derzeit nicht  beurteilen, ob etwa das Auftreten des Über-Ichs die Abgrenzung zwischen Urverdrängung und Nachdrängen  schafft. Die ersten, sehr intensiven,  Angstaus-  brüche erfolgen jedenfalls vor der Differenzierung des  Über-Ichs. Es ist durchaus plausibel, daß quantitative  Momente, wie die übergroße Stärke der Erregung  und der Durchbruch des Reizschutzes, die nächsten  Anlässe der Urverdrängungen sind.   Die Erwähnung des Reizschutzes mahnt uns wie  ein Stichwort, daß die Verdrängungen in zwei unter-  schiedenen Situationen auftreten, nämlich wenn eine  unliebsame Triebregung durch eine äußere Wahr-  nehmung wachgerufen wird, und wenn sie ohne solche  Provokation im Innern auftaucht. Wir werden später  auf diese Verschiedenheit zurückkommen. Reizschutz  gibt es aber nur gegen äußere Reize, nicht gegen  innere Triebansprüche.   Solange wir den Fluchtversuch des Ichs studieren,  bleiben wir der SYMPTOMbildung ferne. Das SYMPTOM  entsteht aus der durch die Verdrängung beeinträch-  tisten Triebregung. Wenn das Ich durch die Inan-  spruchnahme des Unlustsignals seine Absicht erreicht,  die Triebregung völlig zu unterdrücken, erfahren wir  nichts darüber, wie das geschieht. Wir lernen nur  aus den Fällen, die als mehr oder minder mißglückte  Verdrängungen zu bezeichnen sind.   Dann stellt essich im Allgemeinen so dar, dafs die Triebregung zwar trotz der Verdrängung einen Ersatz  gefunden hat, aber einen stark verkümmerten, ver-  schobenen, gehemmten. Er ist auch als Befriedigung  nicht mehr kenntlich. Wenn er vollzogen wird, kommt  keine Lustempfindung zustande, dafür hat dieser  Vollzug den Charakter des Zwanges angenommen.  Aber bei dieser Erniedrigung des Befriedigungs-  ablaufes zum SYMPTOM zeigt die Verdrängung ihre  Macht noch in einem anderen Punkte. Der Ersatz-  vorgang wird wo möglich von der Abfuhr durch die  Motilität ferngehalten; auch wo dies nicht gelingt,  mufS er sich in der Veränderung des eigenen Körpers  erschöpfen und darf nicht auf die Außenwelt übergreifen; es wird ihm verwehrt, sich in Handlung um-  zusetzen. Wir verstehen, bei der Verdrängung arbeitet  das Ich unter dem Einfluß der äußeren Realität und  schließt darum den Erfolg des Ersatzvorganges von  dieser Realität ab.   Das Ich beherrscht den Zugang zum Bewußtsein  wie den Übergang zur Handlung gegen die Außen-  welt; in der Verdrängung betätigt es seine Macht  nach beiden Richtungen. Die Triebrepräsentanz  bekommt die eine, die Triebregung selbst die andere  Seite seiner Kraftäußerung zu spüren. Da ist es denn  am Platze, sich zu fragen, wie diese Anerkennung der  Mächtigkeit des Ichs mit der Beschreibung zusammen-  kommt, die wir in der Studie „Das Ich und das Es“  von der Stellung desselben Ichs entworfen haben.  Wir haben dort die Abhängigkeit des Ichs vom Es  wie vom Über-Ich geschildert, seine Ohnmacht und  Angstbereitschaft gegen beide, seine mühsam aufrecht  erhaltene Überheblichkeit entlarvt. Dieses Urteil hat  seither einen starken Widerhall in der psychoanaly-  tischen Literatur gefunden. Zahlreiche Stimmen  betonen eindringlich die Schwäche des Ichs gegen  das Es, des Rationellen gegen das Dämonische in uns  und schicken sich an, diesen Satz zu einem Grund-  pfeiler einer psychoanalytischen Weltanschauung zu  machen. Sollte nicht die Einsicht in die Wirkungs-  weise der Verdrängung gerade den Analytiker von so  extremer Parteinahme zurückhalten?   Ich bin überhaupt nicht für die Fabrikation von  Weltanschauungen. Die überlasse man den Philosophen,  die eingestandenermafßsen die Lebensreise ohne einen  solchen Baedeker, der über alles Auskunft gibt,  nicht ausführbar finden. Nehmen wir demütig die  Verachtung auf uns, mit der die Philosophen vom  Standpunkt ihrer höheren Bedürftigkeit auf uns herabschauen. Da auch wir unseren narzißtischen Stolz  nicht verleugnen können, wollen wir unseren Trost in  der Erwägung suchen, daß alle diese Lebensführer rasch veralten, daß es gerade unsere kurzsichtig  beschränkte Kleinarbeit ist, welche deren Neuauflagen  notwendig macht, und daß selbst die modernsten  dieser Baedeker Versuche sind, den alten, so bequemen und so vollständigen Katechismus zu ersetzen.  Wir wissen genau, wie wenig Licht die Wissenschaft  bisher über die Rätsel dieser Welt verbreiten konnte;  alles Poltern der Philosophen kann daran nichts  ändern, nur geduldige Fortsetzung der Arbeit, die  alles der einen Forderung nach Gewißheit unter-  ordnet, kann langsam Wandel schaffen. Wenn der  Wanderer in der Dunkelheit singt, verleugnet er  seine Ängstlichkeit, aber er sieht darum um nichts  heller. Um zum Problem des Ichs zurückzukehren: Der  Anschein des Widerspruchs kommt daher, daf wir  Abstraktionen zu starr nehmen und aus einem kom-  plizierten Sachverhalt bald die eine, bald die andere  Seite allein herausgreifen. Die Scheidung des Ichs  vom Es scheint gerechtfertigt, sie wird uns durch  bestimmte Verhältnisse aufgedrängt. Aber anderseits  ist das Ich mit dem Es identisch, nur ein besonders  differenzierter Anteil desselben. Stellen wir dieses  Stück in Gedanken dem Ganzen gegenüber, oder hat  sich ein wirklicher Zwiespalt zwischen den beiden  ergeben, so wird uns die Schwäche dieses Ichs offenbar. Bleibt das Ich aber mit dem Es verbunden, von  ihm nicht unterscheidbar, so zeigt sich seine Stärke.  Ähnlich ist das Verhältnis des Ichs zum Über-Ich; für  viele Situationen fließen uns die beiden zusammen,  meistens können wir sie nur unterscheiden, wenn sich  eine Spannung, ein Konflikt zwischen ihnen hergestellt  hat. Für den Fall der Verdrängung wird die Tatsache entscheidend, daß das Ich eine Organisation ist,  das Es aber keine; das Ich ist eben der organi-  sierte Anteil des Es. Es wäre ganz ungerechtfertigt,  wenn man sich vorstellte, Ich und Es seien wie zwei  verschiedene Heerlager ; durch die Verdrängung suche  das Ich ein Stück des Es zu unterdrücken, nun  komme das übrige Es dem Angegriffenen zu Hilfe  und messe seine Stärke mit der des Ichs. Das mag  oft zustande kommen, aber es ist gewifs nicht die  Eingangssituation der Verdrängung; in der Regel  bleibt die zu verdrängende Triebregung isoliert. Hat  der Akt der Verdrängung uns die Stärke des Ichs  gezeigt, so legt er doch in einem auch Zeugnis ab für  dessen Ohnmacht und für die Unbeeinflußbarkeit der  einzelnen Triebregung des Es. Denn der Vorgang,  der durch die Verdrängung zum SYMPTOM geworden  ist, behauptet nun seine Existenz außerhalb der  Ichorganisation und unabhängig von ihr. Und nicht er  allein, auch alle seine Abkömmlinge genießen das-  selbe Vorrecht, man möchte sagen: der Extraterritorialität, und wo sie mit Anteilen der Ichorganisation  assoziativ zusammentreffen, wird es fraglich, ob sie  diese nicht zu sich herüberziehen und sich mit diesem  Gewinn auf Kosten des Ichs ausbreiten werden. Ein  uns längst vertrauter Vergleich betrachtet das SYMPTOM  als einen Fremdkörper, der unaufhörlich Reiz- und  Reaktionserscheinungen in dem Gewebe unterhält,  in das er sich eingebettet hat. Es kommt zwar vor, daß der Abwehrkampf gegen die unliebsame  Triebregung durch die SYMPTOMbildung abgeschlossen  wird; soweit wir sehen, ist dies am ehesten bei der  hysterischen Konversion möglich, aber in der Regel  ist der Verlauf ein anderer; nach dem ersten Akt  der Verdrängung folgt ein langwieriges oder nie zu  beendendes Nachspiel, der Kampf gegen die Trieb-  regung findet seine Fortsetzung in dem Kampf gegen  das SYMPTOM. Dieser sekundäre Abwehrkampf zeigt uns zwei  Gesichter — mit widersprechendem Ausdruck. Einer-  seits wird das Ich durch seine Natur genötigt, etwas  zu unternehmen, was wir als Herstellungs- oder Versöhnungsversuch beurteilen müssen. Das Ich ist eine  Organisation, es beruht auf dem freien Verkehr und  der Möglichkeit gegenseitiger Beeinflussung unter all  seinen Bestandteilen, seine desexualisierte Energie bekundet ihre Herkunft noch in dem Streben nach Bindung  und Vereinheitlichung und dieser Zwang zur Synthese  nimmt immer mehr zu, je kräftiger sich das Ich entwickelt. So wird es verständlich, daß das Ich auch versucht, die Fremdheit und Isolierung des SYMPTOMs  aufzuheben, indem es alle Möglichkeiten ausnützt, es  irgendwie an sich zu binden und durch solche Bande  seiner Organisation einzuverleiben. Wir wissen, daß  ein solches Bestreben bereits den Akt der SYMPTOM-  bildung beeinflußt. Ein klassisches Beispiel dafür sind  jene hysterischen SYMPTOMe, die uns als Kompromifszwischen Befriedigungs- und Strafbedürfnis durchsichtig  geworden sind. Als Erfüllungen einer Forderung des  Über-Ichs haben solche SYMPTOMe von vorneherein  Anteil am Ich, während sie anderseits Positionen des  Verdrängten und Einbruchsstellen desselben in die  Ichorganisation bedeuten; sie sind sozusagen Grenz-stationen mit gemischter Besetzung. Ob alle primären  hysterischen SYMPTOMe so gebaut sind, verdiente  eine sorgfältige Untersuchung. Im weiteren Verlaufe  benimmt sich das Ich so, als ob es von der Er-  wägung geleitet würde: das SYMPTOM ist einmal da  und kann nicht beseitigt werden; nun heißt es, sich  mit dieser Situation befreunden und den größtmög-  lichen Vorteil aus ihr ziehen. Es findet eine Anpassung  an das ichfremde Stück der Innenwelt statt, das  durch das SYMPTOM repräsentiert wird, wie sie das  Ich sonst normalerweise gegen die reale Außenwelt  zustande bringt. An Anlässen hiezu fehlt es nie. Die  Existenz des Symptoms mag eine gewisse Behinde-  rung der Leistung mit sich bringen, mit der man eine  Anforderung des Über-Ichs beschwichtigen oder einen  Anspruch der Außenwelt zurückweisen kann. So wird  das Symptom allmählich mit der Vertretung wichtiger  Interessen betraut, es erhält einen Wert für die  Selbstbehauptung, verwächst immer inniger mit dem  Ich, wird ihm immer unentbehrlicher. Nur in ganz  seltenen Fällen kann der Prozeß der Einheilung eines  Fremdkörpers etwas ähnliches wiederholen. Man kann die Bedeutung dieser sekundären Anpassung an das  Symptom auch übertreiben, indem man aussagt, das  Ich habe sich das Symptom überhaupt nur ange-  schafft, um dessen Vorteile zu genießen. Das ist  dann so richtig oder so falschh wie wenn man die  Ansicht vertritt, der Kriegsverletzte habe sich das  Bein nur abschießen lassen, um dann arbeitsfrei von  seiner Invalidenrente zu leben.   Andere Symptomgestaltungen, die der Zwangs-  neurose und der Paranoia, bekommen einen hohen  Wert für das Ich, nicht weil sie ihm Vorteile, sondern  weil sie ihm eine sonst entbehrte narzißtische  Befriedigung bringen. Die Systembildungen der Zwangs-  neurotiker schmeicheln ihrer Eigenliebe durch die  Vorspiegelung, sie seien als besonders reinliche oder  gewissenhafte Menschen besser als andere; die Wahn-  bildungen der Paranoia eröffnen dem Scharfsinn und  der Phantasie dieser Kranken ein Feld zur Betätigung,  das ihnen nicht leicht ersetzt werden kann. Aus all  den erwähnten Beziehungen resultiert, was uns als  der (sekundäre) Krankheitsgewinn der Neurose  bekannt ist. Er kommt dem Bestreben des Ichs, sich  das Symptom einzuverleiben, zu Hilfe und verstärkt  die Fixierung des letzteren. Wenn wir dann den Ver-  such machen, dem Ich in seinem Kampf gegen das  Symptom analytischen Beistand zu leisten, finden wir  diese versöhnlichen Bindungen zwischen Ich und  Symptom auf der Seite der Widerstände wirksam. Es wird uns nicht leicht gemacht, sie zu lösen. Die beiden  Verfahren, die dasIch gegen das Symptom anwendet,  stehen wirklich in Widerspruch zu einander.   Das andere Verfahren hat weniger freundlichen  Charakter, es setzt die Richtung der Verdrängung  fort. Aber es scheint, daß wir das Ich nicht mit dem  Vorwurf der Inkonsequenz belasten dürfen. Das Ich ist  friedfertig und möchte sich das Symptom einverleiben,  es in sein Ensemble aufnehmen. Die Störung geht  vom Symptom aus, das als richtiger Ersatz und  Abkömmling der verdrängten Regung deren Rolle  weiterspielt, deren Befriedigungsanspruch immer wieder  erneuert und so das Ich nötigt, wiederum das Unlust-  signal zu geben und sich zur Wehre zu setzen.   Der sekundäre Abwehrkampf gegen das Symptom  ist vielgestaltig, spielt sich auf verschiedenen Schau-  plätzen ab und bedient sich mannigfaltiger Mittel.  Wir werden nicht viel über ihn aussagen können, wenn  wir nicht die einzelnen Fälle der Symptombildung  zum Gegenstand der Untersuchung nehmen. Dabei  werden wir Anlaß finden, auf das Problem der Angst  einzugehen, das wir längst wie im Hintergrunde lauernd  verspüren. Es empfiehlt sich, von den Symptomen,  welche die hysterische Neurose schafft, auszugehen;  auf die Voraussetzungen der Symptombildung bei der  Zwangsneurose, Paranoia und anderen Neurosen sind  wir noch nicht vorbereitet. IV Der erste Fall, den wir betrachten, sei der einer  infantilen hysterischen Tierphobie, also z.B. der gewifs  in allen Hauptzügen typische Fall der Pferdephobie  des ‚ Kleinen Hans‘. Schon der erste Blick läßt uns  erkennen, daß die Verhältnisse eines realen Falles  von neurotischer Erkrankung weit komplizierter sind  als unsere Erwartung, solange wir mit Abstraktionen  arbeiten, sich vorstellt. Es gehört einige Arbeit dazu,  sich zu orientieren, welches die verdrängte Regung,  was ihr Symptomersatz ist, wo das Motiv der Verdrängung kenntlich wird. Der kleine Hans weigert sich, auf die Straße zu  gehen, weil er Angst vor dem Pferd hat. Dies ist  der Rohstoff. Was ist nun daran das Symptom: die  Angstentwicklung, die Wahl des Angstobjekts, oder  der Verzicht auf die freie Beweglichkeit, oder mehreres  davon zugleich? Wo ist die Befriedigung, die er sich  versagt? Warum muß er sich diese versagen? Siehe: Analyse der Phobie eines fünfjährigen Knaben. (Ges.  Schriften) Es liegt nahe zu antworten, an dem Falle sei  nicht so viel rätselhaft. Die unverständliche Angst  vor dem Pferd ist das Symptom, die Unfähigkeit, auf  die Straße zu gehen, ist eine Hemmungserscheinung,  eine Einschränkung, die sich das Ich auferlegt, um  nicht das Angstsymptom zu wecken. Man sieht ohne  weiteres die Richtigkeit der Erklärung des letzten  Punktes ein und wird nun diese Hemmung bei der  weiteren Diskussion außer Betracht lassen. Aber die  erste flüchtige Bekanntschaft mit dem Falle lehrt uns  nicht einmal den wirklichen Ausdruck des vermeint-  lichen Symptoms kennen. Es handelt sich, wie wir  bei genauerem Verhör erfahren, gar nicht um eine  unbestimmte Angst vor dem Pferd, sondern um die  bestimmte ängstliche Erwartung: das Pferd werde ihn  beifsen. Allerdings sucht sich dieser Inhalt dem Bewußt-  sein zu entziehen und sich durch die unbestimmte  Phobie, in der nur noch die Angst und ihr Objekt  vorkommen, zu ersetzen. Ist nun etwa dieser Inhalt  der Kern des Symptoms?   Wir kommen keinen Schritt weiter, so lange  wir nicht die ganze psychische Situation des Kleinen  in Betracht ziehen, wie sie uns während der  analytischen Arbeit enthüllt wird. Er befindet sich  in der eifersüchtigen und feindseligen Ödipusein-  stellung zu seinem Vater, den er doch, so weit die  Mutter nicht als Ursache der Entzweiung in Betracht  kommt, herzlich liebt. Also ein Ambivalenzkonflikt, gut begründete Liebe und nicht minder berech-  tigter Haß, beide auf dieselbe Person gerichtet.  Seine Phobie muß ein Versuch zur Lösung dieses  Konflikts sein. Solche Ambivalenzkonflikte sind sehr  häufig, wir kennen einen anderen typischen Ausgang  derselben. Bei diesem wird die eine der beiden mit-  einander ringenden Regungen, in der Regel die zärt-  liche, enorm verstärkt, die andere verschwindet. Nur  das Übermaß und das Zwangsmäßige der Zärtlichkeit  verrät uns, daf3 diese Einstellung nicht die einzig  vorhandene ist, daß sie ständig auf der Hut ist, ihr  Gegenteil in Unterdrückung zu halten, und läßt uns  einen Hergang konstruieren, den wir als Verdrängung  durch Reaktionsbildung (im Ich) beschreiben.  Fälle wie der kleine Hans zeigen nichts von solcher  Reaktionsbildung; es gibt offenbar verschiedene Wege,  die aus einem Ambivalenzkonflikt herausführen.  Etwas anderes haben wir unterdes mit Sicherheit  erkannt. Die Triebregung, die der Verdrängung unter-  liegt, ist ein feindseliger Impuls gegen den Vater.  Die Analyse lieferte uns den Beweis hiefür, während  sie der Herkunft der Idee des beifßenden Pferdes  nachspürte. Hans hat ein Pferd fallen gesehen, einen  Spielkameraden fallen und sich verletzen, mit dem er  Pferd gespielt hatte. Sie hat uns das Recht  gegeben, bei Hans eine Wunschregung zu konstruieren,  die gelautet hat, der Vater möge hinfallen, sich  beschädigen wie das Pferd und der Kamerad. Beziehungen zu einer beobachteten Abreise lassen ver-  muten, daß der Wunsch nach der Beseitigung des  Vaters auch minder zaghaften Ausdruck gefunden  hat. Ein solcher Wunsch ist aber gleichwertig mit  der Absicht, ihn selbst zu beseitigen, mit der mör-  derischen Regung des Ödipuskomplexes. Von dieser verdrängten Triebregung führt bis jetzt  kein Weg zu dem Ersatz für sie, den wir in der  Pferdephobie vermuten. Vereinfachen wir nun die  psychische Situation des kleinen Hans, indem wir  das infantile Moment und die Ambivalenz wegräumen;  er sei etwa ein jüngerer Diener in einem Haushalt,  der in die Herrin verliebt ist und sich gewisser  Gunstbezeugungen von ihrer Seite erfreue. Erhalten  bleibt, dafß er den stärkeren Hausherrn haßt und ihn  beseitigt wissen möchte; dann ist es die natürlichste  Folge dieser Situation, daß er die Rache dieses Herrn  fürchtet, daß sich bei ihm ein Zustand von Angst vor  diesem einstellt — ganz ähnlich wie die Phobie des  kleinen Hans vor dem Pferd. Das heißt, wir können  die Angst dieser Phobie nicht als Symptom bezeichnen;  wenn der kleine Hans, der in seine Mutter verliebt  ist, Angst vor dem Vater zeigen würde, hätten wir  kein Recht, ihm eine Neurose, eine Phobie, zuzu-  schreiben. Wir hätten eine durchaus begreifliche  affektive Reaktion vor uns. Was diese zur Neurose  macht, ist einzig und allein ein anderer Zug, die  Ersetzung des Vaters durch das Pferd. Diese Verschiebung stellt also das her, was auf den Namen  eines Symptoms Anspruch hat. Sie ist jener andere  Mechanismus, der die Erledigung des Ambivalenzkonflikts ohne die Hilfe der Reaktionsbildung gestattet.  Ermöglicht oder erleichtert wird sie durch den Um-  stand, daß die mitgeborenen Spuren totemistischer  Denkweise in diesem zarten Alter noch leicht zu  beleben sind. Die Kluft zwischen Mensch und Tier  ist noch nicht anerkannt, gewif3 nicht so überbetont  wie später. Der erwachsene, bewunderte, aber auch  gefürchtete Mann steht noch in einer Reihe mit dem  großen Tier, das man um so vielerlei beneidet, vor  dem man aber auch gewarnt worden ist, weil es  gefährlich werden kann. Der Ambivalenzkonflikt wird  also nicht an derselben Person erledigt, sondern gleich-  sam umgangen, indem man einer seiner Regungen  eine andere Person als Ersatzmann unterschiebt.  Soweit sehen wir ja klar, aber in einem anderen  Punkte hat uns die Analyse der Phobie des kleinen  Hans eine volle Enttäuschung gebracht. Die Entstellung,  in der die Symptombildung besteht, wird gar nicht  an der Repräsentanz (dem Vorstellungsinhalt) der zu  verdrängenden Triebregung vorgenommen, sondern  an einer davon ganz verschiedenen, die nur einer  Reaktion auf das eigentlich Unliebsame entspricht.  Unsere Erwartung fände eher Befriedigung, wenn  der kleine Hans an Stelle seiner Angst vor dem  Pferd eine Neigung entwickelt hätte, Pferde zu mißshandeln, sie zu schlagen, oder deutlich seinen Wunsch  kundgegeben hätte, zu sehen, wie sie hinfallen, zu  Schaden kommen, eventuell unter Zuckungen verenden  (das Krawallmachen mit den Beinen). Etwas der Art  tritt auch wirklich während seiner Analyse auf, aber  es steht lange nicht voran in der Neurose und  — sonderbar wenner wirklich solche Feindseligkeit,  nur gegen das Pferd, anstatt gegen den Vater gerichtet,  als Hauptsymptom entwickelt hätte, würden wir gar  nicht geurteilt haben, er befinde sich in einer Neurose.  Etwas ist also da nicht in Ordnung, entweder an  unserer Auffassung der Verdrängung oder in unserer  Definition eines Symptoms. Eines fällt uns natürlich sofort  auf: Wenn der kleine Hans wirklich ein solches Ver-  halten gegen Pferde gezeigt hätte, so wäre ja der  Charakter der anstößigen, aggressiven Triebregung  durch die Verdrängung gar nicht verändert, nur deren  Objekt gewandelt worden.   Es ist ganz sicher, daß es Fälle von Verdrängung  gibt, die nicht mehr leisten als dies; bei der Genese  der Phobie des kleinen Hans ist aber mehr geschehen.  Um wieviel mehr, erraten wir aus einem anderen  Stück Analyse.   Wir haben bereits gehört, daß der kleine Hans  als den Inhalt seiner Phobie die Vorstellung angab,  vom Pferd gebissen zu werden. Nun haben wir.später  Einblick in die Genese eines anderen Falles von Tier-  phobie bekommen, in der der Wolf das Angsttier war, aber gleichfalls die Bedeutung eines Vaterersatzes hatte."  Im Anschluß an einen Traum, den die Analyse durch-  sichtig machen konnte, entwickelte sich bei diesem  Knaben die Angst, vom Wolf gefressen zu werden,  wie eines der sieben Geifjlein im Märchen. Daß der Vater des kleinen Hans nachweisbar ‚‚Pferdl‘‘ mit ihm  gespielt hatte, war gewiß bestimmend für die Wahl  des Angsttieres geworden; ebenso lief3 sich wenigstens  sehr wahrscheinlich machen, daf3 der Vater meines  erst im dritten Jahrzehnt analysierten Russen in den  Spielen mit dem Kleinen den Wolf gemimt und  scherzend mit dem Auffressen gedroht hatte. Seither  habe ich als dritten Fall einen jungen Amerikaner  gefunden, bei dem sich zwar keine Tierphobie ausbildete, der aber gerade durch diesen Ausfall die  anderen Fälle verstehen hilft. Seine sexuelle Erregung  hatte sich an einer phantastischen Kindergeschichte  entzündet, die man ihm vorlas, von einem arabischen  Häuptling, der einer aus eßbarer Substanz bestehenden  Person (dem Gäingerbreadman), nachjagt, um ihn zu  verzehren. Mit diesem eßbaren Menschen identifizierte  er sich selbst, der Häuptling war als Vaterersatz  leicht kenntlich und diese Phantasie wurde die erste  Unterlage seiner autoerotischen Betätigung. Die Vorstellung, vom Vater gefressen zu werden, ist aber  typisches uraltes Kindergut; die Analogien aus der  Bd.) Mythologie (Kronos) und dem Tierleben sind allgemein  bekannt.   Trotz solcher Erleichterungen ist dieser Vorstellungs-  inhalt uns so fremdartig, daß wir ihn dem Kinde nur  ungläubig zugestehen können. Wir wissen auch nicht,  ob er wirklich das bedeutet, was er auszusagen scheint,  und verstehen nicht, wie er Gegenstand einer Phobie  werden kann. Die analytische Erfahrung gibt uns aller-  dings die erforderlichen Auskünfte. Sie lehrt uns, daß  die Vorstellung, vom Vater gefressen zu werden, der  regressiv erniedrigte Ausdruck für eine passive zärtliche  Regung ist, die vom Vater als Objekt im Sinne der  Genitalerotik geliebt zu werden begehrt. Die Ver-  folgung der Geschichte des Falles läßt keinen Zweifel  an der Richtigkeit dieser Deutung aufkommen. Die  genitale Regung verrät freilich nichts mehr von ihrer  zärtlichen Absicht, wenn sie in der Sprache der  überwundenen Übergangsphase von der oralen zur  sadistischen Libidoorganisation ausgedrückt wird.  Handelt es sich übrigens nur um eine Ersetzung der  Repräsentanz durch einen regressiven Ausdruck oder  um eine wirkliche regressive Erniedrigung der genital-  gerichteten Regung im Es? Das scheint gar nicht  so leicht zu entscheiden. Die Krankengeschichte des  russischen Wolfsmannes spricht ganz entschieden  für die letztere ernstere Möglichkeit, denn er benimmt  sich von dem entscheidenden Traum an schlimm,  quälerisch, sadistisch und entwickelt bald darauf eine richtige Zwangsneurose. Jedenfalls gewinnen wir die  Einsicht, daf3 die Verdrängung nicht das einzige Mittel  ist, das dem Ich zur Abwehr einer unliebsamen Triebregung zu (sebote steht. Wenn es ihm gelingt, den  Trieb zur Regression zu bringen, so hat es ihn im  Grunde energischer beeinträchtigt, als durch die Ver-  drängung möglich wäre. Allerdings läßt es manchmal  der zuerst erzwungenen Regression die Verdrängung  folgen. |   Der Sachverhalt beim Wolfsmann und der etwas  einfachere beim kleinen Hans regen noch mancherlei  andere Überlegungen an, aber zwei unerwartete Ein-  sichten gewinnen wir schon jetzt. Kein Zweifel, die  bei diesen Phobien verdrängte Triebregung ist eine  feindselige gegen den Vater. Man kann sagen, sie wird  verdrängt durch den Prozeß der Verwandlung ins  Gegenteil; an Stelle der Aggression gegen den Vater  tritt die Aggression, die Rache, des Vaters gegen  die eigene Person. Da eine solche Aggression ohne-  dies in der sadistischen Libidophase wurzelt, bedarf  sie nur noch einer gewissen Erniedrigung zur oralen  Stufe, die bei Hans durch das Gebissenwerden ange-  deutet, beim Russen aber im Gefressenwerden grell  ausgeführt ist. Aber außerdem läßt ja die Analyse  über jeden Zweifel gesichert feststellen, daß gleich-  zeitig noch eine andere Triebregung der Verdrängung  erlegen ist, die gegensinnige einer zärtlichen passiven  Regung für den Vater, die bereits das Niveau der genitalen (phallischen) Libidoorganisation erreicht hatte.  Die letztere scheint sogar die für das Endergebnis  des Verdrängungsvorganges bedeutsamere zu sein, sie  erfährt die weitergehende Regression, sie erhält den  bestimmenden Einfluß auf den Inhalt der Phobie. Wo  wir also nur einer Triebverdrängung nachgespürt  haben, müssen wir das Zusammentreffen von zwei  solchen Vorgängen anerkennen; die beiden betroffenen  Triebregungen — sadistische Aggression gegen den  Vater und zärtlich passive Einstellung zu ihm — bilden  ein (Gegensatzpaar, ja noch mehr: wenn wir die  Geschichte des kleinen Hans richtig würdigen, erkennen  wir, daß durch die Bildung seiner Phobie auch die  zärtliche Objektbesetzung der Mutter aufgehoben  worden ist, wovon der Inhalt der Phobie nichts verrät.  Es handelt sich bei Hans beim Russen ist das weit  weniger deutlich um einen Verdrängungsvorgang,  der fast alle Komponenten des Ödipuskomplexes betrifft,  die feindliche wie die zärtliche Regung gegen den Vater  und die zärtliche für die Mutter.   Das sind unerwünschte Komplikationen für uns, die  wir nur einfache Fälle von Symptombildung infolge  von Verdrängung studieren wollten und uns in dieser  Absicht an die frühesten und anscheinend durch-  sichtigsten Neurosen der Kindheit gewendet hatten.  Anstatt einer einzigen Verdrängung fanden wir eine  Häufung von solchen vor und überdies bekamen wir  es mit der Regression zu tun. Vielleicht haben wir die Verwirrung dadurch gesteigert, daß wir die beiden  verfügbaren Analysen von Tierphobien — die des  kleinen Hans und des Wolfsmannes durchaus auf  denselben Leisten schlagen wollten. Nun fallen uns  gewisse Unterschiede der beiden auf. Nur vom kleinen  Hans kann man mit Bestimmtheit aussagen, daß er  durch seine Phobie die beiden Hauptregungen des  Ödipuskomplexes, die aggressive gegen den Vater  und die überzärtliche gegen die Mutter, erledigt; die  zärtliche für den Vater ist gewif) auch vorhanden, sie  spielt ihre.Rolle bei der Verdrängung ihres Gegensatzes,  aber es ist weder nachweisbar, daß sie stark genug  war, um eine Verdrängung zu provozieren, noch dafs  sie nachher aufgehoben ist. Hans scheint eben ein  normaler Junge mit sog. „positivem‘‘ Ödipuskomplex  gewesen zu sein. Möglich, daß die Momente, die wir  vermissen, auch bei ihm mittätig waren, aber wir  können sie nicht aufzeigen, das Material selbst unserer  eingehendsten Analysen ist eben lückenhaft, unsere  Dokumentierung unvollständig. Beim Russen ist der  Defekt an anderer Stelle; seine Beziehung zum weib-  lichen Objekt ist durch eine frühzeitige Verführung  gestört worden, die passive, feminine Seite ist bei  ihm stark ausgebildet und die Analyse seines Wolfs-  traumes enthüllt wenig von beabsichtigter Aggression  gegen den Vater, erbringt dafür die unzweideutigsten  Beweise, daß die Verdrängung die passive, zärtliche  Einstellung zum Vater betrifft. Auch hier mögen die anderen Faktoren beteiligt gewesen sein, sie treten  aber nicht vor. Wenn trotz dieser Unterschiede der  beiden Fälle, die sich nahezu einer Gegensätzlichkeit  nähern, der Enderfolg der Phobie nahezu der nämliche  ist, so muß uns die Erklärung dafür von anderer Seite  kommen; sie kommt von dem zweiten Ergebnis unserer  kleinen vergleichenden Untersuchung. Wir glauben  den Motor der Verdrängung in beiden Fällen zu kennen  und sehen seine Rolle durch den Verlauf bestätigt,  den die Entwicklung der zwei Kinder nimmt. Er ist  in beiden Fällen der nämliche, die Angst vor einer  drohenden Kastration. Aus Kastrationsangst gibt der  kleine Hans die Aggression gegen den Vater auf; seine  Angst, das Pferd werde ihn beißen, kann zwanglos ver-  vollständigt werden, das Pferd werde ihm das Genitale  abbeißßen, ihn kastrieren. Aber aus Kastrationsangst  verzichtet auch der kleine Russe auf den Wunsch,  vom Vater als Sexualobjekt geliebt zu werden, denn  er hat verstanden, eine solche Beziehung hätte zur  Voraussetzung, daß er sein Genitale aufopfert, das,  was ihn vom Weib unterscheidet. Beide Gestaltungen  des Ödipuskomplexes, die normale, aktive, wie die  invertierte, scheitern ja am Kastrationskomplex. Die  Angstidee des Russen, vom Wolf gefressen zu werden,  enthält zwar keine Andeutung der Kastration, sie  hat sich durch orale Regression zu weit von der  phallischen Phase entfernt, aber die Analyse seines  Traumes macht jeden anderen Beweis überflüssig. Es ist auch ein voller Triumph der Verdrängung,  daß im Wortlaut der Phobie nichts mehr auf die  Kastration hindeutet.   Hier nun das unerwartete Ergebnis: In beiden  Fällen ist der Motor der Verdrängung die Kastrations-  angst; die Angstinhalte, vom Pferd gebissen und vom  Wolf gefressen zu werden, sind Entstellungsersatz für  den Inhalt, vom Vater kastriert zu werden. Dieser  Inhalt ist es eigentlich, der die Verdrängung an sich  erfahren hat. Beim Russen war er Ausdruck eines  Wunsches, der gegen die Auflehnung der Männlich-  keit nicht bestehen konnte, bei Hans Ausdruck einer  Reaktion, welche die Aggression in ihr Gegenteil  umwandelte. Aber der Angstaffekt der Phobie, der  ihr Wesen ausmacht, stammt nicht aus dem Verdrängungsvorgang, nicht aus den libidinösen Besetzungen  der verdrängten Regungen, sondern aus dem Verdrängenden selbst; die Angst der Tierphobie ist die  unverwandelte Kastrationsangst, also eine Realangst,  Angst vor einer wirklich drohenden oder als real  beurteilten Gefahr. Hier macht die Angst die Verdrängung, nicht, wie ich früher gemeint habe, die Ver-  drängung die Angst.   Es ist nicht angenehm, daran zu denken, aber es  hilft nichts, es zu verleugnen, ich habe oftmals den  Satz vertreten, durch die Verdrängung werde die  Triebrepräsentanz entstellt, verschoben u. dgl., die  Libido der Triebregung aber in Angst verwandelt.  Die Untersuchung der Phobien, die vor allem berufen  sein sollte, diesen Satz zu erweisen, bestätigt ihn also  nicht, sie scheint ihm vielmehr direkt zu widersprechen.  Die Angst der Tierphobien ist die Kastrationsangst  des Ichs, die der weniger gründlich studierten Agoraphobie scheint Versuchungsangst zu sein, die ja genetisch mit der Kastrationsangst zusammenhängen muß.  Die meisten Phobien gehen, so weit wir es heute  übersehen, auf eine solche Angst des Ichs vor den  Ansprüchen der Libido zurück. Immer ist dabei die  Angsteinstellung des Ichs das Primäre und der Antrieb  zur Verdrängung. Niemals geht die Angst aus der  verdrängten Libido hervor. Wenn ich mich früher  begnügt hätte zu sagen, nach der Verdrängung er-  scheint an Stelle der zu erwartenden Äußerung von  Libido ein Maß von Angst, so hätte ich heute  nichts zurückzunehmen. Die Beschreibung ist richtig  und zwischen der Stärke der zu verdrängenden  Regung und der Intensität der resultierenden Angst  besteht wohl die behauptete Entsprechung. Aber  ich gestehe, ich glaubte mehr als eine bloße Be-  schreibung zu geben, ich nahm an, daß ich den  metapsychologischen Vorgang einer direkten Umsetzung der Libido in Angst erkannt hatte; das kann  ich also heute nicht mehr festhalten. Ich konnte auch  früher nicht angeben, wie sich eine solche Umwandlung  vollzieht. Woher schöpfte ich überhaupt die Idee dieser Umsetzung? Zur Zeit, als es uns noch sehr ferne lag,  zwischen Vorgängen im Ich und Vorgängen im Es zu  unterscheiden, aus dem Studium der Aktualneurosen.  Ich fand, daß bestimmte sexuelle Praktiken, wie Coitus  interruptus, frustrane Erregung, erzwungene Abstinenz  Angstausbrüche und eine allgemeine Angstbereitschaft  erzeugen, also immer, wenn die Sexualerregung in  ihrem Ablauf zur Befriedigung gehemmt, aufgehalten  oder abgelenkt wird. Da die Sexualerregung der Aus-  druck libidinöser Triebregungen ist, schien es nicht  gewagt, anzunehmen, daf die Libido sich durch die  Einwirkung solcher Störungen in Angst verwandelt.  Nun ist diese Beobachtung auch heute noch gültig;  anderseits ist nicht abzuweisen, daß die Libido der  Es-Vorgänge durch die Anregung der Verdrängung eine  Störung erfährt; es kann also noch immer richtig sein,  daß sich bei der Verdrängung Angst aus der Libido-  besetzung der Triebregungen bildet. Aber wie soll  man dieses Ergebnis mit dem anderen zusammenbringen, daß die Angst der Phobien eine Ich-Angst ist,  im Ich entsteht, nicht aus der Verdrängung hervorgeht, sondern die Verdrängung hervorruft? Das scheint  ein Widerspruch und nicht einfach zu lösen. Die  Reduktion der beiden Ursprünge der Angst auf einen  einzigen läft sich nicht leicht durchsetzen. Man kann  es mit der Annahme versuchen, daß das Ich in der  Situation des gestörten Koitus, der unterbrochenen  Erregung, der Abstinenz, Gefahren wittert, auf die es  mit Angst reagiert, aber es ist nichts damit zu machen.  Anderseits scheint die Analyse der Phobien, die wir  vorgenommen haben, eine Berichtigung nicht zuzulassen. Von liguet! Wir wollten die Symptombildung und den sekun-  dären Kampf des Ichs gegen das Symptom studieren,  aber wir haben offenbar mit der Wahl der Phobien  keinen glücklichen Griff getan. Die Angst, welche im  Bild dieser Affektionen vorherrscht, erscheint uns nun  als eine den Sachverhalt verhüllende Komplikation. Es  gibt reichlich Neurosen, bei denen sich nichts von  Angst zeigt. Die echte Konversionshysterie ist von  solcher Art, deren schwerste Symptome ohne Bei-  mengung von Angst gefunden werden. Schon diese  Tatsache müßte uns warnen, die Beziehungen zwischen  Angst und Symptombildung nicht allzu fest zu knüpfen.  Den Konversionshysterien stehen die Phobien sonst so  nahe, daß ich mich für berechtigt gehalten habe,  ihnen diese als ‚Angsthysterie anzureihen. Aber  niemand hat noch die Bedingung angeben können,  die darüber entscheidet, ob ein Fall die Form einer  Konversionshysterie oder einer Phobie annimmt, niemand  also die Bedingung der Angstentwicklung bei der  Hysterie ergründet. Die häufigsten Symptome der Konversionshysterie,  eine motorische Lähmung, Kontraktur oder unwillkür-  liche Aktion oder Entladung, ein. Schmerz, eine Halluzination, sind entweder permanent festgehaltene oder  intermittierende Besetzungsvorgänge, was der Erklärung  neue Schwierigkeiten bereitet. Man weiß eigentlich  nicht viel über solche Symptome zu sagen. Durch die  Analyse kann man erfahren, welchen gestörten  Erregungsablauf sie ersetzen. Zumeist ergibt sich, daß  sie selbst einen Anteil an diesem haben, so als ob  sich die gesamte Energie desselben auf dies eine  Stück konzentriert hätte. Der Schmerz war in der  Situation, in welcher die Verdrängung vorfiel, vor-  handen; die Halluzination war damals Wahrnehmung, die motorische Lähmung ist die Abwehr einer Aktion,  die in jener Situation hätte ausgeführt werden sollen,  aber gehemmt wurde, die Kontraktur gewöhnlich eine  Verschiebung für eine damals intendierte Muskel-  innervation an anderer Stelle, der Krampfanfall Aus-  druck eines Affektausbruches, der sich der normalen  Kontrolle des Ichs entzogen hat. In ganz auffälligem  Maße wechselnd ist die Unlustempfindung, die das  Auftreten der Symptome begleitet. Bei den perma-  nenten, auf die Motilität verschobenen Symptomen,  wie Lähmungen und Kontrakturen, fehlt sie meistens  gänzlich, das Ich verhält sich gegen sie wie unbe-  teiligt; bei den intermittierenden und den Symptomen  der sensorischen Sphäre werden in der Regel deutliche Unlustempfindungen verspürt, die sich im Falle  des Schmerzsymptoms zu exzessiver Höhe steigern  können. Es ist sehr schwer, in dieser Mannigfaltigkeit  das Moment herauszufinden, das solche Differenzen  ermöglicht und sie doch einheitlich erklären läßt. Auch  vom Kampf des Ichs gegen das einmal gebildete  Symptom ist bei der Konversionshysterie wenig zu  merken. Nur wenn die Schmerzempfindlichkeit einer  Körperstelle zum Symptom geworden ist, wird diese  in den Stand gesetzt, eine Doppelrolle zu spielen.  Das Schmerzsymptom tritt ebenso sicher auf, wenn  diese Stelle von außen berührt wird, wie wenn die  von ihr vertretene pathogene Situation von innen her  assoziativ aktiviert wird, und das Ich ergreift Vor-  sichtsmaßregeln, um die Erweckung des Symptoms  durch äußere Wahrnehmung hintanzuhalten. Woher  die besondere Undurchsichtigkeit der Symptombildung  bei der Konversionshysterie rührt, können wir nicht  erraten, aber sie gibt uns ein Motiv, das unfrucht-  bare Gebiet bald zu verlassen.   Wir wenden uns zur Zwangsneurose in der  Erwartung, hier mehr über die Symptombildung zu  erfahren. Die Symptome der Zwangsneurose sind im  allgemeinen von zweierlei Art und entgegengesetzter  Tendenz. Es sind entweder Verbote, Vorsichtsmaßregeln, Bußen, also negativer Natur, oder im Gegen-  teil Ersatzbefriedigungen, sehr häufig in symbolischer  Verkleidung. Von diesen zwei Gruppen ist die negative, abwehrende, strafende, die ältere; mit der Dauer des Krankseins nehmen aber die aller Abwehr spotten-  den Befriedigungen überhand. Es ist ein Triumph der  Symptombildung, wenn es gelingt, das  Verbot mit der  Befriedigung zu verquicken, so daß das ursprünglich  abwehrende Gebot oder Verbot auch die Bedeutung  einer Befriedigung bekommt, wozu oft sehr künstliche  Verbindungswege in Anspruch genommen werden. In  dieser Leistung zeigt sich die Neigung zur Synthese,  die wir dem Ich bereits zuerkannt haben. In extremen  Fällen bringt es der Kranke zustande, daß die meisten  seiner Symptome zu ihrer ursprünglichen Bedeutung  auch die des direkten Gegensatzes erworben haben,  ein Zeugnis für die Macht der Ambivalenz, die, wir  wissen nicht warum, in der Zwangsneurose eine so  große Rolle spielt. Im rohesten Fall ist das Symptom  zweizeitig, d. h. auf die Handlung, die eine gewisse  Vorschrift ausführt, folgt unmittelbar eine zweite, die  sie aufhebt oder rückgängig macht, wenngleich sie  noch nicht wagt, ihr Gegenteil auszuführen.   Zwei Eindrücke ergeben sich sofort aus dieser  flüchtigen Überschau der Zwangssymptome. Der erste,  daß hier ein fortgesetzter Kampf gegen das Verdrängte unterhalten wird, der sich immer mehr zu  ungunsten der verdrängenden Kräfte wendet, und  zweitens, daß Ich und Über-Ich hier einen besonders  großen Anteil an der Symptombildung nehmen.   Die Zwangsneurose ist wohl das interessanteste und dankbarste Objekt der analytischen Untersuchung,  aber noch immer als Problem unbezwungen. Wollen  wir in ihr Wesen tiefer eindringen, so müssen wir  eingestehen, daß unsichere Annahmen und unbe-  wiesene Vermutungen noch nicht entbehrt werden  können. Die Ausgangssituation der Zwangsneurose ist  wohl keine andere als die der Hysterie, die not-  wendige Abwehr der libidinösen Ansprüche des Ödipus-komplexes. Auch scheint sich bei jeder Zwangsneurose  eine unterste Schicht sehr früh gebildeter hysterischer  Symptome zu finden. Dann aber wird die weitere  Gestaltung durch einen konstitutionellen Faktor ent-  scheidend verändert. Die genitale Organisation der  Libido erweist sich als schwächlich und zu wenig  resistent. Wenn das Ich sein Abwehrstreben beginnt,  so erzielt es als ersten Erfolg, daf3 die Genitalorgani-  sation (der phallischen Phase) ganz oder teilweise auf  die frühere sadistisch-anale Stufe zurückgeworfen wird.  Diese Tatsache der Regression bleibt für alles folgende  bestimmend.   Man kann noch eine andere Möglichkeit in  Erwägung ziehen. Vielleicht ist die Regression nicht  die Folge eines konstitutionellen, sondern eines zeitlichen Faktors. Sie wird nicht darum ermöglicht  werden, weil die Genitalorganisation der Libido zu  schwächlich geraten, sondern weil das Sträuben des  Ichs zu frühzeitig, noch während der Blüte der sadi-  stischen Phase eingesetzt hat. Einer sicheren Entscheidung getraue ich mich auch in diesem Punkte  nicht, aber die analytische Beobachtung begünstigt  diese Annahme nicht. Sie zeigt eher, dafs bei der  Wendung zur Zwangsneurose die phallische Stufe  bereits erreicht ist. Auch ist das Lebensalter für den  Ausbruch dieser Neurose ein späteres als das der  Hysterie (die zweite Kindheitsperiode, nach dem  Termin der Latenzzeit), und in einem Fall von sehr  später Entwicklung dieser Affektion, den ich studieren  konnte, ergab es sich klar, daß eine reale Entwertung  des bis dahin intakten Genitallebens die Bedingung  für die Regression und die Entstehung der Zwangs-  neurose schuf."   Die metapsychologische Erklärung der Regression  suche ich in einer „Triebentmischung“, in der Ab-  sonderung der erotischen Komponenten, die mit  Beginn der genitalen Phase zu den destruktiven  Besetzungen der sadistischen Phase hinzugetreten waren.   Die Erzwingung der Regression bedeutet den  ersten Erfolg des Ichs im Abwehrkampf gegen den  Anspruch der Libido. Wir unterscheiden hier zweck-  mäßig die allgemeinere Tendenz der „Abwehr“ von  der „Verdrängung“, die nur einer der Mechanismen  ist, deren sich die Abwehr bedient. Vielleicht noch  klarer als bei normalen und hysterischen Fällen erkennt  man bei der Zwangsneurose als den Motor der Abwehr  Be an    2 n S. Die Disposition zur Zwangsneurose. (Ges. Schriften,  den Kastrationskomplex, als das Abgewehrte die  Strebungen des Ödipuskomplexes. Wir befinden uns  nun zu Beginn der Latenzzeit, die durch den Unter-  gang des Ödipuskomplexes, die Schöpfung oder Kon-  solidierung des Über-Ichs und die Aufrichtung der  ethischen und ästhetischen Schranken im Ich gekenn-  zeichnet ist. Diese Vorgänge gehen bei der Zwangs-  neurose über das normale Maß hinaus; zur Zerstörung  des Ödipuskomplexes tritt die regressive Erniedrigung  der Libido hinzu, das Über-Ich wird besonders strenge  und lieblos, das Ich entwickelt im Gehorsam gegen  das Über-Ich hohe Reaktionsbildungen von Gewissen-  haftigkeit, Mitleid, Reinlichkeit. Mit unerbittlicher,  darum nicht immer erfolgreicher Strenge wird die  Versuchung zur Fortsetzung der frühinfantilen Onanie  verpönt, die sich nun an regressive (sadistisch-anale) Vor-  stellungen anlehnt, aber doch den unbezwungenen Anteil  der phallischen Organisation repräsentiert. Es liegt ein  innerer Widerspruch darin, dafs gerade im Interesse  der Erhaltung der Männlichkeit (Kastrationsangst) jede  Betätigung dieser Männlichkeit verhindert wird, aber  auch dieser Widerspruch wird bei der Zwangsneurose  nur übertrieben, er haftet bereits an der normalen  Art der Beseitigung des Ödipuskomplexes. Wie jedes  Übermaß den Keim zu seiner Selbstaufhebung in  sich trägt, wird sich auch an der Zwangsneurose  bewähren, indem gerade die unterdrückte Onanie  sich in der Form der Zwangshandlungen eine immer weiter gehende Annäherung an die Befriedigung  erzwingt.   Die Reaktionsbildungen im Ich der Zwangsneuro-  tiker, die wir als Übertreibungen der normalen Cha-  rakterbildung erkennen, dürfen wir als einen neuen  Mechanismus der Abwehr neben die Regression und  die Verdrängung hinstellen. Sie scheinen bei der  Hysterie zu fehlen oder weit schwächer zu sein.  Rückschauend gewinnen wir so eine Vermutung,  wodurch der Abwehrvorgang. der Hysterie ausge-  zeichnet ist. Es scheint, daß er sich auf die Ver-  drängung einschränkt, indem das Ich sich von der  unliebsamen Triebregung abwendet, sie dem Ablauf  im Unbewußstten überläßt und. an ihren Schicksalen  keinen weiteren Anteil nimmt. So ganz ausschließend  richtig kann das zwar nicht sein, denn wir kennen ja  den Fall, daf$ das hysterische Symptom gleichzeitig  die Erfüllung einer Strafanforderung des Über-Ichs  bedeutet, aber es mag einen allgemeinen Charakter  im Verhalten des Ichs bei der Hysterie beschreiben.   Man kann es einfach als Tatsache hinnehmen, daß  sich bei der Zwangsneurose ein so strenges Über-Ich  bildet, oder man kann daran denken, daß der funda-  mentale Zug dieser Affektion die Libidoregression ist,  und versuchen, auch den Charakter des Über-Ichs  mit ihr zu verknüpfen. In der Tat kann ja das Über-  Ich, das aus dem Es stammt, sich der dort einge-  tretenen Regression und Triebentmischung nicht entziehen. Es wäre nicht zu  verwundern, wenn es  seinerseits härter, quälerischer, liebloser würde als  bei normaler Entwicklung. Während der Latenzzeit scheint die Abwehr der  ÖOnanieversuchung als Hauptaufgabe behandelt zu  werden. Dieser Kampf erzeugt eine Reihe von Symptomen, die bei den verschiedensten Personen in  typischer Weise wiederkehren und im allgemeinen  den Charakter des Zeremoniells tragen. Es ist sehr  zu bedauern, daß sie noch nicht gesammelt und  systematisch analysiert worden sind; als früheste  Leistungen der Neurose würden sie über den hier  verwendeten Mechanismus der Symptombildung am  ehesten Licht verbreiten. Sie zeigen bereits die Züge,  welche in einer späteren schweren Erkrankung so  verhängnisvoll hervortreten werden : die Unterbringung  an den Verrichtungen, die später wie automatisch  ausgeführt werden sollen, am Schlafengehen, Waschen  und Ankleiden, an der Lokomotion, die Neigung zur  Wiederholung und zum Zeitaufwand. Warum das so  geschieht, ist noch keineswegs verständlich; die Subli-  mierung analerotischer Komponenten spielt dabei eine  deutliche Rolle. Die Pubertät macht in der Entwicklung der   Zwangsneurose einen entscheidenden Abschnitt. Die  in der Kindheit abgebrochene Genitalorganisation setzt  nun mit großer Kraft wieder ein. Wir wissen aber,  daß die Sexualentwicklung der Kinderzeit auch für den Neubeginn der Pubertätsjahre die Richtung vorschreibt. Es werden also einerseits die aggressiven  Regungen der Frühzeit wieder erwachen, anderseits  muß ein mehr oder minder großer Anteil der neuen  libidinösen Regungen — in bösen Fällen deren Ganzes die durch die Regression vorgezeichneten Bahnen  einschlagen und als aggressive und destruktive Absichten auftreten. Infolge dieser Verkleidung der  erotischen Strebungen und der starken Reaktions-  bildungen im Ich, wird nun der Kampf gegen die  Sexualität unter ethischer Flagge weitergeführt. Das  Ich sträubt sich verwundert gegen grausame und  gewalttätige Zumutungen, die ihm vom Es her ins  Bewufßstsein geschickt werden, und ahnt nicht, daß es  dabei erotische Wünsche bekämpft, darunter auch  solche, die sonst seinem Einspruch entgangen wären.  Das überstrenge Über-Ich besteht um so energischer  auf der Unterdrückung der Sexualität, da sie so  abstoßende Formen angenommen hat. So zeigt sich  der Konflikt bei der Zwangsneurose nach zwei Rich-  tungen verschärft, das Abwehrende ist intoleranter,  das Abzuwehrende unerträglicher geworden ; beides  durch den Einfluß des einen Moments, der Libido-  regression.   Man könnte einen Widerspruch gegen manche  unserer Voraussetzungen darin finden, daß die unlieb-  same Zwangsvorstellung überhaupt bewußt wird. Allein  es ist kein Zweifel, daß sie vorher den Prozeß der Verdrängung durchgemacht hat. In den meisten ist  der eigentliche Wortlaut der aggressiven Triebregung  dem Ich überhaupt nicht. bekannt. Es gehört ein  gutes Stück analytischer Arbeit dazu, um ihn bewußt  zu machen. Was zum Bewußtsein durchdringt, ist in  der Regel nur ein entstellter Ersatz entweder von  einer verschwommenen, traumhaften Unbestimmtheit,  oder unkenntlich gemacht durch eine absurde Ver-  kleidung. Wenn die Verdrängung nicht den Inhalt  der aggressiven Triebregung angenagt hat, so hat sie  doch gewiß den sie begleitenden Affektcharakter  beseitigt. So erscheint die Aggression dem Ich nicht  als ein Impuls, sondern, wie die Kranken sagen, als  ein bloßer ‚„‚Gedankeninhalt‘, der einen kalt lassen  sollte. Das Merkwürdige ist, daß dies doch nicht der  Fall ist.   Der bei der Wahrnehmung der Zwangsvorstellung  ersparte Affekt kommt nämlich an anderer Stelle zum  Vorschein. Das Über-Ich benimmt sich so, als hätte  keine Verdrängung stattgefunden, als wäre ihm die  aggressive Regung in ihrem richtigen Wortlaut und  mit ihrem vollen Affektcharakter bekannt, und behandelt  das Ich auf Grund dieser Voraussetzung. Das Ich, das  sich einerseits schuldlos weiß, muß anderseits ein  Schuldgefühl verspüren und eine Verantwortlichkeit  tragen, die es sich nicht zu erklären weiß. Das Rätsel,  das uns hiemit aufgegeben wird, ist aber nicht so  groß), als es zuerst erscheint. Das Verhalten des Über-Ichs ist durchaus: verständlich, der Widerspruch im  Ich beweist uns nur, daß es sich mittels der Verdrängung gegen das Es verschlossen hat, während es  den Einflüssen aus dem Über-Ich voll zugänglich  geblieben ist.‘ Der weiteren Frage, warum das Ich  sich nicht auch der peinigenden Kritik des Über-Ichs  zu entziehen sucht, macht die Nachricht ein Ende,  daf dies wirklich in einer großen Reihe von Fällen  so geschieht. Es gibt auch Zwangsneurosen ganz ohne  Schuldbewußtsein; soweit wir es verstehen, hat sich  das Ich die Wahrnehmung desselben durch eine neue  Reihe von Symptomen, Bußhandlungen, Einschränkungen zur Selbstbestrafung, erspart. Diese Sym-  ptome bedeuten aber gleichzeitig Befriedigungen ma-  sochistischer Triebregungen, die ebenfalls aus der  Regression eine Verstärkung bezogen haben.   Die Mannigfaltigkeit in den Erscheinungen der  Zwangsneurose ist eine so großartige, daß es noch  keiner Bemühung gelungen ist, eine zusammenhängende  Synthese aller ihrer Variationen zu geben. Man ist  bestrebt, typische Beziehungen herauszuheben und  dabei immer in Sorge, andere nicht minder wichtige  Regelmäßigkeiten zu übersehen.   Die allgemeine Tendenz der Symptombildung bei  der Zwangsneurose habe ich bereits beschrieben. Sie  geht dahin, der Ersatzbefriedigung immer mehr Raum    ı) Vgl. Reik, Geständniszwang und Strafbedürfnis,  SEHE. u  auf Kosten der Versagung zu schaffen. Dieselben  Symptome, die ursprünglich Einschränkungen des Ichs  bedeuteten, nehmen dank der Neigung des Ichs zur  Synthese später auch die von Befriedigungen an, und  es ist unverkennbar, daf3 die letztere Bedeutung all-  mählich die wirksamere wird. Ein äußerst einge-  schränktes Ich, das darauf angewiesen ist, seine  Befriedigungen in den Symptomen zu suchen, wird  das Ergebnis dieses Prozesses, der sich immer mehr  dem völligen Fehlschlagen des anfänglichen Abwehr-  strebens nähert. Die Verschiebung des Kräfteverhält-  nisses zugunsten der Befriedigung kann zu dem  gefürchteten Endausgang der Willenslähmung des Ichs  führen, das für jede Entscheidung beinahe ebenso  starke Antriebe von der einen wie von der anderen  Seite findet. Der überscharfe Konflikt zwischen Es  und Über-Ich, der die Affektion von Anfang an  beherrscht, kann sich so sehr ausbreiten, daf keine  der Verrichtungen des zur Vermittlung unfähigen  Ichs der Einbeziehung in diesen Konflikt entgehen  kann. VI Während dieser Kämpfe kann man zwei symptom-  bildende Tätigkeiten des Ichs beobachten, die ein  besonderes Interesse verdienen, weil sie offenbare  Surrogate der Verdrängung sind und darum deren  Tendenz und Technik schön erläutern können. Viel-  leicht dürfen wir auch das Hervortreten dieser Hilfs-  und Ersatztechniken als einen Beweis dafür auffassen,  dafs die Durchführung der regelrechten Verdrängung  auf Schwierigkeiten stößt. Wenn wir erwägen, dafs bei  der Zwangsneurose das Ich soviel mehr Schauplatz  der Symptombildung ist als bei der Hysterie, daß  dieses Ich zähe an seiner Beziehung zur Realität und  zum Bewußtsein festhält und dabei alle seine intellek-  tuellen Mittel aufbietet, ja, daß die Denktätigkeit  überbesetzt, erotisiert, erscheint, werden uns solche  Variationen der Verdrängung vielleicht näher gebracht.   Die beiden angedeuteten Techniken sind das  Ungeschehenmachen und das Isolieren. Die  erstere hat ein großes Anwendungsgebiet und reicht  weit zurück. Sie ist sozusagen negative Magie, sie  will durch motorische Symbolik nicht die Folgen  eines Ereignisses (Eindruckes, Erlebnisses), sondern  dieses selbst „wegblasen“. Mit der Wahl dieses  letzten Ausdruckes ist darauf hingewiesen, welche  Rolle diese Technik nicht nur in der Neurose, sondern  auch in den Zauberhandlungen, Volksgebräuchen und  im religiösen Zeremoniell spielt. In der Zwangsneurose  begegnet man dem Ungeschehenmachen zuerst bei  den zweizeitigen Symptomen, wo der zweite Akt den  ersten aufhebt, so, als ob nichts geschehen wäre, wo  in Wirklichkeit beides geschehen ist. Das zwangsneurotische Zeremoniell hat in der Absicht des Unge-  schehenmachens seine zweite Wurzel. Die erste ist  die Verhütung, die Vorsicht, damit etwas Bestimm-  tes nicht geschehe, sich nicht wiederhole. Der Unter-  schied ist leicht zu fassen; die Vorsichtsmafßregeln  sind rationell, die „Aufhebungen‘ durch Ungeschehen-  machen irrationell, magischer Natur. Natürlich muß  man vermuten, daß diese zweite Wurzel die ältere,  aus der animistischen Einstellung zur Umwelt stam-  mende ist. Seine Abschattung zum Normalen findet  das Streben zum Ungeschehenmachen in dem Ent-  schluß ein Ereignis als ‚»on arrive“ zu behandeln,  aber dann unternimmt man nichts dagegen, kümmert  sich weder um das Ereignis noch um seine Folgen,  während man in der Neurose die Vergangenheit  selbst aufzuheben, motorisch zu verdrängen sucht. Dieselbe Tendenz kann auch die Erklärung des in  der Neurose so häufigen Zwanges zur Wieder-  holung geben, bei dessen Ausführung sich dann  mancherlei einander widerstreitende Absichten zu-  sammenfinden. Was nicht in solcher Weise geschehen  ist, wie es dem Wunsch gemäß hätte geschehen  sollen, wird durch die Wiederholung in anderer Weise  ungeschehen gemacht, wozu nun alle die Motive hin-  zutreten, bei diesen Wiederholungen zu verweilen. Im  weiteren Verlauf der Neurose enthüllt sich oft die  Tendenz, ein traumatisches Erlebnis ungeschehen zu  machen, als ein symptombildendes Motiv von erstem  Range. Wir erhalten so unerwarteten Einblick in eine  neue, motorische Technik der Abwehr oder, wie wir  hier mit geringerer Ungenauigkeit sagen können, der  Verdrängung.   Die andere der neu zu beschreibenden Techniken  ist das der Zwangsneurose eigentümlich zukommende  Isolieren. Es bezieht sich gleichfalls auf die motorische Sphäre, besteht darin, daß nach einem unlieb-  samen Ereignis, ebenso nach einer im Sinne der Neu-  rose bedeutsamen eigenen Tätigkeit, eine Pause ein-  geschoben wird, in der sich nichts mehr ereignen  darf, keine Wahrnehmung gemacht und keine Aktion  ausgeführt wird. Dies zunächst sonderbare Verhalten  verrät uns bald seine Beziehung. zur Verdrängung.  Wir wissen, bei Hysterie ist es möglich, einen trau-  matischen Eindruck der Amnesie. verfallen zu lassen,  bei der Zwangsneurose ist dies oft nicht gelungen,  das Erlebnis ist nicht vergessen, aber es ist von  seinem Affekt entblößt und seine assoziativen Bezie-  hungen sind unterdrückt oder unterbrochen, so daß  es wie isoliert dasteht und auch nicht im Verlaufe  der Denktätigkeit reproduziert wird. Der Effekt dieser  Isolierung ist dann der nämliche wie bei der Ver-  drängung mit Amnesie. Diese Technik wird also in  den Isolierungen der Zwangsneurose reproduziert, aber  dabei auch in magischer Absicht motorisch verstärkt.  Was so auseinandergehalten wird, ist gerade das, was  assoziativ zusammengehört, die motorische Isolierung  sol eine Garantie für die Unterbrechung des  Zusammenhanges im Denken geben. Einen Vorwand  für dies Verfahren der Neurose gibt der normale  Vorgang der Konzentration. Was uns bedeutsam als  Eindruck, als Aufgabe erscheint, soll nicht durch  die gleichzeitigen Ansprüche anderer Denkverrichtun-  gen oder Tätigkeiten gestört werden. Aber schon im  Normalen wird die Konzentration dazu verwendet,  nicht nur das Gleichgültige, nicht Dazugehörige, sondern  vor allem das unpassende Gegensätzliche fernzuhalten.  Als das Störendste wird empfunden, was ursprüng-  lich zusammengehört hat und durch den Fortschritt  der Entwicklung auseinandergerissen wurde, z. B. die  Äußerungen der Ambivalenz des Vaterkomplexes in  der Beziehung zu Gott oder die Regungen der Ex-  kretionsorgane in den Liebeserregungen. So hat das Ich normalerweise eine große Isolierungsarbeit bei der  Lenkung des Gedankenablaufes zu leisten, und wir  wissen, in der Ausübung der analytischen Technik  müssen wir das Ich dazu erziehen, auf diese sonst  durchaus gerechtfertigte Funktion zeitweilig zu ver-  zichten.   Wir haben alle die Erfahrung gemacht, daß es  dem Zwangsneurotiker besonders schwer wird, die  psychoanalytische Grundregel zu befolgen. Wahr-  scheinlich infolge der hohen Konfliktspannung zwischen  seinem Über-Ich und seinem Es ist sein Ich wach-  samer, dessen Isolierungen schärfer. Es hat während  seiner Denkarbeit zuviel abzuwehren, die Einmengung  unbewußter Phantasien, die Äußerung der ambi-  valenten Strebungen. Es darf sich nicht gehen lassen,  befindet sich fortwährend in Kampfbereitschaft. Diesen  Zwang zur Konzentration und Isolierung unterstützt  es dann durch die magischen Isolierungsaktionen, die  als Symptome so auffällig und praktisch so bedeut-  sam werden, an sich natürlich nutzlos sind und den  Charakter des Zeremoniells haben.   Indem es aber Assoziationen, Verbindung in  Gedanken, zu verhindern sucht, befolgt es eines der  ältesten und fundamentalsten Gebote der Zwangsneu-  rose, das labu der Berührung. \Wenn man sich  die Frage vorlegt, warum die Vermeidung von  Berührung, Kontakt, Ansteckung in der Neurose eine  so große Rolle spielt und zum Inhalt so komplizierter Systeme gemacht wird, so findet man die Antwort,  daß die Berührung, der körperliche Kontakt, das  nächste Ziel sowohl der aggressiven wie der zärt-  lichen Objektbesetzung ist. Der Eros will die Berüh-  rung, denn er strebt nach Vereinigung, Aufhebung  der Raumgrenzen zwischen Ich und geliebtem Objekt.  Aber auch die Destruktion, die vor der Erfindung  der Fernwaffe nur aus der Nähe erfolgen konnte,  muß die körperliche Berührung, das Handanlegen,  voraussetzen. Eine Frau berühren ist im Sprach-  gebrauch ein Euphemismus für ihre Benützung als  Sexualobjekt geworden. Das Glied nicht berühren ist  der Wortlaut des Verbotes der autoerotischen Befrie-  digung. Da die Zwangsneurose zu Anfang die ero-  tische Berührung, dann nach der Regression die als  Aggression maskierte Berührung verfolgte, ist nichts  anderes für sie in so hohem Grade verpönt worden,  nichts so geeignet, zum Mittelpunkt eines Verbotsystems  zu werden. Die Isolierung ist aber Aufhebung der  Kontaktmöglichkeit, Mittel, ein Ding jeder Berührung  zu entziehen, und wenn der Neurotiker auch einen  Eindruck oder eine Tätigkeit durch eine Pause isoliert,  gibt er uns symbolisch zu verstehen, daß er die  Gedanken an sie nicht in assoziative Berührung mit  anderen kommen lassen will.   So weit reichen unsere Untersuchungen über die  Symptombildung. Es verlohnt sich kaum, sie zu resu-  mieren, sie sind ergebnisarm und unvollständig ge- Siem. Freud    blieben, haben auch wenig gebracht, was nicht schon  früher bekannt gewesen wäre. Die Symptombildung  bei anderen Affektionen als bei den Phobien, der  Konversionshysterie und der Zwangsneurose in Betracht  zu ziehen, wäre aussichtslos ; es ist zu wenig darüber  bekannt. Aber auch schon aus der Zusammenstellung  dieser drei Neurosen erhebt sich ein schwerwiegendes,  nicht mehr aufzuschiebendes Problem. Für alle drei  ist die Zerstörung des Odipuskomplexes der Ausgang,  in allen, nehmen wir an, die Kastrationsangst der  Motor des Ichsträubens. Aber nur in den Phobien  kommt solche Angst zum Vorschein, wird sie einge-  standen. Was ist bei den zwei anderen Formen aus  ihr geworden, wie hat das Ich sich solche Angst  erspart? Das Problem verschärft sich noch, wenn wir  an die vorhin erwähnte Möglichkeit denken, daß die  Angst durch eine Art Vergährung aus der im Ablauf  gestörten Libidobesetzung selbst hervorgeht, und  weiters: steht es fest, daß die Kastrationsangst der  einzige Motor der Verdrängung (oder Abwehr) ist?  Wenn man an die Neurosen der Frauen denkt, muß  man das bezweifeln, denn so sicher sich der Kastrations-  komplex bei ihnen konstatieren läßt, von einer  Kastrationsangst im richtigen Sinne kann man bei  bereits vollzogener Kastration doch nicht sprechen. Kehren wir zu den infantilen Tierphobien zu-  rück, wir verstehen diese Fälle doch besser als alle  anderen. Das Ich muf also hier gegen eine libidinöse  Objektbesetzung des Es (die des positiven oder  des negativen Odipuskomplexes) einschreiten, weil es  verstanden hat, ihr nachzugeben brächte die Gefahr  der Kastration mit sich. Wir haben das schon erörtert  und finden noch Anlaß, uns einen Zweifel klar zu  machen, der von dieser ersten Diskussion erübrigt ist.  Sollen wir beim kleinen Hans (also im Falle des posi-  tiven Odipuskomplexes) annehmen, daß es die zärt-  liche Regung für die Mutter oder die aggressive gegen  den Vater ist, welche die Abwehr des Ichs heraus-  fordert? Praktisch schiene das gleichgültig, besonders  da die beiden Regungen einander bedingen, aber ein  theoretisches Interesse knüpft sich an die Frage, weil  nur die zärtliche Strömung für die Mutter als eine  rein erotische gelten kann. Die aggressive ist wesent-  lich vom Destruktionstrieb abhängig, und wir haben immer geglaubt, bei der Neurose wehre sich das Ich  gegen Ansprüche der Libido, nicht der anderen  Triebe. In der Tat sehen wir, daf$ nach der Bildung  der Phobie die zärtliche Mutterbindung wie ver-  schwunden ist, sie ist durch die Verdrängung gründ-  lich erledigt worden, an der aggressiven Regung hat  sich aber die Symptom- (Ersatz-) Bildung vollzogen.  Im Falle des Wolfsmannes liegt es einfacher, die ver-  drängte Regung ist wirklich eine erotische, die  feminine Einstellung zum Vater, und ah ihr vollzieht  sich auch die Symptombildung.   Es ist fast beschämend, daß wir nach so langer  Arbeit noch immer Schwierigkeiten in der Auffassung  der fundamentalsten Verhältnisse finden, aber wir  haben uns vorgenommen, nichts zu vereinfachen und  nichts zu verheimlichen. Wenn wir nicht klar sehen  können, wollen wir wenigstens die Unklarheiten schart  sehen. Was uns hier im \Wege steht, ist offenbar  eine Unebenheit in der Entwicklung unserer Trieb-  lehre. Wir hatten zuerst die Organisationen der Libido  von der oralen über die sadistisch-anale zur genitalen  Stufe verfolgt und dabei alle Komponenten des Sexual-  triebs einander gleichgestellt. Später erschien uns der  Sadismus als der Vertreter eines anderen, dem Eros  gegensätzlichen Triebes. Die neue Auffassung von den  zwei Iriebgruppen scheint die frühere Konstruktion  von den sukzessiven Phasen der Libidoorganisation zu  sprengen. Die hilfreiche Auskunft aus dieser Schwierigkeit brauchen wir aber nicht neu zu erfinden. Sie  hat sich uns längst geboten und lautet, daß wir es  kaum jemals mit reinen Triebregungen zu tun haben,  sondern durchwegs mit Legierungen beider Triebe in  verschiedenen Mengenverhältnissen. Die sadistische  Objektbesetzung hat also auch ein Anrecht, als eine  libidinöse behandelt zu werden, die Organisationen  der Libido brauchen nicht revidiert zu werden, die  aggressive Regung gegen den Vater kann mit dem-  selben Anrecht Objekt der Verdrängung werden wie  die zärtliche für die Mutter. Immerhin setzen wir als  Stoff für spätere Überlegung die Möglichkeit beiseite,  daf3 die Verdrängung ein ProzefS ist, der eine beson-  dere Beziehung zur Genitalorganisation der Libido hat,  daß das Ich zu anderen Methoden der Abwehr  greift, wenn es sich der Libido auf anderen Stufen  der Organisation zu erwehren hat, und setzen wir  fort. Ein Fall wie der des kleinen Hans gestattet  uns keine Entscheidung; hier wird zwar eine aggressive  Regung durch Verdrängung erledigt, aber nachdem  die Genitalorganisation bereits erreicht ist.   Wir wollen diesmal die Beziehung zur Angst  nicht aus den Augen lassen. Wir sagten, so wie das  Ich die Kastrationsgefahr erkannt hat, gibt es das  Angstsignal und inhibiert mittels der Lust-Unlust-  Instanz auf eine weiter nicht einsichtliche Weise den  bedrohlichen Besetzungsvorgang im Es. Gleichzeitig  vollzieht sich die Bildung der Phobie. Die Kastrationsangst erhält ein anderes Objekt und einen entstellten  Ausdruck: vom Pferd gebissen (vom Wolf gefressen),  anstatt vom Vater kastriert zu werden. Die Ersatz-  bildung hat zwei offenkundige Vorteile, erstens, dafß  sie einem Ambivalenzkonflikt ausweicht, denn der  Vater ist ein gleichzeitig geliebtes Objekt und zweitens,  daf3 sie dem Ich gestattet, die Angstentwicklung ein-  zustellen. Die Angst der Phobie ist nämlich eine  fakultative, sie tritt nur auf, wenn ihr Objekt Gegen-  stand der Wahrnehmung wird. Das ist ganz korrekt;  nur dann ist nämlich die Gefahrsituation vorhanden.  Von einem abwesenden Vater braucht man auch die  Kastration nicht zu befürchten. Nun kann man den  Vater nicht wegschaffen, er zeigt sich immer, wann  er will. Ist er aber durch das Tier ersetzt, so braucht  man nur den Anblick, d. h. die Gegenwart des  lieres zu vermeiden, um frei von Gefahr und Angst  zu sein. Der kleine Hans legt seinem Ich also eine  Einschränkung auf, er produziert die Hemmung, nicht  auszugehen, um nicht mit Pterden zusammenzutreffen.  Der kleine Russe hat es noch bequemer, es ist kaum  ein Verzicht für ihn, daß er ein gewisses Bilderbuch  nicht mehr zur Hand nimmt. Wenn die schlimme  Schwester ihm nicht immer wieder das Bild des auf-  rechtstehenden Wolfes in diesem Buch vor Augen  halten würde, dürfte er sich vor seiner Angst gesichert  fühlen. Ich habe früher einmal der Phobie den Charakter einer Projektion zugeschrieben, indem sie eine innere  Triebgefahr durch eine äußere Wahrnehmungsgefahr  ersetzt. Das bringt den Vorteil, daß man sich  gegen die äußere Gefahr durch Flucht und Ver-  meidung der Wahrnehmung schützen kann, während  gegen die Grefahr von innen keine Flucht nützt. Meine  Bemerkung ist nicht unrichtig, aber sie bleibt an der  Oberfläche. Der Triebanspruch ist ja nicht an sich  eine Gefahr, sondern nur darum, weil er eine richtige  äußere Gefahr, die der Kastration, mit sich bringt.  So ist im Grunde bei der Phobie doch nur eine  äußere Gefahr durch eine andere ersetzt. Daß das  Ich sich bei der Phobie durch eine Vermeidung oder  ein Hemmungssymptom der Angst entziehen kann,  stimmt sehr gut zur Auffassung, diese Angst sei nur  ein Affektsignal und an der ökonomischen Situation  sei nichts geändert worden.   Die Angst der Tierphobien ist also eine Affekt-  reaktion des Ichs auf die Gefahr; die Gefahr, die  hier signalisiert wird, die der Kastration. Kein anderer  Unterschied von der Realangst, die das Ich normaler-  weise in Gefahrsituationen äußert, als daf3 der Inhalt  der Angst unbewußt bleibt und nur in einer Entstellung  bewußt wird.   Dieselbe Auffassung wird sich uns, glaube ich, auch  für die Phobien Erwachsener giltig erweisen, wenngleich  das Material, das die Neurose verarbeitet, sehr viel    reichhaltiger ist und einige Momente zur Symptombildung hinzukommen. Im Grunde ist es das nämliche.  Der Agoraphobe legt seinem Ich eine Beschränkung  auf, um einer Triebgefahr zu entgehen. Die Triebgefahr  ist die Versuchung, seinen erotischen Gelüsten nachzu-  geben, wodurch er wieder wie in der Kindheit die  Gefahr der Kastration, oder eine ihr analoge, herauf-  beschwören würde. Als Beispiel führe ich den Fall eines  jungen Mannes an, der agoraphob wurde, weil er  befürchtete, den Lockungen von Prostituierten nach-  zugeben und sich zur Strafe Syphilis zu holen.   Ich weiß wohl, daf viele Fälle eine kompliziertere  Struktur zeigen und dafs viele andere verdrängte Trieb-  regungen in die Phobie einmünden können, aber diese  sind nur auxiliär und haben sich meist nachträglich mit  dem Kern der Neurose in Verbindung gesetzt. Die  Symptomatik der Agoraphobie wird dadurch kompli-  ziert, daßß das Ich sich nicht damit begnügt, auf etwas  zu verzichten; es tut noch etwas hinzu, um der Situation  ihre Gefahr zu benehmen. Diese Zutat ist gewöhnlich  eine zeitliche Regression in die Kinderjahre (im extremen  Fall bis in den Mutterleib, in Zeiten, in denen man gegen  die heute drohenden Gefahren geschützt war) und tritt  als die Bedingung auf, unter der der Verzicht unter-  bleiben kann. So kann der Agoraphobe auf die Straße  gehen, wenn er wie ein kleines Kind von einer Person  seines Vertrauens begleitet wird. Dieselbe Rücksicht mag  ihm auch gestatten, allein auszugehen, wenn er sich nur  nicht über eine bestimmte Strecke von seinem Haus entfernt, nicht in Gegenden geht, die er nicht gut kennt  und wo er den Leuten nicht bekannt ist. In der Aus-  wahl dieser Bestimmungen zeigt sich der Einfluß der  infantilen Momente, die ihn durch seine Neurose be-  herrschen. Ganz eindeutig, auch ohne solche infantile  Regression, ist die Phobie vor dem Alleinsein, die im  Grunde der Versuchung zur einsamen Önanie aus-  weichen will. Die Bedingung der infantilen Regression  ist natürlich die zeitliche Entfernung von der Kindheit.   Die Phobie stellt sich in der Regel her, nachdem  unter gewissen Umständen auf der Straße, auf der  Eisenbahn, im Alleinsein — ein erster Angstanfall  erlebt worden ist. Dann ist die Angst gebannt, tritt  aber jedesmal wieder auf, wenn die schützende Be-  dingung nicht eingehalten werden kann. Der Mechanismus  der Phobie tut als Abwehrmittel gute Dienste und  zeigt eine große Neigung zur Stabilität. Eine Fort-  setzung des Abwehrkampfes, der sich jetzt gegen das  Symptom richtet, tritt häufig, aber nicht notwendig, ein.   Was wir über die Angst bei den Phobien erfahren  haben, bleibt noch für die Zwangsneurose verwertbar.  Es ist nicht schwierig, die Situation der Zwangsneurose  auf die der Phobie zu reduzieren. Der Motor aller  späteren Symptombildung ist hier offenbar die Angst des  Ichs vor seinem Über-Ich. Die Feindseligkeit des Über-  Ichs ist die Gefahrsituation, der sich das Ich entziehen  muß. Hier fehlt jeder Anschein einer Projektion, die  Gefahr ist durchaus verinnerlicht. Aber wenn wir uns  fragen, was das Ich von seiten des Über-Ichs befürchtet,  so drängt sich die Auffassung auf, dafs die Strafe des  Über-Ichs eine Fortbildung der Kastrationsstrafe ist.  Wie das Über-Ich der unpersönlich gewordene Vater  ist, so hat sich die Angst vor der durch ihn drohenden  Kastration zur unbestimmten sozialen oder Gewissens-  angst umgewandelt. Aber diese Angst ist gedeckt,  das Ich entzieht sich ihr, indem es die ihm auferlegten  Gebote, Vorsichten und Bußhandlungen gehorsam aus-  führt. Wenn es daran gehindert wird, dann tritt sofort  ein äußerst peinliches Unbehagen auf, in dem wir das  Äquivalent der Angst erblicken dürfen, das die Kranken  selbst der Angst gleichstellen. Unser Ergebnis lautet  also: Die Angst ist die Reaktion auf die Gefahr-  situation; sie wird dadurch erspart, daß das Ich etwas  tut, um die Situation zu vermeiden oder sich ihr zu  entziehen. Man könnte nun sagen, die Symptome  werden geschaffen, um die Angstentwicklung zu ver-  meiden, aber das läßt nicht tief blicken. Es ist richtiger  zu sagen, die Symptome werden geschaffen, um die  Gefahrsituation zu vermeiden, die durch die Angst-  entwicklung signalisiert wird. Diese Gefahr war aber  in den bisher betrachteten Fällen die Kastration oder  etwas von ihr Absgeleitetes.   Wenn die Angst die Reaktion des Ichs auf die  Gefahr ist, so liegt es nahe, die traumatische Neurose,  welche sich so häufig an überstandene Lebensgefahr  anschliefst, als direkte Folge der Lebens- oder Todesangst mit Beiseitesetzung der Abhängigkeiten des Ichs  und der Kastration aufzufassen. Das ist auch von den  meisten Beobachtern der traumatischen Neurosen des  letzten Krieges geschehen, und es ist triumphierend ver-  kündet worden, nun sei der Beweis erbracht, dafs eine  Gefährdung des Selbsterhaltungstriebes eine Neurose  erzeugen könne ohne jede Beteiligung der Sexualität  und ohne Rücksicht auf die komplizierten Annahmen  der Psychoanalyse. Es ‘ist in der Tat aufserordentlich  zu bedauern, daß nicht eine einzige verwertbare Analyse  einer traumatischen Neurose vorliegt. Nicht wegen des  Widerspruches gegen die ätiologische Bedeutung der  Sexualität, denn dieser ist längst durch die Einführung  des Narziffmus aufgehoben worden, der die libidinöse  Besetzung des Ichs in eine Reihe mit den Objekt-  besetzungen bringt und die libidinöse Natur des Selbst-  erhaltungstriebes betont, sondern weil wir durch den  Ausfall dieser Analysen die kostbarste Gelegenheit zu  entscheidenden Aufschlüssen über das Verhältnis  zwischen Angst und Symptombildung versäumt haben.  Es ist nach allem, was wir von der Struktur der  simpleren Neurosen des täglichen Lebens wissen, sehr  unwahrscheinlich, daß eine Neurose nur durch die  objektive Tatsache der Gefährdung ohne Beteiligung  der tieferen unbewufßten Schichten des seelischen  Apparats zustande kommen sollte. Im Unbewußsten ist  aber nichts vorhanden, was unserem Begriff der Lebens-  vernichtung Inhalt geben kann. Die Kastration wird  sozusagen vorstellbar durch die tägliche Erfahrung der  Trennung vom Darminhalt und durch den bei der  Entwöhnung erlebten Verlust der mütterlichen Brust;  etwas dem Tod Ähnliches ist aber nie erlebt worden  oder hat wie die Ohnmacht keine nachweisbare Spur  hinterlassen. Ich halte darum an der Vermutung fest,  dafs die Todesangst als Analogon der Kastrationsangst  aufzufassen ist, und dafß die Situation, auf welche das  Ich reagiert, das Verlassensein vom schützenden Über-  Ich  den Schicksalsmächten ist, womit die  Sicherung gegen alle Gefahren ein Ende hat. Außer-  dem kommt in Betracht, daf3 bei den Erlebnissen, die  zur traumatischen Neurose führen, äußerer Reizschutz  durchbrochen wird und übergroße Erregungsmengen  an den seelischen Apparat herantreten, so dafs hier  die zweite Möglichkeit vorliegt, daß Angst nicht nur  als Affekt signalisiert, sondern auch aus den ökono-  mischen Bedingungen der Situation neu erzeugt wird.   Durch die letzte Bemerkung, das Ich sei durch  regelmäßig wiederholte Objektverluste auf die Kastration  vorbereitet worden, haben wir eine neue Auffassung  der Angst gewonnen. Betrachteten wir sie bisher als  Affektsignal der Gefahr, so erscheint sie uns nun, da  es sich so oft um die Gefahr der Kastration handelt,  als die Reaktion auf einen Verlust, eine Trennung.  Mag auch mancherlei, was sich sofort ergibt, gegen  diesen Schluß sprechen, so muß uns doch eine sehr  merkwürdige Übereinstimmung auffallen. Das erste Angsterlebnis des Menschen wenigstens ist die Geburt  und diese bedeutet objektiv die Trennung von der  Mutter, könnte einer Kastration der Mutter (nach der  Gleichung Kind — Penis) verglichen werden. Nun wäre  es sehr befriedigend, wenn die Angst als Symbol einer  Trennung bei jeder späteren Irennung wiederholt  würde, aber leider steht einer Verwertung dieses Zu-  sammenstimmens im Wege, daß ja die Geburt subjektiv  nicht als Trennung von der Mutter erlebt wird, da  diese als Objekt dem durchaus narzifßstischen Fötus  völlig unbekannt ist. Ein anderes Bedenken wird  lauten, daß uns die Affektreaktionen auf eine Trennung  bekannt sind, und daß wir sie als Schmerz und Trauer,  nicht als Angst empfinden. Allerdings erinnern wir  uns, wir haben bei der Diskussion der Trauer auch  nicht verstehen können, warum sie so schmerzhaft ist. Es ist Zeit, sich zu besinnen. Wir suchen offenbar  nach einer Einsicht, die uns das Wesen der Angst  erschließt, nach einem Entweder—Oder, das die  Wahrheit über sie vom Irrtum scheidet. Aber das ist  schwer zu haben, die Angst ist nicht einfach zu erfassen.  Bisher haben wir nichts erreicht als Widersprüche,  zwischen denen ohne Vorurteil keine Wahl möglich  war. Ich schlage jetzt vor, es anders zu machen; wir  wollen unparteisch alles zusammentragen, was wir  von der Angst aussagen können, und dabei auf die  Erwartung einer nahen Synthese verzichten.   Die Angst ist also in erster Linie etwas Empfundenes.  Wir heißen sie einen Affektzustand, obwohl wir auch  nicht wissen, was ein Affekt ist. Sie hat als Empfindung  offenbarsten Unlustcharakter, aber das erschöpft nicht  ihre Qualität; nicht jede Unlust können wir Angst  heifßen. Es gibt andere Empfindungen mit Unlust-  charakter (Spannungen, Schmerz, Trauer) und die  Angst mufS außer dieser Unlustqualität andere Besonder-  heiten haben. Eine Frage: Werden wir es dazu bringen, die Unterschiede zwischen diesen verschiedenen Unlust-  affekten zu verstehen?   Aus der Empfindung der Angst können wir immer-  hin etwas entnehmen. Ihr Unlustcharakter scheint eine  besondere Note zu haben; das ist schwer zu beweisen,  aber wahrscheinlich; es wäre nichts Auffälliges. Aber  außer diesem schwer isolierbaren Eigencharakter nehmen  wir an der Angst bestimmtere körperliche Sensationen  wahr, die wir auf bestimmte Organe beziehen. Da  uns die Physiologie der Angst hier nicht interessiert,  genügt es uns, einzelne Repräsentanten dieser Sensa-  tionen hervorzuheben, also die häufigsten und deut-  lichsten an den Atmungsorganen und am Herzen.  Sie sind uns Beweise dafür, dafß motorische Inner-  vationen, also Abfuhrvorgänge an dem Granzen der  Angst Anteil haben. Die Analyse des Angstzustandes  ergibt also ı) einen spezifischen Unlustcharakter,  2) Abfuhraktionen, 3) die Wahrnehmungen derselben.   Die Punkte 2) und 3) ergeben uns bereits einen  Unterschied gegen die ähnlichen Zustände, z. B.  der Trauer und des Schmerzes. Bei diesen gehören  die motorischen Äußerungen nicht dazu; wo sie vor-  handen sind, sondern sie sich deutlich nicht als Bestand-  teile des Ganzen, sondern als Konsequenzen oder  Reaktionen darauf. Die Angst ist also ein besonderer  Unlustzustand mit Abfuhraktionen auf bestimmte Bahnen.  Nach unseren allgemeinen Anschauungen werden wir  glauben, daß der Angst eine Steigerung der Erregung zugrunde liegt, die einerseits den Unlustcharakter  schafft, andererseits sich durch die genannten Abfuhren  erleichtert. Diese rein physiologische Zusammenfassung  wird uns aber kaum genügen; wir sind versucht,  anzunehmen, dafß ein historisches Moment da ist,  welches die Sensationen und Innervationen der Angst  fest an einander bindet. Mit anderen Worten, daß  der Angstzustand die Reproduktion eines Erlebnisses  ist, das die Bedingungen einer solchen Reizsteigerung  und der Abfuhr auf bestimmte Bahnen enthielt, wodurch  also die Unlust der Angst ihren spezifischen Charakter  erhält. Als solches vorbildliches Erlebnis bietet sich  uns für den Menschen die Geburt, und darum sind  wir geneigt, im Angstzustand eine Reproduktion des  Greburtstraumas zu sehen. Wir haben damit nichts behauptet, was der Angst  eine Ausnahmsstellung unter den Affektzuständen ein-  räumen würde. Wir meinen, auch die anderen Affekte  sind Reproduktionen alter, lebenswichtiger, eventuell  vorindividueller Ereignisse und wir bringen sie als allgemeine, typische, mitgeborene hysterische Anfälle  in Vergleich mit den spät und individuell erworbenen  Attacken der hysterischen Neurose, deren Genese und  Bedeutung als Erinnerungssymbole uns durch die  Analyse deutlich geworden ist. Natürlich wäre es sehr  wünschenswert, diese Auffassung für eine Reihe anderer  Afiekte beweisend durchführen zu können, wovon  wir heute weit entfernt sind. Die Zurückführung der Angst auf das Geburts-  ereignis hat sich gegen naheliegende Einwände zu  verteidigen. Die Angst ist eine wahrscheinlich allen  Organismen, jedenfalls allen höheren zukommende  Reaktion, die Geburt wird nur von den Säugetieren  erlebt, und es ist fraglich, ob sie bei allen diesen die  Bedeutung eines Traumas hat. Es gibt also Angst  ohne Geburtsvorbild. Aber dieser Einwand setzt sich  über die Schranken zwischen Biologie und Psychologie  hinaus. Gerade weil die Angst eine biologisch unent-  behrliche Funktion zu erfüllen hat, als Reaktion auf  den Zustand der Gefahr, mag sie bei verschiedenen  Lebewesen auf verschiedene Art eingerichtet worden  sein. Wir wissen auch nicht, ob sie bei dem Menschen  ferner stehenden Lebewesen denselben Inhalt an Sen-  sationen und Innervationen hat wie beim Menschen.  Das hindert also nicht, daf3 die Angst beim Menschen  den Geburtsvorgang zum Vorbild nimmt. Wenn dies die Struktur und die Herkunft der  Angst ist, so lautet die weitere Frage: Was ist ihre  Funktion? Bei welchen Gelegenheiten wird sie reprodu-  ziert? Die Antwort scheint naheliegend und zwingend  zu sein. Die Angst entstand als Reaktion auf einen  Zustand der Gefahr, sie wird nun regelmäßig reprodu-  ziert, wenn sich ein solcher Zustand wieder einstellt.   Dazu ist aber einiges zu bemerken. Die Inner-  vationen des ursprünglichen Angstzustandes waren  wahrscheinlich auch sinnvoll und zweckmäßig, ganz  a  so wie die Muskelaktionen des ersten hysterischen An-  falls. Wenn man den hysterischen Anfall erklären will,  braucht man ja nur die Situation zu suchen, in der  die betreffenden Bewegungen Anteile einer berech-  tigten Handlung waren. So hat wahrscheinlich während  der Geburt die Richtung der Innervation auf die  Atmungsorgane die Tätigkeit der Lungen vorbereitet,  die Beschleunigung des Herzschlags gegen die Ver-  giftung des Blutes arbeiten wollen. Diese Zweckmäßig-  keit entfällt natürlich bei der späteren Reproduktion  des Angstzustandes als Affekt, wie sie auch beim  wiederholten hysterischen Anfall vermißt wird. Wenn  also das Individuum in eine neue Gefahrsituation gerät,  so kann es leicht unzweckmäßig werden, daß es mit  dem Angstzustand, der Reaktion auf eine frühere  Gefahr antwortet, anstatt die der jetzigen adäquaten  Reaktion einzuschlagen. Die Zweckmäßigkeit tritt aber  wieder hervor, wenn die Gefahrsituation als heran-  nahend erkannt und durch den Angstausbruch signa-  lisiert wird. Die Angst kann dann sofort durch ge-  eignetere Maßnahmen abgelöst werden. Es sondern  sich also sofort zwei Möglichkeiten des Auftretens der  Angst: die eine, unzweckmäßige, in einer neuen Gefahr-  situation, die andere, zweckmäßige, zur Signalisierung  und Verhütung einer solchen. Was aber ist eine „Gefahr‘‘? Im Geburtsakt  besteht eine objektive Gefahr für die Erhaltung des  Lebens, wir wissen, was das in der Realität bedeutet. Aber psychologisch sagt es uns gar nichts. Die Gefahr  der Geburt hat noch keinen psychischen Inhalt.  Sicherlich dürfen wir beim Fötus nichts voraussetzen,  was sich irgendwie einer Art von Wissen um die  Möglichkeit eines Ausgangs in Lebensvernichtung an-  nähert. Der Fötus kann nichts anderes bemerken  als eine großartige Störung in der Ökonomie seiner  narzißtischen Libido. Große Erregungssummen dringen  zu ihm, erzeugen neuartige Unlustempfindungen, manche  Organe erzwingen sich erhöhte Besetzungen, was wie  ein Vorspiel der bald beginnenden Objektbesetzung  ist; was davon wird als Merkzeichen einer ‚Grefahr-  situation‘ Verwertung finden?   Wir wissen leider viel zu wenig von der seelischen  Verfassung des Neugeborenen, um diese Frage direkt  zu beantworten. Ich kann nicht einmal für die Brauch-  barkeit der eben gegebenen Schilderung einstehen. Es  ist leicht zu sagen, das Neugeborene werde den Angst-  affekt in allen Situationen wiederholen, die es an das  Geburtsereignis erinnert. Der entscheidende Punkt  bleibt aber, wodurch und woran es erinnert wird.   Es bleibt uns kaum etwas anderes übrig, als die  Anlässe zu studieren, bei denen der Säugling oder  das ein wenig ältere Kind sich zur Angstentwicklung  bereit zeigt. Rank hat in Das Irauma  der Geburt einen sehr energischen Versuch gemacht, [Rank, Das Trauma der Geburt und seine Bedeutung  für die Psychoanalyse. Internat. Psychoanalyt. Bibliothek.  die Beziehungen der frühesten Phobien des Kindes  zum Eindruck des Geburtsereignisses zu erweisen,  allein ich kann ihn nicht für geglückt halten. Man kann  ihm zweierlei vorwerfen: Erstens, dafs er auf der Vor-  aussetzung beruht, das Kind habe bestimmte Sinnes-  eindrücke, insbesondere visueller Natur, bei seiner  Geburt empfangen, deren Erneuerung die Erinnerung  an das Greburtstrauma und somit die Angstreaktion  hervorrufen kann. Diese Annahme ist völlig unbewiesen  und sehr unwahrscheinlich; es ist nicht glaubhaft, dafs  das Kind andere als taktileund Allgemeinsensationen vom  Geburtsvorgang bewahrt hat. Wenn es also später  Angst vor kleinen Tieren zeigt, die in Löchern ver-  schwinden oder aus diesen herauskommen, so erklärt  Rank diese Reaktion durch die Wahrnehmung einer  Analogie, dieaber dem Kinde nicht auffällig werden kann.  Zweitens, daß Rank in der Würdigung dieser späteren  Angstsituationen je nach Bedürfnis die Erinnerung an die  glückliche intrauterine Existenz oder an deren trauma-  tische Störung wirksam werden läßt, womit der Willkür  in der Deutung Tür und Tor geöffnet wird. Einzelne  Fälle dieser Kinderangst widersetzen sich direkt der  Anwendung des Rank schen Prinzips. Wenn das Kind  in Dunkelheit und Einsamkeit gebracht wird, so sollten  wir erwarten, dafs es diese Wiederherstellung der  intrauterinen Situation mit Befriedigung aufnimmt, und  wenn die Tatsache, daß es gerade dann mit Angst  reagiert, auf die Erinnerung an die Störung dieses Glücks durch die Geburt zurückgeführt wird, so kann  man das Gezwungene dieses Erklärungsversuches:nicht  länger verkennen.   Ich muf3 den Schluß ziehen, daß die frühesten  Kindheitsphobien eine direkte Rückführung auf den  Eindruck des Geburtsaktes nicht zulassen und sich  überhaupt bis jetzt der Erklärung entzogen haben.  Fine gewisse Angstbereitschaft des Säuglings ist unver-  kennbar. Sie ist nicht etwa unmittelbar nach der  Geburt am stärksten, um dann langsam abzunehmen,  sondern tritt erst später mit dem Fortschritt der  seelischen Entwicklung hervor und hält über eine  gewisse Periode der Kinderzeit an. Wenn sich solche  Frühphobien über diese Zeit hinaus erstrecken, er-  wecken sie den Verdacht einer neurotischen Störung,  wiewohl uns ihre Beziehung zu den späteren deutlichen  Neurosen der Kindheit keineswegs einsichtlich ist.   Nur wenige Fälle der kindlichen Angstäufßserung  sind uns verständlich; an diese werden wir uns halten  müssen. So, wenn das Kind allein, in der Dunkelheit,  ist und wenn es eine fremde Person an Stelle der ihm  vertrauten (der Mutter) findet. Diese drei Fälle reduzieren  sich auf eine einzige Bedingung, das Vermissen der  geliebten (ersehnten) Person. Von da an ist aber der  Weg zum Verständnis der Angst und zur Vereinigung  der Widersprüche, die sich an sie zu knüpfen  scheinen, frei.   Das Erinnerungsbild der ersehnten Person wird GB ., Siem. Freud    gewif) intensiv, wahrscheinlich zunächst halluzinatorisch  besetzt. Aber das hat keinen Erfolg und nun hat es  den Anschein, als ob diese Sehnsucht in Angst um-  schlüge. Es macht geradezu den Eindruck, als wäre  diese Angst ein Ausdruck der Ratlosigkeit, als wüßte  das noch sehr unentwickelte Wesen mit dieser sehn-  süchtigen Besetzung nichts Besseres anzufangen. Die  Angst erscheint so. als Reaktion auf das Vermissen  des Objekts und es drängen sich uns die Analogien  auf, daf®? auch die Kastrationsangst die Trennung  von einem hochgeschätzten Objekt zum Inhalt hat,  und daß die ursprünglichste Angst (die „Urangst“  der Geburt) bei der Trennung von der Mutter ent-  stand.   Die nächste Überlegung führt über diese Betonung  des Objektverlustes hinaus. Wenn der Säugling nach  der Wahrnehmung der Mutter verlangt, so doch nur  darum, weil er bereits aus Erfahrung weiß, daß sie  alle seine Bedürfnisse ohne Verzug befriedigt. Die  Situation, die er als „Gefahr“ wertet, gegen die er  versichert sein will, ist also die der Unbefriedigung,  des Anwachsens der Bedürfnisspannung,  gegen die er ohnmächtig ist. Ich meine, von diesem  Gesichtspunkt aus ordnet sich alles ein; die Situation  der Unbefriedigung, in der Reizgrößen eine unlustvolle  Höhe erreichen, ohne Bewältigung durch psychische  Verwendung und Abfuhr zu finden, muß für den Säug-  ling die Analogie mit dem Geburtserlebnis, die Wiederholung der Gefahrsituation sein; das beiden Gemein-  same ist die ökonomische Störung durch das Anwachsen  der Erledigung heischenden Reizgrößen, dieses Moment  also der eigentliche Kern der „Gefahr“. In beiden  Fällen tritt die Angstreaktion auf, die sich auch noch  beim Säugling als zweckmäßig erweist, indem die  Richtung der Abfuhr auf Atem- und Stimmuskulatur  nun die Mutter herbeiruft, wie sie früher die  Lungentätigkeit zur Wegschaffung der inneren Reize  anregte. Mehr als diese Kennzeichnung der Gefahr  braucht das Kind von seiner Geburt nicht bewahrt  zu haben.   Mit der Erfahrung, daß ein äußeres, durch Wahr-  nehmung erfaßbares Objekt der an die Geburt mahnenden  gefährlichen Situation ein Ende machen kann, ver-  schiebt sich nun der Inhalt der Gefahr von der öko-  nomischen Situation auf seine Bedingung, den Objekt-  verlust. Das Vermissen der Mutter wird nun die  Gefahr, bei deren Eintritt der Säugling das Angst-  signal gibt, noch ehe die gefürchtete ökonomische  Situation eingetreten ist. Diese Wandlung bedeutet  einen ersten großen Fortschritt in der Fürsorge für  die Selbsterhaltung, sie schließt gleichzeitig den Über-  gang von der automatisch ungewollten Neuentstehung  der Angst zu ihrer beabsichtigten Reproduktion als  Signal der Gefahr ein.   In beiden Hinsichten, sowohl als automatisches Phänomen wie als rettendes Signal, zeigt sich die Angst als Produkt der psychischen Hilflosigkeit des  Säuglings, welche das selbstverständliche Gegenstück  seiner biologischen Hilflosigkeit ist. Das auffällige  Zusammentreffen, daß sowohl die Geburtsangst wie die  Säuglingsangst die Bedingung der Trennung von der  Mutter anerkennt, bedarf keiner psychologischen  Deutung; es erklärt sich biologisch einfach genug aus  der Tatsache, daf3 die Mutter, die zuerst alle Bedürf-  nisse des Fötus durch die Einrichtungen ihres Leibes  beschwichtigt hatte, dieselbe Funktion zum Teil mit  anderen Mitteln auch nach der Geburt fortsetzt.  Intrauterinleben und erste Kindheit sind weit mehr ein  Kontinuum, als uns die auffällige Zensur des Geburtsaktes glauben läßt. Das psychische Mutterobjekt  ersetzt dem Kinde die biologische Fötalsituation. Wir  dürfen darum nicht vergessen, daf3 im Intrauterin-  leben die Mutter kein Objekt war, und daß es damals  keine Objekte gab.   Es ist leicht zu sehen, daß es in diesem Zusammen-  hange keinen Raum für ein Abreagieren des Geburtstraumas gibt, und daß eine andere Funktion der  Angst als die eines Signals zur Vermeidung der  Gefahrsituation nicht aufzufinden ist. Die Angst-  bedingung des Objektverlustes trägt nun noch ein  ganzes Stück weiter. Auch die nächste Wandlung der  Angst, die in der phallischen Phase auftretende  Kastrationsangst, ist eine Irennungsangst und an die-  selbe Bedingung gebunden. Die Gefahr ist hier die Irennung von dem Genitale. Ein vollberechtigt  scheinender Gedankengang von Ferenczi läßt uns  hier die Linie des Zusammenhanges mit den früheren  Inhalten der Gefahrsituation deutlich erkennen. Die hohe  narzifßtische Einschätzung des Penis kann sich darauf  berufen, daß der Besitz dieses Organs die Gewähr für  eine Wiedervereinigung mit der Mutter (dem Mutterersatz) im Akt des Koitus enthält. Die Beraubung  dieses Gliedes ist soviel wie eine neuerliche Trennung  von der Mutter, bedeutet also wiederum, einer unlust-  vollen Bedürfnisspannung (wie bei der Geburt) hilflos  ausgeliefert zu sein. Das Bedürfnis, dessen Ansteigen  gefürchtet wird, ist aber nun ein sSpezialisiertes, das  der genitalen Libido, nicht mehr ein beliebiges wie in  der Säuglingszeit. Ich füge hier an, daf3 die Phantasie  der Rückkehr in den Mutterleib der Koitusersatz des  Impotenten (durch die Kastrationsdrohung Gehemmten)  ist. Im Sinne Ferenczis kann man sagen, das  Individuum, das sich zur Rückkehr in den Mutter-  leib durch sein Genitalorgan vertreten lassen wollte,  ersetzt nun regressiv dies Organ durch seine ganze  Person.   Die Fortschritte in der Entwicklung des Kindes,  die Zunahme seiner Unabhängigkeit, die schärfere  Sonderung seines seelischen Apparats in mehrere  Instanzen, das Auftreten neuer Bedürfnisse, können  nicht ohne Einfluß auf den Inhalt der Gefahrsituation  bleiben. Wir haben dessen Wandlung vom Verlust  des Mutterobjekts zur Kastration verfolgt und sehen  den nächsten Schritt durch die Macht des Über-Ichs  verursacht. Mit dem Unpersönlichwerden der Eltern-  instanz, von der man die Kastration befürchtete, wird  die Gefahr unbestimmter. Die Kastrationsangst ent-  wickelt sich zur Gewissensangst, zur sozialen Angst.  Es ist jetzt nicht mehr so leicht anzugeben, was die  Angst befürchtet. Die Formel: „Trennung, Ausschluß  aus der Horde‘, trifft nur jenen späteren Anteil des  Über-Ichs, der sich in Anlehnung an soziale Vorbilder  entwickelt hat, nicht den Kern des Über-Ichs, der der  introjizierten Elterninstanz entspricht. Allgemeiner aus-  gedrückt, ist es der Zorn, die Strafe. des Über-Ichs,  der Liebesverlust von dessen Seite, den das Ich als  Gefahr wertet und mit dem Angstsignal beantwortet.  Als letzte Wandlung dieser Angst vor dem Über-Ich  ist mir die Todes-(Lebens-)Angst, die Angst vor der  Projektion des Über-Ichs in den Schicksalsmächten  erschienen.   Ich habe früher einmal einen gewissen Wert auf  die Darstellung gelegt, daß es die bei der Verdrän-  gung abgezogene Besetzung ist, welche die Verwen-  dung als Angstabfuhr erfährt. Das erscheint mir nun  heute kaum wissenswert. Der Unterschied liegt darin,  daß ich vormals die Angst in jedem Falle durch einen  ökonomischen Vorgang automatisch entstanden glaubte,  während die jetzige Auffassung der Angst als eines  vom Ich beabsichtigten Signals zum Zweck der Beeinflussung der Lust-Unlustinstanz uns von diesem  ökonomischen Zwange unabhängig macht. Es ist  natürlich nichts gegen die Annahme zu sagen, daß  das Ich gerade die durch die Abziehung bei der  Verdrängung frei gewordene Energie zur Erweckung  des Affekts verwendet, aber es ist bedeutungslos  geworden, mit welchem Anteil Energie dies geschieht.   Ein anderer Satz, den ich einmal ausgesprochen,  verlangt nun nach Überprüfung im Lichte unserer  neuen Auffassung. Es ist die Behauptung, das Ich sei  die eigentliche Angststätte; ich meine, sie wird sich  als zutreffend erweisen. Wir haben nämlich keinen  Anlaß, dem Über-Ich irgendeine Angstäußerung zuzu-  teilen. Wenn aber von einer „Angst des Es die  Rede ist, so hat man nicht zu widersprechen, sondern  einen ungeschickten Ausdruck zu korrigieren. Die  Angst ist ein Affektzustand, der natürlich nur vom  Ich verspürt werden kann. Das Es kann nicht Angst  haben wie das Ich, es ist keine Organisation, kann  Gefahrsituationen nicht beurteilen. Dagegen ist es ein  überaus häufiges Vorkommnis, daß sich im Es Vor-  gänge vorbereiten oder vollziehen, die dem Ich  Anlaß zur Angstentwicklung geben; in der Tat sind  die wahrscheinlich frühesten Verdrängungen, wie die  Mehrzahl aller späteren, durch solche Angst des Ichs  vor einzelnen Vorgängen im Es motiviert. Wir unter-  scheiden hier wiederum mit gutem Grund die beiden  Fälle, daß sich im Es etwas ereignet, was eine der    88 Siem. Freud    Gefahrsituationen fürs Ich aktiviert und es somit  bewegt, zur Inhibition das Angstsignal zu geben, und  den anderen Fall, daß sich im Es die dem Geburts-  trauma analoge Situation herstellt, in der es automatisch  zur Angstreaktion kommt. Man bringt die beiden  Fälle einander näher, wenn man hervorhebt, daf der  zweite der ersten und ursprünglichen Gefahrsituation  entspricht, der erste aber einer der später aus ihr  abgeleiteten Angstbedingungen. Oder auf die wirklich  vorkommenden Affektionen bezogen: daß der zweite  Fall in der Ätiologie der Aktualneurosen verwirklicht  ist, der erste für die der Psychoneurosen charakteri-  stisch bleibt.   Wir sehen nun, daf wir frühere Ermittlungen  nicht zu entwerten, sondern bloß mit den neueren  Einsichten in Verbindung zu bringen brauchen. Es ist  nicht abzuweisen, daß bei Abstinenz, mißbräuchlicher  Störung im Ablauf der Sexualerregung, Ablenkung  derselben von ihrer psychischen Verarbeitung, direkt  Angst aus Libido entsteht, d. h. jener Zustand von  Hilflosigkeit des Ichs gegen eine übergroße Bedürfnis-  spannung hergestellt wird, der wie bei der Geburt in  Angstentwicklung ausgeht, wobei es wieder eine gleich-  gültige, aber nahe liegende Möglichkeit ist, daß gerade  der Überschuß an unverwendeter Libido seine Abfuhr  in der Angstentwicklung findet. Wir sehen, daß sich  auf dem Boden dieser Aktualneurosen besonders  leicht Psychoneurosen entwickeln, das heißt wohl, daß    Femmung, Symptom und Angst 89    das Ich Versuche macht, die Angst, die es eine Weile  suspendiert zu erhalten gelernt hat, zu ersparen und  durch Symptombildung zu binden. Wahrscheinlich  würde die Analyse der traumatischen Kriegsneurosen,  welcher Name allerdings sehr verschiedenartige  Affektionen umfaßt, ergeben haben, daf3 eine Anzahl  von ihnen an den Charakteren der Aktualneurosen  Anteil hat.   Als wir die Entwicklung der verschiedenen Gefahr-  situationen aus dem ursprünglichen Geburtsvorbild  darstellten, lag es uns ferne zu behaupten, dafs jede  spätere Angstbedingung die frühere einfach außer  Kraft setzt. Die Fortschritte der Ichentwicklung tragen  allerding dazu bei, die frühere Gefahrsituation zu entwerten und beiseite zu schieben, so daf man  sagen kann, einem bestimmten Entwicklungsalter sei  eine gewisse Angstbedingung wie adäquat zugeteilt.  Die Gefahr der psychischen Hilflosigkeit pafst zur  Lebenszeit der Unreife des Ichs, wie die Gefahr des  Objektverlustes zur Unselbständigkeit der ersten Kinder-  jahre, die Kastrationsgefahr zur phallischen Phase, die  Über-Ichangst zur Latenzzeit. Aber es können doch  alle diese Gefahrsituationen und Angstbedingungen  nebeneinander fortbestehen bleiben und das Ich auch  zu späteren als den adäquaten Zeiten zur Angstreaktion veranlassen, oder es können mehrere von  ihnen gleichzeitig in Wirksamkeit treten. Möglicher-  weise bestehen auch engere Beziehungen zwischen der wirksamen Gefahrsituation und der Form der auf sie  folgenden Neurose.'   Als wir in einem früheren Stück dieser Unter-  suchungen auf die Bedeutung der Kastrationsgefahr  Seit der Unterscheidung von Ich und Es mußte auch unser  Interesse an den Problemen der Verdrängung eine neue Belebung  erfahren. Bisher hatte es uns genügt, die dem Ich zugewendeten  Seiten des Vorgangs, die Abhaltung vom Bewußtsein und von der  Motilität und die Ersatz- (Symptom-) Bildung ins Auge zu fassen, von  der verdrängten Triebregung selbst nahmen wir an, sie bleibe im  Unbewußten unbestimmt lange unverändert bestehen. Nun wendet  sich das Interesse den Schicksalen des Verdrängten zu, und wir  ahnen, daß ein solcher unveränderter und unveränderlicher Fortbestand nicht selbstverständlich, vielleicht nicht einmal gewöhnlich  ist. Die ursprüngliche Triebregung ist jedenfalls durch die Ver-  drängung gehemmt und von ihrem Ziel abgelenkt worden. Ist aber  ihr Ansatz im Unbewußten erhalten geblieben und hat er sich  resistent gegen die verändernden und entwertenden Einflüsse des  Lebens erwiesen? Bestehen also die alten Wünsche noch, von  deren früherer Existenz uns die Analyse berichtet? Die Antwort  scheint naheliegend und gesichert: Die verdrängten alten Wünsche  müssen im Unbewußten noch fortbestehen, da wir ihre Abkömmlinge,  die Symptome, noch wirksam finden. Aber sie ist nicht zureichend,  sie läßt nicht zwischen den beiden Möglichkeiten entscheiden, ob  der alte Wunsch jetzt nur durch seine Abkömmlinge wirkt, denen  er all seine Besetzungsenergie übertragen hat, oder ob er außerdem  selbst erhalten geblieben ist, Wenn es sein Schicksal war, sich in  der Besetzung seiner Abkömmlinge zu erschöpfen, so bleibt noch  die dritte Möglichkeit, daß er im Verlauf der Neurose durch Re-  gression wiederbelebt wurde, so unzeitgemäß er gegenwärtig sein  mag. Man braucht diese Erwägungen nicht für müßig zu halten;  vieles an den Erscheinungen des krankhaften wie des normalen  Seelenlebens scheint solche Fragestellungen zu erfordern. In meiner  Studie über den Untergang des Ödipuskomplexes bin ich auf den  Unterschied zwischen der bloßen Verdrängung und der wirklichen  Aufhebung einer alten Wunschregung aufmerksam geworden.   bei mehr als einer neurotischen Affektion stießen,  erteilten wir uns die Mahnung, dies Moment doch  nicht zu überschätzen, da es bei dem gewiß mehr  zur Neurose disponierten weiblichen Geschlecht doch  nicht ausschlaggebend sein könnte. Wir sehen jetzt,  daf3 wir nicht in Gefahr sind, die Kastrationsangst für  den einzigen Motor der zur Neurose führenden Abwehr-  vorgänge zu erklären. Ich habe an anderer Stelle  auseinandergesetzt, wie die Entwicklung des kleinen  Mädchens durch den Kastrationskomplex zur zärtlichen  Objektbesetzung gelenkt wird. Gerade beim Weibe  scheint die Gefahrsituation des Objektverlustes die  wirksamste geblieben zu sein. Wir dürfen an ihrer  Angstbedingung die kleine Modifikation anbringen, daß  es sich nicht mehr um das Vermissen oder den realen  Verlust des Objekts handelt, sondern um den Liebes-  verlust von seiten des Objekts. Da es sicher steht,  daß die Hysterie eine größere Affinität zur Weiblich-  keit hat, ebenso wie die Zwangsneurose zur Männlich-  keit, so liegt die Vermutung nahe, die Angstbedingung  des Liebesverlustes spiele bei Hysterie eine ähnliche  Rolle wie die Kastrationsdrohung bei den Phobien,  die Über-Ichangst bei der Zwangsneurose.  IX Was jetzt erübrigt, ist die Behandlung der Be-  ziehungen zwischen Symptombildung und Angst-  entwicklung.   Zwei Meinungen darüber scheinen weit verbreitet  zu sein. Die eine nennt die Angst selbst ein Symptom  der Neurose, die andere glaubt an ein weit innigeres  Verhältnis zwischen beiden. Ihr zufolge würde alle  Symptombildung nur unternommen werden, um der  Angst zu entgehen; die Symptome binden die psychi-  sche Energie, die sonst als Angst abgeführt würde,  so dafß® die Angst das Grundphänomen und Haupt-  problem der Neurose wäre. |   Die zumindest partielle Berechtigung der zweiten  Behauptung läßt sich durch schlagende Beispiele er-  weisen. Wenn man einen Agoraphoben, den man auf  die Straße begleitet hat, dort sich selbst überläßt,  produziert er einen Angstanfall; wenn man einen  Zwangsneurotiker daran hindern läßt, sich nach einer  Berührung die Hände zu waschen, wird er die Beute    MHemmung, Symptom und Angst 93    einer fast unerträglichen Angst. Es ist also klar, die  Bedingung des Begleitetwerdens und die Zwangs-  handlung des Waschens hatten die Absicht und auch  den Erfolg, solche Angstausbrüche zu verhüten. In  diesem Sinne kann auch jede Hemmung, die sich das  Ich auferlegt, Symptom genannt werden.   Da wir die Angstentwicklung auf die Gefahr-  situation zurückgeführt haben, werden wir es vor-  ziehen zu sagen, die Symptome werden geschaffen,  um das Ich der Gefahrsituation zu entziehen. Wird  die Symptombildung verhindert, so tritt die Gefahr  wirklich ein, d. h. es stellt sich jene der Geburt analoge  Situation her, in der sich das Ich hilflos gegen den  stetig wachsenden Triebanspruch findet, also die erste  und ursprünglichste der Angstbedingungen. Für unsere  Anschauung erweisen sich die Beziehungen zwischen  Angst und Symptom weniger eng als angenommen  wurde, die Folge davon, daß wir zwischen beide das  Moment der Gefahrsituation eingeschoben haben. Wir  können auch ergänzend sagen, die Angstentwicklung  leite die Symptombildung ein, ja sie sei eine not-  wendige Voraussetzung derselben, denn wenn das Ich  nicht durch die Angstentwicklung die Lust-Unlust-  Instanz wachrütteln würde, bekäme es nicht die Macht,  den im Es vorbereiteten, gefahrdrohenden Vorgang  aufzuhalten. Dabei ist die,Tendenz unverkennbar, sich  auf ein Mindestmaß von Angstentwicklung zu be-  schränken, die Angst nur als Signal zu verwenden,    94 Sigm. Freud    denn sonst bekäme man die Unlust, die durch den  Triebvorgang droht, nur an anderer Stelle zu spüren,  was kein Erfolg nach der Absicht des Lustprinzips  wäre, sich aber doch bei den Neurosen häufig genug  ereignet.   Die Symptombildung hat also den wirklichen Erfolg,  die Gefahrsituation aufzuheben. Sie hat zwei Seiten;  die eine, die uns verborgen bleibt, stellt im Es jene  Abänderung her, mittels deren das Ich der Gefahr  entzogen wird, die andere uns zugewendete zeigt,  was sie an Stelle des beeinflußten Triebvorganges  geschaffen hat, die Ersatzbildung.   - Wir sollten uns aber korrekter ausdrücken, dem  Abwehrvorgang zuschreiben, was wir eben von der  Symptombildung ausgesagt haben, und den Namen  Symptombildung selbst als synonym mit Ersatzbildung  gebrauchen. Es scheint dann klar, daß der Abwehr-  vorgang analog der Flucht ist, durch die sich das Ich  einer von außen drohenden Gefahr entzieht, daß er  eben einen Fluchtversuch vor einer Triebgefahr darstellt.  Die Bedenken gegen diesen Vergleich werden uns zu  weiterer Klärung verhelfen. Erstens läßt sich ein-  wenden, daß der Objektverlust (der Verlust der Liebe  von seiten des Objekts) und die Kastrationsdrohung  ebensowohl (Gefahren sind, die von außen drohen, wie  etwa ein reißsendes Tier, also nicht Triebgefahren.  Aber es ist doch nicht derselbe Fall. Der Wolf würde  uns wahrscheinlich anfallen, gleichgültig, wie wir uns  gegen ihn benehmen; die geliebte Person würde uns aber  nicht ihre Liebe entziehen, die Kastration uns nicht  angedroht werden, wenn wir nicht bestimmte Gefühle  und Absichten in unserem Inneren nähren würden. So  werden diese Triebregungen zu Bedingungen der  äußeren Gefahr und damit selbst gefährlich, wir können  jetzt die äußere Gefahr durch Maßregeln gegen innere  Gefahren bekämpfen. Bei den Tierphobien scheint die  Gefahr noch durchaus als eine äußerliche empfunden  zu werden, wie sie auch im Symptom eine äußserliche  Verschiebung erfährt. Bei der Zwangsneurose ist sie  weit mehr verinnerlicht, der Anteil der Angst vor dem  Über-Ich, der soziale Angst ist, repräsentiert noch den  innerlichen Ersatz einer äußeren Gefahr, der andere  Anteil, die Gewissensangst, ist durchaus endopsychisch.   Ein zweiter Einwand sagt, beim Fluchtversuch  vor einer drohenden äußeren Gefahr tun wir ja nichts  anderes, als daß wir die Raumdistanz zwischen uns  und dem Drohenden vergrößern. Wir setzen uns ja  nicht gegen die Gefahr zur Wehr, suchen nichts an  ihr selbst zu ändern, wie in dem anderen Falle, daß  wir mit einem Knüttel auf den Wolf losgehen oder  mit einem Gewehr auf ihn schießen. Der Abwehr-  vorgang scheint aber mehr zu tun, als einem Flucht-  versuch entspricht. Er greift ja in den drohenden  Triebablauf ein, unterdrückt ihn irgendwie, lenkt ihn  von seinem Ziel ab, macht ihn dadurch ungefährlich.  Dieser Einwand scheint unabweisbar, wir müssen ihm    96 Siem. Freud    Rechnung tragen. Wir meinen, es wird wohl so sein,  dafß es Abwehrvorgänge gibt, die man mit gutem  Recht einem Fluchtversuch vergleichen kann, während  sich das Ich bei anderen weit aktiver zur Wehre  setzt, energische Gegenaktionen vornimmt. Wenn der  Vergleich der Abwehr mit der Flucht nicht überhaupt  durch den Umstand gestört wird, dafs das Ich und  der Trieb im Es ja Teile derselben Organisation sind,  nicht getrennte Existenzen, wie der Wolf und das Kind,  so daf jede Art Verhaltens des Ichs auch abändernd  auf den Triebvorgang einwirken muß.   Durch das Studium der Angstbedingungen haben  wir das Verhalten des Ichs bei der Abwehr sozusagen  in rationeller Verklärung erblicken müssen. Jede Gefahr-  situation entspricht einer gewissen Lebenszeit oder  Entwicklungsphase des seelischen Apparats und er-  scheint für diese berechtigt. Das frühkindliche Wesen  ist wirklich nicht dafür ausgerüstet, große Erregungs-  summen, die von außen oder innen anlangen, psychisch  zu bewältigen. Zu einer gewissen Lebenszeit ist es  wirklich das wichtigste Interesse, daß die Personen,  von denen man abhängt, ihre zärtliche Sorge nicht  zurückziehen. Wenn der Knabe den mächtigen Vater  als Rivalen bei der Mutter empfindet, seiner aggressiven  Neigungen gegen ihn und seiner sexuellen Absichten  auf die Mutter inne wird, hat er ein Recht dazu, sich  vor ihm zu fürchten, und die Angst vor seiner Strafe  kann durch phylogenetische Verstärkung sich als Kastrationsangst äußern. Mit dem Eintritt in soziale  Beziehungen wird die Angst vor dem Über-Ich, das  Gewissen, zur Notwendigkeit, der Wegfall dieses  Moments die Quelle von schweren Konflikten und  Gefahren usw. Aber gerade daran knüpft sich ein  neues Problem.   Versuchen wir es, den Angstaffekt für eine Weile  durch einen anderen, z. B. den Schmerzaffekt, zu  ersetzen. Wir halten es für durchaus normal, daß das  Mädchen von vier Jahren schmerzlich weint, wenn ihm  eine Puppe zerbricht, mit sechs Jahren, wenn ihm die  Lehrerin einen Verweis gibt, mit sechzehn Jahren,  wenn der Geliebte sich nicht um sie bekümmert, mit  fünfundzwanzig Jahren vielleicht, wenn sie ein Kind  begräbt. Jede dieser Schmerzbedingungen hat ihre  Zeit und erlischt mit deren Ablauf; die letzten, defini-  tiven, erhalten sich dann durchs Leben. Es würde  uns aber auffallen, wenn dies Mädchen als Frau und  Mutter über die Beschädigung einer Nippsache weinen  würde. So benehmen sich aber die Neurotiker. In  ihrem seelischen Apparat sind längst alle Instanzen  zur Reizbewältigung innerhalb weiter Grenzen aus-  gebildet, sie sind erwachsen genug, um die meisten  ihrer Bedürfnisse selbst zu befriedigen, sie wissen längst,  daß die Kastration nicht mehr als Strafe geübt wird,  und doch benehmen sie sich, als bestünden die alten  Gefahrsituationen noch, sie halten an allen früheren  Angstbedingungen fest. Die Antwort hierauf wird etwas weitläufig aus-  fallen. Sie wird vor allem den Tatbestand zu sichten  haben. In einer großen Anzahl von Fällen werden die  alten Angstbedingungen wirklich fallen gelassen, nach-  dem sie bereits neurotische Reaktionen erzeugt haben.  Die Phobien der kleinsten Kinder vor Alleinsein,  Dunkelheit und vor Fremden, die beinahe normal zu  nennen sind, vergehen zumeist in etwas späteren  Jahren, sie ‚wachsen sich aus‘, wie man von manchen  anderen Kindheitsstörungen sagt. Die so häufigen  Tierphobien haben das gleiche Schicksal, viele der  Konversionshysterien der Kinderjahre finden später  keine Fortsetzung. Zeremoniell in der Latenzzeit ist  ein ungemein häufiges Vorkommnis, nur ein sehr  geringer Prozentsatz dieser Fälle entwickelt sich später  zur vollen Zwangsneurose. Die Kinderneurosen sind  überhaupt  soweit unsere Erfahrungen an den  höheren Kulturanforderungen unterworfenen Stadt-  kindern weißer Rasse reichen  regelmäßige Episoden  der Entwicklung, wenngleich ihnen noch immer zu  wenig Aufmerksamkeit geschenkt wird. Man vermißt  die Zeichen der Kindheitsneurose auch nicht bei einem  erwachsenen Neurotiker, während lange nicht alle  Kinder, die sie zeigen, auch später Neurotiker werden.  Es müssen also im Verlaufe der Reifung Angst-  bedingungen aufgegeben worden sein und Gefahrsituationen ihre Bedeutung verloren haben. Dazu  kommt, daß einige dieser Gefahrsituationen sich da-    Femmung, Symptom und Angst     durch in späte Zeiten hinüberretten, daß sie ihre  Angstbedingung zeitgemäß modifizieren. So erhält  sich z. B. die Kastrationsangst unter der Maske der  Syphilisphobie, nachdem man erfahren hat, daß zwar  die Kastration nicht mehr als Strafe für das Gewähren-  lassen der sexuellen Gelüste üblich ist, aber daß  dafür der Triebfreiheit schwere Erkrankungen drohen.  Andere der Angstbedingungen sind überhaupt nicht  zum Untergang bestimmt, sondern sollen den Men-  schen durchs Leben begleiten, wie die der Angst vor  dem Über-Ich. Der Neurotiker unterscheidet sich  dann vor den Normalen dadurch, dafs er die Reak-  tionen auf diese Gefahren übermäßig erhöht. Gegen  die Wiederkehr der ursprünglichen traumatischen  Angstsituation bietet endlich auch das Erwachsensein  keinen zureichenden Schutz; es dürfte für jedermann  eine Grenze geben, über die hinaus sein seelischer  Apparat in der Bewältigung der Erledigung heischen-  den Erregungsmengen versagt.   Diese kleinen Berichtigungen können unmöglich  die Bestimmung haben, an der Tatsache zu rütteln,  die hier erörtert wird, der Tatsache, daf$ so viele  Menschen in ihrem Verhalten zur Gefahr infantil  bleiben und verjährte Angstbedingungen nicht über-  winden; dies bestreiten, hieße die Tatsache der Neu-  rose leugnen, denn solche Personen heifst man eben  Neurotiker. Wie ist das aber möglich? Warum sind  nicht alle Neurosen Episoden der Entwicklung, die mit Erreichung der nächsten Phase abgeschlossen  werden?. Woher das Dauermoment in diesen Reaktionen auf die Gefahr? Woher der Vorzug, den der  Angstaffekt vor allen anderen Affekten zu geniefsen  scheint, daß er allein Reaktionen hervorruft, die sich  als abnorm von den anderen sondern und sich als  unzweckmäßig dem Strom des Lebens entgegen-  stellen? Mit anderen Worten, wir finden uns unver-  sehens wieder vor der so oft gestellten Vexierfrage,  woher kommt die Neurose, was ist ihr letztes, das  ihr besondere Motiv? Nach jahrzehntelangen analy-  tischen Bemühungen erhebt sich dies Problem vor  uns, unangetastet, wie zu Anfang.  Die Angst ist die Reaktion auf die Gefahr. Man  kann doch die Idee nicht abweisen, daß es mit dem  Wesen der Gefahr zusammenhängt, wenn sich der  Angstaffekt eine Ausnahmsstellung in der seelischen  Ökonomie erzwingen kann. Aber die Gefahren sind  allgemein menschliche, für alle Individuen die näm-  lichen; was wir brauchen und nicht zur Verfügung  haben, ist ein Moment, das uns die Auslese der Indi-  viduen verständlich macht, die den Angstaffekt trotz  seiner Besonderheit dem normalen seelischen Betrieb  unterwerfen können, oder das bestimmt, wer an dieser  Aufgabe scheitern muß. Ich sehe zwei Versuche vor  mir, ein solches Moment aufzudecken; es ist begreif-  lich, daß jeder solche Versuch eine sympathische  Aufnahme erwarten darf, da er einem quälenden Be-  dürfnis Abhilfe verspricht. Die beiden Versuche  ergänzen einander, indem sie das Problem an ent-  gegengesetzten Enden angreifen. Der erste ist vor  mehr als zehn Jahren von Alfred Adler unternommen worden; er behauptet, auf seinen innersten  Kern reduziert, daf3 diejenigen Menschen an der  Bewältigung der durch die Gefahr gestellten Aufgabe  scheitern, denen die Minderwertigkeit ihrer Organe  zu große Schwierigkeiten bereitet. Bestünde der Satz  Simplex sigillum veri zurecht, so müßte man eine  solche Lösung wie eine Erlösung begrüßen. Aber  im Gegenteile, die Kritik des abgelaufenen Jahrzehnts  hat die volle Unzulänglichkeit dieser Erklärung, die  sich überdies über den ganzen Reichtum der von der  Psychoanalyse aufgedeckten Tatbestände hinaussetzt,  beweisend dargetan.   Den zweiten Versuch hat Rank in Das Trauma der Geburt unternommen.  Es wäre unbillig, ihn dem Versuch von Adler in  einem anderen Punkte als dem einen hier betonten  gleichzustellen, denn er bleibt auf dem Boden der  Psychoanalyse, deren Gedankengänge er fortsetzt und  ist als eine legitime Bemühung zur Lösung der ana-  Iytischen Probleme anzuerkennen. In der gegebenen  Relation zwischen Individuum und Gefahr lenkt Rank  von der Organschwäche des Individuums ab und aut  die veränderliche Intensität der Gefahr hin. Der  Geburtsvorgang ist die erste Gefahrsituation, der von  ihm produzierte ökonomische Aufruhr wird das Vor-bild der Angstreaktion;, wir haben vorhin die Ent-  wicklungslinie verfolgt, welche diese erste Gefahr-  situation und Angstbedingung mit allen späteren verbindet, und dabei gesehen, daß sie alle etwas Ge-  meinsames bewahren, indem sie alle in gewissem  Sinne eine Trennung von der Mutter bedeuten, zuerst  nur in biologischer Hinsicht, dann im Sinn eines  direkten Objektverlustes und später eines durch in-  direkte Wege vermittelten. Die Aufdeckung dieses  großsen Zusammenhanges ist ein unbestrittenes Ver-  dienst der Rankschen Konstruktion. Nun trifft das  Trauma der Geburt die einzelnen Individuen in ver-  schiedener Intensität, mit der Stärke des Traumas  variiert die Heftigkeit der Angstreaktion, und es soll  nach Rank von dieser Anfangsgröße der Angst-  entwicklung abhängen, ob das Individuum jemals ihre  Beherrschung erlernen kann, ob es neurotisch wird  oder normal.   Die Einzelkritik der Rankschen Aufstellungen ist  nicht unsere Aufgabe, bloß deren Prüfung, ob sie zur  Lösung unseres Problems brauchbar sind. Die Formel  Ranks, Neurotiker werde der, dem es wegen der  Stärke des Geburtstraumas niemals gelinge, dieses  völlig abzureagieren, ist theoretisch höchst anfechtbar.  Man weiß nicht recht, was mit dem Abreagieren des  Traumas gemeint ist. Versteht man es wörtlich, so  kommt man zu dem unhaltbaren Schluß, daß der  Neurotiker sich um so mehr der Gesundung nähert,  je häufiger und intensiver er den Angstaffekt repro-  duziert. Wegen dieses Widerspruches mit der Wirk-  lichkeit hatte ich ja seinerzeit die Theorie des Abreagierens aufgegeben, die in der Katharsis eine so  große Rolle spielte. Die Betonung der wechselnden  Stärke des Geburtstraumas läßt keinen Raum für den  berechtigten ätiologischen Anspruch der hereditären  Konstitution. Sie ist ja ein organisches Moment,  welches sich gegen die Konstitution wie eine Zu-  fälligkeit verhält und selbst von vielen, zufällig zu  nennenden Einflüssen, z. B. von der rechtzeitigen  Hilfeleistung bei der Geburt abhängig ist. Die Rank-  sche Lehre hat konstitutionelle wie phylogenetische  Faktoren überhaupt außer Betracht gelassen. Will  man aber für die Bedeutung der Konstitution Raum  schaffen, etwa durch die Modifikation, es käme viel  mehr darauf an, wie ausgiebig das Individuum auf die  variable Intensität des Geburtstraumas reagiere, SO  hat man der Theorie ihre Bedeutung geraubt, und  den neu eingeführten Faktor auf eine Nebenrolle ein-  geschränkt. Die Entscheidung über den Ausgang in  Neurose liegt dann doch auf einem anderen, wiederum  auf einem unbekannten Gebiet.   Die Tatsache, daß der Mensch den Geburtsvor-  gang mit den anderen Säugetieren gemein hat,  während ihm eine besondere Disposition zur Neurose  als Vorrecht vor den Tieren zukommt, wird kaum  günstig für die Ranksche Lehre stimmen. Der Haupt-  einwand bleibt aber, daß sie in der Luft schwebt,  anstatt sich auf gesicherte Beobachtung zu stützen. Es  gibt keine guten Untersuchungen darüber, ob schwere    Aemmung, Symptom und Angst und protrahierte Geburt in unverkennbarer Weise mit  Entwicklung von Neurose zusammentreffen, ja, ob so  geborene Kinder nur die Phänomene der frühinfantilen  Ängstlichkeit länger oder stärker zeigen als andere.  Macht man geltend, daf präzipitierte und für die  Mutter leichte Geburten für das Kind möglicher-  weise die Bedeutung von schweren Traumen haben,  so bleibt doch die Forderung aufrecht, dafS Geburten,  die zur Asphyxie führen, die behaupteten Folgen mit  Sicherheit erkennen lassen müßten. Es scheint ein  Vorteil der Rankschen Ätiologie, daß sie ein Moment  voranstellt, das der Nachprüfung am Material der  Erfahrung zugänglich ist; solange man eine solche  Prüfung nicht wirklich vorgenommen hat, ist es  unmöglich, ihren Wert zu beurteilen.   Dagegen kann ich mich der Meinung nicht an-  schließen, daß die Ranksche Lehre der bisher in der  Psychoanalyse anerkannten ätiologischen Bedeutung  der Sexualtriebe widerspricht; denn sie bezieht sich  nur auf das Verhältnis des Individuums zur Gefahrsituation und läßt die gute Auskunft offen, dafs, wer  die anfänglichen Gefahren nicht bewältigen konnte,  auch in den später auftauchenden Situationen sexueller  Gefahr versagen muß und dadurch in die Neurose  gedrängt wird.   Ich glaube also nicht, daß der Ranksche Versuch  uns die Antwort auf die Frage nach der Begründung  der Neurose gebracht hat, und ich meine, es läfst sich noch nicht entscheiden, einen wie großen Beitrag zur  Lösung der Frage er doch enthält. Wenn die Unter-  suchungen über den Einfluß schwerer Geburt auf die  Disposition zu Neurosen negativ ausfallen, ist dieser  Beitrag gering einzuschätzen. Es ist sehr zu besorgen,  daß das Bedürfnis nach einer greifbaren und einheitlichen letzten Ursache‘‘ der Nervosität immer un-  befriedigt bleiben wird. Der ideale Fall, nach dem  sich der Mediziner wahrscheinlich noch heute sehnt,  wäre der des Bazillus, der sich isolieren und reinzüchten  läßt, und dessen Impfung bei jedem Individuum die  nämliche Affektion hervorruft. Oder etwas weniger  phantastisch: die Darstellung von chemischen Stoffen,  deren Verabreichung bestimmte Neurosen produziert und  aufhebt. Aber die Wahrscheinlichkeit spricht nicht für  solche Lösungen des Problems.   Die Psychoanalyse führt zu weniger einfachen,  minder befriedigenden Auskünften. Ich habe hier nur  längst Bekanntes zu wiederholen, nichts Neues hinzu-  zufügen. Wenn es dem Ich gelungen ist, sich einer  gefährlichen Triebregung zu erwehren, z. B. durch  den Vorgang der Verdrängung, so hat es diesen Teil  des Es zwar gehemmt und geschädigt, aber ihm  gleichzeitig auch ein Stück Unabhängigkeit gegeben  und auf ein Stück seiner eigenen Souveränität ver-  zichtet. Das folgt aus der Natur der Verdrängung,  die im Grunde ein Fluchtversuch ist. Das Verdrängte  ist nun „vogelfrei‘, ausgeschlossen aus der großen Organisation des Ichs, nur den Gesetzen unterworfen,  die im Bereich des Unbewußten herrschen. Ändert  sich nun die Gefahrsituation, so daß das Ich kein  Motiv zur Abwehr einer neuerlichen, der verdrängten  analogen Triebregung hat, so werden die Folgen der  Icheinschränkung manifest. Der neuerliche Triebablauf  vollzieht sich unter dem Einfluß des Automatismus,  — ich zöge vor zu sagen: des Wiederholungszwanges,  — er wandelt dieselben Wege wie der früher ver-  drängte, als ob die überwundene Gefahrsituation noch  bestünde. Das fixierende Moment an der Verdrängung  ist also der Wiederholungszwang des unbewufsten Es,  der normalerweise nur durch die frei bewegliche  Funktion des Ichs aufgehoben wird. Nun mag es  dem Ich mitunter gelingen, die Schranken der Verdrängung, die es selbst aufgerichtet, wieder ein-  zureißßen, seinen Einfluß auf die Triebregung wieder-  zugewinnen und den neuerlichen Triebablauf im Sinne  der veränderten Gefahrsituation zu lenken. Tatsache  ist, daß es ihm so oft mißlingt, und daß es seine  Verdrängungen nicht rückgängig machen kann. Quanti-  tative Relationen mögen für den Ausgang dieses  Kampfes maßgebend sein. In manchen Fällen haben  wir den Eindruck, daf die Entscheidung eine zwangs-  läufige ist, die regressive Anziehung der verdrängten  Regung und die Stärke der Verdrängung sind so groß,  daß die neuerliche Regung nur dem Wiederholungs-  zwange folgen kann. In anderen Fällen nehmen wir den Beitrag eines anderen Kräftespiels wahr, die An-  ziehung des verdrängten Vorbilds wird verstärkt durch  die Abstoßung von Seiten der realen Schwierigkeiten,  die sich einem anderen Ablauf der neuerlichen Trieb-  regung entgegensetzen.   Dafß dies der Hergang der Fixierung an die Ver-  drängung und der Erhaltung der nicht mehr aktuellen  Gefahrsituation ist, findet seinen Erweis in der an  sich bescheidenen, aber theoretisch kaum überschätz-  baren Tatsache der analytischen Therapie. Wennwir  dem Ich in der Analyse die Hilfe leisten, die es in  den Stand setzen kann, seine Verdrängungen aufzu-  heben, bekommt es seine Macht über das verdrängte  Es wieder und kann die Triebregungen so ablaufen  lassen, als ob die alten Gefahrsituationen nicht mehr  bestünden. Was wir so erreichen, steht in gutem  Einklang mit dem sonstigen Machtbereich unserer  ärztlichen Leistung. In der Regel muß sich ja unsere  Iherapie damit begnügen, rascher, verläßlicher, mit  weniger Aufwand den guten Ausgang herbeizuführen,  der sich unter günstigen Verhältnissen spontan ergeben  hätte.   Die bisherigen Erwägungen lehren uns, es sind  quantitative Relationen, nicht direkt aufzuzeigen, nur  auf dem Wege des Rückschlusses faßbar, die darüber  entscheiden, ob die alten Gefahrsituationen festgehalten  werden, ob die Verdrängungen des Ichs erhalten  bleiben, ob die Kinderneurosen ihre Fortsetzung finden oder nicht. Von den Faktoren, die an der  Verursachung der Neurosen beteiligt sind, die die  Bedingungen geschaffen haben, unter denen sich die  psychischen Kräfte mit einander messen, heben sich  für unser Verständnis drei hervor, ein biologischer,  ein phylogenetischer und ein rein psychologischer. Der  biologische ist die lang hingezogene Hilflosigkeit und  Abhängigkeit des kleinen Menschenkindes. Die Intrau-  terinexistenz des Menschen erscheint gegen die der  meisten Tiere relativ verkürzt; es wird unfertiger als  diese in die Welt geschickt. Dadurch wird der Ein-  fluß der realen Aufßenwelt verstärkt, die Differen-  zierung des Ichs vom Es frühzeitig gefördert, die  Gefahren der Außenwelt in ihrer Bedeutung er-  höht und der Wert des Objekts, das allein gegen  diese Gefahren schützen und das verlorene Intrau-  terinleben ersetzen kann, enorm gesteigert. Dies bio-  logische Moment stellt also die ersten Gefahrsituationen  her und schafft das Bedürfnis, geliebt zu werden, das  den Menschen nicht mehr verlassen wird.   Der zweite, phylogenetische, Faktor ist von uns  nur erschlossen worden; eine sehr merkwürdige Tat-  sache der Libidoentwicklung hat uns zu seiner An-  nahme gedrängt. Wir finden, daß das Sexualleben  des Menschen sich nicht wie das der meisten ihm  nahestehenden Tiere vom Anfang bis zur Reifung  stetig weiter entwickelt, sondern daß) es nach einer  ersten Frühblüte bis zum fünften Jahr eine energische   Siem. Ireud    Unterbrechung erfährt, worauf es dann mit der  Pubertät von neuem anhebt und an die infantilen  Ansätze anknüpft. Wir meinen, es müßte in den  Schicksalen der Menschenart etwas Wichtiges vorge-  fallen sein, was diese Unterbrechung der Sexualent-  wicklung als historischen Niederschlag hinterlassen hat.  Die pathogene Bedeutung dieses Moments ergibt sich  daraus, dafß die meisten Triebansprüche dieser kind-  lichen Sexualität vom Ich als Gefahren behandelt und  abgewehrt werden, so daf die späteren sexuellen  Regungen der Pubertät, die ichgerecht sein sollten,  in Gefahr sind, der Anziehung der infantilen Vorbilder  zu unterliegen und ihnen in die Verdrängung zu folgen.  Hier stoßen wir auf die direkteste Ätiologie der Neu-  rosen. Es ist merkwürdig, daß der frühe Kontakt mit  den Ansprüchen der Sexualität auf das Ich ähnlich  wirkt, wie die vorzeitige Berührung mit der Aufßen-  welt.   Der dritte oder psychologische Faktor ist in einer  Unvollkommenheit unseres seelischen Apparates zu  finden, die gerade mit seiner Differenzierung in ein  Ich und ein Es zusammenhängt, also in letzter Linie  auch auf den Einfluß der Außenwelt zurückgeht. Durch  die Rücksicht auf die Gefahren der Realität wird das  Ich genötigt, sich gegen gewisse Triebregungen des  Es zur Wehre zu setzen, sie als Gefahren zu be-  handeln. Das Ich kann sich aber gegen innere Trieb-  gefahren nicht in so wirksamer Weise schützen wie    Flemmung, Symptom und Angst III    gegen ein Stück der ihm fremden Realität. Mit dem  Es selbst innig verbunden, kann es die Triebgefahr  nur abwehren, indem es seine eigene Organisation ein-  schränkt und sich die Symptombildung als Ersatz für  seine Beeinträchtigung des Triebes gefallen läßt. Er-  neuert sich dann der Andrang des abgewiesenen  Triebes, so ergeben sich für das Ich alle die Schwierig-  keiten, die wir als das neurotische Leiden kennen.   Weiter muß ich glauben, ist unsere Einsicht in das  Wesen und die Verursachung der Neurosen vorläufig  nicht gekommen. Im Laufe dieser Erörterungen sind verschiedene  Themen berührt worden, die vorzeitig verlassen werden  mußten und die jetzt gesammelt werden sollen, um  den Anteil Aufmerksamkeit zu erhalten, auf den sie  Anspruch haben.    A MODIFIKATIONEN FRÜHER GEÄUSSERTER  ANSICHTEN    a) Widerstand und Gegenbesetzung    Es ist ein wichtiges Stück der Theorie der Ver-  drängung, daß sie nicht einen einmaligen Vorgang dar-  stellt, sondern einen dauernden Aufwand erfordert.  Wenn dieser entfiele, würde der verdrängte Trieb,  der kontinuierlich Zuflüsse aus seinen Quellen erhält,  ein nächstes Mal denselben Weg einschlagen, von dem  er abgedrängt wurde, die Verdrängung würde um  ihren Erfolg gebracht oder sie müßte unbestimmt oft wiederholt werden. So folgt aus der kontinuierlichen  Natur des’ Triebes die Anforderung an das Ich, seine  Abwehraktion durch einen Daueraufwand zu versichern.  Diese Aktion zum Schutz der Verdrängung ist es, die  wir bei der therapeutischen Bemühung als Wider-  stand verspüren. Widerstand setzt das voraus, was  ich als Gegenbesetzung bezeichnet habe. Eine  solche Gegenbesetzung wird bei der Zwangsneurose  greifbar. Sie erscheint hier als Ichveränderung, als  Reaktionsbildung im Ich, durch Verstärkung jener Ein-  stellung, welche der zu verdrängenden Triebrichtung  gegensätzlich ist (Mitleid, Gewissenhaftigkeit, Reinlichkeit). Diese Reaktionsbildungen der Zwangsneurose sind  durchwegs Übertreibungen normaler, im Verlauf der  Latenzzeit entwickelter Charakterzüge. Es ist weit  schwieriger, die Gegenbesetzung bei der Hysterie auf-  zuweisen, wo sie nach der theoretischen Erwartung  ebenso unentbehrlich ist. Auch hier ist ein gewisses  Maß von Ichveränderung durch Reaktionsbildung un-  verkennbar und wird in manchen Verhältnissen so auf-  fällig, daß es sich der Aufmerksamkeit als das Haupt-  symptom des Zustandes aufdrängt. In solcher Weise  wird z. B. der Ambivalenzkonflikt der Hysterie gelöst,  der Haß gegen eine geliebte Person wird durch ein  Übermaß von Zärtlichkeit für sie und AÄngstlichkeit  um sie niedergehalten. Man muß aber als Unter-  schiede gegen die Zwangsneurose hervorheben, daß  solche Reaktionsbildungen nicht die allgemeine Natur von Charakterzügen zeigen, sondern sich auf ganz  spezielle Relationen einschränken. Die Hysterika z. B.,  die ihre im Grunde gehafstten Kinder mit exzessiver  Zärtlichkeit behandelt, wird darum nicht im ganzen  liebesbereiter als andere Frauen, nicht einmal zärtlicher für andere Kinder. Die Reaktionsbildung der  Hysterie hält an einem bestimmten Objekt zähe fest  und erhebt sich nicht zu einer allgemeinen Disposition des Ichs. Für die Zwangsneurose ist gerade  diese Verallgemeinerung, die Lockerung der Objekt-  beziehungen, die Erleichterung der Verschiebung in  der Objektwahl charakteristisch.   Eine andere Art der Gegenbesetzung scheint der  Eigenart der Hysterie gemäfßser zu sein. Die verdrängte  Triebregung kann von zwei Seiten her aktiviert (neu  besetzt) werden, erstens von innen her durch eine  Verstärkung des Triebes aus seinen inneren Erregungs-  quellen, zweitens von außen her durch die Wahr-  nehmung eines Objekts, das dem Trieb erwünscht  wäre. Die hysterische Gegenbesetzung ist nun vor-  zugsweise nach außen gegen die gefährliche Wahr-  nehmung gerichtet, sie nimmt die Form einer beson-  deren Wachsamkeit an, die durch Icheinschrän-  kungen Situationen vermeidet, in denen die Wahr-  nehmung auftreten müßte, und die es zustande bringt,  dieser Wahrnehmung die Aufmerksamkeit zu ent-  ziehen, wenn sie doch aufgetaucht ist. Französische  Autoren (Laforgue) haben kürzlich diese Leistung der Hysterie durch den besonderen Namen ‚Skotomisation ausgezeichnet. Noch auffälliger als bei  Hysterie ist diese Technik der Gegenbesetzung bei  den Phobien, deren Interesse sich darauf konzentriert,  sich immer weiter von der Möglichkeit der gefürch-  teten Wahrnehmung zu entfernen. Der Gegensatz in  der Richtung der Gegenbesetzung zwischen Hysterie  und Phobien einerseits und Zwangsneurose ander-  seits scheint bedeutsam, wenn er auch kein absoluter  ist. Er legt uns nahe anzunehmen, dafs zwischen der  Verdrängung und der äußeren Gegenbesetzung, wie  zwischen der Regression und der inneren Gegen-  besetzung (Ichveränderung durch Reaktionsbildung)  ein innigerer Zusammenhang besteht. Die Abwehr der  gefährlichen Wahrnehmung ist übrigens eine allgemeine  Aufgabe der Neurosen. Verschiedene Gebote und  Verbote der Zwangsneurose sollen der gleichen Ab-  sicht dienen.   Wir haben uns früher einmal klargemacht, dafs  der Widerstand, den wir in der Analyse zu über-  winden haben, vom Ich geleistet wird, das an seinen  Gegenbesetzungen festhält. Das Ich hat es schwer,  seine Aufmerksamkeit Wahrnehmungen und Vorstel-  lungen zuzuwenden, deren Vermeidung es sich bisher  zur Vorschrift gemacht hatte, oder Regungen als die  seinigen anzuerkennen, die den vollsten Gegensatz zu  den ihm als eigen vertrauten bilden. Unsere Bekämp-  fung des Widerstandes in der Analyse gründet sich  auf eine solche Auffassung desselben. Wir machen  den Widerstand bewufst, wo er, wie so häufig, infolge  des Zusammenhanges mit dem Verdrängten selbst  unbewußt ist; wir setzen ihm logische Argumente ent-  gegen, wenn oder nachdem er bewußt geworden ist,  versprechen dem Ich Nutzen und Prämien, wenn es  auf den Widerstand verzichtet. An dem Widerstand  des Ichs ist also nichts zu bezweifeln oder zu be-  richtigen. Dagegen fragt es sich, ob er allein den  Sachverhalt deckt, der uns in der Analyse entgegen-  tritt. Wir machen die Erfahrung, daß das Ich noch  immer Schwierigkeiten findet, die Verdrängungen rück-  gängig zu machen, auch nachdem es den Vorsatz  gefaßt hat, seine Widerstände aufzugeben, und haben  die Phase anstrengender Bemühung, die nach solchem  löblichen Vorsatz folgt, als die des Durcharbeitens bezeichnet. Es liegt nun nahe, das dynamische Moment  anzuerkennen, das ein solches Durcharbeiten notwendig  und verständlich macht. Es kann kaum anders sein,  als dafß® nach Aufhebung des Ichwiderstandes noch  die Macht des Wiederholungszwanges, die Anziehung  der unbewußstten Vorbilder auf den verdrängten Trieb-  vorgang, zu überwinden ist, und es ist nichts dagegen  zu sagen, wenn man dies Moment als den Wider-  stand des Unbewußten bezeichnen will. Lassen  wir uns solche Korrekturen nicht verdrießen; sie sind  erwünscht, wenn sie unser Verständnis um ein Stück  fördern, und keine Schande, wenn sie das frühere nicht widerlegen, sondern bereichern, eventuell eine  Allgemeinheit einschränken, eine zu enge Auffassung  erweitern.   Es ist nicht anzunehmen, daß wir durch diese  Korrektur eine vollständige Übersicht über die Arten  der uns in der Analyse begegnenden Widerstände  gewonnen haben. Bei weiterer Vertiefung merken wir  vielmehr, daß wir fünf Arten des Widerstandes zu  bekämpfen haben, die von drei Seiten herstammen,  nämlich vom Ich, vom Es und vom Über-Ich, wobei  sich das Ich als die Quelle von drei in ihrer Dynamik  unterschiedenen Formen erweist. Der erste dieser drei  Ichwiderstände ist der vorhin behandelte Ver-  drängungswiderstand, über den am wenigsten  Neues zu sagen ist. Von ihm sondert sich der Über-  tragungswiderstand, der von der gleichen Natur  ist, aber in der Analyse andere und weit deutlichere  Erscheinungen macht, da es ihm gelungen ist, eine  Beziehung zur analytischen Situation oder zur Person  des Analytikers herzustellen und somit eine Ver-  drängung, die blof3 erinnert werden sollte, wieder wie  frisch zu beleben. Auch ein Ichwiderstand, aber ganz  anderer Natur, ist jener, der vom Krankheitsgewinn  ausgeht und sich auf die Einbeziehung des Symptoms  ins Ich gründet. Er entspricht dem Sträuben gegen  den Verzicht auf eine Befriedigung oder Erleichterung.  Die vierte Art des Widerstandes den des Es  haben wir eben für die Notwendigkeit des Durcharbeitens verantwortlich gemacht. Der fünfte Wider-  stand, der des Über-Ichs, der zuletzt erkannte,  dunkelste, aber nicht immer schwächste, scheint dem  Schuldbewußtsein oder Strafbedürfnis zu entstammen;  er widersetzt sich jedem Erfolg und demnach auch  der Genesung durch die Analyse.  Angst aus Umwandlung von Libido Die in diesem Aufsatz vertretene Auffassung der  Angst entfernt sich ein Stück weit von jener, die mir  bisher berechtigt schien. Früher betrachtete ich die  Angst als eine allgemeine Reaktion des Ichs unter  den Bedingungen der Unlust, suchte ihr Auftreten  jedesmal ökonomisch zu rechtfertigen und nahm an,  gestützt auf die Untersuchung der Aktualneurosen,  daß Libido (sexuelle Erregung), die vom Ich abge-  lehnt oder nicht verwendet wird, eine direkte Abfuhr  in der Form der Angst findet. Man kann es nicht  übersehen, daß diese verschiedenen Bestimmungen  nicht gut zusammengehen, zum mindesten nicht not-  wendig aus einander folgen. Überdies ergab sich der  Anschein einer besonders innigen Beziehung von Angst  und Libido, die wiederum mit dem Allgemeincharakter  der Angst als Unlustreaktion nicht harmonierte.   Der Einspruch gegen diese Auffassung ging von  der Tendenz aus, das Ich zur alleinigen Angststätte  zu machen, war also eine der Folgen der im ‚Ich  und Es‘ versuchten Gliederung des seelischen Apparates. Der früheren Auffassung lag es nahe, die Libido  der verdrängten Triebregung als die Quelle der Angst  zu betrachten; nach der neueren hatte vielmehr das  Ich für diese Angst aufzukommen. Also Ichangst oder  Trieb-(Es-)Angst. Da das Ich mit desexualisierter  Energie arbeitet, wurde in der Neuerung auch der  intime Zusammenhang von Angst und Libido gelockert.  Ich hoffe, es ist mir gelungen, wenigstens den Wider-  spruch klar zu machen, die Umrisse der Unsicherheit  scharf zu zeichnen. Die Ranksche Mahnung, der Angstaffekt sei,  wie ich selbst zuerst behauptete, eine Folge des  Geburtsvorganges und eine Wiederholung der damals  durchlebten Situation, nötigte zu einer neuerlichen  Prüfung des Angstproblems. Mit seiner eigenen Auf-  fassung der Geburt als Trauma, des Angstzustandes  als Abfuhrreaktion darauf, jedes neuerlichen Angst-  affekts als Versuch, das Trauma immer vollständiger  „abzureagieren“, konnte ich nicht weiter kommen. Es  ergab sich die Nötigung, von der Angstreaktion auf  die Gefahrsituation hinter ihr zurückzugehen.  Mit der Einführung dieses Moments ergaben sich  neue Gesichtspunkte für die Betrachtung. Die Geburt  wurde das Vorbild für alle späteren Grefahrsituationen,  die sich unter den neuen Bedingungen der veränderten  Existenzform und der fortschreitenden psychischen  Entwicklung ergaben. Ihre eigene Bedeutung wurde  aber auch auf diese vorbildliche Beziehung zur Gefahr eingeschränkt. Die bei der Geburt empfundene Angst  wurde nun das Vorbild eines Affektzustandes, der die  Schicksale anderer Affekte teilen mußte. Er reprodu-  zierte sich entweder automatisch in Situationen, die  seinen Ursprungssituationen analog waren, als unzweck-  mäßige Reaktionsform, nachdem er in der ersten  Gefahrsituation zweckmäßig gewesen war. Oder das  Ich bekam Macht über diesen Affekt und reproduzierte  ihn selbst, bediente sich seiner als Warnung vor der  Gefahr und als Mittel, das Eingreifen des Lust-Unlust-  mechanismus wachzurufen. Die biologische Bedeutung  des Angstaffekts kam zu ihrem Recht, indem die  Angst als die allgemeine Reaktion auf die Situation  der Gefahr anerkannt wurde; die Rolle des Ichs als  Angststätte wurde bestätigt, indem dem Ich die Funk-  tion eingeräumt wurde, den Angstaffekt nach seinen  Bedürfnissen zu produzieren. Der Angst wurden so  im späteren Leben zweierlei Ursprungsweisen zuge-  wiesen, die eine ungewollt, automatisch, jedesmal öko-  nomisch gerechtfertigt, wenn sich eine Gefahrsituation  analog jener der Geburt hergestellt hatte, die andere,  vom Ich produzierte, wenn eine solche Situation nur  drohte, um zu ihrer Vermeidung aufzufordern. In  diesem zweiten Fall unterzog sich das Ich der Angst  gleichsam wie einer Impfung, um durch einen abge-  schwächten Krankheitsausbruch einem ungeschwächten  Anfall zu entgehen. Es stellte sich gleichsam die Ge-  fahrsituation lebhaft vor, bei unverkennbarer Tendenz, dies peinliche Erleben auf eine Andeutung, ein Signal,  zu beschränken. Wie sich dabei die verschiedenen  Grefahrsituationen nacheinander entwickeln und doch  genetisch mit einander verknüpft bleiben, ist bereits  im einzelnen dargestellt worden. Vielleicht gelingt es  uns, ein Stück weiter ins Verständnis der Angst ein-  zudringen, wenn wir das Problem des Verhältnisses  zwischen neurotischer Angst und Realangst angreifen.   Die früher behauptete direkte Umsetzung der Libido  in Angst ist unserem Interesse nun weniger bedeut-  sam geworden. Ziehen wir sie doch in Erwägung, so  haben wir mehrere Fälle zu unterscheiden. Für die  Angst, die das Ich als Signal provoziert, kommt sie  nicht in Betracht; also auch nicht in all den Gefahr-  situationen, die das Ich zur Einleitung einer Verdrängung bewegen. Die libidinöse Besetzung der ver-  drängten Triebregung erfährt, wie man es am deut-  lichsten bei der Konversionshysterie sieht, eine andere  Verwendung als die Umsetzung in und Abfuhr als  Angst. Hingegen werden wir bei der weiteren Dis-  kussion der Gefahrsituation auf jenen Fall der Angst-  entwicklung stoßen, der wahrscheinlich anders zu beurteilen ist. Verdrängung und Abwehr Im Zusammenhange der Erörterungen über das  Angstproblem habe ich einen Begriff  oder bescheidener ausgedrückt: einen Terminus  wieder auf-  Siem. Freud    genommen, dessen ich mich zu Anfang meiner Studien  vor dreißig Jahren ausschließend bedient und den ich  späterhin fallen gelassen hatte. Ich meine den des  Abwehrvorganges.” Ich ersetzte ihn in der Folge durch  den der Verdrängung, das Verhältnis zwischen beiden  blieb aber unbestimmt. Ich meine nun, es bringt einen  sicheren Vorteil, auf den alten Begriff der Abwehr  zurückzugreifen, wenn man dabei festsetzt, daß er die  allgemeine Bezeichnung für alle die Techniken sein  soll, deren sich das Ich in seinen eventuell zur Neu-  rose führenden Konflikten bedient, während Verdrän-  gung der Name einer bestimmten solchen Abwehr-  methode bleibt, die uns infolge der Richtung unserer  Untersuchungen zuerst besser bekannt worden ist.  Auch eine bloß terminologische Neuerung will  gerechtfertigt werden, soll der Ausdruck einer neuen  Betrachtungsweise oder einer Erweiterung unserer Ein-  sichten sein. Die Wiederaufnahme des Begriffes Ab-  wehr und die Einschränkung des Begriffes der Ver-  drängung trägt nun einer Tatsache Rechnung, die  längst bekannt ist, aber durch einige neuere Funde an  Bedeutung gewonnen hat. Unsere ersten Erfahrungen  über Verdrängung und Symptombildung machten wir  an der Hysterie; wir sahen, daß der Wahrnehmungs-  inhalt erregender Erlebnisse, der Vorstellungsinhalt  pathogener Gedankenbildungen vergessen und von der  Siehe: Die Abwehr-Neuropsychosen, Ges, Schriften, Bd. 1. Reproduktion im Gedächtnis ausgeschlossen wird, und  haben darum in der Abhaltung vom Bewußtsein einen  Hauptcharakter der hysterischen Verdrängung erkannt.  Später haben wir die Zwangsneurose studiert und  gefunden, daß bei dieser Affektion die pathogenen  Vorfälle nicht vergessen werden. Sie bleiben be-  wußt, werden aber auf eine noch nicht vorstellbare Weise ‚isoliert‘, so daß ungefähr der-  selbe Erfolg erzielt wird wie durch die hysterische  Amnesie. Aber die Differenz ist groß genug, um  unsere Meinung zu berechtigen, der Vorgang, mittels  dessen die Zwangsneurose einen Triebanspruch be-  seitigt, könne nicht der nämliche sein wie bei  Hysterie. Weitere Untersuchungen haben uns gelehrt,  daß bei der Zwangsneurose unter dem Einfluß des  Ichsträubens eine Regression der Triebregungen auf  eine frühere Libidophase erzielt wird, die zwar eine  Verdrängung nicht überflüssig macht, aber offenbar in  demselben Sinne wirkt wie die Verdrängung. Wir  haben ferner gesehen, dafß die auch bei Hysterie anzunehmende Gegenbesetzung bei der Zwangsneurose  als reaktive Ichveränderung eine besonders große Rolle  beim Ichschutz spielt, wir sind auf ein Verfahren der  „Isolierung‘‘ aufmerksam worden, dessen Technik wir  noch nicht angeben können, das sich einen direkten  symptomatischen Ausdruck schafft, und auf die magisch  zu nennende Prozedur des „Ungeschehenmachens‘, über  deren abweisende Tendenz kein Zweifel sein kann, die  Sigm. Freud    aber mit dem Vorgang der ‚Verdrängung‘ keine  Ähnlichkeit mehr hat. Diese Erfahrungen sind Grund  genug, den alten Begriff der Abwehr wieder einzu-  setzen, der alle diese Vorgänge mit gleicher Tendenz Schutz des Ichs gegen Triebansprüche umfassen  kann, und ihm die Verdrängung als einen Spezialfall  zu subsumieren. Die Bedeutung einer solchen Namen-  gebung wird erhöht, wenn man die Möglichkeit erwägt,  daf3 eine Vertiefung unserer Studien eine innige Zu-  sammengehörigkeit zwischen besonderen Formen der  Abwehr und bestimmten Affektionen ergeben könnte,  z. B. zwischen Verdrängung und Hysterie. Unsere  Erwartung richtet sich ferner auf die Möglichkeit einer  anderen bedeu samen Abhängigkeit. Es kann leicht  sein, daßß der seelische Apparat vor der scharfen  Sonderung von Ich und Es, vor der Ausbildung eines  Über-Ichs, andere Methoden der Abwehr übt als nach  der Erreichung dieser Organisationsstufen.  Der Angstaffekt zeigt einige Züge, deren Unter-  suchung weitere Aufklärung verspricht. Die Angst hat  eine unverkennbare Beziehung zur Erwartung; sie  ist Angst vor etwas. Es haftet ihr ein Charakter von  Unbestimmtheit und Objektlosigkeit an; der    Femmung, korrekte Sprachgebrauch ändert selbst ihren Namen,  wenn sie ein Objekt gefunden hat, und ersetzt ihn  dann durch Furcht. Die Angst hat ferner außer ihrer  Beziehung zur Gefahr eine andere zur Neurose, um  deren Aufklärung wir uns seit langem bemühen. Es  entsteht die Frage, warum nicht alle Angstreaktionen  neurotisch sind, warum wir so viele als normal aner-  kennen; endlich verlangt der Unterschied von Real-  angst und neurotischer Angst nach gründlicher Wür-  digung.   Gehen wir von der letzteren Aufgabe aus. Unser  Fortschritt bestand in dem Rückgreifen von der Re-  aktion der Angst auf die Situation der Gefahr. Nehmen  wir dieselbe Veränderung an dem Problem der  Realangst vor, so wird uns dessen Lösung leicht.  Realgefahr ist eine Gefahr, die wir kennen, Realangst  die Angst vor einer solchen bekannten Gefahr. Die  neurotische Angst ist Angst vor einer Gefahr, die wir  nicht kennen. Die neurotische Gefahr mufs also erst  gesucht werden; die Analyse hat uns gelehrt, sie ist  eine Triebgefahr. Indem wir diese dem Ich unbe-  kannte Gefahr zum Bewußtsein bringen, verwischen  wir den Unterschied zwischen Realangst und neuro-  tischer Angst, können wir die letztere wie die erstere  behandeln.   In der Realgefahr entwickeln wir zwei Reaktionen,  die affektive, den Angstausbruch, und die Schutz-  handlung. Voraussichtlich wird bei der Triebgefahr dasselbe geschehen. Wir kennen den Fall des zweck-  mäfßligen Zusammenwirkens beider Reaktionen, indem  die eine das Signal für das Einsetzen der anderen  gibt, aber auch den unzweckmäfßligen Fall, den der  Angstlähmung, daß die eine sich auf Kosten der  anderen ausbreitet.   Es gibt Fälle, in denen sich die Charaktere von  Realangst und neurotischer Angst vermengt zeigen. Die Gefahr ist bekannt und real, aber die Angst vor  ihr übermäßig groß, größer als sie nach unserem Urteil  sein dürfte. In diesem Mehr verrät sich das neurotische  Element. Aber diese Fälle bringen nichts prinzipiell  Neues. Die Analyse zeigt, daß an die bekannte Real-  gefahr eine unerkannte Triebgefahr geknüpft ist.   Wir kommen weiter, wenn wir uns auch mit der  Zurückführung der Angst auf die Gefahr nicht begnügen. Was ist der Kern, die Bedeutung der  Gefahrsituation? Offenbar die Einschätzung unserer  Stärke im Vergleich zu ihrer Größe, das Zugeständnis  unserer Hilflosigkeit gegen sie, der materiellen Hilf-  losigkeit im Falle der Realgefahr, der psychischen Hilf-  losigkeit im Falle der Triebgefahr. Unser Urteil wird  dabei von wirklich gemachten Erfahrungen geleitet  werden; ob es sich in seiner Schätzung irrt, ist für  den Erfolg gleichgültig. Heißen wir eine solche erlebte  Situation von Hilflosigkeit eine traumatische; wir  haben dann guten Grund, die traumatische Situation  von der Gefahrsituation zu trennen. Es ist nun ein wichtiger Fortschritt in unserer  Selbstbewahrung, wenn eine solche traumatische Situa-  tion von Hilflosigkeit nicht abgewartet, sondern vorhergesehen, erwartet, wird. Die Situation, in der die Bedingung für solche Erwartung enthalten ist, heiße die  Gefahrsituation, in ihr wird das Angstsignal gegeben.  Dies will besagen: ich erwarte, daß sich eine Situation  von Hilflosigkeit ergeben wird, oder die gegenwärtige  Situation erinnert mich an eines der früher erfahrenen  traumatischen Erlebnisse. Daher antizipiere ich dieses  Trauma, will mich benehmen, als ob es schon da  wäre, solange noch Zeit ist, es abzuwenden. Die Angst ist also einerseits Erwartung des Traumas, anderseits  eine gemilderte Wiederholung desselben. Die beiden  Charaktere, die uns an der Angst aufgefallen sind,  haben also verschiedenen Ursprung. Ihre Beziehung  zur Erwartung gehört zur Gefahrsituation, ihre Unbestimmtheit und ÖObjektlosigkeit zur traumatischen  Situation der Hilflosigkeit, die in der Grefahrsituation  antizipiert wird. Nach der Entwicklung der Reihe: Angst  Gefahr  Hilflosigkeit (Trauma) können wir zusammenfassen: Die Gefahrsituation ist die erkannte, erinnerte,  erwartete Situation der Hilflosigkeit. Die Angst ist die  ursprüngliche Reaktion auf die Hilflosigkeit im Trauma,  die dann später in der Gefahrsituation als Hilfssignal  reproduziert wird. Das Ich, welches das Trauma passiv  erlebt hat, wiederholt nun aktiv eine abgeschwächte Reproduktion desselben, in der Hoffnung, deren Ab-  lauf selbsttätig leiten zu können. Wir wissen, das Kind  benimmt sich ebenso gegen alle ihm peinlichen Eindrücke, indem es sie im Spiel reproduziert; durch  diese Art von der Passivität zur Aktivität überzugehen, sucht es seine Lebenseindrücke psychisch zu  bewältigen. Wenn dies der Sinn eines „Abreagierens  des Traumas‘ sein soll, so kann man nichts mehr  dagegen einwenden. Das Entscheidende ist aber die  erste Verschiebung der Angstreaktion von ihrem Ur-  sprung in der Situation der Hilflosigkeit auf deren  Erwartung, die Gefahrsituation. Dann folgen die weiteren  Verschiebungen von der Gefahr auf die Bedingung der  Gefahr, den Objektverlust und dessen schon erwähnte  Modifikationen. Die „Verwöhnung‘“ des kleinen Kindes hat die uner-  wünschte Folge, daß die Gefahr des Objektverlustes das Objekt als Schutz gegen alle Situationen der  Hilflosigkeit  gegen alle anderen Gefahren über-  steigert wird. Sie begünstigt also die Zurückhaltung  in der Kindheit, der die motorische wie die psychische  Hilflosigkeit eigen sind.   Wir haben bisher keinen Anlaß gehabt, die  Realangst anders zu betrachten als die neurotische  Angst. Wir kennen den Unterschied; die Realgefahr  droht von einem äußeren Objekt, die neurotische  von einem Triebanspruch. Insoferne dieser Triebanspruch etwas Reales ist, kann auch die neurotische Angst als real begründet anerkannt werden.  Wir haben verstanden, daß der Anschein einer be-  sonders intimen Beziehung zwischen Angst und Neurose sich auf die Tatsache zurückführt, daß das Ich  sich mit Hilfe der Angstreaktion der Triebgefahr  ebenso erwehrt wie der äußeren Realgefahr, daß aber  diese Richtung der Abwehrtätigkeit infolge einer  Unvollkommenheit des seelischen Apparats in die  Neurose ausläuft. Wir haben auch die Überzeugung  gewonnen, dafs der Triebanspruch oft nur darum zur  (inneren) Gefahr wird, weil seine Befriedigung eine  äußere Gefahr herbeiführen würde, also weil diese  innere Gefahr eine äußere repräsentiert.   Anderseits muß auch die äußere (Real-) Gefahr  eine Verinnerlichung gefunden haben, wenn sie für das  Ich bedeutsam werden soll; sie muf3 in ihrer Beziehung  zu einer erlebten Situation von Hilflosigkeit erkannt  werden." Eine instinktive Erkenntnis von aufSen drohen-  der Gefahren scheint dem Menschen nicht oder nur  in sehr bescheidenem Ausmaf3 mitgegeben worden zu [Es mag auch oft genug vorkommen, daß in einer Gefahrsituation,  die als solche richtig geschätzt wird, zur Realangst ein Stück Trieb-  angst hinzukommt. Der Triebanspruch, vor dessen Befriedigung das  Ich zurückschreckt, wäre dann der masochistische, der gegen die  eigene Person gewendete Destruktionstrieb. Vielleicht erklärt diese  Zutat den Fall, daß die Angstreaktion übermäßig und unzweckmäßig,  lähmend, ausfällt. Die Höhenphobien (Fenster, Turm, Abgrund)  könnten diese Herkunft haben; ihre geheime feminine Bedeutung  steht dem Masochismus nahe.    Freud: Hemmung, Symptom und Angst  Siem. Freud    sein. Kleine Kinder tun unaufhörlich Dinge, die sie in  Lebensgefahr bringen, und können gerade darum das  schützende Objekt nicht entbehren. In der Beziehung  zur traumatischen Situation, gegen die man hilflos ist,  treffen äußere und innere Gefahr, Realgefahr und  Triebanspruch zusammen. Mag das Ich in dem einen  Falle einen Schmerz, der nicht aufhören will, erleben,  im. anderen Falle eine Bedürfnisstauung, die keine  Befriedigung finden kann, die ökonomische Situation  ist für beide Fälle die nämliche und die motorische  Hilflosigkeit findet in der psychischen Hilflosigkeit  ihren Ausdruck.   Die rätselhaften Phobien der frühen Kinderzeit  verdienen an dieser Stelle nochmalige Erwähnung. Die  einen von ihnen — Alleinsein, Dunkelheit, fremde  Personen — konnten wir als Reaktionen auf die  Gefahr des Objektverlusts verstehen; für andere —  kleine Tiere, Gewitter u. dgl. — bietet sich vielleicht  die Auskunft, sie seien die verkümmerten Reste einer  kongenitalen Vorbereitung auf die Realgefahren, die  bei anderen Tieren so deutlich ausgebildet ist. Für  den Menschen zweckmäßig ist allein der Anteil dieser  archaischen Erbschaft, der sich auf den Objektverlust  bezieht. Wenn solche Kinderphobien sich fixieren,  stärker werden und bis in späte Lebensjahre anhalten,  weist die Analyse nach, daf ihr Inhalt sich mit Trieb-  ansprüchen in Verbindung gesetzt hat, zur Vertretung  auch innerer Gefahren geworden ist.  Zur Psychologie der Gefühlsvorgänge liegt so wenig  vor, daf$ die nachstehenden schüchternen Bemer-  kungen auf die nachsichtigste Beurteilung Anspruch  erheben dürfen. An folgender Stelle erhebt sich für  uns das Problem. Wir mufsten sagen, die Angst werde  zur Reaktion auf die Gefahr des Objektverlusts. Nun  kennen wir bereits eine solche Reaktion auf den  Objektverlust, es ist die Trauer. Also wann kommt  es zur einen, wann zur anderen? An der Irauer, mit  der wir uns bereits früher beschäftigt haben,’ blieb  ein Zug völlig unverstanden, ihre besondere Schmerz-  lichkeit. Daß die Trennung vom Objekt schmerzlich  ist, erscheint uns trotzdem selbstverständlich. Also  kompliziert sich das Problem weiter: Wann macht  die Trennung vom Objekt Angst, wann Trauer und  wann vielleicht nur Schmerz?   Sagen wir es gleich, es ist keine Aussicht vor-  handen, Antworten auf diese Fragen zu geben. Wir  werden uns dabei bescheiden, einige Abgrenzungen  und einige Andeutungen zu finden.   Unser Ausgangspunkt sei wiederum die eine  Situation, die wir zu verstehen glauben, die des Säug-  lings, der anstatt seiner Mutter eine fremde Person  erblickt. Er zeigt dann die Angst, die wir auf die   ı) S. Trauer und Melancholie, Ges. Schriften, Bd. V. 193 Siem. Freud    Gefahr des Objektverlustes gedeutet haben. Aber sie  ist wohl komplizierter und verdient eine eingehendere  Diskussion. An der Angst des Säuglings ist zwar kein  Zweifel, aber Gesichtsausdruck und die Reaktion des  Weinens lassen annehmen, daß er außerdem noch  Schmerz empfindet. Es scheint, daß bei ihm einiges  zusammenflieft, was später gesondert werden wird. Er  kann das zeitweilige Vermissen und den dauernden  Verlust noch nicht unterscheiden; wenn er die Mutter  das eine Mal nicht zu Gesicht bekommen hat, benimmt  er sich so, als ob er sie nie wieder sehen sollte, und  es bedarf wiederholter tröstlicher Erfahrungen, bis er  gelernt hat, daf3 auf ein solches Verschwinden der  Mutter ihr Wiedererscheinen zu folgen pflegt. Die  Mutter reift diese für ihn so wichtige Erkenntnis,  indem sie das bekannte Spiel mit ihm aufführt, sich  vor ihm das Gesicht zu verdecken und zu seiner  Freude wieder zu enthüllen. Er kann dann sozusagen  Sehnsucht empfinden, die nicht von Verzweiflung  begleitet ist.   Die Situation, in der er die Mutter vermißt, ist  infolge seines Mißverständnisses für ihn keine Gefahr-  situation, sondern eine traumatische, oder richtiger,  sie ist eine traumatische, wenn er in diesem Moment  ein Bedürfnis verspürt, das die Mutter befriedigen soll;  sie wandelt sich zur Gefahrsituation, wenn dies  Bedürfnis nicht aktuell ist. Die erste Angstbedingung,  die das Ich selbst einführt, ist also die des Wahr-    Memmung, Symptom und Angst 133    nehmungsverlustes, die der des Objektverlustes gleich-  gestellt wird. Ein Liebesverlust kommt noch nicht in  Betracht. Später lehrt die Erfahrung, dafs das Objekt  vorhanden bleiben, aber auf das Kind böse geworden  sein kann, und nun wird der Verlust der Liebe von  seiten des Objekts zur neuen, weit beständigeren  Gefahr und Angstbedingung.   Die traumatische Situation des Vermissens der  Mutter weicht in einem entscheidenden Punkte von  der traumatischen Situation der Geburt ab. Damals  war kein Objekt vorhanden, das vermifst werden  konnte. Die Angst blieb die einzige Reaktion, die zu-  stande kam. Seither haben wiederholte Befriedigungs-  situationen das Objekt der Mutter geschaffen, das  nun im Falle des Bedürfnisses eine intensive, „sehn-  süchtig‘ zu nennende Besetzung erfährt. Auf diese  Neuerung ist die Reaktion des Schmerzes zu beziehen.  Der Schmerz ist also die eigentliche Reaktion auf  den Objektverlust, die Angst die auf die Gefahr,  welche dieser Verlust mit sich bringt, in weiterer  Verschiebung auf die Gefahr des Objektverlustes selbst.   Auch vom Schmerz wissen wir sehr wenig. Den  einzig sicheren Inhalt gibt die Tatsache, dafßß der  Schmerz  zunächst und in der Regel  entsteht,  wenn ein an der Peripherie angreifender Reiz die  Vorrichtungen des Reizschutzes durchbricht und nun  wie ein kontinuierlicher Triebreiz wirkt, gegen den die  sonst wirksamen Muskelaktionen, welche die gereizte Stelle dem Reiz entziehen, ohnmächtig bleiben. Wenn  der Schmerz nicht von einer Hautstelle, sondern von  einem inneren Organ ausgeht, so ändert das nichts  an der Situation; es ist nur ein Stück der inneren  Peripherie an die Stelle der äufseren getreten. Das  Kind hat offenbar Gelegenheit, solche Schmerzerlebnisse  zu machen, die unabhängig von seinen Bedürfnis-  erlebnissen sind. Diese Entstehungsbedingung des  Schmerzes scheint aber sehr wenig Ähnlichkeit mit  einem Objektverlust zu haben, auch ist das für den  Schmerz wesentliche Moment der peripherischen  Reizung in der Sehnsuchtssituation des Kindes völlig  entfallen. Und doch kann es nicht sinnlos sein, dafs  die Sprache den Begriff des inneren, des seelischen,  Schmerzes geschaffen hat und die Empfindungen des  Objektverlusts durchaus dem körperlichen Schmerz  gleichstellt.   Beim körperlichen Schmerz entsteht eine hohe,  narzißßtisch zu nennende Besetzung der schmerzenden  Körperstelle, die immer mehr zunimmt und sozusagen  entleerend auf das Ich wirkt. Es ist bekannt, daf wir,  bei Schmerzen in inneren Organen, räumliche und  andere Vorstellungen von solchen Körperteilen  bekommen, die sonst im bewußten Vorstellen gar nicht  vertreten sind. Auch die merkwürdige Tatsache, dafs  die intensivsten Körperschmerzen bei psychischer  Ablenkung durch ein andersartiges Interesse nicht zu-  stande kommen: (man darf hier nicht sagen; unbewußt  FHemmung, Symptom und Angst bleiben), findet in der Tatsache der Konzentration der  Besetzung auf die psychische Repräsentanz der  schmerzenden Körperstelle ihre Erklärung. Nun scheint  in diesem Punkt die Analogie zu liegen, die die  Übertragung der Schmerzempfindung auf das seelische  (sebiet gestattet hat. Die intensive, infolge ihrer  Unstillbarkeit stets anwachsende Sehnsuchtsbesetzung  des vermißten (verlorenen) Objektes schafft die-  selben ökonomischen Bedingungen wie die Schmerz-  besetzung der verletzten Körperstelle und macht es  möglich, von der peripherischen Bedingtheit des Körper-  schmerzes abzusehen! Der Übergang vom Körper-  schmerz zum Seelenschmerz entspricht dem Wandel  von narzißtischer zur Objektbesetzung. Die vom Be-  dürfnis hochbesetzte Objektvorstellung spielt die Rolle  der von dem Reizzuwachs besetzten Körperstelle.  Die Kontinuität und Unhemmbarkeit des Besetzungs-  vorganges bringen den gleichen Zustand der psychischen Hilflosigkeit hervor. Wenn die dann entstehende  Unlustempfindung den spezifischen, nicht näher zu beschreibenden Charakter des Schmerzes trägt, anstatt  sich in der Reaktionsform der Angst zu äußern, so  liegt es nahe, dafür ein Moment verantwortlich zu  machen, das sonst von der Erklärung noch zu wenig  in Anspruch genommen wurde, das hohe Niveau der  Besetzungs- und Bindungsverhältnisse, auf dem sich  diese zur Unlustempfindung führenden Vorgänge vollziehen. Siem. Freud  Wir kennen noch eine andere Gefühlsreaktion auf  den Objektverlust, die Trauer. Ihre Erklärung bereitet  aber keine Schwierigkeiten mehr. Die Trauer entsteht  unter dem Einfluß der Realitätsprüfung, die kate-  gorisch verlangt, daß man sich von dem Objekt  trennen müsse, weil es nicht mehr besteht. Sie hat  nun die Arbeit zu leisten, diesen Rückzug vom Objekt  in all den Situationen durchzuführen, in denen das  Objekt Gegenstand hoher Besetzung war. Der schmerz-  liche Charakter dieser Trennung fügt sich dann der  eben gegebenen Erklärung durch die hohe und un-  erfüllbare Sehnsuchtsbesetzung des Objekts während  der Reproduktion der Situationen, in denen die Bindung  an das Objekt gelöst werden soll. Kö @ “s NET 5) a r  pn nn >    FRI 4 > Ak er nicr  4 i  n mn;  Pan be  En ‚ — ®  Pe u  “  2,  ”  0  ’3  ni  -  ww."  A  %  ’ > >  „„  7  5   - 2  “  MH  4  9  |  et  e-  i P  D  a  -  ie  u;  i  D    h 5 - et Er 3 a % 0 Pr  r . r.. ’ ) n I F j u er en ur . Bi  i + 2 Le £ > . "u i We ü ‚v i en u j  2 Br 5 er A = hr  Eh 5 Ra IE ION ZUR)  Br. f = en k er u WR LD 1 i ’ „. N  # Dar. . h Pa r r . za et 12 7  Be N A Nr Ra Sl NV  hi DE * im . r „* Ei ne. 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Freud  und Angst  En  un  on  =  In  =  E  u. Massimo Bontempelli. Keywords: il sintomo, “la filosofia pre-platonica secondo Diogene”, “il viaggio di Platone in Italia”, “Il parricidio parminedeo di Platone”, “il platonismo latino” “Boezio e l’aristotelismo”, “ficino”, “telesio e campanella”, “galilei”, “storia e ragione in Vico” “Hegelianismo italiano” “Vera”, “Spaventa” “Jaja” – “idealism italiano” “Croce” “Gentile” “il concetto di stato in Gentile” “Severino e il neo-parmenedismo”, Vattimo e l’implicatura debole, la debolezza della communicazione in Eco”, implicatura sintomatica, sintoma.  “feudalesimo ario” --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bomtempelli” – The Swimming-Pool Library. Bontempelli.

 

Grice e Bonvecchio: la ragione conversazionale el’implicatura conversazionale di Dumezil e Marte – la scoperta di 1992 dei delinquenti – al Quirinale -- guerriero – la triada Giove Marte Giano -- marziale – scuola di Pavia – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Pavia). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Pavia, Lombardia. Grice: “Bonvecchio is a good one; of course, he has philosophised on what Italian philosophers have philosophised most: ‘e amore’ – only he calls it eros --.”  “This is strange: this Italian fascination with the Hellenism: one BAD thing about the Hellenic or Grecian lingo is that they have FOUR words for ‘love’: philos, eros, agape, charitas – Cicero followed William of Ockham’s razor, ‘do nott multiply words’ – and translated them all by ‘amore’ – Now, with Bonvecchio, it’s not just, as with Tonny Bennett, just ‘amore,’ – iit’s amore ‘come simbolo’, that is, as used in communication – as per Socrates with Alcebiades – the daemon, Amore, is the metaxu – so there is a communication of Apollo and Dioniso via love – all VERY philosophical, and actually very Oxonian – vide Walter Pater!” Laureatosi in Filosofia Teoretica presso l'Pavia inizia la sua carriera accademica come borsista, contrattista e ricercatore presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della stessa Università. Insegna "Filosofia della Politica" nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Palermo. Nello stesso ambito dottrinale insegna nel 1990 nell'Università degli Studi di Trieste sino al 2001. Da questo stesso anno è Professore di Filosofia delle Scienze Sociali nel Corso di Laurea di Scienze della Comunicazione della Facoltà di Scienze MM. FF. NN. dell'Università degli Studi dell'Insubria dove dal 2003 diviene vicedirettore del Dipartimento di Informatica e Comunicazione.  Claudio Bonvecchio è stato iniziato alla Massoneria presso la loggia del Grande Oriente d'Italia Cardano di Pavia, dove ha ricoperto varie cariche. Grande Oratore del Grande Oriente d'Italia in seno alla Giunta guidata dal Gran Maestro Stefano Bisi, nel  è stato eletto Gran Maestro aggiunto.  Dal 5 dicembre  è componente del Cda della Fondazione Luigi Einaudi Onlus.  Altre opere: Particolarmente dedito agli studi sulla simbologia e sulla mitologia politica. “Immagine del politico. Saggi su simbolo e mito politico” (Milani, Padova); “Imago imperii imago mundi” (Milani, Padova); “L'ombra del potere. Il lato oscuro della società: elogio del politicamente scorretto” (Red, Como); “La lanza di Marte; o il simbolico nella guerra” (Milani, Padova). “La spada e la corona: studi di simbolica politica” (Barbarossa, Milano); Gli’arconti di questo mondo. Gnosi: politica e diritto” (Edizioni Trieste, Trieste); “Il pensiero forte, Settimo Sigillo, Roma); “Apologia dei doveri dell'uomo” (Terziaria, Milano); “La maschera e l'uomo” (Franco Angeli, Milano); “Il coraggio di essere” (Dadò, Lugano); “Europa degli Eroi Europa dei mercanti. Itinerari di ribellione” (Settimo Sigillo, Roma); “Inquietudine e verità” (Giappichelli, Torino); “Dove va l'idea di Tradizione” (Settimo Sigillo, Roma); “Il sacro e la cavalleria” (Mimesis Edizioni, Milano); “Esoterismo e Massoneria, Mimesis Edizioni, Milano); “I Viaggi dei Filosofi” (Mimesis Edizioni, Milano); “La Filosofia del Signore degli Anelli” (Mimesis Edizioni, Milano); “Ripensare l'identità. Per una geopolitica dell'anima europea” (Settimo Sigillo, Roma); “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo. Un percorso nella post-modernità” (ScriptaWeb, Napoli); “La Magia e il Sacro: saggi Inattuali” (Mimesis Edizioni); “Eros come simbolo” (Amore, Cupido). AlboVersorio, Milano); L'orologio dell'Apocalisse. La fine del mondo e la filosofia” (AlboVersorio, Milano,. Scritti in onore Simboli, politica e potere. Scritti in onore di Claudio Bonvecchio, Paolo Bellini, Fabrizio Sciacca ed Erasmo S. Storace, AlboVersorio, Milano. Università dell'Insubria[collegamento interrotto]  Grande Oriente d'Italia  Convegno a Matera: Europa, Libera muratoria, cultura  Claudio Bonvecchio scheda nel sito dell'Università degli Studi dell'Insubria. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1947 20 gennaio PaviaMassoni.  The Archaic Triad is a hypothetical divine triad, consisting of the three allegedly original deities worshipped on the Capitoline Hill in Rome: Jupiter, Mars and Quirinus.[1] This structure was no longer clearly detectable in later times, and only traces of it have been identified from various literary sources and other testimonies. Many scholars dispute the validity of this identification.  Description Edit Georg Wissowa, in his manual of the Roman religion, identified the structure as a triad on the grounds of the existence in Rome of the three flamines maiores, who carry out service to these three gods. He remarked that this triadic structure looks to be predominant in many sacred formulae which go back to the most ancient period and noted its pivotal role in determining the ordo sacerdotum, the hierarchy of dignity of Roman priests: Rex Sacrorum, Flamen Dialis, Flamen Martialis, Flamen Quirinalis and Pontifex Maximus in order of decreasing dignity and importance. He remarks that since such an order no longer reflected the real influence and relationships of power among priests in the later times, it should have reflected a hierarchy of the earliest phase of Roman religion. Wissowa identified the presence of such a triad also in the Umbrian ritual of Iguvium where only Iove, Marte and Vofionus are granted the epithet of Grabovius and the fact that in Rome the three flamines maiores are all involved in a peculiar way in the cult of goddess Fides. However Wissowa did not pursue further the analysis of the meaning and function of the structure (which he called Göttersystem) he had identified.  Dumézil's analysis Edit Georges Dumézil in various works, particularly in his Archaic Roman Religion advanced the hypothesis that this triadic structure was a relic of a common Proto-Indo-European religion, based on a trifunctional ideology modelled on the division of that archaic society. The highest deity would thus be a heavenly sovereign endowed with religious, magic and legal powers and prerogatives (connected and related to the king and to priestly sacral lore in human society), followed in order of dignity by the deity representing braveness and military prowess (connected and related to a class of warriors) and lastly a deity representing the common human worldly values of wealth, fertility, and pleasure (connected and related to a class of economic producers). According to the hypothesis, such a tripartite structure must have been common to all Indoeuropean peoples on accounts of its widespread traces in religion and myths from India to Scandinavia, and from Rome to Ireland. However it had disappeared from most societies since prehistoric times, with the notable exception of India.  In Vedic religion the sovereign function was incarnated by Dyaus Pita and later appeared split into its two aspects of uncanny and awe inspiring almighty power incarnated by Varuna and of source and guardian of justice and compacts incarnated by Mitra. Indraincarnated the military function and the twins Ashvins(or Nasatya) the function of production, wealth, fertility and pleasure. In human society the raja and the class of the brahmin priests represented the first function (and enjoyed the highest dignity), the warrior class of the kshatriya represented the second function and the artisan and merchant class of the vaishya the third.  Similarly in Rome Jupiter was the supreme ruler of the heavens and god of thunder, represented on earth by the rex, king (later the rex sacrorum) and his substitute, the Flamen Dialis, the legal aspect of sovereignty being incarnated also by Dius Fidius, Mars was the god of military prowess and a war deity, represented by his flamen Martialis; and Quirinus the enigmatic god of the Roman populus ("people") organised in the curiae as a civilian and productive force, represented by the Flamen Quirinalis.  Apart than from the analysis of the texts already collected by Wissowa, Dumezil stressed the importance of the tripartite plan of the regia, the cultic centre of Rome and official residence of the rex. As recorded by sources and confirmed by archeological data it was devised to lodge the three major deities Iupiter, Mars, and Ops, the deity of agricultural plenty, in three separate rooms.  The cult of Fides involved the three Flamines Maiores: they were carried to the sacellum of the deity together in a covered carriage and officiated with their right hand wrapped up to the fingers in a piece of white cloth. The association with the deity that founded divine order (Fides is associated with Iupiter in his function of guardian of the supreme juridical order) underlines the mutual interconnections among them and of the gods they represented with the supreme heavenly order, whose arcane character was represented symbolically in the hidden character of the forms of the cult.  The spolia opima were dedicated by the person who had killed the king or chief of the enemy in battle. They were dedicated to Jupiter in case the Roman was a king or his equivalent (consul, dictator or tribunus militum consulari potestate), to Mars in case he was an officer and to Quirinus in case he was common soldier.[6] The sacrificial animals too were in each case the ones of the respective deity, i. e. an ox to Jupiter, solitaurilia to Mars and a male lamb to Quirinus.  Besides Dumézil analysed the cultural functions of the Flamen Quirinalis to better understand the characters of this deity. One important element was his officiating on the feriae of the Consualia aestiva ( of the Summer), which associated Quirinus to the cult of Consus and indirectly of Ops (Ops Consivia). Other feriae on which this flamen officiated were the Robigalia, the Quirinalia that Dumezil identifies with the last day of the Fornacalia, also named stultorum feriae because on that day the people who had forgot to roast their spelt on the day prescribed by the curio maximus for their own curia were given a last chance to make amends, and the Larentalia held in memory of Larunda. These religious duties show Quirinus was a civil god related to the agricultural cycle and somehow to the worship of Roman ancestry.  In Dumézil's view the figure of Quirinus became blurred and started to be connected to the military sphere because of the early assimilation to him of the divinised Romulus, the warring founder and first king of Rome. A coincident facilitating factor of this interpretation was the circumstance that Romulus carried with himself the quality of twin and Quirinus had a correspondence in the theology of the divine twins such the Indian Ashvins and the Scandinavian Vani. The resulting interpretation was the mixed civil and military, warring and peaceful personality of the god.  A detailed discussion of the sources is devoted by Dumézil to showing that they do not support the theory of an agrarian Mars. Mars would be invoked both in the Carmen Arvale and in Cato's prayer as the guardian, the armed protector of the fields and the harvest. He is definitely not a deity of agricultural plenty and fertility.  It is also noteworthy that according to tradition Romulus established the double role and duties, civil and military, of the Roman citizen. In this way the relationship between Mars and Quirinus became a dialectic one, since Romans would regularly pass from the warring condition to the civil one and vice versa. In the yearly cycle this passage is marked by the rites of the Salii, they themselves divided into two groups, one devoted to the cult of Mars (Salii Palatini, created by Numa) and the other of Quirinus (Salii Collini, created by Tullus Hostilius).  The archaic triad in Dumézil's view was not strictly speaking a triad, it was rather a structure underlying the earliest religious thought of the Romans, a reflection of the common Indoeuropean heritage. This grouping has been interpreted as a symbolic representation of early Roman society, wherein Jupiter, standing in for the ritual and augural authority of the Flamen Dialis (high priest of Jupiter) and the chief priestly colleges, represents the priestly class, Mars, with his warrior and agricultural functions, represents the power of the king and young nobles to bring prosperity and victory through sympathetic magic with rituals like the October Horse and the Lupercalia, and Quirinus, with his source as the deified form of Rome's founder Romulus and his derivation from co-viri ("men together") representing the combined military and economic strength of the Roman people.  According to his trifunctional hypothesis, this division symbolizes the overarching societal classes of "priest" (Jupiter), "warrior" (Mars) and "farmer" or "civilian" (Quirinus). Though both Mars and Quirinus each had militaristic and agricultural aspects, leading later scholars to frequently equate the two despite their clear distinction in ancient Roman writings, Dumézil argued that Mars represented the Roman gentry in their service as soldiers, while Quirinus represented them in their civilian activities. Although such a distinction is implied in a few Roman passages, such as when Julius Caesar scornfully calls his soldiers quirites ("citizens") rather than milites ("soldiers"), the word quirites had by this time been dissociated with the god Quirinus, and it is likely that Quirinus initially had an even more militaristic aspect than Mars,[citation needed] but that over time Mars, partially through synthesis with the Greek god Ares, became more warlike, while Quirinus became more domestic in connotation. Resolving these inconsistencies and complications is difficult chiefly because of the ambiguous and obscure nature of Quirinus' cult and worship; while Mars and Jupiter remained the most popular of all Roman gods, Quirinus was a more archaic and opaque deity, diminishing in importance over time.  References Edit ^ Ryberg, Inez Scott "Was the Capitoline Triad Etruscan or Italic?". The American Journal of Philology. Festus s.v. ordo sacerdotum p. 299 L 2nd. ^ Wissowa cited the following sources as supporting the existence of this triad: Servius ad Aeneidem VIII 663 on the ritual of the Salii, priests who use the ancilia in their ceremonies and are under the tutelage of Jupiter, Mars and Quirinus; Polybius Hist. III 25, 6 in occasion of a treaty stipulated by the fetials between Rome and Carthage; Livy VIII 9, 6 in the formula of the devotio of Decius Mus; Festus s.v. spolia opima, along with Plutarch Marcellus 8, Servius ad Aeneidem on the same topic. Wissowa Religion und Kultus der Roemer Munich.  Dumézil,  La religion romaine archaique, Paris. Festus s.v. spolia opima; L 2nd who has Ianus Quirinus, which let it possible an identification of Quirinus as an epithet of Ianus. ^ G. Dumézil La religion romaine archaique Paris; It. tr. Milano. Quirinus Roman deity  Flamen Priest in ancient Rome  Flamen Quirinalis High priest of Quirinus in ancient Rome  Wikipedia Content is available under CC BY-SA 3.0 unless otherwise noted. Palazzo del Quirinale ospiterà nelle sale della Palazzina Gregoriana la mostra L’arte di salvare l’arte. Frammenti di storia d’Italia, curata dal Prof. Francesco Buranelli. L’esposizione è realizzata in occasione dell’anniversario dell’istituzione del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, un reparto specializzato dell’Arma dei Carabinieri istituito per contrastare i crimini a danno al nostro patrimonio storico artistico.  E’ davvero un onore ed un emozione per noi guidoniani partecipare alla mostra “L’Arte di Salvare l’arte”. Con un pizzico d’orgoglio siamo lieti di annunciare che è stata esposta la nostra “Triade Capitolina”, fiore all’occhiello del Museo di Montecelio, presente anche sull’homepage del sito del Quirinale all’interno della sezione in cui viene presentata la mostra.   Ringraziamo il Generale dei Carabinieri Fabrizio Parrulli, Comando Carabinieri di Tutela del Patrimonio Culturale, per l’invito a questo prestigioso evento. Una presenza davvero gradita nell’inaugurazione è stata quella della signora Ena, vedova del Generale Roberto Conforti il quale, con la sua instancabile opera all’interno dell’Arma dei Carabinieri, riuscì a recuperare la Triade Capitolina sottraendola alla criminalità.  La presenza della Triade al Quirinale rappresenta un volano importantissimo per la crescita culturale e turistica della nostra Guidonia su cui tutta l’Amministrazione punta tantissimo.   Per tutte le informazioni sulla mostra è possibile visitare il sito: http://palazzo. quirinale.it/…/_art…/arte-salva_home. Claudio Bonvecchio. Keywords: marziale, simbolo della repubblica romana, simbolo dell’impero, imago impero, imago mundi, Romolo, primo re, la corona del re. La spada, il guerriero. Guerra, longobardo, guerra ostrogoto, bellum romanum, bellum civile, etimologia di ‘mascara’, il concetto di eroe, Europa degl’eroi, italia degl’eroi, gl’eroi, Bruno, furore eroico, Vico, eta eroica, equites, cavalleria, massima stirpe guerriera romana, Mars, Marte, marziale, Marte, padre di Romolo, Marte, emblema della guerra, marziale, campo marzio, Marte, l’archeologia di Boni, mistica fascista, imago imperi, guerriero, Romolo re corona, emblem della republica, eta degl’eroi, fascism, fascist imagery. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bonvecchio” – The Swimming-Pool Library. Bonvecchio.

 

Grice e Bordoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della grammatica al mio figlio – scuola di Riva del Garda – filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Rocca di Riva, Riva di Garda). Filosofo trentino. Filosofo italiano. Riva del Garda, Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “Bordon is a genius; my favourite tract is his ‘ludi romani,’ in a piece he philosophised for Silvio’s figlio, whoever he is – but he also philosophised on ‘communication’ – and surely a game is a kind of communication – cf. my ‘conversation-as-game’!” Le prime considerazioni sulle lingue universali in Italia si ebbero nel 1540 ad opera di Giulio Cesare Scaligero, pseudonimo di Giulio Bordoni:  Bordoni nanque di Salie i (a della sca e e do nel 5 una a fondia), Ruindico discende e  dall'omonima famiglia veronese.  nell'opera De causis Linguae Latinae, considerato il primo tentativo scientifico di grammatica latina, egli accenna alla conformazione che una lingua dovrebbe possedere per essere internazionalmente e facilmente compresa. Come sosterranno anche gli autori successivi, una lingua per essere tale deve essere semplice e non ambigua, e quanto più esatta possibile.  Nella parte finale del trattato, poi, Scaligero riflette sul problema dei nomi delle cose, ovvero sui modi con cui l'uomo nomina quello che lo circonda. Egli, anticipando alcune posizioni che saranno proprie dei sensisti, sostiene che «intellectionem nostram esse duplicem, Rectam et  Reflexam» ovvero che l'apprendimento umano si basa sul duplice aspetto del riconoscimento diretto della cosa - sensazione, impressione - e della riflessione intorno alla cosa,GIULIO CESARE SCALIGERO, De Causis linguae Latinae, Lione, presso Sebastiano Grifio, 1580, p. 437.33 e che la ragione ci permette poi di denominare le cose attraverso i suoni («nomina enim rerum sunt notae»). 3* Il nostro compito dovrebbe essere quello di semplificare la lingua - e lo Scaligero parla di lingua latina - di modo che tutte le ambiguità e le sinonimie ne siano eliminate e non vi possano essere possibilità di errore: basandosi sul presupposto - oggi non più ritenuto valido - che i nomi abbiano un rapporto di corrispondenza diretta con le cose designate, auspica un riavvicinamento alla "vera essenza della parola" tramite uno studio di tipo etimologico. Colaro da greci esena steso el con he po senta con she osin dallanicht ei ostunio.  strumento di ricerca sia linguistica che filosofica: scoprire la forma "originale" di una parola significava accedere al suo significato più vero, alla sua reale essenza. In questo senso allora la ricerca etimologica era considerata essenziale per una corretta conoscenza del reale, secondo il principio nomina sunt consequentia rerum, largamente condiviso anche più tardi nel Medioevo - come dimostrano ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia -, ma oggi non più considerato valido. Per approfondimenti vedasi DANIELE BAGLIONI, L'etimologia, Roma, Carocci editore S.p.A., 2016  («Bussole»).Nonostante le riflessioni, lo studioso non si spinge oltre e evita di fornire esempi concreti di come potrebbe apparire un tale linguaggio.Figlio di Benedetto. L’imperatore Massimiliano I d'Asburgo lo nominò suo pagge. Si dstinguendosi come soldato.  Nella battaglia di Ravenna, in cui padre e suo fratello sono uccisi, mostra grandi doti di coraggio. Riceve i più alti onori della cavalleria dal suo imperiale cugino che gli conferì con le proprie mani l'Ordine dello Speron d'oro, aumentato con il collare e l'aquila d'oro. Lascia la corte. Dopo un breve impiego presso il duca di Ferrara, decise di abbandonare la vita militare, e s'iscrisse come studente di filosofia a Padova. Laureato, reside al castello di Vico Nuovo, in Piemonte, come ospite dei Della Rovere, dividendo il suo tempo tra spedizioni militari in estate e la filosofia in inverno. Ha quindici figli, tra i quali Giuseppe Giusto Scaligero Bordone. Stampa una invettiva contro Erasmo da Rotterdam, in difesa di Cicerone e dei Ciceronianus. È un pezzo di invettiva vigorosa, che mostra una retorica brillante, anche se carica dell'abuso del volgare, che forse non inquadrava affatto la vera essenza dei ciceroniani di Erasmo.  Una seconda invettiva, più violenta e abusive. Un trattato “De comicis dimensionibus” (Delle dimensioni comiche) e “De causis linguae Latinae” (“Delle cause della lingua”) lo resero il primo grammatico che segue principi e metodo scientifici. Ha acute critiche basate sulla Poetica di Aristotele, “imperator noster; omnium bonarum artium dictator perpetuus”. Considera Virgilio moltissimo superiore ad Omero. Lode le tragedie di Seneca. I suoi saggi sono tutti sotto forma di commenti. Considera “De insomniis” di Ippocrate. Stampa “De plantis”. Stampa “Exercitationes” su De subtilitate di Cardano. Altre opere: “Commentari su Teofrasto De causis plantarum” “Commenti alla storia degli animali di Aristotele”. Combina autentica conoscenza, ragionamento acuto, e osservazione dei fatti e dei dettagli. Anticipa il ragionamento induttivo del metodo scientifico.  Non si può mettere in discussione che non abbia anticipato in qualche maniera il ragionamento induttivo del vero metodo scientifico, anche se i suoi studi di botanica non lo condussero a qualche forma di idea su un sistema naturale di classificazione. Rigetta la scoperta di Copernico. Rimase ancorato ai dogmi di Aristotele nella metafisica e nella storia naturale, così come a quelli di Galeno. Corregge alcune dichiarazioni di Aristotele utilizzando i principi aristotelici.  Le sue Exercitationes basate sul libro De subtilitate di Cardano è il libro che dà a Scaligero la sua notorietà come filosofo. Si lo riconoscoe come il migliore esponente della fisica e metafisica di Aristotele.  “Poetices libri septem”.“Oratio pro Cicerone contra Erasmum” nel quale liquidava Erasmo come un parassita letterario, un mero correttore di bozze. In queste Scaligero analizza il corretto stile di CICERONE e indica 634 errori commessi da VALLA (si veda) e i suoi predecessori umanisti. "Imperatore nostro, dittatore perpetuo di ogni buona qualità nelle arti".  Dizionario biografico degli italiani.  Quem ad modum natura frescante nascir non uno modo circa unam cine isina soubine verfaturrem, ita nec ars. Na sicuti solis vis quercum educit, atque firmat aqua putrefacit ignis absumit. Sic faber eidem quercui formam abaci imponit: statuarius, lovis: architectus; tigni. Par item ratio in scientiis est. Hominem contemnplatur philosophus naturalis ut movetur: Geometra quatenus eum metiri debet. Medicus que a morbis aut vindicet aut tueatur. Natura enim est ut es tartifex quasi quidam eorum quæ molitur: ita artifex tanquam natura quædam eorum, quæ Ampalaya figurat. Hoc igitur quod est materia prima naturæ vt ei formam imponat, id est artifici naturalis vogures cui figuram indat. Res autem quum duplices mralint: aut materiales aut immateriales. Et immate n'arece riales aut extra intellectu ut deus, aut inintelle etu ut notions. Notiones appello rerum species mente comprehensas, Quod utique manus agit in materiam, hoc intellectus agit in notiones. Ergo, ut manibus subiectam materiam habet, aurum faber. Ita, intelleettu notiones philosophus moderatur. Et enim quo pacto manus instrumentorum instrumentum est. Sic ratio scientiarum. Est autem ratio vis animæ, qua id, quod ea præditum est, boncinema comprehendit universalia. Comprehedimus au cinst tem vel per inventionem vel per disciplinam. Ac per inventionem quidem paucis darum est ut divinitus fierent sapientes. Per disciplinam autem pluribus. Sane disciplina est scientia acquisita in Sdiscete. Discimus vero ab alio per auditu tanqua per instrumentum, et per voces tanquam per nostas. Est enim vox nota caru notionu, quæ in ani voce coulmasunt. Vocis affectiones tres: formatiositio, compositio, et veritas. Veritas est orationis æquatio cum re cuius est nota. Compositio est unio partium procarum proportione. Formatio est creation et figuratio. Itaque orationem eiusque partes duo artifices diversis modis conteplantur. Dialeetticus sub *ratione* veritatis tanquam subsine. Grammaticus sub figurationis et compofitionis modo, vocarunt conitructionem, tanquam materiam. Nam tamet si grammaticus etiam considerat si- gold move gnificatum, qui quasi forma quædam est, non ta men propter se id agit, sed ut veritatis indagatori subministret. Accidit autem ei postea ornatus ab oratore, et numerus a Poeta. Nam historia parum ab utroque differt, sed ex utroque potius mista est. Grammatici igitur unus finiset, recte grammas loqui. Quare in duo intendit: in partes ut parios tienen una funt, et in easdem ut interferes pondincat compositione. Nam quod addunt, creía vitedi arte esse: bis peccant. Neque enim ars est, sed scientia neque necesse habet scribere. accidit. Scriptura voci. Neque aliter scribere debemus, quam loqua mur.Illa quo que tertia parte, qua afribunt, iudicandi, non recte attribuêecncque na ettio distinguitur a potestate per differentias forma costitutas. Et enim eo de modo, quo scio, iudico. Fostre mo quod cfficiu interpretando ruautothandu merar ut, id sane grammatici non est, sed lapietis procuiusque rei captu. Est enim oratoru poetarumque, atque historicorus lectio disserta variis artibus, atque scietiis non ad ipsos literatores potius qua in ad veros artifices pertiner. Na quod ad interpretationem ipsam atrinei eadem ratio est; et componendi et composita cognoscendi. Quippe orationem qui interpretatur codem modo eam resolvit in partes quomodo eam qui construxit ex iisdem partibus comparavit. Tresigitur cum sint rationes literaturæ. Prima figurandi. Secundaria significandi. Tertia componendi. Prima quidem diligentissimi viri receviores exactiflimetra ettarunt. Secundam non ita plane. Tertiam exautorum observationibus satis admodum sunt assecuti. Verum quunon solum vsu, atque autoritate partes hæc onftenç sed etiam ratio ipsa naturalis magna multaque loca sibi vindicet. Quæ illi ipsi diligenter sunt executi, nullius nostrum opera indigere arbitrabamur. Quæ vero rationes ab his sunt omislæ vel quasi ignoratæ vel quasi relictæ nobis, necessario hoc opere erunt perscrutandæ. Non solum materia opus est, certify limitibus, sed etiam ordine atque instrumentis. Ordinem duplicem esse. Unum ab elementis ad composita, alterum huic contrarium. Instrumenta item duplcra: altera naturæ notiora, nobis vero mie nous nota: altera bis contraria. Anale Hitler imptam materiam certisque limitibus cir per se ettenosse possimus. Duo sunt docedi, totidem queii dem discendi modi. Alter quo quid suas in partes resolvimus, ut si navim ignoranti cuipiam, primum nome edam. Deinde quid sit edifferam: postremo cuius rei causa structa sit, ostedam, partibus enumeratis. Hæc via resolutoria ab Aristotele dicta est. Is modus nobis notior est, quippe moim totum ipsum repræsentatum specie primum in note scit, a quo ad partes indagandas ipsas possea fya ducimur. Alter modus huic cotrarius est, naturæ ha infille quidem notus atque certus, quem componentem dicimus. Propter ea quod acceptis partibus totum ipsum ex ædificamus. Galenus frustra ad didit tertium quem definitivum vocat. Cum ta men a resolutorio nihil differat resolvimus enim totum res est ipsa definita, definitio autem notio speciei. Præstantior autem via utique cela ea est, quæ componere docet: tum quia naturam imitatur, tum quod excellentiam tradentis ostendit ingenii, quod necesse est omnia habeat in numerato atque ordine disposita ante, quam ani mum ad dicendum appellat. Ad hoc, nisi a primoribus elementis ordinare, necessfario cogêris idem, sæpius repetere. Universus igitur docendi ordo rls is quum lit, singulæ partes quo consilio quamperte se et iffime recenferi tractarique possint videamus. Discere dicimur cum ignotum per *indicia* quædam percipimus animo. Hoc bifariam esse potest. Nanque *indicium* illud interdum est po-Apossterius co, quoddiscimus, veluti cum significatio vocis huius, gloriosus intelligitur posse accipi in bonam partem per exempla lumpta de Cicerone. At sane id prius significavit quam sic Cicero utendum sumeret. Et tamen per Ciceronem ita mihi notum fit. Est alterum in diciorum genus A hun natura prius. Et caussa quasi quædam eiuscerei  thi quam discimus, ut cum per gloriæ significatum acper flexum illius vocis descendo ab origine ad usu meum, quem in Ciceronis libris deprehendi ac prior quidem notior ac facilior est. Alter ut paulo obscurior, ac minus sæpe notus nobis, ita excellentior tanto quanto certius scimus quum per causam quam per accidentia cognoscimus. Hoc igitur duce abipfa philosophia in Latinarum vocum naturam, ad rationes investigandas, deducamur. Duplices partes: alie ex quibus vox constituitur ut ex materia. Ab a tangu species sub genere perfectam scientiam, non definusone acquire sed etiam ex affectuum cognitione. page Sligitur est a partibus incipiendum, propter ea quod causæ sint iplius totius, quodnunc tractanas: 11offeinter est, earum rationem duplicem esse. Et enim cum dicimus, in, Dictione, partes esse alias simplices, cuiusmodi literæ func, ar lias compositas quales videmus syllabas. Ex his iudico elementis integram vocem fieri, atque coalescere. Cum vero dicimus. Dictiones aliæ sunt nomina, aliæ verba. Non has altendo partes Wycius eile modi ut per eas concrescat nomen, sed quæ ipso genere tanquam re universali quadam comprehendantur inde recte pronuciamus, tam nomen, quam verbum dicttionem esse. Cum aute PH*2.poilim genus ipsum intelligere etiam seclufss par mi ne tibus his, quasi pecies appellanimus. Necessario fatebimur, inapte natura i pecies esse illas post genus. Si quidem genus materia quasi quædam spe cieru v cít. Contra, quoniam genus ipsum animo perfecte capere nequeamus, niii partes, quibus constat, perspexerimus. Necesse erit ut primua de his partibus, deinde de genere, hoccli de diction quæ est materia nostræ operæ subie et ta, tumde speciebus fermo noster instituatur. Videndum igitur, quid litera: mox quid syllaba. Tertio quid diction. Postremo quæ species dictionis. Quoniam vero perfecta Scientia non ex sola ha si betur definitione,  sd omnes quoque rei affecttus cognoscere oportet: de ipsis affectibus cuiusque partis quid veteres prodiderint quid nos sentiamus, perspiciendum erit. Definituro litera, nominis prius originem querendam. More peripatetico inde errures multos ecolligit igo corrigit. Ante vero quam literam definimus, sicuti sie ce in omni definitione, nomen ipsum estex- Nimm an plicandum. Quippe ex cuius interpretatione facilius rei ratio nota sit. Togam.n. definiturus, cam si norim ategendo dietam, sane vestigando cius genus sic inveniemus. Esse lana text ad tegendo, ita de litera acturi, vera eiusce nominis rationem ex figura emergere căperiemus, quu eas certis lia Ale! neis contineri videbimus exeptis nanq; cx prisca mily nominis origine aliquor elementis, quu primum di ettæ essent lincaturæ, literæ possea fa ettæ sunt. Scut apud græcos redivirala otlew sexuuris. Euenitde inde ut quoniam album nigre dinea spergeretur, atquei quasi officeretur, ut ea sgnificatio latius fufa fit, et litura inde etiam macula diceretur. Obliterare autēverbum no a literis ut dixere sed a lituris deductu est, versa scilicet vocali. Quem ad modu a fænus fæneror et a pignus pigneror, et a têpustepero: fica lincando, linere, unde lineaturæ, et literæ, etlituræ, ex code fonte æque omnia. Neq enim alituris literæ quiade lerentur. Prius enim factæ, quam deletæ sunt. At formæ potius atque cueras rationem, quam intea ritus habeamus. Ex his constat eosdem veteres, non recte quasi legiteram commentos esse:vtex crema pars vocis ab itinere fingatur. Atque id A iiij. que Huskha Om quoque non geminata consonante ut consueue re, scribendum esse: sub sux nanque originis for ma produxit primam natura. Si igitur a lineis di eta est, et linea minima corporis dimensio est. Erit profecto litera minima pars dictionis. Accidit enim dictioni cuipiam, unica ut litera contineatur, ibi enim est pars et totum idem. Sed sicuti ex elementis constant mista naturalia, sic ex lite mlaliris dictions, unde elementorum quoque no men fortitæ merito sint. Simul ut hinc refellatur veterum sentential, qui falso literas notas dixere, elementa autem pronunciationes. Nam ut litera sola nota sit,  satis habemus at elementum et i plum hoc sit quod pronunciatur non autem ipsa pronunciation et ipla nota æque, siquidem est pars dictionis ipsam constituens sicuti ignis, aer, aqua, terra, corpora naturalia hæc nostratia. Sed et par corūdem error in literæ definitio. Primo nan que partem vocis dixere quare aut non eruntli teræ, quæ script nõdum pronunciantur, aut falso definierint vocem, esse aerem percussum. Sed neque recte neque necessario adducut vocis de carregare finitionem. Neque enim ad literatorem sed ad mus philosophum spe ettathoc, aquo id quod ipse sta tuat accipere debemus. Quin ipse quoque vocem in libro de interpretation non definivit: quum alioqui et coniunctior esset pars illa cum cætera philosophia, et interpretatio vocem habeat pro instrumento, itaque divinus ille vir per vocem definitiones attulit, vocis contemplationem ad philosophum naturalem retulit. Quod si quis pertinacius contendat, necessario definiendam vocem esse in literæ definitione, quasi genus quoddam: cogetur idem fane, quid aer sit quid, percussio, definire, atque porro, quemad modum frat auditus, ostendere. Verum ii ignorarunt, no omnia principia discutienda esse, sed quibusdam eorum certis in scietiis simplici intellectione acquiescendum, ipsam que principiorum rationem ad solum metaphysicum pertinere. Quam obrem grammaticus hic fatis habet vocis tantum nos se significatum: non est igitur necessaria. Non est item vera quum dicit aerem tenuissimum: te a dor Larmes nuenet crassum significat partium positionem. Samorato tenue enim quum opponitur crasso significatrarum. Sic dicimus crassum aerem, raru aerem esse nuem. In aere igitur Bæotio non pronunciabitur litera quem aerem crassum fuisse proverbio quoque circunfertur. Sed illi ut minimam pare name tem literam esse ostenderent eius materiam scilicet aerem, tenuissimu esse voluere ut minimum significarent. Sed tenue non excludit longitudinem. Itaque non erit aer minimus. Præterea in codem genere nullum minimum minus alio minimo est: at litera alia aliis minor quædam enim unico tempore fluit alia pluribus constat, et quædam dimidium alterius est. Nam 1 est duplex ad 0, et ipsa interdum sui ipsius, cuius modi sunt communes vocales apud græcos. Ad hæc aiunt definitionem esse a substantia: at eer vocis substantia non est, sed materia subiecta. Accidit enim vox aeri. Hic enim substantiam pro essentia capiunt at essentia vocis non est aer: neque enimgenus fius est, aut differentia: sed percussio, aut elisio ge AV. nu IvL. nys est summum proximum autem genus, est fo nusis enim ordo est. Sonus e percussione corpo vor a wheru, vox, sermo. Est enim sermo dispositio vocu articulataram ad interpretandum animum.Vox, sonus ex ore animalis. Sonus qualitas obiecta au ditui ex occursu corporu. Ita que n eid quide re et e, strepitum vocem esse inarticulate. Strepitus es nim est sonis pecies, sicut et vox. Neq divisio proba est, cum dicutin articulatas voces eas, quæ nul con lo proferutur affectu: nãomnis vox est ab animi affectu. Est enim data animalibus ad expressione voluntatis ut in quinto historiaru latius disputa uimus. Et multæ voces ab esse et u proficiscuntur quæ sunt inarticulatæ, ut gemitus et sibilus venatorum. Sed neque recte a brutis excludut articulatas: ouiu enim voces adeo clare scribe possunt ut ab ipsis verbum apud nos formatum sit, balare. Literatas aute voces aut illiteratas perinde atque scribi possent vel no possent, etia do et iores dixe re, ut est apud GELLIO lib.xi. Non decreto, inquit, iussoque, sed tacito, illiteratoque atheniensium consensu. Quare articulata sit quæ scripto excipi atque exprimi valeat. Inarticulata, quæ no. Possit Vorige meo autem quis dubitare, an necessaria sit definitio dimisour ettionis syllabæ, literæ per vocem: præfertim cum philosophus in libro siegulweias sic egerit. Quibus respodemus id eu fecisse quonia de elocutione feribebat, qua vocat interpretationem, Sic nos vocem in his libris, prodictiöe scripta accipimus, quoniam vox esse possit: idque ex usu vetera Latinorum. Atisti vocis partem cum dicantlitera, voce ma; acrem percussum litera tantum in aere ponunt. Ergo cum scripta erit non ei competer definition neq; cum in intelle et um recipietur. Poteste nim nunquam fuisse in pronunciationc. Litere definitio. Differentie generica, quibus species litera rum constituuntur. Affecttus generice proprio communes. Quid primum horum natura fa, quid primo loco tradedum. Itera igitur est pars dictionis indiviisibilis comuni Nam quanquam sunt literæ quæ de duplices una tamen tantum litera est sibi quæque certum sonum unum servans. Ita 12 magnum dietum est non autem compositum neque enim duo parva cotinettanqua partes sed duabus temporibus v pas tra et us indivisibilis. Litera ergo genus quoddam est, cuius specics primariæ duæ, vocalis et consonans, quarum natura et constituțio non potest percipi, nisi prius cognoscantur differetiæ forma Eles, quibus factum est, vtinter se non convenirent. Quire de ipsis differentiis in communi, deq affectibus prius dicendum est. Litere differentia generica est, potestas quam nimis rudi consilio veteres accidens appellarunt, est enim forma quæ dami plefexus in voce quasi in materia propter quem flexum sit ut vocalis per se possit pronunciari, muta non possit. Ex hac potestate ortūno men est, qui est affectas proprius, cuiusque literæ, ce consequens cam vim quæin pronuntiatione sita est. Figura autem cít accidens ab arte inftitutum: potestenim etle litera sine figura: pote itque attributa mutari, acque solum per nationcs sed etiam eidem cidem genti aliam atque aliam diversis seculis in usu suifle. Neque vero quod veteres fecere, hæ Olyfolæaffe et iones assignandæ sunt literis sed etor do. Quædam enim natura sua aliis priores sunt neque hac ferie qua eas accepimus ab antiquis Ordgaut ortæ, aut disponendæ. De potestat cigitur pri ha trasmum deinde de aliis scribendum esset. Veru quia a facilioribus semper est incipiendum a figuris, notulis que ipsi spingendis auspicabimur quaru causas possea explicare instituemus simul et numerum et ordinem ex priscis historiis narrabimus quem suo loco tandem corrigemus. Historia literarum, Figura, Numero, Ordine. Iteræ primum fuere sexdecim numero, a more on spiciis receptæ: his notulis, A, B, C, D, E, I, K, L, M, N, O, P, Q, R. Palamedem autem duas adieciffe bello Troiano Duabus ab Epicharmoaudu numerum: 0 Duæ ad Simonidem, tanquam ad autorem, referutur: Alii autem aliter fen sere, duasque eiusdem inuento appositas: Z,  Latinæ haud magnopere ab his abhorrent, his notis -- A, B, C, D, E, F, G, I, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, V, X, Y, Z. Summari adiuifio literarum. Nomina singularun. Arumquæper feipfas possent pronunciari, vocales appellarunt: quæ non, nisi cu aliis, consonantes. Ita que etiam vocalium nomina, simplici sono nec differente a potestate, statuerut, at consonantibus, quæ egerent adminiculo, appel- osa' lationes mistas ex ipsarum fono, et ex certo adminiculo indidere. Itaque vocales sic nominarunt, cu ut scribebant: “A”, “E”, “I”, “O”, et “V”. At consonantes additis vocalibus. Idque non uno modo quibusdam enim præ-posuere aliis post-posuere. Sunt autem hægt “A”, “BE”, “CE” DE, “E” “EF”, “GE”, “I”, “EM”, “EN”, “PE”, “QV”, “ER”, “ES”, “TE”, “IX”. Duas autem reliquas “Y” et “Z”, propte rea quod non, nisi in græcis vocibus scriberent, non mutarunt earum figuram neque aliud no men impofuerunt. Item duabus vocalibus “I” et “V”  cum fiunt confonantes, nullum est nomen factu a Latinis sed a Græcis. Æolicum elementum appellatum est: et vau:habuitquefiguram hanc, 1, Claudio inventam, inuerla, r, atque duplicata. Verum nominis rationem (“di-gamma” enimin denominarunt cum ipsa nominis potestate non conuenire, suo loco dictum est. Ex his constat, quare in verbo Des, necessario inter priorem et posteriorem consonantem interponi debeat e vocalis: cum tamen nomen et mutæ in fine, et sibili in principio eam habeant vocalem. Nequce nim nomina ingrediunturc ompositionem sed potestas tantum. Sola “Q” eadem et poteftate et nomine semper est. Semper enim et pronunciatur, et nominatur fociata obscuræ vocali: sic, pv. Eftigitur proprium tam figuræ, quam no - smo minis, nunquam mutari, potestatis autem mu- poem tari, vt mox videbimus. Hoc autem dico apud veteres tum Latinos tum Græcos. Nam nostra tempestate certis notulis malunt inchoare et ducere dictionem aliis autem terminare. Hebræi autem chaldæique et armenii, et arabes sema per aliquot literarum figuras mutarunt, quibus clauderêt voces suas. A nominum ratione porro diviserunt Consonantes in mutas, atque Semi vom, vocales vt quarum nomen inciperet a consorante; cx Muta essent: quarum a vocali, essent Semi-vocales (“V”, “I”).  Quam sententiam qui essent auto resipfi, nihilo prudentius corrupere. Ita vt mutis ascriberent “EF”  quum tamen inciperet a vocalis verum et hanc fuo loco explodimus, ethicillam emendamus. Principio, non a nominibus species fa ettæ sunt, sed a potestate,a qua etiam nomina fluxere. Igitur iam fundamentum destructum est. Præterea quo modo fregere se ipsos quum rin mutas abiccerunt, ita ctiam sibi luntaduer fati, quum hac cadcm sua regula cogurtur ean dem literam quæ apud græcos sit Muta, apud fe facere semi-vocalem. Nam îi verum est, mutas effe, quarum nomina incipianta conionaia te: E1 græca muta erit ea ratione, quæ tamen apud nossitsemiuocalis: fi quidem huius figurr; qua vtimur, x, pro, cil, nomen Latinis cit, is, Immo vero fi a nomine petas argumentum, multo sint Motæ clariores, quam Scmiuocaics. Quis enim ncfciat clarius pronunciari posse, EE, quam en, aut EL? Ucrum ita faetum eit, vt MuTra tædicerentur, quarum poteftas fine vocali focia, nulla effet. Neque enim quisquam aut, “B” aut, €, aut alias mutas, nulla vocali addita, clare possit one pronunciare: Contra semi-vocales, propterea quod aliquam haberent pronunciationem. Vocalium enim fecutæ integritatem nominis dimi dium obtinuere: nemo enim interposito inter labia spiritu ipsum “F”. nequeat efflare: item sibi lumins, et mistuminx: linguæ autem vibratio nem in r:leniorem autem atque hærentem in “N”. longeleniorem, et libiloaffinem,in “Z”, mugitum vero vel facilimum, atque craffiffimum in ipfo m. Ex his patet error alius corundem quifcripfe re- x, abi, vocali nomen feum apud nosincho are propterea, quod apud Græcos eadem vocali Fillorum proferatur. Etenim fi ea ratio fatisef- Crop set, etiam im, et IN, etif, dixiffemus, qua has vocali græci nominant. Sediccirco fa et um est, ut a præpositione Ex, differret. K, autem lite ram quare is præsentia omiserimus, suo loco di sputainus. Ex his fatis constat, prudentius, quam aut Græci, aut Syri fecerint, fecisse nos; quum vo calium nomina simplicissimo fono eduxerimus, quasi fuo fibi fatu ortæ effent: neque confo nantium fublidiis indigere, ad suas opes decla. fandas, quas consonantes ipfæ fane sua fouerent autoritate. Singularum literarum potestates. Rebus suas species constituebat s affectiones genericas, rationem fpecierum conditaru diximus: superest, vt vnicuiusque literæ vim deinceps ex vsu, atque ratione, eiufque causas ftatuamus: quod negotium non sine magno labore, variaq; controversia expediri potest. Adeo enim dege ' nerauimus a prisca pronuciandi ratione, vt etvix extentipfoin vfu vestigia: etfiquid afferas, quod emendet vulgus,tanto vero ipfipertinacius obfi ftant.Acfuit quidem tempus, quum vsui dabatur aliquid:erat enim inter Latinos. Nunc vero, cum etiam Itali ipfi in patria sua peregrini sintadeo, vt etiam studiose inuenta noua a prisca detor queant Latinitate. Nihil aut Barbaris dandum, aut nobi sindulgendum esse cenfeo. A vocalibus autem incipiamus. Singularum literarum potestates labioru maxime conformatione dignoscuntur. Quemadmo dum non folum ex Martiani ac Prisciani, Victorini, GELLIO, Quintiliani, VARRONE, Nigidii, CICERONE præceptionibus, verum etiam variarum usu nationum aliqua ex parte percipi potest. Duobus autem modis potestas variatur,velsonus ipse, vt quum “I” vocalisaliter in voce “Ira”, aliter in voce Optimus,pronunciatur: vel soni modus, veluti quæ exempla a veteribus adducuntur, quibus deni modi eidem vocalis sono attribuuntur: qui ni afpiratæ, et totidem tenui. Brevi fub acuto, et graui:longæ sub iisdem, et fub circunflexo: ex empla sunt hæc: “Hamus, Hamorum, Hami: Arae, Ararum,Ara: Habeo, Habemus: Abed, Abimus. Sed efttertius quoque modus, quum in fine clausulæ aut verlus longam breuemque in differenti sono accipiturita, ut etiam prolongis breues habeantur: etfi auribus suis aliter respondere, dixit Quintilianus. Ac de fecundomodo in historia syllabarum scriptum satis est. de primo  is mo autem sic agendum est. A, non eodem semper apud græcos fuisse via the name detur fono: fiquidem Æolenses iplum pro, Hypo fuere,vixa. contra, Iones pro eo, h, menyua. Ve- Inha rum mihi videtur apud latinos eius literæ sem per idem sonus extitisse, qui etiam nunc auditur vulgo Romæ. Atnon ficcæteræ. Namquee, latius sonat in aduerbio, Bene, quam in aduerbio, Here: huius enim posteriorem vocalem exilius pronuntiabant, ita vt etiam in maxime exilein tranfierit sonum, Heri. Id quod latius in multis quoque patet:vt cum ab Eo, verbo, deducis Irc. Et in eodem casu. dicimus enim, et lis, et Eis: ficut et “diis” et “deis”; “turrim” et “turrem”, “priore” et “priori”. Sicutiigitur hæc inter se com mutabant, fic et v, cum eorum altero habuit af.2 " finitatem: quod est animaduersum in illis vocibus, Optimus, Maximus, Monimentum. Quæ ni hilominus etiam per v, scriberentur. Igiturha buit 1, vocalis sonos tres, suum exilem alterum, latiorem, propioremque ipsi £, et tertium obscu riorem iplius v.inter quæ duoy, Græcæ vocalis sonus continetur, ut non inconsulto Victorinus ambiguam illam, quam adduximus vocem, per “Y”, scribendam esse putarit “Optymus”. Quem so num etiam agnouere veteres græcæ prolatio nis,poft, 1, velv, consonantes, et ante “D”, “M”, “R”, “T”, x,cuius rei exempla sint “video”, “vim”, “virtus”, “vitium”, “vix”. Cæterum neque id nunc deprehendi mus ex vfu noftro, neque illi afferre exemplum possunt, in quo “I” vocalis sequatur 1, consonantem, ante eas literas quas in propofito apote 1. lesmate constituebant: sed de v; accipiendurte eft: cuius erunt exempla “iudex”, “iumentum”, “iuro”, “iuturna”. Verum ante x, non habeas: ne que enim præpositio Iufta, per laanc duplicem scribenda eft: et puto, si Iuro certum fibisonum habuit, Ius, quoque eundem habiturum. Ne “V” que tamen semper codem sono profertur v, sed aliquando pleniore obscuritate, quo modo vulgus italicum dicit “dux”. Interdum hiatu rotun diore, vt in verbo Columna, et Alumnus. quidam sunt ex Umbra et Etruria qui propius o ad ipfius o, accedunt mollitiem. Omnino autem latini cum græcos casus verterent, consiteri coegere nos,fonos illos esse cognatos, au, Priamus. Quo etiam modo nunc pronunciant romani. Quare, quod illi I lEds, noslu ba, Æoles secuti, qui ou oux,wvvia dicebant. Ita que o, duplicem quoque fonum habuit: latio rem, et exiliorem, ut cum ipfo y, conueniret. Productis enim labiis et cohærentibus, “Y” est pronuntianda, quomodo gallorum quidam pro ferunt aduerbium, Nunc. Graca enim vox est yuŰge. Sic etiam in multis aliis, quorum v, breue est, ea prolatio feruari debet, ut Numa, w uãs: Romulus, puur G. Habet igiturv, tot fo nos,exilein ipfius 1, latiorem ipsius o, obscurio rem fuum et medium quendam ipfius y, Græcæ. Quamobrem cumfuum fonum feruare il li volebant veteres, addebant o, ne in exilita tem illam Græcæ vocalis degeneraret: fic enim scribebant, Oufentina: autor Feftus eft. Restat Ali etiam sonusalius, poft G, et Q. et s, a superiori bus valde diuersus, implens scilicet confortan tium illarum vim, Lingua, Aqua, Suadeo. quan quam poft fibilum hoc tertio exemplo etiam a prioribus distet fane: auditur enim aliquantum, ac propius accedit ad consonantis lineamenta'. In prioribusautem exemplis, aut nihil, aut vis auditur: fed craffitudineñ quandam apponit duntaxat: aliter enim dicas Tingo, aliter Tin guo. Germani noftrates pene per digamma Æolicam proferunt, fufpenfo ipso 'c, parum per: Rhenani, et qui in Belgio funt, longe mollius, et fatis Romane.' At Erasmus in libro pri de pronunciatione falso putauit v, eodem ino dolubiiciipfi c, ficPomba ipfit, in exemplo pro nominis cv I. eft enim ibi y, vera vocalis: 1, au tem consonans, vt suo loco dictum eft.' Illud quoque igitur falfum erit, quod veteres prodi dere v, cum pofta, velo,præcedit, aut E, aut 1, aut 2, Græcæ vocalis.Y, vim obtinere ne que enim vllum sonum fimilem gerit. Si eniin ita effet, Græci ipfinon tam laborarent: 'habe rent enim ad manus fuam literam, et fcriberent KTINTOE, quod apud nos eft,Quintus. Sedip fi et fcribunt, KONTOL et pronunciationem il lam nullo modoqueuntaffequi. Quemadmo dum autem i, et v,fiantconfonantes,fuo loco dia ctum eft. Diphthongoru quoq;ratio non constat:ho-cu's die nullam enim ex pronuciatu noftro percipias: lego neque tamen fruftra inucetæ funt. verum non est nunc laborandum; yt ora distorqueantur, ad Bij. ciuf 1 i IvL. I. 1 ciusmodi explendam ambitionem. Satis tamen $ ex constat, “Æ” proximam fuiffc Græcæ “AI” et oe, an vocaliv. Nam et Maros, et Muros, legimus, AV, autem non vt nunc pronuntiant Itali, a quibus audias sonos duarum explicatum, sed declinauit olim ado, quomodo Franci nunc re et iffimey tuntur. Quorum siquis dicat Caurum, etiam Co rum audias. Græci nescio an bene pronuncient: a quibus intelligas priorem vocalem:alteram au tem fono fimiliore consonantis Æolicæ, Sic et WEY, iidem. Nosæquemale, atqueipfam av.Græ cam vero oy,ridicule Galli pene per o,proferüt, them et ineptius adhucmagis cum diphthongos diui dunt ac diffoluunt,earum vt fonus audiarur. Nec defucre qui Græcam inueherent in Latinos, quo niam veteres licenunciabant,Terrai,Frugiferai. Item alteram, EL, iis in vocibus sono tum e,tum 1, ederentur, vt Treis, Parte is: Verum priscos vnica adidlitera contentos fuisse idem NIGIDIO autor est.  quæ vtriufuis  Origo etcauffa,quare 1, etv, e vocalibus faettæ fintconfonantes. Vanquam igitur mutantur soni, manet il lis tamen priftinæ genus potestatis: at tam 1, quam v, penitus amiffa priori vi, in aliam cefunt transmutata. Nam cum fequente vocali vellenteas pronunciare difundim, fic, Viet or, Iųftus,fubist fane vocalis illa, ac præcedentismu tauit vim. Quorum altero vt Græci carentsci, 12 licet 1, ita ipsum multæ nationes retinuere hebraica, arabica, germanica, scythica, armeniea, illyrica. Quod iccirco a Græcis factam non est, quia longiore femper tractu vterentur, in pronunciando, ipfoque in hiatu confifterent: quod vel ex eo declaratur, fiquis animaduertat la eam literam etiam ante vocales frequentisfime contra communem cæterarum naturanaprodu ci: quare non potuit in alium sonum spurium degenerare. At Latini paruo posito momento obToni gracilitatem facilimeinfubeuntem pro ximam transiliere, vt non penitus abesset ab sono ipfius G, a qua tamen quantum distet,** falo loco videbimus. Quemadmodum illud quo que, An Græci alteram habeant: v, scilicet. ne que enim hîc de his cognofcere possumus ante, i quam etipfius G, cui estı, proxima: et ipfarum 0, acPH, atque a naturam perspexerimus. Hoc i igitur'iam agamus. Consonantium potestates. ACB; quidem Græci hodicaliter,aliter pro «« nunciant Latini. Nam pressislabisLatini, at Græci laxiore labro fuperiore, et inferiore ap plicato dentibus fuperioribus;quanquam veteres Græcos non aliter, quam nos vtimur, vfos effe palam est. Varro nanque cum noftrum balare, verbum magis commendat, quam Græcorum peñdo, fane vtrunque fa ettitium a sono pecudum contendit: ostenditque cos debuifle imitari. Biij. VOS??1P 22 AN vocem auis Balantis, vt Bínov, non uñaov nomen įmponerent. Quod fi vt ipsi loquuntur nunc, nonvtnos proferimus, olim pronuntiaffent, sic quali propemodum per Æolicum digairma, na recte corrigeret eos Varro: nequeenim valant tace Semente pecudes,fed balant. Vafconibusquoquehoc eft vitium peculiare, vt eo modo pronuncient B, quo et Græcos dicimus. Itaque lusimus in cos epigrammate,vt eorum “vivere” “bibere” fit. Con tra quædam nationes nimis crafse pronunciant per p, vt Puliam, praco quod effedeberet, Bull lam, dicant. Multo diuerfior vsus est ipsius c, idque non folum in diuerfis nationibus, fed etiam ipfa in I elktalia. Ac laneidem effe noftrum c, quodGræco rum fitx,iam receptum est:explosaquecorû fen gêtia,qui aliter autumarent. Tantaq magis Scau cow hari Grammatici, qui putarit nomina, in quibusA, scamm secunda effet statim fede, perk, scribenda effe: fic: Kalendæ, Karus. Etenim fi propterea fiat quod Kappa, nomen includit vocalem illam, fa nenulla eiufmodi vocalisaddaturin contextu di et ionis: aut ca consonans nulli præterea voci ab aliis vocalibus incipienti apponerur. Họcautem falsum effe vel ipli oftendunt Græci. præterea ipfum c, eadem ratione non apponeretur nis fequenti E, vt Cepe,cæterorumque elemen torum par item effet ratio. Quin Kappa no men maius eft, quam quanta fit hæcpotestas, ad quam arctare conatur ipsum.Aliiita censuere, em Græcis tantum vocibus attribuendam, qui æ que falfi sunt. Etenim id fi verum esset, etiam Chremetem, per x, Græcum scriberent. Quod sola afpiratione ab ipfok, distat. Nulla igitur ra tio eft.Ipfius ergo sonus c, cum fit idem cu sono ipsius k, cauendum nobis maxime est,neaddatur volan aspiratio (id quod Thuscorum non paucifaciut: sed ii frequentius, qui Arnum flumen accolunt) sed ficcissime eft pronunciandum,non mucrone, sedlatiore parte linguæ interioris adducta ad pa latum,atque aftrietta,vt quamtenuissimus quam que expeditissimus fonus transabeat. Galli turer, alle piffimeper fibilum edunt: vtnon discernas, Cel-tali lamne, an Sellam, audias. Germani noftrates non tam crasso sibilo: at Germani Belgæ, et Hi spani,non aliter,quam galli Circumpadani, et Veneti, et Flaminii, et Ligures, libilo tenuissimo, et balbo. Qui omnes redarguuntur eo, quod in fine di et ionum Græcum seruari fonum fatis patet: ut Hic, Nec, Ac, Alec: nequeenim fi bilo terminantur, fed in ficciorem sonum, qui apposita vocali debuit perpetuari. Acquirit ta- Crayon men craffiorem sonum pro vocalium ratione: çrassius enim dicas, Carus, Collum, Cuma, pro pter latiorum vocalium hiatum, quam Cera, Cippus, propter exilitatem. Eandem inibimus imme "rationem addita aspiratione, ut crațiusaliquan- lagimens to pronuncies zuers xep, quam xew.xic. In tem diphthongos prout ad vocalium certarum sonum propius accedent. Si autem “s”, præcedat se ipsum c, vulgo non audias: atqui yoluntcose mendare, etiam ineptis conatibus vastant pro nunciationem,quamtu e Thuscorum consuetum dinecommodiustemperabis. Şiini 4. 3 B iiij. Similima huic eft, atque adeo, vt ineptiuf cule quidam eandem essecontenderent. " Galli nihilo fecius eam proferunt, atque ipfum, at que etiam craffius, horumque imitatores Ligue res Taurini.Qui vero caste atque integre in pro uincia verfantur pronunciationis, includuntali quantum potestatis ipfius,v, sine quo ca de cauf fa Q, nunquam scribitur. Non minor aliorum error, qui cum hujus vim fimilem esse prode rent potestati ipfius C, male cauffam afsignarunt, menim propterea quod mutuo inter se conuerterentur: hb w quoniam diceremus, “coquus”, “coci” et Arcus, Arquites, et “cum”, “quum”, et Sequor, Secu tus. Etenim mutationis ratio fallaciffima eft, Omittoflexionum terminationes, quibus in m, s,mutarividcas, “Titus”, “Titum” et in D, “Paris”, “Paridis”. hoc enim factum sit discriminis gra tia in cafibus. At pro R,s:pros, t,inuenias: appavy a coev, Jeasanos, Jetlonos. Non igitur a muta tione, fed a fono ducendum eft argumentum. Sed neque, yt ex Varronis authoritate conten r:Aldunt, e, erit a literis potius excludenda, quam aliæ literæ quærendæ: Nam in elementis ita c uenit, quemadmodum in rebus: vt plures ef sent foni, quam corum notæ. Quæ fuit cauffa, vt etiam diphthongos comminiscerentur. Ita que frustra litigant, sıc: fi alia eft, ab ipfoc, propterea quod v, fequente alium percipimus sonum: ergo erit G, quoque alia a seipfa,vel cum necessario sequatur v, vel fi fortuito. Intelligo neceffario propter ipsam, vt Lingua: fortui to, propter vocem, vt Ligus. Hic enim dicimus nos, consultius quærendam aliam figu sam, ipfi, qua hanc capiamus potestatem, quam prudentiffime inuentum, excluden dum. Fatemur enim,, aliud, atque aliud effo non minus, quamipsum v, cum fequitur vel's vel g, aut alias consonantes. Non erit igituridem cum c. Nam si sit: ergo alterum pro altero pona tur. idem igitur erit et Qui, et Cui. cum tamen vtrunque sit monofyllabum: et alterum clauda tur vocali, posterius autem consonante. in priore non audiatur secundi sonus elementi, in altero autem audiatur. Neque vero potiffimus autor Catullus initio statim pulcherrimi, ac diuini poc matis,fiçsçripfiffet, Peliaco quondamprognata vertice pinus. neque enim idem fonat ac fi dicas, Peliaco collissurgitde vertice. Eftautem lonusis et Græcis, et Gallis inimicus. Hispaninon femper, Vascones semper, Itali fa cilime obseruant, Proximum ipfi c, est. Itaque Cneum et Gneum,dicebant;fic Curgulionem et Gurgulio nem. appulfa enim ad palatum lingua, modicello relicto interuallo,fpiritu tota pronunciatur. At Calabri, et Campani, Vmbrigue, atquealiieius tractus, etiam fibilo cius fonum faciunt craffio rem: Contra Flaminii., et extremaPicenorum pars, ac togata Gallia versus z, vt quantum distat Lombardorum c,abipfoc, Thuscorum,tantum Flaminiorum, ab ipfog, aliorum: medio inter vtrofque nos proferimus rectiffime. D, tam Græci, quam Vascones, atqueetiam B V Ara G I Iul. I. Arabesaspiratius pronunciant, subdita fcilicet, dentibus lingua. Nos ficcius, vix appofita ac ce T'leriterabduđa. Huic affinis est t,pertinaciusap $ pulla lingua. at Græca cu his coniun ettae,non ve Galli proferunt,excito degutture fpiritu craffio re,fed vt Græciipfi interpofito fuauiore flatu sub ieet a lingualaxiorespatio dentibus, quamin D. F, PH, V, quum est consonans, tressonos, fuum quæque edunt:fed ita, vt et cõgeneresintelligas, et non vnu. Acdigamma quidem Æolicu, quod noftrum eftv, ab ipfa differre palam eft. Æoles enim, qui haberent, etiam digammaquæli gere. Ita f,ab ipfo o, distare videamus, cum ante F,, ponamus N, atante, et PH, noftrum pona musM. etM. Tullius irrisit Græcum testem, qui primam literam Fundanir, nesciret exprimere. Itaque no defucre, qui Phamam, quam Famam fcribere mallent, propterea quod Græca effet $***vox. Puto autem fuisse F, validiflimum aftrieta fuperioribus dentibus labio inferiore. Mox sequi, dilutiore vi. Quo more etiam in præ fentia vtuntur Græci ipsi. Tertio locomollifli mum v, quomodo nunc quoque dicimus, aut non multo attentius. Par enim eft: vt retincat etiamnum quippiam veteris vocalis, vnde or tum habuit.Quare notat Viętorinus fic fcriptum inueniffe, Seras: quasi duplicis wv, nota elet,ve SERVVS, diceretur. Sed multamarmora barban, riffima fuere innouantibus.posteris in veterum? ram contemptum. Quod autem aiunt v,femper effe fimplicem, nunquam duplicem consonantem, fiuein principio, liucin medio fit: et ipfis habere debeemus fidem, qui tucincorruptas pronuncia: di tenebantleges: et facit ad id, quod statuebamus mollifimofono esse. Quod fi quis obiiciat, præ terițum Audiui, dịcamusmediam fyllabam illam sua, non consonantis natura produci: fic enim 1- Audire,ficOuum quoniam av. Itaque non pro, duxit primam in Que, quoniã non potuit: fuerat enim, šis. quaresonus no fuit multus interpofitæ. L, geminant atque aspirant etiam cum solum er est, Gabali,Aruerni, et Ligures Taurinilocisali o quot. cotra nostrum vulgus vix adducipoteft, vt geminent.Græcinuncsic pronuciant, vt aliquid et aliud intelligas, quali fuccedati, consonans ipfi 1, etsequente præeat vocalem:qua pronuciatia. ņem audias hodie apud Thuscos, quum dicunta ! Gli: et apud Vascones, quum postpanunt aspira tionem:apudHispanos,quu geminant.Sicigitur sebep Græcus,xinasa: Tuscus,Agliada: Vasco,Alhada.. Hispanus. Allada:omnesæquemale,fi ad Latini, tatem sofe conferant. Sed Græcis hoc corrupte dici puto. Quin veteres obseruabant exiliuseffe 46 quum geminaretur, Mella: plenius quum finit fyllabam, aut ante sein eadem syllaba habet cona sonanțem,vt Sol, Flavius:medio sono esse,quum inchoat,vtLux, Cælius, Huicaliquo modo similis estr,fed longinqua com tamen: codeenim oris modo editur. Sed vda est “L” at R, spirituosa: illa simplicifertur tra ettu, hæc vibratur. Itaque ob ea vibrationeaspirationeaca cepit a Græcis,exit enim quasi bulliente voce.A pudnostrate vulgus vix duplicata vsquam audias, Quidă distenta acrigida lingua ignauius efferüt. Inma IvL. LIB.‘L minne Inm,nullam vocem Græciaterminauit: Bar baris, nobisquc modusnullus.Tres sonos habere animaduerterunt: craffiffimum in principio,  mi nimum in medio, mediocrem in fine. Sitom nium vnicum exemplam,Mimum: et figemina ta mutatur, Mammam. Initio enim collecta Vox adinteriora narium, mugit;in medio penitus fal lit,obsessa scilicet ac ftipata vocalibus: in fine au ditur mediocriter, abeunteiam voce: etquum ge minatur, prior implet aures etiamnum magis, quam quum est in fine di et ionis. Eft et aliusro nus quum terminat diettionem,et altera di ettio fe qyens incipita vocali: vt, Equidem cgo:neque e Barcnim aut Galli,autLombardireettetum proferut: ita enim proferunt, vt firiem alterius cum initio sequentis coniungant. Nos mediocri sono, et fa nedimidiato,vt intelligas, fi voles, poffeelidi: percipiasque differentiam si dicas Multum ille: et, Multaille. neque enim totum fonum abolebant: neque enim intelligeres, sitne, Multum, an Mul ta,an Multi, an Multæ,anMulto, an Multam, Ita quelibato tantum sono, ftatim transabit yox, et in fubeuntem sese dat. * Nabm, differt gracilitate: claufo enim ore, et effufofono in nares m conformatur: at N, aperto ore, etlingua in palatum repercutiente vocem. BriffSplendidiflimo sono estin fine, et fubtremulo, pleniore in principiis,mediocriin medio, Nino. præcedes aüt feipfum penedimidio minor eft: vt Brenus, etfequete,vel c, fiue exili, fiue aspirato, longe adhucmutilatior,Ancile, Angustum, An çhora. ita vero, yt etiam diuersam literam puta BE rent: nec dignarentur vulgari figura,sed aliam · quærerent, exemploGræcoru: qui vtaliam often derent,inepte alienifsimi soni figura substituere, ipfius fcilicecr. Hæcigitur cum G,aut c, præcedi tur: atquum pręceduntipfum N, optime aGræcis i pronunciatur. Redea Germanis, a Gallismale: fic enim proferunt, vt nihilinterfit,vtrum dicas, Magnus, an Mannus. Itali hoc committuntinn, quod Græciin 1, suo:vt nescio quid fpuriiinue xerint, quod literis exprimi nonpoffit. Videntur cnim omittereipsum G, et aspirare ipsum n: ficuti Infulani Græci faciunt vulgo, fequenter, aut II, autor, auty.Nam Bysantios ego ita loquentes audiui,vt nos pronuntiamus. S,facitima omniu literaru, neq; enim sineipfa eflare posfimus. Quare non estmeritavt a Pin daro diceretur Lavxibdynor. Dionysius quoq; ca Rygenerosissimam vocat,at ipfums, expellit,re-, ïcitg; ad serpentes, maluit canem irritatam imi tari, quam arborum naturales susurros sequi. Pro nunciada vero eft mafculo ac coftanti tenore, no dimidiato, vt Itali, etGalli, quiper z, proferunt. Idem. n.sonus eftin Misi,qui in Miffus:sed duplo maior: non cftigitur alia vis, sed duplicata:distat enim no substantia, sed quantitate. Itaqueipfum x, Latinum male pronuntiant, præsertim Itali in Flaminia, vt parum distet az. Quin iidem pessimo consilio atque vsu adduntiņ pronunciationc, posts,in quoddesinat diet io, et postx. AnT fempercodem fit fono. Acde C de literarum quidem potestatibus hæc Quonia autê quæda funt controuerfæ, eas seorsum tra et arecommodius visum est nobis. As primum quidem de t.Eius,vt diximus, fonus fit Vam appulla lingua ad radices dentium quemsonum apudGræcos receptum est variare cum fequitur N, vt ANTONINO 2. emollitur e nim atqueaccedit ad D, noftrum. Eius rei caufla eft, quiafufpeditur pronuciatio in ipfon, ad pa latum, vt lingua non ita cito demittaturad deti tes: ita potius D,quam T.exprimitur.Sicetiam no 2 tam plene efferatur, quum lequituripfum, Al tus. Ergo quum non semper eodemsono vsuisit; At ayon quæsitum eft, quum præcedit vocalem Ì, atque hanc alia fequitur vocalis, an recte cõsuetudo te neat, vt aut Galliper integrum libilum, aut Itali per dimidiatum edant: vt in exemplis, Iustitia, bo Amicitia. Igitur quimutari contendunt,nitun tur consuetudine, ac præterea Grammatico rum quorundam autoritate, qui Litium, et vi tium, obliquos a Lite, et vite, finefibilo iubent pronunciari, vt a rectis duobus Vitius, et Li. cium differant. Vtuntur præterea argumento de Græcis fumpto: Nam fiillini, suum in 8, fo ni fleatunt polt m: fi apud cofdem r, esttransa aliud formatur: li denique t,ipsum apud Græcoś poft Nfonum mutata poterit et hic mutare. Poterant etiam fubtilius addere: fic, et Ć, crassius ante A, 0, v: exilius ante e, et 1, editur: eodem modo Con etiam t. Contra aliqui ita sentiunt,vsum nunc minimi esse et precii; et autoritatis, multaque 2 > mini 31 ud 4 ). 100 ! 4 minimeintegra haberi.M.quoque Tullium CICERONE, cum vsui quidda dedit,id iccirco fecisse, quoniã apud populum dicebat quem sibi attentum,non recla mantem volebat: atquenihilominus sibi scien tia reseruaffe. Neque enim, quæ barbaries admi fit,foueda: fed quæ omisit vindicada. Neque nuc extare vfum quempia nobis: Barbaros enim om nes esse nos:atque,vtminimum dicant, peregrinos. Consuetudine,quæ legem habeatreclaman tem,corruptelam effe, non confuetudinem.Non jü, negare fese tenuiorem esse sonum ipfius T, ante 1,quam ante A, auto: sed eundem tamen fonum. effe. Nunc vero nullam effe rationem, quare in fibilum transeat: neque proba esse argumenta superiora. Consonantes enima sequenti vocali au mai nullas mutari, fed a præcedentibus consonanti bus, aut a fequentibus ob sonorum diffimilitudi nem.ficutilonicrassitie quæ in B, et P,fit,effici venjin M, mPombaur. Græcos quoque habuiffe au tores linguæ noftræ nos, quinihileiusmodicom autto menti fint: sed a Gotthis,Vandalis, Longobardis. inuectum sibilum illum. Præterea pudere vehe menter debere illosquiquum alios veniuntop pugnatum, ipfi vitiofa arma afferunt; quorum culpa conuincantur. Licium enim a ligando di et um GcPomba Lictorem, nõ iisdem literis quibus obliqui huius vocis, Lis,scribuntur,scribi.Ratio nem autem huius prauitatis esse, propterea quod Barbari omni in pronunciatione multum po nunt spiritus,ita vt pleraque insibilum degenen rent necessario. Quoerrore ctiam ipfum c,dixi mus ab ipfispronunciari.Hy 1 ma:: ) • 32 IvL. Cas. Scal. I. Cenice. De I, confonante. Consonantem 1, semper in principio fimpli cem effe obferuarunt: in medio autem non femper duplicem: nam in Periurus, simplex eft, in aliis autem multis pro duplici accipitur: Maius, Pompeius. Adducunt argumentum ab antiqua scriptura, pergeminum enim 11, scribebantur, Mailus, Pompeilus, quoru prius priorem claudat fyllabam: quomodo etiamnuncquidam pronun ciant Lombardi: fic etiam, vt supra di et um eft, claudit tertium casum relatiui Cui: alterum au tem sequens fequentem inchoabat. Igiturnoso lum quumincipit ab eo fyllaba,vt dixere,confo nanserit:sed etiam,quod omisere,quum termi nabit,esse possit. Quin etiam fequenteconfona. te vtin pronomine Huic.neq; enim v. hic est co fonans,afpiratur.ni.neque est diphthongus, et eft monofyllabum, atqueidem Iest, quodpriusfuit in fecundo casu,Huius,sicut in Cuiest,quod erat in Cuius. Ad hanc autem naturam non potuit v, aspirare, sed transiit in pleniorem, scilicetin B, celebs. neque enim temere a cælo et vita dedu xit Caius,minimemeritushoc,qui a Quintiliano notaretur:sed sibilussequensincausa fuit:quem admodum e cotrario in eiussonum aliquemmu tatumeftipsum B, Aufero,Abstuli.Proprium au Filipotem eft ipfius Inconfonantis, in pristinam vocalis care formam redigi: etaugere numerum fyllabarum. Hocque communehabet cum v, consonante,vt diximus. Martialis verfus eft: sed Tum rum. Sed norunt cuiseruient. Leones. Ftin obfcæno farmine ita pofitü eft: fed detestadu nõ meruitre citari.In Virgiliano auteversu etiã omissum est, Tityrepascentes a fluminereice tapellas. Fecit enim verbum illud Tribachum extrita A, quæ fueritin origine simplici, lacio. qua sublata, neceffario in veterem vocalis naturam reftitu tum fuit I, quo exemplo etiam in Bilugo, et Quadrisugo, idem euenit. Non recte igitur an- Rajce tiqui,cum Reilce,ita legunt, vt primam cor - quab. pripiant, ftatuuntque i, simplicem ibi consonan tem effe: redarguutur enim quum aliorum, tum ciufdem poetæ autoritatee tertio Georgicon, v rad bi producitur illa fyllaba:consonantis igitur ra com tione duplicis, nam fuapte natura breuiseft: Rejcene maculis infufcet vellera pullis. die Inuenias etiam, quumnatura media quasi quali dam sit inter consonantem, et vocalem:legimus enim Stellio apud poetam bisyllabum, et apud Terentium Iniuria, trisyllabum:item Oppressio, et Beneficio, quadrisyllabum, aliaque talia ple taque,oppresso sono ipfius I, ficut etiam in voce illa Dies,facta monofyllaba. Accidit autem hoc aliis quoq; vocalibus. Ea, Mea, Tua,Sua, mono fyllaba apud eosdem comiços facere cogimur: et apud alios poetas: Unoeodemque tulit partu. Et Propertium: Eofdemhabuit fecum, quibusest elata, capillosa I,indifferens eft nunc consonans, nunc vocalis apud Comicos in aduerbio, lam. 7 tona cel us TlUSE hodk OIL CA a di pleine ma VOC CAP. XIII. Affeettus finalisapoteftate. с Quo ante 34 IYL. 1. Q Voniam vero literarum finis eft, constitues rediet ioncs,iccirco secundum earum pote ftatem factum eft, VT CERTIS SIGNIFICATIONIBVS aliæ Sparemmaliis potius seruirent:in metu enim, ac doloreef flamus:itaque A,A, dictum est,multum enim hi atum præstat:eadem decauffa,etiam afpirationes interie et ionib.afcitæ funt, affe ettum enim notat, confertus enim fpiritus editur. Ita consonantib. fietitia nomina suis quæque facta sunt.Quid.n. mollius,quam vox ipla hoc significans:quid im peditius,quam Bambalio, habes, et Baubare? paffiua voca quum protulit Lucretius, etiam plus tumultusexcitauit, Baubantur.s, valde fer, uit ad spiritus elifionem: - Salefaxa fonabant. R,autem rudiotem atquo asperiorem, vtMurmur. vtrunque coniun et tum implent valde, Stridere. et magis cum terminant diâionem, Stridor. Aspiratæ consonantes mul to acrius vrgent his adiunctæ, Fragor.quippe er tiam molliffimam omnium literarum etiam ex asperant, orcio6os, Praw,za01@ {w.Cyseruit hæfi. tantiæ. T, timori, AT, AT. M, vafticati, Malum, Mons, Mirum. etiam fonumipfum audias,quafi præsentem, in quibusdam vocibus,nízze. et apud. Virgilium cuius diligentiam non affectatam, ac diuinum iudicium nemo est affequutus omni um ynquampoetarum: percipies enim lignato rum operamillis vocibus: --fonat i£ta fecuribus ilex.etillud quantumeft --tremitietibus area puppis. Illa autem etiam cum naui dilabuntur. Labitur vnela vadis abies.- $ R 1 Tinni. 35 o Tinnitui fefe datn, Canere,Hinnire.Sed omnia exequi non eft præfentisoperæ, nequein omni u bus hoc inuenias: fortuitæ enim multæ funt vo ces;vtin yltimo libro est disputatum. Vitia potestatum allata vocalibus, aut confonantibus. TOn solum id, quod recteatque ex officio fa ciundum eft, cognoscere oportet,fed etiam quod prauum est cauere: ita in scientiis quoque perfeette proficimus. Ergo postqua meras pote fates perscrutati sumus; ipsa quoquevitia, quæ vitemus ex antiquoru obseruatione, fed moreno fro, hoc est,Peripatetico,sunt declaranda.Depra queste uantur aut vocales, aut consonantes singulæ,aut coniunctæ. Omneautem vitium fit autDefcctu, aut Excessu, aut Mutatione. Mutatio duplex, aut i literarum, aut locorum. Ita fit peccatum, aut in ubstantia, cum altera pro altera ponitur: aut in quantitate,cum maior,minorve efficitur: autin i qualitate, cumsono suo defraudatur, detorque E turq.in degenerē,aut peregrinū:autin loco, cum trasfertur,vt odayavor, Ox'oryavov.Igitur cum alia spalia subditur,quod faciuntParisienses,comuni » nomine, non proprio, Rusticitatem veteres Latini, Barbariem Græci appellarunt. In quantitate autem error per excessum, Labdacismus: cum *** craffius ponitur, ýt diximus, L Locus, pro Low e cus: fic Metacismus, cum m, mugiunt: fiçin voca libus Platyasmus, quum hiatu vasto putantgraui tatem afferri actioni.Huius eftgeneris etiã,lota cismus.cum ipsū I, exiliter maximeproferüt:atq; C2 21 ed CO ita,vtetiam fupercilia collat: eftenim exceffus in Sono: ac quanquam exilitas sit defectus,tameetiã defeetus capit incremetu. Sic cu alias cosonantes aspirant,aut crassius edunt, dicitur Saouras, Cra tes,pro Grates: Bibo, pro Viuo,aut etiam 'Fifo,, sic etproillo, Pipo. Contraria huic io xorysscum defectu peccamus: fice,et o, exiliter nimis pro munciant quidam Germani,quum tamen 1, ver fus et.deuoluant. Eftautem excessuset ille, quum addunt literarn, quemadmodum E,addunt Hil pani,et Valconesipfis, fi coniunctum fir, Escri bere, Esperare,Estare:vt vitarens overyuov; quod vitiuni est cum ipfum s, craffisfimum, ac pene fibilantcs cdimus. Eftetiam in defectu, kond6Wocy id eft,mutilatio, quum aliquid omittimus: quod Galli faciunt, qui multas literas inculcant, vto riginem, vnde deprauatum eft verbum, repræ fentent: paucas autem exprimunt. Contra est Battologia,quiet Battarismus, a Barto, qui Cy renas condidit, homine linguæ impeditioris. Ge minant enim aut initia, fic, Popons pro Pons. aut fines, Paulala, pro Paula. hoc etiam dicitur jyros, et nouos ab Echo.Vitium autem initio rum vocaturab Erafino Titubantia:commodius Hälitantiam dicastu: hærent enim primæ fta tim consonanti: falso ab eodem rsauriouds.qua-, imf litatisenim vitium eft tecunotu-,fiuc osaurouess cum cauts,non quimus recte efferre: sicutnob. femper defuit linguaadipfius R, asperitatem. hi Latine Balbi diet ifunt: quo vitio laborauit Ari ftoteles. Et Alcibiadcs qui R,in L, detorquebat quanquain substantia poffis etia peccata dicere. X v. UN 10 =2 Sed hi Balbi ab Erasmo male appellantur Blæsi. Eft.n. Blæsıtas vitium oris, ficut et Xo11o5ouía: sed blæsidiftorquet literas, exoris tortura: xoirosopoz aute e palato loquuntur aut e naribus. Brasoos au tēet wbos, funt vitia cruru distortoru, valgiorum etvacciorum, vt apud Galenum videreelt. СА Ртт Vtrum F,fimula, aniemiuoralis. Poftquam vidimus poteftatem,quæ eftforma dicare iarn poterimus F, mutane sit, an semiuoca lis: sic enim Galenus quoque tlw zeciarpriorem mol Toćnepyeżą dicit. Ac mutam quidem effe, veteres med at ficpote contendunt: Principio,inquiunt,nome ! habet tantum semiuocalis, at noinen non mutat fubftantiam: Item si esset semiuocalis, di ettionem 2.. į quampiam clauderet, at nullam claudit: Præte-, 1:a reanullasemiuocalis ante I, aut R, in eadem fyl- **** laba ponipoteft,fed f,ponitur. Quarto,nulla se - t miuocalis ante L, aut R, pofita communem facit fyllabam, at F,facit.Ad hæc, Græcisidem esto, 95 nobis F: fed o apud illosmuta est:igitur et apud nos F. Sextum argumentum, præteritorum ini tia finesque non geminari nisi a muta incipiant: quare cum Fallo geminetfic, Fefelli, non erit femiuocalis. Poftremo F, pro p, et aspiratione acy cipitur,vt olim Phuga, Phama:at P,mutaeft: igi tur et F. Hæcargumenta fepte numero, vtqualia sint videamus,meinoria eft repetendum, quod fupra diet umeft:Murasnon inde appellatas, quod pa-ssou rum sonarent,fed quod nihilnullo: cnim conatuta? ad 11 باز C3 38 IVL. I. adduciqueas, vt B, nulla addita vocali proferas. Neque quod pro ratione adducunt,ratio est:Mu » liere informediettã,pro deformi: est. n. in eo voca bulo, Forma,çquiuoca vox: Nam et prospecicac cipitur, et procerta partium proportione, quib. figura constituitur perfe et ior. Hanc igitur negat præpofitio non illa. Sic formosu, a formato aliud eit:fic locutus eit Euripides: 1īpötov refieidas dēžiov Tupevvidos, Açmutæ nomen penitusvocem tollit, Græcoru fane imitatione, qui d Owe,nõlvoQwva dixere: nό κακόφωνα, non μικρόφωνα, quonia nul lam fibi retinerent vocem. Ea enim funt natura, yt magna pars, nisi clausis labiis, aur dentibus, aut vtrinque conformentur, vox edi nequeat: Idque declarat Mato quoque in Theæteto: αι βήτα,inquit, 'τε Φωνη,δεψάφος, επ των πλείσων stani hysoig eiw. Semiuocales autem fclo eduntur fpiri metodentu:adducta nanque ad palatum,vti diximus,lin gua solo fpiritu pronuciatur:tremula,atquevi brata paulo inferius, R: si spiritus ad nares af cendat introrsum, vt idem vult PLATONE in CRATILO, n, pronūciatur: fimplici mugitu editurm: i. psum vero fibilum, fatis constat,nullius ope vo calis indigere', quare factum est,vt etiam afpira tionis loco poneretur, leos, sedes. Ex quibus in fumma illud constat, spiritu pene solo enunciari semiuocales, ficut vocales fane solo, a quibus hoc illæ differant: quoniam vocales hiatu simplici, ferniuocales operosiuscula efflatione pronun çiențur, mutę nulla.Hanc autem horum nominū aptissimam cauffam,noftręscientię magistra au toritas Græcorum ostcdit, Nasi propterea essent semiuocales, quodincipiant a vocalibus: pfe et o cum a vocalibus non incipiant apud Græcosea rum nomina, non erut semiuocales. Igitur Latini priscicum animaduerterent P, quiděnullu pe nitus habere fonu, nifi vocalis addatur: addita ve ro aspiratione,haberevel maximum, intellexere: quippeinferioribus dentibus ad labia leniter ap: plicatis exiens spiritus, libilum imitatus, ipsius F, imaginereddidit:quo fa et um eft, yt propter:oni sui facilitate, obiret plerunque munera, quæipli s,debebantur. Id quod ite agnofcimus in semiuo calibus: Siquidē paspiratione quoq.positüfuit,,, vt Felena, pro Helena. Atque iccirco etiam, etx, a Græcis semiuocalium in numerü suntre latæ: quarum tamen tenues essent mutæ. Aspira tio enim tenuium literarum naturam animarat ita, vt nullius indigensadiumentisonusappofi tusin aliam speciem ad sese traheret. Eft enim aspiratio quali vocalis quædam, aut etiam vo calium anima ipfa: quare mutæ appofita femisse consonantis illi reliquit, alterum semissem fibi vindicauit, vnde et semiuocaliu nomē fit fecutu. Soluuntur ex his argumenta: Ac primum ato afferuntnon debere vim a nomine  mutari: tantu ”, abest,vt, negemus vt affeuerem antiquos ppen sa huiusliteræ potestate, summostudio nomen, quod a Græcis acceperant,inuertisse:ídque indi diffe fecudum vim,quä сompertam habuere. Ne que talem putaffe, quia ficappellaretur: sed no. men impofitum propterea,quod talis effet, Aduerfus secundu argumentu: negamus necef Atz fe efle,omnia nomina omnib.claudi lemiuocalib, Neque vero re ette fic cosargumetari: Cæteræfe miuocales claudunt nomina:igitur fi F, est semi uocalis,clandereitem debet. Neque.n. dictiones efficiunt vt litcræ semiuocaliu aut mutarum natu ra foitiantur: fcd literæ faciuntvtdictiones fint: partes cnim totius caufla funt. Neque fiquali tcra non claudat continuo no fit femiuocalis.Sed caregula constituta eft abijs, qui hanc mutam pu tab-it effe. Præterea hoc eodem argumento a mutis excludam: Cæterarum pleræque mutæ claudunt Lac, Adad, Volup,Caput:at F non clau dit: non estigitur muta. Quid, quod priscorum testimonia aduerfantur neganţibus nomina clau di ipfok.nam vt omitta eos ysosesseAf pae præ politione: ipfius sane literæ nomen suo libifono F, claufere,etia cotra quam a Gręcis acccpiffent, * Tertia ratio negabat vllam semiuocalem ante I aut r in eadem fyllaba ponipolle. At hoc tibi negamus nos: quis enim hoc fibi persuasit, nifi quimutam putaret F? petitigitur,quod proba re debet. Sed et hoc falsum est: scmiuocales enim Græcianteposucre Sadw zepce, Quartü argumentu quo aiunt, Nulla femiuo #calem antelet R pofitam cfficere syllabam com * muneridiculum est. Si nanquefuperius argume tuin verum eft,hoc erit falsum: hoc.n.abilio tolli tur, nam et ibinegabant,nunchicponunt. Quo eniin modo communem fyllabam efficit, quæ ne syllabam quidem facit? Quid? li femiyocalis fa çilitas in cauffa eft,vtmutæ postposita, mora tain pofilla trahatur in fyllaba, vt etiam corripi por tiç, in qua tamen muta sit; quanto aptius atque comin commodius id inter duas semiuocales fiat? Mu tarum enim rationeminimefiericonstat: liqui dem vbi duæ funt mutæ,non id euenit, vtin ver bo, Tracto,quod natura sua dibrachum eft. Sed v bi muta cumsemiuocali vtin verbo, Agrum. aut duæ feruiuocales, vt in verbo ourvui. Quintam rationem, ex iis, quæ diximus,solu-,Asy tam videmus:?,nanquesemiuocalis eit,immuta: ta ipsius P, per spiritum potestate. Sicut etiam, etx, cum tamen T, et K, mutæ fint, vt diceba mus. Quoinstitutoinalias quoque species eædē mutanturmutæ. Addito enim sibilo ipfis C, D, P, fiunt semiuocales, præfertim cum fateantur ip: fius Y, quam ipforum Ps; esse sonum faciliorem. Sexta obiectio seipsam damnat: nam sumpta regula hac, Non geminari præterita, nisiid per 486 mutas fiat: cocludit per, Fefello,mytam esse F, cu tamen inueniamus,Šteti,Spopondi,Scicidi, quæ incipiunt a semiuocali. Nequevero ad id confu giendum eft, vts, nullam ibivim habere dica mus: liquidem eius sibili tanta est vis, etiam ipsis in præteritis Græcis,a quibus hic fluxit mos,at- p? que adeo in verborum initiis ita viget, vtiplam impediat geminationem s« {wěscexd.Atlis,nul lum erat,vtique eo abiectogeminatio admiffa fuisset. Sed quid agunt hi? nonne Momordi,ge minauit? quid enim aliud eftm, hic dicere,mutæ vice fungi, vt aiuntipfi;quam dicerem, mutam non esse sed semiuocalem? Quæ quia diruebat i sum canonem, ad mutæ functiones, atqucvices eos miserrime compulit. Quaresi eis neges verű effeillud apotelesma,probandum erit ea ratione: quia CS 42 Ivl. I. > quia non admittit femiuocales. At ego contra, non folum Momordi, hoc obiiciam: fed illud ip fum etiam, Fefelli. Igiturid, per quod probauit, maiore estin controuersia, quam hoc, quod quæ rimus: vt omittamus Græcorum et prudentiam, etinstitutum, a quibus morem noftrum induxi. mus, quiσε σηπε, dicunt, et λέλαπε, et μέμηνε, et vevu qe, atque alia eiusmodi. puerile enim est abducere a geminandi poteftate semiuocales, mutífque alperioribus attribuere: cum aspe riores literæ prohibcant in quibusdam gemi nationem. AlyPoftrema pertinacia, vtcum quinta cohæret, ita cum illa quoque foluitur spiritu mutatum, in F, etmutatam fpeciem, argumento etiam ip se ordo eft coniun et arum in diet tionibus: quippe ipsum r., ante senon patitur N: at F, patitur, ita vt etiam ipsum m, in fe mPomba, Anfractus, erate nim AM, abuol. Ludicrum quiddam additum ne res quidem meretur, vt diluamus: Audentenim fingere mo som dum nescio quem,vndeF, geminetur:scilicet per albumutationem:vt Offendo. at semiuocales non per, mutationcm, fed fuapte natura geminari, Olla, Flamma, Ennius, etalia. Quafi verointerfit po testatis per mutationemne, an per naturam gemi netur: geminatur enim, quia eius natura ita fert. Quali vero non cæteræ quoq.mutægeminentur: Obba, Acca, Reddo, luppiter, Rettulit: qua fi vero ipsum quoque F, non idem patiatur, Offa. Quafi vero omnibus femiuocalibus idem eueniat ylu: Non enim duplicibus, Quali vero E half somewea la veteres vllam consonantem geminarint. Hoc enim negat cum Feftus, tum Varro: et ta men eo quoque tempore et mutæ erant, et fe miuocales. Viram,, an, H, fit longior, O Vanquam 2, et, Græcæ funt:tamen quią nostratium dietionum aliquæ ab illis profe ettæ, harum vocalium femina retinent: feftiua, nobis quæstio tractanda eft, vtra scilicet longior 9 fit. Duas fententias constituamus: alteram ab origine, philofophice: alteram ab focietate, mathematice. Aborigine, fic: Quæ proportion | materiæ ad alterius proportionem, eadem et compositiad compositum: sed e, est materia ip * fush: et o, ipfius i: ergo fi o, est longius quam E, ita, quamH. Quod autem o, lit longius, quam e, probantper regulam: Quinti cafus fyl.: labam vltimam aut eandem effe cum poftrema - Reetti fyllaba, aut minorem. Igitur wioge, cum non siteadem cum nogos, minor erit. Ratioau, tem Mathematicaestcontra hanc,a proportio- oefening I ne societatis: Quæ est proportio totiusad to en tum, eadem est partium ad partes: fi æqualia in æqualibusdemas, quæremanent, sunt inæqua [ lia:Ergo cum ei, diphthongus sit longior quam 01: exempta vtrobiques, communi vocali; erit: quod remanet E, longiusquamo. Quod autem F1, sit longior quam oIs patet ex'accentu. Nam.p fine polyra Er, nunquam aut antepenultima acuetur, autpenultimacircumfleet etur:at fi o 1, sitin fine,vtrunque fiet. oixos, Pinorogol, Afferre etiam illud poffumus,E, ante L, apud Homerum produetumali quando, uenwserwera. O autem nu quam: repugnat enim naturæ eius productio. Sole Hæcargumenta etsi sunt magis exercitatoria, quam neceffaria:tamen etiam pertinent ad veri tatem:neque enim illud Quintiliani recipiendu eft: Grammatico expedire etiam fi quædam ne sciat. Nam quem tandem ille fingite quadriuio extra encyclopædian? Dicamusigitur, e, esse breuius, quam o,plus enimtemporisin hac poni zur proferenda. Diphthogorum autem obie et tio illa nulla eft. Nemoenim ignorat, A, esse longius, 1 quam o, ettamen idem eucnit ipsi a i,quodipfi * 01, eucnire dicebant, pofita enim in fineacuitur antepenultima. Præterea eidem o 1, non id con tingit femper:non enim Aduerbiis, non Optati uis, cikol, a novo.Et in fecundo libro vsus is repro batus eft: nam si iccirco non acuitur antepenulti ma, cum poftremaeft longa, quia refolui potest: igitur accentus acutus in quartam a fine recipere tur: quod eft absurdum: fic, turlygues participio fæminino in quarto cafu: idem monstrum se quetur etiam si penultima longa resoluatur, fic 3uTlx00, Nec tamen ad id refpexere. Vfustamen Atticorum, fiaccentu rem metiare, huic fenten tiæ aduerfatur, et fauet priori: dicunt enim, μενέλεως. Locorum affe et u a poteftatibus inueftigantur. Hacferefunt poteftates cuiusque fonifin gulares: ex quibus fi quid præterea in me dium afferatur, pofsit tolli controversia. Neque enim optimi artificis est (vt ait Galenus) omnia persequi. Nunc fecundum loca sedes cuiquede- Loui bitas videamus.estenim potestatispars, comitem aut vicinam literam aut pati,aut nonpati.Igitur efftemed 7 literx'aut funt in dictionibus, aut no funt. Ti sunt, patiuntur mutationem aut in substantia, autin loco. In substantia bifariam: nanque autabolen tur a principio, amedio,a fine.Sic nomina triain uenta sunt, Aphæresis, Latineablatio:Syncope, Latine concilio: Apocope, Latine abscisso.Aut. transmutaturin aliam, Græce,uel Gonne Patiun 1. turin loco. Latine translatio, Græce MetJ8075, transpositio. Si non funt,addunt, autprincipiis, Desaters, Latine appolitio: autmediis,ervers Latine interpositio: autfini, Græci dixerunt hac abgerywoles, productionem. Hæc funt genera. Species autem, fic:Nartque aut sunteiusdem no tæ, et poteftatis, autdiuerfæ. Item a numero:vna, aut plures, Affectus autem non omnibus iidem, aut æquales:neque enim eiusdem generis conso aans aut principiis,aut finibus additur:nequedu ptices geminantur, vt nunc vsurpantItali,vt ex primant vitia linguæ degeneris a Latina:ponunt enim duplexzz. Acciduntautem hæc; aut ex v- Aca " fu:vt quafe, quafi: aut ex arte, et hocautex infle xione:vt, ago,egi:aut ex deductionc, et hîc bifa siam:naaut a peregrina, vt Patroclus, margoxiosa Auo, 31 Space kus ) 46 IvL. Cæs. SCAL·Io Auo, Punicum, vnde noftrum, Aue: Marathi Hebræum, vnde Mare, noftrum: aut a Lati nos et hincdupliciter: autenim simplex fluxits vt, a Titulo, Tutus:non, vt aitVarro, e con trario:nam Titulus, age' the rule, vnde et tiey. aut compositum,a luisparţibus,vtabigo. Dequi bus suo quoqueordine, agendum est. Sed quia transpositio facilior est, ab ipfa;cumvenią, inci piamus: nihil enim nocet. Transpositio. Ranspofitione fane interest ytrum intelli pages gas, relatas in prioressedesliteras, an dila tas in posteriores. Nam fi dicas Fretum, quafi Fertum, a Feruendo: vtrum intelligas R, ante latum ipfi E,an E, postpositum ipfi r? Sed omit tamus exemplum: fortaffe enim fuit Feruetum, atque inde nulla transpositione, sed extritio ne, fa et um Fretum. In rem ipfam intenda iusvocalisne,an confonans transponatur. Re etius fane iudicemus, consonantem, non voca lem transferri. Differuntur enim difficilia: difs ficultas autem in consonantibus:quare qui fta tim non poffent,moxin proximam sedem tran ftulere. Eft etiam a Græcis exemplum, opa jev dicimus, vnde Qayavov. quare cum cac gyavov dicatur,consonans, non vocalis tranflata videtur,  Abolitio, Ablatio, Concifio, Abscisso. Propofitio, Interpo fitio; Appofitia Bolitie est, cumtollitur litera.genushoc #beli A ho prius tractandafunt, quam Præpositio, Interpolitio, Appofitio: propterea quod tollimusquod Oro eft: at quod est, prius eft, quam quod non eft:est enim habitus prius priuatione. Si autem ita con. sideres,iam ablatas effe: tuncecotrario et Synco pametalias primo tractesloco.Nesitigiturfrau di, fiue quali ablatas, siue quasi auferendas con templemur. Additur ergo diuersa in principio:Aals Edurus,apud poetam, pro Durus." In medio, Mederga. quæ cuitandi hiatus cauffa inuenta V eft. maximeque pertinet ad V, vocalem: Alcu · mena, Aesculapius, Hercules. I, quoque eius 1 vsus sit particeps: Nauita, Nautris, Nauta enim C primum fuit. et, C, consonans, Sicubi, Combu ro. et 'aspiratio vehemeris: Mihi, Prehendo. et # ante medium, poft principium: Loumen,,P Lumen.et in fine: vt, Comperior, pro Comperio. Additurautem fimilis, A HI AM, in principio:in medio, Reddo: in fine Nausicaa. Quod autem ve teres adducunt pro exemplo ex ORAZIO: Reducet in sedem vice. itemex Terent. Phormione, Sectari in ludum: ducere, acreducere. hoc est, librariorum manum, non autoris fidem implorare, neque crim in his iambicis velin illo dimetro; yel j hoc tetrametrozneceffaria spodco fedes eft. Sed e Lucretii libro primo poterad afferre: Redducit Venus: aut redductum Dadala tellus. Quemadmodum autem s s,etR R, et L L, ge minata debeantur superlatiuis, suo loco dictum est: contra quam recentiores deprauarunt. Con iner tra autem tolliturab initiis: vt Natus. fuit enim Gnatus, Generor. De medio: vt, Periculum.de loco ante medium qui est:Pratum,quod fuit Pa ratu. Hæc a NIGIDIO Figulo Intercilio diet ta fuit poteft etiam Concisio dici, vt, fermo breuis, qu vocabitur concisus. Rationc carminis interdum fa et um eft,vtapud Homerum, qums, pro aique πος. etαγροτητα, pro ανδρότητα. etapud Oppiani, μόλυβος, pro μόλυβδος. Ιnterdum ob tedium pro lixæ diet ionis: Periculum. Aliquando ob difficul tatem:vt, eonos, quodaliis eftesãos.Alias ob vtru que:Bruma,ßpoczurua. Aufertur a fine: vt in ple risque verbis, etlusit Ausonius: Qui reminisco putatse dicere poffe Latinė: Hic,vbi Co, fcriptüeft,faceret Corficorhaberet. Sed etin vsu communi a fiiciebantM, et appella batxantar, extritionem. Items, Multi modis. Sed in scribendo. nanque aiunt M Catonem fic fcripfiffe: Die hanc,pro Diem. Pindarus poeta non folum eligit, s, fedetiam eiecit exulem: cum poematium condidit, in quo nullus penitus fi bilus reperiebatur. Mutatio in communi. Vtatio est parte incolumi vel manifefta, 10 qui* M ptioque extranei: neque enim mutaretur fine fymbolo. Appello nunc symbolum, quod FILOSOFI, communem quandam rem anatura colla tam. Quanqua enim elementum indiuiĝbile eft: tamen quia fonos quofdam latentes inter fe affi nes habent:iccirco ea foni parte incolumi, altera inducta eft. Ac manifesta quidem eftin duplici- nani bus. Etenim, 2, cum fit exs, et D, in Medentio,D, fila remanfit: fibilus abiit hæcmutatio per ablatio. nem, non per transmutationem facta est. At ve riorin verbo Plautino, Siciliffo,s, remanet: Din alterum s, abit.osenicacia Occulta autemia Cari circon - santra, ex Cassandra.communis nanquesonuseft quidam D, T. neque differunt,nisi mollitie qua dam,autexilitate. Alia unutario, ex infle et endi Ja fleiri modo, haud ita vera eft. Cum mutantur ea, quæ habent inter se cognationem, aut genericam: vt vocalis in vocalem, consonantisin consonan tem:aut quæ secundum fpeciem fit: vt,certa vo calis in certam. At participium aetiuum præsen tis temporis a præterito perfeet o cum deduci mus: duas diuerfas consonantes recipi,vocalem que transmutari conftat. Mutatio, qua fit ex consuetudine. Vocales. G.Enerica mutatio hæc,atquehuiusmodi eft: cætcras nunc fecundum fpecies exequa-, mur: ac primum cam, quæex vlufacta est: cer tissimis enim fonis cognationem oftenderunt: nam quod veteribus fuit, Magefter,Amecus,Me- 1 derua, Quase Misc.Sibe Here:puncper1,Magi D fter,;  so Ivl. I ster, et reliqua. Sic olim Leparenfes, postea Li zparenses, autor Feftus. Contra 1, ponebant,vbi nose:Niapud Plautum,et VIRGILIO, quodnos Ne. et E,prov:Auger,nosAugur: illi Hemona, nos Humana. et pro o,illicompes, nos Comjos: Eolummore,vttoties diximus:qui Sortu, quod Attici, isívtz. Siceriam Hilus, proHolus.et He Pmone,pro Homine. Vbi etiam o, pro i, quo niain Homonem, dicebant: NuncHomincm. € etiam E, quod nos, A, Cato enim Dicem, Fa o ciem: quæ poft illum Dicam, Faciam. Item o, in A,vt iam oftendimus. Hemona, pro Humana Et pro e, Amplođi, pro Amplecti: nam eiuf dem fontis eft texa, et wazr. Sed etiam in a liis. Voftris, Vorti,nunc Vestris,Verti: vt primus omnium Africanus emolliuit: nam quod erat Vortex, et Vorfus: ipse Vertex, et Versus, ma luit. Sic etiam in 1, Olli, nunc illi. Item quod Isthuc, nos Isthoc. contra il li Voltis, nos Vultis. illi e contrario Fulguri bus, vt apud Lucretium, nos Fulgoribus, Cun cha, Gungrum, Fretu, Lauru, Huminem, Fruns, Acheruns: nos hæc omnia per o. Dev, et 1, fatis fupra di etum est: aiunt enim €. Cæ farem primum omnium Optimum, et Maxi mum, quod erat apud priscos Optumum Maxu mum pronunciaffe. o, Thuscos, Vmbrosque caruiffe,memoriæproditum est. Quarequi Epi fulam, et Adulescentesmaluntdicere, Vmbros fese, non Romanos profitentur. Nam contra Romani Polchrum, et Hercolem, etDauom, et Scruom,protulere. Ex diphthongis autem, illi oe, nos v, Moeri, o aosMuri. adhuc antiquitatis vestigia remanent in Mænia, pofteritatis autem in Munus. origo autem erat ab or: uchege, rata fcilicet cuiusque mouletto civis pars. Apud eosdem Æ, integramanfit,quam nos ini, mutauimus: Exquære, apud Plautuma nos Exquire. Av, in o, ete contrario: Claudius, AV Clodius:Aula, Qila:Plostrum, Plaustrum. Mutatio Consonantium ess confuetudine." Onsonantes autem veterum fic mutauitp. fus: posuiteoim b, prod, Duonum, Bow 3 { num: Duellum, Bellum. quod etin Græcis no I tauimus, dis, Bis. et eandem,pro f:illi AF,nos AB: (illi Sifilum, nos Sibilum. Sicut e contrario, illi Bruges, nos Fruges. 1 D.posuimuspro R, illi Aruena, nos Aduena: illi s Aruocati, nos Aduocati. et eandem pros:illi Af uerfa,nosadversa. Fypofuimus pro PH,Fama, quodfuit Phama. * et Fuga, quad fuit,Phuga. 6, posuimuspro R, Argerilli, nos Agger. il- G. li Argrego, nos Aggrego. Itali die Arger dicunt.curiosenimisVictorinus, vt diximus, Anger:sicut contra, Agchora,non An M,posuimuspro s.Committere,quod illiCofam. mittere. R, posuimus prod, Meridies, olim Medidies..R D 2 quia quoque ho chora. $ IvL. CAS SCAL. L quia uteo, et uloor, et mcdium, cognata crant. Elifimus, Carmena, Camena. et candem pros Odor, Vapor,atque eiusmodi: olim Odos. Sed et abillis Passes,di ettum fuit: quod nos Passer. Vul gatum quoqueillud eft,Valesius,Fufius:nos Va ferius. Item illi Carmena, quod poftea Carme na, quod retinuimus in carmine. ItemUfrcna, posteri Orrena, Æolensium imitatione qui non dicunt opw egw; fed pow. S ś pofuimus pro C.Suscepit, olim Succepit: sed ita puto, a veteri voce pofteros deduxisse, quæ fuerit Sus: priscos autem a communi Sub. Et eandem pro aspirationc: nam quod est no bis mufa, illis fuit Muha. Etpro M, Prorsus,quod eratProrsum. Etiam elifimus: nam illi Calmil la,Celna,Dulmus: nos detraximus sibilum. In quibufdam tamen manfit folus, Strenna: fed cum aliis, Stlites, Stlatum, pon manfit: Litics, Latumi. T, posuimus prop. Adqueilli dixere, nosAt que. fane melior priscorum ratio: nam et mollior fonus eft, etorigo seruatur. præpofitionis enim vis adhuc manet, ut dicamus, Tu atque ego: et sit, Tu et ad teego. Sed voluere discrimen effein ter præpofitionem, etconiun et ionem. Eiusdem modifuit,Sed:nam e contrario olim erat, SeEt: difiungit enim, Tucurris,Se Et ego sedeo. Sepa rata enim efta et io meaab operetuo. adversatur cnim vox illa,Se, ut seorsum, fecurus, segrego, separo, et aliainnumera.Etiam Aud, non aut, et illi dixere, et nos dicere deberemus: nam fi negatiux Haud, addita cft afpiratio differentia cauffa: sane cætera elementa ad quærendum di fcrimen non funt mutanda. quin fortasse potius vtrunque ficciore elemento scribendum fit, Aut, Haut. Græcum enim fuit, art. Omnis autem difiun et io vim obtinet negationis. v,pofuimus, pror, Seruus. at Æolice ficleri - V bebant, Serfus. Aspirationem supposuimus: illi, Belena:noszl. Helena, detraxinus autemmultis, Charum scri bebant,nos Carum,vndeet Carere:quoniam de ficiente annona carebant, atque ibitum illa cara erat, Aiunt remanfiffe in tribus, Orchus, Pul cher, Lurcho. Orchus tota Græca fuerat, et trans lata aspiratione a vocali ad consonantem špxos.vi. detur ex epitaphio Næuii poetæ, aspirate preto, nunciatum: Poftquam est Orchio traditusthefauro. Lurcho, contra analogiam afpiratum fuit: nam Mucco, a muccis: et Bucco, a buccis: ita Lur co, a lura, ob ingluuiem: fed ratio significatio ais potiorfuit, ob fonitum voratoris. Sic Quốir, aspirationem admißt. At quare pulcher aspi retur, ratio declarat: fuitenim Græcum10 auxere, id est, fortis: fic omnium do et iffimus poeta. --fatns Hercule pulchre. PulcherAuentinus. Igitur Romani qui omnia ponerent in fortitu dine, cum demum bonum, et formosum puta runt, qui effet fortis. Itaque fortis quoque pro pulchro positum eft apud Plautum in Milite:AC que sine ratione: exemplo enim Græcorum fa, et um est, qui nænor, æque et formofum, et bonum fignificarunt. at bonus fortis eft: malus au tem, caxos, imbellis: vnde Caculæ, quiin numero militum non effent,age' to xaltats; quod eft ce dere. χαζεο τυδείδη. lidem veteres multa inuertêre: CATAMITA pro GANIMEDE: Melonem, pro Nilo:Lubedon tem, pro Laomedonte. etiam inueni vbi Sagun tum pro Zacyntho dixerint: quæ nos omnia funditus euertimus,non solum elementa immu tauimus. Mutatio per inflexionem. Vocales. Oteramus fine flagitio, non exequi partem hancabinflexionibus:nequeenim certa niti. tur ratione, etpuri Grammatici interest. Sed ne quidomitteremus,appofuimus: non tam vt om sia comple etteremur, quam vt principia ipfa fta tueremus. ز A. Igitur A, breue in longum mutatur, ve Re et us fert primæ declinationis, et sextus cafus: e contrario longum in breue, Par, Paris. A, breue in, breue, Parco, Peperci: nam parco eft, partem arceo: id eft, continco: Pars autem nagura corripitur, a nop @, quoniam pars præ cedit totum: fumptum nomen a mefforibus, et vindemiatoribus, et lignatoribus, et paftori bus. A, breue in e, longum, Facio, Feci. A, lon gumine, longum, Fallo, Fefelli. A, longum in E, breue, Stas, Steti. A, breue in 1, breue, Ca do, Cecidi. A, breue in 1, longum, Peccata,Pec catis. A, longum ini, longum, liasexto fingu- i 1 " Iari 51 EN T 1 lari primæ deducas sextum pluralem, Bona, Bo nis. E,breuein E, longum, Scro,Seui. e, longum E in E, breue, Fides, Fidei. E, longum in a, bre ue, etlongum Anchises, Anchifa, fexto casu, et Anchisa quinto. E, in 1, breue, Culinen,Culmi nis: ini, longum, Eo, lui., breuein v, breue, • Pello, Pepuli. i breve in 1, longum, Audio, Audiui.1,lon- g. gumin i, breue, Ainbire ambitus. I, breue in A, breue, Siquis, Siqua, rectus fæmininus: in A, longum, Siqua,aduerbium. 1, longum in A,; longum, Qui, Quas aduerbium: fuere enimo lim casus quarti, posteafacti suntaduerbia. I,bre ue in e, breue, Rapio,Rapere:in E, productum, Turris, Turres. 1 breuein v,breue, Rapio,Ra pui: fic enim volunt: nam nos putamus fuiffe olim Rapiui. Sed sunt alia exempla, Alitis, ali tum: in v,longum, Quis,Cuius. 1,longumin v, longum, Qui, Cuius. Sed et in o, quod etprius fuit,Quoius. o, breue in longum, Pulmo, Pulmonis. O, 1 breue in A, longum, Amo, Amaui: in Aj bre =; ue, Do, Dare: in E,produ ettum, et correptums Lego, Legere, Legerunt: in i.correptum, Hon mo, Hominis: in 1, productum, Scindo, Scia di: in v, correptum, Domo, Domui, in v, pro du ettum, Sequor, Sequutus. 0, productum in v produetum, Erato, Eratus: in 1, breue agni 1 * 3 I tum. 7. V 2 v, breucin longum, Domus, Domu.v, logum in v,breue, Penu, Penuris. Sicenim fcripfere pri D 4 mun, s 56 IvL. I. mum, quod nos Penoris. Sed eft et aliud exem plum, Cornu, Cornua. v, breue in A, breue, Cor aum, Corna: in 1, correptum,Genus, Generis: in 1,longum, Bonus,Boni: in breuc, Caput, Ca pitis: in o,breue, Fenus, Fænoris: in o,longum, “bonus”, “bono”. Mutatio Dephthongorum ex inflexione. FOOrtasse etaliæ quædam sint mutationes, quæ addentur, fiquis inueniat: fed fi quæsunt, non Epi multæ superlint. Diphthongi autem fic trans eunt: et in A, Quæ, Quarum:in 1,longum Cædo,, Cecidi,diphthonguscnimibi fuit, a Græco kai ww. Contra ex 1, factumestoe,Incipio, Incæpi: quoniam fuit, Cæpio. Inuenias autem etiam interiplas mutationes, fi Nigidium fequare,cui re ettuspluralis fuit, Bonei, ad differentiam fe. cundicafus fingularis Boni. et fecit l'urreis quar tum pluralem,neesset, Turris vnuse singulari bus. Quod fi ita debuit, debuit et variari quar tus pluralis fic, Domous, ne esset vnus e singu faribus, Domus. Sed nos præclara ingenia ad miramur, confuetudinem fequimur. Sic etiam relatiuum variabis: re et us fingularis, Qui: ter tius cafus, Quoi: reetus pluralis, Quei. Vete tes autem etiam tertium fimplicissimefcripfe re, Qui,non Quoi. sic enim legimus illud Ver gilianum: --qui non rifere parentes: Nec Deushíc mensa,Dea necdignata cubili est. eft enim pofitum pro, Quoi fiue Cui. Scriptura autem communis etiam reco, fecit vt etfenfum inuerterent Grammatici, et peffime Hiftoriam, aut fabulain, quam afferunt, adaptarent. Mutatioconfonantium exinfexione. Aior adhuc reftat labor: sed fane sit cum venia,figratia carebit. Boni enim artificis partes funt, quam paucissima possit, omittere.B, B lemi C, D, G, M, N, Q,R, T,mutanturins. lubeo,lulli: Pard co, Parsi: Lædo, Læsi: Spargo Spars: Premo.Pref fi:Pono,Pofui: Torqueo,Torsi:Vro, V ffi:Fle et o, Flexi. Videretur autem etiam aspiratioin s,muti tari in ' I rabo, Traxi: sed acutiusinfpicienti par lam erit, aspirationem in gutture mansisse, at que induiffc proximi elementi pronunciatio nem, ipfius fcilicet c, additumque potius effeli bilum, sicutin, Prefli,m, mutatum, libilum addi tum: in Torqueo autem q.ablatum, atque in cæ teris alia. Contra,s,in D:Paris,Paridis.Item fic di xere: quemadmodum B,ingeminum ss, Iubeo, luffi:ita et D, Cedo,Cefli: et T,Concutio, Concus fi. Scd profe et o prudentius contemplabimur, cosonantesillas in simplexs,mutatas, alterum au tem esse præteriti ipsius. Ita G, mutatur in suam - comparem: vt, l'ingo, Pioxi:nam in ct, mutari quod aiunt,falsumeft,in verbo, Agor, A ettus.Sed eadem proportione affinitatis in C, mutata as fumit t: ficut faciebatin verbo Fingo, in præte rito assumebat s, in supino T, Finxi, Fiet um. apparet id e contrario: namque c, in G, “grex’, “gregis”. Quod autem ftatuunt, c, in v, coe - xemplo, Pasco, Paui, abie et o fibile, puto E DS nou 58 I'vL. I. nonita effe: sed verbum vetus fuit now, quod fi gnificauit et fequi, et assequi: vnde etiam satws: quafi iuwi, vt org: yes. Æoles enim et decurta bant, et tollebant aspirationem: iidem vero adde bant onw, indefactum eftnoftrum Pasco. Eiur dem originis fuit etToo', quoniam in pacato, non in hoftico pascebant:vnde etiam Pax. Aby trouis autem præteritum illud fluxit: neque e nim Palco, fuit primigenium: ficutincqueNo sco,Noui:fedqoxu, fuitgrow,grão Sic ncque in T,mut:tur, vtputabant in verbo, Irascor, Iratus: Fuic enim iralcitus,quod poftca deficum est: etab iecit fibilum, quiretcncuscft alio verbo, Pascor, Partus. Non clt igiturs, quod mPombaur in T, vt prodidere:in conanque verbo mansitincolume: a neque c,in t,mutatum: etenim fuit Pascitus. N, abiicitur, Scindo, Scidi. neque mutatur in v, vt scripsere,in verbo Sino, Siui. Aliquadoenim fuit, 27Siniu.Q in suagermanam, ScquorSecutus.Nec trasitin x,vtvoluere,in Coquo,coxi:sed assumit K fibilum. NequeR,in v, quodaiunt, in Sero, Seui: fuit enim Serui: quodextritu est,ad differentiam eiusdem verbiin alio significatu: vix enim muta tam eam literam inuenias inflectendo. Ats,mu. tatur in n.Sanguis, Sanguinis: quoniam fuit San-, guen. In D, ycdiximus, Paris,Paridis. abiicitur ex duplici remanente altera parte, Perdix, Perdicis. Trastin R,Flos, Floris:in T,Nepos,Nepotis.Sed non eft verum, quod profitentur,in v.confonan temmutarisibilum eo exemplo, Bos,Bouis: as fumpsit enim Æolicum digamma, vt in Oue, et Quo. Nequemutariia I, in verbo Paciscor, Pa et tusy etus,vt sensere,jam colligi poteft ex iis, quæ fupra. diximus, fed t, eft peculiaris ipsi participio, Ama tas, Doctus, Lectus, Auditus, Latus: fedin Pos Poris, t,in x,tranfire, üidem male docuerunt, illor exemplo, Fle et o, Flexi,fed in fibilu,vt fupra dixi mus: quod coaluit cumc, et fccit duplice,xin vox confonatem æque male mutari arbitrantur,in ca voceNix,Niuis: Verum vietw, et Denis, ogTo vína, vnde etiam nostrum Neptunus:non,vtCi cero prodidit, a nando. Inde noftrum,Ninguo,et.. Ninguis in reeto: et niuis,concisum: et aliud con cisum,Nix, mutato in c, etconcreto cum fibi • loin x, in obliquis autem mansirprisca vox. Ne- H: quercetesen scre, afpirationem in CT,transferri, Veho, Vecum: fed ita fuit,vt diximus. Habetaf piratio aliquid fimile cum c: itaq; alicubi in Va fconia quod alii Hodiedicunt, ipfi fua linguaGo die. Ergo Veho, facerer Vehfi, affumto libilo, vt Ć Duco, Ducli.postea,Vecfi: et fupinomutatofi bilo in c, vt diximus, Veettum. v,quoqueabiici v notauere. Citant Solinum in colle et aneis: quali vero is fit antor veteris Latinitatis: eius verba · funt: Tatius hominem exiit,quasi vero apud pro bariffinum quenque Kedilt, Exilt, Adilt, Pre-. " terilt, desideretur. et fortaffe apud Solinu Exuit, 1 legendum est. Mutatur quoque in feipfam, rece į pra vocalis pristina natura: et econtrario, Gau deo, Gauiius: et Persoluiffe apud Tibullum:quo niam Soluo, fuit örovava. Mollescit vero adeo, vt ctiam abeat, vt apud Catullum eundem, Nonita me dini, vera gemunt.iuerint,pro Iuuc rint. quemadmodum etiam in libro de Camicis s dimensionibus obseruauimus 1 1 Pres IvL.Proprium trium liquidarum L,R, N,C, T,non Ligmamutari in quibusdam nominibus: Sal,Salis: Ci cur, cicuris: Tita, Titanis:Halec,Halecis:Caput, LR.Capitis. Proprium et l, et Raffumere fibi alte c ram:Mel,Mellis,Far, Farris. Ipfius autem c, assu mr.sme etiam t: vt,Lac,Laettis: nisi lita reeto pri sco:dicebant enim Lađe, a Græco, amputatis duabus litcris, ranentos. Obfervarunt etiam id, EDO 1.,2,5,x,in præteritisnon mutari: Caelo,Caclaui: Stupeo, Stupui:Laffo,Laffaui: Laxo Laxavi. Sed his adderentetiam R, Torquco, Torli.et c, Dico, Dixi:coaluitenim,non autem mutatum est. et P, Scalpo,Scalpfi: pam si duplicis literæ figuramha beremus in hoc, vt habuimus in Dixi, poluifle Bmus.B autem non mansit semper, ledig compa rem suam mutatum eft:Scribo,Scripfi. X Proprium x, quod mutatumfuerit in compo fitione in declinatione elidi: Effero, Elatus:quo niam verbum quoquemutatum eft. 1 costs » Q que Mutasio in deductis Gracis. Vocales. Væa Græcis deducuntur, in iisita fiunt vo calium mutationes: Breues autlongæin en æquales:aut in inæquales: contra natura commu nes in illas. Igitur longæ Græcæ in longas no ftras, woy, Quum:breues in breues švos, onus:bre ues in longas,me,ab eo quod fuit ue.longæin bre ues,opoinaAxov, orichalcum: rgra crepida: origo FERA: in natura comunes, qul.Corripitur ma ximæ parti poetarum: producitur Statio,Gatul lo, Cornelio Gallo.Item verba dyw. Communes natura in natura comunes: vt, Pharfalia,Sicania. Eædem in breues perpetuo, Humus, ab i'w.vua' et in longas perpetuo,Vdus,ab eadem origine.sic Whou,sputuin. Idque non solum ob vsum,fedet iam obpartes, nanq; positioneinterdum fithoc: vt co a qua In, natura breuis,aliquando fit pofi tione longa: vt Indigena. aliquando fit natura, propter naturam pofitæ consonantis: vt, Infelix, infolens:abs, aut F,incipientibusquum coniun gitur. Hæfuntin communi præceptiones:sigilla tim autem fic recenfeas. Ain A mutatur,κάλαθος Calathus: in 1, κανατρον, Α caniftrum: in o, fi Copo,azarnos venit:in v,9şi au6ss, Triumphus: payyanilev,stragulare: xpære many, Crapula:non,vtdixere, quod caput graua ret.Quodautem aiunt a, in y, apud Græcos verti co exemplo, savuno, qualionos naufw, falli sunt, eftenimότι όλων πόδας, 3λιτρις, montis nomenob altitudinem: quem quum afcenderent, interro gati quoirent,dicebat,in cælum,vndecæloco municata yox, A, etiam sibi assumit I. more Æo lico, φαισιν, φασίν. Ιta αίσκηπιός,nos Efculapium. E,in e,breue, feos,Deus:in longum,ido Sedes: et per abscissionem.dew,De:fic enun dicunr cixos, "Subir deivtov: nos duodeuiginti. In 1,ryyu, Tin go: In o, et uw, Vomo: in v,dvos, Vnus.Abiicitur #polyw, Rudo: fed puto Erudo, fuiffe fimplex non compositum. H, vt diximus in sui dimidium.xennis,Crepida: H news,Herus.In se totam,tlwenom,Penelope.Nun quam autem h, in I, transit, vt barbari invertere,. atq; etiam corripuerein Paracletus, Eleeson, E leemo 1 IvL. I. 1 leemofyna,Iordanes.Nequequod poffent suspi cari,Vestis ab iis, fed ab Vae, et vuota, Græca origine,Latina terminatione. Male corripuitlu uenalis in Satyra xun CALPE: neque enim fuit vt zpeurs. In Æ, diphthongum nonmutatur Ħ,vt dixcre,fedin E, illo exemplo, ozler, SCENA: si enim dipthongum quispiam comminiscatur, id nulla faciat ratione. fed in A, frequens eius tranfirus est apud Dorienses, et nos folcnsium imitatores, xiboensn's, Citharista. 1, in A, 9.ygoeves, Tango:in e, cx diphthongo, suivr', Pæna: etiam folum:? apriva, Cancer, in I, longū,ai liuidus, Qi G, Filius: etvoce vsitata malit, omnix, Homilia:falso enim transmutandu iudicarunt.fic notes,Litus,quod effet terra tenuis: etnoftrum mitto, au tov wizer, quoniã qui mit tit elongat. Abiicitur, quaesia, Norma,emedio: fic etiam a fine, ei, Per. Additur rau't, Nauita. ' o, in feipfam breue ci,ouis:in logam, G-, So las:in,decreov.Aratrum, ve voluere: fed commo dius a sup. Aratū:ficut Rutrūaruendo.neq;bonu cstexemplum, ab iļus,acus:fed acus, ab a žueor, ta pro arista excuffa, Acus, Aceris proprie, quam metaphorice pro instrumento sutorio. In e, joriy Genu, Æolum more, qui idrs, quod aliiodx.fic Euander, l'avdeo: In 1934620,Imber.in vibles, Iuba: rozpoxa, Patroclus:.ivaseus, Vlyffes.Sicin principio,medio,fine.In vlongum, Boords, Bru tus. In Avdiphthongum, opeixa Axor,Aurichalcũ. Abiicitur ab initiis, odi's,Dens. A fine,Si,AB. Y Y,in v, rusplevos, Turrhenus: Truppos,Purrus: in Avend, Illurius: duw,duo: duw, verbũ, Dumus, tam brevem, quam longum cthis exõplis.In o,cyniex, Anchora: Duici, Folium.In E, zAwue's, Aicedo.in 2,brcue, 270,vimen,vnde no?rum Ligae,non a legendo, vt Varro.In a, muo,Canis. s, in fe totam,woy, Quum, inuidimidium.de fyc.;Ego. In vlongum,oue, Fur: non ve Varosa Furuo. In Ave, Æolicum, scommunc, Aurs, Latinc. In v,brcucije Herus.In e, fparu, F12 tcr: fic enimmutaruntXolcs,quod erat Dp, integrum, Deizturpinon autem plagiariorum fal fæ etymologiæ. Dithehongorum mutationes. A Gracis. AL Æ,cencia ', Ænças. In A, longu, repertuan,Cra At pula,extritor,more Æolensium:ficute contrario quoque, vt diximus. In e, breue,faire,venio.Im perite nanque verbum hocita funtinterpretati, quasi versus nos eo. Habes deductionis noftræ exemplum, in Fenestra,adTo Calvetar. autmu tata,aut abscissa, faltem ab e povov. Non licin Ple gethonte, et Phaethonte. nequc enim ab GeoJo's, diphthongum traxere, fed agese feer, vt ex Cra tylo Platonis, et Ariftotelein primodecoelo, et M. Tullii multis locis diximus in libris de infom niis: neque diphthongum illam redigiad sonum breuem: quippe dai,dixere: sicut etiam 9: etgea, Gcut gaia. Abiccta a, remanet i longum, quo niam Æolenfium more facta est diphthongus.er: a Xands,Achiuus:Æoles enim aze, vndeetiam fine digamma inuenias Acheus.quod ego non per diphthongum scripferim Latinis Ar, fed per, E,exdiphthongo Æolensium, vt Lyceum, que xtos:cos caim maximefequimur. AY, 64 IvL. 1. A ' Ay, manet in Taurus, turīgo:mutaturin v.cau. pec,Surus:qucm et lacertum piscem vocant. Abii citur, haipos, Parum: nisi a parteducatur: nam Pauluin, inde venit omning. E1 E I, ante consonantem,semper in I, filit naru ralis verbo, inces, Thefidcs.at Beveowono fic, nifi Græce loquamur fyllabæ gratia,vtnosin he decafyllabo dactylum fecimus Xeinia.hæcautem mutatio femper fit fequente consonante, non autem L,tantum,vt dixere,illo exemplo, Nilus, Eing. Diximus autem literam naturalem, quæ effer ipsius dictionis, onrai,Grociên: nam in zettw, aduentitia etsiccirco non feruatur a Latinis. An te vocalem ipsum isolitariuin nunquam muta tur,Sophia,Comedia:nequediphthongus sem. per, 1 halia, Alexandria, Nicomedia, Langia, Lampia, Argia,Lycius: sunt enim Goemmel, et ciur. modi: et nuxeios, li Lycie apud Statium scriptum eft: nam ctiam Lycee, legimus. At fæpius in E, productum, vtin Acheus, dicebamus. Dareus, Penelopea, Adrastea, et Seruius Thaleam, dici debere autumat. Eft auteme,longum Æolen fium imitatione, qui Snuosterns pro imposterer din cunt, et nde!, pro idei,et uñov, pro ucior. vnde et her sexinterpretatione Platonis: ettrov,pro W16 ox. Interdum mutatur in E,correptum,more Do rico,expuncto 1: To vixsov,Puniceũ,vt apud Ver gilii πυφωέα,Typhoea, pro τυφώeια, et φοινίκειον, in fine vocum quoque vnica litera scriptum fuit in vetustissimis codicibus,Orphi Calliopea:et V lyffi,quod erat őPeñaduasti. Horatius diuisit, Laboriof nec cohors Vlyfsei. Itaque etiam in meris Latinis pronunciandum monent, Idem, Eidem:lfdem,pro Eisdem,eorundem niore Aco lenfium. Ey, manet, Qeü heu.Abiicity,Achilles,axona v acus. Itaque etiam Achilleus legitur, cuius obli. quum secundum posuit Horatius. Heu peruicacis ad pedes Achillei. Neque e nim verum est, vtaiunt, in v, mutari, illius ver- ym biexemplo, Peuzw, fugio:nam ab aoristo ductum fuit Ouzov.lic epau yw,Ructo,dempto E, etpofito frequentatiuo. oi, inoć, naivino Poena. Patitur autem multa di- 0 phthongus hæc:diuidunt eam Aeolenses,rorov, zoinov. Eorum legib. nos Troia reoło, sicut Maia, z wała, Aiax, sas. Interdum mutatur eius pars,in terdum aufertur, arbitrio eorüdem,month,Poe ta.Vertiturin Ei, vt of her: in v, Poivixetov, Puni 19 14 ceum, 1 and 71 oy, in vnostrum, Musa, uolls. In v, breue, Bu s bulcus.In olongum more Aeolensium,38,3ūsy Bos.In breue, Borqu.co Volo:abiccto y, moreco 4. rundem, qui αμπέλος, dicunt pro αμπέλες. dico, ei abieeto in mora,non in scriptura.nam oynon est illis consonans.Sicenim dicunt Asgatup, sicut lo. nies Buzoriupo Quiautem putant hanc diphthon gum ad Gallos manaffe ex us, et Tou: non femel ineptiunt.Eorundem enim in aliis vitium est, E, vocalem ficdeprauare. Sic enim corrupêre no mina mutarum:fic vulgo quum voluntinterro gare Quid?aut Quæ?sic Rex,Fides, Vicem etalia infinita pene o y eademin E, '885, Dens it's ' Pes, etiam aliquo modo mutata est, cum ex 18'w, E Lauo lu L.E. B Lauo factum est. 121, diphthongus spuria in legitimam o ujxclien Mesidía. Comedia.In o, w8, Ude. 71 T.eiufdem nocæ atque ordiniseft. recipitur in vocibus Græcis integra Harpyia, d'oc. Y sr,Latinivalde distortam, ionib. r'eliquera. Confonantium mutatioin deductisa Gracis. B Græcorum et facile et legitime tranfit: idem enim effe fupra oftendimusBwi, Bos. In v, di gamma, z36x, Auus.In affinem huiusPH: 9play Goss Triumphus. ryingi,zorvs Genu: aut in fimilem'vt Työss, Cam ius. nam quemadmodum apud Athenienses aus Toxhoreca etapud Thebanos ouaplois ita Latinis? vetustate, etOpici, et Indigenæ, et Cail dieti funt. In n, aut ei propinquam, azgeros, Angelus. Abiicitur, gumentua, Norma. A,in D,onos, Dolus. In 2, odvartucy Viyffes. In B, C, Bis. In's » n'am quoflexu illi, tepare.coem, nos eorum exemplo, Arenosum. z, in z, iccirco apud nos etiam figura eadem cum eadem poteftate recepta est. LtPusos, Zephy• rus. In ssuaisa, Massu.In i, tuzo, lugum. e,in TH, tptow ', Thraso. In D beasyDeus. Itt 1,θρίαμβος, Triumphas. K. K; in c, Calare, nonet: Caloncs, varov. In co. gaatam fuam et, Quatuor, xxxpd. prorojen na, line aspiratione apud acoles. nam quum dixiffent, Vnum,Alterum,Tria: pro quarto di mere, et alterum. Sicapud poetam, Alter ab vndecimo. Slove urce Aurea mala decem misi: cras altera mittan Sic etia, Quinque deduxere: vt effet, et vnam præter quatuor; cêrze. In G, xutpvcew;Guberno, Ain L, nit, Libs.In Difeneto, Meditari: falso A enim ncgarunt. Mnegarunt mutari, attulerunt exemplum il - M lud, tabua xes, Telemachus: fed fruftra fuere: nam ex uñnce, Balare factum eft. Etextritum eft ayudc. Amenta: oyuao, Sagus,Sagitta. Nin N, nostrum; Ninus, vīvošo In Djnajvw, Cx- * do, έκανεπ, όκάεπ τον έλλίωων τον αριστν, ex Εu ripide. In L, nam quinquagenarii numeri nota fuit Græcis N, nobis L, fic quod illi veuQxr, nos Lymphas: et apud Virgilium fic legêre quidam: Dant famalimanibus Nymphas. In M; wal gusov, Pægnium. Additur a Græcisnoftris nomine nibus, xatwy Cato. Demitura nobis in illorum commune riuwv, Simo: et in nostris ab illis defluxis addi- sonho Borda tur, idx, Dens: =, falso negaruntmutari:nanq. etbovec, Afleres, non ab aslidendo, vt dixere. Supra declarauimus Acum et Acuruin,vndeduccrerur:itaq. ab Oc; non putauimus fieri Acor: nam potiusabwav'. 11, in B, Tubor,Buxus: mubas, Barrus: 70, Ab: 11 Caij sub: accipit aspiratione:gownlo's Trophrű. P, nimis iprudeter mutari negarut,vtaip,aer: na mutatur, 20 pxūves, Cacer, ne effet Carcer, et in. 1, a cupov, Paulum: sed potius eft diminutiuu, In D, fi raveriw fit, vnde fiat nostrum Gaudeo. 2 2, in D, uesov, Medium.Tollitur non foluin in prima inflexione,vt dixere; quipias, Býrria:sed e tiarn in aliis, aas Sal: et in principio, ouu't s, Cu tis: alibi feruatum Scutum. In x, amo, Aiax. E ij Contra quidam fcripfere Vlyxes.In R, κυβερνήτης, Gubernator: quoniam Aeolenses xubEphy Trip, et xubepvýrwp, qua forma verbalia nostra funt. Quin Eretrieses, vfque ad proverbium dicebant, ouan potm-, quod alis effetsunypotus.quod et in Francis Be notabis. E cotrariossin x,noftrum uc osow, Ma xilla: nam Mala per fyncopam curtatum fuit. Mandere quoque a ux'asw ductum fuit, sed fane non pauca eget interpolatione. T, in s, isa, Offa. led commodius sic dicere, fubductum fuiffe:alioquitranslatitia sunt inter se,33 runos, Theffalus. 9, in PH, popew,Phormio.Ine, quc, Fundus. 0, For. x, in CH, Chromisszevõues,In G, Ay % w, Ango. In Kyroxos,Locus. in Aeye, denan, Loquor. pie neque enim â locis,vt Varro vult. Sicet xxenãos, Montent Aqua. Omnis enim aqua dicta eft eius amnis no mine, et a lauãdo quoniam erat cemenzos: quod et Macrobius docuit nos etVibius Crispus: et non ignorauit do et iffiinus omnium poeta, Poculaque inuentis Acheloia miscuit vuis. neque enim ab æquore aqua: fed ab ea, æquor. 1, in Ps, quasov, Psyllium: et in proximas BS, yť A4, Libs: dexy, Arabs. # Aspiratio manet, ouws. Homo: eft.n. animal sociale: non ab humo, ytsomniarunt. Adimitur, anuwv, Alcedo: tunc,Amentum. Mutatur € dos, Sedes:epTwy,Verpus lumbricigenus,trallata vox ad obscenaob exilitatemi,nona vertendo pelle, vt aiunt: fed mediunt digitum propter gracilita tem significauie metaphorice Manet cum consonantibus, Tholus,4oros. Adimitur, vt Opiaubos,. Triumphus. Additur, oportcev, Trophæum. Dt.C Subtilius autem intuenti etiam id deprehen sudah 1, detur, aliquas etiam fi mutentur, remanere:vt, Aloj Troia, Troia: etenim 1, et eadem etnon eade est. Digamma interponitur, vt diximus õis, Ouis.. et Præponitur, -, Vis. Interponituretc, co bos, Spe Fraau nm. lidla cus. dice Funds DISM Mutatio ex deductione in fimplicibus I Ammultæ operæ provinciam capessimus:fi- Ralowe Ibi enim quisq. placuit in verboru deductionę.ueJakbosui's Ergo quæipli non inuenere, nolunt effe ita: do ceri enim turpe putant. Aliquiautem, inter quos di Varro,etiam maligneeruerunt omnia e Latinis, com Græcisque fuas origines inuidêre. Nos cum sci vite remus Magnæ Græciæ nomine priscos Auso nes, atque Latinos frequentatos, reddidimus pud fuis qnanquenatalibus vocein. Deducio,eftcreatio noui verbi,exprioris ele quis mētis.Prius igiturde simplicib. mox decopofitis. Abreue in breue,Paro, Pario: in longum, Pa- A 22. ro,Parco: in AE, Aqua, Aequor. a, longum in lon gum, Vado, Vades:in breue,Vado, Vadu: Ater, Atrox: feroces enim fufcefcunt ira. In E, apud Græcos,Baww,Ben... apud Latinos,Pasco,Pecus, non eft:namn zoxoc, Homero fuit lana: quonomi 1 ncetiam nunc fafciculum certum, fiue penfum ta * vocant in Italia alicubi, fed pe Itaque a lana vetusta vox nekos. In o,Vena, Ve nox. In v, Mare, Maria. E, breue in A, longum, Legere, Legare, quoniam adlegendum, hoceft, E iij dicens " anim mitt genere fæminino, scilit 360 " Son 70 I dicendum mittebantur,au o 7o aegeiv. € Elongum in breue, Sedes, Sedile. In 1, Veha, Via: vt vult Varro, ino, Tego, Toga, Græco tum ex mplo, neyw, neges. Etlongum in o,bre ue, Sedes, Solium. Inv, Tego, Tugurium. In v, longum, Dies, Diu. In AE,Sequor,Sæculum. 1, longum in breue, Dicere, Dicare: in lon gum, Simus, Simia:nonautem w To wuela, vrinepriunt. í, breue in breue, Mina Minax: in longum, Via,Villa,Vilis. In A, non mutatur illo exemplo, Generis, Generatim; sed a plurali re cto fere deducitur. Viritim,Ostiatim. in E, cor reprum. Hlicio,illex. In v, Specio, Specula. o, breue in longum, Vomer, a Vomendo,vt vult Varro; in breue, Volo, Volones. Longum in longum, Donum, Donari: in breue, Moles, Moleltus. In a longun.,Dico, Dicax: in E, lon gum,Tutor, Tutela:in breue, BonusBellus: fuit enim Bonulus,Boncllus. In 1, et longum, et bre ue, Amo,Amicus,Amita. Inv,Tego, Tegula sed Tega, prius fuit:Stclo, Stultus. V. v, longum in longum, Þus, Puridus, in breue, Scutum, Scutulatum: Rus, Rudis. Breuein bre ue, Lutum, Lutofum: breue in longum, Pucra Pulio: Suo, Sutiliş. In - A, Veredum, Vereda rius: nisi sit a plurali quod et puto: Cudo, Qua tio. In e, Pignus,Pigneror,quia fuit Pigneris. In, Cures, Quiritis. In o,Pignus, Pignoratio:sed ab obliquis potius:Decus,Decor,commodiusex sinplum eft. Mutatio in diphthongis exdeduetione. or, in, v, Poena, Punio: Moeri, Muri, vt dixie a mus. Av, in v, breue, Randum, Rude: nam pafos, A. fuit virga dempta ex arbore impolita: inde Raye dumæs: et ab ca ruditate, Rus.Consonant:um mutatio ex deductions 3, in M, Globus, Glomus. B c, in G, præcedente n, Centum, Quadrigen G.. ta.In R, Scco, Serra; sed puto primam syllabam fuiffe originis: canina autem litera geminata, ftrepitum imitatos. Geminatur Pecus, Peccare: non vtgrammaticorum ineptiæ, pedem capere, Din T, Cudo,Quatio.f uitenim vetus verbu, mu'dw, adhucdurat muda wasignificat ftrepere: vn E de xudes, conuitių, et xvocs, gloria, ftrepitus ille po i pulariş. G,in c,Genera,Cneus:Gula:Curgulio: Vi;in ti,Vicesimus:Pertingo, Pertica, rusticum inftru, mentum ad fructus decutiendos. Le in x, non mutatur exemplis illis, Ala, Axile la:Mala, Maxilla, vt aiunt: nonenim ab Ala, Axil. i la: sed ab Axilla Ala, extrita, vt ait Cicero, ele. menti vaftitate: fic enim cenfuit M. Tullius, Veho, Vexi, Vexum, Vexulum, Vexillum,: et cvyxorlu, Velum: Ago, Axo, Axa,Axue a la, Axilla, Ala: Masso,Maxo, Maxa, Maxula, Maxil a, Mala, vnde uauntiños: Pango, Paxo,? Paxus, Paxillus;Palus:vt non parum errent qui aby Ala, putent, Axillam, diminuutum duci. Ašą E jij au 7autem et alia, fic funt dicta, vt Faxo, Graxo. Etia falso mutãtin R,illo exemplo Tabula, Taberna. nam Tabula, fuit diminutiuu nominis,quod nuc non extat, a quo Taberina, vt Suterina, Tonfte rina. Sedin his,E, abiit. in Taberina fublatum eft 1. Omnino autem a Tabula etiam Tabulerna, fi cut Nafiterna, est autem Taba, et Tabula au TO TriLu,quoniam tabulata in ædibus, et vlmis pla niciem extendebant, Nin L, Vnus, Vllus: Vinu, Villum:non muta tur vt dixere. Sed fuit Vnulus: etvinulum. Ins, mutatur Findo, Fissus.In r, Canis, Catulus. sed a Cato, deducunțpotius,etplacet: atiidem, a Ca nis, Catus, ipsum trahunt, Rinn, Murus, Munus. fuit enim Munus, onus muris reficiendis, vbi primum vnum in locum e vicis conueniffent ad condendum oppidum: inde Munimenta. Id oneris cum remittebatur yirtutis ergo Donum dicebatur. Ab Ære au tem non fit AEneus, vt dixere, yt mPombaur R, in ' N: cuiusreiargumentum eft,quod etiam AES neus dixcre. Itaque fuit AErineus. Sic AEter nus, ab AEthcre: et fuit AEtherinus: vnde Sem piternus, quod fuit Sempæternus: mutatur e pin ae, in i, Quæro, In Quiro, etabiecta est af piratio, vt in multis. Sica Vere,Verinus.Vernus. 1, enim abiecere,quod mansitin Matutinus, et a liis eiufmodi. Nulla igitur ratione corripuere fe cundam fyllabam. Mutatur R, in l, Niger, Nigellus, quia fuit Nigerulus, et in s, Ardco, Ar, fum. Aflum ynde Aflare. T, ind, Quatuor, Quadra. 1 xadditum estin Vix, aduerbio, a Vi, quod? negat facilitatem. vnde Vices: nam quod per / vices fit, videtur difficile effe, etvix fieri. Fortar fe etiam rectum ipsumfuit, Vix, Vicis. z, tota Græcorum est. neque a Latinis in La- 2 tina deriuatur. Demitur aspiratio, Fingere, Pingere. Mutatio in compofitis. Vocales. Ompositio, est coalescentia similiu aut fpe-Amis nisi esset,ea fimilitudo, quam Græci vocant or use Banov. Dico autem, compofitionem non actio nem, quæ præcedit ipfam concretionem; este nimin prædicamentomotus:sed ipsam mistio nem duarum vocum,partim diuersarum, partim fimilium. Eft autem modusquidam inter ipfa: Nomina enim nominibus propiora sunt: faci lius enim dicitur, Pontifex quam Proconsul. nam consuetudine extortum hoc fuit: erat enim per initia, Proconsule. Sic etiam verba cum diuersis partibus desinunt effe, vt Mancipium. A, breue in a, breue, Comparo,Paro. In A.. A longum, Indago.etratio est euidens, concreue runt enim vocales dex. A, longum in A, lon gum,Gnarus,Ignarus. A, breue in e, breue, Sa crum, Confecro:Caput, Princeps. A, longum in E,longum,Arma, Inermis. In e, bręue,Ti bia, Tibicen,tibia canens. A,breueini, breues, Ago, Abigo. In 1,longum,Instigo, ex coalescent te 0,et A,infto, ago.Verbum agasonum, et armen tario 1 1 A E V 74 IVL. I. + tariorum. Sic, Tibia, Tibicen, exi, et A. In o, Historia, Historiographus. In v, Sallus, Inful. sus. In Troiugena quoque videtur a, in v, muta tum.In diphthongum,Mufa,Museum: li usation fit, in E,vt supra diximus. E E, breuein E, breue, Ferus, Efferus, Hercise rço, Nouerca, noua diuisio familiæ, non vtnu gantur. In e, longum, a RE. Rettuli. E, lon gum, in longum,Telare, Protelare, in 1, lon gum, Ledo, Collido. Ini, breue, Lego, Col Jigo. o,in o,longum,Solus,Consolari,a viduis, que I cum fe Tolasrelictaslamentarentur, oratio lenia ens defiderium dicebatur, in Homicida, non ver titur in 1,fed ab obliqua fuit, Hominicida. In v, vertitur,a rola,Exul. v v, breue in breue, lubeo, Fideiubeo: neque fere cumaliavoce compositum inueniasa longa tamen fit, Ius hab o, quam quantitatem reti nuit etiam in Iubilo: nifi fit, ab iwin's vocibus triumphatorum:superstitesenim vitam Apollia niacceptam ferebant, cui canerent pæana in vi et oria.iw.BiwiToma'v.v,in e, breue, Iuro, Peiero. In 1, breue, Cornicen. v, in feipfam,consonans in vocalem,Pituita, quadrifyllabum Catulla. con kain Auceps. Diphthongorum mutatio in compositione, AE, in, 1, vt diximus. Aeternus, Sempi the A v,in q:Plaudo,Complado, In F, Audio, O tcrnus. Bedio.vbi ob, nihil detrahit, fed cauffam finalem dicit. In y, Claudo, Includo. Consonantium mutatio in campositione.. Bemutatur in C, F, G, L, M, P, R. Succurro, Suf. B fero, Suggero, Sulleuo, Summitto, Suppeto, Surripio. id Acolenfium more, qui, xatteCON, reclamar; dicebant, præcedentem sequentis vi · pronunciantes. Neque tamen in omnibus his literis femper eadem connixio eft. Malim enim Suslimen, quam Sullimen dicere, et Submur, murare. at Plautus Summanare, a manu, fu? rari, ficut a Vola, Inuolare: item Subreperc. Cum D, autem integrum manet, Subdo: cum N, Subnixe: cum s, $ ublilire:cum T, Subtice re. Ante seipsum quoque non mutari par eft: nam fi aliorum fonos fequitur, ne obturbet, ip sum se fouebit: vt in fimplici Obba, quæ esset obi bibendum: ita igitur dicetur, Obbibo. Neque mutatur ante T, in s, vt dixere, in Sustollo, nanque fuit vctus. VQx, S V $, quæ motum ce lum versus significaret, Ünoder, fortasse autem fuerat, Subs, ficut, Abs: quanquam hoc vide tur fuiffe cit. et a Sus, fuit Susum: fecit autem ex fe Sustuli, non enim a fuffero, venit. Ea dem est ante c. Suscipio, quod veteres Suc cipio, ve diximus, Acolenfium more, quem admodum supra declaratum est, quos prisci e tiam in aliis obseruarunt, vt est apud Plautum, in AGnaria. Supe 1 1 76 Ivl. 1. CI Suppendas potiusme, quam tacita hæc aufe ras.Quod nos Sufpendas.l'ari exemplo,Suspicio, Suftineo, Suscito,Susuin,Cito. Exteritur ante M, aliquando, Omitto. [ c,mutatur in G, Negligo Neglego: ficut Ne gotium, nec otium. d,in c,Quicquid, Quidquid, Accurro, Acqui ro:in G:Aggero:in F,Affero: in L, Allego: in n, Annuo:inp. Appon:nam quod in Aperio,sub flatum est, factum fuit poetica licentia, nam e. tiam Apparere,dicimus.In R, Arrogo: in s, Af sideo:in T,Attollo. Sed inuenias, Adrepere, et Adfum, et Adniti. Consules enim auribus, etma „ teriæ: ficuti Plautus cumiocatur: et maluit Ar fum dicere, quam Adsum: vt Tubinferret, Ate go, Elixu Volo.Antem,manet, Admitto.Eximi tur sequentes, coniuncto, Aspiro, Ascendo, A struo:item G,coniun etto,Agnosco.Contra,addi turinter vocales, vel mutata, altera, vt Redigo, vel neutra, Prodeft,Mederga,Redhostire, M. Min Nanteomnes, præterquam aute B, P, et seipfam. Imbuo, Impono, Immoror, Concio, Gondo, Confero, Congero,Coniuro,Coluţibi lis, Connitor,Conquiro, Conrugo,Consequor, Contueor, Conuolo, Anxur. Sed aliquando etiã fequentis L, aut k,naturam, subit, Colligo, Cor myrigo:fuit enim Cum,præpofitio, no Con, alia ab illa, quæ in compositionc tantum inueniretur: Nam etiam in aliquibus integra manfit, Cum primis, quod verbum, qui diuisere, vt duo face rent, paucæ fuere lectionis, neque meminere e tiam a veteribus, Cumprime. ficut, Apprime. / Item. 77 0 Item fi effet Con, vt dixere, quæ nam illa sit, qua z audimus in Comes, Comitium, et clarius etiam num,in Mecum, Tecum?Præterea fequente vo - 3 cali, quis vnquam adiecit n? atabiicitur conso nans in hac præpofitione composita cum voca lis initiis:ergo talis est, qualis abie ettionem patia. tur, ea autem eft m. Nam alioqui interponimus consonantes, vt diximus Mederga, Redeo: etiam sequente aspirationis craffitudine, Redho stire. At in Cogo, quod fuit Coago, et: Cohor tor, et Coorior, et Cooperio, quid dicant? Postret mo inepte putent I n,aliam effe,cum per n,aliam cum perm,fcribitur.Sed curto fuere prisci Gram matici iudicio, quorum nostri nomen potius, quam merita funt fequuti. Atfatis constat fonu ipfius v,in Cum, rotundioremfuisse, qui etiam nunc manet. Vmbri enim non Latini obfcurio-)) rem illum alterum in vfu habebant, Nunc, Gallis pronunciari, admonebamussupra. Mabiicitur, Circuitus, et Cafeus, fi a cogendo, vt vult Varro,non a Cafa, vt nos iudicamus, dedu catur. Item in Cognosco,nam yaorw, integrum } fuit:nequcenim est additum, G,vtputarunt,erat 5 enim γινώσκω. n, in M,ante B, P, M. Imbuo, fuit enim a Græ- N 60 Buo, priscum verbum buw; et fignificauit in fercio. Immortalis. Impono. Inc, etiam volunt illis exemplis, En, Quid, Ecquid: En,Ce. Ecce. Abiicitur qualegem, lupra,Ignauus,Ignotus. In G, non vertitur in lgnominia, vt putabant: fed eft vt Gnomon. Ryin L, Intelligo;hocautem vsu, non lege fa - R Stum o quem in 78 IvL. CAB. etum eft:nam Interluo, et Subterlabor, et Perli tus, etSuperlatiuum. At Politianus, cum mauult, PELLEGO, videbaturin hoc,vtin cæteris fibi, no poffeeffeprinceps literarum, nisi solus effct: fed aliunde poterat diuinum ingenium fibi parere gloriam, quam ex deformatione Latinæ purita tis; Abiiciturin verbo, Peiero. Śs,in'F,Diffundoineque enim fuere duæpræpo fitiones, vt suntarbitrati Grammatici,Di,et Dis: fed Dis: Græca: nam binarius numerus primus est,qui diuidi poteft:quod igitur bis facimus,dif continuata opera fit.iccirco præpofitio hæc ex v no plurademonstrat, Dinido. quoniam quæ fc etta funt,bis videntur. Seruatur in multis, Disco lor, Disgrego, Disiungo,Dispono,Disquiro, Dir fidco, Distuli. Ante cæteras tollitur, Diligo, Di mouco, Dignofco, Dinumero, Dirimo; Diuido; SwohisDiiudico. inuenias tamenDisrumpo: Antee; * Sy haar te nondum venit in mentem, anponatur hæc præ. pofitio: x, ante f, mutatur: Effigio. ante vocales ma net, Exaro, Exeo, Exilis, txoletum. Non abiici turate D,fed ipsum d, tollitür, Exuo, erduci. Ano te alias manet, Excio, Exlex, Expono, Exquiros · Extero. In aliis autem non'eximitur, sed E, præ positio est,non e x, bibo, Edico, Egero, Eiicio; Eligo, Eminco, Enato Eruo, Evado. Inuenias Lampytamcnante F, integrum, Ex: fed in eo verbo, quod quia nolo hic ponere pudoris gratia, aut per te ipfe intelliges: autfi non intelligas, non docebo.Cum vocibus autem abs, incipientibus b -componas, quid facias? tollas fibilum?non necessariumest, nanque in x, fyllaba poteft ter minari: sed soni suauitarem fequendam censeo: Itaque commodiusdicemus, Exequor, Græco tum exemplo: qui certis locis em,aliis, l ", dicunt. Sed recentiores, vt fapere videantur, omnia ob -SAYY turbant:at nosveterum fequimur simplicitatem, qui Exul,fcripferc,quanquam ab Ex,et Solo,du ceretur. Hocitaque cum re et e fic fe habeat, pes fimo argumento probandi rationem male iniue re. Nam inquiunt,fi poftx, liceret feruare sini, tio vocum compositarum:pari ac simili lege etia liceret polt Y. fed nõlicet: neque enim dicimus, Abffectum neque Obffeffum: ied vnicas,fuitco tentus vsus. Vbi dupliciter peccant: primum. cum putant s, quod in Excquor est, præpofitio. nis effe non verbi:hocenim falfum eft: nam fi- > gnificatio verbo debetur, ergo et partes, etrema nıt veftigium prxpofitionis Græcorum lege. quos imiramur, Ecfequor. Alterum errorem vi. deas manife'tum, cum putant Abs, esse integram » et natiuum præpositionem, cum tamen fit Ab, 4.5.14 per apocopen, vm, quod et pater in ob: neqreco nim nec ile habeas dicereObs. fed per apocopa ötw.nanquera,fuit fimpl. x.hrw. compositum. Obs tamen fuiffe in quibufdam, videmus illis e xemplis, Obfcurus,acura:Obfiænus,andtoxcs/ you,vnde Cænum noftrum. Atin abfcedo, Abs eft, et Cedo. fed nihil ad rem. 1, mutaturin R, fia patre, non a parente, lic'a' Parricida: fed hoc plus placet nobis. MORdinis nomen Græcum eft. Dicebantmi. Ordo literarum, quatenus diettionis partes funt. Que cuique syllabe debeatur. Rdinisnomen Græcum eft. Dicebant mi: limbus Tribuni: Hactenus tibi licet: Hîc consistes: Eo progrediere: Huc reuertere: Öpor dwindeordo. Acoles autem non aspirant, quo. rum instituto fane libens accedo:nihil enim hel Juonem magis fapit, aut Barbarum, quame gut ture insufflare aduersus eum, quicum loquare. guideft igitur ordo, loci ratio, qua quidaut præit, autsequitur: velante, vel retro, vel dextrorsum: vel sinistrorfum:vel fursum, veldeorsum. Nam prioris ratio est, præeundi: posterioris, sequendi. In militia, vt diximus, nata vox.fic etGræcitoa Žuv, ab aciei directione: Translata in ciuitatem prostatu hominum,liberorum,seruorum. Inde patrum, plebis:additi et Equites. Et Lex Otho nis Theatralis. In plebe etiarn fuit ordo: classia riorum, proletariorum, duicenforum,capitecen forum. Ab hisad corpore carentesres fusum sia gnificatum, vtetiam ordo innumeris dicatur, non folum in rebusnumeratis:non temere. Eft enim et numerus et mensura caufla rei numera tæ, vel menfuratæ, non quidem vt fint, quod funt:fed vta nobis cognoscuntur, aut tot,aut ta tæ, fed hæc altioris sunt operæ. Eftigitur in lite ris ordo,potestatis pars,fecundumquamlicet ip hiefis aliam atque aliam sortiri sedem, propter vim qua inter seautconueniunt,autdissident. Quam uis autem in fyllabis cognoscitur, non tamen a fyllabis 81 fyllabis fit, sed facit fyllabas:eftenim forma fylla- Online sales barum Ordo:ac propterea nonad loca, quæ de fyllabis ftatuunt, referendus, vt fecere vetercs:fed hicretinendus, vbi agitur de elemetis: Elementa enim fyllabarum materia sunt: ordo aute forma, aut poteftatis pars, aut abipfa pendens poteftate. Eftigiturvnum ex duob. principiis fyllabaruin. Quum autem duplex fitordo:vnus ob composi-ceSpeeches tionem quo quid aut præit, aut præitur: alterin difccndo: vt de quo elemento primum lit scri bendun.: prior species ordinis vera eft: quippe ex quasyllabæ conftantur: is enim literaruni finis, qui partium prop: er totu. Alter modus, qui qua lisve sit, suo moxdiceturloco. Eftenim acciden talis quanquam abipfa profeet us fubftãtia. Iam cuiusformaeft eiusmodi, vt prima prodierit in lucem atque vsum sermonis, hoc de lese præstat, vt prima quoque dicatur,proximanamq; eft na turæ communi. Acquanquam defyllaba non. dum dicimus, tamen hic tanquam de principiis fyllabæ scribentes, nomine tenus syllabam refe remus. Omnis igiturliterarum cohærentia, autin ea dem fyllaba fit, quam propterea Græcio 2013 m. 72 Ziarlas nosin philofophia aliquando constitutionem, a liâs concretionem, hic faciliusconiunctione di camus, per quam syllaba, quæ literarum coniun Etio quęda lít, conitat: aut in diversa deftituuntur literæ,nequefub eundem tenorem veniüt, iccir coque Ale saou vocant Græci, nosdiscretionem, diliun ettionemvenominamus: iplasq; literas dis fijas. Id autem vocum dignoscitur proportione: by stay Iul. tit. 1. Renquarum vt quequeinitia observamus,ita et fylla Du bisascribenda iudicamus. quoniam enim ab his incipiunt vocesper fyllabas, ipfæ quoque syllaba incipient.Exemplum eft Conspiro:quia ab NSP; nulla vox incipit, nefyllaba quidem incipiet: fed Nyprioriseritfyllabæ finis in diastasi, cum fequeni te,proptereaquod a cæteris duab. invenias prin cipium diettionis, Spes. Neque vero evenit id propterea, quodex Cum, et Spiro, compositum est,vtquasi in partes pristinas reducatur: fed idem modus erit etiam in Pulchro:erit cnirn Pul,prior fyllaba. Altera autem a duabus incipiet confo 06. nantibus: iccirco quia vocis initium invenias 2. tale, Credo. In Excedo, autemi si quis quærat, vbi sit distinctio faciunda, intelligat non esse neceffariam fcindere x. nam quanquam est du plex vi, figura tamen vna eft, et indivistbilis, quemadmodum supradiximus,alioqui non esset elementum. Neque fi fit facta vis dietioni - bus, per concifionem, ve Extin etti. duarum e nim literarum vltima erit fyllaba, quia Lynx di citur. Proprium autem eft confiunctionis,certas vo cales,certa que admittere consonantes. Difian ctionis autem, omnes quidēvocales,nonomnes confonantes:vtn, non admittit ante fep, aut B. Etin coniun et ione nonaliam admittit, quam V, etad diphthongos cõficiendas non omnes cow currunt vocales. Las igitur fe mutuo anteire, aut consequi diversis in fyllabis, iam declaratum eft. In eadem autem fyllaba præeunt, et, “E” o: sub sunt, E, V. Quinetiamveterein diphthongo eIs fubirs subit, i, vt Queis, pro Quibus: fcriptum a Vergilio esse vnica litera,constat ex Gellianis narratio nibus.In interieetione tamen, Hei, manet adhuc. At Græci postposuere etiam ipsiy, in Harpyia: et 1, et H, et Agriçãow.Sed et post v,in eadem fylla bainvenitur, Suavis, Suadeo. Consonantes autem fic ördinantur: Omnes Conso pene consonantes anteeunt duas liquidas,1, et R. Nathy Duplices autem non atiteeût, præter z:antecedit enim ipsum M si, verum eft, quod placuit quibus dam,Zmýrna.Exemplaliquidarum sunt, Blæsus; Brutus; Clarus, Crassus,Draco,Flaccus, Frango; Gloria, Graccus;Plico, Precor;Stlatum, Trica.AE Q neque liquidas,nequc aliam quampiam prece dit. NequeD,nifi vnam ex ipsis:non enim l. Cx teras B, nullas præcedit; acneipfumquidem n, id verbo Abnuo. Sed in Abdolas, amplectituri psum v; quoniam invenias,Bdellium. Etiam, in Aetna, difiuncta sunt T, et N. Atvero, C, D, G; P, non respuuntur. Exempla funt; duo depes, Cneus, Gnatus; nxew. Igitur coniuncta erunt in Cydnus; da'ruw; Agnus, Sypnus. M, in ca demsyllaba cum nulla sequente est;præterquam cum N: vtin Mnemosyne: et ipsum ante sevnam aut alteram tantum patitur: Di apud Græcos, duwniet s,Smaragdus:et fi verum eftquod aiunt; etiam z, Zmyrna:quod li verum eft hoc,duplicemt præcedere; etiam vtravis eius pars idem munus Obire poterit, tams,quam p. Habet aPombat ipfumi Meandem rationem cum p, etc, etliquidis:vt po ni poflit ante s. Nam quemadmodum dicimus; Fij. 84 Iul. I. Ex,a't: fic etiam Hyems, Sirems, ains, Mes, Ars: Namm, et n, inter liquidasquoque recensuere. Sicante x, tres ponuntur, Falx, Lanx, Arx.quod commune habentinter fe, non autem cum M. E freçontrarioipsum s, antecedere potest B, C, D, F, P, Q. T,obevvu'w's Scaligers codwsquiaeft in z, Coivdo vorulur G Spes, Squilla, Stolo: cum cæterarum *** nulla. Veteres hic quum alios admisere errores, Angelenum infignem illum, qui negarent ante D, po ni: at tanto nobilius ac verius: coeunt enim ad eo,vcliteram cfficiant vnam, z. Nullæ mutæ in Bol ter fe cocunt; nisi B D,vt Bdellium. quod etiam videbatur quibufdam aspcriusculum, iccircoque mitigaruntinterpofitavocali, Bedellium. Sed tamen apud Græcos est 31cmw. Quinegant z, zamipræponiipli Msin Smaragdo, fortaile vera di cunt. Sed eorum argumentum falsum est: sic e nim aiunt: in fine carminis dactylicinon poffet collocari vox illa, neque enim præcedenssylla ba finalis in præcedenti dictione poffet corripi, non enim potestabiiciipsum z, sicut abiicitur s. Sed falla eft comparatio:interpofito enim inter vallo non coniunguntur voces: itaquenon fit positio ad productionem. Quam quisibi con finxere, vt evadanthancincommoditatem,mo do mutam cum liquida excusant, modo fibi lum, modo'aspirationem tollunt: fed totmon stris opus non eft: multa sunt exempla, mul tæ rationes. Nam quemadmodum dicent il - lud Homericum dactylo comprehendi? ai ouncedLwr: aspiratio enim cum ipso R, pro: ducit præcedentem, quod est manifestum in versus 85 versu Theocriti ex Herculillo, özcvet..finis enim senarij da ettylici est. Item I consonansinter duas vocales semperlőga est. Ergo quomodo di camus, Regia luno.Eft et illa ratio invicta si diph thongi finales,non semper corripiuntur fequete; vocali, sed etiam poetarum arbitratu producun tur: sequens fyllaba initio vocum, fines præce dentium non mutabit. Sed hæc alibi propria o pera sunt expedita contra ambitionein Gram maticorum. Dedifiunctione five difsitis literis. Vocales. Ifiun ettio accidit omnibus vocalibus,et mudojme cum cæteris, Aer, Sais, Tetraon, Phaülus. E,cu cę teris,Ei, Eo,Eunt, Ea.1,cum aliis, Fio,Fiunt, Fi at, Fiet. O, cum reliquis, Cous, Coa, Coco; coit. v, cum reliquis Sua,Suem, Sui, Suo. Item cum se ipsis,Nausicaa,Deest, Dil, Coopto, Suus. Sunt hx disiun et iones numero quinque et viginti. Quarum viginti inter se reciprocă sunt:Nam vt quæque præcedit cæteras, ita præcediturab illis. Confonantium difiunctiones. D, disiungitur a B, Abdomen: etquidemmu tuo, Adbibo, B, ab n, Abnuo: sicutm, a D, Ad mitto. B, præcedit F, fed mutatum, Aufero: ne que enim eft,vt ait do et tissimus Gellius: eius acumen laudamus,iudicium non fequimur.Præ ceditur autem a tribus liquidis, idque com, Fiij. 86 Iul. I. mune habet cum suis comparibus, Album, Als bo, Arbor:Alpes, Ampulla, Arpinas: Alfenus, Arferia. sed m, ab hacexcluditur, vtdiximus. l. tem præceditur abipfo c: idque commune ha bet cumMT, s; Pyracmon, Flecto, Flexum: eft enim Fleçsum. Præceditur etiam a G, Egbatana, ídque habet comune cump,Migdonides:et cum M, Agmen. TT,præceditura 'c; et p, siyetenuibus, five aspi ratis: fed plus Græcis, quam nobis,raw, riww, ogą γέω, χθων.quorum exemplo intelligamus Ααασιν in illis, Actus, Aptus,Aphthonius,c'xto Ipfum C, præceditur ab x, Excutio. Item suum par, Ex quiro. Habethoc communecum L, Exlex: cum P, Expuo; cum T, Extulit. M M, præcedit B, et P, vt diximus, etfeipfum, ac præterea nullam,Ambo, Amplum, Ammentum: neque enim antecedit n, vt dixcre:nam in A. mne, est ousmas: exemplum, Mnemosyne. IR L, et R, fere omnespræcedit, Arbor, Arccrra, Ardeola, Corfinium, Corgo, Periurus, Perlego, Permco, Pernox, Perpes, Perquiro,Perrexi, Per, sono, Pervolo: Albion, Alcon, Aldus, Alfenus, Galgulus, Saliuncula, Almon, Alnus, Alpes, Al fiosus, Alcellus,Alveus.Iccirco diximus, Fere: L, non præcedit Q,neque R. Ita n, quoque mul tas præcedit, Anco, Andes, Anfractus, Cõiunx, Angeria, Conlutibilis, Anquiro, Conrugo, Con sul,Antes,Convolo,Anxur, Zinziber. Ante B, MA Pununquam. s,interdum oblidetur ytrinquea c, in ipsadu. plici excipiens adveniensc, initio subeuntis di etionis. Excoquo:idem est Ecscoquo. Duplices nullampræcedunt.nequein cõstan-Shopli 44 tia,nequein distantia: sed vocales semper in con ftitutionç.bínGocmpovefaww.at non retinent eam pertinaciam in subeundo: dicuntenim Ariobar zanes,Perfæ, et Xerxes:et nos Anxius,vtoftendi musiam;Græcixdutw: Arabes etiam Alzit, et Al zibib, oleum, et vua; et alia multa etiam extra are ticulum. Ordo discendi Elementa, 4? $ est ordo, qui est principium, ac quafiforma Syllabæ: nuncautem diligenter ordinem nata-xatire lium,atque vsus earum videamus. Nequeenim re et e fecere prisci, aut Latini,qui quem aGræcis, aut Græci quem a Syris accepissent, ordinem re tinuere. Sed vt quæque primanata fuitlitera,ita Kesan prima quoque sese offert ad pronunciandū. Iccir " la co et a vocali,propterea quod vocalessyllabarum formam feruntfecum,et angtissimaearum recte, omnia idiomata ordinem auspicata funt, Chal dæi, Arabes, Scythæ,Græci,Latini. Eftenim Az prima,notissimaqueinfantis vox, cu qua vitæ hu ius fpiritum primum hausimus: neq; re ylla eget alia, et hiatu oris solo fine vllo cæteroru motu in, strumentorum.Ludunt enim Græci, quia Phe, nicibusAlpha,bovem dictum autumant: cuius, pecoris quali auspicio quodam Cadmus vrbem Thebas condiderit: cuiusque opera feminio illo F iiij fabuloso cives suos, quos ideo awagie's vocavit, collegisse: a terra enim oriundos mentiebantur, co dimetientes, et nobilitatem fuam et pofseflio nemperegrinis inacceffam: quo iure quali paren tem ab occupatorum amplexibus arcerent. Sic et Gai, et Opici, in Italia ab eadem terra sese nuncu parunt. Cæterum Græcorum in mentiendo au daciam fuperavit quorundam ftultitia, non in credendo solum, sed etiam in prodendo. Nosau tem Arabicæ linguæ non totius ignari, fcimus et a Syris hodie, et a Mauris qui inde advecti sunt, Taur, bovem dici: putamusque in Græciam a Cadmo eam vocem translatam, Igitur vocales A O duæquæ effent amplissimi soni A,et o,pręponen dæ aliis fuerant, quemadmodum huic illaeftan teposita: quæ aute essetobscurissima postponen. vy da v, eiusque similis altera ei apposita y. Duæ au E 1 tem mediæ, E, et 1,mediu in locus conveniffent. E Sed dee,posta,primo statim loco scribendu fuit, propterea quod effet magistra quali quædã nium confonantium: Quarum nomina, paucis exceptis, aut in eam desinerent, aut ab ea incipe S. rent. Ante alias autem cõsonantesde Sibilo pri mo loco agedum fuit: vocali enim proximus eft: H fimul et deAspiratione: nam paulo compressiore spiritu Aspiratio,paulo tenuiore Sibiluseffertur. Atque etiam de Aspirationeprius, quam de Vo icalibus dicendum fuerat. Sed quia affe et uspo tius quidam est, quam elementum, poftremam omnium commodius ponemus. O et avo eam lo co Latini conftituere,veterum imitatione. Nam quum a Simonide e, vocalis fonus, vbi perpetuo pro,. 1a tu car det 89 ) produceretur, notatus fuerit figura H, qua Athe nienses vfi essent antea ad afpirandum: atqueille eã post E, cui substituiffet, ftatim reposuisset: La tini receptam ab Atticis etfigura et potestatem, Simonidx ordinem sunt fecuti. Na Latini ipsam F, cum interponeret, fane numerum auxere: cui fedemeam quare aflignarint, baud facile explica- ", polo ri possit. Na et inusitata litera apudmultosGræ corum eft: et fi fpiritum eius impronunciatione respicias, ipli,anteponidebuit: fioriginecon templere,post, statui:fuit enim ex duplici, vn de etiam digammaappellata: partes enim totum anteire debent. Primores autem confonantum in cunnis sunt,B,G,M. quare Arabesatque He- 3 M bræi, Græcique longe quam Latini sapientius, qui ftatim poft a, ponerent B. poft quem, non c, vt nostri. facilius enim, quam c,pronuncia tur: quanquam inter linguæ vitia aliquos inve nias in c, aliquos in t,hæfitantes. L, quoquefaci--- lima fuit, atque inter primas reponenda: la et en tis enim ætatis est: itaque vdam Græci appella runt: minus commode communicato nomine etiam ipfi r.quam equidem iudico postrema in se R derecensendam,sed anteduplices tame, quarum ynaquæque eo loco ftatueretur, quo eius origo fuit: yt Y,prima sit,qa B:at z,vltimaquiac: me chupfe' dia autem z,quia Die, novum inventum Lati norum, autstatim poft c, automniū vltima col locaretur. N, autem poft L: idem eius filum pro N nunciationis vtrique fuit.Neque vero idem or do apud omnes fit nationes, fed vt cuique fre-, quetior est litera,ita prior alia esse debet.Quem FS ! 1 90 Iul. I. neFINjust admodum etiam illud intelligas, apud Vmbros prius de v, quam de o:contra apudRomanos. Figura Elementorum et earum canssa. Vnc de figurarum caussisdicendum eft: de antiquis figuris loquor: quas quiAtticas, Addressto antiquas voluerunt appellare,oftenderuntq etmultum scirent, etparum saperent, Nequees ním Atticarum cognometo circunlatz vllæ vn quam literæ fuere, sed lonicarum: pars enim lo niæ Attica regio fuit. Nam quum in duas partes vniversa effet Græciadistributa, Peloponnesum, Dores, cætera regionem lones obtinuere. Duos super hacreversus ponit Strabo certis incisos co lumnis, quos qui volet leget. Nam iidem quum in Asia loniam recensent,coloniaspro matrice ac primaria regione supposuere.Quorum mores in luxu, ac mollitiam Barbarorum quum abiiffent, puditum est Atticos Ionicæ appellationis. Cætes rum nomen et illorum vfui in literis, et Dorienfis um manfit confuetudini. Iccirco autedi ettæ sunt Anli antiguæ, quia recentiores aliis notulis vti malue quire, quibus etiam maximam horumpartem descri ptam videmus: quare etiam Maiusculæ funt ap pellatz: a notioribus igitur incipiendum est. Rabi Lacfiguraquide acciditliteris,per lineas, Qua= Liudij quam autem figura est spatium lineis contētum, paucæque literæ, aut totæ concludunțur lineis,vt " D, B: aut partes earum, vt P, Q, R: quædam vero e tiam vnica tantum linea describuntur: tamen eft eis attributum figuræ nomen, propterea quod non effent veræ lineæMathematicą, fed potius super Grana ܕܐ fuperficies angustæ quædam. Omnisautê linca, autest obliqua,autrecta.NamquodGalenus di vidit in curvam et cavam,id eftper accidens: ei dem enim lineæ contingit,vt et cavasit et curva; ficuti obliqua dimetiens linea quadratum, infe riori triangulo curva erit:superiori cava: neque enim in linea obliqua cavum a curvo melius diz ftingui poteft, quam in puneto dextrum a fini stro,superum abinfero. Sed eadem linea diftin guitur figurę vniuscavum,ab alterius figuræ curs uitate. Omnis igitur litera, aut linea,autlineis conftat:item aut recta,vti: autrectis, vt h: auto bliqua, vt o:aut obliquis, vt q: autrecta, et obli qua,vt p.:aut obliqua et recta,vtc:autrecta, et o bliquis,vt R, B. Hæc est divisio a substantia:abac, cidentiautem fic:nam transversum, et perpendi culare, etdiametrale, et iugale, et decussatorium accidentia funt lineæ vel re et tæ vel obliquæ. Per pendicularis vna,1: duxw, cæqueiugatæ: Dux angulares ad medium perpendiculum, a: vna p pendiculariscũ vna iugata,: cum duabus, F: cum tribus, e: Duæ perpendiculares iugatx diametro quadrati, n: et alio fitu z: duæ diametrales x.Sunt et curvæ inordinatæ s: na Græca ex æquo respon det sibi, 2: sunt simplices, vt aliæ:cöpositæ,vtwa et F:quarum illa originem suam repræfentat,,0; þæcnullam 5,5, pateftate. CAP. XL Cauffa fingularum, Vnc fingularum cauffas videamus. A, tota ma ipli quidem sine caussa: a Syris enim. Quid Syri? Quidam A 92 Iul. I. Laura Quidam dixere latum sonumin angulu desine 25 Airc,iugumque ipsum præscriberemetaslatitudi nis. Sed corum audaciam arguit et A, Græcorum, a quibus ipsum illud A,Auxit: et A eorundem,cu ius iugum præfcribat hiatum nullum: nam quo pa et o autexore, aut in ore triquetram poffint fi guram constituere, fane nescio. Differt autem y tram ineas rationem.Nam fi propterca fimplicis simum putes elemetum,quia primum eft: ita fane Scribas sicutArabes,quipofitæ lineę perpendicu Jaris calcem linistrorsum versusproduxcre,quali in figuram noftri Lyaut G, Hebrei inversi. Sin hia tum contemplere,patula facies eipotius debea tur,quam ctiam quadratam primum finxiffe He: bræos par est,item Chaldæos:vel ve ante hos fabu:lanturquidam, nescio quos Aramæos. eamque linea dimetiente disfe ettam, fic, quam postea concinnarunt. Sicigitur esto divaricata propter hiatum. Huicautem cum soni exilitate atq;ob Y scuritate contraria esset Y, vndeet Yonor acceperit cognomentum, figuram quoqueopposuerein versam, bifurcatam. Huius itaque sono quu pro V ximum sit v,nostrum,novaldeab eius figuradi versam facie habuit.sed subducta columella, fur cas bivias contrarias ipfi A,retinuit.cuiusnaturæ ipsum quoqueesset contrarium pronunciationis obscuritate.Ac fanealiquando fecit, vt dubitare mus, vir do et iffimus Ausonius poeta, an v,notula fuerit in vfu Græcis, ille. n. Græcam negationem O Yavnicam fuisselitera illis versib, professus est; Unafuit quondam, qua respondere Lacones Litera: irato Regiplacuere negantes. Sed ! 93 Sed videtur allusisse ad fonum Græcu et ad figu... ram nostram: exprobrat enim hocillisNigidiust Figulus, qui nesciverint figuram vnam invenire, qua v,noftratis exprimerent sonum. o, suis sibia natalibusvsq; figuram attulit, ex- (pressa piettaque oris rotunditate: sicut i,sonima- 1 xime exilis,excuffo omni tumore,ac vetre,quam tenuitatem cum e,faciat pinguiusculam, iugula vimus obeliscis quibusdam:quorum sane nume-, rus potius servivitdecori, quam necessitati: sed: aut duobus extremis fatis efficere poterantsic, t: aut medio vno, lic,:fedilla propiusaccedebat ad Csapud nos: hæc autem apud Græcos ad aspirati-> onis nota. Nam quominasfummo tantu essent contenti, in cauffa fuitr, Græcis: quemadmodum Latipiimo solo nequiverunt effe contenti, pro pterca quod eam figuram L,occupaffet:placuiti taqueternis roftrisfaciem efficere pleniorem V si autom antiqui funt longiuscula forma,ipso t,nolu describendo, quum geminaretur:idquedecoris gratia, sic, lulij. Huius consuetudinis litera lon gam vocat Plautusin Aulularia. qua interpretes iccirco,pro L,suntinterpretati,quiaBarbarorum vsu fic nunc fcribimus. B,item Græca est.sicut “M”, “N”, “T”, 2,velsono, vel Greeca figura:atC,ex dimidio Græca est:subtra ettanam -.K que columna ipfiusK.cuspisnuda remanfit, fic 2: 1. cui ad faciliorem scripturam angulum ademere. Sicut etiam ipli, quod fecere vt effect:fic ex I, D creavere sglubdu etta bali, et angulo fiebetato, vt $ non amplius Scythicum arcum imitaretur,idq Notabat Athenæus ex priscis fabulis: fic ex quod abscidissentden7, finxere ipsum p.circulie nim quam anguli du et us facilior: ppterea quod vnica lineavnico abfolviturmotu:at Angulºdua.:bus lineis, ergo duob: motibus, igitur quietein "terposica: hoc enim in naturalibus declaratū elt:: Poftea quum noftrum hoc P,concurreret cũillo rum litera, quanı Caninam vocat Persius,vt a no ftra diftaret,caudam addidere,R, ficut etipfi c,ex G quo cognatam effingerentG.atque eodem cons filio eidem addita alio modo cauda vt fieret Latic Ona litera, qua Græci carent sic, Q,quam postea in huncmodum clausere. Q. Eftetiam ratio, quare fubdidissent caudam:deferendusenim ei femper comes suus fuitilli, fic, Qv. AlimpsoFaet um autem eft,vt non folum Angulorum Grad"hebetatione,et virgularum additione,ademptio ne,Græcasin ysumsuum transferrent Latini, sed ctiam integras fervatas inversafigura reponeret: mdos,e nihil enim aliud eft noftrum l, quam illorum r. quoniam illorum 4; nimis propeeffetipfamAz cuius iugi describendi poffent oblivisci. simultur pe forearbitrabantur,li vocalis nota plus egeret operæ,quam consonans.cum pronuciatio elim pliciori penderetpotestate. Digamma quoque inversum,duplex eft í. Quare non male cxco gitavere,vty,Græcam exprimerent per antisi Andrefagma,E.neque, quominusid reciperent,in cauffa fuit,vtaiunt,fonimollitia, quam ipfum Y, reprę * fentat,noftra ps, non affequuntur.nam quod ar gumentumadducunt, id est nullum.šeguit, qafa cită eg6G estenim vbi no faciat,orisontis:qua re quod officiu præstatillis; nobis no denegaffet. Age vero quid prohibuit, quominus illi aliqua fi gura exprimerentnostrum e: nam quia Roma nis vivendileges accepiffent;etiam loquendi nori negligerēt. erat enimeis in promptu av tixand; x. nequeaddere “V”, quod ne Latinis quidemfue rat necessarium. Nam quemsonum,ipfum cica v, iunetum habet, potuit etiam seorsum, fi attri buiffent,per se obtinere.Ita etiam Angelo, fi non eft n, in cygersnon estr, geramusmorem mo rosisistis, et antigammastatuamussic j. quod ip summet fit hoc quod neutrum illorum quivit effe: Acceperunt autein noh folum eafdem eadem poteftate, et figura,eodem vel inverso situ, sede tiam et figuraet fitu eadem, poteftate vero longe Fishes dissimili:vtx,quæ illis esset afpirata, nobis effet nesting duplex: et quæillis esset media fimplexr, nobis effet aspirata geminatu f.Sed etvocalis notam ab Athenienfium institutis vfquerepetivimus ada spirationem, cuius illi vfum invertiffent.H, enim nunc pro e,longa:olim pro aspiratione Acticipo fuere,ita ctiam,vtinfererent:quos Latini suntfe cuti,Heraton:etiam in medio,KTAHS2N.quod ne nos quidem negleximus, Prohæmium. Quare poftea femper tenuit confuetudo, vtcentenarij ! numeri nota eflet H. quod fuiffet illius vocis ini tium. sicut apud nos eadem ratione, c. Ijautem et vsconsonantium figuras nonexco gitarunt,poteranttamen ficfieri, nifi Acolicum illud mayis ti. Literarum nota cum potestate numerorumfignan. dorum, C Nominum. con Flarespotius referendus eft: tamenquiafine et figura cognoscinon potuit, huc,vtopinor,com modissime distulimus. Eftautem duplex: quippe Omployelad numeros digerendos, vel ad certa nomina Nement indicanda.IgiturVnumper 1,fignabant,qñmi nimo fpatio effet virgula, sicut vnitasnullo: Ac repetebant fane vnitates, ad quinque vsq;, quem numerum per v,defcribebant: non propterea ca ea nota esset dimidiumipsiusx, quodenariûde a fignarent: neque iccirco, quia olim fcripferanț QV, et poftea q fuftuliffent: fed quoniam esset quinta vocalis:cum qua repetitis; atqucappofi tis vnitatibus,ducebantur ad numerum Denari jum: quem iccirco x. litera notavere,quia in nu mero atq; ordine vulgari statim ipsum v, feque batur. Quo confilio etiam Centenarium nume rum quum ftatuiffent per c, sequentielemento, scilicet D, Quinquagenariu deposuere. Ratio aut Centenarij a prima litera ipfiusnoininis accepta fuit: sicut et Millenarij,per m. Quinquagenarij autem notam'non a nomine,fed a Gręcorum in yftituto excogitarunt:nam quum illiper N, pinge rent quinquaginta, prisci Latini, quihuius ele menti loco ponerentidentidem L, in hunc quo quevsum substituêre: et monuim ' apud poetam fic fcriptum legi solitum a doctioribus. DantmanibusfamuliNymphas. Sane vero Lymphas a Græco víu on ductum ne-» monegat.et içigan;quasi79igfur,vtvolūt. Io no - Nomorsa minibus quoque designandis vsi sunt certis lite ris,iísque eorum primis:c.Caius:P.Publius:et in versa,vty, Caia diceretur.Ergo Publiam si lege-, remus, etiam inverso d, scribendum fuit. Sed de his suo loco inter nominum rationes, ac præno. minum disputatum est. Poteftas mutua quarundam cognatarum literarum, quas Græci vocant alsoíx85. Pgularum diximus poteftate, nunc elemento rum cognationem quandam videamus. Propriu Arhe's hit? igitur elt Novem literarum, in quincunce, quasi dispositarum triplici serie, costitui: quasiccirco Græci avtiquya appellarint, quiainter se mutua subirent fede. Noselegantissime dicere vicarias poffumus. Cognatæ vero, atque etiam coniu gatæ re ette vocabuntur. Sunt tenues tres, C, P, T: quibus addita aspiratio,totidem creat Græca pru dentia,vnica sua quanquenotula insignitas,X,Q, ©. Mediam autem interc, et Græcam habe mus Ġ. Itaque et dyxuege, et Anchora dictum eft: et Cneus, et Gneus.Inter P, et•, fuit B. quam re et βινάκια, et φιτακια, et πιτάκια dici confue visse,prodidit Athenæus. Intert, et,ficum est D. iccirco curaüta, et cx Jadro dicere Græci fine flagitio insticuêre:etnos Adque in Atquemuta vimus. Quincunx igitur sic disponetur: Tenues tres, Medix sub his, imæ Aspiratæ. Vt quam 2 F 7 1 Gj IvL. Cas. ŠCAL. Lis. proportionem ipfainter fe habent propter fpes ciem, a qua tales dicuntur,ea habeant ad cogna tas propter affectionem. eiusdem enim speciet funt “C”, “P”, “T”, “P”, “B”, quippe aspiratæ funtfemivoca les, tenues funt mutæ, media inter eas. at inter fe habent proportionem affe et ionis,id est potelta tis, quam Græci toidtorg vocant. Hasautem con iugationes quartus ordo etiam augebit. Na ques admodum tenues aspirationemutabantur: ita P Abilum additum in alium ordinem transibut. eo enim duplices evadunt,ex Quincunx c, et s, no ftrum x:ex P, et s,Græca'y: ex T, et s, fieret aliqua pari exemplo:nequerepugnat aut communi po testati pronuntiandi, aut Barbara Vasconu con € P T suetudini, quiltse, proipfe pronuciant. Sed Ma GBD tricem fuam Græciam fecuti funt Opicinoftri: a * ° quibus rccipere vna cum vocabulis quibufdam Ey z placuit vfum diverfæ duplicis,z. Diverfæ fane, propterea quod et media cum'fibilo iungitur,no aspirata: et poftponitur illi, noanteponitur: Du plices igitur in suas compares foluuntur cum in-, He et untur: Faex, Faccis:Grex,Gregis:04. Os Kiefsn.bos. CAP. XLIII. Naturaquedampropria, 1, vocalis. St et natura quædam propria I, vocalí:Nam quum cæteræ vocales ante vocales corripian tur (hoc effecit facilitas pronuntiationis, ni hil enimmoræ inter fimplices hiatus infereba tur) vaatantum obtinuit quadam quafi præro gatiua, certis velocis Græcorumoreproducere Dr tre 1 tur,rovėszíscilu,sit.id quod non penitus fine ratio nefactum eft: Multum namque temporis poni- Comsa musin exilis vocalis pronunciatų, propterea og Aatus cunctabundus exitinter oris anguftias: ic circo Græci in multis, Latini parcius produxerė. Quemadmodum in verbo,Fio:quoin verbove- rx * teres duim legem volunt constituere,errarüt: sic enim dixere, Semperin co producii,nisisequa tur E,vt in ficrem: Hoc enim falfum eft: nam in futuroFiet, item longa eft: vbi enim effet mul tisyllabum multitudine fyllabarum, vocalis bres vitati quali supplementuin milêre. Sed illi per ftantin sententia, adduntque, Non satis effe, vt £, fequatur: sed id quoqueopuseffe, vt et, fequa =! tur in prima persona:at Fies, Fiet, non eft in prima: verum adhuc errant: nam Fiemus,prima eft: itaque addere debuerant et id, Vc effet fin gularis. Sed ne lic quoqueprocederet e senten tia: ita enim priscoseffe locutos constat, Ficm. Cuius rei argumentum habemus ex analozia fecundæ, et tertiæ personæ: eti præsto est Cato ñis autoritas: Qui ita et pronunciavit, etfcri. ptum reliquit. SicPomba illa Dicem, faciem. Eius enim vocalis fonus cum infinitivi Vocali con iunctus eft, Amabo, Amare: Docebo, Docerc! Audibo,Audire: fic,Dicere,Dicem Fieri, Fien. Prætcrca, quam afferunt regulam, non bene exprimunt liceniın dicunt: Produci, natin iis cuius persona prima habebit i, at Fierem, elt persona prima, ipfa autem perfonam primam non habet. Poftremo non est ratio hæc vlla, ked observatio: at observatio neminem cogit, nog fed oftendit,quidinvenerit turpiter autem qui mugedam recentiorum corripuerein Fio. In fecun l 1Ulman dis autein casibus pronominum quorundam et relativorum, quare corripiaturin promptu ratio est,quippe ante vocalem:at quare producatur,fi cut ne aliarum quidem rerum, nullam caufam af signarunt,lllius, istius, Vtrius, Vnius: quare eam fic eruamus nos: Quæ ad hunc modum cxeunt, nonita oliin pronunciabantur: nam confonans inmultis,non vocalis reperietur,Cuius,Eius: lic erat, IlleIlleius: fic qualidiphthongusGræcare mansit, ac longa fuit. Ergo vir doetiffinus Te vrentianus non fuit veritus producere in Alteri us, quum tamen cæteri corriperent. Ncque e nimverum est, quod aiunt, corripi propterca, quod fyllaba vna numerosius fit, quam cæte. ra eiusmodi: neque enim eft Altrius, quemad modum Vtrius: fed fane quomodo fuit Vterei us, sic Altereius. Neque vero eorum ratio bo.na eft: fed vfus contentus fuit communi regu la, vocalis fequentis vocalem. Analogia autem etiam in cæteris conftar. Nam fecundus casus, Poffeffivus dictus est: Poffeffivorum autem mul 1 'ta fic invenias, Petreius, Luceius, Locutulei us, a petra, luce, locutione. Quxautem Græ ca lunt, non solum disyllaba,vtdixere,deChio, Dia, fed etiammultisyllaba', vt Sophia,et lo nium. Theocritus enim illud produxit in Sy ringa: hoc autem etiam omnes Latini. Nam quod addunt a Station Templa Lycie da bis: non facit ad præsentem observatio xem: eft cnim Auxcio,cum diphthongo. Ge 1 minata IOI ' i 7 1 $ minata quoqueet in seipsum concreta,syllabam potestproducerecorreptam,vt in decima satyra Iuvenalis: Eloquiofed vterg,perit orator.effe enimdebuityand periit. Divisa contra passa est moræ divisionem, Mihi, pro Mi. et interpofita alio elemento, mois Tibi: oi,Sibi:quemadmodum fupra diximus: Ti,x enim, et Si, olim fuerant. Cuius rei argumento funt alij casus, Tis, Te, Se. Proprietas quedammutarum,semivocalium et. Ropriumutarum, ve vocales naturacorre rheto prashabeat, Ab, Ad, At.sed c,variat:Lacenim longum est, sic Hic, adverbium: Hicpronomen breve; et Hoc, apud Plautum, vt docuimus in li bro decomicis dimensionib. Disputant,an Fac. Cung brevesit: verum apud Plautum eundemin Cure' Fac gulione longum elt. Sedgrandiorem gradšergofac ad meebfecro.Al tera enim estsyllabaspondei. Sic etiam apud O vidium in primo de Remedio: Duriusincedit: facambulet. Nam litigiosi Grammatici perverterut, cum volunt depravare, vt legatur, Obambulet:ne sciunt enim quid sit, obambulare. Neque e nim in vetustissimo codice aliter,quam vulgole gitur: et ambulantem vult videri, ob vitiu: nam obambulare,nihil eft neceffe. Duo quæ afferunt argumenta,nullafunt. Primum ab exemplis,v - 1 bi corripitur: nam in illis Face, fcriptum est: non Fac. Alterum ab analogia: nam si A pocope2 1 3) ] G iij * 102 Ivl. C's. Scal. Lis. 1. in aliis non produxit vocalem, Fer, quod crat: Fere,ne in hoc quidem debuit. At. n. non fem persequitur nosproportio illa:vtin Fio,Fies, Fi erein, cadem vocalisnunc longa, nuncbrevis est; et vfus extorquetmuta. Apo ope quoquemul ja produxitbrevia, quum moram, quam tubdų cebant ex consonante subtracta, reponerent in vocali; Pecus, brevem habet finalem:Pecu, lon gam. Quare illi iidem dedere manus, addu ai Ovidij manifesta autoritate, in primo de Arte: Hosfac Armenios: hec est Danaeíaproles. aking Quanquam autem hæc corum natura est, ta men aliis quoque camperis,fed vario fane even tu,Mel,Vel: En Nomen: Ver, Per. Mesemper çor one ripitos, Sibilus varius eft,Suus, Suos. Dicimus autem commodius nos,quam veteres dicebant, mutas habere vocales breves; at illi aliter locu malamiti sunt, Mutas esse breves, dupliçes autem lon gas: Neque enim consonantium affectio eft, yel corripi, vel produci: fed quarundam natu ra est y patiantur vocales corripi: duplicium autem efficere, vt illæ producantur. Șienim con fonantes producerentur,aut corriperentur, non « egeremus vocalibus in pronunciationc:ncquee (nimtengres,aut temporain consonantibusfunt; z,enim producit:non est products ipsa. Sic'non reet te dixere liquidasesse breves: ncque illa ora etio proba eft, Liquidæ brevem efficiuntiyllaa bam. Nam quod duplices longam faciunt mo s ra ac difficultasin cauffa eft: at liquidębrçvem facere non poffunt: fi enim possent,vbicunque poney 1 Du fue • ponerentur,faceret:hocautem falfum eft:sequi turenim tam l.quam R, longas: vt uñaoyswow. Sic duplices,aut duplicatæ, non producuntqualibet fyllabam:nam tūkis priorem produçit natura, na positione: sic, yncasa. Nonfaciuntigitur vt fit brevis, fed permittunt, neque mutant:nullami gitur habent a ionem: vtin Patre, nihil mutat, fed patiuntur talem tantamģueelle,quanta ratin Pater. iccirco a Græcis et molles, etvda dia, etx sunt: at mollis non est agere, fed pati. Deaspirationis poteftate fecundum loca, INterestaspirationisomnib,interdum praponia vocalibus:vni autem y, femper,nilimore Aco- tini lico: eam enim non aspirant, vtdiximuseIgmca dio autem inter, A, E,1,0, Athenielium imitatio ne, qui X TAHAN, scribebant.exempla funt, Ha mus,Herus,Hio, Honor, Humus: Vaha, Vehe mens,Mihi, Oho. Præterea anteponi diphthon gis omnibus,Hau, Hcu,Hei,Hac, Hoedus. Hu iussonum mępuero non audisses:nuncmaxime” observant literari:quida erią putide. Indo etti vero etiam locis non neceffariis, ita, vt latrare videan. tur: id et irridebatin Arrio Catullus poeta: cuius fales quum Politianus exultabundus iactar fefe ințel exisse,non est assecutus. neq;enim satis est, cat tam, deprehendereaspirationes,quæibitüessent afcri.charta'. præ:fed opus fuit cautonelepidissimi, poeræ festi vitas refrigefceret.Nam quare, multa verba cum proposuiflict,Chommodaet Hinsidias, clausite pigramma flu et ibus potius lonij maris, quam  I. Adriatici? Sane quia ab Ione cum diet a effet tų regio,tum mare,factum eft ab Arrio, vt ab hiatu, quem aspirando affc et abat, Hionij dicerentur, Congo Consonantibus tribus apponitur, quarum ex na hy emplafunt, Chremes, Philippus, Thraso. Non temere autem dubitatum eft a nobis olim, vtru Ane pia wyr, ab aspiratione antecedatur vocalium more, Cobek restulan antecedat eam ritu consonantium. Ratio du bitandi fuit; nam quum aspirationis loco pone bant, B, præponebant ipli R, vt Bretor: ergo si vices gerit,videtur etiam locum vindicare. Præ terea R,nulli confonantium præponi poteft: er go neque ei, quæ consonantis habetur loco. Sa ne vero aspiratio ante vocales statuitur, neque valde differt ab Acolico elemento." Poteft et il lud augere dubitationem: excogitaturos fuisse Græcos aliquam notam qua concretam afpira tionis et illius literæ significarent potestatem, fi cut cum complexi sunt, alia tria, 0,1,x. Sed no tula imposýta ipli Roostenderunt eundem vsum - aspirationisin co fuiffe,qui et in yocalibus intel Comhaligeretur. Contra tamen Latinietiam in yetustis monumentis postposuere. Causa afpirandi fu it foni volubilitas, atque vibratio, vt diccbamus. In omni autem vibratione recipitur aer per in tervalla: quare intra ipfum potiuselementum a spiratio ipsa, quam præposita percipiatur, La tini autem sprevere illam asperitatem. Na quem no Lahiris admodum extra ipsum K, eam deprehendasae ris crassitiem geminetur? enim, quod apud Cræcos fit, non possis præponere fic, Pyfrrus, fcd fi postponas fic Pyrpfrus, non potius video re ros Roiz, re priorem literam, quam pofteriorem onerare. Quidam minus sapienter etiara Romamafpirats cum tamen Romani ipfi de fuo R, omnem exe merint vsum aspirationis. Stultius autem, quie tiam Renum fluvium: neque enim Germani ei elemento apponunt flatum vllum: Leniffime e + nim sua lingua pronunciant,iudice, etannulum, Richter, et equum, etalia. neque par est nobilissimæ gen Ring, tis fluvium a Græculis rationem nominis acce Rf: piffe:fed qua nunc voce pruinam appellant, for tasseaquam omnem gelidam, atque inde etiam Renum nominarint.In opdGautem etOzolucov vidcris quemadmodum præponatur ipli R, fuit enim regedod. CAP. XLVI. Demodo, ac rationescribendi. Ostquam literarum originem,numeru,cauf-tako fas,atque ysum contemplati fumus:interestyuaphone's veri philosophi illud quoque indagare, vtersit modusnaturæ propior in fcribendo:ifne,quein Hebræi fequuntur, a dextra noftra in sinistram introrsum:an nofter, quia sinistra in dextram ex trorsum excurrit: eft enim motus vna ex causis li terarum: quaremotusipsius ratio five modus li- ie terarum quoque generationis erit affeettio. At- 4f. queilli quidem tuentur se mundi origine, quafi cum naturæ legibus omnia inftituta fua tumin corruptąnaet i fint. Cæterum hoc nihil iuverit cos: quippe multarum artium invęta postilla ru dimenta emersere. quare consulta factum sit, vt multis cum aliis corum legibus, hocquoque fit GY d Si 106 IvL. I cmendatum: atqueiccirco arazionibusdeducen da fint consilia huius consuetudinis. Poterutaf ferre, motumcæli effe a dextro in finiftrum: at queita eorum tra et um in scribendo cæleftēmo tum imitari: a dextro enim in sinistrym ducunt. Huic rei fumma cura certis in locis refpondimus; etin libris de Calo, et in Commentariis de In fomniis. Cælum neque dextrum habere,neque Chafiniftrum.Ad hæc multæ sunt rationes,quib.per 1 yerse scribere arguuntur. Principio motusma nus naturalis extrorsum est. quies epimintusad peet us et oculosin fætu. igitur primusmotusex trorfum explicatur. quarepugna quoque ficcies tur, et cætera opera, extento brachio, non retra. z cto. Præterea nobis relinquitur fub oculis ad contemplandum, quid, quantum que descriptum fit: quod illis calamo acmanu tegitur item in « dextrum humerum converfa facic funt ftatuæ, atqueimagines: sic enim etcreditæ sunt opus su um refpicere, et contra hostem stare:quare Aqui larum roftra in fignis ad cam quoque partem fi et a fuere. Ergoobtutus nofter suapte natura plus dextrorfum versum fertur, Illud vero argumen tum invictum est, cosipfosinter fcribendum li: terarum ipfarum virgulasac lineas directas aut transverfas a finiftra inchoatas, in dextram defi, nentes terminare.Quæigitur partis ratio, eadem etiam fidtotius et quemadmoduin linearum tra f et us,ita literarum quoque ordo servadus erit.Sed Notexpripam priusinvenitgens illa, qua scripturam. Textores enim tramæ primum filum introrfum iaciunt:idautcm coaet ti, non natura, quoniam dextra manu cum incipiunt, et finiftræ operavi cissim petunt,fic motus fuit auspicandus. Verum iidem ipsi, vbi cætero opere naturæ legibus ad movendum libere vti poffunt, poliuntque telas, aüt pannos, aut sepum inducunt, et furfures: tum vero extrorsum versus a sinistra in dextram, iure suo vt fruatur manys in excurfum, faciunt. Elementorum affe tus adprincipia fyllaba constituende. A et enus quæ cuiusque esset naturaitteræ, dici- Rako mus,explicanda eft earundem ratio,quam ad fyl labam ipsam cõstitucndam iniredebeamus. Co fonantibus igiturconvenitomnib. di ettiones in Puchonse choare, atque etiam terminare, præter G, Qız:hią çnim nulla præfinitur.nam confeflum eft VESPE RUG, ita fcriptum esse,ficut Pont.Max.item FOR TITUD. sicut TERT. et EXERCIT. Dep,non opore çeţ dubitare: Volup.enim etapud Ennium et, a - Y pud Plautum etiamnuocquibusdam verfib. ex tantibus de seipso facitfidem. Vocales autem z que omnes, et inchoant, et claudunt, Ama, Ede, Oro, Ivi,Vsu.Item diphthongi,Ænças, o Ebalia, Eldus, Euge, Aurum: et claudere, Væ, Evæ, Hei, Hau, Heu. Vocalis vna Græca ab initiis exclufa fuit lineaspiratione,nisi moreAçolico,y. A dua bus consonantibus poteftincipere, ficut aduab. vocalibus,vt Cras: fed etiam a tribus, vbifuntli quidx cum c, P., T, líbilo præcedente, Scopus, Scrus s' 0 I 108 Iul. II. Scrupus, Spledor, Spretus, Stalatum, Strepitus. et apud Græcos etiam addita aspiratione, odegyis, In duaspoffunt definere, Hyės. etin tres, Stirps. Quarum quædam iam sunt declarata. sed hîc per conclufionem quandam colle et a fint pro prin cipiisfyllabarum, more Peripatetico. Que fitformasyllabe, quamateria, VEMADMODUM ex elementis primis quatuor naturain vnu coalescentibus fit id,quod mistum dicimus, et ex puneto fit linea; ita ex literarum coftitutione id con fieri dixere, ab ea comprehensione ovina lew Græci vocant: q obcaufam etiam lic definivere: hrib Syllaba est comprehenfio literarum fub vno ac centu,etvno fpiritu indistanter prolata. Quam definitionem et falfam effe, et eius partes male cohærere oftendamus. Nam ficuțlitera ipsa est quiddam indivisibile, non autem privatio divi lud fionis: ita fyllaba erit quiddam divisibile, non au tem ipfarum partium comprehenfio: atqucid ex co manifeftum est, cum dicunt, fyllabam ex bi nis aut pluribus literis conflari:at comprehensio non dividiturin literas: nequeenim vnio mate rix et: formæ corpus ipsum eit. Male etiam dixere prolatam: acciditenim fyllabæ proferri:poteste nim et fcribi, et in mente reponi ipla: quare ita di cantreete. Quæ proferripoffit. Tertius error ex his manifeftuscit: nam G lubyno accentu eft, eric et fub vnospiritu, et fineintervallo: suum enim quæque fyllaba accentum habet: ' vacant igitur hæc. Poftremopessimo consilio putaruntomne mnyama fyllabam multis concrescere elementis: accidit lekerk; enim huic rei,quam syllabam appellant, nume ruselementorum. Si enim essetessentia syllabæ, ergo substantia reciperet intentionem et remif fioncm:hocautens falsum eft: atquehac ratione, pois fyllaba hæc Stirps,effet magisfyllaba, quam hæc, Ab: aťmaiorest p quantitatein, non autem ma gis per substantiain. Nam quodaiuntmonogra matas ' vocales, non esse veras fyllabas, ridiculum est. Quidigitur sint? Imo vero verissime sunt hoc, quod falso nominesyllabæ vocat: quoniam pacaloy nga etpriores funt,et fimpliciores, et hocipfum funt, quod aliis communicant literis. Syllabæ igitur econe i'ne nomen falsum est, atqucaliud quærendum: vte mur tame vsitato vtintelligamur: definieturau tem fic, Syllaba est elementum subaccentu. Ita- alt frankos queetmateriam habebis, et formam: eftenime lementum materia:id autem perquod accentum poteftfuscipere, forma. 1 Acci IIO ivi. L 1 B. IL w.Accidit autem numerus elemetorum syllaba ficut plan is foliorum et ramorum, etradicum,et fibrarum. Nam animalibus quoque satisest, si ýnum instrumentum habeant sentiendi:neque enim desinunt effe animalia. Itaquelianimal de finias, falso apponas, pluribus conftitui. Hos au tem quod dicimusaccidere, aut fitquod Græci proprium vocant, aut esto etiam differentia fpe cies certasdistinguens in rebusnaturalibus:at in fyllaba DĖ, nulla forma eftfeparanseain ab hac fyllaba, e: fedpars illa tantum inaterialis scilicet, Daccidensipli e. Numerusautem est a fingulis ad senas vsquc,a, Ab, Abs, Mars,Stans,Stirps, xi 998: dempta enim diphthongototremanent. Sekrompi. Germanis etiam longe maior. Intelligoautem nunc diphthongorum vocales numero notufa rum,non sono feparatas. Aut igitur fola vocalis Wir helt:aut cum alia,vt in diphthongo: aut confona tem vnicam præcedens, Ab: autduas, Abs: aut tres, Stirps:aut vnum fequens, Da: aut duas, Dra. co: aut tres, Strenna. Quare licet non adinif rit vsus,tamen quantum earuin natura fert, octofte literarurn poteftfyllaba: fiquidem trinis oblideri consonantibusdiphthongi sonus patitur. Eam tamen afperitatem mitiorem fecit vlus,exhilara - A53 ta'tristitia confragofæ pronunciationis: vtalter nis, sitres præcederentcolonantes,duæ subirent.'. ete contrario. Consonans,que interduasvocaleseft, vtriapplicetur. Riore libro de Systali et Diastasi dixiinus: vt literarum ' mutuam cognationem, quæ pars eithe 2 er 21" Do Ĉavsis LInc. Lat. tü Ś.  Erat poteftatis intelligeremus. Nunc vero videnia dumeft, quod et veteres disputarunt; ad vtra fyl labam constituendam conparetur consonans, quæ inter duas vocales fita fit. Ac Herodianus quidem ita sensit, qualemcunque vocalem hæ rere præcedenti consonanti: fi dictio inveniatur, soula ab eadem incipieņs consonante. non quod hoc illius cauffa fit: sed quia per hocillud cognosca tur.vtin verbo Fero, quod bifyllabum sit, R, po sterioris vocalis effe, non prioris: idemque in co. pofitis debere observari.Nam quanquam ex Ab, etAetus, coinponirur, Abacus, tamen vbi duo hęcin wnurn convenere,B, coire cum a; sequenti in fyllabam,non cum præcedenti. Sed adversus C- s, hanc senrenuam fic argumentantur:in abigo, a B, accedit ad fecundam vocalem, ibi primanon ' poterit corrip,propterea'quod iam fit A, præpo sitio, quæ femper et vbique longa est. Item in Circumago, non fieret clirio ipsius m, si sequen ti applicarerur: p ærereain Abhinc, et Adhuc,b, et c,aspirarentur: id quod eftabfurdum,ac nuf quam receptum. In tandem fententiam videos tur inclinare Quintilianus, atque in vocib.com pofitis syllabas dividire pro modo partium, in Arofpice, et Abstemnio. Vt has rationes solvain mus, animadvertendum eft, cum ex duabus vocibus vra fit, non accentum folum, fed litems rarum quoque exigi cohærendiam: neque e. nim ita pronuncies, A bactus, compositum,vt Ab, Aetus, difiuncta. quianam igitur pronun ciatione efficietur, vt B, a fequenti vocali fub bahatur? Adhæc,lipicuita a petendo vitam dom > 2. catur, nisi cohæreat T, cum v, semper sit v, con. sonans:at non eft.Sic in hac voce, Etiam, duæ ef sent fyllabæ, Et, lam: est enim consonans i, in Iam: fed pronunciationis tractus cogit nos ele menta coniungere.Poftremo, corum regula hæc eft, et vera:Nulla fyllabaaspirationeterminatur. Igitur in his vocib ',mbwuszeor, et diximus,apud Lycophronem, et dimostov,quid comminiscen tur? aut enim in aspiratam delinet prima fyllaba, autid fiet, quod nos censemus. Nam argumenta illa omniaridicula funt:ac primum quidem'puti dum.Nam in Abigo, licet B, subtrahaturpronun ciatione,non tamen est A,præpositio, sed vocalis ipsius AB, non enim propter B, sit A, dut longum, aut breve, fed vfus autoritate:neque enim fieret vnum compositione: fed fit tamen: quare quam quisque poteft,fedem occupat. Neque vero dica mus, quod is, qui ita corrupit versum Ovidia num Sive quis Antilochumnarrabat a Memnone vi ettum. quanquamin compositione, five lim pertinacius cavillari, oftendam in voce hac Amarum, etiam corripi,fi illorum trupov sequa 2mur.quoniam aMari,venit:Alterum argumen tum sic diluimus, auferrim,in Circumago, quia subiens vocalis non patiatur, non tolli autem, si nolis. vt apud Ennium, Tumdele etta virum sunt millia militum octor quod et in Comitio, manifeftum eft. Nigamus enim hoc,femper poftremam consonantem acce dere ad fubeuntem vocalem: fed id tantummo do evcnire,cum eiusdem initij reperitur, vt dixi (Inuse mus, vox. Quare cum nulla vox a B, incipiat al piraro,disiun ettis sedibus hæc duo inter fe erunt. Sicut in adbibere, nemo nostrum dicat præpo fitionis confonantem, cum initio verbi coniun gi: impeditur enim. Hocigitur impedimentum etiamab ipsa aspiratione allatum est. Ex his sequitur,in fimplicibus tantum,fifylla- saj n2 ba incipiat a vocali,necesse esseeriam præceden tem vocaliterminari. In compofitis autem non neceffario: Comitium,Coco. Item quemadmodum fyllabarum initiaa vos isa's cum initiis menfurantur: ita et fines a finibus. Quare in voce hacIlhic, debet etiam effe aspi ratio, quammale faciunt,cum omittuntrecen tiores. Cum enim reperiatur fimilis literarum fo cietas in verbo Est, potuitprima fyllaba esfellt, postrema Hic: atin yerbo Illic,non potuit:pro. pterea quod nulla yox in eandem desinit ge minatam, neque ab eadem geminata vlla in. cipit. Illud quoquehinc constat, in quamuis voca- receila lem desinerefyllabam polle, quauis sequenteccoccoon nang fonante, Itemque syllabam non finalem quali bet consonante terminari,quæ geminetur. quod fiduæ diuerfæ fint,in F,G,P,s,nequeuntdefinere, Hisenim nõ finitur fyllaba, nili geminatis.Quod autem etiam addidere, B,etT, errarunt, Abnuo, Atque, Abseco, Ætna. In q,nullam terminarive rum est, quia v, habeat comitem:Sed in c,non estverum, Ecbasis, Ecquis, Eçdosis, Pyracmon. Quod autem addiderunt exemplum Acnc, fal. fumeft. Scd.c, transit cum Noad finalem voca H lenlem:quia dicimus,Cneus, Cnidus. Sicut etillud erraruntidem in A et us:dicimus enim Ctelipho. In'd, autem definit sequentibus fere omnibus li antiquorum more maneat incolumis in com pofitione, Adbibo, Adcurro, et reliqua. In 1, definit, cum mutæ fequuntur, Album, Calcar, Caldus, Algco, Alpes, Altus. etante semiuoca les, excepta R, Calfacio, Almon, Alnus, Alfiosus. etconfonantes duas, Aluus, Saliuncula. Eandem proportionem na et umeft R,Arbor, Arcus, Ar deo, Argus, Arpi, Artus. Item ante femiuocales, etiam ipsol, viciffim non excluso, Arferia, Ar ma, Arnus, Arsus,Perlego, et vtranque confo nantem,Peruicax, Periurus, etiam ante ipsum Q. Arquites. In-H, nisiperApocopen fyllabam exire ne garunt. Ah, Vah. fuiffe enim Aha, Vaha. et verifimile fit ita factum effe: fæpe enim do tentes etiam nunc fic geminatum pronuncia Inm, fi sequatur B,P, Ambo, Amputo. In N, fubeunte “C”, “D”, “F”, “G”, “H”, “Q”, “S”, “T”. An con, Andes, Anfraet us, AngeronaAnquiro,, Ansanctus, Antes'. et more veterum ante R, Congruo. etin paucis ante duplices duas,Anxur, Zinziber. His rationibus deduci poteft, fyllabam termi. hari poffe quauis confonante, cuius natura lita sptageminati. mory Item constat, veteres ca sententia falfos effc, ss fyllabam finiri ante c, in Abscodo:etenim,Sca tam, dicimus. Ncqueverum effe, inx, delinere fyllabama mus.nis. nem. fyllabam sequente vocali. quippe diximus, Xer nia: et Anxur,eorum fententiam iugulat. Omnis autem litera præcedens i,aut v,çonso nantes, neceffariofyllabam terminat, fi eas con fonantes aliæ sequantur vocales: yt Cuius, Perią. rus,Aduolo, Cauum. Namin Cui, et Huic, nul. la fequitur vocalis. Item fi ipfa geminetur, Maila. In X,autem desinit fyllaba præcedens c, et co.2 parem fuam, q, et P,et T.Excurro, Exquiro, Exzen. pono, Extendo.itemL, Exlex, z, femperinitium syllabæ facit, punquam fi - 2 Nulla diphthongus in duas definit consonan tes: non quod eius natura repugnet, vtdiximus; fed quia vsus fic obtinuit. Duplici enim poteft terminari,Fæx,Faux CARL Syllabarumaffetme Voniam fyllabarum fubftanţia partimex materiafit, quæ funt fiţerxipfapartim: ex unol'est forma, quæ eft ipfa natura recipiendi pronun çiationem in partem di et ionis: fyllaba iccirco affe et us quosdam pa et a eft fecundum materiam, yt numerum elementorum: alios autem fecun dumformam, yt tenorem,fpiritum,tempus.Do pumero igitur primum diximus:materia enim quam formaprior.Denumcri autem affe et ionis bus nupc. Syllaba prepositio, geminatio,appofirio,interpofitio, ablatio,extritic94bleißcran politia Vm igitur ab singulis ad fenas literas fylla ba augeatur: quibus affe et ibus eius partes obic ettæ sunt, iifdem etiam ipsa agitata cst. Nam quemadmodum præponebantur elementa,fic et syllabæ, Durus, Edurus. Interponuntur, Impe rator,Induperator.Apponuntur, Videri, Vide fropiatier.Hocautem amplius, quod abnullo gemina to elemento incipiebat vox:at incipit a syllaba geminata, Pupugi. In nullum geminatum deli nebat:at in geminatam desinit, Scindidi. Con tra, Elementa in medio geminabantur, fyllaba pane vautem nulla: vicissim quoque aufertur, vt apud Vergilium, Inter secoiseviros, et cernere ferro.pro, decerne, re:ficenim legunt, abscinditur, Vaha, pro Vah. etapud Homerum, fwy wpło nima, prodwa,kestis Astorgow, quod et lusitin poematico monosyllabo rum doctissimus Ausonius. Exteritur e medio Deûm,pro Deorum.TransponunturQueibam,, etAdeibam: quod Adiebam, et Quiebam fuit poftea. Mutari vero syllabas vt elementa, omni no constat ex eo, quod vocales mutantur ipfet: quarefyllabam ipfam mutari necesse est. Acque Gura admodum ex vna litera duæ fiunt, Mihi, ex eo quod erat,Mi,et contra:ita euenit fyllabis quo que,Aquai,Aquai,etCui, Cuï.econtrario apud Varronem, Et te flagrantideieettum fulminePhathon.Et sicuti quædam cx clementis semper præponuntur, vt  z, et v.consonans, et q: nunquam poftponuntar: Alia e contrario postponuntur femper, yt, V, quando neque confonans neq; vocalis eft: non nulla fine discrimine vtranlibet fortiuntur fe dem: ita syllabæ quoque, quæ ex illis suntconsti, tuta.Affe ettiones aformasyllabarum. Accentus. Væ vero fyllabæ acciduntpropterformanı per quam syllaba hoc eft, quod eft: ca fub accentus appellatione, tripartita diuifionc complexifunt: Tenore, Spiritu,Tempore. Hoc igiturloco quid fit Accentus, quoquemodohæc contineat, videamus. Canere Latini ab hiata Cana dixere Græca voce Exaver: nam Æoles ab co WS quod eft x cives,non apponuntincrementa præ teritis,sed dicuntyavor,demuntqueaspirationes. quasi rem Barbaram. Est autem canere, vocem modulis certis tollere, autpremere: certilq; tem poribus producerc, aut corripere. Idquod cum in pronunciando necessario eueniat,quibuslegi bus fyllabasmoderaremur,eas legesAccentiones, Acorns Accentus, Accetiunculas,Moderamenta, Vocu lationes Latinivocarunt,Græcos,imitati,qui ea dem de caufla megtudhas nominabant. Cum i.nthin giturvocem quantitate metiamur, et fyllaba in voce fit, vt in fubieetta materia, et quantitas tri plici dimensione conftituatur, Longa,Lata; Alta: $ neceffario fyllaba quoque iisdem rationibusaf fe etta erit, vt Leuatio aur Preffio in altitudine Afflatio aut Attenuatio in latitudine: Tradu Hiij, ia 0 1 Sto 20 M ti Mm et i n3 Ivt. II. + in longitudinefit. Hæcigitur tria interdum vnt cidemque syllabæ aliter atque aliter cum poffine contingere, videmus eandem longam aliquando circunfexo, aliquando acuto insigniri: alteram vero nunc tenuem, nunc aspiratam:non poteft keri,quod quidam profeffi funt, Accentum effe modum quantitatis syllabarum: vnam enim tan tumvim ex tribus compleši funt. Sed nos fic de Eniemus,Modus fyllabæ. Intelligo nunc mo dum, quod Vitruuiuset HoratiusModulum, id eft, menfuram propofitæ rei. Ouomododiftinguantur inter setriansembra diuifionis,o Tenorumratio.,quot dimen fiones: Altitudo, Latitudo, Longitudo. Quare falli sunt veteres, qui Accentum fyllabæ quali qualitatemidefiniuere. Grauecnim etleue in E lementis primarium est. Inde translata ratio eorü ad dimensiones quantitatum, propterea quod locus fit fuperficies ambienslocatum:motusau tem fiat in loco:graueetleue ratione et motus et locorum dicatur. Igitur in voce quæ esset affe ettio aeris, inuentæ sunt rationes quantitatis,fea omnes fundum aeris dimentiones: idquemathematicis incis deprehensumeft nam altitudinis ratio eft w kylineaperpendicularis. Iccirco cum vocemtolle remus, ca liñca signataest. Sed cum eadem linea fecundum superiorem partem indicetaltum, se cundum inferiorem notetprofundum: facien Cum fuit, vtleuatio vocis diuerfam notulam haberet adepressione. itaq; excogitarunt virgulam afscendentem,eo tractu quofcriberemus, index teram scilicet nostri partem sic !. quæ autem de pressam indicaret,quali caderet contrario situ, /. Cadit enim manus noftra cum pingimus eam, Atque hanc quidem suo nomini reliquere,Gra- your vemque appellarunt, ab inftrumentis scilicet vo cis: propterea quod in gutturaut pectuscam de mitteremus. Alteram autem prioremillam ab ef fe et tu potiusnominarunt, Acutam:ferit enim au. res, quarum viribusobieetta eft:acfane plus ponas spiritus latiorisin grauivoce, anguftiorisautem in acuta. Quare et pueriacutius canunt, quorum guttutangustius eft: etlatiora,crafstorague instru mentagrauius fonant: vt etiam ab illis grauem sonum dixerit Pythagoras. Ita omnibus in rebus se certissima ratione libi ipsa respondet natura. E venitautem yr duæ fyllabæ inter se concurrerent, Hilers quarum prior priorem haberet, id eft Acutume altera posteriorem,id eft Grauem: quareex cum coalescerent, concreuerunt in vnum etiam ipli apices, fic, A. quem Græcicum mesco wjfuer dixc re,abusi lunt licentia inuentionis: neque enim circuntractus fait, sed suarwufor rectiusnomi naffent. Nostri quoque Circunflexum cum ap pellarunt, ad celeritatem potiuspingentis manus respexere, quæ vnico motu virgulam arcuatam fecit,angulodempto fic,, Hosomnes Græci tokss, vocauere,translata eneo rationc a fidibus, quarum intentioneautremifm.com fione acutior graviorveredderetur vox. Inde nos Tenores, propterea quod noftrum tenercindea Hiiij. du 0 Move duxiffemus, fcilicetadToTeiverv.nam quod ni xu quodam arceremus, id beneficio TWV TVMVTON fieret: et tranflata fuit significatio ab helcyariis, et aurigis currus inhibentibus: item militibus prædam diuidentibus. Hocpotes ctiam percipe reex maximi poctæ Oppiani piscatione quadam, atqucanteeum ex Theocrito: quorum versibus trahentium tenentiumque nixu primarii nerui TAYOY TIS extantesdeclarantur. Siigitur Latum a Longo, et vtrunque ab Al to distinguitur fpecie, specie quoquetenores a { piritibus, et a temporibusdistinguentur. Ve rum non ita eft: perpendiculariseniin linea a duabus transuersisdecussatis non diftat specie.Sedin so spire Ziance. corpore quadrato mobilieadem linea nunclati embar yang Xudinis,nuncaltitudinis, nunclongitudiniserit: neque enim differunt,nisi accidente.Id quod fa ne pertinet ad Metaphysicum: et tactum efta no bis atqueexplicatum in quarto historiarum dea nimalibus. Spiritus, Lter fyllabæ dimensus est Latitudo, secun Info dum quam fyllaba est aut Craffa, aut Te nuis. nam præterquam aut producas aut tollas vocem,dilatare spiritum potes, atque adderevel vocalibus, vel consonantibus. In tenui autem pronunciatione minus exit fpiritus: namet hoc Computerrarunt veteres, cumin tenuinegarunt spiritum nouelle: sine fpiritu enim non esse vocem in quarto hiftoriaru,etin fecundodeanimadeclarauimus: Nullum enim animal pulmone carens, vocale eit:fed lonum emitterealiis inftrumentis constat. Iccirco nmin, Græci vim illam vocauere, noftri leuem:propterea quod craffum in corporibus vi- www deretur effe graue: et lene, quia facilius laberc-. tur. Hoc quoque ex philosophia depromptum est. Nam corpora latiora, vt laminæ plumbex, diutius fluitantin aqua: breuiora autem citiuse uadunt ad fundum. At eadem ratio eft corpo rum grauium ad descendendum, et leuium ad ascendendum: Nebula enim angustior citiusaf cendet: sic et fpiritus præterfluit commodius fauces, quo est aret iore superficie. Qui ftudent voculis mutandis, maluerc dicere Læuigatio nem, male: neque enim ipsa fin læuigatvoca lem, sed nota est vocalis læuigatæ. Catullus autem eo, quo diximus, epigrammate vtrunque coniunxit, Audiebant eadem hæcleniter, etleuiter. Alteram Græci sarão, noftri Denlam: ftipa tur enim fpiritus vberior acfrequentior inter fauces: itaqueet Crassam, et Flatilem vocauere. Nam Aspirantem æque perperam, atque illam læuigantem. Atqueolim quidem tu apud Athe nienses,tu apud nos, sola craffa nota,quam fupra diximus habuit, H, quæ in ordineliterarum po neretur: vbiautem deeffet ca vis, is defe et us,de fe et u quoque notulæ fignaretur. Poftea veroa RRatio vsus obrinuit, vt feet a hæclitera, aspirandino-figma tam exhiberet dextra sui parte fic, F: sinistraaut quæcontraria esset, contrariam quoque lignaret sig i. Nequeiam inter literas, fedtanquam apex $ H V. literis imponeretur. Mox ad celeriorem motum anguliilli, vt in aliis multis hebetati,redu ettæque norulęin căpares semicirculosdextru læuumque fic, c,5.Quæremusautem et hoc veteribus indif-. Anger cuffum: propriane hæc affe et io fitvocalium: an criam communis consonantibus: videtur enim coaluiffe cum T, in, etcum aliis duabus. Verum in libro superiore, neomnia turbaremus: secuti fumus priscorum fimplicitatem. At hîc exa ettius interest philosophi contemplari haud ita effe: fia Rosolitus enim craffitudo antecedit vocalem, non se quitur: fic, usagers ergo cum præponitur confo hans ad copofitionem, ide flatus eiusdeelementi cft,newbusegov: non autem consonantis, nisi qua tenus ex ea et aspirata vocalivna fyllaba fit. De tempore Saudi Yllabæ morammaiorem minoremve longia tudinis linea dimerimur: productionecnim Kone vociscomparatur. Itaquetardi sermonis, aut citi dicimus hominem. Iccirco cui syllabæ plus im penderent temporis, eam Longadixere:cui mi nus, Bredem vtrunque autem fub quantitatis ratione continetur:fed ita, vtinter se referantur, atque relatione fint contraria, ficut magnum et paruum. Iccirco vnopluribusve temporibus co Ititutas, dixere syllabas. At omne tempus quan tum. Sed de numero videndum eft. Antiquific dixere:longam conftars duobus temporibus,bre wem ynotempore. Sane reste: cum enim syllaba breuis prior sit et natura ettempore, quam lon gasita eiusmcnfuramagnouere,vt vnum tempus bac dicerent: quod tempus cum protraherent adal terum tantum, non immerito et longitudinis ad ditione, et geminatione tra ettus inetiti sunt. Ita-, quefiguraquoque longætransuerfa linea signa- Fashion ta eftlic,-:Breuis autem dimidio tantum erat ex plicanda: fed inter scribendum excurrentis in terdum manus error fallere potuiffet: quare ed deuentum eft, vt notula; quæ circunflexo aduer faretur, aduersam quoque ei figuram haberet, fic, 9. propterea quod non nisi longa fyllaba circumflcetatur. Noneffeplures accentus,quam quot dietifunts Vm igiturfyllabas non nisi prædi is mo dis tribus dimeriamur, non nisi accentus semper ptem erunt:quoru Primus extrema duo,medium habet vnum: Alter duo extrema tantum, fineme dio: ac Tertius eiusdem modi eft. Iccirco erat ali quid, quod dubitaremus.Etenim relatiua ficain what's rentmedio,graue etacutum,quo modomedium habuere circuflexum?aut fi inter ca hocfuit:quar reinter tenuitatem et aspirationem nõ fuit, quæ erantcontraria per positionem?In vtroque enim exit fpiritus:quarc etiam mediocris potuit. Acde longa quidem ac breui mora iam fupra dictum libro, eft,quemadmodum in musicis,ita in syllabis cer ="ubering ta ratione alia atquealia, plus minusvenoræpo- Jam tant ni. Nam et longa fitmatura, et fubeat duplex, aut duplicata, vttrğusyawarayvideturin ea pluspo ni temporis, quam fi fimplex consonanssequa rur. Itaque etli longum breueq; ratione compa-7 rationismedio carent: ipfæ tamen quantitates, 1 lab OG Tip Lico 124 IvL. II. Cibro de ankitanchalia 1 in quibus litæfunt relationes, possunt magnitu dincaddita aut dempta,medium recipere. Omnis cnim quantitas apta ' nata clt fieri vel maior, vel minor, quatenus quantitas est, Dico autem fe sundum rationem quantitatis, propterea quod corporatione fubftantiæ eius affectus immunia funt. eft enim maior homo, vt est quantus, non vt apheft homo. Sic inter afpirationem extremam et extremam exilitatem spiritus, fiue nuditatem, a liquod fuit medium: veinter T, et, fuitd, et quæ fupra diximus. Id quod manifestum est, liidiomataiplacomparentur: nanque Arabes af pirant suum: et Græcum x, fi ad Hebraicum comparetur, non iam ficextrema,fed media aspi rata: efummoeniin gutture Græcum,Hebra um ex imo pene pulinone prodit.In graui quoque et acuto ratio par:ex vtriusque enim compositione faetum eft tertium quiddam medium, ficut ex e lementis naturalibus corpus aliquod, cuius mc tus extremorum loca non appetat. Harum au mohalgo tem differentiarum notulæ quæ medias illas na mirasxturas indicarent,aliis atque aliis confiliis suntin ftitutæ. Nam in tenore composito figuram ex cogitarunt. In spiritibus mediis non ita,propter ea quod certis consonantibus includeretur,B,Gj D. In temporibus autem omnem tractumqui ve sodiy num tempus fuperarct, breuitati neceffariæ op posuere. Dico neceffariam breuitatem:iccirco quia estetiam breuitas indifferens in breaivoca li,quæfitmutaliquidaqueaffinis. Tros notule abascenensinratione excluduntur. then at Ergo E:non e VA runtaccentus tria illa,quæ Græciv.de,214500 alu, spoca: nos Coniunctioncm Difiun et io nem', Auersionem ' nominainus. Falso autem in ter accentus relatas a veteribus vidcamus. Nam Coniućtio, dictionum duarum affeet us eftcom- Conapone positarum, quoties ex nulla facta partium mu tatione ita cohærent, vt propter feruatam inte gritatem non cohærere etiam videantur. exem pla in promptu funt: Ante-uolans, Ante -ma lorum: et apud Laurentium, Semper- florentis; huic indicio figuram apte attribuere pando fe micirculo supposito,lic, sumpta fimilitudine a b subscudibus carinarum:quibus afferes coagmen tantur. Contraria huic Disiun et io:quæ quas mine voces posses temere componere, distanti pro nuntiatione iubet pronunciari, vt in exemplo Vergiliano, --in litore conpicitur,sus. De vrsus, legatur. Ei itaque eundem locum attribuere quali paric tem hercifccntem familias. ac fatis quidem fue rat virgula perpendicularis: verumne accipe retur pro vocalii, curuam pinxere: cuiustamen cornua præcedentem complectendo di et ionem, præfcriberent ei mctas quasdam. Auersionem Amat autem nostri Conuersionem dixere: at Græcam vocem contemplere, Smespooni, illud non hoc signat: eftautem affectionon fyllabæ nccef sario,fed literæ per se, fyllabæ autem per acci enim semper fyllabæ defeet um o ftendit: sed femper literæ aut literaru quæ cuiuf piam fyllabæ partes lint. Exemplumvtriusq;eft, Mult'illa desiderantur enim duæ partes il. lius fyllabæ,Tvm, vocalis scilicet cum postrema confonante. exemplum syllabæ eft. Dura vi'est, quæ fternititer dominatibus altis. defit cnim A, ytlit, Via. Eftigitur nota defectus literæ: accidit enim vt fit aut literarum, aut fylla bæintegræ. Defe ettus autem duobusmodis vsų venit: aut per Synalæphen, aut per Suspensio milmem: ac Synalæphen quidem dixere veteres, "Tu i cum elisis literis, vicinas coniungerent:vt inex emplis pofitisconstat.Eft metaphora a glutinan uibus fumpta, quum delibutas ferruminatione particulas componunt, vt vnum faciant,hocfuit e neimev. Id quod quum non poffit euenire in fyllabis quibusdam, nisi demptis mediis literis, piccirco LatiniCollifionem affeettum huncappel latum maluere: nam faneaffcctio fyllabæ illius deficientis eft Colligo, non autein Coniunctio: neque ex illis vocibus vna fit. neque femper vnus pes, neque femper continuatur pronuntiatione, vrin altero exemplorum superiorum. Quare me lius nos quam Græci, Alter modus est, per Su spensionem: quoties non excipientealiqua di ctíonc, prior amissa vocali sufpenditur:idque alia quando simpliciterfit, vt apud Peetam, Mortalin'. pro mortaline. Aliquando au tem multipliciter,vtapud Catullum, Vide'n ' vt perniciter exiluere: hîcenim estamis fa non folum vocalis,fed etiã cõfonans: Videsne. Hancaffe et ionem Græci nominarunt rospo plew, quoniam auerfi ab ea litera, quamfuftuli, mus suspendimuspronūtiationem. iccirco įn su hernes periaS periore partequası habenulas inhibendo excur lui dietionis appendêre, eadem forma quam fe cerant Disiun et ioni:propterea quod idem effet officium limitibus præfcribendis. Totum autem genus hoc fapientes aon appellarunt, reote. Sed quum syllabis vniuerfum attribuerent, errassco stendimus. His ergo constat, vtin elementis, tanquã par- emiling,people womanho vor tibus, et corum corporibus, vel fyllabis,vel di et ione nibus, etmateria, fcilicet, figura, et forma estqua, inter se differunt hocipso quo sunt:sicin corửaf. fectionibus,vtrunqueesseiam planum fecimus. Caussa finalis Tenorum primum de Acuti accentu vu Oftaccentuum subftantiam tam ex materia prima quam ex forma, quæ erant duæ caufæ quibus in final constituebantur, nunc cauffa finalis contem planda est: corum ergo vsus,cuius gratia sunţin ftituti, deinceps videndus eft. Ac quod ad no-, ftra quidem tempora attinet, nihil turpius pu tamus, quam cantiunculis, et vocularum tremu lisaflultibus gesticulari. Itaque feruata temporum duntaxat ratione, feuerioribus fæculis omiffus eft fæmineus ille tinnitus, vnoque duetumultæ voces codem tenore pronunciatæ. At veteres a liter consucuere,quorum leges fuerebæ: Syllabæ glo? aut sunt in priuis vocibusaut, in iis quibus ora tio constituitur: priuævoces funt, Amor,Er go, Perco: ex quibus possis orationem to xere fic, Amoris Ergo Perco. Primo modo pallumeft nomca impositum, propterea quod fos di ettio JO hi 06 128 IvL. II. L in dietiones non propter feipsas, sed proptet oratio ncm funtinuentæ:iccirco fecundo modo nomen Sampate indidere,ouezreiasque appellauere: nos Conse. menfequentiam dicere possumus: quailli alia vocepau her lo afpcriorc, ou apeglee',et molliore owerowy GTV TWO niw ". Nos commodius, Ordinem conti, nuum orationis definimus. Quum igitur Græci tam in vltima fyllaba singulariu feparatarumque vocum, quain in altera,ac tertia a fine fede acu tum imponere confueuiffent:in consequentia si necontextu orationis, quos accentusin fine po gonfinebantacutos omisere, proqueeisgrauessubsti tuere: idque eo egere confilio,propterea quoda cutus accentus videtur tellere fyllabamita, vt fequens fyllaba prematur: qua tanquam fini fuo quiescat vox. Quum igitur nihil haberent, quod fequeretur, nihil quoquemetuêre:arcum effet vox,quæ lubiret, cauêrene taquam vna fie ret cum præcedente. Id quod etiam in Encliti cis euenire videretur.Igituracuuntmouc,etmli, et Tav: quæ quum contexuere,grauibus infigniunt, Chitous,dei, tov überrv.Nos vero hanc eandem ani maduertentesrationem,quaacutus accentus tola litvocem in fyllabam, quam acuit, vt fequenspre matur, in fine vocisnoponimus,neexpectemus aliam fyllabam fubeuntem, in qua vox conquie scat: id quod Latini suis libris omnes testati sunt, Nullam apudnos fupremam syllabam acui. A cutusenim pofitus,autexigitaliasconsequentes syllabas, aut non. Siexigit, igitur non est ponen dusin fine vocum separatarum: fi non exigit,era goin consequentia quoqucponi potuit.Sed falfi Graeci sunt, cum putarent, gravēaccentum nihil ad vocem pertinere, fed ad syllabas tantum,vnde hand etiam Syllabicum vocavere.lccirco addueti funt, vt crederet, turpe effe,ederedictionem, quæ nul lo accentu insigniretur.quali quum iura quoque absurdum celent, hominem inteftatum mori. Id autem eveniebat, nisi acutum in fine faltem rcpo fuiffent: cum dictio in fyllabis præcedentib. neq; illum haberet, neque circunflexum. Sed ca ratio, aut perspiciendafuit etiam in consequentia,vbi y gravemcollocaffent:aut nein primis quidem you cibus admittenda. Apud nos igitur aut in penulisse tima, aut in tertia a fine sedem ei ftatuere.Occupa re autem alias initio propiores, Græci sibilicere noluerunt:quos etiam prisci Latini secuti casdein posteris, imitationepotius,quain confilio ducti, leges præscripsere. Nam quainobrem non liceat mihi vocem tollere in quarta a fine, nulla ratio pobyt musica potuit persuadere: poffunt enim eode te- Pain nore tain in voce,quain in tibia,aut fidib. deduci multæ vel breves,vellongx. Quod fi iccircono lucre, quia duabus fyllabis fequentibusimmine reacuta fyllaba videatur, in quibus tractus yocis non immorctur:quod fieret; fi eflentplures: vi deamus quam non recte servarint hæc. Esteadě ratio tam apudGræcos, quam nobis,fed diversus modus. Nam vtriquenegant ante tria finaliatê pora lingula, id est, antetres breves fyllabas, a cui poffe fyllabam. quare li duæ poftremæ line longe,quoniam solvi poffunt in quatuor breves: non potuit in præcedenti vlla syllaba acucuscol locari. Ratio hæc vna communis. At modus I j. di. 21 126 Iul. Kolodiversus fic: Græci, fi vltimalongasit, et penult. a brevis, vltimæ longitudinem, ex quafieriduç bre ves poffent,observarunt: at si penultimaloga sit, et vitinrabrevisymiseræ huiuspenultimę,tanqua ibi nulla effet, nullam rationem habuere. Latini contra, vltimæ longitudinem non curarunt: pe nultimæ ius fuum attributum retinuere. Ergo ia deprehendimus accētuuin horum cãtillationem ridiculam, non natura, sed vsu quodamn gesticulatorio constare. Videamus vero, quod et fupra tc wurde eindigimus, quamipsa sibi suisnon constetlegibus. milla Principio Græci diphthongos aliquot,quas pdu cebantin pronunciando, quodattinebat ad ac centuum ledes, pro brevibushabuere, 8t ritu fce. præterea Latinieadem ratione vltimis omnesne glexere. Poftremo antepenultimas omnesGræci longas nullo detracto tempore, acuto accentui poltposuere. Quare fi vna ex his vel in fine, vel in -proximafini sede folvatur in duo tempora, fane in quarto a fine tempore acutus ille Gręculus, quem ab ea sede exulare iubent,invenietur. Qua refapienter a posteris factum est, qui præterqua in quibusdam partib.orationis, vtin exclamatio nibus,indignationibus,interrogationibus,nulla huius puridi servitij iugum ferre voluerint. Nam fi ante acutum in eadem voceplurimæ fyllabæ gravi pronunciantur, xong QALXR67e's: quare poftillum totidem non poffint? Quodfi refpon deantinclinari nequire tantum numerum: qua re,vbi nulla eft quæ inclinetur, hunc eundemip sum ftatuêre?vtin præsenti exemplo, nulla fylla ba fecuta, fit Soloihin qua tini pe bi lem ula itch pus. pidu 26 sne ill bre Gravis accentus sedes. GNRavis accentus locupletissimus fuit vsus: Nam quum acutus non plures duab. Tedib. occupafset, hic qualemcunq; premit fyllaba:qua re fyllabicum, vt supradiximus,appellarunt. No; vt putarunt,propterea quod no interesserdiction num: sed quia paffim quamcunque syllaba vindi caret:funt enim dictiones quæ præter hunc nul lum habent. Omnis igitur diaio, aut habet acu tum, vt A'mor:autgravem, vt Fax:aut circumfle xum,vt Mîles. Quare præter eum accentum tam e non præcedentes syllabæ, q quæ fubeunt,grave susci piunt, sic, A'moris. Nonre ette igitur Quintiliani præceptores,quos ait ipsesicfe docuiffe,vepriore ham in acuta pronunciaret,A treus, quo neceffario poftea Walico rior gravem susciperet. nam ad huc modum gra- Cho halmas vem susciperetper accides: At ipfa hæc vox, Atre's bit per se gravi terminatur: vt non solum syllabæ sit accentus: sed etiam dictionis: quemadmodumul ta alia quoque proferuntur, Antonspolis; cEw tísmen weid. Quamobrem gravem accentum inter dum primarium cenferinec effe eft: aliâs autem ac cefforium. Cuiusetiam proprium fit quantam- loin cunque fyllabam nullo discrimine admitcere: et quotamcunque sedem accessorie. Poftremam au tem legitime, et primario. Devfulocifý circumfleti. Ircunflexus accētus fi, vti diximus,ex vtroq; grans illo conftat:neceffe est, nulla nisilögafylla. 12 bam Tad nitu clo Can: Qui squi 2010 Tull Nabi quar POR 982 m ! Tylls CM Acondiversus fic: Græci, fi vltimalonga sit, et penult. brevis, vltimæ longitudinem, ex qua fieriduçbre Fes poffent,observarunt: atli penultimalogå fit, et vitiorrabrevisymiseræ huius penultimę, tanqua ibi nulla effet, nullam rationein habuere. Latini contra, ultimæ longitudinem non curarunt: pe. nultimæ ius fuum attributum retinuere. Ergo ia deprehendimus accetuun horum cãtillationem ridiculam, non natura, fed vsu quodam gesticula torio conftare. Videamus vero, quod et fupra tc auntien taligimus,quamipsa sibi suisnon constetlegibus. medla.Principið Græcidiphthongos aliquot,quas pdu cebantin pronunciando, quodattinebat ad ac centuum fedes,pro brevibushabuere, $t titulo. præterea Latinieadem ratione vltimisomnesne glexere. Poftremo antepenultimas omnesGræci longas nullo detracto tempore, acuto accentui poltposuere. Quare si vra ex his vel in fine, vel in -proximafinisede folvatur in duo tempora, fane in quarto a fine tempore acutus ille Gręculus, quem ab ea fede exulareiubent,invenietur. Qua refapienter a pofteris fa et um est, qui præterqua in quibusdam partib. orationis, veiñ exclamatio Inibus,indignationibus,interrogationibus,nulla huius putidi servitij iugum ferre voluerint.Nam fi ante acutum in eadem voce plurimæ fyllabæ gravi pronunciantur, xangoaguardze's: quare poftillum totidem non possint? Quod fi refpon deantinclinari nequire tantum numerum:qua re,vbi nulla eft quæ inclinetur,hunceundem ip fum ftatuêre? vtin præfenti exemplo, nulla fylla ba fecuta, ore lit Lini gefehing C. em lla. tc. us du IC ne xdi tui. Gravis accentus sedes. Ravis accentus locupletissimus fuit vsus: 1 Namquum acutusnonplures duab. Tedib.pole occupasset,hicqualemcunqs premitfyllaba:qua re fyllabicum, vt fupra diximus,appellarunt. No; vt putarunt,propterea quod no intereffet dictio num: sed quia paffim quamcunque syllaba vindi caret:sunt enim dictiones quæ præterhunc nul lum habent. Omnis igitur diaio, aut habet acu tum, vt A'mor: autgravem, vt Fax: aut circumfle xum,vt Mîles. Quare præter eum accentum tam præcedentes syllabæ, ğ quæ subeunt, grave fusci piunt, fic, A'moris. Non re et eigitur Quintiliani præceptores,quos aitipsesicfe docuifle,vepriore sament acuta pronunciaret,Atreus,quo neceffario poste Walica rior gravem susciperet. nam ad huc modum gra- me habus, vem susciperetper accides: at ipfa hæc vox, Atre's per fegraviterminatur: vt non folum fyllabæ lit accentustsed etiam dictionis:quemadinodu mul ta alia quoqueproferuntur, Antanapolis, Ew tñsee WETTE. Quamobrem gravem accentum intera dum primarium censeri neceffe eft: aliâs autem ac cefforium. Cuiusetiam proprium sit quantam- low cunque fyllabam nullo discrimine admittere: et quotamcunquesedem accessorie. Poftremam au tem legitime, et primario. Devsulocifý circumfleti. Ircunflexus accētus fi,vti diximus,ex vtroq; illo conftat:neceffe eft,nulla nisiloga fylla. bam INC "IIS ua 10  art -11 g1 p I 2 128 Iq bam admittat. Nam ficuti affectus is compositus est: ita etsubiectum corpus compofitum agnosce nius. At vero oinnis brevis syllaba simplex est:E ius autem ortus ad hunc modum iam declaratus eft. Cumaliquando dux coaluiffent, prior acuto elata alteradepressagravi.vt dad: certe etiam af feetusipfi in vnum coiere, sic disc,exlegib. aute, Loungquas supra recitavimus, non poteft nisiautin fi ne, aut in proximafiniconstitui.in præcedetium autemnulla porest. fi enim diffolveretur, acutus in quarta inveniretur, lic, Aêneus. Aeneus. Qua renein penultimaquidem ponitur,fifubeat su premalonga. Hac enim diffoluta dissolutaq; cir cumflexa, idem error´eveniret: vt quartam a fine acutus accentus tolleret. îi autein lubeat brevis, tum vero circüfle et itur.quoniam in ea etpenul timacum gravi, etantcpenultimacum acuto fit. intelligo autem hoc apud Latinos,quinullam fi nalem acuunt: namapud Græcosinvenias lon gam ante brevem vltimam, quæ longa accentum nullum proprium habeat:fed vltimaacutum,ox w...Hinc fatis constat, quod dicebamus, gravem accentum etiam addictionem pertinere, non fo vt demonstrabamus, fed etiam in compositione citra consequentiam:ex eo.n.et a 'cuto fit circunflexus.Item non, folum in eade di ettione,sed etiamin eadem syllaba et acutu et gra veinveniri:lic enim quidã pronunciant gwasa, et eiusmodi vt etmeram intelligas, etin eadem fyllaba et levatum etdepreffum lonum audias in luo quenque tempore fic,yaodosa. Cõstat et Era commalfmi lapsus, qui Plane, adverbium, quum aperte signific lum in we 70 mradt to ti significat, et quum affirmat,differre fic pote pro-.. didit, quod illud priorem circunflectat fyllabam; hoc, quod acuat pofteriorem. vtrumque.n.cum fit spondiaca dictio,non potuit penultimacircu fleetcre. Adverbia enim eiusmodi femper produ i ömrm's xere vltimam quæ afecunda fuere declinatione apie plant 1. iccirco quod erat Apprime, Vergilius coactus est Apprima, dicere. fuere autem eiufmodi ad verbia pleniore sono,et originis analogia, a fex - ' exe to casu, sicut Fallo, Raro, Cito, fic etiam Plano. quorum quædam ad arbitrium poetarum cor repta sunt interdum, Sero, apud Martialem, et Cito apud omnes. Atin E,quæ defineret,nula lum,præter duo,Male, et Bene. et a tertia totidem Sępe,Pene.quibusiccirco facile potuit brevitatis fyllaba contingere, quia in ipfis nominib.brevis us 2 ni quoque fuit. De Αρστι et Θέσει. Syllabæ igitur modus quotollitur ineavoxa- #they cutior, di et us eft a Græcis cegor, re ette Tane. in alteram autem fubeuntem cum demittatur vox, gear appellarutminus commode. Principio Jens Otay morn significationem habet latam:namin acuta quoq; la'2 * ponis vocem:eft enim positio, collocatio:itaque melius xc tuh: dicta fuisset. Sed neid quoque cuiusaccentui gravi conveniebat: nam initium quadrisyllabæ dictionis gravem accentum ha bet. at nucquis dicat mevocem deponere, quam nondum levavi? ergo Æquabilitatevocis potius appellafsent.yndeetiã in musicis overra quidam I wj. di Iul. 11. dicuntur tractus,in quibus apois est nulla. Quemadmodum accentuum leges foluantur. aut acutus autflexusaccentus.claudit:fed in eum locum introdu et us acutus est a Grammati cis pro aduerbiistantum, et præpositionibus, in Exc.cæteris veterum mansit lex. Tres igitur cauflas assignayere grammatici, quib.aduersum prisca puritatem nouam inueherent pronunciationę. Ros? Distinguendi ratio,ypafuit; altera, Ambiguitas 3 vt poffet euitari: tertia, Necessitas pronuncian di. Nam vt Pone, aduerbium, a verbo Pone, di stingueretur, accentus mutatus eft: codem mo do Coram, adųerbium, a Coram, præpositio ne. hæc funt exempla primæ rationis. Ambi guitatem autem fuftulerunt in voce, Interca loci, translato accentu in tertiam a fine: vt ne quis duas putaret partes. Tertium confilium fuit a peceffitate pronunciationis: vt quum encliticas ponimus, præcedentis dictionis po strema fuit acuenda, Hominesne, Feræ'ne. Has tres partes fiquis acrius contemplețur, inueniet duas esse tantum; vnicam enim priores duas, v. trobique enim vitamus ambiguum: in fecun da partium, in prima,vocum. Ita in duo mem, bra diuides, ficut et tertiam in duo. Namne cefsitas pronunciandi, aut per fe eft, vtin en cliticis: carum enim natura ita fert,quod et no, men,vtinclinentin sefeaccentum: aut per acci, dens, vt cum exempta fyllaba, decurtata diettio ne vol 2 3 13 oce din nati s, in auffas prisca ationę. iguitas uncian Pone, di dem mo æpositio ne coeuntibus in vnum extremis, fitcircunfle xus. Cuiusreiexempla multa funt, Arpinatis, Arpinâs, Noftrâs, et alia eiusmodi. Sic etiam pu taruntin tertio diuini operis legendum, vtre. fpondeatcæteris præteritis. --cecidira fuperbum Jlium: t -omnishumofumat Neptunia Troia. vbi circunflexus potius manfit, quam concreuita. In Græcis autem fæpenumero creatur ex dua bus, vt diximus voos, vous. An admirrenda fint quafuperioricapite a veteria bus recepta sunt, Aecveteribuscum placuiffent,qui contra- Cantare diceret, nullu habuere. Verum interest phi lofophi placitis humanisanteponere ratione: Ni hil enimpretiosius veritate:eaenim hominis fo lius sola meta est. Quæigitur ratio foluebat acce tuu leges, ob cöponedas voces,cafalfam efsecondo for uincimus exeplis eiufmodivoçu, quaru syllabæ fequentes tranflatum illum accentum,longa Jut. funt, vt in Malefanus. Si enim acui potestyl timaprioris vocis compofitæ, poterit etin sim plicibus: fi non in illis, ne in his quidem: ncque enim fubftantia rei mutari poteft ab accidente: neque id quod drov Græci vocant, mutabile eft, ab effentia enim fluit:cumque illa mutuo conuer titur,quippe cui soli, et femper competit. Quare do ettiffimus quoque vir Gellius ita fenfitlibro fe ptimo. Igitur inistis vocibus, quas nos non acui diximus,eacauffaeft, quod fyllaba insequitur na țura lõgior,quæ non ferme patitur acui prioremin Ambi Interea ine: yt ne confiliom vt quum ictionis po erz'ne. He tur, inuenit nores duas, n: in fecun in duomem 10. Namne eft, vtinen ert,quod et Mo m: autper acci Tecurtata dictio I jij in vocabulis syllabarum plurium quam duarum: intelligere voluitpriorem penultima. Dixit au tem, ferme, quia Grammaticorum istas regulas tum obfervabant. At enimvero ficam cauffam, qua suntadducti, probavero nullam efle, etiam legem ipsam probavero nullam: sublata enim Le caussa,tolletur et effe et us.Ergoin vocehac, An I temalorum, et Prævolantes, et Antecursores,et Anteambulones si ratio hæc fruftra est, et tamen vna di ettio intelligitur: codem modo et aliæ in telligentur. Quid? nonne ctiam tribus parti bus quædam compositæ sunt? li igitur Dona 2 tus, aut aliusquis in hac voce Exadversum, yult acutum transferri fupra Ad.quod erat fupra Ver, in Versum, antequam componeretur: eaque ra tioneadduettusfuit, vt vna di et io videretur: non absolvit consilium suum: adhuc enim extra feptū illud istius accentus, pofita est particula Ex.quare frustra laboravit, vt rerum confunderet natu ob co tram. Atque iccirco intelligct 1 $ inventam a Græcis, cuius figura duceret oculos ad compo fitionem:forma autem, id eft, continuatus fpiri. tus pronunciationis, cogeret aures vnum audi re. Hoc quoque e Græcorum observationis bus constat planius: nam quum #xdloudov di huc cantmaiore non audent ambignitate έκδουλουςcreolezenou, 1ed έκδούλους: et ad veræ partes constructæ non coniun ettæ poffint intelligi. Præterea quis dicit Mustela cum a çuto in prima? Quis hoc modo, Compono? Quis etiain Præcurro, et eiusmodi? Quid,. quod idem moncnt Tepçfacis dicendum na pocua as gnat. Habemus es, et imen parti- از هر Dona n, vult ora Ver, aque ra tur: non trafeptu Ex.quare eret natu aventam a pocutovws, et cætera a facio? Quare vbi fylla ba patitur, transferendus accentus erit, quem admodum vbi numerus syllabarum non repu quoque Feftum autorem gra am uem, veterumque sententiarum accuratum et narratorem, et interpretem: is in abuerbio Adeo An mediam præcipitacuendam: ergo,vtfaciat differ re a verbo Adeo quo tollit vnam ambiguitatem, alteram ponit, dicam enim duas effe partes, sicut Vsque eo, Cum aduerbiis enim iungebant præ positiones veteres, contra quam negantGram matici, Derepente, Infimul, Inibi, Vltimam a- migar, cuunt quidam in tribus tantum, pone, Ergo,Pe- 4 ne: alii nullam excludunt: non defunt,qui prisco rum adoratis vestigiis, pro illis pugnent: verum memoriæ proditum est, Acolenses, quorum exe. plo aciudicio peneomnia Latini compararent ad loquendum, nullius vocis poftremam acuiffe, præpositionibus exceptis. Egomalim Latine, quam curiose sapere: putoquemaiore snostrosin ter fe, cum loquerentur, fineistis legibus peregri nisintellexiffe. Nam fihæ distincionesfuntarenizin har hon cessendæ: fane longe plura inuenias, maioreque nema?... yel ambiguitate, vel necessitate. Nam prępositiones a nominibus ipso contextu, ipfoquesen su valde differre illico intelliguntur, Vt omittam Face, verbum,FACE et nomen, aliaque infinita, Gundæ pollin quib. modis difcernes cafus, et numerosbinario rum, et ternariorum nominum adeo vt cum di -), Compono xerint, Mea interestsapere:pofterorum multii mnodi? Quid gnorarint pronomen MEA, Vtrius eflet casus: quartine pluralis, an fexti singularis. Quid? differ ad compo vatus fpiri vnum audi bfervationis Ex.dloukar di cuhous: et ad ww: duæ enim Mustela cum a 5 dicendum ferentiæ iftius cauffam, quam ftatuebant, misere fubuertêre. Cum enim præpofitionem hanc Circum, vltimaacutapronunciarent, ne “Circus” la cusadludos esse videretur; Vbi cam postpone rent casui, Mistíque altaria circum, translato in primam accentu, sublatam prius, vt putabant, contra quam putabant, redintegrarunt, Fu mat, autem Vergilianum præsentis temporis est, non præteriti, vt dixere: euersas enim incendiis vrbes complures dics fumare, mi wu, ferrimis exemplis experti fumus.et Nostras, at qucaliaeiusmodi, Sarlinas, Arpinas, perapoco pen reli et o tantum fibila, in quonullus effet ac centus, factum dicimus. Itaque transferri accen tus potuit, Græcorumexemplo, nos a good a'a Nam ficuti illis turpe fuit, vocem fine accentu esse: ita apud Latinos supremam syllabam acuia, Id quod etiamex præteritis quartæ coniugatio pis deprehendi poteft:nam audîuit, mediam cir cunflectit: concide, vt sit, Audilt: nonmediam accentu afficit, fed transfert in præcedentem, et tamen acutus ibi potuit poni, vtin z pW TO TONCS, Sic in Mercuri, remanserat acutus suo loco, licet Grammaticorum faperstitione tranflatus fuerit. Usus Temporum. ' Emporum vsusfatis ex iis, quæ fupra dixi. mus,patet:quod simpliciffime tum pro rei, locorumque rationediuifimus inlongu,et breue. Quædam igitur vocales erant femper breues, 1 mg T 1, Os Do ac 1 cen xda Centu, o, his fingula tempora funtattributa: carum coparibus longis bina, H,12, Tres sunt comunes, 1, 1, Y: ita vt quibufdam in vocibus semper sint breues, vt neatra pluralia, xana; in aliis semper longæ: vtin cafu quarto plurali primæ: uovares; in quibusdam indifferentes, vtin odpornis et - 1. svią. Varientur quoque perdialectos:nam Da. res vltimam illam quartiusoses corripiunt: exem pla multaapud Theocritum,quare profuo qua que captu, vt sors feret, tempus aut tempora na ciscetur. Hæc eftipfarum substantia; a qua,na tura fluit certa quantitatis, quæ natura est moi dror, neque vnquam fallit. Quod fiquærat phi- ane maula iatti ļosophus, quomodo erit propria hæc ipsarum communium? incerta enim est. Primum refa pondębo, vtnumero, fecundum totum genus, vtrunque competit, par, et impar: sed certo nu mero, alteru tantum:fic communib. vocalib.in generę vtrunque conuenit, corripi, et produçi: at vni cuipam designatæ, alterutrum tantum. Præterea acutius adhuc: hoc ipfum cffe earum proprium, variari; hocque ipsum quod est, va riari,perpetuum effe:nec variari: ficut effe corru ptibile, est affe ettio rerum naturalium, quæ hace ipsa scienția comprehenduntur, quod corrupti bilia funt:hoc enim ipsum, esse corruptibile, no corrumpitur:semper enim tale eft. Accidit au tçm extrinfecus augeri ipsas produ et iones, vt Tu quoque monuimus, perconsonantium con. cursum, quam pofitionem appellarunt. Additæ muta et femiuocalis breui vocali, femiffem tem poris afferet: duæ mutæ geminatæ tantundem, fed acui gatio am cir mediam denterk. TPW TOTEKOCHA fuo 6 loco tranflata Has the pra axfupra dixi ongū,et breu e tumproro cmper brenes 1,1 136 sed necessariam productionem, quam illæ folam contingentem: nequeenim neceffario produce bant,RR geminatum plus afferetmoræ. Sicetiam longæ vocali hæc elementa fuperuenientia com ponent pro rata, plura tempora. Ita atio modo producit media: Tenebra: alio Abba: illa.n.potest etproduci, et corripi: hæc corripi nonpotelt. Ita que in illa posuere vnum tempus ac semis:in hac duo tempora. Si autem longam natura sequatur muta cumliquida, non minus apponent tempo ris, quam duæ mutæ, neque enim poteft corripi. Sed addentæquevnum tempus. Scio alitera ve teribus pofitum esse, fed nequere et e, neque per feet e:nam sequente simplici,vnicaque consonan telongam, voluere affici duobustemporibus ac { semis.Ergonon plene dixere:debuerant enim o ftendere,nulla fequente consonante quanta ef set. Et ridicule putarunt ab vna consonante addi tempus. Omnino autem hæc omnia ad oftenta tionem litcratoriam suntinuc et a. Spirituum officium, etloca. may Vpererat officium sedesquespirituu, quæ de clararemus:fed quimeminerit, qua deh, de queconiugatis dixerimus cõsonantibus, is facile intelliget commodius abs sese hucea vocari pof fe,quam a nobis repeti debuisse. Accentuum ra tio,figura,vfus,tribus cauffis expedita funt:For mali,Materiali, Finali. Absolutaque contemplatio partium inaterialium, quibus dictio, quod eft subiectum argumentü præfenti operæ, constitui tur. Nuc de ipso toto quid fentiedu fit, videamus.  camillæfolum Marioproduce orz Sicetiam  nientia com Ita aliomodo illa.n.p potcft. Ita “LATINÆ”, LIBER ernis in hac TERTIVS ra sequatur ent tempo eft corripi literave eque per onloman oribus et enina teade anta el P ftenta. Dictionis nomen, atque definitio. ARTIBVS, partiumque affecti- 0. bus inuestigatis, quib.subiectama teria noftri operis componeretur: nunc de ipfo toto agendum est. Quod Græci dixiw vocant cauffam zostaj nos appellamus: quare addito iuris vocabu. Bad lo, etiam Græcum fonum mutuati fumus, etlunarea dicium nominauimus: Qua in Causla, fiue lu dicio propterea quod orationisvsus maxime vi get, Latini poftea verbum Dicere, fumpfere ad significandum, quoties loqueremur. At sicuti vox hæc Dicere, contextum magis verborum, quam fingula verba significat: itae contrario, verbale nomen hoc Dictio, non folum dicendi actum, vt eft apud Liuium, sed etiam vnicum quoduis notauitverbum: ex qua origine, atque vfu, cum definitionem fatis commode poffimus elicere: tamen vt fapientius agamus, paulo altius eft contemplandum. Sicut in fpeculo ea, Pen quæ edet de cili 21 3 Origt quæ videntur, non funt, fed corum species, vnde etiam nomen obtinuere, vt Species appellaren tur, atqueiccirco a Catullo diettum est imagino fum, að rerum imitatione, quas obiectas repraa Tentaret: ita quæ intelligimus, ea suntreipfa ex tra nos, eorumque species in nobis.Eftenim qua firerum fpeculum intclle et usnoster, cui nifi per fenfum repræsententur res, nihil scit ipse. Argu mento funt muti, qui nutibusloquuntur ex vsu oculorumiaures, quaru officio sunt destituti, non potuerunt conferread vocum receptionem,quas exceptas redderent vicislim. Itaque fuit quali, quod Plato de aliis rebus dicit,emuayeão quodda intelle et us nofter, in quod res ipfæ certo modo recepte conderentur,promerenturque ad huma nam,divinamque fapientiam communicandam. Igitur harum rerum notionessuę cuiusque fiunts in cuius intellectum recipiuntur. At enimvero cum homo animal fit non folum sociale, vt for Home Pornomica, fed etiam divinum:opushabuitofficio quo dam atqueinstrumentis, quibus hancfocietatem non forte autinstinctu oblatam, fed prudentia, atque consilio quæfitam, comparatamquecofer varet: quare et doceri debuit, et docere. Necessa ria igitur fuit illa quoque naturæ facultas, qua i. pfæ illa notiones, quæ in intelle et u fitæ erant, sensibus concipipossent.Per fensilia ergo eruen dæ fuerunt illæ species: at ineptus ad id fuit Ta Etus: non enim ad eum poterantelici res immate riales, qui maximematerialis est. Ineptus æque Gustus: quicum ta et us quidam sit, tanto minus potuit fervire,quod minore ambito, qua ta ettus, pre præscribebatur. In odoresquoque transfundi non poterant, quibus exceptæ, adiscente perci perētur:eft enimOdor res minimepofita in po testate hominis. Duo igitur senfilia reliqua fa etta, funt,Color,et Sonus:acSonusquidem interpresauce fuit animi dupliciter: vel vt sonusfimplex quip pe fupplosionepedum, et applausu manuum, et crepitu digitorum, atque aliis eiufmodi declara mus cuipiam animi nostri affe iones: vel vt fo nus in specie,fcilicet vox:eaque fuit duplex:al-Voy tera rudis, Sibilus, Vlulatus, Gemitus, Cachin nus, et reliqua talia: altera conformata, vt Vera ba, et Nomina. Alterum fenfile fuit Color: 04 colon mnis autem color cum figura, vtrunque enimin corpore eft:Igitur duobusquoque modisfactum eft: nam aut rudi,vt nutu,et gestu:autperfecto,id que dupliciter:aut Pictura,aut Scriptura: vndea pud Græcos vterque artifex dietus est communi nomine regol. Ergo rerum notiones a rebus in mentem primum per sensus fine medio huma no profe ettæ sunt: intelligo autem per fenfuso. mnes, eague scientia autodidagis dicta est:aut per medium humanum,quoniam non ab rebus,fed a notionibus, quæ effent in docentis intellectu, prodiere in duos sensus. Auditum per locutio nem, Visum per scripturam: vnde poftea in in tellectum ipsum insinuarentur. Quemadmodum autem res naturam non mutant fed eædem apud moboma's omnes sunt, ita et carum notiones: tam enim Equus ipse, quam eius species apud omnes est: nequehominisolum, fed quibufcunque anima libus tribuit natura aptum sensum ad percipien dum. At nomina rerum, et literæ non cæde suntnen i omnibus. Sicutigiturimagines rerum suotno tiones intellectui:ita voces suntnotionum illaru notiones, et vocum ipfarum scripta quoque sunt notiones,vt talis ordo naturæ fit: Equus,equi spe cies in intellectu,equi nomen in voce, equirepo masgan sitio scriptura. Prima igitur duo a natura sunt: nam equiprincipiu et forma, et materia, et finis natura eft:Equiquoquefpeciem ab equo educta intelle et us agens in intelleet um possibilem im ant pressit.Ataltera duo ab arte,aut cafu sunt: quan quam enim natura fecit vocem loquentis,et atra mentum, calamum, manum: tamen et vocifle ordy, xuum, anfractuum, articuloru, temporum,fpiri tuum, orde ac fedes fortuita fuere: et eodem ino do scribēris manus,cursus, mora, series.Multa sut in operibus noftris naturalia: velipfa Ambulatio: ac forte fit,vt tantum faciam spatiorum, vt recta inMilani, vt properem, vt sublistam, vt alternem, vt diuaricem, vt vacillem, vt suspendam gradu, ytreuertar. Poffum etiam hæc aliquando simul miscere,quæ coire queant. Itaque equi crus sem: " per fuo loco eft: at e litera in nomine equis apud Græcos nulla. quare arbitrio cius qui hoc primu nomen inucnit,factum est,vt sic appellaretur.Ex his itaquedefinimus Didionem,Nota vniusfpe ciei, quæ estin animo, indita eirci, cuiuseft fpe cies, fecundum vocem,pro arbitratu eius,quipri de moindidit.Dico Notam vnius fpecieiiquoniam oratio multarum specierum eft: et dictio compo: fita rei composita cft: omneautem compofitum pro vno accipitur: ita eximitur hæc dubitatio. Sed quæremus etiam fuper definitione s vna enim eft resomnis definitio:non copula:non alio iubim bor inftrumeto,fednatura: neque enim aliud eft,A- vefinn nimal rationale mortale,quam Homo. Quare si in definitione vna est notio, et plures dićtiones, videbitur diettio notionis pars, non totius tota i mago. Sicest respondendum: in rebus fingulis effe multa fuapte natura, quævnum fiunt ab vna forma:vt effe,vegetari,sentireintelligere:hæc o mnia ab vna anima vnum fiunt in homine: in quo ita sunt, vt vnum alterum complectatur, et capiat:quam feriem et in octavo historiarum, et ", in xii.Metaphysicæ satis declaravimus.Ergo de finitum vnum eft etre, et nomine: ipfa enim res est yt est, definitio autem vnius rei et vnum di cens, quia dicit definitum: fedpermulta dicensit perdefinition illud vnum, quoniam vnum illud permulta efter at have one conftitutum. Non recte vero veteres definive -berehitabis re, qui Dictionem partem orationis dixere.Prin -'Emory cipio malefactumest, cum per partem definive re: eft enim dictio etiain extraorationem: ita que coaet i funt addere, Constructæ: ergo non constructa oratione Dictio nulla crit. Præterea eft dicio quædam, quæ etiam fitoratio perfecti fenfus, ac quidem tota, vt imperativa, Lege,Scri be:et interiectiones, Hev. Poftremopeffimo con filio fecere, vt adderent, minimam: quis enim dicat minimam partem hominis manum? Nam ficuti in multis rebus naturalibus, ita in oratio ne partes sunt, non vniusmodi: aliæ enim funt divisibiles: aliæ non, vt literæ. Divisibilesau tem duplicis sunt naturæ: quædam dividuntur in consimiles, quædam in condissimiles: vt anguinis parsfanguis est, et ossis os:at pedis pars: non est pes. Hæpartes non possuntminimæ dict in homine, quę in alias vltimas fecantur partes: i ta neque dictiones in oratione: quare coacti fue rescipsos interpretari:Minimas,inquiunt,intel ligimus quo ad sensum. ergo male omisere in de, finitione, quod per interpretationem addendum fuit. Dubitare possit aliquis fic:Nomina,quęno tiones funt figmentorum,non esse dietiones: rei Danksy enim nulliuslunenotæ.Hocfic eft accipiendum, Hoc quod dicitur ens, aliquando verum effe, vt Deus:aliquando non verum,et hoc dupliciter: aut enim eit Privatio, aut eft Fictio. Privatio, vt Vacuum:Fictio, vt Phænix. Itaque fane horum nomina non significant codem modo, ipfa, quo inodo Deus Deum: fed privationem per habitu De* fic: Quia Plenum significat locum tacium vbiq; a corpore: eius contrarium Vacuum fignificabit: quod quanquam non est, tamen per illud, quod est, intelligitur. Fiet a autem faciliuspercipiun. tur, funt enim quafi orationes fallæ: idem enim eft Phenix, et oratio hæc, Avis rediviva, suicauf far Dietionem Græci.negav, vnde noftrum Lege. re, etab hocLegati, quorum scilicet officiumef fet, dicere. Utrum Dictiones a natura fint,an arbi. trio inventoris. Samo v Erum quoddiximus, itaindita effe nomi na vt inventori libitum eflet: primum a nobis inventum est,et olim commovit huius fentetiæ autor Aristoteles quofdaPlatonis de 143 ma Hefensores,cuius sententia in Cratylo videtur ef fe hęc:Sermonem rem esse naturalem,non ab at te.Id quod cogebantur ita sentire,quippeq nihil fcientiarum adipisci nosprofiterentur, fed remi nilci tantum. Quod et ex eo dependebat, cum di cerent animasin corpora alia atque alia transini grare, quemadmodum e Pýthagoræ institutis re ferebatipfe Platoin Atlantico.Habebantauteria que etiam, vt fibividebantur, rationes:nam loquendi, huma instrumenta, et materia funt naturalia,Pulmo,Se ptum, Guttur, Palatum Lingua, Aēr, ergo et ipfa e nomina. Trahi præterea nos a rerum cauflist quibus moti du et ique, sic potius quam licloqua mur. Quod fi contingit vt eandem rem aliter nos, Græçialiter appellent,nihil mirum:diverse enim cauffæ funt eiusdem rei, quarum vna illi, al gera nos agamur ad nomina imponenda. Verum Sæmoræ defenfiones errorum sunt.Atqueequi. Com ho dem sæpenumero miratus sum mortalium velau Haciam, vel pertinaciam, qui cuerentur errores, dosij, qui commisere, fi viverent, emendarent Neque enim erraffe turpeest: eft enim initiami pientix: si non eiipli qui fallitur, at aliisnon ilendi. Verum errores fovere, id vero vel ex ema dementia eft: vel vt i ti faciunt; qui semel que iterum deie etti, malunt confodi, quâ con tari. Principio argumentum estnullum:Ma- As, cria et ioftrunienta fünt naturaliajergo et figura mposita. Quis enim dicat,currus aut carpentifi uram naturalem effe, nili Anaxagöras? Isita di cebat, nisicarpenti figura fuiffetin ligno, non uifle futurum ytineffet. Sed nugabatur: neque enim inerat,sed inesse tantum poterat. Itaque a maioribus noftris Facies dietta eft afaciendo: fit enim quod non est:itaque etiam pretium persol vitur artifici. Et accidens a Latinis appellatur, quoniam casu factum est, vt dei imago potius fieret, quam scamnum e ficu Horatiana: si enim naturalis facies fuiffet illa, omnibus ficubusines fet. Sic etiam Vocem efle naturalem fatemur: i tem Flexus, et Tempora, et Modos: fed eorum se riem, aut misturain forte,aut arte factam constat. 7 Sienim natura eorum effet autor,vnusomnium {moduseffet, vna enim natura: velutin aviculis manifeftum eft:cæ enim sua in specieæqueidem cantillant omnes. At quod ab arte est, et discunt. As, et dedifcunt. Quod autem aiuntin rebuseffe que dam peculiaria, id fane vcrum est:atcum addunt iis nosexcitari ad certas voces creandas, fallun tur. Nam quæramus sic: aut nota sunt nobis ca propria et peculiaria, aut nonsunt. Si non funt, non ducimur: fed non funt nota maxima ex par te: nam quotus quisque rerum ipfarum naturas compertas habeat: fatemur fanenos, non pauca effe diet a a certis caussis: sed ipfx cauffæ, quæro porro,an cauffas habeant.Sinon habent,ergo no mina erunt fortuita:sin habent, ad vltimas tande procedendum erit, quę pręterea nullam habeat. Si dicant ab effectionibus cöparari nomen cauf Læsergoerit circulus,vt cauffa ab effe et u,effe et us a caussa dicatur: quare vtrumque erit fortuitum. AHis rationibus repulfi aiunt et Providentia regi RespinosNugx..Si enimnrebus civilibus,in bellis,in | redivina, deftituimurrectis confiliis, atque adeo ill2 La Providentia: sane putida illa fuerit, quæma mis in rebus negleetos nos, apprehensos manu ahat in nominum veras cauffas. Sanevero pul- 2 hram Prouidentiam, quæ Canis et Vrsa etiam ab homo i diis placet) caudatæ nomen in cælum tulit. mymini uid Canicum cælo:quia herbas exurit. At ne ue exurit Canis, neque herbiuorum animal est. tque vni quidem rei diuersa nomina impofita3 nt, vt Ventum a veniendo dixerint Latini, a irando iveuer Græci. Esto: diuerfi,inquiunt, af etus totidem nomina exegêre. At diuersas res uare iisdem vocibus disfitæ nationes appella ant? Quænam?inquies.Illyrica, Arabica, ludza, Germanica,Latina, Scythica. Air,vocantScy -nos aen? næ quam pro calamo aromatico circunferunt: Veneti arborem quandam, quam puto esse al am populum, non enim mcmini, fed arbor est. ith oleum dicunt Arabes, at Græci ex hordeo otūm. Gelon, Hebræismigrans, at cum mi rabantflebant: Græcisautem ridens. Manecít lis numerus, nobis parsdiei. Num,est nobis in rrogationis particula, illis piscem notat. Bagoa omen est Perfis et Medis impurum: at in co pud Hebræos est et cellitudo, et excellentia: Fantabri autem fic appellant glandem fagi am: pulchræ vero cauffæ cohærentes iisdem rincipiis, Rex, Glans, Eunuchus. Illyrii Flu ium eodem nomine vocant, quo Itali diuitem. Jolo dicere quid Mauris lignificet zve fed lon diuerfum eft ab Illyrico significatu, Dentes nim sic appellant. Abbaelt nomen quo Deum eneramur, Syri appellant sic ilsonier's Rub Liguribus Taurinis numerum significat vice num quiqum, Illyriimappam intelligunt. ȚIA Græcis quid sit, etiam pueri sciunt, Illyrii Ca nem fic vocant. Vaccam iidem Craua vocant, at Ligures tic Capram. Age vero quot Latina aliter accipit Germanus: Araneam vocat Spi nam: Vicem, Malum: Altum nominantsenem: Album, quod nos medium: Glut, appellant prunas, nos collan: carbonem, Collü.n.Quid quod etiam contraria iifdem vocibus funt com prehensa. Nam Germanis est Caldum, quod { nobis,frigus. Scd iam modus fit.vt etia inteligat certis nationibus Illyricis, et Cantabris notas at formatiuas, aliis gentibus negare, quare etiam eandem vocem contraria fignificare pasii sunt Latini, Vefcum et Obeffum, etalią. Et iidem » Pythagorei mutanda nominasuasere malefortu natis: propterea quod cum eoruin genio iamim posita non conuenirent. In quosi nos illa proui dentia deserit, quanto magis despicabitur, cum matellam pofcemus?Vtrum nominasint penitus fortuita,an certo,confilio. Vm igitur nomina arerum naturanon flu xerint,reette definimus, notam eflerorum stenbyDiettionem,vtlibuit inuentori. At fibido duplex elt, vno modo, cum impetų a ettus primum quod que obuium sumam: altero, cum iccirco libitum mihi fuerit ita facere, quia id ratio quæpiam per fuasit. Ergo cum priores orta cum rebus nomina cötenderet, suntexplosi. Alii cõlalțius accepere. Natura quidem non ortas, sed arte, ac prudentia factas Diet iones. Nam subftatia,inquiunt,fenfu non appreheditur,sed affe et iones:puta,Magnity laho do, Qualitas, Motus, A et io,Passio. Quare hisaffe et ibus motiatque instructi nomina imposita sunt. Afferunt igitur exempla duo: Lapidis, et Petræ. Nam Lapis,inquiunt,a pede lædendo di etus est, habuitigiturnomen a duritia, et aetione; Petra vero, quia pedibusteratur: ab eo quod p? titur inuenerit appellationem. Hinc deindedia gressi,multa millia monstrorum conficiunt. A. lii contra, omnia cafu facca nomina, multo au - conha dacius affirmant:Nimirum quibus vniuersi mun di compago, series, temperatio, cafu, ac temere prta conftituuntur,seruantur constituta. Atque hos posteriores, poftremos esse sinamus: neque enim merentur dici homines, qui ipsiessenolut. Nam quod ad vocum attinet rationem, quis me tis compos, ab amando amatorem negabit esse diet um Illis autem fic respondeamus: Principio, fola pon neceflario concluderetribus quatuorvee xemplis omnium naturam vocum: Deinde,ridi cule attribuere pro caussis Latinas appellationes. Lapis enim, et Petra,vtrunque Græcum fuit,nes, et metga: nam Laterem,pro quo solo barbare pe tram capiunt, nivfov Græci vocant. Sicigitus çensemus: Multa nomina temere extitisse pris mum, fine flexu,fine ornameto,quo tempore no quiero dumrerum naturæ cognitæ fuiffent:ab his mulram sana, a fimpliciffime ducta, vt flexiones:alia immutatis cela quins particulis, vt denominatiua, et alia ciusinodi: un son moment, nulla distorta sütcopositjone. Quodautinque forants horsen Ver sout. Bigualta strapwiWAS own Shait plovek, bug comlimani Referencia recent home songs unr, formis principia deducantur, in quibus neceffe fit fifte re intellectum, id etex rebus patet naturalibus, vbi nullum est infinitum, et in vocibus ipsis fic conftabit. Amaritudo ducetur ab Amaro: Ama rum a Mari; Mare ynde deriuabitur?ab Hebræo, Marath. Quæro porro, vnde sit hoc. Vt finigas quod velis, diuertendum est ad vnum, in quo conquiefcas,quod aliorum cauffa fit:ipfius nulla sit caufla. Plures esse voces primarias.. Si igitur ad certasvoces cæteras referimus; lepimpice operæpretium fuit quotnam effent illæ, inue mimmeinstigare. Etenim si quemadmodum res ab re, ita nomēanomineprocedat: ab hoc nomine DEVS, potissimum omnia deducerentur; at ab hoc pau ca deducuntur. Duo igitur modi testant princi piorum: vnus in Materia, et forma:addeetiam fi vis tlustenay, fiue Carentiam, vt delicatiores, fiue Priuationem, vt ex Topicis M. Tullii colli gere potes, voces.Verum extra hæc omnia, inue nias multa, Calidum, Magnum, Filium, Arma 2_tum, atque alia eiusinodi. Alter moduseftin de cem prædicamentis: sed neque asubstantiali no minededucas substantiale, nequea relatiuo re latiuum,nequeab aliis generibus eiusdem gene ris alia. Nam a Cæfare cum dicis Cæsarianum, potes tam prudentiam intelligere, quam equum. sica patre patrimum cum deducis,a filio eadem lege non potes. et quæuis dictio in prædicamen to rclationis efto eft enimnota, cuius eft. verum sha hoc) che hoc ipfum nomen relationis,non eft relatio: ne queab ipfo relatiua ducta sunt.non enim Quis, aut Qualis, quicquam cum verbo refero, tanqua cum origine sui,habet affinitatis. Certus igitur atque finitus primogeniarum vocum numerus eft: sed nuncquidem, non autem semper: multa enim finxere veteres: vt etiam apud Pindarum inauditum alias conquerantur Gramatici, le iniz? pro eo quod alii wiecuo dicerent. Satis autem nobis fit, scire, multa a Græcis deducta effe, in quoru principiis fani fuerit hominis acquiescere. Non eodem modorem abreduci, et nomēa nomine Vævero deducuntur, non necessario rerum ordinem seruabunt: vtquemadmodum res mody 1 ab re, ita illius nomen ab huius nomineexcipia tur. Nam quantum a quantitate est, li rem Ipe ettes. at contra quantitasa quanto dicta est, vox a per voce,non quantum a quautitate. Ratio huius rei Ratio eft, propterea quod cognitio nostra contrarium habet ordinem,quam natura; prius enim natura notam habuit quantitatem, quam eam poneret: in quanto. Contra, nobis ea, quæ concretavo lini cant notiora suntiis,quæ abftra et a nominant. Ita que antiqui, Quale, dicebant: Qualitatem non dicebant. M. enim Tullius primuseam vocem commentus est. Et adhuc in multisabstracta de siderantur: vt in pingui, neque enim fereante Plinii tempora, Pinguedinem,legimus. Nunc masa cameo quoque animum hostilem dicimus: Hostilita vero tem an dicat quis, non memini. lllud fcimus, Quid COM n oll nu: rm n de in uon gen anun quus header aprobatis antoribus Ingratum vfurpari, Ingra titudinem explodi. Harumlegum rationes cum ignorarent recentiores, fallo putarunt, eundem ordinem deberi nominibus fignifịcanţibus, qui fignificatis rebus inest. Dictionis affectus. DLitionis affectus secundum definitionem nel teriæ rationem: nam ficut in syllabis literaru nu: merus recenfetur, ita in diet ionibus fyllabarum, Accidit autem vt dictio fit vel monogramma, vel polysyllaba. Exempla autem suntcoinitio, atque ordine. A, Amor, Amator, Amatores, Ama rorie, ad superlatiuorum, atque adeo dithyram bicorum vsquenumerum: neque enim Græca rum audaciæ lex vlla certa polita fuit, qui veli. psos pedes poeticos ad qdonas fyllabas produ huisere.Patiuntur quoque diet iones ficut et literæ, et syllabæ: commutantur enim:et appellatur in genere cvcentags: quemadmodum cum ponitur declinabilis proindeclinabili, et e contrario. Flos apprima tenax. et Meurngo xanoswv, pro divas, et καλός σοιών, pro καλώς. Dico autern in generc; nam li particulas ipfasspectes,dicitur avmuspid; vt cum nominapro nominibus, verba pro ver bis, et alia fuo quæque in genere,suis congeneri-. bus supponuntur,de quibus omnibus locis scri ptum eft.Item transponuntur,vt fiquis dicat, Plebis Tribunus, Patriæ Pater, Conscriptos Pa çres. Et quomodo fyllabæ præponebantur di etionibus, M ret. ettionibus, aut poftponebantur, aut interpone. bantur: ita di et ionesorationi. Anteponitur a lu reconfultis:Ecce: sic, Precium ob cauffam da tum, cauffa non secuta, condici poffe.vt:Ecce Me nius decem dedit, vt tuta fibi in foro effe lice Citra illam vocem, Ecce, oratio perfecta erat.Sic adduntar pronomina sine emphası. Ega amo,vas militaris. In medio, coniun et iones com pletiuæ, Tu quidem aberas, ego feriebam. Etin fine,apud M.Tullium ad Atticum: Triginta erat dies, ipfi:Geminatur, Ah Corydon, Corydon. Eximitur, Quos ego. Mutantur autem vt lite - umfolie ræ ac fyllabæ, quatenus illæ quoque mutantur, Adhæc et diuiduntur, vtapudEnnium, -Cerering. diminuiç, brym. Ete contrario componuntur, Malefanus. Et ficut literæ atq. syllabæ incolu mescoiungutur interdã: interdu vero vitiatæ:ita et diet tiones. Nam aut ex duabus integris vna fit; vt, Manucapio.aut duab.corruptis:vt, Mancipi, aut integra et corrupta: vt Cumprime. aut e contrario:vt, Omnipotens.Hoc autem fit, aut in dua bus Latinis: quales eæ sunt. aut duabus Græcis: ut, Menelaus. aut Latina et Græca: vt, Mustela. aut Græca etĻatina: vt, Epitogium.  Diet tionis fpeçies,qua rationefintinuestiganda. Iigitur dictio rerum nota est, prorerum spe- one cicbus, partes quoquesuas fortietur. Videamus mus ergoin magnaautorum controversia, quot, hag van quæ've lint.Quod Græci, o, vocant:apud nosaucamais çem vsitato potius, quam Latino caret nomine; id (Scien • ab quot, gothe SO I 1. Jli. Ju Buaid partim significat res permanentes:vt, equum, album, decempedam:quarum natura poftquam perfecta est,diu perstat:Partim fluentes,quarum natura est, esse tandiu, quandiu fiunt: vbi vero funt absolutæ, non sunt amplius. In hac partitio ne tota vis orationis noftræ confiftit: complecti tur eniin etiam Deum: nam poftquamperfectus eft, diu eft: hocautem diu fine caret. Costantium Nomerigitur rerum notam. Nomēdixere:corum vero, quæ fluunt, Verbum. Nam tametsi nomina quæ dam rem fluentem significant, vt Annus, at non reifluxum. Quin hæc vox,Fluxus,quanquam vi detur a ettum fuendiindicare: non tamen mensu ram ipfius fluxus connotat: id quod verbaipfa fa ciunt. Quoniam vero hæc omnia ad orationem comparata funt, quæ quippam alteri inefle o ftendit, ve Amorem in Cæsare, id aliquandofe juncta nota signatur: vt, Cæsar currit aliquando propius ac felicius naturam imitari instituimus: sicuti nanque Cæsar ipfe, et ipse cursus vno eo demque corpore continetur:ita inuenta est a pri fcis notaidem efficiens suo significatu, quæ qua fi infitione quadam vnum ftatueret. Quarevelut ex Equa et Asino fit Mulus, feruatis vtrinque a liquot vtriusque naturæ particulis: ita ex Nomi ne et Verbo confectum est Participium:quod fic appellarunt, vt hac quoque in parte Græcos,qui us to wdixiffent,imitarentur. Atenim vero vo cabulorum ratio diuerfa eft: nam Græca vox a * et ionem significat:vt,ezoxrapudMathematicos, cæli pars quæ fidera continet: et Pyrrhonis affe {tio, qua in dubitãdo mentis cursum inhibebat. Verum participium non fic videtur: Analogia nanque alia eft in Mancipio,paffiva fcilicet quod manu caperetur.fed fuit sicutMunicipium.Ino ratione autem etiam pro modo vsuque loquendi deeratadhuc aliquid: interdumenim inomine no Prono suppetente, aut iam semel dictum nerepetere mus, nutu aut digito indicavimus aliquid: exem pligratia,Lanceam si petam, etimmijhentib. ho fibus clade sociorumturbatus præci pitem con silia suppetiarum nomen non edam:fed indica tam petam: huius quoque rei nota i nvenienda fuit,nutus scilicet ipsius atqueindicationis. Qua re Pronomen invētum est, quod esser Notarum, id est nominum nota: ficut indicatici digito aut capite fa etta erat nota lanceæ. Nisi enim licinve stiges, non potes, quin veterum errcirem com mittas. Quorum definitionibus neque asNomen a Pronomine distinguere. his positis, illud quo queex rebus explicandum fuit:Namomnequod 'merlin elt,aut fit, aut elt caufa, vtDeus: aut elft effectus, ytridere: aut vtrunque, vt Homo. Ca uffarumi gitur naturam per nomina indicabant; at cauf larumodusnonpotuit: itaque excogitandæ nails fuere notæ, quibushoc quoq; explicarı:tur: quas a situ nimis ruditer veteres appellarunt, præpoli tiones:fed de hoc suo loco. Igitur Cat 5 quu esse posset efficiens cauffa, etpoffet ide esse finis, hoc nomen Cato efficientem cauffam indicavit fic, Cato ædificat, ratione verbi intelligisi psum effe cauffam:at finc verbo fi sit, nihil intelliggas: quare addita præpofitione A statim efficient em decla rabit: fiautem apponas Ad, aut Propter, finem explices. Porro vthis notis Nominum modi de hai clarantur,ita verborum quoque modi, qualita cu telque temperandæ fuere: Nam quum signantur ex res, quæ dum fiunt, sunt:aut temporis finibus certis præscribuntur, vt Hodie lego:aut qualita tis modum recipiunt, vt Bene curro. fccirco hic quoque notas suas habuere, quæcum verba ipfa moderanda fufcepiffent,verbis ipfis appositæ, ad verbia dici meruere. Restabat etiamnum aliquid; quod in rebus positum deberet etiam notis infi-. ho gniri. Nam res vna est, aut forma, vr Animal rationale: aut accidente,vtLacalbum:aut subiecto, vt Album et dulce in lacte: autmistione,vt oxy mel:autcumulo, vt acervus. Ergo quæ fierent v num, vt vnum quoque dicerentur, commenti funt fapientes cõiun ettiones, quarum natura fuo loco acutillime explicata eft: Sicigitur in præsen tia fatis eft dicere, Lacest album;et dulce: Atque his quidem feptem partibus vniversus rerumam bitus, modusque contineri videbatur: niliani way morum affe et us quidam fuperfuiffent, qui nie masbequeiunguntur verbis, neque nominibuscohæ rent: fed eorum vis in animo totafibi confiftit. Nam voxhæc, Dolor, affe et um fignificat: fed Heu, nonhocipsum,quod dolor eft,quir !: re affe et i animi nota eft. Igitur quune c. nes indignatione; atque dolore, atque et yentis interrumpi soleant, maluere interpone re, vnde et interie ettio eft appellata. Acpotuit quidem etiam anteponisetiam poftponi:fed qar Zanteponerets temerenimis,no redditacauila aut Lirasci, aut minitari videbatur: quipoftponeret; leviter dolere.Itaqueet consulto interposuere, et perturbationi animiserviere. Exhis vt patet partium numerus, ita excludu- Em tur falso ascripta: etenim Appellatio, idem quod tay nomenArticulus nobis nullus, et Græcis super fluus, nisi quum rem notam repetit subiicerein tellectui. at tunc est relativum. Idem enim eft, O doûnos pous quod down avoidta: alioqui otio sum loquaciffimæ gentis inftrumentum eft. In finita quoque verba a verbis receptis separanda non effe, ex definitioneconftat. Præpofitiones au tem idem effe quod Coniunctiones, negamusex his, quædiximus. Nam Vocabulum quiaddide re,ne meriti quidem funt,vt refellantur: genus e nim est ve Diettio,non nominis species,vrinepti unt.Nibilenin diftar a voce Vocabulum, nisiqa flexus atque articulosin voce habet. Idem enim est Mendicus etMendicabulum, Saburra etSabu lam,Statio et Stabulum. Eruptigitur Dictionis fpecies odo: Nomen, Verbum,Participium, Pro nomen, Præpofitio, Adverbium, Interiectio, Coniunctio. Quaratione investigande finispecies, quainfle ettatur: et quarenon pluresfintaut Persona, ant Numeri HAArum autem partium quædam cum infle- Ongo ctantur; quædam exdem, eademque facie perpetuo fint: quæ etquare ita afficiantur dein ieps dicendum erit: tiprius inflexionis ipfius ra uiones, atque necessitates eruamus. tlocutioab vno, pluribusve proficiscatur, nihilinterest: fed vnum plurave significet: fcilicetvnius, plurium  $ venota fit. Forma enim orationis, Significatio eft: Significatio autem, a recit, non a loquente: Chamadoquens enim efficiens est. Omnis autem nume mil rus ternionecontinetur: nam Vnum numeri i nitium tantum eft: Dualis primus numerus imp - fectus: Ternio autem primus numerus verus. Quod enim æquales in partespotest dividi, Fini ti habetrationem: quod non potest, Infiniti. Et Ternicipfe et numerum continet, et numeri principium:at Dualisnon nisi in principium,id quevnum, resolvi poteft: itaquePotentialispo ciusnumerussit: quippe numeri potentiam, id eft, Vnitatem biscontinens. Ternio autem actu alis, qui quidem divisibilem fecerit indivisibi lem. Quare Græci quoque mbifor nominavere: Nempe quem si dividas; invenias infiniti habere aliquam imaginem, quæ supersit. Ergoin rerum naturaseparatus in corporibus noreperitur pun et ifluxus,vt lineam efficiat, quæ prima dimensi one obtinet vnitatis proportioner: neq; lineæ fluxus, vt superficiem seorsum designare nobis liceat, verum quum ad Tertium perveneris,vtsu perficiem ducas in seipfam, corpus efficies, præ ter quod nihil est, quod, quove metiamur: Vi demus igitur omnia principio,medio, fine con tineri: fane hæc tria funt. Motuspretcrea,aut est a centro, aut ad centrum, aut circa centrum: ne queab his vllus est alius. Nam qui in animali in venitur voluntarius, ex his compositus eft.Sed et in facristam veteribus, quam noitratibus, ter ple raque 2 taque aut fiunt, aut dicuntur. Et unam Dei substantiam tres, neque plures personas effe verd credimus. Et Grammatici ipfi genus illud, quod tres caperet articulos, omnegenüs appellarunt. Quarequum deduobus loquimur,dicimus, Am bo: quum de tribus, Omnes. Hæcita sunt Trias Sed et hæc eademi tria, dugsunt. Nanqueprin cipium numerị vnum eft: Numerus autem in pre, plura. Ergo in oratione quod significatur aut vnum est, autplura: quare duo tantum nu meri inuenti sunt,quibusdi ettiones afficerentur. Nam Dualem Æoles vt fuperfluum omifere. Acordo significandi accepit Ternionem,a cause mi, assome abow sea fa efficiente: ea enim quum sit principium, re et e Prima dićta est: itaque cum de fe loqueretur,Pria mam conftituit personam. Finis autem eius est communicare quod fentit cum quopiam: ergo Secundam reetet dixit. Materiam autem ipfam,de qualoqueretur Tertiam, Eftigitur Primaeffici ens doctrinæ: doctrinæ enim caufla oratio: See cünda Finis. docetur enim: Tertia materia, de ea enim agitur: Oratio autem Forma,sunt enim Propositiones forma coniclufionis. Quarta au tē fub tertiæ ratione coprehenfa fuit', propterca quod aprimafemper effet tertia: pro materia e nim habebatur. Verum Personæ vocabulo abusi Sharan funt veteres. nam Primam quidem veloqüenem, Secundam vt audientem agnofcimus: hæ fane personæ fint, ar Tertiam quarepeta v. 174, mas i fonam dicam, quæ muta res fit: hocfa et um eft tab omalo,inane propter rei nobilitatem. Eft enim Homo fie biipse omnium rerum regula quædam, fi fefe antimp  M Oi ted -y Ljn rintedmusic IVL. - III. intueatur, quare, etiam Paruusmundusappella tus eft: itaque deseipfo semperloquendum præ cepit, qualı dere cognita subratione regulæ,cu ius menfura cætera cognofcerentur. iccirco per gain fonæ nomen ad ea, quæ perfona carerent, non temere translatum est. Sane Persona intelligi, tur status hominis ab animo, aut fortuna. Ne que verum eft, quod aiunt, fignificare indiuia duam fubftantiam rationalem, vt vulgo vtun tur, cum Itali numerant turbam nomine perso narum: sed accidensnotat, vt feruum, liberum, ingenuum, Heroem, Senatorem, fænerato rem, militem. Itaque cumdefiniuimus ab Ani mo, virtutem et vitia comprehendimus: quum Fortunam, libertatem et dignitatem,et contra ria. Sic enim semper locutisunt probati autores, Nam M. Tullius in octauo ad Atticumin episto la ad Pompeium cum dicit: Mea personaadim proborumciuium impetum semperhabuiffc vi detur aliquid populare: nonintelligit suum cor pus fimpliciter, sed virtutem, ac fortunam suam, quæmeritorum nomine iam commemorat. Ita que in primo Rhetoricorum loca a personisex plicat,nomen,naturam, viettum,habitum, etalia eiusmodi. et in oratione pro Sylla fic locutus eft: Si mihi propter resmeas gestas hancimponis per fonam. Cum dixit Mihi, intellexit subftantiam: aìm dixit Personam, intellexit accides: cum dixit Resgestas, intellexit caufam perfonæ, et circun feriptionem. EtSuscipere personam boniviri:et, Suftinere idem alibifæpedixit atneque suscipit substantiam, acqucmutari poteft fine interitu, Igl.7 UL RIO ut Igitur idem eft, fi dicas, Persona Ciceronis: et, Status consularis: fic enim ad Atticum fcribens, quum negat effe edignitate consulari, di et a quæ dam iacere in Clodium, poffis interpretari, Non pertinere ad personam eius. Vnde autem dicatur, contraquam Gellius fenferit, quotque significatibus audta sit,in libris Originum amplis fimenarratum eft. Fuitet aliud imitandum,quod com extabąt natura: siquidem intererat, vt quodmas, ro fæminave effet, et quod præterea neutrum, indi caretur. Quare quod per marem fæminamque propagarentur genera, genusid diet u fuit: quod autem extra hæc dugeffet, non dire et o fignifica tu generis nomine accipi debuit (ytiocatur fux per ineptiis Grammarici lepidiffime Ausonius ) DrTo sed per negationem. Neutrum enim, genus elt, Nisha quianon estgenus: ipsum enim nomen indicat, non essegenus. Hoc igitur est,quod non eft.Hoc enim habent negationes, vt non ponendo per nant, veluti cum dico, Nullus homovenit: hic 1 actio eft, finepersona; fi enim non fubeft homo In aduentui, non eritactio. Nam præceptores mej S hoc errabant,cum moremedicorum Neutruge nus ex vtriusque participatione constituebant, use Temporum autem rationem fuiffe necessariam Rum, no spe intelliget, qui motum, quid fit, fcit. Sed illud ia fuitanimiofficium, opulque perfpicacis. Nam plentas quum affe ettus varii fint in functionibushuma # nis,puta Optandi, Imperandi,veritatem designa i diverba ipfa,quæ a ettiones significarent, inflexê Cipre, eosquefexus Modos appellauere; propterea i quod aliter, atque aliter animi propensiones Lij. teme in COM 260 IvL. III. temperarent. Videndum est igitur has diet tionis affectiones,quæ, quotve partcs orationis,quibus Vede caufis sibi vindicent. com Substantias,quæ seipsis constant,cade semper effe, qualicunque animi affe ettu notentur, mani festum est. Nam Equum pronunciarovel optan do,vel imperando,non mutabo: itaquecum ne que meianimi mutatione, neque temporismen fura mPombaut, quin idem equus sit: nequenomi na,nequenominum notæ pronomina, tempore aut modo variabuntur. Simpliciores autem no tæ,quævincula tatum essent orationis, non ma. gis potuere mutari, quam vin et io ipsa in rebus.Si enim Cæfar cum Catone bellum gerit, neque per fonam possis ei hosticæ conuentioni, neque nu. merum, nequealia apponere, vt varietur: ideme nim femper eft to umegye evcvartiov. Sic reiectz funt Coniun et iones, Præpofitiones,Interie ettio nes, nudæ enim,etfimplicis rei notæ sunt.Vnum venit in cotrouerfiam. Aduerbium:nempecum dico Heri, Cras, videor temporadiscernere. Sed non ita est,haud magis,quam quum dicam,Dies, Annus:tempus enim significatprimoftatim fig nificatu: at verbum non tempus,led subtempore. Itaque non vna eademquevoce, sed diuerlis di versa temporasunt aduerbiis significata: itaque ctiam a numeris exempta sunt: cum enim efsent temperamenta quædam verborum, verborum numeros sequifatis fuit. Erunt igitur Nomina variata per Numeru, et Perfonam, ficut et Verba: peculiaria autem illis alia,alia his,dequibus suo loco.Nuncenim cauffas 161: 1 1 US ep CD fas declinabilium, etindeclinabilium vt perscru taremur, fatis hæc hîc habuimus declarare. Affeettus specierum dictionis alterius modi. Tquehis quidem affectibus rerum ratio ex -plicabatur:fed et alii fuere potius, vtita di- maksi cam,materiales: Figura, et Casus. Cafusenim ad diftin ettionem intellectionis funtinuenti,nonex ipsarum rerum mutatione. Figura autem non femper a re. Namquoniam vel mistæ, vel com politæessent substantiæ, composita quoqueno mina fuere quædam,vt Tragelaphus, Vulpan ser:aut substatia et accidēs,vt Equiferus. At quæ dam fuere figuræ, quæ nihil ostenderent in re compositum,vt personare, insistere, et alia talia. Despecieautemdubitari poflit: nam quemad- Spremni modum qualitas intellecta per fe, a nullo tunç dependet, puta. Iustitia: at in Cæsare eam fi con templemur, videtur ab eo et constitui et pen dêre, iccirco videri quoque possit deriuatum nomen lustus, substantiam iplam tanquamsui principium confignificare. illa omnino eft in verbo materialis,Coniugatio: nihil enimrefert (omu quodnam in elementum abeat,modo a et io, aut gako passio fignificetur: quare diuersæ inueniasCon iugationisidem verbuin, Lauo, Denso: Lauare, et Lauere: Denfare, et Denfere. Ordo vero,ne-owo que a re fumptus feruatur, neque immutat 0 rationem, nifi certis modis transponantur: ne que enim codem dicasmodo, Omne viuens est animali et Animal eftomne viuens: fed structura L ij. et Ini 20 1 D mk Too Us atac elle  eni mi 701 om  IvLi III. BON omnino nonmutatur.Anautem fit proprius af fe et us cuiuspiam,suo loco dietum eft. Hinccolligere poffumus, cum alii sinterebus hati,alii materiam ipsam vocis potius sint fecuti, ex quibufdam conftare neceffario veritatem, ex aliis non neceffario: nanque vitiatotempore,fal sa fit oratio:vt, Vergilius iterum nascetur. Siau tem vities genus; non fiet falsa, Vergilius bona: Figura autem etiam falfam facit orationem, vt si dicas, Vergilius est poesis. Modorum autem fo lus Indicatiuus pertinet ad veritatem. Sed de his fuo locos.  QuodPerfona, etNumerus accidat omnibuspara tibus, quomodo: et An Sexus Verbis addi debeat. STatua intelle etionon vniufmodieftita, ned voces: ftatuam enim interdu agnoscimus, vt eft fignum Cæsaris; interdum vtmarmor eft:po fteriore modo, percipitur vt substantia: privre, vtrefertur. Sic imago in speculo et res eft quæ dam per ses etsignum alterius rei. Eodem modo *** quüm voces rerum signa funt;eatum quoquena turar imitantur:vbivero per seaccipiuntur,ipfit na quoquetanquam res quædam intelligutur.Qua retum aduerbia, tum Coniunettiones, aliæque eiufdem modi, cum Nominibus Verbisque et fecundas perlonas, et tertias obtinebunt: fed non codem modo: nam Nomina Verbaque res lignificant,personasconsignificant: Coiun ettio nes; atque cæteræ tales partes; rerum odos asn't figni. 16 € bi U:. -50  nh let poli significant, perfonas non confignificant,fed ipfa snb persona consignificantur. Exemplumrei huius hoc eft: tra et abo naturam huius coniun et ionis Quanquam: in ca narratione femperap ponam verba tertiæ personæ. Exclamabo adi psam oratorum more: vtin fabulis, O coelum, a terra, o maria Neptuni i quæ nihilo melius re spondebunt mihi: apponam fecundæ: confi ciam Prosopopæiam addentur primæ. Eodem quoque modo vox hæc, Patres erit numeri plu ralis,quum lignificabit: quum significabitur,lin gularis: quaratione etiam pluralis numerus, dicetur singularis. Sed restat quæstio, Quam ob rem Verbo sexum non addidere, id quod fece runt Nominibus. Atfieri debuiffe vel ratione vi tur posse comprobari: Nam quumVerbum sub tempore id significet, quod Appellatio fine tempore: ficuti Appellationes fecutæ sunt fixo ram naturam, ita etiamVerba fequi debuere. At Appellationes fexum, iuxta fexum nominum fixorum, id eft, substantiuorum, mutant: igitur etiam Verba mutare debuere: Curro enim corsum significat sub præfsnti tempore, et albesco, album. Siigitur re et e di et um eft, mulier alba, quo in loco, album, mulierem fequitur: eodem modo Albescit, quoque mutare genus debuisset. Satis igitur eft colligere, fieri po. tuiffe: breuitati autem cor sultum effe, quum, factum non eft. QuareVerbum, quum trans it in Participium, facile ipsum genus recipere quiuit. Diuiditur igitur in Declinabile,etin Ladecli nabia LIS, ultra ique ma ujen are F.Q Liza que R;/ Zule! nd ma L iiij. 164 IvL. IV, nabilem, quaternis dispositis fpeciebus:ibiNo. mine, Verbo, Participio, Pronomine; hîç aduerir bio, Præpositione, Interiectione, Coniunctione, Kase Nominis essentiam, tamabappellatione,quam a reipsa, statuit. HACTENVS postpartes,diet io: nis Substantiam ipsam venati fumus, eiusqueAffeet us: tum Species, earumque affectiones incommuni quibusque essent cauffis in vium profectæ. Nunc iam deinceps fingulis libris fingulorumratio ex Onio plicandaeft,codem ordinequotesipfas,quarum notæ habebantur,funt fecutæ.Nomenigitur pri mumexequamur:efseenimnotam rei permane. tis,ex iis,quæfupra diximus, fatis conftat. Itaque iniplaappellatione comprehenfa est vis quædam ađionis: quasi ipsam esset cauffa quædam notio Vox pis Namyt aMouco,moui,motum,Mouimen, Mor ne 1 s Momen; sica Nosco,noui,notum,Nouimē,No men:eft enim imago quædam,qua quid nofcitur: instrumentum quali quoddamcognitionis: ac veteres quidem rectam yiain institêre, cum dice- Vol. rent, quasi notamen. Verum minus recte bonam ser ntiam explicarunt: Notatum enim poftc mi reft, quam Notum: sic Notamen, quam Nomen; vt e contrario ab hocillud potius fit. Fuit prius Noo,a quo Nosco:vtnetucaw,a quo niespoo onu,apudTheocritum; Æoles enim ficloquicon fueuene. Multo minus audiendisunt, quia Græ co όνομα,φuodωρα το νέμειν, ficut et νόμος, dedu. Α. Αν xere: quoniam quo pacto lex suum cuiq; tribuit: ita et nomen fuam cuique imaginem rerum red dit, nequeenim reette deductum intelligas ex ip * fa, quam temere auferunt,vocali. sed övojce, rei vc titulus fuit, a iuuandoquafi o;eopa: cuius vsu rem agnofçeres. Hæc est vocis origo. Res autem lis fic fehabet in definitione, Didio declinabi- Sey per cafum, significans rem finetempore.O. mnes enimpartes fiue species diet ionis, per ge nus suum, fcilicet per diettionem suntdefinien... Test dæ: vt constet error gramaticorum,qui eam par tem grammatices appellassent. Aliud enim eft le grammatica, aliud grammaticæ subie et um Di et tio fue Oratio.Sicut neq; verum eft quod aiunt alii,quiGrammaticæ partes quatuor fecere, Li teram,Syllabam,Diet ionem,Orationem. neque enim est grammaticæ pars Oratio, fed totum ip fumargumentumquod vocante'moxeipfuor.Quis enim dicat Archite et uram diuidi in ædes? Diffe rentiæ autem illæ neceffariæ funt. nam Præpo L y fitio to Da tuca 2017 TUI pri gh t10 hel Com > Sitio non declinatur:Verbum remouetur per ca füm, Participium per temporispriuationem:Hac tamen definitionenon differt aPronomine, nisi adhucaliquidagas; sic primo,vel finemedio rem fignificans.Nam pronomen hoc,OVI, Cafarem fignificat,sed nonstatim: primum enim refi psum nomen hoc CÆSAR, deinde rem ip haveteres autem vt in cæteris definitionibus, fail li funt,cum dixere fignificari, substantiam aut qua litatem, propriam,velcommunem.Nametiam aliud quamsubstantiam significant, vel qualita tem:quippe quantitatem, relationem,fitum, pri vationem, to egely,to. Illi vero etiam ridiculi fint, quiin nominis definitionerem a corporedi ftinxere, nihil eniminfelicius grammatico defini tore. Nominis affectus etiam accidentia appella vere, quoniam Græci ovubsExxotoko verum itain telligas; non xouvai, fed idhis, quæ Quintilianus recte propria vocat: sunt autem sex, Species,Ge nus,Numerus,Figura, Persona; et Casus.Atque horum quide quinque a veteribus confeffa sunt, Puum a persona autem turpiter omiffa.Principio,ficcir. w >2.90.co reiecere, quia eadem vox finevlla variatione, quamlibet confignificetpersonam, etiam a pro nomine auferenda erit:neque.n.hoc pronomen Ipfe, vt primamaut aliam notet, variatur: neque hoc pronomen Ego, aliam, quam prima indicat Sed hîc quoque acrius iudicandumest: namPro nomina perfonam fignificant. Ataliud est signifi care,aliud cõsignificare: vt hoc nomen Tempus, significat menfuram motus,verum non cöfigni ficat motum.atnomenhoc Persona,id quodfu  pra  ra H, TE enhers i OL 11 lin ope veli pra diximus significat, sed personam certam non consignificat,sic Pronomen hoc Ego, personam significat quamlibet: pro quolibet enim nomine ponitur,fed primam tantum consignificat:quare cum per personas non varietur, non allignabit af feet um perfonæ Pronomini. Poftremoid falsumbern videmus esse, quod de Nomineafferunt: ideme nim nomen vtalioflexucasum, numerum, figu ram mutat, fic etpersonam. Nam fecundæ per fonæ quinti casus omnes sunt, quos dixere Voca tiuos. Verum neq; hanc fubtilem sententiam illi intellexere, et omnino tertiæ tantum persona nomina putarunt, adeo inepte, vt nisi adiecto Pronomine, negarintpoffe dici, Homo curro. At aamce o bone, quod Pronomen agit, vicarius quidam: herus ipse, Nomen scilicet pro quo illud ponitur, non ager? ergo non Pronomen a Nomine, fed Nomen a Pronomine dependebit.Atfuit aliqua alt. do, quum nullum effet Pronomen: tum miseri mortales de feipfis nihil poterant enunciare Co cedunt pudentiores vsum verbi fubstantiui, et fi milium, Homo lum, homofio, homo nascor; homo dicor: at quid est, Homo curro, aliud, quam Homo fumcurrens? Itaque paulo modestius alii sunt nugari, Appellatiua huic vsui concessere, Propria fuftulere:vt nð nominiin suo genere co- poruci petat variatio per personas, sed eius fpeciebus ali quibus,proprio autem no.Verum qui intelligat; quid grammatica fit, facile corum reprimat au daciam. Eftenim Grammatica fcientia loquendi ex vsu:neque. n.conftituitregulas scientibus vfus modum:fed ex corum ftatis,frequentibusq; vfur patio 2011 tan.G fuera  pationibus, collegitcomunem rationem loque di, quam discentibus traderet. Igitur cum tam a Ex. pudGræcos, quam apud Latinos prima verbi persona cum propriis nominibus posita sit: idque eta probatiffimis, et frequenter fa et um fit: debue reabillis isti legesaccipere fibi, non de suo finge re potius, quam figere. Omitto illud Euripidæ, jww nonu'dwpas. et inoratione Demosthenis con tra Midian, παμμένηςπκμμένεςέπαρχος,έχον χει oog acicu ciw, roixa @zizuorech ag eghalomgy. Venio ad noftros: Ouidiussic loquitur:Hospita Phyllis queror:in epiftola Heroina. In fine comediarum Terenţii verba illa funt:Calliopius recenfui. Sue tonius C. Cæsaris verba refert: Tantis rebus ge stis C. Cæsarcondemnatus essem. T. Liuius in primo, Romuli hæc: Hæc tibi victor Romulus Rex regia arma fero. Idem in perfona Anniba lis: Annibal peto pacem. Sallustius in oratione C. Cottæ confulis:En C.Cotta conful facio. Ne Rs que vero fubeftratio,qua possis dicere, Homole go: et non poflis,Cæsarlego. Imoveromultore et tius: Cæsar enim ego sum, non alius.at alius ho mo æque, atque ego. Quare in tertiam potuit transferri appellatiuum:propriumautem reman fit mihi in prima. Eft et illud validissimumargu mentum, Nomenessenotam rerum, siue igitur pe tempusinspicias,siuedignitatem, primum feip fum nominauithomo: at in homine, priino per sona, et ab eo aliis communicata. Quidillud? fi Nominiin communi,vt nomen est competitca { us: et tamenqaluuma variatio defecit aliquotno mina;erga quid dicendum? Respondebut, etreas et lo Ete casus quidem effe, vt in nomine Cornu, sed per diuersa elementa non effe manifestos. Ita et iam nos, perfonarum ordinem in nominibuseffe indiscretum, quem in vocatiuis aperte pofteaex plicarent. Ex his constat Linacri lapsus, qui ita scripsit, Sinc certæ personæ adsignificatione fi gnificare: quintus enim casus certam fecundam præscribit. Et ipse in participii definitione dicit, Capere a nominenumerum et personam. Est autem persona primo nominis affecttio, secundo verbi quod iplum fit Nomen secutum, vt dixi mus, quod,Prima:ad quod,Secunda:de quo, Ter tia, Efficiens, finis,materia. Hæcestigitur nomi nis effentia,fignificare rem permanentem:atpri sci id effe proprium eius ridicule prodidere; qua inscitia etiam in aliis fubftantiam cum accidente confudêre. Quoquifque ordine affectus traltandus fit. Rdinem quoquehorumaffectuum veteres on UL uc T neenatus fluxit:ita debuit explicari.Ac nemode bet dubitare, quin et Numerus, et Persona pri mas sibi sedes occuparint:sednumerus prior fuit. Rummus Nam primum etsecundum, quod eftin persona positum,eft relatiuum:prima enim dicta est,pro pter fecundam. At Numerus non eft relatiuus, sed absolutus: absolutum autem prius relatiuo. Poft perlonam autem genus cditum est: videmus cnim in pronominibus primitiuis genera con fusa. Poft Genus emerfit Casus, quem expressit  ambiguitas:cum primum ficcssentlocuti, Cața interficit Cæsar. Itaque ve distinguerent oratio nem flexumapposuere. Vltimæ fuereSpecies, et Figura: ac Species quidem multo magis necessa ria, itaque Figuram præcedet: fine Figura enim constabit oratio, lineSpecie non omniscõltabit. Neque enim dices, Cato cft iustitia. Atque ipfo Socquidem Cafu Species fuit præstantior: materiæ pi bel enim affectio simplex cafus eft:Species autem et iam ipfi Teineceffaria eftad fignificandum:mu tat enim Species modum fignificationis, Cafus autem nonmutat. Sed fere et a philofophis ipfæ funt Species introductæ, Denominatiuorum, et eiusmodi: at Cafus vsu tantum exorti facile funt, ac propterea priores fuere.Sicigitur recensebun tur: Numerus, Persona, Genus, Cafus, Species, Figura. Sed prisciita peruerterunt: ficuti cum ante Verbi, aliarumque partium definitionem, pro pria eorum narrant.  PeNumero, C depersona quidem iam diet um eft: coas et i enim disputationeid fecimus:'de Nume ro autem est hîc agendum. Numerus eft quanti štas, quæ per fe ipfa diuisa ac cumulate vltimo kermino ab aliis distinguitur. Eft enim Binarius numerus duæ vnitates, Ternariustres: quæ sua natura non sunt fimul, fed cumulatione,liueag gregatione, fiue appofitionedicas,nihilintereit. Distinguitur autem omnis numerusab alio nu: mero vnicotấtum termino, coque vltimo: vnam A ind enim No TE Song ILL C enim habet dimensione quantitas discreta, quip pe longitudinem: fuit enim vnitas discötinuata; nequeenim recte dicitur fluere. Cumigitur om nis numeri vnitas initium sit, non differet nume ri inter fe hoc termino vnde fluunt, fed eo in quo fiftuntur. Hoc enim Quaternio a Ternionedi ftat, vnitate scilicet poftremo apposita loco. Occu patum autem eft confuetudine, vt Vnum, ctiam numerus diceretur: quare id quoquefecutu fuit, yt numerusalius dicereturSingularis, alius Plu ralis: neque enim mediu vllum estinter vnum et plura:quoniã plura ex vno frequętato fa etta funt,similar Quarelones non re ette fecere, qyi Dualem nummon merum a plurali discerpsere: atq;iccirco feuerio res Æolesnequerecepere,nequein Latinos tras misere. etnugacitas illa Ionum in multis tempo ribus verboră personas aliquot nõ potuit eruere in eo numero:in nominibus autem pauculosca of sus expressere. His autem, quæ diximus,infelicif simegrammatici obstrepunt:egrelli enim esep pris suis non poffunt quin ineptiant. Singularis, lwg.mo inquiut, numerus verissimºnumerus eft,propter when a ea quod repetitus facitnumeros, inque eum ipli resoluutur. Principio, hoc est disputatu in divina philosophia, Unitatem non effenumerum, ficut neq; pun et um quantitatem neutrumque; efle in bet prædicamento quantitatis,nifitanquãprincipia. Multis autem argumentis deiiciuntur de staru 13! fuo. Si enim numerus eft quantitas discreta, id est a quantitatesdiuise per superficies, et coniun et x te per comprehenfionem,imo vero ipsaquantitatī. ratio comprehēsarum: non erit vnitas numerus, non TIES m2 nas le IyL. IV. non enim diuidi potest: idem enim eft diuisum, etdifcretum: ficutidem cocretum etindiuifum. Sumptis quoque eorum principiis direeto aduer fus eos colligamus. Numerus, inquiut,singularis 2 reet edicetur: quiageminatus,aut multiplicatus cæteros omnes creat. Ergo numerusnon eft:hac enim ratione punctum esset linea, linea superfi cies,fuperficies corpus. præterea Binarius, Tere narius, Quaternarius,non esset vnusquisqueñu merus feorsum:sed Binarius, duo numeri:Terna rius tres:non effet igitur quantitas, sed quantita tes: numerus enim quantitas eft,ergo numeri qua titates. Nihil vero mirum hoc errasse qui eu ma Ale iam definiuerant, Numerus eft dictionis for ma, quæ discretionem quantitatis facere poteste | Principio male assignaruntdiet ioni:nequeenim competit diettioni,vtdiftio est; omnibus enim competeret dictionibus: hoc autem eft falfum. 2. Deinde formam dixere, cum tamen numerus fit 3* accidens. Et male dixere, discretionem quantita tis facere; sed potius discretæ quatitatismodum, 44 aut differentiam notare.neque excluduntur Ad verbia illorum definitione: Nam Bis, Ter, for mam habent dictionis, quadistingui potest qua Propmatitas. Proprium autem eltfingularis,finitumef fe:id eft,certum:quiafcimusquantum sit homi num, cum dicimus, Homo. At pluralis infinitus est,non quod fine careat,nihilenim in natura in finitum:sed quia sitincertus. Sienim dicas, Ho mines: quotsint, nefcias: itaque addituraliquid præscribens, vt Decem, viginti. Accidit autem interdum, vt eadem vocediuersus numerus in telligatur: quemadmodum eft in fecudo casulina gulari fecundæ inflexionis, et in primopluralie iufdem: in neutris pluralibustribus, ac hngulari fæminino: vt,SACRA. In quib.autem evettiat, in capite decafu dictum est. Secutus autem eft nu NE merus grammaticorum, suiipfiusnaturam in reo busiplis: par enim etdispar, vt diximus, non si muladfunteidem numero: ficneque pluralis, et fingularis: fed satis est alterutrum vni voci ineffe. Ac quemadmodum numerus quivisaddita vni- Awesome tatc acquirit rationem pluris, ita aut numero ly ! labarum, aut temporum, plurales numeri nostri maximaex parte,lingulares fuperarunt: Poeta, noule Poetæ:Dominus,Domini:Pater, Patres: Cornu, Cornua: pauca enim aliter invenias. Sed et ina liis cafibus fereidem invenies. Quare cum idem numerus non poffit esse vnus, et pliires, et idem nomen vtrunque significare queat, ut “Amor”, “Amores”, consultum elt huicrci,vt per fyllabarumi aut temporum appofitionem, idem nomen effet seipso maius, et aliquo modoa feipfo diverfum. Hocautem, vtdiximus, maxima in parte nomi num est, non in omnibus. Sermo enim teme re inter agrestia ingenia primum örtuš refraga tur aliquando legibus doctiorum. Igitur quæ - yna v hrun dam sunt nominä сiusmodi, vt numerum v trunque obtineänt, qualia diximus: nonnulla semper singularia: quædam semper pluralia: et in his quædam pronumeri natura numeru red dentia: quædam non: fed alia singulari nume to plura fignificantia:alia plurali numero, singu la: Semperigitur fingularia,aut semper pluralia 46 T 7 Mj: Vin vteffent,effecit aut natura,aut vsus. Natura sunt singularia, quæ certa sunt individua, ut “Sol”, “Czsar”.Item pluralia, quæ multa sunt; vt sunt hoc; quod effe dicuntur,vi Gemini,Pisces. Dico autem, Et funt hoc, quod effe dicuntur: propterea quod colle et io illa plurium fingularium maxima ex parte pendet ab intelle et u:vfus autem tyran nide extortum est, vt quædam sine ratione essent fingularia,vtfumus:nam quare non dicam duos fumos?et duos sanguines? Hæc igitur sine ratio ne. Quin etiam contra rationem: etenim Pul verem, et Arenam dicimus, totum illum cuma. lum, cum tamen ipfarum partiumminutaru po. tius effe debuislit. Pluralia autem quare dicas Lynum dicm, Saturnalia, Floralia, ratio subest Comprehendit enim et ludos, et ioca et merca tus,et comeffationes,et alia. AtCervicesquare dicebant,cum Collum quoque dicerent:aut qua re Colla,vnius tantum hominis: Emendat ramen fefealiquandopublicus vsus tollēdo quod statue rat, probatorum autoritate: quibus aliter placuit 4 poftea dicere: vt Cervicem primus Hortensius pronunciavit: item Farra, et Mella, et Vinaalij: et quibus placuit idem nomen proprium diuersis imponere:vt, mihi, et lulio CæfariDiet tatori. Ea dem quoque autoritate coacti sumus verum fin gularem in plures dividere. Vna Gallia eft,fin. gulis vtrinque montibus, totidem maris limiti bus, etfuvio Reno præfcripta. quare igitur in tres, quatuorve Gallias divifimus? cum vna Græcia, yna Italia diceretur. Ac fane commo. idius Italia in plures potuit distingui a namvetus Ausonia, quæ et Oenotria,et Italia nominata fu= 4/2010 it,ne Tiberim quidem attingebat.Poftea Roma-> ni ne Barbari ellent, vi extorsere,vtad Rubicone vsque fines extenderentur. Octavius rerum po-). titus,ctiam nominum dominus effe potuit: atq; etiam, li Diis placet, ad Varum vsque propagavit: ut Alpes ipsas quoque, quas natura fixerat com munes, a barbarie vindicatas Latino nominiat tribueret. Sanevero, quí Nicæam in Italia transtulit, potuit Italiam ipsam, ad sociam et participem velnominis,vel gloriæ Romanæ Maffiliam pro rogare. Sed de his aliâs. Eft et illud contemplan- Rana dum: Nihil referre, vnum pluravelint:an vnum plurave putemus. Ita cum ex divisione provinci. arum acpræfe et uris,Transpadanam, Cispadana, a Cisalpinam, Transalpinam, Belgicam, Celticam, Aquitanicam dixere,propterea quod ita effe ar bitrabantur: fic philofophorumquidam cuplu r'es Mundos, Soles, Lunas intellexeretquodano bis numero fingulari prolatum fuerat,ab illis no heeft vitiofiusin verbis quam in rebus multiplica tum.Itaque loues etiam dicimus, et Veneres, et Cupidines. Itaquefcribunt, Orbem terræ:et,Or bem terrarum. NamTerra nomenproprium est in singulari vnius elementi, quæElementum est, atque idem semper in sui fimiles partes dividitur. Cum autem in plurali ponitur, eitidem nomeli teřis, et materia,sed non substantia. Neque.n.ex W proprio fitappellativu,vrdixere:fed aliud estre, 1 licet voce coveniat. Sicut in Caet Numeris in 1 dem quoq; evenit:Nam,facra generis fæminini, Mij. numeri numeri singularis, non eft eademyox cum plura libus neutris:accidit enim, vt iisdem fcribatur e lementis. Terræ autem divisionem aufpicati sunt a familiaribusoccupationibus, et ius ipfam iniu riam'appellarunt: neque enim melius Terra de buitalijatque alij attribui,quam aer. Itaq; natura vindicat fefe, et mortuos Tyrannos nonmaiore tegit tumulo,quam vnum ex oppreffis, fefe om. nibusæqualem oftendensmatrein.Quęvero lin gulari numero plura fignificant, naturam ipsam in eventibus rerum funtimitata: quippe vnuscu mulus,vnus acervusdicitur: atid vnu, plura funt: edita Populus,Turba,non fine ratione fimplici nu mero, multiplicem significatum comprchende Thebae.Nam Thebx,et alia eiufmodi,fecura sunt con ventum libertatemque civium:quorum omnium nomine, non vniusgererentur res: alibi enim a pertius hoc declaratur vt in Commentariis Cæsaris, Helvetij, Menapij, Arverni. Multitudo enim in populis, nonmania in vrbibus explicaptur. Harum autem vrbium numeruscu fingularifle. xu profertur, vt apudStatium, Theba,fequitur v nionem ipfam in fignificando. Quæ igiturperti. nent ad numerorum naturam, affectus, vsumý;, hæc funt. De Genere. Bon Aturalia quofdam habent affe et us propter fe: vt,moventur animalia, quia fentiunt:er govt evitentnoxia, etvt commoda consequan turymovendi facultate prædita fuere. Alios affes et us or 7.2  DIC Aus habent propter alia non propter se: ut excrementa sunt, vt cujus Tunt,ipsis exonerentur:ne que enim aliqui pili quibusdam in partibus ho minis vllum propter sefinem habent: nulli enim ysui funt: fed ve fumofis exhalationibus illis va cet intus ibi corpus. Eft et alius modus, vt genera tio affectus enim animalis eft non propter ip sum,sed propter speciem. Nisi enim indiuidua certa producerentlibisimile, interiret species ip fis deficientibus. Quare generandi facultas eis da ţa est:atque aliis quidem alio modo:perfe ettis au tem per fexum:in quibus mas, et fæmina distin guerentur. His de cauffis, quæ voces fexus effent notæ, qua rationcidiudicarent, eam rationem en Genus appellarunt, a poteftate earum rerum, ', que significarentur. Sexus enim cstalterutra po- liceret testas generandi. Neque recteantiqui dictioniSlim? isl attribuere: Trium enim tantu in partium eft,non autem Dictionis.Sed ipfi falfi funt, cum non ef fet nomen pofitum ei generi, quodpeculiariter has tres folas partes capit. Alii addiderunt fic,Di * et ionis declinabilis:fed falso:neq.enim Verbiest, pc Eftigitur illius fubalterni: fic enim media va i cant: generis affc et tus terminatione fexum notas. Sita enim eft in fine vocis, vt Cælar, Mufa. Ne que vero impedimento cít, quod ctiam masculia na terminatio cum fæininina concurrat: vtMu rena,Aurata, quæ funt cognomina virorum.Hoc S. op enim accidit a cognominibu sanimalibus: sic Syl nila, aprudentia, quasi Sibylla: et alia, quorum ra tio fuit hæc secuta. Neque Barbara obsunt, Iu i gurtha, luba: illis enim ca fuerit terminatia ad hoc le M iij. 178 Iul. IIIL 1 hoc officium,yt postra nobis, Quod si qua eft ve triquefexui communis,non destruitur iccirco de finitio: vt, Legens, et Felix: intelligis enim vtrum quegenus includi: quod non facies in Leetus, Le Ćta:aliter enim terininantur. Iccirco fapienter diximus, Notans, non autem distinguens:non enim semper distinguit, ob verborum scilicet pe nuriam: funt enim res plures, quam vocabula. Cætera autem, genera aut non sunt, aut hæc funt. Ac deNeutro quidem diximus:nomene, nim hoc, Neutrum, negat ipsum cffe genus, Cum enim dicis, Neutrum genus est, significas wipfum effe,quianon est. Sicutsvavulla quædam herbæ di ettæ funt:quæ quianomen non haberet, che nomeniņuenere. Eft autem Neutrum duplex: vnum, quod vtrạnque fimul reiicit genus: vta Scamnum. neque enim autmas, aut fæminaest, Alterum, quod ncquc rejicit, nequeftatuit: vt, Gubi Mancipium. Addidere autem, quod Incertum vocarent; vt, Dies: fed hocabipfa re, neutrum quoque eft. Sexus enim non nisi in animali, aut in iis, quæ animalis naturam imitantur, vt arbo res. Sed ab vsų boc factum est, qui nunc mascu linum sexum, nunc fæmininum attribuisset, hocitaque nonulli eţiam Dubium appellarunt. At illud ferendum non fuit, cum animalia quæ, dam suis generibus non notarent; hanc ncgli gentiam Græci vocarunt genus etiroivov, pessi me: nam xovov, id quod Duocomprehendereç genera nominabant. hoc autem Alterutrum tan tum cum recipiat, no potuit habere præpofitio pēem:addit enim quatitatēmathematicis. Vt emia rippv, Noftrimelius promiscuum, quod differret I  1 lad. avt cius pics ns3 LIC cam ma co FC 010 ego com-, GUE a communi: quoniã comuneidem æquecaperet vtrunq. fexum, et effet vox generica autspecialis capies indiuidua:vt homo,cui aliquando femini num,aliquando masculinu apponeres adieet iuũ, vt homobonns, homo bona. At Promifcuo non item: fed alterutro sub sexu captę voci, vtrunque sexum affignares: vt paffer albus, ctiam de femella. Is autem defe et us cum in vsum furtim irrepGifset, timiditate quadam fotusest. Nam vt$$ Mulus, Mula, Ceruus, Cerua, quare no Aquilus, Aquila, et cum haberesfuucs, Fwvis, quamobrem non dixisti, Thunnus, Thanna. Namquçadmit, tuntcommunes terminationes, ausim muni quoq. genereinsignire: vt hic et hæcouis potius dicatur, quam aut hæc,aut hic vel hæc, vt etiam veteres pronunciabant. Atque illi quidem, cum Taurum re et e dicerent, etiam ad conuiciu Tauram, comentisunt. Quare igitur voluptatis diuerticula quæfiuere: necessitati autno inferuie re verum nulla ars repete perfecta extitit. Ille ve roin multis vocib. ficin vocu terminatione fata Opuze lis defe et tus fuit, cum tria genera vnica vnius vom cis terminatione coprehensa sunt, vt Felix: vng enim vox est,materia fifpectes; at si formaintro. spectes,tres sunt vna facic.llludquoque ex anti quiseft cautius accipiendů: Nacumdiscrimogenos a Nerum statuut, per notă Pronominis, a pofterio - riaccipiunt cognitionem:nequeenim Cæfar, eft generismasculini,quia ei præponitur hic:sedco gnoscitur ita cffe,qaita præponitur: præponitur aute,quia eft. Hæc de re ipsa. eorum autevoces etia sunt declarandæ.NaMas,Ofcadiettio fuit că la cifa a Mamerte; Mamers.n. et Mauors, et Mars, forrem apud illos fignificarut; non quodma na UIT CIT IO MIC Sil m voca vorteret vtaiunt: neque enim Latinæ voces fue re. Fæminina antem a fætu:fætusautem cause to Coitur: nam hocverbo veteresrem Veneream fignificarant pudenter: ficut Latini, Coire: quid enim purias,quam comitem esse? item consuetu do: ' lic Græci owevci, et vyzivela, et alia mplta, quæ in libris historiarum diligenteranno  tauimus. Disputarunt autem Grammatici Ma pufcula Lante genera anMasculina dicenda effent: et Fe stus in xii. Masculina mauult, quoniam Græci quoque apravixa Hai Inaura ', non autem appara, etFraua. Idem Feftuşin primo, Fæmineum di citGenus, non Femininum. Recentiores deli cati malunt dicere, Generis neutrius, quam peu tri,fed antiqui fiçinflexêre Vter, vtri, vtro; fi cut,Vnus,vni,vno,vnum,vne: vt es apud Catullum. et Terentius, Mihi solæ. Et vt nomen gene ris differat a communiilla vocenegatiua, pruden ter, qua potuit,effectum est. Proprium autem Ge nerum effe,pati mutationem,fatis patet ex genc en reincerto, vt etiam Armentas, dixerit Ennius, quæ nos Armenta. Sed de his in historia originu faris dictum est,  Cafors. Vncco ordine, quem præcepimus,de Cafia bus agędum eft,operoso fane negotio.Ca pildusigitur, per veteru definitionem, quid sit,non bolle med fatis cognoscipoteft: quippe, et Nomen per Ca fum, et Cafum per nomen cuin definiant neque þæciņter felintrelatiua, circularis erit cognitio: 1 sic Pt fic cnim vocant philosophi, quum ignotum per æqueignotum explicatur. Nam fi nomen eft de clinabile per casum, Quæro, quid fit casus. Eft declinatio (aiut )nominis, quareper hæc nihil ng tum mihi fit. Sed addidere, vel aliarum casua lium dictionum, quæ maxime fit in fine, At vero, Cafus non eft declinatio:Declinatio enim duo fi gnificat: A et um illum inflectendi primo fuo fia, gnificatu:motum.n. notat ciusmodi verbalia, ve ambulario.Id nõ eft casus: no erit igitur hocmo do declinatio: fecudo,significatcaputquoddaad,, quod reducuptur eiufdem flexionis nomina:ve primam, secunda, et alias dicimus: ne sicquidem erit casus, declinatio, Casus enim ipsi ad ea capi ta reducuntur. Quod autem ad aliquid reducitur, non eftcum eo idem. Reducere enim notat mos tum:at omnis motus statuit priuationem: igitur liidem effent, idem careret feipfo. Voluitigitur Ĉ intelligere declinationem ipfam mutationem terminationis; sed Casus non eftilla mutatio, fed hoc ipfum quod iam mutatum est: Casus enim Vocatiui est, Bone, quod iam est mutatum a Bo nus, non nunc mutatur. Itaque vox hæc, Cafus, elt præteriti temporis,declinatio præsentis, Præa terca Species est declinatio nominis, hoc mo?? doper terminationem: vta Iustitia luftus: hæc enim est definitio Denominatiuoru. Quidquod illa verba, Quæ maxime fit in fine: perturbant. pon declarant. Nam vox hæc, Maxime accipitur Fc pro eo,quod est potiffimum. Atpotisfimum re mittit interdum amplitudinem fignificati: vt quum dico. Potiffimum hyeme pluit: significo. -DV 7de ene  you non semper æquepluere: quare oftedunt ca vet ba, euenire aliquando, vt Calus non fiant in fine vocum, sed alibi quoque. Quod ficoconfugiant, vt dicant, Maxime, idem esse quod,Semper: ad derent potius vocem manifestamSemper. Ve rumneid quidem faciunt do et i: Definitiones e nimita funt natura comparatæ, vt hocaduerbio neegeant. In ipfis enim ligna vniuerfalia, tum nu merorum, tum temporum neceffario,et femper intelliguntur. Idem enim dicas, Homo eft ani mal:Omnis et homoest femperanimal. Cum e nim a fubftantia confiant definitiones, ipfaque abeslenequeat: etde omnibus, etfemper dicen turserit igitur casus terminationis effectusdiuer fus aprimaimpositione:eft.n. idenomealterius, atque alterius cafus, quiaalia atq. alia terminatio Hemutatusest. Isautem affe us eftin prædica mentoQualitatis, in capite de figura. Intelligo figuram mathematicam, non autem iftam fåt Sam dequa mox. Eft enim Figura terminusqua titatis: igiturhæc voxPoeta,quantitate certa, et figura eft:a, enim vocali clauditur. At vox hæc Poetarum,alia quantitate, alia figura terminatur. Som Eft autem affe et usis Nominum primo, etvero: Pronominum autem, quatenus illorum vicarii funt:Participiorum,vtin ipfis Nominum natu fa ineft. Sicut ego fum calidus, quia ignis calidus est, quiin meelt:ita proprium accidens alicuius, poteft effe hoc modo comune:quonia subftantia illa,cuius eft proprium,eft fubftantia imperfecta, et comparata ad vlteriorem fine,quam fuu: cu jusmodi sunt elementa, que nonfunt propter fe GcutEst en Eatin nfugi Tipe: per. Egok adaa 2, tur etts Cor o ipa erdic Caso ficutneque materia prima.Illud in memoria ha- Countro bendum eft:Siquę voces cafu distinguuntur: que tamen non funt mutatæ, vtMufa, in Recto, et Vacatiuo, hoc defectu materiæ, non formæ eue nire: Quæ fuit ratio, vt etiam æquiuoca nominaw sa orta sunt. Dico autem diuersam a primaimpoli tione; inuentores eniin nomen indidiffe Reco patet ex vsuloquentium,qui præfentis temporis primam personam, 6lua appellant,et Reetum ipsum Jog. nominis. Casus eflentia hæc eft:igitur de numero corý, aut deque appellationibus nunc agendu. Caderedi çimus moueri deorsum naturaliter:intelligo na taraliçer, secundum graue. Nam alia, quęingres su aut volatu,aut alioquouis modo deorsum mo uentur, non ferutur naturali motu grauitatis, fed voluntario: quo motu etiain fursum subeunt. At naturalis motus ad vnum tantum fit. Quare pa, luserectus, aut columnacum ruit, caderedicitur: non quia totadeorsum feratur,Ted quia plurima eius pars. Translatum eft deinde, vt quoties aliter quidauțesset, aut eueniret, quam aut prius erat, aut fperabatur verbum hoc vsurparemus:'vt Ca dere caussa, in qua erat: Cadere fpe: Excidere memoria. Corporis enim folius interest natura liter moucre: fed ad res corpore carętes translatu fuit. Huius verbi arigotora Græca esta prætevov rito medio?oūmaiat. quo sono integropræsen tis etiam nunc Valcones pronunciant. Cum igi ţurapud Homerūdicatur verba excidere ab ore, a mente quoque cadant neceffe eft. Quare cum a cadendo Casus sit, paffiua forma, vt Occasus Sol MI10 prad Deck tami ODISI serti Post TioN etTE n 110 na34 Scak alice biter esti uus: ople 184 Ivl. IIII. Sol,quemadmodum fupra diximus,qui iam oc. cidiffet, in x 1 1. tabulis legebatur: Casus appel latione etiam Rcctum ipfum afficere aufi funt, quia a mente caderet imponentis. Sed quum nos ILCR wdeaffectu nominum fcribamus,non erit ea recta, fententia: reliquæ enim quoquepartes Casus di cerentur: igitur non esset nominum affectus ex mutatione finali, sed fine mutatione cuiufuis vo cis: vt Hev: vtappareat, quam negligenter fibii pfis istiaduersentur. Sed ferendico erant, quod In vera dicerent.quanquam non fecundum ea, quæ proponerentur. Atcontra,quiita sentiunt, Ca sus omnes efseRectos, quia a generalicadunt no mine:landineptiunt.nam quid est hoc,quod ge nerale nomen appellant? Nomen ipsum? Atquis dicat, Cæfarem anominccecidiffe, in quo nun quam fuit: quis Sputum? cuius ne vnam quidem habet fyllabam. Materia igitur huius, ab illius non cecidit.Quod fi hoc ab illo contemplantur, quia illius speciessit, sane non cecidit: quis enim dicat fpeciem a genere cadere? in quo eftvt pars comprchesa prædicatione: et in qua illud eft vt pars constituens essentialis, vt omittam tempora verborum futura casus, quoniam a verbo gene rali cecidiffent. Erggalii subtiliffime dixere,Re to ctum effe Cafum,quoniam ipfecft quicadit,cum definit effe Rectus, et fit cafus. Si cnim Rectus est, quideclinatur,qui ficditur, nepe eritCasus. Itaque Aptota vocata nomina, in quibus rectus non caderet. Verum ne hi quidem funt audien wie di:Nam quæro Reetusantequam cadat, Casuf ne fit? fr est casusante quam cadat, ergo finc cauf fa,  CE, nts ode 20 sa, id est, fine mutatione etflexioneerut obliqui cafus. Sin hicasus funt, ille non fuit: mutatum e niin non eftidem. Quidam.vbideiectisunt his rationibus, ad alia commenta confugere:eundem effe poffe et Rectum et Casum quia stylusema-na nu poftquam cecidit,fectus adhuc elt. Hîc falla- john cia eft keci et Eredi: iccirco duplex fuit vox, Cria, et 60). interpretamur primam vocem re Etam, alteram erectam.Reettæ ratio eft a partibus, ne extremorum tenorem egrediantur: nam qui fic definiunt,Breviffima extensio, per proprium, non per esscntiam definivere.Erectæ autem ratio esta litu, etrelatione vniversitatis: cuius fcilicet partes extremæ non egrediuntur lineam mundi perpendicularem. Ita etiamcuruus stilus poterit erectus effe, et ftilus rectus, iacens: opponitur e nim Recto Obliquum, Erecto autem lacens.Ic circo dicimus in definitione Erecti, cuius extre mæ partes non exeunt liticam mundi perpendi cularem. quoniam etiam curua erecta effe pof sunt. Vere autem Erectum sicintelligas: nam Nutaris licet non fit lacens,non tamenvere Ere et us eft: fed eft,vt aiuñt, in fieri: definitiones au tem rerum sunt perfectarum. Hinc Nominati vum vocabimus L. Jeñor Rectum,quia brevissima nominis extensioeft: vt linea recta: iccirco Clu apud Græcos significat statim. opJw autem,quia ftat:nequedum flexa est: erectum dicas,silubet. Ceteras autem partes inflexinominis,a Recoq dem Obliquas,ab Erecto autem casus. Sed reci us fiat, vtobliquorum nomeomittas: nullo enim modopotest competere ratio curvitatis. Casum autcm DHI NIE ch ZA CN -,R Cat ca die 24U Cealus autem appelles illam terminatam mutationem; exemplo Aristotelis,o milosa Alge Pepdv oz'Tx quivua Mam 75wrotua. Enumerantur Casus:explicatur vfies:re cipiuntur Tomina: Asus, vocelargius cu recto quoq; comuni: cata,vidcamus quotsint et qui,etquare no write plures, Ğ a veterib.traditi sunt, neq;pauciores.In mm. omniactioneestid g agit,id quod fit,id quodfa et u recipit, privatio, et finis cuius cauffa fit. Quin quecafus fuerenecessarij: Agens, Rectus: quod fit, Secundus: cui fit, id est finis, Tertius: quodreci pit, Quartus.privatio, Sextus:Agit enimfaber, fa cit formam freni in ferro, facit Cæsari, recipit for mam ferrum, quod carebat ea. Ita constitues o rationem, Faber cudit ferrumi Cæsari ex catena. Interroges igitur, Quid facit ferro?Formam fre au Patuni: ex catena in catena enim nonerat. Ac quan quam videtur formailla effe finis: imposita enim fony conforma,ceffatartifex; tamen non eft finis vltimus: eft.n.finis operæ, id eft, a ettionis; non autem ope ris.fit.n.propter equu Cæsaris. Sic et super Quar i ti natura poterat dubitari: videtur.n.formam no materiam fignificare, cum dicimus,Ædificodo mum.Atrudib.philofophiæ hoc veniat inmen, tem: Domus.n. et materiam dicit et formam: Vo. cabulum igitur hoc facit,non autem Casus. Cui' rei sigrueft,dica, Cædo lapideszhic nihil est, præ ter materia: Cæsura autem forma eft, puta lovis, aut Cæsaris. Ita in domo, fi formam a materia intelle et tione distinguas, siç dicas, Lapides cuius sunt e mi quod erha Erfa reso teni funt? Domus: a forma enim hoc habet, vt define Pontis,aut alterius rei. Mutantur autem locutios nibus Casuum rationes, aliter enim accipias in passivis: sed simplex inventio rerum talis ab ipsis principiisfuit. Quoniam vero fermo institutus est, vt dicebamus, quocumaltero sententiam no stram communicaremus: iccirco Quintus cafus inventus est, cuius officium vocandiellet.Sapien -Nomme tius autem a nobis fit,quam fit fa et um ab antiqs: cum ordinis nomen indimuscafibus. Primui; ndt Secundum, Tertium,non aute officiorum. Nain Duis cum in varios vsus fusi essent, non folum diversa nomina, sed etia supervacanea sunt sortiti. Quid drea enim Vxorium cafum dixerunt Secundum? mo destius alij Patrium, prudentius Poffefforiu. Nam Hectoris Andromache, non eft Vxorius,fed Ma ritalis: sicut apud Valerium, Terentia Cicero nis. Ita cum dicis Cæfar Sylvij pater, Filialis fit, si sit Patrius ibi, Sylvius Cæfaris. Sic enim Cicero: Cato, huius pater, qui Uticæ sese interfecit. Qua ratione etiam Genitivu nominarat. Quid? nonne erit etiam Carpentarius cum dicam, Car peatum opus Epei? Sed grammaticis nullus finis ineptiendi.Dativum non inepte dixere,Acquisi mitivummelius: nam quodcontraria natura inve nitur: vt, Aufero tibilibrum: hicetiam acquisitio nem intelligamus: nam recipitablationem. Ac cusativu peffime Latini,Græcimitius, aile Tixlu vt cauffa fit non accusatio. nam fic oportet dicas PPA Sextum casum, Defensorium: namquemadma dum eft, Contra Vatinium: fic erit, Pro Vati nio. Sed et ridiculum fane:etenim ytelt, Accufo Clo i fire 028 OS DIUS opt do 009 Vo Col 017 tera UARY um 188 IvL. CClodium: sic, Defendo Clodium potior autede fenfio effe debet.Salutatorium etiam Vocatiuum non male: sed hoc generalius: etiam falutas, vo cas: neque enim Vocare primo significatu fuit, arceffere, aut ciere:sed,vocem edere: poftea fuit, nominare. Sic clamare vocem contentam ede re, poftea appellare:vtapud Plautum tranfitive. ienon absolute,Clamahominem, koneix. Ablativi quoque nomen non femper fervit,sed etiam dat: A Cæsare daturregnum Antonio: nisi dicas, au ferri ab eo quod dat;id quod datur, et reette. Se ' S ptimus autem a Sexto non magis distat,qua Ge phimnitivus afeipso,quumaliudquam gignere,et Dativus aliud quam dare fignificat. Isautem ca fus Septimus,vt voluere,vtnosSextus, habuit ra tionem instrumenti:nam hoc quoqueinter caus sas numerätu est. AcPlatonici quidem, interquos etiam Galenus fuit, instrumencariam cauffam ab aliis distinctam posuere: at Peripatetici(vtom nia) fapientius ad genus cauffæ efficientis: eft e nim Malleus efficiens Annuli: neque ipfe fine Aurifice, neque fine ipfo Aurifex: fed ita vt fi Malleo non agat, agat alia re, quæ illius loco fit. “ Adeo vt Aristoteles etiam ipsam motionem inter efficientes víumerarit. Igitur in rećtonon potuit esse, propterea quod simplexelt. In fexto casu fuit, quomodo eft efficiensin paffiva locutione: vtidem fit; A Cæfare, et a Laricca vulous fictum est: vtrunque enim eft agens. Itaque et a Lancea et Lancea: quare quum neque Cafär fine Lancea, nequc Lancea'sine Cæsare vulnus pos fit facere, et tamen Cæsar muito potior fit, quip. pe 189 tam Abi erine idios reche 0,00 honek در و habu peages a feipfo, tenuit priscusvsus, vt præpofitio hæc Cvm, adderetur: ficut, Theseus cum Hercu le. Verum quia non erat focietas æqualis, fed ve rusmotus a ettivus in agente,motuspallivus in instrumento, sustulerunt præpofitionem, qua verus comitatus in aliis indicaretur.Ratio igitur, et vsus sequens rationem priscus ad hunc modum fuit. Nuncvero cum grammatici negantinveniri di tum a doctis cum præpofitione, falluntur. Nam in quarto Fastorum,in antiquisexemplarib.Flo rentinis fic fcriptum fuit: Hecmodoverrebat raro cumpectine terrum. Verum itain codicibus do et iffimi viriGryphije mendatum invenimus: Hacmodo verrebatftantemtibicine villam. Necdisplicuit festivitas priscæ vocis, fulturaque casætenuioris. Sed is loquendi modus fuit pecu liaris illi poetæ: cum alibi,tum in primoTrãsforo mationum, --concuffitters,quaterý Casariem:cumqua terram, mare,fidera movit. PLINIO (si veda) quoq; in lib.ix.demolloquenspisci bus,fic scripsit: Cæteri çirri, cum quibusvenatur. Proprium autem est Sexti,etSecundi mutuo 64 subire sedesquasdam. Quædam.n.verbaæquei-comide oppsos refpiciunt,vtEgeo, et eiusmodi:fed etalio va su loquendi:vt,Imperator miræ fortunæ:et Mira fortuna. Vbi fi multa iungantur cola, idemcalus fere repetitur:Bonæindolis, summæ spei,raræfi dei. Pliniusvariayit vii. Chromandorum ģentem fyivestrem, sine voce, stridoris horren Ai, hitris corporibus.Alius dixiffet, Stridore hor Nis rendo: intar INITI caula ci Otis: + 2 108 ed in is lori nema. ustig cal Sine اrendo:vbi etiam vocem a stridoreoris mald seps ravit. Sed etCicero eodem modo elegantia con divit varietate: Lentulum noftrum; eximiafper fummæ virtutis adolescentem. Vbisemper inve nies adiectivum:nam exemplum ex invectivain Sallustium falso adducut,sic, Quos protulit Sci piones, Metellos et, ante fuerintopinionis:legut enim docti, Tantæ, et re ette. Rectus autem et Quintusapud Atticosidem quifuit:quosetiam poeta imitatus eft: Corniger Hesperidum fluviusregnator aquarum. etin plerisquevocibustam Nominu,quam Pro nominum, atque etiam Participiorum adhucita est. Iccirco in oratione vtrunque fimul iunctum invenimus: vt apud Plinium in vit. Salve omniu primus, parens patriæ appellate. Namca verba, Primus, etAppellate fimul coeunt in coftru et io ne. Illud autem ex Virgilio, Nate, mea vires,meamagna potentia folus, Natepatrisfummi,quitela Typhoea temnis: duob. modis aptari poteft,vteximatur ex eomoi do dicendi:primo,vt folus sitmagna potentia:fe cundo, qui folus temnis tela.Cafuumordo,quaretalisfit. х öm nium mam habuit pofituram, Secundum locum forma occupavit: eftenim ftatim in animoefficientis,vt materiæ eam imponat: quippe, vti dicebamus, operæ finis est. Proximam huic sedem vindicavit is, quivlrimumfinem significavit. Rcliqui erant duo: w.. Emilum primum,Reetum habuit:et quia primali duo: alter materialis, quem Accufativu dicebant: anti alter,qui signaret privatione: iccirco merito huic m illum præpofuere.Vocativus autem poftremolo co fuerat collocandus: veruın Sextus quum totus Latinus fit,atquc ab ipfis, cæteris additus, omniu oculis vltimus fuit. Neque enim verum est,quod aiunt, bas: fueJer, Je, Sextum fuiffe Græcis: non. n. flection for love tur: sed est, ficut apud nos,coelitus. Itaqueetiam 1.0il alios ficinvenias,segvavde, d'egvos.quare etiã pla res cafus fint.cęterum adverbia locifunt,vt fuega 16. Quid quod illa addita terminatio non femper Lad distinxit, nam etiam præpofitio addita eft, regvo adh fo me.ficut et $ quæ particula omnibus additur Ljuni casibus, nequeipfosvariat: et omnibus numeris: sec id quod ab Vrbảno diligentissime ex Homericis obleryationibus collectum est. Deiis,qua vnico cafu constant, “ pluribus. an Aptota inveniantur. Vemadmodum igitur interdum videmus volimo nomen quodpiam, verbumve voceconyes puna nire:vt, face: neque tamen eadem est natura: ita quanquam quidam casus eiusdem vocis, limitib. iisdem contineantur,nihil tamen impediet,quin mi suiquæq; vox Casus naturam vsumq;fervet.Sunt qua enim quædam nomina per omnesCasus variata, quæ iccirco Senaria dicta funt, vt Solus. Quædam jes per quinquevt Pater:quæ,Quinaria, Quaterna cebut ria: vt, Puer.Ternaria:vt Turris.Simplicia,quæ v india num tenoremsemper obtinent:vt,Frugi. Binaria mut que autem: live Bipartita quidam fecere, adduntque Nije Siffres Sell mm exeo ! DICOD Q umtu பொய் - exemplum a Genu: propterea quod in Secundo, et 'Tertio, et Sexto producat, in Recto, Quarto, Quinto corripiat vitiam fyllabam. Apud poe tastamen eam semperproductam invenias: Nudagenu, nodog,finus collecta fluentes: eft Gcnu, Quarti cafus, ficur et Sinus fluetes. Ne que necesse cítinveniri defectus hosin omnibus numeris: vt quoniam fint,Singularia, et Terna ria, et deinceps, etia Binaria statuatur. casu namq; non consulto hec evenere: quin etiam siconsulto factum esset,adid non cogerentur, siçutin patu ra animalium, sunt Bipedes, funt Quadrupedess Sexpedes,Octopedes, I ripedes autem non sunt. neque in arte.nam culinarij Tripodes sunt: qna drupedes vt effent,non placuit. hoon Antiquiigitur fic minutatim collegêre. Sena ríaModum habent vnicum, vt Solus. Quinaria duos, Rectum eundem cum vocativo: vt, Mater. is primus modus est: Alter, cum idem eft Tertius cum Sexto: vt, Marcus. Quaternaria fex primus, Genitivum cum Dativo, etVocativum cum Abla tivo: vt, Aeneas, Secundus, Nominativum cum Vocativo, Dativum cum Ablativo: vť,Aper. Ter fius,Genitivum cum Vocativo, et Dativum cum Ablativo: vt, Iulius: Genitivum enim vnico I, fcribebant. Quartus, Nominativum cum Vo. cativo, etGenitivứcum Dativo: vt, Dies. Quin tus, Nominativum cum Genitivo, et Vocativo. Sextus,Nominativum cum Accufativo, et Voca tivo:vt,neutra, Sidus, Scamnum. Ternariaquoq; sex fiut modis: Primus, Nominativum cum Ge nitivo, et Vocativo: Datiyum cum Ablativo, vt Turriso bi Hi 16 UK Turris, Secundus,in iis, quæ sunt sicut Portus. V biantiqui Datiuum eodem sono quo ablatiuum proferebant. Tertius in iis, quæ funt ficut Poe ta: nihil enim habent præterea, nisi Poetam, et Poeræ. Quartus in iis quæ funtficut THISBE; in quibus idem est nominatiuus, Genitiuus, Da tiuus, Vocatiuus. Ablatiuus. Quintus,in Græcis fæmininisin o, antiquorum more. Sappho, Sap phonis, Sapphoni.Sextus, vtinneutris Secundæ, scamnym, Veterum di etta examinat diligentius. As minuțias omittere aliquando in animo fuit:fed ne quid desideretur,apposuimus:si mul vt veterum errores caftigaiemus. Primum, i fingularcs tantu casus sunt profecuti: at cnimue ro plurales aliter fonant: iccirco tota hæc via non folum inutilis, fed etia falla. Præterea capita quo 2. que ipfa non omnia verasunts, inter quæ illa e mendes: nam Ternarioru fecudus modus ideeft. cum primc:nam in Portu, et Turri, iidem sunt ca. fuum modi,fi literas fpectes, Nominatiuus, Ge nitiuus, Vocatiuus, vnus: Datiuus, vt prisci,Por tu, et Ablatiuus ynus. etTertius, accusatiuus. Ar enimuero differt Genitiuus, Portus, a nomina suo fyllabæ finalis produ et ione. Itaque ad maio rem numerųm referenda hæc erunt: ipfi enim Binaria agnoscebant, ex eiusdem vocalis diucrfam quantitate. Quare Tertius quoque modus ' Ter nariorum reiicietur in Quaterparia: nam Dea,a liter fonat, in Nominatiuo, aliter in Ablatiuo, Quartus vero etiam ridiculus est. Quis enim di catin Thisbe: eundem effe velGenitiuum, vel Datiuum cum Recto? quem ab eo diphthongus longediuidit:vtståspicari libeat, iam Diomedis tempore defitas effe diphthongorum pronun ciationes. Quintus quoquemodusexplodendus eft: Nam si veteres fequimur, vt Sapphonis, et Sapphoni dicamus: etiam Sapphoncm, etiam Sapphone, addernus, integrum.n.declinabant. sin cultioribus feculis obfequamur,in aliam mox formam erunt redigenda. Hæcigitur omnes fibi habent cafus,corum e nim vsusomnibus præsto eft: atcasuum formam desiderant: verum inueniuntur nomina multis defecta cafibus: quædam etiam omnibus, præter vnum: vt, Sponte is enim Sextus cafus quum fit, fui vfum cum aliorum nullo communicat:quare hæc Græci recte Moveiew. dixere.alia vero qui bus duo tantum relieti effent,Diptota:vt, luppi ter, rectum tantuin et vocatiuum habet, reicctis antiquorum, Iuppitris, luppitrem.alia,Triptota: vt, louis, louem.reiecoRecto antiquorum, co verfu, Quem fouisipse tremit. In quo Apuleiussecu tus est vetus carmen, quod recitatur a Martiano, Mercurius louis,Neptunus, Vulcanus, Apollo, Et Tetraptota, et Pentaptota, a numero quoque dicas fi inuenias: vt pronomen Ego, caret enim Vocatiuo. Hexaptota autem etiam Ilavta wide nominauimus, quoniam omnes cafus comple eterentur. Siigitur, vt oftedimus, aliud est, esse Bipartita, Tripartita, Quadripartita: et aliud Diptota, Tri ptota, Tetraptota: fatis constat veteres non re e inuexisse, Aptotorum appellationem. Namim Qilol? Frugi, et nihili,non carent calibus,vtdixere:fed Nihili,Monoptotum est, casus scilicet Geniti ui:vt sit homonihili,sicuthomonullius precii: et Frugi omnium casuum est.omnibus.n. cafib.iun gitur, licetvoce non varietur. Si.n.id tolleret ca luum naturam, non posses dicere,Turrismagnx: quoniam Turrisin nominatiuo ius sibi certum occupaffet, quo excluderet Genitiuum. Verum vt dicebamus, materia tantum, id est voce fola conueniunt, forma autem distant: vt homo pi etus, et homoverus. Illa vero etiam idsus est inuicta: Si nominis definitio eft, p casus variari: ergo cafus eft,aut essetia nominis, aut ab effentia Auens: Omniigitur nominicompetet. His aute capitibus vfi fumus appellationibus vulgaribus, Genitiui,Datiuiet aliorum, nefi Primum et Se cundum, etTertium, vt polliciti fueramus,dixil, femus, confusa esset oratio,in qua identidem ca dem nomina inculcanda erant, Primus modus, Secundus modus. Singularum casuum ratio, qua pertinetad terininationes, 21 CH. 100 acquiescit animus:reddenda enim cauffa eft ipfiusterminationis: fiquidem casus Termina, tio est. ac pleraque sanead Græcos referre, no-rang bis satis sit, a quibus pene vniuersa linguaflu. xit. Tres igitur ordines declinationum potiffi. N iij. mum 19 ) 196 IvL. IIII,, mumsicuti sumus. Nam ex primaet secunda v 2 nam conflatam videmus: ex eorum tertia,fecun dam noftram: ex quinta illorum,tertiam, quarta tim. etquintam. Igitur tertium casum vt illi per diph thongum spuriam fcribebant: fic nos per legiti quasimam zonty,usor, poetæ, mufæ. Quartum casum Aeolice pronuciauiinus, montar, On6 « v:Poetam, Sterom Thebam. Seundum autem quare non secuti su mus,fane miror. Nam in v, monlou,vt Genu, efle potuit.Musas,autem in fecundo, ficut Aeoles, nõ diximus, quia concurriffet cum plurali Quarto: atque illi distinxere fic, vt is vltimam produce ret, Quartus autem corriperet. exemplasunt pe tenda ex Pindaro, et Theocrito. Et fane veteres Latinos sic quoque locutos constat: quod etiam » patet ex Vergilio in yndecimo, -Nihilipsa, nec auras, nec fonitus memor. Sic enim legendum: non vtimperiti mutarunt, Auræ. Cum igitur ex duabus vnam fecissent, quam ob caussampo tius vocalem secundæ, quam primæ retinuere? propterea quod rectius et facilius ex a, huius Redi Poeta, facies Poetæ quam Poetų. Plu plur. rales autem casus duo integri sunt, Reetus et nh. Quartus, montaj, monta's. Tertiusautem abie cite diphthongo priorem vocalem muintus,poe tis. Quumtamen Acoles valde amarent diph και thongtum illam “Φαιστ” pro “φαστ”, et Αισκληπιός, pro sal. Apoxanes, vt diximus. Secundus autem casus, ut evitaret consonantiam cum quarto fsngulari, distortus fuit, folytoiv. poetam: non tūv,poetarum. propterea quod accentu non potuereapud nos distingui: neq; enim vltimas accentu afficimus. ItaqueD rta ul. um ITI fu elle no to ce re Top 20 76 Itaque secuti funt alterum modum eorundem casuum, Tourtowy: sed effugere hiatum illum dum » volunt, R,interposuere:maxime enim accedunt» vestigia huius elementi ad hiatum: nam etiam qui ipfum non possunt plenepronunciare, idemio nant quod obscurus hiatus. Secundæ autem de senere clinationis casus peneomnes Græci sunt: solusse cundus effugit illam obscuritatem ipsius v, vt Ho meri potius,quam ocarp8 diceremus: fed ita pu-» to efferri solitum, ficuțin Optimus, vt aliquid er set, quasi etiam in Optumo. Nam in veteri exem plari Terentiano,quodvidimus in manibus præ-. ceptoris nostri Calii Rhodigini, fic fcriptu fuit, Apollodoru. Quartum autem pluralem contra " go han euenit, vt pronunciarent: Cum enim ex oʻurpos feciffent Homerus, contra ex Ourpes, fecere Ho meros: sicenim proferebant,vt diximus, Acoles » Ouvipusi. Secundi autem cafusratio eadem quæ vete. in prima, et altera longe maior.nam cum diceret, o umpov,nos Homerum, et olemow in secudo, no bis non licuit feruare.eadem non fuiffet vox, ita que caudam illam addidere, Homerorum,fane infuauem, quam etiam caudata litera explerent, R, scilicet.acper ipitia quidem, vt Græciloque bantur,fic Nos locutosputo:vt censeã,et Meûm,» et Deum, et Liberûm,dixisse:pro Meorum,Deo rum,Liberorum:adeo,vt contra omncs sentiam, non per Syncopen sic enunciari, sed integras fuis, se voces. Tertia maxime, vt diximus, a Quinta Taka pendet,fed exilem literam maluimus nos: marcos, patris:sicut etiam in Quarto patrem, ex mate,et: addito illo mugitu ex priscis,vt opinor,opicis: fic N V CH 0 re 10 IL så 00 ob JIO VI 11 7) JO enim LIC 198 IvL. IIII. pher, enim Græca fuauitas fuit contaminata. Pluralis cautem fecundus non coactus fuit exirein cauda illam,nequeenimcum quarto fingulari conue he's thonjniebat.Sed ea infelicitas contigit Tertio plurali, vt Patribus, barbaro fane exitu dicerent. nam • Patris,non potuere: crat enim iam occupatus so spus a secundofingulari. Quarta autem decli natio sub hac fuit per initia ipfius linguæ. Sice nim dicebant, Anus, anuis,anui: poftea etiam breuioribus vocibus, Anus, anus, anu: fed mista fuit cum Secunda,Anum enim dicunt. Sic etiam in plurali cum Tertia conuenit, Anuum,anubus. qawlaAtquinta longe diuersa fuit: nam terminatio quoqueipsius Kecti, fua ipfius priscæ Italiæ fuite Dies,Fames,Spes. Secundo cafu pluralisecundæ declinationis terminationem est secuta. Tertio autem cafu Tertiæ,: Diebus, vt Patribus: fica ut etiam Secundo fingulari,Secundam: Domi ni, Diei: quam tamen bis mutarunt: nam et Dies, et Die, in codem cafu dixiffe, ' autor est do et iffimus vir Gellius: vt vel hinc pateat, ar " bitrio loquentium et nasci namina, et inter rire. De specie. yu Pecere vetus verbum fuit. In compofitis auc culari: vox sane ipfa militaris. Cum politis insidiis aut e specubus contemplarentur agrestes olim Latini prælia inituri:aut fupra Specus ipsas, edi. to faxo stantes obferuarent, quid rerum agerent pro.  sh ec TILS tiae 1ats fur procul hoftes. Specusautem Græcum.est.cmee.com IndeSpecies,prore visa, sicut facies,prorefacta Ipla igitur imago rei quæ in fpccendi instrumen tum reciperetur, Species diđa. Ergo fi reserit primi status, eius imago species primaria dieta perana est: vt, nomen Ilus, Regem Troianum repræ fentabat, quiprimus ita diet us eft:iccirco Primi, tiuam fpeciem appellarunt. Quæ vero flueret a priore, Deriuatiuam, quoniam nomen alterum Itv. a priore per eius vim deriuaretur: vt ab llus, Iu lus. Quod fi figura est decomposita, quæ a com pofita deducitur: erit fane vltra speciem Deri uatiuam alia fpecies, cui nomen non posuere, propterea quod ad eam animum non aduerte tant a lulus, Iulius: et item alia, Iulianus: et a lia porro, lulianius: Verum de figura illa,mox. Hîc autem consultius dicamus, multos esse mo-onlama's dos, ordinesque in deriuatis, vt quædam primo fint: quædam deinceps. Duobus autem modis Primum dicitur: aut quod ante alia omnia sui ordiniseft: aut ante quod nihil, licet poftipfum, nihil. ita etiam primaria, feu primitiua:aliqua enim sunta quibus nihil dedu ettum sit. Quod fi hæc duo inter fe comparentur,præstantiore ra tione dicatur Primum, ante quod nihil est, quam quod alia præcedit: prior enim ratio eft absoluta, et longe validior. Deus enim ante quam quicquam crearet, erat Primum, priore ratione. Nomen tamen tam Græcum, quam Latinum pofteriorem rationem indicat: et faci lius Græcum wpūTOV (est enim opo, tov ) etiam » in duobus poteft efle.vnde et m potepov,76e ÊTepov, fue DIE art, d Lor cher pri 200 Iul. IIII, 1 siçenim orta sunt comparatiua, ab enepov.Latinu autem morosius,superlatiuum enim est:nam Pri, vetus vox fuit, ficut N I, poftea latiore vocali fu · fæ sunt, Ne, Præ: vnde aduerbium, pridem: comparatiuum, Prius:superlatiuum, Primum; nam ab aduerbio Pridem; Primum qui ducunt, çrrant. De Figura. coxupaab Sole cea dixere,linas ducere.Pi et ura primum et vmbra orta est, vnde μονογραμμα Tos: poftea addiderelucem et vmbram: a potiori Latinis visum est denominare.vt a peygos, dice rent Fingere, et detracta aspiratione, Pingere, Eftigitur Fingere, exprimerç imitatione veram rem:iccirco dietta Figura in signis, ettabulis:atq; hinc porro in grammaticis, Figuræ physicissunt, quæ extrema quantitatis ciusdem subiiciunt ali ter, atque aliter oculis, quatenusextrema sunt. " Reinaturalis diuinadefinitio.Principio in plura li definiuimus vt facilius intelligeretur. Et dixi mus, Quatenus extremasunt:quia colores aliter atque aliter etiam obiiciunt quantitatcm oculis. Et quanquam etiam tactu comprehenditur figu ra: tamen primarium obic et um oculorum eft. In Amilo re literariamodusidem; Nam ficuti coniunctio ne certarum partium corporacoalescunt, ita no tarum notiopumveconiun ettione voces compo nuntur, ita, vt alterius modi fiat alia vox, ex Ma gno, et Animo,Magnanimus. quareMagnum, Simplicis figuræ dixerunt, item Animum:at vti ū que quest. LI a C queiunctum, Compositæ. Dubitatur: fi nomen, elt notarei, an nomen compositum fit nota rei compofitæ.Duplex est compositio: vna vera, al- 2 tera nonvera: et prior huiuspofterioris regula est. Connectuntur enim interdum res duæ, vt Ani mus; et Magnitudo: ergo nomen compositum, coniuncta illa tanquam vnum significabit. Alter modus eftin iis,quæ sunt, ficut Indoctus: signifi cat enim compositionem, pofitioniset privatio nis, quæ in re non funt:intelle et us autem eas non potest apprehendere, nisi aliquo cöponat modo. Non re et te addi Decompofitam. HÆC Æc sic veteres: quæ a nobissunt perspicaci us contemplanda. Igitur et si crescit quanti- m.la tas, non tamen neceffe eft,vt mPombaurfigura. ve luti cum additur quadrato Norma, quam Græci,, Jiwuova vocant:augetur quatitas: figura no muta tur. Interdum vero mutatur,vt fi eidem quadra to apponatur Triangulum. Eodem modo ali quando crescit vox eadem, ncquemutaturfigu ra: vt magnanimus, eadem facie est,qua “magnus animus”, licet maiore.Siautem addatur Animitas, fit diversitas a diverso: neque enim semper compositio figura mutatur. Quod etiam in re bus liquidis, et in prima Elementorum mistione conftat. Quare hocquodappellarunt veteres Fi guram, mihi potius vocandavideturSpecies,id eft facies quædam: quanquam enim vsu, Animi tas, non dicatur:at Analogia hoc non respuit,sic at Pietas, Felicitas, et alia. Quare duæ tantum TO le. 1 brunt quantitates:Simplex, et Coposita. Decom ter positavero,quæ aGræcisdiet a eftagerw'JETO, s non video, quare tertium faciat membrum. Ne que cnim Magnanimirasa Magnanimo deduci tur:ficut neque ab Impio Impietas, fed ex in, et Pietas, factum est. Quædam enim simplicia non inveniuntur,queinveniuntur compofita.Exem (ploest Epitogium:nonenim Togium dicitur. I gitur non erit compositum, cum partium altera nusquam extet separata. Item alia multa eiufdem modi sunt:Mustela. Confpicor: quaru partesde fiderantur.Sed facita effe,vt voluere: fpecies erit quædam potius derivata a Magnanimo,non aute Figura diversa, si spectes compositionem: nihil enim priori voci additum aut demptu eft. Qua re decompositum esset aliter: cum priori compo fitioni, aliqua vox apponeretur porro: vt, Incūra. viceruix. Redit adfuperiora, ob Figura vsum. Va ratione componeretur dictiones, inter earum affectus commemoratum est: is ve: ro attcet us totus nomini competit, quanquam non soli.Evenit duobusintegris: vt, lufiuradum. Duobuscorruptis:vt, Benevolus. Integro, etcor rupto: vt,Extorris. Corrupto, et integro:vt,effe rus. Componuntur autem nomina et inter se; vt diximus, et cum aliis. cum Verbis, Luciferi cum Participiis, Omnipotens: cum Pronomini bus, Eiufmodi: cum Adverbiis, Benevolus: cum Præpositionibus, Imprudens: cum Coniunctio mod Q nibus, 203 Out 16 4 010 ent Lidl den ca Ar ! UB ibi hibus, Vterque: cumInterie et ionibus, VæIovis. Partium autem numerusin compofitis,a duobus ad plures, Semiuir, Imperterritus, Cuiuscunquc modi: etilla faceta vox, nulli Græcarum cedens, Incuruiceruicum pecus: vnica enim diet io est, non duæ, vt putarunt, et illa vetus, Solitaurilia:no vt funt interpretati male veritatem, Sue, Oue, Tauro:neque enim in voce hac, Soli, est Ouis: sed, sic fuit per initia,Sue Soloce, Tauro: fic enim per. cudem lana tectam prisciappellarunt, quam ad facrificium egregiam habebant, ideftegrege fe gregatam: integram, non tonsam: vnde et no men, quoniam cum tota lana esset. Solon enim Osci dicebant totum, vt Græci onov. Igiturnon ” in fimplices solum, sed in compofitas quoquepar tes resolventur: sicuti diet iones non in literasta tum, fed etin fyllabas: etnaturalia corpora non in materiam modo et formam, fed etiam in Eles menta. Quoniam autem tam Rectiquảm Obli qui inter fe promiscuo componuntur,Reet us fle Hyis Etetur, Obliquinon flectentur. Quare falso ex cepere, Alteruter, quoniam in secundocafu faci at, Alterutrius.Nam tametfiin Quinquagintali, bris,itemque apud alios legitur, vtin libris Origi numdi tum eft:at M.Tullium, et in Protagora et in Epistolis, ipsumque Catonem in oratione de Ambitu, alteriusutrius fcripfiffe conftat. Itaque » cum dicimus, Alterutrius: vox illa Alter, hocloco no eft Reetus, sed Genitiv casus, et prisco modo amputata vocali cum sibilo, Sarti'tcatis,teetti'frau, ais.Ergo nö debuit excipiab calege,qua dicebat. Rectum semper flecti. Illud quoque errarunt: fic eilim aiunt,Obliquũ hoc Alterutrius,livefæmi ninº fit;sivea neutro Recto, neceffario exclusifle syllabas poftremas prioris vocisAlterius, quonia iain idem fecerant in Kecto. fic alterutra, et Al terutrum,non Alterautra, et Alterumutrum. At cnimvero hoc ridiculum eft:Nam pin Rectis fa actasit collisio,paffa est vocalis,et confonansm, id quod patitur altera vocalisubeunte: At diffimilis ratio in Obliquis, quod etiam fua ipsorum ratio ne debilitarunt.Nam in rectis ob hiatum evitan dum,elisam aiunt vocalem, ergo in obliquis cum nullus fit hiatus, nulla esse debuit elifio. Neq;.n. quia elides fic, Patrem eius, vt dicas in carmine, Patr'eius: iccirco pro Patris eius, codem modo au deas, Patr' eius. Quid quodhæ vocesduplici vsu a receptæ funt:nam Alter fuit, et fuit alterus:amos SiteGu.Itaquein fæmnininis etiam duravit,Astera, alteræ vt diceretur aliquando apud priscos: quare foni commoditati fervientes, molliffimam quan queflexionem sunt secuti, vt Alteruter,potius di cerent,quam Alterusuter: et Alterutrius,ab eog effet Alteriutrius. Elisionis autem exemplum ha beas ex Amphitruone Plauti, Culeftquidonum dedit: pro,qualis est. An alia fint nominum accidentia,fi-. ve affectiones. Æc funtab antiquis Accidentia numerata. 4 alle lame cosynum omififfe: Nam cum deciinatio fitaffe ako et us genericus quatuorpartium:imo vcro differentia essentialis, habuit etiam aliam fignificatio nem.priore namquemodo communisefttano mini,quam Verbo: eft enim mutatio quæda terminationu. At in verbo,et in nomine aliud qd dam estvtriquesuum et peculiare. Quorum alte rum,quod cilet Verbi, vocarunt Cõiugationem: quod effet Nominis,Declinationem. Eftautem declinatio non illalola inflexio comunis, fedcer ta etpropria:vt aliter dicatur Poeta,aliter Dies de clinari.Ergo affectus nominum quidam eft, ficut et fpecies.Quare cum Verbo attribuerintconiu gationem, et recte: Nominideclinationem cum non assignarunt, inconsulto fecere: cum frustra timerent, ne quod effet genericum, Nomini ad fcriberent. Wominium species venatur ex elementis philosophia. STatim poft definitionem Nominis,eius affe-.'n'o etus posuimusmerito, antequam species enu meraremus: sicut animalisaffectus sunt, moveri voluntarie etsentire, priores ipsis fpeciebus,Ho mine, Ostrea,Leone: in quib. poftea per differen tias disponuntur.Atveteres more fuo in hoc quo que nobis negotium exhibuere, cum Species rio minum prius, quâipforum affectiones tractant. Nosigitur his castigatis, eas deinceps, carumque origines atque cauflas contemplemur. Reru nu- latha merum pene immenfum totidem vocibuscum non. affequi nequiverit humana mens", neceffario comparavit, vt non folum quæ eiufdem fub ftantiæ participes eflentres, codem quoque no Oj mine significarentur, vt Equus etHomoanima. lis nomine, cuius natura cõltarentcommuni: fed etiam quæreipsa diversa effent,veluti,Canis co Aparmi lestesidus, et Canisanimal. Quarum sane rerum Msubstantiæ apud Averroem, vtaiuntphilofophi, etiam plus quam generedifferunt.Nos autequid sentiamus,aliis libris di etum est, inevu uc Græci vocant: noftris recentioribus aptissimo vocabu lo Æquivoca libuit appellare: qualivocis bære ditate æqualirem inæqualem repræsentarent. Si nomina quis Vnonima velit dicere, nihil vetat: sed Græ fort ca appellatio magis sapit, juãsenim simul significat, non autem. Nam profecto vtin re non sunt eadem,ita nominissignificato alio, atq; alio funt. Itaque fic vere poflis dicere, Canisnon eft Canis: id est, res Cæleftis, non cftres Terrestris: at nomen et materiam habet,ipfas literas, C, A, N, 1,5: etformam,id eftsignificatum,ergoCanis cæ lestis materiam eandem habet Elementorum,a Canis terrestris, formam autem, id est significa tum, non habet:ergo non eft idem nomen: a for maenim est, quod eft:iccircoGræcicuws: at La tininon ita recte, cum æquitatem illam interse. ruere. Itaque commodius fortasse nos Vnonima, vt vna, fit adverbium, simul.Hæcautem non vno Bruggh.modo orta funt:fed quædam temere,atq;vtfors tulit: qualia funt Alexander, et Achilles, tam in Regibus, quam in Nautis nequam. Alia autem consulto: vt cum cuiuspiam similitudo ad impo. nendum idem nomen alteri fimili traxit: ea fimi litudo fuit aut Substantiæ: veluti cum dicimus, Xiphian piscem, et herba ab inftrumento bellico. AutZA 1. Mannana Dimmane. JI 10 Aut Quantitatis:vt eft inproverbio,Motes et ma tia polliceri: et apud Callimachum os a'd code tor Geld in hymno Apollinis: et Mare Solomo nis.Aut Qualitatis:vtcuinmetallo et præviæ diei parti, fulgoris nomen inditum eft Gręca voce xi çov: prisca enim est, quod teftatur aweso, fcilicet sequens mane: quod et Germani imitati sunt, et Hispani, et Itali. Item ab aliis prædicamcntis: vt Mörgen. cum arboresmasculas aut foeminas, et Thura ma scula, etvites masculas, et nigra toxica,ab actione, et relatione: et Regem, divitem quempiã, aga To Ezdv: Delphos, orbis vmbilicum. Hæc omnia nomina fibi aliqua imitatione fünt consecuta. Acreliquis quidem generibus evenire fatentur. Subftantiam autem hoc vt admitteret, dubita - font: runt. Cum enim non intendatur, non remitta - quare tur,non videbatur dari gradusad similitudinem in ipfa. Verum facile id intelligimus, eandefub ftantiam non intendi: fed genus communemul tis, arctariin species multas.quare non poteftfie ri, vtæquales fintillæ,æqualitasenim in substan tia,eft identitas. Quod et in octavo Historiarum dixit divinitus Aristoteles, Species sub eodem ge nere coniun et ione quidem generis illius vnum effe: differentiarum autem fucceflione, harere. Effeenim tum in materia, tum in forma, turn in compositis certas aut affe ettiones, aut differenti as inter fe vicinas, et inæquales. In materia, vtof sain Homine, in Leone, differreper medullam: in Delphinopaululum abeffe: in cæteris piscibus prb offespină:in Sepia esse,aliud:in infettis aliud quod nomine careat. Sic et in formis, Rationem, o ij. Ni 70 11 5, 7 in 208 Iul. IV. in anima Hominis: Instinctum naturalem in For micæ anima. Sicin compolitis:Artemin Homi ne: in Ape quomodo dicas vim illam favificandi: in Pfittaco mirificum nidum texendi? itaq; fpe cies suntæquales in genere: inter feautem com paratæ, inæquales:ab ipsarum differentiarum in æqualitate. Adeo enim sunt inæquales, vt altera 2 vnum genusinterdum conftituat subalternu, al terain multa distribuaturgenera.exempligratia: Korpus dividitur per differentias, Mortale, et Immortale:hoc ccelum tantum conftituit: Mortali autem cætera omnia comprehenduntur. Sic intelligas Voivocum,quodidem genusdifpertit,: reque omnibus:vt Animal. Analogum,quod non zque,fed ordinequodam:ytsapere.Æquivocum, Juodnomen folum communicat: yt,prataride Mareiralci.Haec postrema diximus,quomodo appellarentur. Analogaautem a Latinis Propor tionalia: ficut civium iusnonidem omnibus, fed suutn cuique attributum, Senatori, Equiti, Plebi. Quod C.Cæfar dicit,pro rata:nos,Pro portione: Vecuiufqueres fert:id eft, rata pars,live portio. Ditiores enim plus obibantmuneris. vnde apud Athenienses, owridons. Vnivoca autem a Græcis 2x qwvus,prudentiffime: cum nomine enim rem communicabant: non enim Toow, coniungit ea fub nomine: fed nomen etnominis rationem. La tine Cognominarectiffime dicas. Cum autem res non omnes codem modo Ant:sed aliæ per fe, vt Substantiæ: aliæ in aliis, vtAccidentia: atque Accw9. hæcdupliciter,vt hocfunt,quod funt: et quomo udo funt, quod funt:Dam Albedo etiam fine nive pex ilaw alie aliquid est: intelligimus esse, q est: et Albedincm appellauimus, percepimufqueeffe vnivocã, quia eadein genere esserin niue,et in la ette. Aliquan do intelligimus ipfam esse, quomodo eft:licet e nim aliud fita niue: tamen non poteft effe sine aut niue, autalio corpore. Is igitur cft modus, per quem est, id quod eft:quoniam inhærentia, est essentia accidentis. hoc quoque opus habuit frane. nominealiquo:iccirco ab albedine, Album de ductum cftnam: id quod est, pofterius est,quam id quo est.igitur etiam nomen hocabillo ductu. νηde ortafunt “το έπαθώνυμα, quαολαέπρoν” deri uarentur, fula terminatione a priore differentia: Latini denominatiua commode vocitarunt. Co traria autem aequivocis quædam sunt: nam vtil- forong the Ja vnam voccm multa habent: ita multas voces in his,vnum:Ensis, Spatha, Gladius. Græci hæc πολυώνυμα:quidam Enoftris συνώνυμα Falfo. for- ), tasscautem explicatius eífent locuti Græci,si uo vwvelda appellaffent, quæ solo nominc cxtarent indicantia res diuerfas. Igitur colligamus sic: Comunes res,quæ aut sua natura per se funt, vt Homo: aut licet fintin aliis, fi intelligatur fine eo inquo funt.vt Albedo, Vniuocis nominib.sunt indicatæ. Sin quomodo in aliis infunt,accipiantur, Denominatiuis: vt al bu. zenuw'www.ce autcm cadē suntquę Vniuoca.Res aurefingulares quaru natura ab aliis dissita est,k lownonen porn codēdomine,quo illæ appellentur:nomen iilude erit Aequiuocu:vt Cæfar:neque enim quicquam mei in altero qui dicatur Cæfarcrit: neque sola fubftantiæ, sed etiam accidentia, quæ in ipsisin di i faham Paper hrin more Adiuiduis sunt vt hic rubor, hæc cicatrix, Aequiuo marie ca est propria Cçsaris vnius: ficut et substantia ia qua cít.Quare tamnomen hoc Casar, quam hoc Cæfaris cicatrix, plurali çarebit: fed cius pluralis numerus crit vagus:velut quum dicis, Homines: at,Hic homo:caret numero plurali: o'rqua enim facta sunt, apud Græcos:apud nos, Indiuidua, shape?Itaq.in Declinationibus, qpræponitur prono incn nominibus, Hic homo, Hæc cicatrix, non elt nota indicans etpræscribens indiuiduum, sed fexum tantum. Nam quo modohæc cicatrix indi cata, poteft fieri cicatrices? Quinimene in eode quidemCæfare si plures sint,pefisiccirco ficcte read numerum pluralem. Etiam fac vt cætera pa ria sint, Tepus, Qualitas,Magnitudo:at loco dif ferent. Comunia autcm,Gue Vniuerfalia loco na præfcribuntur. Hęc omnia tam Vaiņoca, quam Aequiuoca veteres Subftãtiua,fane ambigue, vɔ cauere.Substantiæ,n,appellatione abufi lunt, pro Effentia:ficuti Græcinomincxalasin prædica mento.Nanq.s'oia etiam conuenitreb.estrapię dicamenta,vtDeo. At Substatia neq; extra præ dicamenta, nequein omnibus: sed in iis tantur, quæ fubftant accidentibus.quarc nomen hoc Al bedo, non erit Substantiuum, quia substantiam nõ fignificat.iccirco alii Fixum diceremaluerüt, propterea quod rem indicaret,quęnon mucare taralio atq; alio fubie etto. Sed anceps ea quoque vox fuit:nam Fixum viderctur effeindeclinabile, opponitur,n.Mobili.Itaquenoslongeconsultius Effentialenome appellauimus:quippequodtam fubftantiæ, quam accidệtishocipfum quodsung? Gigne ZII S Onnk: 2. T significaret, Denominatiua autem eadem quæ Adie et iua: quęctiam Accidentalia dicere posses, nisi nomina differentiarum impedirent: nam a “Ratione”, Rationale duces: hoc est Denominati uum,sed non eft Accidentale.Anvero fit Effen - Gubis tiale? Iccirco intelligendum eft,:0106,fiue essentia triplicem esse: Materiam, et Formam, et Coposi tum.Forma igitur dicitur Effentia quia dateffen tiam:Materia, quia dantem gerit: fed, pprie dich esttotum ipsum: a qua g Substantiuum vocabat,« nominauimus Effentiale. Denominatiua intel lexere variari, ac poterça Mobilia vocitarunt:vt conueniat idem nomen viro et mulieri, fi litva riatum: Albus, Alba. Hacdecauffa in oratione antes semper Denominatiuum pofterius effe debuitEs fentiali: vir fortis, equus celer: verum vsus obti nuit elegantięcauffa, vt aliter quam vulgus loqui tur,loqueremur. Neque vero penitus temerefa etum eft:namq;vt equus potefteffe celer,ita celes ritas effe poteft et in equo,et in non cquo: quare olubibit,moderabitur.Quod fi eft Denominati uum pprium,vt Sentiens, est,pprium animalis: nihil refert vtrum præponatur: paria.n. sunt: fed natura ipfaEffentiale priuscft.ridiculecnim pro conheça feffi sunt, Fixum sequi Mobilis natura,1,præce dat Mobile.idcm enim est,Animusperuerfus: et Peruersus animus. Scd ita intelligebant differre, fidicamus,Corrupta mente etcorpore,et,Mente etcorpore corrupto. Verum hoc non eft Fixum sequi Mobilisnaturam:ncq;.n. mutatur: sed ex duobus fixis diuerfis genere, et numero, alterum apponiipli adie ettiuo, quod ei fimile tit. Verum fidis 1.  ridicule negatur possediciæque Corruptamen tes: et, Mēte corrupta.Neque verum est Substan tjua obsequiAdie ettiuis: sed contra, Adiectiuum prospicere ad vtrunquc Substantiuum,aut ad id, quod propius eft: et ipfi contra hanc male expli catam fententiam etiam ex Ciceronis Philippica, dicendi moduin obferuare. An vero Adicctiuum etSubftantiaum sit affectus, aut species folius no minis,in fexto libro declaratum eft. subThe cio elt.Fixum autem aliud Proprium,quod vnius Nominis igiturvelFixi, vel Mobilis hæcra tantum est: aliud Commune fecere: atque hoc Appellatiuum quare vocarint, fane nefcio. Ve rum neque diuifio bona eft,neq; nominis impo sitio. Nanq; etiam Mobilia, fiueadieet iua,partim funt communia, vt candor:partim propria,vt hic candor quiin Cæsare est. Itaque diuisio nominis qin Fixum etMobile,eft ficutdiuisio rei,in effe, et, in modum quo eft:Diuisio autem in Commune, et Proprium, nõ estFixorum tantum: fed gencri ca nominis:sicut diuisio rei in vniuerfalem, et in diuiduatam. Appellatiuum autem quare dixcre? an quia lub fe vocat multa? at etiam Adiectiuiid interest: nihil enim diffcrt Concretum ab Abstra eto, nisi modo significationis, non significatio ne: at etiam propria rjominasuam rem appellant. Hoc autem ipsum quod sunt aut Propria,aut hogy 2.0, Comunij,aut Fixa, autMobilia,recētioresQua litatem nominis vocarunt:eaque inter accidentia cum fpecie, et genere cnumerarut. Item Compa rationem, atque alia eiusmodı,magno errore.Na Homo et Cæfar, no differüt qualitate: neq; albū ab homine qualitate differt, sed effentia: neque enim qualitatis qualitas est. Comparatio autem atque alia eiufmodi non sunt nominis qualitates genericæ. omnib. enim nominibus conuenirent, At propria non recipiunt Comparationem: ne que substantialia: fed Denominatiuorum affe ctio est. Sicut Patronymicum, non est Nominis qualitas, vt nomen est:sed vt Nomen proprium. Illud quoque contemplandum eft, Nomen hoc, Sol, et Luna, et alia eiufmodi, Communesit, 22. an proprium. Nam fpecies prior est indiuiduo: sa igitur lì vnum indiuiduum explet totiusambitu fpeciei, id quod facit Sol, erit nomen speciei, no indiuidui. Nomen enim priori inditur. Hoc fic fenfere veteres falso: nam qui nomen impofuit ferhat's rebus, indiuidua nota prius habuit,quam species, you may f Romanus enim qui vnicum Elephatum primus motene, vidit, ei nomen indidit, Lucam bouem: nihildu4 mp4, с. metitus animo vniuerfalem naturam illam. Sic page bratom't etiam Soli, quod folus efset: et eiusconsortiope ging en geri ris, Lucinæ, quam poftea concisa voce Lunam Freien, dixiinus. Eftigitur nomen hocindiuidui indiui- m poyi tu? duo impofitum per se,speciei autem per accides. Itaque quum dicas ex Democrito, Mundos, et Soles, et Lunas,fietquasiquum appellabis, et me, et Dictatorem, Cæfares,aut si fpeciei tunc voles, vt fiat: erit. indiuiduis autem alia tibierunt quæ renda nomina. Quid quoque loco statuendum, deg propriorum natura, atque affeetibus. O v. b. Væ res vt diximus, hoc habeant vt sint aliquid prius, quam sint alicuius: ea nomi na quæ eas res fic significant, primo quoquelo co tractanda erunt. Quoniam autem Singularia sunt notissima: propria item nomina quibus fignificantur, notiffimo, hoc eftprimo loco, ex plicanda funt:vt Cæsar, Bucephalus, Athesis, Ro ina quæ nomina bina trinave sunt yni homini conftituta,an propria fintap. pellanda? Hocsicagamus. Voces, quibus Romana capita recensebantur, fuere hę: Prenomen, No Bomen, Cognomen, Agnomen. Horum autem natura, atque origo fic fuit: raptis per initia Sabina rum virginibus, atque ea de caufa conflato bello, ipso in confli et u earum interuentu vterque po pulus conciliatus, nõ solum animos mutuo bene uolentes conciliauit, fed etiam nomina commu nicauit. Sicaiunt: puts queira fuiffe in aliquibus: Boston Ternam in omnib. noncoitat: quippe ipfi Hersilia youm nomen et fuit, et maplit folum: item Ro mulo et Tatio:Numę Pompilio Sabino, et Me tio Curtio itē bina: Hoflio Hoftilio Romano to Nom tidem: Itaq; hoc fentio,a virtutecuiuspiam nome primum mutuatos, vt ab Iulio, Iulii, dicerentur, quoru Iulus autorgenerisfuiffet:iccirco, Nome appellatum vnde Nobiles, id eft noti essent. Inde vt dignofceretur,additum aliquid notę ab euetu: ftatima; Cognoinen orcum fuisse: vt Pompilii, a ceremoniis,Nume:Hoftiliiab reb.geftis, Hostio: Curtii,a celeritate,Metio: Herdonii, a ftrenuitą te, Turno: l'roculi,ab cuentu natalium,lulio.Po ftca Atea nobiliores quum liberos procreassent, et ne- Hammas que Nomen possent, neque Cognomen auferre vellent, aliamnotam excogitarunt:quamquonia infantibus imponerent, quos sola ca appellarent, præposuere; atque iccirco dixereNomen. Hac inde fatis constat,quod quę primo loco cssento lim Nomina, poftea secundo fuere:vt lulius Pro culus:Iulius prius fuit:at C.Iulius posterius. Quæ Prænomina ab euentis quoque orta funt, aut na talium, aut alterius fortunx: a fortitudinc,Mar cus:ab antiquitate, Caius, raios, a terra fcilicet, quasi suzby boves effet: ab honore et dignitate, Ti tus:abGenerositate,Cneus: a generisdefrauda tione, Spurius: a numero liberorum, Quintus, Decimus: a decore, Decius; a cultu populi, Pu-. blius: a rempore natalium, Lucius: et item alia, Qux sors etiam aliis obtigit nominibus. Nam Marius, a Manc dictum fuit. et habuit præ nomen, Quintus, Aucta autem Republica, numeroque ciuium illustrium, factum eft, vt aliorum nominum nguæ cauliz cxtiterint. quæ nomina, quod accederent ad priora, cumquç eis vni attribuerentur, Cognominadietta funt. Horum origo fuit, a corporis habitu, Labco, Crassus,Longus, Varus,Valgius,Sedigitus, Buc culeius, Plautus, Plancus, Varius, Pansa, Ruf fus: ab cuentis aliis, Posthumus, Praculus, Ge minus: a rebusgestis, Aphricanus, Nero,Celer: ab a ettis, Salinator, Venox, Seranus, et alia eius modi. Quæ posteri a maioribus suis honoris cauila accepta quum retinerent, aliqui etiam auxeres ogh. Aon auxere,additisaliis insignibus,vt Publius, a po pularitate:Cornelius, a viro forti, qui eam fami liam primus illuftrauit: Scipio, ab opera,quam pa ' tri præstitit seniori: addidit his vir summusab Aphrica domita, titulum Aphricani: hoc quonia tandem accessisset,Agnomen merito appellaue re. ficut Agnatos dicimus, qui familiamaugent accessione fua: et Agnata membra, apud Pliniu, quorum additamento corpus auctius fa et um eft. Vor Quidam recentiorum affentiti sunt negantibus vocem hanc Agnomen, probam esse, sed grani maticorum superstitione commêtitiam: verum a M.Tullio in fecundo rhetoricorum pofita eft. Hæ sunt romanorum caussæ nominum atque Rahi effentiæ, quæ fic definientur: Nomen familie ! nota: præ-nomen, proprium cuiusque: cognome, quod euētu accessit. Agnomen, quod eventus accessionem notat. Ordo patet ex ipfarum vocum mapevi: Materia autem nominum fic pote eft, vt quu fcribuntur, cætera omnia omnibus fuis elemen tis explicentur: Prænomina non omnibus: fed aut singulis: vt, C. aut binis: vt, Cn.aut trinis:ve Sex, p:o Sextus. Ex his patet, non re ette aliquos prodidisse, Nomen effe vniusillius cuius eft: re tius ab aliis Gentilitium, et ab illis ipfis nomen 06: Familiarum. Græci Prænomine carent: fed po fito nomine vnico apponutpatris nomen: Aae Gudpus o Dininu. Hoc idem etiam Arabes fa ciunt: fed ctiam autoris nomen subticent, et patris tantum ponut: A uen,rois. Auen,pace. Auen, zoar. Græce vcro etiam cognomine vhi funt, fed rariore,vt Ευ πάτως, φιλαδελφος, κεραυνός, Χαλκίνη foi. gos. vtmulti putentDejanov et A'zapeuvova, et A " degsor, et aliamultafuisse cognomenta a militib. excogitata: ille quod filij cadaver redemerit: al ter,quiadiu ad Troia sederit:hic, quia re infecta ' ab obfidionereversus sit,vt dicantur. Quin etiam diis iplis a potestatibus quibusdam sunt attribu ta:vt, 'πόλων, Παιαν, vtraqueappellatio et Φοίβου. crogiya evNeptuni: [lzatais,o textuvidosagde gode φέντης, Ερμού. Ηoc έτσώνυμον Greci, Agnomen βασα και να autem Depurvuon appellarunt. Videamus nunc scans affectiones.Proprium estPrænominisin virisiis, Affet hel quisibicognonien illuftrecompararunt,aliquan do fubticeri:vt,Cæsar Diet ator:intelligis enim c. E contrario positum,necelario interdum alioru appositione declaratur:vt,c.apponesCęsar:item addes,Dictator: aut, Dictatorispater: Proprium item etid, certis familiis certa ascita effe Prænomi na:vt,L.et c. Cæfarum:P.L.et c N. Scipionum: L. et M.Crasforum. Legimusetiam quædam quibuf dam interdicta: veluti m.Prænomine cautum fu it s.c.ne quis,Manliorū appellaretur,ob M. Man lij Capitolini mala merita in Rempub. quaquam Senatus Consultum illud poftea abolitum elt ve tuftate.Illud quoque patiuntur nomina et cogno mina, vt fedem inter fe mutentin narrationibus: invenias enim et Cæsonem Fabium, et Fabium Cæsonē. Etiam in Pacuuij Epitaphio Prænomen poftpofitum est. Hicfunt Pacuuij Marcisita offa. Vțiam definant altercari paucæ leettionis gram matici super verba Quintiliani, Viet ori Marcelles Iut. IV. le: an, Marcelle Victorifcribendum sit.Illud etia est observatum, multa Nomina facta effe aliis Prænomina: vt, lulij Dictatoris nomen, mihi: quum ita PaulusMideburgius, qui poftea Foro semproniensium Potifex fuit, Mathematicus in comparabilis, Divorumque Friderichi, atq; Ma ximiliani et alumnus et altor, persuasiffetpatri. Verum ab antiquis quoquefactitatum fuit:Nam 9.Tulli yox,fuir Regi Hoftilio Prænomen: at pofte risin nomen recepta est. L. Sergium legimus:hîc Gentileest: at aliis Prænomen. Etiam Romæin monumentis fic fcriptum, Ser. Et in xxxIII. apud T. Livium, PacuviusCalanius: hîcest Præ nomen: at Nomen est poetæ, poft Prænomen: » M. Pacuvius.Proprium et illud Cognominis,at que Agnominis, li post Prænomen, aut Nomen, patris Prænomen ponatur, postremum locum obtinere:sic,C.Iulius,C. t. Cæsar: C. Cæsar. C.F. Dictator. Item duo prænomina præponentur v ni Nomini,aut Cognominipluralis numeri: fic, Pons M, et, qv, Tullij Cicerones. Itaque Prænomina vere non queuntfledi numero plurali, cæterao mnia queunt:suntenim generis,non viri: nisi sit Cognomen, aut Agnomen eius cui primum eft attributum: eius enim folius esttunc. Agno men autem ab Antiquis etiam Cognomen dia et um fuit: Africani enim Cognomen vocat M. Tullius in Sexto de Repub. Proprium etiam » Prænominis, vt idem et patris fit, et pri mogeniti: vt, M. Tullius. M. F. Quod autemait energyProbus grammaticus, Prænominanon esse solita imponi pueris antequam togam sumerent viri lem 219 lem, puellis antequamnuberent falfum eft: fed 1 feptimodie,quam natieffent, quum luftrabatur, Prænomen inditum fuiffe conftat. Sicut etapud Græcos, vt ait Aristoteles in septimo historiarum. Et ridiculum fuerit sex liberorum patrem vnum 2. appellare,omnes respondere:hoc enim faciat,ni fi nomine distinguantur. Hæredes esse non pof fint,quos ille non poffit nominare. Eft etia præ. ter hos certos legitimosque modos, vfus alius qui dam nominum communiorum. Maior,Minor, Superior.Quætempora perpendunt femper, vir • tutem non semper:vt nolint dici Dionysium Tya rannum Maiorem,sed Superiorem. An vero in. feriorin ea significationeinveniatur,non sinera tione disceptatum est: luniorem enim dicimus, Inferiorem autem nondum memini. Ex his pa tet, male a Servio dietum, lulo Ascanium fuiffe Agnomen: patet id quoque,la wivulavetiã Lati nis Diis attributam, vt Græcis: Marti,Gradivi: Romulo, Quirini:Hersiliæ,Horæ. Si igitur verum est carereplurali Prænomina, et AgnominaetCognominaparta, excludentur etiam ab eiusmodi locutione, Alter Cæfar, Alter Tullius: virtutes enim etfortunam poffis innue re, at Nomen non eritidem: fed fic dices: Cæfar alter a Cafare. διωνυμαautem etτριώνυμα non 4 recte dices: nullum enim nomen eft Binomen:vya fed res ipsa. Omneenim quod eft, vnum nume- my. ro est. Itaque Irum Ovidius, Ausonius lstrum bi nominem dixere.Ita Xanthum, et Alexandru vo. ces. vt etiam quæ woawwna fupra dieta a veteri bus legas, male fint appellata: neque enim Ensis 1 nomen est nonuwvwpov,fed ferrum hoc: quoniam ethoc, etaliis nominibus recenfetur. Defixis,five Essentialibus communibus,eorum quefpeciebus. chungen., Elxacommuniafunt. 'Ixacommuniasunt, quævniversalis,vt vocat, mune, sicut supra diximus, sumpta fignificatione a civili consuetudine. Quod.n.aut opus aut offi cium faciundum fuerit omnium civiuin opera, antimpensa, id dictum sit, Communi studio fa et um iri: quoniam munia fua quisquein vnum conferrent. Itaqueid opus vt compleetitur om nium civium functiones, Commune dictum est: ita nomina quæ eadem ratione vniversitatis præ amini ditas resfignificarent. Hocfummum genus divi am fere veteres in multasspecies, non omnes neceffa rias, et temere digestas. Nam et falso fub Appel lativo posuere Adiectivū:et incondito,actumul tuario vocum numerorem difficile effecere. Ac fiomnia rerum genera, qux Subalternavocat, fe quivelint,et nequeant, etconfundant artem: sin nolint,necongeriem quidem cam affectent. Ex vero funt: Ad aliquid di ettun, Cuasi ad aliquid di et um,Gentile, Patrium,Interrogatiyum, infini tum,Relativum,Demõstrativum,Similitudinis, Collectivum,Dividuum,Factitiu, Gencrale, Spe ciale,Ordinale,Numerale, absolutum, Tempo rale, Locale. Has dixere effc Communes nomi num et Principaliu et Derivativorum: proprias autem fcorfun Derivatorum has, Patronymicum Am cum. Possessivum, Comparatiuum, Superlativum, Diminutiuum, Denominatiuum, in quo, aiunt, intelligimus cum multisaliis, Comprehensiuum, Verbale,Participiale, Aduerbiale. Hæceft eorum farçina: quam vțintrofpiciamus, publicanorum more folucnda eft. Principio male dixerunt, has omnes Species mory esse Appellatiuorum;nam etiam sunt Propriorum: Vafriti. enim Vlyssis, Adiectiuo nomine indicatur quæ ei propria est.Item ejus locus,in quoeft,eius solius eft.EtconfundütAdiectiuum 2 cum Substantiuo: ergomale diuisițnomệin heç duo, tanquam in genera, Nam fi Populus eft no. men Substantiuum, et MagousAdiectiuum; qua re Adiectiuum fecit speciem Appellatiuorum, Substantiuum autem non fecit? Species igitur attribuere non fuo generi: et species confude. 3 recum suo genere cum dicunt, Patronymicum, et Denominatiuum; eft enim Denominatiuo, rum species Patronymicum: apertius autem ip fum Comparatiuum; denominat enim gradum, ficut Positiuum, qualitatem. Sicetiam Absolutu quum sitgenus multorum, vt Factitii, Tempo, ralis, Localis, in eundem ordinem cum fuis infc rioribus redegere; Nihilo feliçius genus ipsum Adaliquid cum suis speciebus miscuere: vt Ordinale, et Patrium, et alia. Sed etillud falfi sunt, quum dicunt, Ad aliquid diet um; nanqucapud 4 Philosophos et Metaphysicos fic excogitatum est, alia effe Ad aliquid: alia non effe, fed dici,vt hocipfum,quod eit, Effepater: habet naturalem reciprocam Coniun et ionem cum hoc, quodest, Effe filius: etiam fi nulla extet oratio, quæ hoc di cat. hoc aüt quod est,Effecaput:no habet ex sei pro reciprocam Coniun tione cum Corpore:sed ex co quod est, Effe pars, ad Totum. Itaque hoc lixere,Diciad aliquid: non autem Effe. Quare it res sunt, ita notæ rerum: igitur nomina quæ Adaliquid fignificabunt, erunt,Ad aliquid:quæ ignificabuntAd aliquid dicta, erunt Ad aliquid dicta. Iccirco etiam bis errarunt: nanque idem Ś eft, Ad aliquid diettum: et, Quasıad aliquid: quæ cunque enim nõ sunt vere Ad aliquid,funt Qua fi ad aliquid: per formam quandam accidenta lem, attributam ab intellectu. Hoc autem eft dici Ad aliquid: id est,referri per intellectum subcer to modo, quia reipfa per feipfa referrinequeunt, 6 Quin vero videtur nihil dici Ad aliquid, fed esse. neque enim intellectus facitCaput, effe partem Totius:fed ipsum ex sua natura pars eft. et quem admodum Caput ipsum non refertur, ita neque Cæsar refertur: fed ficut illud quali pars, ita hic quafi pater. Sed de his alibi: coaeti enim sumus detergere horum rubiginosam orationem. Præ 7 erea li ponunt Intcrrogatiuum, quare non Responsiuum? hocenim nobilius illo est: constituit, ' nim orationem verum velf alsum significatem. --)mnis enim Conclusio nobilior est ipsa Quæ ione. Numerale pofuit, quare nöposuit Dime onale? Continua enim quantitas nobilior eft, uam Discreta. Numerus enim accidit quatitati iscretæ:neque quodcunque est, vnum est: neq; nim discreta quantitas est genus distinctumre sa a quantitatecontinua, vtphilofophi veteres putauere: sed affectus quantitatis. Igitur hanc per Quantum,illam perQuot,explicamus. Tem porale quoquequum dixiflent, addideruntAd verbiale: atHodiernus, eft Aduerbiale et Tem porale: non igitur sunt species distinctæ, fed Temporali accidit, vt ab Aduerbio deducatur. Localerecensuerunt: quarenon Situale? vt Supinus, Pronus, Ingeniculus, que Græci lygovariv dicunt? Quare non memorarunt alią neceffaria? NomenGrammaticum: vt, Deriuatiuum, Geni tiuus, Modus, Figura: Nomen Logicum: vt, Consignificatio, Conclusio; Nomen Mathematicum, Nomen Metaphysicum,et alia? quæ alia alio modosignificant, quam hæc vulgata nostra, Poftremo pessimeíensere, quum dicerent, prio- 3 res illas species esse, təm Primitiuorum, quam Deriuatiuorum. Quis enim dicat, Patrium nome aut gentile, græcus, “romanus”, “latinus”. Atti esse Primitiua? Vbi error maximus eorum patet,qui putarunt diuerfum effe Denominatio nem a Deriuatione, propterea quod fic in aliqui businuentum effet: vtalufto luftitiam deduce bant. Athocaccidit contra rei naturam: nam Iu ftitia prior est, quam Iuftus, fed ficut res a re,ita vox a voce: quare vt Romaprior fuit quam Cæ far, ita a RomaRomanus dictus; vbi etPatrium, et Deriuatiuum, et Denominatiuum vnum sunt. Has nebulas Gramaticorum quu discussimus, duo supersunt,quæagamus: primum emendabi- Erhome mus eorum definitiones, qua opus fit: deinde cxa ettiore iudicio ad certa capita reducemus. Pij, Ada cus, MW Pre TE RH cíten Qus Diner liorat uatirati gra? 1: 1 Qume Veteris puch 224 IvL. IV. 2 Arte Adieettiuum, inquiūt, quod adiicitur propriisvel appellatiuis, et significat laudem, vel vitupera tionem,vel mediu,vel accidens,vnicuique.Prin i cipio definitio hæcnoestabessentia, sed abacci. dente. Essentia enim Adicetiui est, significare a. liquid alicui quod insit: at hoc, quod est Adiici, accidens eft: poteft enim vel adiici, vel non ad jici: accidit enim voci vt conftruat orationem: quanquam hoc accidens est proprium fluens ab ipsa essentia, Sane etiam extraorationem hæc vox Bonus, dicetur Adiectiuum: nec tamen adii cietur. Itaque peruerse quoque data eft defini tio hæc: cum præpofitum fuit hoc quod eft Ad iici,huic quod eftSignificare. Peruerfa vero et iam alia ratione. Cum enim Laudem et Vituperationem posuere, addiderunt Accidens: quasi ve ro ea accidentia non fint:atque est,veluti li dicas, Coruus est crocitans animal,nigrum,coloratum. Accidesigitur fiuefignifcet σύμπτωμα, fiueσυμ 667xws, live codexerfov, genus est comprehen dens Laudem, et Vituperationem, non minus quam Album, et Nigrum, quæ ipfi pro exem 3 plis apposuere. Male etiam apposuere Vnicui que: non enim dantur definitiones indiuiduo rum, fed folæ fpecies definiuntur. Verum poft hæc maiorem errorem commisere: nam (omit 1 to alias ineptias ) ficftatuunt, proprium elfe Ad ieet iuorum, suscipcre Comparationem: At hoc est falfiffimum: nam quisaudeatdicere hoc no men Medius,intendi poffe, etremitti gradu Co parationis? Quis nescic, Hodiernum,e fse Adic diuum? quis alia multa. Negligentia quoque illa non parua: etenim de iis, quæ Quasi ad ali quid dicuntur,vbi scripsere, interponunt deSy nonymis nescio quæ, etDionymis, atque eius. modi, etfalso, vt diximus supra, et non luo loco. Interrogatiuum, aiunt, est quod cum interroga tione profertur. Leuiter lane nimis: quippeet Verba cum interrogatione proferuntur. Deinde dixere, infinitum efle Interrogatiuo contra- Juf. rium, profe et o inanemmodum docendi: Nihil enim est contrarium interrogationi: nisi non interrogare: aut fane Respondiuum appellandum n'y. sit, vt aliquid affequamur:Responsio nanque non est vere contraria Interrogationi:quippealiquan do eadem:vt, Venit? respondebis, “Venit”. Neque forma ipsa interrogandi est vere contraria for mæ respondendi: alioqui quæstio effet contraria conclusioni. At quæstio nihil affirmat: ergo non contradicit. Sed vsus tenuit, ut dicamus: Contra respondit: quia ex altera parte item eum esse dicimus,qui refpondet. Infinitum vero quo... modocontrarium faciant Interrogatiuo? neutru cnim quicquam ponit: alterum quærit, alterum nescit. Quid quod Infinita dixit esse Relatiua? della qua oratione nihilturpius. Relatiua.n.omnia Fi- **3 nita sunt. Fiunt autem infinita appositis verbis non finientibus: vt Nescio, ficis, quitam indo, qui et e scribit. fed ipfa Interrogatiua sunt Infini ta:n: hil enim statuit,qui interrogat.Diuiduum, hun Jan inquiunt,est, quodaduobus, velamplioribusad fingulos habet relationem.vel ad plures in nu meros pares distributos: vt Vterque, Alteruter, Quisque,Singuli,Bini, Terni.Omitto barbariem Piij. upo DD CH Arche orm quum posuere. Amplioribus, pro eo quod effet, Pluribus. Rem ipfam agamus. Male expressere vim horum exemplorum: neque enim hæc vox Vterquehabet relationem a duobus ad fingulos: Ted åfingulisadduos transfert significatum. nam quum dicas,Vter? vnum intelligis ex duobus.Ita quecolliges-ambosin responsione fic: ethic, et hic, per coniun et ionem. Que: Vterque.Itaque non eft Diuiduum, fed Diuiduo contrarium. Dividuum potius erit, Alter uter, Utercunque, Vteruis. Præterca non puduit distinguere hæctan. Nouve quam in specie, divisa a specie numeralium. Imo vero numerale est genus comple et ensduas species, dividuum: vt: alteruter: “indiuiduum” -- hoc autem rursusdaas: distribuens, vt singulus: Non distribuens, vt unus. Itaque potius affectiones numerandi, quam species sint sicut: et Ordinale. Hæcita fe habent.Nos autem hęc incondita prudentius digeramus, recepta prius nominum fi hangi significatione. Omne quod est,aur est Absolutum, mgo aut Relatiuum. Absolutum est quod a nullo de pendet. Relatiua, quæ mutuo naturæ nexu con almolol ftant. Eftautem Abfolutinomen minus consul to pofitum. quod.n. aliquando vinctum fuerit, quả defiit vin et ữesse, Absolutu diet u est. Verum verborű inopia interdum premimur: vtemurau tem receptis, vtintelligamur, Videamus igitur, an vllu nomere ette dici queat Absolutū. Absolu tu pluribusmodisintelligitur:Absolutű a cauffa: vt, Deus: amateria, vt motrices mentes orbium coeleftiű: a fubie etta fubftatia, vt fubftãtiæ omnes: a relatione, vt quæ ad aliud non referuntur. Igi tur ICH D 1 V tur ipfiusnominis naturanullo horum modoru vlnu absoluta eft:caussasenim habet, primum sui auto Tours tem:promateria,vocem, scripturamve, aut quid fimile. Quu autem reru notæ fint,fiue figna quæ dam arelatione,non erut Absoluta. Nomina igi tur omnia in prædicamento Relationis funt qua tenus significant. Verum omni in relatione eft ratio referendi, et termini ipfi relationis, et res subiectæ, quæ deferunt relationem: vt, Cæsar fi Catonis filius eít, tria hæc oítendentur: nam ratio qua Cæfarad Catonem vt filius, et Cato ad Cæfa rem vt pater,est vis illa procreandi tum actiua, tu paffiua.Resdeferetes relationem, funt duæ fub Itantiæ indiuidux. Terminus relationis filii, est Cæfar:patris,eft Cato.Igitur filius in prædicame to Relationis eft: fed connotat fecurcm absoluta scilicet substantiam. Non longe diffimili ratione Nomen dicas ipfum quatenus significat, effe Relativum. quatenusabsolutam rem fignificat,effe vt figna Absolutum. Sic dicas, Cæfarem effe filium mili tarem: vt relatiuu filius,etia militia consignificet rem absolutam. Ergo fic Nomina certis generi. Gomora bus partiamur:auta Reftatim deducuntur,aut ab ' A 2 alia voce. A Re autabfoluta, autrelatiua. Si a vo ce, yt Hodiernus, ab aduerbio, Hodie,vocisillius naturam fequentur. Quæ autem a Rebus dedu centur,rerum naturam retinebut. Oportet enim fignum æquari rei cuiusfignum eft.Itaque fifub- Goreng ftantiam indicabit, ant quantitatem,aut quali tatem, aut alia, inde fumetappellationem. Per. sequi autem tot species, easque certis nuncupa tionibus affequi, difficileest. Summa autê genere. Relatiuorum funt hæc: aut æqualia, vt Socius, vicinus: aut inæqualia, ut “servus”, “dominus”. Absoluta substantina decorum generaat species. Absolutorum genera hæc sunt, quædam subsantiam significant, ut, Ensis. Quædã quantitatem eam queduplicem: continuam: vt, Magnitudinem, corpus: locum, forum: tempus, Annus. Et discretam, vt, numerum “unus”, “duo”. A lia significant qualitatem: ut, “candor”, facies.Ex quibus ducas nomina generum, ac reddas suum cuique: Temporale, Locale, et quæ supra. Facti Atia autem ad genus qualitatis, quatenussic sonat, Murmur, Turtur, Sibilus, Fremitus: quanquam significatus ad alia genera referatur. Sic etiam Ad verbialia diet a,non quodaduerbium fignificent: sed ab origine:quoconstat, has denominationes non sempera significato produci. Generale aute et Speciale potius ad dialecticum spectant. Sic Corporale et Incorporale reduces ad fubftatiam et alia genera:vt, Deus substantiale eft, incorporale: Candor qualitas incorporalis. An verd id, quod aiunt,verum fit, Orationem esse incorpo ralem? Nam de vocali, aut fcripta oratione si fic sentias, falso intelligas. Eft enim orationis For ma significatio: Materia, papyrus atramentum, aer ipse: Figura,ftru et ura illa. Absoluta diminutina. th.Horum affe et usquorūdam, Diminutio est:ita vtresipfæ quibant autintendi,aut remitti. Quare in substantia non videbatur inueniri pof- Am se fignificatusDiminutionis. Verum ab affeet i- ' W4L. bus, siue accidentibus circumstantibus effe ettum eft, vt reciperet Diminutionem. Sicuti etiam di cimus, Maiorem equum:eft enim quod ad quan titatem spectet,non quodfubstantiam. Igitur fic resoluimus, vt dicatur, Plus quantitatis in eque, non autem plus cqui. Ita dicimus Homuncione, et Homulum, quantitatem respicientesin homi ne, non hominis substantiam.Atqueis lane error a vulgo, non a sapientibusprofectus est. Puellus autem ætatem significat, non substantiam:ætas autem fub tempore collocatur. Compofita etiam ex vtroque inuenias. vt, Pumilus, et Pumilio, ex Puero et Homulo conflatum fuit. Abufi autem sunt veteres nomine Diminutionis:namMinue- vox rt, est tollere quantitatem: Diminuere igitur, Vtranque quantitatem statuit in diuersa: at ab Hominecum ducis Homulum, decurtaspotius, quam Diminuis. Quæ fuit cauffa, vt aliiconful rius Deminuere dicant. Eftenim Diminutio affe etus consequensDiuisionem. Omneenim diui sum ita minuitur, vt eadem quantitas minor di - sot catur,quoniam partes feparentur: at in nominis Diminutiui significatione nullæ extant partest fed Deminutiuucstquod fignificat minus quam Primitiuum.Quoniam autem eft fpecies Deriua tiuorum, et Deriuatio est Figura, et Figuraeft af feet us nominum generalis: igituretiam Deminutio generalis nominuaffeet us erit: iccirco et Absolutis, et Relativis, et Appellatiuis, et Adiectiuis, et Communibus, et Propriis competit.Quarcna tweet elteise PY. in. emir Quis 230 IvL. IV. inter genera nominum,sed inter accidentia pro. pria recensendum fuit:vt, Homulus, Pulchellus, Romulus, Meliusculus est, Antonilla. Nunc igi tur de Abfolutis. peromeQuantitatem quædam imitantur, quædam non,fed ei cohærent tantum. QuareDeminutia fecundumhæctria dicentur: competit enim ma ins,vel minus soliquantitati. Dicimus tamen ma iorem calorem analogia quadam significationis Igitur primo indicabunt quantitatem: secundo foco id, quod hæret ei:tertio,quod eam imitatur. Quantitatem ftatim dicunt,Tantulus: et proxi mahuic in ipfa fubstantia, Auicula, Capitulum, Fraterculus, quæ ci cohærentia sunt. Sic Annicu lus, non diminuit annum, sed notat paruitatem  fubftantiæ,cuius motum,anni quantitasmeritur. Ea vero quæ quantitatem imitantur, sunt ficut Regulus,cum Regēparuium significat:propterea quodquivasto corporesunt; cæteros anteirero borevidentur,item imperio:ita ii, quorum in po testate populares funt; eam magnitudinem imi tantur:atque iccirco deminutione notantur. hnutil. Quum autem variis terminationibuspræfcri bantur cæ non funtpræfentis operæ. Sedillud a nimaduertendum, quædam quibufdam flexibus Deminutiuorum efferri, quæ ad ipfum genus nal laratione adduciposlint:vt,Cuculus,et Cænacu lum, aliaque eiusmodi aliquot: nam quæ veteres afferunt exempla non omnia verasunt. vt Auun culus Deminutum ab auo eft: Abba enim auum appellabant:item patrem, et patrisacmatris fra trema. Illi cum patrui nomen quasi patrem alte rum pitud ntiapfum attribuerent, matris fratrem quafi remotio alchesiem pusillum auum appellarunt. Nunci · Finis igitur Deminutiuorum is, Tollere quan titatem,aut alia quæ remitti possunt:sic Regulus, quxparuum regem imperio, Veraniolum dixitCatul ninusus vrbanitate: ficut Romulum, et Sergiolum, nimpueros: non adulatione,vtaiunt, qui id a Græcis imen fumpsere:Romani enim non fuit adulari.Frater catio: culum quoque gigantum iidem male dixere ab fecus vrbanitate:sed refpexit ad Gigantum vaftitatem, imit: Probro:Meretricula,Pusio.Imitatione:abAngui, et pri Anguilla. Minus reete etiam,qui contendunr, a Redo Fidis,et Apis, Fidiculam et Apiculam,du-fericia Ans Eta: falla enim ratio eft. Si a Fides, effet fidecula. cuit Primum videntur negare mutationem vocalium meni in dedu et tis: Deinde fatis constat commodius fie Eunti ri si Reet tus a fecundo casu differat. Itaque si non ropli inueniatur apud autores Fidis, rectius facias, si ne teir ges vnquamfuiffe.Et Ouidiana Apis, ex deterio imi re deprompta vfu fit. Verum ego arbitror inter v emi trunquefonum pronunciari folitum: vtin Nise, Nisi: Here, Heri. Itaque quum “Ædes”, non “Ædis”; “Sedes”, non “Sedis” in recto legatur, tamen Ædicu łam et, Sediculam diet umlegimus. His autem no erat hic locus,nisi huius quoque rei cauffa nobis reddenda fuisset. Ex his, quæ diximus,conftat,Nominain Aster,we'arts a veteribus re et e inter Deminutiua effe colloca- sene sont A ta,temere a recentioribus ablata.Eoru argumen ta sunt hæc: Si essent Deminutiua, non fuisset a Terētio addita altera nota paruitatis, apud quele gimus, Parasitaster paruulus.Ite Pullastra, grandi uscu atu pra  Case TIK ETU mula IvL. IV. ad usçulam potius significat pullam ':Præterca Apia ftrum est miræ altitudinis. non igitur erit demi nutiuum: quare Imitationem non Dcminutio solinem dicent. Adhæcficrespondemus:omnemi mitationem indicare deminutione: quare quod tollunt idipsum statuunt. Et quod additur ase rentio paruulus, significat corporis quantitatem ætate imperfectam, vt fitdeminutio corporis: at parasitaster est artisdeminutio:vtis sit, qui haud magnacum re parasıtatur: et quia agit, fiue imita tur parasitum, citra parasiti modum est. Apia ftrum autem non est diminutiuum ab Apio, sed ab Apibus ductum, vndeetiam uersaroquior,id est Apifolium dicitur a Græcis, Citraria enim cst: quin ea Apium neque imitatur,ncquefimilis eius est. At quod Apiastrum est ab Apio deminutum fane eo longeminusest. Verba Plinii suntin xx. libro: Nasci in Sardinia herbam fylueftrem Apii fimilem,quod fit A piastrum,Apio minorem. E Sallustii historia sumptum videtur. In Sardinia, inquit,herbanascitur, quæ Sardoa dicitur, Apia stri similis: hæc ora hominum, et rictus dolore contrahit, etquali ridentes interimit. Pullastram autem omnino minorem Pullam intelligimus: quippe Pulla, et Gallina iuuencula:idque tam contra eos,quam pro eis facit: neque enim Pul te laftra, aut fylueftris est, autpullam imitans: vt trupi want quid enim minorem maior imitetur? aut quomo doimitatio in substantia, autin quantitate natu rali fita fit, quæ affeet us animi, autin ipso affectu posita est? Surdaster quoque qua rationefurdum dicetur imitari? sed enim idem eft, quod fubfur dus. Cauffa autem huiusce terminationis a Græ cis constituta eft: 017:Tmile,I'vtwwwxleiv, cst Philippum, aut Antonium agere:sicwsgarrile:v,vn de Antoniaster, et Paralitaster; fic oyxisnis,apud Galenum ageto oynilev: agortashs, et Æolice 1 verso líbilo in literam vibratiorem. Qui igitur imitationem tantum attribuere, non memine rantsurdaftri:quisustuleredeminutionem ob Te rentium, non videbant duas paruitates eidem s poffeeuenire,corporis, et artis: qui omnino non putarunt esse Deminutiua, nesciebant imitatio, ne significari inæqualitatem duorum, quorum. minor sitis altero, quem imitatur. Proprium Deminutiuorum habere dcriuata. si non a primigeniis,Hortulanus. Collectiua, etcomprehenfina. NGcnerequantitatis, quæ reliqua funt,ponc mus ea, quæ vocant Collectiua. verum voxa ri? y definitionediffentit. Colligerenanquo eft aliquo chin modovnuex multis facere: at, Populus,aut, Vut gus, quod dat signum nobis colligendi? potius, Vterque, et Ambo, et Omnis,funt figna Colle etti-,,: ua:illa autem,quæ ficabantiquis funt dicta,Cog prehenfiua potius iudicabuntur. At ipsi Com - 3 3 prehenfiua dixere his non abfimilia: cuiufmodi o est, Vinetum, Rosetum, et eiusmodi. Verum hæc i nihilo distant, nisi modoipfo significationis:nam Populus rem vnam e multis constantem notat: pie at, Vinetum,vnam rem multas comprehenden Pietem. Non est Colle ettiuis diffimile, Arena, Scopa, Scala, Scala, et eiusmodi, quæ frustra plurali duntaxat en numero dicidebere contenderunticcirco, quia multa essent. Nequeillisin mente venerat, quod cunque eft,vnum effe. Atquod eft, aut est vnum Subflantia,velutdicebamus, ut Homo et Equus: aut accidente, ut homo et Albumiaut Subiecto, ve Album et Dulce in lacte:autMistione, vt Pos sca:aut Aggregatione,vt Aceruus. Igitur in fingu lari si pronuncies, rectius designes vnum effe: vt, Cumulus, Grex, Turma, Thesaurus, vt etiã in plu rali diuerfislocis pofita fignifices: vt, Cumulosaa renæ,Italicæ et Ægyptiæ:Greges,tuum etmeum, Eft præterea vnum Mathematicum:vt Quadran talis figura vnum cst ex multis lateribus: fic Qua drigam debes dicere, vt et Alcibiadis et Hieronis Quadrigas possis. Est etiam unum dialecticum, vel metaphysicum, ut definitio, quæ constat ex genere et differentia, et Species quæ constat exif dem defignatisa definitione: quæ tamen singularem in numero proferuntur.Quaremulto usuinomi na hæc Comprehenfiua fuere. Multoque consul tius est hoc excogitatum, quam fit admiffusmos pluralium, vt Thebæ, Pifæ: namfi fic neceffe fit dicere, illud quoquencceffe fuerit, vt ciuitates,  non autem ciuitas appelletur. Sic grege legato, wna res legata est, vtait Paulus, neque pars potest recipi,pars fperniRelatiua substantina. Elatiua aut sunt Substantiua, vt feruus: aut RA, nomie lur U nominis aut genus vtranquecopleettensspeciem,rakis fubstantiuorum, et adiectiuorum: nequemirum: neq; enim substantiam significant, fed essentiam referendi:itaque accidentis semper notæ funt. In priore genere continentur Ordinalia, Primus, So cundus:aut his fimilia.Centurio,præfe et us: et a lia talia quæ diximus, vt Ciuis,Vicinus:Nepos, Fi lius:quæ vnum tantum terminum significant. Vi dentur autem etGentilia, et Patria ad hæc referriq.m fub adiectiuorum fpecie: nequeenim dicas Græ- pohon cum, fine Græciæ intellectu: fed tamen Græ ciam, sine Græci intelle et ione poffe dicere vide ris. Verum non ita eft. Plato Græcus fuit: Regio Attica,Græca:sisubstantias ipfas respicias, nõre feres: si nomina impofita, quæ gētem significent,q non possis, quin referas. Terrailla non est alicu-} ius terra: sed patria eftalicuius patria: Græcia autem Græcorum eft, et Græci Græciæ, Itaqueo mnium nobiliffima fuere Patronymica, quæ in contents voce substantiua, adie ettiuorum plenitudinem sunt consequuta. Adieettiua enim significant acçi dcns et modum quo in hzret substantiæ: quare aliqua ratione etiam ipfam connotant subltan tiam. Hoc etiam amplius Patronymica, quæ et iam certam fubftantiam consignificant:nam in certum quidem filium vel nepotem, at certum vel patrem,vel auum, tanta vi,vtetiã propria no mina referri penecogant. Videtur enim Priamus b'lari referri ad filios hocnomine Priamides: verum non ita eft: nam tametsi terminum nominat,non tameneum refert ad hunc quem primario figni ficat: significat enim filiu Priami, quead Priamu refert:consignificat Priamum, sed adfilium non 1 1 qua? 236 IvL. IV. 1 * refert. Cæterum eo præstant cæteris, vt diximus, pas here quod vtrunque terminum relationisfimulsta tuunt voceipfa non soluın significatu.illud quo » que mirum fuit, a proprio ductam vocem perde nominationem,non effe Adiectiuam,fed Fixam: quaksid quod non potuerunt obtinere Poffeffiua.Ap pellatiua autem fuere amiffo iure proprietatis. Nequeenim potius Hector, quam Helenusintel ligetur co nomine PRIAMIDES, Non pro pter camrationem,quamafferunt, Singularia no referri: hoc enim falso dixere philosophiquidã. Nam Relatiua quoquesua habentindiuidua; vt, hiç filius huius patris. Proprium vero cumfuisset per initia Patrony. VM micorum, Græcis tantum in nominibus fieri: v sus Romanus ad sua transtulit commoda, vt Ro. mulides. Falso enim dicebantquidem Patrony. miciloco vfostum Poffeffiuo; nemo enim hoclo git nunc.Auxerequoque inscitiam,cum Latino, rum tantum effe dicerēt poffeffiuum:qui fi Græ caignorabant:at meminiffent ex poemate,quod legerent assidue, Troja, et Typhoel, et Euan drius. Quoniam vero etiam Materita refertur vt gum ea, tum Pater vnico nomine Parentis com ple ettantur:iccirco ab ea qudq; dacta sunt;vt Co ronides, Æsçulapius apud Ouidium.Item eodem filo abauis maternis, quo a paternis trahebantur: Atlantides, Mercurius. Poft hæca fororibus quo que, Phaethontiades, forores Phaethontis. Hora tius etiam a faet is, non ab fanguine Tyndaridem dixit eam, quæ Clytæmnestræ more diffidiffet bipenni caput viro. Moderatius veteres,qui ciues omnes, tametfi non erant a principe civitatisge niti, ab eo appellarunt, Cecropidas, Athenienses. Mobilia, five adiectiva absoluta. Vem ad modum supra diximus, Mobilia sut alia Absolutarum rerum, alia Relativarum Garten nota.Abfolutæ sunt, Vivus, Exanimis, Annicu lus,Sesquipedalis, Albus, Calidus, Frigidus, Cir cularis,Forensis, et eiufmodi:genera ipfa rerum si spectaveris. Habentautem affeet us hos,æqualiam L. effe ei,vndefunt denominata: vt a luftitia,luftus: iuftus enim est, qui iustitiam æquavit. Secundus affectus fuit,minussignificare:vt,Bellus.Tertius,2 augere significatum:vt,Gloriosus,Populabūdus. 3 Propriumautem fuit Mobilium, transirein natu ram Fixorum:vt, Pluvia: fuit enim per initia; A. qua pluvia.id quod etiam ex Ll.libris deprehen ditur, De aqua pluuia arcenda. Eadem analogia fluuius,vt poffisdicere, Fluuium Rhenu. Ducta enim funt, auta nomine, vt Cadidus: aut a verbs, vt Bibax:aut ab adverbio:vt Hesternus.Fluere igi tur quũ significaret ipsum accidens per fe: duđa eft ab eo verbo vox,quæ in alio effe indicaret, Flu men vius. Itaq; vehemeter fallifunt, quiscripfere, quę.comhet bus dam Nomina esse neq; Substantiva,neq; Adiecti atrop Ďa: vt Verbalia, et alia quædã: cuiusmodi eft, Ci vis, et Servus:quæ proptereaipsi Ambigua appel larunt.Verum res fealiter habet: Verbalia.n. fue ' re Adiectiva, nihilo fecius quam Participia: fed brevitatis caussa omissum est Substantivum: quis aj. enim La 16.01 RE tert: tiso tivo/ OLISI is.H dari Title qui Lt $. IIII. enim neget non Thew,fuisse primum appositum, tu widet: sicut et Homerus dicit, inteos cuine: ficuti 04.810. avvie: fi enim Bellare habet naturam Ad icativi,nonne Bellatoritem habebit?significate nim bellandi scientiam in Cæsare, aut alio Itaque variatumfuit, vt etiam Bellatricem diceremus Ca millam, et Arma victricia.Sic Servum, et Servam, Dauum, etSyram: et Servum imperium, quod a lij parêret.Sic pauper, Irus, Ilia, Regnum, at seor fum ponitur ab Ovidio, Pauper vbique iacet.No sunt igiturAmbigua: nihil enim medium inter sabo ea, quæ diximus in rebus: ergo nequeinnomini abus: fed sua naturaAdiectiva fuere: vsusautem que no me nonmutavit,vt efficeret Substantiua,fed Substan tiua sustulit: non vt hæc essent, fed vtilla fubin » telligerentur. Sic dixitperinitia Pluit Deus:poft ea fuftulit Nomen. Sic dixit, Amatur a Cæfare: postea tacuitnomen, et paffus est verbo nullam certam attribui personam. Quodautem addunt his, Ciuem, et Regem:vtdicatur, et vir Ciuis, et Ciuis bonus: et Populus Rex, etRex bonus. hoc sicincrebuit,quemadmodum apudGręcosquod perarticulumdeclaratur, ανηρο πολίτης, λαόςοβα arnolis. quanquam Rex quoquefuit Adie ettivum primo, et Consul, et Prætor. Namquod vnum Jobu. tantum genus obtinuerit,id non ipfius nominis, sed rei quam notaret cauffa fa ettumest. Quum e nim hæc accidentia non nisi in viris inveniren tur:nonnisi virili genere potuere enüciari: qua. quam etiam Reginam dicas. Sic Autor, vtrun quegenus complexum eft,cum terminatio Masculi I att culinitantum analogia præfcripfiffet. Sic Græci per initia dixere,nwandywiv, pauidum lepo rem: at ysus to taxa dixit, naywov, subticuit. fis DonBor Stonwa, Phæbum perditorem:at fimpli citer Stonwy, substantiui sui nomen obtinuit. fic u hier porta onkuardigov žantov, quod pecora flavescerentes forly ius potu: at Xanthi sola appellatione Scaman drum intelligebant: vt hocfane magismirum fit, et Adicet ivo fa et um Proprium substantia EN vum. Olle 101 ICH molt dos LIN Secundum rerum genera quum Adiectiva di ftinguantur,non paucaeorum certisterminatio.hmm. nibus insignita fuere. Quæ igitur substantiam fi- Subit. gnificarent,multas facies funt fortita:in Aceus:in Itius:in Inus:in Eus.In Accus,materiam signifi cant:Panis hordeacens:Interdum totam: vtMer.. Tis triticea: et, Pila cretacea. Alias partem:vt,Pti sanahordeacea:nam etiam ex aqua constat,noTo lo hordeo. Etiam fusa significatio ad cohærentia, ytacino contentum granum,Vinaceum: quem admodum imitatus elt Gallinaceus: quoniam ex gallinæ materia ac satu esset. Huic proxima ter minatio, Cratitius paries, et Cæmentitius: idem significavit. item materiæ cohærentia, vt Mul titia vestis: neque enim Multitudo materia est, sed Linum, autLana:fic Multatitia pecunia,quæ ex Multa: år Multatio materia non est, sed forina potius, quapecuniaexigatur. Vt et hoc erra rint, qui folam materiam, non etiam formam dicerent significari: et male scripserint, Icius,» non Itius: nam vt est a lufto, luftitia: fic fuit a Crate, Gratitius. Atque hæ duæterminationes şij. Lati os Hea r  tres. Latinis suntpeculiares:Alteræ duæ a Græcispro fectæ, Cedrinus, Cupressinus, in Inus: et in Eus, Ferreus jordmedG Æolice,exemiptosve diximus t, ex diphthongo. Abiegnus autem fuit paulo coa Gius dictum, ab Abiete. lantinusvero et Ame thystinus videtur colorem, non substantiam fi gnificare:verum ita fuit, vt quafi ex ipsa Viola, et Amethysto confecta esset vestis.quoniam ex suc cis herbarum tin et turæ perficiebantur. Quæret a liquis, An Tribunitius, atquealia eiusmodi in su: periorem ordinem redigantur? Saneita est: ete we: nim Tribunatus quasi materia eft eius loci in Re ini publica, qui Tribunitiis debebatur: fic Patritius Civis, cuius dignitatis materiam præbuerint pa yrazo Quæ vero qualitatem fignificant; alia exeune fimplici,communique finitione:vt, Bonus, Ce ler.Alia Græco flexu denominativorum:vta Py thagoræ sapientia, Pythagoreus, et Pythagoricus. Sunt etiam duo alijmodiverbales,Tufazozistis,vt Grammatista: et mutuyoeuntuisy Vt Touc74:: et ove - UTAS; Acolice. Sic nescio quo felicissimo com tento Franci etiam ounc poetam, patria lingua, Factistam dicufit. qua voce nulla meliore analo gia Græcam potuit et excipere, et exprimere. E narratores Theocriti agnofcuntinter eas termia nationes differentiam ad significandum, quam qui volet s inde petat. Sunt et alia quæ ipsam zum.qualitatem fub excessu quodam notant, exeunt quein os vs: ea habuere originem a Græcis, vt appeticsciv syss estenim oradns qui plus vini appetit, quam par sitšaue quiplus viniobtinet, scilio qub w fut AK 1 6 EN fcilicet autsubstantiæ, aut faporis, aut odoris, aut coloris: vt apud Homerum aliatermination intowany ne, vivo nece moV TOY. ni ww Sic duo quoque modi signifi candi apud Latinos fuere: ingeniosus, qui mulță ingenii haberet: Mulierosus, qui multum mu lierum vellet habere. Trahunt autem origi nem a hominibus, græcorum eorundem exem plo: non a verbis,vtputarunt:his exemplis, Sto. machofus, “studiosus”, “quæstuosus, Sumptuofus Sed a Stomacho:quod apertius patet in aliis:nam a Studio, non a Studeo, habet vocalem suam studiofus: et a Sumptu, et Quæstu, suam cætera. Itaque M. Tullius fic loquutus est: Non yt mihiftomachum facerent, quem nullum ha beo. Quare a Criticis notatus fuit Nigidius Figulus, qui Bibofum dixit, fuam enim habent a >> verbis terminationem pari significato, Edax, Bie bax, Emax,Vendax, Loquax,Diçax,a nominib, raro,Linguax. Et aliam infrequentiorem, Bibo nes, Comedoncs, Calcitrones: et a nominibus, Catillones, Popinones: quanquam a Catillando et popinãdo quoque duci poffint, vt a Lurcan doLurcones. Sed quædam omnino sunranomi- nibus, vt Ciliones a Ciliis, et Labeones a Labiis. Horum item Græca origo fuit: fic enim effin gunt illi nominaComprehensiua: vt, opv.TW as» dd Duwvec Tia cvwx loca plena Auibus, Lauris,. Platanis. et vnum facetum fane,xerecv «, partem corporis, quæ ilia a quibusdam putata sunt. quo; niam igitur plus vacui ibi effet, quası multo va cuo plena effet, keveuve fuperiorum analogia ap pellarut. Eorum autem Gignificatus alius aqtiuus,suono some vt Studiofus: alius paffiuus, vt Formidolofus: alius indifferens, vtMotosus: qua fuit cauffa, vt a verbis deduci poffe putaritNigidius.Habue Huse autem modum significandi, vt diximus, ex ceflum. Exceflus autem omnis vitiofus: Virtus enim aut medium, aut in medio. Verumnomi, ņum quorundam vi factum eft, vt etiam virtus tis limitibus continerentur: eius rei cauffa fuit, propterea quod omne bonu difficile paratu est: vt est apud Hefiodum, et Vergilium, et Plato. nem, et Aristotelem. Ergo conatus ille frequen tium atque affe et atarum actionum intra laudis metas constitit: vt, Studiofus: nemoenim fatis pro restudere possit. Quin media quoque voca „bula, vt Fama, et Dolus, in deteriorem partem flexa fuere. Famofam Mạcham, Dolofum mer catorem: propterea quod facilior habitus, dete rior eft. Iccirco diuinus poeta Famam, malum definiuit. Hæc pertinentad cauffas et Originis, market et Significationis. Materia autem fic fe habet; Quædam fimpliciter deducuntur, vta cerebro, cerebrosus: quædam cum additamento vocalisa vea cura, Curiosus; quanquam non fine ratio ne: Sabina vox fuit,non vt ineptiunt, quia Cor vrat. Quirites dixit Plebem Romulus,se Qui rinum, Senatum Curiam:omnes eodem voca bulo,vario flexu. IndeCuriolus diet us, quifa tageret Confultorum Senatus. fimul Curæ no men deriuatum qua diligentiores patres voca rentur. At apertiffime affumpsit Formidolofus a Formidine. Monstruosus, autem quod dicunt quidam, puto esse barbarum; nam inmanu scri pto TIL  Holok cani Halk < -US, 6 - Vir non 7 yint la fi atud Plan ceque land imga you Dante mi me pto Martialis exemplari, quod de præda Fonta rabiz nacti sumus, fic fcriptum eft, Montofa decus Vmbriæ. Tortuosus quoque et Saltuosus nihil assumpsere: sed a Tortu, et Saltu, ducta funt: ficut a faftu Faftuofus. quanquam igitur videnturquantitatem fignificare, tamen non ita est, sed intentionem qualitatis:nam tamet fi Mons significat quantitatem, at Montosus, habitum illum montium notat. Sic euenit e tiam in alia terminatione, ™ND vs: Magnitu- View they dinem nanque indicat: Cæterum non folius Quantitatis, immo vero, vt fupra dixi, Habi-. tum quendam. Neque vero dubium eft, quin a maris excefsu naturam nacta fint, quippe ab Vndis. Nam Maris nomine antiqui pro ma- » gno vfi funt. hinc Pelagus, quia n'hasdize'. lam enim to renæs significat tractum ipsum. Ex Callimachus quasi prouerbio vtiturin Apolli nis hymno: Ου φιλέω τον αδέν και δδ δσα πονος αείδε». Et apud Latinos,Maria acmontes polliceri. Vul goetiam dicimus, Maria, dere immensa.Sic Ca tullus quum multa propofuifset etiam maiora fi de,subdidit, Cætera suntmaria. Sed de his alibi, Eorum autem Materia talis eft, vt quædam Bha-mana beant, alia c. Populabundus,Iracundus, Rubi cundus, Verecundus: quorum origo a futura Trom. verborum ducta fignificatum expressit perpc tuationis: vt,Populabundus, non folum qui pa pulatur, fed etiam populabitur. Pauca ad præ lens respexere: vt, Iracundus ab eo quod est, Ifasci,exempto sibilo,quafi quifemper irascatur: Qiiij. R4 s,de malo igini haba Tehn oat rati Tal VOO wik PM vou plai Rubicundus,qui semper rubricet:non,vt vulgo vtimur,actiualignificatione transitiua, fed abło Muta, aut usor, quemadmodum cum dicimusLa uat, id eft, Lauatur. et apud Poetam, lam venti posuere. Verecundus autem originem paulo ha buit obscuriorem, propterea quod abolitu ver bum est Verescor: sicutcontra, Adipiscor fuum primogenitum amisit,dicebant.n. Apere, and To ZTTHY, Ynde Apex, et Apes,etExamen, cuius fimplex non inuenitur sicvoceprimaria. sed in Amento. verum de his alibi. Continuationem igitur dicimus,quia Rubicundum no dicam me, sed Silenum, cuius facies multi atque aperți rubo ris fit: Nireum non dicam iracundum,Achillem dicam,multæ iræ, et quam ipse præ se ferat. F2 cundusliteram mutauit, fi a fando,non ab effica cia ductum sit. Fæcundaa fætu, per concisione. Rotundum quoque,si ab eruditioris iudicio con cedatur mihi, videtur non abhorrere. Neque ve ro habitum illum cum excessu folum indicant, 2 fed etiam vehementiam quandam,atque extan tein præter modum exuperantiam in rebus ina nimis: quasi quum dicas M.re fluctuabundum, vel vtaitGellius, Vndabundum. In rebus au 3 tem voluntate præditis, etiam Oftentationem, fiue Professionem,atque etiam, vtita dicam, Sa tagentiam, nam quemadmodum differt Verbale a Participio, ita a Verbali genus hoc nominum. Pugnare poteft quiuis,atque erit Pugnans: Pu gnator longe alio modo idem fignificat: addit.n. habitumsciendi pugnas. Sic,Populans,etPo pulator: at Populabundus hoc apponit insuper, vt palam præ se ferat animum acfpiritum Popula toris.Iccirco veteres non male dixere: quum imi. tarionem quandam his nominibus attribuêre,si mulet fimilitudinem:quippe gestuotaquodam modo quæ fint. Propterea dixitSallustius in lu gurthino: Qualı vitabundus: id eft,quasi is, qui præ se ferret mețum, vt hostem eliceret, quemvi. tare Gmularet. Eft alius moduseiusdem terminatiois in Invs; Juul nam supra correpta vocali pronunciabatur, Fa ginus axis: et Materiam indicabat. at in quibus dam producitur,et Qualitatem consistentem fi gnificat: vt Libertinus, Et in llis,Seruilis,Heri lis, et vnum correptum Pugil.fuit enim Pugi F lisperinitia, siçut Ciuilis. Et quemadmodumsu pra in Itius Materiam notabant, Cementitius, Cratitius; ita etiam Aedilicius, et Tribunitius, quasi materiam, non veram,analogice enim Tri bunatus dicitur materia dignitatis, ac status ho minis. Qualitatem igitur indicant, id est condic, tionem, amateria,aut quasia materia, sub ratio ne quadam pafsionis: vt Afcriptitius, qui esta scriptus:Fiđitius,qui eft fiet us:Dedititius,qui est passus deditionem: Deditio enim quasi materia de quædam est Capitediminutionis: eft.n.affe et us deditionis, amisfio libertatis.Eiufdem modi funt in Alis: vt Triumphalis, qui ex Triumpho gra dum adeptus est in ciuitate: furialis, furiis ca A ptus:Mortalis, eadem ratione dicitur, quimor te affc ettus eft: nam quod ad aptitudinem trans latum fit, hoc vsus occupauit. Cæterum de mortuo primum fic sunt locuti, Mortalis fuit:» deinde etiam quum ad viuentes refpicerent, pro pterea quod essent eiusdem naturæ,cofdem quo que Mortales vocauere: fic etiam Capitale cri men dixere, quodcapite lui meritum esset:quo fignificato etiam quç nondum vocata eflentiniu omdicium intellexere. His fimilia in Orius:Censori us, Prætorius: hæcfequutum illud fuit,Vxorius, Nam Cēsura ac Prætura acta cortislimitibus vi tæ præfcribebant ciuibus:ita vxoris imperio qui coħiberetur, eodem vocis flexu significatus eft, Verum quia certa nomina eamterminationem nonadmittebant,aliam eundem in vsum excogi and carunt, in Aris: Consularis,vicino fono fuperiori, quæ eratin Alis. Verum huiusmodus late fusus eft:dices enim Roburmilitare,etiam in Remige, qui nunquam miles fuerit, quoniam in milito repertum iam eft. verum a cauffa efficiente du etâ funt: vt Viam militarem: etiam in prædica mento toixer, yt Sagum militarem. ASingulo quoque Singularis diet us. et alia quædam,quæ ad philofophum fpe et ant:de quibus exa ettiffime in primo historiarum a nob. est disputatum. Alia Ahe naturaeorum est, quæ in Aticus, habitum a na tura inditum notant, Venaticus: aut etiam sub ftantiam, vt Aquaticus: fiue, vt malis, habitum in aqua, autpropter aquam agendi. Mutuatica pecunia apudGellium quæ, a ettione mutuicon dici poteft; Mutui enim naturam induit ex ftia pulatione,aut pa etto, aut eiusmodi. Alia eorum, humma quæ in Trimus, in prædicamento?oü yev, vt Patrimus, Matrimus, qui patrem etmatrem ha. **bet: Aeditimus, quiædem: atLegitimus,potius paffiue ri.  rapha 01. 57 net 106 palliue, qui a lege constitutus est. Finitimus vi detur relationem notare, verum id non a termie nationesed a significatione nominis huius finis, factum eft: et lignificat eum qui fuos fines ha- lo bet. Hæc omnia corripiunt terminationem. At Catuler Bimus, Trimus, Quadrimusab anno ducta,noni.2 facile eft dicere, falua verecundia ineptiendi, lengan quare producant, nisi propter concisionem. In Arius, eundem habitum ad agendum: Sagitta - anie an rius, qui fagitta vti scit: Bustuarius, qui busto præeft. Quædam etiam paffionem notarunt: vt, Tumultuarius, qui tumultu sit conscriptus. Etiam ad ætates vsus tranftulit, Sexagenarius, vbi nequeadio, neque paffio, sed 7o exeur: ficut Centenaria vsura,de qua suoloco: quomodo Bi. qarius, Ternarius. Atcarpentarius etiam opus fa cit: carrucarius non, fed facto vtitur, vt Armenta rius.Nuncalia duo videamus: Quodaptum naturalian eft quippam autagere, aut pati, id nequrevoy dixe- appogg. runt Græci: propterea quod rei ipfius Quor fe queretur affe ettus ille. Duas autem habuere apud Latinos,totidemapud Græcos terminationes:in Iuus,actiuam.in llis,paffiuam:ficGræci il yaixovgimas ilaj id quod aptum natum esset ad fentiendum ali quid: angoy, id quod aptum natum esset ad sentiendum ab aliquo. Praue a Barbaris ex vo 9" ces translatæ funtin Latinitatem: fic enim inter pretati fuere inscriptionem libri Aristotelici, de Sensu et Senfato,nam danas fenfus eft:MjIyTixdy, 19 quod sensu præditu eft.eoģ. aptu est vti: antov, etsensu perspici potest. De Seluo et Sęsilidicen du fuit:aut molliore, fi reperiaş vocabulo, led ad huns fo THE T' Iul. IIII. 1 hunc modulum apto: vtin libro de Inscriptione a nobis declaratum est. Nam etfi Sensio passio quædam est, tamen fub actionis rationem rece pta eft eius fignificatio:vt Tango, etGusto, et Audio: fed de hisalibi. Adiua igitur terminatio Græca maximaprudentịa constituta fuit. affinitate quadam coniun et a cum verbis illis, tunie's Bitntio, vt affeettus a verbo, et aptitudo a nomi NE TUTTIXO, MyTixo habeant cognitione. Molli® tamen ducas a præterito,quasi lita tuuni (W TRT imy napixov. Noftriin suus,vt diximus, hoc expreffere, fumpta occasione ab Aeolensibus. nam quædam nominadedu et a communi pronuciatione inter posito pprio elemento pronunciabant. Apybos alii ipfi A'PȚEIFO £. Igitur vt ab eo quod eft vetes, dicitur vorcios, quiAuftrivim habet: fic ab cog est,Actio dicetur A et iuus, quiagendihabeatpo testatem. Exempla sunt multa: Internecium bel lum vtrunque bellatorem necat. Fugitiuus ser uus, qui fugit, quoniam fuapte natura ad id pro pensus fuit: Genitiuamembra, apud Quidium, G' zfurntixa. Tempestiuus quoque,non, vt dixe re, significauit occultiorem actionem:sed fane fu augsmanjitis.qui tempore temperaret. At enimuero passi Boilers Winesquum qua ratione diet um fuit? Terminatio a et io has un talles qui mal nem,pafsionem notat significatio. Græcos male Hrovat secuti suntqui ad Innuov,potius zaIntov.nam pas fiuum eritid, quod faciat aliquid pati:hocautem fuerit potius actiuum. a ettio enimetpaffio quum vnum tantum fit, sed differat ratione: vt vulne ratio a ettio fit Achillis, et paffio Telephi: pafsiuu et actiuum idem erit,quoniam et fignificatio est eiufdem huis ciusdem rei, et modus idem: Nam et terminatio in luus, significat actionem, et ipsa passio ab a et i one non distinguitur re ipfa: igitur significabit rem ipsam in agente. verum Grammatici sero fapientiam cum vocabulorum vsu coniunxere. Quævero significant passionem, in llis exeunt, 1 ks præeunte secundum verbi naturam consonante: umie vt, Habilis, Facilis; Agilis, Plicatilis: in quibus ele mentum verbianteit:Habeo, Facio, Ago, Plico. Quædam autem a futurisducta sunt:vt,Amabin lis: et a fupinis:Pensilis,Flexilis, non fine rationes aptitudinem enim significarunt, quænon est ne cesse vt in a ettum producatur. Acrecentiores au dacter nimis iam actus significationem attribue re, idq; frivolis faneargumentis. Fictile,inquiut, Vas quod eftiam fictum.coctiles lateres,qui iam ecoctiatque alia multa eiusdem modi. Auxere er rorem pertinacia: Navis, aiunt, Agrippinæ folu tilis,quia non beneeratconfuta, sed soluta. hoc autem ridiculum eft.fcimus enim etfatis nautaru continuisse: et diu cursum vsquein altum tenuis se: fed quia lolvi poterat, folutilis diet a fuit. Sic Versatilis scena, quæ verfari potestmachinis,qua lis illa Marcelli fuit: quod si est Versatilis quia versatur: quum nơn versabitur, versatilis non e rit. Sed Aristotelesin nono Metaphysices dispu Cat hoc adversus Euclidæ sectatores,quos ibiMe garicos vocat: ij fic profitebantur, nonposse nos moveri nisi quum movemur. Verum de iis am $ pliusin Oratione de Endelechia pro M. Tullio. Quaitem ratione facient, vt vpupæcrista ipfis fa Veat? neq; enim semper plicataeft, sed quia ali 21 quando poftquam fuerit ere ettasplicaripotest.Fi Etile autē,atquealia eiusmodi, fi talia funt,nonne talia fieripotuere?Omne.n.quod est, ab eo g vere est, factuin fuit:Omne quod est,præter Deum,ab aliquo fa et um fuit:omneq fa et um est, ab aliquo fieri potuit. Coctileslateres dicuntur,quia crudi neousfic primum suntappellati, quoniam coqui potue re. Sic Rafiles calathi, et Tapetes, et alia:Lychni pensiles, antequam pendantur:potestatem enim pristinam fignificat: fic Vva, Balnea, Horti,quo niam in superiora eorum vfus transferri potuit. Flexiles rami,lenti:quia possuntfle et i.hæcvoxe tiam additamentum paffafuitin formatione, Fle xibilis.Aurum,autęs ductile,quodex massa in la umellas duci potest. Selfileslactucæ,quarum natu ra est ad fedendum poftquam creverint: vbi ab soluta significatio eft; non transitiva ad paffionē, quasi quas sedere cogat natura.Ansatortilis, quæ inter fabricandum ex directa torta facta est. "A. pertile latus,quod quiuit aperiri. Altiles gallinæ; quæ poffuntet ali, etnon ali. Horum igitur ratio shup duplex:namque poteftas hæc, aut a naturaest, ve flexilis iuncus: aut ab arte, vt coctiles lateres: er gonaturalis illa vis nunquam deficit: nami ctiam quum flexisuntiuaci;retinent nihilominus pri ftinam flectendi facultatem: coniungitur enim a et us cum potentia, ettales sunt,quia poffunt ef fe. Huiusrei ratio est,quia ab effentiæ principiis fuit potestasilla. Scire potest infans Musica. Ad ultus scit nunquis dicettunc amififfe soiendipo • teftatem?Quæ autem ab arte proficiscuntur,non fic fe habent:neque enim codi lateres poffunt coqui: qñ co et io accidensest, extrinsecus adue niens, non a primordiis laterum. Sed hæc qarte fierent fecuta sunt rationem eorum qfuerent a patura. Sic.n.consultiusfietą garecentiorib.fa. - et um est,vt qa lateres coqui nequirent, idemque in ipsis etcoctum etco et ile effe videretur:iccirco flexilem ramum eundem putarent et flexum: Et fissileroburidem cum fiffo. Nam quu PLINIO (si veda) inquit, Alia fiffilia,alia celeriora frangi, ğ findi:no neintellexit,aptiora,quorumquenatura præuer teretur citius fractione, q fiffione? Sic etiã Theo. phrastus,vndeille guisa'y Frasa,Ipausa,quæipfeac ceperat a præceptore diuino fuo, vbiloquitur de crustis ac testis Aquatilium. et in 8.Metaphysices. Poetica licentia dictum est, Penetrabile active:(1-7 ) cut Porrum fe et iuum,vulgus cotra paffiue.Hing constat male reprehendi Boetium a curiofis re centioribus, qui Jencesıxov, Kisibileinterpretatus, eft. fecit enim exemplo codem et analogia, qua Sefilis lactuca dicitur, absolute. Quantitatem autem quædam simpliciter de- quanta clarant,quædam non.Nam tempus,et locum submenuanla quantitate quum intelligamus: Tempus fimpli- Gadone anom citer quædam fignificarunt:vt Bimus. at locum non simpliciter,id estsub quantitate,fed fubindre com a apk Posen neque enim Montanus,eum significat,qui mon- et Ettiva. tis inftar eft: fed qui montem habitat. ficut In- midogopts teftinus loci habitum.Hæc multas cu aliis comu nes habuere terminationessin Anus Sylvanus:cu Anul ius affea propri fuit,vt ex adie et ivo fieret sub N ftantivum,Cælestis:Terrestris: addito elemento ficutPalustris:nam Paludeltris, afperum eft, et for when fortasse barbarum. Supra posuimus, Aquaticam, a qualitate non male: fequitur enim qualitas sub. ftantiam, et loci rationem.Cognatio enim eftin ter locum et locatum. ac fane ipsum hoc genus, to egetv, alij cum qualitate,alij cum relatione mi scuere: quidam neque habitum fpeciem qualita tis a relatione: fed hæc sunt alterius operæ. Habes and ctiam alia: Litoralis,Marinus,Maritimus, Pelagi us, Fluuialis, Fluuiatilis; Aquatilis;Tartareus,Ae rius, et eiusmodi. Et a partibus terrarum, in qui wfubus etiam id diverfum fuit: in Ensis,vt peregri num incolam,non indigenam declararet: jane Martialis mavult librum suũHispaniêfem, quam Hispanum:vt Romanus sit,quiin Hispaniam a nimi gratia diverterit. In aliquibustamen Nati vum est:vt,Veronensis. longediversa ratione di etus est Cato Vticenfis,quum Vticæ periit, non " est natus. Etampliorelimite, vt Pratenfis. ficut Subcinericius panis, non ex cinere, sed sub cine re:adiuuatur autem a præpositionc. Græca funt Tarchaniota, et Drotoniata. Prisci ita constitue re, vtanimadverterent, quædam excedere nome " loci:Creta,Cretensis: quædam non,fed alia equa re: Macedonia,Macedonicus: quædam fupera woonri,Italia,Italus. Hæca regionibus. Aboppidis au temnegarunt. Itaque a Venetia, Venetus:a Ve netiis, Venetianusmaluere. At Barbari quidam nihil discriminis faciunt inter Venetiam, et Ve netias. verum vt illoruin consilium placet, Venetiani enim a Venetis distinguendi sunt ficuti Patavini a Venetianis: Veneti enim Patavini quoqrie funt: ita regulæ fervitus displi cet. Idem enim ab oppidis quoqueeuenit: a Ro ma, Romanus: a Tiferno, Tifernas:a Camerino, Camers: quare a Lauinio oppido, etLauina et Lauinia reette ducas. nequeagrammaticis vtrum legendum sit apudVergilium, sed quemadmo. dum poeta fcriptum reliquerit obseruandum, Proprium horum est paticoncisionem. Sarsinas, quod fuerat Sarsınatis: et literas transferrc:vtä } Velitris, non Velitrenus,fed Veliternus: quan quam demptam potius iudicarim, vt fueritVeli trerinus, deinde vsu vox expolita sit. Exhis col ligitur non esse verum quod aiunt,in Ensis ea ef se, quæ a Græcis oix aquatixa vocantur: namety, iam suntinindigenarum, Coloniensis,Lugdy nensis. denique pratensis, Tempus autem etTeporis partes, fic Extem- thoma poraneus, nam Tempestiuus,vt diximus,potius omny temporis habitum significat. ficut Intempeftus, upil quod concisum tempeftiui. Hora, habetHora rium,quum diei partem fignificat: atGræciqua ternasanni partes sic appellarunt. vnde Latini Hornum, quod huiusanni effet,nequcinalienas trasıfset wpusanni sequentis. Diurnus,a die:No. aurnus a nocte:Vespertinus,Matuținus,penulti ma producta.itaque etiam Diutinus et Serotinus pronunciandu eft,cotra quam prodidere. A Co ticinio, et Diluculoet Crepusculo, no suntdedu et ta, fed Aduerbiorum forma vtuntur. Perdius, et Pernox cöpofitione adiuta sunt,quominuscoge rentur in communem terminatione: ficut igeue por animal dietum ab Aristotele. AMense vulga ris voxMenftruus,durafare:itaque emolliuitilla Rj. Cicero; et Mens urnu fecit. Annuus no solum an ni habitum significauit,vt reditum statum indi caret:veluti quudicimus, Annua sacra: fed etiam totu tempus idque vnicum:vtapud Iureconsul tos, Annua; Bima, Trimadie, Anniculus ætatem subtempore,ficutQuadragenarius, etciusmodi. mamme Discretam autem quantitatem fignificant his terminationibus, Centenarius, Binarius, Terna rius, quæ etiam fub exerreduximus: neque enim Som solum numerum, fed etiam habitum ponderis, aut ætatisaut, ordinis connotat, resenim valde sunt complicatæ:ncquenisi a philosophis digno sci plane possunt,ficut Bini, Quaterni, eteiusmo di:quæiccirco carent numero lingulari, quia plu racomprehenfa ad totidem referunt: sed licentia poetica pleraquetorfit. Relatinorumfpecies recenfentur. yawan R ne, enim Elatiuum fignificat vt diximus, aut Aqua Locum,vtfalso lcripfere: fedRelationem in loco. Aut Inæqualitatem: hîc suntipecies tres, Poffel fiuum,Coparatiuum, et Superlatiuum. Deminu tiuum autem comparatiui species eft: dequibus omnibus iam cdicendum. prorsun Den funt enim Po hleffiua quæ id denomi Enominatiuorum species censentur Poffel grice [GRICE] unt,cuius funt: vt,Enfis Casarianus:Ac quzfitu quidem alias a nobis eft, quamnam ad cauffam iwia prion reducentur: nam Cæfar enfis sui nequemateria est, nequc efficiens, neque forma: videtur igitur juv. potius effe finis. Sic Pompeianus ager, Seianus equus, in vsumPompej, etSeij. Sic Olympij ludi in honorem Iouis eo cognomento: fic Circen ses,et Megalenses ad Pofteffiua redigendisunt:fic Florales, et Robigales et Saturnales primum fuc re, fiue Dies, fiue Ludi, fiue Vacationes. deinde tenuit consuetudo, vt potius Robigalia, et Satur nalia dicerentur, propterea quod honeftiorcco filio Sacra,quam Dies intelligerentur. Quzsiui mus illud quoquc, An amateria: vt,cretaceus: a shorti forma:vt,ftatua Herculea:ab efficiente: vt, Venuscm art. Appellæa: ducerentur. Et non videtur: fed fim. pliciter Denominatiua funt: ac quanquamvide tur quædam relatio, tamen non correspondent. Neque enim Creta Cretacei eft, fed parstorius. Haud enim fere inuenias præter Deum, quod non aliquo modo referatur. Omniaenim faltem abillo dependemus:Solus enim vere eft. Differunt autem a Patronymicis Poffeffiua: 94.c. primum quod Patronymica fixa dicuntur, hæc pohorito mobilia:illa patrum,aut auorum,automoinoge, neris habent fignificationem:hæc cuiufuis rei no tæ funt: illa a propriis,hæc a communibus. Ex quibus colligi possunt rationes, et cauffæ repo nendarum specierum, quæ funt a veteribus pro ditz. Neque enim aut Cardiacus, aut Mathematicus, aut ciusmodi, funt Possessiva, vt putarunt, sed denominaziwa: sicut et alia quæ funt fupra enmoi declarata. Comparatiuorum superlatiuorumg, natu, ra, et caulja, da ufus. St hoc receptum e scientiis tain quæ Magnitudines, quam quæ Naturam contemplantur: e nihilo nihil ficri. Ita e rebus, quæ carēt cor pore coniun et is,nuquam quicqua corporis fieri, Nam ne coniungiquidem poffunt, Coniuncio enim extremorum, extrema autem corporum, Quere a incrementa fiutex Quantitate, et omne Quantum divisibile est in semper divisibilia, incrementa quoque ipsa diuidentur: igitur quæ sifignificarunt quantitatē, primo receperuntmodu tum incrementi, tum diuisionis. horum imitatio neitemea, quæ indicarent Qualitatem: propter ea quod intendiac remitti poflet. Iccirco De nominatiuorum, quæ referuntur, duæ fuerespe mihi cies conftitutæ, Comparatiua,et Superlatiua,quę Quantitatis Qualitatifve, dicerent incremetum: et Denominatiua, quxincrementi dicerent cer tam ablationem. Oecurrunt autê primoloco deminutiua: lirei naturam fpectes. pofito enim nomine Iustitix: fiquid adiungatur accessionis: perpropiores gra 'dus ascendemus ad excessum: Verum quia non suat specie diuerfa a coparativo, Ted modulo tan tum quodam, atquciccirco posterius excogitata posteriore loco tractanda iudicauimus. Etenim fi dicas Meliusculum effe Triticum Siligine, et iam Melius, poffis dicere. Comparatiuum autem etSuperlatiuum fimulftatuemus, haud enim ab Gmili funt natura: Nequcenim distant nifi quate Ono 1 nus pars a toto.vt quemadmodumDeminutivu modus sit comparativi, ita coparativum Super latiui: vt qui sit doctissimus, etiam doctior. An vero etiam possit dici Doettiusculus? Et videtur. Amated Toto enimpartem contineri verum eft. fi enim qui lit do et ifsimus, etiam doctus effe dicitur: et iam doctior:quare non etiam doctiusculus,quod * inter docum et do et iorem intercipitur? Verum res aliter fefe habet. Deminutiuum enim non fomnono lumpartem notat, verum etiam eicertospræscri-1} bit limites. Nequevero solo hoc differunt: fed et alia caussa subest. Nam superlatiuum etiam abse }, lute poni potest:vt, Cafar fuitfortiffimus.Signi ficat enim adeptum fortitudine, omnes eiusnu meros absoluifsc. Ar fi dicas, Doctiorem, neceffa rioquempia, quicu coparetur, autponas,aütin Je * a he or lacus * telligas.Prius autem cöparatiuum inuentum eft. kogoofmus Eft igitur Comparatiuum species diet ionis, Camper exceffum significans ad alterum relatum. Dicom autem quantumcunque, et qualemcunque ex ceffum:non, vtdixere,mediocrem; neque dico speciem nominis, utnomen eft:fed vt nomen est6ans species dietionis. NametParticipium et Præpo sitio etAduerbium comparantur. Hi duo erro res veterum fuere: quorum alterum moxexplica. bimus. quiverocontaminauit definitionem, fic conftat:Omnem exceffum totumq;etiam a comasign.one. paratiuo significari, non autem mediocrem. Prier celles mum, fallumestmediocrem effe. poteft enim fal-, tem citra summum,sed proximecofiftere: vt do ettior tantu fit,cuiillud tantum desit, quod fit do et iffimus. Deinde hoc quoque falfum est.Nam 2 R iij. qui qui fit do ettiffimus, ide etiam do et ior dici poteft. vt Nigidius aut Varro,li fitdo ettiss. Romanorum omniu, nonnedoctiorcæteris Romanis effe po terit? Quare Coparatiuum a Superlatiuo non di Itat specic,vtdiximus: sedestaut Gicut pars in to Pro,Giuc ad totum: aut idem cum ipso in re, diuer sam autem in modo: relatione ipsa scilicet. Igitur fi eius naturam acrius contemplemur, haud fane noriurpro renomen inditum deprehendemus: ncque in your enim satis ipsum diciCoparatiuum: multa enim funt nomina Comparatiua, quippenotæ Cum parationis: multa Aduerbia: vt,Similis, Disfimi lis,Propinquus,Qualis, Quantus,Velut,sicPomba alia eiusmodi. Neque vero omnis Comparatio exceflum significat: quarcab hac differentiapo. tius nomen consequi parfuit, quam a communi seyin est cummultis naturailla. Itaque commodiusumaga Jepanon, quam quyx stixovappellari potuit. Ne tuy queenim superlatiuam recte a Græcis umeeJeri Laith ar di et um fuit, Nanque Touti non significat rdõrov, fed ipsum habet suos gradus: sed consul tius orogetskov, aut cxpo Jetixo.Latiniautem hoc etiam amplius crrarunt,quineque præpositio nem emendarunt, et verbum Feroinmiscue runt, quod motum significat Græci fapientius constantem qualitatem aut quantitatem per ver bum nibvert ita ctiam constat, minus prudenter finixov dictum nomen vnde hæc fiant, vt Iu itus:nam ctiam Iuftior, tugmor: ftatuit enim lufti tiam. Cuius rei fignum est, quod etiam superla tiuum di et um eft, ni devou umrig mod Jetixov. præter ca quiluftuseft, potest elle lastiffimus. Omnem enim wak Tic CHE 4 1 ITA enim Iuftitiæ habitum habet. Itaque a beisov po -u tius dici debuit Indefinitum. neque enim decla rat graduum præscriptionem, Comparatiuum autem, wieJetixav superatiuum. superlatiuum autem, airgo fetixor a Græcis, a nobis aliquo AQ mine, quod vltimum exceffum indicaret. Ex his definitionibus videmus, veceres nore ste dixisse, Cöparativum significare pofitiuum, cumMagis. Primum peffimelocuti sunt. Nequem.Roy enim Denominatiuum fignificatnomen, vnde: ducitur, sed rem aliomodo: fic Comparatiuum rem, non nomen significat. Deinde,Magis, esta Comparatiuum: quareidem refolueretur in sei psum, atqueelset resolutio infinita.In quod enim refolueretur ipfum Magis? vbi fifteret resolutio nem? Neque vero prudenter negarunt, Magis namate effe coparatiuum. NamMagnus fecit,Magnior mangeung Magnius et Magius, ac tandem Maius. Aduer. biumautem volueruntvariare,retentalitera pri stina, ac fecerc, Magis. At quod argutant, non differre Aduerbium a neutro in aliis: fatemur. » Quodaddunt, nein hoc quidem esse faciendum: ridemus. Libenter enim in aliis item feciffent, f quiuissent. Fecere, vbi potuere, vsigue sunt et li bertate, et commoditate. Errarur quoquein Su perlatiuo, in cius intelle et u inesse Multum, auteng Valde. Nam multum magnusest, cumquima ior, quam qui maximus. AtValde, quideft, nifi falling Valide? Igitur Validiffimus erit valide vali- posten dus.Bisigitur validus. At Superlatiuum ter vali-'pro for dum potius fignificat. Id quod Galli ncq; temeres, neque imprudenter in patriam linguam recepta TI Title ch eri des 17 oli pe mit Riiij ctiam nunc retinent. Hæc igitur ipsorum nomi na atqueNaturæ: nunc caultas,ac tandem Affe ettus videamus. mafm. Ergo materiam a Græcis mutuati sunt Lati niin Comparatiuis, imitatisonum sub r, licera: ououtrgos,Sapientior: et in Aduerbioadhuc propius, sapienter, superlatiui autem terminatione græcam repudiarunt, propterea quod conue niebat cumpaffiuo participio, Nam vt a ocoas's CWTOC TOs; fic ab eo quod est Incitus, deduxif sent, factum esset fane incitatus.Itaque alius fle xus placitus eft. Geminarunt autemlibilum fic, Incitissimus: iccirco quia etiam Græci produxe re mutatam vocalem, quæ esset breuis postbre uem, vt fuperiore in exemplo patet. Tractus e nim vocis longioris id exigere videbatur. Quare codemexemplo etiam aliam terminationemco ftituere,Vberrimus:tanto facilius, quod iam alte ram literam ex geminatis ibi inueniebant. Atin tertia terminatione,quare recentiores vnica tan? simtum liquida pronüciarunt,lic, Similimus? quum tamen proprium eius fuerit geminari obfoni le nitatem, et producatur apud poetas semper, et in antiquis exemplaribus omnibus ita scriptum çit et fublit, tum analogi, tum analogiæ cauffa, quare lit geminanda. Communis autem termi. nationis caussa etiam a Græcis quandam habuit originem: ngoQocov enim eftaltile, quod scilicet naðum sit naturam, vt alatur. Naturam igitur cam quum plene poffideret, mutauit fimilemlo zoubt num aliis quæ summum illud a depta effent. Fiut forro igitura nominibus incrementum luscipientibus. Ha? Qua  el 2.0 CE 2u chi HIS Quare a significantibus fubftantiam non fient: nam aw to CTO etIpfisfimus, mera licentia Poetie: ca fuit. Natione vero indicantia ita demu exorie tur,fi non ftatum hominis, fed gentis oftendent mores: vt quia Pani perfidi legemusPæniorem apud Plautum. aut etiam ab alio significato. Qua re et, Neronior,nö a Neronis fubftantia, fed a fæ uitia comparabitur ad fignificadum. Confeffum etiam ab omnibus est, Comparatiua duci ex ad verbiis quibusdam: vt, Dodus. Nec deest ratio: verborum enim qualitatem fignificant Aducr bia. Abcæteris autem partibusnegant. A partici piis non fiet, qui tranfeant in nomina, nequea» Præpofitionibus,quiaamittant vim, qua casibus præponuntur. Nos cum his aduersus veteres di cimus, a verbis non duci, Exempla enim falla mort Deshomme sunt: Nam a verbo Potiri, eftridicule dedu et um Comparatiuum Potioret, Superlatiuum Potiffi mum:neque enimsignificata valde cohærent.fed a Potis,fiue Pote, fiunt. Parinscitia, quum Dete ro verbum ex sese aiunt gignere Deterior: quip pe Deterior, paffiuam habet rationem significan di,vt quod fit plus detritum, deterius sit. etvox vetufta fuit,Deter: sicuti,Dexter, Citer, Exterja pud Catonem, et Statium:quæ nunc exoleuere. Contra hos autem cum veteribus viciffim fentia mus, A participisduci:Giquidem non omnia par A partir ticipia in nomen tranfire poffe. nam Expugnare significat aettionem fubtempore.Cuifi addasca fum nominis non verbi, amiffo tempore nomen fit, retenta sola Participii terminatione: vt, Ex. pugnans yrbium,sicut Expugnatoryrbium,nul R. mi 12 Ar 1 UK ei 1 gui apoirs F IvL. Cas. SCAL. IV. lum tempus designat. At Participia pafsiuaquo *modo nominum naturam asciscant:neque enim fimili ratione casus nominis apponipoteft: itaq; Expugnatum, semper præteritum indicabit. Et Honoratiorem atque Honoratissimum, nunqua de aliotempore, quam de præterito pronunties. Immo vero quibusdam horum nominum ctiam casus verbiadditur: vt,Expugnatus a Cæfare: ita etiam Expugnabilis a Cæfare: tantum abeft, vt Participiis ipfis derogari id ius poffit. Sic locu. tus eftM.Tullius ad Cornificium: Cæteris, in quit, omnibus rebus habeascosamecommenda " tiffimos: id eft, qui maximea me commenden boyme sur. A Præpositionibus quoque deriuari, mul tus exemplis conuincuntur, in quibusmanetvis Præpofitionis casum exigencis: vtapud Liuium in primo: Duo corpora propius Albam. Neque ac fine ratione: Interuallum enim in poteft: Cuius interualli conditionem ipfa Pra positio declarabat. Ex quibus,vt diximus, acutius contemplanticonstat: Comparationem essedif ferentiam, quagenus sub diet ioneconstitutum compleet itur non folum Nomen, sed etiam Ad uerbium, et Præpositionem, et Participium, quæ inter fedifferunt specie. Idemque de Superlatiuo intelligendum. Affe et usautem corum vsu cotinentur,verum non fine controuersia. Cum enim ncget nemo casum Sextum debericomparatiuo, Secundum Superlatiuo, etpluralem semper numerum: Du em Jochorbitatum cst, An pluralis casus Secundus Compa: patumivaziuo apponi poffet. Quarc non defuêre, qui Com partes fecari 3  Es, AC Comparatiuum inter duos tantum, cum Secun do cafu ponipofse contenderent: idqueHoratii exemplo, quidixit: O maior iuuenum.Sextum au tem inter plures duobus diuerfi gencris: vt Cx far fortiorGallis.Nosvero sic fentimus:Compa se ratiuum cum semper aliquo modo referatur,non semper tamea ad fequentem referri calum: fed ad eum qui subintelligitur. Igitur fi dicas, o maior iuuenum, dire etta orationcad duos Piso nes, non redditur casus ille fecundus Compara tiuo. Neque enim fieri poteft, vt alter Pisomaior sit, quam Gnt iuuenes: fed refertur ad fratrem alterum fic, alter iuuenum, quialteromaior es. Sic etiam dicimus explicatius: Elephantorum Indici maiores Afris:etiam fi Afris, fubticeatur, constet oratio. Exponitur autem ad hunc mo. dum: Elephantorum alii Indici, aliiAfri:quæ* rum Indici maiores Afris. Sicut ergo cafusille Quorum, non eft Comparatiui, sed Distributio-4, nis: ita erit in exemplo quoque fuperiore. Ex hac natura constat ratio, quare poni qucat cum præpositionibus Inter, et;Ante: vt Inter alios, dodior. Ac sane quum in comparatiuoduofiat, Relatio, et Excessus:præpofitio Ante,non abhor reat ab cius natura. Altera vero quæ eft, later, languidiorem operam præftat: nisi enim mul. ta luppleantur, non exprimit vim exceffus,fed potius æqualitatem: vt, Cicerointerciues fuos do et ior: potius enim tendit ad Naturam abfolu ti, quam comparatiui: nisi subintelligas distribu tionem ad fingularia, quem admodum in Se cundo calu exemplorum, qux fupra diximus. Guin's 21 20 file HT ni CO cre 264 Ivl. IV. و suplalincuius Secundi cafus natura partitionem item di anstpantsheitin constructione Superlatiuorum: quæ fuerit cauffa, vtsemperinter congeneres fiat significa tio. Quæ vero patiuntur, quæquedistribuuntur, eiufdem generiseffe neceffe eft: quemadmodum fi dicas: Cæsar clementissimus Romanorum: in telligitur Cæsar vnus e Romanis, qui aliis cle mentior fit, quoad fieri poteft. Quare videmus eorum,, porn siccum Superlatiuoponipolle. Si enimdicatur,in quiunt, Cæsar do et isfimus omnium: Cæsar non excladitur ab ea vniuerfitate,quin vnus omnium fit:igitur fieret, vt fe quoque efter doctior. Atque hi falli sunt:cum non intelligerentSecundiillius cafus partitionem.Idem nanque eft, Do et tiffimus hominum:et, Do ettiffimus homo. Comparatiuu Wero cum Sexto casu ne fic ftatuas,quemadmo dum poctæ tum Græci, tum Latini ausi sunt: Cun et is doctior. hic enim fit relatio do et rinæad cun et os: non autem fola partitio fine compara tionc. Itaque vocem excludentem addendum est, cuius vires comparata excipiatur. Id quod fecit doctissimus poeta: -Ante alios immanior omnes. addidit enim Alios, nesub'voce Omnes, Pygmalion quoq;comprehenderetur. quãquam idem alibisubticuit,cum fcripsit: Sed cun et is al tioribat Anchises. Præpofitiones igitur ipfæ at tulerunt vim partitionis,non folum Ante, et in - ter,sed etiamEx: vtapud Liuium primo: Sextus filius eius, quiminorex tribus erat.non enim po tuitdici, Minor tribus. Tres enim tantum erant: ipfe enim secum compararetur: effetque feipso. minor. IT IL 19 Ulo minor, Illud etiam aduersus veterum fententiamgoo eft animaduertendum: Siad secundum illum ca nefna fum referatur Superlatiuum: aliam quoque ab iis, quas supra posuimus,cauffam esse,propter quam illi fuperlatiuum maleinterpretati suntperMul tum et Valde: neutrun cnim horum aduerbioru refertur. Poftremo id quoquefalso eos prodidif se constatGræcos, arrogantia quadam commifif- fotbal fe, vt non niliadidem genus Superlatiuum refca he latest ratur, quoniain præ se vnis, cæteros omnesbarba ros appellassent.Atenimuero in suatantum gen teid obieruaffent: nunc vero videmusetiam in ter Barbaros legis rigorem tenere. Sed in cauffa, vt diximus fuit, Partitio acDistributio. Itaque hoc loco, vox hæc Genus non solum gentem aut nationem indicauit: sed etiam diffudit significa tum ad aliamulta:putamores,artes, et eiusmodi. Dicam enim, Epeum Tolertiffimum fabrorum. hu Sicin primo de Oratore M. Tullius, de Craffo, et 13 Scæuola; alterum parcorum elegantiffimum, al terum elegantium parcissimum. Neque enim ad Due diuersa genera relatum est: in vtroque enim erat elegantia cum parcitate.At Martialis in duode 121 cimo,multo effufius: Pones, credemihi bonus.quidergo? Vt verum loquar, optimusmalorum. Inter " as bonos enim et malos nullum commercium eft, contraria nanquesunt: sed suo more lusit. Neil lud quidem reće prodidere,Comparatiuum po- comeframtiden ni aliquando absolute: semper enim habet ali o quid, saltemoccultæ, relationis. Sic seniorem A celtem dixit Poeta: aut quam alii, aut quam fue. M WW ! LOG Sert rat, aby mirat, aut quam videretur: tantum abcft, vtminus Ignificent, contra quam scripserint: exemplum enim Vergilii, Tristior,deVenere, fignificat cam plus quam tristem. declaratur id tum lacrymis, tum dolore qui exprimitur in conqueftione. Multo vero minus significabunt contrarium:re latio enim est inter participantia igitur: Mare Ponticum qui dicunt effedulciusceceris:non in telligendam proponutamaritudinem, sed dulce dinem miftam in omni mari, in Pontico autem maiorefluuiorum incremento, neque enim ma re extremæamaritudinis est: igitur contrarii, hoc eft dulcis admiftione remiffum. Quod autem in Sarahithe mari firaqua dulcis,in quarto historiarum decla. ratum eft.και πτιμω τρέφεσθαι τεςιχθυς. Sic etiam Theophrastussenfit, et verum est.Eodem modo locutus est Philosophusin codem quarto: nati προνο επτο οξυ των πυθών. Nii enim το οξυ ha beretlatitudinem, non dixisset WAKTU TEQOY, Et idem neuxonege dixit, quæ effent minusnigra, colores enim inter fe mutuo congressu diluunt pitorem. Etin o et auo comparauit ourgov, cum aniru. Lombate a Hisitaconstitutis, intelligemus cuenire poffe sobysi valvt Comparatiuo Superlatiuum excedatur:non sua natura quidem, fed ob fortuitas rationes: quum enim Cæfar vnus e Gallis non fit, non dicara Cæsarem Gallorum fortissimum. Igitur si non omnes numeros fortitudinis expleuerit, nihinter Romanos: fic dicam. CæfarRomano rum fortiffimus fuit: Maximius autem fortior. Fit enim hoc,non natura Comparatiui, sedquia additur Natio. Itaqueliquis apponatgenus, qua professio fiuears, fiue scientia comprehendatur, non poterit abvllo excedi Comparatiuo: veluti quum dicam, Bellatorum omnium fortiffimum Maximium. Huius rei cauffa eft in Radicibus philofophiæ. Siquidem primum perfeet umque moi duplex eft: quippe aut vere,et quodaiuntapuwosoaplicate vt Deus:aut in genere, vt circulus: eft enim suo e tantum in genere figurarumperfe ettiffimus: ic circo extra genus fuum altericomparatus inuc nietur inferior. Atprofessio est affectusgeneri cus, comple et ens variaaccidentia,velgentium, vel nationum: itaque comparari porro non po terit. Nam Bellator eft affectus hominis, nc quecoercetur potius limitibus Romanis, quam Germanis, ac proptereatota fummam exhaufit. Quoniam vero, vt dicebamus,hi tractus incre mentorum gradus habent suos: iccirco ctiam multos Longue's notas excogitarunt, quibusvel Comparatiuum, vel etiam Superlatiuum ipfum augeretur:vt, Longe, et Multo. Nam etli Superlatiui significa tus summus est, non tamen in pundo versa tur. Vt etiam hinc appareatleuiffimapugna grammaticorum, qui ex poeta litigant,anpo tuerit ab eo dici, Diomedes Danaûm fortiffi-,, mus: quoniam Achilles fuerit fortissimus. Nam ctiam Aiax fuit fortiffimus: etiam alii effe potuere. Quare illud quoque a veteribus omis lum fanciamus: non folum in diuersis generibus, sed in eodem quoque duo Superlatiua pofle ita comparari, vt alterum reda ettum in Compara tiuum fuperet: fic, Fortiffimus M. Manlius etfor EMI > Si opy ire fak et fortiffimus Sicinius Dentatus, et fortissimus Scæua Centurio C. Cæsaris: at Sicinius vtroque fortior. Vtrum vero e reipta ita ortum fitan v. 20fu occupatum, quærere operæ pretium eft. Nam fi fortissimus est, qui omnem ambitum explevit e fortitudinis; multi effe poterunt fortissimi, sed nemoalio fortior. Quare cõsuetudinepotius,at que opinione fa et um eft,vtita loquerentur: neq; enim statim erat omnibusnominibusfortis, qui fortissimus creditus est. Ergo alterum cum ani maduertissent meliorem, non omisso priore iudi cio, coparationem addidere. Nam sane aut prior non erat fortissimus, aut fecundus non erit for Chung tior. Nonsolum autem gradusipsi conferantur, vt doctior, et multo doctior: fortissimus, et longe fortissimus: sed etiam diuerfa significata inter fe: poffum enim esse fortis, et non tam doctus:ergo cro fortior,quam doetior. Interdum igitur exx quo ponuntur perinterrogationem: interdū no exæquo per affirmationem: nam Interrogatio dubitat: itaque ex æquo proponit iudicandum, non ftatuit: affirmatio autem non quit duo Com de web vooraf sparatiua inter fe collata æqualia facerePrimo. modo locutus est Cicero in secunda Philippica: Impuriorne, qui in senatý: animprobior, qui in Dolabellam, et cætera. Alio modo omnesloquu tur, Cæfar clementior,quam iustior. Nam quod addunt Magis fic: Clementior magis, quam iu Atior: Qullum autorem habent, quem adducant, In hunc enim modum foluitur oratio, Clemens estet iuftus eft: fed Clementia est maior quam Iustitia: Iustitia non eft maior, quam Clementia. At met 2JUK curt 18 2: m 04 Kic At Comparativum si vtaiunt,significat Positivū, cum magis resolvatur Comparativum in eorum oratione, fient fane ridiculi: CæsarClemensma gis est,quamiustus. Nam quod poetæ dicunt,Ma gis,atque magis:idfit per avadianworr: sicut, E tiam atque etiam. hicautem hocnon quærimus. At non addidit Livius in libro duodetricefi mo: Vt propiusfastidium eius fim, quam desi derium. Quoniam vero vsus etaffe et us reru, substan tiam earum naturamque demonstrant, manife -wwgegebenen sto colligimus, Magisesse Comparativum, çon traquam, vt diximus, sint arbitrati. Id enim ex o rationisvsu patet, quum dico: Hoc volo magis, quam illud. Eft enim idem modus comparatio nis, qui in Philippicis apud M. Tullium: Hocci tius, quam hoc. et quo vulgo vtimur,Hoc potius, quam hoc. Ex quo vsu illud quoque a veteribus, tanquam peccatum animadvertamus: quinega- ' come rint, Complures,esse comparativum: dicitenim perangnya Terentiusin Heautontimorumeno: Nemome liorem agrum habet: nemo fervos complures.Et ratio etiam iubet:compofitum enim eftapræpo fitione,et Plus. Quodfi Compluria dixere prisci. contra Comparativorum analogiam: flexionem novaminvexerint potius, quam vocis naturam depravarint. Proprium autem eft Comparativo rum, pati vt Adverbia sonu mutentneutrorumon Maiusenim, vtdiximus,fa ettum eft Magis. Inter dum etiam vtdeficianturpositiva,etaliunde pe nitusmutuentur, tam in Adverbiis, quamin no minibus: vt,Parum yiriu,Minusaudaciæ: Parum Si A, WITH 06 ol Paul ! mo 21 cen 270 Iut. CÆs: Scat. IV. census, Minorepudicitia. Item quomodo aNo. minibus Adverbia fiunt,etcorum affectus com  parandi: ita e contrario ab Adverbiis, Nomina superlativa:vtapud Catonem Nepotem, Sæpissi « mam discordiam. Etficuti quæ a Præpofitionib. ducuntur casus servant suos:vt Proximepontem: ita etiam quæaNominibus,corum Nominu ca sus admittunt:vt, Moræ patiens,More patientissi mus:Similis Neronis,Similimus Neronis. Proprium eftautemSuperlatiuoru, fixa fieri:vt, Pro. ximus, pro cognato: Erapud Liviū libro primo: Proindigniffimo habuerant fe patrio regno tuto risfraude pulsos. Etin fecundo: Necambigitur, quin Brutus, qui tantu gloriæ Superbo rege cxa eto meruit.pessimo publico fa et urus fuerit:Iccir co etiam comparationem fuscipient: vt apud Vl it has Para pianum,Proximior. Sicutautem sunt compara tiua fine superlatiuis,vt Anterior:ita e contrario apud Plautum,a Pene,Penisfime. Privatim autem u proprium est huius comparatiui,Prior,etiam po ni pro Primo:vt in Titulo;de Remnificari: et apud Varronem,cuius verba refertGelliushæc, Quo ties magistratus pluresessent Roma, qs prior ef set. Sed ita accipiendum eft, vt tota lummain duo dividatur.Primus enim vnus est, qui præit: cæteri quafi vnus,qui przitur. Malim tamen abstinere. de, Potissimum, etiam nonnihil obseruauimus. Armm. Restant Deminutiva, quæ cognofcere facile eft: comparatiua enim fequuntur, vt pars totum Att. Deficiunt tamen in plaribus nominibus, veluti in eo quod mododicebamus:a, Prior, enim non duciturDeminutiuu:neq; ab aliis eiufmodi.Hæceft MODE EX est eorum forma et origo. Quodautem pertinet ad cauffam materialem, non inutilisquæstio eft: Quare a neutris potiffimum orta fint, vt non po tius Doctiorculus, qua Doettiusculus, haud fane patet ratio: nisi ab Adverbiis primum ducta in on telligamus.Fortiuscule fecit,vtlitorigo vocis mi it - Jitaris CAP. CII. 100 ota ok > 0 PPLE vilgiu ged Grille bud! TI Nominum affectus communes. Affeet us hi:generales aut, Affe et iones mul, tæ in ipfa accidentium mutatione. Mutatur aute mail.com aliquid multismodis:fed ad duos reducuntur. Nã aut Substantiam amittit, veluti quum e terra fit herbaaut Accidens. Idque fit autin Quanto,va pie deeftaugmentum: aurin quali,gamoiwon Græ ci nominant, noftri Alterationem,voce novaqui il dem, fed elegantissima, etmaxime neceffaria, sut interpretati:aut secundu locum,quidicitur Mo - ** tus.Ergo sicevenit ei,q mutatur.Autipfum fit 2 non erat:cum mutatur substantia: aut in ipfo fit, gnon erat,incremento,et ano:woriiautipsu fit, in quo non erat,scilicetin loco.Suntetia mutatio nesin aliis generib.prædicamentorum.Quin etiã immutaturaliqd non propterfuam, fed ob alterius rei mutatione.vt mortuo Catoni vnico filio, de fat ipfc Pater effe. Etequusqad dextram Cæfariset est constitutus, fi ad læuam transmoueatur: ipfe Cæfarqsinister equo erat,fit dexter. Quib.igitur modis nominum mPombaur accidentia videamus. Sij. Spes  S, Jim odif  Species quidemipfæ non mutantur, vt quæ pri mitiva effet, fiat derivativa:sed alijatq; alijcom. paratæ, eo modo mutari intelliguntur. Amator, derivativum ab Amo, eft. Primitivum autem eft ad amatorium. ut Philippus Amyntæ filius, idem et Alexandri pater. Quoniam vero Primum dici tur, aut quum anteit, ve vnitas: aut cum etfi non VL misen antcit, tamen ne anteitur quidem:quippePrimo comes genitus etiam vnicus dici poteft filius:iccirco rri mitiuum quoque fic intelligiqueathac ratione: non a quo derivativum sit, fed quodipfum a nul lo:hocenim neceffe eft aliquando fuiffe, vt ab a more nihil duceretur. Ita poftea mutavit specić, vt ex primitivo absoluto relativum primitivum fieret.Etquemadmodum primitiva vera no mal tantur, ita vt fiant derivativa: itane derivativa quidem vltima: ab his enim nihil fit, ficut illa a nullo. CAP. CIII. Nominum Genera quomodo mutentur. Omninum quoque Genera mutantur adco vt privatim librossuperhac re veteres con 2fecerint. Alterum argumentü eft ex iis, quæ Du bia, sive Incerta vocant: fic enim dictum est, hic 3 ex.vel hæc Dies. Tertiumtestimoniumeftin qui bufdam,nam Plautus collum masculino dixit. i. temlubar, Palumbem, atque alia diversis, quam nosvtimurGeneribus esse aprifcis pronunciata. pafit etiam aliomodo, cum attribuiturgenus ei,ad quodminus spectat:veluti quum Masculam Sap phodiximus. Sicquum fæmina sola possit effep gnans: tamen Gravidum equum Troianum, et Prrægnans louis cerebrum,et Fætum eiusdem fe. murdicimus.Sicin in quinto historiarum de Ci cadis Aristoteles, is j'appeves oi Soutes cv alue Doti ρο 5 τοις άνεση. θήλεις και οιεπρ2•.dixit enim θήλεις no Irjaetajo vt significatum eller fæminæ,vocis aute modus Masculi, quoniam dicuntur oi se lizes. Numerorummutatio. Vmeros mutat, vt apudHomerum Irelus Vonino 23 P:1 INCO rallor: et ma 1163 TIVT dicuta Ttur30 eresa Hortensius primus Ceruicem dixit, vtfupra fcri ptum est. Vascones etiam fua lingua Iecora di cunt, quod nos Iecus: et Dorsa non dorsum:fi cuti Pulmones Latini. Figura mutatio. guram mutari,ex ipsa Figurę definitionema tozu ang ta quum fiant,mutari oportetneceffario.Compositor hat tum autem non vno modointelligimus: nam et fascem dicimus e virgis compositum: sicuti An- sirina driam, etPerinthiam iisdem ferecompofitas ora tionibus. Is modus loquendi est vulgatior: alter diac verior, cum dicimus virgas essecompositas ad co dist ficiendos fasces: virgæ nanque suot simul politæ. 18, que Sic Antenorem dixit doctissimus poeta cöpositu quiescețe:quia quibuscum degeret, cius imperiū iis non effet durum. Primo igitur modo non fit mutatioin figuris:nunquam enim quod simplex eft, fựt Compositum:nequeenim Simplicis par S iij. qur! muncia luser hams Titel Mun tes nomina sunt. Sed altero modo, ut “magnum” et “animum” dicemus composita in “magnanimo”, ita vt e simplicibus fa etta fint Composita. Nam quanquam Magnanimum Compofitum dicimus:tamen nonelt ira mutata vox vt priusip sa fuerit fimplex:atipsa Simplicia,exSimplicibus mutata funt,vt fierent Compofita,id eft fimul po fira. Vbi illud quoque veterum incuriæ afcribas, qui fimplex Compofito contrarium fecere: nam *Simplex Multiplici aduerfatur:eft enim Simplex fineplica, vnde Duplicatum dicimus prociden tis Turni poplitem. Hocautem,quodlaxe nimis compositum appellamus, conftat ex iis, quæ squia lunt simul posita, Composita erunt:quia ex multis non constant, erunt Simplicia. Nobis autem vtendum eft vocibus acceptis ab antiqui tate. fapientis vero partes sunt, illam libi faltem emendare C  Persone mutatio. Persona ita mutatur, vt facies mancat in pluri mis, visautem mPombaur. Ut poeta “cano”, “canis”, “canit”. Neque enim vera mutatio est, sfed communis terminatio transfertur, atque accommoda. tur, non mutatur. At in quinto casu mutatur: aftringitur enim legibus secundæ tantun. Cafus mutatio et ordinis. und Vm terminatione casuum costituti fint Or menolar dines atque dispertiti, vt alia atque alia inflexion, sive declinatio dicatur; altera inutato, al terum quoque mutari neceffe eft. Mutabitur.n. a Cafu Declinatio, Cafus a Declinatione: fed ita vt ad cognitionem nostram tantummodo fpe ettet hęcreciprocatio.scilicet cognofcemus quem calumintelligere debcamus, li pposita fuerit Declinatio, Sic declinatio mutabit cafum.Nam vere casus mutat Declinationem, non mutatur ab ea, Verum ne id quidem semper: nam Fru et uis, 9 Jako fucrat,Fructus, fa ettum est: neque tamen mutauit Declinationem: at Tumultus,quum fa et umfuit Tumulti, mutauit. Sic Fames, Famis, nunc dici tur:olim quintæ fuisse, Famei,manifestum estex, Sexta casu, Fame, cuius finalis syllabaproducitur,i Proprium autem eft Casuum etiam alio mutari a la modo. Quemadmodum ambigui vitandi caussa, quum aiuntFęci,diphthongum impofitam, quo differret a verbo Feci: eamqueinde tatinomini communicatam, Fex, Fæcis. Omise a veteribus Affefliones. Vnt et aliæ Affe et iones: neq; enim solum ra tione nominis deriuati; Primitiuum dicitur nomen:sed etiam aliarum partium cauffa. ANo mine enim Nomen, Orbis,Orbicularis: Verbum Sylla, Syllaturit:Aduerbium, Doctus, Docte: In tericeio, Infandus, Infandum:Præpofitio, Circus, Circum: Coniunctio, Verus, Verum. Nominis sus loco aliarum partium A caur S V ti $ iiij. 2 IIII. forma AA Caussa quoque finalialium affectum nacta 24 funt Nomina:veluti alias partes transfertur. Pro verbo enim poni tur, vt apu ! Plautum: Qux, malum, tibi isihanc taetio est? Sic ex Thucydide Demosthenes fre quenter loquitur. Pro Participio: Magnificus, pro magna faciens.Pro A duerbio:Lucretius, Al peracerba tuens. Nam timida tuebatur, quippe incutiebat pauorem: itaque eft pro acerbe. Pro Præpolītione:Virgil. Plena fecundum flumina. Pro Coniunctione: Vero. Pro interiectione, a pud Catullu, Doctis, luppiter, et laboriosis. Hanc veteres αντιμερίαν appellarunt, alii μεταλαγα. baciti fubticetur etiam: vt apud Sallustium in Iugur tha:Quæ poftquamgloriofa modo, nec belli pa trandi cognouit. fubticuit enim Cauffa, Græco more,Tēroniev:subticent yaon. Iransmutate tiam in fefe alias partes, quod Dialectici positio nem materialem vocant.quum dico, Propter, est que voxpræpofitio. Vox hæc Propter, nomen eft. more patet apud Græcos, qui præpo Whemi alarmisms Xe nuntarticulum to akce.. fic O e muito me uidius, Sæpe, vale, Osta heti a o zmenyvodicto. 'Store DECEK S, v s. LIPS fi midi Grat nutar: pterje policia. Ha Ordopartiū.Nominisvox, aforma.Verbi vox, a materia. Tum autem Derbi Ratio universa, en Augu Divisio. celli po Ost Nomen, verbi natura ponen Oo da est.Non defueretamen, quifta tim secundum Nomen ponerent “Pro nomen”, fecuti rationem ciui, lem, eadem in. potestate erat “pro-prætor” et Prætor. “pro-consul” in prouincia, et consul Romæ. Verumaliter contemplatur philolophus: Res enim necessarias primo quoque i loco ftatuit:accessorias aut, et vicarias mox. Igitur fi partes hæ coparatæ suntppter orationeora et tionis finis, eit-animi interpretatio: Interpre tatio autem Nomine et Verbo explicetur: et Pronomen poft hæc inuentum est: fane Ver bum anteibit. Quinetiam Verbo vnico ftabit 2 oratio, atque affirmatio affirmatio.. Pronomine autem nullo. Quare verbi natura potior eft: vt, “Amo”, “Lego”, “Scribo”, ac tantum abeft, vt Pronomine posterius sit, ut etiam ipsum secum referat. Verba quoque multa sunt adeo absoluta a Pronomine, vt mirum sithocgenus hominum ita fcripfiffe. Nam,Pluit,Grandinat, p Pronomen nunquam interpretere.Dei enim certa sunt nomina, Prono,,minanulla ipli Deo, fed nobis craffiore ingenio mortalibus. dicit enim nobis Deus fic ego: quia hoc quod est, E ç ointelligimus: hoc est Tetragrammaton, non intelligimus. Præterca 4 Impersonalia, Scribitur, Pugnatur, nonne plena funt fignificatione?nec tamen propterea vllum nomen explicatur, nedum vt præfit Pronomen. Omiffo igitur horum errore, Verbiipsius sub ftantiam videamus. Duabus his vocibus Nomi ne Verboque, communiappellatione omnia fi gnificantur. Nomine enim comprehendi fupra The docuimus. Sic etiam Verba dicimus data, quum orationedeceptisumus. Ac de Nomine quidem, ve vfusita sentiret, suasit ratio: a notione.n. du. cumest,quæ eft cognitio: vt etiam interpretatur Vlpianus, qui emendat prætorem in Titulo de Reindicata. Itaque vox nominis, a forma duda eft:eft enim Forma dietionis Significatio: Signū, autem, et Nota,idem. At Verbi vocabulū ab ipsa aeris materia, quæ verberaretur,proptereaquod vox esset aeris impulų fogus. siç Plaut. in Amphi truone voce facit verberariaures Mercurii. igi,vti diximus, res duplices fint aliæ, quæ constarent:aliæ, quæ fierent:illasmerito perex celletia Signi, Notæquevocabulo indicarut; bas aute fluetes ipso aeris fluxu. Quasivero,id quod fane ita eft, nihil effet partium præter istas duas; cxtera autem omnia abhis duabus duceţengur, etad tur quum,  1 GO ten ime OP niho 113: fup etad hæc reducerentur. Cæterum ipsum Ver bum nonsolum earum rerum nota eft, quæ fic rent: verum etiam quæ effent, fed ita, vtipfum hoc effeignificaretur:dicimus enim Cæsar est: » per Nomen declaratur res, quæ eft:per Verbum indicatur ipsum esse. Tertius quoquemodusin » !! ipfo verboreperirividetur:nam quum dico, Ceea far eft Clemens: ipsum Eft, non videtur aliquid id fignificare:sed effe nota coniunetionis, quaCle= » mentia in Cæsare prædicetur.Ex his patet,falsain effdefinitionem veterum, quiVerbumpræfcrip sere agendi, vel patiendi significatione, atquead huncmodumdefiniendum effe:Verbumeitno. In ta rei subtempore. Hæc autem res aut fit,aut eft: vt Curro, dicit cursum nondum expletum: et Gi gno,dicitimperfeet um animal.at fi dicam, Cæsar i eft: perfectum hominemintelligam.reducitur au * p tcm illud ad hoc. du enim Curro, cursus ipfe ali quid eft.Verba autem Priuatiua,vtDeeft:et Ne- prole de gatiua,vt Nego: etiam aliquid significant. Recrű enimest menfura Obliqui. Sic Affirmatio est mẽ sura Negationis. In Verbis autem imperfe ettæ figuificationis est res ipsa quæ fluit: vt in Scribo, bonga Scriptio: at Scriptio accidens eft:ergoin aliquo, fumptismal vor et ab aliquo: quare et a et io et passio compre hendentur, vbiacriusintuenti, aliter eueniat v fu, quam euenit antiquis. Nam fi dicam, Scri bolibrum: non rectevidentur accepiffe librum pro pafliuo:non enim huius a et ionis receptio eft in libro: tria quippe sunt:quod scribit, quod fcribitur, quod recipit fcriptura: at liber non scribi tur, fed fcriptura, Itaque prisci Attici huius rei gnari dixere, Seruire feruitutem, Viuere vitam. Řecipit igitur liber fcripturam: scriptura autem recipit actionem scribendi. Intelligo nuncfcri. spturam opus ipsum, scriptionem operam, scriptorem L. Flauium, Membranas vero, fiue Tabu kelas, in quibus opus ipsum extat, fcripturæ nomi ne, puta ipsa elementorum lineamenta. Verum Denimuero qui primi fermonem inuenereagresti (canimomortales, vt quæquefese dabant, ita exce << pere. Sapientia vero vix tandem fero ccelitus de (miffa eft: vel ad hanc vsque diem quanta latita uere? quot adhuc latent,quæ pofteritas eruet ad iuta? Ac veteres quidem simul et recentiores non malo consilio in variasdistraxere terminationes, diuersaque genera constituere. Nobis autem fa Spoemat eis fit, vniuerfum Verborum ambitum in duo di Igua uidere,quæ A ettionem,et quæ Passionem significent: atque eo cetera omnia, tanquam adligna, recipere:quemadmodum horum vtrunque adv num, quippe adipsum Eft:nam tametfinon significat άεργείαι,tamen nota cft ενδελεχείας, qua eft finisActionis et Pallionis. Agimus enim, vt tandem fit: et dum agimus, hoc aliquid iam cit. Actio autem duplex eft.Quod enim fit, aut tran. se poatefirabeo, qui facit,in aliud:atquehæcvocabimus Iranfitiua:vt, Amo te. Autnon tranfit, fed rema net in eo, qui agit: vt, curro: quæ vocabimus Absoluta. lta codem modo Paffiua intelligentur: quum explicabitur a quo fiattranfitus, etquum unon explicabitur:vnde Impersonalia orta sunt. Eft autem supra declaratum,Actiuum aliionem dicere, et aetionis modum:at Passiuum passione fignifi. 1 281. 1. D DO significare, fednon passionis modum. Nam a et i vum indicat id quod facit passionem. Paffivumaha tostay autem ostendere debuit id quod recipit paffio rather parts nem, vt passibile potius fit. Sunt igitur omnia A điva, quæ declarantaćtionem:Palfiva,quæ passio nem.Quib.manifestum est,verba Neutra nõ esse ). ab Actiuis seiun et ta, nisi ob formationem, ppter eaquod ab sefe passiva non edunt: nequeDepot memen nentia, nisi ob diverfam terminationem. Hac autory tem divifionem neilliipfi quidem negabunt: qui tot genera funtcominenti. Etenim communium appellatione quu terminatio nihilimpediat, quo». minus tam Аctiva quam Paffiva recipiantur:duo tantum erunt capita, quibuspromiscue termina tiones comprehendantur. Hortor enim cum in Or, desinat, nequcfiat abactivo, Passivum tamen dicitur: etActivum, quum Paffivum gignat nul-. lum. Hæc igitur vera Verborum effentia est,ve ræque species. Delinentiæ autem sunt accidentia materiæ: id quod constat ex eo, quod abolentur,» restiruunturque incolumi tamen Verbipristina natura. Idem enim eft Comperio et Comperior. Quædam autem falso a et iva, quædam peranalo- okto giam di etta funt. nam quæverba Sensionessigni ficarunt, vt Visionem, Auditionem, Tactionem, eteiusmodi, ea paffiva effe decuit: Sensio enim passio est. Analogia autem dictum estillud, Lau-. do Deum, neque enim Deus paritur: sed exem ' plo diet um eft illius,laudo Cæsarem: et poti us ad Diale et icum, aut Metaphysicum spectat. Non beneigitur recentiores Ađivumsic defini vere, q transmittit in aliuma et ionem: neque. n. nomine 20 a1 D I S; Com 9 qui olfacit, transmittit olfa et um in rosam. Et fi dicam,Amome: eft a et tio reciproca: ettamen A etiuum eft. Item poteft abfolute proferri, Cano, Curro. Quædam igitur verba funt, quæ omnino non transmittunt: vt, “Vivo”. Quædam quæ omni no transmittunt:vt, Ferio. Quædã, quæ etfi tral mittunt, tamē absolute proferri queunt:vt, Amo Lucinam: et, Amo. Amamusenim aliquado im Cipromprudentes ipfo primo ingreffu. Quare quæsunt trabloluta femper, non reet e Neutra dicta sunt: quafi vero in hisnulla esset aetio. Nam qui Vivit, (hocipfum,quod Viuit, agit:vnde, Age vitam, di cimus. Quoniam vero quodcunque constat ex materia,dum agitypatitur ab co, in queagit, hoc autem in philosophia probatum eft: iccirco sia etio trasmittatur, fietreciproca passio aliquomo do. Quam ob cauffam fapientissime Atticiverbis Passivis etiam ad a ettionem significãdum vfi funt. Si non transmittetur,nihilvicissim redibit: sed in agente refidebit: adactionem tamen reducetur, ficutalia adpaflionem: vt, Ditescorneceffe enim estad illud prædicamentū reduciiaut ad prædica mcntum cf.Sed hoc haud valdeabiliodicra fum eft, ac fortasseidem. Passio autem nõ vnom ) do intelligatur:nam quædã est perniciola:vt,Oc cidi: quçdam perficiensivt, Creari, Gigoi, Isauda ri.hoc genus passionis eft, gresidetin agente:vt, Viuo atqueid fit dupliciter:aut palam, vt hoc ex emplosaut occulte,vt fupra monuimus. Verbaea nim sensum significantia, habere videntur mo dum quendam a et ionis:inftrumento. n. agimus: Sed 1 De Causts 2m; E Sed tamen occultam passionem significant, quæ resider in eo, cuius actionem Verbum ipfum fi. ignificat. Quæret porro aliquis: Sia ettio et Pallio funt correlativa, et Absoluta ponuntura nobis in ter Actiua: vbi erit Paffio? Lam est relpõsum:Pass i fio hæc perficies est, et residet in agente: eiusmodiu sunt Gaudeo, et Lätor,et eiufmodi.Huncigitur Verborum affe et um Latini Genusappellarunt. Omar le Quos equidem ab incuria defendam, fipoffim. Sane hocaul sunt: quia a et ionis species,esset ge Šneratio, et pallionis. Græci communi nimisvo cabulo noQ.Omniaenim accidentia mcm di-> et a sunt. aut nimis speciali, neque enim folum fi gnificant 'siv, fed etiani įvapzieivo Commodio. reautem nomine Alogeny. afficimur enim adam gendum,vel patiendum. Nequenobis solisdif plicuit veterum licentia:itaque quinon probarat: consilium,quo Genus dictum fuiffet: maluerunt Significationem appellare. Verum vtillos hizita hos reiiciendos censemusnos. Significatio. n. 0 mnium dictionum forma est. Tiw Ali'ton igitur noluimus disposicioneinterpretari: ordinem. n. significat,non propenfionem: sed ita cēsebamus, magna difficultate poffeindicari vnica voce affc- )) et ionem hanc: propterea q nephilosophi quide" ađioni et passioni vnum cõmune nomēinvenis fent, quo summum id prædicamentu declarent. Conftat hinc a verbis omnibusin o, pafsiua pofse que posar fieri:modo ne ipfa illarecipiant residente passio- fribisgarsą. nem:vt, Egeo, et ciusmodi, Argumentum noltra fentenrir fumiture multis, Aro, Seruio, Vivo, Curro: quæ veteres delicate nimis activa dicere metue. 284 Iul. IV. metuerunt:propterea quod obfcuriusculein qui busdam paflionis extaret vis. Sed fane in tertiis p fonis quin fit, negari non poteft:idquod fatis eile potestad Verborum naturam constituendam:ne queenim deest hoc verbis his, fedres quæ ipfis lint applicandæ. Facterrain loquide se, inve nies illico priiņam paflivi personam. Quis ho rum non pPombaEo, verbum effe neutrum atpal sivum exfese format non folum in compositis,fed etiam in fimplici: -amatum ire, amatum iri. Sic ce nihil impedimentoeft, quominus verbumPluit, primam perfonam habere dicamus, fi modo lo quatur Deus. Quare,vti diximus, res ipfæ potius, quam Verborum naturæ defecere. Igitur vt quæ fint Activa aut Passiva intelligamus,minutiores Viony antiquorum fectiones funt retractandæ. inter more on Neutra, statuêre Neutro passiva: vt, Exulo, Va pulo: ac Neutra quidem, quoniam exsese Paffi yum non crearent: Palliva autem, quia significa. tiorecideret in eum de quo verbum dicebatur. Igitur ab accidente,boceit, a voce.Neutra: a for ma, hoceft, a significatione, Passiva dicta sunt Quare non recte alij Transgressiva nominarunt Tantumenim abest, vt tranfgrediantur, vt in fe ipla ralidant. Quodfi intelliganttransgredi na turam neutrorum:multo plura, ac pene omnia, Neutra talia inveniat: ut, Egeo, Gaudeo. Quin etiam Aệtiva: quid enim eft Amo, nisi patior? Item Intelligo,Video, Tango, Audio, Gusto, Sentio, et alia innumera. Etiam Deponcntia transgrediuntur: quippein o R, paffionem non actionem significare debuerut.Alteram (peciem 1 285 posuere, autoeregulxov, vtuaxopeo, quasi quod aliai fuapte natura activum eflet, siper vocem liceret. Cui contrarium ftatuunt onozu Jes fub Seow, tanquam fubgenere communi speciem cotra di ftin tam,propterea quod passiva tum voce, tum significatione sit. Item autotaJvLxov, vt neqw, per vocem stat, quominus sit Passivum: in eo e nim est, vt censeatur p significatum:et a'viooden gov, vt 01,8TW, quia voce A ettivum videatur, at:: sit Neutrum. Et alteram neutrorum fpeciem ÖRoEverymli:cov, iccirco quia quarti cafus habeat i constru et ionem,quæ a ettiuorum propria videtur esse. Etripiegov autem et Inringivov voce passiva, communi vtriusque significato. Atque hæ fpe- Exp: cies si veræ sunt: tamen ada et ivapaffiuaque redu cuntur. Verum et frustra, et incolulto commen tos esse hec videamus.Constat igitur p duo nomi na tractas hasce compositiones,ökov et auto,quo rumnatura vbi perpenfa erit, eorum constabit, consilium. Igitur öror est, cuiuspars extra ipsum cc nulla eft: hocautem duobus modis invenitur, aut a fimpliciter: vt; Mundum onov dicimus,quippe ex tra quem nihil eft,aut in genere:veluti quu quip piam adiicimus:Hominem enim nonmancum, Totum dicimus, id eft,integrum. lccirco voces i hæmodo quodam differunt: in neutro genere aov significat ipsum vniversum: in alio genere a.adiectivum eft. Sic etiam zūv etmus.Ergo ho mo integer non dicetur esse Totum fimpliciter, fed Totus, aut Totum suum. Non igitur verum, erit nomen 7 oorvegglisar. Nam id fi est A etiuum, quod et vocem habet, et fignificatum, a Boca 1 I j. ve aiunt:ergo totum A et iuum tantomagisvtrun quc obtinebit. Sic enim öronagi's dixere, cuius 0 mnes partesessent passivæ, quippeet vox, et ligni fcatus: νε γίνομαι.igitur ολοενεργηλικών non erit Neutri species.Omnis enim fpeciestotam gene ris naturam continet: ergo fi neutrum genus ab ađivo genere distinguitur, quomodo alterius species tub altero,etiam addita differentia percefectionis, collocabitur? MuseveEmkov potius di xiffent:constructionem enim quarticasus, et vo cem activam habet. sed quia ex se passiuum non formabat, non erat įvegzolenav. tanto ergo mi nus öner evegzalekev. quod enim non eft aliquid, U tantominus illud effe totum potest. auto au tem fignificatsubstantiam: et id, quod hocip fum quod eft, per fe eft. vt aronegros, outeau dis. etapud Aristotelem, autoetes quod anni cir cunscribit spatium,aut quod per se agit hoc,quod agit: vt αυθεντιά. Quare αυτοενεργήικών ηδfunt commenti probe: vtuaxquel. non cnim ab se habet agendi formam a Toeveggnuxev. neque e. nim est evegylaxen, per formam: caret enim ter minatione, quam ipfi Aetiui formam ftatuunt. « Commodius et verius, etreporvegnkvor. ab alio enim habet vim activam, fcilicet ab vlu. lif adem rationibus auronzo Jhxcv, vt migas eorun dem excludet superstitionem:wrogderegov vero, quare non sit idem cum 'de regu;non video: nam fi vocem hanc are addiderunt ivepzelerei, quod haberet pafsiuam terminationem: et r « Jakina, quod haberet activam: quare addunt xdetegco quod alienam terminationem nullam habet quodquegeritnaturam totam 'derepov? Ineptiut autemquiPluit,et ciusmodi putabant aurezdets-Plagen, eg.quum tamen fit Aetiuum veriffimu. Pluitfan-, guine, etlapides dicimus in historiis, et terra co pluta est. Diomedes vero quu hæc Supina vocat,3 veteres recitat fineratione loquentes,atque iple} nihil aliud,quamloquens.Fuitet tertia vox,istory õ adderent vni speciei,g vocarentidor Jhx et: vt » Ferueo: non fane inepte:fignificarunt.n.passione intus manere.Sed tameacute funtintelligeda.ne. que enim a feipso quicquam patitur: neque pro pria est passio agentis ab selepatiente. Omne..). quodmutatur, ab alio mutatur. Distinguuntur autem multis modis: Loco, vt Ensis a Cæfaremo vetur, et loco distat:aut Substantia,non loco:ídq; multis modis.Aut enim duæ funt fubftatiæ, vt ma teria etforma:aut fubftantia etaccidens, vt Cæfar et Calor accefforius. Materia autem non vna: aut Dic, enim prima est,aut secunda. Itaqueanimamovet ble corpus per fe,differutenim eflentia perfe et a: afte forma ignis materiam primam movetalia ratio. ne quęinoetavo Physicorum estdeclarata.Igitur Cæfarli feruet, a fole, aut ab igni fervebit: aut fi ab intus cauffa est putabilis: omnino quod fervebit, etquo fervebitdifferent. quare nonerit paffio ab seipso. Latini consultius Neutropalsiua, quacom » positione et terminationem et fignificationem sunt complexi. Ex hissatis constat, noftrorum verborum nonnulla fapere aliquid e ue.dig Græcorum. Cum enim dico, Lauo, Tondeo, et e iusmodi,idem repræsentatur, quodin dome.cs, et Leigohuet 18ojfuor,quu Lauaret:subintelligimus. 10 CLEAN 1 quei A tuneTij. enim,Se. Ita enim Nigidius loquebatur apud Gel lium: Syllaba mutat, pro mutatur. Quare Attiva Passivis præponantur: etdema teria Verborum. CHVm igitur omnia verba,autAativa, aut Pas siva sint, ad hæc duo principia omnes illz species, emendatis tame priscoruin nominibus, mo lang referentur.Priora autsunt Activa Paflivis,pon vt dixere,quia is, qui agit incipiat:qui patitur,sequa tur:actio enim et pallio simuladco sunt,vt vnum multi existimarint. ages quoque ac patiens simul sunt secunduin formam. Quin criam fecundum subiecta corpora,non neceffario præitagens: ne que prius existit, quam patiens. Trabs enim ante WIonel, quam ignis excitetur, nasci poteft: fed nobilitate naturæ id faet um fuit. Eft enim Ages pro cauffa: Patiens autem,vtdiximus, aut perficitur, autma le habetur ab agente: igitur vtrovis modo nobi lius est.Itaque ctiam Grammatici id fecere,vtPal fivum ab Activo ducerent. Hæcigitur eft eorum Makari ratio a formaet fine significandi. Materia autem varia fuit iccirco, quia non est neceffaria: sed ad arbitrium tum primi inventoris, tum ipfiusvsus instituta, vt in o, autin or, delinerent. Habuere tn 2Aetiva originem terminationis a Græcoin o, tua 1w. Passiva autLatini aliter formarut, neaccede rêt aut ad oratione, aut ad fimilitudine nominu. Si.n.yteft ru 700w, fic dixiffent Amome, videre turoratioex Verbo, et Pronomine. Si aut fuiffet cudiphthongo: eadem crat nominisdesinetia in na hurco prima declinatione. Quare expeditius addito R. G negotium confecere: “Doceo”, “Doceor”. Verbi Svm, Es, EST, declarat necessitatem. Gitur Verbum corum nota eft, quæ funt, aut fiuntin tempore. Oinnisautcm Quantitas par tes habet: Motus autem et Teinpus, Quantita - Pengimo tes sunt: partiuntur igitur. Caletadio cnim ha buit, frigidum non efle, vnde ccepit primum: itemque calidum esse,quo tendit:ergo etiain me dium.Iccirco verba quxdam inuenta sunt,vthuc motumdicerent: quare necessaria quoquefuerit Erits inuentio cuiuspiam, quod illud extremum figni- mons ficaret: quodque formam illam non ainplius flu entem, fed iam consistentem indicaret. Fluentes 3. autem formæ illæ duplices fuere; alteræ accidenta fles,vt Candor: alteræ fubftantiales, ytHumani i tas: iccirco duplicis quoque naturæ Verba exti tere, quibus ex declararentur. Candor enim acquiri dicitur a verbo “candesco”. Humanitas au tem, id est formahominis, aut Equi, autplaptæ, aut metalli, aut alterius substantiæ, indicata est subire in materiam per verba generationis, vt ); Fio, Gigno, et eiusmodi. Quæ etli pofluntetiam accidentia significare,vt fit albus,fit pater, tamen o primo significatu pertinentad fubftantias. Gene? ratio enim primo dicitur de substantia; fecundo loco deaccidentibus.Acformarum quidem Au xus his Verbis oftenditur: consistenția autem » vnico Sum, Es, Est, tam accidentialium, quam substantialium, Dicimus enim, Est albus Cæfar Tij. nunc 290 IuL. V. nunc, qui heri albescebat, aut fiebat albus. Et di cinus, Eft nunc Carbo canis qui his diebus fie bat canis. Quare hoc verbum tam accidens quam fubflantiam quum fignificet, peffime a Gram zmaticis Verbum Subltantiuum dictum eft. Et Femisautem fupra diet um a nobis,duobus modisponi Verbum học: aut Nomini (oli folum adiacerc; autinter duo extrema quafi fequeftrum. Exem plum priorismodisic habemus: Cæfarest: exem plumfecundi sic, “Cæsar est albus”. Ac primum quidem modum significare existentiam in rerum ste natura ab omnibus receptum cft. Altero autem modo Divinus vir Aristoteles animaduertit nihil significare, sed quasi nexum, et copulam esse qua albedo iungeretur Caesari. Hæcost forma et fi nas nis huius verbi: Vfus vero etiam latiuspatuit, ve etiam verba alia quasi animaret: ita additum fuit criam Passiuis verbis; Doctus sum, Doet us fui; TETEA COPEv Ověsu, cum perfe ti operis fummam declarandam instituimus. Sicut inchoatum idem opus alio verbo motum, vt diximus,fignificante notabamus: fic enim locuti sunt veteres, Pugna zum ire, Amatum iri: sumpto a Græcis vfulo quendis prouci ipewr. Galli quoquchodie sicve tuntur per verbum Eo, is, It, cum volunt dicere, materiaFit diues,Fie phthisicus. Materia aute huius ver ubi duplex fuit. duplex enim eft, nam a Quws Fuo noftrum, et ipfum Fio. Sum autem ab ciui. Es,,, totum Græcuin eft, abiecta vocali, esi, CAP. CXIII. Temeporum Natura,Numerus, Ratio, Nomina Tempoorisigitur partes diuerfasdiuerfis Ver Puigo rum partiunminutiores quoquepartessunt:hac de caussa diuisa sunt Verba certismomentis: quæ Grammatici re et ifsimetempora nominarunt.Diminy my 1 uisereigitur ad huncmodum:In partem,queiam abiit: in partem,quęiam subibit: et in id, quo hæc duo coniunguntur.Anvero id ita fit in natura: et vtrum tempussit, cuius partes non fint, necne, - non est præsentis operæ: sed ad philosophum fpe et at. Cumigitur tres hæ temporum partes fint: cam quæ abiit, quare paffiua vocedixere veteres nett. Præteritum: nam fane Græci Actiua mpwxnuis. w Anvero ita dixere, quia huius verbi Prætereo,no, habebant Participium actiuum in eo tempore, fi cut Græci? An quemadmodum in testamento di 2 citur Præteritus filius,cuiusnullam fecitmentio nem pater,quafi eiusfuerit oblitus:ita nobis gex ciderit tempus, Præteritum dictum est? ita, Præteritum Laterancnfem in comitiis, ait Ciceros qui non esset creates præter: quasi non fueritin memoria tribuum. Ansubtilius cöremplabimur? Itio motus quidam est: tempus autem non mo-3 uetur, fedeft ipfamenfuramotus: at nosmoue-); murac mutamur. Itaque dicimus,Fungi vita, et Obire mortem, et Abire ex humanis. iccirco ipa sum tempus permanere, nos præterire, illud præa meninos teriri.Quæ vero nondu effet pars,eam Futuinteactie, pusappellarut:Græci ukra orą.Tertium quod has interiaceret partes,partem nequeas dicere, indi uiduum enim est. Præsens eft dictum: non fane praze. comode:nam fiest, Præ, relationem notat: ergo ! T iiij. quan T 292 IvL. V. Og'oquum vtrunque coniungat et Præteritum, et Fu turum: nonpotius debuit accipere appellatio nem ex eo q futuro præesset, quam quod præteri 2 tum fequeretur. Quin etiam certior natura Præ teriti est,quam Futuri,a quo Preterito consultius 3 nominaretur.Iam vero fi poffet diuidi, prior eius pars esset præterito iuncta, posterior aute futuro. quare ratio eius cõiun et ior eft præterito quam fu (turo. Verum ita intellexere. Præfens, effe Præ, id eft,ante oculos: non autem ante Futurum. Alij vero Instans, appellarunt. fed quidam sunt male there iuterpretati, quasi instabile esset, et abiret momen utancum. Sanea Græcis mutuati sumus quićvesu, dixere, quodinstaret cedenti Præterito: non autem quod non ftaret. Imo vero cætera tempo ra non stant:fed Præteritum iam non eft, Futu rum autern nondum: vnü præsens semper est: na uetsi abit tempus, tamen hoc quod est, præsens eft. Hocautem in libris naturalibus eft comodius de claratū.IgiturhocTempus, quod effetindiuiduu non diuisere.Duo reliqua cum latissime pateant, Græci alterum, id eft, futurum fecuere in eam partem, quæmox esset fubitura, jer onigov uen hora dixere.Nos quoniam incerto ferretur euen tu, non diuisimus.Niliputemusin modo Subiun Ĉiuo extare vestigia, etvim huius fignificatus: hennaivt, Fecero. Hocautem etiam in Promiffiuum. pern wit partiti sunt Nasceturpulchra Troianus origine Casar. Verum nunquam desinent nugari Grammati ci, Sic enim dicas etiam,Minatiuum, Cædam te: et, Aduletiuum, et alias nugas. At affe et us non mutant species. Præteriti autem amplitudinem, forazie b quantammemoria late metiri poteramus, partiti » rz: sunt veteres in partes treis, Perfectum, Imper P: fe et um, Plusquamperfectum:ac perfectum qui de dem adduxe-refiov male vocatum fuit a Græcis: » e quod enim abiit, non cft: at wequeijfvovspecies ut eft g TupwX9u6los, quonam igitur modo, li non ca eft, poteltasqueisasdiffertenim colerot ai,apos "12 TO Xaveil ou tanto magis, w; os to un'eivce che riuri A noiv. Noftri dixere Perfectum, propterea quod em absolutam actionem oftendit, cuius pars fuperfic com nulla: vt Pugnauit: nihil eius pugnæ reliqui fa bis etum est. Mutuati autem sunt appellationem » sibi hanc ab iisdem Græcis, qui alterum tempus, cm quod adderet huic spatium, uweprewleninovnomi Fit narunt, 7TEP UP TO DATEnerov lwar. Noftri hoc el: Plusquamperfe et um: vtriquemale. Nam Perfe- ense ctum, etsi recipit comparatiuum, et Superlatiuu: hocrerum genera patiuntur:vt, Canc homo per fectior est; at quouis tempore aliud tempusperfe Etius non eft. Defendendi tamcn suntsic: aba-» inü. ettionibus temporadenominaffe:vt quod agerēt, neque dum perfećtum effet,Imperfectuin tepus, fubquoageretur denominarent. Verum Græci Subs cautius, qui Præpofitionem notarunt tractum, ficati umep, quod effet transperfectum, id est, præscri Cilici ptum tempus: noftri ridiuscule p Comparativu Plus: melius Vltra,aut Super aut Trans. Quippe ita differunt: vt Perfectuin nihil præterea notetun Scripfi: Transperfectum indicet et ipfum Perfe-> Etum, et tra ettum interponat inter ipsum etaliam } non cohærentem actionem, Scripferam,Cæna quum lusc Liit atent Cænabam: non cohæret cæna scriptioni, qua " Icriptio est absoluta. Igitur non, vt aiunt Perfe. v etum, et Tranfperfe et um distancinter se tempo rislonginquitate. Dicam enim, Ris iam quin quaginta tribus annis: et dicam, Legeram versum heriantequam biberem. Eft igitur idem cum « Perfeetto,tanquam species cum genere, nodistin. etum tanquam species a fpecie, vt fecere: vbi cunque enim pones Transperfe et um, poneres e tiamPerfectum.Imperfeet umautem Græci com umodiffime, aqtutuev:protenditurenim inter præsens, et quod sequitur:operæquefignificat co tinuationein:vt, Legebam, quum venisti:nihil.n. interualli interlectionem, et aduentu fuit.Iccirco philofophi hoc va sunt ad declarada ev eteaezetar, uquæ perpetuatione naturæ defignaret: wvIw TO, Erat homo: vt fignificet etiã effe. Er doetif fimus poeta: Lauruserat: id eft, Lauri ipfius vera species. Quod PLINIO (si veda) quoque estimitatus. Cicea ro in reetiam penitus infecta vsus est: fic enim scripsit in quarto ad Atticum:Ad eum poftridic manevadebam,quum hæc fcripfi:et Perfeet o pro Plusquãperfecto. Alius fic dixisset, Poftridiequa hæcfcripfiffem,iturus eram.Præterita autem pri maaut fecunda, quod effent ad vsum magis vo cum, quam ad fignificationu discrimen inuenta, non fumus imitati: temperatam breuitatem im. mani copiaditiorem arbitrati.Vnumefttempus, quod Præteritum infinituin appellarunt Græci, doposolin hoc veteres putarunt a Latinis ignoratu: extat tamen in quibusda, vtin Palsiuis:năm, Ca 'fus fuit:id eft quod, erdP34: Cxsus est, TÍTUTTIH: Ex his constat Instans cum indiuiduum fit,no reetedefinitum, cffe fic, cuiuspars præterit, et in the dimi pars futura cft:ad hunc enim modumnon effentwilanki tria tempora,fed vnum tempus: fed et Præteritu, etfuturum Præfentis partes. Sed falsi sunt Gram matici,quum dicerent Scribo yerfum:neque iam * expletus cffet verfusfcribendo. Vis igitursuntin telligere Præsentem fcriptionem habere partem in parte versus perfcripta, et partem in scriben da,quaspartes scribendo coniungant, cotinuent que.Atvero hic non vnum præfens est,sed multa Præsentia, quemadmodum quum dico, Flumien fluit: quis dicat hoceffe præsens, quumiamanna aut amplius fluxerit? Quare ficuti dicimus Præ sentem diem, Præsentem annum:vt multa instan tia complectaranimo:ita dicam,Scribo: quodic circo præfentis temporis eft, quia quum hoc di co, fub eo sum temporequod huiusceverbi effe intelligo. Non enim lignificatpartem prescripta, neq; cam quæ scribetur:fed hoc,quod fcribo.Di. cimus autem Scribere versum,quoniam eius par. tes scribimus. Conftat etiã hoc apertius in extre mis aetionum. fic præfens erit initium currendi, cuius tamen pars nulla aoteceffit: fic finis, cuius pars nulla futuraest. Instans igitur femper adeft, vnde et Prafens dietuin fit:Futurum et Præteritű imperabsunt. Iccirco de Præfeori poffumustria, una pellarunt,exemploVergilii: Verum anceps belli fueratfortuna:fuisset. V iij. Quum 0 598 in 010 306 IvL. V. Quum tamen, Fuisset, Subiun et iuus fic codem, quo fuperiori,modo. Si fuiffet, mallem,quam ficą quumnulla belli fortuna vincor,etmorior. Opa tatiuus autem et subiunctiuus inter fe fimiles, ab Indicatiuo no differunt, nisi quatenus hoc quod hic ftatuit,Optatiuusnõ ponit, etponivult: Sub. iun et iuus ponit,fi ab alio ponatur. Iccirco tepo raomniafant coniecuti, verum non omnibusin verbis: neq; enim par eft, vt omniaoptemus, quæ « possunt euenire.Igitur Futurum ab Optatiuo no tollut doctiores: quu hoctempusverissimum, ac maxime proprium huius sit modi, no discreuere ce tamen a Præsenti Futuri vocem: propterea quod in ipso quoque Præsenti abest optata res,veteres autem illud putarunt Futurum Optatiui: · ce Hac Troiana tenus fueritfortuna fecutaq Quod quidem valde placer. Sic igiturerit Op. fatiuum et illud, quod fupradicebamus: Verumanceps belti fueratfortuna: fuiffet. Modorum Ordo Ndicatiuum autem nobilitate, acrerum natu. ra primariū intelligimus: nobis non item: stas tuit enim id, quod poftappetitum, ac delibera, * tionem euenit. Neque verum eft, quod autu mant, Rem çertam redubia priorem esse, Quin ante, quam scias,quæras. Quinamquesciam, Ha minem effe animal: nisi quid homofit, quæram? + Præterea qua ratione res çerta, erit prior feipfa dubia? Etenim poftquam adeptus es scientiam, non potes amplius dubitare. Scis enim per cauf | laa 3. quarum contrarias Iisficcando Em cua Trorior. O elimiles: ushora nipuli otem us! inimum Ōdiscrer plereaga res, kom tu: ecutao fas primas,immediatas, neceffarias, notas,immu tabiles: putas falsas: alioqui non scis. Sed ob nobilitatem pręiuitIndicatiuus, folus modusaptus scientiis, folus pater veritatis. Cæteri fermoniaccommodatiores,quemadmo- 2. dum suoloco dietum eft: ii vr quisque nobililli. mus fuit, ita potiffimum locum occupauit. Ita Circot omnibus que Imperatiuusprinceps eorum extitit: mox Optatiuus, quasi seruilis ingenuum eft hunc se - zima quutus: Subiunctiuusautormultiloquentiæ po Depreciate tremam in sedem reie et us est: compofita eniin fimplicibus pofteriora. Infinitiuus autem fane adeo Modus non eft,vt etiamn Verbumne cffet, fit dubitatum. An Infinitiuusfit verbum. C Modum quidem non effe ipfum,fupe rioribus rationibus fatis constat: Verbum off. autem efle, Verbi definitio clamat: significates nim rem fub tempore. Qui autem ipsum exclu- (. ) sere,addu et ifunt,vtfentiret ita, proptereaquad fui verbi efset significatum: fic enim interpreta cur Verbum suum, Socrates exulat, dico Socra temexulare, Socrates estin exilio. Præterea no- 2 minis habet conftructionem.apud Græcos enim etiam articulos recipit, to spxTuyau mane, vt Ver gilianum illud. -Pulchrumg, mori fuccurrit,in armis. Verum hæc argumenta leuia sunt:neque enim art, magisipseelt Verbi fignificatum, quam Verbum miesnota? ipfius: neque magis exprimir Indicatiuum per boo42 interpretationem, quam ab eoexprimitur; Viiy. Kureri A.COM US: fastfel ruma diItem: edehr uoda fle (Ciami QUITO Torle cient pero IN. ERR mutuaenim esse quit explanatio vtriusque ora tionis fic, Dico Socratem exulare:id est,Socrates ab 2 exulat. Articulus autem non tollit significatum fub tempore: naapud me, to spa Traje COMESTxa aov: sed no espotazmeyou. Itaq; fibiipfi fubiicitur, tanquam Verbo, plusquam Verbum, fic, Video Apo leo mi emeditari currere.Itaque contraStoicifolum mawh Infinitiuum Verbum esse professi sunt: cætera θα λογαuterm κατηγορήμα G, id eft appellationes, και συμ metin the Beijualc id est accidentia, quippein infinitiuum tanquam in formam fuam, et quasianimam re folui cæteros modos. Igitur Græci etiam pro a ce liis fupponuntmodis, quorum naturam expleat, OHOT EIV,Jewgev. Sic etiam nunc Itali loquunturs quum negatiua utuntur oratione, Non legere, pro nelegas.quæ cauffa fuit, vteadem sit forma « actiui Infinitiui, et Imperatiui passiuiapud Lati senos. Quinetiam pro Indicatiuo: Illerubere,ter giuerfari, abnuere. Cæterum apud Græcos de est dã in superiore oratione;apud Latinos,Cæ pit, aut tale quid. Quinetiam pro Participio et Gerundio vsum subiit tam apud Græcos, quam apud Latinos: vt apud Poetam: -Dederatque comam diffundere ventis. Erin tertio de Natu ra Dcorum: Magnammoleftiam fufcepit Chry sippus reddere rationem vocabulorum. Pro prium autem est Infinitiui, receptum in Futuro fuo Participium sibi fimile efficere, vt genus a mittat, et numerum: Amaturum effe tam defce mina, quam depluribus: exemplapetes deGel lio, Valerii Antiatis, Catonis, Q.Claudii, M. Tullii ex quinta in Verrem: Hanc libirem præsidio COLE i fidio fperant futurum. Illud quoque habuit pe culiare,duo verba fibivtasciscat, Esse, et Ire,quo rum societate formet Futurum suum: Amatum ire: Amatum iri. emporum, Modorumq, inter se mutatio. Filout Roprium autem est Temporum Modorum queinter femutatio, quuaffectui feruimus. Il Liuianus Annibal: Sitales animos in prælio ha bebitis, vicimus. Nam quod fperabat, procerto man iam afferebat: quafi dicat, Tam certa eft futura vis 1.90* et oria,quam iam extitiffet. Nihil enim Præterito create certius:ne a Deoquidem mutari poteft, quia sim » un plex eius voluntas eft: tantum abeft, vt fit contra-); leger ria fibi:non poteft,quia non vult:neque vult pos ciami se, neque potest velle effe diffimilis libi. Modus Le item Subiun et iuus pro Indicatiuo: In fexto de gryn Repub.Etquod deviafeffus effem:dixiffet, Cum de via feffuseffem. Quemadmodum autem illud Isla Iuuenalis sit accipiendum, Greculus efuriensin cælum, iufferis, ibit: fupra diximus. Sic est,quum Græca oratio per avdwwnn TIKoy exprimitur: vt in tertio Officiorum: Male Hi etiam Ĉurio, quum cauffam Transpadanorum Cm æquamesse diccbat,femper addebat, Vincatnti Pipo litas:potius diceret,non esseæquam. id est, negle ov: dicere poterat: aut, debuerat. Horatius Indi catiuo pro Subiun et iuo vsus est: Metuentis illa deta pluscerebro lubftulerat: nisi Faunus ictum dex Cele tra leuasset.Et quod fupra diximus, ex secundo Georgicon, Lauruserat: quod et Plinium imi tatum monebamus.  cipiol QUA Futuro NUSZ V v. gro Perfonarum vfus, et affectus. Videffet Persona, quorqueeffent, etquare affeettiones in verbis videamus; nequeenimre xae veteres dixere, Primam et Secundam fanitas effe,quiaprasentes demonstrantur: Tertiam infinitam, quia absens eft: cauffa enim quam affe runt, nulla est. Non enim omne abfens infinitu: nequefemper Secunda præsenseft: et Tertia præ fens aliquando est, et fempereffe poteft:no enim aduerfatur fermonis vfui, vt adsit semper id de quo loquamur, tametsi hocin rebuspofitum est. Ita igiturintelligendum eft, Primam, et Secun dam finitas effe,quia certædesignentur: lego, fižno me: Legis, ligno te: Legit, nullum cer tam signo,nisi quippiam addatur, Cato; Cæsar. Hamms and illud quoque crraruntquumdicerent, opus este aminimomo Pronomine ad præfcribendam Tertiam.Nam ct alime nesima iam fidicas,lllelegit:nointelligas qui sit, nifi aut preferat, aut demonstretur coram:ergo non fietvi higmi hann eema San. Pronominis sed Relationis, aut Demoftrationis, Sed et Primam, Secundamque Pronominibus tantum iungi, iam eftfupra refutatum: Vocatiuis nanque etiam fecunda adiungitur: vbifinalub intelligitur pronomen Tv, ne in cæteris qui dem fubintelligetur. Eft præterea aliud argume tum: Licet, inquiunt, dicere, Cæfar fum: er go Cæsar, est persona primæ: neque enim Ver bum variabit Nomen, ied NominisrationeVer bạm sequitur:Numerum fçilicet. et Perfonam. Quo pofupoint mir teachers Quoniamigitur Cxsar, estpersonæ primæ:potes " dicere, Sum. nam fiinco Verbo ea effet potestas, vt Persona Nomini attribueretur: efset etiam ea, qua numerus quoque affignaretur, etliceret di cere, Cæsar sunt. Proprium autem estPrimæ nondependereab » aliis. Caussa huius rei eft uia ipsa loquitur fem per: ergo etvtranque fibiaddicet: vt,Ego, Tu,et Ille facimus. et feorfum alterutrum: vt, Ego, et Tu:Ego, et Ille.Falsum estigitur, quod dixereve teres, Secundam fibi coniungere Tertiam:illo exemplo, Tu, etilli facitis:; et Tertiam feipfam, fic, Ille, et ille faciunt. Sed eft Primaquæ coniun. git Sccundæ Tertiam, et Tertiam sibiipfi: cac nim coniungit quæ loquitur, licet nonexprima, çur: quum de aliis loquitur,nonde feipfa. Numerorum Ratio etcauffa. Vmerusidēqui in Nominibus, ficut et Per fonæ. Cumenim Verbum fequaturnomi nis rationem, et a ratione proueniant affe ettus: af fectus quoq; eosdem efle par eft. Significat enim Verbum aut Accidens, aut substantiam Nominisstheti Cæfar currit, Cæsar eft. Ergo neceffario auta No mine dependet:aut etiam idem repræsentat. Pro priu autem Verborum eft, nullam vocem vtriq;» numerocomunem habere.Hoc apud nos:Græci imprudentius quitantã copiã haberent Teporu, defecere in difcernendis Numeris, et Personis.na in duali confudere personas: meter, turistev. in primasingulari, et Tertia plurali confudere namo  y numeros inszor. Soli Æolenfes, quorumpars fuere Dores, pluralem fine incremento posuere. In Nominibus autem et Pronominibus non i dem eft: vt, viri: sai.item Participiis pafliuis: vt, lecti. Hoc autem dicimus de Verbis eodem in genere:namin diuersisgeneribus voces inuenias communes: Docere palliuum Secundæ personæ; Docere actiuum Indefinitæ: cauffam autem su pradiximus. Infinito enim Græcipro Imperati vo vfi funt.  Affectuum ratio, et ordo. Orum affe ettuum quatuor tantum necessa rii (lineiis enim verbum noneft ) Tempus, Modus, Persona, Numerus: ac Personaquidem et Numerus,quemadmodu dicebamus,propter ea quod Verbũ a Nomine dependet, neceffe fuit vt aliqua in recouenirent:conuenirêtautein Per fona,quia a Persona proficifcitur oratio. Item in Numero cadem decauffa:aut enim vnus loqui tur, autplures:et aut de yno autdepluribus. Quæ rebamus igitur vter affcctus effet prior: ac Nu vinerus quidem amplior est, complectitur enim omnes Personas: præterea accidit Numero Persona. Equidem vnussum: poteftigitur, vt et Pri mæ, et Secundæ, etTertiæpersonæ subeam mu. unus. Tempus autem non videtur effe affectus Verbi, fed differentia formalis, propter quam Verbumipsum, Verbum est. Modusautem non fuit neceflarius: vnus enim tantum exigitur ob veritatem, vt dicebamus, Indicatiuus: cæteriau., 1 tem emob commoditatem potius.Genus autem an Gwojno it neceffarium? nam videtur, feclufa omnitum et tione, tum pafsione, conftare Verbum prima rium ipfum, Eft: nequeenim solum per Partici pium refoluimus, Cæsar pugnat, Cæfar est pu gnans: sic enim poneretur verbum Pugno necef sarium, quare Genusipfum quoque cffet necef sarium, in multa verba distributum, non intra vnum contentum: non igitur ficresoluetur, sed in Nomen, Cæsar est in pugna. Hærationes acu tiores sunt a philofophis profe ettæ. Verum non fit vera resolutio: poterat effein pugna, nec pu gnaret. Verba ipfaAdic et iua neceffaria funt, fic ut et Substantiuum: quemadmodum Acciden tia, ficut Subftantiæ. Vter vero affe et tus sit prior, Genalne, an Modus? Acgenus fane prius eft,vt qomus pouvez aliud fignificet A et ionem, aliud Substantiam: Modus autem generi accidat. Tres reliqui affe et us cuiusmodifintvideamus:nam Coniugatio Connig. eft, quod Nomini Declinatio: certa meta ac facies terminationis. Hoc autem cõpetit quatuor fpe ciebusdeclinabilibus. vt supradictum est. Com petitigitur Verbo, vt diettio eft declinabilis: ficut et Species quoque, et Figura. Coniugationes au tem quatuor fecere: sed et prima cum Quarta in multis eadem fuerat,Audibo, sicut Amabo: ad hucenim dicimus Ibo. Et confusa indifferenter Secunda cum Tertia: Ferueo, Feruo. et Prima cũ >> Tertia: vt, Lauere,Lauere. Etnonnulla extra ordinem:vt,Sum:cuius neque Præsens, neque Fu. ) turum, neque Infinitiuus cum cæteris conuc nit, vt ad caput certum reducatur: solum præteri € 10 id IDE All temi gir 2007 " tum Irl. V. tum gerit aliquam fpeciem, Fui:fed incertam: nam dicimus, et Explicui, et Docui,paricumillo analogia:sed inter fe diuersa.  Figura zeiasg, caussa. Figuram nominarunt partiu compofitionem: orta autem eft ab ipfa oratione, etceleritate vt;Versus facio, quod fuerat;fieret Versificor. l gitur prior fuit, quam Species: ex ipfa cnim oraa tione quæ essetex primitiuis nata eft. Placuit au tem vt eodem modo quod non effet compofitu; Figuratum diceretur: quu tamen fatis coitat per initia,ante quam Compofitio inuenta effet; Sim plicia ipsa nullius fuiffe Figuræ:quare per relatio pem potius sicdicta sunt. Proprium Figuræ est, mutare interdum genus: vt a Facio, Versificor: a Specio, Conspicor. Item Coniugationem:Stera nere, Cöfternare: quod etiam fine compositione fit,vt, Legere, Legare. Si a Fio passiuo ducas Suf: fio adiuum, etiam significatum mutari constats. Species;earumg significata,c. cauffe V Erboru Species, vt diximus, duæ: Primarioz rum, et Deriuatiuorum: fic.n. melius;quam Deriuatiua dicere: deriuantur enim, non deri Joeyguant.Deriuata duplex:alterain quanon mutatur modus fignificationis: vt Albeo,Albico. Altera Tisho in qua mutatur:cuius funtfpecieshæ, Inchoati ua,Meditatiua;Frequentatiua:Dcfideratiua,De frinmi.minutiua: Inter hæc Deminutiua non funt con trouerfa: nemo enim dubitat in Lo definentia cho promis. Ne Deminutiua: qualia,Sorbillo,Conscribillo. Errorautem antiquorum eft, qui dicerent mutas x ri significatum: non enim verum eft:idem enim fignificant,fed alio modo. Cauffaautem huiufce » terminationis fuit Græcus fonus: fic enim quæi dam Deminutiua fua pronunciarutueregexvideo At Inchoatiua, quæ in Sco, facerent: vtFerue- sco sco:recepta quidem sunt ab omnibus: sed recen i tiores in iplis negarunt inchoationem,idemque que no velle, quod ea, quæ a Fio componuntur: vt fit michoani Calesco, quod Calefio:quorum Præterita expo - 1 nantur per Fadum effe:fic,Macruit,macrefa et us eft: quæ Præterita, si fiat a Primitiuis, per Fuit, interpretemur:sic,Macruit,id est,macer fuit:quo nia Macreo sit, Macersum. Igiturnon significare Inchoationem, propterea quod apudVirgilium sit, Incipiunt agitata tumefcere.Cæterum eorum? Sententia ficelt perpedenda: Tumere,alio modo Examp. accipitur, alio Tumefcere:naqueMonstumet.no, tumefcit: at Fluctus et tumet, et tumefcit. Item Ignis calet, non calescit:at Ferrum igne calescit. vt fint verba, qua habet significatum perov, qua-» le seguovipou,calesco.Ergo,quemadmodum di cebamus, Qualitatcs,aut Accidentiailla,quæhis. verbis fignificantur, interdum sunt in fluxu,et,vt sitPlato in Craylo,ca Tu Cee interdum iam f xa. Quare per Primitiua dicuntur, quu sunt fixa: etenim in monte tumor iam non mouetur, iccir cocumtumere dicimus.At dum fluunt,per Ver. bum in Sco, explicantur: iccirco vbi erit Ver bumin Sco, poteritesseetiam Primitiuum, non e contrario: propterea quod habitus iam rV. introdu et tus est, quem habitum ipsum Verbum significat: fed non est idem modus: nam motus ille augefcendi,aut procedendi, a Primitiugde claratur. Igitur fluctus, et tumet,quiain eo eft tu mor: et tumefcit,quia tumortenditad alium gra dum: fic Crescere, eft Creafcere, id eft,accipere augmentum in Carne, agetoxgeas. Ex quibus conftat, non inepte di etta a veteribusIncohatiua, nondum enim explerunt vltimum fignificatum. Quod et in quibusdam verbis Græcis fatis per cefpicuum eft: xuw, est Vterum gero: atzvionw, eft Cõcipio, quasi, Incipio gerere vterum:significat enim incohatam xunav. quo verbo et Hippocra tes vfus eftin quinto Aphorismoru, et Aristote les in fexto historiarum. Quod autem tamper, tinaciter affeuerant, vt per Fio, interpretentur, idadeo mutilum eft: Si enim hoc verum effet,er verba actiua hac terminatione penitus care bunt, fignificatio enim eis nullo modo compe ter: atextant tum apud alios, tum apud Teren tium in Adelphis, Atque edormiscam hoc villi: quare per Fio, non sunt exponenda: sed conti nuatio. etaugmentum potius ineiusmodi agno fcenda funt. Pliniusautem in libro xxv. etiam u mollius loquutus est,Radix vasta, rubescens,te nera. quafi Centaurii radix non sit vere rubra, Curcu sed incohata rubedine. Carent autem Præteritis non propter fignificationem, vt aiunt,nam et i » psum Incoho, habet præteritum: sed quia non patiturformatio: quum mutuantur a Primitiuo, facilecõfunduntur interpretationes: vtsMacruit, Macer fuit, et pro eo, quod eft, Macer factus est. Vir: go th couha 1.41" Vi Virgiliusautem addidit Incipiunt: vtPlautus di xit,Pergispergere. EtMedici initium quarunda» ægritudinum diuidunt etia in initium,etaugme » tum, et ftatum: et multa fimilia inuenias iteratan tung Ergo igitur: Adeo ad eum: Longe fortissimus:et, » Cauencneges:apud Terentium, Sallustium,Ca-» tullum.Delideratiua quoque damnant, aiuntque itestonte genima corporis motum fignificare:vt, Viso,co ad vide dum: quale illud. Nam memini Efionem visen cti tem regna. Non enim cupiebat,quod agebatiam;remony ea nanque cupimus,quibus caremus: vnde Cor pora desiderata, quæ cæsaessent. Etqui Lacessit, plusquam Lacerat: et qui Vexat, plusquam Ve hit: non igitur desideratis, qui plus agit: Non sunt igiturqualeapud Græcos, itew. Nosvero sohez? ita cefemus:verba hæc parum differre a Frequen g. tatiuis,habent enim eadē et origine, et termina-> tionem,a Supino enim fiunt, vehemetiam igitur aetionis significare: quorum aliqua explicēt cam, per actionem cötinuatam.cuiusmodi dicta sunta veteribus Desideratiua, propter affectum animi intentioris: aliqua per actiones iteratas,cuiusmo di sunt Frequentatiua. Indideruntigitur nomen meteen consequenti rei ab antecedente deliderio, Re centiorum autem quidam Inchoatiua etiam au - x fi funt appellare:quoniam Viso, dicat, eo ad vide du.Sed quomodoincipiat videre,qui eat ad vide dum?nondu enim videt. Sed geftum,vt diximus,, significat animicorporisq; ad id propensioris:sic Cicero ad Petum. Vt videre te, et viserē, et cæna rem etiam. Quoniam vidētinter fe etiam qui no lunt videre: at visunt, qui cum cura. At, Vexasle. X 1 rates canibusmarinis: quo modo tantum inchos asse exagitationem, quum inchoare imperfe ctionemdicat, horum autem sentetia etiam frizmimpugmento fit. Alia autem frequentatiuain To, sunt: quoniam eorum Supinaeandem nacta sunt terminationem, Ventito, Vecto.neque frustra a fupinis du etta funt: nam alterum fignificattermi num ynde fit motus. Itaque Veet o,significat Ve ho, fed ita, vt semper in ipsa fim actionc, quæ ad „ finem tendit, quali Vectum co: nunquam igitur ), absoluit, sed iterat a et iones. Dormito autemino est frequenter dormio: cuius significati cauffa eft, quod qui leuiter dormit, repetit fomnum inter ceptum,aut interruptum. muzica Meditatiua autem optime fic funt a veteri busappellata,quæ in Rio, exeunt: vt Efurio, Co naturioapud Martialem: quibus formis tantum affeet um oftendimus, tamque intensum, vt nihil aliud meditari videamur.Non igitur nomen mu tandum eft, quod fecererecentiores, vt Delide ratiua potius vocentur. Nam desiderii cauffa co gnitio exmemoria. Desideramusea, quæ in po teftate noftra non sunt: at Meditamur ctiam ca, quæin nobissunt, vt ea exequamur. Itaque non defiderabat Cæsar proscribere, poteratenina: fed gestiebat. Iccirco dixit M. Tullius ad Attic. IX. Ita fyllaturit animus eius, et profcripturit iam diu.Horum autem caussam, etoriginem æquei gnorarunt: neque enim a Supino veniunt, seda » Futuro participio aetiuo: Quo tendis Gnatho? ad Pamphilum:Cuius rei ergo? Cænaturus, inde Cænaturio. Fue X 319 he a ne 10 al Fuere vero etiam alia verba huius ordinis, non ignota quidem illa antiquis: sed in hanc claffem min quum non redegere, minus re ette ab ipfisfa et tum fuit. Sunt igitur ea, quæ Imitationem quan dam significant,de quibus supra diximus: AGræ cis orta,in zo. Tres autem modos in ipfis animad vertimus: Aut enim fignificant apertam imita-; tionem: vt, Atticiffo. Aut minus apertam: vt 0-2 dinmw. neque enim Æschynes potius imitaba tur Philippum, quam fequebatur. Tertiusmo- 4 dus est quum dicimus Cyathiffare. neque enim autimitamur, aut sequimur Cyathum:fed trans latum est significatum a cauffa efficiente in in strumentum. Imperfonalium Natura, Ortus, Caussa, Vfus. Væ prisci tam Latini, quam Græci dixere primum quidem constat, quum et Numeroca - vox rere dicantur, et Persona: atque Numerus,vto stendimus, quam persona potior fit:dubitandum esse, an comodius Innumeralia, quam Imperso nalia dici debuerint. Verum illud maioris mo menti eft: quum verbum sit fpecies diet ionis,de-An? clinabilis per Numeros, et Personas,ab ipsisdefi nitum, tamen verbi fpeciem comenti sunt, quam vtroque carere putarint. at Generis fubftantia tota in qualibetspecieest, igitur et genericæ dif ferentiæetaccidentia propria inerunt Quierror vt clarius pateat: priuatim de his, quid illi sense rint, videndum eft, Xij. Im veni Des.  spany Impersonale, inquiunt, duplex,vnum Actiuæ vocis,quod imitetur aetiuorum tertias, vt Placer: alteru palsiuæ, quod repræsentet tertias passiuo. rum,vt Amatur: vtrunqueautem carere tum nu. meris, tum personis: nequeenim primæ, aut fe cundæ, auttertiæ effe, fed nullius. Hæcigitur vt Exam.sefutentur, paucula repetamus.Oftendimus Ver ba aut transmittere fignificatum in appofitum, aut proferri absolute: lic, Cæfar amat Lucinam, tranfmittiturhicactioamadiin Lucina: eodem que modo paffiuum quo pacto proferretur inue tum est, “Lucina amatura Cæsare”. Abfolute aute fic, Cæsar amat: et, a Cæfareamatur: nam tametfi scia' quidamet,tamen non edisseram:itaque cue nit, vt aliquando nulla explicata persona fignare tur:at enimuero nequeprima,neque fecunda, ne que tertia excludebatur,poflum enim intelligere lic, Cæfar amat Me, Te, lllum. Títum vero abeft, vtin paffiua voce nulla persona intelligatur,vtet iam neceffario tertia fubfit, fed incerta. Alii igitur vthoc euitarent, plus errarunt,Imperfonale dici, * propterea quod nulla persona, a quo id fieret, ex plicaretur:quu contra cõstetapud omnes, neque sit digna fententia quæ refellatur. Na a Parmeno ne dictum est dese,Statur: et a Vergilio de Ænea, Ventum eratad limen: et a Liuio de Tarquiniis, Reditum Romam. Præterea hi non re ette refpe xerunt ad obliquum: vt quoniam a et io, a quo pro diret, non indicabatur, personam subiectam ne garent. Non enim cum Obliquo verbu cõuenit, » led cu Recto.Igitur cum Rectu subintelligamus, fubintelligitar et Persona. Nequevero ad neutra confugiendum est, qualia agnouere, StaturCur, ritur: nam Stare ftatum, et Currere stadium, et Vitam viuere, et Ire viam dicimus: et Decurfa spatia, et Vitam euitari, et Mortem obita legimus. Alia enim etfi videbuntur absurda consuetudine reclamante,suapte tamen natura talia funt. Quin etiam legimus Tellurem inaratam, et Pyros insi+ 1 tas. Quare quæ Verba non patiuntur eiufcemo-, di constru et ionem, ne hunc quidem loquendi « modū admisere, qualia funt, Egeo,Gaudeo. Quu enim Obliquum poftulent, non potuit dici, E getur: quod poftulat Rcetum: quod fi aliterre periatur, hoc fiat, propterea quod prisci aliter quoque fint loquuti, quemadmodum Cato, Ca reo pecuniam. Si igitur fubie etta Personaintelli gitur, Numerus etiam intelligetur: qui etsi non » præfcribatur, tamen ad singularem referretur:vt, Quid fit Gnatho? Editur.licet multa esitet, tamē fingula disponas ad intelligendum. Quodfiquis a verbisin or, aliqua ducta pro exemplo habeat, is animaduertat, quod esta nobis diettum supra, Verborum mutataesse genera, Opperior, Nu., trior, Pascor, et alia, quæ a Nonio in libellum re dacta, recenfitaquesunt. Atinavocisimpersonalix. ws WE E A doirrepsere, quãdo Reettus, cuius auspiciis » Verba in Numeros, atque Personas circumagu tur, latuit nos. Nam hoc, Placet mihilucubrare: idem sitatq; hoc, Placet mihiamor præsens. Iam so Qindivorce to Pianua idem effe docuimus: quare X iij. fatis s sus fatis patet,nehæc quidem vocanda esse Imperso. nalia. Aliquot tamen sunt vfu potius distorta, quxintegra nihilominus aliquando fuisse necef Rc feestinter quæ ea numeratur,Pænitet,Piget, Pu det, Miseret, Tædet:nam Obliquis coniungutur: sicut etiam distorsit Plautus in Captiuis,Nã post quam Rexmeus est potitus hoftium. Noseam af peritatem in meliorem receptam legem emolli », uimus, et interpretamur verbum Potitus est,pal fiue:subintelligimus,vi,aut opera:sicut xxięnv sub intelligunt Græci et Sallustius, vtsupradiximus. Ita, Miseret mefortunæ tuæ: id eft, vis tuæ fortu facit me miserum. Sic fuit in verbis integris, Misereor tui: miser fio tuigratia. Argumentum huius rei maximum eft,quod horum vox singu lari numero remanfit, vt fit του το αρέσκει μοι, ήγειω To Qingv. Duorum autem naturam male funt ve teres interpretati,vt Interest, et Refert,quum sex to casu putarint ftatui, quum pronominibus ad derentur: Interestmea,vt effet,In re mea eft: et, Mea refert vt effet, Fert re mea, nunquam.n.fue ccre Imperfonalia: nimis enim delicate potuitve nire in mentein istis, vt verbum Substantiuum fa cerent Impersonale: quod tamen necessario sem wper aliquid vere statuit. Sed ita fuit, Interest mea legere, vt meæ partes suntlegere: Intermea,hoc est quoq;legere. Et alio verbo, Legere fert mea, id est,repræsentat mea negotia. Sicigitur tam aetiuæ, quam pafsiuæ vocis hæc verba fefe habent, verum in vtrisque eft quæftio: nam dubitaruntan dici poffet, et quomodo, Vi Anbi deturmihite fuiffe Romæ. Multi enim magis * do et i  16 ly doeti ratione, quam cxercitati le et tionc, Latine dici pofse negarunt: verum ea loquutio etapud Græcos, etapud Latinos inuenitur passim,et han bet rationem: totain. oratio illa infinitiui depen det ab articulo, fic, Videtur mihi hoc,te fuiffe Ro mæ. Ita Liuius de Gallis: Eam gentem traditur fama,dulcedine frugum, inaximevininoua tum voluptate captam. Xenophon quoque, * ğ xvpor “σεις ταύτιν Σποκρίναοθαι, λέγεται”. Ιtaloquutus est Aristoteles quoquein x. historiarum. Altera dubitatio est in his verbis, Pluit, Tonat: nondefuereplanie? enim qui Impersonalia ausi sint dicere, nimis fa neleuiter: eodem enim more subtra et a persona est, idque facile, vnus enim eftqui id agat, quare absolutæ potestatis appellatasunt ab aliis. Proxi ma his funt Germinat, Florescit, quæ ad terram referunt, atquealia in anima, quæ feipfa in pri mam personam recipere nequeunt: fed de hissu praquoque ampliusdictumest. Affectus verborum communes. Proprium Verborum eft, non folum mutare Genus,Coniugationem, Modum,Significa - A tionem, etNumerum, vt tu Wa essvēra uza: fic ut fupra diettum est: sed etiam Casus: Ausculto seni, et fenem. Item vt confundunt Personas, Statur: fic confuses explicant, Cæsar scribo, Cato fcribis, Cælius audit. Proprium etiam creare 2 ex fefe alias partes, vt Nomen, Creo, Crea tor: neque femper pleno fignificatu, nanque a mouc TOMTS, coar et atur ad carminum tantum Xiiij auto De e LI 2 1a. in 324 IvL. V. autorem, Latinum vero, Faetor, ad eum qui o leum faceret, folummodo. Aduerbia, Fere, Age. Item creari a Nomine, Strues, Struere:Imperiu, Imperare. Sed et creare aliâs generis nomina, quę verbalia non dicantur, vt a Do, Dos. Illud etiam obseruauimus eorum peculiare accipere significationem ex alia actione, riw, eft cibum capio. Atquia e cibo oritur fitis,iccirco Latiniea occa fioneid verbum recepercad significandum quod fequebatur,quippe, te doebav. Igitur patitur etiam amuegia. Etponitur proAduerbio, Age, Sodes, Amabo: pro Coniun ettione, Licet: etin compositione, Quam uis, pro Nomine, vt dixi mus ex Ouidio,Sæpe Valedicto. IV LII Asia. 1 Pre Un Pronominissedes inter partes,Ratio, Diuifio. PARonomen qaidam ante Verbum ono. posuere, alii etiam poft Participiu tractauere: vtriq; male. Priores co redarguatur, quod Verbum necef faria vox est in oratione: Prono men non eft neceffaria: nullum enim Vicarium neceffariu. Igitur si Pronomen semper loco Nominis ponitur: posito Nomine, Pronominis vsus nullus erit. Quod autem Pronomen przcedere 2 debeat Participiū, sic demonftramus: nam Parti cipii Ognificatio ad Verbu reducitur, modus sig nificationis ad pomen: Pronominis auteet figni ficatio, et modus, ad Nomen referuntur: plus ha bet Participiū Verbi,quam Nominis:Pronomen penetøtu nomen eft: atNomen eft prius,quam Verbum: igitur et Pronomen,quamParticipiu. Definitionem aute more noftro ex vi Nominis X V. clicia 1 316 IvL. VI. 1 Vox. eliciamus. Pro præpofitio,vtin libris Originum plenius narratum est, quum multa significet, id u habuit genuinum,vtvices indicaret. Pro Milone dixitM.Tullius: id est, obiit munus, quod Milo debuerat exequi. Fuit eius etorigo, et vfus a Græ cis. Nam tametfi frequentius fignificat Ante, to awes, tamen apud Herodotum in Polymnia legas etiam aegav digtns: sicut nos pro caftris, etpropa tria pugnare. Ergo videture nominc oriri defini shyo tio,vtPronomen (it, quod pronomine ponatur. Nam quemadmodum dicebamus, quædam re rum notæ sunt: vt, Nomina: quædam notæ « Nominum. quippe ad hanc vocem Nomen, si quæramus vt aliquid reddatur: fic, Cedo mihi Nomenaliquod:cotinuo dabo vnum quippiam, Cæfar, Equus, Enfis. Item Cedo Participium, Orationem, ratiocinationem: ad hæc non res, fed voces reddentur. Ab horum igitur natura non videntur abhorrere Pronomina: nam fi di xero, is, aut ille, aut, Ego, non ftatim interpre tentur perres ipfas:per sed Nomina, fic, Is, Ca to: Ille, Antoninas: Ego, Cæsar. Græci autem rem ipsam hanc candem expressere, sed paulo licentiore voce vfi funt. Etenim avtwuia non estipsumhoc quod pro Nomineponitur:feda et tio quædam, qua ponimus Nomen pro Nomi ne. Cæterum acrius, profundiufque intuenti fortaffe aliter res fefe habere videatur: tantum enim abeft, vt pro Nomineponi quis pPomba, vt + etiam prius, vetuftiusque intelligamus Prono i men quam Nomen. Quum enim quædamfint demongratiua, vt Hoci ctiam ignoras irei Nomen demonstratæ aliquid significabit. multæ res carent nomine, per Pronomen demonstratiuum intelliguntur: ergo pro Nomine non ponitur, quod nomen fane nondum extat: eodemque modo significabit,quo modo significant Nomi-" na hæc, Res, Ens: vtcommunis nota quædam fit. Dico autem, codem modo: quia communi quadamæque circunferutur significatione:nam modo alio diuersa sunt: quoniam illa simpliciter significant, Pronomen autem Hoc, per demon-” strationem. Non igitur pro Nomineponetur, nihilo magis quam Řes, aut Ens: sed to ti statim acfinemedio notabit. Præterea Ego, et Tu,in-2 diuidualitatem ftatuunt magis quam nomen Cæfaris, et Catonis: neque enim quum dico, Ego, potes alterum intelligere, neque cum altero com municare: quum dico: Cæsar, etiam in alterum transmitti poteft intelleetus: vt non folum non ponatur Ego, loco nominis huius Cæfar: sed et iamecontrario, nomen ipfum Cæsar, per Pro nomenad certama substantiam præfcribatur. Vt etiam plus errarint, qui sicsentiut, Ego effe Pro nomen, quoniam pro Proprio nomineponitur:* fic enim etiam nomen Appellatiuum esset Pro nomen, cum dicam,Homoloquor:ponereture nim pro Cælare: fed fubftantiam meam ftatim fignificat, non nomen meum. Præterea fibiipfi cõtradicunt: negant enim poffe ficmeloqui, lu lius scribo: fed fic, “ego Iulius scribo”, ergo pronomine non ponitur vt vicarium, sed ut primarium. Neque Verű est, quod aiüt, appellatiuu in Propriu resolui.sunt.n.nomina quædam generica, et specialia seorfum a propriis,quæ nunquam resol uuntur:vt Piscis,Auis, Homo: quibus potest attribuioratio, et ad eaetiam conuerti: veluti quum humani generis miserias fleam, ficinstituam, o homo,genus infelix, Tutibi paras infortunium. PronomēTu, eft fpeciale. Eadem ratio sui comparis, Ego: respondere enim faciam hominem pro tota specie, sic, Deus me talem creauit. Sed etalia exempla sunt commediora, vt in nominis bus Collectiuis, Auditu populus Albanus: Hæc dicit populus Sabinus: Ego non ceda tibi lare pa trio.Quid igitur? aut nihilintererit inter Nome etPronomen: aut etiam Pronomen erit præstan Joba, tius Nomine?Minime:fednomina inuenta sunt, quia resnobifcum ferre nequimus: itaque sem per significantfine adminiculo. At Pronomina, w autreferunt Nominaiam pofita, aut egent præ sentia loquentium: et per se nihil ftatuunt, nisi u aut Nominibus adiuta: aut præfcripta demon uftratione: iccirco communis hæc natura'eftinda ganda. Sicitaq; alii definiuere, Diet ioinflexa ca Libus,indiuiduam maxime effentiam fignificans, fine vlla quidem temporis,fed nunquam fine de finitæ personæ differentia. Verumnequaquam 1 Aduerbium Maxime,inferendum fuit:æquabilis enim est omnis definitionis vis: neque recipit in tenfionem aut remiffionem: neq; plus fignificat effentiam indiuidualem Pronomen Ego, quam Nomen hoc indiuiduum, ne quis dicat Aduer bium illud positum esse ad nominis difcrimen: Neq; essentiä significat potius, quam ipsum ens: quum enim dico Ego, no significo mcam humanitatem: id eft, hominis formam,qua homo fum: fed totu hoc quod sum: ncque potius effentiam, quam essentias.habent enim etiam pluralem nu merum. et relationem æque multa significant, non essentiam: immo etiam plura. Nam ab Ego, duo habes, Meus, et Nofter:a Tu, totidem: a Qui, item duo,Cuius, et Cuias. Præterea cætera relati ua, qualis, Quantus, atque eius modi, omnia di cunt accidens, non substantiam. Quin etiam obliqui casus illorum rclationem notant, sic,Ensis Illius:non significat hîc ensem, fed poffeffionem, etcnsem consignificat. Tertius error, cum ne - 3 gant vnquam Indefinitam perfonam a Prono minestatui. Omitto quod vocem hanc Nunqua, male inseruerunt definitioni: nam definientisa tis est,dicat,Est hoc, aut hoc: sic,aut sic: definitio enim intelligitur competereper se, et omni, et vni, et femper. Sed demus hoc Grammaticorum fupellectili curtæ,at illud falsum est, Multa funt, Pronomina, quxcuiuis adhæreant personæ, Is, lllc, Ipse. Ille ego,qui quondam: Ipfefubibo: Is fum Quirites, quem me effe voluistis, Ergo non definiunt personam,fed ab aliis definiuntur.Item Meus fum, Meus cs, Meus eft, et vt ait feftiue Plau » tus, Noster sum: in quo nihil a nominibus diffe runt, quæ non variata voce varias recipiuntur in personas. Igitur aliter quoque definitum eft: Quod certius, quam Proprium nomen signifi- soc. cat.Hoc autem falsum est: certiorem quidem rem poteft significare, scilicet præsentem: at certius non poteft: Etenim sine medio Propriu nomen fignificat indiuiduum suum, præterea non cuiuis competit Pronomini: quis enim dicat, Meus, Tuus, certius significare, quam Dauus, Syrus?. Immo nisi aliquid apponatur, nihil significant: Quum enim relatio non in vna tantum reinue niatur, fed intes plura, nisi aliquid addas ad quod Resoben illa referantur: corum fignificatusvix extet. Nos igitur aliter sentimus: Pronomen a Nominenon differre significatione, fed modo significandi. Hæc autem differentia eft triplex:acquemadmo dum,Par et Impar, non cuiuis numero vtrunque fimul, sed certo alterutrum competit: ita hiaf fectus, quos Modos significandi diximus, alius alii competit Pronomini. Primus est, quod rem præfentemindicant loquenti: id quodnon facit Nomen:vt, Ego: aut etiam ei,quicum loquitur: cevt, Tu.Atque hæc poffuntponi, nullo nomine fubintellecto:rem enim ipfam ftatim per fpeciem intelle etui repræsentat, non per nomen. Alter 2 est, quod pro Nomine ponuntur, vt Relatiua: Cæsar bellum geffit, isvicit:idem estCæsar vicit. Tertius est quod non folum pro Nomine ponun 3 tur, fed etiam cum Nomine, vt ipsum repræ fentent: Ego Cæfar. Ex quibusipfa Definitio colligi poteft: atque ex Definitione Diuilio cer tas in fpecies, quæ de manu veterum afferendz funt nobis, atque vindicandæ: ipfi enim Relati prone vum Quinegarunt Pronomen esse, peffimo qui dem consilio: quum fecundum eorum definitio nem, quænihilaliud ftatuit, quam pro Nomine poni, totam eam naturam,ac multo melius quam Ego, et Tu, fibiassumat. Nam fi Is, Pronomen est, quare Qvi, non crit? idem enim Vfus vtriuf que, etForma, id est significatio, et materia: nam fuit real d's,Quis:ro, Qui. Par error etiam quum » + Relatiuum substantiæ appellarunt, refert enim etiam accidentia: vt, Calorem, quem vides,con traxiex ira. Quare alio modo ex diuisione nun cupandum erit: non ficut fecere. quibus Prouo- + cabulumpotius dicere placitum est. Nam Voca bulum eft quodcunque in voce consistit: etiam ipsa Verba Vocabula sunt: quis hoc neget: nifi superstitio Grammaticorum? potius nutus quif-» piam,aut oftengo aliqua.Prouocabulum dicatur, quibusloco Vocis,et Vocabulivtamur. Diuifioautem fiet,ficPomba Nominis:nam alia Sprej dicentur substantiua (vtemur enim vocabulis re ceptis ) alia Adiectiua, non quæ Substantiam Roho tantum significent,fed etiam Accidens: vt, Isco lor. Sed quia non repræsentant modum acciden tis, alia autem ftatuunt ipsum modum, vtMeus: nam sicutSeruusfignificat poffeffionem, etcon ť fignificatsubstantiam: fic etiam Meus. Quare er iam Relatiua, alia dieta funt Subftantiæ, vt Qui, as Is: propterea quod line fubftantiam fiue Acci dens referrent,modum ipsum apponerent Sub ftantiæ: quum enim dico, Is color: tametlico lor in corpore est, tamen non indicatur a me, I quatenus eft in corpore. Alia dieta funt Acci identis, non folum quæ Accidens natarent, fed Anhmpi etiam quæ consignificarent Substantiam. Nam Quale,significat Accides vteftin substantia.Re centiores autem leui nimis de cauffa Qui, inter + Pronomina recēluere: propterea quod,inquiut, quorun: nlah IvL. VI. quorundam Pronominumdeclinationem feque Į retur, Hoc autem eft ridiculum, Affectus variare Subftantiam accidit enim Declinatio Pronomi ni. Itaque etiam vsu mutantur. nam quod dici mus Alterius, fuit olim, Alteræ,in fecundo cafu 2 feminino. Præterea multa Pronomina Nomi num fequuntur Declinationem, Nominaigitur erunt.Ego,Mei: Tu, Tui: Meus, Mei. Et contra, NominaPronomipurn: Vnus, Vnius: Solus,So grozilius. Ex quibus constat Pronomina Relatiua ac cidentis resolui in substantiuum cum ipso acci dente quod referunt. Nam Tantus, eft nomen confulam fignificans magnitudinem. Sic Tan tus Aftyanax, Tantus Hercules: id est, hac, vel hac magnitudine. et fubdam, Quantus Syluius, Quantus Cæfar: id eft, qua magnitudine. Ea dem ratio et in cæteris:Qualis.quo colore: Quo tus, quo ordine, etreliqua. Proprium Relati omuifubftantiui eft fle ettere naturam fuamin ora tione, ficuti de modo Indicatiuo dicebamus: id fit ei tribus modis: Interrogationc, Quiestis vos? 2 Negationc,Nescio quam in gentem veni:vbiec 3 culta est quædam relatio. Occultior autem etiam in illo, Quid hominis es? vbi vim quandam No minis fubiiffe aiunt: fed vfus hæc flexit. Hincet iam elicimus,quod veteres omifere, Adieetiuum + etSubftantiuu, non efle Nominis affectiones aut differentias, vt Nomen est, fed vtest Dictio.com petit enim etiam Pronomini. Atque erroranti + quorum patet, qui putarunt Pronomen a Nomi ne diffcrre: quoniam Nomen nullam personam determinet: Pronomen autem certam ftatuat. Nam et Vocatiuus Nominum certam ponit: et, Ipse, llle, atquealia non certam. Illud quoquecon topresent templandum est, quod aiưnt, Pronomesine Dest monstratione, aut Kelationenihil significare.Act fententia quidem vera eft ipsa, sed oratio minus at bene compofita: vsi enim sunt voce demonstra mulher se tionis,pro repræsentatione. Neque enim qui di Evden cit, Ego, semper demonstrat: nam quemadmodu meablenti tibi demonstrabo, quinungmgmuli?Iyon a casa lus vides? mispoloma 1322878 Ambigitur autem etpræter hæc, Alter, et Neu asygoiza delo ter,atque eiufmodi,sintne Pronomina. nam qui dam ipla vocarunt nomina Partitiva:sicut On nis,nomer Distributiuum. verum enimueroli Si quiseorum ortum fpectet, inveniet effe Prono-so', mina. Est enim Neuter, non vtero et Alter; alius yter: at ipsum Vter, Pronomen effeconstar: non / enim differt a Qui,nisi per modum: quoniã duo bus tantum apponitur Vter: Qui, vero pluribus., Quare etiam Alius, pronomeni eritidiffert enim Ali ab Alter, sicutQui, ab Vter: atq; exponuntur per nomina lic, Vter fecit? Cæsar?Non: Alterfecit. Quisille alter est? Cato: neque enim alio mo do ponitur,quam fi dicat, ille fecit, non hic. Est autem Vter, oĚTERG'Alterjan GuerepG itern cę=> ter, ngungo. Quare etiam Omnis, et eiufmodi Ommi erunt Pronomina, suntenim signa Nominuine-, quenumerum significant, effent enim Nomina, vt Vnus,Duo: sed niotæ tantum funt Nominum. Quum enim dicis; Quis homo disputat? et refa pondes,Omnis hocsignificat;atque si fingulos homines nominatim redderes, vfque ad vnum Y jo ýitie int nh T. 334 IvL. CÆs. Seal.VI. vltimum. Videbitur autem quibusdam absurda hocpropterea quod fignificet Quantitatem: fed non ita est: imo vero hignificat Distributionein a etionis,aut eiusmodi in quantitatem. itaqueper Pronomina quoque cæteræ propositiones expli cantur, Quidam, Aliquis. Dubitabit autem quis. * wley piam,Nullus, Nomenne fit; an Pronotnen, ete nim ab Vnoducitur: at Vnus Nomen est, quãti tatem enim, siue principium eius significat. ad shoc fic refpondemus: Nomen esse,etinopia ser wimbonis vsurpatum pro eo quod effet, Non quil. quam. Eft autem origo ipfius Omnis, Greca, couco, vt Collectionem et Distributionem, non Quantitatem accipi intelligamus. Pronominum affe tus. Ronomina afficiuntur quib. et Nomina, Speranter. Primæ Speciei, “ego”, “tu”, “sui” Deriuatx, “meus”, “tuus” “tuus”. Genera in quibusdam distin et ta, “meus”, “mea”, “meum”. In quibusdam conueniunt, Ego, “bonus”, “bona”, “bonum”. Numeri duo, “Ego”, “Nos”. Personæ: tres: “ego”, “tu”, “ille”. Figuræ duæ: simplex, Ego: Composita, Egomet. Casusalii alijs, neque numero æquali. Ac de Specie quidem, met Genere, Numero, Figura satis conuenit: de Ca duautem non in omnibus. Circa Personam quo que non idem sentiunt omncs. Ad hæcigicur in telligenda, vsus ac ratio corum cxaettius suntper perso fcrutanda. Signantur igitur duæ personæ, Prima, ac Secunda duobus tantum Pronominibus: at Tertia pluribus.Non quia Prima, et Secunda, prę fentes funt, vt dixere: non.n.id verum eft: nam quamobrem Epistolæ sūħtinftitutæ? Sanein his abfentes loquimur deTertia etiam präsenti al $ terutri scribentium. Sed quoniam et qui loqui- » mur, et ad quem loquimur, vnico intelligimus modo: at tertiam non vnonam aut monftramus, aut absentem referimus: fic enim distinguimus, vt alia fint Demonstratiua, alia Relatiua quæ fia ne discrimine vtriusque naturæ vices fubeant, Demonstratiua autem laxa, vt diximus, voce: nã aut præfentem sensibus,aut intelle ettu:Non quệ. + i admodum scripsere, fic, præsentem autad oculu, aut ad sensum: quasi vero oculus senfus non fit; quali vero si de voce loquar, oculo percipiatur. Itaque demonstrato colore,aut sono, aut fapore, aut odore, aut retactili, sensu constitui ostensio De nem dicemus. fi dicam, Hic motor, cujusvolun 16 tate orbis rotatur: intellectui præsens demonstra i bitur. huius generis est Hic. sub quoetiam alius moduscontinetur:interdum enim quod non vi I demus nos,alteri,quicum loquimur,demonstra al mus. quippe rem iplius præfentem fenfibus, aut y notam intelle et ui:huius generis est iste: absen-> ti enim fic scribam, Ista tua cura, quæ te angit: Iftud Mufæum, in quo scriptitas. Neque enim prisci re ette fcripfere, Pronomen Iste, lignificare + præsentem personam: fic enim fcribam, istud tuum prædium, in q diuerti fessus de via, abest ab vtroque noftrum mille paffibus. Præterea i pa pfi fibicontradicunt:aiunt enim, Primam et Sccữ + for dam non variari per genera, quoniam presentem Y iji rem semper indicarent: ergo ifte, quomodo per genera variatur, fi semper præsentem perfonam + indicant? Alter quoqueeorum error, quum HIC, appellarunt Pronomen præpofitiuum, iccirco, quia fignificet primam rei cognitionem: id est, " quod reddaturinterroganti,fic, Quis fecit? Hic. lam omitto pessimum loquendi modum, neque enim significat cognitionem rei, fed nota eftco 2 gnitionis, significans rem. At enimvero etiam subiungitur relative ficut etiam Is, frequenti vsu Cæfaris, et Salluftij, nimirum vtriusque origo ea a dem est.soxiglfee:oxe, Hice, a quo per Apocopen, Hic:nam lones:, pro o, dixere. q An vero, q aiunt,verum eft? Primam et Secu dam non variare vocem per genera, propterca quod præsentes semper fint: 1 ertiam variare, il lella, illud: quianon (int præsentes; quæ sub ter Rc tia circumferuntur. Atquehociam a nobis reie ' ettum eft.Namque quod appellantPronome Demonftrativum “hic”, “hæc”, “hoc” variatur, ac præ fens tamen ab ipsis femper ponitur: itaque suis ipfitelis pereunt: pereunt vero et noftris: non e 2 nim semper præsentes inteľ nosloquimur. Quid enim ex vltima Germania fcribat ad me puella, atque ego refcribam? Amo te,inquiet: ia hicge nus neceffarium eft: vt fciam, amicusne ani amica bene de me fentiať. Quærunt etiami, qüum Pri. ma, etSecunda certis feratur numeris,quamobre Tertia non distinguatur: Quoniam,inquiunt,ex antecedenti numero moderamurfequentisper • fonæ intelle et uri,sic, Ipfe se interfecit:ipfæ fe in Renterfecere. Atenimvero ratio hæcnulla eft: nam priimum dicam, Græcos non carere numero plu rali, ex tOY, łauto's. Deinde hoc modo foluentur- 2 oinnes quæstiones; Mobilia enim Nomina, non erit pecesse variare: intelligimus enim fexum ex præcedenti substantiuo, et Casum, et Numerum: lic et verborum ratio vnica voce eadem fit, qua. lis qualis præcedat: Cauffaautem huius rei fuit Græcorum imitatio: nam tametfi in composito distinguant, vt posuimus: tamen simplex vox, tou vnde noftrum Se, communis vtrique numero fuit: id quod non tam consulto fecere illi,quam cc euenit forte, vt etiam in multis: Nam quid limi leințer fyw, et nueis: rv, et vues? defe et u igitur multa funtinnouata, fuis deftituta, aucta alienis, ficapud Latinos, Ego, Nos, Tu,Vos. Quare vt eum errorem emendarent, addidere alterum Pro nomen quod afferret et numerum, et genus.Grę ci antes; nos, ipse. Ealov, seipsum. Quod autem chicafferimus,verum effe fatis constat,quum in ca » ulibus quoque non inuenere vocem, qua differtent. Nihil.n, intelligas diuersum, cum dicis, Se interfecit Cato: et,Seauthore voluit Cæfarem in kerfici. Orationis enimvi percipiasCasuumdif Kerentiam,vocis autem fexunon percipias. Assi egneatigitur rationem, quare duorum Cafuum, esnaxime'diuerforum, idem fit fonus. Relatiua autem funt Is, et Qui, vno modo: ree nila tina? cerunt enim rem jam positam. Altermodus este quum relatio fit per reciprocationem,hæc vnica Elantum, ocem habuit in Pronominibus, SE. Exemplum veriųfq; esto fic, Cæfar optimus.jma.» perator, atque vir fuit clementiffimus. is Gallos pue Out Y 'iij.  VI. pygnando, et seipseignofcendo,vicit. Inter hæc. connumeraruntetiam ille. Nonpessime sentiut, fed exemplo vtunturnon bono, e feptimo Ænei. dos, -- Sic Juppiter ille monebat. At enimuero in exemplaribuslegitur Ipse, non autem ille: neque enim refert Iouem, cuius no men ibinufquam positum eft: eft enim Ule, Iste: non dicas igitur hocloco, Sic is luppiter mone bat. Quis tandem füppiter? nullus enim ibielt. Quod li in quibufdam fcriptum inueniatur, vt volunt, Emphalim intelligamus: vt, Thais illa Corinthiaca. Eft autein miltæ naturæ, atq; indif Ce ferentis,tum ad Relationem, tum ad Demonstra tionem primi exempla frequentissima. -Teretesfuntaclidesillis. ato -Ille etterris iactatus. Oftendit autern in Sexto, Ille triumphata caputolta ad alta Corintho. demonftrat enim Mummium. Differunt autem Demonftratiua abRelatiuis, quod Demonstrati uaftatuunt primam cognitionem: vt, lste tuus animus C.Cæfar te perdidit. Relatiua autem eam iterant fic, Is te reddet immortalem. Nam quod Gaiunt, boc Pronomine Bíte, propinquam rem fi pang gnificari: hoc Pronomine lile, longinquam; non plane verum eft. fed ita accipiamus,vt Iste 11. semper referatur ad rem,aut perfonam,adquam loquimur, vtin Secunda in Antonium. Iltis fau cibus, ista gladiatoria firmitate: id eft, tya. Istam vrbem appellabo cam, in qua agit is, ad quem fcribo: illam autem, ab eo remotam,aut istạm vrbem de qua locuti fumus, Quoniam eius ori, gouls, parem vsum habet. Sed et aliquid præsens» $ E Iitud, appellamus,vt apud Quintilianum, lite iuuenis.Et de eodempaulo post,Hic iuuenis.Se cundo modo vsus est Gellius: Brundufium ve ni, atqueisthic offendi quendam: pro, Ibi: atque fi dicat, Ifto in oppido offendi:vt,æque dicatur, Isto oppido, et Eo oppido: quoniam ifte,lit, ls, Te Atipse, commune omnium personarum est: upan dicimus enim, - Ipseferam teneralanugine mala. et, Ipse vides: et ipseratem contofubigit. Quare quuin Tertiam assignarint, minus verea Prima, eta Secunda 2-, mouere.nequeenim recte probant sic: Dicimus, inquiunt,Ego feci,Tu fecisti, Ipfe fecit: quare si cut Ego,est primæ; Tu, fecundæ: fic Ipfe, Tertix. Huic nosad hunc modum et refpondemus, et obiicimus: Si Ipse, non effet omnium personaru,» noniungeretur Primæ, fic, Ego ipfe. Neque vlus) lam figuram effe in toto ambitu literaturæ, quay: Prima cum Tertia iungipossit. Item dicimusno effe verum, sic poffe dici, nifi prius aliquidsub- ») + fic quod referat: exempli cauffa. Quærit Anto nius de O auio, et Lepidum alloquitur: Quis patrauit parricidium Ciceronis? nonpoteft dice rede Octauio,Ipfe fecit: nis O et tauium nomina rit.efteniin relatiuum: fed commodius etiain si senon nominat, potest dicere, Ipfe feci. Sednul- + gantur etiam cum dicunt, Verbum ipfum Primæ perfonæ habere intellectum Pronominis Ege: quoniam si sic dicas,Feci:neceffario intelligas, E go.igicur poffe ponicum primaVerbi,quia pria. maPronominis fubfit.Verum de Tertia quoqne idein CIE 16 1016 7.50 del adi Y iiij. VI. bigo ling 0 idem intelligas,Fecit, habet intellectum prono 2 - minis Tertiæ. Præterea Gcut Relatiua cætera o mnium funt personarum:fic etiam hoc: nam eius see metha ho qual harorigo est ab Is: Ipse. at, is sum,dices: et, ls es: et, is est. Addunt alterum augmentum. interro ganti, Quisfecit? nüquam respondebimus, Ipfee pro, Ego:aut pro,Tu:sedpro Tertio. Hic eft'fal lacia fimul et falsitas: Fallacia eft,quia fi dicas lp: fe, et oftendas Tertium, recte dicas: fed etrede cefite oftendas, auteum quicum loqueris: Nutas enim et ostensio statuunt primam cognitionem, quam iterat Ipse.Si autem nullum oftendas, fal sum est,fic poffe loqui nos. Quis enim eft ifte ip se? Acutius etiam intuenti apparebit ratio: nam ce interrogatio est in tertia persona verbi: itaq; fa cile reddas Ipfe fine verbi repetitione. At fi dicas fic, Iune fecisti hoc? possim refpondere, Ipfe fane: etiam nullo verbo repetito. 2'Præterea quis nescit; Affirmantis, et Interro: ganuis, et Respondentis orationes non differre nisi modo quodam? igitur Aeneas quum dicit, Quæque ipfemiserrimavidi.nonneinterroganti Reginæ fic, Vidifti ipfe? refpondeat, Ipfe. Respon demus tamen certius, et commodiuspalia, Hic, w ] ste,ille, ficut et Græci, što, deiva, cileivG. Pru udentius igitur fecere, qui Fi@ yuanxov appella uere, propterea quodomnibus subiungeretur p fonis, quasi ordinarium additamentum intelli e gas. Consultius autem etiam,qui dm et Tixev,pro pterea quod intenderet significatum. certame nim rem ftatuit, atq; circūscribit:plusenim est, Ego ipfe,quam Ego.Iccirco pro Solo,etiam sunt  interpretati: at id euenit pro structura orationis, atque yi verborum: yteoversue Sexto diuinio peris, Iple ratem conto subigit. Quum enim ne- > - minem, præter Charontem, nominaffet, retulit = eum in fingulari. quare etiam folum intellexit Sed fi duo aut plures fuissent, poteratetiam fic, Ipsi ratem subigunt: vbi nihil effet solitarium: Sed nunquam Grammatiçi desinent ineptire: ve slutiquum ausi suntdicere, effe hoc versu Nome, + non Pronomen: et tamen eftloco eius nominis, Charon. Sed æque est, atque sidixiffet,idem.In terdumvero etiam additum nihiladdit:vt apud Ciceronem, Quiante seipsum Consulfuit. Vfos autem fuiffe veteres aliter hoc Pronomine, quam ab istissit obseruatum, oftendimus in O triginum libris. vtaliquando quasi loco Adner.no satiuæ, autSubdifiun et iuæ capiamus:velut apud Catullum eo versu, Namcaftum effe decet pium poetam _ Ipsum: verficulos nihil neceffe eft. Etapud Virgilium in Tertio, Portus ab acceffu ventorum immotus, etingens Ipse: fed horrificis iustatonatAetnaruinis, Eodem modo in primo Achilleidos Statius, Vacuisque reliquerat antris Ipsam: sed carulos afporiat: Plinius quoque id obseruauit, vsusque est libro, decimofeptimo: Vites,inquit, Aquilonem fpe ctare debent ipfæ: sed eorum palmițes Meri diem. In vicefimotertio Liuius non cum Aduer Satiua, sed cum Copulatiua iungit: L. Pofthu mium consulem dilignatum, ipsum atque exer citum deletum.Eftigitur trium personarum con munis vox,tam sola,quam addita:tam Relatiua, quam Demonstrans. Pronominaderiuata. 20 D Eriuata Pronomina;a Primaet aSecunda, bina sunt, a fingulari, etplurali, eaque di ftin etta vocibus, quia origines distinctæ: Ego, Meus:Nos, Nofter. Tu, Tuus: Vos, Vester. Vbi fecudę facilior esse videtur analogia, a “Tu”, “Tuus”. At Primæ non item, fed ab obliquo Mei,nõ are LIĆto,Ego: In học Græcos sequuti sumus, uzzeući, allli autem non temere pofseffiuum pronomen Cerâ poffeffiuo cafu deduxere: neq. enim diftat fues lembuos, nisi ficut Albedo, etAlbum:quare neque « Taysa Turecto, vt putarunt, fed obliquo fecun do casu ortu est.A tertia vero persona non fuit de ductio,ppter numeros variata, ppterea quod ne primitiuum quidem variabatur.cauffa autem pro pter quam ab vtroqueNumero deriuentur, hæc eft, Quod Græcidicunt apos, ti, nos relationem: fignificar duo,rem ipfam, et terminum quendam ad quem refertur: igiturpoffessiua pronomina et Grem poffeffam, et poffidentem consignificabunt Square numcrum pronominis poffefui accipie, mus a numero reipoffeffæ: etnumerum prono {minis primitiui,vndeillud poffefauum du et um est a numero poffidentis. Igitur quum dicamus, Ego polsideo libros:dica, Librimeisunt.et, Vos poffidetis librum:dica, Liber vester est. Hincli. quçt qua ratione a pronomineprima persone du ettum sit pronomen tertiæ. Equustertiæ peren sonæ eft: itaque Meus equus si dicam, tertiæ quo que erit, et a ME, quod est primæ perfonæ, due ettum est. quoniam relatio eft adprimam: figni-. ficatio ad tertiam. Natura, et vsus prominz Sui, Snus, et reliquarão porei ori Vanquam non est presentis operæ,decon-? structionis vsu,autlegibusscribere: tamen quia natura primitiui, et deriuatiui Terrix per fonæ multæ præclara ingenia vexauit: alia etiam jelulit:a multis confuse aut perplexe tractata funt: videamus hîc quæ eorum fit ratio. Relatio du. ou gone splicimodo intelligitur: nam aut habet terminum i extra rem quæ refertur: vt Dominus refertur ad Seruum.Aut habet terminut eundem cu requæ refertur, ratione tantummodo differentem:velu ti quum dico, Cato fe interfecit:Pronomen Sereia et fest Catonem ad Catonem: ratione ab fefe diffe rentem, non substantia: propterea quoddifferta seipso tanquam agens a patiente. Iccirco Græci a vpexAcest, quafirefra et um dixere: funt. n.oria's fia, sellæ plicatili in feipfas reciprocatu. Verum ea vox dariufcula eft, reditenim in agentem para fiointegra,non fracța.Itaque alia w Toma Desa fed et communis hæc nimis: sunt enim yerba quar "dam talia, talique nomine censita, vt Bereo: et al terum tantum terminum dicit, Paffionem.Noftri autem melius, Reciprocum: qua appellationemx tuam rationem referendi complexisunt: semper.n.redie vis reirelatæ in feipsam:Ipsefui memor: Ipfe fibi hostis: ipseseamat: Ipse de se hoc exigit. Ætas noftræ proxima in cæteris cafibus optime uvfa eft: intertio cafu frequentiffime hallucinata; apud plerosque enim inueniasfic, Ego dedifibi: etiamin oratione diserti yiri Agricolæ. Græci cautem veteres abusi sunt in poematis fuo opě, co dem modonon reciproce,fed transitiue. prome? Cumigitur idem sitmodusorationis, etnar rantis fimpliciter, et referentis narrationem: ea dem quoque erit ratio dicentium fic, Portia fe interfecit: et fic,Portia rogauit, vtse interficias, Refertur enim in prioreexemplo,Interfe ettio: in pofteriore,Rogatio interfectionis: at Interfe ettio.. femper in Portiam recidit, hæc est natura Pri. mitiui. Quod autem ab hoc deriuatur Suus, parem naturam, vfumqueeft conseeutusa: vt quocun que loco primitiuum poneretur, in eum locum ius fuum haberet: sic, Portia fe interfecit: et fic, Portia fuam vitam intercepit. Differtautem a Primitiuo ficut Adicctiuum a Substantiuo: Ita que etiam reciprocatio differt ab illius recipro cations namin deriuatiuo redit reciprocationo inrem a quaprocedit a et io, sed in ea quæipfius rei funt.fit hoc exemplum:Vidi Cæfarem homi nem:hîc fubftantiam ipfius Cæfaris intelligo: at, VidiCæfaremhumanum: intelligo hoc, quodis pliushominisest. Sicin Pronominibus. Vidit fę Cafar: Substantia reciprocatur:ar,Vidit fua Ca farareciprocantur ea, quæ Cæfaris sunt. Acquan uquam hocquoque modo potest Substantia reçi aprocari,vt fi dicat, Vidit Cæsar sua crura: tamen non permodumsubstantię refertur,fed alio præ OC dica EN 1 pro, vestrum. 00. 101 dicamento, 58 l'adv, per poffeffionem fane: quare Poffeffiva bæc di ta funt. Intelligo autem pofler fionem, quæ aut fuit, aut eft, aPombaiam futura eft: vtsuum regnum hæres dicat, quo nondum poti tus est. atque ipfam negationem:vtapud Vergil. Non fuapomia. lidem tamen Græci licentius vsi funt:vt Hefiodus, o nepov za tele vureisoa. suum, Sed loquendivfus maximus Tyrannus elt:Surving replit enim etiam Latinis, vt vbiponeretur veras, bumSubstantiuum.eo quoq; fubiret Pronomem hoc: vtapud Vergil. --Sua femper apudme Munera funt Lauri. Et alibi, --Sunt hic etiam suapræmia laudi. Neque abeft ratio: per verbum nanque Substan tiuum nihil extra effertur, fed in eodem quiescit: ! itaque par est reciprocationi, quali stenow,licu tidicimus quædammembriscarentia,Sedere:qa' non moventar.Paulatim tamen invaluit, vtad - ll lia verba transferretur: Nam quum dicendum effet, Suo gladio feipfe iugulat: tamen Terentius, Suo gladio iugulo,dixit: Eft apud Martialem a pertius: Et suariseruntsacula Maonidem.Id autem pau lisper medio quodam loquendi modo invedums eft,qualis apud Catullum: Snus cuig, attributus est error: eft enim ibi et Substantiuứ, et Participium. Quarepotuit præ terca dici,Suus cuique innafcitur error. Ita fcri ptum est in inveđiva in Sallustium: Quod fi i Te ftius vitam memoria vicerit; aliam P. c. non ex DOS 017 eti 7:6 2:07 701 Ja idi QUE W oratio 2 346 Iul. VÍ. oratione,fed ex morib. suis fpe ettare debetis. Eiuf dem modi eft illud Ouidianæ Penelopæ, Aspice Laertem, vt iam fua luminacondas. Ita que ridicule nimis ausi sunt accusare folçcismi Diuinum poetam eo verfu: Namg;fuam in patria antiquarintsater habebar. Eftenim eiusdem rationiscumfuperioribus. Ne -mo vero dixit vnquam solæcismum eum, quo do etti viri vterentur.Sicenim omnes sunt loquu ti, vt pure, nonruftice loqui putarentur:quemad modum M.Tullius pro Sylla:Sylla,fi fibi füus pu dor, etdignitas non prodesset,nullum auxilium + requisiuit. quem dicendi modum temere nimis inusitatumappellarurit:quum etiam Plautus, qui Romanæ linguæ lex quædam fuit:etiam Teren tiusqui veteris nouique Latij limaquædam ha bitus eft, ita etfcripferint, et feripta totiusvrbis iudicio approbarint.Plautus in Mercatore fic,Is " bet faluêre suusvir vxorem suam. Terentius aute etiam fine vllo responso mutuo, sed absolutene que solum deriuatiuum, verum etiam primitiuus Suo fibigladio hunciugulo. Quare feretur illud Ver gilianuin eadem prudentia: 1 Viuitefelices, quibus est fortunaperalta Iam fua.Id est, iam sua cuique, ficut eft clarius in Sexto: Quique fuos patimur manes. Tria'kinc colligimus:Primogeniüm nuquam fineaperta reciprocatione poni præterquam mo doillo Terentiano: Deriuatum autem occultio re, sic, Sylla si fuuspudor fibi non pdeffet:id eft, prodeffe intelligeret. Alterum est, nullum efle 1 dia  terbietet CIOK 0 CUTIQUE 1101 umaut emeret etiamTe y quedar tatorin discrimen, fiue vulgarem teneat significatum, et ue pro eo, quod est proprium ponatur: præterca recte dici,Suus Cæizris, et Cæsarum.quoniam la primitiui voxa numeris non variatur,et SuusCæ fari:quoniam verbum orationis obliquz dux est, atque ipfam regit. Eft et illud manifeftum, Distributiuo Prono mini additum circumagi per omnia Genera, Per funtia sonas,Numeros, et Cafus, idque fieri vi distribugg tionis: Non folum igitur cum Quisque,vt dixere: sed etiam cum Omnis, et Quicunque, et Quil quis, et eiusinodi: Suum omnes Nationes tuen tur morem: Quemcunque suæ originis pænitet, Plats eum oportet effeineptuin: Suus omnib. A fiaticis dicendi mos eft: et alia talia. Sic etiam additis Pra politionibus: Starum fortunarum ergo nauigac Lufitanus. Etiam in Sexto casu, contra quam sen fere:Suo quinis genio potelt acquiescere. Hoc etiam eliciemus, quuin Scintelligamus el se semperreciprocum, fi duæ lint perfor:ą,tolle- zimmunocom dæambiguitatis caussa, alio Pronomine vsos ver que teres. Diligenter itaqueobscruatum eftin decla matione Quintiliani: Non sic nuper repugnafz fct, fi illum i ribunus voluiffet occidere. Si n.dia ! xiffet Se, haud intelligeret Marius, vtrum accipe ret, Reumne,an Tribunum. Par exemplum est, Rogauit Nero Epaphroditum, vt fe occîderet, Nescias vter sit occidendus; Nero, an Epa phroditus. Verum hoc loco fi illum, pro Se, fubdas, minus commodeloquare. Ita est: Rogat Philumena te Pamphile, ne fe deferas. Ergo i dem crit: Rogat Philumena Pamphilum ne fa desea crcatoret serenie dablole tampre returille serafta. licurelt enium Di przterea autem or cht,ouli deferat. Verum hæ orationes maxime funt fu giendæ. Cuius consilij modum in primo librod exemplis eloquentiæ a nobis dictum fuit:quili ber mihi vna cum duobus pofterioribus iam per fectis aut a Carnuto, aut a Provinciali surreptu est. Mr Eft etiam aniniadvertenda locutio illa, Inte fe: fic, FratresThebani inter fe dissident. Grad anon tam feliciter: sannous, alius alium: non. n. complectuntur illum mutuum responsum vltra citroque: at nos,Inter se, quali dicas, Medium in ter cos diffidium eft. Itaque Se, eft casus pluralis, vtrumque componens fimulacdisidium: iccirco distribuitur, deinde ad duo singularia partitum hincinde. Animadvertimus autem Ciceronem in primo Officiorum sic locutum: Homines au tem hominum cauffa essegeneratos, vt ipsi inter se, alij aliis prodeffe poffint. Declarat enim, In ter fe, per dimonous. Etin eodem alius loquendi soruyu mamodus est, Qua focietas hominum inter ipsos, et vitæ quafi communitas continetur. Idem enim eft, Qua homines inter fe fociati continentur: imacon Colligitur etiam lex dicendi hæc, Suacaussa feci:recte.Suicauffa feci: non re et e:non enim re ciprocat. Sed, Mei caussa feçi:Sui caussa vt face % rem,rogavit. Quæram igitur,andicam, Tui cauf fa feci: Mei cauffa fecisti.Etfanepoteft:non enim sunt reciproca, fed personam tantum deli egnant:fed passivesemper accipiuntur.Tuiamor, quia tu amaris: Amor Tuus,quia amas: vt apud Ciceronem: Quod desideriumtui ferre non pos fet.Etin proæmio sexti Quintilianus,sic,Amore i inci Tolbe ab 01:18: G INH Donicos Vledes. callspice 12 DATE diues arian in Cicent · Homia IS, VEINIL arateuis mei vicitetiam matrem fuam. quod plusamatus fuieta filio quam a matre. Et Vergiliusin xila Viettus amoretui. Quare vbierit reciprocatio, ni hil eritambi uum: vrNarcissus Ouidianus,Vtor amoremei. Est enim ibi autoQinawlia. Atque hæc quidem natura horum Pronomi- Exay numeít,vtfuum quodqueobtineatlocum: quod fi eadem fine discrimine sedem ineant, id non ipforum natura fit,fed vi partium aliarum, qui bus oratio constituitur. Sunt enim quædam No mina, vt Cauffa, Fama, Imago, quibus vtrum ad dideris, idem fonat:Cauffa meafecisti: et, Cauffa mei: propterea quod vox hæc Cauffa, vim habet tanquam pafsiua. fic, Imago mea, et mei.quia Ima govno tantum accipiturmodo,de eo,cuiusest: 2 ethabet vnam tantum rationem relationis: fic et Fama. At non fic Poteftas, non Memoria, non aº lia ciusmodi:nam habet Potestas duplicem rela tionem: alteram adme, qua possum: alteram ad alium, qua in me poteft.fic et Memoria, etVlus, nistel et Copia. Copiamea, quam posfideo, quasum diues:Copia mei, qua quis in me vtitur. Sic Fa-> cultas, et Vtilitas, et alia talia: vt, Accusatio mea, qua drwxws ago enim reum: Accufatio mei,qua Qevywagor enim reus.Sunt etalia Nomina, quo rum natura non repugnats sed vsus tantumnon sur le icam, I admittit:vt,Seruitus.Nam fi Dauus estmeus,eius otelio feruitus mea est: ille autem sic loquetur, Mei ser uitus: ettamen correlatiuum eius non respondet ntur.Tu pari ratione: dico enim, Meus Dominatus: et 12 am2; Dauus ad me, Tuus, inquiet, mei Dominatus. i ferreno Caussa autem eft,quia funt relatiua inæqualitatis.-) Z j. Yeriant alius.log at. Idea: continent 26, Sama e:noner ni caullari tuy tantum anus, liidid Iyl. VI. ti et CI Verum,vt dixi, vulgus non ficloquitur,vt Domi nus dicat, Meaferuitus: sed feruus. At philofophi orationi vsum illi concedunt, fibi reseruant sapi lentiam. Quædamapertius etiam cumnominibus iuneta eandem naturam declarant, vt apud Sallu © ftium, Metus Pompeij:non, quem metueret: sed, b quometueretur. Quemadmodum igitur Nomina sunt,quibus gmin mofine discrimine assignentur:ita et Nomina,in qui bus vnumpro altero ponctur. At non e contra P rio,vt vbicunque erit Primogenitum, effe possit etiam Deriuatum.Ea vero funt, Pars, Totum,Di midium, et eiusmodi. Hec.n.tam ad corpus meu, quam ad alia transferri queunt. Quoniam vero a duplicem habent relationem, vnam qua declara P ceturpoffesfio:alteram, qua fuis correlatiuis respon dent: iccirco duplici quoq; Pronomine præscri bi sese patiuntur. Effentiapartiseft ad Totum,et Totius ad partem, igitur per essentiale Prono E amenstatuetur:vt, Pars mei; ego enim sum totum per partes. Poffeffio autem partis accidentalis ceeft:itaque mei pars poteft effe non mea,puta vn a guium resegmina: autos e cicatrice, quod ferua uit sibi Chirurgus,vtoperam ostentaret. Quo in loco falli funt, qui hocnegabant: pars igitur bo mednot'ei uis,qua vescor,mea est possidentis:non vt pars, fed vtres poffeffa. Sic Ouidij parte fruimur nos, nuncipfe non fruitur:idest Nomine: itaque fica fcripsit, Partetamen meliore meifuper altaperennis 9 Aftra ferar.qum viueret,poterat dicere, Parte vmca etMei: nunc non poteft dicere, Parte mea, quan nullam habet: fed mei, quæ pertinetad to tum hominem, cuius pars Fama eft, quasi anima rerum geftarum. Atque hoc quidem vfitatum ac frequens est.. Quod vero e Plauti afferunt Pseudulo, non pro bant:id eft eiufmodi: Duorum hominum labori parfiffem lubens,Meiterogandiset tui refponder jeg dendi mihi:aiuntquedicendum fuiffe, Meo, et us Tuo.afferuntque a Ciceronepro Gabinio exem plum: Dico mea vnius opera seruatam Rempub. et p Murena: Extuoipsius animo conie et uram ceperis. Ego vero puto Plautum non folum Lati ne,sed etiam purelocutum: neq;defuisseilli, aut, vfum produce, aut rationem psuasore. Principio Græcisicloquuntur,monGous. Deinde lepoto nitidio restorationis: Tum priscos vfos effe pri- i mitiuo prius, quam deriuatiuo,verum est.Poftreal mo Cicero quoque fic fcripfit ad Curionem, 1 Eam vnius tui studio me affequi poffe confido.» Neque enim est Librariorum mendum,vtaiunt: temere enim nimis expungunt, fiquid non arri det.Nequeverum est,quod profitentur,cum No minib. numerum præscribentib. fic faciundum effe: fed qualecunqneapponatur,ordinem esseau torem diuerfitatis, feruitumque auribus exipfa concinnitate. Si præcedat Pronomen, cõfueuere admittere Deriuatiuum; sic; Tuoipfiusstudio:fi sequatur, ponere Primitiuum,Vnius tui operai ); quoniam nomen Vnius vagum est ad plures,cir- » cunscribitur essentiali pronomine fubeunte:vt quærenti quis fitille Vnusrintelligo, Tc. Quum autem præcedit poffeffiuum, fic, Tuo studio: Z ij cir Ivt. V. 1 ر cecircumscribitur Studium, et exemptumemultis attribuitur yni. Tuo studio vnius,exclusa opera aliorum. In tertia vero persona etiam fi præce. udat Pronomen, primitiuum fit:Cicero aiebat sui vnius opera seruatam Rempub. Quoniam autem affeuerabant, passiue sem + per accipi eum cafum fic terminatum, Mei, Tui: a conati funt alias terminationes reddere actiuis, Mis, Tis. Verum longe falsi sunt: ficenim dice ' tent Tertiam perfonam Sis; etiam a etiue intelli gi: id quod nemo auderet: eft enim, ve diceba musai'rowaIesi citantporro versum Ennianum: 4 Ingenscuramis eft concordibus æquiparere. Vtfitucí Sed fic fane esto: non cötinuo illa pas. fiuis tantum addicent. Maiore quoq; curiositate + negarunt poffc dici in plurali, Milites noftrum: Ticuti, Milites nostri, a nofter: fed facile redar. guunturratione. Adeo enim re et e dici putarunt; * t cafum eundem Primitiui duabus cfferrent citerminationibus, Noftram, et Noftri: quoru al terum effet a Græco, nuwr, alterum idem effetcứ deriuatiuo plurali.Quare etiam SALLUSTIO (si veda) in Ca catilina, Maiores vestrum: pro Vestri, pofuit: fic enim legit Gellius. Et Plautus in Mostellaria oftendit Vestrüm,effe concisum:vtvescovo quum cedicit: Verum illhuceffe maxima pars veftrorumi intelligit. Sicut Æolenses dicuni, vućw! postea factumeíturwis etvestram. Cæterum vsus obti nuit,vt Ego, Tu, Nos, significarent quiddam to tum, quod distribueretur: non autem possessionem: ut Vnus vestrum, qui tamen non effet ve ster: Vous veftrum et RomanioceupabitRem pub. DECarsts  pub. Cæsar non erat illorum vt res poffeffa: sed vt pars toțius. In plurali quoque candem inue nicmus variationem, apud Ciceronem in tertio de Oratore, Veftrum omnium voluntati paruit; pro, veftræ. Sic enim loquitur idemad Brutum Scribens, Veftris paucorum respondeat laudi bus. Sicut autem dicimus, Ego Cæfar video te Ca tonem:ita dicam,Ego Cæsartui egeo,o Cato.Siç ctiam igirur, Tu Cato eges mei Cæsaris. nam quid hoc prohibet? aut quare negaruntid poffe dici? Nequeenim satis probant suamsententiam illo exemplo Virgiliano, Siquatui Corydonis habet te cura,venito, este, nim per Apostrophen a feipfa in aliam: quafi gura frequenter vțimur, exemplo ergo ponit: •. hoc,illud non negat, Non est autem verum,quod aiunt,differre De “ riuata a Primițiuis, propterea quod Deriuata ver bis iuncta imperfeetta lint: Primitiua perfecta Sed quem admodum dicebamus, Adiectiuum, et Substantivum sunt differentia non nominis fo lius, fed actionis genericæ communes Nomini ac Participio: Nomini quidem simul vtraq;, Par ticipio autem altera tanțum, Adie ettiuum, Pro nominiautem ytraque, nam Primitiua substan țialia sunt, Deriuataaccidentalia. Deperfectio ne autem praționisamplius iudicandumeft: pole sum:n.fic dicere. Meusfcribo: fane oratio pfecta » eft: ficut, Fortis pugnat. Et Sofia Plaucinus festi uiffime, Certe nofterfum. Tertia autem Primi, tiuorum adeo imperfecta eft:, vt nihil magis Z iij. neqi  IVLvic 2 1 + 1 Ongs M ! *. VI. neq; enim poni poteft fine adminiculo: Cæfarfe macerat:fi.n. dicas, Semacerat: quid intelligas? Quare fi iccirco imperfeet a funt Deriuata, quia egeant adiumenti: hac quoque ratione illud erit imperfeet iffimum. Alia duo deriuata Noftras. Veftras. Ira vero deductio duorum aliorum: Nam veteres Aruspices atq. Augures quum ter ram diuiderent auspiciorum cauffa,fic instituêre: Agrum omnem efle aut Romanum,aut Gabinu, aut Peregrinum,aut Hofticum,aut Incertum.Ic circo Amatam do et issimus omnium Virgilius fe citiudicare Turnum externum, qui Latini agri ce non efset:et Cæfar, qui id non ignoraret, Gallias diuisit in partes treis: exempta ex ea partitionc Prouincia, ppterea quod continebatur agropere grino tunc:Galliæautem tres, Hostico. Ideacauf ce lafecit, quia eadem effent auspicia in Peregrino, et Gabino, quæ etiam in Romano. Ergo iidē Au gures agrum, qui nondum effet difpe et us, quib. ccauspiciis designaretur,incertum vocarunt: vbili queretRomanum effe, non fatis habuere fic dice cre, noster est: nam multi agri pacati peregriniita abiplis poterantappellari,quum eorum esset po pulus potitus.Itaquc excogitarunt vocem a voce, qua coarctarēt fignificationem ad Regiones:quæ ** fuitcauffa,vt eflet analogia terminationis comu. nis cum nominibus regionum: Sarsinatis a Sark po: fic Noftratis, Nofter: et per exemptionem duorum elementorum Noftras. Nequcfine sa sont d. tiano PA tione a plurali duxere: quoniam de Ciuibus dici:7 tur, et ad ciues refertur. Ita habes cauffam etvo cis, et terminationis, et numeri.Vsus autem obti- Dokta nuit poftea, vt etiam ad familias transferretur: n etiam ad fectas Philosophorum: quæfane fami liæ quoque diettæ sunt. itaq. Noftrates Peripate ticos poterimus appellare. Cicero etiã verbavul garia,Noftratia dixit: non quafi Romana, omnia enim Romanaerant: fed quafi ex sua fupelleet ili. Quæremus autem nosmorenoftro,quam ob new name cauffam a Tertia persona nullum deriuarut: quis 5* sweet enim neget rectea nobis ficexcogitatum, Roma ni fuates captiuosAnnibali dedendos censuere. di Imo vero et concinna oratio eft, et neceffaria.Ve rum duo in cauffa fuere, quominus id factum sit: 6 Incuria gentis illius, quz manu promptior per i initia, dịcenda facere, quam diceremaluere: Et vasta, atq. inexplebilis animi libido ad Imperiu: e inuitus enim Romanus hoc pronomen Suum, a gnoscebat:omnia per Meum,aut Nostrum, meti ri cupiebant. His autem duobus deriuatis etiam Græcorum copiam superarunt. Articulus. Is declaratis, fatis constat, Græcorum artis culosnon negle et osa nobis, sed eorum vsű u. fuperfluum. Nam vbialiquid præfcribendueste, pense quod Græci per articulum efficiunt, ěrecev o AG:expletura Latinis per ls, aut Ille:Is, autille feruus dixit:dequoferuo antea fa et a mentio fit, aut qui alio quopacto notus fit: additur enim articulus ad rei memoriam renouandam, cuius. DS 7. iiij. antea 356 Iul. V I. 1 antea non nescij sumus, quiipfum ponimus: aut componente am ad præscribendum intelleet ionem,quæ latius mamime met paterequeat, veluti quum dicimus, C. Cæsar, is qui pofteadictator fuit. Nam alii fuere Caii Cæ fares,fic Græce, Kajoup o au Toxpatwp. Numerus. Vitautem numerus necessarius, vti supra di co nomine, quoilla res significatur, a numero au tem vno numeri duo deducti funt propter relationem. Nam Vos, pluralis est: deduciturautem abeo singularis, Vester: quia fignificat rem fin gularem admultos relatam, vt dicebamus. Persona, Erfonæ quemadmodu distinguerentur, iam i Pronominibus, amodo in Nominibus, Namin 11 Nomine omnes personæ quinque casibusconti pentur; in vocatiuoautem vna. Atin Pronomine vna tantum persona in prima, etvna in secunda. Itaque inNominibus variantur propter cafus: in Pronomine non variantur. Tu,enim omnibus in calibus secundæ personæ eft: et, Ego primæca, ręt enim vocatiuo. Se, folam habet tertiam: De: riuata, omnes. Casus: Vmhocita fit:igiturQuintum quoque ca Clumsum non solum habebuntipsorum aliquaz verum etiam quædam constituent: vt, Tu, Vos, Vester. In poffeffiuisantem non immerito dubi tatur. Nam ficuti Ego, caret Quinto cafu fingu lari, quia nemose iplum vocet:ita Meus, quod ab eo ducitur, carere quoque debuit, e contrario Tuus, casum illum habebit, quiaTu, ipsum ha bet: et Sui,quia caret Suus, quoque deficidebue rat. Atenimuero quemadmodum aliter contin- holone gat, videndum est. Omnis Vocatiuus cafus duas personas designat neceffario: significat in. Rem in secunda persona, et consignificat primam lo quentem: atque tanta facultate eft, vi videatur » folus constituere orationem. Si.n. voces, Dauc: Dauus refpondeat: igitur res vocata nisi distin guatur ab re vocante, eius cafus nulli vfui erit. Meum seruum igiturcum appello, çu alloquor, quialius est amesubstantia:accidentęautem re fertur ad me, iccirco potesta me vocari, quia eft alius, etvocatur per pronomendeduậum ame, quia eft quodam certoquemodo qualı ynu me. cum.Eft enim ynum relatione: ideo relatiuum al terum sine altero nullum essequit. Atin, Tuus, non idem effe potest; Nam etlieft diuersaperso nayocata a vocante: tamen significatam rem ap pello, et terminum relationisad alteram pfonam dirigo, ita diftra et ussermo, ad feruum tuum vo catum, etad Te, ad quemrefertur ille, non po teft cohærerc. Videamus vero subtilius, an huic quoque cafus ille attribui possit, ac fic dicamus; Poffeffio excludit aliam poffeffionem, iure enim meoius alienum tollitur.Meus enim ego fum,non alterius: quare Ancilla manumiffam liç yocabo, ZY O TuaGedimino Tua. quia etiamfic possim, quum eam libera: pollo mine Abi iam tua çs. Vfustamen infrequens non po 719 fuitlegemhanc loquendisic.De Suusautemfic ftatuamųs: Contradicere fibiipfis, qui hæcduo di cant:Suus,semper reciprocumeffe debet:Suus ha Sbet vocatiuum. quæ enim reciprocatia pofsit in teruenire inter vocantem, et vocatum relatum ad aliam perfonam ab vtroque? Itaque nos etaffir inamus,haberevocatiuum: et negamus, femper efle reciprocum: sed recte dici, Sui ferui eum In ftulere: et, Suiserui eum sustollite. Figura. more Implicia, Hic,Is, Ego, Tu,Sui.Componuntur autem partįm secu, fcilicet geminationepu. rä:partim aliquo interpofito:vt,Identidem:quod etiam mutauit naturam. Item cum diuerfis: vt, Ist hic. Etiam cumaliis extra genus suum: vt, Tu te, Ego met [cf. H. P. Grice, “Me, Tarzan, take you, Jane, to be my…” – “If we reflect on sentence containing “I”, “me,” etc. …”], Idem, Suapte, Hocce. Sic cum Præpo fitiõibus, Nobiscum Mecum. Cumnominibus, (Reapfe, quod aiuntpro, Reipfa, pofitum aban Stiquis.Ipfe, quoque compositum effe diximus, et lifte, et ille,ab Is, Doresimitati, quitaddebant, lones te.Acoles etiam dicebant fe pro o, et coru pars, Dores. Sic Theocritus in quarto Idyl lio: maile spußdav.Atenimuero quum inficdan tur Illius, Isțius. Ipfius, non videbantựr composi ta.Sicut Tute noflectitur, neque Hoc, nili interi a tus, Hyiufce. Composita funttamen,quçvfus suo arbitratu deflexit. Cum his autem alia quoque ingenias: Ego ipse:et numerosius, Egamětipfe. Cape Excludit apresenti opera. confilia antiquorum. Vlta alia de Pronomine ab antiquis di etta sunt, quæ alterius operæ indigent, partim enim pertinent ad eam contemplationem, quæ docet inflectiones: partim ad conftru et ionis le ges: quæ omnia fimulcoaceruata minus recte ve: teres confudêre. Materialis caussa Pronominum. Vorundam materia patet, aliorum non ite. Nam obliquiquorundam secutisunt nomi num tertiæ declinationis terminationem, Mis, Tis, Sis. Quædam pronominum, Huius, Eius, Illius. Obliquus autem Tui, Atticos secutusest, Tü: additumiwla, vt T8786. Tibi,interpofuit con fonantem, non aspirationem, vt Mihi, Toi, Moi.;) Nos, et Vos,non habent elementa, quæ sequan turGræcam originem: sed Nigidius conatus eft deducere materiam a cauffa, non penitus inepte. eam,quivolet, e Gellio petet. Inter Primitiua est Is, et Hic: alterum sine aspiratione, alterum », fine sibilo, ab eo quod Græce erat.o, addito ke, » et adempta vocali prioris obliqui aliam fibivo çalem asciuere, Is,Eius, Ei. In quibusdam com munem habuit. In plurali, li. In cauffa est fonus affinis vocalium, quem fonum foli Belgæ hodie incolumem,vtpleraquealia, feruant, Contra,quam feceruntPrisci,quade causa prius de Pronomine, quamde Participio egerit. ETMTG huius libri initio fa ettum eft, vt declara remus ordinem, quo cffet Pronomenftatuen dum: tamen hîc quoquenonnihilconfilij capia mus. Pronominis intelle ettionem esse priorem Participio, ficfatis constat: Sinomen anteit alias species, etiam Pronomen præponetur. Nam fi partes anteponuntur toti, eaquoq; quæ partium vices geruntpræibunt id quodtotum fit: veluti carnium, ossiumque fubftantia primoloco nota synt: item Pedis, Cruris, Oris ratio potior quam totum animal:puta Homo,Leo,Canis:ita etiam harum partium vicariæ partes quæ dvofnoga, vo cantGræci, antegredientur intelleet ionem ani, malis ex ipfis constituci: vt,quæ loco sanguinis funtin Infectorum genere, et a Græcis dicuntur, ixapes,quæ pro ossefuntin Piscibus, etvocantur, Spinæ: quæ pro ore sunt in Plantis, etnominan tur Radices:hęcomnia anteerunt cognoscenda, quam aut Inseđa,aut Pisces,aut Plantæ. Quam obrem quum Participium quiddam site Nomi ne, Verboqueconflatum; non tantum poft No. men: Verbumque, sed etiam post Pronomen ex. hibetfefe nobis intelligendum. Præterea (vtar e nim quibusdam falsis, sed quę illi ipsi pro verisha buere) oratio perfeet a effe finePronomine nulla poteft: constitui enim personas a folo Pronomi. ne arbitratsunt, faltem primam, et fecundam: atsine participio poteft: vt etiam Pronomina fint adorationem,quam Nominamagis necessaria. Affectiones quadam. Roprium Primitiuorum vagari, ac diftribui in multa, putauerunt.co exemplo. Neuetibi adfolem vergant vineta cadentem. aiunt enim omnibus dictum eo Pronomine Tic " bi: verum res fefe aliter habet: Alloquiturenim Mæcænatem: libri enim didascalicimaxima ex parte certis nominibus discipulorum nuncupan tur. Ita etiam aiuntad ornatum orationis poni fi apud Ciceronem ad Brutum, Ecce tibiPom-» ponius nofter:nam tum aberatBrutus. Egove to aliter cenfeo: Aduerbium potius Ecce,positu, ad ornatum, ficut et apud Iureconsultos: at pro * nomen Tibi seruire legenti epistolam Bruto. Proprium autem Pronominum etiam alia ex i fefe parere Pronomina, vt Is, ille. Et Aduerbia. illo. Quodvero fcripsere,oriri abipsis etiam No. + mina, falsum eft:neque enim Noftras, nomen eft: fed vt noster ad poffeffionem communem, ita Noftras,ad communionem poffeffionis. Nonnc dicis, Meus ciuis, etMeus popularis? Siç dicet Solia,Nostratem Getam, apud Terentium. Ita que ij, quinomen putauere etiam inter Prono mina recensuere: fed alio exemplo vtendum fuit. Nam a Quisquis, Quisquiliæ diettæ sunt.fuit enim quicquid, so tugav, vile,et obuium forte, non consilio. Proprium etiam,vt diximus,etinter fe etcum aliis iungi, et geminari, et inter se construi ad ora tionem:Mea tu. Etiam inter fe referri: Is,qui ve mit. Item amittere significatum p casus ratione. Del more Æolico: n. interdum enim nihil significat apud Theocritum. Sicnos, Tute folus loqueris. Plautus in Milite etiam amplius, Tute fcisfoli te tibi. vtpofsis arbitrari effe potius additamentum, vtin alio pronomine, Iste. Proprium quoq;, poni pronominis significa. to:Suus, pro proprio, et agnato. Apud Iure conful ços.at exemplum quodadducuntno feruit, Sunt etiam sua premia landi. hîc enim elt poffeffiuum Sicfalluntur altero exemplo:Is, pro Talis: Non ea vis animo, etapud Ciceronem, Pro eo quanti te feci:imo pronomen est relatiuum. Pro Aduerbio etiam ponitur: Quidmaiora fequar.estetiam ad uerbiuminterrogandi:non,vt putarunt,Coniun ettio.Coniun et io potius illa sit, Quod scribis te venturum, vt voluêre: mihi vero acu tius videtur effe relatiuum,Hoc, quod scribit,te venturum scripsisti enim hoc Veniam. ni IVLII 1 36 bilgai lus lour tamien I Talis:11 eo quart eruir,s Aduer nt, Com 1 ft etiam Non recte feruatum a veteribus ordinem ini disputando de Participio. odica oack VEMAD MODYM perturbarut 6 ördinem partium, ita quæstiones non suo quanque loco tra et auere. Duo cnim foliti sumus quærere. prior quæstio eft: vtrum fit,necne? ) Altera hac fequitar, Ouanam sede id de quo quæ VI litum est,lit collocandum. hæcilli cobiæret, tan quam effe et us causa:ex ipfa enim subftantięno “ ), tione eliciuntur rerum prærogatiuæ. Quare per uerse tractauerunt prius fedem Participij: poste rius autem, an Participium esset pars, et species diet ionis. At enimuero si Parçicipiū res nota eft, quorsum tantęcongeries argumentorum.li non eit nota, imo vero linonnullis ne pars quidem o rationis vllaab aliis separata iudicata eft, quo co Lilio ei rei, quz nusquamextat, fedem ftatuunt? Quo 5 364 Iul. V.. quum dici Quoniam vero nullusartifex, pbat fuum subie et um effe: fed fuperiore scientia prolatum, pro certo ftatuit:iccircovideamus, qua ratione parti cipium, quod subiectum est libri huius, efle pro betur.Triplex modus est probandi, per cauffam, per effeet u, predargutionem. Primusmodusest per demonstrationem, fic: Diet iones quædam funt declinabiles, quia omnis sermoeget aliqua variatione. Alter modus est, per conuerfionem de monstrationis,fic: Variatur sermo, quia di et iones funt declinabiles: caussa enim hîc probatur per effectum. Tertius modus est,quuma pertinacib. negatur subiectum ipsum esse: veluti 2 mus, Ideas eflenullas. Autsubie et i ratio forma lis: veluti quum dicimus, Metalla quidem esse, fed transmutationem no inueniri arte humana, qua re Alcumia nulla erit. Aut quum agnofcimus quidem et fubie ettum, et rationem formalem,fed negamuspertinere ad eam scientiam,cui attribui tur: veluti quum Grammaticus de voce vult di sputare. Horum modorum duopriores non ad mittunturad probandum fubieet um effe, fed fo lus Tertius. Ratio autem huius legis eft aliis libris anobis explicata.Nuncautem aduersariorum ra. tionesperpenfas diruamus.  An participium sit Diettionis pars ab aliis separata. Vi Participio partium numerum non au gent, appellant ipsum avavaxna son at poor siue övTISpe@ xoxv, id autem fonat, re ciprocam itidemque altera ex parte respon « Qah den. I gopicer  I dentem appellationem: quoniam fic dicatur,Cur rens est cursor: et, cursor eft curres.Præterea nul- 2 lum deriuatum aliam a primogenio naturam for tiri: nam si Pater Nomen, etiam Patrius nomeno Ferueo Verbum, etiam Feruesco. Quarequum Participium a Verbo fiat: fub Verbi veniat ratio nem. Vt horum argumentorum videamusvim, quid Reciprocum lit, etquemadmodum fiat, et quomodo deriueturaliquid a primitiuo, intelli gendum est. Ac quanquam superiorelibro de 1 Řeciproco diximus, id tamen co fpe et abat, vt * Nomen acciperemus: meliusque a nobis, quam a Græcis expressum effe. Nuncautem paulo ac. curatius contemplemur. Reciprocatio, cft par priori ex eisdem, aut ex contrariis transpositio ex eisdem: vt, Conful est, qui consulitsenatum: et, Qui consulest, consulit senatum. Excontra riis: vt, Philosophia est, eloquentia disputatoria: eloquentia est, pbilosophia elocutoria. Oratoria est, diale ettica diffusa: dialeetica estoratio pressa. Palma eft, pugnusapertus:pugnus est, palmaclau fa. Hinc dicta reciproca, quoniam procreentury, retrorsum: idest repetant.Sicrespondere opinio, ni, atque expectationi,quum par estopera indo li. His constat, non reet e dictam reciprocam ap pellationem. Neque enim pares hæ suntoratio Aes. Cursor est currens: etcurrens eft cursor:nam Cursor designat robis naturam, ingeniumque ad currendum: Currens autem dicitactum cur rendi nunc. At non omnc currens eft habilead currendum: habilem autem dico ad celeritatem, non ad conatum, Tev aequxota. Curritsuo modo Aa teftudo,non Curforis. Idautem manifeftius aliis nominibus apparct: Non enim omnis Pugnans, #Pugil est. Et quum Orare, fitore pronuntiare: ve teres verbuin illud omnibus conceffere: orato ris autem nomen sui vnius in L. Crassi persona a gnovit Cicero. Neque carentratione hæc:vise nim horum nominum inde manauit, quod ex 'frequentibus actibus habitus fit. qui igitur vicio vrfüm semel, fortaffe casu factum eft, vt debella ret:at Carpophorus Domitiani, et Vergilianus Picus debellatores appeilabuntur. Si igitur essent eiusmodi appellationes eiusdem substantiæ, v. niuersalienuntiatione vltro citroq; efferrentur, 2 atquereferrentur. Deriuatum autem vel fequi tur Primogenium, vel excedit,excediturve: Sife quitur, ciufdem speciei cft (intelligo nuncfpe ciem contentam fub dictione, tanquam sub ges nere )vt,quia Rex Nomen, eriam Regius:nõex cedit enim, neque exceditur. Ata Bono, Bene quum deriuetur,exceditur numero, et aliis Qua re Participium quum excedat casu,et genere Vera ba,nullo modo effe Verbum poterit. Falso igitur regabant, desciscere Deriuatum a primogenij ratione: quin etiam Deriuata quædam vel man ciora funt,vel ampliora, vt ipforummet vtar pla citis. Aiunt enim Tuuscarere casu Quinto,quem tamen cafum Tu, constituit. Contra Suus, et * Meus, Primitiua excedunt fua: hoc Quinto ca su, quo caret Ego: illud etcasuum, et nume rorum variatione, quo caret Se. Ad hæc lia cantando, erit cantor, Verbum erit, non No. men. Quod autem Participium, Nomen nonlite ODAVATE LESZT 1 mantis fit, inde colligimus: habet enim Verbicostrudio,wenn nisheyet nem: Legens librum. At Nomen nullum his lc gibus fruipoteft: fed fiquem casum nanciscun for tur, id euenit aut vi drationis, aut yerbicuiuspia uliopelo merito: vt PotensLyræ,poffeffionem quandam significat, sicut, DominusLyræ. Quodfi quis sit, cui dicat, Appetens gloriæ, non significare polles fionem (quod enim appetit, non polider )is File intelliget eo modo dici, quo Auidusgloriæ; est Pepe enim iç'ter.sad possessionem. Alij autem casus in attribuuntur Nominibus per defeet um fupple-, menti: vt, Amicus illi: id fic est, quoniam litae Pern micus, adfit illi, ac faucat: Superbus pecunia, et fa et us a pecunia. Debile autem eorum eft argu ekrok mentum, quo excludunt a Nominis ratione, quum dicunt, Quiano significantadionem.Ma. le enim elocutisunt,quod recte sentiebant:nam etiam Nomen hoc Adio, actionem significat, Ergo Participium ab aliis fecreta erit orationis Tipars. Nequc impedimento fit,quod nome suum, acceperit a portione Verbiac Nominis: Tere ziumenim quiddam factum eft. Neque enim ex verbi nominífque coitione fa etta eft Tertia sub ftantia; fed ortum a Verbo traxit secum tempo ra etfignificationem, adiunxitque generi etcasio · bus: plusenim Verbi quam Nominis obtinet; id quod fane non potuit exprimi ipso nomine, quod nomeactiue intelligi voluere,quiacaperet, AtMancipiu, aliam sequutum eft analogiam, vt fignificaret,quod manucaperetur. Sed Participiu, că Municipiocouenit.Minus vero bona oratio neyli sunt, quiliç diceret, Partem capitaNoming7 NO E B 4 och 368 IvL. VIT. CXA: 1 partem a Verbo, partem ab vtroque. Quis enim fic, Partem a Cæsare, partem a Lælio,partem ab vtroque? nonnciam ab vtroque accepit? Sed ita intelligendum eft, Accidentium quæ funtParti cipij, partim esse a Nominefolo, partim a solo Verbo, partim ytrique communia: dummodo il lud quoque meminerimus, ipsum habere cum Nominecommunem differentiam Adiectiuo rum. Substantiuorum autem nullam. Participii necessitas. T vero ne ad orationis quidem volupta tem solam inuenta ea species eft, quemad modum partes quædam coniunettiuæ: sed necessitate quadam, ac vi naturæ. Quum enim declaratum iam sit, verbum significarc aliquid,quod significato nominis adiiciatur, sic, “Cæsar pugnat”, coacti sunt sapientes aliquid excogitare, quod non folum recto casuiadneet eret, vt hoc exem Uplo:sed Etiam Obliquo.Neque enim si dicas, “Video Cæsarem”. addas eiusmodiVerbum nisi addi to relatiuo, fic, Qui pugnat. Quare Participium commenti sunt, quod et significationem obtine ret, etadderet modum adic et tionis: quafi quum dicas, Cæsarem pugnantem: eadem sit ratio, ac fisic, “Cæsarem pugnacem”. Quod siquis ob iiciat ita dici poffe etiam per verbum. “Video Cæsarem pugnare”. lane intelligat verbi illius vi factumeffe, non infinitivi: si eius loco substituat aliud, fic, Verbero Cæsarem: ncque enimfi militer apponere queas infinitiuu. Eft præterea cauffa 1 ola ! tan sonra. caussa alia nõignobilis. Quo modo res vna dicco 2 retur, fupra docuimus te: nücquaratione yna fit oratio, videamus: Quædam enim eft yna, Natu ra: ut, “Cæsar amat Lucinam”. quædam Coniunetione: ut: “Cæfar amat Lucinam et pugnat” at que huius quidem modi species libro undecimo declaratæ sunt. Quæ vero Natura vna est, vnum de uno dicit: quæ coniun et ioneyna, secatur in plures. Nam et Amor et Pugna in Cæsare, et de Cesare dicitur, nihilo fecius, quam si dicas, “Cæsar amat, Caesar pugnat”. hîc sunt seiun. etx orationes duæ, carent enim tam artis, quam naturæ coniunctione. Quare manifestum est, Artem coniungere in oratione, quæ natura coniunxit in corpore subiecto. Hæc autem aut seriatim sese consequuntur, aut difiun etta sunt. Si sunt dissita, natura, ut Candor et Dulcedo in Laet te, per ipsum corpus, quo deferuntur, coniunguntur quoque. Ita in oration per copulam coaguntur sicut per corpus in re. Siseleconfequun tur, ea funt, aut substantia aut accidens. Neu trumvero eget artificiofa cõiun ettione:sed que admodum natura vnum funt fibiipfis fubeuntia, continentiaque alia aliud, tanquam quum est triangulum in quadrangulo: ita etiam carum rerumnotævnum sunt, hoc modo: “corpus animatum, sentiens, rationis capax, vna res est, ita yna oratio hæc: “Homo est corpus animatum, sentiens, rationis capax”. Nihilo secius in accidente, sic, Aptum natum admirari, discere,fcire:neque enim scimus, nisi discamus: ncque discimus,nisi admiremur: quæ hæc ad hunc modum vnum Az iij.  Ssunt: neque vllius artis egent ad coniugendum. Quævero disiun essa sunt, ea per copulam coniunguntur, ut, “Lego et scribo” quam obrem sicuti per subiectum a natura coniunguntur: ita fa etum est, ut per participium similem nanciscerentur coniunetionem, ut, “Legens scribo”. Tertiam vero necessitatis caussam ut intelligamus, hæc prius sunt perpedenda. Caussarum quædam seextra rem sunt,quas Galenus vocat w goxata näs, recentiores, primitivas. Quædam interiores, atque hæ duplices: aut enim sunt, aut non sunt coniun ettæ. Ea vero diuisio secundum Accidens, non fecundum Substantiam fit: diuerfæ enim Yunt aliquando a se ipsis secundum situm, vel fecundum Tempus: neque vnam tantum fpe ciem cauffarum fequuntur:fed tum in efficiente, tum in materiali inueniuntur. Ac illa quidem quæ extra rem anobis agnofcebatur, est: veluti, Ferrum, fiue ferri illaactio: e percussione enim fit vel tumor; vel fanies, vel eiufmodi. Quæ au tem interior est,nondum coniuncta, opony syfucr KaGaleno, a nostris antecedens dicta est,tam a pte,quam a Cicerone quü dicitur in Officiis, An tegteffam esse honeftatem: vt, succus hesternus, qui poftea putruit, cauffa febris factus est:caussa coniuncta estis, quinunc putridus eft: atque hic quidem nonsolum tempore, aut situ tantum differt a seipso, sed etiamsubstantia. Aliquando autem, vtdicebamus, non fubftantia, fed Lo co: interdum enim fuit fanguis probus,atque incorruptus, qui tumoreeffidiat,cuius ipse caussa kit materialis. Adhasigiturcauffas significandas  quam sit Participium fabricatum.maximum fui vlunı videtur præbuiffe. Quippe sidica, Percussi, et yalncraui: non necessario adducor,yt credam ' vaincris caussam esse percussionem, quam intel ligo ex verbo, Percutio. Quod fi dicam, Percu tiens vulneraui:iarn planecostat. Si dico.. Sanguis putruit, et febrem fecit:Putret, et Facit,non tam clare explicat, atque fic,Putrefcens facit. Præter hanc neceffitatem, etiam mirum afferunt oratio nidecorum: cuiusmodi in futuro passiuo vtitur Liuiusin xxiv.Et fibi pedites comparandos effe: id eit, qui poffint cum cæteris committi, neque cedant. Gerundi Cauffa., per piumabsoluerctur, maiorü noftrorum pru dentia factum eft, vt haberemus, quomodofor- oniga mæ finísque eadem orationis commoditate ex plicaretur. Quare ex his Participiis tempora quæ dam elegêre, quæimitarentur quidem Græca illa λεκπον,μαχητέον, amplioritamen, vberiorique vsu circumferrentur. Hæc Gerundia appellaue re,tribus præscripta casibus, “pugnandi”, “pugnando”, “pugnandum: quorum medium seruauit vires, Participij: sed tanto aptioremodo, quanto supe rabantur a Participiis Verba. Sicut enim apertius editur cauffa, quum dicas, Cædens vulneraui: quam cecîdi: sicexcellentius quum dicam, Quia cæderem vulneraui.hocautem Gerundio conci pitur totum, Cædendo vulneraui. est autem Aa iiij. mely Emultis in rebus forma, et finisidem. Finis autem 1 partim extra nos eft, vt Nauisextra fabrum: par tim intus in animo, vt ea quam idear vocant, qua mouemurad eam quæ extra nos futura est. Vtru quesapientiffime explicarunt. Nam et Pugnan di, et Pugnandum,finem fignificant,fic,Pugnan codi cauffa equum afcendi: et, Pugnandum eft ex cquo: fed illud est medius finis, hic autem illum so por consequitur. Exhisautem patet eflcParticipia, *Co tum natura, tumvfu non abfimili, atqueetiam | forma. Habentenim Casum, vt Advefcendum, apudM.Tullium: et, Ob tacendum,apudGrac 2 chum, Neque tempus,vt aiunt, amisere:nam ta ir metfi cum præteritisponütur,fic,qui ad pugnan dum:tamen pugna futura fuit, quæ nondum ef set: alioquinequeasdicere, Marius deduxerat legiones, fa etturas hoftibus pugnandicopiam. Pu gnando autem paulo liberius, elapfum eft: Pu mignandovinço: id est, dum pugno: ac potiuscauf sam præcedit, quam constituat: vincendi enim cauffa pugnamus. Significationes quoqueita te nuere, vt cafusfuos expetant: Studiovisendi vr bem. Sed ita fane fa et um eft, vt quum forma fit paffiua, infrequentius passiue accipiantur: a deo vt quidaman re ette ponerentur, dubitarint, Atcnimuero corum vsum primuın formæ ipfius rationem sequutum effe, par est. Justinus tam in prooemio, quamin xvii. exipfo Trogo et iamprimum casumpaffiue pofuit: Athenas e cerudiendi caussamissus.' Hac quoqueparte Græ ci funt a Nobis superati, quibus Infinitiuus cum Articulo mendicandus fuit. Veteresautem bre uita. 8 373 2 uitatis studiosi frequentius vsi sunt, etiam in i. psis Titolis,de edendo,atque eiusmodi. M.Tul. sius in tertio Officiorum feftiue, fi discendi labor potius est, quam voluptas, non enim posuit pro Infinitiuo, vt dixere: fed abstinuit ab repetenda voceilla Labor, fie:Si discendi labor,potius labor est, quam voluptas. Hinc do et iffimi viri college re, nenos quidem paffiui Participij præsenti de- a luna • fici tempore, Verberando sum defessus,Pugnan winny do vici, Legendolibro:idem est, Verberans, Pu Ignans,Legens. Etiam illud Vergilianu,Voluen da Dies, præfentis temporis inuenere: ficut et lusiurandum. Sed fane Iusiurandum, futuri fuit amine 2 temporis,antequam daretur, fic dicebant, Iuran mė dum tibi eft: fic, Voluendadies,quæ attulit, quod the nondum fuerat. Poftea vfu deflexa suntin præa Du sens tempus, atque etiam in præterito,vt diceba Pus mus, Cæsari gnoscedo auxit hoftium numerum, I quia ignouit.cauffa autem eft,qualis quum dicis, Di Pugnaturus fum, et fui.Quoniam vero transitint ca variatione, ficut, uaxcutt'ovetuagtia, iccirco alia bir partem a Participio nonnulli penitus negarunt: quia idem fit, Legendislibris, etLegendi libros. c Alij vero, hocipfo affirmarunt effe aliam, pro atis pterea quod constructio effet diuersa. Sed nos candemcum Participio diximus, vfum autem; non semper eundem: Accidentiautem nonmu tatur species. Proprium autem eft recipere Præ. positiones, Adagendum. Vergilius etiam aliam Gf apposuit, Ante domandum: et,Inter agendum: quod Græcijste tu dywv, et, Obtacendu:et apud mbat M. Tullium: vtrumque dietum eft ab amandao Ava OITE Star goe 028 ISCU co ωςτο φιλεϊνοποτε φιλεϊν. Εt Quintilianum,ra fio fcribendi iuncta cum loquendo eft. Ausi sune quidam dicere. In capiendum hostem vado: fed hocmon memini. Propriū item carere variatione Personarum,Generum, atque etiam Numero ram. id quod traxere ab Infinitiuorum natura. * «Cæsar it ad oppugnandum Massiliam: Camilla pergit ad fugandum Aruntem. vt commune sit ad vtrunque, Oppugnandam Maffiliam, et Fu gatura Aruntem. Sic Numerum communem a pud M. Tullium: Stoicos Epicureis irridendi sui facultatem dedisse. et Liuiusin primo: Vestri ad Xhortandi cauffa. Falluntur antem quiperDebet, aut Oportet, putant interpretari Gerundium, vtin illo, Pacem Troiano ab Rcge petendum. Omnenanque futurum,authanc,auteiuscerno direcipit interpretationem: ducimur enim, aut vtili, aut necessario. Quoniam vero caussam sta tuunt,iccirco plus indicant, quam Verba, atque ctiam Participia, lic. Video futurum vt vrbs expugnetur, Video vrbem expugnandam: euen tum solum narrassac fic, Dico expugnandum yf bem: proponiturnon solum finis, fed etiam deli beratio. quare Græci dixere Aduerbia Jecses, 2πλευρέον, τυραννοκτονη τέον. Latini autem ctia mo tum illum animi, qui in finem duceretur,como adius declararunt, quum Gerundia appellarent. vocis flexułeodem fane quicorum natu ccfræ fons fuit. ve quia gerendæ res elsent, quæ vo ces hocindicarent Gerundia dicerentur.Alij ab eorum vsu, Nomina participialia: neq; enim esse pura Nomina, quæregerent casum:neque pura Sed quo Partis. Participia, quæ passiua voce gererent a et tiuam si gnificationem. Cauffa autem qua ducti sunt, vt defraudarent significationem, atquein actiuam demitterentur, hæcfuit: quod passiue intellige bant ex parte appofiti, non suppositi, fic: Eoad oppugnandum vrbem: quoniam prius fuerat, Ad oppugnandam: et eodem modo di etum fuit,fic uti notauit Gellius, et nos diximus in capite de Infinitiuo, Hancrem præsidio futurum. Alij et iam Gerundiua yoluêre, quæab illis petes. Supirorum Ratio. 1 0 bi gemaioreaffeetu notant:na, Eo ad pugnan- this dum,futurum significauit: Eo pagnatum,ita po fuit futuru, vtiam abfolutum sit. Ita est,quono do apud Homerum, ra tetenequevověsw:Signifi -1) catigitur aettionem cum A et iuis,pafsionem am» Palliuis. Eo factum iniuriam: Iniuria mihi fi et u itur. Sed lane femper pasfionem quandan sa- ) ) pit: neque enim est, Eo vt faciam: fed, Eo vt hoc fiat.quali, Eo ad rem faciendam quidem,fed ita, yt faettum iam sperem. Sic Sosia: Diąun puta. Quumigitur hîc finissignificaretur, norimme rito altera voce alterum extremorum Ignatum est,Inmotu enim est, et vnde fit,et quo re et iflime dicitur, Venatu venio: ficut Venatum Vado. Sextum n. casum huic vsui effe coparatum diximus.A meitur:sic,Venatu itur: cætra quam putarunt. Plauti. a. estin Menachmi, Obfonatu - 10 redco: ft.Itaque 1 376 IvL. VII. 1 redeo. etCatonis in libro dere Rustica, Primus cubitu resurgat. vt hæc fit vera constructio huius Bupini. Nam ea quam ipsius putant, Expugnatu « difficile, Mirabile dictu: fortaffe non fit, sed No minis. Vocatų Druli, id eft, vocatione,fic lussu et Permissundicimus enim, Facile expugnatu,id eft, expugnatione. Quareautem supinum di et um sit, haud fane conftat. Nam quod aiunt veteres, id ca cauffa fa et um, quia a præteritis paffiuis du et a essent, quæ præterita veteres supinaappellarint: non folum non foluit quæstionem, sed etiam auget. Nam quam ob rem Præterita, caque passiua tantum hoc nomine dixerint illi? Nos in libris historia rum Aristotelis ostendimus quid Pronum, quid Supinum sit. Neque recte aTheodoro towmocy effeacceptum, vt Latinis auribus satisfiat. hîc ve ro ita placet fatagere: Gerundium a supino ita cidifferre, ficut Futurum a Præterito: vt aliud fit, Faciendum: aliud, Faetum. Itaque quod geren dumesset, ftrenui viri ac fortisiudicarent: con tra, quod iam esset gestum, minus excitare nos adagendum.Itaque Tityrum supinum facit poe ta sub arbore,lentum scilicet,acrecubantem:Me liboun certantem cumfortuna, acres fuasma gisftrerue, quam feliciter gerentem. Igitur, Eo ad pugnndum: gerendam rem significat in viro diligenti: Venio pugnatum: rem geftam in ho mine qu possit otio parto frui. Hæc esto cauffa, quæ persuaserit antiquis vt Præterita pafsiua Su pina dicer:ntur,vt poffet in vtranque aurem:at que ctiam upinus cubare.  Q1 Pugnando. Non excludi Modum a Participiis, sed Modi variationem. Vemadmodum Gerundium idem diuersis Temporibus accommodatur: vinco, vici, vincam:sic etiam idem Participium,! diuerfis Modis: adeo, vt in pafliuis etiam Modos ipfos constitucrit:Do et us effem, fuiffem, fuerim, fuero. Vtinam pugnans vincerem alio modo di citur quam sic, Pugnans vinco, hîcenim eft et Pugno, et Vinco:ibiautem,Vtinam pugnarem, Vtinam vincerem.hoc quoque a veteribus omis fum est. Nonreette Generum cauffam a veteribus affignatams. Enera tria eadem vox compleetitur, hæc,hocpugnans. neque id natura potius quapia,quam forte: nihilofane consultius,quam in nomineFelix.Falsam nanqueaddducuntcauf fam: Quum enim Verba,inquiunt,omnibus fine + vllo discrimine iungantur generibus sub eadem voce:Vir,Mulier,Mancipium sedet, eiusdem ni mirum effe debuit naturæ Participium, cuius fuit Verbum, a quo fluxerat. At enimuero fal luntur: Quippeverbalia quoqucnomina, quæ a, verbis manant, nihilominusgenera variant: Vi cor, Vi et rix, atque etiam Viet tricia, apud Luca num. Præterea quisnefcit apud Græcos tria genera in Participiis totidem fignari vocibus? Po Atremo ne in noftratibus quidem variatio illa i gnota est: vt in paffiuis patet: Amatus, Amata, A matum, et inadiuis,Amans, Amantia.  Figura. Pcomposita a copositis Verbis deriuari: iccir co Figuram ab illistrahere, non ipfa illam confi cere. Hoc autem falfum eft:multa enim sunt quę suo genere Compofitionem admisere, non aba liis traxere; vt, Omnipotens. neque enim a Ver bis tantum composita fluuntomnia. Ergo figura Participiis per fe competet,vt cæteris:non per ac cidens,vtdixere. empus. Empora quædam fimplicioris intelle et us, quædamamplioris habuit Participium:nc que secutum Verbi eftintegram rationem. Nam Futurum, quod erat diffutissimum atqueobida Græcis scissum in duo vnica voce coplexum fuit. Item duo Pręterita.At Præsensquod effet simpli ciffimum cum intelle et ione Præteriti imperfe et i.coniunxit vnica nota.vt Amans effet,quiamat,et cequiamabat.Neq; caruitratione:oftedimusenim apud Philofophos naturale quandam continua tione significari per Pręteritů imperfe et ű,vt non multum a Præsenti dissideret. Illud vero maxime quæretur:quumapud Græcos tria hæç Tempora tam A'diuis, quam Passiuis fint attributa:quam % obrem Latini Præterito actiuq, paffiuo Praesenti defe ettisunt? Atq;in quibusdam fanehæc omnia. Rc sunt:Hortans, Hortatus,Hortaturus,Hortadus. Atin aliis, quæ simplici constant forma, vt Ama, quare 379 2 quare non possedere præteritum: vt Amor,qua re non possedere præsens? Sane hîcnihil habcas, quod refpondeas, præter negligentiam: adeo, ves af in illis quoque,in quibus omnia esse videbantur, vocem quidem videas, significationem non vi 2 deas. NamSequens præsens quidem eft, et Hor- tans: sed significatus actiuus: ac fane ab codem it., verbo Sequor, si potuit deduciet Sequuturus, et za Sequendus: quare no potuitin præterito distin cum effe,Hortatus actiuum, ab Hortatus,paffi uo? Si potuit ab Amo, Amans: quare ab Ainor, nihil potuit? Significatio. Vemad modum Verba manent, aut muti. tur,fic et Participia. Nam Lauant recensen Na bamus interuíça. Sic Voluentibus annis, eadem fuit significatione, qua Volućda dies,vt eft apud de Homerum:withoueYWV EVIAUT@.Sicmutauit O-, riundus, nõ rationc fubeftautem cauffa vtigno rata, sicacuta. Eftoriundus Roma quiBononiz ) ortus,Romæ oriri debuit quo in loco lares habet patrios. itaque idem eft Oriundus, quod Oritu rus. Futurum enim hocnon defignat quod erit. fed quod non fuit, et futurum esse debuit.In paras fiua autem voce declararunt: quoniam ipse iam per se no poteratoriri,aut agere,vtoriretur:sed fato, autsenatusconsulto,aut rescripto, aut re cenfionc affici muneribus ciuitatispoterate 0: June. Affoftus. Program que 380 IuL. VIL leret: 1 Tutus alos to 10 Huis ca mus, tilusa ttiam Gnar tarctu P Roprium eft Participii,fieri a quibusdam teftem Verbis, quorum nõfequatur significatione: vt Sequendus, a Sequor: paffiua fignificatione ab a et iua. Id autem propterea euenit, quia hæcom cnia, quæ vocamusDeponentia, olim Communia apes. cefuere:atque iccirco Deponentia dieta, quod de suape pofuiffent alteram significationem, quam habu iffent. Sic verbi significatio vetus abolita in Ver bo,mansit Participio, quemadmodu deleto Ver 2 bo toto, mansit Participium:Laboratus, Regna tus, Erratus, Triumphatus, Decursus. Sed adhuc longinquiore ratione, Auritus, Pellitus, si sunt Participia. Quæ autem exempla afferunt muta tæ fignificationis, fortasse non omnia carent ra utione. NaDiscretus, fac significet viru modera tum: nõ eft quiadiscernit, sed quia a vulgo fapie. Cetu fentetia fecretus fuit. fic Circufpeettus, no qui Circuspicit:sed,vt Homer dicebat, qui circunsta tiu ora,atq; ocul sin fe conuertit:id quod quum fiat ob eius pr stantiam, actum admirantium tranftulêre ad significandum caussam, propter li quam admirarentur. Sic Beatus, diuitem notat, qui multa bene, ac benigne poteftagere: at Bea quad guu` ' tuspaffiuum eft Participium, quem bonis,vt ap cxpellat GræciBiov, Fortuna voluit beari. Sic Cau tus,quem cauendum dicerent:quem,vt ait ille, a trumagnoscerent, aut fænumin cornu gestan caem. Falsum, quoque quis neget passiue femper et accipi? etiam quum falsum est testamentum: ic circosic dicitur, quiaipsum fefellit, fcribat:Falle rcenim eftoamen. diffusa significatio ad fal kumteste, quare actiue hîc accipi putarut, qa fal aque Pre etiam poffit mus, et priur nega ave men men age. و ووو et CUE Iereto cato ation hecco Ommy CHO amba tain clerol Seda tus, unta I İeret: verum analogia transtulita Testamento ad Ebulda testem, quoniam vtrunque corruptum esset. Tutus quoque fem per paffiue: Tutus portus,qui», alios tueatur, propterea quod ipfum tucantur rupes: Ita alia nonnulla eruentur, et reddentur suis caufis: neque enim nostra nunc intereftom nia persequi. Quædam tamen omnino, vt dixi mus, mutãt significationem: vt Disertus, et Pro fufus apud Sallustium:neque enim mirum, quum etiam Nomina ipfa hoc pafa fint: fic enim et 15. Rio Gnarum, quinosceretur, et Nescium, quiigno rarctur sunt interprctati: Sicut etiam Euidens; atquealia animaduertêre. Propriu item eft Futuri temporis pafliui, poni// etiam prore, quænon fit futura, modo effe aut poffit, aut debear: vt exemplo Liuiano diccba mus, Milites comparandos,et alia eiufmodi. Pro prium etiam nondeficiCasibus, et carere Specie: negarunt enim prisci vllum ab alio deriuari, fed uodą aVerbis deriuatis fieri: yt Gemisces non fit a Gea mens, ficut Gemiscoa Gemo. Ite, Tranfire in no n, pre men primogenium,vt Pugnas pro Pugnator:ali Caren: Ηπιους ulgole CUS, DC, circuit quado in deriuatum, vt Çöfidens.Interdu ambi guum eft vtrum sit, vt Horatianum illud: Me tuenstanga.Etiam creare Nomen: Amas, Aman tior. Ettransferresignificatum a re patiente in agentem: nam etsi dicimus, Cænaturrhombus: tamen Lucullus dicet, Cænatus fum: fic Pransus et Potus. Hoc factum eft, vt in Pasco, Pastæ oues: et,Depaftasali ta: vt fuerit Cænor deponens, fi cut Pascor. Et euadere Nomen substantiuum: vtn Sene et a: fuit enim verbum Senco, quo et Ca. tullu's whirare temas ere: ar oni.com 17. SiG. vtaicik Tapete Tueles entum ribat:E atio21 Bb j. TUI  tullus vsusest: cuius paffiuum participium, fuit hoc. Itaque veteres fic dicebant, Sene etta ætate. Eademlicentia, Occasum dicis locum, vbi Soloc cidit:at paffiuum hocfuit Participium; vtin XII. tabulis: Sole occaso. Præterea etiam aduerbium gignere:Indulgens,Indulgenter.Proprium etiam I fequi Verborum naturam qua deficiunturcertis modis orationis:nam fi Pario, foeminam tantum fpe et at:ita Pariens, vnico tantum genere præscri berur:nilifigura quapiam in ordinem redigatur: DE ficuti dicimus, Mulierern foecundam: ita etiam Ventrem fæcandum: quare etiam Ventrem pa- L rientem, quominus dicamus, vis Participii ne quaquam prohibet. '. Antimeria in participio fit quum pro Verbo « ponitur,vtin Hecyra: In arcem transcurso opus eft. Et apud Sallustium, Mature facto opus eft Sed non finecaussa hoc factum eft: plus enim di cit Transcurso, quam Transcurrere: et Facto quam Facere. Illa enim rem abfolutam desi gnant, vtiam totum iter quod inter Pamphilum etarceminteriace bat,iam effet tranf cursum. Quar partes licatio Num. IV LII Prop Lii num re QUX 3 quos imm cuorent.  tQuatuor partes reliqua,quarefintindeclinabiles; etquare aliis postposita. DICTIONE tanquam ex genere fummo,alteraque differentia,quæ rol. lit inflexionem,fit species inedia, quã vocant Indeclinabilium: fub ea funt partes quatuor, Præpofitio, Aduerbium; Inter iectio, Coniunctio. Quare autem Persona, aut Numerus his non fint attributa, quærendum est. Propterea quod hæ partes erant notæ connexion can be what · num, quemadmodum fupra dicebamus: at ea, quæ conectebantur eratiã pradita his affcetibus: quos affcctus si hæ quoq; effentcõlequutæ; fane immelus fuiffet numerus fimul,et fuperfluus:ali quotque earum a suis primogeniis nihilo differ rent. Si enim Bene fcribit et Cæsar, et Corinna, Bb ij. Et Mancipium. adde genus ei Aduerbio, iam fier mod Nomen Bonus, Bona, Bonum. Quædam tamen co partes fequutæ sunt aut Tempora,aut Modos, aut 2 Casus, tanquam affeclæ propter significationem, non tanquãcopotes propter niodum significadi: vt,Heri,lignificattempus, itaque addetur modo significandi tempus, Amaui: fignificat enim non tempus, sed actionem amandi cum tempore. Ita eft, Vtinã Ame,Siames,Ad amandum, Ob pug nandu, Dereducendo Regem. Quareautem sunt Com aliis poftpofitæ? Nă suntlimpliciores: ergo prio 2 reluco erant cognofcendæ. Item funt nobiliores quedam quibusda,nonnullæ omnibus:magis ne? ceffaria eft Præpofitio, ğ Pronomen: perfe et ior est Interiectio quam velVerbu,Yel Nomen, in De tegra enim oratio cft,Heu.Hîcita respondemus: at 2 Facilius cognofci potuiffe Pronomen cum No St?, minė, quam fi differretur. Simplicitatem autem illam mancamesse, neque poffepercipi illorum rfaturam fine declinabilibus:quia hæ illarum con iungendarum notæ sunt. Præterea non eft Sim plicitas, carere Declinatioessed Defectus. Quare non poffis intelligere, quemadmodum Aduer biū Personis careat, nisi sciasprius,quid Persona fit. Nefcias quid Gt Persona, eft enim accidens, nisi noris effentiam eius cuius ipsum accidens eft. Harum autem partium nomina a fedibus, quas in oratione fortitæ effent, dietta funt a vete ribus: qui et hoc negligenter nimis,quum perac cidens effentiam definirent: et inepteprius inter fe partes has compararunt, quam quæ qualefve effent ipfæ declararent. Nosautem, proptera quod 17 WIB. TE D20 quod compositus intelle ettus a simplici anteitur, etcoparatio eft fimplicium cöpofitio, sigillatim quæ cuiusque ratio,atquenatura sit, videamus. Præpofitionis definitio, et fedesinter cæteraspartese Ic igitur definiuere, Præpositio eft parsora- + tionis, quæ præposita aliis partibus,lignifica tionein earu aut complet,autmutat, aut minuit. Complere, vt Intercipio,Demiror: Mutare, vt Aufero: Minuere, vt Subrideo.Verum et confusa eft, et ab accidenti, et non omnibus competit et luperfluis particulis. Nam quod fit confusa fatis patet, quum nodesignat quibus partibus præpo natur:pars estorationis Interięcio,atei nulla vn qua Præpositio præpofita fuerit. Abaccideti data 2 eft: neque enim est Præpolitio, quia præponitur: fed præponitur, quia est Præpofitio. Non omni 3 bus çõpetit: nequeeniin cöpositæ Præpofitioni, Mecum, tecum. Particulæ autem quædam vacanta fic,quod çöplet, autminuit, mutat: eftenim mu-.wo. tatio, effectio vt aliquid differat ab eo, quod erat, Voluêre fic intelligere, Mutare, id eft, destruere significatum:sedexemplo inutili vsi sunt; etenim et quiadfert, et qui aufert, fert. Commodius dic' xissent augere, minuere, et alia talia. Fortaffe veros falfa quoq; fit,neq; enim effentia Præpofitionis eft præponi,sed vsus: liqua,n. vnquam poftponce retur: ergo eo desincret esse præpofitio: quarea lio cofilio eius definitio eftinuestiganda. Rerum in genera summacætera fuperioribus libris recelula ius, fubstantiam, quantitatem, qualitatem, et m nila? Bb. iij eiusmodi.vnum in præsentia nobis reliquum eft. philofophis tantum notum,aðGræcivocat:qui bus autem rationibus cum loco conueniat, aut ab eo differat, aliis libris dictum est: hæret fane semper etloco, et corpori: nullum enim Corpus inuenias quod alicubi non sit. Porro Oinne cor pus aut morietur,aut quiefcit: quare opusfuit ali qua nora, quæ to 78 lignificaret, fiue effetinter duo extrema, interquæmotus fit: siueeffetin al tero extremorum, in quibus fit quies. Hinç eli ciemus Præpositionis essentialem definitionem. comp Affe et usautem præponendihincfluxit, propter ea quod terminum lignificaret: Adforum: indi cat enim interuallum, quod ante forum eft: fic, Apud te: designat spatium a meadte:quem ter minum quum nactaeffet res mota, etquiesceret, merito etiam præposita est: pendet enim a mo tu. itaque eadem Præpofitio vtrunque munus obiuit: dicimus enim, Eoin vrbem: ac tandem, Sumn in vrbe. Quæram tamen, quare præpona. Por fimmturea, quæ locum, vnde fit motus,designat,fic, quo ab vrbead villam: fi enim interuallum notatin quo res mouetur, debuit illa prior postponi. Hic ita respondendum est, Cõceptam animo fenten. tiain priino quoque loco exponi debere oratio. ne: igitur quum dico Vrbs, vnum vno modo intelligo. Quum destinaui futurum, vt vrbssit terminus, vnde motus futurus sit, ftatim hoc occurrit intellectui: quod, quum ftatuatur per præpositionem, primo loco ponedum fuit. Hxe cm fuit fedes in oratione. Locus autem in partium e. äumeratione, quæ inflexione carent, primus da ce tug 10% ca 387 a tus est non immerito: eft enim maxime neceffa-, ty ria.quippe Natura omnis constatautmotu, aut,, a quiete, Præpofitio autem harum rerum nota est. et Interieet io autem,quanquam exprimit perfecte Com animi quasdam affectiones:tamen ea,vt diximus,', i potuimus carere.Coniunctioautem tanto poste rior eft Præpofitione,quanto est prior simplexo ratio,compositis.Aduerbiivero neceffitatem suo. loco declarauimus,verum supplementum potius orationis effe,minore prerogatiua,quam qua vti tur Præpofitio, videtur. An vero họcita fit, fe. quenti libro acutius perspectum est. Prepositionum generica diuifioredu et ta adcauffas. Ifputarunt Philosophivteresset prior,Mo-'" tulne an Quies.ac fanein noft: atibus Quies prior eft: non quod fit priuatio Motus, vtaiunt, (Motus enim item Quietis priuatioeft ) sed quia nobilior:mouemurenim vtquiescamus. Contra” videatur cuipiam Motum effe priorem: tu quia, (vtipfi credidere)semper in cælo fuit: tum quia si vult Auerrois, Motum effe perfe et ionem cor- > poris naturalis. Verum vt de cælo loquamur, di cimus ipsum mouerivecertis quiefcat.Intelli-> gonuçQuiefcere,adipisci quod non habebat hac vel illa parte. Deinde fatis patet, ipfum toto, loco quiescere: quiescere igitur propter fe:mo utri autem propter nos noftraque: at finis fui perfectior eft. Auerrois autem non debuit ina telligere vltimam perfe tionem, sed perfectio nem per proceffus: et quam vocant evtu ya senen 1 1. perficimur enim mouendo, propterea quodad quietem propius accedimus. Quum igitur quæ dam Præpofitiones motum, quædam quictem indicent,quædam vtrüque: hæ ambiguæ vltimo loco tractandæ fuere: quæ autem quietem signi ficant,primo.Verum vnam tantuminuenio, quæ Pecfolius quietis nota sit, ea est, Penes:significatenim potestatem immobilem ab co, cuius eft: itaque est: itaquemaximeSubstantiuu verbum sibi vin dicauit. Plures funt motus indices: Terminum quo vnde fit motus notant, a, De, Ex: quæ ad com moditatem orationis sunt interpolatæ, Ab, Abs. Het ateş E. Alterum autem terminum, Ad,Ob, Víque. Eft etiam vna quæ tres terminos comprehendit ita cevt terminum ad quem fit motus, nominet,atque interuallo statuat; ea est, Trans: Curro trans montem ab vrbe: supponit vrbem,nominatmo zemas tem, et petit aliud. Aliæ vtrunque significant pro verborum,quibus iunguntur,ratione: In vrbem co: In vrbe sum.Itaqueetiam casusmutat, quo. rum rationem suo loco diximus. Sunt etiam cfimul vtrunq; miscent:vt,Apud;sic,Apud te cur- Biu Tentem curro: est hic cursusmistusçũ quiete. No dimoueor abste: hæcest quies: Moueor æque el actu a carceribus: hic est motus. Eft autem qui 2. dam motus verus, vt in corporibus: quidam,vt eaiunt Græciavanogenes, vt quum dicimus quem piam mente motum. Sicigitur etiam loquimur, E Daug audiui: motus quidam est. Et, Ad me redeo: et, A libellis, A manu: ex eius enim manu proficiscitur actio ad officium. Sic Ob et Pro pter,oliin locum significarunt:Ob Romamobe GIC 012 ner quæ gu tans I.C V coda quitans Annibal: Athelim propteramanum. Tou Nunc deflexæ funt ad cauffam tantum decla, lite randam. Things Affecttus præponendiratio, atg; vfus. Eter: Idendum igitur quid fit Præponi, quotque Traces modis quidquam præponatur:tum præpo bir 'nendi vsus quibus partibus communicetur.Quu nin: igitur voces ad eum finem sint comparatæ, vt aut 7 dicat ex duabus vna fiat, aut ex duabus feiunctis vna o ratio, atque vtrobique neceffe fit, vt altera alte I ram sequatur, vtroque modo Præpositio præpo ni debuit. Quamobrem fatis conftet: minus con fulto veteres alterum modū, Appofitionem ap-» pellaffe:aliud nanqueest Apponerc,aliud Præpo nere:ac fortasse hæc inter fecontraria: sic enim dicimus Appositum, quod eftin extrema fitum orationis parte.idem enim est Addere, et Appo nere. Quum,postquam res videtur perfecta,iufta quippiam ponitur: atque eodem modo Aduer bium nominarunt, quod verbo tãquam præscri ptio quædam apponeretur. Quare non rectein telligemus, Appofitionem, esse speciem præpo nendi, fed oppositum quoddam genus:sed vtrū quepræpositionem;eiusautem species, Seiun etta, et Coniun ettam. Ergo quum prius fitseiunctim, sayangan quam coniun et im præponi,de eo prius quoque dicendum est.Seorsum igitur præponiturNomi ni,Participio,Pronomini, Ad Cæfare:Adipfum: Ad pugnantem. Coniunctim autem et iisdem, et Verbo, et Aduerbio, et Coniunctioni.Præfortis, Bb y. Adddo,Subies,Perinde,Absque. Quod vero aiutą, mo mom cum Coniunctione vim suammutare,falsum est: ithoor etenim A BSQVE, tametfi motum verum non dicit, tamen ita est, Abvrbe distamus mille passi bus:ita, Absque te Triumphaui.Significat absen tiam, et interuallu, quod poffit effe locusrei mo Cafe tæ inter duo extrema. Cafus autem duos certos fibi destinarunt, Quartum, et Sextum:ac Quartu quidem, quoniam cauffam finalem significat: A mo Cæfarem: Cæfarcauffa amoris est. Eoad Ca. farem: caufla eft motus. Huius natura fecutus eft Secundus quoquecafus, fic enim dicimus, Vin cendi caussa pugnamus: significat enim termi num quendametiam in poffeffione: Ego fum?Dei, non Fortunæ. Itaque etiam hunc cafum ad eundem vsum traxere, Crurum tenus, apud Ver gilium:Nutricum tenus, apudCatullum. Alter u casus Sextus designauitre et e terminum yndefie ret motus, eius enim natura talis est: Abvrbe. Et uquia tempus cum corpore, etloco, etmotu,mul. tas habet affinitates, iccirco eadem locutioncin, terdum sicloquimur,A prandio, Aborbe condi to. Sic etiam caussain materialem indicauit: De iurc disputo:quia abipfius contemplatione mo tus, in eo declarando versor. Quæret quifpiam acutius, quamobrem Sextus cafus etiam quieti fignificandæ attributus fit? k Haudfane præter rationem hoc fuit:nam Græ uci Tertium cafum ei aflignauere, even signifi cat'enim acquifitionem:nihil enim fimilius loco, quam locatu:acpropterea Latini, quiex Tertio Çafu fuuma Sextum progenuere, illius in hunc prærogatiuam transtulere. Eft præterea quod in ueftigemus: quædam enim sunt Præpositiones,q. quæ Quartumcasum exigunt et tamen terminu, vnde fit motus, denotant: Poft hyemem: Post prandium. Huius rei ratio est, quæ et in Trans: significat enim motum ad prandium: atq; etiam » vltra. Par caussa et in Circa. Quartum enim ha bet:Circa vrbem. Nam omnis motus, aut eft ad » centrum, aut a centro, aut circa centrum. Ergo centrum tametsi non eft meta motus circularis, tamen eft præscriptio quædam: atq; iccirco eun-> demcum Meta ipsa casum admisit. Ratio autem qua sunt addu et i,vt eidem Præpofitioni duos ca fus apponerent, iam dicta est.In vrbe, quietem di cit: In vrbem, motum. At vero quæ porro cauffa, vt etmotum, etquietem eiusdem effe paterentur: propterea quod in, loci significat rationem: In vrbe,tanquam in loco. Itaque cum motum ita si gnificares, vt etiam terminum no folum pro tera mino,fed etiam proloco ftatueres, eadem vti po tuisti:nam, Eoin vrbem, ita dicimus, vt etiam in vrbefuturus fim. Aliæ autē pari confilio ad cauf fas reducentur: Sub terra fum, fub terram co. Su per,fcxit significatu,vtponeretur pro De: quo-» niam argumentum,de quo loquimur, diettum est abantiquis, Materia: at Materia defert,itaq; etiã moleselpos,vtsupra fcriptu fuit,appellarunt.Ve rum de his sigillatim, quid vfusftatuerit, in libris Originūdiximus adeo,vtfit prætermissam nihil. Nuncnö est huius operæ, sed vniuerfalia philoso phorūmoreinuesligare. Sunt autequædam,que femper fcļūđī ponutựr:vt, Apud, Circiter, Secus. Quat  Quædam cotra: 'vt,Dis,Re, Se, Am. Quædam in differentes:vt,Ante, Cum, et eiusmodi. AcSeius et tis quidem qui casus deberentur,diximus.Con iunguntur autem cuiuis fine discrimine. Neque ex folum, quæ abfolute poni poffunt:vt,Ante,in verbo, Anteuolans: fedetiam quæ casum exigere cevidentur, qualis est.Pro:quodmanifestum eft in + voce hac, Pronomen.Quare non recte dixere re centiores, Magistratum, qui præsit prouinciæ, auspiciis viri consularis, fine vlla inflexione no aminari in Sexto casu tantum, fic, Cælar pro con lule, Cæsarem pro Consule. Nos vero vt nonne gamus recte dici, ita affirmamusetiam pro cuiuf que sententia variari, nõ minusquamprimariam vocem Consul. Nam præterquam quod superio ribus rationibus ac fere omnium vsu liquet, Græ cxcis quoqueid defenditur:quippe dicunt a'rgora mov. Et nos, Proconfulatu,nihilominus flectendo vsurpamus. Nonnepernox Luna dicitur? Atque huiusquidem vsumcommoditas potius persua fit,quam ratio docuit Sanenos, quia caremusar ticulis,arripuimusoccasionem ça'm breui sermo ne vtendi: fic enim relatiuum esset interponen - dum,Dignitasproconsulatus: dignitas, quæ pro Consulatu est. 1. Proprium autem quarundamest, vtsignifica ta varient, qualis est, Aduersus: quarundam,vt suum perpetuo feruent, qualis est inter.Quædam femper cum casu sunt, vtCis:quædam femper fi ne casu, vt quæ componuntur: circumagunture "enim per omnes casus. Quædam vsus fentiunt vi çiffitudinem, vt Pone. Quædam femper præpo nuntur, cie. P 1 tia 5 DO Büntur, vt Ad. Quædam femper poftponuntur. vt Tenus. Quæ litratio vt(quemadmodadice - camy bamus ) non re ettein definitione pofitum sit tan quam essentiale, Præponi. Neque enim Aduer bium est,vtdixere: iungitur enim cafu. nam fi i ies sit Aduerbium, quid ad nos? Tenus enim est » uezes. vt apud Aristotelem in fexto historiarum, nezee zopkw: et tot locisapud eunde: mezeitiali." quatenus. Quædam nunc subeunt,nuncpræeut: * Cum Cæfare: Mecum. Nequefolum in compo fitione, fed etiam alteromodo: vt apud Teren-> tiumin Eunucho,Vnaire amica cum Imperato remin via. Hinc fatis conftat, nullum effe vsum + tertium,quem dixere,interponedi,his exemplis, Qua dere, Quam ob rem. signat enim Relatiuu, sı cuipostponitur: non Nomen: quod manifestumn estalia locutione hac: Res, qua deagitur. Pro-, prium et illud,vim amittereconstructionis, quu componuntur: præpono te mihi: Tertius furre pfit proSexto, quali Verbum esset fimplex. Sed etaliis modis, Prxeo Cæsarem: vbi Quartuspro Sexto. Sed etin ipfamet compofitione:Quapro pter, Quocirca. Sed et seiunctim,fipoftponatur, Multo poft tempore: et fit Aduerbium,atqueab folute ponitur,fine vllius cafusofficio. Superflue etiam additur, Adeo ad Cæsarem. CAP. Ĉiv. Prepositionum Efficiens, etMateria. Æcde carumforma, et fine,hoc eftvfu:nuc. tant igitur feipsas interdum, vt A, fa et a eftex alia, -1  10 C c alia, quæ eft Ab: quæ a Græca fuit mutila, izos Gainis, ab llio. Sic ex Dis, facta Di: et illa a Græca d'esquod enim bis fit, feparatim fit. Quiæ u dam a Verbis, vt Sine,Pone.Am, tota Græca eft, "et apud nos non nifi in compofitione: Theo critus autemetiam feorfum posuit, ajega. Et quemadmodum Græci vfitatum additamentum Laddidere, xuqi, sicutBingo: fic nos noftru Te, « Ante: ficut Ifte, Tute. Nam Ante, caftrenfis vox cfuit:quum obsiderent oppida dicebantseefsean ute oppidum. Vsque, a Græca ws5 The pro eo quod west, wess. Coram tota Græca, ob oculos, nogue aEtiam a participiis, Aduersum. Cum et Con, v nam eandemque effe, aliis locis diximus: Con " fonantem finalem mutari pro natura sequen tium se, vt Compono, Confero: Vocalem au tem, vt auribusplus feruiat. item mutari, vt Co mes,Comitium:Cumprimis, Cumprime. quod autem fit Com, non autem Con, patetexclufio che: vt Coorior, Coco, et in Contra. eft enim a Cum: sunt enim contraria relatiua, ergeli mul. Fuit autem Græca, ughes,nam,fuit par ticula completiua, huw. Ea igitur genuit Con tra:sicut,in,Intra:Ex,Extra: Cis, Citra: In, Infra: a Sup, Supra: fuit enim fic prius: poftea Sub, ab wiat:vt Ab, X. Sed antea orta sunt, “Inter”, “Infer”, “Super”, “Exter”, deinde, “Intera”, “Infera”, “Supera”, “Extera”. Qemadmodum ex Phänomenis CICERONE (si veda) obseruari potuit. Tornu Draco ferpit, subterfuperag, retorquens. Fuit et alia terminatio, Subtus ficucIntus. Pasize autē sunt oenor apud Græcos: nam Aristoteles et Thucydides, etPlato, etalii Attici, ita vtun tur, cows procures. Ex Di, factum est De,ficutex Pri,Præ: vnde Pridie: et ficut ex Ni,Ne.Aliquan do putaui a Græco je,Deductum: neque ineptū® est. Hæcde origine, et materia: nunc de aliis affe et tibus: Etiam a Nomine,Circum, ab eo quod eft ” Circus,xiguo. Accentus prepositionbus, quemadmodum attribuatur. VEterumÆolenfium;vt faepe diximussix » quam plurimis autoritatem secuti: vt a no minibus, vcrbis sue abiecimu sa fine accentus v fum: ita in præpolitionibus recepimus. Sic enim prisci prodidere: Omnes extrema fyllaba, nili poftponantur, Græcorum ritu, acui: codemque tipoflponantur, accentum transferri, na jurnami jual x mc men. Ita noftris placuit, vt dice remis Penes Cæsarem: et, Cæsarem pencs. Quod fi vfu veniat, vt Præpofitio fit ambigua yox, aliique particommunis:ne postposita qui dem transferri: vt femper dicatur: Altaria cir cum: ficut Circum altaria: necocurrat cum Quar to cafu nominis huius Circus. Quædam vero et iam amisere accentum, quippe ex quæ Encliti- st. carum naturam induere, vbi postponuntur; qualis est Cum: dicimus enim Mecum, sicut Mene. Verum deAccentibus, deque Cantilla tione illa fatis fuo loco di ettum eft. Eofdem fo lensesrefpexereyeteres, quum nullam aspirarut: ». Illi enim ito, et uzeg, dicunt. Caussa autem huius Sobre DS rei Ivl. VIII. t f rei festiua esto: quum enim motu fignificetma xima earum pars, celeritate opus fuit,nonmora et craflitie spirationis. Item quæ dicereritquiete, suauiteret tranquillecamindicandam fufcepere: Afpiratio autem animi eft affe et i nota. Aly affeettus. cong. Popriumitemcomponiet inter fe, Circum I circa:vtapud Homerum, ucineispo© x ante cõueet to: Et cum seipsis, vt apud eundem, wes xududozefia:Etcum aliis partibus: cum Nomi ne,Incola: cum Verbo,Impono: cum Participio, quod a Verbo venit:cum Aduerbio, Abhinc: cu sogn. Coniun et ione,Absque.Interdum autem retinet significatum, vtDeinceps, Coniunx: idqueaut fimpliciter, vt his exemplis: aut auget, vt Impo tens, Infra et us. Interdum amittit, idqueaut tor quet in contrarium, vt iniustus: aut in diuersum trahit,vtPerbonus. Ratio autem huius poftremi 1 a Græcofluxit:nam mei significat Circum:quod fi autem continet, id maiuseft, quam contentum. Abeo noftrum Per, du ettum eft.itaque Perbonus, est o wexey.ww To digatov: Quæ autem intendunt fignificatum, cauffam hanc habent: funguntur Huenim pene officio eodem,quo in difiun et a oratio ne. Impotens,vt lit, potens in alios:Infractus, qui ipfeintus fractus sit. Atvero quæ in Contrarium transformarunt, qua ratione id efficere potuere? nam fane priuatiua Græca habuit cauffam, ad G:nam to d,eft ficut to do, vnde noftru a:figni ficat enim motum, vt sit, qui mouetur a iustitia: C و 0 ac at noftrum In,significat locum, et habitum:qua renon satis manifesta cauffa est. Sunt et aliæ prę pofitionesaugentes, vt Adprime: motum enim et propensionem notat ad id cuiiungitur. Con tra, sunt quæ minuunt: vt Subrubidus. Suppude bat: non immerito: est enim respondense con trario tb w € lo quod enim sub aliqua reelt, abea tegitur: ergo eft illa minus. Proprium etiamfupponere aliquidad significandum, quod in caco > pofitione non fit,vt Internecium:hic Nex figni ficatur. Inter,autem est nota relationis ad duo: at ea non ponuntur. Græciclarius, annodovovat repov. Et mutari in eodem verbo Effero, Elatus. verba tamen duo sunt. Proprium etiam creare ex fe Nomen, Ante, Anticus: Verbum, Prope, Propinquare. Proprium etiã, vt altera pro altera ponatur:di- Enak cimus.n.Ajpro DE,et ecotrario:fed non re et evti lagi Lin sunt exemplis quibufda, vtide sit Ad oppidum, et In oppidum. Barbare item dicunt, Per vrbesum, ficut In vrbe. Barbare Apud Balilea, sicut Bafileæ: falsianalogia alteriuslocutionis, Apud foru: licay.. n. dicebant prisci, vt Terētius in Andria,In foro n.homineslitigant: etannona est.Tu Donati in terpretatio hæc: Verba,inquit, Dauide forove nietis. voluit dicere, simulatis venire de foro.qua re autem fic aufi fint, haud fatis coftat: aliud enim eft ωδα,aliud ν.1llud “το έχόμιον” hoc “τε ω ιεχό-“ refror notat. Falso quoque putant Propter, poni alieno loco pro eo, quod est Prope: na hæc illius parens eft. weydiximusalio libro,Græca effe mee. Itaq;Prope,fuit pro pedib. ita Græci loquuntur;» Сс ј. med İVL. VIII. meg moduko at a Prope, fa et a est Propter: sicut ab In,Inter: a Sub, Subter. quare Vergilius cum di xit,Athesim propter amænum:fincero;re ettoq; significato vsus est. cum autem nos referimus ad vlum causæ finalis, translato vtimur significato: quoniam finis cohæret actioni, mouet enim nos. (Apud autem fuit, ad pedes,eodem modo:itaque Ad, et, Apud, proxima funt et fignificatione, et v ufu.Ad Leccam velle cænare, vt fit etiam pragnas oratio: ad Leccam cogitare cænandi cauffa. Ad Capua caftra habere quoniã eo cõtenderat prius, Confequens a præcedenti. sic mutila oratio, Ad febres facit: immo Adægrotum, cotra febres.sed Ad, accipitur pro qualicunque termino, etiã ho ce stili. messzonw Tl- proco quod eft, aduersus. Cæ tera omnia exempla ad hunc et motum, et termi num reducuntur. Quodautem aiunt, Apud ma iores, pofitum pro eo, quod effet, A maioribus, falsum cft:fed eit ficut,Ætatenostra hoc fit:quip pe ab aliquo apud cæteros, quod ad feculum hoc pertinet: præsentesenim sumus tempore. mitter Proprium. et illud, Ponå absolute, atque inter du ficri Aducrbium:vt apud Virgiliū, Pone fubit coniunx. nam oratio fimplex eft ex Aduerbio, intelle ettus autē Præpofitionis. Poft, enim figni ficat relationem: quod enim eft Poft, habetali icquid Ante.Eft autem Post, pone est. Interdum # quod plus eft euadit Verbum,vt apud eundem: Omihifola meifuper Astyanaĉtis imago.proco, quod eft, quæ fupereft:vt quodammodo sit quafi Participium: atque hoc quoque Græcorum imi ai tatione factum est. Frequens est apud Sophoclem locutio,nie prowlkesi: et ev«,pro šviş. Quo » rum legibus nostri quoqueaccentum translatuma voluere. Obferuata est avauseia his exemplis, pro Ad=ffining. uerbio, apud 1 erentium, Fortunatus fum cære-> ris rebus,abfquehæc vna foret. apud Sallustium pro Coniunctione, Præter rerum capitalium, condemnatis. fic Varro, Præter fi aliter nc queas. Sed mihi videtur caussa huius loquutionis in promptu esse: nam prxpositio illa præter, to tum quodfequitur excludit: fic eftin illo exem plo Enniano, Præterpropter vitam: id eft, viui- » mus ita, vt videamur propter quiduis potius; quam propter vitam. Aduerbiy necessitas: Sedesinter partes:Nominisraa tiofalfa:Item Definitio, Ortus, Species. Cc ij. Dy Ivl. IX. organa DyplexAduerbii neceffitas fuit,ficPomba, duplex est vocum temperamentum per adiectionem. Nanque aut adiicitur accidens substantiæ, aut gradus accidenti. Exempla hæc funto, Vir fortis: hîcaccidens substantiæ addi.. tum eít. atquum dico Fortior, tuncgradusacci denti additus eft. Igitur quod faciunt adicctiua substantiuis, vt fecum affcrant accidentia: hoc vt a agantAduerbia Verbis, excogitata sunt. neque enim fi dicas, Velox fcribo, aut, Velocia fcribo, intelligas scriptionis velocitatem: fed Velociter fcribo, fi dicas: intelligas. Sic igitur quum ex plesset Verba, adhuc fupererat aliquid agen ce dum. itaque etiam gradus illi dengnandifuere. Quare quum bonitas, atque aliæ qualitates in tendi, ac remitti qucant, neque Comparatiuo, ba aue Superlativo ita plene poflint explicari, Ad uerbii ope factum eft, vt explicarentur: Valde bonus, Nimis fæuus, Lorge alienus,Multo for- ni tiffimus: vt etiam illa ipfa nomina gradus signi ficantia, hocindigerent, Paulo doctior. Quare a Vox non folum nomen Aduerbii male fabricarunt 6 vite feteres,fed etiamimprudenter assignaruntdefi- a nitionem: Neque enim folius Verbi tempera mentum est, sed Nominis quoque. Sed nimis fe- cure fecuti sunt Græcos, qui æque inconsulte Strafpnua ipfum appellarunt.Hinc constat ratio w originis, et fpecierum. Nam sicut Adieetiua ap ponuntur Substantiuis: ita quod verbo appo unendum fuit, ab ipso Adie et iuo deduci par est. Si enim dicam, Celerem scriptionem: dicam et iam, Celeriter fcriberc, quæ fanefortienturno at POO 4 specierum a natura ipsorum Adiectiuo-,; rum: vt si Bonus qualitatem, Magnus quanti tatem fignificat: can aduerbia ab his deducta aut qualitatem, ant quantitatcm dicere intelli gentur. Propterea vero quod a et tio et locum, et » tempus exigit, iccirco horum quoque præfcri ptio ad Aduerbii vim relata est.Temporum enim et locorum vaftiorem ambitum certis limitibus intercidi oportuit. Itaque necessario inuenta sunt,Heri, Cras,Hîc, llluc: Cum igitur gradus quasi quofdam deducat per Verbi Nominisque tractus:eiufdem quoq; interfuit, cofdem gradus,, detrahere ad nihilumvsque. Quare fi dicain, Cur rit çeleriter, tarde: et Albus plus, minus: debuit etiam poffetolli eodem inftrumeto, quominue batur: itaquedeuentum estad negationem, tum eam quæVerbis præponitur ad cotradiettionem affirmationis: tum eam,quæ præponitur Nomi nibus ad efficiendum id, quodvocatAristoteles, cioessov: Non çușrit, Non homo. Quæ negatio cum folo Aduerbii genere compleettatur, fane ef- " ficere potuit, vt contra, quam veteres putarint, omnium partiu indeclinabilium princeps esset. Omnisenim oratio ftatim a suis primordiisin af firmatiuam, et negatiuam diuiditur:quæ fiofficii meritum putes,illico poft nomen, ac verbum Ad uerbium ftatuendumeft, Deducuntur autem Aduerbia alia aperte, vt home Bonus, Bene: alia obfcure, vt Senfim, a Sensue Item a Verbis, vt modis quibusdam seruiant, vt, Age,Fere: illud hortando Imperatiuum exi. git, militarę verbum fuit, ab Ago: alterum non + Сс 11] eficia  I e a eft finilitudinis,vt aiunt,fed diminutionis:quoda enim fimileeft, cum dico, Fere poetæ nullo ho nore funt? fed fic intelligo,apud paucos pauci fi poetæ sunrin honore: intelligo autem diminu utionem non magnitudinis, fed præscriptionis: vt aliquid detrahatur firmitati sententiæ, vt ne- (queat dicere, Nullus poeta: et item nequeam, Omnes. Sic Fere fingulos parit mulier: vt fit, ne- V que semper, ncquenunquam. Tractum autem ce est a philofophiæ radicibus: quod enim fertur, in motu est:itaque terminum nullum attigit, neque enim a Feris ductum fuit,vt aiunt, quoniam ferz fint celeres: nam etdurum eft, etnugantur, cuın dicunt, Feras esse ccleres, quia fint quadrupedes: nam etAquilæ funt feræ, et celeres, nequequa drupedes; etmultæ quadrupedes feræ sunt,'nc queceleres, vt Elephanti: iroda et quædam ce lerrima,vt Angues.nequeCanis fera eft, et eft ce- fa ļer.sed de his alibi. Belli autem,et Domi, et Vef peri, et Tempori, ad alia reducuntur. Loci, et Temporis, et Sortiapud Vergilium (vt voluere) Aduerbiis qualitatis annumerabitur. a nomini bus omnia. ct Quæ igitur tempus notant, alia funt Infinita, vt Aliquando, Olim: alia Finita, vt Cras, Hodie. Sic et Loci,quippe a Pronominib. deducta sunt: Hic, lllic, delignantcertum locum: Alibiincer tum et Viquam,etalia. Falso autem putarunt, Prorsum, Rurfum, Sur a suim,loci effe:neque enim locum significant, fed motum ad locum. Illa autem, Oltiarim, Vica Ketim, Viritim,quantitatis discretæ sunt. Quædara autem, vtdicebamus, ad modos relata funt. Sed cum dicunt, O, esse optandi,tantum abeft vt af- er 05p fentiar, vt etiam Vtinam putem effe interiectio - hiho nem: neque enim modum vllum apponit Verbo:) pie idem enim est, Ainarem, et Vtinam amarem: et, ji Omihi præteritos referat si Iuppiter annos: idem est, Heu quaremihi non refert? Neque omnino Vocandi vllum Aduerbium fit: nihil enim detor quet, aut addit, aut tellit a Nomine: quare qui Præpofitionem agnouere, propius ferunt veri-», tatem. Nam tametfi neque motus, neque quietis indicatrix est, tamen disponit admotum, Sicut punctum non eft quantitas, sed tamen ad prædi camentum reducitur quãtitatis: sicin hac,neque enim dicas, Ad me veni: nisi aut voces, aut voca tum intelligas. Loci ac temporis Aduerbia maximo ambitu feruntur: quare placuit veteribus ca inter sese co parari. Sed turpiternimis lapli sunt: Nam quum limfowla dicant,Aduerbialoci ampliore esse significato, adplecia quam temporis: quia Nusquam, plusampleet aringen tur, quam Nunqua:non animaduertere,fola cor, peste pora deberilocis. at ea fimul cum aliis rebus mul- 2 tis,quæloco nullo cõrinentur, fub tempore effe. Non estin loco, Qualitas, non Relatio, nonalia multa prædicamenta. et tamen subtempore sunt, aut fiunt: igitur Tempus multo plura circunscri bit: Locus pauciora.Quod igitur nunquam est, nufquam item est: at non e contrario, multa enim nufquam sunt, quæ aliquando sunt. Quippenul lo in loco eft hicactus scribendi meus; at aliquo tempore quin fit fieripoteft. ou Figur ain Aduerbiis. N Aduerbiis figuræ sunt,simplex, vt Diu: Cõe posita,vt Interdiu. Componuntur autem vel tre poltquam Aduerbia sunt,vel ab ipfis compofitis au fiunt, vt  Hodie: fuit enim,Hocdie: et Nuper,fuit Nouo opere: Semper, Semiopere:Toper, Toto copere: fignificat.n.cito, et expedite:ita vt opera absolutasit. Itaque Semper,ei cotrarium eft,pro pterea quod liquid dimidio tantum opere fit, id non abfoluitur, fed continuatur.Geminatur,vbi vbi. Componitur cum Nominibus, Vbigerium: Te cum Verbis,Vbilibet: cum præpofitionibus, Per- L diu:cum Coniun et ionibus fimplicibus, Vbique: VE cum illis et fecum,Vbicunque, Profe et o, etiam, et illico, fuere composita, vt Hodie,  ac NE Antiquorum Error in Structura. SligiturAduerbiumVerbimodus eft,fatispa tet, quam inconsulto veteres ita præcepere, onto præponendum esse Aduerbium Verbo,vțita di camus, Bene currit. At enimuerocontra est: ac ceffio enim significatus fit ad yerbum ab Aduer- G bio: et quemadmodum prius fumusviri, quant fortes: etprior natura Curlus est, in genere, quam Cursus çeler, in specie:fic erit pri?Currere,quam Celeriter cursere. Nonenim hîc loquimur de fer monis elegantia, fed de caussis ipsius. Acquan quam ars atq; vsus dicitur natura imitari: tamen in quibusdam rebus placuit varietas. Itaque ele gantius acceptum eft Verbum in fine orationis ÇON on 0 die va U lee ic 40$ Opera 110. ziur ge DUSA Vbiz, ft contra, quam a natura ipsius reisappeditaretur, quo more præpofitum est Adiectiuum Substan tiuo: et Verbo Aduerbium. Sicin Tripudiis finiz, ftro pede mouemurprimum, quum natura dex-} ") trum primum moueat: vt arteid factum,non cu jusuis communilegevideatur. TAffeettus Aduerbii. Roprium est Aduerbiorum quorunda, afsu - ioni mere sibi quædam Nomina, Vbi gentium, Terrarum,Loci:eiusdem naturæ, Nusquam, et Longe: respexere enim significatum: eft enim Vbiquafi, dicas, Quo loco terrarum? Sed et tem, pus cum loco communicatum, Intercaloci: co gnati enim inter se sunt. Magna autem affinitas Aduerbii cum Nomine, vt diximus: Itaque et a Nomine fit Hoc die, Hodie: etfacit NomenHo diernus. Adeo,vt etiamcafum retincat Nominis,}»: funn Verbi,vnde fiebat: vt apud M. Tullium in tertio Officiorum: Conuenienter naturæ viuit. quia etiam conueniens.hocautem,quia cõuenit: Græcorum imitatione fa et us Atticismus, ouobws » 00. Eadem affinitate casum quoq; pristinum re tinuere: In Recto, Fors: a quo compositum per dubitatione cum An, Forsan:et Verbo interposiz, to, Forssitan. In Secudo casu, Belli. et apud Cos micumiocose, Foci.In Tertio, Ruri. In Quarto, » Romam. In Sexto, Forte: qua formafuere, Ci to,Falso,Şero: et horum secutum analogiam ver þum ynum, Præste. Interdum etiam mutantur, Gatis ecen VIID ad vt, ار Сс у. 1  IvL. ITE DE BE ER vt,Modus, Modo, Mox. Sic etiam retinet naturam transformatæ in sedin !! Præpofitionis, cuiufmodi est Cum. coniungit e nim tempus, Cum veneris faciam: vt officium meum cum aduenta tuo coniungatur. Itaque re clatiua quædam facta funt, Cum do et us,tum pro bus:id eft,quotempore doctus,eo temporepro bus:coniungitcum doettrinamutuo probitatem. Sed hæc minutius in libris Originum dicta sunt. !! Proprium etiam inter se vsum commutare: fic dicimus, Illico, pro tempore: fed fuit,in loco:et Hefternum panem atrum: pro pridiano. Refert venimHeri, loquentem tantum: sicut Cras, et Ho pl die, et Perendie. Imitati funt Græcos, qui xtes ad hunc modum dicunt: vt eft etiam apud Lucia num,in cunviw. Proprium item, habere comparem, vt Haud, Non: et non habere, vt Ne: prohibetenim, non u negat:quanquam in compositione pofitum inue nias negatiue, Nequaquam, Nequicquam, Ne- ir frendes: sicut Non, prohibendo, apud poetas. In Item habere feriem teporis, Hodie,Heri,Nu diustertius, Quartus: et vt fecit Plautus, Quintus, Sextus: Cras, Perendie. Item minutiora: Nunc, Modo, Dudum,Nuper, lam, lamdudum, lam pridem,et futurum Mox. Præterea quemadmodum amiffo cafu Præpo fitiones abeunt in aduerbia: fic aduerbia in In ceterieet tiones, Euge: nam hoc fuit eje, at Penė, Aduerbium eft. Item communicare eidem terminationi di perfum modum significandi; vt Gælitus,delocoeft u 11 est,r gvoder, Diuinitus. Jebjev: at Publicitus non, dusjer, sed dnu61: habet tamen motum quen dam a populo:sic Primitus,a Primo. Falsum autem est, quod dixere Cafum habere no con Aduerbia. vtponebamusönucler, Snuovde, ånuolio noted fed a Casu ducta, co caruere: quare etiam contra ria additur Præpofitio. sexvb. ges. Item Perfo nam attribuere ausi sunt ridicule, Mecum: oratio enim eft facta vna. si enim fit Aduerbiu. ergo di cas,Egocum: Aduerbium.n.nullu casum exigit. Falluntur æque quum dicunt,Heu esse notam responsionis ad Heus: nam fane nullum exem plum afferunt. Ponitur autem adverbium pro nomine: Sic bine erat confilium: id est, Tale: aut fit Pronomen, Hoc.Et apud Vergilium, Terrorum ac fraudis a-,, bunde est: id est, copia. et Græce scit, pro Græ-, ca. Pro Pronomine: Hinc illæ lacrymæ: id est, ex hac cauífa. Sic, Vnde: pro, A quo. Pro Præ pofitione, Intus Templo, apud Vergilium, pro » În templo. Sed est expofitio in voce Templo yocis Intus: sicutiquudicis, Fcram leonem: po terat enim esse,Intus,alibi quam in Teplo. Quod autem dicunt, PridicCalendas,effe Aduerbio po-, fitum, pro præpositione, falfum eft: nam Pridie, estoratio copofita,sicutMecum: Præ die: et,Ca lendis, est vox termini in quem tempus abit, fic, Eo die, qui ante Calendas, et ad Calendas, (ve ita dicam) it. Itaque etiam dicimus, Pridie Calendarum: quanquam durius in quarto casu. Sed factum est analogia aliorum, vt quia dicere tur, Quarto Calendas,id eft, Quarta ad Calendas, ita etiam,Pridie Calendas.etfi non erat ante eum diem qui iret ad Calendas. Huius motus ratio et cauffa elicitur exmodo loquendi Ciceronis: In ante diem nonum Cal. Pro Coniun et ione: Qua do,pro Quoniam, ett ce re filI mo et mi In CE Interieetionis natura, Ratio. feri te 1 te ef fis Vog INTERIECTIONEM veteres quum a situ et nominarint, et definiuerint, nequaquam aa cæteris cæteris partibus distin xere: nulla enim pars orationis non « interponitur. Sed ita intellexere,Interponi,qua fi alienam a cæterorum structura: ficuti dicimus Interuenire. Verum nomine paulo liceatiore leyfi sunt: nam et, lacere, est duriuscula vox: et wa ettionis significans terminatio. Nam Coniuctio sit,quæ cõiungit: at Præpositio? nequeenim præ ponit,sed præponitur;ita Interiectionõ inţeria B que cit, fedinteriacitur, et interiacet. at a Iacendo, la ettus,autLactio non ducitur: vel G ducatur, rarius, vt diximus, fanesit.Antiquoru simplicitatem re centiores castigare aggreffi accuratius definiue re fic,Interiectio cst, quæ sub rudi,inconditaque + voce affe ettumanimi demonstrat. Verum hæc et falsa est, etcum aliis quibusdam partibus comu nis.nam quid appellamus rude? quod vocem pro nunciantis exasperat, vt dupliciconsonante, E I uax: aspiratione, Ohe: mutarum obscurioru ter minatione, Atat. Verum enimuero aut tales, aut eriam duriores alibiinuenias offenfiones. Verbo rum persone eadem muta aliquot finiuntur, at etiam obscurius fane in plurali, Dormiut. A spiratio per omnes pene partes comeat: Honor, Haurio, Heri.Duplices onerant frequentius no mina, Felix Xenopho: quid rudius, quam' Extra, Intra Infra? Quid simplicius, quam o? Præterea 2 quid est Inconditum? quod incompofitum suam fedem amisit:Inconditæ ædes, Incõditæ fluctua tes acies, Agmen incoditum. At nullus locus In teriectioni fraudi est: quare falso a priscis di et ta est Interie et io, quæ etia præponi,etiam postponi, etiam sola ponipoffit. Quodautem animi aiunt fignificare affe et ione, non eft ab eis declaratum: nam vox hæc, Dolor, animi affe et um significat: at Heu, non significat dolorem.quemadmodum Balteus ab Imperatore militi datus non signifi cat militia: Deque enim vox,ncque a et io inciui lis Cimonis, significatftoliditatem: fed notæ ta men etligna sunt, illud militiæ, hoc stultitiæ. Sic Heu,dolorem non significat, sed ofdolentisani-" minow 1.  10 be Paylminota, itaque fola posita explet audientis ani mrb. mum indicio fuo. Quæ cauffa fuit plena optimi confilii, quamaiores noftriab Aduerbiis distin grouxerint. Elt igitur Interiectio nota animiaffe et i, quæ nullius orationis indiget adiumento. Quare fequiturilla natura, vt careat inflectione: Gbie nim vnufquifque affe ettus præscribit certos limi tes: non.n.continuatur dolor admirationis, sed penitus distinctus est. Quare diuersarum quoq; Spacesmiaffectus, tot eruntinteriectiones. Minamur, Væ: admiramur, Papæ: fastidimus, Ohe: dolemus: Hei: paucmus,Atat: indignamur,Vah: percelli mur,Au:abhorremus,Phy:optamus, vtinam:ab iicimus, Apage: Laudamus, Euge:Attestamur, Doctis,Iuppiter,et laboriofis:ficut etapud alium poetam,Nauibus,infandum,anillis.etHomeria I u cum illud qera G, in fineperiodi: mirificusc enim ornatus orationis est, et augustiores cilius animi motus, quemadmodum in libris P coices a nobis exaettiffime dictum est. Sic chiapud ch. dcm diuinum poetam: Hunc ego te Euryale afpicio? tuneilla senecia Seramearequies:potuisti linqueresolam?? Perfecta erat oratio: at incomparabilis ille vir non fatis habuit, addiditque. Crudelis. Nam etfi nomina sunt, tamen vim illam plene obtinent. Iurantis quoque animus Interie et ionis potius, quam Aduerbii nota ex plicabitur,Profecto. Mediusfidius: et affeueratis, aut sciscitantis, vt Sodes: et illud Terentianum; 1 bu v Els T, Indicentis filentium: quemadmodum et iam apud Plautum. Ex hacessentia atquevsu, il ludenatum est, vt etiam casus quosdam quærant », fibi: in cauffa enim eft efficacia significatus. Vx me, Væ mihi. Certos aliæ sibi calus vsu potius, quam ratione asciuerunt, Heu mc, Heumihi, O ingentem confidentiam. Voces quadam ab Interiectionis natu ra excluduntur. C.Vm igitur affeetti animitota fitinterie et io, quærat aliquis, an brutorum vocesin hunc a. ordinem fint redigendæ, Cra, Vhu, Crucu, Be, Pau, et eiufmodi fortafle carum aliquæ fint, nihilo minus, quam noftrum Au: fed non reci piunturin orationem,ficut ncque alia fi etta a poe tis,nifi periocum, aut figuram, Bosxszexet, Jp877- νελω, τίω ελα. Caufa efficiens etmaterialis, et affeettus ab bis etab essentia. EssentiaInteriećtionis, et finis eft:origo alla tem multarum ab ipsa ftatim natura elt: Inn metu enim vocem edin.us primam quanque la tiffimam, Hu: in dolore Hoi, Hei,apud P autum: aliæ autem ab aliis partibus fubductis ex integra oratione, vt dicebamus, luppiter, Infandum, et eiusmodi. ltem ab Aducrbiis,aut Coniunctioni bus, aut Præpofitionibus: nanque 0, avocan di munere acceptum, transferimus fine calu in admi  IvL. X. Tim admirationem, aut vota: Omihipræteritos referatsiluppiterannos. Vtinam Coniunctio fuit Vt, et additum eft Nam:ficuti in Qujanam: significat enim Vt, fi nem, quem in optando animo concipimus sem per, non semper orationeexplicamus. Coniun c ettio est At: geminata in metu, nonneaduerfatur imminenti periculo? A verbis quoque manarunt: Sodes. prisi Proprium ergo est aspirari iisdem de caussis: Aspiratio enimexplicat fufpiria, et difficultatis nota est. Itaque a Græcis sumptam seruarunt, cePhy, Qeū, Heu: non inuentam addidere, ci, Hei, Hor:quibufdam initio, Hau:aliis in medio,Eheu, Vaha:aliis in fine Proh, Oh, Ah. Veteres tamen negant, vllam vocem in fineaspirari: quare fuit, ceaiunt, Ah a. nostra nihilinterest, quidfenferint agrestes Opici: nam meliora secula ita pronun ciarunt, Vah, Ah:quare etiam plus afficit Proh, quam Pro:et,Oh,quam O. « Proprium etiam cơmponi, vt diuor, Mediusfi dius. Heuheu: quare non re ette omifere Figuram. « Proprium etiam, nullo ordine statui: et ratio cofane subest valida: perturbatus enim animus,aut præuenit affe et um oratione, aut affc et u oratio nem: quare non reete Ordinem veteres assigna Proprium etia carere specie, contra quam di xere: neque enim vna ab alia deriuaturnanque: Eheu compofita est,nondedu et ta. Igitur hoc erut conscquutæ, vt interfe dicantur Infe ettæ:fic enim toces primitiuæ a Varrone appellantur in se cundarunt. cudode Analogia. Dico autem,inter le:propter ea quod ab aliis,vt diximus, deriuantur partibus. Åntimeria autem nulla afficitur alia, quæ di etta eft, vt pro integra oratione ponatur. Catullianum enim illud,Jupiter:fic est, OIuppiter, tu testisesto. Women eteffentia Coniunctionis. RÆCORYM secuti quidam libentius Vox interpretationem, quam vocis con cinnitatem, Conuin ettionem, quam." Coniunctionem dicere maluerunt. At vero etvfitatum nomen aptius fonat, etdu ritia translationis prohibet sic innouari: lenius e nim dicimus lungere, quam Vincire: quanquam Sextus quoque Pompeiusowideouco potius Col- » ligationem dicendam censuit. Coniunctionis au tem notionem veteres pauloinconsultius prodi dere:neq; enim, quod aiunt, partes alias coniun Dd j. gits  Ivl. XI. git: ipfæ enim partes per se inter seconiungun tur: Verbum nanque Nomini iungitur affinitatc nito numeri et persone. Sed Coniunctio eft,quæ con iungit orationes plures, fiue aettu,fiuc potestate: nam, Cæsar pugnat, Cæfar scribit, duæ funtora tiones separatæ, quæ Coniunctione in vnuin coa lescent: actu igiturduzsunt: at Cæfar et pugnat, et scribit,poteltate duæfunt: quoniam Cælar bis cft repetendus. Inuefiigatsubtiliffimecauffamfpecieram. bonjo IGitur hæcConiunetio quum fieripoffevidea dum verba tantům, aut fecundum vtrunque: ex ipsis rebus,quemadmodu hæc reete fiant, videa mus.Res aut neceffario cohærent, autnon neces fario cohærent,aut neceffario non cohærent.Ne cessitas autem duplex: autabsoluta, ve Deus eft: necessario enim est non ab alio, sed quia immuta abiliter eft:eft nanqueNeceffe,quodnccesscaliter 4potest. Theologiautem abusi sunt hac voce, vt eam a Deo excluderent: quali idem effet necesse, et coaetum: at enimuero ipfis vt libet: vocis vero ufatioeft, Perfectio: contingens enim pertinet ad imperfe et ionem. Alia eft Necessitas dependens: hæcin Deo nulla eft: Deus enim eft, Primum,et Simplex, etPotens omnia, et Omniu cauffa. Hu ius Neceffitatis duæ sunt species, siue modi: Dam ipfa cauffa, quã aliquid fequitur,autextat suapte natura:aut no extat quidem,sed per wohoovsta tuitur.cxcmplum primi est:Homo,ergo discipli na nguna montare Btellare Luntora uin COP Calarbi ! he capax. hic, Homocauffa eft, et feipfo extat in oratione. At non ita in fecundo modo,cuius exe ux complum hoc efto: Siambulat,mouetur.hîcenim no Hatuitur Ambulatio. ex his igitur coniunctio num species sunt eliciendæ. Ergo secundum sen sum tantum quæ coniungant, non reperientur, pugni propterea quod sensus notæ voces funt: quare omnes verba coniungunt;fed earum quædam et iam sensum, qnædamnon. Copulatiua. Ut ergo sensum coniungunt, ac verba: aut pino verba dif unque: iungunt: “et, fifensum cõiungunt, aut necessario, aramelo int, vida aut non necessario: et, fi non neceffario, tunc fiut nondes copulativæ, quas connexiuas vocat Gellius li erent.N bro decimo,et funt hæc: “Et”, “Que”, “Ac”, “Atque”. vt: vt Deuset Cæfar doctus fuit, et pugnax: nõ enim neceflario ja immuti cohærenthæres, appofita negatione, Cæsar do et us etnon timidus: fic,Nequecrudelis,neque timidus. His addidere sufpenliuas, hoc exemplo, Et fu-)) E: vociste git; et pugnat:fed frustra: merito enim verborum a pertinet fit hoc: vt,Homo eft,et inhumanus. Saneeftsu = depend perflua curiositas. Continuativa. TAMY osle vide autfecw A ccelcali 720 VOCE, Elletneret Primum īcaulla, i emodi: textatfun aut præstituunt, aut subdunt. Præstituunt riwayam cæ,quas Continuatiuas vocant veteres:recentio tes autem Conditionales: vt, Sistertit, dormit: cauffa crgo dilo Dd ij. 416 IvL. x 1. cauffa nanq; dormiedi, etfino eftipfum ftertera fed e cotrario: tamen ipfa Coniun et io necessario huic rei,quæ eftstertere, subdit dormire: vt que admodun res are dependet, ita intellectus ordi. Ine contrario. Prior eft Morus, quam Cursus: Ita que posito Cursu, etiam motus poneturabintel lectu: eft enim Cursus cauffa intelle et ionisMo tus: hoc autem eft neceffarium, non absolutum, neque pofitiuum, fed iweJenxor. Fit autem quia cotinetur a fpecie genus: item comes eft affectus. + Quare non re ettefcripfere, Coniungiab hissen; sus imperfectos:sunt enim perfeettiffimihi, Dies eft,Luxeft:Addunt etiam id,lungunt,inquiunt, fine subfiftentia. At hoc eft falfum:aliquando e nimsubsistunt,vtNunc,quum scribo:Nox eft. et dicam: Si nox eft,Sol subterra nobis est. Ergo nuc nox fubfiftit, et tamen eft continuatiua. Sed ita cedicere debuere, Sinesubsistentia neceffaria:potest enim fubfiftere, et non sublistere:Vtrunque enim admittunt. Sub eodem genere funt Abnegatiuæ: vt, Si interfuiffem, pugnassem: ostendunt enim effe et tum abeffe, quia defuerit caussa. Hoc autcm non ex Coniunctione fit, fed merito Modorum, et Temporum: fimile enim eft id, Si intereo: pugnabo. Quæautem nonex hypothesi, sed ex eo quod soba subsistit, coniungunt:Subcontinuatiuasdixere. Cauffassubdunt hæ, sic:Movetur, quoniam am bulat. statuit enim ambulare atque iccirco moue ri: Continuativa autem non ftatuebat,ambulare. Vox Male autem a veteribus ita dicta sunt: nam Præ positie E pofitio Sub, in hoc nomine aut fpecić significat, vt hominem sub animali dicimus:aut diminutio 12 nem poteftatis, vt hypopheten fub prophetein telligimus. At neutrum conuenit: nequeenim EI species efse quit certa res incertæ rei: et Subconti nuatiuz poteftas maior eft, quamContinuati ux.Sed ita excufandi funt:amplitudinemConti-, tinuatiuæ percipi ex co quod ctiam impoffibileali quandopræfupponit. Exhac quoq; claffe funt Adiunctiuz: vt, Pu- » gnadumvires.Et quægeneris nomine Caussatia D. uas appellarunt: ve, Pugnaui, quia læsus fui. Et E Approbatiuz: vr, Pugnaui,equidem lælus. Col->> ad le et iuis eadem natura, sed diftant ordine: pra ein ponuntenim cauffam: vt, Homo, ergo animal. 00 Similes huic sunt, Igitur, Quare, Itaque, Quod: od fic, Cæsar fuit Diet ator, quare omnia occupauit. Exemplum vltimą, Veniadte euocatus: Pugnaa ui iusfutuo, vici: Regnum recuperasti, miser pro pterea sum: Quod te per communesrerum vicif, litudinesrogo, fubuenimihi.deestenim Præpom, ofitio, fic. Propter quod: dicimusenim etiam Propterea, et Iccirco, etalia. Er omnino quæ aliquamcaussam apponunt adintelle ettum: Efficientem fic, Quiaiubes, faciagn tu enim mouesmead faciendum. Finalem fic, Do, vt des. eftenim Vti,. Poffuntautem et hæ, et etaliæ tranfponi:Quia dabis,do.Has antiqui Per -Zoo fe ettiuas, etAbfolutiuas nominabant: inter quas. etiam Quatenus recensuere, et Quo. Quium au tem addunt prohibentem particulam Ne,luduntta:): operam:Aduerbium enim eft. Ddiij. a2 CO d ĈResolutioin Copulatiuas. aft.REEsoluuntur autem in Copulatiuas omnes ptenatura coniuncta est: itaque dicemus, Et do, etdabis:Etdies eft, et lux eft. Sicloquutifunt pri cefci Audieras, et famafuit:quia fuit fama. Habes igitur caudam huius quoque loquutionis. Quum autem Copulatiua duplex fit, affirmans et negans. Negativa in affirmatiuam resoluetur, Cæ ledar neque timidus, inequcayarus fuit:fubeftenim (habitus contrarius, Et fortis, et liberalis. Difiun sgit autem negativa propter negationem non propter seutt; Vis vincere, nec pugnare:est enim, et non pugnare. Hoc autem percipitur exinte gra: Nec mutila est. Neque integra est autem Neque et Non. Disiunctiva et Subdisiunctiva necessario, Caussativæ; quarų species duz; aut ex hypothesi, aut absolutæ. Quæautem ne Siceffariono coniungunt, Difiun et iuæ diettæ funt: nawis “Aut”, “Vel”, “Siuve” a quibus differre fecerunt Sub disiunctiuas,propterea quod hæ vtranqueponce rent partem ad eleậtionem: Difiun ettiuæ autem alteram tantum. Sicut Continuatiuæ alteri in certæ, alteram positam continuabant: Subcons tinuatiuæ vtranquepositam, alteram alteri sub Ves-continuabat. Et fane nomen Subdifiun et iuarum. secte acceptum est: neque enim ita planedisiun. Il git, quam Disiunetiuæ: Nam Disiun et iuæsunt in contrariis, aut Politiue, vt,Aut fanus est,aut æger; aut Priuatiue, Aut dies est, aut nox; aut Relatiue, Autpater eft,aut filius. Subdifiun et iuæ autem et iam in non contrariis, fed diuerfis tantum: vt, Alexander, fiue Paris. Differunt igiturinter fe fecun dum cotextum orationis: propterea quod difu Stiuarum partes nunquam cohærent,sed sub co tradiettione politæ sunt; at Subiun et iuæ no item, cauffa eft, quia Subdifiunetiuz ortæ sunt a Conditionali, quæ etiam impossibile admittit siç, Situ " homo lis,fi,ve Equus, si,ve lapis: necesse est corpore præditus fueris:fic enim vsusestTerentius. Quas autem vocant Dubitatiuas, ex ad Disiu ettiuas reettaaccedunt: ac magnum faneambitum na et x funt, quippeex omnioratione potestoriri dubitatio:adeo vt Scepticietiam tciğimua G po nerent in difceptationem.Poft dubitationem fiet quæftio perinterrogationem. quaremodusqui dam estorationis, non species, vt quum dicam, Eloquar, an fileam? intelligo mihi aut loquena dum, aut filendum. Quoniam vero alterum capimus pro certoin difiun et ione:iccirco vsus rapuit Velad vtriusque o partis affirmationem, vt et separata intelligas na tura, et vtraque pofita, veluti alterum tantum ponebatur a Subcontinuatiuis: exemplum hoc esto, Vel quia eshomo, velquia nobilis, vel quia:y. Romanus, noli pati seruitutem. vnam ex his ca. pere possis cauffam, at tres ipsas omnes afferre queas. Terentius etiam folam posuit semel: Vel ' ) Rex mihi gratias agere. fubintelligas, vel alii Dd iiij. sed potiorem parte satis habuitponere. Immergia amox's Græcivocant, nos Electiuas. huius ex quo que generis sunt:vt,Malo Cæsarem, quam Cato nem.Nam etfi alterutrum non capiunt, fed desi gnatum tantum fumunt, latiore tamen difiun gendi voce subiiciuntur,quemadmodum dice bamus deVel,apud Terentium. Commoda vel mulum,velequum,maliş tamen equum: neque enim copulatiuæ sunt, abiicitur enim alterum irmembrum disjunctum. Quid fi Aduerbia hæc fint Comparationis? nam dicimus, Tam volo Cæsarem, quam Catonem: quia Nomina siciu. bent, Tantus Cæsar est,quantusCato. Vsus po ftea inæquali Comparatione etiam retinuit, ve ficut erat Tam,quam: sic fit, Magis, quam. thely Aduersatiuæ quoque ad Difiun ettiuarum na turam accedunt:propofitæenim rei aduersantur; difiungunt igitur neceffario: Quanquam Cæfar nobiliflimis auisortus est, tamen deterioris im perio paret, feruitus enim aduerfatur nobilitati. Huius notæ funt, Quin, Imo, Atque,At:vt apud Liuium in Tertio, Si plebciæ leges displicerent; « atillicommuniterlegumlatores etexplebe, etex patribus finerent creari. In eandem fententiam Mo"admittitur etiam Saltem,fic,Saltem meinterfice fice. Sic, Quanquam potes liberare, tamen mor te hoc li facias, gratum erit, Diminutiuas appel uflant has Latini, Græci enet/wixa's. Completina. Con Dega Menu D C HA Completiva autem et si ornatusmagiscaul.de tur:tamen augent sensum orationis:atqueita au Adela gent, vt pene cum Subdifiunctiuis incant socie lo fatem: Ego quidem scribo,tu vero legis. disiungit: dis enim fenfum appofitæ orationis ab intellectu nder propositą. Summa. Æcigiturfic fe habent certis concepta gea neribus,quæab antiquis etfuse, etconfuse hi prodita fuerant: iungūt enim aut verba tantum, lupo aut etiam sensum: quare tribus claffibusdispofi uit tæ funt: autenim iungunt necessario,aut non neceffario: aut neceffario non. Neceffitas autem, aut ima est propositione priore subGftente, aut ex hy in potheli, Cauffa efficiens, etmaterialis. Ssentiam finemque Conjunctionum fatis a 'pte explicatam puto; nunc earum originem, va bo' materiamquç videamus. Neque vero sigillatim percurrereomnesin animo est.In primis nanque libris Originum exactissime pofita ca opera a no þis fuit; fed ytvniuerfalis natura plenius decla retur. Quædam igitur a Græcis du ettæ funt in tegræ, quædam interpolatxe, Integra eft NL. » renodes cnim dieti funt a Græcis pisces, vtapud Oppianum; vnde etiam noftra Nepa, pedibus » enim minime valet: nisi mauis effe vocabulum Punicum, nam a barbaris ita di etta fuit. Vticft DIY mus Call 31 erer di 2012 or 1 kemutata, ti,sicut šti, Et,ficutQue, na, abie ettodi: wphthogi sono, quemadmoduse, da. Multæ cum Aduerbiis communem sonum habent: Vt, Qua. quam.atque etiam naturam, etenim Vt, Aduer bium fimilitudinis, et eftcausfxfioalisindicatiua Coniunetio: nihil enim fimile magis rei mota (quam finis.Sicaduersatiua Quanquam,Aduerbii vestigia refert in comparatione: Quanquam es nobilis, tamen es prauus. idem est, tam es prauus, aquam es nobilis.Sic Aut; fuitHaud: eadem enim vis occulta, Aut da,autaccipe. negat enim omnis difiun et io,quoniam femel'ponebant, Da, aut ac cipe.fuit enim fic,Da,non accipe: et,Accipe, non reda postea miscuêre, Aut da, aut accipe. ItaVc, a et Vel, proximæ funt. Si fuit e!, addito fibilo: < cqua du et a eft Sic: fuit enim Sice, ficuti Nece! Nec. Sic est Aduerbium fimilitudinis. Condi cctionalis aute Si, affert fimilitudine inter cauffam, et effectum. At, fuit Adaccessionem enim dicit. Affectus. Aduerbiis, Etiam;fuit enim Et, lam::et tri (< fyllabum Etiam, quia lam, bifyllabum, vtfre quenter apud Comicos.Quædam compositænus quamcomponuntur in oratione:vt,Nequidem: semper enim per tuño, quanquam alicubi aliter legitur:fed parant do et iores mendum effe. Cum Præpositionibus, Abfque.Cum verbis Quamuis, Quædam semper præponuntur, Quanquam quædam fubeuntsemper, Que, Ve, Ne: quædam vtrunque patiuntur,Igitur, Nanque. Cum Pronomine, Ideo, cum nomine, Quare. Proprieatem, ut diximus, ab aduerbiis multum naturæ mutuari, adeo, ut Aduerbio proipsis vtamur; Quando,pro Quoniam: necimmerito, nam Quoniam, Aduerbium est, Quum,lam caur fa translationis fuit temporis efficacia, est enim, mensura rerum naturalium. Et abundare, Etet iam, Atque etiam. A'etilisehvad hücmodum in Coniu et ionibus famio obferuata fuit; Commutanturinter fe:vt, Item prosic, apud Ciceronem:Vel, pro Etiam. Pro Nomineponitur, Illius ergo venimus; sed fane nomen fuitiplum, igor: Pro Pronomine, Pro-, pterea quod: id est, propterid, quod.sed potius eft numerus pro numero, ficutquum dicimus Ad hæc,et Ad hoc.2.112 Epilogus vniuerfalis. ngo Xhisfatisconftat, non plures esseparteis,que admodum autrydiores, aut acutiores arbitra tifunt; non igitur recteadditum,Vocabulum ad significandumea, quæ fub sensum caderent: vt Paries, et Lapis, essent Vocabula:Virtusautem et Anima,essentNomina: propterea quodintelle et tutantum caperentur. Patet enim,Vocabulum effe genusad omnja:nametia Amo, quu pronus ciatur, Vocabulum est: vt Stabulu, vbi ftarur:Pa. bulum:vbi pascitur: Tintinnabulum,quodfonat: Vocabulum quodin voce est. Eiusdem supersti-> tionis, et plusquam Græce, inminimadiuides re,quæ vnius corporis sunt:vtin Affeuerationem ea quæ effentInterieet ionis, cuiusmodi putarunt Heu. Et Attracttionem, ea quæ ad Aduerbium attinebant,quale eftFasceatim: quæ enim Attra dio sit, Viritim cansulere, quos non trahis,sed addis?Quæ omnia iure optimo a do et iffimis ante nos explofa funt. Confiliumopera ampliariaseta de Figura, Am fatis videbatur elaboratum vel mihi, qui fortaffeetiam quz nufquam effent excuffiffem:vel aliis, qui coaet i funtautaliter sentirc, quam effent ha et enus professi:aut irridere cariolam noftram di ligentiam. Verum interest accurati procurato ris,non folum eorum tenere rationem,qui infa miliafünt: sed etiain agere, vt fiquid furreptum, autextortum, aut alioquomododebitumlit, co recuperato census augeatur. Itaque quum vete Frumleges, corumque consilia a nobis hactenus explicata sint: fupereffe videtur, ve fiquid extra easdem leges receptum fit,morenostro et recen fcamus, et eiusinstituti røddamus rationem. Igitur loquendi modosquofdam Figuras priscima. Vox le nominarunt: omnis enim oratio figurata cft: eftenim Figura qualitas extremitatum in corpo re:Oratio in voce eft,vox in aerc,aer corpus: er go quasi lincamenta funt quædam huius corpo ris,vocum elationes,depresiones,productioncs, correptioncs,aspirationes, attenuationes, ince ptiones,terminationes.Quarcquocunqueloqua ris modo, non aberit Figura. veteribus tamen ita libitum fuit, vt non quæuis loquutio Figura præ. fcriberetur: sed aut in materia ipia aliquid quali peregrinum, aut in forma quod esset, Figura dice? retur. Ac Quintilianusquidem quemadınodum et senserit,et scripseritdehis, palam eft. Tebar52 nim, et gempaa, vtifierent,docuit: sed adeoipse perplexus fuit, vtquum distingueret, eadem di Itin etta non agnofceret. præstatautem ficinteili gere, quæad formam pertinerent orationis,id est ad fententiam,caeffe Algvos,et tropos dici: quz autem admateriam, ea effe nezew, et schemata:)) namgchua corporis est:reemos, animi,quare eos, quasi mores, modosque orationis, quibus ipfa quali et animatur, et mouetur fimul, acmouet, oratori relinquemus. Quæ autem verborum iioning ncamenta sunt, ea aut suntvfitata, et ad numeros pertinent,vtSimiliter cadens, eteiulmodi: aut ad ftru etturæ variationem. Illa igitur ad poliuiorenu i { pe et abunt scripturam, hæc ad scribendi loquen díve leges:vtraque autem Figura continebuntur. Quareillas oratori, historico, poetz deslinabi di mus: harum nos caussas præsenti opera inuesti gandas curabimus.  Bu uf If  rah. Appositio. Auffa,propter quam duo Substantiua, non ponunturfineCopula, e Philosophia pe tendaeft: neque enim duo substantialiter unum esse possunt, ficutSubstantia et Accidens: itaque non dicas, Cæsar Cato pugnat. Si igitur aliqua Subftantia eiufhaodi eft,vtex ea, et alia,vnum in telligi queat, carum duarum Substantiarum to tidem potæ,id eft nomina, in oratione fine Con iun et ionccoherere poterunt. Quarepropofitum nomen amplioris intelle et us, fubeuntis nominis U præscriptionemoderabimur,fic,Vrbs Roma: po sita enim Vrbis vox, deducet meum intellectum per omnesvrbes, donec addito Romæ nomine caftigabitur. Est autem amplitudo huius intelle 4 etionis duplex: aut enim est Vniuoca, vt Vrbs, 2) Arbor:autÆquiuoca,vt Lepus, Lupus, Turtur: fignificant enim et piscem, et alia animalia ge * neris diuerfi: itaque in præfentia sunt maioris fignificatus,quam Piscis: quod tamen eft nomen Jatiffimi generis: Comple ettitur enim plura Pi fcis, quam lepus. Sed iccirco fit hoc loco, quia Æquiuocum nullo certo genere ponitur: eft enim Lupus, et in Pifcibus, et in Terrestri bus, quæ duo fumma genera funt. Eft et alius cemodus moderationis adenominatione: nam fi dicas Cæsar, multas virtutes aut vitia poffis at tribuere. Itaque temperabis eum cursum tam vagum,appositisnominibus, Imperator, Diet a tor. Et alio flexu fic, Catilina pestis rerum romanarum: Procas Romanæ gloria gentis. Fir etiam luat. phia cerrt cur2: larus opot 500 $ Tomate 2 etiam quarto modo, quum transferturfigurare set denominatio in primitiuum. Zoilus vitium, pro vitiofo. Cauffa aute huiufce loquutionis fuit are ansa ticulus Græcus; naywsoix Jus, Kairap o autoxegia tw. Euenit autem aliquomodo,vtvtrunquealaz tero maius sit. quare fine vllo discrimine com- " mutare fedes inter fequeunt. Exempli gratia,Le The pus piscis:et, Piscis lepus. eftçnim lepussub pilce, tanquam subgenere. Iccirco pesfime errarunt, cinsl cum putarent tic dicendum Fratres, gemini:non to lic, Gemini fratres. Etenimfratres effe poffunt, nec gemini: etgemini, nec fratres. vt omittam, non esseappofitionem hîc ex Substantiuo et Ad icctiuo. Sic dicas, Flumen Renus:quia alia quo- » quefumioasunt: et, Renus flumen: propterea quod nihil interest, aliquid ita fit, anita effepu-come tetur, itaque etfi Renus, non eftæquiuocum,ta-i ima men ncfcienti quid Renus fit, æquiuocum ef se potest, quemadmodum fane eft: nam etiam Bononienfis fluuius Renus est. Sed par fit alio rum quoque ratio: nam Taxusæquiuocum non eft, et tamen ad explicandum eius naturam, ad ditur Arbor: poflim enim herbam, aut etiam montem intelligere. Hoc per initia ita fa et um eft, ac poftea etiam non necessariatenuit con fuetudo: ficenim fitin vsu ciuili quoquc, et mill tari, vt Cristas etiam in pacegestemus. Vergi lius autem commutauit fedes ob carmen, Ca Atancargue nuces. omnis enim Castanea nux eft. Nam posita specie genus non debet appo ni, vt diximus, nifi ad explicacionem: quodfi apponitur, decet ipfum coartari ad angustiora, Ti mai ft.no Terra Cts. ScA L. LB. xt. where 4 vt quum dicas, Cæsar homo imperterritus. Eftes nim Homo genus: at quum addis “imperterritus”. Cogis in ar et iorem significatum: quia poffit effe, etnon esse Imperterritus. An vero fit Appositio ab Adiectiuis? Tectum auguftum; ingens, centum sublime co luminis. ec Non ita est, sed Tropusdow getov: et repetitur intelle tione, teetum: Hinc patent nugæ Gram maticorum, qui negant recte dici a Vergilio,Vr bem Patauii: quum tamen omnes ita fint locuti: In oppido Cumarum, Palladius:In oppido An tiochiæ,Cicero: et eodem filo Liuius, Vrbs Ro semana: est enim in illis casus Pofseffiuus, in hoc nomen ipsum. ac quanquam poffidens etpoffef fum diuerfa effe debent: tamen hæc duo, quz v inum sunt,Vrbs,etRoma, duo esse aliquo modo intelligentur: quasi vrbem Patauinorum dicas et Romanorum. Etfane duo sunt: nam Vrbs, est appellatiuum: Patauium, proprium:quafipro prium possideat appellatiuum. ficuti dicimus, Vrbs nominis inclyti: sic, Vrbs nominis Pataniis Euocatio. " E Vocationem dixerunt, quumtertia persona euadit prima, aut secunda, quafi hæ euocent illam de suastatione, aut ex hybernis:vocabulum enim est militare. apponuntexemplum, Ego Ca far scribo:Tu Cato legis.verum hoca nobis iam improbatum eft: Onine enim nomen cuiusuis perfonæ cft,fed non variatæ: ficuti Felix,cuiusuis generis eadem voce: ridiculum enim est, Cæsa remin me effe perfonæ Tertix: nunquam enim loquens, aut fcribens de me, effem personæ pri mæ.Nequeposlem dicere,Ego sum Cæsar. Nam si esset perfonæ Tertiæ: pofsemitem dicere, Ego fum ille:et,Ego fum persona tertia. Conceptio. Vemadmodum vna fieret oratio, in supe riore libro et alibi dictum est.Coniun et io nes enim fit vna: Cæsar etCato equitant.Equita tio hîc vna eftin duobus. Itaque aliquando sub ie etta intelligis: quæ quia fant plura,pluralem nu merum appones. Aliquando prædicati vnitatem communem vtrique accipies: quare numerum attribues vnitatis, Cæsaret Cato equitat.Malue- m.9110 runt igitur illam effe figuram in plurali, quam mig. hancin singulari. Et ratio est, quia Coniunetio repetitnumerum singularem: ostendimusenim, duas esse orationes potestate, quare ytraque erity singularis. Nequevero sola Copulatiua hocagets ö fed et Disiun et iua, sic, Aut tu, aut Cæsar date mi. hi facultatem scribendi. Paulo figuratius eadem oratio in obliquis versatur,fic,Cæfar cum Cato ne disputant. Cuius loquutionis necessitas eue nit ad euitandam ambiguitatem. fi diceres, Cæ sar cum Catonedisputat:non vnionem,fed con trouersiam pofsas accipere. Sed illalonge figura tiorapud Ouidium; fliacumLaufo de Numitore nati. Neque enim Ilia eratnæi, fed nata cum Lauso Itaque ante quam reddasVerbum Recto, Redus cum Obliquo ita sunt coniungendi, yt vnum fite pluribus, quibus pluribus Verbi numerus re fpondeat.Recte vero putarunt illam esse figuram apud Poetam, Cana Fides, et Vesta, Remo cum fratreQuirinus -Iuradabunt. Sed nos etiam vtroque modo figuram intelligi mus. Fides etVesta iura dabunt: etalteram in oba liquo, Quirinus cum Remo. Fit autem hæc ynio non folum in Numero, fed etiam in Persona:vt reddatur verbum prima; et secundæ, non sine cauffa: Nobiliori cnim de. betur. Quæ loquitur, nobilissima eft: facit enim orationem: et libiipfi, vt ita dicam, proximaest: mox secunda. Itaque cum feipfa pofuit, non po teft ad aliam transferre verbum: fic enim definie batur., Quæ de fe ipfa loquitur: ita igitur loque mur, Ego et tu fcribimus: Tu et Cato pugnatis. Eadem nobilitatis ratione in genere fit Figura, ut masculino reddatur at feminino. Cum ergo et in numero et in persona et in genere fiac conception. Ilud habetproprium sibi, ut in numero solo poffit fieri. Cum autem fit in Persona, aut in Genere,semperetiamFigura numeri adsit, Ego et Lucina læti viuimus:Tucum matre lauti cænatis. Atque iccirco dieta conceptio eft dua bus decaussis: aut quia minus a maiore: aut quia minus nobile a nobiliori continebatur. Quem admodum vero autores ea vfi fint, adGramma sticum cum fpeetat, qui docet componercoratio Grand nem.: 435 TO.RO i vnumer - umerus K kias D minteli eramini nNume 1 Dum pri OFICNIMA: facies proxima:. it, fick Jugatio. Roxima huic lugatio est,quam Zeugma Grae vox co vocabulo maluerunt appellare, quum ta men Latinis ahis vterentur. Nam quemadmo 7 Onni dum in Coceptione quod vniuserat,commune cuadebat: licin Iugatione, quod vnius est,ita ad cum pertinet,vteius lignificatuiadiugat alterum.l. Per Conceptionem fic loquare, Tu et Lucina mihi cari estis: per sugationem sic,Tumihicarus cs,et Lucina. Non igitur hîc cocipit, sed permit tit tantūdem. Eftitaque coceptionis visdimidio maior. lugum igitur quodda quasi est Adiectiuũ quo in vnum coeunt significatum extrema duo: quare medio in loco fedem fibi iure vindicat.Ve rum vsu extortum eft, vt vocum stationes com mutarentur. Itaque tribus modis excogitarunt: Primo loco,sic; Carus mihi es tu, et Lucina, Me Fopulls dio, fic, Tumihicaruses, et Lucina. In poftremo, ft. Tu mihi; et Lucina cara eft. Græca Latine ad huc o.Cut modum interpretere, σείζευγμα, μεσύζευγμα; Gener iwozuyuc:Præiugatio, Interiugatio, Adiuga tio. Fitautem quemadmodum et Conceptio per in Per Numerum, Perfonam, et Genus: Tu, et mulieres umen bonæ sunt. per Conceptioncm diceres, Bonih estis. Quare pessimeaggressi sunt emendare Vir ocio elogilii carmen illud: Nihil hic, nisi carmina desunt. et male in singu, ur. Qläri deeft:Sic enim dicas, No quicquain, fed car Gruuminadesunt: idem nanque. Sinon desuntcarmi: na; nihil deest, verissimum hypozeugmaest. Anticipatie An umda ziturloc Ti, vein matres re:aut! Tercolor home A CE zaho A Nticipationem triplicem accepimus, Poe ticam, Oratoriam, LiterariamPoeta. ante capit ex sua perlona intellectionem communem auditoris: vt, -Portus reqnire Velinos. Hinc enim de sua persona occupat personam Palinuri poēca:neque enim tunc Veliniportusdicebantur, quum Pali nurus loquebatur: lic, Lauinia litora, dixit. Ora Utoria est, quum antecapimus locum in animisiu. dicu, refpondêtes tacitis obiectionibus. Literaria est, cum præcipimus toto partes, fic, Ciues nati ad interitum Reipublicæ, Pompeius superbia, Cæsar magnanimitate. Eft autem maxime coniun et ta figura hæccum Conceptione,quatenus totu concipit partes suas: neque ab ea differt, nisi di ftributione:et eft contraria ordinatione vocu Ap positioni: Paftores compulerant gregem, Thyrlis oues, Corydon capellas: distributio eft per anti cipationem, conuerte sic,Thyrfis, et Corydo pa stores:appofitio eft.hanc Prolepsin Græce appel larunt, quafi præceptionem. Compositio. Voxes Vid effet Componere, fatis superioribus Jaho libris declaratum eft: quod fiquis aut me minerit, aut animaduertat, intelligetnon conue nire huic loquendimodo, quem fic nominarunt: Efterim hæc loquutio, quu significatū voci co trariū, voceipfa ducimuspotiorem.Populus vnu fignificat e multis confectum:multaigitur figni a ficat per se, vnum per accidens: quare liverbum plurali numeroattribuatur, fignificatūr espiciet Q dos takoa uttert, foneva mus, fi non vocem. Figura igitur sane eft non longe a pocue Cõceptione: Idun enim est Populus, et hic ciuis; ommun et hic, et ille. Vetefc » autem coposicionem nulla vera ratione diccre potuere,nihil enim componi crimde tur, fed trãsfert:!r. Ita quu dicis,Fætupecus: co» peus ponis genuscum genere,et transfers lignificatū. gurum? Nam pecusgeilereneutro quý Mares et Fæmel. civil las comprehendat, affectum fæmellarum tranf julia tulit ad femellas comprehensas. Eft igitur po stius Tranilatio,aut Conceptio, quam Composi 6, 6 tio. Sic variaturGenus etiam: vt, Parsper agros finestra dilaplı: quia Pars, sitidem quod, Milites. Sicelta net pud Homerum, rezvov pins, Sic elt, Tristelupusº stabulis: vt illud, In Eunuchum fuam: quoniam Eunuchus sit comcdia: Lupus autem res: vtlit, Triste, Tristis res. Comprehenfio. Vic non abfimilis Comprehensio.Græci quing owersoxlu vocat quum ex toto excipitaffe,i et um partis, cui toto eum affectum attribuamus; Elephas curuus dentes. Hoc tota figura coniistit in denominatione totius a parte. Nain verum est,s ) Dens est pars elephanti curua: ergo Elephantus est curuus et tous oðovæs.In priore figura significa tus concipiebat vocem, in hac pars toti in ligni ficatu.in voce e contrario Totum concipit partē Igitur Græcum nomen multæ efficaciæ eft; nam) out, significat totu et partē fimuleffe: -u, significat excepta qualitate, aut aliud a parte, et toti attribu tū. Sexeaiz, fignificat ipsum motum translationis. Antiptosis. Ee iij. Non gem, 7. cocte et CCT Guinea Hid Ilipent oliquis a 1 etПодії CONI sicacuva 7. Pope ta izier lare LTE bicarum go On possumus vnico verbo latine græca exprimere, αντίπωσιν: que figura multis modis fit, cum Calum pro calu ponimus: ac fit: quidem veteru autoritate:carea pecunia, et pecu: 1 niã. Sed fane hîc Figura nulla est:vsus enimextor fit poftea,quo antea placitű erat. Aliusmoduseft ifque multiplex, et Attici longediuerso more v tuntur, quum relatiui casum eundem faciut cum a antecedête, weinogesvg ev eneža.quo modo etiam Gellius aliquando vfus eft: Latini cæteri vix vtun tur. Mollissimum fuit genus illud, Quam vrbem 6c ftatuo,accipite:at duriusculum, Vrbem,quam fta tuo, vestra est. Iccirco non inepte nobis pueris præceptores noftri lic interpretabantạr, Vultis canis regnis confiftere: vultis vrbem, quam ftatuo? vestra est. Verum hîcita sit, sed profecto veteres nimis multa liçere sibi voluere, velut Plautus,Au edularia, Picidi uitiis,qui aureosmontescolunt,egoso ļus supero. Cauffa huius orationis fuit, aliorfumin tentus animus,deinde defịcxus filus loquutionis: id quod patet ex eodem Plauto in Captiuis, Hos quos videres ftarehîc captiuos duos, illi quistant,bistat hic ambo, non sedent. Diet urus enim aliud videba tur alio verbo,quum fubiunxit festiuecotrariu. Hæ funtcauffæ extortæ orationis: non quem: admodum folute prodidere sine vlla ratione.Mo dos autem ampliores non eft præsențis instituti contemplari: sed pertinet ad construendi leges, et obferuationes autorum: reducunturq; ad hos, quos descripfimus: veluti quum ex affirmatiua sfacias aut negativam, aut dubitatvam: aliaquç eiusmodi. Pocum caussas duplices esse Essentiales, Accidentales, ir. frunz ACTENVS fingularum partium Foreonha H mam,  efficientem, finem, materiam, Affe et us declarauimus: quique Affectas effent abipfa Essentia profeet i, superiorib libris di et i funt: quive vsu extorti hocpostremo.Nunc aute cömunem.omnium vocu natura videamus, ex instituto sic repetentes: Vocum et Materia, et Formaeft, et Origo:qua pro efficienteacccpimus femper: igitur cauffas quoque duplices habuere: alteras essentiæ, alteras materiæ et accidentium essentiales etymologias græci vocant. Nam E quamobrem, Amodicitur:quia qua, et cuda, et aw Essentialis est. Quare Amo, Amas, Amat? Quia Canto, Cantas, Cantat, Materialis, et Accia dentalis est. Quas cauffas propterea quod veteru aliqui aut reiecerunt, aut negauerut, in præsentia a nobis verioribus argumentis agendum est, ki Ee in merito etreceptæ, et probatæ videantur. Id quod operis initio non fecimus eo confilio, quod iupra u narrabamus: quum enim subiectum suum effe nullus artifex probet argumentis, neque Tcdoti, at ne z o'ri, quidem:fed tantummodo redarguen do pertinaces, iccirco in hũc poftremum librum hæc opera destinanda fuisse visa est. Veterum argumenta, Cbox ETymologiam Græci vocarunt cauffam vnde socesancte fint: veriloquium Latinis placuit is interpretari, led quain frigide, videamus: Nam yoritasin orationeest, nou in verbis priuis. Præ torea ify it in hac voce significat rationem, non aucm loquutionem,vtvera ratio potiusdicenda fu fit: quare nos, Vocis rationem, transferre malui mes sautifam autê accidentalem iidem ovanoziar Jor coco confilio nominarūt,id est, rationem pro- na ennportionis. Easfic destruere nonnulliinstituêre, Nominum, inquiunt,naturæ,nisi per nomina de monftrari nequeunt; nomina enim rerum sunt notæ. Intelligunt autem nunc per nomina,voces omnes: ficut per Tignum immittendum Iurecon fultus etiam lapidem. Quodcunque igiturdecla- di Fatur, per notiorem quampiam rem notü fit. Er goilla nomina,per quæ nomeillud definitur,no mine ipso notiora erunt. Ea pomo nomina, aut nota habebimus, aut nộ: at absurdum est ea igno- di rari, per quæ aliud notum facimus; itaquenota ni sunt: et fi nota, per aliud fane nora, per aliud igitatur nomen. Quare vsque in infinitum: hocau tem absurdum eft: non eft igitur verum nomi an m num vllam esse cauffam.Præterea nomina essein- 2 finita, aut omnino, aut propemodum, atqueic circo ignorata: infiniti autem finita natura no stra capax noneft. Ad hæc, quæ vsu mutantur af 3 fiduo,partimqueinteriere, partim quotidie sub nascuntur, ea ignorari neceffe eft:quuęternarum tantum rerum fcientia fit: eft.n.Scientia habitus animæ certus:at corruptibilia incerta funt. Postre maratio hæc fummos adduxit viros, vt integris contenderent libris: Quæ nullis, inquiunt,cer: 4 tis inter fe cohærent legibus ca nullo modo sub certas venire leges. Eiusmodi vero esse nomina. Quum enim duæ, ut diximus, caussæ sint, etymologiam ignotam esse, velex eo conftare, quod super eodem vocabulo diversa senserint autores. Aalogiam autem, quam æqualitatem vocant, omnino extare nullam. Quareipsaquoq; nomina per caussas nunquam nota erunt. Argumenta dissoluuntur, Tprimam rationem diffoluamus, ita acci-. piendum est. Intellectionem noftram esse duplicem, Reettam, et Reflexam: igitur nome obvium excipimus recto a ettu intellectus, fimplicia; fini destinatum ad fignificandum. Exempli gra tia, Lancea,atque ibi pro nota, aut figno rei,vti dicebamus,habetur nobis.Reflectimus deinde a nimi cursum ab ipfa re super nomen, ipfumque tanquam rem quandam contemplamur. Quæri musigitur tum eiuscauflam inter ea quæiamno ta habemus. Quemadmodum autem duæ essent nominu cauffæ, dictum iam esta nobis libro ter tio: quædam enim erantDeducta, quædam Pri mogenia.Deductorum igitur cauffasesse Primo genia: Primogeniorum autem caussas cognosce re easdem non est necesse, sed calum, aut arbitrium inventoris pro caussa habere fatis est. Est enim duplex cognitio nofsra, aut positiva, quum el cognoscimus hoc esse, aut priuatiua, quum cognoscimus illud non esse: hoc enim est esse illius, quia non est. Altera vero, ac tertia ratio simul fic W 2 e, diluuntur. Scientia specierum est, et singularium,  ut subspeciebus continentur, Ea igitur, in quæ conueniunt omnia singularia, Diciones appellanimus, Earum essentie, atque affectus neque corrumpuntur, neque mutantur, puta Species, Gen ra, Casus: semper nanque Calus, Casuseft, fem per Modus, Modus. Quæ autem singular sunt, aut unon corrüpuntur,fed perstant:quare nihil faciüt difpendii:multæ enim voces sunt, quas nullus yn quam aut distorsit vsusaut, aboleuit. Aut si cor crumpuntur,æque scireintereftnoftraea corrum pi.Quamobrem etCorruptibilium, et Incorru ptibilium scientessumus.Corruptibiliumautem rerum corruptionem non sequiturcorruptiosci entiænoftræ:hoc enim scimus nos,Corruptibi lia effe.Idipfum igitur,quod est Corrumpi poffe, non interit, sed semper eiusdem naturæ eft: fem per enim hoc habet,vtcorrumpiqueat. Quarti argumentisuperiorisprobatio nes ab aduerfariis. Hæc sic expediuimus, vt exa ettius quartam rationem, qua et Analogiam et Etymologiam tollunt, perpendamus:quare videndu prius est, quibus vtantur rationibus ad confirmandu, Quum Analogia, inquiunt, fit æqualitas. quædam secundum quam fimilia ducimus e similibus: vt, a Fructu Fructuosus: sic, a Gestu Gestuosus: pri mum oftendere nituntur, quod non fitnccessa ria: deinde quod nullo modo fit. Vtilitatis cauffa nou mode inuentus est sermo: magis igitur refert,vtbre:. ! uis, et re etus, et simplex lit, quam longus, et va rius: atæqualitas deducendi variatmulta:noni gitur admittenda. præterea Ab eodem rerum ysu 2 reiicituræqualitas, eo nanque consilio muliebris mundus a virili ornatu differt. itemq; in ædificiis Corinthia structura a Dorica, et Thufianica, et Ionica longe alia est. Neque vero id ex artibus so lum conic et ari,fed ipfa quoque natura late cospi ci potest. Etenim membrorum compagem aliam atque aliam esse vsui fuit. Æqualitas igitur non folum non neceffaria eft, fed etia officit. Quod fi quis ita dicat:non Vfum folum quæri,fed Elega-porok. tiam quoque: is adhucintelligat, magisreiicien dam etiamnum similitudinem; nihil enim pro pius fastidio,nihilelegantius varietate. Ad hæc, aut Artem fequemur,aut Consuetudine: fi hanc, 3. nihil opus eft æqualitate.fed quæcunque vsusug gerentur, ea nobis eruntfatis. Sivero Artē,ac prę çepta, vtæqualiter omnia ducamus, pro insanis habeamur,nequeenim id fiat, vt quemadmodo Lupus, sic Lepus fle ettatur, sed hoc leporis, illud lupi faciet. Non eftergo necessarią Analogia. Quodautem nulla fit, fic conantur: Abestab Woh omnibus orationis partibus: igitur nusquam est. Ac fane in Generibusnon eft: quædamnanque trium vocum sunt,Humanus,Humana, Huma num: quædam duarum, ceruus, cerua: quædam singulis contenta, A per. Neque ipsa Genera simi litudine vocum afficiuntur:canMartia, et Sisen pa, diuerso sexu, eadem vocis forma sunt. Item eadem Genera vnica voce confusa,atque ignota, vt,Passer,Aquila: quum tamen et ibi fæmina, et z hîc etiam mas sit, Aț nenumerus quidem agno uit Analogiam: nam quamobrem non dicimus Cicera,ficuți Farra? neque Olea, ficuti Vina? No enim re et e responderunt antiqui,ob generum di uerfitatem in vino multitudinis numerum rece ptum effe: quia aliud efset Chium, aliud Lesbiu, aliud Falernum: nam Ciceris quoque valde sunt diversæ species, folio, Siliqua, Semine. In temporibus item desideratur: quippe a Fleo, Fleui: a Sero, Seui: a Fero, Tuli: vbi a diffimilibus fimilia, a fimilibus diffimilia orta funt. Item a Pafco: Paui; ab Amasco non eft. ModiquoqueAnalogiæ im munes funt; multi enim carent, vt Forem. Nec Figuræ ducuntur Analogia: nam quare diço Æ nobarbum: non Ænibarbum? aut quareMagni loquum, noMagnoloquum?Quinetiam in deri uando ipfas speciesæqualitatis nullam curam ha bemus.Siquidem a Boue, Bouile:ab Que Quile: a Sue nihil ducitur. Et Bubulam dicimus: at ab O ue, Ouillam:a Scribo, Scriptor: a Bibo nihil tale: fed cotra, a Bibo, Bibacem: a Scribonullum fimi 7 le.Itemin Comparatiuis,et Superlatiuis: clarus, clarior, clarissimus: similis, similimus: bono, melior, optimus. Sic nequein Diminutiuis: A nus, Anicula: manus, manuscula: a Pufione, Pu fillus: a Morione nihil. Quid quod ne Accentus9 i quidem ratio vlla eft fimilis? Etenim Hectorem, et prætorem eiusdem formæ nominaalia et qua titate, et foni qualitate pronuntiamus. Sed et ea dem nomina variis quatitatibusalias, atque alias 10 i proles generant: a Lucco Lux longa,Lucerna bre uis. Immo etiam eadem inconftantia in eadem voce deprehendetur: nequeid apud poetas so lum.Pharfalia, Italia, Sicania:fed etiamcommuni ysu. Nam in lege fundi venditionis, Ruta.cæsa ita v pronuntiabant prisci, vt prima vocalis produce retur, alibisemper correptaesset. Quod fi non eft neceffaria:neq; est in acciden tibus partium: quippe nonin Primariis, non in Deriuatis, non in Declinatis: immo in vno eo demque inæqualitas: Analogia nulla erit. Argumentorum dissolutiones. HI, quifese literature hoftes profiterentur, Can potuiffent a nobis ferri fane, nifi pessimum tve facinus ausi effent. Neque enim solum caussas ra tionesque proportionis tollere in re literaria, fed etiam totam naturam ipsam demoliri videntur mihi. Diruunt enim æqualitatem et similitudinem, omniaque casui subiiciunt: contra quam fa ciebat Plato, quietiam Nominum ac Verborum" ) ftatum, fexumquc naturæ certis legibus confta re, atque duci arbitrabatur. Nosigitur vtrunque extreeue na quo na de PE lu I red 011 m tia ui LE te: 1 extremum tanquam vitiosum reiiciamus. Acdea cem quidem principes rationes,quibusaliæ que annectuntur, scio a veteribus obfcure fimul; et pluribus verbis inculcatas: quæ hîc tam clare patery, tamque ordine digestæ funt:vt quod illi orationis fuco, nec fatis apta copia quæfiuere, id hac nos serie, vt quam efficacissimæ appareant, confecuti videamur. Quibus vt refpondeamus, paulo altius ordiendum eft. Fumit Naturam rerum omnium autorem,quæcunq; agat, propter finem agere receptum eft:quare ne ceffario fit,vtcertum quiddam agat: vndemem brorum, quæ in animalibus sunt, causfx, officia; opera luculentissimis libris a nobis funt explica ta. Propterea vero quod interdum aliis, atquea liis circumuenitur impedimentis ita, vt aberra re cogatur: quibusdam præventa anguftiis non id agit, quod intendebat. Itaque homini aut addit fextum digitum,aut tollit manum, aut de curtat crus, aut aliud quippiam eiusdem modi monstrorum parit. Cæterum quia maxima ex ceparte reete opus suum peragit, nequaquarn ci de elle operi,quod proponit, dicimus:neque iccircơ riaturam negare debemus. Verum nonnulla re ete, atque ordine in lucem prolata deprauat Co suetudo: quales funtii, quos vsusadegit, vti Val gii effent,aut Vari, aut Compernes. etiam Cafus multum potuit, quo aliquis Claudicaret, aut Luf cus effet, aut Strabo. Ætas quoque, atque imitatio detorsit pristinum quorundam institutum, quo detraetianatura sua degenerarent. Quem admodumigitur vel cafu,velvfu, natura aut per ce CE all 2 fe cy Pu liu T bo di 1 al 9 9 Herti NU Pm edeme uertitur, aut immutatur, nequepropterea tamen naturæ opera neganda sunt:ita non cantinuo Аnalogia, quæ natura quædam vocum est, ficuti ureline desit, ab omnibus tollenda sit. Est ante oculos KMC Phalaris, Dionysius, Nero, alia monstra: in his quo iustitiam, atque animi moderationem deside res: igitur nusquam hæcerunt? Alexander rau pparea cius loquebatur, obstipa ceruice erat; non a pri mordiis natalium suorum, sed pædagogine qui tia distra ettus fuit a simplici illa regia indole. Hominis igitur fuerar integritas, consuetudinis pra qua vitas. Species enim per singula corpora propa gantur, inter quæ nullum formæ difcrimen in Ez,c uenitur: ita etiam in verbis fit. Sicut ergo in natu utepi ra dedu et io triplex, fic et in vocibus. Triplex autem ad modum hunc: propterea quod ea quæ tabe deducuntur tribus diueria sunt differentiis:nam uliset aliquid dicitur effe diuersum ab alio Forma, vt 2. equus ab homine. Aliud Materia, vt hic homo Col.ab hoc homine. Aliud Accidente, vthic homo me sedens, ab se ipso stante. Quare in vocibus quo ai que aliud erit nomen hoc, Homo, a verbo hoc, Pugro: forma enim distant. Secundo modo a Leica liud nomen hoc homo, a nomine hoc equus: nuk Tertio; aliud nomen hoc Homo, a nomine allal,hocHominis. Possunt autem ea, quæ vel for milima, vel materia fola distant, etiam accidente um C differre: vtHomoniger, ab Equo, et Homine Walbo: fic nomen hoc homo, et a verbo hoc Se tout quor, et a nomine hoc equus diftabit accidente quoq, id efs lineamentis elementorum. Itaq; et Quiam inflexione diftare poterut. Acquemadmodu eiuf Image 1300C ' s iterum  eiufdem nationis viri duo, etiam fratres, etiam gel mini, etiam pares facie, etiam colore,tamen ma nuum aut crurum flexu diffimiles effe poterunt: neque tamen auferetur,quin duo peregrini inter se similes fint: hoc enim accidens est. Ita in voci bus: Equus et lupus convenient accidente, Lepus non conveniet: sed Analogia erit inter lupu et equum quia cum lepus non est. Non ergo tolletur propterea quodinter lepus non est: sed ponetur, quoniam inter lupus est, et equus. Sed cehabet suam cauffam Lepus, qua desciscat, sequa turque aliam proportionem, vt faciat Leporis, propterea quod Græci Dorienses ita et appella bant,et flectebant:quare generis quoque Analo giam fequutus est Lepus Græcam, non Latinam Equi, ongu valtoers: neque folum Lenusinde, fed vocis in re etto cafu lineamenta Latina fibi affum psit, ut efset Lepus, sicut equus. Quare hoc etiam intererit analogiæ, vtaliis atque aliis caussis par tim talia, partim alia sint. Neque enim quem uis hominem decet “robur”, aut celeritas: qua re “robustum”, et celerem non fequetur ea dem membrorum Analogia: at omnes Robu stos eadem, eademque alia seorsum Veloces omnes. Si quem autem membrorum proporzio ne præditum inueniamus, officio autem illiinu tilem: hunc casu, aut alio quo fato separatum ab ea proportione iudicabimus, non propter vnum tollentes cætera omnia. Itaque fic eftacutifsime Cornelas.cos inficiari Analogiam, nifiin quibusdampo nant: eftenim Habitus prior Priuationenõ tempore, Bu pore, fed cognitione: ficut Affirmatid Negatione. In paucis non efle calu, in ceteris omnibus cofilio limilitudinis. Euenit autem interdum vt deficiantur nomina proportioneilla, propterea 2 ) quod res ipfæ deficiuntur: nam fexus et princi piis quibufdam, et officiis discreti funt:itaqueal teri quod designes nomen, alteri non conueniat. Proprium fæmellæ Nubere est: iccirco non tranlibis a fæmina ad marem ipso Participio, vt tantummodo Nuptam dicas: vbi non tolletur Analogia, quia Doetum et Do et tam dicas: sed ponetur iccirco, quia Analogiæ pars eft, sequi signi-» ficatum, alia quoque quoque pars pars eiuseft, fcquiconcin-), nitatem: ficuti hominis officium feruare deco rum.Ergo liquid scabrum critin deducto, maluit ars abstinere: quum tamen natura non repugna ret. græci ovu Dwriavnominant finem hunc,nos etiam Habilitatem possumus, non folum Con cinnitatem. Sic reiecta sunt multa. For, Faux, Prex, Metuturus, Nutritrix, atque eius modi, ve fuppreffæ potius ab vsu, quam negatæ a natura vocum sint. His legibusdiruuntur argumeta omnia: Nam 67, friuolasatis sunt,quæ negant necessariam.Ac pri mum quidem admodum ridiculum, quod breui tatis ratione tollendas curat inflexiones, quum tamen per inflexiones tollatur ambiguitas. Aliæ quoque rationes nullæ sunt.Varietas enim, quam, afferunt, nequaquam reiicitæqualitatem. Est etim æqualitas interdum inter duo, propterea quod ipfa funt aliis inæqualia. ita distant aqua liter duo triangula, ab vão quadrato:quia inter Ff j. sex fump ! inea fe æqualia funt: Acfatis eft,vt varietas fit inter speftatue cies,non diuersitas in fpeciebus. res cis diner assertio etymologia che atque analogiæ quidem ratio acnatura grelli sic constat. Etymologia vero et si in multis detur obscura est, superque eadem voce alia alii visa: certa tantum tamen absft ut tollenda sit, ut tam maxi- sæpe me fit investiganda, quam maxime latet. Quide- quoc nim occultius veritate? at multis in rebus ca im- pica primis defideratur: neque tamen quispiam tam dam. fitimpudens, qui eam neget. Nam qui semper niac dubitabant Pyrrhonii, vel propter hoc id age bant, ne a veritate, quæ in altera parte contradi- da,y u et ionis latitabat, aberrarent. Ita materiæ primæ natura præterieratveteres omnes Philosophos, quæ donec a Platoneinuenta, ab Aristoteleomoium Qu sapientum principe eruta eft in lucem. Quare itiu omni opeatqueconsilio nitendum eft,vt ne plus ab i illa operæ latendo exigere, quam nos inuestigan- que do ponere videamur. Que pri Quidde inceps agendum, quoque ordine. V Ocum principia, causas, elementa, affeectiones, quemadmodum uniuersa natura comprehenderentur, hactenus declarauimus: de 94 owo inceps ad ipsas voces priuas cursus flectenduseft. Sic enim philosophus naturalia corpora sub modi tu accepta deducit communi intellectione ad historiam singularium: cuius exemplo nobis quoq; statuen Præp Prae nu. qu litt tra statuendum est, quo usu privæ voces apud auto res circunferantur. Quumigitur quidam per or- reno dinem Elementorumhoc profeffi fuerint, alii fumpto autore interpretandi munus magnis di gressionibus contaminarint,vnusVarro mihi vi detur confultius fecisse, ut verborum connexum. certa serie explicaret: alioqui diuersis locis eadem fæpe repetasnecesse est. Verum enim vero ipse quoque M. Varro suorum librorum initium auspicatus esta Temporis, Locique diuisione qua dam, perinde quasisub vtroque,alterutrove om nia continerentur:ac non infinita pene fint,quæ in eam partitionem vel reluctantia lint arceffen da, ut omitta particulas minores, cuiusmodi sunt præpositiones, coniunetiones, interieettiones, quænullam habet cum nominibus affinitatem: Quarelonge præstiterit a primariis vocibus in -joset, itium fumere,atqueab his deducerecæteras, quæ ab illis ortæ sunt. verum inter casce primarias quum quædam steriles sint, ut interiectiones, et præpositionum, ac coiunetionum maxima pars: quædam sintgenetrices, quæ aliasex sesepariant: primo quoque loco tractare steriles decet, quæ nullam cum cæteris habent coniunctionem. Et quoniam non omnes voces elementorum similitudine aut significati cohærent affinitate ne quaquam absurdum fuerit, si interdum in contrarium transeamus. Neque enim qui de motu dixerit, de quiete quoque non poffit loqui. Advnum fignificatum cætera reducenda, Ff ij. Vnum 448 Ių L. Num pterea quod fignificatorum similitudoyni eidemque voci attributa fæpius est, aut fcriben tium autoritate, aut prodentiam curiofo iudicio; principem omnium fignificatum indagariopor- a tere cenfeo,ad quem,tanquam ad tesseram,signa que cæterasreducere legiones: sed propofitis sem per caussis,sine quibus tam stultecredimus,quam arroganter profitemur. Nam quum hoc inter pretandi munus Vlu, autoritate, ratione con itare'dixerint: lane intelligendum est, vsum sinę ratione non semper moueri, veluti si atpirat trophæum, et Anchoram, quæ leniter a Græcis aliis uproferuntur, Atheniensium exemplo sciamus fa P Etumesse. Autoritas vero quid aliud, quamVfus eft?Nam quodautore M. Tullio dicimus, ex cius 1 vsuid habemus. Atfi ab vfu recedat, tum vero auctoritas nulla est. Quare etiam Cæcilium reprehendit Cicero, etiam M. Antonium, qui tum aliter, quam ex vsu loqnerentur. Ad rationem igi, tur, quoad fieri poterit, erunt hæc reducenda, e tu C Nonrecte z'ni vocifignificatorum multitudinema a veteribus assgnatan. ForVerunt antem do ettissimi, multarum quelite rarum viri, qui propterea quod niinis mulca variis observationibus comporta sciuissent, multa item significatorum monstra unicidem q. Voci designarunt. Quoru in opera tantunabestveca moda sit, ut maxime etiam libria duerseturinleria ptioni. Nam specioso titulo de sermonis proprietate edidiffent, nihil minus quam quod pro fitebantur, effecere. unius nanque vocis vnatan tum sit “significatio propria”, ac princeps. cæteræ aut communes, autaccessoriæ, aut etiampuriæ, non enim ab reidem verbum adiecit vfus Nominibus diversorum significatorum, sd quia co rum natura conueniebat, sic dicimus Scindcre vallum: Scinde re adamantem non dicimus. Non enim natura fert. Ac verbum quidem pristinum recipit significatum sed non cohærent. Non igi tur potuit mutari significatum huius verbi, in ca verba quæ cum adamante convenire possunt, puta tundere. Nam dicimus, scindere in lue tu togam; ergo erit hoc loco idem scindere, quod Lugere: et scindere vallum,erit, Castra occupare. Ita que male plurima sic ab illis distorta funt, quæ a nobis in libris O. iginum certis appofitis cauffis correeta fuere. Nam quis putarit verbum hoc Potiri, idem effe quod Condi? propterea quod poetæ versus est, Potiuntur Tybridis alueo, fic Subigere, acuere, et stringere, percutere, et spectare, Dirigere: et ventus, odor, et alia innumera, quæ omnia longe accuratius ad sua quæ que principia reducenda fuere. Est autem viri et boniet sapientis non solum alienos errores de tegere, atque arguer sed etiam rationes suas atque consilia aperire. Quare quo sitindagandum modo, sicinftituamus. Si Condi, SIGNIFICAT Potiring loco verbi Potiri ponatur verbum Condi: fipatitur sedes, bene est: si non patitur, non significat. Quis igitur dicat, Conditus sum libro? Et Conditus sum Turdo? et Conditus sum Ense? Item si Premere, Defodere est: dicamus igitur Fossam premere. Sic, Premere, Tegere significat: igitur Colo premi, dicamus nos, quos non attingit tamen. Nolo nunc duciper omnia, quæ suo loco in originibus exactis fime persequuti sumus: sed satis lit icciffe fundamenta scientiæ tibi, more principis nostri Aristotelis, cuius sapientiæ luce grammaticorum tenebræ discutiantur. Scaliger''s main essay on language is his “De causis linguæ latinæ,” a grammar he wrote for his son Silvio, and which was published by Grifio. There B. tries to establish a philosophical basis for a science of grammar. B. approaches his subject en philosophe. In order for logic to qualify as philosophical logic has to deal with eternally true and necessary analytic statements about a language such as Latin or any system of communications that a Roman used to communicate with another Roman. This is a problem which confronts speculative grammarians like Bordoni or Grice. Bordoni tries to establish the ‘cause’, or four causes of language, because in an Aristotelian context, a cause (causa, aitia) is that which always and by necessity brings about one specific ‘consequentia’ or effectus, or result. The discussion of the cause normally centres about the central passages of the “Physics” and the “Metaphysics”. In the grammar for his son, Bordoni does not devote much space to the discussion of the nature of ‘cause’. His philosophical presuppositions remain for the most part implicit. Thus, in order to understand more fully his philosophical stance on single problems, it is necessary to draw extensively on his other essays as weIl, especially those he did not write for Silvio! The ‘formaI cause’ (causa formalis) of language is traditionally identified as ‘significatio’. It is clear, therefore, that ‘significatio’ poses a series of problems which involves not only language. The most fundamental ontological and epistemological problems are clearly at stake. A fundamental essay from which discussions of ‘significatio’ arises is a passage from the beginning of Aristotle''s   De interpretatione: “Now a spoken sound is a symbol of an affection in the soul. Of what this is in the first place a sign or symbol – the affections of the soul -- is the same for every man. Of what this affection is a likenesses – a thing –is also the same. If an expression ‘signifies’ an affection of the soul, or through an affection of the soul, we must know how the latter relate to the thing in order to be able to account for the full process of ‘significatio’. Central problems will be B.’s ideas on the nature of the universale, on the conception of individual phenomena, on individuation, and on the agent intellect. We find useful hints of B.’s position scattered in many of his essays such as the commentary on the Hippocratean De Imnsomniis, the dialogue on Pseudo-Aristotle De plantis, and in the commentaries on Theophrastus''s botanical essays. The most important text is,  however, the Exotericoe exercitationes, where a section is devoted 'to a series of problems concerning the soul. The Italian scholar Paganino Gaudenzio is rather sceptical about the value of these exotericoe exercitationes as a source to Bordoni’s thought. Gaudenzio thinks that the work was too marked by Bordoni’s polemic against CARDANO (si veda), which occasioned the essay. Gaudenzio was scandalized by sorne un-Aristotelian views of B.’s, and he tried to dismiss the essay as being not seriously meant. 1 do not think him right in doing so, although I do admit that it can be difficult to use Bordoni’s “exotericoe exercitationes” because its choice of subjects is determined by the polemic, and also because the language is notoriously obscure. Our senses are immediately presented with the singular and material thing. What we sense, however, is not the substance or essence of a concrete phenomenon, but its accidents, such as its size, colour, position, or its number. The intellect removes these accidens, and what remains is the essence (substantia), i. e. the   species universalis which is therefore in sorne sense produced by the intellect. B. does not take this to its nominalist extreme of calling the species or the universals exclusively a mental phenomenon. He gives an ontological status to the two. ln order to solve the problem of the nature of the' universals, B. briefly analyses a passage from the Analytica priora, and concludes that an universal is a thing (res) whose nature it is to be predicable about many things. A universal do not exist in the soul. A universal is discovered there rather than created. What the soul does to an universal in turning it into an affection of the soul is merely to make the universable predicable. Intellectus autem nihil affert nisi proedicabilitatem. The ontological foundation of the affection of the soul thus remains pronounced. In support of his view B. quotes a passage from the “De anima” where Aristotle says that a universal (“ton kath’olou”) exists in the soul somehow (“pas”). Had Aristotle meant that a universal  actually has its only existence there he would not have used the word “pas”. B.’s attitude is not identical to any of the great medieval schools of thought, but it does recall the common natures of Duns Scotus, which were actualised by the intellect as predicable universals. This sort of fundamental Scotism was by no means uncommon i n the sixteenth century, and ought to cause even less surprise in B., who claims to have spent sorne years in a Franciscan monastery, and who had prefaced and index to Duns Scotus with a laudatory poem. One should not, however, unduly stress the Scotisi aspects of Bordoni. Athough it is a conspicuous trend in his thought it is but one amongst many. For instance in connection with the universal he here and in several other conneçtions used the phrase “res uniuersalis”. This is an unusual usage of “res”. One would rather have expected “aliquid” or the like. It could perhaps best be understood in connection with the terminology which came in after Valla''s Dialectics, where res replaced ens, aliquid, and several other scholastic terms. Also in the De causis linguae Latinae we meet res used for universalis and even for  accidentia. This is not an obvious usage for a man who, like Bordoni, was a moderate realist: he did not ascribe a separate existence to the universals ante rem, only a real existence “in re”. Points of view akin to the one outlined above are found not only in the “Exotericoe exercitationes”, from the last years of B.’s life, but also in his earlier writings. A corresponding attitude is for instance expressed in the commentary on the Hippocratean   De insomniis. Regarding species as a predicable or a universal as Bordonir does was a Platonising interpretation of Aristotle which stems back to Porfirio. This interpretation created serious problems within the Aristotelian system. How can two single individuals of the same species differ, and how can they be grasped by the intellect if at all? This set of problems underlies a wide range of metaphysical and logical discussions and it would be pointless to give even an outline of its importance here, but we cannot avoid a presentation of B.’s views on individuation and of the intellection of singular material phenomena. According to B., Averroes assumes that there is one intellect for the whole of humanity, and that it cannot grasp the individual phenomena. In Italian Renaissance Aristotelianisrn, the unity of the intellect is a standard topic of discussion. B.’s interest in the subject probably reflects his Padova days. Averroes was held to believe that the intellect assumed the form of the thing intellected. Bordoni points out that to Averroes the intellect does not realiter become res intellecta, but only modo similitudinis et receptionis, although he in other places ascribes the more radical view to Averroes, and he also ascribes it to Cardano. According to B., Aquino also rejects the intellection of the individuals, not because of their materiality, but because of their, individuality. This is hardly in accordance with modern readings of Aquino but it seems to have been communis opinio. Zimara bases his De primo cognito on a refutation of what he saw as a nominalist acceptance of the intellection of the singulars simpliciter. The arguments used by Zimara, one of the men whom Bordoni quotes as his preceptors in the epistle to the reader prefixed to the Exotericoe exercitationes,  are listed as either Scotist or Thomist. A thing is considered incompatible with the intellect because it is respectively, material and singular. These are the same reasons which Bordoni ascribes to Averroes and Aquino. For B. the matter is clear. We do perceive the individual in our intellects. They are indeed the first things perceived by it. If this were not the case, he continues, a proposition like “Caesar est homo” would be devoid of sense. To the objection that the individual only per modum is distinguished from the species, he responds. Now listen: This Caesar who is writing this, is something different from the universal nature of man; therefore, it is necessary that Caesar is intellected as differing from the universal through some particulars. Therefor, the singular is intellected. Bordoni proceeds to argue that the higher faculties have a more perfect cognition than the lower ones, and therefore the intellect is bound to have cognition of the singulars of which the senses have perception, for the intellect is a higher power than are the senses. This is very close to the traditional Scotist argument in favour of the intellection of the singulars. Again it is interesting to see that this was a constant point of view in the works of B. In the commentary on the De insomniis   he says. Therefore, if the intellect grasps the universals, it also has knowledge of the material things. This opinion was expressed forcefully enough for B. to be quoted for it several times in later academic literature (Pomerano). In the section of the Exotericoe exercitationes with which we have been mainly concerned, we were still left in the dark as to what constitutes the individuating principle. Another section, however, provides us with a clue. It is entitled “De principiis naturre indiuidure”. Anima is the individuating principle of the human being. B. does not say so in so many words, but thus it. becomes clear that “forma” to him is the individuating principle, since the human forma is anima. This would seem to pose more problems than it solved, for the “forma” is that which makes a thing be what it is. It is its common nature or universal principle, and hence it should really be the “forma” which requires individuation. B. is obviously not very precise here, and although he uses the term individuation, he probably does not want to commit himself too unequivocally to Scotism by introducing the haeccitas, which is formally distinct from the soul. But even so it seems clear that for B.’s contemporaries this was accepted as a Scotist approach. Nifo, for instance, another of the philosopher B. identifies as his preceptor, specifies as Scotist his thought that the soul is irreduceably individual in itself, and that it is in its own · right an individuating principle. The same vaguely Scotist attitude can also be detected in the section of the Exotericoe exercitationes which is called Quid sit intellectus. There we read. Thus we see that there are several notions for one and the same thing. We calI them formalitates. This is seen as a barbarism by those who are themselves harbarians, but for the learned it is not an inapt term. Admittedly the idea that one thing could hring about various notions is rather more nominalist than Scotist, and the Scotist would altogether have described the formalitates as having a higher degree of reality, but even so the provenance of B.’s ideas on individuation seems clear. We now know that an individual phenomenon is first to he perceived by our senses, but it is also grasped by the intellect before it proceeds to denuding it of its differentia in order to make it into species. In this function the intellect could be called intellectus agens, nous poietikos. If one assumes that a universal is created in the intellectus materialis (or possibilis, or passivus – nous pathetikos), B. says, there would indeed be use for an intellectus agens. If, on the other hand, one does not believe that the intellect actually creates the universal, it is superfluous. Either one can say that the intellectus agens both recognizes the singular and through the process of ‘abstraction’ cornes to recognize the universal, or the other way round, one might say that the material intellect can have a facultas diuidendi, componendi, separandi, and colligendi. Therefore the agent intellect will not be necessary, where the material intellect is, or it will exist on its own without the material intellect. Thus there is no real distinction between the two, but B. does permit a distinction   ratione or ui by insisting that the intellect is but one according to its potentia, whereas it has several uires. Aiso B.’s preceptor Nifo rejects the Thomist idea that the soul had  several protestates (the structure power of the soul). Thus Scaliger once again recalls Scotist terminology. B. states his views on the agent intellect very strongly, even suggesting that the notion is ridiculous, and this becomes the object of much attention in the generation immediately following B.’s. Thus Goclenius discusses the problem in his  “Aduersarium”. An sit necessarium ponere intellectum agentem. And Gaudentius is positively scandalized at the thought that a man who wanted to pass for an Aristotelian could hold such opinions. The agent intellect, which which Aristotle deals very earnestly is being attacked by B. as superfluous, nay ridiculous. B. takes the same attitude in his commentary on Pseudo-Aristotle’s De Plantis and also in the commentary on Theophrastus's De causis plantarum. As an introduction to his discussion of the “diction” in the “De causis linguae Latinae”, B. provides a summary of his epistemological views. Most of it should be self-evident after the discussion of the Exercitationes exotericoe on the same subject. The “De causis” is far more jejune and far less explicit, but none of the information there provided, seems to contradict our findings. In the Dè causis, however, B. takes us, also briefly, from the epistemological level to the level of language. We have the intellection of the species in common with other animaIs, but we distinguish ourselves from other animals by our rationality (“prudential”, “consilium”), whereby we participate in God. The rationality can only be perpetuated socially, by the process of learning and teaching. Therefore language is necessary. Reading the De causis one might weIl wonder why language is necessary at aIl. Every affection of the soul as weIl as the thing it reflects are identical for every man. If an expression ‘signifies’ an affection of the soul, language is really only an instrument for communicating what is already perceived and intellectually grasped equally by everybody. We would, according to Apel, be metaphysically guaranteed to say the same things about the same shared world. Bordoni’s answer to this would be that the “finis orationis” is not only naming an affections of the soul. It is an interpretation of the soul. The soul does not only perceive the singular and grasp the universals, two objective processes. It is also discursive and combines them in complexa, which in turn can be compared with the external world. The relationship to truth is that which makes language significant. The relationship between an affection of the soul and a thing is far closer for B. than the arbitrary relationship between an expression and the affection of the soul that it signifies. An expression of the soul does not ‘signify’ at all. ‘Significare’ is never used about an affection of the soul, nor is this affection ever called a “notum” in the way an expression always is. Only an expression ‘signifies,’ and it seems to be clear that an expression signifies an affection of the soul. This last statement is nothing special; for even the nominalists has to make use of an affection of the soul for “significatum”, when e. g. a universal is concerned, although they generally assume that an expression signifies a singular and material thing directly. It therefore cornes as a surprise that throughout his essay on the causes of the Latin language Bordoni clearly and unambiguously states that an expression signifies a thing (res). The mental intermediate level is practically entirely left out of consideration in the discussion of the Latin language and its causes. For instance an expression follows directly the nature of the thing. In the same way as an expression is a sign of a thing, it also imitates its nature. In sorne places B. explicitly excludes influence from an intervening mental level. Consequently amabigous nomina do not exist, for in the real world (in rebus) there is no intermediate between that which I have called an adjective name and a substantive name. Hence there can he no intermediate lzomen. Even if we remember that for B. “res” could mean far more than just a physical thing, this leaves the mental process completely out of the picture as far as language is concerned. At the risk of explaining away what might only he a banal inconsistency, I venture to propose that B. did believe that an expression signifies an affection of the soul, which in its turn is a ‘re-flection’ of the res, but that the mirror of the intellect is so perfect that the mental level becomes superfluous when one talks about the matter. We have seen that the soul neither adds nor detracts from nature. The soul arrives at the universals through abstraction. B. is close to the entirely objective relation between mental term and extra-mental phenomenon which Nifo maintains in his Dialectica ludicra. When he says that “nomen significat rem” or the like, B. is not therefore talking as a nominalist, although sorne philosophers did maintain that an expression refers directly to a things. On the contrary 1 think that Bordoni uses a shorthand expression possible only for a realist. Leaving the mental level without any importance in language B. notably disances himself from not only the realist modistae, but also from their nomilist opposers/ followers, who reinterpreted the” modis ignificandi” iriio “modi agenda” of the intellect. Here Bordoni breaks radically with Aristotelianism, including Scotism. B. is not, however, the only one of his time to do so. Nifo explains this tendency more fully in his Dialectica ludicra where he sets out to prove that there is no such thing as  a “natural” “sign”. Not even the affection of the soul signifies naturally, for a notion is received objectiveIy. Hence there is no formaI causal relation between the singular material thing and the notion. This is not dissimilar to Aquino’s idea that the a notion is a “similitudino”. The affection of the soul is itself something signified (signatum); the affection of the soul does not signify (signans). It is clear that Nifo can deprive the affection of the soul of signification because of the objective relationship  between the thing and the affection of the soul, an approach which is very close to the restricted function of the intellect as set out by B. The tendency in philosophy had been to underline the function of the affection of the soul in the process of ‘significatio’,  and both Scotists and Averroists therefore stress that an expression admittedly signifies a thing, but through an intermediary abstract ‘concept’. We occasionally find this attitude reflected in the De causis as weIl but on the whole this seems to be overruled by B.’s practice, where he is closer to Nifo. However, although an affection of the soul itself does not not signify, it is still in exceptional cases considered as the “significate” of expression by Bordoni. He does not always insist on an expression merely signifying a thing. Having recourse to the mental level seems to have been B.’s ultimate resource when the more simple approach was not viable. I will consider the following passage. Somebody might object. An apparent substantive name – like phoenix -- which is a name of a figment of the soul, is not an expression. For ‘phoenix’ – or “Pegasus” is not the sign of a thing. It should be understood as follows. That which is called an“ens” sometimes has true being, e. g., God, sometimes not.. The latter case can have two forms, either “privation” (negation) or fiction. The apparent expression “vacuum” (as in ‘this name is vacuous’) is an example of privation. The apparent expression ‘phoenix’ or ‘Pegasus,’ as in Bellerofonte mot ail cavallo alato Pegaso’) is an example of fiction. The apparent expression or name or substantive name of this thing (ens vacuum, ens phoenix) does not signify in the same way as ‘God’ signifies God. Privation or negation signifies through the category of having. (“I am not hearing a sound”, “This not not red; it is green” – as a bird has wings and flies, so does Pegasus, the Greeks believed). It is easier to understand a figment – simple like ‘phoenix’ or complex like ‘squared circle,’ or ‘winged horse’, for they are a sort of false enunciations. For ‘phoenix’ is the same as this enunciation, ‘This ia a bird resuscitated on account of itself. This horse flies, and Bellerophon rides him. “Vacuum” is described in practically modistic terms. “Per modum privationis” significare is not written explicitly, but aIl the elements are there. This involves a concept of a mental process which cannot be derived from Bordoni’s own epistemology. ln order to explain how Bordoni sees the ‘significatio’ of ‘phoenix,’ Luhrman paraphrases perhaps inadvertently the nominal phrase ‘phoenix’ to the full utterance, ‘phoenix est avis rediviva sui causa”. Thus he obtains an utterance and a  proposition which can he either true or false, but this does not help us with this rather obscure passage. Bordoni does *not* equate or associate the vacuous name ‘phoenix’ with a proposition, but with Bordoni calls a “complexum indistans”. “Avis rediviva sui causa” – cf. ‘equus volans”. Bordoni confuses two problems here, that of ‘significatio’ (connotation) and that of truth (denotation). This cannot be dismissed so easily as this. It is worthwhile recalling the commentary of Averroes on De interpretation, where he states the generally accepted view that an expression (alpha, beta) on its own is neither true nor false. Only if we add the copula ''is'' (the S is P, the alpha is beta) or '' is not'' can one talk about truth. Averroes continues. “And therefore, when we say that a ‘chimaera’ (goat-stag) cannot eat secondary intentions, we signify something true—for it is true that a chimaera does not eat secondary intentions – quaestio subtilissima. Bordoni's preceptor Zimara deals with a related problem in his best-selling “Solutiones contradictionum”. Zimara claims that in one way, the formation of the intellect is always true; that is by the first operation of the intellect. In a similar context in the Exotericoe. exercitationes Bordoni says. Ffr that which is understood by the intellect is always true (“It is true that the Greeks believed or conceived of Pegasus as a flying horse”). In another way, however, the formation of the intellect, when negated in an utterance, is true (“It is true that Pegasus does not fly”), because, as we nave seen, uerzcas can only oe eSIaOllsnea Inrougn   an “adaequatio rei”, which involves “composition” (conjunction of properties: equus volans) or disiunctio. Neither of these two ways of regarding truth  allows of declaring phoenix a lie. Sorne light can be thrown on this contradiction in Bordoni by looking at the central passage in the Metaphysics where Aristotle discusses the ways in which falsitas can be said, i. e., not a philosophically unambiguous term, but the usage of the term in Greek, although Aristotle takes it for granted that all the ways in which ‘falsum’ may be said are equally adequate instances of ‘falsitas’. What is important for my purpose is that Aristotle in one section ignores or underestimates a ‘statement’, an ‘utterance’, or the content of a desire or a belief in favour of a states of affair which he groups with under the category of a thing that is not as it seem, as false, a thing. Averroes says on the same locus. ‘’Falsum’ is also said about a fictional thing which is imagined according to their not having existence, or not being at all. And this sort of ‘falsum’ has to do with intellection and primarily with desiring or believing  It must be a ‘falsum’ of this kind which Bordoni has in mind, although this is difficult to explain without ascribing a greater independence to mental operations. Bordoni is likely depending on a passage like the one from Averroes than on scholastic quaestiones on figmentum. This is reinforced by his choice of the example ‘phoenix’, which usually exemplifies a species or set with only one member in it (hence it grows capital letters, as Strawson says). The example of a  figmentum is usually either ‘hircocervuus’ (unicorno) or   chimaera (goat-stage), cf. sirena, centauro -- which are more complicated to account for than the singular ‘Phoenix’ or ‘Pegasus’ (‘Vacuous Names’). However, allowing that Bordoni means what was usually meant by ‘chimaera’, there is some traditional sense to be made out of this passage. ln one other instance Bordoni has to take mental operations into consideration. That is when he discusses what was traditionally known as suppositio materialis (the use-mention distinction). Scaliger never uses ‘suppositio’, and he is refreshingly untechnical on the subject. ln sorne places he is, however, reminiscent of logical terminology. Bordoni’s explanation of material supposition corresponds to his description of the mental auto-reflection on an affection of the soul. Thus we see that Scaliger does explicitly acknowledge mental operation in the De causis linguae Latinae in sorne special circumstances, although it on the whole is of less than secondary importance to him. I do not deny, therefore, that a mental level exists in Scaliger''s epistemologically based concept of ‘significatio’. My point is rather that the functions which Bordoni ascribes to the intellect are so limited that he can most often ignore them in practice. B.'s indifference to the mental operations has sorne linguistic consequences as weIl. He has a.preference for the expression ‘significatum’ (cf. implicatum, implicatura) rather than ‘significatio’, ‘implicatio’). And it is remarkable that he does not seem to mind whether ‘significatum’ gets confused with  ‘significatus’ (‘signatus’, ‘signatum’). Bordoni quite often uses forms where the two co-incide, without giving any indication of which of the two he means. When discussing homoym, paronym, and synonym, Bordoni says: Nam pro-fecto ut inre non sunt eadem (eequi-voca), ita nominis *significato* alio atque alio sunt. Itaque sic vere possis dicere. “Canis non est canis.” Id es, res coolest is non est res terrestris. At nomen et materiam habet ipsas literas, “C”, “A”, “N”, “I”, et “S”, et formam, id est significatum. Ergo “canis coelestis” materiam eandem habet elementorum quam canis terrestris. Formam autem, id est significatum, non habet. Ergo non est idem nomen (costellatio canis caelestis). The two places where Bordoni writeso “significatum” he seems to be thinking of the relaterd (but distinct) form of “significatus”. It would, syntactically, have been at least as correct to have ‘significatus’ (or ‘significatum’) nominative case (casus rectus, not casus obliquus) in the two instances – in which case the nominative forms ‘significatus’ and ‘significatum’ are different.  When Bordoni has ‘significato’, this expression seems is a declined form of the nominative “significatum”. But this would makes but little sense. As Pattison notes, it would amount to saying something very otiose if not nonsensical. Just as two 'homonyms, say, ‘dog’ and ‘dog’, are different in the real world, they are not the same in the real world. It make more sense to read ‘significatu’, the declined form of the nominative neuter noun ‘significatus’   instead. The same is true of another passage. Proprium autem quorundarum prae-positionum est ut *significate* uarient. Prepositions (like “on” the table), being con-significantia, do not strictly have a  significatum at all – even if “See Strawson under Grice, and Grice on Strawson” does – or Pears is between Grice and Strawson. With the case of ‘on’ or ‘between’, ‘significatu’ or ‘significatus’ (cf. conceptus) would have constituted a more understandable text. – cf. the conception of negation. My intention is not, however, to propose emendations ot the text, but to show that Bordoni is practically indifferent to any distinction between  ‘significatus’ (conceptus – incuding figmentum) and significatum (signatum – what affection of the soul is behind the expression ‘phoenix’?). A rather dramatic consequence of the objective relation between the extra-mental world and the corresponding mental concepts. Bordoni’s ‘significatio’ makes it very difficult to explain contextually changing usages of a word. Each varying usages must reflect a different affection of the soul. Two different uses of an expression must therefore be considered as two different dictiones, which only accidentally have the same ‘matter’ or form. This is standard in the modistae, but Bordoni’s ‘significatio’ becomes even more rigid and static because of the limited role he ascribes to the mental operations. Not only does he ignore theories of supposition, which involve words changingaccording to context; he rejects the possibility explicitly by telling us that discussions of sermonis proprietas are cOlnpletely misguided, because words have Ollly one signification (Scaliger). This make it very difficult to acc() unt theoretically for the philological discussions of the niceties of usage. That was also a sort of proprietas sermonis. Bordoni unhesitatingly gives use precedence over rationality in lànguage, when confronited with the problem, but his theoretical discussion of use remains fundamentally incompatible. with his concept of ‘significatio’. A discussion of the concept of usus will, therefore lead to far away from the theme of this, and it must here be left as a hint at the range of Scaliger''s eclecticism. Arist., Phys. Met.te Scripsimus autem desumptis a philosopho principiis pro confessis quod in omni scientia fit infmore» -- where he discusses criticism of the De causis.  Arist. / nt. 16-3-8. Gaudentius. For a modern discussion of Scaliger's relationship with Cardanus see Maclean. Te ita et naturre opulentia et Aristotelis opibus euincam esse in natura res universales piuribus communicabiles. te At intellectus nullam facit substantiam. Neque cum abstrahit circumstantiam quicquam addit de suo... sed agnoscit eandem esse in utroque, quia utrique communicabilem et iam communicatam. Bordoni is clearly and often explicitly anti-nominalist. For Bordoni’s stay in a monastery cf. Billanovich. The poem is in de Fanti. Ad hrec uniuersalia in materia sunt. Sunt enim unum in multis. Nam idearum figmenta non admittimus». It is worth noting that Bordoni does not agree with Zimara who says. Unde, sicut mea fert opinio, sententia peripateticorum fuit quod intellectio singularis materialis repugnat intellectui, ut intellectus est, non quatenus singulare, sed quatenus materiale est. Sic erat respondendum: in rebus singulis esse multa suapte natura qure unum fiunt ab una forma: ut esse, uegetari, sentire, intelligere. Hrec omnia ab una anima unum fiunt in homine. Sic uidemus eiusdem rei diuersas esse notiones quas barbare quidem barbaris, sed non inscite apud doctos formalitates appellabamus. See Poppi for-a discussion of the Scotist doctrines on formal distinction at Padova. Bordoni’s thoughts are very similar to the notion of the immediate contact between the intellected object and the passive intellect which Achillini was noted at Padova. Bordoni’s thoughts are very similar to the notion of the immediate contact between the intellected object and the passive intellect which Achillini was noted for maintaining. Perhaps more interesting here is that Nifo and Bacilieri also nurtured such ideas. Bordoni does not, however, completely reject the existence of the species intelligibilis.  Rationality is the traditional Aristotelian differentia of the human being. Luhrman sees a dependence on PICO (si veda) in the use of “divinum”. The idea of the divine participation of the soul is general neo-PLATONIC doctrine and can hardly he identified with Pico specifically. It is worth noting that Bordoni does not make the human use of language an argument for the divinity of the souI. This would have brought him far closer to the language mysticism of Pico. Veritas in oratione est, non in uerbis priuis. When Scaliger talks about materiam, formam and qualitatem significare: about substantiam significare and about actionem/ passionem significare, aIl these concepts are also res, not with a separate existence, but nevertheless with a real existence. E. g. Hieronymus Pardo, who took up the nominalist argument that the assumption of an intervening concept would lead to Infinite regress: cf. Ashworth 1974: 43. (20) Averroes in Aristotle, Zimara (Contradictiones), commenting on the De anime III textus 21 and 26 = r 6. 43Qa26 sqq. and 43{) b 26 sqq. (22) Kirwan Averroes in Aristotle, Met. V, textus 34: fol. 141. The chimaera not only poses a problem of truth, but as a true figmentum it exemplifies that which it is impossible to comprehend, in the sense that it signifies something which has the essential characteristics of “lion”, “woman”, and “dragon”. That Bordoni does not use the chimaera here is so more remarkable as he did know why ‘chimaera’ is a complicated example. As it is described in Bordoni’s exercitatio on which Goclenius comments. Ac aliquando sine hac specie intellectus intelligit, nempe cum intellectus recepta species exsinuat se ipsum et speciem ipsam intelligit. Id est ipsam speciem cognoscit esse rei notionem, non autem rem. Hzc intellectio est animi action. I cannot therefore entirely agree with Stefanini in calling Scaliger “a modest mentalist”. For signification is the forma of a word, not something separate from it. Est st enim forma dictionis signification. -- intelligibilis.   -- the he human him. Sgnificare   nevertheless of and exemplifies which: know 3v.,::   species rei. 1cannot therefore entirely agree with Stefanini in calling Scaliger te mentaliste ».  ACKRILL [alievo di Grice a St. John’s] Aristotles Categories and De interpretatione, Translated with. Notes and Glossary, Oxford, Oxford University Press. ACKRILL [alievo da Grice a St. John’s], Aristotles Categories and De interpretatione, Tr. with. 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