Grice
e Bontempelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del
sintomo – scuola di Pisa –filosofia pisana – filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Pisa). Filosofo
pisano. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Pisa, Toscana. Grice: “Bontempelli
knows that the Romans never liked the Greek ‘symptom,’ but ‘coincidence’ seems
weak: x means y if y coincides with x, or if x is a symptom of y.’ (‘those
spots mean measles’ – and ‘dog’ means that there is a dog.”” -- “I suppose my
favourite Bontempelli is his section on Roman philosophy in his history of
philosophy series!” -- There is the other Massimo Bontempelli, nato a Como. Como-born
Massimo Bontempelli had a son, called Massimo Bontempelli. Massimo Bontempello
ha un cugino, nipotte di Massimo Bontempelli: Alessandro Bontempelli. Nato a
Pisa, dopo il conseguimento della laurea in filosofia, Bontempelli
dedica all'insegnamento negli istituti superiori, alla realizzazione di
manuali scolastici di storia e filosofia e alla stesura di saggi di argomento
filosofico. Storico di impostazione marxiana, e originale pensatore filosofico
di orientamento neoidealista, realizza i suoi più importanti contributi
imperniando lo studio dei processi storici attorno alla categoria di "modo
di produzione". Tematizza con attenzione le strutture sociali entro i modi
di produzione neo-litico, nomade-pastorale, prativo-campestre,
antico-orientale, asiatico, africano, meso-americano, schiavistico, colonico,
feudale e capitalistico, elaborando su queste basi una ri-costruzione della
genesi sociale dei fenomeni filosofici. Rilevante è la sua interpretazione
della figura storica di Gesù, ricostruita entro una totalità sociale a partire
dalla analisi dell'economia pianificata del modo di produzione antico-orientale
palestinese, sulla scorta di una prospettiva metodologica storico-scientifica
nei confronti dei vangeli. Come storico della filosofia ha studiato in
particolare il pensiero platonico, neo-platonico e la dialettica hegeliana.
Come pensatore filosofico originale viene collocato da Costanzo Preve
all'interno della corrente del neo-idealismo italiano, essendo il suo pensiero
fortemente influenzato dalla Scienza della Logica hegeliana. Muove dalle
profonde critiche al nichilismo contemporaneo e al relativismo anti-metafisico
per approdare ad un tentativo di rifondazione onto-assiologica degli orizzonti
di senso dell'esistenza umana sulla scorta di una indagine della natura
trascendentale dell'uomo, alla luce di un superamento della polarità dualistica
empiria/trascendenza. Si dedica alla critica serrata della sinistra politica e
allo sviluppo del tema della decrescita. Altre saggi: “Il senso della
storia antica. Itinerari e ipotesi di studio” (Milano, Trevisini); “Antiche
strutture sociali mediterranee” (Milano, Trevisini), “Storia e coscienza storica”
(Milano, Trevisini); Per il triennio; “Civiltà e strutture sociali
dall'antichità al medioevo” (Milano, Trevisini); “Antiche civiltà e loro
documenti” (Milano, Trevisini); “Civiltà storiche e loro documenti” (Milano,
Trevisini, Per il triennio); “Filosofia: Il senso dell'essere nelle
culture occidental” (Milano, Trevisini); Filosofia, Napoli, Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici PRESS,. [riedito nel
in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum] “Eraclito
e noi”” (Milazzo, Spes); “Percorsi di verità della dialettica antica” (Milazzo,
Spes); “Nichilismo, verità, storia” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia,
Dio nel pensiero” (Pistoia, CRT); “La conoscenza del bene e del male, Pistoia,
CRT); “La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT); “Tempo
e memoria, Pistoia, CRT); “Il concetto di realtà e il nichilismo contemporaneo,
Pistoia, CRT); “L'agonia della scuola italiana” (Pistoia, CRT); “Un sentiero attraverso
la foresta hegeliana, Pistoia, CRT); “Eraclito e noi. La modernità attraverso
il prisma interpretativo eracliteo, CRT, Diciamoci la verità, "Koiné"
n.6, Pistoia, CRT, Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, Un
nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia, L'arbitrarismo della
circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, -- very Griceian: Grice: “D. K. Lewis
drew his example of the arbitrariness of a convention from Massimo
Bomtempelli.” Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull'ambiente di Bin
Laden e su quello di Bush” (Pistoia, CRT, -- cf. Grice: “I took the example,
‘those spots mean measle’ from Bontempelli, “Il sintomo e la malattia” – “Il SINTOMO”
-- [ristampato nel dalla casa editrice
Petite Plaisance] Diciamoci la verità, CRT, Pistoia); “Il respiro del
Novecento. Percorso di storia” (Pistoia, CRT, Il mistero della sinistra’ (Genova,
Graphos, La Resistenza Italiana. Dall'8
settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, La
sinistra rivelata” (Bolsena, Massari, Il Sessantotto. Un anno ancora da
scoprire, Cagliari, CUEC [ristampato nel
] Civiltà occidentale” Genova, Il Canneto,. Marx e la decrescita, Trieste,
Abiblio,. Platone e i preplatonici. Morale in Grecia, introduzione di Antonio
Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS); “Un pensiero
presente: scritti su Indipendenza, Roma,
Indipendenza Editore Francesco Labonia,. Capitalismo globalizzato e scuola, Roma,
Indipendenza Editore Francesco Labonia, La sfida politica della decrescita, Roma,
Aracne,. Gesù di Nazareth, Pistoia, Petite Plaisance; “Il respiro del
Novecento, "Koiné" n.6, Pistoia, CRT); “Metamorfosi della scuola
italiana, "Koiné" n.4, Pistoia, CRT, Visioni di scuola. Buoni e
cattivi maestri, "Koiné" n.5, Pistoia, CRT, Scienza, cultura,
filosofia, "Koiné" n.8, Pistoia, CRT. I cattivi maestri, in I
Forchettoni Rossi, Roberto Massari, Bolsena, Massari. Addio al professor
Massimo Bontempelli, Il Tirreno.
Bontempelli individua, in diverse epoche, un feudalesimo ario, cinese,
indiano, iranico del regno dei Parti, del Vicino Oriente islamico, del Ghana e
infine il feudalesimo occidentale. Gesù
uomo nella storia, Dio nel pensiero (uaar)
Costanzo Preve, Ideologia italiana. Saggio sulla storia delle idee
marxiste in Italia, Milano, Vangelista, 1993 (p. 201 sgg.) Marxismo modo di produzione. Una vita
semplice, una mente scintillante,Le idee forti di Massimo Bontempelli. Il bene
come processo possibile concreto: natura umana e ontologia sociale. u a be US (2 Se Um %. Pr pn d Der sd g,’ fr Ben
= Ri » e Wu sIGM FREUD Hemmung, Symptom
und Angst re et. Van A 1.1 ee ne ia
he Hemmung, Symptom und Angst von Freud
Internationaler Psychoanalytischer Verlag Leipzig u RE ai Zürich, Psychoanalytischer
Verlag, Ges. m. b. H., Wien Druck: Elbemühl Papierfabriken und Graphische
Industrie A.G. Wien, Rüdengasse ıı I. Unser Sprachgebrauch läßt uns
in der Beschreibung pathologischer Phänomene SYMPTOME und Hemmungen
unterscheiden, aber er legt diesem Unterschied nicht viel Wert bei. Kämen
uns nicht Krankheitsfälle vor, von denen wir aussagen müssen, daß sie nur
Hemmungen und keine SYMPTOME zeigen, und wollten wir nicht wissen, was
dafür die Bedingung ist, so brächten wir kaum das Interesse auf, die
Begriffe Hemmung und SYMPTOM gegeneinander abzugrenzen. Die beiden
sind nicht auf dem nämlichen Boden erwachsen. Hemmung hat eine besondere
Beziehung zur Funktion und bedeutet nicht notwendig
etwas Pathologisches, man kann auch eine normale Einschränkung einer
Funktion eine Hemmung derselben nennen. SYMPTOM hingegen heißt soviel wie
Anzeichen eines krankhaften Vorganges. Es kann also auch
eine Hemmung ein SYMPTOM sein. Der Sprachgebrauch verfährt dann so,
daß er von Hemmung spricht, wo eine einfache Herabsetzung der Funktion
vorliegt, von SYMPTOM [“Those spots are a symptom of measles”], wo es sich
um eine ungewöhnliche Abänderung derselben oder um eine neue Leistung
handelt. In vielen Fällen scheint es der Willkür überlassen, ob man
die positive oder die negative Seite des pathologischen Vorgangs betonen,
seinen Erfolg als SYMPTOM oder als Hemmung bezeichnen will. Das alles
ist wirklich nicht interessant und die Fragestellung, von der wir
ausgingen, erweist sich als wenig fruchtbar.Da die Hemmung begrifflich so innig
an die Funktion geknüpft ist, kann:man auf die Idee kommen, die
verschiedenen Ichfunktionen daraufhin zu untersuchen, in welchen Formen sich
deren Störung bei den einzelnen neurotischen Affektionen äußert.
Wir wählen für diese vergleichende Studie: die Sexualfunktion, das Essen,
die Lokomotion und die Berufsarbeit. Die Sexualfunktion unterliegt sehr
mannigfaltigen Störungen, von denen die meisten den Charakter
einfacher Hemmungen zeigen. Diese werden als psychische Impotenz
zusammengefaßt. Das Zustandekommen der normalen Sexualleistung setzt einen sehr
komplizierten Ablauf voraus, die Störung kann an jeder Stelle desselben
eingreifen. Die Hauptstationen der Hemmung sind beim Manne: die
Abwendung der Libido zur Einleitung des Vorgangs
(psychische Unlust), das Ausbleiben der physischen Vorbereitung
(Erektionslosigkeit), die Abkürzung des Aktes (Ejaculatio praecox, die
ebensowohl als POSITIVES SYMPTOM beschrieben werden kann, die Aufhaltung
desselben vor dem natürlichen Ausgang, Ejakulationsmangel, das
Nichtzustandekommen des psychischen Effekts, der Lustempfindung des Orgasmus.
Andere Störungen erfolgen durch die Verknüpfung der Funktion mit
besonderen Bedingungen, perverser oder fetischistischer Natur. Eine
Beziehung der Hemmung zur Angst kann uns nicht lange entgehen. Manche Hemmungen
sind offenbar Verzichte auf Funktion, weil bei deren Ausübung Angst
entwickelt werden würde. Direkte Angst vor der Sexualfunktion ist beim
Weibe häufig; wir ordnen sie der Hysterie zu, ebenso das ABWEHRSYMPTOM des
Ekels, das sich ursprünglich als nachträgliche Reaktion auf den passiv erlebten
Sexualakt einstellt, später bei der Vorstellung desselben auftritt. Auch
eine großse Anzahl von Zwangshandlungen erweisen sich als Vorsichten und
Versicherungen gegen sexuelles Erleben, sind also phobischer
Natur. Man kommt da im Verständnis nicht sehr weit; man merkt nur,
daß sehr verschiedene Verfahren verwendet werden, um die Funktion zu
stören: die bloße Abwendung der Libido, die am ehesten zu ergeben
scheint, was wir eine reine Hemmung heißen, die Verschlechterung in der
Ausführung der Funktion, die Erschwerung derselben durch besondere
Bedingungen und ihre Modifikation durch Ablenkung auf andere Ziele,ihre
Vorbeugung durch Sicherungsmaßregeln, ihre Unterbrechung durch
Angstentwicklung, sowie sich ihr Ansatz nicht mehr verhindern läßt,
endlich eine nachträgliche REAKTION, die dagegen protestiert und das
Geschehene rückgängig machen will, wenn die Funktion doch
durchgeführt wurde. Die häufigste Störung der Nahrungsfunktion ist
die Efunlust durch Abziehung der Libido. Auch Steigerungen der Eßlust
sind nicht selten; ein Eßzwang motiviert sich durch Angst vor dem
Verhungern, ist wenig untersucht. Als hysterische
Abwehr des Essens kennen wir das Symptom des Erbrechens. Die
Nahrungsverweigerung infolge von Angst gehört psychotischen Zuständen an
(Vergiftungswahn). Die Lokomotion wird bei manchen neurotischen
Zuständen durch Gehunlust und Gehschwäche gehemmt, die hysterische
Behinderung bedient sich der motorischen Lähmung des Bewegungsapparates
oder schafit eine spezialisierte Aufhebung dieser einen Funktion
desselben (Abasie). Besonders charakteristisch sind die Erschwerungen der
Lokomotion durch Ein- schaltung bestimmter Bedingungen, bei deren
Nicht- erfüllung Angst auftritt (Phobie). Die Arbeitshemmung, die so
oft als isoliertes SYMPTOM Gegenstand der Behandlung wird, zeigt uns
verminderte Lust oder schlechtere Ausführung oder Reaktionserscheinungen
wie Müdigkeit (Schwindel, Er- brechen), wenn die Fortsetzung der Arbeit
erzwungen wird. Die Hysterie erzwingt die Einstellung der Arbeit
durch Erzeugung von Organ- und Funktionslähmungen, deren Bestand mit der
Ausführung der Arbeit unvereinbar ist. Die Zwangsneurose stört die Arbeit
durch fortgesetzte Ablenkung und durch den Zeitverlust bei
eingeschobenen Verweilungen und Wiederholungen. Wir könnten diese
Übersicht noch auf andere Funktionen ausdehnen, aber wir dürfen nicht
erwarten, dabei mehr zu erreichen. Wir kämen nicht über die
Oberfläche der Erscheinungen hinaus. Entschließen wir uns darum zu einer
Auffassung, die dem Begriff der Hemmung nicht mehr viel Rätselhaftes
beläßt. Die Hemmung ist der Ausdruck einer Funktions- einschränkung
des Ichs, die selbst sehr ver- schiedene Ursachen haben kann. Manche der
Mecha- nismen dieses Verzichts auf Funktion und eine allgemeine Tendenz
desselben sind uns wohlbekannt. An den spezialisierten Hemmungen
ist die Tendenz leichter zu erkennen. Wenn das Klavierspielen,
Schreiben und selbst das Gehen neurotischen Hemmungen unter-
liegen, so zeigt uns die Analyse den Grund hiefür in einer überstarken
Erotisierung der bei diesen Funk- tionen in Anspruch genommenen Organe,
der Finger und der Füße. Wir haben ganz allgemein die Einsicht
gewonnen, dafs die Ichfunktion eines Organs geschädigt wird, wenn seine
Erogeneität, seine sexuelle Bedeutung, zunimmt. Es benimmt sich dann,
wenn man den einigermaßen skurrilen Vergleich wagen darf, wie
eine Köchin, die nicht mehr am Herd arbeiten will, weil der Herr des
Hauses Liebesbeziehungen zu ihr ange- knüpft hat. Wenn das Schreiben, das
darin besteht, aus einem Rohr Flüssigkeit auf ein Stück weißes
Papier fließen zu lassen, die symbolische Bedeutung des Koitus angenommen
hat, oder wenn das Gehen zum symbolischen Ersatz des Stampfens auf dem
Leib der Mutter Erde geworden ist, dann wird beides, Schreiben und
Gehen, unterlassen, weil es so ist, als ob man die verbotene sexuelle
Handlung ausführen würde. Das Ich verzichtet auf diese ihm
zustehenden Funktionen, um nicht eine neuerliche Verdrängung
vornehmen zu müssen, um einem Konflikt mit dem Es auszuweichen. Andere Hemmungen erfolgen offenbar im Dienste der
Selbstbestrafung, wie nicht selten die der be- ruflichen Tätigkeiten. Das
Ich darf diese Dinge nicht tun, weil sie ihm Nutzen und Erfolg
bringen würden, was das gestrenge Über-Ich versagt hat. Dann
verzichtet das Ich auch auf diese Leistungen, um nieht in Konflikt mit
dem Über-Ich zu geraten. Die allgemeineren Hemmungen des Ichs
folgen einem einfachen anderen Mechanismus. Wenn das Ich durch eine
psychische Aufgabe von besonderer Schwere in Anspruch genommen ist, wie
z. B. durch eine Irauer, eine großartige Affektunterdrückung, durch
die Nötigung, beständig aufsteigende sexuelle Phantasıen niederzuhalten, dann
verarmt es so sehr an der ihm verfügbaren Energie, dafs es seinen Aufwand
an vielen Stellen zugleich einschränken muß, wie ein Spekulant, der
seine Gelder in seinen Unternehmungen immobilisiert hat. Ein lehrreiches
Beispiel einer solchen intensiven Allgemeinhemmung von kurzer Dauer konnte
ich an einem Zwangskranken beobachten, der in eine lähmende Müdigkeit won
einbis mehrtägiger Dauer bei Anlässen verfiel, die offenbar einen
Wutausbruch hätten herbeiführen sollen. Von hier aus mufß auch ein
Weg zum Verständnis der Allgemeinhemmung zu finden sein, durch die sich
die Depressionszustände und der schwerste derselben, die Melancholie,
kenn- zeichnen. Man kann also abschließend über die Hemmungen
sagen, sie seien Einschränkungen der Ichfunktionen, entweder aus Vorsicht
oder infolge von Energie- verarmung. Es ist nun leicht zu erkennen,
worin sich die Hemmung vom Symptom unterscheidet. Da Symptom kann
nicht mehr als ein Vorgang in oder am.Ich beschrieben werden. Die
Grundzüge der SYMPTOMBILDUNG sind längst studiert und in hoffentlich
unanfechtbarer Weise aus- gesprochen worden. Das SYMPTOM sei Anzeichen
und Ersatz einer unterbliebenen Triebbefriedigung, ein Erfolg des
Verdrängungsvorganges. Die Verdrängung geht vom Ich aus, das, eventuell
im Auftrage des Über- Ichs, eine im Es angeregte Triebbesetzung nicht
mitmachen will. Das Ich erreicht durch die Verdrängung, daß die
Vorstellung, welche der Träger der unliebsamen Regung war, vom Bewußtwerden
abgehalten wird. Die Analyse weist oftmals nach, daß sie als unbewußste
Formation erhalten geblieben ist. So weit wäre es klar, aber bald
beginnen die unerledigten Schwierigkeiten. Unsere bisherigen
Beschreibungen des Vorganges bei der Verdrängung haben den Erfolg der
Abhaltung vom Bewußtsein nachdrücklich betont, aber in anderen
Punkten Zweifel offen gelassen. Es entsteht die Frage, was ist das
Schicksal der im Es aktivierten Triebregung, die auf Befriedigung abzielt? Die
Antwort war eine indirekte, sie lautete, durch den Vorgang der
Verdrängung werde die zu erwartende Befriedigungs- lust in Unlust
verwandelt, und dann stand man vor dem Problem, wie Unlust das Ergebnis
einer Triebbefriedigung sein könne. Wir hoffen den Sachverhalt zu klären,
wenn wir die bestimmte Aussage machen, der im Es beabsichtigte
Erregungsablauf komme infolge der Verdrängung überhaupt nicht zustande,
es gelingt dem Ich, ihn zu inhibieren oder abzulenken. Dann
entfällt das Rätsel der Affektverwandlung bei der Verdrängung. Wir haben
aber damit dem Ich das Zugeständnis gemacht, daß es einen so
weitgehenden Einfluß auf die Vorgänge im Es äußern kann, und sollen
verstehen lernen, auf welchem Wege ihm diese überraschende
Machtentfaltung möglich wird. Ich glaube, dieser Einfluß fällt dem
Ich zu infolge seiner innigen Beziehungen zum Wahrnehmungssystem,
die ja sein Wesen ausmachen und der Grund seiner Differenzierung vom Es
geworden sind. Die Funktion dieses Systems, das wir W-Bw genannt haben,
ist mit dem Phänomen des Bewußstseins verbunden; es empfängt
Erregungen nicht nur von außen, sondern auch von innen her und mittels
der Lust-Unlustempfindungen, die es von daher erreichen, versucht es,
alle Abläufe des seelischen Geschehens im Sinne des Lustprinzips zu
lenken. Wir stellen uns das Ich so gerne als ohn- mächtig gegen das Es
vor, aber wenn es sich gegen einen Triebvorgang im Es sträubt, so braucht
es blof3 ein Unlustsignal zu geben, um seine Absicht durch die
Hilfe der beinahe allmächtigen Instanz des Lust- prinzips zu erreichen.
Wenn wir diese Situation für einen Augenblick isoliert betrachten, können
wir sie durch ein Beispiel aus einer anderen Sphäre illustrieren.
In einem Staate wehre sich eine gewisse Clique gegen eine Mafsregel,
deren Beschluß den Neigungen der Masse entsprechen würde. Diese
Minderzahl bemächtigt sich dann der Presse, bearbeitet durch sie die
souve- räne „Öffentliche Meinung“ und setzt es so durch, daf$ der
geplante Beschluf3 unterbleibt. An die eine Beantwortung knüpfen
weitere Frage- stellungen an. Woher rührt die Energie, die zur Erzeugung
des Unlustsignals verwendet wird? Hier weist uns die Idee den Weg, daß
die Abwehr eines un- erwünschten Vorganges im Inneren nach dem
Muster der Abwehr gegen einen äußeren Reiz geschehen dürfte, daß
das Ich den gleichen Weg der Verteidi- gung gegen die innere wie gegen
die äußere Gefahr einschlägt. Bei äußerer Gefahr unternimmt das
organische Wesen einen Fluchtversuch, es zieht zunächst die Besetzung von der
Wahrnehmung des Gefährlichen ab; später erkennt es als das wirk-
samere Mittel, solche Muskelaktionen vorzunehmen, dafs die Wahrnehmung
der Gefahr, auch wenn man sie nicht verweigert, unmöglich wird, also sich
dem Wirkungsbereich der Gefahr zu entziehen. Einem solchen
Fluchtversuch gleichwertig ist auch die Verdrängung. Das Ich zieht die
(vorbewußte) Besetzung von der zu verdrängenden Triebrepräsentanz ab
und verwendet sie für die Unlust-(Angst-)Entbindung. Das Problem,
wie bei der Verdrängung die Angst entsteht, mag kein einfaches sein;
immerhin hat man das Recht, an der Idee festzuhalten, daß das Ich die
eigentliche Angststätte ist, und die frühere Auffassung zurück-
zuweisen, die Besetzungsenergie der verdrängten Regung werde automatisch
in Angst verwandelt. Wenn ich mich früher einmal so geäußert habe, so gab
ich eine phänomenologische Beschreibung, nicht eine meta-
psychologische Darstellung. Aus dem Gesagten leitet sich die neue
Frage ab, wie es ökonomisch möglich ist, daß ein bloßer Abziehungs- und
Abfuhrvorgang wie beim Rückzug der vorbewufßsten Ichbesetzung Unlust oder
Angst erzeugen könne, die nach unseren Voraussetzungen nur Folge
gesteigerter Besetzung sein kann. Ich antworte, diese Verursachung soll
nicht ökonomisch erklärt werden, die Angst wird bei der Verdrängung nicht
neu erzeugt, sondern als Affektzustand nach einem vorhandenen
Erinnerungsbild reproduziert. Mit der weiteren Frage nach der Herkunft
dieser Angst, wie der Affekte überhaupt, verlassen wir aber den
unbestritten psychologischen Boden und betreten das Grenzgebiet der
Physiologie. Die Affektzustände sind dem Seelen- leben als Niederschläge
uralter traumatischer Erlebnisse einverleibt und werden in ähnlichen Situationen
wie Erinnerungssymbole wachgerufen. Ich meine, ich hatte nicht Unrecht,
sie den spät und individuell erwor- benen hysterischen Anfällen
gleichzusetzen und als deren Normalvorbilder zu betrachten. Beim
Menschen und ihm verwandten Geschöpfen scheint der Geburts- akt als
das erste individuelle Angsterlebnis dem Aus- druck des Angstaffekts
charakteristische Züge geliehen zu haben. Wir sollen aber diesen
Zusammenhang nicht überschätzen und in seiner Anerkennung nicht
übersehen, daß ein Affektsymbol für die Situation der Gefahr eine
biologische Notwendigkeit ist und auf jeden Fall geschaffen worden wäre,
Ich halte es auch für unberechtigt anzunehmen, daß bei jedem Angst-
ausbruch etwas im Seelenleben vor sich geht, was einer Reproduktion der
Geburtssituation gleichkommt. Es ist nicht einmal sicher, ob die
hysterischen Anfälle, die ursprünglich solche traumatische
Reproduktionen sind, diesen Charakter dauernd bewahren. Ich
habe an anderer Stelle ausgeführt, daß die meisten Verdrängungen, mit
denen wir bei der therapeutischen Arbeit zu tun bekommen, Fälle von
Nachdrängen sind. Sie setzen früher erfolgte Urverdrängungen voraus, die
auf die neuere Situation ihren anziehenden Einfluß ausüben. Von
diesen Hintergründen und Vorstufen der Verdrängung ist noch viel zu wenig
bekannt. Man kommt leicht in Gefahr, die Rolle des Über-Ichs bei der
Verdrängung zu überschätzen. Man kann es derzeit nicht beurteilen, ob
etwa das Auftreten des Über-Ichs die Abgrenzung zwischen Urverdrängung und
Nachdrängen schafft. Die ersten, sehr intensiven, Angstaus- brüche erfolgen jedenfalls vor
der Differenzierung des Über-Ichs. Es ist durchaus plausibel, daß
quantitative Momente, wie die übergroße Stärke der Erregung und der
Durchbruch des Reizschutzes, die nächsten Anlässe der Urverdrängungen
sind. Die Erwähnung des Reizschutzes mahnt uns wie ein
Stichwort, daß die Verdrängungen in zwei unter- schiedenen Situationen
auftreten, nämlich wenn eine unliebsame Triebregung durch eine äußere
Wahr- nehmung wachgerufen wird, und wenn sie ohne solche
Provokation im Innern auftaucht. Wir werden später auf diese
Verschiedenheit zurückkommen. Reizschutz gibt es aber nur gegen äußere
Reize, nicht gegen innere Triebansprüche. Solange wir den
Fluchtversuch des Ichs studieren, bleiben wir der SYMPTOMbildung ferne.
Das SYMPTOM entsteht aus der durch die Verdrängung beeinträch-
tisten Triebregung. Wenn das Ich durch die Inan- spruchnahme des
Unlustsignals seine Absicht erreicht, die Triebregung völlig zu
unterdrücken, erfahren wir nichts darüber, wie das geschieht. Wir lernen
nur aus den Fällen, die als mehr oder minder mißglückte
Verdrängungen zu bezeichnen sind. Dann stellt essich im Allgemeinen
so dar, dafs die Triebregung zwar trotz der Verdrängung einen Ersatz
gefunden hat, aber einen stark verkümmerten, ver- schobenen, gehemmten.
Er ist auch als Befriedigung nicht mehr kenntlich. Wenn er vollzogen
wird, kommt keine Lustempfindung zustande, dafür hat dieser Vollzug
den Charakter des Zwanges angenommen. Aber bei dieser Erniedrigung des
Befriedigungs- ablaufes zum SYMPTOM zeigt die Verdrängung ihre
Macht noch in einem anderen Punkte. Der Ersatz- vorgang wird wo möglich
von der Abfuhr durch die Motilität ferngehalten; auch wo dies nicht
gelingt, mufS er sich in der Veränderung des eigenen Körpers
erschöpfen und darf nicht auf die Außenwelt übergreifen; es wird ihm verwehrt,
sich in Handlung um- zusetzen. Wir verstehen, bei der Verdrängung
arbeitet das Ich unter dem Einfluß der äußeren Realität und
schließt darum den Erfolg des Ersatzvorganges von dieser Realität
ab. Das Ich beherrscht den Zugang zum Bewußtsein wie den
Übergang zur Handlung gegen die Außen- welt; in der Verdrängung betätigt
es seine Macht nach beiden Richtungen. Die Triebrepräsentanz
bekommt die eine, die Triebregung selbst die andere Seite seiner
Kraftäußerung zu spüren. Da ist es denn am Platze, sich zu fragen, wie
diese Anerkennung der Mächtigkeit des Ichs mit der Beschreibung
zusammen- kommt, die wir in der Studie „Das Ich und das Es“ von der
Stellung desselben Ichs entworfen haben. Wir haben dort die Abhängigkeit
des Ichs vom Es wie vom Über-Ich geschildert, seine Ohnmacht und
Angstbereitschaft gegen beide, seine mühsam aufrecht erhaltene
Überheblichkeit entlarvt. Dieses Urteil hat seither einen starken
Widerhall in der psychoanaly- tischen Literatur gefunden. Zahlreiche
Stimmen betonen eindringlich die Schwäche des Ichs gegen das Es,
des Rationellen gegen das Dämonische in uns und schicken sich an, diesen
Satz zu einem Grund- pfeiler einer psychoanalytischen Weltanschauung zu
machen. Sollte nicht die Einsicht in die Wirkungs- weise der Verdrängung
gerade den Analytiker von so extremer Parteinahme zurückhalten?
Ich bin überhaupt nicht für die Fabrikation von Weltanschauungen.
Die überlasse man den Philosophen, die eingestandenermafßsen die
Lebensreise ohne einen solchen Baedeker, der über alles Auskunft
gibt, nicht ausführbar finden. Nehmen wir demütig die Verachtung
auf uns, mit der die Philosophen vom Standpunkt ihrer höheren
Bedürftigkeit auf uns herabschauen. Da auch wir unseren narzißtischen
Stolz nicht verleugnen können, wollen wir unseren Trost in der
Erwägung suchen, daß alle diese Lebensführer rasch veralten, daß es gerade
unsere kurzsichtig beschränkte Kleinarbeit ist, welche deren
Neuauflagen notwendig macht, und daß selbst die modernsten dieser
Baedeker Versuche sind, den alten, so bequemen und so vollständigen Katechismus
zu ersetzen. Wir wissen genau, wie wenig Licht die Wissenschaft
bisher über die Rätsel dieser Welt verbreiten konnte; alles Poltern der
Philosophen kann daran nichts ändern, nur geduldige Fortsetzung der
Arbeit, die alles der einen Forderung nach Gewißheit unter- ordnet,
kann langsam Wandel schaffen. Wenn der Wanderer in der Dunkelheit singt,
verleugnet er seine Ängstlichkeit, aber er sieht darum um nichts
heller. Um zum Problem des Ichs zurückzukehren: Der Anschein des
Widerspruchs kommt daher, daf wir Abstraktionen zu starr nehmen und aus
einem kom- plizierten Sachverhalt bald die eine, bald die andere
Seite allein herausgreifen. Die Scheidung des Ichs vom Es scheint
gerechtfertigt, sie wird uns durch bestimmte Verhältnisse aufgedrängt.
Aber anderseits ist das Ich mit dem Es identisch, nur ein besonders
differenzierter Anteil desselben. Stellen wir dieses Stück in Gedanken
dem Ganzen gegenüber, oder hat sich ein wirklicher Zwiespalt zwischen den
beiden ergeben, so wird uns die Schwäche dieses Ichs offenbar. Bleibt das
Ich aber mit dem Es verbunden, von ihm nicht unterscheidbar, so zeigt
sich seine Stärke. Ähnlich ist das Verhältnis des Ichs zum Über-Ich;
für viele Situationen fließen uns die beiden zusammen, meistens
können wir sie nur unterscheiden, wenn sich eine Spannung, ein Konflikt
zwischen ihnen hergestellt hat. Für den Fall der Verdrängung wird die
Tatsache entscheidend, daß das Ich eine Organisation ist, das Es aber
keine; das Ich ist eben der organi- sierte Anteil des Es. Es wäre ganz
ungerechtfertigt, wenn man sich vorstellte, Ich und Es seien wie
zwei verschiedene Heerlager ; durch die Verdrängung suche das Ich
ein Stück des Es zu unterdrücken, nun komme das übrige Es dem
Angegriffenen zu Hilfe und messe seine Stärke mit der des Ichs. Das
mag oft zustande kommen, aber es ist gewifs nicht die
Eingangssituation der Verdrängung; in der Regel bleibt die zu
verdrängende Triebregung isoliert. Hat der Akt der Verdrängung uns die
Stärke des Ichs gezeigt, so legt er doch in einem auch Zeugnis ab
für dessen Ohnmacht und für die Unbeeinflußbarkeit der einzelnen
Triebregung des Es. Denn der Vorgang, der durch die Verdrängung zum SYMPTOM
geworden ist, behauptet nun seine Existenz außerhalb der
Ichorganisation und unabhängig von ihr. Und nicht er allein, auch alle
seine Abkömmlinge genießen das- selbe Vorrecht, man möchte sagen: der
Extraterritorialität, und wo sie mit Anteilen der Ichorganisation
assoziativ zusammentreffen, wird es fraglich, ob sie diese nicht zu sich
herüberziehen und sich mit diesem Gewinn auf Kosten des Ichs ausbreiten
werden. Ein uns längst vertrauter Vergleich betrachtet das SYMPTOM
als einen Fremdkörper, der unaufhörlich Reiz- und Reaktionserscheinungen
in dem Gewebe unterhält, in das er sich eingebettet hat. Es kommt
zwar vor, daß der Abwehrkampf gegen die unliebsame Triebregung durch
die SYMPTOMbildung abgeschlossen wird; soweit wir sehen, ist dies am
ehesten bei der hysterischen Konversion möglich, aber in der Regel
ist der Verlauf ein anderer; nach dem ersten Akt der Verdrängung folgt
ein langwieriges oder nie zu beendendes Nachspiel, der Kampf gegen die
Trieb- regung findet seine Fortsetzung in dem Kampf gegen das SYMPTOM.
Dieser sekundäre Abwehrkampf zeigt uns zwei Gesichter — mit
widersprechendem Ausdruck. Einer- seits wird das Ich durch seine Natur
genötigt, etwas zu unternehmen, was wir als Herstellungs- oder
Versöhnungsversuch beurteilen müssen. Das Ich ist eine Organisation, es
beruht auf dem freien Verkehr und der Möglichkeit gegenseitiger
Beeinflussung unter all seinen Bestandteilen, seine desexualisierte
Energie bekundet ihre Herkunft noch in dem Streben nach Bindung und
Vereinheitlichung und dieser Zwang zur Synthese nimmt immer mehr zu, je
kräftiger sich das Ich entwickelt. So wird es verständlich, daß das Ich auch versucht,
die Fremdheit und Isolierung des SYMPTOMs aufzuheben, indem es alle
Möglichkeiten ausnützt, es irgendwie an sich zu binden und durch solche
Bande seiner Organisation einzuverleiben. Wir wissen, daß ein
solches Bestreben bereits den Akt der SYMPTOM- bildung beeinflußt. Ein
klassisches Beispiel dafür sind jene hysterischen SYMPTOMe, die uns als
Kompromifszwischen Befriedigungs- und Strafbedürfnis durchsichtig
geworden sind. Als Erfüllungen einer Forderung des Über-Ichs haben solche
SYMPTOMe von vorneherein Anteil am Ich, während sie anderseits Positionen
des Verdrängten und Einbruchsstellen desselben in die
Ichorganisation bedeuten; sie sind sozusagen Grenz-stationen mit gemischter
Besetzung. Ob alle primären hysterischen SYMPTOMe so gebaut sind,
verdiente eine sorgfältige Untersuchung. Im weiteren Verlaufe
benimmt sich das Ich so, als ob es von der Er- wägung geleitet würde: das
SYMPTOM ist einmal da und kann nicht beseitigt werden; nun heißt es,
sich mit dieser Situation befreunden und den größtmög- lichen
Vorteil aus ihr ziehen. Es findet eine Anpassung an das ichfremde Stück
der Innenwelt statt, das durch das SYMPTOM repräsentiert wird, wie sie
das Ich sonst normalerweise gegen die reale Außenwelt zustande
bringt. An Anlässen hiezu fehlt es nie. Die Existenz des Symptoms mag
eine gewisse Behinde- rung der Leistung mit sich bringen, mit der man
eine Anforderung des Über-Ichs beschwichtigen oder einen Anspruch
der Außenwelt zurückweisen kann. So wird das Symptom allmählich mit der
Vertretung wichtiger Interessen betraut, es erhält einen Wert für
die Selbstbehauptung, verwächst immer inniger mit dem Ich, wird ihm
immer unentbehrlicher. Nur in ganz seltenen Fällen kann der Prozeß der
Einheilung eines Fremdkörpers etwas ähnliches wiederholen. Man
kann die Bedeutung dieser sekundären Anpassung an das Symptom auch
übertreiben, indem man aussagt, das Ich habe sich das Symptom überhaupt
nur ange- schafft, um dessen Vorteile zu genießen. Das ist dann so
richtig oder so falschh wie wenn man die Ansicht vertritt, der
Kriegsverletzte habe sich das Bein nur abschießen lassen, um dann
arbeitsfrei von seiner Invalidenrente zu leben. Andere
Symptomgestaltungen, die der Zwangs- neurose und der Paranoia, bekommen
einen hohen Wert für das Ich, nicht weil sie ihm Vorteile, sondern
weil sie ihm eine sonst entbehrte narzißtische Befriedigung bringen. Die
Systembildungen der Zwangs- neurotiker schmeicheln ihrer Eigenliebe durch
die Vorspiegelung, sie seien als besonders reinliche oder
gewissenhafte Menschen besser als andere; die Wahn- bildungen der
Paranoia eröffnen dem Scharfsinn und der Phantasie dieser Kranken ein
Feld zur Betätigung, das ihnen nicht leicht ersetzt werden kann. Aus
all den erwähnten Beziehungen resultiert, was uns als der
(sekundäre) Krankheitsgewinn der Neurose bekannt ist. Er kommt dem Bestreben
des Ichs, sich das Symptom einzuverleiben, zu Hilfe und verstärkt
die Fixierung des letzteren. Wenn wir dann den Ver- such machen, dem Ich
in seinem Kampf gegen das Symptom analytischen Beistand zu leisten,
finden wir diese versöhnlichen Bindungen zwischen Ich und Symptom
auf der Seite der Widerstände wirksam. Es wird uns nicht leicht gemacht,
sie zu lösen. Die beiden Verfahren, die dasIch gegen das Symptom
anwendet, stehen wirklich in Widerspruch zu einander. Das
andere Verfahren hat weniger freundlichen Charakter, es setzt die
Richtung der Verdrängung fort. Aber es scheint, daß wir das Ich nicht mit
dem Vorwurf der Inkonsequenz belasten dürfen. Das Ich ist
friedfertig und möchte sich das Symptom einverleiben, es in sein Ensemble
aufnehmen. Die Störung geht vom Symptom aus, das als richtiger Ersatz
und Abkömmling der verdrängten Regung deren Rolle weiterspielt,
deren Befriedigungsanspruch immer wieder erneuert und so das Ich nötigt,
wiederum das Unlust- signal zu geben und sich zur Wehre zu setzen.
Der sekundäre Abwehrkampf gegen das Symptom ist vielgestaltig,
spielt sich auf verschiedenen Schau- plätzen ab und bedient sich
mannigfaltiger Mittel. Wir werden nicht viel über ihn aussagen können,
wenn wir nicht die einzelnen Fälle der Symptombildung zum
Gegenstand der Untersuchung nehmen. Dabei werden wir Anlaß finden, auf
das Problem der Angst einzugehen, das wir längst wie im Hintergrunde
lauernd verspüren. Es empfiehlt sich, von den Symptomen, welche die
hysterische Neurose schafft, auszugehen; auf die Voraussetzungen der
Symptombildung bei der Zwangsneurose, Paranoia und anderen Neurosen
sind wir noch nicht vorbereitet. IV Der erste Fall, den wir
betrachten, sei der einer infantilen hysterischen Tierphobie, also z.B.
der gewifs in allen Hauptzügen typische Fall der Pferdephobie des ‚
Kleinen Hans‘. Schon der erste Blick läßt uns erkennen, daß die
Verhältnisse eines realen Falles von neurotischer Erkrankung weit
komplizierter sind als unsere Erwartung, solange wir mit
Abstraktionen arbeiten, sich vorstellt. Es gehört einige Arbeit
dazu, sich zu orientieren, welches die verdrängte Regung, was ihr
Symptomersatz ist, wo das Motiv der Verdrängung kenntlich wird. Der kleine Hans
weigert sich, auf die Straße zu gehen, weil er Angst vor dem Pferd hat.
Dies ist der Rohstoff. Was ist nun daran das Symptom: die
Angstentwicklung, die Wahl des Angstobjekts, oder der Verzicht auf die
freie Beweglichkeit, oder mehreres davon zugleich? Wo ist die
Befriedigung, die er sich versagt? Warum muß er sich diese
versagen? Siehe: Analyse der Phobie eines fünfjährigen Knaben. (Ges.
Schriften) Es liegt nahe zu antworten, an dem Falle sei nicht so
viel rätselhaft. Die unverständliche Angst vor dem Pferd ist das Symptom,
die Unfähigkeit, auf die Straße zu gehen, ist eine
Hemmungserscheinung, eine Einschränkung, die sich das Ich auferlegt,
um nicht das Angstsymptom zu wecken. Man sieht ohne weiteres die
Richtigkeit der Erklärung des letzten Punktes ein und wird nun diese
Hemmung bei der weiteren Diskussion außer Betracht lassen. Aber die
erste flüchtige Bekanntschaft mit dem Falle lehrt uns nicht einmal den
wirklichen Ausdruck des vermeint- lichen Symptoms kennen. Es handelt
sich, wie wir bei genauerem Verhör erfahren, gar nicht um eine
unbestimmte Angst vor dem Pferd, sondern um die bestimmte ängstliche
Erwartung: das Pferd werde ihn beifsen. Allerdings sucht sich dieser
Inhalt dem Bewußt- sein zu entziehen und sich durch die unbestimmte
Phobie, in der nur noch die Angst und ihr Objekt vorkommen, zu ersetzen.
Ist nun etwa dieser Inhalt der Kern des Symptoms? Wir kommen
keinen Schritt weiter, so lange wir nicht die ganze psychische Situation
des Kleinen in Betracht ziehen, wie sie uns während der
analytischen Arbeit enthüllt wird. Er befindet sich in der eifersüchtigen
und feindseligen Ödipusein- stellung zu seinem Vater, den er doch, so
weit die Mutter nicht als Ursache der Entzweiung in Betracht kommt,
herzlich liebt. Also ein Ambivalenzkonflikt, gut begründete Liebe und
nicht minder berech- tigter Haß, beide auf dieselbe Person
gerichtet. Seine Phobie muß ein Versuch zur Lösung dieses
Konflikts sein. Solche Ambivalenzkonflikte sind sehr häufig, wir kennen
einen anderen typischen Ausgang derselben. Bei diesem wird die eine der
beiden mit- einander ringenden Regungen, in der Regel die zärt-
liche, enorm verstärkt, die andere verschwindet. Nur das Übermaß und das
Zwangsmäßige der Zärtlichkeit verrät uns, daf3 diese Einstellung nicht
die einzig vorhandene ist, daß sie ständig auf der Hut ist, ihr
Gegenteil in Unterdrückung zu halten, und läßt uns einen Hergang
konstruieren, den wir als Verdrängung durch Reaktionsbildung (im Ich)
beschreiben. Fälle wie der kleine Hans zeigen nichts von solcher
Reaktionsbildung; es gibt offenbar verschiedene Wege, die aus einem
Ambivalenzkonflikt herausführen. Etwas anderes haben wir unterdes mit
Sicherheit erkannt. Die Triebregung, die der Verdrängung unter-
liegt, ist ein feindseliger Impuls gegen den Vater. Die Analyse lieferte
uns den Beweis hiefür, während sie der Herkunft der Idee des beifßenden
Pferdes nachspürte. Hans hat ein Pferd fallen gesehen, einen
Spielkameraden fallen und sich verletzen, mit dem er Pferd gespielt
hatte. Sie hat uns das Recht gegeben, bei Hans eine Wunschregung zu
konstruieren, die gelautet hat, der Vater möge hinfallen, sich
beschädigen wie das Pferd und der Kamerad. Beziehungen zu einer beobachteten
Abreise lassen ver- muten, daß der Wunsch nach der Beseitigung des
Vaters auch minder zaghaften Ausdruck gefunden hat. Ein solcher Wunsch
ist aber gleichwertig mit der Absicht, ihn selbst zu beseitigen, mit der
mör- derischen Regung des Ödipuskomplexes. Von dieser verdrängten
Triebregung führt bis jetzt kein Weg zu dem Ersatz für sie, den wir in
der Pferdephobie vermuten. Vereinfachen wir nun die psychische
Situation des kleinen Hans, indem wir das infantile Moment und die
Ambivalenz wegräumen; er sei etwa ein jüngerer Diener in einem
Haushalt, der in die Herrin verliebt ist und sich gewisser
Gunstbezeugungen von ihrer Seite erfreue. Erhalten bleibt, dafß er den
stärkeren Hausherrn haßt und ihn beseitigt wissen möchte; dann ist es die
natürlichste Folge dieser Situation, daß er die Rache dieses Herrn
fürchtet, daß sich bei ihm ein Zustand von Angst vor diesem einstellt —
ganz ähnlich wie die Phobie des kleinen Hans vor dem Pferd. Das heißt,
wir können die Angst dieser Phobie nicht als Symptom bezeichnen;
wenn der kleine Hans, der in seine Mutter verliebt ist, Angst vor dem
Vater zeigen würde, hätten wir kein Recht, ihm eine Neurose, eine Phobie,
zuzu- schreiben. Wir hätten eine durchaus begreifliche affektive
Reaktion vor uns. Was diese zur Neurose macht, ist einzig und allein ein
anderer Zug, die Ersetzung des Vaters durch das Pferd. Diese Verschiebung
stellt also das her, was auf den Namen eines Symptoms Anspruch hat. Sie
ist jener andere Mechanismus, der die Erledigung des Ambivalenzkonflikts
ohne die Hilfe der Reaktionsbildung gestattet. Ermöglicht oder erleichtert
wird sie durch den Um- stand, daß die mitgeborenen Spuren
totemistischer Denkweise in diesem zarten Alter noch leicht zu
beleben sind. Die Kluft zwischen Mensch und Tier ist noch nicht
anerkannt, gewif3 nicht so überbetont wie später. Der erwachsene,
bewunderte, aber auch gefürchtete Mann steht noch in einer Reihe mit
dem großen Tier, das man um so vielerlei beneidet, vor dem man aber
auch gewarnt worden ist, weil es gefährlich werden kann. Der
Ambivalenzkonflikt wird also nicht an derselben Person erledigt, sondern
gleich- sam umgangen, indem man einer seiner Regungen eine andere
Person als Ersatzmann unterschiebt. Soweit sehen wir ja klar, aber in
einem anderen Punkte hat uns die Analyse der Phobie des kleinen
Hans eine volle Enttäuschung gebracht. Die Entstellung, in der die
Symptombildung besteht, wird gar nicht an der Repräsentanz (dem
Vorstellungsinhalt) der zu verdrängenden Triebregung vorgenommen,
sondern an einer davon ganz verschiedenen, die nur einer Reaktion
auf das eigentlich Unliebsame entspricht. Unsere Erwartung fände eher
Befriedigung, wenn der kleine Hans an Stelle seiner Angst vor dem
Pferd eine Neigung entwickelt hätte, Pferde zu mißshandeln, sie zu schlagen,
oder deutlich seinen Wunsch kundgegeben hätte, zu sehen, wie sie
hinfallen, zu Schaden kommen, eventuell unter Zuckungen verenden
(das Krawallmachen mit den Beinen). Etwas der Art tritt auch wirklich
während seiner Analyse auf, aber es steht lange nicht voran in der
Neurose und — sonderbar wenner wirklich solche Feindseligkeit, nur
gegen das Pferd, anstatt gegen den Vater gerichtet, als Hauptsymptom
entwickelt hätte, würden wir gar nicht geurteilt haben, er befinde sich
in einer Neurose. Etwas ist also da nicht in Ordnung, entweder an
unserer Auffassung der Verdrängung oder in unserer Definition eines
Symptoms. Eines fällt uns natürlich sofort auf: Wenn der kleine Hans
wirklich ein solches Ver- halten gegen Pferde gezeigt hätte, so wäre ja
der Charakter der anstößigen, aggressiven Triebregung durch die
Verdrängung gar nicht verändert, nur deren Objekt gewandelt worden.
Es ist ganz sicher, daß es Fälle von Verdrängung gibt, die nicht
mehr leisten als dies; bei der Genese der Phobie des kleinen Hans ist
aber mehr geschehen. Um wieviel mehr, erraten wir aus einem anderen
Stück Analyse. Wir haben bereits gehört, daß der kleine Hans
als den Inhalt seiner Phobie die Vorstellung angab, vom Pferd gebissen zu
werden. Nun haben wir.später Einblick in die Genese eines anderen Falles
von Tier- phobie bekommen, in der der Wolf das Angsttier war, aber
gleichfalls die Bedeutung eines Vaterersatzes hatte." Im Anschluß an
einen Traum, den die Analyse durch- sichtig machen konnte, entwickelte
sich bei diesem Knaben die Angst, vom Wolf gefressen zu werden, wie
eines der sieben Geifjlein im Märchen. Daß der Vater des kleinen Hans
nachweisbar ‚‚Pferdl‘‘ mit ihm gespielt hatte, war gewiß bestimmend für
die Wahl des Angsttieres geworden; ebenso lief3 sich wenigstens
sehr wahrscheinlich machen, daf3 der Vater meines erst im dritten
Jahrzehnt analysierten Russen in den Spielen mit dem Kleinen den Wolf
gemimt und scherzend mit dem Auffressen gedroht hatte. Seither habe
ich als dritten Fall einen jungen Amerikaner gefunden, bei dem sich zwar
keine Tierphobie ausbildete, der aber gerade durch diesen Ausfall die
anderen Fälle verstehen hilft. Seine sexuelle Erregung hatte sich an
einer phantastischen Kindergeschichte entzündet, die man ihm vorlas, von
einem arabischen Häuptling, der einer aus eßbarer Substanz
bestehenden Person (dem Gäingerbreadman), nachjagt, um ihn zu
verzehren. Mit diesem eßbaren Menschen identifizierte er sich selbst, der
Häuptling war als Vaterersatz leicht kenntlich und diese Phantasie wurde
die erste Unterlage seiner autoerotischen Betätigung. Die Vorstellung,
vom Vater gefressen zu werden, ist aber typisches uraltes Kindergut; die
Analogien aus der Bd.) Mythologie (Kronos) und dem Tierleben sind
allgemein bekannt. Trotz solcher Erleichterungen ist dieser
Vorstellungs- inhalt uns so fremdartig, daß wir ihn dem Kinde nur
ungläubig zugestehen können. Wir wissen auch nicht, ob er wirklich das
bedeutet, was er auszusagen scheint, und verstehen nicht, wie er
Gegenstand einer Phobie werden kann. Die analytische Erfahrung gibt uns
aller- dings die erforderlichen Auskünfte. Sie lehrt uns, daß die
Vorstellung, vom Vater gefressen zu werden, der regressiv erniedrigte
Ausdruck für eine passive zärtliche Regung ist, die vom Vater als Objekt
im Sinne der Genitalerotik geliebt zu werden begehrt. Die Ver-
folgung der Geschichte des Falles läßt keinen Zweifel an der Richtigkeit
dieser Deutung aufkommen. Die genitale Regung verrät freilich nichts mehr
von ihrer zärtlichen Absicht, wenn sie in der Sprache der
überwundenen Übergangsphase von der oralen zur sadistischen
Libidoorganisation ausgedrückt wird. Handelt es sich übrigens nur um eine
Ersetzung der Repräsentanz durch einen regressiven Ausdruck oder um
eine wirkliche regressive Erniedrigung der genital- gerichteten Regung im
Es? Das scheint gar nicht so leicht zu entscheiden. Die Krankengeschichte
des russischen Wolfsmannes spricht ganz entschieden für die
letztere ernstere Möglichkeit, denn er benimmt sich von dem
entscheidenden Traum an schlimm, quälerisch, sadistisch und entwickelt
bald darauf eine richtige Zwangsneurose. Jedenfalls gewinnen wir die
Einsicht, daf3 die Verdrängung nicht das einzige Mittel ist, das dem Ich
zur Abwehr einer unliebsamen Triebregung zu (sebote steht. Wenn es ihm gelingt,
den Trieb zur Regression zu bringen, so hat es ihn im Grunde
energischer beeinträchtigt, als durch die Ver- drängung möglich wäre.
Allerdings läßt es manchmal der zuerst erzwungenen Regression die
Verdrängung folgen. | Der Sachverhalt beim Wolfsmann und der
etwas einfachere beim kleinen Hans regen noch mancherlei andere
Überlegungen an, aber zwei unerwartete Ein- sichten gewinnen wir schon
jetzt. Kein Zweifel, die bei diesen Phobien verdrängte Triebregung ist
eine feindselige gegen den Vater. Man kann sagen, sie wird
verdrängt durch den Prozeß der Verwandlung ins Gegenteil; an Stelle der
Aggression gegen den Vater tritt die Aggression, die Rache, des Vaters
gegen die eigene Person. Da eine solche Aggression ohne- dies in
der sadistischen Libidophase wurzelt, bedarf sie nur noch einer gewissen
Erniedrigung zur oralen Stufe, die bei Hans durch das Gebissenwerden
ange- deutet, beim Russen aber im Gefressenwerden grell ausgeführt
ist. Aber außerdem läßt ja die Analyse über jeden Zweifel gesichert feststellen,
daß gleich- zeitig noch eine andere Triebregung der Verdrängung
erlegen ist, die gegensinnige einer zärtlichen passiven Regung für den
Vater, die bereits das Niveau der genitalen (phallischen)
Libidoorganisation erreicht hatte. Die letztere scheint sogar die für das
Endergebnis des Verdrängungsvorganges bedeutsamere zu sein, sie
erfährt die weitergehende Regression, sie erhält den bestimmenden Einfluß
auf den Inhalt der Phobie. Wo wir also nur einer Triebverdrängung
nachgespürt haben, müssen wir das Zusammentreffen von zwei solchen
Vorgängen anerkennen; die beiden betroffenen Triebregungen — sadistische
Aggression gegen den Vater und zärtlich passive Einstellung zu ihm —
bilden ein (Gegensatzpaar, ja noch mehr: wenn wir die Geschichte
des kleinen Hans richtig würdigen, erkennen wir, daß durch die Bildung
seiner Phobie auch die zärtliche Objektbesetzung der Mutter
aufgehoben worden ist, wovon der Inhalt der Phobie nichts verrät.
Es handelt sich bei Hans beim Russen ist das weit weniger deutlich um
einen Verdrängungsvorgang, der fast alle Komponenten des Ödipuskomplexes
betrifft, die feindliche wie die zärtliche Regung gegen den Vater
und die zärtliche für die Mutter. Das sind unerwünschte
Komplikationen für uns, die wir nur einfache Fälle von Symptombildung
infolge von Verdrängung studieren wollten und uns in dieser Absicht
an die frühesten und anscheinend durch- sichtigsten Neurosen der Kindheit
gewendet hatten. Anstatt einer einzigen Verdrängung fanden wir eine
Häufung von solchen vor und überdies bekamen wir es mit der Regression zu
tun. Vielleicht haben wir die Verwirrung dadurch gesteigert, daß wir die
beiden verfügbaren Analysen von Tierphobien — die des kleinen Hans
und des Wolfsmannes durchaus auf denselben Leisten schlagen wollten. Nun
fallen uns gewisse Unterschiede der beiden auf. Nur vom kleinen
Hans kann man mit Bestimmtheit aussagen, daß er durch seine Phobie die
beiden Hauptregungen des Ödipuskomplexes, die aggressive gegen den
Vater und die überzärtliche gegen die Mutter, erledigt; die
zärtliche für den Vater ist gewif) auch vorhanden, sie spielt ihre.Rolle
bei der Verdrängung ihres Gegensatzes, aber es ist weder nachweisbar, daß
sie stark genug war, um eine Verdrängung zu provozieren, noch dafs
sie nachher aufgehoben ist. Hans scheint eben ein normaler Junge mit sog.
„positivem‘‘ Ödipuskomplex gewesen zu sein. Möglich, daß die Momente, die
wir vermissen, auch bei ihm mittätig waren, aber wir können sie
nicht aufzeigen, das Material selbst unserer eingehendsten Analysen ist
eben lückenhaft, unsere Dokumentierung unvollständig. Beim Russen ist
der Defekt an anderer Stelle; seine Beziehung zum weib- lichen
Objekt ist durch eine frühzeitige Verführung gestört worden, die passive,
feminine Seite ist bei ihm stark ausgebildet und die Analyse seines
Wolfs- traumes enthüllt wenig von beabsichtigter Aggression gegen
den Vater, erbringt dafür die unzweideutigsten Beweise, daß die
Verdrängung die passive, zärtliche Einstellung zum Vater betrifft. Auch
hier mögen die anderen Faktoren beteiligt gewesen sein, sie treten
aber nicht vor. Wenn trotz dieser Unterschiede der beiden Fälle, die sich
nahezu einer Gegensätzlichkeit nähern, der Enderfolg der Phobie nahezu
der nämliche ist, so muß uns die Erklärung dafür von anderer Seite
kommen; sie kommt von dem zweiten Ergebnis unserer kleinen vergleichenden
Untersuchung. Wir glauben den Motor der Verdrängung in beiden Fällen zu
kennen und sehen seine Rolle durch den Verlauf bestätigt, den die
Entwicklung der zwei Kinder nimmt. Er ist in beiden Fällen der nämliche,
die Angst vor einer drohenden Kastration. Aus Kastrationsangst gibt
der kleine Hans die Aggression gegen den Vater auf; seine Angst,
das Pferd werde ihn beißen, kann zwanglos ver- vollständigt werden, das
Pferd werde ihm das Genitale abbeißßen, ihn kastrieren. Aber aus
Kastrationsangst verzichtet auch der kleine Russe auf den Wunsch,
vom Vater als Sexualobjekt geliebt zu werden, denn er hat verstanden,
eine solche Beziehung hätte zur Voraussetzung, daß er sein Genitale
aufopfert, das, was ihn vom Weib unterscheidet. Beide Gestaltungen
des Ödipuskomplexes, die normale, aktive, wie die invertierte, scheitern
ja am Kastrationskomplex. Die Angstidee des Russen, vom Wolf gefressen zu
werden, enthält zwar keine Andeutung der Kastration, sie hat sich
durch orale Regression zu weit von der phallischen Phase entfernt, aber
die Analyse seines Traumes macht jeden anderen Beweis überflüssig. Es
ist auch ein voller Triumph der Verdrängung, daß im Wortlaut der Phobie
nichts mehr auf die Kastration hindeutet. Hier nun das
unerwartete Ergebnis: In beiden Fällen ist der Motor der Verdrängung die
Kastrations- angst; die Angstinhalte, vom Pferd gebissen und vom
Wolf gefressen zu werden, sind Entstellungsersatz für den Inhalt, vom
Vater kastriert zu werden. Dieser Inhalt ist es eigentlich, der die
Verdrängung an sich erfahren hat. Beim Russen war er Ausdruck eines
Wunsches, der gegen die Auflehnung der Männlich- keit nicht bestehen konnte,
bei Hans Ausdruck einer Reaktion, welche die Aggression in ihr
Gegenteil umwandelte. Aber der Angstaffekt der Phobie, der ihr
Wesen ausmacht, stammt nicht aus dem Verdrängungsvorgang, nicht aus den
libidinösen Besetzungen der verdrängten Regungen, sondern aus dem
Verdrängenden selbst; die Angst der Tierphobie ist die unverwandelte
Kastrationsangst, also eine Realangst, Angst vor einer wirklich drohenden
oder als real beurteilten Gefahr. Hier macht die Angst die Verdrängung,
nicht, wie ich früher gemeint habe, die Ver- drängung die Angst.
Es ist nicht angenehm, daran zu denken, aber es hilft nichts, es zu
verleugnen, ich habe oftmals den Satz vertreten, durch die Verdrängung
werde die Triebrepräsentanz entstellt, verschoben u. dgl., die
Libido der Triebregung aber in Angst verwandelt. Die Untersuchung der
Phobien, die vor allem berufen sein sollte, diesen Satz zu erweisen,
bestätigt ihn also nicht, sie scheint ihm vielmehr direkt zu widersprechen.
Die Angst der Tierphobien ist die Kastrationsangst des Ichs, die der
weniger gründlich studierten Agoraphobie scheint Versuchungsangst zu sein, die
ja genetisch mit der Kastrationsangst zusammenhängen muß. Die meisten
Phobien gehen, so weit wir es heute übersehen, auf eine solche Angst des
Ichs vor den Ansprüchen der Libido zurück. Immer ist dabei die
Angsteinstellung des Ichs das Primäre und der Antrieb zur Verdrängung.
Niemals geht die Angst aus der verdrängten Libido hervor. Wenn ich mich
früher begnügt hätte zu sagen, nach der Verdrängung er- scheint an
Stelle der zu erwartenden Äußerung von Libido ein Maß von Angst, so hätte
ich heute nichts zurückzunehmen. Die Beschreibung ist richtig und
zwischen der Stärke der zu verdrängenden Regung und der Intensität der
resultierenden Angst besteht wohl die behauptete Entsprechung. Aber
ich gestehe, ich glaubte mehr als eine bloße Be- schreibung zu geben, ich
nahm an, daß ich den metapsychologischen Vorgang einer direkten Umsetzung
der Libido in Angst erkannt hatte; das kann ich also heute nicht mehr
festhalten. Ich konnte auch früher nicht angeben, wie sich eine solche
Umwandlung vollzieht. Woher schöpfte ich überhaupt die Idee
dieser Umsetzung? Zur Zeit, als es uns noch sehr ferne lag, zwischen
Vorgängen im Ich und Vorgängen im Es zu unterscheiden, aus dem Studium
der Aktualneurosen. Ich fand, daß bestimmte sexuelle Praktiken, wie
Coitus interruptus, frustrane Erregung, erzwungene Abstinenz
Angstausbrüche und eine allgemeine Angstbereitschaft erzeugen, also
immer, wenn die Sexualerregung in ihrem Ablauf zur Befriedigung gehemmt,
aufgehalten oder abgelenkt wird. Da die Sexualerregung der Aus-
druck libidinöser Triebregungen ist, schien es nicht gewagt, anzunehmen,
daf die Libido sich durch die Einwirkung solcher Störungen in Angst
verwandelt. Nun ist diese Beobachtung auch heute noch gültig;
anderseits ist nicht abzuweisen, daß die Libido der Es-Vorgänge durch die
Anregung der Verdrängung eine Störung erfährt; es kann also noch immer
richtig sein, daß sich bei der Verdrängung Angst aus der Libido-
besetzung der Triebregungen bildet. Aber wie soll man dieses Ergebnis mit
dem anderen zusammenbringen, daß die Angst der Phobien eine Ich-Angst
ist, im Ich entsteht, nicht aus der Verdrängung hervorgeht, sondern die
Verdrängung hervorruft? Das scheint ein Widerspruch und nicht einfach zu
lösen. Die Reduktion der beiden Ursprünge der Angst auf einen
einzigen läft sich nicht leicht durchsetzen. Man kann es mit der Annahme
versuchen, daß das Ich in der Situation des gestörten Koitus, der
unterbrochenen Erregung, der Abstinenz, Gefahren wittert, auf die
es mit Angst reagiert, aber es ist nichts damit zu machen. Anderseits scheint die Analyse der Phobien, die wir vorgenommen
haben, eine Berichtigung nicht zuzulassen. Von liguet! Wir wollten die
Symptombildung und den sekun- dären Kampf des Ichs gegen das Symptom
studieren, aber wir haben offenbar mit der Wahl der Phobien keinen
glücklichen Griff getan. Die Angst, welche im Bild dieser Affektionen
vorherrscht, erscheint uns nun als eine den Sachverhalt verhüllende
Komplikation. Es gibt reichlich Neurosen, bei denen sich
nichts von Angst zeigt. Die echte Konversionshysterie ist von
solcher Art, deren schwerste Symptome ohne Bei- mengung von Angst
gefunden werden. Schon diese Tatsache müßte uns warnen, die Beziehungen
zwischen Angst und Symptombildung nicht allzu fest zu knüpfen. Den
Konversionshysterien stehen die Phobien sonst so nahe, daß ich mich für
berechtigt gehalten habe, ihnen diese als ‚Angsthysterie anzureihen.
Aber niemand hat noch die Bedingung angeben können, die darüber
entscheidet, ob ein Fall die Form einer Konversionshysterie oder einer
Phobie annimmt, niemand also die Bedingung der Angstentwicklung bei
der Hysterie ergründet. Die häufigsten Symptome der
Konversionshysterie, eine motorische Lähmung, Kontraktur oder
unwillkür- liche Aktion oder Entladung, ein. Schmerz, eine Halluzination,
sind entweder permanent festgehaltene oder intermittierende
Besetzungsvorgänge, was der Erklärung neue Schwierigkeiten bereitet. Man
weiß eigentlich nicht viel über solche Symptome zu sagen. Durch die
Analyse kann man erfahren, welchen gestörten Erregungsablauf sie
ersetzen. Zumeist ergibt sich, daß sie selbst einen Anteil an diesem haben,
so als ob sich die gesamte Energie desselben auf dies eine Stück
konzentriert hätte. Der Schmerz war in der Situation, in welcher die
Verdrängung vorfiel, vor- handen; die Halluzination war damals
Wahrnehmung, die motorische Lähmung ist die Abwehr einer Aktion, die
in jener Situation hätte ausgeführt werden sollen, aber gehemmt wurde,
die Kontraktur gewöhnlich eine Verschiebung für eine damals intendierte
Muskel- innervation an anderer Stelle, der Krampfanfall Aus- druck
eines Affektausbruches, der sich der normalen Kontrolle des Ichs entzogen
hat. In ganz auffälligem Maße wechselnd ist die Unlustempfindung, die
das Auftreten der Symptome begleitet. Bei den perma- nenten, auf
die Motilität verschobenen Symptomen, wie Lähmungen und Kontrakturen,
fehlt sie meistens gänzlich, das Ich verhält sich gegen sie wie
unbe- teiligt; bei den intermittierenden und den Symptomen der
sensorischen Sphäre werden in der Regel deutliche Unlustempfindungen verspürt,
die sich im Falle des Schmerzsymptoms zu exzessiver Höhe steigern
können. Es ist sehr schwer, in dieser Mannigfaltigkeit das Moment
herauszufinden, das solche Differenzen ermöglicht und sie doch
einheitlich erklären läßt. Auch vom Kampf des Ichs gegen das einmal gebildete
Symptom ist bei der Konversionshysterie wenig zu merken. Nur wenn die
Schmerzempfindlichkeit einer Körperstelle zum Symptom geworden ist, wird
diese in den Stand gesetzt, eine Doppelrolle zu spielen. Das
Schmerzsymptom tritt ebenso sicher auf, wenn diese Stelle von außen
berührt wird, wie wenn die von ihr vertretene pathogene Situation von
innen her assoziativ aktiviert wird, und das Ich ergreift Vor-
sichtsmaßregeln, um die Erweckung des Symptoms durch äußere Wahrnehmung
hintanzuhalten. Woher die besondere Undurchsichtigkeit der Symptombildung
bei der Konversionshysterie rührt, können wir nicht erraten, aber sie
gibt uns ein Motiv, das unfrucht- bare Gebiet bald zu verlassen.
Wir wenden uns zur Zwangsneurose in der Erwartung, hier mehr über
die Symptombildung zu erfahren. Die Symptome der Zwangsneurose sind
im allgemeinen von zweierlei Art und entgegengesetzter Tendenz. Es
sind entweder Verbote, Vorsichtsmaßregeln, Bußen, also negativer Natur, oder im
Gegen- teil Ersatzbefriedigungen, sehr häufig in symbolischer
Verkleidung. Von diesen zwei Gruppen ist die negative, abwehrende, strafende,
die ältere; mit der Dauer des Krankseins nehmen aber die aller Abwehr
spotten- den Befriedigungen überhand. Es ist ein Triumph der
Symptombildung, wenn es gelingt, das Verbot mit der
Befriedigung zu verquicken, so daß das ursprünglich abwehrende Gebot oder
Verbot auch die Bedeutung einer Befriedigung bekommt, wozu oft sehr
künstliche Verbindungswege in Anspruch genommen werden. In dieser
Leistung zeigt sich die Neigung zur Synthese, die wir dem Ich bereits
zuerkannt haben. In extremen Fällen bringt es der Kranke zustande, daß
die meisten seiner Symptome zu ihrer ursprünglichen Bedeutung auch
die des direkten Gegensatzes erworben haben, ein Zeugnis für die Macht
der Ambivalenz, die, wir wissen nicht warum, in der Zwangsneurose eine
so große Rolle spielt. Im rohesten Fall ist das Symptom zweizeitig,
d. h. auf die Handlung, die eine gewisse Vorschrift ausführt, folgt
unmittelbar eine zweite, die sie aufhebt oder rückgängig macht,
wenngleich sie noch nicht wagt, ihr Gegenteil auszuführen.
Zwei Eindrücke ergeben sich sofort aus dieser flüchtigen Überschau
der Zwangssymptome. Der erste, daß hier ein fortgesetzter Kampf gegen das
Verdrängte unterhalten wird, der sich immer mehr zu ungunsten der
verdrängenden Kräfte wendet, und zweitens, daß Ich und Über-Ich hier
einen besonders großen Anteil an der Symptombildung nehmen.
Die Zwangsneurose ist wohl das interessanteste und dankbarste Objekt
der analytischen Untersuchung, aber noch immer als Problem unbezwungen.
Wollen wir in ihr Wesen tiefer eindringen, so müssen wir
eingestehen, daß unsichere Annahmen und unbe- wiesene Vermutungen noch
nicht entbehrt werden können. Die Ausgangssituation der Zwangsneurose
ist wohl keine andere als die der Hysterie, die not- wendige Abwehr
der libidinösen Ansprüche des Ödipus-komplexes. Auch scheint sich bei jeder
Zwangsneurose eine unterste Schicht sehr früh gebildeter
hysterischer Symptome zu finden. Dann aber wird die weitere
Gestaltung durch einen konstitutionellen Faktor ent- scheidend verändert.
Die genitale Organisation der Libido erweist sich als schwächlich und zu
wenig resistent. Wenn das Ich sein Abwehrstreben beginnt, so
erzielt es als ersten Erfolg, daf3 die Genitalorgani- sation (der
phallischen Phase) ganz oder teilweise auf die frühere sadistisch-anale
Stufe zurückgeworfen wird. Diese Tatsache der Regression bleibt für alles
folgende bestimmend. Man kann noch eine andere Möglichkeit
in Erwägung ziehen. Vielleicht ist die
Regression nicht die Folge eines konstitutionellen, sondern eines
zeitlichen Faktors. Sie wird nicht darum ermöglicht werden, weil die
Genitalorganisation der Libido zu schwächlich geraten, sondern weil das
Sträuben des Ichs zu frühzeitig, noch während der Blüte der sadi-
stischen Phase eingesetzt hat. Einer sicheren Entscheidung getraue ich mich
auch in diesem Punkte nicht, aber die analytische Beobachtung
begünstigt diese Annahme nicht. Sie zeigt eher, dafs bei der
Wendung zur Zwangsneurose die phallische Stufe bereits erreicht ist. Auch
ist das Lebensalter für den Ausbruch dieser Neurose ein späteres als das
der Hysterie (die zweite Kindheitsperiode, nach dem Termin der
Latenzzeit), und in einem Fall von sehr später Entwicklung dieser
Affektion, den ich studieren konnte, ergab es sich klar, daß eine reale
Entwertung des bis dahin intakten Genitallebens die Bedingung für
die Regression und die Entstehung der Zwangs- neurose schuf."
Die metapsychologische Erklärung der Regression suche ich in einer
„Triebentmischung“, in der Ab- sonderung der erotischen Komponenten, die
mit Beginn der genitalen Phase zu den destruktiven Besetzungen der
sadistischen Phase hinzugetreten waren. Die Erzwingung der Regression
bedeutet den ersten Erfolg des Ichs im Abwehrkampf gegen den
Anspruch der Libido. Wir unterscheiden hier zweck- mäßig die allgemeinere
Tendenz der „Abwehr“ von der „Verdrängung“, die nur einer der
Mechanismen ist, deren sich die Abwehr bedient. Vielleicht noch
klarer als bei normalen und hysterischen Fällen erkennt man bei der
Zwangsneurose als den Motor der Abwehr Be an 2 n S. Die
Disposition zur Zwangsneurose. (Ges. Schriften, den Kastrationskomplex,
als das Abgewehrte die Strebungen des Ödipuskomplexes. Wir befinden
uns nun zu Beginn der Latenzzeit, die durch den Unter- gang des
Ödipuskomplexes, die Schöpfung oder Kon- solidierung des Über-Ichs und
die Aufrichtung der ethischen und ästhetischen Schranken im Ich
gekenn- zeichnet ist. Diese Vorgänge gehen bei der Zwangs- neurose
über das normale Maß hinaus; zur Zerstörung des Ödipuskomplexes tritt die
regressive Erniedrigung der Libido hinzu, das Über-Ich wird besonders
strenge und lieblos, das Ich entwickelt im Gehorsam gegen das
Über-Ich hohe Reaktionsbildungen von Gewissen- haftigkeit, Mitleid,
Reinlichkeit. Mit unerbittlicher, darum nicht immer erfolgreicher Strenge
wird die Versuchung zur Fortsetzung der frühinfantilen Onanie
verpönt, die sich nun an regressive (sadistisch-anale) Vor- stellungen anlehnt,
aber doch den unbezwungenen Anteil der phallischen Organisation
repräsentiert. Es liegt ein innerer Widerspruch darin, dafs gerade im
Interesse der Erhaltung der Männlichkeit (Kastrationsangst) jede
Betätigung dieser Männlichkeit verhindert wird, aber auch dieser
Widerspruch wird bei der Zwangsneurose nur übertrieben, er haftet bereits
an der normalen Art der Beseitigung des Ödipuskomplexes. Wie jedes
Übermaß den Keim zu seiner Selbstaufhebung in sich trägt, wird sich auch
an der Zwangsneurose bewähren, indem gerade die unterdrückte Onanie
sich in der Form der Zwangshandlungen eine immer weiter gehende Annäherung an
die Befriedigung erzwingt. Die Reaktionsbildungen im Ich der
Zwangsneuro- tiker, die wir als Übertreibungen der normalen Cha-
rakterbildung erkennen, dürfen wir als einen neuen Mechanismus der Abwehr
neben die Regression und die Verdrängung hinstellen. Sie scheinen bei
der Hysterie zu fehlen oder weit schwächer zu sein. Rückschauend
gewinnen wir so eine Vermutung, wodurch der Abwehrvorgang. der Hysterie
ausge- zeichnet ist. Es scheint, daß er sich auf die Ver- drängung
einschränkt, indem das Ich sich von der unliebsamen Triebregung abwendet,
sie dem Ablauf im Unbewußstten überläßt und. an ihren Schicksalen
keinen weiteren Anteil nimmt. So ganz ausschließend richtig kann das zwar
nicht sein, denn wir kennen ja den Fall, daf$ das hysterische Symptom
gleichzeitig die Erfüllung einer Strafanforderung des Über-Ichs bedeutet,
aber es mag einen allgemeinen Charakter im Verhalten des Ichs bei der
Hysterie beschreiben. Man kann es einfach als Tatsache hinnehmen,
daß sich bei der Zwangsneurose ein so strenges Über-Ich bildet,
oder man kann daran denken, daß der funda- mentale Zug dieser Affektion
die Libidoregression ist, und versuchen, auch den Charakter des
Über-Ichs mit ihr zu verknüpfen. In der Tat kann ja das Über- Ich,
das aus dem Es stammt, sich der dort einge- tretenen Regression und
Triebentmischung nicht entziehen. Es wäre nicht zu verwundern, wenn
es seinerseits härter, quälerischer, liebloser würde als bei
normaler Entwicklung. Während der Latenzzeit scheint die Abwehr der
ÖOnanieversuchung als Hauptaufgabe behandelt zu werden. Dieser Kampf
erzeugt eine Reihe von Symptomen, die bei den verschiedensten Personen in
typischer Weise wiederkehren und im allgemeinen den Charakter des
Zeremoniells tragen. Es ist sehr zu bedauern, daß sie noch nicht
gesammelt und systematisch analysiert worden sind; als früheste
Leistungen der Neurose würden sie über den hier verwendeten Mechanismus
der Symptombildung am ehesten Licht verbreiten. Sie zeigen bereits die
Züge, welche in einer späteren schweren Erkrankung so
verhängnisvoll hervortreten werden : die Unterbringung an den Verrichtungen,
die später wie automatisch ausgeführt werden sollen, am Schlafengehen,
Waschen und Ankleiden, an der Lokomotion, die Neigung zur
Wiederholung und zum Zeitaufwand. Warum das so geschieht, ist noch
keineswegs verständlich; die Subli- mierung analerotischer Komponenten spielt
dabei eine deutliche Rolle. Die Pubertät macht
in der Entwicklung der Zwangsneurose einen entscheidenden
Abschnitt. Die in der Kindheit abgebrochene Genitalorganisation
setzt nun mit großer Kraft wieder ein. Wir wissen aber, daß die
Sexualentwicklung der Kinderzeit auch für den Neubeginn der Pubertätsjahre
die Richtung vorschreibt. Es werden also einerseits die aggressiven
Regungen der Frühzeit wieder erwachen, anderseits muß ein mehr oder
minder großer Anteil der neuen libidinösen Regungen — in bösen Fällen
deren Ganzes die durch die Regression vorgezeichneten Bahnen einschlagen
und als aggressive und destruktive Absichten auftreten. Infolge dieser
Verkleidung der erotischen Strebungen und der starken Reaktions-
bildungen im Ich, wird nun der Kampf gegen die Sexualität unter ethischer
Flagge weitergeführt. Das Ich sträubt sich verwundert gegen grausame
und gewalttätige Zumutungen, die ihm vom Es her ins Bewufßstsein
geschickt werden, und ahnt nicht, daß es dabei erotische Wünsche bekämpft,
darunter auch solche, die sonst seinem Einspruch entgangen wären.
Das überstrenge Über-Ich besteht um so energischer auf der Unterdrückung
der Sexualität, da sie so abstoßende Formen angenommen hat. So zeigt
sich der Konflikt bei der Zwangsneurose nach zwei Rich- tungen
verschärft, das Abwehrende ist intoleranter, das Abzuwehrende
unerträglicher geworden ; beides durch den Einfluß des einen Moments, der
Libido- regression. Man könnte einen Widerspruch gegen
manche unserer Voraussetzungen darin finden, daß die unlieb- same
Zwangsvorstellung überhaupt bewußt wird. Allein es ist kein Zweifel, daß
sie vorher den Prozeß der Verdrängung durchgemacht hat. In den meisten
ist der eigentliche Wortlaut der aggressiven Triebregung dem Ich
überhaupt nicht. bekannt. Es gehört ein gutes Stück analytischer Arbeit
dazu, um ihn bewußt zu machen. Was zum Bewußtsein durchdringt, ist
in der Regel nur ein entstellter Ersatz entweder von einer
verschwommenen, traumhaften Unbestimmtheit, oder unkenntlich gemacht
durch eine absurde Ver- kleidung. Wenn die Verdrängung nicht den
Inhalt der aggressiven Triebregung angenagt hat, so hat sie doch
gewiß den sie begleitenden Affektcharakter beseitigt. So erscheint die
Aggression dem Ich nicht als ein Impuls, sondern, wie die Kranken sagen,
als ein bloßer ‚„‚Gedankeninhalt‘, der einen kalt lassen sollte.
Das Merkwürdige ist, daß dies doch nicht der Fall ist. Der
bei der Wahrnehmung der Zwangsvorstellung ersparte Affekt kommt nämlich
an anderer Stelle zum Vorschein. Das Über-Ich benimmt sich so, als
hätte keine Verdrängung stattgefunden, als wäre ihm die aggressive
Regung in ihrem richtigen Wortlaut und mit ihrem vollen Affektcharakter
bekannt, und behandelt das Ich auf Grund dieser Voraussetzung. Das Ich,
das sich einerseits schuldlos weiß, muß anderseits ein Schuldgefühl
verspüren und eine Verantwortlichkeit tragen, die es sich nicht zu
erklären weiß. Das Rätsel, das uns hiemit aufgegeben wird, ist aber nicht
so groß), als es zuerst erscheint. Das Verhalten des Über-Ichs ist
durchaus: verständlich, der Widerspruch im Ich beweist uns nur, daß es
sich mittels der Verdrängung gegen das Es verschlossen hat, während es
den Einflüssen aus dem Über-Ich voll zugänglich geblieben ist.‘ Der
weiteren Frage, warum das Ich sich nicht auch der peinigenden Kritik des
Über-Ichs zu entziehen sucht, macht die Nachricht ein Ende, daf
dies wirklich in einer großen Reihe von Fällen so geschieht. Es gibt auch
Zwangsneurosen ganz ohne Schuldbewußtsein; soweit wir es verstehen, hat
sich das Ich die Wahrnehmung desselben durch eine neue Reihe von
Symptomen, Bußhandlungen, Einschränkungen zur Selbstbestrafung, erspart. Diese
Sym- ptome bedeuten aber gleichzeitig Befriedigungen ma-
sochistischer Triebregungen, die ebenfalls aus der Regression eine
Verstärkung bezogen haben. Die Mannigfaltigkeit in den
Erscheinungen der Zwangsneurose ist eine so großartige, daß es noch
keiner Bemühung gelungen ist, eine zusammenhängende Synthese aller ihrer
Variationen zu geben. Man ist bestrebt, typische Beziehungen
herauszuheben und dabei immer in Sorge, andere nicht minder
wichtige Regelmäßigkeiten zu übersehen. Die allgemeine
Tendenz der Symptombildung bei der Zwangsneurose habe ich bereits
beschrieben. Sie geht dahin, der Ersatzbefriedigung immer mehr Raum
ı) Vgl. Reik, Geständniszwang und Strafbedürfnis, SEHE. u
auf Kosten der Versagung zu schaffen. Dieselben Symptome, die
ursprünglich Einschränkungen des Ichs bedeuteten, nehmen dank der Neigung
des Ichs zur Synthese später auch die von Befriedigungen an, und es
ist unverkennbar, daf3 die letztere Bedeutung all- mählich die wirksamere
wird. Ein äußerst einge- schränktes Ich, das darauf angewiesen ist,
seine Befriedigungen in den Symptomen zu suchen, wird das Ergebnis
dieses Prozesses, der sich immer mehr dem völligen Fehlschlagen des
anfänglichen Abwehr- strebens nähert. Die Verschiebung des
Kräfteverhält- nisses zugunsten der Befriedigung kann zu dem gefürchteten
Endausgang der Willenslähmung des Ichs führen, das für jede Entscheidung
beinahe ebenso starke Antriebe von der einen wie von der anderen
Seite findet. Der überscharfe Konflikt zwischen Es und Über-Ich, der die
Affektion von Anfang an beherrscht, kann sich so sehr ausbreiten, daf
keine der Verrichtungen des zur Vermittlung unfähigen Ichs der
Einbeziehung in diesen Konflikt entgehen kann. VI Während dieser
Kämpfe kann man zwei symptom- bildende Tätigkeiten des Ichs beobachten,
die ein besonderes Interesse verdienen, weil sie offenbare Surrogate
der Verdrängung sind und darum deren Tendenz und Technik schön erläutern
können. Viel- leicht dürfen wir auch das Hervortreten dieser Hilfs-
und Ersatztechniken als einen Beweis dafür auffassen, dafs die
Durchführung der regelrechten Verdrängung auf Schwierigkeiten stößt. Wenn
wir erwägen, dafs bei der Zwangsneurose das Ich soviel mehr
Schauplatz der Symptombildung ist als bei der Hysterie, daß dieses
Ich zähe an seiner Beziehung zur Realität und zum Bewußtsein festhält und
dabei alle seine intellek- tuellen Mittel aufbietet, ja, daß die
Denktätigkeit überbesetzt, erotisiert, erscheint, werden uns solche
Variationen der Verdrängung vielleicht näher gebracht. Die beiden
angedeuteten Techniken sind das Ungeschehenmachen und das Isolieren.
Die erstere hat ein großes Anwendungsgebiet und reicht weit zurück.
Sie ist sozusagen negative Magie, sie will durch motorische Symbolik
nicht die Folgen eines Ereignisses (Eindruckes, Erlebnisses),
sondern dieses selbst „wegblasen“. Mit der Wahl dieses letzten
Ausdruckes ist darauf hingewiesen, welche Rolle diese Technik nicht nur
in der Neurose, sondern auch in den Zauberhandlungen, Volksgebräuchen
und im religiösen Zeremoniell spielt. In der Zwangsneurose begegnet
man dem Ungeschehenmachen zuerst bei den zweizeitigen Symptomen, wo der
zweite Akt den ersten aufhebt, so, als ob nichts geschehen wäre, wo
in Wirklichkeit beides geschehen ist. Das zwangsneurotische Zeremoniell hat in
der Absicht des Unge- schehenmachens seine zweite Wurzel. Die erste
ist die Verhütung, die Vorsicht, damit etwas Bestimm- tes nicht
geschehe, sich nicht wiederhole. Der Unter- schied ist leicht zu fassen;
die Vorsichtsmafßregeln sind rationell, die „Aufhebungen‘ durch
Ungeschehen- machen irrationell, magischer Natur. Natürlich muß man
vermuten, daß diese zweite Wurzel die ältere, aus der animistischen
Einstellung zur Umwelt stam- mende ist. Seine Abschattung zum Normalen
findet das Streben zum Ungeschehenmachen in dem Ent- schluß ein
Ereignis als ‚»on arrive“ zu behandeln, aber dann unternimmt man nichts
dagegen, kümmert sich weder um das Ereignis noch um seine Folgen,
während man in der Neurose die Vergangenheit selbst aufzuheben, motorisch
zu verdrängen sucht. Dieselbe Tendenz kann auch die Erklärung des in
der Neurose so häufigen Zwanges zur Wieder- holung geben, bei dessen
Ausführung sich dann mancherlei einander widerstreitende Absichten
zu- sammenfinden. Was nicht in solcher Weise geschehen ist, wie es
dem Wunsch gemäß hätte geschehen sollen, wird durch die Wiederholung in
anderer Weise ungeschehen gemacht, wozu nun alle die Motive hin-
zutreten, bei diesen Wiederholungen zu verweilen. Im weiteren Verlauf der
Neurose enthüllt sich oft die Tendenz, ein traumatisches Erlebnis
ungeschehen zu machen, als ein symptombildendes Motiv von erstem
Range. Wir erhalten so unerwarteten Einblick in eine neue, motorische
Technik der Abwehr oder, wie wir hier mit geringerer Ungenauigkeit sagen
können, der Verdrängung. Die andere der neu zu beschreibenden
Techniken ist das der Zwangsneurose eigentümlich zukommende
Isolieren. Es bezieht sich gleichfalls auf die motorische Sphäre, besteht
darin, daß nach einem unlieb- samen Ereignis, ebenso nach einer im Sinne
der Neu- rose bedeutsamen eigenen Tätigkeit, eine Pause ein-
geschoben wird, in der sich nichts mehr ereignen darf, keine Wahrnehmung
gemacht und keine Aktion ausgeführt wird. Dies zunächst sonderbare
Verhalten verrät uns bald seine Beziehung. zur Verdrängung. Wir
wissen, bei Hysterie ist es möglich, einen trau- matischen Eindruck der
Amnesie. verfallen zu lassen, bei der Zwangsneurose ist dies oft nicht
gelungen, das Erlebnis ist nicht vergessen, aber es ist von seinem
Affekt entblößt und seine assoziativen Bezie- hungen sind unterdrückt
oder unterbrochen, so daß es wie isoliert dasteht und auch nicht im
Verlaufe der Denktätigkeit reproduziert wird. Der Effekt dieser
Isolierung ist dann der nämliche wie bei der Ver- drängung mit Amnesie.
Diese Technik wird also in den Isolierungen der Zwangsneurose
reproduziert, aber dabei auch in magischer Absicht motorisch
verstärkt. Was so auseinandergehalten wird, ist gerade das, was
assoziativ zusammengehört, die motorische Isolierung sol eine Garantie
für die Unterbrechung des Zusammenhanges im Denken geben. Einen Vorwand für dies Verfahren der Neurose gibt der normale
Vorgang der Konzentration. Was uns bedeutsam als Eindruck, als Aufgabe
erscheint, soll nicht durch die gleichzeitigen Ansprüche anderer
Denkverrichtun- gen oder Tätigkeiten gestört werden. Aber schon im
Normalen wird die Konzentration dazu verwendet, nicht nur das
Gleichgültige, nicht Dazugehörige, sondern vor allem das unpassende
Gegensätzliche fernzuhalten. Als das Störendste wird empfunden, was
ursprüng- lich zusammengehört hat und durch den Fortschritt der
Entwicklung auseinandergerissen wurde, z. B. die Äußerungen der
Ambivalenz des Vaterkomplexes in der Beziehung zu Gott oder die Regungen
der Ex- kretionsorgane in den Liebeserregungen. So hat das Ich normalerweise
eine große Isolierungsarbeit bei der Lenkung des Gedankenablaufes zu
leisten, und wir wissen, in der Ausübung der analytischen Technik
müssen wir das Ich dazu erziehen, auf diese sonst durchaus
gerechtfertigte Funktion zeitweilig zu ver- zichten. Wir
haben alle die Erfahrung gemacht, daß es dem Zwangsneurotiker besonders
schwer wird, die psychoanalytische Grundregel zu befolgen. Wahr-
scheinlich infolge der hohen Konfliktspannung zwischen seinem Über-Ich
und seinem Es ist sein Ich wach- samer, dessen Isolierungen schärfer. Es
hat während seiner Denkarbeit zuviel abzuwehren, die Einmengung
unbewußter Phantasien, die Äußerung der ambi- valenten Strebungen. Es darf sich nicht gehen lassen, befindet sich fortwährend in
Kampfbereitschaft. Diesen Zwang zur Konzentration und Isolierung
unterstützt es dann durch die magischen Isolierungsaktionen, die
als Symptome so auffällig und praktisch so bedeut- sam werden, an sich
natürlich nutzlos sind und den Charakter des Zeremoniells haben.
Indem es aber Assoziationen, Verbindung in Gedanken, zu verhindern
sucht, befolgt es eines der ältesten und fundamentalsten Gebote der
Zwangsneu- rose, das labu der Berührung. \Wenn man sich die Frage
vorlegt, warum die Vermeidung von Berührung, Kontakt, Ansteckung in der
Neurose eine so große Rolle spielt und zum Inhalt so
komplizierter Systeme gemacht wird, so findet man die Antwort, daß
die Berührung, der körperliche Kontakt, das nächste Ziel sowohl der
aggressiven wie der zärt- lichen Objektbesetzung ist. Der Eros will die
Berüh- rung, denn er strebt nach Vereinigung, Aufhebung der
Raumgrenzen zwischen Ich und geliebtem Objekt. Aber auch die Destruktion,
die vor der Erfindung der Fernwaffe nur aus der Nähe erfolgen konnte,
muß die körperliche Berührung, das Handanlegen, voraussetzen. Eine Frau
berühren ist im Sprach- gebrauch ein Euphemismus für ihre Benützung
als Sexualobjekt geworden. Das Glied nicht berühren ist der
Wortlaut des Verbotes der autoerotischen Befrie- digung. Da die Zwangsneurose
zu Anfang die ero- tische Berührung, dann nach der Regression die
als Aggression maskierte Berührung verfolgte, ist nichts anderes
für sie in so hohem Grade verpönt worden, nichts so geeignet, zum
Mittelpunkt eines Verbotsystems zu werden. Die Isolierung ist aber
Aufhebung der Kontaktmöglichkeit, Mittel, ein Ding jeder Berührung
zu entziehen, und wenn der Neurotiker auch einen Eindruck oder eine
Tätigkeit durch eine Pause isoliert, gibt er uns symbolisch zu verstehen,
daß er die Gedanken an sie nicht in assoziative Berührung mit
anderen kommen lassen will. So weit reichen unsere Untersuchungen
über die Symptombildung. Es verlohnt sich kaum, sie zu resu-
mieren, sie sind ergebnisarm und unvollständig ge- Siem. Freud
blieben, haben auch wenig gebracht, was nicht schon früher bekannt
gewesen wäre. Die Symptombildung bei anderen Affektionen als bei den
Phobien, der Konversionshysterie und der Zwangsneurose in Betracht
zu ziehen, wäre aussichtslos ; es ist zu wenig darüber bekannt. Aber auch
schon aus der Zusammenstellung dieser drei Neurosen erhebt sich ein
schwerwiegendes, nicht mehr aufzuschiebendes Problem. Für alle drei
ist die Zerstörung des Odipuskomplexes der Ausgang, in allen, nehmen wir
an, die Kastrationsangst der Motor des Ichsträubens. Aber nur in den
Phobien kommt solche Angst zum Vorschein, wird sie einge- standen.
Was ist bei den zwei anderen Formen aus ihr geworden, wie hat das Ich
sich solche Angst erspart? Das Problem verschärft sich noch, wenn
wir an die vorhin erwähnte Möglichkeit denken, daß die Angst durch
eine Art Vergährung aus der im Ablauf gestörten Libidobesetzung selbst
hervorgeht, und weiters: steht es fest, daß die Kastrationsangst
der einzige Motor der Verdrängung (oder Abwehr) ist? Wenn man an
die Neurosen der Frauen denkt, muß man das bezweifeln, denn so sicher
sich der Kastrations- komplex bei ihnen konstatieren läßt, von
einer Kastrationsangst im richtigen Sinne kann man bei bereits vollzogener
Kastration doch nicht sprechen. Kehren wir zu den infantilen Tierphobien
zu- rück, wir verstehen diese Fälle doch besser als alle anderen.
Das Ich muf also hier gegen eine libidinöse Objektbesetzung des Es (die
des positiven oder des negativen Odipuskomplexes) einschreiten, weil
es verstanden hat, ihr nachzugeben brächte die Gefahr der
Kastration mit sich. Wir haben das schon erörtert und finden noch Anlaß,
uns einen Zweifel klar zu machen, der von dieser ersten Diskussion
erübrigt ist. Sollen wir beim kleinen Hans (also im Falle des posi-
tiven Odipuskomplexes) annehmen, daß es die zärt- liche Regung für die
Mutter oder die aggressive gegen den Vater ist, welche die Abwehr des
Ichs heraus- fordert? Praktisch schiene das gleichgültig, besonders
da die beiden Regungen einander bedingen, aber ein theoretisches
Interesse knüpft sich an die Frage, weil nur die zärtliche Strömung für
die Mutter als eine rein erotische gelten kann. Die aggressive ist
wesent- lich vom Destruktionstrieb abhängig, und wir haben immer
geglaubt, bei der Neurose wehre sich das Ich gegen Ansprüche der Libido,
nicht der anderen Triebe. In der Tat sehen wir, daf$ nach der
Bildung der Phobie die zärtliche Mutterbindung wie ver- schwunden
ist, sie ist durch die Verdrängung gründ- lich erledigt worden, an der
aggressiven Regung hat sich aber die Symptom- (Ersatz-) Bildung
vollzogen. Im Falle des Wolfsmannes liegt es einfacher, die ver-
drängte Regung ist wirklich eine erotische, die feminine Einstellung zum Vater,
und ah ihr vollzieht sich auch die Symptombildung. Es ist
fast beschämend, daß wir nach so langer Arbeit noch immer Schwierigkeiten
in der Auffassung der fundamentalsten Verhältnisse finden, aber wir
haben uns vorgenommen, nichts zu vereinfachen und nichts zu
verheimlichen. Wenn wir nicht klar sehen können, wollen wir wenigstens
die Unklarheiten schart sehen. Was uns hier im \Wege steht, ist
offenbar eine Unebenheit in der Entwicklung unserer Trieb- lehre.
Wir hatten zuerst die Organisationen der Libido von der oralen über die
sadistisch-anale zur genitalen Stufe verfolgt und dabei alle Komponenten
des Sexual- triebs einander gleichgestellt. Später erschien uns der Sadismus als der Vertreter eines anderen, dem
Eros gegensätzlichen Triebes. Die neue Auffassung von den zwei
Iriebgruppen scheint die frühere Konstruktion von den sukzessiven Phasen
der Libidoorganisation zu sprengen. Die hilfreiche Auskunft aus dieser
Schwierigkeit brauchen wir aber nicht neu zu erfinden. Sie hat sich uns
längst geboten und lautet, daß wir es kaum jemals mit reinen
Triebregungen zu tun haben, sondern durchwegs mit Legierungen beider
Triebe in verschiedenen Mengenverhältnissen. Die sadistische
Objektbesetzung hat also auch ein Anrecht, als eine libidinöse behandelt
zu werden, die Organisationen der Libido brauchen nicht revidiert zu
werden, die aggressive Regung gegen den Vater kann mit dem- selben
Anrecht Objekt der Verdrängung werden wie die zärtliche für die Mutter.
Immerhin setzen wir als Stoff für spätere Überlegung die Möglichkeit
beiseite, daf3 die Verdrängung ein ProzefS ist, der eine beson-
dere Beziehung zur Genitalorganisation der Libido hat, daß das Ich zu
anderen Methoden der Abwehr greift, wenn es sich der Libido auf anderen
Stufen der Organisation zu erwehren hat, und setzen wir fort. Ein
Fall wie der des kleinen Hans gestattet uns keine Entscheidung; hier wird
zwar eine aggressive Regung durch Verdrängung erledigt, aber
nachdem die Genitalorganisation bereits erreicht ist. Wir wollen diesmal die Beziehung zur Angst nicht aus den Augen
lassen. Wir sagten, so wie das Ich die Kastrationsgefahr erkannt hat,
gibt es das Angstsignal und inhibiert mittels der Lust-Unlust-
Instanz auf eine weiter nicht einsichtliche Weise den bedrohlichen
Besetzungsvorgang im Es. Gleichzeitig vollzieht sich die Bildung der
Phobie. Die Kastrationsangst erhält ein anderes Objekt und einen
entstellten Ausdruck: vom Pferd gebissen (vom Wolf gefressen),
anstatt vom Vater kastriert zu werden. Die Ersatz- bildung hat zwei
offenkundige Vorteile, erstens, dafß sie einem Ambivalenzkonflikt
ausweicht, denn der Vater ist ein gleichzeitig geliebtes Objekt und
zweitens, daf3 sie dem Ich gestattet, die Angstentwicklung ein-
zustellen. Die Angst der Phobie ist nämlich eine fakultative, sie tritt
nur auf, wenn ihr Objekt Gegen- stand der Wahrnehmung wird. Das ist ganz
korrekt; nur dann ist nämlich die Gefahrsituation vorhanden. Von
einem abwesenden Vater braucht man auch die Kastration nicht zu befürchten.
Nun kann man den Vater nicht wegschaffen, er zeigt sich immer, wann
er will. Ist er aber durch das Tier ersetzt, so braucht man nur den
Anblick, d. h. die Gegenwart des lieres zu vermeiden, um frei von Gefahr
und Angst zu sein. Der kleine Hans legt seinem Ich also eine
Einschränkung auf, er produziert die Hemmung, nicht auszugehen, um nicht
mit Pterden zusammenzutreffen. Der kleine Russe hat es noch bequemer, es
ist kaum ein Verzicht für ihn, daß er ein gewisses Bilderbuch nicht
mehr zur Hand nimmt. Wenn die schlimme Schwester ihm nicht immer wieder
das Bild des auf- rechtstehenden Wolfes in diesem Buch vor Augen
halten würde, dürfte er sich vor seiner Angst gesichert fühlen. Ich
habe früher einmal der Phobie den Charakter einer Projektion
zugeschrieben, indem sie eine innere Triebgefahr durch eine äußere
Wahrnehmungsgefahr ersetzt. Das bringt den Vorteil, daß man sich
gegen die äußere Gefahr durch Flucht und Ver- meidung der Wahrnehmung
schützen kann, während gegen die Grefahr von innen keine Flucht nützt.
Meine Bemerkung ist nicht unrichtig, aber sie bleibt an der
Oberfläche. Der Triebanspruch ist ja nicht an sich eine Gefahr, sondern
nur darum, weil er eine richtige äußere Gefahr, die der Kastration, mit
sich bringt. So ist im Grunde bei der Phobie doch nur eine äußere
Gefahr durch eine andere ersetzt. Daß das Ich sich bei der Phobie durch
eine Vermeidung oder ein Hemmungssymptom der Angst entziehen kann,
stimmt sehr gut zur Auffassung, diese Angst sei nur ein Affektsignal und
an der ökonomischen Situation sei nichts geändert worden. Die Angst der Tierphobien ist also eine Affekt- reaktion des Ichs auf
die Gefahr; die Gefahr, die hier signalisiert wird, die der Kastration.
Kein anderer Unterschied von der Realangst, die das Ich normaler-
weise in Gefahrsituationen äußert, als daf3 der Inhalt der Angst unbewußt
bleibt und nur in einer Entstellung bewußt wird. Dieselbe
Auffassung wird sich uns, glaube ich, auch für die Phobien Erwachsener
giltig erweisen, wenngleich das Material, das die Neurose verarbeitet,
sehr viel reichhaltiger ist und einige Momente zur Symptombildung
hinzukommen. Im Grunde ist es das nämliche. Der Agoraphobe legt seinem
Ich eine Beschränkung auf, um einer Triebgefahr zu entgehen. Die
Triebgefahr ist die Versuchung, seinen erotischen Gelüsten nachzu-
geben, wodurch er wieder wie in der Kindheit die Gefahr der Kastration,
oder eine ihr analoge, herauf- beschwören würde. Als Beispiel führe ich
den Fall eines jungen Mannes an, der agoraphob wurde, weil er
befürchtete, den Lockungen von Prostituierten nach- zugeben und sich zur
Strafe Syphilis zu holen. Ich weiß wohl, daf viele Fälle eine
kompliziertere Struktur zeigen und dafs viele andere verdrängte
Trieb- regungen in die Phobie einmünden können, aber diese sind nur
auxiliär und haben sich meist nachträglich mit dem Kern der Neurose in
Verbindung gesetzt. Die Symptomatik der Agoraphobie wird dadurch
kompli- ziert, daßß das Ich sich nicht damit begnügt, auf etwas zu
verzichten; es tut noch etwas hinzu, um der Situation ihre Gefahr zu
benehmen. Diese Zutat ist gewöhnlich eine zeitliche Regression in die
Kinderjahre (im extremen Fall bis in den Mutterleib, in Zeiten, in denen
man gegen die heute drohenden Gefahren geschützt war) und tritt als
die Bedingung auf, unter der der Verzicht unter- bleiben kann. So kann
der Agoraphobe auf die Straße gehen, wenn er wie ein kleines Kind von
einer Person seines Vertrauens begleitet wird. Dieselbe Rücksicht
mag ihm auch gestatten, allein auszugehen, wenn er sich nur nicht
über eine bestimmte Strecke von seinem Haus entfernt, nicht in Gegenden
geht, die er nicht gut kennt und wo er den Leuten nicht bekannt ist. In der Aus- wahl dieser Bestimmungen zeigt sich der Einfluß
der infantilen Momente, die ihn durch seine Neurose be- herrschen.
Ganz eindeutig, auch ohne solche infantile Regression, ist die Phobie vor
dem Alleinsein, die im Grunde der Versuchung zur einsamen Önanie
aus- weichen will. Die Bedingung der infantilen Regression ist
natürlich die zeitliche Entfernung von der Kindheit. Die Phobie
stellt sich in der Regel her, nachdem unter gewissen Umständen auf der
Straße, auf der Eisenbahn, im Alleinsein — ein erster Angstanfall
erlebt worden ist. Dann ist die Angst gebannt, tritt aber jedesmal wieder
auf, wenn die schützende Be- dingung nicht eingehalten werden kann. Der
Mechanismus der Phobie tut als Abwehrmittel gute Dienste und zeigt
eine große Neigung zur Stabilität. Eine Fort- setzung des Abwehrkampfes,
der sich jetzt gegen das Symptom richtet, tritt häufig, aber nicht
notwendig, ein. Was wir über die Angst bei den Phobien
erfahren haben, bleibt noch für die Zwangsneurose verwertbar. Es
ist nicht schwierig, die Situation der Zwangsneurose auf die der Phobie
zu reduzieren. Der Motor aller späteren Symptombildung ist hier offenbar
die Angst des Ichs vor seinem Über-Ich. Die Feindseligkeit des
Über- Ichs ist die Gefahrsituation, der sich das Ich entziehen muß.
Hier fehlt jeder Anschein einer Projektion, die Gefahr ist durchaus
verinnerlicht. Aber wenn wir uns fragen, was das Ich von seiten des
Über-Ichs befürchtet, so drängt sich die Auffassung auf, dafs die Strafe
des Über-Ichs eine Fortbildung der Kastrationsstrafe ist. Wie das
Über-Ich der unpersönlich gewordene Vater ist, so hat sich die Angst vor
der durch ihn drohenden Kastration zur unbestimmten sozialen oder
Gewissens- angst umgewandelt. Aber diese Angst ist gedeckt, das Ich
entzieht sich ihr, indem es die ihm auferlegten Gebote, Vorsichten und
Bußhandlungen gehorsam aus- führt. Wenn es daran gehindert wird, dann
tritt sofort ein äußerst peinliches Unbehagen auf, in dem wir das
Äquivalent der Angst erblicken dürfen, das die Kranken selbst der Angst
gleichstellen. Unser Ergebnis lautet also: Die Angst ist die Reaktion auf
die Gefahr- situation; sie wird dadurch erspart, daß das Ich etwas
tut, um die Situation zu vermeiden oder sich ihr zu entziehen. Man könnte
nun sagen, die Symptome werden geschaffen, um die Angstentwicklung zu
ver- meiden, aber das läßt nicht tief blicken. Es ist richtiger zu
sagen, die Symptome werden geschaffen, um die Gefahrsituation zu
vermeiden, die durch die Angst- entwicklung signalisiert wird. Diese
Gefahr war aber in den bisher betrachteten Fällen die Kastration
oder etwas von ihr Absgeleitetes. Wenn die Angst die Reaktion
des Ichs auf die Gefahr ist, so liegt es nahe, die traumatische
Neurose, welche sich so häufig an überstandene Lebensgefahr
anschliefst, als direkte Folge der Lebens- oder Todesangst mit Beiseitesetzung
der Abhängigkeiten des Ichs und der Kastration aufzufassen. Das ist auch
von den meisten Beobachtern der traumatischen Neurosen des letzten
Krieges geschehen, und es ist triumphierend ver- kündet worden, nun sei
der Beweis erbracht, dafs eine Gefährdung des Selbsterhaltungstriebes
eine Neurose erzeugen könne ohne jede Beteiligung der Sexualität
und ohne Rücksicht auf die komplizierten Annahmen der Psychoanalyse. Es
‘ist in der Tat aufserordentlich zu bedauern, daß nicht eine einzige
verwertbare Analyse einer traumatischen Neurose vorliegt. Nicht wegen
des Widerspruches gegen die ätiologische Bedeutung der Sexualität,
denn dieser ist längst durch die Einführung des Narziffmus aufgehoben
worden, der die libidinöse Besetzung des Ichs in eine Reihe mit den
Objekt- besetzungen bringt und die libidinöse Natur des Selbst-
erhaltungstriebes betont, sondern weil wir durch den Ausfall dieser
Analysen die kostbarste Gelegenheit zu entscheidenden Aufschlüssen über
das Verhältnis zwischen Angst und Symptombildung versäumt haben. Es
ist nach allem, was wir von der Struktur der simpleren Neurosen des
täglichen Lebens wissen, sehr unwahrscheinlich, daß eine Neurose nur
durch die objektive Tatsache der Gefährdung ohne Beteiligung der
tieferen unbewufßten Schichten des seelischen Apparats zustande kommen
sollte. Im Unbewußsten ist aber nichts vorhanden, was unserem Begriff der
Lebens- vernichtung Inhalt geben kann. Die Kastration wird
sozusagen vorstellbar durch die tägliche Erfahrung der Trennung vom
Darminhalt und durch den bei der Entwöhnung erlebten Verlust der
mütterlichen Brust; etwas dem Tod Ähnliches ist aber nie erlebt
worden oder hat wie die Ohnmacht keine nachweisbare Spur
hinterlassen. Ich halte darum an der Vermutung fest, dafs die Todesangst
als Analogon der Kastrationsangst aufzufassen ist, und dafß die
Situation, auf welche das Ich reagiert, das Verlassensein vom schützenden
Über- Ich den Schicksalsmächten
ist, womit die Sicherung gegen alle Gefahren ein Ende hat. Außer-
dem kommt in Betracht, daf3 bei den Erlebnissen, die zur traumatischen
Neurose führen, äußerer Reizschutz durchbrochen wird und übergroße
Erregungsmengen an den seelischen Apparat herantreten, so dafs hier
die zweite Möglichkeit vorliegt, daß Angst nicht nur als Affekt
signalisiert, sondern auch aus den ökono- mischen Bedingungen der
Situation neu erzeugt wird. Durch die letzte Bemerkung, das Ich sei
durch regelmäßig wiederholte Objektverluste auf die Kastration
vorbereitet worden, haben wir eine neue Auffassung der Angst gewonnen.
Betrachteten wir sie bisher als Affektsignal der Gefahr, so erscheint sie
uns nun, da es sich so oft um die Gefahr der Kastration handelt,
als die Reaktion auf einen Verlust, eine Trennung. Mag auch mancherlei,
was sich sofort ergibt, gegen diesen Schluß sprechen, so muß uns doch
eine sehr merkwürdige Übereinstimmung auffallen. Das
erste Angsterlebnis des Menschen wenigstens ist die Geburt und diese
bedeutet objektiv die Trennung von der Mutter, könnte einer Kastration
der Mutter (nach der Gleichung Kind — Penis) verglichen werden. Nun
wäre es sehr befriedigend, wenn die Angst als Symbol einer Trennung
bei jeder späteren Irennung wiederholt würde, aber leider steht einer
Verwertung dieses Zu- sammenstimmens im Wege, daß ja die Geburt
subjektiv nicht als Trennung von der Mutter erlebt wird, da diese
als Objekt dem durchaus narzifßstischen Fötus völlig unbekannt ist. Ein
anderes Bedenken wird lauten, daß uns die Affektreaktionen auf eine
Trennung bekannt sind, und daß wir sie als Schmerz und Trauer,
nicht als Angst empfinden. Allerdings erinnern wir uns, wir haben bei der
Diskussion der Trauer auch nicht verstehen können, warum sie so
schmerzhaft ist. Es ist Zeit, sich zu besinnen. Wir suchen offenbar
nach einer Einsicht, die uns das Wesen der Angst erschließt, nach einem
Entweder—Oder, das die Wahrheit über sie vom Irrtum scheidet. Aber das
ist schwer zu haben, die Angst ist nicht einfach zu erfassen.
Bisher haben wir nichts erreicht als Widersprüche, zwischen denen ohne
Vorurteil keine Wahl möglich war. Ich schlage jetzt vor, es anders zu
machen; wir wollen unparteisch alles zusammentragen, was wir von
der Angst aussagen können, und dabei auf die Erwartung einer nahen
Synthese verzichten. Die Angst ist also in erster Linie etwas
Empfundenes. Wir heißen sie einen Affektzustand, obwohl wir auch
nicht wissen, was ein Affekt ist. Sie hat als Empfindung offenbarsten
Unlustcharakter, aber das erschöpft nicht ihre Qualität; nicht jede
Unlust können wir Angst heifßen. Es gibt andere Empfindungen mit
Unlust- charakter (Spannungen, Schmerz, Trauer) und die Angst mufS
außer dieser Unlustqualität andere Besonder- heiten haben. Eine Frage:
Werden wir es dazu bringen, die Unterschiede zwischen diesen verschiedenen
Unlust- affekten zu verstehen? Aus der Empfindung der Angst
können wir immer- hin etwas entnehmen. Ihr Unlustcharakter scheint
eine besondere Note zu haben; das ist schwer zu beweisen, aber
wahrscheinlich; es wäre nichts Auffälliges. Aber außer diesem schwer
isolierbaren Eigencharakter nehmen wir an der Angst bestimmtere
körperliche Sensationen wahr, die wir auf bestimmte Organe beziehen.
Da uns die Physiologie der Angst hier nicht interessiert, genügt es
uns, einzelne Repräsentanten dieser Sensa- tionen hervorzuheben, also die
häufigsten und deut- lichsten an den Atmungsorganen und am Herzen.
Sie sind uns Beweise dafür, dafß motorische Inner- vationen, also
Abfuhrvorgänge an dem Granzen der Angst Anteil haben. Die Analyse des
Angstzustandes ergibt also ı) einen spezifischen Unlustcharakter,
2) Abfuhraktionen, 3) die Wahrnehmungen derselben. Die Punkte 2)
und 3) ergeben uns bereits einen Unterschied gegen die ähnlichen
Zustände, z. B. der Trauer und des Schmerzes. Bei diesen gehören
die motorischen Äußerungen nicht dazu; wo sie vor- handen sind, sondern
sie sich deutlich nicht als Bestand- teile des Ganzen, sondern als
Konsequenzen oder Reaktionen darauf. Die Angst ist also ein
besonderer Unlustzustand mit Abfuhraktionen auf bestimmte Bahnen.
Nach unseren allgemeinen Anschauungen werden wir glauben, daß der Angst
eine Steigerung der Erregung zugrunde liegt, die einerseits den
Unlustcharakter schafft, andererseits sich durch die genannten
Abfuhren erleichtert. Diese rein physiologische Zusammenfassung
wird uns aber kaum genügen; wir sind versucht, anzunehmen, dafß ein
historisches Moment da ist, welches die Sensationen und Innervationen der
Angst fest an einander bindet. Mit anderen Worten, daß der
Angstzustand die Reproduktion eines Erlebnisses ist, das die Bedingungen
einer solchen Reizsteigerung und der Abfuhr auf bestimmte Bahnen
enthielt, wodurch also die Unlust der Angst ihren spezifischen
Charakter erhält. Als solches vorbildliches Erlebnis bietet sich
uns für den Menschen die Geburt, und darum sind wir geneigt, im
Angstzustand eine Reproduktion des Greburtstraumas zu sehen. Wir
haben damit nichts behauptet, was der Angst eine Ausnahmsstellung unter
den Affektzuständen ein- räumen würde. Wir meinen, auch die anderen
Affekte sind Reproduktionen alter, lebenswichtiger, eventuell
vorindividueller Ereignisse und wir bringen sie als allgemeine, typische,
mitgeborene hysterische Anfälle in Vergleich mit den spät und individuell
erworbenen Attacken der hysterischen Neurose, deren Genese und
Bedeutung als Erinnerungssymbole uns durch die Analyse deutlich geworden
ist. Natürlich wäre es sehr wünschenswert, diese Auffassung für eine
Reihe anderer Afiekte beweisend durchführen zu können, wovon wir
heute weit entfernt sind. Die Zurückführung der Angst auf das
Geburts- ereignis hat sich gegen naheliegende Einwände zu
verteidigen. Die Angst ist eine wahrscheinlich allen Organismen,
jedenfalls allen höheren zukommende Reaktion, die Geburt wird nur von den
Säugetieren erlebt, und es ist fraglich, ob sie bei allen diesen
die Bedeutung eines Traumas hat. Es gibt also Angst ohne
Geburtsvorbild. Aber dieser Einwand setzt sich über die Schranken
zwischen Biologie und Psychologie hinaus. Gerade weil die Angst eine
biologisch unent- behrliche Funktion zu erfüllen hat, als Reaktion
auf den Zustand der Gefahr, mag sie bei verschiedenen Lebewesen auf
verschiedene Art eingerichtet worden sein. Wir wissen auch nicht, ob sie
bei dem Menschen ferner stehenden Lebewesen denselben Inhalt an
Sen- sationen und Innervationen hat wie beim Menschen. Das hindert
also nicht, daf3 die Angst beim Menschen den Geburtsvorgang zum Vorbild
nimmt. Wenn dies die Struktur und die Herkunft der Angst ist, so lautet
die weitere Frage: Was ist ihre Funktion? Bei welchen Gelegenheiten wird
sie reprodu- ziert? Die Antwort scheint naheliegend und zwingend zu
sein. Die Angst entstand als Reaktion auf einen Zustand der Gefahr, sie
wird nun regelmäßig reprodu- ziert, wenn sich ein solcher Zustand wieder
einstellt. Dazu ist aber einiges zu bemerken. Die Inner-
vationen des ursprünglichen Angstzustandes waren wahrscheinlich auch
sinnvoll und zweckmäßig, ganz a so
wie die Muskelaktionen des ersten hysterischen An- falls. Wenn man den
hysterischen Anfall erklären will, braucht man ja nur die Situation zu
suchen, in der die betreffenden Bewegungen Anteile einer berech-
tigten Handlung waren. So hat wahrscheinlich während der Geburt die
Richtung der Innervation auf die Atmungsorgane die Tätigkeit der Lungen
vorbereitet, die Beschleunigung des Herzschlags gegen die Ver-
giftung des Blutes arbeiten wollen. Diese Zweckmäßig- keit entfällt
natürlich bei der späteren Reproduktion des Angstzustandes als Affekt, wie
sie auch beim wiederholten hysterischen Anfall vermißt wird. Wenn
also das Individuum in eine neue Gefahrsituation gerät, so kann es leicht
unzweckmäßig werden, daß es mit dem Angstzustand, der Reaktion auf eine
frühere Gefahr antwortet, anstatt die der jetzigen adäquaten
Reaktion einzuschlagen. Die Zweckmäßigkeit tritt aber wieder hervor, wenn
die Gefahrsituation als heran- nahend erkannt und durch den Angstausbruch
signa- lisiert wird. Die Angst kann dann sofort durch ge- eignetere
Maßnahmen abgelöst werden. Es sondern sich also sofort zwei Möglichkeiten
des Auftretens der Angst: die eine, unzweckmäßige, in einer neuen
Gefahr- situation, die andere, zweckmäßige, zur Signalisierung und
Verhütung einer solchen. Was aber ist eine „Gefahr‘‘? Im Geburtsakt
besteht eine objektive Gefahr für die Erhaltung des Lebens, wir wissen,
was das in der Realität bedeutet. Aber psychologisch sagt es uns gar
nichts. Die Gefahr der Geburt hat noch keinen psychischen Inhalt.
Sicherlich dürfen wir beim Fötus nichts voraussetzen, was sich irgendwie
einer Art von Wissen um die Möglichkeit eines Ausgangs in
Lebensvernichtung an- nähert. Der Fötus kann nichts anderes
bemerken als eine großartige Störung in der Ökonomie seiner
narzißtischen Libido. Große Erregungssummen dringen zu ihm, erzeugen
neuartige Unlustempfindungen, manche Organe erzwingen sich erhöhte
Besetzungen, was wie ein Vorspiel der bald beginnenden
Objektbesetzung ist; was davon wird als Merkzeichen einer ‚Grefahr-
situation‘ Verwertung finden? Wir wissen leider viel zu wenig von
der seelischen Verfassung des Neugeborenen, um diese Frage direkt
zu beantworten. Ich kann nicht einmal für die Brauch- barkeit der eben
gegebenen Schilderung einstehen. Es ist leicht zu sagen, das Neugeborene
werde den Angst- affekt in allen Situationen wiederholen, die es an
das Geburtsereignis erinnert. Der entscheidende Punkt bleibt aber,
wodurch und woran es erinnert wird. Es bleibt uns kaum etwas
anderes übrig, als die Anlässe zu studieren, bei denen der Säugling
oder das ein wenig ältere Kind sich zur Angstentwicklung bereit
zeigt. Rank hat in Das Irauma der Geburt einen sehr energischen Versuch
gemacht, [Rank, Das Trauma der Geburt und seine Bedeutung für die
Psychoanalyse. Internat. Psychoanalyt. Bibliothek. die Beziehungen der
frühesten Phobien des Kindes zum Eindruck des Geburtsereignisses zu
erweisen, allein ich kann ihn nicht für geglückt halten. Man kann
ihm zweierlei vorwerfen: Erstens, dafs er auf der Vor- aussetzung beruht,
das Kind habe bestimmte Sinnes- eindrücke, insbesondere visueller Natur,
bei seiner Geburt empfangen, deren Erneuerung die Erinnerung an das
Greburtstrauma und somit die Angstreaktion hervorrufen kann. Diese
Annahme ist völlig unbewiesen und sehr unwahrscheinlich; es ist nicht
glaubhaft, dafs das Kind andere als taktileund Allgemeinsensationen
vom Geburtsvorgang bewahrt hat. Wenn es also später Angst vor
kleinen Tieren zeigt, die in Löchern ver- schwinden oder aus diesen
herauskommen, so erklärt Rank diese Reaktion durch die Wahrnehmung
einer Analogie, dieaber dem Kinde nicht auffällig werden kann.
Zweitens, daß Rank in der Würdigung dieser späteren Angstsituationen je
nach Bedürfnis die Erinnerung an die glückliche intrauterine Existenz
oder an deren trauma- tische Störung wirksam werden läßt, womit der
Willkür in der Deutung Tür und Tor geöffnet wird. Einzelne Fälle
dieser Kinderangst widersetzen sich direkt der Anwendung des Rank schen
Prinzips. Wenn das Kind in Dunkelheit und Einsamkeit gebracht wird, so
sollten wir erwarten, dafs es diese Wiederherstellung der
intrauterinen Situation mit Befriedigung aufnimmt, und wenn die Tatsache,
daß es gerade dann mit Angst reagiert, auf die Erinnerung an die Störung
dieses Glücks durch die Geburt zurückgeführt wird, so kann man das
Gezwungene dieses Erklärungsversuches:nicht länger verkennen.
Ich muf3 den Schluß ziehen, daß die frühesten Kindheitsphobien eine
direkte Rückführung auf den Eindruck des Geburtsaktes nicht zulassen und
sich überhaupt bis jetzt der Erklärung entzogen haben. Fine gewisse
Angstbereitschaft des Säuglings ist unver- kennbar. Sie ist nicht etwa
unmittelbar nach der Geburt am stärksten, um dann langsam
abzunehmen, sondern tritt erst später mit dem Fortschritt der
seelischen Entwicklung hervor und hält über eine gewisse Periode der
Kinderzeit an. Wenn sich solche Frühphobien über diese Zeit hinaus
erstrecken, er- wecken sie den Verdacht einer neurotischen Störung,
wiewohl uns ihre Beziehung zu den späteren deutlichen Neurosen der
Kindheit keineswegs einsichtlich ist. Nur wenige Fälle der
kindlichen Angstäufßserung sind uns verständlich; an diese werden wir uns
halten müssen. So, wenn das Kind allein, in der Dunkelheit, ist und
wenn es eine fremde Person an Stelle der ihm vertrauten (der Mutter)
findet. Diese drei Fälle reduzieren sich auf eine einzige Bedingung, das
Vermissen der geliebten (ersehnten) Person. Von da an ist aber der
Weg zum Verständnis der Angst und zur Vereinigung der Widersprüche, die sich
an sie zu knüpfen scheinen, frei. Das Erinnerungsbild der
ersehnten Person wird GB ., Siem. Freud gewif) intensiv,
wahrscheinlich zunächst halluzinatorisch besetzt. Aber das hat keinen
Erfolg und nun hat es den Anschein, als ob diese Sehnsucht in Angst
um- schlüge. Es macht geradezu den Eindruck, als wäre diese Angst
ein Ausdruck der Ratlosigkeit, als wüßte das noch sehr unentwickelte
Wesen mit dieser sehn- süchtigen Besetzung nichts Besseres anzufangen.
Die Angst erscheint so. als Reaktion auf das Vermissen des Objekts
und es drängen sich uns die Analogien auf, daf®? auch die
Kastrationsangst die Trennung von einem hochgeschätzten Objekt zum Inhalt
hat, und daß die ursprünglichste Angst (die „Urangst“ der Geburt)
bei der Trennung von der Mutter ent- stand. Die nächste
Überlegung führt über diese Betonung des Objektverlustes hinaus. Wenn der
Säugling nach der Wahrnehmung der Mutter verlangt, so doch nur
darum, weil er bereits aus Erfahrung weiß, daß sie alle seine Bedürfnisse
ohne Verzug befriedigt. Die Situation, die er als „Gefahr“ wertet, gegen
die er versichert sein will, ist also die der Unbefriedigung, des
Anwachsens der Bedürfnisspannung, gegen die er ohnmächtig ist. Ich meine,
von diesem Gesichtspunkt aus ordnet sich alles ein; die Situation
der Unbefriedigung, in der Reizgrößen eine unlustvolle Höhe erreichen,
ohne Bewältigung durch psychische Verwendung und Abfuhr zu finden, muß
für den Säug- ling die Analogie mit dem Geburtserlebnis, die Wiederholung
der Gefahrsituation sein; das beiden Gemein- same ist die ökonomische
Störung durch das Anwachsen der Erledigung heischenden Reizgrößen, dieses
Moment also der eigentliche Kern der „Gefahr“. In beiden Fällen
tritt die Angstreaktion auf, die sich auch noch beim Säugling als
zweckmäßig erweist, indem die Richtung der Abfuhr auf Atem- und
Stimmuskulatur nun die Mutter herbeiruft, wie sie früher die
Lungentätigkeit zur Wegschaffung der inneren Reize anregte. Mehr als
diese Kennzeichnung der Gefahr braucht das Kind von seiner Geburt nicht
bewahrt zu haben. Mit der Erfahrung, daß ein äußeres, durch
Wahr- nehmung erfaßbares Objekt der an die Geburt mahnenden
gefährlichen Situation ein Ende machen kann, ver- schiebt sich nun der
Inhalt der Gefahr von der öko- nomischen Situation auf seine Bedingung,
den Objekt- verlust. Das Vermissen der Mutter wird nun die Gefahr,
bei deren Eintritt der Säugling das Angst- signal gibt, noch ehe die
gefürchtete ökonomische Situation eingetreten ist. Diese Wandlung
bedeutet einen ersten großen Fortschritt in der Fürsorge für die
Selbsterhaltung, sie schließt gleichzeitig den Über- gang von der
automatisch ungewollten Neuentstehung der Angst zu ihrer beabsichtigten
Reproduktion als Signal der Gefahr ein. In beiden Hinsichten,
sowohl als automatisches Phänomen wie als rettendes Signal, zeigt sich
die Angst als Produkt der psychischen Hilflosigkeit des Säuglings,
welche das selbstverständliche Gegenstück seiner biologischen
Hilflosigkeit ist. Das auffällige Zusammentreffen, daß sowohl die
Geburtsangst wie die Säuglingsangst die Bedingung der Trennung von
der Mutter anerkennt, bedarf keiner psychologischen Deutung; es
erklärt sich biologisch einfach genug aus der Tatsache, daf3 die Mutter,
die zuerst alle Bedürf- nisse des Fötus durch die Einrichtungen ihres
Leibes beschwichtigt hatte, dieselbe Funktion zum Teil mit anderen
Mitteln auch nach der Geburt fortsetzt. Intrauterinleben und erste
Kindheit sind weit mehr ein Kontinuum, als uns die auffällige Zensur des
Geburtsaktes glauben läßt. Das psychische Mutterobjekt ersetzt dem Kinde
die biologische Fötalsituation. Wir dürfen darum nicht vergessen, daf3 im
Intrauterin- leben die Mutter kein Objekt war, und daß es damals
keine Objekte gab. Es ist leicht zu sehen, daß es in diesem
Zusammen- hange keinen Raum für ein Abreagieren des Geburtstraumas gibt,
und daß eine andere Funktion der Angst als die eines Signals zur
Vermeidung der Gefahrsituation nicht aufzufinden ist. Die Angst-
bedingung des Objektverlustes trägt nun noch ein ganzes Stück weiter.
Auch die nächste Wandlung der Angst, die in der phallischen Phase
auftretende Kastrationsangst, ist eine Irennungsangst und an die-
selbe Bedingung gebunden. Die Gefahr ist hier die Irennung von dem
Genitale. Ein vollberechtigt scheinender Gedankengang von Ferenczi läßt
uns hier die Linie des Zusammenhanges mit den früheren Inhalten der
Gefahrsituation deutlich erkennen. Die hohe narzifßtische Einschätzung
des Penis kann sich darauf berufen, daß der Besitz dieses Organs die
Gewähr für eine Wiedervereinigung mit der Mutter (dem Mutterersatz) im
Akt des Koitus enthält. Die Beraubung dieses Gliedes ist soviel wie eine
neuerliche Trennung von der Mutter, bedeutet also wiederum, einer
unlust- vollen Bedürfnisspannung (wie bei der Geburt) hilflos
ausgeliefert zu sein. Das Bedürfnis, dessen Ansteigen gefürchtet wird,
ist aber nun ein sSpezialisiertes, das der genitalen Libido, nicht mehr
ein beliebiges wie in der Säuglingszeit. Ich füge hier an, daf3 die
Phantasie der Rückkehr in den Mutterleib der Koitusersatz des
Impotenten (durch die Kastrationsdrohung Gehemmten) ist. Im Sinne
Ferenczis kann man sagen, das Individuum, das sich zur Rückkehr in den
Mutter- leib durch sein Genitalorgan vertreten lassen wollte,
ersetzt nun regressiv dies Organ durch seine ganze Person.
Die Fortschritte in der Entwicklung des Kindes, die Zunahme seiner
Unabhängigkeit, die schärfere Sonderung seines seelischen Apparats in
mehrere Instanzen, das Auftreten neuer Bedürfnisse, können nicht
ohne Einfluß auf den Inhalt der Gefahrsituation bleiben. Wir haben dessen
Wandlung vom Verlust des Mutterobjekts zur Kastration verfolgt und
sehen den nächsten Schritt durch die Macht des Über-Ichs
verursacht. Mit dem Unpersönlichwerden der Eltern- instanz, von der man
die Kastration befürchtete, wird die Gefahr unbestimmter. Die
Kastrationsangst ent- wickelt sich zur Gewissensangst, zur sozialen
Angst. Es ist jetzt nicht mehr so leicht anzugeben, was die Angst
befürchtet. Die Formel: „Trennung, Ausschluß aus der Horde‘, trifft nur jenen
späteren Anteil des Über-Ichs, der sich in Anlehnung an soziale
Vorbilder entwickelt hat, nicht den Kern des Über-Ichs, der der
introjizierten Elterninstanz entspricht. Allgemeiner aus- gedrückt, ist
es der Zorn, die Strafe. des Über-Ichs, der Liebesverlust von dessen
Seite, den das Ich als Gefahr wertet und mit dem Angstsignal
beantwortet. Als letzte Wandlung dieser Angst vor dem Über-Ich ist
mir die Todes-(Lebens-)Angst, die Angst vor der Projektion des Über-Ichs
in den Schicksalsmächten erschienen. Ich habe früher einmal
einen gewissen Wert auf die Darstellung gelegt, daß es die bei der
Verdrän- gung abgezogene Besetzung ist, welche die Verwen- dung als
Angstabfuhr erfährt. Das erscheint mir nun heute kaum wissenswert. Der
Unterschied liegt darin, daß ich vormals die Angst in jedem Falle durch
einen ökonomischen Vorgang automatisch entstanden glaubte, während
die jetzige Auffassung der Angst als eines vom Ich beabsichtigten Signals
zum Zweck der Beeinflussung der Lust-Unlustinstanz uns von diesem
ökonomischen Zwange unabhängig macht. Es ist natürlich nichts gegen die
Annahme zu sagen, daß das Ich gerade die durch die Abziehung bei
der Verdrängung frei gewordene Energie zur Erweckung des Affekts
verwendet, aber es ist bedeutungslos geworden, mit welchem Anteil Energie
dies geschieht. Ein anderer Satz, den ich einmal
ausgesprochen, verlangt nun nach Überprüfung im Lichte unserer
neuen Auffassung. Es ist die Behauptung, das Ich sei die eigentliche
Angststätte; ich meine, sie wird sich als zutreffend erweisen. Wir haben
nämlich keinen Anlaß, dem Über-Ich irgendeine Angstäußerung zuzu-
teilen. Wenn aber von einer „Angst des Es die Rede ist, so hat man nicht
zu widersprechen, sondern einen ungeschickten Ausdruck zu korrigieren.
Die Angst ist ein Affektzustand, der natürlich nur vom Ich verspürt
werden kann. Das Es kann nicht Angst haben wie das Ich, es ist keine
Organisation, kann Gefahrsituationen nicht beurteilen. Dagegen ist es
ein überaus häufiges Vorkommnis, daß sich im Es Vor- gänge
vorbereiten oder vollziehen, die dem Ich Anlaß zur Angstentwicklung
geben; in der Tat sind die wahrscheinlich frühesten Verdrängungen, wie
die Mehrzahl aller späteren, durch solche Angst des Ichs vor einzelnen
Vorgängen im Es motiviert. Wir unter- scheiden hier wiederum mit gutem
Grund die beiden Fälle, daß sich im Es etwas ereignet, was eine der
88 Siem. Freud Gefahrsituationen fürs Ich aktiviert und es
somit bewegt, zur Inhibition das Angstsignal zu geben, und den
anderen Fall, daß sich im Es die dem Geburts- trauma analoge Situation
herstellt, in der es automatisch zur Angstreaktion kommt. Man bringt die
beiden Fälle einander näher, wenn man hervorhebt, daf der zweite
der ersten und ursprünglichen Gefahrsituation entspricht, der erste aber
einer der später aus ihr abgeleiteten Angstbedingungen. Oder auf die
wirklich vorkommenden Affektionen bezogen: daß der zweite Fall in
der Ätiologie der Aktualneurosen verwirklicht ist, der erste für die der
Psychoneurosen charakteri- stisch bleibt. Wir sehen nun, daf
wir frühere Ermittlungen nicht zu entwerten, sondern bloß mit den
neueren Einsichten in Verbindung zu bringen brauchen. Es ist nicht
abzuweisen, daß bei Abstinenz, mißbräuchlicher Störung im Ablauf der
Sexualerregung, Ablenkung derselben von ihrer psychischen Verarbeitung,
direkt Angst aus Libido entsteht, d. h. jener Zustand von
Hilflosigkeit des Ichs gegen eine übergroße Bedürfnis- spannung hergestellt
wird, der wie bei der Geburt in Angstentwicklung ausgeht, wobei es wieder
eine gleich- gültige, aber nahe liegende Möglichkeit ist, daß
gerade der Überschuß an unverwendeter Libido seine Abfuhr in der
Angstentwicklung findet. Wir sehen, daß sich auf dem Boden dieser
Aktualneurosen besonders leicht Psychoneurosen entwickeln, das heißt
wohl, daß Femmung, Symptom und Angst 89 das Ich
Versuche macht, die Angst, die es eine Weile suspendiert zu erhalten
gelernt hat, zu ersparen und durch Symptombildung zu binden.
Wahrscheinlich würde die Analyse der traumatischen Kriegsneurosen,
welcher Name allerdings sehr verschiedenartige Affektionen umfaßt,
ergeben haben, daf3 eine Anzahl von ihnen an den Charakteren der
Aktualneurosen Anteil hat. Als wir die Entwicklung der
verschiedenen Gefahr- situationen aus dem ursprünglichen
Geburtsvorbild darstellten, lag es uns ferne zu behaupten, dafs
jede spätere Angstbedingung die frühere einfach außer Kraft setzt.
Die Fortschritte der Ichentwicklung tragen allerding dazu bei, die
frühere Gefahrsituation zu entwerten und beiseite zu schieben, so daf
man sagen kann, einem bestimmten Entwicklungsalter sei eine gewisse
Angstbedingung wie adäquat zugeteilt. Die Gefahr der psychischen
Hilflosigkeit pafst zur Lebenszeit der Unreife des Ichs, wie die Gefahr
des Objektverlustes zur Unselbständigkeit der ersten Kinder- jahre,
die Kastrationsgefahr zur phallischen Phase, die Über-Ichangst zur
Latenzzeit. Aber es können doch alle diese Gefahrsituationen und Angstbedingungen
nebeneinander fortbestehen bleiben und das Ich auch zu späteren als den
adäquaten Zeiten zur Angstreaktion veranlassen, oder es können mehrere
von ihnen gleichzeitig in Wirksamkeit treten. Möglicher- weise
bestehen auch engere Beziehungen zwischen der wirksamen Gefahrsituation
und der Form der auf sie folgenden Neurose.' Als wir in einem
früheren Stück dieser Unter- suchungen auf die Bedeutung der
Kastrationsgefahr Seit der Unterscheidung von Ich und Es mußte auch
unser Interesse an den Problemen der Verdrängung eine neue Belebung
erfahren. Bisher hatte es uns genügt, die dem Ich zugewendeten Seiten des
Vorgangs, die Abhaltung vom Bewußtsein und von der Motilität und die
Ersatz- (Symptom-) Bildung ins Auge zu fassen, von der verdrängten
Triebregung selbst nahmen wir an, sie bleibe im Unbewußten unbestimmt
lange unverändert bestehen. Nun wendet sich das Interesse den Schicksalen
des Verdrängten zu, und wir ahnen, daß ein solcher unveränderter und
unveränderlicher Fortbestand nicht selbstverständlich, vielleicht nicht einmal
gewöhnlich ist. Die ursprüngliche Triebregung ist jedenfalls durch die
Ver- drängung gehemmt und von ihrem Ziel abgelenkt worden. Ist aber
ihr Ansatz im Unbewußten erhalten geblieben und hat er sich resistent
gegen die verändernden und entwertenden Einflüsse des Lebens erwiesen?
Bestehen also die alten Wünsche noch, von deren früherer Existenz uns die
Analyse berichtet? Die Antwort scheint naheliegend und gesichert: Die
verdrängten alten Wünsche müssen im Unbewußten noch fortbestehen, da wir
ihre Abkömmlinge, die Symptome, noch wirksam finden. Aber sie ist nicht
zureichend, sie läßt nicht zwischen den beiden Möglichkeiten entscheiden,
ob der alte Wunsch jetzt nur durch seine Abkömmlinge wirkt, denen
er all seine Besetzungsenergie übertragen hat, oder ob er außerdem selbst
erhalten geblieben ist, Wenn es sein Schicksal war, sich in der Besetzung
seiner Abkömmlinge zu erschöpfen, so bleibt noch die dritte Möglichkeit,
daß er im Verlauf der Neurose durch Re- gression wiederbelebt wurde, so
unzeitgemäß er gegenwärtig sein mag. Man braucht diese Erwägungen nicht
für müßig zu halten; vieles an den Erscheinungen des krankhaften wie des
normalen Seelenlebens scheint solche Fragestellungen zu erfordern. In
meiner Studie über den Untergang des Ödipuskomplexes bin ich auf
den Unterschied zwischen der bloßen Verdrängung und der wirklichen
Aufhebung einer alten Wunschregung aufmerksam geworden. bei mehr
als einer neurotischen Affektion stießen, erteilten wir uns die Mahnung,
dies Moment doch nicht zu überschätzen, da es bei dem gewiß mehr
zur Neurose disponierten weiblichen Geschlecht doch nicht ausschlaggebend
sein könnte. Wir sehen jetzt, daf3 wir nicht in Gefahr sind, die
Kastrationsangst für den einzigen Motor der zur Neurose führenden
Abwehr- vorgänge zu erklären. Ich habe an anderer Stelle
auseinandergesetzt, wie die Entwicklung des kleinen Mädchens durch den
Kastrationskomplex zur zärtlichen Objektbesetzung gelenkt wird. Gerade
beim Weibe scheint die Gefahrsituation des Objektverlustes die
wirksamste geblieben zu sein. Wir dürfen an ihrer Angstbedingung die
kleine Modifikation anbringen, daß es sich nicht mehr um das Vermissen
oder den realen Verlust des Objekts handelt, sondern um den Liebes-
verlust von seiten des Objekts. Da es sicher steht, daß die Hysterie eine
größere Affinität zur Weiblich- keit hat, ebenso wie die Zwangsneurose
zur Männlich- keit, so liegt die Vermutung nahe, die Angstbedingung
des Liebesverlustes spiele bei Hysterie eine ähnliche Rolle wie die
Kastrationsdrohung bei den Phobien, die Über-Ichangst bei der
Zwangsneurose. IX Was jetzt erübrigt, ist die Behandlung der
Be- ziehungen zwischen Symptombildung und Angst- entwicklung.
Zwei Meinungen darüber scheinen weit verbreitet zu sein. Die eine
nennt die Angst selbst ein Symptom der Neurose, die andere glaubt an ein
weit innigeres Verhältnis zwischen beiden. Ihr zufolge würde alle
Symptombildung nur unternommen werden, um der Angst zu entgehen; die
Symptome binden die psychi- sche Energie, die sonst als Angst abgeführt
würde, so dafß® die Angst das Grundphänomen und Haupt- problem der
Neurose wäre. | Die zumindest partielle Berechtigung der
zweiten Behauptung läßt sich durch schlagende Beispiele er- weisen.
Wenn man einen Agoraphoben, den man auf die Straße begleitet hat, dort
sich selbst überläßt, produziert er einen Angstanfall; wenn man
einen Zwangsneurotiker daran hindern läßt, sich nach einer
Berührung die Hände zu waschen, wird er die Beute MHemmung,
Symptom und Angst 93 einer fast unerträglichen Angst. Es ist also
klar, die Bedingung des Begleitetwerdens und die Zwangs- handlung
des Waschens hatten die Absicht und auch den Erfolg, solche
Angstausbrüche zu verhüten. In diesem Sinne kann auch jede Hemmung, die
sich das Ich auferlegt, Symptom genannt werden. Da wir die
Angstentwicklung auf die Gefahr- situation zurückgeführt haben, werden
wir es vor- ziehen zu sagen, die Symptome werden geschaffen, um das
Ich der Gefahrsituation zu entziehen. Wird die Symptombildung verhindert,
so tritt die Gefahr wirklich ein, d. h. es stellt sich jene der Geburt
analoge Situation her, in der sich das Ich hilflos gegen den stetig
wachsenden Triebanspruch findet, also die erste und ursprünglichste der
Angstbedingungen. Für unsere Anschauung erweisen sich die Beziehungen
zwischen Angst und Symptom weniger eng als angenommen wurde, die
Folge davon, daß wir zwischen beide das Moment der Gefahrsituation
eingeschoben haben. Wir können auch ergänzend sagen, die
Angstentwicklung leite die Symptombildung ein, ja sie sei eine not-
wendige Voraussetzung derselben, denn wenn das Ich nicht durch die
Angstentwicklung die Lust-Unlust- Instanz wachrütteln würde, bekäme es
nicht die Macht, den im Es vorbereiteten, gefahrdrohenden Vorgang
aufzuhalten. Dabei ist die,Tendenz unverkennbar, sich auf ein Mindestmaß
von Angstentwicklung zu be- schränken, die Angst nur als Signal zu
verwenden, 94 Sigm. Freud denn sonst bekäme man die
Unlust, die durch den Triebvorgang droht, nur an anderer Stelle zu
spüren, was kein Erfolg nach der Absicht des Lustprinzips wäre,
sich aber doch bei den Neurosen häufig genug ereignet. Die
Symptombildung hat also den wirklichen Erfolg, die Gefahrsituation
aufzuheben. Sie hat zwei Seiten; die eine, die uns verborgen bleibt,
stellt im Es jene Abänderung her, mittels deren das Ich der Gefahr
entzogen wird, die andere uns zugewendete zeigt, was sie an Stelle des
beeinflußten Triebvorganges geschaffen hat, die Ersatzbildung.
- Wir sollten uns aber korrekter ausdrücken, dem Abwehrvorgang
zuschreiben, was wir eben von der Symptombildung ausgesagt haben, und den
Namen Symptombildung selbst als synonym mit Ersatzbildung
gebrauchen. Es scheint dann klar, daß der Abwehr- vorgang analog der
Flucht ist, durch die sich das Ich einer von außen drohenden Gefahr
entzieht, daß er eben einen Fluchtversuch vor einer Triebgefahr
darstellt. Die Bedenken gegen diesen Vergleich werden uns zu
weiterer Klärung verhelfen. Erstens läßt sich ein- wenden, daß der
Objektverlust (der Verlust der Liebe von seiten des Objekts) und die
Kastrationsdrohung ebensowohl (Gefahren sind, die von außen drohen,
wie etwa ein reißsendes Tier, also nicht Triebgefahren. Aber es ist
doch nicht derselbe Fall. Der Wolf würde uns wahrscheinlich anfallen,
gleichgültig, wie wir uns gegen ihn benehmen; die geliebte Person würde
uns aber nicht ihre Liebe entziehen, die Kastration uns nicht
angedroht werden, wenn wir nicht bestimmte Gefühle und Absichten in
unserem Inneren nähren würden. So werden diese Triebregungen zu
Bedingungen der äußeren Gefahr und damit selbst gefährlich, wir
können jetzt die äußere Gefahr durch Maßregeln gegen innere
Gefahren bekämpfen. Bei den Tierphobien scheint die Gefahr noch durchaus
als eine äußerliche empfunden zu werden, wie sie auch im Symptom eine
äußserliche Verschiebung erfährt. Bei der Zwangsneurose ist sie
weit mehr verinnerlicht, der Anteil der Angst vor dem Über-Ich, der
soziale Angst ist, repräsentiert noch den innerlichen Ersatz einer
äußeren Gefahr, der andere Anteil, die Gewissensangst, ist durchaus
endopsychisch. Ein zweiter Einwand sagt, beim Fluchtversuch
vor einer drohenden äußeren Gefahr tun wir ja nichts anderes, als daß wir
die Raumdistanz zwischen uns und dem Drohenden vergrößern. Wir setzen uns
ja nicht gegen die Gefahr zur Wehr, suchen nichts an ihr selbst zu
ändern, wie in dem anderen Falle, daß wir mit einem Knüttel auf den Wolf
losgehen oder mit einem Gewehr auf ihn schießen. Der Abwehr-
vorgang scheint aber mehr zu tun, als einem Flucht- versuch entspricht.
Er greift ja in den drohenden Triebablauf ein, unterdrückt ihn irgendwie,
lenkt ihn von seinem Ziel ab, macht ihn dadurch ungefährlich.
Dieser Einwand scheint unabweisbar, wir müssen ihm 96 Siem.
Freud Rechnung tragen. Wir meinen, es wird wohl so sein,
dafß es Abwehrvorgänge gibt, die man mit gutem Recht einem Fluchtversuch
vergleichen kann, während sich das Ich bei anderen weit aktiver zur Wehre
setzt, energische Gegenaktionen vornimmt. Wenn der Vergleich der Abwehr
mit der Flucht nicht überhaupt durch den Umstand gestört wird, dafs das
Ich und der Trieb im Es ja Teile derselben Organisation sind, nicht
getrennte Existenzen, wie der Wolf und das Kind, so daf jede Art
Verhaltens des Ichs auch abändernd auf den Triebvorgang einwirken
muß. Durch das Studium der Angstbedingungen haben wir das
Verhalten des Ichs bei der Abwehr sozusagen in rationeller Verklärung
erblicken müssen. Jede Gefahr- situation entspricht einer gewissen
Lebenszeit oder Entwicklungsphase des seelischen Apparats und er-
scheint für diese berechtigt. Das frühkindliche Wesen ist wirklich nicht
dafür ausgerüstet, große Erregungs- summen, die von außen oder innen
anlangen, psychisch zu bewältigen. Zu einer gewissen Lebenszeit ist
es wirklich das wichtigste Interesse, daß die Personen, von denen
man abhängt, ihre zärtliche Sorge nicht zurückziehen. Wenn der Knabe den
mächtigen Vater als Rivalen bei der Mutter empfindet, seiner aggressiven
Neigungen gegen ihn und seiner sexuellen Absichten auf die Mutter inne
wird, hat er ein Recht dazu, sich vor ihm zu fürchten, und die Angst vor
seiner Strafe kann durch phylogenetische Verstärkung sich
als Kastrationsangst äußern. Mit dem Eintritt in soziale Beziehungen
wird die Angst vor dem Über-Ich, das Gewissen, zur Notwendigkeit, der
Wegfall dieses Moments die Quelle von schweren Konflikten und
Gefahren usw. Aber gerade daran knüpft sich ein neues Problem.
Versuchen wir es, den Angstaffekt für eine Weile durch einen
anderen, z. B. den Schmerzaffekt, zu ersetzen. Wir halten es für durchaus
normal, daß das Mädchen von vier Jahren schmerzlich weint, wenn ihm
eine Puppe zerbricht, mit sechs Jahren, wenn ihm die Lehrerin einen
Verweis gibt, mit sechzehn Jahren, wenn der Geliebte sich nicht um sie
bekümmert, mit fünfundzwanzig Jahren vielleicht, wenn sie ein Kind
begräbt. Jede dieser Schmerzbedingungen hat ihre Zeit und erlischt mit
deren Ablauf; die letzten, defini- tiven, erhalten sich dann durchs
Leben. Es würde uns aber auffallen, wenn dies Mädchen als Frau und
Mutter über die Beschädigung einer Nippsache weinen würde. So benehmen
sich aber die Neurotiker. In ihrem seelischen Apparat sind längst alle
Instanzen zur Reizbewältigung innerhalb weiter Grenzen aus-
gebildet, sie sind erwachsen genug, um die meisten ihrer Bedürfnisse
selbst zu befriedigen, sie wissen längst, daß die Kastration nicht mehr
als Strafe geübt wird, und doch benehmen sie sich, als bestünden die
alten Gefahrsituationen noch, sie halten an allen früheren
Angstbedingungen fest. Die Antwort hierauf wird etwas weitläufig
aus- fallen. Sie wird vor allem den Tatbestand zu sichten haben. In
einer großen Anzahl von Fällen werden die alten Angstbedingungen wirklich
fallen gelassen, nach- dem sie bereits neurotische Reaktionen erzeugt
haben. Die Phobien der kleinsten Kinder vor Alleinsein, Dunkelheit
und vor Fremden, die beinahe normal zu nennen sind, vergehen zumeist in
etwas späteren Jahren, sie ‚wachsen sich aus‘, wie man von manchen
anderen Kindheitsstörungen sagt. Die so häufigen Tierphobien haben das
gleiche Schicksal, viele der Konversionshysterien der Kinderjahre finden
später keine Fortsetzung. Zeremoniell in der Latenzzeit ist ein
ungemein häufiges Vorkommnis, nur ein sehr geringer Prozentsatz dieser
Fälle entwickelt sich später zur vollen Zwangsneurose. Die Kinderneurosen
sind überhaupt soweit unsere
Erfahrungen an den höheren Kulturanforderungen unterworfenen Stadt-
kindern weißer Rasse reichen regelmäßige
Episoden der Entwicklung, wenngleich ihnen noch immer zu wenig
Aufmerksamkeit geschenkt wird. Man vermißt die Zeichen der
Kindheitsneurose auch nicht bei einem erwachsenen Neurotiker, während
lange nicht alle Kinder, die sie zeigen, auch später Neurotiker
werden. Es müssen also im Verlaufe der Reifung Angst- bedingungen
aufgegeben worden sein und Gefahrsituationen ihre Bedeutung verloren haben.
Dazu kommt, daß einige dieser Gefahrsituationen sich da-
Femmung, Symptom und Angst durch in späte Zeiten hinüberretten,
daß sie ihre Angstbedingung zeitgemäß modifizieren. So erhält sich
z. B. die Kastrationsangst unter der Maske der Syphilisphobie, nachdem
man erfahren hat, daß zwar die Kastration nicht mehr als Strafe für das
Gewähren- lassen der sexuellen Gelüste üblich ist, aber daß dafür
der Triebfreiheit schwere Erkrankungen drohen. Andere der
Angstbedingungen sind überhaupt nicht zum Untergang bestimmt, sondern
sollen den Men- schen durchs Leben begleiten, wie die der Angst vor
dem Über-Ich. Der Neurotiker unterscheidet sich dann vor den Normalen
dadurch, dafs er die Reak- tionen auf diese Gefahren übermäßig erhöht.
Gegen die Wiederkehr der ursprünglichen traumatischen
Angstsituation bietet endlich auch das Erwachsensein keinen zureichenden
Schutz; es dürfte für jedermann eine Grenze geben, über die hinaus sein
seelischer Apparat in der Bewältigung der Erledigung heischen- den
Erregungsmengen versagt. Diese kleinen Berichtigungen können
unmöglich die Bestimmung haben, an der Tatsache zu rütteln, die
hier erörtert wird, der Tatsache, daf$ so viele Menschen in ihrem
Verhalten zur Gefahr infantil bleiben und verjährte Angstbedingungen
nicht über- winden; dies bestreiten, hieße die Tatsache der Neu-
rose leugnen, denn solche Personen heifst man eben Neurotiker. Wie ist
das aber möglich? Warum sind nicht alle Neurosen Episoden der
Entwicklung, die mit Erreichung der nächsten Phase abgeschlossen
werden?. Woher das Dauermoment in diesen Reaktionen auf die Gefahr? Woher der
Vorzug, den der Angstaffekt vor allen anderen Affekten zu geniefsen
scheint, daß er allein Reaktionen hervorruft, die sich als abnorm von den
anderen sondern und sich als unzweckmäßig dem Strom des Lebens entgegen-
stellen? Mit anderen Worten, wir finden uns unver- sehens wieder vor der
so oft gestellten Vexierfrage, woher kommt die Neurose, was ist ihr
letztes, das ihr besondere Motiv? Nach jahrzehntelangen analy-
tischen Bemühungen erhebt sich dies Problem vor uns, unangetastet, wie zu
Anfang. Die Angst ist die Reaktion auf die Gefahr. Man kann doch
die Idee nicht abweisen, daß es mit dem Wesen der Gefahr zusammenhängt,
wenn sich der Angstaffekt eine Ausnahmsstellung in der seelischen
Ökonomie erzwingen kann. Aber die Gefahren sind allgemein menschliche,
für alle Individuen die näm- lichen; was wir brauchen und nicht zur
Verfügung haben, ist ein Moment, das uns die Auslese der Indi-
viduen verständlich macht, die den Angstaffekt trotz seiner Besonderheit
dem normalen seelischen Betrieb unterwerfen können, oder das bestimmt,
wer an dieser Aufgabe scheitern muß. Ich sehe zwei Versuche vor
mir, ein solches Moment aufzudecken; es ist begreif- lich, daß jeder
solche Versuch eine sympathische Aufnahme erwarten darf, da er einem
quälenden Be- dürfnis Abhilfe verspricht. Die beiden Versuche
ergänzen einander, indem sie das Problem an ent- gegengesetzten Enden
angreifen. Der erste ist vor mehr als zehn Jahren von Alfred Adler unternommen
worden; er behauptet, auf seinen innersten Kern reduziert, daf3
diejenigen Menschen an der Bewältigung der durch die Gefahr gestellten
Aufgabe scheitern, denen die Minderwertigkeit ihrer Organe zu große
Schwierigkeiten bereitet. Bestünde der Satz Simplex sigillum veri
zurecht, so müßte man eine solche Lösung wie eine Erlösung begrüßen.
Aber im Gegenteile, die Kritik des abgelaufenen Jahrzehnts hat die
volle Unzulänglichkeit dieser Erklärung, die sich überdies über den
ganzen Reichtum der von der Psychoanalyse aufgedeckten Tatbestände hinaussetzt,
beweisend dargetan. Den zweiten Versuch hat Rank in Das Trauma
der Geburt unternommen. Es wäre unbillig, ihn dem Versuch von Adler
in einem anderen Punkte als dem einen hier betonten
gleichzustellen, denn er bleibt auf dem Boden der Psychoanalyse, deren
Gedankengänge er fortsetzt und ist als eine legitime Bemühung zur Lösung
der ana- Iytischen Probleme anzuerkennen. In der gegebenen Relation
zwischen Individuum und Gefahr lenkt Rank von der Organschwäche des
Individuums ab und aut die veränderliche Intensität der Gefahr hin.
Der Geburtsvorgang ist die erste Gefahrsituation, der von ihm
produzierte ökonomische Aufruhr wird das Vor-bild der Angstreaktion;, wir haben
vorhin die Ent- wicklungslinie verfolgt, welche diese erste Gefahr-
situation und Angstbedingung mit allen späteren verbindet, und dabei gesehen,
daß sie alle etwas Ge- meinsames bewahren, indem sie alle in
gewissem Sinne eine Trennung von der Mutter bedeuten, zuerst nur in
biologischer Hinsicht, dann im Sinn eines direkten Objektverlustes und
später eines durch in- direkte Wege vermittelten. Die Aufdeckung
dieses großsen Zusammenhanges ist ein unbestrittenes Ver- dienst
der Rankschen Konstruktion. Nun trifft das Trauma der Geburt die
einzelnen Individuen in ver- schiedener Intensität, mit der Stärke des
Traumas variiert die Heftigkeit der Angstreaktion, und es soll nach
Rank von dieser Anfangsgröße der Angst- entwicklung abhängen, ob das
Individuum jemals ihre Beherrschung erlernen kann, ob es neurotisch
wird oder normal. Die Einzelkritik der Rankschen
Aufstellungen ist nicht unsere Aufgabe, bloß deren Prüfung, ob sie
zur Lösung unseres Problems brauchbar sind. Die Formel Ranks,
Neurotiker werde der, dem es wegen der Stärke des Geburtstraumas niemals
gelinge, dieses völlig abzureagieren, ist theoretisch höchst
anfechtbar. Man weiß nicht recht, was mit dem Abreagieren des Traumas
gemeint ist. Versteht man es wörtlich, so kommt man zu dem unhaltbaren
Schluß, daß der Neurotiker sich um so mehr der Gesundung nähert, je
häufiger und intensiver er den Angstaffekt repro- duziert. Wegen dieses
Widerspruches mit der Wirk- lichkeit hatte ich ja seinerzeit die Theorie
des Abreagierens aufgegeben, die in der Katharsis eine so große Rolle
spielte. Die Betonung der wechselnden Stärke des Geburtstraumas läßt
keinen Raum für den berechtigten ätiologischen Anspruch der
hereditären Konstitution. Sie ist ja ein organisches Moment,
welches sich gegen die Konstitution wie eine Zu- fälligkeit verhält und
selbst von vielen, zufällig zu nennenden Einflüssen, z. B. von der
rechtzeitigen Hilfeleistung bei der Geburt abhängig ist. Die Rank-
sche Lehre hat konstitutionelle wie phylogenetische Faktoren überhaupt
außer Betracht gelassen. Will man aber für die Bedeutung der Konstitution
Raum schaffen, etwa durch die Modifikation, es käme viel mehr
darauf an, wie ausgiebig das Individuum auf die variable Intensität des
Geburtstraumas reagiere, SO hat man der Theorie ihre Bedeutung geraubt,
und den neu eingeführten Faktor auf eine Nebenrolle ein-
geschränkt. Die Entscheidung über den Ausgang in Neurose liegt dann doch
auf einem anderen, wiederum auf einem unbekannten Gebiet. Die
Tatsache, daß der Mensch den Geburtsvor- gang mit den anderen Säugetieren
gemein hat, während ihm eine besondere Disposition zur Neurose als
Vorrecht vor den Tieren zukommt, wird kaum günstig für die Ranksche Lehre
stimmen. Der Haupt- einwand bleibt aber, daß sie in der Luft
schwebt, anstatt sich auf gesicherte Beobachtung zu stützen. Es
gibt keine guten Untersuchungen darüber, ob schwere Aemmung,
Symptom und Angst und protrahierte Geburt in unverkennbarer Weise mit
Entwicklung von Neurose zusammentreffen, ja, ob so geborene Kinder nur
die Phänomene der frühinfantilen Ängstlichkeit länger oder stärker zeigen
als andere. Macht man geltend, daf präzipitierte und für die Mutter
leichte Geburten für das Kind möglicher- weise die Bedeutung von schweren
Traumen haben, so bleibt doch die Forderung aufrecht, dafS
Geburten, die zur Asphyxie führen, die behaupteten Folgen mit
Sicherheit erkennen lassen müßten. Es scheint ein Vorteil der Rankschen
Ätiologie, daß sie ein Moment voranstellt, das der Nachprüfung am
Material der Erfahrung zugänglich ist; solange man eine solche
Prüfung nicht wirklich vorgenommen hat, ist es unmöglich, ihren Wert zu
beurteilen. Dagegen kann ich mich der Meinung nicht an-
schließen, daß die Ranksche Lehre der bisher in der Psychoanalyse
anerkannten ätiologischen Bedeutung der Sexualtriebe widerspricht; denn
sie bezieht sich nur auf das Verhältnis des Individuums zur
Gefahrsituation und läßt die gute Auskunft offen, dafs, wer die
anfänglichen Gefahren nicht bewältigen konnte, auch in den später
auftauchenden Situationen sexueller Gefahr versagen muß und dadurch in
die Neurose gedrängt wird. Ich glaube also nicht, daß der
Ranksche Versuch uns die Antwort auf die Frage nach der Begründung
der Neurose gebracht hat, und ich meine, es läfst sich noch nicht
entscheiden, einen wie großen Beitrag zur Lösung der Frage er doch
enthält. Wenn die Unter- suchungen über den Einfluß schwerer Geburt auf
die Disposition zu Neurosen negativ ausfallen, ist dieser Beitrag
gering einzuschätzen. Es ist sehr zu besorgen, daß das Bedürfnis nach
einer greifbaren und einheitlichen letzten Ursache‘‘ der Nervosität immer
un- befriedigt bleiben wird. Der ideale Fall, nach dem sich der
Mediziner wahrscheinlich noch heute sehnt, wäre der des Bazillus, der
sich isolieren und reinzüchten läßt, und dessen Impfung bei jedem
Individuum die nämliche Affektion hervorruft. Oder etwas weniger
phantastisch: die Darstellung von chemischen Stoffen, deren Verabreichung
bestimmte Neurosen produziert und aufhebt. Aber die Wahrscheinlichkeit
spricht nicht für solche Lösungen des Problems. Die
Psychoanalyse führt zu weniger einfachen, minder befriedigenden
Auskünften. Ich habe hier nur längst Bekanntes zu wiederholen, nichts
Neues hinzu- zufügen. Wenn es dem Ich gelungen ist, sich einer
gefährlichen Triebregung zu erwehren, z. B. durch den Vorgang der
Verdrängung, so hat es diesen Teil des Es zwar gehemmt und geschädigt,
aber ihm gleichzeitig auch ein Stück Unabhängigkeit gegeben und auf
ein Stück seiner eigenen Souveränität ver- zichtet. Das folgt aus der
Natur der Verdrängung, die im Grunde ein Fluchtversuch ist. Das
Verdrängte ist nun „vogelfrei‘, ausgeschlossen aus der
großen Organisation des Ichs, nur den Gesetzen unterworfen, die im
Bereich des Unbewußten herrschen. Ändert sich nun die Gefahrsituation, so
daß das Ich kein Motiv zur Abwehr einer neuerlichen, der
verdrängten analogen Triebregung hat, so werden die Folgen der
Icheinschränkung manifest. Der neuerliche Triebablauf vollzieht sich
unter dem Einfluß des Automatismus, — ich zöge vor zu sagen: des
Wiederholungszwanges, — er wandelt dieselben Wege wie der früher
ver- drängte, als ob die überwundene Gefahrsituation noch bestünde.
Das fixierende Moment an der Verdrängung ist also der Wiederholungszwang
des unbewufsten Es, der normalerweise nur durch die frei bewegliche
Funktion des Ichs aufgehoben wird. Nun mag es dem Ich mitunter gelingen,
die Schranken der Verdrängung, die es selbst aufgerichtet, wieder ein-
zureißßen, seinen Einfluß auf die Triebregung wieder- zugewinnen und den
neuerlichen Triebablauf im Sinne der veränderten Gefahrsituation zu
lenken. Tatsache ist, daß es ihm so oft mißlingt, und daß es seine
Verdrängungen nicht rückgängig machen kann. Quanti- tative Relationen mögen für den Ausgang dieses Kampfes
maßgebend sein. In manchen Fällen haben wir den Eindruck, daf die
Entscheidung eine zwangs- läufige ist, die regressive Anziehung der
verdrängten Regung und die Stärke der Verdrängung sind so groß, daß
die neuerliche Regung nur dem Wiederholungs- zwange folgen kann. In
anderen Fällen nehmen wir den Beitrag eines anderen Kräftespiels wahr, die
An- ziehung des verdrängten Vorbilds wird verstärkt durch die
Abstoßung von Seiten der realen Schwierigkeiten, die sich einem anderen
Ablauf der neuerlichen Trieb- regung entgegensetzen. Dafß
dies der Hergang der Fixierung an die Ver- drängung und der Erhaltung der
nicht mehr aktuellen Gefahrsituation ist, findet seinen Erweis in der
an sich bescheidenen, aber theoretisch kaum überschätz- baren
Tatsache der analytischen Therapie. Wennwir dem Ich in der Analyse die
Hilfe leisten, die es in den Stand setzen kann, seine Verdrängungen
aufzu- heben, bekommt es seine Macht über das verdrängte Es wieder
und kann die Triebregungen so ablaufen lassen, als ob die alten
Gefahrsituationen nicht mehr bestünden. Was wir so
erreichen, steht in gutem Einklang mit dem sonstigen Machtbereich
unserer ärztlichen Leistung. In der Regel muß sich ja unsere
Iherapie damit begnügen, rascher, verläßlicher, mit weniger Aufwand den
guten Ausgang herbeizuführen, der sich unter günstigen Verhältnissen
spontan ergeben hätte. Die bisherigen Erwägungen lehren uns,
es sind quantitative Relationen, nicht direkt aufzuzeigen, nur auf
dem Wege des Rückschlusses faßbar, die darüber entscheiden, ob die alten
Gefahrsituationen festgehalten werden, ob die Verdrängungen des Ichs
erhalten bleiben, ob die Kinderneurosen ihre Fortsetzung finden oder
nicht. Von den Faktoren, die an der Verursachung der Neurosen beteiligt
sind, die die Bedingungen geschaffen haben, unter denen sich die
psychischen Kräfte mit einander messen, heben sich für unser Verständnis
drei hervor, ein biologischer, ein phylogenetischer und ein rein
psychologischer. Der biologische ist die lang hingezogene Hilflosigkeit
und Abhängigkeit des kleinen Menschenkindes. Die Intrau-
terinexistenz des Menschen erscheint gegen die der meisten Tiere relativ
verkürzt; es wird unfertiger als diese in die Welt geschickt. Dadurch
wird der Ein- fluß der realen Aufßenwelt verstärkt, die Differen-
zierung des Ichs vom Es frühzeitig gefördert, die Gefahren der Außenwelt
in ihrer Bedeutung er- höht und der Wert des Objekts, das allein
gegen diese Gefahren schützen und das verlorene Intrau- terinleben
ersetzen kann, enorm gesteigert. Dies bio- logische Moment stellt also
die ersten Gefahrsituationen her und schafft das Bedürfnis, geliebt zu
werden, das den Menschen nicht mehr verlassen wird. Der
zweite, phylogenetische, Faktor ist von uns nur erschlossen worden; eine
sehr merkwürdige Tat- sache der Libidoentwicklung hat uns zu seiner
An- nahme gedrängt. Wir finden, daß das Sexualleben des Menschen
sich nicht wie das der meisten ihm nahestehenden Tiere vom Anfang bis zur
Reifung stetig weiter entwickelt, sondern daß) es nach einer ersten
Frühblüte bis zum fünften Jahr eine energische Siem. Ireud
Unterbrechung erfährt, worauf es dann mit der Pubertät von neuem
anhebt und an die infantilen Ansätze anknüpft. Wir meinen, es müßte in
den Schicksalen der Menschenart etwas Wichtiges vorge- fallen sein,
was diese Unterbrechung der Sexualent- wicklung als historischen
Niederschlag hinterlassen hat. Die pathogene Bedeutung dieses Moments
ergibt sich daraus, dafß die meisten Triebansprüche dieser kind-
lichen Sexualität vom Ich als Gefahren behandelt und abgewehrt werden, so
daf die späteren sexuellen Regungen der Pubertät, die ichgerecht sein
sollten, in Gefahr sind, der Anziehung der infantilen Vorbilder zu
unterliegen und ihnen in die Verdrängung zu folgen. Hier stoßen wir auf die direkteste Ätiologie der Neu- rosen. Es ist
merkwürdig, daß der frühe Kontakt mit den Ansprüchen der Sexualität auf
das Ich ähnlich wirkt, wie die vorzeitige Berührung mit der Aufßen-
welt. Der dritte oder psychologische Faktor ist in einer
Unvollkommenheit unseres seelischen Apparates zu finden, die gerade mit
seiner Differenzierung in ein Ich und ein Es zusammenhängt, also in
letzter Linie auch auf den Einfluß der Außenwelt zurückgeht. Durch
die Rücksicht auf die Gefahren der Realität wird das Ich genötigt, sich
gegen gewisse Triebregungen des Es zur Wehre zu setzen, sie als Gefahren
zu be- handeln. Das Ich kann sich aber gegen innere Trieb- gefahren
nicht in so wirksamer Weise schützen wie Flemmung, Symptom und
Angst III gegen ein Stück der ihm fremden Realität. Mit dem
Es selbst innig verbunden, kann es die Triebgefahr nur abwehren, indem es
seine eigene Organisation ein- schränkt und sich die Symptombildung als
Ersatz für seine Beeinträchtigung des Triebes gefallen läßt. Er-
neuert sich dann der Andrang des abgewiesenen Triebes, so ergeben sich
für das Ich alle die Schwierig- keiten, die wir als das neurotische
Leiden kennen. Weiter muß ich glauben, ist
unsere Einsicht in das Wesen und die Verursachung der Neurosen
vorläufig nicht gekommen. Im Laufe dieser Erörterungen sind
verschiedene Themen berührt worden, die vorzeitig verlassen werden
mußten und die jetzt gesammelt werden sollen, um den Anteil
Aufmerksamkeit zu erhalten, auf den sie Anspruch haben.
A MODIFIKATIONEN FRÜHER GEÄUSSERTER ANSICHTEN a)
Widerstand und Gegenbesetzung Es ist ein wichtiges Stück der
Theorie der Ver- drängung, daß sie nicht einen einmaligen Vorgang
dar- stellt, sondern einen dauernden Aufwand erfordert. Wenn dieser
entfiele, würde der verdrängte Trieb, der kontinuierlich Zuflüsse aus
seinen Quellen erhält, ein nächstes Mal denselben Weg einschlagen, von
dem er abgedrängt wurde, die Verdrängung würde um ihren Erfolg
gebracht oder sie müßte unbestimmt oft wiederholt werden. So folgt aus der
kontinuierlichen Natur des’ Triebes die Anforderung an das Ich,
seine Abwehraktion durch einen Daueraufwand zu versichern. Diese
Aktion zum Schutz der Verdrängung ist es, die wir bei der therapeutischen
Bemühung als Wider- stand verspüren. Widerstand setzt das voraus,
was ich als Gegenbesetzung bezeichnet habe. Eine solche
Gegenbesetzung wird bei der Zwangsneurose greifbar. Sie erscheint hier
als Ichveränderung, als Reaktionsbildung im Ich, durch Verstärkung jener
Ein- stellung, welche der zu verdrängenden Triebrichtung
gegensätzlich ist (Mitleid, Gewissenhaftigkeit, Reinlichkeit). Diese
Reaktionsbildungen der Zwangsneurose sind durchwegs Übertreibungen
normaler, im Verlauf der Latenzzeit entwickelter Charakterzüge. Es ist
weit schwieriger, die Gegenbesetzung bei der Hysterie auf-
zuweisen, wo sie nach der theoretischen Erwartung ebenso unentbehrlich
ist. Auch hier ist ein gewisses Maß von Ichveränderung durch
Reaktionsbildung un- verkennbar und wird in manchen Verhältnissen so
auf- fällig, daß es sich der Aufmerksamkeit als das Haupt- symptom
des Zustandes aufdrängt. In solcher Weise wird z. B. der
Ambivalenzkonflikt der Hysterie gelöst, der Haß gegen eine geliebte
Person wird durch ein Übermaß von Zärtlichkeit für sie und
AÄngstlichkeit um sie niedergehalten. Man muß aber als Unter-
schiede gegen die Zwangsneurose hervorheben, daß solche
Reaktionsbildungen nicht die allgemeine Natur von Charakterzügen zeigen,
sondern sich auf ganz spezielle Relationen einschränken. Die Hysterika z.
B., die ihre im Grunde gehafstten Kinder mit exzessiver
Zärtlichkeit behandelt, wird darum nicht im ganzen liebesbereiter als
andere Frauen, nicht einmal zärtlicher für andere Kinder. Die Reaktionsbildung
der Hysterie hält an einem bestimmten Objekt zähe fest und erhebt
sich nicht zu einer allgemeinen Disposition des Ichs. Für die Zwangsneurose ist
gerade diese Verallgemeinerung, die Lockerung der Objekt-
beziehungen, die Erleichterung der Verschiebung in der Objektwahl
charakteristisch. Eine andere Art der Gegenbesetzung scheint
der Eigenart der Hysterie gemäfßser zu sein. Die verdrängte
Triebregung kann von zwei Seiten her aktiviert (neu besetzt) werden,
erstens von innen her durch eine Verstärkung des Triebes aus seinen
inneren Erregungs- quellen, zweitens von außen her durch die Wahr-
nehmung eines Objekts, das dem Trieb erwünscht wäre. Die hysterische
Gegenbesetzung ist nun vor- zugsweise nach außen gegen die gefährliche
Wahr- nehmung gerichtet, sie nimmt die Form einer beson- deren
Wachsamkeit an, die durch Icheinschrän- kungen Situationen vermeidet, in
denen die Wahr- nehmung auftreten müßte, und die es zustande
bringt, dieser Wahrnehmung die Aufmerksamkeit zu ent- ziehen, wenn
sie doch aufgetaucht ist. Französische Autoren (Laforgue) haben kürzlich
diese Leistung der Hysterie durch den besonderen Namen ‚Skotomisation
ausgezeichnet. Noch auffälliger als bei Hysterie ist diese Technik der
Gegenbesetzung bei den Phobien, deren Interesse sich darauf
konzentriert, sich immer weiter von der Möglichkeit der gefürch-
teten Wahrnehmung zu entfernen. Der Gegensatz in der Richtung der
Gegenbesetzung zwischen Hysterie und Phobien einerseits und Zwangsneurose
ander- seits scheint bedeutsam, wenn er auch kein absoluter ist. Er
legt uns nahe anzunehmen, dafs zwischen der Verdrängung und der äußeren
Gegenbesetzung, wie zwischen der Regression und der inneren Gegen-
besetzung (Ichveränderung durch Reaktionsbildung) ein innigerer
Zusammenhang besteht. Die Abwehr der gefährlichen Wahrnehmung ist
übrigens eine allgemeine Aufgabe der Neurosen. Verschiedene Gebote
und Verbote der Zwangsneurose sollen der gleichen Ab- sicht
dienen. Wir haben uns früher einmal klargemacht, dafs der
Widerstand, den wir in der Analyse zu über- winden haben, vom Ich
geleistet wird, das an seinen Gegenbesetzungen festhält. Das Ich hat es schwer,
seine Aufmerksamkeit Wahrnehmungen und Vorstel- lungen zuzuwenden, deren
Vermeidung es sich bisher zur Vorschrift gemacht hatte, oder Regungen als
die seinigen anzuerkennen, die den vollsten Gegensatz zu den ihm
als eigen vertrauten bilden. Unsere Bekämp- fung des Widerstandes in der
Analyse gründet sich auf eine solche Auffassung desselben. Wir
machen den Widerstand bewufst, wo er, wie so häufig, infolge des
Zusammenhanges mit dem Verdrängten selbst unbewußt ist; wir setzen ihm
logische Argumente ent- gegen, wenn oder nachdem er bewußt geworden
ist, versprechen dem Ich Nutzen und Prämien, wenn es auf den
Widerstand verzichtet. An dem Widerstand des Ichs ist also nichts zu
bezweifeln oder zu be- richtigen. Dagegen fragt es sich, ob er allein
den Sachverhalt deckt, der uns in der Analyse entgegen- tritt. Wir
machen die Erfahrung, daß das Ich noch immer Schwierigkeiten findet, die
Verdrängungen rück- gängig zu machen, auch nachdem es den Vorsatz
gefaßt hat, seine Widerstände aufzugeben, und haben die Phase
anstrengender Bemühung, die nach solchem löblichen Vorsatz folgt, als die
des Durcharbeitens bezeichnet. Es liegt nun nahe, das dynamische Moment
anzuerkennen, das ein solches Durcharbeiten notwendig und verständlich
macht. Es kann kaum anders sein, als dafß® nach Aufhebung des
Ichwiderstandes noch die Macht des Wiederholungszwanges, die
Anziehung der unbewußstten Vorbilder auf den verdrängten Trieb-
vorgang, zu überwinden ist, und es ist nichts dagegen zu sagen, wenn man
dies Moment als den Wider- stand des Unbewußten bezeichnen will.
Lassen wir uns solche Korrekturen nicht verdrießen; sie sind
erwünscht, wenn sie unser Verständnis um ein Stück fördern, und keine
Schande, wenn sie das frühere nicht widerlegen, sondern bereichern,
eventuell eine Allgemeinheit einschränken, eine zu enge Auffassung
erweitern. Es ist nicht anzunehmen, daß wir durch diese
Korrektur eine vollständige Übersicht über die Arten der uns in der
Analyse begegnenden Widerstände gewonnen haben. Bei weiterer Vertiefung
merken wir vielmehr, daß wir fünf Arten des Widerstandes zu
bekämpfen haben, die von drei Seiten herstammen, nämlich vom Ich, vom Es
und vom Über-Ich, wobei sich das Ich als die Quelle von drei in ihrer
Dynamik unterschiedenen Formen erweist. Der erste dieser drei
Ichwiderstände ist der vorhin behandelte Ver- drängungswiderstand, über
den am wenigsten Neues zu sagen ist. Von ihm sondert sich der Über-
tragungswiderstand, der von der gleichen Natur ist, aber in der Analyse
andere und weit deutlichere Erscheinungen macht, da es ihm gelungen ist,
eine Beziehung zur analytischen Situation oder zur Person des
Analytikers herzustellen und somit eine Ver- drängung, die blof3 erinnert
werden sollte, wieder wie frisch zu beleben. Auch ein Ichwiderstand, aber
ganz anderer Natur, ist jener, der vom Krankheitsgewinn ausgeht und
sich auf die Einbeziehung des Symptoms ins Ich gründet. Er entspricht dem
Sträuben gegen den Verzicht auf eine Befriedigung oder
Erleichterung. Die vierte Art des Widerstandes den des Es haben wir
eben für die Notwendigkeit des Durcharbeitens verantwortlich gemacht. Der
fünfte Wider- stand, der des Über-Ichs, der zuletzt erkannte,
dunkelste, aber nicht immer schwächste, scheint dem Schuldbewußtsein oder
Strafbedürfnis zu entstammen; er widersetzt sich jedem Erfolg und demnach
auch der Genesung durch die Analyse. Angst aus Umwandlung von
Libido Die in diesem Aufsatz vertretene Auffassung der Angst
entfernt sich ein Stück weit von jener, die mir bisher berechtigt schien.
Früher betrachtete ich die Angst als eine allgemeine Reaktion des Ichs
unter den Bedingungen der Unlust, suchte ihr Auftreten jedesmal
ökonomisch zu rechtfertigen und nahm an, gestützt auf die Untersuchung
der Aktualneurosen, daß Libido (sexuelle Erregung), die vom Ich
abge- lehnt oder nicht verwendet wird, eine direkte Abfuhr in der
Form der Angst findet. Man kann es nicht übersehen, daß diese
verschiedenen Bestimmungen nicht gut zusammengehen, zum mindesten nicht
not- wendig aus einander folgen. Überdies ergab sich der Anschein
einer besonders innigen Beziehung von Angst und Libido, die wiederum mit
dem Allgemeincharakter der Angst als Unlustreaktion nicht
harmonierte. Der Einspruch gegen diese Auffassung ging von
der Tendenz aus, das Ich zur alleinigen Angststätte zu machen, war also
eine der Folgen der im ‚Ich und Es‘ versuchten Gliederung des seelischen
Apparates. Der früheren Auffassung lag es nahe, die Libido der
verdrängten Triebregung als die Quelle der Angst zu betrachten; nach der
neueren hatte vielmehr das Ich für diese Angst aufzukommen. Also Ichangst
oder Trieb-(Es-)Angst. Da das Ich mit desexualisierter Energie
arbeitet, wurde in der Neuerung auch der intime Zusammenhang von Angst
und Libido gelockert. Ich hoffe, es ist mir gelungen, wenigstens den
Wider- spruch klar zu machen, die Umrisse der Unsicherheit scharf
zu zeichnen. Die Ranksche Mahnung, der Angstaffekt sei, wie ich
selbst zuerst behauptete, eine Folge des Geburtsvorganges und eine
Wiederholung der damals durchlebten Situation, nötigte zu einer
neuerlichen Prüfung des Angstproblems. Mit seiner eigenen Auf-
fassung der Geburt als Trauma, des Angstzustandes als Abfuhrreaktion
darauf, jedes neuerlichen Angst- affekts als Versuch, das Trauma immer
vollständiger „abzureagieren“, konnte ich nicht weiter kommen. Es
ergab sich die Nötigung, von der Angstreaktion auf die Gefahrsituation
hinter ihr zurückzugehen. Mit der Einführung dieses Moments ergaben
sich neue Gesichtspunkte für die Betrachtung. Die Geburt wurde das
Vorbild für alle späteren Grefahrsituationen, die sich unter den neuen
Bedingungen der veränderten Existenzform und der fortschreitenden
psychischen Entwicklung ergaben. Ihre eigene Bedeutung wurde aber
auch auf diese vorbildliche Beziehung zur Gefahr eingeschränkt. Die bei
der Geburt empfundene Angst wurde nun das Vorbild eines Affektzustandes,
der die Schicksale anderer Affekte teilen mußte. Er reprodu- zierte
sich entweder automatisch in Situationen, die seinen Ursprungssituationen
analog waren, als unzweck- mäßige Reaktionsform, nachdem er in der
ersten Gefahrsituation zweckmäßig gewesen war. Oder das Ich bekam
Macht über diesen Affekt und reproduzierte ihn selbst, bediente sich
seiner als Warnung vor der Gefahr und als Mittel, das Eingreifen des
Lust-Unlust- mechanismus wachzurufen. Die biologische Bedeutung des
Angstaffekts kam zu ihrem Recht, indem die Angst als die allgemeine
Reaktion auf die Situation der Gefahr anerkannt wurde; die Rolle des Ichs
als Angststätte wurde bestätigt, indem dem Ich die Funk- tion
eingeräumt wurde, den Angstaffekt nach seinen Bedürfnissen zu
produzieren. Der Angst wurden so im späteren Leben zweierlei
Ursprungsweisen zuge- wiesen, die eine ungewollt, automatisch, jedesmal
öko- nomisch gerechtfertigt, wenn sich eine Gefahrsituation analog
jener der Geburt hergestellt hatte, die andere, vom Ich produzierte, wenn
eine solche Situation nur drohte, um zu ihrer Vermeidung aufzufordern.
In diesem zweiten Fall unterzog sich das Ich der Angst gleichsam
wie einer Impfung, um durch einen abge- schwächten Krankheitsausbruch
einem ungeschwächten Anfall zu entgehen. Es stellte sich gleichsam die
Ge- fahrsituation lebhaft vor, bei unverkennbarer Tendenz, dies
peinliche Erleben auf eine Andeutung, ein Signal, zu beschränken. Wie
sich dabei die verschiedenen Grefahrsituationen nacheinander entwickeln
und doch genetisch mit einander verknüpft bleiben, ist bereits im
einzelnen dargestellt worden. Vielleicht gelingt es uns, ein Stück weiter
ins Verständnis der Angst ein- zudringen, wenn wir das Problem des
Verhältnisses zwischen neurotischer Angst und Realangst angreifen.
Die früher behauptete direkte Umsetzung der Libido in Angst ist
unserem Interesse nun weniger bedeut- sam geworden. Ziehen wir sie doch
in Erwägung, so haben wir mehrere Fälle zu unterscheiden. Für die
Angst, die das Ich als Signal provoziert, kommt sie nicht in Betracht;
also auch nicht in all den Gefahr- situationen, die das Ich zur
Einleitung einer Verdrängung bewegen. Die libidinöse Besetzung der ver-
drängten Triebregung erfährt, wie man es am deut- lichsten bei der
Konversionshysterie sieht, eine andere Verwendung als die Umsetzung in
und Abfuhr als Angst. Hingegen werden wir bei der weiteren Dis-
kussion der Gefahrsituation auf jenen Fall der Angst- entwicklung stoßen,
der wahrscheinlich anders zu beurteilen ist. Verdrängung und
Abwehr Im Zusammenhange der Erörterungen über das Angstproblem habe
ich einen Begriff oder bescheidener
ausgedrückt: einen Terminus wieder
auf- Siem. Freud genommen, dessen ich mich zu Anfang meiner
Studien vor dreißig Jahren ausschließend bedient und den ich
späterhin fallen gelassen hatte. Ich meine den des Abwehrvorganges.” Ich
ersetzte ihn in der Folge durch den der Verdrängung, das Verhältnis
zwischen beiden blieb aber unbestimmt. Ich meine nun, es bringt
einen sicheren Vorteil, auf den alten Begriff der Abwehr
zurückzugreifen, wenn man dabei festsetzt, daß er die allgemeine
Bezeichnung für alle die Techniken sein soll, deren sich das Ich in
seinen eventuell zur Neu- rose führenden Konflikten bedient, während
Verdrän- gung der Name einer bestimmten solchen Abwehr- methode
bleibt, die uns infolge der Richtung unserer Untersuchungen zuerst besser
bekannt worden ist. Auch eine bloß terminologische Neuerung will
gerechtfertigt werden, soll der Ausdruck einer neuen Betrachtungsweise
oder einer Erweiterung unserer Ein- sichten sein. Die Wiederaufnahme des
Begriffes Ab- wehr und die Einschränkung des Begriffes der Ver-
drängung trägt nun einer Tatsache Rechnung, die längst bekannt ist, aber
durch einige neuere Funde an Bedeutung gewonnen hat. Unsere ersten
Erfahrungen über Verdrängung und Symptombildung machten wir an der
Hysterie; wir sahen, daß der Wahrnehmungs- inhalt erregender Erlebnisse,
der Vorstellungsinhalt pathogener Gedankenbildungen vergessen und von
der Siehe: Die Abwehr-Neuropsychosen, Ges, Schriften, Bd.
1. Reproduktion im Gedächtnis ausgeschlossen wird, und haben darum
in der Abhaltung vom Bewußtsein einen Hauptcharakter der hysterischen
Verdrängung erkannt. Später haben wir die Zwangsneurose studiert
und gefunden, daß bei dieser Affektion die pathogenen Vorfälle
nicht vergessen werden. Sie bleiben be- wußt, werden aber auf eine noch
nicht vorstellbare Weise ‚isoliert‘, so daß ungefähr der- selbe Erfolg
erzielt wird wie durch die hysterische Amnesie. Aber die Differenz ist
groß genug, um unsere Meinung zu berechtigen, der Vorgang, mittels
dessen die Zwangsneurose einen Triebanspruch be- seitigt, könne nicht der
nämliche sein wie bei Hysterie. Weitere Untersuchungen haben uns
gelehrt, daß bei der Zwangsneurose unter dem Einfluß des
Ichsträubens eine Regression der Triebregungen auf eine frühere
Libidophase erzielt wird, die zwar eine Verdrängung nicht überflüssig
macht, aber offenbar in demselben Sinne wirkt wie die Verdrängung.
Wir haben ferner gesehen, dafß die auch bei Hysterie anzunehmende
Gegenbesetzung bei der Zwangsneurose als reaktive Ichveränderung eine
besonders große Rolle beim Ichschutz spielt, wir sind auf ein Verfahren
der „Isolierung‘‘ aufmerksam worden, dessen Technik wir noch nicht
angeben können, das sich einen direkten symptomatischen Ausdruck schafft,
und auf die magisch zu nennende Prozedur des „Ungeschehenmachens‘, über
deren abweisende Tendenz kein Zweifel sein kann, die Sigm. Freud
aber mit dem Vorgang der ‚Verdrängung‘ keine Ähnlichkeit mehr hat.
Diese Erfahrungen sind Grund genug, den alten Begriff der Abwehr wieder
einzu- setzen, der alle diese Vorgänge mit gleicher Tendenz Schutz des
Ichs gegen Triebansprüche umfassen kann, und ihm die Verdrängung als
einen Spezialfall zu subsumieren. Die Bedeutung einer solchen
Namen- gebung wird erhöht, wenn man die Möglichkeit erwägt, daf3
eine Vertiefung unserer Studien eine innige Zu- sammengehörigkeit
zwischen besonderen Formen der Abwehr und bestimmten Affektionen ergeben
könnte, z. B. zwischen Verdrängung und Hysterie. Unsere Erwartung
richtet sich ferner auf die Möglichkeit einer anderen bedeu samen
Abhängigkeit. Es kann leicht sein, daßß der seelische Apparat vor der
scharfen Sonderung von Ich und Es, vor der Ausbildung eines
Über-Ichs, andere Methoden der Abwehr übt als nach der Erreichung dieser
Organisationsstufen. Der Angstaffekt zeigt einige Züge, deren
Unter- suchung weitere Aufklärung verspricht. Die Angst hat eine
unverkennbare Beziehung zur Erwartung; sie ist Angst vor etwas. Es haftet
ihr ein Charakter von Unbestimmtheit und Objektlosigkeit an; der
Femmung, korrekte Sprachgebrauch ändert selbst ihren Namen, wenn
sie ein Objekt gefunden hat, und ersetzt ihn dann durch Furcht. Die Angst
hat ferner außer ihrer Beziehung zur Gefahr eine andere zur Neurose,
um deren Aufklärung wir uns seit langem bemühen. Es entsteht die
Frage, warum nicht alle Angstreaktionen neurotisch sind, warum wir so
viele als normal aner- kennen; endlich verlangt der Unterschied von
Real- angst und neurotischer Angst nach gründlicher Wür-
digung. Gehen wir von der letzteren Aufgabe aus. Unser
Fortschritt bestand in dem Rückgreifen von der Re- aktion der Angst auf
die Situation der Gefahr. Nehmen wir dieselbe Veränderung an dem Problem
der Realangst vor, so wird uns dessen Lösung leicht. Realgefahr ist
eine Gefahr, die wir kennen, Realangst die Angst vor einer solchen
bekannten Gefahr. Die neurotische Angst ist Angst vor einer Gefahr, die
wir nicht kennen. Die neurotische Gefahr mufs also erst gesucht
werden; die Analyse hat uns gelehrt, sie ist eine Triebgefahr. Indem wir
diese dem Ich unbe- kannte Gefahr zum Bewußtsein bringen,
verwischen wir den Unterschied zwischen Realangst und neuro-
tischer Angst, können wir die letztere wie die erstere behandeln.
In der Realgefahr entwickeln wir zwei Reaktionen, die affektive,
den Angstausbruch, und die Schutz- handlung. Voraussichtlich wird bei der
Triebgefahr dasselbe geschehen. Wir kennen den Fall des zweck-
mäfßligen Zusammenwirkens beider Reaktionen, indem die eine das Signal
für das Einsetzen der anderen gibt, aber auch den unzweckmäfßligen Fall,
den der Angstlähmung, daß die eine sich auf Kosten der anderen
ausbreitet. Es gibt Fälle, in denen sich die Charaktere von
Realangst und neurotischer Angst vermengt zeigen. Die Gefahr ist bekannt
und real, aber die Angst vor ihr übermäßig groß, größer als sie nach
unserem Urteil sein dürfte. In diesem Mehr verrät sich das
neurotische Element. Aber diese Fälle bringen nichts prinzipiell
Neues. Die Analyse zeigt, daß an die bekannte Real- gefahr eine
unerkannte Triebgefahr geknüpft ist. Wir kommen weiter, wenn wir
uns auch mit der Zurückführung der Angst auf die Gefahr nicht begnügen.
Was ist der Kern, die Bedeutung der Gefahrsituation? Offenbar die
Einschätzung unserer Stärke im Vergleich zu ihrer Größe, das
Zugeständnis unserer Hilflosigkeit gegen sie, der materiellen Hilf-
losigkeit im Falle der Realgefahr, der psychischen Hilf- losigkeit im
Falle der Triebgefahr. Unser Urteil wird dabei von wirklich gemachten
Erfahrungen geleitet werden; ob es sich in seiner Schätzung irrt, ist
für den Erfolg gleichgültig. Heißen wir eine solche erlebte
Situation von Hilflosigkeit eine traumatische; wir haben dann guten
Grund, die traumatische Situation von der Gefahrsituation zu
trennen. Es ist nun ein wichtiger Fortschritt in unserer Selbstbewahrung,
wenn eine solche traumatische Situa- tion von Hilflosigkeit nicht
abgewartet, sondern vorhergesehen, erwartet, wird. Die Situation, in der die
Bedingung für solche Erwartung enthalten ist, heiße die Gefahrsituation,
in ihr wird das Angstsignal gegeben. Dies will besagen: ich erwarte, daß
sich eine Situation von Hilflosigkeit ergeben wird, oder die
gegenwärtige Situation erinnert mich an eines der früher erfahrenen
traumatischen Erlebnisse. Daher antizipiere ich dieses Trauma, will mich
benehmen, als ob es schon da wäre, solange noch Zeit ist, es abzuwenden.
Die Angst ist also einerseits Erwartung des Traumas, anderseits eine
gemilderte Wiederholung desselben. Die beiden Charaktere, die uns an der
Angst aufgefallen sind, haben also verschiedenen Ursprung. Ihre Beziehung
zur Erwartung gehört zur Gefahrsituation, ihre Unbestimmtheit und
ÖObjektlosigkeit zur traumatischen Situation der Hilflosigkeit, die in
der Grefahrsituation antizipiert wird. Nach der Entwicklung der
Reihe: Angst Gefahr Hilflosigkeit (Trauma) können wir
zusammenfassen: Die Gefahrsituation ist die erkannte, erinnerte,
erwartete Situation der Hilflosigkeit. Die Angst ist die ursprüngliche
Reaktion auf die Hilflosigkeit im Trauma, die dann später in der
Gefahrsituation als Hilfssignal reproduziert wird. Das Ich, welches das
Trauma passiv erlebt hat, wiederholt nun aktiv eine
abgeschwächte Reproduktion desselben, in der Hoffnung, deren Ab-
lauf selbsttätig leiten zu können. Wir wissen, das Kind benimmt sich
ebenso gegen alle ihm peinlichen Eindrücke, indem es sie im Spiel reproduziert;
durch diese Art von der Passivität zur Aktivität überzugehen, sucht es
seine Lebenseindrücke psychisch zu bewältigen. Wenn dies der Sinn eines
„Abreagierens des Traumas‘ sein soll, so kann man nichts mehr dagegen
einwenden. Das Entscheidende ist aber die erste Verschiebung der
Angstreaktion von ihrem Ur- sprung in der Situation der Hilflosigkeit auf
deren Erwartung, die Gefahrsituation. Dann folgen die weiteren
Verschiebungen von der Gefahr auf die Bedingung der Gefahr, den
Objektverlust und dessen schon erwähnte Modifikationen. Die
„Verwöhnung‘“ des kleinen Kindes hat die uner- wünschte Folge, daß die
Gefahr des Objektverlustes das Objekt als Schutz gegen alle Situationen
der Hilflosigkeit gegen alle anderen
Gefahren über- steigert wird. Sie begünstigt also die Zurückhaltung
in der Kindheit, der die motorische wie die psychische Hilflosigkeit
eigen sind. Wir haben bisher keinen Anlaß gehabt, die
Realangst anders zu betrachten als die neurotische Angst. Wir kennen den
Unterschied; die Realgefahr droht von einem äußeren Objekt, die
neurotische von einem Triebanspruch. Insoferne dieser Triebanspruch etwas
Reales ist, kann auch die neurotische Angst als real begründet anerkannt
werden. Wir haben verstanden, daß der Anschein einer be- sonders
intimen Beziehung zwischen Angst und Neurose sich auf die Tatsache zurückführt,
daß das Ich sich mit Hilfe der Angstreaktion der Triebgefahr ebenso
erwehrt wie der äußeren Realgefahr, daß aber diese Richtung der
Abwehrtätigkeit infolge einer Unvollkommenheit des seelischen Apparats in
die Neurose ausläuft. Wir haben auch die Überzeugung gewonnen, dafs
der Triebanspruch oft nur darum zur (inneren) Gefahr wird, weil seine
Befriedigung eine äußere Gefahr herbeiführen würde, also weil diese
innere Gefahr eine äußere repräsentiert. Anderseits muß auch die
äußere (Real-) Gefahr eine Verinnerlichung gefunden haben, wenn sie für
das Ich bedeutsam werden soll; sie muf3 in ihrer Beziehung zu einer
erlebten Situation von Hilflosigkeit erkannt werden." Eine
instinktive Erkenntnis von aufSen drohen- der Gefahren scheint dem
Menschen nicht oder nur in sehr bescheidenem Ausmaf3 mitgegeben worden
zu [Es mag auch oft genug vorkommen, daß in einer Gefahrsituation,
die als solche richtig geschätzt wird, zur Realangst ein Stück Trieb-
angst hinzukommt. Der Triebanspruch, vor dessen Befriedigung das Ich
zurückschreckt, wäre dann der masochistische, der gegen die eigene Person
gewendete Destruktionstrieb. Vielleicht erklärt diese Zutat den Fall, daß
die Angstreaktion übermäßig und unzweckmäßig, lähmend, ausfällt. Die
Höhenphobien (Fenster, Turm, Abgrund) könnten diese Herkunft haben; ihre
geheime feminine Bedeutung steht dem Masochismus nahe.
Freud: Hemmung, Symptom und Angst Siem. Freud sein. Kleine
Kinder tun unaufhörlich Dinge, die sie in Lebensgefahr bringen, und
können gerade darum das schützende Objekt nicht entbehren. In der
Beziehung zur traumatischen Situation, gegen die man hilflos ist,
treffen äußere und innere Gefahr, Realgefahr und Triebanspruch zusammen.
Mag das Ich in dem einen Falle einen Schmerz, der nicht aufhören will,
erleben, im. anderen Falle eine Bedürfnisstauung, die keine
Befriedigung finden kann, die ökonomische Situation ist für beide Fälle
die nämliche und die motorische Hilflosigkeit findet in der psychischen
Hilflosigkeit ihren Ausdruck. Die rätselhaften Phobien der
frühen Kinderzeit verdienen an dieser Stelle nochmalige Erwähnung. Die
einen von ihnen — Alleinsein, Dunkelheit, fremde Personen — konnten wir
als Reaktionen auf die Gefahr des Objektverlusts verstehen; für andere
— kleine Tiere, Gewitter u. dgl. — bietet sich vielleicht die
Auskunft, sie seien die verkümmerten Reste einer kongenitalen
Vorbereitung auf die Realgefahren, die bei anderen Tieren so deutlich
ausgebildet ist. Für den Menschen zweckmäßig ist allein der Anteil
dieser archaischen Erbschaft, der sich auf den Objektverlust
bezieht. Wenn solche Kinderphobien sich fixieren, stärker werden und bis
in späte Lebensjahre anhalten, weist die Analyse nach, daf ihr Inhalt
sich mit Trieb- ansprüchen in Verbindung gesetzt hat, zur
Vertretung auch innerer Gefahren geworden ist. Zur Psychologie der
Gefühlsvorgänge liegt so wenig vor, daf$ die nachstehenden schüchternen
Bemer- kungen auf die nachsichtigste Beurteilung Anspruch erheben
dürfen. An folgender Stelle erhebt sich für uns das Problem. Wir mufsten
sagen, die Angst werde zur Reaktion auf die Gefahr des Objektverlusts.
Nun kennen wir bereits eine solche Reaktion auf den Objektverlust,
es ist die Trauer. Also wann kommt es zur einen, wann zur anderen? An der
Irauer, mit der wir uns bereits früher beschäftigt haben,’ blieb
ein Zug völlig unverstanden, ihre besondere Schmerz- lichkeit. Daß die
Trennung vom Objekt schmerzlich ist, erscheint uns trotzdem
selbstverständlich. Also kompliziert sich das Problem weiter: Wann
macht die Trennung vom Objekt Angst, wann Trauer und wann
vielleicht nur Schmerz? Sagen wir es gleich, es ist keine Aussicht
vor- handen, Antworten auf diese Fragen zu geben. Wir werden uns
dabei bescheiden, einige Abgrenzungen und einige Andeutungen zu
finden. Unser Ausgangspunkt sei wiederum die eine Situation,
die wir zu verstehen glauben, die des Säug- lings, der anstatt seiner
Mutter eine fremde Person erblickt. Er zeigt dann die Angst, die wir auf
die ı) S. Trauer und Melancholie, Ges. Schriften, Bd. V. 193
Siem. Freud Gefahr des Objektverlustes gedeutet haben. Aber sie
ist wohl komplizierter und verdient eine eingehendere Diskussion. An der
Angst des Säuglings ist zwar kein Zweifel, aber Gesichtsausdruck und die
Reaktion des Weinens lassen annehmen, daß er außerdem noch Schmerz
empfindet. Es scheint, daß bei ihm einiges zusammenflieft, was später
gesondert werden wird. Er kann das zeitweilige Vermissen und den
dauernden Verlust noch nicht unterscheiden; wenn er die Mutter das
eine Mal nicht zu Gesicht bekommen hat, benimmt er sich so, als ob er sie
nie wieder sehen sollte, und es bedarf wiederholter tröstlicher
Erfahrungen, bis er gelernt hat, daf3 auf ein solches Verschwinden
der Mutter ihr Wiedererscheinen zu folgen pflegt. Die Mutter reift
diese für ihn so wichtige Erkenntnis, indem sie das bekannte Spiel mit
ihm aufführt, sich vor ihm das Gesicht zu verdecken und zu seiner
Freude wieder zu enthüllen. Er kann dann sozusagen Sehnsucht empfinden,
die nicht von Verzweiflung begleitet ist. Die Situation, in
der er die Mutter vermißt, ist infolge seines Mißverständnisses für ihn
keine Gefahr- situation, sondern eine traumatische, oder richtiger,
sie ist eine traumatische, wenn er in diesem Moment ein Bedürfnis
verspürt, das die Mutter befriedigen soll; sie wandelt sich zur Gefahrsituation,
wenn dies Bedürfnis nicht aktuell ist. Die erste Angstbedingung,
die das Ich selbst einführt, ist also die des Wahr- Memmung,
Symptom und Angst 133 nehmungsverlustes, die der des
Objektverlustes gleich- gestellt wird. Ein Liebesverlust kommt noch nicht
in Betracht. Später lehrt die Erfahrung, dafs das Objekt vorhanden
bleiben, aber auf das Kind böse geworden sein kann, und nun wird der
Verlust der Liebe von seiten des Objekts zur neuen, weit
beständigeren Gefahr und Angstbedingung. Die traumatische Situation des Vermissens der Mutter weicht in einem
entscheidenden Punkte von der traumatischen Situation der Geburt ab.
Damals war kein Objekt vorhanden, das vermifst werden konnte. Die
Angst blieb die einzige Reaktion, die zu- stande kam. Seither haben
wiederholte Befriedigungs- situationen das Objekt der Mutter geschaffen,
das nun im Falle des Bedürfnisses eine intensive, „sehn- süchtig‘
zu nennende Besetzung erfährt. Auf diese Neuerung ist die Reaktion des
Schmerzes zu beziehen. Der Schmerz ist also die eigentliche Reaktion auf
den Objektverlust, die Angst die auf die Gefahr, welche dieser Verlust
mit sich bringt, in weiterer Verschiebung auf die Gefahr des
Objektverlustes selbst. Auch vom Schmerz wissen wir sehr wenig.
Den einzig sicheren Inhalt gibt die Tatsache, dafßß der Schmerz zunächst und in der Regel entsteht, wenn ein an der Peripherie
angreifender Reiz die Vorrichtungen des Reizschutzes durchbricht und
nun wie ein kontinuierlicher Triebreiz wirkt, gegen den die sonst
wirksamen Muskelaktionen, welche die gereizte Stelle dem Reiz entziehen,
ohnmächtig bleiben. Wenn der Schmerz nicht von einer Hautstelle, sondern
von einem inneren Organ ausgeht, so ändert das nichts an der
Situation; es ist nur ein Stück der inneren Peripherie an die Stelle der
äufseren getreten. Das Kind hat offenbar Gelegenheit, solche
Schmerzerlebnisse zu machen, die unabhängig von seinen Bedürfnis-
erlebnissen sind. Diese Entstehungsbedingung des Schmerzes scheint aber
sehr wenig Ähnlichkeit mit einem Objektverlust zu haben, auch ist das für
den Schmerz wesentliche Moment der peripherischen Reizung in der
Sehnsuchtssituation des Kindes völlig entfallen. Und doch kann es nicht
sinnlos sein, dafs die Sprache den Begriff des inneren, des
seelischen, Schmerzes geschaffen hat und die Empfindungen des
Objektverlusts durchaus dem körperlichen Schmerz gleichstellt.
Beim körperlichen Schmerz entsteht eine hohe, narzißßtisch zu
nennende Besetzung der schmerzenden Körperstelle, die immer mehr zunimmt
und sozusagen entleerend auf das Ich wirkt. Es ist bekannt, daf
wir, bei Schmerzen in inneren Organen, räumliche und andere
Vorstellungen von solchen Körperteilen bekommen, die sonst im bewußten
Vorstellen gar nicht vertreten sind. Auch die merkwürdige Tatsache, dafs
die intensivsten Körperschmerzen bei psychischer Ablenkung durch ein
andersartiges Interesse nicht zu- stande kommen: (man darf hier nicht
sagen; unbewußt FHemmung, Symptom und Angst bleiben), findet in der
Tatsache der Konzentration der Besetzung auf die psychische Repräsentanz
der schmerzenden Körperstelle ihre Erklärung. Nun scheint in diesem
Punkt die Analogie zu liegen, die die Übertragung der Schmerzempfindung
auf das seelische (sebiet gestattet hat. Die intensive, infolge
ihrer Unstillbarkeit stets anwachsende Sehnsuchtsbesetzung des
vermißten (verlorenen) Objektes schafft die- selben ökonomischen
Bedingungen wie die Schmerz- besetzung der verletzten Körperstelle und
macht es möglich, von der peripherischen Bedingtheit des Körper-
schmerzes abzusehen! Der Übergang vom Körper- schmerz zum Seelenschmerz
entspricht dem Wandel von narzißtischer zur Objektbesetzung. Die vom
Be- dürfnis hochbesetzte Objektvorstellung spielt die Rolle der von
dem Reizzuwachs besetzten Körperstelle. Die Kontinuität und Unhemmbarkeit
des Besetzungs- vorganges bringen den gleichen Zustand der psychischen
Hilflosigkeit hervor. Wenn die dann entstehende Unlustempfindung den
spezifischen, nicht näher zu beschreibenden Charakter des Schmerzes trägt,
anstatt sich in der Reaktionsform der Angst zu äußern, so liegt es
nahe, dafür ein Moment verantwortlich zu machen, das sonst von der
Erklärung noch zu wenig in Anspruch genommen wurde, das hohe Niveau
der Besetzungs- und Bindungsverhältnisse, auf dem sich diese zur
Unlustempfindung führenden Vorgänge vollziehen. Siem. Freud Wir kennen
noch eine andere Gefühlsreaktion auf den Objektverlust, die Trauer. Ihre
Erklärung bereitet aber keine Schwierigkeiten mehr. Die Trauer
entsteht unter dem Einfluß der Realitätsprüfung, die kate- gorisch
verlangt, daß man sich von dem Objekt trennen müsse, weil es nicht mehr
besteht. Sie hat nun die Arbeit zu leisten, diesen Rückzug vom Objekt
in all den Situationen durchzuführen, in denen das Objekt Gegenstand
hoher Besetzung war. Der schmerz- liche Charakter dieser Trennung fügt
sich dann der eben gegebenen Erklärung durch die hohe und un-
erfüllbare Sehnsuchtsbesetzung des Objekts während der Reproduktion der
Situationen, in denen die Bindung an das Objekt gelöst werden
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u. Massimo Bontempelli. Keywords: il sintomo, “la filosofia pre-platonica
secondo Diogene”, “il viaggio di Platone in Italia”, “Il parricidio parminedeo
di Platone”, “il platonismo latino” “Boezio e l’aristotelismo”, “ficino”,
“telesio e campanella”, “galilei”, “storia e ragione in Vico” “Hegelianismo
italiano” “Vera”, “Spaventa” “Jaja” – “idealism italiano” “Croce” “Gentile” “il
concetto di stato in Gentile” “Severino e il neo-parmenedismo”, Vattimo e
l’implicatura debole, la debolezza della communicazione in Eco”, implicatura
sintomatica, sintoma. “feudalesimo ario”
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bomtempelli” – The Swimming-Pool Library. Bontempelli.
Grice
e Bonvecchio: la ragione conversazionale el’implicatura conversazionale di Dumezil
e Marte – la scoperta di 1992 dei delinquenti – al Quirinale -- guerriero – la
triada Giove Marte Giano -- marziale – scuola di Pavia – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Pavia). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Pavia, Lombardia. Grice:
“Bonvecchio is a good one; of course, he has philosophised on what Italian
philosophers have philosophised most: ‘e amore’ – only he calls it eros
--.” “This is strange: this Italian
fascination with the Hellenism: one BAD thing about the Hellenic or Grecian
lingo is that they have FOUR words for ‘love’: philos, eros, agape, charitas –
Cicero followed William of Ockham’s razor, ‘do nott multiply words’ – and
translated them all by ‘amore’ – Now, with Bonvecchio, it’s not just, as with
Tonny Bennett, just ‘amore,’ – iit’s amore ‘come simbolo’, that is, as used in
communication – as per Socrates with Alcebiades – the daemon, Amore, is the
metaxu – so there is a communication of Apollo and Dioniso via love – all VERY
philosophical, and actually very Oxonian – vide Walter Pater!” Laureatosi in Filosofia Teoretica presso l'Pavia inizia la
sua carriera accademica come borsista, contrattista e ricercatore presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia della stessa Università. Insegna "Filosofia
della Politica" nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli
Studi di Palermo. Nello stesso ambito dottrinale insegna nel 1990
nell'Università degli Studi di Trieste sino al 2001. Da questo stesso anno è Professore
di Filosofia delle Scienze Sociali nel Corso di Laurea di Scienze della
Comunicazione della Facoltà di Scienze MM. FF. NN. dell'Università degli Studi
dell'Insubria dove dal 2003 diviene vicedirettore del Dipartimento di
Informatica e Comunicazione. Claudio
Bonvecchio è stato iniziato alla Massoneria presso la loggia del Grande Oriente
d'Italia Cardano di Pavia, dove ha ricoperto varie cariche. Grande Oratore del
Grande Oriente d'Italia in seno alla Giunta guidata dal Gran Maestro Stefano
Bisi, nel è stato eletto Gran Maestro
aggiunto. Dal 5 dicembre è componente del Cda della Fondazione Luigi
Einaudi Onlus. Altre opere: Particolarmente
dedito agli studi sulla simbologia e sulla mitologia politica. “Immagine del
politico. Saggi su simbolo e mito politico” (Milani, Padova); “Imago imperii
imago mundi” (Milani, Padova); “L'ombra del potere. Il lato oscuro della
società: elogio del politicamente scorretto” (Red, Como); “La lanza di Marte; o
il simbolico nella guerra” (Milani, Padova). “La spada e la corona: studi di
simbolica politica” (Barbarossa, Milano); Gli’arconti di questo mondo. Gnosi:
politica e diritto” (Edizioni Trieste, Trieste); “Il pensiero forte, Settimo
Sigillo, Roma); “Apologia dei doveri dell'uomo” (Terziaria, Milano); “La
maschera e l'uomo” (Franco Angeli, Milano); “Il coraggio di essere” (Dadò,
Lugano); “Europa degli Eroi Europa dei mercanti. Itinerari di ribellione”
(Settimo Sigillo, Roma); “Inquietudine e verità” (Giappichelli, Torino); “Dove
va l'idea di Tradizione” (Settimo Sigillo, Roma); “Il sacro e la cavalleria”
(Mimesis Edizioni, Milano); “Esoterismo e Massoneria, Mimesis Edizioni,
Milano); “I Viaggi dei Filosofi” (Mimesis Edizioni, Milano); “La Filosofia del
Signore degli Anelli” (Mimesis Edizioni, Milano); “Ripensare l'identità. Per
una geopolitica dell'anima europea” (Settimo Sigillo, Roma); “Il Cavaliere, la
Morte e il Diavolo. Un percorso nella post-modernità” (ScriptaWeb, Napoli); “La
Magia e il Sacro: saggi Inattuali” (Mimesis Edizioni); “Eros come simbolo”
(Amore, Cupido). AlboVersorio, Milano); L'orologio dell'Apocalisse. La fine del
mondo e la filosofia” (AlboVersorio, Milano,. Scritti in onore Simboli,
politica e potere. Scritti in onore di Claudio Bonvecchio, Paolo Bellini,
Fabrizio Sciacca ed Erasmo S. Storace, AlboVersorio, Milano. Università
dell'Insubria[collegamento interrotto]
Grande Oriente d'Italia Convegno
a Matera: Europa, Libera muratoria, cultura
Claudio Bonvecchio scheda nel sito dell'Università degli Studi
dell'Insubria. Filosofia Filosofo del XX
secoloFilosofi italiani Professore1947 20 gennaio PaviaMassoni. The Archaic Triad is a hypothetical divine triad, consisting of
the three allegedly original deities worshipped on the Capitoline Hill in Rome:
Jupiter, Mars and Quirinus.[1] This structure was no longer clearly detectable
in later times, and only traces of it have been identified from various
literary sources and other testimonies. Many scholars dispute the validity of
this identification. Description Edit Georg Wissowa, in his manual of the
Roman religion, identified the structure as a triad on the grounds of the
existence in Rome of the three flamines maiores, who carry out service to these
three gods. He remarked that this triadic structure looks to be predominant in
many sacred formulae which go back to the most ancient period and noted its
pivotal role in determining the ordo sacerdotum, the hierarchy of dignity of
Roman priests: Rex Sacrorum, Flamen Dialis, Flamen Martialis, Flamen Quirinalis
and Pontifex Maximus in order of decreasing dignity and importance. He remarks that
since such an order no longer reflected the real influence and relationships of
power among priests in the later times, it should have reflected a hierarchy of
the earliest phase of Roman religion. Wissowa identified the presence of such a
triad also in the Umbrian ritual of Iguvium where only Iove, Marte and Vofionus
are granted the epithet of Grabovius and the fact that in Rome the three
flamines maiores are all involved in a peculiar way in the cult of goddess
Fides. However Wissowa did not pursue further the analysis of the meaning and
function of the structure (which he called Göttersystem) he had
identified. Dumézil's analysis Edit Georges Dumézil in various works,
particularly in his Archaic Roman Religion advanced the hypothesis that this
triadic structure was a relic of a common Proto-Indo-European religion, based
on a trifunctional ideology modelled on the division of that archaic society.
The highest deity would thus be a heavenly sovereign endowed with religious,
magic and legal powers and prerogatives (connected and related to the king and
to priestly sacral lore in human society), followed in order of dignity by the
deity representing braveness and military prowess (connected and related to a
class of warriors) and lastly a deity representing the common human worldly
values of wealth, fertility, and pleasure (connected and related to a class of
economic producers). According to the hypothesis, such a tripartite structure
must have been common to all Indoeuropean peoples on accounts of its widespread
traces in religion and myths from India to Scandinavia, and from Rome to
Ireland. However it had disappeared from most societies since prehistoric
times, with the notable exception of India. In Vedic religion the
sovereign function was incarnated by Dyaus Pita and later appeared split into
its two aspects of uncanny and awe inspiring almighty power incarnated by
Varuna and of source and guardian of justice and compacts incarnated by Mitra.
Indraincarnated the military function and the twins Ashvins(or Nasatya) the
function of production, wealth, fertility and pleasure. In human society the
raja and the class of the brahmin priests represented the first function (and
enjoyed the highest dignity), the warrior class of the kshatriya represented
the second function and the artisan and merchant class of the vaishya the
third. Similarly in Rome Jupiter was the supreme ruler of the heavens and
god of thunder, represented on earth by the rex, king (later the rex sacrorum)
and his substitute, the Flamen Dialis, the legal aspect of sovereignty being
incarnated also by Dius Fidius, Mars was the god of military prowess and a war
deity, represented by his flamen Martialis; and Quirinus the enigmatic god of
the Roman populus ("people") organised in the curiae as a civilian
and productive force, represented by the Flamen Quirinalis. Apart than
from the analysis of the texts already collected by Wissowa, Dumezil stressed
the importance of the tripartite plan of the regia, the cultic centre of Rome
and official residence of the rex. As recorded by sources and confirmed by
archeological data it was devised to lodge the three major deities Iupiter,
Mars, and Ops, the deity of agricultural plenty, in three separate rooms.
The cult of Fides involved the three Flamines Maiores: they were carried to the
sacellum of the deity together in a covered carriage and officiated with their
right hand wrapped up to the fingers in a piece of white cloth. The association
with the deity that founded divine order (Fides is associated with Iupiter in
his function of guardian of the supreme juridical order) underlines the mutual
interconnections among them and of the gods they represented with the supreme
heavenly order, whose arcane character was represented symbolically in the
hidden character of the forms of the cult. The spolia opima were
dedicated by the person who had killed the king or chief of the enemy in
battle. They were dedicated to Jupiter in case the Roman was a king or his equivalent
(consul, dictator or tribunus militum consulari potestate), to Mars in case he
was an officer and to Quirinus in case he was common soldier.[6] The
sacrificial animals too were in each case the ones of the respective deity, i.
e. an ox to Jupiter, solitaurilia to Mars and a male lamb to Quirinus.
Besides Dumézil analysed the cultural functions of the Flamen Quirinalis to
better understand the characters of this deity. One important element was his
officiating on the feriae of the Consualia aestiva ( of the Summer), which
associated Quirinus to the cult of Consus and indirectly of Ops (Ops Consivia).
Other feriae on which this flamen officiated were the Robigalia, the Quirinalia
that Dumezil identifies with the last day of the Fornacalia, also named stultorum
feriae because on that day the people who had forgot to roast their spelt on
the day prescribed by the curio maximus for their own curia were given a last
chance to make amends, and the Larentalia held in memory of Larunda. These
religious duties show Quirinus was a civil god related to the agricultural
cycle and somehow to the worship of Roman ancestry. In Dumézil's view the
figure of Quirinus became blurred and started to be connected to the military
sphere because of the early assimilation to him of the divinised Romulus, the
warring founder and first king of Rome. A coincident facilitating factor of
this interpretation was the circumstance that Romulus carried with himself the
quality of twin and Quirinus had a correspondence in the theology of the divine
twins such the Indian Ashvins and the Scandinavian Vani. The resulting
interpretation was the mixed civil and military, warring and peaceful
personality of the god. A detailed discussion of the sources is devoted
by Dumézil to showing that they do not support the theory of an agrarian Mars.
Mars would be invoked both in the Carmen Arvale and in Cato's prayer as the
guardian, the armed protector of the fields and the harvest. He is definitely
not a deity of agricultural plenty and fertility. It is also noteworthy
that according to tradition Romulus established the double role and duties,
civil and military, of the Roman citizen. In this way the relationship between
Mars and Quirinus became a dialectic one, since Romans would regularly pass
from the warring condition to the civil one and vice versa. In the yearly cycle
this passage is marked by the rites of the Salii, they themselves divided into
two groups, one devoted to the cult of Mars (Salii Palatini, created by Numa)
and the other of Quirinus (Salii Collini, created by Tullus Hostilius).
The archaic triad in Dumézil's view was not strictly speaking a triad, it was
rather a structure underlying the earliest religious thought of the Romans, a
reflection of the common Indoeuropean heritage. This grouping has been
interpreted as a symbolic representation of early Roman society, wherein
Jupiter, standing in for the ritual and augural authority of the Flamen Dialis
(high priest of Jupiter) and the chief priestly colleges, represents the priestly
class, Mars, with his warrior and agricultural functions, represents the power
of the king and young nobles to bring prosperity and victory through
sympathetic magic with rituals like the October Horse and the Lupercalia, and
Quirinus, with his source as the deified form of Rome's founder Romulus and his
derivation from co-viri ("men together") representing the combined
military and economic strength of the Roman people. According to his
trifunctional hypothesis, this division symbolizes the overarching societal classes
of "priest" (Jupiter), "warrior" (Mars) and
"farmer" or "civilian" (Quirinus). Though both Mars and
Quirinus each had militaristic and agricultural aspects, leading later scholars
to frequently equate the two despite their clear distinction in ancient Roman
writings, Dumézil argued that Mars represented the Roman gentry in their
service as soldiers, while Quirinus represented them in their civilian
activities. Although such a distinction is implied in a few Roman passages,
such as when Julius Caesar scornfully calls his soldiers quirites
("citizens") rather than milites ("soldiers"), the word
quirites had by this time been dissociated with the god Quirinus, and it is
likely that Quirinus initially had an even more militaristic aspect than
Mars,[citation needed] but that over time Mars, partially through synthesis
with the Greek god Ares, became more warlike, while Quirinus became more
domestic in connotation. Resolving these inconsistencies and complications is
difficult chiefly because of the ambiguous and obscure nature of Quirinus' cult
and worship; while Mars and Jupiter remained the most popular of all Roman
gods, Quirinus was a more archaic and opaque deity, diminishing in importance
over time. References Edit ^ Ryberg, Inez Scott "Was the Capitoline
Triad Etruscan or Italic?". The American Journal of Philology. Festus s.v.
ordo sacerdotum p. 299 L 2nd. ^ Wissowa cited the following sources as
supporting the existence of this triad: Servius ad Aeneidem VIII 663 on the
ritual of the Salii, priests who use the ancilia in their ceremonies and are
under the tutelage of Jupiter, Mars and Quirinus; Polybius Hist. III 25, 6 in
occasion of a treaty stipulated by the fetials between Rome and Carthage; Livy
VIII 9, 6 in the formula of the devotio of Decius Mus; Festus s.v. spolia
opima, along with Plutarch Marcellus 8, Servius ad Aeneidem on the same topic. Wissowa Religion und Kultus der Roemer Munich. Dumézil,
La religion romaine archaique, Paris. Festus s.v.
spolia opima; L 2nd who has Ianus Quirinus, which let it possible an
identification of Quirinus as an epithet of Ianus. ^ G. Dumézil La religion romaine archaique Paris; It. tr. Milano. Quirinus Roman deity Flamen
Priest in ancient Rome Flamen Quirinalis High priest of Quirinus in
ancient Rome Wikipedia Content is available under CC BY-SA 3.0 unless
otherwise noted. Palazzo del Quirinale ospiterà nelle
sale della Palazzina Gregoriana la mostra L’arte di salvare l’arte. Frammenti
di storia d’Italia, curata dal Prof. Francesco Buranelli. L’esposizione è
realizzata in occasione dell’anniversario dell’istituzione del Comando
Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, un reparto specializzato dell’Arma dei
Carabinieri istituito per contrastare i crimini a danno al nostro patrimonio
storico artistico. E’ davvero un onore ed un emozione per noi guidoniani
partecipare alla mostra “L’Arte di Salvare l’arte”. Con un pizzico d’orgoglio
siamo lieti di annunciare che è stata esposta la nostra “Triade Capitolina”,
fiore all’occhiello del Museo di Montecelio, presente anche sull’homepage del
sito del Quirinale all’interno della sezione in cui viene presentata la
mostra. Ringraziamo il Generale dei Carabinieri Fabrizio Parrulli,
Comando Carabinieri di Tutela del Patrimonio Culturale, per l’invito a questo
prestigioso evento. Una presenza davvero gradita nell’inaugurazione è stata
quella della signora Ena, vedova del Generale Roberto Conforti il quale, con la
sua instancabile opera all’interno dell’Arma dei Carabinieri, riuscì a recuperare
la Triade Capitolina sottraendola alla criminalità. La presenza della
Triade al Quirinale rappresenta un volano importantissimo per la crescita
culturale e turistica della nostra Guidonia su cui tutta l’Amministrazione
punta tantissimo. Per tutte le informazioni sulla mostra è
possibile visitare il sito: http://palazzo. quirinale.it/…/_art…/arte-salva_home. Claudio Bonvecchio.
Keywords: marziale, simbolo della repubblica romana, simbolo dell’impero, imago
impero, imago mundi, Romolo, primo re, la corona del re. La spada, il
guerriero. Guerra, longobardo, guerra ostrogoto, bellum romanum, bellum civile,
etimologia di ‘mascara’, il concetto di eroe, Europa degl’eroi, italia
degl’eroi, gl’eroi, Bruno, furore eroico, Vico, eta eroica, equites,
cavalleria, massima stirpe guerriera romana, Mars, Marte, marziale, Marte,
padre di Romolo, Marte, emblema della guerra, marziale, campo marzio, Marte,
l’archeologia di Boni, mistica fascista, imago imperi, guerriero, Romolo re
corona, emblem della republica, eta degl’eroi, fascism, fascist imagery. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Bonvecchio” – The Swimming-Pool Library. Bonvecchio.
Grice
e Bordoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della grammatica
al mio figlio – scuola di Riva del Garda – filosofia trentina -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Rocca di
Riva, Riva di Garda). Filosofo trentino. Filosofo italiano. Riva del Garda, Trento,
Trentino-Alto Adige. Grice: “Bordon is a genius; my favourite tract is his
‘ludi romani,’ in a piece he philosophised for Silvio’s figlio, whoever he is –
but he also philosophised on ‘communication’ – and surely a game is a kind of
communication – cf. my ‘conversation-as-game’!” Le prime
considerazioni sulle lingue universali in Italia si ebbero nel 1540 ad opera di
Giulio Cesare Scaligero, pseudonimo di Giulio Bordoni: Bordoni nanque di Salie i (a della sca e e do
nel 5 una a fondia), Ruindico discende e
dall'omonima famiglia veronese.
nell'opera De causis Linguae Latinae, considerato il primo tentativo
scientifico di grammatica latina, egli accenna alla conformazione che una
lingua dovrebbe possedere per essere internazionalmente e facilmente compresa.
Come sosterranno anche gli autori successivi, una lingua per essere tale deve
essere semplice e non ambigua, e quanto più esatta possibile. Nella parte finale del trattato, poi,
Scaligero riflette sul problema dei nomi delle cose, ovvero sui modi con cui
l'uomo nomina quello che lo circonda. Egli, anticipando alcune posizioni che
saranno proprie dei sensisti, sostiene che «intellectionem nostram esse duplicem,
Rectam et Reflexam» ovvero che
l'apprendimento umano si basa sul duplice aspetto del riconoscimento diretto
della cosa - sensazione, impressione - e della riflessione intorno alla
cosa,GIULIO CESARE SCALIGERO, De Causis linguae Latinae, Lione, presso
Sebastiano Grifio, 1580, p. 437.33 e che la ragione ci permette poi di
denominare le cose attraverso i suoni («nomina enim rerum sunt notae»). 3* Il
nostro compito dovrebbe essere quello di semplificare la lingua - e lo
Scaligero parla di lingua latina - di modo che tutte le ambiguità e le
sinonimie ne siano eliminate e non vi possano essere possibilità di errore:
basandosi sul presupposto - oggi non più ritenuto valido - che i nomi abbiano
un rapporto di corrispondenza diretta con le cose designate, auspica un
riavvicinamento alla "vera essenza della parola" tramite uno studio
di tipo etimologico. Colaro da greci esena steso el con he po senta con she
osin dallanicht ei ostunio. strumento di
ricerca sia linguistica che filosofica: scoprire la forma "originale"
di una parola significava accedere al suo significato più vero, alla sua reale
essenza. In questo senso allora la ricerca etimologica era considerata
essenziale per una corretta conoscenza del reale, secondo il principio nomina
sunt consequentia rerum, largamente condiviso anche più tardi nel Medioevo -
come dimostrano ad esempio le Etymologiae di Isidoro di Siviglia -, ma oggi non
più considerato valido. Per approfondimenti vedasi DANIELE BAGLIONI,
L'etimologia, Roma, Carocci editore S.p.A., 2016 («Bussole»).Nonostante le riflessioni, lo
studioso non si spinge oltre e evita di fornire esempi concreti di come
potrebbe apparire un tale linguaggio.Figlio di Benedetto. L’imperatore
Massimiliano I d'Asburgo lo nominò suo pagge. Si dstinguendosi come soldato. Nella battaglia di Ravenna, in cui padre e suo
fratello sono uccisi, mostra grandi doti di coraggio. Riceve i più alti onori
della cavalleria dal suo imperiale cugino che gli conferì con le proprie mani
l'Ordine dello Speron d'oro, aumentato con il collare e l'aquila d'oro. Lascia
la corte. Dopo un breve impiego presso il duca di Ferrara, decise di abbandonare
la vita militare, e s'iscrisse come studente di filosofia a Padova. Laureato,
reside al castello di Vico Nuovo, in Piemonte, come ospite dei Della Rovere, dividendo
il suo tempo tra spedizioni militari in estate e la filosofia in inverno. Ha quindici
figli, tra i quali Giuseppe Giusto Scaligero Bordone. Stampa una invettiva
contro Erasmo da Rotterdam, in difesa di Cicerone e dei Ciceronianus. È un
pezzo di invettiva vigorosa, che mostra una retorica brillante, anche se carica
dell'abuso del volgare, che forse non inquadrava affatto la vera essenza dei
ciceroniani di Erasmo. Una seconda invettiva, più violenta e abusive. Un
trattato “De comicis dimensionibus” (Delle dimensioni comiche) e “De causis linguae
Latinae” (“Delle cause della lingua”) lo resero il primo grammatico che segue
principi e metodo scientifici. Ha acute critiche basate sulla Poetica di
Aristotele, “imperator noster; omnium bonarum artium dictator perpetuus”. Considera
Virgilio moltissimo superiore ad Omero. Lode le tragedie di Seneca. I suoi
saggi sono tutti sotto forma di commenti. Considera “De insomniis” di
Ippocrate. Stampa “De plantis”. Stampa “Exercitationes” su De subtilitate di
Cardano. Altre opere: “Commentari su Teofrasto De causis plantarum” “Commenti
alla storia degli animali di Aristotele”. Combina autentica conoscenza,
ragionamento acuto, e osservazione dei fatti e dei dettagli. Anticipa il
ragionamento induttivo del metodo scientifico. Non si può mettere in discussione che non
abbia anticipato in qualche maniera il ragionamento induttivo del vero metodo
scientifico, anche se i suoi studi di botanica non lo condussero a qualche
forma di idea su un sistema naturale di classificazione. Rigetta la scoperta di
Copernico. Rimase ancorato ai dogmi di Aristotele nella metafisica e nella
storia naturale, così come a quelli di Galeno. Corregge alcune dichiarazioni di
Aristotele utilizzando i principi aristotelici. Le sue Exercitationes
basate sul libro De subtilitate di Cardano è il libro che dà a Scaligero la sua
notorietà come filosofo. Si lo riconoscoe come il migliore esponente della
fisica e metafisica di Aristotele. “Poetices libri septem”.“Oratio pro
Cicerone contra Erasmum” nel quale liquidava Erasmo come un parassita letterario,
un mero correttore di bozze. In queste Scaligero analizza il corretto stile di
CICERONE e indica 634 errori commessi da VALLA (si veda) e i suoi predecessori
umanisti. "Imperatore nostro, dittatore perpetuo di ogni buona qualità
nelle arti". Dizionario biografico
degli italiani. Quem ad modum natura
frescante nascir non uno modo circa unam cine isina soubine verfaturrem, ita
nec ars. Na sicuti solis vis quercum educit, atque firmat aqua
putrefacit ignis absumit. Sic faber eidem quercui formam abaci imponit:
statuarius, lovis: architectus; tigni. Par item ratio in scientiis est. Hominem
contemnplatur philosophus naturalis ut movetur: Geometra quatenus eum metiri
debet. Medicus que a morbis aut vindicet aut tueatur. Natura enim est ut es
tartifex quasi quidam eorum quæ molitur: ita artifex tanquam natura quædam
eorum, quæ Ampalaya figurat. Hoc igitur quod est materia prima naturæ vt ei
formam imponat, id est artifici naturalis vogures cui figuram indat. Res autem
quum duplices mralint: aut materiales aut immateriales. Et immate n'arece
riales aut extra intellectu ut deus, aut inintelle etu ut notions. Notiones
appello rerum species mente comprehensas, Quod utique manus agit in materiam,
hoc intellectus agit in notiones. Ergo, ut manibus subiectam materiam habet,
aurum faber. Ita, intelleettu notiones philosophus moderatur. Et enim quo pacto
manus instrumentorum instrumentum est. Sic ratio scientiarum. Est autem ratio
vis animæ, qua id, quod ea præditum est, boncinema comprehendit universalia. Comprehedimus
au cinst tem vel per inventionem vel per disciplinam. Ac per inventionem quidem paucis darum est ut divinitus fierent sapientes. Per
disciplinam autem pluribus. Sane disciplina est scientia acquisita in Sdiscete.
Discimus vero ab alio per auditu tanqua per instrumentum, et per voces tanquam
per nostas. Est enim vox nota caru notionu, quæ in ani voce coulmasunt. Vocis affectiones tres: formatiositio, compositio, et veritas. Veritas est
orationis æquatio cum re cuius est nota. Compositio est unio partium procarum
proportione. Formatio est creation et figuratio. Itaque orationem eiusque
partes duo artifices diversis modis conteplantur. Dialeetticus sub *ratione*
veritatis tanquam subsine. Grammaticus sub figurationis et compofitionis modo,
vocarunt conitructionem, tanquam materiam. Nam tamet si grammaticus etiam
considerat si- gold move gnificatum, qui quasi forma quædam est, non ta men
propter se id agit, sed ut veritatis indagatori subministret. Accidit autem ei
postea ornatus ab oratore, et numerus a Poeta. Nam historia parum ab utroque
differt, sed ex utroque potius mista est. Grammatici igitur unus finiset, recte
grammas loqui. Quare in duo intendit: in partes ut parios tienen una funt, et
in easdem ut interferes pondincat compositione. Nam quod addunt, creía vitedi arte
esse: bis peccant. Neque enim ars est, sed scientia neque necesse habet scribere.
accidit. Scriptura
voci. Neque aliter scribere debemus, quam loqua mur.Illa quo que tertia parte,
qua afribunt, iudicandi, non recte attribuêecncque na ettio distinguitur a
potestate per differentias forma costitutas. Et enim eo de modo, quo scio,
iudico. Fostre mo quod cfficiu interpretando ruautothandu merar ut, id sane
grammatici non est, sed lapietis procuiusque rei captu. Est enim oratoru
poetarumque, atque historicorus lectio disserta variis artibus, atque scietiis
non ad ipsos literatores potius qua in ad veros artifices pertiner. Na quod ad
interpretationem ipsam atrinei eadem ratio est; et componendi et composita
cognoscendi. Quippe orationem qui interpretatur codem modo eam resolvit in
partes quomodo eam qui construxit ex iisdem partibus comparavit. Tresigitur cum
sint rationes literaturæ. Prima figurandi. Secundaria significandi. Tertia
componendi. Prima quidem diligentissimi viri receviores exactiflimetra
ettarunt. Secundam non ita plane. Tertiam exautorum observationibus satis
admodum sunt assecuti. Verum quunon solum vsu, atque autoritate partes hæc
onftenç sed etiam ratio ipsa naturalis magna multaque loca sibi vindicet. Quæ illi
ipsi diligenter sunt executi, nullius nostrum opera indigere arbitrabamur. Quæ
vero rationes ab his sunt omislæ vel quasi ignoratæ vel quasi relictæ nobis,
necessario hoc opere erunt perscrutandæ. Non solum materia opus est, certify
limitibus, sed etiam ordine atque instrumentis. Ordinem duplicem esse. Unum ab
elementis ad composita, alterum huic contrarium. Instrumenta item duplcra:
altera naturæ notiora, nobis vero mie nous nota: altera bis contraria. Anale
Hitler imptam materiam certisque limitibus cir per se ettenosse possimus. Duo
sunt docedi, totidem queii dem discendi modi. Alter quo quid suas in partes
resolvimus, ut si navim ignoranti cuipiam, primum nome edam. Deinde quid sit
edifferam: postremo cuius rei causa structa sit, ostedam, partibus enumeratis.
Hæc via resolutoria ab Aristotele dicta est. Is modus nobis notior est, quippe moim
totum ipsum repræsentatum specie primum in note scit, a quo ad partes
indagandas ipsas possea fya ducimur. Alter modus
huic cotrarius est, naturæ ha infille quidem notus atque certus, quem
componentem dicimus. Propter ea quod acceptis partibus totum ipsum ex ædificamus.
Galenus frustra ad didit tertium quem definitivum vocat. Cum ta men a
resolutorio nihil differat resolvimus enim totum res est ipsa definita,
definitio autem notio speciei. Præstantior autem via utique cela ea est, quæ componere
docet: tum quia naturam imitatur, tum quod excellentiam tradentis ostendit
ingenii, quod necesse est omnia habeat in numerato atque ordine disposita ante,
quam ani mum ad dicendum appellat. Ad hoc, nisi a primoribus elementis
ordinare, necessfario cogêris idem, sæpius repetere. Universus igitur docendi ordo
rls is quum lit, singulæ partes quo consilio quamperte se et iffime recenferi
tractarique possint videamus. Discere dicimur cum ignotum per *indicia* quædam
percipimus animo. Hoc bifariam esse potest. Nanque *indicium* illud interdum
est po-Apossterius co, quoddiscimus, veluti cum significatio vocis huius,
gloriosus intelligitur posse accipi in bonam partem per exempla lumpta de Cicerone.
At sane id prius significavit quam sic Cicero utendum sumeret. Et tamen per Ciceronem
ita mihi notum fit. Est alterum in diciorum genus A hun natura prius. Et caussa
quasi quædam eiuscerei thi quam
discimus, ut cum per gloriæ significatum acper flexum illius vocis descendo ab
origine ad usu meum, quem in Ciceronis libris deprehendi ac prior quidem notior
ac facilior est. Alter ut paulo obscurior, ac minus sæpe notus nobis, ita
excellentior tanto quanto certius scimus quum per causam quam per accidentia
cognoscimus. Hoc igitur duce abipfa philosophia in Latinarum vocum
naturam, ad rationes investigandas, deducamur. Duplices partes: alie ex quibus vox constituitur ut ex materia. Ab a tangu
species sub genere perfectam scientiam, non definusone acquire sed etiam ex
affectuum cognitione. page Sligitur est a partibus incipiendum, propter ea quod
causæ sint iplius totius, quodnunc tractanas: 11offeinter est, earum rationem
duplicem esse. Et enim cum dicimus, in, Dictione, partes esse alias simplices,
cuiusmodi literæ func, ar lias compositas quales videmus syllabas. Ex his
iudico elementis integram vocem fieri, atque coalescere. Cum vero dicimus.
Dictiones aliæ sunt nomina, aliæ verba. Non has altendo partes Wycius eile modi
ut per eas concrescat nomen, sed quæ ipso genere tanquam re universali quadam
comprehendantur inde recte pronuciamus, tam nomen, quam verbum dicttionem esse.
Cum aute PH*2.poilim genus ipsum intelligere etiam seclufss par mi ne tibus
his, quasi pecies appellanimus. Necessario fatebimur, inapte natura i pecies
esse illas post genus. Si quidem genus materia quasi quædam spe cieru v cít. Contra,
quoniam genus ipsum animo perfecte capere nequeamus, niii partes, quibus
constat, perspexerimus. Necesse erit ut primua de his
partibus, deinde de genere, hoccli de diction quæ est materia nostræ operæ
subie et ta, tumde speciebus fermo noster instituatur. Videndum igitur, quid
litera: mox quid syllaba. Tertio quid diction. Postremo quæ species dictionis.
Quoniam vero perfecta Scientia non ex sola ha si betur definitione, sd omnes quoque rei affecttus cognoscere
oportet: de ipsis affectibus cuiusque partis quid veteres prodiderint quid nos
sentiamus, perspiciendum erit. Definituro litera, nominis prius originem
querendam. More peripatetico inde errures multos ecolligit igo corrigit. Ante
vero quam literam definimus, sicuti sie ce in omni definitione, nomen ipsum
estex- Nimm an plicandum. Quippe ex cuius interpretatione facilius rei ratio
nota sit. Togam.n. definiturus, cam si norim ategendo dietam, sane vestigando
cius genus sic inveniemus. Esse lana text ad tegendo, ita de litera acturi,
vera eiusce nominis rationem ex figura emergere căperiemus, quu eas certis lia
Ale! neis contineri videbimus exeptis nanq; cx prisca mily nominis origine
aliquor elementis, quu primum di ettæ essent lincaturæ, literæ possea fa ettæ
sunt. Scut apud græcos redivirala otlew sexuuris. Euenitde inde ut quoniam
album nigre dinea spergeretur, atquei quasi officeretur, ut ea sgnificatio
latius fufa fit, et litura inde etiam macula diceretur. Obliterare autēverbum no a literis ut dixere sed a lituris deductu est,
versa scilicet vocali. Quem ad modu a fænus fæneror et a pignus pigneror, et a
têpustepero: fica lincando, linere, unde lineaturæ, et literæ, etlituræ, ex
code fonte æque omnia. Neq enim alituris literæ quiade lerentur. Prius enim
factæ, quam deletæ sunt. At formæ potius atque cueras rationem, quam intea ritus
habeamus. Ex his constat eosdem veteres, non recte quasi legiteram commentos
esse:vtex crema pars vocis ab itinere fingatur. Atque id A iiij. que Huskha Om quoque
non geminata consonante ut consueue re, scribendum esse: sub sux nanque
originis for ma produxit primam natura. Si igitur a lineis di eta est, et linea
minima corporis dimensio est. Erit profecto litera minima pars dictionis. Accidit
enim dictioni cuipiam, unica ut litera contineatur, ibi enim est pars et totum
idem. Sed sicuti ex elementis constant mista naturalia, sic ex lite mlaliris
dictions, unde elementorum quoque no men fortitæ merito sint. Simul ut hinc
refellatur veterum sentential, qui falso literas notas dixere, elementa autem
pronunciationes. Nam ut litera sola nota sit,
satis habemus at elementum et i plum hoc sit quod pronunciatur non autem
ipsa pronunciation et ipla nota æque, siquidem est pars dictionis ipsam constituens
sicuti ignis, aer, aqua, terra, corpora naturalia hæc nostratia. Sed et par
corūdem error in literæ definitio. Primo nan que partem vocis dixere quare aut
non eruntli teræ, quæ script nõdum pronunciantur, aut falso definierint vocem,
esse aerem percussum. Sed neque recte neque necessario adducut vocis de
carregare finitionem. Neque enim ad literatorem sed ad mus philosophum spe
ettathoc, aquo id quod ipse sta tuat accipere debemus. Quin ipse quoque vocem
in libro de interpretation non definivit: quum alioqui et coniunctior esset
pars illa cum cætera philosophia, et interpretatio vocem habeat pro
instrumento, itaque divinus ille vir per vocem definitiones attulit, vocis
contemplationem ad philosophum naturalem retulit. Quod si quis pertinacius
contendat, necessario definiendam vocem esse in literæ definitione, quasi genus
quoddam: cogetur idem fane, quid aer sit quid, percussio, definire, atque
porro, quemad modum frat auditus, ostendere. Verum ii ignorarunt, no omnia
principia discutienda esse, sed quibusdam eorum certis in scietiis simplici
intellectione acquiescendum, ipsam que principiorum rationem ad solum
metaphysicum pertinere. Quam obrem grammaticus hic fatis habet vocis tantum nos
se significatum: non est igitur necessaria. Non est item vera quum dicit aerem
tenuissimum: te a dor Larmes nuenet crassum significat partium positionem.
Samorato tenue enim quum opponitur crasso significatrarum. Sic dicimus crassum
aerem, raru aerem esse nuem. In aere igitur Bæotio non pronunciabitur
litera quem aerem crassum fuisse proverbio quoque circunfertur. Sed illi ut
minimam pare name tem literam esse ostenderent eius materiam scilicet aerem,
tenuissimu esse voluere ut minimum significarent. Sed tenue non excludit longitudinem. Itaque non erit aer minimus. Præterea
in codem genere nullum minimum minus alio minimo est: at litera alia aliis
minor quædam enim unico tempore fluit alia pluribus constat, et quædam dimidium
alterius est. Nam 1 est duplex ad 0, et ipsa interdum sui ipsius, cuius modi
sunt communes vocales apud græcos. Ad hæc aiunt definitionem esse a substantia:
at eer vocis substantia non est, sed materia subiecta. Accidit enim vox aeri. Hic
enim substantiam pro essentia capiunt at essentia vocis non est aer: neque
enimgenus fius est, aut differentia: sed percussio, aut elisio ge AV. nu IvL.
nys est summum proximum autem genus, est fo nusis enim ordo est. Sonus e percussione
corpo vor a wheru, vox, sermo. Est enim sermo dispositio vocu articulataram ad
interpretandum animum.Vox, sonus ex ore animalis. Sonus qualitas obiecta au ditui ex occursu corporu. Ita que n eid quide re
et e, strepitum vocem esse inarticulate. Strepitus es nim est sonis pecies,
sicut et vox. Neq divisio proba est, cum dicutin articulatas voces eas, quæ nul
con lo proferutur affectu: nãomnis vox est ab animi affectu. Est enim data
animalibus ad expressione voluntatis ut in quinto historiaru latius disputa
uimus. Et multæ voces ab esse et u proficiscuntur quæ sunt inarticulatæ, ut
gemitus et sibilus venatorum. Sed neque recte a brutis excludut articulatas:
ouiu enim voces adeo clare scribe possunt ut ab ipsis verbum apud nos formatum sit,
balare. Literatas aute voces aut illiteratas perinde atque scribi possent vel
no possent, etia do et iores dixe re, ut est apud GELLIO lib.xi. Non decreto,
inquit, iussoque, sed tacito, illiteratoque atheniensium consensu. Quare
articulata sit quæ scripto excipi atque exprimi valeat. Inarticulata, quæ no.
Possit Vorige meo autem quis dubitare, an necessaria sit definitio dimisour
ettionis syllabæ, literæ per vocem: præfertim cum philosophus in libro
siegulweias sic egerit. Quibus respodemus id eu fecisse quonia de elocutione
feribebat, qua vocat interpretationem, Sic nos vocem in his libris, prodictiöe scripta
accipimus, quoniam vox esse possit: idque ex usu vetera Latinorum. Atisti
vocis partem cum dicantlitera, voce ma; acrem percussum litera tantum in aere
ponunt. Ergo cum scripta erit non ei competer definition neq; cum in intelle et
um recipietur. Poteste nim nunquam fuisse in pronunciationc. Litere definitio.
Differentie generica, quibus species litera rum constituuntur. Affecttus
generice proprio communes. Quid primum horum natura fa, quid primo loco tradedum.
Itera igitur est pars dictionis indiviisibilis comuni Nam quanquam sunt literæ
quæ de duplices una tamen tantum litera est sibi quæque certum sonum unum servans.
Ita 12 magnum dietum est non autem compositum neque enim
duo parva cotinettanqua partes sed duabus temporibus v pas tra et us indivisibilis.
Litera ergo genus quoddam est, cuius specics primariæ duæ, vocalis et consonans,
quarum natura et constituțio non potest percipi, nisi prius cognoscantur
differetiæ forma Eles, quibus factum est, vtinter se non convenirent. Quire de
ipsis differentiis in communi, deq affectibus prius dicendum est. Litere differentia
generica est, potestas quam nimis rudi consilio veteres accidens appellarunt,
est enim forma quæ dami plefexus in voce quasi in materia propter quem flexum
sit ut vocalis per se possit pronunciari, muta non possit. Ex hac potestate ortūno men est, qui est affectas proprius, cuiusque
literæ, ce consequens cam vim quæin pronuntiatione sita est. Figura autem cít
accidens ab arte inftitutum: potestenim etle litera sine figura: pote itque
attributa mutari, acque solum per nationcs sed etiam eidem cidem genti aliam
atque aliam diversis seculis in usu suifle. Neque vero quod veteres fecere, hæ
Olyfolæaffe et iones assignandæ sunt literis sed etor do. Quædam enim natura
sua aliis priores sunt neque hac ferie qua eas accepimus ab antiquis Ordgaut
ortæ, aut disponendæ. De potestat cigitur pri ha trasmum deinde de aliis
scribendum esset. Veru quia a facilioribus semper est incipiendum a figuris,
notulis que ipsi spingendis auspicabimur quaru causas possea explicare
instituemus simul et numerum et ordinem ex priscis historiis narrabimus quem suo
loco tandem corrigemus. Historia literarum, Figura, Numero, Ordine. Iteræ
primum fuere sexdecim numero, a more on spiciis receptæ: his notulis, A, B, C,
D, E, I, K, L, M, N, O, P, Q, R. Palamedem autem duas adieciffe bello Troiano Duabus
ab Epicharmoaudu numerum: 0 Duæ ad Simonidem, tanquam ad autorem, referutur: Alii
autem aliter fen sere, duasque eiusdem inuento appositas: Z, Latinæ haud magnopere ab his abhorrent, his
notis -- A, B, C, D, E, F, G, I, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, V, X, Y, Z. Summari
adiuifio literarum. Nomina singularun. Arumquæper feipfas possent pronunciari,
vocales appellarunt: quæ non, nisi cu aliis, consonantes. Ita que etiam
vocalium nomina, simplici sono nec differente a potestate, statuerut, at
consonantibus, quæ egerent adminiculo, appel- osa' lationes mistas ex ipsarum
fono, et ex certo adminiculo indidere. Itaque vocales sic nominarunt, cu ut
scribebant: “A”, “E”, “I”, “O”, et “V”. At consonantes additis vocalibus. Idque
non uno modo quibusdam enim præ-posuere aliis post-posuere. Sunt autem hægt “A”,
“BE”, “CE” DE, “E” “EF”, “GE”, “I”, “EM”, “EN”, “PE”, “QV”, “ER”, “ES”, “TE”,
“IX”. Duas autem reliquas “Y” et “Z”, propte rea quod non, nisi in græcis
vocibus scriberent, non mutarunt earum figuram neque aliud no men impofuerunt.
Item duabus vocalibus “I” et “V” cum
fiunt confonantes, nullum est nomen factu a Latinis sed a Græcis. Æolicum
elementum appellatum est: et vau:habuitquefiguram hanc, 1, Claudio inventam,
inuerla, r, atque duplicata. Verum nominis rationem (“di-gamma” enimin
denominarunt cum ipsa nominis potestate non conuenire, suo loco dictum est. Ex his
constat, quare in verbo Des, necessario inter priorem et posteriorem
consonantem interponi debeat e vocalis: cum tamen nomen et mutæ in fine, et sibili
in principio eam habeant vocalem. Nequce nim nomina ingrediunturc ompositionem sed
potestas tantum. Sola “Q” eadem et poteftate et nomine semper est. Semper enim
et pronunciatur, et nominatur fociata obscuræ vocali: sic, pv. Eftigitur
proprium tam figuræ, quam no - smo minis, nunquam mutari, potestatis autem mu-
poem tari, vt mox videbimus. Hoc autem dico apud veteres tum Latinos tum
Græcos. Nam nostra tempestate certis notulis malunt inchoare et ducere dictionem
aliis autem terminare. Hebræi autem chaldæique et armenii, et arabes sema per
aliquot literarum figuras mutarunt, quibus clauderêt voces suas. A nominum
ratione porro diviserunt Consonantes in mutas, atque Semi vom, vocales vt
quarum nomen inciperet a consorante; cx Muta essent: quarum a vocali, essent
Semi-vocales (“V”, “I”). Quam sententiam
qui essent auto resipfi, nihilo prudentius corrupere. Ita vt mutis ascriberent “EF”
quum tamen inciperet a vocalis verum et
hanc fuo loco explodimus, ethicillam emendamus. Principio, non a nominibus
species fa ettæ sunt, sed a potestate,a qua etiam nomina fluxere. Igitur iam
fundamentum destructum est. Præterea quo modo fregere se ipsos quum rin mutas
abiccerunt, ita ctiam sibi luntaduer fati, quum hac cadcm sua regula cogurtur ean
dem literam quæ apud græcos sit Muta, apud fe facere semi-vocalem. Nam îi verum
est, mutas effe, quarum nomina incipianta conionaia te: E1 græca muta erit ea
ratione, quæ tamen apud nossitsemiuocalis: fi quidem huius figurr; qua vtimur,
x, pro, cil, nomen Latinis cit, is, Immo vero fi a nomine petas argumentum,
multo sint Motæ clariores, quam Scmiuocaics. Quis enim ncfciat clarius
pronunciari posse, EE, quam en, aut EL? Ucrum ita faetum eit, vt MuTra
tædicerentur, quarum poteftas fine vocali focia, nulla effet. Neque enim
quisquam aut, “B” aut, €, aut alias mutas, nulla vocali addita, clare possit
one pronunciare: Contra semi-vocales, propterea quod aliquam haberent
pronunciationem. Vocalium enim fecutæ integritatem nominis dimi dium obtinuere:
nemo enim interposito inter labia spiritu ipsum “F”. nequeat efflare: item sibi
lumins, et mistuminx: linguæ autem vibratio nem in r:leniorem autem atque
hærentem in “N”. longeleniorem, et libiloaffinem,in “Z”, mugitum vero vel
facilimum, atque craffiffimum in ipfo m. Ex his patet error alius corundem
quifcripfe re- x, abi, vocali nomen feum apud nosincho are propterea, quod apud
Græcos eadem vocali Fillorum proferatur. Etenim fi ea ratio fatisef- Crop set,
etiam im, et IN, etif, dixiffemus, qua has vocali græci nominant. Sediccirco fa
et um est, ut a præpositione Ex, differret. K, autem lite ram quare is
præsentia omiserimus, suo loco di sputainus. Ex his fatis constat, prudentius,
quam aut Græci, aut Syri fecerint, fecisse nos; quum vo calium nomina
simplicissimo fono eduxerimus, quasi fuo fibi fatu ortæ effent: neque confo
nantium fublidiis indigere, ad suas opes decla. fandas, quas consonantes ipfæ
fane sua fouerent autoritate. Singularum literarum potestates. Rebus suas
species constituebat s affectiones genericas, rationem fpecierum conditaru
diximus: superest, vt vnicuiusque literæ vim deinceps ex vsu, atque ratione,
eiufque causas ftatuamus: quod negotium non sine magno labore, variaq; controversia
expediri potest. Adeo enim dege ' nerauimus a prisca pronuciandi ratione, vt
etvix extentipfoin vfu vestigia: etfiquid afferas, quod emendet vulgus,tanto
vero ipfipertinacius obfi ftant.Acfuit quidem tempus, quum vsui dabatur
aliquid:erat enim inter Latinos. Nunc vero, cum etiam Itali ipfi in patria sua
peregrini sintadeo, vt etiam studiose inuenta noua a prisca detor queant
Latinitate. Nihil aut Barbaris dandum, aut nobi sindulgendum esse
cenfeo. A vocalibus autem incipiamus. Singularum literarum potestates labioru
maxime conformatione dignoscuntur. Quemadmo dum non folum ex Martiani ac
Prisciani, Victorini, GELLIO, Quintiliani, VARRONE, Nigidii, CICERONE
præceptionibus, verum etiam variarum usu nationum aliqua ex parte percipi
potest. Duobus autem modis potestas variatur,velsonus ipse, vt quum “I” vocalisaliter
in voce “Ira”, aliter in voce Optimus,pronunciatur: vel soni modus, veluti quæ
exempla a veteribus adducuntur, quibus deni modi eidem vocalis sono
attribuuntur: qui ni afpiratæ, et totidem tenui. Brevi fub acuto, et
graui:longæ sub iisdem, et fub circunflexo: ex empla sunt hæc: “Hamus, Hamorum,
Hami: Arae, Ararum,Ara: Habeo, Habemus: Abed, Abimus. Sed efttertius quoque
modus, quum in fine clausulæ aut verlus longam breuemque in differenti sono
accipiturita, ut etiam prolongis breues habeantur: etfi auribus suis aliter
respondere, dixit Quintilianus. Ac de fecundomodo in historia syllabarum
scriptum satis est. de primo is mo autem
sic agendum est. A, non eodem semper apud græcos fuisse via the name detur fono:
fiquidem Æolenses iplum pro, Hypo fuere,vixa. contra, Iones pro eo, h, menyua.
Ve- Inha rum mihi videtur apud latinos eius literæ sem per idem sonus
extitisse, qui etiam nunc auditur vulgo Romæ. Atnon ficcæteræ. Namquee, latius
sonat in aduerbio, Bene, quam in aduerbio, Here: huius enim posteriorem vocalem
exilius pronuntiabant, ita vt etiam in maxime exilein tranfierit sonum, Heri.
Id quod latius in multis quoque patet:vt cum ab Eo, verbo, deducis Irc. Et in
eodem casu. dicimus enim, et lis, et Eis: ficut et “diis” et “deis”; “turrim”
et “turrem”, “priore” et “priori”. Sicutiigitur hæc inter se com mutabant, fic
et v, cum eorum altero habuit af.2 " finitatem: quod est animaduersum in
illis vocibus, Optimus, Maximus, Monimentum. Quæ ni hilominus etiam per v,
scriberentur. Igiturha buit 1, vocalis sonos tres, suum exilem alterum,
latiorem, propioremque ipsi £, et tertium obscu riorem iplius v.inter quæ duoy,
Græcæ vocalis sonus continetur, ut non inconsulto Victorinus ambiguam illam,
quam adduximus vocem, per “Y”, scribendam esse putarit “Optymus”. Quem so num
etiam agnouere veteres græcæ prolatio nis,poft, 1, velv, consonantes, et ante “D”,
“M”, “R”, “T”, x,cuius rei exempla sint “video”, “vim”, “virtus”, “vitium”,
“vix”. Cæterum neque id nunc deprehendi mus ex vfu noftro, neque illi afferre
exemplum possunt, in quo “I” vocalis sequatur 1, consonantem, ante eas literas
quas in propofito apote 1. lesmate constituebant: sed de v; accipiendurte eft:
cuius erunt exempla “iudex”, “iumentum”, “iuro”, “iuturna”. Verum ante x, non
habeas: ne que enim præpositio Iufta, per laanc duplicem scribenda eft: et
puto, si Iuro certum fibisonum habuit, Ius, quoque eundem habiturum. Ne “V” que
tamen semper codem sono profertur v, sed aliquando pleniore obscuritate, quo
modo vulgus italicum dicit “dux”. Interdum hiatu rotun diore, vt in verbo
Columna, et Alumnus. quidam sunt ex Umbra et Etruria qui propius o ad ipfius o,
accedunt mollitiem. Omnino autem latini cum græcos casus verterent, consiteri
coegere nos,fonos illos esse cognatos, au, Priamus. Quo etiam modo nunc
pronunciant romani. Quare, quod illi I lEds, noslu ba, Æoles secuti, qui ou
oux,wvvia dicebant. Ita que o, duplicem quoque fonum habuit: latio rem, et
exiliorem, ut cum ipfo y, conueniret. Productis enim labiis et cohærentibus, “Y”
est pronuntianda, quomodo gallorum quidam pro ferunt aduerbium, Nunc. Graca
enim vox est yuŰge. Sic etiam in multis aliis, quorum v, breue est, ea prolatio
feruari debet, ut Numa, w uãs: Romulus, puur G. Habet igiturv, tot fo
nos,exilein ipfius 1, latiorem ipsius o, obscurio rem fuum et medium quendam
ipfius y, Græcæ. Quamobrem cumfuum fonum feruare il li volebant veteres,
addebant o, ne in exilita tem illam Græcæ vocalis degeneraret: fic enim
scribebant, Oufentina: autor Feftus eft. Restat Ali etiam sonusalius, poft G,
et Q. et s, a superiori bus valde diuersus, implens scilicet confortan tium
illarum vim, Lingua, Aqua, Suadeo. quan quam poft fibilum hoc tertio exemplo
etiam a prioribus distet fane: auditur enim aliquantum, ac propius accedit ad
consonantis lineamenta'. In prioribusautem exemplis, aut nihil, aut vis
auditur: fed craffitudineñ quandam apponit duntaxat: aliter enim dicas Tingo,
aliter Tin guo. Germani noftrates pene per digamma Æolicam proferunt, fufpenfo
ipso 'c, parum per: Rhenani, et qui in Belgio funt, longe mollius, et fatis
Romane.' At Erasmus in libro pri de pronunciatione falso putauit v, eodem ino
dolubiiciipfi c, ficPomba ipfit, in exemplo pro nominis cv I. eft enim ibi y,
vera vocalis: 1, au tem consonans, vt suo loco dictum eft.' Illud quoque igitur
falfum erit, quod veteres prodi dere v, cum pofta, velo,præcedit, aut E, aut 1,
aut 2, Græcæ vocalis.Y, vim obtinere ne que enim vllum sonum fimilem gerit. Si
eniin ita effet, Græci ipfinon tam laborarent: 'habe rent enim ad manus fuam
literam, et fcriberent KTINTOE, quod apud nos eft,Quintus. Sedip fi et
fcribunt, KONTOL et pronunciationem il lam nullo modoqueuntaffequi. Quemadmo
dum autem i, et v,fiantconfonantes,fuo loco dia ctum eft. Diphthongoru
quoq;ratio non constat:ho-cu's die nullam enim ex pronuciatu noftro percipias:
lego neque tamen fruftra inucetæ funt. verum non est nunc laborandum; yt ora
distorqueantur, ad Bij. ciuf 1 i IvL. I. 1 ciusmodi explendam ambitionem. Satis
tamen $ ex constat, “Æ” proximam fuiffc Græcæ “AI” et oe, an vocaliv. Nam et Maros,
et Muros, legimus, AV, autem non vt nunc pronuntiant Itali, a quibus audias
sonos duarum explicatum, sed declinauit olim ado, quomodo Franci nunc re et
iffimey tuntur. Quorum siquis dicat Caurum, etiam Co rum audias. Græci nescio
an bene pronuncient: a quibus intelligas priorem vocalem:alteram au tem fono
fimiliore consonantis Æolicæ, Sic et WEY, iidem. Nosæquemale, atqueipfam av.Græ
cam vero oy,ridicule Galli pene per o,proferüt, them et ineptius adhucmagis cum
diphthongos diui dunt ac diffoluunt,earum vt fonus audiarur. Nec defucre qui
Græcam inueherent in Latinos, quo niam veteres
licenunciabant,Terrai,Frugiferai. Item alteram, EL, iis in vocibus sono tum e,tum
1, ederentur, vt Treis, Parte is: Verum priscos vnica adidlitera contentos
fuisse idem NIGIDIO autor est. quæ vtriufuis Origo etcauffa,quare 1, etv, e vocalibus
faettæ fintconfonantes. Vanquam igitur mutantur soni, manet il lis tamen
priftinæ genus potestatis: at tam 1, quam v, penitus amiffa priori vi, in aliam
cefunt transmutata. Nam cum fequente vocali vellenteas pronunciare difundim,
fic, Viet or, Iųftus,fubist fane vocalis illa, ac præcedentismu tauit vim.
Quorum altero vt Græci carentsci, 12 licet 1, ita ipsum multæ nationes
retinuere hebraica, arabica, germanica, scythica, armeniea, illyrica. Quod
iccirco a Græcis factam non est, quia longiore femper tractu vterentur, in
pronunciando, ipfoque in hiatu confifterent: quod vel ex eo declaratur, fiquis
animaduertat la eam literam etiam ante vocales frequentisfime contra communem
cæterarum naturanaprodu ci: quare non potuit in alium sonum spurium degenerare.
At Latini paruo posito momento obToni gracilitatem facilimeinfubeuntem pro
ximam transiliere, vt non penitus abesset ab sono ipfius G, a qua tamen quantum
distet,** falo loco videbimus. Quemadmodum illud quo que, An Græci alteram
habeant: v, scilicet. ne que enim hîc de his cognofcere possumus ante, i quam
etipfius G, cui estı, proxima: et ipfarum 0, acPH, atque a naturam
perspexerimus. Hoc i igitur'iam agamus. Consonantium potestates. ACB; quidem
Græci hodicaliter,aliter pro «« nunciant Latini. Nam pressislabisLatini, at
Græci laxiore labro fuperiore, et inferiore ap plicato dentibus
fuperioribus;quanquam veteres Græcos non aliter, quam nos vtimur, vfos effe
palam est. Varro nanque cum noftrum balare, verbum magis commendat, quam
Græcorum peñdo, fane vtrunque fa ettitium a sono pecudum contendit: ostenditque
cos debuifle imitari. Biij. VOS??1P 22 AN vocem auis Balantis, vt Bínov, non
uñaov nomen įmponerent. Quod fi vt ipsi loquuntur nunc, nonvtnos proferimus,
olim pronuntiaffent, sic quali propemodum per Æolicum digairma, na recte
corrigeret eos Varro: nequeenim valant tace Semente pecudes,fed balant.
Vafconibusquoquehoc eft vitium peculiare, vt eo modo pronuncient B, quo et
Græcos dicimus. Itaque
lusimus in cos epigrammate,vt eorum “vivere” “bibere” fit. Con tra quædam
nationes nimis crafse pronunciant per p, vt Puliam, praco quod effedeberet,
Bull lam, dicant. Multo diuerfior vsus est ipsius c, idque non folum in
diuerfis nationibus, fed etiam ipfa in I elktalia. Ac laneidem effe noftrum c,
quodGræco rum fitx,iam receptum est:explosaquecorû fen gêtia,qui aliter
autumarent. Tantaq magis Scau cow hari Grammatici, qui putarit nomina, in
quibusA, scamm secunda effet statim fede, perk, scribenda effe: fic: Kalendæ,
Karus. Etenim fi propterea fiat quod Kappa, nomen includit vocalem illam, fa
nenulla eiufmodi vocalisaddaturin contextu di et ionis: aut ca consonans nulli
præterea voci ab aliis vocalibus incipienti apponerur. Họcautem falsum effe vel
ipli oftendunt Græci. præterea ipfum c, eadem ratione non apponeretur nis
fequenti E, vt Cepe,cæterorumque elemen torum par item effet ratio. Quin Kappa
no men maius eft, quam quanta fit hæcpotestas, ad quam arctare conatur ipsum.Aliiita
censuere, em Græcis tantum vocibus attribuendam, qui æ que falfi sunt. Etenim
id fi verum esset, etiam Chremetem, per x, Græcum scriberent. Quod sola
afpiratione ab ipfok, distat. Nulla igitur ra tio eft.Ipfius ergo sonus c, cum
fit idem cu sono ipsius k, cauendum nobis maxime est,neaddatur volan aspiratio (id
quod Thuscorum non paucifaciut: sed ii frequentius, qui Arnum flumen accolunt)
sed ficcissime eft pronunciandum,non mucrone, sedlatiore parte linguæ
interioris adducta ad pa latum,atque aftrietta,vt quamtenuissimus quam que
expeditissimus fonus transabeat. Galli turer, alle piffimeper fibilum edunt: vtnon
discernas, Cel-tali lamne, an Sellam, audias. Germani noftrates non tam crasso
sibilo: at Germani Belgæ, et Hi spani,non aliter,quam galli Circumpadani, et
Veneti, et Flaminii, et Ligures, libilo tenuissimo, et balbo. Qui omnes
redarguuntur eo, quod in fine di et ionum Græcum seruari fonum fatis patet: ut
Hic, Nec, Ac, Alec: nequeenim fi bilo terminantur, fed in ficciorem sonum, qui
apposita vocali debuit perpetuari. Acquirit ta- Crayon men craffiorem sonum pro
vocalium ratione: çrassius enim dicas, Carus, Collum, Cuma, pro pter latiorum
vocalium hiatum, quam Cera, Cippus, propter exilitatem. Eandem inibimus imme
"rationem addita aspiratione, ut crațiusaliquan- lagimens to pronuncies
zuers xep, quam xew.xic. In tem diphthongos prout ad vocalium certarum sonum
propius accedent. Si autem “s”, præcedat se ipsum c, vulgo non audias: atqui
yoluntcose mendare, etiam ineptis conatibus vastant pro nunciationem,quamtu e
Thuscorum consuetum dinecommodiustemperabis. Şiini 4. 3 B iiij. Similima huic
eft, atque adeo, vt ineptiuf cule quidam eandem essecontenderent. " Galli
nihilo fecius eam proferunt, atque ipfum, at que etiam craffius, horumque
imitatores Ligue res Taurini.Qui vero caste atque integre in pro uincia
verfantur pronunciationis, includuntali quantum potestatis ipfius,v, sine quo
ca de cauf fa Q, nunquam scribitur. Non minor aliorum error, qui cum hujus vim
fimilem esse prode rent potestati ipfius C, male cauffam afsignarunt, menim
propterea quod mutuo inter se conuerterentur: hb w quoniam diceremus, “coquus”,
“coci” et Arcus, Arquites, et “cum”, “quum”, et Sequor, Secu tus. Etenim
mutationis ratio fallaciffima eft, Omittoflexionum terminationes, quibus in m,
s,mutarividcas, “Titus”, “Titum” et in D, “Paris”, “Paridis”. hoc enim factum
sit discriminis gra tia in cafibus. At pro R,s:pros,
t,inuenias: appavy a coev, Jeasanos, Jetlonos. Non igitur a muta
tione, fed a fono ducendum eft argumentum. Sed neque, yt ex Varronis
authoritate conten r:Aldunt, e, erit a literis potius excludenda, quam aliæ
literæ quærendæ: Nam in elementis ita c uenit, quemadmodum in rebus: vt plures
ef sent foni, quam corum notæ. Quæ fuit cauffa, vt etiam diphthongos
comminiscerentur. Ita que frustra litigant, sıc: fi alia eft, ab ipfoc,
propterea quod v, fequente alium percipimus sonum: ergo erit G, quoque alia a
seipfa,vel cum necessario sequatur v, vel fi fortuito. Intelligo neceffario
propter ipsam, vt Lingua: fortui to, propter vocem, vt Ligus. Hic enim dicimus
nos, consultius quærendam aliam figu sam, ipfi, qua hanc capiamus potestatem,
quam prudentiffime inuentum, excluden dum. Fatemur enim,, aliud, atque aliud
effo non minus, quamipsum v, cum fequitur vel's vel g, aut alias consonantes. Non
erit igituridem cum c. Nam si sit: ergo alterum pro altero pona tur. idem
igitur erit et Qui, et Cui. cum tamen vtrunque sit monofyllabum: et alterum
clauda tur vocali, posterius autem consonante. in priore non audiatur secundi
sonus elementi, in altero autem audiatur. Neque vero potiffimus autor Catullus
initio statim pulcherrimi, ac diuini poc matis,fiçsçripfiffet, Peliaco
quondamprognata vertice pinus. neque enim idem fonat ac fi dicas, Peliaco
collissurgitde vertice. Eftautem lonusis et Græcis, et Gallis inimicus.
Hispaninon femper, Vascones semper, Itali fa cilime obseruant, Proximum ipfi c,
est. Itaque Cneum et Gneum,dicebant;fic Curgulionem et Gurgulio nem. appulfa
enim ad palatum lingua, modicello relicto interuallo,fpiritu tota pronunciatur.
At Calabri, et Campani, Vmbrigue, atquealiieius tractus, etiam fibilo cius
fonum faciunt craffio rem: Contra Flaminii., et extremaPicenorum pars, ac
togata Gallia versus z, vt quantum distat Lombardorum c,abipfoc,
Thuscorum,tantum Flaminiorum, ab ipfog, aliorum: medio inter vtrofque nos
proferimus rectiffime. D, tam Græci, quam Vascones, atqueetiam B V Ara G I Iul.
I. Arabesaspiratius pronunciant, subdita fcilicet, dentibus lingua. Nos
ficcius, vix appofita ac ce T'leriterabduđa. Huic affinis est t,pertinaciusap $
pulla lingua. at Græca cu his coniun ettae,non ve Galli proferunt,excito
degutture fpiritu craffio re,fed vt Græciipfi interpofito fuauiore flatu sub
ieet a lingualaxiorespatio dentibus, quamin D. F, PH, V, quum est consonans,
tressonos, fuum quæque edunt:fed ita, vt et cõgeneresintelligas, et non vnu.
Acdigamma quidem Æolicu, quod noftrum eftv, ab ipfa differre palam eft. Æoles
enim, qui haberent, etiam digammaquæli gere. Ita f,ab ipfo o, distare videamus,
cum ante F,, ponamus N, atante, et PH, noftrum pona musM. etM. Tullius irrisit
Græcum testem, qui primam literam Fundanir, nesciret exprimere. Itaque no
defucre, qui Phamam, quam Famam fcribere mallent, propterea quod Græca effet
$***vox. Puto autem fuisse F, validiflimum aftrieta fuperioribus dentibus labio
inferiore. Mox sequi, dilutiore vi. Quo more etiam in præ fentia vtuntur Græci
ipsi. Tertio locomollifli mum v, quomodo nunc quoque dicimus, aut non multo
attentius. Par enim eft: vt retincat etiamnum quippiam veteris vocalis, vnde or
tum habuit.Quare notat Viętorinus fic fcriptum inueniffe, Seras: quasi duplicis
wv, nota elet,ve SERVVS, diceretur. Sed multamarmora barban, riffima fuere
innouantibus.posteris in veterum? ram contemptum. Quod autem aiunt v,femper
effe fimplicem, nunquam duplicem consonantem, fiuein principio, liucin medio
fit: et ipfis habere debeemus fidem, qui tucincorruptas pronuncia: di
tenebantleges: et facit ad id, quod statuebamus mollifimofono esse. Quod fi
quis obiiciat, præ terițum Audiui, dịcamusmediam fyllabam illam sua, non
consonantis natura produci: fic enim 1- Audire,ficOuum quoniam av. Itaque non
pro, duxit primam in Que, quoniã non potuit: fuerat enim, šis. quaresonus no
fuit multus interpofitæ. L, geminant atque aspirant etiam cum solum er est, Gabali,Aruerni,
et Ligures Taurinilocisali o quot. cotra nostrum vulgus vix adducipoteft, vt
geminent.Græcinuncsic pronuciant, vt aliquid et aliud intelligas, quali
fuccedati, consonans ipfi 1, etsequente præeat vocalem:qua pronuciatia. ņem
audias hodie apud Thuscos, quum dicunta ! Gli: et apud Vascones, quum
postpanunt aspira tionem:apudHispanos,quu geminant.Sicigitur sebep
Græcus,xinasa: Tuscus,Agliada: Vasco,Alhada.. Hispanus. Allada:omnesæquemale,fi
ad Latini, tatem sofe conferant. Sed Græcis hoc corrupte dici puto. Quin
veteres obseruabant exiliuseffe 46 quum geminaretur, Mella: plenius quum finit
fyllabam, aut ante sein eadem syllaba habet cona sonanțem,vt Sol, Flavius:medio
sono esse,quum inchoat,vtLux, Cælius, Huicaliquo modo similis estr,fed
longinqua com tamen: codeenim oris modo editur. Sed vda est “L” at R,
spirituosa: illa simplicifertur tra ettu, hæc vibratur. Itaque ob ea
vibrationeaspirationeaca cepit a Græcis,exit enim quasi bulliente voce.A
pudnostrate vulgus vix duplicata vsquam audias, Quidă distenta acrigida lingua
ignauius efferüt. Inma IvL. LIB.‘L minne Inm,nullam vocem Græciaterminauit: Bar
baris, nobisquc modusnullus.Tres sonos habere animaduerterunt: craffiffimum in
principio, mi nimum in medio, mediocrem
in fine. Sitom nium vnicum exemplam,Mimum: et figemina ta mutatur,
Mammam. Initio enim collecta Vox adinteriora narium, mugit;in medio penitus fal
lit,obsessa scilicet ac ftipata vocalibus: in fine au ditur mediocriter, abeunteiam
voce: etquum ge minatur, prior implet aures etiamnum magis, quam quum est in
fine di et ionis. Eft et aliusro nus quum terminat diettionem,et altera di
ettio fe qyens incipita vocali: vt, Equidem cgo:neque e Barcnim aut
Galli,autLombardireettetum proferut: ita enim proferunt, vt firiem alterius cum
initio sequentis coniungant. Nos mediocri sono, et fa nedimidiato,vt
intelligas, fi voles, poffeelidi: percipiasque differentiam si dicas Multum
ille: et, Multaille. neque enim totum fonum abolebant: neque enim intelligeres,
sitne, Multum, an Mul ta,an Multi, an Multæ,anMulto, an Multam, Ita quelibato
tantum sono, ftatim transabit yox, et in fubeuntem sese dat. * Nabm,
differt gracilitate: claufo enim ore, et effufofono in nares m conformatur: at
N, aperto ore, etlingua in palatum repercutiente vocem. BriffSplendidiflimo
sono estin fine, et fubtremulo, pleniore in principiis,mediocriin medio, Nino.
præcedes aüt feipfum penedimidio minor eft: vt Brenus, etfequete,vel c, fiue
exili, fiue aspirato, longe adhucmutilatior,Ancile, Angustum, An çhora. ita
vero, yt etiam diuersam literam puta BE rent: nec dignarentur vulgari
figura,sed aliam · quærerent, exemploGræcoru: qui vtaliam often derent,inepte
alienifsimi soni figura substituere, ipfius fcilicecr. Hæcigitur cum G,aut c,
præcedi tur: atquum pręceduntipfum N, optime aGræcis i pronunciatur. Redea
Germanis, a Gallismale: fic enim proferunt, vt nihilinterfit,vtrum dicas,
Magnus, an Mannus. Itali hoc committuntinn, quod Græciin 1, suo:vt nescio quid
fpuriiinue xerint, quod literis exprimi nonpoffit. Videntur cnim omittereipsum
G, et aspirare ipsum n: ficuti Infulani Græci faciunt vulgo, fequenter, aut II,
autor, auty.Nam Bysantios ego ita loquentes audiui,vt nos pronuntiamus.
S,facitima omniu literaru, neq; enim sineipfa eflare posfimus. Quare non
estmeritavt a Pin daro diceretur Lavxibdynor. Dionysius quoq; ca
Rygenerosissimam vocat,at ipfums, expellit,re-, ïcitg; ad serpentes, maluit canem
irritatam imi tari, quam arborum naturales susurros sequi. Pro nunciada vero
eft mafculo ac coftanti tenore, no dimidiato, vt Itali, etGalli, quiper z, proferunt.
Idem. n.sonus eftin Misi,qui in Miffus:sed duplo maior: non cftigitur alia vis,
sed duplicata:distat enim no substantia, sed quantitate. Itaqueipfum x, Latinum
male pronuntiant, præsertim Itali in Flaminia, vt parum distet az. Quin iidem
pessimo consilio atque vsu adduntiņ pronunciationc, posts,in quoddesinat diet
io, et postx. AnT fempercodem fit fono. Acde C de literarum quidem potestatibus
hæc Quonia autê quæda funt controuerfæ, eas seorsum tra et arecommodius visum
est nobis. As primum quidem de t.Eius,vt diximus, fonus fit Vam appulla lingua
ad radices dentium quemsonum apudGræcos receptum est variare cum fequitur N, vt
ANTONINO 2. emollitur e nim atqueaccedit ad D, noftrum. Eius rei caufla eft,
quiafufpeditur pronuciatio in ipfon, ad pa latum, vt lingua non ita cito
demittaturad deti tes: ita potius D,quam T.exprimitur.Sicetiam no 2 tam plene
efferatur, quum lequituripfum, Al tus. Ergo quum non semper eodemsono vsuisit;
At ayon quæsitum eft, quum præcedit vocalem Ì, atque hanc alia fequitur
vocalis, an recte cõsuetudo te neat, vt aut Galliper integrum libilum, aut
Itali per dimidiatum edant: vt in exemplis, Iustitia, bo Amicitia. Igitur
quimutari contendunt,nitun tur consuetudine, ac præterea Grammatico rum
quorundam autoritate, qui Litium, et vi tium, obliquos a Lite, et vite,
finefibilo iubent pronunciari, vt a rectis duobus Vitius, et Li. cium
differant. Vtuntur præterea argumento de Græcis fumpto: Nam fiillini, suum in
8, fo ni fleatunt polt m: fi apud cofdem r, esttransa aliud formatur: li
denique t,ipsum apud Græcoś poft Nfonum mutata poterit et hic mutare. Poterant
etiam fubtilius addere: fic, et Ć, crassius ante A, 0, v: exilius ante e, et 1,
editur: eodem modo Con etiam t. Contra aliqui ita sentiunt,vsum nunc minimi
esse et precii; et autoritatis, multaque 2 > mini 31 ud 4 ). 100 ! 4
minimeintegra haberi.M.quoque Tullium CICERONE, cum vsui quidda dedit,id
iccirco fecisse, quoniã apud populum dicebat quem sibi attentum,non recla
mantem volebat: atquenihilominus sibi scien tia reseruaffe. Neque enim, quæ
barbaries admi fit,foueda: fed quæ omisit vindicada. Neque nuc extare vfum quempia
nobis: Barbaros enim om nes esse nos:atque,vtminimum dicant, peregrinos. Consuetudine,quæ
legem habeatreclaman tem,corruptelam effe, non confuetudinem.Non jü, negare
fese tenuiorem esse sonum ipfius T, ante 1,quam ante A, auto: sed eundem tamen
fonum. effe. Nunc vero nullam effe rationem, quare in fibilum transeat: neque
proba esse argumenta superiora. Consonantes enima sequenti vocali au mai nullas
mutari, fed a præcedentibus consonanti bus, aut a fequentibus ob sonorum
diffimilitudi nem.ficutilonicrassitie quæ in B, et P,fit,effici venjin M, mPombaur.
Græcos quoque habuiffe au tores linguæ noftræ nos, quinihileiusmodicom autto
menti fint: sed a Gotthis,Vandalis, Longobardis. inuectum sibilum illum.
Præterea pudere vehe menter debere illosquiquum alios veniuntop pugnatum, ipfi
vitiofa arma afferunt; quorum culpa conuincantur. Licium enim a ligando di et
um GcPomba Lictorem, nõ iisdem literis quibus obliqui huius vocis,
Lis,scribuntur,scribi.Ratio nem autem huius prauitatis esse, propterea quod
Barbari omni in pronunciatione multum po nunt spiritus,ita vt pleraque
insibilum degenen rent necessario. Quoerrore ctiam ipfum c,dixi mus ab ipfispronunciari.Hy
1 ma:: ) • 32 IvL. Cas. Scal. I. Cenice. De I, confonante. Consonantem 1,
semper in principio fimpli cem effe obferuarunt: in medio autem non femper
duplicem: nam in Periurus, simplex eft, in aliis autem multis pro duplici
accipitur: Maius, Pompeius. Adducunt argumentum ab antiqua scriptura,
pergeminum enim 11, scribebantur, Mailus, Pompeilus, quoru prius priorem
claudat fyllabam: quomodo etiamnuncquidam pronun ciant Lombardi: fic etiam, vt
supra di et um eft, claudit tertium casum relatiui Cui: alterum au tem sequens
fequentem inchoabat. Igiturnoso lum quumincipit ab eo fyllaba,vt dixere,confo
nanserit:sed etiam,quod omisere,quum termi nabit,esse possit. Quin etiam
fequenteconfona. te vtin pronomine Huic.neq; enim v. hic est co
fonans,afpiratur.ni.neque est diphthongus, et eft monofyllabum, atqueidem Iest,
quodpriusfuit in fecundo casu,Huius,sicut in Cuiest,quod erat in Cuius. Ad hanc
autem naturam non potuit v, aspirare, sed transiit in pleniorem, scilicetin B,
celebs. neque enim temere a cælo et vita dedu xit Caius,minimemeritushoc,qui a
Quintiliano notaretur:sed sibilussequensincausa fuit:quem admodum e cotrario in
eiussonum aliquemmu tatumeftipsum B, Aufero,Abstuli.Proprium au Filipotem eft
ipfius Inconfonantis, in pristinam vocalis care formam redigi: etaugere numerum
fyllabarum. Hocque communehabet cum v, consonante,vt diximus. Martialis verfus
eft: sed Tum rum. Sed norunt cuiseruient. Leones. Ftin obfcæno farmine ita
pofitü eft: fed detestadu nõ meruitre citari.In Virgiliano auteversu etiã
omissum est, Tityrepascentes a fluminereice tapellas. Fecit enim verbum illud
Tribachum extrita A, quæ fueritin origine simplici, lacio. qua sublata,
neceffario in veterem vocalis naturam reftitu tum fuit I, quo exemplo etiam in
Bilugo, et Quadrisugo, idem euenit. Non recte igitur an- Rajce tiqui,cum
Reilce,ita legunt, vt primam cor - quab. pripiant, ftatuuntque i, simplicem ibi
consonan tem effe: redarguutur enim quum aliorum, tum ciufdem poetæ autoritatee
tertio Georgicon, v rad bi producitur illa fyllaba:consonantis igitur ra com
tione duplicis, nam fuapte natura breuiseft: Rejcene maculis infufcet vellera
pullis. die Inuenias etiam, quumnatura media quasi quali dam sit inter
consonantem, et vocalem:legimus enim Stellio apud poetam bisyllabum, et apud
Terentium Iniuria, trisyllabum:item Oppressio, et Beneficio, quadrisyllabum,
aliaque talia ple taque,oppresso sono ipfius I, ficut etiam in voce illa
Dies,facta monofyllaba. Accidit autem hoc aliis quoq; vocalibus. Ea, Mea,
Tua,Sua, mono fyllaba apud eosdem comiços facere cogimur: et apud alios poetas:
Unoeodemque tulit partu. Et Propertium: Eofdemhabuit fecum, quibusest elata,
capillosa I,indifferens eft nunc consonans, nunc vocalis apud Comicos in
aduerbio, lam. 7 tona cel us TlUSE hodk OIL CA a di pleine ma VOC CAP. XIII.
Affeettus finalisapoteftate. с Quo ante 34 IYL. 1. Q Voniam vero literarum
finis eft, constitues rediet ioncs,iccirco secundum earum pote ftatem factum
eft, VT CERTIS SIGNIFICATIONIBVS aliæ Sparemmaliis potius seruirent:in metu
enim, ac doloreef flamus:itaque A,A, dictum est,multum enim hi atum
præstat:eadem decauffa,etiam afpirationes interie et ionib.afcitæ funt, affe
ettum enim notat, confertus enim fpiritus editur. Ita consonantib. fietitia
nomina suis quæque facta sunt.Quid.n. mollius,quam vox ipla hoc
significans:quid im peditius,quam Bambalio, habes, et Baubare? paffiua voca
quum protulit Lucretius, etiam plus tumultusexcitauit, Baubantur.s, valde fer,
uit ad spiritus elifionem: - Salefaxa fonabant. R,autem rudiotem atquo
asperiorem, vtMurmur. vtrunque coniun et tum implent valde, Stridere. et magis
cum terminant diâionem, Stridor. Aspiratæ consonantes mul to acrius vrgent his
adiunctæ, Fragor.quippe er tiam molliffimam omnium literarum etiam ex asperant,
orcio6os, Praw,za01@ {w.Cyseruit hæfi. tantiæ. T, timori, AT, AT. M, vafticati,
Malum, Mons, Mirum. etiam fonumipfum audias,quafi præsentem, in quibusdam
vocibus,nízze. et apud. Virgilium cuius diligentiam non affectatam, ac diuinum
iudicium nemo est affequutus omni um ynquampoetarum: percipies enim lignato rum
operamillis vocibus: --fonat i£ta fecuribus ilex.etillud quantumeft
--tremitietibus area puppis. Illa autem etiam cum naui dilabuntur. Labitur
vnela vadis abies.- $ R 1 Tinni. 35 o Tinnitui fefe datn, Canere,Hinnire.Sed
omnia exequi non eft præfentisoperæ, nequein omni u bus hoc inuenias: fortuitæ
enim multæ funt vo ces;vtin yltimo libro est disputatum. Vitia potestatum
allata vocalibus, aut confonantibus. TOn solum id, quod recteatque ex officio
fa ciundum eft, cognoscere oportet,fed etiam quod prauum est cauere: ita in
scientiis quoque perfeette proficimus. Ergo postqua meras pote fates perscrutati
sumus; ipsa quoquevitia, quæ vitemus ex antiquoru obseruatione, fed moreno fro,
hoc est,Peripatetico,sunt declaranda.Depra queste uantur aut vocales, aut
consonantes singulæ,aut coniunctæ. Omneautem vitium fit
autDefcctu, aut Excessu, aut Mutatione. Mutatio duplex, aut i literarum, aut
locorum. Ita fit peccatum, aut in ubstantia, cum altera pro altera ponitur: aut
in quantitate,cum maior,minorve efficitur: autin i qualitate, cumsono suo
defraudatur, detorque E turq.in degenerē,aut peregrinū:autin loco, cum
trasfertur,vt odayavor, Ox'oryavov.Igitur cum alia spalia subditur,quod
faciuntParisienses,comuni » nomine, non proprio, Rusticitatem veteres Latini, Barbariem
Græci appellarunt. In quantitate autem error per excessum, Labdacismus: cum ***
craffius ponitur, ýt diximus, L Locus, pro Low e cus: fic Metacismus, cum m,
mugiunt: fiçin voca libus Platyasmus, quum hiatu vasto putantgraui tatem
afferri actioni.Huius eftgeneris etiã,lota cismus.cum ipsū I, exiliter
maximeproferüt:atq; C2 21 ed CO ita,vtetiam fupercilia collat: eftenim exceffus
in Sono: ac quanquam exilitas sit defectus,tameetiã defeetus capit incremetu.
Sic cu alias cosonantes aspirant,aut crassius edunt, dicitur Saouras, Cra
tes,pro Grates: Bibo, pro Viuo,aut etiam 'Fifo,, sic etproillo, Pipo. Contraria
huic io xorysscum defectu peccamus: fice,et o, exiliter nimis pro munciant
quidam Germani,quum tamen 1, ver fus et.deuoluant. Eftautem excessuset ille,
quum addunt literarn, quemadmodum E,addunt Hil pani,et Valconesipfis, fi
coniunctum fir, Escri bere, Esperare,Estare:vt vitarens overyuov; quod vitiuni
est cum ipfum s, craffisfimum, ac pene fibilantcs cdimus. Eftetiam in defectu, kond6Wocy
id eft,mutilatio, quum aliquid omittimus: quod Galli faciunt, qui multas
literas inculcant, vto riginem, vnde deprauatum eft verbum, repræ fentent:
paucas autem exprimunt. Contra est Battologia,quiet Battarismus, a Barto, qui
Cy renas condidit, homine linguæ impeditioris. Ge minant enim aut initia, fic,
Popons pro Pons. aut fines, Paulala, pro Paula. hoc etiam dicitur jyros, et
nouos ab Echo.Vitium autem initio rum vocaturab Erafino Titubantia:commodius
Hälitantiam dicastu: hærent enim primæ fta tim consonanti: falso ab eodem
rsauriouds.qua-, imf litatisenim vitium eft tecunotu-,fiuc osaurouess cum
cauts,non quimus recte efferre: sicutnob. femper defuit linguaadipfius R,
asperitatem. hi Latine Balbi diet ifunt: quo vitio laborauit Ari ftoteles. Et
Alcibiadcs qui R,in L, detorquebat quanquain substantia poffis etia peccata
dicere. X v. UN 10 =2 Sed hi Balbi ab Erasmo male appellantur Blæsi. Eft.n.
Blæsıtas vitium oris, ficut et Xo11o5ouía: sed blæsidiftorquet literas, exoris
tortura: xoirosopoz aute e palato loquuntur aut e naribus. Brasoos au tēet
wbos, funt vitia cruru distortoru, valgiorum etvacciorum, vt apud Galenum
videreelt. СА Ртт Vtrum F,fimula, aniemiuoralis. Poftquam vidimus
poteftatem,quæ eftforma dicare iarn poterimus F, mutane sit, an semiuoca lis:
sic enim Galenus quoque tlw zeciarpriorem mol Toćnepyeżą dicit. Ac mutam quidem
effe, veteres med at ficpote contendunt: Principio,inquiunt,nome ! habet tantum
semiuocalis, at noinen non mutat fubftantiam: Item si esset semiuocalis, di
ettionem 2.. į quampiam clauderet, at nullam claudit: Præte-, 1:a
reanullasemiuocalis ante I, aut R, in eadem fyl- **** laba ponipoteft,fed
f,ponitur. Quarto,nulla se - t miuocalis ante L, aut R, pofita communem facit
fyllabam, at F,facit.Ad hæc, Græcisidem esto, 95 nobis F: fed o apud illosmuta
est:igitur et apud nos F. Sextum argumentum, præteritorum ini tia finesque non
geminari nisi a muta incipiant: quare cum Fallo geminetfic, Fefelli, non erit
femiuocalis. Poftremo F, pro p, et aspiratione acy cipitur,vt olim Phuga,
Phama:at P,mutaeft: igi tur et F. Hæcargumenta fepte numero, vtqualia sint
videamus,meinoria eft repetendum, quod fupra diet umeft:Murasnon inde
appellatas, quod pa-ssou rum sonarent,fed quod nihilnullo: cnim conatuta? ad 11
باز C3 38 IVL. I. adduciqueas, vt B, nulla addita vocali proferas. Neque quod
pro ratione adducunt,ratio est:Mu » liere informediettã,pro deformi: est. n. in
eo voca bulo, Forma,çquiuoca vox: Nam et prospecicac cipitur, et procerta
partium proportione, quib. figura constituitur perfe et ior. Hanc igitur negat
præpofitio non illa. Sic formosu, a formato aliud eit:fic locutus eit
Euripides: 1īpötov refieidas dēžiov Tupevvidos, Açmutæ nomen penitusvocem
tollit, Græcoru fane imitatione, qui d Owe,nõlvoQwva dixere: nό κακόφωνα, non
μικρόφωνα, quonia nul lam fibi retinerent vocem. Ea enim funt natura, yt magna
pars, nisi clausis labiis, aur dentibus, aut vtrinque conformentur, vox edi
nequeat: Idque declarat Mato quoque in Theæteto: αι βήτα,inquit, 'τε
Φωνη,δεψάφος, επ των πλείσων stani hysoig eiw. Semiuocales autem fclo eduntur
fpiri metodentu:adducta nanque ad palatum,vti diximus,lin gua solo fpiritu
pronuciatur:tremula,atquevi brata paulo inferius, R: si spiritus ad nares af
cendat introrsum, vt idem vult PLATONE in CRATILO, n, pronūciatur: fimplici
mugitu editurm: i. psum vero fibilum, fatis constat,nullius ope vo calis
indigere', quare factum est,vt etiam afpira tionis loco poneretur, leos, sedes.
Ex quibus in fumma illud constat, spiritu pene solo enunciari semiuocales,
ficut vocales fane solo, a quibus hoc illæ differant: quoniam vocales hiatu
simplici, ferniuocales operosiuscula efflatione pronun çiențur, mutę nulla.Hanc
autem horum nominū aptissimam cauffam,noftręscientię magistra au toritas
Græcorum ostcdit, Nasi propterea essent semiuocales, quodincipiant a vocalibus:
pfe et o cum a vocalibus non incipiant apud Græcosea rum nomina, non erut semiuocales.
Igitur Latini priscicum animaduerterent P, quiděnullu pe nitus habere fonu,
nifi vocalis addatur: addita ve ro aspiratione,haberevel maximum, intellexere:
quippeinferioribus dentibus ad labia leniter ap: plicatis exiens spiritus,
libilum imitatus, ipsius F, imaginereddidit:quo fa et um eft, yt propter:oni
sui facilitate, obiret plerunque munera, quæipli s,debebantur. Id quod ite
agnofcimus in semiuo calibus: Siquidē paspiratione quoq.positüfuit,,, vt
Felena, pro Helena. Atque iccirco etiam, etx, a Græcis semiuocalium in numerü
suntre latæ: quarum tamen tenues essent mutæ. Aspira tio enim tenuium literarum
naturam animarat ita, vt nullius indigensadiumentisonusappofi tusin aliam
speciem ad sese traheret. Eft enim aspiratio quali vocalis quædam, aut etiam vo
calium anima ipfa: quare mutæ appofita femisse consonantis illi reliquit,
alterum semissem fibi vindicauit, vnde et semiuocaliu nomē fit fecutu.
Soluuntur ex his argumenta: Ac primum ato afferuntnon debere vim a nomine mutari: tantu ”, abest,vt, negemus vt
affeuerem antiquos ppen sa huiusliteræ potestate, summostudio nomen, quod a
Græcis acceperant,inuertisse:ídque indi diffe fecudum vim,quä сompertam
habuere. Ne que talem putaffe, quia ficappellaretur: sed no. men impofitum
propterea,quod talis effet, Aduerfus secundu argumentu: negamus necef Atz fe
efle,omnia nomina omnib.claudi lemiuocalib, Neque vero re ette fic
cosargumetari: Cæteræfe miuocales claudunt nomina:igitur fi F, est semi
uocalis,clandereitem debet. Neque.n. dictiones efficiunt vt litcræ semiuocaliu
aut mutarum natu ra foitiantur: fcd literæ faciuntvtdictiones fint: partes cnim
totius caufla funt. Neque fiquali tcra non claudat continuo no fit
femiuocalis.Sed caregula constituta eft abijs, qui hanc mutam pu tab-it effe.
Præterea hoc eodem argumento a mutis excludam: Cæterarum pleræque mutæ claudunt
Lac, Adad, Volup,Caput:at F non clau dit: non estigitur muta. Quid, quod
priscorum testimonia aduerfantur neganţibus nomina clau di ipfok.nam vt omitta
eos ysosesseAf pae præ politione: ipfius sane literæ nomen suo libifono F,
claufere,etia cotra quam a Gręcis acccpiffent, * Tertia ratio negabat vllam
semiuocalem ante I aut r in eadem fyllaba ponipolle. At hoc tibi negamus nos:
quis enim hoc fibi persuasit, nifi quimutam putaret F? petitigitur,quod proba
re debet. Sed et hoc falsum est: scmiuocales enim Græcianteposucre Sadw zepce,
Quartü argumentu quo aiunt, Nulla femiuo #calem antelet R pofitam cfficere
syllabam com * muneridiculum est. Si nanquefuperius argume tuin verum eft,hoc
erit falsum: hoc.n.abilio tolli tur, nam et ibinegabant,nunchicponunt. Quo
eniin modo communem fyllabam efficit, quæ ne syllabam quidem facit? Quid? li
femiyocalis fa çilitas in cauffa eft,vtmutæ postposita, mora tain pofilla
trahatur in fyllaba, vt etiam corripi por tiç, in qua tamen muta sit; quanto
aptius atque comin commodius id inter duas semiuocales fiat? Mu tarum enim
rationeminimefiericonstat: liqui dem vbi duæ funt mutæ,non id euenit, vtin ver
bo, Tracto,quod natura sua dibrachum eft. Sed v bi muta cumsemiuocali vtin
verbo, Agrum. aut duæ feruiuocales, vt in verbo ourvui. Quintam rationem, ex
iis, quæ diximus,solu-,Asy tam videmus:?,nanquesemiuocalis eit,immuta: ta
ipsius P, per spiritum potestate. Sicut etiam, etx, cum tamen T, et K, mutæ
fint, vt diceba mus. Quoinstitutoinalias quoque species eædē mutanturmutæ.
Addito enim sibilo ipfis C, D, P, fiunt semiuocales, præfertim cum fateantur
ip: fius Y, quam ipforum Ps; esse sonum faciliorem. Sexta obiectio seipsam
damnat: nam sumpta regula hac, Non geminari præterita, nisiid per 486 mutas
fiat: cocludit per, Fefello,mytam esse F, cu tamen
inueniamus,Šteti,Spopondi,Scicidi, quæ incipiunt a semiuocali. Nequevero ad id
confu giendum eft, vts, nullam ibivim habere dica mus: liquidem eius sibili
tanta est vis, etiam ipsis in præteritis Græcis,a quibus hic fluxit mos,at- p?
que adeo in verborum initiis ita viget, vtiplam impediat geminationem s«
{wěscexd.Atlis,nul lum erat,vtique eo abiectogeminatio admiffa fuisset. Sed
quid agunt hi? nonne Momordi,ge minauit? quid enim aliud eftm, hic dicere,mutæ
vice fungi, vt aiuntipfi;quam dicerem, mutam non esse sed semiuocalem? Quæ quia
diruebat i sum canonem, ad mutæ functiones, atqucvices eos miserrime compulit.
Quaresi eis neges verű effeillud apotelesma,probandum erit ea ratione: quia CS
42 Ivl. I. > quia non admittit femiuocales. At ego contra, non folum
Momordi, hoc obiiciam: fed illud ip fum etiam, Fefelli. Igiturid, per quod
probauit, maiore estin controuersia, quam hoc, quod quæ rimus: vt omittamus
Græcorum et prudentiam, etinstitutum, a quibus morem noftrum induxi. mus, quiσε
σηπε, dicunt, et λέλαπε, et μέμηνε, et vevu qe, atque alia eiusmodi. puerile
enim est abducere a geminandi poteftate semiuocales, mutífque alperioribus
attribuere: cum aspe riores literæ prohibcant in quibusdam gemi nationem.
AlyPoftrema pertinacia, vtcum quinta cohæret, ita cum illa quoque foluitur
spiritu mutatum, in F, etmutatam fpeciem, argumento etiam ip se ordo eft coniun
et arum in diet tionibus: quippe ipsum r., ante senon patitur N: at F, patitur,
ita vt etiam ipsum m, in fe mPomba, Anfractus, erate nim AM, abuol. Ludicrum
quiddam additum ne res quidem meretur, vt diluamus: Audentenim fingere mo som
dum nescio quem,vndeF, geminetur:scilicet per albumutationem:vt Offendo. at
semiuocales non per, mutationcm, fed fuapte natura geminari, Olla, Flamma,
Ennius, etalia. Quafi verointerfit po testatis per mutationemne, an per naturam
gemi netur: geminatur enim, quia eius natura ita fert. Quali vero non cæteræ
quoq.mutægeminentur: Obba, Acca, Reddo, luppiter, Rettulit: qua fi vero ipsum
quoque F, non idem patiatur, Offa. Quafi vero omnibus femiuocalibus idem
eueniat ylu: Non enim duplicibus, Quali vero E half somewea la veteres vllam
consonantem geminarint. Hoc enim negat cum Feftus, tum
Varro: et ta men eo quoque tempore et mutæ erant, et fe miuocales. Viram,, an,
H, fit longior, O Vanquam 2, et, Græcæ funt:tamen quią nostratium dietionum
aliquæ ab illis profe ettæ, harum vocalium femina retinent: feftiua, nobis
quæstio tractanda eft, vtra scilicet longior 9 fit. Duas fententias
constituamus: alteram ab origine, philofophice: alteram ab focietate,
mathematice. Aborigine, fic: Quæ proportion | materiæ ad alterius proportionem,
eadem et compositiad compositum: sed e, est materia ip * fush: et o, ipfius i:
ergo fi o, est longius quam E, ita, quamH. Quod autem o, lit longius, quam e,
probantper regulam: Quinti cafus fyl.: labam vltimam aut eandem effe cum
poftrema - Reetti fyllaba, aut minorem. Igitur wioge, cum non siteadem cum
nogos, minor erit. Ratioau, tem Mathematicaestcontra hanc,a proportio- oefening
I ne societatis: Quæ est proportio totiusad to en tum, eadem est partium ad
partes: fi æqualia in æqualibusdemas, quæremanent, sunt inæqua [ lia:Ergo cum
ei, diphthongus sit longior quam 01: exempta vtrobiques, communi vocali; erit:
quod remanet E, longiusquamo. Quod autem F1, sit longior quam oIs patet
ex'accentu. Nam.p fine polyra Er, nunquam aut antepenultima acuetur,
autpenultimacircumfleet etur:at fi o 1, sitin fine,vtrunque fiet. oixos, Pinorogol,
Afferre etiam illud poffumus,E, ante L, apud Homerum produetumali quando, uenwserwera.
O autem nu quam: repugnat enim naturæ eius productio. Sole Hæcargumenta etsi
sunt magis exercitatoria, quam neceffaria:tamen etiam pertinent ad veri
tatem:neque enim illud Quintiliani recipiendu eft: Grammatico expedire etiam fi
quædam ne sciat. Nam quem tandem ille fingite quadriuio extra encyclopædian?
Dicamusigitur, e, esse breuius, quam o,plus enimtemporisin hac poni zur
proferenda. Diphthogorum autem obie et tio illa nulla eft. Nemoenim ignorat, A,
esse longius, 1 quam o, ettamen idem eucnit ipsi a i,quodipfi * 01, eucnire
dicebant, pofita enim in fineacuitur antepenultima. Præterea eidem o 1, non id
con tingit femper:non enim Aduerbiis, non Optati uis, cikol, a novo.Et in
fecundo libro vsus is repro batus eft: nam si iccirco non acuitur antepenulti
ma, cum poftremaeft longa, quia refolui potest: igitur accentus acutus in
quartam a fine recipere tur: quod eft absurdum: fic, turlygues participio
fæminino in quarto cafu: idem monstrum se quetur etiam si penultima longa
resoluatur, fic 3uTlx00, Nec tamen ad id refpexere. Vfustamen Atticorum,
fiaccentu rem metiare, huic fenten tiæ aduerfatur, et fauet priori: dicunt
enim, μενέλεως. Locorum affe et u a poteftatibus inueftigantur. Hacferefunt poteftates
cuiusque fonifin gulares: ex quibus fi quid præterea in me dium afferatur,
pofsit tolli controversia. Neque enim optimi artificis est (vt ait Galenus)
omnia persequi. Nunc fecundum loca sedes cuiquede- Loui bitas videamus.estenim
potestatispars, comitem aut vicinam literam aut pati,aut nonpati.Igitur
efftemed 7 literx'aut funt in dictionibus, aut no funt. Ti sunt, patiuntur
mutationem aut in substantia, autin loco. In substantia bifariam: nanque
autabolen tur a principio, amedio,a fine.Sic nomina triain uenta sunt,
Aphæresis, Latineablatio:Syncope, Latine concilio: Apocope, Latine
abscisso.Aut. transmutaturin aliam, Græce,uel Gonne Patiun 1. turin loco.
Latine translatio, Græce MetJ8075, transpositio. Si non funt,addunt,
autprincipiis, Desaters, Latine appolitio: autmediis,ervers Latine
interpositio: autfini, Græci dixerunt hac abgerywoles, productionem. Hæc funt
genera. Species autem, fic:Nartque aut sunteiusdem no tæ, et poteftatis, autdiuerfæ.
Item a numero:vna, aut plures, Affectus autem non omnibus iidem, aut
æquales:neque enim eiusdem generis conso aans aut principiis,aut finibus
additur:nequedu ptices geminantur, vt nunc vsurpantItali,vt ex primant vitia
linguæ degeneris a Latina:ponunt enim duplexzz. Acciduntautem hæc; aut ex v-
Aca " fu:vt quafe, quafi: aut ex arte, et hocautex infle xione:vt,
ago,egi:aut ex deductionc, et hîc bifa siam:naaut a peregrina, vt Patroclus,
margoxiosa Auo, 31 Space kus ) 46 IvL. Cæs. SCAL·Io Auo, Punicum, vnde noftrum,
Aue: Marathi Hebræum, vnde Mare, noftrum: aut a Lati nos et hincdupliciter:
autenim simplex fluxits vt, a Titulo, Tutus:non, vt aitVarro, e con trario:nam
Titulus, age' the rule, vnde et tiey. aut compositum,a luisparţibus,vtabigo.
Dequi bus suo quoqueordine, agendum est. Sed quia transpositio facilior est, ab
ipfa;cumvenią, inci piamus: nihil enim nocet. Transpositio. Ranspofitione fane
interest ytrum intelli pages gas, relatas in prioressedesliteras, an dila tas
in posteriores. Nam fi dicas Fretum, quafi Fertum, a Feruendo: vtrum intelligas
R, ante latum ipfi E,an E, postpositum ipfi r? Sed omit tamus exemplum: fortaffe
enim fuit Feruetum, atque inde nulla transpositione, sed extritio ne, fa et um
Fretum. In rem ipfam intenda iusvocalisne,an confonans transponatur. Re etius
fane iudicemus, consonantem, non voca lem transferri. Differuntur enim
difficilia: difs ficultas autem in consonantibus:quare qui fta tim non
poffent,moxin proximam sedem tran ftulere. Eft etiam a Græcis exemplum, opa jev
dicimus, vnde Qayavov. quare cum cac gyavov dicatur,consonans, non vocalis
tranflata videtur, Abolitio, Ablatio,
Concifio, Abscisso. Propofitio, Interpo fitio; Appofitia Bolitie est,
cumtollitur litera.genushoc #beli A ho prius tractandafunt, quam Præpositio,
Interpolitio, Appofitio: propterea quod tollimusquod Oro eft: at quod est,
prius eft, quam quod non eft:est enim habitus prius priuatione. Si autem ita
con. sideres,iam ablatas effe: tuncecotrario et Synco pametalias primo
tractesloco.Nesitigiturfrau di, fiue quali ablatas, siue quasi auferendas con
templemur. Additur
ergo diuersa in principio:Aals Edurus,apud poetam, pro Durus." In medio,
Mederga. quæ cuitandi hiatus cauffa inuenta V eft. maximeque pertinet ad V,
vocalem: Alcu · mena, Aesculapius, Hercules. I, quoque eius 1 vsus sit
particeps: Nauita, Nautris, Nauta enim C primum fuit. et, C, consonans, Sicubi,
Combu ro. et 'aspiratio vehemeris: Mihi, Prehendo. et # ante medium, poft
principium: Loumen,,P Lumen.et in fine: vt, Comperior, pro Comperio.
Additurautem fimilis, A HI AM, in principio:in medio, Reddo: in fine Nausicaa.
Quod autem ve teres adducunt pro exemplo ex ORAZIO: Reducet in sedem vice.
itemex Terent. Phormione, Sectari in ludum: ducere, acreducere. hoc est,
librariorum manum, non autoris fidem implorare, neque crim in his iambicis
velin illo dimetro; yel j hoc tetrametrozneceffaria spodco fedes eft. Sed e
Lucretii libro primo poterad afferre: Redducit Venus: aut redductum Dadala
tellus. Quemadmodum autem s s,etR R, et L L, ge minata debeantur superlatiuis,
suo loco dictum est: contra quam recentiores deprauarunt. Con iner tra autem
tolliturab initiis: vt Natus. fuit enim Gnatus, Generor. De medio: vt,
Periculum.de loco ante medium qui est:Pratum,quod fuit Pa ratu. Hæc a NIGIDIO Figulo
Intercilio diet ta fuit poteft etiam Concisio dici, vt, fermo breuis, qu
vocabitur concisus. Rationc carminis interdum fa et um eft,vtapud Homerum,
qums, pro aique πος. etαγροτητα, pro ανδρότητα. etapud Oppiani, μόλυβος, pro
μόλυβδος. Ιnterdum ob tedium pro lixæ diet ionis: Periculum. Aliquando ob
difficul tatem:vt, eonos, quodaliis eftesãos.Alias ob vtru que:Bruma,ßpoczurua.
Aufertur a fine: vt in ple risque verbis, etlusit Ausonius: Qui reminisco
putatse dicere poffe Latinė: Hic,vbi Co, fcriptüeft,faceret Corficorhaberet. Sed etin vsu communi a fiiciebantM, et appella batxantar, extritionem.
Items, Multi modis. Sed in scribendo. nanque aiunt M Catonem fic fcripfiffe:
Die hanc,pro Diem. Pindarus poeta non folum eligit, s, fedetiam eiecit exulem:
cum poematium condidit, in quo nullus penitus fi bilus reperiebatur. Mutatio in
communi. Vtatio est parte incolumi vel manifefta, 10 qui* M ptioque extranei:
neque enim mutaretur fine fymbolo. Appello nunc symbolum, quod FILOSOFI,
communem quandam rem anatura colla tam. Quanqua enim elementum indiuiĝbile eft:
tamen quia fonos quofdam latentes inter fe affi nes habent:iccirco ea foni
parte incolumi, altera inducta eft. Ac manifesta quidem eftin duplici- nani
bus. Etenim, 2, cum fit exs, et D, in Medentio,D, fila remanfit: fibilus abiit
hæcmutatio per ablatio. nem, non per transmutationem facta est. At ve riorin
verbo Plautino, Siciliffo,s, remanet: Din alterum s, abit.osenicacia Occulta
autemia Cari circon - santra, ex Cassandra.communis nanquesonuseft quidam D, T.
neque differunt,nisi mollitie qua dam,autexilitate. Alia unutario, ex infle et
endi Ja fleiri modo, haud ita vera eft. Cum mutantur ea, quæ habent inter se
cognationem, aut genericam: vt vocalis in vocalem, consonantisin consonan
tem:aut quæ secundum fpeciem fit: vt,certa vo calis in certam. At participium
aetiuum præsen tis temporis a præterito perfeet o cum deduci mus: duas diuerfas
consonantes recipi,vocalem que transmutari conftat. Mutatio, qua fit ex
consuetudine. Vocales. G.Enerica mutatio hæc,atquehuiusmodi eft: cætcras nunc
fecundum fpecies exequa-, mur: ac primum cam, quæex vlufacta est: cer tissimis
enim fonis cognationem oftenderunt: nam quod veteribus fuit,
Magefter,Amecus,Me- 1 derua, Quase Misc.Sibe Here:puncper1,Magi D fter,; so
Ivl. I ster, et reliqua. Sic olim Leparenfes, postea Li zparenses, autor
Feftus. Contra 1, ponebant,vbi nose:Niapud Plautum,et VIRGILIO, quodnos Ne. et
E,prov:Auger,nosAugur: illi Hemona, nos Humana. et pro o,illicompes, nos Comjos:
Eolummore,vttoties diximus:qui Sortu, quod Attici, isívtz. Siceriam Hilus,
proHolus.et He Pmone,pro Homine. Vbi etiam o, pro i, quo niain Homonem,
dicebant: NuncHomincm. € etiam E, quod nos, A, Cato enim Dicem, Fa o ciem: quæ
poft illum Dicam, Faciam. Item o, in A,vt iam oftendimus. Hemona, pro Humana Et
pro e, Amplođi, pro Amplecti: nam eiuf dem fontis eft texa, et wazr. Sed etiam
in a liis. Voftris, Vorti,nunc Vestris,Verti: vt primus omnium Africanus
emolliuit: nam quod erat Vortex, et Vorfus: ipse Vertex, et Versus, ma luit.
Sic etiam in 1, Olli, nunc illi. Item quod Isthuc, nos Isthoc. contra il li
Voltis, nos Vultis. illi e contrario Fulguri bus, vt apud Lucretium, nos
Fulgoribus, Cun cha, Gungrum, Fretu, Lauru, Huminem, Fruns, Acheruns: nos hæc
omnia per o. Dev, et 1, fatis fupra di etum est: aiunt enim €. Cæ farem primum
omnium Optimum, et Maxi mum, quod erat apud priscos Optumum Maxu mum
pronunciaffe. o, Thuscos, Vmbrosque caruiffe,memoriæproditum est. Quarequi Epi
fulam, et Adulescentesmaluntdicere, Vmbros fese, non Romanos profitentur. Nam
contra Romani Polchrum, et Hercolem, etDauom, et Scruom,protulere. Ex
diphthongis autem, illi oe, nos v, Moeri, o aosMuri. adhuc antiquitatis
vestigia remanent in Mænia, pofteritatis autem in Munus. origo autem erat ab
or: uchege, rata fcilicet cuiusque mouletto civis pars. Apud eosdem Æ,
integramanfit,quam nos ini, mutauimus: Exquære, apud Plautuma nos Exquire. Av, in o,
ete contrario: Claudius, AV Clodius:Aula, Qila:Plostrum, Plaustrum. Mutatio
Consonantium ess confuetudine." Onsonantes autem veterum fic mutauitp.
fus: posuiteoim b, prod, Duonum, Bow 3 { num: Duellum, Bellum. quod etin Græcis
no I tauimus, dis, Bis. et eandem,pro f:illi AF,nos AB: (illi Sifilum, nos
Sibilum. Sicut e contrario, illi Bruges, nos Fruges. 1 D.posuimuspro R, illi
Aruena, nos Aduena: illi s Aruocati, nos Aduocati. et eandem pros:illi Af
uerfa,nosadversa. Fypofuimus pro PH,Fama, quodfuit Phama. * et Fuga, quad
fuit,Phuga. 6, posuimuspro R, Argerilli, nos Agger. il- G. li Argrego, nos
Aggrego. Itali die Arger dicunt.curiosenimisVictorinus, vt diximus, Anger:sicut
contra, Agchora,non An M,posuimuspro s.Committere,quod illiCofam. mittere. R,
posuimus prod, Meridies, olim Medidies..R D 2 quia quoque ho chora. $ IvL. CAS
SCAL. L quia uteo, et uloor, et mcdium, cognata crant. Elifimus, Carmena, Camena. et candem pros Odor, Vapor,atque eiusmodi: olim
Odos. Sed et abillis Passes,di ettum fuit: quod nos Passer. Vul
gatum quoqueillud eft,Valesius,Fufius:nos Va ferius. Item illi Carmena, quod
poftea Carme na, quod retinuimus in carmine. ItemUfrcna, posteri
Orrena, Æolensium imitatione qui non dicunt opw egw; fed pow. S ś pofuimus pro
C.Suscepit, olim Succepit: sed ita puto, a veteri voce pofteros deduxisse, quæ
fuerit Sus: priscos autem a communi Sub. Et eandem pro aspirationc: nam quod
est no bis mufa, illis fuit Muha. Etpro M, Prorsus,quod eratProrsum. Etiam
elifimus: nam illi Calmil la,Celna,Dulmus: nos detraximus sibilum. In quibufdam tamen manfit folus, Strenna: fed cum aliis, Stlites,
Stlatum, pon manfit: Litics, Latumi. T, posuimus prop. Adqueilli dixere, nosAt
que. fane melior priscorum ratio: nam et mollior fonus eft, etorigo seruatur.
præpofitionis enim vis adhuc manet, ut dicamus, Tu atque ego: et sit, Tu et ad
teego. Sed voluere discrimen effein ter præpofitionem, etconiun et ionem.
Eiusdem modifuit,Sed:nam e contrario olim erat, SeEt: difiungit enim,
Tucurris,Se Et ego sedeo. Sepa rata enim efta et io meaab operetuo. adversatur
cnim vox illa,Se, ut seorsum, fecurus, segrego, separo, et aliainnumera.Etiam
Aud, non aut, et illi dixere, et nos dicere deberemus: nam fi negatiux Haud,
addita cft afpiratio differentia cauffa: sane cætera elementa ad quærendum di
fcrimen non funt mutanda. quin fortasse potius vtrunque ficciore elemento
scribendum fit, Aut, Haut. Græcum enim fuit, art. Omnis autem difiun et io vim
obtinet negationis. v,pofuimus, pror, Seruus. at Æolice ficleri - V bebant,
Serfus. Aspirationem supposuimus: illi, Belena:noszl. Helena, detraxinus
autemmultis, Charum scri bebant,nos Carum,vndeet Carere:quoniam de ficiente
annona carebant, atque ibitum illa cara erat, Aiunt remanfiffe in tribus,
Orchus, Pul cher, Lurcho. Orchus tota Græca fuerat, et trans lata aspiratione a
vocali ad consonantem špxos.vi. detur ex epitaphio Næuii poetæ, aspirate preto,
nunciatum: Poftquam est Orchio traditusthefauro. Lurcho, contra analogiam
afpiratum fuit: nam Mucco, a muccis: et Bucco, a buccis: ita Lur co, a lura, ob
ingluuiem: fed ratio significatio ais potiorfuit, ob fonitum voratoris. Sic Quốir,
aspirationem admißt. At quare pulcher aspi retur, ratio declarat: fuitenim
Græcum10 auxere, id est, fortis: fic omnium do et iffimus poeta. --fatns
Hercule pulchre. PulcherAuentinus. Igitur Romani qui omnia ponerent in
fortitu dine, cum demum bonum, et formosum puta runt, qui effet fortis. Itaque
fortis quoque pro pulchro positum eft apud Plautum in Milite:AC que sine
ratione: exemplo enim Græcorum fa, et um est, qui nænor, æque et formofum, et
bonum fignificarunt. at bonus fortis eft: malus au tem, caxos, imbellis: vnde Caculæ,
quiin numero militum non effent,age' to xaltats; quod eft ce dere. χαζεο τυδείδη. lidem veteres multa inuertêre: CATAMITA pro GANIMEDE: Melonem, pro
Nilo:Lubedon tem, pro Laomedonte. etiam inueni vbi Sagun tum pro Zacyntho
dixerint: quæ nos omnia funditus euertimus,non solum elementa immu tauimus. Mutatio
per inflexionem. Vocales. Oteramus fine flagitio, non exequi partem
hancabinflexionibus:nequeenim certa niti. tur ratione, etpuri Grammatici
interest. Sed ne quidomitteremus,appofuimus: non tam vt om sia comple
etteremur, quam vt principia ipfa fta tueremus. ز A. Igitur A, breue in longum mutatur, ve Re et us fert primæ
declinationis, et sextus cafus: e contrario longum in breue, Par, Paris. A,
breue in, breue, Parco, Peperci: nam parco eft, partem arceo: id eft, continco:
Pars autem nagura corripitur, a nop @, quoniam pars præ cedit totum: fumptum
nomen a mefforibus, et vindemiatoribus, et lignatoribus, et paftori bus. A, breue in
e, longum, Facio, Feci. A, lon gumine, longum, Fallo, Fefelli. A, longum in E,
breue, Stas, Steti. A, breue in 1, breue, Ca do, Cecidi. A, breue in 1, longum,
Peccata,Pec catis. A, longum ini, longum, liasexto fingu- i 1 " Iari 51 EN
T 1 lari primæ deducas sextum pluralem, Bona, Bo nis. E,breuein E, longum,
Scro,Seui. e, longum E in E, breue, Fides, Fidei. E, longum in a, bre ue,
etlongum Anchises, Anchifa, fexto casu, et Anchisa quinto. E, in 1, breue,
Culinen,Culmi nis: ini, longum, Eo, lui., breuein v, breue, • Pello, Pepuli. i
breve in 1, longum, Audio, Audiui.1,lon- g. gumin i, breue, Ainbire ambitus. I,
breue in A, breue, Siquis, Siqua, rectus fæmininus: in A, longum,
Siqua,aduerbium. 1, longum in A,; longum, Qui, Quas aduerbium: fuere enimo lim
casus quarti, posteafacti suntaduerbia. I,bre ue in e, breue, Rapio,Rapere:in
E, productum, Turris, Turres. 1 breuein v,breue, Rapio,Ra pui: fic enim volunt:
nam nos putamus fuiffe olim Rapiui. Sed sunt alia
exempla, Alitis, ali tum: in v,longum, Quis,Cuius. 1,longumin v, longum, Qui,
Cuius. Sed
et in o, quod etprius fuit,Quoius. o, breue in longum, Pulmo, Pulmonis. O, 1
breue in A, longum, Amo, Amaui: in Aj bre =; ue, Do, Dare: in E,produ ettum, et
correptums Lego, Legere, Legerunt: in i.correptum, Hon mo, Hominis: in 1,
productum, Scindo, Scia di: in v, correptum, Domo, Domui, in v, pro du ettum,
Sequor, Sequutus. 0, productum in v produetum, Erato, Eratus: in 1, breue agni
1 * 3 I tum. 7. V 2 v, breucin longum, Domus, Domu.v, logum in v,breue, Penu,
Penuris. Sicenim fcripfere pri D 4 mun, s 56 IvL. I. mum, quod nos Penoris. Sed
eft et aliud exem plum, Cornu, Cornua. v, breue in A, breue, Cor aum, Corna: in
1, correptum,Genus, Generis: in 1,longum, Bonus,Boni: in breuc, Caput, Ca
pitis: in o,breue, Fenus, Fænoris: in o,longum, “bonus”, “bono”. Mutatio
Dephthongorum ex inflexione. FOOrtasse etaliæ quædam sint mutationes, quæ
addentur, fiquis inueniat: fed fi quæsunt, non Epi multæ superlint. Diphthongi
autem fic trans eunt: et in A, Quæ, Quarum:in 1,longum Cædo,,
Cecidi,diphthonguscnimibi fuit, a Græco kai ww. Contra ex 1, factumestoe,Incipio,
Incæpi: quoniam fuit, Cæpio. Inuenias autem etiam interiplas mutationes, fi
Nigidium fequare,cui re ettuspluralis fuit, Bonei, ad differentiam fe.
cundicafus fingularis Boni. et fecit l'urreis quar tum pluralem,neesset, Turris
vnuse singulari bus. Quod fi ita debuit, debuit et variari quar tus pluralis
fic, Domous, ne esset vnus e singu faribus, Domus. Sed nos præclara ingenia ad
miramur, confuetudinem fequimur. Sic etiam relatiuum variabis: re et us
fingularis, Qui: ter tius cafus, Quoi: reetus pluralis, Quei. Vete tes autem
etiam tertium fimplicissimefcripfe re, Qui,non Quoi. sic enim legimus illud Ver
gilianum: --qui non rifere parentes: Nec Deushíc mensa,Dea necdignata cubili
est. eft enim pofitum pro, Quoi fiue Cui. Scriptura autem communis etiam reco,
fecit vt etfenfum inuerterent Grammatici, et peffime Hiftoriam, aut fabulain,
quam afferunt, adaptarent. Mutatioconfonantium exinfexione. Aior adhuc reftat
labor: sed fane sit cum venia,figratia carebit. Boni enim artificis partes
funt, quam paucissima possit, omittere.B, B lemi C, D, G, M, N, Q,R,
T,mutanturins. lubeo,lulli: Pard co, Parsi: Lædo, Læsi: Spargo Spars:
Premo.Pref fi:Pono,Pofui: Torqueo,Torsi:Vro, V ffi:Fle et o, Flexi. Videretur
autem etiam aspiratioin s,muti tari in ' I rabo, Traxi: sed acutiusinfpicienti
par lam erit, aspirationem in gutture mansisse, at que induiffc proximi
elementi pronunciatio nem, ipfius fcilicet c, additumque potius effeli bilum,
sicutin, Prefli,m, mutatum, libilum addi tum: in Torqueo autem q.ablatum, atque
in cæ teris alia. Contra,s,in D:Paris,Paridis.Item fic di xere: quemadmodum
B,ingeminum ss, Iubeo, luffi:ita et D, Cedo,Cefli: et T,Concutio, Concus fi.
Scd profe et o prudentius contemplabimur, cosonantesillas in simplexs,mutatas,
alterum au tem esse præteriti ipsius. Ita G, mutatur in suam - comparem: vt,
l'ingo, Pioxi:nam in ct, mutari quod aiunt,falsumeft,in verbo, Agor, A
ettus.Sed eadem proportione affinitatis in C, mutata as fumit t: ficut
faciebatin verbo Fingo, in præte rito assumebat s, in supino T, Finxi, Fiet um.
apparet id e contrario: namque c, in G, “grex’, “gregis”. Quod autem ftatuunt,
c, in v, coe - xemplo, Pasco, Paui, abie et o fibile, puto E DS nou 58 I'vL. I.
nonita effe: sed verbum vetus fuit now, quod fi gnificauit et fequi, et
assequi: vnde etiam satws: quafi iuwi, vt org: yes. Æoles enim et decurta bant,
et tollebant aspirationem: iidem vero adde bant onw, indefactum eftnoftrum
Pasco. Eiur
dem originis fuit etToo', quoniam in pacato, non in hoftico pascebant:vnde
etiam Pax. Aby trouis autem præteritum illud fluxit: neque e nim Palco, fuit
primigenium: ficutincqueNo sco,Noui:fedqoxu, fuitgrow,grão Sic ncque in
T,mut:tur, vtputabant in verbo, Irascor, Iratus: Fuic enim iralcitus,quod
poftca deficum est: etab iecit fibilum, quiretcncuscft alio verbo, Pascor,
Partus. Non clt igiturs, quod mPombaur in T, vt prodidere:in conanque verbo
mansitincolume: a neque c,in t,mutatum: etenim fuit Pascitus. N, abiicitur,
Scindo, Scidi. neque mutatur in v, vt scripsere,in verbo Sino, Siui. Aliquadoenim
fuit, 27Siniu.Q in suagermanam, ScquorSecutus.Nec trasitin x,vtvoluere,in
Coquo,coxi:sed assumit K fibilum. NequeR,in v, quodaiunt, in Sero, Seui: fuit
enim Serui: quodextritu est,ad differentiam eiusdem verbiin alio significatu:
vix enim muta tam eam literam inuenias inflectendo. Ats,mu. tatur in n.Sanguis,
Sanguinis: quoniam fuit San-, guen. In D, ycdiximus, Paris,Paridis. abiicitur
ex duplici remanente altera parte, Perdix, Perdicis. Trastin R,Flos, Floris:in
T,Nepos,Nepotis.Sed non eft verum, quod profitentur,in v.confonan
temmutarisibilum eo exemplo, Bos,Bouis: as fumpsit enim Æolicum digamma, vt in
Oue, et Quo. Nequemutariia I, in verbo Paciscor, Pa et tusy etus,vt sensere,jam
colligi poteft ex iis, quæ fupra. diximus, fed t, eft peculiaris ipsi
participio, Ama tas, Doctus, Lectus, Auditus, Latus: fedin Pos Poris, t,in
x,tranfire, üidem male docuerunt, illor exemplo, Fle et o, Flexi,fed in
fibilu,vt fupra dixi mus: quod coaluit cumc, et fccit duplice,xin vox
confonatem æque male mutari arbitrantur,in ca voceNix,Niuis: Verum vietw, et
Denis, ogTo vína, vnde etiam nostrum Neptunus:non,vtCi cero prodidit, a nando.
Inde noftrum,Ninguo,et.. Ninguis in reeto: et niuis,concisum: et aliud con
cisum,Nix, mutato in c, etconcreto cum fibi • loin x, in obliquis autem
mansirprisca vox. Ne- H: quercetesen scre, afpirationem in CT,transferri, Veho,
Vecum: fed ita fuit,vt diximus. Habetaf piratio aliquid fimile cum c: itaq;
alicubi in Va fconia quod alii Hodiedicunt, ipfi fua linguaGo die. Ergo Veho,
facerer Vehfi, affumto libilo, vt Ć Duco, Ducli.postea,Vecfi: et fupinomutatofi
bilo in c, vt diximus, Veettum. v,quoqueabiici v notauere. Citant Solinum in
colle et aneis: quali vero is fit antor veteris Latinitatis: eius verba · funt:
Tatius hominem exiit,quasi vero apud pro bariffinum quenque Kedilt, Exilt,
Adilt, Pre-. " terilt, desideretur. et fortaffe apud Solinu Exuit, 1
legendum est. Mutatur quoque in feipfam, rece į pra vocalis pristina natura: et
econtrario, Gau deo, Gauiius: et Persoluiffe apud Tibullum:quo niam Soluo, fuit
örovava. Mollescit vero adeo, vt ctiam abeat, vt apud Catullum eundem, Nonita
me dini, vera gemunt.iuerint,pro Iuuc rint. quemadmodum etiam in libro de
Camicis s dimensionibus obseruauimus 1 1 Pres IvL.Proprium trium liquidarum
L,R, N,C, T,non Ligmamutari in quibusdam nominibus: Sal,Salis: Ci cur, cicuris:
Tita, Titanis:Halec,Halecis:Caput, LR.Capitis. Proprium et l, et Raffumere fibi
alte c ram:Mel,Mellis,Far, Farris. Ipfius autem c, assu mr.sme etiam t:
vt,Lac,Laettis: nisi lita reeto pri sco:dicebant enim Lađe, a Græco, amputatis
duabus litcris, ranentos. Obfervarunt etiam id, EDO 1.,2,5,x,in præteritisnon
mutari: Caelo,Caclaui: Stupeo, Stupui:Laffo,Laffaui: Laxo Laxavi. Sed his
adderentetiam R, Torquco, Torli.et c, Dico, Dixi:coaluitenim,non autem mutatum
est. et P, Scalpo,Scalpfi: pam si duplicis literæ figuramha beremus in hoc, vt
habuimus in Dixi, poluifle Bmus.B autem non mansit semper, ledig compa rem suam
mutatum eft:Scribo,Scripfi. X Proprium x, quod mutatumfuerit in compo fitione
in declinatione elidi: Effero, Elatus:quo niam verbum quoquemutatum eft. 1
costs » Q que Mutasio in deductis Gracis. Vocales. Væa Græcis deducuntur, in
iisita fiunt vo calium mutationes: Breues autlongæin en æquales:aut in
inæquales: contra natura commu nes in illas. Igitur longæ Græcæ in longas no
ftras, woy, Quum:breues in breues švos, onus:bre ues in longas,me,ab eo quod
fuit ue.longæin bre ues,opoinaAxov, orichalcum: rgra crepida: origo FERA: in
natura comunes, qul.Corripitur ma ximæ parti poetarum: producitur Statio,Gatul
lo, Cornelio Gallo.Item verba dyw. Communes natura in natura comunes: vt,
Pharfalia,Sicania. Eædem in breues perpetuo, Humus, ab i'w.vua' et in longas
perpetuo,Vdus,ab eadem origine.sic Whou,sputuin. Idque non solum ob vsum,fedet iam
obpartes, nanq; positioneinterdum fithoc: vt co a qua In, natura
breuis,aliquando fit pofi tione longa: vt Indigena. aliquando fit natura,
propter naturam pofitæ consonantis: vt, Infelix, infolens:abs, aut
F,incipientibusquum coniun gitur. Hæfuntin communi præceptiones:sigilla tim
autem fic recenfeas. Ain A mutatur,κάλαθος Calathus: in 1, κανατρον, Α
caniftrum: in o, fi Copo,azarnos venit:in v,9şi au6ss, Triumphus:
payyanilev,stragulare: xpære many, Crapula:non,vtdixere, quod caput graua
ret.Quodautem aiunt a, in y, apud Græcos verti co exemplo, savuno, qualionos
naufw, falli sunt, eftenimότι όλων πόδας, 3λιτρις, montis nomenob altitudinem:
quem quum afcenderent, interro gati quoirent,dicebat,in cælum,vndecæloco
municata yox, A, etiam sibi assumit I. more Æo lico, φαισιν, φασίν. Ιta
αίσκηπιός,nos Efculapium. E,in e,breue, feos,Deus:in longum,ido Sedes: et per
abscissionem.dew,De:fic enun dicunr cixos, "Subir deivtov: nos
duodeuiginti. In 1,ryyu, Tin go: In o, et uw, Vomo: in v,dvos, Vnus.Abiicitur
#polyw, Rudo: fed puto Erudo, fuiffe fimplex non compositum. H, vt diximus in
sui dimidium.xennis,Crepida: H news,Herus.In se totam,tlwenom,Penelope.Nun quam
autem h, in I, transit, vt barbari invertere,. atq; etiam corripuerein
Paracletus, Eleeson, E leemo 1 IvL. I. 1 leemofyna,Iordanes.Nequequod poffent
suspi cari,Vestis ab iis, fed ab Vae, et vuota, Græca origine,Latina
terminatione. Male corripuitlu uenalis in Satyra xun CALPE: neque enim fuit vt
zpeurs. In Æ, diphthongum nonmutatur Ħ,vt dixcre,fedin E, illo exemplo, ozler,
SCENA: si enim dipthongum quispiam comminiscatur, id nulla faciat ratione. fed
in A, frequens eius tranfirus est apud Dorienses, et nos folcnsium imitatores,
xiboensn's, Citharista. 1, in A, 9.ygoeves, Tango:in e, cx diphthongo, suivr',
Pæna: etiam folum:? apriva, Cancer, in I, longū,ai liuidus, Qi G, Filius:
etvoce vsitata malit, omnix, Homilia:falso enim transmutandu iudicarunt.fic
notes,Litus,quod effet terra tenuis: etnoftrum mitto, au tov wizer, quoniã qui
mit tit elongat. Abiicitur, quaesia, Norma,emedio: fic etiam a fine, ei, Per.
Additur rau't, Nauita. ' o, in feipfam breue ci,ouis:in logam, G-, So
las:in,decreov.Aratrum, ve voluere: fed commo dius a sup. Aratū:ficut
Rutrūaruendo.neq;bonu cstexemplum, ab iļus,acus:fed acus, ab a žueor, ta pro
arista excuffa, Acus, Aceris proprie, quam metaphorice pro instrumento sutorio.
In e, joriy Genu, Æolum more, qui idrs, quod aliiodx.fic Euander, l'avdeo: In
1934620,Imber.in vibles, Iuba: rozpoxa, Patroclus:.ivaseus, Vlyffes.Sicin
principio,medio,fine.In vlongum, Boords, Bru tus. In Avdiphthongum, opeixa
Axor,Aurichalcũ. Abiicitur ab initiis, odi's,Dens. A fine,Si,AB. Y Y,in v,
rusplevos, Turrhenus: Truppos,Purrus: in Avend, Illurius: duw,duo: duw, verbũ,
Dumus, tam brevem, quam longum cthis exõplis.In o,cyniex, Anchora: Duici,
Folium.In E, zAwue's, Aicedo.in 2,brcue, 270,vimen,vnde no?rum Ligae,non a
legendo, vt Varro.In a, muo,Canis. s, in fe totam,woy, Quum, inuidimidium.de
fyc.;Ego. In vlongum,oue, Fur: non ve Varosa Furuo. In Ave, Æolicum, scommunc,
Aurs, Latinc. In v,brcucije Herus.In e, fparu, F12 tcr: fic
enimmutaruntXolcs,quod erat Dp, integrum, Deizturpinon autem plagiariorum fal
fæ etymologiæ. Dithehongorum mutationes. A Gracis. AL Æ,cencia ', Ænças. In A,
longu, repertuan,Cra At pula,extritor,more Æolensium:ficute contrario quoque,
vt diximus. In e, breue,faire,venio.Im perite nanque verbum hocita
funtinterpretati, quasi versus nos eo. Habes deductionis noftræ exemplum, in
Fenestra,adTo Calvetar. autmu tata,aut abscissa, faltem ab e povov. Non licin
Ple gethonte, et Phaethonte. nequc enim ab GeoJo's, diphthongum traxere, fed
agese feer, vt ex Cra tylo Platonis, et Ariftotelein primodecoelo, et M. Tullii
multis locis diximus in libris de infom niis: neque diphthongum illam redigiad sonum
breuem: quippe dai,dixere: sicut etiam 9: etgea, Gcut gaia. Abiccta a, remanet
i longum, quo niam Æolenfium more facta est diphthongus.er: a
Xands,Achiuus:Æoles enim aze, vndeetiam fine digamma inuenias Acheus.quod ego
non per diphthongum scripferim Latinis Ar, fed per, E,exdiphthongo Æolensium,
vt Lyceum, que xtos:cos caim maximefequimur. AY, 64 IvL. 1. A ' Ay, manet in
Taurus, turīgo:mutaturin v.cau. pec,Surus:qucm et lacertum piscem vocant. Abii
citur, haipos, Parum: nisi a parteducatur: nam Pauluin, inde venit omning. E1 E
I, ante consonantem,semper in I, filit naru ralis verbo, inces, Thefidcs.at
Beveowono fic, nifi Græce loquamur fyllabæ gratia,vtnosin he decafyllabo
dactylum fecimus Xeinia.hæcautem mutatio femper fit fequente consonante, non autem
L,tantum,vt dixere,illo exemplo, Nilus, Eing. Diximus autem literam naturalem,
quæ effer ipsius dictionis, onrai,Grociên: nam in zettw, aduentitia etsiccirco
non feruatur a Latinis. An te vocalem ipsum isolitariuin nunquam muta
tur,Sophia,Comedia:nequediphthongus sem. per, 1 halia, Alexandria, Nicomedia,
Langia, Lampia, Argia,Lycius: sunt enim Goemmel, et ciur. modi: et nuxeios, li
Lycie apud Statium scriptum eft: nam ctiam Lycee, legimus. At fæpius in E,
productum, vtin Acheus, dicebamus. Dareus, Penelopea, Adrastea, et Seruius
Thaleam, dici debere autumat. Eft auteme,longum Æolen fium imitatione, qui
Snuosterns pro imposterer din cunt, et nde!, pro idei,et uñov, pro ucior. vnde
et her sexinterpretatione Platonis: ettrov,pro W16 ox. Interdum mutatur in E,correptum,more
Do rico,expuncto 1: To vixsov,Puniceũ,vt apud Ver gilii πυφωέα,Typhoea, pro
τυφώeια, et φοινίκειον, in fine vocum quoque vnica litera scriptum fuit in
vetustissimis codicibus,Orphi Calliopea:et V lyffi,quod erat őPeñaduasti.
Horatius diuisit, Laboriof nec cohors Vlyfsei. Itaque etiam in meris Latinis
pronunciandum monent, Idem, Eidem:lfdem,pro Eisdem,eorundem niore Aco lenfium.
Ey, manet, Qeü heu.Abiicity,Achilles,axona v acus. Itaque etiam Achilleus
legitur, cuius obli. quum secundum posuit Horatius. Heu peruicacis ad pedes
Achillei. Neque e nim verum est, vtaiunt, in v, mutari, illius ver-
ym biexemplo, Peuzw, fugio:nam ab aoristo ductum fuit Ouzov.lic epau
yw,Ructo,dempto E, etpofito frequentatiuo. oi, inoć, naivino Poena. Patitur
autem multa di- 0 phthongus hæc:diuidunt eam Aeolenses,rorov, zoinov. Eorum
legib. nos Troia reoło, sicut Maia, z wała, Aiax, sas. Interdum mutatur eius
pars,in terdum aufertur, arbitrio eorüdem,month,Poe ta.Vertiturin Ei, vt of
her: in v, Poivixetov, Puni 19 14 ceum, 1 and 71 oy, in vnostrum, Musa, uolls.
In v, breue, Bu s bulcus.In olongum more Aeolensium,38,3ūsy Bos.In breue,
Borqu.co Volo:abiccto y, moreco 4. rundem, qui αμπέλος, dicunt pro αμπέλες.
dico, ei abieeto in mora,non in scriptura.nam oynon est illis consonans.Sicenim
dicunt Asgatup, sicut lo. nies Buzoriupo Quiautem putant hanc diphthon gum ad
Gallos manaffe ex us, et Tou: non femel ineptiunt.Eorundem enim in aliis vitium
est, E, vocalem ficdeprauare. Sic enim corrupêre no mina mutarum:fic vulgo quum
voluntinterro gare Quid?aut Quæ?sic Rex,Fides, Vicem etalia infinita pene o y
eademin E, '885, Dens it's ' Pes, etiam aliquo modo mutata est, cum ex 18'w, E
Lauo lu L.E. B Lauo factum est. 121, diphthongus spuria in legitimam o ujxclien
Mesidía. Comedia.In o, w8, Ude. 71 T.eiufdem nocæ atque ordiniseft. recipitur
in vocibus Græcis integra Harpyia, d'oc. Y sr,Latinivalde distortam, ionib.
r'eliquera. Confonantium mutatioin deductisa Gracis. B Græcorum et facile et
legitime tranfit: idem enim effe fupra oftendimusBwi, Bos. In v, di gamma,
z36x, Auus.In affinem huiusPH: 9play Goss Triumphus. ryingi,zorvs Genu: aut in
fimilem'vt Työss, Cam ius. nam quemadmodum apud Athenienses aus Toxhoreca
etapud Thebanos ouaplois ita Latinis? vetustate, etOpici, et Indigenæ, et Cail
dieti funt. In n, aut ei propinquam, azgeros, Angelus. Abiicitur, gumentua,
Norma. A,in D,onos, Dolus. In 2, odvartucy Viyffes. In B, C,
Bis. In's » n'am quoflexu illi, tepare.coem, nos eorum exemplo, Arenosum. z, in
z, iccirco apud nos etiam figura eadem cum eadem poteftate recepta est.
LtPusos, Zephy• rus. In ssuaisa, Massu.In i, tuzo, lugum. e,in TH, tptow ',
Thraso. In D beasyDeus. Itt 1,θρίαμβος, Triumphas.
K. K; in c, Calare, nonet: Caloncs, varov. In co. gaatam fuam et, Quatuor,
xxxpd. prorojen na, line aspiratione apud acoles. nam quum dixiffent,
Vnum,Alterum,Tria: pro quarto di mere, et alterum. Sicapud poetam, Alter ab
vndecimo. Slove urce Aurea mala decem misi: cras altera mittan Sic etia,
Quinque deduxere: vt effet, et vnam præter quatuor; cêrze. In G,
xutpvcew;Guberno, Ain L, nit, Libs.In Difeneto, Meditari: falso A enim
ncgarunt. Mnegarunt mutari, attulerunt exemplum il - M lud, tabua xes,
Telemachus: fed fruftra fuere: nam ex uñnce, Balare factum eft. Etextritum eft
ayudc. Amenta: oyuao, Sagus,Sagitta. Nin N, nostrum; Ninus, vīvošo In Djnajvw,
Cx- * do, έκανεπ, όκάεπ τον έλλίωων τον αριστν, ex Εu ripide. In L, nam
quinquagenarii numeri nota fuit Græcis N, nobis L, fic quod illi veuQxr, nos
Lymphas: et apud Virgilium fic legêre quidam: Dant famalimanibus Nymphas. In M; wal gusov, Pægnium. Additur a Græcisnoftris nomine nibus, xatwy
Cato. Demitura nobis in illorum commune riuwv, Simo: et in nostris ab illis
defluxis addi- sonho Borda tur, idx, Dens: =, falso negaruntmutari:nanq.
etbovec, Afleres, non ab aslidendo, vt dixere. Supra declarauimus Acum et
Acuruin,vndeduccrerur:itaq. ab Oc; non putauimus fieri Acor: nam potiusabwav'.
11, in B, Tubor,Buxus: mubas, Barrus: 70, Ab: 11 Caij sub: accipit
aspiratione:gownlo's Trophrű. P, nimis iprudeter mutari negarut,vtaip,aer: na
mutatur, 20 pxūves, Cacer, ne effet Carcer, et in. 1, a cupov, Paulum: sed
potius eft diminutiuu, In D, fi raveriw fit, vnde fiat nostrum Gaudeo. 2 2, in
D, uesov, Medium.Tollitur non foluin in prima inflexione,vt dixere; quipias,
Býrria:sed e tiarn in aliis, aas Sal: et in principio, ouu't s, Cu tis: alibi
feruatum Scutum. In x, amo, Aiax. E ij Contra quidam fcripfere Vlyxes.In R, κυβερνήτης, Gubernator: quoniam Aeolenses xubEphy Trip, et xubepvýrwp, qua forma
verbalia nostra funt. Quin Eretrieses, vfque ad proverbium dicebant, ouan
potm-, quod alis effetsunypotus.quod et in Francis Be notabis. E cotrariossin
x,noftrum uc osow, Ma xilla: nam Mala per fyncopam curtatum fuit. Mandere
quoque a ux'asw ductum fuit, sed fane non pauca eget interpolatione. T, in s,
isa, Offa. led commodius sic dicere, fubductum fuiffe:alioquitranslatitia sunt
inter se,33 runos, Theffalus. 9, in PH, popew,Phormio.Ine, quc, Fundus. 0, For.
x, in CH, Chromisszevõues,In G, Ay % w, Ango. In Kyroxos,Locus. in Aeye, denan,
Loquor. pie neque enim â locis,vt Varro vult. Sicet xxenãos, Montent Aqua.
Omnis enim aqua dicta eft eius amnis no mine, et a lauãdo quoniam erat
cemenzos: quod et Macrobius docuit nos etVibius Crispus: et non ignorauit do et
iffiinus omnium poeta, Poculaque inuentis Acheloia miscuit vuis. neque enim ab
æquore aqua: fed ab ea, æquor. 1, in Ps, quasov, Psyllium: et in proximas BS,
yť A4, Libs: dexy, Arabs. # Aspiratio manet, ouws. Homo: eft.n. animal sociale:
non ab humo, ytsomniarunt. Adimitur, anuwv, Alcedo: tunc,Amentum. Mutatur €
dos, Sedes:epTwy,Verpus lumbricigenus,trallata vox ad obscenaob
exilitatemi,nona vertendo pelle, vt aiunt: fed mediunt digitum propter
gracilita tem significauie metaphorice Manet cum consonantibus, Tholus,4oros.
Adimitur, vt Opiaubos,. Triumphus. Additur, oportcev, Trophæum. Dt.C Subtilius
autem intuenti etiam id deprehen sudah 1, detur, aliquas etiam fi mutentur,
remanere:vt, Aloj Troia, Troia: etenim 1, et eadem etnon eade est. Digamma
interponitur, vt diximus õis, Ouis.. et Præponitur, -, Vis. Interponituretc, co
bos, Spe Fraau nm. lidla cus. dice Funds DISM Mutatio ex deductione in
fimplicibus I Ammultæ operæ provinciam capessimus:fi- Ralowe Ibi enim quisq.
placuit in verboru deductionę.ueJakbosui's Ergo quæipli non inuenere, nolunt
effe ita: do ceri enim turpe putant. Aliquiautem, inter quos di Varro,etiam
maligneeruerunt omnia e Latinis, com Græcisque fuas origines inuidêre. Nos cum
sci vite remus Magnæ Græciæ nomine priscos Auso nes, atque Latinos
frequentatos, reddidimus pud fuis qnanquenatalibus vocein. Deducio,eftcreatio
noui verbi,exprioris ele quis mētis.Prius igiturde simplicib. mox decopofitis.
Abreue in breue,Paro, Pario: in longum, Pa- A 22. ro,Parco: in AE, Aqua,
Aequor. a, longum in lon gum, Vado, Vades:in breue,Vado, Vadu: Ater, Atrox:
feroces enim fufcefcunt ira. In E, apud Græcos,Baww,Ben... apud
Latinos,Pasco,Pecus, non eft:namn zoxoc, Homero fuit lana: quonomi 1 ncetiam
nunc fafciculum certum, fiue penfum ta * vocant in Italia alicubi, fed pe
Itaque a lana vetusta vox nekos. In o,Vena, Ve nox. In v, Mare, Maria. E,
breue in A, longum, Legere, Legare, quoniam adlegendum, hoceft, E iij dicens
" anim mitt genere fæminino, scilit 360 " Son 70 I dicendum
mittebantur,au o 7o aegeiv. € Elongum in breue, Sedes, Sedile. In 1, Veha, Via:
vt vult Varro, ino, Tego, Toga, Græco tum ex mplo, neyw, neges. Etlongum in
o,bre ue, Sedes, Solium. Inv, Tego, Tugurium. In v, longum, Dies, Diu. In
AE,Sequor,Sæculum. 1, longum in breue, Dicere, Dicare: in lon gum, Simus,
Simia:nonautem w To wuela, vrinepriunt. í, breue in breue, Mina Minax: in
longum, Via,Villa,Vilis. In A, non mutatur illo exemplo, Generis, Generatim;
sed a plurali re cto fere deducitur. Viritim,Ostiatim. in E, cor reprum.
Hlicio,illex. In v, Specio, Specula. o, breue in longum, Vomer, a Vomendo,vt
vult Varro; in breue, Volo, Volones. Longum in longum, Donum, Donari: in breue,
Moles, Moleltus. In a longun.,Dico, Dicax: in E, lon gum,Tutor, Tutela:in
breue, BonusBellus: fuit enim Bonulus,Boncllus. In 1, et longum, et bre ue,
Amo,Amicus,Amita. Inv,Tego, Tegula sed Tega, prius fuit:Stclo, Stultus. V. v,
longum in longum, Þus, Puridus, in breue, Scutum, Scutulatum: Rus, Rudis.
Breuein bre ue, Lutum, Lutofum: breue in longum, Pucra Pulio: Suo, Sutiliş. In
- A, Veredum, Vereda rius: nisi sit a plurali quod et puto: Cudo, Qua tio. In e, Pignus,Pigneror,quia fuit Pigneris. In, Cures, Quiritis. In
o,Pignus, Pignoratio:sed ab obliquis potius:Decus,Decor,commodiusex sinplum
eft. Mutatio in diphthongis exdeduetione. or, in, v, Poena, Punio: Moeri, Muri,
vt dixie a mus. Av, in v, breue, Randum, Rude: nam pafos, A. fuit virga dempta
ex arbore impolita: inde Raye dumæs: et ab ca ruditate, Rus.Consonant:um
mutatio ex deductions 3, in M, Globus, Glomus. B c, in G, præcedente n, Centum,
Quadrigen G.. ta.In R, Scco, Serra; sed puto primam syllabam fuiffe originis:
canina autem litera geminata, ftrepitum imitatos. Geminatur Pecus, Peccare: non
vtgrammaticorum ineptiæ, pedem capere, Din T, Cudo,Quatio.f uitenim vetus
verbu, mu'dw, adhucdurat muda wasignificat ftrepere: vn E de xudes, conuitių,
et xvocs, gloria, ftrepitus ille po i pulariş. G,in
c,Genera,Cneus:Gula:Curgulio: Vi;in ti,Vicesimus:Pertingo, Pertica, rusticum
inftru, mentum ad fructus decutiendos. Le in x, non mutatur exemplis illis,
Ala, Axile la:Mala, Maxilla, vt aiunt: nonenim ab Ala, Axil. i la: sed ab
Axilla Ala, extrita, vt ait Cicero, ele. menti vaftitate: fic enim cenfuit M.
Tullius, Veho, Vexi, Vexum, Vexulum, Vexillum,: et cvyxorlu, Velum: Ago, Axo,
Axa,Axue a la, Axilla, Ala: Masso,Maxo, Maxa, Maxula, Maxil a, Mala, vnde
uauntiños: Pango, Paxo,? Paxus,
Paxillus;Palus:vt non parum errent qui aby Ala, putent, Axillam, diminuutum
duci. Ašą E jij au 7autem et alia, fic funt dicta, vt Faxo, Graxo. Etia falso
mutãtin R,illo exemplo Tabula, Taberna. nam Tabula, fuit diminutiuu
nominis,quod nuc non extat, a quo Taberina, vt Suterina, Tonfte rina. Sedin
his,E, abiit. in Taberina fublatum eft 1. Omnino autem a Tabula etiam
Tabulerna, fi cut Nafiterna, est autem Taba, et Tabula au TO TriLu,quoniam
tabulata in ædibus, et vlmis pla niciem extendebant, Nin L, Vnus, Vllus: Vinu,
Villum:non muta tur vt dixere. Sed fuit Vnulus: etvinulum. Ins, mutatur Findo,
Fissus.In r, Canis, Catulus. sed a Cato, deducunțpotius,etplacet: atiidem, a Ca
nis, Catus, ipsum trahunt, Rinn, Murus, Munus. fuit enim Munus, onus muris
reficiendis, vbi primum vnum in locum e vicis conueniffent ad condendum
oppidum: inde Munimenta. Id oneris cum remittebatur yirtutis ergo Donum
dicebatur. Ab Ære au tem non fit AEneus, vt dixere, yt mPombaur R, in ' N:
cuiusreiargumentum eft,quod etiam AES neus dixcre. Itaque fuit AErineus. Sic
AEter nus, ab AEthcre: et fuit AEtherinus: vnde Sem piternus, quod fuit
Sempæternus: mutatur e pin ae, in i, Quæro, In Quiro, etabiecta est af piratio,
vt in multis. Sica Vere,Verinus.Vernus. 1, enim abiecere,quod mansitin
Matutinus, et a liis eiufmodi. Nulla igitur ratione corripuere fe cundam
fyllabam. Mutatur R, in l, Niger, Nigellus, quia fuit Nigerulus, et in s,
Ardco, Ar, fum. Aflum ynde Aflare. T, ind, Quatuor, Quadra. 1 xadditum estin
Vix, aduerbio, a Vi, quod? negat facilitatem. vnde Vices: nam quod per / vices
fit, videtur difficile effe, etvix fieri. Fortar fe etiam rectum ipsumfuit,
Vix, Vicis. z, tota Græcorum est. neque a Latinis in La- 2 tina deriuatur.
Demitur aspiratio, Fingere, Pingere. Mutatio in compofitis. Vocales. Ompositio,
est coalescentia similiu aut fpe-Amis nisi esset,ea fimilitudo, quam Græci
vocant or use Banov. Dico autem, compofitionem non actio nem, quæ præcedit
ipfam concretionem; este nimin prædicamentomotus:sed ipsam mistio nem duarum
vocum,partim diuersarum, partim fimilium. Eft autem modusquidam inter ipfa:
Nomina enim nominibus propiora sunt: faci lius enim dicitur, Pontifex quam
Proconsul. nam consuetudine extortum hoc fuit: erat enim per initia,
Proconsule. Sic etiam verba cum diuersis partibus desinunt effe, vt
Mancipium. A, breue in a, breue, Comparo,Paro. In A.. A longum, Indago.etratio
est euidens, concreue runt enim vocales dex. A, longum in A, lon
gum,Gnarus,Ignarus. A, breue in e, breue, Sa crum, Confecro:Caput, Princeps. A,
longum in E,longum,Arma, Inermis. In e, bręue,Ti bia, Tibicen,tibia canens. A,breueini, breues, Ago, Abigo. In 1,longum,Instigo, ex coalescent te 0,et
A,infto, ago.Verbum agasonum, et armen tario 1 1 A E V 74 IVL. I. + tariorum.
Sic, Tibia, Tibicen, exi, et A. In o, Historia, Historiographus. In v, Sallus,
Inful. sus. In Troiugena quoque videtur a, in v, muta tum.In
diphthongum,Mufa,Museum: li usation fit, in E,vt supra diximus. E E,
breuein E, breue, Ferus, Efferus, Hercise rço, Nouerca, noua diuisio familiæ,
non vtnu gantur. In e, longum, a RE. Rettuli. E, lon gum, in longum,Telare,
Protelare, in 1, lon gum, Ledo, Collido. Ini, breue, Lego, Col Jigo. o,in
o,longum,Solus,Consolari,a viduis, que I cum fe Tolasrelictaslamentarentur,
oratio lenia ens defiderium dicebatur, in Homicida, non ver titur in 1,fed ab
obliqua fuit, Hominicida. In v, vertitur,a rola,Exul. v v, breue in breue,
lubeo, Fideiubeo: neque fere cumaliavoce compositum inueniasa longa tamen fit,
Ius hab o, quam quantitatem reti nuit etiam in Iubilo: nifi fit, ab iwin's
vocibus triumphatorum:superstitesenim vitam Apollia niacceptam ferebant, cui
canerent pæana in vi et oria.iw.BiwiToma'v.v,in e, breue, Iuro, Peiero. In 1,
breue, Cornicen. v, in feipfam,consonans in vocalem,Pituita, quadrifyllabum
Catulla. con kain Auceps. Diphthongorum mutatio in compositione, AE, in, 1, vt
diximus. Aeternus, Sempi the A v,in q:Plaudo,Complado, In F, Audio, O tcrnus. Bedio.vbi ob, nihil detrahit, fed cauffam finalem dicit. In y, Claudo,
Includo. Consonantium
mutatio in campositione.. Bemutatur in C, F, G, L, M, P, R. Succurro, Suf. B
fero, Suggero, Sulleuo, Summitto, Suppeto, Surripio. id Acolenfium more, qui,
xatteCON, reclamar; dicebant, præcedentem sequentis vi · pronunciantes. Neque tamen in omnibus his literis femper eadem connixio eft. Malim enim
Suslimen, quam Sullimen dicere, et Submur, murare. at Plautus Summanare, a
manu, fu? rari, ficut a Vola, Inuolare: item Subreperc. Cum D, autem integrum
manet, Subdo: cum N, Subnixe: cum s, $ ublilire:cum T, Subtice re. Ante seipsum
quoque non mutari par eft: nam fi aliorum fonos fequitur, ne obturbet, ip sum
se fouebit: vt in fimplici Obba, quæ esset obi bibendum: ita igitur dicetur,
Obbibo. Neque mutatur ante T, in s, vt dixere, in Sustollo, nanque fuit vctus.
VQx, S V $, quæ motum ce lum versus significaret, Ünoder, fortasse autem
fuerat, Subs, ficut, Abs: quanquam hoc vide tur fuiffe cit. et a Sus, fuit
Susum: fecit autem ex fe Sustuli, non enim a fuffero, venit. Ea dem est ante c.
Suscipio, quod veteres Suc cipio, ve diximus, Acolenfium more, quem admodum supra
declaratum est, quos prisci e tiam in aliis obseruarunt, vt est apud Plautum,
in AGnaria. Supe 1 1 76 Ivl. 1. CI Suppendas potiusme, quam tacita hæc aufe
ras.Quod nos Sufpendas.l'ari exemplo,Suspicio, Suftineo, Suscito,Susuin,Cito.
Exteritur ante M, aliquando, Omitto. [ c,mutatur in G, Negligo Neglego: ficut
Ne gotium, nec otium. d,in c,Quicquid, Quidquid, Accurro, Acqui ro:in
G:Aggero:in F,Affero: in L, Allego: in n, Annuo:inp. Appon:nam quod in
Aperio,sub flatum est, factum fuit poetica licentia, nam e. tiam
Apparere,dicimus.In R, Arrogo: in s, Af sideo:in T,Attollo. Sed inuenias,
Adrepere, et Adfum, et Adniti. Consules enim auribus, etma „ teriæ: ficuti
Plautus cumiocatur: et maluit Ar fum dicere, quam Adsum: vt Tubinferret, Ate
go, Elixu Volo.Antem,manet, Admitto.Eximi tur sequentes, coniuncto, Aspiro,
Ascendo, A struo:item G,coniun etto,Agnosco.Contra,addi turinter vocales, vel
mutata, altera, vt Redigo, vel neutra, Prodeft,Mederga,Redhostire, M. Min
Nanteomnes, præterquam aute B, P, et seipfam. Imbuo, Impono,
Immoror, Concio, Gondo, Confero, Congero,Coniuro,Coluţibi lis,
Connitor,Conquiro, Conrugo,Consequor, Contueor, Conuolo, Anxur. Sed aliquando
etiã fequentis L, aut k,naturam, subit, Colligo, Cor myrigo:fuit enim
Cum,præpofitio, no Con, alia ab illa, quæ in compositionc tantum inueniretur:
Nam etiam in aliquibus integra manfit, Cum primis, quod verbum, qui diuisere,
vt duo face rent, paucæ fuere lectionis, neque meminere e tiam a veteribus,
Cumprime. ficut, Apprime. / Item. 77 0 Item fi effet Con, vt dixere, quæ nam
illa sit, qua z audimus in Comes, Comitium, et clarius etiam num,in Mecum,
Tecum?Præterea fequente vo - 3 cali, quis vnquam adiecit n? atabiicitur conso
nans in hac præpofitione composita cum voca lis initiis:ergo talis est, qualis
abie ettionem patia. tur, ea autem eft m. Nam alioqui interponimus consonantes,
vt diximus Mederga, Redeo: etiam sequente aspirationis craffitudine, Redho
stire. At in Cogo, quod fuit Coago, et: Cohor tor, et Coorior, et Cooperio,
quid dicant? Postret mo inepte putent I n,aliam effe,cum per n,aliam cum
perm,fcribitur.Sed curto fuere prisci Gram matici iudicio, quorum nostri nomen
potius, quam merita funt fequuti. Atfatis constat fonu ipfius v,in Cum,
rotundioremfuisse, qui etiam nunc manet. Vmbri enim non Latini obfcurio-)) rem
illum alterum in vfu habebant, Nunc, Gallis pronunciari, admonebamussupra.
Mabiicitur, Circuitus, et Cafeus, fi a cogendo, vt vult Varro,non a Cafa, vt
nos iudicamus, dedu catur. Item in Cognosco,nam yaorw, integrum }
fuit:nequcenim est additum, G,vtputarunt,erat 5 enim γινώσκω. n, in M,ante B,
P, M. Imbuo, fuit enim a Græ- N 60 Buo, priscum verbum buw; et fignificauit in fercio.
Immortalis. Impono. Inc, etiam volunt illis exemplis, En,
Quid, Ecquid: En,Ce. Ecce. Abiicitur qualegem, lupra,Ignauus,Ignotus. In G, non
vertitur in lgnominia, vt putabant: fed eft vt Gnomon. Ryin L,
Intelligo;hocautem vsu, non lege fa - R Stum o quem in 78 IvL. CAB. etum
eft:nam Interluo, et Subterlabor, et Perli tus, etSuperlatiuum. At Politianus,
cum mauult, PELLEGO, videbaturin hoc,vtin cæteris fibi, no poffeeffeprinceps
literarum, nisi solus effct: fed aliunde poterat diuinum ingenium fibi parere
gloriam, quam ex deformatione Latinæ purita tis; Abiiciturin verbo, Peiero.
Śs,in'F,Diffundoineque enim fuere duæpræpo fitiones, vt suntarbitrati
Grammatici,Di,et Dis: fed Dis: Græca: nam binarius numerus primus est,qui
diuidi poteft:quod igitur bis facimus,dif continuata opera fit.iccirco
præpofitio hæc ex v no plurademonstrat, Dinido. quoniam quæ fc etta funt,bis
videntur. Seruatur
in multis, Disco lor, Disgrego, Disiungo,Dispono,Disquiro, Dir fidco, Distuli.
Ante cæteras tollitur, Diligo, Di mouco, Dignofco, Dinumero, Dirimo; Diuido;
SwohisDiiudico. inuenias tamenDisrumpo: Antee; * Sy haar te nondum venit in
mentem, anponatur hæc præ. pofitio: x, ante f, mutatur: Effigio. ante vocales
ma net, Exaro, Exeo, Exilis, txoletum. Non abiici turate D,fed ipsum d,
tollitür, Exuo, erduci. Ano te alias manet, Excio, Exlex, Expono, Exquiros ·
Extero. In aliis autem non'eximitur, sed E, præ positio est,non e x, bibo, Edico,
Egero, Eiicio; Eligo, Eminco, Enato Eruo, Evado. Inuenias Lampytamcnante F,
integrum, Ex: fed in eo verbo, quod quia nolo hic ponere pudoris gratia, aut
per te ipfe intelliges: autfi non intelligas, non docebo.Cum vocibus autem abs,
incipientibus b -componas, quid facias? tollas fibilum?non necessariumest,
nanque in x, fyllaba poteft ter minari: sed soni suauitarem fequendam censeo:
Itaque commodiusdicemus, Exequor, Græco tum exemplo: qui certis locis em,aliis,
l ", dicunt. Sed recentiores, vt fapere videantur, omnia ob -SAYY
turbant:at nosveterum fequimur simplicitatem, qui Exul,fcripferc,quanquam ab
Ex,et Solo,du ceretur. Hocitaque cum re et e fic fe habeat, pes fimo argumento
probandi rationem male iniue re. Nam inquiunt,fi poftx, liceret feruare sini,
tio vocum compositarum:pari ac simili lege etia liceret polt Y. fed nõlicet:
neque enim dicimus, Abffectum neque Obffeffum: ied vnicas,fuitco tentus vsus.
Vbi dupliciter peccant: primum. cum putant s, quod in Excquor est, præpofitio.
nis effe non verbi:hocenim falfum eft: nam fi- > gnificatio verbo debetur,
ergo et partes, etrema nıt veftigium prxpofitionis Græcorum lege. quos
imiramur, Ecfequor. Alterum errorem vi. deas manife'tum, cum putant Abs, esse
integram » et natiuum præpositionem, cum tamen fit Ab, 4.5.14 per apocopen, vm,
quod et pater in ob: neqreco nim nec ile habeas dicereObs. fed per apocopa ötw.nanquera,fuit
fimpl. x.hrw. compositum. Obs tamen fuiffe in quibufdam, videmus illis e
xemplis, Obfcurus,acura:Obfiænus,andtoxcs/ you,vnde Cænum noftrum. Atin
abfcedo, Abs eft, et Cedo. fed nihil ad rem. 1, mutaturin R, fia patre, non a
parente, lic'a' Parricida: fed hoc plus placet nobis. MORdinis nomen Græcum eft. Dicebantmi. Ordo literarum, quatenus diettionis
partes funt. Que cuique syllabe debeatur. Rdinisnomen Græcum eft. Dicebant mi:
limbus Tribuni: Hactenus tibi licet: Hîc consistes: Eo progrediere: Huc
reuertere: Öpor dwindeordo. Acoles autem non aspirant, quo. rum instituto fane
libens accedo:nihil enim hel Juonem magis fapit, aut Barbarum, quame gut ture
insufflare aduersus eum, quicum loquare. guideft igitur ordo, loci ratio, qua
quidaut præit, autsequitur: velante, vel retro, vel dextrorsum: vel
sinistrorfum:vel fursum, veldeorsum. Nam prioris ratio est, præeundi:
posterioris, sequendi. In militia, vt diximus, nata vox.fic etGræcitoa Žuv, ab
aciei directione: Translata in ciuitatem prostatu hominum,liberorum,seruorum.
Inde patrum, plebis:additi et Equites. Et Lex Otho nis Theatralis. In plebe
etiarn fuit ordo: classia riorum, proletariorum, duicenforum,capitecen forum.
Ab hisad corpore carentesres fusum sia gnificatum, vtetiam ordo innumeris
dicatur, non folum in rebusnumeratis:non temere. Eft enim et numerus et mensura
caufla rei numera tæ, vel menfuratæ, non quidem vt fint, quod funt:fed vta
nobis cognoscuntur, aut tot,aut ta tæ, fed hæc altioris sunt operæ. Eftigitur
in lite ris ordo,potestatis pars,fecundumquamlicet ip hiefis aliam atque aliam
sortiri sedem, propter vim qua inter seautconueniunt,autdissident. Quam uis
autem in fyllabis cognoscitur, non tamen a fyllabis 81 fyllabis fit, sed facit
fyllabas:eftenim forma fylla- Online sales barum Ordo:ac propterea nonad loca,
quæ de fyllabis ftatuunt, referendus, vt fecere vetercs:fed hicretinendus, vbi
agitur de elemetis: Elementa enim fyllabarum materia sunt: ordo aute forma, aut
poteftatis pars, aut abipfa pendens poteftate. Eftigiturvnum ex duob.
principiis fyllabaruin. Quum autem duplex fitordo:vnus ob composi-ceSpeeches
tionem quo quid aut præit, aut præitur: alterin difccndo: vt de quo elemento
primum lit scri bendun.: prior species ordinis vera eft: quippe ex quasyllabæ
conftantur: is enim literaruni finis, qui partium prop: er totu. Alter modus,
qui qua lisve sit, suo moxdiceturloco. Eftenim acciden talis quanquam abipfa
profeet us fubftãtia. Iam cuiusformaeft eiusmodi, vt prima prodierit in lucem
atque vsum sermonis, hoc de lese præstat, vt prima quoque dicatur,proximanamq;
eft na turæ communi. Acquanquam defyllaba non. dum
dicimus, tamen hic tanquam de principiis fyllabæ scribentes, nomine tenus
syllabam refe remus. Omnis igiturliterarum cohærentia, autin ea dem fyllaba
fit, quam propterea Græcio 2013 m. 72 Ziarlas nosin philofophia aliquando
constitutionem, a liâs concretionem, hic faciliusconiunctione di camus, per
quam syllaba, quæ literarum coniun Etio quęda lít, conitat: aut in diversa
deftituuntur literæ,nequefub eundem tenorem veniüt, iccir coque Ale saou vocant
Græci, nosdiscretionem, diliun ettionemvenominamus: iplasq; literas dis fijas.
Id autem vocum dignoscitur proportione: by stay Iul. tit. 1. Renquarum vt
quequeinitia observamus,ita et fylla Du bisascribenda iudicamus. quoniam enim
ab his incipiunt vocesper fyllabas, ipfæ quoque syllaba incipient.Exemplum eft
Conspiro:quia ab NSP; nulla vox incipit, nefyllaba quidem incipiet: fed
Nyprioriseritfyllabæ finis in diastasi, cum fequeni te,proptereaquod a cæteris
duab. invenias prin cipium diettionis, Spes. Neque vero evenit id propterea,
quodex Cum, et Spiro, compositum est,vtquasi in partes pristinas reducatur: fed
idem modus erit etiam in Pulchro:erit cnirn Pul,prior fyllaba. Altera
autem a duabus incipiet confo 06. nantibus: iccirco quia vocis initium invenias
2. tale, Credo. In Excedo, autemi si quis quærat, vbi sit distinctio faciunda,
intelligat non esse neceffariam fcindere x. nam quanquam est du plex vi, figura
tamen vna eft, et indivistbilis, quemadmodum supradiximus,alioqui non esset
elementum. Neque fi fit facta vis dietioni - bus, per concifionem, ve Extin
etti. duarum e nim literarum vltima erit fyllaba, quia Lynx di citur. Proprium
autem eft confiunctionis,certas vo cales,certa que admittere consonantes.
Difian ctionis autem, omnes quidēvocales,nonomnes confonantes:vtn, non admittit
ante fep, aut B. Etin coniun et ione nonaliam admittit, quam V, etad
diphthongos cõficiendas non omnes cow currunt vocales. Las igitur fe mutuo
anteire, aut consequi diversis in fyllabis, iam declaratum eft. In eadem autem
fyllaba præeunt, et, “E” o: sub sunt, E, V. Quinetiamveterein diphthongo eIs
fubirs subit, i, vt Queis, pro Quibus: fcriptum a Vergilio esse vnica
litera,constat ex Gellianis narratio nibus.In interieetione tamen, Hei, manet
adhuc. At Græci postposuere etiam ipsiy, in Harpyia: et 1, et H, et
Agriçãow.Sed et post v,in eadem fylla bainvenitur, Suavis, Suadeo. Consonantes
autem fic ördinantur: Omnes Conso pene consonantes anteeunt duas liquidas,1, et
R. Nathy Duplices autem non atiteeût, præter z:antecedit enim ipsum M si, verum
eft, quod placuit quibus dam,Zmýrna.Exemplaliquidarum sunt, Blæsus; Brutus;
Clarus, Crassus,Draco,Flaccus, Frango; Gloria, Graccus;Plico, Precor;Stlatum,
Trica.AE Q neque liquidas,nequc aliam quampiam prece dit. NequeD,nifi vnam ex
ipsis:non enim l. Cx teras B, nullas præcedit; acneipfumquidem n, id verbo
Abnuo. Sed in Abdolas, amplectituri psum v; quoniam invenias,Bdellium. Etiam,
in Aetna, difiuncta sunt T, et N. Atvero, C, D, G; P, non respuuntur. Exempla
funt; duo depes, Cneus, Gnatus; nxew. Igitur coniuncta erunt in Cydnus; da'ruw;
Agnus, Sypnus. M, in ca demsyllaba cum nulla sequente est;præterquam cum N:
vtin Mnemosyne: et ipsum ante sevnam aut alteram tantum patitur: Di apud
Græcos, duwniet s,Smaragdus:et fi verum eftquod aiunt; etiam z, Zmyrna:quod li
verum eft hoc,duplicemt præcedere; etiam vtravis eius pars idem munus Obire
poterit, tams,quam p. Habet aPombat ipfumi Meandem rationem cum p, etc,
etliquidis:vt po ni poflit ante s. Nam quemadmodum dicimus; Fij. 84 Iul. I.
Ex,a't: fic etiam Hyems, Sirems, ains, Mes, Ars: Namm, et n, inter
liquidasquoque recensuere. Sicante x, tres ponuntur, Falx, Lanx, Arx.quod
commune habentinter fe, non autem cum M. E freçontrarioipsum s, antecedere
potest B, C, D, F, P, Q. T,obevvu'w's Scaligers codwsquiaeft in z, Coivdo
vorulur G Spes, Squilla, Stolo: cum cæterarum *** nulla. Veteres hic quum alios
admisere errores, Angelenum infignem illum, qui negarent ante D, po ni: at
tanto nobilius ac verius: coeunt enim ad eo,vcliteram cfficiant vnam, z. Nullæ
mutæ in Bol ter fe cocunt; nisi B D,vt Bdellium. quod etiam videbatur quibufdam
aspcriusculum, iccircoque mitigaruntinterpofitavocali, Bedellium. Sed tamen
apud Græcos est 31cmw. Quinegant z, zamipræponiipli Msin Smaragdo, fortaile
vera di cunt. Sed eorum argumentum falsum est: sic e nim aiunt: in fine
carminis dactylicinon poffet collocari vox illa, neque enim præcedenssylla ba
finalis in præcedenti dictione poffet corripi, non enim potestabiiciipsum z,
sicut abiicitur s. Sed falla eft comparatio:interpofito enim inter vallo non
coniunguntur voces: itaquenon fit positio ad productionem. Quam quisibi con
finxere, vt evadanthancincommoditatem,mo do mutam cum liquida excusant, modo
fibi lum, modo'aspirationem tollunt: fed totmon stris opus non eft: multa sunt
exempla, mul tæ rationes. Nam quemadmodum dicent il - lud Homericum dactylo
comprehendi? ai ouncedLwr: aspiratio enim cum ipso R, pro: ducit præcedentem,
quod est manifestum in versus 85 versu Theocriti ex Herculillo, özcvet..finis
enim senarij da ettylici est. Item I consonansinter duas vocales semperlőga
est. Ergo quomodo di camus, Regia luno.Eft et illa ratio invicta si diph thongi
finales,non semper corripiuntur fequete; vocali, sed etiam poetarum arbitratu
producun tur: sequens fyllaba initio vocum, fines præce dentium non mutabit.
Sed hæc alibi propria o pera sunt expedita contra ambitionein Gram maticorum. Dedifiunctione
five difsitis literis. Vocales. Ifiun ettio accidit omnibus vocalibus,et
mudojme cum cæteris, Aer, Sais, Tetraon, Phaülus. E,cu cę teris,Ei, Eo,Eunt, Ea.1,cum aliis, Fio,Fiunt, Fi at, Fiet. O,
cum reliquis, Cous, Coa, Coco; coit. v, cum reliquis Sua,Suem, Sui, Suo. Item
cum se ipsis,Nausicaa,Deest, Dil, Coopto, Suus. Sunt hx disiun et iones numero
quinque et viginti. Quarum viginti inter se reciprocă sunt:Nam vt quæque
præcedit cæteras, ita præcediturab illis. Confonantium difiunctiones. D, disiungitur
a B, Abdomen: etquidemmu tuo, Adbibo, B, ab n, Abnuo: sicutm, a D, Ad mitto. B,
præcedit F, fed mutatum, Aufero: ne que enim eft,vt ait do et tissimus Gellius:
eius acumen laudamus,iudicium non fequimur.Præ ceditur autem a tribus liquidis,
idque com, Fiij. 86 Iul. I. mune habet cum suis comparibus, Album, Als bo,
Arbor:Alpes, Ampulla, Arpinas: Alfenus, Arferia. sed m, ab hacexcluditur,
vtdiximus. l. tem præceditur abipfo c: idque commune ha bet cumMT, s; Pyracmon,
Flecto, Flexum: eft enim Fleçsum. Præceditur etiam a G, Egbatana, ídque habet
comune cump,Migdonides:et cum M, Agmen. TT,præceditura 'c; et p, siyetenuibus,
five aspi ratis: fed plus Græcis, quam nobis,raw, riww, ogą γέω, χθων.quorum exemplo intelligamus Ααασιν in illis, Actus,
Aptus,Aphthonius,c'xto Ipfum C, præceditur ab x, Excutio. Item suum par, Ex
quiro. Habethoc communecum L, Exlex: cum P, Expuo; cum T, Extulit. M M, præcedit
B, et P, vt diximus, etfeipfum, ac præterea nullam,Ambo, Amplum, Ammentum:
neque enim antecedit n, vt dixcre:nam in A. mne, est ousmas: exemplum,
Mnemosyne. IR L, et R, fere omnespræcedit, Arbor, Arccrra, Ardeola, Corfinium, Corgo,
Periurus, Perlego, Permco, Pernox, Perpes, Perquiro,Perrexi, Per, sono,
Pervolo: Albion, Alcon, Aldus, Alfenus, Galgulus, Saliuncula, Almon, Alnus,
Alpes, Al fiosus, Alcellus,Alveus.Iccirco diximus, Fere: L, non præcedit
Q,neque R. Ita n, quoque mul tas præcedit, Anco, Andes, Anfractus, Cõiunx,
Angeria, Conlutibilis, Anquiro, Conrugo, Con sul,Antes,Convolo,Anxur, Zinziber.
Ante B, MA Pununquam. s,interdum oblidetur ytrinquea c, in ipsadu. plici
excipiens adveniensc, initio subeuntis di etionis. Excoquo:idem est Ecscoquo.
Duplices nullampræcedunt.nequein cõstan-Shopli 44 tia,nequein distantia: sed
vocales semper in con ftitutionç.bínGocmpovefaww.at non retinent eam
pertinaciam in subeundo: dicuntenim Ariobar zanes,Perfæ, et Xerxes:et nos
Anxius,vtoftendi musiam;Græcixdutw: Arabes etiam Alzit, et Al zibib, oleum, et
vua; et alia multa etiam extra are ticulum. Ordo discendi Elementa, 4? $ est
ordo, qui est principium, ac quafiforma Syllabæ: nuncautem diligenter ordinem
nata-xatire lium,atque vsus earum videamus. Nequeenim re et e fecere prisci, aut Latini,qui quem aGræcis, aut Græci
quem a Syris accepissent, ordinem re tinuere. Sed vt quæque
primanata fuitlitera,ita Kesan prima quoque sese offert ad pronunciandū. Iccir
" la co et a vocali,propterea quod vocalessyllabarum formam feruntfecum,et
angtissimaearum recte, omnia idiomata ordinem auspicata funt, Chal dæi, Arabes,
Scythæ,Græci,Latini. Eftenim Az prima,notissimaqueinfantis vox, cu qua vitæ hu
ius fpiritum primum hausimus: neq; re ylla eget alia, et hiatu oris solo fine
vllo cæteroru motu in, strumentorum.Ludunt enim Græci, quia Phe,
nicibusAlpha,bovem dictum autumant: cuius, pecoris quali auspicio quodam Cadmus
vrbem Thebas condiderit: cuiusque opera feminio illo F iiij fabuloso cives
suos, quos ideo awagie's vocavit, collegisse: a terra enim oriundos
mentiebantur, co dimetientes, et nobilitatem fuam et pofseflio nemperegrinis
inacceffam: quo iure quali paren tem ab occupatorum amplexibus arcerent. Sic et
Gai, et Opici, in Italia ab eadem terra sese nuncu parunt. Cæterum Græcorum in
mentiendo au daciam fuperavit quorundam ftultitia, non in credendo solum, sed
etiam in prodendo. Nosau tem Arabicæ linguæ non totius ignari, fcimus et a
Syris hodie, et a Mauris qui inde advecti sunt, Taur, bovem dici: putamusque in
Græciam a Cadmo eam vocem translatam, Igitur vocales A O duæquæ effent
amplissimi soni A,et o,pręponen dæ aliis fuerant, quemadmodum huic illaeftan
teposita: quæ aute essetobscurissima postponen. vy da v, eiusque similis altera
ei apposita y. Duæ au E 1 tem mediæ, E, et 1,mediu in locus conveniffent. E Sed
dee,posta,primo statim loco scribendu fuit, propterea quod effet magistra quali
quædã nium confonantium: Quarum nomina, paucis exceptis, aut in eam desinerent,
aut ab ea incipe S. rent. Ante alias autem cõsonantesde Sibilo pri mo loco
agedum fuit: vocali enim proximus eft: H fimul et deAspiratione: nam paulo
compressiore spiritu Aspiratio,paulo tenuiore Sibiluseffertur. Atque etiam de Aspirationeprius, quam de Vo icalibus dicendum fuerat. Sed
quia affe et uspo tius quidam est, quam elementum, poftremam omnium commodius
ponemus. O
et avo eam lo co Latini conftituere,veterum imitatione. Nam quum a Simonide e,
vocalis fonus, vbi perpetuo pro,. 1a tu car det 89 ) produceretur, notatus
fuerit figura H, qua Athe nienses vfi essent antea ad afpirandum: atqueille eã
post E, cui substituiffet, ftatim reposuisset: La tini receptam ab Atticis
etfigura et potestatem, Simonidx ordinem sunt fecuti. Na Latini ipsam F, cum
interponeret, fane numerum auxere: cui fedemeam quare aflignarint, baud facile
explica- ", polo ri possit. Na et inusitata litera apudmultosGræ corum
eft: et fi fpiritum eius impronunciatione respicias, ipli,anteponidebuit:
fioriginecon templere,post, statui:fuit enim ex duplici, vn de etiam
digammaappellata: partes enim totum anteire debent. Primores autem confonantum
in cunnis sunt,B,G,M. quare Arabesatque He- 3 M bræi, Græcique longe quam
Latini sapientius, qui ftatim poft a, ponerent B. poft quem, non c, vt nostri.
facilius enim, quam c,pronuncia tur: quanquam inter linguæ vitia aliquos inve
nias in c, aliquos in t,hæfitantes. L, quoquefaci--- lima fuit, atque inter
primas reponenda: la et en tis enim ætatis est: itaque vdam Græci appella runt:
minus commode communicato nomine etiam ipfi r.quam equidem iudico postrema in
se R derecensendam,sed anteduplices tame, quarum ynaquæque eo loco ftatueretur,
quo eius origo fuit: yt Y,prima sit,qa B:at z,vltimaquiac: me chupfe' dia autem
z,quia Die, novum inventum Lati norum, autstatim poft c, automniū vltima col
locaretur. N, autem poft L: idem eius filum pro N nunciationis vtrique
fuit.Neque vero idem or do apud omnes fit nationes, fed vt cuique fre-, quetior
est litera,ita prior alia esse debet.Quem FS ! 1 90 Iul. I. neFINjust admodum
etiam illud intelligas, apud Vmbros prius de v, quam de o:contra apudRomanos. Figura
Elementorum et earum canssa. Vnc de figurarum caussisdicendum eft: de antiquis
figuris loquor: quas quiAtticas, Addressto antiquas voluerunt
appellare,oftenderuntq etmultum scirent, etparum saperent, Nequees ním
Atticarum cognometo circunlatz vllæ vn quam literæ fuere, sed lonicarum: pars
enim lo niæ Attica regio fuit. Nam quum in duas partes vniversa effet
Græciadistributa, Peloponnesum, Dores, cætera regionem lones obtinuere. Duos
super hacreversus ponit Strabo certis incisos co lumnis, quos qui volet leget.
Nam iidem quum in Asia loniam recensent,coloniaspro matrice ac primaria regione
supposuere.Quorum mores in luxu, ac mollitiam Barbarorum quum abiiffent,
puditum est Atticos Ionicæ appellationis. Cætes rum nomen et illorum vfui in literis, et Dorienfis um manfit
confuetudini. Iccirco autedi ettæ sunt Anli antiguæ, quia recentiores aliis
notulis vti malue quire, quibus etiam maximam horumpartem descri ptam videmus:
quare etiam Maiusculæ funt ap pellatz: a notioribus igitur incipiendum est.
Rabi Lacfiguraquide acciditliteris,per lineas, Qua= Liudij quam autem figura
est spatium lineis contētum, paucæque literæ, aut totæ concludunțur lineis,vt
" D, B: aut partes earum, vt P, Q, R: quædam vero e tiam vnica tantum
linea describuntur: tamen eft eis attributum figuræ nomen, propterea quod non
effent veræ lineæMathematicą, fed potius super Grana ܕܐ fuperficies angustæ quædam. Omnisautê linca, autest
obliqua,autrecta.NamquodGalenus di vidit in curvam et cavam,id eftper accidens:
ei dem enim lineæ contingit,vt et cavasit et curva; ficuti obliqua dimetiens
linea quadratum, infe riori triangulo curva erit:superiori cava: neque enim in
linea obliqua cavum a curvo melius diz ftingui poteft, quam in puneto dextrum a
fini stro,superum abinfero. Sed eadem linea diftin guitur figurę vniuscavum,ab
alterius figuræ curs uitate. Omnis igitur litera, aut linea,autlineis
conftat:item aut recta,vti: autrectis, vt h: auto bliqua, vt o:aut obliquis, vt
q: autrecta, et obli qua,vt p.:aut obliqua et recta,vtc:autrecta, et o
bliquis,vt R, B. Hæc est divisio a substantia:abac, cidentiautem fic:nam
transversum, et perpendi culare, etdiametrale, et iugale, et decussatorium
accidentia funt lineæ vel re et tæ vel obliquæ. Per pendicularis vna,1: duxw,
cæqueiugatæ: Dux angulares ad medium perpendiculum, a: vna p pendiculariscũ vna
iugata,: cum duabus, F: cum tribus, e: Duæ perpendiculares iugatx diametro
quadrati, n: et alio fitu z: duæ diametrales x.Sunt et curvæ inordinatæ s: na
Græca ex æquo respon det sibi, 2: sunt simplices, vt aliæ:cöpositæ,vtwa et
F:quarum illa originem suam repræfentat,,0; þæcnullam 5,5, pateftate. CAP. XL
Cauffa fingularum, Vnc fingularum cauffas videamus. A, tota ma ipli quidem sine
caussa: a Syris enim. Quid Syri? Quidam A 92 Iul. I. Laura Quidam dixere latum
sonumin angulu desine 25 Airc,iugumque ipsum præscriberemetaslatitudi nis. Sed
corum audaciam arguit et A, Græcorum, a quibus ipsum illud A,Auxit: et A
eorundem,cu ius iugum præfcribat hiatum nullum: nam quo pa et o autexore, aut
in ore triquetram poffint fi guram constituere, fane nescio. Differt autem y
tram ineas rationem.Nam fi propterca fimplicis simum putes elemetum,quia primum
eft: ita fane Scribas sicutArabes,quipofitæ lineę perpendicu Jaris calcem
linistrorsum versusproduxcre,quali in figuram noftri Lyaut G, Hebrei inversi. Sin
hia tum contemplere,patula facies eipotius debea tur,quam ctiam quadratam
primum finxiffe He: bræos par est,item Chaldæos:vel ve ante hos
fabu:lanturquidam, nescio quos Aramæos. eamque linea dimetiente disfe ettam,
fic, quam postea concinnarunt. Sicigitur esto divaricata propter hiatum.
Huicautem cum soni exilitate atq;ob Y scuritate contraria esset Y, vndeet Yonor
acceperit cognomentum, figuram quoqueopposuerein versam, bifurcatam. Huius
itaque sono quu pro V ximum sit v,nostrum,novaldeab eius figuradi versam facie
habuit.sed subducta columella, fur cas bivias contrarias ipfi
A,retinuit.cuiusnaturæ ipsum quoqueesset contrarium pronunciationis
obscuritate.Ac fanealiquando fecit, vt dubitare mus, vir do et iffimus Ausonius
poeta, an v,notula fuerit in vfu Græcis, ille. n. Græcam negationem O Yavnicam
fuisselitera illis versib, professus est; Unafuit quondam, qua respondere
Lacones Litera: irato Regiplacuere negantes. Sed ! 93 Sed videtur allusisse ad
fonum Græcu et ad figu... ram nostram: exprobrat enim hocillisNigidiust Figulus,
qui nesciverint figuram vnam invenire, qua v,noftratis exprimerent sonum. o,
suis sibia natalibusvsq; figuram attulit, ex- (pressa piettaque oris
rotunditate: sicut i,sonima- 1 xime exilis,excuffo omni tumore,ac vetre,quam
tenuitatem cum e,faciat pinguiusculam, iugula vimus obeliscis quibusdam:quorum
sane nume-, rus potius servivitdecori, quam necessitati: sed: aut duobus extremis
fatis efficere poterantsic, t: aut medio vno, lic,:fedilla propiusaccedebat ad
Csapud nos: hæc autem apud Græcos ad aspirati-> onis nota. Nam quominasfummo
tantu essent contenti, in cauffa fuitr, Græcis: quemadmodum Latipiimo solo
nequiverunt effe contenti, pro pterca quod eam figuram L,occupaffet:placuiti
taqueternis roftrisfaciem efficere pleniorem V si autom antiqui funt
longiuscula forma,ipso t,nolu describendo, quum geminaretur:idquedecoris gratia,
sic, lulij. Huius
consuetudinis litera lon gam vocat Plautusin Aulularia. qua interpretes
iccirco,pro L,suntinterpretati,quiaBarbarorum vsu fic nunc fcribimus. B,item
Græca est.sicut “M”, “N”, “T”, 2,velsono, vel Greeca figura:atC,ex dimidio
Græca est:subtra ettanam -.K que columna ipfiusK.cuspisnuda remanfit, fic 2: 1.
cui ad faciliorem scripturam angulum ademere. Sicut etiam ipli, quod fecere vt
effect:fic ex I, D creavere sglubdu etta bali, et angulo fiebetato, vt $ non
amplius Scythicum arcum imitaretur,idq Notabat Athenæus ex priscis fabulis: fic
ex quod abscidissentden7, finxere ipsum p.circulie nim quam anguli du et us
facilior: ppterea quod vnica lineavnico abfolviturmotu:at Angulºdua.:bus
lineis, ergo duob: motibus, igitur quietein "terposica: hoc enim in
naturalibus declaratū elt:: Poftea quum noftrum hoc P,concurreret cũillo rum
litera, quanı Caninam vocat Persius,vt a no ftra diftaret,caudam addidere,R,
ficut etipfi c,ex G quo cognatam effingerentG.atque eodem cons filio eidem
addita alio modo cauda vt fieret Latic Ona litera, qua Græci carent sic, Q,quam
postea in huncmodum clausere. Q. Eftetiam ratio, quare fubdidissent
caudam:deferendusenim ei femper comes suus fuitilli, fic, Qv. AlimpsoFaet um
autem eft,vt non folum Angulorum Grad"hebetatione,et virgularum
additione,ademptio ne,Græcasin ysumsuum transferrent Latini, sed ctiam integras
fervatas inversafigura reponeret: mdos,e nihil enim aliud eft noftrum l, quam
illorum r. quoniam illorum 4; nimis propeeffetipfamAz cuius iugi describendi
poffent oblivisci. simultur pe forearbitrabantur,li vocalis nota plus egeret
operæ,quam consonans.cum pronuciatio elim pliciori penderetpotestate. Digamma
quoque inversum,duplex eft í. Quare non male cxco gitavere,vty,Græcam
exprimerent per antisi Andrefagma,E.neque, quominusid reciperent,in cauffa
fuit,vtaiunt,fonimollitia, quam ipfum Y, reprę * fentat,noftra ps, non
affequuntur.nam quod ar gumentumadducunt, id est nullum.šeguit, qafa cită eg6G
estenim vbi no faciat,orisontis:qua re quod officiu præstatillis; nobis no
denegaffet. Age vero quid prohibuit, quominus illi aliqua fi gura
exprimerentnostrum e: nam quia Roma nis vivendileges accepiffent;etiam loquendi
nori negligerēt. erat enimeis in promptu av tixand; x. nequeaddere “V”, quod ne
Latinis quidemfue rat necessarium. Nam quemsonum,ipfum cica v, iunetum habet,
potuit etiam seorsum, fi attri buiffent,per se obtinere.Ita etiam Angelo, fi
non eft n, in cygersnon estr, geramusmorem mo rosisistis, et
antigammastatuamussic j. quod ip summet fit hoc quod neutrum illorum quivit
effe: Acceperunt autein noh folum eafdem eadem poteftate, et figura,eodem vel
inverso situ, sede tiam et figuraet fitu eadem, poteftate vero longe Fishes
dissimili:vtx,quæ illis esset afpirata, nobis effet nesting duplex: et quæillis
esset media fimplexr, nobis effet aspirata geminatu f.Sed etvocalis notam ab
Athenienfium institutis vfquerepetivimus ada spirationem, cuius illi vfum
invertiffent.H, enim nunc pro e,longa:olim pro aspiratione Acticipo fuere,ita
ctiam,vtinfererent:quos Latini suntfe cuti,Heraton:etiam in medio,KTAHS2N.quod
ne nos quidem negleximus, Prohæmium. Quare poftea femper tenuit confuetudo,
vtcentenarij ! numeri nota eflet H. quod fuiffet illius vocis ini tium. sicut
apud nos eadem ratione, c. Ijautem et vsconsonantium figuras nonexco
gitarunt,poteranttamen ficfieri, nifi Acolicum illud mayis ti. Literarum nota
cum potestate numerorumfignan. dorum, C Nominum. con Flarespotius referendus eft:
tamenquiafine et figura cognoscinon potuit, huc,vtopinor,com modissime
distulimus. Eftautem duplex: quippe Omployelad numeros digerendos, vel ad certa
nomina Nement indicanda.IgiturVnumper 1,fignabant,qñmi nimo fpatio effet
virgula, sicut vnitasnullo: Ac repetebant fane vnitates, ad quinque vsq;, quem
numerum per v,defcribebant: non propterea ca ea nota esset dimidiumipsiusx,
quodenariûde a fignarent: neque iccirco, quia olim fcripferanț QV, et poftea q
fuftuliffent: fed quoniam esset quinta vocalis:cum qua repetitis; atqucappofi
tis vnitatibus,ducebantur ad numerum Denari jum: quem iccirco x. litera
notavere,quia in nu mero atq; ordine vulgari statim ipsum v, feque batur. Quo
confilio etiam Centenarium nume rum quum ftatuiffent per c, sequentielemento,
scilicet D, Quinquagenariu deposuere. Ratio aut Centenarij a prima litera
ipfiusnoininis accepta fuit: sicut et Millenarij,per m. Quinquagenarij autem
notam'non a nomine,fed a Gręcorum in yftituto excogitarunt:nam quum illiper N,
pinge rent quinquaginta, prisci Latini, quihuius ele menti loco
ponerentidentidem L, in hunc quo quevsum substituêre: et monuim ' apud poetam
fic fcriptum legi solitum a doctioribus. DantmanibusfamuliNymphas. Sane vero
Lymphas a Græco víu on ductum ne-» monegat.et içigan;quasi79igfur,vtvolūt. Io
no - Nomorsa minibus quoque designandis vsi sunt certis lite ris,iísque eorum
primis:c.Caius:P.Publius:et in versa,vty, Caia diceretur.Ergo Publiam si lege-,
remus, etiam inverso d, scribendum fuit. Sed de his suo loco inter nominum rationes,
ac præno. minum disputatum est. Poteftas mutua quarundam cognatarum literarum,
quas Græci vocant alsoíx85. Pgularum diximus poteftate, nunc elemento rum
cognationem quandam videamus. Propriu Arhe's hit? igitur elt Novem literarum,
in quincunce, quasi dispositarum triplici serie, costitui: quasiccirco Græci
avtiquya appellarint, quiainter se mutua subirent fede. Noselegantissime dicere
vicarias poffumus. Cognatæ vero, atque etiam coniu gatæ re ette vocabuntur.
Sunt tenues tres, C, P, T: quibus addita aspiratio,totidem creat Græca pru
dentia,vnica sua quanquenotula insignitas,X,Q, ©. Mediam autem interc, et
Græcam habe mus Ġ. Itaque et dyxuege, et Anchora dictum eft: et Cneus, et
Gneus.Inter P, et•, fuit B. quam re et βινάκια, et φιτακια, et πιτάκια dici confue
visse,prodidit Athenæus. Intert, et,ficum est D. iccirco curaüta, et cx Jadro
dicere Græci fine flagitio insticuêre:etnos Adque in Atquemuta vimus. Quincunx
igitur sic disponetur: Tenues tres, Medix sub his, imæ Aspiratæ. Vt quam 2 F 7
1 Gj IvL. Cas. ŠCAL. Lis. proportionem ipfainter fe habent propter fpes ciem, a
qua tales dicuntur,ea habeant ad cogna tas propter affectionem. eiusdem enim
speciet funt “C”, “P”, “T”, “P”, “B”, quippe aspiratæ funtfemivoca les, tenues
funt mutæ, media inter eas. at inter fe habent proportionem affe et ionis,id
est potelta tis, quam Græci toidtorg vocant. Hasautem con iugationes quartus
ordo etiam augebit. Na ques admodum tenues aspirationemutabantur: ita P Abilum
additum in alium ordinem transibut. eo enim duplices evadunt,ex Quincunx c, et
s, no ftrum x:ex P, et s,Græca'y: ex T, et s, fieret aliqua pari
exemplo:nequerepugnat aut communi po testati pronuntiandi, aut Barbara Vasconu
con € P T suetudini, quiltse, proipfe pronuciant. Sed Ma GBD tricem fuam
Græciam fecuti funt Opicinoftri: a * ° quibus rccipere vna cum vocabulis
quibufdam Ey z placuit vfum diverfæ duplicis,z. Diverfæ fane, propterea quod et
media cum'fibilo iungitur,no aspirata: et poftponitur illi, noanteponitur: Du
plices igitur in suas compares foluuntur cum in-, He et untur: Faex,
Faccis:Grex,Gregis:04. Os Kiefsn.bos. CAP. XLIII. Naturaquedampropria, 1,
vocalis. St et natura quædam propria I, vocalí:Nam quum cæteræ vocales ante
vocales corripian tur (hoc effecit facilitas pronuntiationis, ni hil enimmoræ inter
fimplices hiatus infereba tur) vaatantum obtinuit quadam quafi præro gatiua,
certis velocis Græcorumoreproducere Dr tre 1 tur,rovėszíscilu,sit.id quod non
penitus fine ratio nefactum eft: Multum namque temporis poni- Comsa musin
exilis vocalis pronunciatų, propterea og Aatus cunctabundus exitinter oris
anguftias: ic circo Græci in multis, Latini parcius produxerė. Quemadmodum in
verbo,Fio:quoin verbove- rx * teres duim legem volunt constituere,errarüt: sic
enim dixere, Semperin co producii,nisisequa tur E,vt in ficrem: Hoc enim falfum
eft: nam in futuroFiet, item longa eft: vbi enim effet mul tisyllabum
multitudine fyllabarum, vocalis bres vitati quali supplementuin milêre. Sed
illi per ftantin sententia, adduntque, Non satis effe, vt £, fequatur: sed id
quoqueopuseffe, vt et, fequa =! tur in prima persona:at Fies, Fiet, non eft in
prima: verum adhuc errant: nam Fiemus,prima eft: itaque addere debuerant et id,
Vc effet fin gularis. Sed ne lic quoqueprocederet e senten tia: ita enim
priscoseffe locutos constat, Ficm. Cuius rei argumentum habemus ex analozia
fecundæ, et tertiæ personæ: eti præsto est Cato ñis autoritas: Qui ita et
pronunciavit, etfcri. ptum reliquit. SicPomba illa Dicem, faciem. Eius enim
vocalis fonus cum infinitivi Vocali con iunctus eft, Amabo, Amare: Docebo,
Docerc! Audibo,Audire: fic,Dicere,Dicem Fieri, Fien. Prætcrca, quam afferunt
regulam, non bene exprimunt liceniın dicunt: Produci, natin iis cuius persona
prima habebit i, at Fierem, elt persona prima, ipfa autem perfonam primam non habet.
Poftremo non est ratio hæc vlla, ked observatio: at observatio neminem cogit, nog
fed oftendit,quidinvenerit turpiter autem qui mugedam recentiorum corripuerein
Fio. In fecun l 1Ulman dis autein casibus pronominum quorundam et relativorum,
quare corripiaturin promptu ratio est,quippe ante vocalem:at quare
producatur,fi cut ne aliarum quidem rerum, nullam caufam af signarunt,lllius,
istius, Vtrius, Vnius: quare eam fic eruamus nos: Quæ ad hunc modum cxeunt,
nonita oliin pronunciabantur: nam confonans inmultis,non vocalis
reperietur,Cuius,Eius: lic erat, IlleIlleius: fic qualidiphthongusGræcare
mansit, ac longa fuit. Ergo vir doetiffinus Te vrentianus non fuit veritus
producere in Alteri us, quum tamen cæteri corriperent. Ncque e nimverum est,
quod aiunt, corripi propterca, quod fyllaba vna numerosius fit, quam cæte. ra
eiusmodi: neque enim eft Altrius, quemad modum Vtrius: fed fane quomodo fuit
Vterei us, sic Altereius. Neque vero eorum ratio bo.na eft: fed vfus contentus
fuit communi regu la, vocalis fequentis vocalem. Analogia autem etiam in
cæteris conftar. Nam fecundus casus, Poffeffivus dictus est: Poffeffivorum
autem mul 1 'ta fic invenias, Petreius, Luceius, Locutulei us, a petra, luce,
locutione. Quxautem Græ ca lunt, non solum disyllaba,vtdixere,deChio, Dia, fed
etiammultisyllaba', vt Sophia,et lo nium. Theocritus enim illud produxit in Sy
ringa: hoc autem etiam omnes Latini. Nam quod addunt a Station Templa Lycie da
bis: non facit ad præsentem observatio xem: eft cnim Auxcio,cum diphthongo. Ge
1 minata IOI ' i 7 1 $ minata quoqueet in seipsum concreta,syllabam
potestproducerecorreptam,vt in decima satyra Iuvenalis: Eloquiofed vterg,perit
orator.effe enimdebuityand periit. Divisa contra passa est moræ divisionem,
Mihi, pro Mi. et interpofita alio elemento, mois Tibi: oi,Sibi:quemadmodum
fupra diximus: Ti,x enim, et Si, olim fuerant. Cuius rei argumento funt alij
casus, Tis, Te, Se. Proprietas quedammutarum,semivocalium et. Ropriumutarum, ve
vocales naturacorre rheto prashabeat, Ab, Ad, At.sed c,variat:Lacenim longum
est, sic Hic, adverbium: Hicpronomen breve; et Hoc, apud Plautum, vt docuimus
in li bro decomicis dimensionib. Disputant,an Fac. Cung brevesit: verum apud
Plautum eundemin Cure' Fac gulione longum elt. Sedgrandiorem gradšergofac ad
meebfecro.Al tera enim estsyllabaspondei. Sic etiam apud O vidium in primo de
Remedio: Duriusincedit: facambulet. Nam litigiosi Grammatici perverterut, cum
volunt depravare, vt legatur, Obambulet:ne sciunt enim quid sit, obambulare.
Neque e nim in vetustissimo codice aliter,quam vulgole gitur: et ambulantem
vult videri, ob vitiu: nam obambulare,nihil eft neceffe. Duo quæ afferunt
argumenta,nullafunt. Primum ab exemplis,v - 1 bi corripitur: nam in illis Face,
fcriptum est: non Fac. Alterum ab analogia: nam si A pocope2 1 3) ] G iij * 102
Ivl. C's. Scal. Lis. 1. in aliis non produxit vocalem, Fer, quod crat: Fere,ne
in hoc quidem debuit. At. n. non fem persequitur nosproportio illa:vtin
Fio,Fies, Fi erein, cadem vocalisnunc longa, nuncbrevis est; et vfus extorquetmuta.
Apo ope quoquemul ja produxitbrevia, quum moram, quam tubdų cebant ex
consonante subtracta, reponerent in vocali; Pecus, brevem habet finalem:Pecu,
lon gam. Quare illi iidem dedere manus, addu ai Ovidij manifesta autoritate, in
primo de Arte: Hosfac Armenios: hec est Danaeíaproles. aking Quanquam autem hæc
corum natura est, ta men aliis quoque camperis,fed vario fane even tu,Mel,Vel:
En Nomen: Ver, Per. Mesemper çor one ripitos, Sibilus varius eft,Suus, Suos.
Dicimus autem commodius nos,quam veteres dicebant, mutas habere vocales breves;
at illi aliter locu malamiti sunt, Mutas esse breves, dupliçes autem lon gas:
Neque enim consonantium affectio eft, yel corripi, vel produci: fed quarundam
natu ra est y patiantur vocales corripi: duplicium autem efficere, vt illæ
producantur. Șienim con fonantes producerentur,aut corriperentur, non «
egeremus vocalibus in pronunciationc:ncquee (nimtengres,aut temporain
consonantibusfunt; z,enim producit:non est products ipsa. Sic'non reet te
dixere liquidasesse breves: ncque illa ora etio proba eft, Liquidæ brevem
efficiuntiyllaa bam. Nam quod duplices longam faciunt mo s ra ac difficultasin
cauffa eft: at liquidębrçvem facere non poffunt: fi enim possent,vbicunque poney
1 Du fue • ponerentur,faceret:hocautem falfum eft:sequi turenim tam l.quam R,
longas: vt uñaoyswow. Sic duplices,aut duplicatæ, non producuntqualibet
fyllabam:nam tūkis priorem produçit natura, na positione: sic, yncasa.
Nonfaciuntigitur vt fit brevis, fed permittunt, neque mutant:nullami gitur
habent a ionem: vtin Patre, nihil mutat, fed patiuntur talem
tantamģueelle,quanta ratin Pater. iccirco a Græcis et molles, etvda dia, etx
sunt: at mollis non est agere, fed pati. Deaspirationis poteftate fecundum
loca, INterestaspirationisomnib,interdum praponia vocalibus:vni autem y,
femper,nilimore Aco- tini lico: eam enim non aspirant, vtdiximuseIgmca dio
autem inter, A, E,1,0, Athenielium imitatio ne, qui X TAHAN, scribebant.exempla
funt, Ha mus,Herus,Hio, Honor, Humus: Vaha, Vehe mens,Mihi, Oho. Præterea anteponi
diphthon gis omnibus,Hau, Hcu,Hei,Hac, Hoedus. Hu iussonum mępuero non
audisses:nuncmaxime” observant literari:quida erią putide. Indo etti vero etiam
locis non neceffariis, ita, vt latrare videan. tur: id et irridebatin Arrio
Catullus poeta: cuius fales quum Politianus exultabundus iactar fefe ințel
exisse,non est assecutus. neq;enim satis est, cat tam,
deprehendereaspirationes,quæibitüessent afcri.charta'. præ:fed opus fuit
cautonelepidissimi, poeræ festi vitas refrigefceret.Nam quare, multa verba cum
proposuiflict,Chommodaet Hinsidias, clausite pigramma flu et ibus potius lonij
maris, quam I. Adriatici? Sane quia ab
Ione cum diet a effet tų regio,tum mare,factum eft ab Arrio, vt ab hiatu, quem
aspirando affc et abat, Hionij dicerentur, Congo Consonantibus tribus
apponitur, quarum ex na hy emplafunt, Chremes, Philippus, Thraso. Non temere
autem dubitatum eft a nobis olim, vtru Ane pia wyr, ab aspiratione antecedatur
vocalium more, Cobek restulan antecedat eam ritu consonantium. Ratio du bitandi
fuit; nam quum aspirationis loco pone bant, B, præponebant ipli R, vt Bretor:
ergo si vices gerit,videtur etiam locum vindicare. Præ terea R,nulli
confonantium præponi poteft: er go neque ei, quæ consonantis habetur loco. Sa
ne vero aspiratio ante vocales statuitur, neque valde differt ab Acolico
elemento." Poteft et il lud augere dubitationem: excogitaturos fuisse
Græcos aliquam notam qua concretam afpira tionis et illius literæ significarent
potestatem, fi cut cum complexi sunt, alia tria, 0,1,x. Sed no tula imposýta
ipli Roostenderunt eundem vsum - aspirationisin co fuiffe,qui et in yocalibus
intel Comhaligeretur. Contra tamen Latinietiam in yetustis monumentis
postposuere. Causa afpirandi fu it foni volubilitas, atque vibratio, vt
diccbamus. In omni autem vibratione recipitur aer per in tervalla: quare intra
ipfum potiuselementum a spiratio ipsa, quam præposita percipiatur, La tini
autem sprevere illam asperitatem. Na quem no Lahiris admodum extra ipsum K, eam
deprehendasae ris crassitiem geminetur? enim, quod apud Cræcos fit, non possis
præponere fic, Pyfrrus, fcd fi postponas fic Pyrpfrus, non potius video re ros
Roiz, re priorem literam, quam pofteriorem onerare. Quidam minus sapienter
etiara Romamafpirats cum tamen Romani ipfi de fuo R, omnem exe merint vsum
aspirationis. Stultius autem, quie tiam Renum fluvium: neque enim Germani ei
elemento apponunt flatum vllum: Leniffime e + nim sua lingua
pronunciant,iudice, etannulum, Richter, et equum, etalia. neque par est
nobilissimæ gen Ring, tis fluvium a Græculis rationem nominis acce Rf:
piffe:fed qua nunc voce pruinam appellant, for tasseaquam omnem gelidam, atque
inde etiam Renum nominarint.In opdGautem etOzolucov vidcris quemadmodum
præponatur ipli R, fuit enim regedod. CAP. XLVI. Demodo, ac rationescribendi.
Ostquam literarum originem,numeru,cauf-tako fas,atque ysum contemplati
fumus:interestyuaphone's veri philosophi illud quoque indagare, vtersit
modusnaturæ propior in fcribendo:ifne,quein Hebræi fequuntur, a dextra noftra
in sinistram introrsum:an nofter, quia sinistra in dextram ex trorsum excurrit:
eft enim motus vna ex causis li terarum: quaremotusipsius ratio five modus li-
ie terarum quoque generationis erit affeettio. At- 4f. queilli quidem tuentur
se mundi origine, quafi cum naturæ legibus omnia inftituta fua tumin
corruptąnaet i fint. Cæterum hoc nihil iuverit cos: quippe multarum artium
invęta postilla ru dimenta emersere. quare consulta factum sit, vt multis cum
aliis corum legibus, hocquoque fit GY d Si 106 IvL. I cmendatum: atqueiccirco
arazionibusdeducen da fint consilia huius consuetudinis. Poterutaf ferre,
motumcæli effe a dextro in finiftrum: at queita eorum tra et um in scribendo
cæleftēmo tum imitari: a dextro enim in sinistrym ducunt. Huic rei fumma cura certis in locis refpondimus; etin libris de Calo, et in
Commentariis de In fomniis. Cælum neque dextrum habere,neque Chafiniftrum.Ad
hæc multæ sunt rationes,quib.per 1 yerse scribere arguuntur. Principio motusma
nus naturalis extrorsum est. quies epimintusad peet us et oculosin fætu. igitur
primusmotusex trorfum explicatur. quarepugna quoque ficcies tur, et cætera
opera, extento brachio, non retra. z cto. Præterea nobis relinquitur fub oculis
ad contemplandum, quid, quantum que descriptum fit: quod illis calamo acmanu
tegitur item in « dextrum humerum converfa facic funt ftatuæ, atqueimagines:
sic enim etcreditæ sunt opus su um refpicere, et contra hostem stare:quare Aqui
larum roftra in fignis ad cam quoque partem fi et a fuere. Ergoobtutus nofter
suapte natura plus dextrorfum versum fertur, Illud vero argumen tum invictum
est, cosipfosinter fcribendum li: terarum ipfarum virgulasac lineas directas
aut transverfas a finiftra inchoatas, in dextram defi, nentes
terminare.Quæigitur partis ratio, eadem etiam fidtotius et quemadmoduin
linearum tra f et us,ita literarum quoque ordo servadus erit.Sed Notexpripam
priusinvenitgens illa, qua scripturam. Textores enim tramæ primum filum
introrfum iaciunt:idautcm coaet ti, non natura, quoniam dextra manu cum
incipiunt, et finiftræ operavi cissim petunt,fic motus fuit auspicandus. Verum
iidem ipsi, vbi cætero opere naturæ legibus ad movendum libere vti poffunt,
poliuntque telas, aüt pannos, aut sepum inducunt, et furfures: tum vero
extrorsum versus a sinistra in dextram, iure suo vt fruatur manys in excurfum,
faciunt. Elementorum affe tus adprincipia fyllaba constituende. A et enus quæ
cuiusque esset naturaitteræ, dici- Rako mus,explicanda eft earundem ratio,quam
ad fyl labam ipsam cõstitucndam iniredebeamus. Co fonantibus
igiturconvenitomnib. di ettiones in Puchonse choare, atque etiam terminare,
præter G, Qız:hią çnim nulla præfinitur.nam confeflum eft VESPE RUG, ita
fcriptum esse,ficut Pont.Max.item FOR TITUD. sicut TERT. et EXERCIT. Dep,non
opore çeţ dubitare: Volup.enim etapud Ennium et, a - Y pud Plautum
etiamnuocquibusdam verfib. ex tantibus de seipso facitfidem. Vocales autem z
que omnes, et inchoant, et claudunt, Ama, Ede, Oro, Ivi,Vsu.Item
diphthongi,Ænças, o Ebalia, Eldus, Euge, Aurum: et claudere, Væ, Evæ, Hei, Hau,
Heu. Vocalis vna Græca ab initiis exclufa fuit lineaspiratione,nisi
moreAçolico,y. A dua bus consonantibus poteftincipere, ficut aduab.
vocalibus,vt Cras: fed etiam a tribus, vbifuntli quidx cum c, P., T, líbilo
præcedente, Scopus, Scrus s' 0 I 108 Iul. II. Scrupus, Spledor, Spretus,
Stalatum, Strepitus. et apud Græcos etiam addita aspiratione, odegyis, In
duaspoffunt definere, Hyės. etin tres, Stirps. Quarum quædam iam sunt
declarata. sed hîc per conclufionem quandam colle et a fint pro prin
cipiisfyllabarum, more Peripatetico. Que fitformasyllabe, quamateria,
VEMADMODUM ex elementis primis quatuor naturain vnu coalescentibus fit id,quod
mistum dicimus, et ex puneto fit linea; ita ex literarum coftitutione id con
fieri dixere, ab ea comprehensione ovina lew Græci vocant: q obcaufam etiam lic
definivere: hrib Syllaba est comprehenfio literarum fub vno ac centu,etvno
fpiritu indistanter prolata. Quam definitionem et falfam effe, et eius partes
male cohærere oftendamus. Nam ficuțlitera ipsa est quiddam indivisibile, non
autem privatio divi lud fionis: ita fyllaba erit quiddam divisibile, non au tem
ipfarum partium comprehenfio: atqucid ex co manifeftum est, cum dicunt,
fyllabam ex bi nis aut pluribus literis conflari:at comprehensio non
dividiturin literas: nequeenim vnio mate rix et: formæ corpus ipsum eit. Male etiam
dixere prolatam: acciditenim fyllabæ proferri:poteste nim et fcribi, et in
mente reponi ipla: quare ita di cantreete. Quæ proferripoffit. Tertius error ex
his manifeftuscit: nam G lubyno accentu eft, eric et fub vnospiritu, et
fineintervallo: suum enim quæque fyllaba accentum habet: ' vacant igitur hæc.
Poftremopessimo consilio putaruntomne mnyama fyllabam multis concrescere
elementis: accidit lekerk; enim huic rei,quam syllabam appellant, nume
ruselementorum. Si enim essetessentia syllabæ, ergo substantia reciperet
intentionem et remif fioncm:hocautens falsum eft: atquehac ratione, pois
fyllaba hæc Stirps,effet magisfyllaba, quam hæc, Ab: aťmaiorest p quantitatein,
non autem ma gis per substantiain. Nam quodaiuntmonogra
matas ' vocales, non esse veras fyllabas, ridiculum est. Quidigitur sint? Imo
vero verissime sunt hoc, quod falso nominesyllabæ vocat: quoniam pacaloy nga
etpriores funt,et fimpliciores, et hocipfum funt, quod aliis communicant
literis. Syllabæ igitur econe i'ne nomen falsum est, atqucaliud quærendum: vte
mur tame vsitato vtintelligamur: definieturau tem fic, Syllaba est elementum
subaccentu. Ita- alt frankos queetmateriam habebis, et formam: eftenime
lementum materia:id autem perquod accentum poteftfuscipere, forma. 1 Acci IIO
ivi. L 1 B. IL w.Accidit autem numerus elemetorum syllaba ficut plan is
foliorum et ramorum, etradicum,et fibrarum. Nam animalibus quoque satisest, si
ýnum instrumentum habeant sentiendi:neque enim desinunt effe animalia.
Itaquelianimal de finias, falso apponas, pluribus conftitui. Hos au tem quod
dicimusaccidere, aut fitquod Græci proprium vocant, aut esto etiam differentia
fpe cies certasdistinguens in rebusnaturalibus:at in fyllaba DĖ, nulla forma
eftfeparanseain ab hac fyllaba, e: fedpars illa tantum inaterialis scilicet,
Daccidensipli e. Numerusautem est a fingulis ad senas vsquc,a, Ab, Abs,
Mars,Stans,Stirps, xi 998: dempta enim diphthongototremanent. Sekrompi.
Germanis etiam longe maior. Intelligoautem nunc diphthongorum vocales numero
notufa rum,non sono feparatas. Aut igitur fola vocalis Wir helt:aut cum alia,vt
in diphthongo: aut confona tem vnicam præcedens, Ab: autduas, Abs: aut tres,
Stirps:aut vnum fequens, Da: aut duas, Dra. co: aut tres, Strenna. Quare licet
non adinif rit vsus,tamen quantum earuin natura fert, octofte literarurn
poteftfyllaba: fiquidem trinis oblideri consonantibusdiphthongi sonus patitur.
Eam tamen afperitatem mitiorem fecit vlus,exhilara - A53 ta'tristitia
confragofæ pronunciationis: vtalter nis, sitres præcederentcolonantes,duæ
subirent.'. ete contrario. Consonans,que interduasvocaleseft, vtriapplicetur.
Riore libro de Systali et Diastasi dixiinus: vt literarum ' mutuam cognationem,
quæ pars eithe 2 er 21" Do Ĉavsis LInc. Lat. tü Ś. Erat
poteftatis intelligeremus. Nunc vero videnia dumeft, quod et veteres
disputarunt; ad vtra fyl labam constituendam conparetur consonans, quæ inter
duas vocales fita fit. Ac Herodianus quidem ita sensit, qualemcunque vocalem hæ
rere præcedenti consonanti: fi dictio inveniatur, soula ab eadem incipieņs
consonante. non quod hoc illius cauffa fit: sed quia per hocillud cognosca
tur.vtin verbo Fero, quod bifyllabum sit, R, po sterioris vocalis effe, non
prioris: idemque in co. pofitis debere observari.Nam quanquam ex Ab, etAetus,
coinponirur, Abacus, tamen vbi duo hęcin wnurn convenere,B, coire cum a;
sequenti in fyllabam,non cum præcedenti. Sed adversus C- s, hanc senrenuam fic
argumentantur:in abigo, a B, accedit ad fecundam vocalem, ibi primanon '
poterit corrip,propterea'quod iam fit A, præpo sitio, quæ femper et vbique
longa est. Item in Circumago, non fieret clirio ipsius m, si sequen ti
applicarerur: p ærereain Abhinc, et Adhuc,b, et c,aspirarentur: id quod
eftabfurdum,ac nuf quam receptum. In tandem fententiam videos tur inclinare
Quintilianus, atque in vocib.com pofitis syllabas dividire pro modo partium, in
Arofpice, et Abstemnio. Vt has rationes solvain mus, animadvertendum eft, cum
ex duabus vocibus vra fit, non accentum folum, fed litems rarum quoque exigi
cohærendiam: neque e. nim ita pronuncies, A bactus, compositum,vt Ab, Aetus,
difiuncta. quianam igitur pronun ciatione efficietur, vt B, a fequenti vocali
fub bahatur? Adhæc,lipicuita a petendo vitam dom > 2. catur, nisi cohæreat
T, cum v, semper sit v, con. sonans:at non eft.Sic in hac voce, Etiam, duæ ef
sent fyllabæ, Et, lam: est enim consonans i, in Iam: fed pronunciationis
tractus cogit nos ele menta coniungere.Poftremo, corum regula hæc eft, et
vera:Nulla fyllabaaspirationeterminatur. Igitur in his vocib ',mbwuszeor, et
diximus,apud Lycophronem, et dimostov,quid comminiscen tur? aut enim in
aspiratam delinet prima fyllaba, autid fiet, quod nos censemus. Nam argumenta
illa omniaridicula funt:ac primum quidem'puti dum.Nam in Abigo, licet B,
subtrahaturpronun ciatione,non tamen est A,præpositio, sed vocalis ipsius AB,
non enim propter B, sit A, dut longum, aut breve, fed vfus autoritate:neque
enim fieret vnum compositione: fed fit tamen: quare quam quisque poteft,fedem
occupat. Neque vero dica mus, quod is, qui ita corrupit versum Ovidia num Sive
quis Antilochumnarrabat a Memnone vi ettum. quanquamin compositione, five lim
pertinacius cavillari, oftendam in voce hac Amarum, etiam corripi,fi illorum
trupov sequa 2mur.quoniam aMari,venit:Alterum argumen tum sic diluimus,
auferrim,in Circumago, quia subiens vocalis non patiatur, non tolli autem, si
nolis. vt apud Ennium, Tumdele etta virum sunt millia militum octor quod et in
Comitio, manifeftum eft. Nigamus enim hoc,femper poftremam consonantem acce
dere ad fubeuntem vocalem: fed id tantummo do evcnire,cum eiusdem initij
reperitur, vt dixi (Inuse mus, vox. Quare cum nulla vox a B, incipiat al
piraro,disiun ettis sedibus hæc duo inter fe erunt. Sicut in adbibere, nemo
nostrum dicat præpo fitionis confonantem, cum initio verbi coniun gi: impeditur
enim. Hocigitur impedimentum etiamab ipsa aspiratione allatum est. Ex his
sequitur,in fimplicibus tantum,fifylla- saj n2 ba incipiat a vocali,necesse
esseeriam præceden tem vocaliterminari. In compofitis autem non neceffario: Comitium,Coco.
Item quemadmodum fyllabarum initiaa vos isa's cum initiis menfurantur: ita et
fines a finibus. Quare in voce hacIlhic, debet etiam effe aspi ratio, quammale
faciunt,cum omittuntrecen tiores. Cum enim reperiatur fimilis literarum fo
cietas in verbo Est, potuitprima fyllaba esfellt, postrema Hic: atin yerbo
Illic,non potuit:pro. pterea quod nulla yox in eandem desinit ge minatam, neque
ab eadem geminata vlla in. cipit. Illud quoquehinc constat, in quamuis voca-
receila lem desinerefyllabam polle, quauis sequenteccoccoon nang fonante,
Itemque syllabam non finalem quali bet consonante terminari,quæ geminetur. quod
fiduæ diuerfæ fint,in F,G,P,s,nequeuntdefinere, Hisenim nõ finitur fyllaba,
nili geminatis.Quod autem etiam addidere, B,etT, errarunt, Abnuo, Atque,
Abseco, Ætna. In q,nullam terminarive rum est, quia v, habeat comitem:Sed in
c,non estverum, Ecbasis, Ecquis, Eçdosis, Pyracmon. Quod autem addiderunt
exemplum Acnc, fal. fumeft. Scd.c, transit cum Noad finalem voca H lenlem:quia
dicimus,Cneus, Cnidus. Sicut etillud erraruntidem in A et us:dicimus enim
Ctelipho. In'd, autem definit sequentibus fere omnibus li antiquorum more
maneat incolumis in com pofitione, Adbibo, Adcurro, et reliqua. In 1, definit,
cum mutæ fequuntur, Album, Calcar, Caldus, Algco, Alpes, Altus. etante semiuoca
les, excepta R, Calfacio, Almon, Alnus, Alfiosus. etconfonantes duas, Aluus,
Saliuncula. Eandem proportionem na et umeft R,Arbor, Arcus, Ar deo, Argus,
Arpi, Artus. Item ante femiuocales, etiam ipsol, viciffim non excluso, Arferia,
Ar ma, Arnus, Arsus,Perlego, et vtranque confo nantem,Peruicax, Periurus, etiam
ante ipsum Q. Arquites. In-H, nisiperApocopen fyllabam exire ne garunt. Ah,
Vah. fuiffe enim Aha, Vaha. et verifimile fit ita factum effe: fæpe enim do tentes
etiam nunc fic geminatum pronuncia Inm, fi sequatur B,P, Ambo, Amputo. In N,
fubeunte “C”, “D”, “F”, “G”, “H”, “Q”, “S”, “T”. An con, Andes, Anfraet us,
AngeronaAnquiro,, Ansanctus, Antes'. et more veterum ante R, Congruo. etin
paucis ante duplices duas,Anxur, Zinziber. His rationibus deduci poteft,
fyllabam termi. hari poffe quauis confonante, cuius natura lita sptageminati. mory
Item constat, veteres ca sententia falfos effc, ss fyllabam finiri ante c, in
Abscodo:etenim,Sca tam, dicimus. Ncqueverum effe, inx, delinere fyllabama mus.nis.
nem. fyllabam sequente vocali. quippe diximus, Xer nia: et Anxur,eorum
fententiam iugulat. Omnis autem litera præcedens i,aut v,çonso nantes,
neceffariofyllabam terminat, fi eas con fonantes aliæ sequantur vocales: yt
Cuius, Perią. rus,Aduolo, Cauum. Namin Cui, et Huic,
nul. la fequitur vocalis. Item fi ipfa geminetur, Maila. In X,autem desinit
fyllaba præcedens c, et co.2 parem fuam, q, et P,et T.Excurro, Exquiro, Exzen.
pono, Extendo.itemL, Exlex, z, femperinitium syllabæ facit, punquam fi - 2
Nulla diphthongus in duas definit consonan tes: non quod eius natura repugnet,
vtdiximus; fed quia vsus fic obtinuit. Duplici enim poteft terminari,Fæx,Faux
CARL Syllabarumaffetme Voniam fyllabarum fubftanţia partimex materiafit, quæ
funt fiţerxipfapartim: ex unol'est forma, quæ eft ipfa natura recipiendi pronun
çiationem in partem di et ionis: fyllaba iccirco affe et us quosdam pa et a eft
fecundum materiam, yt numerum elementorum: alios autem fecun dumformam, yt
tenorem,fpiritum,tempus.Do pumero igitur primum diximus:materia enim quam
formaprior.Denumcri autem affe et ionis bus nupc. Syllaba prepositio,
geminatio,appofirio,interpofitio, ablatio,extritic94bleißcran politia Vm igitur
ab singulis ad fenas literas fylla ba augeatur: quibus affe et ibus eius partes
obic ettæ sunt, iifdem etiam ipsa agitata cst. Nam quemadmodum præponebantur
elementa,fic et syllabæ, Durus, Edurus. Interponuntur, Impe
rator,Induperator.Apponuntur, Videri, Vide fropiatier.Hocautem amplius, quod
abnullo gemina to elemento incipiebat vox:at incipit a syllaba geminata,
Pupugi. In
nullum geminatum deli nebat:at in geminatam desinit, Scindidi. Con tra,
Elementa in medio geminabantur, fyllaba pane vautem nulla: vicissim quoque
aufertur, vt apud Vergilium, Inter secoiseviros, et cernere ferro.pro, decerne,
re:ficenim legunt, abscinditur, Vaha, pro Vah. etapud Homerum, fwy wpło nima,
prodwa,kestis Astorgow, quod et lusitin poematico monosyllabo rum doctissimus
Ausonius. Exteritur e medio Deûm,pro Deorum.TransponunturQueibam,, etAdeibam:
quod Adiebam, et Quiebam fuit poftea. Mutari vero syllabas vt elementa, omni no
constat ex eo, quod vocales mutantur ipfet: quarefyllabam ipfam mutari necesse
est. Acque Gura admodum ex vna litera duæ fiunt, Mihi, ex eo quod erat,Mi,et
contra:ita euenit fyllabis quo que,Aquai,Aquai,etCui, Cuï.econtrario apud
Varronem, Et te flagrantideieettum fulminePhathon.Et sicuti quædam cx clementis
semper præponuntur, vt z, et
v.consonans, et q: nunquam poftponuntar: Alia e contrario postponuntur femper,
yt, V, quando neque confonans neq; vocalis eft: non nulla fine discrimine
vtranlibet fortiuntur fe dem: ita syllabæ quoque, quæ ex illis suntconsti,
tuta.Affe ettiones aformasyllabarum. Accentus. Væ vero fyllabæ
acciduntpropterformanı per quam syllaba hoc eft, quod eft: ca fub accentus
appellatione, tripartita diuifionc complexifunt: Tenore, Spiritu,Tempore. Hoc
igiturloco quid fit Accentus, quoquemodohæc contineat, videamus. Canere Latini
ab hiata Cana dixere Græca voce Exaver: nam Æoles ab co WS quod eft x cives,non
apponuntincrementa præ teritis,sed dicuntyavor,demuntqueaspirationes. quasi rem
Barbaram. Est autem canere, vocem modulis certis tollere, autpremere: certilq;
tem poribus producerc, aut corripere. Idquod cum in pronunciando necessario
eueniat,quibuslegi bus fyllabasmoderaremur,eas legesAccentiones, Acorns
Accentus, Accetiunculas,Moderamenta, Vocu lationes
Latinivocarunt,Græcos,imitati,qui ea dem de caufla megtudhas nominabant. Cum
i.nthin giturvocem quantitate metiamur, et fyllaba in voce fit, vt in fubieetta
materia, et quantitas tri plici dimensione conftituatur, Longa,Lata; Alta: $
neceffario fyllaba quoque iisdem rationibusaf fe etta erit, vt Leuatio aur
Preffio in altitudine Afflatio aut Attenuatio in latitudine: Tradu Hiij, ia 0 1
Sto 20 M ti Mm et i n3 Ivt. II. + in longitudinefit. Hæcigitur tria interdum
vnt cidemque syllabæ aliter atque aliter cum poffine contingere, videmus eandem
longam aliquando circunfexo, aliquando acuto insigniri: alteram vero nunc
tenuem, nunc aspiratam:non poteft keri,quod quidam profeffi funt, Accentum effe
modum quantitatis syllabarum: vnam enim tan tumvim ex tribus compleši funt. Sed
nos fic de Eniemus,Modus fyllabæ. Intelligo nunc mo dum, quod Vitruuiuset
HoratiusModulum, id eft, menfuram propofitæ rei. Ouomododiftinguantur inter
setriansembra diuifionis,o Tenorumratio.,quot dimen fiones: Altitudo, Latitudo,
Longitudo. Quare falli sunt veteres, qui Accentum fyllabæ quali
qualitatemidefiniuere. Grauecnim etleue in E lementis primarium est. Inde
translata ratio eorü ad dimensiones quantitatum, propterea quod locus fit
fuperficies ambienslocatum:motusau tem fiat in loco:graueetleue ratione et
motus et locorum dicatur. Igitur in voce quæ esset affe ettio aeris, inuentæ
sunt rationes quantitatis,fea omnes fundum aeris dimentiones: idquemathematicis
incis deprehensumeft nam altitudinis ratio eft w kylineaperpendicularis.
Iccirco cum vocemtolle remus, ca liñca signataest. Sed cum eadem linea fecundum
superiorem partem indicetaltum, se cundum inferiorem notetprofundum: facien Cum
fuit, vtleuatio vocis diuerfam notulam haberet adepressione. itaq; excogitarunt
virgulam afscendentem,eo tractu quofcriberemus, index teram scilicet nostri
partem sic !. quæ autem de pressam indicaret,quali caderet contrario situ, /.
Cadit enim manus noftra cum pingimus eam, Atque hanc quidem suo nomini
reliquere,Gra- your vemque appellarunt, ab inftrumentis scilicet vo cis:
propterea quod in gutturaut pectuscam de mitteremus. Alteram autem prioremillam
ab ef fe et tu potiusnominarunt, Acutam:ferit enim au. res, quarum
viribusobieetta eft:acfane plus ponas spiritus latiorisin grauivoce, anguftiorisautem
in acuta. Quare et pueriacutius canunt, quorum guttutangustius eft:
etlatiora,crafstorague instru mentagrauius fonant: vt etiam ab illis grauem
sonum dixerit Pythagoras. Ita omnibus in rebus se certissima ratione libi ipsa
respondet natura. E venitautem yr duæ fyllabæ inter se concurrerent, Hilers
quarum prior priorem haberet, id eft Acutume altera posteriorem,id eft Grauem:
quareex cum coalescerent, concreuerunt in vnum etiam ipli apices, fic, A. quem
Græcicum mesco wjfuer dixc re,abusi lunt licentia inuentionis: neque enim
circuntractus fait, sed suarwufor rectiusnomi naffent. Nostri quoque
Circunflexum cum ap pellarunt, ad celeritatem potiuspingentis manus respexere,
quæ vnico motu virgulam arcuatam fecit,angulodempto fic,, Hosomnes Græci tokss,
vocauere,translata eneo rationc a fidibus, quarum intentioneautremifm.com fione
acutior graviorveredderetur vox. Inde nos Tenores, propterea quod noftrum
tenercindea Hiiij. du 0 Move duxiffemus, fcilicetadToTeiverv.nam quod ni xu
quodam arceremus, id beneficio TWV TVMVTON fieret: et tranflata fuit
significatio ab helcyariis, et aurigis currus inhibentibus: item militibus
prædam diuidentibus. Hocpotes ctiam percipe reex maximi poctæ Oppiani
piscatione quadam, atqucanteeum ex Theocrito: quorum versibus trahentium
tenentiumque nixu primarii nerui TAYOY TIS extantesdeclarantur. Siigitur Latum
a Longo, et vtrunque ab Al to distinguitur fpecie, specie quoquetenores a {
piritibus, et a temporibusdistinguentur. Ve rum non ita eft:
perpendiculariseniin linea a duabus transuersisdecussatis non diftat
specie.Sedin so spire Ziance. corpore quadrato mobilieadem linea nunclati embar
yang Xudinis,nuncaltitudinis, nunclongitudiniserit: neque enim differunt,nisi
accidente.Id quod fa ne pertinet ad Metaphysicum: et tactum efta no bis
atqueexplicatum in quarto historiarum dea nimalibus. Spiritus, Lter fyllabæ
dimensus est Latitudo, secun Info dum quam fyllaba est aut Craffa, aut Te nuis.
nam præterquam aut producas aut tollas vocem,dilatare spiritum potes, atque
adderevel vocalibus, vel consonantibus. In tenui autem pronunciatione minus
exit fpiritus: namet hoc Computerrarunt veteres, cumin tenuinegarunt spiritum
nouelle: sine fpiritu enim non esse vocem in quarto hiftoriaru,etin fecundodeanimadeclarauimus:
Nullum enim animal pulmone carens, vocale eit:fed lonum emitterealiis
inftrumentis constat. Iccirco nmin, Græci vim illam vocauere, noftri
leuem:propterea quod craffum in corporibus vi- www deretur effe graue: et lene,
quia facilius laberc-. tur. Hoc quoque ex philosophia depromptum est. Nam
corpora latiora, vt laminæ plumbex, diutius fluitantin aqua: breuiora autem
citiuse uadunt ad fundum. At eadem ratio eft corpo rum grauium ad descendendum,
et leuium ad ascendendum: Nebula enim angustior citiusaf cendet: sic et
fpiritus præterfluit commodius fauces, quo est aret iore superficie. Qui
ftudent voculis mutandis, maluerc dicere Læuigatio nem, male: neque enim ipsa
fin læuigatvoca lem, sed nota est vocalis læuigatæ. Catullus autem eo, quo
diximus, epigrammate vtrunque coniunxit, Audiebant eadem hæcleniter, etleuiter.
Alteram Græci sarão, noftri Denlam: ftipa tur enim fpiritus vberior
acfrequentior inter fauces: itaqueet Crassam, et Flatilem vocauere. Nam
Aspirantem æque perperam, atque illam læuigantem. Atqueolim quidem tu apud Athe
nienses,tu apud nos, sola craffa nota,quam fupra diximus habuit, H, quæ in
ordineliterarum po neretur: vbiautem deeffet ca vis, is defe et us,de fe et u
quoque notulæ fignaretur. Poftea veroa RRatio vsus obrinuit, vt feet a
hæclitera, aspirandino-figma tam exhiberet dextra sui parte fic, F: sinistraaut
quæcontraria esset, contrariam quoque lignaret sig i. Nequeiam inter literas,
fedtanquam apex $ H V. literis imponeretur. Mox ad celeriorem motum anguliilli,
vt in aliis multis hebetati,redu ettæque norulęin căpares semicirculosdextru
læuumque fic, c,5.Quæremusautem et hoc veteribus indif-. Anger cuffum:
propriane hæc affe et io fitvocalium: an criam communis consonantibus: videtur
enim coaluiffe cum T, in, etcum aliis duabus. Verum in libro superiore, neomnia
turbaremus: secuti fumus priscorum fimplicitatem. At hîc exa ettius interest
philosophi contemplari haud ita effe: fia Rosolitus enim craffitudo antecedit
vocalem, non se quitur: fic, usagers ergo cum præponitur confo hans ad
copofitionem, ide flatus eiusdeelementi cft,newbusegov: non autem consonantis,
nisi qua tenus ex ea et aspirata vocalivna fyllaba fit. De tempore Saudi Yllabæ
morammaiorem minoremve longia tudinis linea dimerimur: productionecnim Kone
vociscomparatur. Itaquetardi sermonis, aut citi dicimus hominem. Iccirco cui
syllabæ plus im penderent temporis, eam Longadixere:cui mi nus, Bredem vtrunque
autem fub quantitatis ratione continetur:fed ita, vtinter se referantur, atque
relatione fint contraria, ficut magnum et paruum. Iccirco vnopluribusve temporibus co Ititutas, dixere syllabas. At omne
tempus quan tum. Sed de numero videndum eft. Antiquific dixere:longam conftars
duobus temporibus,bre wem ynotempore. Sane reste: cum enim syllaba breuis prior
sit et natura ettempore, quam lon gasita eiusmcnfuramagnouere,vt vnum tempus
bac dicerent: quod tempus cum protraherent adal terum tantum, non immerito et
longitudinis ad ditione, et geminatione tra ettus inetiti sunt. Ita-,
quefiguraquoque longætransuerfa linea signa- Fashion ta eftlic,-:Breuis autem
dimidio tantum erat ex plicanda: fed inter scribendum excurrentis in terdum
manus error fallere potuiffet: quare ed deuentum eft, vt notula; quæ
circunflexo aduer faretur, aduersam quoque ei figuram haberet, fic, 9.
propterea quod non nisi longa fyllaba circumflcetatur. Noneffeplures
accentus,quam quot dietifunts Vm igiturfyllabas non nisi prædi is mo dis tribus
dimeriamur, non nisi accentus semper ptem erunt:quoru Primus extrema duo,medium
habet vnum: Alter duo extrema tantum, fineme dio: ac Tertius eiusdem modi eft.
Iccirco erat ali quid, quod dubitaremus.Etenim relatiua ficain what's
rentmedio,graue etacutum,quo modomedium habuere circuflexum?aut fi inter ca
hocfuit:quar reinter tenuitatem et aspirationem nõ fuit, quæ erantcontraria per
positionem?In vtroque enim exit fpiritus:quarc etiam mediocris potuit. Acde
longa quidem ac breui mora iam fupra dictum libro, eft,quemadmodum in
musicis,ita in syllabis cer ="ubering ta ratione alia atquealia, plus
minusvenoræpo- Jam tant ni. Nam et longa fitmatura, et fubeat duplex, aut
duplicata, vttrğusyawarayvideturin ea pluspo ni temporis, quam fi fimplex
consonanssequa rur. Itaque etli longum breueq; ratione compa-7 rationismedio
carent: ipfæ tamen quantitates, 1 lab OG Tip Lico 124 IvL. II. Cibro de
ankitanchalia 1 in quibus litæfunt relationes, possunt magnitu dincaddita aut
dempta,medium recipere. Omnis cnim quantitas apta ' nata clt fieri vel maior,
vel minor, quatenus quantitas est, Dico autem fe sundum rationem quantitatis,
propterea quod corporatione fubftantiæ eius affectus immunia funt. eft enim
maior homo, vt est quantus, non vt apheft homo. Sic inter afpirationem extremam
et extremam exilitatem spiritus, fiue nuditatem, a liquod fuit medium: veinter
T, et, fuitd, et quæ fupra diximus. Id quod manifestum est,
liidiomataiplacomparentur: nanque Arabes af pirant suum: et Græcum x, fi ad
Hebraicum comparetur, non iam ficextrema,fed media aspi rata: efummoeniin
gutture Græcum,Hebra um ex imo pene pulinone prodit.In graui quoque et acuto
ratio par:ex vtriusque enim compositione faetum eft tertium quiddam medium,
ficut ex e lementis naturalibus corpus aliquod, cuius mc tus extremorum loca
non appetat. Harum au mohalgo tem differentiarum notulæ quæ medias illas na
mirasxturas indicarent,aliis atque aliis confiliis suntin ftitutæ. Nam in
tenore composito figuram ex cogitarunt. In spiritibus mediis non ita,propter ea
quod certis consonantibus includeretur,B,Gj D. In temporibus autem omnem
tractumqui ve sodiy num tempus fuperarct, breuitati neceffariæ op posuere. Dico
neceffariam breuitatem:iccirco quia estetiam breuitas indifferens in breaivoca
li,quæfitmutaliquidaqueaffinis. Tros notule abascenensinratione excluduntur.
then at Ergo E:non e VA runtaccentus tria illa,quæ Græciv.de,214500 alu, spoca:
nos Coniunctioncm Difiun et io nem', Auersionem ' nominainus. Falso autem in
ter accentus relatas a veteribus vidcamus. Nam Coniućtio, dictionum duarum
affeet us eftcom- Conapone positarum, quoties ex nulla facta partium mu tatione
ita cohærent, vt propter feruatam inte gritatem non cohærere etiam videantur.
exem pla in promptu funt: Ante-uolans, Ante -ma lorum: et apud Laurentium,
Semper- florentis; huic indicio figuram apte attribuere pando fe micirculo
supposito,lic, sumpta fimilitudine a b subscudibus carinarum:quibus afferes
coagmen tantur. Contraria huic Disiun et io:quæ quas mine voces posses temere
componere, distanti pro nuntiatione iubet pronunciari, vt in exemplo
Vergiliano, --in litore conpicitur,sus. De vrsus, legatur. Ei itaque eundem
locum attribuere quali paric tem hercifccntem familias. ac fatis quidem fue rat
virgula perpendicularis: verumne accipe retur pro vocalii, curuam pinxere:
cuiustamen cornua præcedentem complectendo di et ionem, præfcriberent ei mctas
quasdam. Auersionem Amat autem nostri Conuersionem dixere: at Græcam vocem
contemplere, Smespooni, illud non hoc signat: eftautem affectionon fyllabæ
nccef sario,fed literæ per se, fyllabæ autem per acci enim semper fyllabæ
defeet um o ftendit: sed femper literæ aut literaru quæ cuiuf piam fyllabæ
partes lint. Exemplumvtriusq;eft, Mult'illa desiderantur enim duæ partes il.
lius fyllabæ,Tvm, vocalis scilicet cum postrema confonante. exemplum syllabæ
eft. Dura vi'est, quæ fternititer dominatibus altis. defit
cnim A, ytlit, Via. Eftigitur nota defectus literæ: accidit enim vt fit aut
literarum, aut fylla bæintegræ. Defe ettus autem duobusmodis vsų venit: aut per
Synalæphen, aut per Suspensio milmem: ac Synalæphen quidem dixere veteres,
"Tu i cum elisis literis, vicinas coniungerent:vt inex emplis
pofitisconstat.Eft metaphora a glutinan uibus fumpta, quum delibutas
ferruminatione particulas componunt, vt vnum faciant,hocfuit e neimev. Id quod
quum non poffit euenire in fyllabis quibusdam, nisi demptis mediis literis,
piccirco LatiniCollifionem affeettum huncappel latum maluere: nam faneaffcctio
fyllabæ illius deficientis eft Colligo, non autein Coniunctio: neque ex illis
vocibus vna fit. neque femper vnus pes, neque femper continuatur
pronuntiatione, vrin altero exemplorum superiorum. Quare me lius nos quam
Græci, Alter modus est, per Su spensionem: quoties non excipientealiqua di
ctíonc, prior amissa vocali sufpenditur:idque alia quando simpliciterfit, vt
apud Peetam, Mortalin'. pro mortaline. Aliquando au tem multipliciter,vtapud
Catullum, Vide'n ' vt perniciter exiluere: hîcenim estamis fa non folum
vocalis,fed etiã cõfonans: Videsne. Hancaffe et ionem Græci nominarunt rospo
plew, quoniam auerfi ab ea litera, quamfuftuli, mus suspendimuspronūtiationem.
iccirco įn su hernes periaS periore partequası habenulas inhibendo excur lui
dietionis appendêre, eadem forma quam fe cerant Disiun et ioni:propterea quod
idem effet officium limitibus præfcribendis. Totum autem genus hoc fapientes
aon appellarunt, reote. Sed quum syllabis vniuerfum attribuerent, errassco
stendimus. His ergo constat, vtin elementis, tanquã par- emiling,people womanho
vor tibus, et corum corporibus, vel fyllabis,vel di et ione nibus, etmateria, fcilicet,
figura, et forma estqua, inter se differunt hocipso quo sunt:sicin corửaf.
fectionibus,vtrunqueesseiam planum fecimus. Caussa finalis Tenorum primum de
Acuti accentu vu Oftaccentuum subftantiam tam ex materia prima quam ex forma,
quæ erant duæ caufæ quibus in final constituebantur, nunc cauffa finalis contem
planda est: corum ergo vsus,cuius gratia sunţin ftituti, deinceps videndus eft.
Ac quod ad no-, ftra quidem tempora attinet, nihil turpius pu tamus, quam
cantiunculis, et vocularum tremu lisaflultibus gesticulari. Itaque feruata
temporum duntaxat ratione, feuerioribus fæculis omiffus eft fæmineus ille
tinnitus, vnoque duetumultæ voces codem tenore pronunciatæ. At veteres a liter
consucuere,quorum leges fuerebæ: Syllabæ glo? aut sunt in priuis vocibusaut, in
iis quibus ora tio constituitur: priuævoces funt, Amor,Er go, Perco: ex quibus
possis orationem to xere fic, Amoris Ergo Perco. Primo modo
pallumeft nomca impositum, propterea quod fos di ettio JO hi 06 128 IvL. II. L
in dietiones non propter feipsas, sed proptet oratio ncm funtinuentæ:iccirco
fecundo modo nomen Sampate indidere,ouezreiasque appellauere: nos Conse.
menfequentiam dicere possumus: quailli alia vocepau her lo afpcriorc, ou
apeglee',et molliore owerowy GTV TWO niw ". Nos commodius, Ordinem conti,
nuum orationis definimus. Quum igitur Græci tam in vltima fyllaba singulariu feparatarumque
vocum, quain in altera,ac tertia a fine fede acu tum imponere confueuiffent:in
consequentia si necontextu orationis, quos accentusin fine po gonfinebantacutos
omisere, proqueeisgrauessubsti tuere: idque eo egere confilio,propterea quoda
cutus accentus videtur tellere fyllabamita, vt fequens fyllaba prematur: qua
tanquam fini fuo quiescat vox. Quum igitur nihil haberent, quod fequeretur,
nihil quoquemetuêre:arcum effet vox,quæ lubiret, cauêrene taquam vna fie ret
cum præcedente. Id quod etiam in Encliti cis euenire
videretur.Igituracuuntmouc,etmli, et Tav: quæ quum contexuere,grauibus
infigniunt, Chitous,dei, tov überrv.Nos vero hanc eandem ani
maduertentesrationem,quaacutus accentus tola litvocem in fyllabam, quam acuit,
vt fequenspre matur, in fine vocisnoponimus,neexpectemus aliam fyllabam
fubeuntem, in qua vox conquie scat: id quod Latini suis libris omnes testati
sunt, Nullam apudnos fupremam syllabam acui. A cutusenim
pofitus,autexigitaliasconsequentes syllabas, aut non. Siexigit, igitur non est
ponen dusin fine vocum separatarum: fi non exigit,era goin consequentia quoqucponi
potuit.Sed falfi Graeci sunt, cum putarent, gravēaccentum nihil ad vocem
pertinere, fed ad syllabas tantum,vnde hand etiam Syllabicum vocavere.lccirco
addueti funt, vt crederet, turpe effe,ederedictionem, quæ nul lo accentu
insigniretur.quali quum iura quoque absurdum celent, hominem inteftatum mori.
Id autem eveniebat, nisi acutum in fine faltem rcpo fuiffent: cum dictio in
fyllabis præcedentib. neq; illum haberet, neque circunflexum. Sed ca ratio, aut
perspiciendafuit etiam in consequentia,vbi y gravemcollocaffent:aut nein primis
quidem you cibus admittenda. Apud nos igitur aut in penulisse tima, aut in
tertia a fine sedem ei ftatuere.Occupa re autem alias initio propiores, Græci
sibilicere noluerunt:quos etiam prisci Latini secuti casdein posteris,
imitationepotius,quain confilio ducti, leges præscripsere. Nam quainobrem non
liceat mihi vocem tollere in quarta a fine, nulla ratio pobyt musica potuit
persuadere: poffunt enim eode te- Pain nore tain in voce,quain in tibia,aut
fidib. deduci multæ vel breves,vellongx. Quod fi iccircono lucre, quia duabus
fyllabis fequentibusimmine reacuta fyllaba videatur, in quibus tractus yocis
non immorctur:quod fieret; fi eflentplures: vi deamus quam non recte servarint
hæc. Esteadě ratio tam apudGræcos, quam nobis,fed diversus modus. Nam
vtriquenegant ante tria finaliatê pora lingula, id est, antetres breves
fyllabas, a cui poffe fyllabam. quare li duæ poftremæ line longe,quoniam solvi poffunt
in quatuor breves: non potuit in præcedenti vlla syllaba acucuscol locari. Ratio hæc vna communis. At modus I j. di. 21 126 Iul. Kolodiversus
fic: Græci, fi vltimalongasit, et penult. a brevis, vltimæ longitudinem, ex
quafieriduç bre ves poffent,observarunt: at si penultimaloga sit, et
vitinrabrevisymiseræ huiuspenultimę,tanqua ibi nulla effet, nullam rationem
habuere. Latini
contra, vltimæ longitudinem non curarunt: pe nultimæ ius fuum attributum
retinuere. Ergo ia deprehendimus accētuuin horum cãtillationem ridiculam, non
natura, sed vsu quodamn gesticulatorio constare. Videamus vero, quod et fupra
tc wurde eindigimus, quamipsa sibi suisnon constetlegibus. milla Principio
Græci diphthongos aliquot,quas pdu cebantin pronunciando, quodattinebat ad ac
centuum ledes, pro brevibushabuere, 8t ritu fce. præterea Latinieadem ratione
vltimis omnesne glexere. Poftremo antepenultimas omnesGræci longas nullo
detracto tempore, acuto accentui poltposuere. Quare fi vna ex his vel in fine,
vel in -proximafini sede folvatur in duo tempora, fane in quarto a fine tempore
acutus ille Gręculus, quem ab ea sede exulare iubent,invenietur. Qua
refapienter a posteris factum est, qui præterqua in quibusdam partib.orationis,
vtin exclamatio nibus,indignationibus,interrogationibus,nulla huius puridi
servitij iugum ferre voluerint. Nam fi ante acutum in eadem voceplurimæ fyllabæ
gravi pronunciantur, xong QALXR67e's: quare poftillum totidem non poffint?
Quodfi refpon deantinclinari nequire tantum numerum: qua re,vbi nulla eft quæ
inclinetur, hunc eundemip sum ftatuêre?vtin præsenti exemplo, nulla fylla ba
fecuta, fit Soloihin qua tini pe bi lem ula itch pus. pidu 26 sne ill bre
Gravis accentus sedes. GNRavis accentus locupletissimus
fuit vsus: Nam quum acutus non plures duab. Tedib. occupafset, hic qualemcunq;
premit fyllaba:qua re fyllabicum, vt supradiximus,appellarunt. No; vt
putarunt,propterea quod no interesserdiction num: sed quia paffim quamcunque
syllaba vindi caret:funt enim dictiones quæ præter hunc nul lum habent. Omnis
igitur diaio, aut habet acu tum, vt A'mor:autgravem, vt Fax:aut circumfle
xum,vt Mîles. Quare præter eum accentum tam e non præcedentes syllabæ, q quæ
fubeunt,grave susci piunt, sic, A'moris. Nonre ette igitur Quintiliani
præceptores,quos ait ipsesicfe docuiffe,vepriore ham in acuta
pronunciaret,A treus, quo neceffario poftea Walico rior gravem susciperet. nam
ad huc modum gra- Cho halmas vem susciperetper accides: At ipfa hæc vox, Atre's
bit per se gravi terminatur: vt non solum syllabæ sit accentus: sed etiam dictionis:
quemadmodumul ta alia quoque proferuntur, Antonspolis; cEw tísmen weid. Quamobrem gravem accentum inter dum primarium cenferinec effe eft: aliâs
autem ac cefforium. Cuiusetiam proprium fit quantam- loin cunque fyllabam nullo
discrimine admitcere: et quotamcunque sedem accessorie. Poftremam au tem legitime,
et primario. Devfulocifý circumfleti. Ircunflexus accētus fi, vti diximus,ex
vtroq; grans illo conftat:neceffe est, nulla nisilögafylla. 12 bam Tad nitu clo
Can: Qui squi 2010 Tull Nabi quar POR 982 m ! Tylls CM Acondiversus fic: Græci,
fi vltimalonga sit, et penult. brevis, vltimæ longitudinem, ex qua fieriduçbre
Fes poffent,observarunt: atli penultimalogå fit, et vitiorrabrevisymiseræ huius
penultimę, tanqua ibi nulla effet, nullam rationein habuere. Latini
contra, ultimæ longitudinem non curarunt: pe. nultimæ ius fuum attributum
retinuere. Ergo ia deprehendimus accetuun horum cãtillationem ridiculam, non
natura, fed vsu quodam gesticula torio conftare. Videamus vero, quod et fupra
tc auntien taligimus,quamipsa sibi suisnon constetlegibus. medla.Principið
Græcidiphthongos aliquot,quas pdu cebantin pronunciando, quodattinebat ad ac
centuum fedes,pro brevibushabuere, $t titulo. præterea Latinieadem ratione
vltimisomnesne glexere. Poftremo antepenultimas omnesGræci longas nullo
detracto tempore, acuto accentui poltposuere. Quare si vra ex his vel in fine,
vel in -proximafinisede folvatur in duo tempora, fane in quarto a fine tempore
acutus ille Gręculus, quem ab ea fede exulareiubent,invenietur. Qua refapienter
a pofteris fa et um est, qui præterqua in quibusdam partib. orationis, veiñ
exclamatio Inibus,indignationibus,interrogationibus,nulla huius putidi servitij
iugum ferre voluerint.Nam fi ante acutum in eadem voce plurimæ fyllabæ gravi
pronunciantur, xangoaguardze's: quare poftillum totidem non possint? Quod fi
refpon deantinclinari nequire tantum numerum:qua re,vbi nulla eft quæ
inclinetur,hunceundem ip fum ftatuêre? vtin præfenti exemplo, nulla fylla ba
fecuta, ore lit Lini gefehing C. em lla. tc. us du IC ne xdi tui. Gravis accentus sedes. Ravis accentus locupletissimus fuit vsus: 1 Namquum
acutusnonplures duab. Tedib.pole occupasset,hicqualemcunqs premitfyllaba:qua re
fyllabicum, vt fupra diximus,appellarunt. No; vt putarunt,propterea quod no
intereffet dictio num: sed quia paffim quamcunque syllaba vindi caret:sunt enim
dictiones quæ præterhunc nul lum habent. Omnis igitur diaio, aut habet acu tum,
vt A'mor: autgravem, vt Fax: aut circumfle xum,vt Mîles. Quare præter eum
accentum tam præcedentes syllabæ, ğ quæ subeunt, grave fusci piunt, fic,
A'moris. Non re et eigitur Quintiliani præceptores,quos aitipsesicfe
docuifle,vepriore sament acuta pronunciaret,Atreus,quo neceffario poste Walica
rior gravem susciperet. nam ad huc modum gra- me habus, vem susciperetper
accides: at ipfa hæc vox, Atre's per fegraviterminatur: vt non folum fyllabæ
lit accentustsed etiam dictionis:quemadinodu mul ta alia quoqueproferuntur,
Antanapolis, Ew tñsee WETTE. Quamobrem gravem accentum
intera dum primarium censeri neceffe eft: aliâs autem ac cefforium. Cuiusetiam
proprium sit quantam- low cunque fyllabam nullo discrimine admittere: et
quotamcunquesedem accessorie. Poftremam au tem legitime, et primario. Devsulocifý
circumfleti. Ircunflexus accētus fi,vti diximus,ex vtroq; illo conftat:neceffe
eft,nulla nisiloga fylla. bam INC "IIS ua 10 art -11 g1 p I 2
128 Iq bam admittat. Nam ficuti affectus is compositus est: ita etsubiectum
corpus compofitum agnosce nius. At vero oinnis brevis syllaba simplex est:E ius
autem ortus ad hunc modum iam declaratus eft. Cumaliquando dux coaluiffent,
prior acuto elata alteradepressagravi.vt dad: certe etiam af feetusipfi in vnum
coiere, sic disc,exlegib. aute, Loungquas supra recitavimus, non poteft
nisiautin fi ne, aut in proximafiniconstitui.in præcedetium autemnulla porest.
fi enim diffolveretur, acutus in quarta inveniretur, lic, Aêneus. Aeneus. Qua
renein penultimaquidem ponitur,fifubeat su premalonga. Hac enim diffoluta
dissolutaq; cir cumflexa, idem error´eveniret: vt quartam a fine acutus
accentus tolleret. îi autein lubeat brevis, tum vero circüfle et itur.quoniam
in ea etpenul timacum gravi, etantcpenultimacum acuto fit. intelligo autem hoc
apud Latinos,quinullam fi nalem acuunt: namapud Græcosinvenias lon gam ante
brevem vltimam, quæ longa accentum nullum proprium habeat:fed vltimaacutum,ox
w...Hinc fatis constat, quod dicebamus, gravem accentum etiam addictionem
pertinere, non fo vt demonstrabamus, fed etiam in compositione citra
consequentiam:ex eo.n.et a 'cuto fit circunflexus.Item non, folum in eade di
ettione,sed etiamin eadem syllaba et acutu et gra veinveniri:lic enim quidã
pronunciant gwasa, et eiusmodi vt etmeram intelligas, etin eadem fyllaba et
levatum etdepreffum lonum audias in luo quenque tempore fic,yaodosa. Cõstat et
Era commalfmi lapsus, qui Plane, adverbium, quum aperte signific lum in we 70
mradt to ti significat, et quum affirmat,differre fic pote pro-.. didit, quod
illud priorem circunflectat fyllabam; hoc, quod acuat pofteriorem.
vtrumque.n.cum fit spondiaca dictio,non potuit penultimacircu fleetcre.
Adverbia enim eiusmodi femper produ i ömrm's xere vltimam quæ afecunda fuere
declinatione apie plant 1. iccirco quod erat Apprime, Vergilius coactus est
Apprima, dicere. fuere autem eiufmodi ad verbia pleniore sono,et originis
analogia, a fex - ' exe to casu, sicut Fallo, Raro, Cito, fic etiam Plano.
quorum quædam ad arbitrium poetarum cor repta sunt interdum, Sero, apud
Martialem, et Cito apud omnes. Atin E,quæ defineret,nula lum,præter duo,Male,
et Bene. et a tertia totidem Sępe,Pene.quibusiccirco facile potuit brevitatis
fyllaba contingere, quia in ipfis nominib.brevis us 2 ni quoque fuit. De Αρστι
et Θέσει. Syllabæ igitur modus quotollitur ineavoxa- #they cutior, di et us eft
a Græcis cegor, re ette Tane. in alteram autem fubeuntem cum demittatur vox,
gear appellarutminus commode. Principio Jens Otay morn significationem habet
latam:namin acuta quoq; la'2 * ponis vocem:eft enim positio, collocatio:itaque
melius xc tuh: dicta fuisset. Sed neid quoque cuiusaccentui gravi conveniebat:
nam initium quadrisyllabæ dictionis gravem accentum ha bet. at nucquis dicat
mevocem deponere, quam nondum levavi? ergo Æquabilitatevocis potius
appellafsent.yndeetiã in musicis overra quidam I wj. di Iul. 11. dicuntur
tractus,in quibus apois est nulla. Quemadmodum accentuum leges foluantur. aut
acutus autflexusaccentus.claudit:fed in eum locum introdu et us acutus est a
Grammati cis pro aduerbiistantum, et præpositionibus, in Exc.cæteris veterum
mansit lex. Tres igitur cauflas assignayere grammatici, quib.aduersum prisca
puritatem nouam inueherent pronunciationę. Ros? Distinguendi ratio,ypafuit;
altera, Ambiguitas 3 vt poffet euitari: tertia, Necessitas pronuncian di. Nam
vt Pone, aduerbium, a verbo Pone, di stingueretur, accentus mutatus eft: codem
mo do Coram, adųerbium, a Coram, præpositio ne. hæc funt exempla primæ
rationis. Ambi guitatem autem fuftulerunt in voce, Interca loci, translato
accentu in tertiam a fine: vt ne quis duas putaret partes. Tertium confilium
fuit a peceffitate pronunciationis: vt quum encliticas ponimus, præcedentis
dictionis po strema fuit acuenda, Hominesne, Feræ'ne. Has tres partes fiquis
acrius contemplețur, inueniet duas esse tantum; vnicam enim priores duas, v.
trobique enim vitamus ambiguum: in fecun da partium, in prima,vocum. Ita in duo mem, bra diuides, ficut et tertiam in duo. Namne cefsitas
pronunciandi, aut per fe eft, vtin en cliticis: carum enim natura ita fert,quod
et no, men,vtinclinentin sefeaccentum: aut per acci, dens, vt cum exempta
fyllaba, decurtata diettio ne vol 2 3 13 oce din nati s, in auffas prisca
ationę. iguitas uncian Pone, di dem mo æpositio ne coeuntibus in vnum extremis,
fitcircunfle xus. Cuiusreiexempla multa funt, Arpinatis, Arpinâs, Noftrâs, et
alia eiusmodi. Sic etiam pu taruntin tertio diuini operis legendum, vtre.
fpondeatcæteris præteritis. --cecidira fuperbum Jlium: t -omnishumofumat
Neptunia Troia. vbi circunflexus potius manfit, quam concreuita. In Græcis
autem fæpenumero creatur ex dua bus, vt diximus voos, vous. An admirrenda fint
quafuperioricapite a veteria bus recepta sunt, Aecveteribuscum placuiffent,qui
contra- Cantare diceret, nullu habuere. Verum interest phi lofophi placitis
humanisanteponere ratione: Ni hil enimpretiosius veritate:eaenim hominis fo
lius sola meta est. Quæigitur ratio foluebat acce tuu leges, ob cöponedas
voces,cafalfam efsecondo for uincimus exeplis eiufmodivoçu, quaru syllabæ
fequentes tranflatum illum accentum,longa Jut. funt, vt in Malefanus. Si enim
acui potestyl timaprioris vocis compofitæ, poterit etin sim plicibus: fi non in
illis, ne in his quidem: ncque enim fubftantia rei mutari poteft ab accidente:
neque id quod drov Græci vocant, mutabile eft, ab effentia enim fluit:cumque
illa mutuo conuer titur,quippe cui soli, et femper competit. Quare do
ettiffimus quoque vir Gellius ita fenfitlibro fe ptimo. Igitur inistis vocibus,
quas nos non acui diximus,eacauffaeft, quod fyllaba insequitur na țura
lõgior,quæ non ferme patitur acui prioremin Ambi Interea ine: yt ne confiliom
vt quum ictionis po erz'ne. He tur, inuenit nores duas, n:
in fecun in duomem 10. Namne eft, vtinen ert,quod et Mo m: autper acci
Tecurtata dictio I jij in vocabulis syllabarum plurium quam duarum: intelligere
voluitpriorem penultima. Dixit au tem, ferme,
quia Grammaticorum istas regulas tum obfervabant. At enimvero ficam cauffam,
qua suntadducti, probavero nullam efle, etiam legem ipsam probavero nullam:
sublata enim Le caussa,tolletur et effe et us.Ergoin vocehac, An I temalorum,
et Prævolantes, et Antecursores,et Anteambulones si ratio hæc fruftra est, et
tamen vna di ettio intelligitur: codem modo et aliæ in telligentur. Quid? nonne
ctiam tribus parti bus quædam compositæ sunt? li igitur Dona 2 tus, aut
aliusquis in hac voce Exadversum, yult acutum transferri fupra Ad.quod erat
fupra Ver, in Versum, antequam componeretur: eaque ra tioneadduettusfuit, vt
vna di et io videretur: non absolvit consilium suum: adhuc enim extra feptū
illud istius accentus, pofita est particula Ex.quare frustra laboravit, vt
rerum confunderet natu ob co tram. Atque iccirco intelligct 1 $ inventam a
Græcis, cuius figura duceret oculos ad compo fitionem:forma autem, id eft,
continuatus fpiri. tus pronunciationis, cogeret aures vnum audi re. Hoc quoque
e Græcorum observationis bus constat planius: nam quum #xdloudov di huc
cantmaiore non audent ambignitate έκδουλουςcreolezenou, 1ed έκδούλους: et ad veræ partes
constructæ non coniun ettæ poffint intelligi. Præterea quis dicit
Mustela cum a çuto in prima? Quis hoc modo, Compono? Quis etiain Præcurro, et
eiusmodi? Quid,. quod idem moncnt Tepçfacis dicendum na pocua as gnat. Habemus
es, et imen parti- از هر Dona n, vult ora Ver, aque ra tur: non trafeptu
Ex.quare eret natu aventam a pocutovws, et cætera a facio? Quare vbi fylla ba
patitur, transferendus accentus erit, quem admodum vbi numerus syllabarum non
repu quoque Feftum autorem gra am uem, veterumque sententiarum accuratum et
narratorem, et interpretem: is in abuerbio Adeo An mediam præcipitacuendam:
ergo,vtfaciat differ re a verbo Adeo quo tollit vnam ambiguitatem, alteram
ponit, dicam enim duas effe partes, sicut Vsque eo, Cum aduerbiis enim
iungebant præ positiones veteres, contra quam negantGram matici, Derepente,
Infimul, Inibi, Vltimam a- migar, cuunt quidam in tribus tantum, pone, Ergo,Pe-
4 ne: alii nullam excludunt: non defunt,qui prisco rum adoratis vestigiis, pro
illis pugnent: verum memoriæ proditum est, Acolenses, quorum exe. plo aciudicio
peneomnia Latini compararent ad loquendum, nullius vocis poftremam acuiffe,
præpositionibus exceptis. Egomalim Latine, quam curiose sapere: putoquemaiore snostrosin
ter fe, cum loquerentur, fineistis legibus peregri nisintellexiffe. Nam fihæ
distincionesfuntarenizin har hon cessendæ: fane longe plura inuenias, maioreque
nema?... yel ambiguitate, vel necessitate. Nam prępositiones a nominibus ipso
contextu, ipfoquesen su valde differre illico intelliguntur, Vt omittam Face,
verbum,FACE et nomen, aliaque infinita, Gundæ pollin quib. modis difcernes
cafus, et numerosbinario rum, et ternariorum nominum adeo vt cum di -), Compono
xerint, Mea interestsapere:pofterorum multii mnodi? Quid gnorarint pronomen MEA, Vtrius eflet casus: quartine pluralis, an
fexti singularis. Quid? differ ad compo vatus fpiri vnum audi bfervationis
Ex.dloukar di cuhous: et ad ww: duæ enim Mustela cum a 5 dicendum ferentiæ
iftius cauffam, quam ftatuebant, misere fubuertêre. Cum enim præpofitionem hanc
Circum, vltimaacutapronunciarent, ne “Circus” la cusadludos esse videretur; Vbi
cam postpone rent casui, Mistíque altaria circum, translato in primam accentu,
sublatam prius, vt putabant, contra quam putabant, redintegrarunt, Fu mat,
autem Vergilianum præsentis temporis est, non præteriti, vt dixere: euersas
enim incendiis vrbes complures dics fumare, mi wu, ferrimis exemplis experti
fumus.et Nostras, at qucaliaeiusmodi, Sarlinas, Arpinas, perapoco pen reli et o
tantum fibila, in quonullus effet ac centus, factum dicimus. Itaque transferri
accen tus potuit, Græcorumexemplo, nos a good a'a Nam ficuti illis turpe fuit,
vocem fine accentu esse: ita apud Latinos supremam syllabam acuia, Id quod
etiamex præteritis quartæ coniugatio pis deprehendi poteft:nam audîuit, mediam
cir cunflectit: concide, vt sit, Audilt: nonmediam accentu afficit, fed
transfert in præcedentem, et tamen acutus ibi potuit poni, vtin z pW TO TONCS,
Sic in Mercuri, remanserat acutus suo loco, licet Grammaticorum faperstitione tranflatus
fuerit. Usus Temporum. ' Emporum vsusfatis ex iis, quæ fupra dixi. mus,patet:quod
simpliciffime tum pro rei, locorumque rationediuifimus inlongu,et breue. Quædam
igitur vocales erant femper breues, 1 mg T 1, Os Do ac 1 cen xda Centu, o, his
fingula tempora funtattributa: carum coparibus longis bina, H,12, Tres sunt comunes,
1, 1, Y: ita vt quibufdam in vocibus semper sint breues, vt neatra pluralia,
xana; in aliis semper longæ: vtin cafu quarto plurali primæ: uovares; in
quibusdam indifferentes, vtin odpornis et - 1. svią. Varientur quoque
perdialectos:nam Da. res vltimam illam quartiusoses corripiunt: exem pla
multaapud Theocritum,quare profuo qua que captu, vt sors feret, tempus aut
tempora na ciscetur. Hæc eftipfarum substantia; a qua,na tura fluit certa
quantitatis, quæ natura est moi dror, neque vnquam fallit. Quod fiquærat phi-
ane maula iatti ļosophus, quomodo erit propria hæc ipsarum communium? incerta
enim est. Primum refa pondębo, vtnumero, fecundum totum genus, vtrunque
competit, par, et impar: sed certo nu mero, alteru tantum:fic communib.
vocalib.in generę vtrunque conuenit, corripi, et produçi: at vni cuipam
designatæ, alterutrum tantum. Præterea acutius adhuc: hoc ipfum cffe earum
proprium, variari; hocque ipsum quod est, va riari,perpetuum effe:nec variari:
ficut effe corru ptibile, est affe ettio rerum naturalium, quæ hace ipsa
scienția comprehenduntur, quod corrupti bilia funt:hoc enim ipsum, esse
corruptibile, no corrumpitur:semper enim tale eft. Accidit au tçm extrinfecus
augeri ipsas produ et iones, vt Tu quoque monuimus, perconsonantium con.
cursum, quam pofitionem appellarunt. Additæ muta et femiuocalis breui vocali,
femiffem tem poris afferet: duæ mutæ geminatæ tantundem, fed acui gatio am cir
mediam denterk. TPW TOTEKOCHA fuo 6 loco tranflata Has the pra axfupra dixi
ongū,et breu e tumproro cmper brenes 1,1 136 sed necessariam productionem, quam
illæ folam contingentem: nequeenim neceffario produce bant,RR geminatum plus
afferetmoræ. Sicetiam
longæ vocali hæc elementa fuperuenientia com ponent pro rata, plura tempora.
Ita atio modo producit media: Tenebra: alio Abba: illa.n.potest etproduci, et
corripi: hæc corripi nonpotelt. Ita que in illa posuere vnum tempus ac semis:in
hac duo tempora. Si autem longam natura sequatur muta cumliquida, non minus
apponent tempo ris, quam duæ mutæ, neque enim poteft corripi. Sed addentæquevnum
tempus. Scio alitera ve teribus pofitum esse, fed nequere et e, neque per feet
e:nam sequente simplici,vnicaque consonan telongam, voluere affici
duobustemporibus ac { semis.Ergonon plene dixere:debuerant enim o
ftendere,nulla fequente consonante quanta ef set. Et ridicule putarunt ab vna
consonante addi tempus. Omnino autem hæc omnia ad oftenta tionem litcratoriam
suntinuc et a. Spirituum officium, etloca. may Vpererat officium
sedesquespirituu, quæ de clararemus:fed quimeminerit, qua deh, de queconiugatis
dixerimus cõsonantibus, is facile intelliget commodius abs sese hucea vocari
pof fe,quam a nobis repeti debuisse. Accentuum ra tio,figura,vfus,tribus
cauffis expedita funt:For mali,Materiali, Finali. Absolutaque contemplatio partium
inaterialium, quibus dictio, quod eft subiectum argumentü præfenti operæ,
constitui tur. Nuc de ipso toto quid fentiedu fit, videamus. camillæfolum Marioproduce orz Sicetiam nientia com Ita aliomodo illa.n.p potcft. Ita “LATINÆ”,
LIBER ernis in hac TERTIVS ra sequatur ent tempo eft corripi literave eque per
onloman oribus et enina teade anta el P ftenta. Dictionis nomen, atque
definitio. ARTIBVS, partiumque affecti- 0. bus inuestigatis, quib.subiectama
teria noftri operis componeretur: nunc de ipfo toto agendum est. Quod Græci
dixiw vocant cauffam zostaj nos appellamus: quare addito iuris vocabu. Bad lo,
etiam Græcum fonum mutuati fumus, etlunarea dicium nominauimus: Qua in Causla,
fiue lu dicio propterea quod orationisvsus maxime vi get, Latini poftea verbum
Dicere, fumpfere ad significandum, quoties loqueremur. At sicuti vox hæc
Dicere, contextum magis verborum, quam fingula verba significat: itae
contrario, verbale nomen hoc Dictio, non folum dicendi actum, vt eft apud
Liuium, sed etiam vnicum quoduis notauitverbum: ex qua origine, atque vfu, cum
definitionem fatis commode poffimus elicere: tamen vt fapientius agamus, paulo
altius eft contemplandum. Sicut in fpeculo ea, Pen quæ edet de cili 21 3 Origt quæ
videntur, non funt, fed corum species, vnde etiam nomen obtinuere, vt Species
appellaren tur, atqueiccirco a Catullo diettum est imagino fum, að rerum
imitatione, quas obiectas repraa Tentaret: ita quæ intelligimus, ea suntreipfa
ex tra nos, eorumque species in nobis.Eftenim qua firerum fpeculum intclle et
usnoster, cui nifi per fenfum repræsententur res, nihil scit ipse. Argu mento
funt muti, qui nutibusloquuntur ex vsu oculorumiaures, quaru officio sunt
destituti, non potuerunt conferread vocum receptionem,quas exceptas redderent
vicislim. Itaque fuit quali, quod Plato de aliis rebus dicit,emuayeão quodda
intelle et us nofter, in quod res ipfæ certo modo recepte
conderentur,promerenturque ad huma nam,divinamque fapientiam communicandam.
Igitur harum rerum notionessuę cuiusque fiunts in cuius intellectum
recipiuntur. At enimvero cum homo animal fit non folum sociale, vt for Home
Pornomica, fed etiam divinum:opushabuitofficio quo dam atqueinstrumentis,
quibus hancfocietatem non forte autinstinctu oblatam, fed prudentia, atque
consilio quæfitam, comparatamquecofer varet: quare et doceri debuit, et docere.
Necessa ria igitur fuit illa quoque naturæ facultas, qua i. pfæ illa notiones,
quæ in intelle et u fitæ erant, sensibus concipipossent.Per fensilia ergo eruen
dæ fuerunt illæ species: at ineptus ad id fuit Ta Etus: non enim ad eum
poterantelici res immate riales, qui maximematerialis est. Ineptus æque Gustus:
quicum ta et us quidam sit, tanto minus potuit fervire,quod minore ambito, qua
ta ettus, pre præscribebatur. In odoresquoque transfundi non poterant, quibus
exceptæ, adiscente perci perētur:eft enimOdor res minimepofita in po testate
hominis. Duo igitur senfilia reliqua fa etta, funt,Color,et Sonus:acSonusquidem
interpresauce fuit animi dupliciter: vel vt sonusfimplex quip pe
fupplosionepedum, et applausu manuum, et crepitu digitorum, atque aliis
eiufmodi declara mus cuipiam animi nostri affe iones: vel vt fo nus in
specie,fcilicet vox:eaque fuit duplex:al-Voy tera rudis, Sibilus, Vlulatus,
Gemitus, Cachin nus, et reliqua talia: altera conformata, vt Vera ba, et
Nomina. Alterum fenfile fuit Color: 04 colon mnis autem color cum figura,
vtrunque enimin corpore eft:Igitur duobusquoque modisfactum eft: nam aut
rudi,vt nutu,et gestu:autperfecto,id que dupliciter:aut Pictura,aut Scriptura:
vndea pud Græcos vterque artifex dietus est communi nomine regol. Ergo rerum
notiones a rebus in mentem primum per sensus fine medio huma no profe ettæ
sunt: intelligo autem per fenfuso. mnes, eague scientia autodidagis dicta
est:aut per medium humanum,quoniam non ab rebus,fed a notionibus, quæ effent in
docentis intellectu, prodiere in duos sensus. Auditum per locutio nem, Visum
per scripturam: vnde poftea in in tellectum ipsum insinuarentur. Quemadmodum
autem res naturam non mutant fed eædem apud moboma's omnes sunt, ita et carum
notiones: tam enim Equus ipse, quam eius species apud omnes est:
nequehominisolum, fed quibufcunque anima libus tribuit natura aptum sensum ad
percipien dum. At nomina rerum, et literæ non cæde suntnen i omnibus.
Sicutigiturimagines rerum suotno tiones intellectui:ita voces suntnotionum
illaru notiones, et vocum ipfarum scripta quoque sunt notiones,vt talis ordo
naturæ fit: Equus,equi spe cies in intellectu,equi nomen in voce, equirepo
masgan sitio scriptura. Prima igitur duo a natura sunt: nam equiprincipiu et
forma, et materia, et finis natura eft:Equiquoquefpeciem ab equo educta intelle
et us agens in intelleet um possibilem im ant pressit.Ataltera duo ab arte,aut
cafu sunt: quan quam enim natura fecit vocem loquentis,et atra mentum, calamum,
manum: tamen et vocifle ordy, xuum, anfractuum, articuloru, temporum,fpiri
tuum, orde ac fedes fortuita fuere: et eodem ino do scribēris manus,cursus,
mora, series.Multa sut in operibus noftris naturalia: velipfa Ambulatio: ac
forte fit,vt tantum faciam spatiorum, vt recta inMilani, vt properem, vt
sublistam, vt alternem, vt diuaricem, vt vacillem, vt suspendam gradu,
ytreuertar. Poffum etiam hæc aliquando simul miscere,quæ coire queant. Itaque
equi crus sem: " per fuo loco eft: at e litera in nomine equis apud Græcos
nulla. quare arbitrio cius qui hoc primu nomen inucnit,factum est,vt sic
appellaretur.Ex his itaquedefinimus Didionem,Nota vniusfpe ciei, quæ estin
animo, indita eirci, cuiuseft fpe cies, fecundum vocem,pro arbitratu
eius,quipri de moindidit.Dico Notam vnius fpecieiiquoniam oratio multarum
specierum eft: et dictio compo: fita rei composita cft: omneautem compofitum
pro vno accipitur: ita eximitur hæc dubitatio. Sed quæremus etiam fuper
definitione s vna enim eft resomnis definitio:non copula:non alio iubim bor
inftrumeto,fednatura: neque enim aliud eft,A- vefinn nimal rationale
mortale,quam Homo. Quare si in definitione vna est notio, et plures dićtiones,
videbitur diettio notionis pars, non totius tota i mago. Sicest respondendum:
in rebus fingulis effe multa fuapte natura, quævnum fiunt ab vna forma:vt
effe,vegetari,sentireintelligere:hæc o mnia ab vna anima vnum fiunt in homine:
in quo ita sunt, vt vnum alterum complectatur, et capiat:quam feriem et in
octavo historiarum, et ", in xii.Metaphysicæ satis declaravimus.Ergo de
finitum vnum eft etre, et nomine: ipfa enim res est yt est, definitio autem
vnius rei et vnum di cens, quia dicit definitum: fedpermulta dicensit
perdefinition illud vnum, quoniam vnum illud permulta efter at have one conftitutum.
Non recte vero veteres definive -berehitabis re, qui Dictionem partem orationis
dixere.Prin -'Emory cipio malefactumest, cum per partem definive re: eft enim
dictio etiain extraorationem: ita que coaet i funt addere, Constructæ: ergo non
constructa oratione Dictio nulla crit. Præterea eft dicio quædam, quæ etiam
fitoratio perfecti fenfus, ac quidem tota, vt imperativa, Lege,Scri be:et
interiectiones, Hev. Poftremopeffimo con filio fecere, vt adderent, minimam:
quis enim dicat minimam partem hominis manum? Nam ficuti in multis rebus
naturalibus, ita in oratio ne partes sunt, non vniusmodi: aliæ enim funt
divisibiles: aliæ non, vt literæ. Divisibilesau tem
duplicis sunt naturæ: quædam dividuntur in consimiles, quædam in condissimiles:
vt anguinis parsfanguis est, et ossis os:at pedis pars: non est pes. Hæpartes
non possuntminimæ dict in homine, quę in alias vltimas fecantur partes: i ta neque
dictiones in oratione: quare coacti fue rescipsos
interpretari:Minimas,inquiunt,intel ligimus quo ad sensum. ergo male omisere in
de, finitione, quod per interpretationem addendum fuit. Dubitare possit aliquis
fic:Nomina,quęno tiones funt figmentorum,non esse dietiones: rei Danksy enim
nulliuslunenotæ.Hocfic eft accipiendum, Hoc quod dicitur ens, aliquando verum
effe, vt Deus:aliquando non verum,et hoc dupliciter: aut enim eit Privatio, aut
eft Fictio. Privatio, vt Vacuum:Fictio, vt Phænix. Itaque fane horum nomina non
significant codem modo, ipfa, quo inodo Deus Deum: fed privationem per habitu
De* fic: Quia Plenum significat locum tacium vbiq; a corpore: eius contrarium
Vacuum fignificabit: quod quanquam non est, tamen per illud, quod est,
intelligitur. Fiet a autem faciliuspercipiun. tur, funt enim quafi orationes
fallæ: idem enim eft Phenix, et oratio hæc, Avis rediviva, suicauf far
Dietionem Græci.negav, vnde noftrum Lege. re, etab hocLegati, quorum scilicet
officiumef fet, dicere. Utrum Dictiones a natura fint,an arbi. trio inventoris.
Samo v Erum quoddiximus, itaindita effe nomi na vt inventori libitum eflet: primum
a nobis inventum est,et olim commovit huius fentetiæ autor Aristoteles
quofdaPlatonis de 143 ma Hefensores,cuius sententia in Cratylo videtur ef fe
hęc:Sermonem rem esse naturalem,non ab at te.Id quod cogebantur ita
sentire,quippeq nihil fcientiarum adipisci nosprofiterentur, fed remi nilci
tantum. Quod et ex eo dependebat, cum di cerent animasin corpora alia atque
alia transini grare, quemadmodum e Pýthagoræ institutis re ferebatipfe Platoin
Atlantico.Habebantauteria que etiam, vt fibividebantur, rationes:nam loquendi,
huma instrumenta, et materia funt naturalia,Pulmo,Se ptum, Guttur, Palatum
Lingua, Aēr, ergo et ipfa e nomina. Trahi præterea nos a rerum cauflist quibus
moti du et ique, sic potius quam licloqua mur. Quod fi contingit vt eandem rem
aliter nos, Græçialiter appellent,nihil mirum:diverse enim cauffæ funt eiusdem
rei, quarum vna illi, al gera nos agamur ad nomina imponenda. Verum Sæmoræ
defenfiones errorum sunt.Atqueequi. Com ho dem sæpenumero miratus sum mortalium
velau Haciam, vel pertinaciam, qui cuerentur errores, dosij, qui commisere, fi
viverent, emendarent Neque enim erraffe turpeest: eft enim initiami pientix: si
non eiipli qui fallitur, at aliisnon ilendi. Verum errores
fovere, id vero vel ex ema dementia eft: vel vt i ti faciunt; qui semel que
iterum deie etti, malunt confodi, quâ con tari. Principio argumentum
estnullum:Ma- As, cria et ioftrunienta fünt naturaliajergo et figura mposita.
Quis enim dicat,currus aut carpentifi uram naturalem effe, nili Anaxagöras?
Isita di cebat, nisicarpenti figura fuiffetin ligno, non uifle futurum
ytineffet. Sed nugabatur: neque enim inerat,sed inesse tantum poterat. Itaque a
maioribus noftris Facies dietta eft afaciendo: fit enim quod non est:itaque
etiam pretium persol vitur artifici. Et accidens a Latinis appellatur, quoniam
casu factum est, vt dei imago potius fieret, quam scamnum e ficu Horatiana: si
enim naturalis facies fuiffet illa, omnibus ficubusines fet. Sic etiam Vocem efle naturalem fatemur: i tem Flexus, et Tempora, et Modos:
fed eorum se riem, aut misturain forte,aut arte factam constat. 7 Sienim natura
eorum effet autor,vnusomnium {moduseffet, vna enim natura: velutin aviculis
manifeftum eft:cæ enim sua in specieæqueidem cantillant omnes. At quod ab arte
est, et discunt. As, et dedifcunt. Quod autem aiuntin rebuseffe que dam
peculiaria, id fane vcrum est:atcum addunt iis nosexcitari ad certas voces
creandas, fallun tur. Nam quæramus sic: aut nota sunt nobis ca propria et
peculiaria, aut nonsunt. Si non funt, non ducimur: fed non funt nota maxima ex
par te: nam quotus quisque rerum ipfarum naturas compertas habeat: fatemur
fanenos, non pauca effe diet a a certis caussis: sed ipfx cauffæ, quæro
porro,an cauffas habeant.Sinon habent,ergo no mina erunt fortuita:sin habent,
ad vltimas tande procedendum erit, quę pręterea nullam habeat. Si dicant ab
effectionibus cöparari nomen cauf Læsergoerit circulus,vt cauffa ab effe et
u,effe et us a caussa dicatur: quare vtrumque erit fortuitum. AHis rationibus
repulfi aiunt et Providentia regi RespinosNugx..Si enimnrebus civilibus,in
bellis,in | redivina, deftituimurrectis confiliis, atque adeo ill2 La
Providentia: sane putida illa fuerit, quæma mis in rebus negleetos nos,
apprehensos manu ahat in nominum veras cauffas. Sanevero pul- 2 hram
Prouidentiam, quæ Canis et Vrsa etiam ab homo i diis placet) caudatæ nomen in
cælum tulit. mymini uid Canicum cælo:quia herbas exurit. At ne ue exurit Canis,
neque herbiuorum animal est. tque vni quidem rei diuersa nomina impofita3 nt,
vt Ventum a veniendo dixerint Latini, a irando iveuer Græci. Esto: diuerfi,inquiunt,
af etus totidem nomina exegêre. At diuersas res uare iisdem vocibus disfitæ
nationes appella ant? Quænam?inquies.Illyrica, Arabica, ludza,
Germanica,Latina, Scythica. Air,vocantScy -nos aen? næ quam pro calamo
aromatico circunferunt: Veneti arborem quandam, quam puto esse al am populum,
non enim mcmini, fed arbor est. ith oleum dicunt Arabes, at Græci ex hordeo
otūm. Gelon, Hebræismigrans, at cum mi rabantflebant: Græcisautem ridens.
Manecít lis numerus, nobis parsdiei. Num,est nobis in rrogationis particula,
illis piscem notat. Bagoa omen est Perfis et Medis impurum: at in co pud
Hebræos est et cellitudo, et excellentia: Fantabri autem fic appellant glandem
fagi am: pulchræ vero cauffæ cohærentes iisdem rincipiis, Rex, Glans, Eunuchus.
Illyrii Flu ium eodem nomine vocant, quo Itali diuitem. Jolo dicere quid Mauris
lignificet zve fed lon diuerfum eft ab Illyrico significatu, Dentes nim sic
appellant. Abbaelt nomen quo Deum eneramur, Syri appellant sic ilsonier's Rub
Liguribus Taurinis numerum significat vice num quiqum, Illyriimappam
intelligunt. ȚIA Græcis quid sit, etiam pueri sciunt, Illyrii Ca nem fic
vocant. Vaccam iidem Craua vocant, at Ligures tic Capram. Age vero quot Latina
aliter accipit Germanus: Araneam vocat Spi nam: Vicem, Malum: Altum
nominantsenem: Album, quod nos medium: Glut, appellant prunas, nos collan:
carbonem, Collü.n.Quid quod etiam contraria iifdem vocibus funt com prehensa.
Nam Germanis est Caldum, quod { nobis,frigus. Scd iam modus fit.vt etia
inteligat certis nationibus Illyricis, et Cantabris notas at formatiuas, aliis
gentibus negare, quare etiam eandem vocem contraria fignificare pasii sunt
Latini, Vefcum et Obeffum, etalią. Et iidem » Pythagorei mutanda nominasuasere
malefortu natis: propterea quod cum eoruin genio iamim posita non conuenirent. In quosi
nos illa proui dentia deserit, quanto magis despicabitur, cum matellam
pofcemus?Vtrum nominasint penitus fortuita,an certo,confilio. Vm igitur nomina
arerum naturanon flu xerint,reette definimus, notam eflerorum
stenbyDiettionem,vtlibuit inuentori. At fibido duplex elt, vno modo, cum impetų
a ettus primum quod que obuium sumam: altero, cum iccirco libitum mihi fuerit
ita facere, quia id ratio quæpiam per fuasit. Ergo cum priores orta cum rebus
nomina cötenderet, suntexplosi. Alii cõlalțius accepere. Natura quidem non
ortas, sed arte, ac prudentia factas Diet iones. Nam subftatia,inquiunt,fenfu
non appreheditur,sed affe et iones:puta,Magnity laho do, Qualitas, Motus, A et
io,Passio. Quare hisaffe et ibus motiatque instructi nomina imposita
sunt. Afferunt igitur exempla duo: Lapidis, et Petræ. Nam Lapis,inquiunt,a pede
lædendo di etus est, habuitigiturnomen a duritia, et aetione; Petra vero, quia
pedibusteratur: ab eo quod p? titur inuenerit appellationem. Hinc deindedia
gressi,multa millia monstrorum conficiunt. A. lii contra, omnia cafu facca
nomina, multo au - conha dacius affirmant:Nimirum quibus vniuersi mun di
compago, series, temperatio, cafu, ac temere prta conftituuntur,seruantur constituta.
Atque hos posteriores, poftremos esse sinamus: neque enim merentur dici
homines, qui ipsiessenolut. Nam quod ad vocum attinet rationem, quis me tis
compos, ab amando amatorem negabit esse diet um Illis autem fic respondeamus:
Principio, fola pon neceflario concluderetribus quatuorvee xemplis omnium
naturam vocum: Deinde,ridi cule attribuere pro caussis Latinas appellationes.
Lapis enim, et Petra,vtrunque Græcum fuit,nes, et metga: nam Laterem,pro quo
solo barbare pe tram capiunt, nivfov Græci vocant. Sicigitus çensemus: Multa
nomina temere extitisse pris mum, fine flexu,fine ornameto,quo tempore no
quiero dumrerum naturæ cognitæ fuiffent:ab his mulram sana, a fimpliciffime
ducta, vt flexiones:alia immutatis cela quins particulis, vt denominatiua, et
alia ciusinodi: un son moment, nulla distorta sütcopositjone. Quodautinque
forants horsen Ver sout. Bigualta strapwiWAS own Shait plovek, bug comlimani
Referencia recent home songs unr, formis principia deducantur, in quibus
neceffe fit fifte re intellectum, id etex rebus patet naturalibus, vbi nullum
est infinitum, et in vocibus ipsis fic conftabit. Amaritudo ducetur ab Amaro:
Ama rum a Mari; Mare ynde deriuabitur?ab Hebræo, Marath. Quæro porro, vnde sit
hoc. Vt finigas quod velis, diuertendum est ad vnum, in quo conquiefcas,quod
aliorum cauffa fit:ipfius nulla sit caufla. Plures esse voces primarias.. Si
igitur ad certasvoces cæteras referimus; lepimpice operæpretium fuit quotnam
effent illæ, inue mimmeinstigare. Etenim si quemadmodum res ab re, ita nomēanomineprocedat:
ab hoc nomine DEVS, potissimum omnia deducerentur; at ab hoc pau ca deducuntur.
Duo igitur modi testant princi piorum: vnus in Materia, et forma:addeetiam fi
vis tlustenay, fiue Carentiam, vt delicatiores, fiue Priuationem, vt ex Topicis
M. Tullii colli gere potes, voces.Verum extra hæc omnia, inue nias multa,
Calidum, Magnum, Filium, Arma 2_tum, atque alia eiusinodi. Alter moduseftin de
cem prædicamentis: sed neque asubstantiali no minededucas substantiale, nequea
relatiuo re latiuum,nequeab aliis generibus eiusdem gene ris alia. Nam a Cæfare
cum dicis Cæsarianum, potes tam prudentiam intelligere, quam equum. sica patre
patrimum cum deducis,a filio eadem lege non potes. et quæuis dictio in
prædicamen to rclationis efto eft enimnota, cuius eft. verum sha hoc) che hoc
ipfum nomen relationis,non eft relatio: ne queab ipfo relatiua ducta sunt.non
enim Quis, aut Qualis, quicquam cum verbo refero, tanqua cum origine sui,habet
affinitatis. Certus igitur atque finitus primogeniarum vocum numerus eft: sed
nuncquidem, non autem semper: multa enim finxere veteres: vt etiam apud
Pindarum inauditum alias conquerantur Gramatici, le iniz? pro eo quod alii
wiecuo dicerent. Satis autem nobis fit, scire, multa a Græcis deducta effe, in
quoru principiis fani fuerit hominis acquiescere. Non eodem modorem abreduci,
et nomēa nomine Vævero deducuntur, non necessario rerum ordinem seruabunt:
vtquemadmodum res mody 1 ab re, ita illius nomen ab huius nomineexcipia tur. Nam quantum
a quantitate est, li rem Ipe ettes. at contra quantitasa quanto dicta est, vox
a per voce,non quantum a quautitate. Ratio huius rei Ratio eft, propterea quod
cognitio nostra contrarium habet ordinem,quam natura; prius enim natura notam
habuit quantitatem, quam eam poneret: in quanto. Contra, nobis ea, quæ
concretavo lini cant notiora suntiis,quæ abftra et a nominant. Ita que antiqui,
Quale, dicebant: Qualitatem non dicebant. M. enim Tullius primuseam vocem commentus
est. Et adhuc in multisabstracta de siderantur: vt in pingui, neque enim
fereante Plinii tempora, Pinguedinem,legimus. Nunc masa cameo quoque animum
hostilem dicimus: Hostilita vero tem an dicat quis, non memini. lllud fcimus,
Quid COM n oll nu: rm n de in uon gen anun quus header aprobatis antoribus
Ingratum vfurpari, Ingra titudinem explodi. Harumlegum rationes cum ignorarent
recentiores, fallo putarunt, eundem ordinem deberi nominibus fignifịcanţibus,
qui fignificatis rebus inest. Dictionis affectus. DLitionis affectus secundum
definitionem nel teriæ rationem: nam ficut in syllabis literaru nu: merus
recenfetur, ita in diet ionibus fyllabarum, Accidit autem vt dictio fit vel
monogramma, vel polysyllaba. Exempla autem suntcoinitio, atque ordine. A, Amor,
Amator, Amatores, Ama rorie, ad superlatiuorum, atque adeo dithyram bicorum
vsquenumerum: neque enim Græca rum audaciæ lex vlla certa polita fuit, qui
veli. psos pedes poeticos ad qdonas fyllabas produ huisere.Patiuntur quoque
diet iones ficut et literæ, et syllabæ: commutantur enim:et appellatur in
genere cvcentags: quemadmodum cum ponitur declinabilis proindeclinabili, et e
contrario. Flos apprima tenax. et Meurngo xanoswv, pro divas, et καλός σοιών,
pro καλώς. Dico autern in generc; nam li particulas ipfasspectes,dicitur
avmuspid; vt cum nominapro nominibus, verba pro ver bis, et alia fuo quæque in
genere,suis congeneri-. bus supponuntur,de quibus omnibus locis scri ptum
eft.Item transponuntur,vt fiquis dicat, Plebis Tribunus, Patriæ Pater,
Conscriptos Pa çres. Et quomodo fyllabæ præponebantur di etionibus, M ret.
ettionibus, aut poftponebantur, aut interpone. bantur: ita di et ionesorationi.
Anteponitur a lu reconfultis:Ecce: sic, Precium ob cauffam da tum, cauffa non
secuta, condici poffe.vt:Ecce Me nius decem dedit, vt tuta fibi in foro effe
lice Citra illam vocem, Ecce, oratio perfecta erat.Sic adduntar pronomina sine
emphası. Ega amo,vas militaris. In medio, coniun et iones com
pletiuæ, Tu quidem aberas, ego feriebam. Etin fine,apud M.Tullium ad Atticum:
Triginta erat dies, ipfi:Geminatur, Ah Corydon, Corydon. Eximitur, Quos ego.
Mutantur autem vt lite - umfolie ræ ac fyllabæ, quatenus illæ quoque mutantur,
Adhæc et diuiduntur, vtapudEnnium, -Cerering. diminuiç, brym. Ete contrario
componuntur, Malefanus. Et ficut literæ atq. syllabæ incolu mescoiungutur
interdã: interdu vero vitiatæ:ita et diet tiones. Nam aut ex duabus integris
vna fit; vt, Manucapio.aut duab.corruptis:vt, Mancipi, aut integra et corrupta:
vt Cumprime. aut e contrario:vt, Omnipotens.Hoc autem fit, aut in dua bus
Latinis: quales eæ sunt. aut duabus Græcis: ut, Menelaus. aut Latina et Græca:
vt, Mustela. aut Græca etĻatina: vt, Epitogium.
Diet tionis fpeçies,qua rationefintinuestiganda. Iigitur dictio rerum
nota est, prorerum spe- one cicbus, partes quoquesuas fortietur. Videamus mus
ergoin magnaautorum controversia, quot, hag van quæ've lint.Quod Græci, o, vocant:apud
nosaucamais çem vsitato potius, quam Latino caret nomine; id (Scien • ab quot, gothe
SO I 1. Jli. Ju Buaid partim significat res permanentes:vt, equum, album,
decempedam:quarum natura poftquam perfecta est,diu perstat:Partim
fluentes,quarum natura est, esse tandiu, quandiu fiunt: vbi vero funt absolutæ,
non sunt amplius. In hac partitio ne tota vis orationis noftræ confiftit:
complecti tur eniin etiam Deum: nam poftquamperfectus eft, diu eft: hocautem
diu fine caret. Costantium Nomerigitur rerum notam. Nomēdixere:corum vero, quæ
fluunt, Verbum. Nam tametsi nomina quæ dam rem fluentem significant,
vt Annus, at non reifluxum. Quin hæc vox,Fluxus,quanquam vi detur a ettum
fuendiindicare: non tamen mensu ram ipfius fluxus connotat: id quod verbaipfa
fa ciunt. Quoniam vero hæc omnia ad orationem comparata funt, quæ quippam
alteri inefle o ftendit, ve Amorem in Cæsare, id aliquandofe juncta nota
signatur: vt, Cæsar currit aliquando propius ac felicius naturam imitari
instituimus: sicuti nanque Cæsar ipfe, et ipse cursus vno eo demque corpore
continetur:ita inuenta est a pri fcis notaidem efficiens suo significatu, quæ
qua fi infitione quadam vnum ftatueret. Quarevelut ex Equa et Asino fit Mulus,
feruatis vtrinque a liquot vtriusque naturæ particulis: ita ex Nomi ne et Verbo
confectum est Participium:quod fic appellarunt, vt hac quoque in parte Græcos,qui
us to wdixiffent,imitarentur. Atenim vero vo cabulorum ratio diuerfa eft: nam
Græca vox a * et ionem significat:vt,ezoxrapudMathematicos, cæli pars quæ
fidera continet: et Pyrrhonis affe {tio, qua in dubitãdo mentis cursum
inhibebat. Verum participium non fic videtur: Analogia nanque alia eft in
Mancipio,paffiva fcilicet quod manu caperetur.fed fuit sicutMunicipium.Ino
ratione autem etiam pro modo vsuque loquendi deeratadhuc aliquid: interdumenim
inomine no Prono suppetente, aut iam semel dictum nerepetere mus, nutu aut
digito indicavimus aliquid: exem pligratia,Lanceam si petam, etimmijhentib. ho
fibus clade sociorumturbatus præci pitem con silia suppetiarum nomen non
edam:fed indica tam petam: huius quoque rei nota i nvenienda fuit,nutus
scilicet ipsius atqueindicationis. Qua re Pronomen invētum est, quod esser
Notarum, id est nominum nota: ficut indicatici digito aut capite fa etta erat
nota lanceæ. Nisi enim licinve stiges, non potes, quin veterum errcirem com
mittas. Quorum definitionibus neque asNomen a Pronomine distinguere. his
positis, illud quo queex rebus explicandum fuit:Namomnequod 'merlin elt,aut
fit, aut elt caufa, vtDeus: aut elft effectus, ytridere: aut vtrunque, vt Homo.
Ca uffarumi gitur naturam per nomina indicabant; at cauf larumodusnonpotuit:
itaque excogitandæ nails fuere notæ, quibushoc quoq; explicarı:tur: quas a situ
nimis ruditer veteres appellarunt, præpoli tiones:fed de hoc suo loco. Igitur
Cat 5 quu esse posset efficiens cauffa, etpoffet ide esse finis, hoc nomen Cato
efficientem cauffam indicavit fic, Cato ædificat, ratione verbi intelligisi
psum effe cauffam:at finc verbo fi sit, nihil intelliggas: quare addita
præpofitione A statim efficient em decla rabit: fiautem apponas Ad, aut
Propter, finem explices. Porro vthis notis Nominum modi de hai clarantur,ita
verborum quoque modi, qualita cu telque temperandæ fuere: Nam quum signantur ex
res, quæ dum fiunt, sunt:aut temporis finibus certis præscribuntur, vt Hodie
lego:aut qualita tis modum recipiunt, vt Bene curro. fccirco hic quoque notas
suas habuere, quæcum verba ipfa moderanda fufcepiffent,verbis ipfis appositæ, ad
verbia dici meruere. Restabat etiamnum aliquid; quod in rebus positum deberet
etiam notis infi-. ho gniri. Nam res vna est, aut forma, vr Animal rationale: aut
accidente,vtLacalbum:aut subiecto, vt Album et dulce in lacte: autmistione,vt
oxy mel:autcumulo, vt acervus. Ergo quæ fierent v num, vt vnum quoque
dicerentur, commenti funt fapientes cõiun ettiones, quarum natura fuo loco
acutillime explicata eft: Sicigitur in præsen tia fatis eft dicere, Lacest
album;et dulce: Atque his quidem feptem partibus vniversus rerumam bitus,
modusque contineri videbatur: niliani way morum affe et us quidam
fuperfuiffent, qui nie masbequeiunguntur verbis, neque nominibuscohæ rent: fed
eorum vis in animo totafibi confiftit. Nam voxhæc, Dolor, affe et um
fignificat: fed Heu, nonhocipsum,quod dolor eft,quir !: re affe et i animi nota
eft. Igitur quune c. nes indignatione; atque dolore, atque et
yentis interrumpi soleant, maluere interpone re, vnde et interie ettio eft
appellata. Acpotuit quidem etiam anteponisetiam poftponi:fed qar Zanteponerets
temerenimis,no redditacauila aut Lirasci, aut minitari videbatur:
quipoftponeret; leviter dolere.Itaqueet consulto interposuere, et perturbationi
animiserviere. Exhis vt patet partium numerus, ita excludu- Em tur falso
ascripta: etenim Appellatio, idem quod tay nomenArticulus nobis nullus, et
Græcis super fluus, nisi quum rem notam repetit subiicerein tellectui. at tunc
est relativum. Idem enim eft, O doûnos pous quod down avoidta: alioqui otio sum
loquaciffimæ gentis inftrumentum eft. In finita quoque verba a verbis receptis separanda
non effe, ex definitioneconftat. Præpofitiones au tem idem effe quod
Coniunctiones, negamusex his, quædiximus. Nam Vocabulum quiaddide re,ne meriti
quidem funt,vt refellantur: genus e nim est ve Diettio,non nominis
species,vrinepti unt.Nibilenin diftar a voce Vocabulum, nisiqa flexus atque
articulosin voce habet. Idem enim est Mendicus etMendicabulum, Saburra etSabu
lam,Statio et Stabulum. Eruptigitur Dictionis fpecies odo: Nomen,
Verbum,Participium, Pro nomen, Præpofitio, Adverbium, Interiectio, Coniunctio. Quaratione
investigande finispecies, quainfle ettatur: et quarenon pluresfintaut Persona,
ant Numeri HAArum autem partium quædam cum infle- Ongo ctantur; quædam exdem,
eademque facie perpetuo fint: quæ etquare ita afficiantur dein ieps dicendum
erit: tiprius inflexionis ipfius ra uiones, atque necessitates eruamus.
tlocutioab vno, pluribusve proficiscatur, nihilinterest: fed vnum plurave
significet: fcilicetvnius, plurium $
venota fit. Forma enim orationis, Significatio eft: Significatio autem, a
recit, non a loquente: Chamadoquens enim efficiens est. Omnis autem nume mil
rus ternionecontinetur: nam Vnum numeri i nitium tantum eft: Dualis primus
numerus imp - fectus: Ternio autem primus numerus verus. Quod enim æquales
in partespotest dividi, Fini ti habetrationem: quod non potest, Infiniti. Et
Ternicipfe et numerum continet, et numeri principium:at Dualisnon nisi in
principium,id quevnum, resolvi poteft: itaquePotentialispo ciusnumerussit:
quippe numeri potentiam, id eft, Vnitatem biscontinens. Ternio autem actu alis, qui quidem divisibilem fecerit indivisibi lem. Quare Græci
quoque mbifor nominavere: Nempe quem si dividas; invenias infiniti habere
aliquam imaginem, quæ supersit. Ergoin rerum naturaseparatus in corporibus
noreperitur pun et ifluxus,vt lineam efficiat, quæ prima dimensi one obtinet
vnitatis proportioner: neq; lineæ fluxus, vt superficiem seorsum designare
nobis liceat, verum quum ad Tertium perveneris,vtsu perficiem ducas in seipfam,
corpus efficies, præ ter quod nihil est, quod, quove metiamur: Vi demus igitur
omnia principio,medio, fine con tineri: fane hæc tria funt. Motuspretcrea,aut est a centro, aut ad centrum, aut circa centrum: ne queab
his vllus est alius. Nam qui in animali in venitur voluntarius, ex his
compositus eft.Sed et in facristam veteribus, quam noitratibus, ter ple raque 2
taque aut fiunt, aut dicuntur. Et unam Dei substantiam tres, neque plures
personas effe verd credimus. Et Grammatici ipfi genus illud, quod tres caperet
articulos, omnegenüs appellarunt. Quarequum deduobus loquimur,dicimus, Am bo:
quum de tribus, Omnes. Hæcita sunt Trias Sed et hæc eademi tria, dugsunt.
Nanqueprin cipium numerị vnum eft: Numerus autem in pre, plura. Ergo in
oratione quod significatur aut vnum est, autplura: quare duo tantum nu meri
inuenti sunt,quibusdi ettiones afficerentur. Nam Dualem Æoles vt fuperfluum
omifere. Acordo significandi accepit Ternionem,a cause mi, assome abow sea fa
efficiente: ea enim quum sit principium, re et e Prima dićta est: itaque cum de
fe loqueretur,Pria mam conftituit personam. Finis autem eius est communicare
quod fentit cum quopiam: ergo Secundam reetet dixit. Materiam autem ipfam,de
qualoqueretur Tertiam, Eftigitur Primaeffici ens doctrinæ: doctrinæ enim caufla
oratio: See cünda Finis. docetur enim: Tertia materia, de ea enim agitur:
Oratio autem Forma,sunt enim Propositiones forma coniclufionis. Quarta au tē
fub tertiæ ratione coprehenfa fuit', propterca quod aprimafemper effet tertia:
pro materia e nim habebatur. Verum Personæ vocabulo abusi Sharan funt veteres.
nam Primam quidem veloqüenem, Secundam vt audientem agnofcimus: hæ fane personæ
fint, ar Tertiam quarepeta v. 174, mas i fonam dicam, quæ muta res fit: hocfa
et um eft tab omalo,inane propter rei nobilitatem. Eft enim Homo fie biipse
omnium rerum regula quædam, fi fefe antimp M Oi ted -y Ljn rintedmusic IVL. - III.
intueatur, quare, etiam Paruusmundusappella tus eft: itaque deseipfo
semperloquendum præ cepit, qualı dere cognita subratione regulæ,cu ius menfura
cætera cognofcerentur. iccirco per gain fonæ nomen ad ea, quæ perfona carerent,
non temere translatum est. Sane Persona intelligi, tur status hominis ab animo,
aut fortuna. Ne que verum eft, quod aiunt, fignificare indiuia duam fubftantiam
rationalem, vt vulgo vtun tur, cum Itali numerant turbam nomine perso narum:
sed accidensnotat, vt feruum, liberum, ingenuum, Heroem, Senatorem, fænerato
rem, militem. Itaque cumdefiniuimus ab Ani mo, virtutem et vitia
comprehendimus: quum Fortunam, libertatem et dignitatem,et contra ria. Sic enim
semper locutisunt probati autores, Nam M. Tullius in octauo ad Atticumin episto
la ad Pompeium cum dicit: Mea personaadim proborumciuium impetum semperhabuiffc
vi detur aliquid populare: nonintelligit suum cor pus fimpliciter, sed
virtutem, ac fortunam suam, quæmeritorum nomine iam commemorat. Ita que in
primo Rhetoricorum loca a personisex plicat,nomen,naturam, viettum,habitum,
etalia eiusmodi. et in oratione pro Sylla fic locutus eft: Si mihi propter
resmeas gestas hancimponis per fonam. Cum dixit Mihi, intellexit subftantiam:
aìm dixit Personam, intellexit accides: cum dixit Resgestas, intellexit caufam
perfonæ, et circun feriptionem. EtSuscipere personam boniviri:et, Suftinere
idem alibifæpedixit atneque suscipit substantiam, acqucmutari poteft fine
interitu, Igl.7 UL RIO ut Igitur idem eft, fi dicas, Persona Ciceronis: et,
Status consularis: fic enim ad Atticum fcribens, quum negat effe edignitate
consulari, di et a quæ dam iacere in Clodium, poffis interpretari, Non
pertinere ad personam eius. Vnde autem dicatur,
contraquam Gellius fenferit, quotque significatibus audta sit,in libris
Originum amplis fimenarratum eft. Fuitet aliud imitandum,quod com extabąt
natura: siquidem intererat, vt quodmas, ro fæminave effet, et quod præterea
neutrum, indi caretur. Quare quod per marem fæminamque propagarentur genera,
genusid diet u fuit: quod autem extra hæc dugeffet, non dire et o fignifica tu
generis nomine accipi debuit (ytiocatur fux per ineptiis Grammarici lepidiffime
Ausonius ) DrTo sed per negationem. Neutrum enim, genus elt, Nisha quianon
estgenus: ipsum enim nomen indicat, non essegenus. Hoc igitur est,quod non
eft.Hoc enim habent negationes, vt non ponendo per nant, veluti cum dico,
Nullus homovenit: hic 1 actio eft, finepersona; fi enim non fubeft homo In
aduentui, non eritactio. Nam præceptores mej S hoc errabant,cum moremedicorum
Neutruge nus ex vtriusque participatione constituebant, use Temporum autem
rationem fuiffe necessariam Rum, no spe intelliget, qui motum, quid fit, fcit.
Sed illud ia fuitanimiofficium, opulque perfpicacis. Nam plentas quum affe
ettus varii fint in functionibushuma # nis,puta Optandi, Imperandi,veritatem
designa i diverba ipfa,quæ a ettiones significarent, inflexê Cipre, eosquefexus
Modos appellauere; propterea i quod aliter, atque aliter animi propensiones
Lij. teme in COM 260 IvL. III. temperarent. Videndum est igitur has diet tionis
affectiones,quæ, quotve partcs orationis,quibus Vede caufis sibi vindicent. com
Substantias,quæ seipsis constant,cade semper effe, qualicunque animi affe ettu
notentur, mani festum est. Nam Equum pronunciarovel optan do,vel imperando,non
mutabo: itaquecum ne que meianimi mutatione, neque temporismen fura mPombaut,
quin idem equus sit: nequenomi na,nequenominum notæ pronomina, tempore aut modo
variabuntur. Simpliciores autem no tæ,quævincula tatum essent orationis, non
ma. gis potuere mutari, quam vin et io ipsa in rebus.Si enim Cæfar cum Catone
bellum gerit, neque per fonam possis ei hosticæ conuentioni, neque nu. merum,
nequealia apponere, vt varietur: ideme nim femper eft to umegye evcvartiov. Sic
reiectz funt Coniun et iones, Præpofitiones,Interie ettio nes, nudæ
enim,etfimplicis rei notæ sunt.Vnum venit in cotrouerfiam. Aduerbium:nempecum
dico Heri, Cras, videor temporadiscernere. Sed non ita est,haud magis,quam quum
dicam,Dies, Annus:tempus enim significatprimoftatim fig nificatu: at verbum non
tempus,led subtempore. Itaque non vna eademquevoce, sed diuerlis di versa
temporasunt aduerbiis significata: itaque ctiam a numeris exempta sunt: cum
enim efsent temperamenta quædam verborum, verborum numeros sequifatis fuit.
Erunt igitur Nomina variata per Numeru, et Perfonam, ficut et Verba: peculiaria
autem illis alia,alia his,dequibus suo loco.Nuncenim cauffas 161: 1 1 US ep CD
fas declinabilium, etindeclinabilium vt perscru taremur, fatis hæc hîc habuimus
declarare. Affeettus specierum dictionis alterius modi. Tquehis quidem
affectibus rerum ratio ex -plicabatur:fed et alii fuere potius, vtita di- maksi
cam,materiales: Figura, et Casus. Cafusenim ad
diftin ettionem intellectionis funtinuenti,nonex ipsarum rerum mutatione.
Figura autem non femper a re. Namquoniam vel mistæ, vel com politæessent substantiæ,
composita quoqueno mina fuere quædam,vt Tragelaphus, Vulpan ser:aut substatia
et accidēs,vt Equiferus. At quæ dam fuere figuræ, quæ nihil
ostenderent in re compositum,vt personare, insistere, et alia talia.
Despecieautemdubitari poflit: nam quemad- Spremni modum qualitas intellecta per
fe, a nullo tunç dependet, puta. Iustitia: at in Cæsare eam fi con templemur,
videtur ab eo et constitui et pen dêre, iccirco videri quoque possit deriuatum
nomen lustus, substantiam iplam tanquamsui principium confignificare. illa
omnino eft in verbo materialis,Coniugatio: nihil enimrefert (omu quodnam in
elementum abeat,modo a et io, aut gako passio fignificetur: quare diuersæ
inueniasCon iugationisidem verbuin, Lauo, Denso: Lauare, et Lauere: Denfare, et
Denfere. Ordo vero,ne-owo que a re fumptus feruatur, neque immutat 0 rationem,
nifi certis modis transponantur: ne que enim codem dicasmodo, Omne viuens est
animali et Animal eftomne viuens: fed structura L ij. et Ini 20 1 D mk Too Us
atac elle eni mi 701 om IvLi III. BON omnino nonmutatur.Anautem fit
proprius af fe et us cuiuspiam,suo loco dietum eft. Hinccolligere poffumus, cum
alii sinterebus hati,alii materiam ipsam vocis potius sint fecuti, ex quibufdam
conftare neceffario veritatem, ex aliis non neceffario: nanque
vitiatotempore,fal sa fit oratio:vt, Vergilius iterum nascetur. Siau tem vities genus; non fiet falsa, Vergilius bona: Figura autem etiam
falfam facit orationem, vt si dicas, Vergilius est poesis. Modorum autem fo lus Indicatiuus pertinet ad veritatem. Sed de his fuo
locos. QuodPerfona, etNumerus accidat omnibuspara tibus, quomodo: et
An Sexus Verbis addi debeat. STatua intelle etionon vniufmodieftita, ned voces:
ftatuam enim interdu agnoscimus, vt eft fignum Cæsaris; interdum vtmarmor
eft:po fteriore modo, percipitur vt substantia: privre, vtrefertur. Sic imago
in speculo et res eft quæ dam per ses etsignum alterius rei. Eodem modo ***
quüm voces rerum signa funt;eatum quoquena turar imitantur:vbivero per
seaccipiuntur,ipfit na quoquetanquam res quædam intelligutur.Qua retum
aduerbia, tum Coniunettiones, aliæque eiufdem modi, cum Nominibus Verbisque et
fecundas perlonas, et tertias obtinebunt: fed non codem modo: nam Nomina
Verbaque res lignificant,personasconsignificant: Coiun ettio nes; atque cæteræ
tales partes; rerum odos asn't figni. 16 € bi U:. -50 nh let poli significant, perfonas non
confignificant,fed ipfa snb persona consignificantur. Exemplumrei huius hoc
eft: tra et abo naturam huius coniun et ionis Quanquam: in ca narratione
femperap ponam verba tertiæ personæ. Exclamabo adi psam oratorum more: vtin
fabulis, O coelum, a terra, o maria Neptuni i quæ nihilo melius re spondebunt
mihi: apponam fecundæ: confi ciam Prosopopæiam addentur primæ. Eodem quoque
modo vox hæc, Patres erit numeri plu ralis,quum lignificabit: quum
significabitur,lin gularis: quaratione etiam pluralis numerus, dicetur
singularis. Sed restat quæstio, Quam ob rem Verbo sexum non addidere, id quod
fece runt Nominibus. Atfieri debuiffe vel ratione vi tur posse comprobari: Nam
quumVerbum sub tempore id significet, quod Appellatio fine tempore: ficuti
Appellationes fecutæ sunt fixo ram naturam, ita etiamVerba fequi debuere. At
Appellationes fexum, iuxta fexum nominum fixorum, id eft, substantiuorum,
mutant: igitur etiam Verba mutare debuere: Curro enim corsum significat sub
præfsnti tempore, et albesco, album. Siigitur re et e di et um eft, mulier
alba, quo in loco, album, mulierem fequitur: eodem modo Albescit, quoque mutare
genus debuisset. Satis igitur eft colligere, fieri po. tuiffe: breuitati autem
cor sultum effe, quum, factum non eft. QuareVerbum, quum trans it in
Participium, facile ipsum genus recipere quiuit. Diuiditur igitur in
Declinabile,etin Ladecli nabia LIS, ultra ique ma ujen are F.Q Liza que R;/
Zule! nd ma L iiij. 164 IvL. IV, nabilem, quaternis dispositis fpeciebus:ibiNo.
mine, Verbo, Participio, Pronomine; hîç aduerir bio, Præpositione,
Interiectione, Coniunctione, Kase Nominis essentiam, tamabappellatione,quam a
reipsa, statuit. HACTENVS postpartes,diet io: nis Substantiam ipsam venati
fumus, eiusqueAffeet us: tum Species, earumque affectiones incommuni quibusque
essent cauffis in vium profectæ. Nunc iam deinceps fingulis libris
fingulorumratio ex Onio plicandaeft,codem ordinequotesipfas,quarum notæ habebantur,funt
fecutæ.Nomenigitur pri mumexequamur:efseenimnotam rei permane. tis,ex
iis,quæfupra diximus, fatis conftat. Itaque iniplaappellatione comprehenfa est
vis quædam ađionis: quasi ipsam esset cauffa quædam notio Vox pis Namyt
aMouco,moui,motum,Mouimen, Mor ne 1 s Momen; sica Nosco,noui,notum,Nouimē,No
men:eft enim imago quædam,qua quid nofcitur: instrumentum quali
quoddamcognitionis: ac veteres quidem rectam yiain institêre, cum dice- Vol.
rent, quasi notamen. Verum minus recte bonam ser ntiam explicarunt: Notatum
enim poftc mi reft, quam Notum: sic Notamen, quam Nomen; vt e contrario ab
hocillud potius fit. Fuit prius Noo,a quo Nosco:vtnetucaw,a quo niespoo
onu,apudTheocritum; Æoles enim ficloquicon fueuene. Multo minus audiendisunt,
quia Græ co όνομα,φuodωρα το νέμειν, ficut et νόμος, dedu. Α. Αν xere: quoniam
quo pacto lex suum cuiq; tribuit: ita et nomen fuam cuique imaginem rerum red
dit, nequeenim reette deductum intelligas ex ip * fa, quam temere
auferunt,vocali. sed övojce, rei vc titulus fuit, a iuuandoquafi o;eopa: cuius
vsu rem agnofçeres. Hæc est vocis origo. Res autem lis fic fehabet in
definitione, Didio declinabi- Sey per cafum, significans rem finetempore.O.
mnes enimpartes fiue species diet ionis, per ge nus suum, fcilicet per
diettionem suntdefinien... Test dæ: vt constet error gramaticorum,qui eam par tem
grammatices appellassent. Aliud enim eft le grammatica, aliud grammaticæ subie
et um Di et tio fue Oratio.Sicut neq; verum eft quod aiunt alii,quiGrammaticæ
partes quatuor fecere, Li teram,Syllabam,Diet ionem,Orationem. neque enim est
grammaticæ pars Oratio, fed totum ip fumargumentumquod vocante'moxeipfuor.Quis
enim dicat Archite et uram diuidi in ædes? Diffe rentiæ autem illæ neceffariæ
funt. nam Præpo L y fitio to Da tuca 2017 TUI pri gh t10 hel Com > Sitio non
declinatur:Verbum remouetur per ca füm, Participium per temporispriuationem:Hac
tamen definitionenon differt aPronomine, nisi adhucaliquidagas; sic primo,vel
finemedio rem fignificans.Nam pronomen hoc,OVI, Cafarem fignificat,sed
nonstatim: primum enim refi psum nomen hoc CÆSAR, deinde rem ip haveteres autem
vt in cæteris definitionibus, fail li funt,cum dixere fignificari, substantiam
aut qua litatem, propriam,velcommunem.Nametiam aliud quamsubstantiam
significant, vel qualita tem:quippe quantitatem, relationem,fitum, pri
vationem, to egely,to. Illi vero etiam ridiculi fint, quiin nominis
definitionerem a corporedi ftinxere, nihil eniminfelicius grammatico defini
tore. Nominis affectus etiam accidentia appella vere, quoniam Græci
ovubsExxotoko verum itain telligas; non xouvai, fed idhis, quæ Quintilianus
recte propria vocat: sunt autem sex, Species,Ge nus,Numerus,Figura, Persona; et
Casus.Atque horum quide quinque a veteribus confeffa sunt, Puum a persona autem
turpiter omiffa.Principio,ficcir. w >2.90.co reiecere, quia eadem vox
finevlla variatione, quamlibet confignificetpersonam, etiam a pro nomine
auferenda erit:neque.n.hoc pronomen Ipfe, vt primamaut aliam notet, variatur:
neque hoc pronomen Ego, aliam, quam prima indicat Sed hîc quoque acrius
iudicandumest: namPro nomina perfonam fignificant. Ataliud est signifi
care,aliud cõsignificare: vt hoc nomen Tempus, significat menfuram motus,verum
non cöfigni ficat motum.atnomenhoc Persona,id quodfu pra ra H, TE enhers i OL 11 lin ope veli pra
diximus significat, sed personam certam non consignificat,sic Pronomen hoc Ego,
personam significat quamlibet: pro quolibet enim nomine ponitur,fed primam
tantum consignificat:quare cum per personas non varietur, non allignabit af
feet um perfonæ Pronomini. Poftremoid falsumbern videmus esse, quod de
Nomineafferunt: ideme nim nomen vtalioflexucasum, numerum, figu ram mutat, fic
etpersonam. Nam fecundæ per fonæ quinti casus omnes sunt, quos dixere Voca
tiuos. Verum neq; hanc fubtilem sententiam illi intellexere, et omnino tertiæ
tantum persona nomina putarunt, adeo inepte, vt nisi adiecto Pronomine, negarintpoffe
dici, Homo curro. At aamce o bone, quod Pronomen agit, vicarius quidam: herus
ipse, Nomen scilicet pro quo illud ponitur, non ager? ergo non Pronomen a
Nomine, fed Nomen a Pronomine dependebit.Atfuit aliqua alt. do, quum nullum
effet Pronomen: tum miseri mortales de feipfis nihil poterant enunciare Co
cedunt pudentiores vsum verbi fubstantiui, et fi milium, Homo lum, homofio,
homo nascor; homo dicor: at quid est, Homo curro, aliud, quam Homo fumcurrens?
Itaque paulo modestius alii sunt nugari, Appellatiua huic vsui concessere,
Propria fuftulere:vt nð nominiin suo genere co- poruci petat variatio per
personas, sed eius fpeciebus ali quibus,proprio autem no.Verum qui intelligat;
quid grammatica fit, facile corum reprimat au daciam. Eftenim Grammatica
fcientia loquendi ex vsu:neque. n.conftituitregulas scientibus vfus modum:fed
ex corum ftatis,frequentibusq; vfur patio 2011 tan.G fuera pationibus, collegitcomunem rationem loque di,
quam discentibus traderet. Igitur cum tam a Ex. pudGræcos, quam apud Latinos
prima verbi persona cum propriis nominibus posita sit: idque eta probatiffimis,
et frequenter fa et um fit: debue reabillis isti legesaccipere fibi, non de suo
finge re potius, quam figere. Omitto illud Euripidæ, jww nonu'dwpas. et
inoratione Demosthenis con tra Midian, παμμένηςπκμμένεςέπαρχος,έχον χει oog
acicu ciw, roixa @zizuorech ag eghalomgy. Venio ad noftros: Ouidiussic
loquitur:Hospita Phyllis queror:in epiftola Heroina. In fine comediarum
Terenţii verba illa funt:Calliopius recenfui. Sue tonius C. Cæsaris verba refert: Tantis rebus ge stis C.
Cæsarcondemnatus essem. T. Liuius in primo, Romuli hæc: Hæc tibi victor
Romulus Rex regia arma fero. Idem in perfona Anniba lis: Annibal peto pacem.
Sallustius in oratione C. Cottæ confulis:En C.Cotta conful facio. Ne Rs que
vero fubeftratio,qua possis dicere, Homole go: et non poflis,Cæsarlego. Imoveromultore
et tius: Cæsar enim ego sum, non alius.at alius ho mo æque, atque ego. Quare in
tertiam potuit transferri appellatiuum:propriumautem reman fit mihi in prima.
Eft et illud validissimumargu mentum, Nomenessenotam rerum, siue igitur pe
tempusinspicias,siuedignitatem, primum feip fum nominauithomo: at in homine,
priino per sona, et ab eo aliis communicata. Quidillud? fi Nominiin communi,vt
nomen est competitca { us: et tamenqaluuma variatio defecit aliquotno mina;erga
quid dicendum? Respondebut, etreas et lo Ete casus quidem effe, vt in nomine
Cornu, sed per diuersa elementa non effe manifestos. Ita et iam nos, perfonarum
ordinem in nominibuseffe indiscretum, quem in vocatiuis aperte pofteaex
plicarent. Ex his constat Linacri lapsus, qui ita scripsit, Sinc certæ personæ
adsignificatione fi gnificare: quintus enim casus certam fecundam præscribit.
Et ipse in participii definitione dicit, Capere a nominenumerum et personam.
Est autem persona primo nominis affecttio, secundo verbi quod iplum fit Nomen
secutum, vt dixi mus, quod,Prima:ad quod,Secunda:de quo, Ter tia, Efficiens,
finis,materia. Hæcestigitur nomi nis effentia,fignificare rem permanentem:atpri
sci id effe proprium eius ridicule prodidere; qua inscitia etiam in aliis
fubftantiam cum accidente confudêre. Quoquifque ordine affectus traltandus fit.
Rdinem quoquehorumaffectuum veteres on UL uc T neenatus fluxit:ita debuit
explicari.Ac nemode bet dubitare, quin et Numerus, et Persona pri mas sibi
sedes occuparint:sednumerus prior fuit. Rummus Nam primum etsecundum, quod
eftin persona positum,eft relatiuum:prima enim dicta est,pro pter fecundam. At
Numerus non eft relatiuus, sed absolutus: absolutum autem prius relatiuo. Poft
perlonam autem genus cditum est: videmus cnim in pronominibus primitiuis genera
con fusa. Poft Genus emerfit Casus, quem expressit ambiguitas:cum
primum ficcssentlocuti, Cața interficit Cæsar. Itaque ve distinguerent oratio
nem flexumapposuere. Vltimæ fuereSpecies, et Figura: ac Species quidem multo
magis necessa ria, itaque Figuram præcedet: fine Figura enim constabit oratio,
lineSpecie non omniscõltabit. Neque enim dices, Cato cft iustitia. Atque ipfo
Socquidem Cafu Species fuit præstantior: materiæ pi bel enim affectio simplex
cafus eft:Species autem et iam ipfi Teineceffaria eftad fignificandum:mu tat
enim Species modum fignificationis, Cafus autem nonmutat. Sed fere et a philofophis
ipfæ funt Species introductæ, Denominatiuorum, et eiusmodi: at Cafus vsu tantum
exorti facile funt, ac propterea priores fuere.Sicigitur recensebun tur: Numerus,
Persona, Genus, Cafus, Species, Figura. Sed prisciita peruerterunt: ficuti cum
ante Verbi, aliarumque partium definitionem, pro pria eorum narrant. PeNumero, C depersona quidem iam diet um eft:
coas et i enim disputationeid fecimus:'de Nume ro autem est hîc agendum.
Numerus eft quanti štas, quæ per fe ipfa diuisa ac cumulate vltimo kermino ab
aliis distinguitur. Eft enim Binarius numerus duæ vnitates, Ternariustres: quæ
sua natura non sunt fimul, fed cumulatione,liueag gregatione, fiue
appofitionedicas,nihilintereit. Distinguitur autem omnis numerusab alio nu:
mero vnicotấtum termino, coque vltimo: vnam A ind enim No TE Song ILL C enim
habet dimensione quantitas discreta, quip pe longitudinem: fuit enim vnitas
discötinuata; nequeenim recte dicitur fluere. Cumigitur om nis numeri vnitas
initium sit, non differet nume ri inter fe hoc termino vnde fluunt, fed eo in
quo fiftuntur. Hoc enim Quaternio a Ternionedi ftat, vnitate scilicet poftremo
apposita loco. Occu patum autem eft confuetudine, vt Vnum, ctiam numerus
diceretur: quare id quoquefecutu fuit, yt numerusalius dicereturSingularis,
alius Plu ralis: neque enim mediu vllum estinter vnum et plura:quoniã plura ex
vno frequętato fa etta funt,similar Quarelones non re ette fecere, qyi Dualem
nummon merum a plurali discerpsere: atq;iccirco feuerio res
Æolesnequerecepere,nequein Latinos tras misere. etnugacitas illa Ionum in
multis tempo ribus verboră personas aliquot nõ potuit eruere in eo numero:in
nominibus autem pauculosca of sus expressere. His autem, quæ diximus,infelicif
simegrammatici obstrepunt:egrelli enim esep pris suis non poffunt quin ineptiant.
Singularis, lwg.mo inquiut, numerus verissimºnumerus eft,propter when a ea quod
repetitus facitnumeros, inque eum ipli resoluutur. Principio, hoc est disputatu
in divina philosophia, Unitatem non effenumerum, ficut neq; pun et um
quantitatem neutrumque; efle in bet prædicamento
quantitatis,nifitanquãprincipia. Multis autem argumentis deiiciuntur de staru
13! fuo. Si enim numerus eft quantitas discreta, id est a quantitatesdiuise per
superficies, et coniun et x te per comprehenfionem,imo vero ipsaquantitatī. ratio
comprehēsarum: non erit vnitas numerus, non TIES m2 nas le IyL. IV. non enim
diuidi potest: idem enim eft diuisum, etdifcretum: ficutidem cocretum
etindiuifum. Sumptis quoque eorum principiis direeto aduer fus eos colligamus.
Numerus, inquiut,singularis 2 reet edicetur: quiageminatus,aut multiplicatus
cæteros omnes creat. Ergo numerusnon eft:hac enim ratione punctum esset linea,
linea superfi cies,fuperficies corpus. præterea Binarius, Tere narius,
Quaternarius,non esset vnusquisqueñu merus feorsum:sed Binarius, duo
numeri:Terna rius tres:non effet igitur quantitas, sed quantita tes: numerus
enim quantitas eft,ergo numeri qua titates. Nihil vero mirum hoc errasse qui eu
ma Ale iam definiuerant, Numerus eft dictionis for ma, quæ discretionem
quantitatis facere poteste | Principio male assignaruntdiet ioni:nequeenim
competit diettioni,vtdiftio est; omnibus enim competeret dictionibus: hoc autem
eft falfum. 2. Deinde formam dixere, cum tamen numerus fit 3* accidens. Et male
dixere, discretionem quantita tis facere; sed potius discretæ quatitatismodum,
44 aut differentiam notare.neque excluduntur Ad verbia illorum definitione: Nam
Bis, Ter, for mam habent dictionis, quadistingui potest qua Propmatitas.
Proprium autem eltfingularis,finitumef fe:id eft,certum:quiafcimusquantum sit
homi num, cum dicimus, Homo. At pluralis infinitus est,non quod fine
careat,nihilenim in natura in finitum:sed quia sitincertus. Sienim dicas, Ho
mines: quotsint, nefcias: itaque addituraliquid præscribens, vt Decem, viginti.
Accidit autem interdum, vt eadem vocediuersus numerus in telligatur:
quemadmodum eft in fecudo casulina gulari fecundæ inflexionis, et in
primopluralie iufdem: in neutris pluralibustribus, ac hngulari fæminino:
vt,SACRA. In quib.autem evettiat, in capite decafu dictum est. Secutus autem
eft nu NE merus grammaticorum, suiipfiusnaturam in reo busiplis: par enim
etdispar, vt diximus, non si muladfunteidem numero: ficneque pluralis, et
fingularis: fed satis est alterutrum vni voci ineffe. Ac quemadmodum numerus
quivisaddita vni- Awesome tatc acquirit rationem pluris, ita aut numero ly !
labarum, aut temporum, plurales numeri nostri maximaex parte,lingulares
fuperarunt: Poeta, noule Poetæ:Dominus,Domini:Pater, Patres: Cornu, Cornua:
pauca enim aliter invenias. Sed et ina liis cafibus fereidem invenies. Quare
cum idem numerus non poffit esse vnus, et pliires, et idem nomen vtrunque
significare queat, ut “Amor”, “Amores”, consultum elt huicrci,vt per
fyllabarumi aut temporum appofitionem, idem nomen effet seipso maius, et aliquo
modoa feipfo diverfum. Hocautem, vtdiximus, maxima in parte nomi num est, non
in omnibus. Sermo enim teme re inter agrestia ingenia primum örtuš refraga tur
aliquando legibus doctiorum. Igitur quæ - yna v hrun dam sunt nominä сiusmodi,
vt numerum v trunque obtineänt, qualia diximus: nonnulla semper singularia:
quædam semper pluralia: et in his quædam pronumeri natura numeru red dentia:
quædam non: fed alia singulari nume to plura fignificantia:alia plurali numero,
singu la: Semperigitur fingularia,aut semper pluralia 46 T 7 Mj: Vin
vteffent,effecit aut natura,aut vsus. Natura sunt singularia, quæ certa sunt
individua, ut “Sol”, “Czsar”.Item pluralia, quæ multa sunt; vt sunt hoc; quod
effe dicuntur,vi Gemini,Pisces. Dico autem, Et funt hoc, quod effe dicuntur:
propterea quod colle et io illa plurium fingularium maxima ex parte pendet ab
intelle et u:vfus autem tyran nide extortum est, vt quædam sine ratione essent
fingularia,vtfumus:nam quare non dicam duos fumos?et duos sanguines? Hæc igitur
sine ratio ne. Quin etiam contra rationem: etenim Pul verem, et Arenam dicimus,
totum illum cuma. lum, cum tamen ipfarum partiumminutaru po. tius effe
debuislit. Pluralia autem quare dicas Lynum dicm, Saturnalia,
Floralia, ratio subest Comprehendit enim et ludos, et ioca et merca tus,et
comeffationes,et alia. AtCervicesquare dicebant,cum Collum quoque dicerent:aut
qua re Colla,vnius tantum hominis: Emendat ramen fefealiquandopublicus vsus
tollēdo quod statue rat, probatorum autoritate: quibus aliter placuit 4 poftea
dicere: vt Cervicem primus Hortensius pronunciavit: item Farra, et Mella, et
Vinaalij: et quibus placuit idem nomen proprium diuersis imponere:vt, mihi, et
lulio CæfariDiet tatori. Ea dem quoque autoritate coacti sumus verum fin
gularem in plures dividere. Vna Gallia eft,fin. gulis vtrinque montibus,
totidem maris limiti bus, etfuvio Reno præfcripta. quare igitur in tres,
quatuorve Gallias divifimus? cum vna Græcia, yna Italia diceretur. Ac fane
commo. idius Italia in plures potuit distingui a namvetus Ausonia, quæ et
Oenotria,et Italia nominata fu= 4/2010 it,ne Tiberim quidem attingebat.Poftea
Roma-> ni ne Barbari ellent, vi extorsere,vtad Rubicone vsque fines
extenderentur. Octavius rerum po-). titus,ctiam nominum dominus effe potuit:
atq; etiam, li Diis placet, ad Varum vsque propagavit: ut Alpes ipsas quoque,
quas natura fixerat com munes, a barbarie vindicatas Latino nominiat tribueret.
Sanevero, quí Nicæam in Italia transtulit, potuit Italiam ipsam, ad sociam et
participem velnominis,vel gloriæ Romanæ Maffiliam pro rogare. Sed de his aliâs.
Eft et illud contemplan- Rana dum: Nihil referre, vnum pluravelint:an vnum
plurave putemus. Ita cum ex divisione provinci. arum acpræfe et
uris,Transpadanam, Cispadana, a Cisalpinam, Transalpinam, Belgicam, Celticam,
Aquitanicam dixere,propterea quod ita effe ar bitrabantur: fic
philofophorumquidam cuplu r'es Mundos, Soles, Lunas intellexeretquodano bis
numero fingulari prolatum fuerat,ab illis no heeft vitiofiusin verbis quam in
rebus multiplica tum.Itaque loues etiam dicimus, et Veneres, et Cupidines. Itaquefcribunt,
Orbem terræ:et,Or bem terrarum. NamTerra nomenproprium est in singulari vnius
elementi, quæElementum est, atque idem semper in sui fimiles partes dividitur.
Cum autem in plurali ponitur, eitidem nomeli teřis, et materia,sed non
substantia. Neque.n.ex W proprio fitappellativu,vrdixere:fed aliud estre, 1
licet voce coveniat. Sicut in Caet Numeris in 1 dem quoq; evenit:Nam,facra
generis fæminini, Mij. numeri numeri singularis, non eft eademyox cum plura
libus neutris:accidit enim, vt iisdem fcribatur e lementis. Terræ autem
divisionem aufpicati sunt a familiaribusoccupationibus, et ius ipfam iniu
riam'appellarunt: neque enim melius Terra de buitalijatque alij attribui,quam
aer. Itaq; natura vindicat fefe, et mortuos Tyrannos nonmaiore tegit
tumulo,quam vnum ex oppreffis, fefe om. nibusæqualem oftendensmatrein.Quęvero
lin gulari numero plura fignificant, naturam ipsam in eventibus rerum
funtimitata: quippe vnuscu mulus,vnus acervusdicitur: atid vnu, plura funt:
edita Populus,Turba,non fine ratione fimplici nu mero, multiplicem significatum
comprchende Thebae.Nam Thebx,et alia eiufmodi,fecura sunt con ventum
libertatemque civium:quorum omnium nomine, non vniusgererentur res: alibi enim
a pertius hoc declaratur vt in Commentariis Cæsaris, Helvetij, Menapij, Arverni.
Multitudo enim in populis, nonmania in vrbibus explicaptur. Harum autem vrbium
numeruscu fingularifle. xu profertur, vt apudStatium, Theba,fequitur v nionem
ipfam in fignificando. Quæ igiturperti. nent ad numerorum naturam, affectus,
vsumý;, hæc funt. De Genere. Bon Aturalia quofdam habent affe et us propter fe:
vt,moventur animalia, quia fentiunt:er govt evitentnoxia, etvt commoda
consequan turymovendi facultate prædita fuere. Alios affes et us or 7.2 DIC Aus habent propter alia non propter se: ut
excrementa sunt, vt cujus Tunt,ipsis exonerentur:ne que enim aliqui pili
quibusdam in partibus ho minis vllum propter sefinem habent: nulli enim ysui
funt: fed ve fumofis exhalationibus illis va cet intus ibi corpus. Eft et alius
modus, vt genera tio affectus enim animalis eft non propter ip sum,sed propter
speciem. Nisi enim indiuidua certa producerentlibisimile, interiret species ip
fis deficientibus. Quare generandi facultas eis da ţa est:atque aliis quidem
alio modo:perfe ettis au tem per fexum:in quibus mas, et fæmina distin
guerentur. His de cauffis, quæ voces fexus effent notæ, qua
rationcidiudicarent, eam rationem en Genus appellarunt, a poteftate earum
rerum, ', que significarentur. Sexus enim cstalterutra po- liceret testas
generandi. Neque recteantiqui dictioniSlim? isl attribuere: Trium enim tantu in
partium eft,non autem Dictionis.Sed ipfi falfi funt, cum non ef fet nomen
pofitum ei generi, quodpeculiariter has tres folas partes capit. Alii
addiderunt fic,Di * et ionis declinabilis:fed falso:neq.enim Verbiest, pc
Eftigitur illius fubalterni: fic enim media va i cant: generis affc et tus
terminatione fexum notas. Sita enim eft in fine vocis, vt Cælar, Mufa. Ne que
vero impedimento cít, quod ctiam masculia na terminatio cum fæininina
concurrat: vtMu rena,Aurata, quæ funt cognomina virorum.Hoc S. op enim accidit
a cognominibu sanimalibus: sic Syl nila, aprudentia, quasi Sibylla: et alia,
quorum ra tio fuit hæc secuta. Neque Barbara obsunt, Iu i gurtha, luba:
illis enim ca fuerit terminatia ad hoc le M iij. 178 Iul. IIIL 1 hoc
officium,yt postra nobis, Quod si qua eft ve triquefexui communis,non
destruitur iccirco de finitio: vt, Legens, et Felix: intelligis enim vtrum
quegenus includi: quod non facies in Leetus, Le Ćta:aliter enim terininantur.
Iccirco fapienter diximus, Notans, non autem distinguens:non enim semper
distinguit, ob verborum scilicet pe nuriam: funt enim res plures, quam
vocabula. Cætera autem, genera aut non sunt, aut hæc funt. Ac deNeutro quidem
diximus:nomene, nim hoc, Neutrum, negat ipsum cffe genus, Cum enim dicis,
Neutrum genus est, significas wipfum effe,quianon est. Sicutsvavulla quædam
herbæ di ettæ funt:quæ quianomen non haberet, che nomeniņuenere. Eft autem
Neutrum duplex: vnum, quod vtrạnque fimul reiicit genus: vta Scamnum. neque
enim autmas, aut fæminaest, Alterum, quod ncquc rejicit, nequeftatuit: vt, Gubi
Mancipium. Addidere autem, quod Incertum vocarent; vt, Dies: fed hocabipfa re,
neutrum quoque eft. Sexus enim non nisi in animali, aut in iis, quæ animalis
naturam imitantur, vt arbo res. Sed ab vsų boc factum est, qui nunc mascu linum
sexum, nunc fæmininum attribuisset, hocitaque nonulli eţiam Dubium appellarunt.
At illud ferendum non fuit, cum animalia quæ, dam suis generibus non notarent;
hanc ncgli gentiam Græci vocarunt genus etiroivov, pessi me: nam xovov, id quod
Duocomprehendereç genera nominabant. hoc autem Alterutrum tan tum cum recipiat,
no potuit habere præpofitio pēem:addit enim quatitatēmathematicis. Vt emia
rippv, Noftrimelius promiscuum, quod differret I 1 lad. avt cius
pics ns3 LIC cam ma co FC 010 ego com-, GUE a communi: quoniã comuneidem
æquecaperet vtrunq. fexum, et effet vox generica autspecialis capies
indiuidua:vt homo,cui aliquando femini num,aliquando masculinu apponeres adieet
iuũ, vt homobonns, homo bona. At Promifcuo non item: fed alterutro sub sexu
captę voci, vtrunque sexum affignares: vt paffer albus, ctiam de femella. Is autem defe et us cum in vsum furtim irrepGifset, timiditate quadam
fotusest. Nam vt$$ Mulus, Mula, Ceruus, Cerua, quare no Aquilus,
Aquila, et cum haberesfuucs, Fwvis, quamobrem non dixisti, Thunnus, Thanna. Namquçadmit,
tuntcommunes terminationes, ausim muni quoq. genereinsignire: vt hic et hæcouis
potius dicatur, quam aut hæc,aut hic vel hæc, vt etiam veteres pronunciabant. Atque illi
quidem, cum Taurum re et e dicerent, etiam ad conuiciu Tauram, comentisunt.
Quare igitur voluptatis diuerticula quæfiuere: necessitati autno inferuie re
verum nulla ars repete perfecta extitit. Ille ve roin multis vocib. ficin vocu
terminatione fata Opuze lis defe et tus fuit, cum tria genera vnica vnius vom
cis terminatione coprehensa sunt, vt Felix: vng enim vox est,materia fifpectes;
at si formaintro. spectes,tres sunt vna facic.llludquoque ex anti quiseft
cautius accipiendů: Nacumdiscrimogenos a Nerum statuut, per notă Pronominis, a
pofterio - riaccipiunt cognitionem:nequeenim Cæfar, eft generismasculini,quia
ei præponitur hic:sedco gnoscitur ita cffe,qaita præponitur: præponitur
aute,quia eft. Hæc de re ipsa. eorum autevoces etia sunt
declarandæ.NaMas,Ofcadiettio fuit că la cifa a Mamerte; Mamers.n. et Mauors, et
Mars, forrem apud illos fignificarut; non quodma na UIT CIT IO MIC Sil
m voca vorteret vtaiunt: neque enim Latinæ voces fue re. Fæminina antem a
fætu:fætusautem cause to Coitur: nam hocverbo veteresrem Veneream fignificarant
pudenter: ficut Latini, Coire: quid enim purias,quam comitem esse? item
consuetu do: ' lic Græci owevci, et vyzivela, et alia mplta, quæ in libris
historiarum diligenteranno tauimus.
Disputarunt autem Grammatici Ma pufcula Lante genera anMasculina dicenda
effent: et Fe stus in xii. Masculina mauult, quoniam Græci quoque apravixa Hai
Inaura ', non autem appara, etFraua. Idem Feftuşin primo, Fæmineum di citGenus,
non Femininum. Recentiores deli cati malunt dicere, Generis neutrius, quam peu
tri,fed antiqui fiçinflexêre Vter, vtri, vtro; fi cut,Vnus,vni,vno,vnum,vne: vt
es apud Catullum. et Terentius, Mihi solæ. Et vt nomen gene ris differat a
communiilla vocenegatiua, pruden ter, qua potuit,effectum est. Proprium autem
Ge nerum effe,pati mutationem,fatis patet ex genc en reincerto, vt etiam
Armentas, dixerit Ennius, quæ nos Armenta. Sed de his in
historia originu faris dictum est, Cafors. Vncco ordine, quem
præcepimus,de Cafia bus agędum eft,operoso fane negotio.Ca pildusigitur, per
veteru definitionem, quid sit,non bolle med fatis cognoscipoteft: quippe, et
Nomen per Ca fum, et Cafum per nomen cuin definiant neque þæciņter
felintrelatiua, circularis erit cognitio: 1 sic Pt fic cnim vocant philosophi,
quum ignotum per æqueignotum explicatur. Nam fi nomen eft de clinabile per
casum, Quæro, quid fit casus. Eft declinatio (aiut )nominis, quareper hæc nihil
ng tum mihi fit. Sed addidere, vel aliarum casua lium dictionum, quæ maxime fit
in fine, At vero, Cafus non eft declinatio:Declinatio enim duo fi gnificat: A
et um illum inflectendi primo fuo fia, gnificatu:motum.n. notat ciusmodi
verbalia, ve ambulario.Id nõ eft casus: no erit igitur hocmo do declinatio:
fecudo,significatcaputquoddaad,, quod reducuptur eiufdem flexionis nomina:ve
primam, secunda, et alias dicimus: ne sicquidem erit casus, declinatio, Casus
enim ipsi ad ea capi ta reducuntur. Quod autem ad aliquid reducitur, non eftcum
eo idem. Reducere enim notat mos tum:at omnis motus statuit priuationem: igitur
liidem effent, idem careret feipfo. Voluitigitur Ĉ intelligere declinationem
ipfam mutationem terminationis; sed Casus non eftilla mutatio, fed hoc ipfum
quod iam mutatum est: Casus enim Vocatiui est, Bone, quod iam est mutatum a Bo
nus, non nunc mutatur. Itaque vox hæc, Cafus, elt præteriti temporis,declinatio
præsentis, Præa terca Species est declinatio nominis, hoc mo?? doper
terminationem: vta Iustitia luftus: hæc enim est definitio Denominatiuoru.
Quidquod illa verba, Quæ maxime fit in fine: perturbant. pon declarant. Nam vox
hæc, Maxime accipitur Fc pro eo,quod est potiffimum. Atpotisfimum re mittit
interdum amplitudinem fignificati: vt quum dico. Potiffimum hyeme pluit:
significo. -DV 7de ene you non semper
æquepluere: quare oftedunt ca vet ba, euenire aliquando, vt Calus non fiant in
fine vocum, sed alibi quoque. Quod ficoconfugiant, vt dicant, Maxime, idem esse
quod,Semper: ad derent potius vocem manifestamSemper. Ve rumneid quidem faciunt
do et i: Definitiones e nimita funt natura comparatæ, vt hocaduerbio neegeant.
In ipfis enim ligna vniuerfalia, tum nu merorum, tum temporum neceffario,et
femper intelliguntur. Idem enim dicas, Homo eft ani mal:Omnis
et homoest femperanimal. Cum e nim a fubftantia confiant definitiones, ipfaque
abeslenequeat: etde omnibus, etfemper dicen turserit igitur casus terminationis
effectusdiuer fus aprimaimpositione:eft.n. idenomealterius, atque alterius
cafus, quiaalia atq. alia terminatio Hemutatusest. Isautem affe us eftin
prædica mentoQualitatis, in capite de figura. Intelligo figuram mathematicam,
non autem iftam fåt Sam dequa mox. Eft enim Figura terminusqua titatis:
igiturhæc voxPoeta,quantitate certa, et figura eft:a, enim vocali clauditur. At
vox hæc Poetarum,alia quantitate, alia figura terminatur. Som Eft autem affe et
usis Nominum primo, etvero: Pronominum autem, quatenus illorum vicarii
funt:Participiorum,vtin ipfis Nominum natu fa ineft. Sicut ego fum calidus,
quia ignis calidus est, quiin meelt:ita proprium accidens alicuius, poteft effe
hoc modo comune:quonia subftantia illa,cuius eft proprium,eft fubftantia
imperfecta, et comparata ad vlteriorem fine,quam fuu: cu jusmodi sunt elementa,
que nonfunt propter fe GcutEst en Eatin nfugi Tipe: per. Egok adaa 2, tur etts
Cor o ipa erdic Caso ficutneque materia prima.Illud in memoria ha- Countro
bendum eft:Siquę voces cafu distinguuntur: que tamen non funt mutatæ, vtMufa,
in Recto, et Vacatiuo, hoc defectu materiæ, non formæ eue nire: Quæ fuit ratio,
vt etiam æquiuoca nominaw sa orta sunt. Dico autem diuersam a primaimpoli tione;
inuentores eniin nomen indidiffe Reco patet ex vsuloquentium,qui præfentis
temporis primam personam, 6lua appellant,et Reetum ipsum Jog. nominis. Casus eflentia hæc eft:igitur de numero corý, aut deque appellationibus
nunc agendu. Caderedi çimus moueri deorsum naturaliter:intelligo na taraliçer,
secundum graue. Nam alia, quęingres su aut volatu,aut alioquouis modo deorsum
mo uentur, non ferutur naturali motu grauitatis, fed voluntario: quo motu
etiain fursum subeunt. At naturalis motus ad vnum tantum fit. Quare pa,
luserectus, aut columnacum ruit, caderedicitur: non quia totadeorsum
feratur,Ted quia plurima eius pars. Translatum eft deinde, vt quoties aliter
quidauțesset, aut eueniret, quam aut prius erat, aut fperabatur verbum hoc
vsurparemus:'vt Ca dere caussa, in qua erat: Cadere fpe: Excidere memoria.
Corporis enim folius interest natura liter moucre: fed ad res corpore carętes
translatu fuit. Huius verbi arigotora Græca esta prætevov rito medio?oūmaiat.
quo sono integropræsen tis etiam nunc Valcones pronunciant. Cum igi ţurapud
Homerūdicatur verba excidere ab ore, a mente quoque cadant neceffe eft. Quare
cum a cadendo Casus sit, paffiua forma, vt Occasus Sol MI10 prad Deck tami
ODISI serti Post TioN etTE n 110 na34 Scak alice biter esti uus: ople 184 Ivl.
IIII. Sol,quemadmodum fupra diximus,qui iam oc. cidiffet, in x 1 1. tabulis
legebatur: Casus appel latione etiam Rcctum ipfum afficere aufi funt, quia a
mente caderet imponentis. Sed quum nos ILCR wdeaffectu nominum fcribamus,non
erit ea recta, fententia: reliquæ enim quoquepartes Casus di cerentur: igitur
non esset nominum affectus ex mutatione finali, sed fine mutatione cuiufuis vo
cis: vt Hev: vtappareat, quam negligenter fibii pfis istiaduersentur. Sed
ferendico erant, quod In vera dicerent.quanquam non fecundum ea, quæ
proponerentur. Atcontra,quiita sentiunt, Ca sus omnes efseRectos, quia a
generalicadunt no mine:landineptiunt.nam quid est hoc,quod ge nerale nomen
appellant? Nomen ipsum? Atquis dicat, Cæfarem anominccecidiffe, in quo nun quam
fuit: quis Sputum? cuius ne vnam quidem habet fyllabam. Materia igitur huius,
ab illius non cecidit.Quod fi hoc ab illo contemplantur, quia illius speciessit,
sane non cecidit: quis enim dicat fpeciem a genere cadere? in quo eftvt pars
comprchesa prædicatione: et in qua illud eft vt pars constituens essentialis,
vt omittam tempora verborum futura casus, quoniam a verbo gene rali
cecidiffent. Erggalii subtiliffime dixere,Re to ctum effe Cafum,quoniam ipfecft
quicadit,cum definit effe Rectus, et fit cafus. Si cnim Rectus est, quideclinatur,qui ficditur, nepe eritCasus. Itaque
Aptota vocata nomina, in quibus rectus non caderet. Verum ne hi quidem funt audien
wie di:Nam quæro Reetusantequam cadat, Casuf ne fit? fr est casusante quam
cadat, ergo finc cauf fa, CE, nts ode 20
sa, id est, fine mutatione etflexioneerut obliqui cafus. Sin hicasus funt, ille
non fuit: mutatum e niin non eftidem. Quidam.vbideiectisunt his rationibus, ad
alia commenta confugere:eundem effe poffe et Rectum et Casum quia stylusema-na
nu poftquam cecidit,fectus adhuc elt. Hîc falla- john cia eft keci et Eredi:
iccirco duplex fuit vox, Cria, et 60). interpretamur primam vocem re Etam, alteram
erectam.Reettæ ratio eft a partibus, ne extremorum tenorem egrediantur: nam qui
fic definiunt,Breviffima extensio, per proprium, non per esscntiam
definivere.Erectæ autem ratio esta litu, etrelatione vniversitatis: cuius
fcilicet partes extremæ non egrediuntur lineam mundi perpendicularem. Ita
etiamcuruus stilus poterit erectus effe, et ftilus rectus, iacens: opponitur e
nim Recto Obliquum, Erecto autem lacens.Ic circo dicimus in definitione Erecti,
cuius extre mæ partes non exeunt liticam mundi perpendi cularem. quoniam etiam
curua erecta effe pof sunt. Vere autem Erectum sicintelligas: nam Nutaris licet
non fit lacens,non tamenvere Ere et us eft: fed eft,vt aiuñt, in fieri:
definitiones au tem rerum sunt perfectarum. Hinc Nominati vum vocabimus L.
Jeñor Rectum,quia brevissima nominis extensioeft: vt linea recta: iccirco Clu
apud Græcos significat statim. opJw autem,quia ftat:nequedum flexa est: erectum
dicas,silubet. Ceteras autem partes inflexinominis,a Recoq dem Obliquas,ab
Erecto autem casus. Sed reci us fiat, vtobliquorum nomeomittas: nullo enim
modopotest competere ratio curvitatis. Casum autcm DHI NIE ch ZA CN -,R Cat ca
die 24U Cealus autem appelles illam terminatam mutationem; exemplo
Aristotelis,o milosa Alge Pepdv oz'Tx quivua Mam 75wrotua. Enumerantur
Casus:explicatur vfies:re cipiuntur Tomina: Asus, vocelargius cu recto quoq;
comuni: cata,vidcamus quotsint et qui,etquare no write plures, Ğ a
veterib.traditi sunt, neq;pauciores.In mm. omniactioneestid g agit,id quod
fit,id quodfa et u recipit, privatio, et finis cuius cauffa fit. Quin quecafus
fuerenecessarij: Agens, Rectus: quod fit, Secundus: cui fit, id est finis,
Tertius: quodreci pit, Quartus.privatio, Sextus:Agit enimfaber, fa cit formam
freni in ferro, facit Cæsari, recipit for mam ferrum, quod carebat ea. Ita
constitues o rationem, Faber cudit ferrumi Cæsari ex catena. Interroges igitur,
Quid facit ferro?Formam fre au Patuni: ex catena in catena enim nonerat. Ac
quan quam videtur formailla effe finis: imposita enim fony
conforma,ceffatartifex; tamen non eft finis vltimus: eft.n.finis operæ, id eft,
a ettionis; non autem ope ris.fit.n.propter equu Cæsaris. Sic et super Quar i
ti natura poterat dubitari: videtur.n.formam no materiam fignificare, cum
dicimus,Ædificodo mum.Atrudib.philofophiæ hoc veniat inmen, tem: Domus.n. et
materiam dicit et formam: Vo. cabulum igitur hoc facit,non autem Casus. Cui'
rei sigrueft,dica, Cædo lapideszhic nihil est, præ ter materia: Cæsura autem
forma eft, puta lovis, aut Cæsaris. Ita in domo, fi formam a materia intelle et
tione distinguas, siç dicas, Lapides cuius sunt e mi quod erha Erfa reso teni
funt? Domus: a forma enim hoc habet, vt define Pontis,aut alterius rei.
Mutantur autem locutios nibus Casuum rationes, aliter enim accipias in passivis:
sed simplex inventio rerum talis ab ipsis principiisfuit. Quoniam vero fermo
institutus est, vt dicebamus, quocumaltero sententiam no stram communicaremus:
iccirco Quintus cafus inventus est, cuius officium vocandiellet.Sapien -Nomme
tius autem a nobis fit,quam fit fa et um ab antiqs: cum ordinis nomen
indimuscafibus. Primui; ndt Secundum, Tertium,non aute officiorum. Nain Duis
cum in varios vsus fusi essent, non folum diversa nomina, sed etia supervacanea
sunt sortiti. Quid drea enim Vxorium cafum dixerunt Secundum? mo destius alij
Patrium, prudentius Poffefforiu. Nam Hectoris Andromache, non eft Vxorius,fed
Ma ritalis: sicut apud Valerium, Terentia Cicero nis. Ita cum dicis Cæfar
Sylvij pater, Filialis fit, si sit Patrius ibi, Sylvius Cæfaris. Sic enim Cicero:
Cato, huius pater, qui Uticæ sese interfecit. Qua ratione etiam Genitivu
nominarat. Quid? nonne erit etiam Carpentarius cum dicam, Car peatum opus Epei?
Sed grammaticis nullus finis ineptiendi.Dativum non inepte dixere,Acquisi
mitivummelius: nam quodcontraria natura inve nitur: vt, Aufero tibilibrum: hicetiam
acquisitio nem intelligamus: nam recipitablationem. Ac cusativu peffime
Latini,Græcimitius, aile Tixlu vt cauffa fit non accusatio. nam fic oportet
dicas PPA Sextum casum, Defensorium: namquemadma dum eft, Contra Vatinium: fic
erit, Pro Vati nio. Sed et ridiculum fane:etenim ytelt, Accufo Clo i fire
028 OS DIUS opt do 009 Vo Col 017 tera UARY um 188 IvL. CClodium: sic, Defendo
Clodium potior autede fenfio effe debet.Salutatorium etiam Vocatiuum non male:
sed hoc generalius: etiam falutas, vo cas: neque enim Vocare primo significatu
fuit, arceffere, aut ciere:sed,vocem edere: poftea fuit, nominare. Sic clamare
vocem contentam ede re, poftea appellare:vtapud Plautum tranfitive. ienon absolute,Clamahominem,
koneix. Ablativi quoque nomen non femper fervit,sed etiam dat: A Cæsare
daturregnum Antonio: nisi dicas, au ferri ab eo quod dat;id quod datur, et
reette. Se ' S ptimus autem a Sexto non magis distat,qua Ge phimnitivus
afeipso,quumaliudquam gignere,et Dativus aliud quam dare fignificat. Isautem ca
fus Septimus,vt voluere,vtnosSextus, habuit ra tionem instrumenti:nam hoc
quoqueinter caus sas numerätu est. AcPlatonici quidem, interquos etiam Galenus
fuit, instrumencariam cauffam ab aliis distinctam posuere: at Peripatetici(vtom
nia) fapientius ad genus cauffæ efficientis: eft e nim Malleus efficiens
Annuli: neque ipfe fine Aurifice, neque fine ipfo Aurifex: fed ita vt fi Malleo
non agat, agat alia re, quæ illius loco fit. “ Adeo vt Aristoteles etiam ipsam
motionem inter efficientes víumerarit. Igitur in rećtonon potuit esse,
propterea quod simplexelt. In fexto casu fuit, quomodo eft efficiensin paffiva
locutione: vtidem fit; A Cæfare, et a Laricca vulous fictum est: vtrunque enim
eft agens. Itaque et a Lancea et Lancea: quare quum neque Cafär fine Lancea,
nequc Lancea'sine Cæsare vulnus pos fit facere, et tamen Cæsar muito potior
fit, quip. pe 189 tam Abi erine idios reche 0,00 honek در و habu peages a feipfo, tenuit priscusvsus, vt præpofitio hæc Cvm,
adderetur: ficut, Theseus cum Hercu le. Verum quia non erat focietas æqualis,
fed ve rusmotus a ettivus in agente,motuspallivus in instrumento, sustulerunt
præpofitionem, qua verus comitatus in aliis indicaretur.Ratio igitur, et vsus
sequens rationem priscus ad hunc modum fuit. Nuncvero cum
grammatici negantinveniri di tum a doctis cum præpofitione, falluntur. Nam in
quarto Fastorum,in antiquisexemplarib.Flo rentinis fic fcriptum fuit:
Hecmodoverrebat raro cumpectine terrum. Verum itain codicibus do et iffimi
viriGryphije mendatum invenimus: Hacmodo verrebatftantemtibicine villam.
Necdisplicuit festivitas priscæ vocis, fulturaque casætenuioris. Sed is
loquendi modus fuit pecu liaris illi poetæ: cum alibi,tum in primoTrãsforo
mationum, --concuffitters,quaterý Casariem:cumqua terram, mare,fidera movit. PLINIO
(si veda) quoq; in lib.ix.demolloquenspisci bus,fic scripsit: Cæteri çirri, cum
quibusvenatur. Proprium autem est Sexti,etSecundi mutuo 64 subire sedesquasdam.
Quædam.n.verbaæquei-comide oppsos refpiciunt,vtEgeo, et eiusmodi:fed etalio va
su loquendi:vt,Imperator miræ fortunæ:et Mira fortuna. Vbi fi multa iungantur
cola, idemcalus fere repetitur:Bonæindolis, summæ spei,raræfi dei.
Pliniusvariayit vii. Chromandorum ģentem fyivestrem, sine voce, stridoris
horren Ai, hitris corporibus.Alius dixiffet, Stridore hor Nis rendo: intar
INITI caula ci Otis: + 2 108 ed in is lori nema. ustig cal Sine اrendo:vbi
etiam vocem a stridoreoris mald seps ravit. Sed etCicero eodem modo elegantia
con divit varietate: Lentulum noftrum; eximiafper fummæ virtutis adolescentem.
Vbisemper inve nies adiectivum:nam exemplum ex invectivain Sallustium falso
adducut,sic, Quos protulit Sci piones, Metellos et, ante fuerintopinionis:legut
enim docti, Tantæ, et re ette. Rectus autem et Quintusapud Atticosidem
quifuit:quosetiam poeta imitatus eft: Corniger Hesperidum fluviusregnator
aquarum. etin plerisquevocibustam Nominu,quam Pro nominum, atque etiam
Participiorum adhucita est. Iccirco in oratione vtrunque fimul iunctum invenimus:
vt apud Plinium in vit. Salve omniu primus, parens patriæ appellate. Namca
verba, Primus, etAppellate fimul coeunt in coftru et io ne. Illud autem ex
Virgilio, Nate, mea vires,meamagna potentia folus, Natepatrisfummi,quitela
Typhoea temnis: duob. modis aptari poteft,vteximatur ex eomoi do
dicendi:primo,vt folus sitmagna potentia:fe cundo, qui folus temnis
tela.Cafuumordo,quaretalisfit. х öm nium mam habuit pofituram, Secundum locum
forma occupavit: eftenim ftatim in animoefficientis,vt materiæ eam imponat:
quippe, vti dicebamus, operæ finis est. Proximam huic sedem vindicavit is,
quivlrimumfinem significavit. Rcliqui erant duo: w.. Emilum primum,Reetum
habuit:et quia primali duo: alter materialis, quem Accufativu dicebant: anti
alter,qui signaret privatione: iccirco merito huic m illum præpofuere.Vocativus
autem poftremolo co fuerat collocandus: veruın Sextus quum totus Latinus
fit,atquc ab ipfis, cæteris additus, omniu oculis vltimus fuit. Neque enim verum est,quod aiunt, bas: fueJer, Je, Sextum fuiffe Græcis:
non. n. flection for love tur: sed est, ficut apud nos,coelitus. Itaqueetiam
1.0il alios ficinvenias,segvavde, d'egvos.quare etiã pla res cafus fint.cęterum
adverbia locifunt,vt fuega 16. Quid quod illa addita terminatio non femper Lad
distinxit, nam etiam præpofitio addita eft, regvo adh fo me.ficut et $ quæ
particula omnibus additur Ljuni casibus, nequeipfosvariat: et omnibus numeris:
sec id quod ab Vrbảno diligentissime ex Homericis obleryationibus collectum
est. Deiis,qua vnico cafu constant, “ pluribus. an Aptota inveniantur.
Vemadmodum igitur interdum videmus volimo nomen quodpiam, verbumve voceconyes
puna nire:vt, face: neque tamen eadem est natura: ita quanquam quidam casus
eiusdem vocis, limitib. iisdem contineantur,nihil tamen impediet,quin mi
suiquæq; vox Casus naturam vsumq;fervet.Sunt qua enim quædam nomina per
omnesCasus variata, quæ iccirco Senaria dicta funt, vt Solus. Quædam jes per
quinquevt Pater:quæ,Quinaria, Quaterna cebut ria: vt, Puer.Ternaria:vt
Turris.Simplicia,quæ v india num tenoremsemper obtinent:vt,Frugi. Binaria mut
que autem: live Bipartita quidam fecere, adduntque Nije Siffres Sell mm exeo !
DICOD Q umtu பொய் - exemplum a Genu: propterea quod in Secundo, et 'Tertio, et Sexto
producat, in Recto, Quarto, Quinto corripiat vitiam fyllabam. Apud poe tastamen
eam semperproductam invenias: Nudagenu, nodog,finus collecta fluentes: eft
Gcnu, Quarti cafus, ficur et Sinus fluetes. Ne que necesse cítinveniri defectus
hosin omnibus numeris: vt quoniam fint,Singularia, et Terna ria, et deinceps,
etia Binaria statuatur. casu namq; non consulto hec evenere: quin etiam
siconsulto factum esset,adid non cogerentur, siçutin patu ra animalium, sunt
Bipedes, funt Quadrupedess Sexpedes,Octopedes, I ripedes autem non sunt. neque
in arte.nam culinarij Tripodes sunt: qna drupedes vt effent,non placuit. hoon
Antiquiigitur fic minutatim collegêre. Sena ríaModum habent vnicum, vt Solus.
Quinaria duos, Rectum eundem cum vocativo: vt, Mater. is primus modus est:
Alter, cum idem eft Tertius cum Sexto: vt, Marcus. Quaternaria fex primus,
Genitivum cum Dativo, etVocativum cum Abla tivo: vt, Aeneas, Secundus,
Nominativum cum Vocativo, Dativum cum Ablativo: vť,Aper. Ter fius,Genitivum cum
Vocativo, et Dativum cum Ablativo: vt, Iulius: Genitivum enim vnico I,
fcribebant. Quartus, Nominativum cum Vo. cativo, etGenitivứcum Dativo: vt,
Dies. Quin tus, Nominativum cum Genitivo, et Vocativo. Sextus,Nominativum cum
Accufativo, et Voca tivo:vt,neutra, Sidus, Scamnum. Ternariaquoq; sex fiut
modis: Primus, Nominativum cum Ge nitivo, et Vocativo: Datiyum cum Ablativo, vt
Turriso bi Hi 16 UK Turris, Secundus,in iis, quæ sunt sicut Portus. V biantiqui
Datiuum eodem sono quo ablatiuum proferebant. Tertius in iis, quæ funt ficut
Poe ta: nihil enim habent præterea, nisi Poetam, et Poeræ. Quartus in iis quæ
funtficut THISBE; in quibus idem est nominatiuus, Genitiuus, Da tiuus,
Vocatiuus. Ablatiuus. Quintus,in Græcis fæmininisin o, antiquorum more. Sappho,
Sap phonis, Sapphoni.Sextus, vtinneutris Secundæ, scamnym, Veterum di etta
examinat diligentius. As minuțias omittere aliquando in animo fuit:fed ne
quid desideretur,apposuimus:si mul vt veterum errores caftigaiemus. Primum, i
fingularcs tantu casus sunt profecuti: at cnimue ro plurales aliter fonant:
iccirco tota hæc via non folum inutilis, fed etia falla. Præterea capita quo 2.
que ipfa non omnia verasunts, inter quæ illa e mendes: nam Ternarioru fecudus
modus ideeft. cum primc:nam in Portu, et Turri, iidem sunt ca. fuum modi,fi
literas fpectes, Nominatiuus, Ge nitiuus, Vocatiuus, vnus: Datiuus, vt
prisci,Por tu, et Ablatiuus ynus. etTertius, accusatiuus. Ar enimuero differt
Genitiuus, Portus, a nomina suo fyllabæ finalis produ et ione. Itaque ad maio
rem numerųm referenda hæc erunt: ipfi enim Binaria agnoscebant, ex eiusdem
vocalis diucrfam quantitate. Quare Tertius quoque modus ' Ter nariorum
reiicietur in Quaterparia: nam Dea,a liter fonat, in Nominatiuo, aliter in
Ablatiuo, Quartus vero etiam ridiculus est. Quis enim di catin Thisbe: eundem
effe velGenitiuum, vel Datiuum cum Recto? quem ab eo diphthongus
longediuidit:vtståspicari libeat, iam Diomedis tempore defitas effe
diphthongorum pronun ciationes. Quintus quoquemodusexplodendus eft: Nam si
veteres fequimur, vt Sapphonis, et Sapphoni dicamus: etiam Sapphoncm, etiam
Sapphone, addernus, integrum.n.declinabant. sin cultioribus feculis
obfequamur,in aliam mox formam erunt redigenda. Hæcigitur omnes fibi habent
cafus,corum e nim vsusomnibus præsto eft: atcasuum formam desiderant: verum
inueniuntur nomina multis defecta cafibus: quædam etiam omnibus, præter vnum:
vt, Sponte is enim Sextus cafus quum fit, fui vfum cum aliorum nullo
communicat:quare hæc Græci recte Moveiew. dixere.alia vero qui bus duo tantum
relieti effent,Diptota:vt, luppi ter, rectum tantuin et vocatiuum habet,
reicctis antiquorum, Iuppitris, luppitrem.alia,Triptota: vt, louis,
louem.reiecoRecto antiquorum, co verfu, Quem fouisipse tremit. In quo
Apuleiussecu tus est vetus carmen, quod recitatur a Martiano, Mercurius
louis,Neptunus, Vulcanus, Apollo, Et Tetraptota, et Pentaptota, a numero quoque
dicas fi inuenias: vt pronomen Ego, caret enim Vocatiuo. Hexaptota autem etiam
Ilavta wide nominauimus, quoniam omnes cafus comple eterentur. Siigitur, vt
oftedimus, aliud est, esse Bipartita, Tripartita, Quadripartita: et aliud
Diptota, Tri ptota, Tetraptota: fatis constat veteres non re e inuexisse,
Aptotorum appellationem. Namim Qilol? Frugi, et nihili,non carent
calibus,vtdixere:fed Nihili,Monoptotum est, casus scilicet Geniti ui:vt sit
homonihili,sicuthomonullius precii: et Frugi omnium casuum est.omnibus.n.
cafib.iun gitur, licetvoce non varietur. Si.n.id tolleret ca luum naturam, non
posses dicere,Turrismagnx: quoniam Turrisin nominatiuo ius sibi certum
occupaffet, quo excluderet Genitiuum. Verum vt dicebamus, materia tantum, id
est voce fola conueniunt, forma autem distant: vt homo pi etus, et homoverus.
Illa vero etiam idsus est inuicta: Si nominis definitio eft, p casus variari:
ergo cafus eft,aut essetia nominis, aut ab effentia Auens: Omniigitur nominicompetet.
His aute capitibus vfi fumus appellationibus vulgaribus, Genitiui,Datiuiet
aliorum, nefi Primum et Se cundum, etTertium, vt polliciti fueramus,dixil,
femus, confusa esset oratio,in qua identidem ca dem nomina inculcanda erant,
Primus modus, Secundus modus. Singularum casuum ratio, qua pertinetad
terininationes, 21 CH. 100 acquiescit animus:reddenda enim cauffa eft
ipfiusterminationis: fiquidem casus Termina, tio est. ac pleraque sanead Græcos
referre, no-rang bis satis sit, a quibus pene vniuersa linguaflu. xit. Tres
igitur ordines declinationum potiffi. N iij. mum 19 ) 196 IvL. IIII,, mumsicuti
sumus. Nam ex primaet secunda v 2 nam conflatam videmus: ex eorum tertia,fecun
dam noftram: ex quinta illorum,tertiam, quarta tim. etquintam. Igitur tertium casum
vt illi per diph thongum spuriam fcribebant: fic nos per legiti quasimam
zonty,usor, poetæ, mufæ. Quartum casum Aeolice pronuciauiinus, montar, On6 «
v:Poetam, Sterom Thebam. Seundum autem quare non secuti su mus,fane miror. Nam
in v, monlou,vt Genu, efle potuit.Musas,autem in fecundo, ficut Aeoles, nõ
diximus, quia concurriffet cum plurali Quarto: atque illi distinxere fic, vt is
vltimam produce ret, Quartus autem corriperet. exemplasunt pe tenda ex Pindaro,
et Theocrito. Et fane veteres Latinos sic quoque locutos constat: quod etiam »
patet ex Vergilio in yndecimo, -Nihilipsa, nec auras, nec fonitus memor. Sic
enim legendum: non vtimperiti mutarunt, Auræ. Cum igitur ex duabus vnam
fecissent, quam ob caussampo tius vocalem secundæ, quam primæ retinuere?
propterea quod rectius et facilius ex a, huius Redi Poeta, facies Poetæ quam
Poetų. Plu plur. rales autem casus duo integri sunt, Reetus et
nh. Quartus, montaj, monta's. Tertiusautem abie cite diphthongo priorem vocalem
muintus,poe tis. Quumtamen Acoles valde amarent diph και thongtum illam “Φαιστ” pro “φαστ”, et Αισκληπιός, pro sal. Apoxanes, vt diximus. Secundus autem casus, ut evitaret consonantiam
cum quarto fsngulari, distortus fuit, folytoiv. poetam: non tūv,poetarum.
propterea quod accentu non potuereapud nos distingui: neq; enim vltimas accentu
afficimus. ItaqueD rta ul. um ITI fu elle no to ce re Top 20 76 Itaque secuti
funt alterum modum eorundem casuum, Tourtowy: sed effugere hiatum illum dum »
volunt, R,interposuere:maxime enim accedunt» vestigia huius elementi ad hiatum:
nam etiam qui ipfum non possunt plenepronunciare, idemio nant quod obscurus
hiatus. Secundæ autem de senere clinationis casus peneomnes Græci sunt: solusse
cundus effugit illam obscuritatem ipsius v, vt Ho meri potius,quam ocarp8
diceremus: fed ita pu-» to efferri solitum, ficuțin Optimus, vt aliquid er set,
quasi etiam in Optumo. Nam in veteri exem plari Terentiano,quodvidimus in
manibus præ-. ceptoris nostri Calii Rhodigini, fic fcriptu fuit, Apollodoru.
Quartum autem pluralem contra " go han euenit, vt pronunciarent: Cum enim
ex oʻurpos feciffent Homerus, contra ex Ourpes, fecere Ho meros: sicenim
proferebant,vt diximus, Acoles » Ouvipusi. Secundi autem cafusratio eadem quæ
vete. in prima, et altera longe maior.nam cum diceret, o umpov,nos Homerum, et
olemow in secudo, no bis non licuit feruare.eadem non fuiffet vox, ita que
caudam illam addidere, Homerorum,fane infuauem, quam etiam caudata litera
explerent, R, scilicet.acper ipitia quidem, vt Græciloque bantur,fic Nos locutosputo:vt
censeã,et Meûm,» et Deum, et Liberûm,dixisse:pro Meorum,Deo
rum,Liberorum:adeo,vt contra omncs sentiam, non per Syncopen sic enunciari, sed
integras fuis, se voces. Tertia maxime, vt diximus, a Quinta Taka pendet,fed
exilem literam maluimus nos: marcos, patris:sicut etiam in Quarto patrem, ex
mate,et: addito illo mugitu ex priscis,vt opinor,opicis: fic N V CH 0 re 10 IL
så 00 ob JIO VI 11 7) JO enim LIC 198 IvL. IIII. pher, enim Græca fuauitas fuit
contaminata. Pluralis cautem fecundus non coactus fuit exirein cauda
illam,nequeenimcum quarto fingulari conue he's thonjniebat.Sed ea infelicitas
contigit Tertio plurali, vt Patribus, barbaro fane exitu dicerent. nam •
Patris,non potuere: crat enim iam occupatus so spus a secundofingulari. Quarta
autem decli natio sub hac fuit per initia ipfius linguæ. Sice nim dicebant,
Anus, anuis,anui: poftea etiam breuioribus vocibus, Anus, anus, anu: fed mista
fuit cum Secunda,Anum enim dicunt. Sic etiam in plurali cum Tertia conuenit,
Anuum,anubus. qawlaAtquinta longe diuersa fuit: nam terminatio quoqueipsius
Kecti, fua ipfius priscæ Italiæ fuite Dies,Fames,Spes. Secundo cafu
pluralisecundæ declinationis terminationem est secuta. Tertio autem cafu
Tertiæ,: Diebus, vt Patribus: fica ut etiam Secundo fingulari,Secundam: Domi
ni, Diei: quam tamen bis mutarunt: nam et Dies, et Die, in codem cafu dixiffe,
' autor est do et iffimus vir Gellius: vt vel hinc pateat, ar " bitrio
loquentium et nasci namina, et inter rire. De specie. yu Pecere vetus verbum
fuit. In compofitis auc culari: vox sane ipfa militaris. Cum politis insidiis
aut e specubus contemplarentur agrestes olim Latini prælia inituri:aut fupra
Specus ipsas, edi. to faxo stantes obferuarent, quid rerum agerent
pro. sh ec TILS tiae 1ats fur procul hoftes. Specusautem
Græcum.est.cmee.com IndeSpecies,prore visa, sicut facies,prorefacta Ipla igitur
imago rei quæ in fpccendi instrumen tum reciperetur, Species diđa. Ergo fi
reserit primi status, eius imago species primaria dieta perana est: vt, nomen
Ilus, Regem Troianum repræ fentabat, quiprimus ita diet us eft:iccirco Primi,
tiuam fpeciem appellarunt. Quæ vero flueret a priore, Deriuatiuam, quoniam
nomen alterum Itv. a priore per eius vim deriuaretur: vt ab llus, Iu lus. Quod
fi figura est decomposita, quæ a com pofita deducitur: erit fane vltra speciem
Deri uatiuam alia fpecies, cui nomen non posuere, propterea quod ad eam animum
non aduerte tant a lulus, Iulius: et item alia, Iulianus: et a lia porro,
lulianius: Verum de figura illa,mox. Hîc autem consultius dicamus, multos esse
mo-onlama's dos, ordinesque in deriuatis, vt quædam primo fint: quædam
deinceps. Duobus autem modis Primum dicitur: aut quod ante alia omnia sui
ordiniseft: aut ante quod nihil, licet poftipfum, nihil. ita etiam primaria,
feu primitiua:aliqua enim sunta quibus nihil dedu ettum sit. Quod fi hæc duo
inter fe comparentur,præstantiore ra tione dicatur Primum, ante quod nihil est,
quam quod alia præcedit: prior enim ratio eft absoluta, et longe validior. Deus
enim ante quam quicquam crearet, erat Primum, priore ratione. Nomen tamen tam
Græcum, quam Latinum pofteriorem rationem indicat: et faci lius Græcum wpūTOV (est
enim opo, tov ) etiam » in duobus poteft efle.vnde et m potepov,76e ÊTepov, fue
DIE art, d Lor cher pri 200 Iul. IIII, 1 siçenim orta sunt comparatiua, ab
enepov.Latinu autem morosius,superlatiuum enim est:nam Pri, vetus vox fuit,
ficut N I, poftea latiore vocali fu · fæ sunt, Ne, Præ: vnde aduerbium, pridem:
comparatiuum, Prius:superlatiuum, Primum; nam ab aduerbio Pridem; Primum qui ducunt,
çrrant. De Figura. coxupaab Sole cea dixere,linas ducere.Pi et ura primum et
vmbra orta est, vnde μονογραμμα Tos: poftea addiderelucem et vmbram: a potiori
Latinis visum est denominare.vt a peygos, dice rent Fingere, et detracta
aspiratione, Pingere, Eftigitur Fingere, exprimerç imitatione veram rem:iccirco
dietta Figura in signis, ettabulis:atq; hinc porro in grammaticis, Figuræ
physicissunt, quæ extrema quantitatis ciusdem subiiciunt ali ter, atque aliter
oculis, quatenusextrema sunt. " Reinaturalis diuinadefinitio.Principio in
plura li definiuimus vt facilius intelligeretur. Et dixi mus, Quatenus extremasunt:quia colores aliter atque aliter etiam
obiiciunt quantitatcm oculis. Et quanquam etiam tactu comprehenditur figu ra:
tamen primarium obic et um oculorum eft. In Amilo re literariamodusidem; Nam
ficuti coniunctio ne certarum partium corporacoalescunt, ita no tarum
notiopumveconiun ettione voces compo nuntur, ita, vt alterius modi fiat alia
vox, ex Ma gno, et Animo,Magnanimus. quareMagnum, Simplicis figuræ dixerunt,
item Animum:at vti ū que quest. LI a C queiunctum, Compositæ. Dubitatur: fi
nomen, elt notarei, an nomen compositum fit nota rei compofitæ.Duplex est
compositio: vna vera, al- 2 tera nonvera: et prior huiuspofterioris regula est.
Connectuntur enim interdum res duæ, vt Ani mus; et Magnitudo: ergo nomen
compositum, coniuncta illa tanquam vnum significabit. Alter modus eftin iis,quæ
sunt, ficut Indoctus: signifi cat enim compositionem, pofitioniset privatio
nis, quæ in re non funt:intelle et us autem eas non potest apprehendere, nisi
aliquo cöponat modo. Non re et te addi Decompofitam. HÆC Æc sic veteres: quæ a
nobissunt perspicaci us contemplanda. Igitur et si crescit quanti- m.la tas, non
tamen neceffe eft,vt mPombaurfigura. ve luti cum additur quadrato Norma, quam
Græci,, Jiwuova vocant:augetur quatitas: figura no muta tur. Interdum
vero mutatur,vt fi eidem quadra to apponatur Triangulum. Eodem modo ali quando
crescit vox eadem, ncquemutaturfigu ra: vt magnanimus, eadem facie est,qua “magnus
animus”, licet maiore.Siautem addatur Animitas, fit diversitas a diverso: neque
enim semper compositio figura mutatur. Quod etiam in re bus liquidis, et in
prima Elementorum mistione conftat. Quare hocquodappellarunt veteres Fi guram,
mihi potius vocandavideturSpecies,id eft facies quædam: quanquam enim vsu,
Animi tas, non dicatur:at Analogia hoc non respuit,sic at Pietas, Felicitas, et
alia. Quare duæ tantum TO le. 1 brunt quantitates:Simplex, et
Coposita. Decom ter positavero,quæ aGræcisdiet a eftagerw'JETO, s non video,
quare tertium faciat membrum. Ne que cnim Magnanimirasa Magnanimo deduci
tur:ficut neque ab Impio Impietas, fed ex in, et Pietas, factum est. Quædam
enim simplicia non inveniuntur,queinveniuntur compofita.Exem (ploest
Epitogium:nonenim Togium dicitur. I gitur non erit compositum, cum partium
altera nusquam extet separata. Item alia multa eiufdem modi sunt:Mustela.
Confpicor: quaru partesde fiderantur.Sed facita effe,vt voluere: fpecies erit quædam
potius derivata a Magnanimo,non aute Figura diversa, si spectes compositionem:
nihil enim priori voci additum aut demptu eft. Qua re decompositum esset
aliter: cum priori compo fitioni, aliqua vox apponeretur porro: vt, Incūra.
viceruix. Redit adfuperiora, ob Figura vsum. Va ratione componeretur dictiones,
inter earum affectus commemoratum est: is ve: ro attcet us totus nomini
competit, quanquam non soli.Evenit duobusintegris: vt, lufiuradum.
Duobuscorruptis:vt, Benevolus. Integro, etcor rupto: vt,Extorris. Corrupto, et
integro:vt,effe rus. Componuntur autem nomina et inter se; vt diximus, et cum
aliis. cum Verbis, Luciferi cum Participiis, Omnipotens: cum Pronomini bus,
Eiufmodi: cum Adverbiis, Benevolus: cum Præpositionibus, Imprudens: cum
Coniunctio mod Q nibus, 203 Out 16 4 010 ent Lidl den ca Ar ! UB ibi hibus,
Vterque: cumInterie et ionibus, VæIovis. Partium autem numerusin compofitis,a
duobus ad plures, Semiuir, Imperterritus, Cuiuscunquc modi: etilla faceta vox,
nulli Græcarum cedens, Incuruiceruicum pecus: vnica enim diet io est, non duæ,
vt putarunt, et illa vetus, Solitaurilia:no vt funt interpretati male
veritatem, Sue, Oue, Tauro:neque enim in voce hac, Soli, est Ouis: sed, sic
fuit per initia,Sue Soloce, Tauro: fic enim per. cudem lana tectam
prisciappellarunt, quam ad facrificium egregiam habebant, ideftegrege fe
gregatam: integram, non tonsam: vnde et no men, quoniam cum tota lana esset.
Solon enim Osci dicebant totum, vt Græci onov. Igiturnon ” in fimplices solum,
sed in compofitas quoquepar tes resolventur: sicuti diet iones non in literasta
tum, fed etin fyllabas: etnaturalia corpora non in materiam modo et formam, fed
etiam in Eles menta. Quoniam autem tam Rectiquảm Obli qui inter fe promiscuo
componuntur,Reet us fle Hyis Etetur, Obliquinon flectentur. Quare falso ex
cepere, Alteruter, quoniam in secundocafu faci at, Alterutrius.Nam tametfiin
Quinquagintali, bris,itemque apud alios legitur, vtin libris Origi numdi tum
eft:at M.Tullium, et in Protagora et in Epistolis, ipsumque Catonem in oratione
de Ambitu, alteriusutrius fcripfiffe conftat. Itaque » cum dicimus,
Alterutrius: vox illa Alter, hocloco no eft Reetus, sed Genitiv casus, et prisco
modo amputata vocali cum sibilo, Sarti'tcatis,teetti'frau, ais.Ergo nö debuit
excipiab calege,qua dicebat. Rectum semper flecti. Illud quoque errarunt: fic
eilim aiunt,Obliquũ hoc Alterutrius,livefæmi ninº fit;sivea neutro Recto,
neceffario exclusifle syllabas poftremas prioris vocisAlterius, quonia iain
idem fecerant in Kecto. fic alterutra, et Al terutrum,non Alterautra, et
Alterumutrum. At cnimvero hoc ridiculum eft:Nam pin Rectis fa actasit
collisio,paffa est vocalis,et confonansm, id quod patitur altera
vocalisubeunte: At diffimilis ratio in Obliquis, quod etiam fua ipsorum ratio
ne debilitarunt.Nam in rectis ob hiatum evitan dum,elisam aiunt vocalem, ergo
in obliquis cum nullus fit hiatus, nulla esse debuit elifio. Neq;.n. quia
elides fic, Patrem eius, vt dicas in carmine, Patr'eius: iccirco pro Patris
eius, codem modo au deas, Patr' eius. Quid quodhæ vocesduplici vsu a receptæ
funt:nam Alter fuit, et fuit alterus:amos SiteGu.Itaquein fæmnininis etiam
duravit,Astera, alteræ vt diceretur aliquando apud priscos: quare foni
commoditati fervientes, molliffimam quan queflexionem sunt secuti, vt
Alteruter,potius di cerent,quam Alterusuter: et Alterutrius,ab eog effet
Alteriutrius. Elisionis autem exemplum ha beas ex Amphitruone Plauti, Culeftquidonum
dedit: pro,qualis est. An alia fint nominum accidentia,fi-. ve affectiones. Æc
funtab antiquis Accidentia numerata. 4 alle lame cosynum omififfe: Nam cum
deciinatio fitaffe ako et us genericus quatuorpartium:imo vcro differentia
essentialis, habuit etiam aliam fignificatio nem.priore namquemodo
communisefttano mini,quam Verbo: eft enim mutatio quæda terminationu. At in verbo,et in nomine aliud qd dam estvtriquesuum et peculiare. Quorum
alte rum,quod cilet Verbi, vocarunt Cõiugationem: quod effet
Nominis,Declinationem. Eftautem declinatio non illalola inflexio comunis,
fedcer ta etpropria:vt aliter dicatur Poeta,aliter Dies de clinari.Ergo
affectus nominum quidam eft, ficut et fpecies.Quare cum Verbo attribuerintconiu
gationem, et recte: Nominideclinationem cum non assignarunt, inconsulto fecere:
cum frustra timerent, ne quod effet genericum, Nomini ad fcriberent. Wominium
species venatur ex elementis philosophia. STatim poft definitionem Nominis,eius
affe-.'n'o etus posuimusmerito, antequam species enu meraremus: sicut
animalisaffectus sunt, moveri voluntarie etsentire, priores ipsis fpeciebus,Ho
mine, Ostrea,Leone: in quib. poftea per differen tias disponuntur.Atveteres
more fuo in hoc quo que nobis negotium exhibuere, cum Species rio minum prius,
quâipforum affectiones tractant. Nosigitur his castigatis, eas deinceps,
carumque origines atque cauflas contemplemur. Reru nu- latha merum pene
immenfum totidem vocibuscum non. affequi nequiverit humana mens",
neceffario comparavit, vt non folum quæ eiufdem fub ftantiæ participes
eflentres, codem quoque no Oj mine significarentur, vt Equus etHomoanima. lis
nomine, cuius natura cõltarentcommuni: fed etiam quæreipsa diversa
effent,veluti,Canis co Aparmi lestesidus, et Canisanimal. Quarum sane rerum Msubstantiæ
apud Averroem, vtaiuntphilofophi, etiam plus quam generedifferunt.Nos autequid
sentiamus,aliis libris di etum est, inevu uc Græci vocant: noftris
recentioribus aptissimo vocabu lo Æquivoca libuit appellare: qualivocis bære
ditate æqualirem inæqualem repræsentarent. Si nomina quis Vnonima velit dicere,
nihil vetat: sed Græ fort ca appellatio magis sapit, juãsenim simul significat,
non autem. Nam
profecto vtin re non sunt eadem,ita nominissignificato alio, atq; alio funt.
Itaque fic vere poflis dicere, Canisnon eft Canis: id est, res Cæleftis, non
cftres Terrestris: at nomen et materiam habet,ipfas literas, C, A, N, 1,5:
etformam,id eftsignificatum,ergoCanis cæ lestis materiam eandem habet
Elementorum,a Canis terrestris, formam autem, id est significa tum, non
habet:ergo non eft idem nomen: a for maenim est, quod eft:iccircoGræcicuws: at
La tininon ita recte, cum æquitatem illam interse. ruere. Itaque commodius
fortasse nos Vnonima, vt vna, fit adverbium, simul.Hæcautem non vno Bruggh.modo
orta funt:fed quædam temere,atq;vtfors tulit: qualia funt Alexander, et
Achilles, tam in Regibus, quam in Nautis nequam. Alia autem consulto: vt cum
cuiuspiam similitudo ad impo. nendum idem nomen alteri fimili traxit: ea fimi
litudo fuit aut Substantiæ: veluti cum dicimus, Xiphian piscem, et herba ab
inftrumento bellico. AutZA 1. Mannana Dimmane. JI 10 Aut Quantitatis:vt eft
inproverbio,Motes et ma tia polliceri: et apud Callimachum os a'd code tor Geld
in hymno Apollinis: et Mare Solomo nis.Aut Qualitatis:vtcuinmetallo et præviæ
diei parti, fulgoris nomen inditum eft Gręca voce xi çov: prisca enim est, quod
teftatur aweso, fcilicet sequens mane: quod et Germani imitati sunt, et
Hispani, et Itali. Item ab aliis prædicamcntis: vt Mörgen. cum arboresmasculas
aut foeminas, et Thura ma scula, etvites masculas, et nigra toxica,ab actione,
et relatione: et Regem, divitem quempiã, aga To Ezdv: Delphos, orbis vmbilicum.
Hæc omnia nomina fibi aliqua imitatione fünt consecuta. Acreliquis quidem
generibus evenire fatentur. Subftantiam autem hoc vt admitteret, dubita - font:
runt. Cum enim non intendatur, non remitta - quare tur,non videbatur dari
gradusad similitudinem in ipfa. Verum facile id intelligimus, eandefub ftantiam
non intendi: fed genus communemul tis, arctariin species multas.quare non
poteftfie ri, vtæquales fintillæ,æqualitasenim in substan tia,eft identitas.
Quod et in octavo Historiarum dixit divinitus Aristoteles, Species sub eodem ge
nere coniun et ione quidem generis illius vnum effe: differentiarum autem
fucceflione, harere. Effeenim tum in materia, tum in forma, turn in compositis
certas aut affe ettiones, aut differenti as inter fe vicinas, et inæquales. In
materia, vtof sain Homine, in Leone, differreper medullam: in Delphinopaululum
abeffe: in cæteris piscibus prb offespină:in Sepia esse,aliud:in infettis aliud
quod nomine careat. Sic et in formis, Rationem, o ij. Ni 70 11 5, 7 in 208
Iul. IV. in anima Hominis: Instinctum naturalem in For micæ anima. Sicin
compolitis:Artemin Homi ne: in Ape quomodo dicas vim illam favificandi: in
Pfittaco mirificum nidum texendi? itaq; fpe cies suntæquales in genere: inter
feautem com paratæ, inæquales:ab ipsarum differentiarum in æqualitate. Adeo
enim sunt inæquales, vt altera 2 vnum genusinterdum conftituat subalternu, al
terain multa distribuaturgenera.exempligratia: Korpus dividitur per
differentias, Mortale, et Immortale:hoc ccelum tantum conftituit: Mortali autem
cætera omnia comprehenduntur. Sic intelligas Voivocum,quodidem genusdifpertit,:
reque omnibus:vt Animal. Analogum,quod non zque,fed
ordinequodam:ytsapere.Æquivocum, Juodnomen folum communicat: yt,prataride
Mareiralci.Haec postrema diximus,quomodo appellarentur. Analogaautem a Latinis
Propor tionalia: ficut civium iusnonidem omnibus, fed suutn cuique attributum,
Senatori, Equiti, Plebi. Quod C.Cæfar dicit,pro rata:nos,Pro portione:
Vecuiufqueres fert:id eft, rata pars,live portio. Ditiores enim plus
obibantmuneris. vnde apud Athenienses, owridons. Vnivoca autem a Græcis 2x
qwvus,prudentiffime: cum nomine enim rem communicabant: non enim Toow,
coniungit ea fub nomine: fed nomen etnominis rationem. La tine
Cognominarectiffime dicas. Cum autem res non omnes codem modo Ant:sed aliæ per
fe, vt Substantiæ: aliæ in aliis, vtAccidentia: atque Accw9. hæcdupliciter,vt
hocfunt,quod funt: et quomo udo funt, quod funt:Dam Albedo etiam fine nive pex
ilaw alie aliquid est: intelligimus esse, q est: et Albedincm appellauimus,
percepimufqueeffe vnivocã, quia eadein genere esserin niue,et in la ette.
Aliquan do intelligimus ipfam esse, quomodo eft:licet e nim aliud fita niue:
tamen non poteft effe sine aut niue, autalio corpore. Is igitur cft modus, per
quem est, id quod eft:quoniam inhærentia, est essentia accidentis. hoc quoque
opus habuit frane. nominealiquo:iccirco ab albedine, Album de ductum cftnam: id
quod est, pofterius est,quam id quo est.igitur etiam nomen hocabillo ductu. νηde ortafunt “το έπαθώνυμα, quαολαέπρoν” deri uarentur, fula terminatione a priore differentia: Latini denominatiua
commode vocitarunt. Co traria autem aequivocis quædam sunt: nam vtil- forong
the Ja vnam voccm multa habent: ita multas voces in his,vnum:Ensis, Spatha,
Gladius. Græci hæc πολυώνυμα:quidam Enoftris συνώνυμα Falfo. for- ), tasscautem explicatius eífent locuti Græci,si uo vwvelda
appellaffent, quæ solo nominc cxtarent indicantia res diuerfas. Igitur
colligamus sic: Comunes res,quæ aut sua natura per se funt, vt Homo: aut licet
fintin aliis, fi intelligatur fine eo inquo funt.vt Albedo, Vniuocis
nominib.sunt indicatæ. Sin quomodo in aliis infunt,accipiantur, Denominatiuis:
vt al bu. zenuw'www.ce autcm cadē suntquę Vniuoca.Res aurefingulares quaru
natura ab aliis dissita est,k lownonen porn codēdomine,quo illæ
appellentur:nomen iilude erit Aequiuocu:vt Cæfar:neque enim quicquam mei in
altero qui dicatur Cæfarcrit: neque sola fubftantiæ, sed etiam accidentia, quæ
in ipsisin di i faham Paper hrin more Adiuiduis sunt vt hic rubor, hæc
cicatrix, Aequiuo marie ca est propria Cçsaris vnius: ficut et substantia ia
qua cít.Quare tamnomen hoc Casar, quam hoc Cæfaris cicatrix, plurali çarebit:
fed cius pluralis numerus crit vagus:velut quum dicis, Homines: at,Hic
homo:caret numero plurali: o'rqua enim facta sunt, apud Græcos:apud nos, Indiuidua,
shape?Itaq.in Declinationibus, qpræponitur prono incn nominibus, Hic homo, Hæc
cicatrix, non elt nota indicans etpræscribens indiuiduum, sed fexum tantum. Nam
quo modohæc cicatrix indi cata, poteft fieri cicatrices? Quinimene in eode
quidemCæfare si plures sint,pefisiccirco ficcte read numerum pluralem. Etiam
fac vt cætera pa ria sint, Tepus, Qualitas,Magnitudo:at loco dif ferent.
Comunia autcm,Gue Vniuerfalia loco na præfcribuntur. Hęc omnia tam Vaiņoca,
quam Aequiuoca veteres Subftãtiua,fane ambigue, vɔ
cauere.Substantiæ,n,appellatione abufi lunt, pro Effentia:ficuti
Græcinomincxalasin prædica mento.Nanq.s'oia etiam conuenitreb.estrapię
dicamenta,vtDeo. At Substatia neq; extra præ dicamenta, nequein omnibus: sed in
iis tantur, quæ fubftant accidentibus.quarc nomen hoc Al bedo, non erit
Substantiuum, quia substantiam nõ fignificat.iccirco alii Fixum diceremaluerüt,
propterea quod rem indicaret,quęnon mucare taralio atq; alio fubie etto. Sed
anceps ea quoque vox fuit:nam Fixum viderctur effeindeclinabile,
opponitur,n.Mobili.Itaquenoslongeconsultius Effentialenome
appellauimus:quippequodtam fubftantiæ, quam accidệtishocipfum quodsung? Gigne
ZII S Onnk: 2. T significaret, Denominatiua autem eadem quæ Adie et iua:
quęctiam Accidentalia dicere posses, nisi nomina differentiarum impedirent: nam
a “Ratione”, Rationale duces: hoc est Denominati uum,sed non eft
Accidentale.Anvero fit Effen - Gubis tiale? Iccirco intelligendum
eft,:0106,fiue essentia triplicem esse: Materiam, et Formam, et Coposi
tum.Forma igitur dicitur Effentia quia dateffen tiam:Materia, quia dantem
gerit: fed, pprie dich esttotum ipsum: a qua g Substantiuum vocabat,«
nominauimus Effentiale. Denominatiua intel lexere variari, ac poterça Mobilia
vocitarunt:vt conueniat idem nomen viro et mulieri, fi litva riatum: Albus,
Alba. Hacdecauffa in oratione antes semper Denominatiuum pofterius effe
debuitEs fentiali: vir fortis, equus celer: verum vsus obti nuit
elegantięcauffa, vt aliter quam vulgus loqui tur,loqueremur. Neque vero penitus
temerefa etum eft:namq;vt equus potefteffe celer,ita celes ritas effe poteft et
in equo,et in non cquo: quare olubibit,moderabitur.Quod fi eft Denominati uum
pprium,vt Sentiens, est,pprium animalis: nihil refert vtrum præponatur:
paria.n. sunt: fed natura ipfaEffentiale priuscft.ridiculecnim pro conheça
feffi sunt, Fixum sequi Mobilis natura,1,præce dat Mobile.idcm enim
est,Animusperuerfus: et Peruersus animus. Scd ita intelligebant differre,
fidicamus,Corrupta mente etcorpore,et,Mente etcorpore corrupto. Verum hoc non
eft Fixum sequi Mobilisnaturam:ncq;.n. mutatur: sed ex duobus fixis diuerfis
genere, et numero, alterum apponiipli adie ettiuo, quod ei fimile tit. Verum fidis
1. ridicule negatur possediciæque
Corruptamen tes: et, Mēte corrupta.Neque verum est Substan tjua obsequiAdie
ettiuis: sed contra, Adiectiuum prospicere ad vtrunquc Substantiuum,aut ad id,
quod propius eft: et ipfi contra hanc male expli catam fententiam etiam ex
Ciceronis Philippica, dicendi moduin obferuare. An vero Adicctiuum etSubftantiaum
sit affectus, aut species folius no minis,in fexto libro declaratum eft. subThe
cio elt.Fixum autem aliud Proprium,quod vnius Nominis igiturvelFixi, vel
Mobilis hæcra tantum est: aliud Commune fecere: atque hoc Appellatiuum quare
vocarint, fane nefcio. Ve rum neque diuifio bona eft,neq; nominis impo sitio.
Nanq; etiam Mobilia, fiueadieet iua,partim funt communia, vt candor:partim
propria,vt hic candor quiin Cæsare est. Itaque diuisio nominis qin Fixum
etMobile,eft ficutdiuisio rei,in effe, et, in modum quo eft:Diuisio autem in
Commune, et Proprium, nõ estFixorum tantum: fed gencri ca nominis:sicut diuisio
rei in vniuerfalem, et in diuiduatam. Appellatiuum autem quare dixcre? an quia
lub fe vocat multa? at etiam Adiectiuiid interest: nihil enim diffcrt Concretum
ab Abstra eto, nisi modo significationis, non significatio ne: at etiam propria
rjominasuam rem appellant. Hoc autem ipsum quod sunt aut Propria,aut hogy 2.0,
Comunij,aut Fixa, autMobilia,recētioresQua litatem nominis vocarunt:eaque inter
accidentia cum fpecie, et genere cnumerarut. Item Compa rationem, atque alia
eiusmodı,magno errore.Na Homo et Cæfar, no differüt qualitate: neq; albū ab
homine qualitate differt, sed effentia: neque enim qualitatis qualitas est.
Comparatio autem atque alia eiufmodi non sunt nominis qualitates genericæ. omnib.
enim nominibus conuenirent, At propria non recipiunt Comparationem: ne que
substantialia: fed Denominatiuorum affe ctio est. Sicut Patronymicum, non est Nominis qualitas, vt nomen est:sed vt Nomen
proprium. Illud quoque contemplandum eft, Nomen hoc, Sol, et Luna, et alia
eiufmodi, Communesit, 22. an proprium. Nam fpecies prior est indiuiduo: sa
igitur lì vnum indiuiduum explet totiusambitu fpeciei, id quod facit Sol, erit
nomen speciei, no indiuidui. Nomen enim priori inditur. Hoc fic fenfere veteres
falso: nam qui nomen impofuit ferhat's rebus, indiuidua nota prius habuit,quam
species, you may f Romanus enim qui vnicum Elephatum primus motene, vidit, ei
nomen indidit, Lucam bouem: nihildu4 mp4, с. metitus animo vniuerfalem naturam illam. Sic page bratom't etiam Soli,
quod folus efset: et eiusconsortiope ging en geri ris, Lucinæ, quam poftea
concisa voce Lunam Freien, dixiinus. Eftigitur nomen hocindiuidui indiui-
m poyi tu? duo impofitum per se,speciei autem per accides. Itaque quum dicas ex
Democrito, Mundos, et Soles, et Lunas,fietquasiquum appellabis, et me, et
Dictatorem, Cæfares,aut si fpeciei tunc voles, vt fiat: erit. indiuiduis autem
alia tibierunt quæ renda nomina. Quid quoque loco statuendum, deg propriorum
natura, atque affeetibus. O v. b. Væ res vt diximus, hoc habeant vt sint
aliquid prius, quam sint alicuius: ea nomi na quæ eas res fic significant,
primo quoquelo co tractanda erunt. Quoniam autem Singularia sunt notissima:
propria item nomina quibus fignificantur, notiffimo, hoc eftprimo loco, ex
plicanda funt:vt Cæsar, Bucephalus, Athesis, Ro ina quæ nomina bina trinave
sunt yni homini conftituta,an propria fintap. pellanda? Hocsicagamus. Voces,
quibus Romana capita recensebantur, fuere hę: Prenomen, No Bomen, Cognomen, Agnomen.
Horum autem natura, atque origo fic fuit: raptis per initia Sabina rum
virginibus, atque ea de caufa conflato bello, ipso in confli et u earum
interuentu vterque po pulus conciliatus, nõ solum animos mutuo bene uolentes
conciliauit, fed etiam nomina commu nicauit. Sicaiunt: puts queira fuiffe in
aliquibus: Boston Ternam in omnib. noncoitat: quippe ipfi Hersilia youm nomen
et fuit, et maplit folum: item Ro mulo et Tatio:Numę Pompilio Sabino, et Me tio
Curtio itē bina: Hoflio Hoftilio Romano to Nom tidem: Itaq; hoc fentio,a
virtutecuiuspiam nome primum mutuatos, vt ab Iulio, Iulii, dicerentur, quoru
Iulus autorgenerisfuiffet:iccirco, Nome appellatum vnde Nobiles, id eft noti
essent. Inde vt dignofceretur,additum aliquid notę ab euetu: ftatima; Cognoinen
orcum fuisse: vt Pompilii, a ceremoniis,Nume:Hoftiliiab reb.geftis, Hostio:
Curtii,a celeritate,Metio: Herdonii, a ftrenuitą te, Turno: l'roculi,ab cuentu
natalium,lulio.Po ftca Atea nobiliores quum liberos procreassent, et ne- Hammas
que Nomen possent, neque Cognomen auferre vellent, aliamnotam
excogitarunt:quamquonia infantibus imponerent, quos sola ca appellarent,
præposuere; atque iccirco dixereNomen. Hac inde fatis constat,quod quę primo
loco cssento lim Nomina, poftea secundo fuere:vt lulius Pro culus:Iulius prius
fuit:at C.Iulius posterius. Quæ Prænomina ab euentis quoque orta funt, aut na
talium, aut alterius fortunx: a fortitudinc,Mar cus:ab antiquitate, Caius,
raios, a terra fcilicet, quasi suzby boves effet: ab honore et dignitate, Ti
tus:abGenerositate,Cneus: a generisdefrauda tione, Spurius: a numero liberorum,
Quintus, Decimus: a decore, Decius; a cultu populi, Pu-. blius: a rempore
natalium, Lucius: et item alia, Qux sors etiam aliis obtigit nominibus. Nam
Marius, a Manc dictum fuit. et habuit præ nomen, Quintus, Aucta autem
Republica, numeroque ciuium illustrium, factum eft, vt aliorum nominum nguæ
cauliz cxtiterint. quæ nomina, quod accederent ad priora, cumquç eis vni
attribuerentur, Cognominadietta funt. Horum origo fuit, a corporis habitu,
Labco, Crassus,Longus, Varus,Valgius,Sedigitus, Buc culeius, Plautus, Plancus,
Varius, Pansa, Ruf fus: ab cuentis aliis, Posthumus, Praculus, Ge minus: a
rebusgestis, Aphricanus, Nero,Celer: ab a ettis, Salinator, Venox, Seranus, et
alia eius modi. Quæ posteri a maioribus suis honoris cauila accepta quum
retinerent, aliqui etiam auxeres ogh. Aon auxere,additisaliis insignibus,vt
Publius, a po pularitate:Cornelius, a viro forti, qui eam fami liam primus
illuftrauit: Scipio, ab opera,quam pa ' tri præstitit seniori: addidit his vir
summusab Aphrica domita, titulum Aphricani: hoc quonia tandem
accessisset,Agnomen merito appellaue re. ficut Agnatos dicimus, qui
familiamaugent accessione fua: et Agnata membra, apud Pliniu, quorum additamento
corpus auctius fa et um eft. Vor Quidam recentiorum affentiti sunt negantibus
vocem hanc Agnomen, probam esse, sed grani maticorum superstitione commêtitiam:
verum a M.Tullio in fecundo rhetoricorum pofita eft. Hæ sunt romanorum caussæ
nominum atque Rahi effentiæ, quæ fic definientur: Nomen familie ! nota: præ-nomen,
proprium cuiusque: cognome, quod euētu accessit. Agnomen, quod eventus accessionem
notat. Ordo patet ex ipfarum vocum mapevi: Materia autem nominum fic pote eft,
vt quu fcribuntur, cætera omnia omnibus fuis elemen tis explicentur: Prænomina
non omnibus: fed aut singulis: vt, C. aut binis: vt, Cn.aut trinis:ve Sex, p:o
Sextus. Ex his patet, non re ette aliquos prodidisse, Nomen effe vniusillius
cuius eft: re tius ab aliis Gentilitium, et ab illis ipfis nomen 06:
Familiarum. Græci
Prænomine carent: fed po fito nomine vnico apponutpatris nomen: Aae Gudpus o
Dininu. Hoc idem etiam Arabes fa ciunt: fed ctiam autoris nomen
subticent, et patris tantum ponut: A uen,rois. Auen,pace. Auen, zoar. Græce
vcro etiam cognomine vhi funt, fed rariore,vt Ευ πάτως, φιλαδελφος, κεραυνός, Χαλκίνη foi. gos. vtmulti putentDejanov et A'zapeuvova, et A " degsor, et
aliamultafuisse cognomenta a militib. excogitata: ille quod filij cadaver
redemerit: al ter,quiadiu ad Troia sederit:hic, quia re infecta ' ab
obfidionereversus sit,vt dicantur. Quin etiam diis iplis a potestatibus
quibusdam sunt attribu ta:vt, 'πόλων, Παιαν, vtraqueappellatio et Φοίβου. crogiya evNeptuni: [lzatais,o textuvidosagde gode φέντης, Ερμού. Ηoc έτσώνυμον Greci, Agnomen βασα και να autem Depurvuon appellarunt. Videamus nunc scans affectiones.Proprium
estPrænominisin virisiis, Affet hel quisibicognonien
illuftrecompararunt,aliquan do fubticeri:vt,Cæsar Diet ator:intelligis enim c.
E contrario positum,necelario interdum alioru appositione
declaratur:vt,c.apponesCęsar:item addes,Dictator: aut, Dictatorispater:
Proprium item etid, certis familiis certa ascita effe Prænomi na:vt,L.et c.
Cæfarum:P.L.et c N. Scipionum: L. et M.Crasforum. Legimusetiam quædam quibuf
dam interdicta: veluti m.Prænomine cautum fu it s.c.ne quis,Manliorū
appellaretur,ob M. Man lij Capitolini mala merita in Rempub. quaquam Senatus
Consultum illud poftea abolitum elt ve tuftate.Illud quoque patiuntur nomina et
cogno mina, vt fedem inter fe mutentin narrationibus: invenias enim et Cæsonem
Fabium, et Fabium Cæsonē. Etiam in Pacuuij Epitaphio Prænomen poftpofitum est.
Hicfunt Pacuuij Marcisita offa. Vțiam definant altercari paucæ leettionis gram
matici super verba Quintiliani, Viet ori Marcelles Iut. IV. le: an, Marcelle
Victorifcribendum sit.Illud etia est observatum, multa Nomina facta effe aliis
Prænomina: vt, lulij Dictatoris nomen, mihi: quum ita PaulusMideburgius, qui
poftea Foro semproniensium Potifex fuit, Mathematicus in comparabilis,
Divorumque Friderichi, atq; Ma ximiliani et alumnus et altor,
persuasiffetpatri. Verum ab antiquis quoquefactitatum fuit:Nam 9.Tulli yox,fuir
Regi Hoftilio Prænomen: at pofte risin nomen recepta est. L. Sergium legimus:hîc Gentileest: at aliis Prænomen. Etiam Romæin
monumentis fic fcriptum, Ser. Et in xxxIII. apud T. Livium, PacuviusCalanius:
hîcest Præ nomen: at Nomen est poetæ, poft Prænomen: » M. Pacuvius.Proprium et
illud Cognominis,at que Agnominis, li post Prænomen, aut Nomen, patris Prænomen
ponatur, postremum locum obtinere:sic,C.Iulius,C. t. Cæsar: C. Cæsar. C.F.
Dictator. Item duo prænomina præponentur v ni Nomini,aut Cognominipluralis
numeri: fic, Pons M, et, qv, Tullij Cicerones. Itaque Prænomina vere non
queuntfledi numero plurali, cæterao mnia queunt:suntenim generis,non viri: nisi
sit Cognomen, aut Agnomen eius cui primum eft attributum: eius enim folius
esttunc. Agno men autem ab Antiquis etiam Cognomen dia et um fuit: Africani
enim Cognomen vocat M. Tullius in Sexto de Repub. Proprium etiam » Prænominis, vt idem et patris fit, et pri mogeniti: vt, M.
Tullius. M. F. Quod autemait energyProbus grammaticus, Prænominanon esse solita
imponi pueris antequam togam sumerent viri lem 219 lem, puellis
antequamnuberent falfum eft: fed 1 feptimodie,quam natieffent, quum
luftrabatur, Prænomen inditum fuiffe conftat. Sicut etapud Græcos, vt ait
Aristoteles in septimo historiarum. Et ridiculum fuerit sex liberorum patrem
vnum 2. appellare,omnes respondere:hoc enim faciat,ni fi nomine distinguantur.
Hæredes esse non pof fint,quos ille non poffit nominare. Eft etia præ. ter hos
certos legitimosque modos, vfus alius qui dam nominum communiorum. Maior,Minor,
Superior.Quætempora perpendunt femper, vir • tutem non semper:vt nolint dici
Dionysium Tya rannum Maiorem,sed Superiorem. An vero in.
feriorin ea significationeinveniatur,non sinera tione disceptatum est: luniorem
enim dicimus, Inferiorem autem nondum memini. Ex his pa tet, male a Servio
dietum, lulo Ascanium fuiffe Agnomen: patet id quoque,la wivulavetiã Lati nis
Diis attributam, vt Græcis: Marti,Gradivi: Romulo, Quirini:Hersiliæ,Horæ. Si
igitur verum est carereplurali Prænomina, et AgnominaetCognominaparta,
excludentur etiam ab eiusmodi locutione, Alter Cæfar, Alter Tullius: virtutes enim
etfortunam poffis innue re, at Nomen non eritidem: fed fic dices: Cæfar alter a
Cafare. διωνυμαautem etτριώνυμα non 4 recte dices: nullum enim nomen eft
Binomen:vya fed res ipsa. Omneenim quod eft, vnum nume- my. ro est. Itaque Irum
Ovidius, Ausonius lstrum bi nominem dixere.Ita Xanthum, et Alexandru vo. ces.
vt etiam quæ woawwna fupra dieta a veteri bus legas, male fint appellata: neque
enim Ensis 1 nomen est nonuwvwpov,fed ferrum hoc: quoniam ethoc, etaliis nominibus
recenfetur. Defixis,five Essentialibus communibus,eorum quefpeciebus. chungen.,
Elxacommuniafunt. 'Ixacommuniasunt, quævniversalis,vt vocat, mune, sicut supra
diximus, sumpta fignificatione a civili consuetudine. Quod.n.aut opus aut offi
cium faciundum fuerit omnium civiuin opera, antimpensa, id dictum sit, Communi
studio fa et um iri: quoniam munia fua quisquein vnum conferrent. Itaqueid opus
vt compleetitur om nium civium functiones, Commune dictum est: ita nomina quæ
eadem ratione vniversitatis præ amini ditas resfignificarent. Hocfummum genus
divi am fere veteres in multasspecies, non omnes neceffa rias, et temere
digestas. Nam et falso fub Appel lativo posuere Adiectivū:et incondito,actumul
tuario vocum numerorem difficile effecere. Ac fiomnia rerum genera, qux
Subalternavocat, fe quivelint,et nequeant, etconfundant artem: sin
nolint,necongeriem quidem cam affectent. Ex vero funt: Ad aliquid di ettun,
Cuasi ad aliquid di et um,Gentile, Patrium,Interrogatiyum, infini
tum,Relativum,Demõstrativum,Similitudinis, Collectivum,Dividuum,Factitiu,
Gencrale, Spe ciale,Ordinale,Numerale, absolutum, Tempo rale, Locale. Has
dixere effc Communes nomi num et Principaliu et Derivativorum: proprias autem
fcorfun Derivatorum has, Patronymicum Am cum. Possessivum, Comparatiuum, Superlativum,
Diminutiuum, Denominatiuum, in quo, aiunt, intelligimus cum multisaliis,
Comprehensiuum, Verbale,Participiale, Aduerbiale. Hæceft eorum farçina: quam
vțintrofpiciamus, publicanorum more folucnda eft. Principio male dixerunt, has
omnes Species mory esse Appellatiuorum;nam etiam sunt Propriorum: Vafriti. enim
Vlyssis, Adiectiuo nomine indicatur quæ ei propria est.Item ejus locus,in
quoeft,eius solius eft.EtconfundütAdiectiuum 2 cum Substantiuo: ergomale
diuisițnomệin heç duo, tanquam in genera, Nam fi Populus eft no. men
Substantiuum, et MagousAdiectiuum; qua re Adiectiuum fecit speciem
Appellatiuorum, Substantiuum autem non fecit? Species igitur attribuere non fuo
generi: et species confude. 3 recum suo genere cum dicunt, Patronymicum, et
Denominatiuum; eft enim Denominatiuo, rum species Patronymicum: apertius autem
ip fum Comparatiuum; denominat enim gradum, ficut Positiuum, qualitatem.
Sicetiam Absolutu quum sitgenus multorum, vt Factitii, Tempo, ralis, Localis,
in eundem ordinem cum fuis infc rioribus redegere; Nihilo feliçius genus ipsum
Adaliquid cum suis speciebus miscuere: vt Ordinale, et Patrium, et alia. Sed
etillud falfi sunt, quum dicunt, Ad aliquid diet um; nanqucapud 4 Philosophos
et Metaphysicos fic excogitatum est, alia effe Ad aliquid: alia non effe, fed
dici,vt hocipfum,quod eit, Effepater: habet naturalem reciprocam Coniun et
ionem cum hoc, quodest, Effe filius: etiam fi nulla extet oratio, quæ hoc di
cat. hoc aüt quod est,Effecaput:no habet ex sei pro reciprocam Coniun tione cum
Corpore:sed ex co quod est, Effe pars, ad Totum. Itaque hoc lixere,Diciad
aliquid: non autem Effe. Quare it res sunt, ita notæ rerum: igitur nomina quæ
Adaliquid fignificabunt, erunt,Ad aliquid:quæ ignificabuntAd aliquid dicta,
erunt Ad aliquid dicta. Iccirco etiam bis errarunt: nanque idem Ś eft, Ad
aliquid diettum: et, Quasıad aliquid: quæ cunque enim nõ sunt vere Ad
aliquid,funt Qua fi ad aliquid: per formam quandam accidenta lem, attributam ab
intellectu. Hoc autem eft dici Ad aliquid: id est,referri per intellectum
subcer to modo, quia reipfa per feipfa referrinequeunt, 6 Quin vero videtur
nihil dici Ad aliquid, fed esse. neque enim intellectus facitCaput, effe partem
Totius:fed ipsum ex sua natura pars eft. et quem admodum Caput ipsum non
refertur, ita neque Cæsar refertur: fed ficut illud quali pars, ita hic quafi
pater. Sed de his alibi: coaeti enim sumus detergere horum
rubiginosam orationem. Præ 7 erea li ponunt Intcrrogatiuum, quare non Responsiuum?
hocenim nobilius illo est: constituit, ' nim orationem verum velf alsum significatem.
--)mnis enim Conclusio nobilior est ipsa Quæ ione. Numerale pofuit, quare
nöposuit Dime onale? Continua enim quantitas nobilior eft, uam Discreta.
Numerus enim accidit quatitati iscretæ:neque quodcunque est, vnum est: neq; nim
discreta quantitas est genus distinctumre sa a quantitatecontinua, vtphilofophi
veteres putauere: sed affectus quantitatis. Igitur hanc per Quantum,illam
perQuot,explicamus. Tem porale quoquequum dixiflent, addideruntAd verbiale:
atHodiernus, eft Aduerbiale et Tem porale: non igitur sunt species distinctæ,
fed Temporali accidit, vt ab Aduerbio deducatur. Localerecensuerunt: quarenon
Situale? vt Supinus, Pronus, Ingeniculus, que Græci lygovariv dicunt? Quare non
memorarunt alią neceffaria? NomenGrammaticum: vt, Deriuatiuum, Geni tiuus,
Modus, Figura: Nomen Logicum: vt, Consignificatio, Conclusio; Nomen Mathematicum,
Nomen Metaphysicum,et alia? quæ alia alio modosignificant, quam hæc vulgata
nostra, Poftremo pessimeíensere, quum dicerent, prio- 3 res illas species esse,
təm Primitiuorum, quam Deriuatiuorum. Quis enim
dicat, Patrium nome aut gentile, græcus, “romanus”, “latinus”. Atti esse
Primitiua? Vbi error maximus eorum patet,qui putarunt diuerfum effe Denominatio
nem a Deriuatione, propterea quod fic in aliqui businuentum effet: vtalufto
luftitiam deduce bant. Athocaccidit contra rei naturam: nam Iu ftitia prior
est, quam Iuftus, fed ficut res a re,ita vox a voce: quare vt Romaprior fuit
quam Cæ far, ita a RomaRomanus dictus; vbi etPatrium, et Deriuatiuum, et Denominatiuum
vnum sunt. Has nebulas Gramaticorum quu discussimus, duo supersunt,quæagamus:
primum emendabi- Erhome mus eorum definitiones, qua opus fit: deinde cxa
ettiore iudicio ad certa capita reducemus. Pij, Ada cus, MW Pre TE RH cíten Qus
Diner liorat uatirati gra? 1: 1 Qume Veteris puch 224 IvL. IV. 2 Arte
Adieettiuum, inquiūt, quod adiicitur propriisvel appellatiuis, et significat
laudem, vel vitupera tionem,vel mediu,vel accidens,vnicuique.Prin i cipio
definitio hæcnoestabessentia, sed abacci. dente. Essentia enim Adicetiui est,
significare a. liquid alicui quod insit: at hoc, quod est Adiici, accidens eft:
poteft enim vel adiici, vel non ad jici: accidit enim voci vt conftruat
orationem: quanquam hoc accidens est proprium fluens ab ipsa essentia, Sane
etiam extraorationem hæc vox Bonus, dicetur Adiectiuum: nec tamen adii cietur.
Itaque peruerse quoque data eft defini tio hæc: cum præpofitum fuit hoc quod
eft Ad iici,huic quod eftSignificare. Peruerfa vero et iam alia ratione. Cum
enim Laudem et Vituperationem posuere, addiderunt Accidens: quasi ve ro ea
accidentia non fint:atque est,veluti li dicas, Coruus est crocitans
animal,nigrum,coloratum. Accidesigitur fiuefignifcet σύμπτωμα, fiueσυμ 667xws, live codexerfov, genus est comprehen dens Laudem, et Vituperationem,
non minus quam Album, et Nigrum, quæ ipfi pro exem 3 plis apposuere. Male etiam
apposuere Vnicui que: non enim dantur definitiones indiuiduo rum, fed folæ
fpecies definiuntur. Verum poft hæc maiorem errorem commisere: nam (omit 1 to alias
ineptias ) ficftatuunt, proprium elfe Ad ieet iuorum, suscipcre Comparationem:
At hoc est falfiffimum: nam quisaudeatdicere hoc no men Medius,intendi poffe, etremitti
gradu Co parationis? Quis nescic, Hodiernum,e fse Adic diuum? quis alia multa.
Negligentia quoque illa non parua: etenim de iis, quæ Quasi ad ali quid
dicuntur,vbi scripsere, interponunt deSy nonymis nescio quæ, etDionymis, atque
eius. modi, etfalso, vt diximus supra, et non luo loco. Interrogatiuum, aiunt,
est quod cum interroga tione profertur. Leuiter lane nimis: quippeet Verba cum
interrogatione proferuntur. Deinde dixere, infinitum efle Interrogatiuo contra-
Juf. rium, profe et o inanemmodum docendi: Nihil enim est contrarium
interrogationi: nisi non interrogare: aut fane Respondiuum appellandum n'y.
sit, vt aliquid affequamur:Responsio nanque non est vere contraria
Interrogationi:quippealiquan do eadem:vt, Venit? respondebis, “Venit”. Neque forma
ipsa interrogandi est vere contraria for mæ respondendi: alioqui quæstio effet
contraria conclusioni. At quæstio nihil affirmat: ergo non contradicit. Sed
vsus tenuit, ut dicamus: Contra respondit: quia ex altera parte item eum esse
dicimus,qui refpondet. Infinitum vero quo... modocontrarium faciant
Interrogatiuo? neutru cnim quicquam ponit: alterum quærit, alterum nescit. Quid
quod Infinita dixit esse Relatiua? della qua oratione nihilturpius.
Relatiua.n.omnia Fi- **3 nita sunt. Fiunt autem infinita appositis verbis non
finientibus: vt Nescio, ficis, quitam indo, qui et e scribit. fed ipfa Interrogatiua
sunt Infini ta:n: hil enim statuit,qui interrogat.Diuiduum, hun Jan
inquiunt,est, quodaduobus, velamplioribusad fingulos habet relationem.vel ad
plures in nu meros pares distributos: vt Vterque, Alteruter,
Quisque,Singuli,Bini, Terni.Omitto barbariem Piij. upo DD CH Arche orm quum
posuere. Amplioribus, pro eo quod effet, Pluribus. Rem ipfam agamus. Male
expressere vim horum exemplorum: neque enim hæc vox Vterquehabet relationem a
duobus ad fingulos: Ted åfingulisadduos transfert significatum. nam quum
dicas,Vter? vnum intelligis ex duobus.Ita quecolliges-ambosin responsione fic:
ethic, et hic, per coniun et ionem. Que: Vterque.Itaque non eft Diuiduum, fed
Diuiduo contrarium. Dividuum potius erit, Alter uter, Utercunque, Vteruis.
Præterca non puduit distinguere hæctan. Nouve quam in specie, divisa a specie
numeralium. Imo vero numerale est genus comple et ensduas species, dividuum:
vt: alteruter: “indiuiduum” -- hoc autem rursusdaas: distribuens, vt singulus:
Non distribuens, vt unus. Itaque potius
affectiones numerandi, quam species sint sicut: et Ordinale. Hæcita fe
habent.Nos autem hęc incondita prudentius digeramus, recepta prius nominum fi
hangi significatione. Omne quod est,aur est Absolutum, mgo aut Relatiuum.
Absolutum est quod a nullo de pendet. Relatiua, quæ mutuo naturæ nexu con
almolol ftant. Eftautem Abfolutinomen minus consul to pofitum. quod.n.
aliquando vinctum fuerit, quả defiit vin et ữesse, Absolutu diet u est. Verum
verborű inopia interdum premimur: vtemurau tem receptis, vtintelligamur,
Videamus igitur, an vllu nomere ette dici queat Absolutū. Absolu tu
pluribusmodisintelligitur:Absolutű a cauffa: vt, Deus: amateria, vt motrices
mentes orbium coeleftiű: a fubie etta fubftatia, vt fubftãtiæ omnes: a
relatione, vt quæ ad aliud non referuntur. Igi tur ICH D 1 V tur ipfiusnominis
naturanullo horum modoru vlnu absoluta eft:caussasenim habet, primum sui auto
Tours tem:promateria,vocem, scripturamve, aut quid fimile. Quu autem reru notæ
fint,fiue figna quæ dam arelatione,non erut Absoluta. Nomina igi tur
omnia in prædicamento Relationis funt qua tenus significant. Verum omni in
relatione eft ratio referendi, et termini ipfi relationis, et res subiectæ, quæ
deferunt relationem: vt, Cæsar fi Catonis filius eít, tria hæc oítendentur: nam
ratio qua Cæfarad Catonem vt filius, et Cato ad Cæfa rem vt pater,est vis illa
procreandi tum actiua, tu paffiua.Resdeferetes relationem, funt duæ fub Itantiæ
indiuidux. Terminus relationis filii, est Cæfar:patris,eft Cato.Igitur filius
in prædicame to Relationis eft: fed connotat fecurcm absoluta scilicet
substantiam. Non longe diffimili ratione Nomen dicas ipfum quatenus significat,
effe Relativum. quatenusabsolutam rem fignificat,effe vt figna Absolutum. Sic
dicas, Cæfarem effe filium mili tarem: vt relatiuu filius,etia militia
consignificet rem absolutam. Ergo fic Nomina certis generi. Gomora bus
partiamur:auta Reftatim deducuntur,aut ab ' A 2 alia voce. A Re autabfoluta,
autrelatiua. Si a vo ce, yt Hodiernus, ab aduerbio, Hodie,vocisillius naturam
fequentur. Quæ autem a Rebus dedu centur,rerum naturam retinebut. Oportet enim
fignum æquari rei cuiusfignum eft.Itaque fifub- Goreng ftantiam indicabit, ant
quantitatem,aut quali tatem, aut alia, inde fumetappellationem. Per. sequi
autem tot species, easque certis nuncupa tionibus affequi, difficileest. Summa
autê genere. Relatiuorum funt hæc: aut æqualia, vt Socius, vicinus: aut
inæqualia, ut “servus”, “dominus”. Absoluta substantina decorum generaat
species. Absolutorum genera hæc sunt, quædam subsantiam significant, ut, Ensis.
Quædã quantitatem eam queduplicem: continuam: vt, Magnitudinem, corpus: locum, forum:
tempus, Annus. Et discretam, vt, numerum “unus”, “duo”. A lia significant
qualitatem: ut, “candor”, facies.Ex quibus ducas nomina generum, ac reddas suum
cuique: Temporale, Locale, et quæ supra. Facti Atia autem ad genus qualitatis,
quatenussic sonat, Murmur, Turtur, Sibilus, Fremitus: quanquam significatus ad alia
genera referatur. Sic etiam Ad verbialia diet a,non quodaduerbium fignificent:
sed ab origine:quoconstat, has denominationes non sempera significato produci.
Generale aute et Speciale potius ad dialecticum spectant. Sic Corporale et
Incorporale reduces ad fubftatiam et alia genera:vt, Deus substantiale eft,
incorporale: Candor qualitas incorporalis. An verd id, quod
aiunt,verum fit, Orationem esse incorpo ralem? Nam de vocali, aut fcripta
oratione si fic sentias, falso intelligas. Eft enim orationis For ma
significatio: Materia, papyrus atramentum, aer ipse: Figura,ftru et ura illa. Absoluta
diminutina. th.Horum affe et usquorūdam, Diminutio est:ita vtresipfæ quibant
autintendi,aut remitti. Quare in substantia non videbatur inueniri pof- Am se
fignificatusDiminutionis. Verum ab affeet i- ' W4L. bus, siue accidentibus
circumstantibus effe ettum eft, vt reciperet Diminutionem. Sicuti etiam di
cimus, Maiorem equum:eft enim quod ad quan titatem spectet,non quodfubstantiam.
Igitur fic resoluimus, vt dicatur, Plus quantitatis in
eque, non autem plus cqui. Ita dicimus Homuncione, et Homulum, quantitatem
respicientesin homi ne, non hominis substantiam.Atqueis lane error a vulgo, non
a sapientibusprofectus est. Puellus autem ætatem significat, non
substantiam:ætas autem fub tempore collocatur. Compofita etiam ex vtroque
inuenias. vt, Pumilus, et Pumilio, ex Puero et Homulo conflatum fuit. Abufi
autem sunt veteres nomine Diminutionis:namMinue- vox rt, est tollere quantitatem:
Diminuere igitur, Vtranque quantitatem statuit in diuersa: at ab Hominecum
ducis Homulum, decurtaspotius, quam Diminuis. Quæ fuit cauffa, vt aliiconful
rius Deminuere dicant. Eftenim Diminutio affe etus consequensDiuisionem.
Omneenim diui sum ita minuitur, vt eadem quantitas minor di - sot catur,quoniam
partes feparentur: at in nominis Diminutiui significatione nullæ extant partest
fed Deminutiuucstquod fignificat minus quam Primitiuum.Quoniam autem eft
fpecies Deriua tiuorum, et Deriuatio est Figura, et Figuraeft af feet us nominum
generalis: igituretiam Deminutio generalis nominuaffeet us erit: iccirco et
Absolutis, et Relativis, et Appellatiuis, et Adiectiuis, et Communibus, et
Propriis competit.Quarcna tweet elteise PY. in. emir Quis 230 IvL. IV. inter
genera nominum,sed inter accidentia pro. pria recensendum fuit:vt, Homulus,
Pulchellus, Romulus, Meliusculus est, Antonilla. Nunc igi tur de Abfolutis.
peromeQuantitatem quædam imitantur, quædam non,fed ei cohærent tantum.
QuareDeminutia fecundumhæctria dicentur: competit enim ma ins,vel minus
soliquantitati. Dicimus tamen ma iorem calorem analogia quadam significationis
Igitur primo indicabunt quantitatem: secundo foco id, quod hæret ei:tertio,quod
eam imitatur. Quantitatem ftatim dicunt,Tantulus: et proxi mahuic in ipfa
fubstantia, Auicula, Capitulum, Fraterculus, quæ ci cohærentia sunt. Sic Annicu
lus, non diminuit annum, sed notat paruitatem fubftantiæ,cuius
motum,anni quantitasmeritur. Ea vero quæ quantitatem imitantur, sunt ficut
Regulus,cum Regēparuium significat:propterea quodquivasto corporesunt; cæteros
anteirero borevidentur,item imperio:ita ii, quorum in po testate populares
funt; eam magnitudinem imi tantur:atque iccirco deminutione notantur. hnutil.
Quum autem variis terminationibuspræfcri bantur cæ non funtpræfentis operæ.
Sedillud a nimaduertendum, quædam quibufdam flexibus Deminutiuorum efferri, quæ
ad ipfum genus nal laratione adduciposlint:vt,Cuculus,et Cænacu lum, aliaque
eiusmodi aliquot: nam quæ veteres afferunt exempla non omnia verasunt. vt Auun
culus Deminutum ab auo eft: Abba enim auum appellabant:item patrem, et
patrisacmatris fra trema. Illi cum patrui nomen quasi patrem alte rum pitud
ntiapfum attribuerent, matris fratrem quafi remotio alchesiem pusillum auum
appellarunt. Nunci · Finis igitur Deminutiuorum is, Tollere quan titatem,aut
alia quæ remitti possunt:sic Regulus, quxparuum regem imperio, Veraniolum
dixitCatul ninusus vrbanitate: ficut Romulum, et Sergiolum, nimpueros: non
adulatione,vtaiunt, qui id a Græcis imen fumpsere:Romani enim non fuit
adulari.Frater catio: culum quoque gigantum iidem male dixere ab fecus
vrbanitate:sed refpexit ad Gigantum vaftitatem, imit:
Probro:Meretricula,Pusio.Imitatione:abAngui, et pri Anguilla. Minus reete etiam,qui contendunr, a Redo Fidis,et Apis, Fidiculam et
Apiculam,du-fericia Ans Eta: falla enim ratio eft. Si a Fides, effet fidecula.
cuit Primum videntur negare mutationem vocalium meni in dedu et tis: Deinde
fatis constat commodius fie Eunti ri si Reet tus a fecundo casu differat.
Itaque si non ropli inueniatur apud autores Fidis, rectius facias, si ne teir
ges vnquamfuiffe.Et Ouidiana Apis, ex deterio imi re deprompta vfu fit. Verum ego
arbitror inter v emi trunquefonum pronunciari folitum: vtin Nise, Nisi: Here, Heri.
Itaque quum “Ædes”, non “Ædis”; “Sedes”, non “Sedis” in recto legatur, tamen
Ædicu łam et, Sediculam diet umlegimus. His autem no erat hic locus,nisi huius
quoque rei cauffa nobis reddenda fuisset. Ex his, quæ diximus,conftat,Nominain
Aster,we'arts a veteribus re et e inter Deminutiua effe colloca- sene sont A
ta,temere a recentioribus ablata.Eoru argumen ta sunt hæc: Si essent
Deminutiua, non fuisset a Terētio addita altera nota paruitatis, apud quele
gimus, Parasitaster paruulus.Ite Pullastra, grandi uscu atu pra Case TIK ETU mula IvL. IV. ad usçulam potius
significat pullam ':Præterca Apia ftrum est miræ altitudinis. non igitur erit
demi nutiuum: quare Imitationem non Dcminutio solinem dicent.
Adhæcficrespondemus:omnemi mitationem indicare deminutione: quare quod tollunt
idipsum statuunt. Et quod additur ase rentio paruulus, significat corporis
quantitatem ætate imperfectam, vt fitdeminutio corporis: at parasitaster est
artisdeminutio:vtis sit, qui haud magnacum re parasıtatur: et quia agit, fiue
imita tur parasitum, citra parasiti modum est. Apia ftrum autem non est
diminutiuum ab Apio, sed ab Apibus ductum, vndeetiam uersaroquior,id est
Apifolium dicitur a Græcis, Citraria enim cst: quin ea Apium neque
imitatur,ncquefimilis eius est. At quod Apiastrum est ab Apio deminutum fane eo
longeminusest. Verba Plinii suntin xx. libro: Nasci in Sardinia herbam
fylueftrem Apii fimilem,quod fit A piastrum,Apio minorem. E Sallustii
historia sumptum videtur. In Sardinia, inquit,herbanascitur, quæ Sardoa
dicitur, Apia stri similis: hæc ora hominum, et rictus dolore contrahit,
etquali ridentes interimit. Pullastram autem omnino minorem Pullam
intelligimus: quippe Pulla, et Gallina iuuencula:idque tam contra eos,quam pro
eis facit: neque enim Pul te laftra, aut fylueftris est, autpullam imitans: vt
trupi want quid enim minorem maior imitetur? aut quomo doimitatio in
substantia, autin quantitate natu rali fita fit, quæ affeet us animi, autin
ipso affectu posita est? Surdaster quoque qua rationefurdum dicetur imitari?
sed enim idem eft, quod fubfur dus. Cauffa autem huiusce terminationis a Græ
cis constituta eft: 017:Tmile,I'vtwwwxleiv, cst Philippum, aut Antonium
agere:sicwsgarrile:v,vn de Antoniaster, et Paralitaster; fic oyxisnis,apud
Galenum ageto oynilev: agortashs, et Æolice 1 verso líbilo in literam
vibratiorem. Qui igitur imitationem tantum attribuere, non memine
rantsurdaftri:quisustuleredeminutionem ob Te rentium, non videbant duas
paruitates eidem s poffeeuenire,corporis, et artis: qui omnino non putarunt
esse Deminutiua, nesciebant imitatio, ne significari inæqualitatem duorum,
quorum. minor sitis altero, quem imitatur. Proprium Deminutiuorum habere
dcriuata. si non a primigeniis,Hortulanus. Collectiua, etcomprehenfina.
NGcnerequantitatis, quæ reliqua funt,ponc mus ea, quæ vocant Collectiua. verum
voxa ri? y definitionediffentit. Colligerenanquo eft aliquo chin modovnuex
multis facere: at, Populus,aut, Vut gus, quod dat signum nobis colligendi?
potius, Vterque, et Ambo, et Omnis,funt figna Colle etti-,,: ua:illa autem,quæ
ficabantiquis funt dicta,Cog prehenfiua potius iudicabuntur. At ipsi Com - 3 3
prehenfiua dixere his non abfimilia: cuiufmodi o est, Vinetum, Rosetum, et
eiusmodi. Verum hæc i nihilo distant, nisi modoipfo significationis:nam Populus
rem vnam e multis constantem notat: pie at, Vinetum,vnam rem multas
comprehenden Pietem. Non est Colle ettiuis diffimile, Arena, Scopa, Scala, Scala,
et eiusmodi, quæ frustra plurali duntaxat en numero dicidebere
contenderunticcirco, quia multa essent. Nequeillisin mente venerat, quod cunque
eft,vnum effe. Atquod eft, aut est vnum Subflantia,velutdicebamus, ut Homo et
Equus: aut accidente, ut homo et Albumiaut Subiecto, ve Album et Dulce in
lacte:autMistione, vt Pos sca:aut Aggregatione,vt Aceruus. Igitur in fingu lari
si pronuncies, rectius designes vnum effe: vt, Cumulus, Grex, Turma, Thesaurus,
vt etiã in plu rali diuerfislocis pofita fignifices: vt, Cumulosaa renæ,Italicæ
et Ægyptiæ:Greges,tuum etmeum, Eft præterea vnum Mathematicum:vt Quadran talis
figura vnum cst ex multis lateribus: fic Qua drigam debes dicere, vt et
Alcibiadis et Hieronis Quadrigas possis. Est etiam unum dialecticum, vel
metaphysicum, ut definitio, quæ constat ex genere et differentia, et Species
quæ constat exif dem defignatisa definitione: quæ tamen singularem in numero
proferuntur.Quaremulto usuinomi na hæc Comprehenfiua fuere. Multoque consul
tius est hoc excogitatum, quam fit admiffusmos pluralium, vt Thebæ, Pifæ: namfi
fic neceffe fit dicere, illud quoquencceffe fuerit, vt ciuitates, non autem ciuitas appelletur. Sic grege
legato, wna res legata est, vtait Paulus, neque pars potest recipi,pars fperniRelatiua
substantina. Elatiua aut sunt Substantiua, vt feruus: aut RA, nomie lur U
nominis aut genus vtranquecopleettensspeciem,rakis fubstantiuorum, et
adiectiuorum: nequemirum: neq; enim substantiam significant, fed essentiam
referendi:itaque accidentis semper notæ funt. In priore genere continentur
Ordinalia, Primus, So cundus:aut his fimilia.Centurio,præfe et us: et a lia
talia quæ diximus, vt Ciuis,Vicinus:Nepos, Fi lius:quæ vnum tantum terminum
significant. Vi dentur autem etGentilia, et Patria ad hæc referriq.m fub
adiectiuorum fpecie: nequeenim dicas Græ- pohon cum, fine Græciæ intellectu:
fed tamen Græ ciam, sine Græci intelle et ione poffe dicere vide ris. Verum non
ita eft. Plato Græcus fuit: Regio Attica,Græca:sisubstantias ipfas respicias,
nõre feres: si nomina impofita, quæ gētem significent,q non possis, quin
referas. Terrailla non est alicu-} ius terra: sed patria eftalicuius patria:
Græcia autem Græcorum eft, et Græci Græciæ, Itaqueo mnium nobiliffima fuere
Patronymica, quæ in contents voce substantiua, adie ettiuorum plenitudinem sunt
consequuta. Adieettiua enim significant acçi dcns et modum quo in hzret
substantiæ: quare aliqua ratione etiam ipfam connotant subltan tiam. Hoc etiam
amplius Patronymica, quæ et iam certam fubftantiam consignificant:nam in certum
quidem filium vel nepotem, at certum vel patrem,vel auum, tanta vi,vtetiã
propria no mina referri penecogant. Videtur enim Priamus b'lari referri ad
filios hocnomine Priamides: verum non ita eft: nam tametsi terminum nominat,non
tameneum refert ad hunc quem primario figni ficat: significat enim filiu
Priami, quead Priamu refert:consignificat Priamum, sed adfilium non 1 1 qua?
236 IvL. IV. 1 * refert. Cæterum eo præstant cæteris, vt diximus, pas here quod
vtrunque terminum relationisfimulsta tuunt voceipfa non soluın
significatu.illud quo » que mirum fuit, a proprio ductam vocem perde
nominationem,non effe Adiectiuam,fed Fixam: quaksid quod non potuerunt obtinere
Poffeffiua.Ap pellatiua autem fuere amiffo iure proprietatis. Nequeenim potius
Hector, quam Helenusintel ligetur co nomine PRIAMIDES, Non pro pter
camrationem,quamafferunt, Singularia no referri: hoc enim falso dixere philosophiquidã.
Nam Relatiua quoquesua habentindiuidua; vt, hiç filius huius patris. Proprium
vero cumfuisset per initia Patrony. VM micorum, Græcis tantum in nominibus
fieri: v sus Romanus ad sua transtulit commoda, vt Ro. mulides. Falso enim
dicebantquidem Patrony. miciloco vfostum Poffeffiuo; nemo enim hoclo git
nunc.Auxerequoque inscitiam,cum Latino, rum tantum effe dicerēt poffeffiuum:qui
fi Græ caignorabant:at meminiffent ex poemate,quod legerent assidue, Troja, et
Typhoel, et Euan drius. Quoniam vero etiam Materita refertur vt gum ea, tum
Pater vnico nomine Parentis com ple ettantur:iccirco ab ea qudq; dacta sunt;vt
Co ronides, Æsçulapius apud Ouidium.Item eodem filo abauis maternis, quo a
paternis trahebantur: Atlantides, Mercurius. Poft hæca fororibus quo que,
Phaethontiades, forores Phaethontis. Hora tius etiam a faet is, non ab fanguine
Tyndaridem dixit eam, quæ Clytæmnestræ more diffidiffet bipenni caput viro.
Moderatius veteres,qui ciues omnes, tametfi non erant a principe civitatisge
niti, ab eo appellarunt, Cecropidas, Athenienses. Mobilia, five adiectiva
absoluta. Vem ad modum supra diximus, Mobilia sut alia Absolutarum rerum, alia
Relativarum Garten nota.Abfolutæ sunt, Vivus, Exanimis, Annicu
lus,Sesquipedalis, Albus, Calidus, Frigidus, Cir cularis,Forensis, et
eiufmodi:genera ipfa rerum si spectaveris. Habentautem affeet us hos,æqualiam
L. effe ei,vndefunt denominata: vt a luftitia,luftus: iuftus enim est, qui
iustitiam æquavit. Secundus affectus
fuit,minussignificare:vt,Bellus.Tertius,2 augere
significatum:vt,Gloriosus,Populabūdus. 3 Propriumautem fuit Mobilium,
transirein natu ram Fixorum:vt, Pluvia: fuit enim per initia; A. qua pluvia.id
quod etiam ex Ll.libris deprehen ditur, De aqua pluuia arcenda. Eadem analogia
fluuius,vt poffisdicere, Fluuium Rhenu. Ducta enim funt, auta nomine, vt
Cadidus: aut a verbs, vt Bibax:aut ab adverbio:vt Hesternus.Fluere igi tur quũ
significaret ipsum accidens per fe: duđa eft ab eo verbo vox,quæ in alio effe
indicaret, Flu men vius. Itaq; vehemeter fallifunt, quiscripfere, quę.comhet
bus dam Nomina esse neq; Substantiva,neq; Adiecti atrop Ďa: vt Verbalia, et
alia quædã: cuiusmodi eft, Ci vis, et Servus:quæ proptereaipsi Ambigua appel
larunt.Verum res fealiter habet: Verbalia.n. fue ' re Adiectiva, nihilo fecius
quam Participia: fed brevitatis caussa omissum est Substantivum: quis aj. enim
La 16.01 RE tert: tiso tivo/ OLISI is.H dari Title qui Lt $. IIII. enim neget
non Thew,fuisse primum appositum, tu widet: sicut et Homerus dicit, inteos
cuine: ficuti 04.810. avvie: fi enim Bellare habet naturam Ad icativi,nonne
Bellatoritem habebit?significate nim bellandi scientiam in Cæsare, aut alio
Itaque variatumfuit, vt etiam Bellatricem diceremus Ca millam, et Arma
victricia.Sic Servum, et Servam, Dauum, etSyram: et Servum imperium, quod a lij
parêret.Sic pauper, Irus, Ilia, Regnum, at seor fum ponitur ab Ovidio, Pauper
vbique iacet.No sunt igiturAmbigua: nihil enim medium inter sabo ea, quæ
diximus in rebus: ergo nequeinnomini abus: fed sua naturaAdiectiva fuere:
vsusautem que no me nonmutavit,vt efficeret Substantiua,fed Substan tiua
sustulit: non vt hæc essent, fed vtilla fubin » telligerentur. Sic
dixitperinitia Pluit Deus:poft ea fuftulit Nomen. Sic dixit, Amatur a Cæfare:
postea tacuitnomen, et paffus est verbo nullam certam attribui personam.
Quodautem addunt his, Ciuem, et Regem:vtdicatur, et vir Ciuis, et Ciuis bonus:
et Populus Rex, etRex bonus. hoc sicincrebuit,quemadmodum apudGręcosquod
perarticulumdeclaratur, ανηρο πολίτης, λαόςοβα arnolis. quanquam Rex quoquefuit Adie ettivum primo, et Consul, et Prætor.
Namquod vnum Jobu. tantum genus obtinuerit,id non ipfius nominis, sed rei quam
notaret cauffa fa ettumest. Quum e nim hæc accidentia non nisi in
viris inveniren tur:nonnisi virili genere potuere enüciari: qua. quam etiam
Reginam dicas. Sic Autor, vtrun quegenus complexum eft,cum terminatio Masculi I
att culinitantum analogia præfcripfiffet. Sic Græci per initia
dixere,nwandywiv, pauidum lepo rem: at ysus to taxa dixit, naywov, subticuit.
fis DonBor Stonwa, Phæbum perditorem:at fimpli citer Stonwy, substantiui sui
nomen obtinuit. fic u hier porta onkuardigov žantov, quod pecora flavescerentes
forly ius potu: at Xanthi sola appellatione Scaman drum intelligebant: vt
hocfane magismirum fit, et Adicet ivo fa et um Proprium substantia EN vum. Olle
101 ICH molt dos LIN Secundum rerum genera quum Adiectiva di ftinguantur,non
paucaeorum certisterminatio.hmm. nibus insignita fuere. Quæ igitur substantiam
fi- Subit. gnificarent,multas facies funt fortita:in Aceus:in Itius:in Inus:in
Eus.In Accus,materiam signifi cant:Panis hordeacens:Interdum totam: vtMer.. Tis
triticea: et, Pila cretacea. Alias partem:vt,Pti sanahordeacea:nam etiam ex
aqua constat,noTo lo hordeo. Etiam fusa significatio ad cohærentia, ytacino
contentum granum,Vinaceum: quem admodum imitatus elt Gallinaceus: quoniam ex
gallinæ materia ac satu esset. Huic proxima ter minatio, Cratitius paries, et
Cæmentitius: idem significavit. item materiæ cohærentia, vt Mul titia vestis:
neque enim Multitudo materia est, sed Linum, autLana:fic Multatitia pecunia,quæ
ex Multa: år Multatio materia non est, sed forina potius, quapecuniaexigatur.
Vt et hoc erra rint, qui folam materiam, non etiam formam dicerent significari:
et male scripserint, Icius,» non Itius: nam vt est a lufto, luftitia: fic fuit
a Crate, Gratitius. Atque hæ duæterminationes şij. Lati os Hea r tres. Latinis suntpeculiares:Alteræ duæ a
Græcispro fectæ, Cedrinus, Cupressinus, in Inus: et in Eus, Ferreus jordmedG
Æolice,exemiptosve diximus t, ex diphthongo. Abiegnus autem fuit paulo coa Gius
dictum, ab Abiete. lantinusvero et Ame thystinus videtur colorem, non
substantiam fi gnificare:verum ita fuit, vt quafi ex ipsa Viola, et Amethysto
confecta esset vestis.quoniam ex suc cis herbarum tin et turæ perficiebantur.
Quæret a liquis, An Tribunitius, atquealia eiusmodi in su: periorem ordinem
redigantur? Saneita est: ete we: nim Tribunatus quasi materia eft eius loci in
Re ini publica, qui Tribunitiis debebatur: fic Patritius Civis, cuius
dignitatis materiam præbuerint pa yrazo Quæ vero qualitatem fignificant; alia
exeune fimplici,communique finitione:vt, Bonus, Ce ler.Alia Græco flexu
denominativorum:vta Py thagoræ sapientia, Pythagoreus, et Pythagoricus. Sunt
etiam duo alijmodiverbales,Tufazozistis,vt Grammatista: et mutuyoeuntuisy Vt
Touc74:: et ove - UTAS; Acolice. Sic nescio quo felicissimo com tento Franci
etiam ounc poetam, patria lingua, Factistam dicufit. qua voce nulla meliore
analo gia Græcam potuit et excipere, et exprimere. E narratores Theocriti
agnofcuntinter eas termia nationes differentiam ad significandum, quam qui
volet s inde petat. Sunt et alia quæ ipsam zum.qualitatem fub excessu quodam
notant, exeunt quein os vs: ea habuere originem a Græcis, vt appeticsciv syss
estenim oradns qui plus vini appetit, quam par sitšaue quiplus viniobtinet,
scilio qub w fut AK 1 6 EN fcilicet autsubstantiæ, aut faporis, aut odoris, aut
coloris: vt apud Homerum aliatermination intowany ne, vivo nece moV TOY. ni ww
Sic duo quoque modi signifi candi apud Latinos fuere: ingeniosus, qui mulță
ingenii haberet: Mulierosus, qui multum mu lierum vellet habere. Trahunt autem
origi nem a hominibus, græcorum eorundem exem plo: non a verbis,vtputarunt:his
exemplis, Sto. machofus, “studiosus”, “quæstuosus, Sumptuofus Sed a
Stomacho:quod apertius patet in aliis:nam a Studio, non a Studeo, habet vocalem
suam studiofus: et a Sumptu, et Quæstu, suam cætera. Itaque M. Tullius fic loquutus est: Non yt mihiftomachum facerent, quem
nullum ha beo. Quare a Criticis notatus fuit Nigidius Figulus, qui Bibofum
dixit, fuam enim habent a >> verbis terminationem pari significato, Edax,
Bie bax, Emax,Vendax, Loquax,Diçax,a nominib, raro,Linguax. Et aliam
infrequentiorem, Bibo nes, Comedoncs, Calcitrones: et a nominibus, Catillones,
Popinones: quanquam a Catillando et popinãdo quoque duci poffint, vt a Lurcan
doLurcones. Sed quædam omnino sunranomi- nibus, vt Ciliones a Ciliis, et
Labeones a Labiis. Horum item Græca origo fuit: fic enim effin gunt illi
nominaComprehensiua: vt, opv.TW as» dd Duwvec Tia cvwx loca plena Auibus, Lauris,.
Platanis. et vnum facetum fane,xerecv «, partem corporis, quæ ilia a quibusdam
putata sunt. quo; niam igitur plus vacui ibi effet, quası multo va cuo plena
effet, keveuve fuperiorum analogia ap pellarut. Eorum autem Gignificatus alius
aqtiuus,suono some vt Studiofus: alius paffiuus, vt Formidolofus: alius
indifferens, vtMotosus: qua fuit cauffa, vt a verbis deduci poffe
putaritNigidius.Habue Huse autem modum significandi, vt diximus, ex ceflum. Exceflus autem omnis vitiofus: Virtus enim aut medium, aut in medio.
Verumnomi, ņum quorundam vi factum eft, vt etiam virtus tis limitibus
continerentur: eius rei cauffa fuit, propterea quod omne bonu difficile paratu
est: vt est apud Hefiodum, et Vergilium, et Plato. nem, et Aristotelem. Ergo
conatus ille frequen tium atque affe et atarum actionum intra laudis metas
constitit: vt, Studiofus: nemoenim fatis pro restudere possit. Quin media
quoque voca „bula, vt Fama, et Dolus, in deteriorem partem flexa fuere. Famofam
Mạcham, Dolofum mer catorem: propterea quod facilior habitus, dete rior eft. Iccirco diuinus poeta Famam, malum definiuit. Hæc pertinentad cauffas et
Originis, market et Significationis. Materia autem fic fe habet; Quædam
fimpliciter deducuntur, vta cerebro, cerebrosus: quædam cum additamento
vocalisa vea cura, Curiosus; quanquam non fine ratio ne: Sabina vox fuit,non vt
ineptiunt, quia Cor vrat. Quirites dixit Plebem Romulus,se Qui rinum, Senatum
Curiam:omnes eodem voca bulo,vario flexu. IndeCuriolus diet us, quifa tageret
Confultorum Senatus. fimul Curæ no men deriuatum qua diligentiores patres voca
rentur. At apertiffime affumpsit Formidolofus a Formidine. Monstruosus, autem
quod dicunt quidam, puto esse barbarum; nam inmanu scri pto
TIL Holok cani Halk < -US, 6 - Vir non 7 yint la fi atud Plan
ceque land imga you Dante mi me pto Martialis exemplari, quod de præda Fonta
rabiz nacti sumus, fic fcriptum eft, Montofa decus Vmbriæ. Tortuosus quoque et
Saltuosus nihil assumpsere: sed a Tortu, et Saltu, ducta funt: ficut a faftu
Faftuofus. quanquam igitur videnturquantitatem fignificare, tamen non ita est,
sed intentionem qualitatis:nam tamet fi Mons significat quantitatem, at
Montosus, habitum illum montium notat. Sic euenit e tiam in alia terminatione,
™ND vs: Magnitu- View they dinem nanque indicat: Cæterum non folius
Quantitatis, immo vero, vt fupra dixi, Habi-. tum quendam. Neque vero dubium
eft, quin a maris excefsu naturam nacta fint, quippe ab Vndis. Nam Maris nomine
antiqui pro ma- » gno vfi funt. hinc Pelagus, quia n'hasdize'. lam enim to
renæs significat tractum ipsum. Ex Callimachus quasi prouerbio vtiturin Apolli
nis hymno: Ου φιλέω τον αδέν και δδ δσα πονος αείδε». Et apud Latinos,Maria acmontes polliceri. Vul goetiam dicimus, Maria,
dere immensa.Sic Ca tullus quum multa propofuifset etiam maiora fi de,subdidit,
Cætera suntmaria. Sed de his alibi, Eorum autem Materia talis eft, vt quædam
Bha-mana beant, alia c. Populabundus,Iracundus, Rubi cundus, Verecundus: quorum
origo a futura Trom. verborum ducta fignificatum expressit perpc tuationis:
vt,Populabundus, non folum qui pa pulatur, fed etiam populabitur. Pauca ad præ
lens respexere: vt, Iracundus ab eo quod est, Ifasci,exempto sibilo,quafi
quifemper irascatur: Qiiij. R4 s,de malo igini haba Tehn oat rati Tal VOO wik
PM vou plai Rubicundus,qui semper rubricet:non,vt vulgo
vtimur,actiualignificatione transitiua, fed abło Muta, aut usor, quemadmodum
cum dicimusLa uat, id eft, Lauatur. et apud Poetam, lam venti posuere.
Verecundus autem originem paulo ha buit obscuriorem, propterea quod abolitu ver
bum est Verescor: sicutcontra, Adipiscor fuum primogenitum amisit,dicebant.n.
Apere, and To ZTTHY, Ynde Apex, et Apes,etExamen, cuius fimplex non inuenitur
sicvoceprimaria. sed in Amento. verum de his alibi. Continuationem igitur
dicimus,quia Rubicundum no dicam me, sed Silenum, cuius facies multi atque
aperți rubo ris fit: Nireum non dicam iracundum,Achillem dicam,multæ iræ, et
quam ipse præ se ferat. F2 cundusliteram mutauit, fi a fando,non ab effica cia
ductum sit. Fæcundaa fætu, per concisione. Rotundum quoque,si ab eruditioris
iudicio con cedatur mihi, videtur non abhorrere. Neque ve ro habitum illum cum
excessu folum indicant, 2 fed etiam vehementiam quandam,atque extan tein præter
modum exuperantiam in rebus ina nimis: quasi quum dicas M.re fluctuabundum, vel
vtaitGellius, Vndabundum. In rebus au 3 tem voluntate præditis, etiam
Oftentationem, fiue Professionem,atque etiam, vtita dicam, Sa tagentiam, nam
quemadmodum differt Verbale a Participio, ita a Verbali genus hoc nominum.
Pugnare poteft quiuis,atque erit Pugnans: Pu gnator longe alio modo idem
fignificat: addit.n. habitumsciendi pugnas. Sic,Populans,etPo pulator: at
Populabundus hoc apponit insuper, vt palam præ se ferat animum acfpiritum
Popula toris.Iccirco veteres non male dixere: quum imi. tarionem quandam his
nominibus attribuêre,si mulet fimilitudinem:quippe gestuotaquodam modo quæ
fint. Propterea dixitSallustius in lu gurthino: Qualı vitabundus: id eft,quasi
is, qui præ se ferret mețum, vt hostem eliceret, quemvi. tare Gmularet. Eft alius
moduseiusdem terminatiois in Invs; Juul nam supra correpta vocali
pronunciabatur, Fa ginus axis: et Materiam indicabat. at in quibus dam
producitur,et Qualitatem consistentem fi gnificat: vt Libertinus, Et in
llis,Seruilis,Heri lis, et vnum correptum Pugil.fuit enim Pugi F lisperinitia,
siçut Ciuilis. Et quemadmodumsu pra in Itius Materiam notabant, Cementitius,
Cratitius; ita etiam Aedilicius, et Tribunitius, quasi materiam, non
veram,analogice enim Tri bunatus dicitur materia dignitatis, ac status ho
minis. Qualitatem igitur indicant, id est condic, tionem, amateria,aut quasia
materia, sub ratio ne quadam pafsionis: vt Afcriptitius, qui esta
scriptus:Fiđitius,qui eft fiet us:Dedititius,qui est passus deditionem: Deditio
enim quasi materia de quædam est Capitediminutionis: eft.n.affe et us
deditionis, amisfio libertatis.Eiufdem modi funt in Alis: vt Triumphalis, qui
ex Triumpho gra dum adeptus est in ciuitate: furialis, furiis ca A
ptus:Mortalis, eadem ratione dicitur, quimor te affc ettus eft: nam quod ad
aptitudinem trans latum fit, hoc vsus occupauit. Cæterum de mortuo primum fic
sunt locuti, Mortalis fuit:» deinde etiam quum ad viuentes refpicerent, pro
pterea quod essent eiusdem naturæ,cofdem quo que Mortales vocauere: fic etiam
Capitale cri men dixere, quodcapite lui meritum esset:quo fignificato etiam quç
nondum vocata eflentiniu omdicium intellexere. His fimilia in Orius:Censori us,
Prætorius: hæcfequutum illud fuit,Vxorius, Nam Cēsura ac Prætura acta
cortislimitibus vi tæ præfcribebant ciuibus:ita vxoris imperio qui coħiberetur,
eodem vocis flexu significatus eft, Verum quia certa nomina eamterminationem
nonadmittebant,aliam eundem in vsum excogi and carunt, in Aris: Consularis,vicino
fono fuperiori, quæ eratin Alis. Verum huiusmodus late fusus eft:dices enim
Roburmilitare,etiam in Remige, qui nunquam miles fuerit, quoniam in milito
repertum iam eft. verum a cauffa efficiente du etâ funt: vt Viam militarem:
etiam in prædica mento toixer, yt Sagum militarem. ASingulo quoque Singularis
diet us. et alia quædam,quæ ad philofophum fpe et ant:de quibus exa ettiffime
in primo historiarum a nob. est disputatum. Alia Ahe naturaeorum est, quæ in
Aticus, habitum a na tura inditum notant, Venaticus: aut etiam sub ftantiam, vt
Aquaticus: fiue, vt malis, habitum in aqua, autpropter aquam agendi. Mutuatica
pecunia apudGellium quæ, a ettione mutuicon dici poteft; Mutui enim naturam
induit ex ftia pulatione,aut pa etto, aut eiusmodi. Alia eorum, humma quæ in
Trimus, in prædicamento?oü yev, vt Patrimus, Matrimus, qui patrem etmatrem ha. **bet: Aeditimus, quiædem: atLegitimus,potius paffiue ri. rapha 01. 57 net 106 palliue, qui a lege
constitutus est. Finitimus vi detur relationem notare, verum id non a termie
nationesed a significatione nominis huius finis, factum eft: et lignificat eum
qui fuos fines ha- lo bet. Hæc omnia corripiunt terminationem. At Catuler
Bimus, Trimus, Quadrimusab anno ducta,noni.2 facile eft dicere, falua
verecundia ineptiendi, lengan quare producant, nisi propter concisionem. In Arius,
eundem habitum ad agendum: Sagitta - anie an rius, qui fagitta vti scit:
Bustuarius, qui busto præeft. Quædam etiam
paffionem notarunt: vt, Tumultuarius, qui tumultu sit conscriptus. Etiam ad
ætates vsus tranftulit, Sexagenarius, vbi nequeadio, neque paffio, sed 7o
exeur: ficut Centenaria vsura,de qua suoloco: quomodo Bi. qarius, Ternarius.
Atcarpentarius etiam opus fa cit: carrucarius non, fed facto vtitur, vt Armenta
rius.Nuncalia duo videamus: Quodaptum naturalian eft quippam autagere, aut
pati, id nequrevoy dixe- appogg. runt Græci: propterea quod rei ipfius Quor fe
queretur affe ettus ille. Duas autem habuere apud Latinos,totidemapud Græcos
terminationes:in Iuus,actiuam.in llis,paffiuam:ficGræci il yaixovgimas ilaj id
quod aptum natum esset ad fentiendum ali quid: angoy, id quod aptum natum esset
ad sentiendum ab aliquo. Praue a Barbaris ex vo 9" ces translatæ funtin
Latinitatem: fic enim inter pretati fuere inscriptionem libri Aristotelici, de
Sensu et Senfato,nam danas fenfus eft:MjIyTixdy, 19 quod sensu præditu eft.eoģ.
aptu est vti: antov, etsensu perspici potest. De Seluo et Sęsilidicen du
fuit:aut molliore, fi reperiaş vocabulo, led ad huns fo THE T' Iul. IIII. 1
hunc modulum apto: vtin libro de Inscriptione a nobis declaratum est. Nam etfi
Sensio passio quædam est, tamen fub actionis rationem rece pta eft eius
fignificatio:vt Tango, etGusto, et Audio: fed de hisalibi. Adiua igitur
terminatio Græca maximaprudentịa constituta fuit. affinitate quadam coniun et a
cum verbis illis, tunie's Bitntio, vt affeettus a verbo, et aptitudo a nomi NE
TUTTIXO, MyTixo habeant cognitione. Molli® tamen ducas a præterito,quasi lita
tuuni (W TRT imy napixov. Noftriin suus,vt diximus, hoc expreffere, fumpta
occasione ab Aeolensibus. nam quædam nominadedu et a communi pronuciatione
inter posito pprio elemento pronunciabant. Apybos alii ipfi A'PȚEIFO £. Igitur
vt ab eo quod eft vetes, dicitur vorcios, quiAuftrivim habet: fic ab cog
est,Actio dicetur A et iuus, quiagendihabeatpo testatem. Exempla sunt multa:
Internecium bel lum vtrunque bellatorem necat. Fugitiuus ser uus, qui fugit,
quoniam fuapte natura ad id pro pensus fuit: Genitiuamembra, apud Quidium, G'
zfurntixa. Tempestiuus quoque,non, vt dixe re, significauit occultiorem
actionem:sed fane fu augsmanjitis.qui tempore temperaret. At enimuero passi
Boilers Winesquum qua ratione diet um fuit? Terminatio a et io has un talles qui mal nem,pafsionem notat significatio.
Græcos male Hrovat secuti suntqui ad Innuov,potius zaIntov.nam pas fiuum
eritid, quod faciat aliquid pati:hocautem fuerit potius actiuum. a ettio
enimetpaffio quum vnum tantum fit, sed differat ratione: vt vulne ratio a ettio
fit Achillis, et paffio Telephi: pafsiuu et actiuum idem erit,quoniam et
fignificatio est eiufdem huis ciusdem rei, et modus idem: Nam et terminatio in
luus, significat actionem, et ipsa passio ab a et i one non distinguitur re
ipfa: igitur significabit rem ipsam in agente. verum Grammatici sero fapientiam
cum vocabulorum vsu coniunxere. Quævero significant passionem, in llis exeunt, 1
ks præeunte secundum verbi naturam consonante: umie vt, Habilis, Facilis;
Agilis, Plicatilis: in quibus ele mentum verbianteit:Habeo, Facio, Ago, Plico.
Quædam autem a futurisducta sunt:vt,Amabin lis: et a fupinis:Pensilis,Flexilis,
non fine rationes aptitudinem enim significarunt, quænon est ne cesse vt in a
ettum producatur. Acrecentiores au dacter nimis iam actus significationem
attribue re, idq; frivolis faneargumentis. Fictile,inquiut, Vas quod eftiam
fictum.coctiles lateres,qui iam ecoctiatque alia multa eiusdem modi. Auxere er
rorem pertinacia: Navis, aiunt, Agrippinæ folu tilis,quia non beneeratconfuta,
sed soluta. hoc autem ridiculum eft.fcimus enim etfatis nautaru continuisse: et
diu cursum vsquein altum tenuis se: fed quia lolvi poterat, folutilis diet a
fuit. Sic Versatilis scena, quæ verfari potestmachinis,qua lis illa Marcelli
fuit: quod si est Versatilis quia versatur: quum nơn versabitur, versatilis non
e rit. Sed Aristotelesin nono Metaphysices dispu Cat hoc adversus Euclidæ
sectatores,quos ibiMe garicos vocat: ij fic profitebantur, nonposse nos moveri
nisi quum movemur. Verum de iis am $ pliusin Oratione de Endelechia pro M.
Tullio. Quaitem ratione facient, vt vpupæcrista ipfis fa Veat? neq; enim semper
plicataeft, sed quia ali 21 quando poftquam fuerit ere ettasplicaripotest.Fi
Etile autē,atquealia eiusmodi, fi talia funt,nonne talia
fieripotuere?Omne.n.quod est, ab eo g vere est, factuin fuit:Omne quod
est,præter Deum,ab aliquo fa et um fuit:omneq fa et um est, ab aliquo fieri potuit.
Coctileslateres
dicuntur,quia crudi neousfic primum suntappellati, quoniam coqui potue re. Sic
Rafiles calathi, et Tapetes, et alia:Lychni pensiles, antequam
pendantur:potestatem enim pristinam fignificat: fic Vva, Balnea, Horti,quo niam
in superiora eorum vfus transferri potuit. Flexiles rami,lenti:quia possuntfle
et i.hæcvoxe tiam additamentum paffafuitin formatione, Fle xibilis.Aurum,autęs
ductile,quodex massa in la umellas duci potest. Selfileslactucæ,quarum natu ra
est ad fedendum poftquam creverint: vbi ab soluta significatio eft; non
transitiva ad paffionē, quasi quas sedere cogat natura.Ansatortilis, quæ inter
fabricandum ex directa torta facta est. "A. pertile latus,quod quiuit
aperiri. Altiles gallinæ; quæ poffuntet ali, etnon ali. Horum igitur ratio shup
duplex:namque poteftas hæc, aut a naturaest, ve flexilis iuncus: aut ab arte,
vt coctiles lateres: er gonaturalis illa vis nunquam deficit: nami ctiam quum
flexisuntiuaci;retinent nihilominus pri ftinam flectendi facultatem:
coniungitur enim a et us cum potentia, ettales sunt,quia poffunt ef fe.
Huiusrei ratio est,quia ab effentiæ principiis fuit potestasilla. Scire potest infans
Musica. Ad ultus scit nunquis dicettunc amififfe soiendipo • teftatem?Quæ autem
ab arte proficiscuntur,non fic fe habent:neque enim codi lateres poffunt coqui:
qñ co et io accidensest, extrinsecus adue niens, non a primordiis laterum. Sed
hæc qarte fierent fecuta sunt rationem eorum qfuerent a patura.
Sic.n.consultiusfietą garecentiorib.fa. - et um est,vt qa lateres coqui nequirent,
idemque in ipsis etcoctum etco et ile effe videretur:iccirco flexilem ramum
eundem putarent et flexum: Et fissileroburidem cum fiffo. Nam quu PLINIO (si
veda) inquit, Alia fiffilia,alia celeriora frangi, ğ findi:no
neintellexit,aptiora,quorumquenatura præuer teretur citius fractione, q
fiffione? Sic etiã Theo. phrastus,vndeille guisa'y Frasa,Ipausa,quæipfeac
ceperat a præceptore diuino fuo, vbiloquitur de crustis ac testis Aquatilium.
et in 8.Metaphysices. Poetica licentia dictum est, Penetrabile active:(1-7 )
cut Porrum fe et iuum,vulgus cotra paffiue.Hing constat male reprehendi Boetium
a curiofis re centioribus, qui Jencesıxov, Kisibileinterpretatus, eft. fecit
enim exemplo codem et analogia, qua Sefilis lactuca dicitur, absolute.
Quantitatem autem quædam simpliciter de- quanta clarant,quædam non.Nam
tempus,et locum submenuanla quantitate quum intelligamus: Tempus fimpli- Gadone
anom citer quædam fignificarunt:vt Bimus. at locum non simpliciter,id estsub
quantitate,fed fubindre com a apk Posen neque enim Montanus,eum significat,qui
mon- et Ettiva. tis inftar eft: fed qui montem habitat. ficut In- midogopts
teftinus loci habitum.Hæc multas cu aliis comu nes habuere terminationessin
Anus Sylvanus:cu Anul ius affea propri fuit,vt ex adie et ivo fieret sub N
ftantivum,Cælestis:Terrestris: addito elemento ficutPalustris:nam Paludeltris,
afperum eft, et for when fortasse barbarum. Supra posuimus, Aquaticam, a
qualitate non male: fequitur enim qualitas sub. ftantiam, et loci
rationem.Cognatio enim eftin ter locum et locatum. ac fane ipsum hoc genus, to
egetv, alij cum qualitate,alij cum relatione mi scuere: quidam neque habitum
fpeciem qualita tis a relatione: fed hæc sunt alterius operæ. Habes and ctiam
alia: Litoralis,Marinus,Maritimus, Pelagi us, Fluuialis, Fluuiatilis;
Aquatilis;Tartareus,Ae rius, et eiusmodi. Et a partibus terrarum, in qui wfubus
etiam id diverfum fuit: in Ensis,vt peregri num incolam,non indigenam
declararet: jane Martialis mavult librum suũHispaniêfem, quam Hispanum:vt
Romanus sit,quiin Hispaniam a nimi gratia diverterit. In aliquibustamen Nati vum est:vt,Veronensis. longediversa ratione di etus
est Cato Vticenfis,quum Vticæ periit, non " est natus. Etampliorelimite,
vt Pratenfis. ficut Subcinericius panis, non ex cinere, sed sub cine
re:adiuuatur autem a præpositionc. Græca funt Tarchaniota, et Drotoniata.
Prisci ita constitue re, vtanimadverterent, quædam excedere nome "
loci:Creta,Cretensis: quædam non,fed alia equa re: Macedonia,Macedonicus:
quædam fupera woonri,Italia,Italus. Hæca regionibus. Aboppidis au temnegarunt.
Itaque a Venetia, Venetus:a Ve netiis, Venetianusmaluere. At Barbari quidam
nihil discriminis faciunt inter Venetiam, et Ve netias. verum vt illoruin
consilium placet, Venetiani enim a Venetis distinguendi sunt ficuti Patavini a
Venetianis: Veneti enim Patavini quoqrie funt: ita regulæ fervitus displi cet.
Idem enim ab oppidis quoqueeuenit: a Ro ma, Romanus: a Tiferno, Tifernas:a
Camerino, Camers: quare a Lauinio oppido, etLauina et Lauinia reette ducas.
nequeagrammaticis vtrum legendum sit apudVergilium, sed quemadmo. dum poeta
fcriptum reliquerit obseruandum, Proprium horum est paticoncisionem. Sarsinas,
quod fuerat Sarsınatis: et literas transferrc:vtä } Velitris, non
Velitrenus,fed Veliternus: quan quam demptam potius iudicarim, vt fueritVeli
trerinus, deinde vsu vox expolita sit. Exhis col ligitur non esse verum quod
aiunt,in Ensis ea ef se, quæ a Græcis oix aquatixa vocantur: namety, iam
suntinindigenarum, Coloniensis,Lugdy nensis. denique pratensis, Tempus autem etTeporis
partes, fic Extem- thoma poraneus, nam Tempestiuus,vt diximus,potius omny
temporis habitum significat. ficut Intempeftus, upil quod concisum tempeftiui.
Hora, habetHora rium,quum diei partem fignificat: atGræciqua ternasanni partes
sic appellarunt. vnde Latini Hornum, quod huiusanni effet,nequcinalienas
trasıfset wpusanni sequentis. Diurnus,a die:No. aurnus a
nocte:Vespertinus,Matuținus,penulti ma producta.itaque etiam Diutinus et
Serotinus pronunciandu eft,cotra quam prodidere. A Co ticinio, et Diluculoet
Crepusculo, no suntdedu et ta, fed Aduerbiorum forma vtuntur. Perdius, et
Pernox cöpofitione adiuta sunt,quominuscoge rentur in communem terminatione:
ficut igeue por animal dietum ab Aristotele. AMense vulga ris
voxMenftruus,durafare:itaque emolliuitilla Rj. Cicero; et Mens urnu fecit. Annuus
no solum an ni habitum significauit,vt reditum statum indi caret:veluti
quudicimus, Annua sacra: fed etiam totu tempus idque vnicum:vtapud Iureconsul
tos, Annua; Bima, Trimadie, Anniculus ætatem subtempore,ficutQuadragenarius,
etciusmodi. mamme Discretam autem quantitatem fignificant his terminationibus,
Centenarius, Binarius, Terna rius, quæ etiam fub exerreduximus: neque enim Som
solum numerum, fed etiam habitum ponderis, aut ætatisaut, ordinis connotat,
resenim valde sunt complicatæ:ncquenisi a philosophis digno sci plane
possunt,ficut Bini, Quaterni, eteiusmo di:quæiccirco carent numero lingulari,
quia plu racomprehenfa ad totidem referunt: sed licentia poetica pleraquetorfit.
Relatinorumfpecies recenfentur. yawan R ne, enim Elatiuum fignificat vt
diximus, aut Aqua Locum,vtfalso lcripfere: fedRelationem in loco. Aut
Inæqualitatem: hîc suntipecies tres, Poffel fiuum,Coparatiuum, et Superlatiuum.
Deminu tiuum autem comparatiui species eft: dequibus omnibus iam cdicendum. prorsun
Den funt enim Po hleffiua quæ id denomi Enominatiuorum species censentur Poffel
grice [GRICE] unt,cuius funt: vt,Enfis Casarianus:Ac quzfitu quidem alias a
nobis eft, quamnam ad cauffam iwia prion reducentur: nam Cæfar enfis sui
nequemateria est, nequc efficiens, neque forma: videtur igitur juv. potius effe
finis. Sic Pompeianus ager, Seianus equus, in vsumPompej, etSeij. Sic Olympij
ludi in honorem Iouis eo cognomento: fic Circen ses,et Megalenses ad Pofteffiua
redigendisunt:fic Florales, et Robigales et Saturnales primum fuc re, fiue
Dies, fiue Ludi, fiue Vacationes. deinde tenuit consuetudo, vt potius
Robigalia, et Satur nalia dicerentur, propterea quod honeftiorcco filio
Sacra,quam Dies intelligerentur. Quzsiui mus illud quoquc, An amateria:
vt,cretaceus: a shorti forma:vt,ftatua Herculea:ab efficiente: vt, Venuscm art.
Appellæa: ducerentur. Et non videtur: fed fim. pliciter Denominatiua funt: ac
quanquamvide tur quædam relatio, tamen non correspondent. Neque enim Creta Cretacei
eft, fed parstorius. Haud enim fere inuenias præter Deum, quod non aliquo
modo referatur. Omniaenim faltem abillo dependemus:Solus enim vere eft.
Differunt autem a Patronymicis Poffeffiua: 94.c. primum quod Patronymica fixa
dicuntur, hæc pohorito mobilia:illa patrum,aut auorum,automoinoge, neris habent
fignificationem:hæc cuiufuis rei no tæ funt: illa a propriis,hæc a communibus.
Ex quibus colligi possunt rationes, et cauffæ repo nendarum specierum, quæ funt
a veteribus pro ditz. Neque enim aut Cardiacus, aut Mathematicus, aut ciusmodi,
funt Possessiva, vt putarunt, sed denominaziwa: sicut et alia quæ funt fupra
enmoi declarata. Comparatiuorum superlatiuorumg, natu, ra, et caulja, da ufus.
St hoc receptum e scientiis tain quæ Magnitudines, quam quæ Naturam contemplantur:
e nihilo nihil ficri. Ita e rebus, quæ carēt cor pore coniun et is,nuquam
quicqua corporis fieri, Nam ne coniungiquidem poffunt, Coniuncio enim
extremorum, extrema autem corporum, Quere a incrementa fiutex Quantitate, et
omne Quantum divisibile est in semper divisibilia, incrementa quoque ipsa
diuidentur: igitur quæ sifignificarunt quantitatē, primo receperuntmodu tum
incrementi, tum diuisionis. horum imitatio neitemea, quæ indicarent Qualitatem:
propter ea quod intendiac remitti poflet. Iccirco De nominatiuorum, quæ
referuntur, duæ fuerespe mihi cies conftitutæ, Comparatiua,et Superlatiua,quę
Quantitatis Qualitatifve, dicerent incremetum: et Denominatiua, quxincrementi dicerent
cer tam ablationem. Oecurrunt autê primoloco deminutiua: lirei naturam fpectes.
pofito enim nomine Iustitix: fiquid adiungatur accessionis: perpropiores gra
'dus ascendemus ad excessum: Verum quia non suat specie diuerfa a coparativo,
Ted modulo tan tum quodam, atquciccirco posterius excogitata posteriore loco
tractanda iudicauimus. Etenim fi dicas Meliusculum effe Triticum Siligine, et
iam Melius, poffis dicere. Comparatiuum autem etSuperlatiuum fimulftatuemus,
haud enim ab Gmili funt natura: Nequcenim distant nifi quate Ono 1 nus pars a
toto.vt quemadmodumDeminutivu modus sit comparativi, ita coparativum Super
latiui: vt qui sit doctissimus, etiam doctior. An vero etiam possit dici
Doettiusculus? Et videtur. Amated Toto enimpartem contineri verum eft. fi enim
qui lit do et ifsimus, etiam doctus effe dicitur: et iam doctior:quare non
etiam doctiusculus,quod * inter docum et do et iorem intercipitur? Verum res
aliter fefe habet. Deminutiuum enim non fomnono lumpartem notat, verum etiam
eicertospræscri-1} bit limites. Nequevero solo hoc differunt: fed et alia
caussa subest. Nam superlatiuum etiam abse }, lute poni potest:vt, Cafar
fuitfortiffimus.Signi ficat enim adeptum fortitudine, omnes eiusnu meros
absoluifsc. Ar fi dicas, Doctiorem, neceffa rioquempia, quicu coparetur,
autponas,aütin Je * a he or lacus * telligas.Prius autem cöparatiuum inuentum
eft. kogoofmus Eft igitur Comparatiuum species diet ionis, Camper exceffum
significans ad alterum relatum. Dicom autem quantumcunque, et qualemcunque ex
ceffum:non, vtdixere,mediocrem; neque dico speciem nominis, utnomen eft:fed vt
nomen est6ans species dietionis. NametParticipium et Præpo sitio etAduerbium
comparantur. Hi duo erro res veterum fuere: quorum alterum moxexplica. bimus.
quiverocontaminauit definitionem, fic conftat:Omnem exceffum totumq;etiam a
comasign.one. paratiuo significari, non autem mediocrem. Prier celles mum,
fallumestmediocrem effe. poteft enim fal-, tem citra summum,sed
proximecofiftere: vt do ettior tantu fit,cuiillud tantum desit, quod fit do et
iffimus. Deinde hoc quoque falfum est.Nam 2 R iij. qui qui fit do ettiffimus,
ide etiam do et ior dici poteft. vt Nigidius aut Varro,li fitdo ettiss.
Romanorum omniu, nonnedoctiorcæteris Romanis effe po terit? Quare Coparatiuum a
Superlatiuo non di Itat specic,vtdiximus: sedestaut Gicut pars in to Pro,Giuc ad
totum: aut idem cum ipso in re, diuer sam autem in modo: relatione ipsa
scilicet. Igitur fi eius naturam acrius contemplemur, haud fane noriurpro
renomen inditum deprehendemus: ncque in your enim satis ipsum diciCoparatiuum:
multa enim funt nomina Comparatiua, quippenotæ Cum parationis: multa Aduerbia:
vt,Similis, Disfimi lis,Propinquus,Qualis, Quantus,Velut,sicPomba alia
eiusmodi. Neque vero omnis Comparatio exceflum significat: quarcab hac
differentiapo. tius nomen consequi parfuit, quam a communi seyin est cummultis
naturailla. Itaque commodiusumaga Jepanon, quam quyx stixovappellari potuit. Ne
tuy queenim superlatiuam recte a Græcis umeeJeri Laith ar di et um fuit, Nanque
Touti non significat rdõrov, fed ipsum habet suos gradus: sed consul tius
orogetskov, aut cxpo Jetixo.Latiniautem hoc etiam amplius crrarunt,quineque
præpositio nem emendarunt, et verbum Feroinmiscue runt, quod motum significat
Græci fapientius constantem qualitatem aut quantitatem per ver bum nibvert ita
ctiam constat, minus prudenter finixov dictum nomen vnde hæc fiant, vt Iu
itus:nam ctiam Iuftior, tugmor: ftatuit enim lufti tiam. Cuius rei fignum est,
quod etiam superla tiuum di et um eft, ni devou umrig mod Jetixov. præter ca
quiluftuseft, potest elle lastiffimus. Omnem enim wak Tic CHE 4 1 ITA enim
Iuftitiæ habitum habet. Itaque a beisov po -u tius dici debuit Indefinitum.
neque enim decla rat graduum præscriptionem, Comparatiuum autem, wieJetixav
superatiuum. superlatiuum autem, airgo fetixor a Græcis, a nobis aliquo AQ
mine, quod vltimum exceffum indicaret. Ex his definitionibus videmus, veceres
nore ste dixisse, Cöparativum significare pofitiuum, cumMagis. Primum
peffimelocuti sunt. Nequem.Roy enim Denominatiuum fignificatnomen, vnde:
ducitur, sed rem aliomodo: fic Comparatiuum rem, non nomen significat.
Deinde,Magis, esta Comparatiuum: quareidem refolueretur in sei psum, atqueelset
resolutio infinita.In quod enim refolueretur ipfum Magis? vbi fifteret
resolutio nem? Neque vero prudenter negarunt, Magis namate effe coparatiuum.
NamMagnus fecit,Magnior mangeung Magnius et Magius, ac tandem Maius. Aduer.
biumautem volueruntvariare,retentalitera pri stina, ac fecerc, Magis. At quod
argutant, non differre Aduerbium a neutro in aliis: fatemur. » Quodaddunt, nein hoc quidem esse faciendum: ridemus. Libenter enim in
aliis item feciffent, f quiuissent. Fecere, vbi potuere, vsigue sunt et li
bertate, et commoditate. Errarur quoquein Su perlatiuo, in cius intelle et u
inesse Multum, auteng Valde. Nam multum magnusest, cumquima ior, quam qui
maximus. AtValde, quideft, nifi falling Valide? Igitur Validiffimus erit valide
vali- posten dus.Bisigitur validus. At Superlatiuum ter vali-'pro for dum
potius fignificat. Id quod Galli ncq; temeres, neque imprudenter in patriam
linguam recepta TI Title ch eri des 17 oli pe mit Riiij ctiam nunc retinent.
Hæc igitur ipsorum nomi na atqueNaturæ: nunc caultas,ac tandem Affe ettus
videamus. mafm. Ergo materiam a Græcis mutuati sunt Lati niin Comparatiuis,
imitatisonum sub r, licera: ououtrgos,Sapientior: et in Aduerbioadhuc propius,
sapienter, superlatiui autem terminatione græcam repudiarunt, propterea quod
conue niebat cumpaffiuo participio, Nam vt a ocoas's CWTOC TOs; fic ab eo quod
est Incitus, deduxif sent, factum esset fane incitatus.Itaque alius fle xus
placitus eft. Geminarunt autemlibilum fic, Incitissimus: iccirco quia etiam
Græci produxe re mutatam vocalem, quæ esset breuis postbre uem, vt fuperiore in
exemplo patet. Tractus e nim vocis longioris id exigere videbatur. Quare
codemexemplo etiam aliam terminationemco ftituere,Vberrimus:tanto facilius,
quod iam alte ram literam ex geminatis ibi inueniebant. Atin tertia
terminatione,quare recentiores vnica tan? simtum liquida pronüciarunt,lic,
Similimus? quum tamen proprium eius fuerit geminari obfoni le nitatem, et
producatur apud poetas semper, et in antiquis exemplaribus omnibus ita scriptum
çit et fublit, tum analogi, tum analogiæ cauffa, quare lit geminanda. Communis
autem termi. nationis caussa etiam a Græcis quandam habuit originem: ngoQocov
enim eftaltile, quod scilicet naðum sit naturam, vt alatur. Naturam igitur cam
quum plene poffideret, mutauit fimilemlo zoubt num aliis quæ summum illud a
depta effent. Fiut forro igitura nominibus incrementum luscipientibus. Ha? Qua el
2.0 CE 2u chi HIS Quare a significantibus fubftantiam non fient: nam aw to CTO
etIpfisfimus, mera licentia Poetie: ca fuit. Natione vero indicantia ita demu
exorie tur,fi non ftatum hominis, fed gentis oftendent mores: vt quia Pani
perfidi legemusPæniorem apud Plautum. aut etiam ab alio significato. Qua re et,
Neronior,nö a Neronis fubftantia, fed a fæ uitia comparabitur ad fignificadum.
Confeffum etiam ab omnibus est, Comparatiua duci ex ad verbiis quibusdam: vt,
Dodus. Nec deest ratio: verborum enim qualitatem fignificant Aducr bia.
Abcæteris autem partibusnegant. A partici piis non fiet, qui tranfeant in
nomina, nequea» Præpofitionibus,quiaamittant vim, qua casibus præponuntur. Nos
cum his aduersus veteres di cimus, a verbis non duci, Exempla enim falla mort
Deshomme sunt: Nam a verbo Potiri, eftridicule dedu et um Comparatiuum
Potioret, Superlatiuum Potiffi mum:neque enimsignificata valde cohærent.fed a
Potis,fiue Pote, fiunt. Parinscitia, quum Dete ro verbum ex sese aiunt gignere
Deterior: quip pe Deterior, paffiuam habet rationem significan di,vt quod fit
plus detritum, deterius sit. etvox vetufta fuit,Deter: sicuti,Dexter, Citer,
Exterja pud Catonem, et Statium:quæ nunc exoleuere. Contra hos autem cum
veteribus viciffim fentia mus, A participisduci:Giquidem non omnia par A partir
ticipia in nomen tranfire poffe. nam Expugnare significat aettionem
fubtempore.Cuifi addasca fum nominis non verbi, amiffo tempore nomen fit,
retenta sola Participii terminatione: vt, Ex. pugnans yrbium,sicut
Expugnatoryrbium,nul R. mi 12 Ar 1 UK ei 1 gui apoirs F IvL. Cas. SCAL.
IV. lum tempus designat. At Participia pafsiuaquo *modo nominum naturam
asciscant:neque enim fimili ratione casus nominis apponipoteft: itaq;
Expugnatum, semper præteritum indicabit. Et Honoratiorem atque Honoratissimum,
nunqua de aliotempore, quam de præterito pronunties. Immo vero quibusdam horum
nominum ctiam casus verbiadditur: vt,Expugnatus a Cæfare: ita etiam
Expugnabilis a Cæfare: tantum abeft, vt Participiis ipfis derogari id ius
poffit. Sic locu. tus eftM.Tullius ad Cornificium: Cæteris, in quit, omnibus
rebus habeascosamecommenda " tiffimos: id eft, qui maximea me commenden
boyme sur. A Præpositionibus quoque deriuari, mul tus exemplis conuincuntur, in
quibusmanetvis Præpofitionis casum exigencis: vtapud Liuium in primo: Duo
corpora propius Albam. Neque ac fine ratione: Interuallum enim in poteft: Cuius
interualli conditionem ipfa Pra positio declarabat. Ex quibus,vt diximus, acutius
contemplanticonstat: Comparationem essedif ferentiam, quagenus sub diet
ioneconstitutum compleet itur non folum Nomen, sed etiam Ad uerbium, et
Præpositionem, et Participium, quæ inter fedifferunt specie. Idemque de Superlatiuo intelligendum. Affe et usautem corum vsu
cotinentur,verum non fine controuersia. Cum enim ncget nemo casum Sextum
debericomparatiuo, Secundum Superlatiuo, etpluralem semper numerum: Du em
Jochorbitatum cst, An pluralis casus Secundus Compa: patumivaziuo apponi
poffet. Quarc non defuêre, qui Com partes fecari 3 Es, AC
Comparatiuum inter duos tantum, cum Secun do cafu ponipofse contenderent:
idqueHoratii exemplo, quidixit: O maior iuuenum.Sextum au tem inter plures
duobus diuerfi gencris: vt Cx far fortiorGallis.Nosvero sic fentimus:Compa se
ratiuum cum semper aliquo modo referatur,non semper tamea ad fequentem referri
calum: fed ad eum qui subintelligitur. Igitur fi dicas, o maior iuuenum, dire
etta orationcad duos Piso nes, non redditur casus ille fecundus Compara tiuo.
Neque enim fieri poteft, vt alter Pisomaior sit, quam Gnt iuuenes: fed refertur
ad fratrem alterum fic, alter iuuenum, quialteromaior es. Sic etiam dicimus
explicatius: Elephantorum Indici maiores Afris:etiam fi Afris, fubticeatur,
constet oratio. Exponitur autem ad hunc mo. dum: Elephantorum alii Indici,
aliiAfri:quæ* rum Indici maiores Afris. Sicut ergo cafusille Quorum, non eft
Comparatiui, sed Distributio-4, nis: ita erit in exemplo quoque fuperiore. Ex
hac natura constat ratio, quare poni qucat cum præpositionibus Inter, et;Ante:
vt Inter alios, dodior. Ac sane quum in comparatiuoduofiat, Relatio, et
Excessus:præpofitio Ante,non abhor reat ab cius natura. Altera vero quæ eft,
later, languidiorem operam præftat: nisi enim mul. ta luppleantur, non exprimit
vim exceffus,fed potius æqualitatem: vt, Cicerointerciues fuos do et ior:
potius enim tendit ad Naturam abfolu ti, quam comparatiui: nisi subintelligas
distribu tionem ad fingularia, quem admodum in Se cundo calu exemplorum, qux
fupra diximus. Guin's 21 20 file HT ni CO cre 264 Ivl. IV. و suplalincuius
Secundi cafus natura partitionem item di anstpantsheitin constructione
Superlatiuorum: quæ fuerit cauffa, vtsemperinter congeneres fiat significa tio.
Quæ vero patiuntur, quæquedistribuuntur, eiufdem generiseffe neceffe eft:
quemadmodum fi dicas: Cæsar clementissimus Romanorum: in telligitur Cæsar vnus
e Romanis, qui aliis cle mentior fit, quoad fieri poteft. Quare videmus eorum,,
porn siccum Superlatiuoponipolle. Si enimdicatur,in quiunt, Cæsar do et isfimus
omnium: Cæsar non excladitur ab ea vniuerfitate,quin vnus omnium fit:igitur
fieret, vt fe quoque efter doctior. Atque hi falli sunt:cum non
intelligerentSecundiillius cafus partitionem.Idem nanque eft, Do et tiffimus
hominum:et, Do ettiffimus homo. Comparatiuu Wero cum Sexto casu ne fic
ftatuas,quemadmo dum poctæ tum Græci, tum Latini ausi sunt: Cun et is doctior.
hic enim fit relatio do et rinæad cun et os: non autem fola partitio fine
compara tionc. Itaque vocem excludentem addendum est, cuius vires comparata
excipiatur. Id quod fecit doctissimus poeta: -Ante alios immanior omnes.
addidit enim Alios, nesub'voce Omnes, Pygmalion quoq;comprehenderetur. quãquam
idem alibisubticuit,cum fcripsit: Sed cun et is al tioribat Anchises.
Præpofitiones igitur ipfæ at tulerunt vim partitionis,non folum Ante, et in -
ter,sed etiamEx: vtapud Liuium primo: Sextus filius eius, quiminorex tribus
erat.non enim po tuitdici, Minor tribus. Tres enim tantum erant: ipfe enim
secum compararetur: effetque feipso. minor. IT IL 19 Ulo minor, Illud etiam
aduersus veterum fententiamgoo eft animaduertendum: Siad secundum illum ca
nefna fum referatur Superlatiuum: aliam quoque ab iis, quas supra
posuimus,cauffam esse,propter quam illi fuperlatiuum maleinterpretati
suntperMul tum et Valde: neutrun cnim horum aduerbioru refertur. Poftremo id
quoquefalso eos prodidif se constatGræcos, arrogantia quadam commifif- fotbal
fe, vt non niliadidem genus Superlatiuum refca he latest ratur, quoniain præ se
vnis, cæteros omnesbarba ros appellassent.Atenimuero in suatantum gen teid
obieruaffent: nunc vero videmusetiam in ter Barbaros legis rigorem tenere. Sed
in cauffa, vt diximus fuit, Partitio acDistributio. Itaque hoc loco, vox hæc
Genus non solum gentem aut nationem indicauit: sed etiam diffudit significa tum
ad aliamulta:putamores,artes, et eiusmodi. Dicam enim, Epeum Tolertiffimum
fabrorum. hu Sicin primo de Oratore M. Tullius, de Craffo, et 13 Scæuola;
alterum parcorum elegantiffimum, al terum elegantium parcissimum. Neque enim ad
Due diuersa genera relatum est: in vtroque enim erat elegantia cum parcitate.At
Martialis in duode 121 cimo,multo effufius: Pones, credemihi bonus.quidergo? Vt
verum loquar, optimusmalorum. Inter " as bonos enim et malos nullum
commercium eft, contraria nanquesunt: sed suo more lusit. Neil lud quidem reće
prodidere,Comparatiuum po- comeframtiden ni aliquando absolute: semper enim
habet ali o quid, saltemoccultæ, relationis. Sic seniorem A celtem dixit Poeta:
aut quam alii, aut quam fue. M WW ! LOG Sert rat, aby mirat, aut quam
videretur: tantum abcft, vtminus Ignificent, contra quam scripserint: exemplum
enim Vergilii, Tristior,deVenere, fignificat cam plus quam tristem. declaratur
id tum lacrymis, tum dolore qui exprimitur in conqueftione. Multo vero minus
significabunt contrarium:re latio enim est inter participantia igitur: Mare
Ponticum qui dicunt effedulciusceceris:non in telligendam proponutamaritudinem,
sed dulce dinem miftam in omni mari, in Pontico autem maiorefluuiorum
incremento, neque enim ma re extremæamaritudinis est: igitur contrarii, hoc eft
dulcis admiftione remiffum. Quod autem in Sarahithe mari firaqua dulcis,in
quarto historiarum decla. ratum eft.και πτιμω τρέφεσθαι τεςιχθυς. Sic etiam
Theophrastussenfit, et verum est.Eodem modo locutus est Philosophusin codem
quarto: nati προνο επτο οξυ των πυθών. Nii enim το οξυ ha beretlatitudinem, non
dixisset WAKTU TEQOY, Et idem neuxonege dixit, quæ effent minusnigra, colores
enim inter fe mutuo congressu diluunt pitorem. Etin o et auo comparauit ourgov,
cum aniru. Lombate a Hisitaconstitutis, intelligemus cuenire poffe sobysi valvt
Comparatiuo Superlatiuum excedatur:non sua natura quidem, fed ob fortuitas
rationes: quum enim Cæfar vnus e Gallis non fit, non dicara Cæsarem Gallorum
fortissimum. Igitur si non omnes numeros fortitudinis expleuerit,
nihinter Romanos: fic dicam. CæfarRomano rum fortiffimus fuit: Maximius autem
fortior. Fit enim hoc,non natura Comparatiui, sedquia additur Natio. Itaqueliquis
apponatgenus, qua professio fiuears, fiue scientia comprehendatur, non poterit
abvllo excedi Comparatiuo: veluti quum dicam, Bellatorum omnium fortiffimum
Maximium. Huius rei cauffa eft in Radicibus philofophiæ. Siquidem primum
perfeet umque moi duplex eft: quippe aut vere,et quodaiuntapuwosoaplicate vt
Deus:aut in genere, vt circulus: eft enim suo e tantum in genere figurarumperfe
ettiffimus: ic circo extra genus fuum altericomparatus inuc nietur inferior.
Atprofessio est affectusgeneri cus, comple et ens variaaccidentia,velgentium,
vel nationum: itaque comparari porro non po terit. Nam Bellator eft affectus
hominis, nc quecoercetur potius limitibus Romanis, quam Germanis, ac
proptereatota fummam exhaufit. Quoniam vero, vt dicebamus,hi tractus incre
mentorum gradus habent suos: iccirco ctiam multos Longue's notas excogitarunt,
quibusvel Comparatiuum, vel etiam Superlatiuum ipfum augeretur:vt, Longe, et
Multo. Nam
etli Superlatiui significa tus summus est, non tamen in pundo versa tur. Vt
etiam hinc appareatleuiffimapugna grammaticorum, qui ex poeta litigant,anpo
tuerit ab eo dici, Diomedes Danaûm fortiffi-,, mus: quoniam Achilles fuerit
fortissimus. Nam ctiam Aiax fuit fortiffimus: etiam alii effe potuere. Quare
illud quoque a veteribus omis lum fanciamus: non folum in diuersis generibus,
sed in eodem quoque duo Superlatiua pofle ita comparari, vt alterum reda ettum
in Compara tiuum fuperet: fic, Fortiffimus M. Manlius etfor EMI > Si opy ire
fak et fortiffimus Sicinius Dentatus, et fortissimus Scæua Centurio C. Cæsaris:
at Sicinius vtroque fortior. Vtrum vero e reipta ita ortum fitan v. 20fu
occupatum, quærere operæ pretium eft. Nam fi fortissimus est, qui omnem ambitum
explevit e fortitudinis; multi effe poterunt fortissimi, sed nemoalio fortior.
Quare cõsuetudinepotius,at que opinione fa et um eft,vtita loquerentur: neq;
enim statim erat omnibusnominibusfortis, qui fortissimus creditus est. Ergo
alterum cum ani maduertissent meliorem, non omisso priore iudi cio,
coparationem addidere. Nam sane aut prior non erat fortissimus, aut fecundus
non erit for Chung tior. Nonsolum autem gradusipsi conferantur, vt doctior, et
multo doctior: fortissimus, et longe fortissimus: sed etiam diuerfa significata
inter fe: poffum enim esse fortis, et non tam doctus:ergo cro fortior,quam
doetior. Interdum igitur exx quo ponuntur perinterrogationem: interdū no exæquo
per affirmationem: nam Interrogatio dubitat: itaque ex æquo proponit
iudicandum, non ftatuit: affirmatio autem non quit duo Com de web vooraf
sparatiua inter fe collata æqualia facerePrimo. modo locutus est Cicero in
secunda Philippica: Impuriorne, qui in senatý: animprobior, qui in Dolabellam,
et cætera. Alio modo omnesloquu tur, Cæfar clementior,quam iustior. Nam quod
addunt Magis fic: Clementior magis, quam iu Atior: Qullum autorem habent, quem
adducant, In hunc enim modum foluitur oratio, Clemens estet iuftus eft: fed
Clementia est maior quam Iustitia: Iustitia non eft maior, quam Clementia. At
met 2JUK curt 18 2: m 04 Kic At Comparativum si vtaiunt,significat Positivū,
cum magis resolvatur Comparativum in eorum oratione, fient fane ridiculi:
CæsarClemensma gis est,quamiustus. Nam quod poetæ dicunt,Ma gis,atque
magis:idfit per avadianworr: sicut, E tiam atque etiam. hicautem hocnon
quærimus. At non addidit Livius in libro duodetricefi mo: Vt propiusfastidium
eius fim, quam desi derium. Quoniam vero vsus etaffe et us reru, substan tiam
earum naturamque demonstrant, manife -wwgegebenen sto colligimus, Magisesse
Comparativum, çon traquam, vt diximus, sint arbitrati. Id enim ex o rationisvsu
patet, quum dico: Hoc volo magis, quam illud. Eft enim idem modus comparatio
nis, qui in Philippicis apud M. Tullium: Hocci tius, quam hoc. et quo vulgo
vtimur,Hoc potius, quam hoc. Ex quo vsu illud quoque a veteribus, tanquam
peccatum animadvertamus: quinega- ' come rint, Complures,esse comparativum:
dicitenim perangnya Terentiusin Heautontimorumeno: Nemome liorem agrum habet:
nemo fervos complures.Et ratio etiam iubet:compofitum enim eftapræpo fitione,et
Plus. Quodfi Compluria dixere prisci. contra Comparativorum analogiam:
flexionem novaminvexerint potius, quam vocis naturam depravarint. Proprium
autem eft Comparativo rum, pati vt Adverbia sonu mutentneutrorumon Maiusenim,
vtdiximus,fa ettum eft Magis. Inter dum etiam vtdeficianturpositiva,etaliunde
pe nitusmutuentur, tam in Adverbiis, quamin no minibus: vt,Parum yiriu,Minusaudaciæ:
Parum Si A, WITH 06 ol Paul ! mo 21 cen 270 Iut. CÆs:
Scat. IV. census, Minorepudicitia. Item quomodo aNo. minibus Adverbia
fiunt,etcorum affectus com parandi: ita
e contrario ab Adverbiis, Nomina superlativa:vtapud Catonem Nepotem, Sæpissi «
mam discordiam. Etficuti quæ a Præpofitionib. ducuntur casus servant suos:vt
Proximepontem: ita etiam quæaNominibus,corum Nominu ca sus admittunt:vt, Moræ
patiens,More patientissi mus:Similis Neronis,Similimus Neronis. Proprium
eftautemSuperlatiuoru, fixa fieri:vt, Pro. ximus, pro cognato: Erapud Liviū
libro primo: Proindigniffimo habuerant fe patrio regno tuto risfraude pulsos.
Etin fecundo: Necambigitur, quin Brutus, qui tantu gloriæ Superbo rege cxa eto
meruit.pessimo publico fa et urus fuerit:Iccir co etiam comparationem
fuscipient: vt apud Vl it has Para pianum,Proximior. Sicutautem sunt compara
tiua fine superlatiuis,vt Anterior:ita e contrario apud Plautum,a Pene,Penisfime.
Privatim autem u proprium est huius comparatiui,Prior,etiam po ni pro Primo:vt
in Titulo;de Remnificari: et apud Varronem,cuius verba refertGelliushæc, Quo
ties magistratus pluresessent Roma, qs prior ef set. Sed ita accipiendum eft,
vt tota lummain duo dividatur.Primus enim vnus est, qui præit: cæteri quafi
vnus,qui przitur. Malim tamen abstinere. de, Potissimum, etiam nonnihil
obseruauimus. Armm. Restant Deminutiva, quæ cognofcere facile eft: comparatiua
enim fequuntur, vt pars totum Att. Deficiunt tamen in plaribus nominibus,
veluti in eo quod mododicebamus:a, Prior, enim non duciturDeminutiuu:neq; ab
aliis eiufmodi.Hæceft MODE EX est eorum forma et origo. Quodautem pertinet ad
cauffam materialem, non inutilisquæstio eft: Quare a neutris potiffimum orta
fint, vt non po tius Doctiorculus, qua Doettiusculus, haud fane patet ratio:
nisi ab Adverbiis primum ducta in on telligamus.Fortiuscule fecit,vtlitorigo
vocis mi it - Jitaris CAP. CII. 100 ota ok > 0 PPLE vilgiu ged Grille bud!
TI Nominum affectus communes. Affeet us hi:generales aut, Affe et iones mul, tæ
in ipfa accidentium mutatione. Mutatur aute mail.com aliquid multismodis:fed ad
duos reducuntur. Nã aut Substantiam amittit, veluti quum e terra fit
herbaaut Accidens. Idque fit autin Quanto,va pie deeftaugmentum: aurin
quali,gamoiwon Græ ci nominant, noftri Alterationem,voce novaqui il dem, fed
elegantissima, etmaxime neceffaria, sut interpretati:aut secundu
locum,quidicitur Mo - ** tus.Ergo sicevenit ei,q mutatur.Autipfum fit 2 non
erat:cum mutatur substantia: aut in ipfo fit, gnon erat,incremento,et
ano:woriiautipsu fit, in quo non erat,scilicetin loco.Suntetia mutatio nesin
aliis generib.prædicamentorum.Quin etiã immutaturaliqd non propterfuam, fed ob
alterius rei mutatione.vt mortuo Catoni vnico filio, de fat ipfc Pater effe.
Etequusqad dextram Cæfariset est constitutus, fi ad læuam transmoueatur: ipfe
Cæfarqsinister equo erat,fit dexter. Quib.igitur modis nominum mPombaur
accidentia videamus. Sij. Spes S, Jim
odif Species quidemipfæ non mutantur, vt
quæ pri mitiva effet, fiat derivativa:sed alijatq; alijcom. paratæ, eo modo
mutari intelliguntur. Amator, derivativum ab Amo, eft. Primitivum autem eft ad
amatorium. ut Philippus Amyntæ filius, idem et Alexandri pater. Quoniam vero
Primum dici tur, aut quum anteit, ve vnitas: aut cum etfi non VL misen antcit,
tamen ne anteitur quidem:quippePrimo comes genitus etiam vnicus dici poteft
filius:iccirco rri mitiuum quoque fic intelligiqueathac ratione: non a quo
derivativum sit, fed quodipfum a nul lo:hocenim neceffe eft aliquando fuiffe,
vt ab a more nihil duceretur. Ita poftea mutavit specić, vt ex primitivo
absoluto relativum primitivum fieret.Etquemadmodum primitiva vera no mal
tantur, ita vt fiant derivativa: itane derivativa quidem vltima: ab his enim
nihil fit, ficut illa a nullo. CAP. CIII. Nominum Genera quomodo mutentur.
Omninum quoque Genera mutantur adco vt privatim librossuperhac re veteres con
2fecerint. Alterum argumentü eft ex iis, quæ Du bia, sive Incerta vocant: fic
enim dictum est, hic 3 ex.vel hæc Dies. Tertiumtestimoniumeftin qui bufdam,nam
Plautus collum masculino dixit. i. temlubar, Palumbem, atque alia diversis,
quam nosvtimurGeneribus esse aprifcis pronunciata. pafit etiam aliomodo, cum
attribuiturgenus ei,ad quodminus spectat:veluti quum Masculam Sap phodiximus. Sicquum
fæmina sola possit effep gnans: tamen Gravidum equum Troianum, et Prrægnans
louis cerebrum,et Fætum eiusdem fe. murdicimus.Sicin in quinto historiarum de
Ci cadis Aristoteles, is j'appeves oi Soutes cv alue Doti ρο 5 τοις άνεση. θήλεις και οιεπρ2•.dixit enim θήλεις no Irjaetajo vt significatum eller fæminæ,vocis aute modus Masculi,
quoniam dicuntur oi se lizes. Numerorummutatio. Vmeros mutat, vt apudHomerum
Irelus Vonino 23 P:1 INCO rallor: et ma 1163 TIVT dicuta Ttur30 eresa
Hortensius primus Ceruicem dixit, vtfupra fcri ptum est. Vascones etiam fua
lingua Iecora di cunt, quod nos Iecus: et Dorsa non dorsum:fi cuti Pulmones
Latini. Figura mutatio. guram mutari,ex ipsa Figurę definitionema tozu ang ta
quum fiant,mutari oportetneceffario.Compositor hat tum autem non vno modointelligimus:
nam et fascem dicimus e virgis compositum: sicuti An- sirina driam,
etPerinthiam iisdem ferecompofitas ora tionibus. Is modus loquendi est vulgatior:
alter diac verior, cum dicimus virgas essecompositas ad co dist ficiendos
fasces: virgæ nanque suot simul politæ. 18, que Sic Antenorem dixit doctissimus
poeta cöpositu quiescețe:quia quibuscum degeret, cius imperiū iis non effet
durum. Primo igitur modo non fit mutatioin figuris:nunquam enim quod simplex
eft, fựt Compositum:nequeenim Simplicis par S iij. qur! muncia luser hams Titel
Mun tes nomina sunt. Sed altero modo, ut “magnum” et “animum” dicemus composita
in “magnanimo”, ita vt e simplicibus fa etta fint Composita. Nam quanquam
Magnanimum Compofitum dicimus:tamen nonelt ira mutata vox vt priusip sa fuerit
fimplex:atipsa Simplicia,exSimplicibus mutata funt,vt fierent Compofita,id eft
fimul po fira. Vbi illud quoque veterum incuriæ afcribas, qui fimplex Compofito
contrarium fecere: nam *Simplex Multiplici aduerfatur:eft enim Simplex
fineplica, vnde Duplicatum dicimus prociden tis Turni poplitem. Hocautem,quodlaxe nimis compositum appellamus, conftat ex iis, quæ squia
lunt simul posita, Composita erunt:quia ex multis non constant, erunt
Simplicia. Nobis autem vtendum eft vocibus acceptis ab antiqui tate. fapientis
vero partes sunt, illam libi faltem emendare C
Persone mutatio. Persona ita mutatur, vt facies mancat in pluri mis, visautem
mPombaur. Ut poeta “cano”, “canis”, “canit”. Neque enim vera mutatio est, sfed
communis terminatio transfertur, atque accommoda. tur, non mutatur. At in
quinto casu mutatur: aftringitur enim legibus secundæ tantun. Cafus mutatio et
ordinis. und Vm terminatione casuum costituti fint Or menolar dines atque
dispertiti, vt alia atque alia inflexion, sive declinatio dicatur; altera
inutato, al terum quoque mutari neceffe eft. Mutabitur.n. a Cafu Declinatio,
Cafus a Declinatione: fed ita vt ad cognitionem nostram tantummodo fpe ettet
hęcreciprocatio.scilicet cognofcemus quem calumintelligere debcamus, li pposita
fuerit Declinatio, Sic declinatio mutabit cafum.Nam vere casus mutat
Declinationem, non mutatur ab ea, Verum ne id quidem semper: nam Fru et uis, 9
Jako fucrat,Fructus, fa ettum est: neque tamen mutauit Declinationem: at
Tumultus,quum fa et umfuit Tumulti, mutauit. Sic Fames, Famis, nunc dici
tur:olim quintæ fuisse, Famei,manifestum estex, Sexta casu, Fame, cuius finalis
syllabaproducitur,i Proprium autem eft Casuum etiam alio mutari a la modo.
Quemadmodum ambigui vitandi caussa, quum aiuntFęci,diphthongum impofitam, quo
differret a verbo Feci: eamqueinde tatinomini communicatam, Fex, Fæcis. Omise a
veteribus Affefliones. Vnt et aliæ Affe et iones: neq; enim solum ra tione
nominis deriuati; Primitiuum dicitur nomen:sed etiam aliarum partium cauffa.
ANo mine enim Nomen, Orbis,Orbicularis: Verbum Sylla, Syllaturit:Aduerbium,
Doctus, Docte: In tericeio, Infandus, Infandum:Præpofitio, Circus, Circum: Coniunctio,
Verus, Verum. Nominis sus loco aliarum partium A caur S V ti $ iiij. 2 IIII.
forma AA Caussa quoque finalialium affectum nacta 24 funt Nomina:veluti
alias partes transfertur. Pro verbo enim poni tur, vt apu ! Plautum: Qux,
malum, tibi isihanc taetio est? Sic ex Thucydide Demosthenes fre quenter
loquitur. Pro Participio: Magnificus, pro magna faciens.Pro A
duerbio:Lucretius, Al peracerba tuens. Nam timida tuebatur, quippe incutiebat
pauorem: itaque eft pro acerbe. Pro Præpolītione:Virgil. Plena fecundum
flumina. Pro Coniunctione: Vero. Pro interiectione, a pud Catullu, Doctis, luppiter,
et laboriosis. Hanc veteres αντιμερίαν appellarunt, alii μεταλαγα. baciti
fubticetur etiam: vt apud Sallustium in Iugur tha:Quæ poftquamgloriofa modo,
nec belli pa trandi cognouit. fubticuit enim Cauffa, Græco
more,Tēroniev:subticent yaon. Iransmutate tiam in fefe alias partes, quod
Dialectici positio nem materialem vocant.quum dico, Propter, est que
voxpræpofitio. Vox hæc Propter, nomen eft. more patet apud Græcos, qui præpo
Whemi alarmisms Xe nuntarticulum to akce.. fic O e muito me uidius, Sæpe, vale,
Osta heti a o zmenyvodicto. 'Store DECEK S, v s. LIPS fi
midi Grat nutar: pterje policia. Ha Ordopartiū.Nominisvox, aforma.Verbi vox, a materia.
Tum autem Derbi Ratio universa, en Augu Divisio. celli po Ost Nomen, verbi
natura ponen Oo da est.Non defueretamen, quifta tim secundum Nomen ponerent “Pro
nomen”, fecuti rationem ciui, lem, eadem in. potestate erat “pro-prætor” et
Prætor. “pro-consul” in prouincia, et consul Romæ. Verumaliter contemplatur philolophus:
Res enim necessarias primo quoque i loco ftatuit:accessorias aut, et vicarias
mox. Igitur fi partes hæ coparatæ suntppter orationeora et tionis finis,
eit-animi interpretatio: Interpre tatio autem Nomine et Verbo explicetur: et
Pronomen poft hæc inuentum est: fane Ver bum anteibit. Quinetiam Verbo
vnico ftabit 2 oratio, atque affirmatio affirmatio.. Pronomine autem nullo.
Quare verbi natura potior eft: vt, “Amo”, “Lego”, “Scribo”, ac tantum abeft, vt
Pronomine posterius sit, ut etiam ipsum secum referat. Verba quoque multa sunt
adeo absoluta a Pronomine, vt mirum sithocgenus hominum ita fcripfiffe.
Nam,Pluit,Grandinat, p Pronomen nunquam interpretere.Dei enim certa sunt
nomina, Prono,,minanulla ipli Deo, fed nobis craffiore ingenio mortalibus.
dicit enim nobis Deus fic ego: quia hoc quod est, E ç ointelligimus: hoc est
Tetragrammaton, non intelligimus. Præterca 4 Impersonalia, Scribitur, Pugnatur,
nonne plena funt fignificatione?nec tamen propterea vllum nomen explicatur,
nedum vt præfit Pronomen. Omiffo igitur horum errore, Verbiipsius sub ftantiam
videamus. Duabus his vocibus Nomi ne Verboque, communiappellatione omnia fi
gnificantur. Nomine enim comprehendi fupra The docuimus. Sic etiam Verba
dicimus data, quum orationedeceptisumus. Ac de Nomine quidem, ve vfusita
sentiret, suasit ratio: a notione.n. du. cumest,quæ eft cognitio: vt etiam
interpretatur Vlpianus, qui emendat prætorem in Titulo de Reindicata. Itaque
vox nominis, a forma duda eft:eft enim Forma dietionis Significatio: Signū,
autem, et Nota,idem. At Verbi vocabulū ab ipsa aeris materia, quæ
verberaretur,proptereaquod vox esset aeris impulų fogus. siç Plaut. in Amphi
truone voce facit verberariaures Mercurii. igi,vti diximus, res duplices fint
aliæ, quæ constarent:aliæ, quæ fierent:illasmerito perex celletia Signi,
Notæquevocabulo indicarut; bas aute fluetes ipso aeris fluxu. Quasivero,id quod
fane ita eft, nihil effet partium præter istas duas; cxtera autem omnia abhis
duabus duceţengur, etad tur quum, 1 GO ten ime OP niho 113: fup etad
hæc reducerentur. Cæterum ipsum Ver bum nonsolum earum rerum nota eft, quæ fic
rent: verum etiam quæ effent, fed ita, vtipfum hoc effeignificaretur:dicimus
enim Cæsar est: » per Nomen declaratur res, quæ eft:per Verbum indicatur ipsum
esse. Tertius quoquemodusin » !! ipfo verboreperirividetur:nam quum dico, Ceea
far eft Clemens: ipsum Eft, non videtur aliquid id fignificare:sed effe nota
coniunetionis, quaCle= » mentia in Cæsare prædicetur.Ex his patet,falsain
effdefinitionem veterum, quiVerbumpræfcrip sere agendi, vel patiendi
significatione, atquead huncmodumdefiniendum effe:Verbumeitno. In ta rei
subtempore. Hæc autem res aut fit,aut eft: vt Curro, dicit cursum nondum
expletum: et Gi gno,dicitimperfeet um animal.at fi dicam, Cæsar i eft:
perfectum hominemintelligam.reducitur au * p tcm illud ad hoc. du enim Curro,
cursus ipfe ali quid eft.Verba autem Priuatiua,vtDeeft:et Ne- prole de
gatiua,vt Nego: etiam aliquid significant. Recrű enimest menfura Obliqui. Sic Affirmatio est mẽ sura Negationis. In
Verbis autem imperfe ettæ figuificationis est res ipsa quæ fluit: vt in Scribo,
bonga Scriptio: at Scriptio accidens eft:ergoin aliquo, fumptismal vor et ab
aliquo: quare et a et io et passio compre hendentur, vbiacriusintuenti, aliter
eueniat v fu, quam euenit antiquis. Nam fi dicam, Scri bolibrum: non
rectevidentur accepiffe librum pro pafliuo:non enim huius a et ionis receptio
eft in libro: tria quippe sunt:quod scribit, quod fcribitur, quod recipit
fcriptura: at liber non scribi tur, fed fcriptura, Itaque prisci Attici huius
rei gnari dixere, Seruire feruitutem, Viuere vitam. Řecipit igitur liber fcripturam:
scriptura autem recipit actionem scribendi. Intelligo nuncfcri. spturam opus
ipsum, scriptionem operam, scriptorem L. Flauium, Membranas vero, fiue Tabu
kelas, in quibus opus ipsum extat, fcripturæ nomi ne, puta ipsa elementorum
lineamenta. Verum
Denimuero qui primi fermonem inuenereagresti (canimomortales, vt quæquefese
dabant, ita exce << pere. Sapientia vero vix tandem fero ccelitus de (miffa
eft: vel ad hanc vsque diem quanta latita uere? quot adhuc latent,quæ
pofteritas eruet ad iuta? Ac veteres quidem simul et recentiores non malo
consilio in variasdistraxere terminationes, diuersaque genera constituere.
Nobis autem fa Spoemat eis fit, vniuerfum Verborum ambitum in duo di Igua
uidere,quæ A ettionem,et quæ Passionem significent: atque eo cetera omnia,
tanquam adligna, recipere:quemadmodum horum vtrunque adv num, quippe adipsum
Eft:nam tametfinon significat άεργείαι,tamen nota cft ενδελεχείας, qua eft
finisActionis et Pallionis. Agimus enim, vt
tandem fit: et dum agimus, hoc aliquid iam cit. Actio autem duplex eft.Quod
enim fit, aut tran. se poatefirabeo, qui facit,in aliud:atquehæcvocabimus
Iranfitiua:vt, Amo te. Autnon tranfit, fed rema net in eo, qui agit: vt, curro:
quæ vocabimus Absoluta. lta codem modo Paffiua intelligentur: quum explicabitur
a quo fiattranfitus, etquum unon explicabitur:vnde Impersonalia orta sunt. Eft autem supra declaratum,Actiuum aliionem dicere, et aetionis modum:at
Passiuum passione fignifi. 1 281. 1. D DO significare, fednon passionis modum.
Nam a et i vum indicat id quod facit passionem. Paffivumaha tostay autem
ostendere debuit id quod recipit paffio rather parts nem, vt passibile potius
fit. Sunt igitur omnia A điva, quæ declarantaćtionem:Palfiva,quæ passio
nem.Quib.manifestum est,verba Neutra nõ esse ). ab Actiuis seiun et ta, nisi ob
formationem, ppter eaquod ab sefe passiva non edunt: nequeDepot memen nentia,
nisi ob diverfam terminationem. Hac autory tem divifionem neilliipfi quidem
negabunt: qui tot genera funtcominenti. Etenim communium appellatione quu terminatio
nihilimpediat, quo». minus tam Аctiva quam Paffiva
recipiantur:duo tantum erunt capita, quibuspromiscue termina tiones
comprehendantur. Hortor enim cum in Or, desinat, nequcfiat abactivo, Passivum
tamen dicitur: etActivum, quum Paffivum gignat nul-. lum. Hæc igitur vera
Verborum effentia est,ve ræque species. Delinentiæ autem sunt accidentia
materiæ: id quod constat ex eo, quod abolentur,» restiruunturque incolumi tamen
Verbipristina natura. Idem enim eft Comperio et Comperior. Quædam autem falso a
et iva, quædam peranalo- okto giam di etta funt. nam quæverba Sensionessigni
ficarunt, vt Visionem, Auditionem, Tactionem, eteiusmodi, ea paffiva effe
decuit: Sensio enim passio est. Analogia autem dictum estillud, Lau-. do Deum,
neque enim Deus paritur: sed exem ' plo diet um eft illius,laudo Cæsarem: et
poti us ad Diale et icum, aut Metaphysicum spectat. Non beneigitur recentiores
Ađivumsic defini vere, q transmittit in aliuma et ionem: neque. n. nomine 20 a1
D I S; Com 9 qui olfacit, transmittit olfa et um in rosam. Et fi dicam,Amome:
eft a et tio reciproca: ettamen A etiuum eft. Item poteft abfolute proferri,
Cano, Curro. Quædam igitur verba funt, quæ omnino non transmittunt: vt, “Vivo”.
Quædam quæ omni no transmittunt:vt, Ferio. Quædã, quæ etfi tral mittunt, tamē
absolute proferri queunt:vt, Amo Lucinam: et, Amo. Amamusenim aliquado
im Cipromprudentes ipfo primo ingreffu. Quare quæsunt trabloluta femper, non
reet e Neutra dicta sunt: quafi vero in hisnulla esset aetio. Nam qui Vivit, (hocipfum,quod
Viuit, agit:vnde, Age vitam, di cimus. Quoniam vero quodcunque constat ex
materia,dum agitypatitur ab co, in queagit, hoc autem in philosophia probatum
eft: iccirco sia etio trasmittatur, fietreciproca passio aliquomo do. Quam ob
cauffam fapientissime Atticiverbis Passivis etiam ad a ettionem significãdum
vfi funt. Si non transmittetur,nihilvicissim redibit: sed in agente refidebit:
adactionem tamen reducetur, ficutalia adpaflionem: vt, Ditescorneceffe enim
estad illud prædicamentū reduciiaut ad prædica mcntum cf.Sed hoc haud
valdeabiliodicra fum eft, ac fortasseidem. Passio autem nõ vnom ) do
intelligatur:nam quædã est perniciola:vt,Oc cidi: quçdam perficiensivt, Creari,
Gigoi, Isauda ri.hoc genus passionis eft, gresidetin agente:vt, Viuo atqueid
fit dupliciter:aut palam, vt hoc ex emplosaut occulte,vt fupra monuimus.
Verbaea nim sensum significantia, habere videntur mo dum quendam a et
ionis:inftrumento. n. agimus: Sed 1 De Causts 2m; E Sed tamen occultam passionem
significant, quæ resider in eo, cuius actionem Verbum ipfum fi. ignificat.
Quæret porro aliquis: Sia ettio et Pallio funt correlativa, et Absoluta
ponuntura nobis in ter Actiua: vbi erit Paffio? Lam est relpõsum:Pass i fio hæc
perficies est, et residet in agente: eiusmodiu sunt Gaudeo, et Lätor,et
eiufmodi.Huncigitur Verborum affe et um Latini Genusappellarunt. Omar le Quos
equidem ab incuria defendam, fipoffim. Sane hocaul sunt: quia a et ionis
species,esset ge Šneratio, et pallionis. Græci communi nimisvo cabulo
noQ.Omniaenim accidentia mcm di-> et a sunt. aut nimis speciali, neque enim
folum fi gnificant 'siv, fed etiani įvapzieivo Commodio. reautem nomine
Alogeny. afficimur enim adam gendum,vel patiendum. Nequenobis solisdif plicuit
veterum licentia:itaque quinon probarat: consilium,quo Genus dictum fuiffet:
maluerunt Significationem appellare. Verum vtillos
hizita hos reiiciendos censemusnos. Significatio. n. 0 mnium dictionum forma
est. Tiw Ali'ton igitur noluimus disposicioneinterpretari: ordinem. n.
significat,non propenfionem: sed ita cēsebamus, magna difficultate
poffeindicari vnica voce affc- )) et ionem hanc: propterea q nephilosophi
quide" ađioni et passioni vnum cõmune nomēinvenis fent, quo summum id
prædicamentu declarent. Conftat hinc a verbis omnibusin o, pafsiua pofse que
posar fieri:modo ne ipfa illarecipiant residente passio- fribisgarsą. nem:vt,
Egeo, et ciusmodi, Argumentum noltra fentenrir fumiture multis, Aro, Seruio,
Vivo, Curro: quæ veteres delicate nimis activa dicere metue. 284 Iul. IV.
metuerunt:propterea quod obfcuriusculein qui busdam paflionis extaret vis. Sed
fane in tertiis p fonis quin fit, negari non poteft:idquod fatis eile potestad
Verborum naturam constituendam:ne queenim deest hoc verbis his, fedres quæ
ipfis lint applicandæ. Facterrain loquide se, inve nies illico priiņam paflivi
personam. Quis ho rum non pPombaEo, verbum effe neutrum atpal sivum exfese
format non folum in compositis,fed etiam in fimplici: -amatum ire, amatum iri.
Sic ce nihil impedimentoeft, quominus verbumPluit, primam perfonam habere
dicamus, fi modo lo quatur Deus. Quare,vti diximus, res ipfæ potius, quam
Verborum naturæ defecere. Igitur vt quæ fint Activa aut Passiva
intelligamus,minutiores Viony antiquorum fectiones funt retractandæ. inter more
on Neutra, statuêre Neutro passiva: vt, Exulo, Va pulo: ac Neutra quidem,
quoniam exsese Paffi yum non crearent: Palliva autem, quia significa.
tiorecideret in eum de quo verbum dicebatur. Igitur ab
accidente,boceit, a voce.Neutra: a for ma, hoceft, a significatione, Passiva
dicta sunt Quare non recte alij Transgressiva nominarunt Tantumenim abest, vt
tranfgrediantur, vt in fe ipla ralidant. Quodfi intelliganttransgredi na turam
neutrorum:multo plura, ac pene omnia, Neutra talia inveniat: ut, Egeo, Gaudeo.
Quin etiam Aệtiva: quid enim eft Amo, nisi patior? Item Intelligo,Video, Tango,
Audio, Gusto, Sentio, et alia innumera. Etiam Deponcntia transgrediuntur:
quippein o R, paffionem non actionem significare debuerut.Alteram (peciem 1 285
posuere, autoeregulxov, vtuaxopeo, quasi quod aliai fuapte natura activum
eflet, siper vocem liceret. Cui contrarium ftatuunt onozu Jes fub Seow, tanquam
fubgenere communi speciem cotra di ftin tam,propterea quod passiva tum voce,
tum significatione sit. Item autotaJvLxov, vt neqw, per vocem stat, quominus
sit Passivum: in eo e nim est, vt censeatur p significatum:et a'viooden gov, vt
01,8TW, quia voce A ettivum videatur, at:: sit Neutrum. Et alteram neutrorum
fpeciem ÖRoEverymli:cov, iccirco quia quarti cafus habeat i constru et
ionem,quæ a ettiuorum propria videtur esse. Etripiegov autem et Inringivov voce
passiva, communi vtriusque significato. Atque hæ fpe- Exp: cies si veræ sunt:
tamen ada et ivapaffiuaque redu cuntur. Verum et frustra, et incolulto commen
tos esse hec videamus.Constat igitur p duo nomi na tractas hasce
compositiones,ökov et auto,quo rumnatura vbi perpenfa erit, eorum constabit,
consilium. Igitur öror est, cuiuspars extra ipsum cc nulla eft: hocautem duobus
modis invenitur, aut a fimpliciter: vt; Mundum onov dicimus,quippe ex tra quem
nihil eft,aut in genere:veluti quu quip piam adiicimus:Hominem enim nonmancum,
Totum dicimus, id eft,integrum. lccirco voces i hæmodo quodam differunt: in
neutro genere aov significat ipsum vniversum: in alio genere a.adiectivum eft.
Sic etiam zūv etmus.Ergo ho mo integer non dicetur esse Totum fimpliciter, fed
Totus, aut Totum suum. Non igitur verum, erit nomen 7 oorvegglisar. Nam id fi
est A etiuum, quod et vocem habet, et fignificatum, a Boca 1 I j. ve aiunt:ergo
totum A et iuum tantomagisvtrun quc obtinebit. Sic enim öronagi's dixere, cuius
0 mnes partesessent passivæ, quippeet vox, et ligni fcatus: νε γίνομαι.igitur
ολοενεργηλικών non erit Neutri species.Omnis enim fpeciestotam gene ris naturam
continet: ergo fi neutrum genus ab ađivo genere distinguitur, quomodo alterius
species tub altero,etiam addita differentia percefectionis, collocabitur?
MuseveEmkov potius di xiffent:constructionem enim quarticasus, et vo cem
activam habet. sed quia ex se passiuum non formabat, non erat įvegzolenav.
tanto ergo mi nus öner evegzalekev. quod enim non eft aliquid, U tantominus
illud effe totum potest. auto au tem fignificatsubstantiam: et id, quod hocip
fum quod eft, per fe eft. vt aronegros, outeau dis. etapud Aristotelem,
autoetes quod anni cir cunscribit spatium,aut quod per se agit hoc,quod agit:
vt αυθεντιά. Quare αυτοενεργήικών ηδfunt commenti probe: vtuaxquel. non cnim ab
se habet agendi formam a Toeveggnuxev. neque e. nim est evegylaxen, per formam:
caret enim ter minatione, quam ipfi Aetiui formam ftatuunt. « Commodius et
verius, etreporvegnkvor. ab alio enim habet vim activam, fcilicet ab vlu. lif
adem rationibus auronzo Jhxcv, vt migas eorun dem excludet
superstitionem:wrogderegov vero, quare non sit idem cum 'de regu;non video: nam
fi vocem hanc are addiderunt ivepzelerei, quod haberet pafsiuam terminationem:
et r « Jakina, quod haberet activam: quare addunt xdetegco quod alienam terminationem
nullam habet quodquegeritnaturam totam 'derepov? Ineptiut autemquiPluit,et
ciusmodi putabant aurezdets-Plagen, eg.quum tamen fit Aetiuum veriffimu.
Pluitfan-, guine, etlapides dicimus in historiis, et terra co pluta est.
Diomedes vero quu hæc Supina vocat,3 veteres recitat fineratione
loquentes,atque iple} nihil aliud,quamloquens.Fuitet tertia vox,istory õ adderent
vni speciei,g vocarentidor Jhx et: vt » Ferueo: non fane
inepte:fignificarunt.n.passione intus manere.Sed tameacute funtintelligeda.ne.
que enim a feipso quicquam patitur: neque pro pria est passio agentis ab
selepatiente. Omne..). quodmutatur, ab alio mutatur. Distinguuntur autem multis
modis: Loco, vt Ensis a Cæfaremo vetur, et loco distat:aut Substantia,non
loco:ídq; multis modis.Aut enim duæ funt fubftatiæ, vt ma teria etforma:aut
fubftantia etaccidens, vt Cæfar et Calor accefforius. Materia autem non vna:
aut Dic, enim prima est,aut secunda. Itaqueanimamovet ble corpus per
fe,differutenim eflentia perfe et a: afte forma ignis materiam primam movetalia
ratio. ne quęinoetavo Physicorum estdeclarata.Igitur Cæfarli feruet, a fole,
aut ab igni fervebit: aut fi ab intus cauffa est putabilis: omnino quod
fervebit, etquo fervebitdifferent. quare nonerit paffio ab seipso. Latini consultius Neutropalsiua, quacom » positione et terminationem et
fignificationem sunt complexi. Ex hissatis constat, noftrorum verborum nonnulla
fapere aliquid e ue.dig Græcorum. Cum enim dico, Lauo, Tondeo, et e
iusmodi,idem repræsentatur, quodin dome.cs, et Leigohuet 18ojfuor,quu Lauaret:subintelligimus.
10 CLEAN 1 quei A tuneTij. enim,Se. Ita enim Nigidius loquebatur apud Gel lium:
Syllaba mutat, pro mutatur. Quare Attiva Passivis præponantur: etdema teria
Verborum. CHVm igitur omnia verba,autAativa, aut Pas siva sint, ad hæc duo
principia omnes illz species, emendatis tame priscoruin nominibus, mo lang
referentur.Priora autsunt Activa Paflivis,pon vt dixere,quia is, qui agit
incipiat:qui patitur,sequa tur:actio enim et pallio simuladco sunt,vt vnum
multi existimarint. ages quoque ac patiens simul sunt secunduin formam. Quin
criam fecundum subiecta corpora,non neceffario præitagens: ne que prius
existit, quam patiens. Trabs enim ante WIonel, quam ignis excitetur, nasci
poteft: fed nobilitate naturæ id faet um fuit. Eft enim Ages pro cauffa:
Patiens autem,vtdiximus, aut perficitur, autma le habetur ab agente: igitur
vtrovis modo nobi lius est.Itaque ctiam Grammatici id fecere,vtPal fivum ab
Activo ducerent. Hæcigitur eft eorum Makari ratio a formaet fine significandi.
Materia autem varia fuit iccirco, quia non est neceffaria: sed ad arbitrium tum
primi inventoris, tum ipfiusvsus instituta, vt in o, autin or, delinerent. Habuere tn
2Aetiva originem terminationis a Græcoin o, tua 1w. Passiva autLatini aliter
formarut, neaccede rêt aut ad oratione, aut ad fimilitudine nominu. Si.n.yteft ru 700w, fic dixiffent Amome, videre turoratioex Verbo, et
Pronomine. Si
aut fuiffet cudiphthongo: eadem crat nominisdesinetia in na hurco prima
declinatione. Quare expeditius addito R. G negotium confecere: “Doceo”,
“Doceor”. Verbi Svm, Es, EST, declarat necessitatem. Gitur Verbum corum nota
eft, quæ funt, aut fiuntin tempore. Oinnisautcm Quantitas
par tes habet: Motus autem et Teinpus, Quantita - Pengimo tes sunt: partiuntur
igitur. Caletadio cnim ha buit, frigidum non efle, vnde ccepit primum: itemque
calidum esse,quo tendit:ergo etiain me dium.Iccirco verba quxdam inuenta
sunt,vthuc motumdicerent: quare necessaria quoquefuerit Erits inuentio
cuiuspiam, quod illud extremum figni- mons ficaret: quodque formam illam non
ainplius flu entem, fed iam consistentem indicaret. Fluentes 3. autem formæ
illæ duplices fuere; alteræ accidenta fles,vt Candor: alteræ fubftantiales,
ytHumani i tas: iccirco duplicis quoque naturæ Verba exti tere, quibus ex
declararentur. Candor enim acquiri dicitur a verbo “candesco”. Humanitas au
tem, id est formahominis, aut Equi, autplaptæ, aut metalli, aut alterius substantiæ,
indicata est subire in materiam per verba generationis, vt ); Fio, Gigno, et
eiusmodi. Quæ
etli pofluntetiam accidentia significare,vt fit albus,fit pater, tamen o primo
significatu pertinentad fubftantias. Gene? ratio enim primo dicitur de
substantia; fecundo loco deaccidentibus.Acformarum quidem Au xus his Verbis
oftenditur: consistenția autem » vnico Sum, Es, Est, tam accidentialium, quam
substantialium, Dicimus enim, Est albus Cæfar Tij. nunc 290 IuL. V. nunc, qui heri
albescebat, aut fiebat albus. Et di cinus, Eft nunc
Carbo canis qui his diebus fie bat canis. Quare hoc verbum tam accidens quam
fubflantiam quum fignificet, peffime a Gram zmaticis Verbum Subltantiuum dictum
eft. Et Femisautem fupra diet um a nobis,duobus modisponi Verbum học: aut
Nomini (oli folum adiacerc; autinter duo extrema quafi fequeftrum. Exem plum
priorismodisic habemus: Cæfarest: exem plumfecundi sic, “Cæsar est albus”. Ac
primum quidem modum significare existentiam in rerum ste natura ab omnibus
receptum cft. Altero autem modo Divinus vir Aristoteles animaduertit nihil
significare, sed quasi nexum, et copulam esse qua albedo iungeretur Caesari.
Hæcost forma et fi nas nis huius verbi: Vfus vero etiam latiuspatuit, ve etiam
verba alia quasi animaret: ita additum fuit criam Passiuis verbis; Doctus sum,
Doet us fui; TETEA COPEv Ověsu, cum perfe ti operis fummam declarandam
instituimus. Sicut inchoatum idem opus alio verbo motum, vt
diximus,fignificante notabamus: fic enim locuti sunt veteres, Pugna zum ire,
Amatum iri: sumpto a Græcis vfulo quendis prouci ipewr. Galli quoquchodie sicve tuntur per verbum Eo, is, It, cum volunt dicere,
materiaFit diues,Fie phthisicus. Materia aute huius ver ubi duplex fuit. duplex
enim eft, nam a Quws Fuo noftrum, et ipfum Fio. Sum autem ab ciui. Es,,, totum
Græcuin eft, abiecta vocali, esi, CAP. CXIII. Temeporum Natura,Numerus, Ratio,
Nomina Tempoorisigitur partes diuerfasdiuerfis Ver Puigo rum partiunminutiores
quoquepartessunt:hac de caussa diuisa sunt Verba certismomentis: quæ Grammatici
re et ifsimetempora nominarunt.Diminy my 1 uisereigitur ad huncmodum:In
partem,queiam abiit: in partem,quęiam subibit: et in id, quo hæc duo
coniunguntur.Anvero id ita fit in natura: et vtrum tempussit, cuius partes non
fint, necne, - non est præsentis operæ: sed ad philosophum fpe et at. Cumigitur
tres hæ temporum partes fint: cam quæ abiit, quare paffiua vocedixere veteres
nett. Præteritum: nam fane Græci Actiua mpwxnuis. w Anvero ita dixere, quia
huius verbi Prætereo,no, habebant Participium actiuum in eo tempore, fi cut
Græci? An quemadmodum in testamento di 2 citur Præteritus filius,cuiusnullam
fecitmentio nem pater,quafi eiusfuerit oblitus:ita nobis gex ciderit tempus,
Præteritum dictum est? ita, Præteritum Laterancnfem in comitiis, ait Ciceros
qui non esset creates præter: quasi non fueritin memoria tribuum. Ansubtilius
cöremplabimur? Itio motus quidam est: tempus autem non mo-3 uetur, fedeft
ipfamenfuramotus: at nosmoue-); murac mutamur. Itaque dicimus,Fungi vita, et
Obire mortem, et Abire ex humanis. iccirco ipa sum tempus permanere, nos
præterire, illud præa meninos teriri.Quæ vero nondu effet pars,eam
Futuinteactie, pusappellarut:Græci ukra orą.Tertium quod has interiaceret
partes,partem nequeas dicere, indi uiduum enim est. Præsens eft dictum: non
fane praze. comode:nam fiest, Præ, relationem notat: ergo ! T iiij. quan T 292
IvL. V. Og'oquum vtrunque coniungat et Præteritum, et Fu turum: nonpotius
debuit accipere appellatio nem ex eo q futuro præesset, quam quod præteri 2 tum
fequeretur. Quin etiam certior natura Præ teriti est,quam Futuri,a quo
Preterito consultius 3 nominaretur.Iam vero fi poffet diuidi, prior eius pars
esset præterito iuncta, posterior aute futuro. quare ratio eius cõiun et ior
eft præterito quam fu (turo. Verum ita intellexere. Præfens, effe Præ, id
eft,ante oculos: non autem ante Futurum. Alij vero Instans, appellarunt. fed
quidam sunt male there iuterpretati, quasi instabile esset, et abiret momen
utancum. Sanea Græcis mutuati sumus quićvesu, dixere, quodinstaret cedenti
Præterito: non autem quod non ftaret. Imo vero cætera tempo ra non stant:fed
Præteritum iam non eft, Futu rum autern nondum: vnü præsens semper est: na
uetsi abit tempus, tamen hoc quod est, præsens eft. Hocautem in libris
naturalibus eft comodius de claratū.IgiturhocTempus, quod effetindiuiduu non
diuisere.Duo reliqua cum latissime pateant, Græci alterum, id eft, futurum
fecuere in eam partem, quæmox esset fubitura, jer onigov uen hora dixere.Nos quoniam
incerto ferretur euen tu, non diuisimus.Niliputemusin modo Subiun Ĉiuo extare
vestigia, etvim huius fignificatus: hennaivt, Fecero. Hocautem etiam in
Promiffiuum. pern wit partiti sunt Nasceturpulchra Troianus origine Casar.
Verum nunquam desinent nugari Grammati ci, Sic enim dicas etiam,Minatiuum,
Cædam te: et, Aduletiuum, et alias nugas. At affe et us non mutant species.
Præteriti autem amplitudinem, forazie b quantammemoria late metiri poteramus,
partiti » rz: sunt veteres in partes treis, Perfectum, Imper P: fe et um,
Plusquamperfectum:ac perfectum qui de dem adduxe-refiov male vocatum fuit a
Græcis: » e quod enim abiit, non cft: at wequeijfvovspecies ut eft g
TupwX9u6los, quonam igitur modo, li non ca eft, poteltasqueisasdiffertenim
colerot ai,apos "12 TO Xaveil ou tanto magis, w; os to un'eivce che riuri
A noiv. Noftri dixere Perfectum, propterea quod em absolutam actionem oftendit,
cuius pars fuperfic com nulla: vt Pugnauit: nihil eius pugnæ reliqui fa bis
etum est. Mutuati autem sunt appellationem » sibi hanc ab iisdem Græcis, qui
alterum tempus, cm quod adderet huic spatium, uweprewleninovnomi Fit narunt,
7TEP UP TO DATEnerov lwar. Noftri hoc el: Plusquamperfe et um: vtriquemale. Nam
Perfe- ense ctum, etsi recipit comparatiuum, et Superlatiuu: hocrerum genera
patiuntur:vt, Canc homo per fectior est; at quouis tempore aliud tempusperfe
Etius non eft. Defendendi tamcn suntsic: aba-» inü. ettionibus
temporadenominaffe:vt quod agerēt, neque dum perfećtum effet,Imperfectuin
tepus, fubquoageretur denominarent. Verum Græci Subs cautius, qui Præpofitionem
notarunt tractum, ficati umep, quod effet transperfectum, id est, præscri
Cilici ptum tempus: noftri ridiuscule p Comparativu Plus: melius Vltra,aut
Super aut Trans. Quippe ita differunt: vt Perfectuin nihil præterea notetun
Scripfi: Transperfectum indicet et ipfum Perfe-> Etum, et tra ettum
interponat inter ipsum etaliam } non cohærentem actionem, Scripferam,Cæna quum
lusc Liit atent Cænabam: non cohæret cæna scriptioni, qua " Icriptio est
absoluta. Igitur non, vt aiunt Perfe. v etum, et Tranfperfe et um distancinter
se tempo rislonginquitate. Dicam enim, Ris iam quin quaginta tribus annis: et
dicam, Legeram versum heriantequam biberem. Eft igitur idem cum «
Perfeetto,tanquam species cum genere, nodistin. etum tanquam species a fpecie,
vt fecere: vbi cunque enim pones Transperfe et um, poneres e
tiamPerfectum.Imperfeet umautem Græci com umodiffime, aqtutuev:protenditurenim
inter præsens, et quod sequitur:operæquefignificat co tinuationein:vt, Legebam,
quum venisti:nihil.n. interualli interlectionem, et aduentu fuit.Iccirco
philofophi hoc va sunt ad declarada ev eteaezetar, uquæ perpetuatione naturæ
defignaret: wvIw TO, Erat homo: vt fignificet etiã effe. Er doetif fimus poeta:
Lauruserat: id eft, Lauri ipfius vera species. Quod PLINIO (si veda) quoque
estimitatus. Cicea ro in reetiam penitus infecta vsus est: fic enim scripsit in
quarto ad Atticum:Ad eum poftridic manevadebam,quum hæc fcripfi:et Perfeet o
pro Plusquãperfecto. Alius fic dixisset, Poftridiequa hæcfcripfiffem,iturus
eram.Præterita autem pri maaut fecunda, quod effent ad vsum magis vo cum, quam
ad fignificationu discrimen inuenta, non fumus imitati: temperatam breuitatem
im. mani copiaditiorem arbitrati.Vnumefttempus, quod Præteritum infinituin
appellarunt Græci, doposolin hoc veteres putarunt a Latinis ignoratu: extat
tamen in quibusda, vtin Palsiuis:năm, Ca 'fus fuit:id eft quod, erdP34: Cxsus
est, TÍTUTTIH: Ex his constat Instans cum indiuiduum fit,no reetedefinitum,
cffe fic, cuiuspars præterit, et in the dimi pars futura cft:ad hunc enim
modumnon effentwilanki tria tempora,fed vnum tempus: fed et Præteritu,
etfuturum Præfentis partes. Sed falsi sunt Gram matici,quum dicerent Scribo
yerfum:neque iam * expletus cffet verfusfcribendo. Vis igitursuntin telligere
Præsentem fcriptionem habere partem in parte versus perfcripta, et partem in
scriben da,quaspartes scribendo coniungant, cotinuent que.Atvero hic non vnum
præfens est,sed multa Præsentia, quemadmodum quum dico, Flumien fluit: quis
dicat hoceffe præsens, quumiamanna aut amplius fluxerit? Quare ficuti dicimus
Præ sentem diem, Præsentem annum:vt multa instan tia complectaranimo:ita
dicam,Scribo: quodic circo præfentis temporis eft, quia quum hoc di co, fub eo
sum temporequod huiusceverbi effe intelligo. Non enim lignificatpartem
prescripta, neq; cam quæ scribetur:fed hoc,quod fcribo.Di. cimus autem Scribere
versum,quoniam eius par. tes scribimus. Conftat etiã hoc apertius in extre mis
aetionum. fic præfens erit initium currendi, cuius tamen pars nulla aoteceffit:
fic finis, cuius pars nulla futuraest. Instans igitur
femper adeft, vnde et Prafens dietuin fit:Futurum et Præteritű imperabsunt. Iccirco de
Præfeori poffumustria, una pellarunt,exemploVergilii: Verum anceps belli
fueratfortuna:fuisset. V iij. Quum 0 598 in 010 306 IvL. V. Quum tamen,
Fuisset, Subiun et iuus fic codem, quo fuperiori,modo. Si fuiffet, mallem,quam
ficą quumnulla belli fortuna vincor,etmorior. Opa tatiuus autem et subiunctiuus
inter fe fimiles, ab Indicatiuo no differunt, nisi quatenus hoc quod hic
ftatuit,Optatiuusnõ ponit, etponivult: Sub. iun et iuus ponit,fi ab alio
ponatur. Iccirco tepo raomniafant coniecuti, verum non omnibusin verbis: neq;
enim par eft, vt omniaoptemus, quæ « possunt euenire.Igitur Futurum ab Optatiuo
no tollut doctiores: quu hoctempusverissimum, ac maxime proprium huius sit
modi, no discreuere ce tamen a Præsenti Futuri vocem: propterea quod in ipso
quoque Præsenti abest optata res,veteres autem illud putarunt Futurum Optatiui:
· ce Hac Troiana tenus fueritfortuna fecutaq Quod quidem valde placer. Sic
igiturerit Op. fatiuum et illud, quod fupradicebamus: Verumanceps belti fueratfortuna:
fuiffet. Modorum Ordo Ndicatiuum autem nobilitate, acrerum natu. ra primariū
intelligimus: nobis non item: stas tuit enim id, quod poftappetitum, ac
delibera, * tionem euenit. Neque verum eft, quod autu mant, Rem çertam redubia
priorem esse, Quin ante, quam scias,quæras. Quinamquesciam, Ha minem effe
animal: nisi quid homofit, quæram? + Præterea qua ratione res çerta, erit prior
feipfa dubia? Etenim poftquam adeptus es scientiam, non potes amplius dubitare.
Scis enim per cauf | laa 3. quarum contrarias Iisficcando Em cua Trorior. O
elimiles: ushora nipuli otem us! inimum Ōdiscrer plereaga res, kom tu: ecutao
fas primas,immediatas, neceffarias, notas,immu tabiles: putas falsas: alioqui
non scis. Sed ob nobilitatem pręiuitIndicatiuus, folus modusaptus scientiis,
folus pater veritatis. Cæteri fermoniaccommodatiores,quemadmo- 2. dum suoloco
dietum eft: ii vr quisque nobililli. mus fuit, ita potiffimum locum occupauit.
Ita Circot omnibus que Imperatiuusprinceps eorum extitit: mox Optatiuus, quasi
seruilis ingenuum eft hunc se - zima quutus: Subiunctiuusautormultiloquentiæ po
Depreciate tremam in sedem reie et us est: compofita eniin fimplicibus
pofteriora. Infinitiuus autem fane adeo Modus non eft,vt etiamn
Verbumne cffet, fit dubitatum. An Infinitiuusfit verbum. C Modum quidem non
effe ipfum,fupe rioribus rationibus fatis constat: Verbum off. autem efle,
Verbi definitio clamat: significates nim rem fub tempore. Qui autem ipsum
exclu- (. ) sere,addu et ifunt,vtfentiret ita, proptereaquad fui verbi efset
significatum: fic enim interpreta cur Verbum suum, Socrates exulat, dico Socra
temexulare, Socrates estin exilio. Præterea no- 2 minis habet conftructionem.apud
Græcos enim etiam articulos recipit, to spxTuyau mane, vt Ver gilianum illud.
-Pulchrumg, mori fuccurrit,in armis. Verum hæc argumenta leuia sunt:neque enim
art, magisipseelt Verbi fignificatum, quam Verbum miesnota? ipfius: neque magis
exprimir Indicatiuum per boo42 interpretationem, quam ab eoexprimitur; Viiy.
Kureri A.COM US: fastfel ruma diItem: edehr uoda fle (Ciami QUITO Torle cient
pero IN. ERR mutuaenim esse quit explanatio vtriusque ora tionis fic, Dico
Socratem exulare:id est,Socrates ab 2 exulat. Articulus autem non tollit
significatum fub tempore: naapud me, to spa Traje COMESTxa aov: sed no
espotazmeyou. Itaq; fibiipfi fubiicitur, tanquam Verbo, plusquam Verbum, fic,
Video Apo leo mi emeditari currere.Itaque contraStoicifolum mawh Infinitiuum
Verbum esse professi sunt: cætera θα λογαuterm κατηγορήμα G, id eft appellationes, και συμ metin the Beijualc id est accidentia, quippein infinitiuum tanquam in
formam fuam, et quasianimam re folui cæteros modos. Igitur Græci etiam pro a ce
liis fupponuntmodis, quorum naturam expleat, OHOT EIV,Jewgev. Sic etiam nunc
Itali loquunturs quum negatiua utuntur oratione, Non legere, pro nelegas.quæ
cauffa fuit, vteadem sit forma « actiui Infinitiui, et Imperatiui passiuiapud
Lati senos. Quinetiam pro Indicatiuo: Illerubere,ter giuerfari, abnuere.
Cæterum apud Græcos de est dã in superiore oratione;apud Latinos,Cæ pit, aut
tale quid. Quinetiam pro Participio et Gerundio vsum subiit tam apud Græcos,
quam apud Latinos: vt apud Poetam: -Dederatque comam diffundere ventis. Erin
tertio de Natu ra Dcorum: Magnammoleftiam fufcepit Chry sippus reddere rationem
vocabulorum. Pro prium autem est Infinitiui, receptum in Futuro fuo Participium
sibi fimile efficere, vt genus a mittat, et numerum: Amaturum effe tam defce
mina, quam depluribus: exemplapetes deGel lio, Valerii Antiatis, Catonis,
Q.Claudii, M. Tullii ex quinta in Verrem: Hanc libirem præsidio COLE i fidio
fperant futurum. Illud quoque habuit pe culiare,duo verba fibivtasciscat, Esse,
et Ire,quo rum societate formet Futurum suum: Amatum ire: Amatum iri. emporum,
Modorumq, inter se mutatio. Filout Roprium autem est Temporum Modorum queinter
femutatio, quuaffectui feruimus. Il Liuianus Annibal: Sitales animos in
prælio ha bebitis, vicimus. Nam quod fperabat, procerto man iam afferebat:
quafi dicat, Tam certa eft futura vis 1.90* et oria,quam iam extitiffet. Nihil
enim Præterito create certius:ne a Deoquidem mutari poteft, quia sim » un plex
eius voluntas eft: tantum abeft, vt fit contra-); leger ria fibi:non
poteft,quia non vult:neque vult pos ciami se, neque potest velle effe
diffimilis libi. Modus Le item Subiun et iuus pro Indicatiuo: In fexto de gryn
Repub.Etquod deviafeffus effem:dixiffet, Cum de via feffuseffem. Quemadmodum
autem illud Isla Iuuenalis sit accipiendum, Greculus efuriensin cælum,
iufferis, ibit: fupra diximus. Sic est,quum Græca oratio per avdwwnn TIKoy
exprimitur: vt in tertio Officiorum: Male Hi etiam Ĉurio, quum cauffam
Transpadanorum Cm æquamesse diccbat,femper addebat, Vincatnti Pipo litas:potius
diceret,non esseæquam. id est, negle ov: dicere poterat: aut, debuerat.
Horatius Indi catiuo pro Subiun et iuo vsus est: Metuentis illa deta
pluscerebro lubftulerat: nisi Faunus ictum dex Cele tra leuasset.Et quod fupra
diximus, ex secundo Georgicon, Lauruserat: quod et Plinium imi tatum monebamus.
cipiol QUA Futuro NUSZ V v. gro Perfonarum
vfus, et affectus. Videffet Persona, quorqueeffent, etquare affeettiones in verbis
videamus; nequeenimre xae veteres dixere, Primam et Secundam fanitas
effe,quiaprasentes demonstrantur: Tertiam infinitam, quia absens eft: cauffa
enim quam affe runt, nulla est. Non enim omne abfens infinitu: nequefemper
Secunda præsenseft: et Tertia præ fens aliquando est, et fempereffe poteft:no
enim aduerfatur fermonis vfui, vt adsit semper id de quo loquamur, tametsi
hocin rebuspofitum est. Ita igiturintelligendum eft, Primam, et Secun dam
finitas effe,quia certædesignentur: lego, fižno me: Legis, ligno te: Legit,
nullum cer tam signo,nisi quippiam addatur, Cato; Cæsar. Hamms and illud quoque
crraruntquumdicerent, opus este aminimomo Pronomine ad præfcribendam
Tertiam.Nam ct alime nesima iam fidicas,lllelegit:nointelligas qui sit, nifi
aut preferat, aut demonstretur coram:ergo non fietvi higmi hann eema San. Pronominis
sed Relationis, aut Demoftrationis, Sed et Primam, Secundamque Pronominibus
tantum iungi, iam eftfupra refutatum: Vocatiuis nanque etiam fecunda
adiungitur: vbifinalub intelligitur pronomen Tv, ne in cæteris qui dem
fubintelligetur. Eft præterea aliud argume tum: Licet, inquiunt, dicere, Cæfar
fum: er go Cæsar, est persona primæ: neque enim Ver bum variabit Nomen, ied
NominisrationeVer bạm sequitur:Numerum fçilicet. et Perfonam. Quo pofupoint mir
teachers Quoniamigitur Cxsar, estpersonæ primæ:potes " dicere, Sum. nam
fiinco Verbo ea effet potestas, vt Persona Nomini attribueretur: efset etiam
ea, qua numerus quoque affignaretur, etliceret di cere, Cæsar sunt. Proprium
autem estPrimæ nondependereab » aliis. Caussa huius rei eft uia ipsa loquitur
fem per: ergo etvtranque fibiaddicet: vt,Ego, Tu,et Ille facimus. et feorfum
alterutrum: vt, Ego, et Tu:Ego, et Ille.Falsum estigitur, quod dixereve teres,
Secundam fibi coniungere Tertiam:illo exemplo, Tu, etilli facitis:; et Tertiam
feipfam, fic, Ille, et ille faciunt. Sed eft Primaquæ coniun. git Sccundæ
Tertiam, et Tertiam sibiipfi: cac nim coniungit quæ loquitur, licet nonexprima,
çur: quum de aliis loquitur,nonde feipfa. Numerorum Ratio etcauffa.
Vmerusidēqui in Nominibus, ficut et Per fonæ. Cumenim Verbum fequaturnomi nis
rationem, et a ratione proueniant affe ettus: af fectus quoq; eosdem efle par
eft. Significat enim Verbum aut Accidens, aut substantiam
Nominisstheti Cæfar currit, Cæsar eft. Ergo neceffario auta No mine
dependet:aut etiam idem repræsentat. Pro priu autem Verborum eft, nullam vocem
vtriq;» numerocomunem habere.Hoc apud nos:Græci imprudentius quitantã copiã
haberent Teporu, defecere in difcernendis Numeris, et Personis.na in duali
confudere personas: meter, turistev. in primasingulari, et Tertia plurali confudere
namo y numeros inszor. Soli Æolenfes,
quorumpars fuere Dores, pluralem fine incremento posuere. In Nominibus autem et
Pronominibus non i dem eft: vt, viri: sai.item Participiis pafliuis: vt, lecti.
Hoc autem dicimus de Verbis eodem in genere:namin diuersisgeneribus voces
inuenias communes: Docere palliuum Secundæ personæ; Docere actiuum Indefinitæ:
cauffam autem su pradiximus. Infinito enim Græcipro Imperati vo vfi
funt. Affectuum ratio, et ordo. Orum affe ettuum quatuor tantum
necessa rii (lineiis enim verbum noneft ) Tempus, Modus, Persona, Numerus: ac
Personaquidem et Numerus,quemadmodu dicebamus,propter ea quod Verbũ a Nomine dependet,
neceffe fuit vt aliqua in recouenirent:conuenirêtautein Per fona,quia a Persona
proficifcitur oratio. Item in Numero cadem decauffa:aut
enim vnus loqui tur, autplures:et aut de yno autdepluribus. Quæ rebamus igitur
vter affcctus effet prior: ac Nu vinerus quidem amplior est, complectitur enim
omnes Personas: præterea accidit Numero Persona. Equidem vnussum: poteftigitur,
vt et Pri mæ, et Secundæ, etTertiæpersonæ subeam mu. unus. Tempus autem non
videtur effe affectus Verbi, fed differentia formalis, propter quam
Verbumipsum, Verbum est. Modusautem non fuit neceflarius: vnus enim tantum
exigitur ob veritatem, vt dicebamus, Indicatiuus: cæteriau., 1 tem emob
commoditatem potius.Genus autem an Gwojno it neceffarium? nam videtur, feclufa
omnitum et tione, tum pafsione, conftare Verbum prima rium ipfum, Eft:
nequeenim solum per Partici pium refoluimus, Cæsar pugnat, Cæfar est pu gnans:
sic enim poneretur verbum Pugno necef sarium, quare Genusipfum quoque cffet
necef sarium, in multa verba distributum, non intra vnum contentum: non igitur
ficresoluetur, sed in Nomen, Cæsar est in pugna. Hærationes acu tiores sunt a
philofophis profe ettæ. Verum non fit vera resolutio: poterat effein pugna, nec
pu gnaret. Verba ipfaAdic et iua neceffaria funt, fic ut et Substantiuum:
quemadmodum Acciden tia, ficut Subftantiæ. Vter vero affe et tus sit prior,
Genalne, an Modus? Acgenus fane prius eft,vt qomus pouvez aliud fignificet A et
ionem, aliud Substantiam: Modus autem generi accidat. Tres reliqui affe et us
cuiusmodifintvideamus:nam Coniugatio Connig. eft, quod Nomini Declinatio: certa
meta ac facies terminationis. Hoc autem cõpetit quatuor fpe
ciebusdeclinabilibus. vt supradictum est. Com petitigitur Verbo, vt diettio eft
declinabilis: ficut et Species quoque, et Figura. Coniugationes au tem quatuor
fecere: sed et prima cum Quarta in multis eadem fuerat,Audibo, sicut Amabo: ad hucenim
dicimus Ibo. Et
confusa indifferenter Secunda cum Tertia: Ferueo, Feruo. et Prima cũ >>
Tertia: vt, Lauere,Lauere. Etnonnulla extra ordinem:vt,Sum:cuius neque Præsens,
neque Fu. ) turum, neque Infinitiuus cum cæteris conuc nit, vt ad caput certum
reducatur: solum præteri € 10 id IDE All temi gir 2007 " tum Irl. V. tum
gerit aliquam fpeciem, Fui:fed incertam: nam dicimus, et Explicui, et
Docui,paricumillo analogia:sed inter fe diuersa. Figura zeiasg, caussa. Figuram nominarunt
partiu compofitionem: orta autem eft ab ipfa oratione, etceleritate vt;Versus
facio, quod fuerat;fieret Versificor. l gitur prior fuit, quam Species: ex ipfa
cnim oraa tione quæ essetex primitiuis nata eft. Placuit au tem vt eodem modo
quod non effet compofitu; Figuratum diceretur: quu tamen fatis coitat per
initia,ante quam Compofitio inuenta effet; Sim plicia ipsa nullius fuiffe
Figuræ:quare per relatio pem potius sicdicta sunt. Proprium Figuræ est, mutare
interdum genus: vt a Facio, Versificor: a Specio, Conspicor. Item
Coniugationem:Stera nere, Cöfternare: quod etiam fine compositione fit,vt,
Legere, Legare. Si a Fio passiuo ducas Suf: fio adiuum, etiam significatum
mutari constats. Species;earumg significata,c. cauffe V Erboru Species, vt
diximus, duæ: Primarioz rum, et Deriuatiuorum: fic.n. melius;quam Deriuatiua
dicere: deriuantur enim, non deri Joeyguant.Deriuata duplex:alterain quanon
mutatur modus fignificationis: vt Albeo,Albico. Altera Tisho in qua
mutatur:cuius funtfpecieshæ, Inchoati ua,Meditatiua;Frequentatiua:Dcfideratiua,De
frinmi.minutiua: Inter hæc Deminutiua non funt con trouerfa: nemo enim dubitat
in Lo definentia cho promis. Ne Deminutiua: qualia,Sorbillo,Conscribillo.
Errorautem antiquorum eft, qui dicerent mutas x ri significatum: non enim verum
eft:idem enim fignificant,fed alio modo. Cauffaautem huiufce » terminationis
fuit Græcus fonus: fic enim quæi dam Deminutiua fua pronunciarutueregexvideo At
Inchoatiua, quæ in Sco, facerent: vtFerue- sco sco:recepta quidem sunt ab
omnibus: sed recen i tiores in iplis negarunt inchoationem,idemque que no
velle, quod ea, quæ a Fio componuntur: vt fit michoani Calesco, quod
Calefio:quorum Præterita expo - 1 nantur per Fadum effe:fic,Macruit,macrefa et
us eft: quæ Præterita, si fiat a Primitiuis, per Fuit,
interpretemur:sic,Macruit,id est,macer fuit:quo nia Macreo sit, Macersum. Igiturnon
significare Inchoationem, propterea quod apudVirgilium sit, Incipiunt agitata
tumefcere.Cæterum eorum? Sententia ficelt perpedenda: Tumere,alio modo Examp.
accipitur, alio Tumefcere:naqueMonstumet.no, tumefcit: at Fluctus et tumet, et
tumefcit. Item Ignis calet, non calescit:at Ferrum igne calescit. vt fint
verba, qua habet significatum perov, qua-» le
seguovipou,calesco.Ergo,quemadmodum di cebamus, Qualitatcs,aut Accidentiailla,quæhis.
verbis fignificantur, interdum sunt in fluxu,et,vt sitPlato in Craylo,ca Tu Cee
interdum iam f xa. Quare per Primitiua dicuntur, quu sunt fixa: etenim in monte
tumor iam non mouetur, iccir cocumtumere dicimus.At dum fluunt,per Ver. bum in
Sco, explicantur: iccirco vbi erit Ver bumin Sco, poteritesseetiam Primitiuum,
non e contrario: propterea quod habitus iam rV. introdu et tus est, quem
habitum ipsum Verbum significat: fed non est idem modus: nam motus ille
augefcendi,aut procedendi, a Primitiugde claratur. Igitur fluctus, et
tumet,quiain eo eft tu mor: et tumefcit,quia tumortenditad alium gra dum: fic
Crescere, eft Creafcere, id eft,accipere augmentum in Carne, agetoxgeas. Ex
quibus conftat, non inepte di etta a veteribusIncohatiua, nondum enim explerunt
vltimum fignificatum. Quod et in quibusdam verbis Græcis fatis per cefpicuum
eft: xuw, est Vterum gero: atzvionw, eft Cõcipio, quasi, Incipio gerere
vterum:significat enim incohatam xunav. quo verbo et Hippocra tes vfus eftin
quinto Aphorismoru, et Aristote les in fexto historiarum. Quod autem tamper,
tinaciter affeuerant, vt per Fio, interpretentur, idadeo mutilum eft: Si enim
hoc verum effet,er verba actiua hac terminatione penitus care bunt,
fignificatio enim eis nullo modo compe ter: atextant tum apud alios, tum apud
Teren tium in Adelphis, Atque edormiscam hoc villi: quare per Fio, non sunt
exponenda: sed conti nuatio. etaugmentum potius ineiusmodi agno fcenda funt.
Pliniusautem in libro xxv. etiam u mollius loquutus est,Radix vasta, rubescens,te
nera. quafi Centaurii radix non sit vere rubra, Curcu sed incohata rubedine.
Carent autem Præteritis non propter fignificationem, vt aiunt,nam et i » psum
Incoho, habet præteritum: sed quia non patiturformatio: quum mutuantur a
Primitiuo, facilecõfunduntur interpretationes: vtsMacruit, Macer fuit, et pro
eo, quod eft, Macer factus est. Vir: go th couha 1.41" Vi Virgiliusautem
addidit Incipiunt: vtPlautus di xit,Pergispergere. EtMedici initium quarunda»
ægritudinum diuidunt etia in initium,etaugme » tum, et ftatum: et multa fimilia
inuenias iteratan tung Ergo igitur: Adeo ad eum: Longe fortissimus:et, »
Cauencneges:apud Terentium, Sallustium,Ca-» tullum.Delideratiua quoque damnant,
aiuntque itestonte genima corporis motum fignificare:vt, Viso,co ad vide dum:
quale illud. Nam memini Efionem visen cti tem regna. Non enim cupiebat,quod
agebatiam;remony ea nanque cupimus,quibus caremus: vnde Cor pora desiderata,
quæ cæsaessent. Etqui Lacessit, plusquam Lacerat: et qui Vexat, plusquam
Ve hit: non igitur desideratis, qui plus agit: Non sunt igiturqualeapud Græcos,
itew. Nosvero sohez? ita cefemus:verba hæc parum differre a Frequen g.
tatiuis,habent enim eadē et origine, et termina-> tionem,a Supino enim
fiunt, vehemetiam igitur aetionis significare: quorum aliqua explicēt cam, per
actionem cötinuatam.cuiusmodi dicta sunta veteribus Desideratiua, propter
affectum animi intentioris: aliqua per actiones iteratas,cuiusmo di sunt
Frequentatiua. Indideruntigitur nomen meteen consequenti rei ab antecedente
deliderio, Re centiorum autem quidam Inchoatiua etiam au - x fi funt
appellare:quoniam Viso, dicat, eo ad vide du.Sed quomodoincipiat videre,qui eat
ad vide dum?nondu enim videt. Sed geftum,vt diximus,, significat
animicorporisq; ad id propensioris:sic Cicero ad Petum. Vt videre te, et
viserē, et cæna rem etiam. Quoniam vidētinter fe etiam qui no lunt
videre: at visunt, qui cum cura. At, Vexasle. X 1 rates canibusmarinis: quo
modo tantum inchos asse exagitationem, quum inchoare imperfe ctionemdicat,
horum autem sentetia etiam frizmimpugmento fit. Alia autem frequentatiuain To,
sunt: quoniam eorum Supinaeandem nacta sunt terminationem, Ventito, Vecto.neque
frustra a fupinis du etta funt: nam alterum fignificattermi num ynde fit motus.
Itaque Veet o,significat Ve ho, fed ita, vt semper in ipsa fim actionc, quæ ad
„ finem tendit, quali Vectum co: nunquam igitur ), absoluit, sed iterat a et
iones. Dormito autemino est frequenter dormio: cuius significati cauffa eft,
quod qui leuiter dormit, repetit fomnum inter ceptum,aut interruptum. muzica
Meditatiua autem optime fic funt a veteri busappellata,quæ in Rio, exeunt: vt
Efurio, Co naturioapud Martialem: quibus formis tantum affeet um oftendimus,
tamque intensum, vt nihil aliud meditari videamur.Non igitur nomen mu tandum
eft, quod fecererecentiores, vt Delide ratiua potius vocentur. Nam desiderii
cauffa co gnitio exmemoria. Desideramusea, quæ in po teftate noftra non sunt:
at Meditamur ctiam ca, quæin nobissunt, vt ea exequamur. Itaque non defiderabat
Cæsar proscribere, poteratenina: fed gestiebat. Iccirco dixit M. Tullius ad
Attic. IX. Ita fyllaturit animus eius, et profcripturit iam diu.Horum autem
caussam, etoriginem æquei gnorarunt: neque enim a Supino veniunt, seda » Futuro
participio aetiuo: Quo tendis Gnatho? ad Pamphilum:Cuius rei ergo? Cænaturus,
inde Cænaturio. Fue X 319 he a ne 10 al Fuere vero etiam alia verba huius
ordinis, non ignota quidem illa antiquis: sed in hanc claffem min quum non
redegere, minus re ette ab ipfisfa et tum fuit. Sunt igitur ea, quæ Imitationem
quan dam significant,de quibus supra diximus: AGræ cis orta,in zo. Tres autem
modos in ipfis animad vertimus: Aut enim fignificant apertam imita-; tionem:
vt, Atticiffo. Aut minus apertam: vt 0-2 dinmw. neque enim Æschynes potius
imitaba tur Philippum, quam fequebatur. Tertiusmo- 4 dus est quum dicimus
Cyathiffare. neque enim autimitamur, aut sequimur Cyathum:fed trans latum est
significatum a cauffa efficiente in in strumentum. Imperfonalium Natura, Ortus,
Caussa, Vfus. Væ prisci tam Latini, quam Græci dixere primum quidem constat,
quum et Numeroca - vox rere dicantur, et Persona: atque Numerus,vto stendimus,
quam persona potior fit:dubitandum esse, an comodius Innumeralia, quam Imperso
nalia dici debuerint. Verum illud maioris mo menti eft: quum verbum sit fpecies
diet ionis,de-An? clinabilis per Numeros, et Personas,ab ipsisdefi nitum, tamen
verbi fpeciem comenti sunt, quam vtroque carere putarint. at Generis fubftantia
tota in qualibetspecieest, igitur et genericæ dif ferentiæetaccidentia propria
inerunt Quierror vt clarius pateat: priuatim de his, quid illi sense rint,
videndum eft, Xij. Im veni Des. spany
Impersonale, inquiunt, duplex,vnum Actiuæ vocis,quod imitetur aetiuorum
tertias, vt Placer: alteru palsiuæ, quod repræsentet tertias passiuo. rum,vt Amatur:
vtrunqueautem carere tum nu. meris, tum personis: nequeenim primæ, aut fe
cundæ, auttertiæ effe, fed nullius. Hæcigitur vt Exam.sefutentur, paucula
repetamus.Oftendimus Ver ba aut transmittere fignificatum in appofitum, aut
proferri absolute: lic, Cæfar amat Lucinam, tranfmittiturhicactioamadiin
Lucina: eodem que modo paffiuum quo pacto proferretur inue tum est, “Lucina
amatura Cæsare”. Abfolute aute fic, Cæsar amat: et, a Cæfareamatur: nam tametfi
scia' quidamet,tamen non edisseram:itaque cue nit, vt aliquando nulla explicata
persona fignare tur:at enimuero nequeprima,neque fecunda, ne que tertia
excludebatur,poflum enim intelligere lic, Cæfar amat Me, Te, lllum. Títum vero
abeft, vtin paffiua voce nulla persona intelligatur,vtet iam neceffario tertia
fubfit, fed incerta. Alii igitur vthoc euitarent, plus errarunt,Imperfonale
dici, * propterea quod nulla persona, a quo id fieret, ex plicaretur:quu contra
cõstetapud omnes, neque sit digna fententia quæ refellatur. Na a Parmeno ne
dictum est dese,Statur: et a Vergilio de Ænea, Ventum eratad limen: et a Liuio
de Tarquiniis, Reditum Romam. Præterea hi non re ette refpe xerunt ad obliquum:
vt quoniam a et io, a quo pro diret, non indicabatur, personam subiectam ne
garent. Non enim cum Obliquo verbu cõuenit, » led cu Recto.Igitur
cum Rectu subintelligamus, fubintelligitar et Persona. Nequevero ad neutra confugiendum
est, qualia agnouere, StaturCur, ritur: nam Stare ftatum, et Currere stadium,
et Vitam viuere, et Ire viam dicimus: et Decurfa spatia, et Vitam euitari, et
Mortem obita legimus. Alia enim etfi videbuntur absurda consuetudine
reclamante,suapte tamen natura talia funt. Quin etiam legimus Tellurem
inaratam, et Pyros insi+ 1 tas. Quare quæ Verba non patiuntur eiufcemo-, di
constru et ionem, ne hunc quidem loquendi « modū admisere, qualia funt,
Egeo,Gaudeo. Quu enim Obliquum poftulent, non potuit dici, E getur: quod
poftulat Rcetum: quod fi aliterre periatur, hoc fiat, propterea quod prisci
aliter quoque fint loquuti, quemadmodum Cato, Ca reo pecuniam. Si igitur fubie
etta Personaintelli gitur, Numerus etiam intelligetur: qui etsi non »
præfcribatur, tamen ad singularem referretur:vt, Quid fit Gnatho? Editur.licet
multa esitet, tamē fingula disponas ad intelligendum. Quodfiquis a verbisin or,
aliqua ducta pro exemplo habeat, is animaduertat, quod esta nobis diettum
supra, Verborum mutataesse genera, Opperior, Nu., trior, Pascor, et alia, quæ a
Nonio in libellum re dacta, recenfitaquesunt. Atinavocisimpersonalix. ws WE E A
doirrepsere, quãdo Reettus, cuius auspiciis » Verba in Numeros, atque Personas
circumagu tur, latuit nos. Nam hoc, Placet mihilucubrare: idem sitatq; hoc,
Placet mihiamor præsens. Iam so Qindivorce to Pianua idem effe docuimus: quare
X iij. fatis s sus fatis patet,nehæc quidem vocanda esse Imperso. nalia.
Aliquot tamen sunt vfu potius distorta, quxintegra nihilominus aliquando fuisse
necef Rc feestinter quæ ea numeratur,Pænitet,Piget, Pu det, Miseret, Tædet:nam
Obliquis coniungutur: sicut etiam distorsit Plautus in Captiuis,Nã post quam
Rexmeus est potitus hoftium. Noseam af peritatem in meliorem receptam legem
emolli », uimus, et interpretamur verbum Potitus est,pal
fiue:subintelligimus,vi,aut opera:sicut xxięnv sub intelligunt Græci et
Sallustius, vtsupradiximus. Ita, Miseret mefortunæ tuæ: id eft, vis tuæ fortu
facit me miserum. Sic fuit in verbis integris, Misereor tui: miser fio
tuigratia. Argumentum huius rei maximum eft,quod horum vox singu lari numero
remanfit, vt fit του το αρέσκει μοι, ήγειω To Qingv. Duorum autem naturam male funt ve teres interpretati,vt
Interest, et Refert,quum sex to casu putarint ftatui, quum pronominibus ad
derentur: Interestmea,vt effet,In re mea eft: et, Mea refert vt effet, Fert re
mea, nunquam.n.fue ccre Imperfonalia: nimis enim delicate potuitve nire in
mentein istis, vt verbum Substantiuum fa cerent Impersonale: quod tamen
necessario sem wper aliquid vere statuit. Sed ita fuit,
Interest mea legere, vt meæ partes suntlegere: Intermea,hoc est quoq;legere. Et
alio verbo, Legere fert mea, id est,repræsentat mea negotia. Sicigitur tam
aetiuæ, quam pafsiuæ vocis hæc verba fefe habent, verum in vtrisque eft
quæftio: nam dubitaruntan dici poffet, et quomodo, Vi Anbi deturmihite fuiffe
Romæ. Multi enim magis * do et i 16 ly doeti ratione, quam
cxercitati le et tionc, Latine dici pofse negarunt: verum ea loquutio etapud
Græcos, etapud Latinos inuenitur passim,et han bet rationem: totain. oratio
illa infinitiui depen det ab articulo, fic, Videtur mihi hoc,te fuiffe Ro mæ.
Ita Liuius de Gallis: Eam gentem traditur fama,dulcedine frugum,
inaximevininoua tum voluptate captam. Xenophon quoque, * ğ xvpor “σεις ταύτιν Σποκρίναοθαι, λέγεται”. Ιtaloquutus est Aristoteles quoquein x. historiarum. Altera dubitatio est
in his verbis, Pluit, Tonat: nondefuereplanie? enim qui Impersonalia ausi sint
dicere, nimis fa neleuiter: eodem enim more subtra et a persona est, idque
facile, vnus enim eftqui id agat, quare absolutæ potestatis appellatasunt ab
aliis. Proxi ma his funt Germinat, Florescit, quæ ad terram referunt, atquealia
in anima, quæ feipfa in pri mam personam recipere nequeunt: fed de hissu
praquoque ampliusdictumest. Affectus verborum communes. Proprium Verborum eft,
non folum mutare Genus,Coniugationem, Modum,Significa - A tionem, etNumerum, vt
tu Wa essvēra uza: fic ut fupra diettum est: sed etiam Casus: Ausculto seni, et
fenem. Item vt confundunt Personas, Statur: fic confuses explicant, Cæsar
scribo, Cato fcribis, Cælius audit. Proprium etiam creare 2 ex fefe alias
partes, vt Nomen, Creo, Crea tor: neque femper pleno fignificatu, nanque a mouc
TOMTS, coar et atur ad carminum tantum Xiiij auto De e LI 2 1a. in 324 IvL. V.
autorem, Latinum vero, Faetor, ad eum qui o leum faceret, folummodo. Aduerbia,
Fere, Age. Item creari a Nomine, Strues, Struere:Imperiu, Imperare. Sed et
creare aliâs generis nomina, quę verbalia non dicantur, vt a Do, Dos. Illud
etiam obseruauimus eorum peculiare accipere significationem ex alia actione,
riw, eft cibum capio. Atquia e cibo oritur fitis,iccirco Latiniea occa fioneid
verbum recepercad significandum quod fequebatur,quippe, te doebav. Igitur
patitur etiam amuegia. Etponitur proAduerbio, Age, Sodes, Amabo: pro Coniun
ettione, Licet: etin compositione, Quam uis, pro Nomine, vt dixi mus ex
Ouidio,Sæpe Valedicto. IV LII Asia. 1 Pre Un Pronominissedes inter
partes,Ratio, Diuifio. PARonomen qaidam ante Verbum ono. posuere, alii etiam
poft Participiu tractauere: vtriq; male. Priores co redarguatur, quod Verbum
necef faria vox est in oratione: Prono men non eft neceffaria: nullum enim
Vicarium neceffariu. Igitur si Pronomen semper loco Nominis ponitur: posito
Nomine, Pronominis vsus nullus erit. Quod autem Pronomen przcedere 2 debeat
Participiū, sic demonftramus: nam Parti cipii Ognificatio ad Verbu reducitur,
modus sig nificationis ad pomen: Pronominis auteet figni ficatio, et modus, ad
Nomen referuntur: plus ha bet Participiū Verbi,quam Nominis:Pronomen penetøtu
nomen eft: atNomen eft prius,quam Verbum: igitur et Pronomen,quamParticipiu.
Definitionem aute more noftro ex vi Nominis X V. clicia 1 316 IvL. VI. 1 Vox.
eliciamus. Pro præpofitio,vtin libris Originum plenius narratum est, quum multa
significet, id u habuit genuinum,vtvices indicaret. Pro Milone dixitM.Tullius:
id est, obiit munus, quod Milo debuerat exequi. Fuit eius etorigo, et vfus a
Græ cis. Nam tametfi frequentius fignificat Ante, to awes, tamen apud Herodotum
in Polymnia legas etiam aegav digtns: sicut nos pro caftris, etpropa tria
pugnare. Ergo videture nominc oriri defini shyo tio,vtPronomen (it, quod
pronomine ponatur. Nam quemadmodum dicebamus, quædam re rum notæ sunt: vt,
Nomina: quædam notæ « Nominum. quippe ad hanc vocem Nomen, si quæramus vt
aliquid reddatur: fic, Cedo mihi Nomenaliquod:cotinuo dabo vnum quippiam,
Cæfar, Equus, Enfis. Item Cedo Participium, Orationem, ratiocinationem: ad hæc
non res, fed voces reddentur. Ab horum igitur natura non videntur abhorrere
Pronomina: nam fi di xero, is, aut ille, aut, Ego, non ftatim interpre tentur
perres ipfas:per sed Nomina, fic, Is, Ca to: Ille, Antoninas: Ego, Cæsar. Græci
autem rem ipsam hanc candem expressere, sed paulo licentiore voce vfi funt.
Etenim avtwuia non estipsumhoc quod pro Nomineponitur:feda et tio quædam, qua
ponimus Nomen pro Nomi ne. Cæterum acrius, profundiufque intuenti fortaffe
aliter res fefe habere videatur: tantum enim abeft, vt pro Nomineponi quis pPomba,
vt + etiam prius, vetuftiusque intelligamus Prono i men quam Nomen. Quum enim
quædamfint demongratiua, vt Hoci ctiam ignoras irei Nomen demonstratæ aliquid
significabit. multæ res carent nomine, per Pronomen demonstratiuum
intelliguntur: ergo pro Nomine non ponitur, quod nomen fane nondum extat:
eodemque modo significabit,quo modo significant Nomi-" na hæc, Res, Ens:
vtcommunis nota quædam fit. Dico autem, codem modo: quia communi quadamæque circunferutur
significatione:nam modo alio diuersa sunt: quoniam illa simpliciter
significant, Pronomen autem Hoc, per demon-” strationem. Non igitur pro
Nomineponetur, nihilo magis quam Řes, aut Ens: sed to ti statim acfinemedio
notabit. Præterea Ego, et Tu,in-2 diuidualitatem ftatuunt magis quam nomen
Cæfaris, et Catonis: neque enim quum dico, Ego, potes alterum intelligere,
neque cum altero com municare: quum dico: Cæsar, etiam in alterum transmitti
poteft intelleetus: vt non folum non ponatur Ego, loco nominis huius Cæfar: sed
et iamecontrario, nomen ipfum Cæsar, per Pro nomenad certama substantiam
præfcribatur. Vt etiam plus errarint, qui sicsentiut, Ego effe Pro nomen,
quoniam pro Proprio nomineponitur:* fic enim etiam nomen Appellatiuum esset Pro
nomen, cum dicam,Homoloquor:ponereture nim pro Cælare: fed fubftantiam meam
ftatim fignificat, non nomen meum. Præterea fibiipfi cõtradicunt: negant enim
poffe ficmeloqui, lu lius scribo: fed fic, “ego Iulius scribo”, ergo pronomine
non ponitur vt vicarium, sed ut primarium. Neque Verű est, quod aiüt,
appellatiuu in Propriu resolui.sunt.n.nomina quædam generica, et specialia
seorfum a propriis,quæ nunquam resol uuntur:vt Piscis,Auis, Homo: quibus potest
attribuioratio, et ad eaetiam conuerti: veluti quum humani generis miserias
fleam, ficinstituam, o homo,genus infelix, Tutibi paras infortunium. PronomēTu,
eft fpeciale. Eadem ratio sui comparis, Ego: respondere enim faciam hominem pro
tota specie, sic, Deus me talem creauit. Sed etalia exempla sunt commediora, vt
in nominis bus Collectiuis, Auditu populus Albanus: Hæc dicit populus Sabinus:
Ego non ceda tibi lare pa trio.Quid igitur? aut nihilintererit inter Nome
etPronomen: aut etiam Pronomen erit præstan Joba, tius Nomine?Minime:fednomina
inuenta sunt, quia resnobifcum ferre nequimus: itaque sem per significantfine
adminiculo. At Pronomina, w autreferunt Nominaiam pofita, aut egent præ sentia
loquentium: et per se nihil ftatuunt, nisi u aut Nominibus adiuta: aut
præfcripta demon uftratione: iccirco communis hæc natura'eftinda ganda.
Sicitaq; alii definiuere, Diet ioinflexa ca Libus,indiuiduam maxime effentiam
fignificans, fine vlla quidem temporis,fed nunquam fine de finitæ personæ
differentia. Verumnequaquam 1 Aduerbium Maxime,inferendum fuit:æquabilis enim
est omnis definitionis vis: neque recipit in tenfionem aut remiffionem: neq;
plus fignificat effentiam indiuidualem Pronomen Ego, quam Nomen hoc indiuiduum,
ne quis dicat Aduer bium illud positum esse ad nominis difcrimen: Neq; essentiä
significat potius, quam ipsum ens: quum enim dico Ego, no significo mcam humanitatem:
id eft, hominis formam,qua homo fum: fed totu hoc quod sum: ncque potius
effentiam, quam essentias.habent enim etiam pluralem nu merum. et relationem
æque multa significant, non essentiam: immo etiam plura. Nam ab Ego, duo habes, Meus, et Nofter:a Tu, totidem: a Qui, item
duo,Cuius, et Cuias. Præterea cætera relati ua, qualis, Quantus, atque eius
modi, omnia di cunt accidens, non substantiam. Quin etiam obliqui casus illorum
rclationem notant, sic,Ensis Illius:non significat hîc ensem, fed poffeffionem,
etcnsem consignificat. Tertius error, cum ne - 3 gant vnquam Indefinitam
perfonam a Prono minestatui. Omitto quod vocem hanc Nunqua, male inseruerunt
definitioni: nam definientisa tis est,dicat,Est hoc, aut hoc: sic,aut sic:
definitio enim intelligitur competereper se, et omni, et vni, et femper. Sed
demus hoc Grammaticorum fupellectili curtæ,at illud falsum est, Multa funt,
Pronomina, quxcuiuis adhæreant personæ, Is, lllc, Ipse. Ille ego,qui quondam:
Ipfefubibo: Is fum Quirites, quem me effe voluistis, Ergo non definiunt
personam,fed ab aliis definiuntur.Item Meus fum, Meus cs, Meus eft, et vt ait
feftiue Plau » tus, Noster sum: in quo nihil a nominibus diffe runt, quæ non
variata voce varias recipiuntur in personas. Igitur aliter quoque definitum
eft: Quod certius, quam Proprium nomen signifi- soc. cat.Hoc autem falsum est: certiorem
quidem rem poteft significare, scilicet præsentem: at certius non poteft:
Etenim sine medio Propriu nomen fignificat indiuiduum suum, præterea non cuiuis
competit Pronomini: quis enim dicat, Meus, Tuus, certius significare, quam
Dauus, Syrus?. Immo nisi aliquid apponatur, nihil significant: Quum enim
relatio non in vna tantum reinue niatur, fed intes plura, nisi aliquid addas ad
quod Resoben illa referantur: corum fignificatusvix extet. Nos igitur aliter
sentimus: Pronomen a Nominenon differre significatione, fed modo significandi.
Hæc autem differentia eft triplex:acquemadmo dum,Par et Impar, non cuiuis
numero vtrunque fimul, sed certo alterutrum competit: ita hiaf fectus, quos
Modos significandi diximus, alius alii competit Pronomini. Primus est, quod rem
præfentemindicant loquenti: id quodnon facit Nomen:vt, Ego: aut etiam ei,quicum
loquitur: cevt, Tu.Atque hæc poffuntponi, nullo nomine fubintellecto:rem enim
ipfam ftatim per fpeciem intelle etui repræsentat, non per nomen. Alter 2 est,
quod pro Nomine ponuntur, vt Relatiua: Cæsar bellum geffit, isvicit:idem
estCæsar vicit. Tertius est quod non folum pro Nomine ponun 3 tur, fed etiam
cum Nomine, vt ipsum repræ fentent: Ego Cæfar. Ex quibusipfa Definitio colligi
poteft: atque ex Definitione Diuilio cer tas in fpecies, quæ de manu veterum
afferendz funt nobis, atque vindicandæ: ipfi enim Relati prone vum Quinegarunt
Pronomen esse, peffimo qui dem consilio: quum fecundum eorum definitio nem,
quænihilaliud ftatuit, quam pro Nomine poni, totam eam naturam,ac multo melius
quam Ego, et Tu, fibiassumat. Nam fi Is, Pronomen
est, quare Qvi, non crit? idem enim Vfus vtriuf que, etForma, id est
significatio, et materia: nam fuit real d's,Quis:ro, Qui. Par error etiam quum
» + Relatiuum substantiæ appellarunt, refert enim etiam accidentia: vt,
Calorem, quem vides,con traxiex ira. Quare alio modo ex diuisione nun
cupandum erit: non ficut fecere. quibus Prouo- + cabulumpotius dicere placitum
est. Nam Voca bulum eft quodcunque in voce consistit: etiam ipsa Verba Vocabula
sunt: quis hoc neget: nifi superstitio Grammaticorum? potius nutus quif-»
piam,aut oftengo aliqua.Prouocabulum dicatur, quibusloco Vocis,et
Vocabulivtamur. Diuifioautem fiet,ficPomba Nominis:nam alia Sprej dicentur
substantiua (vtemur enim vocabulis re ceptis ) alia Adiectiua, non quæ
Substantiam Roho tantum significent,fed etiam Accidens: vt, Isco lor. Sed quia
non repræsentant modum acciden tis, alia autem ftatuunt ipsum modum, vtMeus:
nam sicutSeruusfignificat poffeffionem, etcon ť fignificatsubstantiam: fic etiam
Meus. Quare er iam Relatiua, alia dieta funt Subftantiæ, vt Qui, as Is:
propterea quod line fubftantiam fiue Acci dens referrent,modum ipsum apponerent
Sub ftantiæ: quum enim dico, Is color: tametlico lor in corpore est, tamen non
indicatur a me, I quatenus eft in corpore. Alia dieta funt Acci identis, non
folum quæ Accidens natarent, fed Anhmpi etiam quæ consignificarent Substantiam.
Nam Quale,significat Accides vteftin substantia.Re centiores autem leui nimis
de cauffa Qui, inter + Pronomina recēluere: propterea quod,inquiut, quorun:
nlah IvL. VI. quorundam Pronominumdeclinationem feque Į retur, Hoc autem eft
ridiculum, Affectus variare Subftantiam accidit enim Declinatio Pronomi ni.
Itaque etiam vsu mutantur. nam quod dici mus Alterius, fuit olim, Alteræ,in
fecundo cafu 2 feminino. Præterea multa Pronomina Nomi num fequuntur
Declinationem, Nominaigitur erunt.Ego,Mei: Tu, Tui: Meus, Mei. Et contra,
NominaPronomipurn: Vnus, Vnius: Solus,So grozilius. Ex quibus constat Pronomina
Relatiua ac cidentis resolui in substantiuum cum ipso acci dente quod referunt.
Nam Tantus, eft nomen confulam fignificans magnitudinem. Sic Tan tus Aftyanax,
Tantus Hercules: id est, hac, vel hac magnitudine. et fubdam, Quantus Syluius,
Quantus Cæfar: id eft, qua magnitudine. Ea dem ratio et in cæteris:Qualis.quo
colore: Quo tus, quo ordine, etreliqua. Proprium Relati omuifubftantiui eft fle
ettere naturam fuamin ora tione, ficuti de modo Indicatiuo dicebamus: id fit ei
tribus modis: Interrogationc, Quiestis vos? 2 Negationc,Nescio quam in gentem
veni:vbiec 3 culta est quædam relatio. Occultior autem etiam in illo, Quid
hominis es? vbi vim quandam No minis fubiiffe aiunt: fed vfus hæc flexit.
Hincet iam elicimus,quod veteres omifere, Adieetiuum + etSubftantiuu, non efle
Nominis affectiones aut differentias, vt Nomen est, fed vtest Dictio.com petit
enim etiam Pronomini. Atque erroranti + quorum patet, qui putarunt Pronomen a
Nomi ne diffcrre: quoniam Nomen nullam personam determinet: Pronomen autem
certam ftatuat. Nam et Vocatiuus Nominum certam ponit: et, Ipse, llle, atquealia
non certam. Illud quoquecon topresent templandum est, quod aiưnt, Pronomesine
Dest monstratione, aut Kelationenihil significare.Act fententia quidem vera eft
ipsa, sed oratio minus at bene compofita: vsi enim sunt voce demonstra mulher
se tionis,pro repræsentatione. Neque enim qui di Evden cit, Ego, semper
demonstrat: nam quemadmodu meablenti tibi demonstrabo, quinungmgmuli?Iyon a
casa lus vides? mispoloma 1322878 Ambigitur autem etpræter hæc, Alter, et Neu
asygoiza delo ter,atque eiufmodi,sintne Pronomina. nam qui dam ipla vocarunt
nomina Partitiva:sicut On nis,nomer Distributiuum. verum enimueroli Si
quiseorum ortum fpectet, inveniet effe Prono-so', mina. Est enim Neuter, non
vtero et Alter; alius yter: at ipsum Vter, Pronomen effeconstar: non / enim
differt a Qui,nisi per modum: quoniã duo bus tantum apponitur Vter: Qui, vero
pluribus., Quare etiam Alius, pronomeni eritidiffert enim Ali ab Alter, sicutQui,
ab Vter: atq; exponuntur per nomina lic, Vter fecit? Cæsar?Non:
Alterfecit. Quisille alter est? Cato: neque enim alio mo do ponitur,quam fi
dicat, ille fecit, non hic. Est autem Vter, oĚTERG'Alterjan GuerepG itern
cę=> ter, ngungo. Quare etiam Omnis, et eiufmodi Ommi erunt Pronomina, suntenim
signa Nominuine-, quenumerum significant, effent enim Nomina, vt Vnus,Duo: sed
niotæ tantum funt Nominum. Quum enim dicis; Quis homo disputat? et refa
pondes,Omnis hocsignificat;atque si fingulos homines nominatim redderes, vfque
ad vnum Y jo ýitie int nh T. 334 IvL. CÆs. Seal.VI. vltimum. Videbitur autem
quibusdam absurda hocpropterea quod fignificet Quantitatem: fed non ita est:
imo vero hignificat Distributionein a etionis,aut eiusmodi in quantitatem. itaqueper
Pronomina quoque cæteræ propositiones expli cantur, Quidam, Aliquis. Dubitabit
autem quis. * wley piam,Nullus, Nomenne fit; an Pronotnen, ete nim ab
Vnoducitur: at Vnus Nomen est, quãti tatem enim, siue principium eius
significat. ad shoc fic refpondemus: Nomen esse,etinopia ser wimbonis vsurpatum
pro eo quod effet, Non quil. quam. Eft autem origo ipfius Omnis, Greca, couco,
vt Collectionem et Distributionem, non Quantitatem accipi intelligamus. Pronominum
affe tus. Ronomina afficiuntur quib. et Nomina, Speranter. Primæ Speciei,
“ego”, “tu”, “sui” Deriuatx, “meus”, “tuus” “tuus”. Genera in quibusdam distin
et ta, “meus”, “mea”, “meum”. In quibusdam conueniunt, Ego, “bonus”, “bona”,
“bonum”. Numeri duo, “Ego”, “Nos”. Personæ: tres: “ego”, “tu”, “ille”. Figuræ
duæ: simplex, Ego: Composita, Egomet. Casusalii alijs, neque numero æquali. Ac
de Specie quidem, met Genere, Numero, Figura satis conuenit: de Ca duautem non
in omnibus. Circa Personam quo que non idem sentiunt omncs. Ad hæcigicur in
telligenda, vsus ac ratio corum cxaettius suntper perso fcrutanda. Signantur
igitur duæ personæ, Prima, ac Secunda duobus tantum Pronominibus: at Tertia
pluribus.Non quia Prima, et Secunda, prę fentes funt, vt dixere: non.n.id verum
eft: nam quamobrem Epistolæ sūħtinftitutæ? Sanein his abfentes loquimur
deTertia etiam präsenti al $ terutri scribentium. Sed quoniam et qui loqui- »
mur, et ad quem loquimur, vnico intelligimus modo: at tertiam non vnonam aut
monftramus, aut absentem referimus: fic enim distinguimus, vt alia fint
Demonstratiua, alia Relatiua quæ fia ne discrimine vtriusque naturæ vices
fubeant, Demonstratiua autem laxa, vt diximus, voce: nã aut præfentem
sensibus,aut intelle ettu:Non quệ. + i admodum scripsere, fic, præsentem autad
oculu, aut ad sensum: quasi vero oculus senfus non fit; quali vero si de voce
loquar, oculo percipiatur. Itaque demonstrato colore,aut sono, aut fapore, aut
odore, aut retactili, sensu constitui ostensio De nem dicemus. fi dicam, Hic
motor, cujusvolun 16 tate orbis rotatur: intellectui præsens demonstra i bitur.
huius generis est Hic. sub quoetiam alius moduscontinetur:interdum enim quod
non vi I demus nos,alteri,quicum loquimur,demonstra al mus. quippe rem iplius
præfentem fenfibus, aut y notam intelle et ui:huius generis est iste:
absen-> ti enim fic scribam, Ista tua cura, quæ te angit: Iftud Mufæum, in
quo scriptitas. Neque enim prisci re ette fcripfere, Pronomen Iste, lignificare
+ præsentem personam: fic enim fcribam, istud tuum prædium, in q diuerti fessus
de via, abest ab vtroque noftrum mille paffibus. Præterea i pa pfi
fibicontradicunt:aiunt enim, Primam et Sccữ + for dam non variari per genera,
quoniam presentem Y iji rem semper indicarent: ergo ifte, quomodo per genera
variatur, fi semper præsentem perfonam + indicant? Alter quoqueeorum error,
quum HIC, appellarunt Pronomen præpofitiuum, iccirco, quia fignificet primam
rei cognitionem: id est, " quod reddaturinterroganti,fic, Quis fecit? Hic.
lam omitto pessimum loquendi modum, neque enim significat cognitionem rei, fed
nota eftco 2 gnitionis, significans rem. At enimvero etiam subiungitur relative
ficut etiam Is, frequenti vsu Cæfaris, et Salluftij, nimirum vtriusque origo ea
a dem est.soxiglfee:oxe, Hice, a quo per Apocopen, Hic:nam lones:, pro o,
dixere. q An vero, q aiunt,verum eft? Primam et Secu dam non variare vocem per
genera, propterca quod præsentes semper fint: 1 ertiam variare, il lella, illud:
quianon (int præsentes; quæ sub ter Rc tia circumferuntur. Atquehociam a nobis
reie ' ettum eft.Namque quod appellantPronome Demonftrativum “hic”, “hæc”,
“hoc” variatur, ac præ fens tamen ab ipsis femper ponitur: itaque suis
ipfitelis pereunt: pereunt vero et noftris: non e 2 nim semper præsentes inteľ
nosloquimur. Quid enim ex vltima Germania fcribat ad me puella, atque ego
refcribam? Amo te,inquiet: ia hicge nus neceffarium eft: vt fciam, amicusne ani
amica bene de me fentiať. Quærunt etiami, qüum Pri. ma, etSecunda certis
feratur numeris,quamobre Tertia non distinguatur: Quoniam,inquiunt,ex
antecedenti numero moderamurfequentisper • fonæ intelle et uri,sic, Ipfe se
interfecit:ipfæ fe in Renterfecere. Atenimvero ratio hæcnulla eft: nam priimum
dicam, Græcos non carere numero plu rali, ex tOY, łauto's. Deinde hoc modo
foluentur- 2 oinnes quæstiones; Mobilia enim Nomina, non erit pecesse variare:
intelligimus enim fexum ex præcedenti substantiuo, et Casum, et Numerum: lic et
verborum ratio vnica voce eadem fit, qua. lis qualis præcedat: Cauffaautem
huius rei fuit Græcorum imitatio: nam tametfi in composito distinguant, vt
posuimus: tamen simplex vox, tou vnde noftrum Se, communis vtrique numero fuit:
id quod non tam consulto fecere illi,quam cc euenit forte, vt etiam in multis:
Nam quid limi leințer fyw, et nueis: rv, et vues? defe et u igitur multa
funtinnouata, fuis deftituta, aucta alienis, ficapud Latinos, Ego, Nos, Tu,Vos.
Quare vt eum errorem emendarent, addidere alterum Pro nomen quod afferret et
numerum, et genus.Grę ci antes; nos, ipse. Ealov, seipsum. Quod autem
chicafferimus,verum effe fatis constat,quum in ca » ulibus quoque non inuenere
vocem, qua differtent. Nihil.n, intelligas diuersum, cum dicis, Se interfecit
Cato: et,Seauthore voluit Cæfarem in kerfici. Orationis enimvi
percipiasCasuumdif Kerentiam,vocis autem fexunon percipias. Assi egneatigitur
rationem, quare duorum Cafuum, esnaxime'diuerforum, idem fit fonus. Relatiua autem
funt Is, et Qui, vno modo: ree nila tina? cerunt enim rem jam positam.
Altermodus este quum relatio fit per reciprocationem,hæc vnica Elantum, ocem
habuit in Pronominibus, SE. Exemplum veriųfq; esto fic, Cæfar optimus.jma.»
perator, atque vir fuit clementiffimus. is Gallos pue Out Y 'iij. VI. pygnando, et seipseignofcendo,vicit. Inter
hæc. connumeraruntetiam ille. Nonpessime sentiut, fed exemplo vtunturnon bono, e
feptimo Ænei. dos, -- Sic Juppiter ille monebat. At enimuero in
exemplaribuslegitur Ipse, non autem ille: neque enim refert Iouem, cuius no men
ibinufquam positum eft: eft enim Ule, Iste: non dicas igitur hocloco, Sic is
luppiter mone bat. Quis tandem füppiter? nullus enim ibielt. Quod li in
quibufdam fcriptum inueniatur, vt volunt, Emphalim intelligamus: vt, Thais illa
Corinthiaca. Eft autein miltæ naturæ, atq; indif Ce ferentis,tum ad Relationem,
tum ad Demonstra tionem primi exempla frequentissima. -Teretesfuntaclidesillis.
ato -Ille etterris iactatus. Oftendit autern in Sexto, Ille triumphata
caputolta ad alta Corintho. demonftrat enim Mummium. Differunt autem
Demonftratiua abRelatiuis, quod Demonstrati uaftatuunt primam cognitionem: vt,
lste tuus animus C.Cæfar te perdidit. Relatiua autem eam iterant fic, Is te
reddet immortalem. Nam quod Gaiunt, boc Pronomine Bíte, propinquam rem fi pang
gnificari: hoc Pronomine lile, longinquam; non plane verum eft. fed ita
accipiamus,vt Iste 11. semper referatur ad rem,aut perfonam,adquam loquimur,
vtin Secunda in Antonium. Iltis fau cibus, ista gladiatoria firmitate: id eft,
tya. Istam vrbem appellabo cam, in qua agit is, ad quem fcribo: illam autem, ab
eo remotam,aut istạm vrbem de qua locuti fumus, Quoniam eius ori, gouls, parem
vsum habet. Sed et aliquid præsens» $ E Iitud, appellamus,vt apud Quintilianum,
lite iuuenis.Et de eodempaulo post,Hic iuuenis.Se cundo modo vsus est Gellius:
Brundufium ve ni, atqueisthic offendi quendam: pro, Ibi: atque fi dicat, Ifto
in oppido offendi:vt,æque dicatur, Isto oppido, et Eo oppido: quoniam ifte,lit,
ls, Te Atipse, commune omnium personarum est: upan dicimus enim, - Ipseferam
teneralanugine mala. et, Ipse vides: et ipseratem contofubigit. Quare quuin
Tertiam assignarint, minus verea Prima, eta Secunda 2-, mouere.nequeenim recte
probant sic: Dicimus, inquiunt,Ego feci,Tu fecisti, Ipfe fecit: quare si cut
Ego,est primæ; Tu, fecundæ: fic Ipfe, Tertix. Huic nosad hunc modum et
refpondemus, et obiicimus: Si Ipse, non effet omnium personaru,» noniungeretur
Primæ, fic, Ego ipfe. Neque vlus) lam figuram effe in toto ambitu literaturæ,
quay: Prima cum Tertia iungipossit. Item dicimusno effe verum, sic poffe dici,
nifi prius aliquidsub- ») + fic quod referat: exempli cauffa. Quærit Anto nius
de O auio, et Lepidum alloquitur: Quis patrauit parricidium Ciceronis?
nonpoteft dice rede Octauio,Ipfe fecit: nis O et tauium nomina rit.efteniin
relatiuum: fed commodius etiain si senon nominat, potest dicere, Ipfe feci.
Sednul- + gantur etiam cum dicunt, Verbum ipfum Primæ perfonæ habere
intellectum Pronominis Ege: quoniam si sic dicas,Feci:neceffario intelligas, E
go.igicur poffe ponicum primaVerbi,quia pria. maPronominis fubfit.Verum de
Tertia quoqne idein CIE 16 1016 7.50 del adi Y iiij. VI. bigo ling 0 idem
intelligas,Fecit, habet intellectum prono 2 - minis Tertiæ. Præterea Gcut
Relatiua cætera o mnium funt personarum:fic etiam hoc: nam eius see metha ho
qual harorigo est ab Is: Ipse. at, is sum,dices: et, ls es: et, is est. Addunt
alterum augmentum. interro ganti, Quisfecit? nüquam respondebimus, Ipfee pro,
Ego:aut pro,Tu:sedpro Tertio. Hic eft'fal lacia fimul et falsitas: Fallacia
eft,quia fi dicas lp: fe, et oftendas Tertium, recte dicas: fed etrede cefite
oftendas, auteum quicum loqueris: Nutas enim et ostensio statuunt primam
cognitionem, quam iterat Ipse.Si autem nullum oftendas, fal sum est,fic poffe
loqui nos. Quis enim eft ifte ip se? Acutius etiam intuenti apparebit ratio:
nam ce interrogatio est in tertia persona verbi: itaq; fa cile reddas Ipfe fine
verbi repetitione. At fi dicas fic, Iune fecisti hoc? possim refpondere, Ipfe fane:
etiam nullo verbo repetito. 2'Præterea quis nescit; Affirmantis, et Interro:
ganuis, et Respondentis orationes non differre nisi modo quodam? igitur Aeneas
quum dicit, Quæque ipfemiserrimavidi.nonneinterroganti Reginæ fic, Vidifti
ipfe? refpondeat, Ipfe. Respon demus tamen certius, et commodiuspalia, Hic, w ]
ste,ille, ficut et Græci, što, deiva, cileivG. Pru udentius igitur fecere, qui
Fi@ yuanxov appella uere, propterea quodomnibus subiungeretur p fonis, quasi
ordinarium additamentum intelli e gas. Consultius autem etiam,qui dm et
Tixev,pro pterea quod intenderet significatum. certame nim rem ftatuit, atq;
circūscribit:plusenim est, Ego ipfe,quam Ego.Iccirco pro Solo,etiam
sunt interpretati: at id euenit pro structura orationis, atque yi verborum:
yteoversue Sexto diuinio peris, Iple ratem conto subigit. Quum enim ne- > -
minem, præter Charontem, nominaffet, retulit = eum in fingulari. quare etiam
folum intellexit Sed fi duo aut plures fuissent, poteratetiam fic, Ipsi ratem
subigunt: vbi nihil effet solitarium: Sed nunquam Grammatiçi desinent ineptire:
ve slutiquum ausi suntdicere, effe hoc versu Nome, + non Pronomen: et tamen
eftloco eius nominis, Charon. Sed æque est, atque sidixiffet,idem.In terdumvero
etiam additum nihiladdit:vt apud Ciceronem, Quiante seipsum Consulfuit. Vfos autem
fuiffe veteres aliter hoc Pronomine, quam ab istissit obseruatum, oftendimus in
O triginum libris. vtaliquando quasi loco Adner.no satiuæ, autSubdifiun et iuæ
capiamus:velut apud Catullum eo versu, Namcaftum effe decet pium poetam _
Ipsum: verficulos nihil neceffe eft. Etapud Virgilium in Tertio, Portus ab
acceffu ventorum immotus, etingens Ipse: fed horrificis iustatonatAetnaruinis,
Eodem modo in primo Achilleidos Statius, Vacuisque reliquerat antris Ipsam: sed
carulos afporiat: Plinius quoque id obseruauit, vsusque est libro,
decimofeptimo: Vites,inquit, Aquilonem fpe ctare debent ipfæ: sed eorum
palmițes Meri diem. In vicefimotertio Liuius non cum Aduer Satiua, sed cum
Copulatiua iungit: L. Pofthu mium consulem dilignatum, ipsum atque exer citum
deletum.Eftigitur trium personarum con munis vox,tam sola,quam addita:tam
Relatiua, quam Demonstrans. Pronominaderiuata. 20 D Eriuata Pronomina;a Primaet
aSecunda, bina sunt, a fingulari, etplurali, eaque di ftin etta vocibus, quia
origines distinctæ: Ego, Meus:Nos, Nofter. Tu, Tuus: Vos, Vester. Vbi fecudę facilior
esse videtur analogia, a “Tu”, “Tuus”. At Primæ non item, fed ab obliquo Mei,nõ
are LIĆto,Ego: In học Græcos sequuti sumus, uzzeući, allli autem non temere
pofseffiuum pronomen Cerâ poffeffiuo cafu deduxere: neq. enim diftat fues
lembuos, nisi ficut Albedo, etAlbum:quare neque « Taysa Turecto, vt putarunt,
fed obliquo fecun do casu ortu est.A tertia vero persona non fuit de
ductio,ppter numeros variata, ppterea quod ne primitiuum quidem
variabatur.cauffa autem pro pter quam ab vtroqueNumero deriuentur, hæc eft, Quod
Græcidicunt apos, ti, nos relationem: fignificar duo,rem ipfam, et terminum
quendam ad quem refertur: igiturpoffessiua pronomina et Grem poffeffam, et
poffidentem consignificabunt Square numcrum pronominis poffefui accipie, mus a
numero reipoffeffæ: etnumerum prono {minis primitiui,vndeillud poffefauum du et
um est a numero poffidentis. Igitur quum dicamus,
Ego polsideo libros:dica, Librimeisunt.et, Vos poffidetis librum:dica, Liber
vester est. Hincli.
quçt qua ratione a pronomineprima persone du ettum sit pronomen tertiæ.
Equustertiæ peren sonæ eft: itaque Meus equus si dicam, tertiæ quo que erit, et
a ME, quod est primæ perfonæ, due ettum est. quoniam relatio eft adprimam:
figni-. ficatio ad tertiam. Natura, et vsus prominz Sui, Snus, et reliquarão
porei ori Vanquam non est presentis operæ,decon-? structionis
vsu,autlegibusscribere: tamen quia natura primitiui, et deriuatiui Terrix per
fonæ multæ præclara ingenia vexauit: alia etiam jelulit:a multis confuse aut
perplexe tractata funt: videamus hîc quæ eorum fit ratio. Relatio du. ou gone
splicimodo intelligitur: nam aut habet terminum i extra rem quæ refertur: vt
Dominus refertur ad Seruum.Aut habet terminut eundem cu requæ refertur, ratione
tantummodo differentem:velu ti quum dico, Cato fe interfecit:Pronomen Sereia et
fest Catonem ad Catonem: ratione ab fefe diffe rentem, non substantia:
propterea quoddifferta seipso tanquam agens a patiente. Iccirco Græci a
vpexAcest, quafirefra et um dixere: funt. n.oria's fia, sellæ plicatili in
feipfas reciprocatu. Verum ea vox dariufcula eft, reditenim in agentem para
fiointegra,non fracța.Itaque alia w Toma Desa fed et communis hæc nimis: sunt
enim yerba quar "dam talia, talique nomine censita, vt Bereo: et al terum
tantum terminum dicit, Paffionem.Noftri autem melius, Reciprocum: qua
appellationemx tuam rationem referendi complexisunt: semper.n.redie vis
reirelatæ in feipsam:Ipsefui memor: Ipfe fibi hostis: ipseseamat: Ipse de se
hoc exigit. Ætas noftræ proxima in cæteris cafibus optime uvfa eft: intertio
cafu frequentiffime hallucinata; apud plerosque enim inueniasfic, Ego dedifibi:
etiamin oratione diserti yiri Agricolæ. Græci cautem veteres abusi sunt in
poematis fuo opě, co dem modonon reciproce,fed transitiue. prome? Cumigitur
idem sitmodusorationis, etnar rantis fimpliciter, et referentis narrationem: ea
dem quoque erit ratio dicentium fic, Portia fe interfecit: et fic,Portia
rogauit, vtse interficias, Refertur enim in prioreexemplo,Interfe ettio: in
pofteriore,Rogatio interfectionis: at Interfe ettio.. femper in Portiam
recidit, hæc est natura Pri. mitiui. Quod autem ab hoc deriuatur Suus, parem
naturam, vfumqueeft conseeutusa: vt quocun que loco primitiuum poneretur, in
eum locum ius fuum haberet: sic, Portia fe interfecit: et fic, Portia fuam
vitam intercepit. Differtautem a Primitiuo ficut Adicctiuum a Substantiuo: Ita
que etiam reciprocatio differt ab illius recipro cations namin deriuatiuo redit
reciprocationo inrem a quaprocedit a et io, sed in ea quæipfius rei funt.fit
hoc exemplum:Vidi Cæfarem homi nem:hîc fubftantiam ipfius Cæfaris intelligo:
at, VidiCæfaremhumanum: intelligo hoc, quodis pliushominisest. Sicin
Pronominibus. Vidit fę Cafar: Substantia reciprocatur:ar,Vidit fua Ca
farareciprocantur ea, quæ Cæfaris sunt. Acquan uquam hocquoque modo potest
Substantia reçi aprocari,vt fi dicat, Vidit Cæsar sua crura: tamen non
permodumsubstantię refertur,fed alio præ OC dica EN 1 pro, vestrum. 00. 101
dicamento, 58 l'adv, per poffeffionem fane: quare Poffeffiva bæc di ta funt.
Intelligo autem pofler fionem, quæ aut fuit, aut eft, aPombaiam futura eft:
vtsuum regnum hæres dicat, quo nondum poti tus est. atque ipfam
negationem:vtapud Vergil. Non fuapomia. lidem tamen Græci licentius vsi funt:vt
Hefiodus, o nepov za tele vureisoa. suum, Sed loquendivfus maximus Tyrannus
elt:Surving replit enim etiam Latinis, vt vbiponeretur veras,
bumSubstantiuum.eo quoq; fubiret Pronomem hoc: vtapud Vergil. --Sua femper
apudme Munera funt Lauri. Et alibi, --Sunt hic etiam suapræmia laudi. Neque
abeft ratio: per verbum nanque Substan tiuum nihil extra effertur, fed in eodem
quiescit: ! itaque par est reciprocationi, quali stenow,licu tidicimus
quædammembriscarentia,Sedere:qa' non moventar.Paulatim tamen invaluit, vtad -
ll lia verba transferretur: Nam quum dicendum effet, Suo gladio feipfe iugulat:
tamen Terentius, Suo gladio iugulo,dixit: Eft apud Martialem a pertius: Et suariseruntsacula
Maonidem.Id autem pau lisper medio quodam loquendi modo invedums eft,qualis
apud Catullum: Snus cuig, attributus est error: eft enim ibi et Substantiuứ, et
Participium. Quarepotuit præ terca dici,Suus cuique innafcitur error. Ita fcri
ptum est in inveđiva in Sallustium: Quod fi i Te ftius vitam memoria vicerit;
aliam P. c. non ex DOS 017 eti 7:6 2:07 701 Ja idi QUE W oratio 2 346 Iul. VÍ.
oratione,fed ex morib. suis fpe ettare debetis. Eiuf dem modi eft illud
Ouidianæ Penelopæ, Aspice Laertem, vt iam fua luminacondas. Ita que ridicule
nimis ausi sunt accusare folçcismi Diuinum poetam eo verfu: Namg;fuam in patria
antiquarintsater habebar. Eftenim eiusdem rationiscumfuperioribus. Ne -mo vero
dixit vnquam solæcismum eum, quo do etti viri vterentur.Sicenim omnes sunt
loquu ti, vt pure, nonruftice loqui putarentur:quemad modum M.Tullius pro
Sylla:Sylla,fi fibi füus pu dor, etdignitas non prodesset,nullum auxilium +
requisiuit. quem dicendi modum temere nimis inusitatumappellarurit:quum etiam
Plautus, qui Romanæ linguæ lex quædam fuit:etiam Teren tiusqui veteris nouique
Latij limaquædam ha bitus eft, ita etfcripferint, et feripta totiusvrbis
iudicio approbarint.Plautus in Mercatore fic,Is " bet faluêre suusvir
vxorem suam. Terentius aute etiam fine vllo responso mutuo, sed absolutene que
solum deriuatiuum, verum etiam primitiuus Suo fibigladio hunciugulo. Quare
feretur illud Ver gilianuin eadem prudentia: 1 Viuitefelices, quibus est
fortunaperalta Iam fua.Id est, iam sua cuique, ficut eft clarius in Sexto:
Quique fuos patimur manes. Tria'kinc colligimus:Primogeniüm nuquam fineaperta
reciprocatione poni præterquam mo doillo Terentiano: Deriuatum autem occultio
re, sic, Sylla si fuuspudor fibi non pdeffet:id eft, prodeffe intelligeret.
Alterum est, nullum efle 1 dia terbietet CIOK 0 CUTIQUE 1101 umaut
emeret etiamTe y quedar tatorin discrimen, fiue vulgarem teneat significatum,
et ue pro eo, quod est proprium ponatur: præterca recte dici,Suus Cæizris, et
Cæsarum.quoniam la primitiui voxa numeris non variatur,et SuusCæ fari:quoniam
verbum orationis obliquz dux est, atque ipfam regit. Eft et illud manifeftum,
Distributiuo Prono mini additum circumagi per omnia Genera, Per funtia
sonas,Numeros, et Cafus, idque fieri vi distribugg tionis: Non folum igitur cum
Quisque,vt dixere: sed etiam cum Omnis, et Quicunque, et Quil quis, et
eiusinodi: Suum omnes Nationes tuen tur morem: Quemcunque suæ originis pænitet,
Plats eum oportet effeineptuin: Suus omnib. A fiaticis dicendi mos eft: et alia
talia. Sic etiam additis Pra politionibus: Starum fortunarum ergo nauigac
Lufitanus. Etiam in Sexto casu, contra quam sen fere:Suo quinis genio potelt
acquiescere. Hoc etiam eliciemus, quuin Scintelligamus el se semperreciprocum,
fi duæ lint perfor:ą,tolle- zimmunocom dæambiguitatis caussa, alio Pronomine
vsos ver que teres. Diligenter itaqueobscruatum eftin decla matione
Quintiliani: Non sic nuper repugnafz fct, fi illum i ribunus voluiffet
occidere. Si n.dia ! xiffet Se, haud intelligeret Marius, vtrum
accipe ret, Reumne,an Tribunum. Par exemplum est, Rogauit Nero Epaphroditum, vt
fe occîderet, Nescias vter sit occidendus; Nero, an Epa phroditus. Verum hoc
loco fi illum, pro Se, fubdas, minus commodeloquare. Ita est: Rogat Philumena
te Pamphile, ne fe deferas. Ergo i dem crit: Rogat Philumena Pamphilum ne fa
desea crcatoret serenie dablole tampre returille serafta. licurelt enium Di
przterea autem or cht,ouli deferat. Verum hæ orationes maxime funt fu giendæ.
Cuius consilij modum in primo librod exemplis eloquentiæ a nobis dictum
fuit:quili ber mihi vna cum duobus pofterioribus iam per fectis aut a Carnuto,
aut a Provinciali surreptu est. Mr Eft etiam aniniadvertenda locutio illa, Inte
fe: fic, FratresThebani inter fe dissident. Grad anon tam feliciter: sannous,
alius alium: non. n. complectuntur illum mutuum responsum vltra citroque: at
nos,Inter se, quali dicas, Medium in ter cos diffidium eft. Itaque Se, eft
casus pluralis, vtrumque componens fimulacdisidium: iccirco distribuitur,
deinde ad duo singularia partitum hincinde. Animadvertimus autem Ciceronem in
primo Officiorum sic locutum: Homines au tem hominum cauffa essegeneratos, vt
ipsi inter se, alij aliis prodeffe poffint. Declarat enim, In ter fe, per dimonous.
Etin eodem alius loquendi soruyu mamodus est, Qua focietas hominum inter ipsos,
et vitæ quafi communitas continetur. Idem enim eft, Qua homines inter fe
fociati continentur: imacon Colligitur etiam lex dicendi hæc, Suacaussa
feci:recte.Suicauffa feci: non re et e:non enim re ciprocat. Sed, Mei caussa
feçi:Sui caussa vt face % rem,rogavit. Quæram igitur,andicam, Tui cauf fa feci:
Mei cauffa fecisti.Etfanepoteft:non enim sunt reciproca, fed personam tantum
deli egnant:fed passivesemper accipiuntur.Tuiamor, quia tu amaris: Amor
Tuus,quia amas: vt apud Ciceronem: Quod desideriumtui ferre non pos fet.Etin
proæmio sexti Quintilianus,sic,Amore i inci Tolbe ab 01:18: G INH Donicos
Vledes. callspice 12 DATE diues arian in Cicent · Homia IS, VEINIL arateuis mei
vicitetiam matrem fuam. quod plusamatus fuieta filio quam a matre. Et
Vergiliusin xila Viettus amoretui. Quare vbierit reciprocatio, ni hil eritambi
uum: vrNarcissus Ouidianus,Vtor amoremei. Est enim ibi autoQinawlia. Atque hæc
quidem natura horum Pronomi- Exay numeít,vtfuum quodqueobtineatlocum: quod fi
eadem fine discrimine sedem ineant, id non ipforum natura fit,fed vi partium
aliarum, qui bus oratio constituitur. Sunt enim quædam No mina, vt Cauffa,
Fama, Imago, quibus vtrum ad dideris, idem fonat:Cauffa meafecisti: et, Cauffa
mei: propterea quod vox hæc Cauffa, vim habet tanquam pafsiua. fic, Imago mea,
et mei.quia Ima govno tantum accipiturmodo,de eo,cuiusest: 2 ethabet vnam
tantum rationem relationis: fic et Fama. At non fic Poteftas, non Memoria, non
aº lia ciusmodi:nam habet Potestas duplicem rela tionem: alteram adme, qua
possum: alteram ad alium, qua in me poteft.fic et Memoria, etVlus, nistel et
Copia. Copiamea, quam posfideo, quasum diues:Copia mei, qua quis in me vtitur.
Sic Fa-> cultas, et Vtilitas, et alia talia: vt, Accusatio mea, qua drwxws
ago enim reum: Accufatio mei,qua Qevywagor enim reus.Sunt etalia Nomina, quo
rum natura non repugnats sed vsus tantumnon sur le icam, I
admittit:vt,Seruitus.Nam fi Dauus estmeus,eius otelio feruitus mea est: ille
autem sic loquetur, Mei ser uitus: ettamen correlatiuum eius non respondet
ntur.Tu pari ratione: dico enim, Meus Dominatus: et 12 am2; Dauus ad me, Tuus,
inquiet, mei Dominatus. i ferreno Caussa autem eft,quia funt relatiua
inæqualitatis.-) Z j. Yeriant alius.log at. Idea: continent 26, Sama e:noner ni
caullari tuy tantum anus, liidid Iyl. VI. ti et CI Verum,vt dixi, vulgus non
ficloquitur,vt Domi nus dicat, Meaferuitus: sed feruus. At philofophi orationi
vsum illi concedunt, fibi reseruant sapi lentiam. Quædamapertius etiam
cumnominibus iuneta eandem naturam declarant, vt apud Sallu © ftium, Metus
Pompeij:non, quem metueret: sed, b quometueretur. Quemadmodum igitur Nomina
sunt,quibus gmin mofine discrimine assignentur:ita et Nomina,in qui bus vnumpro
altero ponctur. At non e contra P rio,vt vbicunque erit Primogenitum, effe
possit etiam Deriuatum.Ea vero funt, Pars, Totum,Di midium, et eiusmodi.
Hec.n.tam ad corpus meu, quam ad alia transferri queunt. Quoniam vero a
duplicem habent relationem, vnam qua declara P ceturpoffesfio:alteram, qua fuis
correlatiuis respon dent: iccirco duplici quoq; Pronomine præscri bi sese
patiuntur. Effentiapartiseft ad Totum,et Totius ad partem, igitur per
essentiale Prono E amenstatuetur:vt, Pars mei; ego enim sum totum per partes.
Poffeffio autem partis accidentalis ceeft:itaque mei pars poteft effe non
mea,puta vn a guium resegmina: autos e cicatrice, quod ferua uit sibi
Chirurgus,vtoperam ostentaret. Quo in loco falli funt, qui hocnegabant: pars
igitur bo mednot'ei uis,qua vescor,mea est possidentis:non vt pars, fed vtres
poffeffa. Sic Ouidij parte fruimur nos, nuncipfe non fruitur:idest Nomine:
itaque fica fcripsit, Partetamen meliore meifuper altaperennis 9 Aftra
ferar.qum viueret,poterat dicere, Parte vmca etMei: nunc non poteft dicere,
Parte mea, quan nullam habet: fed mei, quæ pertinetad to tum hominem, cuius
pars Fama eft, quasi anima rerum geftarum. Atque hoc quidem vfitatum ac
frequens est.. Quod vero e Plauti afferunt Pseudulo, non pro bant:id eft
eiufmodi: Duorum hominum labori parfiffem lubens,Meiterogandiset tui refponder
jeg dendi mihi:aiuntquedicendum fuiffe, Meo, et us Tuo.afferuntque a
Ciceronepro Gabinio exem plum: Dico mea vnius opera seruatam Rempub. et p
Murena: Extuoipsius animo conie et uram ceperis. Ego vero puto Plautum non
folum Lati ne,sed etiam purelocutum: neq;defuisseilli, aut, vfum produce, aut
rationem psuasore. Principio Græcisicloquuntur,monGous. Deinde lepoto nitidio restorationis:
Tum priscos vfos effe pri- i mitiuo prius, quam deriuatiuo,verum est.Poftreal
mo Cicero quoque fic fcripfit ad Curionem, 1 Eam vnius tui studio me affequi
poffe confido.» Neque enim est Librariorum mendum,vtaiunt: temere enim nimis
expungunt, fiquid non arri det.Nequeverum est,quod profitentur,cum No minib.
numerum præscribentib. fic faciundum effe: fed qualecunqneapponatur,ordinem
esseau torem diuerfitatis, feruitumque auribus exipfa concinnitate. Si præcedat
Pronomen, cõfueuere admittere Deriuatiuum; sic; Tuoipfiusstudio:fi sequatur,
ponere Primitiuum,Vnius tui operai ); quoniam nomen Vnius vagum est ad
plures,cir- » cunscribitur essentiali pronomine fubeunte:vt quærenti quis fitille
Vnusrintelligo, Tc. Quum autem præcedit poffeffiuum, fic, Tuo studio: Z ij cir Ivt.
V. 1 ر cecircumscribitur Studium, et exemptumemultis attribuitur yni. Tuo
studio vnius,exclusa opera aliorum. In tertia vero persona etiam fi præce. udat
Pronomen, primitiuum fit:Cicero aiebat sui vnius opera seruatam Rempub. Quoniam
autem affeuerabant, passiue sem + per accipi eum cafum fic terminatum, Mei,
Tui: a conati funt alias terminationes reddere actiuis, Mis, Tis. Verum longe
falsi sunt: ficenim dice ' tent Tertiam perfonam Sis; etiam a etiue intelli gi:
id quod nemo auderet: eft enim, ve diceba musai'rowaIesi citantporro versum
Ennianum: 4 Ingenscuramis eft concordibus æquiparere. Vtfitucí Sed fic fane
esto: non cötinuo illa pas. fiuis tantum addicent. Maiore quoq; curiositate +
negarunt poffc dici in plurali, Milites noftrum: Ticuti, Milites nostri, a
nofter: fed facile redar. guunturratione. Adeo enim re et e dici putarunt; * t
cafum eundem Primitiui duabus cfferrent citerminationibus, Noftram, et Noftri:
quoru al terum effet a Græco, nuwr, alterum idem effetcứ deriuatiuo
plurali.Quare etiam SALLUSTIO (si veda) in Ca catilina, Maiores vestrum: pro
Vestri, pofuit: fic enim legit Gellius. Et Plautus in Mostellaria oftendit
Vestrüm,effe concisum:vtvescovo quum cedicit: Verum illhuceffe maxima pars
veftrorumi intelligit. Sicut Æolenses dicuni, vućw! postea factumeíturwis
etvestram. Cæterum vsus obti nuit,vt Ego, Tu, Nos, significarent quiddam to
tum, quod distribueretur: non autem possessionem: ut Vnus vestrum, qui tamen
non effet ve ster: Vous veftrum et RomanioceupabitRem pub. DECarsts pub.
Cæsar non erat illorum vt res poffeffa: sed vt pars toțius. In plurali quoque
candem inue nicmus variationem, apud Ciceronem in tertio de Oratore, Veftrum
omnium voluntati paruit; pro, veftræ. Sic enim loquitur
idemad Brutum Scribens, Veftris paucorum respondeat laudi bus. Sicut autem
dicimus, Ego Cæfar video te Ca tonem:ita dicam,Ego Cæsartui egeo,o Cato.Siç
ctiam igirur, Tu Cato eges mei Cæsaris. nam quid hoc prohibet? aut quare
negaruntid poffe dici? Nequeenim satis probant suamsententiam illo exemplo
Virgiliano, Siquatui Corydonis habet te cura,venito, este, nim per Apostrophen
a feipfa in aliam: quafi gura frequenter vțimur, exemplo ergo ponit: •.
hoc,illud non negat, Non est autem verum,quod aiunt,differre De “ riuata a
Primițiuis, propterea quod Deriuata ver bis iuncta imperfeetta lint: Primitiua
perfecta Sed quem admodum dicebamus, Adiectiuum, et Substantivum sunt
differentia non nominis fo lius, fed actionis genericæ communes Nomini ac
Participio: Nomini quidem simul vtraq;, Par ticipio autem altera tanțum, Adie
ettiuum, Pro nominiautem ytraque, nam Primitiua substan țialia sunt,
Deriuataaccidentalia. Deperfectio ne autem praționisamplius iudicandumeft: pole
sum:n.fic dicere. Meusfcribo: fane oratio pfecta » eft: ficut, Fortis pugnat.
Et Sofia Plaucinus festi uiffime, Certe nofterfum. Tertia autem Primi, tiuorum
adeo imperfecta eft:, vt nihil magis Z iij. neqi IVLvic 2 1 + 1 Ongs M ! *. VI. neq; enim poni
poteft fine adminiculo: Cæfarfe macerat:fi.n. dicas, Semacerat: quid
intelligas? Quare fi iccirco imperfeet a funt Deriuata, quia egeant adiumenti:
hac quoque ratione illud erit imperfeet iffimum. Alia duo deriuata Noftras.
Veftras. Ira vero deductio duorum aliorum: Nam veteres Aruspices atq. Augures
quum ter ram diuiderent auspiciorum cauffa,fic instituêre: Agrum omnem efle aut
Romanum,aut Gabinu, aut Peregrinum,aut Hofticum,aut Incertum.Ic circo Amatam do
et issimus omnium Virgilius fe citiudicare Turnum externum, qui Latini agri ce
non efset:et Cæfar, qui id non ignoraret, Gallias diuisit in partes treis:
exempta ex ea partitionc Prouincia, ppterea quod continebatur agropere grino
tunc:Galliæautem tres, Hostico. Ideacauf ce lafecit, quia eadem effent auspicia
in Peregrino, et Gabino, quæ etiam in Romano. Ergo iidē Au gures agrum, qui
nondum effet difpe et us, quib. ccauspiciis designaretur,incertum vocarunt:
vbili queretRomanum effe, non fatis habuere fic dice cre, noster est: nam multi
agri pacati peregriniita abiplis poterantappellari,quum eorum esset po pulus
potitus.Itaquc excogitarunt vocem a voce, qua coarctarēt fignificationem ad
Regiones:quæ ** fuitcauffa,vt eflet analogia terminationis comu. nis cum nominibus
regionum: Sarsinatis a Sark po: fic Noftratis, Nofter: et per exemptionem
duorum elementorum Noftras. Nequcfine sa sont d. tiano PA tione a plurali
duxere: quoniam de Ciuibus dici:7 tur, et ad ciues refertur. Ita habes cauffam
etvo cis, et terminationis, et numeri.Vsus autem obti- Dokta nuit poftea, vt
etiam ad familias transferretur: n etiam ad fectas Philosophorum: quæfane fami
liæ quoque diettæ sunt. itaq. Noftrates Peripate ticos poterimus appellare.
Cicero etiã verbavul garia,Noftratia dixit: non quafi Romana, omnia enim
Romanaerant: fed quafi ex sua fupelleet ili. Quæremus autem nosmorenoftro,quam
ob new name cauffam a Tertia persona nullum deriuarut: quis 5* sweet enim neget
rectea nobis ficexcogitatum, Roma ni fuates captiuosAnnibali dedendos censuere.
di Imo vero et concinna oratio eft, et neceffaria.Ve rum duo in cauffa fuere,
quominus id factum sit: 6 Incuria gentis illius, quz manu promptior per i
initia, dịcenda facere, quam diceremaluere: Et vasta, atq. inexplebilis animi
libido ad Imperiu: e inuitus enim Romanus hoc pronomen Suum, a gnoscebat:omnia
per Meum,aut Nostrum, meti ri cupiebant. His autem duobus deriuatis etiam
Græcorum copiam superarunt. Articulus. Is declaratis, fatis constat, Græcorum
artis culosnon negle et osa nobis, sed eorum vsű u. fuperfluum. Nam vbialiquid
præfcribendueste, pense quod Græci per articulum efficiunt, ěrecev o
AG:expletura Latinis per ls, aut Ille:Is, autille feruus dixit:dequoferuo antea
fa et a mentio fit, aut qui alio quopacto notus fit: additur enim articulus ad
rei memoriam renouandam, cuius. DS 7. iiij. antea 356 Iul. V I. 1 antea non
nescij sumus, quiipfum ponimus: aut componente am ad præscribendum intelleet
ionem,quæ latius mamime met paterequeat, veluti quum dicimus, C. Cæsar, is qui
pofteadictator fuit. Nam alii fuere Caii Cæ fares,fic Græce, Kajoup o au
Toxpatwp. Numerus. Vitautem numerus necessarius, vti supra di co nomine,
quoilla res significatur, a numero au tem vno numeri duo deducti funt propter
relationem. Nam Vos, pluralis est: deduciturautem abeo singularis, Vester: quia
fignificat rem fin gularem admultos relatam, vt dicebamus. Persona, Erfonæ
quemadmodu distinguerentur, iam i Pronominibus, amodo in Nominibus, Namin 11
Nomine omnes personæ quinque casibusconti pentur; in vocatiuoautem vna. Atin
Pronomine vna tantum persona in prima, etvna in secunda. Itaque inNominibus
variantur propter cafus: in Pronomine non variantur. Tu,enim omnibus in calibus
secundæ personæ eft: et, Ego primæca, ręt enim vocatiuo. Se, folam habet
tertiam: De: riuata, omnes. Casus: Vmhocita fit:igiturQuintum quoque ca Clumsum
non solum habebuntipsorum aliquaz verum etiam quædam constituent: vt, Tu, Vos,
Vester. In poffeffiuisantem non immerito dubi tatur. Nam ficuti Ego, caret
Quinto cafu fingu lari, quia nemose iplum vocet:ita Meus, quod ab eo ducitur,
carere quoque debuit, e contrario Tuus, casum illum habebit, quiaTu, ipsum ha
bet: et Sui,quia caret Suus, quoque deficidebue rat. Atenimuero quemadmodum
aliter contin- holone gat, videndum est. Omnis Vocatiuus cafus duas personas
designat neceffario: significat in. Rem in secunda persona, et consignificat
primam lo quentem: atque tanta facultate eft, vi videatur » folus constituere
orationem. Si.n. voces, Dauc: Dauus refpondeat: igitur res vocata nisi distin
guatur ab re vocante, eius cafus nulli vfui erit. Meum seruum igiturcum
appello, çu alloquor, quialius est amesubstantia:accidentęautem re fertur ad
me, iccirco potesta me vocari, quia eft alius, etvocatur per pronomendeduậum
ame, quia eft quodam certoquemodo qualı ynu me. cum.Eft enim ynum relatione:
ideo relatiuum al terum sine altero nullum essequit. Atin, Tuus, non idem effe
potest; Nam etlieft diuersaperso nayocata a vocante: tamen significatam rem ap
pello, et terminum relationisad alteram pfonam dirigo, ita diftra et ussermo,
ad feruum tuum vo catum, etad Te, ad quemrefertur ille, non po teft cohærerc.
Videamus vero subtilius, an huic quoque cafus ille attribui possit, ac fic
dicamus; Poffeffio excludit aliam poffeffionem, iure enim meoius alienum
tollitur.Meus enim ego fum,non alterius: quare Ancilla manumiffam liç yocabo, ZY
O TuaGedimino Tua. quia etiamfic possim, quum eam libera: pollo mine Abi iam
tua çs. Vfustamen infrequens non po 719 fuitlegemhanc loquendisic.De
Suusautemfic ftatuamųs: Contradicere fibiipfis, qui hæcduo di cant:Suus,semper
reciprocumeffe debet:Suus ha Sbet vocatiuum. quæ enim reciprocatia pofsit in
teruenire inter vocantem, et vocatum relatum ad aliam perfonam ab vtroque?
Itaque nos etaffir inamus,haberevocatiuum: et negamus, femper efle reciprocum:
sed recte dici, Sui ferui eum In ftulere: et, Suiserui eum sustollite. Figura.
more Implicia, Hic,Is, Ego, Tu,Sui.Componuntur autem partįm secu, fcilicet
geminationepu. rä:partim aliquo interpofito:vt,Identidem:quod etiam mutauit
naturam. Item cum diuerfis: vt, Ist hic. Etiam cumaliis extra
genus suum: vt, Tu te, Ego met [cf. H. P. Grice, “Me, Tarzan, take you, Jane,
to be my…” – “If we reflect on sentence containing “I”, “me,” etc. …”], Idem,
Suapte, Hocce. Sic cum Præpo fitiõibus, Nobiscum Mecum. Cumnominibus, (Reapfe,
quod aiuntpro, Reipfa, pofitum aban Stiquis.Ipfe, quoque compositum effe
diximus, et lifte, et ille,ab Is, Doresimitati, quitaddebant, lones te.Acoles
etiam dicebant fe pro o, et coru pars, Dores. Sic Theocritus in quarto Idyl lio:
maile spußdav.Atenimuero quum inficdan tur Illius, Isțius. Ipfius, non videbantựr
composi ta.Sicut Tute noflectitur, neque Hoc, nili interi a tus, Hyiufce. Composita
funttamen,quçvfus suo arbitratu deflexit. Cum his autem alia quoque ingenias: Ego
ipse:et numerosius, Egamětipfe. Cape Excludit apresenti opera. confilia
antiquorum. Vlta alia de Pronomine ab antiquis di etta sunt, quæ alterius operæ
indigent, partim enim pertinent ad eam contemplationem, quæ docet inflectiones:
partim ad conftru et ionis le ges: quæ omnia fimulcoaceruata minus recte ve:
teres confudêre. Materialis caussa Pronominum. Vorundam materia patet, aliorum
non ite. Nam obliquiquorundam secutisunt nomi num tertiæ declinationis
terminationem, Mis, Tis, Sis. Quædam pronominum, Huius, Eius, Illius. Obliquus
autem Tui, Atticos secutusest, Tü: additumiwla, vt T8786. Tibi,interpofuit con
fonantem, non aspirationem, vt Mihi, Toi, Moi.;) Nos, et Vos,non habent
elementa, quæ sequan turGræcam originem: sed Nigidius conatus eft deducere
materiam a cauffa, non penitus inepte. eam,quivolet, e Gellio petet. Inter
Primitiua est Is, et Hic: alterum sine aspiratione, alterum », fine sibilo, ab
eo quod Græce erat.o, addito ke, » et adempta vocali prioris obliqui aliam
fibivo çalem asciuere, Is,Eius, Ei. In quibusdam com munem habuit. In plurali,
li. In cauffa est fonus affinis vocalium, quem fonum foli Belgæ hodie
incolumem,vtpleraquealia, feruant, Contra,quam feceruntPrisci,quade causa prius
de Pronomine, quamde Participio egerit. ETMTG huius libri initio fa ettum eft,
vt declara remus ordinem, quo cffet Pronomenftatuen dum: tamen hîc
quoquenonnihilconfilij capia mus. Pronominis intelle ettionem esse priorem
Participio, ficfatis constat: Sinomen anteit alias species, etiam Pronomen
præponetur. Nam fi partes anteponuntur toti, eaquoq; quæ partium vices
geruntpræibunt id quodtotum fit: veluti carnium, ossiumque fubftantia primoloco
nota synt: item Pedis, Cruris, Oris ratio potior quam totum animal:puta
Homo,Leo,Canis:ita etiam harum partium vicariæ partes quæ dvofnoga, vo
cantGræci, antegredientur intelleet ionem ani, malis ex ipfis constituci:
vt,quæ loco sanguinis funtin Infectorum genere, et a Græcis dicuntur,
ixapes,quæ pro ossefuntin Piscibus, etvocantur, Spinæ: quæ pro ore sunt in
Plantis, etnominan tur Radices:hęcomnia anteerunt cognoscenda, quam aut
Inseđa,aut Pisces,aut Plantæ. Quam obrem quum Participium quiddam site Nomi ne,
Verboqueconflatum; non tantum poft No. men: Verbumque, sed etiam post Pronomen
ex. hibetfefe nobis intelligendum. Præterea (vtar e nim quibusdam falsis, sed
quę illi ipsi pro verisha buere) oratio perfeet a effe finePronomine nulla
poteft: constitui enim personas a folo Pronomi. ne arbitratsunt, faltem primam,
et fecundam: atsine participio poteft: vt etiam Pronomina fint adorationem,quam
Nominamagis necessaria. Affectiones quadam. Roprium Primitiuorum vagari, ac
diftribui in multa, putauerunt.co exemplo. Neuetibi adfolem vergant vineta
cadentem. aiunt enim omnibus dictum eo Pronomine Tic " bi: verum res fefe
aliter habet: Alloquiturenim Mæcænatem: libri enim didascalicimaxima ex parte
certis nominibus discipulorum nuncupan tur. Ita etiam aiuntad ornatum orationis
poni fi apud Ciceronem ad Brutum, Ecce tibiPom-» ponius nofter:nam tum
aberatBrutus. Egove to aliter cenfeo: Aduerbium potius Ecce,positu, ad ornatum,
ficut et apud Iureconsultos: at pro * nomen Tibi seruire legenti epistolam
Bruto. Proprium
autem Pronominum etiam alia ex i fefe parere Pronomina, vt Is, ille. Et
Aduerbia. illo. Quodvero fcripsere,oriri abipsis etiam No. + mina, falsum
eft:neque enim Noftras, nomen eft: fed vt noster ad poffeffionem communem, ita
Noftras,ad communionem poffeffionis. Nonnc dicis, Meus ciuis, etMeus popularis?
Siç dicet Solia,Nostratem Getam, apud Terentium. Ita que ij, quinomen putauere
etiam inter Prono mina recensuere: fed alio exemplo vtendum fuit. Nam a
Quisquis, Quisquiliæ diettæ sunt.fuit enim quicquid, so tugav, vile,et obuium
forte, non consilio. Proprium etiam,vt diximus,etinter fe etcum aliis iungi, et
geminari, et inter se construi ad ora tionem:Mea tu. Etiam inter fe referri: Is,qui ve mit. Item amittere significatum p
casus ratione. Del
more Æolico: n. interdum enim nihil significat apud Theocritum. Sicnos, Tute
folus loqueris. Plautus in Milite etiam amplius, Tute fcisfoli te tibi.
vtpofsis arbitrari effe potius additamentum, vtin alio pronomine, Iste. Proprium
quoq;, poni pronominis significa. to:Suus, pro proprio, et agnato. Apud Iure conful
ços.at exemplum quodadducuntno feruit, Sunt etiam sua premia landi. hîc enim
elt poffeffiuum Sicfalluntur altero exemplo:Is, pro Talis: Non ea vis animo,
etapud Ciceronem, Pro eo quanti te feci:imo pronomen est relatiuum. Pro
Aduerbio etiam ponitur: Quidmaiora fequar.estetiam ad
uerbiuminterrogandi:non,vt putarunt,Coniun ettio.Coniun et io potius illa sit,
Quod scribis te venturum, vt voluêre: mihi vero acu tius videtur effe
relatiuum,Hoc, quod scribit,te venturum scripsisti enim hoc Veniam. ni IVLII 1
36 bilgai lus lour tamien I Talis:11 eo quart eruir,s Aduer nt, Com 1 ft etiam
Non recte feruatum a veteribus ordinem ini disputando de Participio. odica oack
VEMAD MODYM perturbarut 6 ördinem partium, ita quæstiones non suo quanque loco
tra et auere. Duo cnim foliti sumus quærere. prior quæstio eft: vtrum
fit,necne? ) Altera hac fequitar, Ouanam sede id de quo quæ VI litum est,lit
collocandum. hæcilli cobiæret, tan quam effe et us causa:ex ipfa enim
subftantięno “ ), tione eliciuntur rerum prærogatiuæ. Quare per uerse
tractauerunt prius fedem Participij: poste rius autem, an Participium esset
pars, et species diet ionis. At enimuero si Parçicipiū res nota eft, quorsum
tantęcongeries argumentorum.li non eit nota, imo vero linonnullis ne pars
quidem o rationis vllaab aliis separata iudicata eft, quo co Lilio ei rei, quz
nusquamextat, fedem ftatuunt? Quo 5 364 Iul. V.. quum dici Quoniam vero
nullusartifex, pbat fuum subie et um effe: fed fuperiore scientia prolatum, pro
certo ftatuit:iccircovideamus, qua ratione parti cipium, quod subiectum est
libri huius, efle pro betur.Triplex modus est probandi, per cauffam, per effeet
u, predargutionem. Primusmodusest per demonstrationem, fic: Diet iones quædam
funt declinabiles, quia omnis sermoeget aliqua variatione. Alter modus est, per conuerfionem de monstrationis,fic: Variatur sermo,
quia di et iones funt declinabiles: caussa enim hîc probatur per effectum.
Tertius modus est,quuma pertinacib. negatur subiectum ipsum esse: veluti 2 mus,
Ideas eflenullas. Autsubie et i ratio forma lis: veluti quum dicimus, Metalla
quidem esse, fed transmutationem no inueniri arte humana, qua re Alcumia nulla
erit. Aut quum agnofcimus quidem et fubie ettum, et rationem formalem,fed negamuspertinere
ad eam scientiam,cui attribui tur: veluti quum Grammaticus de voce vult di
sputare. Horum modorum duopriores non ad mittunturad probandum fubieet um effe,
fed fo lus Tertius. Ratio autem huius legis eft aliis libris anobis
explicata.Nuncautem aduersariorum ra. tionesperpenfas diruamus. An participium sit Diettionis pars ab aliis
separata. Vi Participio partium numerum non au gent, appellant ipsum avavaxna
son at poor siue övTISpe@ xoxv, id autem fonat, re ciprocam itidemque altera ex
parte respon « Qah den. I gopicer I dentem appellationem: quoniam
fic dicatur,Cur rens est cursor: et, cursor eft curres.Præterea nul- 2 lum
deriuatum aliam a primogenio naturam for tiri: nam si Pater Nomen, etiam
Patrius nomeno Ferueo Verbum, etiam Feruesco. Quarequum
Participium a Verbo fiat: fub Verbi veniat ratio nem. Vt horum argumentorum
videamusvim, quid Reciprocum lit, etquemadmodum fiat, et quomodo
deriueturaliquid a primitiuo, intelli gendum est. Ac quanquam superiorelibro de
1 Řeciproco diximus, id tamen co fpe et abat, vt * Nomen acciperemus: meliusque
a nobis, quam a Græcis expressum effe. Nuncautem paulo
ac. curatius contemplemur. Reciprocatio, cft par priori ex eisdem, aut ex
contrariis transpositio ex eisdem: vt, Conful est, qui consulitsenatum: et, Qui
consulest, consulit senatum. Excontra riis: vt, Philosophia est,
eloquentia disputatoria: eloquentia est, pbilosophia elocutoria. Oratoria est,
diale ettica diffusa: dialeetica estoratio pressa. Palma eft,
pugnusapertus:pugnus est, palmaclau fa. Hinc dicta reciproca, quoniam
procreentury, retrorsum: idest repetant.Sicrespondere opinio, ni, atque
expectationi,quum par estopera indo li. His constat, non reet e dictam
reciprocam ap pellationem. Neque enim pares hæ suntoratio Aes. Cursor est
currens: etcurrens eft cursor:nam Cursor designat robis naturam, ingeniumque ad
currendum: Currens autem dicitactum cur rendi nunc. At non omnc currens eft
habilead currendum: habilem autem dico ad celeritatem, non ad conatum, Tev
aequxota. Curritsuo modo Aa teftudo,non Curforis. Idautem manifeftius aliis nominibus apparct: Non enim omnis Pugnans, #Pugil
est. Et
quum Orare, fitore pronuntiare: ve teres verbuin illud omnibus conceffere:
orato ris autem nomen sui vnius in L. Crassi persona a gnovit Cicero. Neque
carentratione hæc:vise nim horum nominum inde manauit, quod ex 'frequentibus
actibus habitus fit. qui igitur vicio vrfüm semel, fortaffe casu factum eft, vt
debella ret:at Carpophorus Domitiani, et Vergilianus Picus debellatores
appeilabuntur. Si igitur essent eiusmodi appellationes eiusdem substantiæ, v.
niuersalienuntiatione vltro citroq; efferrentur, 2 atquereferrentur. Deriuatum
autem vel fequi tur Primogenium, vel excedit,excediturve: Sife quitur, ciufdem
speciei cft (intelligo nuncfpe ciem contentam fub dictione, tanquam sub ges
nere )vt,quia Rex Nomen, eriam Regius:nõex cedit enim, neque exceditur. Ata
Bono, Bene quum deriuetur,exceditur numero, et aliis Qua re Participium quum
excedat casu,et genere Vera ba,nullo modo effe Verbum poterit. Falso igitur
regabant, desciscere Deriuatum a primogenij ratione: quin etiam Deriuata quædam
vel man ciora funt,vel ampliora, vt ipforummet vtar pla citis. Aiunt enim
Tuuscarere casu Quinto,quem tamen cafum Tu, constituit. Contra Suus, et * Meus,
Primitiua excedunt fua: hoc Quinto ca su, quo caret Ego: illud etcasuum, et
nume rorum variatione, quo caret Se. Ad hæc lia cantando, erit cantor, Verbum
erit, non No. men. Quod autem Participium, Nomen nonlite ODAVATE LESZT 1 mantis
fit, inde colligimus: habet enim Verbicostrudio,wenn nisheyet nem: Legens
librum. At Nomen nullum his lc gibus fruipoteft: fed fiquem casum nanciscun for
tur, id euenit aut vi drationis, aut yerbicuiuspia uliopelo merito: vt
PotensLyræ,poffeffionem quandam significat, sicut, DominusLyræ. Quodfi quis
sit, cui dicat, Appetens gloriæ, non significare polles fionem (quod enim
appetit, non polider )is File intelliget eo modo dici, quo Auidusgloriæ; est
Pepe enim iç'ter.sad possessionem. Alij autem casus in attribuuntur Nominibus
per defeet um fupple-, menti: vt, Amicus illi: id fic est, quoniam litae Pern
micus, adfit illi, ac faucat: Superbus pecunia, et fa et us a pecunia. Debile
autem eorum eft argu ekrok mentum, quo excludunt a Nominis ratione, quum
dicunt, Quiano significantadionem.Ma. le enim elocutisunt,quod recte
sentiebant:nam etiam Nomen hoc Adio, actionem significat, Ergo Participium ab
aliis fecreta erit orationis Tipars. Nequc impedimento fit,quod nome suum,
acceperit a portione Verbiac Nominis: Tere ziumenim quiddam factum eft. Neque
enim ex verbi nominífque coitione fa etta eft Tertia sub ftantia; fed ortum a
Verbo traxit secum tempo ra etfignificationem, adiunxitque generi etcasio ·
bus: plusenim Verbi quam Nominis obtinet; id quod fane non potuit exprimi ipso
nomine, quod nomeactiue intelligi voluere,quiacaperet, AtMancipiu, aliam
sequutum eft analogiam, vt fignificaret,quod manucaperetur. Sed Participiu, că
Municipiocouenit.Minus vero bona oratio neyli sunt, quiliç diceret, Partem
capitaNoming7 NO E B 4 och 368 IvL. VIT. CXA: 1 partem a Verbo, partem ab
vtroque. Quis enim fic, Partem a Cæsare, partem a Lælio,partem ab vtroque?
nonnciam ab vtroque accepit? Sed ita intelligendum eft, Accidentium quæ
funtParti cipij, partim esse a Nominefolo, partim a solo Verbo, partim ytrique
communia: dummodo il lud quoque meminerimus, ipsum habere cum Nominecommunem
differentiam Adiectiuo rum. Substantiuorum autem nullam. Participii necessitas.
T vero ne ad orationis quidem volupta tem solam inuenta ea species eft, quemad
modum partes quædam coniunettiuæ: sed necessitate quadam, ac vi naturæ. Quum
enim declaratum iam sit, verbum significarc aliquid,quod significato nominis adiiciatur,
sic, “Cæsar pugnat”, coacti sunt sapientes aliquid excogitare, quod non folum
recto casuiadneet eret, vt hoc exem Uplo:sed Etiam Obliquo.Neque enim si dicas,
“Video Cæsarem”. addas eiusmodiVerbum nisi addi to relatiuo, fic, Qui pugnat.
Quare Participium commenti sunt, quod et significationem obtine ret, etadderet
modum adic et tionis: quafi quum dicas, Cæsarem pugnantem: eadem sit ratio, ac
fisic, “Cæsarem pugnacem”. Quod siquis ob iiciat ita dici poffe etiam per
verbum. “Video Cæsarem pugnare”. lane intelligat verbi illius vi factumeffe,
non infinitivi: si eius loco substituat aliud, fic, Verbero Cæsarem: ncque enimfi
militer apponere queas infinitiuu. Eft præterea cauffa 1 ola ! tan sonra. caussa
alia nõignobilis. Quo modo res vna dicco 2 retur, fupra docuimus te:
nücquaratione yna fit oratio, videamus: Quædam enim eft yna, Natu ra: ut, “Cæsar
amat Lucinam”. quædam Coniunetione: ut: “Cæfar amat Lucinam et pugnat” at que huius
quidem modi species libro undecimo declaratæ sunt. Quæ vero Natura vna est,
vnum de uno dicit: quæ coniun et ioneyna, secatur in plures. Nam et Amor et Pugna
in Cæsare, et de Cesare dicitur, nihilo fecius, quam si dicas, “Cæsar amat, Caesar
pugnat”. hîc sunt seiun. etx orationes duæ, carent enim tam artis, quam naturæ
coniunctione. Quare manifestum est, Artem coniungere in oratione, quæ natura
coniunxit in corpore subiecto. Hæc autem aut seriatim sese consequuntur, aut
difiun etta sunt. Si sunt dissita, natura, ut Candor et Dulcedo in Laet te, per
ipsum corpus, quo deferuntur, coniunguntur quoque. Ita in oration per copulam
coaguntur sicut per corpus in re. Siseleconfequun tur, ea funt, aut substantia
aut accidens. Neu trumvero eget artificiofa cõiun ettione:sed que admodum
natura vnum funt fibiipfis fubeuntia, continentiaque alia aliud, tanquam quum
est triangulum in quadrangulo: ita etiam carum rerumnotævnum sunt, hoc modo:
“corpus animatum, sentiens, rationis capax, vna res est, ita yna oratio hæc: “Homo
est corpus animatum, sentiens, rationis capax”. Nihilo secius in accidente, sic,
Aptum natum admirari, discere,fcire:neque enim scimus, nisi discamus: ncque
discimus,nisi admiremur: quæ hæc ad hunc modum vnum Az iij. Ssunt: neque vllius artis egent ad coniugendum.
Quævero disiun essa sunt, ea per copulam coniunguntur, ut, “Lego et scribo” quam
obrem sicuti per subiectum a natura coniunguntur: ita fa etum est, ut per
participium similem nanciscerentur coniunetionem, ut, “Legens scribo”. Tertiam
vero necessitatis caussam ut intelligamus, hæc prius sunt perpedenda. Caussarum
quædam seextra rem sunt,quas Galenus vocat w goxata näs, recentiores, primitivas.
Quædam interiores, atque hæ duplices: aut enim sunt, aut
non sunt coniun ettæ. Ea vero diuisio secundum Accidens, non fecundum Substantiam
fit: diuerfæ enim Yunt aliquando a se ipsis secundum situm, vel fecundum
Tempus: neque vnam tantum fpe ciem cauffarum fequuntur:fed tum in efficiente,
tum in materiali inueniuntur. Ac illa quidem quæ extra rem anobis agnofcebatur,
est: veluti, Ferrum, fiue ferri illaactio: e percussione enim fit vel tumor;
vel fanies, vel eiufmodi. Quæ au tem interior est,nondum coniuncta, opony syfucr
KaGaleno, a nostris antecedens dicta est,tam a pte,quam a Cicerone quü dicitur
in Officiis, An tegteffam esse honeftatem: vt, succus hesternus, qui poftea
putruit, cauffa febris factus est:caussa coniuncta estis, quinunc putridus eft:
atque hic quidem nonsolum tempore, aut situ tantum differt a seipso, sed
etiamsubstantia. Aliquando autem, vtdicebamus, non fubftantia, fed Lo co:
interdum enim fuit fanguis probus,atque incorruptus, qui tumoreeffidiat,cuius
ipse caussa kit materialis. Adhasigiturcauffas significandas quam
sit Participium fabricatum.maximum fui vlunı videtur præbuiffe. Quippe sidica,
Percussi, et yalncraui: non necessario adducor,yt credam ' vaincris caussam
esse percussionem, quam intel ligo ex verbo, Percutio. Quod fi dicam, Percu
tiens vulneraui:iarn planecostat. Si dico.. Sanguis putruit, et febrem
fecit:Putret, et Facit,non tam clare explicat, atque fic,Putrefcens facit.
Præter hanc neceffitatem, etiam mirum afferunt oratio nidecorum: cuiusmodi in
futuro passiuo vtitur Liuiusin xxiv.Et fibi pedites comparandos effe: id eit,
qui poffint cum cæteris committi, neque cedant. Gerundi Cauffa., per
piumabsoluerctur, maiorü noftrorum pru dentia factum eft, vt haberemus, quomodofor-
oniga mæ finísque eadem orationis commoditate ex plicaretur. Quare ex his
Participiis tempora quæ dam elegêre, quæimitarentur quidem Græca illa λεκπον,μαχητέον, amplioritamen, vberiorique vsu circumferrentur. Hæc Gerundia appellaue
re,tribus præscripta casibus, “pugnandi”, “pugnando”, “pugnandum: quorum medium
seruauit vires, Participij: sed tanto aptioremodo, quanto supe rabantur a
Participiis Verba. Sicut enim apertius editur cauffa, quum dicas, Cædens
vulneraui: quam cecîdi: sicexcellentius quum dicam, Quia cæderem
vulneraui.hocautem Gerundio conci pitur totum, Cædendo vulneraui. est autem Aa
iiij. mely Emultis in rebus forma, et finisidem. Finis autem 1 partim extra nos
eft, vt Nauisextra fabrum: par tim intus in animo, vt ea quam idear vocant, qua
mouemurad eam quæ extra nos futura est. Vtru quesapientiffime explicarunt. Nam
et Pugnan di, et Pugnandum,finem fignificant,fic,Pugnan codi cauffa equum
afcendi: et, Pugnandum eft ex cquo: fed illud est medius finis, hic autem illum
so por consequitur. Exhisautem patet eflcParticipia, *Co tum natura, tumvfu non
abfimili, atqueetiam | forma. Habentenim Casum, vt Advefcendum, apudM.Tullium:
et, Ob tacendum,apudGrac 2 chum, Neque tempus,vt aiunt, amisere:nam ta ir metfi
cum præteritisponütur,fic,qui ad pugnan dum:tamen pugna futura fuit, quæ nondum
ef set: alioquinequeasdicere, Marius deduxerat legiones, fa etturas hoftibus
pugnandicopiam. Pu gnando autem paulo liberius, elapfum eft: Pu mignandovinço:
id est, dum pugno: ac potiuscauf sam præcedit, quam constituat: vincendi enim
cauffa pugnamus. Significationes quoqueita te nuere, vt cafusfuos expetant:
Studiovisendi vr bem. Sed ita fane fa et um eft, vt quum forma fit paffiua,
infrequentius passiue accipiantur: a deo vt quidaman re ette ponerentur,
dubitarint, Atcnimuero corum vsum primuın formæ ipfius rationem sequutum effe,
par est. Justinus tam in prooemio, quamin xvii. exipfo Trogo et iamprimum
casumpaffiue pofuit: Athenas e cerudiendi caussamissus.' Hac quoqueparte Græ ci
funt a Nobis superati, quibus Infinitiuus cum Articulo mendicandus fuit.
Veteresautem bre uita. 8 373 2 uitatis studiosi frequentius vsi sunt, etiam
in i. psis Titolis,de edendo,atque eiusmodi. M.Tul. sius in tertio Officiorum
feftiue, fi discendi labor potius est, quam voluptas, non enim posuit pro
Infinitiuo, vt dixere: fed abstinuit ab repetenda voceilla Labor, fie:Si
discendi labor,potius labor est, quam voluptas. Hinc do et iffimi viri college
re, nenos quidem paffiui Participij præsenti de- a luna • fici tempore,
Verberando sum defessus,Pugnan winny do vici, Legendolibro:idem est, Verberans,
Pu Ignans,Legens. Etiam illud Vergilianu,Voluen da Dies, præfentis temporis
inuenere: ficut et lusiurandum. Sed fane Iusiurandum, futuri fuit amine 2
temporis,antequam daretur, fic dicebant, Iuran mė dum tibi eft: fic,
Voluendadies,quæ attulit, quod the nondum fuerat. Poftea vfu deflexa suntin
præa Du sens tempus, atque etiam in præterito,vt diceba Pus mus, Cæsari gnoscedo
auxit hoftium numerum, I quia ignouit.cauffa autem eft,qualis quum dicis, Di
Pugnaturus fum, et fui.Quoniam vero transitint ca variatione, ficut,
uaxcutt'ovetuagtia, iccirco alia bir partem a Participio nonnulli penitus
negarunt: quia idem fit, Legendislibris, etLegendi libros. c Alij vero, hocipfo
affirmarunt effe aliam, pro atis pterea quod constructio effet diuersa. Sed nos
candemcum Participio diximus, vfum autem; non semper eundem: Accidentiautem
nonmu tatur species. Proprium autem eft recipere Præ. positiones, Adagendum.
Vergilius etiam aliam Gf apposuit, Ante domandum: et,Inter agendum: quod
Græcijste tu dywv, et, Obtacendu:et apud mbat M. Tullium: vtrumque dietum eft
ab amandao Ava OITE Star goe 028 ISCU co ωςτο φιλεϊνοποτε φιλεϊν. Εt
Quintilianum,ra fio fcribendi iuncta cum loquendo eft. Ausi sune quidam dicere.
In capiendum hostem vado: fed hocmon memini. Propriū item carere variatione
Personarum,Generum, atque etiam Numero ram. id quod traxere ab Infinitiuorum
natura. * «Cæsar it ad oppugnandum Massiliam: Camilla pergit ad fugandum
Aruntem. vt commune sit ad vtrunque, Oppugnandam Maffiliam, et Fu gatura
Aruntem. Sic Numerum communem a pud M. Tullium: Stoicos Epicureis irridendi sui
facultatem dedisse. et Liuiusin primo: Vestri ad Xhortandi cauffa. Falluntur
antem quiperDebet, aut Oportet, putant interpretari Gerundium, vtin illo, Pacem
Troiano ab Rcge petendum. Omnenanque futurum,authanc,auteiuscerno direcipit
interpretationem: ducimur enim, aut vtili, aut necessario. Quoniam vero caussam
sta tuunt,iccirco plus indicant, quam Verba, atque ctiam Participia, lic. Video
futurum vt vrbs expugnetur, Video vrbem expugnandam: euen tum solum narrassac
fic, Dico expugnandum yf bem: proponiturnon solum finis, fed etiam deli
beratio. quare Græci dixere Aduerbia Jecses, 2πλευρέον, τυραννοκτονη τέον.
Latini autem ctia mo tum illum animi, qui in finem duceretur,como adius
declararunt, quum Gerundia appellarent. vocis flexułeodem fane quicorum natu
ccfræ fons fuit. ve quia gerendæ res elsent, quæ vo ces hocindicarent Gerundia
dicerentur.Alij ab eorum vsu, Nomina participialia: neq; enim esse pura Nomina,
quæregerent casum:neque pura Sed quo Partis. Participia, quæ passiua voce
gererent a et tiuam si gnificationem. Cauffa autem qua ducti sunt, vt
defraudarent significationem, atquein actiuam demitterentur, hæcfuit: quod
passiue intellige bant ex parte appofiti, non suppositi, fic: Eoad oppugnandum
vrbem: quoniam prius fuerat, Ad oppugnandam: et eodem modo di etum fuit,fic uti
notauit Gellius, et nos diximus in capite de Infinitiuo, Hancrem præsidio
futurum. Alij et iam Gerundiua yoluêre, quæab illis petes. Supirorum Ratio. 1 0
bi gemaioreaffeetu notant:na, Eo ad pugnan- this dum,futurum significauit: Eo
pagnatum,ita po fuit futuru, vtiam abfolutum sit. Ita est,quono do apud
Homerum, ra tetenequevověsw:Signifi -1) catigitur aettionem cum A et
iuis,pafsionem am» Palliuis. Eo factum iniuriam: Iniuria mihi fi et u itur. Sed
lane femper pasfionem quandan sa- ) ) pit: neque enim est, Eo vt faciam: fed,
Eo vt hoc fiat.quali, Eo ad rem faciendam quidem,fed ita, yt faettum iam
sperem. Sic Sosia: Diąun puta. Quumigitur hîc finissignificaretur, norimme rito
altera voce alterum extremorum Ignatum est,Inmotu enim est, et vnde fit,et quo
re et iflime dicitur, Venatu venio: ficut Venatum Vado. Sextum n. casum huic
vsui effe coparatum diximus.A meitur:sic,Venatu itur: cætra quam putarunt.
Plauti. a. estin Menachmi, Obfonatu - 10 redco: ft.Itaque 1 376 IvL. VII. 1
redeo. etCatonis in libro dere Rustica, Primus cubitu resurgat. vt hæc fit vera
constructio huius Bupini. Nam ea quam ipsius putant, Expugnatu « difficile,
Mirabile dictu: fortaffe non fit, sed No minis. Vocatų Druli, id eft, vocatione,fic
lussu et Permissundicimus enim, Facile expugnatu,id eft, expugnatione.
Quareautem supinum di et um sit, haud fane conftat. Nam quod aiunt veteres, id
ca cauffa fa et um, quia a præteritis paffiuis du et a essent, quæ præterita
veteres supinaappellarint: non folum non foluit quæstionem, sed etiam auget.
Nam quam ob rem Præterita, caque passiua tantum hoc nomine dixerint illi? Nos
in libris historia rum Aristotelis ostendimus quid Pronum, quid Supinum sit.
Neque recte aTheodoro towmocy effeacceptum, vt Latinis auribus satisfiat. hîc
ve ro ita placet fatagere: Gerundium a supino ita cidifferre, ficut Futurum a
Præterito: vt aliud fit, Faciendum: aliud, Faetum. Itaque quod geren dumesset,
ftrenui viri ac fortisiudicarent: con tra, quod iam esset gestum, minus
excitare nos adagendum.Itaque Tityrum supinum facit poe ta sub arbore,lentum
scilicet,acrecubantem:Me liboun certantem cumfortuna, acres fuasma gisftrerue,
quam feliciter gerentem. Igitur, Eo ad pugnndum: gerendam rem significat in
viro diligenti: Venio pugnatum: rem geftam in ho mine qu possit otio parto
frui. Hæc esto cauffa, quæ persuaserit antiquis vt Præterita pafsiua Su pina
dicer:ntur,vt poffet in vtranque aurem:at que ctiam upinus
cubare. Q1 Pugnando. Non excludi Modum a Participiis, sed Modi
variationem. Vemadmodum Gerundium idem diuersis Temporibus accommodatur: vinco,
vici, vincam:sic etiam idem Participium,! diuerfis Modis: adeo, vt in pafliuis
etiam Modos ipfos constitucrit:Do et us effem, fuiffem, fuerim, fuero. Vtinam
pugnans vincerem alio modo di citur quam sic, Pugnans vinco, hîcenim eft et
Pugno, et Vinco:ibiautem,Vtinam pugnarem, Vtinam vincerem.hoc quoque a veteribus
omis fum est. Nonreette Generum cauffam a veteribus affignatams. Enera tria
eadem vox compleetitur, hæc,hocpugnans. neque id natura potius quapia,quam
forte: nihilofane consultius,quam in nomineFelix.Falsam nanqueaddducuntcauf
fam: Quum enim Verba,inquiunt,omnibus fine + vllo discrimine iungantur
generibus sub eadem voce:Vir,Mulier,Mancipium sedet, eiusdem ni mirum effe debuit
naturæ Participium, cuius fuit Verbum, a quo fluxerat. At enimuero fal luntur:
Quippeverbalia quoqucnomina, quæ a, verbis manant, nihilominusgenera variant:
Vi cor, Vi et rix, atque etiam Viet tricia, apud Luca num. Præterea quisnefcit
apud Græcos tria genera in Participiis totidem fignari vocibus? Po Atremo ne in
noftratibus quidem variatio illa i gnota est: vt in paffiuis patet: Amatus,
Amata, A matum, et inadiuis,Amans, Amantia.
Figura. Pcomposita a copositis Verbis deriuari: iccir co Figuram ab illistrahere,
non ipfa illam confi cere. Hoc autem falfum eft:multa enim sunt quę suo genere
Compofitionem admisere, non aba liis traxere; vt, Omnipotens. neque enim a Ver
bis tantum composita fluuntomnia. Ergo figura Participiis per fe competet,vt
cæteris:non per ac cidens,vtdixere. empus. Empora quædam fimplicioris intelle
et us, quædamamplioris habuit Participium:nc que secutum Verbi eftintegram
rationem. Nam Futurum, quod erat diffutissimum atqueobida Græcis scissum in duo
vnica voce coplexum fuit. Item duo Pręterita.At Præsensquod effet simpli
ciffimum cum intelle et ione Præteriti imperfe et i.coniunxit vnica nota.vt
Amans effet,quiamat,et cequiamabat.Neq; caruitratione:oftedimusenim apud
Philofophos naturale quandam continua tione significari per Pręteritů imperfe
et ű,vt non multum a Præsenti dissideret. Illud vero maxime quæretur:quumapud
Græcos tria hæç Tempora tam A'diuis, quam Passiuis fint attributa:quam % obrem
Latini Præterito actiuq, paffiuo Praesenti defe ettisunt? Atq;in quibusdam fanehæc omnia. Rc sunt:Hortans,
Hortatus,Hortaturus,Hortadus. Atin aliis, quæ simplici constant forma,
vt Ama, quare 379 2 quare non possedere præteritum: vt Amor,qua re non
possedere præsens? Sane hîcnihil habcas, quod refpondeas, præter negligentiam:
adeo, ves af in illis quoque,in quibus omnia esse videbantur, vocem quidem
videas, significationem non vi 2 deas. NamSequens præsens quidem eft, et Hor-
tans: sed significatus actiuus: ac fane ab codem it., verbo Sequor, si potuit
deduciet Sequuturus, et za Sequendus: quare no potuitin præterito distin cum
effe,Hortatus actiuum, ab Hortatus,paffi uo? Si potuit ab Amo, Amans: quare ab Ainor, nihil potuit? Significatio. Vemad modum
Verba manent, aut muti. tur,fic et Participia. Nam Lauant recensen Na bamus
interuíça. Sic Voluentibus annis, eadem fuit significatione, qua Volućda
dies,vt eft apud de Homerum:withoueYWV EVIAUT@.Sicmutauit O-, riundus, nõ
rationc fubeftautem cauffa vtigno rata, sicacuta. Eftoriundus Roma quiBononiz )
ortus,Romæ oriri debuit quo in loco lares habet patrios. itaque idem eft
Oriundus, quod Oritu rus. Futurum enim hocnon defignat quod erit. fed quod non
fuit, et futurum esse debuit.In paras fiua autem voce declararunt: quoniam ipse
iam per se no poteratoriri,aut agere,vtoriretur:sed fato, autsenatusconsulto,aut
rescripto, aut re cenfionc affici muneribus ciuitatispoterate 0: June. Affoftus.
Program que 380 IuL. VIL leret: 1 Tutus alos to 10 Huis ca mus, tilusa ttiam
Gnar tarctu P Roprium eft Participii,fieri a quibusdam teftem Verbis, quorum
nõfequatur significatione: vt Sequendus, a Sequor: paffiua fignificatione ab a
et iua. Id autem propterea euenit, quia hæcom cnia, quæ vocamusDeponentia, olim
Communia apes. cefuere:atque iccirco Deponentia dieta, quod de suape pofuiffent
alteram significationem, quam habu iffent. Sic verbi significatio vetus abolita in Ver bo,mansit Participio,
quemadmodu deleto Ver 2 bo toto, mansit Participium:Laboratus, Regna tus,
Erratus, Triumphatus, Decursus. Sed adhuc longinquiore ratione, Auritus,
Pellitus, si sunt Participia. Quæ autem exempla afferunt muta tæ
fignificationis, fortasse non omnia carent ra utione. NaDiscretus, fac
significet viru modera tum: nõ eft quiadiscernit, sed quia a vulgo fapie. Cetu
fentetia fecretus fuit. fic Circufpeettus, no qui Circuspicit:sed,vt Homer dicebat,
qui circunsta tiu ora,atq; ocul sin fe conuertit:id quod quum fiat ob eius pr
stantiam, actum admirantium tranftulêre ad significandum caussam, propter li
quam admirarentur. Sic Beatus, diuitem notat, qui multa bene, ac benigne
poteftagere: at Bea quad guu` ' tuspaffiuum eft Participium, quem bonis,vt ap
cxpellat GræciBiov, Fortuna voluit beari. Sic Cau tus,quem cauendum dicerent:quem,vt ait ille, a trumagnoscerent, aut
fænumin cornu gestan caem. Falsum, quoque quis neget passiue femper et accipi? etiam
quum falsum est testamentum: ic circosic dicitur, quiaipsum fefellit, fcribat:Falle
rcenim eftoamen. diffusa significatio ad fal kumteste, quare actiue hîc accipi
putarut, qa fal aque Pre etiam poffit mus, et priur nega ave men men age. و ووو et CUE Iereto cato ation hecco Ommy CHO amba tain clerol Seda tus, unta I
İeret: verum analogia transtulita Testamento ad Ebulda testem, quoniam vtrunque
corruptum esset. Tutus quoque fem per paffiue: Tutus portus,qui», alios
tueatur, propterea quod ipfum tucantur rupes: Ita alia nonnulla eruentur, et
reddentur suis caufis: neque enim nostra nunc intereftom nia persequi. Quædam
tamen omnino, vt dixi mus, mutãt significationem: vt Disertus, et Pro fufus
apud Sallustium:neque enim mirum, quum etiam Nomina ipfa hoc pafa fint: fic
enim et 15. Rio Gnarum, quinosceretur, et Nescium, quiigno rarctur sunt
interprctati: Sicut etiam Euidens; atquealia animaduertêre. Propriu item eft
Futuri temporis pafliui, poni// etiam prore, quænon fit futura, modo effe aut
poffit, aut debear: vt exemplo Liuiano diccba mus, Milites comparandos,et alia
eiufmodi. Pro prium etiam nondeficiCasibus, et carere Specie: negarunt enim
prisci vllum ab alio deriuari, fed uodą aVerbis deriuatis fieri: yt Gemisces
non fit a Gea mens, ficut Gemiscoa Gemo. Ite, Tranfire in no n, pre men
primogenium,vt Pugnas pro Pugnator:ali Caren: Ηπιους ulgole CUS, DC, circuit quado in deriuatum, vt Çöfidens.Interdu ambi guum
eft vtrum sit, vt Horatianum illud: Me tuenstanga.Etiam creare Nomen: Amas,
Aman tior. Ettransferresignificatum a re patiente in agentem: nam etsi dicimus,
Cænaturrhombus: tamen Lucullus dicet, Cænatus fum: fic Pransus et Potus. Hoc
factum eft, vt in Pasco, Pastæ oues: et,Depaftasali ta: vt fuerit Cænor
deponens, fi cut Pascor. Et euadere Nomen substantiuum: vtn Sene et a: fuit
enim verbum Senco, quo et Ca. tullu's whirare temas ere: ar oni.com 17. SiG.
vtaicik Tapete Tueles entum ribat:E atio21 Bb j. TUI tullus vsusest:
cuius paffiuum participium, fuit hoc. Itaque veteres fic dicebant, Sene etta ætate.
Eademlicentia, Occasum dicis locum, vbi Soloc cidit:at paffiuum hocfuit
Participium; vtin XII. tabulis: Sole occaso. Præterea etiam aduerbium
gignere:Indulgens,Indulgenter.Proprium etiam I fequi Verborum naturam qua
deficiunturcertis modis orationis:nam fi Pario, foeminam tantum fpe et at:ita
Pariens, vnico tantum genere præscri berur:nilifigura quapiam in ordinem redigatur:
DE ficuti dicimus, Mulierern foecundam: ita etiam Ventrem fæcandum: quare etiam
Ventrem pa- L rientem, quominus dicamus, vis Participii ne quaquam prohibet. '.
Antimeria in participio fit quum pro Verbo « ponitur,vtin Hecyra: In arcem
transcurso opus eft. Et apud Sallustium, Mature facto opus eft Sed non
finecaussa hoc factum eft: plus enim di cit Transcurso, quam Transcurrere: et
Facto quam Facere. Illa enim rem abfolutam desi gnant, vtiam totum iter quod
inter Pamphilum etarceminteriace bat,iam effet tranf cursum. Quar partes licatio Num. IV LII Prop Lii num re QUX 3 quos imm
cuorent. tQuatuor partes reliqua,quarefintindeclinabiles; etquare
aliis postposita. DICTIONE tanquam ex genere fummo,alteraque differentia,quæ
rol. lit inflexionem,fit species inedia, quã vocant Indeclinabilium: fub ea
funt partes quatuor, Præpofitio, Aduerbium; Inter iectio, Coniunctio. Quare
autem Persona, aut Numerus his non fint attributa, quærendum est. Propterea
quod hæ partes erant notæ connexion can be what · num, quemadmodum fupra
dicebamus: at ea, quæ conectebantur eratiã pradita his affcetibus: quos affcctus
si hæ quoq; effentcõlequutæ; fane immelus fuiffet numerus fimul,et
fuperfluus:ali quotque earum a suis primogeniis nihilo differ rent. Si enim
Bene fcribit et Cæsar, et Corinna, Bb ij. Et Mancipium. adde genus ei Aduerbio,
iam fier mod Nomen Bonus, Bona, Bonum. Quædam tamen co partes fequutæ sunt aut Tempora,aut
Modos, aut 2 Casus, tanquam affeclæ propter significationem, non tanquãcopotes
propter niodum significadi: vt,Heri,lignificattempus, itaque addetur modo
significandi tempus, Amaui: fignificat enim non tempus, sed actionem amandi cum
tempore. Ita
eft, Vtinã Ame,Siames,Ad amandum, Ob pug nandu, Dereducendo Regem. Quareautem
sunt Com aliis poftpofitæ? Nă suntlimpliciores: ergo prio 2 reluco erant
cognofcendæ. Item funt nobiliores quedam quibusda,nonnullæ omnibus:magis ne?
ceffaria eft Præpofitio, ğ Pronomen: perfe et ior est Interiectio quam
velVerbu,Yel Nomen, in De tegra enim oratio cft,Heu.Hîcita respondemus: at 2
Facilius cognofci potuiffe Pronomen cum No St?, minė, quam fi differretur. Simplicitatem
autem illam mancamesse, neque poffepercipi illorum rfaturam fine
declinabilibus:quia hæ illarum con iungendarum notæ sunt. Præterea non eft Sim
plicitas, carere Declinatioessed Defectus. Quare non poffis intelligere,
quemadmodum Aduer biū Personis careat, nisi sciasprius,quid Persona fit.
Nefcias quid Gt Persona, eft enim accidens, nisi noris effentiam eius cuius
ipsum accidens eft. Harum autem partium nomina a fedibus, quas in oratione
fortitæ effent, dietta funt a vete ribus: qui et hoc negligenter nimis,quum
perac cidens effentiam definirent: et inepteprius inter fe partes has
compararunt, quam quæ qualefve effent ipfæ declararent. Nosautem, proptera quod
17 WIB. TE D20 quod compositus intelle ettus a simplici anteitur, etcoparatio
eft fimplicium cöpofitio, sigillatim quæ cuiusque ratio,atquenatura sit,
videamus. Præpofitionis definitio, et fedesinter cæteraspartese Ic igitur
definiuere, Præpositio eft parsora- + tionis, quæ præposita aliis
partibus,lignifica tionein earu aut complet,autmutat, aut minuit. Complere, vt Intercipio,Demiror: Mutare, vt Aufero: Minuere, vt
Subrideo.Verum et confusa eft, et ab accidenti, et non omnibus competit et
luperfluis particulis. Nam quod fit confusa fatis patet, quum nodesignat quibus
partibus præpo natur:pars estorationis Interięcio,atei nulla vn qua Præpositio
præpofita fuerit. Abaccideti data 2 eft: neque enim est Præpolitio, quia
præponitur: fed præponitur, quia est Præpofitio. Non omni 3 bus çõpetit:
nequeeniin cöpositæ Præpofitioni, Mecum, tecum. Particulæ autem quædam vacanta
fic,quod çöplet, autminuit, mutat: eftenim mu-.wo. tatio, effectio vt aliquid
differat ab eo, quod erat, Voluêre fic intelligere, Mutare, id eft, destruere
significatum:sedexemplo inutili vsi sunt; etenim et quiadfert, et qui aufert,
fert. Commodius dic' xissent augere, minuere, et alia talia. Fortaffe veros
falfa quoq; fit,neq; enim effentia Præpofitionis eft præponi,sed vsus: liqua,n.
vnquam poftponce retur: ergo eo desincret esse præpofitio: quarea lio cofilio
eius definitio eftinuestiganda. Rerum in genera summacætera fuperioribus libris
recelula ius, fubstantiam, quantitatem, qualitatem, et m nila? Bb. iij eiusmodi.vnum
in præsentia nobis reliquum eft. philofophis tantum notum,aðGræcivocat:qui bus
autem rationibus cum loco conueniat, aut ab eo differat, aliis libris dictum
est: hæret fane semper etloco, et corpori: nullum enim Corpus inuenias quod
alicubi non sit. Porro Oinne cor pus aut morietur,aut quiefcit: quare opusfuit
ali qua nora, quæ to 78 lignificaret, fiue effetinter duo extrema,
interquæmotus fit: siueeffetin al tero extremorum, in quibus fit quies. Hinç
eli ciemus Præpositionis essentialem definitionem. comp Affe et usautem
præponendihincfluxit, propter ea quod terminum lignificaret: Adforum: indi cat
enim interuallum, quod ante forum eft: fic, Apud te: designat spatium a
meadte:quem ter minum quum nactaeffet res mota, etquiesceret, merito etiam
præposita est: pendet enim a mo tu. itaque eadem Præpofitio vtrunque munus
obiuit: dicimus enim, Eoin vrbem: ac tandem, Sumn in vrbe. Quæram tamen, quare
præpona. Por fimmturea, quæ locum, vnde fit motus,designat,fic, quo ab vrbead
villam: fi enim interuallum notatin quo res mouetur, debuit illa prior
postponi. Hic ita respondendum est, Cõceptam animo fenten. tiain priino quoque
loco exponi debere oratio. ne: igitur quum dico Vrbs, vnum vno modo intelligo.
Quum destinaui futurum, vt vrbssit terminus, vnde motus futurus sit, ftatim hoc
occurrit intellectui: quod, quum ftatuatur per præpositionem, primo loco
ponedum fuit. Hxe cm fuit fedes in oratione. Locus autem in partium e.
äumeratione, quæ inflexione carent, primus da ce tug 10% ca 387 a tus est non
immerito: eft enim maxime neceffa-, ty ria.quippe Natura omnis constatautmotu,
aut,, a quiete, Præpofitio autem harum rerum nota est. et Interieet io
autem,quanquam exprimit perfecte Com animi quasdam affectiones:tamen ea,vt
diximus,', i potuimus carere.Coniunctioautem tanto poste rior eft
Præpofitione,quanto est prior simplexo ratio,compositis.Aduerbiivero
neceffitatem suo. loco declarauimus,verum supplementum potius orationis
effe,minore prerogatiua,quam qua vti tur Præpofitio, videtur. An vero họcita
fit, fe. quenti libro acutius perspectum est. Prepositionum generica
diuifioredu et ta adcauffas. Ifputarunt Philosophivteresset prior,Mo-'"
tulne an Quies.ac fanein noft: atibus Quies prior eft: non quod fit priuatio
Motus, vtaiunt, (Motus enim item Quietis priuatioeft ) sed quia
nobilior:mouemurenim vtquiescamus. Contra” videatur cuipiam Motum effe priorem:
tu quia, (vtipfi credidere)semper in cælo fuit: tum quia si vult Auerrois,
Motum effe perfe et ionem cor- > poris naturalis. Verum vt de cælo loquamur,
di cimus ipsum mouerivecertis quiefcat.Intelli-> gonuçQuiefcere,adipisci
quod non habebat hac vel illa parte. Deinde fatis patet, ipfum toto, loco
quiescere: quiescere igitur propter fe:mo utri autem propter nos noftraque: at
finis fui perfectior eft. Auerrois autem non debuit ina telligere vltimam perfe
tionem, sed perfectio nem per proceffus: et quam vocant evtu ya senen 1 1.
perficimur enim mouendo, propterea quodad quietem propius accedimus. Quum
igitur quæ dam Præpofitiones motum, quædam quictem indicent,quædam vtrüque: hæ
ambiguæ vltimo loco tractandæ fuere: quæ autem quietem signi ficant,primo.Verum
vnam tantuminuenio, quæ Pecfolius quietis nota sit, ea est, Penes:significatenim
potestatem immobilem ab co, cuius eft: itaque est: itaquemaximeSubstantiuu
verbum sibi vin dicauit. Plures funt motus indices: Terminum quo vnde fit motus
notant, a, De, Ex: quæ ad com moditatem orationis sunt interpolatæ, Ab, Abs.
Het ateş E. Alterum autem terminum, Ad,Ob, Víque. Eft etiam vna quæ tres
terminos comprehendit ita cevt terminum ad quem fit motus, nominet,atque
interuallo statuat; ea est, Trans: Curro trans montem ab vrbe: supponit
vrbem,nominatmo zemas tem, et petit aliud. Aliæ vtrunque significant pro
verborum,quibus iunguntur,ratione: In vrbem co: In vrbe sum.Itaqueetiam
casusmutat, quo. rum rationem suo loco diximus. Sunt etiam cfimul vtrunq;
miscent:vt,Apud;sic,Apud te cur- Biu Tentem curro: est hic cursusmistusçũ
quiete. No dimoueor abste: hæcest quies: Moueor æque el actu a carceribus: hic
est motus. Eft autem qui 2. dam motus verus, vt in corporibus: quidam,vt eaiunt
Græciavanogenes, vt quum dicimus quem piam mente motum. Sicigitur etiam
loquimur, E Daug audiui: motus quidam est. Et, Ad me redeo: et, A libellis, A
manu: ex eius enim manu proficiscitur actio ad officium. Sic Ob et Pro
pter,oliin locum significarunt:Ob Romamobe GIC 012 ner quæ gu tans I.C V coda
quitans Annibal: Athelim propteramanum. Tou Nunc deflexæ
funt ad cauffam tantum decla, lite randam. Things Affecttus præponendiratio, atg;
vfus. Eter: Idendum igitur quid fit Præponi, quotque Traces modis quidquam
præponatur:tum præpo bir 'nendi vsus quibus partibus communicetur.Quu nin:
igitur voces ad eum finem sint comparatæ, vt aut 7 dicat ex duabus vna fiat,
aut ex duabus feiunctis vna o ratio, atque vtrobique neceffe fit, vt altera
alte I ram sequatur, vtroque modo Præpositio præpo ni debuit. Quamobrem fatis
conftet: minus con fulto veteres alterum modū, Appofitionem ap-» pellaffe:aliud
nanqueest Apponerc,aliud Præpo nere:ac fortasse hæc inter fecontraria: sic enim
dicimus Appositum, quod eftin extrema fitum orationis parte.idem enim est
Addere, et Appo nere. Quum,postquam res videtur perfecta,iufta quippiam
ponitur: atque eodem modo Aduer bium nominarunt, quod verbo tãquam præscri ptio
quædam apponeretur. Quare non rectein telligemus, Appofitionem, esse speciem
præpo nendi, fed oppositum quoddam genus:sed vtrū quepræpositionem;eiusautem
species, Seiun etta, et Coniun ettam. Ergo quum prius fitseiunctim, sayangan
quam coniun et im præponi,de eo prius quoque dicendum est.Seorsum igitur
præponiturNomi ni,Participio,Pronomini, Ad Cæfare:Adipfum: Ad pugnantem. Coniunctim autem et iisdem, et Verbo, et Aduerbio, et
Coniunctioni.Præfortis, Bb y. Adddo,Subies,Perinde,Absque. Quod vero aiutą, mo
mom cum Coniunctione vim suammutare,falsum est: ithoor etenim A BSQVE, tametfi
motum verum non dicit, tamen ita est, Abvrbe distamus mille passi bus:ita,
Absque te Triumphaui.Significat absen tiam, et interuallu, quod poffit effe
locusrei mo Cafe tæ inter duo extrema. Cafus autem duos certos fibi
destinarunt, Quartum, et Sextum:ac Quartu quidem, quoniam cauffam finalem
significat: A mo Cæfarem: Cæfarcauffa amoris est. Eoad Ca. farem: caufla eft
motus. Huius natura fecutus eft Secundus quoquecafus, fic enim dicimus, Vin
cendi caussa pugnamus: significat enim termi num quendametiam in poffeffione:
Ego fum?Dei, non Fortunæ. Itaque etiam hunc cafum ad eundem vsum traxere,
Crurum tenus, apud Ver gilium:Nutricum tenus, apudCatullum. Alter u casus
Sextus designauitre et e terminum yndefie ret motus, eius enim natura talis
est: Abvrbe. Et uquia tempus cum corpore, etloco, etmotu,mul. tas habet
affinitates, iccirco eadem locutioncin, terdum sicloquimur,A prandio, Aborbe
condi to. Sic etiam caussain materialem indicauit: De iurc disputo:quia
abipfius contemplatione mo tus, in eo declarando versor. Quæret quifpiam
acutius, quamobrem Sextus cafus etiam quieti fignificandæ attributus fit? k
Haudfane præter rationem hoc fuit:nam Græ uci Tertium cafum ei aflignauere,
even signifi cat'enim acquifitionem:nihil enim fimilius loco, quam
locatu:acpropterea Latini, quiex Tertio Çafu fuuma Sextum progenuere, illius in
hunc prærogatiuam transtulere. Eft præterea quod in ueftigemus: quædam enim
sunt Præpositiones,q. quæ Quartumcasum exigunt et tamen terminu, vnde fit
motus, denotant: Poft hyemem: Post prandium. Huius rei ratio est, quæ et in
Trans: significat enim motum ad prandium: atq; etiam » vltra. Par caussa
et in Circa. Quartum enim ha bet:Circa vrbem. Nam omnis motus, aut eft ad »
centrum, aut a centro, aut circa centrum. Ergo centrum tametsi non eft meta
motus circularis, tamen eft præscriptio quædam: atq; iccirco eun-> demcum
Meta ipsa casum admisit. Ratio autem qua sunt addu et i,vt eidem Præpofitioni
duos ca fus apponerent, iam dicta est.In vrbe, quietem di cit: In vrbem, motum.
At vero quæ porro cauffa, vt etmotum, etquietem eiusdem effe paterentur: propterea
quod in, loci significat rationem: In vrbe,tanquam in loco. Itaque cum motum
ita si gnificares, vt etiam terminum no folum pro tera mino,fed etiam proloco
ftatueres, eadem vti po tuisti:nam, Eoin vrbem, ita dicimus, vt etiam in
vrbefuturus fim. Aliæ autē pari confilio ad cauf fas reducentur: Sub terra fum,
fub terram co. Su per,fcxit significatu,vtponeretur pro De: quo-» niam
argumentum,de quo loquimur, diettum est abantiquis, Materia: at Materia
defert,itaq; etiã moleselpos,vtsupra fcriptu fuit,appellarunt.Ve rum de his
sigillatim, quid vfusftatuerit, in libris Originūdiximus adeo,vtfit
prætermissam nihil. Nuncnö est huius operæ, sed vniuerfalia philoso
phorūmoreinuesligare. Sunt autequædam,que femper fcļūđī ponutựr:vt, Apud,
Circiter, Secus. Quat Quædam cotra:
'vt,Dis,Re, Se, Am. Quædam in differentes:vt,Ante, Cum, et eiusmodi. AcSeius et tis quidem qui casus deberentur,diximus.Con iunguntur autem
cuiuis fine discrimine. Neque ex folum, quæ abfolute poni poffunt:vt,Ante,in
verbo, Anteuolans: fedetiam quæ casum exigere cevidentur, qualis
est.Pro:quodmanifestum eft in + voce hac, Pronomen.Quare non recte dixere re
centiores, Magistratum, qui præsit prouinciæ, auspiciis viri consularis, fine
vlla inflexione no aminari in Sexto casu tantum, fic, Cælar pro con lule,
Cæsarem pro Consule. Nos vero vt nonne gamus recte dici, ita
affirmamusetiam pro cuiuf que sententia variari, nõ minusquamprimariam vocem
Consul. Nam præterquam quod superio ribus rationibus ac fere omnium vsu liquet,
Græ cxcis quoqueid defenditur:quippe dicunt a'rgora mov. Et nos,
Proconfulatu,nihilominus flectendo vsurpamus. Nonnepernox Luna dicitur? Atque
huiusquidem vsumcommoditas potius persua fit,quam ratio docuit Sanenos, quia
caremusar ticulis,arripuimusoccasionem ça'm breui sermo ne vtendi: fic enim
relatiuum esset interponen - dum,Dignitasproconsulatus: dignitas, quæ pro
Consulatu est. 1. Proprium autem quarundamest, vtsignifica ta varient, qualis
est, Aduersus: quarundam,vt suum perpetuo feruent, qualis est inter.Quædam
femper cum casu sunt, vtCis:quædam femper fi ne casu, vt quæ componuntur:
circumagunture "enim per omnes casus. Quædam vsus fentiunt vi
çiffitudinem, vt Pone. Quædam femper præpo nuntur, cie. P 1 tia 5 DO Büntur, vt
Ad. Quædam femper poftponuntur. vt Tenus. Quæ litratio vt(quemadmodadice - camy
bamus ) non re ettein definitione pofitum sit tan quam essentiale, Præponi.
Neque enim Aduer bium est,vtdixere: iungitur enim cafu. nam fi i ies sit
Aduerbium, quid ad nos? Tenus enim est » uezes. vt apud Aristotelem in fexto
historiarum, nezee zopkw: et tot locisapud eunde: mezeitiali." quatenus. Quædam
nunc subeunt,nuncpræeut: * Cum Cæfare: Mecum. Nequefolum in compo fitione, fed
etiam alteromodo: vt apud Teren-> tiumin Eunucho,Vnaire amica cum Imperato
remin via. Hinc fatis conftat, nullum effe vsum + tertium,quem
dixere,interponedi,his exemplis, Qua dere, Quam ob rem. signat enim Relatiuu, sı
cuipostponitur: non Nomen: quod manifestumn estalia locutione hac: Res, qua
deagitur. Pro-, prium et illud,vim amittereconstructionis, quu componuntur:
præpono te mihi: Tertius furre pfit proSexto, quali Verbum esset fimplex. Sed
etaliis modis, Prxeo Cæsarem: vbi Quartuspro Sexto. Sed etin ipfamet
compofitione:Quapro pter, Quocirca. Sed et seiunctim,fipoftponatur, Multo poft
tempore: et fit Aduerbium,atqueab folute ponitur,fine vllius cafusofficio.
Superflue etiam additur, Adeo ad Cæsarem. CAP. Ĉiv. Prepositionum Efficiens,
etMateria. Æcde carumforma, et fine,hoc eftvfu:nuc. tant igitur feipsas
interdum, vt A, fa et a eftex alia, -1 10 C c alia, quæ eft Ab: quæ a Græca fuit
mutila, izos Gainis, ab llio. Sic ex Dis, facta Di:
et illa a Græca d'esquod enim bis fit, feparatim fit. Quiæ u dam a Verbis, vt
Sine,Pone.Am, tota Græca eft, "et apud nos non nifi in compofitione: Theo
critus autemetiam feorfum posuit, ajega. Et quemadmodum Græci vfitatum additamentum
Laddidere, xuqi, sicutBingo: fic nos noftru Te, « Ante: ficut Ifte, Tute. Nam
Ante, caftrenfis vox cfuit:quum obsiderent oppida dicebantseefsean ute oppidum.
Vsque, a Græca ws5 The pro eo quod west, wess. Coram tota Græca, ob oculos, nogue aEtiam a participiis, Aduersum. Cum et Con,
v nam eandemque effe, aliis locis diximus: Con " fonantem finalem mutari
pro natura sequen tium se, vt Compono, Confero: Vocalem au tem, vt auribusplus
feruiat. item mutari, vt Co mes,Comitium:Cumprimis, Cumprime. quod autem fit
Com, non autem Con, patetexclufio che: vt Coorior, Coco, et in Contra. eft enim
a Cum: sunt enim contraria relatiua, ergeli mul. Fuit autem Græca,
ughes,nam,fuit par ticula completiua, huw. Ea igitur genuit Con
tra:sicut,in,Intra:Ex,Extra: Cis, Citra: In, Infra: a Sup, Supra: fuit enim fic
prius: poftea Sub, ab wiat:vt Ab, X. Sed antea orta sunt, “Inter”, “Infer”,
“Super”, “Exter”, deinde, “Intera”, “Infera”, “Supera”, “Extera”. Qemadmodum ex
Phänomenis CICERONE (si veda) obseruari potuit. Tornu Draco ferpit, subterfuperag,
retorquens. Fuit et alia terminatio, Subtus ficucIntus. Pasize autē sunt oenor
apud Græcos: nam Aristoteles et Thucydides, etPlato, etalii Attici, ita vtun
tur, cows procures. Ex Di, factum est De,ficutex
Pri,Præ: vnde Pridie: et ficut ex Ni,Ne.Aliquan do putaui a Græco je,Deductum: neque
ineptū® est. Hæcde origine, et materia: nunc de aliis affe et tibus: Etiam a
Nomine,Circum, ab eo quod eft ” Circus,xiguo. Accentus prepositionbus, quemadmodum
attribuatur. VEterumÆolenfium;vt faepe diximussix » quam plurimis autoritatem
secuti: vt a no minibus, vcrbis sue abiecimu sa fine accentus v fum: ita in
præpolitionibus recepimus. Sic enim prisci prodidere: Omnes extrema fyllaba,
nili poftponantur, Græcorum ritu, acui: codemque tipoflponantur, accentum
transferri, na jurnami jual x mc men. Ita noftris placuit, vt dice remis Penes
Cæsarem: et, Cæsarem pencs. Quod fi vfu veniat, vt Præpofitio fit ambigua yox,
aliique particommunis:ne postposita qui dem transferri: vt femper dicatur:
Altaria cir cum: ficut Circum altaria: necocurrat cum Quar to cafu nominis
huius Circus. Quædam vero et iam amisere accentum, quippe ex quæ Encliti- st.
carum naturam induere, vbi postponuntur; qualis est Cum: dicimus enim Mecum,
sicut Mene. Verum
deAccentibus, deque Cantilla tione illa fatis fuo loco di ettum eft. Eofdem fo
lensesrefpexereyeteres, quum nullam aspirarut: ». Illi enim ito, et uzeg,
dicunt. Caussa autem huius Sobre DS rei Ivl. VIII. t f rei festiua esto: quum
enim motu fignificetma xima earum pars, celeritate opus fuit,nonmora et
craflitie spirationis. Item quæ dicereritquiete, suauiteret
tranquillecamindicandam fufcepere: Afpiratio autem animi eft affe et i nota. Aly
affeettus. cong. Popriumitemcomponiet inter fe, Circum I circa:vtapud Homerum,
ucineispo© x ante cõueet to: Et cum seipsis, vt apud eundem, wes
xududozefia:Etcum aliis partibus: cum Nomi ne,Incola: cum Verbo,Impono: cum
Participio, quod a Verbo venit:cum Aduerbio, Abhinc: cu sogn. Coniun et ione,Absque.Interdum autem retinet significatum, vtDeinceps,
Coniunx: idqueaut fimpliciter, vt his exemplis: aut auget, vt Impo tens, Infra
et us. Interdum amittit, idqueaut tor quet in contrarium, vt iniustus: aut in
diuersum trahit,vtPerbonus. Ratio autem huius poftremi 1 a Græcofluxit:nam mei
significat Circum:quod fi autem continet, id maiuseft, quam contentum. Abeo
noftrum Per, du ettum eft.itaque Perbonus, est o wexey.ww To digatov: Quæ autem
intendunt fignificatum, cauffam hanc habent: funguntur Huenim pene officio
eodem,quo in difiun et a oratio ne. Impotens,vt lit, potens in alios:Infractus,
qui ipfeintus fractus sit. Atvero quæ in Contrarium transformarunt, qua ratione
id efficere potuere? nam fane priuatiua Græca habuit cauffam, ad G:nam to d,eft
ficut to do, vnde noftru a:figni ficat enim motum, vt sit, qui mouetur a
iustitia: C و 0 ac at noftrum In,significat locum, et habitum:qua renon satis manifesta
cauffa est. Sunt et aliæ prę pofitionesaugentes, vt Adprime: motum enim et
propensionem notat ad id cuiiungitur. Con tra, sunt quæ minuunt: vt Subrubidus.
Suppude bat: non immerito: est enim respondense con trario tb w € lo quod enim
sub aliqua reelt, abea tegitur: ergo eft illa minus. Proprium
etiamfupponere aliquidad significandum, quod in caco > pofitione non fit,vt
Internecium:hic Nex figni ficatur. Inter,autem est nota relationis ad duo: at
ea non ponuntur. Græciclarius, annodovovat repov. Et mutari in eodem verbo
Effero, Elatus. verba tamen duo sunt. Proprium etiam creare ex fe Nomen, Ante,
Anticus: Verbum, Prope, Propinquare. Proprium etiã, vt altera pro altera
ponatur:di- Enak cimus.n.Ajpro DE,et ecotrario:fed non re et evti lagi Lin sunt
exemplis quibufda, vtide sit Ad oppidum, et In oppidum. Barbare item dicunt,
Per vrbesum, ficut In vrbe. Barbare Apud Balilea, sicut Bafileæ: falsianalogia
alteriuslocutionis, Apud foru: licay.. n. dicebant prisci, vt Terētius in
Andria,In foro n.homineslitigant: etannona est.Tu Donati in terpretatio hæc:
Verba,inquit, Dauide forove nietis. voluit dicere, simulatis venire de foro.qua
re autem fic aufi fint, haud fatis coftat: aliud enim eft ωδα,aliud ν.1llud “το
έχόμιον” hoc “τε ω ιεχό-“ refror notat. Falso quoque putant Propter, poni
alieno loco pro eo, quod est Prope: na hæc illius parens eft. weydiximusalio
libro,Græca effe mee. Itaq;Prope,fuit pro pedib. ita Græci loquuntur;» Сс ј.
med İVL. VIII. meg moduko at a Prope, fa et a est Propter: sicut ab In,Inter: a
Sub, Subter. quare Vergilius cum di xit,Athesim propter amænum:fincero;re
ettoq; significato vsus est. cum autem nos referimus ad vlum causæ finalis,
translato vtimur significato: quoniam finis cohæret actioni, mouet enim nos.
(Apud autem fuit, ad pedes,eodem modo:itaque Ad, et, Apud, proxima funt et
fignificatione, et v ufu.Ad Leccam velle cænare, vt fit etiam pragnas oratio:
ad Leccam cogitare cænandi cauffa. Ad Capua caftra habere quoniã eo cõtenderat
prius, Confequens a præcedenti. sic mutila oratio, Ad febres facit: immo
Adægrotum, cotra febres.sed Ad, accipitur pro qualicunque termino, etiã ho ce
stili. messzonw Tl- proco quod eft, aduersus. Cæ tera omnia exempla ad hunc et motum, et termi num reducuntur. Quodautem
aiunt, Apud ma iores, pofitum pro eo, quod effet, A maioribus, falsum cft:fed
eit ficut,Ætatenostra hoc fit:quip pe ab aliquo apud cæteros, quod ad feculum
hoc pertinet: præsentesenim sumus tempore. mitter Proprium. et illud, Ponå
absolute, atque inter du ficri Aducrbium:vt apud Virgiliū, Pone fubit coniunx.
nam oratio fimplex eft ex Aduerbio, intelle ettus autē Præpofitionis. Poft,
enim figni ficat relationem: quod enim eft Poft, habetali icquid Ante.Eft autem
Post, pone est. Interdum # quod plus eft euadit Verbum,vt apud eundem:
Omihifola meifuper Astyanaĉtis imago.proco, quod eft, quæ fupereft:vt
quodammodo sit quafi Participium: atque hoc quoque Græcorum imi ai tatione factum
est. Frequens est apud Sophoclem locutio,nie prowlkesi: et ev«,pro šviş. Quo »
rum legibus nostri quoqueaccentum translatuma voluere. Obferuata est avauseia
his exemplis, pro Ad=ffining. uerbio, apud 1 erentium, Fortunatus fum cære->
ris rebus,abfquehæc vna foret. apud Sallustium pro Coniunctione, Præter rerum
capitalium, condemnatis. fic Varro, Præter fi aliter nc queas. Sed mihi videtur
caussa huius loquutionis in promptu esse: nam prxpositio illa præter, to tum
quodfequitur excludit: fic eftin illo exem plo Enniano, Præterpropter vitam: id
eft, viui- » mus ita, vt videamur propter quiduis potius; quam propter vitam. Aduerbiy necessitas: Sedesinter partes:Nominisraa tiofalfa:Item Definitio,
Ortus, Species. Cc ij. Dy Ivl. IX. organa DyplexAduerbii neceffitas fuit,ficPomba,
duplex est vocum temperamentum per adiectionem. Nanque aut adiicitur accidens
substantiæ, aut gradus accidenti. Exempla hæc funto, Vir fortis: hîcaccidens
substantiæ addi.. tum eít. atquum dico Fortior, tuncgradusacci denti additus
eft. Igitur quod faciunt adicctiua substantiuis, vt fecum affcrant accidentia:
hoc vt a agantAduerbia Verbis, excogitata sunt. neque enim fi dicas, Velox fcribo,
aut, Velocia fcribo, intelligas scriptionis velocitatem: fed Velociter fcribo,
fi dicas: intelligas. Sic igitur quum ex plesset Verba, adhuc fupererat aliquid
agen ce dum. itaque etiam gradus illi dengnandifuere. Quare quum bonitas, atque
aliæ qualitates in tendi, ac remitti qucant, neque Comparatiuo, ba aue
Superlativo ita plene poflint explicari, Ad uerbii ope factum eft, vt
explicarentur: Valde bonus, Nimis fæuus, Lorge alienus,Multo for- ni tiffimus:
vt etiam illa ipfa nomina gradus signi ficantia, hocindigerent, Paulo doctior.
Quare a Vox non folum nomen Aduerbii male fabricarunt 6 vite feteres,fed
etiamimprudenter assignaruntdefi- a nitionem: Neque enim folius Verbi tempera
mentum est, sed Nominis quoque. Sed nimis fe- cure fecuti sunt Græcos, qui æque
inconsulte Strafpnua ipfum appellarunt.Hinc constat ratio w originis, et
fpecierum. Nam sicut Adieetiua ap ponuntur Substantiuis: ita quod verbo appo
unendum fuit, ab ipso Adie et iuo deduci par est. Si enim dicam, Celerem
scriptionem: dicam et iam, Celeriter fcriberc, quæ fanefortienturno at POO 4 specierum
a natura ipsorum Adiectiuo-,; rum: vt si Bonus qualitatem, Magnus quanti tatem
fignificat: can aduerbia ab his deducta aut qualitatem, ant quantitatcm dicere
intelli gentur. Propterea vero quod a et tio et locum, et » tempus exigit,
iccirco horum quoque præfcri ptio ad Aduerbii vim relata est.Temporum enim et
locorum vaftiorem ambitum certis limitibus intercidi oportuit. Itaque
necessario inuenta sunt,Heri, Cras,Hîc, llluc: Cum igitur gradus quasi quofdam
deducat per Verbi Nominisque tractus:eiufdem quoq; interfuit, cofdem gradus,,
detrahere ad nihilumvsque. Quare fi dicain, Cur rit çeleriter, tarde: et Albus
plus, minus: debuit etiam poffetolli eodem inftrumeto, quominue batur:
itaquedeuentum estad negationem, tum eam quæVerbis præponitur ad
cotradiettionem affirmationis: tum eam,quæ præponitur Nomi nibus ad efficiendum
id, quodvocatAristoteles, cioessov: Non çușrit, Non homo. Quæ negatio cum folo
Aduerbii genere compleettatur, fane ef- " ficere potuit, vt contra, quam
veteres putarint, omnium partiu indeclinabilium princeps esset. Omnisenim
oratio ftatim a suis primordiisin af firmatiuam, et negatiuam diuiditur:quæ
fiofficii meritum putes,illico poft nomen, ac verbum Ad uerbium ftatuendumeft,
Deducuntur autem Aduerbia alia aperte, vt home Bonus, Bene: alia obfcure, vt
Senfim, a Sensue Item a Verbis, vt modis quibusdam seruiant, vt, Age,Fere:
illud hortando Imperatiuum exi. git, militarę verbum fuit, ab Ago: alterum non
+ Сс 11] eficia I e a eft
finilitudinis,vt aiunt,fed diminutionis:quoda enim fimileeft, cum dico, Fere
poetæ nullo ho nore funt? fed fic intelligo,apud paucos pauci fi poetæ sunrin
honore: intelligo autem diminu utionem non magnitudinis, fed præscriptionis: vt
aliquid detrahatur firmitati sententiæ, vt ne- (queat dicere, Nullus poeta: et
item nequeam, Omnes. Sic Fere fingulos parit mulier:
vt fit, ne- V que semper, ncquenunquam. Tractum autem ce est a philofophiæ
radicibus: quod enim fertur, in motu est:itaque terminum nullum attigit, neque
enim a Feris ductum fuit,vt aiunt, quoniam ferz fint celeres: nam etdurum eft,
etnugantur, cuın dicunt, Feras esse ccleres, quia fint quadrupedes: nam
etAquilæ funt feræ, et celeres, nequequa drupedes; etmultæ quadrupedes feræ
sunt,'nc queceleres, vt Elephanti: iroda et quædam ce lerrima,vt
Angues.nequeCanis fera eft, et eft ce- fa ļer.sed de his alibi. Belli autem,et
Domi, et Vef peri, et Tempori, ad alia reducuntur. Loci, et Temporis, et
Sortiapud Vergilium (vt voluere) Aduerbiis qualitatis annumerabitur. a nomini
bus omnia. ct Quæ igitur tempus notant, alia funt Infinita, vt Aliquando, Olim:
alia Finita, vt Cras, Hodie. Sic et Loci,quippe a Pronominib. deducta sunt:
Hic, lllic, delignantcertum locum: Alibiincer tum et Viquam,etalia. Falso autem putarunt, Prorsum, Rurfum, Sur a suim,loci effe:neque enim
locum significant, fed motum ad locum. Illa autem, Oltiarim, Vica Ketim,
Viritim,quantitatis discretæ sunt. Quædara autem, vtdicebamus, ad modos relata
funt. Sed cum dicunt, O, esse optandi,tantum abeft vt af- er 05p fentiar, vt
etiam Vtinam putem effe interiectio - hiho nem: neque enim modum vllum apponit
Verbo:) pie idem enim est, Ainarem, et Vtinam amarem: et, ji Omihi præteritos
referat si Iuppiter annos: idem est, Heu quaremihi non refert? Neque omnino
Vocandi vllum Aduerbium fit: nihil enim detor quet, aut addit, aut tellit a
Nomine: quare qui Præpofitionem agnouere, propius ferunt veri-», tatem. Nam
tametfi neque motus, neque quietis indicatrix est, tamen disponit admotum,
Sicut punctum non eft quantitas, sed tamen ad prædi camentum reducitur
quãtitatis: sicin hac,neque enim dicas, Ad me veni: nisi aut voces, aut voca
tum intelligas. Loci ac temporis Aduerbia maximo ambitu feruntur: quare placuit
veteribus ca inter sese co parari. Sed turpiternimis lapli sunt: Nam quum
limfowla dicant,Aduerbialoci ampliore esse significato, adplecia quam temporis:
quia Nusquam, plusampleet aringen tur, quam Nunqua:non animaduertere,fola cor,
peste pora deberilocis. at ea fimul cum aliis rebus mul- 2 tis,quæloco nullo
cõrinentur, fub tempore effe. Non estin loco, Qualitas, non Relatio, nonalia
multa prædicamenta. et tamen subtempore sunt, aut fiunt: igitur Tempus multo
plura circunscri bit: Locus pauciora.Quod igitur nunquam est, nufquam item est:
at non e contrario, multa enim nufquam sunt, quæ aliquando sunt. Quippenul lo
in loco eft hicactus scribendi meus; at aliquo tempore quin fit fieripoteft. ou
Figur ain Aduerbiis. N Aduerbiis figuræ sunt,simplex, vt Diu: Cõe posita,vt
Interdiu. Componuntur autem vel tre poltquam Aduerbia sunt,vel ab ipfis
compofitis au fiunt, vt Hodie: fuit
enim,Hocdie: et Nuper,fuit Nouo opere: Semper, Semiopere:Toper, Toto copere:
fignificat.n.cito, et expedite:ita vt opera absolutasit. Itaque Semper,ei
cotrarium eft,pro pterea quod liquid dimidio tantum opere fit, id non
abfoluitur, fed continuatur.Geminatur,vbi vbi. Componitur cum Nominibus,
Vbigerium: Te cum Verbis,Vbilibet: cum præpofitionibus, Per- L diu:cum Coniun
et ionibus fimplicibus, Vbique: VE cum illis et fecum,Vbicunque, Profe et o,
etiam, et illico, fuere composita, vt Hodie, ac NE Antiquorum Error in Structura.
SligiturAduerbiumVerbimodus eft,fatispa tet, quam inconsulto veteres ita
præcepere, onto præponendum esse Aduerbium Verbo,vțita di camus, Bene currit.
At enimuerocontra est: ac ceffio enim significatus fit ad yerbum ab Aduer- G
bio: et quemadmodum prius fumusviri, quant fortes: etprior natura Curlus est,
in genere, quam Cursus çeler, in specie:fic erit pri?Currere,quam Celeriter
cursere. Nonenim hîc loquimur de fer monis elegantia, fed de caussis ipsius.
Acquan quam ars atq; vsus dicitur natura imitari: tamen in quibusdam rebus
placuit varietas. Itaque ele gantius acceptum eft Verbum in fine orationis ÇON
on 0 die va U lee ic 40$ Opera 110. ziur ge DUSA Vbiz, ft contra, quam a natura
ipsius reisappeditaretur, quo more præpofitum est Adiectiuum Substan tiuo: et
Verbo Aduerbium. Sicin Tripudiis finiz, ftro pede mouemurprimum, quum natura
dex-} ") trum primum moueat: vt arteid factum,non cu jusuis
communilegevideatur. TAffeettus Aduerbii. Roprium est Aduerbiorum quorunda,
afsu - ioni mere sibi quædam Nomina, Vbi gentium, Terrarum,Loci:eiusdem naturæ,
Nusquam, et Longe: respexere enim significatum: eft enim Vbiquafi, dicas, Quo
loco terrarum? Sed et tem, pus cum loco communicatum, Intercaloci: co gnati
enim inter se sunt. Magna autem affinitas Aduerbii cum Nomine, vt diximus:
Itaque et a Nomine fit Hoc die, Hodie: etfacit NomenHo diernus. Adeo,vt
etiamcafum retincat Nominis,}»: funn Verbi,vnde fiebat: vt apud M. Tullium in
tertio Officiorum: Conuenienter naturæ viuit. quia etiam
conueniens.hocautem,quia cõuenit: Græcorum imitatione fa et us Atticismus,
ouobws » 00. Eadem
affinitate casum quoq; pristinum re tinuere: In Recto, Fors: a quo compositum
per dubitatione cum An, Forsan:et Verbo interposiz, to, Forssitan. In Secudo
casu, Belli. et apud Cos micumiocose, Foci.In Tertio, Ruri. In Quarto, » Romam.
In Sexto, Forte: qua formafuere, Ci to,Falso,Şero: et horum secutum analogiam
ver þum ynum, Præste. Interdum etiam mutantur, Gatis ecen VIID ad vt, ار Сс у.
1 IvL. ITE DE BE ER vt,Modus, Modo, Mox.
Sic etiam retinet naturam transformatæ in sedin !! Præpofitionis, cuiufmodi est
Cum. coniungit e nim tempus, Cum veneris faciam: vt officium meum cum aduenta
tuo coniungatur. Itaque re clatiua quædam facta funt, Cum do et us,tum pro
bus:id eft,quotempore doctus,eo temporepro bus:coniungitcum doettrinamutuo
probitatem. Sed hæc minutius in libris Originum dicta sunt. !! Proprium etiam
inter se vsum commutare: fic dicimus, Illico, pro tempore: fed fuit,in loco:et
Hefternum panem atrum: pro pridiano. Refert
venimHeri, loquentem tantum: sicut Cras, et Ho pl die, et Perendie. Imitati
funt Græcos, qui xtes ad hunc modum dicunt: vt eft etiam apud Lucia num,in
cunviw. Proprium item, habere comparem, vt Haud, Non: et non habere, vt Ne:
prohibetenim, non u negat:quanquam in compositione pofitum inue nias negatiue,
Nequaquam, Nequicquam, Ne- ir frendes: sicut Non, prohibendo, apud poetas. In
Item habere feriem teporis, Hodie,Heri,Nu diustertius, Quartus: et vt fecit
Plautus, Quintus, Sextus: Cras, Perendie. Item minutiora: Nunc, Modo,
Dudum,Nuper, lam, lamdudum, lam pridem,et futurum Mox. Præterea quemadmodum
amiffo cafu Præpo fitiones abeunt in aduerbia: fic aduerbia in In ceterieet
tiones, Euge: nam hoc fuit eje, at Penė, Aduerbium eft. Item communicare eidem
terminationi di perfum modum significandi; vt Gælitus,delocoeft u 11 est,r gvoder,
Diuinitus. Jebjev: at Publicitus non, dusjer, sed dnu61: habet tamen motum quen
dam a populo:sic Primitus,a Primo. Falsum autem est, quod dixere Cafum habere
no con Aduerbia. vtponebamusönucler, Snuovde, ånuolio noted fed a Casu ducta,
co caruere: quare etiam contra ria additur Præpofitio. sexvb. ges. Item Perfo
nam attribuere ausi sunt ridicule, Mecum: oratio enim eft facta vna. si enim
fit Aduerbiu. ergo di cas,Egocum: Aduerbium.n.nullu casum exigit. Falluntur
æque quum dicunt,Heu esse notam responsionis ad Heus: nam fane nullum exem plum
afferunt. Ponitur autem adverbium pro nomine: Sic bine erat confilium: id est,
Tale: aut fit Pronomen, Hoc.Et apud Vergilium, Terrorum ac fraudis a-,, bunde
est: id est, copia. et Græce scit, pro Græ-, ca. Pro Pronomine: Hinc illæ
lacrymæ: id est, ex hac cauífa. Sic, Vnde: pro, A quo. Pro Præ pofitione,
Intus Templo, apud Vergilium, pro » În templo. Sed est expofitio in voce Templo
yocis Intus: sicutiquudicis, Fcram leonem: po terat enim esse,Intus,alibi quam
in Teplo. Quod autem dicunt, PridicCalendas,effe Aduerbio po-, fitum, pro
præpositione, falfum eft: nam Pridie, estoratio copofita,sicutMecum: Præ die:
et,Ca lendis, est vox termini in quem tempus abit, fic, Eo die, qui ante
Calendas, et ad Calendas, (ve ita dicam) it. Itaque etiam dicimus, Pridie
Calendarum: quanquam durius in quarto casu. Sed factum est analogia aliorum, vt
quia dicere tur, Quarto Calendas,id eft, Quarta ad Calendas, ita etiam,Pridie
Calendas.etfi non erat ante eum diem qui iret ad Calendas. Huius motus ratio et
cauffa elicitur exmodo loquendi Ciceronis: In ante diem nonum Cal. Pro Coniun
et ione: Qua do,pro Quoniam, ett ce re filI mo et mi In CE Interieetionis
natura, Ratio. feri te 1 te ef fis Vog INTERIECTIONEM veteres quum a situ
et nominarint, et definiuerint, nequaquam aa cæteris cæteris partibus distin
xere: nulla enim pars orationis non « interponitur. Sed ita
intellexere,Interponi,qua fi alienam a cæterorum structura: ficuti dicimus
Interuenire. Verum nomine paulo liceatiore leyfi sunt: nam et, lacere,
est duriuscula vox: et wa ettionis significans terminatio. Nam Coniuctio
sit,quæ cõiungit: at Præpositio? nequeenim præ ponit,sed præponitur;ita
Interiectionõ inţeria B que cit, fedinteriacitur, et interiacet. at a Iacendo,
la ettus,autLactio non ducitur: vel G ducatur, rarius, vt diximus, fanesit.Antiquoru
simplicitatem re centiores castigare aggreffi accuratius definiue re
fic,Interiectio cst, quæ sub rudi,inconditaque + voce affe ettumanimi
demonstrat. Verum hæc et falsa est, etcum aliis quibusdam partibus comu nis.nam
quid appellamus rude? quod vocem pro nunciantis exasperat, vt dupliciconsonante,
E I uax: aspiratione, Ohe: mutarum obscurioru ter minatione, Atat. Verum
enimuero aut tales, aut eriam duriores alibiinuenias offenfiones. Verbo rum
persone eadem muta aliquot finiuntur, at etiam obscurius fane in plurali,
Dormiut. A spiratio per omnes pene partes comeat: Honor, Haurio, Heri.Duplices onerant
frequentius no mina, Felix Xenopho: quid rudius, quam' Extra, Intra Infra? Quid
simplicius, quam o? Præterea 2 quid est Inconditum? quod incompofitum suam
fedem amisit:Inconditæ ædes, Incõditæ fluctua tes acies, Agmen incoditum. At
nullus locus In teriectioni fraudi est: quare falso a priscis di et ta est
Interie et io, quæ etia præponi,etiam postponi, etiam sola ponipoffit.
Quodautem animi aiunt fignificare affe et ione, non eft ab eis declaratum: nam
vox hæc, Dolor, animi affe et um significat: at Heu, non significat dolorem.quemadmodum
Balteus ab Imperatore militi datus non signifi cat militia: Deque enim
vox,ncque a et io inciui lis Cimonis, significatftoliditatem: fed notæ ta men
etligna sunt, illud militiæ, hoc stultitiæ. Sic Heu,dolorem non
significat, sed ofdolentisani-" minow 1. 10 be Paylminota, itaque fola posita explet
audientis ani mrb. mum indicio fuo. Quæ cauffa fuit plena optimi confilii,
quamaiores noftriab Aduerbiis distin grouxerint. Elt igitur Interiectio nota
animiaffe et i, quæ nullius orationis indiget adiumento. Quare fequiturilla
natura, vt careat inflectione: Gbie nim vnufquifque affe ettus præscribit
certos limi tes: non.n.continuatur dolor admirationis, sed penitus distinctus
est. Quare diuersarum quoq; Spacesmiaffectus, tot eruntinteriectiones. Minamur,
Væ: admiramur, Papæ: fastidimus, Ohe: dolemus: Hei: paucmus,Atat:
indignamur,Vah: percelli mur,Au:abhorremus,Phy:optamus, vtinam:ab iicimus,
Apage: Laudamus, Euge:Attestamur, Doctis,Iuppiter,et laboriofis:ficut etapud
alium poetam,Nauibus,infandum,anillis.etHomeria I u cum illud qera G, in
fineperiodi: mirificusc enim ornatus orationis est, et augustiores cilius animi
motus, quemadmodum in libris P coices a nobis exaettiffime dictum est. Sic
chiapud ch. dcm diuinum poetam: Hunc ego te Euryale afpicio? tuneilla senecia
Seramearequies:potuisti linqueresolam?? Perfecta erat oratio: at incomparabilis
ille vir non fatis habuit, addiditque. Crudelis. Nam etfi nomina sunt, tamen
vim illam plene obtinent. Iurantis quoque animus Interie et ionis potius, quam
Aduerbii nota ex plicabitur,Profecto. Mediusfidius: et affeueratis, aut
sciscitantis, vt Sodes: et illud Terentianum; 1 bu v Els T, Indicentis
filentium: quemadmodum et iam apud Plautum. Ex hacessentia atquevsu, il
ludenatum est, vt etiam casus quosdam quærant », fibi: in cauffa enim eft
efficacia significatus. Vx me, Væ mihi. Certos aliæ sibi calus vsu potius, quam
ratione asciuerunt, Heu mc, Heumihi, O ingentem confidentiam. Voces quadam ab
Interiectionis natu ra excluduntur. C.Vm igitur affeetti animitota fitinterie
et io, quærat aliquis, an brutorum vocesin hunc a. ordinem fint redigendæ, Cra,
Vhu, Crucu, Be, Pau, et eiufmodi fortafle carum aliquæ fint, nihilo minus, quam
noftrum Au: fed non reci piunturin orationem,ficut ncque alia fi etta a poe
tis,nifi periocum, aut figuram, Bosxszexet, Jp877- νελω, τίω ελα. Caufa
efficiens etmaterialis, et affeettus ab bis etab essentia.
EssentiaInteriećtionis, et finis eft:origo alla tem multarum ab ipsa ftatim
natura elt: Inn metu enim vocem edin.us primam quanque la tiffimam, Hu: in
dolore Hoi, Hei,apud P autum: aliæ autem ab aliis partibus fubductis ex integra
oratione, vt dicebamus, luppiter, Infandum, et eiusmodi. ltem ab Aducrbiis,aut
Coniunctioni bus, aut Præpofitionibus: nanque 0, avocan di munere acceptum, transferimus
fine calu in admi IvL. X. Tim
admirationem, aut vota: Omihipræteritos referatsiluppiterannos. Vtinam
Coniunctio fuit Vt, et additum eft Nam:ficuti in Qujanam: significat enim Vt,
fi nem, quem in optando animo concipimus sem per, non semper
orationeexplicamus. Coniun c ettio est At: geminata in metu, nonneaduerfatur
imminenti periculo? A verbis quoque manarunt: Sodes.
prisi Proprium ergo est aspirari iisdem de caussis: Aspiratio enimexplicat
fufpiria, et difficultatis nota est. Itaque a Græcis sumptam seruarunt, cePhy,
Qeū, Heu: non inuentam addidere, ci, Hei, Hor:quibufdam initio, Hau:aliis in
medio,Eheu, Vaha:aliis in fine Proh, Oh, Ah. Veteres tamen negant, vllam vocem
in fineaspirari: quare fuit, ceaiunt, Ah a. nostra nihilinterest, quidfenferint
agrestes Opici: nam meliora secula ita pronun ciarunt, Vah, Ah:quare etiam plus
afficit Proh, quam Pro:et,Oh,quam O. « Proprium etiam cơmponi, vt diuor,
Mediusfi dius. Heuheu: quare non re ette omifere Figuram. « Proprium etiam,
nullo ordine statui: et ratio cofane subest valida: perturbatus enim animus,aut
præuenit affe et um oratione, aut affc et u oratio nem: quare non reete Ordinem
veteres assigna Proprium etia carere specie, contra quam di xere: neque enim
vna ab alia deriuaturnanque: Eheu compofita est,nondedu et ta. Igitur hoc erut
conscquutæ, vt interfe dicantur Infe ettæ:fic enim toces primitiuæ a Varrone
appellantur in se cundarunt. cudode Analogia. Dico autem,inter
le:propter ea quod ab aliis,vt diximus, deriuantur partibus. Åntimeria autem
nulla afficitur alia, quæ di etta eft, vt pro integra oratione ponatur.
Catullianum enim illud,Jupiter:fic est, OIuppiter, tu testisesto. Women
eteffentia Coniunctionis. RÆCORYM secuti quidam libentius Vox interpretationem,
quam vocis con cinnitatem, Conuin ettionem, quam." Coniunctionem dicere
maluerunt. At vero etvfitatum nomen aptius fonat, etdu ritia translationis
prohibet sic innouari: lenius e nim dicimus lungere, quam Vincire: quanquam
Sextus quoque Pompeiusowideouco potius Col- » ligationem dicendam censuit.
Coniunctionis au tem notionem veteres pauloinconsultius prodi dere:neq; enim,
quod aiunt, partes alias coniun Dd j. gits Ivl. XI. git: ipfæ enim partes per se inter
seconiungun tur: Verbum nanque Nomini iungitur affinitatc nito numeri et
persone. Sed Coniunctio eft,quæ con iungit orationes plures, fiue aettu,fiuc
potestate: nam, Cæsar pugnat, Cæfar scribit, duæ funtora tiones separatæ, quæ Coniunctione
in vnuin coa lescent: actu igiturduzsunt: at Cæfar et pugnat, et
scribit,poteltate duæfunt: quoniam Cælar bis cft repetendus.
Inuefiigatsubtiliffimecauffamfpecieram. bonjo IGitur hæcConiunetio quum
fieripoffevidea dum verba tantům, aut fecundum vtrunque: ex ipsis
rebus,quemadmodu hæc reete fiant, videa mus.Res aut neceffario cohærent, autnon
neces fario cohærent,aut neceffario non cohærent.Ne cessitas autem duplex:
autabsoluta, ve Deus eft: necessario enim est non ab alio, sed quia immuta
abiliter eft:eft nanqueNeceffe,quodnccesscaliter 4potest. Theologiautem abusi
sunt hac voce, vt eam a Deo excluderent: quali idem effet necesse, et coaetum:
at enimuero ipfis vt libet: vocis vero ufatioeft, Perfectio: contingens enim
pertinet ad imperfe et ionem. Alia eft Necessitas dependens: hæcin Deo nulla
eft: Deus enim eft, Primum,et Simplex, etPotens omnia, et Omniu cauffa. Hu ius
Neceffitatis duæ sunt species, siue modi: Dam ipfa cauffa, quã aliquid
fequitur,autextat suapte natura:aut no extat quidem,sed per wohoovsta tuitur.cxcmplum
primi est:Homo,ergo discipli na nguna montare Btellare Luntora uin COP Calarbi
! he capax. hic, Homocauffa eft, et feipfo extat in oratione. At non ita in
fecundo modo,cuius exe ux complum hoc efto: Siambulat,mouetur.hîcenim no
Hatuitur Ambulatio. ex his igitur coniunctio num species sunt eliciendæ. Ergo
secundum sen sum tantum quæ coniungant, non reperientur, pugni propterea quod
sensus notæ voces funt: quare omnes verba coniungunt;fed earum quædam et iam sensum,
qnædamnon. Copulatiua. Ut ergo sensum coniungunt, ac verba: aut pino verba dif
unque: iungunt: “et, fifensum cõiungunt, aut necessario, aramelo int, vida aut
non necessario: et, fi non neceffario, tunc fiut nondes copulativæ, quas connexiuas
vocat Gellius li erent.N bro decimo,et funt hæc: “Et”, “Que”, “Ac”, “Atque”. vt:
vt Deuset Cæfar doctus fuit, et pugnax: nõ enim neceflario ja immuti
cohærenthæres, appofita negatione, Cæsar do et us etnon timidus:
fic,Nequecrudelis,neque timidus. His addidere sufpenliuas, hoc exemplo, Et
fu-)) E: vociste git; et pugnat:fed frustra: merito enim verborum a pertinet
fit hoc: vt,Homo eft,et inhumanus. Saneeftsu = depend perflua curiositas.
Continuativa. TAMY osle vide autfecw A ccelcali 720 VOCE, Elletneret Primum
īcaulla, i emodi: textatfun aut præstituunt, aut subdunt. Præstituunt riwayam
cæ,quas Continuatiuas vocant veteres:recentio tes autem Conditionales: vt,
Sistertit, dormit: cauffa crgo dilo Dd ij. 416 IvL. x 1. cauffa nanq; dormiedi,
etfino eftipfum ftertera fed e cotrario: tamen ipfa Coniun et io necessario
huic rei,quæ eftstertere, subdit dormire: vt que admodun res are dependet, ita
intellectus ordi. Ine contrario. Prior eft Morus, quam Cursus: Ita que posito
Cursu, etiam motus poneturabintel lectu: eft enim Cursus cauffa intelle et
ionisMo tus: hoc autem eft neceffarium, non absolutum, neque pofitiuum, fed
iweJenxor. Fit autem quia cotinetur a fpecie genus: item comes eft affectus. +
Quare non re ettefcripfere, Coniungiab hissen; sus imperfectos:sunt enim
perfeettiffimihi, Dies eft,Luxeft:Addunt etiam id,lungunt,inquiunt, fine
subfiftentia. At hoc eft falfum:aliquando e nimsubsistunt,vtNunc,quum
scribo:Nox eft. et dicam: Si nox eft,Sol subterra nobis est. Ergo nuc nox
fubfiftit, et tamen eft continuatiua. Sed ita cedicere debuere, Sinesubsistentia
neceffaria:potest enim fubfiftere, et non sublistere:Vtrunque enim admittunt.
Sub eodem genere funt Abnegatiuæ: vt, Si interfuiffem, pugnassem: ostendunt
enim effe et tum abeffe, quia defuerit caussa. Hoc autcm non ex Coniunctione
fit, fed merito Modorum, et Temporum: fimile enim eft id, Si intereo: pugnabo.
Quæautem nonex hypothesi, sed ex eo quod soba subsistit,
coniungunt:Subcontinuatiuasdixere. Cauffassubdunt hæ, sic:Movetur, quoniam am
bulat. statuit enim ambulare atque iccirco moue ri: Continuativa autem non
ftatuebat,ambulare. Vox Male autem a veteribus ita dicta sunt: nam Præ positie
E pofitio Sub, in hoc nomine aut fpecić significat, vt hominem sub animali
dicimus:aut diminutio 12 nem poteftatis, vt hypopheten fub prophetein
telligimus. At neutrum conuenit: nequeenim EI species efse quit certa res
incertæ rei: et Subconti nuatiuz poteftas maior eft, quamContinuati ux.Sed ita
excufandi funt:amplitudinemConti-, tinuatiuæ percipi ex co quod ctiam
impoffibileali quandopræfupponit. Exhac quoq; claffe funt Adiunctiuz: vt, Pu- »
gnadumvires.Et quægeneris nomine Caussatia D. uas appellarunt: ve, Pugnaui,
quia læsus fui. Et E Approbatiuz: vr, Pugnaui,equidem lælus. Col->> ad le
et iuis eadem natura, sed diftant ordine: pra ein ponuntenim cauffam: vt, Homo,
ergo animal. 00 Similes huic sunt, Igitur, Quare, Itaque, Quod: od fic, Cæsar
fuit Diet ator, quare omnia occupauit. Exemplum vltimą, Veniadte euocatus:
Pugnaa ui iusfutuo, vici: Regnum recuperasti, miser pro pterea sum: Quod te per
communesrerum vicif, litudinesrogo, fubuenimihi.deestenim Præpom, ofitio, fic.
Propter quod: dicimusenim etiam Propterea, et Iccirco, etalia. Er omnino quæ
aliquamcaussam apponunt adintelle ettum: Efficientem fic, Quiaiubes, faciagn tu
enim mouesmead faciendum. Finalem fic, Do, vt des. eftenim Vti,. Poffuntautem
et hæ, et etaliæ tranfponi:Quia dabis,do.Has antiqui Per -Zoo fe ettiuas,
etAbfolutiuas nominabant: inter quas. etiam Quatenus recensuere, et Quo. Quium
au tem addunt prohibentem particulam Ne,luduntta:): operam:Aduerbium enim eft.
Ddiij. a2 CO d ĈResolutioin Copulatiuas. aft.REEsoluuntur autem in Copulatiuas
omnes ptenatura coniuncta est: itaque dicemus, Et do, etdabis:Etdies eft, et
lux eft. Sicloquutifunt pri cefci Audieras, et famafuit:quia fuit fama. Habes
igitur caudam huius quoque loquutionis. Quum autem Copulatiua duplex fit,
affirmans et negans. Negativa in affirmatiuam resoluetur, Cæ ledar neque timidus,
inequcayarus fuit:fubeftenim (habitus contrarius, Et fortis, et liberalis.
Difiun sgit autem negativa propter negationem non propter seutt; Vis vincere,
nec pugnare:est enim, et non pugnare. Hoc autem percipitur exinte gra: Nec
mutila est. Neque integra est autem Neque et Non. Disiunctiva et Subdisiunctiva
necessario, Caussativæ; quarų species duz; aut ex hypothesi, aut absolutæ.
Quæautem ne Siceffariono coniungunt, Difiun et iuæ diettæ funt: nawis “Aut”,
“Vel”, “Siuve” a quibus differre fecerunt Sub disiunctiuas,propterea quod hæ
vtranqueponce rent partem ad eleậtionem: Difiun ettiuæ autem alteram tantum.
Sicut Continuatiuæ alteri in certæ, alteram positam continuabant: Subcons
tinuatiuæ vtranquepositam, alteram alteri sub Ves-continuabat. Et fane nomen Subdifiun et iuarum. secte acceptum est: neque enim ita
planedisiun. Il git, quam Disiunetiuæ: Nam Disiun et iuæsunt in contrariis, aut
Politiue, vt,Aut fanus est,aut æger; aut Priuatiue, Aut dies est, aut nox; aut
Relatiue, Autpater eft,aut filius. Subdifiun et iuæ autem et iam in non
contrariis, fed diuerfis tantum: vt, Alexander, fiue Paris. Differunt
igiturinter fe fecun dum cotextum orationis: propterea quod difu Stiuarum
partes nunquam cohærent,sed sub co tradiettione politæ sunt; at Subiun et iuæ
no item, cauffa eft, quia Subdifiunetiuz ortæ sunt a Conditionali, quæ etiam
impossibile admittit siç, Situ " homo lis,fi,ve Equus, si,ve lapis: necesse
est corpore præditus fueris:fic enim vsusestTerentius. Quas autem vocant
Dubitatiuas, ex ad Disiu ettiuas reettaaccedunt: ac magnum faneambitum na et x
funt, quippeex omnioratione potestoriri dubitatio:adeo vt Scepticietiam
tciğimua G po nerent in difceptationem.Poft dubitationem fiet quæftio
perinterrogationem. quaremodusqui dam estorationis, non species, vt quum dicam,
Eloquar, an fileam? intelligo mihi aut loquena dum, aut filendum. Quoniam vero
alterum capimus pro certoin difiun et ione:iccirco vsus rapuit Velad vtriusque
o partis affirmationem, vt et separata intelligas na tura, et vtraque pofita,
veluti alterum tantum ponebatur a Subcontinuatiuis: exemplum hoc esto, Vel quia
eshomo, velquia nobilis, vel quia:y. Romanus, noli pati seruitutem. vnam ex his
ca. pere possis cauffam, at tres ipsas omnes afferre queas. Terentius etiam
folam posuit semel: Vel ' ) Rex mihi gratias agere. fubintelligas, vel alii Dd
iiij. sed potiorem parte satis habuitponere. Immergia amox's Græcivocant, nos
Electiuas. huius ex quo que generis sunt:vt,Malo Cæsarem, quam Cato nem.Nam
etfi alterutrum non capiunt, fed desi gnatum tantum fumunt, latiore tamen
difiun gendi voce subiiciuntur,quemadmodum dice bamus deVel,apud Terentium.
Commoda vel mulum,velequum,maliş tamen equum: neque enim copulatiuæ sunt,
abiicitur enim alterum irmembrum disjunctum. Quid fi Aduerbia hæc fint
Comparationis? nam dicimus, Tam volo Cæsarem, quam Catonem: quia Nomina siciu.
bent, Tantus Cæsar est,quantusCato. Vsus po ftea inæquali Comparatione etiam
retinuit, ve ficut erat Tam,quam: sic fit, Magis, quam. thely Aduersatiuæ
quoque ad Difiun ettiuarum na turam accedunt:propofitæenim rei aduersantur;
difiungunt igitur neceffario: Quanquam Cæfar nobiliflimis auisortus est, tamen
deterioris im perio paret, feruitus enim aduerfatur nobilitati. Huius notæ funt,
Quin, Imo, Atque,At:vt apud Liuium in Tertio, Si plebciæ leges displicerent; «
atillicommuniterlegumlatores etexplebe, etex patribus finerent creari. In eandem fententiam Mo"admittitur etiam Saltem,fic,Saltem
meinterfice fice. Sic, Quanquam potes liberare, tamen mor te hoc li facias,
gratum erit, Diminutiuas appel uflant has Latini, Græci enet/wixa's. Completina.
Con Dega Menu D C HA Completiva autem et si ornatusmagiscaul.de tur:tamen
augent sensum orationis:atqueita au Adela gent, vt pene cum Subdifiunctiuis
incant socie lo fatem: Ego quidem scribo,tu vero legis. disiungit: dis enim
fenfum appofitæ orationis ab intellectu nder propositą. Summa. Æcigiturfic fe
habent certis concepta gea neribus,quæab antiquis etfuse, etconfuse hi prodita
fuerant: iungūt enim aut verba tantum, lupo aut etiam sensum: quare tribus
claffibusdispofi uit tæ funt: autenim iungunt necessario,aut non neceffario: aut
neceffario non. Neceffitas autem, aut ima est propositione priore subGftente,
aut ex hy in potheli, Cauffa efficiens, etmaterialis. Ssentiam finemque
Conjunctionum fatis a 'pte explicatam puto; nunc earum originem, va bo'
materiamquç videamus. Neque vero sigillatim percurrereomnesin animo est.In
primis nanque libris Originum exactissime pofita ca opera a no þis fuit; fed
ytvniuerfalis natura plenius decla retur. Quædam igitur a Græcis du ettæ funt
in tegræ, quædam interpolatxe, Integra eft NL. » renodes cnim dieti funt a
Græcis pisces, vtapud Oppianum; vnde etiam noftra Nepa, pedibus » enim minime
valet: nisi mauis effe vocabulum Punicum, nam a barbaris ita di etta fuit.
Vticft DIY mus Call 31 erer di 2012 or 1 kemutata, ti,sicut šti, Et,ficutQue,
na, abie ettodi: wphthogi sono, quemadmoduse, da. Multæ cum Aduerbiis communem
sonum habent: Vt, Qua. quam.atque etiam naturam, etenim Vt, Aduer bium
fimilitudinis, et eftcausfxfioalisindicatiua Coniunetio: nihil enim fimile
magis rei mota (quam finis.Sicaduersatiua Quanquam,Aduerbii vestigia refert in
comparatione: Quanquam es nobilis, tamen es prauus. idem est, tam es prauus,
aquam es nobilis.Sic Aut; fuitHaud: eadem enim vis occulta, Aut da,autaccipe.
negat enim omnis difiun et io,quoniam femel'ponebant, Da, aut ac cipe.fuit enim
fic,Da,non accipe: et,Accipe, non reda postea miscuêre, Aut da, aut accipe. ItaVc, a et
Vel, proximæ funt. Si fuit e!, addito fibilo: < cqua du et a eft Sic: fuit
enim Sice, ficuti Nece! Nec. Sic est Aduerbium fimilitudinis.
Condi cctionalis aute Si, affert fimilitudine inter cauffam, et effectum. At,
fuit Adaccessionem enim dicit. Affectus. Aduerbiis, Etiam;fuit enim Et, lam::et
tri (< fyllabum Etiam, quia lam, bifyllabum, vtfre quenter apud
Comicos.Quædam compositænus quamcomponuntur in oratione:vt,Nequidem: semper
enim per tuño, quanquam alicubi aliter legitur:fed parant do et iores mendum
effe. Cum Præpositionibus, Abfque.Cum verbis Quamuis, Quædam semper
præponuntur, Quanquam quædam fubeuntsemper, Que, Ve, Ne: quædam vtrunque
patiuntur,Igitur, Nanque. Cum Pronomine, Ideo, cum nomine, Quare. Proprieatem,
ut diximus, ab aduerbiis multum naturæ mutuari, adeo, ut Aduerbio proipsis
vtamur; Quando,pro Quoniam: necimmerito, nam Quoniam, Aduerbium est, Quum,lam
caur fa translationis fuit temporis efficacia, est enim, mensura rerum
naturalium. Et abundare, Etet iam, Atque etiam. A'etilisehvad hücmodum in Coniu
et ionibus famio obferuata fuit; Commutanturinter fe:vt, Item prosic, apud
Ciceronem:Vel, pro Etiam. Pro Nomineponitur, Illius ergo venimus; sed fane
nomen fuitiplum, igor: Pro Pronomine, Pro-, pterea quod: id est, propterid,
quod.sed potius eft numerus pro numero, ficutquum dicimus Ad hæc,et Ad
hoc.2.112 Epilogus vniuerfalis. ngo Xhisfatisconftat, non plures
esseparteis,que admodum autrydiores, aut acutiores arbitra tifunt; non igitur
recteadditum,Vocabulum ad significandumea, quæ fub sensum caderent: vt Paries,
et Lapis, essent Vocabula:Virtusautem et Anima,essentNomina: propterea
quodintelle et tutantum caperentur. Patet enim,Vocabulum effe genusad
omnja:nametia Amo, quu pronus ciatur, Vocabulum est: vt Stabulu, vbi ftarur:Pa.
bulum:vbi pascitur: Tintinnabulum,quodfonat: Vocabulum quodin voce est. Eiusdem
supersti-> tionis, et plusquam Græce, inminimadiuides re,quæ vnius corporis
sunt:vtin Affeuerationem ea quæ effentInterieet ionis, cuiusmodi putarunt Heu.
Et Attracttionem, ea quæ ad Aduerbium attinebant,quale eftFasceatim: quæ enim
Attra dio sit, Viritim cansulere, quos non trahis,sed addis?Quæ omnia iure
optimo a do et iffimis ante nos explofa funt. Confiliumopera ampliariaseta de
Figura, Am fatis videbatur elaboratum vel mihi, qui fortaffeetiam quz nufquam
effent excuffiffem:vel aliis, qui coaet i funtautaliter sentirc, quam effent ha
et enus professi:aut irridere cariolam noftram di ligentiam. Verum interest
accurati procurato ris,non folum eorum tenere rationem,qui infa miliafünt: sed
etiain agere, vt fiquid furreptum, autextortum, aut alioquomododebitumlit, co
recuperato census augeatur. Itaque quum vete Frumleges, corumque consilia a
nobis hactenus explicata sint: fupereffe videtur, ve fiquid extra easdem leges
receptum fit,morenostro et recen fcamus, et eiusinstituti røddamus rationem.
Igitur loquendi modosquofdam Figuras priscima. Vox le nominarunt: omnis enim
oratio figurata cft: eftenim Figura qualitas extremitatum in corpo re:Oratio in
voce eft,vox in aerc,aer corpus: er go quasi lincamenta funt quædam huius corpo
ris,vocum elationes,depresiones,productioncs, correptioncs,aspirationes,
attenuationes, ince ptiones,terminationes.Quarcquocunqueloqua ris modo, non
aberit Figura. veteribus tamen ita libitum fuit, vt non quæuis loquutio Figura
præ. fcriberetur: sed aut in materia ipia aliquid quali peregrinum, aut in
forma quod esset, Figura dice? retur. Ac Quintilianusquidem quemadınodum et
senserit,et scripseritdehis, palam eft. Tebar52 nim, et gempaa,
vtifierent,docuit: sed adeoipse perplexus fuit, vtquum distingueret, eadem di
Itin etta non agnofceret. præstatautem ficinteili gere, quæad formam pertinerent
orationis,id est ad fententiam,caeffe Algvos,et tropos dici: quz autem
admateriam, ea effe nezew, et schemata:)) namgchua corporis est:reemos,
animi,quare eos, quasi mores, modosque orationis, quibus ipfa quali et
animatur, et mouetur fimul, acmouet, oratori relinquemus. Quæ autem verborum
iioning ncamenta sunt, ea aut suntvfitata, et ad numeros pertinent,vtSimiliter
cadens, eteiulmodi: aut ad ftru etturæ variationem. Illa igitur ad poliuiorenu
i { pe et abunt scripturam, hæc ad scribendi loquen díve leges:vtraque autem
Figura continebuntur. Quareillas oratori, historico, poetz deslinabi di mus:
harum nos caussas præsenti opera inuesti gandas curabimus. Bu uf If rah. Appositio.
Auffa,propter quam duo Substantiua, non ponunturfineCopula, e Philosophia pe
tendaeft: neque enim duo substantialiter unum esse possunt, ficutSubstantia et
Accidens: itaque non dicas, Cæsar Cato pugnat. Si igitur aliqua Subftantia
eiufhaodi eft,vtex ea, et alia,vnum in telligi queat, carum duarum
Substantiarum to tidem potæ,id eft nomina, in oratione fine Con iun et
ionccoherere poterunt. Quarepropofitum nomen amplioris intelle et us, fubeuntis
nominis U præscriptionemoderabimur,fic,Vrbs Roma: po sita enim Vrbis vox,
deducet meum intellectum per omnesvrbes, donec addito Romæ nomine caftigabitur.
Est autem amplitudo huius intelle 4 etionis duplex: aut enim est Vniuoca, vt
Vrbs, 2) Arbor:autÆquiuoca,vt Lepus, Lupus, Turtur: fignificant enim et piscem,
et alia animalia ge * neris diuerfi: itaque in præfentia sunt maioris fignificatus,quam
Piscis: quod tamen eft nomen Jatiffimi generis: Comple ettitur enim plura Pi
fcis, quam lepus. Sed iccirco fit hoc loco, quia Æquiuocum nullo certo genere
ponitur: eft enim Lupus, et in Pifcibus, et in Terrestri bus, quæ duo fumma
genera funt. Eft et alius cemodus moderationis adenominatione: nam fi dicas
Cæsar, multas virtutes aut vitia poffis at tribuere. Itaque temperabis eum
cursum tam vagum,appositisnominibus, Imperator, Diet a tor. Et alio flexu fic,
Catilina pestis rerum romanarum: Procas Romanæ gloria gentis. Fir etiam luat.
phia cerrt cur2: larus opot 500 $ Tomate 2 etiam quarto modo, quum
transferturfigurare set denominatio in primitiuum. Zoilus vitium, pro vitiofo.
Cauffa aute huiufce loquutionis fuit are ansa ticulus Græcus; naywsoix Jus,
Kairap o autoxegia tw. Euenit autem aliquomodo,vtvtrunquealaz tero maius sit.
quare fine vllo discrimine com- " mutare fedes inter fequeunt. Exempli gratia,Le The pus piscis:et, Piscis lepus. eftçnim lepussub pilce,
tanquam subgenere. Iccirco pesfime errarunt, cinsl cum putarent tic dicendum
Fratres, gemini:non to lic, Gemini fratres. Etenimfratres effe poffunt, nec
gemini: etgemini, nec fratres. vt omittam, non esseappofitionem hîc ex
Substantiuo et Ad icctiuo. Sic dicas, Flumen Renus:quia alia quo- »
quefumioasunt: et, Renus flumen: propterea quod nihil interest, aliquid ita
fit, anita effepu-come tetur, itaque etfi Renus, non eftæquiuocum,ta-i ima men
ncfcienti quid Renus fit, æquiuocum ef se potest, quemadmodum fane eft: nam
etiam Bononienfis fluuius Renus est. Sed par fit alio rum quoque ratio: nam
Taxusæquiuocum non eft, et tamen ad explicandum eius naturam, ad ditur Arbor:
poflim enim herbam, aut etiam montem intelligere. Hoc per initia ita fa et um
eft, ac poftea etiam non necessariatenuit con fuetudo: ficenim fitin vsu ciuili
quoquc, et mill tari, vt Cristas etiam in pacegestemus. Vergi lius autem
commutauit fedes ob carmen, Ca Atancargue nuces. omnis enim Castanea nux eft.
Nam posita specie genus non debet appo ni, vt diximus, nifi ad explicacionem:
quodfi apponitur, decet ipfum coartari ad angustiora, Ti mai ft.no Terra Cts. ScA L. LB. xt. where 4 vt quum dicas, Cæsar homo imperterritus. Eftes nim
Homo genus: at quum addis “imperterritus”. Cogis in ar et iorem significatum:
quia poffit effe, etnon esse Imperterritus. An vero fit Appositio ab
Adiectiuis? Tectum auguftum; ingens, centum sublime co luminis. ec Non ita est,
sed Tropusdow getov: et repetitur intelle tione, teetum: Hinc patent nugæ Gram
maticorum, qui negant recte dici a Vergilio,Vr bem Patauii: quum tamen omnes
ita fint locuti: In oppido Cumarum, Palladius:In oppido An tiochiæ,Cicero: et
eodem filo Liuius, Vrbs Ro semana: est enim in illis casus Pofseffiuus, in hoc
nomen ipsum. ac quanquam poffidens etpoffef fum diuerfa effe debent: tamen hæc
duo, quz v inum sunt,Vrbs,etRoma, duo esse aliquo modo intelligentur: quasi
vrbem Patauinorum dicas et Romanorum. Etfane duo sunt: nam Vrbs, est
appellatiuum: Patauium, proprium:quafipro prium possideat appellatiuum. ficuti
dicimus, Vrbs nominis inclyti: sic, Vrbs nominis Pataniis Euocatio. " E
Vocationem dixerunt, quumtertia persona euadit prima, aut secunda, quafi hæ
euocent illam de suastatione, aut ex hybernis:vocabulum enim est militare.
apponuntexemplum, Ego Ca far scribo:Tu Cato legis.verum hoca nobis iam
improbatum eft: Onine enim nomen cuiusuis perfonæ cft,fed non variatæ: ficuti
Felix,cuiusuis generis eadem voce: ridiculum enim est, Cæsa remin me effe
perfonæ Tertix: nunquam enim loquens, aut fcribens de me, effem personæ pri
mæ.Nequeposlem dicere,Ego sum Cæsar. Nam si esset perfonæ Tertiæ:
pofsemitem dicere, Ego fum ille:et,Ego fum persona tertia. Conceptio.
Vemadmodum vna fieret oratio, in supe riore libro et alibi dictum est.Coniun et
io nes enim fit vna: Cæsar etCato equitant.Equita tio hîc vna eftin duobus. Itaque aliquando sub ie etta intelligis: quæ quia fant plura,pluralem nu
merum appones. Aliquando prædicati vnitatem communem vtrique accipies: quare
numerum attribues vnitatis, Cæsaret Cato equitat.Malue- m.9110 runt igitur illam
effe figuram in plurali, quam mig. hancin singulari. Et ratio est, quia
Coniunetio repetitnumerum singularem: ostendimusenim, duas esse orationes
potestate, quare ytraque erity singularis. Nequevero sola Copulatiua hocagets ö
fed et Disiun et iua, sic, Aut tu, aut Cæsar date mi. hi facultatem scribendi. Paulo
figuratius eadem oratio in obliquis versatur,fic,Cæfar cum Cato ne disputant.
Cuius loquutionis necessitas eue nit ad euitandam ambiguitatem. fi diceres, Cæ
sar cum Catonedisputat:non vnionem,fed con trouersiam pofsas accipere. Sed
illalonge figura tiorapud Ouidium; fliacumLaufo de Numitore nati. Neque enim
Ilia eratnæi, fed nata cum Lauso Itaque ante quam reddasVerbum Recto, Redus cum
Obliquo ita sunt coniungendi, yt vnum fite pluribus, quibus pluribus Verbi
numerus re fpondeat.Recte vero putarunt illam esse figuram apud Poetam, Cana
Fides, et Vesta, Remo cum fratreQuirinus -Iuradabunt. Sed nos etiam vtroque
modo figuram intelligi mus. Fides etVesta iura dabunt: etalteram in oba liquo,
Quirinus cum Remo. Fit autem hæc ynio non folum in Numero, fed etiam in
Persona:vt reddatur verbum prima; et secundæ, non sine cauffa: Nobiliori cnim
de. betur. Quæ loquitur, nobilissima eft: facit enim orationem: et libiipfi, vt
ita dicam, proximaest: mox secunda. Itaque cum feipfa pofuit, non po teft ad
aliam transferre verbum: fic enim definie batur., Quæ de fe ipfa loquitur: ita
igitur loque mur, Ego et tu fcribimus: Tu et Cato pugnatis. Eadem nobilitatis
ratione in genere fit Figura, ut masculino reddatur at feminino. Cum ergo et in
numero et in persona et in genere fiac conception. Ilud habetproprium sibi, ut
in numero solo poffit fieri. Cum autem fit in Persona, aut in
Genere,semperetiamFigura numeri adsit, Ego et Lucina læti viuimus:Tucum matre
lauti cænatis. Atque iccirco dieta conceptio eft dua bus decaussis: aut quia
minus a maiore: aut quia minus nobile a nobiliori continebatur. Quem admodum
vero autores ea vfi fint, adGramma sticum cum fpeetat, qui docet
componercoratio Grand nem.: 435 TO.RO i vnumer - umerus K kias D minteli
eramini nNume 1 Dum pri OFICNIMA: facies proxima:. it, fick Jugatio. Roxima
huic lugatio est,quam Zeugma Grae vox co vocabulo maluerunt appellare, quum ta
men Latinis ahis vterentur. Nam quemadmo 7 Onni dum in Coceptione quod vniuserat,commune
cuadebat: licin Iugatione, quod vnius est,ita ad cum pertinet,vteius
lignificatuiadiugat alterum.l. Per Conceptionem fic loquare, Tu et Lucina mihi
cari estis: per sugationem sic,Tumihicarus cs,et Lucina. Non igitur hîc
cocipit, sed permit tit tantūdem. Eftitaque coceptionis visdimidio maior. lugum
igitur quodda quasi est Adiectiuũ quo in vnum coeunt significatum extrema duo:
quare medio in loco fedem fibi iure vindicat.Ve rum vsu extortum eft, vt vocum
stationes com mutarentur. Itaque tribus modis excogitarunt: Primo loco,sic;
Carus mihi es tu, et Lucina, Me Fopulls dio, fic, Tumihicaruses, et Lucina. In
poftremo, ft. Tu mihi; et Lucina cara eft. Græca Latine ad huc o.Cut modum
interpretere, σείζευγμα, μεσύζευγμα; Gener iwozuyuc:Præiugatio, Interiugatio,
Adiuga tio. Fitautem quemadmodum et Conceptio per in Per Numerum, Perfonam, et
Genus: Tu, et mulieres umen bonæ sunt. per Conceptioncm diceres, Bonih estis.
Quare pessimeaggressi sunt emendare Vir ocio elogilii carmen illud: Nihil hic, nisi
carmina desunt. et male in singu, ur. Qläri deeft:Sic
enim dicas, No quicquain, fed car Gruuminadesunt: idem nanque. Sinon desuntcarmi: na; nihil deest, verissimum hypozeugmaest. Anticipatie
An umda ziturloc Ti, vein matres re:aut! Tercolor home A CE zaho A Nticipationem
triplicem accepimus, Poe ticam, Oratoriam, LiterariamPoeta. ante capit ex sua
perlona intellectionem communem auditoris: vt, -Portus reqnire Velinos. Hinc
enim de sua persona occupat personam Palinuri poēca:neque enim tunc
Veliniportusdicebantur, quum Pali nurus loquebatur: lic, Lauinia litora, dixit.
Ora Utoria est, quum antecapimus locum in animisiu. dicu, refpondêtes tacitis
obiectionibus. Literaria est, cum præcipimus toto partes, fic, Ciues nati ad
interitum Reipublicæ, Pompeius superbia, Cæsar magnanimitate. Eft autem maxime
coniun et ta figura hæccum Conceptione,quatenus totu concipit partes suas:
neque ab ea differt, nisi di ftributione:et eft contraria ordinatione vocu Ap
positioni: Paftores compulerant gregem, Thyrlis oues, Corydon capellas:
distributio eft per anti cipationem, conuerte sic,Thyrfis, et Corydo pa
stores:appofitio eft.hanc Prolepsin Græce appel larunt, quafi præceptionem.
Compositio. Voxes Vid effet Componere, fatis superioribus Jaho libris declaratum
eft: quod fiquis aut me minerit, aut animaduertat, intelligetnon conue nire
huic loquendimodo, quem fic nominarunt: Efterim hæc loquutio, quu significatū
voci co trariū, voceipfa ducimuspotiorem.Populus vnu fignificat e multis
confectum:multaigitur figni a ficat per se, vnum per accidens: quare liverbum
plurali numeroattribuatur, fignificatūr espiciet Q dos takoa uttert, foneva
mus, fi non vocem. Figura igitur sane eft non longe a pocue Cõceptione: Idun
enim est Populus, et hic ciuis; ommun et hic, et ille. Vetefc » autem coposicionem
nulla vera ratione diccre potuere,nihil enim componi crimde tur, fed
trãsfert:!r. Ita quu dicis,Fætupecus: co» peus ponis genuscum genere,et
transfers lignificatū. gurum? Nam pecusgeilereneutro quý Mares et Fæmel. civil
las comprehendat, affectum fæmellarum tranf julia tulit ad femellas
comprehensas. Eft igitur po stius Tranilatio,aut Conceptio, quam Composi 6, 6
tio. Sic variaturGenus etiam: vt, Parsper agros finestra dilaplı: quia Pars,
sitidem quod, Milites. Sicelta net pud Homerum, rezvov pins, Sic elt,
Tristelupusº stabulis: vt illud, In Eunuchum fuam: quoniam Eunuchus sit
comcdia: Lupus autem res: vtlit, Triste, Tristis res. Comprehenfio. Vic non
abfimilis Comprehensio.Græci quing owersoxlu vocat quum ex toto excipitaffe,i
et um partis, cui toto eum affectum attribuamus; Elephas curuus dentes. Hoc
tota figura coniistit in denominatione totius a parte. Nain verum est,s ) Dens
est pars elephanti curua: ergo Elephantus est curuus et tous oðovæs.In priore
figura significa tus concipiebat vocem, in hac pars toti in ligni ficatu.in
voce e contrario Totum concipit partē Igitur Græcum nomen multæ efficaciæ eft;
nam) out, significat totu et partē fimuleffe: -u, significat excepta qualitate,
aut aliud a parte, et toti attribu tū. Sexeaiz, fignificat ipsum motum
translationis. Antiptosis. Ee iij. Non gem, 7. cocte et CCT Guinea Hid Ilipent
oliquis a 1 etПодії CONI sicacuva 7. Pope ta izier lare LTE bicarum go On possumus vnico verbo
latine græca exprimere, αντίπωσιν: que figura multis
modis fit, cum Calum pro calu ponimus: ac fit: quidem veteru autoritate:carea
pecunia, et pecu: 1 niã. Sed fane hîc Figura nulla est:vsus enimextor fit
poftea,quo antea placitű erat. Aliusmoduseft ifque multiplex, et Attici
longediuerso more v tuntur, quum relatiui casum eundem faciut cum a antecedête,
weinogesvg ev eneža.quo modo etiam Gellius aliquando vfus eft: Latini cæteri
vix vtun tur. Mollissimum fuit genus illud, Quam vrbem 6c ftatuo,accipite:at duriusculum,
Vrbem,quam fta tuo, vestra est. Iccirco non inepte nobis pueris præceptores
noftri lic interpretabantạr, Vultis canis regnis confiftere: vultis vrbem, quam
ftatuo? vestra est. Verum hîcita sit, sed profecto veteres nimis multa liçere
sibi voluere, velut Plautus,Au edularia, Picidi uitiis,qui
aureosmontescolunt,egoso ļus supero. Cauffa huius orationis fuit, aliorfumin
tentus animus,deinde defịcxus filus loquutionis: id quod patet ex eodem Plauto
in Captiuis, Hos quos videres ftarehîc captiuos duos, illi quistant,bistat hic
ambo, non sedent. Diet urus enim aliud videba tur alio verbo,quum fubiunxit
festiuecotrariu. Hæ funtcauffæ extortæ orationis: non quem: admodum folute
prodidere sine vlla ratione.Mo dos autem ampliores non eft præsențis instituti
contemplari: sed pertinet ad construendi leges, et obferuationes autorum:
reducunturq; ad hos, quos descripfimus: veluti quum ex affirmatiua sfacias aut
negativam, aut dubitatvam: aliaquç eiusmodi. Pocum caussas duplices esse
Essentiales, Accidentales, ir. frunz ACTENVS fingularum partium Foreonha H mam, efficientem, finem, materiam, Affe et us
declarauimus: quique Affectas effent abipfa Essentia profeet i, superiorib libris
di et i funt: quive vsu extorti hocpostremo.Nunc aute cömunem.omnium vocu
natura videamus, ex instituto sic repetentes: Vocum et Materia, et Formaeft, et
Origo:qua pro efficienteacccpimus femper: igitur cauffas quoque duplices habuere:
alteras essentiæ, alteras materiæ et accidentium essentiales etymologias græci
vocant. Nam E quamobrem, Amodicitur:quia qua, et cuda, et aw Essentialis est.
Quare Amo, Amas, Amat? Quia Canto, Cantas, Cantat, Materialis, et Accia
dentalis est. Quas cauffas propterea quod veteru aliqui aut reiecerunt, aut
negauerut, in præsentia a nobis verioribus argumentis agendum est, ki Ee in merito
etreceptæ, et probatæ videantur. Id quod operis initio non fecimus eo confilio,
quod iupra u narrabamus: quum enim subiectum suum effe nullus artifex probet
argumentis, neque Tcdoti, at ne z o'ri, quidem:fed tantummodo redarguen do
pertinaces, iccirco in hũc poftremum librum hæc opera destinanda fuisse visa
est. Veterum argumenta, Cbox ETymologiam Græci vocarunt cauffam vnde socesancte
fint: veriloquium Latinis placuit is interpretari, led quain frigide, videamus:
Nam yoritasin orationeest, nou in verbis priuis. Præ torea ify it in hac voce
significat rationem, non aucm loquutionem,vtvera ratio potiusdicenda fu fit:
quare nos, Vocis rationem, transferre malui mes sautifam autê accidentalem
iidem ovanoziar Jor coco confilio nominarūt,id est, rationem pro- na
ennportionis. Easfic destruere nonnulliinstituêre, Nominum,
inquiunt,naturæ,nisi per nomina de monftrari nequeunt; nomina enim rerum sunt
notæ. Intelligunt autem nunc per nomina,voces omnes: ficut per Tignum
immittendum Iurecon fultus etiam lapidem. Quodcunque
igiturdecla- di Fatur, per notiorem quampiam rem notü fit. Er goilla nomina,per
quæ nomeillud definitur,no mine ipso notiora erunt. Ea pomo nomina, aut nota
habebimus, aut nộ: at absurdum est ea igno- di rari, per quæ aliud notum
facimus; itaquenota ni sunt: et fi nota, per aliud fane nora, per aliud
igitatur nomen. Quare vsque in infinitum: hocau tem absurdum eft: non eft
igitur verum nomi an m num vllam esse cauffam.Præterea nomina essein- 2 finita,
aut omnino, aut propemodum, atqueic circo ignorata: infiniti autem finita
natura no stra capax noneft. Ad hæc, quæ vsu mutantur af 3
fiduo,partimqueinteriere, partim quotidie sub nascuntur, ea ignorari neceffe
eft:quuęternarum tantum rerum fcientia fit: eft.n.Scientia habitus animæ
certus:at corruptibilia incerta funt. Postre maratio hæc fummos adduxit viros,
vt integris contenderent libris: Quæ nullis, inquiunt,cer: 4 tis inter fe
cohærent legibus ca nullo modo sub certas venire leges. Eiusmodi vero esse
nomina. Quum enim duæ, ut diximus, caussæ sint, etymologiam ignotam esse, velex
eo conftare, quod super eodem vocabulo diversa senserint autores. Aalogiam
autem, quam æqualitatem vocant, omnino extare nullam. Quareipsaquoq; nomina per
caussas nunquam nota erunt. Argumenta dissoluuntur, Tprimam rationem diffoluamus,
ita acci-. piendum est. Intellectionem noftram esse duplicem, Reettam, et
Reflexam: igitur nome obvium excipimus recto a ettu intellectus, fimplicia;
fini destinatum ad fignificandum. Exempli gra tia, Lancea,atque ibi pro nota,
aut figno rei,vti dicebamus,habetur nobis.Reflectimus deinde a nimi cursum ab
ipfa re super nomen, ipfumque tanquam rem quandam contemplamur. Quæri musigitur
tum eiuscauflam inter ea quæiamno ta habemus. Quemadmodum autem duæ essent
nominu cauffæ, dictum iam esta nobis libro ter tio: quædam enim erantDeducta,
quædam Pri mogenia.Deductorum igitur cauffasesse Primo genia: Primogeniorum
autem caussas cognosce re easdem non est necesse, sed calum, aut arbitrium
inventoris pro caussa habere fatis est. Est enim duplex cognitio nofsra, aut
positiva, quum el cognoscimus hoc esse, aut priuatiua, quum cognoscimus illud
non esse: hoc enim est esse illius, quia non est. Altera vero, ac tertia ratio
simul fic W 2 e, diluuntur. Scientia specierum est, et singularium, ut subspeciebus continentur, Ea igitur, in
quæ conueniunt omnia singularia, Diciones appellanimus, Earum essentie, atque
affectus neque corrumpuntur, neque mutantur, puta Species, Gen ra, Casus:
semper nanque Calus, Casuseft, fem per Modus, Modus. Quæ autem singular sunt, aut
unon corrüpuntur,fed perstant:quare nihil faciüt difpendii:multæ enim voces
sunt, quas nullus yn quam aut distorsit vsusaut, aboleuit. Aut si cor
crumpuntur,æque scireintereftnoftraea corrum pi.Quamobrem etCorruptibilium, et
Incorru ptibilium scientessumus.Corruptibiliumautem rerum corruptionem non
sequiturcorruptiosci entiænoftræ:hoc enim scimus nos,Corruptibi lia
effe.Idipfum igitur,quod est Corrumpi poffe, non interit, sed semper eiusdem
naturæ eft: fem per enim hoc habet,vtcorrumpiqueat. Quarti argumentisuperiorisprobatio
nes ab aduerfariis. Hæc sic expediuimus, vt exa ettius quartam rationem, qua et
Analogiam et Etymologiam tollunt, perpendamus:quare videndu prius est, quibus
vtantur rationibus ad confirmandu, Quum Analogia, inquiunt, fit æqualitas. quædam
secundum quam fimilia ducimus e similibus: vt, a Fructu Fructuosus: sic, a
Gestu Gestuosus: pri mum oftendere nituntur, quod non fitnccessa ria: deinde
quod nullo modo fit. Vtilitatis cauffa nou mode inuentus est sermo: magis
igitur refert,vtbre:. ! uis, et re etus, et simplex lit, quam longus, et va
rius: atæqualitas deducendi variatmulta:noni gitur admittenda. præterea Ab
eodem rerum ysu 2 reiicituræqualitas, eo nanque consilio muliebris mundus a
virili ornatu differt. itemq; in ædificiis Corinthia structura a Dorica, et
Thufianica, et Ionica longe alia est. Neque vero id ex artibus so lum conic et
ari,fed ipfa quoque natura late cospi ci potest. Etenim membrorum compagem
aliam atque aliam esse vsui fuit. Æqualitas igitur non folum non neceffaria
eft, fed etia officit. Quod fi quis ita dicat:non Vfum folum quæri,fed
Elega-porok. tiam quoque: is adhucintelligat, magisreiicien dam etiamnum similitudinem;
nihil enim pro pius fastidio,nihilelegantius varietate. Ad hæc, aut Artem
fequemur,aut Consuetudine: fi hanc, 3. nihil opus eft æqualitate.fed quæcunque
vsusug gerentur, ea nobis eruntfatis. Sivero Artē,ac prę çepta, vtæqualiter
omnia ducamus, pro insanis habeamur,nequeenim id fiat, vt quemadmodo Lupus, sic
Lepus fle ettatur, sed hoc leporis, illud lupi faciet. Non eftergo necessarią
Analogia. Quodautem nulla fit, fic conantur: Abestab Woh omnibus orationis
partibus: igitur nusquam est. Ac fane in Generibusnon eft: quædamnanque trium
vocum sunt,Humanus,Humana, Huma num: quædam duarum, ceruus, cerua: quædam singulis
contenta, A per. Neque ipsa Genera simi litudine vocum afficiuntur:canMartia,
et Sisen pa, diuerso sexu, eadem vocis forma sunt. Item eadem Genera vnica voce
confusa,atque ignota, vt,Passer,Aquila: quum tamen et ibi fæmina, et z hîc
etiam mas sit, Aț nenumerus quidem agno uit Analogiam: nam quamobrem non
dicimus Cicera,ficuți Farra? neque Olea, ficuti Vina? No enim re et e
responderunt antiqui,ob generum di uerfitatem in vino multitudinis numerum rece
ptum effe: quia aliud efset Chium, aliud Lesbiu, aliud Falernum: nam Ciceris
quoque valde sunt diversæ species, folio, Siliqua, Semine. In temporibus item
desideratur: quippe a Fleo, Fleui: a Sero, Seui: a Fero, Tuli: vbi a
diffimilibus fimilia, a fimilibus diffimilia orta funt. Item a Pafco: Paui; ab
Amasco non eft. ModiquoqueAnalogiæ im munes funt; multi enim carent, vt Forem.
Nec Figuræ ducuntur Analogia: nam quare diço Æ nobarbum: non Ænibarbum? aut
quareMagni loquum, noMagnoloquum?Quinetiam in deri uando ipfas
speciesæqualitatis nullam curam ha bemus.Siquidem a Boue, Bouile:ab Que Quile:
a Sue nihil ducitur. Et Bubulam dicimus: at ab O ue, Ouillam:a Scribo,
Scriptor: a Bibo nihil tale: fed cotra, a Bibo, Bibacem: a Scribonullum fimi 7
le.Itemin Comparatiuis,et Superlatiuis: clarus, clarior, clarissimus: similis,
similimus: bono, melior, optimus. Sic nequein Diminutiuis: A nus, Anicula:
manus, manuscula: a Pufione, Pu fillus: a Morione nihil. Quid quod ne Accentus9
i quidem ratio vlla eft fimilis? Etenim Hectorem, et
prætorem eiusdem formæ nominaalia et qua titate, et foni qualitate
pronuntiamus. Sed et ea dem nomina variis quatitatibusalias, atque alias 10 i
proles generant: a Lucco Lux longa,Lucerna bre uis. Immo etiam eadem
inconftantia in eadem voce deprehendetur: nequeid apud poetas so lum.Pharfalia,
Italia, Sicania:fed etiamcommuni ysu. Nam in lege fundi venditionis, Ruta.cæsa
ita v pronuntiabant prisci, vt prima vocalis produce retur, alibisemper
correptaesset. Quod fi non eft neceffaria:neq; est in acciden tibus partium:
quippe nonin Primariis, non in Deriuatis, non in Declinatis: immo in vno eo
demque inæqualitas: Analogia nulla erit. Argumentorum dissolutiones. HI,
quifese literature hoftes profiterentur, Can potuiffent a nobis ferri fane,
nifi pessimum tve facinus ausi effent. Neque enim solum caussas ra tionesque
proportionis tollere in re literaria, fed etiam totam naturam ipsam demoliri
videntur mihi. Diruunt enim æqualitatem et similitudinem, omniaque casui
subiiciunt: contra quam fa ciebat Plato, quietiam Nominum ac Verborum" )
ftatum, fexumquc naturæ certis legibus confta re, atque duci arbitrabatur.
Nosigitur vtrunque extreeue na quo na de PE lu I red 011 m tia ui LE te: 1
extremum tanquam vitiosum reiiciamus. Acdea cem quidem principes
rationes,quibusaliæ que annectuntur, scio a veteribus obfcure fimul; et
pluribus verbis inculcatas: quæ hîc tam clare patery, tamque ordine digestæ
funt:vt quod illi orationis fuco, nec fatis apta copia quæfiuere, id hac nos
serie, vt quam efficacissimæ appareant, confecuti videamur. Quibus vt refpondeamus,
paulo altius ordiendum eft. Fumit Naturam rerum omnium autorem,quæcunq; agat,
propter finem agere receptum eft:quare ne ceffario fit,vtcertum quiddam agat:
vndemem brorum, quæ in animalibus sunt, causfx, officia; opera luculentissimis
libris a nobis funt explica ta. Propterea vero quod interdum aliis, atquea liis
circumuenitur impedimentis ita, vt aberra re cogatur: quibusdam præventa
anguftiis non id agit, quod intendebat. Itaque homini aut addit fextum
digitum,aut tollit manum, aut de curtat crus, aut aliud quippiam eiusdem modi
monstrorum parit. Cæterum quia maxima ex ceparte reete opus suum peragit,
nequaquarn ci de elle operi,quod proponit, dicimus:neque iccircơ riaturam negare
debemus. Verum nonnulla re ete, atque ordine in lucem prolata deprauat Co
suetudo: quales funtii, quos vsusadegit, vti Val gii effent,aut Vari, aut
Compernes. etiam Cafus multum potuit, quo aliquis Claudicaret, aut Luf cus
effet, aut Strabo. Ætas quoque, atque imitatio detorsit pristinum quorundam
institutum, quo detraetianatura sua degenerarent. Quem admodumigitur vel
cafu,velvfu, natura aut per ce CE all 2 fe cy Pu liu T bo di 1 al 9 9 Herti NU
Pm edeme uertitur, aut immutatur, nequepropterea tamen naturæ opera neganda
sunt:ita non cantinuo Аnalogia, quæ natura
quædam vocum est, ficuti ureline desit, ab omnibus tollenda sit. Est ante
oculos KMC Phalaris, Dionysius, Nero, alia monstra: in his quo iustitiam, atque
animi moderationem deside res: igitur nusquam hæcerunt? Alexander rau
pparea cius loquebatur, obstipa ceruice erat; non a pri mordiis natalium
suorum, sed pædagogine qui tia distra ettus fuit a simplici illa regia indole.
Hominis igitur fuerar integritas, consuetudinis pra qua vitas. Species enim per
singula corpora propa gantur, inter quæ nullum formæ difcrimen in Ez,c uenitur:
ita etiam in verbis fit. Sicut ergo in natu utepi ra dedu et io triplex, fic et
in vocibus. Triplex autem ad modum hunc: propterea quod ea quæ tabe deducuntur
tribus diueria sunt differentiis:nam uliset aliquid dicitur effe diuersum ab
alio Forma, vt 2. equus ab homine. Aliud Materia, vt hic homo Col.ab hoc
homine. Aliud Accidente, vthic homo me sedens, ab se ipso stante. Quare in
vocibus quo ai que aliud erit nomen hoc, Homo, a verbo hoc, Pugro: forma enim
distant. Secundo modo a Leica liud nomen hoc homo, a nomine hoc equus: nuk
Tertio; aliud nomen hoc Homo, a nomine allal,hocHominis. Possunt autem ea, quæ
vel for milima, vel materia fola distant, etiam accidente um C differre:
vtHomoniger, ab Equo, et Homine Walbo: fic nomen hoc homo, et a verbo hoc Se
tout quor, et a nomine hoc equus diftabit accidente quoq, id efs lineamentis
elementorum. Itaq; et Quiam inflexione diftare poterut. Acquemadmodu eiuf Image
1300C ' s iterum eiufdem nationis viri duo, etiam fratres, etiam gel
mini, etiam pares facie, etiam colore,tamen ma nuum aut crurum flexu diffimiles
effe poterunt: neque tamen auferetur,quin duo peregrini inter se similes fint:
hoc enim accidens est. Ita in voci bus: Equus et lupus
convenient accidente, Lepus non conveniet: sed Analogia erit inter lupu et
equum quia cum lepus non est. Non ergo tolletur propterea quodinter lepus non
est: sed ponetur, quoniam inter lupus est, et equus. Sed cehabet suam cauffam
Lepus, qua desciscat, sequa turque aliam proportionem, vt faciat Leporis,
propterea quod Græci Dorienses ita et appella bant,et flectebant:quare generis
quoque Analo giam fequutus est Lepus Græcam, non Latinam Equi, ongu valtoers:
neque folum Lenusinde, fed vocis in re etto cafu lineamenta Latina fibi affum
psit, ut efset Lepus, sicut equus. Quare hoc etiam intererit analogiæ, vtaliis
atque aliis caussis par tim talia, partim alia sint. Neque enim quem uis
hominem decet “robur”, aut celeritas: qua re “robustum”, et celerem non
fequetur ea dem membrorum Analogia: at omnes Robu stos eadem, eademque alia
seorsum Veloces omnes. Si quem autem membrorum proporzio ne præditum
inueniamus, officio autem illiinu tilem: hunc casu, aut alio quo fato separatum
ab ea proportione iudicabimus, non propter vnum tollentes cætera omnia. Itaque fic
eftacutifsime Cornelas.cos inficiari Analogiam, nifiin quibusdampo nant: eftenim
Habitus prior Priuationenõ tempore, Bu pore, fed cognitione: ficut Affirmatid
Negatione. In
paucis non efle calu, in ceteris omnibus cofilio limilitudinis. Euenit autem
interdum vt deficiantur nomina proportioneilla, propterea 2 ) quod res ipfæ
deficiuntur: nam fexus et princi piis quibufdam, et officiis discreti
funt:itaqueal teri quod designes nomen, alteri non conueniat. Proprium fæmellæ
Nubere est: iccirco non tranlibis a fæmina ad marem ipso Participio, vt
tantummodo Nuptam dicas: vbi non tolletur Analogia, quia Doetum et Do et tam
dicas: sed ponetur iccirco, quia Analogiæ pars eft, sequi signi-» ficatum, alia
quoque quoque pars pars eiuseft, fcquiconcin-), nitatem: ficuti hominis
officium feruare deco rum.Ergo liquid scabrum critin deducto, maluit ars
abstinere: quum tamen natura non repugna ret. græci ovu Dwriavnominant finem
hunc,nos etiam Habilitatem possumus, non folum Con cinnitatem. Sic reiecta sunt
multa. For, Faux, Prex, Metuturus, Nutritrix, atque eius modi, ve fuppreffæ
potius ab vsu, quam negatæ a natura vocum sint. His legibusdiruuntur argumeta
omnia: Nam 67, friuolasatis sunt,quæ negant necessariam.Ac pri mum quidem
admodum ridiculum, quod breui tatis ratione tollendas curat inflexiones, quum
tamen per inflexiones tollatur ambiguitas. Aliæ quoque rationes nullæ
sunt.Varietas enim, quam, afferunt, nequaquam reiicitæqualitatem. Est etim
æqualitas interdum inter duo, propterea quod ipfa funt aliis inæqualia. ita
distant aqua liter duo triangula, ab vão quadrato:quia inter Ff j. sex fump !
inea fe æqualia funt: Acfatis eft,vt varietas fit inter speftatue cies,non
diuersitas in fpeciebus. res cis diner assertio etymologia che atque analogiæ
quidem ratio acnatura grelli sic constat. Etymologia vero et si in multis detur
obscura est, superque eadem voce alia alii visa: certa tantum tamen absft ut
tollenda sit, ut tam maxi- sæpe me fit investiganda, quam maxime latet. Quide-
quoc nim occultius veritate? at multis in rebus ca im- pica primis defideratur:
neque tamen quispiam tam dam. fitimpudens, qui eam neget. Nam qui semper niac
dubitabant Pyrrhonii, vel propter hoc id age bant, ne a veritate, quæ in altera
parte contradi- da,y u et ionis latitabat, aberrarent. Ita materiæ primæ natura
præterieratveteres omnes Philosophos, quæ donec a Platoneinuenta, ab
Aristoteleomoium Qu sapientum principe eruta eft in lucem. Quare itiu omni
opeatqueconsilio nitendum eft,vt ne plus ab i illa operæ latendo exigere, quam
nos inuestigan- que do ponere videamur. Que pri Quidde inceps agendum, quoque
ordine. V Ocum principia, causas, elementa, affeectiones, quemadmodum uniuersa
natura comprehenderentur, hactenus declarauimus: de 94 owo inceps ad ipsas
voces priuas cursus flectenduseft. Sic enim philosophus naturalia corpora sub
modi tu accepta deducit communi intellectione ad historiam singularium: cuius
exemplo nobis quoq; statuen Præp Prae nu. qu litt tra statuendum est, quo usu
privæ voces apud auto res circunferantur. Quumigitur quidam per or- reno dinem
Elementorumhoc profeffi fuerint, alii fumpto autore interpretandi munus magnis
di gressionibus contaminarint,vnusVarro mihi vi detur confultius fecisse, ut
verborum connexum. certa serie explicaret: alioqui diuersis locis eadem fæpe
repetasnecesse est. Verum enim vero ipse quoque M. Varro suorum librorum
initium auspicatus esta Temporis, Locique diuisione qua dam, perinde quasisub
vtroque,alterutrove om nia continerentur:ac non infinita pene fint,quæ in eam
partitionem vel reluctantia lint arceffen da, ut omitta particulas minores,
cuiusmodi sunt præpositiones, coniunetiones, interieettiones, quænullam habet
cum nominibus affinitatem: Quarelonge præstiterit a primariis vocibus in
-joset, itium fumere,atqueab his deducerecæteras, quæ ab illis ortæ sunt. verum
inter casce primarias quum quædam steriles sint, ut interiectiones, et
præpositionum, ac coiunetionum maxima pars: quædam sintgenetrices, quæ aliasex
sesepariant: primo quoque loco tractare steriles decet, quæ nullam cum cæteris
habent coniunctionem. Et quoniam non omnes voces elementorum similitudine aut significati
cohærent affinitate ne quaquam absurdum fuerit, si interdum in contrarium
transeamus. Neque enim qui de motu dixerit, de quiete quoque non
poffit loqui. Advnum fignificatum cætera reducenda, Ff ij. Vnum 448 Ių L. Num
pterea quod fignificatorum similitudoyni eidemque voci attributa fæpius est,
aut fcriben tium autoritate, aut prodentiam curiofo iudicio; principem omnium
fignificatum indagariopor- a tere cenfeo,ad quem,tanquam ad tesseram,signa que
cæterasreducere legiones: sed propofitis sem per caussis,sine quibus tam
stultecredimus,quam arroganter profitemur. Nam quum hoc inter pretandi munus
Vlu, autoritate, ratione con itare'dixerint: lane intelligendum est, vsum sinę
ratione non semper moueri, veluti si atpirat trophæum, et Anchoram, quæ leniter
a Græcis aliis uproferuntur, Atheniensium exemplo sciamus fa P Etumesse.
Autoritas vero quid aliud, quamVfus eft?Nam quodautore M. Tullio dicimus, ex
cius 1 vsuid habemus. Atfi ab vfu recedat, tum vero auctoritas nulla est. Quare
etiam Cæcilium reprehendit Cicero, etiam M. Antonium, qui tum aliter, quam ex
vsu loqnerentur. Ad
rationem igi, tur, quoad fieri poterit, erunt hæc reducenda, e tu C Nonrecte
z'ni vocifignificatorum multitudinema a veteribus assgnatan. ForVerunt antem do
ettissimi, multarum quelite rarum viri, qui propterea quod niinis mulca variis
observationibus comporta sciuissent, multa item significatorum monstra unicidem
q. Voci designarunt. Quoru in opera tantunabestveca moda sit, ut maxime etiam
libria duerseturinleria ptioni. Nam specioso titulo de sermonis proprietate
edidiffent, nihil minus quam quod pro fitebantur, effecere. unius nanque vocis
vnatan tum sit “significatio propria”, ac princeps. cæteræ aut communes,
autaccessoriæ, aut etiampuriæ, non enim ab reidem verbum adiecit vfus Nominibus
diversorum significatorum, sd quia co rum natura conueniebat, sic dicimus
Scindcre vallum: Scinde re adamantem non dicimus. Non enim natura fert. Ac verbum
quidem pristinum recipit significatum sed non cohærent. Non igi tur potuit
mutari significatum huius verbi, in ca verba quæ cum adamante convenire
possunt, puta tundere. Nam dicimus, scindere in lue tu togam; ergo erit hoc
loco idem scindere, quod Lugere: et scindere vallum,erit, Castra occupare. Ita
que male plurima sic ab illis distorta funt, quæ a nobis in libris O. iginum
certis appofitis cauffis correeta fuere. Nam quis putarit verbum hoc Potiri,
idem effe quod Condi? propterea quod poetæ versus est, Potiuntur Tybridis
alueo, fic Subigere, acuere, et stringere, percutere, et spectare, Dirigere: et
ventus, odor, et alia innumera, quæ omnia longe accuratius ad sua quæ que
principia reducenda fuere. Est autem viri et
boniet sapientis non solum alienos errores de tegere, atque arguer sed etiam
rationes suas atque consilia aperire. Quare quo sitindagandum modo,
sicinftituamus. Si Condi, SIGNIFICAT Potiring loco verbi Potiri ponatur verbum
Condi: fipatitur sedes, bene est: si non patitur, non significat. Quis igitur dicat, Conditus sum libro? Et Conditus sum Turdo? et Conditus
sum Ense? Item
si Premere, Defodere est: dicamus igitur Fossam premere. Sic, Premere, Tegere
significat: igitur Colo premi, dicamus nos, quos non attingit tamen. Nolo nunc
duciper omnia, quæ suo loco in originibus exactis fime persequuti sumus: sed
satis lit icciffe fundamenta scientiæ tibi, more principis nostri Aristotelis,
cuius sapientiæ luce grammaticorum tenebræ discutiantur. Scaliger''s main essay on language is his “De causis linguæ latinæ,” a
grammar he wrote for his son Silvio, and which was published by Grifio. There B.
tries to establish a philosophical basis for a science of grammar. B.
approaches his subject en philosophe. In order for logic to qualify as
philosophical logic has to deal with eternally true and necessary analytic statements
about a language such as Latin or any system of communications that a Roman
used to communicate with another Roman. This is a problem which confronts
speculative grammarians like Bordoni or Grice. Bordoni tries to establish the ‘cause’,
or four causes of language, because in an Aristotelian context, a cause (causa,
aitia) is that which always and by necessity brings about one specific
‘consequentia’ or effectus, or result. The discussion of the cause normally
centres about the central passages of the “Physics” and the “Metaphysics”. In
the grammar for his son, Bordoni does not devote much space to the discussion
of the nature of ‘cause’. His philosophical presuppositions remain for the most
part implicit. Thus, in order to understand more fully his philosophical stance
on single problems, it is necessary to draw extensively on his other essays as
weIl, especially those he did not write for Silvio! The ‘formaI cause’ (causa
formalis) of language is traditionally identified as ‘significatio’. It is
clear, therefore, that ‘significatio’ poses a series of problems which involves
not only language. The most fundamental ontological and epistemological
problems are clearly at stake. A fundamental essay from which discussions of ‘significatio’
arises is a passage from the beginning of Aristotle''s De
interpretatione: “Now a spoken sound is a symbol of an affection in the soul.
Of what this is in the first place a sign or symbol – the affections of the
soul -- is the same for every man. Of what this affection is a likenesses – a
thing –is also the same. If an expression ‘signifies’ an affection of the soul,
or through an affection of the soul, we must know how the latter relate to the
thing in order to be able to account for the full process of ‘significatio’.
Central problems will be B.’s ideas on the nature of the universale, on the
conception of individual phenomena, on individuation, and on the agent
intellect. We find useful hints of B.’s position scattered in many of his
essays such as the commentary on the Hippocratean De Imnsomniis, the dialogue
on Pseudo-Aristotle De plantis, and in the commentaries on Theophrastus''s
botanical essays. The most important text is, however, the Exotericoe
exercitationes, where a section is devoted 'to a series of problems concerning
the soul. The Italian scholar Paganino Gaudenzio is rather sceptical about the
value of these exotericoe exercitationes as a source to Bordoni’s thought.
Gaudenzio thinks that the work was too marked by Bordoni’s polemic against CARDANO
(si veda), which occasioned the essay. Gaudenzio was scandalized by sorne un-Aristotelian
views of B.’s, and he tried to dismiss the essay as being not seriously meant.
1 do not think him right in doing so, although I do admit that it can be
difficult to use Bordoni’s “exotericoe exercitationes” because its choice
of subjects is determined by the polemic, and also because the language is notoriously
obscure. Our senses are immediately presented with the singular and material
thing. What we sense, however, is not the substance or essence of a concrete
phenomenon, but its accidents, such as its size, colour, position, or its
number. The intellect removes these accidens, and what remains is the essence
(substantia), i. e. the species universalis which is therefore in
sorne sense produced by the intellect. B. does not take this to its nominalist
extreme of calling the species or the universals exclusively a mental phenomenon.
He gives an ontological status to the two. ln order to solve the problem of the
nature of the' universals, B. briefly analyses a passage from the Analytica
priora, and concludes that an universal is a thing (res) whose nature it is to
be predicable about many things. A universal do not exist in the soul. A
universal is discovered there rather than created. What the soul does to an
universal in turning it into an affection of the soul is merely to make the
universable predicable. Intellectus autem nihil affert nisi proedicabilitatem. The
ontological foundation of the affection of the soul thus remains pronounced. In
support of his view B. quotes a passage from the “De anima” where Aristotle
says that a universal (“ton kath’olou”) exists in the soul somehow (“pas”). Had
Aristotle meant that a universal
actually has its only existence there he would not have used the word “pas”.
B.’s attitude is not identical to any of the great medieval schools of
thought, but it does recall the common natures of Duns Scotus, which were
actualised by the intellect as predicable universals. This sort of fundamental
Scotism was by no means uncommon i n the sixteenth century, and ought to
cause even less surprise in B., who claims to have spent sorne years in a
Franciscan monastery, and who had prefaced and index to Duns Scotus with a
laudatory poem. One should not, however, unduly stress the Scotisi aspects of
Bordoni. Athough it is a conspicuous trend in his thought it is but one amongst
many. For instance in connection with the universal he here and in several
other conneçtions used the phrase “res uniuersalis”. This is an unusual usage of
“res”. One would rather have expected “aliquid” or the like. It could perhaps
best be understood in connection with the terminology which came in after
Valla''s Dialectics, where res replaced ens, aliquid, and several other
scholastic terms. Also in the De causis linguae Latinae we meet res used for
universalis and even for accidentia. This is not an obvious usage for a
man who, like Bordoni, was a moderate realist: he did not ascribe a separate
existence to the universals ante rem, only a real existence “in re”. Points of
view akin to the one outlined above are found not only in the “Exotericoe
exercitationes”, from the last years of B.’s life, but also in his earlier
writings. A corresponding attitude is for instance expressed in the commentary
on the Hippocratean De insomniis. Regarding species as a predicable
or a universal as Bordonir does was a Platonising interpretation of Aristotle
which stems back to Porfirio. This interpretation created serious problems
within the Aristotelian system. How can two single individuals of the same
species differ, and how can they be grasped by the intellect if at all? This
set of problems underlies a wide range of metaphysical and logical discussions and
it would be pointless to give even an outline of its importance here, but we
cannot avoid a presentation of B.’s views on individuation and of the
intellection of singular material phenomena. According to B., Averroes assumes
that there is one intellect for the whole of humanity, and that it cannot grasp
the individual phenomena. In Italian Renaissance Aristotelianisrn, the unity of
the intellect is a standard topic of discussion. B.’s interest in the subject
probably reflects his Padova days. Averroes was held to believe that the
intellect assumed the form of the thing intellected. Bordoni points out that to
Averroes the intellect does not realiter become res intellecta, but only modo
similitudinis et receptionis, although he in other places ascribes the more
radical view to Averroes, and he also ascribes it to Cardano. According to B.,
Aquino also rejects the intellection of the individuals, not because of their
materiality, but because of their, individuality. This is hardly in accordance
with modern readings of Aquino but it seems to have been communis opinio.
Zimara bases his De primo cognito on a refutation of what he saw as a
nominalist acceptance of the intellection of the singulars simpliciter. The
arguments used by Zimara, one of the men whom Bordoni quotes as his preceptors
in the epistle to the reader prefixed to the Exotericoe exercitationes, are
listed as either Scotist or Thomist. A thing is considered incompatible with
the intellect because it is respectively, material and singular. These are the
same reasons which Bordoni ascribes to Averroes and Aquino. For B. the matter
is clear. We do perceive the individual in our intellects. They are indeed the
first things perceived by it. If this were not the case, he continues, a
proposition like “Caesar est homo” would be devoid of sense. To the objection
that the individual only per modum is distinguished from the species, he
responds. Now listen: This Caesar who is writing this, is something different
from the universal nature of man; therefore, it is necessary that Caesar is
intellected as differing from the universal through some particulars. Therefor,
the singular is intellected. Bordoni proceeds to argue that the higher
faculties have a more perfect cognition than the lower ones, and therefore
the intellect is bound to have cognition of the singulars of which the senses
have perception, for the intellect is a higher power than are the senses. This
is very close to the traditional Scotist argument in favour of the intellection
of the singulars. Again it is interesting to see that this was a constant point
of view in the works of B. In the commentary on the De insomniis he
says. Therefore, if the intellect grasps the universals, it also has
knowledge of the material things. This opinion was expressed forcefully enough
for B. to be quoted for it several times in later academic literature
(Pomerano). In the section of the Exotericoe exercitationes with which we have
been mainly concerned, we were still left in the dark as to what constitutes
the individuating principle. Another section, however, provides us with a clue.
It is entitled “De principiis naturre indiuidure”. Anima is the individuating
principle of the human being. B. does not say so in so many words, but thus it.
becomes clear that “forma” to him is the individuating principle, since the
human forma is anima. This would seem to pose more problems than it solved, for
the “forma” is that which makes a thing be what it is. It is its common nature
or universal principle, and hence it should really be the “forma” which requires
individuation. B. is obviously not very precise here, and although he uses the
term individuation, he probably does not want to commit himself too
unequivocally to Scotism by introducing the haeccitas, which is formally
distinct from the soul. But even so it seems clear that for B.’s contemporaries
this was accepted as a Scotist approach. Nifo, for instance, another of the
philosopher B. identifies as his preceptor, specifies as Scotist his thought
that the soul is irreduceably individual in itself, and that it is in its own ·
right an individuating principle. The same vaguely Scotist attitude can also be
detected in the section of the Exotericoe exercitationes which is called Quid
sit intellectus. There we read. Thus we see that there are several notions for
one and the same thing. We calI them formalitates. This is seen as a barbarism
by those who are themselves harbarians, but for the learned it is not an inapt
term. Admittedly the idea that one thing could hring about various notions is
rather more nominalist than Scotist, and the Scotist would altogether have
described the formalitates as having a higher degree of reality, but even
so the provenance of B.’s ideas on individuation seems clear. We now know that
an individual phenomenon is first to he perceived by our senses, but it is also
grasped by the intellect before it proceeds to denuding it of its differentia
in order to make it into species. In this function the intellect could be
called intellectus agens, nous poietikos. If one assumes that a universal is
created in the intellectus materialis (or possibilis, or passivus – nous
pathetikos), B. says, there would indeed be use for an intellectus agens. If,
on the other hand, one does not believe that the intellect actually creates the
universal, it is superfluous. Either one can say that the intellectus
agens both recognizes the singular and through the process of ‘abstraction’ cornes
to recognize the universal, or the other way round, one might say that the
material intellect can have a facultas diuidendi, componendi, separandi, and
colligendi. Therefore the agent intellect will not be necessary, where the
material intellect is, or it will exist on its own without the material intellect.
Thus there is no real distinction between the two, but B. does permit a
distinction ratione or ui by insisting that the intellect is but
one according to its potentia, whereas it has several uires. Aiso B.’s
preceptor Nifo rejects the Thomist idea that the soul had several protestates
(the structure power of the soul). Thus Scaliger once again recalls Scotist
terminology. B. states his views on the agent intellect very strongly, even
suggesting that the notion is ridiculous, and this becomes the object of much
attention in the generation immediately following B.’s. Thus Goclenius
discusses the problem in his “Aduersarium”. An sit necessarium ponere
intellectum agentem. And Gaudentius is positively scandalized at the thought
that a man who wanted to pass for an Aristotelian could hold such opinions. The
agent intellect, which which Aristotle deals very earnestly is being attacked by
B. as superfluous, nay ridiculous. B. takes the same attitude in his commentary
on Pseudo-Aristotle’s De Plantis and also in the commentary on Theophrastus's
De causis plantarum. As an introduction to his discussion of the “diction” in
the “De causis linguae Latinae”, B. provides a summary of his epistemological
views. Most of it should be self-evident after the discussion of the
Exercitationes exotericoe on the same subject. The “De causis” is far more
jejune and far less explicit, but none of the information there provided,
seems to contradict our findings. In the Dè causis, however, B. takes us, also
briefly, from the epistemological level to the level of language. We have the
intellection of the species in common with other animaIs, but we distinguish
ourselves from other animals by our rationality (“prudential”, “consilium”),
whereby we participate in God. The rationality can only be perpetuated
socially, by the process of learning and teaching. Therefore language is
necessary. Reading the De causis one might weIl wonder why language is necessary
at aIl. Every affection of the soul as weIl as the thing it reflects are
identical for every man. If an expression ‘signifies’ an affection of the soul,
language is really only an instrument for communicating what is already
perceived and intellectually grasped equally by everybody. We would, according
to Apel, be metaphysically guaranteed to say the same things about the same
shared world. Bordoni’s answer to this would be that the “finis orationis” is
not only naming an affections of the soul. It is an interpretation of the soul.
The soul does not only perceive the singular and grasp the universals, two
objective processes. It is also discursive and combines them in complexa,
which in turn can be compared with the external world. The relationship to
truth is that which makes language significant. The relationship between an
affection of the soul and a thing is far closer for B. than the arbitrary
relationship between an expression and the affection of the soul that it
signifies. An expression of the soul does not ‘signify’ at all. ‘Significare’
is never used about an affection of the soul, nor is this affection ever called
a “notum” in the way an expression always is. Only an expression ‘signifies,’
and it seems to be clear that an expression signifies an affection of the soul.
This last statement is nothing special; for even the nominalists has to make
use of an affection of the soul for “significatum”, when e. g. a universal is
concerned, although they generally assume that an expression signifies a
singular and material thing directly. It therefore cornes as a surprise that
throughout his essay on the causes of the Latin language Bordoni clearly and
unambiguously states that an expression signifies a thing (res). The mental
intermediate level is practically entirely left out of consideration in the
discussion of the Latin language and its causes. For instance an expression
follows directly the nature of the thing. In the same way as an expression is a
sign of a thing, it also imitates its nature. In sorne places B.
explicitly excludes influence from an intervening mental level. Consequently
amabigous nomina do not exist, for in the real world (in rebus) there is no
intermediate between that which I have called an adjective name and a
substantive name. Hence there can he no intermediate lzomen. Even if we
remember that for B. “res” could mean far more than just a physical thing, this
leaves the mental process completely out of the picture as far as language is
concerned. At the risk of explaining away what might only he a banal
inconsistency, I venture to propose that B. did believe that an expression
signifies an affection of the soul, which in its turn is a ‘re-flection’ of the
res, but that the mirror of the intellect is so perfect that the mental level
becomes superfluous when one talks about the matter. We have seen that the soul
neither adds nor detracts from nature. The soul arrives at the universals
through abstraction. B. is close to the entirely objective relation between
mental term and extra-mental phenomenon which Nifo maintains in his Dialectica
ludicra. When he says that “nomen significat rem” or the like, B. is not
therefore talking as a nominalist, although sorne philosophers did maintain
that an expression refers directly to a things. On the contrary 1 think that
Bordoni uses a shorthand expression possible only for a realist. Leaving the
mental level without any importance in language B. notably disances himself
from not only the realist modistae, but also from their nomilist opposers/
followers, who reinterpreted the” modis ignificandi” iriio “modi agenda” of the
intellect. Here Bordoni breaks radically with Aristotelianism, including
Scotism. B. is not, however, the only one of his time to do so. Nifo explains
this tendency more fully in his Dialectica ludicra where he sets out to prove
that there is no such thing as a
“natural” “sign”. Not even the affection of the soul signifies naturally, for a
notion is received objectiveIy. Hence there is no formaI causal relation
between the singular material thing and the notion. This is not dissimilar to
Aquino’s idea that the a notion is a “similitudino”. The affection of the soul
is itself something signified (signatum); the affection of the soul does not
signify (signans). It is clear that Nifo can deprive the affection of the
soul of signification because of the objective relationship between the
thing and the affection of the soul, an approach which is very close to the
restricted function of the intellect as set out by B. The tendency in philosophy
had been to underline the function of the affection of the soul in the process
of ‘significatio’, and both Scotists and
Averroists therefore stress that an expression admittedly signifies a thing,
but through an intermediary abstract ‘concept’. We occasionally find this
attitude reflected in the De causis as weIl but on the whole this seems to be
overruled by B.’s practice, where he is closer to Nifo. However, although an
affection of the soul itself does not not signify, it is still in exceptional
cases considered as the “significate” of expression by Bordoni. He does not
always insist on an expression merely signifying a thing. Having recourse to
the mental level seems to have been B.’s ultimate resource when the more simple
approach was not viable. I will consider the following passage. Somebody might
object. An apparent substantive name – like phoenix -- which is a name of a
figment of the soul, is not an expression. For ‘phoenix’ – or “Pegasus” is not
the sign of a thing. It should be understood as follows. That which is called an“ens”
sometimes has true being, e. g., God, sometimes not.. The latter case can have
two forms, either “privation” (negation) or fiction. The apparent expression
“vacuum” (as in ‘this name is vacuous’) is an example of privation. The
apparent expression ‘phoenix’ or ‘Pegasus,’ as in Bellerofonte mot ail cavallo
alato Pegaso’) is an example of fiction. The apparent expression or name or
substantive name of this thing (ens vacuum, ens phoenix) does not signify in
the same way as ‘God’ signifies God. Privation or negation signifies through
the category of having. (“I am not hearing a sound”, “This not not red; it is
green” – as a bird has wings and flies, so does Pegasus, the Greeks believed). It
is easier to understand a figment – simple like ‘phoenix’ or complex like
‘squared circle,’ or ‘winged horse’, for they are a sort of false enunciations.
For ‘phoenix’ is the same as this enunciation, ‘This ia a bird resuscitated on
account of itself. This horse flies, and Bellerophon rides him. “Vacuum” is
described in practically modistic terms. “Per modum privationis” significare is
not written explicitly, but aIl the elements are there. This involves a concept
of a mental process which cannot be derived from Bordoni’s own epistemology. ln
order to explain how Bordoni sees the ‘significatio’ of ‘phoenix,’ Luhrman
paraphrases perhaps inadvertently the nominal phrase ‘phoenix’ to the full
utterance, ‘phoenix est avis rediviva sui causa”. Thus he obtains an utterance
and a proposition which can he either
true or false, but this does not help us with this rather obscure passage.
Bordoni does *not* equate or associate the vacuous name ‘phoenix’ with a
proposition, but with Bordoni calls a “complexum indistans”. “Avis rediviva sui
causa” – cf. ‘equus volans”. Bordoni confuses two problems here, that of ‘significatio’
(connotation) and that of truth (denotation). This cannot be dismissed so
easily as this. It is worthwhile recalling the commentary of Averroes on De
interpretation, where he states the generally accepted view that an expression
(alpha, beta) on its own is neither true nor false. Only if we add the copula
''is'' (the S is P, the alpha is beta) or '' is not'' can one talk about truth.
Averroes continues. “And therefore, when we say that a ‘chimaera’ (goat-stag)
cannot eat secondary intentions, we signify something true—for it is true that
a chimaera does not eat secondary intentions – quaestio subtilissima. Bordoni's
preceptor Zimara deals with a related problem in his best-selling “Solutiones
contradictionum”. Zimara claims that in one way, the formation of the intellect
is always true; that is by the first operation of the intellect. In a similar
context in the Exotericoe. exercitationes Bordoni says. Ffr that which is
understood by the intellect is always true (“It is true that the Greeks
believed or conceived of Pegasus as a flying horse”). In another way, however,
the formation of the intellect, when negated in an utterance, is true (“It is
true that Pegasus does not fly”), because, as we nave seen, uerzcas can only oe
eSIaOllsnea Inrougn an “adaequatio rei”, which involves “composition”
(conjunction of properties: equus volans) or disiunctio. Neither of these two
ways of regarding truth allows of
declaring phoenix a lie. Sorne light can be thrown on this contradiction in
Bordoni by looking at the central passage in the Metaphysics where Aristotle
discusses the ways in which falsitas can be said, i. e., not a philosophically
unambiguous term, but the usage of the term in Greek, although Aristotle takes
it for granted that all the ways in which ‘falsum’ may be said are equally
adequate instances of ‘falsitas’. What is important for my purpose is that
Aristotle in one section ignores or underestimates a ‘statement’, an
‘utterance’, or the content of a desire or a belief in favour of a states of
affair which he groups with under the category of a thing that is not as it
seem, as false, a thing. Averroes says on the same locus. ‘’Falsum’ is also
said about a fictional thing which is imagined according to their not having
existence, or not being at all. And this sort of ‘falsum’ has to do with
intellection and primarily with desiring or believing It must be a
‘falsum’ of this kind which Bordoni has in mind, although this is difficult to
explain without ascribing a greater independence to mental operations. Bordoni
is likely depending on a passage like the one from Averroes than on scholastic
quaestiones on figmentum. This is reinforced by his choice of the example
‘phoenix’, which usually exemplifies a species or set with only one member in
it (hence it grows capital letters, as Strawson says). The example of a figmentum is usually either ‘hircocervuus’
(unicorno) or chimaera (goat-stage), cf. sirena, centauro -- which
are more complicated to account for than the singular ‘Phoenix’ or ‘Pegasus’
(‘Vacuous Names’). However, allowing that Bordoni means what was usually meant
by ‘chimaera’, there is some traditional sense to be made out of this passage.
ln one other instance Bordoni has to take mental operations into consideration.
That is when he discusses what was traditionally known as suppositio materialis
(the use-mention distinction). Scaliger never uses ‘suppositio’, and he is
refreshingly untechnical on the subject. ln sorne places he is, however,
reminiscent of logical terminology. Bordoni’s explanation of material
supposition corresponds to his description of the mental auto-reflection on an
affection of the soul. Thus we see that Scaliger does explicitly acknowledge
mental operation in the De causis linguae Latinae in sorne special
circumstances, although it on the whole is of less than secondary importance to
him. I do not deny, therefore, that a mental level exists in Scaliger''s
epistemologically based concept of ‘significatio’. My point is rather that the
functions which Bordoni ascribes to the intellect are so limited that he can
most often ignore them in practice. B.'s indifference to the mental operations
has sorne linguistic consequences as weIl. He has a.preference for the
expression ‘significatum’ (cf. implicatum, implicatura) rather than ‘significatio’,
‘implicatio’). And it is remarkable that he does not seem to mind whether
‘significatum’ gets confused with ‘significatus’ (‘signatus’,
‘signatum’). Bordoni quite often uses forms where the two co-incide, without
giving any indication of which of the two he means. When discussing homoym,
paronym, and synonym, Bordoni says: Nam pro-fecto ut inre non sunt eadem
(eequi-voca), ita nominis *significato* alio atque alio sunt. Itaque sic vere possis dicere. “Canis non est canis.” Id es, res coolest is
non est res terrestris. At nomen et materiam habet ipsas literas, “C”, “A”,
“N”, “I”, et “S”, et formam, id est significatum. Ergo “canis coelestis” materiam
eandem habet elementorum quam canis terrestris. Formam
autem, id est significatum, non habet. Ergo non est idem nomen (costellatio
canis caelestis). The two places where Bordoni writeso “significatum” he seems
to be thinking of the relaterd (but distinct) form of “significatus”. It would,
syntactically, have been at least as correct to have ‘significatus’ (or
‘significatum’) nominative case (casus rectus, not casus obliquus) in the two
instances – in which case the nominative forms ‘significatus’ and ‘significatum’
are different. When Bordoni has ‘significato’, this expression seems is a
declined form of the nominative “significatum”. But this would makes but little
sense. As Pattison notes, it would amount to saying something very otiose if
not nonsensical. Just as two 'homonyms, say, ‘dog’ and ‘dog’, are different in
the real world, they are not the same in the real world. It make more sense to
read ‘significatu’, the declined form of the nominative neuter noun
‘significatus’ instead. The same is true of another passage.
Proprium autem quorundarum prae-positionum est ut *significate* uarient.
Prepositions (like “on” the table), being con-significantia, do not strictly
have a significatum at all – even if “See Strawson under Grice, and Grice
on Strawson” does – or Pears is between Grice and Strawson. With the case of
‘on’ or ‘between’, ‘significatu’ or ‘significatus’ (cf. conceptus) would have
constituted a more understandable text. – cf. the conception of negation. My
intention is not, however, to propose emendations ot the text, but to show that
Bordoni is practically indifferent to any distinction between ‘significatus’
(conceptus – incuding figmentum) and significatum (signatum – what affection of
the soul is behind the expression ‘phoenix’?). A rather dramatic consequence of
the objective relation between the extra-mental world and the corresponding
mental concepts. Bordoni’s ‘significatio’ makes it very difficult to explain
contextually changing usages of a word. Each varying usages must reflect a
different affection of the soul. Two different uses of an expression must
therefore be considered as two different dictiones, which only accidentally
have the same ‘matter’ or form. This is standard in the modistae, but Bordoni’s
‘significatio’ becomes even more rigid and static because of the limited role
he ascribes to the mental operations. Not only does he ignore theories of
supposition, which involve words changingaccording to context; he rejects the
possibility explicitly by telling us that discussions of sermonis proprietas
are cOlnpletely misguided, because words have Ollly one signification
(Scaliger). This make it very difficult to acc() unt theoretically for the
philological discussions of the niceties of usage. That was also a sort of
proprietas sermonis. Bordoni unhesitatingly gives use precedence over rationality
in lànguage, when confronited with the problem, but his theoretical discussion
of use remains fundamentally incompatible. with his concept of ‘significatio’.
A discussion of the concept of usus will, therefore lead to far away from the
theme of this, and it must here be left as a hint at the range of Scaliger''s
eclecticism. Arist., Phys. Met.te Scripsimus autem desumptis a philosopho
principiis pro confessis quod in omni scientia fit infmore» -- where he
discusses criticism of the De causis. Arist. / nt. 16-3-8. Gaudentius. For
a modern discussion of Scaliger's relationship with Cardanus see Maclean. Te ita et naturre opulentia et Aristotelis opibus euincam esse in natura
res universales piuribus communicabiles. te At intellectus nullam facit
substantiam. Neque cum abstrahit circumstantiam quicquam addit de suo... sed
agnoscit eandem esse in utroque, quia utrique communicabilem et iam
communicatam. Bordoni is clearly and often explicitly anti-nominalist.
For Bordoni’s stay in a monastery cf. Billanovich. The poem is in de Fanti. Ad
hrec uniuersalia in materia sunt. Sunt enim unum in multis. Nam idearum
figmenta non admittimus». It is worth noting that Bordoni does not agree with
Zimara who says. Unde, sicut mea fert opinio, sententia peripateticorum fuit
quod intellectio singularis materialis repugnat intellectui, ut intellectus
est, non quatenus singulare, sed quatenus materiale est. Sic erat
respondendum: in rebus singulis esse multa suapte natura qure unum fiunt ab una
forma: ut esse, uegetari, sentire, intelligere. Hrec omnia ab una anima unum
fiunt in homine. Sic uidemus eiusdem rei diuersas esse notiones quas barbare
quidem barbaris, sed non inscite apud doctos formalitates appellabamus. See Poppi for-a discussion of the Scotist doctrines on formal distinction
at Padova. Bordoni’s thoughts are very similar to the notion of the immediate
contact between the intellected object and the passive intellect which
Achillini was noted at Padova. Bordoni’s thoughts are very similar to the
notion of the immediate contact between the intellected object and the passive
intellect which Achillini was noted for maintaining. Perhaps more interesting
here is that Nifo and Bacilieri also nurtured such ideas. Bordoni does not,
however, completely reject the existence of the species intelligibilis. Rationality
is the traditional Aristotelian differentia of the human being. Luhrman sees a
dependence on PICO (si veda) in the use of “divinum”. The idea of the divine
participation of the soul is general neo-PLATONIC doctrine and can hardly he
identified with Pico specifically. It is worth noting that Bordoni does not
make the human use of language an argument for the divinity of the souI. This
would have brought him far closer to the language mysticism of Pico. Veritas in
oratione est, non in uerbis priuis. When Scaliger talks about materiam, formam
and qualitatem significare: about substantiam significare and about actionem/
passionem significare, aIl these concepts are also res, not with a separate
existence, but nevertheless with a real existence. E. g. Hieronymus Pardo, who
took up the nominalist argument that the assumption of an intervening concept
would lead to Infinite regress: cf. Ashworth 1974: 43. (20) Averroes in
Aristotle, Zimara (Contradictiones), commenting on the De anime III textus 21
and 26 = r 6. 43Qa26 sqq. and 43{) b 26 sqq. (22) Kirwan Averroes in Aristotle,
Met. V, textus 34: fol. 141. The chimaera not only poses a problem of truth,
but as a true figmentum it exemplifies that which it is impossible to
comprehend, in the sense that it signifies something which has the essential
characteristics of “lion”, “woman”, and “dragon”. That Bordoni does not use the
chimaera here is so more remarkable as he did know why ‘chimaera’ is a
complicated example. As it is described in Bordoni’s exercitatio on which
Goclenius comments. Ac aliquando sine hac specie
intellectus intelligit, nempe cum intellectus recepta species exsinuat se ipsum
et speciem ipsam intelligit. Id est ipsam speciem cognoscit esse rei
notionem, non autem rem. Hzc intellectio est animi action. I cannot therefore
entirely agree with Stefanini in calling Scaliger “a modest mentalist”. For
signification is the forma of a word, not something separate from it. Est st
enim forma dictionis signification. -- intelligibilis. -- the he
human him. Sgnificare nevertheless of and exemplifies which: know
3v.,:: species rei. 1cannot therefore entirely agree with Stefanini
in calling Scaliger te mentaliste ». ACKRILL [alievo di Grice a St.
John’s] Aristotles Categories and De interpretatione, Translated with. Notes
and Glossary, Oxford, Oxford University Press. ACKRILL [alievo da Grice a
St. John’s], Aristotles Categories and De interpretatione, Tr. with. Notes and
Glossary, Oxford. JENSEN: Scaliger''s concept of signification
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