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Tuesday, January 14, 2025

GRICE ITALO A-Z A AR

 

Grice ed Arangio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del colloquio – la scuola di Napoli – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “We have Flores, we have Ruiz, we have Enriques – reminds me of Alan Montefiore! I like Vladimiro Arangio – my favourite is by far his philosoophising on Socrates’s ‘Sofista’ – he distinguishes between what he calls ‘Socratic dialogue’ (mine) and ‘dialogo sofistico’!” -- Vladimiro Arangio-Ruiz (Napoli) filosofo, grecista e accademico italiano. Fu il primo preside del Liceo scientifico Alessandro Tassoni di Modena, istituito a seguito della riforma Gentile.  Nacque da Gaetano, professore di diritto costituzionale. Frequenta a Firenze il corso di lettere nell'Istituto di studi superiori e si laureò con una tesi su Il coro nella tragedia greca in letteratura greca con Girolamo Vitelli, filologo, grecista, papirologo e senatore del Regno d'Italia.  Vladimiro appartenne a una illustre famiglia di giuristi: il fratello Vincenzo Arangio-Ruiz fu uno dei maggiori studiosi di diritto romano, ordinario all'Napoli e alla Sapienza di Roma. Contravvenendo alla tradizione di famiglia, Vladimiro preferì dedicarsi agli studi filosofici e fu professore alla Scuola normale superiore di Pisa e alla facoltà di Magistero di Firenze.  Insegnò nei ginnasi di Stato e fu ufficiale d'artiglieria nella Prima guerra mondiale dove venne ferito. Si laurea con MARTINETTI (si veda), discutendo la tesi Conoscenza e moralità. Sente fortemente l'influenza del filosofo MICHELSTAEDTER (si veda), esponente importante della filosofia europea, del quale pubblicherà i saggi.  Si propose una funzione critica ricostruttiva  dell'idealismo storicistico e dell'attualismo di Giovanni Gentile da cui trasse ispirazione per sviluppare il suo "moralismo assoluto". Contrariamente alla dottrina gentiliana che dichiarava l'attualismo coincidente con la "vita dello Stato", Arangio Ruiz credeva che invece fosse identificabile con il comportamento morale individuale poiché la politica non è che un aspetto particolare della legge morale per sua natura universale.  Fra le sue opere si ricordano. “Prose morali”; “Umanità dell'arte.”  Il Liceo "Tassoni" tra storia e innovazione.  Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti in Meroi, «Carlo Michelstaedter» in Il contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.  Ricostruzione filosofica, in Arch. di filosofia, Michelstaedter. Vladimiro Arangio-Ruiz, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vladimiro Arangio-Ruiz, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vladimiro Arangio-Ruiz, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofia Filosofo. Grecisti italiani Accademici italiani Professore. Vladimiro Arangio-Ruiz. Arangio. Keywords: colloqui. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrangio” – The Swimming-Pool Library. Arangio.

 

Grice ed Arato: Roma antica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He achieves fame as a dramatic poet. A pupil of Zenone. He writes a celebrated poem, “Phenomena”, dealing with astronomy and meteorology. It is widely read – and CICERONE comments it. It may have been used by LUCREZIO. A. depicts the universe as a rational and organized system bearing the hallmark of its divine creator. Kidd, Aratus, Cambridge. Arato.

 

Grice ed Arcais: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Cervinano del Freiuli – filosofia friulana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Cervignano del Freiuli). Filosofo friulano. Filosofo italiano. Cervignano del Freiuli, Udine, Friuli-Venezia Giulia.Grice: “As Mikos says about the English, ‘de’ adds prestige as in ‘de Grys’ – same with Italians and ‘d’Arcais,’ after four pescherie owned by one ancestor. – d’Arcais has been described as a ‘quaresmalitsa,’ who had the unfortune of being tutored by an atheist! Asa  good stoicp philosopher, he endured it!’ Direttore della rivista Micro Mega. È stato collaboratore de la Repubblica, il Fatto Quotidiano, El País, Frankfurter Allgemeine Zeitung e Gazeta Wyborcza.  Ha sempre unito l’attività di studioso, il lavoro editoriale e l’impegno civile. Educazione intensamente cattolica. Abbandona la fede nella primavera del 1961. Maturità scientifica. Maturità classica. Si iscrive al partito comunista (e federazione giovanile) entrando all’università. È segretario del Circolo universitario comunista e nell’estate frequenta la scuola centrale di partito “Marabini” a Bologna. Si laurea con una tesi su “Marx interprete di Adamo Smith” e ne sarà a lungo uno degli assistenti. Espulso dal Pci, è uno degli animatori del movimento studentesco del Sessantotto. Pubblica la rivista “Soviet”. La rivista “Il Leviatano”. -- è l’organizzatore del convegno internazionale di tre giorni che apre la “Biennale del dissenso” della presidenza Ripa di Meana.  Viene chiamato a fondare e dirigere il “Centro culturale Mondoperaio” dal segretario del Psi Bettino Craxi (alleato delle sinistre di Giolitti e Lombardi). Prima iniziativa, il convegno internazionale “Marxismo, leninismo, socialismo”, relatori Cornelius Castoriadis, Gilles Martinet e Rudi Dutschke. Rompe con Craxi quando questi cambia politica, spezza l’alleanza con Giolitti e Lombardi, torna al governo con la Dc. Fonda insieme a Giorgio Ruffolo la rivista “MicroMega” (Ruffolo ne uscirà nel 1992, per contrasti su “Mani pulite”). Fonda la “sinistra dei club” per partecipare alla fondazione del Pds, che dovrebbe aprirsi alla società civile sulle ceneri dell’ex Pci. Lo abbandona un anno dopo, viste le promesse non mantenute. E protagonista di una controversia pubblica con Ratzinger al Teatro Quirino di Roma. Organizza insieme a Moretti, Sleiter e Pardi la grande manifestazione dei “girotondi” del 14 settembre a piazza san Giovanni a Roma. Paolo Flores d'Arcais è "radicalmente ateo".  Inizia presto ad occuparsi di politica nell'organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ma presto viene espulso dalla FGCI per la sua prolungata e grave attività frazionistica, cioè per la sua doppia militanza nella FGCI e nella Quarta Internazionale trotskista. Allievo e amico di Lucio Colletti, dopo esser stato uno dei protagonisti del "Sessantotto" romano, approda a posizioni di riformismo radicale e verso la fine degli anni settanta ha una breve ma vivida intesa con Bettino Craxi e Claudio Martelli, dai quali, tuttavia, si distacca ben presto. Aderisce al Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto entrando nella Direzione del movimento, da cui però fuoriesce due anni dopo poiché favorevole alla guerra del Golfo a differenza della linea maggioritaria del partito. Tra i promotori della breve stagione dei girotondi, tenta di proporre una lista di suoi candidati alle primarie dell'Ulivo per le elezioni politiche dma come lui stesso deve ammettere "realizza un fallimento pieno e perfetto" raccogliendo appena 130 adesioni alla sua idea. Il 25 marzo 2008 annuncia su MicroMega che nelle elezioni politiche avrebbe votato per il Partito Democratico in funzione anti-berlusconiana. Decide di ritentare in politica prospettando il "Partito dei Senza Partito" insieme ad Antonio Di Pietro ed Andrea Camilleri per partecipare alle elezioni europee ma, il 12 marzo dello stesso anno, viene annunciato il mancato accordo fra i tre. Per le elezioni politiche del  ha dichiarato di votare la lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia. Successivamente non nasconde le sue simpatie per il Movimento 5 Stelle per il quale dichiara di votare. Tuttavia in seguito all'alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega si dice deluso dal Movimento, accusando in particolare Maio di avere tradito le promesse agli elettori.  Altre opere: “Il maggio rosso di Parigi. Cronologia e documenti delle lotte studentesche e operaie in Francia, a cura di, Padova, Marsilio); “Il piccolo sinistrese illustrato, con Giampiero Mughini, Milano, SugarCo); “Il dubbio e la certezza. Nei dintorni del marxismo e oltre (Milano, SugarCo); “L'esistenzialismo libertario di Hannah Arendt, in Hannah Arendt, Politica e menzogna, Milano, SugarCo); “Oltre il PCI. Per un partito libertario e riformista, Genova, Marietti); “Esistenza e libertà. A partire da Hannah Arendt, Genova, Marietti); “L'albero e la foresta. Il partito democratico della sinistra nel sistema politico italiano, con Umberto Curi, Milano, FrancoAngeli); “La rimozione permanente. Il futuro della sinistra e la critica del comunismo. Scritti; Genova, Marietti, Etica senza fede, Torino, Einaudi); “Il disincanto tradito, Torino, Bollati Boringhieri); “Hannah Arendt. Esistenza e libertà, Roma, Donzelli); “Gobetti, liberale del futuro, in Piero Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Torino, Einaudi); “Il populismo italiano da Craxi a Berlusconi. Dieci anni di regime nelle analisi di MicroMega, Roma, Donzelli); “L'individuo libertario. Percorsi di filosofia morale e politica nell'orizzonte del finite” (Torino, Einaudi); “ Il sovrano e il dissidente, ovvero La democrazia presa sul serio. Saggio di filosofia politica per cittadini esigenti, Milano, Garzanti); “Dio esiste? Un confronto su verità, fede, ateismo, moderato da Gad Lerner, con Joseph Ratzinger, Roma, Somedia Gruppo editoriale L'Espresso); “Il ventennio populista. Da Craxi a Berlusconi (passando per D'Alema?), Roma, Fazi); “Hannah Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica, Roma, Fazi); “Atei o credenti? Filosofia, politica, etica, scienza”; “Roma, Fazi,  Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede, con Angelo Scola, Venezia, Marsilio); “Itinerario di un eretico” (Lugano, ADV); “A chi appartiene la tua vita? Una riflessione filosofica su etica, testamento biologico, eutanasia e diritti civili nell'epoca oscurantista di Ratzinger e Berlusconi, Milano); “Ponte alle Grazie, Camus filosofo del futuro, Torino, Codice); “La sfida oscurantista di Joseph Ratzinger, Milano, Ponte alle Grazie); “Gesù. L'invenzione del Dio cristiano, Torino, Add); “Macerie. Ascesa e declino di un regime, Roma, Aliberti); “Perché oggi, in Ernesto Rossi, Contro l'industria dei partiti, Milano, Chiarelettere); Democrazia! Libertà privata e libertà in rivolta, Torino, Add); “Il caso o la speranza? Un dibattito senza diplomazia” (Milano, Garzanti); “La Guerra del Sacro. Terrorismo, laicità e democrazia radicale, Milano, Raffaello Cortina Editore); “Questione di vita e di morte, Einaudi, Vele. Note  cfr., uno per tutti, il suo volume (a quattro mani con il cardinale Angelo Scola) "Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede"Marsilio editore, 2008  Dal sito di MicroMega  Articolo de El País, tradotto in italiano Archiviato il 30 giugno  in.  Elezioni Per chi votano Travaglio, Guzzanti, Scanzi, ecc. Tra Rivoluzione Civile e il Movimento 5 Stelle  La Repubblica,  Flores d'Arcais: “Il Movimento 5 Stelle non esiste più”, su micromega-online. 24 aprile.  MicroMega (periodico). reccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Paolo Flores d'Arcais, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Registrazioni di Paolo Flores d'Arcais, su Radio Radicale, Radio Radicale.  Sito ufficiale di MicroMega. Undici riflessioni sui movimenti, i MicroMega. Intervista a D'Arcais sul ventennale della rivista. Il blog di Paolo Flores d'Arcais, su ilfattoquotidiano. Filosofia Filosofo Filosofi italiani Giornalisti italiani Giornalisti italiani Professore Cervignano del Friuli Direttori di periodici italiani Filosofi atei. Arcais. Paolo Flores d’Arcais. Keywords: giudeo, portughese, Flores – arcais, d’arcais, piamontese.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arcais” – The Swimming-Pool Library. Arcais.

 

Grice ed Arcea: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. He is cited by Giamblico in his “Vita di Pitagora” as a follower of the sect that originated in Crotone. Arcea.

 

Grice ed Archedemo: all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luig Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A Pythagorean and a pupil of ARCHITA (si veda) di Taranto. He becomes a friend of PLATONE, and accommodates him for a while at his home. Senocrate wrote a saggio entitled “Archedemo; ovvero, della giustizia” which refers to him. Archedemo.

 

Grice ed Archemaco: la diaspora di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Giamblico di Calcide – in his “Vita di Pitagora” -- lists him as a member of the sect that originated at Crotone. Archemaco.

 

Grice ed Archibugi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della PAX ROMANA – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I would hardly call Archibugi a philosopher, but he did compile a thing ‘filosofi per la pace’ none of them Italian! So much for ‘pax romana’!” – Grice: “Strawson does call Archibugi a ‘filosofo,’ though!” --  DanieleArchibugi (Roma), filosofo. Nell'ambito della teoria politica, ha sviluppato, insieme a David Held, l'idea di una democrazia cosmopolita. Ha anche lavorato su diversi aspetti della globalizzazione, ed in particolare sulla globalizzazione dell'innovazione e del cambiamento tecnologico.  Dopo una non assidua frequentazione del Liceo Sperimentale della Bufalotta, si è laureato con lode alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Roma La Sapienza con Federico Caffè. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso lo Science Policy Research Unit dell'Università del Sussex, dove ha lavorato con Christopher Freeman e Keith Pavitt. Ha insegnato alle Università del Sussex, Madrid, Napoli, Roma La Sapienza e Roma Luiss, Cambridge, London School of Economics and Political Science e Harvard. Ha anche tenuto corsi presso università asiatiche quali la Ritsumeikan University di Kyoto e la SWEFE University di Chengdu.  Nominato Professore Onorario presso l'Università del Sussex e nel  Membro d'Onore del Réseaux de Recherche sur l'Innovation.  Dirigente presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma, è Professore di Innovation, Governance and Public Policy presso l'Londra, Birkbeck College.  Dal 1997 al 2002 è stato Commissario dell'Autorità sui servizi pubblici locali di Roma, eletto a larga maggioranza dal Consiglio Comunale.  La democrazia cosmopolita Il progetto della democrazia cosmopolita o cosmopolitica si interroga sulla possibilità di applicare alcune norme e valori della democrazia anche nelle relazioni internazionali. La necessità deriva dal fatto che la globalizzazione economica e sociale ha reso gli stati sempre più vulnerabili e che decisioni importanti per loro sono prese al di fuori dal processo democratico. La soluzione proposta dalla democrazia cosmopolita è sviluppare istituzioni sovra-statali che siano capaci di affrontare democraticamente problemi comuni quali l'ambiente, la sicurezza, le migrazioni, il commercio estero e i flussi finanziari. La democrazia cosmopolita guarda con fiducia alle organizzazioni internazionali, e desidera rafforzare al loro interno il controllo dei cittadini, cui va dato un peso politico parallelo e autonomo rispetto a quello che già hanno i loro governi. A livello politico, Archibugi ha sostenuto la limitazione del potere di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la formazione di un'Assemblea Parlamentare Mondiale. Ha invece ritenuto insoddisfacenti e anti-democratici i vertici inter-governativi quali il G7, G8 and G20. Ha anche preso posizione contro l'idea di una Lega delle democrazie sostenendo che una riforma democratica delle Nazioni Unite riuscirebbe assai meglio a soddisfare le medesime istanze.  Giustizia globale Fautore della responsabilità individuale dei governanti nel caso di crimini internazionali, Archibugi ha anche attivamente sostenuto, sin dalla caduta del muro di Berlino, la creazione di una Corte penale internazionale, collaborando sia con i giuristi della Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite sia con il governo italiano. Nel corso degli anni, la sua posizione è diventata sempre più scettica per l'incapacità dei tribunali internazionali di incriminare i più forti. Ha, quindi, preso posizione a favore di altri strumenti quasi-giudiziari come le Commissioni per la verità e la riconciliazione e i Tribunali d'opinione.   Globalizzazione della tecnologia Archibugi ha proposto una tassonomia della globalizzazione della tecnologia che distingue fra tre meccanismi di trasmissione della conoscenza: sfruttamento internazionale delle innovazioni, generazione globale delle innovazioni e collaborazioni globali nella scienza e nella tecnologia..  Come Presidente di un Gruppo di Esperti dello Spazio di Ricerca Europeo della Commissione europea dedicato alla collaborazione internazionale nella scienza e nella tecnologia, Archibugi ha indicato che il declino demografico dell'Europa, combinato con la scarsa vocazione delle nuove generazioni per le scienze, genererà una drastica carenza di lavoratori qualificati in meno di una generazione. Questo metterà in pericolo il livello di benessere della popolazione europea in aree cruciali come la ricerca medica, le tecnologie dell'informazione e le industrie ad alta tecnologia. Ha così sostenuto di rivedere radicalmente la politica dell'immigrazione europea in maniera di accogliere e formare in un decennio almeno due milioni di studenti dai paesi emergenti e in via di sviluppo, qualificandoli in discipline quali le scienze e l'ingegneria.  Economia della ricostruzione dopo le crisi economiche Da studioso dei cicli economici, Archibugi ha combinato la prospettiva keynesiana derivata dai suoi mentori Federico Caffè, Hyman Minsky e Nicholas Kaldor con quella schumpeteriana derivata da Christopher Freeman e dallo Science Policy Research Unit dell'Università del Sussex. Combinando le due prospettive, Archibugi ha sostenuto che per uscire da una crisi, un paese deve investire nei settori emergenti e che, in assenza di spirito imprenditoriale del settore privato, il settore pubblico deve avere la capacità manageriale di sfruttare le opportunità scientifiche e tecnologiche, anche a salvaguardia dei beni pubblici.  Relazioni familiari Figlio dell'urbanista Franco Archibugi e della poetessa Muzi Epifani, ha numerosi fratelli e sorelle, tra cui la regista Francesca Archibugi e il politologo Mathias Koenig-Archibugi, con il quale frequentemente collabora nei suoi studi. I fratelli maggiori del nonno di suo nonno furono Francesco e Alessandro A., volontari del Battaglione universitario della Sapienza e la difesa della Repubblica Romana. Uno dei più vicini allievi di Caffè. Partecips attivamente alle sue ricerche dopo la misteriosa scomparsa. Cfr. A., I ragazzi che cercarono Caffè, La Repubblica, 8 aprile. Si veda anche Fabrizio Peronaci, La scomparsa di Federico Caffè. «Un genio anche nell’addio. Come lui solo Majorana», intervista a Daniele Archibugi, Corriere, Membres d'honneur du Réseaux de Recherche sur l'Innovation  Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali  Birkbeck College, Department of Management  Tom Cassauwers, Interview with A., E-INTERNATIONAL RELATIONS Campaign for the Establishment of a United Nations Parliamentary Assembly Copia archiviata, su en.unpacampaign. A., The G20 is a luxury we can't afford, The Guardian, A., A League of Democracies or a Democratic United Nations in., Harvard International Review, Ottobre 2008.  Intervista su Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Letture.org..  Daniele Archibugi e Alice Pease, Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, Castelvecchi, Roma,.  A., La giustizia penale internazionale tra passato e futuro, Questione Giustizia, Archibugi and Jonathan Michie, The Globalization of Technology: A New Taxonomy, "Cambridge Journal of Economics",  Archibugi (Chair) Opening to the World. Opening to the World: International Cooperation in Science and Technology European Research Area, A. e A. Filippetti, Innovation and Economic Crisis. Innovation and Economic Crisis. Lessons and Prospects from the Economic Downturn, Routledge, London, A., A. Filippetti et M. Frenz, Investment in innovation for European recovery: a public policy priority, Science et Public Policy, November.  A., «Generare imprese europee per la ricostruzione: la lezione Airbus», Il Sole 24 Ore, Bulfon, «Nuovi imprenditori e lavoratori soddisfatti: solo così dopo il virus l'Italia sarà migliore. Intervista a A.», L'Espresso, Daniele Archibugi, Mathias Koenig-Archibugi, Raffaele Marchetti, Global Democracy. Normative and Empirical Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge,. Nell'ambito degli studi sull'organizzazione internazionale, ha pubblicato: “Filosofi per la pace” (Editori Riuniti); “Cosmopolis. È possibile una democrazia sovra-nazionale?” (Manifestolibri); “Il futuro delle Nazioni Unite” (Edizioni Lavoro); “Diritti umani e democrazia cosmopolitica” (Feltrinelli); “Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica” (Il Saggiatore); “Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali, (Castelvecchi); “Cambiamento tecnologico e sviluppo industriale, (Franco Angeli); “Economia globale e innovazione” (Donzelli). “Il triangolo dei servizi pubblici, (Marsilio). “Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia. Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia, seconda edizione (CNR Edizioni, ).  daniele archibugi.org.  Opere di Daniele Archibugi, su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  Registrazioni di Daniele Archibugi, su RadioRadicale, Radio Radicale.  Sito CNR-IRPPS, Commessa Globalizzazione. Determinanti e impatto economico, tecnologico e politico. University of London, Birkbeck Archibugi. London, Birkbeck Intervista su "The Global Commonwealth of Citizens" Intervista della LA7 a Daniele Archibugi Sull'innovazione tecnologica, (video). Intervista alla trasmissione Mapperò, SAT, sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, (video), Parte prima; Parte seconda; Parte terza. Dibattito presso la London School of Economics "È possibile una democrazia globale?" (video in inglese):// globaldemo.org/ film/1255[collegamento interrotto] Intervista a LA7 su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica",. Intervista a TG3 Linea Notte su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica" Intervista a TG2 Punto IT su "Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica", Discorso su Secrets, Lies and Power, Berlino, European Alternatives. Intervista sul volume The Handbook of Global Science, Technology and Innovation, Londra, Birkbeck College, Lo Stato dell`ArteQuale futuro per l’Europa?, Trasmissione Rai5, conduce Maurizio Ferraris, con A. e Politi, Quante storie Rai3I grandi crimini contro l'umanità, intervista di Corrado Augias a Daniele Archibugi, Crime and Global Justice, Book Launch alla London School of Economics and Political Science, 28 Febbraio, podcast con Gerry Simpson, Christine Chinkin, Richard Falk e Mary Kaldor. A., Do we Need a Global Criminal Justice?, Conferenza alla City University of New York, A., "Cosmopolitan democracy as a method of addressing controversies", IAJLJ CONFERENCE "CONTROVERSIAL MULTICULTURALISM", Roma, Novembre,. Daniele Archibugi, "What is the difference between invention and innovation?", Birkbeck College University of London, Presentazione della Relazione sulla ricerca e l'innovazione in Italia, Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 15 ottobre  Filosofi della politica, Filosofi italiani del XXI secolo. Daniele Archibugi. Archibugi. Keywords: PAX ROMANA, due citadini del mondo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Archibugi” – The Swimming-Pool Library. Archibugi.

 

Grice ed Archippo: il principe filosofo -- Roma antica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A correspondent of PLINIO (si veda) Minore, pleads exemption from jury service on the grounds that “he is a philosopher” and produces a letter from DOMIZIANO testifying to that fact, and to his good character. It emerges later that A. had previously been sentenced to hard labour in the mines for forgery, which might cast some doubt on the authenticity of the letter. Although some were keen to see him back in the mines, he is generally popular. Archippo.

 

Grice ed Archippo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A follower of Pythagoras. While living in Crotone, he nearly lost his life when those opposed to the Pythagoreans set fire to a house in which he was attending a meeting. Archippo.

 

Grice ed Archita: l’implicatura conversazionale della colomba -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, a pupil of Pythagoras. According to Suda, A. teaches Empedocle di GIRGENTI (si veda), which is IMPOSSIBLE – But the reference may be to THIS Archita, who also seems to have come from Taranto, although some question whether such an individual exists. Archita.

 

Grice ed Arcidiacono: all’isola -- l’implicatura conversazionale della sintropia – entropia ed informazione – la scuola di Acirelae – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Acireale). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Acireale, Catania, Sicilia. Grice: “I like Arcidiacono, and Floridi should pay more attention to him; after all he what Austin called an ‘Oxonian myopist’! I love him!”  “It took me a while to digest Aricidiacono’s non-intentional use of ‘inform,’ but I suppose he rather follows Shannon than Plato!” “Arcidiacono pays due attention to Aristotle’s ‘finalismo,’ and as an Italian, he gives proper due to Plionio – ‘il vecchio,’ as Arcidiacono comically calls him – Strawson: “As if Pliny the Younger were not now part of ‘storia vecchia’!” – Grice: “In any case, give me Salvatore anyday – his brother, Giuseppe, cannot qualify as a philosopher!” – Grice: “And another good thing, too, Arcidiacono, the ‘filosofo’ brough Fantappie as a hashtag in ‘filosofia’!” Grice: “As Arcidiacono notes, Fantappie, not being a filosofo, committed the usual mispellinggs – ‘syntropia,’ rightly corrected to ‘sintropia’ by the philosophy-educated philosopher Salvatore Arcidiacono!” Nato e, per una sorprendente coincidenza, morto lo stesso anno del fratello gemello Giuseppe, divise con quest'ultimo anche gli impegni di ricerca. Laureatosi a Catania. Insegna a Catania. Perfeziona la Teoria unitaria del mondo fisico e biologico, collegandola ai più moderni sviluppi della biologia teorica e molecolare. Da supporto teorico speculativo nel campo della chimica e della fisica teorica. Elabora una formulazione mediate della teoria sintropica nonché della Teoria degli universi. Saggio “Visione unitaria dell'Universo”. “Spazio, tempo, universe”.  Altre saggi: Visione unitaria dell'Universo” (UCIIM, Roma); “Spazio, tempo, universe” (Fuoco, Roma); “Materia e Vita” (Massimo, Milano); “Ordine e Sintropia la vita e il suo mistero” (ed. Studium Christi, Roma); “L'evoluzione sintropica” (Accademia degli zelanti e dei dafnici, Acireale); “Creazione, evoluzione, principio antropico” (ed. Il fuoco-Studium Christi); “Entropia, sintropia, informazione. Una nuova teoria unitaria della fisica, chimica e biologia” (Renzo, Roma); “L'evoluzione dopo Darwin. La teoria sintropica dell'evoluzione, ed. Di Renzo, Roma); “Problemi e dibattiti di biologia teorica, ed. Di Renzo, Roma. Licata, Teoria degli Universi e Sintropia. L'accoglienza delle idee di Teilhard de Chardin nella cultura italiana, Scapini, Demetrio Sodi Pallares, Terapia metabolica delle cardiopatie. Nuovo approccio terapeutico PICCIN, Padova Vannini; L'accoglienza delle idee di Teilhard de Chardin nella cultura italiana; A., Nuevas ideas para la evolución biològica, articolo su Folia humanistica, Barcellona, Revue internationale Teilhard de Chardin, Edizioni Ministère de l'éducation nationale et de la culture Belgique, Editore Société Teilhard de Chardin, Vannini, From mechanical to life causation,, Syntropy, (WC ACNP); Scapini, La logica dell'evoluzione dei viventi Spunti di riflessione, in Atti del Convegno del Gruppo italiano di biologia evoluzionistica Firenze, Firenze, University press, Fantappié Giuseppe Arcidiacono Sintropia  Biografia sul sito del suo editore, su direnzo ). VDM Filosofia della scienza  Filosofi. Salvatore Arcidiacono. Keywords: sintropia, entropia, ed informazione; sintropia, antropia, entropia. arcidiacono l’implicatura del principio antropico biologia filosofica filosofia della vita fissisismo naturalismo finalismo vivere vivente ominazione animazione definizione del vivente como movente autonomo il fine —Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arcidiacono” – The Swimming-Pool Library. Arcidiacono.

 

Grice ed Arco: l’implicatura conversazionale della GRAVITAS – la scuola di Teano – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teano). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Teano, Caserta, Campania. Grice: “I should like Arco; but he is a priest and I’m C. of E.; on top, I love to say that philosophy ought to be FUN, provided it’s MY FUN – not Arco’s – so I find Arco’s ‘dictionary of philosophical ‘umorismo,’ or filosofia ‘umoristica’ frivolous, and unworthy of Roman gravitas!” Nato nella frazione Fontanelle entra fra i Salesiani di Bosco e fu ordinato sacerdote a Roma. Consegue a Napoli la laurea in filosofia. Per la sua preparazione filosofica, nonché per la profondità della sua filosofiai, è considerato tra i maggiori filosofi italiani. Per lungo tempo è stato professore di filosofia presso gli Istituti Salesiani di Bosco.  Ricoverato all'ospedale “San Leonardo” di Castellammare di Stabia, per un blocco renale, e ritornato a Pacognano di Vico Equense dopo aver superato la crisi, è morto novantaquattrenne. Uomo di anima sensibile e di infinita fede ha trascorso molto della sua vita scrivendo, interessandosi di agiografia. È stato protagonista televisivo sulla prima rete nazionale con il programma: Tempo dello Spirito.  Intensa e vasta la sua opera letteraria.  Altre opere: “Longo e la sua intimità con Dio”; “Don Bosco si diverte”; Sorgenti di gioia; Gesù sotterra un chicco di grano; Pira e il risorto; “Fiori di sapienza. Dizionarietto di saggezza”; “La Donna del Sanctus; Papa Giovanni beato. La parola agli atti processuali; Quando la teologia prende fuoco. Giuseppe Quadrio sacerdote salesiano; Don Bosco nella luce del Risorto; Don Bosco sorridente entra in casa vostra”; “Così Don Bosco amò i giovani”; “Il Padre Nostro”; “Ma c'è poi questo Dio; Nota bene; Sorgenti di Gioia; L'Ave Maria inno dell'amore filiale; Rinaldi copia vivente di Bosco; “La sorgente eterna dell'amore”; “Noi esistiamo perché Dio Padre ci ama; Stile di Serenità; La Gioia a Portata di Mano; Ridi e sorridi da saggio; Il Beato Bartolo Longo; Dolcezza e speranza nostra; Dio ci ama con cuore d'uomo; Il Padre nostro; La Leva del Mondo: la preghiera; Sant'Eustachio; Il Cristo in cui Spero; Giorgio La Pira Profeta e testimone del Risorto; Serva di Dio Elisabetta Jacobucci Francesca Alcantarina; Beata Maria della Passione; Il Servo di Dio B. Longo; Papa Giovanni Beato; Così ridono i saggi; Fiori di sapienza; Il segreto di papa Giovanni; S.Alfonso amico del popolo; La Donna del Sanctus; Il Sacro nome ti chiama per nome; La Leva del Mondo: la preghiera; Il monumento alla Pace Universale del beato Bartolo Longo; Il Salesiano è fatto così; Messaggio di Teilhard De Chardin. Intuizioni e idee madri (Elledici Torino); Un esploratore della felicità: biografia del Servo di Dio Giacomo Gaglione, Apostolato della Sofferenza. Citazionio su A.  La comunità di Pacognano ricorda A. Meazza, Giornale di Napoli, sito "Positano news", Identities Biografie  Biografie:  di   Biografie Categorie: Religiosi italianiTeologi italianiFilosofi italiani Professore Teano Vico Equense. Adolfo L’Arco. Arco. Keywords: gravitas, hagiography; if he has religious faith, he is not a philosopher. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arco” – The Swimming-Pool Library. Arco.

 

Grice ed Ardigò: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Casteldidone – la scuola di Cremona – filosofia cremonese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Casteldidone). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Caseldidone, Cremona, Lombardia. Grice: “I love Ardigo – but I have a few qualms – his “Opere filosofiche’ is improperly indexed! The man wrote zillions! My attention was first caught by  minor editorial note: “’La morale dei positivisti’ was reprinted a few years later after its first edition as divided into two parts, “la morale’ proper and ‘Sociologia’ – Since I have used philosophical biology and philosophical psychology, Ardigo is indeed into ‘philosophical sociology’ – As he notes, ‘sociology’ is today’s philosophese for Aristotelian politics – politica – re publica romana – And being a positivist, Ardigo provides some good background – which will later be ‘refuted’ by the neo-idealists that opposed this sort of philosophy – to the idea of two organisms (two pirots) interacting --. While I speak of conversational egoism as balanced by conversational tu-ism; Ardigo, less of an altruist, and who laughs at the ‘ridiculous’ sensist conception of ‘simpatia’ – speaks of two principles: the principle of egoism, or prepotence, found amoung brutal animals – and the principle of what he calls ANTI-EGOSIM, found in the civil Italian gentleman – the word ‘civile’ is crucial, as in Castiglione, ‘discorso,’ or ‘conversazione’ civile.  If Wilson found it offensive when Chomsky spoke of two ideal communicadtors, this is no problem for the positivist – As Ardigo notes, an Italian will not behave conversationally in the same way when conversing with some he regards as below his station  -- that’s why he (and later I adopted the same guideline) uses ‘Romolo’ and ‘Remo’ (rather than Jack and Jill, since there is a gender issue here) as  communicators. As he puts it, ‘the fact that Romolo eventually kills his ‘fratello’ is hardly relevant from a positivist point of view – surely we don’t require ANTI-EGOSIM to hold indefeafeasibly, I would disagree with Ardigo’s dismissal of Remo’s murder – ‘l’assassinio di Remo’ – I discussed this with Hardie – in English, and, after a ten-minute pause, all I got from him was, ‘what do you mean by ‘of’?’” -- Essential Italian philosopher. Grice: “It’s amazing Ardigo found psychology a science, and a positive one, too!” – Altre opere: “La psicologia come scienza positive”; “Scritti vari”; “Venti canti di H. Heine tradotti 100 percent.svg  di Heine, traduzione dal tedesco. Testi su A.. Per le onoranze a A. 100 percent.svg  di Mario Rapisardi. Gemeinsame Normdatei  data.bnf.fr  Comité des travaux historiques et scientifiques  Brockhaus Enzyklopädie  Dizionario Biografico degli Italiani Categorie:  Casteldidone Mantova 1828 1920 28 gennaio 15 settembreAutoriAutori Autori Autori italiani Autori italiani Religiosi Filosofi Pedagogisti Religiosi Religiosi  Filosofi Filosofi Pedagogisti Pedagogisti Autori italianiReligiosi italianiFilosofi italianiPedagogisti italianiAutori citati in opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli Italiani Refs.: Grice, “Ardigò and a positivisitic morality,”  Luigi Speranza, "Grice ed Ardigò," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. ARE. Ricerca A. psicologo, filosofo e pedagogista italiano, Lingua Segui Modifica «L'inconoscibile di oggi è il conosciuto di domani.»  (Roberto A.) Roberto Felice Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio1828 – Mantova, 15 settembre 1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista italiano.   Roberto Felice Ardigò Biografia Modifica Roberto Felice A. nacque a Casteldidone, in provincia di Cremona, da Ferdinando A.. A causa delle difficoltà economiche della famiglia, un tempo agiata, si dovette spostare a Mantova, dove il padre trovò lavoro presso i cognati. La madre era profondamente religiosa, mentre il padre sostanzialmente indifferente in materia. Egli ne avrà sempre profondo rispetto e un forte legame, come anche con la sorella. Studi teologici Modifica Studiò a Mantova, per poi iscriversi nel 1845 al liceo del Seminario vescovile. Nel 1848 ottiene un posto gratuito nel seminario di Milano, ma in seguito ai moti risorgimentali é costretto a rientrare a Mantova. Il suo successivo tentativo di arruolarsi nell'esercito di Guglielmo Pepe è frustrato da una febbre malarica che lo colpisce alla vigilia della battaglia di Goito. Proseguì poi gli studi teologici. Dopo la morte dei genitori, fu accolto a casa sua da Mons.  Martini, rettore del Seminario mantovano. In quegli anni il Seminario era investito dalla congiura patriottica che porterà al supplizio dei Martiri di Belfiore, dei quali ben tre erano sacerdoti, tra cui il leader della congiura Don Enrico Tazzoli, insegnante presso lo stesso Seminario.   Ardigò fu infine ordinato sacerdote. L'insegnamento positivista, la sospensione e la scomunica Modifica Nel 1870 pubblicò La psicologia come scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire presso il Liceo di Mantova, dove insegnava[4], un Gabinetto per le ricerche psicologiche.[3] Nel metodo di insegnamento, poi, privilegiava il personale e diretto coinvolgimento degli allievi, sollecitandoli al libero dialogo, con una attenta analisi di brani critici e dei filosofi, cosa non troppo gradita alle gerarchie ecclesiastiche e al Ministero dell'Istruzione.  Già preda di una crisi religiosa molto forte, che lo portò infine a divenire ateo[5], tutta questa polemica lo condusse appunto a smettere l'abito ecclesiastico nel 1871, a 41 anni, dopo aver aderito ormai completamente alle posizioni positiviste ed evoluzioniste, che andavano nettamente in contrasto ai dettami della Chiesa cattolica del tempo, e aver attaccato apertamente il dogma dell'infallibilità papale.  Alla fine, Ardigò venne anche scomunicato, ultimo atto della polemica contro la Chiesa di cui aveva fatto parte.Professore universitario Modifica  Casteldidone, lapide sulla casa natale In totale insegnò storia della filosofia all'Università di Padova per 28 anni dal 1881. Considerato tra i padri della psicologia scientifica italiana per aver promosso una concezione scientifica della psicologia, concepì una complessa teoria della percezione e del pensiero che non ebbe completa dimostrazione sperimentale. Nel 1882 Ardigò svolse uno dei suoi maggiori esperimenti in campo psicologico sperimentale, sulle condizioni dell'adattamento visivo su prismi ottici. Diverse furono le materie che insegnò nei lunghi anni d'insegnamento universitario fino alla data del 1º giugno 1909 quando fu collocato a riposo. Fu, altresì, preside della facoltà di filosofia e lettere dal 1899 al 1902.  Il 31 maggio 1908 divenne socio dell'Accademia delle scienze di Torino.  Il 16 ottobre 1913 fu nominato senatore del Regnoma fu impossibilitato a raggiungere Roma per il giuramento. Durante la sua vita elogia Mazzini e Garibaldi, critica la massoneria (in quanto la ritene non necessaria in uno stato ormai libero) ed espresse idee fortemente repubblicane. Ultimi anni e suicidio Negli ultimi anni di vita, isolato dall'ambiente intellettuale, ma non dai suoi discepoli più stretti, soffre di gravi problemi fisici e depressivi (acuiti dalla morte della sorella Olimpia, che vive a casa sua), che lo conduceno a un primo tentativo di suicidio a Padova (dopo aver appreso della disfatta di Caporetto e della morte di molti italiani), fallito perché la ferita non è grave, ma che si sarebbe ripetuto, questa volta riuscendo nel suo intento. A. muore infatti suicida nella sua ultima sistemazione a Mantova a casa Nievo, abitazione che è di Nievo. S’auto-inflisse una ferita colpendosi con un rasoio (o una roncola) arrugginito alla gola. Le testimonianze dell'epoca riferiscono che venne trovato seduto alla scrivania, con la barba bianca del tutto sporca di sangue (barba che gli è tagliata dai soccorritori ed è tuttora conservata come cimelio nella sala blindata della Biblioteca di Mantova. Soccorso dai medici, perde comunque conoscenza dopo aver ribadito le sue intenzioni, e muore due settimane dopo. Ricezione dell'opera d’A. Il tragico atto finale della sua vita venne usato dai suoi detrattori clericali o neo-idealisti per screditare il positivismo in declino o visto come un gesto di demenza senile, e non come un atto di un uomo ormai stanco a livello psico-fisico, che da tutto e vissuto la sua lunga vita secondo coscienza, quale in effetti è. D'altra parte, seppur il sistema di A. non è anti-idealistico, sono gl’idealisti ad attaccarlo filosoficamente, seguiti dai marxisti, come Gramsci, talvolta paragonandolo agl’esiti più deleteri del positivismo, come l'antropologia criminale di Lombroso, risultata poi non scientifica, determinando l'oblio parziale delle sue opere, tra i maggiori libri filosofici tra il periodo illuminista (con l'esclusione delle opere filosofiche di Leopardi) e il neo-idealismo di Croce e Gentile. Con lo sviluppo del positivismo logico e la riscoperta del positivismo, si è avuta una lenta rivalutazione d’A., il maggiore esponente italiano del movimento, assieme a Montessori e, come lei, tra i fondatori della pedagogia e della psicologia moderna, oltre che uno dei maggiori filosofi laici della cultura italiana. Commemorazioni Sulla sua casa venne apposta una lapide, quando ancora egli è in vita:  Mantova in una pergamena. Indagatore sapiente dei fenomeni del pensiero e del sentimento. Assertore impavido della naturale formazione e dell'unità molteplice della vita. La Società magistrale Mantovana, col plauso degl'insegnanti elementari d'Italia, della Società filosofica dei professori di Morale e di Pedagogia, festeggiando l'ottantesimo compleanno del maestro sublime, augura con fervidi voti che la nuova generazione cresca degna di lui nel culto della scienza, nell'apostolato della verità. (Epigrafe di Rapisardi. La città di Monza gli dedica una scuola media inferiore e una strada. Anche Milano gli dedica una strada in zona Forlanini, così come Roma che gli dedica una piazza tra il quartiere dell'EUR e la Via Laurentina.  I libri della sua biblioteca personale sono conservati presso la Biblioteca universitaria di Padova. Pensiero  Mantova, lapide commemorativa Il suo pensiero mosse dalla conoscenza dei classici teologici e filosofici, come Agostino d'Ippona ed AQUINO, poi abbandonati, all'adesione al razionalismo e al positivismo di Comte e  Spencer (con cui ha una corrispondenza epistolare, ma di cui non condivide né il darwinismo sociale, né il ruolo marginale da questi attribuito alla filosofia, passando attraverso il naturalismo del rinascimento, come quello panteistico di BRUNO (si veda). D'altra parte, del sapere magico-ermetico della filosofia della natura, da Bruno stesso a Telesio, non vi è alcun residuo nella filosofia positiva d’A., che prova disinteresse e disprezzo per la rinascita romantico-idealista della filosofia, a cui, dopo la conversione laica, contrappone la vera filosofia scientifica.Caratteri della filosofia positiva d’A. L'originalità della sua filosofia si distanzia tanto dall'enciclopedismo naturalistico quanto dal tradizionale spirito di sistema, aprioristico, deduttivistico, dogmatico. La filosofia trova la sua specificità nel fondamento del fatto (fisico o psichico) e nell'argomentazione induttiva, contro le deduzioni a priori, metafisiche, che non hanno fondamento nell'esperienza come la deduzione logico-matematica. Comte Una filosofia, che accetti metodo scientifico e voglia dirsi scientifica, rifiuta quindi le tesi metafisiche, le entità trascendenti inverificabili, accetta le ipotesi da verificare. Contro l'astratto razionalismo metafisico della filosofia, è andato emergendo, secondo A., dapprima il naturalismo rinascimentale, che ha trovato seguito nell'empirismo, nell'illuminismo e nel sensismo, fino al darwinismo e al positivismo. Una filosofia positiva non può nutrire certezze definitive (se vuol essere portatrice di tesi riformulabili come le teorie scientifiche) e non può essere un sistema unitario e dogmatico. A. propone una filosofia che, perduto l'ambito delle scienze naturali positive, si specifica in autonomia come scienza dei fatti psichici (psicologia) e dei fatti sociali (sociologia). Psicologia, pedagogia e sociologia positive Modifica I suoi contributi nell'ambito delle scienze sono importanti per l'impostazione generale. Interessanti sono le sue idee sull'evoluzione intesa come passaggio dall'indistinto al distinto, ma anche condizionata dal caso e caratterizzata dal ritmo. Non tutto dunque è lineare e meccanico. A. fu uno dei primi psicologi moderni, anche se non nel senso di terapeuta, ruolo che sarà ricoperto dagli psicoanalisti e dagli psichiatri, ma nel senso di formatore pedagogico e professionale, oltre che di teorico e studioso della psiche, come Bergson. A. insistette sulla necessità di una psicologia ed una pedagogia scientifiche, soffermandosi sul ruolo delle abitudini. L'educazione infatti sul piano naturale può essere ricondotta all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi; questo significa il passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come scienza dell'educazione.L'Io, l'Indistinto e la nascita della coscienza Seguendo comunque l'assioma comtiano che "non ci può essere scienza se non di fatti" (anche se Comte riconduce la psicologia alla filosofia e alla medicina, oltre che alla sociologia), egli conia inoltre il termine di "confluenza mentale". Teorie pedagogiche Modifica A. dice:   «la pedagogia è la scienza dell'educazione, per questo l'uomo può acquisire le abitudini di persona civile, di buon cittadino.»  Per Ardigò dunque non tutte le abitudini sono educative. Dal punto di vista didattico privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose, il passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta, ritornando più volte sulle cose spiegate e facendo continue applicazioni di teorie e casi nuovi. Egli rivalutò la funzione del gioco, il quale permette al bambino l'occasione di vedere e toccare gli oggetti, riconoscerne le proprietà e le somiglianze, favorendo lo sviluppo fisico, il quale va d'accordo con quello mentale. Proprio in riferimento al gioco, Ardigò criticò le idee di Fröbel Il problema di A. fu quello di coniugare la formazione di giuste abitudini con la libertà e l'autonomia propugnata dai Giardini d'infanzia di Fröbel. Darwin Natura ed evoluzionismo Modifica Il sistema ardigoiano si configura come un “naturalismo” evoluzionistico (da lui chiamato però realismo positivo) che cresce sulla consapevolezza delle scienze e della tecnica, e si regge sotto una solida epistemologia, mentre si rivolge anche alla morale, sottraendola al riduzionismo naturalistico e meccanicistico, riservando alla psicologia la funzione di sovrintendere al tutto. Se tutto ciò che esiste è un fatto naturale, dal cosmo al cervello umano, dai vegetali ai minerali, non esiste e non può esistere un Ente trascendente metafisico e non è pensabile alcun progetto finalistico che permetta una comprensione teleologica della Natura; ad essa ci si può avvicinare solo con spirito scientifico. L'ignoto d’A. non trascende l'esperienza, non ne è causa prima e soprannaturale, per cui il suo immanentismo non finisce mai nello spiritualismo a-scientifico e irrazionalistico (accusa spesso rivolta da Benedetto Croce ai positivisti).[24] Un motivo di originalità è offerto dal tentativo di attenuare il determinismo e meccanicismo evoluzionistico e positivistico tramite la dottrina della casualità. La realtà è per lui continuo passaggio dall'Indistinto al distinto, e i distinti sono la coscienza umana e il mondo esterno, frutto entrambi dalle sensazioni e da quell'Indistinto dalla quale procedono per auto-sintesi ed etero-sintesi. Riflessione morale Modifica Egli punta a far rinascere un'etica laica, naturalistica, non prescrittiva, che pone l'uomo davanti alle scelte, dandogli strumenti conoscitivi per una scelta razionale. Rimane estraneo però alla questione sociale e alle istanze socialiste (nonostante la collaborazione con Turati), e, ancor prima, anarchiche, ampiamente diffuse in Italia, come isolato è anche rispetto alla politica. Le idealità sociali o massime morali si distinguono in:  naturali, perché frutto solamente dell'evoluzione della specie e della psiche individuale sociali vere e proprie, cioè etico-giuridiche perché determinate dalla convivenza; esse devono la propria oggettività alla loro genesi individuata nello sviluppo materiale dell'uomo (biologico, fisico, ecc.) e (...) si esprimono storicamente in istituzioni (come la famiglia, lo Stato) le quali disciplinano e orientano le azioni umane. Va detto che la riflessione ‘di periodo’ ardigoiana sulla moralità e sulle idealità sociali “nell’idea della giustizia” mostra l’intento di fondare in Italia la sociologia come scienza sulla cauta possibilità di concepire nella società la morale senza la religione (Roberto Ardigò, La morale dei positivisti, Milano, Natale Battezzati. Il progetto di A. si concretizza maggiormente nelle pretese di fondare un sapere laico in grado di confrontarsi con le sfere dell’etica e della filosofia speculativa, senza che quest’ultima possa vantare ex ante una alleanza “forte” di filosofia e religione e senza avere avuto un confronto con i temi messi in campo dalla scienza e dai suoi più immediati avanzamenti, così e come mostrano proprio i primi passi dell’idea di formare un sapere sociologico autonomizzato dalle sfere dell’eticità (Guglielmo Rinzivillo, Ardigò e la prima sociologia in Italia, su “Scienzasocietà” n.50, A. In questo senso l’impresa di Ardigò di confrontarsi direttamente con il sapere speculativo risulta essere l’unica nel suo genere al cospetto del positivismo di fine secolo XIX (Rinzivillo, La scienza e l’oggetto. Autocritica del sapere strategico, Milano, Franco Angeli, Ma il tentativo di formare una scuola si infrange nella ripresa sia europea dello spiritualismo che più nostrana dell’idealismo e nella contestazione delle dottrine filosofiche di seguaci come Marchesini e Tarozzi (Portale,Marchesini e la “Rivista di Filosofia e Scienze Affini”. La crisi del positivismo italiano, Milano, Angeli, Altre saggi: “Discorso sulla difesa dalla inondazione”; “Pomponazzi”; “La psicologia come scienza positive” – cf. Grice psicologia filosofica --; “La formazione naturale nel fatto del sistema solare”; “La morale dei positivisti”; “Sociologia”; “Il fatto psicologico della percezione”; “Il vero”; “La scienza della educazione”; “La ragione”; “L'unità della coscienza”; “La nuova filosofia dei valori”; “Canti di Heine, traduzione dal tedesco Raccolta delle opere, “Filosofia” (Padova, Draghi). Citato in:  Bonetti, Mazzoni, L'Università degli studi di Firenze nel centenario della nascita di Occhialini, Firenze, Allegri, Il realismo positivo di A.. L'apogeo teoretico del positivismo. in Internet Archive. Guido Cimino e Foschi, Percorsi di storia della psicologia italiana, Kappa, Covolo, A.. Dal sacerdozio all'ateismo  A. su Chi era costui?  A. e il sistema positivistico, dal sito della Congregazione per il Clero del Vaticano Riccardo, Breve storia della psicologia italiana. Psicologia Contemporanea, A., su accademiadellescienze. Mazzini, Milano). ^ Discorso commemorativo pronunciato sul Monumento dei Martiri in piazza Sordello. Dal giornale Il Mincio, 11 giugno Egregio Sig. Genovesi. Rispondo subito alla di Lei lettera, che convengo interamente con Lei che dice giustamente che La Massoneria in uno stato libero è un non senso: e che a combattere l'oscurantismo è più efficace l'opera indefessa ed aperta di educazione e di elevazione civile che non l'opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che coll'esistenza di questa la gran massa popolare non può che perdere la fiducia nella giustizia pubblica del proprio paese, nell'idea che la massoneria sia poi in fine una associazione di interesse pei soci a danno di quelli che non vi appartengono. E fortuna per me che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo perché nulla spero. Lettera in Lettere edite ed inedite, a cura di Büttemeyer, A., Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia, Savorelli, Treccani A. su lnx.societapalazzoducale mantova). ^ La cultura filosofica italiana, Lampi di stampa, Büttemeyer, Roberto A. e la psicologia moderna, Firenze, La Nuova Italia, Veniero Accreman, La morale della storia, Guaraldi, Landucci, Roberto A. e la "seconda rivoluzione scientifica", ed Franco Angeli, RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA, Allegri, Il realismo positivo di Roberto A.. L'apogeo teoretico del positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive., Groppali e G. Marchesini, Nel 70º anniversario d’A., ed, Bocca, Torino; A., La psicologia come scienza positiva, Guastalla editore, Mondovì Froebel Allegri, Il realismo positivo d’A. L'apogeo teoretico del positivismo  Internet Archive., Quaranta, Etica e politica nella filosofia di A., “Rivista di storia della filosofia”, Quaranta. Gentile, Il positivismo d’A: un'ideologia italiana, Rivista di storia della filosofia. Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze. Poggi, La coscienza e il meccanesimo interiore. Bonatelli,  A. e Zamboni, Padova, Poligrafo. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A., su sapere.it, De Agostini. Bortone, A., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere di Roberto A., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Roberto A., su Open Library, Internet Archive  consultabili nell'Archivio di Storia della Psicologia, su archiviodistoria. psicologia1.uniroma1.it. URL). Savorelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Altre opere: Pomponazzi. La psicologia come scienza positiva. La formazione naturale del sistema solare. L’inconoscibile di H. Spencer e il Positivismo. La religione di Mamiani. Lo studio della Storia della filosofia.  La Morale dei Positivisti. Relatività della Logica umana. La coscienza vecchia e le idee nuove. Empirismo e scienza.  Sociologia. Il compito della filosofia e la sua perennità. II fatto psicologico della Percezione. Il Vero. La Ragione. La scienza sperimentale del pensiero. Il mio insegnamento della filosofia nel R. Liceo di Mantova.  L’Unità della coscienza. L’Inconoscibile di H. Spencer e il Noumeno di Kant. Il meccanismo dell’intelligenza e l’ispirazione geniale. L’indistinto e il distinto nella formazione naturale. Note etico-sociologiche  Articoli pedagogici. Il Pensiero e la Cosa. L’idealismo della vecchia speculazione e il Realismo della filosofia positiva. La formazione naturale e la dinamica della psiche. Saggio di una ricostruzione scientifica della psicologia. La perennità del Positivismo. Monismo metafisico e monismo scientifico. La filosofia nel campo del sapere. Atto riflesso e atto volontario. I tre momenti critici nella storia della Gnostica della filosofia moderna. Il sogno della veglia. Tesi metafisica, ipotesi scientifica e fatto accertato. Il quadruplice problema della Gnostica. Guardando il rosso di una rosa. La nuova filosofia dei valori. Una pretesa pregiudiziale contro il Positivismo. L’Inconscio A. Comte, H. Spencer e un positivista italiano. Infinito e indefinito.  Fisico e psichico contrapposti. Repetita juvant. I presupposti Massimi Problemi. Il Positivismo nelle scienze esatte e nelle sperimentali. L’individuo. Estema, idea, logismo. Le forme ascendenti della realtà come cosa e come azione e i diritti veri dello spirito. Lo spirito aspetto specifico culminante della Energia in funzione nell’organismo animale. La meteora mentale. Filosofia e positivismo. La ragione scientifica del dovere. La filosofia vagabonda. L’intelligenza. Altre opere: SCRITTI VARI  RACCOLTI E ORDINATI DA MARCHESINI  Le Monnier scuola nuovo FIRENZE  FELICE LE MONNIER. Prefazione; opere filosofiche; Polemiche; La confessione; Sulla storia della confessione esposta nel n. 181 della Favilla dal sig. Eugenio Pettoello. Il prete professore Ardigò e la confessione. Calunnie. Risposta del prete professore A. alla lettera di SANCTIS (si veda) inserita nel n. 217 della Favilla. Dichiarazione ai lettori. Lettera dell'illustre De Sanctis. Articolo comunicato. La psicologia positiva e i problemi della filosofia. Dialogo. Il filosofo e un ignorante. Il liberalismo d’A. Contro la massoneria. R. A. e A. Fouillée. Discorsi. Garibaldi. Discorso di commemorazione. Per il 70° anniversario. Le Ancelle della carità al Civico Spedale. I programmi e l’ordine dell’insegnamento. Il cultore vero della scienza. La gerarchia dei godimenti. La libertà del sentimento religioso. L’unità internazionale. La filosofia col nuovo regolamento universitario. La scuola classica e la filosofia. Divisi dalle religioni, la scienza ci riunirà. Il dolore morale nella società. La polarizzazione del lavoro mentale. La breccia di Porta Pia. Il significato morale del XX Settembre. Le immagini rovesciate. Il metodo del lavoro intellettuale di A.. La formazione inconscia delle convinzioni. La condizione fisica della coscienza. Lettere 100%.svg  Lettera 1 100%.svg  Lettera. Giudizi e pensieri. Giudizi. Pensieri. Versi. Uno scherzo in un'ora allegra. Intecta fronde quies. Venti canti di Heine. Schöne Wiege meiner Leiden. Warte, warte, wilder Schiffsmann. Berg und Burgen schaun herunter. Der Traurige. Zwei Brüder. Die Grenadiere. Auf Flügeln des Gesanges. Liebste, sollst mir heute sagen. Mein süsses Lieb, wenn du im Grab. Ich weiss nicht was soll es bedeuten. Mein Herz, mein Herz ist traurig wie der Mond sich leuchtend dränget auf dem Hardenberge. Der Hirtenknabe. Nachts in der Kajüte. SOCIOLOGIA. Dedica. Avvertenza. Il potere civile; La reazione dell' individuo e   quella della società; il Diritto intemazionale; Machiavellismo politico; l’ideale della società umana; le giustizie sociali; L'Idealità sociale impulsiva del  volere individuale è una giustizia; L'Idealità sociale è una giustizia potenziale; diritto positivo e diritto naturale; triplice ufficio del potere; giustizia e diritto nella convenienza; la giustizia; la Giustizia legale (seconda forma dell' ufficio del Potere) è  una gradazione evolutiva superiore di un indistinto inferiore da cui emerge; dall'indistinto della prepotenza  (principio egoistico) nasce il  distinto della giustizia (principio anti-egoistico) che è la  risultante dinamica di quella; la formazione della giustizia  nel senso proprio va colla  formazione del potere onde  è l’espressione; la giustizia è la forza specifica   dell' organismo sociale; la gradazione della giustizia; dovere giuridico e dovere  morale; obbligatorietà e trascendenza  imperativa del dovere nella  coscienza morale; atteggiamento vario della giustizia e coefficienti relative; funzione della giustizia morale; l'autorità; criterio positivo del diritto e  del dovere; i diritti dell'uomo sopra le altre cose della natura; i diritti dell'uomo sopra se  stesso; suicidio; il diritto d’autorità; l’autorità nel diritto naturale; la dottrina positiva dell'autorità e del diritto è liberale; Gl’attti benefici nell' etica tradizionale; gl’atti benefici nel positivismo; falsa apparenza di paralogismo; la virtù, il merito, il premio; l’ordine morale; il bene sociale; il fatto del diritto (diversità,  specie, coordinazione) e il suo  ideale; il diritto è in virtù di se stesso; il diritto è la facoltà del bene  sociale; l'esercizio del diritto è la funzione del bene  sociale; il diritto costa una contribuzione; le unità minime, le unità medie e l’unità massima nel corpo  sociale; la selezione interorganica nella  evoluzione formatrice dello  Stato Come risulti spiegata la prima  forma dell' ufficio del Potere,  e anche la terza: e stabilito  r assunto del libro  Conclusione. SOCIOLOGIA Atxyj^ 8vo|ia oòx dEv ^Seaav, el xaOxa fJ “Non ci sarebbe l’idea della giustizia se non fossero i supplizi.” -Eraclito di Efeso presso Clem. Strom. IV, j.. ALL’ILLUSTRE FERRI IL QUALE PRIMEGGIANDO FRA I MAESTRI DELLA SCIENZA NUOVA DEL DIRITTO PENALE SI COMPIACE DI RICORDARE CHE ALL’INDIRIZZO POSITIVO DELLA SUA MENTE FECONDISSIMA NON SONO ESTRANEE LE LEZIONI DEL SUO ANTICO MAESTRO L'AUTORE DEDICA QUESTO SAGGIO IN SEGNO DI FRATERNO AFFETTO. AVVERTENZA. Questa sociologia costitue una parte della morale dei Positivisti. Fu in ogni parte o ritoccata o rifatta. Non vi si trattano tutte le questioni introdotte e discusse generalmente nei saggi di sociologia; ma solo la fondamentale: quella cioè della formazione naturale del fatto speciale caratteristico dell' organismo sociale, ossia della giustizia. E, relativamente a questo fatto, non dà una riproduzione pitc meno manipolata delle idee messe in voga dai filosofi più celebrati di questa materia. Qualunque ne sia il valore, chi scrive presenta qui il frutto della sua riflessione solitaria; e non recente, ma di vecchia data, e già matura fin da quando lo esponeva ai filosofi di Mantova, pei quali divenne germe e stimolo ad elaborazioni ed applicazionidi merito nel campo della filosofia. Restringendosi poi la trattazione, come qui è divisato, al fatto della giustizia, con ciò la sociologia tiene a mantenersi nel campo, che le spetta in proprio, e pel quale riesce una disciplina a sé e distinta da tute le altre. È un errore capitale quello comunissimo di fare della sociologia un ammasso di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che suppongono l’ambiente della società umana, A tale stregua la cosmologia dovrebbe constare di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che suppongono l’ambiente dell’universo visibile. A questo modo si dà ragione a quelli che persistono a *negare* alla sociologia filosofica la qualità di disciplina autonoma. Una sub-disciplina filosofica è un tutto a sé, che si pone e si distingue da quello di tutte le altre, come la specialità del fatto che essa considera. E, nel caso nostro, la sociologia filosofica, o la psicologia filosofica dell’intersoggetivita, si pone e si distingue, come la specialità del fatto della giustizia, nel quale è la ragione diretta dell'organismo sociale; a quel modo che nel fatto della gravitazione è la ragione diretta della mutua dipendenza delle masse astrali, considerata dalla cosmologia filosofica. Così, essendoci il fatto Fisico si dà la Fisica; essendoci il fatto chimico si dà la chimica; essendoci il fatto psichico, si dà la psicologia filosofica, e via discorrendo per ogni sub-disciplina. Si restring la presente trattazione allo studio della formazione naturale della giustizia, e limitandosi a considerare il fatto di essa in generale, e non estendendosi a considerarlo in particolare nelle molte e diverse forme svariate, che si munifesiano, funzionando la giustizia nelle differenti comàiìmzioni secondarie pnllulanti ed armonizza nèi nella totalità malto complessa dell’organismo sociale. Ed è solo in qneslo senso, die fuesta trattazione non aòòraccia tutto r amèito della Soetologia j. co7icernendo solo la sua farle introduttiva e fondamentaie. Esaurita la prima edizione di questo quarto Volume delie Opere filosofiche, e anche la seconda, nella quale tra stata introd^itta qualche piccola correzione ed aggiunta, colia presente terza questa Sociologia comparisce nella sua edizione quinta. Questa trattazione deWdi Sociologia suppone e completa quella della morale dei positivisti. La suppone, in quanto nella morale medesima è presentata l’analisi della attitudine etico-civile umana, ed è esposta la teoria positiva della responsabilità sotto tutti i suoi aspetti e rapporti. La completa, in quanto studia la formaziofie della attitudine etico-civile suddetta. Specialmente sotto V di-spetto e il rapporto della sua obbligatorietà si interna che esterna.  Ma questa della sociologia è poi, come tale, una trattazione distinta da quella della morale. La morale ha per oggetto suo speciale e proprio la attitudine etica e quindi la virtu individuale. La sociologia ha per suo oggetto la costituzione della società civile e quindi la gitistizia che ne è la funzione caratteristica. Il punto di partenza del nostro ragionamento è la questione proposta dalla morale dei posttivisti. Il concetto della responsabilità (definito precedentemente come l'astratto delle sanzioni, onde la società reagisce, rintuzzandola, contro l’azione propriamente umana individuale) fosse manchevole, non estendendosi quanto la moralità, e quindi fosse da ripudiarsi. E ciò per la considerazione che sembrerebbe così la responsabilità riferirsi solamente agli atti intesi nel concetto stretto del giusto, cioè ai pochi atti esterni, aventi importanza per l’ordine sociale, commessi in misura e in circostanze determinate,  discorso basta notare il fatto, la cui spiegazione si lascia alla fisiologia. Come l’apparato nervoso delF organismo biologico vi si forma a poco a poco per naturale svolgimento e trasformazione di una parte degli elementi prima omogenei della sostanza viva, cosi l'apparato del P<:7/^r^ nell’organismo dello stato vi si forma a poco a poco per  naturale selezione ed adattamento dì alcuni fra gli individui del *consorzio* umano informe primitivo. Del pari, come la funzione speciale dell' apparato  nervoso si è in esso determinata per Io svolgimento e la trasformazione della attività vitale generica della sostanza  animale, cosi la specialità della reazione del potere non  è altro che una distinzione, operatasi a poco a poco e di  mano in mano che andava formandosi, della reazione istintiva comune degli individui eslegi del *consorzio* umano primitivo. E, come l’attività nuova speciale sovrapposta e dominante dell' apparato nervoso dell'animale superiore  sviluppato non vi sopprime l’attività iniziale semplice e comune del materiale biologico, la quale vi persiste allato e al disotto dell' attività nervosa, che la regola, così la reazione del potere, svoltasi naturalmente collo svolgersi dell' organismo sociale, non vi sopprime la reazione  istintiva detta sopra, la quale quindi persiste nello Stato  civile allato e al disotto della reazione del Potere, che  la regola.  E cosi nello Stato vengono a riscontrarsi contempo è assai opportuno studiare ulteriormente, e sotto /r^r df~  versi aspeliì, l'analogia notata fra T organismo dell' animale superiore e quello della Società civile. Nel corpo di un animale, anche di organizzazione superiore (e quindi massimamente in quello dell' uomo), ogni parte viva ha in sé la ragione della propria attivita puramente vegetativa, che ha luogo quindi indipendentemente dal concorso diretto della funzionalità nervosa centrale. Ma questa funzionalità nervosa centrale può intervenire ad impedire tanto o quanto la detta attività puramente vegetativa della parte subordinata, A far ciò l’uomo, nel caso che la parte si ammali e quindi la sua attività vegetativa si renda anormale, si sforza (valendosi dell' apparecchio nervoso sovrastante alle parti) di limitare l’anormalità e di contrastame gli  effetti perniciosi sulle altre. Mettiamo, sostituendo la medicina al cibo, o tralasciando di mangiare e di adoperare se possibile la parte malata, o operando su di essa,  o staccandola in caso estremo dal resto del corpo. Quindi, l’intervento della funzionalità centrale qui sarebbe puramente negativa; cioè solo di impedire tanto  o quanto l’attività vegetativa; la quale, nella parte, sorge  in virtù della propria natura dì questa, e non potrebbe esservi creata ed infusa dalla medesima funzionalità centrale. Un fatto analogo si osserva nel corpo della società civile. In questo corpo sì riscontrano due generi di reazione sociale, quello della convenienza, proprio di ciascun individuo e nascente direttamente dall’urto degli individui fra di loro, indipendentemente dalla sovrapposizione ad essi del potere al  quale sono subordinati; e quello della giusto, proprio  di questo potere. La reazione di convenienza tra individuo e individuo tende con forza ad assumere, e spesso assume effettivamente forme irregolari nocive e atte a turbare in misura  più o meno grande il buon assetto della società. Ed è qui che intervitìne la reazione del giusto per parte del potere sovrapposto. Ma con effetto solo di impedire  e limitare, per quanto possibile, la irregolarità della  rea zione della convenienza. Si che questa, funzionando pure  per forza e legge propria, non ecceda però la forma e  la misura compatibile coll’andamento migliore del corpo sociale. Le parti singole dell'animale sono coordinate insieme mediante una funzione, che sì aggiunge alle particolari di esse e loro sovrasta, dominandole e subordinandole nel sistema complessivo deir individuo. Questa  funzione centralizzatrice ha una efficienza negativa, na ne ha anche una positive, ed è  quella di produrre il concerto delle parti nell’attività  dell’individuo totale. Coè, la vìta propriamente detta, elevantesi sulla semplice vegetazione di ciascuna parte,  adattata e resa ubbidiente alle esigenze della vita medesima, e quindi, per cosi dire, ingentilitane. Cosi anche nella societa. Nella quale la funzione assodante del potere si sovrappone a quelle degli due *associate*, ed è puramente negativa o di limitazione per rispetto a queste, ma è positiva per rispetto a se stessa, in quanto cioè si pone e produce un  effetto speciale suo proprio, che si risolve soprattutto  in quello della moralizzazione dell' uomo nello Stato  civile.  Annunciamo qui solo il fatto, la cui spiegazione dettagliata risulterà dal corso della trattazione. L' individuo eslege è pronto ad impiegare a proprio  vantaggio, come T istinto naturale lo sospinge, tutta la  forza materiale onde dispone; e ad elidere e a togliere  di mezzo il più debole. Il che impedirebbe la formazione  della società e il concerto civile delle sue parti. Perchè tale concerto sia possibile è necessario che sopravvenga neir umano consorzio una forza superiore, la  quale, in nome e colla mira dell'interesse di tutti, rintuzzi e contenga la forza esuberante e trasmodante dei  singoli più forti o irregolarmente operanti, e renda cosi  attuabile lo sviluppo e l’esercizio pieno e non impedito, e tranquillo, e benefico delle attitudini di ogni elemento, onde è costituito il corpo sociale. L' istinto della reazione individuale, per sé, rappresenterebbe il princìpio egoistico antisociale. Invece il Potere subordinante rappresenta T Idealità sociale ossia il  principio morale antiegoistico. L' individuo nella Società diventa morale in quanto,  ridotto dalla coazione della Giustizia a riconoscere il  principio antiegoistico rappresentato dal Potere associante,  vi si uniforma, ingentilendosi, rinunciando alla tendenza  di usare la violenza rispetto agli altri, contenendosi nei  limiti permessi dal Potere, cooperando con esso al Bene  comune. La costituzione quindi della Società umana, fino al  grado di un' alta Civiltà, è possibile, perchè la psiche  umana, a preferenza di quelle dei bruti, è atta alla formazione caratteristica della Idealità sociale, come è dimostrato nella Morale dei Positivisti. Nella macchina fisiologica dell' animale non si dà  potenza centralizzatrice delle parti senza un organo distinto da esse, che ne sia investito e la possegga. La  forza centralizzatrice poi, in un animale, è in ragione della  massa di questo organo; come la massa stessa è in ragione del bisognodella forza occorrente per dominare  le parti. E inoltre neir animale la materia dell' organo  centralizzante è presa dalle parti stesse centralizzate per  via di un processo di selezione naturale, come dimostra  la embriologia e la zoologia comparata. E secondo il  principio generale, da me tante volte ricordato, del passaggio dall' indistinto al distinto. Vedi specialmente il Capo III della terza Parte del Libro  primo; e la Parte seconda del Libro secondo. Per questa espressione bisogno vedi la nota alla pag. 17 del  volume ILI di queste Op, fil.  Per la teoria dell' indistinto e del distinto vedi la Fortnazione  naturale nel fatto del sistema solare y nel Voi. II di queste Op, fil. Cosi nella Società» La coordinazione delle partì componenti e la relativa reazione della Giustizia non vi può  aver luogo senza che vi sia costituito un ordine di persone investito del Potere occorrente all'uopo, e fornito  dei mezzi sufficienti all' effetto. Tale ordine di persone si stabilisce nella Società per  la legge suddetta della selezione naturale, come già accennammo sopra; e di ciò parleremo in seguito più a  lungo,   E r ordine sovraiieggiante nella Società deve essere  in ragione della forza occorrente a produrre Teifetto di  contenere le parti nella associazione dello Stato. Più in queste è la resistenza alla coordinazione sociale, come nella barbarie o nella depravazione, quando  ha ana grande prevalenza T egoismo (o perchè le Idealità sociali non sono ancora progredite nella loro formazione, o perchè abitudini prave sottentrate le paralizzano),  e più il Potere centrale è poderoso e A'iolento, e ha quindi  il carattere di Potere militare. E la Giustizia allora assume la forma del fato inesorabile e crudele, che sforza  ad agire colla violenza necessitante.   E, nel caso che manchi nel Potere la forza sufficiente, la Società si trova in quello stato di organizzazione imperfetta che si osserva negli animali inferiori  aggruppati in masse, che sono piuttosto delle colonie  che non degli individui propriamente detti. Se invece poca o nuila è la renitenza alla coordinazione sociale, come nelle Società adulte, colte e virtuose.  quando le Idealità sociali negli individui sì sono già formate e si mantengono impulsive, allora il Potere centrale assume il carattere di un semplice arbitro morale fra gli  individui associati. E la Giustizia qui perde il carattere  della violenza^ assumendo invece quello di una sentenza  vera ed equa, che ottiene il rispetto e T assentimento col  solo essere enunciata. E si conferma ciò che dicemmo altrove del regno del fato e del regno della Giustizia fra  gli uomini,   E discende anche dalle cose dette che, siccome il  dispotismo militare è proprio dello stato della barbarie,  così invece il governo repubblicano è proprio dello stato  della cultura più compita; intendendo per questo governo  (idealmente) un governo formatosi per la selezione naturale più propria dell' uomo, ossia razionale; e di persone  funzionanti quasi come semplici arbitri morali; e rappresentanti U Idealità sociali ammesse dagli individui  associati, che sono disposti per ciò a rispettarle, senza  bisogno di coazione e di violenza.  Le cose dette hanno una conferma da ciò che  si riferisce al Diritto internazionale, e servono a chiarirne ÌL fatto e la teoria.    1 diversi Stati tra loro indipendenti sono come degli Nella Morale dei Positivisti, Per es. Gap. II della Parte IV  del Libro li, al numero i6 (pag. 399 del voi. Ili di queste Op, fil,  nella edijE. del tSSs^ e 432 dell' ediz. del 1893 e del 1901, e 432 Dell' ediz, dei 1908). 3"«|P).individui non co-ordinati l’uno con l’altro sopra i quali vige la ragione del  più forte, poiché l' idealità sociale co-ordinante non è realizzata in un potere effettivo sovrastante, che si faccia  valere; e quindi vi campeggiano sole attività egoistiche  dei singoli, staccati V uno dall' altro.   Ma, essendo il principio della socialità naturale all' uomo, come per esso tendono a stare uniti gli individui  nella Società più semplice della famiglia, e questa e le  altre unità sociali più o meno grandi tendono a collegarsi organicamente nelle unità dello Stato, cosi gli Stati  tendono poi a riunirsi fra di loro: e, parzialmente, in  gruppi di Stati; e, totalmente, nella unità universale della  umanità intera.   E da ciò si vede che il Diritto di uno Stato è relativo al pari di quello dell' individuo, che ne fa parte;  per la ragione che, come il Diritto di questo viene a soffrire una limitazione e una rettificazione col prevalere su  di esso del Diritto del Potere dello Stato particolare che  se lo subordina, così anche il Diritto di questo è limitabile e rettificabile nella sua subordinazione all'organismo  più grande, del quale tende a far parte.   E cosi dicasi della Giustizia, che è la funzione del  Potere.   Nella Giustizia del Potere si riassumono tanto o  quanto, diventando la Legge propriamente detta, o almeno (se non ne sono in tutto sostituiti) vi si appuntano  come tollerati, o permessi, o anche incoraggiati, certi  atti di iniziativa degli individui ispirati dalla Idealità sociale, tendenti a frenare o vendicare la reazione istintiva irregolare: avverantisi già nel consorzio umano non  ancora sviluppatosi nell'organismo sociale civile, e perduranti in questo, o produeentisi nella condizione della  Civiltà. Il padre che governa la famiglia, il forte generoso che difende il debole, V associazione che si prefigge  scopi umanitari, e via dicendo, ne sono esempi. Qui abbiamo le virtualità della Giustizia, che ne preparano  r avvenimento, o la riforma miglioratrice, nella Giustizia  di fatto dello Stato. E questa Giustizia di fatto di uno  Stato è soggetta a limitazioni e rettificazioni ulteriori,  per via di una Giustizia più ideale, in quanto uno Stato  può subordinarsi alle unità sociali maggiori, delle quali  dicemmo, e quindi alla Legge loro. Data la riunione effettiva di più Stati in una  unità sociale maggiore che li comprenda, e della quale  essi siano le parti componenti, in questa si avrà il Potere distinto o specifico coordinante, del quale abbiamo  parlato sopra, col carattere della Giustizia, di fronte alle  funzionalità particolari degli Stati componenti; la reazione diretta dei quali per ciò fra di loro avrà il carattere della Convenienza, mentre V uno non potrà valersi  della forza materiale contro T altro, sia in sostegno del  proprio Diritto, sia in offesa dell' altrui, ma dovrà lasciarne r uso al Potere internazionale sovrastante. Il Diritto internazionale quindi non è effettivamente  un Diritto, se non ha il detto carattere, della Giustizia.  E non ha questo carattere, se non esiste un organo reale,  colla forza sufficiente all'uopo, per esercitarla praticamente. La storia ci presenta diverse forme di questo potere intemazionale o egemmiico, che dir si voglia. Ma  sempre più o meno imperfette. Per esempio quello esercitato dalla madre patria sopra gli Stati delle colonie,  che ne furono fondate. O quello di uno Stato più forte  sopra altri più deboli soggiogati colle armi, o ridotti a  protettorato, o confederati, O quello di una autorità religiosa sui popoli che la riconoscono. O quello risultante  da una lega, più o meno precaria, per iscopi determinati. Le forme suddette, come già accennammo, sono  forme di egemonia imperfette, o per la loro ristrettezza  e precarietà, o perchè non abbastanza potenti per farsi  valere, o perchè una tirannia di im forte su molti deboli,   E per ciò disfatte o da disfarsi col progredire della  Società. La quale invece tende ad una consociazione più  ideale degli Stati fra di loro. Ma a quale? Poiché, e questa non deve essere  per mezzo di uno Stato più forte che soggioghici altri  più deboli, e tuttavia la consociazione, colla Giustizia sovrastante relativa, non è una vera realtà organica se non  esiste effettivamente il potere che la eserciti. La risposta alla domanda si ha in ciò che dicemmo  costituire il governo più perfetto, ossia del vero regno  della Giustizia, cioè n^W Aròiiraio.   L'Arbitrato o l'Anfizionia internazionale. E come si  va già disegnando sempre più concretamente nel fatto  dei trattati internazionali aventi forza esecutiva, e del  consenso moralmente giusto e fortemente efficace, che si  va stabilendo nel gruppo degli Stati più civili circa te  questioni sociali di interesse universale, e che influisce  anche sopra la legislazione interna dei singoli Stati, Solo acquando esista realmente, in forma ben determinata e colla  forza necessaria di farsi valere, questa Anfizionia, potrà  esistere un Diritto internazionale veramente tale. Dico, quando esista questa Anfizionia. Fogniamo sul  fare della autorità centrale elvetica o degli Stati Uniti  di America.  E dico, quando questa Anfizionia sia un Potere veramente efficace. Il che non può essere, se non pel progresso sociale dei singoli Stati dipendenti; come T Arbitrato efficace fra gli individui non è possibile che a misura che questi si perfezionano moralmente, come dimostrammo.  E in effetto il progresso sociale degli Stati civili è già riuscito a stabilire delle legislazioni, o comuni,  o concordanti, colle rappresentanze e coi mezzi di esecuzione rispettivi, in ordine ai rapporti di interesse non  politico; come sarebbero il Commercio, T Industria, la  Navigazione» le Comunicazioni, i Diritti privati, le Monete le Misure, la Scienza. E tende ad estendere sempre  più questo genere di Giustizia universale, sia colle Compagnie internazionali riconosciute per imprese di interesse  della Civiltà generale, sia coi Congressi pure internazionali per altre sue esigenze, come sarebbe p. e. l'Igiene. Lontana ancora è T epoca della unione politica in  discorso. Ma va facendosene sempre più forte V aspirazione, che è già T anima del partito politico dell' internazionalismo, e che per la forza delle cose deve ormai  essere confessata più o meno dagli stessi governi.   Queir epoca è lontana; ma arriverà una qualche  volta; e cioè quando nei singoli Stati saranno state rimosse le cause che la ritardano: quelle cause precisamente che la Civiltà attuale tende a rimuovere: e che saranno rimosse quando ogni Stato avrà ottenuto il suo assetto naturale giusto rispetto all' Estero nella sua circoscrizione etnografica, nella sua sicurezza, nel suo equilibrio cogli altri Stati. Anche la questione del Machiavellismo politico  trova la sua risposta nei principj da noi indicati; riuscendo cosi in pari tempo a riconfermarne la verità. La reazione dell'individuo nella rozzezza eslege  del consorzio ancora selvaggio non è una reazione morale.  Non lo è, né di fatto, né di diritto.   Non di fatto, perché il suo movente é il puro istinto  egoistico, pronto senza ritegno al danno altrui, indifferente all'uso di tutti i mezzi di riuscire: fino alla violenza più spietata, fino all' inganno più vile e sfacciato. Non di diritto, perché, mancando l'ordinamento sociale e la Giustizia del Potere che ne é il prodotto, non  si ha ancora la ragione, onde le reazioni umane siano  giudicate col criterio della moralità.  In una condizione analoga si trova il Potere  nello Stato non progredito nella Civiltà. In tale condizione si rivela nel Potere ciò che si  chiama il Machiavellismo. Il Machiavellismo del Potere può divenire, nel fatto, una impossibilità e, nel diritto, una immoralità, solo in  forza di una Giustizia relativa che lo impedisca e lo riprovi,   E come?  Per rispondere bisogna distinguere la reazione del  Potere di uno Stato per rispetto al Potere di altri Stati,  e quella del medesimo per rispetto ai propri subordinati.  Nel caso della reazione del Potere di uno Stato  per rispetto agli altri Stati è evidente che, se esso non è  tutelato nella sua esistenza da una forza internazionale  equa e^ nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e a  soperchiarli, non è frenato dalla medesima, non farà differenza tra mezzo e mezzo che giovi al suo intento; e  il danno altrui lo procurerà come bene suo proprio. Il ricorrere ai mezzi opportuni all' intento, nel caso  in discorso, come non ne è impedito dalla Giustizia internazionale, che non esiste, cosi non è nemmeno riprovato,   E per ciò il ^lachiavellismo del Potere nella sua reazione cogli altri Stati viene ad essere una possibilità di  fatto, senza essere ancora una immoralità di diritto. Ciò è dimostrato storicamente nelle formazioni internazionali imperfette di epoche e regioni diverse. Valga  r esempio dei vari Stati della Grecia antica, collegati  tanto o quanto fra loro, e insieme isolati dalle genti non  greche; alle quali, considerate per ciò come barbare, negavano i riguardi che pure si avevano fra loro. E valga  r altro esempio delle religioni abbraccianti diversi Stati,  i quali insieme per ciò di fronte agli altri, considerati  siccome infedeli, si credevano sciolti da ogni freno di  procedimento. Nel caso della reazione del Potere per rispetto  ai propri sudditi è da considerare che la sua condizione  in uno Stato progredito nella Civiltà è ben diversa da  quella che la precede. Qui il Potere non è ancora divenuto la semplice espressione del volere di tutti che lo pone, lo regola, lo  sancisce, come la Giustizia che lo rigfuarda. Ma è ancora  solo la conquista machiavellica di una casta, di una famiglia, di una persona, lottanti per conservarlo con tutti  i mezzi atti all' uopo di fronte alle altre caste, ad altre  famiglie, ad altre persone dello Stato medesimo, con una  reazione quindi come tra individuo e individuo prima  della costituzione definitiva di una Giustizia superiore al  di sopra di essi. Nel caso in discorso è notevole il fenomeno  del concetto della Giustizia divina, che si pensa sovrastare alla stessa persona del Principe (come spiegheremo  in seguito); in modo che le sue azioni, quantunque fuori  d* ogni Legge, tuttavia vengono considerate dal punto di  vista della moralità: onde il suo Machiavellismo, persistendo di fatto, viene a cessare in qualche modo di esistere di diritto.   Questo fenomeno non è un argomento contro il nostro principio, ma a favore di esso. La Giustizia perfetta accompagnante lo stesso sviluppo iniziale dell'organismo sociale, informa naturalmente la coscienza di quelli che ne fanno parte. E questi, ignorando come si è formata veramente, la immaginano una entità assoluta preesistente alla Società e propria del nume divino. E cosi la si pensa valere, nella lotta fra i competitori del Potere, al di sopra e delle imprese degli emuli e  di quelle del vincitore.   In effetto però il Potere conquistato dallo stesso vincitore lo emancipa dalla Giustizia, che esso esercita sopra  gli altri, e (massimamente se la lotta è eccitata da idee  sociali nuove) si fa autore di una Giustizia nuova che  deroga quella anteriore creduta divina; e questa per consegfuenza non serve più quale criterio di moralità delle  azioni del Potere medesimo. Di che luminosamente ci  ammaestra la storia nei contrasti multiformi col Potere  sacerdotale sostituito da quello militare, e tra questo e  il civile che gli sottentra nella Civiltà più avanzata.   Il conòetto quindi della Giustizia divina né valse da  sé a impedire nel fatto il Machiavellismo del Potere, né  a riprovarlo nel diritto.  Parlando però di impedimento del Machiavellismo non abbiamo inteso di un impedimento assoluto,  ma solo relativo. La forza della Giustizia, che si stabilìsce nella Civiltà avanzata, anche al di sopra del Potere  di uno Stato, ne impedisce il Machiavellismo tanto o  quanto; ma non mai affatto. La cosa qui è precisamente come nelle reazioni inique tra cittadino e cittadino, che la Legge dello Stato  tende ad impedire: ed impedisce realmente tanto o quanto  ma non mai del tutto. Dalle cose dette importa soprattutto che si  raccolga V importanza suprema, in ordine alla moralità,  dello sviluppo dell' organismo sociale sopra indicato. Come accennammo (e lo dimostreremo più largamente  in seguito) lo sviluppo del consorzio umano nello Stato  ha per effetto la moralità privata. La Civiltà che perfeziona r organismo dello Stato all' interno, e promuove  r associazione civile degli Stati ha per effetto la moralità  politica. La Giustizia (e quindi la Responsabilità, che  è un suo correlativo) non è perfettamente tale nell'organismo civile se in questo non si ha la libertà ù.^\\^ parti  coordinatevi, e la distinzione netta del Potere e delle sue  attribuzioni.   Importa fissare in modo preciso in che consista, teoricamente, la libertà. La libertà consiste in ciò, che la parte coordinata  neir organismo sociale vi possa funzionare secondo la disposizione naturale onde è atta a funzionare. E, in base  a tale disposizione, imprescrivibilmente. E, tanto relativamente a se stessa, quanto nel reagire all' azione collaterale delle altre parti.   S' intende bene che la disposizione naturale onde la  parte è atta a funzionare, traente con sé il diritto imprescrivibile alla funzione relativa, deve essere quella dell' uomo socialmente perfezionato; e quindi in tutto razionale in ordine alla convivenza e alla collaborazione cogli  altri nel consorzio civilmente perfetto. Ma la reazione della parte verso le altre deve essere  tale che non le impedisca. Che altrimenti si avrebbe elisione di attività nelle parti impedite, e quindi lesione in  queste della loro libertà.   È questa una condizione essenzialissima perchè esista  realmente nell'organismo sociale la libertà vera e perfetta delle sue parti. Ora tale condizione importa che la reazione della  parte sulla parte si limiti a quella della pura Convenienza, che esclude la violenza dell' uno suir altro. E cosi questa esclusione,. ossia questo limite negativo, viene ad essere essenziale al concetto della libertà. Sicché questa è determinata positivamente dalla attività  intrinseca dell' operante che ne è fornito, e negativamente  dalla rimozione della violenza estrinseca che la impedirebbe nella sua sfera di coordinazione. Il limite negativo suddetto della libertà ne  porta seco di necessità anche uno positivo, per la ragione  che la rimozione degli impedimenti estrinseci alle libertà  delle parti non si può ottenere se non mediante la costituzione di una forza superiore a tutte, sufficiente all'uopo. La co-azione, colla quale questa forza deve reagire,  per lo scopo detto, sopra le parti subordinate, non elimina la libertà, come sarebbe la coazione tra parte e  parte. Come notammo sopra, la coazione della parte come  tale è egoistica, e quindi a vantaggio della parte che la  esercita e a danno della parte che la soffre; mentre la coazione del Potere sovrastante alle parti è antiegoistica,  vantaggiosa alla Società, e quindi diretta a salvare nella  integrità della sua attitudine e funzione la disposizione  naturale di ogni sua parte.  La forza superiore del Potere essendo richiesta dalle esigenze delle stesse libertà delle parti subordinate» queste devono concorrere a costituirla con una  parte della loro attivitàt sottoponendola quindi alla necessità della organizzazione sociale.   Qui, come dicemmo, abbiamo un limite positivo della  libertà delle parti costitutive della società; ma, siccome  è posto da esse liberamente (mentre l'organizzazione sociale è una spontaneità naturale del consorzio umano nel  quale si produce)» allo scopo di sussistere, torna poi sempre che la libertà delle parti medesime rimane on primo  ed un assoluto da cui tutto in ultimo dipende nella società. Dal bisogno stesso della libertà adunque dipende anche il Potere subordinante. E con ciò è legiitimaiù. E quindi anche determinato in ciò che deve essere.   Determinato nel corpo che ne è investito, il quale  non deve essere una delle stesse parti coordinate, perchè  con ciò essa si troverebbe nel caso sopra indicato ed esclusOf della parte che impedisce V altra   Determinato nella azione che deve esercitare, che è  quella precisa richiesta dai due limiti «opra detti, cioè^  quello di porsi, onde essere in caso dì funzionare, e non  più; e quello di impedire la violenza della parte sulla  parte, e non piùCiò posto r ideale della Società umana richiede  le ragioni che seguono. L' autonomia perfetta delle parti, che cioè  ognuno sia veramente un arbitrio, come dicemmo nella  Morale dei Positivisti. E precisamente quel tanto che  si trova di poter essere realmente.   Secondo. Nessuna esecutività diretta o violenta del  volere dell' una sull' altra. Sicché la reazione loro sia  quella della Convenienza, scevra da costringimento materiale.  Costituzione distinta del Potere, al quale solo  competa la esecutività coattiva sopra le parti subordinate.   Quarto. U ordine del Potere derivante dal corpo  dello Stato per selezione naturale degli ottimi, in dipendenza dal volere stesso delle parti che vi si subordinano;  e in virtù delle Idealità sociali proprie delle stesse, e  quindi non altro che allo scopo della tutela delle autonomie coordinate nella Società, e della stessa loro coordinazione nella medesima.   Quinto. Giusta e stabile organizzazione e subordinazioue delle parti corrispondente alla stabile giusta organizzazione ed efficacia d' azione del Potere. Ma il fatto concreto delle Società storiche dell' umanità si presenta assia vario e complesso. E lo stesso  fU. nella ediz, 118 della ed. del 1893 e del 1901, 122  della ediz. del 1908).  Ideale generico di queste Società non sì può rettamente  comprendere senza lo studio diretto del fatto medesimo. E noi qui lo tenteremo, prendendo le mosse dalla  stessa analogia, alla quale ricorremmo sopra, tra V organismo sociale e l’organismo biologico. Nelle specie infime degli animali le parti del  corpo sono omogenee ed indistinte, o pressoché tali. E  somiglia a questo indistinto preorganico della zoologia  r indistinto preorganico sociale delle truppe o coacervazioni disordinate delle popolazioni selvaggie.   Nelle specie animali che seguono alle infime nella  scala zoologica si ha una prima distinzione di formazione:  cioè una moltitudine di parti distinte, congiunte insieme  in colonie, nelle quali non è ancora costituito un apparato  speciale distinto unico atto a subordinarle insieme nella  unità più perfetta dell' individuo. E a ciò somiglia il fatto dei primordi di una formazione sociale, nei quali,  sul suolo medesimo e coi soli rapporti della vicinanza, e  della parità maggiore o minore delle idee, dei costuiri e  della discendenza comune, si trovano a contatto, in un  certo numero, le tribù o i pìccoli Stati indipendenti gli  uni degli altri. Nelle specie animali superiori, per una distinzione ulteriore (onde si forma la diversità dei tessuti e uno di  questi, il nervoso, resta con una speciale superiorità verso  gli altri in quanto, formando un sistema solo di tutte le  sue diramazioni nate in ogni parte, associa cosi colla unità del suo lavoro i lavori di tutte le unità singole su  cui domina), si arriva alla unità organica propriamente  detta, che non è più quella della massa informemente  coacervata, né quella delle semplici colonie delle unità  distinte, ma quella dell' individuo complete, E somiglia  a questa distinzione progredita quella della Società civile, formatasi in seguito alla distinzione delle tribù in  caste, e al predominio della più forte e intelligente sulle  altre, e alla trasformazione successiva della sua tirannia  nel Potere regolare, moderatore delle unità sociali confederate.  Nel processo evolutivo di distinzione della  formazione biologica l’apparato, onde si unificano le parti  neir organismo assai complesso dell' animale, sorge dalle  intimità della sostanza viva. La quale però non risente l’effetto proprio dell' apparato stesso, uscito dal proprio  seno, se non a misura che si è formato effettivamente.  Lo stesso avviene nel processo evolutivo di distinzione  della formazione sociale. Il Potere subordinante, e quindi  ciò che si dice la Legge e la Giustizia, e la relativa Responsabilità dell' individuo verso di esse, nasce dalla  stessa virtù intima delle parti associate; ossia in ultimo,  degli individui umani. E accennammo già come; e spiegheremo più a lungo in segfuito. Nasce cioè in virtù delle  Idealità sociali (i), che sono un fenomeno psichico proprio dell' individuo.   Ma r individuo non ne ha coscienza distinta se non  dopo che, pel processo naturale indicato, e inconsciamente per lui, il Potere stesso si è costituito.   Ed ecco come l' individuo è il fattore della Legge,  della Giustizia, della Responsonilità; e, nello stesso tempo,  (i) Su ciò verte in generale tutto il Libro I della Maiale dei positivisti, e in particolare il suo Capo III della Parte III.  queste suppongono l’evoluzione sociale già avvenuta, e  vi sono risentite siccome la correlazione dell' individuo  subordinato col potere sovraneggiante. E con ciò siamo ora in grado di rilevare ancora m.eglio, e una volta di più, la verità, già illustrata nella  Morale dei Positivisti, del concetto della morale degli  antichi e di Aristotele in ispecie, che la consideravano  correlativa essenzialmente alla Società formata; e la falsità del concetto ascetico-scolastico, che la considera siccome indipendente dalla Società stessa, fondandosi sul  fenomeno sopra indicato (2) del concetto della Gitistizia  divina. Ma la coordinazione e subordinazione, nel corpo  sociale come neir animale, e in qualunque altra unità organica naturale, non è cosi semplice quale, per chiarezza  e preparazione del discorso ulteriore, sopra abbiamo supposto.  Non è cosi semplice. Vale a dire non è puramente  un certo numero di parti, proprio eguali ed equipollenti,  concertate per la dipendenza diretta unica e sola di ognuna da un centro immediato di tutte unico e solo;  come, per esempio, i raggi di un cerchio dal punto di  mezzo, dal quale si dipartono uniformemente con uguaglianza di lunghezza e di divergenza. E invece immensamente più complessa. Gl’elementi fondamentali ed ultimi del corpo sociale sono gli individui umani, i quali formano, in gruppi  di pochi, degli organismi sociali elementari distinti; queCapo V della Parte III del Libro I. N. 6 del l III.    sti piccoli organismi elementari poi si coordinano come  parti di associazioni e di organismi superiori; i quali alla  loro volta di nuovo si aggruppano in complessi maggiori. E la serie di tali ordini maggiori, che ne abbracciano  dei minori, è ben lunga. Come è anche il caso dell' animale superiore, soprattutto dell'umano, nel quale ogni arto ed ogni viscere è  già un complesso ottenuto per una certa serie di combinazioni di gruppi minori; e gli arti e i visceri sono insieme collegati dai centri del midollo spinale, al quale  poi sono sovrapposti gli altri centri superiori del cervelletto e dei lobi cerebrali, dipendenti alla loro volta dalE qui possiamo venire a una conseguenza importantissima circa i diversi aspetti che assume nella Società civile ciò che dicemmo in genere, la Giustizia; e quindi anche la Responsabilità. Data la serie delle subordinazioni dette sopra, solo degli estremi si potrà dire che siano assolutamente, T infimo, la piura Convenienza, e il sommo, la piura Giustizia. Non COSI dei medii. Qualunque dei quali non sarà assolutamente, né la Giustizia, né la Convenienza; ma con incoata, e si compia solo in virtù del Tribunale dello Stato.  E cosi il Potere dello Stato, per rispetto all' esercizio della Giustizia subordinata della associazione particolare, no permette solo quello che non danneggia l'assetto generale della Società o il Diritto dei soggetti in  quanto questi sono enti, oltreché della essociazione particolare, anche in pari tempo della totale.   Il che fa sì che la Giustizia propria dei Poteri subordinati, col progredire della Società, va sempre più avvicinandosi a ciò che chiamammo sopra V arbitrato, E  che rispteade massimamente in quello paterno del buon  padre di famiglia.  Spieghiamoci meglio.  Nelle popolazioni selvaggie l’individuo è vindice di se stesso, o dei propri voleri, al di sopra dei quali non è costituito ancora, per la  imperfezione della associazione in cui vive, nessun potere giudicatore. E vindice dei propri voleri, anche se violatori della  libertà dell’altro. La costituzione di. un Potere superiore. nelle Società  progredite, che si assume la vendetta delle violazioni  della libertà individuale, togliendo la esecutività co-attiva al *volere dell' individuo sopra l’altro*, assicura la libertà di ambi. Tanto la cosa è cosi che, se per poco vien meno  questo Potere superiore, torna subito all' individuo la necessità e quindi il Diritto della propria vendetta. Come  nel caso che una persona appartenente ad una società civile si trovasse fra una popolazione selvaggia, o sopra una nave in alto mare e quindi fuori della portata del  Potere vendicatore, o assalito senza scampo immediato  da malfattori, o in un momento di anarchia dello Stato  in cui vive. Nel primo embrione di Società, in quello mettiamo  di una famiglia isolg-ta dal resto degli uomini, le contese  tra i fratelli le giudica e le vendica il padre, che ne è  il capo naturale. E la sua vendetta è illimitata e senza  responsabilità verso nessuno. Nessuno per ciò gli impedisce o gli contende il Diritto anche sulla vita dei figli e della moglie.   Non così però, coordinate che siano le famiglie sotto  un Potere superiore nella città che le abbraccia in una società sola. In questa città il Potere superiore tende a  limitare il Potere del padre al puro necessario per l'esistenza, il ben essere, la prosperità della famiglia come  tale; e veglia a che il padre non eserciti verso i suoi  dipendenti altro Potere che questo, che però in pari  tempo concorre ad assicurare: e vendica su di lui ogni  eccesso od abuso del potere. E da ciò consegue naturalmente, che se ne restringa  sempre più la esecutività, e che si converta in semplice  arbitrato; nel quale può soprattutto, e da sé sola, per la  propria impulsività morale, la Idealità sociale, nella quale  consiste la Legge, nel cui nome l'arbitrato si esercita. Ed ecco quindi l’effetto naturale del progresso  della evoluzione sociale: salvare e garantire sempre più le autonomie naturali. Stabilire sempre più distintamente il compito dei Poteri subordinanti; e impedirne gli eccessi e gli abusi.   Rendere quindi con ciò più evidenti le Idealità s(h  ciali, e rafforzarne la impulsività, e ridurle alla condizione di Poteri efficaci senza uso di violenza e quali semplici arbitrati. Come più volte, e per varie g^ise, deducemmo sopra.  Il quale eflFetto, che il Potere si converta in  semplice arbitrato, lo riscontrammo anche nello stesso  Potere, solo provvisoriamente supremo, di un singolo  Stato.   Solo provvisoriamente supremo. Perchè notammo,  che lo Stato tende a coordinarsi naturalmente nei collegamenti intemazionali di più Stati. E per la stessa legge; mentre dimostrammo, che il  Potere di uno Stato va sempre perdendo del violento, e  avvicinandosi alla natura puramente persuasiva della Idealità, che si impone da sé, in conseguenza di una forza  estema e superiore ad esso; cioè del potere inter-nazionale, tendente ad impedire gli atti di lesa umanità nei  singoli Stati intemazionalmente collegati o altrimenti, e  il loro Machiavellismo.   Come emerge poi luminosamente anche dalla storia  politico-sociale contemporanea.   Un saggio storico eloquentissimo di un Potere superiore convertitosi in semplice arbitrato si ha nel  fatto della Chiesa Romana, e in seguito all' abolizione di  ciò che in essa si chiamava il braccio secolare.   Si verificò in questa conversione, per questo lato,  r Ideale della Società umana, sopra da noi chiamato anche  il regno (razionale) della Giustizia sottentrante a quello irrazionale del fato; ossia il regno del concorso libero  o autonomico delle parti costituenti; e non eteronomico(\)y  ossia p>er violenza materiale esercitata sopra di esse da  una forza, non morale, ma bruta.  E questo arbitrato sociale non è poi altro in  fine se non lo stesso arbitrato della volontà dell' individuo sopra se stesso, onde emana, come più volte dicemmo. Ne emana, e quindi ne ha in sé le ragioni costitutive. Nel medesimo tempo però, per le ragioni già ripetute, lo stesso arbitrio individuale non finisce di diventare ciò che deve essere (vale a dire una forza che muove  per la impulsività pura delle Idealità sociali), se non a  misura che, idealizzandosi nel modo anzidetto, si perfeCirca r Autonomia e la Eteronomia, vedi la Morale dei Posiiivisti, Lib. I, Parte II, Capo IV (Pag. 113 del volume III di queste Opere filosofiche nella ediz., 118 della ed. e del  1901, e 122 della previa edizione).  seziona il Potere sociale al quale V individuo è subordinato.   Onde poi lo studio dell' arbitrio sociale subordinante  serve indirettamente a far conoscere la natura dell'arbitrio deir individuo umano.   E siccome lo studio da noi qui fatto dell' arbitrio  sociale subordinante ci ha condotto al concetto di una  Legge© che si impone colla sola evidenza della propria  Giustizia, con ciò abbiamo una nuova prova della nostra  dottrina (esposta nella Morale dei Positivisti). L'idealità sociale impulsiva del volere individuale  è una Giustizia.   Ed ora poi dalle cose dette possiamo ricavare  la conseguenza, alla quale mirava tutto il lungo discorso  fin qui fatto sopra la distinzione e la genesi della Convenienza e della Giustizia. L' Idealità sociale è la stessa Legge che si stabilisce  nella Società. E la Legge è la Giustizia in quanto importa una Responsabilità dei subordinati verso il Potere.  L' idealità sociale (impulsiva della volontà dell' individuo, com' è dimostrato nella Morale dei Positivisti) si  viene formando nella psiche dell' individuo convivente  nella Società per effetto di questa convivenza. Per ciò diciamo che r Idealità sociale è infine nuli' altro che l'mpronta, nella psiche singola di un dato uomo, della Legge  o del Volere sociale subordinante. Nello stesso luogo indicato nella nota precedente.  Da ciò consegne poi che l’Idealità sociale nella psiche o nella mente dell' uomo, in cui si è formata nel  modo ora detto, non si presenta come una semplice verità logica, dipendente da una propria speculazione teorica, ma si come qualche cosa che si impone; cioè come  una Legge che la domina da una altezza superiore, e accompagnata dalla minaccia di una Sanzione vendicatrice;  ossia, non come una semplice idealità qualunque, ma come  una Giustizia. Ed ecco scoperto il nostro gran difficile.   La Giustizia non può essere che la legge del potere subordinante: e tuttavia la Idealità sociale, impulsiva del volere dell' individuo e nascente in lui per la  evoluzione intima e propria della sua psiche, è pure una  Giustizia. I due asserti parevano contradditorj; e invece sono veri  ambedue, accordandosi tra di loro e spiegandosi a vicenda. Si spiegano a vicenda.   Da una parte, non è possibile il fatto della Legge  del Potere subordinante senza il lavoro psichico dei diversi individui che compongono la Società. Dall' altra, le stesse attitudini dell' individuo sono  però massimamente gridate nel loro funzionamento naturale dall' ordine delle cose della Società in cui vive. E  quindi le Idealità sociali dell' individuo devono assumere  nella sua mente la forma della Legge subordinante che  domina nella Società che lo involge: devono essere nella  sua mente come 1' eco o la soggettivazione o il pensiero  del fatto oggettivo reale dell'ambiente che determina il  suo lavoro intimo. Il valore scientifico della detta soluzione della  difficoltà propostaci è tanto maggiore in quanto l’induzione sociologica qui conferma pienamente l’induzione  psicologica, che nella Morale dei Positivisti ci portò alla  medesima conclusione. Alla conclusione cioè, che la morale individuale è essenzialmente dipendente dalla morale sociale; e che VEtica è un ramo della Politica, come diceva Aristotile,  ossia della Sociologia, come si dice adesso. E che il principio dei Metafisici, che sia l'Etica che  crei la Sociologia (e non il contrario), è falso.   Falso, come, in ogni altro ramo della scienza, il credere che il fatto complesso della natura sia determinato  direttamente dalle azioni indipendenti dei singoli componenti, e non che l’azione di ogni componente sia essa  stessa determinata dal suo rapporto col resto della natura; come ho spiegato nel libro della Formazione natila  rale nel fatto del sistema solare, dove dimostrai che  la legge di una formazione naturale qualunque è questa:  che un fatto singolo è il punto nel quale si intersecano le  due linee infinite dello Spazio (o delle cose tutte quante esistenti) e del Tempo (o delle azioni tutte quante succedutesi). E godo adesso di avere illustrato quella legge generale col rilevarne la verifica anche n^Wz. formazione etica. La quale ha questo carattere, di apparire nella coscienza individua siccome una Giustizia. E la Giustizia  implica un ambiente esterno alla coscienza stessa, dal  quale sia determinata. Del quale principio poi (e gioverà notarlo qui  ancora, quantunque, la cosa, l’abbiamo accennata altre  volte precedentemente) è prova positiva diretta il fatto  storico (superiore a qualunque eccezione, e accertabile  nel modo più evidente) che nmt non fu possìòtle di iravare in una coscienza individuale una Idealità elica, ossia  un principio di Giuslizia, di formazione inconsapevole,  £he non corrispondesse al fatto della Legge sociale realmente riabilitasi neir amòiente nel quale la coscienza  stessa fu educata. Proprio come sopra nessuna bocca  d'uomo parlante fu mai possibile una parola inconsapevolmente appresa, che a lui non abbia insegnato la Società dei parlanti fra i quali crebbe. E come in tutte le cose le diversità degli ambienti  creano le varietà e le specie delle individualità dipedenti, cosi le Varietà e le Specie eliche fra gli uomini  sono create storicamente dagli ambienti sociali vari e diversi, ai quali essi appartengono; e per quella stessa  leg^ge dell’ordine e del Caso, che in ogni parte della natura si verifica nella produzione delle Varietà e delle  Specie delle cose, come dimostrai nel libro testé citato. Che più? La stessa teoria dei metafisicici fornisce un argomento in appoggio della nostra. Anche il Metafisico ha trovato nella coscienza umana  Una serie di Idealità, direttive del volere, con questo carattere della Giustizia o della Obbligatorietà; e ha argomentato che, per ciò stesso, ossia per tale carattere della  obbligatorietà, era giocoforza ricorrere a qualchecosa di  esterno alla coscienza medesima, onde quelle Idealità le  fossero dettate, e di fronte ad essa sancite. Se non che il Metafisico non si è apposto nella determinazione giusta di questo esterno. Ossia il suo esterno  non è quello distinto e vero del Positivista, che è quanto  dire l’ambiente sociale; ma l’indistinto, anzi il confuso  della speculazione volgare antiscientifica, ossia dio. Non si è apposto qui il Metafisico, come non si è  apposto neir assegnare T esterno onde dipende la produzione della pianta e dell' animale, che il Positivista ha  trovato essere la stessa natura (i) e il Metafisico ha creduto fosse il volere diretto della divinità. L' Idealità etica è una Legjge obbligante, ossia una  Giustizia. Dunque, ha detto il Metafisico, tale Idealità è  prima una realtà fuori dell' uomo, ossia è un pensiero di  dio. E da esso è dettata in modo misterioso all' uomo. Vale a dire lo stesso pensiero divino di quella Idealità  è riflettuto nella mente umana, come in uno specchio il  raggio di luce che lo illumini da un corpo per sé luminoso. L' Idealità etica è una Legge obbligante. E non lo  sarebbe realmente se non importasse una Sanzione. Dunque, ha detto il Metafisico, lo stesso dio ha decretato  quella sanzione e la applica in un modo misterioso. Un  castigo misterioso è preparato in una vita misteriosa avvenire a quelli che trasgrediscono la Legge stessa. Non sarà inutile qui di avvertire che, pel significato dì questa  parola natura, mi riferisco alla spiegazione che ne do negli 'altri  miei libri, e specialmente in quello della Formazione naturale nel  fatto del Sistema solare: e per la quale intendo solamente le proprietà  inerenti alle stesse cose. Sicché è ridicola affatto V osservazione di  certi miei accusatori superficialissimi^ che io con questa parola non  faccia altro che sostituire al soprannaturale, chiamato dio dai metafisici, un’altro soprannaturale chiamato natura.  Dal che si rileva, che la Metafisica ha notato giustamente la relatività della Giustizia data nella coscienza  verso una esteriorità che renda ragione delle qualità caratteristiche della Giustizia medesima quali la osservazione le riscontra nel fatto della coscienza stessa. Solo  ha sbagliato nel projettare questo fatto. Ha sbagliato la  Metafisica nel projettare V individuo cosciente sul fondo  della esteriorità immaginaria e fallace della divinità anziché su quello della esteriorità positiva e vera della  Società,   Ha sbagliato qui la Metafisica, come negli altri  campi dello scibile la scienza vecchia in genere. Per  esempio, l’astronomia tolemmaica, che aveva ragione nel  distinguere i fatti dei movimenti dei corpi celesti, ma  errò nella loro projezione. Proiettandoli essa secondo la  ragione del suo falso supposto che la Terra fosse immobile, le osservazioni vere condussero ad un disegno falso  del movimento cosmico reale. Per render vero questo disegno l’astronomia copernicana non ha avuto bisogno di  altro che di projettare le figure medesime del movimento  sidereo, notate dai tolemmaici, secondo una ragione prospettica diversa; cioè secondo la ragione della immobilità del Sole, e della mobilità della Terra intorno ad  esso. E così qui possiamo riconfermare il nostro asserto  per ciò che dicemmo in un capitolo della Morale dei  Positivisti, dove accennammo alla genesi storica della (i) Capo VII della Parte I del Libro I, n. 8 (Pag. 70 del Voi.  Ili di queste Opere filosofiche nella ediz., 72 dell' ed.  del 1893 e del 1901, e 75 dell'ediz.). stessa Idea della Giustizia divina nel terzo stadio della  evoluzione del sentimento religioso. L’Idealità sociale è gia Giustizia potenziale. La Giustizia adunque, secondo le cose dette,  ha due lati essenziali correlativi V uno air altro; correlativi come r individuo e la Società. Due lati: dalla parte della Società, ossia come un  fatto verificatosi persistentemente nel Potere che la esercita sugli individui dipendenti: e per questo rispetto specialmente si chiama Giustizia. E dalla parte dell* individuo nel quale è, non qualchecosa di statico, come nel  Potere, ma una potenzialità, ossia qualche cosa di dinamico: e per questo rispetto specialmente si chiama Idealità sociale. Capitale questo carattere della Giustizia o dell'Idealità sociale dell' individuo. E positivamente certo: poiché  corrisponde alla osservazione del fatto. E che non si può  spiegare se non per le vie onde qui lo scoprimmo. E  senza del quale poi è impossibile chiarire le diverse  forme delle reazioni sociali, e quindi delle responsabilità corrispondenti al principj etici dominanti nella coscienza individuale. E in che consiste questa ragione dinamica o questa  Potenzialità? Ossia in che modo la Giustizia nella coscienza individuale è una Giustizia potenziale?  Nell’individuo non può esistere distintamente  in un determinato modo il concetto della Giustizia sociale obbligante, e correlativa ad una Sanzione, se non  per effetto sull'individuo stesso della vita sociale complessiva, della quale esso faccia parte. Questo si: ma è  pur vero che, come la Società è V opera degli individui  che r hanno costituita, cosi la Giustizia che vi domina si  deve in ultimo alle loro disposizioni psicologico-morali,  che ne sono la potenzialità inconsapevole. Secondo. Una volta che la Giustizia sociale è divenuta, pel processo naturale inconsapevole della formazione della Società, un fatto statico atto ad informare di  sé la coscienza dell' individuo vivente sotto il suo regfime, questa coscienza concorre a mantenerla nell'essere  suo. E ciò più o meno consapevolmente. Così, per esempio,  il maestro di musica di una data epoca è in possesso della  sua arte perchè questa vi si era naturalmente maturata; e  cosi potè essere da lui appresa nella forma che vi aveva.  Egli poi serve in pari tempo a mantenerne la tradizione. La applicazione della Sanzione sociale in virtù  della detta consapevolezza viene ad essere reclamata dallo  stesso pensiero della Giustizia vivente nella coscienza individuale. E quindi la detta applicazione è una soddisfazione della stessa coscienza individuale. E tanto, che  la Sanzione medesima essendo applicata, mentre soddisfa  il reclamo della coscienza individuale, nello stesso tempo  la rafferma e la rende più viva e sentita, come osservammo nella Morale dei Positivisti (Libro II, Parte IV, Capo II, n. 17 (pag. 400 e seg. del Voi.  Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 423 dell' ed.  del 1893 e del 1901, e 433 delPediz.). La coscienza individuale diventa per tal modo  giudice in primo appello, o potenziale, dei fatti e degli  ordinamenti della Socteià complessiva. E giudice delle parti coordinate nella Società^   Settimo, E giudice di se stessa. Ed ecco, in questa  ultima cerchia, la Giustizia sociale divenuta Giustizia  etica.  La Giustizia sociale cosi nell'individuo lo rende  un giudice potenziale verso tre termini: la Società stessa,  le altre parti coordinate (ossia ciò che anche si dice, il  prossimo), e se stesso.   Come giudice potenziale verso la Società coopera  nella produzione del Potere e nella riduzione di esso alla  sua forma giusta. Come giudice potenziale verso il prossimo si atteggia  nella reazione che dicemmo della Convenienza. Come giudice potenziale verso se stesso si manifesta  nel fatto intimo del rimorso per la colpa e della compiacenza morale per la virtù,   Resta che si considerino un poco queste tre  specie di giudizi del tribunale individuale della coscienza  di ciascun uomo,  E, per ora, la prima e la seconda.  E cominciando dalla prima, ossia del giudizio dell' individuo verso il Potere sovrastante. Nello sviluppo normale della vita sociale la  ragione della Autorità subordinante e la sua fissazione  in un Potere effettivamente affidato ad un dato ordine di  persone va producendosi di continuo inconsciamente (quantunque in modo inegualissimo dall' uno all' altro) nella  psiche dei singoli individui. E perciò fu da noi detta  sopra, non statica, ma dinamica. Vi si va producendo di continuo secondo che la compartecipazione precedente degli individui stessi li ha messi in grado di procedere, dalla formazione psichica  acquistata inconsciamente nella matrice sociale educativa,  ad una formazione ulteriore.   E con un lavoro, che si svolge si nei singoli individui, ma nello stesso tempo, per la comunanza della vita  morale, si aiuta nel formarsi del lavoro simultaneo degli  altri.   Inegualissimamente, abbiamo detto, nei singoli individui. Ma colla consapevolezza del consentimento nella  formazione stessa della massa sociale. In modo che la formazione medesima, quantunque  inegualissima nei singoli, determina una tendenza complessiva, che ha la potenza unica e grande corrispondente  alla somma delle individuali. Potenza che si attesta con un effetto proporzionato:  cioè colla creazione del Potere sociale, che rappresenta  quella Idealità sociale onde è l’effetto (come già dicemmo), o col perfezionamento del Potere già esistente,  in corrispondenza col perfezionamento delle stesse Idealità sociali.   Per tal modo il Potere, come è una manifestazione  spontanea della vita sociale, nella quale concorrono i singoli individui inconsciamente, e prorompe quindi da tale  inconscio concorso irresistibilmente, cioè pel processo invincibile della natura, e diventa coscienza dell'individuo  solo dopo che si è manifestato nella realtà sociale pròdotta dal processo medesimo, così è potenzialmente prima  neir individuo.   Ne viene, che V individuo stesso, una volta che ha  potuto cosi accorgersi dell' Idealità sociale produttrice del  Potere sociale (accorgersene cioè dopo la sua manifestazione comune in esso operatasi), s' accorge insieme di due  cose. Che cioè la detta Idealità ha all' estemo per suo  corrispondente il Potere stabilito nella Società, ed è nata  dentro di sé: e che vi è nata col carattere di una Giustizia; vale a dire con quel carattere col quale apparisce  all' individuo quando arriva ad averne la coscienza. E  tanto, che l' individuo sfesso per tale Idealità concepita  come Giustizia giudica lo stesso fatto esterno del Potere:  ossia rileva come corrisponde o meno al principio di  Giustizia della propria coscienza, e pone astrattamente  una Responsabilità dello stesso Potere verso esso principio. Ed è ciò precisamente che notammo sopra, parlando  del Machiavellismo polìtico nel suo riguardo all' interno, e del fenomeno storico del concetto della Giustizia  divina.  Il che poi spiega un altro fatto della evoluzione sociale. Quello cioè che, a misura che una Società  progredisce nella cultura e nella umanità, diminuisce ciò  che si dice il Diritto del più forte, é cresce ciò che si  dice il Diritto dell' uomo, e l’ordinamento sociale va  sempre più diventando elettivo. Che è mai il Diritto dell' uomo, che si attesta di  fronte al Diritto del Potere subordinante, se non la suddetta coscienza individuale della Idealità sociale, onde il potere medesimo nasce e vige? Si: è proprio la suddetta  coscienza individuale, che ne è il giudice potenziale, ponendolo, fissandone i confini, e creandone la responsabilità in modo. astratto verso se stessa.  Questo Diritto, la coscienza lo trova in sé, in seguito  al fenomeno sociale corrispondente verificatosi; a quel  modo che la coscienza dell'arbitrio sopra le proprie gambe  si ha solo dopo che si è fatto Tuso volontario delle  gambe medesime. E l’arbitrio la causa onde si muovono le gambe; ma  solo r effetto seguito del movimento rende avvertita la  coscienza di tal suo potere.   E ciò è proprio di ogni genere di coscienza.  Per esempio, dell' arte. Che sa dell'arte l'uomo prima  di avere prodotto un' opera d' arte? U opera riuscita inconsciamente estetica gli rivela il suo potere estetico. E  dair opera medesima che 1' uomo ricava la coscienza e la  regola dell' arte in genere e la mossa a progredire nel  correggere e migliorare la precedente, e a giudicarne.  E di mano in mano che la coscienza della Idealità  sociale va facendosi nella generalità distinta e forte e  impulsiva in proporzione dell’atto umano, anche la creazione del potere si sottrae al caso della forza brutale e  si fa dipendente dalle deliberazioni dirette degli individui associati: tanto più razionali e libere dalla violenza,  quanto più la massa degli individui stessi è umanizzata.  Onde, se la selezione naturale è la legge secondo la  quale negli organismi in genere si crea il loro apparecchio centralizzatore, nell'organismo sociale, per la creazione del Potere, che è il suo apparecchio centralizzatore. "TW^W^^PP^la selezione naturale si specifica nella forma superiore  della ciezìofie,  E anche in ciò toma il principio già ricordato del  procedimento progressivo della Società nel suo sviluppo:  cioè del regno della Giustizia razionale, che si va sempre  più sostituendo a quello del fato: analogo al procedimento generico della natura, che neir uomo tanto più è  diventata psiche quanto più ha cessato di essere cosa meramente _^ica. Tutto ciò nel processo sociale di evoluzione  normale. E nell'anormale?  Xeir anormale si genera un movimento periferico  contrastante la funzionalità centrale, che non armonizza  colle Idealità sociali già formate negli individui sottoposti. Un movimento contrastante che può andare fino  alla distruzione della funzionalità esistente, e quindi alla  sostituzione di un'altra che armonizzi colle dette Idealità,  ossia colla Giustizia potenziale degli individui medesimi.  E questo il processo della rivoluzione.  Succede in questa un fatto analogo a quello fisiologico della passione, nella quale una eccitazione insolita  invadente le parti subordinate dell' organismo sopraffa i  centri, sostituendo quindi il proprio impulso a quello  normale dell'apparato volitivo libero.  E tale processo anormale della rivoluzione, nel fondo,  è quello stesso normale detto sopra della evoluzione. Poiché anche in questo il Governo sociale è determinato dal  consenso delle parti subordinate. La differenza sta solo  in ciò, che nel processo normale della evoluzione il centro  si presta, cedendo, ad atteggiarsi secondo le esigenze della Giustizia potenziale; e nell'anormale della rivohinone no. In una parola, le forze che agiscono sono le  stesse, e gli eflFetti diversi dipendono dalla diversità dei  rapporti delle forze medesime. La rivoluzione sociale propriamente detta dunque suppone una condizione avanzata di cultura morale dei membri della Società.  Più è questa cultura morale e più è irresistibile la  forza rivoluzionaria.  Ma più questa forza è irresistibile e più la sua anione è  moderata e procede per moto evolutivo anziché sovversivoIn modo che, nel massimo della cultura, e quindi  della irresistibilità, e conseguentemente della moderazione, il moto rivoluzionario coincide con quello normale  progressivamente riformante detto sopra.  Q, Perchè non si incorra in un equivoco circa il  principio sopra stabilito, bisogna ricordare qui esattamente il concetto da noi posto a fondamento di tutto il  nostro discorso; ossia quello della Giustizia potenziale,  che infine è la stessa Idealfià sociale an^iegoùHca; la  quale nella umanità perfezionata è impulsiva irresistibilmente della volontà individuale.  Onde r individuo rivoluzionario per eccellenza è, non  Tuomo di poca levatura, nel quale la mente e il volere  si acconciano a ciò che impera esternamente» trovando  tutto buono; ma il Sapiente, quale fu da noi definito  nella Morale dei positivisti.  (D Libro I, Parte li. Capo IV, w. 17 (^ag^ lay del Voi. Ili di  queste Ofté re filosofiche nella ed, dei iS85, 132 dell* ed* del J&93  e deJ 1901, e 136 dell" ed. del 1908). Il sapiente, come ivi dicemmo, è quello nella coscienza del quale le Idealità sociali antiegoistiche si sono  espresse colla massima evidenza, e acquistarono la massima impulsività sul volere. Onde è ciò che si dice un carattere. Esso è per questo nella impossibilità di patteggiare cogli ordinamenti riprovati dalla potenzialità della  Giustizia imperante nella sua coscienza: anche se il patteggiare gli porti soddisfazioni egoistiche. Ed è anche nella  impossibilità di non isforzarsi secondo la potenzialità medesima; anche se il farlo gli porti danni personali. Questi  egli li incontra senza impensierirsene e tranquillamente  come Cristo e Socrate, e tutti i cosi detti martiri delle idee.  Sublimemente questo fatto nel cristianesimo primitivo è stato espresso nel principio, che òisogna ubbidire  prima a dio poi agli tcomini, E il principio, come è  chiaro dopo le cose dette, è in tutto vero, quando alla  espressione dio, che indica indistintamente una realtà  giusta, si sostituisca quella di Giustizia potenziale, che  indica distintamente la realtà stessa. E discende poi da ultimo dalle cose dette  anche la conseguenza, essere la teoria della rivoluzione  del positivismo diametralmente opposta alla vecchia della  Metafisica, espressa soprattutto oella dottrina del contratto  sociale di Spinoza e di Rousseau.  Il contratto sociale è falso per la storia naturale della  umanità.  Per la storia naturale dell' umanità è vera invece  un' altra legge: la legge della naturalità della società  umana, formantesi spontaneamente, e inconsci gli individui subordinativi.  Nella dottrina di Spinoza e di Rousseau il moto rivoluzionario è determinato dall' individuo che si pone  come un assoluto; e quindi è affatto egoistico; e quindi  tende a disfare la Società. Nella dottrina positivistica invece il moto rivoluzionario è determinato dall'individuo siccome ordinato naturalmente alla Società; ossia è determinato dall’idealità che vi hanno relazione. E quindi è essenzialmente  ant-iegoistico o altruistico – l’amore dell’altro, la benevolenza, la beneficenza: e conseguentemente tende, non a disfare la  diada sociale, rna a migliorarla. Consideriamo ora il giudizio del tribunale individuale della coscienza di ciascun uomo verso le parti  coordinate nella Società, ossia verso di ciò che si chiama il prossimo. Nel che tocchiamo di un argomento di importanza principalissima tanto dal lato sociologico quanto dal lato  morale propriamente detto.  E la nostra considerazione, cominciando in questi  due ultimi paragrafi del primo Capo del libro, sarà pròsegpiita nel seguente. La Idealità sociale è una formazione naturale della  psiche individuale umana: e tale Idealità è impulsiva del  volere: e per esso gli atti liberi dell' uomo sono antiegoistici e quindi morali.  E (come indicammo anche qui nei paragrafi precedenti) la Idealità sociale agisce sopra il volere dell'uomo  presentandosegli nella forma della Giustizia; vale adire  come qualchecosa che ha rapporto con una Sanzione: ossia  è una legge che importa la Responsabilità del volere  verso di essa.  La Giustizia onde è dettata e autorizzata Téizione del  volere ne costituisce il Diritto,  La Giustizia che importa verso di se la Responsabilità del volere ne costituisce il Dovere a).  Ed ecco in che modo la Idealità sociale, che è una  formazione naturale spontanea dell* individuo, è in pari  tempo, e un concetto mentale, e un motivo pratico (ossia  una forza che determina T atto volontario), e una Giustizia, e una Legge, e un diritto, e un dovere.  L'essere umano, unico o collettivo, in quanto  r azione ne è determinata dalla Giustizia, è una Persona,  Il genere poi della Personalità varia secondo il genere  del rapporto creato dalla Giustizia medesima.  Considerando qui il rapporto di subordinare nell'organismo sociale, si ha la Personalità del Potere. Considerando il rapporto di esservi subordinato, si ha la personalità della parte sociale sottoposta che, in ultimo, è  r individuo. Pel potere la Giustizia è la stessa Legge dello Stato.  Per r individuo è la stessa Idealità sociale che in lui si  forma e che chiamammo Giustizia potenziale.  In virtù della Legge il Potere costringe il subordiVedi la Morale dei Positivisti; per es. Libro I, Parte II,  Capo IV, n. 15 e 16 (Pag. 125 del Voi. Ili di queste Opere filosofiche  nella ediz. del 1885, 131, 132 dell* ediz. del 1893 e del 1901 e pag.  135» 136 nella ediz. del 1908).  nato alla osservanza della Idealità sociale. E quindi il  Potere ha un Diritto sul subordinato, e il subordinato ha  un Dovere verso il Potere. E il Diritto del Potere qui è  positivo.  Ma in virtù della Giustizia potenziale anche il subordinato ha una azione sopra lo stesso potere. E per tale rispetto quindi  il potere ha un *dovere* verso il subordinato; e questo  ha un *diritto* verso il Potere. E il *diritto* del subordinato qui è *naturale*. Ed ecco il concetto vero del diritto naturale, creatore e gfiudice del positivo e vendicatore sopra lo stesso potere delle ragioni del subordinato.  E cosi, per asserire lo stesso diritto naturale, non  occorre punto uscire dall’uomo, e riferirsi ad una divinità e ad una Legge da essa emanata.  Questo diritto naturale appartiene all'essere umano,  malgrado che in esso non possa formarsi al di fuori  della Società e senza che V Idealità sociale della psiche  singola siasi prima convertita nella Legge positiva del  Potere. Essendo poi il Diritto positivo lo stesso fatto  del Potere che si è costituito efifettivamente in una data  Società, con ciò si spiega come possa essere più o meno  in contraddizione col Diritto naturale, preso siccome la  Giustizia potenziale astratta, desunta dallo studio comparativo dei fatti sociali, e rappresentante quindi un ideale,  che solo imperfettamente si trovi realizzato nelle singole  formazioni storiche della Società umana.  Ed essendo il Diritto positivo stesso una formazione naturale della totalità sociale, che diventa qual' è col passare dall' indistinto al distinto (per la legge comune ad  ogni formazione naturale), cosi si spiega come, prima di  essere un codice scritto, è stato una consuetudine sorta  per inconscia spontaneità; e come la stessa consuetudine,  che seguita a sorgere pure per inconscia spontaneità anche dopo la fissazione del codice, possa a poco a poco  avere prevalenza, come diritto, sopra la legge positiva. Il Diritto naturale, oltre comprendere la ragione, imperante nel subordinato, di creatore, giudice e  vindice verso il Potere sovrastante, ne ha in sé anche  un' altra.  Vale a dire ha in sé anche la ragione di ciò che designammo sopra col nome di Convenienza, che riguarda  i rapporti dei subordinati tra di loro, e non ha esecutività propriamente detta. Ora é da dire di questa più chiaramente e precisela  mente, se e come sia o no una Giustizia, e quindi appartenga alla Moralità; poiché la Moralità non si può concepirla se non con una Sanzione e con una Responsabilità; e quindi in ordine ad una Legge sovrastante: cioè  come una Giustizia.  Domanderemo e risponderemo di nuovo: Quale é l’ufficio del Potere? L'ufficio del Potere è triplice. Dì stabìlii-si aella Società a spese delle  sue partì. Di difendere l’autonomia di ciascheduna  dalla violenza delle altre. Dì dispensare nell'effetto del mij^Uoramenta  delle parti quella forza coniane dell* ambiente sociale  che opera per esso Potere. In tutte e tre le suddette forme del suo ufficio il  Potere esercita sulle parti un Diritto, come abbiamo  detto. E la ragione della azione del Potere è quindi una  Giustizia, ossia è col legata ad una Sanzione, E ciò perchè  esiste una Responsabilità per parte dei subordinati verso  di essa azione, se mai violassero gli ordini stabiliti.  E il Diritto medesimo lo dicemmo un Diritto positivo.  Ma questo Diritto positivo dimostrammo sopra dipendere in ultima analisi dal Diritto potenziale o dalle  Idealità mentali degli individui» Onde, in ultima analisi,  potenzialmente la Giustizia non è altro che le stesse Idealità mentali. La Giustizia dunque si estende quanto la potenzialità  della Idealità sociale, formantesi nella psiche singola dell’uomo per la sua partecipazione alla vita comune della  Società; nella quale si cova, per cosi dire, il germe individuale, si che si maturi in lui la disposkione naturale  al civile coasorzio. Maturazione questa che importa tutte  tre le forme suddette dell' ufficio del Potere, se non che il Potere stesso non è tutto l’effetto di tale maturazione; ma solo una parte* Quella cioè,  che si potrebbe chiamare V effetto più disHnéù.  Oltre sififatta parte ne resta un'altra; e più estesa  ancora: ed è quella che non si matura nel fatto di un  Potere legale, ma rimane neW indistinto di ciò che chiamiamo la Convenienza. E la Convenienza la diciamo un indistinto appunto perchè il Potere non è altro che un distinto che si forma posteriormente da essa per una elaborazione più compiuta. Ne /iene che, se il Potere è il Diritto distinto, e  quindi la sua ragione una Giustizia distinta, (e cosi la  Sanzione e la Responsabilità) la Convenienza è invece un  Diritto indistinto, e quindi anche una Giustizia indistinta. Una Giustizia indistinta si, ma pur sempre una Giustizia.  Ed ecco come il concetto della Giustizia, e  quindi della Legge morale (col suo rapporto ad una Sanzione e con una Responsabilità) si allarga oltre la sfera  delle prescrizioni del codice pubblico e si estende a tutte  le relazioni libere tra individuo e individuo. E come  questa Legge morale extralegale sia anch'essa puramente  una formazione naturale della psiche dell'uomo civile. E  quindi non occorra per ispiegarla ricorrere al sogno della  Legge eterna della divinità. E il farlo sia un errore analogo a quello della vecchia astronomia che, il moto della  Luna intorno alla Terra, lo spiegava col comando dato alla  Luna da dio di girare cosi intorno alla Terra, e non per via  della stessa naturale evoluzione cosmica; e, la virtù dell'acido di intaccare il metallo, lo spiegava colla proprietà intaccatrice capricciosamente concessa da dio all'acido, e non  per via della stessa disposizione intima degli atomi componenti la molecola dell'acido e del metallo, onde dipende naturalmente ossia necessariamente, il fatto chimico suddetto. La Giustizia legale (seconda forma dell' ufficio del Potere) è una gradazione evolutiva superiore di un indistinto inferiore da cui emerge.  Ma la cosa ha bisogno di essere dilucidata  meglio e con esempj più concreti.   K per ordine. Cioè secondo le tre forme dette sopra  deir ufficio del Potere. E comincieremo dalla seconda, di difendere l’autonomia di ciascheduna parte della Società dalla violenza delle altre. La difesa dell' individuo subordinato, assunta  dal Potere, importa che questo lo guardi dalle ofifese  degli altri, e faccia che V ofifensore risarcisca T ofifeso; e  che gli arbitrj singoli nella loro attività si equilibrino  vicendevolmente in modo che la limitazione imposta a  ciascheduno sia la minima necessaria, la minima indispa usabile ad ottenere la coordinazione giusta nella Società, richiedente la collaborazione egualmente non impedita di tutte le sue parti.   Ma tale difesa, assunta dal Potere, della libertà e  del Diritto individuale non si pud estendere a tutti assoiuiamente i fatti sociali verificantisi attorno ad un indi"  viduo. Non a tutti, di gran lunga. Non a tutti, che sono  infinitamente molti. Ma solo ad alcuni pochi. A quei  pochi solamente che è strettamente richiesto dalla esistenza del corpo sociale.   E la difesa in discorso, circa i detti pochi fatti, è  propria di quella che si chiama la Giustizia legale, o positiva, o distinta. Quanto poi agli altri infiniti fatti rimanenti ha luogo  il fenomeno sociale della Convenienza, che dicemmo essere pure una Giustizia; ma non legale, o positiva, o distinta: sibbene potenziale, o indistinta, o morale. Quella della convenienza è anch' essa una Giustizia, come la legale.  Ma indistinta. E per la ragione che, nel fondo, V una e  r altra sono la cosa medesima, e si differenziano tra loro  solamente come il distinto dall' indistinto. E tanto che,  provenendo nelle formazioni naturali il distinto dall' indistinto, qui nella Società la reazione della Giustizia legale non è altro infine se non una forma evolutiva superiore della stessa reazione della Convenienza. Anzi di più. Come l'idealità sociale della psiche umana è solamente una forma evolutiva superiore di un indistinto che si trova già nei bruti, cosi la Giustizia legale si collega  nelle sue gradazioni formative, non solo con quella della  Convenienza propria dell' uomo, ma anche con quella del  semplice talento egoistico osservabile nelle reazioni tra  bruto e bruto. E mettiamo in chiaro la cosa.   La reazione tra bruto e bruto è V effetto di un impulso istintivo quasi affatto egoistico. Ma non del tutto,  poiché (come osservai più volte nella Morale dei Positivisti in certi istinti socievoli dei bruti fa capolino  qualche cosa di anti-egoistico. L' istinto egoistico del bruto si continua anche nell’uomo; nel quale però va emergendo l'impulso antiegoistico a misura che si sviluppano in Fui le formazioni psichiche superiori (2); in modo che nell' individuo umano  vivente nella Società apparisce la reazione della convenienza, che è mista di talento egoistico e di ragione antiegoistica.   Quindi nella reazione della Convenienza si ha una  forma di passaggio dal talento egoistico del bruto alla  ragione dello schietto antiegoismo della Giustizia legale.  E questa è il divenuto della Convenienza, come la Convenienza è il divenuto del talento egoistico del bruto. E in effetto infinite sono le gradazioni della reazione  della Convenienza; da quella che rasenta la brutale del  Per es. Libro I, Parte III. Capo III, n. 6 (Pag. 149  del Voi. III di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, 156 dell' ediz.  del 1893 e del 1901 e 161 dell'ediz. del 1908. Ciò è dimostrato in tutto il corso della Morale dei Positivisti,  essendone V assunto fondamentale.  l^WU IP I   puro egoismo, a quella che tocca la più nobile del puro  antiegoismo.  Infine, se si guarda una medesima Società nel suo  progresso storico dallo stato della barbarie a quello della  civiltà, e se si guardano le diverse condizioni degli individui di una medesima Società in un dato tempo. Per  la legge, più volte indicata, che nella formazione naturale i diversi del coesistente sono T immagine dei diversi  del successivo. E in oltre, da una parte, nelle Società imperfette il  talento egoistico si riscontra nello stesso Potere, e dall' altra, la Convenienza, a misura che si spoglia dell' egoismo, si fa più antiegoistica e tende a diventare una  Giustizia legale. E la Giustizia legale da prima è stata sempre e da  per tutto una Convenienza radicatasi neir uso e finalmente stabilitasi come legalità. Dall'indistinto della prepotenza (principio egoistico) nasce  il distinto della giustizia (principio anti-egoistico) che  è la risultante dinamica di quella,  per rendere evidente la verità dell'asserto, che  la Giustizia emerge, come formazione superiore, dal talento egoistico precorso, giova vedere come succede il  fatto.  Il più forte [cf. Grice, TRASIMACO] è prepotente verso il più debole.  E la Prepotenza è precisamente l'espressione del talento egoistico in opposizione colla ragione antiegoistica, o della Idealità sociale, o della Giustizia. Ne viene che l’adulto è prepotente col fanciullo, l’uomo colla donna, il robusto col debole, il ricco col  povero. Fra gli uomini sempre si verifica tale prepotenza, ma in gradazioni infinitamente diverse: da un massimo  ad un minimo. Cioè in ragione inversa dell’idealità anti-egoistica contrastante, ossia in ragione inversa della  civiltà. E ciò, tanto considerando la successione dei momenti del progresso di incivilimento, quanto considerando  gli elementi più o meno inciviliti di una medesima società. Considerando gli elementi più o meno inciviliti di  una medesima Società, la prepotenza dell' adulto del robusto del maschio del ricco e via discorrendo è sempre  maggiore fra le persone rozze e minore fra le colte. E  in queste per la ragione del maggiore sviluppo delle  Idealità sociali contrastanti. Le Idealità sociali si impongono alle persone colte per la semplice abitudine che abbiano di concepirle. Ai rozzi possono imporsi quando,  neir atto che essi inveiscono con Prepotenza, esse balenano neir atteggiamento disapprovante e minaccioso di  vendetta degli altri uomini. Cioè, alle persone rozze, nelle  quali, le Idealità sociali non sono ancora una coscienza  ben forte e distinta, queste frenano il talento egoistico  nella forma di volere sociale con qualche maniera di Sanzione; e alle persone colte non occorre la manifestazione  estema vendicatrice, perchè in esse V imperiosità della  ragione della Società è diventata una loro coscienza, che  rinasce efficace senza la espressione materiale esterna del volere sociale. Ed ecco come avviene il passaggio Dell' individuo dalla disposizione egoistica del bruto alla antiegoistica dell' uomo civile. Considerando poi i momenti successivi di formazione  di una medesima Società, la Prepotenza degli individui  si vede a poco a poco eliminata dalla formazione contrastante del Potere; il quale, per esempio, ha tolto, in tutto  o in parte, le Prepotenze dell' arbitrio assoluto del padre  di famiglia sui figli e sulla moglie, della schiavitù sotto  le diverse sue forme, dei privilegi dei nobili, della inferiorità della donna, e via discorrendo.  Quando il Potere non era ancora riuscito a eliminare queste Prepotenze anche la coscienza comune non  sentiva distintamente la ingiustizia loro. Mentre questa  ingiustizia vi è divenuta evidentissima in seguito al fatto  della Legge che le ha inibite. Questo fatto ha reso l'ingiustizia medesima evidente al segno, che nella coscienza  di tutti gli individui della società civile le Prepotenze  suddette appariscono delle vere impossibilità, non solo  per gli altri, ma anche pel proprio volere; cioè, nel volere, formatasi pienamente l' Idealità sociale antiegoistica  corrispondente, questa riusci ad ottenervi una forza assoluta di impulsività. E con ciò si ha la prova di fatto, e  della dottrina nostra generale circa la Moralità esposta  nella Morale dei Positivisti, e della dottrina qui toccata  del divenire della Idealità impulsiva: e della Giustizia  legale distinta dalla Giustizia indistinta della Convenienza. Ancora, le persone civili sono meno manesche delle rozze.  Onde, come fra queste è facilissima e pronta la vendetta dell' offesa, così fra quelleriesce invece e difficilissima e  tarda. E ciò nulla ostante la persona civile ha esigenze infinitamente maggiori e più sottili verso le altre, e nello  stesso tempo assai più raramente offende. E la cosa parrebbe assurda. E lo è colla teoria vecchia della ragione degli atti morali. Ma si spiega chiarissimamente colla positiva. Il rozzo reagisce direttamente colle proprie mani, e  punisce l’offesa atrocemente: tuttavia è offeso ad ogni  poco. E basta udire, per convincersene, le ingiurie che  due persone rozze si scagliano colla massima facilità. Dunque T idea dell' utile non è quella che insegna il contegno dell' uomo. Il rozzo è più religioso del civile; e tuttavia con ciò  non è più rispettoso del Diritto altrui. Dunque 1' idea  religiosa non è la ragione della Giustizia. Immensamente più che nel rozzo è estesa l'idea del  proprio diritto nell' uomo civile, il quale dell' offesa recatagli si risente nel suo intimo assai più ohe il primo. Ciò dipende dalla più progredita formazione psichica dell' uomo civile. E questa dal beneficio più largamente produto della influenza formatrice dell' ambiente sociale. Il risentirsi poi più forte dell' offesa porta seco una  tendenza più forte a reagire. Ma nell’uomo civile anche la reazione (quantunque  più fortemente disposta) ha il carattere della umanità più  progredita. Quella dell' uomo civile è una reazione non  di egoistica e brutale Prepotenza: cioè non è fatta di  propria autorità e di propria mano. E invece una reazione fatta in nome di qualche cosa che trascende l'individuo; vale a dire in nome di una Idealità sociale riconosciuta come tale. In nome insomma di ciò che si chiama  la pubblica opinione. E questa pubblica opinione, diventata la coscienza  della persona civile, che la trae al risentimento; ed è a  questa medesima pubblica opinione che è lasciato l'incarico della vendetta: in modo che l’offensore è responsabile deir offesa verso la stessa pubblica opinione vendicatrice, la quale per ciò viene ad essere una Giustizia.  E conseguentemente una Gitistizia viene ad essere pure  la coscienza individuale, che ne segue la morale impulsività. Una Giustizia indistinta, che precorre e prepara  alla distinta o legale. E come?  La pubblica opinione si forma nel cozzo delle parti  della Società fra di loro, onde nascono le diverse Idealità sociali relative. Questa pubblica opinione si annuncia prima vagamente nelle parole e negli atti accidentali degli individui. A poco a poco si stabilisce nei detti e nei proverbi e nelle usanze e consuetudini comuni.  Un pò' alla volta poi crea i suoi rappresentanti diretti. Da questi quelli del Potere. Ma con ciò, che il  Potere non può assorbirli in sé tutti. Onde, sotto tale  rapporto, il Potere deve considerarsi siccome il vertice  di una piramide, nel quale va a collimare una infinità di  piani sempre più allargantisi di sotto, cioè una serie di  associazioni giudicatrici subordinate. Costante e organica è questa legge della formazione sociale. Da prima è V individuo che si fa giustizia da se  stesso. Nel che però non si ha la Giustizia vera, ma ancora solo la Prepotenza. Poi più persone aventi speciali interessi comuni si  associano in modo tacito e anche espresso in vista di  essi; e nella associazione si va costituendo naturalmente  r arbitrio collettivo sopra le contestazioni che la riguardano; nel quale è già quindi un principio di vera Giustizia, quantunque ancora più o meno indeterminata o indistinta. Da ultimo il Potere supremo della Società si arroga  il giudizio nelle contese, fissandone precisamente i termini; ed ecco il meno della Prepotenza e il più dell' antiegoismo e della Giustizia. E questa è la Giustizia distinta, derivata per evoluzione dalla indistinta, come questa lo è dal talento più egoistico dell' individuo. E nella nostra attuale Società la legge medesima apparisce nella sua massima evidenza. Vediamo costituirvisi dei giuri al di fuori del Potere legale; i quali, in nome di una pubblica opinione  (che è il loro codice) pronunciano dei verdetti, vendicatori almeno iniziali delle violazioni della opinione stessa,  e che quindi ne sono la Sanzione sociale diretta. Giusta, ossia antiegoistica, perchè sociale e non individuale o di  Prepotenza. Sanzione producente una Responsabilità pei  violatori delle Idealità sociali corrispondenti; e quindi  atta ad innalzare le Idealità stesse nelle coscienze di tutti  al grado di vera Giustizia; tanto più distinte quanto più stabile e ordinato e ripetuto e normale è l'esercizio del  suo ufficio. E anche quando non è eliminata ancora del  tutto nella vendetta V azione diretta della persona, che  ne ha da essere soddisfatta, si può tuttavia palesare l'intervento subordinante di una autorità superiore all'individuo.   Come nel duello; nel quale la ragione di intimarlo  e di accettarlo deve essere sancita dal codice della opinione corrente ad esso relativa, e giudicata 1' applicabilità al caso particolare da padrini, e questi devono presenziare r esecuzione.   Nel duello si ha quindi una certa Giustizia, quantunque molto imperfetta. Imperfetta, perchè vi si mantiene ancora troppo 1' eccessivo e il brutale dell' atto di  Prepotenza dell' individuo di vendicarsi colle sue mani.  Imperfetta ancora perchè 1' autorità che vi si intromette  non è riconosciuta come tale dalla Legge.  Il fatto del duello qui ricordato toma poi opportuno per confermare, colle particolarità da esso offerte, la verità delle cose suesposte.   L’opinione, che vige nei paesi civili di. oggi in relazione al duello, è una formazione storica della nostra  Società. Perchè, se, da una parte, esso ha la sua causa  generale in alcune ragioni costanti di ogni formazione  sociale, dall' altra però, le formalità che lo accompagnano  accusano la sua provenienza per trasformazione storica  dalla consuetudine di un tempo dei cosi detti giudizi di  dio, E da ciò si vede, come sia vero che la Giustizia  (anche quella naturale o potenziale o etema che dir si  voglia), quanto alla forma precisa colla quale è effettivamente in una data Società o coscienza, è una accidenta"  lità storica. Come la produzione di un dato frutto di una  data pianta. L’opinione circa il duello non è qualchecosa di fissato e sancito dal Potere legittimo, che T infligga indeclinabilmente anche a chi vi si rifiuti. Ma ciò non toglie  che r opinione stessa abbia una forza; e tale da imporsi  quantunque gravosissima, alla volontà. E da ciò si vede  che la Giustizia ha già una effettività piena di efficacia  anche nella forma indefinita della spontaneità vaga della  opinione pubblica. Ma r opinione circa il duello, appunto perchè ancora  in quello stadio della vaga spontaneità sociale, non maturata e non maturabile in una Legge del Potere che la  stabilisca per tutta la Società, vi si restringe ad un certo  ordine di persone. E (cosa curiosissima) per questo ordine di persone è divenuta una idea di una impulsività  potente, certa, indeclinabile, atta a tenerlo sotto il proprio  impero, mentre per gli altri, esenti dalle influenze onde  è insinuata, è come se non esistesse. E tanto che, dove  presso gli uni è moralmente spregevole e disonorato chi  non si attiene alle prescrizioni della opinione favorevole  al duello, per gli altri è cosa ridicola e stolta il tenerne  conto. L' opinione relativa al duello associa delle conseguenze esecutive gravissime a fatti riguardanti V onore.  L' onore, che è un semplice rapporto mentale dell' individuo colla Società. E da ciò si vede che neir uomo, per  lo sviluppo speciale onde la sua psiche è capace, si  Voi. IV. 6  creano delle entità di un ordine superiore, che sono impossibili pel bruto e si trovano solo inizialmente e quindi  poco avvertite nelle Società rozze e nelle classi sociali  meno colte. Delle entità aventi per base, non il benessere materiale dell* individuo, che è l'espressione del puro  egoismo, ma il benessere degli spiriti associati, che è  r espressione della ragione antiegoistica. Qui insomma  r individuo si trova necessitato perfino al sacrificio volontario della vita in omaggio di un' idea che lo padroneggia. L' opinione relativa al duello tende (come tutte le  altre opinioni, con tendenza positiva o negativa) a diventare una Legge della Società. Questa tendenza in parte  è riuscita, in quanto esistono già delle disposizioni positive di Legge che riguardano il duello. Ma in parte non  è riuscita. Ora T analisi accurata della tendenza medesima e di ciò che n' è riuscito e non riuscito ci ragguaglia circa il processo naturale, onde la Giustizia indistinta, ossia la Convenienza, si fa la Giustizia distinta,  ossia la Legge positiva. Il Potere ha emanato delle disposizioni relative al  duello. Ciò ha potuto fare solo in seguito all'essersi questo fenomeno sociale fissato a poco a poco nelle sue  forme precise, che presentarono 1' occasione alla opinione  pubblica di manifestarsi nel senso del partito adottato  nella Legge.   Ma, delle disposizioni stesse prese una volta dall'autorità in relazione al duello, altre rimasero poi anche in  seguito perchè trovate rispondenti allo scopo sociale, di  non impedire in modo nocivo il corso inevitabile di certe reazioni di Convenienza j altre invece dovettero essere  smesse come inopportune e quindi contrastate nella prova  dalla coscienza dei cittadini, cioè dalla Giustìzia potenziale che, come dicemmo tante volte, è Tarbitro naturale  di ogni Legge sociale. Il Potere però, nella reazione anche esecutiva del  duello, non ha potuto sosHiuirsi ialalmenie, come è la  sua tendenza in generale per rapporto a qualsiasi esecutività forzata delle reazioni dirette tra individuo e individuo. E ciò ci istruisce praticamente di due cose, che già  osservammo sopra. Vale a dire: Primo. Che nel Potere non si può appuntare se  non una parte delle reazioni tra indivìduo e individuo;  come nel cervello non arrivano direttamente dei fili nervosi che governino immediatamente tutti i punti della  massa del corpo: ai quali invece in gran parte il cervello fa sentire la sua influenza solo per J' azione che  esercita sopra centri secondari, aventi però anch' essi una  propria azione, che si compie in parte senza rintervento  degli organi cerebrali.   Secondo. Che, se una tendenza reale dell' individuo  non può essere soddisfatta intéramente dalT intervento  del Potere, Tindividuo cerca la soddisfazione da se; come  in un assalto improvviso dì un assassino, dove, non polendo la forza pubblica difendere il cittadino, a questo  è concesso il Diritto anche dell' uccisione a propria difesa.   Per cui si arguisce, che il fatto ancora incivile ed  anomalo del duello non sarà evitato nella civiltà, se non quando in questa le questioni circa V onore potranno essere risolte appieno giuridicamente, sia modificandosi l'opinione pubblica relativa, sia trovata in base a questa  una legislazione atta all' effetto. Vedemmo fin qui come la Giustizia legale, affatto antiegoistica, del Potere sorga dalla potenziale della  coscienza degli individui, che ha per base una Idealità  sociale antiegoistica non ancora divenuta una Legge, e  nello stadio tuttavia solamente di opinione più o.meno  comune.   Resta ora a chiarire come questa Giustizia potenziale, avente per base una Idealità antiegoistica, si svolga  anch' essa alla sua volta da una forma ancora più imperfetta di tendenza dell' uomo, cioè dal talento brutale  egoistico della Prepotenza. La reazione del semplice talento brutale, o  della Prepotenza, per la concorrenza dei prepotenti di  pari forza, diventa Equipollenza: e quindi Giustizia,   Non occorre per ciò che intervenga un elemento  nuovo. Il diverso, anzi 1' opposto, della Giustizia si ottiene per la semplice reduplicazione dell' identico della  Prepotenza elementare dell' individuo. Per la legge universale dell' emergere del diverso distinto  dair identico indistinto per la reduplicazione dei molti identici (prima  distinzione dell* indistinto uno), che ha luogo in tutte le formazioni  naturali. Come ho dimostrato nello scritto sulla Formazione naturale  nel fatto del sistema solare (Voi. II di queste Opere filosofiche)^ e  come dimostrerò nei libri relativi alla Formazione del pensiero (nei  voi. V, VI e VII di queste stesse Op, fil.) Così nella formazione  chimica la materia identica diventa gli opposti deir acido e della  base dopo che, distintasi in atomi diversi, questi poi si reduplicano  e si aggruppano variamente. La Prepotenza è la coscienza che l' individuo ha acquistato del fatto della propria Attività  che esso ha esperimentato; e la Giustizia è la coscienza  che neir individuo stesso ha dovuto formarsi del fatto  della Equipollenza degli altri individui dato dalla espericìiza delle Prepotenze concorrenti nella Società. Sicché nel bruto la psiche non arriva alla trasformazione in discorso, perchè in esso, non essendo un essere sociale, non si può formare la coscienza successiva  a quella della Prepotenza come nell’uomo, che è un essere sociale (Onde poi raccogliamo la conferma di un altro dei grandi principi  da noi già spiegati della Formazione naturale: vale a dire che la  Cosa è il molteplice preso nella coesistenza dei singoli, e la Forza è  lo stesso molteplice preso nella loro successione. Sicché Cosa e Forza  non sono che distinzioni di un identico indistinto: il quale, preso  nello schema della coesistenza, è la Cosa, e, preso nello schema  della successione, è la Forza. La Giustizia o T idealità sociale,  come apparisce dalle cose dette nel libro, suppone una successione  di fatti; ed è assurda senza questa supposizione. Ma nello stesso  tempo, potendo questi fatti succedentisi essere presenti contemporaneamente al pensiero, pel lavoro suo descritto nella Morale dei  Positivisti^ è una entità (Cosa) del pensiero, ed è una virtù efficiente  (Forza) nella dinamica morale (Impulsività dell’idea). E qui dobbiamo notare una cosa curiosissima, spiegabile solo  colla nostra teoria della identità, nel fondo, della Cosa che è, e della  Forza onde essa agisce.  L' Idealità sociale è impulsiva del volere umano in quanto gli  si presenta siccome una Giustizia, vale a dire in quanto gli fa prospettare una Sanzione; ossia lo avverte della sua responsabilità. E tuttavia, a misura che V Idealità sociale si fa più viva e abituale,  diviene invece più vago il presentimento pauroso delle relative  conseguenze di punizione per parte della reazione sociale. Anzi il  massimo della impulsività dell' Idealità sociale (nel Sapiente e nel  Regno della Giustizia, come dicemmo nella Morale dei Positivisti)  va col minimo del presentimento pauroso della punizione sanzionatrice.  Il concetto umano della Giustizia si forma da  quello della Prepotenza per V equilibrio di molti prepotenti nella loro concorrenza sociale. La filosofia tradizionale (o la filosofia sana, come la  chiamano) spiega la Giustizia ponendola siccome lo stesso  comando di dio. La spiega così: aggiungendo molto ingenuamente  alla sua spiegazione V avvertenza, che la Giustizia, rimane distrutta assolutamente tosto che si rimova la divinità e il suo volere assoluto. E invece la verità è precisamente il contrario. La  Giustizia» in questo volere divino, è l’opposto, ossia la  negazione, della Giustizia come tale. Come ne è l'opposto e la negazione la Prepotenza come tale.   Il volere di dio è la Prepotenza innalzata al grado  dèlia Prepotenza assoluta. E il bello si è che la stessa filosofia tradizionale ha  dovuto accorgersi de IT inconveniente, tanto o quanto, anch' essa, senza intenderlo distintamente. Poiché ha dovuto  maritare, nella sua dottrina della ragione della Giustizia,  il principio del volere divino con quello della conoscenza  che dio debba avere dell' essere intimo delle cose, e  della necessità onde il suo volere sìa costretto assoluEgli è come dire, che è l’ordine dei fatti sociali, il quale è  diventalo un inrro ordine ideale, presente al pensiero in un suo atto  intuitivo momentaneo: qiTasi forza fissatavisi dal di fuori come  sommi» unica di efileni ng^i untisi a poco a poco l’uno all' altro. Proprio come la proprietà attuale, onde una sostanza è atta ad  agire in un dato momento con una data intensità dì forza, sì è formata in questa per la addizione successiva, mettiamo, dì un certo  numero di \:alorie, entratevi dal di fuori a poco a poco V una dopo l’altra. tamente (se ha da essere giicsto) a regolarsi nel suo comando secondo le esigenze della essenza da sé conosciuta appieno della cosa, alla quale impartisce il comando. In questo secondo principio maritato al primo è stata  riconosciuta implicitamente, in qtuilche maniera, tardi,  imperfettamente, confusamente e con una contraddizione  col primo principio la verità di ciò che dimostrammo;  ossia della derivazione della Giustizia dallo stesso uomo  per effetto della sua convivenza sociale. Imperfettamente, dicemmo. E la dottrina teologica  della predestinazione n' è testimonio. E tardi: cioè a misura che lo studio dei fatti guidò  al presentimento confuso della verità contenuta nella  dottrina positiva. Tanto che la storia della idea di dio  ce lo presenta prima coir impero capriccioso, dispotico,  appassionato, mutabile del tiranno prepotente. E successivamente con una mitigazione del capriccio e della prepotenza, quale era suggerita dal fatto della legislazione  sociale in lui oggettivata, che venne diventando sempre  più giusta per T equi librar visi sempre maggiore degli  elementi componenti. Come si è detto, nell'individuo non coordinato nella Società si ha la sua autonomia che si goverua  colla Prepotenza.   una risultante dinamica di esse, per le considerazioni che seguono. Con uno straniero, e soprattutto con un barbaro, o con un selvaggio, un uomo in generale non sente il dovere della Giustizia come con un altro uomo della sua stessa Società. Perfino si dà che in faccia ad un uomo di razza diversa si atteggi ne' suoi sentimenti come in faccia ad un bruto o ad una fiera. E la cosa è naturalissima. La sua Società è in lotta colla popolazione alla quale appartiene queir uomo. La sua Società quindi si atteggia verso di essa e verso i suoi Componenti come un prepotente; ed egli pure. Anche se non è in lotta, dal momento che 1' offesa recata al(Il  Nel che si verifica la legge generale di tutta la natura, che l’ambiente è necessario all' ottenimento di una formazione, mettiamo la nebulosa solare alla formazione di un pianeta, o 1’ambiente vegetativo alla formazione di un seme; ma una volta ottenuta la formazione questa funziona come tale anche indipendentemente dalle condizioni onde emerse. Mettiamo la forma e la solidità di un pianeta, e la virtù vegetativa specifica del seme. ^'^''PfliW^^IF lontano selvaggio non è vendicata dal tribunale del proprio paese, né di nessuno, queir offesa stessa non apparisce un attentato vero e proprio contro la Giustizia. Che se ci sono degli uomini che sentono la Giustizia  anche per gli estranei, fossero anche dei selvaggi, questo  succede solo per quelli nei quali il sentimento della Giustizia, prodotto prima nel modo che spiegammo, è diventato una forma perfetta e assolutamente dominante della  psiche, e che agisce da sé e senza il bisogno più del costringimento dell' ambiente produttore, e con una spontaneità esuberante. Ancora, nella stessa Società un gentiluomo è molto cauto  nelle sue relazioni coi stcoi pari. Non lo è egualmente  trattando con persone di condizione inferiore.E ciò perchè co' suoi pari le conseguenze speciali del  suo contegno (quelle mettiamo di un duello) hanno indotto  un ordine di Convenienza che non occorre per gli altri,  relativamente ai quale le conseguenze non hanno la medesima gravità.   In una parola, chi sta sopra è prepotente cogli inferiori, e non co' suoi pari, coi quali è più giusto. La formazione della Giustizia nel senso proprio va colla  formazione del Potere onde è l' espressione. L’idea della Giustizia non nasce se non dietro  i fatti determinati prodottisi effettivamente nelle reazioni  degli associati.  Dico, dietro i fatti determinati. Non prima di essi.   contenuta. Per questo il Potere (nel senso da noi qui inteso)  è eminentemente la Giustizia, che i poeti rappresentarono  colla bilancia in mano (1* equipollenza giusta degli arbitrj) e colla spada nell' altra (la forza onde si determina  r equilibrio tra arbitrio e arbitrio). E lo è perfettamente  esso solo.   Lo è eminentemente in quanto dispone di una forza  che costringe e determina i soggetti alla osservanza della  Idealità sociale, o giusta, che dir si voglia.  Lo è perfettamente esso solo, in quanto a sé solo riserba il costringimento violento alla osservanza della medesima Idealità giusta.   Onde viene poi che la Giustizia propriamente detta  si restringe agli atti che possono cadere sotto la direzione  del Potere, e non comprende quelli che ne sono esenti:  i quali per ciò rimangono la sola Convenienza.  E su tutto ciò non cade dubbio. Il furto, per esempio, dove non e' é un Potere che lo inibisca, non é un  delitto. È solo un atto pericoloso e che esige del coraggio e della avvedutezza in chi lo commette. Dove e' é un Potere, che proibisca sì il furto, ma sia  impotente a impedirlo, il furto stesso é un delitto vago  e non grave.   Dove il Potere lo impedisce effettivamente e lo colpisce con forti punizioni è un delitto grave.   E può essere un delitto di varie specie se la punizione è varia.   Per esempio, il furto del privato a danno del privato, che importa la prigionia del ladro, è perciò un delitto infamante. Il furto invece di un privato che non paga  un diritto della pubblica finanza, onde incorra solamente  in una multa pecuniaria, non è più infamante, a motivo  che la punizione non è la prigionia ma la multa.  La quale forza poi del Potere, onde è mantenuta violentemente V osservanza della Legge, in due maniere è dispensata. '   Direttamente cioè dal Potere, stesso per V ottenimento delle condizioni occorrenti alla vita sociale, e indirettamente quando esso è domandato per interesse proprio delle parti individualmente offese.   E da ciò due forme di Giustizia. Questa seconda più  sentita dagli individui meno educati e quindi più egoisti;  la prima più sentita dai più eletti e quindi meno egoisti.  L' avaro si commuove per la infrazione della Legge. della  proprietà individuale, che è per esso la Giustizia per eccellenza. Il virtuoso si commuove per una disposizione politica antiliberale, preoccupandosi soprattutto della Giustizia in se stessa. La circostanza di questa forza materiale occorrente al Potere ci conduce a scoprire una legge fondamentale della Sociologia, ossia della formazione naturale  deir organismo e della vita sociale.   Nel Potere, per costituire questa sua forza, sono assorbite delle forze prese dal corpo sociale: e in ima certa  misura. Così la forza propria del cervello, onde sono  Ci limitiamo qui a notare il fatto. Quale sia questa misura,  e come sia variabile fra estremi assai distanti secondo le condizioni  e gli stadj storici di una Società, deve essere lasciato a uno studio  regolate le funzioni del corpo di un uomo, è costituita  dalle forze prestate dal sangue del corpo medesimo in  una misura, che non può essere oltre certi limiti.   Ora una quantità determinata di forza non può produrre se non un effetto limitato, proporzionato ad essa.  Ne viene che, se la Società è mcipiente o selvaggia o  rozza, tutta la forza rimanendo impegnata nel costringere  gli individui a osservare la Legge fondamentale della esistenza sociale, il Potere rimane senza altra forza da disporre per la produzione nella Società di miglioramenti  ulteriori (i).   Ma quando in seguito si sono introdotte, colla ripetizione degli atti violenti di coercizione sociale, le abitudini giuste, queste producono poi V effetto della osservanza della Legge per parte dei soggetti da sé; e lasciano la forza del Potere disimpegnata e quindi disponibile per altri usi, per altri lavori, per indurre altre abitudini superiori; insomma pel progresso ulteriore della vita  sociale. Cosi nel corpo dell' uomo. Nel bambino il cervello è  tutto impegnato nel produrre le abitudini dell' esercizio  delle membra; e pogniamo anche in quelle di leggere e  scrivere. Prodotte queste abitudini iniziali, resta disponiparticolare, che può da sé fornire materia per una scienza spcciaU,  E per noi basta notare, che la misura in discorso va crescendo in  ragione che progredisce V organizzazione sociale; analogamente a  quanto si osserva negli organismi biologici, nei quali cresce la proporzione del cervello in ragione che si fa maggiore la centralizzazione  degli organi. Ciò si ripete nel caso di una guerra, che assorbisca le risorse  del Governo; e nel caso di anarchia che le dissipi.   bile per altri esercizi. Mettiamo per la cultura propriamente detta. E ottenute le abitudini di questa cultura, rimane poi libero per V esercizio di una professione particolare. E cosi via.   E insomma la questione dell' immagazzinamento delle  forze. Un' abitudine in un individuo è la forza che, portata sopra di lui una lunga serie di volte, vi si è immagazzinata in questa forma. Come nella produzione delle  proprietà delle sostanze chimiche dalle più semplici alle  più complicate. Come nella produzione della pianta dal  seme fino al frutto maturatone. Onde la Giustizia, che va producendosi nelle coscienze  dei singoli uomini raccolti nella Società civile è )' immagazzinamento lento e progressivo della forza dispensata  dal Potere nei singoli atti infiniti del suo esercizio, e impressa e ricevuta in quelle coscienze volta per volta. Anche nel fatto del concetto della Giustizia, come in ogni  fatto distinto della natura, si ha una forza o un rifmo  persistente, ottenuto per la fissazione di una forza applicata dall' ambiente e divenuto 1' essere costitutivo di ciò  in cui si è formato (i), ossia dell' uomo civile come tale. Il che poi dimostra che anche la Società, come  ogni altra formazione naturale, è una formazione che  nasce, progredisce e muore.   Quando nasce, è la violenza che tende a produrre il  fatto e il sentimento della Giustizia.   Quando progredisce, è la forza del Potere che si diI) Si allude alla Legge della Formazione naturale \A\\\q\X.^ ^o^x?i  accennata. spensa ad ottenere ordini sempre più alti di azioni e di  idee giuste. Quando muore è V organismo vecchio, che non si  presta più al mantenimento di questa forza comune organicamente subordinante del Potere. Come (per una forma  dì questa morte) nella famìglia vien meno il potere subordinante del padre quando la personalità adulta dei figli  non si presta più alla coordinazione di essi sotto la tutela del capo della famiglia.  Se non che, riguardo alle Società che muoiono,  vale del pari ancora la relativa legge naturale di ogni  altra formazione, per la quale la morte «di un organismo  non è mai totale, restando tuttavia i ritmi singoli prodotti dallo stesso organismo mentre era vivo. Come nel  seme della pianta, che resta alla morte di questa. Come  nelle idee, che restano per gli uomini succedenti a quelli  che le hanno trovate.   Sicché il mondo greco e il mondo romano, per es.,  sono morti come quelle date formazioni sociali, ma restarono le idee della Giustizia umana nate nel loro seno. Restarono come germi, o magazzini di forza già elaborata. E dei quali si giovarono le Società europee venute  dopo, che non dovettero ricominciare da capo (ossia dalla  condizione infima dell' uomo preistorico) il lavoro della  organizzazione sociale. La giustizia è la forza specifica dell'organismo sociale. Siccome poi V organismo e la vita sociale si  spiegano per la Giustizia che vi si produce, cosi la teoria   «T   della formazione naturale della vita sociale è anche nello  stesso tempo la teorìa della formazione naturale della  Giustizia. La quale per ciò è una formazione naturale,  come il Sistema solare, come un Minerale, come un Vegetale, come un animale, come una Goccia di Rugiada,  come un qualunque Pensiero di un uomo.   È cioè la Giustizia una formazione naturale della  Società; come, ad esempio, si direbbe che la vegetazione  è una formazione naturale del nostro Pianeta. Ed è la Giustizia la forza specifica della società medesima. Ne è la forza specifica, come si direbbe che V affinità è la forza specifica delle sostanze chimiche, la vita  delle organiche, la psiche degli animali.   Nessuna affinità, o vita, o psiche, senza sostanza chimica, organismo vivo, animale. Del pari nessuna Giustizia senza Società umana. L’affinità, la vita, la psiche scaturiscono dalle stesse  forze onde esistono i loro soggetti; e ne rappresentano  la risultante, che, come tale, si distingue specificamente  dalle forze producenti medesime. E cosi la Giustizia scaturisce dalle stesse autonomie prepotenti degli individui,  ed è la specie distinta di essere risultante naturalmente  dal loro contemperarsi insieme. La società quindi, come tale, è tanto più perfetta quanto più è forte V idea della Giustizia formatasi  nei consociati; ossia quanto più questi sono morali: sicché meno sia uopo concorrere colla forza materiale all'ottenimento dell* ordine sociale.   D che equivale al dire che T Idealità sociale sia più  Voi. IV. impulsiva da se stessa nella psiche di ciascheduno, e  quindi il regno della Gitcstizia {adoperando la nostra solita espressione) si sostituisca a quello del Fato o della  Prepotenza. In modo analogo una sostanza chimica è tanto più  stabile e perfetta quanto più V Affinità degli atomi vi è  grande» e la rende atta a mantenersi nell' essere suo indipendentemente dalle circostanze fisiche esterne della  temperatura, delP ambiente, della compressione e via dicendo, che suppliscano colla loro azione al difetto della  forza di coesione intima dei componenti. La costituzione dell'organismo sociale, e quindi  la sostituzione della Giustizia alla Prepotenza, produce  la incolumità dei consociati. La incolumità, che non è  altro appunto se non la elisione della Prepotenza oflFendente.  Questa incolumità ha due fattori:   Primo. La forza materiale disposta nelle mani del  Potere per far valere violentemente la Legge contro la  Prepotenza non domata delle parti subordinate. Secondo. Il sentimento del Dovere formantesi negli  individui associati nel modo detto sopra. Ora, siccome questo sentimento del Dovere (o questa  Idealità sociale impulsiva, che torna lo stesso) è una vera  forza traente l' individuo a vincere la propria tendenza  egoistica della Prepotenza, e a segfuire la ragione antiegoistica della Giustizia o della Legge, cosi le due  forze suddette, del Potere di fuori e del Dovere di dentro  collimanti a produrre V incolumità dei consociati e in^egranfisi vicendevolmente nella intensità sufficiente all' uopo, si troveranno concorrervi in ragione inversa. Meno è il sentimento del Dovere sviluppatosi nei  singoli individui, e più dovrà essere la forza materiale  usata dal Potere. E viceversa, più il sentimento del Dovere, e meno la forza materiale.   E ciò, sia normalmente, sia accidentalmente; e per  certi momenti critici sociali, e per certe Idealità. La incolumità  poi del cittadino importa un  complesso di condizioni sue particolari molte e diverse,  cominciando dalla fondamentale della salvezza della vita  materiale e andando fino alle più delicate (proprie delle  condizioni sociali più perfette) del rispetto morale vicendevole negli atti anche più comuni della vita. Il Potere supremo della Società non può (come altre  volte avvertimmo) provvedere per tutte le dette condizioni della incolumità del cittadino: ma deve necessariamente intervenire almeno per le fondamentali. Da ciò consegue che l’azione materiale sulla persona del cit Chi consideri tutte le possibili reazioni tra uomo e  uomo in una Società di leggeri può rilevare due cose  molto importanti pel discorso che facciamo qui. Cioè:  Primo. La varietà infinita delle azioni di un uomo  atte a destare in qualunque modo la attenzione di un  altro. Fogniamo, partendo da un assassinio e venendo  fino ad uno sbadiglio. Nella quale varietà, come è chiaro  da sé, si hanno delle vere diflFerenze di generi e di specie.  Secondo. Il sentimento nascente in un uomo, per  reazione, in seguito all' azione da lui osservata in un  altro. E di tale sentimento abbiamo parlato nella Morale  dei Positivisti, mostrando quanto sia variato e come  formi una serie di sentimenti diversi, anzi una scala in  ordine di nobiltà.  Ora, per le cose dette, ripetendosi e le azioni e i  sentimenti accompagnanti le reazioni che le susseguono,  si producono un po' alia volta e si fissano nella psiche,  come sue potenzialità, delle Idealità sociali corisppndenti. Le quali per ciò sono costituite dalla rappresentazione  della azione e dalla reazione effettiva conseguente: onde  sono Idealità impulsive del volere, ossia Giustizie. La mente si confonde pensando alle varietà possibili  ad emergere in ragione di tale processo. I pochi elementi del chimico, si sa a quale infinita varietà di formazioni di sostanze si prestano: le poche note musicali,  a quale infinita varietà di composizioni musicali; le poche  lettere dell' alfabeto, a quale infinita varietà di suoni ar[Libro I, Parte I, Capo III (Pag. 21 e segg. del Voi. Ili di  queste Op, fil. nella ediz. del 1885, del 1893 e 1901, e pag. 22 nell'Ediz. del 1908). I20   ticolati. Or che sarà della varietà delle formazioni psichiche  della Giustizia, pensando anche solo alla varietà dei sentimenti componibili colle rappresentazioni degli atti sociali? Per farcene una qualche idea prendiamo un esempio. Nell’uomo, fra i molti sentimenti onde è capace, si  ha anche quello caratteristico corrispondente alla espressione del ridere. È questo si può connettere con un numero senza fine di rappresentazioni di atti, dando origine cosi al genere delle Idealità comiche; le quali nessuno ignora quanto siano potenti neir indirizzo della vita  e nell'impero della volontà; mentre è pur vero che il  timore del ridicolo ha talvolta più efficacia che non il  timore del carcere e della multa.   Il fatto, pel mondo morale, è analogo a quello di  una sostanza che, potendosi combinare con tutte le altre  nel mondo materiale, è atta a determinarvi un atteggiamento particolare per tutto T essere suo. Il nostro mondo,  per esempio, sarebbe un mondo aflFatto diverso da quello  che è, se gli mancasse il ferro. E cosi dicasi degli organismi in genere se mancasse, mettiamo, il potassio che  concorre a formarli, essendovi quindi un ministro della vitcu   Allo stesso modo l’atteggiamento morale dell'uomo,  quale è al presente, verrebbe meno, se mancasse il coefficiente del riso, che concorre a formarlo, essendovi quindi  con ciò anche esso un ministro del bene. Il quale ragionamento poi va ripetuto per tutti i  sentimenti umani ad uno ad uno, che sono altrettanti  coefficienti dell’Idealità sociale direttiva delle azioni umane, attivandola sotto la forma di generi speciali dì  Idealità o di Giustizie.  E della varietà inesauribile di queste, per tale via ottenute, è un saggio l’arte, che nella scultura, nella pittura, nella poesia, nella prosa, riproduce dalla coscienza, in tante forme, gli atteggiamenti morali dell' uomo. In tante forme li ha riprodotti, e in tante ancora, senza fine, è atta a riprodurla. E i sentimenti umani riescono cosi coefScienti della Giustizia, perchè un sentimento, qualunque sia, essendo la reazione corrispondente ad un atto, ne è anche la Sanzione; e chi commette l’azione atta a suscitare un sentimento incontra una Responsabilità in ordine ad esso. Anche ciò è essenziale al concetto naturale vero e  pieno della Responsabilità umana.   Anche ciò quindi appartiene all' ordine naturale della  Giustizia nella varietà delle sue formazioni. Il restringere 1* ordine della Giustizia a quei pòchi atti ai quali si rìduceva una volta, e che si abbracciavano nei dieci comandamenti del decalogo, è eflFetto di  nna grossolana e non scientifica idea della cosa. Come  il restringere che fa il volgo dell' idea dell' animale a  quelli che sono forniti di occhi e di gambe per camminare: e il restringere l' idea del vegetale a quelli soltanto  che hanno le foglie verdi. La scienza ha trovato animali anche senz' occhi e  fissi alle pietre; e vegetali senza foglie e senza verde. E  cosi trova delle Giustizie senza la Sanzione del carcere  e della multa. La restrizione suddetta corrisponde insomma perfettamente a quella che fa il volgo e fecero gli antichi delle  specie degli animali, credute poche e sempre quelle e modellate a priori sugli esemplari fatti passare da dio in  rivista davanti ad Adamo nel paradiso terrestre. E dipende dalla stessa ignoranza della legge della  formazione naturale. Poche, dicevano, e sempre quelle, le specie degli animali; e create direttamente da dio, e mostrate ad Adamo  al principio del mondo nel paradiso terrestre. E cosi,  poche e sempre quelle le specie della Giustizia, impresse  da dio direttamente neir anima di ogni uomo che nasce  e scritte sulle tavole di Mosè dalla cima del monte Sinai [cfr. Grice, ’10 comandi’, decalogo] La scienza sbugiardò V idea meschìnissima quanto  alle specie degli animali. Sbugiarda col positivismo l'idea  meschinissima quanto alla Giustizia. Non dio, autore delle  specie degli animali; ma la natura: e le specie, un numero stragrande; e non fisse, ma variabili; e variabili  accidentalissimamente. E cosi, non dio autore delle specie  della Giustizia, ma la natura: e queste specie, un numero  stragrande e immensamente differenziato; e non fisse, ma  variabili; e variabili accidentalissimamente.  L'idealità sociale, ossia la giustizia morale,  formata che sia nella coscienza dell' individuo, vi funziona come una forza speciale, nel senso antiegoistico  chiarito nella Morale dei Positivisti; e vi produce un  doppio effetto, secondo che si applica al giudizio e alla  direzione delle azioni individuali proprie, ovvero al giudìzio e alla direzione delle azioni degli altri.   Da questo secondo effetto dipende la vitalità intrinseci e vera della Società, considerata siccome un organismo naturale nel senso proprio della parola. Perchè la  Giustizia, parlando nella coscienza dell' individuo, è la  potenzialità indistinta onde originano i distinti dei Poteri sociali effettivi e delle Leggi da essi emananti; e  perchè la Giustizia potenziale degli individui associati  collabora a rendere efficace l’opera del potere e della  legge sociale. E come se si dicesse che un organismo, pogniamo  vegetante, si sviluppa nei suoi organi caratteristici mercè  la vitalità delle parti componenti: e che poi T attività  di questi organi speciali è operativa de' suoi effetti particolari sopra le parti mercè il concorso della vitalità che  si mantiene nelle parti stesse. Sempre insomma la legge  generale della formazione naturale, che l' indistinto non  cessi mai di sottostare al distinto, e di offrire cosi la ragione naturale e del suo essere e del suo operare. Cosi si osserva che una legge in un paese rimane  senza efficacia e come lettera morta se, a farla valere, è  solo il Potere, e non lo ajutano di conserva le singole  coscienze dei cittadini; le quali, accogliendo in sé la  forza viva già formata della Giustizia morale, ne ricevono  un impulso atto a muoverle alla disapprovsizione degli atti  contrari alla Legge e a concorrere per quanto possono a  farla valere.  E, quanto sia vero ciò che affermiamo, lo dimostrano i fatti sociali tutti quanti. Anche, per esempio.  r interesse vivissimo onde si tien dietro allo svolgimento  di un processo criminale, pur dei paesi lontani, pure relativo a persone che non ci riguardano punto, né direttamente, ne indirettamente. Che più? Tanto è viva e potente nell'uomo l’idea  della Giustizia antiegoistica, che egli non può stare che  non ne provi V eflFetto più vivo anche pei fatti immaginari delle fole, dei racconti, delle poesie, dei drammi.  Data r immaginazione di un fatto, al quale sia applicacabile l'idea della Giustizia, questa per legge psicologica  indeclinabile si ridesta nella mente, e col suo naturale  atteggiamento: come in tutte le altre associazioni mentali. In ciò la spiegazione della vivezza della voluttà,  onde si leggono o si odono i suddetti racconti, e si assiste ai drammi. E la vivezza di tale voluttà è il termometro che prova la presenza nella coscienza della idea  efficace della Giustizia e ne ne misura l' intensità.  La punizione materiale, vendicatrice della Giustizia, sarà necessaria quindi in ragione inversa della effettuazione nella coscienza della Idealità sociale giusta.  Meno sarà questa, e più dovrà essere la severità e la  prontezza della pena materiale, che n' è la Sanzione. Il  che, come altrove dicemmo, si fa per due scopi: per  quello di supplire, colla impulsività dall' esterno della  minaccia del castigo, al difetto della impulsività dall* interno della Idealità sociale direttrice dell'azione: e per  quello di giovare a produrre questa impulsività nel!' individuo. Onde, più questa è già prodotta, e meno occorre  di coazione a supplirla. E al massimo assoluto della produzione della detta  impulsività corrisponderà V assenza del bisogno della coazione materiale e la sufficienza per la Moralità del puro  fatto psichico della idea e della disposizione della Giustizia, e del giudizio mentale dettatone di approvazione  e disapprovazione dell' atto relativo. Ciò nel rapporto dinamico tra chi detta la Legge e  chi ne è obbligato ad eseguirla.   Ma e' è di più. La effettuazione della Idealità della Giustizia, in ragione che più avviene, più paralizza il suo contrario,  onde deriva; cioè la Prepotenza. E quindi i sentimenti  nei quali questa si esprime: come è, tra gli altri, quello  della vendetta considerata quale sodisf azione egoistica.   E più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, come  quello della benevolenza altrui. Ravviva cioè i sentimenti  che, nella Morale dei Positivisti (i), distinguemmo colla  denominazione di pietosi, dopo avere dimostrato che la  Pietà è il carattere del sentire dell' uomo in corrispondenza della sua formazione caratteristica della Idealità  sociale.   Per conseguenza, la stessa pena materiale, a misura  che una Società diventa civile, va perdendo del carattere  di una vendetta espiatoria ed appassionata, assumendo  quello di un semplice rimedio; che si applica a malincuore e con sentimento di compassione essendocene il  bisogno e per questo bisogno solamente.   E in generale, questa qualità della assenza del carat(i) Libro I, Parte III, Capo III, n. 7 (Pag. 150, 151 del Voi.  Ili di queste Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 158, 159 nella  ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 163, 164 nella ediz. del 1908) e altrove. tere appassionatamente vendicativo e di pura espiazione  si trova nella Società assai più nella reazione del Potere,  che rappresenta maggiormente V Idealità antiegoistica, di  quello che nella reazione della Convenienza, nella quale  assai più rimane dell' egoismo e della Prepotenza.  E, negli atti stessi della Convenienza, la vendetta  appassionata, egoistica, prepotente, è più o meno in ragione che è più o meno eflFettuata l’idea della Giustizia  neir individuo reagente.  Ossia, in una parola, quantunque la Giustizia implichi la Responsabilità, e questa una Sanzione o una  vendetta punitrice, tuttavia, compiuta che sia come formazione psichica individuale essa Giustizia, vi si dissi"  mula o vi si fa latente la vendetta relativa: a quello  stesso modo che, formata che siasi in una sostanza la  sua affinità chimica per la trasformazione in questa di un  certo numero di calorie, il fenomeno propriamente termico vi si dissimula e non si manifesta più in una temperatura misurabile col termometro.  E torna cosi, anche nello studio della Responsabilità e del carattere della Idealità sociale come Giustizia, il principio più volte illustrato nella Morale dei  Positivisti per altre vie (i), del regno della Giustizia sottentrante nella Società, di mano in mano che questa si  perfeziona, al regno del fato.   E torna ad apparire del pari il carattere speciale  deir uomo formato sotto V influenza dell' ambiente o del   (i) Libro II, Parte IV. Capo II, n. 16 (Pag. 399 del Voi. Ili  di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, e pag. 422, 423 nella ediz.  del 1893 e del 1901, e pag 432, 433, nella ediz. del 1908) e altrove.  PPipm>yi^"imtVik^i.J»^-» -pr^\»y-^r* t-^»t-«^vv --.. vt-w  l'organismo sociale: ossia dell' uomo virtuoso, o sapiente,  che dir si voglia.   Per lui basta, ed è tutto, V idea della Giustizia; e  il giudizio che fa egli stesso di se medesimo in virtù di  essa: e al di fuori e al di sopra di ogni punizione materiale. Come dice Dante di Virgilio:   El mi parea da sé stesso rimorso,  O dignitosa coscienza e netta,  Come t' è picciol fallo amaro morso!   E, relativamente al malvagio che lo oflFende, in ragione della offesa, anziché il sentimento della vendetta,  cresce in lui quello della pietà. Come in quel divino crocefisso, al quale, negli spasimi di dolore cagionatigli dalla  più atroce delle ingiustizie col più atroce dei supplizi,  l'offesa immensa non riusci che a trargli dall'anima la  preghiera sublime: Padre, perdgna a questi miei crocifissori, perchè non sanno quello che si facciano. Abbiamo parlato di quello  che, sulla fine del primo, avevamo chiamato il secondo  degli uffici del Potere.   Resta dunque a parlare del primo di questi uffici,  che dicemmo essere di stabilirsi nella Società a spese  delle sue parti; e del terzo che dicemmo essere di dispensare nell'effetto del miglioramento delle parti  quella forza comune dell' ambiente sociale che opera  per esso Potere. E lo faremo, cominciando la illustrazione divisata in  questo Capo e nel seguente, e compiendola nelF ultimo. La Giustizia propriamente detta non è tutta la  moralità. Questa Giustizia, cóme vedemmo, riguarda la ifuolumità delle parti sociali. E quindi è il solo lato negativo della Moralità. Ma la Moralità ha anche i suoi lati positivi: come  quelli indicati dalle parole Diritto e Autorità; e quello dei mezzi onde si costituisce e vive il Potere, organo  della Società; e quello del Premio della virtù. Anche di questi lati positivi quindi (e sotto il punto  di vista prefissoci (i) della Responsabilità) si deve chiarire la formazione naturale. Con ciò potrà rimanere spiegato appieno il fatto naturale della Moralità, e la ragione  della Responsabilità potrà apparire sotto tutti i suoi  aspetti reali. Criterio positivo del Diritto e del Dovere. Il Diritto (come dimostrammo nel luogo più  volte citato della Morale dei Positivisti) è la stessa  potenza libera che si avvera rielT essere umano. Considerato questo essere isolatamente, il Diritto,  come dicemmo sopra, coincide colla Prepotenza; e diventa il Diritto sociale antiegoistico e giusto (o il Diritto  propriamente detto) in quanto è ridotto in limiti determinati dal contrasto della potenza opposta degli altri uomini consociati.   Vale a dire: la potenzialità astratta dell' individuo,  nella condizione eflFettiva del suo esercizio (cioè di fronte  alle reazioni delle potenzialità degli altri), diventa una  potenzialità reale determinatamente limitata dalla efficienza contrastante delle potenzialità degli altri uomini. 12) Libro I, Parte II, Capo IV. n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi.  nidi queste Op, ftl. nell' ediz. del 1885, e 131 dell' edìz. del  JS93 e del 1901, e pag. 135 nelle ediz. del 1908). Tf^r»* Con che però resta sempre il principio, che il Diritto di un uomo è ciò che esso può fare.   Resta sempre; per la ragione xche, posto V uomo di  fronte agli altri, e rimanendone elisa per tale relazione  una parte della potenzialità, la potenzialità sua effettiva  non è tutta V astratta, ma solamente quella che residua  dalla elisione soffertaE, per togliere ogni dubbio su ciò, basta l’osservazione del fatto che, cambiandosi le condizioni e i rapporti dinamici, onde dipende la elisione di una parte  della potenzialità di un individuo, questa torna attiva, e  con ciò torna Diritto. Il potere di staccare un frutto maturo da un albero non è Diritto dove il contrasto del  possesso altrui impedisce di esercitarlo; ma tolto questo  contrasto (portandoci, mettiamo, in una regione nella  quale le piante sono proprietà comune) lo stesso potere  di staccare il frutto torna Diritto, per la sola ragione che  non ha più T impedimento al suo esercizio del possesso  altrui. Il Diritto quindi, come dicemmo pure nello  stesso luogo della Morale dei Positivisti, se in astratto  è identico per ogni uomo, (essendo Tuomo in astratto  identico all' uomo) nella realtà per ogni uomo è diverso,  per la ragione che la potenzialità di un uomo differisce  sempre nel caso pratico da quella di un altro: quella  del maschio, ad esempio, da quella della femmina; quella  dell' adulto, del sano, del civile, del colto, dell' educato,  dell' uomo di genio, da quella del bambino, del malato,  del selvaggio, dell' ineducato, dell' imbecille; e via dicendo. wyfmwii^i ' P Jl >»u-.ry l’uomo ha nella natura in forza del suo arbitrio in quanto è determinato dalla Idealità lituana che è la Idealità sociale. Qui colla  spiegazione della formazione della Giustizia (o dell' Idealità sociale)  spieghiamo anche la formazione del Diritto, e quindi ne indichiamo le condizioni dettagliatamente, che si possono riassumere nel quadro che segue: A) Arbitrio umano libero. Non il potere generico della cosa sulla cosa. Non quello della persona in condizione irresponsabile. B) Arbitrio libero di un uomo (sulla cosa o sull* uomo) in confronto colla reazione dell’arbitrio libero dell’altro uomo. Non dove non si pone questa reazione: e in quanto è regolata dalP Idealità sociale. E in ordine a ciò: Arbitrio libero di un uomo in confronto con una reazione possibile. E qui Diritto potenziale o naturale. Arbitrio libero di un uomo in confronto con una reazione  reale. E qui Diritto di fatto o positivo^ nelle diverse forme di questo.  il Diritto può essere nello stesso tempo un Dovere, e non  che deòòa. E perchè questa differenza fra Diritto e Diritto? Rispondendo, apparirà insieme come e quanto convengano fra loro le definizioni apparentemente diverse da  noi date del Diritto nella Morale dei Positivisti (nel  luogo sopra citato), dove dicemmo che è in se stesso la  Giustizia, o la Legge o la Idealità sociale, e qui, dove  diciamo che è un potere libero implicante una Responsabilità verso una Sanzione che ne salva V esercizio. Nel caso di chi mangia la propria mela, M impulsività traente all' azione è data, non dalla Idealità sociale anti-egoistica, ma dall' istinto egoistico, o da quella che  dicemmo la Prepotenza, precedente l’Idealità morale propriamente detta. Trattandosi di questa Prepotenza, la Responsabilità r accompagna solo in quanto la limita, e non  in quanto la produca. E quindi la stessa Responsabilità ha con essa un rapporto unico. E. per ciò non può  aver che il nome di Diritto, ossia si può pensare soltanto  che r esercizio ne è reso incolume dalla Responsabilità  che lo salva.  In vece, nel caso del padre che educa il figlio, T impulsività traente all' azione è data dalla Idealità sociale  antiegoistica, ossia da qualche cosa che è già una Giustizia, implicante quindi l’elemento della Responsabilità.  Da ciò proviene che il potere del padre di educare il  figlio sia fra due rapporti: fra quello di eserizio incolume,  in quanto è salvaguardato da una Sanzione sociale relativa, onde è Diritto; e quello che il padre è alla sua  volta obbligato, pure per una Sanzione sociale relativa.  ad avere in sé la Idealità della sua disposizione o del  suo potere di educare il figlio, onde è Dovere. In una parola, il potere egoistico, non derivando  estrinsecamente dall' ordinamento sociale, ma dalla stessa  spontaneità dell' individuo, non può importare se non la  Responsabilità di chi volesse impedirlo. E quindi è solo  un Diritto. Mentre invece il potere antiegoistico, derivando come tale dall' ordinamento sociale, che lo ingenera per mezzo della relativa Sanzione, impòrta due Responsabilità. Una per chi non lo rispettasse: onde gli  corrisponde il Dovere in un altro. Ed una seconda per  chi non lo avesse e non lo esercitasse: onde, sotto questo  rispetto, è un Dovere esso stesso. Dunque il Diritto è sempre una potenzialità  che importa una Responsabilità, secondo la definizione  che qui ne abbiamo dato. Ma questa potenzialità può essere determinata da una Legge, o Giustizia, o Idealità  sociale, secondo che importava la definizione data nella  Morale dei Positivisti,  In questo secondo caso, come ivi dicemmo, il Diritto  è nello stesso tempo un Dovere. Non cosi quando la potenzialità è di un ordine estramorale.  E cosi siamo arrivati, per mezzo della analisi  positiva del fatto umano e sociale, a scoprire // criterio  positivo del Diritto e del Dovere.  Con questo criterio (e non altrimenti) si possono risolvere i problemi che li riguardano; e specialmente i  quattro fondamentali che seguono: circa i Diritti dell' uomo sopra le altre cose  della natura. Circa i Diritti dell' uomo sopra se stesso. Circa i Diritti di Autorità.  Circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità o Beneficenza, che dir si voglia. Nell'esempio innanzi citato di uno che pigli  dei pesci notammo, che il Diritto di chi lo fa è solo per  quanto il fatto riguardi altri uomini, e non per quanto  riguarda i pesci.  Coi pesci, che prende, l'uomo ha il semplice rapporto  generale della cosa colla cosa, quale è quello, pogniamo,  della foglia verde oscillante al sole e rubante all'atmosfera la molecola di acido carbonico che vi nuota dentro  e si imbatte alla portata delle boccuccie predatrici.  In confronto col pesce 1' uomo non ha né Diritto né  Dovere. Esso, in forza del potere onde é fornito, ne usa  e ne abusa senza offesa della Moralità, che é estranea a  tale ordine di azioni. E nessuno dice reo di colpa e immorale, né il pescatore di professione che trae dall'acqua  il pesce e ne contempla impassibile gli spasimi dell'asfissia, onde muore dibattendosi convulsivamente sulla secca  arena, e lo piglia cosi per procacciarsi da vivere; né il  pescatore dilettante, che gli infligge quel martirio per  semplice spasso.  Ma nella Civiltà progredita si può arrivare fino al  punto di estendere il carattere del Dovere anche alla  detta azione dell' uomo in rapporto col pesce. La Zoofilia  138 (che è una tendenza della Civiltà progredita) cosi parlerebbe in proposito air uomo;  Il pesce, prendilo pure:  x:hè ti abbisogna per vivere. Ma nel farlo non eccedere  i limiti della stretta necessità. Prendilo per quanto ti occorre, o per mangiarlo, o perchè ti è di danno o di pericolo il viver suo. Altrimenti rispetta in lui il godimento della propria vita. E, dovendo prenderlo, fa ia  modo che avvenga col minore suo dolore possibile. E tutto  ciò consideralo siccome un tuo Dovere verso il pesce.  E, un Dovere analogo, i moralisti più delicati oggi  lo stabilirebbero, non solo pei pesci, ma anche per tutti  gli altri animali; e non solo per gli animali, ma anche  per le piante; e non solo per le piante, ma anche per le  cose inanimate senza distinzione. Stabilirebbero cioè quella ordine quarto di Doveri, che chiamano dei Doveri dell' uomo verso le cose della najtura: essendo l’ordine primo,  secondo loro, quello dei doveri verso dio; il secondo,  quello dei Doveri, verso se stesso; il terzo, quello dei  Doveri verso il prossimo. E come ciò? E giusta tale estensione dell'idea  del dovere? E, se giusta, non si avrebbe con ciò una  smentita alla nostra dottrina della formazione naturale  deir idea del dovere?  Dicemmo che la effettuazione della Idealità  della Giustizia, in ragione che più avviene, più paralizza il suo contrario,., e più invece ravviva i sentimenti  antiegoistici, che distinguemmo col nome di pietosi, caratteristici del sentire dell' uomo in corrispondenza colla  sua formazione della Idealità sociale. In ordine a ciò, parlando in ispecie della Idealità  sociale della famiglia, nella Morale dei Positivisti scrivemmo quanto segne: Questa Idealità diversifica secondo le varietà umane. Rozza fra le rozze, gentile fra  le gentili; portante a illimitato uso di potere nelle Società embrionali, ristretta alla mera necessità dell* allevamento, dell' educazione, e dei riguardi necessari, nelle Società più perfette; e cosi via per altre diversità e gradazioni senza numero. Sicché si può dire, che, se dal bruto  air uomo r idealità in discorso si umanizza, questa umanizzazione è neir uomo stesso maggiore o minore. E, dove  è minore, vediamo T effetto, e nella forma ancor fiera del  sentimento relativo, e nella sua limitazione, restringendosi, o alla nazione, o allo stato, o alla tribù, o ad un  semplice branco di uomini. Mentre, dove è maggiore, vediamo Teffetto, e nella gentilezza del sentimento, e nella  sua estensione, che abbraccia tutti quanti gli uomini, per  quanto diversi e immeritevoli: e travalica anche il confine dell'umanità, e si presta a che l'uomo sia pietoso anche  cogli animali inferiori, e perfino cogli esseri inanimati,  La pietà cosi estesa, o in genere Tappi icazione  del potere proprio verso le cose 7iei limiti del necessario  e del ragionevole, è una moralità indiretta, e non una mralità diretta. Che questa è solo quella che dipende  immediatamente dalla reazione tra uomo e uomo; e che  quindi ha per correlativo una Sanzione sociale e conseguentemente ne implica la Respc^nsabilità. Libro I, Capo III, 11. 6 (|)a^. 149, 150 del voi.  lU di queste Op. fiL nella ediz. del  nel!' ediz.  del 1893 e del 1901, e nella ediz. del 1908). Onde storicamente (nella successione dei periodi della  evoluzione della Moralità umana), e statisticamente (nei  gradi di evoluzione della Moralità propria dei diversi  ordini costitutivi di una stessa Società) da prima si ha  solamente la Moralità diretta, o che riguarda V uomo e  non le cose.  Le genti più rozze oggi e, fra le genti più colte, le  persone che lo sono meno, né sentono né sospettano  neanco che la Moralità possa riferirsi anche agli atti relativi ai bruti e alle cose inanimate. Il decalogo mosaico,  sintesi dei precetti morali di uno stadio evolutivo antico  e non ancora perfetto della Moralità, non ne fa cenno  nemmeno esso.  Ma, sviluppatasi più fortemente col progredire della civiltà nel sentimento pio la espressione della Idealità  antiegoistica, questa dovette risentirsi e muovere ogniqualvolta nella rappresentatività umana si fossero avute anche  solo delle analogie coi fatti umani eccitatori dello stesso  sentimento pio.  E ciò per la legge generale della attività psichica, la quale importa che la rappresentazione somigliante (ossia il ritmo analogo dell' attività centripeta) determini  affetti e volizioni somiglianti (ossia ritmi analoghi dell’attività riflessa).  Mansuefatto l’uomo per l’effetto dell' ambiente sociale, e reso più umano, e cresciuta in lui la potenza pietosa, questa dovette scuotersi al palpito, non solo delle viscere del fratello immolato dalla ferocia dell' assassino, ma (per somiglianza della cosa) anche di quelle dell’agnello semivivo sul lastrico del pubblico macello. Do||Wli|ILP!iWWiJi,iS"iWii vette scuotersi perfino alla dilaniazione dei ramoscelli  vivi di una pianta, onde il pensiero è tratto per analogia a rappresentarsela con un senso di dolore. Come quando Goethe canta di una pianticella di rosa. Der wilde Knabe brach* s  Rdslein auf der Heiden;  Ròslein wehrte sich und sùach,  Hai/ ihm dock kein Weh und Ach !  Mussi* es eben leiden,  E siccome il senso della pietà è, come dicemmo, il  sentimento riassuntivo dell’idealità antiegoistica, ossia  doverosa, cosi il concetto vago del dovere, colla sua imperatività astratta e quindi misteriosamente indefinita, dovette associarsi anche alla Pietà sentita in causa dell’analogia per T agnello e per la rosa; e conseguentemente si dovette indirettamente o per riflesso, la ragione  del Dovere, estenderla anche al rispetto di un animale e  di una pianta. Ed è ciò che confusamente presentirono quei vecchi  sensisti che posero la facoltà immaginaria del senso della  Moralità, o queir altra misteriosa della *simpatia* o compassione. Ma la cosa può andare anche più oltre.  Il sentimento pio medesimo, rimanendo offeso in chi  è testimonio della azione spietata, compiuta da una persona o sopra un bruto o sopra un' altra cosa, e perciò  in lui risentendosi, può far sì che egli si esprima riprovando r azione offendente. Tale espressione riprovatrice sarebbe una vera Sanzione vendicatrice della resizione di Convenienza, e che potrebbe essere assunta dal Potere, quando esso (come è  possibile, anzi probabile, an2i in gran parte si è già  fatto (i) progredendo la Civiltà) convertisse in Legge  pubblica il giudizio privato divenuto comune. Come è notissimo, in tutti si può dire i paesi civili si sono  formate delle società per la difesa degli animali, e si sono fatte  delle confederazioni di esse anche internazionali, e si tengono di  tratto in tratto dei congressi dei loro rappresentanti. E si sono anche  fatte delle leggi proibitive degli eccessi contro le povere bestie. E  credo opportuno riportare (jui tradotto un tratto a proposito del  Konversations Lexikon del Brockhaus (Lipsia) La legislazione più antica contro quelli che maltrattano gli  animali ci è presentata dall' Inghilterra dove essi erano puniti fino  dal secolo passato. Seguì una serie di leggi per la protezione degli  animali domestici, per la proibizione delle giostre delle fiere, per la  limitazione delle vivisezioni. Relativamente presto anche la Germania  dettò leggi nello stesso senso; oltre le misure di polizia, il codice  penale sassone del 30 marzo 1838 indisse la prescrizione generale per  la quale si deferivano alle autorità di polizia le punizioni per gli  eccessi dell' uso anche legittimo degli animali. Seguirono tosto la  Prussia, il Wtirtemberg, ecc. con prescrizioni in parte più estese.  Al presente vige un paragrafo del codice penale dell' Impero, col  quale è punito con una multa che va fino ai 150 marchi, o col  carcere, chi pubblicamente o in modo da fare scandalo con malvagità  d' animo tormenta o tratta male gli animali. Oltre ciò sono in vigore  nei diversi stati delle ordinanze speciali delle autorità amministrative  proibitive di particolari maltrattamenti degli animali e in favore di  un contegno ad essi favorevole, e in specialità con prescrizioni circa  il trasporto degli animali, i cani da tiro, la macejleria, il sopraccarico  dei carri ecc. Nell'Austria, oltre certe ordinanze speciali delle autorità,  ha valore di legge l’ordinanza ministeriale che  dichiara punibile il maltrattamento degl’animali che desti pubblico  scandalo; in Francia la cosidetta legge Grammont del 2 luglio 1850  per la protezione degli animali domestici, ecc. I rappresentanti delle  società per la difesa degli animali tendono a che la punibilità si  estenda maggiormente e non si limiti a restrizioni fissate, come per  esempio la pubblicità def maltrattamento. Di tale tendenza pare abbiano tenuto conto la Svizzera, 1' Italia (art. 491 del Codice penale  del 1889), il Belgio (Codice penale), l'America del Nord, ecc.  ^i Nel qual caso poi si avrebbe una doverosità diretta  formatasi da una indiretta. E con una Sanzione e una  Responsabilità, non misteriosa e indefinita e vaga, ma  determinata.  E lo stesso avviene poi per molte altre dell’idealità morali. E anche per un altro verso V esercizio del potere di un uomo sulle cose può finire coir essere governato da una doverosità. Come dove uno, che possiede un  podere e potrebbe farne lo strazio che volesse, è trattenuto dair idea di non lasciare i figli senza pane. Nel  quale ordine di idee cade il fatto della legislazione sulla  interdizione dei prodighi. E per altri versi ancora; e per moltissimi. Ogniqualvolta cioè r esercizio del potere, di un uomo sulle cose  offende, o affetta in qualsiasi maniera, il senso e l’appreziazione dell’altro e ne provoca una reazione, incontrandone quindi una sanzione e la responsabilità. E in tale ordine di casi è da notarsi che certi atti  fisiologici necessari ed inevitabili, ma incomodi o al senso  esterno o al sentimento estetico, importano una doverosità solo in quanto sono compiuti da un uomo alla presenza di altri e non in quanto sono fatti in disparte e  in segreto. Fatta però V abitudine di considerare gli atti medesimi fatti alla presenza degli altri come illeciti, V idea  della loro sconvenienza si associa poi ad essi • tanto o  quanto. anche compiendoli nascostamente. E quindi l'uomo,  a misura che diventa civile e moralmente più perfetto,  si studia o di evitarli più che è possibile o, non poten-. I !ij.i«pj  dolo assolutamente, di eseguirli nel modo meno indecoroso.  Ciò conferma anche la dottrina positiva già da noi  accennata (i) della formazione naturale dei Doveri dell' uomo verso se stesso.  E spiega in pari tempo il fatto curioso delle antiche Moralità religiose, che consideravano alcuni fatti  fisiologicamente necessari dell'uomo, anche compiuti insegreto, impuri e tali da inquinarlo, e richiedenti quindi  i riti della purificazione,  Secondo le idee religiose T arbitrio sulle cose  sarebbe una concessione di dio, creatore e quindi proprietario di esse: e in forza di questa concessione l'arbitrio medesimo sarebbe intero ed assoluto ed esente dalla restrizione doverosa sopra chiarita di un trattamento umano  e di un uso razionale, mancando il precetto divino relativo, che solo, secondo le idee stesse, può stabilire la ragione del Dovere.  E da ciò si vede che il positivismo, anziché distruggere la Moralità, è atto invece ad allargarla più che non  lo faccia la religione. La quale anzi, nella sua gelosia  pel monopolio arrogatosi della morale, si irrita e si impenna per questo eccesso (come essa lo chiama) di Moralità positiva della Società moderna più colta, che vuol  essere buona anche colle bestie e coi fiori.  La religione si sente in ciò moralmente soverchiata,  e se ne vendica chiamando questa bontà, che essa non  sente e non può insegnare, cosa diabolica e perversa.  relativa. Si teme che, perduta la religiosità, V uomo tornerà alla ferocia brutale della prepotenza egoistica; e  non si vede che invece il positivismo è ancora più umano  e morale che non la religione.  Cosi si lamenta che la Civiltà vada distruggendo la  ingenuità santa dei tempi antichi; e non si vede che' i  santi ingenui dei vecchi tempi, perfino le matrone patrizie e venerabili, erano, verso le stesse persone umane  degli schiavi, più fieri e crudeli che il rozzo mulattiere  colla sua bestia ricalcitrante, e il ragazzo ineducato colr insetto che strazia senza pietà. L' uomo del positivismo non si umilia irragionevolmente col credere che V uso delle cose, sulle quali sente  di avere un potere, sia una concessione gratuita e capricciosa che gli sia stata consentita dal talento o dalla misericordia di qualcheduno. Ed è orgoglioso di ritenere  cosa sua ciò che egli è in gprado di appropriarsi: anche  i mari, le montagfne, il vapore, V elettricità, che non sono  enumerati nel rogito di consegna del paradiso terrestre.  Ma ciò non impedisce che egli agisca verso le cose con  meno insolenza dell' uomo religioso e con maggiore mitezza.  Il proposito del positivista non è quello avaramente  egoistico del moralista della religione, che dice a se  stesso: Queste cose dio me le ha date in proprietà: dunque perchè non ne caverò per me tutto il profitto possibile? Il suo proposito è quello retto, onesto,  morale della razionalità, di servirsi cioè delle cose pel  bene in genere, proprio od altrui; fosse pur anco solo il  bene delle cose che non sono lo stesso uomo. Pel moralista della religione le cose sono una proprietà, onde dio, che le ha create e può quindi disporre  a suo talento, lo ha investito, col controsenso che abbia  ancora a sudare per raccogliere i frutti del campo, e lottare contro la rabbia, molte volte fatale, delle bestie feroci. Il moralista del positivismo invece, fiero di se stesso,  audace, generoso come Giapeto, non riconosce donatori.  Egli si sentepadrone della natura come frutto della siia  conquista faticosa; e, come un duellante cavalleresco, all' elemento immite della natura dice: Eccoci alla prova;  se varrai più di me soccomberò io; sarai tu a soccombere, se sarò io il vincitore.  Ma si dice dal moralista religioso, che un Dovere originato nel modo da noi detto sopra non è propriamente un Dovere: e che, se V ha fatto l’uomo, esso  può anche disfarlo.  Secondo il moralista religioso il Dovere propriamente  detto è quello che non è abbandonato alla balia del talento mutabile e capriccioso dell'uomo: onde è necessario che sia un comando di dio, al quale non è possibile sottrarsi.  E in tale credenza è secondato dalla falsa idea, pur  generale ancora fra gli stessi positivisti, che le buone  azioni in genere, e in ispecie la pietà verso i bruti e la  ragionevolezza neir uso delle cose, siano naturalità irresponsabili, al pari, mettiamo, degli effetti delle cause fisiche sui corpi: disconoscendosi cosi, per ispiegare i fatti  in discorso, la loro natura morale, che è pure una realtà  attestata sperimentalmente.  Il positivismo (malgrado i positivisti che sbagliano) vita futura, conchiudono generalmente che l'uomo da nulla  è obbligato ad avere rispetto alla propria vita, poiché, suicidatosi, rimane senza efficacia qualunque minaccia che la Società ponesse a trattenerlo. E che quindi sia V uomo anche moralmente padrone assoluto della propria vita, e possa disporne come gli talenta. Queste sono due soluzioni opposte ed estreme. False  ambedue, perchè dedotte da una idea del Dovere scientificamente non vera.  Una doverosità diretta, relativamente al suicidio, certo che non si può trovarla, poiché, né ha nessuna presa sul suicida una minaccia di punizione per  parte della Società sulla di lui persona, che se ne sottrae col suicidio stesso, né é ammissibile l' idea della  Legge divina e della immortalità dell' anima.  E, assolutamente parlando, quanto alla conservazione della propria esistenza, V uomo potrebbe considerarsi nella condizione estramorale indicata sopra parlando degli  atti deir uomo sopra le cose della natura. E quindi, come  non si ascrive a merito il tendere, nelle condizioni normali dell'animo, a conservarsi in vita, e neanche a tirare  il respiro (quantunque a ciò si possa concorrere anche  colla volontà), cosi il suicidio potrebbe essere riguardato  semplicemente quale effetto naturale di condizioni anormali dell' animo di un uomo, come il tossire delle condizioni anormali degli organi della respirazione.  Ma, se non una doverosità diretta, si può bene  avere, circa il suicidio e la conservazione della propria  vita, una doverosità indiretta; per la ragione che molte  e diverse Idealità morali doverose, connesse col fatto  della conservazione della vita, possono essere presenti  imperativamente (ossia con una impulsività morale o doverosa) nella coscienza disposta al suicidio; e rivestirne  la deliberazione del carattere della reità morale.  Mettiamo un padre disposto a suicidarsi, che pensi  di creare, facendolo, la infelicità materiale e morale der  figli superstiti. O uno che pensi danneggiare suicidandosi dei creditori onesti, che si sono fidati di lui e lo  hanno beneficato prestandogli del denaro, che avrebbe  potuto pagare almeno in parte continuando a vivere. E  cosi via per moltissimi altri casi consimili. Molto istruttivo per questo è il noto dramma di Paolo Ferrari,  intitolato // Suicidio^ nel quale, come le tirate spiritualistiche sono  freddure senza fondamento scientifico, senza sugo e ridicole, che è  strano che egli creda che si possano prendere sul serio, cosi invece  è pieno di verità e di effetto il quadro delle conseguenze nella famiglia superstite del suicida. Onde poi si deduce che anche nei casi nei quali la  doverosità affetta, per impedirla, la deliberazione del suicidio, questa doverosità non è sempre la stessa, ma varia  secondo il numero, la importanza e la qualità delle ragioni morali intervenienti. Cosi, se un corpo insipido per  sé acquista un sapore da sostanze che glielo danno, questo suo sapore varia secondo la diversità delle sostanze  dalle quali Io riceve. Tanto è vero poi che la doverosità non è intrinseca al suicidio per se stesso, e gli è. conferita, quando  si dà che Io accompagni, da ragioni morali intervenienti  diverse secondo i casi, che si può pensare Inter venirvene  anche di opposte; e tanto da produrre perfino la doverosità contraria, ossia quella puranco di commetterlo.  E invero tutti quanti i ragionamenti ingegnosissimi  architettati da certi moralisti non poterono mai togliere  r aureola di eroismo virtuoso onde risplende la memoria  di Lucrezia romana e di CATONE (si veda) uticense.  Dicemmo, che la doverosità può associarsi al  fatto del suicidio, e contrastarlo quindi nella coscienza  morale in quanto si dà accidentalmente la circostanza  che, commettendosi da un uomo, restino inadempiuti dei  Doveri che gli incombono e sono da lui apprezzati.  E per ciò affermammo che la doverosità stessa viene  così a riguardare il suicidio, non per sé, ma indirettamente.  Se non che è pur vero che anche una doverosità  diretta, atta a contrastare da sé la deliberazione di commetterlo, si accompagni al suicidio. E per ciò per una  Sanzione che minacci, non la persona viva (che non può  I"II* PF.I 'darsi come dicemmo), ma la sua fama dopo la morte. La  paura di nuocere alla propria fama col suicidio può trattenere tanto o quanto un uomo dal commetterlo, e in tal  caso esisterebbe per quest' uomo una doverosità diretta  impeditiva del suicidio. E sono due gli ordini dei motivi che possono determinare questa Sanzione per la quale la Società può vendicarsi del suicidio sopra la memoria del suicidato.  Il primo è quello delle doverosità indirette accennate sopra. E per esse viene ad avverarsi così ciò che si disse al numero 5 del paragrafo precedente della doverosità indiretta occasione della diretta. Il secondo è quello della opinione sfavorevole che  domini in una Società o in una classe di persone riguardo all'atto der suicidio, fondata sopra la idea che  sia una irreligiosità abbominevole o una rivelazione di  debolezza d' animo o di alterazione delle facoltà mentali.  La doverosità diretta dipendente da una Sanzione sociale, determinata da questo secondo ordine di  motivi, è una doverosità accidentale e temporanea, e non  normale e durevole, come si richiede pel Dovere assolutamente tale. E in vero l’opinione relativa al suicidio, non sempre, non dapertutto, si trova ad esso sfavorevole. Quante  volte, e presso quanti invece il suicidio è solo ragione  di compassione, come per una disgrazia non colpevole, o  è anche una ragione di lode!  La disapprovazione motivata dalle idee religiose vien  meno con queste. Si danno circostanze nelle quali il suicidio si riveste del carattere di atto eroicamente lodevole,  come nei citati di Lucrezia romana e di CATONE (si veda) uticense.  Si danno condizioni e periodi dello stato di una Società,  che fanno considerare il suicidio siccome una fatalità irresponsabile.  Che più? Se uno è colto a commettere una azione  criminosa, la gente si avventa sdegnata contro il delinquente e si presta in aiuto della pubblica autorità vendicatrice. Si corre invece a salvare dalla morte chi è in  procinto di darsela, e con senso, non di sdegno, ma di  pietà,  Tutto giorno si moralizza sul suicidio a fine  di impedirlo, ritenendosi di danno alla Società in generale e a certe sue istituzioni in particolare. Ma si moralizza inutilmente. Le ragioni che si fanno campeggiare  sono inefficaci per mancanza di solidità intrinseca. Il fatto  si ripete ugualmente, come la febbre curata coll’acqua  fresca. E il male, riguardo alla Società, non è tanto nella  perdita dei suicidi, che in generale non costituiscono la  sua parte più attiva e sana, ma nelle condizioni stesse  della Società, che, se sono favorevoli al suicidio, con ciò  dimostrano di essere non buone e da migliorarsi.  Per le cose dette certo si scandolezzeranno  molti. E crederanno di avervi trovato un capo d' accusa  ineccepibile contro l’etica del positivismo, per sostenere  che essa è esiziale alla Moralità dell' individuo e del  corpo sociale. Ma noi rideremo dello scandalo; ingenuo,  se chi lo prova è un pusillo; e ipocrisia, se chi lo pretesta è un accorto. E diremo: Acquietatevi, che né la  Moralità individuale, né la Società avranno danno nessuno. Anzi ne avranno vantaggio.  L' esperienza dimostra che anche tra i credenti in  una fede, che riprova assolutamente il suicìdio, si danno  di quelli che lo commettono. Sicché non si può sostenere che la religiosità valga ad impedirli. Quanto alla  minaccia dell' eterno castigo il credente suicida, o la affronta disperatamente, o trova modo di persuadersi di poterlo evitare. Tanto che si sa di suicidi cattolici che si  confessano prima di darsi la morte. E nei credenti, se  si ha il ritegno della paura della pena avvenire, non si  ha poi queir altro, del non credente, dell'orrore di metter  fine per sempre alla esistenza, che per questo non si prolunga oltre la vita attuale. E se si disse, che i credenti  un tempo si trattenevano molte volte dal suicidarsi per  r idea di essere sepolti fuori del cimitero consacrato, non  è men vero che ora possa altrettanto l'idea del biasimo  che può restare alla loro memoria. Abbastanza ha provveduto la natura coli' istinto  strapotente della vita alla conservazione dell' umanità,  malgrado i mali gravissimi che ne accompagnano la esistenza.  La disperazione che porta al suicidio non si manifesta con frequenza allarmante se non in certe condizioni  morbose sociali; e ne è il sintomo. Si manifesta per effetto delle condizioni medesime, regnino o non regnino  le religiose credenze. Ed avviene pel morbo, onde il suicidio è il sintomo, come per tutti gli altri morbi; che,  se non producono la morte, le loro crisi stesse ajutano  la guarigione, sia segnalandoli alla cura da applicarsi,  sia promovendo una reazione salutare.   Quando in una Società si verificano frequenti suicidi HW"*^ »  è certo ch^ la pubblica opinione si scuote dalla sua indifferenza per le cause dalle quali essi dipendono. E  finisce per rendere giustizia alla protesta contro di lei  di quelli, ai quali fu fatale lo sdegno contro la sua durezza. E i singoli individui sono avvertiti e ammaestrati  circa i pericoli fatali di certe posizioni e circa gli effetti  funesti di certi indirizzi della vita, perchè li evitino e si  ravvedano intanto che il male può essere ancora scongiurato. Il Diritto suppone l'Autorità; ossia è Diritto  solo in quanto è autorizzato ad esserlo. Ma la stessa Autorità è tale solo in quanto è un Diritto. E lo stesso Diritto, qualunque esso sia, è in se stesso una Autorità. Questi asserti sono altrettanti principj fondamentali  positivamente veri; quantunque la loro enunciazione abbia r apparenza di un circolo vizioso. Come dicemmo sopra tante volte, il Diritto per  essere veramente tale (e non semplicemente la potenza di  fare, comune ad ogni cosa che agisce), deve corrispondere ad una Sanzione che ne assicuri V esercizio, conforme air Idealità sociale o giusta: e importare quindi  una Responsabilità morale. Ora la potenza che stabilisce  questa Sanzione, e verso la quale esiste questa Respon (E si veda per tutte la nota al n. 5 del § II di questo Capo III ) sabilità, è ciò che si chiama una Autorità. Onde è chiaro  essere il Diritto un correlativo della Autorità, e quindi  supporla necessariamente. Potrebbe sembrare a prima giunta che questa  dottrina fosse identica alla vecchia religiosa e politica  circa TAutorità e la dipendenza da essa del Diritto. Ma  tra quella e la nostra corre una differenza di opposizione  perfetta. La vecchia dottrina religiosa della Autorità insegna,  che ogni Diritto dell’uomo risulta da una concessione gratuita di dio: che il Diritto, assolutamente parlando, non  l'ha se non dio: che T uomo di suo ha solo il Dovere: che quindi, quando si dice di un uomo che ha un Diritto verso un altro, la cosa va intesa cosi, che dio ha  imposto a questo il Dovere di fare o rispettare o lasciar  fare una cosa che lo stesso dio vuole che sia pertinenza  del primo. Politicamente poi la stessa dottrina insegna che il  capo dello Stato è investito divinamente (e ciò significa  la consacrazione e la incoronazione con rito religioso per  parte del sacerdozio) di un potere sopra tutti i cittadini;  che esso ne è il sovrano per volere diretto di dio (onde  il titolo Per la grazia di dio) e indipendentemente dal  volere loro e da qualunque ragione naturale di Giustizia  o di bene comune (onde il precetto religioso: Obedite  praepositis vestris etiam discolis)\ e che quindi i cittadini, per lo stesso arbitrario volere divino, non sono altro  che sudditi. La scienza ha fatto ragione del principio religioso;  revoluzione storica sociale del politico. IP^II^KIIV idn,»»^ij5'tr«'isnfc#«^--xj' Il principio religioso è il solito fenomeno psicologico volgare, onde, concepito l’astratto di un ordine naturale di fatti, il medesimo astratto è pensato come una  realtà fuori degli stessi fatti e come causa di essi. Gli  esseri viventi, ad esempio, danno V astratto dalla vt^a,  che non è se non la forma caratteristica speciale che li  distingue dai non viventi. Pel fenomeno psicologico suddetto si fece di questa vita una realtà atta ad introdursi  in questi esseri che lo possiedono e a renderli vivi con  ciò. Cosi fu fatto per l’Autorità. Per una illusione analoga; separata mentalmente dalla funzionalità sociale, onde  è un aspetto, fu collocata in dio, e di là si è fatta valere  a cagionare la funzionalità medesima.   E qui, come è ben noto, ci troviamo col solito abbaglio, del metodo metafisico, che spiega la cosa e il  fatto colla stessa cosa e collo stesso fatto. Come nel derivare gli effetti fisiologici dell'Oppio dalla sua Virtù  dormitiva: per citare lo stesso esempio addotto da Pasquale Villari nel suo scritto intitolato e La Filosofa positiva e il Metodo storico » pubblicato nel Politecnico di Milano, e che io qui ricordo perchè egli fu il primo che ponesse la questione del Positivismo (nel senso che ha oggi) in Italia, e perchè una  grande influenza anch' esso ebbe sopra l’indirizzo delle  riflessioni che finirono a produrre l'ordine attuale delle  mie idee filosofiche. Parlando poi della applicazione politica dello stesso principio religioso basterà osservare  come per essa il Potere è concepito, non come Giustizia,  ma come Prepotenza ed Usurpazione; onde si ha la Prepotenza, ossia r Ingiustizia, eretta alla dignità di principio inorale. Il che è bene scandaloso in una dottrina  che pretende di essere la salvaguardia unica possibile  della Moralità.   E questa applicazione politica del principio religioso  si trova poi corrispondere precisamente ad uno stadio  arretrato della evoluzione.   Il contrasto sociale (dal quale, come dimostrammo,  dipende la riduzione della Prepotenza e la sua trasformazione in Giustizia) si attestò da prima nell' impero  della religfiosità e della sua rappresentanza, cioè in quella  del sacerdozio. E allora si disse, il sovrano avere il potere da dio, ed essere responsabile verso di lui dell'uso  di esso; e il sacerdozio si atteggiò a creatore e giudice  del sovrano in nome di dio. Poi, venuta meno per le ragioni storiche la forza effettiva del sacerdozio nella Società, e quindi il peso del  suo contrasto, la sovranità se ne emancipò, e il legittimismo di ortodosso divenne eterodosso; cioè, riconoscendo  ancora T esser suo dal cielo, autore e giudice della sovranità della terra, sottrasse però questa alla elezione e  al foro sacerdotale.  Incontrastabile veramente è il principio della  filosofia etica tradizionale, che il Diritto suppone la Autorità e che quindi questa si richiede pure per la Moralità.  Ma si ragiona falsamente dicendo, che il Positivismo  viene a distruggere la Moralità, dal momento che toglie  di mezzo l'Autorità; sicché per salvare la Moralità si  debba necessariamente tornare alla filosofia tradizionale,  che sola possa stabilire il principio della Autorità.  L'Autorità, il Positivismo, la pone anch' esso; e con  certezza, poiché ne trova il fatto nella Società e nella  psiche deir uomo civile, e ne dà la spiegazione partendo  dalla osservazione di ciò che succede realmente. E cosi  la fissa scientificamente ne' suoi termini veri e giusti, e  la garantisce dal dubbio (fatale sempre in materia di morale), e da ogni falsa, e dannosa, e immorale interpretazione e applicazione.  L'Autorità, che la filosofia tradizionale fa venire dal  cielo, è un sogno antiscientifico ed involgente una contraddizione. Come avvertimmo un' altra volta, il comando divino – H. Grice, “Perhaps Moses got things other than the 10 comms from Sinai”] imponente il Dovere all' uomo è un principio immorale della Moralità, mentre in fondo è la tirannia, o  l'ingiustizia, in grado infinito. E mostrarono d'essersene  accorti gli stessi metafisici quando concedettero, che il  comando divino abbia da essere non ripugnante alla essenza stessa delle cose, per cui riesca giusto, e dio che  ne usa debba chiamarsi santo. La stessa condizione posero anche per la sua Autorità; e cosi, ammettendo una  dipendenza di essa dalla essenza delle cose, fecero di  questa il primo e di dio il secondo, e quindi vennero a  disautorarlo. E r ammettere la condizione in discorso è poi infine  un riconoscere in modo indistinto la verità della nostra  dottrina, per la quale l'Autorità, non è un assoluto,. xm,  un relativo. Cioè l'Autorità è il relativo di qualche cosa che si  impone moralmente; vale a dire con una Responsabilità Sopra Capo II, § II, n. ii. ..LUI «IVI   verso una Sanzione, e quuidi verso una reausione libera  od umana: insomma verso la Sanzione sociale. Per cui  l'Autorità non può nascere se non nella Società degli uomini, e non può essere se non una formazione naturale  della sua attività organica. Ma questa dottrina del positivismo circa l'Autorità pare anch' essa contradditoria alla sua volta. Un Potere, come si disse, è una Autorità in quanto  conviene con una Idealità sociale ed è giudicabile secondo questa; e quindi il suo esercizio è passibile di  una Responsabilità verso un Tribunale che dispone di  una Sanzione per far valere i principj secondo i quali  sentenzia. Ora, siccome tale è precisamente anche il Diritto,  cosi l'Autorità viene ad essere anch' essa un Diritto.   Ma se l'Autorità è un Diritto, e il Diritto lion è tale  se non per l'Autorità subordinante che lo riconosca e lo  sancisca, come potrà darsi l'Autorità, non potendo essere  che il subordinante sia nello stesso tempo il subordinato?  Per rispondere alla difficoltà basta richiamare  quanto fu detto sopra della Giustizia effettiva o giuridica, o del corpo sociale; e della potenziale, o dell' individuo.   Ciò che sancisce l'Autorità suprema dello Stato è in  genere l' indistinto delle coscienze individuali, che vedemmo sopra come esista e come operi. E che, in modo  via via più distinto, si concreta nelle prerogative proprie  della gerarchia sociale Capo I. i VII. E COSI è tolta la contradd^ione obbiettata. Il diritto del subordinato è sancito dalla Autorità  stabilita nella Società. Il Diritto di questa Autorità è  sancito anch' esso da qualche cosa. Ma non da un' altra  Autorità superiore a quella della Società, che non può  darsi: sibbene dalla potenzialità morale del corpo sociale  collettivo (o delle coscienze individuali) che si forma ed  esiste e funziona ed è efficace in r^ione e a misura che  vige l'ordinamento effettivo della Società. E questo vero è attestato dal fatto storico costante della Società umana, nella quale sempre si è manifestato questo processo; da una parte, della Autorità  stabilita che sancisce il Diritto del subordinato; e dall'altra, della coscienza comune dei subordinati che sancisce il Diritto della Autorità stabilita.   Questo fatto è evidentissimo nella costituzione delle  Società moderne più avanzate, nelle quali é già riconosciuta anche legalmente la dipendenza del Governo, in  tutte le sue parti, dal beneplacito dei cittadini. In tutte  le sue parti; mentre ormai la irresponsabilità, o si limita  alla sola persona del capo supremo, o è tolta affatto  anche per questa.   All' infuori del potere tirannico della forza e della  violenza di certe Società informi, che non è ancora l'Autorità giusta propriamente detta, ma la Prepotenza ingiusta, nei governi teocratici la potenzialità morale del  corpo sociale collettivo si manifesta nella istituzione e  dipendenza del Potere dalla religione. E nei governi assoluti laici la potenzialità stessa si manifesta nella dipendenza del Potere sovrano, che pure ivi ha luogo, da  qualche cosa; come dalle consuetudini, dalle caste, dagli  ottimati e via discorrendo. Ed è poi confermato il vero medesimo dalla  distinzione, che sempre fu riconosciuta, fra il Diritto  reale e il potenziale; ossia, che è lo stesso, fra il Diritto  positivo e il naturale.   Poiché, scientificamente parlando, che è mai il Diritto naturale, se non la potenzialità morale propria degli individui componenti la Società. Il nostro ragionamento ci ha condotto:  Primo, a scoprire la vera indole del Diritto naturale.  Secondo, a spiegare con ciò V origine e la natura   vera della Autorità sociale. A darci il criterio per istabilire i rapporti del  Diritto naturale col positivo, tanto storici quanto ideali.  Il Diritto positivo è, come già dicemmo più  volte, il Potere quale è costituito e funziona nella Società  umana; il Potere dei subordinanti e quello dei subordinati,  in quanto è riconosciuto fissato e garantito dal primo. Vedi in proposito: Morale dei Positivisti Libro I, Parte li.  Capo IV. n. 15 e segg. ( Voi. Ili di queste  Op. fil, nella edizione del 1885, e pag. 131 e segg. nella ediz. del  1893 e del 1901, e pag. 135 e segg. nella ediz. del 1908), e Parte HI,  Capo I (pag. 129 e segg. del medesimo nella ediz. del 1885, e pag.  135 e segg. nella ediz.  e del 1901, e pag. 139 e seg. nella  ediz. del 1908). E questa Sociologia Capo I J VII (principalmente  n. 6) e J Vili (principalmente n. 3 e 4), e Capo II.? 11, nota al n. Il Diritto naturale non è altro che il potenziale.  Ossia quello che corrisponde alle Idealità sociali, o giuste, o morali. £ alle Idealità sociali universe: tanto a  quelle che si sono già avverate nella psiche e nella coscienza umana, quanto a quelle che non vi si sono ancora avverate, ma vi si possono avverare quandochesia.   Dalle quali definizioni enaerge che il Diritto positivo è determinato e giustificato dal naturale; che il Diritto naturale è imprescrivibile, ed  ha un valore trascenclente assoluto, corrispondendo al va-lore trascendente assoluto della natura onde è il prodotto:  come una forza o una specie naturale qualunque, che  l'uomo trova nella realtà e deve subirvi e riconoscervi; che il Diritto naturale è universale, come la  natura umana, allo svolgimento proprio della quale corrisponde.   Quarto, che il Diritto naturale è infinito.   Il Diritto naturale è infinito, nel senso positivo della parola, spiegato nella Morale dei Positivisti (i).   Infinito cioè nel senso, che è una potenzialità interminabile nelle serie e nelle forme de' suoi svolgimenti.  Una potenzialità indistinta atta a determinarsi nei fatti  dei Diritti distinti che si verificano via via senza fine,  come i fatti in genere nella natura per la sua forza inesauribile. E non mica un pensiero, o un sistema di pensieri, già determinato e fissato in tutto il suo contenuto  (Libro II, Parte III, Capo I (pag. 255 e segg. del Voi. Ili  di queste Op. fil,, neir ediz. del 1885 e pag. 268 nell'ediz. del 1893  e del 1901, e pag. 275 nella ediz. del 1908).  e in una forma unica, nella mente di dio, come dà la  filosofìa tradizionale.   La quale immiserisce meschinissimamente il concetto  del Diritto. Come immiserisce meschinissimamente il concetto delle specie naturali delle piante e degli animali,  riducendole ad un numero chiuso di archetipi fissi prestabiliti in una mente creatrice. Come realtà attuale, già distinta nella sua forma di  Diritto, questo è un fatto accidentale; è il risultato del  caso dell'incontro fortuito delle reazioni particolari che  ne determinarono la effettuazione reale, analogamente a  ciò che avviene per ogtii fenomeno naturale, e come nella  Formazione naturale nel fatto del sistema solare dimostrai importare la legge universale della Formazione naturale. Ma esso Diritto poteva realizzarsi in un infinito  numero di altri modi; come era possibile un infinito altro  numero di accidenti nella coincidenza produttrice della  serie degli eventi e della serie delle condizioni dell'uomo,  in cui si avverò la coincidenza. E, del pari, resta sempre  infinito il numero dei momenti evolutivi ulteriori, per la  stessa ragione, e perchè V attività naturale resta sempre  inesauribile, e non si arresta al punto al quale è arrivata  in un dato momento.  Dalle quali cose poi emerge che tra il Diritto  positivo e il naturale vi deve sempre essere lotta. Tanto  è lungi che il positivo (come discenderebbe dalle dottrine dell' etica tradizionale) sia T acquietamento definitivo del naturale; e che questo, eflFettuatolo, riposi in Vedi la Parte IV dello stesso libro.  quello, e solo debba stare in guardia contro i principj  contrari (sia delle passioni ree dell' uomo, sia di potenze  sovrannaturali perverse) tendenti a disturbare V assetto  etico definitivo del mondo.   Eterna è la lotta fra il «Diritto positivo e il Diritto  naturale. E non effetto della reità di nessuno, ma dello  stesso Processo del Bene. Il Diritto naturale lavora continuamente a trasformare il talento della Prepotenza egoistica, che rimane  nella Autorità vigente, in ijome della Idealità antiegoistica. E la trasformazione, incominciata sopra il massimo  della Prepotenza, e continuata pei gradi insensibili infiniti della sua diminuzione, non è mai compiuta totalmente.   Il Diritto positivo di un dato momento è sempre in  arretrato verso le Idealità sociali più progredite, già albeggianti nelle coscienze sociali. E la evoluzione di queste Idealità, che, nate, si ribellano subito al Diritto positivo discordante per riformarlo ad immagine di se stesse,  è una evoluzione che mai non cessa. L’Autorità del subordinante e in pari tempo, un suo Diritto. Soggiungiamo ora che anche il Diritto del subordinato è, esso pure, una Autorità nel vero senso della  parola.   Il Diritto del subordinato è si riconosciuto dalla Autorità del subordinante, mai non è da questa creato. Esso  esiste per sé in virtù del fatto del suo comparire nella  coscienza individuale. Se questo fatto non si avesse, l'Autorità del subordinante non potrebbe fare che fosse il Diritto relativo. Dato che sia il fatto, la stessa Autorità  non può esimersi dall' ammettere il Diritto. Il Diritto del subordinante quindi si impone per questo verso all'Autorità del subordinante, e perciò è esso  stesso una Autorità. Oltreché poi ogni Diritto, anche di  un subordinato, è sempre tanto o quanto subordinante,  cioè atto a determinare dei Doveri e dei Diritti correlativi.   E questa dottrina della autorevolezza intrinseca del  Diritto del subordinato (santo pel subordinante, come  l'Autorità di questo è santa pel subordinato), era sentita  nella coscienza etica degli antichi, malgrado il falso loro  riferimento della cosa, quando all' ordine iniquo del principe tendente a violare il Diritto naturale del suddito,  questo rispondeva: Se il principe comanda ciò che dio  proibisce, o proibisce ciò che dio comanda, l' ordine e il  divieto del principe non hanno valore per la coscienza. La dottrina positiva dell'Autorità e del Diritto è liberale.   Questa dottrina (che è quella del liberalismo  positivo) contrasta a due estremi opposti; esiziali 1' uno  e r altro alla Moralità vera. A quello del Nichilismo del  Diritto individuale della dottrina etico-religiosa dei metafisici; e a quello del dichilismo deldiritto del Potere  di un certo socialismo materialistico. Il Diritto naturale e l'Autorità del Potere, che  lo riconosce, sono fatti naturali della Società, correlativi  ruoo all'altro. Onde» sopprimendo T uno di essi, sì sopprime anche V altro. Il Nichilismo materialistico dunque,  annullando l'Autorità del Potere viene ad annullare lo  «tesso Diritto individuale, che vorrebbe rimanesse col carattere di Diritto unico ed assoluto   Il Diritto individuale è un effetto dell' organismo sociale; e tanto che» tolto questo organismo, né potrebbe  formarsi, né perdurare, esistendo di già; come la funzione e il prodotto speciale di un viscere particolare non  è segregabile dall’organismo deir animale e dai centri  nervosi superiori, onde è determinata e regolata V attività di ogni sua parte. Si form<\ il viscere a misura che  si formarono i centri regolatori; si mantiene finché si  mantengono i rapporti di dipendenza da essi. E analogo  è il caso del Diritto individuale nel suo rapporto coli' Autorità centrale.   E dunque liberale la dottrina positiva che, mantenendo TAutorità subordinante, può mantenere anche il  Diritto dell' individuo. E, per conseguenza, illiberale è  quella del Nichilismo materialistico, poiché, distruggendo  questa Autorità, finisce con ciò a distruggere anche questo Diritto.  Ma la stessa dottrina positiva combatte, nel  medesimo tempo, il principio illiberale del Nichilismo  teistico, dal quale non è riconosciuto nelT individuo un  Dìntto propriamente detto, o proveniente dal suo essere  stesso; ed è insegtiato essere il Diritto una concessione  gratuita di dio, che egli possa dare e togliere a suo piadmento, e lasciare anche alla balia degli usurpatori della  sovranità, nei quali si debba in ogni caso riconoscere una Autorità che non emani dal corpo sociale e sia irresponsabile verso di esso. Il positivismo combatte questo principio, stabilendo  l'Autorità originariamente ed inalienaòilmente risiedente  neir individuo di esercitare il suo naturale imperio sopra  le cose, sopra di sé, sopra gli altri. E mostrando, come  la dipendenza dell' individuo dal Potere subordinante non  è quella dello schiavo, che è costretto colla violenza dal  padrone, e ne eseguisce i comandi suo malgrado, e colr ira incitante alla vendetta; ma è quella liberale di chi  fa con persuasione e con amore. E ciò perchè, l'Autorità  giusta subordinante, l'individuo la pone esso stesso pel  Bene di tutti; anche se importa un sacrificio per parte  propria: la pone, la coltiva, la difende come cosa, propria, anzi come suo proprio Diritto. Proponemmo quattro problemi fondamentali da  risolvere secondo il criterio positivo del Diritto e del Dovere prima indicato.   Dei primi tre problemi abbiamo trattato nei paragrafi  successivi del Capo medesimo. Tratteremo in questo del  quarto, cioè circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità Beneficenza, che dir si voglia.  Fin qui il nostro sagio ha voluto soddisfare a  due dei tre suoi intendimenti; cioè di dimostrcure che la  Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, comprende, non solo gli atti della Gitistizia propriamente  detta, ma anche: Gli atti infiniti offensivi non contemplati e  uon contemplabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi  dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno attribuiti a queir altro della pura Convenienza. Gli atti sindacabili soltanto dalla coscienza  intima dell' individuo in cui si avverano, e producenti la  sola reazione del Rimorso intemo. Trattando ora del quarto problema suddetto,  vedremo di soddisfare al terzo degli intenti propostici,  vale a dire di mostrare, che la Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, comprende anche; Gli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare  e sarebbe bene facesse, e non è costretto a fare. Ossia  quegli atti, che non si attribuiscono né alla Giustizia né  alla Convenienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero i nuovi.  Gli atti benefici nell’Etica tradizionale. E noto che nell' Etica tradizionale si stabiliscono due ordini diversi di atti buoni:  Quelli ai quali uno é tenuto per poter essere senza  colpa, che si dicono atti di Giustizia; e si riassumono  nel detto: Non fare agli altri ciò che non vuoi che sia  fatto a te. Che é quindi un vero Precetto, E quelli che uno può tralasciare senza diventare con  ciò colpevole, che si dicono atti di Carità o di Beneficenza, e si riassumono nel detto: Fa agli altri ciò che  vorresti fosse fatto a te. Che è quindi propriamente, non  un Precetto, ma un Consiglio, Ed è noto che 1' osservanza dei primi si dice produrre la semplice Onestà morale; e la semplice Esenzione dalla punizione. E che la pratica dei secondi pro duce anche una Perfezione morale; e quindi il Merito di  un premio.   Ed è noto ancora che, tra i pronunciati morali appartenenti alla categoria dei Consigli miranti alla mag giore Perfezione morale, se ne pongono anche di quelli  relativi, non al bene da farsi agli altri, ma alla nobilita zione interna della Persona morale. Il principio del Bene morale non prescritto, e  quindi n&n obbligatorio o gratuito (che è un principio ve rissimo, anzi è il principio morale per eccellenza), l'Etica  tradizionale, e non potè mai riuscire a dedurlo rigorosa mente, ed è, nel sistema di essa, contradditorio. E regge  solo nella dottrina dell'Etica positiva. E ciò malgrado sembri a tutta prima che questa,,  posta la dipendenza da essa stabilita del fatto morale  dalla Sanzione costringente, conduca ad una conseguenza  affatto opposta; a quella cioè di togliere di mezzo quello  che ora chiamammo (ed è senza dubbio) il principio morale per eccellenza.  L' Etica teologico-metafisica tradizionale si è  accorta dell' imbroglio che sta nella sua dottrina; e ha  cercato di cavarsene colla sua solita gherminella (rilevata  stupendamente dal Mefistofele del Faust di Goethe) di un  vocabolo equivoco. Cioè col vocabolo Consiglio contrap posto a quello di Precetto.   Il Bene morale obbligatorio (ha detto V Etica teologico-metafisica tradizionale) è il Precetto di dio, che non  si può non seguire: il Bene morale gratuito invece è il  suo Consiglio da prudenza (Kantotle – Grice), che l'uomo può anche non seguire. Ma ciò non è altro, come dicemmo, che una  gherminella. La mentalità divina del Bene morale, onde partono  i metafisici in discorso, derivandone tanto il Precetto  quanto il Consiglio da prudenza (Kantotle – Grice), sta, secondo loro, colla ragione divina dell' Ordine morale.  Ora si può domandare:  L' Ordine morale metafisico, ragione del Bene, è esso  esigenza assoluta dell' essere proprio delle cose che ri guarda? E allora è necessario che sia Precetto tutto  il Bene. O sta invece che l'Ordine morale sia il puro bene placito di dio, il quale possa stabilirlo arbitrariamente  in un dato modo, e di due sorta, cioè uno da esigersi  inesorabilmente, e un altro da consigliarsi soltanto e  quindi da permettere che sia anche violato da chi voglia? E allora il Bene morale, anche quello prescritto,  non ha un valore assoluto; e si può supporre che dio po tesse non averlo voluto, come si suppone dagli stessi me tafisici, che egli potesse non aver voluto creare il mondo.  Si può supporre insomma, che il male sia male solo perchè dio r ha decretato, e che egli avesse potuto decre tare che non lo fosse. Il che sarebbe la distruzione pili  radicale immaginabile della Moralità. E da questo dilemma non si scappa. Cosa ben curiosa e ridicola il sistema etico  della filosofia sana, anche da questo punto di vistai Secondo questa filosofia sana un uomo sa che dio io  consiglia ad un Bene che egli potrebbe fare benissimo;  e sa che con ciò darebbe soddisfazione a lui che deve amare sopra ogni cosa: ma quest' uomo non si cura, né  del Bene per sé, né dell'autorità di dio che lo invita a  farlo, né del dispiacere che gli reca trascurandolo; e ciò  per la preferenza data a un proprio interesse egoistico  contrario: e tuttavia il medesimo uomo rimane dopo tutto  questo esente da colpa, e nella grazia dello stesso dio  cosi postergato. L' imbroglio e l’assurdo della distinzione tra  il precetto e il Consiglio (di prudenza – Kant – Grice – Kantotle) dipende dalla distinzione falsa,  posta dai moralisti in discorso nella stessa ragione divina del Bene morale, del Bene doveroso e di quello non  doveroso, corrispondente all' altra distinzione falsa, di un  Ordine morale che dio voglia necessariamente e di uri  Ordine morale che egli voglia arbitrariamente; e che è  la conseguenza di un principio ontologico fondamentale  erroneo circa le leggi dell' essere e della causalità in generale e della provvidenza in particolare. Nel principio ontologico al quale alludiamo si accozzano, in modo confuso e contradditorio, il necessario e  r arbitrario, come nell' Etica corrispondente la Moralità  determinata dalla ragione assoluta dell' essere e quella  determinata dalla ragione di un comando arbitrario. E  per un processo logico analogo.   Il concetto del necessario e dell'assoluto deriva dalla  osservazione della costanza delle leggi naturali dove queste appariscono a tutti. Il concetto dell' accidentale e dell'arbitrario deriva dalla osservazione dei fatti, che nella  apparenza non si connettono necessariamente a cause naturali, onde si attribuiscono all' intervento diretto volta  per volta dell' arbitrio divino; come, pel volgo, la piogcolare della povertà (che anzi questa sublimità per sé la  povertà non V ha niente affatto, se non ha invece la qualità opposta); ma bensì se mai fosse V effetto inevitabile  di una azione o giusta o caritatevole, sì che uno non avesse potuto rimaner giusto se non si fosse rassegnato ad  incontrare la povertà, o avesse sofferto perfino di subirla  per un maggior bene altrui.E così la povertà volontaria può essere anche pel positivista una cosa sublime ed eroica. Mentre in caso diverso egli la direbbe una stoltezza ridicola e riprovevole. Che se pel religioso la elezione della povertà non è una stoltezza, ciò dipende unicamente dalla circostanza che egli la riferisce ad uno scopo; cioè a quello di guadagnare con essa il paradiso. Ma, se cessa così di essf re una stoltezza, riesce però un atto al tutto egoistico e quindi ancora tutt' altro che eroicamente morale.  E merita una speciale considerazione a questo proposito la dottrina relativa alla elemosina e al dare a prestito. Ho un ricco, fatto proprio secondo lo spirito dell'Etica sana teologico-metafisica. Egli crede fermamente che  r esser lui nato ricco e destinato, senza lavorare, a go di ogni genere, mentre il povero non ha da coprirsi avendo freddo; se il ricco ha a sua disposizione palazzi e ville, quando il povero manca di un tetto qualsiasi; se il ricco imbandisce la propria mensa di cibi e vini costosissimi con profusione, dove il povero manca della stessa  polenta; se il ricco ha cavalli e cocchi e servi che lo  ajutano a fare niente, mentre il povero si stima fortunato  che altri gli offra per carità un lavoro che lo esaurisce senza compensarlo; se al ricco si offrono tutti i piaceri da vicino e da lontano (poiché non gli bastano quelli  che può dargli il suo paese e gli occorrono anche quelli che solo si trovano altrove), e questi gli sono sempre  perdonati quand' anche affatto eccessivi e corrompenti e illeciti e scandalosi, quando il povero ne è privo al tutto ed è barbaramente rimproverato pur dei pochissimi e grami che gli sia dato di procurarsi; se fa tutto questo il ricco, non solo crede, secondo la sua sana morale (che sempre ha cura di contrapporre ad un' altra diversa, detta da lui empia e sovversiva) di far uso di un Diritto concessogli da dio per un gusto particolare di predilezione, ma crede poi anche di adempiere ad nn Dovere: a quel Dovere che si chiama il Dovere di vivere secondo il proprio stalo.   Or bene questo ricco, fatto secondo lo spirito dell’Etica sana teologico-metafisica, riconosce fra i Doveri  del proprio stato anche quello della elemosina, ritenendo che coir adempirlo diventi, non solo buono (che lo è già senza la elemosina), ma ottimo, ed in modo perfetto ed  eroico. Ed è assai bello vedere come il nostro ricco  intenda la detta elemosina. C è da rilevarne proprio la  sublimila della morale onde ha lo spirito. Prima di tutto, se egli si trova padrone di una sostanza vistosissima ereditata nascendo (quanta fatica,  quanto studio, e quanto merito!), la sua proprietà è cosa  sacra, qualunque ne sia la origine antica: anche se in  questa origine fu accumulata colla frode e colla rapina.  È cosa sacra, che gli viene da dio stesso. E, se deve contribuire una parte piccola e superflua per lui dell' aver  suo, per concorrere alle spese dello Stato che glielo difende, o per dare un pane insufficiente a chi si logora lavorando penosamente per lui, che nulla fa e solò consuma  godendo e corrompendo, egli intende, nella goffaggine superlativa del suo pensiero, che l;operaio, che suda per la  scarsissima paga, e il funzionario pubblico, che si sacrifica pel meschino stipendio, della paga e dello stipendio  debbano arrossire come di suoi compassionevoli e gratuiti  donativi, e debbano riconoscere che, se faticando assai  hanno poco da mangiare, anche questo poco è tutta generosità sua, per la quale si compiaccia di largirlo, privandosi di una piccola parte di ciò che gli sovrabbonda. Ma va più in là l’eroismo della sua generosità di  dare del superfluo a chi non ha di proprio se non il dovere di lavorare (quando. gliene danno) e di soffrire. Va  più in là; poiché, oltre pagare le imposte che non può  frodare, oltre angariare V operajo coir avarissimo compenso dei servigi avutine, esercita anche la viriti dell’eielosina. Non già impoverirsi per ciò. E nemmeno restringere  di nulla gli scialacqui demoralizzanti. Oibò! Sarebbe questo un venir meno ai Doveri del proprio stato. E nemmeno impiegarvi una, anche piccola, parte delle superfluità più riprovevoli. Tanto non occorre; e di gran  lunga. Se, per cavarsi un capriccio stimato come un nulla,  il nostro ricco non bada a spendere un migliaio di lire,  una lira sola è anche troppo gettarla, come si farebbe  di un osso ad un cane, ad un vecchio cadente per la fame. Un pugno di monete di rame, ecco quanto basta per adempiere al Dovere di perfezione della elemosina, per essere morale in grado superlativo ed eroico, per acquistare  il merito -di un posto riservato in paradiso.  Poiché anche quelle miserabili monete di rame della  elemosina non si intende mica s'abbiano a gettare gratis. Né anche per sogno! Anche da esse, quantunque non  abbiano un valore apprezzabile per chi le getta, deve venire un vantaggio: e un vantaggio assai grande; devono  fruttare nientemeno che una felicità eterna in un'altra vita. E la cosa va di suo piede. Il povero, la cui vita fu  uno strazio continuo, é ben giusto e naturale che vada  poi air inferno, essendo infine, un povero, un malvagio  mascalzone; mentre il ricco, che ha sempre goduto senza  nessun merito, deve essere premiato colla beatitudine del  cielo, essen'do infine, un ricco, una persona buona. Un pugno di piccole monete di rame; ecco dunque  la limosina del ricco, secondo l'Etica sana. Un pugno di  piccole monete di rame date all' impazzata ad una turba  degradata di accattoni che le implorino, facendo ressa e  alzando le mani supplichevoli, intorno al castello minaccioso e al cocchio superbo, di chi le getta loro col piglio del disprezzo. E questa turba di accattoni degradati é poi necessario, secondo la stessa Eti.ca sana, che ci sia anch'essa. Altrimenti come sarebbe possibile al ricco di avere il  vantaggio di procacciarsi il paradiso a si buon mercato,  e di far risplendere, al di sopra dei languenti per inopia,  r orgoglio stupido della ricchezza in tutta la forza della  sua brutalità? Onde, nel pensiero del nostro ricco (fatto secondo ìct  spirito dell'Etica sana), è cosa immoralissima e sovversiva del Bene, che altri, come il positivista, cerchi di togliere dalla Società l’ignominia dell'accattonaggio: che  consigli la Società a provvedere, non in apparenza ma in  realtà, V impotente, 1' ammalato, il disgraziato: e senza  degradarlo, e con un soccorso che apparisca un Diritto  riconosciuto in chi lo riceve, e non una elemosina che lo  avvilisca; che faccia opera affinchè il povero sia educato  in modo da sentire il danno e la vergogna di accattare  il pane poltrendo neir ozio; e il vantaggio e la soddisfazione confortevole di guadagnarselo nobilmente col proprio lavoro.  E, il sommo della immoralità della condotta del positivista, il nostro ricco la riscontra poi in questo; che,  se si dà il caso dell' incontro di un infelice bisognoso di  soccorso, egli, il positivista, glielo porga per puro sentimento antiegoistico di umanità, senza pensare punto allo  interesse, né del paradiso né di nient' altro, da ricavarne;  e lo faccia senza avvilire chi riceve, comportandosi con  esso come il fratello col fratello; e nell' intento, non di  perpetuarne lo stato miserabile, che faccia risaltare meglioil proprio più decoroso, ma di agevolargli la via per uscirne al più presto, diventando un suo pari.  Dopo tutto però bisogna confessare che il nostro ricco, fatto secondo lo spirito dell' Etica sana, è  logico.  Ma le conseguenze pratiche di tale sua logica servono assai bene per farne apprezzare i principj. Come,  al contrario, la verità dei principj positivi apparisce nelle conseguenze opposte or ora accennate, eminentemente (ed  esse sole) buone e morali.  Certo si deve ammettere, che nella Società (pur prevalendo nelle dottrine dei maestri di morale il concetto  teologico-metafisico sopra descritto) si fece strada a poco  a poco, e per, la condotta individuale e per la direzione  delle cose pubbliche, V idea della beneficenza propugnata  dal positivismo, fondata sulla benevolenza effettiva che  r uomo, diventato buono, ha pe' suoi simili, stimati tutti  avere gli stessi Diritti ai beneficj della vita e della Società; alla quale perciò incomba il debito di provvedere  normalmente, più che sia possibile utile e morale, per gli  infelici.  Ma giò è V effetto della stessa natura, che opera secondo le sue leggi invincibilmente, senza e malgrado le  teorie dei filosofi. E qui pure, come in tutto il resto dei fatti  etici, essa natura ha dimostrato, che la Moralità non si  attacca materialmente ad un atto determinato circa. il  quale dio abbia detto: Questo atto voglio che sia un atto  buono. E ha dimostrato che la Moralità consiste invece  nella stessa disposizione antiegoistica dell' animo, creata  dal vivere sociale; e per la quale V atto materiale (che  per sé non è moralmente né buono né cattivo) diventa  buono, se la disposizione relativa dell' animo è buona, e  cattivo, se cattiva, E ha dimostrato che non occorre, che  un atto buono sia stato prescritto positivamente da nessuno, perchè si introduca nella pratica morale degli uomini, e che questi lo eseguiscono anche senza e prima che  sia stato prescritto. Che anzi la prescrizione positiva medesima è pur essa non altro che V effetto della disposizione potenziale degli individui precedentemente formatasi neir animo moralizzato, nel modo sopra descritto.  Un discorso analogo si può fare circa il dare  a prestito. L' Etica religiosa, computandolo fra gli atti di  beneficenza e volendo quindi che, se altri lo eseguisce,  abbia da, poterlo fare solamente sotto questo riguardo, e  conseguentemente senza interesse, ne sopprime la funzione  vitalissima per la prosperità commerciale ed industriale  nel meccanismo economico sociale; lasciando più libero  il campo alle imprese esiziali degli usurai; sottraendo il  capitale all'ingegno e all'operosità dei volonterosi; restringendo le fonti del benessere pubblico e quindi della Moralità comune.   E allora non sarà colpa l'approfittarne per contravvenirla:  e Vufficio del galantuomo sarà tulio nello studio di elu^  dere la Legge, E vi riuscirà, più o meno sempre, essendo verissimo V adagio: Fatta la Legge, trovato l’inganno. Ed ecco il galantuomo inappuntabile dell'Etica sana. Quanto diverso, e più veramente galantuomo,  quello del positivismo, che l'Etica sana dice sovversione,  distruzione, negazione della Moralità.  Lo scopo dell' attività umana congegnata insieme nell’organismo sociale è di produrre nella coscienza degli  individui la Idealità morale antiegoistica, atta a muoverne  la volontà a fare il Bene. Fino a che l'individuo, questa  Idealità, non ha potuto formarsela, è un infelice da compassionarsi, come il selvaggio che non ha appreso da una  Società colta a procurarsi ciò che forma il benessere e il  decoro di un uomo. Si faccia dunque ogni sforzo per  isvolgerne le facoltà etiche onde egli goda del bene di  avere il carattere dell' essere morale. Una volta che Tuomo sia tale, egli fa il Bene in virtù della Idealità, che è viva in lui e impulsiva per sé del suo volere. Impulsiva per sé: tanto pel Bene della Giustizia propriamente detta quanto per quello della beneficenza. Impulsiva sempre; ogni volta che si presenti l’occasione di ravvivarsi nella coscienza. Operatrice del Bene nella stessa misura della sua impalsività, ossia del suo esserci. Impulsiva finalmente pel solo fatto di esserci; e senza  la scappatoja immorale del difettò, o nella promulgazione della Legge, o nella sua redazione negli articoli del co"  dice. Poiché, come dimostrammo già più volte, l'Idealità  morale, essendo essa la Giustizia potenziale, non segue  (come vaneggia la filosofia da noi riprovata), ma precede  la Legge propriamente detta; e quindi esiste nella coscienza (ancor prima della redazione scritta di una Legge  e della sua promulgazione) un suo dettato e una sua annunciazione, che integra qualunque difetto della redazione  e della promulgazione positiva; e conseguentemente impedisce che la Legge e il suo spirito siano ipocritamente  dissimulati e dolosamente elusi.  Il Bene di perfezione non obbligatoria, la vecchia Etica teologico-filosofica, lo ravvisò anche negli  stessi atti della Giustizia propriamente detta.  E in vero essa insegna, come notammi^ altrove, che,  se la volontà si decide a questi atti unicamente perchè  premuta dalla minaccia del castigo sancito per essi, si ha  solo la Giustizia e non la perfezione; e la perfezione si  raggiunge, eseguendo gli atti della Giustizia indipendentemente dalla minaccia del castigo e per la pura soddisfazione di fare le cose giuste.  Ed è giustissima questa distinzione fra il primo e il secondo genere della deliberazione volontaria rispetto ad un medesimo atto obbligatorio. E l'etica positiva la ripete e la mantiene anche per conto suo. E ne approfitta per argomentarne ad hominem contro TEtica vecchia. Poiché questa colla distinzione in discorso (che è una prova della verità dei principj della nostra Etica sperimentale) mette a nudo il proprio difetto per gli artificj, ai quali deve ricorrere affine di conciliarla colle sue teoriche; e per le incongfruenze che, malgrado gli artificj stessi, vi risultano. Notiamo, per esempio, l’incongruenza relativa alla distinzione tra T atto di rigorosa Giustizia e V atto gratuito, al quale essa annette il carattere di perfezione morale. Qui non si tratta più di un Bene supererogatorio, e tuttavia vi trova il carattere della stessa perfezione. La quale incongruenza svanisce subito partendo dai principj da noi esposti dell'Etica positiva. L' essenza dell' atto morale propriamente tale, ossia di perfezione, di un'atto che ecceda l' efifetto diretto della minaccia del castigo, consiste, come dicemmo, nella attitudine del volere a esegfuire l’atto indipendentemente dalla eccitazione esterna della Sanzione del castigo minacciato. E questa attitudine si ha quando, per effetto appunto della applicazione della eccitazione esterna medesima, a poco a poco si ingenerò e si rinforzò la disposizione psichica impulsiva per sé; e tanto, che, divenuta questa una autonomia morale, ha da sé quanto basta per agire, senza bisogno di esservi ajutata dalla eccitazione della minaccia esteriore. Il che in qualche maniera é ammesso anche dall' Etica vecchia, che pur riconosce la detta spontaneità morale, ricorrendo però per ispiegarla al sogno della grazia di dio, che sostituisca il timore del castigo all' uopo di muovere la volontà al Bene. Coi principj dell'Etica positiva é dunque spiegata nel modo più ovvio e conseguente 1' analogia che corre tra r atto della stretta Giustizia eseguito per pura bontà d' animo, e l' atto della beneficenza in pari modo prodotto; e come ambedue possano avere cosi egualmente il carattere della Moralità perfetta. Molto più che è precisamente la spontaneità di operare la Giustizia (ossia lo Giustizia potenziale) che, precedendola, promuove la legislazione positiva colla relativa Sanzione costringente (come dimostrammo). Ed é la stessa spontaneità che ne mantiene il vigore. Chi ha in sé l'amore alla Giustizia si fa autore diretto o indiretto della Legge, la difende, e concorre a renderla efficace e a vendicarla, se violata. E non impegna persé la forza del Potere, lasciandola disponibile interamente all' utile comune della Società. Dalle quali cose si trae un nuovo argomento in favore del principio etico positivo in confronto col metafisico tradizionale. Nella formazione della Moralità umana, secondo le cose dette, va considerato il momento disponente alla formazione stessa, e il momento della Moralità già attuata neir animo. Il momento disponente si ha nel cedere che fa il volere alla eccitazione che le viene esternamente dalla sanzione della legge. Il momento della Moralità già attuata si ha nella spontaneità acquistata dallo stesso volere air azione giusta e buona senza il bisogno della suddetta eccitazione. Or bene: il principio etico metafisico, onde la ragione deir atto morale è riferita al motivo della pena e del premio, contempla la Moralità nel Momento disponente, vale a dire quando essa non è ancora la Moralità già fatta: dove il principio etico positivo, pel quale la ragione dell' atto è nell' Idealità sociale impulsiva per sé, contempla la Moralità proprio nel momento nel quale essa esiste veramente nella disposizione effettiva del volere. § VII. La virtic, il merito e il premio. Ora poi, esposte le quattro considerazioni proposteci, e confermata cosi e chiarita pienamente la dottrina positiva riguardante gli atti cosidetti di carità o beneficenza, possiamo anche iritendere più compiutamente e precisamente, che sia ciò che si chiama la viriti e il me-' rito, nel loro senso distinto e proprio. Pl'lt.l.J Tr"»T' ^rIl merito è la proprietà della virtù, come tale; e non del semplice atto morale. E la virtù è una disposizione esistente realmente nell'uomo virtuoso. Il che, come sia, è chiaro dalle cose dette sopra. Cosi la scienza è V attitudine particolare dello scien; ziato. Ed essendo la virtù una disposizione reale dell'uomo virtuoso, questo per ciò è un essere diverso dall'uomo non virtuoso; poiché in questo secondo non esiste la potenza etica, che esiste nel primo. E questo vero è stato riconosciuto (quantunque confusamente e in contraddizione col loro principio (i)) dai moralisti della chiesa, in quanto per essi il merito e la virtù richiedono la presenza nell'anima di una attività speciale, vale a dire di ciò che da loro è chiamato, la grazia. Se qualcheduno osservasse che noi, col ricorrere alle dottrine dei teologi cattolici per trarne una conferma dei dettati del positivismo, tiriamo in campo insegnamenti già abbandonati dalla stessa filosofia etico-metafisica che combattiamo, e che quindi facciamo opera inutile (come anche oppugnando il dogma della grazia, che è voler sfondare una porta aperta, non credendo ad esso oramai più nessuno dei moralisti metafisici non teologi), soggiungeremo che la teoria dei metafisici non teologi non è che un riflesso sparuto della dottrina teoloVedi Morale dei Positivisti Libro li, Parte I, Capo II, n. 26, 27 e 28 (pag. 224 e segg. del Voi. Ili di queste _Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 234 e segg. nella edìz. del 1893 e del 1901, e pag. 241 e segg. nella ediz. del 1908). •'^gica patristico-scolastica precedente; e che ne ha ereditato i difetti perdendone i pregi; rimanendo cosi una superficialità destituita anche di quel valore scientifico, che bisogna pure riconoscere, anzi ammirare, nella metafisica ecclesiastica. Gli autori della quale furono grandi pensatori che, se non poterono arrivare alla soluzione positiva del problema morale (ed era impossibile al loro tempo e nelle loro circostanze), ne ebbero però dei presentimenti. E il principale fra questi pensatori fu S. Agostino vescovo di Ippona, il cui genio potè a ragione essere messo allato a quello del divino Platone. La dottrina della grazia, relativamente al fatto morale, è analoga alla dottrina della forza creativa, relativamente al fatto fisico. Il corpo agisce fisicamente perchè ha in sé la proprietà di farlo. Del pari l’uomo agisce moralmente perchè ha in sé la proprietà di agire cosi. Per ispiegare V azione fisica gli antichi supponevano la produzione della proprietà relativa nel corpo per parte della onnipotenza divina. E così davano una ragione della azione fisica stessa quantunque falsa. Il positivismo (come dimostrai nel libro della Formazione naturale nel fatto del sistema solare) trova che la proprietà del corpo di agire fisicamente è la stessa sua costituzione naturale. E così spiega Y azione fisica in modo analogo a quello degli antichi: ma colla differenza che, dove questi considerano la proprietà introdotta nel corpo arbitrariamente da dio nel crearlo (che è contro l' insegnamento del fatto), il positivista considera la proprietà connaturale al corpo medesimo. Nella evoluzione scientifica, onde si passò dalla spiegazione antica della azione fisica alla positiva attuale, tra quella e questa si formò una spiegazione ibrida e contradditoria; la quale, da una parte, riconosceva l’appartenenza della proprietà al corpo, proclamandola quindi una naturalità; e, dall'altra, riconosceva ancora dio quale primo autore di ogni naturalità; il che è una incongruenza scientifica, ed è il vizio capitale della dottrina teistica, come si trova ad esempio nel sistema del padre Secchi.Tale e quale la storia della evoluzione della dottrina etica. La virtù, o la proprietà psichica specifica dell'uomo morale, i teologi cattolici la supponevano un dono santo e sovrannaturale di dio. Il positivismo invece trova che tale proprietà santa è la stessa costituzione che potè acquistare la psiche umana per 1* azione esercitata sovr' essa dalla Società; ed è quindi una naturalità nel senso assoluto della parola. La dottrina ibrida intermedia dei metafisici non teologi rende confuso econtraddittorio il concetto, pur semplice e chiaro, escogitato dai teologi, della proprietà etica infusa come grazia diviua. Rende, dico, confuso e contradditorio questo concetto in quanto, da una parte, negano V intervento diretto dell' azione divina sulla volontà, e, dall'altra, ne mantengono la indiretta. Il merito è l' indice della virtù. Esso è quindi per ogni atto virtuoso in ragione inversa dell'intervento del motivo estemo nella spinta alla deliberazione volontaria. Appunto come la virtù, la quale, essendo la propensione ad astenersi dal Male e a fare il Bene ingeneratasi neir animo per le vie già indicate, tanto più ha in W-Vfl«-JJJ «.P., —sé di intensità quanto meno ha bisogno di essere mossa dal costringimento della minaccia del castigo e dall'ade» scamento della prospettiva di un vantaggio. Per conseguenza, minimo è il merito nelle azioni buone dipendenti al tutto dalla diretta efficacia della loro Sanzione esteriore: come in quelle che si fanno perchè imposte dalle Leggi positive. Ed è massimo nelle azioni buone per nulla determinate da motivo di fuori: come in quelle del Bene gratuito o supererogatorio, o di carità e beneficenza, per le quali, o non esiste Sanzione positiva determinata, o, esistendo, non si considera da chi le fa. Ma la stessa osservanza della Legge avente 4a sua Sanzione può in un uomo, indipendentemente dal rigfuardo della Sanzione stessa, essere determinatadallavirtùformatasi in lui di eseguirla solo perchè giusta, come vedemmo sopra nella osservazione quarta, E così anche per questa osservanza può aversi un grado di merito: e per questo distinguersi nella Società il semplice galantuomo (o quello che non può essere messo in pri-» gione perchè non fu còlto a delinquere) dall' uomo virtuoso, che è stimato non disposto a mancare agli obblighi del cittadino anche aboliti il Tribunale e il carcere. L' uomo, per la formazione che in lui si veri* fichi della energia morale o della virtù, diventa un essere fornito di una eccellenzaparticolare; cioè della eccellenza dignità o prerogativa d’essere morale. E il fatto è analogo a quello, per esempio, della formazione della energia vitale nel corpo materiale, per la quale questo si distingue fra le cose come ESSERE VIVENTE. Il premio, in relazione alla Moralità, o è una sua causa, o è un suo effetto. Come causa è la Sanzione allettatrice della quale parlammo nel paragrafo quarto al numero sette. E con ciò si comprende percliè alla osservanza della Legge imposta colla minaccia di una Sanzione punitrice, ed eseguita per evitarla, non si addica la ragione di un premio, ma solo la esenzione dal castigo. Con questo la Società si difende dalla offesa dell' individuo; dal quale si procura invece l'opera utile della beneficenza colla offerta di un vantaggio. Dove è da considerare che la offerta stessa, facendosi più per r utile dell' azione che per la sua Moralità, non si differenzia da quella che si fa in generale per la prestazione dell' opera volontaria da chi la desidera, cominciando dai premj dei concorsi riguardanti o un libro, una cosa d' arte, o una invenzione scientifica, meccanica, industriale, o un' impresa, e venendo fino allo stipendio dell'impiegato e alla mercede giornaliera dell' operajo. Come semplice effetto il premio è la conseguenza spontanea del merito; ed è l’espressione onde altri lo riconosce. Sotto questo riguardo anche la semplice osservavanza della Legge punitrice può avere una ragione di premio, se V osservanza avviene nel senso detto sopra al numero sei, parlando dell'' uomo virtuoso. E il premio consiate in questo caso, oltreché nella stima comune, anche in ciò, che questo uomo virtuoso è considerato siccome il rappresentante nato della Legge e del Diritto, come spiegheremo meglio in seguito. Il premio conseguente al merito della virtù è una naturalità non determinata positivamente. In generale si restringe alla stima e alla venerazione degli uomini pel virtuoso; la quale non è altro che la reazione spontanea sociale di fronte al Bene morale, e quindi si produce negli uomini in ragione che sono buoni, ossia bene disposti moralmente. Ma alla detta stim^ e venerazione si possono accompagnare anche vantaggi di posizione sociale e di benessere materiale. La mancanza del premio o della espressione del riconoscimento del merito, quando si verifica, è una ingiustizia, ma non distoglie dalla virtù chi ha la proprietà di averla; essendoché la virtù è per sé, e basta a se stessa. E non si addice il nome di virtù a quella disposizione a fare il Bene che sia determinata proprio dalla sola idea di averne la rimunerazione; secondo V osservazione sublime del Vangelo su quelli che fanno il Bene per essere veduti e rimeritati dagli altri.Esso dice di loro giustissimamente, che rimangono così senza il merito della virtù, essendo già pagati per quello che hanno fatto egoisticamente in vista della ricompensa. Il che però non vuol dire che il virtuoso non apprezzi la lode e l’ammirazione altrui e non se ne soddisfi. Nobilissimo sentimento é questo di fare stima e di soddisfarsi del giudizio morale degli uomini che apprezzano e ammirano la virtù; e più che di vantaggi materiali anche grandi. E di ciò parlai nel mio Discorso su POMPONAZZI (si vda), dicendo del pensatore, che esso ama la solitudine. Ma non perchè sia privo di sentimenti benevoli, che anzi in lui si trovano più generosi; mentre nulla tanto disavvezza dall' egoismo, quanto la scuola delle idee. ^^P".  E nemmeno perchè non apprezzi la stima e la lode degli uomini; che, invece, in nessuno la passione della gloria è più viva, che in lui. E, nobilmente altero della sua oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all' onore, che si acquista colle umili arti.  Sciolto cosi il problema propostoci, riguardante r azione benefattrice e la virtù che porta ad essa, gioverà fermarci a considerare il fatto dell' Ordine morale, e la naturalità della sua formazione. Circa la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL' ORDINE MORALE, in quanto questo fatto è un Ordine, alle cose dette alla fine del Capo precedente e a quelle più generali esposte nel libro della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL SISTEMA SOLARE e nel lavoro s\x\Y Inconosciòile di Spencer (4), qui ci proponiamo di aggiungerne una nuova. L' insufficienza e quindi la falsità del principio assoluto, che un Ordine qualunque naturale presupponga (Vedi pag. 51 del Voi. I di queste Op, fil, nella ediz. del 1S82, ^ P3&54 nell'edìz. del 1908). (2) \ VII. Vedi sopratutto V Appendice sul Caso  e s%%%. del ). una Mente, che lo abbia concepito anteriormente e predisposto, emerge: Primo. Dalla considerazione che ciò che si chiama, la mente, è il fatto stesso della formazione psichica umana svolgentesi da ciò che non è ancor tale: onde la stessa Mente è per tal verso, essa pure, un effetto, come tutti gli altri avvenimenti naturali. Secondo. Dalla considerazione che, se la Mente (sorta per graduale isvolgimento da ciò che non era tale), è anch' essa la causa dell' Ordine che è subordinato alla sua efficienzaspecifica, sono del pari cause di Ordini subordinati propri anche tutte le altre formazioni naturali: anche quelle puramente meccaniche e fisiche. Sicché la illazione che 5i fa per la Mente, come ragione dell'Ordine, vale tanto quanto la illazione identica che si faccia per l'agente puramente fisico e meccanico. E in effetto, se r analisi del fatto mentale vi discopre gli elementi e le ragioni della sua efficienza ordinatrice, anche l'analisi del fatto puramente fisico e meccanico vi rintraccia pure gli elementi e le ragioni della sua analoga efficienza ordinatrice. Né più, né meno. Dalla considerazione che I' efficienza ordinatrice della Mente, da una parte, si estende solo alla sfera dell' ambiente da essa abbracciato, e quindi è impotente al di fuori di questa; e, dall'altra, essa stessa suppone un ambiente maggiore nel quale si forma e che la fa essere: un ambiente che é, non una Mente, ma qualchecosa di puramente meccanico e fisico. Sicché, paragonando insieme le due formazioni ordinatrici (cioè la formazione meccanico-fisica, e quella della Mente), la prima è più ampia della seconda e quindi superiore ed anteriore ad essa. Dalla considerazione che l'Ordine, che realmente si trova esistere in un dato punto della natura e in un dato momento del tempo, non è V effettuazione di un disegno, nel quale fosse stabilita la serie degli atti occorrenti alla effettuazione stessa, fino all'ultimo, cioè a quello del compimento dell' Ordine contemplato. No. Nella linea del tempo questo ordine ha la sua ragione in un primo che è fuori della Mente: cioè nelle stesse possibilità di svolgimento verso un Ordine proprie dell' essere naturale attivo. Nella linea dello spazio poi 1' Ordine in discorso ha tante ragioni quanti sono gli incontri fortuiti subiti dall' essere naturale attivo nel corso del suo svolgimento; in modo che ad ogni incontro lo svolgimento stesso devia accidentalmente dalla sua direzione precedente, e quindi V ordine ultimo non corrisponde più alla virtualità Iniziale dell' essere che si svolge, ma solo a quella diversissima e puramente casuale portata dall' incontro ultimamente subito. In una parola, la Mente, né pone il disegno dell' Ordine, che è già nell' essere naturale stesso, né lo eseguisce come l'aveva disegnato, poiché la esecuzione sempre ne differisce per opera degli agenti naturali casualmente concorrenti. Fra i quali può benissimo essere anche la mente stessa (che è pure una attività naturale), ma 'solo con analoga accidentale efficienza. Ciò fu già chiarito a lungo e dimostrato con argomenti positivi nelle trattazioni sopra citate. Ora faremo un ragionamento che suppone i suddetti. ne discende e li completa: ed è poi senz' altro la semplice constatazione logica del fatto dato dalla osservazione. La teoria metafisica, onde si pone in una Mente la ragione dell' Ordine delle cose, è basata sopra i due falsi supposti, che il disegno finale della Mente preceda al tutto la esecuzione estema, e che l'adattamento delle parti nel tutto reale effettuato sia stato determinato dal concetto medesimo di esso tutto; sicché questo sia assolutamente un fine e le parti siano assolutamente mezzi; e non il contrario. Il secondo falso supposto deriva dalla osservazione superficiale ed illudente della specie già formata, che apparisce come un ultimo, ossia come un fine. Anche perchè la specie è di una stabilità relativamente grandissima per rispetto alla esperienza dell' uomo. Egli, trovandone già r esistenza anteriormente alle mutazioni conosciute, la immagina realizzata nella sua interezza attuale fino dal suo principio: e, non essendogli dato di essere testimonio del suo trapasso in una specie nuova, ritiene che sia destinata a durare inalterata fin che dura il mondo. E cosi si forma il proprio concetto della specie, che, o sia come è, o non sia punto. E, siccome la esistenza di una specie implica quella delle parti onde risulta, cosi l'uomo pensa che queste non siano altro che i mezzi necessari al fine di essa, e quindi siano il trovato ingegnoso di una Mente; la quale, formatasi da prima il disegno della specie, sia passata poi a divisare le parti occorrenti alla sua realizzazione. Il primo falso supposto poi deriva dalla esperienza del fatto della Idealità dell' arte, che è qualchecosa di relativamente compiuto e fisso, e che si comunica qual' è da uomo a uomo: e in un modo che uno avendone la cognizione e segtiendone la rappresentazione mentale, è atto ad eseguire addirittura, senza tentennamenti e prove imperfette, un' opera definitiva, predisponendo e coordinando all'uopo tutto ciò che si esige. perchè riesca nella realtà quale si concepisce. I metafisici fanno i due detti falsi supposti, commettendo l’errore di considerare il tempo della osservazione siccome una eternità, nella quale non sia differenza tra un momento e l’altro della esistenza; mentre invece nella durata reale i momenti sono effettivamente diversi l'uno dall'altro, ed essa nei precedenti va diventando ciò che risulta poi nei successivi, cessando in questi quello che era nei primi. L'essere naturale esiste trasformandosi (i); e, nella linea infinita del tempo, solo per un tratto di questo si trova in una forma che svanisce col venire del successivo. La specie è questa forma, instabile come il tempo del quale è figlia. Si muta insensibilmente nel mentre che pare persista la medesima, come il posto del Sole in cielo che sembra fermo a chi lo guarda. E ciò vale tanto per la specie, quale complesso di parti, quanto per la parte coordinata nella specie. L' una e l' altra soggiace del pari al fato del mutamento. E cosi n) Vedi per ciò 1’Osservazione III del libro della Formazione naiuraie nel fatto del Sistema solare e sopratutto il J X (p-ig. 193 del Voi. II di queste Op, fil. nella ediz., pag. 204 nella ediz. del 1899, e pag. 209 nella ediz. del 1908). la parte viene ad essere, non solo un mezzo, ma anche un fine, come la specie; e questa, non solo un fine, ma anche un mezzo, come la parte. Molto più che nella natura nessuna cosa è tanto una specie, che non sia nello stesso tempo semplice parte in una specie più grande; e nessuna cosa tanto è una parte che non sia nello stesso tempo una specie per sé. E nella natura medesima non è la esigenza a priori di una specie, destinata ad esistere, che abbia determinato il farsi delle parti occorrenti alla sua esistenza, secondo il divisamento precorso di una mente ragionatrice: ma è la esistenza avveratasi delle stesse parti costitutrici che ha determinato la formazione della specie, quale si trova in effetto nella realtà. Se le cause naturali relative (indipendentemente affatto da un concetto della specie che non era prima della esistenza reale di essa) non avessero prodotto le parti costitutive della specie, questa non si sarebbe realizzata. E se le cause naturali avessero prodotto le parti in modo diverso, la specie si sarebbe realizzata diversamente. La CO-ORDINAZIONE quindi delle parti alla specie, come del mezzo al fine, è una coordinazione a posteriori. Non può esistere la specie qual' è senza le parti occorrenti; e se esiste la specie è solo pel caso avvenuto della formazione delle parti richiestevi. Per ciò, se la parte è il mezzo a cui consegue il fine della specie, questo mezzo non è un effetto (come è supposto nella teoria metafisica della Mente che è determinata a ricorrervi dalla necessità del fine della specie); ma è la stessa causa della specie. E quindi, se si vuol chiamare la specie un fine, ciò va inteso come dell' effetto che segue la sua causa, e non viceversa, come nella teoria che ripudiamo. Così, se si avverasse che il tronco di un albero per un accidente qualunque cadesse sopra un altro tronco in modo da stare sovr' esso in bilico, e questo fatto dello stare in bilico lo si prendesse come un fine, apparirebbero mezzi per ottenerlo la esistenza sotto il caduto di queir altro tronco colla sua sufficiente resistenza a non piegarsi e rompersi, e T esservi dato sopra il tronco in bilico col centro della sua gravità. Ma qui il detto fine, nessuno lo direbbe la causa precedente del fatto; nessuno direbbe i detti mezzi degli effettivenuti dopo, ossia divisati e predisposti da una Mente consecutivamente al pensiero di avere un tronco in bilico sopra un altro. Non altrimenti è la cosa nel fatto della Idealità e dell'Arte umana, e in genere di tutto ciò che si chiama il disegno ordinatore della Mente. La Mente e il suo disegno sono fatti della natura, analoghi a tutti gli altri in essa verificantisi nella sfera biologica e nella inorganica; e quindi soggetti alle stesse leggi: sono casualità, come la produzione di una specie o la caduta or ora accennata di un albero sopra un altro. Quando un dato disegno è già un fatto compiuto, allora certo può rimanere un certo tempo come è riuscito; ed essere trasmesso da uomo ad uomo; e servire per produrre addirittura l’opera corrispondente, e per predisporre e coordinarvi le parti come mezzi al fine dell'opera stessa; e in modo che questo fine venga ad essere proprio la causa di dovere divisare i mezzi relativi, e il divisamento di questi mezzi venga ad essere l’effetto di aver voluto r opera. Ma ciò non succede soltanto per la mente e pel suo disegno: che succede lo stesso anche per la specie fisica, una volta che sìa g^ià un fatto compiuto. Una volta che esista g^à la gallina, essa potrà produrre un' altra gallina. Cosi un bruco nato da un altro potrà fare un bozzolo simile a quello che faceva il suoprocreatore. Un uomo, arrivato a comporre nella sua Mente il disegno di una locomotiva a vapore, ha potuto costruirne una reale: i meccanici in seguito poterono imparare quel disegno e costruirne delle altre. Non potè succedere che la gallina procreasse altre galline prima che se ne formasse la specie. E lo stesso del bruco. E lo stesso dell' uomo. Non potè succedere che questo costruisse la locomotiva a vapore prima che se ne fosse formato il disegno nella sua Mente. E come la specie della gallina e quella del bruco non proruppero tali e quali dal nulla, secondo la credenza di un tempo, ma furono la riuscita ultima di una serie lunghissima di gradazioni di svolgimento dell'essere, che prima non era né gallina né bruco, cosi il disegno della locomotiva a vapore della Mente umana, fu la riuscita ultima di un lavoro del suo pensiero, che prima non era quel disegno. Né divèrsa nel fondo è la legge della formazione nelle specie biologiche della gallina e del bruco e nel disegno della mente umana. E analoga nei due casi è la ragione della potenza di produrre la cosa a propria immagine e somiglianza, e di fare che nella cosa stessa corrispondano allo scopo dell' essere suo i mezzi impiegativi. £ quindi un libro che narri la storia della invenzione di una macchina è analogo a quello che esponga la evoluzione formativa di una specie naturale. E, se, come dicono i teisti, dio è 1' autore della natura, questa non serebbe altro che il libro nel quale si può leggere ciò che esso è arrivato a inventarvi, una cosa dopo l'altra, a poco a poco. Ma dobbiamo dimostrare e chiarire meglio la cosa. Un uomo ha fatto bollire dell'acqua in un vaso. Ne ha visto sortire del vapore. Per caso copre il vaso mente ritenta l' esperimento, e il vapore solleva il coperchio. E l'uomo pensa allora: Dunque il vapore è una forza: e non si potrebbe adoperarla a produrre un qualche lavoro? Sì certo. E si prova ad applicare al coperchio del vaso un' asta, la quale, alzandosi il coperchio, trasmette il suo movimento ad un corpo che essa urta. Ma il movimento così è in un solo senso; e l' uomo immagina che si potrebbe averlo nei due contrarj di va e vieni. E che perciò sarebbe necessario che il vapore spingesse il coperchio una volta al disotto e un' altra al disopra. E quindi studia e trova il modo di far passare il vapore dal vaso dell' acqua bollente, per un foro in un cilindro, nel quale sforzi il coperchio medesimo ora al disopra e ora al disotto. E allora gli soccorre V idea di applicare r asta, moventesi avanti e indietro, ad una ruota per farla girare. E vi riesce praticando un foro all'estremità libera dell' asta e applicandolo ad una caviglia fissata vicino al centro della ruota. Ed ecco inventata la locomotiva a vapore. Ecco tutto. Il disegno della locomotiva a vapore, la Mente non lo creò con un suo fiat. Quel disegno in essa è r esito faticoso e lento di una serie di operazioni succedutevi r una dopo T altra; e determinatevi da una serie di accidentalità che la trassero fino al compimento della sua invenzione, che riusci una sorpresa per la mente stessa che si trovò di esservi arrivata. Analogo è il processo di tutte le formazioni mentali. La Psicologia positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL PENSIERO in genere, e logico in ispecie; su di che spero di pubblicare presto un mio lavoro g^à pressoché ultimato. L'Estetica positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL'ARTE, che mi duole assai non avere potuto ancora presentare in un libro pel quale ho già preparato tutti i materiali. L'Etica sociologica positiva lo dimostra nel suo studio Cosi ho scritto e ripetuto nelle edizioni precedenti, quando aveva ancora la fiducia di poter ultimare il lavoro. La speranza ora è quasi svanita. La circostanza di essere impegnato otto mesi dell' anno per le lezioni mi lasciò sempre poco tempo per ciò che avrei voluto fare fuori di esse. Gran parte del materiale preparato per la Formazione naturale nel fatto del Pensiero mi ha servito pei tre libri del Vero^ della Ragione e della Unità della Coscienza, E questi quindi possono supplire tanto o quanto invece del libro promesso; che poi non ha cessato di preoccuparmi, come apparisce dai lavori sull'argomento pubblicati nei Volumi IX e X di queste Op, fU, Ptll   della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL’ORDINE MORALE, che è l' oggetto della presente trattazione. 10. Ora è noto come la scienza oggi, illuminata e messa sulla strada dal genio di Darwin, dimostri avvenire allo stesso modo la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELLA SPECIE organica: e per ciò mi devo rimettere ai libri che uq trattano. Anche qui si rileva lo stesso processo di formazione, indicato per V invenzione del disegno della locomotiva a vapore nella Mente umana, pei lenti e accidentali ingrandimenti e tramutamenti di struttura e conseguentemente di funzione: la stessa ragione, onde la formazione già ottenuta è riprodotta nella forma raggiunta. E per la stessa legge, da me formulata nel libro della Formazione naturale più volte citato, del ritmo che lentamente si trasforma per gli urti esterni non concordanti, e indefinitamente si conserva in quanto non è disturbato, e si trapianta fuori di sé, applicato come forza ad un altro essere atto a riceverla. Ciò posto, riepiloghiamo il nostro ragionamento. Il piano mentale è un meccanismo o apparato psicologico riuscito per aggiunte e modificazioni cernali successive, indipendenti da un proposito consapevole del soggetto pensante, e occasionato dalle azioni e reazioni accidentalmente verificatesi tra esso soggetto e le cose ate. Vedi Formazione naturale nel fatto del Sistema Solare  Osservaz. Ili, J XIV.a impressionarlo,come la specie della gallina è un meccanisfno o apparato fisiologico riuscito per aggiunte e modificazioni casuali occasionate dalle azioni e reazioni dell' ambiente in cui si è formata. L' apparato psicologico del piano mentale serve alla produzione di un' opera a sua immagine e somiglianza: come l'apparato fisiologico della specie della gallina serve alla produzione di un individuo nuovo della specie medesima. Il fatto è come di uno stromento che 1' arte della natura (cioè del complesso delle cause che esistono in essa) ha preparato, nel primo caso entro la psiche deU r uomo, nel secondo caso entro la vita della gallina, per produrre 1'opera relativa. Dunque nel disegno della mente ciò che si chiama il fitte di esso (poniamo per la locomotiva a vapore di muoversi della macchina sulla ferrovia colla forza di trascinarsi dietro il treno attaccatovi) non è un primo, che la Mente si sia proposta e che abbia motivato per essa il divisamento, al quale sia quindi venuta solo dopo, delle sue parti, come deimezzi necessari al conseguimento del fine medesimo: nel che si fa consistere la ragione di dover Nel Capo I della Parte II del Libro I della Morale dei Positivisti, numero 3 ho mostrato potersi definire la Psiche: Un mondo possibile^ che si presenta coyne il piano dell’opera a chi ha da produrne uno reale. E precedentemente vi è dimostrata la casualità della formazione del stessa psiche. Una cosa affatto analoga è V energia specifica di un agente naturale fisico qualunque. Tale energia è un ordine di proprietà costituite nella cosa per la stessa ragione della casualità della sua formazione, le quali vengono ad essere la possibilità degli effetti che la cosa è atta a produrre, e precisamente di un ordine di eff*etti corrispondente all' ordine delle proprietà dalle quali dipendono. Fra la psiche e V agente puramente fisico nel riricorrere alla Mentalità per ispiegare il fatto dell’ordine, inteso quale divisamento dei mezzi necessari al conseguimento di un fine. Nel disegno della mente, ciò che si chiama il fine non è un primo, ma un ultimo, che vi si verifica posteriormente, perchè prima vi si è verificata la cognizione dei mezzi. Nel fatto particolare della concezione del disegno della locomotiva a vapore allo scopo di trascinare il treno ferroviario, la Mente che vi è arrivata possedeva già la cognizione della forza del vapore; e del modo di farlo agire sopra uno stantuffo si che ne risultasse un movimento di va e vieni sopra un'asta; e del modo di convertire il movimento rettilineo dell' asta in quello circolare di una ruota; e la cognizione, che un peso, gravitando sopra ruote che lo portino è girino su guide di ferro, si trasloca con esse. Solo dopo ciò, solo dopo che la Mente era già pervenuta alla cognizione di questi mezzi, ad esso potè sovvenire l’applicabilità loro al fine di avere un motore di un treno ferroviario. L'Ordine adunque anche nella Mente è un risultato accidentale di concorrenze casuali nel quale i mezzi non spetto in discorso si ha la sola differenza, che nella prima l'ordine mentale, causa dell'ordine delle opere, mettiamo dell* uomo, è accompagnato dalla coscienza di sé, mentre nel secondo 1' ordine delle proprietà attive, causa dell' ordine de' suoi effetti, non è fornito di tale coscienza. Ma ciò non influisce punto ad alterare la natura del processo della estrinsecazione, per così esprimermi, della attività. Cosciente o non cosciente, l’attività funziona in un agente sempre e necessariamente nel modo onde è atta a funzionare, ossiasecondo lacostituzione propria dell'attività stessa nella intimità dell'agente che la esercita. L  sono determinati dal fine, ma è questo determinato dai mezzi. E tanto, che supporre il contrario è supporre ima impossibilità o un assurdo della dinamica della natura. E cesi la tantovantata scoperta di Anassagora, che V Ordine dell'universo importi una Mente ordinatrice, vale quella del suo predecessore Talete, che si argomentò di ritenere doversi V attrazione della calamita pel ferro ad un' anima che vivesse in essa, e ne determinasse questo effetto curioso. Se qualcheduno qui credesse di sfuggire alla nostra conclusione, osservando che il pensiero che si attribuisce a dio non è come il pensiero dell' uomo, sul quale noi facemmo la nostra argomentazione, risponderemmo due cose: Primo. O il pensiero attribuito a dio è qualche cosa di analogo al pensiero dell'uomo, e allora l'argomentazione fatta su questo vale anche per quello: o non è una cosa analoga, e allora non si può dire che sia un pensiero. Perchè a noi, quando diciamo, pensiero, è impossibile concepire altro che non sia lo stesso nostro pensiero. E poi non si può ancora in nessuna maniera fondarvi sopra r argomentazione relativa all' Ordine, dal momento che questa è suggerita precisamente (quantunque per semplice illusione) dal fatto dello stesso pensiero umano. Secondo. Lo stesso fatto della natura poi smentisce direttamente la supposizione della obiezione. E in che modo? Si dice: Concepì dio il disegno del mondo e poi lo esegui creandolo: e tale subitoqualedoveva essere poi sempre a gloria sua; e quindi coli' uomo, dotato per ciò da lui, non solo del senso come il bruto, ma anche della ragione e del libero volere, che lo rendessero atto a conoscerlo e a rendergli omaggio e culto spontaneo. E il sistema era logico. Non aveva che il piccolo difetto di essere basato sul falso supposto che il mondo attuale sia una formazione che persista immutabilmente: tale al suo primo principio, tale ancora fin che ne dura la esistenza. Ma la scienza s'è avveduta che la formazione quale ora si presenta, l'uomo compreso, è una fasetransitoria della esistenza. E con ciò ha distrutto il sogno che fosse r opera definitiva, nella quale si fosse realizzato appuntino il disegno di una Mente divina. La scienza s' è avveduta, che lo stato attuale delle cose è dovuto ad un processo continuo di formazione analogo a quello delle idee e dell' arte dell' uomo, e che questo processo è determinato dalla attività  intrinseca delle stesse coseche si formano, e dal caso delle reazioni delle cose fra di loro. E con ciò ha distrutto il sogno che siano r Ordine preveduto come fine in una divina idea. I teisti, smentiti così nel campo degli Ordini della natura fisica, si restrinsero a sostenere il loro principio della preordinazione della Mente divina, nel campo dell' ORDINE MORALE; e credettero che quivi sarebbero rim£isti eternamente inoppugnabili. Ma ahi! che anche qui la scienza li ha seguiti e ha messo in evidenza la insostenibilità della loro tesi.La scienza positiva dell' Etica sociologfica ha scoperto, come vedemmo, 1'analogia perfetta che corre tra la formazione naturale in genere e quella della Giustizia e del Bene morale in tutte le sue forme. Ha scoperto quindi che tutto ciò che si riferisce all' Ordine morale, e r Ordine morale medesimo, sono il prodottolento e progressivo {e vario secondo le dccidentalitàaccompagnanti) della attività intrinseca dell' essere umano e delle reazioni degli individui nella convivenza della Società.  Il fatto del Diritto (diversità, specie, co-ordinazione GRICEIANA) e il suo Ideale. Circa la diversità del Diritto tra individuo e individuo, in ragione della potenzialità non ugnale dall' uno air altro, alle cose dette nel libro della Morale dei Positivisti {\) e superiormente in questo, un'altra importantissima qui ora torna la opportunità di aggfiungerne. La diversità in discorso dipende in parte dalla stessa costituzione fisico^psichica colla quale uno nasce; e per questo riguardo si potrebbe chiamarla diversità inizicUe; e in parte (grandissima) è il prodotto della convivenza sociale: e per questo altro riguardo si puo chiamarla diversità riuscita. La quale poi alla sua volta influisce pur anche indirettamente sulla disposizione iniziale della nascita. L' argomento della diversità del diritto, considerata sotto il secondo degli aspetti ora indicati, è vastissimo: ma noi qui lo toccheremo solo per ciò che occorre allo scopo della nostra trattazione. Le specialità di condizione di un uomo, dipendenti dalla sua relazione e convivenza cogli altri uomini uniti in Società, sono moltissime; come ognuno sa. Per esempio, la ricchezza, la parentela, la clientela, gli aderenti, gli amici, i conoscenti, T ufficio, il grado, la cultura, il merito, le idee, e via discorrendo. Queste specialità di condizione sono nello stesso tempo altrettante specialità di attitudini e di potenza dell'uomo. E quindi anche, secondo le cose stabilite sopra, altrettante specialità di Diritti di esso. Si verifica perciò nell'organismo sociale la legge di tutti gli organismi, per la quale V elemento, che, considerato in astratto e fuori dell' orgfanismo, è uniforme, una volta entrato a farne parte, si diversifica per opera dell'organismo medesimo; poiché questo, fra le moltissime funzioni delle quali un elemento ha primitivamente la potenzialità indistinta, lo dispone e lo destina ad una data funzione distinta. Che è ciò che si chiama anche il fenomeno della divisione del lavoro, ed è nello stesso tempo ciò che altrove dicemmo corrispondere alla (i) Per esempio, nella Formazione naturale nel fatto del sistema solarCy Osservazione III, § V (nel Voi. II di queste Op, fil,). wf^'^vmmmifm^gg^ della varietà, onde si spiega T attitudine alla esistenza e alla virtù formativa nella natura in generale e negli organismi in particolare. Così vediamo che gli atomi polivalenti del carbonio si costituiscono, negli organismi degli animali e delle piante, in una serie di forme diverse di radicali: in una serie tanto più notevole per numero e varietà, quanto più complicato e perfetto è l’organismo costruitone. Nell'organismo sociale poi i suoi radicali (per adoperare questa espressione) o le sue varietà elementari costitutive, o attitudini distinte di funzione, onde emerge r essere suo complessivo quale organismo sociale, sono precisamente le specialità di condizione dell' uomo sopra accennate: ossia quelle specialità di potenza, che l'uomo vi assume: ossia le specialità dei Diritti, I quali Diritti, nell' organismo sociale, in pari tempo, e lo costituiscono, e ne sono determinati. In modo che la Società si può chiamare la procreatrice dei Diritti, Come la pianta è la. procreatrice delle sostanze speciali necessarie alla sua vita particolare; le quali, nello stesso tempo, e la costituiscono e ne sono determinate. I diritti individuali, per tal modo nascenti e vigenti in una Società, sono in numero immensamente gratide: e perchè i fatti determinati sono moltissimi, e perchè questi si connettono insieme in maniere differentissime, e perchè le attitudini emergenti si diversificano all' infinito secondo le condizioni infinitamente diverse nelle quali si verificano. Tuttavia si deve avere nella Società umana, in quanto è un organismo speciale dato, una certa costanza nel numero e nella qualità dei generi secondo i quali si possono classificare i Diritti. Allo stesso modo che nell'organismo vegetale, per esempio, si ha una certa costanza nel numero e nella qualità dei generi delle sostante componenti. La quale costanza però non sarà mai quella delle Idee^ eternamente immutabili, di Platone; né quella delle specie, sempre le medesime dopo la creazione, dei vecchi naturalisti; né quella dei Diritti ab eterno ed immutabilmente stabiliti dal verbo divino, dell'etica metafisica: ma sarà solo, come dicemmo, una certa costanza; e si che, da una parte, ammetta una lenta trasformazione secondo i tempi le circostanze e i casi e, dall'altra, nella realtà si verifichi sempre con qualche diversità, come il tipo di un uomo o di una foglia, che non si effettua mai lo stesso in ogni uomo, in ogni foglia. Il Diritto, che si forma nel modo suddetto, è il Fatto del Diritto; ma non il suo Ideale, Un uomo esercita la propria potenza in quanto l'ha e in quanto glaltriglielo permettono, o gli detta la Idealità sociale: che torna lo stesso, dal momento che la Idealità sociale non è che 1' astratto della reazione altrui e quindi del permesso dato dagli altri di agire. £ la forma della reazione altrui e quindi della Idealità sociale, nella loro tendenza a ridurre e trasformare la prepotenza egoistica originaria dell' arbitrio individuale nella Giustizia antiegoistica del suo concc«:so nel lavoro socialmente utile, sono continuamente in via di progressivo mutamento; come spiegammo sopra, e come esige, secondo che pure avvertimmo più volte, la legge universale della ^'«ifannipiiij I Formazione naturale applicata al caso particolare della Formazione etico-sociale. Un uomo esercita la propria potenza in quanto r ha e gli altri glielo permettono, o gli detta V Idealità sociale regolante il suo operare. Ecco il Fatto del Diritto. La reazione sociale, e quindi V Idealità mentale conseguente diretttiva dell' azione umana, va sempre trasformando r arbitrio individuale dalla sua originaria prepotenzaegoistica nella Giustizia anti-egoistica. £ questa Giustizia anti-egoistica, alla quale tende la detta forza trasformatrice, è T Ideale del Diritto. Ma questo Ideale è un termine al quale si può andare avvicinandosi sempre più, senza che si effettui però mai perfettamente. E da ciò consegue: Che V Ideale assoluto del Diritto non esiste realmente. Sicché è una assurdità il concetto di un ordinamento morale definitivo, come porta la dottrina metafisica della istituzione morale per parte di un legislatore divino, che la fissasse una volta per sempre, e nei termini di una sognata Giustizia assoluta e quindi irrefor-mabile. Che il fatto del Diritto è sempre una Giti^ stizia relativa: e cioè relativa al lavoro di riduzione sociale precedente e alla potenza attuale dell' organismo sociale derivatone. Ma tale Giustizia, quantunquesolamente relativa quando sia rapportata ad un concetto astratto più perfetto dell' organismo sociale, nella Società in cui vige ha valore come se fosse assoluta, perchè essa giùdica, non in base all' Ideale o di un' altra Società o di una Società possibile più perfetta, ma in base al Fatto che si è già verificato in essa. Che ogni Diritto di fatto è nello stesso tempo in parte una prepotenza ingiusta, che si tende ad eliminare, e si va sempre più eliminando. E ciò, sia regolando meglio il fatto medesimo, sia, quando occorra, togliendolo del tutto. Senza questi criteri è affattoinspiegabile la storia del Diritto, e il processo legislativo delle Società. Tale processo, senza questi criteri, apparirebbe, non la Giustizia in azione (come è realmente, e non può non essere), ma la ingiustizia incaricata di creare la Giustizia. E con questi criteri poi si spiega il fatto storico della evoluzione sociale procreatrice del Diritto più utile e più giusto. La quale evoluzione quindi, secondo i criteri medesimi, si può dire consistere in ciò, che il Diritto dell' avvenire, ossia il Diritto ideale, combatte e vince il Diritto delpassato, ossia il Diritto di fatto. L' Ideale assoluto del Diritto dicemmo che non esiste realmente. E che nella realtà non si ha, dell'Ideale del Diritto, se non una effettuazione incompleta. E da ciò potrebbe altri dedurre, che il Diritto di fatto sia un relativo il quale supponga un assoluto: e che questo assoluto sia l'Ideale o il tipo eternamente determinato del Diritto, che la mente o possieda gfià o abbia la possibilità di possedere quandochesia. Ma anche ciò è un errore. L'Ideale del Diritto non è un tipo assoluto o eternamente determinato, nemmeno come semplice mentalità. L' Idealità del Diritto è, anch' essa, un fatto, come quello del Diritto effettuatosi realmente. U Idealità del Diritto presiede si, come mentalità direttiva, nella produzione del Diritto di fatto, ma è pur sempre un fatto anch' essa. Solo che questa Idealità è un fatto della mente, dove il Diritto effettuatosi realmente è un fatto della costituzione già vigente esteriormente in una Società. Ed essendo un fatto ha le proprietà di tutti gli altri fatti jn quanto tali: cioè di essere casuale e quindi relativo. Il tipo ideale del Diritto è come tutti gli altri tipi ideali. Per esempio, come quello del disegno della crea-zione supposto nella mentedi dio, del quale abbastanza ho discorso nel libro della Formazione naturale, E come, quello dell' arte; mettiamo dell'Architettura: che (per una serie di casualità) è riuscito diverso nell'India, in Egitto, in ROMA, in Germania, e via dicendo; e pur nello stesso paese non fu mai identico affatto nemmeno nella stessa epoca, e nemmeno in due soli architetti, anzi nemmeno nello stesso architetto in tutta la sua vita. Il tipo ideale del Diritto, come tutti quanti i tipi ideali, è una formazione mentale, che apparisce un dato momento per una accidentalità che la suggerisce; vi si perfeziona poi in una data maniera per altre accidentalità che guidano la mente a farlo; e un dato momento poi si oblia e si sostituisce con altri diversi e opposti, ancora per delle accidentalità che ve la inducono. E tanto, che il tipo ideale stesso non è quindi determinabile a priori, come un vero preesistente inmodofisso e inalterabile nella mente di ognuno: ma solo a posteriori, cioè come 1' astratto di tutti i tipi conosciuti veriVol. IV. 16 ficatisi effettivamente nelle Società umane d’ogni tempo. A quella maniera che il tipo del vegetale non si può avere se non pel confronto mentale fra le forme reali che effettivamente s* è dato che se ne producessero. IO. Che se altri dicesse che il tipo ideale del Diritto è assoluto in quanto è il corrispettivo necessario etico-sociale di una entità reale, cioè dell' uomo e della sua convivenza nella Società, risponderemmo: Primo. Che la reale entità stessa, dell' uomo e della sua convivenza nella Società, determinante necessariamente il tipo ideale del Diritto, è ancora una somma di accidentalità, che si rileva a posteriori, e non si prefigge a priori. Secondo. Che il tipo ideale del Diritto sipresta al concetto di essere il correspettivo necessario del fatto sociale, non come il disegno preesistente di ciò che non è ancora succeduto; ma solo come V astratto rilevato dopo (i) Su ciò ho scritto nella Psicologia come scienza positiva (Voi. I di queste Opev e filosofiche) un tratto che stimo opportono di ripetere anche qui: « Anche nel dire, idealità, il filosofo positivo esprime un concetto armonizzante i veri imperfetti di diverse scuole. La scuola psicologica dà l'idea, come una mera forma del tutto soggettiva, accidentale e variabile del pensiero. La scuola ontologica le assegna un valore oggettivo, immutabile ed assoluto. La scuola storica ricorre per ispiegarla alle relazioni dell'uomo colle condizioni esterne in cui vive, per cui le attribuisce una semioggettività, e la considera, da una parte contro i psicologi, non una creazione facile ed efimera dell' individuo, ma una produzione faticosa,lenta, durevole della Società, e dall' altra contro gli ontologi, non una intuizione che la riveli d' un tratto nella sua interezza ed in una forma unica sempre e per tutti, ma una formazione progressiva e varia, che incomincia dall' abbozzo per venire al lavoro sempre più finito; e che riesce con aspetti diversi, secondo le circostanze differenti dalle quali •*-^..r9,rr-frdi ciò che è già succeduto. Onde il ricorrervi che fanno i nostri avversari è un circolo vizioso. Diritto è in virtù di se stesso, gioverà qui ripetere, in forma appropriata a questo punto del nostro discorso, ciò che pursopra sotto vari aspetti dimostrammo. Quello che può un uomo, che fa parte di una Società, è una forza, che vi si pone da sé col solo fatto che r uomo medesimo ne faccia parte; e che vi emerge in quanto non vi è elisa dal contrasto dei consociati. Come già dicemmo più volte. Emergendo la forza di un uomo nella Società, vi è dipende. Or bene anche nel filosofo positivo l' idea è una formazione lenta, progressiva, durevole, non dell' individuo, ma della società, e dipendente dalie esteme condizioni di essa, ma solo in quanto queste condizioni esterne e l'opera sociale giovano a dare eccitamento e rinforzo al pensiero individuale, il quale è il vero fattore dell' idea, secondo chedicono giustamente i psicologisti. Ma l' individuo e la società, producendo l' idea, non fanno opera capricciosa, ed avente solo valore momentaneo e soggettivo. No: tale lavoro ha la sua ragione nella stessa natura per la quale agiscono, come la forma che assume il seme germogliando. E come la forma assunta dal seme per la germogliazione, più che se stessa, rappresenta queir ordine di cose, che ha determinato la formazione della specie vegetale a cui appartiene, cosi r idea di un uomo, più che 1' operazione accidentale, soggettiva, variabilissima di esso, rappresenta, secondo che dicono giustamente gliontologisti, queir ordine assoluto e immutabile, almeno quantola natura, nel quale è la ragione oggettiva del fatto particolare, che consideriamo. Vedi per esempio nel Capo I, dove parlammo della Giustizia potenziale y e nel Capo II, dove parlammo della derivazione della Giustizia dalla prepotenza. «Triconosciuta: o estrale galmente nel tacito consenso degli altri uomini, e nell'uso, e nella esplicita manifestazione dell'opinione pubblica in qualunque modo approvante: o legalmente nelle forme stabilite dal Potere sociale riconosciuto come tale. E pel detto riconoscimento la forza in discorso acquista il carattere di Diritto, per la ragione che importa la Responsabilità di chi la lede verso la Società, la quale, col suo riconoscimento, se ne è costituita tutrice e vindice. E quindi è falsa V idea che il Diritto emani assolutamente dall'Autorità superiore, che lo doni o lo conceda air inferiore. Non emana da essa: esiste potenzialmente prima e indipendentemente e malgrado di essa: si impone da sé: e sforza la stessa Autorità ad ammetterlo col riconoscerlo e sancirlo. E anche questo dicemmo già più volte. Ma ci occorre ora di far notare un fatto essenziale alla dottrina della sociologia positiva, non ancor rilevato: il fatto cioè che il Potere sociale crea pur esso direttamente dei Diritti individuali. E, dato questo, si domanda: come si accorda questo fatto col suddetto principio della emanazione del Diritto dall'individuo e non dalla Società? Facile è la risposta. Il fatto della creazione di un Diritto individuale per parte del Potere sociale si accorda col principio in discorso per la ragione che questo Potere, nel caso qui contemplato, può porre il Diritto neir individuo in quanto può fornirlo di una forza; e in quanto questa forza, che l' individuo ha ritratto dal potere che gliel' ha fornita, sia riconoscibile quale Diritto come le altre forze possedute comecchessia dall'individuo medesimo, e dalla società rispettate o difese. In ogni caso il fatto del Diritto di un uomo neir organismo sociale è analogo a quello delle proprietà acquistate dall' elemento materiale quando é entrato a far parte di un organismo; e, per un esempio, dalla molecola combinata nel tutto di una sostanza, che acquista la forza specificamente funzionante della sostanza medesima solo perchè è divenuta V elemento di essa. Nell’organismo chimico di una sostanza V elemento è la molecola, come neir organismo sociale l’elemento è la persona di un uomo. L' organismo intero, neir un caso e neir altro, e' è solo pel rapporto della forza di un elemento con quelle degli altri; ossia per orientarla secondo la coordinazione acconcia di tutte. Il che però non esclude: Primo. Che, coordinandosi nella complessa azione dell' organismo le forze proprie degli elementi, ognuno di questi non ne ceda un tanto a formare delle somme comuni, che poi siano distribuite di nuovo nelle parti in ordine alle esigenze generali dell' organismo. Secondo. Che l' individuo stesso non dipenda (e in quanto giunge all' acquisto di tutte le forze onde riesce rivestito, e in quanto le conserva e ne usa liberamente) dall' ambiente sociale, nel quale trova il mezzo dell'acquisto e della sua gsiranzia. Sicché per questo lato (ma per questo solamente) è vero il principio della derivazione del Diritto neir individuo dalla Società e dal suo Potere direttivo: e come, per esempio, nella sostanza del chimico, nella quale, in virtù della sua costituzione, le forze sono condotte ad assommarsi in certi punti determinati, e in certa maniera; e poi anche V acquisto e la costanza della forza specifica operante negli atomi dipendono dall'esservi co-ordinati (“dove-tailed” – H. P. Grice). Il diritto è la facoltà del bene sociale. L’esercizio del diritto è la funzione del bene sociale. Dalle cose dette apparisce, che il Diritto è la facoltà del Bene sociale; e che l'esercizio del Diritto è la funzione del Bene sociale. E ciò, o solo indirettamente, o anche direttamente. Solo indirettamente, in quanto la facoltà individuale sia puramente V egoismo contenuto nei limiti inoffensivi per gli altri e producente il Bene dell' individuo investitone; che torna il bene della Società, e perchè è il Bene del suo elemento, e perchè se ne possono giovare e se ne giovano anche gli altri. Come nel fatto di una industria, che arricchisce l'industriale, e quindi anche il paese, e offre nello stesso tempo un utile e un comodo ai consumatori de' suoi prodotti. E anche direttamente, in quanto la facoltà individuale sia quella che corrisponde alla Idealità antiegoistica; la quale, come si estenda in urla Società adulta e colta e bene ordinata e fiorente, vedemmo sopra; dove anzi dimostrammo che, se si tien conto di tutte le gradazioni della Idealità e delle disposizioni anti-egoistiche (da una minima che lavori insieme con un massimo di egoismo, ad una massima che lavori insieme ad un minimo di ego-ismo), si trova in tutto ciò che può fare e fa r individuo sociale. Il Diritto costa una contribuzione, I.Ma, se, da una parte, l'individuo è investito di una potenza o di un Diritto (del quale usa poi facendo, o indirettamente, o direttamente, il vantaggio altrui) dall' altra, la stessa potenza o Diritto costa una contribuzione per parte degli altri. E questa una legge naturale correlativa alla sopra accennata e necessariamente ad essa collegata. Si piglia; ma si deve dare. Si dà; ma si piglia per poter dare. Questa legge dell' organismo sociale non è altro cioè che r applicazione al caso particolare di esso organismo della legge che domina in tutti gli organismi, anzi in tutta la natura, dove una forza, posseduta da un agente che funziona in virtù di essa, è, non una forza creata dal nulla neir agente medesimo, ma comunicata ad esso da altri agenti, che gliela cedono in ragione dei rapporti correnti fra quello che cede e quello che acquista; come ho dimostrato nel libro della Formazione naturale, parlando del ritmo. Il VEGETALE si appropria l' acido carbonico che lo at[Vedi Formazione naturale nel fatto del sistema solare^ Osservazione terza. (nel Voi. II di queste Op. Jil.J.] tornia, e con esso mantiene LA VITA. Gl’animali maggiori vivono cibandosi dei minori. Nell’organismo di un mammifero alcune parti lavorano a preparare il sangue, e le masse nervose ne fanno consumo. Impossibile l’attività specifica nervosa, necessaria al funzionamento generale dell’organismo e anche a quello particolare delle parti preparanti il sangue, senza la contribuzione di queste alla nutrizione dei nervi mediante la somministrazione del sangue acconciamente preparato e distribuito. Parlando in particolare dell’organismo sociale, la partecipazione al contributo di ciascuna parte è in ragione della importanza del Diritto, e quindi della facoltà di produrre il Bene sociale. Più è r importanza del Diritto, e più è la facoltà di produrre il Bene sociale. Più è questa facoltà e più è la partecipazione al contributo delle parti. Come nel resto della natura, dove si trova che le funzioni più elevate de* suoi agenti costano un immagazzinamento di forza tanto più grande quanto più distinta è la forma e ìa sfera della efficienza. Risultando cosi una proporzione di equivalenza tra la natura che dà e quella che riceve. E in questo modo, che al più della contrizione apportata corrisponda il più della importanza della attività emergente. Per la stessa ragione il Diritto di un ordine superiore, quello ad esempio di un Giudice, costa una contribuzione per parte di quelli sui quali ha giurisdizione. Sicché il Giudice mangia dei frutti della terra che essi hanno lavorato, come il sistema nervoso consuma del sangue che fu preparato da altre parti dell'organisme animale. PPP^P"?!'^. Come molto movimento equivale a poco di calore, e molto calore a poco di attività chimica, e molta attività chimica a poco di attività vitale, e molta attività vitale a poco di pensiero; cosi, nell'ordine etico della natura, a molta materialità (intendendo con questa espressione le forme inferiori della esistenza) corrisponde poco di attitudine morale: poiché, nella gradazione delle formazioni naturali e quindi delle equivalenze delle forze, i suoi poli opposti possiamo rappresentarceli, o andando dal movimento meccanico al pensiero, che ne è l'ultima trasformazione, o andando dalla materialità alla moralità, che è r ultima e più sublime sfera della evoluzione ascendente della natura insensibile e bruta. Naturale è questo fatto della contribuzione delle parti nell'organismo sociale. E quindi, non effetto solo di arbitrio o prepotenza di alcuno, ma necessario; a quel modo che è necessario l'assorbimento del carbonio per parte del vegetale, e il consumo del sangue per parte dei nervi. E naturale il fatto stesso; ed anche giusto, in quanto è, direttamente o indirettamente, consentito ed approvato da quelli che contribuiscono. Ed è consentito ed approvato da questi per la legge, rilevata dagli economisti, della domanda; la quale, come tutti sanno, consiste in ciò, che più una cosa importa a molti e più è domandata; e tanto più si paga quanto più [Intendendo questo nel senso della filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come spiego da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità della Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^  si domanda; ma si paga quanto occorre per averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti necessari la contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono nei limiti determinati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. E quindi il fatto in discorso deve essere considerato come un caso speciale di selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra esposta, che il Diritto individuale è pur esso una autorità (i). Poiché, come vedemmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono all' essere suo; e agli eguali, che lo riconoscono e lo rispettano; e agli inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità minime, le unità medie, e l’unità massima nel corpo sociale. L’individuo è l’unità minima del composto sociale, come l’atomo del composto chimico. E, come in tutti gl’altri organismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime degli individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano delle unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati particolarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui collegate particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta, fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e spiccanti differenziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini; ovvero di tale divisione di lavoro, verificatavisi: come in ogni altro organismo; per esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la eccellenza zoologica sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in massimo gradodegli organi componenti. In un animale del grado infimo della scala ZOOLOGICA la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del libro) non è né muscolo ne nervo: come in una Società umana primitivissima tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti: e non vi si trova una distinzione di occupazioni, per salire, pogniamo, da uno che attende a far pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di astronomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va, si può dire, all' infinito. E non solo nelle unità minime degli individui, ma anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch'esse all' infinito: dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più insolite, accidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta una festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una impresa commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra loro consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono (al modo che una data somma, come tale, si distingue dalle singole quantità sommate, considerate ad una ad una) soggetti distinti in possesso di una facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si verifica neglialtri organismi naturali: nei quali, per esempio, la cellula nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di cellule nervose ha un dato ufficio distinto fisiologico, che essa esercita in quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il possesso di una potenza di fare importa il possesso di un diritto, come dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle Associazioni hanno le proprietà già notate dei Diritti individuali più quelle dipendenti dalla specialità proporzionale della associazione. Delle quali ultime proprietà una massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto, si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già possedute nascendo, e le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una particolarità di impronta distinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di selezione naturale: cioè la selezione naturale onde una unità sociale si sceme quale individualità distinta fra altre unità. Anche l’agglomerazioni di più individui in associazioni o totalità distinte sono determinate e foggiate, con grandezze, tendenze e attività particolari, neir ambiente sociale, secondo i bisogni ed i fatti, e costanti e accidentali, onde emergono, per una analoga selezione naturale distinguente un composto singolo fra altri composti. Ma in questo composto (o unità media, come sopra lo chiamammo) ha luogo un' altra forma della selezione naturale: cioè quella che, neir interno stesso del composto, diflFerenzia edistingue fra loro le parti componenti: e si che esso composto riesca un organismo e non rimanga una semplice agglomerazione inorganica di elementi tutti identici fra loro. E questa forma di selezione si potrebbe chiamare selezione interorganica. La unità sociale da noi detta media non è puramente un certo numero di parti addizionate le une alle altre, ma è una collaborazione organica degli individui o dei sodalizi aggregati insieme; e quindi con diversità di attinenze e di facoltà distribuite fra loro. Altri fanno numero, contribuiscono e concorrono a mantenere T associazione: altri invece la rappresentano, la dirigono, ne applicano le forze accumulatevi. E, occorrendovi specialità di lavoro e di ufficio, queste vi sono divise quali negli uni e quali negli altri. E, come è naturale la creazione di queste differenze interorganiche delle parti costitutive delle unità medie, cosi è naturale la selezione interorganica dalla quale dicemmo che proviene. Questa selezione interorganica, come insegna la osservazione del fatto, avviene in diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto secondo la legge, che riesce a una data facoltà ufficio chi piti vi ha attitudine, o ne ha il merito, e colla condizione del consentimento degli associati. Il fatto del merito, onde uno acquista una prerogativa o una particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è analogo a quello notato da Darwin della specie prevalente nella lotta per la esistenza. Il fatto del consentimento degli associati è analogco air altro, pure da Darwin segnalato, dell’efficacia dell'ambiente nel secondare la trasformazione progressiva dell' essere naturale. L' individuo investito di nna facoltà o di un ufficio in un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad avere due sorta di facoltà o di Diritti: cioè il Diritto fondamentale spettante a lui come parte elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde è investito come organo speciale della associazione particolare a cui appartiene. Il Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla costituzione generale delle Società che lo garantisce direttamente a tutti senza distinzione: T avventizio V ha con quella della associazione particolare per la quale emerge; ed è garantito dal potere sociale supremo in quanto esso riconosce il Diritto della medesima associazione particolare. Se privato si dice ciò che è proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò che è proprio della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno un carattere di mezzo tra i due, e gradatamente; in ragione cioè della importanza loro, intensivamente o estensivamente, nella vita sociale complessiva. Il pubblico poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha un rapporto diretto col Bene, non individuale, ma sociale; ossia è, non egoistico, ma antiegoistico. La proprietà quindi di ente morale anti-ego-istico compete massimamente alla unità più glande o allo stato. E se, come sopra dicemmo, il Diritto in genere è \2l facoltà del Bene sociale e il suo esercizio è la funzione del Bene sociale, ciò si avvererà meno pel diritto privato, più pel Diritto delle associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto dello Stato. Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si avveri proprio nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n), uno Stato singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina internazionalmente con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti sulla terra. La selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato. La legge della selezione interorganica, che si avvera nella costituzione degli organismi delle unità com[Dove parlammo del Diritto internazionale] -plesse medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari atissime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si rivela chiarissimamente nella storia politica degli Stati, e che non è altro che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione eticosociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto della giustizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la selezione formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco a poco si mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e poi del tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e pacifico) dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia e non del soprastare materiale della ricchezza o della forza dei muscoli: e si che riesca investito dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il Potere nella direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso. Il costante e vivissimo lavoro evolutivo dell'organismo dello stato italiano, onde si ha la sua formazione naturale e il suo sviluppo e isuo progresso, è l’applicazione nel grado massimo del principio della formazione . morale, cioè, dall' indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al distinto (morale in atto) della Giustizia anti-egoistica, ma cooperativa. Più procede la formazione organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte le parti e nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice della Sovranità politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel tutto, volontariamente e per libero consentimento. Come, per esempio, le molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono insieme a formare un cristallo solo in seguito ad una compressione che le sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo con quelr altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si orientano nella armonia politica dello Stato, diventando partecipi e collaboratrici della sua vita, reagiscono sul Potere sovraincombente, rintuzzando la prepotenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e morale; ad una forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. Non è nostro compito (non richiedendolo lo scopo del presente saggio) di studiare i modi precisi onde, per la elezione interorganica, e pel processo di distinzione, si va formando nell' organismo dello stato l’ordine del Potere, che riesce un sistema complesso di funzioni speciali esercitate da individui e corpi particolari; e come nasca il fatto, mettiamo, della divisione del governo in diversi ministeri, e di ciascuno di questi in parecchie dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in riguardo alle specializzazioni accennate degli organi del Potere, basterà fare l’osservazione (pure importantissima) che, come si distinguono tra loro le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità dell' intento da ottenere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni pubbliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le specie di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo specializzarsi della pubblica amministrazione; onde, moralmente, non sono, per esempio, identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e quellegiudicate da una una intendenza di finanza, o da una commissione igienica o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per uno contro le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e cosi via. Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni ridurre al genere comune delle obbligatorie nel foro intimo della coscienza, in ragione che Dell' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine virtuosa e propria del saggio; l'abitudine cioè di attribuire universalmente alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per se, assoluto e indipendente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che loro corrispondono nella amministrazione governativa. m Come risuiii spiegata la prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza: e stabilito l' assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto del Potere, Tapplicazione del priacipio stabilito sopra, che ogni Diritto importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che dicemmo la pritna forma dell' ufficio del Potere, cioè: di stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo allo stesso fatto» pure colla proporzione dovuta, r applicazione dell' altro principio, che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi stesso chiamammo la terza forma dell' ufficio del Potere, cioè: di flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni suddette) al migli orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi abbiamo il compendio, per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro, E> in relazione allo stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli elementi costitutivi dello Stato, diventano liberamente consentile. Secondo. Che le contribuzioni medesime si vanno avvicinando al massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno senza suo esiziale detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è contribuito, va consurmalo prepotentemente ed egoisticamente da chi è investito del Potere di disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta secondo il volere di quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela dei Diritti di tutti; e dXVottenimento della prosperità, e al miglioramento morale. Sesto. E a questo soprattutto. E nella ragione che il miglioramento morale ottenuto, supplendo da sé, come dimostrammo sopra, alla tutela dei Diritti e all' ottenimento della prosperità materiale, lascia per sé disponibili mezzi sempre maggiori. E cosi nello Stato siverifica T idea della provvidenza, che il teista colloca in dio, come in esso colloca il tipo della specie di una pianta, per la solita illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea della grazia, immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica siccome emanazione divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le leggi della Giustizia ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1’individuo di essere morale, di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico verso gli altri, si ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua convivenza nella Società e dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e di moralizzarlo.  Onde lo Stato, cosi concepito, viene ad essere l'attuazione pura e compiuta della Idealità sociale, ossia In molti luoghi: per es. Numero 2 del J VI del Capo del principio del Bene anti-egoistico, del Bene morale, in una parola del Bene pel Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce la prova concreta ' sperimentale della verità del principio della Morale dei positivisti da noi affermato, chiarito, dimostrato: e una prova evidente, in quanto nel fatto dello Stato il fenomeno individuale si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad esempio, si può dubitare che un atomo materiale preso da sé sia pesante, perchè il peso deir atomo è tanto piccolo che non si può rilevare isolatamente, il dubbio cessa affatto prendendo una grande congerie di atomi, nella quale i pesi minimi non valutabili di ognuno sisommano in un peso valutabile, dal quale si arguisce quello troppo piccolo dei componenti. E, se si può dubitare che una molecola di ferro, considerata isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa quando se ne prenda una grande massa. E cosi nel caso nostro. Se si può dubitare che T uomo singolo sia mosso nelle sue azioni da una Idealità sociale antiegoistica, perchè la ragione di questa, nella singola azioneumana di un individuo, si sottrae facilmente alla osservazione, stante il concorso e il contrasto colle ragioni egoistiche, le quali ve la accompagnano, il dubbio è tolto interamente arguendo dal fatto che, appuntandosi i voleri individuali nella totalità dello Stato, ne risulta la incontrastabile sovranità del volere morale, e antiegoistico, che vi osservammo. Le cose dette nel corso del libro dimostrarono che la Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle Sanzioni,onde la Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente umana individuale, si riferisce, non solo agli atti della Giustizia propriamente detta, ma anche a tutti gli altri atti  etico-civili dell'uomo; cioè: Agli atti offensivi non contemplati e non contemplabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno attribuiti a quella altro della pura Convenienza. Agli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell’individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del rimorso intemo. Agli atti virtuosi, che l’individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non fa. Ossia a quegli atti che non si attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla Convenienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero inuovi. E cosi è sciolta la questione, propostaci nella Introduzione, come compito di questa nostra Sociologia. Rodrigo Felice Ardigò. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice ed Ardigò:  implicatura cooperativa positivismo filosofico  biologia filosofica psicologia filosofica naturalista il sociale l’intersoggetivo ——, la morale positivista, il positivism filosofico. La morale e il diritto all’altro – la convivenza sociale – la giustizia, il bene sociale – la benevolenza e la beneficenza – il calcolo ragionale nella convivenza sociale – l’evoluzione sociale – l’organismo sociale – il positivismo filosofico – communicazione e convenienza sociale – l’onesta morale – spettazione di onesta reciproca – Fondazione naturalistica della morale – Fondazione – il fatto sociale – il devere, la regola d’oro, fare all’altro cioe che vorreste fatto a te – consiglio di prudenza – kant – costume – fatto sociale presupposizione del linguaggio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ardigò” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Arena: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei nudi – la scuola di Ripastransone – filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.Grice, The Swimming-Pool Library (Ripatransone). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Ripastransone, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “I like Arena; my favourite of his tracts are one on what he calls, ambiguously, ‘guerriero dello spirito,’ which is pretty naif – wasn’t Aeneas killing for something too, not necessarily ‘spiritus’? – His focus is two orders: the templari and the teutonic order – my other of his favourite trats is  his ‘nudi’ – or ‘gnudi,’ if you mustn’t – when Romolo converses with Romo, they are ‘nudi’ – what they say is what they mean and what they mean is what they say – ‘nakedness’ becomes a philosophical category, as when Strawson says, ‘the naked true.’” “There is no reason why it shouldn’t be a philosophical category, since the etymology is fascinating – vide Clarke, “The naked and the nude,” --  Leonardo Vittorio Arena (Ripatransone), filosofo. Arena insegna "Storia della filosofia contemporanea" presso Urbino. Filosofo e orientalista,ha dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al Taoismo e al Sufismo una vasta produzione saggistica; è anche autore di romanzi e traduzioni sui medesimi temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da pratiche buddhiste e sufi. Ha collaborato ai programmi religiosi della Radio Svizzera.  Pensiero La sua visione filosofica è esposta principalmente nelle tre opere Nonsense o il senso della vita, Note ai margini del nulla e Sul nudo, dove si propone una sintesi delle grandi correnti filosofiche orientali e occidentali, con particolare riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il Buddhismo Chán/Zen.  Il nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso della vita, è da intendere come la meta di ogni autentica indagine filosofica, realizzando la "distruzione delle opinioni" sulla scorta del Buddhismo. La filosofia del nonsense non è teoria, bensì non teoria: come la zattera del Buddhismo o la scala di Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta di consapevolezza speciale, per poi essere tranquillamente accantonata. Punto di partenza: non è possibile formulare una filosofia esente da contraddizioni. Nelle pagine di ogni filosofo si cela il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte le conseguenze logiche di ogni filosofia se ne attesta la contraddittorietà.  L'idealismo, base di ogni filosofia, dovrà sfociare nel vuoto e nel nonsense, laddove se ne sviluppi il suo principio-base, che è esistenziale prima ancora che teoretico, secondo cui il mondo è la rappresentazione del soggetto o di una mente cosmica. La posizione del nonsense spinge a riconoscere che le cose stanno proprio così (Tathātā), cioè sono caratterizzate da una nudità che non può essere interpretata o espressa attraverso alcuna dottrina od opinione.  Non c'è senso nascosto, e tutto è già qui, direttamente accessibile nella vita quotidiana all'uomo comune e al Risvegliato, mai così tanto accomunati. Lo strumento del nonsense è l'arte, specialmente la musica e si procede verso la dimensione del non suono, già cara a John Cage, nella sua composizione 4'33", cui Arena dedica una lunga disamina, nella sua opera La durata infinita del non suono. La stessa tematica viene ripresa e ampliata in Il tao del non suono, nonché nell'analisi di alcuni solisti o gruppi di musica contemporanea, come Lennon, Sylvian, Eno, Wyatt, SCELSI (si veda) e akamoto. Musica e filosofia si intersecano, entrambe sono mezzi di conoscenza, addirittura intercambiabili. Arena è influenzato dalla beat generation, e riconduce parte del suo interesse di lunga data per l'Oriente ai Beatles e ai grandi gruppi rock dei '60 e '70.  Nella poesia, l'haiku esprime lo yugen, un senso di "profondità misteriosa" che convive con la semplicità del "qui e ora". Nonsense implica il superamento degli opposti, quindi permette di giungere alla non dualità, al di là della logica formale di Aristotele, perseguita dall'esorcista del nudo, il quale pretende di cogliere e congelare in una articolazione sistematica il caotico divenire della vita; operazione votata all'insuccesso, e alla contraddittorietà. Come per Nāgārjuna e Wittgenstein, anche per A. la logica può servire a invalidare sé stessa, ma nella dimensione radicale del kōan, come è concepita nel Chán/Zen. L'insegnamento si trasmette grazie a una sorta di empatia o comunicazione energetica tra maestro e allievo -, di baraka nel senso che il termine acquista nel Sufismo -, veicolata dal silenzio e dal non suono.  Nella sua opera Note ai margini del nulla, A. riprende la posizione di Bodhidharma, relativa al "non sapere, non distinzione" (fushiki), in direzione epistemologica ed ermeneutica, sottolineando la complessità della diffusione del nonsense nell'ambito del sociale. Egli analizza le concezioni di vari esponenti del pensiero orientale e occidentale, tra cui Stirner, Pessoa e i maestri del Taoismo, specie Zhuāngzi. Il nonsense propone un nichilismo costruttivo, dove le "ragioni" del nulla non vengano concepite attraverso la modalità unilaterale del nihil privativum, negativum od oggettivizzato. A. rovescia la conclusione del Tractatus Logico-Philosophicus: di tutto ciò su cui si dovrebbe tacere occorre proprio parlare.  A. propone di sondare il nonsense attraverso il nudo, una comprensione che sfoci nella non comprensione e nel non pensiero, ben più fecondi di quanto la riflessione logico-formale non abbia dato da vedere all'Occidente. Nietzsche, Dylan e i maestri Zen si rivelano, al momento, i suoi principali ispiratori nei toni di una filosofia non accademica, nemica del dogmatismo e della necrofilia della teoresi. La musica elettronica contemporanea sembra particolarmente adatta a sondare la nudità, nei modi della improvvisazione radicale, cui Arena dedica anche un'attività concertistica solista con lo pseudonimo Mu Machine.  Arena ha pubblicato una serie di ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla luce delle categorie del nonsense e del nudo, sondandone tratti indipendenti dai "punti nodali", riscontrabili nei compendi od opere manualistiche, e considerando queste figure nella loro alterità: Beckett, Derrida, Nietzsche e Wittgenstein rientrano nel novero, ma anche Jacques Lacan (cfr. la voce Opere). Parallelamente, sta sondando le illusioni e i condizionamenti dell'animo, che non lasciano percepire il nudo/nonsense.  La produzione romanzesca è iniziata con La lanterna e la spada, dove A. analizza la figura di Qinshi Huangdi, il primo imperatore della Cina, famoso per l'unificazione della lingua, del Paese, e il forte impulso dato alla costruzione della Grande Muraglia, ma anche per il rogo dei libri, che ha ispirato Bradbury in Farenheit 451, e varie efferatezze. La produzione letteraria è proseguita con un altro romanzo, L'imperatrice e il dragone (ripubblicato come Il Tao del sesso), in cui si rievoca un'altra figura molto discussa, stavolta nella Cina medioevale, quella di Wu Zhao, la quale regnò per virtù propria, fondatrice di una sua dinastia, e non come semplice imperatrice vedova, altresì famosa per gli eccessi e le passioni sessuali. Anche di questa figura A. dà un ritratto senza giudizi moralistici ed esaminandone i multiformi aspetti, come per il primo imperatore. In L'Ordine nero, ripubblicato come La svastica sul Tibet, si tratta della spedizione Schaefer, alla ricerca delle origini della razza umana e di ineffabili segreti magici. Nel gruppo di nazisti si trova anche il filosofo Mayer (personaggio inventato), alla ricerca del segreto della mente. In Il coraggio del samurai, si parla dell'arcano connubio tra samurai e ninja, e dei segreti di questi ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne guerriere, la cui sovrana è la misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia quattro secoli; si parla anche di Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto, sfortunato quanto valoroso, ostile al fratello Yoritomo. Nell'ultimo romanzo pubblicato, La corda e il serpente, A. si discosta dal romanzo storico e scrive un'opera sperimentale, dove la trama è un pretesto, e si nota l'influsso di Burroughs anche di Lovecraft, per certi aspetti: nell'opera si parla di Atlantide, un mondo sommerso, distrutto da una catastrofe; il protagonista L., darà vita a una nuova specie umana.  Arena propone una personale versione della meditazione nella sua opera La Via del risveglio, Manuale di meditazione. Egli prende spunto dal buddhismo, vipassana e Zen, dal sufismo e da Gurdjieff, dalla psicologia analitica di Jung (il Libro rosso) e dal lavoro sull'ipnosi d’Erickson. Una meditazione che conduce talvolta agli stati alterati di coscienza e permette di sviscerare il nudo nonsense, caposaldo della visione filosofica d’A. Una meditazione che ha il suo supporto nella musica, la quale non ne costituisce solo il sottofondo, ma anche la base per approfondire le intuizioni che ne emergono. "Difficile separare la musica dalla meditazione", scrive A., "l'una porta all'altra". Scopo della meditazione è anche attingere il non suono, categoria che Arena aveva sviscerato nei succitati studi su Cage ed Eno. Una meditazione che attinge all'Oriente, ma fa tesoro delle conquiste psicologiche e spirituali dell'Occidente. Per indicare la modalità filosofica della pratica A. propone una metafora: "La meditazione è premere il pulsante della consapevolezza". Dopo anni, e non sulla base di un ripensamento quanto di un ampliamento, A. torna sul nonsense con una nuova riflessione, imperniata sul non sapere alla luce del buddhismo Chan/Zen nel suo complesso (non solo in riferimento a Bodhidharma), e soprattutto da non intendere come non sapere socratico. Il non sapere invita a diminuire la quantità di nozioni, a spogliare la mente dei preconcetti, principio che potrebbe essere il pilastro della scoperta scientifica. Lo anima il non pensiero, attività più affine alla intuizione, che usa la logica ponendola contro se stessa. Anche questa posizione, come quella relativa al nonsense nelle opere precedenti, mira all'acquisizione di un equilibrio psicofisico, all'autorealizzazione, al riparo da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro con la nudità permetterà, nella solitudine esistenziale, di svelare nuove risorse nel soggetto, un incontro con se stessi fecondo e produttivo, senza entrare in polemica con alcuna visione filosofica, anzi ospitando visioni del mondo contrastanti. La contraddizione, implicita nel nonsense, è foriera di nuovi sviluppi teoretici, e consente di recuperare istanze che, nel pensiero occidentale, erano state sepolte dopo la demonizzazione dei sofisti. Altre opere: “Nietzsche-Wagner-Schopenhauer” (Fermo); “Il Vaisheshika Sutra di Kanada (Quattroventi) La filosofia di Novalis (Angeli) Comprensione e creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli) Novalis, Polline (Studio Editoriale) Antologia della filosofia cinese (Mondadori) Storia del buddhismo Ch'an (Mondadori) Il canto del derviscio [povero mendicanti sufi] (Mondadori) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram Vidya Edizioni) Antologia del Buddhismo Ch'an (Mondadori) Diario Zen (Rizzoli) I maestri (Mondadori) Haiku (Rizzoli); “Al profumo dei pruni. L'armonia e l'incanto degli haiku giapponesi, Rizzoli ). Realtà e linguaggio dell'inconscio (Borla) Novalis, Enrico di Ofterdingen (Mondadori) Vivere il Taoismo (Mondadori) Il Sufismo (Mondadori) Il bimbo e lo scorpione (Mondadori) La grande dottrina e Il Giusto mezzo (opere confuciane) (Rizzoli) La filosofia indiana (Newton) Buddha (Newton) La via buddhista dell'illuminazione (Mondadori) Del nonsense (Quattroventi) Sun-tzu, L'arte della guerra (Rizzoli) Iniziazione all'autorealizzazione. Un percorso verso la consapevolezza (Mediterranee) Chuang-tzu, Il vero libro di Nan-hua (Mondadori); Zhuangzi (Rizzoli). Poesia cinese dell'epoca T'ang (Rizzoli) La barriera senza porta (Mondadori) La filosofia cinese (Rizzoli) La storia di Rama (Mondadori) Nei-ching, canone di medicina cinese (Mondadori) I-ching. Il libro delle trasformazioni (Rizzoli) Samurai. Ascesa e declino di una nobile casta di guerrieri (Mondadori) Musashi, Il libro dei cinque anelli (Rizzoli) Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori); “Hagakure, Il codice dei samurai (Rizzoli) La mente allo specchio (Mondadori) Il sogno della farfalla (Pendragon) Il libro della tranquillità. 100 koan del buddhismo Zen (Mondadori) Sun Pin, La strategia militare (Rizzoli) Dogen, Shobogenzo (Mondadori) Tecniche della meditazione taoista (Rizzoli); “Il tao della meditazione, Rizzoli); I 36 stratagemmi (Rizzoli); I guerrieri dello spirito (Mondadori); La lanterna e la spada (Piemme) Lo spirito del Giappone (Rizzoli) L'imperatrice e il dragone (Piemme) La pagoda magica e altri racconti per trovare la felicità dentro di sé (Piemme); “Il libro nella felicità”; “II pensiero indiano (Mondadori) Orient Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi) L'arte della guerra e della strategia (Rizzoli) Il lago incantato. Racconti sull'amore (Piemme) L'ordine nero (Piemme) L'innocenza del Tao (Mondadori); Il maestro e lo sciamano (Piemme) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele,  I (Città di Ripatransone). Xunzi, L'arte confuciana della guerra (Rizzoli) Confucio (Mondadori) Il coraggio del samurai (Piemme) Nietzsche in Cina nel XX secolo”; Incontri di filosofia. La filosofia come conoscenza di sé,  II (Città di Ripatransone). Memorie di un funambolo; Note ai margini del nulla; Nonsense o il senso della vita; La durata infinita del non suono (Mimesis) Il pennello e la spada. La Via del samurai (Mondadori, ) Introduzione al Sufismo (ebook, ). Un'ora con Heidegger (Mimesis). Introduzione alla storia del Buddhismo Ch'an (ebook, ). Il libro della tranquillità (Congronglu) 100 koan del Buddhismo Zen”; L'arte del governo (Huainanzi) (Rizzoli); “Heidegger, il Tao e lo Zen (ebook, ). Il Tao del sesso: La storia di Wu Zhao; La lanterna e la spade”; “La svastica sul Tibet”; Il libro dei segreti d'amore”; All'ombra del maestro”; Il Tao del non suono”; “La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno (Mimesis); “Ikkyu poeta zen; “La filosofia di Brian Eno. Filosofia per non musicisti (Mimesis); “Novalis come alchimista”; “La filosofia di Wyatt. Dadaismo e voceunlimited (Mimesis). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli ). Sun-tzu: l'arte della guerra per conoscersi; La barriera senza porta (Wu-men kuan) 100 koan del buddhismo Zen”; “La comprensione negata”; “Buddha: La via del risveglio”; “Nagarjuna: la dottrina della via di mezzo (Zhonglun)”; “Il libro rosso di Jung (ebook, ). La storia di Rama (Ramayana)”; “Sul nudo. Introduzione al Nonsense (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; Lacan Zen, L'altra psicoanalisi (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; “Oltre il nirvana”; L'altro Derrida”; “Watt, la cosa e il nulla. L'altro Beckett; L'altro Wittgenstein”; “Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan. Un'autobiografia”; “ L'altro Nietzsche”; “Una introduzione alla filosofia di John Lennon”; “Scelsi: Oltre l'Occidente, Crac Edizioni. La corda e il serpente, Illusioni, La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Mimesis. La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli. Wenzi, Il vero libro del mistero universale. Un classico della filosofia taoista, Milano, Jouvence. La filosofia di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine, Mimesis. Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, Il Tao della pedagogia (selezioni da: Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei); Il libro segreto dei ninja: Shoninki; Ikkyu: l'Antibuddha, (poesie in traduzione dal giapponese); Confucio come counselor, Miyamoto Musashi: Dokkodo; Quanti orientali. Oltre il Tao della fisica; Daodejing: Laozi come counselor; Zhuangzi: i capitoli interni; Bhagavad Gita; Qohelet, l'interpretazione "orientale"; Il pensiero giapponese. L'età moderna e contemporanea, Jouvence. La filosofia di Bob Dylan, Mu Machine Collection; Zhuangzi: i capitoli esterni, Mu Machine Collection; Zhuangzi: miscellanea, Mu Machine Collection; La raccolta della roccia blu (i cento koan del Biyanlu), Mu Machine Collection; Basho:Haiku, Mu Machine Collection; Vivere il taoismo, Mu Machine Collection; Il libro rosso di Jung: Liber Primus, Mu Machine Collection, ebook. Storia del pensiero indiano,  II, Mu Machine Collection, Storia del pensiero indiano,  III, Mu Machine Collection, Storia del pensiero indiano,  Mu Machine Collection, ebook. Il libro rosso di Jung: Liber Secundus, Mu Machine Collection, L'antistoria della filosofia, Mu Machine Collection, Zen contro Zen, Mu Machine Collection,  I greci in Oriente, Mu Machine Collection, Liezi il libro taoista della verità, Mu Machine Collection, Lo spirito del samurai: Budoshoshinshu, Mu Machine Collection, Il giardino nascosto (sul tempo), Mu Machine Collection, Neijing il canone di medicina cinese, Mu Machine Collection, Dogen Shobogenzo, Mu Machine Collection, Guida al cinese classico, Mu Machine Collection; Nascita di un samurai, Mu Machine Collection; Il Canone di Mozi. La logica cinese, Mu Machine Collection, ebook. Jung Zen, Mu Machine Collection.  In Inglese Nonsense as the Meaning, ebook,. Nietzsche in China in the 20th Century, ebook,. The Shadows of the Masters, ebook,. An Introduction to Sufism, ebook,. The Dervish, ebook,. Cage Nagarjuna Wittgenstein, ebook,. Nosound, ebook,. The Red Book of Jung, ebook,. Illusions, ebook,. The Book On Happiness, ebook. On Nudity. An Introduction to Nonsense, Mimesis International. Sylvian As A Philosopher, Mimesis International. In Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria Sufi, Grijalbo, Barcelona In Francese Sur le nu. Introduction à la philosophie du Nonsense, Editions Mimésis,. A., Nonsense o il senso della vita, ebook, cap. 1  Nonsense o il senso della vita,  A., La durata infinita del non suono, Mimesis A., Il tao del non suono, ebook  A., Una introduzione alla filosofia di John Lennon, Kindle Edition  A., La filosofia di Sylvian. Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis   A., La filosofia di Brian Eno, Milano, Mimesis,.  A., La filosofia di Robert Wyatt, Milano, Mimesis,.  A., Scelsi: Oltre l'Occidente, Falconara Marittima, Crac Edizioni,. A,, La filosofia di Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis,..  L. V. Arena, Orient pop. La musica dello spirito, Roma, Castelvecchi, Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, D. Kalupahana, Albany,  L. Wittgenstein, Tractatus Logico-philosophicus, Torino, Einaudi; A., Note ai margini del nulla, ebook, passim  A., Note ai margini del nulla, ebook, cap. 1  Biyanlu, 1 A., Zhuangzi: I capitoli interni, ebook; Idem, Zhuangzi: i capitoli esterni, ebook, idem, Zhuangzi: Miscellanea. ebook..  Contra Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza  Nonsense o il senso della vita, Appendice  A., La comprensione negata, ebook,. A., La filosofia di Dylan, Collezione Mu Machine, ebook.. A., Nietzsche, lo Zen, Dylan, Autobiografia,  I, ebook.  A., Illusioni, Kindle,.  A.. La Via del risveglio, Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli..A/, Il libro rosso di Jung, ebook.   A., Togliersi le idee, L'ombra del nonsense,..  su A. Nonsense o il senso della vita, su amazon.  Note ai margini del nulla, su amazon. L'attività accademica di A.; su uniurb. Il blog filosofico di A., su leonardo vittorioarena. wordpress.com. L'autobiografia, su amazon. Filosofia Letteratura  Letteratura Religioni  Religioni Storia  Storia Filosofo del XXI secoloOrientalisti italianiStorici delle religioni italiani Ripatransone. Leonardo Vittorio Arena. Keywords: nudi, Novalis, Schopenhauer, Nietzsche, Wagner, Puccini, Butterfly, Turandot, Mascagni, Iris, Leoni, L’Oracolo, Confucio, la guerra, stratagema, strategia, antistoria della filosofia, Heidegger, Wittgenstein, l’unconscio, Whitehead, Grice on east and west, Staal, ‘those in a position to know’ – metafisica, greco-latina, Heidegger citato par Arena, Leonardo Arena, Leonardo Vittorio Arena. Cinese, linguaggio, la filosofia del linguaggio di Novalis, Gozzi, libretti di Butterfy, Turandot, Isis, L’Oracolo.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arena” – The Swimming-Pool Library. Arena.

 

Grice ed Aresandro: la setta di Lucania -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, a Pythagorean. Aresandro.

 

Grice ed Aresa: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean. According to lamblichus of Chalcis, he re-establishes the school of Pythagoras, and Diodoro of Aspendus becomrd one of his students or companions. He is also said to have previously fled from Crotone when it is attacked by enemies of the Pythagoreans and seeks safety with friends at a distance, but he would have had to have lived an extraordinarily long time for both stories to be true. Although many identify A. with Aresandro of Lucania, it may be that two separate stories and people have been confused, with the earlier history belonging to Aresandrus and the later one to Aresa. Aresa.

 

Grice ed Argentieri: il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Lingua euratlantica. L'integrazione linguistica euratlantica, Roma, Siderea. Questo ingegnosissimo saggio d’A. agita il problema dell'unificazione  delle lingue parlate nell'area euratlantica, cioè dell'italiano, ecc., e propone una soluzione mediante l'integrazione, che dove aver luogo con metodo rigidamente democratico. Tale metodo si articola in un itinerario di tappe. Una prima tappa è la normalizzazione delle singole lingue mediante la semplificazione e il fissaggio della grammatica fondamentale comune e la valorizzazione del patrimonio comune vocabolaristico. La seconda tappa è l'assimilazione dell’italiano e l’altri lingue col rendere comune anche la grammatica complementare. La terza tappa è l'arrivo alla costituzione d’una lingua atlantica. In questa lingua c’eun largo fondo comune di parole uguali, ugualmente scrite e pronunciate – cf. Grice on ‘suit’ pronounced as ‘soot’ --- which irritated him. C’e una struttura comune grammaticale (morfo-sintattica) e sintattica; e c’e divergenze soltanto nelle parole di radice strettamente latina, le quali però sono unificate rispettivamente alla lingua di cui sono proprie. La quarta tappa è quella finale, in cui anche il dizionario atlantico si sono compenetrati, dando luogo al prevalere di una parola piuttosto che di un'altra nell'ambito delle masse delle lingue integranti, in modo da aversi UNA LINGUA SOLA, COMUNE, ai milioni di uomini dell'area.  La lingua, applicando tutti i suggerimenti d'A., puo essere un fatto compiuto in breve tempo; e ricca, varia, piacevole, adatta alle esigenze della vita moderna, cara a tutti, perchè ottenuta senza offendere i sentimenti nazionalistici di nessun popolo.  Come si vede, anche nella sua scarna linearità, l'idea d'A. è estremamente suggestiva e meritevole dell'attenzione dei filosofi come H. P. Grice e i suoi sequaci – ‘e meglior dal deutero-esperanto’ -- degli studiosi, dei politici, e dei tecnici. Emanuele Argentieri. Argentieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Argentieri”. Argentieri.

 

Grice ed Ario – filosofia italiana – Roma – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Insegnante di filosofia di Ottaviano. Ario era un cittadino di Alessandria d'Egitto. Ottaviano lo stima talmente tanto che, dopo la conquista di Alessandria, dichiara di aver risparmiato la città solo per il bene d’Ario. Secondo Plutarco, Ario suggere ad Ottaviano di giustiziare Cesarione, il figlio di Cleopatra e Giulio Cesare, con le parole οὐκ αγαθὸν πολυκαισαρίη "non è bello avere troppi Cesari", un gioco di parole basato su un verso di Omero. Ario, come i suoi due figli Dionisio e Nicanore, insegnano filosofia ad Ottaviano.Viene spesso citato da Temistio, il quale afferma che Ottaviano lo considerava meritevole quanto Agrippa. In Quintiliano si scopre che Ario scrive o insegna anche retorica. Si tratta probabilmente dello stesso Ario la cui Vita era nella parte finale mancante del libro VII delle Vite di Diogene Laerzio. Ario Didimo viene solitamente identificato con l'Ario le cui opere vengono citate a lungo da Stobeo, e che sintetizzano lo stoicismo, la scuola peripatetica ed il platonismo. Il fatto che il nome completo sia Ario Didimo lo sappiamo grazie ad Eusebio, il quale cita due lunghi passaggi della sua visione stoica del dividno; la conflagrazione dell'universo; e l'anima. Plutarco, Ant. 80, Apophth.; Cassio Dione, li. 16; Giuliano, Epistles, 51; comp. Strabone, xiv. ^ David Braund at al, Myth, history and culture in republican Rome: studies in honour of Wiseman, University of Exeter Press, La frase originale era οὐκ αγαθὸν πολυκοιρανίη " cioè "Non è bello avere troppi capi" o "il regno di molti è una brutta cosa" (Omero, Iliade II, v. 204). "polukaisarie" è una variante di "polukoiranie". "Kaisar" (Cesare) sostituisce "Koiran(os)", che significa "capo". Sventonio, Augustus, Temistio, Orat., Quintiliano, iComp. Seneca, consol. ad Marc. 4; Eliano, Varia Historia, xii. 25; Suda; Richard Hope, The book of Diogenes Laertius: its spirit and its method, Inwood, The Cambridge Companion to the Stoics, Cambridge University Press ^ Eusebio, Praeparatio Evangelica, xv. Arthur J. Pomeroy (ed.), A. Epitome of Stoic Ethics. Texts and Translations 44; Graeco-Roman 14. Atlanta, GA: Society of Biblical Literature,  Inwood, e Gerson, Hellenistic Philosophy. Introductory Readings, Hackett Publishing Company, Indianapolis/Cambridge; Fortenbaugh, W. (Editor), On Stoic and Peripatetic Ethics: The Work of Arius Didymus. Transaction; A. Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Andrea Ferro, A. in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1929. Modifica su Wikidata Ario Didimo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Arìo Dìdimo, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Ario Didimo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Eusebio di Cesarea, Praeparatio Evangelica, Portale Biografie   Portale Filosofia Categorie: Filosofi romaniFilosofi del I secoloRomani del I secoloNati nel I secolo a.C.Morti nel I secoloAlessandrini di epoca romanaStoici. Ario Didimo. Ario.

 

Grice ed Arione: la setta di Locri -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean visited by Platone. Arione.

 

Grice ed Aristea: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristea was a Pythagorean. Aristea.

 

Grice ed Aristeneto – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. A pupil of Plutarco. Aristeteneto.

 

Grice ed Aristeo: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, a pupil of Pythagoras. When Pythagoras died, Aristeo became his successor ad married his widow, Theano. Fragments of a work on harmony are attributed to him. Legend has it that he married Pythagoras’s widow, herself the daughter of Brontino. There is however, some confusion over this. According to another tradition, it was Brontino who married Pythagoras’s widow. Still according to a yet another tradition, the woman was Pythagoras’s pupil, not wife, whom Brontino married. Schuler argues that there were actually two women involved, perhaps mother and daughter. This convolution is one of the main reason why Oxford is not co-educational. Aristeo.

 

Grice ed Aristide: la setta di Reggio -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristide was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristippo: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristippo was a Pythagorean.

 

Grice ed Aristo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He specialised in legal philosophy. Plinio (si veda) Minore describes him as a man of great wisdom, and superior in virtue to all the philosophers of his time. Aristo.

 

Grice ed Aristo – Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The brother of Antioco and a friend of Brutus. Aristu was said to hae been an inferior philosopher to his brother, but a wholly admirable individual. Aristo.

 

Grice ed Aristocleida: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico of Calcide (“Vita di Pitagora”),  a Pythagorean. Aristocleida.

 

Grice ed Aristocle: il Lizio a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Lizio, studied at Rome under Erode Attico. Tito Claudio Aristocle. Aristocle.

 

Grice ed Aristocrate – Roma – filosofia italiana. – Luigi Speranza – Filosofo italiano. Regarded as an accomplished philosopher, a man of great learning, and someone who lead a pious life. A puil of Lucio Anneo Cornuto and a friend of both Persio and Agatino. Petronio Aristocrate. Aristocrate.

 

Grice ed Aristocrate: la setta di Reggio -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide, Arisocrate was a Pythagorean. Aristocrate.

 

Grice ed Aristodoro: all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Aristodoro was the recipient of the tenth letter of Platone – but we do not if he responded to it. In the letter, Plato credits Aristodor as being a “philosopher” himself. Aristodoro.

 

Grice ed Aristomene: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristomene was a Pythagorean. Arostomene.

 

Grice ed Aristone – Roma – filosofia italiana – Filosofia del principtao -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher at Rome, attached to the household of Marco Lepido. According to Seneca, A. used to engage in philosophical discussions when travelling around in a carriage, leading a wit to observe that he was obviously not a ‘peripatetic.’ Aristone.

 

Grice ed Aristone: la setta di Ceo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ceos). Filosofo italiano. Ariston of Julii after the town on Ceos. Aristone.

 

Grice ed Aristosseno – Roma – la scuola di Taranto – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo pugliese. Filosofo italiano.  Taranto, Puglia. How to live the good life.  Aristosseno filosofo greco antico Lingua Segui Modifica «Diceva Aristosseno che il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore.»  (Stobeo, Florilegio) Filosofo antico, peripatetico e scrittore di teoria musicale. Ritratto immaginario di Aristosseno. Figlio di Spintaro (allievo di Socrate), fu da questi e dal padre avviato alla musica e alla filosofia.  S'interessò alla dottrina pitagorica, per poi diventare discepolo di Lampo Eritreo, di Senofilo e infine uno dei principali allievi di Aristotele: infatti ebbe l'incarico di tenere nella sua scuola lezioni di musicologia. Aspirò alla successione del maestro e la nomina di Teofrastoalla direzione della scuola peripatetica, dopo la morte di Aristotele, fu la profonda delusione della sua vita.  Infatti si trasferì a Mantinea, una città del Peloponnesofamosa per la diffusione della musica, dove visse per molti anni, ebbe molti discepoli detti Aristosseni e fu consigliere del re Neleo. Qui scrisse due opere, Il carattere dei Mantinei e l'Elogio dei Mantinei.  Opere. Secondo Suda, A. scrive 453 saggi, molte delle quali sulla musica, per la quale divenne autorità indiscussa. In base ai frammenti, le opere aristosseniche possono essere divise in vari gruppi.  In primo luogo, Aristosseno si dedicò, sulle orme di Aristotele, allo studio delle teorie pitagoriche, con opere come la Vita di Pitagora (Πυθαγόρου βίος, fr. Wehrli); Su Pitagora e i suoi allievi (Περὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν γνωρίμων αὐτοῦ, fr. 14 Wehrli); La vita pitagorica (Περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου, fr. Wehrli); Massime pitagoriche (Πυθαγορικαὶ ἀποφάσεις, fr. Wehrli).  L'attenzione alla dimensione educativo-pedagogica è testimoniata dalle Leggi educative (Παιδευτικοὶ νόμοι, fr. Wehrli) e dalle Leggi politiche (Πολιτικοὶ νόμοι, fr. Wehrli). Numerose furono anche le sue biografie: Vita di Archita (Ἀρχύτα βίος, fr. Wehrli); Vita di Socrate (Σωκράτους βίος, fr. Wehrli); Vita di Platone (Πλάτωνος βίος, fr. Wehrli); Vita di Teleste (Τελέστου βίος, fr. Wehrli), sul poeta ditirambico.  Dove, però, Aristosseno lasciò una duratura impronta fu la teoria della musica, con opere come Sui tonoi(Περὶ τόνων), di cui resta una breve citazione nel commentario di Porfirio agli Armonica di Claudio Tolomeo; Sulla musica (Περὶ μουσικῆς, fr. Wehrli); Ascolto della musica (Μουσικὴ ἀκρόασις, fr. 90 Wehrli); Su Prassidamante (Πραξιδα .μάντεια, fr. 91 Wehrli); Sulla melica (Περὶ μελοποιίας, fr. Wehrli); Sugli strumenti (Περὶ ὀργάνων, fr. Wehrli); Sugli auloi (Περὶ αὐλῶν, fr. Wehrli); Sui flautisti(Περὶ αὐλητῶν, fr. 100 Wehrli); Sui fori degli auloi(Περὶ αὐλῶν τρήσεως, fr. Wehrli); Sui cori (Περὶ χορῶν, fr. 103 Wehrli); Sulla danza della tragedia (Περὶ τραγικῆς ὀρχήσεως, fr. 104-106 Wehrli); Comparazioni (Συγκρίσεις, fr. Wehrli); Sui poeti tragici (Περὶ τραγῳδοποιῶν, fr. Wehrli).  Infine, tipicamente erudite erano le Miscellanee simposiali (Σύμμικτα συμποτικά, fr. Wehrli); Memorabilia (Ὑπομνήματα), Memorabilia storici(Ἱστορικὰ ὑπομνήματα), Memorabilia in breve (Κατὰ βραχὺ ὑπομνήματα), Note miscellanee (Σύμμικτα ὑπομνήματα), Note sparse (Τὰ σποράδην): Wehrli. A noi sono giunti gl’elementi di armonia (᾿Αρμονικά) divisi in tre libri: nel primo, intitolato Principii vengono esposti la definizione della scienza armonica e i suoi argomenti, quali la voce, acuto e grave, intervalli, melodia, generi, suoni e tonalità; nel secondo vi è una introduzione filosofica, una presentazione innovativa delle caratteristiche dell'armonia, una polemica contro gli esperti di musica passati e tradizionalisti; il terzo libro inizia con l'approfondimento degli intervalli e s'interrompe sulla parte intitolata Elementi.  Musica ed estetica in Aristosseno. Interessa rilevare negli scritti di Aristosseno la presenza più o meno esplicita di un pensiero estetico: un'idea di quel che sia o come debba essere intesa l'opera d'arte musicale. Alla musica attribuì un notevole influsso etico ed educativo, ma anche un uso terapeutico: il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore.»  (Stobeo, Florilegio, III, 1, 101.) Aristosseno applicò alla musica il duplice metodo, sperimentale e teorico, di chiara influenza aristotelica, tanto da scrivere che i pitagorici «usavano medicine per purificare il corpo e musica per purificare la mente. Abbinò questi studi allo sviluppo della dottrina dell'anima come armonia del corpo, perfezionando gli astratti presupposti dell'aritmeticapitagorica con l'osservazione attenta dei fenomeni del suono. È, tra l'altro, andata perduta un'opera di Aristosseno che era intitolata Sull'ascoltare musica, nella quale pare si sostenesse il carattere necessariamente attivo di questa operazione, che richiede un vigile e assiduo confronto tra i suoni passati e quelli presenti e futuri. Ossia, Aristosseno riconobbe la funzione fondamentale della memoria nell'intelligenza della musica, come risulta da un paragrafo degli Elementi di armonia: «Di queste due cose, invero, la musica è coesistenza: sensazione e memoria. Bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto».  Grazie a Plutarco sono giunte fino a noi altre parti del modello musicale elaborato da Aristosseno, il quale era consapevole che la musica non poteva essere limitata a una ricreazione scientifica e nemmeno a un gioco di sensazioni, bensì alla riuscita di tutte le sue parti, dalle parole ai ritmi e ai suoni, e il compito del genio è quello di creare le corrispondenze fra questi elementi, attraverso un lavoro di sintesi. Il compito dell'ascoltatore, secondo le teorie di Aristosseno è quello di ricostruire l'opera stessa e se la fusione è esaustiva, in qualche modo l'opera esiste. Secondo la Cronaca eusebiana. Suda, s.v. Μαντινέων ἔθη, fr., I, rr. 1-9 Wehrli. Μαντινέων ἐγκώμιον, fr., I, rr. 10-12 Wehrli. ^ Il riferimento è all'edizione di F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, A., Basel/Stuttgart con il testo greco dei frammenti e commento in tedesco. Dizionario di Musica", di Corte e Gatti, Torino, voce "A.". Huffman (ed.), A. of Tarentum: Discussion, New Brunswick – London;  Gibson, A. of Tarentum and the Birth of Musicology, New York, Routledge, Visconti, A. di Taranto. Biografia e formazione spirituale, Napoli; Wehrli, Die Schule des Aristoteles, A., Basel/StuttgartA., Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Aristosseno di Taranto, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  A., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Aristosseno, su Open Library, Internet Archive. A., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Trattato di armonica di A. di Taranto, su users.unimi.it. Portale Biografie Portale Filosofia Portale Magna Grecia   Portale Musica Spintaro compositore e filosofo greco antico  Clearco di Soli filosofo cipriota  De audibilibus opera dello Pseudo-Aristotele. Aristosseno. Keywords: Ravel, Pavane, Mahler, Wagner. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Aristosseno,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Armetta: all’isola -- l’implicatura conversazionale del dialogo – la scuola di Palermo -- filosofia italiana – filosofia siciliana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Armetta; he is into ‘dialogue,’ I am into conversation. I once suggested to Strawson that he should write a dissertation on the distinction betweehn dia-logos and cum-versatio, but he said that ‘converse’ is used to mean ‘make out’ in the Bible, while ‘dialogue’ ain’t!” Principale allievo di Santino Caramella, di cui cura il lascito.   Si è laureato in Filosofia presso l’Palermo con Santino Caramella, di cui è diventato subito assistente universitario. Con lui e gli altri allievi e collaboratori ha fondato la rivista di filosofia «Dialogo» (1964-1974); dal 1960 al 1992 ha insegnato nei licei di stato (per un lungo periodo di tempo presso il Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981 insegna presso la Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia «San Giovanni Evangelista», prima come docente incaricato di Dottrine filosofiche e fino al 2004 anche di Logica; ha fatto parte della segreteria della Rivista della Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin dall’anno accademico 1985 è Segretario Generale della medesima Facoltà.  Il pensiero di Armetta è una rilettura del neoidealismo crociano e gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I suoi studi sono rivolti soprattutto alla storia del pensiero filosofico e teologico in Sicilia, e sono culmila curatela del monumentale Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia.  Altre opere: "La filosofia del volere da Omero a Platone”; “Storia e idealità in S. Kierkegaard”; “L’uomo come natura”; “Guida agli scritti di Santino Caramella”; “Teoria e pratica in Santino Caramella”; “Caramella e Gobetti. Un rapporto oscurato”; “Il Carteggio Caramella-Croce”; “Il carteggio tra Caramella e Radice”; “Per una società in dialogo”; “Il pensiero filosofico in Sicilia”; “Elementi di ideologia”; “Istituzioni ideologiche”; “Rosario La Duca. Guida agli scritti”; “La toponomastica di TerrasiniFavarotta”; Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma); “Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec XVII (Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma). Riconoscimenti Papa Benedetto XVI lo ha insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine di S. Silvestro. Caltanissetta, Sciascia Editore,. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1928 Palermo. Francesco Armetta. Keywords: dialogo, fascimo filosofico, filosofi del fascism, croce e caramella – il carteggio curato da Armetta, presenza di Caramella nel primo convegno a Milano, dialogo, implicatura dialettica, Caramella e Giobetti, storia della filosofia italiana, filosofia politica nella Italia del primo novecento, la metafisica del dialogo in Vico.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Armetta” – The Swimming-Pool Library. Armetta.

 

Grice ed Arnoufi – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. A philosopher. His talents extended to magic. He conjured up a storm for the Romans at a time when they were short of water. Arnoufi.

 

Grice ed Arriano: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza – (Roma). Scolaro di Epitteto. Lucio Flavio Arriano. Arriano.  

 

Grice ed Arrighetti: la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale – la scuola di Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I like Arrighetti: his forte was Aristotle’s rhetoric, and he was very popular with the Accademia degli Ardenti, and later with a subgroup of this, The Accademia degli Svelati (which later merged with the Accademia dei Lunatici); his other forte was the distinction between ‘oratio’ and ‘oratio vvocalis’ – “Os” is of course Romann for ‘mouth’ – but figuratively for ‘linguaggio’ – (after all, the tongue is IN the mouth). I happen to prefer ‘mouth,’ because Roman ‘os’ is related to ‘essere’: you are who you are, i.e. you exist, because you can breathe through your mouth. Appartenente a una nobile famiglia fiorentina, studia la lingua greca e le filosofie Aristotelica e Platonica a Pisa e Padova. Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al corpo dei teologi dell'università fiorentina. Urbano VIII, che ha molta stima per A., lo crea canonico penitenziere della cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che mantenne fino alla morte. È uno dei membri più illustri dell’accademia Fiorentina e di quella degl’alterati fra i quali si chiama Fiorito.  Altre saggi: “La rettorica d’Aristotele e Cicerone spiegata” (Firenze);  “La Poetica d'Aristotele, spiegata” (I Svogliati, Pisa), “Il Piacere” (Firenze); “Il riso” (Firenze); “L’ingegno” (Firenze), “L’onore” (Firenze); “Vita di S. Francesco Saverio estratta dalle relazioni, fatte in Concistoro da Francesco Maria Cardinale del Monte”, “Sermoni sacri, volgari e latini fatti in varie chiese e compagnie di Firenze”; “Opere spirituali”; “L'Orazione vocale e mentale”; “Tractatus de iis quae necesitate medii et precepti credenda sunt”. Note  Arrighetti (Philippe), in: Louis Gabriel Michaud: Biographie universelle ancienne et moderne, A., Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge,  sg.  A. (Philippe), in: Nouvelle biographie générale, 1852–66,  3358 Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge,   sg. Biografie  Biografie Cattolicesimo  Cattolicesimo Filosofia Categorie: Religiosi italiani Filosofi italiani Filosofi italiani Grecisti italiani Firenze PadovaTraduttori dal greco all'italiano. RETTORICA E POETICA D'ARISTOTILE TRADOTTE E SPIEGATE.  PROLOQVII NELLA RETTORICA D'ARISTOTELE RECITATI NELL'ACCADEMIA DELLI SVEGLIATI IN PISA. RAGIONAMENTO I. De principii vniversali dell'arte. Prooemium. E' lodevol'usanza di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato ch'eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si deven trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati parte nascenti dalla natura delle cose da insegnarsi, parte da varii accidenti onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno uditore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione. Quel ch'inducesse li huomini et quando a ritrovar l'arti. E' cosa manifesta a ciascheduno che l'huomo è composto di due parti principali, d'anima et di corpo. L'anima divina et immortale et per se stessa aspirante a cose alte et elevate: ma per esser racchiusa nel profondo del corpo nostro, tale che non può senza l'aiuto suo sostenersi, il ch'è la vita nostra. Hebben acconcia la terra, onde potessen nutricarsi et altresì provedut'onde commodamente vivesseno, si dieden alla contemplazione. Et tanto basti haver detto dell'occasion del ritrovar l'arti, et del tempo in che elle si ritrovarono. Trattano i logici e metafisici della diffinizione ma con esquisitezza singulare mostrando che la diffinitione è una oratione, la quale dichiara la essenza et natura della cosa, et questa da loro si compone di genere et differenze. Ma havendoci noi proposto di ragionar di quelli che son più oscuri et manco trattati da professori della Rettorica, che son chiaramente quelli di cui già habbiam discorso. Poscia che havuto fine il nostro proposito, porrem anchor noi fine al nostro ragionamento. Camminando su l'orme de discorsi fatti sin a qui sì in generale, sì in particolare sopr'il negozio rettorico acciocché si proceda secondo l'ordine della natura, che è cominciando prima delle cose prime, andrem ritrovando il fine a cui s'indirizza questa professione, o ver arte che dir la vogliamo. Però essend'egli parte della felicità, vien ad esser ancho parte del fine humano. Insin a qui habbiam vedut'in quanti modi si piglia il diletto, et non ha dubbio alcuno ch'un di questi si convien alla poesia; hora è da veder quale et come, et scior le dubitazioni ch'intorn'a ciò accadesseno. Dice Aristotele l'imitazione esser una delle principali cagioni della poesia et noi poco fa l'habbiam posta come fine. Adunque terremo per fermo che l'imitazione co'l metro habbin dat'origine alla poesia et che le sien la vera essenza di quella. Del suggetto della poetica. S'egli è vero quel che noi habbiam determinato ne discorsi rettorici essend'il suggetto quel ch'è capace della forma che intende d'introdur l'artefice et ove s'impiega l'opera del poeta, tutta rigirandos'intorno a questo che s'imiti alcuna attione è necessario dir ch'ella sia il suo suggetto. Et vedesi che s'è ben dato qualche condimento all'arti et alla filosofia mediante il verso come fecen molti scrittori innanzi a Platone Anassagora GIRGENTI (si veda) ET APPRESS'I LATINI LUCREZIO et di medicina da Q. Sereno et altri la qual'usanza non è stata approvata né seguita da maestri delle scienze et pur le cose da loro eran trattate co' principii proprii, cosa molt'alieno dal sentimento et processo poetico.  Che sorte d'arte sia la poetica. Dell'unità dell'arte poetica. Dell'origine della poesia. Del furor poetico. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Due son le parti del ben poetare come di esercitar ben tutte l'arti et professioni, l'una è l'ingegno, l'altra il giudicio, perché ogni buon opera debbe esser regolata da buon giudicio. Ma si com'il giudicio non ha luogo ove non è l'invenzione, sì anchor l'invenzione senza giudicio è cosa poc'artifiziosa et casuale. Della Rettorica d'Aristotele libro primo. La Rettorica ha convenienza con la dialettica trattando l'una e l'altra di quelle cose le quali communemente da tutti in un certo modo si conoscono, né si riferiscono ad alcuna determinata scienzia. Di qui è che tutti gli huomini in qualche modo dell'una o dell'altra partecipano, conciosiache tutti infino a un certo termine sappino arguire e rispondere, e difendere e accusare. Noi dunque (disse colui) domanderemo che voi giudici stiate a le cose che con il giuramento havete sententiato, et noi ci staremo? Anchora le altre cose simili che appartengono all'amplificatione. Et questo basti haver detto quanto alla fede senza artificio. Sommario del primo libro della Rettorica d'Aristotele. La Rettorica è distinta da Aristotile in tre libri. Nel primo narra le cose communi a i tre generi dell'oratione, i quali distinguendosi in deliberativo, dimostrativo e giudiziale, dichiara le propositioni et il fine di ciascheduno. Intorno a quai modi allega Aristotile i precetti di trattare de giuramenti. E così pon fine alle fedi et al primo libro della Rettorica.  Seguendo di ridurre in breve le cose principali del 2° libro della Rettorica d'Aristotile diremo avanti come in questo libro Aristotile tratta de gli affetti dello animo, de costumi. Termina poi questo libro annoverando le cose egli ha trattato nell'ultima parte et proponendo la materia del 3° libro che resta a perfettionare questa arte, cioè la locutione et dispositione.  Sommario del terzo libro della Rettorica. Nel terzo libro della Rettorica si contengono come dicemmo da principio due cose principali che sono gli ornamenti della oratione con le parti di essa. Comprende dunque l'epilogo la benevolenza dell'uditore, la amplificatione, la commotione degli animi et l'essamenatione delle cose dette.  Lettione. Proemio nella Rettorica d'Aristotele. Se dalle operationi si conosce la nobiltà della cosa niuna è più propria a manifestare l'eccellenza dell'animo nostro che quell'istessa la quale da gl'animali irragionevoli ci fa differenti. E' l'huomo mercé della divina bontà di molti doni dotato; onde secondo il Filosofo mediante la parte intellettiva vive sempre desideroso di conoscere la verità. Et Quintiliano seguitando Cicerone afferma che quest'opera è come un germoglio della civile filosofia. Et questo basti haver detto circa i preloquii della Rettorica. Qui fa fine Aristotile al trattato delle fedi senz'artificio et al primo libro della sua Rettorica. Intorno all'espositione della quale mi sono affaticato, per dar maggior luce et agevolezza a voi più giovani accademici nell'apprender da questo famoso filosofo i precetti dell'arte poetica. Il fine della dichiaratione del primo libro della Rettorica. Proloquii nella Rettorica d'Aristotele. Proemio. E' lodevol cosa di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato che eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si devon trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati. Onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno lettore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione.  Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Delle parti del poema. Della poetica come metodo. Delle parti della poesia come metodo. Ne metodi ben ordinati il principio e comincia dalle cose che per ordine di natura procedono et questo ordine è di più maniere perché o egli è di perfettione, o di origine. Resta solo per dar fine a questo trattato che noi aggiunghiamo le considerazioni della musica delle quali col tempo piaccendo a dio da cui ogni mia attione riconosco, un'altra volta ne scriveremo. Magl. Cl. Rettorica e Poetica d'Aristotile tradotte e spiegate d’A. canonico fiorentino. Il testo del vol. I.com. con questo titolo, Proloquii nella Rettorica del LIZIO recitati ai svegliati in Pisa. Cart., autogr., in fol. Leg.in mezza membr. Già della Bibl. Mediceo. Palatina. Precede il vol. I la tavola delle materie (lezioni, proloqui e versioni). (Magl.CI). Il titolo è di a Lezioni, relazioni e ricordi varii. Ma il vol.contiene "Lettione del Piacere recitata nell'Accademia degl'Alterati da Filippo A. accademico detto il Fiorito Del Riso del medesimo. Lezione sull'In gegno, del medesimo. Notitiaetincontridelviaggiodel R. card. di Firenze Legato in Francia. Propositi tenuti da S. M. tả (Enrico iv] alli signori del suo Parlamento in presenza del suo Consiglio et de Duchi et Padri di Francia. « Lettera in materia delle cose di Francia e de Ghisi. « Lettera del Re di Navarra [Enrico iv) ai tre Stati del Reame di Francia. Cart., infol., sec.XVII, autogr.dafol.1-6,f.79. Leg. inmezza membr.Proviene dalla Bibl. Mediceo-Palat. (Magl.CI.. MAZZATINTI Manoscrilli delle biblioleche d'Italia. (Carlo di Tommaso Strozzi,  at: interlocutori Saccentee Frinfri— «Ricordian l'Alchimia u tichi. Autore Iac. Petriboni fiorentino. Precede na nota dei Gonfalonieri di A.. Keywords: il piacere, lista di figure rhetoriche Accumulazione Adynaton Agnizione Allegoria Allusione Anacoluto Anadiplosi Anagramma Analogia (retorica) Anastrofe Anfibologia Annominazione Antanaclasi Anticlimax Antifrasi Antilogia Apagoge Apallage Aprosdoketon Arcaismo B Baritonesi C Cacofemismo Cacofonia Captatio benevolentiae Catacresi Catafora (figura retorica) Chiasmo (figura retorica) Clavis aurea Climax (retorica) Concinnitas Correctio D Deissi Diafora Dialefe Dialisi (figura retorica) Diallage Diastole (retorica) Dieresi Difrasismo Dilogia Disfemismo Distribuzione (figura retorica) Dittologia E Ekphrasis Ellissi (figura retorica) Ellissi temporale Enallage Endiadi Endiatri Enfasi Engo Enjambement Entimema Enumerazione Epanadiplosi Epanalessi Epanodo Epanortosi Epicherema Epifora (figura retorica) Epifrasi Epitesi F Fallacia patetica Figura di stile Figura etimologica Figure di suono H Hysteron proteron I Iato Invettiva Ipallage Iperbato Ipocoristico Ipofora Ipotassi Ipotiposi Ironia Isocolon K Kakekotoba Kakemphaton Kenning L Latinismo Leixaprén M Merismo Metalessi Metalogismo Metanoia Metasemema Metatassi N Nemesi storica Neologismo Noema O Occupatio Olofrase Omeoarco Omeottoto Omoteleuto Onomatopea P Palindromo Palinodia Panegirico Paradosso Parafrasi Paragone Paraipotassi Parallelismo Paraprosdokian Paratassi Parequema Paretimologia Parodia Paromeosi Paronimia Paronomasia Patronimico Pleonasmo Polisemia Polittoto Premunizione (figura retorica) Priamel Prolessi R Reduplicazione S Sarcasmo Scarto semantico Senhal Sillessi Similitudine (figura retorica) Simploche Sinafia Sinalefe Sinchisi Sincope (linguistica) Sineddoche Sineresi Sinestesia Sinonimia Sistole Tautologia Tmesi Truismo Umorismo Understatement Variatio Zeugma tipi di discorsi, discorso dimonstrativo, discorso deliberative, discorso di giudizio, imitazione, ornamentation, parte dell’orazione, giovinetti, rettorica per giovinetti, dialettica a la sua convenienza colla rettorica, rettorica come arte, dialettica come arte, l’arte di conversare, filosofia civie, rispondere, argomentare, il fine della retorica, le la rettorica distinta in tre parti, demostrazione, giudizio, buon giudizio, deliberazione, albero della retorica, luoghi retorici, il fine della poesia e il diletto, animale ragionabile, animale non-ragionabile, lucrezio, cicerone, quintiliano, il dire dilettevole, la benevolenza dell’oratore, la benevolenza del conversante, la benevolenza dell’auditore, la benevolenza dell’audienza, principi di rettorica, cicerone sulla rettorica di Aristotele – l’aristotele toscano, aristotele per i platonici di fiorenze, del piacere, della lussuria, dell’onore, dell’ingegno, del riso – Bergson – la felicita come fine – arte e natura – poetica come arte, il poeta e la natura – l’imitazione come fine della poetica, la filosofia e la rettorica. Rettorica e dialettica, universalita fra i uomini, la villa di Giulio di Filippo Arrighetti – Filippo Arrighetti, canonico, detto il Fiorito – pseudonimo, figura retorica, Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrighetti” – The Swimming-Pool Library. Arrighetti.

 

Grice ed Artemidoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Expelled from Rome. A close friend of Plinio Minore, who admired him greatly and supported him after he was one of the philosophers expelled from Rome. Plinio describes him as a s a man of sincerity and integrity, as someone ho lived a frugal and disciplined life, and as someone who faded physical hardship with indifference. Artemidoro.

 

Grice ed Aruleno: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo italiano. Of the porch. Specialised in political philosophy. He actively supported the opposition of the Porch and was condemnded to death by Domiziano, for publily defending the activities of Thrasea Paetus and Helvidius Priscus. Quinto Giunio Aruleno Rustico. Aruleno.

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