Grice ed Alminusa: all’isola –
l’implicatura conversazionale dei nobili siciliani – filosofia siciliana – la
scuola di Catania -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Catani, Sicilia. Grice: “Cutelli is like Hart, a
jurisprudent, rather than a philosopher!” Si laurea a Catania. Un saggio e il
“Patrocinium pro regia iurisdictione inquisitoribus siculis concessa”. Vuole
escludere dal "privilegium fori" numerosi delitti come la resistenza
a pubblico ufficiale, ed omicidio anche tentato. Altro saggio: “Codicis legum sicularum libri
quattuor” dove manifesta un'idea di politica amministrativa che mira a creare
un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse affidato il compito di
amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il rilancio economico, la
riduzione delle spese e il riequilibrio del conto fiscale. Si reca a Napoli.
Acquista il feudo di Mezza Mandra Nova.
Altro saggio: “Catania restaurata”. Altro saggio: “Supplex
libellus.”Acquista il feudo di Alminusa e il borgo già creato da Giuseppe
Bruno, figlio del fondatore Gregorio, per atto del notaro Pietro Cardona di
Palermo. Ad Aliminusa dota la chiesa di Santa Anna e stabilisce un legato di
maritaggio di dieci onze l'anno in favore di una figlia dei suoi vassalli, come
si scorge dal suo testamento redatto innanzi al notaio Giovanni Antonio
Chiarella di Palermo. Acquista il feudo di Cifiliana. Il suo testamento rivela la volontà di
destinare una parte dei suoi possedimenti alla fondazione di un collegio
d'huomini nobili in cui si dovesse studiare filosofia: il Convitto Cutelli, o
Cutelli.A Catania gli sono dedicati una piazza sita sul percorso della centrale
via Vittorio Emanuele II e il Liceo Classico "Mario Cutelli". Dizionario biografico degl’italiani. Una utopia di governo. La formazione
dell'élite in Sicilia tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio
Cutelliano" di Catania, in "Quaderni di Intercultura". Conte di
Villa Rosata. Conte Mario Cutelli di Villa Rosata e signore dell’Alminusa.
Alminusa. Keywords: i nobili, i nobili siciliani, homosocialite,
boys-only, male-only, Convitto Cutelli, élite filosofica, all-male
establishment, Oxford as non-co-educational – the coming of Somerville! –
Grice’s play group as an all-male play group, the idea of nobilita, nobility.
--. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Alminusa” – The Swimming-Pool Library.
Grice
ed Alopeco: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Lugi Speranza
(Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di
Pitagora”), Alopeco was a Pythagorean.
Grice ed Altan: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del soggeto -- simbolo,
valore – ermeneutica antropologica – la scuola di San Vito al Tagliamento –
filosofia friulana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Vito al Tagliamento). Filosofo friulano. Filosofo
italiano. San Vito al Tagliamento, Pordenone, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “I like Altan; he is
of course an anthropologist and not a philosopher, although his first rambles
were on Croce and philosophy as synthesis of history! – but then I lectured on
Peirce’s misuse of ‘symbol,’ and Altan, not a philosopher, just like Peirce was
not – repeats the mistake – Welby should possibly know better – Grice: “Altan
fails to explain why the Romans felt the need to borrow ‘symbolum’ from the
Greeks, and never return it!” Grice: “The examples in Short and Lewis for the
Roman use of ‘symbol’ are extravagant – Peirceian almost!” – Grice: “Altan’s
point is that a ‘soggeto,’ to communicate via ‘logos’ with another ‘soggeto’ in
a colloquium, must rely on this or that symbol, which means that he must rely
on this or that ‘valore’ – and unless you share those values, you don’t quite
grasp the implicatum in the use of the symbol.” Nato da un'antica famiglia friulana. Uno dei massimi
esperti di antropologia culturale. Destinato dalla famiglia alla carriera
diplomatica, si laurea in giurisprudenza a Roma. In Albania durante la
seconda guerra mondiale, partecipa alla resistenza, militando nel partito d'azione.
Dopo le vicende belliche, conosce CROCE (si veda) grazie a cui fa il suo
ingresso nel panorama culturale italiano. L'incontro con CROCE, avvicina la
sua filosofia all'idealismo crociano ed allo spiritualismo etico, come
testimoniano i suoi saggi di questo periodo. Trascorre quindi dei periodi di
studio e di ricerca a Vienna, Parigi e Londra, dove si accosta pure
all'antropologia e all'etnologia. Grazie all'influsso di MARTINO (si veda),
CANTONI (si veda) (di cui e anche assistente volontario) e Tentori, si dedica
all'antropologia secondo un approccio che non si basi esclusivamente sulla
ricerca sul campo e l'etnografia ma che fa soprattutto ricorso alla filosofia.
Influenzato pure da Malinowski, si oppone allo strutturalismo, aderendo
successivamente al FUNZIONALISMO nonché a un marxismo mediato dalla scuola
francese degl’Annales. Insegna antropologia culturale alla Facoltà di
Filosofia di Pavia, Trento, Firenze e Trieste. Organizza a Roma un convegno di
antropologia della società complessa. Vive tra Milano e la sua villa a Grado.
Sulla base della sua iniziale formazione in filosofia del diritto nonché della
sua vasta conoscenza filosofica generale, dopo una fase di ricerche sulla
fenomenologia del simbolo, volge la sua attenzione verso i metodi applicati
all'analisi semiotico, quindi si dedica allo studio dei comportamenti e dei
valori che lo hanno poi condotto ad approfondire, da una prospettiva
storico-culturale e con una visione alquanto critica, la dimensione identitaria
degl’italiani. A. cerca di far capire sia all'opinione pubblica che ai
politici italiani l'importanza e la necessità di dare al loro paese una
religione civile, come la degl’antichi romani. In questo progetto, vanno
inserite alcune fra le sue opere come La coscienza civile degl’italiani e il
manuale di Educazione civica. Si dedica allo studio delle basilari
componenti simboliche dell'identità etnica italiana – specialmente friuliana --,
concentrandosi, a tale scopo, sulla categoria dell'ethnos, individuandone ed
analizzandone cinque principali componenti: I l'"epos" -- cioè, la
memoria storica collettiva; II l'"ethos" -- cioè, la sacralizzazione
di una norma e di una regola in un valore) III il "logos" -- cioè, il
linguaggio interpersonale e la conversazionale; IV il "genos" -- cioè,
l'idea di una comune discendenza: la ‘gens’ degl’antichi romani -- ed V il
"topos" -- cioè, il SIMBOLO di una identità collettiva comunitaria
stanziata su un dato territorio – come il Friuli -- allo scopo di trovare una
possibile soluzione razionale, dal punto di vista dell'antropologia, ai
conflitti tra i vari etno-centrismi. Altre saggi: “La filosofia come
sintesi esplicativa della storia. Spunti critici sul pensiero di CROCE e
lineamenti di una concezione moderna dell'Umanesimo” (Longo e Zoppelli,
Treviso); “Pensiero d'Umanità. Sommario breve d'una moderna concezione
speculativa dell'Umanesimo” (Bianco, Udine); “Parmenide in Eraclito, o della
personalità individuale come assoluto nello storicismo (Udine); “Lo spirito
religioso del mondo primitivo” (Saggiatore, Milano); “Proposte per una ricerca
antropologico-culturale sui problemi della gioventù” (Mulino, Bologna); “Antropologia
funzionale” (Bompiani, Milano); “La sagra degl’ossessi: il patrimonio delle
tradizioni popolari italiane nella società settentrionale” (Sansoni, Firenze);
“Personalità giovanile e rapporto inter-personale” (ISVET, Roma); “Le origini
storiche della scienza delle tradizioni popolari” (Sansoni, Firenze); “Atteggiamenti
politici e sociali dei giovani in Italia” (Mulino, Bologna); “I valori
difficili. Inchiesta sulle tendenze ideologiche e politiche in Italia”
(Bompiani, Milano); “Comunismo e società” (Mulino, Bologna); “Valori, classi
sociali, scelte politiche” (Bompiani, Milano); Manuale di antropologia
culturale. Storia e metodo” (Bompiani, Milano); “Modi di produzione e lotta di
classe in Italia” (Mondadori, Milano); “Tradizione e modernizzazione: proposte
per un programma di ricerca sulla realtà del Friuli (Campo, Udine); “Antropologia.
Storia e problemi” (Feltrinelli, Milano); “La nostra Italia: arretratezza socio-culturale,
clientelismo, trasformismo e ribellismo dall'Unità ad oggi” (Feltrinelli,
Milano); “Populismo e trasformismo. Saggio sull’ideologie politiche”
(Feltrinelli, Milano); “Per una storia dell'Italia arretrata” (Monnier,
Firenze); “Una modernizzazione
difficile. Aspetti critici della società italiana” (Liguori Editore, Napoli); “Soggetto,
simbolo e valore. Per un'ermeneutica antropologica” (Feltrinelli, Milano); “Un
processo di pensiero” (Lanfranchi, Milano); “Ethnos e Civiltà. Identità etniche
e valori democratici” (Feltrinelli, Milano); Italia: una nazione senza
religione civile. Le ragioni di una democrazia incompiuta” (IEVF-Istituto
editoriale veneto friulano, Udine); “La coscienza civile degli italiani. Valori
e disvalori nella storia nazionale” (Gaspari, Udine); “Religioni, simboli,
società: sul fondamento umano dell'esperienza religiosa” (Feltrinelli, Milano);
“Gl’italiani”: Profilo storico comparato delle identità nazionali europee” (Mulino,
Bologna); “Per un dialogo fra la ragione e la fede” (Olschki, Firenze); “Le
grandi religioni a confronto. L'età della globalizzazione (Feltrinelli,
Milano); Identità etniche, Una religione civile per l'Italia d'oggi, emsf. biografie/
anagrafico.asp?d=328 Il crogiolo, archive. web/ emsf.rai/biografie/ anagrafico ?d=328;
“L'esperienza dei valori”, “Identità etniche e valori universali” archive./ /http://emsf.
biografie/anagrafico.as Modelli concettuali antropologici per un discorso inter
disciplinare tra psichiatria e scienze sociali, in: Psicoterapia e scienze
umane, polser.wordpress.carlo-tullio-%altan-modelli- concettuali- antropologici-per-un-discorso
-interdisciplinare-tra-psichiatria- e-scienze-sociali-in- psicoterapia- e-scienze
-umane -Citazioni «Per la destra l'antropologia è roba per selvaggi; la
sinistra pensa solo all'economia; altri sono ancorati a schemi anglosassoni,
che vedono le strutture politiche come realtà a sé», da un'intervista
rilasciata a Rumiz e pubblicata in La secessione leggera, Roma, Riuniti, Cfr.
il saggio autobiografico: C. Tullio-Altan, "Un percorso di pensiero",
Belfagor. Rivista di varia umanità, nonché il testo autobiografico Un processo di
pensiero, Lanfranchi Editore, Milano, Cfr. U. Fabietti, F. Remotti, Dizionario di
Antropologia. Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale,
Zanichelli, Bologna, voce A. 772.
Cfr.//controluce notizie-old-html/giornali/a 14n03/18-culturaecostume- altan.htm Cfr.//segnalo/ TRACCE/ NONPIU/ tullio-altan
Frutto di questo nuovo programma di ricerca, e peraltro la monografia Lo
spirito religioso nel mondo primitivo.
Cfr. A. Rigoli, Lezioni di etnologia, Renzo e Reau Mazzone editori, Ila
Palma, Palermo, Cfr. Fabietti, Remotti, cit.
Fra cui Catemario, Cardona, Galli, Lanternari, Musio, Remotti, Rigoli, Satriani,
Tentori. Cfr. Tentori, Antropologia
delle società complesse, Armando, Roma. Da un punto di vista storico, è da
ricordare come l'antropologia culturale ha origini giuridiche. Invero, molti
dei maggiori antropologi della seconda metà Professore sono giuristi o,
quantomeno, avevano una formazione giuridica. Ciò fondamentalmente è dovuto al
fatto basilare per cui nessuna società umana è priva di una qualche forma di
diritto, anzi tutte le istituzioni sociali hanno una imprescindibile dimensione
giuridica; cfr. Fabietti, Remotti, "Antropologia giuridica". Cfr. Ignazi, "Populismo e trasformismo
nell'analisi di A.", il Mulino. Rivista di cultura e politica. Angioni,
"A.: un antropologo "anti-italiano". Familismo amorale e
clientelismo tra i mali del Paese", in: Il Sole 24 Ore, Cfr. Enciclopedia delle scienze
filosofiche in. Cfr. A., "La dimensione simbolica
dell'identità etnica", Finis e Scartezzini,
Universalità e differenza. Cosmopolitismo e relativismo nelle relazioni tra
identità e culture, Angeli, Milano. Qui,
per regola, si intende una norma, in genere non necessariamente codificata,
suggerita dall'esperienza o stabilita per convenzione o consuetudine, spesso in
riferimento al modo usuale di vivere e di comportarsi, sia individualmente che
collettivamente; cfr. A. Ethnos e
civiltà. Identità etniche e valori democratici, Feltrinelli, Milano -- nonché i
ricordi di Galimberti e di Massenzio comparsi su La Repubblica e reperibili
all'indirizzo Cfr. pure Rigoli, A., Un
processo di pensiero, Lanfranchi, Milano; A. "Un percorso di
pensiero", Belfagor. Rassegna di varia umanità, Ferigo, di A., Metodi et Ricerche.
Rivista di studi regionali, Atti del
Convegno Storia comparata, antropologia e impegno civile. Una riflessione su A.,
Udine-Aquileia, i cui sunti sono stati pubblicati, Candidi, sulla rivista
Italia Contemporanea. Fascicolo speciale dedicato ad A. della rivista Metodi et
Ricerche. Rivista di studi regionali.
L'antropologia italiana. Laterza, Roma; Alliegro, Antropologia italiana.
Storia e storiografia, SEID, Firenze, A., C. Signorelli, "A proposito di
alcune critiche: dibattito A.-Signorelli", in Rivista della Fondazione
Italiana dei Centri Sociali, Roma; Forniz, "Il Palazzo A. in S. Vito al
Tagliamento: dimore illustri nel Friuli occidentale", in Itinerari. A. su
Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; A. Dizionario biografico dei friulani.
Nuovo Liruti; Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli. Biografia su feltrinellieditore. Biografia,
su blog.graphe. Convegno in memoriam, su qui. uniud. Ricordo biografico, su
contro luce. Filosofia Sociologia
Sociologia Categorie: Antropologi italiani Sociologi italiani Filosofi
italiani Professore, San Vito al Tagliamento Palmanova Accademici italiani
Studenti della Sapienza Roma Professori dell'Università degli Studi di Pavia Professori
dell'Università degli Studi di Trento. Carlo Tullio-Altan. Altan. Keywords: soggeto,
simbolo, valore – ermeneutica antropologica, Croce, filosofia come sintesi,
Velia, la porta rossa di Velia, fascismo, ideologia politica italiana,
ideologie politiche italiane, simbologia, simbolismo, ermeneutica, mercurio,
ermete, mercurio, humano, uomo, umanesimo, Altan e Passolini, Palazzo Altan –
Altan nobile friulese, il conte Carlo Tullio-Altan – la etnia friulese,
‘friulese, non italiano’ – dizionario biografico dei friulesi – friul – la
lingua friulese – la base romana – la occupazione romana. Aquileia – i friulesi
durante il fascismo – contro il friulese, italisazzione – Altan e la resisenza
– etnia e italianita, -- romanita ed italianita – friulesita -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Altan” – The
Swimming-Pool Library. Altan.
Grice ed Alvarotti: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale retorica – la scuola di Padova – filosofia
padovana –filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Padova). Filosofo padovano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Padova,
Veneto. Nacque nell'antica famiglia nel palazzo di famiglia in contrà
Sant'Anna. Il padre e archiatra di Leone X. Insegna semiotica a Padova e studia
a Bologna sotto Pomponazzi (si veda) Alla morte di Pomponazzi, ritorna a Padova
dove insegna fino al decesso del padre; dopo di ciò dove occuparsi attivamente
della sua famiglia. A questo periodo risale la composizione che verranno
pubblicati da Barbaro con il titolo di dialoghi
filosofici: Dialogo d'amore”, “ Dialogo della dignità delle donne”; “Dialogo del
tempo di partorire delle donne” e “Dialogo della cura famigliare”; due dialoghi
lucianei “Della usura” e “Della Discordia”, seguiti da quello “dialogo delle
lingue” e da “Dialogo della retorica” e infine quello “Delle laudi del Catajo,
villa della S. Beatrice Pia degli Obici e quello Intitolato Panico e Bichi.
Questi dialoghi sono le opere più note di A., nonostante siano stati pubblicati
a sua insaputa e non siano mai stati riconosciuti, e hanno avuto decine di
ristampe. C’e anche un “Dialogo della vita attiva e contemplativa” che
non venne però inserito nei Dialogi per motivi tuttora sconosciuti. Degl’infiammati,
amico di Tasso, si occupa della revisione della Gerusalemme liberata. Autore
della Canace, pubblicata a Venezia,
tragedia che da seguito a un'accesa polemica tra l'autore e
Cinzio. In seguito intervenne anche nella polemica tra lo stesso Cinzio e
Pigna a proposito dell'”Orlando furioso” e del romanzo come genere letterario.
Si trasfere a Roma dove divenne amico di Caro. Tornato a Padova compose i
“Discorsi Su Alighieri”, “Sull'Eneide”; “Sull'Orlando furioso” e il “Dialogo
della istoria.” Fautore di un classicismo ancor più estremo di quello del
vicentino Trissino, cui rimprovera di aver tratto dalla storia e non dalla
mitologia il soggetto della sua Sofonisba. Conformemente all'uso greco e,
naturalmente, nel pieno rispetto delle unità aristoteliche, si ispira all’Eroides
ovidiane per la Canace. Sepolto nella Cattedrale di Padova negl’avelli
degl’Alvarotti. Nell'andito della porta settentrionale gli venne eretto un
monumento ad opera di Campagna. A Opere tratte da' mss. originali,
Forcellini, Venezia, Occhi, A., in Trattatisti, Pozzi, Milano-Napoli,
Ricciardi, Cammarosano, La vita e le opere di A., Empoli, Tipografia R.
Noccioli; Bruni, A. gl’infiammati, in Filologia e letteratura, Bruni, Sistemi
critici e strutture narrative, Ricerche sulla cultura fiorentina del
Rinascimento, Napoli, Liguori, Fano, Notizie storiche sulla famiglia e
particolarmente sul padre e sui fratelli di A., in Atti e memorie
dell'Accademia di Padova, Padova, Randi; Fano, A., Saggio sulla vita e sulle
opere, Padova, Drucker; Floriani, I
gentiluomini filosofi. Il dialogo culturale, Napoli, Liguori; Fiorato, Fournel,
Il “camaleonte” e il “cuoco”. A. e la critica del romanzo, in « Schifanoia,
Jossa, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche
rinascimentali, Napoli, Vivarium; Jossa, Verso il barocco. A. e Borromeo: tra
retorica e mistica, in Aprosiana, Pozzi,
Le lettere familiari d’A., in «Giornale storico della letteratura italiana »
Pozzi, La critica fiorentina fra Bembo e Speroni: Varchi, Lenzoni, Borghini, in
M. Pozzi, Ai confini della letteratura. Aspetti e momenti di storia della
letteratura italiana, Alessandria, Edizioni dell'Orso, Sperone Speroni, volume
monografico di « Filologia veneta », Padova, Editoriale Programma,
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Camillo Guerrieri Crocetti, Sperone Speroni,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sperone Speroni, su sapere, De Agostini. Luca Piantoni, Sperone Speroni, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sperone Speroni, su Liber
Liber. Opere di Sperone Speroni, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Sperone Speroni,. Audiolibri di
Sperone Speroni, su LibriVox. Michele
Messina, Sperone Speroni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. DIALOGO DELLE UNGVE. I NT ERLttC VTO R I, Tìembo l Lazaro,
Cortegwo, Scolte, 1 Lafcari, Perette. odo dir,mcffer Lazaro, che la
Signoria di Vettetia iìb\é condotto a legger greco, la» tino nello jìudto di
Padoua:è ite ro qucUot Lai. Monfignorp. BtM. Che prouificnc è lauo* fira:Ls z.
Trecào feudi d'oro. SEM. Mcffir Lazaro,io me n'allegro co mi,con le buo ne
lettere, cr con li lludiojì dtqucUeicon noi prona,pe» roche mnonsòbuomonifjuno
della uojìraprofcfiiioue t che andaffe prejjb d quclfegnOìOite fetc armato :
eoa le buone lettere pOÌ,le qualida qui innanzi non mendicherà no la uìta loro
pot(erc s <£r nude; cerne fono ite per Io puf* fitojrì allegro etìandia con
lo jìudioj^rglijiudkfidi pa doua;cut finalmente è tocca in forte tale macero
iquale tingo tempo hanno cercato,?? difidetatoMabuauifo^ the egli ui bifognerà
fedisfar r.an tanto aSmmetsjo difiàtrio, che hanno gli huomn i i d'imparare,
quanto adunai infinta {paranza, che sha diuoijZrdetk uojha dottrina. Ikhe fare
nuoua cofanon iti farà i cofifetc tifato d'affati* carni, cr con le uofbre
bieuoli fatiche operar gloria in uoi,et in
aiuruiuertù.LA2.Mojignor,(cmpremaiionba pregato Dommcdio^hc mi du grattaci
occajìosc una N uotd DIALOGO me ut concia: patti catdtopmow di Kd.RU per
ztr* LtLmi^rtouoglu lidia, ^nadoncam ritti che mfTuno a* è ^op^ etw / M
g" S I itine pnfettmcntc . On* egl. e Jt m* CT MU fi hLnU Éfee«W»e«^
è Aium» fi fattamente, f, prtri n***rrL«i Hetmi /ìmilmcOTtnaa *d £
feeinpret». ^mbeamcj^e^ndcmg^dacbe m fammorttlipcrfM*. LA2, Ifcgjucojif
<U«,fenr icWi delolw&tectwto altre f ^«"f* frtae:>£ di
<pdk<dtre ne il deh «e W4, DELLE LINGVE. t)g può recare il
parlar bene attamaniera del uolgo. Bem. 1*2$ è ben uero,cbe tanto più
uolontieri fi dotterebbe iin parar lalingua grecarla latina, che la Tofcanaì
quan to di quc^a quelle altre due fono più perfette, er più ca* re. ma che la
Tcfcafia da [prezzare dei tutfypermcn* te lo direi j parte per non
èrebugia,parte per non parer dbauer perduto tutto quel tempo,che prender udii
in ap prenderU DcUa bebrea.io non ne fo nulla: ma per quel* lo che io n'oda
dirc,quan;o la Utina gli italiani, altrettan to o poco meno fiata la li
Genna>ua.LAT.A me pare, quando m guardo, che talefia la uolgar Tofcana perù*
fretto atta lingua Uttna ; quale la feccia al u'mo : pero* che la uolgar e non
ì altroché la latina guatla^? corrot U boggimai dalla lunghezza del tempo, o
dalla forza de barbari ; o dalla mjira uiltlPer la qual cofa gli italiani, U
quali atto'ftudto della Imgualatina la uolgarc anttpon gono,o fono fcnzagiudiw,
non dtjcerncndo tra ytcU lo, chcè buono, crnon buono io priui in tutto d'inge-
gno non fon poffenti di pofiedert il migliore . Onde quthììauuiene,che noi
ueggiamo auucnire di alcuna human* compietene :la quale fiemadi uigor natura*
le nonbauendouertùdifare del cibo fangue, onde m m ilfuo corpo, quello in
flemma cornate, che rende lo buomo da pocoì^r nelle proprie operatimù il fa ef=
fere conforme atta qualità dcWbumore . Ma egli fi ud- rebbe dare per legge ad
ogn'uno :a uolgariilncn parla- re latinamente, per non diminuir la riputatione
di me- fìa lingua diurna: a letterati, che mai da loro, fe non . cojbrtìti di
alcuna ncceftità, non fi parlale volgare U i atta Si maniera de gli
ignorantùacciocbel uclgo arrogante ton Vcfiempio&r autoritàde grandi
huamini, no» preti* iefle argomento di far conferita delle fue proprie brutta
rei et ai arte ridurre la fu* ignorantia. cort e G.Mef* (er haxaro, qui tranoi
ditene il male che uoi tioiete di ùueflilmgm Tofamaifolamente quello non falche
fe- ce Vanno pacato mejfer ROMOLO (vedasi) in quejia città ; il quale orando
pubbcamente,con tante, er taliraghni biafimo total lingudAordfujbc innanzi
bareitolto d'effer mor to famiglio di CICERONE (vedasi), per batter bene
latinamente par iato : che uiuer bora con quejia Tdpa Tofcano. L a z. Se io
crcdefii bifognami perfuadere <t ifcokridi Padova, che la lingua latina
fuffe cofa da feguitare, er da fuggir U Tofcana ; 6 io non u onderei a legger
latino, ofbcrc* rei che delle mie letttoni paco frutto fe ne doueffe piglia*
re, ebe dafe flcfli noi conofcendo t giudicarei,cb'ef$i man zafferò
d'intelletto,non fapendodtilmgueretra pnnei* pij perfe noti, strale conclufioni
: il quale difetto non ha rimedio niffuno . Onde io tti dico, che pia toflo
«or* retjiper parlare, comeparlaua Marco TuUio latino, che effer papa Clemente
. Costig, Et io cono* feo di motti kuomini, che per effer mediocri Signori, fi
(ontentarebbono d'effer muti, già non dico che iofta una didaeSo numero -.ma
dico bene dicob con uofbra grati*, poi che il affitto è dal mio poco
intetiettojo non tiedo per qual ragione debba Ibuomo apprezzare la Un gua greca,
ne la latina > che per f aperte [prezzare, mi* tre, er corone, che fe ciò
fujjfc, flato ferebbe di maggior égtàti il«iteJMK>i ol cuoco di Demoéìhene,
er di CICERONE (vedasi): che non è bora f imperio, et il Papato, EhmbJ Non
creggiate, etw incjjèr L«&fre bramifolamente Lt lingua latmadi Cicerone, la
quale era commune a lui t cr gli altri Romani : ma mfieme con le parole latine
e* gli difìdera [eloquenza » o 1 ftpienza di lui : che fu fu* propria y ertoli
d'altriita quale tanto più ecceUentt dee riputar fi d'ogni mondana grandezza,
quanto aWal* tezza de principati fi [ale per fucccfbonc,o perforte,out a quella
delle feienze monta. [anima nofira non con altre: ali, che con quelle del fuo
ingegno,%r della fua indù* foia . Io fo nuUa per rifletto a quegloriofi : ma
qudpo* coccio nefo delle lingue, non lo cangierei al Marche* fttodi
t&antoua . Laz, lonontredo Monfìgnor mio, ckeuoicrcggiate>cbe molti de
Senatori, vde Confala* ri di Roma, non che tutta la plebe coft latino parlale »
come faceua lAarco TuIlioiaMicuilìudijpiu fu Rem* obligata,èic alte vittorie di
Cefare. Onde io difli,ty />£>= n dicodinuouo, che più i)limo,& ammiro
U linguaio» tino, di ciccronctcbe [imperio d'AUgujìo. T>eUe laudi del la
qual lingua parlarci al predente >non tantoperfodhfa* re aldiftderio di
quefìo gentiluomo da bene, quato per che io fono obligato di farlo.ma otte
uoificte,non fi con* «iene, ée altri che uoi ne ragioni : 0* chi faceffe altra'
mcnteftrebbe ingiuria alla linguai egli farebbe («ih» toprofontuofo. Bem,
Quejlo ufficio dilodar Ulingu* latina per molte ragioni dee effere mjbro ;
parte per ef» fergiàdejlinatoad infegnarla pubicamente : parte per ejferltpiu
partigiano che non fono io, il quale non tifli* no cotante: fi che però io difèregi
la uolgare Tofana : n $ cr <jr a tcbe io non la prepofi fe non ad un
Mirebefatoyoue ci Ihauctc me [fa difopra all'imperio di tutto l mondo . Dunque
a uoi tocca il lodarlaicbe il lodandola farete grt to iUa ]xngui,atta quale il
nome uoflro,cr la fama uofhra è grandmane obligata: cr con quello
buongentilbuo* ma corte fanente apcrarcte, il quale dianzi non fi curò di
confeffire d'bauere anzi dello feemo, che nò, per udir uoi ragionar della fua
ecceUenZd.L AZ.Et io, poi che UO lete cofi ; uolontieri la loderò, con pitto di
potere ìnfìe* inamente bufano- la uolgarcje uoglii me ne uerrà; feri* ZA che
uoi (babbiate per mule. B e m. San contento : mi fu ilpatto communc,cbe quaio
uoi uituperarete; io pofa fa difendere. L a z . Volontieri. ma a noi gentiVbmmo
dico,cbc io poffo bene incominciare a lodare labuond lin gua latina,
rendendouila ragione perche io la preponga, atta fignark del mondo ; ma finire
non neramente, tanto ho da dire intorno a quella materia : non per tato mi ren
do fìcuro, che quelpoco } cliio ne dirò, ui perfuadcrà ai efferle molto più
amico, che uoi non fiete al prefente al* Ù corte di Roma. Corteg, Qucfto uoi
farete da* poi. bora io uoglio per lamia parte, che qual bora cofi direte,cbe
io non intenda, interrompendo il ragionamen to,poffapregarui, che la chiariate.
Laz. So» contento. Dunque fenza altro proemio farejo dico incornine cimio,cbt
quantunque in mite cofe ftamo differenti dalli Muti animali, in quejl'una
principalmente ci difcoliiamo da Lorójche ragionado^fcriuèdo comunichiamo (un
(al tro il cuor nojbro: laqualcofanon poffano fare le bel tic. Dunque fe cofi
è, quettipiu diuerfo fari dotta natura dé bruti, il qu*k parto ì er fcriuerà
meglio. Per la cofa chiunque ama d'ejfer kuomo perfettamente, ceti o= giti
Audio dee cerare 'dì parlare, er fcriuere perfetta* mente : er chi ha ucrtìi di
poterlo fare, ben fi può dire * ragione lui effer tale fra gli
altribuomini,quali fatigli buomini iftcfc per ricetto alle tejiie . qua! tutti
di parlare,^ deferiucre i Greci e? Latini quafi uguabnè* te j appropriarono.
Onde le loro lingue uègono adefur qucUexbcfole tra tutte {altre del mondo ci
(anno diuerfi per eccellenza dalle barbare^ dalle irratioitaU creata re. Et è
hi drittoiccnciofta cofa che tra poeti volgari ufi
tiouerìhabbiajhy.taleagiudicio de liarcntinipcffitag* guagliarft a virgdio,ad
Homero, ne tra foratori a De= molibene,oaì\ùrco Tullio, Lodate quaiouoltte il?c
trarca,et i 1 Bocca«io,Nci no farete fi arditi,cbe ne egua Upò>ne inferiori
troppo nicini li facciate alli antichwn- Zi da loro tanto lontani li
lrouerete,cbe tra quei rifares- te cft d'annoverarli . Hcra no ucglio nominar
d'un in n* no i jeriffori Greci, et Latini di gradcjcccllòta,cb'io «3 ne Marci
a capo in unmefe : ma fon cotento di quelle due copie. troucrajii a cofloro in
altra lingua alcun paref di" rò di memai no fono di fi rea uoglia,ej fi
fW/to.cbe leg* gelido i lor uer/i er Icrationi Icro^on mirallegri . tutti gli
altri piacer iMtigU altri diletti, fejìcgiuochijuoni, caulinno dietro a
que^uno.ne dee b«omo merauigliar fene,però the gli altri folazzifono del corpo
jet quello è dell'animo . onde quanto èpiunobile cofa rinteflettodel Jen/o,
tante è maggiore et più grato quejlo diletto di tutti gli altri. Coki. Beri iti
credo ciò ebe dicete iperoche qunlunche uolta io leggo «tirane noueUe del
nojbro Boccaccio, hnorno certamente di minor fa\na t che Cice- rone nmè,Ìo mi
fento tutto cangiare : majìtmamente leg genda quelli di Rujlico,&- d'
Alibechrf Akthiel, di Pc ranella,^ altre cot4li,liqualtgouernatioiftntimenti di
chi le legge, cr fanno fagli a lor modo, Ver tutto ciò io non direi ioutr buomo
arguire f eccellenza d'alcuni lingua : più lofio credo U natura de le cofe
deforme bd= vere uirtà d'immutare il cerpo,er la. mente di chi legge. B e m.
Qucjìo nò,ma la facondia è fola,o principale c#> gtone di far in noi cofi
mirabili effati. ey elicgli fìa ti ue rojeggetc Virgilio uolgareMo'-o Remerò,
ey il Boc* caccio mnthofcanoiv non faranno quefti miracoli, dunque meffer
Lazaro dice il «ero, quando di idi effetti pone la cagione nelle lingue . JM i
non proua per qucjìo tafua ragione non fi doucr imparar altra, lingua, che U
Istmo, i ej la greca : perocbejc la nofha volgare froggi= di no» è dotata di co
fi nobili autori: già nonècoftimpof: fMe,cbe ella nbabbia,quando chejia poco
meno ecc cl- ienti di Virgilio,©* d*Romero : cioè che tali fiano nella Ungi
wAgare,qualifono cofloro nella greca,ty nella la* lina. Lai. Quando cgliamtcrra,
che la hngtu hoU gxrehabbiaifuoi Ciceroni,ifuoi Virgili j,ifuot Romes rUy i
[noi Xìemoflbcni iOÌlhoraconpglierò che ella fia cofa da imparare, come è bora
la latina, ©- lagreca Ma qucjìo mai non
farà: conciona cofa che la lingua non lo patifee per efjer barbara,fi come ella
è ; er non capace ne di numerose di ornamento . Che fe que quat* tro,non che
altri, rinafeejfero un'altra uolta, © con l'ingegno. pgm,e con {"industria
mcdefima,con la quale grecami" te cr ùtinmente poetarono cr orarono,
parlaffero er feriueffero uoìgmncte^i no [{irebbero degnidel nome foro . Non
uedete mi qaejìa pouera lingua batterci no* mi non declinabili, i utrbifetrzA
coniugatone, cr /f nzd participio ;er tutta finalmente fetxtd niffuna bontà*
CJ* meritamente per certo: contiofiaa>fa,cbe per quello che io n oda dire da
fuoifeguaci, la fua propria perfettionc eofftc nel dilungarfi dalla
lamaìneUaquale Miele parti dell or adone fono intere e? perfette.cbe fe ragione
mi tajje di biafmurla, quejìofuo primo principio, cioè/co* farfi dalla latina,*
ragione dùneflrdtìua dcSafua pravi* tà . Ma che i ella moiira ncUafua fronte
d'bauer battuto la origine,e taccrtfeimcnto da barbari, cr da quelli pritt
cipalmente,piu che odiarono li Komam t cioè da fracefv, tt da Provenzali : da
quali non pur i nomi,i uerbi, ©* gii tduerbi di leim torte anebora deh"
orare,*? del poeta* refiderittò. O gloriofo linguaggio . nominatelo come ni
piacevole che italiano nòn lo chiamiate s effendo uenm to tra noi d'oltre il
mare, 0* di Ila daUdpi } onde è chtufc f [Un : che gii non è propria de Frane*
fi la gloria, che fiatine fiano inuentori,cjr accrefeitorim deh" inclinata
ncMlmperiodiRomain quamainon uennein Italia ttatiom niffuna fi barbara,??
«>fi primi dtbumanità, Hwwi > Goffi, Vandali* Umgobardi,ctiaguifadi tro*
pheo, non ni lafcùffe alcun nome, o alcun nerbo de pi» eleganti,
ctìeUababbiaifj mi diremmo ibe Hoig<o» mente parlando poffa nafeere CICERONE
(vedasi), o Virgilio i Ve rmente fequejhkngM fujjc colonia delklatina ;non
oferei «/era eonfefftrb : moiro meno il dirò,effendo lei una m óiftinti
canfufione di tutte le barbarie del mondo.nelqui k Cbioi prego Dio che mandi
ancbora li fu* difcordia ; U quale sparando una par oh daU altra, er ognun* di
loro mandando alla propria fua regione ; finalmente ri* mmga a queHapouera
Italia il fuo primo idioma : per lo quale non meno fu merita dalle altre
prouincie ; che te muta per le anni . Io uerame nte poco ho letto di quefte
tofe uolgari,?? guadagnato pimi d'baucre affai in per Aere di fìudiarlexb'egli
è meglio non lefdpere che faper termi quante uolte per mia disgratia rìbo
alcuna ueduta iltrettante meco medefmo ho Ugrimatokncftri mi/és ridtpenfando
fra me quale fu già, er quale è bora li Un* gud,onds parliamo er fcriuiamo.zT
noi uedranogUmai Cicerone } o Virgilio tbofcanofpiu tojto rmaf. eranno Schiumi,
che Italiani uolgari ; faluo fe per gioco non fi dirà in quel modo, che iferui
fanno ri lor Re ; er i prU gionieri iUor poderi. Ma tal Virgilio, er Mi
Cicerone, Morder Turchi pofìonobauer nelle lor liiiguc;pa-ò parlando una uolu
con un mio amico, che moto ben sin tendea della lingua Arabefca ; ini ricordo
udir dire, chi Auicenna banca, compojìe di molte opere ; Uqualt fi con nofceumo
efferfuenon tutto iWinuentione delle cofa quanto allo fide, ndquale di gran
lunga auanxaua tutti gli altri fcrittori di quella lingua, eccetto quelbde
l'Ai* corano. Dunque come proportioneuobncntc Auicenm fi direbbe Marco Tullio
fi-agli Arabi ;cofi confeffodi.* vere nafcare,<mzi effer già nato er forfè
morto il Virgi* Ito uolgare ; ma èco bene che tal Virgilio è un Virgilio.
dipmto. Ma il buono cr il nero Virgilio, ìlquale, k* f dando fornire da
canto, dotterebbe rbuomo abbraccia* re,ba Ut lingua Latina, come k Greca ha f
Homero ; cr facendo altramente fimo a peggìor conditione, che non fono gli
oltramontani, li quali esaltano cr riucrijcono fommamentek nojìralmgua Latina
;er tanto ne ap* prendono, quanto poffono adoprar ? ingegno ; il quale fe pare
in loro fuffe al difio ; mirendo certo che di breue k Gcrmmia,et kGallia
produrrebbe di molti ueri Virgilif Ma noi altri fuoi cittadini(cclpa er uergogna
del nojiro pocogiudicio)non fokmcnte non l'honoriamoynaa guì* ftdiperfone
feditiofe tutta uk procuriamo di cacciarla della fuapdtrkìzr in fuo luoco far
federe queffaltra-Ael U quale ( per non dir peggio ) non fi fa patria, ne nome.
Cori, A me pare meffer Lax<iro,che le uofbre ragia mperfuadano dltruia non
parlar mai uolgarmente :U qulcofd non ft può far e, fatuo fenon
fifabric&ffetmd nmua città* k quale habìtajferoìlitterati ; oue non fi
parUfjefe non latino . Ma qui iti Bologna chinop. par.* laffe uolgare t non
barebbecbil'intcndeffi,ey pareb* be un pedante; ìlquale con gli artigiani
fitceffe il TwI* Ho fuor di propofito . L a z. Anzi uoglio, che cofi come per U
granari dì quelli ricebi fono grani d'ogni manierd,orzo,migUo,fromentOiO- altre
biade fi fata- te, dtUe quali altre mangiano gli buemini, altrele be*
fliediqueUa caja;cofi fi parli diuerjamente bor lati* no, bar uolgare, oue er
quando è mejlieri . Onde fe Ibuomo è in piazza, in uiSa, o in cafa col uolgo,
co* contadini, co' ferui, parli uolgare, cr non altramente : ma nelle
[cole delle dottrine er tra i dotti, oue pofii/cmo Cr debbiamo effer huominifu
bumano,eioè Ittino il ra* $jonamento.cr altrettanto fia detto della
fcrittura:k* quale fard ti/Agar Lnecefìita,ma la elettrone latina, «taf imamente
quando alcuna cofa faiuemo per defide* rio di gloria ; la quale mal ci può dar
quella lingua, che «acque, er crebbe conia nofbra calmiti* fj tuttauia fi
tonfava con krouina dinoi.'B et m. Troppo afpr amen \e acculate qucfta
innocente lingua: la quale pare che molto più ui fu in odio : che non amate la
lattina er k greca.Terocbe oue ci baueuatepromeffo di lodar quel* k
principalmente, er k thofcana alcuna mito, uencndo il cafo,mtuperare; bora
bautte fatto in contrario: quelle non bauete lodatoci quella una fieramente ci
biafimate; et per certo a gran tcrto: peroebe ella non è punto fi bar tarara,
ne fi priua di numero er ibarmonia, come la ci bauete dipinta, che fe la
origine di lei fu barbara da prùt ciptoi non uolete uoi che in ifyatio di
quattrocento o cin* qucccntoannifia diuenuta cittadina d'Italia? per certo
fhaltramente liKomanimedefmi,liqualidi phrigia cac dati uennero ad babitarc in
Italia, farebbero barbari: le perfone, i coflumi,ryk Imgualoro farebbe barbara
: lUalia, k Grecia, ©" ogni altra prouinàa, quantunque manfueta, er bumana
fi potrebbe dir barbara fe l'erigi* ne delle cofefuffe bafìate di recar tcro
quefìa infame de» nominatione . Confcffo adunque k lingua nojtramaterz
tiaeffere una certa adunanza non con fu fa, maregokta di molte er diuerfe uocijnomi,uerbi
t ZF altre parti dora tione ile quali primier amenti da prone ©* mie natani
d e 1 1 v l i H o v i. ro^ in Italia iiffemirutcpid cr
artificiofa cura denojìn prò genitori in fime raccolje : er ad m fuono, ad uru
nor* md, dà un ordine ft fittamente compofe, ebe c$i ne/or* «uro» qttctk imgtu,
k quale bora è propria nofha,cr tion d'alai, imitando in quefìo ld madre nofbd
natura: U qudle di quattro elementi diuerfi molto fra loro per qua» liti, er
per [ito ci ha formiti noi altri più perfetti, er più nabli i che gli clementi
non fono, imaginatcui, mefi fer UXtro, di uedere [imperio, k dignità, le ricche
zc, le dottrine, er finalmente le perfone, er la lingua £ Italia in forza de
barbari in maniera, che il trark lor Me mani fu cofa quafi imponibile : ttoi
non vorrete m uerc al mondo imercantarie ifiudiarc! parkre uoicuo fb-i
figliuoli ì Ma kfckndo da parte [altre cofe t parla* rete latino, cioè
inguifa,cbe no it intendano iBolognefi; o parlante in maniera ch'altri
intenda,^ rif^odat Dan qut una uolta il parkr uolgarmente era fona in ìtalk ;
ma in proceffo di tempo fece Ibuomo ( come fi dice > di quella faxa, er
neceflita torte, er l'inéujìria detUfud lingud.Zt co/ì come nel principio del
mondo gli fcuouii- mdaUefiere fi difendevano fuggendo,®- uccidendo few za
altro; bor paffundo pia oltre a beneficio er ornamene to deUd perfona ci
uefiiamo delle lor petit: co/ì da primi, d fine follmente d'effere intefi da
chi regnata, perlaM* mo uolgdre: bord a diletto,er a menarla del nojbo no me
parliamo, crfcriuiamo uolgdre . O egli farebbe me* g(io che fi rdgiondffe
latino: non lo nego; ma meglio }w febbe anebord, che i barbari mai non
baueffero prefa, ne dibatta [Udii i cr the l'imperio dì Komafuffe du- motato in
eterno, Dunque fendo altramente., àie fi dee fa* re f uoglùtm morir il dolore!
réiar mutolii V non partar man finche torni arinafcere Cicerone Virgàoì Le afe,
i feinpi/jCr finalmente ogni artificio moderno, i difegni, i ritratti di
metallo er di marno non fono da e\ fer pareggiatiagli antichi-Aoutrno però
habitare tri ho fchi f non dipingere, noufmdcre, non ifculpirc, nanfa criccare,
non adorar Dio i bafla a rfciwwo mffer L*= zaro mio caro, che egli faccia ciò
che egli fa, er può fa* re,wfi contcntideUefue fòrze. Coniglio adunque, et mmonifco
ciafcuno, che egli impare la lìnguagreca,er Utina, quelle abbracàe,queHehabbia
career con l'aiu* to di quelle fludie a farfi immortale.m a tutti quanti no ha
partito ugualmente nomenedio ne Fmgegno,neUcm po P w ui uuò dtre, farà alcuno
perauentura,cui ne na* turale wdufb-ianon mancherà ;nu&tdimeno egli ferì
auafi che dalle fiette mimato a parlare o-fcrwer me* vUouolgare, ée latino
inunfeggetto, rjmuna ma ìerkmedefma; che dee fare egli f Cbecio fiadueroi
vedete le cofe latine del Petrarca, cr del Boccaccio, et tagliatele aUc loro
uolgarUi quelle niuna peggiore iiquelicniunamigUore giudicarete. Dimqmda capo
confei» et ammonifeo noi meffer Lazaro, [cratere er parlare Unno, comequetio
che $ai meglio jatuete& parlate latino, che non uolgare : tua ira
gcntilhuomo, il quale ì Ut pratica della corte,o {inclinatione del uoftro
nlcanentollrmgedfar altramente, olir amente confidio • cf /scendo altramente
nmfolmente non muerett l^ Q mrato, m4mopmghrÌpfo,qimtofamndo,&
parlando" bene ttolgarc t almeno a ualgari farete caro ; ouetnalamentc
fcrtuendo,et parlando latino,udt farelìe a dottiparimentc,cr indotti Ne
làperfuadaTtloquen* tiadimejfer L-axaro più tofio a diuenir mutuiate com pontre
uolgarmcnte,peroche co/i la prcja 7 comeil uerfo della lingua moderna, è in
alcune materie poco meno nu torrefa, & di ornamenti capace delia grecai
della fd=» ima. I uerft hanno lor piedijor harmonia,lor numeri le profe il
lorfluffo di orationeje lorjigure,ey le loro eie* gonfie di parlare,
rcpetitioni, conucrfioni } complefiioni cr altre tai cofe-per le quali uon è
forfe t come credetegli uerfa una lingua dall'altra : chefe te parole fono
diuerfr. Torte del cottiporteiet deU 'adunarle è una eoft mede firn* nella
Lima, ey nella tbojcana . Se meffer tataro ci ne gaffe quefio: io li
dcm4ndercì,onde è adunque ^che le cen to noueUe non fono beUe egualmente,™
ifcnettt delVe trarca tutti parimente perfetti* Certo bifognarcbbe,che egli
dkeffe niuna or ottone, niun uerfo tbofeano non ef* fer più brutto, ne piti
bello dell'olir o,w per confeguen* te il Serapbmo ejfcr eguale al Petrarc&o
neramente con feffarebbefra le molte compojìtioni uolgari alcuna più, alcuna
meno clegóte et ornata demolirà trouarfhla qual cofa non farebbe cojj, quando
eUefuffero del tutto priue dell'arte de Tarare, zj del portare. Lai.
Alou/ignore io negai k lingua moderna bauer infe numero, ne orno* ' mentore
confonantia,w lo nego di nuouo, non per ejbe rknta ch'io rìbabbiama per
ragione;chefc Thmmo,fttt za punto faptr fonare ne camburro, ne tromba, jolo che
gUoiama mito, per la loro fpiacciiokzxa, pttogùtdicare ure non effere firomcnti
atti tifare hamtmU, ne Mo ; coft udendo, formando per me mcdefimo que* fte
parole uolgari, alfuomdi ciafeunadi loro feparat*. tkU'altreifcnza ch'io la
compone altramente affai bene comprendo, che diletto poffanorecare agli orecchi
de gii afeokanti le profe, <y i uerfuchefe ne fanno : itero è, che
queflogiudicianon Uhi ogrìuno t ma colora foUmcn te, i quéi fono ufatx a
ballare al fuano de i liuti, er de i titoloni . E mi ricorda, emendo una nota
in Ve:ietii,oue eri/io giunte alcune natii de Turchi, udire in quelle mi
tornare di molti fbramenUi dei quale nel più. fpkceuole, nel piti noiofo non
udì mai alla ulta tnkynondimeno a\co loro, che non fono ufi Se dclkie fìtalit,
pareua quella una dolce muftea ndtrettanto fi puodire della numero? fità
dett'omianc, er delnerfo di quefta lingua. Alcuna ttolta qualche confonanza ui
fi ritratta, che meno i»gr*« (4 er mcn brutta fa CtmdeR'altrayna quella infe è
tur* mania?? mufm di tamburri,anzi d'archibufì e di falco* netti, che introna
altrui [intelletto, er fere,?? (ìroppia fi fattamente, che egli non è pw atto a
riceuere impref* Clone di pindelicatoflromento, ne fecondo quello ape* rare.
Per la qual cofa chi non ha tempora «erta di food* re i liuti, er i unioni deUa
latina; più toflofi dee fare o* tiofo, che por mano a i tambum traile campane
delia volgare: imitandoieffempio di PaUadede quak-per non fi dilìorcere ttelk
faccia fonandogittò uia la piuaji che era data inuentrice va' fu a lei più
gloria il partirla da .f<„er nondegnar d'dppreffarlafi attafuabocca, che non
fu utile a mrfia il ruoglterla, a 1 fonarla,, onde ne perdette
DELLE I.IHGVI, IOJ perdette la pelle. Vero écefìe Mofignore
quéprinùm tiebi Tofani efferc fiati sforzati a parlare inquet?amd nicrjjHow
udendo con /fatto trappaffar la hr uita : er àie noialtri pojìeriori habbiomo
fatto dellahriii forza titsjba virtù i qucflo è uero : ma maggior laude dà
altrui quelli violenza ; che a nei non reca quefla virtù . gloria fu a loro
l'ejjlr folerti nelle miferie : ma biafmc,crfcor* noianatltrijhora che liberi
femojl dar ricette &con jeruare lungamente un perpetuo tejlimcnio della
ncjìra utrgognd>o quello ncnfoLmcntc nudrire j ma ornare : altro non
effetido quefla ìmgua ualgarc, che uno iv.ditio dimojlratiuo della ftruitù che
gli Italiani Guerreggiane do una j olla U uoibra Rcp iìbhca,crnon le baftavdo
fo= ro tri argento a pagare t faldati ;fcc e ( cerne fi dice) Rampare gran
quanta di danari di cuoio cotto col cerno di fan Marco, er con quelli fcjlcntò,
tj uùifc laguerrai cr fu fapientùt Venetiana quefla .mafea tempo di pace
hmeffero continuato a prendere quella moneta, ejrafar h digiorno in giorno più
bclla,tj dimiglior ccramegià farebbe contienila in auaritia lafapienza. tiara
fc alcuno ci hiuejfejl quale, prezzato loro, cr f argento,fa* eeffe del cuoio
the foro ; non farebbe egli pazzo coftuiifì ueramtnte . Ma noialtri, cui
mancando iltheforo lati* no, li ncftrd calamità fece prouedere dimoneta uolgare
; quelli non cibajla di jpendere tuttauia col uolgo*he étto nonne conofee, «e
tocca, ma uenutone fatto di ri* courarlc perdute ricchezze ; lei tuttauia
conferiamo : crne ijecreit dell'anima nofca, ouefùkuano ferrar lo* ro, er
l'argento di Roma, diamo ricetto alle reliquie di O tutta DI A I O
G O iultta la barbaria deh nondo. Cori. A me paremef* fer Lazaro,che
quello non fu ne lodar la lingua Latin*, ne uitupcrar la uolgareyna più tojlo
un certo lamentar fi drtìti reuma, d'ìtalia : la qual cefi, cerne i poco
fruttile >ft t cofi è molto difcojla dal nofiro proponùnento ; onde non vi
uedo partir ttobntieri. L a z. Varui che"! bufimo di quefta lingua fta
poco, quando io congiungo ilnafcimen to di lei alla diftruttione deU'hìipaio,0'
del nome latinai CT l'accrefcimcnto dilei dimane mento delnojìro intel* letto
tgi'a me non laudante in que&a maniera, per farmi piacere . Cor t. Citi non
giudico biafmo-ma me* Tauìglia più to&o : che gran cofa dee effer quella,
di cui non può Ihuómo parlare y tacendo larouìna di Rem, che fu capo del mondo
. cr che quello fta ucro ì poniamo che non i Barbari, ma i Greci Ib^ejfcro
disfatta,cr che da indi In qnaparlaffero Atemefegli Italiani ; un biaft* mrefte
la lingua Àttica iperoebe tufo di lei fuffe con- giunto alla frittiti nojhra-L
a 7. Se ciò jiato fujfe,no finb be fulaguafta,ma riformata l'Italia .perche non
fola* mente non biaftmerei il disfacimento di quejio imperio, ma loderei Dio
che lui batte ffc uoluto ornare di linguag già conueneuoU alla fu* dignità.
Cobt. Dunque mag giare il danno Sbatter perduta la lingua, che la libertà ì L A
z. Si fenxadubbio : peroche in qualunque Stato fu fbuamo,o franco,ofoggettOì
fempremai è huomo, ne da ra più d"huomo ima li lingua Latinaha uirtudiftre
di buomini Dei, cy di morti, non che di mortali che ftamo, immortali
perfamx.V,tcbe ciò fia uero$imperù> stoma* pò, efee/t dijìefe per tutto, è
gii guajìo ; m U memori* dm IQ<
J detta grZdexza di hà conferita* neUhijhrie ai Saltijlh, CT di Limojura
ancora, durerà fin cbe'l deh fi mal uerauzr altrettanto fi può dire delF
imperio^- della /w* gita de Greci. Cor. Quejìa ttirtà di far leperfone fmà le p
molti fccoli non l'ba,cb'io credala bijùria arerai latinawne Greca, e Latinayna
come l'bifiorid ch'èttà èi laqualejn qualuque idioma fu feruta da alcuno:i
fempre mai (tome alcun due) testimonio del tempo, luce della ucriù, utta della
memora, maefko della ima d'altrui, crnnoucUamento dell'antichità. Lat.
Voiditeilucro no effer propria qucfla uirt* delibijìorie Greche,?? La Une,non
che altra lingua ne fa partecipe, ma percioebe tutte l h,)lorie Gre. he, et Latine
non hanno battuto tal pnuilegioi ma quelle jolamente, li quali artificio) ameme
compoje alcuno hitomo eloquente ; fendo perfette quelle die lingue. Onde gli
animali di KomaM quali lenza aiu no ornamento, ccnfanplki, er anclwra rozze
parole, narrammo gli auenimenti di lei, non durarono molti an* ni m di hro fi
parlerebbe ; fe altro fcrùtore,quafidaco paltone molfo, non ne faceffe parola.
Dunque fe quelli il tempo ha fato dtuenir nulli, li quali affai doueuam ha* tur
di elegantia, effeuio ferini latinamente, bar che}* dell btjhrie uolgart ì cui
ne naturale dolcezza di lingua, ne artifiaofa eloquenza diferittori non può far
care, ne gratiofegiamaif corteo. Non intendo anchcra ben bene in che coft
confitta la foauit* della lingua, cj-dcUe parole latine, er la barbara
jbiaceuotezza deRe uM* gari, anzL,conje}fandoui liberamente la mia ignoranza,
grandìfiÒM numero di nomi, participi Latini con O 1 Lro toro ftrana
prowntidtione, le più mite mi fuortd.no non fo che Bcrgamtfco nel capo :
àkrdtant ù fogliano forcai ami modi cr tempi de ucrbi ; ttUe quéi parole una
fimilc ielle uolgari la nojira corte Rom<m<t non degnerebbe di proferire.
hte.louiricordogentil'buomocbe l'autori' Ù concijtor iole non è giudice
competente del fuow, CT degli accenti deSe parole latine ; onde fé alcuna nota
k Itnguaktindle pare tener della BergamafcdìeUd noni però Bergamafcd : ne
perche tdefidgiudicdta^iumdo ffete merdMgliare,cbegia ui fiate merauiglkto,
hiueda letto in Ouidio, lAida Re più falere lodare Io Ridere delle cannucae di
Vdth che kfoautù deUd cetra fApal Ìo. C o r t. Ecco io fon contento
diconfejfxrui, chele crecchie in tal eafo non fidilo bumanc, ma d'Afmojc uoi
\nì due, per qual cagione la imncrofiù, ej confotidnza delle ordtioni, er de
uerft di queftd lingua chiamale ma ftutarcbàuft : condofucofd che i gran
mdejlri di con' tOyeui è propria profefÀone Ibannonidi rade uolte,o non mùfamo
canto, o mottetto,cbe le parole di lui nofiano Sonetti, o Casoni uelgari.qucflo
è pur fegno che i no» fai uerft fon da fe pieni dì melodia . l a 2. Già non è,
gentilbuomo)come forfè penfate ) l'harmonk del canto, CT quella delle profe, cr
de' uerfi una cofa medefimam suite fono,& diuerfe, onde non fotmente delle
coft malgari, ma di chirìe anchcra,cr de ifantut fi fanno con fi, c>~
mottetti t della cui barmonix generabnente sinica 4c ogni oreccbia;pcroche
quali fono ifaporidUa lingua, fj a gli occhi, CT di ndfo i colori, et gli odori,
tale i il J'iuw u gli orecctó degUhuoìnini ; li <{u4li per lor tutura, etfenzd
jìudio ueruno facilmente difcmtono trai pia ccuotc,cl dijjikceuole.Mail
numero,?? -Ubarmonk dei l'or ationc,&- del uerfo latino, nonè altroché artifìcio*
fa dijpofitione di parole ; dalle cuifittabe, fecondo labrt uitì, er li
lunghezza di quelle, nafeono alcuni nmerk che noi altri cbimkmopicdi, onde mi
fioratamente carni m dal principio atta fine il utrjb, <cr loratione . er
fono dìdiuerfe maniere quefìitai piedi, facendo i loro pafii lunghi,®- corti,
tardi,?? ueloci, ciascheduno alfuo mo- do, er c beWarte quelli inficine adunare
fi fattamète,cht iten disordino fra fc ftefiijna tuno, atfaltroyt? tutti in*
ficmefiano conformi al foggetto : peroebe d'alcune ma* teric alami piedi fono
qujfi peculkrhetfra lor piedi qua li meglio,quali peggio s'accompagnano al loro
ukggio i CT qualunque perfona quelli a cafo congiugne, no bauen do riguardo ne
atta natura diqueUitne atte cofe,diche iit tende di ragionare i uerfì,^
torationifue nafeono zop* pe,CT non dourebbe nutrirgli: et' di queftd eotal
melodia non ne fono capacigli orecchi del uolgo : ne lei altreft poffmto
formare le uocidella lingua uolgare : k cuipro* faianonfodireperquairagione
fiammerofa chiama* ta,fe Hbuomo in lei non s'accorge,o non cura ne di fpon*
dei,ne didattili, ne di trocbei,ne danapejU, er finabnè* te diniuna maniera di
piedi : onde fi moue l'oraitone bea regolata . Veramente quefìa nuoua befìia di
profit uol* gare,o èfenza piedi, er fdrucciok aguìfa di bifeia, o ha quelli
dijpetie diuerfe molto dati Greca, er dalla Latina : er per confeguente dì coft
fatto animale, come di tncftro <t cafo creato,oltrdticojlume,a- l'ùitentione
di O 3 egli 6%ni buono inteUclto ; non fi dovrebbe fare ne arte, ne
faenza . iuerfi neramente, inquanto fon fatti iundiàfìl libc t rion.paionoin
tutto priui di piedi, che lefllibe in loro hanno luogo, rj- nfficio di piedi :
ma in quanto qneUc cotal poffono effer lunghe, er breui a lor uoglia; m ti
non.d'trò che fia diritto il lor eaUefaluo fe M ojìgnor non Jkeffelc rime effer
fabpo^gio de uerfi, rbe zìi fi* ftaigono,zr fano andare dirittamente, la qual
ofa non itti par itera ; pcroche, per quelle ch'io n'oda dir; le rime fono pia
tefìo come catena del Sonetto&aUa Cannone; che piedino nunì, di uerfi loro,
et tanto uoglio che ne fu detto da me breuemente certo ; per rijpetto a quello
che fe ne può ragionare ; ma a bajlanza, fe alla uofbra richie jìacr troppa
forf?, (e aUaerefenza Monfignore firn guarderà : il quale meglio di me conofe,
er piton'ame* rare i difetti diquefla lingua. B e m. Quefta cofa de mt
mcrì,come fi (lia&fe cofi la prefa, come il ucrfo Tofa no riha lafua parte,
er m à>e modo la fi babbix, per ef fere affé facile da uedere,ma lontana dal
noftro propos nimento ; bora con effò uoi non intendo di iifbutarldan* zi
confidando quello effer itereche ne dicelie, non tan* to perche fa uero, quoto
perche fi ueda ciò che nefegm io ni dico quefla linguamoderna, tutteche fidanzi
dttem patena che nò-, effer però anchora affi picchia, er fot* tile uerga la
quale non haappieno fioritolo che i frutti prodottile ella può fare: certo non
per difetto della ni tura di lei,effcndo co/i atta agenerare s come le altre;
ma p:r colpa di loro, che Fbebbero in guardia, che no la col tiuorono abaftazam
aguiftt dipianta feludggiajn quel medeftmo deferto, atte perfe a nafctre
cominciò, fenzai vidi ne adacquarU,ne potarla, ne difenderla da i pruni, che le
fano ombra,lbdnno Itfciata inocchiare, et quafi morire . Etfeque primi antichi
Romani foffero fiati jì negligenti in colature la Latina, quanto 4 pullular co*
tnwciò i per arto in fi poco tempo non farebbe diuenu* td fi grande ; ma cfii,*
grafi di ottimi agricoltori, lei pri* interamente tramutarono da
luogofdudggioadomeftU co ; poi,percbe er pw toflo,cy piit belli, rt maggior
frut ti faceffe,leuandolc aia dattorno le inutili frafchezn lo* ro (ambio
lùmcftarono d'alcuni ramo felli maefircuol* mente detratti dalla Greca : li
quali fóltamente inguift le t'appiccarono,^ in guifa.fi fama fintili al tronca
che boggimat non paiono rami adottiuijna naturali . Quin* di nacquero in lei
que fiorì, et qui frutti fi coloriti deli e - hquetiza-con quel numero,?? con
qucU ordine ifltffo, A quale tanto cfftliate : li quali non tanto per fua
natura > quanto d'altrui artificio aiutata, fuol produrre ogni Un gua .
Perochel numero nato per magiflero di Tbraft* macho,di Gorgia,di Tbecdoro ;
ìfocrate finalmente fc* ce perfetto dunque f Greci, er Latini huominì pi»
foUeciti alia coltura della lor lingtù,ckc noi non fetno al* U nofka j noi;
trouarono in quelle fe non dopo alcun tmpo,cr dopo molta fatica, ne
leggiadria:, ne numero i già non de parer marauiglia, fenoi anebora non rìbaue*
mo tanto, che bafìì, neSa uolgare ; ne quindi de prcn» der Ihuomo argomento a
[brezzarla, come uil cefa, er dapoco . Oja Latina è migliore d'affai . ò quanto
fa* rtbbt meglio dk fu >z? none una fa Ilota, per lo paf* o 4
/fife, fato, cr fa Mchor tuttauid fi gentil cofa : tempo forfè uerrà, che
(f altra tinta eccellenza fia la volgere dotatd, che [e per effer e a wfhi
giorni di ninno flato s crmen gradita,non fi doueffe apprezzare U Greca; la
quale e* ra gii grande fui nafeimento della Latina : ne uoftri ani mi non douea
kfeiar fermare le radici furi ultra lingua nomila altrettanto direi àcllt
Grecaper rifletto aU la Hebrea, Cancludcrebbefi finalmente dalle uofh-epre
miffe Àouer effere al mondo fola una lingua t ej non più » anele [ertueffero,
ey parkfjero li mortali, cr aiterebbe #f>e oue uoi crederefle d'argomentar
folamente cantra U lìngua Thofcani, cr quella con uofbre ragioni efìirpare del
inondo, uoi parlarefle etiandto cantra li "Latina, et U Greca . benché
<j:«/f a pugna ftefìtn 'crebbe non fo* lamente contrai linguaggi del mondo
ima cantra Dio: ilquale ab eterno diede per legge immutabile ad agni co fa
creata non durare eternamente ; ma di continuo duna in altro fiato mulxrfi: bora
duanzando,et bora diminuì* do fin che jinifea stili uolta che mai più pofcUnon
rìno* ttarjt. Voi mi direte } troppo indugia boggitìtai la perfet* tione della
lingua, materni : er io ui dico che cofs è,come dite imitale indugio non dee
far credere altrui effer co* fi imponibile, che elk diuenga perfetta : anzi ui
può fif eerto lei douerfi lungo tempo godere la fua perfezione, quarhora egli
auuerrà ch'eUafe l'babbia acquiftata. Che cofì usici la natura : la quale ha
deliberato, che qual or* ber tojlo nafce,fìorifcc,& fa frutto: tale tofla
inuecebìe, ZTfs muoia : er in contrario, che quello duri per molti ami, il
quale lunga Ragione bar a penato a far fronde. Sarà adunque U nofira lingua in
conferuarfì la fua dota» ti perfettione lungamente difidcrata, ey cerati*
lìmite forfè dd alami ingegni ; fi quali, qmnì o tnen fàa'&ttenfe
dpprcnJoro le (kttrine;f auto pi» dijjìcìtmcntr le fi k/ei< no «/ciré (fella
memoria. Q,eUa è tcjlìmonio della noftré vergogna >effendo uenuta in
Italiainfieme con la rovi* wa di lei . Viu f o/Ìo efid è teftmonio dcUa nofìra
folertia, cr del noflro buono or dimenio : che, cofì come uenenda Enea dt Troia
in Italia ad bonor fi recò lafcìare fcrìtto in un certo trofico drizzato da
lui,queUe cjfere (lato fe armideuincitoridelkfu4palm t cofi vergogna non ci
puooffere l'hauer cofa in Italia tolta di mano a coloro, che noitolfero di
libertà . virtifinabnente^itando effer uolcfti maligno, più toflo douerfì
adorar daRe genti il So le orientc^c l'occidente: la lingua Greca &
"Ldtinagii effer giunte ah"occafo:ne quelle effer più lunge,ma ebar
tafoUmente tj ingk>flro:ouc quanto fio, difficile cof* Imparare a parlare :
ditelo uoi per me,cbe non ofate dir cofa latinamente con altre parole, ebe con
quelle di Ciee reme . Onde quanto parlate, uferiuete latino non è al* tro,che CICERONE
(vedasi) trafyoflo più tofio da ebarta a Siria, ebedamaterka materia : benebe
queflo non è fi uofhro peccato, che egli non fu anebe mio s c d'altri affai tj
maggiori, er migliori di me i peccata però non indegno difeuft, non
poffendofarfi altramente . Ma quejìepo* che parole dette da me cantra U lingua
latina per land gare non difiiper uero dire : /o/o uolfmcfbrare quanto bene
difenderebbe ejucjla lingua nouette chiper lei far uolcjfedifféfa : quando a
lei non mancOttK cuore, ne or* mictoffendere lAtrui. Cori. Pormi Monfignore che
cofUetniatc dì dir maledeUa lìngua lattina ; cernie fe eU U f 'offe k lingua
del uoflro Sant o di Padoua : alla quale è ditanto conforme, checome quella fu
dipcrfimagin ui uaUctàfantitÀè cagione che bora pofla in un taberna* colo di
criHallo fu dalle genti adorata; cofi quejU degna reliquia del capo del mondo R
orna, guaflo er corrotto fià molto tempo, quantunque boggimai fredda crfecca fi
taceu inondimene fatta idolo dalcune pqcbeeyjuper jlieiofe per folte, colui da
loro non è Cbrtfìiano tenuto t the non l adora per Dio . lAa adoratela a
uojb-ofetmo, fola che non parliate con effo ki. er «olendo tenerla in tocca
cofi morta come è, firn lecito di poterlo fare : ma parlate tra uoi ciotti le
uofhe morte Latine parole ; er d noi idioti le noflre uiue uolgari,con la
lingttd che Dio ci dteiejafitte in pace parldre.BE ti . Doueuate, per ag*
Quagliarla compitamente alla lìngua del j 'anta, foggion* gere qualmente
torationidi Cicerone,* i tierfi divirgì Uo le fono degnLcr pretioftftimi
tabernacoli ; onde ki co tuie cofa beata riuerìamo,et incbìniamoMa per certo ne
lma,nt [altra non mcritaua che la tenejìe per morta-fi* perando tutt'horanewrpi
nofìri et nei 'anime quella fa* httc,qnefla utrtutez con tutto ciò lodo
fommamente la no fha lingua uotgare,cioè Thofcana ; aceìoebe non fta al arno
che intenda della uolgare di tutta italia: Toscana dicojion la moderna, che vfa
il nolgr hoggidi ;ma fanti eamde fi dolcemente pariamo il Petrarca tj il Boccac
ào:rhe la lingua di "Dante fente bene^et fyeffo più del lo bardo,chc del
Tbofcanoì tt oue è Thofcam, è più toflo Tbofrdiìo di contado,ehe di città.
Cunque di quella par* h,quella lodo,queÙa vi perfuado apparare, ebequantm que
ella nenfugiunta aìlafua uera perfettione, ella non dimeno le è gii uenutafi
preffo ; che poco tempo ut è 4 uolgere ; oue poi che arriuata farà ; non
itibito punto, che quale è nella Grecaci nelk Latina, talefia in lei us- ti di
far uiitere altrui mirabilmente dopò la tnorte, cr «I Ibora fi k uedremo mi
fare dimoltinon tabernacoli, m*t tempi;, V ultori : alla cui uìfitatione
concorrerà, da tutte, le parti del mondo brigata di fpirii i pellegrini j che
le fi ranno lor tìo!t,er far amo efpatditi da lei . Co ut. Dime quefeiouorrò
bene fcriuere uolgarmète, couerramitòr nare anafeer Tbof^ano! Bem. Kafcer nò ma
fìudìar Tbofcano,cb"egli è meglio per auentura nafeer Lombar do,che Fior
ent ino i per oche Tufo del parlar Thofcobog gidiètanto cÓtrario dUe regole
della buona lingua ibo /tini, che piti nuoce altrui e ffernato di quella
prpuincia. cbenongligiaua. Cosi, ÌDunque unaperfenamedefì ma wn può effer
Thofca per natura cr per arte B E v. Difficilmente per certo^ffendoTujanza,che
per lughe% za di tempo è quafi ccnuertita in natura, diuerfa in tutto
dalTarte,Onde,eome cbiè Giudeo,o Ueretico,rade mi tediuienebuon Cbrijìiano,
arpia crede in Cbrijh chi mila credcua,q'ianto fu battexata ; cofì qualunque
tton è nato Tbofcano più meglio imparare la buona lingui Tbofcana, cfie colui
non fa, il quale da fanciullo in fu, fempremai parlò peruerfamente Thifcano .
Cort. Io, the mai non nacqui,ne fludiai Tbofcano, male pofjò rivendere alle
ucftre parole ; mndimmo 4 me pare.cbe DIALOGO piti fi cormengd col uofho
Boccàccio il parlar Fiorentino madcrno;cbe non fi il Bergamasco. Onde
eglipotreb he effcr molto benebbe huomo nato in Milano,fenza b4 Ucr mai parlato
alla maniera Lombarda, meglio appren ieffe k regole deUa buona lingua
Thofcana,cbe nanfarebbe il Fiorentino per patruàtia che egli nafca,et park
lombardo boggidì,crdiman d^matàmparle,etfcrìud regolatamente Thofcano meglio,
e? pi» facilmente del Thofcano medcftmo i non mi può entrare nel capo : al
trainane a tempo antico per bene parlare Greco,& Ld t ino, farebbe (iato
meglio nafeere Spagnuolo,cbe Komai HOì& Macedone, che Atbenkfc. Bem.
Quefìotw: perche h Uugud Greca et Latina a lor tépo erano egual tnevtc in ogni
perfona pure,et non contaminate dSk bar borie dell'altre UnguexT coft bene fi
parlauadalpopolo per le pìtzZCcottte tra dotti nelle lor [cole fi ragionata.
Onde egli fi legge di Theophrafìo, che fu tun de lumi della Greca
elcquenza,effendo in Atbene,*Ue parole ef fer fiato giudicato foreftiere da una
pouera feminetta di contado . Cojt. lo per me non fo come fi fila quejì* coja;
ma fi ui dico, che douendo Studiare in apprendere dama lingua ; più tcflo
uoglio imparar la Latina c h Greca, che la uolgar : la quale mi contento ihauer
por* tato con effo meco dalla cuna et dotte fafcie t fenz* eer* caria
altramaite, quando tra te prefe, quando tra uerft degliauttorìThofcaniB i m.
Cofi facendo ucifcriue* rete, et parlante a cafo,non per ragione: peroebe nium
altra lìngua ben regolata a tltalkfenon queu n ma,di cui vi parlo, Cosi, Almeno
dirò quello che io baucrò BELI, I t I M fi T li HI in cuore et Io jludìo
che. io porrei in wfik&parolctte di qucfh et di quellofi lo porrò in
trottare et dijporrc i con cotti del? animo mioionde fi Aerina la
uitadellafcrittura: che male giudicò poterfi ufare da noialtri a figafkttre i
nofìri concetti qucUalingtia, Thofca, o Latina ch'ella fi fu.U quale
impariamo,®- effercàiamo non ragionando tra noi i nojbi accidenti,ma leggendo
gli altrui, QueSa d di notori chiaramente fi uede in un giouane Vadouano di
nobili^imo ingegno, ilqttdk>ben che talhoracon mol- to (indio, che egli ui
mette, akutid coft componga atU manieri di Petrarca, er fld lodato dulie
perfone non» dimeno non fono da pareggiare i Sonetti, er le Canzo* ni di lui
atte fu* comedie, le quaUnelldfua lingua natk Mturabnente,<cr damma arte
aiutato par che gli efebi* no della bocca: non dico però che huomo farina ne
Vada uano, ne Eergdmafco ; mt uoglio bene, che di tutte le lingue d'Italia
paliamo accogliere parole,?? alcun mo* do didire, quello tifando cornea
noipiacaji fdttMcntti ehe'l nome non fi difcordi dal uerbo > ne l'adiettro
dalfo? Slantiuù; la qual regola di parlare fi può imparare in tre giorni, non
tra grammatici nelle [cole ; ma nelle corti ed gentilhiiommnon ijìudiando,
maginocattdo er ritów do, fenza alcuna fatica » er con diletto de difcepoli, cT
de precettori . B e m. Bene jlarebbe,fe quefìa guift di fiudio bajtaffe altrui
a far cofa degna di laude,®- dt me r duiglu, ma egUftrebbe troppo leggera cofa
il farli e* terno per fama, er d numero de buoni er lodati lentia* ri in
picelo/ tempo denterebbe molto maggiore, che egli non è. Btfognageuù^uomamio
caro, uolèdo andar e f> perlemmì,w per le bocScdeUe perfonedel monda, lungo
tempo jcderfi ntUafua camera, er chi morto m fé flclfo } difa di ù Mammona
degli huomintjudar et agghiacciar più wltetct quanto altri itungii, et dùT* me
a tuo Agio . pmr /urne, et mgghure .Cor t. Contatto ciò muffirebbe faalcofail
diuemr ghrwfo j cucaltrc bifogna chcfaperfauelìarc.ée ne dite Hot mef (er
Lataro.iopermefoncontento^ontenlandof: Hon- fenorèi che (i «o/ìr a JcntetEci
ponga fine die nojhrt M L a z. Cote/io non/Vò w, cb'w uorrei éetditfen
(oridiquefìa lingua uolgare foffero difeordt tra (ora, « cùct» d«ettt ^guìfa
diregno partito, pw ^«ofmm- *erorà#ro kdifknfkmciiiilL Cobt. Dmpem Memi contro
aftopimm dì lAonftgnore, moffo noiifoU mente dati 'amor denutriti lavale douete
amare, er riuerire fapra ogm cofa, ma daltodw che uoi portate 4 ùue&a
lingua uolgare,che mncendo,utncerete il miglior- «JiWtijidgmafdo del
quale prende dmodo argomento impararla, a «ti • L A C"»^* fM ^
totidcchdie con quelle armi mcdcfme,òe noi opra* tecomr*ULatùia,v la GrecaM
wMra lingua «olg** refi M«> CT fi 4mua. Cobi. MWigmw . ne i rwilaretóe
giorti Kwer me debole combattitore, et gii itinco«e& battagltadianzi Stinti
conmeffer Lazaroì tauttonta, et dottrina Kotfro ledili ambedue mfiane mi
datmaguerra fi fjwmte/b'uni conojco qualpm. perche, non ttokndo mjfer
Lazmcongwar con ejjo *. - meco <t difendermi^ ego uoifrgnor Scolare, che con
fi lungo I '.kntìo, cj fi attentamente ci bauete afcoltatUcbe baimdo alcuna
arma,con la quale noi mi poetate aiuta* re, fiate contento di trarla fuori per
me,che poi che <jue« fla pugna non è martak,potete entraruifenza pma^ac
cofiandoni a quella parte,cbe piti ui piace: benché più to fio ui douete
accodare aSa mia,ouejete ricbie8o,ct oue è gloriai' effer uintodacofi degno
auuerfarìo.S c no u Gcntffbuomo io non parlifìnhcra,pcrocbe io non japed che m
dire, non effendo mia profetatone lo fatato delle linguema uolontieri afcoltati
bramando, CT fperando pur d'imparare. Dunque bauenda a combattere m difejtt
d'alcuna uo&ra ftntenza > non ui pojfendo aiutare, to ui coniglio, che
fenzame combattiate; che eghè meglio per uoi il combatter foh,che da perfona
accompagnato* la quée, come inejperta deformi, cedendo in fui prin- àpio della
battagli ui dia cagione di temere, Cf fard dare al fuggire. Corteo. Con tutto
ciò,fe mipo* tete aiutare, che a pena credo che fia altramente } fendo fiato ft
attento al nvfìro contratto, aiutatemi, che io uc ne prego,faluofe non
jprexzate tal queBione, come uil cofa, (jdift poco ualore, che non degniate di
entrare in campo con cjfonoi.ScHÓL A. Come non degnarci di parlar di materia,
di che ti Bembo al prefente, cr altra uoìtail Peretta mio precettore inficine
conme})er Lrf* fcari con non minor fapienz*, che eleganza ne ragionò ì troppo
mi degnarei,jei fapefii, ma di ognicvja tufo poco, cr delle lingue niente, come
queiio, che della tìr«4 comfc<ì a pena, le kttere, CT dsfo togfM Lati*
B I A L o e o tu. Unto follmente importi i quanto baflaffe
per farmi intendere t li&rt di philofophia d'Arrotile ; U quali,per tjueUo
che io noda dire di meffer Lazaro,non fena ktU ni,ma barbari: della uolgare non
parb;cbe di fi fatti Un* guaggì mai non feppi,ne maìcurdidifapercjdlua ilmio
Fado nano ; del quale, dopo iilatte delia nutrice, mi fu il uolgomaeSlro . C o
r t. Tur a wi cor.ucrrà diparlare, fenm altro, quello almeno,cbe ri apparale àd
vcreito, eydal Lafcari ; liquali cofi fauuinente ( ceree mi dite) parlarono
intorno a qucUa mai erid .Scaoi, Poche cofe delle infmite,che a tal materia
pertengono,puo im» parare > in un giorno, chi non le afcolta per impa* rare;
penfando che non b'tfogni imparare, Beh. Dit ene almeno quel poeo, che ut
rimafe neUi memòrid} che a mefic caro [intenderlo . Laz, Volentieri in tal cd/o
udirò recitare lopenione del mio macibro Peretta il quale, auiiegna cheniuna
lingua fapeffe dalla Manto' ima infuori; nondimeno come huomo giudiciofo, er
ufi rade uoltc a ingannar fi, ne può bauer detto alcuna cofi eo'l Ldfcorixbe
Fafcoltarla mi pucerà. Pregoui adùqu e, chefe niente ue ne ricordatdlcuna cofa
delfuo paffuto n gionamentonon ni flagrane diriferire.S c h o l, Cofi ft faccia,
poi che iti piace ; che anzi uogUo effer tenuto ignorante,cofa dicendo non
canofeiuta da. mei ebedifeor tc/e rifiutando que prieghi^be deano effermi
common* fomenti, ma ciò fi faccia conpatto, che cornea me non è bonore il
riferirui gli altrui dotti ragionamenti ', cofi il tacere alcuna parali, li
quale dailbora in qua mi fu «« fcit4detitt memoria t nonmifia ferino a
vergogna. Corte g. Ad ogni paltò mifottofcriuo t purche dicU te. Se ho L. L.
"ultima itolta che mcjfer Lafckari uen* ne di Trancia in Italia j fondo in
Bologna, oueuolontie ri habkaua i cr tuffandola il Perttto,come era ufo di fu
re; un di tra gli nitri, poi che alquato fu dimorato con ef* fo lui, lo dimandò
meffer Lafcbari, Vofira cccelienza macflro Piero mio caro,chc legge quejYamoiP
e k. Si* gnor mio io leggo i quattro libri della Meteora d'Anito tele, L asc.
Per certo bella lettura è la ucshra: ma come fate d'cjpofitorìt Per, De latini
non troppo bene ; ma alcun mio amico m'ha feritilo duna AkffandrO. Lasc.
"Buona ckttioncfacejìciperocbe Aleffandroè Ariftcte le doppo Arinotele :
ma io non credeua che noi fapefìe lettere greie . P b ». Io t'ho Uttno,non
greco. Lasc. Poco frutto doucte prendere, pir. Perche? Lasc. Perche io giudico
Aleffandro Apbrodifco greco come c, tanto diuerjo da fé medejìmo, poi che
latino è ridotto, quanto è uiuo damorto. Per. Qnejìo potrebbe efjer che uero
fuffe : ma io non uifaceua differenza, anzi pai faua, che tanto mi doueffe
gwuare la lettione latina, cr uolgare(fe uolgttre fi ritrattale
Aleffandro)quàto a gre ci la grecai con quefia jperanza incominciai a jiudiar
fo. Lasc. Vero è,cbe egli è meglio che noi I'babbut* te latino, che non
Chabbiate del tutta, ma per certo la noe jka dottrina farebbe il doppio,^
maggiore, cr mr^/io* re, che ella non è,fc Aratotele cr Akffandro fuffè'ktto da
uot inquelLi ltngua,nella quale l'imo fcnffe,cr l'altro lejpoje. Per. Per qual
cagione,'Lajc, Verciocht piufacilryeittc, cr con maggiore eleganza di parole jo
P no DIALOGO no tfbrefii da là ifuoi concetti ntUa fud
Ungiti, che nel* l'altrui.V e r.V ero forfè direfìefe io fufiigreco,fi come
nacque Aristotile : mw che huomo lobardo fludid greco, per douer far fi più
facilmente pbdcfopbo,mi pur cofa. no ragioncuok,anzi difconuencuole, non
ifcemandof pun* to,maraddoppiandoji U faccia dell'imparare: percioebe meglio,
et più toh può àudiar lo [colare Loic<*/ok,o fa lamente pbibfopbu,cbc non
farebbe, dando opera alla, grammatica-, fcetiahnente alla grcca.L \ s c . Per
quefla ijtcffd ragione non doueuate imparar ne Latino,™ Greco ; ma follmente il
uolgare Mattonano ; a" con quefo phibfopkare. Pee.Dk) uoleffe in feruigio
di cbi uerri doppo mc,cl:c tatui libri di.ogni fdenzA, quanti ne fono greci,cjr
latinùcr bebrei; alcuna dotta, et pictofa perfo* ni fi deffe a fare uolgari :
forfè i buoni phibfopbantiff rebbom in numero affai pia jbefii,che a di noétri
non/o* iios er k loro eccellenza diuentarebbe più rara. La se, O non u intendono
uoiparlate con ironia. Peb. Anzf parlo per dire il nero ; er conte buomo tenero
deU'honor degli Italiani, che fc ^ingiuria de nofbri tempi, cofì pre*
f°nti,come paffuti «olle priuanni di quciìa gratin dio mi guardi,cbe io fu
pienone cofi ar fo d'inuidta, che io dift* deri di priuarne chi nafeeràdoppo
me. La s c. Volon* ticri tidfcokcròje ui da. il cuor di prouami quefìa nuo* tu
conclufìone,cbc io non fintendo,ne la giudico intelligibile. p e r.
DttcmiprintOyOnde è,cbc gUbuominidi quella età generalmente in ogni fetenza fon
men dotti, et di minor prezzo, che gii non furon gli antichi f Oche e centrati
dome icondofu copi che molto meglio, et DELIE LINGVt, 114 pia
fàcilmente fi poffa aggiugnere Acmi cofa alla dot* trina trouaU, che trovarla]
da fe medcfimo ? La st. Che fi può dire altrove non che indiamo diw.ée in peg-
giof? t r. Queflo è uerojtta le cagioni fon molte, tra le quéi mia ne n'ha, er
ofo dire la principale, che noi aM modeniuiuiamo uhiirnogran tempro, confinando
la mi glior parie de nolbi anni la qual cofa non aueniua agli anticbi.epcr
dijling'iere il mio parlare, porto ferma i pe nione,che lojludio della lingua
Greca, cr Latinaji* ca gione dell'ignoranza: che fc'l tempo, che intorno ad
effe perdiJìno,li fbendejfc da noi impavido phihfophiaipcr auetitura Feta
miderna generarebbe quei piatovi, ry quelli A rifloteh, che proda eua Cantica .
M<i noi tim più che le canne,pentitiquafi Shauer UfcUto la cuna,ey
efierhuemini diuemti, torniti un altra uoita fanciulli, altro non facciamo
dieci,cr urtiti anni di quella uita,cbe imparare a parlare chi
hiino,chigreco,cs akuno(ccme Dio utiolc) Tofano : li quali anni finiti,??
finito con ef= fo loro quel uigore,zr quella prontezza, la quale natu* ralmente
/«o/c recare alTtnteUettolagioucntù ; aVhora procuriamo difarcipbilofopbi,
quando non ftamo atti al Ufheculatione delle cefe . Onde feguendo l 'altrui
giudi* ciò altra cofa non uìcne ad e(fere quejla moderna Yilofo fa, che
ritratto di quell'antica . però coft come ìlritrat= to,quaiitunquefato d'
artificio f fimo dipintore, non può efier del tutto fintile all'idei ; cofi
noi,benche forfè per al tezza d'ingegno nofamoputo inferiori a gli antichi ! 0*
dimeno in dottrina tanto fiamo minori, quanto lungi > ì m po fiati fuiati
dietro aUefaucle dcUe parole colera final* p i mente n I A
LOGO mente mitwnopHklophando m^UakunACofié^ emiendodcemnw knojtra mduUru.
Lasc. Dm IJcljhdiodeUe lingue nuoce altrui finalmente, co* Itici ditele fi dee
f^kieivb? 9t% AnjA JW/i far deismo per taire, che d ogni coja per tutto
Imoniopoffaparlcreogmlmgua. La se. Come wdfro pietrose i ciò cbc«oì4itef D«gtó
d-reWe- uiihuorc diphilofopbare wlgarmenteta-fenxa bauer cogmtionedellalingua
Greca, er UHM Vt% fiLrfupur che gli autori Greci,V Latmifmduceffe* rou dlani,
Lasc. Tinto farebbe fruire Anftoff ledi line** Grw tn umbri ; fatto
trafbmtareun MMCKfi unaolm di un ben colto horUceUojn un bo* C CQ di
pruni.oltracbe le cofe di plnlofophufono pefo A ai tre (ballcòe da queRe di
aueU lìngua Volgare Per. Io bo per ferra*!* le Imgucd'ogm paefe, cefi 1 Arabi*
ta er r ibJww, come U Kòmma, cr 1 Atemefefma d'un medino wforr.rt d« mortoli^
un fine ccnungm dici* formatele io non uorreiebe uoine parlato come di coLdaUa
natura prodotte ; effendo fatte,cr regolate dallo artifìcio delle perfone a
beneplacito loro, non pian ^Jmih^io^mimcemiAv^.
ondetutto^belecofedanamturacreate^tlejcicnzedi «uekJtatomMoytttro le
parte delmndo una cofa mdefum ^nondimeno, perciò che diuerfi huomm fono
didaerfo m lere,perèicriuono,o- parlano dwcrjamcnte, la qitaU diucrfttà, er
confufìane delle uoglìe mortali degnamente è nominata torre di B<tM. Dunque
non nafcono k ''»g" e pw f e medefme, a giàfadi albergo <fber he ;
quale debbolc,w inferma nella fua fyetic,qu*kfaif<t ^rrobufla, etatU meglio
aportarlafommsdinofbi kit mani concetti . ma ogni loro uertit nafce al mondo
dal uo ter de" mortali, Per la qualcofa, cofi come fcn%a mutarfi di
co!ìume,o di natione, il Trandofo,et l'lngle{e,non pur il Qfccojy il Romano, fi
può dare a philefophare, coft eredo ebe la fua lingna natia poffa dir iti compiutamente
communicare la fua dottrina. Dunque traducendof; a no flri giorni la
pbilofophia jeminata dal nofìro Arrotile nebuoni campi tf Atbene, dilegua Greca
in uolgare,ciò farebbe non gittarU trafili in mezo a bofcbi.oue fìerile
àueniffejna farebbe fi di kntam propinqua, V di for e* {licra > cbe etU è y
cittadina (fogni prouinàa . Et forfè in quel modo che le fbeciarie^zr i'^rc
cofe orientali ano* yroutile porta alcun mercatante d'india in ìtalia,oue
meglio perauentura fon ccnofciute,cr tratMc,cbe da co loro non fono the olirà
Umore lefeminorno > er ricolfc* ro; fnnihnente le fpeculaticm delnofko
Arrotile cidi* ucmbbono più famigliarle non fon lwra-&' più faci* mente
farebbero mtefedanai, fe di Greco in ttòlgare al* cuna dotto Imomo le
riducejfe. L a s c. Hiuerfe Imguefo* no atte afìgmficarc diuer fi concetti,
alcune i concetti di dotti,alcune altre de gli indotti, la. Greca ueramente Un
to fi conuiaw con le dcttrincycbe a doucr quelle fignijicd re,natura ifieffxjio
banano prouedimeto pare che ihab bu formata : er fe credere non mi miete,
credete abne* P 3 f» no d Platone, mentre ne parla mljuo CrrfiRo .
Onde ci fi può dir di tal lingua., che (piale è il lume a colori, tale di i fu
alle dijcipkne ifenza il cui lume nulla itcdrcbbc il ivijiro bumano intelletto;
mi in continua notte d'ignoran tii fi dormirebbe. Per. Più toilo uò credere ad
Arijìo tilt, CT alla ucriùycbc lingua alcuna del mondo{fu editai fi uoglia) non
pojfa hauer da fe jlcjfa priuilegio di fignifi care i concetti del nollro animo
>ma tutto confìtta nello arbitrio delle perfone. onde chi uorrì parlar di
pbilofo* phia con parole Mamouane,o Milane fi inoligli può ef* /tv difdetto a
ragione ; pia òe difdetto gli jìa il pbibfa* pbarc,or l'intender la cagion
delle cofe, nero è,cbe,per* ebe limonio nonba incollameli parlar di phibfophia
jc non greco et latino sgià credimi che far non pojfa aU frinente : cr fain di
uiene ebe follmente di co/e tuli, er algori uolgarnun'e parla, orferiue la
nofhra eti Et co m: i corpi,®- le reliquie de fanti non con kmani,ma con alcuna
uerghsita per riuerenza to:cbiamv ; cafi i fieri mhleri della diurna
philofophia più tojlo c5 le lettere del l'altrui lingue, che con li tiiua uoce
di queila noBra mo* icrn a,à muiamo a lignificare : il quale errore conofei» to
da molti, ninno ardtfcediripigliarb. Ma tempo forfè pochi anni apprejfo uerrà
ebe alcuna buona perfona non meno arditi,che ingcnÌofx,porrà mano a cofufatto
mercatantia : cr per giouare aUdgente, non curando dell'oc dio,ne della inuidia
de litterati, condurrà d'altrui lingua dia noilra le gioie, ryi frutti delle
feicntie j le quallibo r.i perfettanente nongujliamo.nc compriamo. Lasc,
Veramente ne di fama, ne di gloria fi curerà, chi uvrrà prender la imprefa di
portar k philofophk dati lìngua £-A tbene nella Lombarda : che tal fatica
itow,cr bufi" mo gli recar a. P a s. Noia con/rflò, per fa Doniti dc/k
ic/j<,ttM non kiir/rmo,cow:e credete: clic per uno che<U prima ne dica
male,poco da pei mille, er mille altri lode. ramo,tt benediranno
ìlfuoj\udio,queUo ritenendogli che antenne di Giefu Cimilo ; iìquale, togliendo
di mo* rir per la fallite degli buomim,fcbernito primieramen* te,bujmato,cr
trucifìffo d'alcuni tippocriti.hcra alla fi ne da chi! conof<e,come iddio,
et Saluttor noflro ft ritte rifce.& adora, Lasc. Tanto dkefte di <jae/fo
uoftro buonbuomo; che di picciolo mercatante l'bxuete fatta Mefia : il quale,
Dio uogliacbefta fintile* quello che anebora affrettano li giudei; acciò che
berefia cofi itile mai non guafìi per alcun tempo k philofophk d'Arifioti le .
Ma/e noi fitte in effetto di cofi fìrano parere ; che non ut fate a di noflri
il redentore di quejla lingua uoU gare f Per. Perche tardi ccnobbi la ucritk
;er a tari po,qumdo la fòrza dettinteQetto non è eguale al uolere. Lasc. Cofi
Dbirìaiuti ;comc io credo che motteg* giite;faluofe,comè fanno i maliticft,
queQovicco no bU fonate, ebe non potete ottenere. Per. Mon/ìgnor le ragioni dk
nxi addotte da n!e 3 non fono lieui ; che io deb* ha dirle per ifberxare
icrnonè cofi eoft éffiàle U co* gnition delle lingue ; che bucino di meno che
di me* diocre memoria, er fenz* ingegno ueruno, non le pcfft imparare : quando
non pur a dotti, ma d forfennati Atbenicft, er Romani, folea parlare
eloquentemente CICERONE (vedasi),?? Demojlhette, er era intefo (Utero . Cerio
P 4 «tfnif «inijgr Ufirimiferamente poniamo in apprender queU le dite
lingue t non per grandezza d'oggetto ; ma) olamen, te perche aUo lludio delle
parole contri la naturale meli nxtione del nojlro bumatio intelletto ci
riuolgiamoul qua le difiderofo di fermar)] nella cognitione detle.cofè, onde
diurna perfetto, non contenta d'efferc altroue piegato, otte ornando la lingua
di parolctte er di dande refli uas ttd Li nofbra mente. Dunque dal contrailo
che è tnttauid tra la natura dell'animi, er trai cojlume del nojlro jlu*
dio,dipende la difficultàdcRa cogmtion delle lingue, de* gna neramente non
d'wuìdktma d'odio: non di fatica 3 mt difajlidio : er degna finalmente di
douere effere non ap prefajna ripreja dalle p.rfone : fi come coftMqualc non è
cìboma fogno, er ombra deluero cibo delTinteUetto . V a s c, Mentre noi
piatiate cofi, io imaginaua di ittderc krittalapbitcfopbiad'Ariftotikin
Unguabm* barda udirne parlai e tra loro ogni tùie maniera di
gentcJaecbinUontadinhbarcaroli, er altre tali per fané, con certi fuoni,<cr
con certi accenti, i più noiofi, er ipitt {brani, che mai udijii alla tòta mia
. In quejlo mezzo, mi fi paraua dinanzi effa madre philofopbia utilità affai po
veramente di rontagniuolo piangendo, er lamentando^ i' Arijlotih,cbe
difprezzando lafua eccellcnzatbautft fediate condotta, et minacciando di non
twlre fior piti in terra : fi bello bonore ne te era fatto dalle fue opere :
ilquale ifeufandofi con effo lei „ negaua d'bauerU offefa giamai : fempremai
bauerla amata, er lodata ne me* no che borreuolmente batterne fcritto, o
parlato men* tre egli luffe ; lui effer nato tj morto greco,non Brefciae no
ncVergomafco, er mentire chi dir uolcffc aUranvm te : olla qui uifione
diftderaua che noi mfujHe prefetste. •P e i. Et io (e fiato ui f«j?t > harei
tetto non douerfi U pbthfopkia dolere ; perche ogni buomofer ogni luogfc con
ogni linguai (ho ualorc effàhaffc : quefiofarfi an# a gloria, che a ucrgogm di
hi . la quale (e non fi (degni Stergare negli intelletti Lombardi, non fi dee
ancb$ (degnare (Teff, r tratta daHU br lingua : l'Indù, la Srtf tbia,CT f
Egitto, cue babitaua fi uokntieri, produrrc gc* ti cr parole molto pi.i jkane e
pi» bai bare, che non fono bora le Mantouanc, er le Eoiogw/i : lei lo (ìndio
tkU Ungua greca,® 1 latina bauer quaft delnoflro mondo crftf ciato ; mentre
hv.cmo non curando di faper, che fi dica } nanamente fnok imparare a parlarci
et lafciandof Intel letto dormire, fucglu er opra la lingua. Notar in ogni
ct4,m ogni prouincid, cr in ogni babùo effer (emprcnai ma cofa medeftma ;
Lupaie, cefi cerne uolonticrifa fuz arti per tutto l mcndc,non meno in
tcrra,cbc in cielo; cr per effer intenta aUa produttione delle creature
rationa* Unon fifeorda delle irratiotitlii ma con eguale artifìcia genera
noi,er t bruti animaliicofi da ricchi parimentc,et peneri huommi, da nobili, er
«ili perfone con ogni Un* glia, greca, latina, hebrea, cr lombarda, degna
d'effere&-conofcittta,cr lodata. Gli auge Hypcfci er tre be(ìie terrene
d'ogni maniera,bora con un (uovo, ho u con altro fenza dijìintione di parolai
loro affetti f già (icore ì molto meglio douer ciò (are noi buomini, ciafeu no
con la fua liìtgud ;fcnz<tricorrere aWaltruidcfcrittu* re,cr i linguaggi
efferc fiati trottati ma ajaltite teUa n* turala quahicome diumd,cbe etk è)non
ha mefticri iti mftro diutojmafolamentea utilitaet commodità nojìra, gecioée
abfenti, prcfenti 3 uiui,& marti, manife\ìando (un Ultra ifecreti dei cuore,
più facilmente canfeguias no la noflra propri* fe liciti ; laquale è pefìd
neUmtcU tetto delle dottrine > non nel fuono delle parole : er per
confeguente quella lingua,?? quella fcritturddouerfi u* fare da mortali, la
quale con più agio apprtndemo: er €omemeglio farebbe itatele foffe fiato
pofiibilc) Chaue re un sol linguaggio, l'i quale naturalmente fuffe ufato
da gli huomiri, cofi bora ejfer meg^ebe tbuoma (crina, et ragioni neUamaniera,
ebemen fi fcofladatta natura : k qualìTumicrd di ragionare appcnanati impariamo
:ey a tempo-, quando altra ecft non fono atti ad apprendere, et étrotavto barri
detto al mio maeflro Anjlotilc ideila etti eleganza goratione poco mi i urarei,
quando fènza ragione fusero da lui ferita i fuoi libri ; natura bauer lui
mietuta per figliuolo, non pcrtffer nato in Atbcne, ma per bauer bene in atto
intefo<bcne pérldtOi&benclcrit to di tei : la verità trouata da hi,
tadifpofitene, cr Cor* dine delle coje,la grauità er breuitì del parlare
eflerfua propria,®- non d'alìrme quella poter)] mutare per mu* tomento di uoce
: il nome falò di lui difeampagnato dalla ragione ( quanto a me ) ejjere di
affai piatola auttoritd, a lui fiore, fe ( emendo Lem bardo ridotto) effer
uelef* fc Annotile .noimirtali di quella eùcojì bauer cani f noi libri tramuta
incluùm i '.inguaiarne glibcbberoi greci = mentre greci gli jludu iurta . li
quai libri con ogni iniujbia procuriamo d'intendere per diuenire una uolta
non Athcniefi ima philofophiicr con quefìa riftojl* mi farci pai-tito da
lui . L a s c. Di'fe pure, CT diff derate aè che uolete j m i io Jprro, òe a di
uoftri non utdrete Arijhtik fitto minare. Per. Perciò mi doglio
delhmiferaccnditione di quefli tempi moderni, ne quali fi finiti non ad ejfer,
mt a parer fauio : che ohc fola una liti di ragione in qualnnque linguaggio può
con du ne alla cogniimedeìh iteriti ; quella da canto lafdi ta, ci mettiamo per
jìrada,ti quale in eff. tto tanto ci dfc lunga dal noftrofme {quanto altrui
pare, che ni ci metà uicini ; che affai credemo d'alcuna cofa faperc, quando,
fenza conofeerc la natura di ki:pofi mio dire in che mo- do In nominali CICERONE
(vedasi), PLINIO (vedasi), tmctfo, cr VIRGILIO (vedasi) tra latini fcrittori
;cr tra greci Platone, Arijhtile t De mojlbene, cr Efclme ideile cuifemplici
parolctte fan- noglìbuominidiquefta etàlc loro arti, cr fcicntiejn giujx, che
dir lingua greca, C latina par dire lingua di ulna, cr che la lingua volgare fa
una lingua inhu* man, prilli al tutto del difeorfo dcU 'intelletto ; for* fe
non per altra rdgione, faluo perche qucftunx da fanciulli, cr fina jhidio
imperimi) ; oue a quel* laltre con molta cura ciconuertiamo icome a lingue,
lequali giudichiamo più conuenirji con le doArine, che non fanno le parole
della E «griffa, cr del batte f* ino con ambidue tai facramentii la quale
feioccaop* penione è fi fiffanc gli animidc mortai, che molti fi fanno a
credere, che a douere farfi philofophi bxjti lo* rofapcrefriuere, cr leggere
greco fenza più : non aU tramente, chefe lo fòirito dì Ari] fatile, aguija
difolkt* to in cr&aUofieffe rmchiufo neWabhabeto di Grechiti
con lui mfiemefuffc corretto a entrar loro neWinteSct* tea fargli propbeti:
onde molti n'ho già vedutiti miei giorni fi arroganti,cbe priid in tutto d'ogni
fdcnza,con fidundofi folamentc neUacognition della lingua, bmm hauuto ardimento
di por mano afuoi libri, quelli a guifa de gli altri libri d'bumanità
publicamtnie ponendo . Dùque a colìoro il far uolgan le dottrine di Grecia par
rebbe opra, perduta fi per la indegniti della linguaicome per l'angujHa de'
termini, dentro a quali col fuo Ikguag gioè r'màiiufahtaha, uanaiflimando
l'imprefa dello Jciuere, er delparlare in maniera, ebe non [intendano, li
iìudiofi di tuttol mondoMa quello che non è fiato ue* duto da meìfpero douer
uedere (quando che fia) chi no* /ceni dopo mc&r 4 tempo t che le perfone
certo piti dot' te t ma meno ambitiofe delie brefenti, degneranno £ef* jer
lodate nella lor patria, femy. curar fi, che la Magna, c .diro fìrano paefe
riticrifca i lor nomi ichefela forma delle parole, onde i futuri pbibfopbi
ragioneranno, er fermeranno delle fetenze, farà commune alla plebe, tin*
iellato, er il fentimento di quelle farà proprio de gli a* autori, V jiudiofi
delle dottrinerò quali hanno ricetto, noiicUelinguefmanegUatiimidimcrtali.S c a
ol.Gw sapparcccbiauamcffer LafcariaUarijj>ojla,quando fo* prauenne brigata
di gentillniomini, che ueniuano a uifì* tarb, da quali fu interrotto
[incominciato ragionamene toipercbc faktati [un [altro con prameffa di tornare
al* tra uoltajl Peretto,et io co lui ci partimmo. Cojteg. Co fi bene mi
difendere con [annidelmacftro Peretta che DELLE UNCVt. "9 che
l'I por mano alle uojire, farebbe cofdfuperfbd per- ii <M cofa auegnd,cbe
Hparkrt intorno a quefìamate rid fulfe iiojìra profetane > nondimeno io mi
contento, ée uì tacciate: ma del foccorfo preftatcmi.partt dd Tdii tariti di
coft degno philofophofdrte dette rdgionUnte* dettelo ue ne muto immite
grdtici&uiprometto, che perfinire ilfdjìidio dello imparare a parlare con
le Un gue de' morti; feguitando il coniglio del maeflro Perei* tadorne fon
nato.cofi uoglio iti uere Romam,parlar Ko mano, 0-fcriutre Romano : V * uoì
meffer L4Zaro, cornea perjona d'altro parere,predico,che indarno tcn* tate di
ridurre Mjuo lungo eftlio in ltdlidktwjhra Un* gua Latina, cr dopo la totale
réna di tei, fottcuM* terraxhefc quando Jk comineidud a cadere,nonfu huo
mojhefojlcnere ue la poteffext chiuque atta rumasi pofe>aguifd di
Polidamante fu oppreffodalpefoi feoM, cUgìdce del tutto, rotta parimente dal
principio et dal dal tempo; quale Aéletd, o qual gigante potrà uantarft ii
rQtmWne a me parere a uofbri fritti riguardose ne uogliate far
pruoua-xonftderando chel mètro jerme* re latino non è altroché mandare
ritogliendo per que» fì'auttore, cr per queUo,bora un nome, bora un ucrbo, hard
un'dduerbo della fu lingua: il che facendo,/e noi fperate (quafmuouo Efculapio)
che il porre mjir.ne cotdikagmentipo^farldrifufcitdre^iu'mgamuU; non ui
accorgendo, che nel cader ^ dififuperbo edificio, una parte diuenne poluerej?
un'altrd dee effer rotta (« più pczzdt quali uolcre in uno ridurre, farebbe
cofdim* paRibik Jenzd, 'he molte fono dell'altre parti, k quii r ' ' ruiwfe
timafè in fondo delmucchio, o mudate daltempo,Hen fon trottate d'dkwno:onde
minore,cy men ferma rifarete lafabrica, ch'eUa non erida prima : cr uettendoui
fatto di ridur lei alla fu* prima grandezza ; mai non fa acro, (he «01 le ditte
Inferma, che antkaincte ledicrono que" fn'mi buoni architetti, quado mona
la [abbicarono: anzi oucfoleua effer la fala, farete le camere, cmfjnddrete le
pori e, cr delle jineftre di lei } que&a alta, quell'altra baffa
nformarete: iuifode tutte, £r intere rifugeranno tefue mmtglie, onde
primieramente s'i&unwaua il pa* lazzo:?? altronde dentro di lei con la luce
del Sole alctt fiato di trijlo uento entrerà, che fari inferma la flanzd,
finalmente fari miracolo più, che httmano prottadimen* fo il rifarla mai più
cguale,o fintile a quetTantic^ejfen* do mancata (idea, onde il mondo tolfe
l'effempio di edì* ficatU . perche io ui etnforto et lafciar ttmprefa dì uoler
faruifmguUre dagli altri buominh affaticandoti uana* mente fenz4prouolhro ì et 1
d'altrui. Lai. Perdonate* migentdbuomo f uoinonponeSeben mentealle parole
delmiomacftro perettoUqualenonfolainentenon rie» faua,eome
Mifdtc^i^&Mgr&^O'bxmmzifi bt* puntava d'effere a farlo sforzato ;
dtftdcrando macia, neUd quaUfenzA l'aiuto di quelle lmgue,potef]e il popò* b
}ludiare,& farft perfetto in ogmjaenzaJa quale ope nione io non hudo, ne
uitupero, perche quello nonpofa fo,quejlo non uogUoìdico follmente non effere
Hata hene intefa da uoimde la deUberatione uoiìra non hauerk origine ne
de£t4Utorità 3 nc delle ragioni del maejiro Pe* retto :m àalm&ro appetita ì
hqmlefeguite quanta n'aggrada, che altrettanto iofaròdelmioiéhefcl «ag-
gio, the io tenga, è più lungo cr piti fatkofo del «oSroì ptraftenttar* non
fjajluanoiO'd fine delk magioni* ti a buona albergo fmo 3 quantimqic Sa no, mi
condur* ù, B £ m, Mefier LdZaro dice il uero,& u\ggiungù cbe'l Peretta in
qucll'hota{comefime pare) attuto del le UngueMuendo ricetto ali* phibfophk,et
altre /imi li fetente. Perche po\ìo,che uerafu kfua cpmonr.zT cofì bene poteffe
pbilofopbareil contadino, come il gen (fl/7«o»io,er il Lombardo, come il
Romano; non è però the in ogni lingua egualmente fi poJ?rf poetar eg? crare^
tonciofiacofa che fra loro luna frn pia et meno dotata de gli orn ament i della
profa, er del uerfojbe taUra non è. ha cjualcofafu tra noi difputata da prima,
fenZftjar p< role deBe dottrinexT eome albera ui difìi,cofi uì dico di
nuouoìche fe uoglia ut urna mai di comporre o canzoni; c noueUe al modo uoiìro,
cioè in lingua, che fia diuerft dalla Thofca>ìd,etfenza unitateli Petrarca, o
Boccac tioyper duentura noi {irete buon cortigiano, ma. poeta,o oratore non
mai. Onde tmto diuoifi ragionerà,ej fare* te conofeiuto dal mondo, quanto k
usta uidurerà, ey no più ; < ociofta che la uofbra lingua RotiMiw hébk uerti
tt forili piutoBogratiofo, cheghriofo. Dialogo della rhetorica. Valerio,
Brocdrio, Soranzo. A l. Horrf mentre, che noi ridiamo,?? giuochiamo o Bro
cardo Jl Cardinale Don Her* cole col Friuli, e col Nauagc* ro,w cafa de
lambafciador co t armi, dieno effere a quejlion* dijputado fra loro detta
nojìra mrnortalìtkq-im forfè n'iettano, ej duole loro il nofbro tardare, perche
a me pare, cbcfenz* indugio niuuo noi andiamo a trouarlikqual cofajhieri
diferainful par tir fi da lorojagionduamo diàouer farext quello, fenoli
penaltrofi atmeno t percbe il soràio fludiofifìimo gioua ne,©" no bene ufo
difoler perder te fuegiornate,delfm iffer co noi coglier poffa alcun frtitto.w
pur otwxt joU l.tZZo.'B r o. Io ho openiane* cbeiefferprefente a loro dotti
ragionamenitfarebbe indarno per noixociofìa t cht «Ut nojbri fludij mal fi
confaccia k questo dijputata.per chepiutofìo configlierei,chefra tui,cofa
parlando, (he ti conuenga,fì comoartiffe qwcjta giornata* t /ìa la co/a, qtule
il Soranzo U eleggerai al cuiferuigio il prww di, che iol iQnabbi t di tutto
cuore moferfi, et offero hoggi, (ytuttauia. Val. Dite-id^ueo Sorarc?o,aò che ut
parcchemifacciamo, chelparer ucftro d'mbidue noi uotenticrifijeguarà. S o a.
Forfè accettando le uoihre offerte farò tenuto profontiwfo; ma a mio danno non
io fdrò. Quiftaremoje egli tdpidce, w a phdojopbi io fbc cular rimettendo,dcUa
ulta ciuile,nolha humana profef* fione,dìquaittodegnaretc di [duellarmi. Chiamo
uiuci* mìe nonfoUmcnte la bontà de cojlumi col morahnete o per ore, ma il
parlar beat a beneficio ddl'haucre., delle ferfoneg? deKbonore de mortali: Lt
qua! cofa perauentura è utrtu non mcn bella infe jlefi^omen gicucuole al li
bumankjJeUa prudenza, et detkgwfiitUi ma in m* siero difficile do poter
effer'apprefdst effercitata da noi tbenuUdpiu.lo ueramente quato ho di tempo,
cr dOnge gtìo uohntmi tutto dono dllo jìudio dell' eloquenzdMcbc faccio $arte
leggendo, parte fcriuende ; er quei precetti tdempicndo^he CICERONE (vedasi), ey
Quintiliano con meli* cu ra lìudivrono d'infegnore : eoa tutto ciò io non nc jò
nuU k ; nefo s'io fyerifaperncjcrm., rj legga quanto io mi troglker ciò è,
perciobe a me pare t cbe iprecettìdeSar te loro fono infittiti i e7$<$é
uolte (òche io m'inganno) f uno aSdkro fi contradice : io giudico, Cicerone
tfferc fitto oratore moka miglior, che Rbetore:fì come quel* b,cbe meglio
parla,chenon ci infogna a parlare . Oltr4 di quejlty, io fono in dubbio fe
Torte Oratoria deSd Un* pia Latina fi conuegno con Poltre lingue, jbetuimaitc
con la Tofcana,die noi uftamoboggià > nel quale io ho opinione che a
dilettare alcunmamnconico, mutando il Boccaccio gualche noueUéft pojfafcriuere
fenzdpm co fa ueramente ditterfa dalle tre guifh dicduje .; le quali da latini
fcrittori fola, cr generd!t materia deUd loro arte Rhetowa fi nominarono . Do quejH
adunque, rydaah* <C tri tdi dubij, che di continuo mi s'aggirano
neu"inte n etto t infm bor j. non ho trottato chi mi fuiluppi ; che di
miti, che io n'ho pregati più mite, a tale manca ilfapere, a U le il modo
dellinfcgnare : mi affai nefapcte,er d'ogni cofa da uoifapuU con bcUo, er
difereto ordine [lete ufo.* tidiragionare. percbe,hora, che uaipottte,io
ttiprego, che de precetti di cotale arte, quanto a uoi pare, che mi fu lecita
di conoscerne, liberamente mi [duelliate. V Ala Cerio egli è il nero quel che
uoi dite, cheli Khetorica è buoni parie di nojtra iuta cmU ; fenZA là quale
rimane mutola ogniutrtu : ma ella è cofa da ogni parte infini* t a, er è
difficile parimente il tronarui cofi il principio, come il fine, quindi
ddiuiene, che Cicerone in molti fuoi libri parlandone, mai non ne parla in un
modo : come e Adunque pojiibile che dWimproiafo in un giorno, tale& Unti
arte vii fu mojìrata da noi ì Bróc. Quejìo è cofi imponibile m lo dimanda il
Stronzo, ma alprc ferite tf una parte dì Uì, er fu la parte che uoi uorrete,
famìgliarmente parlando, è ben degno che'l campiacia* te. Vai. Io per me in
quanto poffo pronto fono d douerU piacere > dicale? chiede ciò che a lui
piace,ch'io ne ragioni. S o tL.Miodifiderio farebbe da principio face» doro/,
(fogni fua parte infmo afta fine mformareùkbe effere non potendo, ditejni
almeno una cofa, cioè,chefetf do ufficio decoratore il perfuader gliafcoUanti
dilef tando,infegnando,rj mouédo,ìn qual modo di quefìi tre, più conueneuole
affarte fua con maggior laude dife, re chi ad effetto il fua diftderio .Val.
Molte cofe in foche parole mi domandate; onde io comprendo j che piu fapete
dcSa Khctortca, che non ui atunza impararne. La quefiione è bellif?ima,aMa
quale non terminando* me dijputondo rifonderò. Voiopporecchiateuinonfo* Unente
od udire, ma a contradire : cr cefi ficài il Bro cardo, il cui parere nella
preferite materici perauentura farà diuerfo dal mio. B r oc. Senza altramente
poi* faruijl mio parere fi è, cbe'l diletto fta U uertu deKord* tione,onde ella
prende la bcttezzd,zr U forza d perfua* derechìl accolta : che poflo cafo che f
Oratore, quanto è in lui,habbia uirtu £mfcgnare,ct di mjiiere,infinitifon gli
accidenti, dalli quali impedito non può fornire a fuo ufficio. Ciò fono U
bruttezza del corpo fuc,U dijpropor tion della itoccj.i mala fama del fuo
cliente, h dtshonc fladclla confa, cr finalmente la (lanchezza de glt auditori,
li quali lungamente fiati attenti alle parole de gli auuerfarij,fchùà fono
daffofcoltare : fenza che il fuo nome altrui ad ira, a mifericordia, o ad altro
affit « to coUle, dee effere co/a non sforzala, ej per confeguente noiofa 5 ma
fornmamente piaceuole a quel cotale, cui egli muoue, ©" jojpmge . Segno
ueggiamo, che A precettori dell'arte non bafiando il darci tonofeereinge nerale
in qual modo lOratorria poffentt di comouere li noftri affètti idiflintamentc
quali fiata i coflumi de ighuani, uecebi nobili, itili, ricchi, c poueri cidi*
moftrano : itile nature de i quali con bell'arte tantedet* to lor motùmento
uomo cercando dtaccommodare . Dettinfegnare non parlo, che non ha il mondo la
mag* gior pena, che [imparare mal mtontieri.quefìojàoe grìwto, che fi morda,
fofferc fiato fanciullo, cr f>l* fb io,per quel ch'io prono al prefente mczo
vecchio Jì co me io fono ; che mai non odo il Koinojne leggo Bartolo, c Bili)
(il che faccio ognigiorno per compiacere a mio fière ) ch'io non bclìemmi gii
occhigli orecchilo ingcgno fflio,©" lo uitamia condannata innocentemente
afa ucr cofa imparare, che mi fio noia il faperhMdarm adu que iinfegnare,
0" dì moucr non dilettando ci fatichi uno i zi dilettando fenza
altro(quanta è la forza del com piactre)ftasno polenti di perfuader
gliafcoltantitripor tondo U difiato tintoria non per forzarne quali merito di
ragione, ma come gratta a noi fatta da gli afcoltanti, per quel diletto, che
nelle menti di quelli fuol partorire Torà* tione ben compojìd, ©" bea
recitata, E f ucr amete quella ì buono Oratore, il quale parlando £ alcuna cofa
princi palmcntcnon con U confa trattata, fi come fanno ì philo fophi,mo con
tarbìtrio^ol nuto&col piacere degli au* ditori,tenta,cr procura dì
convenire,qucUi allcttando in maniera, che altrettanto dì gioia rechi loro
loratione la otte eUamoue, ©" infegna, quanto fare ne la ueggiamo mentre
ci lo adorna per dilettare . er queSio è quanto mi par di dire nella prefente
materia . Val. No» pen* pie dtcofi tatto ifbedirui dalla imprefa già
cominciata, the le ragwtJJ,efw ci adducete, quelle meglio non diflm* guendo,
nonfonbajlattti di farne credere fopenicne prò polla, adunque egliè meflicri
che in qnefla confa medefì* ma argomentiate altramente :ilche fatto, perche al
So* rmzopienainentefcÀisfocciatejpmmimfacédouitCoa bello ordine mofhrarete in
che modo, er per qual uia prò udendo coté uicà del dilettar gli afcoltanti
poffa acquifiarft f orario)» uotgare : che a tal fineife io non ntingaa mìgli
udimmo fjre kfm dimanda. Broc, Molte fon le ragioni, per le quali fi può
Koftrar chiarantnteipet fetto Oratorcdilettandopiu che tnfcgnxndo,omouenda ti
fttóttfficio adempire: te quai ragioni, {Indiando dejfet brieue,perche a uoi
pia tojlo il douer dire uemffe,dc(ibt rai di tacere s ma fé mi o Scròto,
cotanto difiderate (fòt lèderle, er ciò ut pare che molto bene al fatto uojiro
per Ugna io che ne parlo per cMpiaccrtà aclentieri incornili darò i quindi ti
principio prendendo j che la Rhetoriat non è étro,cbe un gentile artificio
d'acconciar bene, et leggiadramente quelle parole, onde noi buominifignifi*
marno Um (altro i concetti de nofìri cuori. Diremo adu que, che le parole
nafeono al mondo dalla bocca del noi* goderne i colori dulie herbe ì ma il
Grammatico <fWf Orator famigliare t quafi fante di dipintore,queBa decada*
Cr polifcctonde il macjlro della Khetorka dipingendo U ucritiyparlit er ori a
fuo modo. Che cofi come col pendei 10 materiale t uolti, er i corpi delle
perfonefa dipingere 11 dipintore la natura imitando, che cefi fatti ne
generò s cofi k lingua decoratore con lo flilc delle parole bora in Senato,
bora ingiudkio, bora al uotgo parlando, ci ritragge la ueritÀ ila quale proprio
obietto delle dottrine fyecuUtiuejwn altroue che nelle fcboleg? tra pbilo*
fophi corniciando ; finalmente dopo alcun tempo d grufi pena con molto fludio
impariamo .Ut è il nero, che coji come a ben dipingere Ut mia effgie,è afpti il
ueder>ni,fn Za Altramente hauer contezza de miei coltumi, o lunga* «ente con
effo meco domfkarf: » dipingendo l'artefice DIALOGO miffabra cofa di
me.faluo U ejhrema mixfuperficie,nota agli occhi di ciafcheduno j fmitmcnte a
bene orare in o* giù materia ball<i ti conofecre un certo no /o che detta
tic ritk che di continuo ci jia innanzi fi come cofa, ti quale ne i nofìri
aitimi naturalmét e difaperk itftderofi, fin di principio uoik imprimer
Domenedio, Può bene effere, tyfbefic uolte adiiuenc che la ignoranti* del uutgo
f 0« rotore afcoltando,colga in f cambio cotale effigie dipinta, lei ifìimando
U uerità ; non altr umente per anenturd>chc l'idolatra plebeioje dipinture^-
le 0atttc,nojkc buma* ne operationi s f accia fuo Dio, er come Dio le
riuerifed* Può anche ejfere che Foratore ori a fine d'ingannar le.
perfonerfando loro ad intendere, che'lfuo diffegm fìa il uero,non del nero
ftmilitudìne ; nclquat cafo quello coM lejnon ofìante il fuo ingegno
merauigtivfo, meritarebbe, che fi sbandiffe del mondo itydift fatti oratori fi
deono intender le parole di chi biafima la Khetorka ; cioè colo ro che ad altro
fine la effercùancyhe tindulìria ciuile no U fermò. La qual cofi no pur a
lci,ma a qualunque altra più honoreuole,et utile arte è tra noi,facilmente
intrauit ne.Uora al propofito ritornado, certo per le cofe già det te, in
qualche parte no fìa difficile il giudicare la queflian coiiiweiittJ, percioebe
Cinfegnare, il quale è jtrada alla uerità propriamente parlandolo è cofa da
Oratore; piti tofto è opra diUe dottrine fpectdatitte; le quali fono fden Ze
non di parole, mi di cofe, parte dìuine, parte prò* dotte dadi natura . Kelìa
adunque che noi tteg giamo quale ufficio f ìa più proprio deli" Oratore
trai ddstta* re, zi d mouere, fi mamme, che innanzi tratto; un COROLARIO inferiamo
; cioè, conciofia cofi chel perfetta Oratore tuie fappia,qual parli ; e quale
in fegna tale imm par affé i troppo ora chi ha opinione cbe'lfuo intelletto^
che non fa nidla 3 fìa uno armarlo d'ogni fetenza : non per Unto fempremai in
ogni età rari furono non pur li buoni ma i mediocri Oratori ; ertili nofìri
fono ronfimi ino gm lingua ; fi è coft diffìcile non follmente il faper bene U
miti, ma ii pxrcr difaperk, Hor di quejìo non più i er aUe l te del diletto, et
del mouimento conferiate che io ini riuolga . Certo,nattfrabnente parlando,ogni
dilettofièiHomnentojna. in contrario, fiando ne itcrmini di quella arte, ogni
Oratorio mouimento è diletto; concio», fu cofi che'l perfetto Oratore muoue
altrui non per fcr za, er con uìoknx.4, in quel modo che noi mouiamo le cofe
graia aRinju, o k leggieri a!? ingiù ;md fempremai muoue ha cotifome
affindination del fm affetto : U* <jiol cofa non può effer, che non glifia
altra modo pù* ce«oJr,cr giowfi molto i ne ad altro fine ( fi come dian* Xt io
diceua)da maefhideUa Khetonca fono dijìinte. «•mutamente le dijhofitioni degli
ascoltasti : i cui affet» ti col mutamento della fortuna, rj degli anni fono u*
fati di ttarùrfi ifalxo, accioebe tomfeenda il buon». Oratore otte pieghino k
pacioni de petti lpro,iui col ut* gore delle parole (indie, ©" f enti dì
ritirarli. Et per «r (o,fèl mouimento rhetorico fuffe Saltra maniera } ogni
mgenua perfona come sforzata, ty tiranneggiata dall’Oratore mortalmente
Codiarebbe : ne pofp credere che ninna Kepublica, bene o male ordin.it*, fol
che tJU tmajfe U l/bcrtà, comporujje 4 fuoì cittadini befferei* SI 4 Urft
in una arte; con k quale non porgli equaU,m i mi gijbr-ttiiZr le leggi loro di
dominar stttgegniffro . Re* jta a dirut in qttal inoliti diletti tal mcwmai ù,
er onde uegm cfje*/ diletto che ne gli afitti dcUbuomo partorii fcc
i'orotiùne,fia muramento appellato: che tutto che co* taitofe paiono alquanto
più pkfcefoWie . ck orione, tttttauia egli è hello ilfaperlt; miggiormenle Se
alla ma tem di che partiamo, grandemente fon pt t'inaiti . Mi deUa prima
brievemente miefbedirò : Che fi come i^di* pintore, or il poeta t dite artefici
il? Oratore fmbùnti, per diletto di noi fanno tterfì, er imagim di diuerfe mi*
nieraquali hombili,quai pkceuolì,qtat dolenti^ qud liete *po/i i't buono
Oratore nm folamente con le [accie, con gli ornamentici co numeri, ma ad ira,
ad odio or ai inuidia mentendo, fuol dilettar gli afcoltanti . lo ucramen te mai
non leggo in Virgilio k tragedia di ElijajVìo no pianga con effofeco ilftto
mah;non per tanto eonfideran io con che gentile artificio ci dipingefp il poeta
l'amor fuo,et k morte fua : cofì uinto, come io mi trotto d.dli pie tà,non
pofio itero che fomm&ìientc allegrarmi ita qual cofa non dee parer
merauiglia a chi per troppa aUegrez ti alcuni uolti fu cofbrctto di lagrimare .
E ti uero che una tallettione è polènte di più, or meno commettermi, fecondo
che et più t er meno fon dijhojh a compaflione t ma in ogniguifa più mi è
agrado il lagrùnnr con virgi* Ito, die non è Under con klartkle : Md tornando
oSl* rottone,ame pare che in quel modo 3 cheti trafitto dalli l 'aranti pudendo
il fuono coniteniente alfuo morfoji le* uifufo i er filta tanto fin che fbwmor
perturbato fi rifolitc in [udore er qaafi marefenzà onda queto flafii nr! Iwcgo
jtto ;/MHfciiefiff><UJc parole d'uno Oratore eceet* lòtte ntoffo udirà
alcuno buono «r(icondo,nonfenz<t mal to piacere sfoga il cédo f cbe k
complelìione naturale, o altro tirano accidente gli tiene accefo nell'animo ;
il quat piacere.perciocbe nafee da cofa per fe medefxma óifpk* ceuole,et noiofa
moltOtcbc non diletta,fe non per queU4 conformiti eb'è tra lci,ty l'affetto
deWafcoltanteila quaì cofa mafie PbikRrato effóndo Re detta fm giornata i «
comandare a ciimpagni, che di cokrojcuiamorimiferé méte fìn'mmojfi
ragionaffe)perb è ben fatto ebe proprii mente park ndo,taipmere non diletto, nw
mournié to ft& nomiìuto'a cuinatura odioft.acciocbe a litigo andàe non « fi
(àcckfentire i ty altrotanto per feci annoienti* to dinar zi nel conformar fi
aWaffctto nedtkttaua(concia fia coft che corta fìa k concordia delle cofe non
buone ) pere uolferoiKbetorkbe l'oratore bricuemente,^- in pothe parole fe ne
doueffe efpedòrt.Mtnel nero il diletto di l mouimento è coni un rifo nato
innoinondi uerà atte* fktIBtijm di foUetìco ; il quale continuato da noi final»
mente in doglia,cr foafmo fi conuerte . Md le facetie » ì motti,kfcntemie,k
figurej colori,k elettione, il nume» rorfilfitodcUeparole ; l'ufeer fuord
delkmateria, et al quanto,a guifa d'buomo di fokxzo difiderofo,per logkr dino
dell'altre cofe uicinegir uagando con l'inteHcttofo* no cofe tutte quante per
far natura fommamente pìaeeuo li i nelle quali di continuo non altramente fuol
compiacer fi k nofkd mentCiChe degli odori,de fuoni, er de colorì materiali fi
dilettino ì fentimenti del corpo. V a l. Fera tutetà tnatetà m poco o
Brocardo, mentre ancora ( benché di kmge ) noi feorgiamo l 'entrata del
cominciato ragiona" mento,z? innanzi che la dolcezza deldtlettog? del max
fttmento tratto ultracorte più altra yio at flagrate d'in- dire eiòy che ante
pare di poter dire con uertta de gli *f* fettig? de movimenti di quelli: perciò
cheto ho per fera ino, che f Oratore principalmente habbkatra non di co movere,
ma £ acquetar le procelle, che neUe parti pia bajfe de nofbri animi, Ora,
fottìo, er la màdia (uenti contrari] al fereno deJkragionc ) fono ufatidi
coautore; 0- ciò può far l Oratore non folamente nel fine, ma mi principio del
fio fermane jnutando foratone, chefe Cefare nel Senato a [onore de' congiuntati
prigioni. E k il Vero the quello iiìeffo Oratore che ha uirt* di rafferend re,
può turbare i fentimeni: ma chi ciò face,o è perfom vittima, che male adopera
lo [uà fetenza > quafi medico, che auelena gl'infermi ; o è di farlo
corrette, fendo coft mbojjibilt il torre altrui fèdamente dallo ejlremodel* f
oiioit? nel mezo della ragiaue riporlo, fenza alquanto fargli jentire
dell'altro efìremo contrario, La qual cofé auegnadio che ver afta, non per
tanto, uolgarmente par landò, fìamoufai Udire efjer proprio deU" Oratore
ìt cominoiter gii jifeta, fecondo il qual modo di faueUare fece il Soranzoùfua
dimanda :percìocbe il mouimento èautÀgaripmnoto,a'pareopradimagporforzache la
quiete mnè: fenza che la maggior parte de gii Or j* tori orano apnc non
d'acquetare, ma di commouere gli af cattanti. Io iter amen te per una terza
ragione, ho api mone, che ali Oratore {hu portegna d commouere, che
tacqm^ tacqttetare iconcioftacofacbe iartefua non fokmente
turbando(ilche è noto per fe medeftmo ) m componete dogUaffettì t queUimmua
> a'fofp'tngaìche grandifiima noientu deeefferqueUa decoratore ne nofhri
animi» qtulbora a benfare ne perlmde,cofaoprandù con le p4 role in unahor^che
inmolti anni utrtuofanentc uiuen* do,a gran penartele acquijiarfi il pbtiafopho
. Hor ne* dete hoggimaific k R betono* è atte comeniente atta ci ittita della
uita,cr aUa public* libertà) cr fe ilcommottcr gli affètti è operatione piti,
ometto aU 'Oratore bonore* itole de$infegnare,w del dilettare, Eroc. Certo fe
il mouimento oratorio fuffe tale, er ft fatto,quale dianzi il
defcr'iMuatejmakfecel Ariopago a divietarlo agli Athenkfi i maio non uedoebe
egli fiatale, confideranno the Foratore nel trattar de gli affitti, ponga mente
pili tofio aUa etagj atta fortuna che ciperturba,òealkr4 gione,cuifola tocca di
temperarne . Ma pojìo cèfo che eofi }ìa, come mi dite, io ho per fermo, che
cofi come per le ragioni già dette concludemmoicbc la dottrina del foratore a
gli afcoltanti infegnata non è (denta di ueri td.nw opinione, cr di nero
Jhntlitudwe,fmelcmentc k quiete dcfeiitimeiiti,che negli animi bumani fuolgene
rarela Grattane none umii,ma dipintura delia, uirtu: eonciofia cofa che U uirtù
è un buono babito di cofiunù, ilqualencn con parole in ijlantejnu con
penfieri,or con opre a lungo andare ci guadagmmo . Wrf accioche non creggute
che U buona arte Rhe* torica di tutte Urti reinajia una eerta buffonariadd far
ridere t benché egli tibabbhdi queUi chealk cucina cimi la^imigliarono) noi
douete fapere, che dd numero dcu"arti,altre fono piaceuolij^ altre utili :
quelle fono le utili, le quali communementc nominiamo mecanke: delle piaceuolt
parte Im uiriù di dilettar l'animo, parte il cor» po delle perfonew parlando
più chiaramente pjrte il feti fojparte la mente fuol dilettare. La dipintura,et
la rnufì* Citigli occhiagli orecchi'; gli unguentari},il j;<j/ó i! cww co,
li gujìo j er la Jiufa ccn la temperanza del c.ddo Ino, tutto l corpo con
magHìerio piaceuolc,fono tifali di con* fortareittu te artiche Ciiìtdletto
dlcitano,qvMtù al prò pofito fi conuiene,fono due ; cioè rhetorica cr Voefta:
le quali, muegnadio che altramente che per gli orecchi paffando, non peruegnano
aU\ntelletto, nondimeno perciò fono da effer dette intctkttudi, che elle fono
arti deU le parole, ijkometi deltinteuettoi con li quali figmfìchia tao lun
tauro ciò che intende U nojira mente. Certo del la «o£rc,cr de fuoni è la
mufìca, con la quale annoucrando igrauijzr gli acuti } quegli in manier4
tempriamole diuerfì ( fs come fono ) jì congìungono infieme a generar
thartnoniaxhe non pur noijma moki bruti animali muo* «c,CT diletta
mirabilmente; ma la Rbeloricajy la pot* fia fono artifici] delle noci de gli
huomini, nocome gratti C7 acute t ma propriamente come parole, cioè in quanto
elle fonfegni delTinteUetto, quelle accordando fi fatta' mente, che ne nefea.
una confonantia, U quale, metaphoriamente parlandola primi rhetori al numero
mufteo dflimighandola, numero anch'effa fu nominata: fcnxA d qital numero,non è
oratione la erottone; er col qml nu* imo ogni mlgarttet inerudite ragionamento
più hauer nome ioratìone. Ma quello è punto ì che aben uolcrlo
mm0are(conciofucbe in Mfolo,quaf in contro /ir* mifiimo, è fondato il dìfcorfo
di tutu Urte oratori* ) c mefòeri che un'altra nolta per altrajìrada noi ci
faccia tuo da capo,conftderando che tutto ì corpo detta eloquen tia quanto
egliè grande, non è altro che cinque membra, CT non piu,cìoè parlando
latinamente jnttentione,difj>o* fttione, elocutione, attiene, CT memoria .
Infra le quali, finta alcun dubbio la ebcutioneè la prima parte, quafì fuo
cuora effe anima la chiamafihnon crederei di mentire: dalla quale, non
chealtrojl nome proprio della eh* quentìa, comeuiuodauitauien deriuando . Et
per certa la muentioncjty dift>ofttione,fono parti che alle cofe per tengono
: le quS ritrattate nelle feienze uà ordinando U erottone } ma la terza, per
quel chefuona il uocabob,i propria parte delle parole, le quali non à cafo, ma
eoa giudicio eleggiamo,*? dette leghiamo. Adunque aiate* gna che la elocutionc
fia un terzo membro della chqitett tia, iiuerfomolto da primi duci nondimeno
ella è fuo membro fj principale, che netta ifleffa elocutione nuoti*
inuentìone, et dijpofitionc oratoria ut fi poffono annouerare. etctoè, perciochenon
ciafehedma elocutione è or* toru,anxi in ogni linguaggio «vite fon k
paroltjequali ttilitroppa,o uabgari,o afbre,o uecch'te, umciuile per* fona
mninfmtofi in gtudicio, m con gli amici, cr co' famigliari parlandoci
guarderebbe di proferire: etguar derebbeft fxcèntnte fenxA arte adoperare, foi
che un tempo dèh fu uiti con gentili^ difereii kuomwifuffe ufato di conuerfaram
le parole gUruromte dfikhcbia fe,& fotmtijporreinftemeycr otte prima ddfe
mdefime <tUc cofe fignifkite faccomodawtno, hor trifefìeffe gli decenti
loro,cr le loro fiUibe inmuerandoyidmark è «-ti/few: it quale folo,o primo fa
Orator lOrat ore. Et ttenmente,fc quello è nero che io trono fcritto né"
Rbeto ri, ftmtentione,cr dijba fittone (fette co/e effere opri più toflo di
prudenti, cr accorti huomini, che di eloquenti Oratori Job il [ito Me parole è
tutta Ixrte Oratoria: onde tutu è k quejìione del dilettare, del mettere, cr
AcU'infegnire . Che, come il mcttere,& Sdegnare fono frutti cCinuentione,
le cui parti fon proemio^arrattone, diuifione, eonfìmationc, confutinone, cr
epilogo; cofi il diletto fi dee dire opra deUi Oratoria elocutione. "gorfe
io u annoio mentre con le parole ualgari, k Ixtine, CT le greche uà
mcfcolxndogr contri quello ch'io ui di* teua pur dianzi > non difecrnendo
frale parole come io U trotto coft le ammaffo, cr confondo. Ma che poffo iot
cèrto qucjti è colpi de nofki padri Tbofcamjt quali fion curando k cofe grani,
che aUedottrmepertengono, follmente deUeamorofe con nouellettt, cr con rime fi
dettarono dt parkreiben u y hi di quelli che fumo arditi in tentar le fetenze^
pochi fono,crfeit&t fama ; CT fi anticbiycbel ngionarne co' uocaboli loro,
per la loro UtcchiaXi, uta più jirani che i Latini non fono, fareb* he opri
perduta . Io uermente qualunque wua in uece ài njtrationcii amftrmdtme.cr di
confutarne, diui* [mento, confirmamento, cr dif ermamente dicefii, me tnedefìmo
tra gli intrichi di total nomi facilmente rauol perei m marna* ebe in qudparte
Sortitone fidjc intra. topcr to per ragionarne, potrebbe effcrcbe io r,d
fcorclifii . F, v adunque mn mule iìrkorrere a forrejìicri, le cuiuoci
intendiamo, che a mftrani che non i'mtcnàano,imàando i Latmìi quatt dd padri
Grechi le dottrine,?? le parole prendendo, ferono lor priuitegio di poter tffer
Ro>w« ne cornetti in lor feruigio le adoperarono .Val. Infitto a qui uoi non
ufajle parola, che alcun uolgare a fiottandola fe ne douefa merauigUd re: ; ma
procedendo pinoltrit uoi incaperete in concetti che ragionandone, a volere
efiere intefo, uifid meflieri di proueder di «dei* toh, che a gli orecchi di
Italia fi confacciano un poco meglio, che t Latini non fanno, B k o c.
Ragionando con efio uoi netti prefente materia, la cui mente di gran lunga
lentie parole preuiene, non ho paura di doucr dire ucabolo che peregrino to
ejitjlimiaie . Val. kvxgnadio che delta arte oratoria tra mi pochi, et con
jtiUrimofio molto (quale* camera fi conmene > habbiate tolto a parlare:
nientedimeno io tri configlio, che cenquetTammo, er in epteimodonefautUiate,
che mifartpejeinprefentia di motti cofi dotti, comeigno untine ragionafte;
laqualcofa perauentura auerrà t perciochtl Soranxo Mgentifiimo gnardatort de
ho* fhi detti, quelli in uno raccoglier k, CT raevUì, non pò* irà fare che moki
just amici diftderofi di novità, non ne faccia partecipi .So% Certo m fui
partir di Vincgia mio germano mefier eteronimo grettamente mi comandò, che
mentre io \\efiiin Kotogna, d'ogni cofa^he h giudicaci notabile, ne lo donefit
auifare, er botte fot* to infttìhmspenfate qutUhe io fatò permmvdicoft DIALOGO
tmbit r<tgtonmento:dopol qua^permio gtudkb, um* ito ì
Papi,ctgflmpcrddorì.B boc. Ben conofeo meffar Gieronimo, atk prefenza dd quale
ne paroline oprc,fe non elette jion fon degne diperuenire . Ma noi Soranzp
foche fare ilpotrejle) farcjìe bene, detto che io xrihébk mia opinione,queUa
jlelfa con altro jìilc di feri uere,che non V udite dame; che una coft è il
pastore prk «diamente,?? dà omico,fi come io fdfeio con ttcixt altro, i lor
fmuere altrui d perpetudmemork de paffati ragio- namenti .r?ncl aero,fcciò
hauefii penfato *thor, the fejle li qucjìione.Q io taceua del tatto, o cofì
tojio non r| fbondetm cbelcpdrote>a' le cofeche a cotale arteper' tengono,*?
foprd tutto il porle inficine, con heUo or« ime ckfcheduna afuo luogo
dijliutamctc efbticareèfat tura di motti giorni, non d'unbora, o diàicsna rio
errai neWmcomnciare, forfè net perfegwe tiimaidarò, Se otte io pen fitte
hoggidiaìqnanto ufctndo detta mteritt di tutta l'arte oratoria (che ch'io
nefappk) Ifaermcnte- parkruiiadoprando quelle parolesou le quali tw Latini
frittali '.ftitdki d'imparark i bora alcune poche cofette^ che al fitto
mffroccwengonojwieucmente percorrerò: coft ài un tratto pagarò il debito del
dmer dirui mia opi Bi«te,et ddftQgli dth)e parole latine, nelle opali d lungo
Mudare il parlamento fi ramperebbcbelkmcnte miguar dirómpili faggio nocchiero
di me kfeiando k cura di do utrfarefi perigliofa «àggio, nùque al prcpofito
ritorni do,bécbe diati ftcÓdo i rhctorijo ui dicefU £mfegnarc,e U mauere effer
due opre d'muentione conciofiacofa che
quoto motte il proemio,®- [epilogavamo infegtia la tur rottone,
ratione,et cottftrmatione ; nondimeno mutando in meglio mi* openione,cr cofa a
coft proportionando j a me pare di douer direbbe impegnare propriamente alia
dijj>oft* tiene portegna ; tome in contrario k confufion delle cofe ci
partorifee ignoranti, Adunque [empremai col mo lamento la àutentione, et con k
dijfccfitione Cuifegnare > dm il dilettoci che parliamo, con lafua madre
clocutio* ne,forma,',a' aita dell'eloquenza, meritamente accampi gnarerao.
Quindi pacando alle treguife di caufe dall'O rotore confìderatcg? a tre jìiU
ucnendo,cioè che tre mo di di dbrejuna aU "altro con mijura agguagliatilo,
io li con giungo in maitiera,cbe la ciufa giudicale, cui è proprio la grattiti
dello jlilc,al mouuncntow inucntvmeJa deli beratiua coljuo }Ul bajfo,&
minuto alla dtfbofitìonc, cr aUo infegnarcuuimamente la caufa dimojiratiua
medio* cremente trattata.aUa elocutione,et al diktto,dirittamctt ttfta
ribadente. Le quai cofe m cotal modo difpoéìe,pro cedendo più oltra facilmente
fi può concludere, che cofì come tra le parti d oratìone la elocutione è la
prima, CT k caufa dimojiratiua è k più nobiie,ct più capace d'opti ornamento,
che d'altre ducnonfono&glifìili del dtre, l'I più perlettto,zx più uirtuofo
è il medmera ilquale non è auarojx prodigo,ma liberale wn fuperbo,ne abietto,
ma altero, non audace, ne piiftUxiìimo, ma ualorofo; non kfciuojte (lupido, ina
temperato,coful diletto oratorio al mouimento, ey affmfegnare è ben degno, che
fi pre* ponga . Però ueggiamo non fempre mauere,o magnar Voratore > ben
quello ijleffo per ogni parte ioratione, in ogni cauja con parole
elegàttjiudiarc di dilettarne: dqtu K le
te non contento del diletto delle parole, per raddoppiar* ne il
piacere*? compitamente addolcirne,r icone ai ge* flo^dff 'attiene detoratione
condimento, cr mele, er Zucchero foauifiimo degli orecchi, et degli occhi
nojìri, X)aQaqu<tleattione,perqueliagratia,cbe è in ki.dcpen de in gwi/rf la
uertù deli'oratu ne, che ella è nuUajcn* %ieffa;la quale fentenza da Dcmojlhene
data, E/cIn* lìt fuo auuerfmo poco appreffo con bcllaproua ci con' fermò i
mentre leggendo a KhodianiU oratione di De* tnojlhene, marauigliandofi gli
afeoitanti, bebbe a dire Ueramente m^rauigliofa effere Hata la oratione, effoDe
tnojlhme recitandola iquafi dire mlejle,Cattentioncdel recitatore potere
feentare,cr accrescer forza aU'oratio* tic j er in maniera da fe mcdeflma
tramutarla che non pa rejjè pia d'ejfa. Val. inu jrc&cfori/ Soranzo
eonfentd^ cbedikttattdopiu, che infegnando, omoitcndopcrfuadd la oratione,egli
difetta d'intendere con quat ragioni con tra la mente di Cicerone gli
protiarcfe, che la caufa de* mofìrattua fiapiu nobile dell'altre due,0-che
defliliil migliore fia il mediocre : ef per certo da due colali pre* ìmffe più
tojfofalfe,che dubbiofe^alanetcfipuo decide re U queflion dijbutota. ErOc. Qui
dfbcttaud,che inter rompere le mie parole ì fendo certo,chcctò io difii dcUd
tanfi dmoflratiua, cr delio Me mediocre Subitamente
rifìiitarejle.Peròfxppidte,ct)dppìalo anche il Soranzo» che ragionata di cotai
cofe con mufemplice narrattone, cr fenza dkmodrgomentojvbebbiinanimodich'giun*
gere infime ì tre jhU,te tre caufe, er i tre modi del per* imicretCW k tre fwM
d'erottone m maniera che atta in ucn l^O ucntione il mouimentonelkcdufa
giuàicìak t conlo jUl graie principalmente correfpondelfe : ma éU dtfeofuio ne
Fmfegnare,tiella caufa, deliberatila con lo /iti baffo:ul tintamente ti diletto
ali a docutioue, nettd caufa demojìra tiut con lo Ihlc metano propriamente
fmferiffe Al qud* le ordine da tutti i Rbetori cofi greci,come latini, effere
flato offriuto,cbi le loro opre riguarda, fidimele giudi cari laqual cofafe
eofi è(cbe certamente è cofi)uoi me de fimi per una ijleffa ragione
argomentando k oratoria. tlocutione,con tutta quanta la fchierd fua, alle altre
due partid'oraticne con le loro ordinate debitamente prepo nercte;cbs no è
honejlo ilbncn col ti ijlo agguagliarexia. il tuono al buono,etal migliorejl
miglior fliie,fwfe-,c<t« fdyCt per Jual ione, co rdgtoneuolmtfura dee
pareggiai, M a de (itli poco appreffo perauctura ragionaremoye del diletto fi
èfauellato a bajlàza. Dunque alle caufe ucnen* 4o>come io dilUjtoji ridico
di nuouo, che la caufa demo* fìratiudè laputborreuole, la più perfetta, la più
difficì le&finahnente la più oratoria,che tutina deU'dltrc due: la qual
cofa mentre io tento di dimofirarui, io iti prega, che non guardando alh fama
de gli faritlori detta Kheto rka, poniate mente atta uerka : la quale da
ragione aiti* tataro mi apparecchio di palcfarui. Perciò che altra co* fa è il
parlar di quejla arte, le ucne fue, ifuoi membri » l'offa, i ncrui, er la carne
fud dnnoaerdndo, partendo: la quA guifd d'anatomia, hi infegmtndo con Itrd*
gioii! operiamo ; cr altra cofa è il parlare oratoriamen* te al uolgo,
àgiudteio, d Senatori, <fteìUaUettando,cr mouendo iti che non faccio ai
prefente orje una uol* Ri U U(che Dio noi uogtkyjl farò : quando t
ubìdiendo,a mio padre, la «o«,er il fìtto, che ei mi donò penderò a litiganti.
Hot di quefio non più, et al propoftto ritorniamo. Io ucrmentc le tre caufe
oratorie per li lor fini, per Ufo ro ufficij,et per te loro materie 3 con
diligenza confiderai dojia pojfo akro,ée credere, che la cattfa dimofkatm fta
infra tutta la principdled cui fine è koncflà; U cui ma teria è uertù^cr il cui
ufficio è il dilettar intelletto, ®- di ien fare ammonirlo. Quindi nacque il
coflunte nella republica ateniese, publicamente ognanno queicittadi* ni
lodare,iquali fortemente per la br patria combattei dojfuffero flati ammazzati.
La quale annua aratiom (fe A Vintone crediamo}lodando i morti,® le uertti
lorojut to in un tempo le madrij padri,® le mogli confolaua he nignamente 5 ma
ifrate&j figliuoli,®- i «ipoteche doppo lor rimaneuano, a douer quelli
imitare, ®- farfì loro fintili mirabilmente accendeua . Adunque non indarno fo
ìeua dir CiceroneCICERONE (vedasi), ninna guisa d'or ottone potere efferne più
ornila nel dire,ne più utile alle Kep.di quefia una,di mojìr attua : i cui
precetti bornio uertu non folamente di farne buoni oratori,ma a douer uiuere
honejìamente con bella arte ne efortano ; il che di queUìdeUaltre due non amene
; con effe qudifpeffe fiate guerre mgiuBe perfm demo, er uendieando le nofìre
ingiuricjhor gliimtocenti offendiamo, bor difendiamo i nocenti.Confufamente
peruuentura più, che io non debbio, uà comparando fra loro le tre caufe
oratorie ; il che faccio, perche io difidt* ro divedimene, ®-adar luoco al
Valerio^he s'appre flaper contradire: mi ambiiue col uojìro ingegno il mio
difetto adempiendoci parte in parte k mie parole d$in guerete. Adunque,feguitando
il ragionmnento t etfra me jìeffo confìderando ciò, che dianzi dicem
deltoration di Demollkene, fomm<mentc daWattion dependente Jbofer minima
openione,cbe nelle caufe deliberatine, cr guidi* cidi molto più opri la natura
decoratore, cr della mate rid,cbe non ftttarte oratoria, il cetraria è della
caufa di* mojhratiud,neUd quale kggendo,non è men bella U ora» tione, che
recitando iperò ueggiamo mediocri Oratori bene informiti delle ciudi materie,
cr aiutati dattattio* ne, tj dalla memoriajn Senato^ er in giudiciofoler par
htre affai bene : che in té cafi dalle cofe trattate nafeono in noi le parole ;
le qualiconcordate con li concetti deffa nimo, ne riejce queUa barmonia, che fa
3upir chi l'afols td.Verk qual cofa molte fiate ne comandano i Kbctori, che non
curado della uaghezza delle parole efqmftte, ad alcune altre non coft beUe,ma
proprie molto» cr di gran forza neWefplìcare i concetti,uolgarmente parlando,
ci debbiamo appigliare : ma nella caufa dimoflratiua è ine* flierinon foLonente
di concordare le parole a i concetti^ ma quelle fcielte,ey dette fi fattamente
ddunare, chepa* re a pare t tyfmile a fimik con belld arte fi referifed :&
quelle ijìefji parole bor raddoppiare, er replicarle pia mite jhora a contrari)
eògiungerlc ; imitando la projpet tùia de depintori,iquali molte fiate il negro
al bianco oc* compignano,a fme,che più beUa&r più alta, et più ilhi* (Ire
cifimojbri lafua bianchezza- Le quai cofe,tutte qua* te fono puro artificio, ma
in mdniera difficile, che dWitnprouifo poter lodare, o uituperare
eloquentemente, farette opra miracolosa. E il uero che nell'altre due cdU f
edema uolta tutta betta, er tutti ornata ua emulando U oratione ; cioè a dire
negli epiloghi, V ne proemij i il quali proemij ; benché primi fi proferivano,
nondimeno ft come co/c più oratorie,et di «tàggìor magiflerio, gli ut timi fono
> che fi compongono : cr li quali CICERONE (vedasi), padre, cr principe
degli ebquéù douédo orda rc, di parolai» parola bnparaua^ 4 memoria gli fi man
dalia. Adunque può bene efjer,cbe le due guife, Senato* riae giudicale ftano
agli fotimmi pi» neceffarie di que* &a terza demo\bratiua;et che da loroifi
come prime che fi trattarono ) Thiftd, Corace, o altro antico Qra ore l'arte
Rbetorica i'infegnaffe di generare ima lepiuuot te quel, ch'è ultimo per
origine,àuenta primo in perfet* rione j fempremai neUbumxne oper adoni, iui è
»wggior l'artificio, oueil bìfogno è minore : eonciofiacofa, che nei bifognila
nojlra madre Naturaper fe fola, da niund arte aiutata è tenuta diprouederne. Naturalmente
con le xmpe, O* «> danti pugna t Orfeo" fi L ione ; et U damma con U
preSexx.* del cor/o /ho fifotragge aU fmgittrié. F<* ilfuo nido la Kondine ;
nj la Ragna teffendo fi pr xura di nutricar ji una noi buominicrea'ure
ciuilicontaiutodeUe parole, mefU cfegnideU'inteUet* to, con gli amici dell'
auenir configliamo ; a" raffrenai* dole mani delTìrdccndia minijìre,hor
dar.entcid noi prefenti ci difendiamo ;hor quelli tfìejii offendiamo. Poco
adunque miai caft ci puoinfegnar l'artificio ìfc non dijponere, er ordinare U
inueiuione naturale ì ma mila caufa demo(bratm non ncceffamalk wftraui ti a k
parole, le cofe col loro ordine, CT col /j(o /cw ro jóro puro artificio : il
<jMd!e /cmiiufo nefk «afwa <fc/» le due prime, cr dafl 'indujlria nudrito
divenne grande » CT neilff f er^J dcmojiratiua,quafi terza fui età, fi fc in*
tiero.et perfetta,?? coft intiero cr perfetto, non pur ititi lira la buona
confà demojìratiuà, itero nido Mfuo iplen dcre,ntà riflettendo ifuoi ràggi le
altre due pia inferiori f caldai alluma mirabilmente. Quindi adititene, che
v.ei kcaufegiudicialild gii$itia,eyleleggimoltc uolte fon laudate, erbiafunato
cln le perturba ;et ne confglidel* k Kepttblicc la libertà, la pace, er la
giuda guerra con /ornine Ludi fi effaltano ; er i tirami con uùuperiofon U
cerati . Là quaUnijlura di oratione nelle Pbilippice di DemoBbcne,neUe Verrine
et Antonimie di Cicerone,, riufei opra meraitigliofa. Finalmente Carte jet le
caufe 0* ratorie a fentùnem di nofìra uita agguagliando, ofo di* rcj che le due
prime fono il fenfo del tatto, fenzà le quili non nafceua,ne uiuerebbe la
oratione : ma la caufa demo flratiuotornamcnto della Kbetorka,è oeebìoet luce
->che fa chiara la uitd ju.tykiagr.de inalzandole nulla del* Maitre iutnon
èpofjcnte dipcruentre . Sia dimando m buono buomo pien d'ELOQUENZA,??
d'ingegnojlqudle u* feito della fua patria folo,z? mdo{quafi utìaltro BÙnteX
«e/ig.1 a Harfi in Bologna^ be farà egli deSarte fuaife e*. gli accu[a,o
difcnde,ecco un tale amocato, che uendc al uolgo lefue parole :fe delibcra,non
fendo parte deUs Re publica, i fuoi configli non fono uditi . tacerà egli, er
jiafua uita otiofa ì non ueramentc, ma di continuo con lajua penna nella caufa
danofìratiuabiafìttmdùtty R 4 lo toltitelo Ufua eloquenza
effercitara . La qttat cofa non per odio>o per premio, ma per itero dire
facendo jn poco tempo non follmente da pari fuoijma da /ignori, et da regi (ari
temuto,?? Stonato. Sor, Qkc/ìo ttojìro eh t{! lente (fe non m'inganna
lafimiglianza)è il ritratto delt Aretino. Enoc, Io non nomino alcuno; ma chiun*
quefì è,einon può efferefe non grand'bmmo,ondc ante pare, che quefìa caufa
demofkatiaa tale fid alla fenatoria, w giudidale, quali fono le dignità
ecclefiafticbe aUe grandezze de fecolari ; queUe fono naturali fucceftioni t
qnejieper propria indufbia acquisiamo . er ro/ì come un ^articolar gentWhuomo
fatto Papa è adorato da (noi /ignori, cofì al buono Oratore per la fua caufa
demofbra tiua cedono igrandi del mondo : che ilcaufidico,w il Se nitore non
degnarebbeno di guardare. Ncn per tanto jon de uegnaxbe neff altre due cavfe i
parlaméti aratori) per li lor grattiti nonfonmen cari ad udire deU'orationi
demoflratiue, non è difficile il giudicare. Perciò che ifog* getti di quelle
due fon cofe trance pertinenti parte alla uita della perfona, parte aUo Hata
della Kepublìca : wt4 quefU terza demoftr attua i uiui,imorti lafciando flare,
folmente gli altrui nomi, cr memorie, d*ogn'm(orno di tode,z? biafimi ita
dipìngendo . Adunque, cofì come il tteder pugnare a. corpo a corpo due nemici
in camifeia co le coltella affilate, è affetto non men grato per le ferite
typel ftngue, che fta il combattere a giuoco esercitato da fehermidori con
artificio merauighofo,caft te caufe ciudi altrettanto per le materie trattate
fono ufate di di* Iettarne, quanto quefìa demofkatm con Ufua arte del dire ne
recagioia,cr fotiaxzo. Quindi adiuiene(fì come dmziio dicetu)cbein Senato, et in
giudkio i medio* tri Oratori uolontieri affidino, out il difetto dell'arte col
[oggetto ali che ragionano, facilmente fi ricompenfaz m le orationi demofkdtiue
( fi come ancora i poemi ) /e «ori fon cofd perfetta,non è chi degni ne
d'udire, ne di He ocre . Et queflo batti al diletto, ey dSd cdujd demojbati
Ud-m Vderìo,cbe ccnofcctc i miei falli, ghdicateìi, et correggeteli. Val. Può
ben effer, che quel ck'è detto bdjlì al diletto^ alìd ciuf a demollratiua, ma
non balli a gli Mi,dc quali,fbecialmentedel mediocre, fiete obli' g<rto di
(duellare, B e o c. Veruna ifteffit ragione po tria parlare de gii ornamenti^
delle fomcdcldirt,o' dello flil mediocrexoneicfìd cofd che L ebcutionc è quei k
punte della Kbctoriat, antiquate,®- col diletto, cf con lo jìil mediocre
kbltondcaufd demofhriìiua fa decompdgnata da me : mi qucflaè opra d'altro
ingegno, et tfdlìriindufhridrcbedetli urna, fenza che ciò farebbe uri njcir
fuori di quel proposto, interno di quale pideque al Soranxo,cbeiofaueUaffc,
Sor. Come Brocdrdo, è fuor di propofito il ragionar dello fìile, con effol
quale Urationc genera in noi il diletto,cbt al mouimento,r? d l'infegnate
facete proua di proferìref Broc. Ocià ìfuordipropofito,oiofonfuor dimeflcffo,
cr non Cmtendo come io deurei i per la qua! cofa in ogniguifd io ho ragion di
tdeere, Val, Ecco Brocardo noi conferii' tìamo,che'l parlamento de lìili,quando
a uoipiace,in ah trofempo fi diffcrifcd.Uori(il che negare noncipctete)
infegnatene ài che nwùera ì O' quai precetti o fermando, IL TOSCANO ORATORE
[cf. Grice, “The Oxonian philosopher”] in ciafcheduna delle tre cdufe,pof* fa
ornarli di quel diletto, il qual impreffo ne noftri annui ne perfuade a
douerfarc a fsto modo :che con ul patto noi rijbemdefìe alia qucjìian del
SorM^o. Bnoc, Guardate che d dbrcofa non m'induciate, che la lingua Tofcana tri
faccia battere in difbctto,cbe molte co/è puh tio beUe,cr nobili molto, quando
fon fitte ; la cui origine è ui\ifiimd,et ripiena d'ognibruttura . V a l. Già a
feotari di medefima,per fare ogni amo urta anatomia di cor pi bitmani,cj in
quelli uedera,oue er come notte meft ne portino le nojìre madri,®' portati
cipartortfconojio fon men care te belle donne,che elle fxmo agli idioti, che té
fccreti non fanno : però dite ficur amente, che'l parlamen toma cominciato
farebbe nuUa.fe in tal fmeiton terminaf fe. B r oc. Vorrò pofeia, che
minfegnate an àie noi i udiri madidi
perfuadere, con li quali, benché molto taoff.-ndano.me al prefente fignor
ergiate sfor, %ate . Sor. Duolui t-mto ch'io impari t B r oc. Per certo fi,
percioebe attendendo aSe mie panie, noi iatparsrete quel? ijteffa ignoranza,
che in mollami con moka indultria, er con poco honore la mia fcioccbexzA mha
guadagnato : cmciofucofa,cbe i precetti ch'io ubo da dtre nonfono altro,che la
bidona de i miei dudij; con effo i quali fon fatto t Acquale io mi fono. Sor.
ogni punto mi pare una bora yebe de precetti mi faiieUutc,con U quali brutti er
uih{came diccjie)diuenti atto a far bel* la la or ariane italgare. Adunque
incominciate,(euci me am.tte, CT quanto più facilmente potete,diclmtr atemi il
itero, che non ha faccia ài uerijmile, Broc, ìacil cofa fìe Udopra-e ìprecem,Uquali
intendo di dìmojtrar uima al mio iudìcio non fon cofa,che uno ingegno par 110
fìro debbia degnarfi d'adoperarli i però uditemi, ma con animo d'ammendarmi,
non d'imitarmi, lo neramente fin da primi anni dijìierando altra modo di
parlare, cr di fcriuerc twlgarmente i concetti del mìo intelletto, c que* /io
«on tanto per deuere eflere intefo(il che è cofa da ogiù mlgare)quanto a fine
chc'l nome mio co qualche latt de tì-a ifamofi fi tiumeraffe;ogn 'altra
curapofipojìa,aU(t tettiott del Petrarca~,ey delle cento Nouelk, confommo
fludio mi riuolgeÌJicUa qual lettione con poco frutto non pochi meft per me
mede fimo effercìi atomi, ultimamente da Dio infbirato, rkorfi al noftro Mefjer
Tripbon GabrieUe-AÀ qiule benignamente aiutato uidi, Cr intefi per fett amente
<]i<ei due autori i li quak\nonfapcndo,cbe no* tar mi doueffe,hauea
trafeorfo piu uolte . QKejìo noliro buon paére primieramente mi fece noti i
uocabolipci mi die regole da conofeere le declinationi-,et coniugationide nomi,
er uerbi Tofcani : finalmente gli articoli j prono* ttiij participif,glì
aduerbii,^ l'altre parti dtoratìone di* fiìntmentc mi dichiarò : tanto, che
accolte in uno le co* fette imparate, io ne compofi una mia grammatica : con la
quale fcrìuendo, io mi reggeua : in maniera,che in po* co tempo il mondo
m'hebbe per dotto, ty tienimi anche* ra per tale. Sor. infmhcra non dite
cofaxbe ci peti* tiamo ^udirla icr cofifbero the dek'auanzo atterrà, fe
colmaefko,eycon gli autori antedetti d'impararlo ut configliajle . Bkoc. Dunque
al rimanente ucnendo, poi che a me parue ieffer fatto un foknne grammatico,
DIALOGO tonfberanzagrandijlima di ekfcheduno,cbe miconofce m,
io ini diedUlfar uerfiiaUbora pieno tutto di numeri, ài fententie,pr di parole
Vetrarcbefcbe ì er Boccacciane, per certi anni feicofe amici amici marauiglhfe
. po* fck parendomi,ehe la mia uena iincmtinckffe afeccare ipcrcioebe alcune
uoìtemi mancaua i uocabott, er non battendo che dire in dmerfi fonetti, uno
ifleflò concetto mera venuto ritratto ) a quello ricorfì, chefe il mondo boggidi
; er congraudifiima diligenza feì un rimario, o vocabolario «algore:
nelqualeperàlphabeto ognipa* rok,cbegk ufarono cjueftc due,dijiintamenteripofmy
tra di ciò in un altro libro i modi loro del deferiuer le co* fegiorno, notte,
ira, pace, odio, amore, paura, jberan* Xst, bellezza fi fattamente racolfi, che
ne parolaie con* tetto non ufcitu di me, che le NootSc, er ì Sottetti foro non
me nefuffero effempio. Vedete uoi boggimai <t qual haffex&t dijeefi ; er
È» che Bretta prigione, cr con che Ucci m'incatenai . Ma molto più bo da dirui,
che io non u'hodettofm'qukperciocbe bauèdo io(come dinoto {Tom biàut foro)ogni
lor cofa cofi latina come uolgarc trafeor fb i cr ueggendo le foro cofe latine
per rifletto alle To* fee, non effer degne de nomi lorogiudicéctò douere aite
ttircperciocbe a uarie lingue uarie grammatiche, fegtien temente uarie arti
poetiche, er uarie arti oratorie corre fpondcfferczrcbe Petrarca, e Boccaccio
le lor uol garifapcndo, ma le latine (colpa o" agogna de tempi loro)
ignorando, tante bene Tofcdnamente fcriueffero; quanto male latinamente
poetarono; er orarono. Perk qual coftkfciaifiareitonfìgli detnofoo padre Mejfer
Triphone, Triphonejlquale a poetar uolgarmente con Forticcio U tino mi
richiamano, tener uoUi altra (froda : per la quale mcttendomijon giunto a tale
} cbe io ueio il male^non lo poffofchiuarcMaperchc il tutto fappiate.foleua
dir* miMejfer Tripbone,che al Petrarca teffer nato To/r,c m,&fiper ben kfua
lingua,et in contrario il non [aper- ta latina, benché Torte tenefje, fu cagione
difarbgran* de neffuna, ma neSaltra molto manco, che mediocre . UaaVincontro mi
fi paratia tefoerienza ; percioche 4 di nojhri U città di Fiorenza cofì
Tbofcana, come è,non ha poeta, ne oratore pare al Bembo gentiluomo Vini* tiano
. A dunque potuto barebbe PETRARCA (vedasi) con VIRGILIO (vedasi), cr con CICERONE
(vedasi) far fi tal oratore, ®- tal poeta latino, quale U Bembo con Petrarca,
cr con le Ranelle è diuenti to Tofcano : la qualcofi non emendo auucnuta,/cgno
è t óc in due lingue ha due arUi però il Petrarca con l'arte fui uolgare
componendo latinamente,^ minor dife flef* fomentre egli fcrifjh nella fualingua
Tofcana. Conftr* mauamiaopenione iluedere ogni giorno alcuni buomi* ni pur
Tofcani latrati, er digrand^ima fama, li quali tolti dal Petrarca&hor
Tibulb,bora Ouidio,hor Vir gilio imitando faceuan uerfi uolgari ; li quali
mezzo tré volgari,®" latmi,parimentc a volgari,?? a latini jpiace* nano
iinfra li quali chiunque con nuoua gutfa dt rime t afenzarima ninna ilatini
inùtaua, meno errano- al mio parere, er con giudiciopiu ragioneuale kpoeftecon*
fundeuaipcrciocbe toglièdo a uerfi la rimo,o delfuo loco mouendolx fileiubro
gran parte di quella formami* gare ; che i latini, er loro arte naturalmente
ékonfee . qualcoft fi pronai ia in quel tempo, quando (q&tfì nitouù
akbimilìa)lungamente mi faticai per trottare ìhe roteo ; il qual nome ninna
guifa di rima dehetrarca tef* futa, itone degnai appropriar fi. Mouemianchora
<t douer creder eofi la nojbra guifa dì uerfa il quale contri i precetti
latini fenz<t piedi, er con rime non è mai dolce Agli orecchi, ne men
leggiadro nel caminare, di qual jì uttol dcgliantiévAc quaipiedi poco appreffo
perauen* tura fi parlari . Vinto adunque dalle ragioni, er effe* rienze
predette, a primi jludif tornai ; er aU'bora, oh tra'l continuo
ejfercitarmineUa lettion del Petrarca ( U quakofa perfe fola fenza altro
artificio può partorire di gran bene ) con maggior cura di prima ponendo mente
«fmìmoài alcune coje offernai fommamente (come io tredeua) al poetai
all'oratore pertinenti ; le quali,poi che uokte,che tal faccia, brieuemente ui
cjblicarò. Pria meramente le [ite parole d'una in una annouerando ey penfando,
ninna uile,niuna turpe,ajbre pocbe,tutte cbk re, tutte eleganti, mi fu auifo di
ritrouarle ; er quelle in modo al commttne ufo conuenienti, che eglipareua, che
col cònfigUo di tutta. Italia, thaueffe elette, er molte, In frale quali (
qttafifìeUe per lo jereno dimezzami* te ) nluccunto alcune poche, parte antiche,
ma di uec* Metz* non difaiaceuole s buopo, unquanco,fouentc : parte mghe, er
leggiadre molto, le quali, quafi gemme belle agli occhi di cufcbeduno,folamente
digentiti, et alti ingegni fono adoprate : quali fòno>gioia, fpeinejrai,
dijìojoggmno jjekà, er altre a lor fmglianti ; le quali mm lingua erudii* non
parlerebbe, ne ferimebbe k mano. Ci maio, fé gli orecchi noi
cofcntiftero. L ungo farebbe ti co Uriti dijimtamète tutti i uerbiigli
aducrbijxt l'altre parti doratione> che fanno illumini juoi iter fuma una co
fa non tacerò.cbe parlado della fua dbna,et di la bora il corpo, hard
Tamma,bora ìlpiantojbora il rt)o,hora ràdare,hor lo (ìdrc,hor ltifdegno,horla
pietà,bor la etàfmfinalmé te bar uiua 3 bor morta deferiuendo, ty magnificando,
k più mite i propri) nomi tacendo* mirabilmente ogni cof<t dell'altrui
Uocifuote adortiarxbiamàdo la teiìa oro }mo t tj tetto d'oragli occhi
folitfìelletZapbiro, nido cr alber go d'amore de guancie,bor neue et rofe,bor
latte cr fuo co; rubini i labri, perle i dentista gola cr 1/ petto, bora moria,
bora akbaBro appellando : cr quejìo bajìi alle ditùonhiai dalpoco,cbe io dìcojl
rimanente, che è ntols to,pcr tioi medefsmi oficru&rete. Hor venendo alia
ora* tiotte, mila quale quejlo raro buomo le parole, che io ui lodai co bella
arte ua coponendojifguardado alla copia, io m'accotfi che bauedo detto Una mlta
litme,fitoco,cate ftajdilcttOjdoloreft altri tai nomi,maì 1 mede fimi in quel Sonetto
no ridiceuajna in lor loco raggio,luce,fp lèaorei
fÌMU^rdoreffamUe^nodOfUccioJegame^ioia^piaccre,
pena,doglia,martiro,fìrato,affatmo et tormèto }i ddetta ua di reppticare. Oltra
di ciò io comprefrxbe egli *<naM di contraporr e i cantrarif& a quelli i
propri) affetti, cr le proprie opre, propriamente parlandoci cogmnger di
ftderauddella difeordia de quiltj'uno aU'altro co mijura
correjpotidcndo)ì,ufciuafuora il contètOicbejente 1 gn'u noi cr pochi fanno la
[ita cagione . Ma ueramaiteqicHx cracoja mdrmghejx,iry-dcgn*certQ didouerc
e);cre uff tan diligenza offeruata, che té contrari], crtaiuod, quafi
(ili della fua telajn teffendo U ormone fono ordì* te in manieri, che ne afare
per U fhrettezza, ne troppo motiijO <dUrg<Uc > ma falde.piane,et
eguali per ogni parte (tanno mfiemc le fue giunture : il che è tanto maggior
uertu, quanto men della profa i noBri uer(t uotgart atte lor rime legati fon
tenuti di adoprarU. Ma perciò che nei la orationc,non folamenle le dittimi, cr
il loro [ito confi deriamojni farma,et fine determinato, cifrai quale non
fpetie, è mefiierì di fiatubrr. la qualcofa non è altro che'l numero ( cofi il
cbiamorno gli antichi ) del qual numero hoggipromifì, gt incomìnàai, ma non
compiei di par* Urui. accioche piena informatione d'ogni mio jtudio por
tiatCyitoi douete [opere che'lnoftro numero fi come quel lo demolire lingue :
propriamente è mifura della gra&ez ZA del utrfo : le cui parole ben
dijpojte, er ben termi* nate a Urotanto, er più piacciono a&'inteUetto
quanto ti fuono, quanto lauoce, quanto ilntouerdeUdperfona t CT de piedi de
baRatori, er de muftei gli occhi, er gli orecchi fuol dilettare . Onde io
giudico al tempo antico forfè in Prouen%a,o in Skika,queimedeftmi, che erano
mujìci cr danzatori, effere flati poetiiiquati pareggiati do i lor uerftai
balli, aicami,ejafuoni, borfonettì bor canx,one,et hor ballate i lor poemi fi
nominarono. E l'I «ero che altramente mifurauano i uerft foro i latini, er
altramente noi uolgari li mifurìamo: quelli, in fillabe d l ui dendo le
ditioni,di effeftàabe alcuna %J,er alcuna brie ne feceuatmk quali infteme
adunate norie mifure,cr uà rie forme di numeri (piedi dicono li fcrittori)
iombi,tro cheì,fboiidci,dattili, er mapcfti ne uaiimnoa rùtfcirc : con effe i
quali i'ìorucrfi a oncia a oncia fmifuralfcro', et ttmerajfero. Ma noi altri i
wflri ucrfi uotgari con mi nore arte, a 1 con più ragion mijuradofrutto eguale
ala. tini finalmente ne riportiamo, percioche non curando del la
htngbezz<t,nc breuità delle ftltabe piamente contane dclc, quelle in.uno accogliamo;
o~ cofi accolte ceti dilete to de gliafcoltanti rendono intiera la claufula,cr
in ucr< fo ne la cpnuertcno . il quai modo da mifurjrc è ccffyu* ra,w
falcerà moho.cbenon perturba le fiUabe, nell'epa, ro'.e di cuifon parti,
fccma,o rompe nel meza : ma ne lor. luoghi co lorofuoni&r intendimenti
kfcÌMidole,fanr,cr falue per tutto l v.erfo le ci conferitale quai cofe non
finno forfè i Latóri, o non le [aiuto fi bene : i quali cenfidee randa IcfUabe
non come patii di dittionc, ma inquanto brietii, cr iti quarti lunghe,
troncando col loro /««ae- re le parole, cr non parole tendendole, fanno numeri,
(he non fon numeruna pagi, o braccia, o altra cofa cou lemifurante la oratione,
non altramente, chefe ella M* fe\unafuperftcic ben continua, cr di un ptzzo
/c/o : nel qual cahjpejfe mite quello <t Latini fuole auuenire men- tre efii
fondono i ucrfi faro,, he a Latini, cr a noi con li cantori adiuienc-J quali
concordando le parole al/e note, fenza curar de lignificanti, fan barbarifmi
nonfoppor tèdi. Non uuò però,che crcggLte,che la volgare fcan* fioncfiapuro
numcro,tai:to, àie fole undici fdlabe, co» munqttc infoile fe adunino, facciano
il uerfo Tofcano; ma è meltìeri in ntmeràdolc anziché all'ultima fi
perucgna^lquuuoinfa la quarta a in fu k fefia, o infila otta S ua Ua
fèdere; ouerkogkcndo lo fpirko,fdcilmenlònfmo al fine ci conduciamo. Bifogna
adttque che la quartajafe* (ìa,& la ottaua fiUaba fu ecft piana, in maniera,
che k uocegia faticata comodamele uifiripofi,et adagie.Verò non è uerfo, Voi
ch"m rime fparfo afeohate il f nono ; ne quelk.Voi Min rime fparfo il
fuono afcoltate.ma bene è bello, et buon uerfo con tutti gli altri di quel sonetto,
Voi che afcoltate in rime fparfo il fuono . Forfè direte co yual ragia da poeti
udgm la undecima fiRaba(quafì Fu* M delie colme d'Hcrcele)fu pofta al uerfo per
termine, oltre al quale non fi mettejje f A che rijpondo, che cofi uolfero i
primi padri del uerfo di quefla lingua; li quali per auentura mal poteuano
accommoiarlo a fuoni, a contà& <* balli lom fi più oltra lo
diflendeuatto, o è più to iìocbe'lnojhronerfo Tofcano allhora è uerfo perfetto,
quando egli è giunto alla rima. Adunque perche più fo* Ilo ft conducete a
perfetti: ne, di fole undici fillabe, alla più
lunga,ilformarono,concedendo il priuilegio di poter farft più brieue : er col
conftglio di chi l'afcolta, alcuna folta con cinque, mafouente con fette fiUabe
mtieramat te prommtiarfi.Molte altre cofe uipotrei dir delk rima, ma non ho
tempo da ragionarne iperò paffando alla prò fa, nofhra propria materia, nella
quale [e egltu'hanume ro alcuno ; noi il togliamo dal uerfo,ty in lei lo
trappian turno, o inefliamo -.facilmente dalle cofe già dette fi può coeludere
che i fuoi numerino so dattiliffle fpodei, mafo Ito appunto i medefmi che noi
trouiamo nel uerfo, fc non che! uerfo ripofando in fu le quattrojinfu le fei,o
in fu le vttofue ftltabe^ neUe undici terminando, ha più certi, r pi» noti ifuoi numeri che U profi non hainéSa
quale farebbe uitio non picciolo, fc k fua ckufuk po(ata alqua to in fui quarto
paffo,totalmente in fu l' undecime fi fer» maffc . Dunque in qual moda iti dirò
io cbe'l boccaccio fuggendo iluerfo, loratione deUe fue Cento noueUe sin*
gegnaffe di numeraref certo quejU no è imprefa dafeher Zo, ne io l'ho prefa
perche io mi uantidi confumark, Z7 condurk k buon fine ; ma aecioche conofeiate
quali, er quanti infm horafiano jlati i miei Budip et di che piccia k utilità ;
doppo lunga faticaci fono futi cagione. Voi hoggidl,fè non altro, fi almeno di
meglio fpcndere il uo* flro tempo,che io il mio ncnfeppifarejmpararete a mie
fpefe. Conftderando con diligenza hor le parole, le quali ufi il Boccdccio, et'4i
cui dunzi ui ragionai,hor k kr co pofitkmejbora i fini de alcune ckufuk, hor le
materie del le NoKeifo ninna cofa mi fi paraua innanzi che numero fa s cioè
compita, ®- da ogni parte perfetta non mi pareffe di ritrouark.E' il ucro
cheper diuerfe cagioni ciò auuenir giudicaudtCr hor natura, et bora arte lo
cfiftimaua ; C per dirui ogni cofa, hor con gli orecchi del corpo,hor con la
mente deh" intelletto di cofì credere mi configliuà . La elegantk, er
antichità de uocaboli, co ì loro fuonipkeeuoU, le mie orecchie naturalmente di
diletto defiderofe, compitamente addolcivano, La proprietà, er trasktione, k
natura d'alcune cofe perfettamente aU [intelletto rapprefentando,fenz<t modo
mi diUttauano. Tanno anebora in unaltraguifa numerofe le fue Nouek te i pari,
ifmili, er i contrariai quali fi come è loro natura, alcune stolte in alcune
ckujule pienamente corre* $ x fyondcndofìjiel paragone acquetandomi, non
poteuano non contentarmi . Per U qud ragione,a me par tua di po- ter dire gli
au uenbnenti di Pinnuccio, cr di Nicotofaji Spinelloccio, er del Ceppa di
Cimone, di Salabetto, di Mibrogiuolo, er di Bernabò, beffa a beff ^ingiuria ad
ingiuria, er cafo a cafo totalmente quadrando, le ter no uelk far numerofe.
Kmneroja altrcfi poliamo dire la orationc,oue il fante di frate Cipolla guccìo
imbratta, oue la bellezza iella uaUe dette donne, la greffezza di Fero» do, la
uanttà dinudana Lifctta, la cofcjUonedi Ser Ciap pettetto, «r finalméte la
mortalità di Firenze ci è deferite ta,ft fattamente, che più altra non fi
defidcra : parla anebora in alcun hiogbibarkLìcifca, bar ta Bentiuegna del
Mazza, hor lafuoccra di Arriguccio, bar la moglie di quel di Cbinzica,®- dice
o>/fr,er parole in maniera al la ojona comtcnicti,cbe par che intiera ne la
ritraggono; quello Jonnado co'lpuro inchiollro,cheTitianófoléni0 mo dipintore
co colorile con l'arte fua no potrebbe adont bfare. Ma il numcrofo,di che ubo
detto fin qui,pche può effcre, ej è forje non poche uolte dàniun numero accorri
pagnato,non è il buono,di cui ho tolto a parlarui, bene è cofa da farne fltma,
er ebeà trottare quel, che cerehiamo facilmente r.e può guidare,?? far lume :
però, pajjan do più altra al componer dette parole, ©" <d finir deU le
claufaie,come douemo, armiamo . Dette quali due cofe, l'una
nonèpoftibile,cbcfenr.amtmero fu numero* fa U 'altra è fontana del mmero,et
d'ogni bene che fa par fetta {a oratici ne. Adunque incominciando dalla
fontana, quindi a rufeetti imiendo 3 a me pare, er in effetto è cojì, che
torrione delle noucìle è talmente coìnpofli, che chi hi orecchie non
inbumane,ftcibnente s'auede quanto eU U tiene di perfetto, er di numcrefo: la
cagione oltre a queUo,che pur dianzi ucne diceua > non le orecchie, ma
[intelletto dee far prona di ritrouare.zt per certa yuan tunque uolte
ddiuiene,che con parole gentili^ fi tra fos ro adunatele ne aftra. ne aperta la
lorofabrica ne rie fca,akun concetto cfplichimo; altrotanto fenza altro mt mero
è mtmerofa la oratione. Et talee quella delle novd le : alla qaale\fu fi
intento il Boccaccio, che alcune uolte uno, cr due ucrfi iv.fcendcne,o non gli
uidc, o minti di kuarli non fi\urè,ma qua}] hellci-a [o caprifico che da fe
8efiifvafxf.o,et faffo germogliano, nelle fitc profe li coportò, &U cefi
cane dalle parole ben compojle,frafe medefme alcuna uolta per k profa
deUe\nouclle nafeono verfi,de quali quanto fono miglìori,ta)ito è peggio abbati
dare; coft in effe molte fiate, anzifanpre uarij nmrteri dì oratione parte graui,parte
uaglù,cr leggiadri fono ufati dipulkhre . con effo i quali U Boccaccio non più
a cafo t per natura delie parole, ma cv leggiadro artificio ua te gando
le fue fentcntte ; quelle in quadro acconciando, eP fra i termini delle Icr
claufule compitamente acceglièdo, 1 quài mauri moderando la oratione,et
la vaghezza del torfqfuo con piaceuolì intoppi foauanente a frenando, hamio
uertù non fokmente di dilettarne, ma dì giouarne,che in quelmodo, che la
dejhezza della perfona con lapofjanza congiunta, le mftre forze fa gròtte fe^
mi defbuamonel difender fi pi» ficuro, ey neUo fendere più itnpctuofo, cr più
fiem coft k profa da cotainume ri rfceofflprfgriirtrf è più cara ad udire ; cr
<J»« concrfft, cb'ellafignifica, con maggiore efficacici fuol imprimer
neWinteSetto . Forfè affrettate ch'io ue li nomini t cr che in trocbei,iambi 3
dattiÙ, CT piedi colali latinamente parlàdogli uì dìlìinguafmain darno
affrettate, che {enei acrfo,ouc nafeono, er onde li prende toratione,non fon
nomati, ne figurati 3 neRa profa, oue cfiìfon peregrini, quai figure, quai nomi
può toro dare che ne ragiona ì Adunque a luoghi dotte efii albergano
conducendotti, et quafì muto additandogli, il rimanente al uofbrofiudio co
metterò. Ma itoi deuete fapere che enfi come la compofì tion della profa è
ordinanza delle noci delle porole,ccfj i numeri fono ordini delle fiUabe loro i
con U quali dilet* tondo gli orcchbi, la buona arte oratoria incominciamoti
tinua, er finifee la oratone : percioche ogni cUufula co* me ha principio cofi
ha mezp, cr fine, nel principio fi M mouendo, cr afeende meUnezo quafi fianca
dalla fati* cacando m piè fi pofa alquantopoi difende, cr uola a\ fine per
acquetarfi. Hora in quoti luoghi deUa fua uia di qua dal fine debbia pofarfì
l'oratione,et quote fiUabe dal principio fta totani la prima paufa, no è
precetto che nel comanàixt comodandolo, ragion farebbe il no ubbidirlo; ft
perche la profa uttók effer liberajonde il numero no le è legamela compimento ;
fi per fuggire ilfafiidio ycbe co i medefimi numeri,detthet ridetti più udtc,ci
recar eh be loratione : fi anchora perche afententie.er affètti di*
jfrari,partinteruaUi diparole non fi couengono . Che fe'l nerfonon fallidifce,
ciò odimene perche ì fuo numero è puro numero, cr quafi muro della fua fabrica
; il male [mattato con altri numeripiu rileuatifdrijmàli, cr co» trurifcr
d'ognintorno di rime,d'tpitbeti,& di figure di* pinto perde il colore,
maggiorméte che molte mite il fin del ucrfò è principio, et talhor mezo della
fentcn%a i ma nelk proft un medefmo numero è dette co/c, cr delle pa role iperò
abondando ài dipintore farebbe operaaffet* tata,nm dilettevole jet oratoria,ma
ridienti, puerile . Adunquerkoghendo le cofe dettcjpfrafe ftcfji para* gonandok,
concluderemo mi medefima oratione per di ucrfe cagioni poter effer numerofa, cr
non numero fi, perciocbel uerfo può effer nero, ma di parole ÙSfóme, €7 mal
compofte: zrètdhora che la rima,et quei cafri* ., rij.ct quei fimili fan
fonorajtta afyra molto lorationezr la caporione elegante [beffe fiate guafla il
ucrfox? non uerfofagiudicarlo, Similmente la profa alcuna uolta ben capane le
parok non bette, cr dura wka belle malamcn te ua componendo 5 et può occorrere
che cofì come nella mufìca bencfpefjh le buone uoci difeordano,^ k no bua ik,o
per ufanza, per arte fono tra loro concordi ì cefi ì pari>i fnmliw i
contrari}, cofe tutte per lor natura ben rifonanti,qualche uolta co uoce
a$ra,ty àfforme, qual, che uolta feioce mentc^ et a bocca aperta ua e faticando
U oratione. finalmente molte fiate intrauienecke Ltpm /<* perfettamente
compofta, quafi fiume del proprio cor p dppagandofi,nonfi cura non cht
digìugere al fine,m di pofarft per lo camino,^ uafemprawfe'l fiato non le
mancale, continuamente tutta firn uita eminareb* be . però a numeri ricorriamo,
lìquali attrauerfando I4 (tratte pkccxoinmtc con Infinge, cr con uezzi ariti*
' £ 4 jre* f-efcarfi,ey albergare con loro la vantino, er non ualcn do la
cortcfta,ucgliom uftr le forze; er per benfuo,mal fio grado,con violenza
tarrefìino. Sor. Qae/fd leg gede nwnerideUa profauolgarepar molto incerta, er
confufa nondOìinguendo otte, quando, et quante fiate dì qua dal fine debbia
fermarli Toratione ; ne con quai pie* di cammì,o a qual termine fi conduci per
ripofarfi . Md che è quello che ttoi dicefìe,che a fententie, er affetti di*
fiori, pari intervalli non fi contengono f er come è uero che nella profa
pitiche neluerfi,un medefimo numero fta delle cofe,ct delle parole tBxoc.
BrieuementerìjbS derò,uoi(comefate)attentamcnte afcoltatemUo pur dia zi
detCoratore,^ del muftcP-XT àc hr numeri ragiona ioui,hebbi a dire, che mufico
ponedo infieme le mei gra tii,<y acute, et co fuoi numeri mifwrandolc
campuceua a gli orecchimi lo ratore con le parole della mente fìmiii
tudìnuVanìma noftra difoUazzo difiderofa, s'ingegna di dilettare. Adunque egli
è ufficio d'oratore dir parole non solamente ben rifonanti, mamtctligibìli } ey
a comete ti signiftcati correfhonientì, chc si come nei ritraiti dì Titiano, oltra
il diffegno, la fimiglianzà confideriamo(et fendo tali(fi come sono veramente) che
i loro essempij pie namente ci rapprefentìno, opra perfetta, eydilui degni gli
efiiflìmiamo > co fi ancora nell’oratione conia teflura delle parole, con i
loro numeri, er con la loro concinnità tintentionifigrìfìcate paragoniamo:
procurando che le parole pronunciate si pareggino alla sentenza, et co quel lo ORDINE
[Grice, “Be orderly”] le significhino, che [ha notate la mente. Ver la qual
cofafe i concetti sono gravi, le parole a dover loro rifondere deano farjì di
fiUabe>cbe U lingm peni alcjua to nel PROFERIRLE [Grice, UTTER]; fiano
jpefiiiripofi, ey non s’mdugie il finire ìil contrario nelle parole jo' nella SENTENZA
piace* uoliueggofare a BOCCACCIO (si veda), w altrettanto pofimo dir degl’affetti.
Perciocke i colerici con parole udibili, e prcjìe molto, mu imanm conicipi gramentc
y agguaglun= do conle parole ?humor e, sono da esser PRO-NUNCIATI: che
tuiegnadio chel Tbcfctno nel numerar delle ftlabe non pc ngd mente alla
Uinghezz^o BREVITÀ (Grice, “Be brief, avoid unnecessary prolixity [sic]) loro,f,
che piedi [e ne cempongd ; nondimeno nci prouiamo ogni giorno, che in cffefUabe
con pia tcmpo, et più dffrdn; entefi prò fc.ifconoleconfoiuntii bclciiocaliìion
fanno, llke Da te considerando,alcund tic Ita nelle canzoni ; er nella ce*
mcdia,non d cdfo,o per confuctudìtte,md a bello fludic e<f léffe rime molto
dfprc, non per dltrofaluo perche al feg getto di che pdrhatdyi^ro molto, er
priuo aitato d'u- gni dolcezza fi comtemffero. i\u per cicche 1 poeta altro non
uuole, che dilettarne,!* l’oratore dilettando ci per» fuade ; però è
mefticrìche le parole decoratore totalmente si confacciavo a CONCETTI
SIGNIFICATI, er che i ntmte ri deÙa prefa, cioè il principio i! mezo, et il fin
fuo.uada <t paro col mezo, et col principio della SENTENZA, ikhe de uersi
non adiviene, i cuinumsri non da concetti deWinttì IcttoTtiaddbdUifunm acanti
fon dependenti, El efuin* di uiene, cbe I PERFETTI ORATORI SONO RARI IN NUMERO piu,chc
i poeti non femodi quali auegnadio ebegradanente fimo obligati d lor numeri, et
però il uerso paia oprat Uberto fd&digrmdifiimo magislerio ; nondimeno
certieffm do jnqualfad parte cotdimnerifmpariiiOffenztttnol to lo
penfari(ifufo,fufo i . fubitamcnte li ritrouiamùì CrdagU orecchi guidati A
mezo,ey al fine facilmente con esso lo ro ci conduciamo. Ma altra cofa è la
profa,laquale dilet tondo er pervadendo congl’orecchi,- con Cintetiettcr, fumo
oblìgati di misurare; guardando sempre che te parò le nonfian più corte, opiu
lunge della SENTENZA SIGNIFICA fa : che ciò effendo, troppoo fcura, o troppo
fredda riufei rcbbcTcratione. Sono adunque i fuoì numeri meno [enfi Mùtua affé
più nobiliiun po più Uberi, ma non men certi di quei del uerfo i manon appare
Uhr certezza, albergando neUe SENTENZA <>kquai sono cose intellettuali.
E< ofo dirc, che cq/ì come più perfetta è la muficddelletre uod the deUe
due; come mchoraè pm perfeita U dipintura de più coìori s che non è queUa de
pockixojììa prefa, nelhi quale agl’orecchi ci all'inteUetto fi cecorda la
lingua è oratione più numerosa del uerfome la Ungua, ctgl’orecchi aiue sole
membra del nostro corpo t sono usate dì co Uenirsi Qjtefioè il conto de fludij da ine fatti
fmhorA in PETRARCA (si vda), et nelle NoueUe con fatica grandifimu, er con quel
frutto che uoi uedete; ne me ne pento del tutto, fyeràdo che i mici errori funo
altrui occafione di dauer bene opcrareia me nmgii, tiquale auezxo a fallire
appe na ueggo ti miofallom cheiopoff a ammendarmi Sor. Seti uojbro fallo è fi
picciolo che uoi peniate a uederb, fiate certo che agli altrui occhi fe
totalncte imtiféile^e rò potete non curare. BkOc. L'errore è grande et da fe
flefouffainoto t imldmk uifta ufa alle tenebre deWigno ronzammo che bafìi, nÓ
lo difcernc:ct(che è peggiorai taddlme diuerttà non puo affiffarfinel fuo
fbkndorc. Sor, Ver grulli additatemi quefìo more, er fe k m* (fra ignoranza ha
prìmlegio di potarmi giouare infogni domiaicana cofa,non ktentteociofa. B«oc.
Hohijono gli mori onde io mi trotto impacciato; ma tutti nafcono daìiaradiccji
che dianzi ui RAGIONAI [conversazione e ragione]: cioè, che torte lati tu
deh"orare>o- dei poetatela diverfa dalla Toscani, tìqttakerrore
doterebbe effer e a cufchedtmo manifejliffimo. quindi or gomento^bek mie
lunghe, zrpueriliof fauationifiano'morì j fbetkbnente quelli de numeri, deUa
cui l’armonia k mie orecchie s di miglior [nono difi* derofe, compitamctite non
fi contentano. Sor. Deffrf m<t ierk de numeri poco baurete dafaueUare, fe a
lombi, er 4 dattili non ricorrete, maionottuedoin qual modo co te MISURE LATINE
knojira prof a uolgarefi pojfafar numero fa. B roc N«o ii uedo,ma altri forfè
fri ueder. Sor. Vrimier amente Magnerebbe far uerfi effametri, er peti
tametriin quefla littgua, dando loro quei piedi^nde itati tiifono ujatidi
cammare-.pofckaUa profawnendo, con quei medefmi in altra guifa dijpofli
faticarci dinumerar la . ma ciò è cofa impofiMe,però il ?etrarca,iie il Boc<
caccio non k tentò, Noiadtmque che fatto hr militiamo, per le loro-orme uenendo
procuriamo difeguitarli, con* tentandoci ebe dopo loro nei loro ordme,non
fecondi,ma terzi quarti ci nominiamo. Bsoc. Certo quefìo bo fat (io, mentre io
era d'opinione che k nojbra arte oratoria, cr poetica, attro non foffè che
imitar loro ambidue; prò fa,zj uerfi a loro modo fmuenàoxs' al prcfente,piu che
tnaifcfitilfarei^into dal piacer della lettione, ry dal di* fw dclfhonore, chcfa
ilmatido 4 ebigliafitmiglia j fe do non Mn fcffe che CICERONE (si veda)
in alcun libro àeUdfud arte orato rid, cotdlguifa difludio da Carbone
adoprdtcgrandemé tefuol bùftmare; lodando aWmcontro il tradurre cCun4 ìingua
iti un'altra i poemi, er la ratiomdc piufamofrXa* qual cofa(per uero dire)
ionon bo fatto fin qui dubitarti do per le ragioni antedette, che la fententia
fritta da CICERONE (si veda) delle due lingue piudnì'.cbe^eHa moderna non fi
effequiffe cofi ufeito de i primi liudif, w ne fecondi no fendo ofo di
effercitarmi, molti mefi fono'uiuuto otiofo et fél Valeriononmi conftglia t non
fo che farmine Waue* iwe. V a l. Hord4 uoi tocca di configliare Soranzoì '
perojdfcidndo i afa uofhri ne loro termini fiore, condii dete IL RAGIONAMENTO principiato;
il cui fine ( fc il difiderio deU'afcoltar non m'inganna) ci è lontano
parecchie yùglia. Broc, Anzi io parlotta defdttimìeh percbe di quei di Soranzo
non mièrimafo chefauellaretcbe battedo detto per quii ragioni, fecando me,il
diletto fta la airtit de![ordtione,zT la eattfa demoftratiud, inquato io poj
fo, foprd t 'altre effahttd, olirà di ciò della forma deWcf ferrite che tiene
Umondo hoggìdì, zrde numeri quel io n intendo, er quanto io dubìto ragiona tom,o
bene, c male che io ne parlafiijo pretendo ibaucr rifpofìo 4* Idcjueflìone
ifahofe io non entraci tra quei PRECETTI INFINITI [Grice: “Conversational
maxims – how many? Ten: a decalogue!] precetti infiniti H far proemij, di
narrare J argomentare, er di epi \ogar rATaratìone, o a fitte, ake figure, a GL’ORNAMENTI
DEL DIRE, o dltattione, odUa memoria mi riuoglie(fe, o degl’afctti, o de flati
dipintamente uifaueUajìi. ìlebe fare ttonfaperei s'io nolefti, ne dotterei fe
io fdpef.ifendo cofa mnpertmente, a fuori al tutto di qucl propojìto, tutor no
al quelle fcìlsoranzo la fita dimanda. Val. Vc&t tdrtìi farebbe qucUadeS
Oratore, feragionando fuor di propofito dilcttajfe in maniera che chi ludiffe
noi difeet neffe. B eocar. Alita cofa è IL PARLAMENTO [PARABOLA] àeWQra*
torc,cj -altra è quello del KhetorcSun diletta,®- l'altro infegnaj bench'ìo fia
rhetore atto meglio a dovere irnpa rarc, chc IN-SEGNARE. Val. Almeno
rttinfegnarete rìfho dere a gli argomenti d'alcuni grandi, i quali confcffcmdo
{quel che noi dite ) la Rhetorica essere arte, U quale ne nofkri animi piacere,
®- gratta partorifea figuentementt non àmie utrtit, maperuerfa adulatione fi
fanno lecito di chìmxrU,<£r,come uirìo di makguifajei fbandifeono delle Republiche.
Bkoc. Dell’ACCADEMIA parlateci quale inperfonadi Socrate jtonper uer dire, ma
Polo,®- Gcrgià tettando, coquello animo bìafimò U rhetorica, che altra uolta a
Trafimacho, et Glaucone fe leuar Fingiuftì f i'i . Che cofì come fecondo lui, a
cittadini, ey guardiani delle republiche è neceffaria la muftea, arte più
ditette uole che utile, cofi a medefmi è buona cofa tmparare et teffercitarfì
nella rhetorica, gioia s cr ditetto dell’inteletto. Ma accioche molto bene
ilmio intento dpprendidte, Koi douete fipcre che i sentimenti degl’animali{ da
i qualicomeda cose più note, è bé fatto che il nofhro efìent pio prciidiitmo) inféntcndo
gli obietti loro, fe buoni fono s'allegrano, ® fe rcì,cioè àamofì alle ulti
loro, fono ujati di contriftarft. Adunque, come ti cane ha piacere di ue deregr
fiutare, etmngiare cibo che lo conferma li di fbiuciono tema-zzate, cofì
tamente di fapere defidcroft ji dtletta del uero, cr ilfaljb, cofa contraria al
fdo difiderio, twjommmenteper sua natura abbonda : er per c erto quale è il
cibo càio Homaca, tale è k uerità all’intelletto} ma la bugia è il veleno che
lo difhrugge: cr d'immortale die nacque, peggio che morto fa divenirlo. Hora et
(enfi tornando, cetto l'huomo è animale pia gentilefco, et di na tura migliore
che le bcHie non fono,il quale foUeuato dai LA BRUTTURA DI BRUTTI ad altro
attende, che ad empiexfi U gold, er molte fkte, per uedere una. dipintura,
udire una muflcafaniettfete pdtifcejoglknda anzi dipafeer gli occhi, er gl’orecchi,
non jenzA damo della perfona, the di uuundcm MeridlineUa cucina ingnfftrfi. Laqml
cofd,fì carne è uera de fentimetiicofi ha luogo nell’inteìlct to,alqmle
fimilméte dee ejfer tecitojafckndo il uero che b mtrica.akuna uoìta per
dilettar fupoter gujiare il pk ceuole. Nclqual cafo perauentura il noftrohumino
intel letto è più dttànOytbe humano,percioche inquanto bumno cioè nudo d'ogni
dottrinaci <f imparare difìderofo,cor re al uero che'l fatiama co uerft,et
co profeper fuo dilet to fcherzando fimile è molto alle inteMigèzeJe quali non
per faper più ch'elle sappiano, ma per fokzzo fotta d pì« di,miradofi,fono
uaghe di riguardarne. Che }e noi forno FILOSOFI, tali a noi fono k Retorici et
k poefid quali i frutti dUe tduole de fgnoriìlt quali dopo ceni quando fon
fatiji Cùpiacendo al pakìo } alquanti per gentilezza ne ma giano-Mi d coloro
che gii no fono, et fon perfarfì FILOSOFI, ledue arti predette fono i fiori che
innanzi d i frutti JeRe fcienze, ù miti loro di fruttare difiderofe^uafi pia ta
k primauera, fi dilettano di fiorare. Aluotgo poi che non fa mJkjte fa péfier
di ftpere^tpur i parte delk rc piètica, pub\ka,loratiani,et U rime fon
tatto l cibori tutto l fi-ut ta deUd fui tàa . li qttd «oìgo non Ktutndo «irti
didige rir ìefcknzejzT mfm prò conuertirk,de hro odori* cr delle toro
finulitudmi gli Oratori afcoltandofuokiippat gdrfyo'coft ume,et mantienft,
Dunque io non uedo per quul cagion k Rhetor icet debbufbanda fi delle Repiéli
che, fendo arte che baper fubietto te nojhre bumane opt rttionkonde hanno
origine le Republkhe: che bauegn<t dio che Foratore con ragioni probabili,
cr anzi ùiccrte che nòidilettando, cr pervadendo giudichi, cr regga le diali
operationii nondimeno fommamente è di con* mcndaretCr dbauer cara la fua
folertiaxkfla quale le co fawflre perfettamente, zrproprimente, m quel moda che
a loro effèrt fi conukne,fono trattde&r còfiderate. Quejlodko prefupponedo
che uoifappiate(ikhe è noto ad ognuno)cbe l'huomo e mezzo teagf animali, cr
fuitcUigenze, però comfee fe (ìeffo in un modo mezzana tra la fcienza,ebe egli
ha de Brutti, cr ti fede, onde egli adora Domenedio, Il qual modo non è amo che
openione generata dalla Rbetorka, con U quale il uohrfuo Cr faitrtuka parenti,
cr amici, neUafua patria ciuil* mente uiuendojee curar di corregger cxbe}e una
opera medefima in uarij tempi dalle leggi cktadinefcbe,hor uie tata,<er hor
comnandata può effer aitio,®- uirtà-ragio* ne è bene che k nollrc Republkhe,
non <k faenze dima firatiue, uere,^ certe per ogni tempojma con Rhetori che
opmiotìiuariabih^rtramutabiìi(,qual fontopre,^ U kggi nojhre)pr udentemente
finn gouermte. Vero Sa erate dannato a torto dell'ignoranza de giudici, abbi*
DIALOGO dendo dUaopinione della fin patrìd,uolontieri fi fe
incori tra alla inortc:U quale, pbilojophicamente argomentane do,come iniqua,??
mgruffc peiujoue tentar di fuggire. Etne! uc ro,comc il pinlofopbo ufo di
intender nuTaltrd cofa filno quelk, che per li fenfi uenendogli ua ad dlber
gare neffbitcUeitOjtMto men crede, quanto più fa cojj il medcfimo,ufo aVopre
della natura,laquale eterna co leg g'e eterna,ct mconiutabilc ijuoi effetti
produce,makmcn te può effere atto algouerno deRa Repubtica: le cui leggi per
boneHe cagioni battendo ricetto a tempi, a hogbi % dUa
!<tiht4,dUefttefoize,ct 4Wakm,fyeffc fiate da (tv. di altro mutano
fornu&fembiahte; però ji creaiìo i magi- iìrati, li quali non altramente
reggano lorotbc effe noi Sono adunque le legginon acri dei, quali fono la
natura,. CT rinteUtgéze,nu fono idoli da quelli ijlefii adorate poi che fon
fatte,che con loro arti le fabricaroiio.'Però è ben fatto,che con faenza non
necefforia, ma ragioneuole,no pcrfctta,ma aìl'cffer loro perfettamente
correfyondente, foratore, di cui parliamo, kèbia cura di conferuarle : chefe il
noBro intelletto intendendo fi fa fimile alla cofi intefa, come può effer àie
Thnomo auczzo a contemplar hfutìanza, er le maniere de bruttifi confacela col
xege giment o della, città f più toflo c da credcre,quel che ogni giorno
ueggiamo, che quejlo tale al fio fapcrfimiglim- dofi,udda cercado k}'olitndme,w
in quella phiiofipbM do (ìfepelifca. li contrario fa Foratore, la cui arteji
cui gouerno,i cui cafìumi, er le cui parole fono cofe propria, mente
ciuadinefcbe,non credutc,non japutenu perfuafe co maggior dMtatione di qtfeUa,
che k fciéza dnnojh-a tìwt det altre cofe più biffe, cr meno a noi pertinenti
ci 4pporta:che maggior dtlettatione è il ueder jokmentc, o fenz4 <tiiro,udir
parlare tino amico da noi amato, ®- ha* vuto caro,che ttedtrc,udire,gttjiare,
er toccare tuttele befìic del mondo : con k quàl dilettatone perfttadcndo^
gloria,®- (tinte afuoi cittadini fuolgcnetar loratcre t non altramente, che co
i dilpttt carnati gli mimali fenz* ragione generUo l un labro, facciano intera
k toro fpt eie che altro non fendo k nójìra gloru, che openione, che hanno gl’uomini
dell'altrui fenno cr ual/orejagio nt è bene, che k rhetoricótartipcio delle
ciuHiopcnioni, fenza altramente philofophare, de nofiri nomi k partorifea,,
Quatito adunque è più nobile,®- più amabtlco* fa del generar de figliuoli
latterà gloria frutto (temo della uirtii,per k quale, a Dio ottimo mafiimo
ueramen* te ci afiimigliamo, tanto è più utile aUa Kepublica labuo ita arte
oratoria di qualfi ueglk fetenza, che delle cofe de&ttnatuxt. con ragioni
infallibili puQacquijlar fi k no* iira mente . VoLadunque Soranzo ( che già è
tempo, che t ttoi riuotga il parlare,®- in (otMx, cerne 4.a mi ì incominciò }
continuate Imtprcfa, ® alloflu* dio detfelpquentia, che fi per tempo tentajìe,
bora, che già ne è tempo, con tutto i[ cuore donai cut, cr confacrateui,
Conofco per. mote pruouc il ualor dello ingegno uoftroal quale benché fio,
attoafapere, ®- operare ogni coft,che a gentiluomo pertenga, nondimeno,fea fan*
biantidellaperfonajcjìimoni dell'anima, fi dcedarjede, conftderando la figura
deUafacck,et del corpo uopro, i mouùnenti di queko,U leggiadria defk linguaja
uoce,ei T i fìait {fianchi piati tutti di molto &mta, chiaramente
compri do uoi c/Jir nato 4 cfowere effer oratore,il quale neUa wo« firn Rep,tra
Scnatori,e tragittici acculiate,et deliberi* tc,o nella corte di Roma tra
letterati uiuendo,pcr diletto Ìel mondo,ccn grandilf ma uojbra ghria,bkfimando^
lodando componiate CT fermiate, quale bo fperanza che mi farete, fe
accompagnando co la natura la indujhriajn quella parte riuctgtrete la mfte, oue
tti chiama U uojìrd neUd x contentandola d'effer buomo,le cofebumanehua
mattamente curaretc,ey apprezz&ctejche ejfendo imagine e finuglknxa di Dio,
ben può bajlam che la uojìra fetenza fia una nobile dipintura,deUa medefma
turiti dì tettante la ttoflra mcnte,m quel modo che de ritrattimi* terialifiwl
dilettar fi U ttijìa. Che fe l'anima rationalefor Iftdjef uitd de noflri corpi,
è immortale intelletto ( il che hoggiXambafciadot Contarmi col Cardinale »Cf
cogli akri,fì come io ttimo,a ncluderanno > creder debbiamo t che'l itero
cibo,cbe la nutrica, fia non faenza mortale da\ mi in terra aequijìdta, ma
alatm cofa diurna conuenìéte ti f ito efferrJcUa quale alia gran menfa di Dio
eipafcìd* moticlparadifo. ryurtqueintalcafofolamentea dilettar (intelletto
fludiaremo t rt impararmoMpingendo con le parole la ucritk daquale liberi fatti
dalla prigìo della cor* tte,in propria forma uede,et confèpla la mjlra méfe.Mi
polio cafo(cbe Dio noi uoglia)che la ragione fta cofa hit mana,come noi
ftamojaqual najca uiua,et inora con effo noijcertofuo ufficio dee effere
ildifeorrere hunanamen» tejetqueUo principalmente confidcrare, ebefìconuiene
éUa bumanità, torte oratoria adoprando,con la quale in I^ff tjue (là uita
ciuSe,lemfìre Immane opcratiotà moderi» mo,et reggiamo. Ef per certo conte i
colori materiali^* do fermine luoghi loro, mandano a gli occhi Fmagini, per lo
cui mezo ti a>nojciamo,coft il itero dcUa naturai di Dio,m>n
mfejìe([o,chenon poliamo, ma nell'ombra delle noBre opinioni contentiamo di
Acculare: le quati (pitto piti ne dilett<tno t t<tnto più douemo credere
che fio* nofmtli altiero, oue è npojh il piacere, che neramente ne fa felici.
Ma acciò che neU'tmparar cr effercUar U Khetorica,queUo a uoi che a me auate,
non intrauegtiai appigliateti intieramente a configli di Meffcr Tripbon
Gabric&c,nmuo Socrate diquefìa etile cui uiue parole bene ìntefe da uoi,piu
dì bene u'apportaraimo in un gior* nojolo,che a me non fece in due mefi la
lettion del Boc* caccio,col rimario ch'io ne carni . Qjufìinon men corte fe,che
dotto uohntieri il fentiero^h'à buono albergo co* duce con diligenza Hi
moftrark con quello uno il Petrar ca V il Boccaccio leggendo } non pur le
ciancie da me of* feruate,(y notate, ma i fecreti dettate laro mi ben notf a
mlgarUfacihnente penetrarcte: imparando in qualma do latinamente, cr grecamente
parlando 3 queUi imitiate, CT loro fintile diuctitiatc . il quale M.
Tripbonefebora fufic in Bobgna s me certamente dagli errori del mìo paf fato
ragionamento, et il Valerio dalla fatica del fuo fuiu ro,perauentttra
hbcrarebbe, terminando la quejìione in manierarne poco,o nulla uauanzarcbbe da
dubitarci!} tanto uoi udirete il Valerio, ilquale fi puodirluidopà UUal
cuiparere(che dianzi io dicefii) io ui conforto che iààttentate. Vai.
Ricordini.maca alcuna cosa. Keywords: “Dialogo della lingua”--. Speroni degli
Alvarotti. Speroni degl’Alvarotti. Alvarotti. Keywords: retorica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Alvarotti” – The Swimming-Pool Library.
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