Grice e Cicerone: l’implicatura conversazionale
di Marc’Antonio – scuola di Ponte Olmo -- scuola d’Arpino – scuola di Frosinone
– scuola di Roma -- filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana --
Luigi Speranza – (Italia). Filosofo
italiano. Ponte Olmo, Abbazia di San Domenico, Arpino, Frosinone, Lazio. Ciceronian implicaturum: Grice:
“One has to be careful: an Italian philosopher might argue that Cicerone ain’t
Italian, but Roman! – so the keywords: ‘filosofo italiano’ ‘filosofo romano’ –
matter!” Grice: “However, whatever the discussion, provided Cicerone IS
discussed by this or that undeniable *Italian* philosopher is enough to provide
us with some nice secondary literature!” – Grice: “As an example, I would
mention the two-volume of the ‘Storia della filosofia’ – if you check for the
“Roman chapter,” it’s mainly all about Cicerone – with some footnote to
Lucrezio and Aurelio!” – Grice: “Recall that Roman-Roman philosophy is pretty
recent: due to the embassy by the three Greek philosophers who arrived in Rome
in 183 a. u. c., and – philosophy then became the pastime of the leisurely
class, notably the Scipioni!” -- della
cultura greca, attraverso la sua opera i Romani poterono anche acquisire una
migliore conoscenza della filosofia greca. Tra i suoi maggiori contributi alla cultura latina, vi
fu la creazione di un lessico filosofico latino: Cicerone si impegnò, infatti,
a trovare il corrispondente vocabolo in latino per ogni termine specifico del
linguaggio filosofico greco. Tra le opere fondamentali per la comprensione del
mondo latino si collocano, invece, le Lettere/Epistulae (in particolar modo,
quelle all'amico Tito Pomponio Attico) che offrono numerose riflessioni su ogni
avvenimento, permettendo così di comprendere quali fossero le reali linee
politiche dell'aristocrazia romana. C.
occupò, per molti anni, anche un ruolo di primaria importanza nel mondo della
politica romana: dopo aver salvato la repubblica dal tentativo eversivo di
Lucio Sergio Catilina (e aver così ottenuto l'appellativo di pater patriae,
padre della patria), fu un membro eminente della fazione degli Optimates.
Infatti, nelle guerre civili, difese strenuamente, fino alla morte, una
repubblica giunta ormai all'ultimo respiro e destinata a trasformarsi nel
principatus augusteo. C. nacque a Ponte Olmo, in prossimità del fiume Fibreno
accanto al comune di Arpinum (area attualmente occupata dall'Abbazia di San
Domenico. Gli Arpinati ricevettero la civitas sine suffragio nel IV secolo a.C.
e i pieni diritti di cittadinanza nel 188 a.C.; in seguito, la città ottenne
anche lo status di municipium.[5] La lingua latina era in uso già da lungo
tempo[6]; tuttavia, ad Arpino, era diffuso anche l'insegnamento della lingua
greca, che l'élite senatoriale romana preferiva spesso a quella latina,
riconoscendone la maggiore raffinatezza e precisione.[7] L'assimilazione, da
parte dei Romani, delle comunità italiche vicine a Roma (avvenuta tra il II e
il I secolo a.C.), permise a C. di diventare scrittore, statista e
oratore. C. apparteneva alla classe
equestre (la piccola nobiltà locale) e, anche se lontanamente imparentato con
Gaio Mario (il corifèo dei Populares durante la guerra civile contro gli
optimates di Lucio Cornelio Silla[8]), non aveva alcun legame con l'oligarchia
senatoriale romana; era dunque un homo novus. La famiglia era composta dal
padre Marco Tullio C. il Vecchio, uomo colto ma di origine sconosciuta; dalla
madre Elvia, di nobile casato e integri costumi[9] e dal fratello Quinto. Il cognomen Cicero è il soprannome di un suo
antenato abbastanza noto per un'escrescenza carnosa sul naso (presumibilmente,
una verruca) che ricorda un cece -- cicer, ciceris è il termine latino per
cece. Quando Marco presenta, per la prima volta, la propria candidatura a un
ufficio pubblico, alcuni amici gli sconsigliarono l'utilizzo del suo cognomen
ma egli rispose che «avrebbe fatto sì che esso diventasse più noto di quello
degli Scauri e dei Catuli. céce e
cécio nap. cecere, ven. cesere, c. ciciru, sard. cixiri; prov. cezer; fr.
ceire; ted. kicher (pruss. kockers ¡sello): dallat. cicer (= ciR-crR) -
acc. ci- CEREM - che il Curtius deriva dalla ra KAR esser duro,
onde il sser. KAR-EAR-duro e come sost. osso ed anche pisell KHAR-AS duro,
ruvido, KAR-AKA noce cocco o il gr. KAR-KAROS duro e come s stant. pisello
(cfr. Ardito). - Ad altri il vece sembra affine al lat. cicus involuca del seme
dei frutti (cfr. Chicco), ovyero gr. KEKis escrescenza. - Specie di legun in
torma di granello alquanto appuntat che secco indurisce assai e si mangia
cott Deriv. Cecerèllo; Ceciarollo; Ceciato. Cfr. G cèrbita;
Cicérchia; ¿cerone.Studi Fanciullo
che legge C. di Vincenzo Foppa, Collezione Wallace di Londra. C. si rivelò
subito un fanciullo dotato di una straordinaria intelligenza (tanto da
distinguersi, a scuola, dai propri coetanei) che gli fece accumulare fama e
onore.[11] Il padre, auspicando una
brillante carriera forense e politica per i figli, li condusse a Roma dove
Marco venne introdotto nel circolo dei migliori oratori (e protettori della sua
famiglia): Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio Oratore; Crasso ebbe
particolare influenza su C. che lo considerò sempre un modello di oratore e di
statista. A Roma, poté anche formarsi nella giurisprudenza, grazie alla scuola
di Quinto Mucio Scevola[12]. Tra i suoi compagni, ci furono anche Gaio Mario il
Giovane, Servio Sulpicio Rufo (destinato a divenire un celebre avvocato,
nonché, uno dei pochi che C. considerò superiori a sé stesso) e Tito Pomponio
(che prese poi il cognomen di Attico, dopo una lunga permanenza ad Atene, e che
divenne intimo amico di C.; infatti, gli scrisse in una lettera: «Sei per me
come un secondo fratello, un alter ego al quale posso dire ogni
cosa»[13]). In questo periodo, C. si
avvicinò anche alla poesia[14]: in particolare, si cimentò nella traduzione
delle opere di Omero e dei Fenomeni di Arato (opere che, in seguito,
influenzarono le Georgiche di Virgilio).
Particolarmente attratto dalla filosofia,[15] alla quale avrebbe dato
grandi contributi (tra i quali, la creazione del vocabolario filosofico in
lingua latina), nel 91 a.C. incontrò, assieme all'amico Tito Pomponio, il
filosofo epicureo Fedro in visita a Roma; entrambi ne rimasero affascinati ma
solo Pomponio rimase, per tutta la vita, seguace della dottrina epicurea. Tra
il 79 e il 77 a.C., conobbe il maestro di retorica Apollonio Molone[16] (che
istruì, pochi anni dopo, anche Gaio Giulio Cesare) e l'accademico Filone di
Larissa che esercitò su di lui, un'influenza profonda: infatti, era a capo
dell'Accademia di Atene che Platone aveva fondato circa trecento anni prima; di
conseguenza, grazie a lui, C. assimilò la filosofia platonica, tanto che arrivò
spesso a definire Platone come il proprio dio (pur rigettando la sua teoria
delle idee). Poco tempo dopo, C.
incontrò Diodoto, esponente dello stoicismo; tale movimento era già stato
precedentemente introdotto a Roma, dove aveva ricevuto larghi consensi grazie
all'enfasi posta sul controllo delle emozioni e sulla forza di volontà (in
linea con gli ideali romani). C. non adottò completamente l'austera filosofia
stoica ma preferì uno stoicismo modificato; in seguito, Diodoto divenne un
protetto di C., dal quale fu ospitato fino alla morte[15]. Cursus honorum Prime esperienze Il sogno di
infanzia di C. era quello di "essere sempre il migliore ed eccellere sugli
altri", in linea con gli ideali omerici: infatti, desiderava dignitas e
auctoritas, simboleggiati dalla toga pretesta e dalla verga dei littori; c'era
un solo modo per ottenerli: percorrere i gradini del cursus honorum. Nel 90
a.C., tuttavia, era ancora troppo giovane per approdare a qualsiasi carica del
cursus honorum ma non per acquisire l'esperienza preliminare in guerra che una
carriera politica richiedeva. Tra il 90 a.C. e l'88 a.C., C. servì sotto Gneo
Pompeo Strabone e Lucio Cornelio Silla durante le campagne della guerra sociale
sebbene non provasse alcuna attrazione per la vita militare dato che si sentiva
un intellettuale (infatti, molti anni dopo, scrisse al suo amico Attico che stava
raccogliendo statue marmoree per le ville di C., "Perché mi spedisci una
statua di Marte? Sai che io sono un pacifista!"[17]). L'ingresso di C. nella carriera forense
avvenne ufficialmente nell'81 a.C. con la sua prima orazione pubblica, la Pro
Quinctio, per una causa in cui ebbe come avversario il più celebre oratore del
tempo, Quinto Ortensio Ortalo. Ma il suo vero esordio nell'oratoria a carattere
politico (almeno secondo le testimonianze scritte pervenute), si ebbe con la
Pro Roscio Amerino che conserva molto di scolastico nello stile
esuberante[18][19]: nell'orazione, difese, con successo, un figlio
ingiustamente accusato di parricidio, dimostrando grande coraggio
nell'assumersene la difesa (il parricidio era, infatti, considerato tra i
crimini peggiori a Roma) mentre i veri colpevoli erano sostenuti dal liberto di
Silla, Lucio Cornelio Crisogono. Se Silla avesse voluto, sarebbe stato fin troppo
facile eliminare C., proprio alla sua prima apparizione nei tribunali. Lucio Cornelio Silla C. divise le sue
argomentazioni in tre parti: nella prima, difese Roscio e tentò di provare che
non era stato lui a commettere l'assassinio; nella seconda, attaccò quelli che
avevano realmente commesso il crimine (tra cui, anche un parente dello stesso
Roscio) e dimostrò come l'assassinio favoriva più loro che Roscio; nella terza,
attaccò direttamente Crisogono, affermando che il padre di Roscio fosse stato
assassinato per ottenere i suoi terreni a un prezzo conveniente, una volta
messi all'asta. In forza di queste argomentazioni, Roscio fu assolto. Per sfuggire a una probabile vendetta di
Silla[20], tra il 79 e il 77 a.C., C. si recò, accompagnato dal fratello
Quinto, dal cugino Lucio e probabilmente anche dall'amico Servio Sulpicio Rufo,
in Grecia e in Asia Minore[21]: particolarmente significativa fu la sua
permanenza ad Atene dove incontrò nuovamente l'amico Attico che, fuggito da
un'Italia sconvolta dalle guerre, si era rifugiato in Grecia; Attico, in
seguito, divenne cittadino onorario di Atene e poté presentare a C., alcune tra
le più importanti personalità ateniesi del tempo. Ad Atene, inoltre, C. visitò
quelli che erano i luoghi sacri della filosofia, a cominciare dall'Accademia di
Platone (di cui era allora a capo Antioco di Ascalona). Di quest'ultimo, C.
ammirò la facilità di parola, senza tuttavia condividerne le idee filosofiche
(ben differenti da quelle di Filone di Larissa, delle quali era convinto
ammiratore[22][23]). Dopo un breve soggiorno a Rodi, dove conobbe lo stoico
Posidonio, tornò in Grecia (dove fu iniziato ai misteri eleusini, che lo
impressionarono molto) e dove poté visitare l'Oracolo di Delfi; in
quell'occasione, domandò alla Pizia in quale modo avrebbe potuto raggiungere la
gloria ed ella gli rispose che avrebbe dovuto seguire il suo istinto invece dei
suggerimenti che riceveva[24]. Ingresso
in politica Busto di C. Tornato a Roma
dopo la morte di Silla, C. iniziò la sua vera e propria carriera politica, in
un ambiente sostanzialmente favorevole: nel 76 a.C., dopo aver pronunciato la
celebre orazione Pro Roscio comoedo, si presentò come candidato alla questura,
la prima magistratura del cursus honorum.[25] I questori, eletti per un massimo
di venti membri, si occupavano della gestione finanziaria o assistevano
propretori e proconsoli nel governo delle province. Eletto alla carica per la
città di Lilibeo (l'odierna Marsala), nella Sicilia occidentale, svolse il
proprio lavoro con scrupolo e onestà (tanto da guadagnarsi la fiducia degli
abitanti del luogo). Durante la permanenza in Sicilia, visitò la tomba di
Archimede a Siracusa: grazie al suo interesse per l'uomo, sono state rinvenute
alcune importanti informazioni sullo scienziato (in particolare, per quanto
riguardi il suo planetario). Al termine
del mandato, i siciliani gli affidarono la causa contro il propretore Verre,
colpevole di aver tiranneggiato l'isola nel triennio 73-71 a.C.[26][27]. C.
raccolse le prove della colpevolezza, pronunciò due orazioni preliminari
(Divinatio in Quintum Caecilium e Actio prima in Verrem) e l'ex-governatore,
attaccato da prove schiaccianti, scelse l'esilio volontario[28]. Le cinque
orazioni preparate per le successive fasi del processo (che costituiscono
l'Actio secunda), furono pubblicate in seguito e costituiscono un'importante
prova del malgoverno che l'oligarchia senatoria esercitava a seguito delle
riforme di Silla. Attaccando Verre, C. attaccò la prepotenza della nobiltà
corrotta ma non l'istituzione senatoria stessa (anzi, fece appello proprio alla
dignità di tale ordine affinché ne estromettesse i membri indegni). Acquisì,
inoltre, un enorme prestigio perché a difendere Verre era Quinto Ortensio
Ortalo, considerato il più grande avvocato dell'epoca[29]:
"sconfitto", Ortensio dovette accettare che il suo posto venisse
preso da C. (il quale, si guadagnò il titolo di "Principe del Foro");
nonostante l'episodio, tuttavia, i due oratori strinsero, in seguito, un buon
legame di amicizia (infatti, proprio a Ortalo che elogiò anche nel Brutus, C.
dedicò un'intera opera non pervenuta, l'Hortensius). A Roma, l'oratoria e l'attività forense erano
uno dei principali mezzi di propaganda per i politici emergenti, poiché non
esistevano documenti scritti di argomento politico (con l'eccezione degli Acta
Diurna che, però, godevano di scarsa diffusione). Contro C., tuttavia, rimaneva
la diffidenza dei nobili verso gli homines novi, accresciuta dal fatto che
l'ultimo homo novus ad acquisire rilevante peso politico fosse stato un
concittadino dello stesso C., Gaio Mario. Tuttavia, anche lo stesso Silla,
fiero oppositore di Mario, aveva preso alcuni provvedimenti che permettevano e
facilitavano l'ingresso degli equites nella vita politica, dando così a C. la
possibilità di raggiungere le vette del cursus honorum. Il successo ottenuto da quelle orazioni (che
vennero poi chiamate Verrine), anticipatrici dei principi di un governo umano e
ispirato a onestà e filantropia, portò C. in primo piano sulla scena politica:
nel 69 a.C., venne eletto alla carica di edile curule[30] e, nel 66 a.C.,
diventò anche pretore con una elezione all'unanimità[31]. Nello stesso anno,
pronunciò il suo primo discorso politico, Pro lege Manilia de imperio Cn.
Pompei, in favore del conferimento dei pieni poteri a Pompeo per la guerra
mitridatica; in quell'occasione, Pompeo era appoggiato dai cavalieri,
interessati alla rapida risoluzione della guerra in Asia, mentre gli era
contraria la maggioranza del Senato[32]. Il motivo dell'impegno di C. in una
causa ostile all'alta aristocrazia (che, d'altronde, era restìa ad accoglierlo
tra le proprie file) stava probabilmente nell'importanza che essa aveva per i
pubblicani (titolari degli appalti pubblici e della riscossione delle imposte)
e gli affaristi, minacciati nei loro interessi da Mitridate VI. La provincia
dell'Asia Minore, minacciata dal sovrano del Ponto, era, infatti,
particolarmente attiva dal punto di vista dell'economia e del commercio. Consolato
C. denuncia Catilina, affresco di Cesare Maccari a Palazzo Madama in
Roma che raffigura C. mentre pronuncia una delle orazioni contro Catilina Nel
65 a.C. C. presentò la candidatura al consolato. Nel 64 venne eletto console
per l'anno successivo (ossia il 63 a.C.). La sua posizione venne illustrata dal
fratello Quinto in un'opera (di dubbia attribuzione: la scrisse lo stesso C.?),
Commentariolum petitionis, scritta per consigliarlo nella campagna elettorale.
Per un gioco delle classi, C. risultò eletto con il voto di tutte le
centurie.[33] Assieme a lui risultò eletto il patrizio Gaio Antonio Ibrida, zio
di Marco Antonio, futuro triumviro e acerrimo nemico dell'arpinate, accusato
dallo stesso C. (In toga candida, orazione - pervenutaci in condizioni
frammentarie - tenuta in Senato come candidato poco prima delle elezioni del
64) di essere collusore di Lucio Sergio Catilina.[34] La fiducia riposta in C.
dalla classe equestre venne ripagata già all'inizio del consolato con la
pronuncia di quattro orazioni (De lege agraria) contro la proposta di
redistribuzione delle terre del tribuno Publio Servilio Rullo.[35] Durante il proprio consolato C. dovette
contrastare il tentativo di congiura messo in atto da Catilina. Questi era un
nobile impoverito che, dopo aver combattuto insieme a Silla e aver completato
il cursus honorum, aspirava a diventare console. Catilina si candidò a console
tre volte e tre volte venne fermato con processi dubbi o con possibili brogli
elettorali e infine ordì una congiura per rovesciare la repubblica.[36]
Catilina contava soprattutto sull'appoggio della plebe, a cui prometteva
radicali riforme, e sugli altri nobili decaduti, ai quali prospettava un
vantaggioso sovvertimento dell'ordine costituito, che lo avrebbe probabilmente
portato ad assumere un potere monarchico o quasi, inoltre sembrerebbe fosse
stato supportato politicamente da Gaio Giulio Cesare che venne però tenuto
fuori dallo stesso C. e non ebbe conseguenze.[37] Venuto a conoscenza del
pericolo che la Repubblica correva grazie alla soffiata di Fulvia, amante del
congiurato Quinto Curio,[38] C. fece promulgare dal Senato un senatus consultum
ultimum de re publica defendenda, cioè un provvedimento con cui si
attribuivano, come era previsto in situazioni di particolare gravità, poteri
speciali ai consoli.[39][40] Sfuggito poi a un attentato da parte dei
congiurati,[41] C. convocò il Senato nel tempio di Giove Statore, dove
pronunciò una violenta accusa a Catilina, con il discorso noto come Prima
Catilinaria[42][43], che si apre con il celebre incipit (LA) «Quousque tandem abutere, Catilina,
patientia nostra?» (IT) «Fino a quando,
Catilina, abuserai della nostra pazienza?»
(Marco Tullio C., Catilinarie I,1)
Catilina, visti i suoi piani svelati, fu costretto a lasciare Roma per
ritirarsi in Etruria presso il suo sostenitore Gaio Manlio, lasciando la guida
della congiura ad alcuni uomini di fiducia, Lentulo Sura e Cetego.[44][45] Grazie alla collaborazione di una delegazione
di ambasciatori inviati a Roma dai Galli Allobrogi, C. poté però trascinare
anche Lentulo e Cetego davanti al Senato: gli ambasciatori, incontratisi con i
congiurati, che avevano dato loro documenti scritti in cui promettevano grandi
benefici se avessero appoggiato Catilina, furono arrestati fittiziamente e i
documenti caddero nelle mani di C.. Questi portò Cetego, Lentulo e gli altri
davanti al Senato, ma nel decidere quale pena dovesse essere applicata, si
scatenò un acceso dibattito: dopo che molti avevano sostenuto la pena capitale,
Gaio Giulio Cesare propose di punire i congiurati con il confino e la confisca
dei beni. Il discorso di Cesare provocò scalpore, e avrebbe probabilmente
convinto i senatori se Marco Porcio Catone Uticense non avesse pronunciato un
altrettanto acceso discorso in favore della pena di morte. I congiurati furono quindi
giustiziati, e C. annunziò la loro morte al popolo con la formula: (LA) «Vixerunt» (IT) «Vissero» (Marco Tullio C.) poiché era considerato di cattivo auspicio
pronunciare la parola "morte" (ed espressioni di significato affine
come "sono morti") nel foro. Catilina fu poi sconfitto, nel gennaio
62, in battaglia assieme al suo esercito.
C., che non smise mai di vantare il proprio ruolo determinante per la
salvezza dello Stato (si ricordi il famoso verso di C. sul suo consolato:
Cedant arma togae, trad: "che le armi lascino il posto alla toga [del
magistrato]"), grazie al ruolo svolto nel reprimere la congiura, ottenne
un prestigio incredibile, che gli valse addirittura l'appellativo di pater
patriae. Nonostante ciò, la scelta di autorizzare la condanna a morte dei
congiurati senza concedere loro la provocatio ad populum (ovvero l'appello al
popolo, che poteva decretare la commutazione della pena capitale in una pena
detentiva) gli sarebbe costata cara soltanto pochi anni dopo. Durante la guerra civile Dal primo
triumvirato alle Idi di Marzo Gaio
Giulio Cesare (Musei Vaticani) A seguito del riemergere dei contrasti tra
senatori e populares, e dell'accordo tra Cesare e Pompeo ai danni
dell'oligarchia senatoria, C. fu messo da parte. L'ultima possibilità di
rientrare nel gioco politico gli fu offerta nel 60 a.C. dai tre più potenti
uomini del momento, ovvero Pompeo, Cesare e Crasso, alla conclusione
dell'accordo per il primo triumvirato: essi chiesero a C. di appoggiare la
legge agraria a favore dei veterani di Pompeo e della plebe meno abbiente. C.,
tuttavia, rifiutò non solo per non apparire un traditore dell'aristocrazia, ma
anche per l'attaccamento all'ordine legale e sociale di cui gli ottimati si
proclamavano difensori.[46] Dopo questo
rifiuto e la costituzione del primo triumvirato, C. si tenne fuori dalla
politica ma ciò non bastò a salvarlo dalle vendette dei populares: all'inizio
del 58 a.C. il tribuno della plebe Clodio Pulcro, nemico di C. per un
precedente processo per sacrilegio,[47] fece approvare una legge con valore
retroattivo che condannava all'esilio chiunque avesse mandato a morte un
cittadino romano senza concedergli la provocatio ad populum. Si trattava, in
realtà, di un'abilissima mossa politica di Cesare (che per l'appunto prima di
partire per la Gallia attese che C. fosse fuggito da Roma) che, attraverso il
suo alleato Clodio, eliminava così dalla scena politica uno dei suoi avversari
più tenaci, che avrebbero potuto osteggiarlo durante la sua ascesa al potere. C.
fu dunque processato per la sua condotta durante il processo ai Catilinari
Lentulo e Cetego[48] e costretto all'esilio. Lasciò Roma la notte tra il 19 e
il 20 marzo di quell'anno e si recò a Vibona, sperando di portarsi in Sicilia,
ma il pretore Virgilio - benché suo vecchio amico - non glielo consentì: in
effetti l'isola distava da Roma meno delle 500 miglia prescritte dal bando e
pertanto C. optò per la città di Brindisi, dove soggiornò tredici giorni negli
orti di Lenio Flacco prima di salpare per Durazzo. In più occasioni nei suoi
scritti l'oratore loda l'ospitalità e l'amicizia dei brindisini e della
famiglia di Lenio Flacco. Nei mesi dell'esilio C. non si diede pace, implorando
le sue conoscenze perché favorissero il suo ritorno. Clodio, però, fece
approvare anche una serie di altre leggi che prevedevano che C. non si potesse
neppure avvicinare al confine dell'Italia, e che le sue proprietà venissero
confiscate[49] In realtà la villa sul Colle Palatino fu addirittura distrutta,
e una sorte simile toccò poco dopo a quelle di Formia e di Tusculum[50][51].
Nel 57 a.C. la situazione a Roma migliorò, allorché i nobili e Pompeo posero un
freno alle iniziative di Clodio Pulcro: C. poté dunque rientrare in Italia e,
proveniente da Durazzo, giunse nuovamente a Brindisi - come narra lui stesso -
il 5 agosto: nel porto oltre ai suoi familiari e la figlia Tullia che
festeggiava il compleanno, c'era anche Lenio Flacco; le accoglienze tributate
al retore furono raddoppiate dal fatto che nella città quel giorno ricorreva
anche l'anniversario della deduzione a colonia.
Tornato a Roma riprese la sua lotta contro il tribuno della
plebe[52][53]. Simpatizzante degli optimates per via anche della sua personale
amicizia con Milone, uno dei capi della fazione, tenne tre orazioni in difesa
di tre optimates. Nel 56 a.C. C. pronunciò l'orazione Pro Sestio in cui
allargava il suo precedente ideale politico: l'alleanza tra cavalieri e
senatori a suo avviso non era più sufficiente per stabilizzare la situazione
politica. Occorreva, quindi, un fronte comune di tutti i possidenti per opporsi
alla sovversione tentata dai populares: tale proposta prende il nome di
consensus omnium bonorum. Sempre lo stesso anno tenne l’orazione Pro Caelio con
cui C. si trova a difendere Marco Celio Rufo dall’accusa di tentato
avvelenamento della sua amante, Clodia (sorella del tribuno della plebe Clodio
Pulcro e identificata dagli studiosi come la Lesbia di Catullo). Nonostante la
donna venisse dipinta come colei che per prima aveva tentato di uccidere
l’amante in quanto avversario politico del fratello le accuse erano
inconsistenti e C. spiegò il gesto compiuto da Marco Celio Rufo come un errore
di gioventù. Nel 55 a.C. scrive In Pisonem, orazione contro il governatore di
Macedonia Lucio Calpurnio Pisone, suocero di Cesare. Patrizi e plebe si
scontravano con l'uso di bande armate, e in uno di questi scontri, più
precisamente sulla via Appia, Milone, organizzatore delle bande dei possidenti,
uccise il tribuno Clodio.[54][55] Al processo per omicidio, tenutosi nel 52
a.C., C. difese Milone improntando la sua orazione sulla differenza tra
tirannicidio e omicidio; in questo caso sarebbe stato tirannicidio e per tanto
giustificabile. Ma, non riuscendo a pronunciare il suo discorso con la giusta
forza per il clamore della folla e per il timore che gli incutevano i
partigiani di Clodio nel foro, Milone venne condannato all'esilio a Marsiglia
(una versione della Pro Milone venne pubblicata solo successivamente, dando
modo di verificare come fosse un'orazione tra le più abili e sottili sul piano
giuridico). Il mondo romano allo
scoppio della guerra civile (1 gennaio 49 a.C.). Sono inoltre evidenziate le
legioni distribuite per provincia Dopo essere stato nominato augure nel 53 a.C.
al posto di Crasso,[56] nel 51 a.C. come proconsole si recò in Cilicia,[56]
proprio mentre i rapporti tra Cesare e Pompeo si inasprivano. Durante il
soggiorno lontano da Roma, i pensieri dell'oratore furono rivolti alla minaccia
della guerra civile. Tornato in patria, non cessò di invitare le parti alla moderazione
ed alla conciliazione, ma i suoi inviti caddero nel vuoto anche a causa del
fanatismo che spingeva Pompeo all'intransigenza nei confronti delle richieste
di Cesare. Quando Cesare varcò il Rubicone, C. cercò di accattivarsene il
favore, ma poi decise ugualmente di lasciare l'Italia per unirsi a
Pompeo.[57][58] Sbarcò, dunque, a Dyrrachium, ma, raggiunti i Pompeiani, si
accorse di quanto le speranze che egli riponeva in loro quali salvatori della
repubblica fossero infondate: ognuno di loro era lì non in difesa degli ideali,
ma soltanto per tentare di trarre profitto dalla guerra. Dopo la grande
vittoria di Cesare nella battaglia di Farsalo, nel 48 a.C., C. decise di
tornare a Roma, dove ottenne il perdono dello stesso Cesare nel 47
a.C.[59] C. rivelava nelle sue opere ed
in lettere ad amici come Cornelio Nepote, riguardo alla personalità di
Cesare: «Non vedo a chi Cesare debba
cedere il passo. Ha un modo di esporre elegante, brillante ed anche, in un certo
modo si pronuncia in modo elegante e splendido... Chi gli vorresti anteporre,
anche tra gli oratori di professione? Chi è più acuto o ricco nei concetti? Chi
più ornato o elegante nell'esposizione?»
(Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 55.)
La speranza di C. di collaborare al governo di Cesare venne troncata
dalla piega assolutistica e monarchica presa dal potere[60]. L'oratore si
ritirò, iniziando la stesura di opere di carattere filosofico ed oratorio. A
questo si aggiunse il divorzio dalla moglie Terenzia e la morte della figlia
Tullia, seguita dalla separazione dalla seconda moglie Publilia, una
giovinetta. Quando Cesare fu ucciso, il
15 marzo del 44 a.C., a seguito della congiura ordita da Marco Giunio Bruto e
Gaio Cassio Longino, per Roma, e per lo stesso C., si avviò una nuova fase
politica, che avrebbe avuto termine solo con l'avvento dell'impero. L'opposizione ad Antonio e la morte C. non
fu, certamente, colto di sorpresa dall'assassinio, da parte dei Liberatores, di
Giulio Cesare: era sicuramente al corrente della congiura che si andava
tessendo, ma decise sempre di tenersene al di fuori, pur manifestando una
grande ammirazione per l'uomo che era destinato a divenire il simbolo stesso
della congiura, Bruto. E lo stesso Bruto, infatti, con il pugnale sporco del
sangue di Cesare ancora in mano, additò C. definendolo l'uomo che avrebbe
ristabilito l'ordine nella repubblica.[61]
Scrisse a Lucio Minucio Basilo, uno dei cesaricidi, una lettera per
congratularsi dell'assassinio di Cesare:
(LA) «Tibi gratulor, mihi gaudeo; te amo, tua tueor; a te amari et, quid
agas quidque agatur, certior fieri volo.»
(IT) «Con te mi congratulo, per me sono contento; ti sono vicino, ho
cura delle tue cose; ti chiedo di volermi bene e di farmi sapere che cosa fai e
che cosa succede.» (C., Ad Familiares,
vi, 15) La data della missiva non è
conosciuta, ma viene solitamente ritenuta vicinissima o coincidente alla
congiura.[62] L'espressione «quid agas quidque agatur» la indicherebbe[62] come
scritta prima che C. si recasse al Campidoglio, dove i cospiratori avevano
trovato rifugio dopo l'assassinio, asserragliati nel tempio capitolino e
protetti dai gladiatori di Bruto.[63] C.,
infatti, tornò ad essere anche di fatto uno dei maggiori rappresentanti della
fazione degli optimates, mentre Marco Antonio, luogotenente e magister equitum
di Cesare, prendeva le redini della fazione dei populares. Antonio tentò di
fare in modo che il senato decidesse di organizzare una spedizione contro i
Liberatores (che intanto si erano trasferiti nella penisola balcanica), ma C.
fu promotore di un accordo che, assicurando il riconoscimento di tutti i
provvedimenti presi da Cesare nel corso della sua dittatura, garantiva
l'impunità a Bruto e Cassio.[64] Poco dopo, i due, assieme agli altri
congiurati, fuggirono verso la penisola ellenica.[65] Statua di Augusto comunemente detta Augusto
di Prima Porta, custodita ai Musei Vaticani. Tra C. ed Antonio, comunque, i
rapporti non erano dei migliori, e i due, d'altra parte, si trovavano
all'esatto opposto in ambito politico: C. era il difensore degli interessi
dell'oligarchia senatoriale, convinto sostenitore della repubblica
monopolizzata dai ricchi, mentre Antonio avrebbe voluto fare suoi i progetti di
Cesare ed assumere gradualmente un potere monocratico.[66] Intanto, un'altra
figura si andava affermando dal nulla nel panorama politico di Roma, la figura
del giovane Ottaviano (destinato a diventare Augusto), pronipote di Cesare e
suo erede designato nel testamento.[67][68] Ottaviano decise di adottare una
politica filosenatoriale, senza mostrare nessuna volontà di imitare le mosse di
Cesare. C., allora, si schierò ancora
più apertamente contro Antonio, definendo Ottaviano come vero erede politico di
Cesare, e come uomo mandato dagli dèi per ristabilire l'ordine.[69] C. sperava,
infatti, nell'affermazione di un giovane princeps in re publica che, assistito
da un membro del senato di grande esperienza, come lo stesso C., riportasse la
pace e riformasse la repubblica.[70] Iniziò, inoltre, tra il 44 a.C. e il 43
a.C., a pronunciare contro Antonio una serie di orazioni, note con il nome di
Filippiche in quanto richiamavano quelle omonime pronunciate da Demostene
contro Filippo II di Macedonia. Intanto, Antonio, nella volontà di condurre una
nuova guerra in Gallia per accrescere il proprio prestigio, decise di marciare
contro Decimo Giunio Bruto Albino, governatore della Gallia Cisalpina, e lo
assediò nella città di Modena. Qui Antonio fu però raggiunto dagli eserciti
consolari guidati da Aulo Irzio, Gaio Vibio Pansa e dallo stesso Ottaviano, che
lo sconfissero.[71] Tornato a Roma,
Ottaviano si trovò nella situazione di dover scegliere tra il totale abbandono
della politica cesariana, che avrebbe tenuto in vita l'agonizzante repubblica,
e l'allontanamento dal Senato, al quale rischiava di asservirsi totalmente.[72]
Scelse di proseguire almeno in parte la politica cesariana, e costituì, assieme
ad Antonio e a Marco Emilio Lepido, il secondo triumvirato, un accordo politico
secondo il quale i tre uomini avrebbero dovuto compiere una profonda opera di
riforma della repubblica.[73] C. fu costretto ad accettare che sarebbe ora
stato impossibile attuare il suo piano di un princeps, ma non per questo ritirò
le severe accuse rivolte ad Antonio nelle Filippiche. Quest'ultimo, allora,
nonostante la fievole opposizione di Ottaviano, decise di inserire C. nelle
liste di proscrizione, decretando, così, la sua condanna a morte.[74] C. lasciò allora Roma e si ritirò nella sua
villa di Formia, che aveva ricostruito dopo gli episodi legati a Clodio. A
Formia, però, fu raggiunto da alcuni sicari inviati da Antonio, che, aiutati da
un liberto di nome Filologo,[75] poterono trovarlo fin troppo facilmente. C.,
accortosi dell'arrivo dei suoi assassini, non tentò di difendersi, ma si
rassegnò alla sua sorte, e venne decapitato. Tale località prese il nome di
Vindicio (dal latino "vindicta", vendetta), attuale frazione di
Formia.[76] Una volta ucciso, per ordine di Antonio, gli furono tagliate anche
le mani (o forse soltanto la mano destra, usata per scrivere ed indicare
durante i discorsi), con cui aveva scritto le Filippiche,[77] che furono
esposte in senato insieme alla testa, appese ai rostri che si trovavano sopra
la tribuna da cui i senatori tenevano le loro orazioni, come monito per gli
oppositori del triumvirato.[78][79] (LA)
«Prominenti ex lectica praebentique immotam cervicem caput praecisum est. Nec
satis stolidae crudelitati militum fuit: manus quoque scripsisse aliquid in
Antonium exprobrantes praeciderunt.»
(IT) «Sporgendosi dalla lettiga ed offrendo il collo senza tremare, gli
fu recisa la testa. E ciò non bastò alla sciocca crudeltà dei soldati: essi gli
tagliarono anche le mani, rimproverandole di aver scritto qualcosa contro
Antonio.» (Livio - Ab Urbe condita
libri, CXX - cit. in Seneca il Vecchio, Suasoriae, 6,17) (GRC) «Αὐτὸς δ' ὥσπερ εἰώθει τῇ ἀριστερᾷ
χειρὶ τῶν γενείων ἁπτόμενος, ἀτενὲς ἐνεώρα τοῖς σφαγεῦσιν, αὐχμοῦ καὶ κόμης
ἀνάπλεως καὶ συντετηκὼς ὑπὸ φροντίδων τὸ πρόσωπον, ὥστε τοὺς πλείστους
ἐγκαλύψασθαι τοῦ Ἑρεννίου σφάζοντος αὐτόν. Ἐσφάγη δὲ τὸν τράχηλον ἐκ τοῦ
φορείου προτείνας, ἔτος ἐκεῖνο γεγονὼς ἑξηκοστὸν καὶ τέταρτον. Τὴν δὲ κεφαλὴν
ἀπέκοψαν αὐτοῦ καὶ τὰς χεῖρας, Ἀντωνίου κελεύσαντος, αἷς τοὺς Φιλιππικοὺς
ἔγραψεν. Αὐτός τε γὰρ ὁ Κικέρων τοὺς κατ' Ἀντωνίου λόγους Φιλιππικοὺς ἐπέγραψε,
καὶ μέχρι νῦν Φιλιππικοὶ καλοῦνται.»
(IT) «Ed egli, come era solito, toccandosi le guance con la mano
sinistra, impassibilmente rivolse lo sguardo ai sicari, ricoperto dal sudore e
dalla capigliatura e disfatto nel volto dalle preoccupazioni, tanto che i più
si coprirono il volto mentre Erennio lo uccideva. E fu ucciso mentre sporgeva
il collo dalla lettiga, quando quello che trascorreva era il suo sessantaquattresimo
anno. E, per ordine di Antonio, tagliarono la sua testa e le sue mani, con le
quali aveva scritto le Filippiche. C. stesso infatti intitolò Filippiche le
orazioni contro Antonio e tuttora sono chiamate Filippiche.» (Plutarco, Vite parallele, Vita di C., 48,
4-6) Una volta sconfitto Antonio,
Ottaviano scelse Marco, figlio di C., come collega per il consolato, e proprio
Marco comminò le pene ad Antonio, facendone abbattere le statue e decretando
che nessun membro della gens Antonia avrebbe più potuto essere chiamato
Marco.[80] Plutarco racconta che quando,
tempo dopo, insignito del titolo di Augusto, Ottaviano trovò un nipote che
leggeva le opere di C., gli prese il libro, e ne lesse una parte. Una volta che
glielo ebbe restituito, disse: "Era un saggio, ragazzo mio, un saggio, e
amava la patria".[81] Vita privata
Matrimoni C. probabilmente sposò Terenzia all'età di 29 anni, nel 77 a.C. Il
matrimonio - di convenienza - fu piuttosto armonioso per 30 anni. Terenzia era
di famiglia patrizia ed era una ricca ereditiera, entrambi fattori
particolarmente importanti per il giovane ambizioso che era C.. Da Terenzia C.
avrà due figli: Marco Tullio C., che come il padre diventerà un politico a
Roma, e Tullia o «la dolce Tulliola», come appunto viene descritta da C. in una
delle sue innumerevoli lettere; che sposò prima con un Pisone Frugi e poi in
seconde nozze con Publio Cornelio Dolabella dal quale divorzierà perché il
padre sosteneva la fazione degli ottimati mentre Dolabella era luogotenente di
Cesare, infine morirà molto giovane all'età di 34 anni. Una delle sorelle o
cugina di Terenzia era stata scelta come vergine Vestale, il che costituiva un
grandissimo onore. Terenzia era una donna dal carattere forte e prese parte
alla carriera politica di suo marito più di quanto permise a lui di prenderne
negli affari di famiglia. Non condivise, tuttavia, gli interessi intellettuali
di C. né il suo agnosticismo. C. lamenta a Terenzia in una lettera scritta
durante il suo esilio in Grecia che «...né gli dei che Lei ha adorato con tale
devozione né gli uomini che io ho servito hanno mostrato il più piccolo segno
di gratitudine nei nostri confronti».[82] Terenzia era una donna devota e
probabilmente piuttosto materialista.
Alla fine del 47 a.C. o all'inizio del 46 a.C. C. ripudiò Terenzia.[83]
I motivi del distacco sono ignoti, ma C. accusò la moglie di averlo trascurato
durante la guerra, di non essere neppure venuta ad accoglierlo al suo ritorno e
di avergli restituito la casa gravata di forti debiti.[84] Verso la fine del 46 a.C. C. sposò Publilia,
giovane e ricca fanciulla orfana di padre, che viveva sola con la madre.[85]
Secondo Terenzia (che accusava Publilia di essere la causa del suo divorzio),
la giovinezza della fanciulla avrebbe causato l'innamoramento di C., mentre
secondo Tirone, liberto dell'oratore, dietro la decisione ci sarebbe stato il
desiderio di usufruire dei beni della giovane[86]; C. peraltro era già stato
nominato tutore di Publilia, e ne amministrava le ricchezze.[87] Poco dopo il
matrimonio, Tullia, figlia di C., morì di parto.[88] Egli rimase fortemente
colpito e nel luglio del 45 a.C., mentre gli amici gli recavano conforto,
decise di ripudiare Publilia colpevole di essersi rallegrata della morte di
Tullia, dopo soli sette mesi di matrimonio.[89]
Il divorzio dalla storica consorte Terenzia e le seconde nozze con
Publilia, destinate anch'esse alla rottura, resero C. oggetto di feroci
critiche, come quelle rivoltegli da Antonio nelle repliche alle
Filippiche. Entrambe le mogli di C.
morirono in tardissima età, cosa insolita per quei tempi (Terenzia addirittura
centenaria; in quanto a Publilia, era ancora viva durante l'impero di Tiberio,
avendo sposato in seconde nozze il console Gaio Vibio Rufo, secondo quanto
afferma Cassio Dione). Prole È
universalmente noto l'amore di C. per la figlia Tullia, sebbene il matrimonio
con Terenzia, da cui lei era nata, fosse stato un matrimonio di convenienza.
Tullia era l'unica persona che C. non criticò mai. La descrive così in una
lettera al fratello Quinto: «Com'è affettuosa, com'è modesta, com'è
intelligente!»[82] Quando lei si ammalò improvvisamente nel febbraio del 45
a.C. e morì, dopo che era sembrato che potesse guarire, dando alla luce un
figlio, C. scrisse ad Attico: «Ho perso l'unica cosa che mi legava alla
vita».[17] Attico invitò C. ad andarlo a
trovare nelle prime settimane dopo la morte di Tullia per poterlo consolare.
Nella grande biblioteca di Attico, C. lesse tutto quello che i filosofi greci
avevano scritto circa il superamento del dolore, «...ma il mio dolore sconfigge
ogni consolazione».[90] Cesare e Bruto gli spedirono lettere di condoglianze, e
così fece anche il suo vecchio amico e collega, l'avvocato Servio Sulpicio
Rufo. Questi spedì una lettera che in seguito è stata molto apprezzata, piena
di riflessioni sulla fugacità di tutte le cose.
Dopo un po', C. decise di abbandonare ogni compagnia per ritirarsi in
solitudine nella sua villa di Astura, appena acquistata. Si trovava in un bosco
solitario, ma non lontano da Napoli, e per molti mesi non fece altro che
camminare per il bosco, piangendo. Scrisse ad Attico: «Io mi immergo là nel
bosco selvatico e fitto la mattina presto, e vi soggiorno fino a sera».[17] Più
tardi decise di scrivere un libro per insegnare a se stesso come superare il
dolore; questo libro, intitolato Consolatio, fu estremamente apprezzato in
antichità (in particolare da Sant'Agostino), ma sfortunatamente è andato
perduto, e ne restano solo pochi frammenti. In seguito C. progettò anche di far
erigere un piccolo tempio alla memoria di Tullia, la "sua
incomparabile" figlia, ma poi non portò a termine il progetto, per ragioni
ignote. C. sperava che il figlio Marco
scegliesse di diventare filosofo come lui, ma era un'aspettativa priva di basi:
Marco, per conto suo, desiderava intraprendere la carriera militare, e nel 49
a.C. si unì a Pompeo ed al suo esercito, e partì con loro per la penisola
ellenica. Quando nel 48 a.C., dopo la disastrosa sconfitta dei pompeiani a
Farsalo, Marco si presentò a Cesare, questi lo perdonò. C., allora, non perse
tempo, e lo mandò ad Atene a formarsi nella scuola del filosofo peripatetico
Cratippo, ma Marco, ben distante dall'occhio vigile del padre, passò il tempo a
mangiare, bere e divertirsi, seguendo le lezioni del retore Gorgia. Dopo l'assassinio del padre, Marco si unì
all'esercito dei Liberatores, guidati da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio
Longino, ma dopo la sconfitta nella battaglia di Filippi, nel 42 a.C., fu
perdonato da Ottaviano. Questi, infatti, sentendosi in colpa per aver permesso
che C. fosse inserito nelle liste di proscrizione del secondo triumvirato,
decise di favorire la carriera del giovane Marco. Quest'ultimo divenne, dunque,
augure, e fu poi nominato prima console nel 30 a.C. assieme allo stesso
Ottaviano, e poi proconsole in Siria e nella provincia d'Asia. L'umorismo ciceroniano [91] Vedendo un busto marmoreo che raffigurava suo
fratello Quinto, uomo di bassa statura, C. osservò: "Che strano! Mio
fratello è più grande quando è mezzo che quando è intero" Anche il marito
della figlia non era alto, e vedendolo indossare l’armatura e le armi di
legionario C. chiese ai presenti: "Chi ha legato mio genero alla
spada?". Un certo Vibio Curione aveva il vezzo di abbassarsi l'età e C.:
"Ma allora quando andavamo a scuola insieme non eri ancora nato?".
Saputo che Fabia Dolabella asseriva di avere trent’anni, C. assentì: "È
vero! Sono vent’anni che glielo sento dire." C. non aveva nobili natali
per cui il patrizio Metello Nepote lo derideva, durante le udienze in
tribunale, chiedendogli chi era suo padre. Ma C.: "Per quanto ti riguarda,
invece, tua madre ti ha reso difficile rispondere a questa domanda!" Ad un
avversario disonesto che lo attaccò in Senato domandandogli: "Perché abbai
tanto?", C. rispose: "Perché vedo un ladro!" C. politico Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero
politico di C.. Busto di C. (LA)
«Potestas in populo, auctoritas in senatu»
(IT) «Il potere è del popolo, l'autorità del senato» (Marco Tullio C., De Legibus,3,12) Come uomo politico, C. è sempre stato
bersaglio della critica di antichi e moderni. Le accuse mossegli vanno
dall'incoerenza alla vanità, alla poca lungimiranza. Ma la sua conduzione
oggettivamente può essere giustificata se la si contestualizza nella politica
del tempo, fatta in un mobile gioco di accordi e conflitti tra gruppi di potere
e famiglie nobili, che sfruttavano le etichette di partito per mire
personali. «C. era attaccato al governo
repubblicano per tradizione e per ricordo, rammentando le grandi cose che esso
aveva fatto e a cui egli, come molte altre persone, doveva le sue dignità, il
suo grado sociale e il nome. Non poteva dunque pensare a rassegnarsi così
facilmente alla sua caduta, anche se la libertà effettiva non esisteva più a
Roma, e non ne restava che l'ombra. Non bisogna biasimare coloro, come C., che
vi s'attaccano e fanno sforzi disperati per non lasciarla perire, poiché
quest'ombra, questa apparenza li consola della libertà perduta e infonde loro
qualche speranza di riconquistarla. Questo era ciò che pensavano i Romani che,
come C., dopo matura riflessione, senza entusiasmo, senza passione, e senza
speranza, andarono a raggiungere Pompeo»; questo è ciò che Lucano fa dire a
Catone in quei versi ammirevoli che esprimono i sentimenti di tutti coloro che,
senza nascondere la triste condizione della Repubblica, si ostinarono a
difenderla fino alla fine: «Come un padre, che ha or ora perduto il figlio,
prova una sorta di piacere a dirigere i riti funebri, accende con le sue mani
il rogo, non lo lascia che a malincuore e il più tardi possibile, così, Roma,
io non t'abbandonerò prima di averti tenuta morta tra le mie braccia. Io
seguirò fino alla fine il tuo solo nome, o libertà, anche quando non sarai più
che un'ombra vana».[92] Preoccupazione
costante di C. fu la difesa dello status quo e dei diritti della grande
proprietà latifondista, desideroso soprattutto di acquisire presso i notabili
romani il credito necessario per entrare a far parte della classe dirigente.
Egli si adoperò quindi per la conservazione del potere e dei privilegi di cui
godeva la classe degli optimates, secondo una formula che, in sostanza,
significava sicurezza e tranquillità (otium) per tutti i possidenti, e che
implicava che il potere (dignitas) rimanesse nelle mani di un'oligarchia. Il
suo preteso desiderio che in questa élite si entrasse per "merito" e
non per nascita, quand'anche non lo si voglia meramente intendere come un
sottinteso riferimento alle sue vicende personali, rimase comunque
un'astrazione teorica, un'utopia, anche per l'assenza, allora come oggi, di una
vera modifica nel tessuto politico e sociale della Repubblica.[93] C. fu, inoltre, sostenitore dell'ideale
politico della concordia ordinum (intesa tra il ceto equestre e senatorio
divenuta poi concordia omnium bonorum, ovvero concordia di tutti i cittadini
onesti), e la esaltò, in particolare, nella quarta orazione contro Catilina:
allora, per la prima volta nella storia tardo repubblicana, i senatori, i
cavalieri ed il popolo si trovarono d'accordo sulle decisioni da prendere,
decisioni dalle quali dipendeva la salvezza dello stato. C. auspicava che la
concordia potesse durare per sempre, pur capendo che essa era nata, in quel
particolare frangente, solo per la pressione emotiva: d'altronde, la concordia
non faceva leva su un particolare progetto politico, ma solamente su motivi di
carattere sentimentale ed economico.[94]
C. filosofo Per le opere, vedi l'apposita sezione La filosofia prima di C. Ritratto di C. C. fu il primo degli autori
romani a comporre opere filosofiche in latino: ne andava, infatti, molto fiero,
ma si scusava, allo stesso tempo, di aver dedicato alla filosofia così tanto
tempo.[15] Alcuni, infatti, ritenevano che fosse disdicevole per un uomo romano
dedicarsi alla filosofia, altri pensavano che comunque non bisognasse dedicarle
più di un certo tempo. Altri ancora, infine, erano convinti sostenitori della
totale superiorità della filosofia greca e consideravano per l'appunto solo le
opere greche degne di essere lette.[95] C.
era però convinto che, se i Romani si fossero dedicati seriamente alla
filosofia, avrebbero allora raggiunto le stesse vette dei Greci, che già
avevano eguagliato nella retorica. Ma il gusto per le speculazioni filosofiche
era totalmente estraneo alla società romana: il vir era, d'altronde, un uomo
d'azione. I Romani conobbero la filosofia grazie al contatto con i Greci, ma
consideravano inutile, se non addirittura deleteria, una vita spesa alla
continua ricerca di un sapere che non portava nessuna gloria alla patria né
alcuna ricchezza. Il Senato arrivò, infatti, addirittura ad espellere dall'Urbe
i filosofi ateniesi che vi erano giunti in visita nel 155 a.C., Carneade,
Diogene e Critolao.[95] La stessa
nobilitas senatoriale non voleva, poi, che il popolo e i giovani si
interessassero alla filosofia (che avrebbe prodotto in loro un certo amore per
l'otium, allontanandoli dalla vita reale), ma furono costretti ad ammettere che
nessun uomo degno di tale nome poteva restare estraneo a questa scienza. I
senatori decisero di richiamare a Roma i filosofi che avevano scacciato per
prendere da loro delle vere e proprie lezioni di filosofia, vietando, comunque,
loro di insegnare la filosofia pubblicamente. Persino Marco Porcio Catone,
fiero oppositore della penetrazione della cultura greco-ellenistica a Roma,[96]
studiò la filosofia greca, come tutti gli esponenti dell'oligarchia senatoriale
del tempo.[95] A riscuotere un
istantaneo successo a Roma fu lo stoicismo, ma presto ad esso si unirono le
altre dottrine, i cui esponenti arrivarono "in massa" a Roma nel
corso del I secolo a.C. In poco tempo, dunque, la situazione aveva subito un
totale ribaltamento e non esisteva più uomo estraneo alla filosofia.[95] Formazione filosofica di C. C. non si
comportò diversamente dai suoi contemporanei, ma, almeno in gioventù, studiò la
filosofia convinto che si trattasse esclusivamente di un valido supporto per la
retorica: iniziò a comporre opere filosofiche, infatti, soltanto in tarda età,
quando solo la composizione, appunto, poteva essere l'impiego del suo tempo
libero. Nella filosofia C. cercò e seppe trovare la consolazione di cui aveva
bisogno, il rimedio somministratogli dall'antica saggezza.[95] Da giovane, C. studiò d'impulso
l'epicureismo, dottrina che aveva avuto numerosi discepoli anche a Roma, tra
cui Amafinio, Cazio e Lucrezio. In principio, C. fu, infatti, allievo di
filosofi epicurei, quali Fedro e Zenone. Più tardi, sotto l'influsso di altri
maestri, abbracciò, almeno in parte, lo stoicismo, ma non ne fu mai un convinto
sostenitore: come altri al suo tempo, elaborò una personale fusione tra le due
filosofie, in modo eclettico.[95] Mostrò, tuttavia, forti preferenze per la
dottrina accademica insegnatagli da Filone: la teoria del probabilismo e del
verosimile si adattavano perfettamente ad una personalità quale quella di C., a
cui si addiceva perfettamente anche l'elevazione morale dello stoicismo. Questa
particolare mescolanza fra più filosofie fu la vera filosofia di C..[95] Opere
Marci Tullii Ciceronis Opera Omnia, 1566 Scritti filosofici Frontespizio di una stampa del De officiis;
Christopher Froschouer, 1560 Le opere filosofiche di C. costituiscono
un'importante fonte su teorie filosofiche ellenistiche poco documentate
direttamente. In particolare gli Academica sono una testimonianza essenziale
sullo scetticismo della media Accademia. In molti casi C. traduce per la prima
volta in latino termini filosofici greci.[97] Ad esempio i termini probabile e
probabilità, usati con leggere varianti in tutte le lingue occidentali per
indicare concetti filosofici e scientifici, traggono il loro significato attuale
dalla scelta di C. di tradurre con il latino probabilis il termine πιθανὸς
(pithanòs), nel senso in cui esso è usato da Carneade.[98] Il De re publica e il De legibus, e la
traduzione del Timeo e del Protagora contribuirono a diffondere a Roma il
Platonismo.[99] Panoramica alfabetica di
tutte le opere filosofiche Academica priora (prima stesura dei libri sulla
dottrina della conoscenza dell'accademia platonica). Catulus (Dialogo), la
prima parte dell'Academica priora, perduto. Lucullus (Dialogo), la seconda
parte dell'Academica priora, conservato. Academici libri oppure Academica
posteriora (versione tarda del trattato sulla dottrina della conoscenza
dell'accademia platonica, in quattro libri). Cato Maior de senectute
("Catone il censore, sull'anzianità"). C. immagina Catone il Censore
all'età di 84 anni ed esprime la sua nostalgia del buon tempo antico, quando a
Roma l'uomo politico eminente poteva mantenere prestigio e autorevolezza fino
alla più tarda età. Consolatio: una consolazione a sé stesso scritta alla morte
dell'amata figlia Tullia, in cui C. esorta a considerare la caducità di ogni
cosa e l'importanza della filosofia. L'opera è andata perduta. De Divinatione
("Sulle profezie"): Quest'opera, probabilmente la più originale tra
tutte quelle composte da C., mette in luce un'opinione molto esplicita sulla
fiducia che bisogna riporre nell'arte aruspicina. Sebbene discuta anche delle
opinioni stoiche al riguardo, si nota che C. tratta gli argomenti con la
dimestichezza di chi ha potuto osservare da vicino il funzionamento della
religione romana (nelle vesti di augure), e può trarne un lucido giudizio, che
non può non essere negativo. Da quest'opera e dal terzo libro del De natura
deorum i primi cristiani attinsero argomenti per combattere il politeismo. De
finibus bonorum et malorum ("Sui confini del bene e del male"). È un
dialogo in cinque libri che si pone il problema di cosa sia il sommo bene,
tenendo in considerazione le due filosofie antiche stoica ed epicurea che,
rispettivamente, lo classificavano come virtù e piacere. De Fato ("Sul
Fato"), giuntoci non integralmente. Viene argomentata la dottrina
provvidenzialistica degli stoici. De natura deorum ("Sull'essenza degli
dei"): Il De natura deorum fu scritto nel 44 a.C., subito prima della
morte di Cesare, ed inviato a Bruto. C. orchestra una conversazione tra un
epicureo, Velleio, uno stoico, Balbo, ed un accademico, Cotta, che espongono e
discutono le opinioni dei vecchi filosofi sugli dei e sulla Provvidenza.
L'ateismo dissimulato di Epicuro viene confutato da Cotta, che sembra
rappresentare lo stesso C.. Cotta prende, poi, la parola, per confutare anche
il pensiero stoico riguardo alla Provvidenza. Se C. respingeva con certezza il
parere degli epicurei al riguardo, non possiamo, invece, sapere con altrettanta
certezza cosa pensasse della religiosità dello stoicismo: le parole di Cotta,
pervenuteci, tra l'altro, solo in parte, non contengono nessuna riflessione
dello stesso C.. Si è però ipotizzato che C. abbracciasse almeno in parte il
probabilismo accademico, sebbene suoi ammiratori fossero invece convinti che si
fosse allontanato del tutto dallo scetticismo. Comunque, è importante il poter
constatare l'estrema discrezione dell'atteggiamento di C.: egli è persuaso che
il culto nell'esistenza degli dei e nella loro azione sul mondo debba
esercitare una profonda influenza sulla vita, e che è, dunque, di un'importanza
fondamentale per il governo di uno stato. Esso deve, perciò, essere mantenuto
vivo nel popolo. Sono il politico e l'augure che parlano. C. non trova gli
argomenti degli stoici molto convincenti, e li confuta per mezzo di Cotta.
Infine, si dice incline a credere che gli dei esistano e che governino il
mondo: lo crede, perché è un'opinione comune a tutti i popoli. Questo"
accordo" universale equivale per lui ad una legge della natura (consensus
omnium populorum lex naturae putanda est). In quanto alla pluralità degli dei,
sebbene non si esprima categoricamente su questo punto, sembra che non ci
creda, o per lo meno che, come gli stoici, consideri gli dei come nient'altro,
per così dire, che le emanazioni del Dio unico. Concepisce poi questo Dio unico
come uno spirito libero e privo di qualsiasi elemento mortale, all'origine di
tutto. Non risparmia, invece, i racconti mitici del politeismo greco-romano;
schernisce e condanna le leggende comuni a tutti i popoli. Era soprattutto
questa parte dell'opera, il terzo libro, ad affascinare i filosofi del XVIII
secolo: non era difficile mettere in luce gli aspetti ridicoli della religione
popolare, e si può dire che anche al tempo di C. ciò era diventato un luogo
comune filosofico. Gli uni, respingendo con disprezzo queste favole, che
giudicavano grossolane, respingevano anche ogni credenza; gli altri adottavano
la dottrina stoica. A C., invece, l'esistenza degli dei appariva come
necessaria: tutti i popoli credevano, e di conseguenza credeva anche lui.
Pressappoco nello stesso modo, C. analizza, poi, il tema dell'immortalità
dell'anima, prendendo in prestito molte delle opinioni espresse a questo
proposito da Platone.[100] De officiis ("Sui doveri"): Il De officis,
che - pare - fu scritto dopo la morte di Cesare, nel 44 a.C., è l'ultima opera
filosofica di C., che la dedicò al figlio Marco, che si trovava ad Atene.
L'opera, ispirata ad un lavoro dello stoico Panezio, è divisa in tre libri: il
primo tratta di ciò che è onesto, il secondo di ciò che utile, ed il terzo
traccia una comparazione tra utile ed onesto. Nell'opera, C. non fornisce
profonde spiegazioni con rigore scientifico, ma enuncia una serie di ottimi
precetti, indispensabili per fare di un uomo un buon cittadino romano, ligio ai
suoi doveri e dunque in grado di vivere nell'ottica della virtus. Hortensius:
sorta di protrettico ovvero esortazione alla filosofia, modellata su un'analoga
opera perduta di Aristotele. Come testimoniato dal proemio al II libro del De
divinatione, in essa appariva Quinto Ortensio Ortalo, il quale svalutava
l'attività filosofica; contro questa tesi si pronunciava C.. L'opera fu assai
apprezzata nell'antichità, specie da Agostino; essa è andata perduta e gli
unici frammenti pervenutici provengono da citazioni che ne fa appunto Agostino.
Laelius seu de amicitia ("Lelio" o "sull'amicizia").
Paradoxa Stoicorum (Teoremi di spiegazione dei paradossi etici della scuola
degli stoici): Si tratta di esercitazioni di casistica oratoria, spesso
giudicate di basso livello dalla critica. Tusculanae disputationes
("Conversazioni a Tusculum"): Le Tusculanae disputationes furono
composte nel 45 a.C., sotto la dittatura di Cesare, quando Catone Uticense era
già stato costretto al suicidio e la repubblica aveva, in fin dei conti,
cessato di esistere. Il dittatore si era dimostrato clemente, ma aveva dato a
intendere agli intellettuali che non avrebbe accettato una loro
"insubordinazione": a C., che aveva scritto un libro in memoria di
Catone, Cesare aveva risposto con l'Anticato ("Anticatone"), in cui
criticava l'illustre morto, mostrando quale sarebbe stato il suo atteggiamento
verso gli oppositori. Per C. la situazione era davvero complicata: sua figlia
Tullia era appena morta, e la vita politica aveva perso ogni senso. L'oratore
decise dunque di ritirarsi nella villa di Tusculum, particolarmente amata da
Tullia, dove si dedicò allo studio della filosofia. Gli argomenti delle
disputationes rispecchiano dunque il suo stato d'animo: cos'è la morte? Cos'è
il dolore? C'è un modo per alleviare le afflizioni dell'animo? Cosa sono le
passioni? Come si deve confrontare il saggio nei confronti di questi elementi
turbatori della propria imperturbabilità? Infine: cos'è la virtù? Basta a
rendere felice una vita? Tra le ultime riflessioni ve n'è anche una a proposito
del suicidio, inteso come mezzo per eludere la morte. C. tratta questi temi con
il suo solito stile eloquente, ma vi si intravede un forte senso d'impotenza: è
evidente che il suo pensiero è sempre rivolto, nonostante tutto, a Roma ed alla
politica. De re publica ("Sulla repubblica"), sul modello della
Repubblica di Platone. De legibus ("Sulle leggi"): Il De legibus fu
composto probabilmente nel 52 a.C., dopo che C. era stato nominato augure. Si
tratta di uno scritto che può considerarsi complementare del De re publica, del
quale ricalca pregi e difetti: non è un lavoro puramente filosofico, né un
semplice trattato di giurisprudenza, ma piuttosto un compromesso tra le due
scienze. Nel primo libro, ispirato all'omonima opera di Platone e al trattato
Sulle leggi di Crisippo, C. dimostra con una grande elevazione di pensiero e di
stile l'esistenza di una legge universale, eterna, immutabile, conforme alla
ragione divina, che si confonde con lei. Proprio la ragione divina, infatti,
costituisce il diritto naturale, che esisteva prima di tutti gli ordinamenti.
Dopo quest'avvio, C. passa all'analisi delle leggi in rapporto alle varie forme
di governo, così come farà, molto tempo dopo, Montesquieu. Non avendo a
disposizione altra repubblica all'infuori di quella romana, C. non immagina
leggi diverse da quelle romane: esse sono le leggi perfette. Terminata
l'analisi, C. si limita, nel secondo libro, ad enunciare le poche che possono
essere considerate imperfette, soprattutto tra quelle che regolano il culto.
L'attenta analisi delle consuetudini religiose appare, alla luce della data di
pubblicazione, come un'attenta manovra di propaganda, con la quale C. appare ai
suoi concittadini come uomo ben degno della carica sacerdotale che gli è stata
affidata. Nel terzo libro, di cui sono andati perduti alcuni passi, C. analizza
la natura e l'organizzazione del potere, il carattere delle diverse funzioni
dello stato e l'antagonismo salutare che deve esistere tra le forze che lo
costituiscono. Queste domande, di interesse generale così vivo poiché toccavano
direttamente il problema della libertà politica, avevano un'importanza
considerevole per i contemporanei di C.. Quale doveva essere la parte
dell'aristocrazia o del senato, e quale quella del popolo nel governo della
repubblica? Non era lontano il tempo in cui Cesare avrebbe dato la risposta
definitiva a questo quesito, e tutti coloro che presagivano ciò che sarebbe
accaduto tentavano di rafforzare l'autorità della nobilitas e del senato.
Nell'opera, il fratello di C., Quinto, è fortemente contrario al tribunato
della plebe, carica che ritiene potenzialmente troppo pericolosa: C., pur
discostandosi dalle opinioni del fratello, riconosce il pericolo che il
tribunato della plebe costituisce per il mantenimento della calma e della pace.
Possediamo solamente i primi tre libri del De legibus: ce n'erano probabilmente
sei. Il quarto era dedicato all'esame del diritto politico, il quinto al
diritto criminale, il sesto al diritto civile. Si trattava di opere
particolarmente preziose, perché C. non ha mai trattato altrove gli stessi
argomenti. Non dimentichiamo che i trattati De re publica e De legibus furono
scritti in un'epoca durante la quale la costituzione romana era ancora in
piedi, prima della guerra civile e la fine dell'antica libertà. Questa
circostanza spiega il carattere dei due lavori: sono al tempo stesso libri
teorici e pratici, ed anche tecnici. Dopo l'avvento di Cesare, l'elemento
speculativo dominerà nella filosofia di C., che infatti fuggirà la vita
pubblica per ritirarsi nella contemplazione.[101] Orazioni C. mentre pronuncia un'orazione in Senato.
Particolare, Cesare Maccari, 1882-1888, Villa Madama, Roma. (LA) «In principiis
dicendi tota mente atque artubus contremisco.»
(IT) «All'inizio di un discorso mi tremano le gambe, le braccia e la
mente.» (Marco Tullio C.) C. è certamente il più celebre oratore
dell'antica Roma.[102][103] Nel Brutus egli ritiene completato con se stesso
(non senza un certo fine autocelebrativo) lo sviluppo dell'arte oratoria
latina, e già da Quintiliano la fama di C. quale modello classico dell'oratore
è ormai incontrastata. C. ha pubblicato da sé la maggior parte dei suoi
discorsi; cinquantotto orazioni (alcune parzialmente lacunose) sono state
rinvenute nella versione originale mentre circa cento sono conosciute per il
titolo o per alcuni frammenti. I testi si possono dividere tra orazioni
pronunciate di fronte al Senato (o al popolo) e tra le arringhe pronunciate in
qualità di - utilizzando termini moderni - avvocato difensore o pubblica
accusa, nonostante anche questi ultimi abbiano spesso un forte substrato
politico come nel celeberrimo caso contro Gaio Verre (unica volta in cui C.
compare come accusatore in un processo penale). Il suo successo è dovuto alla
sua abilità argomentatoria e stilistica, che si sa adattare perfettamente
all'oggetto dell'orazione e al pubblico,[104] soprattutto alla sua tattica
astuta, che si adatta di volta in volta al particolare uditorio, appoggiando
appropriatamente diverse scuole filosofiche o politiche, al fine di convincere
il pubblico contrario e raggiungere il proprio scopo. Tecniche di memorizzazione Per memorizzare i
suoi discorsi C. utilizzava una tecnica associativa che venne chiamata tecnica
dei loci o tecnica delle stanze.[105] Egli scomponeva il discorso in parole
chiave e parole concetto che gli permettessero di parlare dell'argomento
desiderato e associava queste parole, nell'ordine desiderato, alle stanze di
una casa o di un palazzo che conosceva bene, in modo creativo e insolito.
Durante l'orazione egli immaginava di percorrere le stanze di quel palazzo o di
quella casa, e questo faceva sì che le parole concetto del suo discorso gli
venissero in mente nella sequenza desiderata. È da questo metodo di
memorizzazione che derivano le locuzioni italiane "in primo luogo",
"in secondo luogo" e così via.
Panoramica alfabetica di tutte le orazioni De domo sua ad pontifices
("Sulla propria casa, al collegio pontificale", 57 a.C.): arringa
pronunciata per uno scopo particolare: durante l'esilio di C. il suo avversario
Clodio aveva consacrato una parte della proprietà di C. sul Palatino alla dea
Libertas; C. dichiara questa consacrazione invalida per ottenerne la
restituzione. È da tale contesto che nasce la locuzione Cicero pro domo sua. De
haruspicum responsis ("Sul responso degli aruspici", 56 a.C.): Clodio
redige un passo sulla profanazione di alcune reliquie durante una perizia degli
aruspici sul terreno di C. sul Palatino e chiede la demolizione di una casa di C.
ivi in costruzione. Contro questa ed altre accuse C. si rivolge con un appello
al Senato, nel quale spiega, che la maggior parte delle accuse di Clodio si
basano su indagini dolosamente carenti. De imperio Cn. Pompei (De lege Manilia)
("Sul comando di Gneo Pompeo (sulla legge Manilia)", 66 a.C.),
orazione di carattere politico pronunciata di fronte al popolo in occasione
dell'attribuzione, effettuata su proposta del tribuno della plebe Gaio Manilio,
a Gneo Pompeo di poteri speciali per la conduzione di una campagna militare
contro il re del Ponto Mitridate VI. De lege agraria (Contra Rullum) I–III
("Sulla legge agraria (contro Rullo)", 63 a.C.): orazione pronunciata
durante l'anno di consolato, tenuta in Senato (I) e davanti al popolo (II/III);
un quarto dell'orazione è stato perduto. De provinciis consularibus
("Sulle province consolari", 56 a.C.), orazione pronunciata in senato
riguardo alle province consolari romane. De Sullae bonis ("Sui beni di
Silla", 66 a.C.). Divinatio in Caecilium ("Dibattito contro
Cecilio", 70 a.C.), dibattito riguardo all'assunzione del ruolo di
accusatore nel processo contro Verre. Quinto Cecilio Nigro fu sotto Verre
questore in Sicilia e presentò la propria candidatura nel ruolo di accusatore.
Per C. egli era infatti invischiato nelle macchinazioni di Verre. In L.
Calpurnium Pisonem ("Contro Lucio Calpurnio Pisone", 55 a.C.),
orazione d'accusa politica contro Lucio Calpurnio Pisone Cesonino. In Catilinam
I–IV ("Contro Catilina I-IV" ovvero "Le Catilinarie", 63
a.C.), orazioni contro Lucio Sergio Catilina: i discorsi del 7 e dell'8
novembre 63 a.C. pronunciati di fronte al Senato (I) e al popolo (II); i
discorsi della scoperta e della condanna dei seguaci di Catilina, del 3
dicembre di fronte al popolo (III) e del 5 dicembre di fronte al Senato (IV) In
P. Vatinium ("Contro Publio Vatinio", 56 a.C.), orazione accusatoria
contro P.Vatinio riguardo all'interrogatorio nel processo contro P.Sestio. In
Verrem actio prima ("Prima accusa contro Verre", 70 a.C.), orazione
accusatoria nel processo contro Verre, accusato di concussione (crimen
pecuniarum repetundarum) In Verrem actio secunda I–V ("Seconda accusa
contro Verre I–V", 70 a.C.), questi cinque discorsi non sono mai stati pronunciati
a causa dell'esilio volontario di Verre, ma vennero comunque pubblicati in
forma scritta. Oratio cum populo gratias egit ("Ringraziamento al
popolo", 57 a.C.), ringraziamento a tutti coloro che hanno appoggiato il
ritorno di C. dall'esilio, e gli hanno permesso il rientro nella vita politica.
Oratio cum senatui gratias egit ("Ringraziamento al senato", 57
a.C.), ringraziamento a tutti coloro che in Senato hanno appoggiato il ritorno
di C. dall'esilio, e gli hanno permesso il rientro nella vita politica.
Philippicae orationes I – XIV ("Le filippiche", 44 a.C./43 a.C.),
orazioni contro Marco Antonio. Pro M. Aemilio Scauro ("In difesa di M.
Emilio Scauro", 54 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore di
Marco Emilio Scauro. Pro T. Annio Milone ("In difesa di Tito Annio
Milone", 52 a.C.), orazione difensiva, originariamente diversa dalla
versione pubblicata, non sortì il proprio effetto in quanto la curia era
assediata dai fedeli della fazione clodiana. Dopo l'esilio di Milone subirà
profonde modifiche per essere pubblicata quale ci è pervenuta: la più bella
orazione di C.. Contiene tra l'altro la celebre citazione "Inter arma enim
silent leges" Pro Archia ("In difesa di Archia", 62 a.C.),
orazione pronunciata nel ruolo di difensore del poeta antiochiano Aulo Licinio
Archia. Pro Aulo Caecina ("In difesa di Aulo Cecina", 69 a.C./ca. 71
a.C.), orazione tenuta per il querelante in un processo civile per un'azione di
rivendicazione. Il fondamento giuridico è l'interdetto de vi armata (rimedio
del possessore contro lo spossessamento violento). Sostenitore della parte
avversa è Gaio Calpurnio Pisone; entrambe le parti fanno ricorso manifestamente
all'autorevolezza del giurista Gaio Aquilio Gallo. Pro M. Caelio ("In
difesa di M. Celio", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di
difensore. Pro A. Cluentio Habito ("In difesa di Aulo Cluenzio
Abito", 66 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore. Pro G.
Cornelio ("In difesa di Gaio Cornelio", 65 a.C.), orazione
pronunciata nel ruolo di difensore. Pro L. Cornelio Balbo ("In difesa di
Lucio Cornelio Balbo", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di
difensore. Pro P. Cornelio Sulla ("In difesa di Publio Cornelio
Silla", 62 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore. Pro Marco
Fonteio ("In difesa di Marco Fonteio", 69 a.C.), orazione pronunciata
nel ruolo di difensore. Pro Q. Ligario ("In difesa di Quinto Ligario"
46 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore di Quinto Ligario,
indirizzata a Cesare in quanto dittatore. Pro Marco Marcello ("In difesa
di Marco Marcello", 46 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore
di Marco Marcello, indirizzata a Cesare in quanto dittatore. Pro muliere
Arretina ("In difesa di una donna di Arezzo", 80 a.C.), orazione
pronunciata nel ruolo di difensore. Pro Lucio Murena ("A favore di
Murena", 63 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore in un
processo di corruzione elettorale. Pro Gneo Plancio ("In difesa di Gneo
Plancio", 54 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore. Pro
Publio Quinctio ("In difesa di Publio Quinzio", 81 a.C.), il più
antico discorso giuridico tradizionale di C. a favore del querelante in un
processo civile. Oggetto del contendere è la legittimità dell'azione di
sequestro preventivo eseguita dal convenuto Sesto Nevio contro il cliente di C.
Publio Quinto. Difensore della parte avversa è Quinto Ortensio Ortalo, giudice
è Gaio Aquilio Gallo. Pro C. Rabirio perduellionis reo ("In difesa di Gaio
Rabirio, colpevole di alto tradimento", 63 a.C.), orazione pronunciata nel
ruolo di difensore. Pro Rabirio Postumo ("In difesa di Rabirio
Postumo"), 54 a.C./53 a.C. oppure 53 a.C./52 a.C.), orazione difensiva
pronunciata nella fase pregiudiziale del processo contro Aulo Gabinio a causa
di concussione nelle province. Verte attorno alla presenza di "bustarelle"
in connessione con la reintegrazione al trono d'Egitto di Tolomeo XII Aulete.
Pro rege Deiotaro ("In difesa del re Deiotaro", 45 a.C.), orazione in
difesa del Re Deiotaro, rivolta a Cesare Pro Sex. Roscio Amerino ("In
difesa di Sesto Roscio da Amelia", 80 a.C.), orazione di difesa, è la
prima arringa di C. in un processo per omicidio. Sesto Roscio era accusato di
parricidio. Durante la guerra civile un parente si era impossessato del
patrimonio del padre di Roscio e ora cercava di assicurarsi il maltolto, il
quale apparteneva ai legittimi eredi del deceduto. C. ottenne l'assoluzione.
Pro Q. Roscio Comoedo ("In difesa dell'attore Quinto Roscio", circa
77 a.C. o 76 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore. Pro P. Sestio
("In difesa di Publio Sestio", 56 a.C.), orazione pronunciata nel
ruolo di difensore. Pro Titinia ("In difesa di Titinia", 79 a.C.),
orazione pronunciata nel ruolo di difensore. Pro Marco Tullio ("In difesa
di Marco Tullio", 72 a.C./71 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di
difensore. Pro L. Valerio Flacco ("In difesa di Lucio Valerio Flacco",
59 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore. Miniatura quattrocentesca del De oratore.
Scritti di retorica Lo stesso argomento
in dettaglio: Retorica latina. Così come per C. è difficile distinguere tra
vita ed opere, così in particolare differenziare tra scritti filosofici e
retorici è sì pratico e chiaro, tuttavia non rappresenta pienamente la
concezione e l'opinione di C.. Già nella sua prima opera conservata (De
inventione I 1-5) chiarisce che la sapienza, l'eloquenza e l'arte del governare
hanno sviluppato un legame naturale, che indubbiamente ha contribuito allo
sviluppo della cultura degli uomini e che dev'essere ristabilito. Egli ha in
mente quest'unità come modello ideale sia negli scritti teoretici sia anche
nella sua propria vita activa al servizio della Repubblica - o almeno è così
che egli ha voluto idealizzare e vedere la propria realtà. Perciò non è affatto sorprendente se C. ha
sviluppato i suoi scritti filosofici con i mezzi della retorica e strutturato
le sue teorie della retorica su principi filosofici. La separazione tra
sapienza ed eloquenza C. l'addossa alla "rottura tra linguaggio e
intelletto" compiuta dalla filosofia socratica (De oratore III 61) e tenta
attraverso i suoi scritti di "risanare" questa frattura; e quindi per
una migliore attuazione la filosofia e la retorica secondo lui devono essere
dipendenti l'una dall'altra (v. p.e. De oratore III 54-143); C. stesso dichiara
che "io sono diventato un oratore non nelle scuole dei retori ma nei
saloni dell'Accademia": con ciò allude alla sua formazione sulle dottrine
della Nuova Accademia di Carneade e Filone di Larissa, suo maestro. Panoramica alfabetica delle opere sulla
retorica pervenuteci Brutus: il libro dedicato a Marco Giunio Bruto venne
scritto all'inizio del 46 a.C. e tratta, nella forma di un dialogo tra C.,
Bruto ed Attico, la storia dell'arte retorica romana fino a C. stesso. Dopo
un'introduzione (1-9) C. inizia un confronto con la retorica greca (25-31) e
sottolinea che l'arte oratoria poiché è la più complessa di tutte le arti solo
tardi giunse alla perfezione. Mentre ritiene gli antichi oratori romani appena
mediocri, parla di Catone come base della propria esperienza. Lucio Licinio
Crasso e Marco Antonio Oratore, entrambi protagonisti del De oratore, sono
dettagliatamente confrontati (139 e ss.). Dopo un'escursione sull'importanza
del giudizio del pubblico (183-200) e una riflessione sull'oratore Ortensio
(201-283), C. respinge fermamente il modello dell'Atticismo (284-300). L'opera
culmina in confronto tra l'arte oratoria di Ortensio e di C. stesso, non senza
una notevole dose di autocelebrazione (301-328), egli infatti presenta se
stesso come il punto d'arrivo di un processo di sviluppo dell'arte oratoria.
Punto principale dell'opera è la critica alla diffusione nello stile neoattico,
a cui anche il giovane Bruto appartiene, difendendo il suo stile, assai più
ricco e magniloquente, dalla critica di essere un esempio dello stile asiano.
De inventione: ("L'invenzione retorica"): sviluppato tra l'85 a.C. e
l'80 a.C. questo è il primo di due libri di una descrizione globale della
retorica, mai completata. C. rinunciò a completarla, per dedicarsi ad una più
accattivante rappresentazione nel De oratore, e tuttavia l'opera servì,
nonostante il carattere frammentario, come testo d'insegnamento fino al
Medioevo. La parte completata tratta nel primo libro dei concetti principali
della retorica (I 5-9), la dottrina dell'insegnamento della retorica in
riferimento ad Ermagora di Temno (I 10-19) nonché il ruolo dell'oratore (I
19-109); il secondo libro tratta delle tecniche d'argomentazione, soprattutto
nelle arringhe giuridiche (II 11-154) nonché brevemente delle orazioni di
fronte al popolo (II 157-176) e in occasione di celebrazioni (II 177-178). Le
dichiarazioni di C. per quanto riguarda il contenuto dell'opera presentano
molte somiglianze con la Rhetorica ad Herennium, ma per lungo tempo erratamente
ritenuta sua, cosa che ha portato a numerose discussioni tra gli studiosi
riguardo al rapporto tra le due opere. Entrambi gli scritti sono all'incirca
dello stesso periodo e si basano direttamente o indirettamente sulle medesime o
su affini fonti greche. Inoltre c'è una notevole somiglianza letterale in
alcuni periodi, cosa che suggerisce probabilmente anche una comune fonte
latina, forse originata da un comune insegnamento dottrinario che ha mediato il
preponderante contenuto di origine greca. De optimo genere oratorum
("Sulla miglior arte dell'oratoria"): questa breve opera, scritta
probabilmente nel 46 a.C. o, secondo altri pareri, già nel 50 a.C., è
un'introduzione alla traduzione delle orazioni di Demostene ed Eschine, per e
contro Ctesifonte. L'introduzione verte soprattutto sugli atticisti romani,
all'incirca con le stesse argomentazioni dell'Orator. La traduzione comunque
non ci è pervenuta, e non è chiaro se C. l'abbia mai effettivamente completata.
L'autenticità dell'opera è stata più volte messa in discussione, ma oggi è per
lo più accettata. De oratore (Sull'oratore): la più importante opera sulla
retorica di C. non dev'essere confusa con l'opera quasi omonima Orator. È
un'opera composta nel 55 a.C. in forma di dialogo, così come per il Brutus. I
protagonisti stavolta sono Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio, esempi,
secondo C., dei più grandi oratori della generazione precedente. Nel I libro è
Crasso (portavoce di C.) ad esporre la tesi principale dell'opera ossia che il
buon oratore deve avere un'approfondita conoscenza dell'argomento di cui vuole
trattare, osteggiando la concezione di alcuni retori greci che ritenevano
sufficiente una formazione basata su regole, tecnicismi ed esercizi per
affrontare qualsiasi discorso. Il II libro tratta invece delle
"parti" in cui si suddivide la retorica, cioè l'inventio, la
dispositio e la memoria; nel III libro si parla dello stile, cioè l'elocutio, e
dell'actio, cioè il modo in cui l'oratore deve comportarsi durante l'orazione.
Il de oratore è considerata l'opera di C. scritta con più cura formale e per
questo motivo è sempre stata utilizzata e studiata come modello primo dello
stile ciceroniano. Orator ("L'oratore"): Venne scritta nell'estate
del 46 a.C. ed è anche questa dedicata a Marco Giunio Bruto e descrive un
modello ideale del perfetto oratore, riprendendo molti dei temi già trattati
nel De oratore. Contrariamente alla disputa di quel tempo tra gli atticisti,
che - come Bruto - pretendono dall'oratore uno stile sobrio e preciso, e gli
asiani, che prediligono uno stile molto ricercato e magniloquente, C. ritiene
che il perfetto oratore, come Demostene, deve dominare tutti gli stili e saper
passare da uno all'altro con naturalezza. Per questo motivo bisogna dedicarsi
soprattutto alla formazione filosofica: solo così potranno svolgere i tre
compiti dell'oratore: probare, delectare, flectere (dimostrare, divertire,
convincere), i quali vengono bene ordinati e descritti (76-99). C. parla anche
qui brevemente dell'inventio (44-49), della dispositio (50) ma tratta
soprattutto dell'elocutio (51-236), soffermandosi sulle figure retoriche e
sulla costruzione ritmica del periodo. Partitiones oratoriae ("Partizione
dell'arte oratoria"): Quest'opera venne scritta nel 54 a.C., quando il
figlio di C., Marco, stava studiando la retorica, ed è ideata come una sorta di
'catechismo', trattando la teoria della retorica, soprattutto con divisioni
schematiche, nella forma di domanda e risposta tra padre e figlio.
L'originalità di C. in quest'opera spicca molto meno, a causa dello stile molto
semplice e delle poche novità introdotte. I Topica (44 a.C.): scritti nel corso
del viaggio in Grecia, su sollecitazione dell'amico Trebazio, trattano della
dottrina dell'inventio divulgata da Aristotele, ovvero l'arte di saper trovare
gli argomenti. In questa produzione retorica vengono considerati i luoghi
(topoi) come ottimo spunto per ogni genere di argomento ed utilizzabili per
qualunque disciplina (poesia, politica, retorica, filosofia, ecc.) Opere
perdute Tra le opere tardive di C. si possono annoverare scritti consolatori,
contributi alla storiografia, poesie (alcune anche sul suo periodo di
consolato) e traduzioni. Queste opere sono per la maggior parte perdute. Delle
poesie ci rimangono comunque svariate citazioni anche in altri lavori dello
stesso C.. Questi frammenti dimostrano l'influenza di uno dei più importanti
poeti latini, Catullo e di altri neoterici.
Panoramica alfabetica delle opere poetiche ed epico-storiche di C.
Alcyones: epillio composto da C. dopo il 92 a.C. nel quale veniva cantato il
mito di Alcione e del marito Ceice. Dato che questi si paragonavano a Giove e
Giunone per la loro ricchezza, sfarzosità e potenza, gli dei fecero fare loro
naufragio durante un tragitto in mare. Dato che Ceice morì nella tempesta,
Alcione si lasciò annegare per il dolore, così Giove tramutò entrambi i defunti
in uccelli alcioni. Aratea: libera traduzione giovanile dei Fenomeni celesti
del poeta ellenistico Arato di Soli. De consulatu suo: poemetto autobiografico composto
da C. tra il 60 a.C. e il 55 a.C. in cui si parla dell'ascesa al consolato
dell'autore e della sua vittoria nel processo contro Lucio Sergio Catilina. De
temporibus suis: altra opera autobiografica perduta scritta nel 54 a.C. in cui C.
celebrava i suoi interventi migliori durante il consolato. Epigrammata
("Epigrammi"): componimenti satirici scritti da C. quando aveva circa
vent'anni. Stando alle testimonianze di Quintiliano, l'opera era di genere
comico e ironico e trattava di vari argomenti fantastici e reali. Līmōn: il
titolo deriva dal sostantivo greco Λειμών, "prato"; ciò sottolineava
il carattere variegato dell'opera, un poema in esametri in cui venivano
trattati diversi argomenti letterali e sociali. Infatti una testimonianza di
Svetonio riporta un giudizio severo dell'autore riguardo a un'opera del
commediografo Terenzio. Marius: poema epico-storico in cui C. parla delle
imprese del console Gaio Mario. L'opera è importante per il passaggio
dell'autore dal genere alessandrino a quello storico mescolato alla poesia,
cioè epico. Nilus: opera quasi sconosciuta. Si pensa che C. l'abbia scritta per
lodare le qualità del fiume Nilo dell'Egitto. Pontius Glaucus: componimento in
stile alessandrino di C.. Scritto circa nel 93 a.C., l'opera trattava del mito
di Glauco, il quale dopo aver mangiato un'erba afrodisiaca dai poteri magici,
si trasformò in un animale marino. Tymhaeus: vasti frammenti del lavoro
compiuto sul Timeo di Platone, che C. presumibilmente non ha mai pubblicato,
preparando semplicemente abbozzi di traduzione. Uxorius: opera nota quasi
esclusivamente attraverso il titolo, che significa Il marito devoto (alla
moglie); si ritiene avesse argomento leggero e carattere scherzoso, se non
apertamente comico. Epistolario Edizione
delle Epistole agli amici, Venezia 1547 Le epistole di C. furono riscoperte tra
il 1345 e il 1389 da Petrarca e dal cancelliere e umanista Coluccio Salutati.
Complessivamente furono ritrovate circa 864 lettere, delle quali una novantina
furono scritte da corrispondenti, e ciò inizialmente provocò un grande entusiasmo,
temperato successivamente dal fatto che l'immagine che traspariva di C. non era
quella dello strenuo eroe difensore della Repubblica, come si era sempre
dipinto nelle sue opere e nelle sue orazioni, ma una versione molto più umana,
con le sue debolezze e i suoi aspetti meno retorici, ma certamente affascinanti
nella loro genuinità. Le epistole furono
raccolte e archiviate dal segretario di C., Tirone, fra il 48 e il 43 a.C. Si
dividono in 4 categorie: Epistole agli
amici (Epistulae ad familiares) (16 libri) Epistole al fratello Quinto
(Epistulae ad Quintum fratrem) (3 libri) Epistole a Marco Giunio Bruto ([106])
(2 libri) Epistole ad Attico (Epistulae ad Atticum) (16 libri) Memoria Presente
in tutto il Medioevo, il ricordo di C. fiorì durante il Rinascimento[107];
Giovanni I di Brandeburgo principe elettore del Brandeburgo nel XV secolo,
venne ricordato, dopo la sua morte, con l'appellativo di C., proprio a causa
della sua eloquenza. Negli Stati Uniti
d'America vi sono ben quattro città cui è stato dato il nome "Cicero"
in onore di Marco Tullio C.. Inoltre l'espressione latina Cicero pro domo sua
viene utilizzata per descrivere chi parla sostenendo il proprio tornaconto, ma
che maschera più o meno bene il fine del suo discorso come perorazione per
altra causa. Essa deriva da un'orazione tenuta da Marco Tullio nel 57 a.C. per
ottenere la restituzione della propria casa, requisitagli durante
l'esilio.[108] Il nome di C. è diventato
un'antonomasia per indicare la guida che accompagna i turisti nella visita a
monumenti e luoghi illustrando loro ciò che stanno visitando.[108] Parimenti
con il nome C. vengono identificate le marche da bollo, di diverso valore (e
colore), ma tutte riportanti l'effigie del busto di Marco Tullio C., da apporre
agli atti giudiziari, il cui ricavato alimenta il Fondo di previdenza degli
avvocati.[108] Note ^ Plutarco, Vita di C.,
40, 2. ^ Plutarco, Vita di C., 2, 1. ^ Dionigi Antonelli, Abbazie, prepositure
e priorati benedettini nella diocesi di Sora nel Medioevo, Pontificia
Università Lateranense, Roma, 1986, pp.212-213 ^ Luigi Loffredo, S. Domenico di
Sora e i luoghi natali di C., Tipografia dell’Abbazia di Casamari, Veroli 1981,
pp. 19-24 Narducci 2009, p. 19. ^
Rawson, p. 1. ^ Rawson, pp. 7-8. ^ Rawson, pp. 2-3. ^ Plutarco, Vita di C., 1,
1. ^ Plutarco, Vita di C., 1, 3-5. ^ Plutarco, Vita di C., 2, 2. ^ Plutarco,
Vita di C., 3, 2. ^ Rawson, pp. 14-15. ^ Plutarco, Vita di C., 2, 3. Rawson, p. 18. ^ Plutarco, Vita di C., 4,
5. C., Lettere ad Attico ^ Plutarco,
Vita di C., 3, 5. ^ Rawson, p. 22. ^ Plutarco, Vita di C., 3, 6. ^ Haskell, p.
83. ^ Plutarco, Vita di C., 4, 1-2. ^ Rawson, p. 27. ^ Plutarco, Vita di C., 5,
1. ^ Plutarco, Vita di C., 6, 1. ^ Plutarco, Vita di C., 7, 3. ^ Plutarco, Vita
di C., 7, 4. ^ Plutarco, Vita di C., 7, 5-7. ^ Plutarco, Vita di C., 7, 8. ^
Plutarco, Vita di C., 8, 2. ^ Plutarco, Vita di C., 9, 1. ^ Plutarco, Vita di C.,
9, 4-7. ^ Plutarco, Vita di C., 10, 1. ^ Plutarco, Vita di C., 11, 2. ^
Plutarco, Vita di C., 12, 2. ^ Sallustio, De Catilinae coniuratione, 5 ^
Plutarco, Vita di C., 10, 3-4. ^ Plutarco, Vita di C., 16, 2. ^ Sallustio, De
Catilinae coniuratione, 29,2 ^ Plutarco, Vita di C., 15, 5. ^ Sallustio, De
Catilinae coniuratione, 28,1-3 ^ Sallustio, De Catilinae coniuratione, 31,6 ^
Plutarco, Vita di C., 16, 4-5. ^ Sallustio, De Catilinae coniuratione, 32,1 ^
Plutarco, Vita di C., 16, 6. ^ Rawson, p. 106. ^ Plutarco, Vita di C., 28, 2 -
29, 1. ^ Plutarco, Vita di C., 30, 5. ^ Plutarco, Vita di C., 32, 1. ^
Plutarco, Vita di C., 33, 1. ^ Haskell, p. 201. ^ Plutarco, Vita di C., 33, 7.
^ Haskell, p. 204. ^ Plutarco, Vita di C., 35, 1. ^ Rawson, p. 329. Plutarco, Vita di C., 36, 1. ^ Plutarco, Vita
di C., 38, 1. ^ Everitt, p. 215. ^ Plutarco, Vita di C., 39, 4-5. ^ Svetonio,
Vite dei Cesari, Gaio Giulio Cesare, 9. ^ C., Seconda Filippica Frank Frost Abbott, Commentary on Selected
Letters of Cicero, Preface, section 1, su www.perseus.tufts.edu. URL consultato
il 9 marzo 2023. ^ Appiano, Guerra civile. ii, 120 - ii, 122. ^ Plutarco, Vita
di C., 42, 3. ^ Plutarco, Vita di C., 42, 5. ^ Plutarco, Vita di C., 43, 1. ^
Plutarco, Vita di C., 43, 8. ^ Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto 83,2 ^
Plutarco, Vita di C., 44, 3-7. ^ Plutarco, Vita di C., 44, 1-2. ^ Plutarco,
Vita di C., 45, 4. ^ Plutarco, Vita di C., 45, 5-6. ^ Plutarco, Vita di C., 46,
2. ^ Plutarco, Vita di C., 46, 3-6. ^ Plutarco, Vita di C., 48, 2. ^ Plutarco,
Vita di C., 48, 5. ^ Plutarco, Vita di C., 48, 6. ^ Plutarco, Vita di C., 49,
1-2. ^ Lucio Anneo Seneca il vecchio, Suasoriae, trascrizione di un frammento
di Tito Livio, Ab Urbe condita libri, 120 ^ Plutarco, Vita di C., 49, 6. ^
Plutarco, Vita di C., 49, 5. C., Lettere
ai familiari ^ Plutarco, Vita di C., 41, 2. ^ Plutarco, Vita di C., 41, 3. ^ C.,
Lettere ad Attico,12,18b,2 ^ Plutarco, Vita di C., 41, 4. ^ Plutarco, Vita di C.,
41, 5. ^ Plutarco, Vita di C., 41, 7. ^ Plutarco, Vita di C., 41, 8. ^ C.,
Lettere ad Attico, 12,14 ^ Francesca Boldrer, Oratoria e umorismo latino in C.:
idee per l’inventio tra ars e tradizione - Oratory and Latin Humour in Cicero:
Inventio between Ars and Tradition, in Ciceroniana on line, vol. 3, n. 2, 2019,
pp. 367–384, DOI:10.13135/2532-5353/4127, ISSN 2532-5353 (WC · ACNP). URL
consultato il 9 marzo 2023. ^ Lucano, Pharsalia, II,300 ^ Risari, E. Lo scontro
politico: i "populares", in C., Le Catilinarie, Mondadori ^ E.
Risari, L'ideale politico: la "concordia ordinum", in: C., Le
Catilinarie, Mondadori L. Perelli, Il
pensiero politico di C.. Tra filosofia greca e ideologia aristocratica romana.
^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXXIX,40 ^ Vedere: Claudio Moreschini,
"Osservazioni sul lessico filosofico di C.", Annali della Scuola
Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, Vol. 9, No. 1
(1979), pp. 99-178 e Alain Michel, "Cicéron et la langue philosophique :
problèmes d'éthique et d'esthétique", in: La langue latine, langue de la
philosophie, Actes du colloque de Rome (17-19 mai 1990), Rome : École Française
de Rome, 1992. pp. 77-89. ^ Le
notizie riguardanti le opere di C. sono tratte dalle opere stesse ^ La Bottega
dei Traduttori, Traduttori del passato: C. e la traduzione nel mondo antico, su
La bottega dei traduttori, 21 dicembre 2023. URL consultato il 1º marzo 2024. ^
Perelli, p. 152. ^ Perelli, p. 149. ^ Rawson, p. 303. ^ Haskell, pp. 300-301. ^ C.,
Orator ^ Janet Coleman, Ancient and Medieval Memories: Studies in the
Reconstruction of the Past, Cambridge University Press, 1992, Capitolo 3:
Cicero, pp. 39-59. ^ Marcus
Tullius Cicero, L'Epistole di M. Tullio C. scritte a Marco Bruto, Aldus, 1556. URL consultato il 9 marzo 2023.
^ Virginia Cox, John O. Ward (eds.), The Rhetoric of Cicero in Its Medieval And
Early Renaissance Commentary Tradition, 2006.
Voce de: Il Vocabolario
Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. I, 1997 Bibliografia
Fonti primarie Per le opere dello stesso C. si vedano le apposite sezioni Appiano di Alessandria, Historia Romana, pp.
De Bellis Civilibus. ((EN) The Roman History traduzione in inglese su
LacusCurtius). Cassio Dione, Historia Romana.
((EN) Roman History traduzione in inglese su LacusCurtius). Plutarco,
Vitae parallelae, Vita Ciceronis. ((EN) Lives traduzione in inglese di John Dryden).
Sallustio, De Catilinae coniuratione. (EN) The War With Catiline traduzione in inglese di John Carew Rolfe. Svetonio,
De Vita Caesarum, pp. libri I-II. (EN) The Lives of the Twelve
Caesars — traduzione in inglese di John
Carew Rolfe. Fonti secondarie G.
Boissier, C. e i suoi amici (Cicéron et ses amis), traduzione di Carlo Saggio,
BUR, 1959, ISBN 88-17-16648-0. Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore
democratico, Laterza, 2006, ISBN 88-420-8156-6. Virginia Cox e John O. Ward (a
cura di), The Rhetoric of Cicero in Its Medieval and Early Renaissance
Commentary Tradition, Leiden, Brill, 2006, ISBN 978-90-04-13177-4. (EN) A. Everitt, Cicero. A
turbulent life, Londra, John Murray Publishers, 2001, ISBN 978-0-7195-5493-3. L. Fezzi, Il tribuno Clodio, Laterza, 2008, ISBN
978-88-420-8715-1. A. Fraschetti, Augusto, Laterza, 1998, ISBN 88-420-5510-7.
C. Fruttero, Franco Lucentini, La morte di C., Nuovo Melangolo, 1995, ISBN
88-7018-279-7. E. Gibbon, Declino e caduta dell'Impero Romano, Milano, Arnoldo
Mondadori Editore, 1986, ISBN 88-04-34168-8. Pierre Grimal, C., Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 1986; altre ediz.: Garzanti, Milano, 1987 e
successive rist.; Il Giornale, Milano, 2004 De Caria Francesco, "C., Cato
Maior 79-81 e Senofonte Ciropedia VIII 7,17 e C. Cato Maior 59 e Senof. Oec. IV
20-25", in "Rivista di cultura classica e medioevale", anno XVI,
nn.2-3, 1974, nn.34-36 H.J. Haskell, This Was Cicero: Modern Politics in a
Roman Toga, New York, Alfred A. Knopf, 1942. Kazimierz Kumaniecki, C. e la
crisi della Repubblica romana, Centro di Studi Ciceroniani, Roma, 1972 Ettore
Lepore, Il princeps ciceroniano e gli ideali politici della tarda Repubblica,
Istituto italiano per gli studi storici, Napoli, 1954 Ettore Lepore, Il
pensiero politico romano del I secolo, in Arnaldo Momigliano; Aldo Schiavone (a
cura di), Storia di Roma. Vol. II/1, Torino, Einaudi, 1990, ISBN
978-88-06-11741-2. C. Marchesi, Storia della letteratura latina, Principato,
1969, ISBN 88-416-8729-0. E. Narducci, C.. La parola e la politica, Bari,
Laterza, 2009, ISBN 88-420-7605-8. E. Narducci, Eloquenza e astuzie della
persuasione in C., Firenze, Le Monnier, 2005, ISBN 88-00-81505-7. E. Narducci,
Introduzione a C., Bari, Laterza, 2005, ISBN 88-420-7605-8. L. Perelli, Il
pensiero politico di C.. Tra filosofia greca e ideologia aristocratica romana,
La nuova Italia, 1990, ISBN 88-221-0792-6. L. Perelli, Storia della letteratura
latina, Paravia, 1969, ISBN 88-395-0255-6. (EN) E. Rawson, Cicero, A portrait,
Allen Lane, 1975, ISBN 0-7139-0864-5. E. Rawson, L'aristocrazia ciceroniana e
le sue proprietà, in Moses I. Finley (a cura di), La proprietà a Roma, Bari,
Laterza, 1980. D. L. Stockton, C.. Biografia politica, Milano, Rusconi Libri,
1984, ISBN 88-18-18002-9. Wilfried Stroh, C., Bologna, Il Mulino, 2010, ISBN
978-88-15-13766-1. Giusto Traina, Marco Antonio, Laterza, 2003, ISBN
88-420-6737-7. S. C. Utcenko, C. e il suo tempo, Editori Riuniti, 1975, ISBN
88-359-0854-X. J. Vogt, La repubblica romana, Bari, Laterza, 1975. P. Zullino,
Catilina, l'inventore del colpo di stato, Milano, 1985. Filosofia (EN) Raphael Woolf,
Cicero, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy,
Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di
Stanford. (EN) Edward Clayton,
Cicero, su Internet Encyclopedia of Philosophy. (EN) Logica e Retorica nelle
Opere Filosofiche di C., su historyoflogic.com. (EN) Bibliografia delle Opere
Filosofiche di C., su historyoflogic.com. Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Marco Tullio C. Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a Marco
Tullio C. Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Marco
Tullio C. Collabora a Wikiversità Wikiversità contiene risorse su Marco Tullio C.
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Marco Tullio C. Collegamenti esterni Ciceróne, Marco Tullio, su Treccani.it
– Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su
Wikidata Francesco Arnaldi, C., Marco Tullio, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata C., Marco
Tullio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
Modifica su Wikidata C., Marco Tullio, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Ciceróne, Marco Tùllio
(106 a. C.- 43 a. C.), su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN)
John P.V. Dacre Balsdon e John Ferguson, Cicero, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (EN) Marco Tullio C., in Jewish Encyclopedia, Funk
and Wagnalls. Modifica su Wikidata (EN) Marco Tullio C., su Internet Encyclopedia of
Philosophy. Modifica su Wikidata (EN) Marco Tullio C., su The Encyclopedia of
Science Fiction. Modifica su Wikidata Marco Tullio C., su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Modifica su
Wikidata Opere di Marco Tullio C., su Liber Liber. Modifica su Wikidata (LA)
Opere di Marco Tullio C., su Musisque Deoque. Modifica su Wikidata (LA) Opere
di Marco Tullio C., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica
su Wikidata Opere di Marco Tullio C. / Marco Tullio C. (altra versione) / Marco
Tullio C. (altra versione) / Marco Tullio C. (altra versione) / Marco Tullio C.
(altra versione) / Marco Tullio C. (altra versione) / Marco Tullio C. (altra
versione) / Marco Tullio C. (altra versione), su MLOL, Horizons Unlimited.
Modifica su Wikidata (EN) Opere di Marco Tullio C., su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Marco Tullio C., su Progetto
Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Marco Tullio C., su
LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Opere riguardanti Marco Tullio C., su Open
Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Bibliografia di Marco
Tullio C., su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Modifica su
Wikidata (EN) Marcus Tullius Cicero, su Goodreads. Modifica su Wikidata (FR)
Bibliografia su Marco Tullio C., su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Modifica
su Wikidata Tulliana - C. e il pensiero romano, su tulliana.eu, Sito ufficiale
della Società Internazionale degli Amici di C.. The Latin Library:Tutte le
opere di C., su thelatinlibrary.com. (EN) Opere di C.: testi con concordanze e
liste di frequenza, su intratext.com. (EN) Raphael Woolf, Cicero, in Edward N.
Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Harald Thorsrud, Cicero:
Academic Skepticism, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Principali edizioni digitalizzate (LA) Marco
Tullio C., Epistolae. [Antologia], [Milano], [Antonio Zarotto], [1480]. URL
consultato l'8 aprile 2015. (LA) Marco Tullio C., Epistolae, Lutetiae, Ex
officina Iacobi du Puys, sub signo Samaritanae, è regione collegii
Cameracensis, 1565. (LA) Marco Tullio C., [Opere]. 1, Parisiis, Ex officina
Iacobi du Puys, sub signo Samaritanae, 1566. (LA) Marco Tullio C., [Opere]. 2,
Lutetiae, Ex officina Iacobi du Puis, sub signo Samaritanae, è regione collegii
Cameracensis, 1565. (LA) Marco Tullio C., Orationes, Lutetiae, Ex officina
Iacobi Dupuys è regione collegii Cameracensis sub Samaritanae insigni, 1565.
(LA) Marco Tullio C., Orationes (antologie), Mediolani, Regiis typis, 1817.
(PT) Opere di Cícero presso la Biblioteca Nazionale del Portogallo Predecessore
Fasti consulares Successore Lucio Giulio Cesare Gaio Marcio Figulo 63 a.C. con
Gaio Antonio Ibrida Decimo Giunio Silano Lucio Licinio Murena V · D · M Marco
Tullio C. V · D · M Guerra civile romana (49-45 a.C.) V · D · M Guerra civile
romana (44-31 a.C.) V · D · M Poeti epici antichi V · D · M Plutarco Grottaferrata Portale Antica Roma Portale Biografie Portale Età augustea Portale Filosofia Portale Letteratura Portale Lingua latina Portale Politica: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di politica Wikimedaglia Questa è una voce in vetrina,
identificata come una delle migliori voci prodotte dalla comunità. È stata
riconosciuta come tale il giorno 22 gennaio 2008 — vai alla segnalazione.
Naturalmente sono ben accetti suggerimenti e modifiche che migliorino
ulteriormente il lavoro svolto. Segnalazioni
· Criteri di ammissione · Voci
in vetrina in altre lingue · Voci in vetrina in altre lingue senza
equivalente su it.wiki Categorie:
Avvocati romaniPolitici romani del I secolo a.C.Scrittori romaniScrittori del I
secolo a.C.Nati nel 106 a.C.Morti nel 43 a.C.Nati il 3 gennaioMorti il 7
dicembreNati ad ArpinoMorti a FormiaMarco Tullio C.Consoli repubblicani
romaniTulliiPolitici assassinatiPersonaggi citati nella Divina Commedia
(Inferno)Senatori romani del I secolo a.C.Personaggi legati a
un'antonomasiaGiuristi romaniAuguriAforisti romaniPersone legate ai Misteri
eleusiniDecapitazioneStudiosi di traduzioneRetori romani[altre] . L'interesse
per la problematica semiotica nel mondo ro mano fa parte di quel processo di
costante e progressiva ac quisizione del patrimonio culturale greco, che
inizia nel III secolo a.C. Ma, nel passaggio dal mondo greco a quello ro mano,
il paradigma semiotico abbandona il campo della fi losofia in senso stretto,
per installarsi, in maniera centrale, nell'ambito retorico-giuridico. In Grecia
la conoscenza attraverso i segni era divenuta, soprattutto nelle scuole
postaristoteliche, il modello stesso della conoscenza in generale e, a partire
dagli stoici, aveva trovato la sua collocazione ali'interno della dialettica,
una delle branche più astratte della filosofia, in quanto sotto partizione
della stessa logica. Invece i Romani, aderendo a interessi maggiormente
orientati in direzione pragmatica, avevano bensì colto l'estremo interesse del
paradigma se miotico, ma lo avevano subito piegato ai fini, a loro più
congeniali, del dibattito politico e giudiziario, dibattito de stinato a
essere condotto con gli strumenti forniti appunto dalla retorica. Per rendersi
conto, nel modo più chiaro, del cambiamen to di prospettiva, basta mettere a
confronto l'atteggiamento di Aristotele con quello di C. nei riguardi della
retori ca. Aristotele aveva fatto di questa disciplina l'argomento di un suo
importante trattato, la Retorica, e al suo interno aveva affrontato il tema dei
segni; ma, come era già avve- 202 9. RETORICA LATINA nuto nei Primi
analitici, aveva tentato di ridurre la forma dei vari tipi di segno a quella
dei tipi di sillogismo. Cosi fa cendo, aveva indicato un percorso ben preciso:
la logica stabilisce le forme fondamentali del ragionamento, che de vono
rimanere un punto di riferimento anche quando l'inte resse si sposta, come nel
caso della retorica, dal discorso scientifico a quello persuasivo, dai segni
referenziali a quelli efficaci . In C., e in genere nella trattatistica
retorica roma na, si registra un'inversione nell'ordine di priorità: la retori
ca non occupa più il secondo posto, rispetto a un primato della logica, ma, al
contrario, è la filosofia nel suo insieme che diviene scienza ancillare, il cui
scopo è quello di contri buire alla formazione del buon oratore. Tuttavia è
l'elo quenza l'espressione più alta dell'attività intellettuale. Un passo del
De oratore (Il, 159-160) mostra abbastanza chia ramente l'opinione di C. circa
i rapporti tra dialettica e retorica, quando per bocca di Antonio viene detto
che i dialettici sono soltanto capaci di criticare degli enunciati, ma non di
produrne. In effetti, per C. la retorica costituisce il "corona
mento" della filosofia, dalla quale non può essere dissociata (De orat.,
III, 59-61), e non deve essere considerata una tec nica capace di aggiungere
un'espressione elegante a un pen siero già formato. Come mettono bene in luce
Mare Baratin e Françoise Desbordes (1981: 50), in C. agisce un principio,
sempre sfumato, ma costantemente affermato, che, se si parla bene, si pensa
anche bene o, in altre parole, che non si pensa veramente bene se non quando si
parla ve ramente bene. Tuttavia la retorica, indiscutibilmente, presenta anche
un aspetto tecnico, e ogni trattatista mostra che essa è organiz zata secondo
due tipi di assi. Il primo concerne i tipi di di scorso: il discorso dei
tribunali (giuridico); il discorso del l'assemblea (politico); il discorso
delle cerimonie pubbliche (dimostrativo). Il secondo riguarda le parti della
retorica, ovvero i tipi di procedimenti che devono essere messi in atto per
strutturare progressivamente un discorso: inventio (ri cerca degli argomenti);
dispositio (ordinamento di quel che 9.l LA «RHETORICA AD HERENNIUM» 203 è
stato trovato); elocutio (resa degli argomenti in forma or nata); memoria
(procedimenti mnemotecnici); actio (recita zione del discorso: gesti e
dizione). La problematica riguardante il segno si colloca nel cuore della
inventio, quando cioè si devono "trovare" le prove che convincano
l'uditorio della colpevolezza o dell'innocenza di un imputato. Le prove, in
retorica, hanno una loro propria forza, muovono dal ragionamento e si
inseriscono nel pro gramma rivolto a convincere (/idem facere), il primo dei
due programmi in cui si articola l'inventio. L'altro pro gramma è il
commuovere (animos impellere) e consiste nel porre l'accento non sul messaggio
o sulla sua forza proba toria, ma sulle emozioni del destinatario. Tuttavia,
come sottolinea Barthes (1970: tr. it. 60), si ha un certo disagio a usare
l'espressione "prova" per indicare le probationes (pfsteis)
retoriche, in quanto questa parola ha oggi una conno tazione scientifica la
cui assenza appunto definisce le "pro ve" retoriche. Tuttavia, un
merito che va riconosciuto alla retorica è proprio quello di aver tentato di
dare una classifi cazione del diverso grado probatorio e della diversa forza
argomentativa delle "prove" stesse. Compito, quest'ultimo, che ogni
autore ha assolto in ma niera particolare, proponendo una classificazione che
non coincide, se non parzialmente, con quella data dagli altri. Nei prossimi
paragrafi, così, cercheremo di illustrare le li nee secondo le quali i tre
grandi autori della trattatistica re torica romana, cioè Cornificio (autore
della Rhetorica ad Herennium), C. e Quintiliano, ricostruiscono nelle
rispettive opere la struttura del paradigma indiziario, cia scuno secondo
diverse modalità. 9.1 La "Rhetorica ad Herennium" di Comificio Una
documentazione diretta della retorica latina la si ha soltanto con i trattati
del I secolo a.C., tra cui la Rhetorica ad Herennium, attribuita un tempo a C.
sulla scorta dell'autorità dei manoscritti, ma la cui paternità è oggi asse
gnata a Cornificio (Calboli: 1969). 204 9. RETORICA LATINA La
problematica semiotica viene sviluppata da Cornificio all'interno della
constitutio coniecturalis dove, per verifica re se sia stata commessa o no una
determinata azione da un certo imputato, si segni che ne mostrino la col
pevolezza o Pinnocenza. L'elemento non conoscibile diret tamente a cui i segni
devono rimandare non è il fatto o rea to, che è ovviamente noto, ma l'agente
responsabile di tale fatto, oppure le relazioni tra un certo individuo e un
certo fatto. Questo aspetto è abbastanza peculiare della semiotica giuridica ed
è ben illustrato dall'esempio di Cornificio: Aiace in un bosco, dopo essersi
reso conto di quello che aveva compiuto durante la sua pazzia, si gettò sulla
spada. Sopravviene Ulisse e lo vede morto; estrae dal suo corpo l'arma
insanguinata. Sopravviene Teucro, vede il fratello ucciso e il nemico del
fratello con la spada insanguinata. Lo accusa di assassinio. Qui si cerca la
verità per congettura. (Rhet. adHer., l, 18) Ma ciò che è in questione
nell'esempio Oa colpevolezza o meno di Ulisse) per i retori romani non può
scaturire da una intuizione spontanea, né da una abduzione fulminea. La retorica
antica, come ha sottolineato Barthes (1970: tr. it. 59), nutriva una fiducia
incrollabile nel metodo ed era ossessionata dali'idea che lo spontaneo e
l'ametodico non portavano a niente di buono. Così Cornificio, con il suo ti
pico procedimento diairetico, suddivide lo stato congettura le in sei parti,
sei diverse vie per arrivare alla verità (Il, 3): probabile (probabilità),
conlatio (confronto), signum (pro cedimento indiziario), argumentum (segno),
consecutio (conseguenza), adprobatio (conferma). 9. 1 . 1 La probabilità
Troviamo qui una terminologia in parte familiare, in quanto probabile può
essere considerata la trasposizione la tina di eik6s, e signum quella di
smefon, per limitarci solo a questi due casi. Ma i contenuti delle espressioni
latine so- 9.l LA «RHETORICA AD HERENNIUM» 205 no completamente difformi
dalle corrispondenti nozioni greche. Infatti il probabile è "ciò
attraverso cui si dimostra che era utile commettere il crimine e che l'imputato
non si è mai astenuto da comportamenti di tale turpitudine" (Il, 3), defi
nizione nella quale non rimane molto deli'eik6s aristotelico. Piuttosto la
nozione di probabile è connessa alla caratteriz zazione psicologica
dell'individuo in questione (''Se [l'accu satore] dirà che ha agito per denaro,
mostri che egli è sem pre stato avaro, se per una carica, ambizioso; così
potrà far combaciare il difetto congenito con il motivo del crimine", Il,
5) e, come si può cogliere dalla sua ulteriore suddivisione in causa e vita,
oscilla tra la nozione di "movente" e quella di
"precedenti". 9.1.2 Il procedimento indiziario La nozione di signum
viene definita da Cornificio come "ciò che serve a mostrare come è stata
cercata un'occasione favorevole ali'esecuzione (del crimine)" (II, 6). Non
ritro viamo nemmeno qui la nozione greca di smeion. Piuttosto il signum
costituisce l'insieme di quei procedimenti indizia ri, di pertinenza
dell'investigatore, che permettono di rico struire il fatto scomponendolo,
come suggerisce di fare Cornificio, in tanti oggetti di indagine separata: sul
luogo del delitto, sul tempo, sull'occasione, sulla speranza di por tare a
esecuzione il fatto, sulla speranza di tenerlo celato. 9.1.3 Il segno Una
nozione che presenta maggiore interesse è quella di argumentum. Se la sua
definizione non è ancora molto elo quente ("Argumentum è ciò attraverso
cui il crimine viene confermato con segni [argumentis] più precisi e con un so
spetto più sicuro", II, 8), gli esempi che vengono forniti ci tolgono ogni
dubbio che si tratti del segno come singolo fe nomeno percepibile, che rimanda
a un fatto non conoscibile 206 9. RETORICA LATINA direttamente; la sua
struttura è quella in ferenziale, espressa da un periodo ipotetico:
"Se il corpo del morto s'è alterato nel colore per gonfiore o lividezza, significa
che è stato uc ciso da una dose di veleno" (Il, 8); se si trova del
sangue sulle vesti dell'imputato, se è stato visto sul luogo del delit to,
significa che egli è colpevole (ibidem) ecc. Caratteristicamente l'argumentum
viene suddiviso in tre tipi, in relazione al rapporto temporale (anteriorità,
con temporaneità, posteriorità) che si instaura fra antecedente e conseguente
del segno; classificazione, questa, che risale al la retorica prearistotelica
(si trova a esempio nella Rhetori ca ad Alexandrum, 1430 b, 30 e sgg.) e
giunge almeno fino a Quintiliano. 9. 1 .4 Le reazioni fisiche non controllabili
Un'altra nozione interessante è quella di consecutio, che Calboli (1969: 232)
mette in relazione ai sjmptoma della terminologia medica. Si tratta, come dice
Cornificio, dei "segni (signa) che solitamente presentano i colpevoli e
gli innocenti" (II, 8), come, a esempio, che l'imputato, quando si è
giunti a interrogarlo, "sia arrossito, sia impallidito, ab bia titubato,
sia caduto in contraddizione, si sia smarrito, abbia fatto qualche promessa,
che sono segni di coscienza non tranquilla" (ibidem). Sono dunque delle
reazioni fisi che non controllabili, dei segni involontari che possono ve
nire messi in relazione, in maniera abbastanza codificata, con degli stati
d'animo (come il senso di colpa). Questi se gni, per quanto non siano
facilmente dissimulabili, sono pe rò manipolabili a livello di
interpretazione: infatti l'avvoca to difensore può intervenire sulla loro
presenza sostenendo che l'imputato, a esempio, si è turbato per la gravità del
pe ricolo e non per la coscienza della colpa; d'altro canto, l'ac cusatore
può intervenire sull'assenza di segni di tal genere sostenendo che l' imputato
aveva a tal punto premeditato la cosa da presentare la massima sicurezza,
ragione che rende l'assenza di turbamento "segno di sicurezza, non d'inno
cenza" (ibidem). probabile causa - vita conlatio alii nemini bonum -
neminem alium potuisse slgnum occasio - spes per- ficiendi spes celandi l
argumentum consecudo adprobatio - praeteritum - signa 9.1 LA «RHETORICA AD
HERENNIUM» 207 9. 1 .5 La classificazione e la forza argomentativa Come si può
vedere, il procedimento indiziario che viene messo in atto in ambito
retorico-giuridico gioca su vari li velli: (i) innanzitutto, ci sono i segni
della premeditazione. che nella tassonomia di Cornificio sono distribuiti tra
il probabile, la conlatio (che consisteva nel dimostrare che l'imputato aveva
più di ogni altro ragioni e possibilità di commettere il delitto) e il signum;
(ii) in secondo luogo ci sono i segni delfatto stesso, che sono rappresentati
dagli ar gumenta: essi mettono in relazione diretta l'imputato con il reato;
(iii) in terzo luogo c'è quella sorta di segniproducibili quasi
sperimentalmente, che si traggono dal comportamen to dell'imputato osservato
in un momento diverso e succes sivo rispetto a quello dell'evento criminoso.
Possiamo illustrare complessivamente la classificazione della materia
congetturale effettuata da Cornificio con il se guente schema (Curcio
1900): - locus - tempus - spatium - consequens Se messa a
paragone con quella della Retorica aristoteli ca, la classificazione di
Cornificio appare filosoficamente meno coerente e non saldamente fondata.
Tuttavia, con temporaneamente, appare molto più aderente alla materia instans
conscientiae - signe confidentiae - signa innocentiae 208 9.
RETORICA LATINA cui è destinata ad applicarsi e non priva di una logica inter
na nel suo seguire i segni deli'imputato in un percorso che parte dal momento
precedente il crimine e culmina nel pro cesso . Cornificio discute anche della
forza argomentativa dei se gni, quando propone di organizzare in una struttura
logica gli argomenti trovati. E, a questo proposito, nota che ci so no dei
segni che non garantiscono nessuna certezza come a esempio: uoeve aver
partorito, poiché porta in braccio un bimbo piccolo", oppure: "Dal
momento che è pallido, deve essere ammalato" (Il, 39). Come si può notare,
si tratta di segni che corrispondono a quelli in 2a figura di Aristotele: essi
non sono sicuri perché, a esempio, il pallore può bensi indicare malattia, ma
anche una quantità di altre cose. Quello che è però interessante è che
Cornificio non li rifiu ta, ma sottolinea un loro valore argomentativo nel
caso che compaiano in gran numero ("se però vi si aggiungono an che tutti
gli altri, tali segni hanno un certo peso per accre scere il sospetto",
ibidem). 9.2 C. C. affronta e sviluppa la problematica semiotica in due
importanti ambiti della sua produzione teorica: (i) le opere di argomento
retorico; (ii) le opere che parlano dei se gni divinatori. Se prendiamo in
considerazione il primo di questo ambi to, possiamo osservare che l'interesse
per i segni non è ugualmente centrale in tutti i testi. Infatti, da una parte,
ci sono il De oratore, I'Orator, il Brutus, il De optimo genere oratorum che
affrontano una problematica a carattere so cio-politico, volta a definire la
figura deli'oratore perfetto, il suo ruolo nella società romana, la sua
posizione rispetto alla scuola attica e a quella di Pergamo; in queste opere
tut to ciò che costituisce l'apparato tecnico tradizionale della retorica (e
con esso anche la problematica sui segni e sulle prove indiziarie) appare non
tanto trascurato, quanto dato per scontato: esso si confi:ura come un vasto
campo di competenza che rimane implicito sullo sfondo e affiora solo nei
termini di un uso personalissimo che ne fa l'autore, in prima persona o
attraverso i personaggi del dialogo. Dall'altra parte ci sono, poi, il De
inventione, le Partitio nes oratoriae e i Topica, opere molto diverse tra
loro, ma accomunate dalla caratteristica di prendere in considerazio ne e di
sistematizzare la gran massa delle nozioni che com pongono l'apparato tecnico
della retorica. Un limite di que ste opere, in generale, è rintracciabile
nella minuziosità del procedimento classificatorio, che raggiunge talvolta il
pa rossismo, come nel De inventione, e che spesso non trova un'adeguta
giustificazione teoretica. Tuttavia è proprio ali'interno di queste opere che è
dato rintracciare gli spunti e i documenti per la ricostruzione di una teoria
ciceroniana del segno. 9.2. 1 Il "De inventione" Il De inventione è
un'opera giovanile di C. e con densa l'ampia tradizione retorica che da
Aristotele giunge fino a Ermagora: è quindi naturale che al suo interno si tro
vino riprodotti alcuni aspetti della concezione del segno che in quell'ambito
si era sedimentata. In particolare è presente la concezione del segno in forma
proposizionale, come an tecedente che permette di scoprire un conseguente.
Viene poi confermata l'attenzione verso i segni involontari (l'im pallidire,
l'arrossire, il balbettare dell'imputato) come indi zi di colpevolezza. Infine
compare la classica divisione degli indizi secondo la loro relazione temporale
con il fatto crimi noso (anteriorità, contemporaneità, posteriorità). Questi i
punti di contatto con la tradizione. Ma bisogna anche dire che la
classificazione dei segni proposta da Cice rone è in larga misura diversa da
quelle precedenti. Essa ap pare infatti all'interno della teoria della
argumentatio (ar gomentazione), cioè del procedimento attraverso il quale
vengono addotte delle prove per confermare una certa tesi:
"L'argomentazione sembra essere qualche cosa che si esco gita da qualche
genere e che rivela un'altra cosa in maniera RETORICA LATINA probabile
(probabiliter ostendens), o la dimostra in . un mo do necessario (necessarie
demonstrans)" (De inv., I, 44). Anche se non viene usato il normale
lessico semiotico, ciò che è in gioco in questa definizione è proprio il
meccanismo del segno: infatti, qualcosa che è stato trovato (un indizio che
viene depositato nel dossier deli'avvocato) rinvia a qualcos'altro. Compare, a
questo punto, la distinzione (già aristotelica) tra una forza argomentativa
debole (probabili ter ostendens) e un'inferenza necessaria (necessarie demon
strans) . 9.2 . 1 . 1 Rinvio necessario e non necessario I segni necessari sono
così definiti: "Viene dimostrato in modo necessario ciò che non può
verificarsi né essere pro vato diversamente da come viene detto"
(ibidem). Ne sono esempi: "Se ha partorito, è stata con un uomo"
(ibidem); "Se respira, è vivo", "Se è giorno, c'è luce" (De
inv., l, 86). Come C. spiega in un altro passo, in casi di questo genere
l'antecedente e il conseguente sono legati da una re lazione inscindibile (cum
priore necessario posterius cohae rere videtur, De inv., l. 86). Il rapporto
di rinvio non necessario viene poi cosi defini to: "Probabile è poi ciò
che suole generalmente accadere, o che è basato sulla comune opinione, o che ha
in sé qualche somiglianza con questa qualità, sia esso vero o sia falso"
(De inv., l, 46). Con questa definizione C. mette in evidenza due caratteri:
(i) quello probabilistico e (ii) quello doxastico; il primo di questi era da
Aristotele attribuito peculiarmente all'eikos (verisimile). E infatti i primi
due esempi sono di un tipo che Aristotele avrebbe classificato come eikos:
"Se è madre, ama suo figlio", "Se è avido, non fa gran caso del
giuramento" (De inv., I, 46). In essi compare anche il tipico rapporto di
generalizzazio ne che per Aristotele definisce il verosimile (Arist., Rhet.,
1357 a). C'è però un terzo esempio, "Se c'era molta polvere nei calzari,
era sicuramente reduce da un viaggio" (De inv., 9.2 C. 21 1 I, 47),
che non sembra dello stesso tipo, ma è più vicino al smeion aristotelico. 9.2.
1 .2 L'indizio La categoria di signum, poi, compare come una sottopar tizione
dei segni non necessari, accanto al credibile (credibi le), ali'iudicatum
(giudicato) e al comparabile (paragonabi le). Se le ultime tre nozioni
appaiono distinte in base a crite ri estrinseci (e scompariranno nelle
trattazioni successive), il signum corrisponde a una categoria di fenomeni
abbastan za particolare: "Segno è ciò che cade sotto qualcuno dei no
stri sensi e indica (significar) un qualcosa che sembra deri vato dal fatto
stesso, e che può essere verificato prima del fatto, durante il fatto, o può
averlo seguito, e tuttavia ha bisogno di una prova e di una conferma più
sicura" (De inv., I, 48). Ne sono esempi: "il sangue", "il
pallore", "la fuga", "la poivere". Si tratta, come si
vede, degli indizi, intesi come fenomeni percepibili, scarsamente codificati e
generalmente non vo lontari. Qui sono presentati in una forma non proposizio
nale; ma niente vieta che vengano sviluppati in proposizio ni, come dimostra
il caso deli'indizio "polvere": "Se c'era molta polvere nei
calzari, era sicuramente reduce da un viaggio". Gli indizi, infine,
vengono suddivisi secondo la nota relazione temporale con il fatto criminoso.
Possiamo quindi schematizzare la classificazione propo sta nel De inventione
(cfr. p. 212). 9.2.2 "Partitiones oratoriae" Le Partitiones oratoriae
sono un'opera della tarda matu rità di C., nella quale la classificazione
della materia semiotica presenta alcune differenze e peculiarità rispetto al
trattato giovanile. Innanzitutto la terminologia si sgancia completamente da
quella dei modelli greci e viene completa mente latinizzata. In secondo luogo
gli indizi (qui chiamati 212 9. RETORICA LATINA argumentatio necessaria probsbilis (·quod fero solet fiori
élut quod in opi nione positum est") es.: .. "pallore'",
..polvere" vestigiafactl) non compaiono più come sottopartizione di
un'altra categoria, ma assumono un ruolo autonomo. (·ea quae alitar ac
discuntur nec fieri nec probari pos sunt"l es . : ·se ha partorito, è
stata con un uomo'" (.,quod sub sensum aliquem cadit, et quiddam sig
nificat, quod ex ipso profectum est'") es.: ·sangue", ·ruga"',
Sa è madre, ama suo fi\]lio --- ---
- l "'·-- signum erodibile indicBtLm comparabile / -- -- Infine
viene accettata la distinzione aristotelica tra "luo ghi estrinseci"
(corrispondenti alle "prove extratecniche", titechnol) e "luoghi
intrinseci'' (corrispondenti alle "prove tecniche", éntechno1), che
veniva criticata nel De inventione (Il, 47) e che invece sarà sviluppata nei
Topica. È curioso notare come tra i luoghi estrinseci (sine arte) trovino
posto, accanto alle testirnonianze umane, anche quelle "divine": gli
oracoli, gli auspici, i vaticini, i responsi sacri (di sacerdoti, aruspici,
interpreti onirici) (Part. or., 6). Tutto ciò è sicuramente un residuo di una
concezione orda lica e antichissima deli'amministrazione della giustizia; tut
tavia è anche un indizio di un continuo riaffiorare del para digma divinatorio
all'interno dei fatti semiolici, anche quando ormai i segni si sono
completamente laicizzati. 9.2 C. 213 Né questo è un caso isolato in
ambito giuridico. Per quel che riguarda la cultura greca, si ricorderà L,orazione
per /,uccisione di Erode, in cui Antifonte così si esprimeva: "Tutto quel
che era provabile con indizi e testimonianze umane l'avete udito, ma in questo
caso dovete votare dopo aver trattato indizi anche dai segni che vengono dagli
dei" (V, 81; Lanza 1979: l05). 9.2.2. 1 Il verisimile e il segno
caratteristico I segni umani sono invece trattati tra gli argomenti intrin
seci, in particolare tra quelli che riguardano lo stato di cau sa
congetturale. Infatti la congettura può essere tratta da due tipi di segni: i
verisimilia (verisimili) e le notaepropriae rerum (segni caratteristici delle
cose). Il verisimile, come dice C., è "ciò che accade per lo più"
(Part. or., 34), come a esempio "la gioventù è incline al piacere in modo
particolare". Questo tipo di segno corri sponde ali'eik6s aristotelico,
di cui ha il carattere probabili stico e generalizzante. La nnta propria rei
viene definita come "una prova che non si verifica mai direttamente e
indica una cosa certa, co me il fumo indica il fuoco" (Part. or., 34). Si
tratta, evi dentemente, del segno necessario, come è dimostrato anche
dall'esempio e dall'uso dell'aggettivo proprius, che riman da alla nozione di
fdion smeion (segno proprio). Per Ari stotele il segno proprio era la
caratteristica specifica di un certo genere, come, ad esempio, il fatto che i
leoni avessero grandi estremità, segno del coraggio (An. Pr., 70 b, 11-38). Per
le scuole postaristoteliche il segno proprio aveva carat tere di necessità e
si definiva come quel segno che non può esistere se non esiste la cosa a cui
rimanda (Philod., De si gnis, l, 12-16). 9.2.2.2 Gli indizi di fatto Ci sono,
poi, i vestigia facti (indizi di fatto), dei quali 214 9. RETORICA LATINA
vengono dati questi esempi: "un'arma, macchie di sangue, grida, lamenti,
imbarazzo, alterazione del colorito, discor so contraddittorio, tremore, gli
indizi materiali della premeditazione, le confidenze sulle intenzioni
delittuose, le risultanze visive, uditive, rivelate" (Pari. or., 39). C.
non definisce QUf)tO tipo di segni, se non dicendo che si tratta di ''fenomeni
avvertibili con i sensi" (ibidem), caratte ristica condivisa anche dai
signa del De inventione (l, 48), in cui ricorrono esempi analoghi, e dagli
argumenta di Cor nificio (Rhet. adHer., II, 8). I commentatori si sono chiesti
se i vestigiafacti siano più in relazione con i segni necessari (notae propriae
rerum) o con i verisimili (verisimile) (Crapis 1986: 61-62). In realtà questa
sembra una categoria abbastanza autonoma non avendo la necessità dei primi, ma
nemmeno le caratteristi che degli ultimi. È plausibile che essa corrisponda
alla cate goria dei semefa aristotelici, diversi tanto dai tekmria quanto
dagli eik6ta. Da un altro passo delle Partitiones oratoriae (1 14), dove
ricorrono esempi analoghi, i vestigiafacti (chiamati lì anche signa) vengono
definiti come consequentia, cioè inferenze che si traggono dal conseguente,
caratteristica che definiva appunto, per Aristotele, i segni non necessari. Ma
mentre Aristotele condannava i smefa da un punto di vista episte mologico per
la loro insicurezza, C. è pronto a rico noscerne l'efficacia qualora si
presentino in gran numero (coacervata proficiunt, 40). Possiamo quindi
schematizzare la classificazione cicero niana nelle Partitiones oratoriae
(cfr. p. 215). 9.2.3 Le opere sulla divinazione Molte cose collegano la
retorica giudiziaria alla divina zione. Innanzitutto il fatto che entrambe si
avvalgano dei segni per arrivare alla conoscenza di fatti non direttamente
accessibili alla percezione. In secondo luogo, in entrambe viene operata una
distinzione tra aspetti che sono eminente mente congetturali e altri aspetti
che sono invece naturali o trt•) (·sensu percipi potest•) es . : ·sangue
- uccisione· es.: •adolescenza inclinazione alla libidine · 9.2 C. 215
coniecturs ---- l ----- verisimilie (•quod plerumque rta notse proprise rerum
(•quod numquam alrter frt certumque declarat•) es.: '"fumo-fuoco· vestigia
fecti o signa dati: alla dicotomia retorica tra prove tecniche (o congettu
rali) e prove extratecniche corrisponde la distinzione tra di vinazione
artificiale (basata sull'interpretazione e sulla con gettura) e divinazione
naturale. Infine, come C. pole micamente rileva (De div., II, 55), i segni
della divinazione sono talvolta interpretati in maniera diametralmente oppo
sta, proprio come avviene nel processo, in cui l'accusa e la difesa propongono
dello stesso fatto due interpretazioni di verse ed entrambe plausibili. Ma C.
apprezza i metodi deli'indagine giudiziaria, mentre nutre una diffidenza enorme
nei confronti della di vinazione. In linea, infatti, con un vasto gruppo di
intellet tuali della sua epoca, educati ai metodi di indagine della fi
losofia greca, a fondamento razionalistico, e contempora neamente impegnato in
politica, sente l'esigenza di operare una distinzione netta tra religione e
superstizione, di cui la divinazione fa, per lui, parte. La religione
appartiene alla più antica tradizione romana e, posta come è ai fondamenti
dello stato, deve essere conservata, pena la disgregazione dello stato stso; la
superstizione, invece, costituita dal coacervo degli elementi spuri che
inquinano e rendono poco credibile la religione stessa, dev'essere respinta,
anche per ché non venga limitata la libertà del cittadino romano nel suo
impegno di gestione della repubblica. 216 9. RETORICA LATINA C. affronta
questi argomenti nel De natura deo rum, nel De fato e, soprattutto, nel De
divinatione. Que st'ultima opera è scritta in forma di dialogo tra l'autore e
il fratello Quinto, il quale difende l'arte divinatoria basandosi sulle teorie
storiche che legavano la divinazione all'esistenza degli dei. Le osservazioni
di C. contro la teoria soste nuta da Quinto sono particolarmente interessanti
perché costituiscono una vera e propria critica a un meccanismo semiotico
settoriale e contribuiscono, in negativo, a una concezione generale del segno.
9.2.3. 1 La divinazione "artificiale" Secondo la teoria di Quinto,
gli dei si pongono come fon te dell'informazione e come emittenti nei processi
di comu nicazione divinatoria, dei quali gli uomini sono i destinata ri. Ma,
a seconda dei due specifici tipi di divinazione, il pro cesso comunicativo si
struttura in modo differente. Il primo tipo è costituito dalla divinatio
artificialis, in cui l'interpretazione dei segni è legata a un'ars, ovvero a
una tecnica professionale di decriptazione, demandata a specia listi, ciascuno
esperto in un settore: extispices (esaminatori delle viscere), interpretes
monstrorum et fu/gurum (inter preti dei fatti prodigiosi e dei fulmini),
augures (interpreti del volo degli uccelli), astrologi (interpreti delle
stelle), in terpretes sortium (interpreti delle combinazioni di tavolette
mescolate in un'urna ed estratte a caso). In tale divinazione l'informazione
proveniente dalla divinità si materializza prima di tutto in una sostanza
espressiva percepibile, a cui l'ars permetterà di abbinare un contenuto
semantico. I presupposti su cui si basano le interpretazioni di questo tipo
sono dati dalla teoria, di origine stoica, secondo cui tutti i fenomeni sono
legati tra di loro in una catena di cau se ed effetti, senza soluzione di
continuità. Questa catena che ha come fondamento primo il /6gos divino e
costituisce il fato (heimarmén), non è conoscibile per intero da parte degli
uomini, dato che l'onniscienza è prerogativa della sola divinità (De div., I,
125-127). 9.2 C. 217 Tuttavia viene prevista l'esistenza di un tempo
ciclico che "può essere paragonato con lo srotolarsi di una gomena, in
quanto non dà mai luogo a fatti nuovi, ma ripete sempre
quantoprimaèaccaduto"(Dediv.,l, 127).Questofasìche gli uomini, attraverso
l'osservazione attenta, colgano il mo do in cui gli eventi si ripetono e, pur
non potendo conoscere direttamente le cause, possono però arrivare a coglierne
gli indizi caratteristici (signa tamc.z causarum et notas cernunt) (ibidem).
Dato poi che è possibile tramandare memoria dalle con nessioni passate, si
crea un vero e proprio codice basato sul la iteratività. Si può schematizzare
così il processo: emittente divino-segni di cause-eventi futuri codice basato
sulla iterattività 9.2.3.2 La divinazione "naturale" Il secondo tipo
di divinazione è quello definito naturalis, in quanto indipendente da qualunque
tecnica professionale, ma derivante piuttosto da una diretta ispirazione
divina, senza passare attraverso la mediazione di un segno esterno. Fanno parte
di questo tipo le forme di preveggenza derivan ti da invasamento profetico,
cioè le vaticinationes e quelle derivanti dai sogni. Il palinsesto filosofico
·a cui è legato questo secondo tipo di divinazione è quello delle teorie peri
patetiche (Dicearco e Cratippo vengono esplicitamente no minati, De div., II,
100), secondo le quali l'anima, per il suo legame naturale con la divinità, una
volta che sia spinta da una divina follia o sciolta, nel sonno, dai vincoli che
la legano al corpo, partecipa direttamente della conoscenza del dio. Il ruolo
del codice è in questo caso ridotto, se non addirittura sostituito da una
parziale identificazione tra emittente e ricevente, secondo lo schema:
218 9. RETORICA LATINA emittente divino - segno interno - evento
futuro .... ricevente umano 9.2.3 .3 Critiche "semiologiche" contro i
segni divinatori Le obiezioni che C. muove ai sostenitori della divi nazione
si basano su argomenti specificamente semiotici. La tesi generale, mediante la
quale C. nega valore alla divinazione, è che essa non abbia veramente carattere
semiotico, e cioè che i fenomeni che essa interpreta come se gni non siano
veramente tali, ovvero che non si comportino veramente come degli antecedenti
rispetto a dei conse guenti. Per distinguere i segni veri rispetto a quelli
presunti della divinazione, C. istituisce un paragone tra le tecniche
scientifiche (come la medicina, la meteorologia, la nautica, la tecnica
previsionale del contadino e deli'astronomo) e la divinazione. In entrambi i
casi è in gioco la predizione del futuro a partire da certi indizi; ma, mentre
le pratiche pro fessionali adottano una vera e propria metodologia che
comporta "scienza (ars), ragionamento (ratio), esperienza (usus) e
congettura (coniectura)" (De div., II, 14), le prati che divinatorie si
basano sul "capriccio della sorte, tanto che nemmeno la divinità sembra
che possa avere, fra le sue prerogative, quella di sapere quali fatti il caso
farà accade re" (De div., II, 18). Questa opposizione tra ciò che, in
definitiva, è il codice (anche se 1si tratta di legami naturali basati sulla
frequenza statistica) e il caso è del resto la stessa con cui i medici ip
pocratici tendevano a distinguere la propria scienza profes sionale dalla
divinazione e dalla medicina magica (Antica medicina, cap. XII). C. poi si
sbarazza in termini razionalistici della teoria secondo cui anche nel caso
della divinazione tecnica si farebbe appello ali'osservazione iterata delle
coincidenze, ritenendola ridicola e insostenibile (De div., II, 28).
9.3 QUINTILIANO 219 Ma ci sono altri gravi difetti che la
divinazione presenta dal punto di vista semiotico: (i) le interpretazioni di
uno stesso segno sono spesso diametralmente opposte (De div.); (ii) si
verificano frequentemente fenomeni di falsa identificazione dell'antecedente,
per cui un certo evento non è connesso a quello individuato come segno prodigio
so, ma a ben diverse cause naturali (De div.);
l'interpretazione avviene a posteriori e così toglie ogni ne cessità di
rapporto tra antecedente e conseguente (De div., II, 66); (iv) in certi casi
l'interpretazione è motivata da ra gioni di faziosità politica e quindi è
priva di oggettività (De div., II, 74). 9.3 Quintiliano All'epoca di
Quintiliano, la trasformazione del regime politico dalla repubblica all'impero
aveva fatto si che la re torica divenisse inutilizzabile come mezzo di
agitazione po litica e sociale: per questo, da strumento pragmatico quale
l'aveva essenzialmente concepita C., era divenuta so prattutto materia
teorica. In questo quadro Quintiliano è colui che espone i principi dell'arte
retorica nella maniera migliore e più completa di chiunque altro e
contemporanea mente registra il processo di cadaverizzazione che l'elo quenza
stava subendo. Nella sua Institutio oratoria tratta un programma completo del
ciclo educativo del perfetto orato re, in cui la competenza semiotica ha una
posizione di rilie vo. Gran parte degli elementi che compongono l'opera di
Quintiliano hanno indiscutibilmente una pertinenza semio tica; ma nella
lnstitutio è presente anche una sezione speci ficamente dedicata ai segni,
come era ormai consuetudine per ogni trattato di retorica. Vaie anche nel caso
di Quintiliano la considerazione fatta a proposito degli altri trattatisti di
retorica, e cioè che la ri flessione sul segno è saldamente inquadrata
all'interno del l'ottica giuridica con cui viene trattata la materia. I segni
in fatti fanno parte delle probationes artificiales, cioè delle 220 9. RETORICA
LA... INA prove che l'abilità (ars) dell'oratore saprà trovare per far
assolvere o condannare un imputato. D'altro canto, le pro bationes
inartificiales sono quegli elementi che derivano dali'esterno del processo e
vengono consegnati ali'oratore insieme al suo dossier. Il seguente schema ne
mostra l'inventario completo: 9.3. 1 Orientamento della retorica di Quintiliano
probstiones (prove) i n a rt i f i c/i a l tJ s praejudicia (pregiudizi)
rumores (voce pubblica) tormenta, quaesita ( inter rogatorio sotto tortura)
tabulae (scritture, atti, contratti ecc.) jusjursndum (giuramento) testimonia
(testimonianze) a rt i f i c i s l e s formale Va pure detto che la
retorica di Quintiliano, accanto a un orientamento giuridico, ne presenta anche
uno fortemente teorico, che tende a inquadrare la materia il più possibile in
termini logici e formali (anche se è stato rilevato che Quinti liano non si
trova del tutto a suo agio in questo campo) (Kennedy). Così tutti e tre i tipi
di prove tecniche (signa, argumenta, exempla) vengono inquadrati in un reticolo
di relazioni lo giche vicine al genere deli'implicazione, ovvero del rappor
to "se p, allora q". Infatti il meccanismo di avvaloramento signum
(segno, prova di fatto) argumentum (prova di ragionamento) exemplum (esempio)
ed epistemologico QUINTlIANO 221 delle prove deve assumere una forma
logica che coincide con uno dei seguenti quattro tipi: (i) il concludere
dalPesse re una cosa che un'altra non sia (p-+ - q) ("È giorno, dun que
non è notte"); (ii) il concludere dall'essere una cosa che un,altra sia
(p-+q) (''Il sole splende sulla terra, dunque è giorno"); (iii) il
concludere dal non essere qualcosa che qualcos'altro sia ( -p-+q) (''Non è
notte, quindi è giorno"); (iv) il concludere dal non essere qualcosa che
un'altra sia ( -p-+ - q) ("Non è un essere razionale, quindi non è un
uomo") (lnst. or., V, 8, 7). Analizzati ali'interno di questa griglia, i
segni tendono a configurarsi come degli antecedenti rispetto a dei conse
guenti; nozione, questa, che Quintiliano non ha bisogno nemmeno di rendere
esplicita, in quanto attinta direttamen te dalla tradizione della retorica e
della logica greca. Dallo stesso ambito, del resto, verranno attinti anche
molti esem pi, tra cui l'ormai celebre "Se una donna ha partorito, si è
unita con un uomo", che, più o meno variato, ritorna in tutti i
trattatisti del segno. Come Aristotele, a cui fa costante riferimento,
Quintilia no è orientato verso un'ottica epistemologica, piuttosto che di
calcolo logico: ciò che lo interessa è soprattutto la possi bilità di
acquisire una conoscenza a partire da un segno. Scrive Eco (1984: 38) a questo
proposito: "Aristotele, inte ressato ad argomentazioni che in qualche
modo rendessero ragione dei legami di necessità che reggono i fatti, poneva
distinzioni di forza epistemologica tra segni necessari e se gni deboli. Gli
stoici, interessati a puri meccanismi formali dell'inferenza, evitano il
problema. Sarà Quintiliano, inte ressato alle reazioni di un'udienza forense,
a cercare di giu stificare, secondo una gerarchia di validità epistemologica,
ogni tipo di segno che in qualche misura risulti 'persua sivo' ". A
proposito del carattere persuasivo dei signa, Quintilia no fa una precisazione
preliminare: i signa hanno molto in comune con le prove extratecniche, in
quanto, a esempio, una veste insanguinata, le grida o i livori non vengono esco
gitati dali'arte deli'oratore, ma gli vengono consegnati nel dossier. Inoltre,
se esi rimandano a un significato inequi- 222 9. RETORICA LATINA vocabile,
scompare la possibilità di argomentazione; se, in vece, essi sono ambigui, non
sono delle prove ma necessita no essi stessi di prove (lnst. or.). Per questa
ragione i segni devono essere divisi innanzitut to in necessari e non
necessari. 9 . 3 . 2 I segni necessari l signa necessaria sono quelli che, come
dice Quintiliano, "aliter se habere non possunt" (lnst. or., V, 9,
3), cioè sono degli antecedenti che rimandano in maniera necessaria a dei
conseguenti, e vengono messi in corrispondenza con i tekmria della tradizione
greca. Si tratta di segni insolubili (alyta smefa), ovvero legati
inscindibilmente ai conseguen ti. L'informazione che se ne ricava è sicura e
incontroverti bile . La furia classificatoria, tipica del mondo antico, porta
inoltre Quintiliano a sottoclassificare questo tipo di segni in base al fatto
che i loro conseguenti siano individuabili nel tempo passato ("Se una
donna ha partorito, si è unita con un uomo"), nel presente (''Se soffia un
forte vento sul ma re, si formano su di esso le onde"), nel futuro
("Se uno è stato ferito al cuore, morirà") (lnst. or., V, 9, 5).
Questi segni vengono, poi, sottoposti anche a un altro ti po di
classificazione basata sul criterio di reversibilità dei termini: ci sono
relazioni segniche, come "Se vive, respira", che mantengono la
relazione di necessità anche invertendo antecedente e conseguente: "Se
respira, allora vive"; ma vi sono anche relazioni segniche in cui la
reversibilità non è possibile, come in "Se cammina, si muove",
"Se ha partori to, si è unita con un uomo", "Se è ferito al
cuore, morirà", "Se si è raccolta la messe, si è seminato",
"Se è stato ferito dalla spada, ha una cicatrice" (lnst. or., V, 9,
7). Quintilia no sembra sollevare qui il problema della
"conversazione" (antistréphein), che per Aristotele (An. Pr., 70 b,
32 e sgg.) è condizione del segno proprio, cioè dell'"esserci un unico
segno di un'unica cosa". QUINTllANO 9.3.3 I segni non necessari 223
I signa non necessaria, che Quintiliano mette in corri spondenza con gli
eik6ta greci, sono le verisimiglianze, cioè quei fatti su cui vi è comunemente
accordo, quelli che, se condo Eco (1984: 40), potendo essere altrettanto
convincen ti di un segno necessario, dipendono dai codici e dalle sce
neggiature che una certa comunità registra come "buone". Quintiliano
ne distingue tre tipi fondamentali, in base al l'intensità del legame che si
stabilisce fra antecedente e con seguente: firmissimum (sicurissimo),
corrispondente alla norma statistica, come "Se sono genitori, amano i
propri fi gli"; propensius (molto probabile), come "Se uno sta bene
in salute, allora giungerà fino al giorno successivo"; non re pugnans
(non contraddittorio), cioè non contrastante con il senso comune, come "Se
c'è stato un furto dentro la casa, allora è stato fatto da chi era in
casa". Nessuna di queste inferenze presenta un grado di certezza
accettabile. Ma nell'ottica del discorso persuasivo esse pos sono essere molto
efficaci, soprattutto nel caso che si pre sentino in gran numero avvalorandosi
a vicenda (lnst. or., V, 9, 8), poiché ricostruiscono una tessitura isomorfa a
quella dell'opinione pubblica. 9.3.4 Gli indizi materiali Nel contesto dei
signa non necessaria (lnst. or.) Quintiliano parla del signum senza altra
determinazione (messo in corrispondenza sia con indicium e vestigium, sia con
il greco smeion). Non si capisce bene se esso venga considerato una categoria
autonoma rispetto alle due prece denti (segni necessari e verisimiglianze),
come del resto av veniva nella fonte aristotelica, o se Quintiliano consideri
analoghi eik6ta e smeia. Nella seconda ipotesi si potrebbe parlare di un vero e
proprio errore di Quintiliano, come fa Cousin (1936). Tuttavia il fatto che
consideri un sinonimo l'espressione vestigium e ricorra all'esempio del sangue
che permette di scoprire l'uccisione, spinge a stabilire un parallelo con i
vestigia facti delle Partitiones oratoriae (39) cice roniane, dove compariva
lo stesso esempio. Si tratterebbe, in definitiva, della abituale categoria
degli indizi materiali (lividi., enfiagioni, ferite ecc.) (lnst. or., V, 9, I
l) percepibili sensorialmente. Quintiliano li definisce come quelli
"attraverso cui si comprende un'altra cosa, (per quod alia res
inte/ligitur, V, 9, 9), sottolineando che con essi si stabilisce un rapporto di
significazione, che parte da un sensibile per arrivare a qualcos'altro. Nella
precedente categoria (quella dci signa non necessa ria == eik6ta) venivano
classificati fatti o proprictfi che forni vano un'informazione non sicura,
perché non convalidabile dal punto di vista sciePtifico (se uno sta bene oggi,
non è scient((ica1nente sicuro che arriverà a domani); nella cate goria dei
signa sono classificati fatti che sono insicuri per ché ambigui (una macchia
di sangue su una veste può ri mandare tanto bene a un omicidio, come a una
epistassi o allo schizzare del sangue di una vitti1na durante un sacrifi cio).
La classificazione, allora, dovrebbe essere così formu lata: necessaria
relazione necessaria tra a'ltecadente e cons&guento es.: "Se una donna
ha partorito, si è unita con un uomo· l ------- signa non necssaria
verisimiglianze non conva!idabili scienti ficamente es.: "Se uno sta bene
in salute, giungerà fino al g iorno successivo" signa indizi materiali
ambigui es.: ..Se macchia di sangue, allora omi cidio, o epistassi, o
sacrificio· Questo spiega anche come mai Quintiliano chiami signa non
necessaria dei casi chiari di verisimiglianza (e non si gna), come gli esempi
che egli riprende da Ermagora e che 9.3 QUINTILIANO 225 critica: "Tra
le cose che sono segni, ma non necessari, Er magora ritiene questo, che non
sia vergine Atalanta perché vaga nei boschi con i giovani" (lnst. or., V,
9, 12). Quinti liano ha una certa riluttanza a considerare questo e altri
esempi di verisimiglianze molto deboli come elementi pro banti in un processo:
"Ma se accoglieremo questo come se gno, temo che si ritengano come segni
tutte le conseguenze che si traggono da un fatto". Tuttavia, egli
aggiunge, "essi si trattano allo stesso modo dei segni" (ibidem).
Quella che viene descritta è la condizione tipica della semiotica giuridi ca,
in perenne dialettica tra la forza oggettivamente proba toria degli argomenti
e l'abilità dell'avvocato di fare un uso persuasivo anche di segni debolissimi.
Naturalmente, in un'ottica semiotica generale, non c'è al cun problema a
considerare come segni "tutte le conseguen ze che si traggono da un
fatto". Le proprietà che l'enciclo pedia registra a proposito di un certo
oggetto o fatto sono tutte, a buon diritto, dei segni di questo oggetto o di
questo fatto. Saranno poi le relazioni circostanziali e contestuali a garantire
le differenze nella forza probatoria: una pis.tola può essere segno di un
delitto, ma diversi sono i casi in cui essa venga rinvenuta in casa di un presunto
terrorista, di un poliziotto, di un armaiolo (Eco 1984: 39). E forse questo era
stato oscuramente intuito dalla retori ca antica, già da Aristotele, ma ancor
più da Quintiliano, i quali, da una parte ponevano una distinzione netta tra
"cer tezza scientifica" e "certezza legata ai codici
socio-cultura li", ma, dall'altra, utilizzavano entrambe, caso mai racco
mandando, nel secondo caso, l'assunzione congiunta di più prove che si
rafforzassero a vicenda. AGOSTINO 10.0 Unificazione delle teorie del segno e
del lin guaggio Con Agostino si opera, per la prima volta e in maniera
esplicita, una completa saldatura fra la teoria del segno e quella del
linguaggio. Per trovare una altrettanto rigorosa presa di posizione teorica
bisogna aspettare il Corso di lin guistica generale di Saussure, scritto
quindici secoli dopo. La grande importanza che la tematica semiolinguistica ha
in Agostino deriva in gran parte dal suo assorbimento della lezione stoica,
come del resto testimonia il trattato giovanile De dialectica: in esso sono
riassunti molti dei principali temi stoici in materia semiotica, tra cui il
princi pio che la conoscenza è, in linea generale, conoscenza attra verso
segni (Simone). Ma vari elementi differenziano l'impostazione agostinia na da
quella stoica. In primo luogo, infatti, gli stoici, racco gliendo e
formalizzando una lunga tradizione di origine so prattutto medica e mantica,
consideravano propriamente segni (smeia) solo i segni non verbali, come il fumo
che svela il fuoco e la cicatrice che rinvia a una precedente feri ta.
Agostino, invece, per primo nell'antichità, include nella categoria dei signa
non solo i segni non verbali come i gesti, le insegne militari, le fanfare, la
pantomima ecc., ma anche le espressioni del linguaggio parlato (''Noi diciamo
in gene rale segno tutto ciò che significa qualche cosa, e fra questi abbiamo
anche le parole", De Magistro). STRATIFICAZIONE TERMINOLOGICA 227 In
secondo luogo, gli stoici avevano individuato nell'e nunciato il punto di
congiunzione tra il significante (semaf non) e il significato (semain6menon),
elemento che comun que non coincideva con il segno (semefon). Agostino, inve
ce, individua nella singola espressione linguistica, cioè nel verbum
(''parola"), l'elemento in cui significante e signifi cato si fondono, e
considera questa fusione un segno di qualcos'altro ("Quindi, dopo aver
sufficientemente assoda to che le parole [verba] non sono nient'altro che
segni [si gna] e che non può essere segno ciò che non significhi [si
gniflcet] qualcosa, tu hai proposto un verso di cui io mi sforzassi di mostrare
che cosa significhino le singole paro le", De Mag., 7.19). In terzo
luogo, gli stoici avevano elaborato una teoria del linguaggio che aveva le due
caratteristiche di essere formale (il lekt6n non coincideva con alcuna
sostanza) e centrata sulla significazione. Agostino, invece, elabora una teoria
del segno linguistico che ha un carattere psicologistico (i si gnificati si
trovano nell'animo) e comunicazionale (passano nell'animo dell'ascoltatore)
(Todorov; Markus). 10.1 n triangolo semiotico e la stratificazione ter
minologie& È del resto con l'analisi della nozione stessa di parola (verbum
simplex) che si apre il De dia/ectica ed è con questa nozione che si inaugura
una serie interessante di distinzioni terminologiche. Al capitolo V, Agostino
elabora una triplice distinzione che possiamo mettere in corrispondenza con i
moderni con cetti di significato, significante e referente. Infatti individua
in primo luogo la vox articu/ata (o il sonus) della parola, cioè quello che è
percepito dali'orecchio quando la parola viene pronunciata. In secondo luogo
individua il dicibi/e1 (corrispondente, anche dal punto di vista della
trasposizio ne linguistica, al /ekt6n stoico), definito come ciò che viene
avvertito dall'animo e che è in esso contenuto. In terzo luo- 228 10.
AGOSTINO go, infine, distingue la res, che viene definita come un og getto
qualsiasi, percepibile con i sensi, o con l'intelletto, op pure che sfugge
alla percezione (De dialect., cap. V). È così possibile ricostruire il
triangolo semiotico nei se guenti termini: dicibile vox articulata (o
sonus) res Ma Agostino guarda ai segni anche dal punto di vista del loro potere
di designazione, oltre che da quello della signifi cazione. Questo lo spinge a
elaborare un'ulteriore suddivi sione terminologica in corrispondenza dei due
aspetti che può assumere il referente di una parola: (i) può infatti avve nire
che la parola rimandi a se stessa come proprio referente (fatto che si verifica
nel caso della citazione, ovvero della designazione metalinguistica), e allora
prende il nome di verbum;2 (ii) oppure può avvenire che la parola, intesa co
me combinazione del significante e del significato, abbia come referente una
cosa diversa da se stessa (come avviene con l'uso denotativo del linguaggio),
nel qual caso prende il nome di dictio.3 È precisamente la nozione di dictio
che, come ha osserva to Baratin ( 198 1 ), costituisce l'elemento di
congiunzione tra la teoria del linguaggio e quella del segno. E ciò in virtù di
uno sfasamento semantico che la nozione stoica di léxis (si gnificante
articolato, ma senza essere necessariamente por tatore di significato) ha
subìto nel corso degli studi lingui stici antichi. RELAZIONE
D'EQUIVALENZA E D'IMPLICAZIONE 229 Dictio è traduzione di léxis; ma non ha lo
stesso significa to che le attribuivano gli stoici, bensì quello che le davano
i grammatici alessandrini, in particolare Dionisio Trace, che definiva la léxis
come "la più piccola parte dell'enunciato costruito" (Grammatici
graeci), a metà strada tra le lettere e le sillabe, da una parte, e
l'enunciato, dall'al tra. Questa sua particolare posizione fa sì che la léxis
venga considerata come portatrice di un significato (in contrappo sizione alle
lettere e alle sillabe che non lo posseggono), ma incompleto (in opposizione
all'enunciato che porta un sen so completo). Lo spostamento di fuoco dalla
centralità stoica dell'e nunciato alla centralità alessandrina della singola
parola, fa sì che quest'ultima assuma al(\une delle funzioni prima spet tanti
solo all'enunciato. In particolare, quella di essere un segno.4 Agostino
definisce decisamente la parola come un segno al cap. V del De dialectica:
"La parola è, per ciascuna cosa, un segno che, enunciato dal locutore, può
essere compreso dall'ascoltatore". E, del resto, il segno viene definito
come "ciò che presentandosi in quanto tale alla percezione sensi bile,
presenta anche qualche cosa alla percezione intellet tuale (animus)"
(ibidem). 10.2 Relazione di equivalenza e relazione di im plicazione Ponendo
l'accento sulla parola, anziché sull'enunciato, Agostino ritrova l'opposizione
platonica tra parole e cose. Incontro non casuale, in quanto Platone è l'unico,
prima di Agostino, ad avere una concezione semiotica del linguag gio; per
Platone, infatti, il nome era d/Oma, svelamento di qualcosa che non è
direttamente percepibile, ovvero dell'es senza della cosa. Ma mentre nel
Crati/o platonico si discute se il rapporto tra nome e cosa sia un rapporto
iconico (pe raltro con la soluzione che conosciamo, cfr. cap. 4), in Agostino
tale rapporto - configura subito come una rela zione di significazione: il
nomt "significa" una cosa (nozio- 230 10. AGOSTINO ne
equivalente a quella di "essere segno di" una cosa). Nel momento in
cui Agostino propone la sua concezione della parola come segno, si producono
alcune modificazio ni teoriche, conseguenti allo spostamento di prospettiva.
In effetti nelle teorie linguistiche precedenti a quella di Agosti no il
rapporto tra le espressioni linguistiche e i loro conte nuti era stato
concepito come una relazione di equivalenza. La ragione, come noto, era di
carattere epistemologico e ri guardava la possibilità di lavorare direttamente
sul linguag gio, in sostituzione degli oggetti della realtà, dato che il lin
guaggio veniva concepito come un sistema di rappresenta zione del reale (per
quanto mediato dall'anima). Al contrario, il rapporto tra un segno e ciò a cui
esso rin via era stato concepito come una relazione di implicazione, per cui
il primo termine permetteva, per lo stesso fatto di esistere, di arrivare alla
conoscenza del secondo. Eco ha suggerito che, nell'enunciato stoico, i rapporti
tra la relazione segnica e quella linguistica possono essere illustra ti da
uno schema in cui il livello implicazionale si regge su quello
equazionale: onIE=>c m_E:! c
dove E indica "espressione", C "contenuto", ::J
"implica" e == "è equivalente a". In Agostino
l'unificazione tra le due prospettive avviene a livello della singola parola e
senza chiamare in causa rapporti di equivalenza. Caso mai la dic tio, che è
rappresentabile con il livello i, è costituita dali'u nione, o prodotto
logico, di una vox (significante) e di un dicibile (significato), unità che
diviene segno di qualcos'al tro (livello ii). 10.3 UNmCAZIONE
DELLE PROSPETI 231 10.3 Conseguenze dell'unificazione delle prospet tive La
prima conseguenza dell'unificazione agostiniana, co me sottolinea Eco (1984:
33), è che la lingua comincia a tro varsi a disagio all'interno del quadro
implicativo. Essa in fatti costituisce un sistema troppo forte e troppo
strutturato per sottomettersi a una teoria dei segni nata per descrivere
rapporti così elusivi e generici, come quelli che si ritrovano, a esempio,
nelle classificazioni della retorica greca e roma na. Infatti l'implicazione
semiotica era aperta alla possibili tà di percorrere l'intero continuum dei
rapporti di necessità e di debolezza. Inoltre la lingua, come del resto
Agostino mette in risalto nel De Magistro, possiede un carattere peculiare
rispetto agli altri sistemi di segni, corrispondente al fatto di essere un
"sistema modellizzante primario",5 cioè tale che qualun que altro
sistema semiotico può essere tradotto in esso. La forza e l'importanza della
lingua fanno sì che i rapporti con gli altri sistemi di segni si rovescino, e
che essa, da specie, divenga genere: a poco a poco, il modello del segno lingui
stico finirà per essere senz'altro il modello semiotico per ec cellenza. Ma
quando il processo evolutivo arriva a Saussure, che ne rappresenta il punto
culminante, si è ormai venuto a per dere il carattere implicativo, e il segno
linguistico si è cri stallizzato nella forma degradata del modello
dizionariale, in cui il rapporto tra la parola e il suo contenuto è concepito
come situazione sinonimica o definizione essenziale. La seconda importante
conseguenza dell'innovazione agostiniana riguarda il problema della fondazione
della dia lettica e della scienza (Baratin 1 98 1 : 266 e sgg.). Fintanto ché
il rapporto tra linguaggio e oggetto del reale era conce pito nei termini
dell'equivalenza, il primo non appariva di rettamente responsabile della
conoscenza del secondo. Ma nel momento in cui si attribuisce un carattere di
segno alle espressioni linguistiche, la conoscenza delle parole sembra
implicare, di per se stessa, e a priori, la conoscenza delle co se di cui esse
sono segno. Tutta la grande tradizione serniotica, del resto, convergeva nel
considerare il segno come il punto di accesso, senza ulteriori mediazioni, alla
conoscen za dell'oggetto di riferimento. Il problema che si pone ad Agostino è
allora quello di prendere una posizione rispetto alla questione se il linguag
gio fornisca o meno, di per se stesso, informazioni sulle co se che significa.
Linguaggio e informazione Agostino affronta la questione del carattere
informativo dei segni linguistici nel De Magistro. L'opera, in forma di dialogo
tra Agostino e il figlio Adeodato, inizia stabilendo due fondamentali funzioni
del linguaggio: in· segnare (docere) e richiamare alla memoria (commemorare),
sia propria sia degli altri. Si tratta di funzioni con temporaneamente
informative e comunicative, in quanto coinvolgono in maniera centrale la
presenza del destinatario nel momento in cui forniscono informazione. La prima
parte del dialogo è tesa a dimostrare che queste funzioni, principalmente
quella informativa, sono svolte dal linguaggio in quanto sistema di segni. Sono
le parole, infatti, che, in qualità di segni, danno informazione sulle cose,
senza che nient'altro possa assolvere alla medesima funzione. Nella seconda
parte del dialogo, però, Agostino ritorna sull'argomento e cambia completamente
la sua prospettiva. Fondandosi ancora una volta sul fatto che la lingua è un in
sieme di segni, egli mostra che si possono presentare due ca si: il primo caso
è quello in cui il locutore produce un se gno che si riferisce a una cosa
sconosciuta al destinatario; in tale situazione il segno non è in grado, di per
se stesso, di fornire informazione, come dimostra l'esempio, riportato da
Agostino, dell'espressione saraballae, la quale, se non precedentemente nota,
non permetterà di comprendere il ri ferimento ai "copricapr', che essa
effettua; il secondo caso è quello in cui il locutore produce un segno che si
rife risce a qualcosa che è già noto al destinatario; e nemmeno
COMUNICAZIONE DEL VERBO INTERIORE 233 in questa evenienza si potrà parlare di
un vero e proprio processo di conoscenza (De Mag.). Alla fine Agostino conclude
invertendo il rapporto cono scitivo tra segno e oggetto, e stabilendo che è
necessario co noscere preliminarmente l'oggetto di riferimento per poter dire
che una parola ne è un segno. È la conoscenza della co sa che informa sulla
presenza del segno e non viceversa. La soluzione ha una ascendenza chiaramente
platonica, e a es sa si collega anche la presa di posizione, di marca ugual
mente platonica, che la conoscenza delle cose deve essere pregiata maggiormente
della conoscenza dei segni, perché "qualunque cosa sta per un'altra, è
necessario che valga meno di quella per cui essa sta" (De Mag., 9.25). Ma
se per le cose sensibili (sensibilia) sono gli oggetti esterni che ci
permettono di arrivare alla conoscenza, non altrettanto avviene nel caso delle
cose puramente intelligibi li (intelligibilia). Per queste ultime Agostino
individua una soluzione "teologica": la loro conoscenza deriva dalla
rive lazione che viene fatta dal Maestro interiore, il quale è ga ranzia
tanto deli'informazione quanto della verità (De Mag., 12.39). Ma anche con
questa soluzione "teologica" del problema linguistico, al linguaggio
è lasciato uno spazio, che in parte coincide con la funzione del segno
rammemorativo, ma in parte la supera: quando conosciamo già l'oggetto di riferi
mento, le parole ci ricordano l'informazione; quando non lo conosciamo, ci
spingono a cercare (De Mag.). Espressione e comunicazione del verbo inte riore
In Agostino la soluzione teologica non è una scappatoia per uscire da
un'impasse teorica. Al contrario, essa mette capo a nuove problematiche. È nel
De Trinitate (415) che viene affrontato il tema dell'espressione del verbo
interiore, una volta che sia stato concepito nella profondità dell'ani mo. In
effetti, per poter comunicare con gli altri, gli uomini si servono della parola
o di un segno sensibile, per poter 234 10. AGOSTINO provocare nell'anima
dell'interlocutore un verbo simile a quello che si trova nel loro animo mentre
parlano (De Trin., IX, VII, 12). D'altra parte Agostino sottolinea la natura
prelinguistica del verbo interiore, il quale non appartiene a nessuna delle
lingue naturali, ma deve essere codificato in un segno quan do ha bisogno di
essere espresso e portato alla comprensio ne dei destinatari. Il verbo
interiore ha, del resto, una duplice origine: da una parte esso costituisce una
conoscenza immanente, la cui sorgente è Dio stesso; dall'altra esso è
determinato dalle im pronte lasciate neli'anima dagli oggetti di conoscenza.
Ma anche in questo secondo caso esso è riconducibile a Dio, in quanto il mondo
è il linguaggio attraverso il quale Dio si esprime. Si trovano qui gli embrioni
del simbolismo univer sale, che tanta parte avrà nella cultura del Medioevo.
Quello che comunque emerge con sempre maggiore chia rezza è il carattere
comunicativo della semiologia agostinia na, che è individuabile anche nello
schema riassuntivo pro posto da Todorov (1977: 42): oggetti di conoscenza
potenza !Immanente verbo verbo verbo divina interiore - esteriore - esteriore
pensato proferito sa pere 10.6 Le classificazioni È comunque
innegabile, come sottolinea Simone (1969: 96 n. 2), che se la semiologia
agostiniana presenta un aspet to "teologico", connesso al problema
del verbo divino, tut tavia possiede anche un ben individuato e autonomo aspet
to laico, che prende in considerazione i caratteri che il segno ha di per se
stesso. Fanno parte di quest'ultimo aspetto le varie classificazioni dei segni,
alle quali Agostino si dedica soprattutto nel trattato De doctrina
Christiana, l . 2. 3. 4. 5. secondo il modo di trasmissione: vista/udito
secondo l'origine e l'uso: segni naturali/segni intenzio nali secondo lo
statuto sociale: segni naturali/segni conven zionali secondo la natura del
rapporto simbolico: proprio/tra slato secondo la natura del designato:
segno/cosa LE CLASSffiCAZIONI 235 con aggiunte più tarde), ma che ritorna anche
in varie altre opere . Todorov (1977: 43 e sgg.) individua e analizza cinque
tipi di classificazione a cui Agostino sottopone la nozione di se gno :
Todorov lamenta il fatto che Agostino giustappone quel lo che in realtà
avrebbe potuto articolare, in quanto gene ralmente queste opposizioni sono tra
di loro irrelate. Questo non è però del tutto vero, perché (soprattutto nel De
Magistro) c'è un tentativo di dare una classificazione combinata di alcuni
aspetti del segno. A questo proposito è possibile ricostruire tale classifica
zione ordinandola secondo uno schema arboriforme (Ber nardelli 1987), secondo
il modello dell'albero di Porfirio (Eco 1984: 91 e sgg.); cfr. p. 236. La
classificazione di Agostino non è totalmente a inclu sione, come tende a
essere quella porfiriana; e si può osser vare che se venissero sviluppati i
rami collaterali, si vedreb bero comparire, una seconda volta, alcune
categorie elenca te sotto il ramo principale. Tuttavia è Agostino stesso a
metterei sulla strada di una classificazione inclusiva da ge nere a specie
quando definisce la relazione tra nome e paro la come "la stessa che c'è
tra cavallo e animale" e includen do la categoria delle parole in quella
più ampia dei segni (DeMag., 4.9). genen· e specie AES SEGNO PAROLA NOME
-- segno udibile di cose (funzione denotativa) res sensibili (Romulus, Roma,
fluvius) differenze significanti qualcosa verbale (voce articolata)
differenze ( s i g n i fi c s b i l i s l non significanti
nome in senso particolare non verbale (gesti. insegne, lettere, tromba
militare ecc.) altra parte del discorso (si, ve/, ex, nsmque, neve, ergo,
quonism ecc.) segno udibile di segni udibili (funzione metalinguistìca) res
intelligibili ( virtus) SIGNIFICANTE delle .. AES"
10.6 LE CLASSIFICAZIONI 237 10.6. 1 "Res" e "signa"
La prima relazione interessante è quella tra res e signa. Per quanto il mondo
sostanziahnente venga diviso in cose e segni, tuttavia, Agostino non concepisce
tale distinzione co me ontologica, bensì come funzionale e relativa. Infatti
anche i segni sono delle res e l'uomo è libero di as sumere come segno una res
che fino a quel momento era sprovvista di quella dignità. Anzi, la stessa
nozione di res viene definita in termini rigorosamente semiologici (Simone
1969: 105): "In senso proprio ho chiamato cose (res) quegli oggetti che non
sono impiegati per essere segni di qualche cosa: per esempio i legno, la
pietra, il bestiame" (De doctr. Christ., I, Il, 2). Ma, immediatamente
dopo, cosciente del la pervasività dei processi di semiosi, aggiunge: "Ma
non quel legno che, leggiamo, Mosè gettò nelle acque amare per dissipare la
loro amarezza (Esodo, XV, 25); né quella pietra sulla quale Giacobbe riposò la
sua testa (Gen., XXVIII, I l); né quella pecora che Abramo immolò al posto di
suo figlio (id., XXII, 13)". L'articolazione che esiste tra segni e cose è
analoga a quella dei due processi essenziali: usare (ut1) e godere (jrul) (De
doctr. Christ., l, IV, 4). Le cose di cui si usa sono tran sitive, come i
segni, che sono strumenti per giungere a qual cos'altro; le cose di cui si
gode sono intransitive, cioè sono prese in considerazione per se stesse
(Todorov 1977: 39). Nel De Magistro (4.8) Agostino propone anche un nome per le
cose che non sono usate come segni, ma sono signifi cate attraverso segni:
significabilia. Niente toglie che in un secondo momento anche quest'ultime
possano essere assun te con funzione significante. Dopo aver così articolato i
rapporti tra segni e cose, Ago stino propone questa definizione di segno nel
De doctrina Christiana. Il segno è una cosa (res) che, al di là
dell'impressione che produce sui sensi, di per se stessa, fa venire in mente
(in cogitationem) qualcos'altro". 238 10. AGOSTINO 10.6.2 Segni
verbali e non verbali Nel nostro albero porfiriano abbiamo deciso di ricostrui
re la principale suddivisione agostiniana dei segni secondo la dicotomia
verbale/non verbale, anche se altre opzioni, ugualmente esplicite nei testi di
Agostino, erano disponibili. Questa decisione è autorizzata da un passo del De
doctrina Christiana (Il, IV, 4) in cui, a conclusione di un'analisi dei vari
tipi di segni, Agostino sostiene: "Infatti di tutti quei se gni, di cui
ho brevemente abbozzato la tipologia, ho potuto parlare attraverso le parole;
ma le parole in nessun modo avrei potuto enunciarle attraverso quei
segni". Viene esplicitamente fatto riferimento al carattere, tipico del
linguaggio verbale, di essere un sistema modellizzante primario, e tale
carattere viene assunto come criterio della divisione fondamentale dei segni.
I0.6.3 Segni classificati in base al canale di perce zione Una classificazione
incrociata rispetto alla precedente è quella effettuata in base al canale di
percezione. Agostino infatti sostiene che "tra i segni di cui gli uomini
si servono per comunicare tra di loro ciò che provano, certi dipendono dalla
vista, la maggior parte dali'udito, pochissimi dagli al tri sensi" (De
doctr. Christ., Il, III, 4). Tra i segni che vengono percepiti con l'udito ci
sono quel li, fondamentalmente estetici, emessi dagli strumenti musi cali,
come il flauto e la cetra, o anche quelli essenzialmente comunicativi emessi
dalla tromba militare. Naturalmente, ritroviamo tra i segni percepìbili con
l'udito, in una posizio ne dominante, anche le parole: "Le parole, in
effetti, hanno ottenuto tra gli uomini il primissimo posto per l'espressione
dei pensieri di ogni genere, che ciascuno di essi vuole ester nare"
(Dedoctr. Christ.). Tra i segni percepibili con la vista Agostino elenca i
cenni della testa, i gesti, i movimenti corporei degli attori, le ban diere e
le insegne militari, le lettere. LE CLASSIFICAZIONI Infine vengono presi
in considerazione i segni che riguar dano altri sensi, come l'odorato (l'odore
dell'unguento sparso sui piedi di Cristo), il gusto (il sacramento dell'euca
ristia), il tatto (il gesto della donna che toccò la veste di Cri sto e fu
guarita). 10.6.4 "Signa naturalia" e "signa data"
Sicuramente fondamentale, anche se non direttamente integrabile al nostro
albero inclusivo, risulta lo schema di classificazione che oppone i signa
naturalia ai signa data. I primi sono "quelli che senza intenzione, né
desiderio di si gnificare, fanno conoscere qualcos'altro, oltre a se stessi,
come il fumo significa il fuoco" (De doctr. Christ.). Ne sono esempi anche
le tracce lasciate da un animale e le espressioni facciali che rivelano,
inintenzionalmente, irrita zione o gioia . Dopo averli definiti, Agostino
dichiara di non volerli trattare ulteriormente. È invece maggiormente
interessato ai signa data, in quan to a questa categoria appartengono anche i
segni della Sa cra Scrittura. Essi vengono definiti come "quelli che
tutti gli esseri viventi si fanno, gli uni agli altri, per mostrare, per quanto
possono, i movimenti della loro anima, cioè tutto ciò che essi sentono e
pensano" (De doctr. Christ.). Gli esempi sono soprattutto i segni
linguistici umani (le pa role) . Ma Agostino, curiosamente, include in questa
classe an che i segni emessi dagli animali, come quelli che si hanno quando il
gallo segnala alla gallina di aver trovato il cibo (ibidem). Questo crea una
marcata differenza rispetto ad Aristotele, che include i gridi degli animali
tra i segni natu rali (De int., 16 a). Ma Aristotele opponeva
"naturale" a "convenzionale", mentre i signa data non sono
i "segni convenzionali", come Markus aveva suggerito (e come del
resto era sta to proposto dalla traduzione francese di G. Combès e J. Farges).
I signa data sono i "segni intenzionali" (Engels 1962: 367; Darrel
Jackson 1969: 14), e corrispondono a 1:1na 240 10. AGOSTINO ben precisa
intenzione comunicativa (De doctr. Christ.). È del resto il carattere
intenzionale che permette ad Agostino di includere tra i signa data quelli
emessi dagli animali, anche se egli non si pronuncia sulla natura di que sta
intenzionalità animale (Eco 1987: 78). Del resto, come nota Todorov (1977: 46),
porre l'accento sull'idea di intenzione corrisponde al progetto semiologico
generale di Agostino, orientato verso la comunicazione. I segni intenzionali, o
meglio, creati espressamente in vista della comunicazione, possono essere messi
in corrisponden za del syrnbolon di Aristotele e della combinazione stoica di
un significante con un significato; quelli naturali, ovvero già esistenti come
cose, corrispondono invece ai smeia, sia aristotelici che stoici. 10.7 Semiosi
illimitata a modello "istruzionale" Uno dei punti fondamentali della
semiologia agostiniana, infine, è costituito dalla ricerca dei modi in cui si
può stabi lire il significato dei segni. Tale indagine è condotta soprat
tutto nel De Magistro, dove si può rintracciare una conce zione semantica che
si avvicina al tipo della "semiosi illimi tata" di Peirce. Come ha
rilevato anche Markus (1957: 66), il significato di un segno, per Agostino, può
essere stabilito o espresso mediante altri segni, per esempio: fornendo dei
sinonimi; attraverso l'indicazione con il dito puntato; per mezzo di gesti;
tramite astensione (De Mag., III e VII). Questa concezione del significato si
rende possibile sol tanto nel momento in cui viene abbandonato lo schema
equazionale del simbolo, per adottare, come fa Agostino, quello implicazionale
del segno. La teoria semiologica ago stiniana si apre così, come ha messo in
evidenza Eco, verso un modello "istruzionale" della descrizione
semantica. Se ne può cogliere un esempio neIl'analisi che Agostino conduce
insieme ad Adeodato del verso virgiliano "si nihil ex tanta superis placet
urbe relinqui" (De Mag.). Esso viene definito come composto di otto segni,
dei quali, appunto si cerca il significato. SEMIOSI ILLIMITATA L'indagine
comincia da l si l, di cui si riconosce che espri me un significato di
"dubbio", dopo aver tuttavia sottoli neato che non si è trovato un
altro termine da sostituire al primo per illustrare lo stesso concetto. Si
passa, poi, a lni hi/1, il cui significato viene individuato come
!'"affezione dell'animo" che si verifica quando, non vedendo una
cosa, se ne riconosce l'assenza. In seguito Agostino chiede ad Adeodato il
significato di lexl ed esso propone una definizione sinonimica: lexl sa rebbe
equivalente a l de l . Agostino non è soddisfatto di questa soluzione e
argomenta che il secondo termine è certo un'interpretazione del primo, ma ha
bisogno di essere a sua volta interpretato. La solu2ione finale è che l ex l
significa "una separazione" da un oggetto. A questa conclusione, pe
rò, viene aggiunta anche una successiva istruzione per la sua decodifica
contestuale: il termine può esprimere separa zione rispetto a qualcosa che non
esiste più, come nel caso della città di Troia a cui si allude nel verso
virgiliano; oppu re il termine può esprimere separazione da qualcosa che è
ancora esistente, come quando diciamo che in Africa ci so no alcuni negozianti
provenienti da Roma. Il significato di un termine, allora, "è un blocco
(una se rie, un sistema) di istruzioni per le sue possibili inserzioni
contestuali, e per i suoi diversi esiti semantici in contesti di versi (ma
tutti ugualmente registrabili in termini di codice)" (Eco 1984: 34). La
struttura implicativa permette regole del tipo "Se A appare nei contesti
x, y, allora significa B; ma se B, allora C; ecc.", regole che sono comuni
tanto al modello istruzio nale quanto alla semiosi illimitata. In definitiva,
è proprio grazie ali'assunzione generalizza ta del modello implicazionale che
la semiologia agostiniana riesce a porsi sia come sintesi delle acquisizioni
semiolingui stiche del mondo antico (teoria della parola come segno), sia come
potente anticipazione di alcune delle più recenti tendenze della ricerca
attuale in campo semantico (modello istruzionale) . NOTE 1 Anche se non è
ancora possibile stabilire se e in quale misura la cultura greca sia debitrice
a quella mesopotamica della nozione di segno, secondo lo schema implicativo, in
generale, è possibile, però, rilevare una connes sione storicamente
documentabile tra le due culture in ambiti di uso parti colare del segno. A
esempio nelPambito della medicina viene fatto ricorso allo schema del segno
implicativo ("se..., allora...") nella presentazione dei complessi
eziologici tanto nei trattati mesopotamici quanto in quelli greci, ambito in
cui si sa che ci sono stati contatti positivi tra le due culture (cfr. Di
Benedetto-Lami 1983: I l). 2 Barthes e Marty (1980: 71) collocano nel 3500 a.C.
la nascita dei primi germi della scrittura in Mesopotamia. Alcuni, come Cardona
(1981: 70), fanno risalire al 3500 l'invenzione degli stessi caratteri
cuneiformi. Bottero (1974: tr. it. 155) posticipa molto la data, sostenendo che
"la scrittura cu neiforme è stata inventata nella bassa Mesopotamia verso
il 2850 avanti la nostra era"; cfr. anche Barthes e Mauriès (1981: 602). 3
Si veda il sumerogramma n. 73 del manuale di Labat (1948: 69). È cu rioso
notare come si registri qui un gioco simile a quello omografico greco tra bios
(''vita") e bios (''arco"), presente nel frammento 48 (D-K) di Era
clito: "L'arco (bios) ha dunque per nome vita (bios) e per opera
morte". 4 In ciascun esempio dividiamo la protasi dali'apodosi con un
trattino, allo scopo di far meglio risaltare la distinzione. Per questi esempi,
come per la maggioranza dei testi mesopotamici riportati nel corso di questo ca
pitolo, siamo debitori al ricchissimo e ben documentato saggio di Bottero
(1974). Qui, una volta per tutte, rimandiamo a esso per l'indicazione delle
fonti primarie e delle edizioni critiche. Anche per gran parte delle notizie
contenute in questo capitolo si fa riferimento a quel saggio. Si potevano contare oltre cento oracoli per
tavoletta, e alcune raccolte potevano arrivare a un numero di circa venti
tavolette. 244 NOTE CAPITOLO 2. 1 Infatti da un'analisi del vocabolario
dell'azione oracolare compiuta da Crahay
risulta che alcuni vocaboli presentano il testo della rivelazione come
un segno, molto spesso un segno anticipatorio, in quanto orientano l'azione
verso l'avvenire. Tra questi si ricordino i due verbi smafno e prosmafnO (cioè
"informare in anticipo con segni") e l'ag gettivo di origine verbale
pr6phanton che esprime l'idea di un'informazio ne prima del fatto. 2 Ciò è
tanto più evidente se si opera un confronto con civiltà come quella
mesopotamica che mettevano la divinazione al centro della vita pubblica
(Vernant 1974) e ne estendevano il modello formale anche a tutti gli altri
ambiti culturali (a esempio, alla medicina e alla giurisprudenza). 3 Cfr .
anche //., I I I, 277 . Per i passi citati sono utilizzate, nel corso del
l'intero testo, traduzioni correnti, talvolta parzialmente modificate. 4
Traduco dal testo in inglese di Romeo (1976: 86): "The lord, who has the
oracle in Delphi, l neither discloses nor hides his thought, l but indica tes
it through signs". s Infatti la divinazione è indissolubilmente legata ad
Apollo, e Apollo è indissolubilmente legato alla sapienza. La sapienza del dio
è totale e simul tanea e non ha bisogno di essere frammentata in parole.
Tuttavia agli uo mini egli concede, invece, solo la frammentazione della
parola oracolare, oscura e incomprensibile, in quanto in essa la sapienza
divina appare come follia dell'uomo invasato. La follia, del resto, che Platone
ritiene essere l'essenza stessa della mantica, riconnettendo nel Fedro (244
a-c) l'etimolo gia di mantiké a maniké ("arte folle"), non è altro
che la sapienza vista dal l'esterno. 6 Ma si veda anche Amandry (1950) per la
presenza di possibili procedi menti anche di cleromanzia (divinazione
attraverso il lancio delle sorti) presso l'oracolo di Delfi. 7 Talvolta certi
fenomeni naturali potevano perdere il carattere di ca sualità ed essere
sottoposti a un processo di istituzionalizzazione, come av veniva nel caso
dell'oracolo di Dodona, dove si interpretavano i segni dati dallo stormire del
vento tra le fronde di una quercia sacra a Zeus (come pure, probabilmente, il
tubare e il volo dei piccioni sacri e iJ mormorio di una fonte, gli echi di un
gong). Per gli oracoli in generale, si vedano Ferri (1916) e Parke (1967); per
una disamina generale e approfondita dei vari ti pi di divinazione i testi
basilari sono Bouché-Leclercq ( 1 879-82) e Halliday (1913). 8
"Lobo", "vescichette" e "porte" erano i termini
tecnici designanti par ti che gli specialisti di questo tipo di divinazione
prendevano come segni da cui elaborare interpretazioni; cfr. Arist., Historia
anima/ium, l, 17, 496 b 32· Eurip., E/ectra, 826-828. 9 Le forme della
consultazione oracolare ci sono note attraverso un cer to numero di iscrizioni
epigrafiche, provenienti principalmente da Delfi e da Dodona; cfr.
Parke-Wormell e Fontenrose. Quest'ultima categoria fa ovvio riferimento alla
nozione di enigma, come era presente nella cultura greca: esso comportava, come
vedremo NOTE 245 meglio più avanti, sia un aspetto di sfida (da parte del
dio all'uomo), sia la presenza nascosta di un secondo senso, sia, infine,
l'idea che il primo senso doveva essere immediatamente scontato. Il termine
"modo", poi, pone l'accento sul fatto che non vi è presenza di un
unico meccanismo, ma di una galassia di procedimenti espressivi molto
eterogenei, che vanno dalla banale omonimia, alla metafora (metasememi), allo
scambio di prospetti va (metalogismi) ecc. L'espressione "modo"
enigmatico fa naturalmente riferimento alla categoria di modo simbolico
elaborata da Eco. Pur troppo non è qui possibile usare direttamente quella
categoria perché essa, pur avendo molti punti in comune con questa che qui
proponiamo, se ne discosta per la presenza di alcuni caratteri specifici
(rapporto stretto tra si gnificante e significato, nebulosa di sensi multipli
tendenzialmente coesi stenti ecc.) che qui non si ritrovano. È un peccato,
perché ci sarebbe sem brato appropriato definire "simbolico" il modo
di parlare del dio. 1 1 Il meccanismo retorico dell'enallage ricorda il
meccanismo oracolare usato dalla Sibilla cumana, nella descrizione di Virgilio
(Aen., VI): la sa cerdotessa di Apollo scrive le varie parti del responso su
delle foglie, se guendo l'ordine sintagmatico del linguaggio umano; poi lascia
quelle fo glie al vento, che scompiglia l'ordine precedente, creandone un
altro, in cui i riferimenti incrociati fra i ternlini rendono oscuro il testo e
difficile l'interpretazione. 12 L'ambiguità del dio è simbolizzata dai due
attributi antitetici della li ra e dell'arco: la lira rappresenta la faccia
benigna ed esaltante (quella che compare nell'interpretazione di Nietzsche);
l'arco, quella maligna e deva stante. Del resto l'etimologia stessa del suo
nome suggerisce il significato di "colui che distrugge totalmente",
ed è sotto questo aspetto che Apollo si presenta all'inizio dell'Iliade, dove
le sue frecce portano lutto e distruzione nel campo degli Achei (Colli). Per
una nozione complessa e articolata della nozione di "verità" nel
mondo antico, si veda Detienne (1967). In particolare, sulla concezione di
a/theia come "sintesi del passato, del presente e del futuro", comune
al poeti ispirati, agli indovini e agli ambienti filosofico-religiosi,
Detienne. D'ora in avanti ci riferiremo al Corpus Hippocraticum con la sigla
C.H. Naturalmente, per una documentazione completa sulla medicina gre ca,
dovrebbero essere prese in specifica considerazione almeno anche le opere di
Galeno; tuttavia queste ultime, appartenendo a un'epoca molto più recente (II
sec. d.C.) e attingendo a una tradizione filosofica (quella aristotelica e
stoica) che aveva già portato molto avanti lo studio sul segno, si situano in
parte al di fuori del discorso che stiamo svolgendo . Rimandia mo, comunque, a
Manuli (1980). 2 La massiccia attribuzione dei trattati di medicina del V e lV
secolo 246 NOTE 3 Si possono distinguere all'interno del C.H. gruppi
omogenei di opere. Innanzitutto il gruppo di trattati tecnico-terapeutici
(Sulle affezioni inter ne, il libro II delle Malattie (A), il libro III delle
Malattie, la parte più ar caica del trattato Sulle malattie delle donne),
caratterizzati da un carattere spiccato di arcaicità e da una maggiore
attenzione all'aspetto terapeutico della medicina (Di Benedetto 1986: 5 e 80).
In secondo luogo, un gruppo di trattati in cui appaiono maggiormente
approfonditi i principi teorici e me todologici della medicina. Vegetti (1976:
21 e sgg.) ha proposto di definire convenzionalmente "pensiero
ippocratico" queJJo che da questi ultimi ri sulta (indipendentemente dal
fatto che essi siano attribuibili a molti autori e probabilmente tutti diversi
dali'lppocrate storico vissuto tra il 460 e il 370 a.C.). Questi testi,
collocabili cronologicamente nella seconda metà del V secolo a.C., sono: Antica
medicina, Le arie, le acque, i luoghi, Il 4 Cfr. Jaeger (1947: tr. it. 3). s
Cfr. Vegetti (1976: 65 ss.); Vegetti (1967: 78). 6 Anche se, come mette in
evidenza Lloyd (1979), la medicina ippocrati ca non arriverà mai a essere
sperimentale in senso compiuto. 7 Per le traduzioni ci atteniamo al criterio di
usare versioni correnti, tal volta apportandovi delle modifiche. 8 Solo più
tardi, con la Scuola di Alessandria, sarà stabilita una distin zione fornaie
tra anamnsis, relativa ai fenomeni collocati nel passato, diaghnOsis, ovvero
individuazionc dello stato presente, e pr6ghnOsis, cioè previsione
deJJ'andamento futuro della malattia; cfr. Di Benedetto-Lami (1983: 166). Sulla
pr6ghnOsis si veda anche Grmek (1983: tr. it. 499 ss.). Si deve poi segnalare
che Irigoin (1983: 179) collega il prefisso pro-, unito ai verbi di
"dire", con il significato di "pubblicamente ", anziché con
un si gnificato di "anticipazione". a.C . a lppocrate avviene
nell'ambito della biblioteca di Alessandria nel I I I secolo a.C.; cfr. Di
Benedetto (1986: 81). prognostico, Il regime nelle malattie acute, il Male
sacro, Le epidemie l e III, e poi le maggiori opere chirurgiche (Leferite nella
testa, Le articola zioni, Lefratture). 9 Cfr. Detienne (1967: tr. it. 99 n.).
10 In certi casi, il vocabolario usato per indicare la previsione medica ri
calca queJJo della divinazione, come nel cap. 9 delle Articolazioni in cui si
dice che è compito del medico "vaticinare" (katamante-Usasthal) certi
pro cessi relativi allo stato di salute. 1 1 Si tratta di una concezione (vale
la pena sottolineado) che affonda le radici in una religione preolimpica, animistica
e demonica; cfr. Lanata (1967); Detienne (1963: 32 e sgg.); Dodds (1951); Lloyd
(1979); Parker ( 1 983) . Un'ampia panoramica sul movimento magico e catartico
era già stata fornita dagli studi del Rohde (1890-94: tr. it. 1982). 12 Cfr.
Diog. Laert., Vitae, VIII, 32 D-K, 58 B la. Va notato, di sfug gita, che il
carattere molto arcaico della concezione espressa dal brano è garantito dal
riferimento al bestiame coinvolto nelle stesse vicende della comunità umana:
c'è la rappresentazione di una comunità agricola in cui uomini e bestie formano
una unità inscindibile; cfr. Deticnne (1963: 32). n Un esempio assolutamente
analogo a questo si trova nel cap. 21 del = NOTE 247 trattato Le arie, le
acque, i luoghi, dove si confuta, usando i1 modus tol /ens, la tesi secondo
cui l'impotenza che colpisce certuni degli Sciti sia do vuta a causa divina,
in quanto colpisce i ricchi (che vanno a cavallo, essen do questa, per
l'autore, la causa della malattia) e non i più poveri. Se fosse di origine
divina, continua l'autore, colpirebbe indifferentemente tutti. 1"' Si
pensi a questo proposito all'indebolimento dei sensi durante il son no di cui
parla Platone nel Timeo e a1la diminuzione dei turbamenti nell'aria che rende
possibile il sorgere dei sogni secondo Aristotele (De di vinatione per somnum)
. •s Per la nozione di "omomaterico", cfr. Eco (1975: 295): per
"omoma tericità" si intende il fenomeno per cui "l'oggetto,
visto come pura espres sione, è fatto della stessa materia del suo possibile
referente. Cfr. anche Lichtenthaeler (1983) e Wenskus (1983). 17 Cfr. Vegetti
(1976: 48); Manuli (1985: 233). 18 Sull'abduzione si vedano Thagard; Proni
(1981); Eco (1983); Bonfantini-Proni; Bonfantini; Peirce; Eco. Di Benedetto
(1986) ha messo in luce, in maniera molto convincente, i rapporti tra i moduli
espressivi di presentazione della malattia nella medi cina greca e quelli dei
trattati mesopotamici ed egiziani; cfr. anche Di Be nedetto-Lami (1983). 2°
Cfr. Campbell Thompson (1937: 285, I, 1). 2 1 Per questa nozione, cfr. Conte.
Cfr. Hjelmslev. Cfr. Arist., An. Pr., Il, 70 a-b; Rhet., Cfr. Arist., Rhet., l,
1358 a, 36 e sgg. 3 Cfr.Arist., De int.,16a; An.Pr.,11,70a-b. "' Su questa
nozione cfr. Di Cesare. s Cfr. Eco. Cfr. Heinimann. 7 Cfr.
Eco-Lambertini-Manno-Tabarroni (1984); Eco. Emerge qui, per quanto
nebulosamente, il tema della doppia articola zione del linguaggio umano, che
verrà poi sviluppato in epoca contempo ranea da André Martinet (1960). 9 Anche
se Aristotele non dà esplicitamente questa definizione, tuttavia nella Retorica
(1, 1357 a, 14-22) c'è un passo che suggerisce l'idea dell'enti mema come
sillogismo accorciato. Inoltre, in un passo dei Primi analitici 248 NOTE
(Il, 70 a, 24-25), Aristotele tenta anche di distinguere il segno dal sillogi
smo in base al numero di premesse assunte (una sola nel primo caso, due nel
secondo). 1ella Retorica infatti il tekmirion verrà definito esplicitamente
"neces sario" (anankaion), mentre il smefon è definito ..non
necessario" (mè anankafon) (Rhet.). 1 1 Lo stesso punto di vista e la
stessa terminologia ricorrono anche nel passo parallelo della Retorica. 12
Quanto al carattere di confutabilità di questo tipo di segno, Aristote le così
commenta l'esempio dato negli Analitici; "D'altra parte il sillogi smo
che si sviluppa attraverso la figura intermedia risulterà sempre confu tabile
(ljsimos), senza eccezione. In realtà, quando i termini si comporta no come si
è detto sopra, non si costituirà mai un sillogismo: se infatti la donna gravida
è pallida, e se inoltre una determinata donna è pallida, non per questo sarà
necessario che questa determinata donna sia gravida"' (An. Pr.J Il, 70 a,
34-37). 1 Dei segni quello necessario è la prova, quello non necessario non ha
un nome corrispondente a questa differenza. Intendo per necessarie le
proposizioni da cui derivano sillogismi. Perciò anche dei segni quello che è
tale è la prova: quando infatti si ritiene che non è possibile confutare la
proposizione enunciata, allora si pensa di apportare una prova, che si ritie
ne dimostrata e compiuta; nella lingua antica infatti tékmar (prova) e pé ras
Ccompimento') significavano la stessa cosa" (Rhet.). Si deve tuttavia
segnalare il fatto che, se negli Analitici e nella Retorica la di stinzione
tra tekmrion e semeion è rigida e netta, l'uso che Aristotele fa di questi
termini nei trattati scientifici sembra essere molto più fluido, senza
distinzioni speciali tra l'uno e l'altro termine. Si trova anche impiegato un
terzo termine, martyrion, in un senso analogo a quello di semeion; cfr. Le
Blond. Cfr.
Arist., An Pr., II, 70 b,'7-14. I!!. Cfr. Arist., An. Post., II, 98 b, 25-30. È del resto sulla base delle
immagini prodotte nella mente dagli oggetti esterni, in particolare su certi
tipi di immagini, chegli stoici chiamano ka talptikaì phantasfai, che viene
basato il "criterio di verità", cioè "ciò a cui ci atteniamo
nell'affermare che alcune cose esistono e altre no e che certe cose determinate
sono vere ( = sono il caso) e certe altre sono false ( = non sono il
caso)" (Sext. Emp., Adversus Mathematicos, VII, 29); cfr. Mi gnucci;
Sandbach; "The crite rion of truth" di Rist. Cfr. anche Sext. Emp.,
A dv. Math. 1 Si deve sottolineare che /ekt6n è l'aggettivo verbale del verbo
/éghein. 6
Cfr. Diog. Lart., Vitae, VII, 51; Long Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII,
11-12. 8 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 70. 9 Cfr. Diog. Lart., Vitae, Vll, NOTE 249 A questo proposito
si ricorderà che, come sostiene Diogene Laerzio ( Vitae, VII, 57), gli stoici
distinguevano tra il "proferire" (prophéresthal), che consisteva nel
puro emettere dei suoni, e il "dire" (léghein), che consisteva nel
fare ciò in modo da significare (sma{nein) lo stato delle cose in mente; cfr.
anche Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 80. Long (1971 a: 77) sostiene di
preferire, per lekt6n, la traduzione "what is said" rispetto a quella
propo sta da Mates e dai Kneale, "what is meant", in quanto la prima
è più gene rale e permette al lekt6n di essere interpretato come avente
funzione tanto logica quanto grammaticale. 4 Si deve tuttavia sottolineare che
vi è una tradizione, risalente al Crati lo platonico, secondo la quale
nominare qualcuno equivale a dire "questo è il suo nome". In questo
caso anche l'esempio di Sesto dovrebbe essere compreso nei termini di una
proposizione implicita come "'Dione è il nome di costui" oppure
"Questo è Dione"; cfr. Long (1971 a: 107 n. 1 1). ..s I lekta
venivano classificati dagli stoici in completi e incompleti; cia scuno dei due
tipi dava luogo a una sottoclassificazione, anche molto com plessa, che non
prenderemo qui in considerazione; si veda a questo proposito Mates. 63. 1°
Cfr. Mates (1953: 1 1-12): Mates infatti concepisce i lekta come signi ficato
delle parole e avvicina la loro definizione a quella di Sinn di Frege e a uella
di intension di Carnap. 1 Cfr. Zeller (1865: 78-79). 12 Cfr. Bréhier. 13 Cfr.
Mignucci (1965: 96). 14 Una definizione del criterio di verità la fornisce
Sesto (A dv. Math., VII, 29): "Ciò a cui ci atteniamo nell'affermare che
alcune cose esistono e altre no e che certe cose determinate sono vere e certe
altre sono false". Sul problema del criterio di verità, cfr. Rist (1969:
133-151); Sandbach (1971 a: 9 e sgg.); Mignucci (1966). 17 Cfr. anche Adv.
Math., VIII, 245-257. 18 Cfr. Diels-Kranz, 75, B 2. 19 Si veda, a proposito di
questa questione terminologica, la esaustiva 1 Cfr. Platone, Th., 190 a (206
d); Soph., 263 a. 16 In effetti il "discorso interno" (endiathetos
/6gos), a differenza delle espressioni emesse materialment (prophorikòs 16gos),
è un fattore che si dimostra capace di distinguere l'uomo dagli animali. Dice
infatti Sesto (Adv. Math., VIII, 275-276): "(Gli stoici) dicono che l'uomo
differisce da gli animali irrazionali a causa del discorso interno, non a
causa di quello pronunciato, in quanto corvi, pappagalli e gazze pronunciano
suoni arti colati"; cfr. anche Pohlenz (1959, 1: 61-62). trattazione di
Conte (1972: XXXV), curatore dcll'edizione italiana dei Kneale (1962). 20 Cfr.
Sext. Emp., Hyp. Pirrh., Il, 95-96. 21 Ibidem: "anche la dimostrazione in
quanto al genere è, a quel che pa- 250 NOTE re, un segno"; cfr.
anche Adv. Math., VIII, 180. 22 Il testo del De signis, con traduzione inglese,
è contenuto in Ph . e E.A. De Lacy (1978). 21 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math.,
VIII, 144; Hyp. Pyrrh., Il, 97. lA Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 147; Hyp.
Pyrrh., II, 97. 2'
Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 145; Hyp. Pyrrh., II, 98. 26 Cfr. Sext.
Emp., Adv. Math., VIII, 146; Hyp. Pyrrh., Il, 98. 27 Cfr. anche Adv. Math., VIII, 151-155. 28 Tale
tripartizione verrà esplicitamente teorizzata nella retorica roma- na: vedi il
capitolo relativo. 29
Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 152-153. 30 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 154. 11 Cfr. Sext. Emp., Adv.
Math., VIII, 156. Al di là del carattere pole mico, l'osservazione di Sesto è
interessante perché, citando "medici" e "fi losofi", fissa
i due punti estremi di un ciclo di sviluppo deli'interesse verso il segno:
l'introduzione di tale interesse da parte dei medici (come, poi, di mostrano
anche i numerosi esempi di carattere medico presenti in tutte le trattazioni) e
lo studio sistematico del segno da parte dei filosofi. 12 Cfr. Diog. Latrt.,
Vitae, VII, 71. 13 Cfr. Sext. Emp., Hyp. Pyrrh., Il, 104-105; Adv. Math., VIII,
245- 247 . 34 Cfr.
Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 245. 1' Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 248;
Hyp. Pyrrh., Il, 106. 16 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 249-250; Hyp.
Pyrrh., Il, 106. 37 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 250-251. 11 Cfr. Sext.
Emp., Hyp. Pyrrh., Il, 106-107; Adv. Math., VIII, 252- 253 . 39 Cfr. Sext.
Emp., Hyp. Pyrrh., Il, IlO-I12. Qui
prenderemo in consi derazione solo i primi tre criteri, perché il quarto
sembra avere un'origine diversa dalla scuola megarico-stoica. 4() Cfr. Sext.
Emp., Hyp. Pyrrh., Il, lIO-I12; Adv. Math., VIII, 115- 117. •U Sono state
proposte varie interpretazioni del condizionale diodoreo, che non possiamo qui
prendere in considerazione. Segnaliamo tuttavia i saggi di Hurst (1935), di
Mates (1949 a), dei Kneale (1962) e di Mignucci (1966), che affrontano
l'argomento in una successione cronologica e teo rica. "2 Cfr. Phil., De
signis, XIV, 11-14= 19; Xl, 32-XII, 1 = 17. l numeri romani, relativi ai
paragrafi del testo greco, sono messi in correlazione con il segno " =
" ai capitoli della traduzione inglese dei De Lacy (1978). "3 Cfr.
Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 275-276; 287.
Cfr. Goldschmidt (1953: 79 e sgg.); Verbeke (1978: 401-402); Manuli
(1986: 262). ..s Sul rapporto tra filosofia e divinazione, Verbeke (1978: 402)
osserva molto opportunamente che per gli stoici il filosofo "est le
médecin de cet organisme vivant qu'est le monde; il est aussi une sorte de
prophète, un de vin, un exégète, un interprète des signes qu'il observe".
46 Cfr. Cic., De
divinatione, I, 125-127. 49 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., 309. CAPITOLO 7.
NOTE 251 "7 Cfr. Sext. Emp., Hyp. Pyrrh., II, 140; Adv. Math., VIII, 305. 48 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math.,
VIII, 180: "D'altronde anche la dimo strazione è, in linea generale, un
segno, giacché essa è considerata come di svelatrice della conclusione".
1 Il testo di Filodemo, giunto a noi attraverso il papiro ercolanese 1065, è
ora disponibile nell'ottima edizione critica dei De Lacy (1978); d'ora in poi
citeremo quest'opera con il titolo latino De signis: a essa è dedicato il
prossimo capitolo. 2 Cfr. Diog. Laert., Vitae, X, 31; cfr. ancheEpic.,
EpistulaadHerodo tum (d'ora in poi Ep. Hdt.), 38; Kyriai Doxai (d'ora in poi
K.D.), XXIV. 3 Cfr.Phil.,Designis,fr.l. " Cfr. Diog. Laert., Vitae, X, 33;
Epic., Nat., XXVIII, fr. 4, col. III, in Arrighetti (1960: 296-297). Long (1971
b: 1 14) sostiene che un simile rap porto tra linguaggio e pro/essi è
presupposto anche nella Ep. Hdt., 37-38.
Cfr. Diog. Laert., Vitae, Cfr. Epic., Ep. Pyth., Cfr. Epic., Ep. Hdt.,
Cfr. Diog. Laert., Vitae, Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., Cfr. Diog. Laert.,
Vitae, Cfr. Diog. Laert., Vitae, Cfr. Epic., Ep. Hdt., Cfr. Epic., Ep. Hdt.,
48. 1" Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VII, 211. 15 Cfr. Epic., K.D., XXIV.
16 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VII, 211. 1 7 La congettura semiotica è
espressa dal verbo smeiolJ (Ep. Hdt., 38) e prende la forma dell'induzione
nella teoria epicurea. Il sostantivo da esso derivato, smeilJsis, non
direttamente attestato negli scritti di Epicuro, avrà ampio spazio nel trattato
di Filodemo. 18 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VII, 21 3-214. 19 Come vedremo nel
prossimo capitolo, il criterio della "non incompa tibilità" con i
fatti conosciuti è centrale nella teoria dell'inferenza come è esosta nel De
signis di Filodemo. °
Cfr. Diog. Laert., Vitae, X, 33. 21 Cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VIII, 13; 258;
Plut., Adversus Colo tem, 1119f. 22
Si deve segnalare l'articolo di Glidden (1983) che tratta il problema semantico
in Epicuro in termini molto diversi da quelli in cui lo abbiamo trattato qui e
recupera, sostanzialmente, le posizioni di Sesto e di Plutarco, sostenendo che
non esiste nella filosofia linguistica epicurea un livello spe- 252 NOTE
cifico del "significato" in termini intensionali. 23 Cfr. Sedley
(1973: 17-18); il testo di Sedley in parte si discosta da quello di Arrighetti.
Come veniva evitato, nel Crati/o platonico, tanto da Cratilo quanto da Socrate.
Cfr. capitolo relativo a Platone in questo libro. 26 Cfr. Plat., Crat., 421 d,
435 c; cfr. Sedley. La data di composizione del trattato, che è controversa,
oscilla tra il 542e il 40 a.C.; cfr. De Lacy (1978: 163-164). Il titolo greco,
essendo il testo in parte corrotto, è frutto della conget tura di T. Gompers;
altre congetture sono state proposte. D'ora in poi ci riferiremo a esso nella
sua versione latina De signis; cfr. De Lacy. Nella prima sezione vengono
riportate le risposte di Zenone di Sidone alle critiche stoiche; nella seconda
viene esposta la versione di Bromio del l'enumerazione e confutazione di
Zenone degli argomenti contro l'inferen za empirica; nella terza viene
riportata l'enumerazione di Demetrio di La conia degli errori comuni degli
antagonisti del metodo analogico; la quarta sezione, che espone una seconda
lista degli errori degli oppositori, è anoni ma, ma, con molta probabilità, è
anch'essa da attribuire a Demetrio. .. Cfr. Marquand; Deledalle. Cfr. Phil., Designis, coll.VIII,32-IX,3=
cap.13). Il riferimentobi bliografico al trattato di Filodemo è dato in
maniera duplice, indicando prima la colonna e il numero delle righe del testo
greco del papiro, poi il numero del capitolo corrispondente nella traduzione
inglese effettuata dai De Lacy. 6 Come è a più riprese ribadito anche nella
terza sezione che riporta il pensiero di Demetrio; cfr. col. XXVIII, 13-25 =
cap. 45, e col. XXXVII, 12-24=cap. 57. 7 Cfr.col.XIII,1-15=cap.18. 8 Cfr. col.
I, 1-12 9 Cfr. col. I, 12-16=cap. 2. 1° Cfr. col. XII, 14-31=cap. 17. 11 In
Peirce (1980: 140), del resto, c'è a proposito dell'icona anche un'interessante
considerazione (sulla possibilità che l'oggetto del segno iconico esista o non
esista), la quale sembra riproporre, in epoca contem poranea, una tematica
simile a quella stoica ed epicurea circa la distinzione dei segni in propri e
comuni: "Un'Icona è un segno che si riferisce all'Og getto che essa
denota semplicemente in virtù di caratteri suoi propri, e che essa possiede
nello stesso identico modo sia che un tale Oggetto esista ef fettivamente, sia
che non esista. È vero che, a meno che vi sia realmente un tale Oggetto,
l'Icona non agisce come segno". = cap . 2,ecol.XIV,4-11=cap. 19.
NOTE 12 Cfr. Preti 1956: 13; si veda anche il cap. VI del presente lavoro. Cfr.
col. II, 25·36=cap. 5. ... Cfr. col. III, 4-8= cap. 5. 1Cfr. col. III, 30-34 =
cap. 6. 16 Cfr. coli. XXXV, 35 - XXXVI, 7=cap. 53. 17 Le risposte alle
obiezioni stoiche sono, nella sezione di Zenone, alle coli. XVI, 4 · XVII, 28 =
capp. 23-24, e, nella sezione di Bromio, alle coli. XXII, 28 - XXIII, 7=cap.
38. 18 Cfr. col. XVII, 3-7=cap. 24. 19 Una discussione attribuita ai
"dogmatici" sul problema della defini zione come combinazione di
attributi, a esempio "animale", "mortale",
"ragionevole" rispetto a uomo, è presente anche in Sesto Empirico,
Adv. Math., VII, 276-277. 2° Cfr.col.IV,3-5=cap.6. 21 Cfr. col. XVII, 1 1-28 =
cap. 24. 22 Cfr.V,l-7=cap.7. 21 Cfr. col. XVII, 29-36=cap. 25. 2A Cfr. coli.
XVII, 37 - XVIII, 3 = cap. 25. 2 Cfr. col. XVIII, I0-16=cap. 25. 26 Cfr. coll.
XXIII, 13 - XXIV, 8=cap. 39. 27 Cfr. col. XXIV, 10-17 = cap. 40. 28 Cfr. col.
XXVI, 6-9=cap. 41. 29 La tradizione continua dopo gli epicurei, e nella tarda
antichità le de finizioni vengono talvolta combinate; cosi si ha quella di
Galeno: "animali razionali, cioè provvisti di ragione" (De P/ac.
Hipp. et Plat., IX, 3); e quella di Sesto Empirico: "animale razionale
mortale, provvisto di intelli genza e razionalità" (Adv. Math., VII,
269). 3° Cfr. 11 Cfr. 12 Cfr. 31 Cfr. 34 Cfr. 1 Cfr. 36 Cfr. l7 Cfr. 18
Cfr.coli.I,19-II,3=cap.3. 39 Cfr. coli. XIV, 28 - XV, 13=Cfr.coli.XX,32-XXI,3=
cap.35. coli. XXXIII, 35 - XXXIV, 5=cap. 52. Eco (1984: 130 e sgg.). Groupe p.
(1970: 100). col . col. col . col. col. XXXIV, 5-7 = cap. 52. XXXIV, 11-15=cap.
52. XXI, 27-29 = cap. 36. XXX, 27-31 =cap. 47. XVIII, 23-29=cap. 26. CAPITOLO
9. 1 A questo proposito C. parla di "regolarità della ragione" (ratio
et constantia) contrapposta alla "sorte" (fortuna) (De div., I l, 1
8) In altre opere, al posto di dicibile troviamo l'espressione significatio; a
esempio in De Magistro, 10.34. 2 Si deve notare che Agostino adopera
l'espressione verbum in due sen si: (i) uno tecnico e specifico, che è quello
dell'uso metalinguistico della pa rola; (ii) uno generale, che corrisponde
alla nozione ampia di "parola", co me "segno di ciascuna cosa
che, proferito dal parlante, possa essere inteso dalJ'ascoltatore" (cap.
V). 1 La natura della nozione di dictio, come composizione di significante e
significato, è messa chiaramente in risalto dalla definizione del cap. V da De
dialectica: Quel che ho detto dictio è una parola, ma una parola che significhi
ormaj le due unità precedenti conten1poraneamente, la parola (verbum) stessa e
ciò che è prodotto nell'animo per mezzo della parola [di cibile]". La
dictio, inoltre, "non procede per se stessa, ma per significare qualcosa
d'altro" (ibidem). 4 Si ricorderà che dagli stoici un segno era concepito,
in termini propo sizionali, come un antecedente che rimandava a un
conseguente; cfr. Sext. Emp., Adv. Math., VliI, 245. s Per questa nozione, cfr.
Lotman-Uspenskij Les Storcien.s et leur logique, Actes du Colloque de Chan
tilly, Vrin, Paris Al, D.J. The Philosophy ofAristotle, Oxford, Ox ford (tr.
it. La filosofia di Aristotele, Lampugnani Nigri, Milano, AMANDRY, La mantique
apollinienne à Delphes. E5sai sur lefonction nement de roracle, Thèse (Bibliotèque des Écoles
Françai ses de Athènes et de Rome), Paris Oracles, littérature et
politique", in Revue des études an ciennes, 61, 1-2, pp. 400-413 AllENs,
H. (ed.) 1984 Aristotle's Theory of Language and Its Tradition. Texts from 500 to l750,
Benjamins, Amsterdam-Philadel phia AlusTOTELE Opere. I. Organon (trad. di G. Colli), Einaudi, Torino
ARluGHEITI, Epicuro. Opere, Einaudi, Torino AVl BELLOSO, I. 1984 "Le discours
divinatoire", in Actes sémiotiques – Bulletin. BARATIN, M. 1981
"Origines stolciennes de la théorie augustinienne du signe", in Revue
des études latines, BARATIN, M.-DESBORDES, L'analyse linguistique dans
l'antiquité classique, 2 voli., Klincksieck, Paris BARNES, J.-BRUNSCHWIG, J. et
alii 1982 Science and Speculation. Studies in Hellenistic theory and practice, Cambridge
University Press, Cambridge BARTHES, L 'ancienne rhétorique",
Communications, 1 6 ( tr . it . La
retorica antica, Bompiani, Milano, BARTHES, R.-MARTY, Orale/scritto", in
Enciclopedia, Einaudi, Torino, BARTHES, R. -MAURIÉS, p. 1981
"Scrittura", in Enciclopedia, Einaudi, Torino, BELARDI, w. 1975
l/linguaggio nella filosofia di Aristotele, K.Libreria Editri ce, Roma
BENVENISTE, Le vocabulaire latin des signes et des présages", in Le vo...
cabulaire des institutions indo-européennes Il. Pouvoir, droit, religion, Les
Éditions de Minuit, Paris (tr. it . Il
voca bolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino, BERNARDELLI,
Teorie del segno in S. Agostino, Università di Bologna, manoscritto
BERREITONI, Il lessico tecnico del I e III libro delle Epidemie ippocrati
che", in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, BLOCH, Les prodiges dans l'antiquité
classique, Paris(tr.it.Prodigi e divinazione nel mondo antico, Newton Compton,
Roma, 1 976) BOCHENSKI, Ancient Forma/ Logic, North-Holland, Amsterdam 1956
Formale Logik, K. Alber, Freiburg (tr. it. La logicaforma le, voli. 2,
Einaudi, Torino, 1972) BoiSACQ, Dictionnaire étymologique de la langue grecque,
C. Winter, Heidelberg BoNFANTINI, Pragmatique et abduction", in Versus,
BoNFANTINI, M.A.-PRONI, L'abduzione, numero monografico di Versus, 34 BoNoMI,
La struttura logica de/ linguaggio, Bompiani, Milano BoiTERO, Symptomes,
signes, écritures", in J.-P. Vernant (ed.), Di vination et rationalité,
Seuil, Paris (tr. it. Divinazione e ra zionalità, Einaudi, Torino, BoucHÉ-LECLERQ, Histoire de
la divination dans /'antiquité, 4 voli., Paris BoURGEY, L. 1953 Observation et
expérience chez /es médecins de la collection hippocratique, Vrin, Paris 1955
Observation et expérience chez Aristote, Paris BRATESCU, Éléments
archa"iques dans la médecine hippocratique", in La Collection
hippocratique et son role dans l'hf.stoire de la médecine, "Colloques de
Strasbourg, Brill, Leiden, La théorie des incorporels dans /'ancien stolcisme,
Vrin, Paris BRISN, Du bon usage du dérèglement", in J.P. Vernant, Di
vination et rationalité, Seuil, Paris (tr. it. Divinazione e ra zionalità, Einaudi, Torino, Bmtv,
R.G. (ed.) 1961 Sextus Empiricus, Against the Logicians, The Loeb Classi
CALABRESE, Lineamenti per una storia delle idee semiotiche", in O. Ca
labrese-E. Mucci, Guida alla semiotica, Sansoni, Milano CALABRESE, 0.-MUCCI, E.
15 Guida alla semiotica, Sansoni, Milano CALBOLI, Cornifici, Rhetorica ad C.
Herennium, Patron, Bologna CAMBIANO, Storiografia e dossograjia nella filosofia
antica, Tirrenia Stampatori, Torino CAMPBELL THOMPSON, R. 1937 "Assirian
Prescriptions for the Head", in The American Journal of Semitic Languages
and Literatures,CAllDONA, Antropologia della scrittura, Loescher, Torino
CARLIER, Divinazione", in Enciclopedia, Einaudi, Torino, CARNAP, Meaning
and Necessity, The University of Chicago Press, BllÉHIER, E. cal Library,
London Chicago (tr. it. Significato e necessità, Laterza, Bari, La logica
stoica in alcune recenti interpretazioni", in CELLUPRICA, v. chos, CoLLI,
La nascita della filosofia, Adelphi, Milano La sapienza greca, vol. l o,
Adelphi, Milano CONTE, Premessa del curatore" alla traduzione italiana di
W .C. e M. Kneale, The Development of Logic, Clarendon Press, Oxford, 1962 (tr.
it. Storia della logica, Einaudi, Torino) Fenomeni di fenomeni", in G.
Galli (ed.), Interpretazione ed Epistemologia, Atti del VII Colloquio sulla
Interpreta zione, Macerata, Marietti, Torino, CoNTE, La pragmatica
linguistica", in C. Segre (ed.), Intorno alla linguistica, Feltrinelli,
Milano, CORTASAS, Pensiero e linguaggio nella teoria stoica del lekton",
in Ri vista di Filologia, l06, pp. 385-394 CousiN, Études sur Quintilien I et
II, Boivin and C., Paris CRAHAY, La littérature oraculaire chez Hérodote, Liège
et Paris 1974 "La bouche de la vérité", in J.-P. Vernant, Divination
et rationalité, Seuil, Paris (tr. it. Divinazione e razionalità, Einaudi,
Torino, 1982, pp. 217-237) ClIS, C. 1 987 Aspetti semiologici latini tra C. e
Quintiliano. A Ila ricerca del paradigma indiziario, tesi di laurea, Bologna
CROOKSHANX, F.G. 1923 "L'importanza di una teoria dei segni e di una
critica del linguaggio nello studio della medicina", in C.K. Odgen I.A.
Richards, The Meaning of Meaning, Routledge and Kegan Paul, London (tr.
it. Il significato del significato, Il Saggiatore, Milano, CuRc1o, Le opere
retoriche di C., Acireale (rist. "L'Erma" di Bretschneider, DE LACY, Meaning
and Methodology in the Hellenistic Philosophy", in The Phi/osophical
Review, DE LACY, The Epicurean Analysis of Language", in American Jour
nal ofPhilology, Piato", in T.A. Sebeok, Encyclopedic Dictionary oj
Semiotics, Mouton/de Gruyter, Berlin-New York-Amster dam, DE LACY, PH. ed E.A.
1938 "Ancient Rhetoric and Empirica! Method", in Sophia, Philodemus:
on Methods of Inference, Bib1iopolis, Napoli DEL CORNO, Mantica, magia,
astrologia", in M. Vegetti (ed.), Ilsapere degli antichi, Boringhieri,
Torino, DELCOURT, L'oracledeDelphes,Payot,Paris DELEDALLE, G. DELEUZE, G. 1969
Logique du sens, Les Éditions de Minuit, Paris (tr. it. Logi ca del senso, Feltrinelli, Milano, 1975) DE
MAURO, Introduzione alla semantica, Laterza, Bari 1971 Senso e significato,
Laterza, Bari Que1le philosophie pour la sémiotique peircienne? Peirce et la sémiotique
grecque", in Semiotica, Plato 's Sophist. A Philosophical Commentary,
North-Hol DE RuK, L.M. land, Amsterdam-Oxford-New York DETIENNE, M. 1963 De
lapensée religieuse à lapenséephilosophique. La notion de Dafmon dans le
pytagorisme ancien, Les Belles Lettres, Paris 1967 Les maitres de la vérité
dans la Grèce archafque, Maspero, Paris (tr. it. I maestri di verità nella Grecia arcaica, Later za,
Roma-Bari, DETIENNE, M.-VERNANT, Les ruses de l'intelligence - La métis des
Grecs, Flamma rion, Paris (tr. it. Le astuzie dell'intelligenza nell'antica
Grecia, Laterza, Bari, DI BENEDETTO, Tendenza e probabilità nell'antica
medicina greca", in Cri tica storica, Il medico e la malattia, Einaudi,
Torino DI BENEDETTO, V.-LAMI, Ippocrate. Testi di medicina greca, Rizzo1i,
Milano DI CESARE, La semantica nella filosofia greca (pref. di T. De Mauro),
Bulzoni, Roma Il problema logico-funzionale del linguaggio in Aristotele",
in J. Trabant (ed.), Logos Semantikos I, de Gruyter, Berlin-Gredos, Madrid, pp.
21-30 DIELS, H.-KRANz, DieFragmentederVorsokratiker,Weidmann,Berlin(tr.it. I
Presocratici. Testimonianze
e frammenti, Laterza, Bari, DILLER,Opsis adlon ta phainomena", in Hermes,
DINNEEN, An Introduction to Genera/Linguistics, Holt, Rinehart and Wiston,
New York (tr. it . Introduzione alla linguistica ge nerale, Il Mulino,
Bologna, 1970) Dooos, The Greeks and the lrrational, University of California
Press, Berkeley-Los Angeles (tr. it. l Greci e /,irrazionale, La Nuova Italia,
Firenze, 1978) DUBARLE, Logique et épistémologie du signe chez Aristote et chez
les Sto"iciens", in E. Jo6s, La Scolastique, certitude et re
cherche: en hommage à Louis-Marie Regis, Bellarmin, Montréal, DUCHROW, Signum
und superbia beim jungen Augustin", in Revue des études augustiniennes,
Eco, Segno, ISED1, Milano Trattato di semiotica generale, Bompianit Milano
"Corna, zoccoli, scarpe. Alcune ipotesi su tre tipi di abdu zione",
in U. Eco-T.A. Sebeok (eds.), Il segno dei tre, Bompiani, Milano, pp. 235-261
Semiotica efilosofia del linguaggio, Einaudi, Torino "Aristotle: Poetics
and Rhetoric", in T.A. Sebeok (ed.), Encyclopedic Dictionary ofSemiotics,
Mouton/de Gruyter, Berlin-New York-Amsterdam, Latratus canis'\ in Micro Mega,
Eco, U.-LAMBERTINI, R.-MARMO, C. -TABARRONI, On Animai Language in the Medieval
C1assification of Signs "t in Versus, EDELSTEIN, Piato's Seventh Letter,
Brill, Leiden ENGELS, J. 1962 "La doctrine du signe chez Saint
Augustin"t in Studia Pa tristica, V I, pp . 366-373 EvANs-PRITCHARP E.E.
1937 Witchcraft,Orac:'sandMagieamongtheAzandetOxford (tr. it.
Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, Angeli, Milano, FAOOT, Medicina e
probabilità", in Kos, l, l, pp. 24-31 F'EIUU, S. 1916 "Saggio di
classificazione degli oracoli", in Athaeneum, FESTA, lframmenti degli stoici antichi, Laterza,
Bari FLACELIÈRE, Le délire de la Pythie est-il une legende?", in Revue des
Études Anciennes, FONTENROSE, The Delphic Oracle. lts Responses and Operations,
with a Catalogue of Responses, University of California Press, Berkeley-Los
Angeles-London FREGE, G. 1892 "Ober Sinn und Bedeutung", in
Zeitschriftfur Philosophie undphilosophische Kritik (tr. it."Senso e
denotazione", in A. Bonomi, ed., La struttura logica de/ linguaggio, Horn
piani, Milano, FiuEDRICH, Entzifferung verschollener Schriften und Sprachen,
Sprin ger-Verlag, Berlin (tr . it . Decifrazione delle scritture e delle
lingue scomparse, Sansoni, Firenze, FROHN, Hippocrates", in T.A. Sebeok
(ed.), Encyclopedic Dictio nary ofSemiotics, Mouton/de Gruyter, Berlin-New
York Amsterdam, GENEITE, Mimologiques. Voyage en Cratylie, Seuil, Paris GERNET,
Anthropologie de la Grèce antique, Maspero, Paris (tr. it. Antropologia della Grecia antica, Mondadori,
Milano, GLIDDEN Epicurean Semantics", in Syzttesis. Studi sulrepicurei
smo greco e romano, offerti a Marcello Gigante, Gaetano Macchiaroli, Napoli,
GOLDSCHMIDT, Le système stofcien et l'idée de temps, Vrin, Paris GOLTZ, Studien
zur altorientalischen und griechischen Heilkunde, Wiesbaden GRAESER, The Stoic
Theory of Meaning", in J.M. Rist (ed.), The Stoics, University of
California Press, Berkeley (Cal.), GRIMALDI, Semeion, Tekmerion, Eikos in
Aristotle's Rhetoric", in American Journal ofPhilology, GRMEK, Les
maladies à l'aube de la civilisation occidentale, Payot, Paris (tr. it. Le malattie all'alba della
civiltà occidentale, Il Mulino, Bologna, GRMEK, M.D.-ROBERT, Dialogue d'un
médecin et d'un philologue sur quelques passages des Épidémies VII", in R.
Joly (ed.), Corpus Hip pocraticum, "Actes du Colloque Hippocratique de
Mons, Mons, GROUPE Rhétorique générale, Larousse, Paris (tr. it. Retorica gene
rale. Le figure della comunicazione, Bompiani, Milano, HALLER, Untersuchungen
zum Bedeutungsproblem in der antiken und mittelalterischen
Philosophie", in Archiv fur Begriff sgeschichte, HALLIDAY, Greek
Divination. A
Study of /ts Methods and Principles, Argonaut. lne., Chicago HANKE, Weltrings
'sEMEION' in der aristotelischen, stoischen, epikureischen und skeptischen
Philosophie", in Kodikas/ Code, HEINIMANN, F. 1945 NomosundPhysis.
HerkunftundBedeutungeinerAntithe se im griechischen Denken des 5.
Jahrhunderts, Friedrich Reinhardt, Base) HERZFELD, Divining the Past", in
Semiotica, Divination", in T.A. Sebeok (ed.), Encyclopedic Dictio- nary of
Semiotics, Mouton/de Gruyter, Berlin-New York Amsterdam, HURST, lmplication,
Mind, IRIGOIN, J. 1983 "Préalables linguistiqu:!s à l'interprétation des
termes te chniques attestés dans la collection hippocratique", in F.
Lasserre-Ph. Mudry (eds.), Formes de pensée dans la Co/ lection Hippocratique,
"Actes du l V Colloque international hippocratique (Lausanne 21-26 sept.
1981)", Droz, Genève, pp. 173-180 IRWIN, Aristotle's eoneept of
signification", in M. Schofield-M. Nussbaum (eds.), Language and Logos. Studies in
ancient Greek philosophy presented to Owen, Cambridge University Press,
Cambridge, JACKSON, The Theory of Signs in St. Augustine's De doctrina Chri·
stiana", in Revue des études augustiniennes, JAEOER, Paideia.
DieFormungdesgriechischenMenschen,de Gruy ter, Berlin-Leipzig (tr. it.
Paideia. La formazione dell'uo mo greco, La Nuova Italia, Firenze, JOLY, Un
peu d'épistémologie historique pour hippocratisants", in M.D. Grmek,
Hippocratica, "Actes du Colloque hippocratique de Paris (4-9 sept.
1978)", Éditions CNRS, Paris, KENNEDY, Quintilian, Twayne, New York
KERÉNYI, Problemi intorno alla Pythia", in Apollon, Dilsseldorf (tr. it.
in Atti del Convegno su "L'infallibilità: i suoi aspetti fi losofici e
teologici", Roma, KNEALE, The Development of Logic, Clarendon Press,
Oxford (tr. it. con una "Premessa" di A.G. Conte, Storia della
logica, Einaudi, Torino, 1972) KltETZMANN, History of Semantics", in
Encyclopedia ofPhilosophy (P. Edwards ed.), The Macmillan Company and The Free
Press, New York, Piato on the correctness of names", in American Philoso
phica/ Quarterly, 8, pp. 126·138 LABAT, R. 1948 Manue/ d'épigraphie akkadienne.
Signes, Syllabaire, Idéo grammes,
Pane Geuthner, Paris, Traité akkadien de diagnostics et de pronostics médicaux,
Paris-Leiden LANATA, Medicina magica e religione popolare in Grecia fino all
'età di lppocrate, Edizioni dell'Ateneo, Roma LANZA, Scientificità della
lingua e lingua della scienza in Grecia", in Belfagor, Lingua e discorso
neii,Atene delleprofessioni, Liguori, Na poli 1983 "Quelques remarques
sur le travail linguistique du méde cin", in F. Lasserre-Ph. Mudry (eds.), Formes de
pensée dans /a Collection Hippocratique, "Actes du IV Colloque
international hippocratique (Lausanne, 21-26 sept. 1981", Droz, Genève
LEAR., Aristot/e and Logica/ Theory, Cambridge University Press, Cambridge LE
BLOND, Logique et méthode chez Aristote. Étude sur la recherche des principes
dans la physique aristotélicienne, Vrin, Paris LESZL, W. 1985
"Linguaggioediscorso",inM.Vegetti(ed.),//saperedegli antichi,
Boringhieri, Torino, LICHTENTHAELER, "En 1981 comme en 1948: relations de
causalité expérimen tales et analogies hippocratiques", in F.
Lasserre-Ph. Mu dry (eds.), Formes de pensée dans la Col/ection Hippocrati
que, "Actes du IV Colloque international hippocratique (Lausanne, Droz,
Genève, LIEB, H. 1981 "Das 'semiotische Dreieck' bei Ogden und Richards:
eine Neuformulierung des Zeichenmodells von Aristoteles", in Jtirgen
Trabant (ed .), Logos Semantikos l, de Gruyter, Ber lin-Gredos, Madrid, LITÉ,
Oeuvres complètes d'Hippocrate, Adolf M. Hakkert, Am sterdam LIVERANI, M. 1963
Introduzione alla storia deJrAsia anteriore antica, Centro di Studi Semitici,
Roma LWYD, Grammar and Metaphysics in the Stoa", in A.A. Long (ed
.), Problems in Stoicism, The Athlone Press of Univer sity of London, London,
pp. 58-74 LLOYD, Early Greek Science. Thales to Aristotle, Chatto and Win dus, London (tr.
it. La scienza dei Greci, Laterza, Bari) Magie, Reason, Experience. Studies in
the Origin and Deve lopment of Greek Science, Cambridge University Press,
Cambridge (tr. it. Magia, ragione, esperienza. Nascita e forme della scienza
greca, Boringhieri, Torino, 1982) LoNO, Language and Thought in Stoicism",
in Long, Problems in Stoièism, The Athlone Press of University of London,
London, Aisthesis, Prolepsis and Linguistic Theory in Epicurus", in
Bulletin of the lnstitute of Classica/ Studies of the Univer sityofLondon,
LoNo, Problems in Stoicism, The Athlone Press of University of London, London
LoNIE, The Hippocratic Treatises "On Generation •, "On the Natu re
of the Chi/d", .,Diseases IVU, Walter de Gruyter, Berlin New York LoRENZ,
K.-MI1TELSTRASS, On Rational Phi1osophy of Language: the Programme in Plato's
Cratylus Reconsidered", in Mind, LoTMAN, Ju.M.-UsPENSKu, Tipologia della
cultura, Bompiani, Milano Lucci, Filodemo di Gadara e la 'Logica'
epicurea", in Elenchos, L'orizzonte linguistico del sapere in
Aristotele e la sua tra LUOARINI, L. sformazione stoica", in //pensiero,
l.UKASmWICZ, Aristotle,s Syllogisticfrom the Standpoint ofModern For ma/
Logic, Oxford University Press, Oxford MALONEY, G.-FROHN, Concordantia in
Corpus Hippocraticum!Concordances des oeuvres hippocratiques, voli. 1-V,
Olms-Weidmann, Hil desheim-ZOrich-New York MANE1TI, Cicero ", in Sebeok,
Encyclopedic Dictionary of Semiotics, Mouton/de Gruyter, Berlin-New York-Amster
dam, Quintilian", in T.A. Sebeok (ed.), Encyclopedic Dictio nary of
Semiotics, Mouton/de Gruyter, Berlin-New York Amsterdam, MANuu, MARKUS, R.A.
1957 "St. Augustin on Signus", in Phronesis, MARQUAND, A. 1883
"The Logic of the Epicureans", in Studies on Logic by Members of the
Johns Hopkins University, Boston, pp. l-Il Medicina e antropologia nella
tradizione antica, Loescher, Tori no "Medico e malattia", in M.
Vegetti (ed.), Il sapere degli an tichi, Boringhieri, Torino, pp. 229-245
"Traducibilità e molteplicità dei linguaggi nel Deplacitis di
Galeno", in G. Cambiano (ed.), Storiografia e dossografia nellafilosofia
antica, Tirrenia Stampatori, Torino MARTINELLI, Sulla semiotica epicurea. Il uve signis di Filodemo e la po lemica
contro la scuola stoica, Università di Bologna, ma noscrit to MARTINET,
É/éments de linguistique générale, Armand Colin, Paris (tr. it. Elementi di
linguistica generale, Laterza, Bari, MATES, Diodorean lmplication", The
Philosophical Review, Stoic Logic and the Text of Sextus Empiricus", in
Ameri can Journal of Philo/ogy, Stoic Logic, University of California Press,
Berkeley-Los Angeles-London M E LAZ OZ, La teoria del segno linguistico negli
Stoici", in Lingua e Stile, MIGNUCCI, Il significato della logica stoica,
Patron, Bologna 1966 "L'argomento dominatore e la teoria dell'implicazione
in Diodoro Crono", in Vichiana, MoRPuRoo-TAGLIABUE, Linguistica e
stilistica di Aristotele, Edizioni deli'Ateneo, Roma MoRRow, Studies in the
P/atonie Epistles, Bulletin 43, University of Illinois Urbana, Illinois MtilER,
An Introduction to Stoic Logic", in Rist, The Stoics, University of
California Press, Berkeley-Los Ange les-London, pp . 1 -26 0EHLER, K. 1986
"Aristotle", in T.A. Sebeok, Encyc/opedic Dictionary of Semiotics,
Mouton/de Gruyter, Berlin-New YAmsterdam, PAGLIARO, Nuovi saggi di critica
semantica, D'Anna, Firenze-Messina l956b "Il problema del segno nella
filosofia antica", in Filosofia del linguaggio, Edizioni deli'Ateneo, Roma
La parola e l'immagine, Edizioni Scientifiche Italiane, Na poli PARKE, H.W.
1967 The Oracles of Zeus: Dodona, Olympia, Ammon, Black well, Oxford PARKE,
H.W.-WORMELL, The Delphic Oracle, Oxford
PARKER, R. 1983 Miasma: Pollution and Puriflcation in Early Greek Reli gion,
Clarendon, Oxford PEIRCE, Collected Papers, Harvard University Press, Cambridge
-58 (Mass.) Semiotica. l fondamenti della semiotica cognitiva (M.A. Bonfantini
- L. Grassi - R. Grazia, eds.), Einaudi, Torino Le leggi dell'ipotesi (M.A.
Bonfantini - R. Grazia - G. Pro ni, eds.), Bompiani, Milano PELLEGRINI, Le
système divinatoire astrologique: la temporalité en que stion", in Actes
sémiotiques-Bulletin, PÉPIN, SYMBOLA, SEMEIA, OMOIOMATA. A propos de De
Interpreta tione et Politique, in Aristo teles - Werk und Wirkung. Band l.
Aristoteles und seine Schule, W. de Gruyter, Berlin, PINGBORG, J. 1975
"Classica) Antiquity: Greece", in T.A. Sebeok (ed.), Cur rent Trends
in Linguistics, Mouton, L'Aia-Pari gi, pp. 69-126 PLEBE, Introduzione alla
logica formale, attraverso una lettura lo gistica di Aristotele, Laterza, Bari
Pom.ENZ, Die Stoa, Vaudenhoeck und Ruprecht, Gttingen (tr. it. La Stoa, Nuova
Italia, Firenze) 272 RIFERIMENTI BffiLIOGRAFICI PRANTL, Geschichte der
Logik im Abendlande, S. Hirzel, Leipzig PRETI, Sulla dottrina del smeion nella
logica stoica", in Rivista critica di storia della filosofia, PRIETO, L.J.
Pertinence et pratique. Essai de sémiologie, Éditions de Mi nuit, Paris (tr. it. Pertinenza e
pratica, Feltrinelli, Milano, PRON1, Genesi e senso dell'abduzione in
Peirce", in Versus, RAMAT, Gr. hieros, scr. isirah e la loro famiglia
lessicale", in Die Sprache, 8 REGENBOGEN "Eine Forschungsmethode
antiker Wissenschaft", in Quel len und Studien zur Geschichte der
Mathematik, l, 2, Ber fin, pp. 132-182, ora in Regenbogen, 0., Kleine
Schriften, C.H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, Mtinchen, REY, Théories du signe
et du sens, 2 voli., Klincksieck, Paris 1984 "What does semiotic come
from?", in Semiotica RIST, J.M. 1969 Stoic Philosophy, Cambridge
University Press, Cambridge 1972 Epicurus. An Introduction, Cambridge
University Press, Cambridge RlsT, J.M. The Stoics, University of California
Press, Berkeley-Los Angeles-London ROBERT, F. 1983 "La pensée
hippocratique dans les Épidémies", in F. Las serre-Ph. Mudry (eds.),
Formes depensée dans la Collection Hippocratique, "Actes du IV Colloque
international hippocratique (Lausanne, Droz, Genè ve, ROHDE, Psyche.
Seelencult und Unsterblichkeitsglaube der Griechen, Freiburg (tr. it. Psiche.
Fede nell'immortalitàpresso i Greci, Laterza, Bari) RoMEo, "Heraclitus and
the Foundations of Semiotics", Versus, Ross, Aristotle, Methuen, London
(tr. it. Aristotele, Feltrinelli, Milano) Roux Delphes. Son oracle et ses
dieu.x, Belles Lettres, Paris Russo, A. Sesto Empirico, Contro i logici,
Laterza, Bari SANDBACH Phantasia Kataleptike", in Long Problems in
Stoicism, The Athlone, London, "Ennoia and Prolpsis in the Stoic Theory of
Knowledge", in Long, Problems in Stoicism, The Athlone Press of the
University of London, London, SANTA.MBR.OGIO, Minima Methodica", in Kos,
SAUSSURE, Cours de linguistique générale, Payot, Paris (Mauro, Corso di
linguistica generale, Laterza, Bari) ScHIMIDT Stoicorum Grammatica, Adolf M . Hakkert, Amsterdam SEBEOK
Contributions to the Doctrine of Signs, Indiana University, Bloomington (tr.
it. Contributi alla dottrina dei segni, Fel trinelli, Milano, The Sign and lts
Masters, University ofTexasPress,Austin SEBEOK Encyclopedic Dictionary of
Semiotics, Mouton/de Gruyter, Berlin-New York-Amsterdam SEDLEY "Epicurus,
On Nature, Book XXVIII", in Cronache Erco lanesi, 3, pp. 5-81 1982
"On Signs" in J. Barnes-J. Brunschwig et alii (eds.), Science and Speculation. Studies in
Hellenistic theory and practice, Cambrige University Press, Cambridge,
SIMONE"Semiologia agostiniana", in La cultura, 7, pp. 88-1 17 SISSA,
G. 1981 "La Pizia delfica: immagini di una mantica amorosa e bal
samica", in Aut Aut, Il segno oracolare, una parola divina e
femminile", in F. Baratta-F. Mariani (eds.), Mondo classico. Percorsi
possi bili, Longa, Ravenna, TAYLOR, A.E. 1912 "The Analysis of EPISTEME
in Plato's Seventh Epistle", in Mind, XXI, pp. 347-370 THAOAR.D, p.R. 1978
"Semiotics and Hypothetic Inference in C.S. Peirce", in Versus, TmvEL, Le 'divin' dans la collection
hippocratique", in La Collec tion Hippocratique et son role dans
l'histoire de la médeci ne, "Colloque de Strasbourg, Brill, Lei den, pp.
57-76 TuoMPsoN, R.C. 1923 Assyrian Medicai Texts, Oxford TODOROV, T. 1977
Théories du symbole, Seuil, Paris (tr. it. Teorie del simbo lo, Garzanti,
Milano, 1984) 198.5 "À propos de la conception augustinienne du
signe", in Re vue des Études augustiniennes, VANCE, E.
"Augustine", in Encyclopedic Dictionary of Semiotics, in T.A. Sebeok,
Mouton/de Gruyter, Berlin-New York Amsterdam, pp. 62-64 vANCE STAIANO, Medicai
semiotics: Redefining and Ancient Craft", in Semiotica, VEGETTI
"Teoria ed esperienza nel metodo ippocratico", in // Pensie- ro,
Nascita dello scienziato", in Be/fagor, 6, pp. 641-663 1979 Il coltello e
lo stilo, Il Saggiatore, Milano 1983 Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico, Il
Saggiato re, Milano VEGETTI, Opere di lppocrate, Utet, Torino VERBEKE, La
philosophie du signe chez les Stolciens", in A.A. V.V., Les Stofciens et
leur logique, Actes du Colloque de Chan tilly, Vrin, Paris VERNANT, La
divination. Contexte et sens psychologique des rites et des doctrines". in
JournaldePsychologie normale etpatho /ogique, luglio-settembre, pp. 299-325
VERNANT, Parole et signes muets", in Vernant (ed.), Divination et
rationalité, Seuil, Paris (tr. it. Divinazione
e razionalità, Einaudi, Torino) VERNANT, Divination et rationalité, Seuil,
Paris (tr. it. Divinazione e razionalità, Einaudi, Torino, 1982) VIANO, Studi
sulla logica di Aristotele: l'orizzonte linguistico della logica
aristotelica", in Rivista critica di storia della filoso fia, 9, pp. 5-37
1958a "La dialettica di Aristotele", in Rivista difilosofia, La
dialettica stoica", in Rivista di filosofia, VOLLI, U. 1979 La retorica
delle stelle, L'Espresso Strumenti, Roma WALD "Le rapport entre signum et
denotatum, dans la conception d'Augustin", in S. Chatman-U. Eco-J.M.
Klinkenberg (eds.), A semiotic landscapelpanorama sémiotique, Mou ton. The Hague-Paris-New York,
WEINOARTNER, "Making Sense of Cratylus", in Phronesis, 15, pp. 5-25
WENSKUS, o. 1983 "Vergleich und Beweis im 'Hippokratischen Corpus' ",
in F. Lasserre-Ph. Mudry (eds.), Formes de pensée dans la Collection
Hippocratique, "Actes du IV Colloque interna tional hippocratique
(Lausanne)", Droz, Genève WELTRING, Das SEMEION in der aristotelischen,
stoischen, epikureischen und skeptischen Philosophie, Hauptmann, Bonn (ried. in
Kodikas/Code, 9, 1-2, 1986, pp. 39-1 18) ZELLER, Philosophie der Griechen in
ihrer geschichtlichen Entwick- -68 lung, Fues's Verlag, Leipzig, Marcus
Tullius, Roman statesman, orator, essayist, and letter writer. He was important
not so much for formulating individual philosophical arguments as for
expositions of the doctrines of the major schools of Hellenistic philosophy,
and for, as he put it, “teaching philosophy to speak Latin.” The significance
of the latter can hardly be overestimated. Cicero’s coinages helped shape the
philosophical vocabulary of the Latin-speaking West well into the early modern
period. The most characteristic feature of Cicero’s thought is his attempt to
unify philosophy and rhetoric. His first major trilogy, On the Orator, On the
Republic, and On the Laws, presents a vision of wise statesmen-philosophers
whose greatest achievement is guiding political affairs through rhetorical
persuasion rather than violence. Philosophy, Cicero argues, needs rhetoric to
effect its most important practical goals, while rhetoric is useless without
the psychological, moral, and logical justification provided by philosophy.
This combination of eloquence and philosophy constitutes what he calls
humanitas a coinage whose enduring
influence is attested in later revivals of humanism and it alone provides the foundation for
constitutional governments; it is acquired, moreover, only through broad
training in those subjects worthy of free citizens artes liberales. In
philosophy of education, this Ciceronian conception of a humane education
encompassing poetry, rhetoric, history, morals, and politics endured as an
ideal, especially for those convinced that instruction in the liberal
disciplines is essential for citizens if their rational autonomy is to be
expressed in ways that are culturally and politically beneficial. A major aim
of Cicero’s earlier works is to appropriate for Roman high culture one of
Greece’s most distinctive products, philosophical theory, and to demonstrate
Roman superiority. He thus insists that Rome’s laws and political institutions
successfully embody the best in Grecian political theory, whereas the Grecians
themselves were inadequate to the crucial task of putting their theories into
practice. Taking over the Stoic conception of the universe as a rational whole,
governed by divine reason, he argues that human societies must be grounded in
natural law. For Cicero, nature’s law possesses the characteristics of a legal
code; in particular, it is formulable in a comparatively extended set of rules
against which existing societal institutions can be measured. Indeed, since
they so closely mirror the requirements of nature, Roman laws and institutions
furnish a nearly perfect paradigm for human societies. Cicero’s overall theory,
if not its particular details, established a lasting framework for
anti-positivist theories of law and morality, including those of Aquinas,
Grotius, Suárez, and Locke. The final two years of his life saw the creation of
a series of dialogue-treatises that provide an encyclopedic survey of
Hellenistic philosophy. Cicero himself follows the moderate fallibilism of
Philo of Larissa and the New Academy. Holding that philosophy is a method and
not a set of dogmas, he endorses an attitude of systematic doubt. However,
unlike Cartesian doubt, Cicero’s does not extend to the real world behind phenomena,
since he does not envision the possibility of strict phenomenalism. Nor does he
believe that systematic doubt leads to radical skepticism about knowledge.
Although no infallible criterion for distinguishing true from false impressions
is available, some impressions, he argues, are more “persuasive” probabile and
can be relied on to guide action. In Academics he offers detailed accounts of
Hellenistic epistemological debates, steering a middle course between dogmatism
and radical skepticism. A similar strategy governs the rest of his later
writings. Cicero presents the views of the major schools, submits them to
criticism, and tentatively supports any positions he finds “persuasive.” Three
connected works, On Divination, On Fate, and On the Nature of the Gods, survey
Epicurean, Stoic, and Academic arguments about theology and natural philosophy.
Much of the treatment of religious thought and practice is cool, witty, and
skeptically detached much in the manner
of eighteenth-century philosophes who, along with Hume, found much in Cicero to
emulate. However, he concedes that Stoic arguments for providence are
“persuasive.” So too in ethics, he criticizes Epicurean, Stoic, and Peripatetic
doctrines in On Ends 45 and their views on death, pain, irrational emotions,
and happiChurch-Turing thesis Cicero, Marcus Tullius ness in Tusculan
Disputations Yet, a final work, On Duties, offers a practical ethical system
based on Stoic principles. Although sometimes dismissed as the eclecticism of
an amateur, Cicero’s method of selectively choosing from what had become
authoritative professional systems often displays considerable reflectiveness
and originality. “Cicero = Tully” Grice:
“Actually, ‘Cicero’ and ‘Tully’ mean different things! ‘Cicero’ is more of a
description than a name!” La morte di C.. Cicero proscribed by the triumvirate.
Cicero killed by Marco Antonio, one of the three ‘vires’, along with Ottaviano.
Cicero offered his hands, with which he had written the Filippiche. His head
and hands were displayed at the Senate. The Romans never quite liked him
because he was only a provincial nobility and never displayed courage. C. affronta e sviluppa la problematica
semiotica in due importanti ambiti della sua produzione teorica: le opere di
argomento retorico; e le opere che parlano dei segni divinatori. Se prendiamo
in considerazione il primo di questo ambito – le opera de argomento retorico
--, possiamo osservare che l'interesse per il concetto di segno non è
ugualmente centrale in tutte queste opere. Infatti, da una parte, ci sono il “De
oratore”, I'”Orator”, il “Brutus”, il “De optimo genere oratorum” -- che
affrontano una problematica a carattere socio-politico, volta a definire la
figura dell’oratore perfetto, il suo ruolo nella società romana, la sua
posizione rispetto alla scuola attica e a quella di Pergamo. In queste opere
tutto ciò che costituisce l'apparato tecnico tradizionale della retorica -- e
con esso anche la problematica sul concetto di segnio e di prova indiziaria)
appare non tanto trascurato, quanto dato per scontato: esso si configura come
un vasto campo di competenza che rimane implicito sullo sfondo e affiora
solo nei termini di un uso personalissimo che ne fa l'autore, in prima persona
o attraverso i personaggi del dialogo. Dall'altra parte ci sono, poi, il “De inventione”,
le “Partitiones oratoriae” e i “Topica”, opere molto diverse tra loro, ma
accomunate dalla caratteristica di prendere in considerazione e di
sistematizzare la gran massa delle nozioni che compongono l'apparato tecnico
della retorica. Un limite di queste opere, in generale, è rintracciabile nella
minuziosità del procedimento classificatorio, che raggiunge talvolta il parossismo,
come nel “De inventione”, e che spesso non trova un'adeguta giustificazione
teoretica. Tuttavia è proprio all'interno di queste opere che è dato
rintracciare gli spunti e i documenti per la ricostruzione di una teoria
ciceroniana del segno. Il “De inventione” condensa l'ampia tradizione retorica
che dal Liceo giunge fino a Ermagora -- è quindi naturale che al suo interno si
trovano riprodotti alcuni aspetti della concezione del segno che in
quell'ambito si sedimenta. In particolare, è presente la concezione del segno
in forma proposizionale, come antecedente p che permette discoprire un
conseguente q. Viene poi confermata l'attenzione verso il segno involontario --
l'impallidire, l'arrossire, il balbettare dell'imputato -- come indizio di
colpevolezza. Infine, compare la classica divisione del indizo secondo la sua
relazione temporale con il fatto criminoso -- anteriorità, contemporaneità,
posteriorità. Questi i punti di contatto con la tradizione. Ma bisogna anche
dire che la classificazione del segno proposta da C. è in larga misura diversa
da quelle precedenti. Essa appare infatti all'interno della teoria dell’
“argumentation”, cioè del procedimento attraverso il quale vengono addotte
delle prove per confermare una certa tesi. L'argomentazione sembra essere
qualche cosa che si esco gita da qualche genere e che rivela un'altra cosa in
maniera probabile – “probabiliter ostendens” -- ), o la dimostra in un modo
necessario – “necessarie demonstrans” -- De inv. Anche se non viene usato il
normale lessico semiotico, ciò che è in gioco in questa definizione è proprio
il meccanismo del segno. Infatti, qualcosa che è stato trovato (un indizio che
viene depositato nel dossier deli'avvocato) rinvia a qualcos'altro. Compare, a
questo punto, la distinzione, già aristotelica, tra una forza argomentativa
debole – “probabiliter ostendens” -- e un'inferenza necessaria – “necessarie
demon strans”. Il segno necessario e così definite. "Viene dimostrato in
modo necessario ciò che non può verificarsi né essere provato diversamente da
come viene detto.” Ne sono esempi: "Se ha partorito, è stata con un uomo.”
“Se respira, è vivo” – “Se è giorno, c'è luce” -- De inv., l, 86. Come C.
spiega in un altro passo, in casi di questo genere l'antecedente e il
conseguente sono legati da una relazione inscindibile – “cum priore necessario
posterius cohaerere videtur” -- De inv., l. 86. Il rapporto di rinvio *non*
necessario viene poi cosi defini to: "Probabile è poi ciò che suole
generalmente accadere, o che è basato sulla comune opinione, o che ha in sé
qualche somiglianza con questa qualità, sia esso vero o sia falso" -- De
inv., l, 46. Con questa definizione, C. mette in evidenza due caratteri: quello
probabilistico e quello doxastico. Il primo di questi e da Aristotele
attribuito peculiarmente all'”eikos” -- verisimile. E infatti i primi due
esempi sono di un tipo che Aristotele classifica come “eikos”. “e è madre, ama
suo figlio” – “Se è avido, non fa gran caso del giuramento.” (De inv., I, 46). In essi compare anche il
tipico rapporto di generalizzazione che per Aristotele definine il verosimile --
Arist., Rhet.. C'è però un terzo esempio. "Se c'era molta polvere nei
calzari, era sicuramente reduce da un viaggio" -- De inv.- che non sembra
dello stesso tipo, ma è più vicino al semeion aristotelico. La categoria di “signum”,
poi, compare come una sottopartizione del segno non necessario, accanto al “credibile”
-all’ “iudicatum” e al “comparabile.” Se le ultime tre nozioni – credibile,
iudicatum, comparabile -- appaiono distinte in base a criteri estrinseci (e
scompariranno nelle trattazioni successive), il “signum” corrisponde a una
categoria di fenomeni abbastanza particolare. "Segno è ciò che cade sotto
qualcuno dei nostri sensi e indica (significa) un qualcosa che sembra derivato
dal fatto stesso, e che può essere verificato prima del fatto, durante il
fatto, o può averlo seguito, e tuttavia ha bisogno di una prova e di una
conferma più sicura" -- De inv., I, 48. Ne sono esempi: "il
sangue", "il pallore", "la fuga", "la
poivere". Si tratta, come si vede, dell’indizio, inteso come fenomeno percepibile,
scarsamente codificato e generalmente non volontario. Qui sono presentati in
una forma non proposizionale. Ma niente vieta che venga sviluppato in
proposizio ni, come dimostra il caso dell’indizio "polvere":
"Se c'era molta polvere nei calzari, era sicuramente reduce da un
viaggio". L’indizio, infine, venne suddiviso secondo la nota relazione
temporale con il fatto criminoso. Nelle “Partitiones oratoriae”a
classificazione della materia semiotica presenta alcune differenze e
peculiarità. Innanzitutto la terminologia viene completa mente latinizzata. Dall’altre,
l’indizio -- qui chiamato “argumentatio necessaria probsbilis (·quod fero
solet fiori élut quod in opi nione positum est") es.: ..
"pallore'", ..polvere" vestigiafactl) non compaia come
sottopartizione di un'altra categoria. Il concetto asume un ruolo autonomo.
(·ea quae alitar ac discuntur nec fieri nec probari pos sunt"l es . : ·se
ha partorito, è stata con un uomo'" (.,quod sub sensum aliquem cadit, et
quiddam sig nificat, quod ex ipso profectum est'") es.: ·sangue",
·ruga"', Sa è madre, ama suo fi\]lio---signum erodibile indicBtLm
comparabile / -- --. Infine, viene accettata la distinzione aristotelica tra
"luoghi estrinseci" -- corrispondenti alle "prove
extratecniche", titechnol) e "luoghi intrinseci'' -- corrispondenti
alle "prove tecniche", éntechno1’ -- che venne criticata nel “De inventione”
(Il, 47) e che invece sarà sviluppata nei “Topica”. È curioso notare come tra i
luoghi estrinseci (sine arte) trovino posto, accanto alle testirnonianze umane,
anche quelle divine: gli oracoli, gli auspici, i vaticini, i responsi sacri (di
sacerdoti, aruspici, interpreti onirici) (Part. or., 6). Tutto ciò è
sicuramente un residuo di una concezione ordalica e antichissima
deli'amministrazione della giustizia. Tuttavia è anche un indizio di un
continuo riaffiorare del paradigma divinatorio all'interno del fatto semiotico,
anche quando ormai il segno si e completamente “laicizzato”. Né questo è
un caso isolato in ambito giuridico. Per quel che riguarda la cultura, si
ricorderà L,orazione per /,uccisione di Erode, in cui Antifonte così si
esprime: "Tutto quel che era provabile con indizi e testimonianze umane
l'avete udito, ma in questo caso dovete votare dopo aver trattato indizi anche
dai segni che vengono dagli dei" (Lanza). Il verisimile e il segno
caratteristico. Il segno umano e invece trattato come un argomento intrinseco,
in particolare tra quello che riguarda lo stato di causa congetturale. La
congettura può essere tratta da due tipi di segni: il verisimilie e la nota propria
rei ( Il verisimile, come dice C., è "ciò che accade per lo più"
(Part. or., 34), come a esempio "la gioventù è incline al piacere in modo
particolare". Questo tipo di segno corrisponde all’”eikos” aristotelico,
di cui ha il carattere probabilistico e generalizzante. La “nota propria rei” e
definita come "una prova che non si verifica mai direttamente e indica una
cosa certa, come il fumo indica il fuoco" (Part. or., 34). Si tratta, evidentemente,
del segno necessario, come è dimostrato anche dall'esempio e dall'uso
dell'aggettivo “propria”, che rimanda alla nozione di fdion semeion -- segno
proprio. Per Aristotele, segno proprio e la caratteristica specifica di un
certo genere, come, ad esempio, il fatto che i leoni avessero grandi estremità,
segno del coraggio (An. Pr.). Il segno proprio ha puo carattere di necessità e
si define come quel segno che non può esistere se non esiste la cosa a cui
rimanda (Philod., De signis, l, 12-16). Ci e, poi, il “vestigium facti,” dei
quali venneno dati questi esempi -- "un'arma, macchie di sangue,
grida, lamenti, imbarazzo, alterazione del colorito, discor so
contraddittorio, tremore, gli indizi materiali della premeditazione, le
confidenze sulle intenzioni delittuose, le risultanze visive, uditive,
rivelate" (Pari. or., 39). C. non define QUf)tO tipo di segni, se non
dicendo che si tratta di ''fenomeni avvertibili con i sensi" (ibidem),
caratteristica condivisa anche dai signa del De inventione (l, 48), in cui
ricorrono esempi analoghi, ed agli argumenta di Cornificio (Rhet. adHer., II,
8). I commentatori si sono chiesti se i vestigium facti e più in relazione con
il segno necessario (nota propria rei) o con il verisimile) (Crapis 1986:
61-62). In realtà questa sembra una categoria abbastanza autonoma non avendo la
necessità dei primi, ma nemmeno le caratteristi che degli ultimi. È plausibile
che essa corrisponda alla categoria dei semefa aristotelici, diversi tanto dai
tekmria quanto dagli eik6ta. Da un altro passo delle “Partitiones oratoriae” (1
14), dove ricorrono esempi analoghi, il vestigium facti (chiamato lì anche signum)
vennne definiti come “consequentia”, cioè inferenze che si traggono dal
conseguente, caratteristica che define appunto, per Aristotele, il segno non
necessario. Ma mentre Aristotele condanna i smefa da un punto di vista epistemologico
per la sua insicurezza, C. è pronto a riconoscerne l'efficacia qualora si
presentino in gran numero (coacervata proficiunt, 40). Molte cose collegano la
retorica giudiziaria alla divinazione. Innanzitutto, il fatto che entrambe si
avvalgano del segno per arrivare alla conoscenza di un fatto non direttamente
accessibile alla percezione. In secondo luogo, in entrambe viene operata una
distinzione tra aspetti che sono eminentemente congetturali e altri aspetti
che sono invece naturali o trt•) (·sensu percipi potest•) es . : ·sangue
- uccisione· es.: •adolescenza inclinazione alla libidine · coniecturs
-verisimilie (quod plerumque rta notse proprise rerum (quod numquam alrter frt
certumque declarat) es.: '"fumo-fuoco· vestigia fecti o signa dati: alla
dicotomia retorica tra prove tecniche (o congetturali) e prova extratecnica
corrisponde la distinzione tra divinazione artificiale (basata
sull'interpretazione e sulla congettura) e divinazione naturale. Infine, come C.
polemicamente rileva (De div., II, 55), il segno della divinazione e talvolta
interpretati in maniera diametralmente opposta, proprio come avviene nel
processo, in cui l'accusa e la difesa propongono dello stesso fatto due
interpretazioni diverse ed entrambe plausibili. Ma C. apprezza i metodi
deli'indagine giudiziaria, mentre nutre una diffidenza enorme nei confronti
della divinazione. In linea, infatti, con un vasto gruppo di intellettuali
della sua epoca, educati ai metodi di indagine della filosofia a fondamento
razionalistico, e contemporaneamente impegnato in politica, sente l'esigenza
di operare una distinzione netta tra religione e superstizione, di cui la
divinazione fa, per lui, parte. La religione appartiene alla più antica
tradizione romana e, posta come è ai fondamenti dello stato, deve essere
conservata, pena la disgregazione dello stato stesso. La superstizione, invece,
costituita dal coacervo degli elementi spuri che inquinano e rendono poco
credibile la religione stessa, dev'essere respinta, anche per ché non venga
limitata la libertà del cittadino romano nel suo impegno di gestione della
repubblica. C. affronta questi argomenti nel De natura deorum, nel De
fato e, soprattutto, nel De divinatione. Que st'ultima opera è scritta in
forma di dialogo tra l'autore e il fratello Quinto, il quale difende l'arte
divinatoria basandosi sulle teorie storiche che legavano la divinazione
all'esistenza degli dei. Le osservazioni di C. contro la teoria sostenuta da
Quinto sono particolarmente interessanti perché costituiscono una vera e
propria critica a un meccanismo semiotico settoriale e contribuiscono, in
negativo, a una concezione generale del segno. Secondo la teoria di Quinto, gli
dei si pongono come fonte dell'informazione e come emittenti nei processi di
comunicazione divinatoria, dei quali gli uomini sono i destinatari. Ma, a
seconda dei due specifici tipi di divinazione, il processo comunicativo si
struttura in modo differente. Il primo tipo è costituito dalla “divinatio
artificialis”, in cui l'interpretazione del segno è legata a un'ars, ovvero a
una tecnica professionale di decrizione, demandata a specialisti, ciascuno
esperto in un settore: extispices -- esaminatori delle viscere --, interpretes
monstrorum et fu/gurum (interpreti dei fatti prodigiosi e dei fulmini),
augures -- interpreti del volo degli uccelli --, astrologi -- interpreti delle
stelle --, interpretes sortium -- interpreti delle combinazioni di tavolette
mescolate in un'urna ed estratte a caso. In tale divinazione, l'informazione
proveniente dal divino si materializza prima di tutto in una sostanza
espressiva percepibile, a cui l'ars permetterà di abbinare un contenuto
semantico. I presupposti su cui si basano le interpretazioni di questo tipo
sono dati dalla teoria, di origine del Portico secondo cui tutti i fenomeni
sono legati tra di loro in una catena di cause ed effetti, senza soluzione di
continuità. Questa catena che ha come fondamento primo il logos divino e costituisce il fato (heimarméne),
non è conoscibile per intero da parte degl’uomini, dato che l'onniscienza è
prerogativa della sola divinità (De div.). Tuttavia viene prevista l'esistenza
di un tempo ciclico che "può essere paragonato con lo srotolarsi di una
gomena, in quanto non dà mai luogo a fatti nuovi, ma ripete sempre
quantoprimaèaccaduto"(De div.).Questofasìche gli uomini, attraverso
l'osservazione attenta, colgano il mo do in cui gli eventi si ripetono e, pur
non potendo conoscere direttamente le cause, possono però arrivare a coglierne
gli indizi caratteristici (signa tamc.z causarum et notas cernunt) (ibidem).
Dato poi che è possibile tramandare memoria dalle connessioni passate, si crea
un vero e proprio codice basato sul la iteratività. Si può schematizzare così
il processo: emittente divino-segni di cause-eventi futuri codice basato sulla
iterattività. Il secondo tipo di divinazione è quello definito naturalis, in
quanto indipendente da qualunque tecnica professionale, ma derivante piuttosto
da una diretta ispirazione divina, senza passare attraverso la mediazione di un
segno esterno. Fanno parte di questo tipo le forme di preveggenza derivanti da
invasamento profetico, cioè le vaticinationes e quelle derivanti dai sogni. Il
palinsesto filosofico ·a cui è legato questo secondo tipo di divinazione è
quello delle teorie del Liceo (Dicearco e Cratippo vengono esplicitamente nominati,
De div.), secondo le quali l'anima, per il suo legame naturale col divino, una
volta che sia spinta da una divina follia o sciolta, nel sonno, dai vincoli che
la legano al corpo, partecipa direttamente del divino. Il ruolo del codice è in
questo caso ridotto, se non addirittura sostituito da una parziale
identificazione tra emittente e ricevente, secondo lo schema: emittente
divino - segno interno - evento futuro .... ricevente umano. Le obiezioni che C.
muove ai sostenitori della divinazione si basano su argomenti specificamente
semiotici. La tesi generale, mediante la quale C. nega valore alla divinazione,
è che essa non ha veramente carattere semiotico, e cioè che i fenomeni che essa
interpreta come segno non e tale, ovvero che non si comporta veramente come d’antecedente
rispetto a di conseguente. Per distinguere un segno vero rispetto a quello presunti
della divinazione, C. istituisce un paragone tra le tecniche scientifiche (come
la medicina, la meteorologia, la nautica, la tecnica previsionale del contadino
e deli'astronomo) e la divinazione. In entrambi i casi è in gioco la predizione
del futuro a partire da certi indizi. Ma, mentre le pratiche professionali
adottano una vera e propria metodologia che comporta "scienza (ars),
ragionamento (ratio), esperienza (usus) e congettura (coniectura)" (De
div., II, 14), le prati che divinatorie si basano sul "capriccio della
sorte, tanto che nemmeno la divinità sembra che possa avere, fra le sue
prerogative, quella di sapere quali fatti il caso farà accade re" (De
div., II, 18). Questa opposizione tra ciò che, in definitiva, è il codice
(anche se 1si tratta di legami naturali basati sulla frequenza statistica) e il
caso è del resto la stessa con cui i medici ippocratici tendevano a
distinguere la propria scienza professionale dalla divinazione e dalla
medicina magica (Antica medicina). C. poi si sbarazza in termini razionalistici
della teoria secondo cui anche nel caso della divinazione tecnica si farebbe
appello ali'osservazione iterata delle coincidenze, ritenendola ridicola e
insostenibile (De div., II, 28). Ma ci sono altri gravi difetti che la
divinazione presenta dal punto di vista semiotico. Le interpretazioni di uno
stesso segno sono spesso diametralmente opposte (De div., Il, 83). Si
verificano frequentemente fenomeni di falsa identificazione dell'antecedente,
per cui un certo evento non è connesso a quello individuato come segno prodigio
so, ma a ben diverse cause naturali (De div.). L'interpretazione avviene a
posteriori e così toglie ogni necessità di rapporto tra antecedente e
conseguente (De div.). In certi casi l'interpretazione è motivata da ragioni
di faziosità politica e quindi è priva di oggettività (De div., II, 74).Grice:
“Most English gentlemen knew Cicero via the Macmillan’s Loeb Classical Library,
a book fit for the gentleman’s pocket! One at a time, since there are quite a few volumes
dedicated to Cicero! Mr Chips makes fun of the revised pronounciation,
/kikero/!” Grice: “Cicero was quite confused, sexually. His favourite target of
attack was Marcantonio, which paid him good, since Marcantonio sent someone to
cut his hands (‘for all the dirty lies you wrote about me’). He accuses
Marcantonio of various things which did not fit Cicero’s ideal of VIRTUS –
virtus is what modern scholars refer to as ‘masculinity’ if you look for it in
keywords – or even better masculinities in the plural. The sexuality side to
the masculinity was of little importance to the Romans and Cicero – the ‘masculinity’
side WAS. Cicero’s main classification is between ROMAN MEN and future Roman
men. A Roman man is aged 20+ (has already dedicated his first beard to the
gods), and obviously freeborn. Freed citizens do not count since a lot of
calamities could have occurred to these ‘freed’ men BEFORE becoming free. So,
even though, while becoming free they attained the rights of the Roman man,
they were yet considered NON-MAN by the Roman man. The FUTURE man is a Roman
male under 20. They were considered sacred. The erotic pleasure a ROMAN man
wanted to find he could rely on two very practical institutions – one was that
of SLAVERY. A male slave was used as recipient of sexual desire. The ROMAN
man’s desire and his satisfaction counts, but he cannot pretend that his
SLAVE’s does – by definition, a slave does not have a will – or he would not be
a slave. Slave he has become by the circumstances, not by will, and if this
‘job’ included in the job description that of satisfy a Roman man’s desire, it
was the job description of a job he never applied to. The other very useful
institution was that of the PROSTIBULUM. The Roman man distinguishes lexically
between MERETRICX, a female prostitute, and a PROSTIBULUM. There is some
overlap here. While a ROMAN MAN could have passed as a prostitute, there’s no
reason why he should. OH THE OTHER HAND, a slave could be put into prostitution
by a pimp – so slave – nonliberus – and prostibulum were not exclusionary.
Again, in the case of PROSTIBULUM, it would be idiotic of the Roman man to
pretend that the desires of the PROSTIBULUM counted. They were there to please.
Brothels – there was one called Ganymede, in Ostia – quite popular, next to a
latrine – had all the amenities of bedrooms, locked doors, etc.. WHAT MATTERED
to the ROMAN man was that his REPUTATION OF VIRTUS – or masculinity as
self-control – kept untouched, so that the receptive role in the sexual act
would have no witnesses if it occurred at all. Cicero was well aware of all
this. But it would be idiotic to focus just on CICERO. The keyword should be
ROMAN MASCULINITIES, and Ancient Rome. In this way, we can cover the periods of
the archaic regal period, the republic – Cicero and Cesare – and the Empire.
When it comes to professional philosophers one has to be careful in that they
were a breed apart. They catered to the very elite, so their views did not
represent ‘popular’ morality. Roman law is another trick. Cicero mentions a law
against ‘stuprum’ – which is best understood as ‘stuprum’ against any of the
two sexes. The evidence for the philosopher should include visual, and
literary. Virgil and his national epic count large – and the Hellenistic
references he makes to Ganymede and his Niso ed Eurialo being erastes and
eromenos would be understood to his audience. And so would Hadiran’s affair
with this foreigner (a replica of the Ganymede myth – and Cicero calls
Marcantonio a ‘ganymede’ --. Like Zeus, Adrian was the MASCULINE VIR VIRTUOUS,
dominant and controlling. Like Ganymede, Antinous was the foreigner subservient!”
Manetti has explored the semiotics of CICERO in some detail. In general, he
approaches first CORNIFICIO, who is the author of a treatise on rhetoric for
long attributed to Cicero. The semiotic of Cicero is lawyer-based. His idea is
that if x, y. x is a sign of y. y is the
cause of x. x is the effect of y. He is interested in semiotics as part of the
analytica – or demonstration which is not necessary. It is interesting to
compare Cicero’s semiotics with one by this Spaniard, Quinitilian. Quintilian,
possibly a homosexual, had an obsession with what signs qualify as naturally
meaning that the person is a homosexual. He said there were none. It is in this
discussion that semiotics works. Grice: “Cicero was quoted twice at the Mostra
augustea della romanita – a sentence, and Svetonio’s description of the birth
of Augustus under his consulship.” A topic of analysis if ‘natura’. There are
natural tendencies in man. And some which are CONTRA NATURAM. Oddly,
semioticisans like Cicero and Quintilian refer a lot to these ‘contra-naturam’
conventions – or non-naturale. Grice: “Austin liked Cicero because he made
ordinary Latin into extraordinary philosophese!” Il C. di Rensi. Spero enim homines
mtellecturos quanto sit omnibus odio crudelitas et quanto amori
probitas et clementia. C. Cassio in Cic., Ad farri. XV, 14
C. Renisi . Vita parallele,li due filosofi
4 C. era vicino ai sessantanni, quando lo Stato legale romano, che
già precedentemente aveva subito terribili scosse, ma che mediante una
saggia riforma avrebbe potuto rinvigorirsi sul suo stesso tronco senza
frattura o soluzione di continuità, riceveva da Cesare il colpo di
grazia... Non è più necessario rivendicare la grandezza di C.
contro le denigrazioni del Mommsen e di altri due o tre storici tedeschi
(I). Egli non era una ràbula e un politico superficiale. Bensì un
uomo di Stato dallo sguardo ampio e sicuro, nel cui animo si radicava e
viveva di vita vigorosissima tutta la grande tradizione politica
romana, Una bella e vivace confutazione del Mommsen si può leggere
nel saggio di A. Horncffer, Cicero und die Gegenwarl, contenuto nel
volume Das Klassische Ideal (Lipsia, Klinkhardt, 1909). L' Horneffer però
rivendica solo il valore di C. come epistolografo e oratore, non
come filosofo. e pur senza che
l’animo servilmente vi soggiacesse, ma, anzi, insieme, con la chiara
coscienza della nuova direzione che quella tradizione doveva prendere, e
della misura e forma in cui doveva prenderla, per svilupparsi fecondamente e
superarsi vivificandosi. Accanto a ciò, mente che s’era impadronita di tutta la
più alta cultura dell'epoca : Demostene e Platone insieme pel suo paese,
come riconosce Wilamowitz-Moellendorf Accanto a ciò, una
squisitissima sensibilità artistica e una passione vivacissima per le
cose d’arte ; basta vedere quanto “ vehementer , com’egli stesso dice,
attendeva che Attico gli mandasse sculture ed oggetti artistici greci: “genus
hoc est voluptatis rneæ (Ad Att.) ; e basta aver letto
attentamente le sue orazioni e aver scorto il perfetto senso d’arte con
cui sono costruite e che vi circola. Accanto a ciò, infine, una
sensibilità in generale per le cose, le persone, gli eventi, gli affetti,
così moderna, che in lui, nella sua pronta e multiforme
impressionabilità, ritroviamo interamente noi stessi : e il suo dolore
erompente e pieno di accenti passionali per la morte della figlia
Tullia, è il palpito d’un cuore dei nostri tempi. Uomo, in una parola;
assolutamente completo. Platon, ed. cit., voi. I, p. 745. Un
pensatore di così sottile e sicuro buon gusto e di cosi grande
penetrazione storica (e particolarmente Il rimprovero che gli si fa di
debolezze e incertezze è uno dei soliti rimproveri che gli eroi di
poltrona hanno quasi sempre occasione di rivolgere al grande che si è trovato a
dover davvero vivere avvolto da un gigantesco turbine di avvenimenti, e
che nemmeno se fosse stato mille volte più grande poteva abbracciarne
tutte le fila, come è invece agevole a quelli che non fanno se non
pacificamente rileggerli nel loro tranquillo gabinetto venti secoli dopo.
Egli non fu debole ed incerto nè nella repressione della congiura di
Catilina, nè nella lotta per la salvezza della costituzione contro il
cesarismo rinvelenito da Antonio, lotta che chiuse cosi gloriosamente la
sua carriera mortale. Le sue incertezze di altri momenti sono
unicamente frutto della sua profonda moralità. Perché l’uomo
fondamentalmente morale e intelligente, in mezzo a cataclismi enormi che
travolgono gli individui come fuscelli, quali quelli in cui C. si
trovò, mentre non può operare contro coscienza, e per questa, che
pure sarebbe l’unica via possibile, salvarsi o tornare a grandeggiare, però
avverte anche i pencoli micidiali a cui espone sè ed 1 suoi operando
secondo coscienza : e la condotta risultante è necessariamente quella che
tracciano le fluttuazioni di tale angoscioso conflitto
interno. circa la storia romana) come Montesquieu ne dà questo
giudizio. Ciceron,
selon moi, est un des plus grands espnts qui aient jamais été (Pensées
diVerses), Ab illis est periculum si peccare, ab hoc si recte fecero, nec
ullum in his malis consilium periculo vacuimi inveniri potest {Ad Att, X, 8). Quando i frangenti in cui un uomo si trova
realmente a vivere sono davvero quelli così delineati, si può
domandarsi se sia umanamente possibile la rettilineità che esigono da lui
coloro che poi spulciano comodamente gli eventi della sua vita. Sicuro
e diritto, in tali circostanze, è l'uomo amorale che non sente
scrupoli : il cinico ed elegante arrivista Celio Rufo, che a C. da questo
consiglio {Ad. Di'». Vili, 14): “ Suppongo che non ti sfugga come
nelle discordie politiche interne gli uomini debbano seguire, finché si
lotta senz’armi, la parie più onesta, ma la più forte quando vengono in
gioco guerre ed eserciti, e stabilire che è migliore ciò che è più sicuro
(Celio Rufo, del resto ottimo
scrittore, tanto che per molti umanisti ed altri dotti è ancor oggi il miglior
modello di stile). Ma C. era un uomo di coscienza. Questa soltanto,
non la sua incapacità mentale, la causa della sua rovina.
Egli era andato con Pompeo, non già sedotto dalla speranza della
vittoria, ma quando la causa di costui era ormai pressoché perduta e con
la piena nozione di tale condizione di cose, e mentre Cesare,
Antonio, Celio, per cercar di trattenerlo almeno neutrale, gli facevano
offerte larghissime : secuti non spem, sed officium {Ad Div. X 5). Vi era andato essendo
consapevole, non solo dell’inettitudine e impreparazione di Pompeo e di
quelli che erano con lui, ma altresi del fatto che poco o nulla c era da
sperare da essi circa la restaurazione della legalità, animati come
costoro erano da propositi di persecuzione sillana (Ad Att.; Ad D/v.),
e chiaro ormai essendo che dai pompeiani non meno che dai
cesariani non si pensava che a far man bassa dello Stato: “ regnandi
contendo est » (Ad Att.), “ dominatio quaesita ab utroque est, non
id actum beata et honesta civitas ut esset. Vi era andato straziato dall’
idea d una guerra civile e unicamente in obbedienza a
considerazioni d ordine morale. E’ la coscienza che ci costringe, scrive
ad Attico (X,8), a staccarci da Cesare più ancora se vincitore che se
vinto, per non essere solidali con ciò che seguirà alla sua vittoria,
stragi, estorsioni, violenze “ et turpissimorum honores, et regnum non
modo Romano homini, sed ne Persae quidem cuiquam tolerabile Era andato da
Pompeo, senza illusioni e speranze, unicamente per senso del
dovere. Sed valuit (scrive più tardi a Cecina) apud me plus
pudor meus quam timor ; veritus sum deesse Pompeii saluti, cum ille
aliquando non defuisset meae. ltaque vel officio, vel fama bonorum,
vel pudore victus, ut in fabulis Amphiaraus, sic ego prudens ac
sciens, ad pestem ante oculos positam sum profectus (Ad Div.). Egli
sapeva cioè di andare alla rovina e vi andò in obbedienza a yu
principio d'onore (pudor) e di gratitudine, per quel poco che Pompeo
aveva fatto onde richiamarlo dall’esilio. “ Pudori tamen malui famaeque cedere
quam salutis meae rationem ducere riconferma a M. Mario. E
ritornando più tardi in una lettera a Torquato, che aveva anch’egli
seguito la parte pompeiana, su quell’episodio a entrambi comune, sente di poter
ricordare in cospetto al correligionario politico nec nos victoriae
praemiis ductos patriam olim et liberos et fortunas reliquisse, sed quoddam
nobis officium iustum et pium et debitum reipublicae nostraeque
dìgnitati videbamur sequi, nec cum id faciebamur tam eramus amentes ut
explorata nobis esset victoria. Ne è questa un’opportunistica
configurazione postuma della sua condotta di quel tempo. Basta percorrere la
sua corrispondenza con Attico (suo amico intimo e suo editore, uomo
consumato nell’ impresa di tener il piede in più staffe e nella difficile
arte di conservarsi amici i vincitori senza inimicarsi i vinti) per
constatare che tale veramente, cioè il senso del dovere, era il nobile
sentimento da cui fu mosso. Officu me deliberalo cruciat, cruciavitque
adhuc ; cautior certe est mansio ; honestior existimatur traiectio (Ad Alt.). E
quando Pompeo è pressoché spacciato e stretto da tutte le parti, e C.
è ritornato in Italia, egli si cruccia proprio di questo suo atto da cui
gli sarebbe derivato vantaggio e che poteva quindi essere reputato abile,
e si rammarica di non essere stato con Pompeo sino alla fine; “
numquam enim illus victoriae socius esse volui ; calamitatis mallem
fuisse (Ad Att.). Il principio,
insomma, che in un’altra posteriore circostanza, piena di pericoli
mortali, nella sua lotta contro Antonio, egli enuncia a Planco così : “
mihi maximae curae est, non de mea quidem vita, cui satisfeci vel aetate vel
factis vel gloria, sed me patria sollicitat ( Jld Dio.), questo è il principio
che domina costantemente nell’animo di C., insieme con l’insormontabile
ripugnanza, o meglio con 1’ impossibilità, di venir meno al
rispetto verso se stesso. Allorché, essendo Cesare incontrastato padrone,
l’accomodante Attico gli dà il consiglio di obbedire ai vincitori, “
non mihi quidem (egli risponde) cui sunt multa potiora (Ad Att.). Certo, un uomo mosso
prevalentemente da sentimenti di tale natura, nelle tragiche vicende pubbliche
da cui si trovò avvolto C., va al fondo. Resta a vedere se ciò sia un
indice di inferiorità o se non lo sia piuttosto quel successo che è
raggiunto (e la cosa è facile) in grazia dell’assenza di tali sentimenti, della
mancanza d’ogni freno etico, dell insensibilità ad ogni scrupolo di
coscienza, della nessuna riluttanza a violare cinicamente ogni principio di
diritto e di morale. Nè r uomo che aveva cominciato la sua carriera
attaccando coraggiosamente nell’orazione prò Roselo un favorito
potentissimo di Siila, era un pavido. Dimostrò ancora di non esserlo e
nel suo consolato e nell’ultima fase della sua vita. L’apparenza di
timidità da lui talvolta offerta, deriva da ciò che egli, come disse di
sè, si preoccupava grandemente dei pericoli nella rappresentazione e
raffigurazione mentale anticipata di essi, non già che titubasse poi ad
affrontarli nella realtà. Quintiliano narra : “ Parum fortis videtur
quisbusdam : quibus optime respondit ipse, non se timidum in suscipiendis,
sed in providendis periculis. E’ press’a poco ciò che egli scrive a
Toranio: mi accusavano di essere timido, “ eram piane, timebam
enim, ne evenirent, quae acciderunt ; mi dicevano timido, “ quia dicebamus
ea futura, quae facta sunt (Ad
Dio.). Nè è giusto accusarlo di non aver saputo intuire con
chiarezza le situazioni e di essersi per questa deficienza di
sguardo gettato a corpo perduto a combattere per soluzioni che la realtà
escludeva. È questa la solita iniqua condanna che ì posteri,
aggiungendosi ai contemporanei nell’incensare i vincitori e nel
dare il calcio dell’asino ai vinti, pronunciano contro colui che difese
la causa rimasta storicamente soccombente. Quasiché il fatto che una causa sia
rimasta storicamente sconfitta dimostri anche che era giusto e logico che
essa lo fosse ; quasiché il mero fatto, il fatto del successo, sia anche
verdetto di giustizia e logicità ; quasiché assai spesso la causa
storicamente prostrata non sia quella che avrebbe dovuto vincere. Che la
cosa stia così nel caso di C., lo dimostra il fatto che la causa da
lui combattuta e che vinse costituì la rovina della vita di Roma :
basta per accertarsene constatare che nella stessa nostra memoria di
posteri la vita di Roma resta chiaramente presente e attira la
nostra appassionata attenzione appunto sino ad Augusto; ci
rimangono ancora come appendice già torbida i primi imperatori ; poi
tutto ci si confonde dinanzi in un lungo stato comatoso chiazzato di
continui sussulti sanguigni, in cui (se non siamo storici di professione) non
distinguiamo piu ne nomi, nè persone, nè eventi, di cui non ricordiamo,
nè c’importa ricordare, più nulla. Si rammenti come, per es., scorgeva
Roma Massimo d’Azeglio. “ Fra tutti gli Stati dell’antichità è Roma
quello che ho in maggior stima, fino all’epoca dei Gracchi, intendiamoci
! lo ammiro que’ tempi durante i quali dominò la legge ; durante i quali
le più bollenti passioni agitate dai più vitali interessi, non cercavano
altr armi nè altre vittorie che un voto ne’ Comizi . E poco prima :
Se è giusto e vero il principio fondamentale delle Società moderne,
essere la legalità di un governo dipendente dalla volontà del popolo che
vi è governato, vorrei sapere se 1’umanità consultata avrebbe ne’ tempi
dei Romani votato [Nemmeno i mezzi che egli aveva messo in opera per
sostenere la causa che soccombette, soo inadeguati. Tutto, invece, egli aveva
provvisto ; tutto quanto era necessario perchè essa vincesse: aveva
cercato di assicurare ad essa l’appoggio e la fedeltà dei maggiori
personaggi militari e politici ; aveva costituito e messo in campo
eserciti poderosi ; con la sua parola teneva altissimo il tono
morale del popolo all’ interno. Se la causa non vinse, lo si deve, non a
un fato storico, a condizioni incoercibili insite nella realtà e
sfuggite allo sguardo di C., o al logos immanente nella storia ; ma
unicamente a due o tre puri casi, che potevano accadere diversamente e in
tal modo rovesciare la situazione. Dice in qualche luogo Rosmini
che “ uno de’ mezzi, co’ quali 1’ uomo può sciogliere la propria mente da
molti pregiudizi e da’ legami delle consuetudini sensibili, si è
l’esercitarsi a considerare le cose non solo come sono, ma come
potrebbero essere. Se vogliamo applicare questo precetto al periodo di
storia in discorso (come Renouvier in Uchwnie l’ha applicato in modo
grandemente interessante a tutta la storia occidentale dagli Antonini in
poi), scorgeremo agevolmente che due o tre futili casi, per
l'impero (Miei Ricordi, Barbera). Antologia Pedagogica a cura di G.
Pusinieri, Rovereto, Mario] i quali fossero avvenuti diversamente,
sarebbero bastati a cambiare del tutto la faccia delle cose; se, p.
e., Lepido non avesse tradito, o se un giavellotto l’avesse ucciso quando egli
si mosse per portar soccorso ad Antonio ormai disfatto, se Planco
non avesse fatto il doppio giuoco, ciò sarebbe bastato per far di C. il capo
dello Stato romano, e perchè egli occupasse nella politica di Roma
d’allora, e nella storia, il posto d’Augusto. E quanto lo Stato romano e
la posterità sarebbero stati più fortunati se il potere fosse venuto in
mano ad un uomo di rettitudine profonda e di vivo senso del diritto e del
dovere, come C., anziché ad un uomo la cui bassezza d animo è provata
luminosamente dal fatto che, avendo cominciato ancora puer o adolescens,
come sempre C. lo chiama, (sed est piane puer n \Ad Att. XVI, 11),
ad essere qualcosa solo per 1 appoggio datogli appunto da C. e con lo
strisciarsi umilmente ai suoi piedi (“a me postulat primum ut clam
conloquatur mecum Capuae vel non longe a Capua ducem se profitetur nec
nos sibi putat deesse oportere ;
binae uno die mihi litterae ab Octaviano; “ deinde ab Octaviano
cotidie litterae, ut negotium susciperem, Capuani venirem, iterum rem
publicam servarem » ; mihi totus deditus ; “ nobiscum hinc perhonorifice et
amice Octavius Ad Jltt. XVI, 8, 9,
11, XIV, 11, 12), non si trattenne dal sacrificare ad una propria
maggiore ascesa la vita di colui che l’aveva sorretto nei suoi primi
passi. Uomo egli, si, veramente, pusillanime, che vinse le guerre
solo per mezzo dei suoi generali e specialmente di Agrippa , e non aveva
il coraggio di presentarsi nel campo se non dopo che Agrippa gli
annunziava la vittoria (Svet. Aug. 16). Fondamentalmente istrione e poseur come
risulta dal fatto, narrato da Svetonio (Aug. 84), che non comunica mai
nemmeno con sua moglie senza scrivere prima e leggere ciò che voleva dire,
nonché dall’altro, sempre narrato da Svetonio, che egli amava
stilizzare a particolare espressività e luminosità i suoi occhi, “ quibus etiam
existimari volebat inesse quiddam divini vigoris, gaudebatque
[Octave lui [a Sesto Pompeo) fit deux guerres laborieuses ; et
après bien de mauvais succès il le vainquit por i’habilité d’Agrippa... Je crois qu’ Octave est
le seul de tous les capitaines romains qui ait gagné 1 affection
des soldals en leuv donnant sans cesse des marques d’une làcheté
naturelle (Montesquieu, Grandeur et
Dócadence des Romains. Tanto
Cesare quanto Augusto avevano l’abitudine di citare dei versi delle
Fenicie di Euripide. E la citazione che l’uno e l’altro aveva
scelto è rivelatrice del loro rispettivo carattere. Cesare amava
citare i versi 524-525 : “se c' è un caso in cui sia bello violare il
diritto, è quando lo si viola per conseguire la tirannide citazione
signifìcatiice dello spirito violento e illegale. Augusto amava citare il
verso 559: è meglio per un generale procedere al sicuro (àacpaÀr/c) che
essere ardito (ihf aouc) ; citazione
significatrice della vigliaccheria (cfr. Cicer. De Off. Ili, 21, 82 e
Svetonio Aug.] si qui sibi acrius contuenti quasi ad fulgorem solis
vultum summiteret e infine in modo palmare dalle parole (“ ecquid iis
videretur mimum vitae commode transigisse ) e dalla citazione greca richiedente
1 applauso per la commedia ben riuscita, con cu; egli chiuse la sua
esistenza (ib. 99). Uomo che desta particolare antipatia precisamente
in grazia del suo proposito di moralizzare la vita romana ; perchè
niente è più ripugnante del dissoluto che si da il compito di costringere gli
altri alla virtù e posa a restauratore della morale pubblica ; e Augusto
aveva cambiato tre mogli prendendo 1 ultima al manto sotto ì suoi stessi occhi,
conducendola con sé in un altra stanza donde era ritornata spettinata e
con gli orecchi rossi, e poi introducendola in casa propria incinta d’un
altro; aveva commesso le oscenità che narra Svetonio, irripetibili,
tranne forse una : “ adultena quidem exercuisse ne amici quidem
negant; e dopo ciò faceva udire le parole ammonitrici di vita austera e
imprendeva a ricondurre i costumi alla prisca severità (I). La scandalosa condotta di sua
figlia e di sua nipote, che condusse [A cool head, an unfeeling
hcart, and a cowardly disposition, promtcd finn al thè age of nmeieen, to
assume thè maske of hypocrisy, which he never afterwards laid
aside. With thè saine hand, and proba’bly with thè same temper, he signed
thè proscription of Cicero and thè pardon of Cinna. His virtues, and even his vices, were artifìcial (Gibbon, Decime and Fall] all’esilio di
entrambe, e di Ovidio complice o pronubo, dimostra che nella sua famiglia
stessa si aveva il senso netto del come si poteva prendere sul
serio una riforma morale che pretendeva attuare un individuo di siffatta ìndole
e di siffatti precedenti. Non ostante che all’epoca del trionfo di
Cesare si avvicinasse alla sessantina, C. non. era uomo che non
sapesse comprendere i tempi. Li comprendeva benissimo, più profondamente
e sapientemente di Cesare e di Ottavio. La sua mente era in pieno vigore.
Subito dopo quell epoca egli poteva scrivere quei suoi libri di filosofia
che suscitarono l’ammirazione dei contemporanei e furono e saranno letti
con entusiasmo o rispetto da tutte Coglie veramente nel segno
Aurelio Vittore : Cum esset luxuriae serviens erat eiusdem vitii
severissimus ultor, more hominum, qui in ulciscendis vitiis, quibus ipsi
veliementer indulgent, acres sunt . (cap. 1). E s. può dire d. lui quel che il Boissier
dice di Domiziano : 1 ar malheur, ce prince si sevère pour les
defauts des autres, etait lui- mème très vicieux. 11 avait fait des lois
rigoureuses contre l’adultere et il vivait publiquement avec sa mèce, la
bile de Titus, qu’ il avait enlevée à son mari et dont il causa la
mort en essayant de la taire avorter. Ce contraste etait choquant, et il
n’ ignorait pas qu’on en etait indigne (Tacite] le generazioni successive (I). Poco più oltre egli svolgeva anzi la sua
azione politica più abile, più decisa, piu energica e più importante, e,
insieme, con le filippiche raggiungeva un’altezza da lui ancora non
tocca nella forma d’arte che gli era propria : “ divina chiama giustamente un giudice certo non
facile, Giovenale (X, 125), la seconda di esse. La sua idea di portare
alla luce del mondo politico, sotto la sua direzione, il pronipote e
figlio adottivo di Cesare, ancora ragazzo (aveva appena diciannove anni),
accordandogli anche onori che a molti parevano eccessivi, e di riuscire
così giovandosi del nome di Ottavio a far rientrare il ribollente partito
cesariano nell’ordine costituzionale e a dominare in tal modo una siInazione
difficilissima, era una idea geniale, abilissima, da politico grandemente
avveduto, l’unica (I) Sull immensa influenza esercitata da C.
sui a t“ di tutti ' tempi ' veg § asi ‘'furiente r “, Z r fe,v
C f er, 0 o ™ Wandel dcr Jahrhunderte I d-' P r a ' ed ;. lj^ 9 )
Strachan-Davidson nella sua Vita di C. ( Heroes of thè Nations Series )
dice giustamente che se si dovesse decidere quale degli scrittori antichi
maggiormente influì sul mondo moderno, la decisione sarebbe,n favore di
Plutarco e C. hrasmo, scrivendo ad un amico, diceva che, se da
giovane aonr enVa rf matUra era andato sempre più
apprezzando C.. Ld è proprio giusto il noto giu d. Z .o di
Quintiliano : “ Ille se profecisse sciat, (e s. può aggiungere: tanto
gusto letterario, quanto in retti Jne etico-politica) cui Cicero valde
placebit. G. Sensi . y ita paratiti « di due fila.ofi ] idea
che in quel terribile cataclisma poteva dar buoni frutti. Non è sua colpa
se 1 idea non riuscì, e proprio sopratulto per la perfidia senza
scrupoli del futuro Augusto. Per quanto avveduto e grandemente
intelligente, un uomo di Stato fondamentalmente onesto come C., non fa
entrare nel suo giuoco la supposizione di una perfidia enorme, di
gran lunga travalicante la media nequizia umana, come fu quella di Augusto; nè
si può accusarlo di incapacità se non ve la fa entrare, e se essa
gli si rizza impensatamente dinanzi mandando a picco i suoi piani più
accortamente e sapientemente elaborati . Fra il 4 1 e il 40 a. C.,
cioè all’età di circa sessantaqualtro anni, C. assume risolutamente, nel
momento più pieno di vicissitudini e pericoli, la parte di leader del
Senato e del popolo romano, come egli stesso scrive a Cornificio, “ me
principem Senatui populoque romano professus sum (Ad Dio. Xll, 24 2)
; spiega un’attività prodigiosa, tanto verso gli eserciti quanto
rispetto alla situazione interna, per dirigere (I) Giustamente
Platone osserva (Rep.) che le persone oneste sono facili ad essere
ingannate dai malvagi perchè non hanno in sé il modulo dei
sentimenti di costoro (fire oòv. s'/ovre? èv éaotoT; ^ 7
iapaos'y|J.axa óp. 0 i 07 ia{H) tot; nove^oi?) ; mentre però il malvagio,
abilissimo nel suo comportamento coi malvagi, resta ingannato quando tratta coi
buoni, perchè, giudicando da se, e ignorando le indoli onesti, vede
dappertutto inganni (àruaT&v Tiapà xaipòv xaì àYVOtòv uytè; fjU'o;)] la
lotta contro Antonio ; getta di nuovo, attesta scrivendo ancora a
Cornificio, 1 fondamenti dello Stato con la prima Filippica: “ fundamenta
ieci reipublicae (Ad D/v. XII,
XXV, 1); e al giocondo Peto conferma quanto abbia fatto, quanto faccia e
come ritenga che se dovesse in tale sua azione perdere la vita l’avrebbe
spesa bene ; “ sic tibi, mi Peto, persuade, me dies et noctes mini
aliud agere, nihil curare, nisi ut mei cives salvi liberique sint :
nullum locum praetermitto monendi, agendi, providendi : hoc demque animo
sum, ut si in hac cura atque admistratione vita mihi ponenda sit,
praeclare actum mecum putem (Ad T)iv. IX, XXIV, 3). “ In questi primi
mesi del 43, C. fu veramente il princeps, ch’egli aveva idealizzato
nel De republica : consigliere, esortatore, ispiratore del Senato, dei
consoli, dei governatori delle provincie . Non è questa la condotta d un uomo le
cui facoltà spirituali siano illanguidite. Ma, sopratutto, a
prova della sua esatta comprensione dei tempi, basta ricordare come la riforma
che occorreva allo Stato romano, pessimamente attuata, secondo attestò la
susseguente vita F, Amateli, C. (Bari, Laterza).
Jamais C. n a joue. un plus grande róle politique qu à ce moment ;
jamais il n’a mieux mérité ce nom d’homme d Etat que ces ennemis lui refusent (Boissier, Crcéron et ses amis] dell’Impero,
da Cesare e da Augusto, fosse stata prospettata per primo da C. nel De
Repubblica. L’introduzione, cioè,
d’un nuovo e più fermo principio d’autorità sotto forma di un
rector rerumpublicarum d’un “ moderator reipublicae d’un “ princeps
civitatis » (De Ti,ep.). Senonchè C., con molto maggior senso della
necessaria continuità di sviluppo dello Stato romano e con molta maggior
disinteressata cura di esso, non intendeva che questa riforma dovesse
rivolgersi a distruzione della costituzione esistente, bensì che dovesse
ingranarsi in essa e formarne un naturale complemento e uno svolgimento
spontaneo e logico ; “ homines non tarai commutandarum quam
evertandarum rerum cupidos , egli giudica i cesariani .(De Off.), mentre
per lui la costituzione romana, come esattamente nota lo Zielinski,
è “ capace di ogni progresso in quanto questo conducesse all’accettazione
e allo sviluppo di idee feconde (fordeTnder), non di idee distruttive. La
differenza tra il modo con cui egli concepiva la riforma e il modo con
cui la attuarono Cesare ed Augusto è si può dire scolpito dalle seguenti
sue due proposizioni: “ me nunquam voluisse plus quemquam posse quam universam
rempublicam (jdd Div.); “ ego sum,
qui nullius vim plus valere volui, quam honestum otium. Ovvero: la differenza
tra la concezione ciceroniana del princeps e la pratica applicazione
fattane da Cesare è resa nel bell’ emistichio con cui Lucano descrive il
modo di operare di quest’ultimo : gaudens viam fecisse ruina. Basta riflettere
a tutto ciò per scorgere tosto che non solo la mente di C. era nel
suo pieno vigore, ma altresì la sua comprensione dei tempi (se per
questa s’intende, non già furbesca valutazione personalmente
opportunistica delle circostanze, ma avvertimento delle necessità
profonde che ad un dato momento si presentano nella vita sociale e
politica d’un paese) era perfetta. Il * ‘ sovversivismo di Cesare è provato dal dolore che per
la sua morte manifestarono sopratutto gli Ebrei (“ qui etiam noctibus
continuis bustum frequentabant Svet, Caes.), cioè precisamente coloro che
nel seno nello Stato romano, da essi violentemente odiato, costituivano
la catapulta diretta a farlo saltare, e che, sotto la veste del
Cristianesimo, a farlo saltare effettivamente riuscirono. Si può anzi con
sicurezza dire che l’impero romano si deve agli ebrei, perchè furono i
loro lunghi tetri lamenti intorno al cadavere di Cesare che suscitarono
nella plebaglia quella sommossa per e attorno al rogo del dittatore, la quale
fece prender nuova forza al cesarismo. “ É noto come per la commozione
popolare che lo straziante rito ebreo provocò colle sue lugubri
lamentazioni orientali, se ne ingenerò quel tumulto che doveva mutare la
faccia de! mondo, mandando in fumo i diplomatici accordi con Bruto
e Cassio, che dovettero fuggire in Illirio : sicché ne vennero le lunghe
guerre civili e l’Imperio di Augusto (Ottolenghi, Voci JOriente, Lugano]
Mente possente, senso politico sicuro, comprensione dei tempi piena. Non si può
dunque attribuire a deficienze intellettuali il modo con cui C. valutò
Cesare e il movimento da costui capeggiato. Egli non vide certamente
Cesare come la sua figura si è plasmata nella storia, che corona
con eternità d’ apoteosi tutto ciò che ha trovato in ogni presente la
consacrazione del bruto successo di (atto. Lo vide come glielo presentava
la realtà immediata. Lo vide come lo vide Catullo: Pulcre
convenit improbis cinaedis, Mainurrae pathicoque Caesarique ; E
questo Caesar era proprio Caio Giulio Cesare e quel Mamurra (da Catullo soprannominato
Mentula) il suo generale del genio. A permettere al quale di “ mangiare (il verbo si usava anche in latino con
questo preciso significato) milioni su milioni, il commovimento politico
aveva principalmente servito. Doveva essere una cosa nota a tutti, se
Catullo la mette correntemente in versi: Cinaede Romule, haec videbis et
feres ? Es inipudicus et vorax et aleo. Eone nomine, imperator
unice, Fuisti in ultima occidentis insula. Ut ista
vostra diffutata Mentula Ducenties comesset aut trecenties ?] Cinaede
Romule Romolo debosciato, impudico, vorace e giuocatore : cosi Catullo vede
Cesare. E press’a poco così lo vede C. Egli non scorge Cesare,
quale il fanatismo interessato dei seguaci e poi gli storici l’hanno costruito:
gli storici, i quali (in generale) non fanno mai altro se non aggiungere,
per supino servilismo postumo, la loro adulatrice consacrazione al
successo di fatto e di solito non osano mai, per la paura di passar per
“singolari,,, sviscerare il clamoroso successo di fatto ottenuto da un “
grande nella età in cui visse, mettendone coraggiosamente in luce
le vere molle, spessissimo casuali, o basse, o vili, ma sempre invece per
essi è “ grande colui che nella sua epoca le circostanze, o la
perfidia, o i misfatti hanno portato in alto. Si vous avez une vue nouvelle, une
idée originale, si vous présentez !es hommes et les choses sous un aspect
inattendu, vous surprenez le lecteur. Et le lecteur n’aime pas à ótre surpris.
Il ne cherche jamais dans une histoire que les sottises qu’ il sait dejà.
Si vous essayez de l’instruire, vous ne ferez que l’humilier et le
fàcher. Ne tentez pas de l’éclairer, il criera que vous insultez à ses
croyances... Un historien originai est 1 objet de la défiance, du mépris
et du dégoùt universels». Questo
è l’abituale comportarsi degli storici, secondo la satira,
aggiustatissima, che ne schizza A. France (L’ ile des Pingouins, préf.).
Ci sarebbe solo da aggiungere che spesso il servilismo degli storici verso i
personaggi della storia che scrivono serve al loro servilismo verso i
personaggi della storia che vivono. C. vede Cesare muoversi davanti ai
suoi occhi, nella vita vera, non nella luce abbagliante del mito. Esso
gli appare screditato, corrotto, senza senso di morale nè privata nè
pubblica, uomo la cui vita, i cui costumi danno la certezza che si
condurrà male : e sopratutto la danno la gente che lo circonda. “ O Dii,
qui comitatus ! in qua erat area scelerum! scrive ad Attico, dopo
uno dei suoi abboccamenti con lui. Egli sa che Cesare aveva cominciato a
costruirsi la sua potenza accaparrandosi e tenendo alle proprie
dipendenze i manigoldi audaci e bisognosi. Egli scorge ( I )
Nell' interessantissima antologia di pagine storiche di Chateaubriand,
testé pubblicata dall’editore Tallandier sotto il titolo Scénes et
portrails historiques, si legge. Tout personnage qui doit vivre ne va point aux
générations futures tei qu’ il était en réalité : a quelque distance de
lui, son epopèe commence : on idéalise ce personnage, on le transfigure ;
on lui attribue une puissance, des vices et des vertus qu’ il n’eut
jamais ; on arrange les hasards de sa vie, on les violente, on les
coordonne à un système, Les biographes répètent ces mensonges ; les
peintres fixent sur la toile ces inventions et la posterité adopte le
fantóme. Bien fou qui croit à l’histoire. L’histoire est une pure
tromperie . E Montesquieu, dal canto suo aveva già osservato : “ Les
places que la posterité donne sont sujettes, corame les autres, aux
caprices de la fortune ( Grandeur et décadence des Romains. Habebat hoc
omnino Caesar: quem piane perditum aere alieno egentemque, si eumdem nequam
hominem audacemque cognorat, hunc in familiaritatem libentissime recipiebat (Fi/. Il,] radunata attorno a Cesare
tutta la gente equivoca e sospetta, violenta e disperata, tutte le anime
dannate, vexu (<x (Ad Att.), “ omnes damnatos, omnes ignominia
affectos, omnes damnatione ignominiaque dignos, omnem fere inventutem,
omnem illam urbanam et perditam plebem (Ad Att.), tutti i giovani circa i quali
pensava che “maximas republicas ab adolescentibus labefactas,, (De Seti.
VI), tutti coloro ch’egli chiamava « perdita iuventus » (Ad Att. VII, 7)
e poc’anzi « barbatuli iuvenes, grex Catilinæ, «feccia di Romolo, i
precursori di quella che poi Giovenale denomina «turba Remi;
cosicché, egli scrive ad Attico, intorno a Cesare è raggruppato tutto il
canagliume della penisola, « cave autem putes quemquam hominem in
Italia turpem esse, qui hinc absit; osservazione identica a quella che è
costretto a fare il cesariano Sallustio: “ occupandae reipublicae
in spem adducti homines, quibus omnia probo ac luxuria polluta erant,
concorrere in castra tua,, (De Rep. Ord.). Come Catullo, C. vede
con disgusto i cesariani ormai dominatori darsi al lusso ed al
fasto, giuochi, cene, delizie, mentre Balbo (altro comandante del genio
di Cesare e sua longa manus in Roma) si costruisce dei palazzi,
“quae coenae? quae deliciae? at Balbus aedificat (Ad Att.), e
Antonio scorrazza l’Italia confi) Val la pena di riportare tutto il passo
perchè esso ducendosi dietro in una lettiga aperta la sua amante in
un’altra sua moglie, septem praeterea coniunctæ lecticæ amicarum sunt an
amicorum ? l^/JJ Att. X, IO) (I).
Tutto ciò desta in C. una nausea invincibile: “ nosti enim non modo stomachi
mei, sed etiam oculorum, in hominum inso- contiene un’osservazione di
indole psicologica e morale eternamente vera e colta da C. dalla vita
stessa che lo circondava : “ At Balbus aedificat ; tl yàp «ÒTfij
péÀst ; Verum si quaeris, homini non recta sed vuluptaria quaerenti nonne
[kfifwTai ? Cioè: “ Balbo pensa a
costruirsi palazzi. Che importa a lui di tutto ciò ? E in verità, se a un
uomo non sta a cuore la dignità e la coscienza, ma solo il suo interesse, fa
bene a far così : può dire ho vissuto La ributtante figura
d’Antonio risalta scolpita non solo nelle lettere di C., ma, più ancora
nelle Filippiche (v. specialmente FU. He. 18 e s.). Pagine che stanno a
dimostrare una volta di più come, in una situazione politica tirannica ed
eslege, anche persone notoriamente turpi possano salire ai più alti
gradi, perchè il controllo dell opinione pubblica e la possibilità di
censure sono soppresse dalla forza e la gente costretta al silenzio. Non ostante, in un primo tempo C.,
usando l’avveduta prudenza dell’uomo politico, aveva cercato di
persuadere quasi amichevolmente Antonio a rimanere nell'orbita
della legge. Ciò con la Fil. I, di cui è il caso di citare le seguenti
righe : “ Sin consuetudinem meam, quam in republicam semper habui, tenuero, id
est, si libere, quae sentiam, de republica dixero; primum deprecor ne
irascatur, deinde, si haec non impetro, peto ut sic irascatur, ut civi]
lentium indignitate, fastidium™ (Ad T)iv.] Quanto a Cesare, egli è per C. “
hominem amentem et miserum che non ha mai conosciuta neppur l’ombra
dell'onestà, che considera la tirannide come il maggior dono degli Dei, (Ad
Alt. VII, 1 1 ), capace di ogni scelleraggine, “ omnia taeterrime
facturum, uomo del quale “ vita, mores, ante facta, ratio suscepti
negotii, sodi fanno ritenere che non
potrà comportarsi se non “perdite,, (ib. IX 2 A, alias 2, § 2 e s.) La
sua condotta sarà anche resa peggiore di quel che per l’indole di
lui sarebbe, dal fatto che il vincitore nella guerra civile deve pur
contro sua volontà operare ad arbitrio di coloro che l’hanno aiutato a
vincere. “ Omnia (scrive a Marcello) sunt misera in bellis
civilibus ; sed miserius nihil, quam ipsa victoria : quae etiamsi ad
meliores venit, tamen eos feroLa stessa ripulsione, e per la stessa ragione,
Filippo destava in Demostene. È circondato (egli dice) da ladri, da
adulatori, da gente che si abbandona a immoralità che non oso neanche ripetere
(01. 11, 19). E Demostene si illudeva che anche perciò Filippo sarebbe caduto.
Geloso e ambizioso com' è (egli dice) allontana gli uomini di valore, che
gli danno ombra ; gli uomini assennati e morigerati, che sono rivoltati dalle
sue immoralità (àxpaafav xoO pioti -/.al xal xopSaxia|jioOs)
sono da lui cacciati e ridotti a nulla, TrapEwaHa'. xal sv Ò'jSevò;
s!va'. |ispei (ib. 18). Ma pur troppo i fatti hanno sempre provato che è
vana speranza contare che queste ragioni facciano cadere un uomo dal potere.
L’esigenza morale non trova sanzione nella storia e nella politica.]ciores
impotentioresque (più sfrenati) reddit ; ut etiamsi natura tales non
sint, necessitate esse cogantur ; multa enim victori eorum arbitrio per
quos vicit, etiam invito, facienda sunt (Ad Div. IV, 9). E su
questo stesso pensiero insiste anche con Cornificio (Ad ©iv. Xil, 18) : “
Bellorum enim civilium hi semper exitus sunt, ut non ea soium fiant, quae
velit victor, sed etiam, ut iis mos gerendus sit, quibus adiutoribus sit
parta victoria . La situazione scaturita dalla vittoria di Cesare appare
a C. un mostruoso sfacelo dell’eticità pubblica. “ Tutto allora in Roma
precipitava a rovina, religione, costumi, esercito, cittadinanza, popolo,
senato, magistrati, privati ; e in quel rovescio d’ogni cosa umana e
divina, poneva i fondamenti sanguinari la tirannia degli imperatori . C. vede come non appena Cesare, annientati
i suoi avversari, e rimasto solo sulla scena politica, ha messo
violentemente le mani sullo Stato, e in Il modo genuinamente
italiano di considerare Cesare è quello che un veramente grande italiano,
il Carducci, ci presenta nei due sonetti II Cesarismo, che
cominciano con le parole, estremamente significanti e pregnanti,
Giove ha Cesare in cura. Ei dal delitto Svolge il diritto, e dal misfatto
il fatto. Entrambi i sonetti mentano di essere attentemente
letti, con la nota al v. 14 del secondo, che li accompagna. BARZELOTTI
(si veda), DELLE DOTTRINE FILOSOFICHE NEI LIBRI DI C.] seguito a ciò “ omnia
delata ad unum sunt (jdd Div. IV,
9) al punto che Cesare redige in casa sua, a suo libito, quelli che
devono apparire come senatusconsulta (Ad Div.), si formi un’atmosfera di
falsità, di servilismo, di adulazione universale, tanto da parte di privati
quanto di enti pubblici, cosicché non si distingue più il
sentimento sincero dalla simulazione, “ signa perturbantur, quibus
voluntas a simulatione distingui posset « (Ad Att. Vili, 9); quell’adulazione e quel servilismo, che,
diventati poi a poco a poco oramai di rito, Lucano, più tardi sotto Nerone, stigmatizza
con magnifici versi, facendone risalire 1' inizio appunto al dominio di
Cesare : V Cette abjection de la patrie releva I’ àme de C. par
l’indignation et par la honte. La victoire de Cesar, au lieu de l’en rapprocher,
l’en éloigna. Le succès, qui est la raison du vulgaire, est le scandale
des grandes àmes (Lamartine, C., Calmati-Levy). È un saggio, poco conosciuto, in cui Lamartine,
in forma simpaticamente piana e scevra da ogni erudizione, presenta,
nella sua nobile luce, e con accenti assai elevati, la figura di C.. Ne
vogliamo, a conferma di precedenti osservazioni, estrarre ancora due passi. “ Les ambitieux, les
factieux, les séditieux, les corrupteurs et les corrompus, la jeunesse, la
populace et la soldatesque, les barbares mèmes enrólés dans les Gaules,
étaient avec Cesar. “ Coriolan... n’avait rien fait de plus
monstrueux... et cependant l’histoire a flétri Coriolan et a déifié
Cesar. Voilà la justice des hommes irréfléchis, qui prennent le succès
pour juge de la moralité des événements (154).] Namque omnes voces, per quas iam
tempore tanto Mentimur dominis, haec primum repperit aetas.
Qua, sibi ne ferri ius ullum, Caesar, abesset, Ausonias
voluit gladiis miscere secures, Addidit et fasces aquilis et nomen
inane Imperii rapiens signavit tempore digna Maestà nota (I).
C. vede come, appena risultò
che Cesare era saldamente stabilito al potere, non solo i “sovversivi ma
anche gli “ ottimati le vecchie figure V. 386, —Si avverte che la
parola “ imperium qui non significa il nostro “ impero ma “ officio pubblico legale Lucano vuol dire
che Cesare copri l’usurpazione, assumendo falsamente il semplice nome d’un
officio pubblico legale. Come è noto, è sopratutto col nome di
potestà tribunicia che ( usurpazione si effettuò. Nel libro, ricco di
dottrina e di acume, di G. Niccolint, Il Tribunato della Plebe (Hoepli, 1932)
si mostra che 1’ impero si costitui deformando e nell’ istesso tempo
assorbendo la potestà tribunicia. « L'impero non era, in ultima
analisi, che il trionfo della democrazia [più esatto sarebbe dire :
demagogia], e se chi aveva fondato il suo potere sul partito democratico,
non poteva abolire la pericolosa magistratura, non gli restava che
appropiarsela nella sua sostanza, se non nella forma esteriore... Cosi la
temuta magistratura, nata per difendere la libertà del popolo, che
conteneva perciò elementi di sovranità atti a svilupparsi in
tirannide... costituiva ora l’essenza del potere civile del monarca
» (pag. 1 59). — 11 contegno adulatorio e vilmente opportunistico
comincia con gli uomini il cui prototipo è Attico. “ C’est assurément ce
qui nous répugne le plus dans sa vie ; il a mis un empressement fàcheux à
s’accomoder au regime nouveau (Boissier, Cicéron et ses amis.] politiche,
abili a restar sempre a galla, “ huic se dent, se daturi sint , sia pure
perchè terrorizzati, sebbene essi ora dicano che lo erano quando ossequiavano
Pompeo (Ad Alt.); come essi se^ venditant a lui, mentre i'municipi fanno di lm
vero Deum (ib. Vili, 16), e il grosso
del pubblico sta inerte, passivo, indifferente, non pensa che alla
propria tranquillità (“ otium ), non rifiuta, come non ha mai rifiutato,
nemmeno la tirannide dummodo otiosi essent, non si occupa che dei
campi, delle ville, dei quattrini, nihil prorsus aliud curant nisi agros,
nisi villulas, msi nummolos suos (ib. Vili, 13) ; atonia che si aggravo
ancora più tardi quando diventava po^ tenie Antonio : “ mihi stomachi et
molestiae est populum romanum manus suas non in defendenda
YA/I own, " plaudendo consumere (Ad Att. AV| . lU- Ma questa
prosternazione e adula- (I) Anche qui si riscontra un parallelo
nella potente e \ ibrante invettiva di Demostene per l’inerzia dei
Greci del suo tempo. Non e senza ragione (egli dice) che i Greci
una volta avevano a cuore la libertà e ora invece hanno a cuore la servitù.
Gli è che allora (prosegue) vi iTera^ C ° Sa 'vi ^ ^ Persian ° e
fece la Grecia def rarH mVlnC |! bl 6 “ T* ® “ mare : ed era la
fermezza (Filla 36 C 37ìT 81 asciavano corrompere e comprare
uiterr di bene ** Gr “ j .',, 1 era un tempo non avere
fil ventre el’ ^ “7 qUa 'Ì la misura della felicità e il ventre e 1
inguine (xig yaatpl jisxpoOvtsc xaì iole V ' l0X ° tS Tr ' v £tJ
°aqtovtav) l a libertà fu bevuta alla ] zione universale, questo continuo
panegirismo ormai diventato di prammatica, non è, per C., se non
un’universale falsificazione di coscienza, quella stessa per cui più
tardi egli osservava che i cittadini gementi sotto l’oppressione avevano
dato a Cesare colpevole dell’ orrendo parricidio della patria il
titolo di parens patriae : “ potest cuiquam esse utile faedissimum et
taeterrimum parricidium patriae, quamvis ìs, qui se eo abstnnxerit, ab oppressi
civibus parens nominaretur ?,, {De Ojf. Ili, 83) . Questa situazione che
fa fremere d’orrore C. (2), nella quale egli trova che non c e
salute di Filippo e di Alessandro. E, data questa vostra viltà e
servilità, (dice altrove) è mutile che speriate nella malattia o nella
morte di Filippo : anche se muore, vi creerete tosto voi stessi un altro
Filippo, "ay^Éu; upet; gxepov OIXiotvov Tìsir/ae-re (Fil.). In
questo stesso luogo, volendo C. dimostrare che l'utile e il giusto non
possono distinguersi, scrive fra l'altro : « Hanc cupiditatem [quella di
Cesare di voler dominare tirannicamente la patria] si honestam quis
esse dicit, amens est ; probat enim legum et libertatem mteritum,
earumque oppressionem taetram et detestabilem glonosam putat ». Come,
aggiunge, può essere ciò utile all usurpatore? Anche i re legittimi hanno
avversari ; « quanto plures ei regi putas, qui exercitu popuh romani populum
ipsum romanum oppressisset ? Ricco com’era d’un pathos etico affine a
quello di Kant, si intuisce chiaramente dalle sue lettere e dai
suoi scritti che egli sentiva profondamente, come il filosofo
tedesco, che il “ dovere relativo alla dignità dell umanità in noi, e che
è per conseguenza un dovere verso noi piu posto“ non modo pudori,
probitati, virtuti, rectis studiis, bonis artibus, sed omnino Iibertati
ac Dh - V. 16), gli appare sopraia!, basata sulla menzogna e
sul falso, perchè sotto 1 adesione, 1 adulazione, l’apoteosi che
l’atmosfera ufficiale orma, impone, circola larghissimamente quel
malcontento e quell’esecrazione generale verso ì distruttori dello Stato
legale, che egli constatava già precedentemente quando essi avevano
iniziata tale loro opera di demolizione (“ sumiTITJm odium omnium
hominum in eos qui tenent omnia ; mutationis tamen spes nulla Ad Alt. Il, 22).
Questa esecrazione generale, sotto le parvenze dell’ossequio più profondo, s’è
ora concentrata in Cesare, il quale, dopo poco tempo di dominio, ormai
in realta persino “ egenti ac perditae multiludini in odium
acerbissimum venerit. Invero, Cesare stesso sapeva d’essere odiato e di
dover esserlo, sopratutto per la posizione di superiorità e
distanza, così urtante al senso cittadinesco romano, che egli aveva finito per
prendere : dopo la sua uccisione, Mazio racconta a C. che
stess., può esprimersi in modo più o meno chiaro nei seguent, precetti:
non siate schiavi degli uomini: non permettete che, vostri diritti siano
impunemente calpestati (Dottr. della
Virtù). Che è, del resto, il precetto evangelico : \ii) r £veafre SotW.c-
àv&pdmwv (1, SU V1 ’ 2 ' 3 1 t V Xeu ^ e P t( É Xptaxòs
UylCWXw!]) ^ ” 4Xlv tu r» G. Reati . Vita parallele di due
filosofi avendo dovuto una volta Cesare far fare anticamera a quest
ultimo, aveva detto : se un uomo come C. deve attendere per essere
introdotto da me e non può a piacer suo parlarmi, “ ego dubitem
quin summo in odio sim ? (Ad Att.
XIV, 1 e 2) (I). A proposito dell’uccisione di Cesare. Vi sono
molti i quali pensano che perchè Bruto era stato « perdonato » da
Cesare e poi anzi « beneficato », egli dirigendo « il tradimento e
l’uccisione del suo benefattore », abbia dato « perfido esempio di cuore
ingrato e irreverente » (Corradi). Questa opinione è la tipica prova della
completa mancanza d’ogni senso di ciò che è diritto. Proprio il
fatto che Cesare gli aveva * perdonato », doveva essere per Bruto
una giusta ed onesta ragione di più per abbonirlo. Bruto aveva preso le
armi contro Cesare in difesa dello Stato legale : dunque conforme al
diritto. Decidere sul suo caso, condannarlo od assolverlo, spettava alle
autorità legali (Senato), non a un individuo. Il solo fatto che non già
le leggi o le autorità legalmente costituite, ma l’individuo
Cesare, potesse a suo beneplacito interrompere o far proseguire i
processi, ordinare condanne o assoluzione, assolvere Bruto, « perdonare »
a Bruto (quasiché condannare od assolvere, e, peggio, « perdonare »,
supposto si trattasse di delitto, fosse di competenza d’un individuo, e
quasiché questo stesso fatto non comprovasse lo sfasciamento dello
stato legale compiuto da Cesare) era una ragione di più per avversare e
condannare legittimamente l’uomo e il sistema, e per ricorrere ad ogni
mezzo onde liberarsene. — Che, per citare un altro fatto, onde far
ritornane Marcello dall esilio ì senatori abbiano dovuto pregare un
individuo, gettarsi ai piedi d un individuo, dell' individuo Cesare,
è un fatto che doveva legittimamente suonar condanna per [Era,
insomma, la situazione che un filologo italiano contemporaneo descriveva di
recente crn tutta esattezza così : “ La crescente potenza di
Cesare, il quale, dopo la funesta giornata di Farsalo, erigendosi a signore
assoluto, e sopprimendo la libertà della vita politica di Roma, aveva,
per primo, inaugurato la lunga e mostruosa serie degli
questo individuo, che si sovrapponeva in tal guisa alle leggi : condanna,
anche quando « perdonava », perchè precisamente così dimostrava che
dipendeva, non più dalle leggi assolvere o condannare, ma da lui
perdonare o no. Piena ragione ha Seneca quando in un capitoletto
pieno di considerazioni interessanti circa l’atto di Bruto, dice
che egli non aveva ragione di gratitudine verso Cesare, perchè
questi non aveva acquistato il diritto di fare il bene se non violando il
diritto e perchè chi non uccide non arreca un beneficio, ma si astiene da
un maleficio : in ius dandi beneficii iniuria venerai; non enim servavit
is, qui non interficit, nec, beneficiun dedit, sed missionem » (De
Benef.). Del pari piena ragione ha C., il quale, ad Antonio, che gli
rinfacciava come un benefizio usatogli di non averlo ucciso al suo sbarco
a Brindisi, rispondeva : questo è lo stesso beneficio di cui potrebbe
vantarsi un assassino per non aver ucciso taluno : quod est aliud
beneficium latronum, nisi ut commemorare possint iis se dedisse vitam,
quibus non ademerint ? » (Fil. II, C. 111). E si noti ancora che Seneca e
Lucano, vivendo entrambi alla corte di Nerone, il quale, pure, era della
casa Giulia, poterono il primo dare a Bruto la massima delle lodi
facendo dire da Marcello a sè stesso : “ tu vive Bruto miratore contentus
(Ad Helviam), il secondo dipingere
nel suo poema con smaglianti colori di grandezza morale “ magnanimi pectora
Bruti (11, 234 e s.). ] imperatori
romani ; la viltà degli adulatori, che disertavano il partito dei vinti
per quello più vantaggioso dei vincitori ; le mene degli ambiziosi, che,
r er trar partito dalle circostanze ad accumular potenza e ricchezze,
pullulavano su su dal fondo di quella corrotta società, come
marcida fungaia dal fondo d’un’ acqua stagnante ; le crudeltà dei
prepotenti, che volevano, anche a mezzo di violenze e di sangue, aprirsi
un varco nella folla dei concorrenti a quella specie d’albero della
cuccagna ch’erano le usurpazioni dei poteri dello Stato con le loro mille
seduzioni e promesse di dominio e di saccheggio dei beni pubblici e privati
; il vivo cordoglio e l’abbandono sconsolato in cui vivevano, nell’esilio
volontario o non volontario, le anime dei virtuosi e degli onesti,
fautori del partito repubblicano ; tutto insomma contribuiva a
mostrare l’immagine dell’irreparabile catastrofe... Anziché assopirsi,
cresce a dismisura nelle classi non mai dome nel loro caratteristico
orgoglio, il malcontento per il nuovo regime... La miseria intanto cresce
spaventosamente in Roma e nella provincia ; lo spettro della fame
s’aggira nelle campagne desolate e incolte dell’ Italia ; le classi
medie e il popolino sono ridotti alla miseria ed alla disperazione...
Torme di miserabili si vedono per ogni dove languire d’ozio e di fame (I) U. Moricca, Introd. a C. De
Finibus, Torino, Chiantore,. Ora, tanto appare a C. falsa e
menzognera la situazione che egli è certo che non può durare. La
maschera di clemenza di Cesare e le sue bugie circa la restaurazione
finanziaria (divitiarum in aerario ) sono cadute; è impossibile che egli
e i suoi, non d’altro capaci che di scialacquare, riescano ad
amministrare soddisfacentemente le provincie e lo Stato ; cadranno da sè, per
gli errori propri, “ per se, etiam languentibus nobis,,, “ aut per
adversarios aut ipse per se, qui quidem sibi est adversarius unus
acerrimus ; questa tirannide non
può reggere sei mesi, “ iam intelliges id regnimi vix semenstre esse
posse. Probabilmente, ciò di cui C. avrebbe sopratutto incolpati i
cesariani è che essi cadevano in quell’errore che il Romagnosi descrive così :
“ La temerità e l’intolleranza sono i vizi che sogliono guastare questo
procedimento [inventivo dell’ incivilimento). Si pecca di temerità allorché si
tentano innovazioni o rifiutate dalla natura o non preparate sia nei
fondamenti, sia dal tempo. Si pecca d’intolleranza allorché si vuole
seminare e raccogliere ad un sol tratto, e però si passa ad infierire contro
attriti che da se stessi vanno cessando in forza della riforma
fondamentale già praticata. Siate severi nel mantenere la giustizia, e nel
rimanente lasciate operare il tempo sul fondo ben disposto. 1 vostri
stimoli artificiali, le vostre correzioni minute, invece di giovare
nuociono, invece di affrettare ritardano; e se per caso avrete un frutto
precoce, ne avrete mille falliti » {Dell’ Indole e dei Fattori dell’
Incivilimento, Avvertimento finale). Auree parole d’uno dei nostri massimi
pensatori politici, che andrebbero anche oggi meditate e tenute presenti. Alle]
Tale previsione di C. andò incontro ad nna smentita colossale. Quella “
divinatio dell’andamento degli eventi
che egli, ricavatala dallo studio e dalla pratica, aveva la coscienza di
possedere ( 1 ), qui gli fallì del tutto. E' vero che Cesare quali vanno
accostate, sempre ad illustrazione del sentimento politico, che, in quelle
perturbate circostanze, si sprigionava vivo in C., le seguenti: “ guai a
quel popolo, nel quale, spento il punto d’onore, non prevalgono che
poteri individuali! (/,/. di Ciò. FU
Giurispr. T e ° r \. P \ 1,1 C - 1V ): nonché la sua
affermazione dei diritti dell uomo, da lui chiamati originaria padronanza
naturale di ogni individuo. Quelli che vennero appellati diritti
dell'uomo formano appunto il complesso di questa originaria padronanza.
L’indipendenza, la libertà 1 eguale inviolabilità e il diritto di difesa
e di farsi render ragione, sono tutte condizioni di questa originaria
padronanza (Lett. a G. Valeri). Cu,
quidem divinationi hoc plus confidimus, quod ea nos mhil in his tam
obscuris rebus tamque perturbatis umquam omnmo fefellit. Dicerem, quae
ante futura dixissem, ni vererer ne ex eventis fìngere viderer. Ad
Dio.Exitus, quem ego tam video animo, quam ea quae ocuiis cemimus. Ad
Dio.Tamquam ex aliqua specula prospexi tempestatem futuram (Ib. IV, 3). Questa sicura previsione
degli eventi, questo sicuro presentimento, C. lo possedeva in effetto.
Anche nella circostanza suaccennata egli prevedeva giusto, preveveva cioè
quello che tutto faceva ritenere dover accadere. Se i fatti si
svolsero in senso del tutto opposto alla sua previsione, si può, in
un certo senso, dire che ebbero torto i fatti, non C. Cioè che la realtà è
irrazionale e casuale, e che mai vi tu un periodo di storia che sia stato
come quello irrazionale e casuale.] è ucciso poco dopo e probabilmente lo
fu quando e perchè divenne chiara a tutti l’impossibilità in cui
egli era di dominare la situazione, di riordinare cioè seriamente lo Stato e di
soddisfare insieme le brame dei suoi seguaci , cosicché Mazio — uno dei
pochi cesariani onesti, che, come risulta da una sua nobilissima lettera
(Ad T)iv. XI, 28), non aveva sfruttato Cesare vivo, e che gli
rimase fedele anche morto, e anche durante quel momento in cui, subito
dopo l’uccisione del dittatore, il cesarismo sembrava crollato e i cesariani
in pericolo — diceva, deplorandone la morte: che catastrofe ! non
c’è più rimedio ; se lui, con 1’ ingegno che aveva, non trovava la via
d’uscita, (exitum non reperiebat), chi la troverà ora ?,, (Ad Att. XIV, I
). Ma dopo la morte di Cesare, come appunto prevedeva Mazio le cose
finirono per peggiorare rapidamente. Anche C. è costretto a constatarlo. Il tiranno perì
(egli dice) ma vive la tirannia (Ad Att.); Va però tenuta presente
anche la profondissima osservazione di Montesquieu : « Il étoit bien
difficile que Cesar pùt défendre sa vie ; la plupart des conjurés
étoient de son parti ou avaient été par lui comblés de bienfaits :
et la raison en est bien naturelle. Ils avoient trouvé de grands
avantages dans sa victoire : mais plus leur fortune devenoit meilleure,
plus ils commen 9 oient à avoir part au malheur commun : car, à un homme
qui n’ a rien, il importe peu à certains égards en quel gouvernement
il vive » (Grandeur et décadence cfr. XI). ] d siamo liberali dal re
dai regno (yìj Di,. ’ /aj' fi
marzo non consolano più come pnma (Ad AH.): " stolta L iZZ
Martmrum consolano, animis usi sumus virilibus cooubs puenbbus ; excisa
est arbor, non avulsa ^ i, fi ; e st . a ‘° Iasc,al ° vi vo in
Antonio 1 erede del regno (ih. XIV, 21); si poteva con piu
libertà parlare contra illas nefarias partes xiv r vivo che non
ucci - tó ' X V ’ 1 : lnfine crebbe meglio che Cesare
vivesse ancora “ nonnumquam Caesar desiderandus. Infatti, la situazione
era diventata quale la descrive ad Attico così • “ S ed vides magistrati
; si quidem illi magistratus'; vides tyranni satellites m impems ; vides
eiusdem exercniis ; vides in latere veteranos. In conseguenza il sistema di
governo che C. prevedeva non poter durare un semestre, durò invece,
continuamente aggravandosi o peggiorando per quattordici secoli, cioè per
quanto visse l’impero bizantino. Ma la fallacia di questa
previste la torio all. mente di C.. E' la fallacia propria
delle menti profondamente razionali, che hanno una fede inconcussa nella
ragione ; e la mente di C. era appunto secondo la felice dennizione
che ne dà Io Zielinski, un “ Aufkàrungsvers tand» (I). A codeste menti è
impossibile (I) O. c. P . 147. ammettere che la mostruosità,
l’irrazionalità, l’assurdo vengano a tradursi permanentemente nel fatto,
si facciano solida e stabile realtà. "Ciò è assurdo, quindi è
impossibile ; questo è per siffatte
menti un canone assolutamente insopprimibile, sradicando il quale
essa sentirebbero di strappar le proprie medesime radici. A cagione della
stessa forza della loro compagine razionale, è ad esse impossibile
riconoscere che il fatto che una cosa sia assurda non impedisce
menomamente che essa divenga realtà e che anzi quasi sempre nella storia
umana avviene che ciò che all’ inizio la mente scorgeva come cosa “
assurda », “ pazzesca , implacabilmente ciò non ostante si realizza. Come
buon platonico C. non poteva a meno di essere fermamente convinto
che oòx eattv Sit àv xij |a£r;ov xoótotj xaxòv TTaìfoi y) Xóyou?
(juar^aag (Fed. 89 d.). Nel logos egli aveva indefettibile fede. Egli
scorgeva dietro a sè, fin dove 1 occhio della memoria poteva
giungere, soltanto governo di popolo. Questo era per lui una conquista
permanente» della civiltà, la civiltà stessa, la civiltà che non può perire.
Con tale forma di governo il suo spirito si era immedesimato ; essa
faceva parte essenziale della sua coscienza d uomo, formava il cardine su cui
poggiava tutta la sua vita spirituale. Pensare che tale [Che
tale stato d'animo fosse non solo “ ciceroniano ma “romano,,, emerge anche da ciò che l’indignazione
per la caduta di quella forma di governo si formi potesse crollare e
permanentemente scomparire, era come pensare che potesse precipitare
tutto ciò che si è sempre visto stabile, la terra, il sistema solare, ciò
che è l’incarnazione di un’eterna legge della natura. Sempre gli uomini quano
si sono trovati in una fase di cangiamento analoga a quella in cui
si trovò C._e tanto più quanto più la loro mente era
fortemente razionale hanno emesso la medesima errata previsione di lui ;
ciò è assurdo, quindi impossibile, quindi non può durare. prolunga sino
in S. Ambrogio, in cui, da signore romano d antica razza quale era, la
romanità viveva ancora, “ Hic erat pulchemmus rerum status, nec
insolescebat quisquam perpetua potestate, nec diuturno servitio
frangebatur. Nemo audebat alium servitio premere, cuius sibi successuri
in honorem mutua forent subeunda fastidia; nemini labor gravis quem
dignitas «ecutura relevaret. Sed postquam dommandi libido vindicare coepit
indebitas et ineptas nolle deponere potestates... continua et diuturna
potentia gignit msolentiam. Quem invenias Hominem qui sponte
deponat impenum et ducatus sui cedat insigne, fiatqe volens numero
postremus ex primo ? {Hexameron,
XV). ... osa et nota : lo
stesso errore, la stessa illusione— nobilissimo errore ! —
troviamo, come già si e rilevato, in Demostene, il dramma della cui vita
fa esattamente riscontro a quello di C.. Anche Demo- j. en e . p - e - ne,,a seconda Olintiaca prevedeva
che la potenza di rilippo era alla fine ; npÒQ a ùvfjv tfy.ec ~riv
teXsut^v t« «payiiax aòttji (§ 5). E questa previsione era per lui
principalmente fondata appunto sul fatto che una potenza costrutta sulla
malvagità non può durare. Oò yàp gcmv, ] Il dramma, terribile dramma,
della vita di C., è appunto questo. II dramma dell’uomo oìjy.
laxiv, u> àvopEg ’Avrjvatoi, àSixoùvta -/.al èruop- xoOvxa xa:
^£'joÓ|ìsvov Sóvajuv j3ej3aiav XTiqaaad’at... xwv jrpà^ewv xàg àp%à<;
xxl xàg ÒTtofliaeig àX^S-sT; xa’. òtxaiag Etvai /tpcaTjxei (§ 10). E
nemmeno dieci anni dopo Filippo trionfava definitivamente a
Cheronea. Ad ogni momento troviamo questi pensieri nelle orazioni
di Demostene, che perciò sono cosi istruttive circa le illusioni in cui
il « razionalismo » induce gli uomini. Ma neppure la battaglia di
Cheronea guarì Demostene dal1 illusione. Plutarco narra che quando Filippo fu
assassinato, Demostene comparve nell’assemblea, raggiante,
tpatSpòg, splendidamente vestito, incoronato : con la morte
dell’uomo, secondo lui, la costruzione improvvisata ed effimera
doveva certo crollare. E quando Alessandro si fece avanti a sorreggerla
Demostene rideva di quel ragazzo imbecille, ndsioa xai |ia T txT)V
(Plot., Dem. § 23). Ma la costruzione fondata sulla perfidia, e che
perciò, secondo Demostene, non poteva reggersi, sboccò invece nel trionfo
addirittura fantastico ottenuto appunto da Alessandro. Gli uomini
non possono rassegnarsi a credere che una politica malvag-a possa
ottenere un successo duraturo, che il male trionfi permanentemente. Pur
troppo, invece, è questa una pia illusione; e le cose vanno precisamente
cosi. E gli astrattisti, 1 « razionalisti », gli spiritualisti, non
sanno ricavare dal male che sotto ì loro occhi permanente trionfa, neppure
quell unico bene che vi si potrebbe ricavare : quello cioè di essere
definitivamente istrutti dell andamento assolutamente arazionale, alogo, ateo,
del mondo e della vita. Chiusi nel loro mondo dei meri concetti, è a
quelli e alle deduzioni da quelli che continuano a credere, anziché
aprire gli occhi ai fatti. < Sapiunt alieno ex ore petuntque res ex
auditis potius quam sensibus ipsis » (Lucr.). che con disperazione vede
rovinare intorno a sè senza possibilità di salvezza il mondo civile
di cui la sua più intima vita stessa era intessuta, il mondo
razionale e trionfare ineluttabilmente, in causa impia, victoria etiam
foedior ( T)e Off. 11, c. Vili),
l’ingiustizia ed il male, una forma di mondo umano impensabile assurda,,.
11 dramma della coscienza eticamente desta che vede con orrore ciò che
essa giudica aberrazione morale e iniquità acquistare ufficialmente il
carattere di nobiltà, grandezza, elevazione, e avviarsi a restare
definitivamente sotto questo aspetto nella storia. Quando si fa a poco a
poco chiaro nella mente di C. 1 ineluttabilità dell’evento, quando
egli è ormai costretto a vedere che non c’è più speranza, a domandarsi: “
quae potest spes esse in ea republica, in qua hominis
impotentissimi (violento) atque intemperantissimi armis oppressa
sunt omnia ? (Ad Div. XI); quando deve
constatare che “ tot tantìsque rebus urgemur, nullam ut allevationem
quisquam non stultissimus sperare debeat (Ad Div.), il suo strazio non ha
confini- Ciò che già precedentemente, quando tale condizione di cose si
delineava, egli cominciava a sentire, civem mehercule non puto esse
qui temporibus his ridere possit (Ad. Div. II, 4), diventa ora il suo
stato d’animo permanente. La vita non ha più sorriso : “ hilaritas illa
nostra erepla mihi omnis est. Il suo grido è quello del coro degli
Spiriti nel Fausi. Du hast zerstòrt Die schòne
Welt Mit màchtiger Faust ; Sie stiirzt, sie zerfàllt
! Ein
Halbgott hat sie zerschlagen ! Wir tragen Die Triimmern
ins Nichts hinuber Und kiagen Uber die verlorne
Schòne. Questo dramma strappa
a C. espressioni di dolore profondamente dilacerante. E la sua
corrispondenza è forse la lettura più viva che l’antichità e probabilmente la
letteratura d’ogni tempo ci offra, appunto perchè, come in nessun altro
scritto, vi si scorge con l’immediata evidenza della vita vissuta e quasi
vedessimo la cosa svolgersi giorno per giorno sotto i nostri occhi, come
sotto quel dramma sanguini il cuore d’un uomo. Certo anche la
terribilità della sua rovina personale affligge gravemente C.: “ natus enim ad
agendum semper aliquid dignum viro, nunc non modo a gendi
rationem nullam habeo, sed ne cogitandi quidem (Ad Div.) ; ed egli ha ragione di
deplorare di essere stato travolto proprio nel momento in cui avrebbe
potuto e dovuto, cogliendo il frutto dell’opera della sua vita, toccare
l’apice della sua carriera. “ Omnis me et industriae meae fructus
et fortunae perdidisse. “ Casu nescio quo in ea tempora aetas nostra
incidit, ut cum maxime florere nos oporteret, tum vivere edam
puderet. Certo anche la rovina che incombe sulla sua famiglia e
specialmente sulla sua figlia lo tortura. “ Quibus in miseriis una
est prò omnibus quod istam miseram patre, patrimonio, fortuna omni
spoliatam relinquam (Ad Att.). Ma ciò che forma il crepacuore di C.
non è la sua situazione personale, bensì il baratro in cui è precipitato
lo Stato.' “ Sed tamen ipsa republica nihil mihi est carius (Ad Dio.). Ego enim
is sum, qui nihil umquam mea potius, quam meorum civium causa fecerim. Ma
ora ? “ Ego vero, qui, si loquor de re publica, quod oportet,
insanus, si, quod opus est, servus existimor, si taceo, oppressus et
captus, quo dolore esse debeo ? (Ad Att.). Due sono sopratutto le note in
cui erompe 1 espressione di questo suo strazio. In primo luogo,
andarsene, andarsene dovunque, pur di non veder più simili cose: “
evolare cupio et aliquo pervenire ubi nec ‘Pelopidarum nomea nec facta
audiam egli ripete con un tragico antico (Ad Att.); “ ac mihi
quidem iam pridem venit in mentem bellum esso aliquo exire, ut ea
quae agebantur hic, quaeque dicebantur, nec viderem nec audirem (Ad ‘Dio. ); “ longius etiam cogitabam ab urbe
discedere, cuius iam etiam nomen invitus audio. Tu mi sembravi pazzo
(scrive a Curio) quando abbandonasti Roma per la Grecia, ora veggo
che sei “ non solum sapiens, qui hinc absis, sed etiam beatus :
quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus potest ? (Ad Db.). E’ il desiderio che si fa
strada persino nei suoi trattati, p. e. nelle Tusculane, dove parlando di
Damarato. Io giustifica cosi : “ num stulte anteposuit exilii libertatem
domesticae servituti ? O, se andarsene non si può, almeno ritirarsi
in solitudine : “ nunc fugientes conspectum sceleratorum, quibus omnia
redundant, abdimus nos, quamtum licet, et saepe soli sumus (De Off.). In secondo luogo,
morire. “ Perire satius est, quam hos videre (Jd Db.) < Mortem] quam etiam beati
contemnere debebamus, propterea quod nullum sensum esset habitura (I),
nunc [Che cosa pensi intimamente C. della vita futura, risulta, non
già dal quadro, avente scopi puramente estrinseci, che traccia nel
Somnium Scipionis. ma dalla sua corrispondenza Oltre il passo sopra
ricordato, e due altri, (Ad Dw.) ricordati più innanzi, basterà
citare: « Fraesertim cum impendeat, in quo non modo ^ or,*. v erum finis
etiam doloris futurus sit » (ib. Vi, 4). E anche in altre opere di C.
questo suo vero pensiero si manifesta. Cosi nelle Tusculane: Mors.
aeternum nihil sentienti receptaculum ». Cosi in Pro Marcello c Q uo d
(la fine) cum venit, omnis voluptas preterita prò mhilo est, quia postea
nulla est futura» Cosi in Pro Cluentio (cap. LXI § 171): «quid ei
tamdem almd mors eripuit, praeter sensum doloris ?] sic affecti, non modo contemnere debeamus,
sed etiam optare » ( ib. V. 21); la filosofia sembra <
exprobrare quod in ea vita maneam, in qua nihil insit, nisi propagatio
miserrimi temporis > ; non si sa < si aut hoc lucrum est aut
haec vita, superstitem reipublicae vivere >; « nam mori millies praestitit
quam haec pati > (Ad. AH.) ; « eis conficior curis, ut ipsum
quod maneam in vita, peccare me existimem > (Ad Div. IV. 13); « mortem cur
consciscerem causa non visa est, cur optarem, multae causae > (ib.
VII, 3). In uno spirito, così profondamente romano, cioè volto all’attività
pratica e civica, la desolazione dello Stato faceva spuntare questo
pensiero : « Ipsi enim quid sumus ? aut cum diu haec curaturi sumus ? »
(jdd Att. XII, li); * quid vanitatis in vita non dubito quin
cogites > (Ad Div.). Cosi, pur nell'atto che prevede la prossima
caduta del cesarismo, dice : Allo stesso modo la pensava Cesare, il
quale nel discorso, riferito da Sallustio, da lui tenuto in Senato circa
la pena da darsi ai complici di Catilina, si oppose alla pena di
morte appunto perchè con questa cessa la coscienza e quindi ogni male : «
Eam cuncta mortalia dissolvere ; ultra neque curae neque gaudio locum
esse» (Cat. LI). Va però notato che C. dà un’altra interpretazione
a questo punto del discorso di Cesare. Cesare cioè era contrario
alla pena di morte. Egli « intelligit, mortem a diis immortalibus non
esse supplici causa constitutam, sed aut necessitatem naturae, aut
laborum ac miseriarum quietem esse » (In S. Catilinam).] id spero vivis
nobis fore ; quamquam tempus est nos de illa perpetua iam, non de hac
exigua vita cogitare » (Ad. Att.). E il pensiero della morte come
unico scampo e rifugio viene a grandeggiargli dinanzi in modo, che bene spesso
lo vediamo insinuarsi anche nei suoi scritti teorici : così, p. e.,
nel proemio del terzo libro del De Oratore: sed 11 tamen rei publicae
casus secuti sunt, ut mihi non erepta L. Crasso a dis immortalibus vita,
sed donata mors esse videatur > (IH, 2); e così nelle Tusculane : «
multa mihi ipsi ad mortem tempestiva fuerunt, quam utinam potuissem obire
! nihil enim iam acquirebatur, cumulata erant officia vitae, cum fortuna bella
restabant. Morte per sè, morte per coloro che amiamo ; questo soltanto è
ciò che lo « status ipse nostrae civitatis » ci costringe a desiderare
: « cum beatissimi sint qui liberi non susceperunt, minus autem
miseri qui his temporibus amiserunt, quam si eosdem, bona, aut denique
ahqua republica, perdidissent... non, mehercule, quemquam audivi
hoc gravissimo, pestilentissimo anno adolescentulum aut puerum mortuum, qui
mihi non a Diis immortalibus ereptus ex his miseriis atque ex iniquissima
conditione vitae videretur > (Ad Div.V. 16). Ne solo nell animo
di C. il trovarsi « in tantis tenebris et quasi parietinis rei publicæ
induce il desiderio di sfuggire a questo sfacelo con la morte ; ma tale
sentimento era certo diffuso. Nella bellissima lettera con cui
G. Renai • Vita parallele di due filosofi] Servio Sulpicio cerca di
consolare C. per la morte della figlia, 1 argomento principale che
egli fa valere e, nelle circostanze presenti, “ non pessime cum iis esse
actum, quibus sine dolore licitum est mortem cum vita commutare e che Tullia visse finché visse lo
Stato, “una cum republica fuisse (Ad
Dio.) ; al che C. dolorosamente risponde che l’attività pubblica lo
consolava dei dolori domestici, l’affettuosa intimità con la famiglia
delle traversie pubbliche, ma ora “ nec eum dolorem quem a re publica
capio domus iam consolari potest, nec domesticum res publica (ib. IV, 6). Ed anche in Catullo, il disgusto
invincibile suscitatogli dai “ turpissimorum honores , disgusto che
faceva gemere dal suo canto C., cosi ; “ o tempora ! fore cum dubitet
Curtius consulatum petere ? (Ad Att.
XII, 49, e circa Vatinio II, 9) suscita 1’ aspirazione alla morte
(LII) : Quid est, Catulle ? quid moraris emori ? Sella
in curulei struma Nomus sedet, Per consulatum peierat Vatinius
; Quid est, Catulle ? Quid moraris emori ? Donde attinge C.
qualche conforto in questa immensa iattura ? Non dal foro che egli
(interessante confessione) dichiara di non aver mai amato e nel quale del
resto oggi non c’è più nulla da tare : “ quod me in forum vocas, eo
vocas, unde, etiam bonis meis rebus, fugiebam : quid enim mihi cum
foro, sine iudiciis, sine curia ? (Jld Jltt. XII, 21). Era il momento in
cui i vincitori della violenta lotta politica, giravano per Roma
baldanzosi ed allegri, e i sostenitori dello Stato legale, battuti, erano
melanconici : “ Mane salutarne domi et bonos viros multos sed tristes, et
hos laetos victores, qui me quidem perofficiose et peramenter observant {Ad Div.). Due di essi, anzi, Irzio e
Dolabella, si erano messi a prender lezioni d’eloquenza da lui, o forse,
con questo pretesto, lo sorvegliavano per conto di Cesare. Anche queste
lezioni recano a C. qualche sollievo {yld Di\>. IX, 18). In maggior misura,
egli ne ricava dal far udire, quando e come era possibile, qualche parola
di ammonimento. Così, pur avendo risoluto di non più parlare in
Senato, allorché sulla universale istanza di questo, Cesare
amnistia Marcello (che non aveva fatto nessun passo per essere richiamato
e sembrava non desiderarlo e che fu, del
resto, assassinato da un suo impiegato nel momento in cui stava per
partire alla volta di Roma), C. prende la pa- (0 La voce dei
gaudenti sfruttatori di situazioni immorali rinfaccia sempre a coloro che le
condannano, come un torto, di essere afflitti o melanconici. Cosi quella
voce si fa udire, secondo Seneca : c Istos tristes et superciliosos
alienae vitae censores, suae hostes, publicos paedagogos assis ne feceris
» (Ep.). ] rola per ringraziare il dittatore ; ma sa anche attraverso i
ringraziamenti esporgli il parere più libero e ^coraggioso che forse mai
Cesare abbia sentito. “ Quodsi rerum tuarum immortalium (egli ha 1
ardue di significargli) hic exitus futurus fuit, ut devictis adversariis
rem publicam in eo statù relinqueres, in quo nane est, vide quaeso, ne
tua divina virtus admirationis plus sit habitura quam glonae . (Pro
Marc. Vili). Tu devi, egli incalza, preoccuparti della vera gloria, del
giudizio che daranno i posteri sulle tue azioni, saper considerare ciò
che tu fai, non cogli occhi abbacinati dei contemporanei, ma con quelli di
coloro che giudicheranno le cose a distanza, nell’avvenire. Se tu non
avrai ristabilito la vera legalità nello Stato, tu sarai certo sempre
ricordato, ma non con giudizio concorde : “ erit inter eos etiam, qui
nascentur, sicut mter nos fuit, magna dissensio, cum alii laudibus ad
caelum res tuas gestas efferent, alii fortasse ahquid requirent, idque vel
maximum, nisi belli cmlis incendium salute patriae restinxeris, ut
illud fati fuisse videatur, hoc consilii (ib. IX). E questo un nobilissimo
linguaggio da cittadino onesto e d’animo forte ; linguaggio che,
bisogna riconoscerlo, Cesare sa ascoltare, come altri e ben più
vivaci attacchi contro di lui, con tolleranza ed equanimità, “civili
animo,, (Svet,, Caes., 75). Anche C. nella sua corrispondenza talvolta
constata che Cesare andava orientandosi a mitezza. P. e.:] L intolleranza, 1
oppressione, 1 uso del potere per far tacere censure al detentore di
esso, e persino per impedire di rispondere agli attacchi, comincia
con Augusto ; ed è ciò che fa uscire Asinio Pollione (lo stesso, alla nascita
del cui figlio il servile Virgilio, pronto a vendersi a tutti i potenti e
a prostituire poi il suo genio a colui che tra questi occupa nella
storia per bassezza e nequizia uno degli “ nam et ipse, qui
plurimum potest, quotidie mihi delabi ad acquitatem et ad rerum naturam
videtur Ad Dio. VI, 10!, Che cosi
fosse (ed è la stessa cosa che accadde con Augusto) è naturale, perchè,
se un uomo non è straordinariamente perverso, il suo grande successo e
trionfo personale lo rende incline alla benevolenza verso gli
altri, a diffondere anche intorno il sentimento di felicità che il
successo gli dà. Solo un uomo dal cuore fondamentalmente malvagio nel suo più
pieno e grandioso trionfo, quando ogni cosa gli va a seconda, diventa
sempre più duro e crudele, e non è pago se non condisce quel
trionfo col darsi la sensazione di poter a suo beneplacito tormentare,
perseguitare, far soffrire altri uomini. Tale era Siila, secondo le
parole che Sallustio mette in bocca ad Emilio Lepido : “ Cuncta saevus
iste Romulus, quasi ab externis rapta, tenet, non tot exercituum clade
neque consuhs et aliorum principum, quos fortuna belli consumpserat, satiatus :
sed tum crudelior, curri plerosque secundae res in miserationem ex ira
vertunt (Hist. Fragni.). Raramente, si,
ma però talvolta avviene che un uomo, favorito dalia più straordinaria fortuna,
diventi sempre più bramoso di far del male agli altri. “ Felicitas in
tali ingenio avaritiam, superbiam ceteraque occulta mala patefecit (Tac., Hist.] Itimi posti, Ottavio, dedica la
sconciamente cortigiana e piagg.atr.ee Egloga) nell’elegante
epigramma, riportato da Macrobio (Satura II 4) che non si può più
scrivere dove in risposti si può proscrivere : temporibus triumviralibus
PoIIio cuna fescenmnos,n eum Augustus scripsisset, ait: g
taceo ; non est emm facile in eum scribere qui potest proscribere
(2) Più ampio conforto ricavò C. dagli studi, bbene una volta
fuggevolmente accenni che forse senza la sua cultura sarebbe più atto a
resistale! exculto emm animo nihil agreste, nihil inhuma- Si vegga
nel libro diV. Alfieri D»/ p •, » I J1 '> e la dimostrazione che questa
viltà ha in Virg.ho guastato l’arte. “Quella parte divTna e ha per
base il vero robusto pensare e sentire tm-,1 niente manca in VIRGILIO (si
eda) (L.) “ V -esse avuto
nell’animo quella P napesco, assai maggiore sarebbe stato egli
stesso e quindi assai maggiore il suo libro (L. II C VI • vegga anche il C. Vili) E
il Canti 1 . Ci j ;•, C S ‘
uh. ed. I. 582 n 94.«V- r ÌU '. Sorla de S^ Italiani, V l D <
’ VIRGILIO (si veda) si lascia
traricchire anche Boissier, Lopposition sous tes Césars p. I3Ì”
RnU 1 j- qUe f°, . t epigramma ’ senza citare la fonte il Les
e Rom P - r0ba . b,,mente a memor ia, la seguente versione: Les Komains
disaient avec raison qu’ il est rare mi’ num est . (Ad Alt.) ; e sopratutto
dallo studio della filosofìa, la passione per la eguale '’quotidie ita
ingravescit, credo et aetatis maturitate ad prudentiam et his temporum
vitiis, ut nulla res alia levare animum molestiis possit. (Ad Dio. IV, 4). Le sue lettere di
questo periodo sono piene delle sue attestazioni che non vive se non
negli studi filosofici e non trae conforto che da essi. Ad
aumentare questo conforto, ad aiutarlo a stornare il pensiero dalle
calamita dello Stato, s aggiunge la sua attività di scrittore. Sono questi gli
anni della sua intensa e feconda produzione filosofica. Nisi mihi
hoc venisset in mente, scribere ita nescio quae, quo verterem me non
haberem (Jld Alt.) Equidem credibile non
est, quantum scribam die, quin etiam noctibus, nihil enim sommi. “ Nullo
enim alio modo a miseria quasi aberrare possum. Vero è che le
afflizioni e le ìnquietitudmi, I incertezza dell’avvenire, derivanti dal
pessimo andamento degli affari pubblici, non permettono piena pace
nemmeno nello studio : Utinam quietis temporibus, atque aliquo, si
non bono, at saltem certo statu civitatis, haec inter nos studia exercere
possemus ! Però, appunto in tali
circostanze, “ sine his cur vivere velimus ? (Ad Dio. IX, 8). Così nascono i trattati di
filosofia di C., circa i quali si cita sempre per aiutare a deprezzarli
la fuggevole frase “ sono copie cascatagli dalla penna scrivendo al suo
amico e certo come convenzionale espressioni t Xlì Vf fr ° nte j
1Iammiraz ' on e di lui (Ad X ’ ’ ma 51 dimentica di affrontare
tale fra e con le sue numerose e consuete esternaziom dalle quali
risulta che ben altra era la stima ch’egli off" 3 de ‘ pr0pr
;. scrltti ' “ Res difficiles (ib.
XII 38) egli dice di star scrivendo ; quanto alle Jìc- G Q
rto -5 C ° nVInt,° “ U ‘, Ìn f3lÌ 8 enere ne aVud, cos quidem simile quidquam le chiama “ argutolos libros ^ XIli.Y 8,00^ XIII 19? ac n ra ?
posset supra ” r/4. ); 1 libri del De Oratore gli sono “ ve hementer
probati (ib.) e così il De Finibus ib ?AJ ÀI XvT i, soddisfa
Attico bl v ’ im7 e M) e l0ra,OT L'P'a (M AA- ( ’ 8 ^
eSpnme anehe,a sua Propria soddisfazione per queste due opere ; »
mihi vakle pbcent, maHem tibi dice dei libri, perduti d!
Giona (Ad Ali XVI, 2). In particolare, i| e sua opere filosofiche le
Tusculane, che facilmente si prendono per un mero esercizio letterario,
sono invece un libro profondamente vissuto, rampollato da a tragica
realtà di vita i cui C." si dibatteva e che come tale, come idoneo cioè a
fornir conforto e forza in quelle circostanze doveva essere generalmente
sentito, e certo da Attico se C. gl, scrive : “ quod prima disputatio
Tuscu ana te confirmat, sane gaudeo : neque enim ndhim est perfugium aut
melius aut paratius (XV, 2 e v. anche XV, 4). Bel libro, che in ogni
epoca, nelle medesime circostanze da cui esso è nato, è servito allo
scopo per cui era stato scritto : “die Eroica der romischen Philosophie
come con calzante espressione lo definisce lo Zielinski. Ma il supremo conforto
di C. è un altro. Esso consiste non tanto nell’ immergersi
nella filosofia come un’occupazione mentale opportuna a distornare
il pensiero da quello che poi Lucano, il grande poeta anticesariano,
definirà “ ius sceleri datum, quanto nel rivivere in sè i concetti della
filosofia come atti a fornire forza d'animo per affrontare e sopportare le
sciagure derivanti da una situazione politica e sociale particolarmente triste
: filosofia cioè non come “ostentationem scientiae, sed legem vitae ( Tusc.). Anche in lui, per usare
l’espressione di cui poi si servì Marco Aurelio zi 5 óypaia. Giustissimamente
Moricca. Saremmo forse anche noi tentati di ritenere l’operetta tulliana
un’amplificazione rettorica, se non pensassimo che quelle parole...
furono scritte per una generazione d’uomini... nelle cui orecchie esse...
andavano diritte al cuore . Un libro di morale dell’epoca di C. è da
considerarsi non come una fredda e vuota argomentazione rettorica bensi
come un’eco squillante delle voci del passato, che sale dalle tombe e vince i
secoli. Secondo il testo di Trannoy, Les Belles Lettres. bisogno di
vivere tali precetti A' i,• . ventar succo e sangue e il f T l d ‘ faHl
dl gere a ciò, C. Lnl f" 0 S ° rZ ° per 8 iun ' maniera
singola,«sima, scnVoSo^v"' 0 i'I “ na consolazione a se stesso “ D •
Un ^ ro dl profecto anfe me TeZ. ^Z 'T consolarer ; que m librum
jf . me per i‘ tera s serint librari; affirmo tibi^nuLm” 3 " 1 S
‘,^'P' esso talem ; totos die® U c °nsolationem quid, sed t
n^sper 1 C ;,b ° 5 T“ qU ° proflci ™ XII 14) p t,sper im P e dior,
relaxor (Ad 4tt « 'a ll'Tlzr
™ di r'* d«e meditazioni morali!^ e8mam0 le Mslre
'4«fr-r v lLStó et,r°d servire 4 stoicismo, di cui poi in,CaZI
° ne Pra ' ÌCa de,, ° e d oppressivi, uomm Lme° Tm "p" ^
tehi vid.o Prisco fornirono ° Peto ed EI ’ e che
successivamente si anc ° Ta p ‘ù insigni, .1 hiosofo :z :L: r, ai
^ cristiano, il sacerdnie • ’ p ° SCIa> n el mondo ci
i,Tat' e ' x:; a ” d f « molti tenevano costantemente in d m ° nre
’ anZI rettoredi coscienza e confortatore, iHoro ZofoOX .(I)
Plauto, fatto morire da Neron» • mi istanti assistito e confortato dai “
/ V ‘ ene " ei 3U0 ' u,tl Cerano e Musonio (Tac., Ann. XwTv)),
Trlse^’’] O Socrates et socratici viri ! (esclama C., qui, veramente riguardo a
traversie di carattere privato). Numquam vobis gratiam referam Un
immortales quam m ihi ista prò nihilo,, (Ad Alt. XIV, 9). Attico (egli
scrive al suo liberto e segretario Tirone) mi vide agitato, crede che sia sempre
lo stesso, “nec videt quibus presidii philosophiae septus sim (Ad Div.). La disperata e rovinosa
condizione dello Stato “ quidem ego non ferrem nisi me in philosophiae
portum contulissem (ib. VII, 30). “
Equidem et haec et omnia quae homini accidere possunt sic fero ut
philosophiae magnam habeam gratiam, quae me non modo ab sollecitudine
abducit, sed etiam contra omnes fortunae impetus armat, tibique idem
censeo faciendum, nec, a quo culpa absit, quidquam m malis numerandum (Ad Di\>. XII, 23) E noi
vediamo veramente questo pensiero centrale dello stoicismo, cioè lo
sforzo di distornare il proprio interesse da ogni cosa esteriore per
concentrarlo unicamente nel nostro comportamento, e m ciò trovare
appagamento e pace (questo, come si può chiamare, ottimismo della
disperazione, che e il solo che resta nei momenti di maggiormente
infelici condizioni esterne, perchè vuole appunto, riconoscendo tale
inguaribile infelicità, trovare an Demetrio: e Seneca dice di Cano.
dato al supplizio da Caligola, “ prosequebatur illuni Losophus suus (De Tranq. An.). man phi- ] cora
una tavola di salvezza), vediamo questo pensiero centrale dello stoicismo
svelarsi sempre più chiaro agli occhi di C. e proprio come postogli
innanzi delle circostanze di fatto. “ Sic enim sentio, id demum, aut
potius id solum esse miserum quod turpe est (Ad Att. Vili, 8 e v. anche X, 4). “
Video philosophis placuisse iis qui mihi soli videntur vim virtutis
tenere, nihil esse sapientis praestare nisi culpam (Jld Dio. IX, 19). Cogliamo il procedere
di questa appassionante tragedia, per cui un uomo di indole ilare e
disposto a gioire delle cose, degli spettacoli naturali, delI arte, della
letteratura, delle relazioni sociali, delI attività pubblica e anche della
ricchezza, è, a poco a poco, dal rovinio politico, risospinto entro
se stesso e costretto a vedere e cercare la felicita soltanto nel proprio retto
comportarsi. Le meditazioni filosofiche (scrive a Varrone) ci recano ora
maggior frutto “ sive quia nulla nunc in re alia acquiescimus, sive quod
gravitas morbi tacit, ut medicmae egeamus eaque nunc appareat,
cuius vim non sentiebamus cum valebamus (Ad r i0 ’ IX> 3 \
Naturalmente con questo alto sentimento a cui C. è ora pervenuto, il pensiero
della morte, qui fonte anchesso di consolazione e forza, viene a intrecciarsi.
“ Nunc vero, eversis omnibus rebus, una ratio videtur, quicquid e
veni t ferre moderate praeserlim cum omnium rerum mors sit extremum magna
enim consolatio est cum recordere etiamsi secus acciderit te tamen
recta vereque sensisse (Ad Div.). “ Nec enim dum ero angar alia re,
cum omni vacem culpa ; et si non ero, sensu omnino carebo (ib. VI, 3) Il crollo dello Stato è cosa
gravissima, “ tamen ita viximus et id aetatis iam sumus, ut omnia
quae non nostra culpa nobis accident, fortiter ferre debeamus (Jld Div. VI, 20). E tali
pensieri, tali alti ed austeri conforti ed incoraggiamenti, i grandi
spiriti di quel periodo si scambiavano tra di loro, prova, sia di quanto
il dolore per la catastrofe dello stato era largamente sentito, sia
dell’estensione che a lenimento di questo dolore siffatto ordine di
pensieri allora aveva preso. È la genuina visuale stoica a cui i
nefasti avvenimenti politici ha tutti guidati. Non aliundo pendere, nec
extrinsecus aut bene aut male vivendi suspensas habere rationes (Ad Div.). Se C.
ad ogni momento ripete di sè quidquid acciderit, a quo mea culpa absit,
animo forti feram (Ad Div.), nec esse ullum magnum malum praeter culpam.
Sed tamen vacare culpa magnum est solatium. Se per sè pensa -- fortunato,
quam existimo levem et imbecillam, animo firmo et gravi, tamquam fluctum a
saxo frangi oportere. Se l’esperienza di quella dolorosissima fase
lo fa approdare alla definitiva conclusione che -- in omni vita sua quemque a
recta conscientia transversum unguem non oportet discedere (Ad Att.) —
queste sono amici, « a Lucccio7“'“ 8 “ 1
humanas contemnentem et opule Cont r 7 c g vi {Ad0
7 casu, et deiicto h Z,n non aP r l “ 1U,piludi ”' non veri (ih V |7) ’ M a i ° rum ln,una commo Pme.;/
cu,pl'ai picca,tT'° ; " “ÌJ digni et Ss TstrrdublteTo; ea
maxime conducant ! P ° SSimus ’ V. 19 ) : e a Torquato ‘ ‘ f T
Tectl8s (A. praesertim quae
absit a ancora a Torauato “
P ) e delio Stato) vereor ne I ^ n 3 ' (,a rovina teperiri,
praete, i|| am q “ a TtaMa"e“ “ P °7 “r: e, atque
noTZIt,» questi sentimenti ogni IralToìtTd' !“l “ 7 ° a
anch’egli aveva bisogno ’’No|!\e oh 7 ? scrive Sulpicio in morte di
Tullia) Cicerón 1 et eum aui a Ine ' '-',cer
°nem esse 9 ' 3l,,S COnsuer,s Praecpere et dare conIli
silium quae alns praecipere soles, ea tute tibi subirne, atque apud
animum propone; vidimus aliquotiens secundam pulcherrime te ferre
fortunam fac ahquando intelligamus adversam quoque té aeque ferre
posse. Dalle lettere di C. si potrebbe così ricavare un antologia di massime di
vita stoica da servire efficacemente in ogni tempo al ripresenarsi di
analoghe circostanze (e tale è forse sopratutto la ragione per cui queste
lettere suscitarono in ogni tempo I ammirazione, anzi il culto di nobili
animi), pm efficacemente ancora che non i suoi trattati, come le
Tusculane e il De Officiis, ove egli dava sistemazione teorica alle
medesime idee 1 qual, però appunto perchè non contengono se’ non quelle
dee morali che, suscitate in C. dalle vicende di ogni giorno, riempiono
la sua corrispondenza, ci si ridimostrano, non mere esercitazioni letterarie,
ma anzi libri cresciuti su dalla vita vera e scritti col sangue che le
ferite inferte da questa facevano stillare dal suo cuore. «
Herzenphilosophen > chiama giustamente C. lo] Plutarco racconta (Oc
49) che un giorno OTTAVIANO essendosi accorto che un suo nipote scorgendolo
nascondeva impaurito un libro sotto la oga, glielo prese, e visto che era
di C. ne lesse un tratto, poi lo reshtui al ragazzo, dicendo • uomo
dotto e amante della patria, Xó r,o : *vl' ?. «rat, io T,o £ *«l Tardo
(come al so’ hto) riconoscimento del meriti di colui che egli aveva
raggirato, tradito, abbandonato al carnefice Ma C. e qualcosa di più.
Spirito altissimo e st'anzetn m n “'T'? 1 "” da »! le circoero
\ j " 6 r 1 ' **' vivere,
espres. sero, m ragione di tale sua sensibilità, una soma
d dolore enorme, egli seppe da questa esperienza d, dolore trarre
un-espenenza morale di elevazione e di purificazione del dolore
stesso nel fuoco della filosofia intesa come via, di cui molti e b
dTrendl' ' aPaC '' QUeS '° * P a,ll “ la "”ente ciò che rende
appassionatamente attraente la sua grande figura alla quale
veramenle-secondo un penTero che trova eco sino m Giovenale (Vili,
243)-e Roma' ltf !a " “ u la 8erva arl “lazione lo dava
Sr p a,t a, a, ' ebl> ' a,hibl,Ì, ° N di ' P ad Sed Roma
parentem, Roma patrem patriae C.m libera dixit. Platone C. Ultime
pubblicazioni dello stesso Autore Pesco Piente Fu, un [Mi|an0i
CogliariJ. f? Ap ° r ' e Jella R'Hgiont [Catania, - Etna 1 Motwl
Spirituali Platonici [Milano, Gilardi e Noto] nSTT, d ' W Jr
aZl0nalim0 |N«poli. Guida], Materialismo C c0 [R om ., CaS a Pagine di
Diario : Scheggio [Rieti, Biblioteca Editr.J, Cicute [Todi,
Atanórj. Impronte [Genova, Libt. Ed. Italia] Sguardi [Roma.
La Laziale], Scolli [Torino, Montes, 1934], Imminenti : Critica
deir Amore e del Lavoro [Catania. Critica della Morale [Catania, “ Etna
..Etna. Achilli, A., et al. 2007. "Mitochondrial DNA variation of modern
Tuscans supports the Near Eastern origins of Etruscans." American Journal
of Human Genetics 80:759-68. Adams, Douglas Q. 1988. Tocharian Historical
Phonology and Morphology: New Haven: American Oriental Society. - 1999. A
Dictionary of Tocharian B. Amsterdam: Rodopi. Adams, D(ouglas] Q. and J.
P. Mallory, eds. 1997. The Encyclopedia of Indo-European Culture. London:
Dearborn. -, eds. 2006. The Oxford Introduction to Proto-Indo-European
and the Proto-Indo-European World. Oxford: Oxford University Press.
Adams, J. N. 1977. The Vulgar Latin of the Letters of Claudius Terentianus (P.
Mich. VIII, 467-72). Manchester: Manchester University Press. Wackernagel's
Law and the Placement of the Copula esse in Classical Latin. PCPhS Supplement
18. Cam-bridge: Cambridge Philological Society. Wackernagel's Law and the
position of unstressed personal pronouns in Classical Latin." Transactions
of the Philological Society 92:103-78. . 1996. "Interpuncts as evidence for the enclitic
character of personal pronouns in Latin." Zeitschrift für Papyrologie und
Epigraphik 111:208-10. . 2003. Bilingualism and the Latin Language. Cambridge: Cambridge
University Press. .. 2007. The Regional Diversification of Latin 200 BC-AD 600.
Cambridge:
Cambridge University Press. Adiego Lajara, Ignacio-Javier. 1992. Protosabelio,
Osco-Umbro, Sudpiceno. Barcelona: Promociones y Publicaciones
Universitarias de Barcelona. . 1993. Studia Carica: Investigaciones sobre la escritura
y lengua carias. Barcelona: Promociones y Publicaciones Universitarias. . 1999. "Sobre la
correptio iambica del drama latino arcaico." In Estudios de métrica
latina, ed. Jesús Luque Moreno and Pedro Rafael Díaz y Díaz, 1:55-67. Granada:
Universidad de Granada. . 2001. "Lenición y acento en protoanatolio." In Anatolisch und
Indogermanisch: Akten des Kolloquiums der Indoger-manischen Gesellschaft,
Pavia, 22.-25. September
1998, ed. O. Carruba and W. Meid, 11-18. Innsbruck: Institut für Sprachen und
Literaturen der Universität Innsbruck. The Carian Language. Leiden: Brill. Agostiniani, Luciano. 1977.
Iscrizioni anelleniche di Sicilia: Le iscrizioni elime. Florence: Olschki. . 1992a.
"Contribution à l'étude de l'épigraphie et de la linguistique
étrusques." LALIES 11:37-74. . 1992b. "Les parlers indigènes de la
Sicile prégrecque." 11:125-57. .
1995. "Sui numerali etruschi e la loro rappresentazione grafica."
AION(ling) 17:21-65. . 1997.
"Sul valore semantico delle formule etrusche 'tamera zelarvenas' e 'tamera
Sarvenas." In Studi linguistici of-ferti a Gabriella Giacomelli dagli
amici e dagli allievi, [ed. Amalia Catagnoti et al.], 1-18. Padua: Unipress. La defixio di carmona (Siviglia) e lo sviluppo
dei nessi consonantici con /j/." In Italica Matritensia: Atti del IV
Convegno SILFI: Società internazionale di linguistica e filologia italiana
(Madrid, 27-29 giugno 1996), ed. Maria Teresa Navarro Salazar, 25-35. Florence:
Cesati. . 2003. "Le iscrizioni di Novilara."
In I Piceni e l'Italia medio-adriatica: Atti del XXII Convegno di studi
etruschi ed italici, Ascoli Piceno, Teramo, Ancona, 9-13 aprile 2000, 115-25.
Pisa: Istituti editoriali e poligrafici internazionali. Ahlquist, Helge. 1909.
Studien zur spätlateinischen Mulomedicina Chironis. Uppsala: Berling Albright,
Adam. 2005. "The morphological basis of paradigm leveling." In
Paradigms in Phonological Theory, ed. Laura Downing, Tracy Alan Hall, and
Renate Raffelsiefen, 17-43. Oxford: Oxford University Press. Allen, W.
Sidney, 1953. Phonetics in Ancient India. London: Oxford University
Press. 1973. Асселі ad Rhyriam: Prosodic Features
of Latin and Greek. A Stady in 'Tneury and Reconstruction. Cambridge: Cambridge
University Press. 1978, Vox Latina: A Guide to
the Prononciarion of Classical Latin. 2nd ed. Cambridge: Cambridge University
Press. 1987. Vax Grueca: A Guide to
the Prominciation of Classical Greek, 3rd ed. Cambridge: Cambridge University
Press. Alvar, Manuel, A. Lorente, and G. Salvador. Atlas linguistico y
etnográfico de Andalucia. Granada: Universidad de Granada, Consejo
Superior de Investigaciones Cientificas. Alvar Ezquerra, Manuel. 1999.
Atíns lingiistico de Castilla y León. Valladolid: Junta de Castilla y León,
Consejeria de Educación y Cultura. Alvarez Rodríguez, Adelino,
2001. El futuro de subjantiva: Del lurin al romcnce. Málaga: Analecta Malacitana. Amadasi Guzzo, Maria
Giulia. 1990. Iscrizioni fenicie e puniche in ftait Rome: Libreria dello
Stato. Andersen,
Paul Kent. 1983. Word Order Typology and Comparative Constructions. Amsterdam:
Benjamins. André, Jacques, 1978. Les mats à redoublement en latin. Paris:
Kliocksieck. Anglade, Joseph. 1921. Grammaire de lancien provenptl, ou
ancienne langue doc. Paris: Klincksieck. Anteiter, Peter, and Erzsébet
Jerem, eds. 1999, Studia celtica et indogermanica: Festschrift für Wolgang Meid
zum 70. Geburtstag,
Budapest: Archaeolingua. Antonsen, Elmer H. 1975, A Concise Grammar of
tire Oider Runic buscriptions. Tübingen: Niemeyer. Anttlia, Raimo. 1972.
An Entrocluction to Historical and Comparative Lingwistics. New York:
Macmillan: Arad, Maya. 2003, "Locallty constraints on the
interpretation of roots: 'The case of Hebrew denominal vers."
Natural Language and Linguistic Theury 21:737-78. Arapojanni, Xeni,
Jöeg Rambach, and Louis Godart, 2002. Kavkania: Die Ergetnisse der Ausgrabung
von 1994 muf dem Hilgel von Agrilitses, Mainz: von Zabern.
Arce-Arenales, Manuel, Melissa Axelrod, and Barbara Fox, Active voice and
middle diathesis." In Fox
and Hopper 1-21. Arena, Renato, Iscrizioni greche arcaiche di
Sicilia e Magna Grecia. Milan: Cisalpino-Goliardica. Arias Abellán, Carmen. 2002. "Les
dérives latins en -arius." In Kircher-Durand 2002, 161-84. -, cd.
2006. Latin vulgaire, latin tardif VII: Actes du Vilême Colloque international
sur le latin vulgaire et tardif. Seville: Universidad de Sevilia. Arnold, The
teratination -ersis." Clussical Revlew 3:201-2. Aronofi, Mark 1994.
Morphology by Itself Stems and infiectional Classes. Cambridge, MA: MIT
Press. Aronoff, Mark, and Kirsten Fudemao. 2005. What is Morphology?
Malden, MA: Blackwell. Aruma, Peetec, Ursiavische Grammatik: Binführung
in das vergleichende Studium der slavischen Sprachten. Heidelberg:
Winter. Ascoli, Zur lateinischen Vertretung der indogermanischen
Aspicaten" Zeitschrift für vergleichende Sprachforsching 17241-81,
321-53. - 1873. "Saggi
ladini" Archivio giottologico italiano Attenni, Luca, and Daniele Maras. Materiali
arcaici dalla collezione Dionigi di Lanuvio ed il più antico alfabetario
latino." Studi etrusciti Aura Jorro, E 1985-93. Diccionario micénico. Madrid:
Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, Instituto de
Piblogia Bader, Françoise, 1962. La furmation des composés nominaux du latin. Paris:
Belles Lettres. -, ed. 1994. Langues insio-européennes. Paris: Centre
national de la recherche scientifique. Bakker, Egbert, 1994. "Voice, aspect and
Aktiansart: Middle and passive in Ancient Greek." In Fox and Hopper 2347.
Bakkum, Gabriel Cornelis Leonides Maria, 2009. The Lutin Dialect of the Ager
Faliscus: 150 Yeirs of Scholership. University of Amsterdam. Amsterdam:
Amsterdam University Press. Baldi, Remarks on the Latin r-form
verbs" Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung The Foundatians of
Latin, Berlin: de Gruyter. Balles, Die lateinischen Adjektive auf -idus
und das Calandsystem" In Tichy, Wodtko and Irslinger Latein,
Altgriechisch. Vol. 1 of Nominale Wortbildung des Indogermonischen in
Grundzigen: Die Wortili- dungsinuster augewähiter indogermanischer
Eincelsprachen, ed. Rosemarie Lahr. Hamburg: Kovne. Ballester, Xaverio, 1996. Fonemática
del latin clísico. Zaragoza: Departamento de Ciencias de la Antigüedad. Fonemática
de /u/ en latin." Faventia La tipologia y la fonologia latina." In IX
congreso español de estudios clásicos, ed. Francisco Rodriguez Adra-dos, 33-20.
Madrid: Sociedad española de estudios clásicos. Bammesberger, Alfred.
1984. Lateinische Sprachwissenschaft. Regensburg: Pustet. Der Aufban des
germanischen Verbalsystems. Heidelberg: Winter. Die Morohnlogie des urgermanischen
Nomens, Heidelberg: Winter. , ed. 1998. Baltistik: Aufgaben und Methoden, Heidelberg:
Winter. Altenglisch
eard/eart "(thou) art" und Johannes Schmidts Beitrag zur Erklärung
des verbum substantivum im Germanischen." In Lochner won Hüttenbach Languages
in Preitistoric Europe. Heldelberg: Winter. Bandelt, Hans-Jürgen. 2004.
"Etruscan artifacts" American Joursal of Human Genetics Mosaics of
ancient misachonrial DNA: Positive indicators of nonauthenticity European
Journal of HHuman Genetics Barber, Eltzabeth Wayland. 1999. The Mummies
of Drümchi. New York: Norton. Barrack, Charles. 2002. "The giattalic
theory revisited: A negative appraisal" Indogermanische Furschunger The
glottalic theory revisited. Part 2: The typological fallacy underlying the
glottalic theory? Indogermanis che Forschnangen 108:1-16. Bartholomac,
Christian. 1979. Altistnisches Wörterbuch. Berlin: de Gruyter. A reprint of the
1904 original plus the 1906 suppiement. Bartoli, M. G. 1906. Dus Daimatische: Altromanische
Sprachweste von Vegla bis Ragusa and ire Stellung in der Apenni-
no-Balkanischen Romania Vienna: Holder. Bartonik, Antonin. 2003. Hundbuch des
mykenischen Griechisch. Heidelberg: Winter. Barwick, Carolus. 1964.
Flavii Sosipatri Charisti Artis Grammaticae Libri V. 2nd ed. Reprint of 1925
edition with ad. denda and corrigenda by E. Kähnert. Leipzig: Teuhner. Battisti, Carlo, and
Giovanni Alessio, 1950-57. Dizionario elizologico italiano. Florence: Barbèra. Bauer,
Charles Francis. 1933. The Latin Perfect Endings -ere und - erunt.
Philadelphia: Linguistic Society of America. Bechtel, Friedrich. 1921-24.
Dis griectischen Dialekte. Berlin: Weidmann. Beekes, Comparutive
Indo-European Linguistics An Introduction. Amsterdam: Benjamins. - 2002.
"The prehistory of the Lydians, the origin of the Etruscans, Tray and
reneas. Bibiothes Orientalis Belardi,
Walter, 1994. Prohio storico-politico della lingua e della letteratura ladina. Rome: Calamo, Beltrán
Cebollada, José Antonio, 1996. El itinitivo de narración en latin: Nueve
valoración del irfinitivo de narración en lutir en el periodo comprendido
entre Plauto y Tácita, Zaraguza: Universidad de Zaragoza. Benedetti, Marina. I composti radicali latini:
Ename storico e comparativo. Pisa: Glardini. 1995. Le consonanti dopo -au- fra lenizione e
rafforzamento: Un capitolo di fonetica storica latina e romanza. Pisa: Istituti
editoriali e poligrafici internazionali. , 1996. "Dittonghi e geminazione consonantica in latino: Un caso di
deriva." Studi e suggi linguistici La distesi nella terminologia antica e
moderna." In Dal 'paradigma alla parola: Riflesioni sul metalingua-gio
della linguistica. Alti del comegno, Udine-Gorizia, 10-11 febbraio 1999, ed.
Vincenzo Orioles, 209-34. Rome: Calamo. 2002. "Radici, moefemi nominali e verbali: Alla ricerca
dell'inaccusatività indoeuropea" Archivio giottolegico ital-dano 87:20-45.
Bennett,
Charles. Syntax of Early Latin. 2 vals. Boston: Allyn et Bacon. Benveniste,
Emile, 1935. Origines de la formation des nums en indo-caropéen. Paris:
Maisonneuve. , 1948. Noms dagent et noms daction en indo-européen. Paris: Maisonneuve. , 1949, "Sur quelques
développements du parfait indo-européen." Archivam Linguisticum Génitif et
adjectif en latin." Studi Clasico 2:65-7. 1971. "Active and middle voice in the verb."
In Problems in General Lingwistics, trans. Mary Elizabeth Meek, 145-51. Coral
Gables, FL: University of Miami Press. Originally published in Journal de
psychologic Bernard, Emanuei. 1960, Die Thesis der Priposition in lafeinischen
Verbalkamposita. Winterthur: Keller. Bernardi Perini, Giorgio, 1974. Due problemi di
fonetica latina. Rome: Atenco. Berlocci, I congiuntivi del tipo (ne)
atrigas in latin arcaico." Atti dell'stituto Venelo di scienze, lettere
al arti, Classe di scienze monali, lettere ed arti 164:243-86.
Bertolotti, Rosalinda, 1958. Saggio sulla etimologia popolare in latino e nelle
lingue rounanze. Milan: Paideia. Bettini, Maurizio, 1990. "La
correptio lambica." In Metrica dlessica e lingwistica, ed. Raberto Danese,
Franco Gori and Cesare Questa, 263-409. Urbino Quattro Venti.Bhille,
Frédérique. 1990.
Les emprunts du latin eu grec: Approche phonétique, Vol. 1, Istroduction et
consomantisme. Louvain: Peeters. 1991. "Existait-ll une diphthongue vi en latin?*
In Lingwistic Sincies on Latin: Selected Papers from the 6th International
Colloquiion on Latin Linguistics (Budapest, 23-27 March 1991), ed. Joszef Herman, 3-18,
Amsterdam: Benjamins. 1995. Les emprunts du latin au grec: Approche phonétique. Vocalisme et couchisions. Louvain:
Peeters. Blake, Barry Case. 2nd ed. Cambridge: Cambridge University
Press. Blänsdorf, Jürgen, ed. 1995. Fragmenta poetarum Latinorion epicarm
el lyricorum practer Ennizm et Lacilum, 3rd ed. Stuttgart: Teubner.
Blaylock, Curtis. 1965. "The monophthongization of Latin AE in
Spanish." Romance Philology 18:16-26. Bobaljik, Jonathan David,
Forthcoming. "On comparative suppletion."
bobaljik.uconn.eda/files.html. Boldrini, Prosodie und Metrik der Rinser. Trans. Bruno W. Haupili.
Stuttgart: Teubner. Bolelli, Tristano. 1941. "Le voci di origine
gallica del Romanisches erymologisches Wörterbuch di W. Meyer-Lübke"
Ltalla dialettale Le voci di origine gallica del Romanisches etymulogisches
Würterbuch di W. Meyer-Lübke: Continuione" L'ltalia dialettale Bonfunte,
Giuliano. "Ideas
on the kinship of the European languages fram 1200 to 1800.* Cahiers d'histeire
mondiale 1:679-99. Boanet, Le latin de Gréguire de Tours. Paris: Hachette. Bopp,
Franz. 1820. "Analytical comparison of the Sanskrit, Greek, Latin and
Teutonic languages." Annals of Oriental Literature Bourciez, Edoward Eugène
Joseph, 1967. Eléments de linguistique ramane. Paris: Klincksieck. Boutkan, Ditk. 1996. A
Concise Grammar of the Old Frisian Dialect of the First Riastring Manuscript.
Odense: Odense University Press. Boutkan, Dirk, and Suerd Michiel
Siebings. Old Frisian Etymological Dictionary, Leiden: Brill. Boyce,
Bret, 1991, The Language of the Freedmen in Petronius' Cena Trimalchionis. Leiden: Brial. Bramanti, V. 1970. Filippo
Sassetti: Lettere da vari puesi, 1570- 1588. Milan: Longanesi. Bräuer, Herbert.
1961-69. Slavische Sprachwissenschaft. Berlin: de Gruyter. Braune,
Wilhelm, and Frank Heidermanns. 2004. Gothische Grammatik: Mit Lesesticken und
Wörterverzeichnis. 20th ed. rev. by Frank Heidermanns. Tübingen:
Niemeyer. Braune, Wilhelm, and Ingo Reiffenstein. 2004. Althochdeunche
Grammatik. 15th ed. rev. by Inge Reiffenstein. Tubin- gen:
Niemeyer. Breyer, Gertraud. 1993. Etruskisches Sprachgut im Lateinischen
unter Ausschluss des spezifisch onomastischen Bereiches. Louvain: Pecters.
Briquel, Dominique, 1992. "Le problème des origines étrusques."
LALJES 11:7-35. Bribe, Claude, 1991. "Le phrygien" In Bader Briche, Claude, and Anna Panayotou. 1991.
"Le thrace" In Bader 1994, 181-205. Broughton, The Magistrates
of the Roman Republir. Vol. 1. New York: American Philological As-
sociation. Brugmann, Kari. 1878. Preface to Morphologische Untersuchangen
auf dem Gebiete der indogermantischen Sprachen, by Hermann Ostholf and
Karl Brugmann. Heidelberg: Hirsel. , 1895. "Zur Gechichte der labiovelaren
Verschlusslaute im Griochischen." Berichte der Königlich sächsischen
Gesell-scheft der Wissenschuften, Philoingisch historische Kiasse 47.3:32-56. . 1897-1916. Grundriss der
vergleichenden Grammatik der indegermanischen Sprachen. 2nd ed. 5 vols.
Strassburg. . 1901. Kuzze vergleichende
Grammatik der indogermunischen Sprachen. Strassburg. . 1906. Grundriss der
vergieichenden Grammatik der indogermanischen Sprochen. Vol. 2, Part 1: Lehre
von den Wort-formen und ikrem Geinauct. 2nd ed. Strassburg: Trübner. 1925. Die Syntax des dinfachen
Satzes im indogermanischen. Berlin: de Gruyter. Brunner, Karl. 1965,
Altenglische Grammarik. 3rd ed. Tubingen: Niemeyer. Back, C. D. 1913,
"Hidden quantities again." Classical Review A Gramur of Oscan and
Umbrian. 2nd ed. Hoston: Ginn. . 1948. Comparative Grammar of Greek and Latin. 4th
printing, Chicago: University of Chicago Press.The Greek Dialects. Chicago:
University of Chicago Press. Busa, Roberto, 1988. Totius latinitatis
lemmata. Milan: Istituto Lombardo, Accademia di scienze e lettere.Butler,
Jonathan Lowell, 1971, Latin -inus, -ing, -inus and -ineus: From Profo-indo-European
to the Romance Lan-guages. Berkeley: University of Califoenia Press.
Butt, Miriam. 2006. Theories of Gase. Cambridge: Cambridge University
Press. Bybec, Joan, Revere Perkins, and William Pagluca, 1991. The
Bruittion of Grammar: Tense, Aspect, and Modalty in the Languages of the World.
Chicago: University of Chicago Press. Calabrese, Andrea, 2003. "On
the evolution of the short high vowels of Latin into Rocnance" In Romance
Linguistice Theory and Acquisition, ed. Ana Teresa Pérez-Leroax and Yves
Roberge, 63-94. Amsterdam: Benjamins. Calboli, Gualtiero, ed. 1990. Latin
vulgaire, Jatin tardif Il: Actes da Ième Colloque international sur le latin
vulgnine at lardif, Bologne, 29 ani-2 septembre 1988. Tubingen:
Niemeyer. -, ed. 2005. Papers on Grammar. Vol, 9, Latina Lingwa!
Proceedings of the Twelfth International Collogium on Latin Linguistics
(Bolognd, 9-14 Juse 2003). Rome: Herder. Callebat, Louis, ed. 1995. Latin
vulguire, latin tardif IVi Actes du de Collague international sur le latin
vindgaire el tandic Caen, Endesheim: Olms-Weidmann. Camodecz, G. 1999. Tabular Pompeionae Sulpicioram:
Edizious critio dellarchivio poteolano del Sulpicit. Rome Qua- sar.
Campanile, Enrica, 1961. "Elementi dialettali nella fonetica e
nella-morfologia del latino" Studi e saggi linguistici Due studi sul
latino volgare." E'ltalia dialettale I latino dialettale" In
Caratteri e diffusione del latino in età arcaica, ed. E. Campanile, 13-24. Pisa
Glar-dini. 1999. "Sai presenti proterodinamici
dell'indocuropeo." In Saggi di lingwistica comparativa e ricostriczione
culturale, ed, Maria Patrizia Bologna et al, 339-43. Pisa: Istituti editoriali
poligrafici internazionali. Campbell, Alistair. 1959, Old English Grammar,
Ohdord: Clarendon. Reprinted
with corrections 1962. Campbell, Lyle. 2004, Historical Linguistic An
Introduction. 2nd ed. Cambridge, MA: MIT Press. - Forthcoming, "Why
Sir Willam Jones got it all wrong, or Jones' role in how to establish language
familics." In Festschrift/Menorial Volume for Larry Thask, ed. Joseba
Lakarra. Candrea, L. A. and
Ov. Densusianu, 1914. Dicfionarul etimelogic al limbii romane: Elementele
latine. Bucharest:
Seeca- Jum. Cannon, Garland, 1990. The Life and Mind of Oriental
Jones: Sir William Jones, the Father of Modern Linguistics Cata- bridge:
Cambridge University Press. Cano, Rafael, ed. 2005. Historia de la lengua
españcla. 2ud ed. Barcelona: Ariel. Cariton, Terence K. 1991.
Introduction to the Phonological History of the Slavic Langriages Columbus:
Slavica. Carruba, Obofrio, 1970. Das Pulaische: Texte, Grammatik,
Lexikon. Wiesbaden: Harrassowitz. Casretto, Antje. 2004. Nominnie
Wortbikhung der gotischen Sprache: Die Derivation der Substantive, Heldelberg;
Win- ter. Castellanti, Arrigo, 1962. "La diphsongaison des eet o ouverts en
italien" In Actes du X° Congres incrnational de linguis- tique et
philologie romanes, ed. Georges Straka, 951-64. Paris: Klincksieck. Catford, A Practical
Introduction do Phonetics. 2nd ed. Oxford: Clarendan. Cavenaile, Robert.
1956-58. Corpus Papyrorum Latinarum. Wieshaden: Harrassowitz. Ceccarelli,
Lucio. 1999. "Note
sull'Endsilbenkürzung in Plauto." In Estudios de métrica latina, ed. Jesús Luque Mareso
and Pedro Rafaei Diaz y Diaz, 1:181-201. Granada: Universidad de Granada.
Chantraine,
Pierre, 1933. La farmation des noms en grec ancien. Paris: Champion. Reprinted
in 1979 (Paris: Klinck- sieck). 1953-58. Grammaire homérique. 2
vols. Paris: Klincksieck. 1999. Dictionaire étymologigue de la langue greoque. 2nd ed. Paris: Klincksieck. -
Cheung, Johnny, 2006. Etymological Dictionary of the Iranian: Verb. Leiden:
Brill. Christidis, A.-F, ed. 2007. A History of Ancient Greek: From the
Beginnings te Late Antiquity. Cambridge: Cambridge University Press.
Christol, Alain. 1991. "Lexical consequences of a phonetic law (*eye >
8) in Latin verbs." In New Studies in Latin Linguistice: Selected Papers
from the 4th International Colloquium on Latin Lingwistics, Cambridge, April
1987, ed. Robert Coleman, 49-62. Amsterdan: Benjamins. - 1996, "Te
rhotacisme" Latomus 55:806-14. 2005, "Subjonctif latin (-s-) et futur
indien (-sy-)." In Calboli 2005, 1:25-36. Chung, Sandra. 1983.
"Transderivational relationships in Chamorro phonology. Language
59-35-66.Churchill, J. Bradford. 2000. Dice and facie: Quintilian Eistitutio
Orutoria 1.7.23 and 9,4.39." American Journul of Philolagy
121:279-89. Cignolo, Chiara, ed. 2002. Terentiani Mauri de Litteris de
Syllabis, de Metris, Hildesheim: Olms. Cioranescu, Alexandru. 2001.
Dictionarui etimologic al limbii romane. Bucharest: Sacculum. Translated from Tudora
Sandru-Mehedingi and Magdalena Popescu-Marin, Diccionario etamológico nomano
(La Lagana, Canarias: Uni-versidad de La Lagana, 1954-66). Clackson, James. 1994. The
Lingwistic Relationship between Armenian and Greek. Oxford: Blackwell. The
word-order pattern magna cum laude in Latin and Sabellic" In Penney Indo-European
Linguistics: An Introduction. Cambridge: Cambridge University Press. Clackson,
James, and Geoffrey Harrocks. 2007. The Blackwell History of the Latin
Langwoge. Malden, MA: Blackwell, Cohn, Abigail C., and William H. Ham, 1999.
"Temporal properties of Madurese consonants: A preliminary report."
In Selected Papers from the Eighth International Conference on Austronesian
Linguistics, ed. Elizabeth Zeitoun and Paul Jen-kuei Li, 227-49, Taipel:
[Institute of Linguistics, Academia Sinical- Coleman, Hobert. 1971. "The
monophthongization of lae/ and the Vulgar Latin vowel system."
Transactions of the Philological Sociely Greek influence on Latin
syntax." Thansactions of the Philoiogical Society 1977:101-56. , 1990. "Dialectal
variation in Republican Latin, with special reference to Pracnestine"
Proceedings of the Cambridge Philological Society 216c1-25, Collart, Jean.
1960. "A
propos des études syntaxiques chez les grammairiens latins." Rulletin de
la Finculé des lettres de Strashug Reprinted in Collart 1975b,
195-204. , 1978a. "Doeuvre
grammaticale de Varron." In Collart 1978b, 4-21. ed. 1978b. Varron, grammaire
entique el stylistique latine. Paris:
Belles Lettres. Colanna, G. 1994. "Inediti, Lazio, Ager Signinus."
Studi Etruschi 60:298-301. Comric, Bernard, 1976. Aspect. Cambridge: Cambridge
University Press, 1985, Tense. Cambridge: Cambridge University Press. 1993. "Typology and
reconstruction" In Historical Lingwistics: Problents and Perspectives, ed,
Charles Jones, 74-97. London: Longman. Comrie, Bernard, and Greville G.
Cosbett. 1993. The Slavunic Langwages. London: Routiedge. Consejo Superior de
Investigaciones Cientificas, 1962. Arlas lingístico de la Península Ibérica.
Madrid: Consejo Supe- rior de Investigaciones Cientificas. Conway,
Robert S. 1893. "On
the change of d to I in Halic." Indogermanische Forschangen
2:157-67. Cooper, Frederic Taber. 1895. Word Formation in the Roman Sermo
Plebeius: An Historical Srady of the Devciopment of Vocabulary in Vinigar and
Late Latin, with Special Reference to the Romance Languages Boston: Ginn.
Cooper, Guy L. III. 1972. "In defense of the special dual feminine forms
of the article and pronouns to. taiv, Tata, raura, KTA. In Attic Greek."
Transactions of the American Pitilological Association Corbett, Greville G.
1991, Gender. Cambridge: Cambridge University Press. - 2000. Number,
Cambridge: Cambridge University Press. Cordes, Gerhard. 1973.
Aitniederdeutsches Blensentarbuch: Wort-und Lautichre. Heidelberg:
Winter. Corominas, Joan [Joan Coromines), 1980. Diccionario crítico
etinológico castellano e hispinico. With the collaboration of José A.
Pascual. Madrid: Gredos. - 1991. Diccionari elimologic i complementari de
la Hengua catalana. With the collaboration of Joseph Galsey and Max Cahner. Barcelona:
Curial Edicions Catalanes. Corriente, Federico, 1997. Poesia dialectel árabe y
romance en Alandalis: Cejeles y xarajat de muwaiahat. Madrid: Gredos. Cortelazzo, Manlio, Michele
Cortelezo, and Paolo Zoll. 1988. Dizionario ctimologico della lingua italiano. 2nd ed. Balogua:
Zanichelli. Courtney, Edward. 1995. Misa Lopilaria: A Selection of Latin
Verse Inscriptions. Atlanta: Scholars Press. Courtois, Christian, et al. 1952. Tablettes
Albertini: Actes privés de lépoque wandale (fin du V. siècie). Paris: Arts
et métiers graphiques. Cousin, Jean. 1951. Bibliographie de la
langue latine, Paris: Belles Lettres. Cowgill, Greek où and Armenian oc." Langwage
36:47-50. -, 1970. "Italic and Celtic superlatives and the dialects
of Indo-European" In Indo-Europen and indo-Europeans: Papers, ed. George
Cardona, Henry M. Hoenigswald, and Alfred Sena, 113-53. Philadelphia:
University of Pennsylvania Press. 1973. "The source of Latin stäre." Journal
of Indo-Europein Stadies The origins of the Insular Celtic conjunct and
absolute verbal endings" In Rix The source of Latin vis 'thou wilt"
Die Sprache The personal endings of theratic verbs in indo-European." In
Grimmutische Kategorien: Funktion und Ge-schichte. Akten der VII. Fachnogung
der Indogermanischen Gesellschaft, Berlin, 20.-25. Februar 1983, ed. Bernéried
Schierath, 99-108, Wiesbaden: Reichert. PIE "dugo "two in Germanic
and Celtic, and the nom-acc. dual of non-neuter o-sters" Milnchener
Stu- dien zur Sprachwissenschaft 46:13-28. 1987. "The second plural
of the Umbrian ver" In Festschrift for Henry Hoenigswald on the Occasion
of His Seven- fieth Birthday, ed. George Cardona and Norman H. Zide, Tübingen:
Narr. ,The cases of Germanic pronouns
and strong adjectives" In The Collected Writings of Warren Comgill, ed.
Jared S. Klein, Ann Arbor: Beech Stave, Crespo, Emilio, and José Luis Garcín
Ramón, eds 1997. Berthold Delbrück y la sintaxis indoeuropea hay: Actas del Coloquio de la
Indogermanische Gesellschaft, Madrid, 21-Madrid: UAM; Wiesbaden: Reichert. Cristofani, Mauro, 1996. "Sulla dedica di
Pyrgi." In Alle soglie della dessicità: Il mediterraneo tra tradizione e
lanovazi. ane. Studi in anore di Sabatino Moscati, od. Enrico Acquaro, Pisa:
Istituti editoriali e poligrafici inter-nazionali. Crookston, 1. Comparative
constructions." In Concise Escyclopedia of Grammaticul Categories, ed.
Keith Brown and fim Miller, 76-81, Amsterdam: Elsevier, Cugusi,
Paolo. 1992, Corpus epistularum latinarum papyris tabulis ostracis servatarum. Florence: Gonnelli. Cuny, Indo-curopéen
et sémitique" Revue de phométique Cupaiuolo, Fabio, Bibliografia delia
lingua latina, Naples: Leffredo Bibliografia della metrica latina. Naples:
Loffredo., 2004. "Rassegna bibliografica di studi di lingua latina
(1992-2003), Bolletino di studi latini Dahl, Osten. 1985. Tense and Aspect Systems.
Oxford: Blackwell, Darms, Schwüher und Schwager, Hahn und Fuhre Die
Vedahl-Ableitung in Germanischen. Munich: Kitzinger. De Bernardo
Stempel, Patrizia. 1999. Nominale Worthildung des älteren Irischen:
Stammbildung und Derination. Tübingen: Niemeyer. Kernitalisch,
Latein, Venetisch: Ein Btappenmodell" In Lochner von Hüttenbach et al.
2001, 47-70. Debrunner, Albert. 1954. Altindische Grammatik. Die
Nominalsufixe. Göttingen: Vandenhoeck et Ra- precht. De Coene, Italo-Celtic
after W. Cowgill." Bulletin of tine Board of Celtic Srudies
27:406-12. Delatte, L., et al. 1981. Dictiornaire fréquentiel et index inverse de la
langue latine, Liège: L.A.S.L.A. Delamarre, Dictionnaire de la langue
garloise: Une approche linguistique du viena celtique concincetal 2nd ed.
Paris: Errance. Delbrück, Berthold. Vergleichende Syntax der
indogermanischen Sprachen. Strassburg Trühner. Val. 1 1893, vol. 2 1897,
vol. 3 1900 = vols. 3-5 of the first edition of Brugmann and Delbrück's
Grundriss der ver- gleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen.
del Tutto, Loretta, Aldo Luigi
Prosdocimi, and Giovanna Rocca. Lángua e cultura intorno al 295 a.c. tra Roma e
gli italici del nord. In La battaglia del Sentino: Scontro fra nazioni e
incontro in una nazione, ed. Diego Poli, Rome: Calamo. De Marinis,
Rafface C., and Giuseppina Spadea, I Liguri: Un antico popolo curopeo tra Alpi
e Mediterraneo. Milan: Skira. De Martino, Marcello. 2000. "1
suoni di L ed L.L latine secondo i grammatici detà imperiale: Un tentativo di
'revisione" Inalogermavische Forschurgen I suoni di Led LL latine
secondo i grammatici d'étà imperiale: un tentativo di revisione: Il." Indogermanische Forschumgen de
Melo, Wolfgang David Ciriko. The type fitxo in Plautus and Terence" Oxford
University Working Rapers in Linguistics, Philologs and Phonefics
7:163-80. , 3005. "The sigmatic
subjunctive in Plautus and 'Terence" In Calboli The Barly Latin Verb
System: Ardhaic Forms in Piatus, Terence, and Beyond. Oxford: Oxfard University
Press.Demiraj, Bardbyl. 1997.Albanische Etymologien: Untersuchungen zum
albanischen Erbwortschatz. Amsterdam: Radopi. Demiraj, Shaban. 1993.
Historische Grammatik der albanischen Sprache. Vienna: Österreichische Akademie
der Wis- senschaften. De Nigris Mores, Sugli aggettivi latini in
-ax." Acme: Annali della
Pacoltà di Lettere e Fllosofia dell'Università degli Stadi di Milano, Derksen,
Rick, 2008. Elymological
Dictionary of the Slavic Inferited Lexicon. Leiden: Brill. de Saussure,
Ferdinand, 1878. Mémoire sur le système primitif des voyelles dans les langues
indo-europdennes. Leipzig: Teubner. -, 1909. "Sur les composés
latins du type agricuin." in Melanges offerts à Louis Mavet, 459-71.
Paris: Hachette. Re-printed in Recueil des publications scientifiques de
Ferdinand de Saussure, 583-94. Geneva:
Sonor, 1922. De Simone, Carlo, 1968-70. Die griechischen Entlehnungen im
Etruskischen. Wiesbaden: Harrassowitz Iscrizione messspiche della grotta della poesia."
Annali della Scola normale superiore di Pisa, Etrusco Emscie Mezendie."
Antiguité classique I Tirreni a Lemnos." Studi Etruschi 60:145-63. De
Simone, Carlo, and Simona Marchesini 2002. Monomenta linguae Messapicae.
Wiesbaden: Reichert. de Vaan, Michiel, 1997 [2000). Heview of V. Blabek,
Numerais: Companative-Etymolagion! Analyses of Numeral Systems und their
Implications (Saharin, Nubion, Figyption, Berber, Kartvelian, Uralic, Altaic
and Indo-European Languages) (Broe: Masarykova Univerzita, 1999). Die Spnache
39:239-44. , 2003. The Avestan Vowels, Amsterdam: Rodopi. , 2004. "Narten' roots from the Avestan
point of view" In Per aspera ad asteriscos: Studia Indogermanica in
honorem Jens Elmegänd Rasmussen sexogenarif Idibus Miartits anno MMIV, ed. Adam Hyllested et al., 591-99.
Inusbruck: Institut für Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck. 2008. Etymological Dictionary
of Latin and the Other alic Langwages. Leiden: Brill. Devine, A. M., and
Laurence ID, Stepbens, 1977, Two Studier in Lafin Phonalogy: Saratoga, CA: Anma
Libri. , 1980. "Latin prosody and
meter: Brevis breviens." Classical Philology 75:1-42-57. , 1994. Tie Prosody of Greek
Sprech. New York: Oxford University Press., 2006. Latin Word Order: Structured
Meaning and Information. Oxford: Oxford University Press. Devoto, Glacomo, 1929, "Italo-greco e
italo-celtico" En Salloge linguistica dedicata alla memoria di Graziadio
Isaia Ascoli nel primo cenfenario delia nascite, Tarin: Chiantore.
→ 1991. Storia detta lingun di Rama. 2nd ed. Bologna: Cappell. Heprint of 1944
edition with a new preface by A. L Prosdocimi. de Vries, Jan. Aitnondisches
etymologisches Wörterbuch. 2nd ed. Leiden: Brill. Dickey, O dee ree ple:
The vocative problems of Latin words ending in-eus." Glotta Diels, Paal, Alzkirchenslavische
Grammatik, mit einer Auswahl von Texten und einem Wörterbuch. Heidelberg:
Winter. Dietrich, A. 1852. 'Zur Geschichte des Accents im
Lateinischen." Zeirschrift für Vergleichende Sprachforschung 1:543-
S6. Di Giovine, Srudio sul
perfetto indoeuropeo, Vol, 2, La posizione del perfetto all'interno del
sistersa verbale indocurapea. Rocne: Dipartimento di stadi glottoantropologici
dell'Università di Roma "La Sapienza". Il perfetto indoeuropeo
tra endomorfismo e esomocásmo." In Penney 2004, 3-17. d'Ovidio, F.
1858. "Spigolature romanze dalle pagine d'un latinista." Archielo
glottologico italiano 10:413-46. Dressier, Wolfgang, 1965. "Die Funktion
des historischen Infinitlys im lateinischen Verbalsystem." Kratyias
10:191-6. Drexler, Hans. 1964. "Prokeleusmatische Wörter bei Plautus
und Terenz" Bollettina del cominato per la preparazione delledizione
nazionale dei classici greci e latini, N.S. fasc. 12, Accademia dei Lincei, Roma,
3-31. Driessen, C. Michiel. 2On the etymology of Lat. fivus." In
Sprachkantakt und Sprachwandet Akten der XI. Fachtagung der
indogermanischen Geseilschaft 17.-23. September 2000, Halle an der Sanie, ed.
Gerhard Meiser and Olav Hackstein, 39-64. Wiesbaden: Reichert. Duarte i
Montserrat, Carles, and Alex. Alsina i Keith. 1981-86. Gramática histórica del catald.
Barcelona: Curial. Duhois, Laurent. 1989-2008. Inscriptions grecques
dinlectales de Sicile: Contribution à litude du vocabulaire grec colo-
mial. Rome: Ecole française de Rome. - 1995. Inscriptions greoques
dialectales de grande Grèce. Geneva: Droz. Duhoux, Yves. 1983.
Introduction aux dialectes grecs anciens: Problèmes et méthodes, recueil des
textes traduits. Louvain-la-Neuve: Peeters.2006. "La lettre 4 en
arcadien archaique." Kadmos 45:2-68. Duhoux, Yves, and Anna Morpargo Davies, 2008. A
Composion to Linear 9; Mycendeun Greek Texts and Their Warld
Louvaln-la-Neuve: Pecters. Dunkel, George E. 1979. "Reciprocus und
Verwandtes" Indegermanische Forschangen 84:181-95. , 1987. "Heres, portal:
Indegermanische Richtersprache." In Festschrift fur Henry Hoenigowald ou
the Orcasion ef His Seventieth Birthday, ed. George Cardona and Norman H. Zide,
91-100. Tübingen: Narr. -, 2000. "Latin verbs in -igüre and-igüre." In Lochner von
Hüttenbach et al. 2000, 87-99. 2006. "On the 'thematicization' of Latin sum,
volo, eo and edo" In Jasanoff et al. 1998, 83-100. Dupraz, Emmanuel. 2002. "Sur
la préhistoire des infinitifs présents passifs en latin." Bulletin de la
Société de linguis- ligue de Paris 97:197-218. -. 2004. "Les
nominatifs masculins pluriels thématiques en -es du latin républicain." Revue de philologie 78.239-55. Durante,
Marcello 1981. Dal latino all'italano moderno: Soggio di storia linguistica e
culturale. Bologna: Zanichelli. Dybo, V. A. 1961. "Sokraßdenie
dolgot v kelto-itabjskix jazykax i ego anadenie dija balto-slavjanskoj i
indocvropejakoj akcentologii" Vaprosy slavjanskogo jazykoznanija
5.9-34 Fckert, R., Elvira-Julia Bukerkwite, and F. Hinze, 1994. Die kalrischen Sprachen: Eine
Einführung. Lelpeig: Langen-scheidt. Edwards, G. Patrick, 1971, The
Language of Hesiod in Its Trnditional Context. Oxford: Blackwell.
Eichenbofer, Wolfgang 1999. Histurische Laulehre des Bündnerromanischen.
Tübingen: Francke. Eichner, Heiner. 1973, "Die Etymolugie von beth.
mehur"" Minchentr Studien zur Surachwissenschaft Die Vorgeschichte
des hethitischen Verbalsystems." In Rix Das Problem des Ansatzes eines
urindogermanischen Numerus "Kollcktiv' ('Komprehensiv)" In Gramma-
tische Kintegorien: Funktion un Geschichte. Akten der VII. Fachtagung der
Indogermanischen Geselschaft, Berlin, 20.-25. Februar 1983, ed. Bernfried
Schlerath, 134-69. Wleshaden: Reichert. Reklameiamben aus Roms Königszeit,
1." Die Sprache 34:207-38 Finhauser, Eveline, ed. 1992. Lieber
freund.: Die Briefe Hermars Osthoffs an Karl Brugmann, 1875-1901. Trier:
Wis- senschaftlicher Verlag. Elbourne, Paul, 1998. "Proto-Indo-European
voiceless aspirates" Historische Sprachforschung Plain volceless stop plus
laryngeal in Indo-European." Historische Sprachforschung 113.2-28. , 2001. "Aspiration by Is/
and devoicing of mediae aspiratae" Historische Sprachforschung Elock, W.
D. 1975. The Romance Langugges. 2nd ed. rev. by I. Green. London: Faber et Fober.
Endzelins, Lettische Grammatik. Heidelberg: Winter. Janis Endzelins
Camparative Phanology and Morphology of the Baltic Languoges. Trans, William R.
Schmal-stieg and Benjamins fegers. The Hague: Mouton. Engelbrecht, Aug.
Godf. 1884. "Beobachtungen über den Sprachgebrauch der lateinischen
Komiker" Wiener Studien 6:2:6-48. Ernoat, Alfred. 1909. Les éléments
dialertaux du vocabulaire latin. Paris: Champion. . 1929. "Les éléments
étrusques da vocabulaire latin" Bulletin de la Société de lingistique de
Paris 30:82-124. 1946. Philologica. Vol. 1,
Paris: Klinckslock , Les adjectifs larins en -osus et en -ulentus. Paris: Klincksieck. , Recueil de textes latins
archaigses. 4th ed. Paris: Klincksieck. , Notes de philologie latine. Geneva: Droz. 1989. Morphologie
historique de latin. 1th ed. Paris: Klincksieck. Emout, Alfred, and Antoine
Meillet. 1985. Dictionnaire étymologique de la langue latine. 4th ed. Paris
Klincksieck. Emoul, Alfred, and François Thomas. 1953. Syntaxe Latine.
2nd ed. Paris: Klincksieck. Erast, Gerhard, et al, eds. 2003. Romanische
Sprachgeschichte: Ein internationales Handbuch eur Geschichte der 7o-manischen
Sprachen - Histoire lingwistique de la Romania: Maruel international d'histoire
lingwistique de la Rama-mia. Val. 1. Berlin: de Gruyter. Erteschik-Shir,
Nomi, and Tom Rapoport, eds. 2005. The Syntax of Aspect. Oxford: Oxford
University Press Eska, Joseph, 1995a. "The linguistic position of
Lepontic" In Proceedings of the Twenty ourtit Armal Merting of me Herkriey
Lingwistics Society, ed. B. K. Bergin, M. C. Plauché, and A. C. Bailey, Berkeley»Berkeley
Linguistics Society , PIE "p 7a in Proto-Celtic." Mänchener
Studien zur Sprachwissenschaf 5863-30. , 2007. "Bergins Rule: Syntactic diachrony and
discourse strategy" Diachronica Review of Jordân Cólera Zeitschrift für
celtische Phulologle 56: 194-9.Eska, Joseph, and Rex Wallace, Remarks on the
thematic genitive singular in Ancient Italy and related matters" Inconfri
linguistici Venetic consonant stem dative singulars in -12" Stufi Etruschi
65-68.261-73. Euler, Welfram. Oskisch-Umbrisch, Venetisch und Lateinisch:
Grammatische Kategorien zur Inneritalischen Sprachverwandtschaft" In
Oskisch-Umbrisch: Texte und Grammatik. Arbeitstagung der Indogermanischen Gesellschaft und der Società Italiana
di Glottologia vom 25, bis 28. September 199] in Freibung, ed, H. Rix, 96-105. Wies-baden:
Reichert. Brans, D. Simon. A Grammar of Middie Welsh. Dublin: Dublin
Institute for Advanced Studies. Ranciallo, Anticipazioni romanze nel latino pompeiano" Archivio
giottologico italiano Fernández Gonzalez, José Ramón, 1985, Gramática histórica
provenzal. Oviede
Universidad de Oviedo. Fernández Martinez, Concepción, Limites precisos
de la aspiración inicial en latin." Habis Ferreiro, Manuel, Gramática histórica galega. 4th ed. Santiago:
Laiovento Finzi, Gli statuti della repubblica di Sassari." Archivio storico sardo
6:1-48. Fisiak, Jacek, ed. 1976. Recent Developments in Historical
Phonology. The Hague: Mouton. Flach, Dieter and Andreas Flach. Das
Zwölfgegesetz: Leges XII Tabularum. Darmstadt: Wissenschaftliche
Buchgesellschaft. Flemming, Edward. 2003. "The relationship between
coronal place and vowei backness" Phanology A phonetically-based model of
phonological voisel reduction."
weh.mit.edu/-leming/www/paper/vowel-red/pdf. Flobert, Pierre. Les verbes
déponents latins, des origines à Chariemagne. Paris: Belles Lettres. La
réalité phonologique de /g*/ en latin" In Etudes de lingwistique générule
et de linguistique latine affertes en hommage a Guy Serbat, professeur émerité
d ('Université de Paris-Sorbonne par ses collègues et ses dieves, Paris:
Société pour l'information grammaticale. Review of Reichler-Beguélin 1986.
Revue des études latines Lapport des inscriptions archaiques à notre
connaissance du latin prélittéraire" Latamais Fügen, T. 1997. "Der
Grammatiker Consentius" Glorta 74:164-92. Forssman, Berthold. 2001.
Lettische Grummatik. Dettelbach: Röll. Fortson, Benjamin W. IV. Hiltite
juwalas." Die
Sprache Linguistic and cultural notes ob Latin Ionias and related topics"
In Indo-European Perspectives, ed. Mark R. V. Southern, Washington, DC:
Institate for the Study af Man. The origin of the Latin future active
participle." In Nussbaum Langwage and Rhytion in Piantes: Synchronic and
Diachronic Studies. Berlin: de Gruyter. Indo-European Language and Culture: An Introduction.
2nd ed. Malden, MA: Wiley-Blackwell. , Forthcoming a, "Ileary eyes and ladles of clay:
Two liquid Sabellicisms in Latin." Glotta , Forthcoming b.
"Reconsidering the history of Latin and Sabellic adpositional
morphosyntax." American Journal of Ploiner Fortson, Benjamin W. IV, and
Rex Wallace, 2003. "A word-final prop voel in colloquial Latin?"
Glotta Fax, Barbara, and Paul 1. Hopper, eds. 1994. Voice: For and Punction.
Amsterdam: Benjamins. Fraenkel, Eduard. 1925. "Zum Texte römischer
Juristen." Hermes Si dis
placel." Studi italiani di filologia classica Fraenkel, Benst. Litauisches etymologisches
Wärterbuch. 2 vols. Heidelberg: Winter. Friedrich, Johannes, Hettisches
Fementarbuch. 2nd ed. Heidelberg: Winter. Frisk, Hjalmar: 1960-72.
Griechisches elymologisches Wörterbuch. 3 vols. Heidelberg: Winter, Fruyt, Problèmes
métiodologiques de dérivation di propos des suffixes latinas en ...cus. Paris:
Klinck- sieck Funaioli, Hyginus [= Gino). 1907. Grammaticae Romance
frogrienta. Leipzig: Teubner. Gacbel, R. E. 1982. "The varied use of
-es and -is for the accusative plural of i-stern wurds in Vergil's Geongics. Letomuns
41:104-31. Gaide, Françoise. 1988. Les substantifs masculins latins en
0)6, ..(i)onis. Louvain:
A.N.R.I: Galdi, Giovanbattista. 2004. Grammatica delle iscrizioni latine
dell'impero (province orientali): Morfosintassi nominale. Rome: Herder. Gallée,
Johan Hendrik, and Heinrich Tiefenbach. 1993. Altsächsische Grumumatik. 3rd ed.
rev. by Heinrich Tiefenbach Tübingen: Niemeyer. Gamkrelidze, Thomas
V. and V. V. Ivanor. Sprachtypologie und die Rekonstrulction der
gemeinindogermants- chen Verschbüsse," Phonetica Garcia Castiliero,
Carlos. 1998,
"Irlandés antiguo ferar, umbro ferar y las desinencias medias indoeuropeas
de tercena persona." Veleia La formarión del tema de presente
primario osco-umbro. Vitoria-Gasteix: Universidad del Pais Vasco,
Servicio Editorial/Euskal Herciko Unibertsitaten, Argitalpen
Zerbitzua. García González, Uso de 1 longa en los diplomas militares de
CIE. XVI (c. 50 D. C.-300 D. C.)." In Aclas del VIII Congreso
español de estudios clásicos, 1:519-25. Madrid: Ediciones clásicas. Garde, Paul.
1976. Mistoire de l'accentuation slave, Paris: Institua détades staves. Gartett, Andrew, and Patricla
Statin. 2001. "The origin of the Latin frequentative" Manuscript,
University of Califar: nin at Berkeley. Gartner, Theodor. 1883.
Ractoramanische Grammatik. Hellbronn: Henniger. Geldner, Karl. 1951-57.
Der Rip- Veda. Cambridge: American Oriental Society. Gerschner, Robert. Die
Deklination der Nomina bel Plautus. Heidelberg:
Winter. Giacalone Ramat, IMPLICATURA: I DERIVATI LATINI IN -TURA, Rendiconti
dell'Istituto Lambardo Probleme der lateinischen Wortbildung: Das
Suffix-tira." In
Rix Giacomeli, Roberta, 1979. "Written and Spaken anguage in Latin-Falican
and Greck-Messapie." Journal
of indo Erropean Studies 7:149-75. Giannini, Stefania, and Giovanna
Marotta, 1999. Fra grammatica e pragmatica: La geminazione consonantica in
fatino, Pisa: Giardini. Gianollo, Chiara. 2005. "Middle voice in Latin
and the phenomenon of split intransitivity. In Calboli Gilliéron, Jules, and
Ed |mond) Edmont. Atlas linguistique de la France, Paris Champion. Gimson, A. C., and Alan
Cruttenden. 2001. Ginsons Provunciation of English, 6th ed. rev. by Alan
Cruttenden. Lon- don: Oxford University Press. Gippert, Jost. 1997.
"Laryngeals and Vedic metre" In Lubotsky Ein Problem der
indagermanischen Pronominalflexion." In Per aspera ad asteriscos: Studia indogermanica in
honorem Jens Elmegand Rasmussen sexagenarii latibus Martits anno MMIV, ed. Adam Hyllested et al.,
155-65. Innsbruck: Institut für Sprachen und Literaturen der Universität
Innsbruck. Godel, Hobert, 1961. "Sur l'evolution des voyelles brèves latines en
syllabe intéricure" Cahiers Ferdinand de Sanssure An introduction to
the Study of Classical Armenian, Wiesbaden: Reichert. Goold, Catullus 3.16."
Phoenix 23:186-203. Gordon, Arthur E. 1973. The Letter Nates of the Latin
Alphabet, Berkeley: University of California Press. Gradenwitz, Laterculi
vocum latinarum: Voces Latinas et a fronte et a tergo ordinandas. Leipzig:
Hirzel. Grandgent 1905. An Outline of the Phonology and Morphology of Oli
Provenpai, Hoston: Heath. Grassi, Herbert. 2005. "Bine littera
Claudiana am Magdalensberg.* Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik
153:241- 2. Grassmann, Hermann. 1996. Wörterbach zu Rig-Vesia. 6th
ed. rev. by Maria Kozlanka. Wiesbaden: Harrassowitz. Gratvick, Terence:
The Brothers. 2nd ed. Warminster: Aris et Phillips. Green, D. H. 1998.
Language and History in the Early Germanic World. Cambridge: Cambridge
University Press. Grevander, Sigfrid, 1926. Untersuchungen zur Sprache
der Malomedicina Chironis. Lund:
Gleerup. Guastella, Gianni. "La voce della dita: Ritmo, lingua e
metro nella versificazione degli scenici latini arcaici." Quaderni urbnati di
cuitura classice Guenter, Joshua S, 1999. "If Gersanic stops isberited a
voicing contrast, why is what we find today an aspiration contrast?" In
New Insights in Germanic Lingwistics, ed. Irmengard Rauch and Gerald F. Carz,
1:101-21. New tark: Lang Gusmani, Roberto, 1964. Lydisches
Würterbuch. Heidelbeng Winter. Gussenhoven, Carlos, 2004. The Phonology of Tone
and Intunation. Cambridge: Cambridge University Press. Gvozdanovié,
Jadranka, ed. 1992, Eudo-Europein Numerals. Berlin: de Gruyter.
Heckstein, Olax, 1997, *Probleme der homerischen Formeniehre 1" Minchener
Studien zur Sprachwissenschgt 57:19- 46. -2002. "Uridg.
*CH.CC» "C.CC." Historische Spracyorschung 115:1-22. Hajnal,
Ivo, 1992. "Homerisch dépoç, 'Hepißo und ipi: Zur Interrelation von
Worthedeutung und Lautform." Histo- rische Sprachforschung Die
Twesis bel Homer und auf den mykenischen Linear B-Tafein: Ein chronologisches
Problem." In Indo-European Perspectives Studies in Honour of Ansa Morpergo
Duvies, ed. J. HL. W. Penney, 146-78. Oxford: Oxford University
Press. Hale, Mark. 1987. Studies in the Comparative Syntax of the Oldest
Indo-Iranian Languages. Harvard. Notes on Wackernagels Law and the
language of the Kigreda" In Studies in Memory of Warren Cawgill
(1929-1985), ed. Calvert Watkins, 38-50, Berlin: de Gruyter. 1998. "Diachronic
syntax." Syntax Historical Linguistics: Theory and Method. Malden, MA:
Blackwell. Hale. William Gardner, and Carl Darling Buck, A Latin Grammar,
Boston: Ginn: Reprinted University of Ala- bama Press, Hall, Robert A.
Jr. 1946. "Classical Latin noun inflection." Classical Philology Hamp,
Eric. 1972. "Palaic ba-a-ap-na-n3 'river'." Mänchener Srudien zur
Sprachwissenschaf 3035-7. Handford, S. A. 1947. The Latin Subjunctive:
Its Usage and Development from Plantus to lacitus, London: Methuen.
Hanson, Kristin, and Paul Kiparsky, A parametric theoty of poetic meter."
Langwrage Hanzikovd, Ludmila, ed. 1989-. Erynologicky stovik jazytt
staroslovinsktho. Prague: Academia. Harris, Alice C., and Lyle Campbell,
1995, Historical Syntax in a Cross-linguistic Perspective. Cambridge:
Cambridge University Press. Harris, Martin, and Nigel Vincent, eds.
1988. The Romance Languages. New York: Routledge. Hartmann, Review of P.
von Bradke, Beitrige zur Kenretnis der vorhistorischen Entwickelung unserer
Sprachen (Giessen: Ricker). Deutsche Literaturzeitung 11:1831.
Hartmann, Markus. Die frühlateinischen Inschriften und ihre Datierung: Bremen:
Hempen. Haspelmath, Verbal noun or verbal adjective? The case of the
Latin gerundive and gerund." Arbeitspa- piere, Institud für
Sprachwissenschaft der Universität zu Kain. Neue Folge From resultative to
perfect in Ancient Greek" In Nuevos estudios sobre construcciones
resultativos, ed. José Luis Iturrioz Lera (Función, Guadalajara: Centro de Investigación de
Lenguas Indigenas, Haudry, Jean. 1981. "La derivation en
indo-européen." Linformation grammaticale Hawkins, John David. Corpus of Hieroglyphic Luwian
Inscriptions. Berlin: de Gruyter. Hehl, Die Formen der lateinischen
ersten Deklination auf den Inschriften. Tübingen: Heckenhauer.
Heidermanus, Frank. 1993. Etymologisches Wörterbuch der germanischen
Primäradicktive. Berlin: de Gruyter. 2005. Bibliographie zur
indogermanischen Wortforschung: Wortbildung. Etymologie, Onomastologie und
Leba-wortschichten der alten und mudernen indogermanischen Sprachen in
systematischen Publikarionen ab 1800. Tubin-gen: Niemeyer. Henning, W. B.
1948. "Oktô(u)." Transactions of the Philological Society
1948:69. Herman, Jozsef, ed. 1987. Latin vulgaire, latin tardif: Actes du fer
Colloque internationale sur le latin vulgaire et tardif (Pécs). Tübingen:
Niemeyer. La conscience linguistique de Grégoire de Tours" In
Petersmann and Kettemann, 31-48. 2000. Vulgur Latin. Trans. by Roger Wright. University
Park, PA: Pennsylvania State University Press. Hettrich, Heinrich. Die
Entstehung des lateinischen und griechischen Acl." In Rekonstruktion und
relative Chronologie: Akten der VII. Fachlagung der Indogermanischen
Gesellschaft, Leiden, 31. August-4, September 1997, ed. Robert Beckes,
Alexander Labotsky, and Jos Weitenberg, 221-34. Innshruck: Institut für
Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck. 1993. "Nochmals zu
Gerundium und Gerundivum." In Indogermanica et Haliar: Festschrift für
Helmut Rix zum 65. Geburtsfog, ed. Gerhard Meiser, 190-208. Innsbruck: Institut
für Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck. , 1997. "Syntaktische
Rekonstruktion bei Delbrück und heute: Nochmals zum lateinischen und
griechischen AcL" In Crespo and García Ramón 1997, 219-38. Hettrich,
Heinrich, and Jeong-Soo Kim, eds. 2002. Indogermanische Syntax: Fragen wnd
Perspektiven. Wiesbaden: Reicbert. Hinton, Leanne, Jobanna Nichols,
and John J. Chala, eds. 1994. Sound Symbolism. Cambridge: Cambridge
University Press. Hock, Hans Henrich. 1986. Principles of
Historical Linguistics. Herlitt de Gruyter. , 2007. "Morphology and
f-apocope in Slavic and Baltie" In Proceedings of the Bighteents UCLA
Indo-Esropern Con-ference, Los Angeles, Nov. 3-4, 2006, ed. Karlene fones-Bley,
Martin Huld, Angela Della Volpe and Miriam Robbins Dexter, Washington, DC:
Institute for the Study of Man. 2009. "my > (*)ny in Greek and Italie Common
innovation, parallel development, or fortuitous similarity?" Studies in
the Lingwistic Sciences Illinois Working Papers 81-93.Hockett, Charles 1955. A
Manual of Phonology. Baltimore: Waverly: Hoenigswald, Enrico [Henry
Hoenigswald). 1937. "Su
alcuni caratteri della detivazione e della composizione noms- nale
indoeuropea." Rendiconti
dell Istitido Lombardo, Lettere, ILs. A note on Latin prosody: Initial s impure
after short vowel" Transactions of the American Philological Association ".P
and liqald," Classical Quarterly Silbengrenze und Vokalschwächung im
Lateinischen" In Panagl and Krisch 1992, BI-5. Holmann, Ein
grundsprachliches Possessivsuffix" Miänchener Studien zur
Sprachwissenschaft 6.35-40. - 1976. "Das Kategoriensystem des
indogermanischen Verbums" Mänchentr Sendien zur Sprachwissenschaff
28:19- 41. Reprinted in Ausatze zur indoiranistik, ed. Johanna Narten,
2-523-540. Wiesbaden: Reichert. -, 1992. Aufsütze zur Indoinusistik, ed.
Johanna Narten. Vol. 3. Wiesbaden: Reichert. Hoffmann, Kari, and Bernhard
Forssman. 2004. Avestische Lant- amd Flexionsiehre, 20d ed. innsbrucke
Inistitut für Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck.
Holiner, Harry A. Ir. and H. Craig Melchert. 2008. A Gnommar of the Hätite
Language. Part 1: Reference Grammar. Part 2: Tutorial. Winona Lake:
Eisenbrauns. Hofnann, J. B., and Anton Scantyr, 1965. Lateinische Syntax
und Stylistik. Munich: Beck. An updated Italian translation of the stylistics
section of this book was published as Siistica latins, ed. Allonso Traina,
trans, Camillo Neri, updated by Kenato Oniga, revisions and indices by Bruna
Fieri (Bologna: Patron, 2002). Hogg, A Gnommar of Old English. Oxford;
Blackwell. Only vol, 1 on phonology has been published so far.
Hollifeld, [Patrick) Henry, 1985. On the phonological development of
monosyllables in West Germanic and the Germanic words for 'who' and 'so.
Indogermanische Forschingen 90:196-206. Holthausen, Ferdinand, 1921.
Aitsächsisches Elementarbuch. 2od ed. Heidelberg: Winter. Holtz, Louis. 1981. Donat
et la tradition de Tenseigument grammatical: Etude sur lArs Donati et sa
difiacion el édition critique. Paris: Centre national de la recherche
scientifique. Hooker, J. T. 198D. Linear B: An Introduction. Bristol: Bristol Classical
Press. Hopper, Paul J. 1973. "Glottalized and murmured occlusives in
IE." Glossa 7:141-66. Horrocks, Geoffrey, 1981. Spuce and Time in
Homer: Prepositional and Adversial Particles in the Greck Epic. New York:
Агла. Greek: A History of the Language and its
Spenkers. London: Longman. Householder, Fred W. 1947. "A descriptive
analysis of Latin declension" Word 3:48-58. Liescu, Maria, and Werner Marogut,
eds. 1992. Latin vulgaire, intin tandif III: Actes du Illême Colloque
international sur le latin vulguire et fardif (Innsbruck, 2-5 September
1991). Tobingen:
Niemeyer. Ile-Svitye, V. M. 1979, Nominal Accentuation in Baltic and
Slavic, Translated by Richard L. Leeds and Ronald F. Feld- stein.
Cambridge, MA: MIT Press. Iverson, Gregory K., and Joseph C. Salmous.
1992. "The phonology of the Proto-Indo-European root structure con-
straints." Lingua jaberg, Kari, and J. Jud, 1940. Sprach- und Sachatlas
Auliens und der Südschweiz Zofngen: Ringier. Jacksan, Kenneth Hurlstone.
1953. Language and History in Early Britain: A Chronological Surwey of the
Brittonic Lan- guages, First to Twelth Century A.D. Edinburgh: Edinburgh
University Press. Jacobs, Haike. 2003. "Why preantepenultimate
stress in Latin requires an OT-account." In Development in Prosodic
Systems, ed. Paula Fikkert and Haike Jacobs, 395-418. Berlin: de Gruyter.
Jakobson, Roman. 1960. "Why 'mama' and 'papa?" In Perspectives in
Psychological Theory: Essays in Honor of Heinz Werner, ed. Bernard Kaplan and
Seymour Wapner, 21-9, New York: International Universities Press Jamison,
Stephanie W, 1983, Function and Form in the -áya-Formations of the Rig Veda and
Atharv Vedt. Göttingen: Vandenhoeck et Ruprecht. . 1988. "The quantity of
the outconie of vocalised laryngesls in Indic." In Die Laryngahheorle amd
die Rekoristruktion des indogermanischen Laut und Formengstems, ed. Alfred
Bammesberge, 213-26. Heidelbeng: Winter. , 1991. Ihe Ravenous Fyenas and the Wounded San: Myth
and Ritual in Ancient India. Ithaca, NY: Cornell Liniversity Press. 2002. "Rigvedic sim and
im." In Indian Lingwistic Studies Festschrift in Honor of George Cardon,
ed. Madhav M. Deshpande and Peter E. Hook, 290-312. Delhi: Motilal Banarsidass.
JasanofE, The
Germanic Third Weak Class." Langiage 49:850-70. . 1976, 'Gr. appro, lat,
ambo et le mot indo-européen pour Tun et l'autre" Bulletin de la Société
de lingristique de Paris The position of the -bi conjugation." In
Hethitisch und Indogermanisch: Vergleichende Studien zur histo-rischen
Grammarik und zur dialergeographischen Stellung der indogermanischen
Sprachgruppe Airkleisusiens, ed. Erich Neu and Wolfgang Meid, 79-90. Innsbruck:
Institut für Sprachrissenschaft der Universität Innsbruck. Stadive and Middie in
Indo-European. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der Universität
Innsbruck. 1980. "The nominative
singular of a-stems in Germanic." In American Indian and Indo-European
Studies: Papers in Honor of Madison S. Recier, ed. Kathryn Klar, Margaret
Langdon, and Shirley Silver, The Hague: Mouton. A rule of final syllables in
Slavic." Journal of Indo-European Studies The sigmatic sorist in
"Tocharian and Indo-European" Tochurian and Indo European Sindies The
origin of the Italic imperfect subjunctive" Historische Sprachforschung The
ablaut of the root aorist optative in Proto-Iedo-Europcan." Münchener
Studien zur Sprachwissenschaft The Brittanic subjunctive and future" In in
hanorem Hoßper Pedersen: Kallogeu der Indogermenischen Gesellschaft vom 25, his
28. März 1993 in Kopenhagen, ed, Jens Elmegird Hasmussen, Wiesbaden: Rei-chert.
Gathic Avestan cikoitarad"
In Lubotsky An Italo-Cellic isogloss The 3pl. mediopassive in "-atro"
In Festschrift for Eric Hamp, ed. Douglas Q, Ad-ams, 1:146-61. Washington, DC:
Institute for the Study of Man. , 2003. Hittite and the lsdo- European Verb. Oxford:
Oxfard University Press. Plus ça change..: Lachmann's law in Latin" In
Penney Notes on the internal history of the PIE optative" In East and
West: Papers in indo-European Linguistics, ed. Brent Vine and Kazubiko Yoshida,
47-68. Bremen: Hempen. . Forthcoming a. "The origin of the Latin gerund and
gerundive" In A Festschrift in Honor of Michael Filler, ed. Harvey
Goldhlatt and Nancy Shields Kollmann, Cambridge, MA.
www.poople.fas.harvard.edu/-jasanoff/publica- tions html. Forthcaming b. **-bi, *-#is,
"ois: Following the trail of the PIE Instrumental plural." In
Isternal Recoustruction in Indo-European: Methods, Results, and Problems,
Section Papers from the XVIth Eufernational Conference on Historical
Linguistics, University of Copeningen, 21th-15th August, 2003, ed. Jens
Elmegird Rasmussen and Thomas Olander. Jasanoff. Jay, H. Craig, Melchert, and
Lisi Oliver, ods, 1998. Mir Curad: Staulies in Honor of Calvert Watkins.
Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der Univerität
Innsbruck. Jespersen, Otto. 1922. Langmage: Is Nature, Devslopment, and
Origin. London: Allen et Unwin. Jiménez Zamudio, Rafael, En torno a devas
cornisces sacrum (CIL F+975 =)* Emerita 53:277-83. Jones, The Works of Jones.
[Ed. janes. London: Robinson. Jordán Cólera, Carlos,
1998. Eutroducción al Celtibérico. Zaragoza: Ediciones del Departamento de
Clencias de la An- liguedad, Area de Filologia Griega, Universidad de
Zaragoza. Celtibérico, Zaragoza: Area de Filología Griega, Departamento de
Ciencias de la Antiguedad, Universidad de Zaragoza. Joseph, Brian, and Richard
Janda, eds. 2003, Handbook of Historical Linguistics. Malden, MA:
Blackwell. Joseph, Brian, and Rex Wallace, Latin sum/Oscan sim, sins,
esam." American Journal of Philelogy On the problematic fil variation in
Faliscan." Glotta Is Faliscan a local Latin patois?" Diachronica Socially
determined variation in Ancient Rome" Language Variation and Change
4:105-19. Kager, René. 1995, "The metrical theory of word stress." In
The Handbook of Phonological Theory, ed. John A. Gold- smith, 367-402,
Cambridge, MA: Blackwell. Kajanto, firo, 1965. The Latin Cognomina.
Helinki: Keskuskirjapaino. Reprinted Ronse. Bretschaeider, Karulis,
Konstantins, 1992. Latvies etimologlas vindnica. Riga: Avats. Kaster,
Robert A. 1988. Guardlions of Language: The Grammarian and Sociery in Late
Antiquity Berkeley: University of California Press. Kastner, Wolfgang, Die
griechischen Adjektive zweier Endunger auf-oc, Heidelberg: Winter.
Katitic, R. 1976. Ancient Langunges of the Balkans. The Hague: Mouton.
Katz, Joshua T: 1998. Topios in Endo-European Fersonal Promouns Harvard
University. Testimonia ritus Italici: Male genitalia, solemn declarations,
and a new Latin sound law." Harvurd Studies in Classical Pliology Kavitskaya,
Darya. Compensatory Lengthening: Phanetics, Phonology, Llachrony. Nee York:
Routledge. Kazavis, Gergios N. (Tepyc N. Kateßrs), 1940. Nisyrau
laographika [Nicupou Agoypagia]. New York: Divry. Keilius, Henricus
(Heinrich Keil], GRAMMATICI LATINI Leipzig: Teubner. Keller, Otto. 1891.
Lateinische Volksetymciogie wond Verwitnates. Leipzig: Teuhner.Kemmer, S, 1993.
The Middle Voice. Amsterdam: Benjamins. Kenstowicz, Michael, 1991,
"Enclitic accent: Latin, Macedonian, Italian, Polish." In Certamer
Phonologicum IF: Papers from the 1990 Cortona Phanology Meeting, ed. Pier Marco Bertinetto, Michel Kenstowicz, and
Michele Loporcano, Turin: Rosenburg &- Seller. Kent, THE SOUNDS OF LATIN: A
DESCRIPTIVE AND HISTORICAL PHONOLOGY, Baltimore: Linguistic So- ciety of
America. Old Persian 2nd ed. New Haven: American Oriental Society.
Keat, Roland G., and Edgar H. Sturtevant, 1915. "Elision and biatas in
Latin prose and verse." Transactions of the American Philological
Ascociation 46:129-55. Kessler, Brett. nd. "On the phonological
nature of the Proto-Indo-European laryngeals" spell,psychology
wusil. edu/~bkessieri. Keyser, The origin of the Latin minverals 1
to 1000" American Journal of Archacalogy Kieckers, Ernst. 1930.
Historische lateinische Grammatik, mit Berücksichtigung des Vilgirlateins und
der romanischen Sprachen. Munich: Hucher. Kim, Ronald. 2000a.
"Reexamining the prehistory of Tocharian B 'ewe." Tocharian and Indo-European
Studies To drink in Anatolian, Tocharlan, and Proto-Indo-European"
Historische Sprachforschung Tocharian B dem « Latin vénitt Szemerényis Law and
*& in PIE root aorists" Münchener Studien zur Sprack-wissenschaft On
the historical phonology of Ossetic: The origin of the oblique case
suffix." Journal of the American Oriental Society, Kimball, Sara 5. 1999,
Hittite Historical Phonology. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der
Universität Jans- bruck Kiparsky, Phonological Ghange. MIT: Aspect and event structure in
Vedic." Yearbook of South Asian Langnages and Linguisties The Vedic
Injunctive: Historical and synchronic implications" The Yearbook of Sauth
Asian Languages and Linguistics stanford.edu/-kiparsicy/Papers/injanctie.articepdf.
. 2006. "Amphichronic
linguistics vs, evolutionary phonology: Theoreticul Linguistics Kircher Durand,
Chantal, Grammaire fondamentale du latin, Création lexicale: La formation des
noms par dérivation suffixale. Louvain: Pecters. Klaiman, Grammation/ Voice.
Cambridge: Cambridge University Press. Klein, Hans-Wilhelm, ed. 1968. Die
Reichenaver Glossen. Part 1, Binieitung, Text, voliständiger Index und
Konkondan- zen. Munich: Hueber. Klein, The contribution of Rigvedic
Sanskrit to Indo-European syntax" In Crespo and Garcia Ramón Teaching
Indo-European." Diachranica, Klingenschuit, Gert. 1975. "locharish
und Urindogermanisch" In Rix Zur Etymologie des Lateinischen." In
Maythofer et al. Das aitarmenische Verbum. Wiesbaden: Reichert. The lateinische
Nominalflexion." In Panagl and Krisch Kloekhorst, Alwin, 2008.
Elymological Dictionary of the Hatite Inherited Lexicon. Leiden: Brill.
Knoppers, Gary: 1992. "The god in his temple: The Phoenician text from
Pyrgi as a funerary inscription." Journal of Near Bastern Studies
51:105-20. Kobayashi, Masata. 2004. Historical Phonology of Oli
Indo-Aryan Consonants. Tokya: ILCAA. Kahm, Aitiateinische Forschungen.
Leipzig: Reisland. Kartlandt, Frederik: Greck numerals and PIE glottalic
consonants" Münchener Studien zur Sprachwissenschaft Proto-Indo-European
glottalic stops: The comparative evidence." Folia Linguistica Historica
6:183-201. Krahe, Hans, and Wolfgang Meid. Germanische Sprachwissenschaft. 7th ed.
Berlin: de Gruyter. Kramer, Historische Grammatik des
Dolomitemladinischen: Lartichrz. Gerbrunn bel Würzburg: Leh- , Die Verwendung des Apex und
P. Vindob, L. 1 c" Zeitschrift fir Papyrologie und Epigraphik Etymologisches
Wörterbuch des Dolomiteniadinischen. Hamburg: Buske. Krause, Wolfgang. 1968.
Handbuch des Gotischen. 3d ed. Munich: Beck. Die Sprache der urnordischen
Runeminschrißen. Heidelberg: Winter.Krause, Wolfgang, and Werner Thomas. Tocharisches
Elementarbuch. Vol. 1. Heidelberg: Winter. Kroch, Anthony. 2001.
"Syntactic change" In The Handeook of Contemporary Syriachic Thoory,
ed. Mack Baltin and Chris Collins, Malden, MA: Blackwell.
Kruschwitz, Peter. 2004. Römische Inschriften und Wackernagels Gesetz.
Heidelbeng: Winter. Kühner, Raphael, and Bernhard Gerth. Ausfüherliche
Grammatik der griechischen Sprache. Part 2: Sataleine. 3rd ed. Hanover:
Haha. Kühner, Raphael, and Carl Stegmann, 1955. Ansführiiche Grammarik
der lateinischen Sprache. Part 2: Suralehre. 3rd ed. rev. by Andreas
Thierfelder, 2 vols. Leverkusen: Gottschalk. An index locorum was published by
Gary S. Schwarz and Richard L. Wertis as index locorum zu Kühner-Sleymann
"Satzlehre', Darmstadt: Wissenschafliche Buchge- scllschail,
1980. Kulper, Notes on Vedic noun inflexion." Mededelingen der
Koninklike Nederlandse Akndemie wan Weten- schappen Kümmel, Martin
Joachim. 2000. Das Perfekt im Indoinänischen: Eine Unterstchung der Form and
Funkrion einer er erbien Kategorie des Verbus und ihrer Welterendwicklung
in den altindoiranischen Sprachen. Wiesbaden: Rei-chert. - 2002.
Konsonanterwande: Bausteine zu einer Typologie des Launwandels und ire
Konsequenzen für die ver- gleichtende Rekonstruktion. Wiesbaden:
Reichert. Kurylowicz, Jerzy: 1927a a indo-européen et h hittite" In
Symbolae granumaticae in honorem Joannis Rozwadowski, 95-101. Cracow: Drukarnia
Uniwersytetu Jagiellorskiego. An English translation by Axel Holvoet is
available in The Young Kurylowicz, ed. Wajciech Smoczynski, 5-16 (Cracow:
Puligrafix, Les effets du 2 en indo-iranien." Prace Pilologicane An English
translation by Axel Holoct is available in The Young Kurylowicz, ed. Wojciech
Smoczynski, 17-58 (Cracow. Poligrafix, A remark on Lachmannis Law."
Harvard Stalies in Classical Philology 72:295-9. Kurz, Josef, ed. 1958-97.
Slovnik jazyka starosiovensktho. Lexican linguas palacoslovenicat. Prague:
Ceskoslovenské akademie ved. Lahiri, Aditi, and B. Elan Dresher.
1999. "Open syllable lengtbening in West Germanic." Langunge 75.678-719.
Lambert, Pierre-Yves, 2003. La langue gralnise: Description linguistique,
commentaire d'inscriptions choisies. 2nd ed. Paris: Frrance.
Lamberterie, Charles de, 1992. "Introduction à l'armenien dassique"
LALIES). Langlois, Pierre. Les formations en -bundus: Index et
commentaire." Revue des étades latines Langsions, D. R. 2000. Medical Latin in the Roman
Empire. New York: Oxford University Press. Lass, Roger. 1994. Old
English: A Historical Linguistic Companion. Cambridge Cambridge University
Press. Laurent, Richard, 1999. Past Participles from Latin to Romance.
Berkeley: University of California Press. Lausberg, Heinrich. 1963-72. Romanische
Sprachwissenschuft. Berlin: de Gruyter. Lazzarini, Maria Letizia, and
Paolo Poccetti, 2001. Liscrizione palecitalica da Tortona. Il mondo enotrio tra
V e IV secolo a.C: Atti dei seminari napolefani, ed. Maurizio Bugno and
Concetta Masseria, Naples: Loltredo. Lazzeroni, Romane. 1996.
"Antila, I dittonghi, e la cicata: Una riposta." Studi e sagri
lingristici La quarta declinazione latina: Genere grammaticale e organizzazione
dei paradigmi." Archivio glottologico italiano Isaccusatività indocuropea
e alternanza vedica." Archivio giottologico italiano 89.1-28. Lease, Emory B, 1904.
"Contracted forms of the perfect in Livy"" Classical Review
18:27-36. Lee, Charmaine. Linguistica romanzza. Rome: Carocci.
Lehiste, Ilse. The timing of utterances and linguistic boundaries" Journal
of the Acoustical Society of America 51:2018-24. Lehmann, Op the
Latin of Clandius Terentianus (P. Mich. VIII. 467-472). Cuadernos de
filologia clásica 21:11-23., 2005. "Latin syllable structure in
typological perspective." In Calboli Lehmann, Winfred P. 1974.
Proto-so-European Syntax Austin: University of Texas Press. . 1986. A Gothic Etymological
Dictionary. Leiden: Brill. Theoretical Bases of indo-European Linguistics. London: Routiedge.
Lejeune, Michel, 1971. Lepontica. Paris: Belles Lettres. 1972. Phonétigue
kistorique du mycénien et du grec ancien. Paris: Klincksieck. Manuel de la langue
vénite. Heidelberg: Winter. , 1982. "Venetica XVIII: Dans la plus ancienne
épitaphe atestine, vinetikaris ou vineti karis!" Latomes 41:732-42. 1938, Recueil des
inscriptions gauloises, Vol. 2, part I: Textes gallo-étrusques: Textes
gallo-latins sur pierre. Paris Centre national de la recherche scientifique. .
1990. "Notes de linguistique Italique X: 'Bois" disait ce Sicule: 'je
hoirai' répuad ce Falisque." Revie des études latines Le nom de mesure
Airpa: Escal lexical" Revue des études grecques 106:1-11. Lepschy [Lepscky], Giulio C, 1962. "Il
probiema delfaccento latino" Annali della Scuola normale superiore di
Plus, lettere, Leskien, Die Bildung der Nomina im Litanischen. Berlin: Hirzel. . 1990.
Handbuch der althugarischen (alrkirchsivischen) Sprache, 10th ed. ter. by
Johannes Schrüpfer. Heidelberg: Winter. Leumann, Manu, 1917. Die
lateinischen Adjektiv auf -lis. Strassburg: Trübner. Das fat. Suffix -dneus" Indogermanische
Forschurger Die Adjektiva auf - Icius. In Kleine Schriften, [ed. Heinz Haffter,
Ernst Risch, and Walter Riegsl. 3-35, Zürich: Artemis. Originally appeared in Giotta Lateinische Laut
und Formenlehre, Vol, 1 of Lateiniche Grunmatik by Manu Leumann, I. B. Hofmann,
and Anton Seantyr. Munich: Beck. Levente, László 2002. •"The
quantity of final - In the nominative-accusative of Latin U-stem neuter
nouns" Acta Antiqua Hungarica 42:133-40. Lewis, Henry, and
Holger Pedersen. 1961. A Concise Comparative Celtic Grammar. 3rd ed. Göttingen:
Vandenboeck et Ruprecht. Lincoln, Bruce, 1999. Theorizing Myth
Narrative, Ideology, and Schoiarship, Chicago: University of Chicago Press.
Lindeman,
Fredrik Otta, 1965. "La lal de Sievers et le début du mot en
indo-européen." Norsk Thisskrift for Sprog- viderskap Intruduction to the
"Laryngenl Theory" Innsbruck Innsbrucker Beiträge zur
Sprachwissenschaft. Revised version of 1987 edition (Oslo: Norwegian University
Press). Lindner, Thomas. 1996. Lateinische Komposita: Ein Glossar
vornehmlich zum Wortschatz der Dichtersprache. Inns- bruck: institut für
Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck. Lateinische Komposita:
Morphtologische, historische und lexikalische Studien. Innsbruck: Instätut für
Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck. Lindner, Thoass, and
Renato Oniga, 2005. *Zur Forschungsgeschichte der lateinischen Nominalkomposition.
Per una storia degli studi
sulla composizione nominale latina." In Calboli Lindsay, W. M. 1892. "Ueber die Versbetonung
vin Wörtern wie facilius' in der Dichtung der Republik" Philologus
51:364-74. , 1894, The Latin Langoge: An
Historical Account of Latin Sounds, Stems, and Flexions, Oxford: Clarendon. , 1913. Sexti Pompei Festi De verburum siguificats quae
supersunt cum Panit epitome. Leipzig: Teubner. 1922, Early Latin Verse. Oxford: Clarendon. , 1930, Festus. Pp. 71-467 of Glossaria Latina
dussu Academiae Britannicas edita IV (Placidus, Fesrus), ed. J. W. Pirie and W. M. Lindsay,
Paris: Belles Lettres, 93-467. Reprinted Hildesheim: Olms, 1965, with indices
by A. Thier-felder. Liver, Hicarda, 1999. Rätoromanisch: Eine Einführung in das
Bindnerromanische. Tübingen: Narr. Llvingston, Ivy. 2004. A Linguistic
Commentary on Livins Andronkws. New York: Routledge. Lloyd, Albert, and
Otto Springer: 1988- Etymologisches Wörterfnech des Arlochdeutschen, Göttingen:
Vandenhoeck et Ruprecht. Lloyd, Paul M. 1993. Del latin al español. Trans.
by Adelino Alvarez Rodriguez, Madrid: Gredos. Lochner von Hüttenbach, Fritz Freihert,
Michaela Ofitsch, and Christian Zinko, eds. 2000. 125 Jahre
Indogermanistik in Graz (1873-1996): Forschtung und Lehre. Grax:
Universitätsbibliothek. Lofstedt, Bengt. 1967. "Bemerkungen zut
Adverb im Lateinischen." Indogermanische Forschungen 72-79-109.
Lofstedt, Einar. Philologischer konmenter zur Peregrinatio Actherlae:
Ustersuchungen zur geschichte der latei-mischen sprache. Uppsala: Almgvist et Wiksell.
[An Italian translation by Paolo Pieroni with updated bibliography and notes
was published as Commento filologico aila Perigrinatio Aetherioe: Ricerche
sulla storia della lingue latina, Bologne: Pitron, Sywfaction: Studien und
Beiträge zur historischen Syntax des Lateins. Vol. 2. Lund: Gleerup. •
1942. Symactica: Shedien und Beiträge zur historischen Syntax des Lateins, Val,
1. 2nd ed. Lund: Gleerup. 1939. Late Latin, Oslo: Aschehoug: Cambridge,
MA: Harvard University Press. 'There
is a 1980 Italian translation by Glovanni Orlandi with updated bibliography: Il
latino tardo: Aspetti e probiemi, Brescia: Paideía Lomanto, Valeria, and
Nino Marinone, eds. 1990. Index Grammaticus: An Index to Latin Grammar Texts. Hildesheim:
Olms-Weidmann. Lombard, Alf. 1936. Einfinitif de narration dans les langues romanes.
Uppsala: Almqvist et Wiksells. La Monaco, Francesco, and Piera Molinelli, eds. 2007. LAppendix Probi:
Nuove ricerche, Florence: Gallazzo. Loporcaro, Michele, 2005. "La
sillabazione di muta cum liquida dal latino al romanzo." In Latin et langues
ramanes: Mtudes de linguistique offertes à József Herman à l'occasion de
son 80ème anniversaire, ed. Sándor
Kise, Luca Man-din, and Giampaolo Salvi, 419-30. Tübingen: Niemeyer. L'Appendix
Prohl' e la fonologia del latino tardo" In La Monaco and Molinelli 2007,
95-124. Larenzo, Ramon. 1968. Sobse croeologia do vocabultrio galego-portugues
(Anotapies ao Dicionario etimoligico de Juse Pedro Machado), Vigo:
Galaxia. Lottner, Ober die Stellung der Italer innerhalb des
indoeuropäischen Stammes" Zeitschrift far vergieichende
Sprachfurschung 7:18-49, 161-93. Lubotsky, Alexander, ed. 1997. Sound Law and Annlogy:
Papers in Hanor of R. S. P. Beckes on the Docasion of His 60t Birthday,
Amsterdam: Rodopi - 2000. "Indo-Aryan
'six." In Lochner von Hüttenbach et al. Lucchesi, Elisa, and Elisabetta
Magni, 2002. Verchie e nuove (in)certezze sul Lepis Satricanus, Pisa:
ETS. Lodtke, H. 1962. "Zar Ausspeache von Lat. /al und /a/, Glotta Lahr,
Rosemarie, 1993. Zur Unstrukturierung von agenshaltigen
Sachverhaltsbeschreloungen in Komplementfunk- tion, dargestellt an
altindogermanischen Sprachen." Historische Sprachforschunger Lani, Old Church
Slavonic Grammar. 7th ed. Berlin: de Gruyter. Luque Moreno, Jesis. 2006.
Accentus (ПО2016): El canto del lengunje.
Representación de los prosodemas en la escridura alfabética. Granada:
Editorial Universidad de Granada. Macdonell, Arthur Anthony, 1910. Vedic
Grammar, Strassburg: Trubner. A Vedic Grammar for Students. Oxford: Clarendon.
Machado, José Pedro. 1987. Dicionário etimológico da lingra portuguesa con a mais antiga
documentapio escrita e comhecide de maitos das vocabules estudiados. Lishon: Horizonte Maiden,
Martin. 1995. A Linguistic History of Italian, London: Longman. Perfect
pedigree: The ancestry of the Aromanian conditional" In Cajord University
Working Papers in Lin-guistics, Philolog: and Phonetics, vol. 9, ed. Richard
Ashdowne and Tom Finbow, 83-98. Oxford: [Facuity of Lin- guistics, Philology
and Phonetics). Maltby, Tiballas and the language of Latin elegy. In
Aspects of the Language of Latin Poetry, ed. J. N. Adams and R. G. Meyer,
New York: Oxford University Press. Malsahn, Melanie, Das lemnische
Alphabet: Eine digenständige Entwicklung" Studi Etruschi On the ablaut of
the root aorist in Greck and Indo-European." Historische Sprachforschung Manessy-Guitton,
Jacqueline. 1963. Recherches sur les dérivés nominaux à bases sigmatiques en
sanscrit et en latin. Dakar:
Université de Dakar. Mancini, Marco. Isidoro di Siviglia e la questione
degli cositoni in latino" In Scribthair a cinm -oguie: Scritti im memoria
di Enrico Companile, ed. Riocardo Ambrosini, Maria Patrizia Bologna, Filippo
Motta and Chatia Orlandi, 2:547-63. Pisa: Pacini. Dilatandis litteris': Lino studio su C. e la
proaunzia 'rustica" In Studi linguistici in onore di Roberto Gusmani, ed.
Raffaella Bombi et al., Alessandria: Orsa. Pra latino dialettale e latino
preromanzo: Fratture e continuità." In La preistoria dellitaliano: Alti
della Tavola rotonda di linguistica storica, Università Ca' Foscuri di Venezia,
ed. Jizsef Herman and Anna Marinetti, Tübingen: Niemeyer. Agostino, i grammatici e il vocalismo del latino
d'Africa. Rivista di linguistica Una testimonia di Consenzio sul namerale
'trenta' in latino volgare." in Roma et Romania: Festschriß filr Gerhard
Ernst zun 65, Geburtstag, ed. Sabine Heinemann, Gerhard Bernhard, and Dieter Kattenhusch, Tübingen:
Niemeyer. Manczak, Wisold, 1999. "Opinion de Robert Murray et Naomi Cull sur
lorigines des langues romanes" In Petersmann and Kettemann, Grec
oûc" Glotta Maniet, Albert. Plante, lexique inverse, listes grammaticales,
relevis divers. Hildesheim: Olms. MareS, De litterarum latinaram
nominihus." Wiener Studien, Marichal, Robert, Les graffites de La
Grufeseque. Paris: Centre national de la recherche scientifique. Les
ostraca de Bu Njew. Tripoli: Grande Jamahira arabe, libyenne, popalaire et
socialiste, Eépt. des antiqui-Mariner Bigorra, 5, Las cinco declinacionas
latinas en dos fases de la historia de la lingística. Hidinantica 3:407-14. Marinetti, Anna, Le
iscrizioni sudpicene. Florence: Olschki. Venetico 1976-1996: Acquisizioni
e prospettive" In Protostoria e storia del "Venetorum Angulus":
Atti del XX Convegno di studi etruschi ed italici, Portograro, Quarto d'Altina,
Este, Adria, Pisa: Istituti editoriali e poligrafici internazionali.
Mariotti, Italo, ed. 1967. Marii Victorini Ars Grammatica: introduzione, testo
critico e commento. Fiorence:
Le Mon- nier. Marolta, Giovanna, The Latin syllable" In The
Syllable: Views and Facts, ed. Harry van der Hulst and Nancy Ritter, Berlin:
de Gruyter. Marouzeau, Quelques aspects de la formation du lutin litéraire. Paris:
Klincksiock Marstrander, Cari, 1929. "De funité italo-celtique Norsk
Zidskrift fur Sprogwidenckep Martinez. Javier, and Michiel de Vaan. Introducción
al Avéstico. Madrid: Ediciones Clisicas MartzlofE, Vincent. Les thèmes de
présent dans lépigraphie italique et on larin archaique. Université
Lumière-Lyon 1l. Matasovic, Kanko, 1997, Knutka poredbenopovijessa
gramarika latinstogo jezika, Zagreb: Matica arvatska. Uses and misuses of typolagy in
Indo-Buropean linguistics" In Lochner von Hüttenbach et al. Etymological
Dictionary of Proto-Celtic: Leiden: Brill. Mather, Que modo inciendi verbi
composita in pracsentibas temporibus enuntiaverint antiqui et
scripserint." Harward Studies in Classical Philingy Matras, Varon. 2002.
Romani: A Linguistic Istroduction, Cambridge: Cambridge University Press.
Matthews, Morphology. 2nd ed. Cambridge: Cambridge University Press.
Matzinger, Joachim. Zu armenisch mck wir." Historische Sprachforschung Messapisch
und Albanisch" iternational Journal of Diachronic Linguistics 1:29-54. 2005b. Untersuchungen zum
altermenischen Nomen: Die Flexion des Substantivs. Detelbachc Röll . Der altalbanische Text
Mösuame e Krishtere (Dottrina cristiana) des Leke Matröngw von 1592: Eine
Einfüh-rung in die albanische Sprachwissenschaft. Dettelbach: Roll. Maychofer,
Manfred, Supplement zur Sammlung der alpersischen Inschriften. Vienna:
Österreichische Alademic der Wissenschaften. , 1986. Indogermanische
Grammatik. Vol. 1, Lastiehre. Heidelberg: Winter. , Blymologisches Würtertruch
des Alrindoarischen. Heideberg: Winter. Mayrhofer, Manfred, Martin Peters, and
Oskar I. Pfeiffer, eds. 1980. Lautgeschichte wud Etymologie: Akten der
VI. Fachtogung der Indogermanischen Geselischaft, Wien, Wiesbaden:
Reichert. Mazzini, "Ii
manuale di storia della lingua latina" Paideia McAlpin, David W. Velars,
uvulars, and the North Dravidian hypothesis" Journal of the Americon
Oriental Society McCone, Kim 1991. The Indo-European Origius of the Old Irish
Nasal Presents, Subjunctives and Futures Innshruck: Institut für
Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck. Towards a Relative
Chronology of Ancient and Medieval Celtic Sound Change. Maynooth: Department of
Old Irish, St. Patrick's College. The Early Irish Verb. 2nd ed. Maynuoth: An Sagart. , 2005. A First Old trish
Grammar and Reader, Incinding an Introduction to Middle irlsh. Maynooth:
Department of Old and Middle Trish, National University of Ireland. McManus,
Damian. A Guide to Ogum. Maynooth: An Sagart. McNeal, R. A. 1985.
"How did Pelasgians become Hellenes? Herodotus Milnois Classical Stadies Meier-Brügger,
Michael, 1980. "Lateinisch audire/oboedire Etymologie und
Lautgeschichte" In Maychafer et al, Griecitische Sprachwissenscheft.
Berlin: de Gruyter. Humerisch
appou(Sic), mykenisch d(uJuan(phi) und Verwandtes" Glotta Eudo-Еиторем
Lingwistics. Trans by Charles Gertmenian. Berlin: de Gruyter. Meillet, Antoinc. De
l'expression de Faoriste en latin." Revue de Philologie De quelques
emprunts probables en gres et en latin" Mémoires de la Societe de
linguistique de Paris Sur le sulfixe indo-européen "-nes-" Mémoires
de la Société de linguistique de Paris Les noms du 'feu' et de l'eau' et la
question du genre" Mémolres de la Société de lingristique de Paris Les
dialertes indo-européens. 2nd ed. Paris: Champion. The first edition was 1908, There is a 1968
English translation by Samuel N. Rosenberg, The Indo-European Dialects
(University, AL: University of Alabama Press). Esquisse d'une grammaire comparée
de l'arménien dassique. 2nd ed. Vienna: Pp. mékhitharistes. Introduction à lêtude
comparative des langues indio-curupéennes 8th ed. Paris: Hachette. Aperçu d'une histoire de
la langue grecque. Avec bibliographie mise à jour ef complétée par Oliver
Masson. Paris: Klincksieck. Le slave commun. 2nd ed. Avec le concours de A. Vaillant.
Paris: Champion. Esquisse d'une histoire de
la langue latine. 2th ed. Paris: Klincksieck. Only the bibliography has been updated Meillet,
Antoinc, and joseph Vendryes. Traité de grammaire comparée des langues classiques. 5th
ed. Paris: Champion. Meiser, Gerhard. 1986. Lautgeschichte der umbrischen
Sprache. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der Univer- sität
Innsbruck. 1993. "Uritalische
Modussyntax: Zur Genese des Konjunktiv Imperfekt" In Oskisch-Umbrisch:
Texte und Gram-matik. Arbeitstagung
der Indogermanischen Gesellschaft und der Società Italiona di Giottologia vom
25, bis 28. September
1991 in Freiburg, ed. Helmut Rix, 167-95. Wieshaden: Reichert. , Das Gerundivum im Spiegel der
italischen Onomastik." In Sprachen und Schriften des antiken
Mittelmeer-muns: Festschrift für Jürgen Untermann zon 65. Geburtshgg, ed. Frank
Heidermanns, Helmut Rit, and Elmar Scebold, 255-68. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft
der Universität Innsbruck. , 1998. Historische Laur- und Formenchre der
lateinischen Sproche. Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft. 2003a. Veni, vidi, vici: Die Vorgeschichte des
lateinischen Perfekrsystems. Munich: Beck. 2003b. "Lat mando, mandi "kaue." In
Linguistica é storia, Sprachwissenschaft ist Geschichte: Scritti in onore di
Carlo De Simone, ed. Simona Marchesini and Pacio Pocoetti, Pisa: Giardini. Meisaner, Torsten.
2006. S-stem Nouns and Adjectives in Greek and Proto-Indo-European: A
Diachronic Study in Wind Formation. Oxford: Oxfoed University
Press. Melchert, H. Craig. 1987. "Proto-Inde-European velars in
Luvian" In Studies in Memory of Warren Congill (1929- 1985), ed.
Calvert Watkins, 182-204. Berlin: de Gruyter. Cuneiform Lavian Lexicon,
Chapel Hill: self-published. Available online at
www.linguistics.uck.edu/peuple/ Melchert/webpage/LUV1.EX.pdf. , 1994a. Anatolian Historical
Phonology. Ansterdam: Rodopi. The feminine gender in Anatolian." In Früh,
Mittel, Spätindogermanisch: Aeten der IX. Fachtagung der Indogermanischen
Geselischaft vom 5, bis 9. Oktober 1992 in Zibrich, ed. George Dunkel et al., Wiesbaden:
Reichert. , Hittite arki-'chant, intone
vs. arkiowa-'make a plea." Journal of Cuneiform Studies 50-45-S1. Hittite nominal stems in
-anzan-" In Indogermanisches Nomen: Derivation, Flexion und Ablaut. Akten
der Arbeitstagung der Indogermanischen Gerellschaft = Society for indo-Europenn
Studies = Sociêté des études indio-européennes, Freiburg, 19, bis 22. September
2001, ed. Eva. Tichy, Dagmar S, Wodtko, and Britta Irslinger, Bremen: Hempen. , ed. 2003b. The Lulans.
Leiden: Brill. . PIE thom' in Caneiform
Luvian?" In Proceedings of the Fourteent Annual UCIA Eudo-Earopean
Carfer-ence, Los Angeles, November 8-9, 2002, ed. Karlene Jones-Bley et al, Washington,
EXC: Institute for the Study of Man. 2004. A Dictionary of the Lycian Language. Ann Arbor:
Beech Stave. 2005. "Indo-Baropean
linguistics: A 19th century science in the 21st century." Collitz Lecture,
presented at the Linguistic Society af America Institute, Cambridge, M.A, Greek
mdlybdos as a loanword from Lydian." In Hitlites, Greeks and their
Neighbors in Anatolla, ed. Billie Collins et al.
www.linguistics.ucla.edu/people/Melchert/recent_papers.html. Mellct, S, M. D.
Joffre, and G. Serbat, 1994. Grammaire fondamentale du Latin: Le signifié du verbe.
Louvain: Pecters. Menéndez Pidal, Ramón. 1962. Manual de gramática histórica española. 11th
ed. Madrid: Espasa Calpe, Mercado, Angelo. 2006. The Latin Saturniun and Italic
Verse. UCLA. peopleucsc edu/-anmercad/re- search.htmi#Discertation.
Mesa Sanz, El desco y el subjuntivo: Andlisis de los actas de habia y e valor
"aptalivo" en lengra latina. Alicante: Universidad de Alicante.
Mester, R. Armin, 1994. "The quantitative trochee in Latin." Natural
Language and Linguistic Theory 12:1-61. Meyer-Labke, W. 1920. Einführung in des Sinditam der
romanischen Sprachwissenschaf. 3rd ed. Heidelberg: Winter, - 1935.
Romanisches etymologisches Würterbuch. 3rd ed. Heidelberg Winter.
Mikalson, Ennius' usage of is ea id." Hatvard Strafies in Classical
Philology Miller, D. Gary. Latin Suffixal Derivatives in English and Their Eudo
European Ancestry, Oxford: Oxford Univer- sity Press. Miranda, E.,
ed. 1990-. Iscrizioni greche d'halia: Napol, Rome: Quasar. Moll, F. de B.
Gramática histórica catalana Madrid: Gredos. The Catalan translation, Gramárica
histárica catalana (Valencia: Universitat de Valencia) is
unchanged. Moller, Review of Friodrich Kluge, Beitnäge zur Geschichte der
germanischen Compugation (Strassburg: Trübner, 1879). Englische Studien
3:148-64. Mommsen, Die unteritalischen Dialekte. Leipzig: Wigand
Moralejo, Notación de la aspiración consondatica en el latér de la República:
Testimorios epignificas data- das. Bologna: Compositori. Morani, Moreno 1986. "Un problema di
grammatica Latina: Laccusativo plurale del teri in «42" AUti del
Sodalicio Giostologico Milanese Introdiczione alia linguistica intina.
Munich: LINCOM Europa. Mocetti, Luigi. inscriptiones Graecue Urbis Romae.
Rome: Istituto Italiano per la Storia Antica. Morgenstierne, Georg, 1983. "Hemerkungen
zum Wort-Akzent in den Gathas und im Paschto." Mänchener Stadien zur
Sprachwissenschaft Morpusgo Davies, Ninefeeuth-century Linguistics. History of
Lingwisties, ed. Giulio Lepechy: London: Longman. Morris Jones, J,
1913. A Weish Grammaz, Historical and Componalive: Phanclogy and Accidence. Oxford: Clarendon.
Mayse-Faurie, Le drefa: Langue de Lifou (Tes Loynuté), Phonologis, marphologie,
syntaxe. Paris Sociêté détudes linguistiques el antropologiques de
France. Mras, "Assibilierung und Palatalisierung im späteren
Latein." Wiener Studien Muljacit, Zarko. 2000. Das Dalmatische: Stadien zu
einer untergegangenes Spruche. Cologne: Böblau. Muller, Jean-Claude 1986.
Early stages of
language comparison from Sassetti to Sir William Jones Kratylos Muller-Wetzel,
Martin. 2001. Der lateinische Konjunklin: Seine Einheit als deiktische
Kategorie. Eise Erklärung der modalischen Systeme der klassischen Zeit.
Hildesheim: Olins-Weidmann. Narten, Jobanna. 1969, "Zum
proterodynamischen Wuraciprisens" In Protidinam Inaiar, Inauian, and
Indo-Euro- pous Sradles Presented to Franciscus Bernardus Jacobus Kulper
on His Sixtieth Birthday, ed. J. C. Heesterman, G. H. Schokker and V. L.
Subramoniam, The Hague: Mouton. Nedoma, Robert, 1995, Die Inschriß auf
dem Helm B von Negau: Möglichkelten und Grenzen der Deutung nonditlischer
epigraphischer Denkondler, Vienna: Fassbaender. Neri, Sergio. 2003. I sostantivi in -u del goticos
Morfologia e preistaria. Innsbruck: Institut für Sprachen und
Literaturen, Abteilung Sprachwissenschaft. - 2005.
"Riflessioni sull'apofonia radicale di proto-germanico "nami" 'nome."
Historische Sprachforschung Niedermann, Max, 1899. "Studien zur Geschichte
der lateintschen Woribildung." Indogermanische Forschungen Prècis de phonétigue
historique de Intin. 4th ed. Paris: Klincksleck. Nieto Ballester, E. Remarques
sur le prétenda datif singulier en 4 dans le latin archaique"
Indogerimanische Forschungen Nikolaey, K dejstviju zakona Rixsa v
drevnegredeskom jazyke" In Hydá mánasa: Stornik statej k 70-letjo s0 dnjo
rodderija professora Leonarda Georgievida Gertsenderga, ed. N. N. Kazanskl, Saint
Petershurg-Nauka Noreen. Adolf. 1904. Altschwedische Grammatik, mit
Ebuschluss des Algurnischen. Halle: Niemeyer. Alisländische und
altnorwegische Grammatik (Laut- und Flexionslehre) anter Berlicksichtigung des
Urnar- dischew. Halle: Niemeyer. Nussbaum, Ennian Laurentis Terra" Harwind
Studies in Clasical Philology 77-Studies in Latin noun formation and
derivation: Y in Latin denominative derivation" En Indo-European
Studies II, ed. Calvert Watkins, Linguistics, Harvard, Caland's Law and the Caland
System, Harvard, Head and Horn in Indo-European. Berlin: de Gruyter. Five Latin
verbs from a root "leik-" Harvind Studies in Classical Philology Latin
dolom, auritus, acutus, avitus: Four of a kind?" Paper presented at the
15th East Coast Indo-European Conference, Vale University, The Saussure Effect'
in Latin and Italic." In Lubotsky More on "decasuntive" nocinal
stems." Paper presented at the 17th East Coast Indo-European Conference,
The University of North Carolina at Clapel Hill, Two Studies in Greek and
Homeric Lingwistics, Göttingen: Vandenboeck et Ruprecht. , Severe problems" In
Jasanoff et al. JOCIDUS: An account of the Latin adjectives in -idus" In
Compositiones indogermanicae in memoriam Jochem Schindler, ed. Heiner Elchner
and Hans Christian Luschützky, Prague: Enigma. A benign interpretation."
Paper presented at the 22nd East Coast Indo-European Conference, Harvard Cool
*-Ed-: The Latin friged and Greek alynown, tein, and plysavoc types" Paper
presented at the East Coast Indo-European Conference, Virginia Tech, Latin
present stems in -sa-: A possibly not so minor type" Paper presented at
the Kyoto Indo-European Conference, Kyoto Verim Docenti: Sradies in Historical
and Indo Eirobean Lingwistics Presented to Jay H. Jasanoff by Sti-dents,
Colleagrets, and Friends Ann Arbor: Bosch Stave. Natting, The ablative gerund
as a present participle" Classical Journal Nyman, Latin -la 'nom. pl: as
an Indo-European reBex" Glorta Nyrop, Kristaffer. 1913-67. Grammatre historique de
la langue française. Vol. 1, Histoire externe de la langue et la phonétigur,
Sth ed. rex. by I Laurent, Morphologie, La formation des mots, 2nd ed. rev. by
K. Sandfeld, Semantique, La syntaxe; noms et pronoms, La syntaxe; verbes,
particules, la proposition, 1930. Copenhagen: Gyldendal. Oettinger,
Norbert. 1997. "Grundsitzliche Oberlegungen zum
Nordwest-Indogermanischen" Encoutri linguistici Zum
nordwest-indogermanischen Lexion: Mit ciner Bemerkung zum hethitischen Genitiv
aaf-L"In An-reiter and Jerem Die Stammbildung des hethitischen Verbuns. 2nd ed. Dresden: TU Dresden. Neuerung in Lexikon und
Worthildung des Nordwest-Indogermanischen." In Bammesberger Chals, The
phonetics of sound change." In Historical Linguistics: Problems and
Perspectives, ed. Charles Jones, London: Longman. Phonetics and
historical phonology" In The Fiandbook of Historical Linguistics, ed.
Brian D. joseph and Richard I. Janda, 669-86. Malden, MA: Blackwell.
Olander, Thomas, The dative plural in Old Latvian and
Proto-Indo-Furopean." Infogermanische Farschunger Oliver, Revilo P.
1966. "Apex and Sicilicus" America Journal of Philology Olsen, Birgit
Anette. 1988. The Prato-Indo-European Instrument Nown Suffix *-tom and its
Variants, Copenhagen: Munksguard. The Now in Biblical Armenian:
Origin and Word-formation, with Special Emphasis on the indo-European Heritage.
Berlin: de Gruÿter. Oniga, I
COMPOSTI NOMINALI LATINI: UNA MORFOLOGIA GENERATIVA, Bologna: Patron. "Lapofonia nei composti e l'ipotesi dell'
intensità iniziale in latino (con aleune consequenze per la teoria dell'ictus
metrico) In Metrica classica e linguistica, ed. Roberto Danese, Franco Gori and
Cesare Questa, Urbino: Quattro Venti. 2003. "La sopravvivenza di lingue diverse del latino neil'italia di
eti imperiale" Lexis Osthaff, Hermann. Das Verbum in der Nominalcomposition im Deutschen,
Griechischen, Slavischen und Ro- manischten. Jena: Costenoble.
Paden, Introduction to Old Cecitan. New York: Modern Language Association of
America. Palmer, Prank R. 2001. Mood and Modality. 2nd ed. Cambridge:
Cambridge University Press. Palmer, Leonard R. 1961. The Latin Language,
London: Faber and Faber. Panagi, Prisuppositionen und die Syntax der
lateinischen Komparation." Salzburger Beitrage zur Lin- guistik Zu
den Formen auf -mint im lateinischen Verbalsystem." In Flarilegium
lingwisticum: Festschrift für Wolf. gung P. Schwid zum 70. Gehurtsfog ed.
Eckhard Eggers et al., Frankfurt am Main: Lang. Panagi, Oswald, and Thomas
Krisch, ed. 1992. Latein and Indugermanisch: Akten des Kollogniums der
Indagerna-nischen Gescilschaft, Salzburg Innshruck: Institut für
Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck. Parker, The Relative
Chronnlogy of Some Major Latin Sound Changes. Yale, Latin siso » sero and
related rules." Glotta Parsons, A new approach to the Saturnian verse and
its relation to latin prosody." Transactions of the American
Piafiologioni Association Patri, Sylvain. Observations sur la loi de
Winter" Historische Sprachforschung Paul, Hermann. Prinzipien der
Sprachgeschichte. 5th ed. Halle: Niemeyer.-Podersen, Holgez. La cinquieme
déclinaison latine. Copenhagen: Höst. The Discovery of Language:
Lingwistic Science in the Nineteenth Century, Translated by John Webster
Spargo. Bloomington: Indiana University Press. Pellechia, M., The mystery
of Etruscan origins: Novel clues from Bos taurus mitochondrial DNA."
Procent- ings of the Roym Society: Bialugical Sciences Pellegrini, Giovan
Battists. Alcune osservazioni sal
'retoromanzo" Lingwistica (Ljubljana) Pellis, Ugo, et al. Ariante
linguístico italiano. Rome: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato. Penney. Indo-Europens
Perspectives: Studies in Honour of Davies. Oxford. Penny, A History of
the Spanish Langnage. 2nd ed Cambridge Cambridge University Press. Perrot, Les dérives latins
en - men et -mentum. Paris: Klincksieck Peters, Martin, 1976. "Attisch hiêmi." Die
Sprache Unfersuchungen zur Vertretung der Endogermanischen Laryngule in
Griechischen. Vienna: Osterreichische Akademie der Wissenschaften. . 1999a. "Tin tiefes
Problem." In Compositiones inslogermanicoe in memoriam jochem Schindler,
ed. Heiner Eikhner and Hans Christian Luschützky, Prague: Enigma. Gallo-Int.) marcasior." In Anreiter and
Jerem Petersmann, Hubert. 1973. "Zu Cato de agr. 134,1 und den frübesten
Zeugnissen fir den Ersatz des Nominativs Piu- ralis von Substantiven der
1. Deklination
durch Formen auf-as" Wiener Studien Petersmann, Hubert, and Rudolf
Kettemann, eds, 1999. Latin vulgaire, latin tardif Vi Actes dur Ve Colloque international
sur le latin vulgeire et tandif. Heidelberg: Winter. Petit,Lituanien."
LALIES Suc- eu groc ancien: La famille du promom néfléchi. Linguistique grecque
et comparaison indo-curopéenne. Louvain: Poeters. Apophonie et catéguries
grammaticales dans les langues baltiques. Louvain: Peeters. Pfister, Max.
1979-. Lessico etimologico italiano. Wiesbaden: Reichert. Pianezzola, Gli
aggetivi verbali ir -hundus. Florence: Sansoni. Pinault, Georges-Jean,
1985. "Introduction au tokharien" LALIES Chrestomathie takharienne:
Textes et grammaire. Louvain: Peeters. Pinkster, Harm. 1990, Latin
Synslux and Semantics. London: Routiedge. Pironz, Il ruovo Pirona:
Vocabolario frisiano. Udine: Bosetti. Pirson, J. 1906. "Mulomedicina
Chironis: La syntaxe du verbe" In Restschrift zum XII. allgemeinen
deutschen Neu- philologentage in München, Pfingsten, 1906, ed. E. Stolireither, 590- 431, Erlangen:
Junge. Pisani, Vittore, Storie di parole," Archivio glorrologico
italiano. "7 da e in latino?" Die Sprache 26:185-6. Poccetti, Etrusco
Feluske = Faliscus? Note sull'iscrizione della stele arcaica di
Vetulonia." Studi etruschi Poccetti, Paolo, Diego Poli, and Carlo
Santini, UNA STORIA DELLA LINGUA LATINA: FORMAZIONE, USO, COMUNICAZIONE, Roma:
Carocci. Pakorny, Julius. 1959 69. Indogermanisches erymologisches
Wörterbuch. Bern: Francke. Paljakov; Oleg. 1995. Das Probem der
Buito-slavischen Sprachgemeinschef. Frankfurt am Main: Lang. Pope, Mildred
Katharine, 1952. From Latin to Modern French. 2nd ed. Manchester: Manchester University Press.
Porzio Gernis, Maria Luisa, 1974. "Contributi metodologici allo studio del
latinó arcalco: La sorte di M e D finali." Memorie della Accademia
Nacionale dei Lincei, Cl. di Sc. morali, storiche e filologiche, Gli clementi
celtici del latino." In I Ceiti d'halia, ed. Enrico Campanile, Pisa:
Giardini. Rosner, The Romance Languages, Cambridge: Cambridge University
Press. Postgate, ]. P. Operatus and operari." Jauznal of Philology Poucet, Tarigine
sabine de la commutatio du -d- en -t, un mythe linguistique?" Antiguité dassique
35:140-48. Poultney, James W. 1959. The Bronze Tables of Iguviam.
Baltimore: American Philological Association. The language of the Northern
Picene inscriptions" Journal of Indo-Baropean Studies 7:49-61.
Powell, A new text of the Appendix Probi." Classical Quarterly Prinz, Zur
Entstehung der Prothese vor s-impurum im Lateinischen." Glotta Probert,
Philomen, On the prosody of Latin enclitics." Ofand University Working
Pupers in Lingristics, Filol- ogx and Phonetics Prokosch, Eduard. 1939. A
Comparative Germanic Grammar. Philadelphia: Linguistic Society of
America. Prosper, Manca Maria. 2002. Lenguas y religiones prerromunas del
occidente de la Peninsuia Ibérica, Salamanca Uni- versidad de
Salamanca Fuelma, Mario, Nachtrag zu spectrom: Bin beues
Wortzeugeis" Museum: Heiveticum 43:169-75. Puhvel, Jaan. 1984-
Hirtite Etymological Dictionary. Berline de Gruyter. Latin faror: Help
from Hitite" In Jasanoff et al. Pultrovi, Lucie, 2005. The Vocalism of
Latin Medial Syllables. Prague: Univerzita Karlova v Praze, Nakl.
Karolinum. Purnelle, Gérald. 1995. Les usages des graveurs dans la notation d'upsion
et des phonèmes aspirés Le cas des antiro- ponymes grecs dans les
inscriptions latines de Rame. Geneva: Druz. Puscariu, Sextil. Etymologisches
Würterbuch der nmänischen Spruche. Heidelberg: Winter. Die romänische spraches Ihr
wesen und ihre volkliche prägung. Trans. Heinrich Kuen. Leipzig: Harrassowitz.
Quellet, Henri. 1969. Les dérivés latins en -or: Etude lexicographique,
statistique, morphologique et sémantique. Paris: Klincksieck. Questa, Cesare. La
metrica di Píauto e di Terenzio, Urbino: Quattro Venti. Quirk, Ronald J. 2006, The
Appendix Probi: A Scholar's Guide to Text and Context. Newark, DE: de la
Cuesta. Ramat, Anna Glacolone, and Paolo Ramat, eds. 1998. The
Indo-European Langsages. London: Routledge. Rasmussen, Jens E. 1994.
"Miscellaneous morphological problems in Indo-European languages Ill:
Arbejdspapiner udsendr of testitut for Lingvistik, Kaberhavs Universilet Studien
zur Morphophonemik der indogermanischen Grundsprache. Innsbruck: Institut für
Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck , The origin of the Latin
gerund and gerundive" Copenhagen Working Papers in Linguistics, Against
the assumption of an 1! ""*ctures rule." In Proceedings of the
Twelfth Arenal UCLA Indo-European Conference, ed. Martin Huld et al., Washington,
DC: Institute for the Study of Man. Rauch, Irmengard, 1992, The Old Saxon
Language: Grammar, Epic Narrative, Linguistic Interference. New Yorie
Tang. Reichelt, Hans. Awestisches Flementarbuch. Heidelberg:
Winter. Reichenkron, Historische latein-altromanische Grammatik. Wiesbaden:
Harrassowitz. Reichler-Béguelin, Marie-José, 1986. Les noms larins du
type mêns: Erude morphologique, Brussels: latomus. Renou, Louis. 1996.
Grammarie sanscrite. 3rd ed. Paris: Maisonneuve. Reypulds, Elinor, Paula
West, and John Coleman. Proto-Indo-European 'laryngeals' were vocalie."
Diachronica Rheinfeldes, HL. Altfranzösische Grammatik. 5th ed. Munich:
Hueber. Ricken, Elisabeth, 1999. Untersuchungen zur nominaien
Stammbildung des Hethrinschen. Wiesbaden: Harrassowitz Tat. egt führte,
itc-l 'warf" and h.-luw. INFRA a-ka 'unterwarf." In Nussbaam, Riggsby, Andrew M. Elision and
hiatus in Latin prose" Classical Antiquity Kinge, On the Chronology of
Sourd Citages in Tocharian. Vol. 1, Fram Prufo-Indo-European to Proto-
Tocharian. New Haven: American Oriental Society, 1997. "On the origin of
3pl. imperative-vcov." In Festschrif far Eric Hamp, ed. D. Q. Adanis, Washington,
DC: Institute for the Study of Man. A Lingwistic History of English. Froms
Proto-indo-European to Prodo-Germanic. Oxford: Chdord Uni-versity Press. A sociolinguistically informed
solution to an old historical problem: The Gothic genitive plural,"
Transactions of the Philological Society, Old latin - mind and 'analogy. In
Nussbaur Risch, Ernst. Der Typus parturise im Lateinischen."
Indogermanische Forschungen Wartildung der homerischen Sprache. 2nd ed. Berlin:
de Gruyter. 1981. Gersndivum und Gerundion:
Gebrauch im klastschen und älteren Latein, Eatstehung und Vorgeschichte.
Berlin: de Gruyter. Gab es im Latein ein Neutrum Singular nudinson?" In
Sprachwiserschafiliche Porschungen: Festschrit fr Johann Knabloch zum 65. Geburtstag
am 5. Januar 1984 durgebracht von Freunden and Kollegen, ed. Hermann M. Olberg
and Gernot Schmidt, 329-38. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der
Universität lansbruck: Risselada, Rodie. 1993. Emperatives and Other Directive
Expresions in Latin: A Study in the Pragmatics of a Dead Language. Amsterdam: Gichen.
Kitter, R.-P. 1996. introducción al armenio antiguo. Madrid: Ediciones
Clásicas. Kix, Helmut, Sabini, Sabeili, Samnium: Fin Beitrag zur
Lautgeschichte der Sprachen Altitaliens." Beitnäge zur
Namenforschung, Die lateinische Synkope als historisches und phonologisches
Problem." Kratylos
Reprinted in Strunk Fexion und Wortbildung: Akzen der V. Fachtagung der
Indogermanischen Gesellschaft, Regenshung, Wiesbaden: Reichert. Das keltische Verbalsystem auf dem Hintergrund
des indo-iranisch-griechischen Rekonstruktionsmodella" In Indugermanisch
und Keltisch: Kalloguiren der Indogenmanischen Gesellschaft am 16. und 17. Februar 1976 in Bonn. Vortnüge,
ed. Karl Horst Schmidt, Wiesbaden: leichert. Review of M. Lejeune, linthroponymsie osque (Paris:
Belles Leitres, 1976). Kratyios Pyrgi-Texte und etruskische Grammatik." In
Akten des Kolloquiams zum Thema "Die Göttin von Pyrg!: Archolgische,
lingwistische, und religionsgeschichrliche Aspekte (Tubingem, 16.-17. Jantar 1979), [ed. Aldo Neppi
Modona and Friedhelm Prayon], Florence: Olschki. Rapporti onomastici fra il panteon etrusco e quello
romano." In Gli etruschi e Roma: Arti del'incontro di studio in onore di
Massimo Pallottina, Rona, 11-13 dicemöre 1979, [ed. G. Caloana et al.J. 104-26.
Rome: Bretach-neider. Das letzte Wort der Duenos-Inschrift." Mänchener Studien zur
Spruckwissenschaft Die Endung des Akkusativ plural commune im Oskischen."
In O-o-pe-ro-si: Festschrift für Emast Risch zum 75, Geburtstag, ed. Annemarie Etter, 583-97.
Berlin: de Grayter. Tat, patronus, matrona, colonus, pecumia." In Indogermanic Europsed:
Festschrift fior Wolfgang Meid zum 6) Geptetstag am 12.11.1989, ed. Karin
Heller, Oswald Panagi, and Johann Tischler, Gra: Instirut fir
Sprachwissenschaft Graz. , Etruskische Texte: Editio Minor. In collaburation with Gerhard Meiser. Tübingen:
Narr. "Etrusco un, sme, un he, tibi vos' e le
preghiere del rituali paralleli nel Liber Linteus." Archeologia dassica Üridg
&'esio- in den südindogermanischen Ausdricken für 1000" In Studia
etymologica indocuropaca memorine A. J. van Windekens (1915-1989) dicata, ed.
I. Isebeert, Louvain: Department Orientalistiek. , Historische Grammutik des Griechische. 2nd ed.
Darmstadt: Wissenschafliche Buchgesellschatt. 1995a. "Einige lateinische Präsensstammbildungen
zu Set-Wurzeln. "In Karylowicz Memorial Voltane, etl. Wojciech Smncayiskt,
1:399-408, Cracow: Uiniversitas. -.
1995b. "Griechisch ¿xiorauar: Morphologie und Etymologie" In Verbe ef
Structurne: Festschrift fier Klaus Strunk zum 65. Geburtstag, ed. Heinrich
Hettrich et al, 237-47. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschalt der
Universität innsbruck. 199S.
"Oskisch bravús, oskisch uruvi, lateinisch urvum und 'europäisch'
brave." Historische Sprachforschug 108:84-92 . 1995d. "Il latino e l'etrusco" Eulopia Reriew
of Schriiver 1991. Kratylos Germanische Runen und venetische Phonetik." In
Vergielchende germanische Philologie und Skandinavistit: Festschrift fir Obnar
Werner, ed. Thomas Birkmann et aL. 231-48, Tübingen: Niemeyer. → 1998.
Ratisch und Etruskisch. Jansbruck: Institut für Sprachwissenschaft der
Universität Innsbruck. La scrittura e la lingua." In Gli etruschi:
Una nuova inmagine, ed. Mauro Cristofani, Florence: Martello. Sabellische
Texte: Die Texte des Oskischen, Ursbrischen, ind Südpikenischen. Heidelberg:
Winter, Ausgliederung und Aufgliederung der italischen
Sprachen." In Bammesberger I nomi delle figure dei miti greci nelle lingue
dell'#alia antica: The first traces of Achilles and Hercules in Latin." In Penney Lehnbezichungen
zwischen den Sprachen Altitaliens" in Sprachkontakt und Sprachwandel:
Akten der XI. Fachlagung der indogermanischen Gesellschuft, Halle an der Suale,
ed. Gerhard Meiser and Olav Hackstein, 559-72. Wiesbaden: Reichert. Roberts,
lan. Dinchronic Syntax. Oxford: Oxford University Press. Robinson, Old
English and Its Closest Relatives: A Survey of the Farliest Germanic Languages.
Stanford: Stanford University Press. Rohifs, Vom Vulgürlatein zum
Aitfranzösischen: Einführung in das Studium der alfranzüsischen Sprache. Tübingen, GRAMMATICA STORICA DELLA LINGUA
ITALIANA E DEI SUOI DIALETTI, Turin: Einaudi. Fonetica, Morfologia, Sintassi e
formazione delle parole trans. PERSICHINO (vedasi) trans. FRANCESCHI (vedasi) Franceschi and Fancelli.,
Die Sonderstellung des Rätoromanischen" In
Raetia Antiqua et Moderna: W. Theodor Elwert zum 8D. Ge- burtstag, ed. Günter Holtus
and Kurt Bingger, Tubingen: Niemeyer. Romero, Joaquin, n.d. "Temporal
reduction effect in diachronic change: Rhotacism." Abstract avallahle at
www.zas. gwa-berlin.de/events/phon_interfaces/abstracts/romero.pdf.
Ross, Alan S. C. and Jan Berns, Germanic" In Ino-Europenn Numerals, ed. Jadranka
Grazdanovié, 555-715. Berlin: de Gruyter. Rassler, Die lateinischen
Reliktwörter in Berberischen und die Frage des Vokalsystems der
afrikanischen Latinität" Belträge zur Namenfarschung, Rothe,
Wolfgang, Einfübrung in die historische Laut und Formeniehre des Ramänischen,
Halle: Niemeyer. Russell, Paul. Recent work in BRITISH LATIN, Cambridge
Medieval Celtic Stadies 9:19-29. Sabanéeva, M. K. 1995. Essai sur lévolution du
subjonctif latin: Probièmes de la modalité verbale, Louvain: Peeters. Sadovski, Velizar: Dvaniva,
tatpurusa and bahuvriai: On the Vedic sources for the names af the
compound types in Pánini's grammat" Transactions of the Philological
Society 100:351-402. Salarewicz, Le rhotarisme latin. Vilnius: Naklad
Towarzystrez Przyjaciol Nauk ve Wilnie. Historische lateinische Grammatik.
Halle: Niemeyer. Lingristic Studies. The
Hague: Mouton. Note sur le developpement de i devant ube voyelle en
Latin." Eos Salvi, Giampaolo,
1997, 'Cola e clitici in latino," Palimpszeszt 8.
irodalom.elte.hu/palimpszeszt/08_szam/06.htm. Sanz Ledesma, Manuel El albanés
Gramática, historia, textos. Madrid: Ediclones Clásicas. Sblendorio Cugusi, I sostantivi latini in
-tudo. Bologna: Patron. Scarlata, Salvatore, Die Wurzelkomposita im
&g-Veda. Wiesbaden:
Reichert. Schad, Samantha, A LEXICON OF LATIN GRAMMATICAL TERMINOLOGY, Pisa:
Serra. Schafiner, Stefan, Das Vernersche Gesetz und der
innerparadigmalische grammatische Wechsel des Urgerna-mischen im
Nominalbereich. Innsbruck: Institut für Sprachen und Literaturen der
Universität Innsbruck. Scharfe, Hartmut. The Vedic word for 'king?"
Journal of the American Oriental Society Scheid, Commentarit Fratrum Arvoliun
qui supersuni: Les copies épigraphiques des protocoles annacis de la confrérie
arvale, 21 au-304 ap. J.-C. Rome
Ecole française de Rome, Soprintendenza archeologica di Roma. Schindler,
Jochem, Das Wurzelnomen im Arischen und Griechischen. Ph.D. diss.,
Julius-Maximilians-Univer- sität zu Würzburg-, Lapophonie des
noms-racines indo-européens" Bulletin de la Société de linguistique de
Paris Bemerkungen zur Herkunlt der Idg. Diphthongstämme und zu
Eigentümlichkeiten ihrer Kasusformes." Die Sprache Zum Ablaut der
neutralen s-Stämme des Indogermanischen.* In Rix Lapophonie des thèmes
indo-européens en rin" Bulletin de la Société de lingwistique de Paris Notizen
zum Sieversschen Gesetz." Die Sprache Zur Herkunft der altindischen cvl-Bildungen" In
Mayrhofer et al. Alte und neue Fragen zum Indogermanischen Nomen (erweitertes
Handout). In in honorem Hoiger Pad-ersen: Kalloguium der Indogermanischen
Geseitschaft vam 25. bis 28. März 1993 in Kopenhagen, ed. Jens Elmegärd
Rasmussen, Wiesbaden: Reichert. Schmidt, Gernot. 1978. Stamumbilduny wnd
Flexion der indogermanischen Personalpromnina. Wicsbaden: Harras-
50Wit Schmidt, Jobannes. Die griechischen ortsadverbia auf -ui -vc und der
interrogativstamm ku. Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung Schmidt,
Keltisches Wortgut im Lateinischen." Glotta Schmitt, Einführung in die
griechischen Dialchte, Darmstadt: Wissenschaftliche Bochgesellschalt. Compenditm linguarm
iranicarsan. Wiesbaden: Reichert. , The Bisitan Inscriptions of Darias the Greal: Old
Persian Text. Londoa: School of Oriental and African Stud-tes. , Grammarik des
Klassisch-Armenischen mit sprachverglechenden Erländerungen. Innsbruck:
Institat für Sprachwissenschaft der Universitat Innsbruck. Schmitz, Philip C.
1995, "The Phoenician text froen the Etruscan sanctuary at Pyrgi"
Journal of the American Oriental Society Schneller, Christian, 1870. Die
romanischen volksmundarten in Südtirol, noch ihrem zusammenhange mit den
romanischen und germanischen sprachen etymologisch and grammarikalisch
dargestellt. Vol. 1. Gera: Amthor. Schrifver, Peter. The Reflexes of the
Proto-indo-Eurapean Laryngenis in Latin. Amsterdam: Rodopi. , Studies in British Celtic
Historical Phonology. Amsterdam: Rodapi , Studies in the History of Ceitic Pronouns and
Partides. Maynooth: Department of Old Trish, National Uni-versity of ireland. , The Chateaubleau tile as a
link between Latin and French and between Gaulish and Brittonic" Études
cel. tiques Athematic 1-presents: The Italic and Celtic evidence" Incantri
lingwistici Revien of Meiser Kratylos Schröder, Eingführung in das Studium des
Rumanischen: Sprachwissenschaft und Literaturgeschichte. Berlin:
Schmidt. Schrodt, Richard, 1976. Die germanische Laudverschiebung und
ihre Stellung im Kreise der indogermanischen Sprachen. 2nd ed. Vienna:
Halosar. Althochdeutsche Grammatik: Syntax. Tübingen: Niemeyer.
Schuhmann, Roland, Zur deminutiven Funktion des "-lo-Suffixes in
Substantiva." In Tichy. Wodtko and Irsling- er Schultz-Gora, Oskar. Alprovenzalisches
Elementarbuch 4th ed. Heidelberg: Winter. Schulze, Wilhelm. 1887.
"Etymologische Miszellen." Zeitschrift für verglekchende
Sprachforschung Schumacher, Stefan. Sprachliche Gemeinsamkeiten zwischen
Rätisch und Etruskisch." Der Schlern Die keltischen Primärverben.
Innsbruck: Institut für Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck. Die rütischen Inschriften:
Geschichte unsd heufiger Stand der Forschung. 2nd ed. Innsbruck: Institut für
Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck Schwyzer, Griechische
Grammatik, Vol. 1, Lautlehre, Wortbildung, Flexion. Munich: Beck.
Schneyzer, Eduard, and Albert Debrunner. Griechische Grammatik, Syntax und
syntaktische Stylistik. Mu- nich: Beck, Scida, Emily. 2004. The
Inflected Infimitive in Romance Langages. New York: Routledge. Seebold,
Elmar. Ae, fwegen und ahd, zwine zwei." Anglia, Vergleichendes und
etymologisches Wörterbuch der germanischen starken Verben. The Haguc:
Mouton. Seidi, Christian, Le système acasuel des protoromans ibérique et
sarde: Dogmes et faits" Vac Romanior Die finanziellen Schwierigkeiten
eines Getreidebändlers und der Profit, den die Linguistik daraus zichen
kann." In Aspects of Latin, ed. Hanna Rosén, Innsbruck: Institur für
Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck, "Les variétés du
latin." In Erst et al. Seldeslachts, Herman, Etudes de morphologie historique de
verbe Intin et indo-européen. Louvzin: Pecters. Sen, Ranjan. Vowel-weakening before muta cum
liquidi sequences in Latin" Oxfond University Working Papers in
Linguistics, Platiology anul Prometics Senn, Handbuch der Iitauischen Sprache. Heidelberg: Winter. SENSI
(vedasi) Treblae 144 in Inscriptiones latinae liberne repuélicae" In
Epigrafia: Actes du callaque international dépigraphie latine en mémoire de
Attilio Degrassi pour le contenaire de sa maissance, ed. Silvio Panciera, Rome:
Ecole française de Rome, Université de Roma-La Sapienza. (A supplement to
ILLRP.) Serbat, Les dérivés nominaux latins à suffixe mediatif. Paris:
Belles Lettres. -, Le 'futur antérieur' chez les granumairiens
latins" In Collart, Erat Pipa quoedam..." Revue des études Intimes Que
signifient les marques pronominales des indéfinis latins?" Bulletin de la
Société de linguishique de Paris Linguistique Jarine et linguistique générale:
Fuit conférences faites à la Fuculté de philosophie et lertres de 'Université
catholique de Louvain. Louvain-la-Neuve: Peeters, Les structures du latin avec un
choix de fextes traduits et annotés de Plante aux "Serments de
Strasbourg". 41h ed. Paris: Picard. Serbat, Gury, eGraneaire fondamentale
du latin, Lourain: Pecters. Shapiro, On the origin of the term
Indu-Germanic." Historiographica Lingmistica, Shintani, On Winter's Law in
Balto-Slavic Arbeidspapirer udsendt af Institut for Lingvistik, Kaben-
havns Universitet Sühler, New Comparative Grammar of Greek and Latin. Oxford, The
myth of the direct reflexes of the PlE palatal series in Kati" In Studies
in Honor of Joan Puhve. Ancient Languages and Philology, ed. Dorothy
Disterheft, Martin Huld, and John Greppin, Washington, DC: Institute for the
Study of Man. Langnage Histury: Art
Introduction. Amsterdam: Benjamins. Edgertons Law: Tse Phantom Evidence. Heidelberg:
Winter. Simon, 2solt, Lat, riger, nigra, nigrum und das indogermanische
Suffix-ró-: Acta Antiqua Hungarica 43431-Skutsch, VII. iaientare, lainnus"
Archiv für lateinische Lexikographie Skutsch, "Nocts." Glotte The
Annals of Q. Ennius. Oxford: Clarendon. Smith,, A. R. Bradlow, and T. Bent. Production
and perception of temporal contrast in foreign accented English. In Proceadings
of the XVih infernational Congress of Phanetic Sciences, ed. M. J. Sole, D. Recasens,
and ]. Romero, Barcelona: Universitat Autonomá de Barcelona. Smith, Gérard, Réflexions
sur le sulionctif latin archaique et préclassique. Dreux: Dreux. Smith,
Martin S, Petronii Arbitri Cena Trimalchionis. Oxford: Clarendon.
Smoczynski, Wojciech. Lexikon der alpreussachen Verbes. Innsbruck: Institut für
Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck. Solin, Heikki,
Marti Leiwo, and Hilla Halla-aho, eds. 2003. Latin vulguire, intin tindif Vl:
Actes die Vie Colloque lnter national sur le latin vulgaire et hardif,
Helsinki, Hildesheim: Olms. Solinas,
11 celtico in Italia." Studi etruschi Salmsen, Felix. 1894. Studien zur
lateinischen Lautgeschichte. Strassburg: Trübner Somerville, Tbe orthography of the new Gallus
and the spelling rules of Lucilius." Zeitschrif für Papyrio- gie und
Epigrapiui: Sommer. Ferdinand. Lucilius als Grammatiker" Hermes Handbuch
der lateinischen Lawd-und Formeniehne Eine Einfihrung in das
sprachwissenschaffliche Studiam des Lateins. 2nd and 3rd ed. Heidelberg:
Winter. , Kritische Erläuterungen zur
lateinischen Land- und Formenlehre: Heidelberg: Winter. , Affinitas acquivaca" In
Schriften aus dem Nachlass, ed. Bernhard Forssman, Munich: Kitzinger. Sommer,
Ferdinand, and R. Pfister 1977. Handbuch der lateinischen Laut- und
Formenlehre. Vol. 1, Einleitung und Lautlehre. 4th ed. rev. by R.
Pfister. Heldelberg: Winter. Sonderegger, Stefan, 2003, Althochdeutsche
Sprache und Literatur: Eine Einführung in das alteste Deutsch. Darstellung and
Grammarik: 3rd ed. Berlin: de Gruyter. Soubiran, Jean. 1966. Lélision
dans la poésie letine. Paris: Klincksieck. Essai sur la versification
dramatique des romains: Séncire tambique et septénaire trochaigue. Paris:
Centre national de la recherche scientifique. Prosodie et métrique du
Miles glariosus de Plaute: Introduction et commentaire. Louvain: Peeters.
Southern, Sub-grammatical Survival: Indo-European S-moolle and its Regeneration
in Germanie Washington, DC: Institute for the Study of Man. Stang,
Christian. Vergleichende Grammatik der baltischen Sprachen. Oslo:
Universitetsforlaget. Starke, Die kellschrift luwischen Texte in
Umschrift. Wiesbaden: Harrassowitz -, Untersuchtungen zur Stammbildung
des keilschrif-luwischen Nomens. Wieshaden: Harrassowitz. Stassen, Leon. Comparison and Universal
Gramonar. Oxford: Blackwell. Stefanelli, Rossana Focile an dificudt"
in Studi linguistici offerti a Gabriella Giacomelli dagil amici e dagli alievi,
(ed. Amalia Catagnoti et al j. 393-403, Padua: Unipress Stefenelli,
Arnalf. Die Volkssprache im Werk des Petron im Hinblick auf die romanischen
Sprachen. Vienna:
Brau. miller. Steinbaner, Dieter: Newes Hundinach des Etruskischen.
St. Katharinen: Scripta Mercaturac. Steller, Walter, Abriss der
aitfriesischen Grammatik, mit Benücksichtigung der westgermanischen Dialecte
des Aitenglischen, Altsüchsischen und Aithockdeutschen, mit Lesestücken und
Wortverzeichnis, Halle: Niemeyer. Stephens, Laurence D. Universals of
consonant dusters and Latin gr-" Indogermanische Farschungen Latin gr-:
Further considerations." Indogermanische Forschungen The role of
palatalization in the Latin sound change // > /ß/" Transactions of the
American Pliological Association The Latin canstruction fore/futurum (esse) ur :
Syntactic, semantic, pragmatic, and dischronic consider- ations." The
American Journal of Philology Stifter, David. 2006. Sengoideic: Old Erish for
Hegiuners. Syracuse, NY: Syracuse University Press. Stok (vedasi) Appendix
Probi TV. Naples: Arte. Stolz, F.. A. Debrunner, and W. P. Schmid. Geschichte
der lateinischen Sprache, 4th ed. Berlin de Gruyter. 'There is an Italian
translation, Storia delia lingua latina by Cario Benedikter, with Introduction
and notes by A. Traina and an appendix that is a transiation of a Russian essay
by J. M. Tronskij on the formation of the literary language (Bologna:
Patron). This work was updated by E. Vineis Streitberg. Urgermanische
Grammatik. Hesdelberg: Winter. Die gotische Fibel. 7th ed. Heidelberg:
Winter. Strodach, George K. 1933, Latin Diminutives in -elio/a- and -
ilio/a: A Study in Diminutive Formation. Philadelphia: Linguistic Society
of America. Strunk, Klaus. Ober Gerundivum und Gerundium II"
Gymnasium Probleme der lafeinischen Granmuatik. Darmstadt: Wissenschaftliche
Buchgesellschaft. Zum Verhältnis von Wort und
Satz in der Syntax des Lateinischen und Griechischen." Gymnastum Lateinisches
Gerandium/Gerundivum und Vergleichbares* In Jasanoff et al. Stuart-Smith, Jane.
Phonetics and Philology: Sound Change in Italic. Oxford: Oford University
Press. Stüber, Karin. Die primären s-Stämme des indogermanischen.
Wiesbaden: Reichert. Sturtevant, Tenuis and Modia" Transactions of
the American Philological Association THE PRONUNCIATION OF LATIN, Philadelphia:
Linguistic Society of America Suirez Martinez, Le -u chez les neutres de la
4ème déclinaison Iatine" In Aspects of Latin, ed. Hannah Rosén, 91-8. Innsbruck:
Institut für Sprachwissenschaft der Universität Innsbruck, Szemerényi, The
development of the Indo-Furopean Mediae Aspiratae in Latin and Etalic."
Archivum Lingwistican Latin hibernus and Grock youtpivoç The formation of
tine adjectives in the Classical languages" Glotta Istroduction do
Indo-Furopean Lingwistics. Oxfocd: Clarendon. Sanaider, Lyliane. Les adjectifs en
-idus, -a, -um. In Kircher Durand
2002, 55-65. TAGLIAVINI (vedasi) Einfüloung in die romanische Philologie.
Tübingen: Francke.
Transinted by Reinhard Meister-feld and Uwe Peterben from Le origini delle
lingue neolatine (Bologna: Patron). The portraits of the great Romance
scholars, however, can only be seen in the Italian edition. Tekavtié, Pavao, 1977. "Sulla forma
verbale vegliota "fera' e sull' origine del futuro veglioto." Incontri linguistici Thieme,
Paul. 1982. "Mening and form of the 'Grammar' of Papini." Studien zur
Indologie sond Iranistik 8-9:1-34. Reprinted and expanded in Kleine
Schriften, ed. Renate
Sähnen-Thierne, Stuttgart: Steiner, Thilo, G, and H. Hagen, Servii Grammatici
qui ferunter in Vergilli carmina commentarii, 3 vols. Leipeig Teubner
Thonsas, François. 1938. Recherches sur ie subjonchif lutin: Histoire et valeur
des fornes. Paris:
Klincksieck. Thomason, Sarah Grey, and Terrence Kaufman, 1988. Language
Confact, Creolization, and Generic Lingidstics. Berke- ley: University of
California Press. Thorhallsdóttir, Gadrún. 1993. The Development of
Eitervocalic *j in Prato-Germanic. Ph.D. diss, Cornell University. Thumb,
Albert, and Richard Hauschikl. 1958. Handbuch des Sanskrit. 3rd ed. Heidelberg:
Winter. Thurneysen, A Grammar of Oid irish. Revised edition with
supplement by D.A. Binchy and O. Hergin. Dublin: Dublin Institute for
Advanced Studies. Tichy, Die Nomina auf-tar- in Vedischen. Heidelberg:
Winter. A Survey of Proto-into-Exropenn. Trans. Cathey. Bremen:
Hempen. Tichy, Eva, Dagiar 5, Wodtko, and Beitta Erslinger, eds. Indogermanisches
Namen: Derivation, Flexion und Atlaut. Bremen: Hempen. Timpanaro,
Sebastiano, 1965. "Mute cum
liquida in poesia latina e net latino volgare" in Studi in anore di SCHRIAFFANI
(vedasi), Rome: Ateneo. Tingdal, G. C. Andelser -is i ackus, plur. Aos de efteraugustelska
författurne. Göteborg: Hermann. Tischler, Hethätisches etymologisches
Glossur. Innsbruck: Institut für Sprachissenschaft, Innsbruck. Hethitisches
Handwürterbuch mit dem Wortschatz der Nachbarsprachen. 2nd ed. Innsbruck:
Institut für Sprachen und Literaturen der Universität Innsbruck.
Tjäder, Jan-Olof, Die nichtitterarischen lateinischen Papyri Italiens aus der
Zeit Lund: Gleerup. Toporov-, Priski) jazyk. Moscow: Nauka. Touratier,
Christian, 1994. Syntaxe latine, Louvain-la-Neuve: Peeters. Trask; R. L. A Dictionary of
Phonetics and Phonology. London: Routledge. The History of Basque. London:
Routiedge. Where do marna/papa words come
from?" University of Sussex Working Papers in Linguistics and English
Language sussex.ac.uk/linguistics/1-4-1.htmal. Trantngann, Reinhold, Die
altpreussischen Sprachdenkmüler, Einleitung, Texte, Grammatik, Wärterbuch
Göt- tingen: Vandenhoeck et Buprecht. - Bafrisch-slavisches Würterßuch.
Göttingen: Vandenhoeck et Ruprecht. Tremblay, Gramotaire comparée et grammaire
bistorique: Quelle réalité est reconstruite par la grammaire comparder" In
Áryas, aryens et iraniens en asle centrale, ed. Gérard Fusaman et al., Paris:
Callège de France. Trubachev, O. N. Erimologicheskij slovar slavjanskix
jazykav. Moscow:
Naulta Taur, Reaven. Onomatopoeia: Cuckoo-language and tick-tocking. The
constraints of semiotic systems. trismegistos.com/IconicityInI.anguage/Articles/Tsur/
Turner, The position of Romani in Indo-Aryan." Journal of tie Gypsy Lore
Society Tuttle, Alpine systems of Romance sibilants" In Ractia Antiqua et
Moderna: Ehvert zurs 80. Geburtstag. ed. Günter Hoitus and Kurt Ringger, Tübingen:
Niemeyer. Uhlich, Jürgen, On the linguistic classification of
Lepantic" In The Celtic World: Critical Concepts in Historical
Studies, ed. Raimund Karl and David Stifter, London: Routledge.
Untermann, Jürgen. Zur semantischen Organisation des lateinischen Wortschatzes.
Gymnasium Wurzelnomina im Lateinischen." In Panagi and Krisch Wörterbuch
des Oskisch-Uinbrischen. Heidelberg:
Winter. Quolus und Valesiasio. Zam pronominalen Genitiv
im Lateinischen." In Linguistica è storia: Stritti in omore di Cario De
Simone. Sprachwissenschaft ist Geschichte: Festschrift fir Cario De Simone, ed.
Simona Marchesini and Paolo Poccetti. Pisa: Giardini. Vainänen, V, Intraduction au LATIN
VULGAIRE, Paris: Klincksieck. The Italian translation by A. LIMENTANI (vedasi),
Introduzione al LATINO VOLGARE, Bologna: Patron, has many additions and
correctivas. Vaillant, Grammaire comparée des langues slaves. Lyon: IAC. Vairel, The
position of the vocative in THE LATIN CASE SYSTEM. American Journal of Philology, Les
énoncés prohibitifs au subjonctif, ne facias, ne feceris et ne faxis."
Revue de philologie van der Meer, L. Bouke. Liber Linteus Zograbiensis = The
Linen Book uf Zagreb: A Comment on the Longest Etruscan Text. Louvain: Pecters. van
Driem, Languages of the Himalayas: An Ethnolinguistic Handbouk of the Greater
Himalayan Region Containing an Introduction to the Symbiotic Theory of
Langwage. Leiden: Brill. Van Valin, An introduction to Syntax. Cambridge:
Cambridge University Press. Vasmer, Russisches etymologisches Wörterbuch.
Heidelberg: Winter. The Russian translation by Q Trubachev, Erimologibeskij
slovar' russkogo jazyka (Moscow: Progress) has revisions and corrections.
Vendryes, Les
correspondances de vocabulaire entre l'indo-iranien et l'italo-celtique."
Mémoires de la Société de linguistique de Paris Sar quelques formations
de mots latins. Les substantifs masculins en -a. Ii: Quelques dérivés de
thèmes en -u- (-tu-)" Mémoires de ln Société de linguistique de
Paris. Vendryes, Lexique étymologique de l'imandais ancien. Dublin:
Dublin Institute for Advanced Studies. Ventris, Michack, and John Chadwick, Documents
in Mycentean Greek. 2nd ed. by John Chadwick. Cambridge: Cambridge
University Press. Verner. "Eine Ausnahme der ersten
Lautverschiebung" Zeirschriß für vergleichende Sprachforshung 2Vernesi,
C., et al. The Etruscans: À population genetic stady." American Journal of
Human Genetics Vernet i Ports, Mariona. La segona conjugació verbal latina: Estudi
etimologic I comparatis sobre lorigen protoin- doeuropeu de la formació
dels seus temes verbals. Barcelona: Institut d'Estudis Montjaic. Viljama, Toivo, The
Infinitive of Narration in LIVIO (vedasi). A Study is Narrative Technique.
Turku: Turan yliopista. Villar, The Latin diphthongs "-al, *-al in
final syllables." Indogermanische Forschungen A New Interpretation of
Celiberian Grammar. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der Universita
Innsbruck. Vincent, The evolution of C.structure: Prepositions and PPs
from Indo-European to Homance" Linguistics Vine, Brent. Studies int Archic
Latin Inscriptions. Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft der
Universität Ennsbruck Remarks on the Archaic Latin 'Garigliano Bowl
inscription"" Zeitschrif für Papyrologie und Epigraphik A note on the
Ducsas inscription." In UCIA 2udo-European Stadies, Ivanov and Brent Vine,
Los Angeles: UCLA Program in Indo-European Studies. Latin "opid and
optare." In Poetika,
istorija, literatury, lingvistiba: Sbornik k 70-letiju Vjaceslava Vsevoiodovida
Eranova, ed. A. A. Vigasin et al.. Moscaw: OGL. Alt épatam, Ion. eipwtái
ask." Glotta Greek
opri, English spoon: A note on "Ehner's Law." Mänchener Studien zur
Sprachwissenschaft South Picene imih." American Philalogical Associa-
tion, Montreal, Quebec, Canada, An alleged case of inflectional contamination: on
the f-stem inflection of Latin CIVIS" Incontri linguistiel On
'Thurneysen-Lavet's Law' in Latin and Italic." Historische Sprachforschung
On the etymology of Latin tranquillus 'calm." International Journal of
Diachronic Linguistics and Linguistic Reconstruction Viparelli, Tra prosodia e
metrica: Sw alni problemi del Carmen de figuris. Naples: Loffredo von Bradke, Beiträge
zur Kenrinis der vorhistorischen Entwicklung unseres Sprachshammes. Glessen:
Münchew. Voretzsch, Einfihrung in das Stadium der alfranzüsischen Sprache
zum Seltstunterricht für den Anglinger. 8th ed. Tübingen: Niemeyer.
Wachter, Arlateinische Inschrifter: Sprachliche und epigraphische
Untersuchungen zu den Dokumenten bis elwa 150 v Chr. Bern: Lang.
Wackernagel, Jacob. Über ein Gesetz der indogermanischen Wortstellung"
Indogermanische Forschungen Genetiv und Adjcktiv" In Melonges de
lingwistique offerts à M. Ferdinand de Soussure, Paris: Cham-pion. 1926. "Conubium" In
Festschrift für Pawl Kretschmer: Beiträge zur griechischen und lateinischen
Sprachfarschung. 289-306. Vienna: Verlag für Jagend und Volk. Vorlesungen
über Syntax, mit besonderer Berücksichtigung von Griechisch, Lateinisch und
Deutsch. 2 vols. Basel: Birkhäuser. [Edited and translated into English with
commentary and bibliography by Lang-slow as Lectures on Syntax, with Special
Reference to Latin, Oxford. Wackernagel, facob, and Albert Debrunner. Altindische
Gramonatik. Göttingen: Vandenhoeck et Ruprecht. Wagner, Max Leopold. Flessione nominale e verbale del
sardo antico e moderno." L'italia dialettale La lingua sarda: Storia,
spirito e forma. Bern: Francke. Historische Wortbilegslehre des
Sardischen. Bern: Francke. Dizionario
etimologico sardo. Heidelberg: Winter. Fonetica starica del sardo. Cagliari: Trois. Italian translation of
Historische Laudichre des Sardischen (Halle: Niemeyer), with introduction and
appendix by Giulio Paulis. La
lingua sarda: Storia spirito e forma. New ed. with introduction by Giulio
Paulis. Nuoro: ilisso. Waldc, Alois, and Hofmann. Lateinisches etymologisches
Wirterbuch. Heidelberg: Winter. Wallace, Rex. The deletion of s in Plautus."
American Journal of Philology Perfect subjunctive and future perfect
paradigms." Ciassical Journal The origins and development of the Latin
alphabet." In The Origins of Writing, ed. Wayne M. Senner, Lincoln, NE:
University of Nebraska Press. , ed. Res Gestae Divi Augusti OTTAVIANO (vedasi). Wauconda:
Bolchazy-Carducci. Venetic" In Woodard, The Sabellic Langnages of Ancient Italy.
Munich: LINCOM Europa. Zikh Rasma: A Manal of the Etruscan Language and Inscriptions. Ann
Arbor: Beech Stave. Ward, Stop plus liquid and the position of the Latin
accent." Language Wartburg, Walther von. Französisches etymologisches
Wärterbuck: Eine Darstellung des galloromanischen Sprachschatzes. 2nd ed.
Bonn: Kiopp. Watkins,"Talo-Celtic revisited" In Ancient Indo
Europcan Dialects: Proceedings, ed. Henrik Birabaum and Jaan Puhvel, Berkeley:
University of California Press Latin sons," In Studies in Historical
Lingwistics in Honor of George Sherman Lane, ed. Walter W. Arndt et al., Chapel
Hill: University of Noeth Carolina Press. Geschichte der indogermanischen
Verbalflexion. Indegermanische Grammatik, od. Jerxy Kurytowicz. Heidelberg:
Winter. A further remark on Lachmann's
Law.' Harvard Studies in Classical Philelogy Etyma Enniana." Harvard
Studies in Classical Philology "Latin ioviste et le vocabulaire religieux
indo-curopéen." In Melanges linguistiques offerts d Emile Beriveniste, ed.
M. Dj. Moinfar, Louvain: Pecters. , The etymology of Old Trish dúan." Celtica Towards
Proto-Indo-Buropean syntax; Problems and pseudo-problems" In Papers from
the Parasession on Diachronic Syntax, od. Sanford B. Steever, Carol A. Walker,
and Salkoko S. Mufvene, Chicago: Chicago Linguistic Society. Syntax and metrics in the
Dipylon vase inscription." In Shalies in Greek, Italic, and Indo-Eurapean
Linguistics Offered to Leunard R. Palmer on the Occasion of His 70th Birthday,
ed. A. Morpurgo Davies and W. Meid, Innsbruck: Institut für Sprachwissenschaft
der Universität Innsbruck. Proto-Indo-European: Comparison and
reconstruction." In Ramat and Ramat, ed. The American Heritage Dictionary of
indo-Eurapean Roots. 2nd ed. Boston: Houghton Mifilin. Watmough, Margaret M. T.
1997. Studies in the Etruscan Loanwards in Latin. Florenoe: Olschki.
Welss, Michael, Studies in Italic Nominal Morphology. Cornell. Life everlasting: Latin iagis
'everflowing' Greck dyis 'healthy, Gothic ajukdaps 'eternity' and Avestan
yusuaef- living forever." Minchener Studien zur Sprachwissenschaft S5:Review
of Sihler American Journal of Pitifology On some problems of final syllables in
South Picene." In Jasanoff et al. Review of Woodard American Journal of
Philology Latin arbis and its cognates." Historische Spractfurschung Cui
bono? The beneficiary phrases of the Third Iguvine Table." In Nussbaum Language
and Ritual in Sabellic Italy: The Ritual Complex of the Whard and Fourth
Aguvine Tables. Leiden: Brill. White, English Sperch Timing: A Domain and Locus
Approach. University of Edinburgh. cstred.ac.uk/projects/eustace.dissertation.html.
Waitney, William Dwight. A Sanskrit Grammar, Incinding Boch the Classical
Language, and the Older Dialects, of Vedin and Brahmana. 2nd ed. Leipzig:
Breitkopf et Härtel. Widmer, Paul. Nartennumen. M.A. thesis
(Lizenziatarbeit), Universitär Bern. Williams, Edwin Bucher. From Latin
to Portuguese. 2nd ed. Philadelphia: University of Pennsylvania Press.
Willmott, The Moods of Homtric Greek Cambridge. Winter, Ibe distribution
of short and long vowels in stems of the type Lith. Esti; wisti ; mèsti and OCS
jasti: westi : mesti, in Baltic and Slavic languages" In Fisiak Reconstructional
comparative linguistics and the reconstruction of the syntax of undocumented
stages in the development of languages and language families" la
Historical Syntax, ed. Jacek Fisiak, Beriln: Mouton. Wodtko, Dagmar. Wörterbuch
der keitiberischen Inschrißen. Vol. 1 of Monumeute linguarum hispanicarum,
ed. Jürgen Untermann. Wiesbaden: Reichert. Woodard, Greck Writing
from Knosses tu Homer: A Linguistic Interpretation of the Origin uf the
Grad Alphabet and the Continuity of
Anciert Greek Literacy. New York: Oxford The Cambridge Encyclopedia of the
Worlds Ancient Languages, Cambridge: Cambridge University Press. Wright, A
Sociophilologicai Study of Late Latin. Turnhou (Belgium): Brepols. Latin
vulgaire, latin tardif VII: Actes du Ville Colloge international sur le latin
vulgaire et tandic Hildesheim: Olms Wylin, Il verbo etrusco:
Ricerce morfosintadtica delle forme usate in funzione verbale. Rome:
Bretsch- neider. Esiste una seconda lamina A di Pyrgit" Parola
del Passato Zair, Dybos Law: Evidence from Old Irish" Oxford University
Working Papers in Linguistics, Pinilology, and Phoneties Zamboni,
Alberto, 2002. "Secale:
Etimo latino e diffusione romanza." In Ex traditione inovatio: Miscellanea
in hon- oren Max Pfister septuegenarii oblata, ed. Glinter Holtus and
Johannes Kraner, Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft. Zamboni, Dizionario
elimologico storico friulano, Udine: Casamassima. Zamora Vicente, Alonso.
1967. Dialectologia española 2nd ed. Madrid: Gredos. Zellmer, E. 1976.
Die lateinischen Wörter auf-ura 2nd ed. Frankfurt am Main: Ziegler, Die Sprache der
altirischen Ogom-Erschrifen. Göttingen: Vandenhoeck et Ruprecht Zimmer, Stefan.
2000. Studies in Weish Word-formation. Dublin: School for Celtic Studies,
Dublin Institute for Ad- vanced Studies Zimmermann, La fin de
Faleris Veteres: Un témoignage archéologique." J. P. Getty Museum Journal Zinkevizius,
Zigmas, 1996. The History of the Lithunian Langwoge. Vilnius: Mokalo ir enciklopediju leidykia. Zucchelli,
B. 1969. Stradi sufle formazioni latine in lo-non diminutive e sui laro
rapporti con i diminutivi. Parma: Unl- versità degli studi, Istituto di
lingua e letteratura Latina. ; ?
« f Jl
; Ìm ù'Ujf, L
>L ?i *5 DELIA RETORICA LIBRI QUATTRO DI T.
GIOII AD ERENNIO VOLGARIZZATI
da 6. FRANCESCO GALLONI NAPOLI
TIPOGRAFIA ITALIANA Liceo V. E.
al Mere* (e Ilo 1 8G8 *i
Digitized by Google v ’ ' » •
} Digitized by Google LA RETORICA LIBRO PRIMO I. Avvegnaché, impedito d agli affari
domestici, a fatica io possa dar tempo
bastante allo stadio, o questo medesimo
tempo, che mi è concesso, più volentieri
io soglia nella filosofia impiegare, non-
dimeno la tua volontà, o Gaio Erennio, mi ha mos- so a scrivere dell’ arte del dire, acciocché
tu non islimassi o non aver io per amor
tuo voluto o sì veramente avere la
fatica fuggito. E tanto più stu-
diosamente quest’opera ho presa, in quanto che sapeva che non senza un motivo volevi imparar
la Rettorica. Imperciocché non picciol
frutto ha in sè l’abbondanza del dire
congiunta alla facilità del- l’orazione,
se governata venga da una diritta intel-
ligenza, e da una ragionevole moderazione di ani- mo. Laonde io ho lasciate da parte quelle
cose, che per una specie di ostentazione
gli scrittori Greci nei loro libri
raccolsero. Li quali per non parere di
saper poco andarono in cerca di cose al tutto
Digitized by Googte 4 LA RLTTORICA (
estranee, a cagione che l’arte si giudicasse cosa difficile ad apprendersi: ed io per lo
contrario non ho tolto che quelle, che
mi parevano dirittamente appartenere al
suggello. Imperciocché io, non già per
la speranza del guadagno o da una vana am-
bizione stimolato, mi sono posto a scrivere, sicco- me fanno molli , ma sì solamente per appagare
, com’ io poteva, i tuoi dcsiderii. Ora,
per non pro- ceder tropp’ oltre con vane
parole, comincerò a trattar l’argomento,
avvisandoli in prima che l’arte senza
l’assiduilà del dire non giova gran fatto; tal-
ché devi intendere che questa ragione del precetto vuol essere acconciala nell’esercizio. II. Il dovere dell’oratore si è di poter
parlare di quelle cose, che all’ uso
civile sono regolate dalle costumanze e
dalle leggi, conciliandosi, per quanto
ei può, l’approvazione di chi lo ascolta.
Tre sono i generi delle cause, che l’ oratore deve prendere: il dimostrativo, il deliberativo,
il giudi- ziale. 11 dimostrativo è
quello, che si propone o la lode o il
biasimo di alcuna determinata perso- na.
Il deliberativo è quello che, proprio alla con-
sultazione, ha perfine o il persuadere o il dissua- dere. Il giudiziale è quello che, proprio
alla con- troversia, comprende in sé
accusa o dimandagione con difesa. Dirò
ora le condizioni, che aver deve un
oratore: poscia dimostrerò come debbono es-
sere trattali questi tre generi di cause. È neccssa- Digitized by Google rio adunque die un oratore abbia
invenzione, di- sposizione, elocuzione,
memoria, e pronunciazio- nc.
L’invenzione è un pensamenlo di cose vere o
verisimili, che valgano a far degna di approvazio- ne la causa. La disposizione è un ordine c
una distribuzione delle cose, la quale
c’insegna dove debbasi collocare
ciascuna di esse cose. L’elocu- zione è
alle cose trovate un adattamento di parole
e sentenze idonee. La memoria è un fermo com- prendimento dell’animo delle cose o delle
parole, c della disposizione loro. La
pronunciazione è un moderamento della
voce del volto e del gesto con •
venustà. Tre cose ciconduconoall'acquisto di tutte queste doli; l’arte, l’imitazione,
el’esercizio. L’arte è un insegnamento,
che ci somministra una via de- terminata
c la maniera del dire. L’imitazione è quel-
la, per la quale noi siamo spinti con sollecita cura a voler rassomigliare ad alcuno nel dire.
L’eserci- zio è un assiduo uso, ed una
consuetudine del dire. III. Poiché
adunque abbiamo dimostralo quali cause
dee prendere l’oratore, e di quali doti essere
fornito, diremo ora come si possano queste pro- prietà dell’oratore applicare alla
composizione di un discorso.
L’invenzione compiesi tutta in sei parti
del discorso, cioè in esordio, narrazione, di-
visione, confermazione, confutazione c confusio- ne. L’ esordio è principio di orazione, pel
quale l’animo dell’ uditore si dispone
all’ attenzione. La (i LA UETTOIUCA narrazione è l’esposizione di cose avvenute,
o che si danno come avvenute. Ln
divisione è quella, per cui poniamo in
chiaro ciò, che si ha per consen- tito,
o che si adduce in controversia; e per cui
esponiamo le cose di cui dobbiamo tratiare. La confermazione è una esposizione dei nostri
argo- menti con affermazione. La
confutazione è un sol- vimenlo degli argomenti
conlrarii. La conclusione è un
artificioso termine del discorso. Ora, poiché
ad una colle doti proprie dell’ oratore, siamo ^ nuli, onde la cosa fosse più facile a
comprender- si, a far parola delle parti
del discorso, attribuen- dole all’
invenzione, sarà conveniente di parlare -
innanzi dell’ esordio. Posta la causa, affinché l’e- sordio sia più acconcio al soggetto, bisogna
esa- minare qual è il genere della causa.
Quadro sono i generi delle cause,
l'onesto, il turpe, il dubbio, e l’umile.
La causa è detta del genere onesto,
quando noi difendiamo ciò, che sembra merite- vole di essere difeso da tulli, od oppugnamo
ciò, che sembra meritevole di essere
oppugnato da tutti, come se parliamo in
favore d’un uomo prode o contro un
parricida. Si chiama genere turpe,
quando si oppugna cosa onesta, o si difende quella, che è disonesta. Dubbio genere è, quando la
causa è in parte onesta e in parte
disonesta. Umil gene- re è, quando si
mette innanzi cosa comunemente
dispregiata. Digitized by
Google I LIBRO I. 7
IV. Stando le cose in questi termini, converrà adattare la qualità degli esordii al genere
della causa. Due sorti di esordii vi
sono: l’esordio di- retto, che i Greci
chiamano proemio, c l’ esordio per insinuazione,
detto da loro efodo. L’ esordio diretto
è quello, pel quale senza più ci possiamo
rendere 1* animo dell’ uditore disposto ad udirci. Esso si tratta in guisa da far per l’appunto
attenti, docili, e benevoli gli uditori.
Se noi avremo il ge- nere della causa
dubbio, cominceremo dal diman- dare
benevolenza, onde non ci riesca di danno quel-
la parte, ch’ei conterrà, di bruttezza. Se il genere della causa sarà umile, ecciteremo
l'attenzione. Ma se il genere della
causa sarà turpe, allora useremo
l’esordio per insiimazione (del quale parleremo più sotto), a meuo che non ci fosse avvenuto di
trovar cosa, per la quale, accusando
l’avversario, potes- simo ottener
benevolenza. Se poi il genere della
causa sarà onesto, noi potremo a nostra volontà usare o non usare I’ esordio diretto. Se
vorremo usarlo, o ci bisognerà mostrare
ciò, che fa onesta la causa, od esporre
brevemente il soggetto, che prendiamo a
trattare. Se non vorremo usarlo , ci
bisognerà incominciare citando una legge, un te- sto, o qualche altra cosa, che sia di fermo
appog- gio alla nostra causa. E poiché
noi vogliamo avere l’uditore docile,
benevolo, ed attento, farò aperto in che
modo si possa ciascuna di queste tre cose
Digitized by Google 8 LA IlETTORICA ottenere. Noi potremo aver docili gli
uditori, se esporremo brevemente il
punto principale della causa, ed
ecciteremo la loro attenzione; perocché
è docile colui, che è disposto ad ascoltare atten- tamente. Li avremo attenti, se noi
prometteremo di aver a dire cose
importanti, nuove, straordina- rie, o
cose, che riguardino lo stato, o coloro stes-
si, che ci ascoltano, o il culto degli Dei immortali; e se pregheremo che ci ascoltino
attentamente; e se esporremo con ordine
le cose, che noi prendia- mo a trattare. V. Benevoli ci possiamo rendere gli uditori
per quattro modi: parlando di noi
medesimi, degli av- versari^ degli
uditori, e del soggetto stesso. Noi
riporteremo benevolenza parlando di noi medesi- mi, se loderemo senz’arroganza l’uffìzio
nostro, o ricorderemo ciò, che facemmo a
prò della repub- blica, o dei parenti, o
degli amici, o di quelli stes- si, che
ci ascoltano; purché tutte queste cose si
convengano al soggetto, di cui si tratta. E pari- mente se andremo discorrendo le miserie
nostre, siccome povertà, carcerazione,
avversità; c se pre- gheremo che ci
diano aiuto, e dimostreremo nello stesso
tempo che non abbiamo voluto collocare in
estranei la nostra speranza. Noi accatteremo bene- volenza parlando degli avversari, se li
addurremo nell’odio, nell’invidia, nel
dispregio. Li addurremo nell’ odio, se
manifesteremo di essi alcun fatto o
4 Digitizc )0 LIBRO I.
9 turpe o orgoglioso, o perfido
o crudele, o arro- gante, o malizioso, o
iniquo. Li trarremo nell’ in- vidia, se
porremo innanzi la loro forza, la potenza,
la fazione, le ricchezze, l’ambizione, la nobiltà, le clientele, l’ospilalilà, le amicizie, le
parentele: o dimoslremo ch’eglino più
confidanoin queste cose che nella
verità. Li avvolgeremo nel dispregio, se
metteremo innanzi la loro inerzia, la dappocaggi- ne, la pigrizia, la lussuria. Noi
raccoglieremo be- nevolenza parlando
degli uditori, se recheremo in mezzo i
giudizi nei quali essi diedero prova di co-
raggio, di sapietqp, di clemenza, di magnanimità; e se faremo aperto quale slima si abbia di
essi, c quale sia l’aspettazione del
presente giudizio. Par- lando poi del
soggetto medesimo ci renderemo benevolo
l’uditore, se innalzeremo la nostra causa
lodandola, e deprimeremo quella degli avversari dispregiandola. : ì-m VI. Parleremo ora dell’esordio per
insinuazione. Tre sono le occasioni, in
cui non possiamo usare l’ esordio
diretto, le quali sono diligentemente da
considerare; o quando abbiamo una causa disone- sta, voglio dire, quando il soggetto medesimo
ci fa contrario l’ animo dell’ uditore;
o quando 1' ani- mo dell’ uditore pare
essere stato persuaso da chi innanzi parlò
contra noi; o quando esso è già stan- co
delle parole di chi arringò prima. Se dunque
la causa è del genere turpe, potremo per insinua- 10
LA RETT0R1CA zione cominciare
con queste ragioni: essere d’uopo
riguardar la cosa, non la persona ; o la persona, non la cosa; non approvare neppur noi quelle
azio- ni che gli avversari nostri
affermano essere stale fatte, e sì
essere indegne e nefande. Appresso, al-
lorché avremo discorso a lungo della gravità del fatto, proveremo che nulla di simigliando è
stato da noi commesso; o metteremo
innauzi un giudizio pronunziato da altri
giudici intorno ad una causa simile, o
identica, o minore, o maggiore. Di poi a
poco a poco ci accosteremo al nostro soggetto, e verremo a confrontamenlo. Ottenerli pure lo
sco- po, se dichiareremo di non voler
dir nulla degli avversari o di alcun
fatto toro, e nondimeno co- pertamente
ne parleremo lasciando sfuggir parole.
Se 1’ uditore sarà stato persuaso, vale a dire se il discorso degli avversari avrà indotta la
convinzione negli uditori ( il che non
sarà diffìcile di conosce- re, poiché ci
sono noti i mezzi, con cui possiamo
indurre la convinzione ); se noi, dico, giudichere- mo indotta la convinzione, ecco quali saranno
le diverse maniere ondeinsinuarci per
entro alla cau- sa: prometteremo in
prima di parlare di ciò, che
l’avversario avrà messo innanzi come suo più fer- mo sostegno; o cominceremo da uno de’suoi
detti e soprattutto da uno degli ultimi;
o useremo la forma del dubbio,
mostrandoci incerti di ciò che dobbiamo
dire o confutare in prima con pieno no-
Digitized by Google LI BUO
I. Il stro stupore. Se poi sarà di già stancala F
atten- zione dell’ uditore, noi
cominceremo da qualche cosa, che muover
possa il riso, come sarebbe o da un
apologo, o da una favola, o da un contraffaci-
mento, o da una storta interpretazione, o da una inversion di parole, o da un equivoco, o da
un in- dovinello, o da uno scherzo, o da
una giulleria, o da una esagerazione, o
da un acconciamento e mu- tamento di
lettere; e inoltre promovendo aspetta-
zione, recando una similitudine, una novità, un fallo accaduto, un verso; o approfittandoci
ad una interpellazione, ad un sorriso di
alcuno; o promet- tendo di lasciar da
parte molte cose, che avevamo in animo
di dire; e di non voler parlare in quella
forma, in cui sogliono gli altri, con esporre breve- mente in questo caso e il metodo altrui e il
nostro. VII. Ecco il divario, che passa
tra F esordio per insinuazione e F
esordio diretto: l’esordio diretto deve
esser tale, che subitamente, recali innanzi gli
argomenti già da noi detti, ci rendiamo F uditore o benevolo, o attento, o docile: ma l’esordio
per insinuazione deve esser tale, che
copertamente per dissimulazione
diveniamo al medesimo scopo di ottenere
l’esposto vantaggio nell’esercizio del di-
re. Ma questi tre vantaggi benché si debbano aver di mira per tutto il corso dell’orazione,
voglio dire che gli uditori ci si
mostrino continuamente atten- ti, docili
e benevoli; pure ciò debbesi soprattutto
6 12 LA RETTOniCA cercar di conseguire a prò della causa per
mezzo appunto dell’ esordio: Ora
mostrerò quali sono i difetti, che
dobbiamo schivare per non fare un
esordio vizioso. Nel cominciare il discorso convie- ne aver cura che il dire sia piano, e le
parole co- munemente accettale nell' uso
per non essere tac- ciati di affettazione.
È un esordio vizioso quello, che può
convenire a più cause; il quale esordio
chiamasi volgare. Parimente è vizioso quello, che si adatta così alla causa dell’ avversario
come alla nostra; il quale chiamasi
comune. È anco vizioso quello, onde l’
avversario può far uso contro di noi,
indottavi una leggiera mutazione. Medesima-
mente è vizioso quello, che è composto di parole troppo studiate, o è troppo lungo; e sì
quello, che non par nato naturalmente
dal soggetto, di guisa che si leghi
senza stento alla narrazione ( il qual
chiamasi esordio staccato, e in cui si comprende anche l’esordio traslato); e quello
finalmente, che non rende nè benevolo,
nè docile, nè attento l’u- ditore. Vili. Ma dell’ esordio basti il fin qui
detto: pas- siamo ora alla narrazione. Di
narrazioni ci ha tre generi. Il primo è
quando esponiamo un fatto, e ne tiriamo
ogni circostanza a nostro vantaggio per ot-
tenere vittoria; il qual genere appartiene appunto a quelle cause, che si espongono ad essere
giudica- te. Il secondo genere di
narrazione è quello, che al- Digitized
by Google LIBRO I. 13
cuna volta interviene nel mezzo della causa per mo- tivo di prova, o di accusa, o di transizione,
o di ap-* pareccliiamento, o di lode .
Il terzo genere è quello, che è bensì
estraneo alla causa civile, ma nel quale
conviene nulladimeno esercitarsi per poter più ac- conciamente trattar nelle cause quei due
generi di narrazione, che abbiamo detto
di sopra. Di colesta narrazione ci ha
due specie, 1’ una che riguarda le .
cose, l’altra le persone. Quella specie, che riguar- da le cose, ha tre parli, la favola, la
storia, la sup- posizione. La favola è
quella, che contiene cose, nè vere nè
vcrisimili; come quelle, che si hanno
nelle tragedie. La storia è un fatto accaduto, ma lontano dalla memoria del tempo nostro. La
sup- posizione è una cosa finta, ma che
nondimeno potè accadere, come i fatti
supposti delle commedie. Quel genere di
narrazione, che riguarda le perso- ne,
deve contenere le grazie del dire, la diversità
dei caratteri, la gravità, la leggerezza, le speranze, i timori, i sospetti, i desiderii, la
dissimulazione, la pietà, i variamenti
delle cose, i mutamenti della fortuna,
gl’ inaspettati mali, losubite allegrezze, i
lieti fini. Ma l’esercizio è maestro a siffatto genere di narrazione. Discorriamo ora solamente di
quel genere che è proprio di una causa
vera. IX. È necessario che la
narrazione abbia tre qua- lità, che sia
breve, chiara, e verisimile: le quali
condizioni, poiché sappiamo essere indispensabili, H h\ RETTORICA vediamo come si possano conseguire. La
narrazio- * ne sarà breve, se
cominceremo là donde è neces- sario
incominciare; e se non risaliremo alle prime
origini delle cose; e se narreremo sommariamente e non partilamente; e se non discenderemo
sino alle ultime conseguenze, ma ci
fermeremo là dove basti ; e se non
daremo luogo a digressioni; e se . non
devieremo dal soggetto, che avremo preso; e
se in guisa esporremo gii esili delle cose, che in- dovinar si possa ciò che è stalo fallo
innanzi, ben- ché noi lo tacciamo; come
se, per esempio, dirò: « che io sono
ritornalo dalla provincia », s’ inten-
derà ancora che io era andato nella provincia. E al lutto sarà meglio tacere non solo ciò che è
contra- rio alla causa, ma anche ciò che
non è ad essa nè contrario nè
favorevole. Ed è anco a guardare di non
ripetere due o tre volle la cosa medesima; e
di non ripigliare a capo di ogni frase ciò che è stato dello in finediognuna, come in questo
esem- pio : « Simone arrivò la sera da
Atene a Megara; dappoi che fu arrivato a
Megara, lese insidie alla donzella;
dappoi che le ebbe tese insidie, lefe’ vio-
lenza nel luogo stesso ». La narrazione sarà chia- ra, se noi esporremo prima ciò che è stalo
fatto prima, e conserveremo l’ ordine
delle cose e dei tempi così come le cose
saranno state fatte, o co- me sarà
verisimile che siano state falle. E qui sarà
da vedere che noi evitiamo la confusione, gli avvi- Digitized by Google LIBRO I.
15 luppamenli, le ambiguità, i
vocaboli nuovi, le di- gressioni
estranee al soggetto; clic non risalghia-
mo troppo ai principii; che non discendiamo trop- po alle ultime cose; che non ommelliamo nulla
di ciò che spetta al soggetto; e
finalmente consegui- remo la chiarezza,
se osserveremo i precetti, che pure
riguardano la brevità; perciocché quanto più
la narrazione sarà breve, tanto più sarà chiara e facile ad intendersi. La narrazione sarà
verisimile, se noi diremo conformamente
al costume, all’opi- nione, alla natura;
se ben converranno gli spazii de’ tempi,
i caratteri delle persone, i motivi delle
deliberazioni, le opportunità de’ luoghi, affinchè non ci si possa opporre o che il tempo non è
stato bastevole, o che non eravi alcun
motivo, o che il luogo non era
conveniente, o che quelle cotali per-
sone non potevano essere o agenti o pazienti. Se il fatto, che si narra, è vero, pur
bisognerà, nar- randolo, osservare tutte
queste condizioni; per- chè, se non si
osservino, la verità può sovente non
essere creduta. Se poi il fatto è supposto, tanto più bisognerà osservarle. Finalmente converrà
usare cautela nell’oppugnare quei falli,
che sapremo es- sere testificati o da
uno scritto degno di fede, o
dall’autorità rispettabile di taluno. Quanto alle co- se, die ho fin qui dette, credo di concordare
con tutti gli altri scrittori dell’arte;
se non che ho detto alcun che di nuovo
intorno agli esordii per insi-
16 LA RETTORICA nuazione, avendoli io solo, fra tanti
altri, distinti in tre classi, affinchè
una via al tutto certa avessi- mo, e una
regola chiara in tal genere di esordii.
X. Ora, poiché mi rimane a parlare di quella parte dell’ invenzione, in cui principalmente
con- siste P arte dell’ Oratore, farò
che non paia aver io nella trattazione
di questa parte posto minor cura di
quello che P importanza del soggetto richiede,
quando avrò prima dello alcun che intorno alla di- visione delie cause. La divisione delle cause
è di- stribuita in due parti. Terminata
la narrazione, noi dobbiamo
primieramente mostrare in che conve-
niamo cogli avversari, e poscia, se sono a noi van- taggiosi i punti, in cui conveniamo, passare
a ciò che è soggetto di controversia.
Per esempio: «Che da Oreste sia stala
uccisa la madre, convengo cogli avversarli;
che egli abbia ciò fatto a drillo, o che
gli sia stato ciò lecito, ecco il punto che è soggetto a controversia ». Ed egualmente nella
risposta : « Che Agamennone sia stalo
ucciso da Clilenne- stra, tutti Io
affermano, ma benché ciò sia, pure
pretendono che io non doveva vendicare mio pa- dre ». Fatta la divisione, noi dovremo
ricorrere alla distribuzione, la quale
pure ha due parti, cioè l’e- numerazione
e la esposizione , L 1 enumerazione
consiste nel dire il numero delle cose, di cui pren- diamo a parlare; e non bisogna che nel
numero abbia più di tre parli; perchè il
dirne più o meno Digitized by
Google ì L1BH0 I. 17 è cosa pericolosa, e può mettere
nell’uditore il so- spetto di
meditazione e di artifizio ; la qual cosa
toglie fede al discorso. L’esposizione poi consiste nel mettere innanzi con brevità e senza
ommissioni le cose, delle quali togliamo
di parlare. XI. Passiamo ora alla
confermazione, e alla con- futazione.
Tutta la speranza della vittoria, e tutto
l’affare della persuasione sta nella confermazione e nella confutazione; imperciocché quando
avremo esposte le nostre prove, e
distrutte quelle dell’av- versario, noi
avremo intieramente adempiuto al- 1’
uffizio dell’ Oratore. Noi potremo adunque trat- tare egualmente queste due parti della
conferma- zione e della confutazione, se
ci sarà aperto (ostato della quistione.
Quattro stati di quislione statuiro- no
gli altri retori; ma Ermete, mio maestro, non
ne ammise che tre, non già perchè volesse levar via qualche cosa di ciò che quelli
attribuirono alla parte dell’
invenzione, ma per mostrare che essi
separarono in due ciò che era d’ uopo presentare nella sua semplice ed indivisibile unità. Lo
stato della quistione è il primo conflitto
del difensore contro l’ imputazione
dell’ accusatore. Tre sono adunque, come
ho detto, gii stati della quistione, il
congetturale, il legale, il giurisdiziale. Lo stato è congetturale, quando vi è controversia di
fatto, a cagione di esempio: « Aiace,
allorché conobbe ciò che fatto avea
durante il tempo del suo delirio, si »
\ jitized by Google 18
LA RETT0H1CA trafisse con la
spada in un bosco. Vi capita Ulisse:
vede 1’ ucciso; gii leva dal corpo il ferro insangui- nato. Sopravviene Teucro; vedendo il fratello
uc- ciso, ed il nemico del fratello con
la spada in ma- no tinta di sangue,
accusa Ulisse di assassinio ». Qui,
poiché si cerca la verità per congettura, vi
sarà controversia di fatto, e da ciò chiamasi con- getturale lo stato della quistione. XII. Si chiama stato di quistione legale,
quando sorge controversia intorno ad uno
scritto. Siffatto stalo ha sei parli,
lettera e spirilo, leggi contrad-
dittorie, ambiguità, definizione, traslazioae, ana- logia. Ci ha controversia intorno alla
lettera e allo spirito quando l’
intenzione di chi ha scritto sem- bra
discordare dallo scritto medesimo, per esem-
pio : « Suppongasi che vi sia una. legge , la quale disponga che coloro, i quali per cagione di
burra- sca abbandonino la nave, debbano
perdere la nave ' e ogni cosa; e che, se
la nave vada in salvo, tanto essa quanto
l’allre cose rimangano proprietà di chi
è restalo nella nave. Ora, spaventali tutti dalla grandezza della burrasca abbandonarono la
nave, e cercarono salvamento sopra di un
palischermo , eccetto un ammalalo, il
quale per impotenza non uscì di nave c
non si mise in salvo. La nave per caso e
per fortuna si ridusse in porto sana e salva:
1’ ammalato si trova possessore di essa : 1’ antico padrone della nave ne fa dimanda in giudizio
co- Digitized by Googte LIBRO I.
19 me di cosa sua ». Queslo si
è stato di quistion le- gate riguardante
la lettera e lo spirito del lesto.-— La
controversia ha origine da leggi contradditto-
rie, quando una legge ordina o permette una cosa, e l’allra la proibisce, come : « Una legge
proibi- sce che un uomo condannato di
concussione parli davanti alPassemblea
del popolo. Un’ altra legge ordina che P
augure proponga all’ assemblea del
popolo colui che domanda di essere surrogato nel posto del collega defunto. Ora, un augure,
che fu condannato di concussione,
propose il successore del suo collega
defunto. Si domanda che sia pu- nito ».
Questo è stato di quistion legale, che ha le
origini da due leggi contraddittorie. La controver- sia nasce dall’ambiguità, quando una cosa
scritta in un senso ne presenta due, o
più; per esempio: « Un padre di
famiglia, instituendo erede il pro- prio
figlio, legò pure in testamento a sua moglie
dei vasi d’argento in questi termini: « Tullio, mio erede, darà a Terenzia, mia moglie, trenta
libbre di vasi d’argento, a scelta sua
». Morto il testa- tore, la donna
domanda i vasi preziosi , e ma-
gnificamente cesellali. Tullio dice di dovere a lei dei vasi d’argento pel peso di trenta libbre,
ma a sua scelta ». Ecco uno stato di
quistion legale, che sorge
dall’ambiguità delle parole. La quistionc di-
pende dalla definizione quando c'è discordanza in- torno al nome, col quale si dee chiamare
un’azio- Digitized by Google 20
LA BETTORICA ne : ecco un
esempio: « Essendo Lucio Saturnino per
portar la legge frumentaria dei semiassi e dei
terzi di asse, Quinto Cepione, che era in allora questore urbano, avvisi il Senato, che
l’erario non poteva sopportare una
cotanta largizione. Il Senato decretò
che, se egli avesse recata quella legge al
popolo, sarebbe stato riguardato come autore di un fatto contro alla Repubblica. Saturnino si
provò a recarla. I suoi colleghi fecero
opposizione: egli nondimeno fece portare
innanzi la cassetta de’suf- fragi.
Cepione, vedendo che , a malgrado del de-
creto del Senato e della opposizione dei colleghi, ei recava la legge in danno della cosa
pubblica, si fa violentemente strada con
alcuni de’migliori cit- tadini, rompe i
ponti, rovescia le cassette, ed im-
pedisce che la legge passi. Cepione viene accusato di. lesa maestà ». Lo stato della quislione è
legale, dipendente dalla definizione ;
conciossiachè non verrà bene determinalo
che cosa sia lesa maestà, se non sia ben
definito il vocabolo stesso. La con-
troversia nasce da traslazione quando V accusalo domanda, o che la causa sia trasferita ad
altro tem- po, o che sia cambialo l’
accusatore, o che sieno cambiati i
giudici. Di questa parte di costituzione
se ne servono i Greci nelle cause pubbliche, c noi per lo più nelle cause private. In siffatta
parte la scienza del diritto civile ci
sarà di gran giovamen- to. Nondimeno
anche nelle cause pubbliche noi m LIBHO I. 2d qualclie volta ce ne serviamo, ed ecco in
che mo- do: « Se alcuno è accusalo di
peculato, perchè è voce che egli abbia
portalo via da un luogo privato dei vasi
d' argento di pubblica spettanza, egli può
rispondere, dopo di aver defluito che cosa sia fur- to, e che cosa sia peculato, clic, rispetto a
lui, bassi a giudicarlo di furto e non
di peculato». Una siffatta parte di
costituzione legale è di rado invo- cata
dinanzi ai nostri tribunali, perchè se si tratta di azion privala, il pretore giudica delle
eccezioni, e perde la causa colui che
non si attiene alle for- me prescritte;
c se si tratta di causa pubblica, le
leggi provvedono che antecedentemente, se l’ac- cusato ciò crede di suo vantaggio, sia dato
giudi- zio, se quell'acusalore abbia o
no il diritto di ac- cusare. XIII. La controversia ha le origini dalla
analo- gia, quando si presenta in
giudizio un fatto, in- torno a cui v'ha
alcuna legge propria, la quale decida,
ma che nondimeno può riferirsi a qualche
altra legge. Per esempio: Una legge dice: Se uno è furioso, la persona e i beni di lui saranno
nella potestà de’ suoi agnati e gentili:
» Un'altra legge dice: « Colui, che sarà
giudicalo di avere ucciso il padre o la
madre, sia ravvolto e legalo in un sacco
di cuoio, e gittalo in un fiume. » Ed un’al-
tra dice : Se un padre di famiglia ha per testa- mento disposto de’suoi beni c de’suoi
schiavi, sia Digitized by Google 22
I.A RETTORICA rispettata la sua
volontà. » Ed un’altra dice final-
mente: » Se un padre di famiglia muore senza te- stamento, i suoi schiavi ed i suoi beni siano
degli agnati e dei gentili. » Orbene:
Malleolo fu giudi- cato di avere ucciso
la madre: appena condannato gli fu
ravvolto il capo in un cuoio di lupo, gli fu*
ron messi i ceppi ai piedi, e fu condotto nel car- cere. I suoi difensori portano delle
tavolette nella prigione; ricevono da
lui, in presenza di testimo- nii, giusta
la legge, il suo testamento, c poco dopo
è condotto al supplizio. Coloro, che per testamento ne erano gli eredi, domandano l’eredità. Il
fratello minore di Malleolo, che nel
fatto di esso era stalo l’accusatore,
dichiara che per la legge di agnazio- ne
quella eredità è a lui devoluta. Qui non può
essere prodotta alcuna legge speciale intorno a questo caso, e ciò nonostante se ne
producono molte, dalle quali si trae per
analogia, che Mal- leolo abbia o non
abbia potuto di diritto far testa-
mento. E. co qual è lo stato di quistion legale fon- dalo sopra l’analogia. XIV. Noi abbiamo dimostrato tutte le
diverse specie di quistion legale: ora
parliamo della qui- stione
giurisdiziale. Ci è lo stato di quistion giu-
risdiziale quando si conviene del fatto, ma si do- manda, se esso è o non è conforme al diritto.
Di tale stato di quistione ce n’ ha due
specie: l’una specie chiamasi assoluta,
el’ altra assuntiva. Ella LIBRO
I. 23 è assoluta, quando noi sosteniamo che un’
azione è rettamente fatta, senza clic
ricorriamo a motivi estrinseci; per
esempio: « Un commediante rivolse la
parola in pieno teatro nominatamente al poeta
Accio: Accio lo accusa d’iugiuria: il commediante non si fa altra difesa che questa: dice che è
lecito nominare colui, sotto il cui nome
è data a rappre- sentare in teatro una
commedia. » La quistionc è assunliva,
quando, essendo per sè stessa debole la
difesa, si cerca di sostenerla con alcuna cosa
presa fuori dal soggetto. Le parli assunlive sono quattro: La confessione, la discolpa, la
recrimina- zione, l'alternativa. La
confessione sta, allorquan- do
l’accusato domanda che gli sia perdonato: essa
ha due parti: o la scusa, o la preghiera. La scusa è, quando l’accusato dichiara di non aver
com- messo il delitto con animo
deliberato. Danno scusa la fortuna,
l’ignoranza, la necessità. La fortuna, «
come Cepione avanti ai tribuni della plebe in-
torno alla perdila della sua armala. » I.’ ignoranza, « come colui, che mise a morte quello
schiavo, che aveva ammazzalo il proprio
padrone, al quale egli era fratello,
avanti che avesse aperte le tavole del
testamento in cui quello schiavo era dichiarato
libero. « La necessità, « come quel soldato, che non tornò alle insegne il giorno prefisso,
perchè le acque gli avevano impedito il
ritorno. « La pre- ghiera è, quando
l’accusato confessa di aver com- 24
J.A RETTORICA \ messo
il fallo, e di avere operalo deliberatamente,
e nulladimeno dimanda che gli si usi misericordia. Questo mezzo in giudicio non si usa quasi
mai, a meno che non si parli in favore
di un uomo cono- sciuto per molle belle
azioni. Se il caso è tale, noi 10
vestiremo della forma di uno de’luoghi comuni
proprii aH’amplificazione, dicendo, per esempio : « Se un tale misfatto avesse pur egli
commesso, bisognerebbe nondimeno
mandarlo perdonalo in grazia delle sue
belle azioni passate; ma egli non implora
alcun perdono. » Questo mezzo adunque in
giudicio non si usa; ma ben può usarsi dinanzi
al senato, o ad un Generale di armata, ed al suo consiglio di guerra. XV. La causa ha sostegno nella
recriminazione, allorquando noi non
neghiamo di aver commesso 11 fallo, ma diciamo
di esservi stali spinti dal fallo
altrui: « Come Oreste, il quale, per fare a sè dife- sa, gilta la cagion del delitto sopra la
propria ma- dre. » La causa ha sostegno
nella discolpa, allor- quando noi
cerchiamo di difenderci non in quanto al
fatto, ma in quanto alla colpabilità, ghiandola
o sopra di alcun’ altra persona, o sopra di alcuna cosa. Ella giltasi sopra di alcun’ altra
persona, « come se è accusato uno, il
quale confessi di ave- re ucciso Publio
Sulpicio, ma rechi a sua discol- pa di
avere ciò fatto per comandamento dei con-
soli, ed affermi che essi non solo glielo comanda- Digitized by Google LIBRO I. "55 rono, ma gli fecero ancora conoscere il
perchè egli poteva ciò fare. » Si gitta
sopra una cosa, « Come se alcuno sia
impedito da una legge sta- tuita dal
popolo di far ciò che un testamento gli
ordina ». La causa ha sostegno nell’ alternativa, quando noi diciamo che non si poteva a meno
di non fare o Luna cosa o T altra, o che
fu miglior partito far ciò che facemmo.
Ecco un esempio di questa specie: « Caio
Popilio, essendo accerchiato dai Galli,
nè polendo in alcuna maniera scampare,
venne a parlamento coi capitani dei nemici e ot- tenne di andarne libero colla sua armata a
condi- zione ch’ei lasciasse le sue
bagaglie; stimò miglior partito perdere
le bagaglie, che Tarmata: salvò Tarmata,
lasciò le bagaglie: or viene accusato di
lesa maestà ». XVI. Io credo di
avere bastantemente dimostrato quali
sieno i diversi stali di quistione, e quali le
loro parti. Ora dimostrerò in qual maniera e con qual ordine si dovranno da noi trattare, dopo
che avrò fatto ben conoscere quale
convenga dirsi da una parte e dalfallra
il punto essenziale della cau- sa, a cui
debbesi riferire ogni ragionamento di tutto
il discorso. Trovato adunque lo stato della quistio- ne, si deve tosto cercar la ragione: per
ragione io intendo ciò che costituisce
la causa, e che com- prende il punto
fondamentale della difesa; c per
continuare a farmi meglio intendere, farò ciò'aper- Digitized by Google LA RETTORICA 10 con un esempio: « Oreste nel confessare
che ha uccisa la madre, se non desse una
ragione del fallo, toglierebbe via a sè
ogni difesa: nc dà adun- que una, la
quale se data non fosse, non avrebbe
luogo pausa di sorte alcuna: Mia madre, dice egli, ha ucciso mio padre: « Ecco che la ragione
che ne dà, è appunto quella, io lo
ripeto, che contie- ne il punto
fondamentale della difesa, e-se vi man-
casse questa ragione, non vi rimarrebbe neppure 11 più piccolo dubbio che potesse venire
ritardata la condannagione. — Trovata la
ragione, bisogne- rà cercare la replica
dell’avversario; vale a dire, il punto
principale dell’ accusa, ciò che recasi in
mezzo in opposizione di questa ragione della di- fesa , di cui abbiamo detto. Ecco come
questo punto verrà determinalo: quando
Oreste avrà detta la sua ragione così: «
Io ho ucciso a buon diritto mia madre
perchè ella ha ucciso mio padre »; l’ac-
cusatore replicherà in questo modo: « Ma ella non doveva essere uccisa da le, nè sostenere una
pena senza essere stata prima
condannata. «Dalla ra- gione della
difesa, e dalla replica dell’ accusa ne
sorge la quistione di giudizio, che noi chiamiamo giudicazione, e i Greci xp/vójuevov. Questa
verrà costituita dal concorso della
ragione della difesa, e della replica
dell'accusa in questo modo: « Poi- ché
Oreste dichiara di avere ucciso la madre per
vendicare il proprio padre, era egli giusto o no Digitized by Google LIBRO I.
27 che Clilenncslra venisse
uccisa dal figliuolo senza un giudizio ?
» Ecco qual è il modo di trovare il
punto di giudicazione: trovato il punto di giudica- zione, converrà che a quello sia riferita
ogni ragio- ne dell'inlero
discorso. XVII. Il metodo adunque da
seguirsi per trova- re in tutti gli
stati di quislionc, c nelle diverse loro
parli, il punto di giudicazione sarà questo , fuor- ché nello stalo di quistione congetturale.
Imper- ciocché in esso nè si domanda la
ragione del fallo, perchè il fatto è
negalo, nè si cerca la replica dej-
l’avversario, perchè manca appunto la ragione. Laonde in siffatto stato di quislionc il
punto di giudicazione viene determinato
dalla imputazione c dalla negazione, in
questo modo: Imputazione: « Tu hai ucciso
Aiace. » Negazione: « Io non 1’ ho
ucciso. » Punto di giudicazione: « La ha egli uc- ciso o no? » A questo punto si deve, come ho
già detto, riferire ogni ragione delle
due aringhe. Se vi saranno più stali di
quistione, o più parli di qui- stioni in
una medesima causa, ci saranno anche più
punti di giudicazione, ma si troveranno tutti
nella maniera medesima. Io ho posto diligente opera a parlare con brevità e chiarezza di
quelle cose che dovevano essere fin qui
discorse. Ora, poiché abbastanza è
cresciuto di mole il volume, è più
conveniente esporre in un altro libro il se-
guito del nostro soggetto, onde non venga la men- 7
28 LA RETTORICA te tua, per la moltitudine degl’insegn
amenti, op- pressa da soverchia fatica.
E se quest’ opera sarà compila più lardi
di quello che tu desideri, ne do- vrai
dare la colpa si all’ampiezza delle materie, e
sì ancora alle occupazioni mie. Nulladimeno io m’affretterò, e supplirò coll’induslria alla
scarsità del tempo, a One di soddisfare
al tuo desiderio donandoti quest’ opera
in coglraccàmbio de’ tuoi buoni uffizii
verso di me, e come pegno della mia
affezione verso la tua persona.
Digitized by Google LA.
RETORICA LIBRO SECONDO ! I. Nel primo libro, o Erennio, io ho
brevemente esposto quali cause deve
prender l’oratore, in quali doveri
dell’arte conviene ch’ei s’affatichi, e in qua-
le. maniera può facilissimamcnlc adempiere a sif- fatti doveri. Ma perchè non era possibile il
tratta- re tulle Icquistioni ad un
tempo, e bisognava pri- ma dilucidare le
più importanti, per farti poi più
facilmente intendere le altre, così io ho giudicato conveniente di accostarmi di preferenza a
quelle ehe erano le più difficili. Ci ha
tre generi di cau- se, il dimostrativo,
il deliberativo, e il giudiziale: il
giudiziale è il più difficile; tratterò dunque di esso pel primo. Tanto ho pur fallo nel libro
prece- dente, toccando dei cinque doveri
dell’oratore, dei quali il principale e
il più difficile è l’invenzione: ■or id
darò in questo secondo libro presso a poco
compimento a quanto concerne l’invenzione, non «serbando che una piccola parte di essa pel
ler- 30 LA RETTOniCA zo.Io ho comincialo primieramente a parlare
delle sei parti proprie di un discorso:
nel primo libro ho detto dell’esordio,
della narrazione e della divisio- ne, nè
più a lungo di quello che bisognava, nè
meno chiaramente che mi pareva essere da te de- sideralo: di poi ho dovuto discorrere
congiunta- mente della confermazione c
della confulazione; per lo che ho fatto
conoscere gli stati diversi di
quistione, c le parti loro: di che venivasi a mostra- re nel tempo medesimo in qual modo, posta
la causa, sì può trovare lo stato della
quistione, e le parti sue: appresso ho
insegnalo come bisognava cercare il
punto di giudicazione; trovato il quale',
come è da curare che ogni ragione dell’intero di- scorso si riferisca a quello: per ultimo ho
avvertilo che vi sono più cause, alle
quali possono adattarsi più stati di
quistione, o più parti di essa. II.
Rimane, penso io, a mostrare in qual manie-
ra accomodar si possano le cose dell’invenzione ir ciascuno stalo di quistione, c a ciascuna
parte di essa; ,e parimente quali siano
gli argomenti delti dai Greci
£jri%£ip^P-ara , cui bisogna usare, e quali
siano quelli, cui bisogna lasciar da parte; le quali due cose riguardano appunto la confermazione
c la confutazione. Insegnerò per ultimo
in qual ma- niera dovrà farsi la
conclusione oratoria, che è ap- punto
l’ultima delle sei parti di un discorso. Prima
di tutto adunque noi cercheremo come convenga Digitized by Google LIBRO II. 31
di trattare ciascuna causa. Cominciamo dal consi- derare la causa congetturale, che è la prima
e la più diffeile. Nella causa
congetturale la narrazio- ne
dell’accusatore deve contenere dei sospetti get- tati c sparsi destramente qua c là in modo da
far pensare che niun alto, niun dello,
niuna venuta, ninna partenza, niun fallo
insomma sia stato senza un motivo. I.a
narrazione del difensore deve pre-
scolare una esposizione semplice e chiara, accon- cia a tor via ogni sospetto. Ciò che
costituisce un tale stato di quistioue,
è distribuito in sei parti: in
probabilità, in confronto, in segno o indizio, in argomento, in conseguenti, e in prova.
Facciamo aperto il valore di ciascuno di
siffatti mezzi. La probabilità è quella,
per la quale si dimostra che il delitto
fu vantaggioso all’accusato, e ch’egli non
fu mai uomo aborrente di una tale turpitudine. Nella probabilità si vogliono considerar due
cose: la cagion del delitto, e la
condotta dell’ accusato. La cagione, che
può aver mosso al male, si è, o la
speranza dell’utile, o Levitazione del danno: come allorché si cerca, se mediante il delitto ei
pensò di avere qualche vantaggio, per
esempio onori, ricchezze, potere, se
volle soddisfare a qualche sregolato
amore o a qualche appetito di tale na-
tura. 0 veramente se ebbe in animo di evitar qual- che danno, come inimicizie, infamia, dolore,
sup- plizio. 32
LA, RETTOIUCA III. In quanto
sia atla speranza dell’ utile, l’ac-
cusatore verrà dimostrando la cupidità dell’animo del suo avversario, c in quanto sia
all’evilazion del danno ne andrà
esagerando le paure. 11 difensore,, al
contrario negherà, se potrà, che vi fosse una
cagione, o procurerà di attenuarla; quindi conchiu- derà che è ingiusto l’indur sospetto di
malvagia azione in tutti quelli, ai
quali è derivato vantaggio da alcuno lor
fatto. Appresso si toglierà ad esami-
nare la condotta dell’ accusato dagli antecedenti. Nel che l'accusatore andrà primieramente
conside- rando, se al suo avversario
abbia già a rimprovc* rare qualche cosa
di somigliante; e ciò non trovan- do di
lui, cercherà se egli potè mai essere sospet-
tato di una simile azione; e si adoprerà in questo di dimostrare che la condotta di lui ben
concorda con la cagione da esso accusatore
assegnata al de- litto, di cui si
tratta, come: Se affermerà che la
cagione del delitto è stato il danaro, dimostrerà che colui è sempre stalo un avaro; se
l'onore, che ei fu sempre ambizioso:
così potrà congiungcrc il vizio dell’
animo con la cagion del delitto. Se non
potrà trovare in lui un vizio dell’animo, che con- cordi con la cagione, ne cercherà uno di
natura diversa. Se non Io potrà, per
esempio, dimostrare avaro, lo dimostri,
se in qualche modo il può, cor-
rompitore e misleale: in fine per uno o più altri vizii farà lordo l’ animo del suo accusato; c
con- Digitized by Googte ... , . . . — « — , 3 ■ ■■ r ^ "
I _• Libro u. 33 /
chiuderà, clic non dee far meraviglia, che quello stesso uomo, che in addietro operò così male,
ab- bia ora commesso qucsl’altro
misfatto. Se l’avver- sario godrà nome
puro ed intatto, dirà che biso- gna
tener conto dei fatti, non del nome; eh’ egli
per lo passato seppe occultare le sue turpitudini; ma che ora esso accusatore farà aperto che
colui è reo di misfatto. Per quanto
spetta al difensore, egli in primo luogo
verrà dimostrando, se potrà, •che la
vita dell’ incolpato è senza macchia; se ciò
non potrà, piglierà difesa dalla inconsideratezza, dalla stoltezza, dalla giovinezza, dalla
violenza, dalla persuasione: con le
quali scuse verrà ad al- lontanare da
lui il biasimo delle azioni anteriori
all'accusa, di cui presentemente si tratta. Ma se il difensore si troverà forte imbarazzato dalle
turpi- tudini e dalla mala fama del suo
accusato, prima , di tutto darà opera a
provare che si sono sparse delle
calunnie sopra un innocente; e farà uso di
questo luogo comune, Che non bisogna credere alle voci del volgo. Se nessuno di questi
sussidii potrà essere usato, egli
s’appiglierà all’ estrema difesa, che è
quella di dire, che non è suo obbli- go
di ragionare intorno ai costumi di lui davanti
a eensori, ma sì di rispondere alle accuse degli av- versari davanti a giudici. IV. Il confronto è, quando l’accusatore
dimostra che l’azione, ond’ è incolpalo
l’avversario, n-m è - » Digitized by Googte 34
LA RETTORtCA siala vantaggiosa
a nessun altro clic a quello; o clic non
la poteva altri eseguire che l’avversario;
o che il medesimo o non poteva compirla con al- tri mezzi diversi, o almeno noi poteva tanto
facil- mente, o che, mosso dalla
cupidigia, ha trascurati altri mezzi più
comodi. In questo caso il difenso- re
mostrerà che è d’ uopo che 1’ azione sia stata
vantaggiosa ad altre persone, o che altre persone eziandio abbiano potuto fare ciò, di. cui è
accusato il suo cliente. Il segno è
quello per coi si dimo- stra che P
accusalo andò in cerca della comodità di
fare l’azione. Esso comprende sei parti: Il luo- go, il tempo, la durata, l’occasione, la
speranza della riuscita, la speranza di
non essere scoperti.- Rispetto al luogo,
si cerca, se era frequentato o deserto;
se è sempre deserto, ovvero se fu sola-
mente quando si commise il fatto; se era sacro e profano, pubblico o privato; quali luoghi vi
sono allenenti; se colui, che fu
vittima, poteva essere veduto o udito. A
me non incrcscercbbe di descri- ver qui
quale di tulle queste cose potesse conve-
nire all’accusato, e quale all’accusatore, se cia- scuno non potesse facilmente di per sè farne
giu- dizio, posta che fosse la causa;
perciocché l’arte deve sì insegnare i
principii dell’invenzione; ma in quanto
al .resto è l’esercizio quello che celo fa
conseguire facilmente. Rispetto al tempo si cerca così: -In quale stagione dell’ anno; in qual
ora; se Digitized by Google LIBRO II. 35
di giorno o di notte; c in qual ora del giorno o della notle dicesi avvenuto il falto,eperchè
in quel tal tempo. Rispetto alla durata
essa si considera così: Se fu
abbastanza, perchè il fatto potesse com-
piersi, e se l’accusato potè esser certo che quella quantità di tempo era per bastare a compirlo.
Im- perciocché poco monta che lo spazio
del tempo sia stato bastante .a compire
il fatto, se non si è potuto ciò sapere
c calcolare innanzi. Rispetto al-
l’occasione si va cercando, se essa sia stata oppor- tuna ad intraprendere il fatto, se ce ne sia
stata un’ altra migliore, che o siasi
lasciata sfuggire, o non siasi
aspettata. Quanto alla speranza della riu-
scita si esaminerà essa in questo modo: Se i segni or ora delti concordino insieme: se inoltre
appa- rirà per una parte esservi stalo
forza, danaro, con- siglio,
conoscimento, precauzione; c per l’altra si
mostrerà esservi stato debolezza, povertà, scioc- chezza, ignoranza, incuria: da ciò potrà
sapersi se l’accusato doveva aver
fidanza o non averla. Quanto alla
speranza del non essere scoperti, sarà fatta più o meno evidente secondo il numero de’
complici, de’testimoni, du’cooperalori,
o siano liberi o siano schiavi, e dogli
uni e degli altri insieme. V. L'
argomento è quello, per cui si mette in
chiaro il fatto con più certe prove, e con più fon- dati sospetti. Esso si rapporta a tre tempi:
All’an- tecedente, al presente, al
conseguente. Rispetto al 36 LA RETTORICA tempo antecedente bisogna considerare dove
l’ac- cusato si trovò; dove e con chi fu
veduto; se fece qualche preparamento; se
andò a trovare alcuno; se disse qualche
cosa; se ebbe con sè alcuno dei complici
o de’ cooperatori; se fu in qualche luogo
fuori della consuetudine sua, o in ora inopportu- na. Rispetto al tempo presente si cerca, se
sia stalo coito flel fatto ; se si è
udito qualche strepilo, qualche grido,
qualche romorc, o finalmente se si è
compreso alcun che per mezzo di qualche senso,
con la vista, con 1’ udito, col tatto, coll’ odorato* col gusto: perciocché il testimonio d’ alcuno
di questi sensi può aggrandire il
sospetto. Quanto al tempo conseguente si
riguarderà, se dopo il fatto vie rimasta
alcuna traccia, cheindichi esservi stato
delitto, e chi nc possa essere 1’ autore. Che vi sia stato delitto si riconosce a questo modo: Se
il cor- po del morto è gonfio e livido,
è segno che vi è stato avvelenamento. Se
ne scopre poi l’ autore a questo modo:
Se un pugnale, se una veste, se qualche
altro oggetto di questo genere sia stato
lascialo, o qualche vestigio si è rinvenuto; se vi ebbe sangue nelle vesti dell’accusato; se fu
preso o veduto, dopo il fatto, nel luogo
dove dicesi es- sere quello accaduto. I
conseguenti son quelli, quando si cerca
quali esser possono i segni, che
risultano, della colpabilità o della innocenza. L’ac- cusatore dirà, se potrà, clic il reo, quando
fu ar- Digitized by Google LIBRO lt. 37
reslato, arrossì, impallidì, vacillò, si contraddisse, cadde ncirabballimenlo, feccdelle promesse;
tutti segni, che manifestano la coscicuza.
Se l’accusato non fece nulla di tutto
ciò, l’accusatore dirà c!ie colui
calcolò prima così bene ciò che gli avrebbe
a tornar vantaggioso, che rispose con una sicurez- za insuperabile; il clic è segno di audacia e
non d’innocenza. 11 difensore poi, se l’
accusalo lasciò vedere dello
sbigottimento, dirà che esso restò com-
mosso non per la coscienza d’un delitto, ma per la grandezza del pericolo. Se non diè segni
di sbi- gottimento, dirà che, forte
della sua innocenza, non poteva restare
commosso. VI. La prova confermativa è
quella, di cui fac- ciamo uso all’
ultimo, quando il sospetto è bene
stabilito. Essa ha dei luoghi proprii e dei luoghi comuni. I proprii sono quelli ohe non possono
ser- vire che all’ accusatore o al
difensore. I comuni sono quelli che in
una causa convengono all’ ac- cusalo, e
in un’ altra all’ accusatore. Nella causa
congetturale il luogo proprio dell’ accusatore è, quando dice che non bisogna aver
compassione dei malvagi, e quando
esagera 1’ atrocità del de- litto. Il
luogo proprio del difensore è, quando ec-
cita la compassione e si lagna di calunnie nell’ac- cusatore. I luoghi comuni, così
dell’accusatore co- me del difensore,
sono il parlare in favore o con- tro dei
leslimonii, in favore o contro della tortura,
38 LA HETTOMCA in favore o contro degli argomenti, in
favore o con- tro della voce pubblica.
Noi diremo in favore dei testimonii, se
allegheremo la loro buona fama e
condotta di vita, non meno che la immutabilità delle loro testimonianze. Contro dei
testimonii di- remo, se allegheremo la
turpitudine della loro vi- ta, la
mutabilità delle loro testimonianze ; c se so-
sterremo o che non poteva farsi, o che non è stalo fatto ciò clic essi affermano, o clic noi
potevano sapere, o clic nelle loro
parole ed argomentazioni havvi della
parzialità: questo sarà appunto il modo
di biasimare o di approvare i testimonii. VII. Noi parleremo in favore della tortura
se di- mostreremo che i nostri maggiori
usarono aneli 'es- si i tormenti c le
durezze per iscoprire il vero, e vollero
che coll’ eccesso del dolore fossero gli uo-
mini forzati a dire ciò che sapevano. E l’argomen- tazione nostra sarà più decisiva, se,
ricorrendo alle medesime prove, clic
furono adoperate in tutta la quistione
congetturale, daremo alle confessioni
fatte per questo modo il carattere della vcrisimi- glianza; il che pure converrà di fare anche
rispetto alle testimonianze. Ecco poi
come parleremo con- tro della tortura:
Primieramente diremo che i no- stri
maggiori non ne vollero far uso che in alcuni
casi speciali, quando con questo mezzo si potesse discoprire la verità ocombettcrc la falsità
delle pa- role, clic in una data
quistione si proferissero, co-
Digitized by Google LIBRO
li. 39 ino sarebbe in questo caso: In qual luogo
sia sta- ta messa una lai cosa; ovvero
se si Iraf lasse di qual- che fallo
consimile, che non potesse essere sco-
perto o riconosciute che con questo unico mez- zo (1). In secondo luogo diremo che non
bisogna poi prestar fede al dolore,
perchè 1’ uno può es- sere più debole
all' altro nel sopportarlo, o più
ingegnoso a trovar menzogne, perchè finalmente può spesse Gate conoscere o sospicare ciò che
il giudice desidera udir da lui^ed egli
ben sa che, ove dica ciò* viene ad esser
messo Gne al suo do- lore. Quest’
argomentazione sarà ancora più vali- da,
se confuteremo le confessioni strappale per
mezzo della tortura con ragionamenti appoggiati al probabile; c ciò bisognerà fqrc coi modi
già in- dicali per le cause
congetturali. Se noi vorremo dar forza
agli argomenti, ai segni, c agli altri luo-
ghi, che accrescono la sospizionc, converrà che parliamo in questa forma: Allorché un gran
nu- mero di argomeiUi c segni
concorrano, i quali s’ac- cordino fra
loro, è d’ uopo che la cosa presa a di-
mostrare assuma il carattere non di sospetto, ma (1) Il testo dice, et si quid esset, quod
videri , aut aliquo similisig no
iiercipi possct-, ma ([ucsUìeLÌonc non
ha certamente un senso probabile. Le correzioni propo- ste dai filologi sono molte c varie. Nella
traduzione ho procurato di dare un senso
probabile. Il Trai. 40 LA RETTOIUCA di certezza; e così è d’ uopo che più si
creda al segni e agli argomenti che
aPtcslimonii; percioc- ché i segni e gli
argomenti sono i fedeli espositori di
ciò che veramente è accaduto, ed i testimonii
possono essere corrotti per danaro, per favore, per timore, per avversione. Volendo noi parlare
con- tro agli argomenti, ai segni, c
agli altri sospica- mcnti, dimostreremo
che non vi ha nulla, di cui tion possiamo
essere accusati in conseguenza di so-
spetti; in appresso attenueremo ciascun sospetto in particolare, e daremo opera a mostrare che
esso può venire addossalo non tanto a
noi, quanto a qualunque altra persona; e
che è cosa indegna che una* congettura e
un sospetto debba, senza aiuto di*
testimonii, riguardarsi come una prova
bastante. Vili. Noi parleremo in
favore della voce pubbli- ca, se
sosterremo che l’opinione non si forma pun-
to a caso senza verun fondamento; e se diremo che non è occorsa cagione, per la quale
taluno avesse interesse a mentire c ad
inventar favole; e proveremo con ragioni
che, quando pure fossero per solito
false tutte le altre voci, questa, di cui si
tratta, è però vera. Se vorremo parlare contro alla voce pubblica, mostreremo primieramente che
ce ne ha di molte clic sono false, c
citeremo esempi, dei quali sia stala
falsa la fama; e diremo che o sono
nostri nemici, o uomini di natura malevoli e
Digitized by Google tMJUO li. 41
maldicenti (fucili che inventarono una siffatta fa- vola, e addurremo qualche finto racconto
contro ai nostri avversarli, il qual
diremo essere ripetuto da tutti; onde
anche allegheremo una voce vera di cui
essi abbiano ad arrossire, protestando però che
noi non prestiamo fede ad essa, perchè chiunque può metter fuori alcuna brutta voce contro di
chic- chessia, e seminare qua e colà una
calunnia. Ma se la voce parrà esser
mollo probabile, bisognerà che noi per
forza di argomenti togliamo via alla
fama tutta la credenza. Siccome la quislione con- getturale è la più difleile a trattarsi, e
spessissi- mo si presenta nelle cause
vere, così noi abbiamo esaminate tutte
le sue parti con tanto più di dili-
genza, affinchè arrestati non fossimo dal più pic- colo vacillamento od intoppo, se a questa
ragione dell’insegnamento volessimo un
giorno accoppiare l'assiduità dell’
esercizio. IX. Ora passiamo alle parti
della quistion lega- le. Quando insorga
dubbio che vi sia discordanza fra il
lesto e l’intenzione di colui che ne fu l’ au-
tore, se noi difenderemo loscrillo, useremo dopo la narrazione i luoghi seguenti:
Primieramente fa- remo 1’ elogio del suo
autore: poi leggeremo ad alta voce lo
scritto: quindi domanderemo, se per
ventura gli avversari sappiano che sia mai stato scritto in una legge o in un testamento o in
una stipulazione o in qualunque altra
scrittura cosa al- LA ItETTORICA v 42
cuna che aver possa attinenza al soggetto in qui- slione. In appresso, istituito il confronto
di ciò clic è scritto con ciò che gli
avversarli interpretano siccome vera
intenzione, domanderemo a che do- vrà il
giudice appigliarsi; se a cièche è positiva-
mente scritto, o a ciò che è sottilmente immagina- to: in seguilo biasimeremo e confuteremo il
sen- timento immaginato dagli avversarii
ed attribuito allo scritto. Di poi
domanderemo, se l’autore aveva
intenzione di scrivere nel modo che s’interpreta, qual cosa lo impedì di scrivere appunto così?
Dopo ciò noi faremo aperto qual sia il
verosenso, e met- teremo in luce la
cagione, per cui lo scrittore sentì
appunto come scrisse, e proveremo che quello scritto è chiaro, conciso, naturale,
compiuto, de- terminato. E qui noi
produrremo esempi di giudi- zìi
pronunziati a favore dello scritto, avvegnaché
gti avversarii adducessero nell’ autore di quello e sentimento e intenzione diversi. Finalmente
mo- streremo quanto sia pericoloso
dipartirsi dallo scrit- to. Havvi un
luogo comune contro di colui, che, pur
confessando di avere operato contro a ciò che
è dalle leggi ordinato o scritto in un testamento, cerca di difendere il fatto proprio. X. A favore dell’ intenzione noi parleremo
così: Primamente loderemo
l’aggiustatezza e la concisio- ne dello
scrittore, perchè scrisse nè più nè meno di
ciò che era necessario, e s’avvisò di non essere te- Digitized by Google LIBRO II. 43
mito a scrivere ciò clic, senza essere scritto, pote- va venire inteso: secondariamente diremo
esser proprio soltanto dell’ uomo di
mala fede lo appi- gliarsi alla parola e
alla lettera, e non tener conto
deirinlcnzione. In appresso diremo clic ciò che c scritto, o non può essere eseguilo, o
veramente, se può essere eseguilo, esso
è contro alla legge, aU'uso, alla
natura, all’equità, al buono; c niuno
dirà, che P autore non abbia voluto clic lutto sia fallo secondo il giusto: ora ciò clic noi
abbiamo fatto, egli ò interamente
conforme alla giustizia. Aggiungeremo
poi che l’opinione contraria o è as-
surda, o è insensata, o è ingiusta, o tale che non può avere effetto, o che non è d’a.ocordo coi
sen- timenti clic precedono, e con
quelli che vengon dopo, o eh’ ò in
opposizione col diritto comune, o con le
altre* leggi comuni, o coi giudicati. Dopo
ciò faremo enumerazione degli esempi di giudicati in favore dell’ intenzione e contro lo
scritto; e fi- nalmente produrremo dei
brevi estratti di leggi e di
stipulazioni, nelle quali possa essere compresa
dall’inlcllcllo c l’ intenzione e l’ esposizione degli scrittori. Ilavvi poi un luogo comune contro
di co- lui che reciti uno scritto, e non
interpreti l’inten- zione di chi ha
fatto. Allorché due leggi saranno
discordanti fra loro, bisognerà prima vedere, se vi sia abrogazione o derogazione: appresso,
sq queste leggi dissentano cosi, che
l’una comandi e 44 LA RETTOMCA l’altra proibisca; o che l’uria obblighi e
l’altra per- metta. Imperciocché sarà
debole la difesa di colui,, che dirà, di
non aver fatto ciò, a cui da una legge è
'obbligato, cssendovcne un’altra che permette;
perchè ha più forza una legge che obblighi, che una che permetta. Parimente è debole la
difesa, quando si mostra clic si è fatta
quella cosa che viene stabilita da
quella legge alla quale è stala fatta
abrogazione o derogazione; e se non si è te-
nuto conto di ciò, che viene ordinato dalla legge posteriore. Allorché si saranno bene
considerate queste cose, bisognerà
subitamente addurre, leg- gere,
commendare la legge a noi favorevole. Ap-
presso dichiareremo il senso della legge contraria, e quella trarremo al vantaggio della nostra
causa. All’ ultimo dalla quistione
giurisdiziale assoluta prenderemo la
ragione del diritto, e cercheremo quella
parte del diritto che stia a favor nostro :
della qual parte parleremo più sotto.
XI. Se lo scritto è ambiguo, vale a dire che si presti a due o più interpretazioni, noi lo
tratteremo aqueslomodo:Inprimo luogo
cercheremo, se sia o no ambiguo; poi
mostreremo come avrebbe dovuto essere
esposto, se lo scrittore gli avesse voluto dare
quel senso, che gli avversari interpretano. In se- guilo mostreremo che la nostra
interpretazione .non solo è da
preferirsi, ma è anche onesta, giu- sta,
conforme alla legge, all’uso, alla natura, al
Digitized by Google bene, all’
equità; clic quella degli avversarli è .il
contrario; die infine uno scritto allora non è am- biguo, quando si capisce quale dei due
significati è il vero. Ci sono alcuni,!
quali son di parere che, a trattare
siffatta causa, bisogna mollo conoscere
la scienza delle anfibologie, che i dialettici inse- gnano; ma noi pensiamo cha essa non solo non
è di alcuno aiuto, ma che anzi è d’
impedimento; perciocché costoro tengono
dietro a tulle le amfi- bologic, anco a
quelle, clic, prese al contrario, non
presentano senso veruno. Laonde eglino altro
non sono che molesti inlcrrompitori dell’ altrui parlare, e interpreti odiosi cd oscuri di uno
scritto; e, mentre parlar vogliamo con
cautela ed esattezza, riescon peggio che
bimbi. Cosi mentre temono di lasciarsi
sfuggire una parola clic abbia più di un
senso, non osano neppurpronunziarcil loro nome. Ma quando tu vorrai, io confuterò le loro
puerili opinioni coi più solidi
argomenti. Intanto non è stato inutile
il dir qui per incidenza ciò che ho
detto, a fine di giltarcin discredito questa garrula scuola di fanciulli. XII.Quandouscrcmo la definizione, noi
daremo prima una breve definizione della
parola : per esempio: « È colpevole di
lesa maestà chi fa vio- lenza a quelle
cose che costituiscono la grandezza
dello Stalo, quali sono appunto i suffragi del po- polo, e le adunanze de’ magistrali. Or dunque
tu, 0 LA 11ETT0R ICA 40 '
quando rovesciasli i ponli, li oppoiiesli ai suffragi del popolo, e all’ adunanza de’ magistrali. »
L’ac- cusato per contrario risponderà: «
E colpevole di lesa maestà chi porla
danno alla grandezza dello Sialo. Io non
le portai danno, anzi la difesi, per-
chè conservai P erario, mi opposi all’ avidità dei tristi, non permisi che la maestà dello Stato
pe- risse tutta intiera. » Prima adunque
si spiegherà brevemente e acconciamente
a vantaggio della nostra causa il senso
della parola: poi si combi- nerà il
fatto nostro con la definizione della parola;
quindi si confuterà la ragione della definizione contraria, se sia o falsa, o inutile,, o
sconcia, o in- giusta; e gli argomenti a
ciò li piglieremo dalle parli del
diritto che spelta alla quistionc giurisdi*
ziale assoluta, della quale oramai terremo' parola. Per la traslazione poi si cerca
primieramente, se alcuno, a cui non
appartenga, possa nel fatto pre- sente
avere azione, per dimandagione od istanza;
o se gli possa ciò spellare in altra maniera, in al- tro tempo, in altro luogo; o se per altra
legge, o con altro giudice, o con altro
accusatore. A tutte le quali cose sarà
fatta ragione secondo le leggi, l’uso,
l’equità, ed il bene: di clic tutto parleremo
nella quislione giurisdiziale assoluta. Nelle cause fondate sopra l'analogia cercheremo prima, se
in cose maggiori, o minori, o simili, è
stala fatta al- cuna legge analoga, o
data analoga decisione: poi Digìtized
by Google LIBRO li.' 47
se la cosa addotta è simile o no alla cosa di cui si traila; poi se è a disegno che nulla si è
scritto in- torno a quella cosa, perchè
non vi si è voluto prov- vedere, o
perchè si è giudicalo che vi fosse bastan-
temente provveduto con altre leggi analoghe. Noi - abbiamo a bastanza parlato delle parti della
qui- slione legale; ora rechiamoci alla
quislione giuris- diziale. XIII. Noi faremo uso della quislione
giurisdi- ziale assoluta allorché,
confessando di aver fatta un’azione,
sosterremo di averla fatta a diritto, sen- -
za aiutarci con veruna estrinseca difesa. In essa conviene cercare, se si è operalo a buon
diritto, del qual diritto noi potremo
discorrere, se cono- sceremo le parli
costitutive di esso. Le quali parti sono
sei: Natura, legge, uso, giudicalo, equità,
patto. Il diritto, che vicn dalla natura, è quello che si osserva per cugion di cognazione o di
pietà; quel diritto, pel quale spettano
doveri reciproci così ai padri verso i
figli, come ai figli verso i pa- dri. Il
diritto, che vien dalla legge, è quello che
è costituito dalla volontà del popolo; come è quello che ci obbliga di presentarci in giudizio
quando vi siamo chiamati. Il diritto,
che vien dall’ uso, è quello, clic, in
mancanza di legge, è osservato co-
munemente, come se fosse stabilito da una legge: per esempio: « Se tu avrai fatto deposito del
tuo avere presso un banchiere, lo potrai
giustamente Digitized by Google 48
la RtmomcA ridomandare anche
dal socio di esso ». Iitliritlo, che
viene da un giudicalo, è quello intorno a cui
è stata pronunziata sentenza o interposto decreto. Ma sovente i giudicati variano secondo il
diverso modo di pensare di un giudice,
di un pretore, di un console, di un
tribuno della plebe; e ne avvie- ne clic
spesse fiale sopra la cosa medesima 1’ uno
decreta e giudica ad un modo, e l’ altro ad un al- tro; come sarebbé a dire: « Marco Druso,
pretore urbano, profferì giudizio diesi
potesse far lite per cagion di mandato
coll’ erede; Sesto Giulio prof- ferì
giudizio contrario. Parimente Caio Celio giu-
dice rimandò assoluto per accusa d'ingiurie quel- 1* attore, che aveva offeso il poeta Lucilio,
nomi- nandolo in iscena : Publio Muoio,
al contrario, condannò quell’altorc che
aveva nominato in iscc- na il poeta
Lucio Azzio ». Poiché adunque due cause
simili possono essere stale giudicate diversa-
mente, bisognerà che noi, quando ciò sia accadu- to, facciamo conoscere cosi i giudici come le
oc- casioni, non meno che il numero dei
giudicati, che furono in favore o in
danno della cosa. Dall’equità viene il
diritto, quand’ esso sembra fondato sulla
verità c sull’ utile comune; come: « Chi ha più di sessanl’ anni, ed è impedito da malattia, può
farsi rappresentare in giudizio per
mezzo di procurato- re ». Per forza di
questo principio può costituirsi anche
un nuovo diritto secondo 1’ occasione c la
unno u. 49 dignità della persona. Dal patto viene il
diritto, quando due o più persone hanno
fatto fra loro una convenzione, un
accordo. Ci son dei patti che vo-
glionsi osservare in forza di leggi, per esempio: « Potrassi far causa nel luogo dove si è
pattuito; se non si è pattuito, dovrassi
trattarla o nel comi- zio, o nel fóro
prima del mezzogiorno a. Simil- mente vi
sono de’ patti, che senza intervento di
leggi si osservano in forza di convenzione, i quali si dicono esecutorii per diritto. Ecco
adunque quali sono le vie, per le quali
conviene trovare il torlo, o confermare
il diritto; e ciò deve farsi nella
quislione giurisdiziale assoluta. ' . .
XIV. Nella quislione giurisdiziale assentiva, al- lorché per l’ alternativa si domanderà quale
delle due cose sia stato meglio di fare,
o quella, che l’accusato confessa di
aver fallo, o quella, che l’ac- cusatore
dice clic era d’uopo di farsi: si dovrà pri-
mieramente esaminare quale delle due sia stata più vantaggiosa in confronto, vale a dire più
bella, più facile, più profittevole. Poi
bisognerà doman- dare, se spellava a lui
il giudicare quale delle due era più
vantaggiosa, o se apparteneva ad altrui il
dettare le condizioni. In seguilo l’accusatore, gio- vandosi delia quislione congetturale,
interporrà il sospetto, che l’ accusalo
non abbia operato con questa ragione di
anliporre il meglio al peggio, ma che
abbia proceduto con mal dolo: ed anco do-
\ ©igitized by Googte 50
LA «ETTOHICA manderà in fine,
se si poteva evitare di venire in quel
tal luogo. II difensore, all’opposto, confuterà
F argomentazione congetturale con alcuna delle cagioni probabili, di cui si è già parlato.
L’accusa- tore, dopo aver messi in campo
i motivi detti di sopra, userà un luogo
comune contro all’ avversa- rio,
dicendo, che egli ha piuttosto preferito il no-
cevole al vantaggioso, allorquando non era più in poter suo il dettare le condizioni. Il
difensore poi, contro di coloro, che
giudicano onorevole F anti- pode
l’estrema rovina all’ utile, userà il luogo co-
mune per compianto; e nel medesimo tempo do- manderà agli accusatori e ai giudici stessi,
checosa avrebbero fatto se stati fossero
in quel posto; e metterà loro sotto gli
occhi il tempo, il luogo, la cosa, e i
motivi, che ebbe il suo cliente. XV. La
recriminazione si ha, allorquando l’ac-
cusato va pretestando cagione al fatto proprio il fallo d’altrui. In tal caso l’accusatore
cercherà pri- mieramente, se a ragione
si possa trasferire la reità in altrui;
secondariamente esaminerà, se il fallo,
che è imputalo ad altrui, è così grave come quello che F accusalo confessa di aver commesso
egli medesimo: di poi, se era d’uopo
commetter fallo, perchè altri ne ha
commesso uno innanzi; di poi, se era
d’uopo ctie di quel primo fallo fosse avanti
dato giudizio; di poi, conciossiachè niun giudizio sia slato pronunzialo del delitto imputato ad
altrui, Digitized by Google LIBRO II. 51
se l’accusalo abbia diritto di costituir cosi sè me- desimo giudice di un’azione, che non è ancora stata secondo le leggi giudicata. Qui cadrà
in ac- concio quel luogo comune, per cui
l’ accusatore farà rimprovero
all’accusato, elfei mostri così es- ser
d’avviso, che s’abbia a preferire la violenza ai giudizii, e domanderà pur anche, che cosa
acca- drebbe, se gli altri facessero
altrettanto, cioè che pigliassero
supplizio di coloro che non sono per
anco condannati, adducendoper ragione, ch’egli- no medesimi ne hanno prima dato l’esempio.
Che si direbbe, se l’accusatore egli
stesso avesse voluto fare altrettanto ?
Il difensore, al contrario, porrà nel
mezzo 1’ enormità del fallo di colui sopra del
quale verrà trasferita la reità ; e porrà sotto agli occhi il fatto, il luogo, il tempo per modo,
che gli udij^ri si persuadono, o clic
non era possibile, o che non era
giovevole, che l’ affare venisse recalo
dinanzi ai tribunali. XVI. La
concessione è quella, per la quale noi
domandiamo che ci sia perdonato. Essa si divide in due parti: in iscusa e in preghiera. La
scusa è, quando dichiariamo di avere
operato senza pensa- mento. Essa
abbraccia tre parti: la necessità, la
fortuna, l’ ignoranza. Parleremo prima di queste tre parti, c poi diremo della preghiera.
Primiera- mente si dovrà considerare
dall’accusatore, se noi fummo indotti a
questa necessità per colpa nostra,
52 1\ RETTORICA o se fu la neccssilà per sè stessa quella
che ci in- dusse alla colpa. In appresso
si cercherà in qual modo si poteva da
noi evitare quella necessità od
attenuarla; e se colui, che si scusa con la necessi- tà, ha tentalo tutto quanto era in poter suo
di fare o di immaginare per resistere ad
essa; e se trarre si possano dalla
quistione congetturale dei sospet- ti,
che portino indizio essere stato fatto pensata-
mente ciò che dicesi accaduto per necessità; e fi- nalmente, quando pure vi sia stata una
qualche necessità se convenga tenere
questa necessità come una scusa
bastante. Se poi l’accusato dirà, essersi
da lui commesso il fallo per ignoranza,
„ l’accusatore cercherà primieramente, se quegli poteva sapere o non sapere; di poi, se ha
fatto opera di sapere o no; c quindi, se
ei non seppe per puro caso, ovvero per
sua colpa: imperciocdiè chi si scusasse
di essere stato privo di ragione o per
ubriachezza, o per trasporto di amore o di
collera, egli parrebbe che avesse perduta la cogni- zione per un vizio dell’animo e non per
ignoranza: laonde non difenderebbe sè
colla ignoranza, ma si macchierebbe di
una colpa. Dopo ciò per mezzo della
quistione congetturale cercherà, se realmen-
te sapeva o non sapeva; c considererà, se l’igno- ranza esser debba difesa bastante, quando
pur consti che la. cosa sia stala fatta
per ignoranza. Quando se ne attribuisce
la cagione alla fortuna, Digitìzed by
Google LIBRO ir. 53
c clic il difensore dica, doversi per questo motivo perdonare all’accusato, bisognerà che
l’accusatore metta in campo tulle quelle
considerazioni mede- sime, che abbiamo
poste là, dove parlammo della necessità.
Imperciocché tutte queste tre specie di
scusa hanno allìuilà fra loro, sì chea tutte si pos- sono accomodare le considerazioni medesime.
In siffatte cause tornano in acconcio i
luoghi comuni, rispetto all’ accusatore,
contro a colui, che, pur confessando di
avere peccato, trattiene inutilmen- te i
giudici con parole, e, rispetto al difensore, di implorare il perdono dall’umanilà e dalla
compas- sione, e di sostenere che,
dovendosi io tutte cose aver riguardo
all’attenzione, non v’ha colpevolezza in
quelle azioni clic sono stale fatte senza un posi- tivo consiglio. « \ XVII. Noi useremo la preghiera, se,
confessan- do il fallo, e lasciata da
parie la scusa dell’ igno- ranza, o
della fortuna, o della necessità, doman-
deremo clic ci sia perdonalo. E qui il motivo del perdono si trae dai luoghi seguenti: Se
parranno essere più, ovvero più grandi i
meriti che i torli; se alcuna virtù o
nobiltà sarà in colui che suppli- cherà;
se alcuna speranza ci avrà che perdonando
al reo, abbia ciò ad essere di universale giovamen- to; se si mostrerà che il supplicante
medesimo fu clemente e compassionevole
quando aveva in sua mono il pplerc; se
il fallo, ch’ei commise, noi Digitized
by Googt 54 LA RETTORICA commise per odio o crudellà, ma spinto da
obbli- ghi e da retta intenzione; se per
una cagione si- , mile fu mai perdonato
ad altro reo; se parrà non dovere a noi
derivar danno mandandolo perdona- to; se
per un tale perdono non ce ne verrà alcun
biasimo dai nostri concittadini, o da qualche altra cittadinanza. Si passerà quindi ai luoghi
comuni in- torno
airumanHà,allafortuna,allacompassione, al-
la mutazione delle cose. L’ avversario poi rivolgerà tutti questi luoghi contro l’accusalo
aggiungendovi l’ amplificazione e l’
enumerazione di tutti i falli, che gli
vengono imputati. Questa maniera di trat-
tazione torno vana nelle cause pubbliche, siccome ho già detto nel primo libro; ma potendo
esser giovevole davanti al senato, o ad
un consiglio mi- litare, ho creduto bene
di non doverla tacere. Quando noi
vorremo rimuovere l’accusa per mezzo
della discolpa, getteremo la cagione del nostro fallo o sopra di una cosa, o sopra di una
persona. Se si getterà la causa sopra di
una persona, pri- mieramente si
cercherà, se colui sopra del quale sia
gettata la causa, potette tanto, quanto il reo
dimostrerà, e in qual maniera si poteva o con ono- re o senza pericolo resistere ad esso : c
quando pure si animella quello che il
reo dice, se nulla- meno sia ragionevole
di scusare il reo dell’ avere operato
per impulso altrui: e passando quindi alla
quistione congetturale si discuterà, so. fu operalo Digitized by Google LIBRO II. 55
con cognizione di causa o no. Se poi la cagione si getterà sopra di una cosa, si terrà la stessa
manie- ra di ricerche, e vi si unirà
tutto ciò che abbiamo già detto intorno
alla necessità. XVIII. Poiché ci pare
di avere bastantemente dimostrato di
quali argomenti è d’uopo far uso in
ciascuna delle quislioni del genere giudiziale, ora verrò insegnando come abbellir si possano e
per- fettamente trattare questi
argomenti medesimi. Imperciocché egli
non è mollo difficile trovare ciò dhe
serve di sostegno alla nostra causa, ma, tro-
vato che sia, si è difficilissimo pulirlo e convenien- temente esporlo. E quest’ arte è appunto
quella, che fa che noi non ci fermiamo più
a lungo di quanto bisogna sopra le
stesse cose, e non ritor- niamo più e
più volle al punto medesimo, e non
abbandoniamo il ragionamento incomincialo, enon passiamo male a proposito ad un altro.
Mercè adunque quest’arte, e sarà facile
a noi di trovare nella memoria tutto
quanto avremo detto in cia- scun luogo,
e potrà l’uditore comprendere e fer- mar
nella mente la distribuzione cosi di tutta la
causa come di ciascheduna prova. L’ argomenta- zione adunque più compiuta e più perfetta si
è quella che comprende cinque parli: La
proposi- zione, la ragione, la
confermazione della ragione, rornamento,
e la recapitolazione. La proposizione è
l’esposizione compendiosa di ciò che vogliamo 56
LA IlETTORICA provare. La
ragione è il principio , che dimostra
esser giuslo ciò, a cui miriamo , soggiungendolo brevemente. La confermazion della ragione è
quel- la, che fortifica con molle prove
ciò che la ragione ha brevemente
esposto. L’ornamento è quello, di cui
facciamo uso per abbellire ed arricchire la
causa, allorché le prove sono bene stabilite. La ricapitolazione è quella che conchiude
brevemen- te, raccogliendo le diverse
parti dell’ argomenta- . zione. XIX. Se vorremo adunque far uso di tutte
que- ste cinque parti, ecco come
tratteremo l’argomen- tazione : « Noi
abbiamo a dimostrare che Ulisse aveva un
motivo di uccidcrcAiace; perciocché vo-
leva torre di vita un nemico acerrimo, dal quale non a torlo temeva per sé sommo pericolo.
Vede- va che, vivente Aiace, egli non
era sicuro della persona; colla morte di
lui sperava di procacciare salvezza a sé
: era suo costume, -in mancanza di mezzi
legittimi, di usar la frode per toglier via un
nemico; di clic è una prova convincente la non de- gna morte di Palamede. Dunque e il timor di
un pericolo spingeva lui ad uccider
quello, dal quale temeva una punizione,
c la consuetudine del de- litto
dilungava da esso ogni dubbio di metter mano
all’assassinio. Imperciocché in generale gli uomi- ni, i quali non commettono mai senza un perchè i falli più leggieri, sono da ultimo tirati a
commet- Digitized by Lifino il. 57
tereiMclitli più grandi, allora che certi sono di averne accogliere un vantaggio. Or bene: se
molli spinti furono al male dalla speranza
del guadagno, se una gran parte degli
uomini gillossi nei delitti per T
ambizione del potere, se altri pagarono un
leggiero guadagno a prezzo della più gronde ini- quità, chi si meraviglierà clic costui,
tiranneggialo dal più vivo timore, non
siasi astenuto da un as- sassinio ? Un
eroe pien di coraggio e d’integrità, che
non perdonava ai nemici, oltraggiato, irritato,
non si potè partir vivo da un rivale pieno di paura c di ribalderia, che sapeva di esser
colpevole, in- sidioso, nemico: a chi
parrà strana cosa cotesta ? Se noi vediamo
le bestie feroci levarsi pronte ed irose
per nuocere ad altro animale bruto, non è
da giudicarsi impossibile cheanche l’animo feroce, crudele, ed inumano di costui siasi
avidamente gittato a dar morte al suo
nemico ; tanto più se consideriamo, che
nelle bestie non si scorge vcrun motivo
nè buono nè cattivo, c che in costui sap-
piamo essere sempre stali assaissimi e grandissimi molivi. Se dunque io ho promesso di svelare
la ca- gione, dalla -quale indotto
Ulisse commise l’assas- sinio, c se ho dirtiostrato
esserci intervenuta ragio- ne
potentissima d’ inimicizie e timor di pericolo,
non v’ha dubbio ch’ci non confessi che tale è stata la cagione del suo delitto. L’ argomentazione
più perfetta è adunque quella che si compone
di cin- 58 LA RETTOMCA que parli ; ma non è sempre necessario di
usare quesla maniera di argomenlazione.
Imperciocché vuoisi, per esempio,
lasciar da parie la recapitola- zione,
quando la cosa è così limitala che facilmen-
te si possa tenere a memoria; e vuoisi pur preter- mettere l'ornamento, quando il soggetto poco
si presta di per sé stesso
all’amplificazione e ador- namento. Se
1’ argomentazione è breve, e nello
stesso tempo è modesto il soggetto e poco fecon- do, bisogna allora astenersi daU'ornamento e
dalla recapitolazione. In ogni
argomentazione, rispetto all’uso delle
due ultime parli, è da tener conto di quello
clic ora ho defto.L'argomcnlazioue più per-
fetta Iva dunque cinque parli; la più breve ne ha tre, la mediocre, tolto via da essa o
l’ornamento o la rccapilolazione, ne ha
quattro. XX. Due generi di
argomentazioni viziose ci sono: 1’ uno,
che appartenendo propriamente alla x
causa può essere confutato dall’avversario; l’altro, che, essendo inconcludente, non ha bisogno
di venir confutato. Quali siano le
argomentazioni che convenga di
confutare, e quali quelle che deb- bansi
deprezzare e passar sotto silenzio senza con-
futarle, tu non potrai chiaramente conoscere se non li porgerò gli esempi. Questa cognizione
delle viziose argomentazioni li
apporterà due vantaggi: il primo, di
farli evitare i difetti nel ragionamento,
il secoudo , d’ insegnarli a conoscer facilmente quelli clic l’avversario non ha sapulo
cvilare. Poi- cliè adunque noi abbiamo
mostralo che la perfetta e compiuta
argomentazione si compone di cinque
parti, consideriamomi ciascuna qualjsono i difetti da evitarsi, acciocché e nei medesimi
possiamo guardarcene, e col metodo
istesso attaccare le ar- gomentazioni
dogli avversarli in lutto le parli loro,
e farle da alcuna parte cadere. L’esposizione è vi- ziosa, quando, prendendo per modello taluno,
o la maggior parte degli uomini, si
appropria a lutti ciò che non è
conveniente necessariamente a tutti,
come se si dicesse così: « Tutti coloro clic sono poveri, amano meglio di procacciarsi
ricchezze con le ribalderie, clic
conservare la povertà seguendo il
dovere. » So uno esponesse così la sua argomen-
tazione senza curarsi di cercare qua! ne fosse la ragione o la oonl'errpazion della ragione,
noi po- tremmo facilmente confutare la
sua stessa esposi- zione, mostrando che
è falso ed ingiusto attribuire a lutti i
poveri ciò che può essere solo di qualche
povero malvagio. Parimenti è viziosa l’esposizio- ne, quando si afferma che ciò che accade di
rado, non può punto accadere, come: «
Niuno d’una sola occhiata, e in
passando, può esser preso d’amore:»
perciocché essendo pure accaduto che taluno fa d’ un’ occhiala preso di amore, c quegli
afferman- do che ciò non è accaduto ad
alcuno, poco importa 60 LA RETTORICA che poi ciò accada di rado, quando si sa
che qual- che volta accade od è
possibile che accada. XXI. Similmente è
viziosa l’esposizione, quando noi
mostriamo di avere enumerale tutte le circo-
stanze di un fatto, e ne ommeltiamo qualcheduna essenziale, per esempio: « Poiché adunque è
ma- nifesto eh c stalo ucciso un uomo, è
d’ uopoche sia stato ucciso o da
malandrini, o da nemici, o da te, cui
egli ha per testamento lasciato crede in
parte. Di malandrini in quel luogo non se pe sono veduti mai, di nemici non ne aveva alcuno:
non resta altro, che, se non è stato
ucciso nè da ma- landrini, che in quel
luogo non ne furono mai, nè da nemici,
cui egli non aveva, sia stalo ucciso da
le. » In siffatta esposizione noi faremo uso della confutazione, mostrando che altre persone,
oltre a quelle che l’oratore ha
nominate, hanno potuto commettere
l’omicidio: come se nel citato esem-
pio, allorché fu dello essere d’ uopo che sia stato ucciso o da malandrini, o da nemici, o da
noi, ri- sponderemo che egli potè essere
ucciso o dai pro- prii schiavi, o dai
nostri coeredi. Distrutto in que- sto
modo il sillogismo dell’ avversario, ci verrà
aperto un più vasto campo di difesa. Bisogna adun- que nella esposizione evitare anche questo,
di non tralasciare alcuna parte
essenziale, quando parer possa essersi
da noi raccolta Ogni cosa. Viziosa parimente
è quella esposizione che si compone di
Digitized by Google unno
ii. Gl - . una enumerazione falsa, come se, essendo più
le idee, che si presentano, ne sponiamo
meno, come: « Due sono le cose, o
giudici, che spjngon tulli gli uomini al
male, la lussuria c l’ avarizia. Che? ag-
giungerà taluno; e l’ amore? e l’ambizione? e la superbia? c la paura della morte? e la
cupidigia d’impero? tante altre passioni
in fine? » L’enu- merazione ancora è
falsa, quando, non essendovi campo che a
poche idee, ne presentiamo molle, come:
« tre cose molestano gli uomini: il timore,,
il desiderio, e la tristezza. » bastava dire il timore e il desiderio, perchè la tristezza va
necessaria- mente congiunta sì all’ una
sì all’ altra delle due cose
suddette. XXII. Ancora è viziosa quella
esposizione che è pigliala troppo da
lontano, per esempio: « Madre di tulli i
mali è la stoltezza la quale più d’ogni al-
tra cosa genera gl’insaziabili dcsidcrii; gl'insazia- bili desiderii non hanno nè fine nè misura;
questi generano l’ avarizia ; e
l’avarizia spinge 1’ uomo a qualunque
misfatto. Spinti dunque dall’ avarizia i
nostri avversarti, sì commisero un tale delitto. >; Qui bastava esporre quest'ullima idea
soltanto per non imitare Ennio e gli
altri poeti, ai quali è per- messo di parlare
in questa maniera: « Oh avessero gli
Dii voluto che nella selva Pc- lia,
dalle scuri taglialo, non fosse mai caduto a
, terra il pino, e che con esso non si fosse mai tolto 02
LA P.ETTOniCA di fabbricar la
nave, clic or porla il nome di Argo;
dalla quale trasportati gli eletti guerrieri Argivi n' andarono a conquistare il dorato vello di
un montone in Colchidc per Io perfido
comandamento del re Pelias !
Imperciocché giammai non avrebbe la casa
sua lasciala l’ errante mia padrona Medea,
piena d’affanni il cuore, ferita di uncrudcleamorc.» Qui sarebbe bastatoli diro, (se il poeta si
fesse dato pensiero solo di-ciò clic era
bastante): « Oh avessero gli Dii voluto
che giammai non avesse la casa sua
lasciata I’ errante mia padrona Medea,
ferita d’ amore ! » Bisogna adunque ben
guardarsineUo esposizio- ni di questo
genere di risalire a cose così lontane;
perciocché non v’ ha bisogno che io mi perda qui a biasimarne a parte a parte i difetti, come
di tan- te altre, quando è chiaro che
sono viziosissime di per sé. XXIII. È poi viziosa quella ragione, clic
non è adattata alla esposizione, sia per
la propria debo- lezza, sia per la sua
falsità. Pecca di debolezza quella
ragione, la quale non mostra che la cosa è
necessariamente tale quale è stata esposta, come in questo luogo di Plauto: « Castigare un amico, clic per colpa il
merita, è ingrato uffizio; m:r talora
utile e profittevole. » ' Questa è l’
esposizione : vediamo qual ragione ne è
addotta : Digitized by Googte uuiu> ii. G3
« Imperciocché oggi castigherò il mio amico per una colpa, per lo quale ei merita di
essere ca- stigato. » Egli dimostra qual sia 1’ utile da ciò che
farà, non da ciò che conviene di fare. È
ragione falsa quella, che consta di una
ragione non vera, come in questo
esempio: « L’ amore non è da fuggirsi,
perchè ei genera amicizia verissima. )) 0 come in quesl’allro: « E da fuggirsi la filosofia,
perchè ella è madre della indolenza c
della pigrizia. » Se que- ste ragioni
non fossero false, noi dovremmo pure
ammetter per vere le esposizioni che le precedo- no. Ancora è debole quella ragione che non
arreca una cagione necessaria della
esposizione, come in questo luogo di
Pacuvio: « Alcuni filosofi dicono clic
la fortuna è stolta, cieca, e insensata
; e vanno predicando che ella volubile
si lien diritta sopra un globo di pietra, e
clic cade da quella parte verso cui la sorte spinge il globo. I.a dicono eieea, perchè non vede
il luogo dov’ella deve fissarsi; stolta,
perchè è crudele, in- certa, instabile;
insensata, perchè non sa distin- guere nè
chi merita nè chi demerita- Altri filosofi
poi vi sono, i quali negano esserci per cag.ion di fortuna veruna miseria, ma tutte cose
reggersi dal caso; opinione, dicono
essi, più verisimile, la quale in fatto
è tuttodì dall’ esperienza dimostrala ; ed
Oreste ne è un esempio, il quale prima fu re, e ili
LA HETTOHICA divenne poi
mendico; il che gli accadde per cagio-
ne del suo naufragio: dunque la colpa non fu del- la fortuna, j) Qui Pacuvió usa una ragione debole,
quando afferma, che più veramente lutto
si fa per caso c non per fortuna;
perciocché tanto nell’uno quan- to nell’
altro sistèma dei filosofi pur potè farsi
che queirOrcstc, che era stato re, divenisse men- dico.
XXIV. È debole eziandio quella ragione, che non ha che l’ apparenza della ragione, ma
altro non dice che ciò che è stalo dello
nella esposizio- ne, come: « Un gran
male è l’avarizia per gli uo- mini,
perchè gli uomini per lo smodato desiderio
delle ricchezze vengono da molte e grandi inco- modità travagliali. » Qui, se ben si
consideri, vicn data per ragione,
cambiale le parole, la cosa sles- sa,
che fu detta nella esposizione. Ancora è debole
quella ragione, la quale soggiunge alla esposizio- ne una cagione meno idonea di quello che la
cosa richiede, per esempio: « Utile è la
sapienza, per- chè quelli che sono
sapienti, hanno consuetudine di seguire
la pietà. » Ovvero: « È utile aver dei
veri amici, perchè allora avrai con chi scherzare. » Se noi adduciamo siffatte ragioni,
l’esposizione non vieti confermala con
una prova universale, as- soluta, ma
minima affatto. Ancora è debole quella
ragione, la quale si possa appropriare anche ad Digitized by Google UB!\0 II. 65
un’altra esposizione, come fa Pacuvio,chc arreca la medesima ragione per provare tanto clic la
for- tuna è cicca, quanto eh’ ella è
insensata. Nella confermazione della
ragione vi sono molli difetti ^a
evitarsi nel nostro ragionamento, e molli altri
da notarsi in quello degli avversari!; c tanto più attentamente vogliono essere considerati in
quan- to clic un’accurata confermazione
della ragione consolida mollo
gagliardamente tutta intera Ja no- stra
argomentazione. Appunto per ciò gli oratori
diligenti nella eonfcrmazion della ragione fanno uso della doppia conclusione, vale a dire del
dilem- ma, a questo modo: « 0 padre, voi mi colpite di una crudele
ingiu- stizia. Imperciocché, se tenevate
Crcsfonlc per un malvagio, perchè me Io
concedevate a marito ? E se è un uomo
onesto, perchè, a malgrado mio e suo, mi
costringete a lasciarlo ? » Simili
conclusioni, ovvero dilemmi, o si rivolge-
ranno in contrario, osi confuteranno in una delle due parti. Si rivolgeranno in contrario
così: « Io non commetto, o figlia,
contro di le veru- na ingiustizia. Se
egli è onesl’ uomc, rimarrà tuo marito;
ma se è malvagio, io por mezzo del divor-
zio ti torrò a gravi mali. » Si
confuteranno in una delle due parti, se delle
due proporzioni del dilemma si dissolverà ol’ una o l’ altra, come: GG LA HETTORICA « Se stimavate Crcsfontc un malvagio,
perchè concedermegli in isposa ? — Lo
credetti un onesto uomo; m’ingannai; lo
conobbi dappoi, c l’ odio adesso. « XXV. La confutazione adunque di un tale
di- lemma si fa in due maniere: la prima
maniera, mo- strata di sopra, è più
ingegnosa; quest’altra è più facile a
trovarsi. Similmente è viziosa la conl'er-
mazion della ragione, quando malamente usiamo come segno certo di una data cosa un tal
segno, che può significarne più d’ una ,
per esempio : a Poiché colui è pallido,
fa d’ uopo clic sia stato ammalalo. »
Ovvero, « Fa d’uopo che colei abbia
partorito, poiché tiene sulle braccia un bambino.» Colesti segni non presentano di per sé stessi
una certezza, se non vi •concorrano
altri segni analo- ghi: che se vi
concorrano, allora potremo più fa-
cilmente avere la convinzione. È parimenti giudi- calo diretto il dire contra 1’ avversario
cosa , che. può convenire o contra un
altro, o conira quel me- desimo clic
parla, per esempio : « Miseri son
quelli, che tolgono moglie; — ma tu la
togliesti due volle. » E ancora difetto
usare una difesa, che sia comu- ne; per
esempio: * Colui peccò per iracondia , o
per inesperienza, o per amore. » Se cosiffatte scu- se si dovessero tenere per bpone, allora
n’andreb- bono impuniti i più grandi
delitti. Egli è parimente Digitized by
Google un altro difetto il dare per
cerio ciò che non è generalmente
ricevuto per tale, perchè è cosa pur
sempre soggetta a controversia , per esempio : « Olà, non sai tu che gli Dei, i quali hanno
il po- tere di muovere le còlesti cose e
le terrestri, fanno tra loro pace, e
manlengonsi in concordia? » CosVEnnio introduce
Cresfontc, che porge que- sf esempio in
favore del suo diritto, quasiché aves-
se già dimostrato con ragioni abbastanza certe che la cosa è così. È parimente difettoso ciò che
sem- bra dirsi oramai troppo lardi , c
ad affare finito, come: « Se io avessi
ciò preveduto, o Quiriti, non avrei
permesso che la cosa venisse ad un tal pun-
to; io avrei fatto così e colà; ma in quel momento questo espediente non mi venne al pensiero. »
E ancora riguardalo come difetto il
cercar di coprire con una qualche ombra
di difesa un’ azione, che fu
manifestamente colpevole, per esempio :
« Io sì ti lasciai, quando lutti venivano a te, si- gnore di un fiorentissimo regno; ma ora
essendo tu da tutti abbandonato, io sola
con grandissimo mio. pericolo mi accingo
a riporti sul tuo trono, a ' XXVI.
Medesimamente è riguardato siccome
difetto che si dica una cosa in modo che possa es- ser presa in un senso diverso da quello clic
si è voluto significare. Di tal falla
sarebbe questa sen- tenza, che fosse
pronunziala da alcuno potente e fazioso
in pubblica adunanza : « E meglio avere
LA RETTO RICA B8 un re che cattive leggi. » Imperciocché
sebbene questa cosa possa essere della
senza un fine mali- zioso, persola
cagione dicrescerforza airargomen- to,
pure, poi’ la potenza di colui che parla, non è
detta senza un odioso sospetto. È pur male l’usare definizioni false o volgari. False sono
queste, come se alcuno dica: « Non sono
ingiurie se non quelle che risultano da
percosse o da oltraggi. » Volgari
definizioni son quelle, che possono senza più tra- sferirsi ad altra cosa; come se alcuno dica :
« Il delatore è, per descriverlo in
breve, un uomo de- gno di forca;
perciocché è un cittadino perverso e
pestilenziale. » Qui usasi una definizione, che non si addice meno al delatore che al ladro, al
sicario, al traditore. Similmente è
difetto pigliar come prova ciò che è
posto in djsquisizione; come se al- cuno
accusi altrui di furto, c dica: « Questo colale
• è un uomo cattivo, avaro, fraudolento , e di ciò è una prova il furto di cui viene accusalo. »
È an- cora difetto risolvere la cosa in
deputazione con altra egualmente in
deputazione, per esempio: « Non
conviene, o Censori, che leniate costui per
isousato da ciò che dice, clic egli non ha potuto presentarsi a voi, come si era obbligato con
giu- ramento; perchè, se non avesse
potuto ritornare all’esercito, farebbe
egli una scusa eguale al tri- buno
militare? » Questo argoménto è vizioso per
ciò clic viene recata innanzi per esempio non una cosa già spedita e giudicata, ma una cosa
ancora indecisa e posta egualmente in
controversia. Altro difetto si è, quando
non si rischiara abbastanza la cosa che
forma il punto essenziale della contro-
versia, e la si lascia da parte, come se fosse di già consentita; per esempio: « L’oracolo, se pur
lo in- tendete, parla chiaro ; egli
comanda, che, se vo- gliamo impadronirci
di Troia, si diano queste armi a tale
guerriero qual si fu colui che le portò: que-
sto guerriero ecco son io: è giusto che io possegga le armi fraterne, e che vengano aggiudicate a
me, o come a congiunto di Achille, o
come all’ emulo del suo valore. » Un altro difetto si è quello di non essere
nel proprio parlare d’accordo con sè
medesimo, e di contraddire a ciò che
prima si èdetto, per esempio: « Io non
posso, meco medesimo pensando, spie-
gare perchè io accusi costui; imperciocché se egli ha verecondia, perchè mai accuso io un uomo
che è onesto? Se poi ha un animo, che
non sente ve- recondia, perchè mai accuso
io un uomo che fa poco conto di quello
che dico ? » XXVII. In verità egli dà
assai buone ragioni per non accusare
quell’uomo. E perchè dunque sog- giunge
: « Ora io sì li farò smascheralo
rimontando al principio ? » È similmente da biasimare ogni discorso
che 70 LA HETTOIUCA urli la volontà dei giudici o degli
uditori, elio fe- risca le parti ch’ei
seguitano o le persone che da loro sono
amate, o che , per qualche altro modo
consimile, offenda le opinioni loro. Ancora è vizio non sostenere nella confermazione le cose
che nella esposizione si è promesso di
sostenere. An- cora è da guardarsi dal
parlare di una cosa, allor- ché se ne ha
un’altra in controversia, e per evitar
questo difetto vuoisi por mente o di non aggiun- ger nulla al soggetto, o di nulla levargli, o
di non far cambiar natura alla causa
trasformandola in un’altra, come appresso
Pacuvio fanno appunto Zelo ed Anfione; i
quali, dopo di avere introdotta
questione intorno alla musica, d’ altro poi non ra- gionano che della natura della sapienza, c
dell’uti- lità della virtù. Vuoisi
ancora osservare che, se l’accusa rechi
una cosa, la difesa non ne confuti
un’altra, come fanno sovente molti avvocati imba- razzati da una causa difficile; come: « Se
taluno, venendo accusato di avere per
broglio cercala una carica, risponda
clic sovente in campo ha ricevuto
ricompense da’ suoi capi. » Se noi nel discorso degli avversar» porremo una grande attenzione
a ciò, sovente li coglieremo in difetto,
e per siffatto modo cogliendoli
mostreremo, che essi nulla dir possono
intorno a quel soggetto. È parimente vizio
dir male di un’ arte , o di una scienza, o di uno sludio qualsiasi a cagione de’ vizii di
coloro clic Digitized by Google unno ii.
71 quel colnlc studio
professano: come quelli clic biasimano
la Rcttorioa a cagione della vituperevole
condotta di qualche oratore. Similmente è errore il pensare che, poiché si è dimostrato essere
stalo commesso il delitto,, sia pur
anche dimostralo chi ne è stato T
autore, come: « Egli è manifesto che il
cadavere era sfiguralo, gonfio, livido: dunque
quel tale fu tolto di vita con veleno. » Conciossia^ che se ad imitazione di molli si ponga ogni
cura a provare che quel tale Tu
avvelenato, si verrà a cadere in un
difetto non picciolo; perchè non si
cerca già, se vi è stalo delitto, ma bensì da chi è stalo commesso. XXVIII. È pur da riguardare comevizio,
quando si paragonano due cose, lo
esaltarne una, e non dir parola
dell’altra, ovvero parlarne con alquanto
di negligenza; come, qualora faccndosrquislione, se sia meglio clic al popolo si dia grano o
no, tu ponga cura ad enumerare quali
siano i vantaggi dell’ uno di questi
avvisi, c trapassi come di niun valore
quali esser possano i disavvantaggi dell’av-
viso opposto, ovvero nc dica solamente i più pic- coli. Altro vizio si è ancora, quando si
paragonano due cose, pensare che sia
necessario di biasimar- ne una, perchè
lodasi l’altra, come sarebbe: Se
facciasi quislionc a quale dei due popoli debbasi concedere onor maggiore, se agli Albani o ai
Ve- stini, per cagione di servigi
prestati alla Rcpub- Digitized by
Google / 72 LA RETTOniCA blica Romana ; c colui, che parla in favore
degli uni, dica offesa contro agli
altri; perchè none ne- cessario che, se
In dai la preferenza agli uni, dica poi
male degli altri. Imperciocché tu ben potrai,
dopo di avere assai lodali gli uni, impartir qualche lode anche agli altri, per non dar a credere
che tu abbi alquanto appassionatamente
combattuto con- tro alla verità. Altro
vizio pure si è quello di levar
controversia intorno al nome e vocabolo di quella cosa, di cui può esser giudice supremo
l’uso: come fece Sulpizio, il quale dopo
essersi oppo- sto al richiamo degli
esuli, ai quali non era stalo concesso
di difendere la propria causa, più tardi,
mutalo avviso, nel mentre clic proponeva la legge medesima da lui prima combattuta, sosteneva
che quella era una legge diversa per un
semplice cam- biamento di nomi:
perciocché egli diceva di richia- mare
non, già degli esuli, ma dei cittadini cacciali
per violenza; quasi che fossesi indotta controversia con qual nome dovessero quelli venir chiamali
dal popolo Romano, o come se non tulli
coloro, ai quali era stala interdetta
l’acqua e il fuoco, si do- vessero
chiamar esuli. Nondimeno noi possiamo
perdonargli, s’ ei lo feGC con un perchè: quanto a noi riconosciamo essere vizio muovere
contro- versia per un semplice
cambiamento di nomi. XXIX. Poiché
l’ornamento consta di similitudi- ni, di
esempi, di amplificazioni, di giudicali, e
Digitized by Googte MODO
HI. 73 cT allri luoghi oralorii, alti a sviluppare
cd arric- chire rargomenlazione,
esamineremo quali esser possano i vizii
nell’ uso di questi mezzi. È viziosa
quella similitudine, la quale in qualche parte è disacconcia, e non presenta eguali rapporti
fra i termini della comparazione, o
nuoce all’ oratore che l’usa. È viziosa
1’ esempio, se può essere tac- ciato di
falsità, o è indegno di venire imitato, o è
al di sopra o al disotto del soggetto. Ci ha vizio, se si adduca un giudicato, che riguardi una
qui- stionc diversa, o tal cosa, sopra
cui non v’ha alcu- na contestazione;
oppure, se è ingiusto, o tale, che gli
avversar» possano addurne a loro favore o
più altri analoghi, o più idonei. Medesimamente è difetto, allorché l’accusato confessa il
fallo, l’ar- gomentare sopra quello, e
dimostrare che ha avuto luogo, bastando
in tal caso solamente amplificar- lo.
Similmente è difetto amplificare ciò che prima
ha bisoguo di essere dimostrato, come: « Se alcu- no accusi un tale di avere ucciso un uomo,
e, avanti di avere bastantemente provata
1’ accusa, amplifichi il delitto, e
dica, che niente v’ha di più indegno che
di uccidere un uomo : » chè non si
domanda già, se l’ azione sia o no indegna, ma se veramente sia stata commessa. Le recapilolazione è viziosa, quando
primiera- mente non ripete ogni cosa
nell’ ordine col quale fu detta innanzi;
quando non riepiloga con bre- l.A
UETT01UCA 71 , vita; quando nella sua enumerazione non
presenta un insieme ben determinato c
chiaro, che faccia ricordare qual fu
Mila prova la proposizione o
esposizione, c in appresso la ragione; e finalmente la confermazione della ragione; in somma,
qual si fu P argomentazione tutta
intera. XXX. Le conclusioni , le quali
vengon chia- mate dai Greci epiloghi ,
hanno tre parli, com- ponendosi esse
della enumerazione, dell’amplifi-
cazione, e della commiserazione (1). L' enumera- zione è quella, per cui noi raccogliamo e
ripetia- mo in pochi detti quelle cose,
di cui abbiamo par- ' - lato, non per
riprodurre interamente, ma per ri-
chiamare a memoria il discorso, ripigliando per ordine tutto ciò che sarà stalo, dello, di
maniera che si risveglino nella mente
dell’ uditore le idee eh’ egli avrà
potuto ritenere. Bisogna altresì nella
enumerazione por mente a non rimontare sino al- l’esordio od anche solamente alla narrazione,
per- chè il discorso si parrebbe
lavorato e preparato con isludio
speciale per fare o prova d' arte, o
spaccio d’ ingegno, o ostentazione di memoria. Per la qual cosa converrà cominciare P
enumera- zione dalla divisione, c quindi
esporre per ordine (1) Seguo il parere
di Scliutz, clic giudica intruse le
parole. In qualuor locis uli possumus, etc., c non le ammetto nella mia traduzione. Digitized by Googte LIBRO II. 75
brevemente le cose che saranno state nella con- fermazione e nella confutazione trattate.
L’aropli- lìcazione è quella, che ha per
obbielto di eccitare gli uditori per
mezzo de’luoghi comuni. Dieci pre- cetti
facilissimi insegnano i luoghi comuni proprii
ad amplificare l’accusa. Il primo luogo si traedal- 1’ autorità , allorché noi rivochiamo alla
mente quanto la cosa, onde trattasi',
sia stala a cuore agli Dei immortali, ai
nostri maggiori, ai re, alle città, alle
nazioui, agli uomini più sapienti, al senato; e
soprattutto in qual maniera speciale abbiano le leggi pronunziato intorno a siffatte cose. Il
secon- do luogo è, quando noi esaminiamo
a chi sono falle le azioni, onde noi
accusiamo taluno ; se al- l’universale
degli uomini, il clic è il più grave de-
litto; se a superiori (alla qual classe appartengo- no coloro, che noi abbiamo compresi nel
luogo comune dell’ autorità) ; se ad
eguali, vale a dire ad uomini collocali
nella stessa condizione di ani- , mo, di
corpo, e di fortune; se ad inferiori, vale a
dire ad uomini, che rimangono da noi trapassati in tutte coleste cose- Il terzo luogo
consiste nel domandare che cosa ne interverrebbe
, se a cia- scheduno si concedesse il
simigliarne, cioè di fare quello che ha
fatto l’ avversario ; e nel mostrare
quanti danni e mali seguir possano dal lasciare impunito quel tale delitto. Il quarto luogo
consi- ste nel mostrare che, ove si
mandi perdonato il to Digitized by Google 76
LA HETTORICA reo, molli altri,
che ancora sono ritenuti dal ti- more di
un giudizio, diverranno più pronti al mi-
sfare. Il quinto luogo è , quando mostriamo che, se una volta solo sia dato diverso giudizio,
non vi sarà più nulla che possa
rimediare al male, o cor- reggere F
errore dei giudici; nel qual luogo non
sarà disutile paragonare quel misfatto con altri, per mostrare che alcuni possono venire o dal
tem- po tolti, o dalla prudenza
corretti; ma che cotesto da niuna cosa
umana può venire o tolto o corretto. Il
sesto luogo è, quando proviamo che fu opralo
pensatamente, e diciamo che un atto volontario non ammette veruna scusa, e che F
imprudenza sola può domandar grazia. Il
settimo luogo è , quando mostriamo che F
azione è abbominevolc, crudele, nefando,
tirannica: del qual genere sono gli
oltraggi fatti ad una donna, o quelli che cagio- nano le guerre, e fanno versare il sangue in
batta- glia. L’ottavo luogo è, quando
mostriamo che il delitto non è comunale,
ma singolare, sozzo, infa- me , senza
esempio , affinchè venga punito più prontamente
e con maggiore severità. 11 nono luo- go
componesi della comparazione del delitti, quan-
do si sostiene, per esempio, che è un delitto più grande recar violenza ad una donna libera ,
che spogliare un tempio ; perchè a
questa cosa può spingere il bisogno, a
quella soltanto intemperante burbanza.il
decimo.luogo è quello, pel quale lutto
Digitized by Google LIBRO
ir 77 ciò che si è operato nel mandare a fine il
fatto, e tutto ciò che suol esserne
conseguenza, noi espo- niamo con tratti
così vivi, così accusanti, così di-
stinti, che si creda di vedere oprarsi e compiersi il fatto stesso con tutte le sue ordinarie
conse- guenze. XXXI. Per giungere allo scopo di muovere
la compassione. nell’ animo dell’uditore
noi dipinge- remo le diverse mutazioni
della fortuna ; noi pa- ragoneremo la
nostra passata prosperità colla pre-
sente nostra disgrazia; noi enumereremo e porre- mo sotto agli occhi le tristi conseguenze,
che de- riverebbero per noi dalla
perdila della nostra cau- sa; noi
supplicheremo i nostri giudici, e racco-
mandandoci alla loro pietà ci commetteremo inte- ramente nel loro arbitrio; noi descriveremo i
mali, che per la calamità nostra
cadrebbero sopra i no- stri parenti,
sopra i nostri figli, sopra i nostri ami-
ci, dichiarando nel medesimo tempo che è il loro abbandono e la loro miseria quella clic più
ci cuo- ce, e non già i nostri proprii
mali ; noi ricordere- mo la clemenza, l’
umanità, la compassione , clic abbiamo
sempre usata verso gli altri ; noi dimo-
streremo che siamo stati mai sempre o per lungo tempo nelle avversità; noi lamenteremo il
nostro destino, la nostra sorte; noi
finalmente promette- remo che in
avvenire il nostro animo sarà forte e
paziente degli avversi casi. Trattando la commise- 78
LA RETTOniCA razione converrà
clic noi siamo brevi ; perocché niente
v’ ha clic più presto si secchi quanto una
lagrima. In questo secondo libro noi abbiam trat- tate le quislioni presso a poco più oscure
deU’arte oratoria: laonde noi faremo qui
fine a questo li- bro. Kel terzo
esamineremo gli altri precetti tanto
quanto ci parrà conveniente. Se tu studierai que- sto trattato con tanta accuratezza con quanta
io ho procurato di comporlo, sì io
raccoglierò nella tua istruzione il
frutto della mia fatica, c sì tu stes-
so approverai nel medesimo tempo la mia diligen- za e andrai lieto del tuo progresso: le
regole del- l’arte adorneranno il tuo
sapere, ed io avrò mag- gior premura di
dar compimento a ciò che resta. Son
certo clic, in quanto a* le, accadrà ciò che di- co, perchè so quanto vali: noi intanto
passiamo ad esaminare gli altri precetti
per far paghi i tuoi giusti desi lerii,
la qual cosa è per me la più cara
diluite. •• : % - •'> 'OMfVVWkVWVWVWWwvv Digitized by Google LA RETTORICA L I B R 0 TERZO I. Come ad ogni causa del genere giudiziale convenisse di applicare i precetti
dell’invenzione, abbastanza
distesamente, io credo, fu dimostrato
nei libri precedenti. In questo terzo libro ora ab- biamo riserbata la trattazione delle regole
dell’in- venzione spettanti alle cause
del genere delibera- tivo q dimostrativo
per farti quanto più presto co- noscere
tutta intera la teorica, che concerne l’ in-
venzione. Restano ancora quattro parti della Rct- torica: tre verranno spiegate in questo
libro, cioè la Disposizione, la
Pronunciazionc, e la Memoria: di quanto
poi riguarda l’Elocuzione, poiché essa
richiede una più ampia trattazione, abbiamo pre- scelto di parlarne in un quarto libro, il
quale fi- nito ben presto, siccome
spero, noi ti manderemo, affinchè veruna
parte non ti manchi deH’arlc ora- toria.
Infraliamo tu potrai ben apprendere queste
prime parli e con noi, se li aggrada, e tal fiata 80
LA RETTORICA senza di noi,
leggendole, acciocché nulla t’ impe-
disca di potere avanzarli al pari di noi in quest'arte del dire. Ora prestami tutta la tua
attenzione: noi continueremo a camminare
verso la prefissa mela. II. Nelle
deliberazioni o si cerca quale di due
partiti è il migliore, o qual è in generale il partito che si deve prendere. Quale di due parlili è
il mi- gliore, per esempio: «Se abbiasi
a distrugger Car- tagine, o lasciarla
sussistere ». Qual è in generale il
partilo che si deve prendere, per esempio: « Co- me se Annibale, richiamalo dall’ Italia a
Cartagi- ne, consulti se debba rimanere
in Italia, o tornare a casa, o andare in
Egitto per impadronirsi di Ales-
sandria». Alcune volte la deliberazione cade sulla natura stessa della quislione: «Come se il
Senato esamini, se debba o no riscattar
dal nemico i pri- gionieri ». Altre
volte la deliberazione viene in- dotta
da qualche cagione esterna: « Come se il
Senato nell’occasione della guerra Punica delibe- ri, se dispensi con Scipione, acciocché ei
possa essere nominato consolo prima che
abbia l’età vo- luta dalla legge ».
Altre volle la deliberazione e riguarda
la natura stessa della quislione, e di più
viene indotta da qualche esterna cagione: «Come se il Senato deliberi, nella guerra Italica,
se debba dare o no il diritto di
cittadinanza agli alleati ». Io quelle
cause, in cui la deliberazione riguarderà lo
natura stessa della quislione, il discorso si aggi- r?
LIBRO 111. ' 81 \ rerà sempre intorno al soggetto. In quelle cause poi, in cui la deliberazione verrà indotta da
ester- na cagione, dovrassi questa
stessa cagione o in- nalzare o
deprimere. Ogni discorso di colui, che
in una deliberazione dà il suo parere, conviene che si proponga per fine 1’ utile, di modo
che do- vrà ogni mezzo oratorio tendere
a questo fine. In una discussione
politica l’ utile ha due parli, la
sicurezza e l’onestà. La sicurezza consiste nell’evi- tare con qualsivoglia mezzo un pericolo
presente o futuro. Essa si appoggia o
sopra la forza o so- pra l’ inganno; e
noi potremo usare o separata- mente
ciascuno di questi mezzi, o lutti e due in-
sieme. La forza si spiega per gli eserciti, per le flotte, per le armi, per le macchine di
guerra, per le leve degli uomini, e per
le altre cose di questo genere.
L’inganno si compie per danaro, per pro-
messe, per dissimulazione, per celerità, per mcn- limenlo, c per altri spedienti, di cui
parlerò a tem- po più opportuno, se mai
applicherò l’ animo a scrivere sopra l’
arte militare, o sopra 1’ ammini-
strazione della cosa pubblica (1). L’onestà si com- pone del bene e del lodevole. Il bene è ciò
che risulta dalla virtù e dal dovere. Il
bene comprende (\) Questo è un altro
luogo, che induce a credere che Cantore
della Rettorica sia proprio Cicerone. Egli fa
menzione di due opere, le quali si sa essere state più tardi da lui composte. Digifced by Google Si
LA RKTTORICA la prudenza, la
giustizia, la fortezza, la temperan- za.
La prudenza è una certa finezza d’ ingegno,
che, dietro un certo calcolo,, può scegliere tra i beni ed i mali: chiamasi ancora prudenza la
co- gnizione di un’ arte: parimente
appellasi prudenza una memoria ricca di
molte cose congiunta ad una esperienza
grande negli affari. La giustizia è l’ e-
quilà, che dà a ciascuno ciò che gli è dovuto se- condo il suo merito. La fortezza è la
bramosia delle grandi cose, il disprezzo
delle volgari, e la tolle- ranza della
fatica in ragione della loro utilità. La
temperanza è nell’ animo una facoltà moderatrice, che contiene le passioni. III. Il nostro parlare appoggerassi alla
pruden- za, se, paragonando i vantaggi
coi danni, consi- glieremo a cercare gli
uni e ad evitare gli altri: o se
consiglieremo in alcuno frangente qualche mi-
sura da noi sperimentata o conosciuta, c mostre- remo in che modo e con quali mezzi noi
possiamo conseguire lo intento; o se
persuaderemo un par- tito, del quale o
abbiamo noi stessi veduto i van- '
taggi, o abbiamo udito a raccontarli: nel qual caso ci sarà ognora facile di tirare altrui nella
persua- sione di ciò che vorremo,
recando l’ esempio. Noi faremo buon uso
delle parti della giustizia, se im-
ploreremo la pietà in favore o degli innocenti v dei supplicanti; se mostreremo essere
conveniente di rendere il guiderdone ai
benemeriti; se prove- Digitized by
Google unito in. 83
remo essere d’uopo vendicarsi delle offese; se giudicheremo doversi ad ogni costo serbar la
fede; se diremo doversi scrupolosamente
rispettar le leg- gi e le costumanze sociali;
se diremo doversi con amore coltivare le
alleanze e le amicizie ; se di-
mostreremo doversi religiosamente osservare i do- veri, che la natura c’ impose verso i
parenti, gli Dei, la patria ; se diremo
doversi inviolabilmente guardare le
ospitalità, le clientele, le consangui-
neità, i parentadi; se mostreremo non doverci noi, nè per guadagno, nè per favore, nè per
pericolo, nè per invidia, allontanare
dal diritto cammino; se diremo dover noi
in ogni nostra azione aver di mira
l’equità, la giustizia. Con simili ed altri mez- zi, che la giustizia ci offre, se nell’
assemblea po- polare, o nel consiglio
avviseremo esser da fare alcuna cosa,
proveremo che è giusta; e coi mezzi
conlrarii, che è ingiusta. Così i luoghi medesimi ci gioveranno tanto al persuadere quanto al
dis- suadere. Se diremo che vuoisi far
cosa per fortez- za d’animo, proveremo
che non solo bisogna cer- care e volere
le cose grandi ed eccelse, ma ancora che
gli animi forti debbono disprezzare le cose
umili e basse, e riguardarle siccome inferiori alla propria loro dignità. Parimente diremo che
non bisogna mai lasciarsi allontanare da
veruna cosa onesta per grandezza di
pericolo o di fatica; che bisogna
preferire la morte all’ infamia ; che niun
84 LA RETT0R1CA dolore ci dee costringere ad abbandonar la
virtù; che non dobbiamo temer le
inimicizie d’ alcuno per cagion del
vero; che per la patria, pei paren- ti,
per gli ospiti, per gli amici, per tutto ciò insom- ma, che la giustizia vuole da noi, bisogna
affron- tare qualunque pericolo, e
sottostare a qualunque disagio. Noi
ricorreremo alle parti della tempe-
ranza, se biasimeremo la smodata avidità degli onori, dell’oro, e d'altre cose siffatte; se
racchiu- deremo tulli i nostri desiderii
nel giusto limite delia natura ; se
mostreremo a ciascuno quanto può
bastargli, dissuadendolo dal passar quel pun-
to, e statuendo la sua misura ad ogni cosa. Di tal fatta sono le parti proprie della virtù, le
quali sono da amplificare, se vuoisi
persuadere, e sono da at- tenuare, se
trattasi di dissuadere; e così saran pu-
re attenuali quei mezzi che ho indicati di sopra. Conciossiachè nessuno vi sarà, il quale stimi
di dover lasciar da parte la virtù; ma ò
noi presen- teremo le parti, che
confuteremo, siccome non of- ferenti
alla virtù i mezzi di prodursi, o mostreremo
che la virtù troverà meglio il suo posto nelle parti contrarie. E così mostreremo, se ci sarà
possibile, - che quella cosa, che all’
avversario nostro è pia- ciuto di
chiamare giustizia, altro non è Che dap-
pocaggine, e infingardia e viziosa licenza ; che quella, ch’ei chiamò prudenza, altro non è
che una scienza inetta, garrula c
noiosa; che quella, LIBHO Il(. 85
eh’ egli appellò temperanza, altro non è che mera pigrizia e scioperata negligenza; che quella
final- mente, eh* ei disse fortezza,
altro non è che gla- ' dialoria e
spensierata avventatezza. IV. Il
lodevole è ciò che ci procura, e pel pre-
sente e per l’ avvenire, un’ onorevole riputazione. Noi lo distinguiamo dal bene, non perchè
queste quattro parti, che comprendiamo
sotto alla parola bene, non ci procurino
per solito questa onorevole riputazione
; ma perchè quanlunque il lodevole nasca
dal bene, pure è necessario che nel discor-
so l’uno e l’altro siano separatamente trattati. In- fatti egli non si dee cercare il bene per
amore della sola lode, ma se la lode ne
deve poi esser la mercede, la volontà del
ben fare raddoppierà di forza. Così,
dopo di aver dimostralo die 1’ azione è
buona, noi proveremo o eh’ ella otterrà le lodi
di giudici competenti ( comò se, biasimala da per- sone di basso ordine, debba venire approvata
da persone di più elevalo ordine ); o
eh’ ella sarà lo- data da alcuno
de’noslri compagni, o da tutti i cit-
tadini, dalle estere nazioni, e dalla posterità tutta. — Essendosi di già veduto come si dividano i
luo- ghi concernenti le cause del genere
deliberativo, ora esporremo con tutta
brevità come debba essere distribuito
l’intero discorso. Si potrà adunque in-
cominciareo dall’esordio diretto, o dall’esordio per insinuazione, facendo uso degli stessi mezzi
che. 86 LA KETTOniCA abbiamo irrdicati per le cause del genere
giudizia- le. Se intervenga un Fatto da
raccontare, si segui- ranno le stesse
regole già date per la narrazione.
Poiché in questa sorte di cause il fine è 1’ utile, e quest’utile abbraccia la sicurezza e
l’onestà; se potremo servirci d’entrambe
le cose, imprendere- mo nel nostro
discorso a dimostrare che noi ab- biamo
per fine e l’una e l’altra; c se saremo obbli-
gali di ristringerci ad una sola, annunzieremo qual è quella che vorremo far valere. Se diremo di
aver per iscopo la sicurezza, la nostra
divisione riguar- derà la forza ed il
consiglio; perocché ciò che. nel
precetto, per esser più chiaro, io chiamai inganno, nel nostro discorso sarà più onesto chiamar
consi- glio. Se diremo di aver per fine
l’onestà o sia il bene, e tutte le parti
del bene converranno al sog- getto,
allora lo divideremo in quattro parti;se tutte
non potranno convenire, esporremo nel discorso sol quelle che ad esso soggetto converranno.
Nella confermazione e nella confutazione
ci serviremo dei luoghi, che abbiamo già
indicali, per ben con- validile i nostri
mezzi, ed abbattere quelli degli
avversari!. Per la maniera poi di trattare 1’ ar- gomentazione artificiosa si consulterà il
secondo libro. V. Ma se accada, che nella consultazione il
pa- rere dell’uno si appoggi sopra
ragione di sicurez- za, e il parere
dell’ altro sopra ragione di onestà.
Digiliztid by (S ogle LI BIIO III. 87
come nel caso di coloro, che, assediali dai Carta- ginesi, deliberano intorno al partilo da
prèndersi; colui, che consiglierà
doversi preferire la sicurez- za, farà
uso de’luoghi seguenti: Che nessuna cosa
è più utile della propria conservazione; che si ren- de impossibile l’uso della virtù a colui che
non ha provveduto innanzi alla propria
sicurezza;chc nep- pure gli Dei vengono
in soccorso di coloro che si gettano
sconsigliatamente nel pericolo; che non
s'ha da stimar cosa onorevole quella che mette a repentaglio la nostra salute. Colui, al
contrario, che consiglierà di preferire
l’onore alla sicurezza, farà uso
de’luoghi seguenti: Che in nessun tempo
si deve rinunziare alla virtù; che il dolore (se è ciò che si teme), che la morte (se è questa che
si pa- venta), sono ben piccola cosa a
petto al disonore e all'infamia; che s
ha da considerare quale igno- minia ne
-verrebbe altramente; c che nondimeno
noi non ne conseguiremmo nè vita immortale, nè perpetua felicità; che niente ci assicurerebbe
che, sfuggito quel pericolo, noi non
cadessimo in alcun atiro; che per la
virtù è bello andare anche volon-
tariamente a morte; che al coraggio è solita venir pure in aiuto la fortuna; che vive sicuro chi
vive con onore, non chi sol guarda alla
sicurezza pre- sente; e che chi vive
nell’ignominia goder non può di una
perpetua felicità. Le conclusioni nel gene-
re deliberalivosono d’ordinario le medesime come s
88 LA RETTORICA nel genere
giudiziale, se non che in questagenere
torna utilissimo recare il più gran numero possi- x bile di esempi di falli anteriori. VI. Passiamo ora al genere dimostrativo.
Poiché questo genere ha per iscopo la
lode od il biasimo, noi con certi mezzi
costituiremo la lode, e coi mezzi
contrarii trovar potremo il biasimo. La lode
adunque può riguardare o le qualità esteriori, o l'animo, oil corpo. Le qualità esteriori sono
quelle che ci possono venire o dal caso,
o dalla fortuna, sì buona, si cattiva;
come la nascita, l'educazione, le ricchezze,
il potere, gli onori, la patria, le ami-
cizie, e tutti i vantaggi finalmente di questa spe- cie; e per l'opposto le cose tutte che a
queste sono contrarie. 1 vantaggi o
disavvantaggi del corpo son quelli che
la natura attribuì al corpo stesso, co-
me l’agilità, il vigore, la dignità, la sanità, e le cose a queste contrarie. 1 vantaggi o i
disavvan- taggi dell’animo sono quelli
che dipendono dal- la nostra volontà e
dal nostro intendimento, co- me la
prudenza, la giustizia, la fortezza, eia tem-
peranza, e quelle cose che sono contrarie a que- ste (l).In una orazione di questo genere si
piglierà (t) Nel testo trovansi qui le
seguenti parolè : Erit igitur haec
confirmatioet confutatio nobis; ma paren-
domi con lo Scliulz che siano affatto fuor di luogo, io le ricuso come inlegitlime, e non le
traduco. Digitized by Google l’esordio odalla nostra propria persona,
odalla per- sona di colui, del quale
parliamo, ovvero da quella degli
uditori, o dal soggello slesso. Dalla nostra per* sona: Se loderemo alcuno, diremoche noi
facciamo ciò o per dovere, perchè fra
quello e noi passa un vincolo di
amicizia ; o per propensione, perchè
esso è dotato di tanta virtù, che tutti deggiono vo- lerlo celebrare; o infine perchè è diritta
cosa mo- strare, lodando altrui, qual
sia T animo nostro, o sia il nostro
carattere. Se biasimeremo, noi diremo
che facciano questo o a buon diritto, perchè anche noi fummo così trattati; o per amor del bene,
per- chè noi riguardiamo come utile che
da tutti sia conosciuta una malizia e
scelleratezza unica; o fi- nalmente
perchè biasimando altrui amiamo di far
conoscere ciò che a noi non piace. Dalla persona, di cui noi parliamo: Se loderemo alcuno, noi
di- remo che abbiam timore di non potere
colle parole raggiungere l’altezza delle
sue azioni; che è d'uo- po che tulle le
lingue imprendano a celebrare le sue
virtù ; che gli stessi suoi fatti passano l’ elo- quenza di tulli i panegiristi. Se
biasimeremo, po- tremo due quelle cosè
che ci parranno contrarie a queste,
cambiando poche parole, come con l’e-
sempio fu poco innanzi dimostrato. Dalla persona degli uditori : Se loderemo alcuno, diremo
che , parlando noi davanti a persone che
bene lo cono- scono, spendiamo poche
parole per sola cagione 90 LA RETTOIUCA di avvertire; o se non fosse a loro
conosciuto, do- manderemo che vogliano
ben conoscere un tal uomo, perchè
trovandosi nello stesso amore della
virtù coloro stessi dinanzi ai quali lodiamo, nel quale amore è pure stata od è la persona,
clic da noi si loda, speriamo che
saranno più facilmente per approvarci
suoi fatti giusta il desiderio nostro.
Il biasimo starà nei mezzi contrari: poiché, se è co- nosciuta la persona, affermeremo che noi
siamo per dire poche cose della
scelleratezza sua; e se non sarà
conosciuta, domanderemo che vogliamo ben
conoscerla, affinchè possano schivare la sua per- versità; perchè essendo coloro, clic odono,
dissi- mili al tulio da colui che si
biasima, noi speriamo che saranno per
disapprovare altamente lasua con- dotta.
Dal soggetto stesso : diremo che siamo in-
certi qual cosa dobbiamo principalmente lodare ; che abbiamo timore che, anche dicendo molle
cose in favore del nostro soggetto, noi
ne ommetliamo ben molle di più; c
continueremo con sentenze di questa
forma ; alle quali sentenze sostituiremo le
contrarie, ove si tratti di biasimare.
VII. Trattato l’esordio conformemente ad alcuna di quelle fonti, di cui abbiamo parlato, non
sarà necessario elicne segua alcuna
narrazione; ma se mai ne intervenga una,
c che siamo obbligati di, raccontare con
lode a con biasimo qualche azione della
persoua di cui togliamo a parlare, cercherò-
LIBRO III. 9i mo le regole della narrazione nel primo
libro. La divisione verrà fatta così:
Primieramente esporre- mo le cose, che
vorremo lodare o biasimare; poi diremo
con ordine, come cd in qual tempo ciascu-
na nazione ha avuto luogo, affinchè si sappia ciò che è stato fatto, e con quale sicurezza e
precau- zione. Ma converrà render conto
delle virtù o dei vizi dell’animo, e
mostrar poscia come l’animo ab- bia
tratto partito dai vantaggi o disavvantaggi del
corpo o delle qualità esteriori. Per descrivere la vi- ta terremo quest’ordine:Cominciando dalle
qualità esteriori, parleremo della
slirpe;a lode della perso- na, diremo di
quali maggiori sia nata; è di nobile
stirpe, diremo ch’è stala pari o al disopra della sua stirpe; se è di bassa origine, diremo che
essa ha trovato suo presidio non nelle
virtù degli avi, ma . nelle sue. A
biasimo; se sarà di nobile schiatta, di-
remo che è stala di disonore agli antenati; se sarà di bassa estrazione, che nondimeno ha pur
loro re- cato scapito.Parlando poi
dell’educazione, se si trat- ti di lode,
diremo che la persona, di cui si parla, è
stata per tutta la puerizia bene ed onestamente edu- cata nelle v buone discipline; se si tratti
di biasimo, diremo il contrario. Dopo
ciò passeremo ai vantaggi del corpo.
Cominciando dalla natura, se si tratti di
lode, diremo che, se quest’uomo ha in sè congiun- ta dignità e bellezza, ciò gli ha giovato ad
onore, non a danno e a vergogna, come a
tanti altri ; se t.v RETTORICA U2
ha forza ed agilità singolare, diremo che ciò è stato l’ctTeUo di onorevoli esercizii e industrie;
se gode di una costante sanità, che ciò
è il fruito delle sue cure, e della sua
temperanza nelle passioni. Se si tratti
di biasimo, se egli possegga questi vantaggi
corporali, diremo che ha fatto mal uso di questi doni, ch’ei deve, come qualsivoglia
gladiatore, al caso e alla natura ; se
non ne possegga alcuno , tranne la
bellezza, diremo che ne è stalo privato
per sua colpa ed intemperanza. Appresso noi ri- torneremo alle cose esteriori , e
considereremo quanto abbiano potuto
sopra di esse le virtù o i . vizii
dell’animo: se egli sia ricco o povero; quali
sono le sue cariche, le sue glorie, le sue amicizie, le sue inimicizie; nel sostenere le
inimicizie, che ha mai opralo di forte;
per qual cagione s’ è egli procaccialo
inimicizie ; con qual fede, con quale .
amore, con quale ossequio ha coltivate le amicizie: qual si fu nelle ricchezze ; o nella povertà
come si è egli condotto ; qual animo ha
egli mostrato nell’esercizio del potere
; se egli non è più, qual » è stata la
sua morte; quali conseguenze ha la sua
morte prodotte ? Vili. Tutti poi
gli atti, pei quali si manifesta l’at-
tività dello spirito umano, vogliono essere rappor- tati alle quattro virtù dette più sopra; di
maniera che, se lodiamo, noi diremo che
si oprò con giu- stizia, con fortezza,
con temperanza, con pruden-
Di§nfe«rby-( 1.1 DUO III. 93
za ; c se biasimiamo, noi diremo che si oprò con ingiustizia, con codardia, con intemperanza,
con istoltezza. Per questa disposizione
si vede ormai chiaro come si devono
trattare le tre parli della lode e del
biasimo ; solo avvertiremo clic non è
necessario che noi nella lode e nel biasimo faccia- mo entrare tulle queste tre parti, perchè
sovente non vi tornano neppur tulle in
acconcio, c sovente vi hanno così poca
importanza, che è inutile di parlarne:
laonde farà d’ uopo sceglier di queste
tre parti quelle che parranno offerire più solido argomento. Le conclusioni dovranno esser
brevi ; e si faranno entrare nel corso
stesso della causa frequenti e brevi
amplificazioni tolte a’ luoghi co- muni.
Nè, perchè questo genere di causa si pre-
senti di rado nella vita, si dee perciò meno dili- gentementcconsiderarc; conciossinchè bisogna
pur volere poter fare acconciamente ciò
che può acca- dere di dover fare alcuna
volta. E ancorché meno spesso si tratti
separatamente questo genere dimo-
strativo, pure accade di sovente che nelle cause giudiziali e deliberative intervengano molte
parli di lode o di biasimo. Per la qual
cosa noi giudi- chiamo' doversi
collocare qualche poco di studio anche
in questo genere di causa. Ora, poiché ab-
biamo terminata la parte più difficile della Retto- rica, vale a dire, poiché abbiamo illustrata
l’ in- venzione, e adattata questa ad
ogni genere di cau- Digitized
bT'Google 94 LA RETTOIUCA sa, è lempoche ci accostiamo alle altre
parli. Pren- deremo dunque a parlare
della disposizione. IX. Poiché la
disposizione è quella che c’ inse- gna a
meltere in ordine le cose somministrateci
dairiuvcnzionc, sì che ciascuna abbia il suo posto determinato che le conviene ; facciamoci a
mo- strare qual modo debba tenersi in
tale operazione. Due sorte di
disposizione ci ha: P una, che dipen- de
dalle regole dell’ arte, e 1’ altra, che si confor- ma alle occasioni. Noi disporremo secondo le
re- gole dell’ arte quando seguiremo i
precetti che nel primo libro abbiamo
dati; i quali sono di usare l’ esordio,
la narrazione, la divisione, la conferma-
zione, la confutazione, la conclusione; e di osser- vare nel discorso 1’ ordine di queste parli
in quel modo che abbiamo innanzi
prescritto. Parimente sarà secondo le
regole dell’ arte, quando noi di-
stribuiremo non solo l’ insieme del discorso, ma aneora le diverse parti dell’ argomentazione,
spie- gate net secondo libro, cioè l’
esposizione, la ra- gione, la
confcrmazion della ragione, gli ornamen-
ti, e la recapilolazione. Due disposizioni adunque ci ha : 1’ una di tutto il discorso, e 1’
altra dell’ ar- gomentazione, così l’una
comel’altra fondale sulle regole dell’
arte. Ma vi è un’ altra disposizione, la
quale, lasciata al giudizio dell’ oratore, allora che bisogna allontanarsi dall’ ordine fìssalo
dall’ arte, si conforma all’ occasione ;
come se s’ incominci r A Digitizedby v^oogie LIBRO III. 95
dalla narrazione, o da qualche argomento dei più solidi, o dalla lcllura di qualche testo ; o
se dopo 1' esordio si passi alla
confermazione, c poscia alla -
narrazione; o se invcrtasi nel modo stesso l’ordine regolare ; il che non bisogna mai fare, se
non quando la causa ciò richieda
assolutamente. Se, per esempio, ci
parranno assordale le orecchie de- gli
uditori, e stracchi gli animi loro dai. nostri av- versarti per l’abbondanza delle parole, sarà
bene lasciar 1’ esordio, e incominciare
la causa o dalla narrazione o da qualche
robusto argomento. Po- scia, se sarà
vantaggioso, perchè non è sempre
necessario, ci sarà lecito di ritornare alle idee pro- prie dell’ esordio. X. Se la nostra causa parrà circondata da
molta difficoltà, sì che nessuno abbia
I’ animo disposto ad udire
favorevolmente l’ esordio, noi, dopo aver
dato cominciamenlo dalla narrazione, potremo tor- nare indietro, esponendo le idee che
sarebbero convenute all’esordio. Se la
narrazione essa stessa parrà poco
probabile, daremo cominciamenlo da
qualche argomentazione solida. È sovente neces- sario ricorrere a questi cambiamenti e a
queste trasposizioni di parli quando lo
stesso soggetto ci obbliga a cambiare ad
arte la disposizione pre- scritta dall’
arie. Nella confermazione e nella con-
futazione conviene altresì di seguire disposizioni simili delle argomentazioni ; collocare nel
princi- 96 t LA RETTOniCA pio e alla fine le argomenlazioni più
valide; c le mediocri, c quelle clic non
sono nè inutili alla causa, nè
necessarie a convincere, che, separata-
mente presenlalc, e ad una, ad una, sarebbero de- boli, ma clic riunite alle altre divengono
forti e de- cisive, dovranno essere
collocale e disposte nel mezzo.
Imperciocché, fatta la narrazione, l’animo
dell’uditore aspetta subitamente gli argomenti che possono confermare la causa. Bisogna adunque
re- care nel mezzo qualche solida prova.
E fioichèle cose dette in fine sono
quelle che più facilmente s’ imprimono
nella memoria, è utile, alla fine del
discorso, lasciare nell’animo degli uditori la fresca impressione di un molto solido ragionamento
(1). Questa disposizione di mezzi,
simile a buona' ordi- nanza di soldati,
può facilissimamenleneldire, sic- come
quella nel combattere, procacciar la vittoria.
XI. Molli Retori riguardarono la pronunciazionc siccome ciò clic v’ ha di più utile all’
oratore, e di più acconcio a generare la
persuasione. Quanto a me, non dirò tanto
facilmente eh’ ella sia la più
importante delle cinque parli della Rettorica, ma sì non temerò di affermare che nella
pronuncia- li) Chi legge il libro II. De
Oratore, capo 77, Si chiama articolo, o
in- ciso la distinzione, che si fa di
ciascuna parola per pause, tenendo
sospesa la frase sino all’ ultimo : per
esempio: « Coll’impeto, colla voce, coll’ aspet- to hai sbigottiti gli avversar». » E
parimente: « Tu coll’ invidia, coll’
ingiustizia, coll’ autorità, colla
perfìdia hai tolto via i nemici. » Tra la veemenza di questa figura, e quella della precedente
ci ha questo divario, che quella fa
passi più tarpi e più radi, e questa s’
avanza più rapida e più pronta. In
quella mi pare di veder portare la spada al petto dell’ avversario da braccio allungato c pugno
slret- LIBRO IV. 151
lo, e in questa venirneferilo il petto da colpi spessi e rapidi . La continuazione o il periodo è
una stretta e non interrotta
concatenazione di parole in sino a senso
compiuto. Noi trarremo grandissimo
vantaggio da questa figòra , se l’ useremo in tre parti : nella sentenza, nel contrario, nella
conclu- sione. Nella sentenza, per
esempio : « Non può la fortuna fare gran
danno a colui che pose suo pre- sidio
più fermamente nella virtù, che nel caso . »
Nel contrario; per esempio : « Se alcuno non locò molla speranza nel caso, qual danno sì grande
far gli potrà il caso? » Nella
conclusione; per esempio: « Se la
fortuna può moltissimo su di quelli , che
tutti i fatti loro lasciano in cura del caso, non bi* sogna adunque tulle cose commettere alla
fortuna, onde ella non piglia su di noi
troppo grande domi- nio. In queste tre
ligure la concatenazione delle parole è
così necessaria alla forza del discorso,
che poco valente sarebbe tenuto un oratore, se non sapesse la sentenza, il -contrario e la
conclu- sione con ben congiunte
locuzioni esporre. Ci sono ancora altri
casi, in cui la continuazione può usarsi
con vantaggio, benché non sia proprio necessario 1’ usarla.
XX. Si chiama Compar quella figura, che ha in sè i membri, che già dicemmo, della frase
formali quasi del medesimo numero di
sillabe. Ciò non ot- teremo già col
coniare le sillabe ( il che sarebbe
152 LA UETT0R1CA una puerililà
), ma bensì l’ uso c l’esercizio ci met-
teranno in grado per un certo naturai senso di con- formare ciaschedun membro a quello che
avrem posto di sopra; per esempio: « In
battaglia il padre succumbeva.a casa il
figlio s’ammogliava, ciò lutto un fatai
caso governava. » E parimente : « Alla
fortuna dee l’uno la felicità, all’ industria deo l’al- tro la virtù. » Sovente però può intervenire
in que- sta figura, che il numero delle
sillabe non sia af- fatto eguale, e
nondimeno paia esserlo, se anche l’uno o
l’ altro membro è più corto di una o di due
sillabe; ma neH’uno essendo più le sillabe, nel- l’altro la sillaba o le sillabe siano più
lunghe e più piene; talché la lunghezza
o la pienezza di queste sillabe compensi
e pareggi il maggior numerò delle
sillabe dell’altro membro. Si chiama SimiU-
ter cadens una figura , quando nella medesima struttura delle parole se ne hanno due o più,
le quali per egual modo nei medesimi
casi si pro- nunziino, per esempio: «
Hominem laudas egen- tem virtutis,
abundaniem fclicitutis (1). E pari-
mente :’ « Cuius omnis in pecunia spes est, eius a sapienlia est animus remotus. Diligenlia
com- parai divitias, negligentia
corrumpit animum ; (1) « Tu lodi un
uomo povero di virtù, ricco di fe- licità
» . unno ìv. -153 ' et tamen quurr* ita vivit, neminem prue se
dadi hominem (1) ». La figura Similiter desinens si
haquandoleparo- le presentano una stessa
desinenza, senza die i casi siano gli
stessi; per esempio: « Ttirpiier audes fa-
cere, nequiter sludes dicere. Vivis invidiose, de- linquis studiose, loqueris odiose (2) ». E
parimen- te: « Audaeter lerritas ,
humiliter placas ». Queste due figure, V una delle quali consiste
nella simiglianza delle desinenze, e l’
altra nella simi- glianza dei casi,
mollo bene si accordano fra loro; anzi i
buoni scrittori per lo più le collocano insie-
me nelle stesse parli del discorso. Ciò si farà nella seguente maniera: Perditissima ratio est
amorem petere, pudorem fugere, diligere
fonnam, negli- gere famam ». Qui le parole, ebe hanno casi, (1) Colui, che ita messo tutta la sua
speranza nel- l’oro, Ita l’animo ben
lontano dalla saviezza. Acquista le
ricchezze colla operosità, e corrompe il proprio ani- mo colla inlìngardaggiue; e nondimeno,
vivendo in tal guisa, nessuno reputa
uomo a confronto di sè ». (2) « Osi
oprare disonestamente, e ti studii a parlare
scelleratamente. Odiosa è la tua condotta, ami il defit- to, ed offensivo è il tuo parlare ». «
Audace sci nel minacciare, umile nel suppli-
care ». « Niente di più vergognoso può farsi quanto
di LA flETTORICA 154
finiscono con casi simili, e quelle che non ne han- no, finiscono con la stessa desinenza. XXI. L’ annominazionè o paranomasia si ha
, quando si ripete la stessa parola, o
lo stesso nome cambiandovi una o due
lettere, una o due sillabe; o quando si
applica la medesima parola a due cose
fra loro differenti. Ella si forma per molle e
varie maniere. Colla diminuzione o contrazione della stessa lettera, per esempio : « Hic qui
se magni fiee iactat , atque ostentai ,
veniit a te ante, quam Romam venit (1)
». 0, facendo il contrario, per esempio:
« Hicquos homines alea vincil, eos ferro
statini vincit (2) ». Coll’ allungamento della
medesima lettera, per esempio: Hunc avium dul- cedo ducil ad avium (3) ». Coll’
abbreviazione della medesima lettera,
per esempio : « Hic to- rneisi videtur
esse honoris cupidus , tamen non tantum
curiam diligit, quanlum Curiam ». abbandonarsi all’ amore, e di rinunziare al
pudore; di esser avidi della bellezza e
non curanti della fama ». (1) « Costui,
che spiega tanta giattanzac ostentazio-
ne, fu da te venduto avanti che fosse a Roma venuto », (2) « Quelli, che costui in giuoco vince,
tosto di ca- tene avvince ». (3) « Il canto degli uccelli trae costui
fuor di via ». « Benché costui paia ambizioso degli onori
pur non ama tanto la curia quanto Curia.
» * Curia fu una cortigiana famosa. Digitized by Google LIBRO IV. 155
Aggiungendo delle lettere, per esempio « Hic sibi posset temperare , nisi amori piatici
ottempera- re ». Levando delle lettere, per esempio: «
Si lenones vilasset tanquam leones ,
vilae se tradi- disset (2) ».
Trasponendo delle lettere, per esem-
pio: « Videte , iudices, utrum Uomini navo, au vano credere malilis (3) ». E parimente: «
Nolo esse laudator, ne videar adulator (4)
». 0 mutan- do una lettera : per esempio
: « Deligere oportet , quem velis
diligere (o) ». Di tal fatta sono le an-
nominazioni o paronomasie, che fanno sostenere alle lettere un leggiero cambiamento, sia
allun- gandole, sia trasponendole, sia
assettandole in altra maniera non molto
diversa. XXII. Yi ha altre paronomasie,
in cui le parole non hanno una cosi
stretta rassomiglianza, ma con- servano
però una certa analogia fra loro. Eccone
una dì questo genere: « Quid veniam, qui siiUj quare veniam, quem insimulem , cut
prosim, (t) « Egli poiria temperar se
stesso, se non amasse meglio ottemperare
alTamorc ». (2) «Se fuggiti avesse i
lenoni come i leoni, avrebbe conservata
la vita ». (3) « Vedete, o giudici, se
amate piuttosto di prestar fede a un
uomo coraggioso o ad un uomo vano ».
(4) « Non voglio essere lodatore per non parere -adulatore ». (5) «Egli conviene scegliere colui che tu
vuoi amare». 156 LA RETTORICA quem postulerà, brevi cognoscetis (1) « Qui
si trova in alcune parole una certa
analogia, che fa d’ uopo ricercar meno
che quelle degli esempi precedenti, ma
che pur vuol essere qualche volta usata.
Ecco un’altra forma della medesima figura:,
« Demus operaia , Quirites * ne omnino Paint Conscripli circumscripti pulentur (2) ».
Questa paranomasia si accosta alla
rassomiglianza perfetta un poco più che
la precedente, ma meno che quelle
riferite innanzi, perchè ad esse non sola-
mente sono state aggiunte delle lettere, ma ne sono state altresì levate delle altre. Una
terza for- ma di questa figura si è di
presentare diversi casi di uno o più
nomi. Di un sol nome; per esempio: «
Alexander Macedo summo labore anirnum ad
virtulem a pueritiu confirmavit. Alexandri virtù-
tes per orberà terme eum laude et gloria sunt vervulgatae. Alexandro si vita longior data
es- set , Oceanun manus M acedo num tran
svola sset. Alexandrum omnes, ut maxime
meluerunt, ilem plurimum dilexerunt (3)
«. Qui un solo nome si è (1) « Voi conoscerete ben tosto la cagione,
che qui mi guida, chi io sia, che cosa
io mi proponga, chi io accusi, chi io
difenda, chi io citi in giudizio ». (2)
Facciamo in modo, o Quiriti, che i padri co-
scritti non vengano stimati affatto circoscritti. (3) « Alessandro Macedone dallasua infanzia
esercitò con grandissima costanza
l’animo suo' alla virtù. Le *
Digitized by Google LIBRO
IW 157 fallo successivamente passare in differenti
casi. Ora vediamo una paronomasia, in
cui più nomi saranno usali in differenti
casi alla loro volta: Tiberiam Gracchum,
rempublicam administran- lem, indigna
prohilmit ìipx diutius in ea commo-
rari. Caio Graccho simdiler , occisio oblata est , quae vi rum reipublicae amanlissimum subilo
de sinu eivilutis eripuil. Saturninum,
fide caplum malorum, perfidine scelus
vitae pricavit. Tuus, o Druse, sanguis
domeslicos parietes, et vultam parenlis
adspersit. Sulpicium, cui paullo aule
omnia concedebant, eum brevi spatio non modo vivere, sed eliam sepeliri prohibuevunl(l) ».
Quc- virtù di Alessandro si conservano
con lode e gloria nella ricordanza del
mondo intiero. Se ad Alessandro fosse
stala consentita dagli Dei una più lunga vita, un pugno di Macedoni saria volato al di là dell’
Oceano. Se tutti temettero
grandissimamente Alessandro, lo amarono
pur anco di moltissimo amore ». (1) «
Una morte indegna tolse Tiberio Gracco alla
onorato incarico d’amministrar la Repubblica, al quale era tutto intento. Similmente a Caio Gracco
fu tolta la vita da nemica mano, che
alla città improvvisamente rapi un uomo
caldissimo d'amore per la Repubblica.
Saturnino, che posto avea sua fede ne’ malvagi, spen- sero i perfidi amici medesimi. Il tuo sangue,
o Druso, bagnò le domestiche pareli, e
il volto della madre. Sulpicio, al quale
poco prima tutto concedevano, pri- varon
ben tosto non solo della vita, ma anche dello
onor del sepolcro ». 158 LA RETTORICA ste tre ultime figure Similiter cadens,
Similiter desinens , e Annominazione o
Paronomasia, allor- ché avremo alle mani
una causa vera, non le do- vremo usare
che mollo di rado; perciocché non si
possono trovare senza sforzo e perdita di tempo. XXIII. Siffatti giuochi dell’inlellelto
sembrano avere per iscopo piuttosto il
diletto che la verità. Laonde l’uso
frequente di queste figure toglie al-
l’eloquenza la sua autorità, la sua nobiltà, la sua severità. E non solo toglie alla parola tutta
la sua virtù, ma l’uditore rimane
disgustato da una tale maniera di dire,
perchè trova in queste figure fi' nezza
e giocondità, non mai bellezza e dignità. Il
bello ed il grandioso possono piacere a lungo, ma il giocondo c l’aggraziato generano ben tosto
sa- zietà allo sdegnante orecchio.
Facendo noi dun- que abuso di queste
figure mostreremo di com- piacerci di
una puerile elocuzione; ma se le fram-
metteremo nel discorso con parsimonia, o ve le spanderemo variamento qua e là, esse gioveranno a render più brillante il discorso stesso,
come se fossero altrettanti punti
luminosi. La soggiunzionc è quando noi
domandiamo- ai nostri avversari!, o in
generale agli uditori, che cosa può dirsi a favor di quelli, o contro di noi; c poscia
soggiungiamo ciò che bisogna veramente
dire o non dire, o ciò che può essere
favorevole olla nostra causa, o nocevolc
a quella degli avversari, per esempio: « Io doman- Digitized by Google LIBI10 IV. 159
(io adunque come questo uomo è divenuto sì ricco. Gli e forse sialo lascialo un ampio
patrimonio? Ma i beni tulli di suo padre
furono venduti. Gli è for- se toccala
qualche eredità? No certamente; anzi
tulli i suoi parenti lo hanno diseredato. Ha egli avulo guadagno da lite o da giudizio? Non
solo non ha oltenuto nulla di ciò, ma
anzi di più è stalo condannato a pagare
una grossa ammenda. Dun- que se non deve
la sua ricchezza a veruna di que- ste
cagioni, siccome voi tutti vedete, o bisogna
dire che a costui nasce l’ oro in casa, o che egli ha acquistato ricchezze con mezzi illeciti
». XXIV. Eccone un altro esempio: « Io
ho spesse volle osservato, o giudici,
che molti accusali pos- sono trovar
favore in qualche onorevole circostan-
za, la quale neppur dagli accusatori può essere impugnata; ma il nostro avversario nulla può
fare di simigliarne. Imperciocché,
invocherà egli la virtù di suo padre? ma
voi questo padre nella coscienza vostra
condannaste alla pena di morte. Passerà
egli in rassegna il tempo della sua vita antece- dente onestamente speso in alcun luogo? ma
voi tutti senza più sapete com'egli ha vissuto
sotto i vostri occhi medesimi. Enumererà
forse de’ paren- ti, al cui nome voi
abbiale a rimanere commossi? ma egli non
ha parenti. Menerà forse innanzi degli
amici? ma niuno è, che non riguardi siccome uno scorno l’essere chiamalo amico di costui ». E
si- 160 -LA RETTORICA milmente: « Il nemico, cui tii riputavi
colpevole, adducesti forse in giudizio?
no; perciocché tu Tue* chiesti senza che
fosse condannato. Avesti tu fi- more
delle leggi, che proibiscono di ciò fare? ma
tu neppure pensasti che ei fossero leggi. Quando egli ti faceva presente l’antica reciproca
amicizia, ti sentisti commosso? niente
del tinto; anzi tu lo uccidesti con più
rabbia. E che? allorquando i suoi
figliuoletti ti si gittarono ai piedi, fosti tocco da compassione? anzi con sommissima crudeltà
vole- sti che rimanesse insepolto il
padre loro ». ilavvi in questa figura
mollo di veemenza e di gravità,
perciocché dopo che si è domandalo che cosa bi- sognava fare, si soggiunge tosto che quella
cosa non si è punto fatta. Di che nasce
mollo facilmente che s’ingrandisca
l’indegnità della cosa. Noi pos- siamo
altresì riferire la soggiunzione alla nostra
propria persona, per esempio: « Che doveva io fare, allorché mi vidi soprappreso da una sì
gran- de moltitudine di .Galli? Forse
combattere? ma, ol- trecchè saremmo
usciti a battaglia con pochegenti-
avevamo pur anche una posizione mollo sfavore- vole. Star dentro agli alloggiamenti? ma noi
non avevamo nè soccorsi da attendere, nè
vettovaglie per potere a lungo campare
la vita. Abbandonare gli alloggiamenti?
ma eravamo accerchiali. Contar per nulla
la vita de’soldati? ma mi pareva pure di
averli ricevuti con questa condizione di conscr- LIBRO IV.
161 varli incolumi, per quanto
potessi, alla patria c ai parenti.
Ricusare le condizioni del nemico? ma la
salvezza de' soldati deve andare innanzi a quella delle bagaglic ». Siffatte soggiunzioni si
pongono sovente l'una dopo l’altra,
acciocché da tutte ap- paia venir
dimostrato che non v’ era niun miglior
partito a prendere che quello, che appunto fu preso.
XXV. La gradazione è una figura per la quale non si discende alla parola seguente prima
che siasi risaliti alPanteceddiite, per
esempio: « Qual altra speranza di
libertà ci rimane, se ciò cli'ei
vogliono, possono, e ciò che possono, osano, e ciò che osano, fanno, e ciò che fanno, a voi non
è gra- ve? >) E ancora: t lo ciò noli
pensai senza che il consigliassi: nè il
consigliai, senza che intrapren- dessi
tosto a farlo io stesso; oè intrapresi a farlo
senza che lo recassi a compimento; nè lo recai a compimento senza che lo approvassi. » E
ancora: « AH’Affricano la industria
procacciò virtù, la vir- tù gloria, la
gloria rivali. » E ancora: « Lo imperio
della Grecia si fu appo gli Ateniesi: degli Ateniesi si fecero signori gli Spartani; gli Spartani
furono superati dai Tcbani; i Tebani
vinti dai Macedoni; i quali Macedoni in
breve spazio di tempo allo im- perio
della Grecia aggiunsero l'Asia soggiogata in
guerra, » La successiva ripetizione di ciascuna pa- rola antecedente ha in sè una certa tal
grazia; la 162 LA RETTORICA quale ripetizione costituisce appunto
questa figura della gradazione. La
definizione è quella figura, che in
poche parole e senza nulla tralasciare ab-
braccia gli attributi proprii di una cosa, per esem- pio: « La Maestà della Repubblica si è
quella, in cui si contiene la dignità e
la grandezza della cit- tà. » E ancora:
« Le ingiurie sono quelle, che vio- lano
o con percosse il corpo, o con villaniegli orec- chi, o con altra turpitudine la vita di
qualsivoglia uomo. » E parimente: «
Questa non è economia, ma avarizia;
perciocché l’dconomia si è un’ accu-
rata conservazione delle cose proprie; c l’avarizia si è un’ingiuriosa appetizione delle cose
altrui. » E ancora: « Non è coraggio
questo, ma temerità; perciocché il
coraggio è il disprezzo della fatica e
del pericolo con ragione di utilità e compensazione di comodi; e la temerità è un gladiatorio
intrapren- dimento di pericoli con inconsiderala
sofferenza di fatica. « Questa figura è
tenuta vantaggiosa per ciò appunto che
fa conoscere ed intendere la forza ed il
valere di qualsivoglia cosa sì chiaramente e
sì brevemente che paia non aver avuto bisogno di esser detta con più parole, nè si pensi
essersi po- tuta dire con brevità
maggiore. XXVI. Transazione chiamasi
quella, la quale e con brevità pone
sott’occhio ciò che è stato detto, ed
anco dichiara in poche parole ciò che deve se-
guitare; per esempio: « Voi avete veduto come co- LIBRO IV. 163
stui si è contenuto verso la patria; considerate ora quale si è mostrato verso i parenti. » E
parimente: « Voi conoscete i benefizii,
ebe io ho fatti a co- stui; ora udite in
qual modo ei rn’hn ricompensa- to. »
Questa figura è di qualche utilità per due ra-
gioni; prima perchè ci fa ricordare di ciò che è stalo dello, e prepara l’ uditore a ciò che
rimane da dire. La correzione è quella,
che toglie ciò che è stato detto, e
ripone in sua vece ciò che pare più
conveniente, per esempio: « Se costui avesse pre- galo i suoi ospiti, anzi avesse loro
solamente fatto un segno, avrebbe potuto
facilmente ottenere lo scopo. « E
parimente » : Dopo che costoro rima-*
sero vincitori, o piuttosto vinti; perciocché come chiamerò io vittoria quella che è stata più
funesta, che vantaggiosa ai vincitori?
... — « 0 invidia, compagna della virtù,
che per lo più vai dietro ai buoni, o
per meglio dire li perseguiti! — » Per
questa figura t'animo dell’uditore rimane colpito, perchè una cosa messa innanzi con comunale
par- lare sembra solamente detta ; ma la
stessa cosa profferita con correzione
oratoria diventa assai più notabile all’
uditore- Ma non è meglio, dirà talu- ,
no, specialmente allorché scrivi, impiegare fino da principio il vocabolo migliore c più scelto?
— Può essere che no, se il cambiamento
del vocabolo fac- cia conoscere che la
cosa è tale, che, ove tu avessi usato il
vocabolo comunale, parrebbe essersi da -
LA RETTORICA 164 te espressa troppo fiaccamente, e invece la
rendi più degna di osservazione col
venire poscia al vo ; caboto -più
scelto. Al quale se venuto fossi a bella
prima, non si sarebbe allora avvertilo nè il merito della cosa, nè quello della parola. XXVII. La preterizione è quella con la quale
af- fermiamo, o che noi tacciamo, o che
non sappia- mo, o che non vogliamo dire
ciò che nel medesimo tempo specialmente
diciamo, per esempio: « Io per certo
parlerei della tua giovinezza, la quale tu
dedicasti ad ogni maniera d’intemperanza, se sti- massi essere questo il tempo opportuno; ma
ciò tralascio avvisatamente. Ed anco non
voglio dire che i tribuni ti castigarono
siccome infrangilore della militar
disciplina: c reputo estraneo al sog-
getto l'aver tu dovuto dar soddisfazione delle tue ingiurie a Lucio Labeone. Di questi falli non
dico nulla, e ritorno a ciò che forma il
soggetto del pre- sente giudizio ». E
parimente: « Io non dico che tu
ricevesti danaro dagli alleati; non mi fermo a
provare che espilasti le città, i regni, le case di lutti; passo sotto silenzio i furti, e tutte
le rapine tue ». Questa figura è utile,
se è nostro interesse di lasciar intendere
una cosa, o che non è espe- diente di
mostrare per minuto, o che è lunga a di-
re, o che è ignobile, o che non si può provare, o che è facile a confutare; di maniera che sia
me- glio per noi l’aver fallo nascere
copertamente un LIBRO IV. . 165
sospetto, che l'aver preso a sviluppar cose che ve- nir ci possano confutate. La disgiunzione ha
luo- go, allorquando o l’una o l’altra
delle proposizio- ni, che si espongono,
od anche ciascuna di esse si conchiude
con un verbo speciale, per esempio: « Il
popolo Romano distrusse Numanzia, abbattè
Cartagine , disfece Corinto , rovesciò Fregelle. Niente ai Numantini giovarono le forze del
corpo; niente ai Cartaginesi fu di
profitto la scienza mili- tare; niente
ai Corinzi fu di presidio la scaltrita
politica; niente ai Fregellani recò vantaggio la co- munanza con essonoi de’ costumi e del
linguag- gio ». E similmente: « Bellezza
di corpo o per ma- lattia perde suo
fiore, o per vecchiezza dileguasi;» In
quest’ ultimo esempio e nell’altro antecedente
vediamo che ogni proposizione si conchiude con un verbo speciale. La congiunzione si ha,
quando per rinterposizione di un verbo
si legano insieme si le parti
antecedenti di una frase c si le consc-
guenti, per esempio; « Bellezza dì corpo o per malattia perde suo fiore, o per vecchiezza »
L’ag- giunzione si ha, quando il verbo,
ondelegansi tra loro le parti, non è già
posto tiel mezzo, ma è col- localo o nel
principio o nel fine. Nel principio, per
esempio: « Perde suo flore bellezza di corpo o per malattia o per vecchiezza. « Nel fine, per
esem- pio »: 0 per malattia o per
vecchiezza bellezza di corpo perde suo
fiore. La disgiunzionc sente al-
166 LA flETTORICA quanlo della piacevolezza; eperciò conviene
usarla di rado, onde non generi sazietà.
La congiunzione amando la brevità si può
usare più spesso. Que- ste tre figure
procedono da un solo e medesimo
genere. XXVIII. La
conduplicazione è la ripetizione della
stessa parola o di più parole allo scopo di
amplificare o di commovere, per esempio: « Tu- multi eccita C. Gracco, tumulti nelle
famiglie, tumulti nello Stato»: E
parimente: « Non fosti tu commosso ,
allorquando tua madre ti ab- bracciava
le ginocchia, di’, non fosti tu commos-
so »? E' ancora: « Osi tu oggi ancora presentarti al cospetto di questa adunanza, o Iraditor
della patria, si, ripeto, o tradilor
della patria, osi tu oggi ancora
presentarti al cospetto di questa adunan-
za »? La ripetizione della medesima parola scuote altamente l’uditore, e fa alla causa
contraria una più ampia ferita, come
spada, che a più riprese ferisca sempre
.nella medesima parte del corpo. V
interpretazione è quella che non ripete già la
parola stessa, ma ne sostituisce un’altra in suo luo- go, avente il valore medesimo, per esempio:
«Tu la Repubblica hai dalle radici
rovesciata, tu la città hai sino dai
fondamenti abbattuta ». E per egual
modo: « Tu empiamente hai battuto il padre, tu scelleratamente hai portato la mano contro
l’autor de’luoi giorni ». Egli è ben
necessario che l’ani- Digitized by
Google LIBRO IV. 167
mo dell’uditore rimanga scosso, quando colla in- terpretazion de’vocaboli si viene a dare
nuova for- za al detto anteriore. Si ha
la commutazione quan- do due pensieri fra
loro diversi si producono, per ragion di
trasposizione, in maniera che il secondo
avente senso contrario al primo, proceda appunto dal primo, per esempio: « Bisogna mangiare
per vivere, non vivere per mangiare ». E
parimente: « Per questa cagione io non
fo poemi, perchè, come vorrei farli, non
posso, e come posso farli, non voglio ».
E ancora: « le cose, che di questo uomo
si dicono, dir non si possono, e quelle, che
dir si possono, non si dicono. » E ancora: Se un poema è un quadro parlante, sì un quadro
deve essere un parlante poema. » E
finalmente: • Per- chè sei un ignorante,
per ciò appunto tu taci; c tut- tavia, perchè
tu taci, non sei per ciò un ignoran- te.
» Non si può dire abbastanza quanto sia con-
veniente questa trasposizione di due sensi contra- rii, in cui anche le parole si trovano
trasmutale. Noi ne abbiamo qui posti più
esempi, appunto per chè, essendo
diffìcile a trovarsi questo genere, se
ne avesse una chiara idea, acciocché venendo esso ben inteso, fosse più facile ad esser trovato
all’oc- casione in un discorso. XXIX. La permissione si fa , allorquando
nel dire noi dichiariamo di dare e abbandonare
ap- piedo alcun che all’arbitrio di
alcuno, per csem- i 68 LA RETTORICA pio: a Poiché tulio mi è stalo tolto, e
solo mi re- sta l’anima e il corpo, io a
voi e al poter vostro dono ciò che sol
mi rimane di tanti beni. Voi fate di me
quell’ uso, o buono o cattivo, che meglio vi
piace, giacché tutto vi è permesso: contro di me stabilite qual cosa voi volete: parlate, ed
io ubbi- dirò. » Questa figura è
sommamente alta a muo- vere la
compassione,' quantunque si possa alcuna
volta eziandio in altri casi usare. La dubitazione siha, allorquando l’Oratore dà vista di
cercare quale piuttosto di due o più
cose ei debba dire a preferenza: per
esempio: « Nocque in quel tem- po
assaissimo alla Repubblica non so se dir biso-
gni o l’ignoranza o la perversità de’ Consoli, o en- trambe queste cose insieme. » E parimente: «
Tu hai osato dir ciò? o uomo fra tutti
i mortali » in verità che io non so con
qual nome degno del tuo carattere io li
debba chiamare. « L’cspedizio- ne si ha,
allorquando, dopo avere enumerate più
ragioni dimostranti come una cosa abbia potuto o non potuto addivenire, tutte si rigettano ad
ecce- zione di una sola, la quale
appunto affermiamo:» per esempio:
«Poiché consta che questo fondo era mio,
è necessario che tu provi o che ne sei venuto
in possesso per essere stato un fondo abbandonato, o che è divenuto tua proprietà per diritto di
pre- scrizione, o che l’hai comperato a
danari, o che ti è pervenuto in eredità.
Tu non hai potuto fartene Digitized by
Google LIBRO IV. 169
possessore per essere stato abbandonato, giacché io presentavami siccome padrone; tu non puoi
pur allegare in tuo favore la
prescrizione: tu non puoi presentare
verun titolo di compera: tu non pote-
vi, me vivo, avere i miei beni in eredità. Rimane adunque che tu per violenza sii divenuto
padrone del mio fondo. » Questa Ggura è
di grandissimo giovamento alle
argomentazioni congetturali; ma non
possiamo usarla a nostro piacimento, come
usiamo la più parte delle altre, non polendo noi ciò fare, se non quando la natura stessa del
sog- getto ce ne dà facoltà. XXX. La dissoluzione è urta figura, che,
soppri- mendo le congiunzioni, presenta
i membri della frase separati: per
esempio: « Segui il voler del padre,
ubbidisci alla famiglia, cedi agli amici, ti
sottometti alle leggi. » E parimente: « Discendi ad una completa giustificazione; non li voler
sottrarre a nulla; consegna i tuoi
schiavi alla tortura; fa tulli gli
sforzi perchè sia scoverlò il voro. » Questa
figura è piena di vivacità e di forza, e si presta al parlare conciso. La reticenza si ha,
allorquando, dopo a*er detto alcune
parole, si lascia il rima- nente
dell’incominciato.discorso al giudizio dell'ti-
dilore: per esempio: « .Io non voglio incominciare a disputar lèco, perchè il popolo Romano mi
ha.... noi voglio dire per non parer
troppo vano: in quanto a te io so che
egli ti ha spesse fiale giudi- 170 LA RETTORICA calo degno di disprezzo. » E parimente: «
Osi tu, in questo tempo tenere siffatto
linguaggio? luche ultimamente
nell’altrui casa. . . non voglio pro-
seguire per tema che, raccontando io cose degne di te, non si creda che io tenga propositi
indegni della mia pesona. » Qui è più
funesto all’avver- sario il sospetto
generalo dalla reticenza; che una
eloquente spiegazione. La.conelusionc è quella fi- gura, che per una breve argomentazione
deduce da ciò, che prima è stalo detto o
fatto, ciò che deve necessariamente
seguire: per esempio: « Che se ai Greci
aveva detto l’oracolo che non si poteva
premier Troia senza le frecce di Filottete, e que- ste altro non fecero che colpir Paride, ne
segue che toglier di vita costui si fu
come prender Troia. » XXXI. Rimangono
anegra dieci figure diparole, dette
propriamente tropi, che noi non abbiamo vo-
luto variamente disseminare qua e colà; ma che abbiamo in vece separate da quelle che son
poste di sopra, per ciò appunto che
appartengono tutte al medesimo genere,
avendo esse la proprietà di allontanar
le parole dalia loro ordinaria significa-
zione e farne loro assumere un’altra, dando al di- scorso una certa quale adornatezza. Di queste
fi- gure la prima è l’onomatopea, la
quale, sé una cosa sia senza nome, o non
ne abbia uno abba- stanza idoneo,
c'insegna a chiamarla noi stessi con
vocabolo conveniente o per ragion d’imitazione o /
Digitized by Googte LIBRO
IV. 171 per ragion di significazione. Per
imitazione, i no- stri antichi coniarono
questi verbi ragghiare, va- gire,
mugghiare, mormorare, sibilare. Per signi-
ficare la cosa abbiamo quest’ esejnpio: « Appena che costui fé’ impelo sopra Roma,
immantinente udissi lo scoppiettio della
città. » Bisogna di rado osare
l’onomatopea, acciocché la frequenza di
nuove parole non generi disgusto: ma se si usi a proposito e con parsimonia, non solo non
dispia- ' cerà per la novità, ma
aggiungerà eziandio bellez- za al
discorso. L’antonomasia è quella figura, ehe
pef una specie di soprannome tolto ad imprestilo dà a conoscere ciò che non può essere chiamalo col proprio suo nome: per esempio volendo
parlar de’Gracchisi potrebbe dire: «
Tali non si mostraro- no i nipoti dell’
Affricano. » E parimente, parlando di un
avversario, dir si potrebbe: « Vedete ora, o
giudici, come mi La trattato cotesto Plagiosippo?» Per questa figura noi possiamo elegantemente,
tan- to nel lodare quanto nel biasimare,
prendere o dal corpo o dall'animo o da
altre cose esteriori una qualche maniera
di soprannome da collocare in cambio del
nome noto. XXXII. La metonimia è
quélla, perla quale noi, volendo
significare una cosa, non la chiamiamo
col suo proprio vocabolo, 'ma la facciamo intendere col cercare un nome da altre cose che abbiano
af- finità o correlazione con quella.
Ciò si fa o ponen- te 172
LA RETTORICA do l’inventore per
la eosa trovata, come se volendo alcuno
significare il Campidoglio il dicaTarpeo(t);
o ponendo la cosa trovata invece del suo inventore, come se volendo alcuno significare Bacco
nomini il vino, e invece di Cerere dica
le biade: o ponen- do l’arma invece
della persona di cui è propria, come se
volendo alcuno significare i Macedoni,
dica: « Non cosi prestamente le sarisse s’impadro- nirono della Grecia: * o, volendo quel tale
signifi-. care i Galli, dica: « Non
tanto facilmente fu dal- l’Italia scacciata
la matera oltramontana: » o po- nendo la
causa per 1’ effetto, come se volendo «1-
cuno dar a conoscere che altri abbia fatta un’azio- ne in guerra, dica: « Marte ti spinse per
necessità a ciò fare: » o l’effetto per
la causa, come quando si dice oziosa
un’arte, perchè concede ozio a chi
l’esercita, e pigro il freddo, perchè rende pigri gli uomini; o il contenente pel contenuto, come:
«Non si può l’Italia superare nelle
armi, nè la Grecia nelle discipline. »
Qui invece de’ Greci e degli Ita- liani
si son posti i paesi che li contengono: o il
contenuto pel contenente, come se, volendo alcu- no nominar le ricchezze, dica l’oro o l’
argento o (1) Leggo con un antico
manoscritto, citato nell' edi- zione
Panckoucke: ttf si quis Tarpeium, loquens de
Capitolio, nominet; la qual lezione è la più probabile di quante ne sono recate dagli eruditi
editori antichi e moderni sino al
Panckoucke. Digitized by CjOOgle LIBRO IV. 173
l’avorio. Di tulle queste differenti specie di meto- nimie 6 più diffìcile lo esporre le tante
regole, che trovare gli esempi;
perciocché non solamente i poeti e gli
oratori son per solito pieni di siffatte
metonimie, mas’ incontrano eziandionaturalmente nel nostro quotidiano favellare. La Perifrasi
è quella, che per esprimere una cosa
semplice va cercando una
circonlocuzione: per esempio: « La
accortezza di Scipione abbattè la potenza di Carta- gine. » Qui, se non si fosse avuto in mira di
ab- bellire il discorso, si sarebbe
potuto dir semplice- mente Scipione e
Cartagine. L’iperbato è quello, che
cambia l’ordine delle parole rovesciandole o
trasponendole. Rovesciandole, per esempio: « Hoc vobis Deos immortales arbilror dedisse
pittale prò veslra( 1). » Trasponendole,
per esempio: «In- stabilis in istum
plurimum fortuna valuit (2) ». E
parimente: * Omnes invidiose eripuil libi bene
rivendi casus facultaies (3). » Siffatte trasposizio- ni, se non rendono oscuro il senso, giovano
mol- tissimo alla continuazione, di cui
abbiamo parlato più sopra; nella qual
figura bisogna che le parole (1) Io mi
penso che gl’immortali Dei vi abbian conce-
duto questo favore in ricompensa della vostra pietà. (2) L’ incostante fortuna ha esercitato
sopra costui tutto il suo potere. (3) Il caso iniquamente ti tolse tutti i
mezzi di ben vivere. Mi LA RETTORICA siano collocate con poetica armonia,
affinché ella riesca in sommo grado
abbellita c perfetta. XXXlll.
L’iperbole è un parlare, clic trascende
il vero, sia per aggrandire, sia per impicciolire alcuna cosa. Essa si piglia o separatamente o
con comparazione. Separatamente, come in
questa fra- se: « Se noi rimarremo
concordi, misureremo la grandezza del
nostro imperio dal punto dove leva il
sole a quello dov’egli tramonta. » L’iperbole
con comparazione poi si prende o da assimiglianza oda preminenza. Da assimiglianza, a questo
modo: « Il corpo suo era bianco come la
neve, c gli oc- * chi brillavano come il
fuoco. » Da preminenza, a questo modo: «
Dalla sua bocca scorrevano le partile dolci
più del mele. » Del medesimo genere è
quest’altra iperbole: « Sì grande era lo splendor delle sue armi che superavano in fulgidezza
il so- le. « La sineddoche è quella
figura che fa com- prendere il tutto da
una parte, o una parte daltutto o dal
singolare il plurale, o dal plurale il singo-
lare. Il tutto da una parte, così: t Quelle nuzia- li tibie non ti facevano accorto di questi
sponsa- li? » Qui tutta la solennità
delle nozze vien fatta intendere sotto
l’ unico simbolo delle tibie. Una par-
te dal tutto, dicendo, per esempio, ad un uomo vestilo con lusso c magnificamente ornato: «
Tu dispieghi a me dinanzi tutte le tue
ricchezze, e spandi tutti i tuoi tesori.
» Il plurale dal singola- Digitized by
Google UlllUJ IV. 175
re per esempio: « Il Cartaginese ebbe ad aiuto l’I- spano, ebbe il feroce Transalpino, c per sino l’Italo togato in parte parteggiò per lui.»
Dal plu- rale il singolare , come : «
Un’ atroce calamità empieva di dolore il
suo cuore (perfora) : perciò dall’imo
petto (ex imis pulmonibus ) levavasi per
lo travaglio affannoso il respiro.» Nel primo esem- pio hanno ad intendersi più Ispani, più
Galli, più Italiani ; c nel secondo, un
solo cuore ed un sol petto per quei due
nomi latini posti al plurale : nel primo
luogo il singolare vi sparge una certa
grazia, e nel secondo il plurale vi aggiunge gravi- tà. La catacresi è quella figura, che, per
una spe- cie di abuso, in vece della
parola giusta c propria, si serve di una
parola analoga ed alfine; per esem- pio:
« Brevi sono le forze dell’ uomo, o ne è piccola ld statura, o esteso in lui l’intelletto, o
grande il di- scorso, o scarse le
parole.» Qui è agevole a capire che per
una specie di abuso si sono ravvicinate fra
loro di senso parole appartenenti a cose dissimili. XXXIV. La metafora è, quando si trasporta
il vocabolo proprio di una cosa ad
un’altra, il qual vocabolo sembri
poterle convenire per una qualche
simiglianza. Noi ci serviamo di essa per più moti- vi, ed ecco per quali: Per mettere la cosa
dinanzi agli occhi; a questo modo: «
Cotesla sollevazione svegliò Italia con
improvviso spavento. » Per ca- gione di
concisione; a questo modo: cc II novello
1 70 LA RETTORICA arrivo di quelle truppe estinse in un
subito la civile libertà. » Per evitare
una parola oscena; a questo modo: « La
madre sua dilettasi di quotidiane noz-
ze » Per amplificare; a questo modo: « Non ci furon dolori e calamità d’uomo, che potessero
ap- partare gli sdegni di un mostro
tale, e saziarne la iniqua crudeltà. »
Per attenuare, a questo modo: « Egli si
millanta che ci è stato di un grande aiuto,
perchè in occorrenze difficilissime ci ha sovvenuti di un leggiero soffio. » Per ornare lo stile,
a que- sto modo: « I traffichi dello
Stato, che per la ma- lignità dei
ribaldi inaridirono, un di per la virtù
degli ottimati riverdeggeranno. » È prescritto che la metafora sia modesta, sì che passi con
riguardo ad una cosa consimile, onde non
paia che alla cie- ca e avidamente ella
sia trascorsa in una cosa al tutto
dissimile senza distinzione veruna. L’ allego-
ria è un discorso, che altra cosa significa nelle pa- role ed altra nel concetto. Essa trattasi per
tre ma- niere: Per simiglianza, per
allusione, per anlifrasi. Trattasi per
simiglianza, quando si fanno seguitare
più metafore tolte ad una stessa idea; peresempio: « Se i cani fanno V uffizio dei lupi, a quali
guar- diani confideremo noi il bestiame?
» Per allusione, quando da una persona o
da un luogo o da qual- che altra cosa si
trae la simiglianza, sia per aggran-
dire, sia per diminuire l’idea; come, se alcuno, parlando di Druso, lo chiami « un vieto
Numitore. LIBRO IV. 177
Per antifrasi: a questo modo; come se alcuno, volendo motteggiare sopra di uno prodigo o
sre- golato, lo chiami « tegnente ed
economo. In que- st’ ultima specie di
allegoria, che trattasi per anti- frasi,
ed anco nella prima, che trattasi per simi-
glianza potremo usare l’allusione metaforica. Ec- cone un esempio per simiglianza: « Che cosa
dice questo re ed Agamennone nostro? » o
meglio « per- chè crudele egli è,
colesto Atreo? » Eccone un al- tro per
antifrasi: « Se un empio, che battuto abbia
il padre, lo diciamo un Enea; uno intemperante e adultero diciamolo pure un Ippolito. » Ecco
pres- so a poco ciò che pensavamo dover
dire intorno alle figure di parole. Ora
l’ordine stesso delle co- se vuole che
passiamo a dire delle figure di pen-
sieri. XXXV. Si ha la figura di
distribuzione, quando si partiscono
certi attributi fra più obbietti o più
persone: per esempio: « Quello di voi, o giudici, che caro ha il nome del senato, non può non
de- testar costui; perciocché egli con
insolenza estre- ma ha sempre fatto
guerra al senato. Quegli, il jquale
brama che nella Repubblica si mantenga
splendidissimo l’ordine equestre, dee pur volere che costui dato venga all’estremo supplizio,
ac- ciocché egli colle turpitudini sue
nort arrechi mac- chia e disonore ad un
ordine onorevolissimo. Voi, che avete un
padre, mostrate col castigo di costui
178 LA RETTORICA che vi sono in.abbominio gli uomini
snaturati. Voi, che avete de’ figliuoli,
date a vedere con un esem- pio quanto
terribili pene son riserbate in questa
città agli uomini di questa fatta. » E similmente: « Egli è dovere del senato sovvenir di
consigli la Repubblica; egli è dovere
de’ magistrati eseguire i voleri del
senato con zelo e fedeltà: egli è do-
vere del popolo scegliere ed approvare co ! propri suffragi gli uomini più abili, e le migliori
delibe- razioni. * E ancora: « Il dovere
dell’accusatore si è quello di
dinunziare i delitti; quello del di-
fensore di purgarli e confutarli; quello del testi- monio è di dir ciò che sa od ha udito; quello
del giudice è di contener ciascun d’essi
nel proprio dovere. Laonde, o Lucio
Crasso, se comporterai che un
testimonio, oltre a ciò che sa o udito ha,
rechi in mezzo argomentazioni e congetture, con- fonderai il diritto di accusatore con quello
di testi- monio, darai favore alla
cupidigia del tristo testi- monio, e costringerai
l’accusato a una doppia di- fesa. »
Questa figura è ampia: essa comprende
molte cose in poche parole, e forma tra più ob- bietti delle divisioni assai distinte,
assegnando a ciascuno le sue
attribuzioni. XXXVI. Si ha la figura di
licenza, allorché par- lando a persone,
che noi dobbiamo rispettare o te- mere,
le rimproveriamo con ragione di alcun fallo
in cui siano cadute, senza però offender quelle o Digitized by Google gli amici di quelle. Eccone un esempio: «
Voi vi maravigliale, o Quiriti, clic le
parli vostre sienoab- bandonate da
tutti? Che nessuno abbracci la vo- stra
causa? Che nessuno si dichiari vostro difen-
sore? Attribuite ciò a colpa vostra, e cessate una volta di rimanere stupidi. Imperciocché come
mai non dovranno tutti fuggire ed
evitare di darvi aiu- to? Ricordatevi un
poco di quelli, che aveste per
difensori; ponetevi dinanzi agli occhi le sollecitu- dini loro per voi; e considerate quale
compenso indi n’ebbero tutti. Allora si
# verrà in mente, se ciò confessar
vogliate, che voi per negligenza o
piuttosto per villàJi lasciaste trucidare sotto gli oc- chi vostri, e che co’ vostri suffragi
inalzaste ai più distinti onori i nemici
loro. » E parimente: « Che cosa mai fu,
o giudici, che dubitar vi fece di pro-
nunciar sentenza? o che cosa mai v’indusse ad in- dugiar la condanna a questo ribaldo? Non era
stata forse l’accusa appoggiala alle
prove più manifeste? E (poesie prove non
erano, forse state tutte confer- mate
per leslimonii? E le confutazioni degli avver-
sarli non furono tulle puerilità e baie? Forse voi temeste che, condannandolo tosto alla prima
adu- nanza, poteste essere tacciati di
crudeltà? Ma voi nel voler evitare una
simile taccia, la quale certo era lungi
da voi, andaste incontro all’altra di es-
sere giudicali timidi e dappoco. Voi intanto avete lasciato luogo a privale e pubbliche calamità
senza 180 LA RETTORICA fine; e allorché v’ è apparenza che altre
maggiori venganvi sul capo, voi ve ne
state tranquilli e colle mani a cintola.
Nel giorno voi aspettate la notte, e
nella notte il giorno. Ad ogni momento voi ricevete qualche infausta e dolorosa nuova, e voi
conser- vale più a lungo in vita colui,
che è l’autore di tutti i mali; e, fino
a tanto che potete, ritenete nella
Repubblica il flagello della patria. »
XXXVII. Se una tale maniera di licenza parrà aver troppo di veemenza, son molti correttivi
per addolcirla. Imperciopchè vi si
potranno inconta- nente introdurre
siffatti modi: « Indarno io cerco qui la
vostra virtù; io sto nel desiderio della vo-
stra conosciuta sapienza; io non trovo più l’antica vostra maniera di operare, ccc. ; » affinchè
quel movimento di sdegno, che là licenza
avrebbe po- tuto eccitare, rimanga per
la lode compresso; di maniera che l’una
cosa dilunghi dalla collera e dal
disgusto, e l’altra distorni dall’errore. Siffatta cautela usata a tempoj come nell’amicizia
così nelle pubbliche aringhe, ha questo
vantaggio, che rattiene dal fallo coloro
che ci odono, e dà a co- noscere che
noi, i quali palliamo, amiamo non me- no
essi che il vero. Havvi poi un’altra specie di
licenza oratoria, la quale consta di una maniera più fina; ed è allorquando o noi riprendiamo
i no- stri uditori in quel modo, in cui
vogliono pur es- sere ripresi, o,
sapendo noi che eglino ascolteranno
LIBIMI IV. 181 volentieri i nostri rimproveri, protestiamo
di teme- re non forse li ricevano con
mal cuore, ma che tut- tavia la verilà
ci spinge sì che non vogliamo pur pure
tacere. Sottoporremo qui esempi di queste
due sorte di licenza. Eccone uno della prima sor- ta: « Troppo, o Quiriti, avete gli animi
semplici e •buoni; troppo prestale fede
a chicchessia. Voi pen- sate che ognuno
si sforzi di fare ciò che vi ha pro- messo. V’ingannate a partito, e già da lungo
tem- po rimanete vittime di questa falsa
speranza. Stolli voi, che amaste meglio
cercare agli altri ciò che era in poter
vostro, che pigliarlo voi stessi di mano
propria ». Della seconda maniera di licenza ecco qual sarà F esempio: ((Furono, o giudici, fra
me e quest’ uomo vincoli di amicizia, ma
questa ami- cizia, sebbene io tema che
ciò udiate mal volen- tieri, il voglio
pur dire con franchezza, foste voi che
me la toglieste. E in qual modo? Perchè per
conservare il favor vostro, io ho amato meglio aver per nemico che per amico colui, che a yoì
dava travaglio». Dunque questa figura,
chiamata licen- za jjsi può, come
abbiamo mostralo, trattare in due modi:
con veemenza, la quale fia mitigala da lo-
de, se parrà aspra troppo; o con finzione, come dicemmoln ultimo luogo, la quale non ha
bisogno di correttivo, perchè, sebbene
abbia colore di li- cenza, essa nondimeno
per propria natura s’insi- nua
nell’animo dell’uditore. 182 LA
RKTTOHICA XXXVIII. La diminuzione si
usa, allorquando ci bisogna lodare in
noi stessi o nei nostri clienti il
carattere, la bellezza, l’ingegno; ed allora, per non parere arroganti troppo, scemiamo e
impiccio- liamo con parole siffatti
pregi: per esempio: « Io dico, o
giudici, giacché dir lo posso, che ho pro-
curato con tutta fatica ed industria di non essere^ degli ultimi nella scienza militare. » Qui,
se chi parla avesse detto: « ho
procuralo di esser dei pri- mi, »
avrebbe avuto aria di arrogante, benché ciò
fosse universalmente riconosciuto per vero: così egli ha dello quanto era a bastanza e per far
ta- cere l’invidia, e per far conoscere
il merito pro- prio. E ancora: « È egli
forse l’avarizia o il biso- gno che
spinse questo uomo al delitto? L’avari-
zia? Ma egli fu prodigo inverso gli amici; il che è segno di liberalità, cosa contraria all’
avarizia. Il bisogno? Ma senza dubbio il
padre suo gli lasciò (non voglio
esagerare) un non piccolo patrimo- nio.
» Qui pure l’oratore ha evitato di dire un pa-
trimonio grande o grandissimo. Nel parlare adun- que de’ pregi nostri o di quelli de’ nostri
clienti noi osserveremo una siffatta riservatezza;
percioc- ché pigliando a lodar noi
stessi inconsideratamen- te, nella
civile società suscitiamo l’invidia, e in
un pubblico ragionamento l’avversione. Laonde in quella guisa che il buon contegno nella
società Digitizi&'by Go*le LIBRO IV. 183
ci sottrae all'Invidia, così la riservatezza in un pub- blico discorso cijsalva dall'odio. XXXIX. Chiamasi descrizione quella, che
per mezzo di parole chiare e manifeste e
nobili insie- me, dipinge tutti i
conseguenti di un fatto, che sia
avvenuto o che possa avvenire: per esempio: *Se i vostri voti, o giudici, restituiranno alla
libertà co- stui, voi lo vedrete subito
a guisa di leone, a cui fu aperto suo
carcere, o a guisa d’altra feroce be-
stia, da catene sciolta, giltarsi nel foro, e correre qua e là aguzzando i denti contro alle
sostanze al- trui, avventandosi contra
tutti, amici o nemici, co- nosciuti e
sconosciuti, togliendo l’onore agli uni,
minacciando la vita agli altri, usando violenze alle abitazioni, alle famiglie d’ognuno,
abbattendo in- somma dai fondamenti lo
Stato. Per la qual cosa, o giudici,
discacciate costui dalla patria, liberate
dal terrore i cittadini , provvedete in fine alla vo- stra medesima salvezza ; perchè se lo
rimandate impunito, contro a voi stessi,
crediatelmi pure, voi avrete scatenata
una feroce e sanguinaria be- stia. »
Eccone un altro esempio: « Se voi, ò giu-
dici, pronunziale contro a quest'uomo una funesta sentenza, con un giudizio solo vi fate net
tempd medesimo à cogliere di molte vite.
Un padre carico d’anni, che fondava
tutte le speranze della vec- chiezza sua
nella gioventù di questo sventurato, più
nulla avrà, ond’abbia ad aver cara lavila; te- Digitized by Googte LA RETTORICA 184
neri figliuoletti, privati del sostegno paterno, sa- ranno esposti alle beffe e agli scherni de’
nemici del lora padre; tutta una
famiglia in fine sarà ina- bissata in
una indegna calamità: e frattanto i per-
secutori, portando una palma sanguinosa in mano, padroni di una crudele vittoria ,
insulteranno alla miseria di costoro, e
superbi inveiranno contrassi con fatti e
con parole. » E parimente: « Niuno di
voi ignora, o Quiriti, quali siano i mali orribili, che piombar sogliano sopra una citlà presa
d’as- salto. Chiunque ha portalo le armi
ad offesa, è in- contanente senza pietà
trucidato: gli altri, che per l’età e
per le forze tollerar possono la fatica, tratti
sono in servitù : flue’, che non possono, son pri- vati di vita : e per ultimo in un solo e
medesimo tempo l'abitazion loro è messa
in fiamme da ne- mico incendio; e
coloro, cui la natura o la volontà per
parentadi o per amore congiunse insieme, sono
violentemente separati; i figliuoli parte strappali dalle braccia de’ genitori, parte scannali in
seno ad essi, e parte contaminati
dinanzi ai loro occhi. Nessuno vi è, o
giudici, che possa con parole de-
gnamente mostrar la cosa, e col discorso dipingere i’enormezza di una siffatta calamità. » Con
questa figura si può muovere o lo sdegno
o la compas- sione, quando tutte le
conseguenze di un fatto unite insieme
vengono con evidenti parole conci-
samente esposte. ’Digitized by
Goògle LIBRO IV. 185
XL. La divisione è una figura, la quale sepa- rando due proposizioni le sviluppa entrambe
con soggiungere a ciascuna la sua
ragione: per esem- pio: « E pcrchè^dovrò
io farti de’ rimproveri? Se sci un uomo
onesto, non li bai meritati; sesci un
tristo, non li sentirai punto. » E similmente: « Che bisogno ho io di parlarvi de’ miei servigi?
Se voi ne conservale memoria, io non
farei che stancarvi gli orecchi; c se ve
ne siete dimenticati, quando coi fatti
io non abbia acquistato il favor vostro, co-
me potrò ora acquistarlo con le mie parole? » E ancora: « Vi son due cose, che trascinar
possono gli uomini a un sozzo guadagno,
la miseria e l’ava- rizia. Nella
divisione fraterna noi ti conoscemmo per
avaro: or li vediamo povero e bisognoso. Co-
me proverai che non avevi motivo di commettere una mala azione? » Fra questa divisione e
quella, che è la terza delle parli
oratorie, di cui parlam- mo nel primo
libro dopo la narrazione, ci ha que- sto
divario: quella divide per enumerazione o per
esposizione le cose, di cui si dee tener deputa- zione in tutto il discorso ; e questa
disbrigasi su- bitamente, e,
soggiungendo in poche parole a cia-
scuna delle due o più parli le singole ragioni, reca ornamento al discorso. XLI. L’accumulazione è quella, che
riunisce in un sol cumulo certe cose
sparse in tutta la causa , affinchè il
discorso riesca più grave, più
Digitized by Google 186 LA ItETTORICA veemente, più nocevòle alP accusato: per
esem- pio: « Da qual vizio mai è libero
costui ? E per qual motivo, o giudici,
volete voi assolverlo? Egli è largitore
della pudicizia sua e insidiatore
dell’altrui; cupido, intemperante, sfacciato, su- perbo, empio verso i genitori, ingrato, verso
gli amici, ostile verso i congiunti,
disubbidiente verso i superiori, adiroso
cogli eguali c coi simili, cru- dele
verso gl'inferiori, finalmente insopportabile a
tutti. Appartiene allo stesso genere quell’accumu- lazione, che è di un grande aiuto nelle cause
con- getturali, quando de’sospetti, che,
separatamente presi, erano deboli e
leggieri, riuniti in uno con- ducono,
nonché alla probabilità, alla certezza: per
esempio: « Non vogliate adunque, non vogliate, o giudici, considerare separatamente le cose,
che io ho dette; ma raccoglietele tutte,
c assembratele in uno. Se veniva comodo
a costui dalla morte di quell’ uomo, e
vituperosissima è la sua vita, ava-
rissimo l’animo, affondatissima la fortuna dome- stica, c un tale misfatto a niuno era
vantaggioso che a lui; e niun altro
poteva sì facilmente ese- guirlo, ed
egli non poteva scegliere mezzi miglio-
ri; e inoltre non ha costui nulla ommesso di ciò che poteva assicurarne il successo, e nulla
ha fat- to, che non bisognava fare; e
poiché il luogo era il più proprio ad
un’aggressione, e l’occasion fa-
vorevole, e opportunissimo il momento dello in- Digitized by Google LIBRO IV.
187 traprendere; ed egli
calcolato aveva tutto il tempo
necessario del venirne a fine, e contar poteva sulle tenebre e sull’ evento del misfatto; e
inoltre, poi- ché innanzi che l’ uomo
fosse ucciso, costui è stato veduto
tutto solo nel luogo dove l’assassinio è av-
venuto; e poco appresso, nel momento, in cui succedeva il misfatto, è stala udita la voce
di co- lui che veniva ucciso; e quindi
dopo l’omicidio è provato che egli non è
tornato a casa che a notte molto
avanzata; e all’indomani, interrogato della
morte di quest’uomo, ha balbettato, s’è contrad- detto; e tulli questi fatti sono in parte per
testi- monii, in parte per esaminazioni
ed indizii dimo- strati, ed anco per la
voce pubblica, la quale ap- poggiata a
questi indizii, deve necessariamente es-
ser conforme al vero; spelta a voi dunque, o giu- dici, di trarre, da tutte queste prove unite
insie- me, non che la probabilità, la
certezza della col- pa. Imperciocché può
ben essere che per caso si levino contro
di costui una o due di siffatte pre-
sunzioni, ma esser non può che tutte dalla prima all’ ultima s’accordino insieme per un
semplice ef- fetto del caso. » Questa
figura è veemente, e nelle cause
congetturali quasi sempre necessaria, ma
puossi eziandio qualche volta adoperare negli altri generi di cause, e 'finalmente in ogni
maniera di orazione. XLII. I/espolizionc è, allorquando noi ci
fcr- 17 «.
Digitized by Google 188 LA RETTOIUCA miamo in un medesimo pensiero, o sia ci
arrestia- mo ad una proposizione unica,
e tuttavia sembria- mo aggiungervi
sempre alcuna cosa. Essa è di due
maniere: o noi ripetiamo appieno la cosa mede- sima, ovvero discorriamo sopra la cosa
medesima. Noi ripeteremo la cosa
medesima non nella stessa maniera di
prima, perchè ciò sarebbe un annoiar P
uditore, non un abbellire la cosa, ma bensì con
dei cambiamenti. Questi cambiamenti si fanno in tre modi, o rispetto alle parole, o rispetto
alla pronunciazione, o rispetto alla
forma. Si farà cam- biamento rispetto
alle parole, quando, esposta una volta
la proposizione, la torneremo a dir di nuovo
o più volte con altre parole significanti lo stesso: per esempio: « Non vi ha pericolo sì grande,
che il savio, ove si tratti della salute
della patria, pensi di dover fuggire.
Allorché ne deve andar di mezzo il
durevole ben essere dello Stato, un buon citta-
dino esporrà certo la sua vita a lutti i pericoli per la difesa della pubblica fortuna, e sarà
fermo in questo sentimento, che per la
patria ei debba git- larsi
coraggiosamente in qualsivoglia pericolo, per
quanto grande ei sia. » Si farà cambiamento ri- spetto alla pronunciazione, se, passando dal
tuono semplice al veemente c a tutte le
altre modifica- zioni della voce e del
gesto, nell’ allo stesso che noi
diversificheremo per mezzo delle parole il me-
desimo unico pensieroso accompagneremo ezian- LIBRO IV. 1K9
dio con una varia ed. energica azione. Per mezzo di precetto non è molto facile spiegare la
cosa, ma colla pratica è facile ad
apprenderla, talché non v’ò bisogno di
dare esempi in iscritto. XLIII. Il
terzo genere di cambiamento sta nella
forma, che si fa prendere al pensiero; sccondochè o vogliamo trattarlo per dialogismo o per
emo- zione. Il dialogismo (del quale
parleremo a suo luogo più largamente tra
non molto, toccandone ora quel tanto che
basta all’uopo) è una figura, che pone
nella bocca di alcuna persona un discorso
conveniente alla dignità sua; e acciocché meglio s’intenda la cosa, noi non ci dipartiremo dal
nostro primo esempio, trattandolo per
dialogismo: « Il savio, che giudicherà
di dover affrontare tutti i pericoli per
difesa della patria, dirà sovente a sé
stesso: Io non sono nato solamente per me, ma eziandio e mollo più per la patria: questa
vi- ta, ch’io non potrei ricusare al
destino, sia so- prattutto spesa a
salvezza della patria. Essa fu quella
che mi nudrì, che mi assicurò infino a
questo dì un’esistenza tranquilla ed onorata, che protesse la mia vita con buone leggi, con
ot- time costumanze, con una liberale
educazione. Per quali servigi potrò io
pagare i benefizii ch’ella mi ha fatti?
Per questo linguaggio, che il savio tiene
a sé stesso, io appunto nei rischi della repub-
blica non ho mai esitato di affrontare qualunque 190
LA RETTOIUCA pericolo. »
Similmente si fa cambiamento della cosa
rispetto alla forma, se essa cosa si tratti per
emozione, allorché, vivamente commossi noi stes- si, cerchiano pur di commovcre gli animi di
coloro che ci ascoltano: per esempio: a
Chi è mai qui di sì piccola mente
dotato, il cui cuore avvolto sia nelle
miserie dell’invidia, il quale abborrisca di
lodare altamente c di giudicare come il più savio degli uomini colui, che per la salute della
patria, pel ben essere dello Stato, per
la conservazione della pubblica fortuna
affronti ogni più grande, ogni più
atroce pericolo, c vi si getti dentro con
lutto l’ardore? Per verità, che, in quanto a me, io sento nel mio cuore piuttosto il desiderio
che il potere di lodar degnamente un tal
uomo, e sono certo che anche voi tutti
provate in voi il senti- mento medesimo.
» Una medesima cosa adunque si può nel
discorso variare in tre maniere, cioè ri-
spetto alle parole, rispetto alla pronunciazione, ri- spetto alla forma; c iu quanto a quest’ullima
ma- niera si sceglierà o la forma del
dialogismo o quella dell’emozione. XLIV. Ma se si tratti non già di ripetere la
cosa medesima, ma di discorrere sopra
la medesima cosa, noi avremo dei mezzi
più numerosi di varia- re il discorso.
Imperciocché- dopo che noi avremo
semplicemente enunciata la cosa, vi polrem tosto aggiungere una prova, poi profferire in due
ma- LIBRO IV. 191
nicre una sentenza, la quale potrà essere o senza prove, o con prove: in appresso potremo far
uso del contrario, delle quali cose
tutte noi abbiamo parlato nelle figure
di parole; poi passeremo alla
similitudine c all’ esempio, di cui parleremo am- piamente a suo luogo; all’ ultimo termineremo
colla conclusione, della quale noi
dicemmo quanto era necessario nel
secondo libro, allorché esponemmo . la
maniera di eonchiuderc l’ argomentazione. In
questo stesso libro noi facemmo pur conoscere qual sia la figura di parole, che porta il
nome di conclusione. Una espolizione
adunque di questo genere potrà piacere
mollissimo, quando si com- ponga di un
gran numero di figure di parole e di
pensieri. Affinchè sia tale deve avere sette parti. Noi non ci allontaneremo dall’esempio già
dato per mostrarli con quale facilità,
mercè le regole del- l’arte, un’unica
proposizione trattar si possa in di-
verse maniere: « Il savio per difesa della patria non fuggirà verun pericolo, perchè sovente
accade che colui, il qual non vuole per
la patria morire, necessariamente
perisca insieme con la patria. E poiché
dalla patria noi abbiamo ricevuto lutti i co-
modi clic godiamo, così non dobbiamo per la pa- tria riputar grave veruno incomodo. Coloro
adun- que che fuggono quel pericolo, che
per la patria abbiamo obbligo
d’incontrare, opcrauo da stolli;
perocché nò sottrarre si possono ai mali pubblici, 1U2
LA RETT0R1CA ed anco n’hanno
voce d’ ingrati verso la patria. Ma
quelli, che con loro incomodo pigliano sopra di sè i pericoli della patria, sono da aversi in
conto di savii, perchè e mostrano di
rendere alla patria quell’onore che le è
dovuto, ed aman meglio pe- rire pei
molli che coi molli. Infatti sarebbe ingiu-
stissima cosa restituire alla natura, quand’clla il vuole, quella vita che noi ricevemmo da lei,
ma che pur ci fu conservata con grandi
benefizii dalla patria, e non darla alla
patria, quand’ella ce la domanda; e,
potendo noi con grande virtù e gloria
morir per la patria, preferir di vivere nell’infamia e nella viltà; ed essendo noi pronti ad
affrontar pericoli per gli amici, pei
parenti, e per tutti gli altri
congiunti, non voler mettere la nostra vita a
vantaggio della repubblica, la quale, non che tutte queste cose, il santissimo nome di patria in
sè rac- chiude. Pertanto come è da
biasimare colui, che , in una burrasca
cerchi di salvar sè unicamente piuttosto
che tutta la nave, così è da condannare
colui, che nel pericolo delia repubblica antepone la salute sua alla salute comune.
Imperciocché, rotta per ventura la nave,
molti pure scampar pos- sono sani e
salvi, ma nel naufragio della patria non
ci ha veruno, che possa scamparne. Il che mi pare aver Decio assai bene inteso, il quale,
dicono, vo- tò sè medesimo, c per salvar
le legioni si precipitò in mezzo
a’nemici; nel qual fatto ben lasciò la vita,
DigitizecfBy Gbogle unno
iv. 193 ma non giltolla indarno; perchè con una
cosa la- bilissima ne riscattò una
durevole, e dandone una di poco prezzo
n’ebbe una assai preziosa. Donò la vita,
e ne ricevette la patria, lasciò lo spirito, ed
acquistò la gloria; la quale perpetuandosi nell’ am- mirazione dei secoli , coll’ invecchiare
diviene ognora più splendida. Che se
colla ragione è di- mostralo, e
confermato coll’esempio, che affrontar
si debbono i pericoli per amor della cosa pubblica, egli è adunque d’uopo avere in conto di savii
co- loro che per salute della patria non
si sottraggono a pericolo alcuno. » Tali
sono le diverse maniere di espolizione;
intorno alla quale figura noi ci sia- mo
trattenuti a lungo, non solamente perchè dà
forza ed ornamento al discorso, quando noi trat- tiamo una causa, ma soprattutto perchè essa
pre- senta il miglior mezzo di esercizio
nella facoltà del ben dire. Bisogna
adunque che nella trattazione di una
causa non vera noi ci esercitiamo nelle di-
verse maniere della espolizione, e che ce ne ser- viamo pure nei pubblici ragionamenti, quando
ab- bellir vorremo l’argomentazione, di
cui parlammo nel secondo libro. XLV. La commorazione è quella, per la
quale noi ci fermiamo a lungo e
ritorniamo sovente so- pra il punto più
solido della causa, quello al quale
tutta intera la causa si riferisce. È vantaggiosissi- mo il far uso di questa figura, c ai buoni
oratori è Digitized by Google 191
l.A KETTORICA molto famigliare;
perciocché per essa non si per- meile
all’ uditore di allontanarl’ attenzione dal pun- to più importante. Non mi è possibile il dar
qui un esempio abbastanza idoneo, perchè
questo punto non è mai separato da tutta
la causa intera, come membro distinto
dagli altri, ma egli è come san- gue che
circola in tutto il corpo del discorso. L’an-
titesi è quella figura, per cui oppongonsi contrarii a contrarii. Essa è nel numero delle figure
di pa- role, come vedemmo più sopra
conquell’ esempio. « Ai nemici
placabile, agli amici implacabile ti mo-
stri; » ma appartiene altresì alle figure di pensieri, come si vede in questo esempio: « Voi
piangete le disgrazie di costui, c
costui gioisce dei mali della
repubblica. Voi vi diffidale delia fortuna vostra, co- stui solo si gonfia tanto maggiormente della
sua. » Fra queste due sorte d’antitesi
ci ha questo diva- rio, che la prima
consta di due parole immediata- mente
opposte, e qui bisogna ciré si presentino
due pensieri contrarii messi a confronto. La simi- litudine è una figura, che applica ad una
cosa al- cun che di somigliante tolto da
una cosa diversa. Si fa uso di essa o
per abbellire, o per provare, o per dilucidare
una cosa, o per metterla dinanzi agli
occhi; e siccome se ne fa uso per quattro mo-
tivi, così essa si tratta per quattro maniere: per contrario, per negazione, per laconismo, per
con- fronto. Noi verremo mostrando come
a ciascuna li uno iv. 195
di queste quattro maniere corrisponda uno dei quattro motivi, che usar ci fanno la
similitudine. XLVI. Quando la
similitudine ha per fine rab- bellire,
si prende per contrario così: «Egli non si
deve giù pensare che, come 1’ atleta, che riceve l’ardente fiaccola, meglio sostiene nella
palestra la celerità del suo corso, che
rallcla,il quale gliela trasmette, così
abbia ad esser migliore un nuovo
generale, che viene a prendere il comando dell’e- sercilo, di quello al quale succede;
perciocché là è un cursore affaticato,
che ad un cursore fresco di forze
consegna la fiaccola, equi è un generale
sperimentato, che consegna l’esercito a un gene- rale ancora inesperto ». Anche senza una tale
si- militudine potevasi dire con
bastante chiarezza, evidenza e verità in
questo modo: « Che i meno abili generali
succeder sogliono nel comando delle
armate ai generali più esperti »: ma la similitudi- ne fu presa per abbellire, onde il discorso
risplen- desse di una certa quale
dignità. Essa fu poi trat- tata per
contrario; c prendesi appunto per con-
trario, quando noi neghiamo che una cosa sia si- mile a quella che noi rechiamo nel mezzo ,
in quella maniera che qui abbiam veduto
in parlando degli atleti che corrono.
Quando la similitudine ha per fine il
provare, si fa per negazione a questo
modo: « Nè un cavallo indomito, quantunque sia ben conformalo dalla natura, esser può idoneo
a LA RE fTORICA 196
que’ servigi che da un cavallo si vogliono, nè un uomo indòtto , benché abbia naturale ingegno
, può pervenire alla virtù». Ciò che
prova questa sentenza, si è, che diviene
più vcrisimilc che sen- za dottrina non
si può giungere alla virtù, quando siasi
riconosciuto che un cavallo indomito non po-
trebbe esser alto al bisogno. Dunque la similitudi- ne è stata presa a fine di provare, e si è
trattata per negazione; il che
chiaramente si manifesta sin dalla prima
parola della similitudine. XLVII.
Quando la similitudine avrà per fine di
render più chiara la cosa, si prenderà per laconi- smo, come: « Nei doveri dell’amicizia non
bisogna, come nelle corse del circo,
limitare i proprii sforzi al punto di
toccare la mela, ma sì usare tanto di
zelo c di forze da oltrepassarla agevolmente ». Il fine di questa similitudine è quello di far
conosce- re più' chiaramente che sarebbe
cosa indegna rim- proverar coloro, che,
per modo d’esempio, dopo la morte di un
amico, pigliassero cura de’suoi fi-
gliuoli, perciocché un atleta, che corra, basta che abbia tanto di velocità da toccar primo la
meta, ma un amico deve aver tanto di
benevolenza da per- venire, nella
devozion dell’ amicizia, più in là di
quello, che sentir possa l’amico. Questa similitu- dine è esposta per laconismo: imperciocché i
due termini di attinenza non si presentano
già separa- ti, come negli altri esempi,
ma bensì congiunti ed LIBRO IV. 197
incarnati l’uno nell’altro. Quando la similitudine avrà per fine di metter la cosa sotto agli
occhi, si farà per confronto: per esempio:
« Come un cita- redo, il quale ne venga
innanzi magnificamente vestito, coperto
di un mantello dorato, trascinante una
clamide di porpora di varii colori tessuta, or-
nalo il capo di una corona d’oro di grosse scintil- lanti gemme tempestata, avente tra le mani
una elegantissima celerà fregiala d’oro
e d’avorio; e sia inoltre egli stesso
ammirabile per fattezze, bel- tà, e
statura conveniente alla dignità; se dopo avere
per tutte coleste cose mossa nel popolo una gran- de aspettazione, fattosi di repente silenzio,
mandi fuori una voce spiacevolissima,
accompagnata da sgarbati movimenti di
persona, quanto più avrà sfoggiato di ornamenti,
ed eccitala l’aspettazione, tanto più
fra derisioni e fischi sarà via cacciato;
non altrimenti un uomo, il quale, collocato in alto grado di nobiltà c pieno d’agi e ricchezze,
abbondi di tutti i favori della fortuna,
c di tutti i vantaggi della natura, se
manchi di virtù, c di scienza, la quale
di virtù è artefice, quanto più sarà di tulle
le altre cose ricco*, c per quelle chiaro-ed invidia- to, tanto maggiormente fra derisione e
disprezzo sarà cacciato da ogni usanza
de’buoni ». Questa similitudine,
dipingendo con vivi colori le due parli
della comparazione, c facendo eguale con-
fronto dell’ imperizia d’arte dell’uno e dell’igno- 198
LA UETTORICA ranza dell’auro,
molle la cosa dinanzi agli ocelli. Essa
fu qui trattala per confronto, perchè, stabilita l’attinenza di similitudine, tutte le parti
corrispon- dono fra loro. XLVlfl.Nellesimililuilini converrà
diligentemen- te osservare di sceglier
parole acconce a significar con giusto
rapporto le idee clic voglionsi esprime-
re nei due termini della comparazione. Se noi, per esempio, avremo detto: «Come le rondinelle
se ne abitano jn mezzo a noi nel tempo
estivo, e da noi si partono cacciate dal
freddo »; converrà che noi dalla stessa
similitudine prendiamo parole tra-
slate, dicendo: « Così i falsi amici restano con noi nel tempo sereno di nostra vita, ma appena
‘veg- gono spuntare il verno della
fortuna, se ne volano via tutti ». Egli
ci sarà facile trovare rapporti sif-
fatti, se polrcm porci dinanzi agli occhi tutti gli es- seri animati o inanimati, parlanti o muti,
feroci o mansueti, terrestri o celesti o
marittimi, o dall’arte creali o dal caso
o dalla natura, ordinarli o straor-
dinarii, c scoprire in essi similitudini che contri- buir possano o ad abbellire o a rischiarare
la cosa, o a porla dinanzi agli occhi.
Non è però necessario che le.due cose
fra loro paragonate siano intera- mente
simili: basta che abbiano in parte fra loro
una tal quale analogia. XLIX.
L’esempio è allegazion di un fatto o di un
detto con nominazione del suo autor.e. Questa fi- Digitized by Google LIBRO IV.
1 9'J gara si usa per gli
stessi molivi della similitudine. Essa
rende più abbellita la cosa, quando noi non
1* usiamo die per cagione di abbellimento; la ren- de più chiara, se non ha altro scopo che
quello di rischiarare ciò che è oscuro;
la rende più probabi- le, quando
presenta la verisimiglianza; la pone di-
nanzi agli occhi, quando esprime tutto con tale evidenza clic si possa, direi quasi,
toccarconmano la cosa. Io avrei qui
aggiunti gli esempi di ciascu- na
specie, se non avessi già fallo conoscere nella
espolizionc il carattere di questa figura, e non aves- si nella similitudine falli aperti i motivi
di doverla usare. Ecco il perchè io nè
ho qui voluto limitarmi a dir poche
parole, onde non mi avvenisse di non
essere inteso, nò dirne di troppe nel mentre che la cosa era già bastantemente intesa.
L’immagine è paragone di forma con
forma, fra cui sia una certa
simiglianza. Essa si usa o per motivo di lode,
o di biasimo. Per motivo di lode si dirà, per esem- pio: « Egli andava a battaglia simile per
membra al più vigoroso toro, per impelo
al più terribile leone. « Per motivo di
biasimo l’immagine deve addurre o
nell’odio, o nell’invidia, oneldisprczzo.
Nell’odio, così: « Questo mostro striscia tutto il dì in mezzo al foro come un crestuto drago con
adun- chi denti, con infocato sguardo,
con mortifero ali- to, girando qua c là
gli occhi per iscoprirc una vittima da
avvelenar col respiro, da lacerar coi
200 LA RETTORICA denli, da coprir coll’ immonda sua bava. »
Per ad- durre nell’ invidia, così: «
Costui che vanta le sue ricchezze,
curvalo ed oppresso dal peso del suo
oro, grida e giura, siccome un sacerdote di Cibe- le, od alcun altro indovino. » Per addurre in
di- sprezzo, così: « Costui è simile a
lumaca, che na- scondendosi e rannicchiandosi
in se stessa silen- ziosa,^ tutta quanta
portata via con la propria casa per
venire mangiata». L. Il ritratto, o la
prosopografia, è quella fi- gura, che
per mezzo di parole esprime e rap-
presenta Testerno di una persona tanto fedelmen- te che basti a farla riconoscere: per
esempio, così: « Io parlo, o giudici, di
quest’uomo rosso in viso, piccolo,
storto, a capelli bianchi e alquanto
ricciuti, con gli occhi azzurri, che ha una grande cicatrice sul mento, se pure in qualche modo
ei può larvisi presente alla memoria. »
Questa Ggura torna utile, quando si vuol
far riconoscere alcuno; ed è pure
graziosa, quando sia fatta conbrevilà e
chiarezza. L’etopea è quella, che descrive il carat- tere di alcuno, presentando certi tratti, che
ne mostrino esso carattere. Se tu vuoi,
per esempio, descrivere non già un uomo
ricco, ma chi si vuol dar l’aria d’
esser ricco, dirai così: « Osservate, o
giudici, quest’uomo, che trova sì bello di passar per ricco; osservate in prima con qual occhio
ci guardi. Non sembra egli dirvi: Io vi
farei un pre- LIBRO IV. 201
sente, se ve ne credessi degni? E allorché con la mano sinistra egli sollevasi il mento, crede
di ab- bagliare la vista di tutti con lo
splendor de’ dia- manti e il luccicore
degli anelli che porla nelle di- la. E
allorché si volge indietro a chiamare il suo
unico servo, che io ben conosco, c che non è, cre- do, da voi conosciuto, ei lo chiama ora con
un no- me, ora con un altro, e poi con
un altro ancora. Olà, grida egli, vieni
qui tu, o Saninone, chè io non vorrei
che colesti zoticoni facessero le cose a
rovescio: di maniera che coloro, che odono grida- re e altro non sanno, si pensano eh’ egli ne
preferii sca uno tra i molti suoi
schiavi. E che cosa dice a Sannione di
fare? Gli dice piano all’orecchio o di
mettere in assetto i lctticciuoli per la mensa, o di andar a prendere da suo zio uno schiavo
Etiope, che lo conduca ai bagni, o di
approntar dinanzi alla sua*porla un
cavallo delle Asturie, o di appa- recchiare
qualche altro fragileornamcrvtodellasua
falsa gloria. Di poi grida sì che lutti l’odano: Bada che la somma sia per intero pagala, se è
possibile, avanti notte. Il servo che
già da tempo conosce il debole del suo
padrone, risponde: Bisogna che voi
mandiate più d’un servo, se volete che la somma sia per intero contala c portata a casa.
Ebbene, di- ce l’uomo, conduci con le
Libano c Sosia. Padron sì, risponde
l’altro. In appresso vengono a trovare
per caso il nostro vanitosa alcuni ospiti, i quali 202
LA RETTORICA nell’occasione di
un viaggio, ch’egli fece, lo ave- vano
accollo in loro casa e trattato splendidamente.
Senza dubbio a tal vista ei rimane turbato, ma pure non gli dà l’animo di tradire il proprio
carattere; e, Ben faceste, dice, di
venirmi a trovar qui ; ma avreste fatto
meglio, se foste andati dirittamente a
casa mia. L’avremmo fatto, rispondono essi, sea- vessimo saputa la vostra abitazione. — Ma era
pur facile di saperla, domandandone a
chiunque; tut- tavia venite con me.
Quelli lo seguono: Intanto, strada
facendo, ogni discorso va a terminare in
ostentazioni. Domanda qua e colà come si presen- tino le messi nei campi: dice che non può
recarsi a visitar le sue terre perchè le
sue case di campa- gna gli sono stale
incendiate, e che non s’attenta ancora
di riedificarle; però, aggiunge egli, ho co-
minciato ne’ miei fondi del Toscolo a spendere e spandere, e a costruire sui medesimi
fondamenti. LI. Infraliamo ch’egli
parla così, giunge ad una casa, dove il
giorno stesso doveva aver luogo un
banchetto di amici, e dove, conoscendone egli il padrone, entra insieme cogli ospiti. Ecco,
dice, dove abito. Va osservando
minutamente le argen- terie disposte
sulla tavola, e i Ire letti preparati:
approva ogni cosa. Gli si avvicina un piccolo schia- vo, che gli dice piano all’orecchio che il
suo pa- drone sta per venire, e ch’egli
s’accontenti di u- scire. Oh! è ben vera
la nuova, esclama egli? An- '
DigitizoTb V.' LICHO IV.
203 diamo, o miei ospiti; il
frale! mio arrivada Salerno: 10 voglio
andargli incontro: voi ritornate costà alle
dieci ore. Gli ospiti partono: costui di soppiatto cacciasi dentro alla sua casa. Alle dieci
ore, sc- condocliè egli aveva fissato,
tornano gli ospiti: do- mandano di lui:
allora vengono a conoscere chi sia 11
padrone della casa, e pieni di vergogna si ritira- no ad un albergo. All’indomani trovano
l’uomo, narrano l’avvenuto, si
querelano, glidiconolemale parole. La
rassomiglianza de’luoghi, risponde egli,
vi ha ingannati: voi avete preso abbaglio di tutto un viottolo; io vi ho aspettati ad ora assai
larda, il che è contrario alla mia
salute. Egli aveva già in- nanzi dato
incumbenza a Saninone di andar a cer-
cero in prestito vasellami,. arazzi, servidori. Il pic- colo schiavo, destro non poco, adempie con
bra- vura e prontezza al comando: costui
introduce m sua casa gli ospiti. Afferma
di aver prestato i suoi grandi
appartamenti ad un amico per celebrarvi le
nozze- Tutto ad un tratto il scrvidorctto gli viene a dire, che si ridomandano le argenterie
(peroc- _chè chi le aveva prestate non
istava scnzasospelli). Levali via di
qua, grida il padrone; io ho prestato i
miei appartamenti, ho dati i miei schiavi, e si vo- gliono anco le argenterie? Ma benché io
abbia degli ospiti, alla buon’ora, se
ne giovino pure; noi ci contenteremo dei
vaselli di Sarao. — Dirò io tutti i
fatti di costui? Tale è il carattere di questo
18 Digitized by Googte 204
LA RETTOIUCA uomo, che tulli i
tratti di vanità e di ostentazione, clic
ogni di gli sfuggono, non potrebbero essere
da mq raccontali in un anno intero. » Siffatte elo- pee, clic dipingono al naturale il carattere
di un uomo, porgono un grandissimo
diletto. Concios- siacliè esse pongono
dinanzi agli occhi l’animo e i costumi
di chiunquc,o di un vanitoso, come nel pre-
cedente esempio, o di un invidioso, o di un pusil- lanime, o di un avaro, o di un innamoralo, o
di un dissoluto, o di un truffatore, o
di uno spione; in- somma non v’ha tendenza
dell'animo che per mez- zo di questa
figura non possa venire al vivo dipinta.
LIl. Il dialogismo è, quando si attribuisce un discorso a qualche persona esponendolo nella
ma- niera che conviene alla dignità sua,
per esempio: * Allorché la città era
inondata da soldati, c gli abitanti,
tutti presi da spavento, si stavano chiusi
nelle loro case, si presentò costui vestito alla mili- tare, con la spada al fianco, e un
giavellotto In ma- no. Cinque giovani
armali come lui lo seguivano. Tutto ad
un tratto si precipita nella casa, c grida ad
atta voce: Dov’ è il fortunato padrone di questa abitazione? perchè non viene innanzi? ond’è
que- sto silenzio? Immobili per lo
spavento, gli altri tulli non osano
aprir bocca. Sola la moglie di que- sto
infelicissimo sciogliendosi in lagrime giltasi ai piedi di costui, e. Grazia, dice ella,
grazia; in no- me di ciò, che liai di
più caro al mondo, abbi pietà LIBRO
IV. 205 di noi; non- voler uccidere chi non ha più
vita: sii temperante nella fortuna;
anche noi fummo felici; pensa che sei
uomo. — Ma egli continua a gridare:
diesiate aspettando per darlo nelle mie mani? Cessate di assordarmi coi vostri lamenti.
Egli non isfuggirà. Frattanto si
annunzia al misero che il suo nemico è
in casa, e che con g'rande schiamaz- zo
minaccia morte. A questa nuova esclama: Old
mio Gorgia, oh! fedel custode de’ miei figliuoli, nascondili a questo barbaro, difendili, fa di
poter- meli condurre sani e salvi alla
adolescenza. Appe- na ha egli profferite
siffatte parole, che in un mo- mento si
avanza questo assassino, e grida: Tu dun-
que stai nascosto, o temerario? La mia voce non fi ha già levata la vita? Appaga l'inimicizia
mia, c nel tuo sangue s’acquieti la mia
collera. Allora corag- gioso il
cittadino rispondevo pensava di non esser
vinto appieno; ma ben veggo che sì: tu non vuoi terminar meco la contesa dinanzi ai
tribunali, dove la disfatta è vergognosa
e la vittoria onorevole; tu vuoi
uccidermi. Ebbene, io perirò assassinalo, ma
non vinto. — Costui allora: Come! anche nell’ora estrema del tuo vivere vuoi dir sentenze, e
abborri di supplicare chi ti tiene in
suo potere? — Allora la donna: Anzi ei
prega, ei supplica. Ma deh! tu non
essere inesorabile; e tu, mio caro marito, in
nome degli Dei, stringi supplicante le sue ginoc- chia. Egli è padrone di te; egli li ha vinto;
sappi 206 LA RETTOIUCA or tu vincere te stesso. — Perchè non
cossi, o don- na, dice il marito, di
parlarmi cose affatto indegne di me?
Taci, e pensa solo ai tuoi doveri. E tu, a che
tardi di togliermi la vita, e di levare a te medesimo colla mia morte ogni speranza di onorato
vivere? L’assassino respinge da sè la
donna piangente, e- al misero, che
apriva bocca per profferire non so quali
parole degne del suo coraggio, pianla d’un
colpo la spada nel fianco. » Io credo di avere in questo esempio dato a ciascuno il linguaggio
che conveniva alla sua dignità, il che è
la cosa più im- porlanlQ.in questa
figura. Vi sono, ancora dei dia-
logismi, che si porgono come conseguenze: per c- sempio: « Che si dirà mai se voi darete una
tale sentenza? Non parleranno forse
tutti gli uomini in questa maniera? » E
qui si soggiungeranno le pa- role
acconce al dialogismo. LUI. La
prosopopea è uua figura, per la quale-
una persona assente è presentala come se fosse dinanzi a noi; una figura, che attribuisce ad
un essere muto o immateriale un
linguaggio, e una forma, e lo fa operare
c parlare secondo la propria natura: per
esempio: « Se ora questa nostra in-
vittissima città avesse lingua per parlare, non vi farebbe ella questi rimproveri? Io, la quale
adorna sono dei più belli trofei, e
ricca dei più gloriosi trionfi, e
accresciuta delle più luminose vittorie,
sarò ora, o cittadini, dalle sedizioni vostre lacera- "Digitizeò-toy unno iv.
$07 tu? Quella Roma, cui nè le
astuzie della perfida Cartagine, nè le
forze della formidabile Nnmanzia, nè i
trovati della dotta Corinto fiatino potuto rove- sciare, soffrirete voi che or venga dai più
tristi o- micialloli disfatta e
conculcata? » E parimente: « Se ora vivo
tornasse quel Lucio Bruto, e qui di-
nanzi al cospetto vostro venisse, non vi parlerebbe egli in questa guisa? lo ho i re
discacciali;' voi i tiranni introducete:
io la libertà, la quale non era, ho
recata; voi, che quella avete, non la volete ser- bare: io con pericolo della vita ho la patria
libera- to; voi, polendo esser liberi
senza pericolo, ciò non curate? Questa
figura pedo più personifican- do le cose
mule e inanimale», è di una utilità gran-
dissima nelle parli diverse dell’ amplificazione, e nell’ eccitare la commiserazione. La
significazione, , della anche enfasi, è
quella figura, che lascia più a
immaginare di quello che non esprimano le pa-
role. Essa si tratta per esagerazione, per ambigui- tà, per conseguenza, per reticenza, per
similitu- dine. Per esagerazione,
allorché si dice più di quello che la
verità non permette, allo scopo di
aumentare la sospizionc: per esempio: « Costui di tanto patrimonio in sì corto spazio di
tempo non ha salvato pur un coccio-con
cui recarsi a limo- sinare un po’ di
fuoco. » Si tratta per ambiguità, quando
una parola può riceversi in due o~più si-
gnificati, ma si riceve in quello che vuol dargli l’o- 208
LA RETTORICA latore; come se
volendo tu parlare di un uomo, che è ilo
buscacciando di molle eredità, dices-
si: « Osserva bene tu, che hai cosi buona vista. » I.IV. Quanto però sono da evitarsi le
ambigui- tà, che fanno oscuro il
discorso, altrettanto so- no da cercare
quelle che generano significa- zioni di
questa guisa. Noi le troveremo facil-
mente, se conosceremo e ben considereremo i dubbiosi o molteplici significali delle
parole. La significazione si fa per
conseguenza, allorché non si nomina che
ciò che può essere conseguente di una
cosa a fine di far nascere l’idea della co-
sa stessa, come se tu dica al figlio di un piz- zicagnolo: « Statti cheto, o tu, il cui padre
so- lca forbirsi il naso col gomito. »
Si tratta per reti- cenza, allorché,
dopo avere incominciato un di- scorso,
lo tronchiamo, c da ciò che abbiamo det-
to, lasciamo bastantemente conghietturare ciò che manca: per esempio: « Questi, il quale si
bello, si giovane poco fa in estranea
casa . . . . io non vo’dire di più. » Si
tratta per similitudine, allor- ché,
raccontalo un fallo analogo, non aggiungia-
mo altra osservazione, ma da quello lasciamo in- tendere ciò che pensiamo: per esempio: «
Non voler troppo fidarli, o Saturnino,
di questa molti- tudine di popolo. I
Gracchi sono caduti, c la loro morte è
invendicata. » Questa figura unisce qual-
che volta molta piacevolezza a molta dignità; pe- UDRÒ IV.
209 rocchè lascia indovinare
all’ uditore ciò che l’ ora- tore punto
non dice. 11 laconismo è quello che non
usa che le parole necessarie ad esprimere la
cosa: per esempio: « Prese Lenno in passando; quindi lasciò un presidio a Taso; poi atterrò
una città in Bitinia; di là cacciatosi
nell’ Ellesponto, subitamente
s’impadronì di Abido. » E similmen- te:
« Testò consolo, prima tribuno, divenne poi
capo della repubblica. » E ancora: Parte per l’A- sia, si dichiara esule e nemico, appresso si
fa co- mandante, c finalmente consolo. »
Il laconismo racchiude in poche parole
assai cose; e fa d’uopo usarlo di
sovente, quando o le cose non hanno bi-
sogno di un lungo discorso, o il tempo non per- mette d’interienervisi attorno. LY. L’ipotiposi è quella figura che presenta
un fatto con tanta verità che si crede
di averlo sotto gli occhi. Si ottiene
questo effetto, se si riunisca in un sol
quadro ciò che ha preceduto, seguito, e
accompagnalo l’azione; o, in altri termini, se non si trascurino nè le circostanze, nè le
conseguenze; per esempio: « Appena
Gracco vide che il popolo fluttuava c
dava segno di temere non forse egli
medesimo spinto fosse dall’ autori là del senato a rinunciare al suo progetto, fece tosto
bandire il parlamento. In questo mezzo
costui, non agitando in sua mente che
delitto e mali pensieri, corre giù a
volo dal tempio di Giove, e grondante di sudo- 210
LA RETTOIWCA re, con gli occhi
ardenti, coi capelli rabbuffati, con la
toga raccolta, seguito da molti altri con-
giurali precipito il suo corso. In questo momento il banditore domandava silenzio per Gracco:
ar- riva costui, e premendo col calcagno
uno de’ sedi- li, ne rompe colla destra
mano un piede, ed or- dina agli altri di
imitarlo. Nel mentre che Gracco comincia
a dire la solila preghiera agli Dei, que-
sti congiurati correndo si slanciano sopra di lui; da ogni parte concorrono altri volando:
allora uno del popolo grida: Fuggi, o
Tiberio, fuggi: non vedi tu? risguarda,
dico. Ben tosto la incostante moltitudine
presaga subitaneo spavento dassi alla
fuga. Costui, spumante la bocca di scellerata rab- bia, e respirante crudeltà dall’ imo petto
distende il braccio, e a Gracco, che
ancor dubita di ciò che è, e pur non
abbandona il preso posto, pianta il
pugnale in una tempia. Egli non Smentendo punto neppure con una parola la solita sua costanza
cade in silenzio. Costui coperto del
sangue, da deplo- rarsi pur sempre, di
quest’uom generoso, volgen- do intorno
gli occhi, come se compito avesse la più
gloriosa aziono, e allegro porgendo la sacrile-
ga mano ai gratulanti, se ne ritorna al tempio di Giove. » Questa figura in siffatti racconti è
di un gran vantaggio, sia per
amplificare, sia per ecci- tare la
compassione: essa mette l’azione in isce-
na, e la pone, per così dire, sotto ai nostri occhi. LIBRO IV.
21! LVI. Abbiamo con molta cura
raccolti tutti gl’in- segnamenti atti a
render adorna l’elocuzione. Se tu, o
Erennio, vi aggiungerai un assiduo esercizio,
potrai nel dire aver gravità, dignità e soavità, per parlare da vero oratore qnon presentare
un’inven- zione nuda c disadorna in
linguggio triviale. Ora noi, per un
comune scopo, metteremo in comune i
nostri sforzi; cercheremo cioè di raggiungere con lo studio e l'esercizio continuo tutta la
perfezione dell’arte; il che agli altri
non è agevole fare, per tre ragioni
principalmente: o perchè non hanno con
chi possano di buon grado esèrcilarsi, o per-
chè di sè stessi diffidano, o perchè ignorano il me- todo da tenersi. Queste difficoltà sono tutte
da noi lungi, chè e volentieri ci
esercitiamo insieme per l’amicizia
nostra, cui il parentado originò e l'uni-
formità degli studi filosofici rese più salda; e non disperiamo di noi poiché qualche progresso
facem- mo e ad un più nobile scopo
accesamente anelia- mo; talché se non
perverremo nell’oratorio aringo dove è
pur nostro intento, poco ci mancherà per
conseguire nella vita sociale un grado onorevolis- simo; e sì conosciamo la via da battere,
perchè in questi libri niun precetto
rcttorico abbiamo intra- lascialo.
Infatti si è mostrato come trovar si possa-
no le cose proprie a ciascun genere di causa; si è detto in q ual modo abbiansi a disporre; con
quali re- gole si debbano pronunziare;
con quai mezzi ce ne 212 LA RETTORICA possiamo ricordare; si è finalmente
spiegalo come acquistarsi possa una
perfetta elocuzione.I quali in-
segnamenti tutti se porremo in uso, la nostra inven- zione sarà ingegnosa e pronta, la nostra
disposizione distinta e chiara, la
nostra pronunciazionc nobile c non priva
di venustà, la nostra memoria fedele e te-
nace, la nostra elocuzione adorna e piacevole.Ecco quanto nell’arte rettorica si comprende.
Tutte que- ste condizioni conseguiremo,
se agli insegnamen- ti deli’ arte
aggiungeremo un diligente esercizio.
UN E DELLA RETTORICA AD ERENNIO.
340,387 LE OPERE TUTTE DI M. T. CICERONE CON LE VERSIONI A FRONTE: DELLA
RETTORICA AD... Marcus Tullius
Cicero, Gian Francesco Galloni IP
DELLA BETTORICA M. T. CIC15R O
IN E) AD ERENNIO «. FRANCESCO CALLOSI LA RETTORIA unito PRIMO ESrSSSE aess
\UI. M.i ik-N'n.iiiil^ Li, li il lìn Hi: zed By Google LA RETTOBULl '■I un uni i|!iii],| U .r luminili mi
nlilili.lcrii iieniiv.ni '.al ■ ' ■•■ '.
■.',,:,ii.,.|,,'..,,l eia, quacIMguéo ,- i .,1 i ■■ ■ imi. Hiilnria e,( re* piM.i. ..'.! al, iu
l„li, inijir.i.- min I ii'lili.in.
in. un, lui,, emi In™ in eiccrcnilii
Ican-iìieiiln frinii, ni 1 h , 1 1 1 1 ■
■ t .[lloiiio.l.i ueneri.II
primoèi|uaiuln espnniamu un faUO.C ne
liii,i neni Lii.:,i-MriM j iic-lm \ /i : . I . - ^ — 1 1 ■ |n:r ul- Irncre villnrillil l|,l„l |lilli,T(: Il 1 1
fu r I lei 1 1; il |||>|I[II,I J ig,
che ni r,i, n ti, no ai! i-s^-cr gi-iJira-
li' li -.--fi-ii.Lo ei-ni-Ti- tii narrazioni i qni'lln, dio il- .olla iillcriieii.' nei m.vz.i ,],:llr r.nih.
per ino- lilo ili |iroia. o iti accusa,
n ili irunsitnuie. « ili an-
i:iclii.inieiil.,.u ili lr,.lc.ll Icrzo e.,:n tu è (]ijrllu, (i lic-n.l «li.ncu alla eau.a ci ri In, mi
nel quale imiti™' niill.i.liriieii.i
ccrciucsi |"r |,til,-r jiiii le-
ccai ci ani crii e Irallic ncllii cause rjuci duo iwnciidi narratine, clic iililii.nim .Inno ili
-'i|ir.i.l>i cnlosu niritóoiio ci In
il ih' specie, l'uni die numerili lg
chip, Pulirà Ir i-prsonn. guniti >pi..ic, cli« i itjiKir- da le .ose. ha Ire ciurli, la involo, la
hlocia, la mo- lli.- il ione. Lo limici
è , india, clic eoiilicne cose. cu o
mi |i.'si/n è imi l'i.-.i liiila.ma die
iiii,,liini-|m [une. nrcadccc. eulm: i
r.i'.l, mi-,|i,isIÌ .Ielle c.jiinic.lie.
Onci funere ili narrai mie. l ini riguarda le perso- „,'. il.'u- coni, mere In orarie ,l.'l .Inc.
1,1 rtiiersiL.'. in ni. II. i lai laici
III, .Ielle alia Ii'Iii|ih|. rum.
pcrsonnrum ll'(lin , alos,roasili,,| 1,111 riiliiu,,'.. : n-MIi [Wa- ll. ni s-eepa vcrila-, ciii linci- serrala
siili. IìiImii f,.rcro non pelosi: sin
crii fida, e m.cis mini
iil.-.TVIirirla.II.' iis rollìi, ranle aliala.;. -minili i'sl, .il,,. .inVIalnr i h US. nini qnae de il ili rms Ipraelfr crlcr(*| in Iria lui., alimi. i:n:i - |-i.:i-. | -i
nulli..;. |i -H.l.iHl, ■a.i.i. t.-ril
i"-. I.:i.|...ir -in in ilil.i-
cìclieenus Sfiorirà, ipiiil niil'is ..ni.'aiil al- nielli. r|l]iil in r.nil nsia i
rli',|.i.1iir L II. ni iii.i.|..; Ini.
rleilani al. dr. : l ■ nu:,: -| . .■ i
1.1 1:1 coalraior-ia. 1 1 ■ ■ rr-. 0 cannarlo, Aaaaa'in. linncm esse a Civile ■■Ira inni- .',,11
Nielline; i| Il ili ila sii. Ilio
ulain'i p;n. ni l'in a»!;.!!! (i|.nr
l-rii.i-.r.i ■!:>. ur in
dun parie), enumeralo lupriamcnli. le
arnia. ,1,1.1. i il. .il...;i i.n.,^ I.: ,li-
;.ro5.aiiu e.-li a;:ee al saintetin ; olir min riìal K lii,i. 1 1. glie ulllme co»*; a ■ i no nuli i
i li.- i lio S||..':IJ ni mi-l,:IIii ;
1: linai al.: luasaaii 1- 1011111 la
oliiareiia. se in-a-i.oi'aine i preeelli. clia
l'Uro 'ij; Lari'. 1,1 l.i.-lilii: |i,|riiia.lic .pillilo ;i a ilolilicraniiiiii, le iipniirtiniilà il.-'
lucili, allia.lic nau 01 si ["-ssa
a^iiiirri' 11 ili., il l.-iii| 11 a s.l,il.i
Illudo non ora cyaMTiiiali.'.n cllWnf.i..^o. ii C .iini.«irn'ieilij -l-'n; t il Ci l- f -ti . |iff. hi il ,1
r^c f j i mcrj tenti pctieulj». e pud
muore nell'udliott ilio- i[Hlu ili
mriNi.iiiiiif c ili nnili/iD ; tj quii cosi
Ir^l.p f-'ilc al ■ lis:^ii. I.V-r,m i*iinn' irni'ivi' m i j 1 1 ■ - 1 1 1 iv mimici i'iiii liri
ilià ^ >ev;.i iiniim*-ijiii ri»,
.|iii Rullici- liTii|icslalriii naiim irliil>:c[i:]l. murila \>i-vìm ; curimi ii.nim «liTflr|i]r
r-'.i-, >i r.fi.iMTNMjnfHa sii, imi
ri- n-i-riiH in n.vi, Mv ,'rihi.lirt- :
t n i ;i ( L i r r.iii:,.-, [Vrknili liniin
ili-,;iOiiU.I tli.I ■•■■lilfn, i liliali UT c.liiiiair di luma- ca aM.an Inaino Ij navi-, ilHilurm prr.kiu la
n.m- C oglil cojn; ( clic, JC la naie
vada in aai>u, laulu Digitizcd 0/
Google LA RETTORICA I :h!jiu o n j I- w 111L.. IS lom
imi "Mio it-o, t fin rnnoiiom f rr
fi..ì.ir.,.i Digitizod &/
Google LA RKTTORICA DlJtiZ'XI t. Ci Digiiizcd &/ Google LA RETTORICA LIBRO SECONDO iimm
gssssssssasses wmm ri'S".' n «"diS.; Lm di ÌISÌIfÌɧ sssdfasr'-- Digitizod b/ Google Digiiizcd &/ Google LA RETTOHICA ir.rr-l.iri iipmliTC; illuni iirrlt ucr
oliassi- Ila i- lia;sn ni. mini
tjtlii™ni r iio .(> ni a Ir [ir in ni miri uli- ci*c. DcftBSOf prlaiu ni domomuobil illim
lotc- prsm, si pnlcrit: ili fi non
pnlcril. cniinjgk-t sii in.nrnilF.nliam,
slullilioni , eilol^i'lilioili , vim,
giui «Ira Ilì f piincri turni, timi ilc-bcal abiuri, n.n itlimicnlrr iinuiizii: liirpili.ilinr
i.nr...;i|.]-.ir .1 infamia, prins
iloliil op-rram, ili Msos runinrrs
.liiiipaliii r..c uicul .Ir ÌMinccn'1' : pi ulclur loco u uni ni uni, minori bus mali unii Sin
niliil horuin fieri polon), ulular
.-Uruiiu virltfnjiiitie ; iiicot, muli
ino li bui risa o|iud censore), ied ut
iiiiiii.iil.us ailicr:a iuruui "l'in: iiiikirs Juiirc. nvoro. lo dimostri --e in qtliilr.hc
rn.jiln il può, cor- rompilo» e misleale
; in Don per uno o più litri villi lui
lordo i' .mimo del suo acculalo ; e cun-
chlndmt, elio non dH far menilnlh, che quello sic.so uomo, cuc in oiUielro operò tosi male,
ab- liia. ora commisio quell'idra
nvsfjilo. Se I ober- arlo gt idri nome
puro ed Intinti, dirà che bho. gna li?
ncr conio dei foni, n»n del nome; ch'rnli
per lo posino srnrc orcullirc lo sue lurpilutiim; ini clic ora esso acouijlore (ari aperto che
colui i reo ili ini.f.ilto. IVr quello
spella il .lilsniore, ■■■ili ni prillili
Illudo vena u.mOilrando, se polra, che
lo vila dell' incolpilo è iena macchio; se ciò ili.'lo prrsnnsiniir: „.-i lcin.ili scuse
.erri ad al- lonlinaro ila liti il
bn.iiiio .l. lk- mitmi .interiori
oll'occiisj, di cui presente meni e si Irolla. Mo se il iliti'nsari: si Isinerii t.irte imbaulalo
dalle lurpi ■ IV, Collallu
cst.quurnacruiiilor id,ip , oc.ll
s'appiglierò iti' Mira tomo ni coslumi
di lui d»i rin.ili ci 3 clic *
u" unr-n clic l oiinnc sia alata
ilsgcms.-i ad dire perdine, r> che allrc persimi' unirò .ihttjnn rinvilii tare ni ili cui f
arresalo ■ un clicnle. Il segno t
rjur-llo |ior cui ni Jimtj- fari;
l'azione. l;-=o r.nni|ir In nei pirli: 11 Ino- lili; quo dici, qua Docili hors «P'iii'iui II» c unsi li cu li il ii r :
-aliw liingum [unii i", poili
che riuso II «UH; pe ittdiitodnian
atcìlìil ■ Digitizedby Google i-.i
m;Tr.inii:i qllml qo l'i lliiinn
|ni"ii i[ln[llii= 1.ir|i.'rrl .In i|uu-
lilicl rumoreio proferì' ,■[ cul:licu!]l Libuhni ili*- iip.ro. \>tu mi rumor i.mmnenu-r
pnilni- fisi- vi.lcljhur. areumcnlandu
farti) s li il ero ^olecimus abrogure.
■! dillkilliina Irai-lalu ,■.-1
concimilo couicrliir.ilii , ci in icris caussis -.■ilal'i ne, i[iiiJ icri|-::irii 11;,
ini'! ictaa dicaul, quid Indiali
ssqui in M .[un.] riihiRrnler
pcrscripluni iilrr.i-nciici'il':,
ii^r.uo. ...vlj rimi raim-it. Ili"
■In ennupla [■■nfirelilur, niut- re., quuni uli iola, « addurremo
rimici» unto racconto conno ai insili
nrrrrsani, || ,|u,| dir Emo estero rir.elnlu
ila tulli ; 01I anche, allculiercroo uria vu ce vera, di cui CHI abbiano ld arri» il re, ino li sia 11
'lo perielio 11. i inni |irc'>,
m ■ Mi.luiti, dell' cui 12. dia paliamo a I Quando ini 1 parli della qnUllon lc-g.- ' inlmiimic ili colui eli olitole
allo scrina Ili |i "i domanderò,
inlcniinu? di si.ri.cri' nel minio dio n'inlcrpreu •|iial COKI lo impedì di Krlnre eppunlocusì?
Dopi ciò noi faremo apcrlo qoal s'i il
itro senso, e niel- leremo in luce la
cagione, par cui io ieri Ilare semi
Ippolito c.injo scrisje, e proveremo che quello senno è ciliari), mutili], mimale, compililo,
de- lerminiiio, E qui n.iì produrremo
esempi di giudi- lll pronuuiiali 1
favore dello aerino, aneguacliS «li
aTversarii aiiiiuccMero utll' aulire di quello 0 □ igilized by Google Digitizcd by Google mm-m
a-SSSSSsS SS assaai ,»,..,,,,,ir, ; ., ì
.,.i,»i.,r SSSSSSs il. -r[ua« [i'|jilii:s ijlifiTtjoJj
siinl, dui: niuilii, | n li pa«U
iucio Ani» i LA BETTOMCA nn'tiiii, bi suburra clic no jc in sbollila iurldiciuli 'm-ìciiIihii
li- cioni, non mtno rn i: !i'im?:o
ilei fi :iJ itali, chn furono in livore-
a in LÌjimn 1VII1 .twi. !>j!l"c-r|inlj
ipmbti fonde lo ! olla tir Dille
comune; corno: : Clii fia più di ed è
impellila di maialila, può fini ■ in
^iiuliji.j pur mozzo di procuralo- ■a
ili i|o.'S|.i principio può coslllulriì
il incKosiornu i. Stall- erà I
ioLCrVCEllO Ùi i di con'emiune, I
quali Liuno ir. i ilmini nominili veneri!. I. I:sli rrf hit l .liu.Tn;;
iri:ni;'..iiM':ii:j] :i-.'or:i.ii;:iii il" più mi ni ['tura c |i i -j pnlcsu si
i il I:: ■ in ri ■ Ji.:= li; Li | ■ r. :
; ■ .1 ■■ i ■ 1 rruiiiliiljiiuii;. I n
|ini;i.>.iji.iin' ■iii;.li:Mìii-ii
ili ciò l'Nc tnjlLirrm OH'! ri il
|iririr. : [lio, riic iliirmilm , 1 fui
Mulinimi, s.i;ij niij;-,J-.!n
unr.Tin.iildii.ì-lliHEjii.jiirèfiirrl-
1)11 mcillr n : □ fili . li; linsioai
silos». I.' unni iiiciiln { [udii. Ji
o per aliUcllire ed am.'.-liirc Li
XLV. S.- iciromn n 'in:|ul'
pjrli, ■co l'Olii: li;.i:, r..|:l,i l'in -nrn.?n- ninne: ir Noi aUiiamn a itn cu ni parare;
Hiiuui-ttMI, Fi iure litui | ral.
riinvii inimi i ì:iìjjiì.;.j riiiiiini ulaelii- iijii. ' li rei unii - iin-i-"i;i l'i!
ili* le^liiiKiniiuu dal. Urini ri
radili perniili liurlitialur, cum inlc-
rirnere. a ino ■ii|iplir i iini icnhilur, i'1 condurli]- ! ll rr_ i il L- ■ i\irlisii'iiuin , hl-vnrr li,
iiMiiii.:i1inrnin p-'.->i--
i|ii-i.!i-.il 1 ininii.i laie..:ln;il.ir:i ei-'l-tililrnii levo torre iti Ha.-i-.,a:r>. [inp; rei.
indo ^'tncl^ll» a'ml i f.illi'iiù 1.
^..Ti.'JrmTiihimo^ I-re i.kli.n nf,
grandi, allora die r.-rri f0 : 10 ,!i
spirili r°rrao!,"m,7 s .ÌX°^",»u deteold»™»! ' ■' arai! l'Irte di-eli iinrnirii n'Iln-.i
nei delilli li'a-- : .'ro [|nail.i_'-io
a pr.nn della pin gronda ini- biti, rlii
^imera.i^li.rj l |,eeo=lui,li:;,i,rif.. c iaM
ilrm I..,-. mini ni l.ilin :. , ijiil rj i Ij..>Ii.k lideainui aliirn's l'I era-lai inliif, li e
allcii Li- ' : "' I' 1 '"-
min m.i-ì a, renalo da un ni- '■tre
"mi p:'i,lai,Hia a' iremiri. nlLraggiiio, trrilalo.' mala™ rslionem videi mua, in ilio più
rimai ti pei- «eie |.r«-
sl.ili ■.-ji.iirlii E grandissimi I
do, l> sogna allora aslener.i .1 ill'eiiiar
I rccopìlolllìono. In orjni arjomenlaii oifliiizM Of Google T.juatllic ti .u-i.:oiii>L-iiMf.'
aiKlic qumo, di udii iMk,™..- atrofia
iiiirkM-umal,.. ,|i,aiL», '" '» »"r
apparai,? CI, paura ,1 la in ala; a la auui.lijia a r 1 , a l.'raa ^X■i"™"q««l•»S"
lqU,11^, "' iz,tr™.",r rm
""" 1 "'-'™
DlgiiizedD/Googlel ìi Irti
■•unii s [mirili.] in a[.|iic ilisi.Miini. Nani Iidl- n.lioiins r:i>i fal..ae r'.i'iit,
«niishicnr-s ijiiiii|uc ta- luni versi
esse conflli'ri'uiur. Ili-m inlirma ralle
ni, quae non nceesaariam caussam aCcrl ciposi- I '.i:ui.-]r, ini.iri.iiji e-ie li.i. Li
tlii'niio rii. a. pi u lif min ledi, il lungn
iliiv'rll.i ilr-vn ii-*ar,i; Molla, |:cr.Ni- e rrudcl?, hi- ..Ila, imluliilr- iii-.in.alii, |iit.Iii>
nijii.ii .li,liii- -uiTE ni' ilii
iii.tìIii ni' rln il.'inriilii. A'.Ni lito".li imi li sono, i i|iiali ncgiiii» e-si'rrl |nt
tngjun ili n-rluna veruni miseria, un
Milli- En.E rcg.-erM ibi ■ a, t.;j i ■
: r 1 1 ■ luminili j ■ ■ -f - - cala il
il a ben tur. Itera viliusum csl. quum iJ pio
litio - 'lur. ■ ji=- -ci li.ln ■ iur.es nuli causi 11 , quin Clio In, idi, t/luliu.s ttt pulprfiM nulli.'
■hj«h(i,l alrjue (nftrSm, |>rlccin inlersisè cucili, Hit, r-ou/.-
rmir .■on. or li: ni Hji jitii snu iure
lice i.'i:ui[.|n usuri; 1 j'.'^.'iiiil
Imi Km, in. iuilnrl. ignu-i i.im -tnij crii, riilitnii- ani i|ii.i!.i M-fi) alfine urlìi iirruliu
ilici iiuV- llir. imil lll.illiH III
HICIllClll lllilli fi ll lli^rl. tjllili-
iol| nnm hoc uni hoc [eduen ; "o^raMiiroìiim mliu Ujgil. Uriti liliosnm est, quinti iil,
i|imi1 in Inr iliTcìi-inne, lice
modo: Smani Ir. pj-iKidttBI omnej,
/Icrrmlusiino l'^norpltyiii; ni.»
[iisiTliim oc omnlolis miii.nii, jìl'j
iti.) sol'i ni rolli iiuiii pira. IH
Li ti r1i,..l |„||,.. : È ari roti
mr.uo n.atc uni ilif, ; n, clic sin comu-
ni'; pei rsruiiiiiK ■ Colui jiivri'i por irnrunilia, o tu r inrspcr.cii iti, tv jilt ciuuc. :. .-ir
,1 uoiui ij M -
|bui(lprsliT.ì"i"■ I ' liminoti;! .■.iiifrrriiiiiiiiir il;0ln r.i.'iorp ; in
tornii», qir: Digitizcdby Google n.'iiliu, Hill ,1
narrai ieri! Ivj.M r nuli,) [ ni- ,:■
l'ori! ili 1 mirili' .i.liiniriii,. :;ll;i narr.uinn,'. |,rr- rlii- li inserirai ^i ii.inr'l.lin
Inv.irjm c |irr|nir,l,> ri
n-;1. T'n.'j.r. r :i! il min riniri'i Hill -, tnrr:i:i- f'iT In inni ri-n r.vi\rr;:'i l'i.ml-n-nrr'
I' rm]ine:.> ili]in a ili, Mone :
ilmn.lr: eriiinc brevi Icr ci |ili- •
in lall.T lini-inni', i! i[il,is : rtn :id iiiTi ìni r-, ■! r ,iioTivÌ ;mj imi lini ,1 eli ■ |i'l>rii r; indirne
ni im't, ri r '.■- Dipzcd by
Google NÉÉ liti «a; noi .l:|,|.|.'Ìi:-:uiiu i
il .,!ri ijiuui.'i. c ria siri
l'iri'iiSi, i.ipji, i no. ni . i ii,,,1i k, : i,ì- ri. ,IHikiri,,iil.. nel m-.-Ji^n.u
U-Jn|io clja fi 11 [..ni t.-, etimi t'i
.in Rinfili 'nuli; noi ritonl.T,'-
:,.'"\ vSSH
OigiiizMByCoogle 1 Digitizod t>/ Google LA RETTORICA unno l'Enzo ,1, ,Jn,iii.,I.T.IL,.|i^ rcip.iLI-..,-
::nì,l.c H.k'iiiNi. liGcii. Usa
uppollolur pruiiciilia rerum mulurum
po più opportuno, se ni... ;|i r ,:i..-ii t 'rù l'iubm L ciiln^uc. Forliluilo csl return nuoniruin
oppeii- imùj 1 : J :hi;ili],! (
li.l,ì.,v.,-.III l r,iLT prendo
siisi grurnli coso, il
disprelr.0 delle miglili, e la lolle-
roma dello lutici in ragiono della loro ulllilb. Li le,uporon« 6 nell'ani.™ uno r.,r,:-l,
innJmlMoe, r.jii:irni! lo passioni. SS2SS
a&ssssrass DigiiizGd by
Google iiim.lr.Tnw. ikm™
r.-liyiw nc^ili: o.-==.?rvarp ■ .ln-
lil.rl |.ro patria, i>jrcnl:lnn. lio-|iiIil>n., nuiim d '™. s.i ■iin.-rrn,., r : , •umilila
aiiilEkì tinnii nuoji, dell'irò, ù ..
J:, OpII «n mo. c moniti cosci eomelorumo
io ... «ci ■ ■[•;. -i
-iti"-. 11 -.- >.u> : Ji.l.Jf Ji.
p. iK'U>'u«n.eln»ic ,j;.-.o .U .
>] f. 'il.. i.. r >J f. r-M Fs lirlÙ 0 1
sono lo sue concilo, le tuo Rlonr. le toc OOJ.tbrif, ?BEE : .5ss ced &y Google ,,.™:;,r~::i!;.::i:r= ii(ii|i-r..1ioik'ri] lran=fcrro, |ir.
].[■■; rei |u..J ■ irpo ulqO, n n i:.
n,n, rr:|.LT ir-, |,jr' >rpn ri.i-n
Ir.. ].c minriiM:,,,! ,l„wiiiim c.-.cr lirici ; S3SÉ
!:*[il£r]]fiir->rni M - l lt:irL'; 1 ;ni;.-ii.,s.i;nli.:]jiifj C ii;,
|„, t SSES&SSS filiti
Dinitizcdby Google r., «Hit
«i-S;»i. « o.ifioj tvqlrMm M MMoiMti
iwnpoattu o ioMMm;aM alcuni
EEÌéllHEE „..»™.„ —
„»..„.,., luco piullo pus
dlonnos. iilllÉ
sssbsmksss uW.ri-ww:. in. fine
del di«w.. ,7^^™^'*». 'e™w nò
eh. e, i.gisiio ni. (.mi r,„] ( i s rj r tl..m-(iir. .ci
..fnruir. r incidi.,,*;
il, in in lo™ ri r,,dir, e ..ll.r.l»
iveislmo datimi a s ii «u n un ii-m ili noltim, cui pr> rumili' il sii
llcriiiui ; ili iinli: facili; e' il .le
ilici siniik'? nel!' 'pillilo 'ineiiiiHnca ccl- 1,1 iaculi'; pi'M'Iit le iiiimjgirv,
siccome le Ii-IIitc, miri riirruJiitic
usn, si rjricolloon; ini i Ir.nglli,
lincine lor.iiolclli'. dclilinnn semine i-immuni, li aodocehS li jcunta quBTlUll do' luoglii
non ot Piccia cidere in l'irurc. Mirri [imi!
fili! ceni rjuirilu Ini)"!] icnja
ciiiilrc.i'vnrilo : p.'r esempli], ss nel
.|niiifri Iiiiim li nillni fiiiiim ima mano d'orn, e. XX. Dn locìi s=Ii> «limi'" csl:
mine ai] inchi- nimi riliormm
nausearmi'. Oumiiom cto.0 veruni
binili) m.J^inc^ n|"'flcl, er-
lii, i.nliis linb-i silllllililillili's i lince ijcl.cmus, ilu- [.lice- siiiiiìiliiJini-s e; se ilclicin.
iinas rerum, al- leai i diramili.
11.-;iiiti i-irnililnililic-. i'i|iiir.iioii1ur r lode-li por rapprese ni are le cose, e
clip per rifliia- iiiarrijlla in e il mi
i,i ie parole si'r K lior ilclil.cinin
.kilt sinii(lijwc roiin -filili; , '-i ilclil'niui ml'incni Digiiizcd by Google il 1
■II ss ~* SII
Sigili Di^.ii:o"J !;.■
Ci l inni' m. GHItili leiioiinceoinindOBUq LA RETTORICA Èsili
:•==£££= sssssls =§Ii
.la alimi serrano come ili lullmor il-, «Miri.»- ,.ir>,„.'Ua gnisni situi clic una
lalimoniu», è □igitized by
Google i.imni iv. a luce ornili! inizigli eiinonei
mi.toiefli'i.iui omna. inori! [maiioic]
scribenoi, redi ali In sin-
vcrcciui-, no cui salii sii ni e muraria in raiumcni prnlmml'iu. 'l'i'lil ab en [-une. interini
ii. qui et iuioiilurcs Julius arlilicii
liirinnl, i l «instilo iaiu siili!,
omnibus probali silnl.ljnoiìsi. illniulii aititi» i ii. ìlio,n:,i „li - ili li.. .°.i,.-l.
esse iri.i,;nil.,ii. IL Olire ili
cita. l'a'uUHU iltsa degli «illclil noi)
fina din ili un grill valore I La i|iialu ila min uiiiu;i,ire apurmiiinne al!,, ro-o, ,en/
Google V. bitumi; itili.r. cui quiini
lituo, ■ j : l- ■■ 1 iilicnn
llll H III. ■.:„:
r-p-.-rir« non pOIUCrK. Alla- ■i Sd|.i
, ('. ,[[,.,, P„r,ii lliai-n, Allibir, ree
:.b. mulinili pulì..-,; un , uno 1L1 |»> -alia lubcLil ; omnia, quia orano'
Imbuerinl, n- !.im ImL-'ic >c tk.ìm'
ilillUìcl. Ergo Inutile eil ci 1 jitur
nciiic- in lene inciil/rct Cì'ii.i.iik'in, si :L uro prozio, l'ali™ un si:™, [iiipcrcii'ixlii se
t u.li sii- acquisii re il nitrito ili lutti ; nu iìi .-ii> iivri
disponuil, In ponile patii .!i l l'in 1.
ti l'iiT.-iliT.ì. pnrcliòa quelle, ilari
coolciilo ; ni suri da meravigliarsene, quin-
tali O.oTunuun .1 redini» esempi lohl da Calo- i -, .Li .
:vl ilnjii nnn Cil, 1 Ijn .li: lllml. ijlii'i! .InNiini ■ I, ni jnl ililni ri- 1 1 1 jniìsil. :ml i
■ 1 1 j I : i ilKli : llinr XIX.
MiTiliniinnnliiinis iipsWIaliir re. kciiliv
1 1 1 1 :j i- ilfiiwi ulin infili lira oralii'iii- riripilur. line, moil.ir Kl ini mini pTodivas. H cstuiinul
quoil ap- pclliilur mcnilirniii;
ili'imli' lini: fu ip'.ilur ri-nirlrl ab
illcro: Kl amici™ laf.ifli.i'. Ki iliinbu- mcni-i rripublicac consululsli, nee ; tersi iiilemllli dliUnguunU qui (pel non mulinili q II Oli fi miglili opere ca .Insinuo. bM poclo: Qu l:i:|.-l.i:i ):| .||-. lrCr|i;eiHili:i.
lIT.TJI «'filli Subii ■ssa con frasi
conciso e lime unilc.Hc csia pucc
ircccliio pur la sui ropiililà e per la sua hrm ■nifi, nd tempo mC'le-iiiio |i ■; ulfrr.n
ilei fin- Io prova con editarla clli
clic r oratiirc In bi- ni ili [iroiBi-r
; c dj una virili riLfiitisciiilr, fu
ippire min velili clir è iluMiiri. si cti-ella non ossi t iiifiiì.-.r. . o lo si iwsìl ni:il:n
ililSri!- Inppilo, cosi Ila liiroe.no
ili jpiniiqisrs! ad un nl- Iro membro ;
per atmfio : . K in gioviti all' bri-
nile"; mimi mia nr.viasiiior-L-.clic si rlimrni mei:] bro; likii-n clic rm.i.lo membro sii legalo
ceni pinvavi al l'i n imi ivi, cci
;:ri ili rodi mento all'amico, f uni:
jir.i«nJeii a U: sle.,0. s H psrlmrnle: « Ut
olla Repubblica provi ecics'.i, ni apli amici piovasi!, ni ai nemici rfsi.K-sli. i Si ridami
articolo, 0 in- ciso la divini ione,
clic si fa di ciascuna parola por piusc,
Lenendo sospeso la fraso sino air ultimo :
per esempio: i: Culi' impelo, cui la race , coll'a^irl- I, li.,.. Ili.-.-. Il, li -li ai/.erssrii. l
f. parimene: r. Tu cull'iiKiilia , Hill'
tngiii ~'.ijiii. coli' autorità, colla
peritola hai lolto vii i nemici, i Tri li vecmcnio ili qiresla fipurn, fi i[uclla .Iella
prcci'tlenle ci In ipifhla .liv.arin.
f.'io .|jel]j P.i pa's- piti Unii e |iù
più rapida e più proli" "
:o il pe no uà colpi spessi cale
nazioni] di paiole in il Irarrcmo
Brandissimo limila vL-iinn ri 1
c:i..i, (j.inl iNtiii.j si (.vallile I .:
eli potrà il caso? • nella conclusione; per esempio: ■: Se la fortuna puil mutlissiuw su di (| nel
11, clic □igiiizcd t>y Google LIU1I0 IV. iuj[iu.ili: IJiiiil veiilam, igui sin],
nuaro \i«HMilok',su as,L'HiiiHlnlfÌNalL:a
miwii'ra n-y.i multa ditoni.
XXII. Vi ha a Uro |H rari Olii Mio, in cui lo parole non hanno una roti -Inlln ru-suminlianu, ni»
co:i- swvauii jiltò tic.j niTtii analoga
Ira l.iro. E..voon DigifizGd by
Google Ijumii le Jrai. it e ■>-
--r-:. tare, a 11 »™ 1
* ™ sorpreso da «in si S™- ■ III
ili ti lì- □igiiizcd by
Google IV. ril plcriiroqiic alqueodeo micclarisl
Commoiclur lise p'.Tirrc animus
audiluns. tles cniai e uni ri in ni
volili alala, liuiluinmn.lo ilicla vìdclur ; [s;1 ca,| posi iji~ìu3 iirjlnrii carrcciioncni, magii
idaoca lit prona atialiinte. .Nim
i-iiiir salini «sci, dicci di- E
parimcnlc ; i Dopo clic costoro rima-
sero linciloh. u ramimi!) viali; pcrcioecliè cani,, chiamerò, in lillarin quella clic è siali
piti fnni-fla, clif inalale, ias.i ai
vin.imn ? «0 invidia, f:ritrl|iii|iii;i
ili-|],l lirlii, clic jier lo pili vii dil'lro ai buoni , o por meglio dire li perseguili ! —
> Per questa Agora 1' animo del]'
militi..' rimane ai^ll. >, principio
11 locatolo migliore e più sccllof — Può
' r 'ili! 1 ì er '!■',!,- i- ' i . ' "'icn:io!' i ;ml V.'-.m
."-J.V .'ira li] jj .il
im,>uI;c f.v.nsn =11 - . . i 1 . . -ì - ■ ni . .p. i ■■ ■=- limili inleinli™: aclioneiii, ipnic
(irilargiialiir. Ilis- i-jirlii.' ed,
'|ii:iiii curimi, 'le |'ii!ii|i difiiii'H, ani
Dir |Ue ani imam i|iioi!-pic cerio conclmlilur Karl lag incni silslnlil, i^ii-i. ini in il.
I- laris adiumcnto full; niliil
Cormllnii cimlila calli- ilUni jirjesiilii
■irli".- nLliLI [- r.-j.i il ani- nicriun ri ier- nionis sociclos opilulaia ci: irem Koirn.f
-.li _r 1 1 - 1 ------ ani umilio,
ilillo-e-cil ani \ iUj^:,i1i- iTlinimiliit-,
lue. i Ducila tipnra a mila, se a na«irri iiil-.'reisc ili lasciar iulaiidare una cosa. 0 che nan È
espo- dicalo ili mainare par mintili], a
alle e- lunga a di- re, o elio è
Ignobili), o die non si può prorare , o
die e fonile 3 caidnlire ; ili maniera clic sia me- glio per noi 1' nver follo nascere copi' ri a
meo Le un sojp'.'llo, clic l'jfar pTcsn
a sviluppar cesa clic ve. uir ri
[insilino cannila!,'. La ili. gin ai hi ne li: luo- go, allorquando o l'una o l'olirà delle
uruposinn- fi, flie -i e-poiia/irie , mi
lineile niisamn ili e.ii f i concinnile
r.o-i un icrlio .-:i.-. :ala. pi-r .;.citipi.i; que rein cerio verbo cucinili viilcruus.
Coiiimn-lin esl, ijuum inlf [posinone,
varili ci super orli ani lin- do:
1-ormac liisnilus aul morbo ikHorr-n-I nnne-
Cariatine , di, lece Cornila , rovescili r'rescllc. TViclile Ji Snnanlliii K : «infoila li- (orla
ilei corpo; ni ai r.a'lapiiie-i fu ili
iiriifilln sckiir ili- lare; nien'C ai
Corinzi In di presidio la scallrila
pnlilica ; nienle.iì Kregellani recò carnaggio la «i- □igitized by Google LA RETTOIIC.l Digitizod by Google I i: >.i Digitized by Google Digiiizcd t>y Google raralim rei ift'iidll
plurali. III f']i;3i-i;ir. |i|oIiI(DHji? Militale loltao
rnlpac si- Digiiized by Google Liaiio iv. irrs Islam reni filari! :c villi l'
delirimi? [k.inilii- mini, i|uns
lialmcrilh dcrerrsorr?; SI ni] in torum
udii* ai, le trulli- |irr.|nniiU'; il rimla 1-1ÌI115 omnium tonai .Ir «le. Timi vouis vcnicE in
niciileni. ul vere iJk-artl, ri t liliali
li ;i i.slm «iic i t maii.i inilins ill'j.
ojuncs arile nculu» vulriis Iruciiljìos «, iriinii- eoj cornai vralrii suflriipii; in nmulisiim
ini Inediti [ir tu: ni ni. [lem ; .Nani
ijukl Inil. indiaci, i|Uare in .-.■■!
ili ijuilti, rhc avc-sla rinr iliii nitri
; poriclni dimiiiri rifili urtili [r hollt-i-ìtn- dilli Imo [ter voi ; c .nn,iil«r;le i[nale
tiini|, tristi indi irrlib.ro inni
Allora ti tetri in mcnlò, sa ero
™fi'.tìiT i affline, rlm voi |nr ricjlipn,;; ,i
ninnalo |.rr lill.ì li lairiHle Irimdrir.' .olii, ali o, ■ 'Ni mslri, a rl.c rn'voiiri ?iilTrn.qi
inalM.lc ai jiiii ilislinlì moiri i
nemici Ioni. ) li |ij rimai ile : a Cile
i:nr..irir .mitrimi V n In r.-;; mal v'iildn-,,c Eli io- li na iurta niidimia ri n!i;i!il«■ » velismo
[ni- - DigilizGd by Google i.ii.n-i-H,! „:;,!, - j mi r r
r fugil, Cmiril... ,: miserino
COIMqui M' ■■|>"-l "("ir"
1! Hn-i "l:|-mi il-' IIL' 1-1 ÌIÌ
ìH I..:ii i-n.Iru: lumina MiiUki ic, lin/ -sui ku- I1I111É T-A BEFTORICA Cur rp;n mine Ulti qunlquam i. linciato ?
Si jin.l iis '1 EÌUb merlo vouicl.al, ci
Illa Ini- ^ii.ÌMa,:iiirpi ;i hiij, 0
nimusa.irÌ5sirnu!,rorlunH ISIS ;pn ; ci pracl.'rra rimo, (pana rii
cìhui- lanini is osi, i.le n'usi rn in
re Ioni. In i|ue rs ( orciaio frnla, ;
siilus , pillilo posi In ipso unilodcin vox Minia, ipii 1 "1 più proprio ail uri' aioirsiinnc. r
r orcasion fa - i-uremie, e opportuni-.
ìtiu il luomculo dello in- Irapreiiilcrc
: Oil ot'ìi calcolalo atri a Inno il lemri.. Digitizcd bjr Google E::
wsm p«M jttr gli ™id?pcì
pircmi.^ por Itili gli by Google JSi.'SSSSS.'ZZ'Si n ''."T'."u"n ~\ -
i'vi'..".'. JXl" ,»> Dlgriizad ty Google Digitizcd 0/ Google OigiiizM Dy Google LIDRO 11. Minio csi,i|iiuiii Hprtuills difendili», hoc modo: llu ; ci! j [iure praii'.-sa, i .in [ali.-,
rain lirtvili c ì
clii.ir';i7ii.l.'clfiiiM i: l die liiKriic ilcar.u- 1 le re ili aldino, prtscnlsotlo csrli irai
li, clic ne 55SSSSS .0. oh..- e ii dico pMn„ nr oHcdil» die il
.110 pi- ^ss <li«:fnre. Oli ialiti : K.i Jìmi^iIjII.: i-imiMis -hidi.iln uralulii
[imi.st in medium Ioli jr,i™cni a
U S ÌMu t ,rr,',ió , m' l0 1 ;o^ Si^h™
Ji f =„l„li,,(MÌi un l,„:l,.IOJ.: . n .li mi» -|n..|K ; i:i 1.1:.'. ■■'i.i U.Ji.'-L ' .ni' :'i...l.-i
.1 i" ni.. no. Cinqui empiii arami
»nt lui lo ^uiva lalign™, non
reliquil. l'.-r ™bi 8 uum , q,,um .1
ili ; in ili: i.u si ilicas , qui mulini liereuluilis. ni. mi : l'rojiiiM In, qui (ilurimuni
«anis. Digilizod by Google -in., in Il luni |.,. : . , „i,i„lii
,cHj, |[jqc cior iialin | -1 li rim
|n.,..tel mi ci tonimi. bj.l, r
ruJliir:irttii iIilvkKi. ihlì' <li*Lcnili:
il bracciu, c l Gtri.i.i, clic ''ir dubiln ili ciò i lir i, e pur non nlibunkiu il preso posto ,
pianla il Digitized by Google LIBIIO IV. i ìiLlTimia Ali MIKKMU. Digiiizcd by Google I
DELLA aoi, . INVENZIONE RETTORICA
LIBRI DUE w M. T. CICERONE TRADOTTI DALL’ AD.
MARCELLO TOMMASINI NAPOLI Presso ACHILLE
MORELLI Editore Strida S. Sebastiano n. SI. 1804
Digitized by Google PREFAZIONE — —
003CO003- Asserisce Tullio ( De Orai. lib. 1, cap. 2, sul
line) che nei tempi anteriori a lui nessun buono oratore si era trovato
per islagione lunghissima, e solo di tollerabili appena uno per ugni gran
periodo di tempo. Eppure si nella Grecia e si in Roma per insino dalla
fonda- zione di quello repubbliche le concioni e il diritto parlamentare
a lutti concesso davano agio e opportunità agl'ingegni di mettere in
azione quanto aveano dalla natura e dallo stu- dio, e di salire con
l'esercizio e la pratica all'eccellenza nell'arte del dire. 1 fatti
stupendi e vnrii di cui essi erano attori, le congiunture di malagevole
scioglimento nate dagli attriti della politica, dalle tentazioni
dell'orgoglio, dai pericoli delle guerre continue, domanda- vano dalla parola
pubblica i provvedimenti clic ai nostri tempi son la più parte il còmpito
esclusivo della misteriosa burocrazia. Gli uomini che pei grandi talenti
politici aveano pri- maria autorità di parere, nelle concioni volevano
necessariamente essere oratori. Era que- sto un dovere della loro
eccellenza, c d’altra parte un bisogno dello Stato. Gli effetti anzi
dimostrano che essi sapevano in qualche modo ottenere i fini oralorii, e che
erano stiflì- cienti alle circostanze, e a quel grado d'inlciligcnza c di
civiltà in cui s'attrovavano gli udi- tori. Laonde l’osservazione che fa
Tullio non viene altro a dire, se non che la natura andò sempre molto
ristretta in formare ingegni di tanta potenza, che fossero capaci di
mettere nel più grande rilievo i dettami o i suggerimenti di lei, c
scolpirli, dirò cosi, nella straor- dinarietà degli effetti prodotti
dalla loro parola, tanto che i venuti dappoi avessero modo di convertire
quei dettami e quei suggerimenti della natura in altrettante regole di
effetto indubitato. In una parola, non vuol dir Tullio se non che furono
rarissimi gli oratori clic sapessero mostrare nei loro ragionari una cosi
magistrale disposizione di pensieri e di pa- role da servire di sicura
guida a chi avesse poi voluto raggiungere il vero scopo dell'ora- toria.
Non fu dunque causa di tanta scarsezza di veri oratori là mancanza di precetti
ele- mentari, poiché questi si sono compilali a poco a poco, riducendo a
norma e canone i modi di certo effetto seguili dai migliori, i quali modi
separali in ispecie, formarono quel corpo d'insegnamenti che costituisce
l'arte di fare un'orazione. Anche dell'oratoria avvenne ciò che di tulle
le altre arti : le regole furono posteriori ; si son nobili gli effetti, e si
ridusse a pre- cotto la causa che li produsse: la prima maestra fu sempre
la natura, e i mezzi con che essa porse i suoi insegnamenti furono
gl’ingegni modelli ed esemplari ch'cssa ha crealo di tempo in tempo.
Giova qui a maggiore chiarezza c conferma di ciò che ò detlo allegare quel
luogo di Quintiliano che si Irovn nel lib. V. cap. 10, verso il line: «
Non è già che dall’essersi date le regole ne sia venuto che si trovassero
gli argomenti; ma si usò anzi ogni maniera di argomenti prima che se ne
desser le regole : dipoi gli scrittori ne fecero le osservazioni, ic
misero insieme, e le pubblicarono. Una prora di ciò che io dico si è, che gii
esempii che recano son ludi presi dagli oratori antichi: essi non ne
adducono veruno di nuovo, e che non fosse adoperalo prima di loro. Laonde
gli autori dell'arle sono stati gli oratori. Dubbimnu però saper grado
altresì a quelli che ci hanno diminuita la fatica. Perocché ciò
Digitized by Google 1
prefazione che i primi, mercè il loro ingegno,
inventarono a poco a poco, noi non l'abbiamo più a ri- cercare, essendoci
oggimai conosciuto. Questo però non basta ancora, come non basta per
esser atleta l'aver apparala la ginnastica, se il corpo non sari aiutalo
daH'cscrcizio, dalla continenza, da un buon nutrimento, e soprattutto
dalla natura ; siccome dall’altro canto neppur questi vantaggi gioveranno
gran fatto senza l’aiuto dell'arto, n Non si vuol perciò credere clic i
soli precetti abbiano la forza di condurre alla debita per- fezione un
oratore. Ogni arte ha i suoi priucipii elementari, le sue regole da dover
segui- re, chi vuole in essa acquistar attitudine a .maneggiarla; ma non
lutti quelli che ad essa si applicano vi acquistan lo stesso grado di
desterilii. Le regole in un’arto sono come altret- tante fila gettate qua
e là nelle diverse sue parli ; ma gl'ingegni comuni non arrivano a im-
padronirsi di tulio il complesso c la collezione di queste fila : so l’arte è
di specie un po’ri- levala bisognano ingegni superiori ai comuni per
venire a quell'inlicro possesso. La ragio- ne adunque perchè, a dello di
Tullio, furono rari i veri oratori anche dopo la collezione dei precetti,
si è perchè nel trattarli, nell'applicarli, v'ha di bisogno una capacità
riservata uni- camente all'ingegno umano, il quale dee saper discernere
non solo la forza enlrinseca di ciascun precetto, ma il modo e la varietà
con che ne dee far uso. perchè le circostanze di- verse domandano una
diversa applicazione del precetto istesso ; e l'effetio non dipende dal-
la materiale collocazione di una regola, ma dalia opportunità di tale
collocazione: anzi fa- rebbe danno al suo ragionare chi non facesse
apparire che la propria servilità alle regole, mentre l'arte ci dee stare
nascosta e sfuggire, per cosi esprimere, fin anche all’indagine dell'uditore.
Senza dubbio l’arte è un aiuto, ma l’arte sola non farà mai un oratore. Ci
bi- sogna un’nttiludino naturale, una visiva acuta per vedere le vie che
menano al vero effetto, una ferliliià di espedienti per sopperire ai casi
in cui l’arte è monca o inetta, una, sto per dire, inesauribile sorgente
di concetti e d’idee da adoperare all'uopo, una profonda cono- scenza
dell’indole di ogni circostanza per commisurarvi il ragionamento e rendervelo
adat- to, e soprattutto una vasta cognizione del cuore umano, di tutti i
suoi penetrali e latibuli, di tutte le fonti delle sue affezioni, e di
quegli intrighi ed inganni onde il cuore sfugge so- vente al contatto di
chi lo tocca e lo lenta. Certo una voce così vittoriosa che pieghi a sè
la renitenza delle opinioni contrarie e lo assimili alla propria; che
tragga irresistibilmente altri alla convinzione di avere stortamen- te
pensato; che svegli idee nuove e troppo più salutari di quelle che s’erano
concepite in generale; clic conduca ad assolvere o a condannare a
dispetto delle presunzioni contrarie; che svegli l’ainmirazione per un
individuo stimato fino allora abbietto, o la compassione per chi ha il
dosso curvo dal gran fascio delle sue scelleraggini; che induca un popolo
in- tiero a intraprendere una guerra che domanda lo sue sostanze e la sua
vita; che faccia alle parti aspiranti a una indulgenza o a un privilegio
applaudire la parola che toglie loro ogni speranza, ed opera anzi la loro
sconfitta, cosi leggo in Plutarco esser avvenuto, per l'ora- zione di
Tullio, ai tigli dei proscritli; che insomma abbia in suo potere il
maraviglioso se- creto di dominare gli animi , come la legge domina sullo
masse . come il signore padro- neggia sullo schiavo; questa voce 6 come
un miracolo che non si può sentire se non som- mamente di raro. Che se
tanto pochi, come accenna Tullio, furono gli oratori nei tempi in cui si
può dire che l'interpretazione delle leggi c le misuro di governo risiedevano
nella parola degli oratori, e ch’essi erano la molla più ordinaria del
congegno politico, non è maraviglia che neppure ai tempi nostri non
v’abbia oratori, quando l'uflìcio della parola è rivolto a ben altri usi.
Infatti quell'oratoria che è rimasta in retaggio ai causidici odierni è
inceppata da'molli rilegni impostile dalla nalura e dalla costituzione dei
governi assoluti (1), per cui n’è messa mai sempre in cesso la parte
amplissima che riguarda il sindacato de- gli stessi atti governativi e le
immense complicazioni della politica; parte clic negli stati liberi, come
erano le repubbliche antiche colle loro concioni ed assemblee, offeriva
infiniti temi all'arte oratoria, poiché il negozio pubblico era per
ciascuno come un negozio di casa, e per ogni capacità una continua
occasiono d'incremento e di maggiore sviluppo. Di più Ut molliplicilà
delle leggi, per cui ogni azione ha, si può dire, un precetto che la
previene, e una sentenza anticipatamente pronunziata, non permettono
all’oratore di condurre con la potenza del proprio ingegno nè uditori nò
giudici a cavar dal proprio cuore quelle mi- serevoli transazioni, quelle
indulgenze eccezionali che l'umanità le tante volle facca sosti- tuire
alla severità dello leggi : e per verità poleano le leggi meno parlicolarizzale
essere L. L. C. pgle
(I) L' Autore di questa Prefazione scrive a Venezia, sodo il regime
Austriaco. PREFAZIONE S
meno inflessibili. S'arrogc il manco della pubblicità, salvo in argomenti
criminali presso al- cuni Stati, la quale è il più potente incentivo allo
studio e alla diligenza del dicitore che sa d'avere in ogni ascoltante un
giudice che non sentenzia sulla causa, ma sulle sue stes- se parole; e in
One un esercizio di professione clic aspira a lucro, non ad clogii, non a
di- scorsi ricisi e percntorii, ma a stancheggi c lungherie per
tranghiollire più a dilungo le propine e le strenne dei clienti ; son
tutte cose che s'oppongono allo sviluppo, agl'incre- menti, alla
perfezione deU'ufflcio oratorio. Ci sono, è vero, dei governi che hanno
assemblee parlamentari : ma gli oratori che più vi splendono son uomini
di circostanza, non addetti esclusivamente all'oratoria, lalorn ob-
bligati dal Umore o dalla adulazione a falseggiare per insino i proprii
convincimenti, e an- dare alle seconde del potere o geloso di piaccnleria
o troppo sensibile nel sentirsi urla- re ; talora scuorati dalla certezza
che le loro parole non sono tenute se non per un assag- gio di
prevenzioni individuali, e non come seniori e parli compendiose della opinione
pub- blica c dei reclami mossi dai bisogni comuni. Insomma nello stato
presente delle società, nel moto meccanico e puramente macchinale delle
aziende govemaUve, nella passività del- le forti passioni che non hanno
nessun campo in che poter agire, gii oratori, nun dirò i sommi, ma
neppure i mediocri non sono generalmente possibili. Non parlo
dell'oratoria sacra, perchè essa ha delle specialità, che non si vogliono
confondere colle forme delle trattazioni civili, benché sieno le stesso
fonU degli argomenti e le partizioni generali in che vuol esser diviso un
discorso; quantunque dai Padri in fuori, se si eccettuano pochi ingegni
brillanti della Francia nell'andato secolo, non ha troppo di che lodarsi questa
spe- cie di oratoria nella nostra Italia. Dico bensì, che qualunque ne
sia la causa, che già fa- cilmente si trova giustificabile, se il detto
di Tullio era una verità rispetto ai suoi tempi c a quelli che lo
precessero, non lo è meno rispetto ai tempi moderni. Ma per tornare agli
antichi, molli, fino dalle età dei Greci, trovando troppo arduo il po-
ter venire perfetti oratori, si gettavano nella via più facile, lasciando
l'opera del sentimen- to e della immaginazione per abbracciar una
speculativa più materiale, e si fecero a com- pilare ed apprendere altrui
i precetti c le regole, sfiorate dalle orazioni dei migliori. Que- sti
precetti, per quanto avviso, non furono sin da principio che masse informi di
regole, senza una certa distinzione di quelle che spettano all’oratoria
da quelle che si riferiscono alla trattazione degli argomenti filosofici.
E tuttoché Aristotele, con quella sovrana maestria con che svolse tanta
parte dello scibile, sia stato forse il primo che divise e fissò con una
cotale ragionevolezza le leggi dell'oratoria, pure non potè fare che cavasse di
ogni pastoia quel suu sistema, e clic i posteri non mettessero in
questione le varie specie dei precetti spettanti quest'arte, volendo
ciascuno, come addiviene in lutto, che la propria maniera di vedere le
cose dovesse divenire il modello al vedere di ogni altro. Tullio per non
lasciare l’Italia sprovvista di questo genere di disciplina, mentre la
Grecia ne aveva già abbondan- za, e perchè l'azione continua del Foro
bisognava di questi sussidii artiflziali, c forse an- cora perchè vedesse
non ben chiarita dai più antichi di lui si fatta trattazione, pigliò a
far- ne pur esso questo opuscolo ; e certo con più ragione di ogni altro
si mise a riprendere certe distinzioni fatte dagli antichi, come si pare
dal primo libro, cap. 6, dove scardassa bene Ennagoni circa il suo
dividere la materia oratoria, dopo di aver già disapprovato la estensione
quasi infinita clic attribuisce Gorgia Lconlino a questa materia. Nella
presente operetta non tanto intende Tullio di svolgere le norme, dietro cui dee
una orazione esser condotta, e di metter quasi sottocchio l'ossatura e il
tessuto intrinseco del lavoro, quanto di facilitare la invenzione degli
argomenti necessarii ad ogni genere di causa. Ei tocca di passo la prima
bozza della tela , o macchia , come dicono i pittori , ma il più che si
occupa è dello impasto de’ colori per andar su col pennello allo sgrossato,
c di rilevarne le tinte, e il vaneggiar della pannalura, finché si venga
a compimento la di- pintura intiera. Avvegnaché però ei si frammetta
specialmente delle orazioni spettanti al Foro, non lascia pur di essere a
un tratto maestro d‘ invenzione per ogni genere di diceria privata ;
poiché siccome i fini generali di ogni ragionamento deono essere, persuadere
, commuovere, dilettare, cosi tutti i ragionamenti cho si riferiscono
alfintellello perchè pie- ghi a convinzione, al cuore perchè metta in
attività i suoi affetti, al sentimento perchè ri- ceva sensazioni
dilettevoli c soavizzate, polcano fornirsi, mediante le regole di questa in-
venzione oratoria, di argomenti che avessero identità o che tenessero analogia
con quelli che son qui porli specialmente a materia delle orazioni
forensi. Non si vuol però lasciar ili ammonire clic questi due libri non
son un trattalo formate clic nulla ci lasci a desiderare, mentre anzi è
meno perfetta e lucubrala che altre opere di Tnl-
iogle c PREFAZIONE
lio in quello genere. Egli non fece clic un Commentario nella sua prima
gioventù , come usava fare di alcune sue orazioni e brani di esse, cioè
dire un compendio, in cui scrivac- chiava le cose che prime gli venivano
in mente, senza porvi troppa pulitura , o per usu- frultare qualche ora
di scioperio, o per avere in serbo ciò che a tempo più opportuno avreb- be
disteso e ordinalo pensatamente c con accuratezza. In prova piace recar qui le
testimo- nianze di Quintiliano, il quale per essere un devoto passionalo
di Tullio non può dar so- spetto di esagerare a carico di esso. Dice
questo autore nel lib. ni, cap. S, delle Istituzio- ni : 6 Cicerone
pretende che la lesi non s’appartenga punto all'oratore, e assegna ai
filosofi questa specie di questione. Ma egli mi ha risparmiato il rossore
di confutarlo, disappro- vando egli stesso i libri ove parla cosi (ciò sono
questi due della Invenzione retorica ), e raccomandandoci nell'Oratore e
nella Topica che allontaniamo la disputa dalle particola riti delle
persone c dei tempi ». E nei cap. 6: « M. Tullio non ebbe difficoltà di
condannare egli stesso alcuni suoi libri già pubblicati, come il suo
Catulo, il suo Lucullo, e questi stes- si libri Retorici... con
iscriverne altri dappoi. Infatti sarebbe superfluo affaticarsi tanto ne-
gli sludii, se non fosse permesso d'inventar cose migliori delle inventate
prima ». Ma ciò che dà a divedere più lucidamente la vera qualità di
questa operetta è ciò che aggiunge lo stesso autore nel citato cap. fi. «
Non ine ignoto che da Cicerone nel primo libro della sua Itetorica
s’interpreta in altra maniera il punto negoziale, trovandovisi scritto cosi :
La spe- cie negoziale ò quella che concerne le questioni di diritto che
si decidono secondo l'usan- za civile e l'equità : al qual impiego presso
di noi, come si stima, presiedono i giurecon- sulti. Ma qual giudicio
abbia fatto egli stesso di questo libro l’ho detto di sopra. Perciocché
sono come una specie di Commcnlurii, in cui registrato avea tutto ciò che in
sua giovinez- za venitegli appreso nelle scuole ; e però se vi ha qualche
errore, hassi ad imputare al mae- stro ; o il movesse a così scrivere il
vedere che Erntagora a questo proposito citò in primo luogo osempii
tratti dalle questioni di diritto ; o il vedere che i Greci chiamano
grammatici gl'interpreti della legge. Ma nondimeno Cicerone a questi
sostituì i bellissimi libri dell'O- ratore ; e però non può essere
accusato di avere dati falsi precetti ». Nelle edizioni questa operetta
è comunemente intitolata De Arie Rhetoriea, eccello alcu- na che ha
queste sole parole, De Invenzione, tenute anche dalla edizione di Venezia.
Nò mancò da chi fosse appellala Ars velus. 11 titolo da noi qui apposto è
il più vero, perchò ò indubitato che qui son porli precetti retorici, ma
che in ispeciattà son tocchi quelli che ri- sguardano la Invenzione, cioè
dire il trovar il vero aspetto sotto cui vuoisi riguardare ogni causa,
perchè non si pigli errore nel dare o negar importanza ai punti che ne sono o
non ne sono i precipui ; il trovare gli argomenti opportuni dalle fonti
che li somministrano ; l’c- scogilare i varii arliflzii che si vogliono
porre in opera perchè resti più energicamente con- validata la ragione
dell’oratore, o sia tratto il torlo islesso ad avere apparenza di ragiono,
c di verità : il trarre dalle circostanze del fallo che si agita la forza
necessaria per dipingerne con adatti colori o l'atrocità, se si accusa, o
le mitigazioni clic lo rendano giustificabile, se mai se ne piglia la
difesa; infine ('amplificare i motivi clic possano trarre gli ascoltanti c
i giudici a severa sentenza o a indulgente compassione. Conviene però
osservare che in que- sti due libri non c fatto mai molto nè della
collocazione delle parti costituenti l’intiera arin- ga, nè dell'ordine
che debbono tenere le unc rispetto nllu altre, nè della pronunzia, nè di
altre cose che bisognano a una trattazione completa : il che lascia supporre
che questi due libri non sieno propriamente il quanto scrisse Tullio
sulla Invenzione retorica, ma solo una parte di trattazione più estesa.
Queste osservazioni stesse indussero i dotti a sospettare che i libri di
quest'opera potessero esser quattro, se si considcran dalle materie trattate
quelle altre che reslerieno da trattare. Fra gli altri difende questo
asserto il Yossio (de Nat. lthel. cap. 13). Nè punto è da dire che sia
questa una congettura avventata, poiché Tullio stesso le somministra in
favore un argomento di gran forza. Egli infatti chiude il libro 11 con
que- ste parole: Quare, quoniam et una pars ad exilnm hunc ab superiore
libro perducla est, et liic liber non panini conlinel litterarum, qua e
restarli in reliquie dicemus. E siccome nelle altre opere appartenenti
alla oratoria Tullio non traila exprofesso della In- venzione, cosi ciò
ch'egli accenna restar da dire sopra la stessa materia, si dee
necessaria- mente credere che esistesse in altri libri susseguenti a
questi, ma che il tempo ha lasciali perire. Per antico quasi tutti
i dotti clic trattarono di queste opere attribuirono costantemente a
Tullio i libri dal loro autore dedicati ad Erennio, i quali trattano la stessa
materia. (Hu oggi per ragioni solidissime si disdice questo possesso a
Tullio. Gli antichi furono senza dubbio traili in errore dal vedere una
grande uniformità nei precetti e negli esempii citali i
Google PREFAZIONE 7
dall'uno e dall'altro autore, c ncITnccordarsi elio fanno presso che in
ogni cosa, ila non fu osservato che si Comincio come Cicerone si tennero
strettamente ad Erinagom, e che la comunanza dcU’anlico maestro fece dir
all uno ciò che disse anche l’altro. Sarebbe assurdo attribuire a Tullio
un’altra opera dello stesso genere, in cui non avesse fatto atiro clic
ri- petere quello che avea già dello prima. Se poi si riguarda
quest' opera dal lato della utilità ch’essa può prestare all’oratoria dei
nostri tempi, convien confessare che quanto essa può recarci buon servigio
nell’insieme e nella generaldà delle regole, altrettanto ò poco acconcia
a certi casi clic pigliano la loro qualità dai costumi c dalle leggi dei
nostri secoli 11 Crisliane-imo, che con la sua spiritua- lità, ignota
agli antichi, si è l’alto guida invariabile a lutti i sentimenti deU'uomo, ha
lascia- to trapelare le sue ispirazioni in tutte le leggi, ha impresso
nei rapporti sociali principii inconcussi di sapienza o di verità, lui
spiegalo agli uomini il segreto dei loro destini, c lo scopo verace della
lor vita, la quale i gentili credevano gcitala dal caso nel mondo delle
esistenze perchè passasse come quegli allori leatrici che si lascian vedere al
pubblico tra- versare la scena per non più comparire, o perchè risorgesse
a una immortalità fantastica, suggerita dalla non dubbia convenienza ili
un'ultra vita. Ha impresso il suo marchio divi- no nella religione,
ncll’oiiorc, nella pietà, in tulle insomma le virtù clic erano sanzionate
dalla convenzione e dalla esperienza dei secoli. Di che è venuto un cssenzial
mutamento in quel giure comune clic istituisce le relazioni più
necessarie fra nazione c nazione, come in quei giure privato che lega fra
loro i rapporti che passano tra individuo c individuo. È dunque
incompatibile con le idee dei tempi nostri lo ascrivere Tullio (lib li, cap.
22) la vendetta, come ascrive la religione c la pietà, fra i diritti
naturali, mentre la giurispruden- za presente come per amore del Crisi
ancsimo trova meglio dominante nella pietà c nella religione il diritto
divino, che imprime alle azioni una ben diversa gravità da quella clic
imprimeva loro questo diritto medesimo consideralo per naturale, attesoché
rispetto alla religione c alla pietà avevano i gentili idee assai
ristrette; troia essa giurisprudenza anche dominante il diritto fraterno
che riprova la vendetta come contraria a quei precetto della natura, che
comanda il fare o il non fare ciò che a noi stessi vorremmo fatto o non
fatto, perchè t’individuo non è un essere solitario o spiccato dalla
società, ma un fratello, un membro, una parte della grande famiglia umana.
Nò questo è da dire di ciò solo, ma di quanto altro ha ricevuto dal
Cristianesimo una impronta diversa da quella che gli aveva stampata
l'antichità. È perciò quest' opera uno di que’ monumenti antichi, a cui
s’inchina- no per riverenza le età clic gli passano innanzi, e da cui
ricopiano le singole parti come bellezze confacenti ancora al loro gusto,
ma il cui insieme non risponderebbe appunto al genio e al costume che le
domina. Inoltre l'antico diritto civile mollo diverso dal presen- te,
perchè diversa la costituzione politica degli Stati: la forma del governo
libero troppo lontana dal governo assoluto dei nostri secoli ; le
formalità dei tribunali c ilei giudici clic hanno ricevuto dal tempo
essenziali mutazioni, son cose che non rendono in lutto acconcia alle
nostre cause questa Ciceroniana trattazione, quantunque, siccome è dello di qui
a die- tro, non lasci di presentar un certo utile nelle parli del suo
insieme e nella generatila dei precedi che vi si trovano abbondantemente
radunali. Anche qucslo, come gli altri testi Lalini, andò soggetto a
varietà nella lezione : il clic non dee far maraviglia mentre al tempo di
Tullio stesso e viverne lui avvenivano nc' suoi scribi, non altrimenti
clic in quelli degli altri, delle non piccole mutaz oni: di che si lagna
Tul- lio nel terzo delle lettere in una diretta a Quinto suo fratello,
che è di quel libro la 5." Pietro Vittori esaminò attentamente i
codici Fiorentini , c riuscì a dar questa operetta più emendata che non
lo fu da due secoli addietro: talché il Grevio parlando ili lui , nella
Prof. alle Epistole di Tullio, ilice che Cicerone dee più al solo Vittori clic
a tulli gli altri clic si occuparono di emendarlo, poiché gli al ri gli
guarirono qualche piaga . ma il Vittori lo ridonò a buona salute. Paolo
Manuzio aiutato da codici , ili Venezia specialmente, fece anch’ egli
qualche prò a questa opcrctla dopo il Vittori, ma non con plauso eguale,
perchè non fu fedele come quello. Ed eziandio che dica il Muralo esser
dubbio se sia più debilorc il Manuzio a Cicerone, o se Cicerone al Manuzio,
tuliavin non mancano parecchie fra gli altri Enrico Stefano, Psc udne. p
59, che lo accusano ili au- dacia troppo pericolosa l'iù audace è
nondimeno Dionisio bambino, il quale stampò Cice- rone trentanni dopo il
Vittori, aiutato dai copiosissimi lesti delle biblioteche Parigine: ma
ebbe spesso la pecca di preferire il proprio giudici» alla autorità e al
consenso di quei te- sti rinomatissimi. Laonde dice di lui il Muralo,
Var. Lcz. xvm, 7, clcrgli non correggeva già gli errori de' librai, ma
correggeva Cicerone stesso, quando gli sembrava che avesse Classici Vol.
V. 121 8 piu'.kazium:
({ualclie uscurilù. Tuttavia aveva il Lambino somma acutezza (l'ingegno,
talché scopriva o subodorava ciò che era sfuggilo agli altri; ina il suo
stesso acume lo portava talvolta ad es- sere audace. Finalmente Ciano
Crutcro avule alle mani quante copie di opere Ciceroniane si trovavano
nelle biblioteche Belgiche, e poi oltre a dugcnlo manoscritti della
Palatina, sudando fra lami codici fino all'eccesso, pubblicò le onere
Ciceroniane in modo, come at- testa egli slcsso nella Prefazione, da
contar più di mille luoghi illustrali, corretti, accre- sciuti. li vero
clic questa asserzione perde mollo in bocca del Crutcro, ma non si può
ne- gare che ne sia insigne il suo inerito. Corre il dello fra i critici,
che mollo maggior bene saria venuto a Cicerone se il Lambino avesse avuto
alle mani alquanti dei codici clic ebbe il Crulcro, poiché il Lambino sarebbe
stato più divolo alle membrane antiche, c Crutcro lo sarebbe stato
queU'uii po’ meno clic gli bisognava, tn quanto alla presente versione io
non mi sono che di raro valuto delle varianti, avendo fallo uso di una edizione
di Lipsia, pubblicala nel 1831 con piena c curala esattezza.
ToMM SIIVI. Digitized by Googl
DELLA INVENZIONE RETTO RIO A LIBRO
PRIMO. ARGOMENTO Discorre Tullio dello
utilità dello eloquenza, del suo principio, progresso, abuso, aladio, e dell'
orlo die h.; j suoi pre- cetti proprii. Quale sio l’unicio della
eloquenza, il fine, la materia, le porli. Della Invenzione che n è la
parte più precipua, c quale debba essere In ogni cosliluzionc di causa si
congetturale, si definitiva, si generale. Dell’esordio,
narrazione, partizione, confermazione, confutazione, e delle varie specie di
tulle queste partì dell’ ora- zione, delle parti secondarie,
dell’efficacia c dei diletti loro. I. Seppe et mulliim liocinccum
cogitavi, bolline i,n inali plus altulcril hominibus el drilalilius
co- pia dicendi ac sumimim cloquenliac sludium. Nani quum et
noslrac rei piiblicuc delrimcnla conside- ro, et nuiiimarum civituium
velercs animo cala- milales colligo, non minimam video per discrlls-
simos liomines invecbtm parlcm incommodorunt ; quum autem res ab nostra
memoria propler vclu- slalem rcmolas ex lillerarum monumenlis
repete- rc insilino, rnullas urbes consliluias, plurima bella
rcslincla, (irmissimas socictales, sanclissimas ami- cilias inlelligo
quum animi ralioiic tum facilius e- loqucntia comparalas. Ac me quidem
diu cogitan- Icm su pioti tinnì sinc cloquentia parimi prodessp
civilatibus,eloquenliam vero ainesapienlia nimium obesse pleriimque,
prodesso numquam. Quare si quis, omissis rcctissimis atquc lioncstissimis
slu- diis raiionis et ollicii, consumi! omnem operato in
eicrcilalionc dicendi, is inulilis sibi, pcrnicinsns palrioc civis alilur
; qui vero ila sete armatelo- quenlia ut non oppugnare conimnda palriae,
sed prò bis propugnare possil, is milii tir et suis et publicis
raliouibus utiussimus atquc amicissi- mus civis Ture vidclur.Ntc si
volumus huius rei, quac vocalur cloquentia, site arlis, sivc
sludii, sire cicrcilalionis cuiusdam, sivc facultatis ab na- tura
profcclac considerare principitim,repcricmus I. Spesso edi
vantaggio andai meco esaminando se un saper fare molle parole, c uno
studio assai grande dell - eloquenza recasse più di bene ovvero di
male agli uoiu ni ed alle città. Quando io con- sidero la nostra repubblica
venula in peggio, e ri- chiamo al "disierò le ani che miserie di
cillà co- spicue, io vi troru già inlrndotla non piccola parlo di
pregiudizio c di danno appunto da uomini della più alla capacitò di
ragionare. Che se per conira io piglio a esaminare i monumenti lellerarii
della amichila, e vi riandò i falli lontani dalla nostra memoria,
io ci ravtiso non solo per disposizione di animo, ma mollo più col mezzo
della eloquenza fondale molle cillà, cslintc assai guerre, slrelle
società saldissime, c amicizie le più sacre c invio- lale. E già mentre
io buona pezza me no sio sopra pensiero, mi (rovo condono dalla ragione
stessa a giudicare clic la sapienza scompagnala da cloquen- le
linguaggio poco profilta alle cillà, laddove il linguaggio eloquente
scompagnalo dalla sapienza può nuocer loro le più volle, giovare non mai.
Il perebì quando bene alcuno, lascialo slarc lo stu- dio sommamente
buono e onoralo della dirittura c del dovere, consumasse lulla l'opera
sua in eser- citarsi a perorare, coslui diverr. hbc un cittadino
siccome inutile a sè slesso, cosi offendetele c fu- nesto alla patria;
mentre olii si orma della cloqucn- Digitized by Google
IO niiLL' OHAiOIlt: ili ex
honcstissiniis causi: naliim, alque optimi: ralionibus profcclum.
II. Nani tuli quoddain tempii:, quiim in agris lioinincs
passim bcslmrum more vagabsntur, el sibi victu toro vilamprnpagabanl.ncc
ralionc animi quidquam, seti pleraque viribus corporis adirimi-
slrabanl ; nominili divinac rcligionis, non Immani oflicii raiio
colebatnr, nomo nuptias viileral leghi- mas; nouccrlosquisquom inspcieral
libcros;non, ius acquabilc quid utililatis haberct, accepcrat. Ila
proplcr errorem alque inscientiam cacca oc teme- raria dorninalris animi
cupidità» ad se czplcndam viribus corporis abulcbatur, perniciosissimis s
ite! - litibus. Quo tempore quidam, magnus vidclicel vir et
sapiens, cognovit quae matcries et quanta ad maximas res opportunità: in
animi: incsset ho- mimmi, si quis cani posse! elicere et
praecipiendo mcliorem redderc; qui dispersos hominos in agris ■ t
in tectis silveslribus abdilos ralione quadarn compulit unum in locum et
congregavi!, el cos in imam qnamque rem inducens ulilem alque
lionc- slam, primo propler insolcntiom reclamantcs.dein- sa
eloquenza ridondano a uno stato di molli be- ni, purché la si accompagni
con la sapienza che modera ogni rosa; da essa deriva a quelli clic
lo possedono c lode, c onore, c dignità; da essa gli amici altresì
di chi n'ha Tatto acquisto guadagna- no giovamento il più certo c il più
sicuro. E tut- toché per più versi gli uomini sieno mollo degra-
dali per debolezza c viltà, pure più che per altro per la dote ch’essi
hanno della parola vanno at di sopra delle bestie. Ondechè mi pare aver
fatto un acquisto assai ragguardevole edui clic per la stes- sa
cosa onde sopra le bestie si vantaggia, per quel- la si vantaggia sopra
gli stessi uomini. Ora, se ciò non pure si Ta col mezzo della natura e
dell'eser- citazione, ma eziandio si ottiene con un colale ar-
tifizio. non i fuor di proposito che ci mettiamo a sapere clic uc dicano
quelli, i quali di artifizio sif- Taito ci hanno lasciati dei precetti.
Però innanzi clic tocchiamo i precetti dell'oratoria, s'ha a dire
della essenza di qucsl’arle, dcll’uflb.io, del fine, della materia, delle
parti. Conosciute queste co- se, potrà ognuno più agevolmente c con più
spe- ditezza porsi a considerare il magistero e l’anda- mento
dell’arte stessa. V. V'ha una scienza civile che si compone di
elementi molti e di mollo rilievo, lino ben gran- de c vasto è
l’eloquenza artificiale, che si noma retorica. Io non mi consento insieme
con coloro clic stimano la scienza civile non aver uopo di elo-
quenza, ma sono altresì assai lungi dal pensare come quegli altri che
fanno essa scienza consiste- re tutta nella potenza e nell' artifizio del
retore, lo fo ragione essere la facobà oratoria di tal ge- nere, da
doverla dire una parte della scienza c - vile, n politica. Quanto è all’ufllcio
di essa facol- » Digitized by Google
LIBRO I. 13 liane, lnter olìlcium
el linoni hoc inlercsl, quoti in oOlcio, quid Iteri, in line, quid
ofllcio convc- nial, considcralur. Ut medici offlcium dicinius esse
curare ad sanandum apposite, lìnem sanare cura- lione ; ilein oratori:
quid ofltcium et quid linem esse dicamus, ìnlclligcmus, quum id, quod
Tacere debet, ofltcium esse dicemus ; illud cuius causa Tacere
debel, lìnem apoellabimus. ilaleriam arlis cam dicitnus, in qua omnis ars
et ea Tacultas, quac conflcitur ex arte, vcrsalur. Ut si medicinac
malc- riam dicamus morbos ac vulnera, quod in bis om- nis medicina
versclur; item, quibus in rebus ver- satur arse! Tacultas oratoria,
casres materiam ar- lis rhetoricacnominamus. Has aulem res alii
piu- res, alii pauciores eiistimarunt.Nam Gorgia: Leon- lious,
anliquissimus Tcrc rhetor, omnibus de re- bus oratorem oplime posse
dicerc existimavit. llic inlìnitam ctimmensam huip artificio materiam
su- biicerc tidelur. Arislolcles autem, qui Imic arti plurima
adiumenta alque ornamenta subininislra- vil, tribù: in generibus rcrum
versari rhetoris of- fteium putavil, demonstratito, deliberativo,
iudi. ciati. Itcmouslrativum est, quod Iribuilur in ali* cuius
ceilae personae laudem aut vituperalioncm; deliberalivum, quod posilum in
disceplatione ci- tili habet in se senlenliac diciionem ;
iudiciale, quod posilum in iudicio habet in se acctisalionem cl
dcTensionem, aut pclilionem et recusalionem. El quemadmodum nostra
t|uidem Tori opini», ora- tori» ars et Tacultas in hac materia tripartita
ver- sori existimamla est. VI. , Vani Ilcrmagoras
quidcui nccquid dica! at- tendere, noe quid polliceatur inlctligere
videlur, qui oratori: materiam in causani eliti quacstioncni
dividal. Causam esse dicil rem, quac balieat in se eon! roveri iam
indicendo posilamcum personarnm ccrlarum inlerpositione; quatti nos
quoque oratori dicimus esse altribiitam. Matn tresci parles, quas
ante diximiis, supponimus, iudicialcm, delibera- tivam, demonstrativam.
Quacstioncni autem cani appellai, quae habeal in se controversiam in
di- cendo posilam sinc cerlarum personarum inlerpo- sitione , ad
butte modum : Ecquid sit bonum praeter honestalem. Verme sinl scnsus?
Quac sit mundi Torma ? Quac sit solis magnitudo ? Quas qtiacslione5
pronti ali oratori: olticio remota: Ta- cile timnos inlelligerc
eiisliiuamus. Mani quibus in rebus stimma ingcnia philosoplioruni
plurimo cum labore consumpla intelligimus, cas sicul alì- lè,
queslo a mio avviso consiste nel discorrere in guisa adalla a persuadere,
come it (ine consiste nel persuadere col mezzo del discorrere.
Dall’uT flcio al fine v'ì queslo divario, clic nell' ufficio si
considera ciò che sia da Tirsi, e nel line ciò che all'ufficio convenga
Tare. A quel tnodu che noi d - damo esser ufficio del medico Tar cura di
modo approprialo a risanare, c il fine essere il risanare col mezzo
della cura; allo stesso modo intendere- mo che sia l'ufficio c clic il
line dell'oratore, quan- do si dirà 1* ufficio dell' oratore essere il
Tare ciò che dee, c il line essere ciò per che dee Tare, materia
dell' arte io appello quella , intorno a clic l'arte tutta s’aggira, come
ancora la facoltà che dall'arte si deriva. Diciamo maleria della
me- dicina le malattie e le Tcrilc, però che la medicina si volge
tutta intorno a queste: ebbene, allo slessn modo diciamo materia dell'
arte retorica quelle lutte cose, intorno a cui si volge l'arte c la
faco’- tà oratoria. Or queslo cose chi le Ta molte, c citi le
riduce a podio. Gorgia l.contino, clic dei relori Tu uno de'più antichi,
pensava che l’oratore può ragionar oli imamente di ogni cosa; ond'egli
asse- gna a questo artifizio una materia smisurala e sen- za
termine. Per contra, secondo Aristotele, il qua- le a qucst'arlc
somministri di molti ornamenti ed approvecci, l'ufficio del retore si
avvolge intorno a tre maniere di trattazione, alla dimostrativa,
alla deliberativa, alla giudiciale. La dimostrativa si adopera al
lodare ^biasimarsi di una determinala persona; la deliberativa risiede
nella deputazione civile, e consiste nell’ esporre i deliberanti il
loto parere; la giudiciale sia nel Tare il giudicio, c comprende
l’accusa e la difesa, o la petizione e la replica incontro. Or l'arte e
la facoltà dell’orato- re, secondo che io penso, si aggira intorno a
que- sta maleria cosi tripartita. VI. Ermagora dà due parli alla
materia dell'o- ratore, ciò è dire la causa c la quislionc; ma ei
mostra di non avvisar bene quello ch’ci dice, nò intendere ciò che
propone Ei dice causa una trat- tala clic ammette contrasto di parole
coll' inter- vento di determinale persoue; la qual trattola ho
dello io slcsso esser dovuta all' oratore, pcrchft gli reputo le tre
specie toccate qui addiclro, la giudiciale, la deliberativa, la
dimostrativa. Egli poi nomina questione quella die ammette il con-
trovertere di parole, ma senza intervento di deter- minale persone, come
sarebbe il cercare, Che al- tro v'ha di buono oltre l'onestà. Se sieito veraci
i sensi, Quale sia la Torma del mondo, Quale la grandezza del sole. Le
quali quislioni credo che ognuno agevolmente intenda essere di lunga
ma- no estranee all’ufficio dell' oratore. Attribuire in- Talli
ali'oralore come cosa di poco momenlo una Digitized by Google
ti DELL' ORATORE quas
parvas res oratori otlribuere magna amcntia ridelur. Quotisi magnam in
his Hermagoras ha- buissel facullolem studio
cldisciplinacomparatam, vidcrclur frclus sua scicntia falsimi quiddam
con- stiluissc de oratoria otDcio, et non quid ars, sed quid ipsc
possel, czposuisse. Nunc vero ca vis est in lioininc, ut ci multo
rheloricam cilius quia ade- meril, quam philosopliiam concesscril: ncque
co, quod cius ars, quam cdidil, mihi mendosissimo scripla lidealur
; nam salis in ea videtur ex anti- quis arlibus ingcniose et diligcnter
eleclas res col- locasse, et nonniliil ipse quoque novi protulisse
; vcrum oratori minimum est de arte loqui, quod lue fedi ; multo
maximum ex arte dicerc, quod eum minime potuisse omnes videmus.
MI. Quare materia quidem nobis rlictoricae vi- detur ca,
quam Aristoteli visam esse diximus; par- tes outem lise, quas pleriquc
dixerunl, inventio, dispositio, eloculio, memoria, pronuncialio.
In- vcnlio est excogitalio rerum verarum aul veri si- milium, quae
causam probabilem reddant; dispo- sino est rerum inventarum in ordinem
disltibulio; eloculio csl idoncorum verbotum ad sentenliarum
invenlionem accommodatio ; memoria est firma animi rerum ac verborum ad
invenlionem peree. ptio; pronuncialio csl ex rerum et verborum di-
gnilalc vocis et corporis moderatio. Nune his re- bus breviler
eonstitulis, eas raliones, quibus es- tendere possimus geiius et ofllcium
et llncm buius arlis, aliud in tempus difTcremus. Nam et multo- rum verborum
indigeni, et non tanlopcre ad arlis descriptionem et praecepla Iradcuda
pertinenl. Eum outem, qui arimi rliclorieam scriba!, de dua- bus
nliquis rebus, de materia arlis ac parlibus scribere oporlcreexislimamus.
Ac ndlii quidem vi- detur coniunctc agendum de materia ae parlibus.
Quare inventio, quae princeps est omnium par- tium, potissimum in omni
eau-arum genere, qua- lis debeat esse, considcretur.
VII). Umnis res, quae liabct in se positam in dictionc ac
disceplalionc aliquam controvcrsiam, aut facli, aul nomiuis. ani generis,
aut actionis comincili quacslionem. Eam igitur quaeslionem, ex qua causa nascitur,
constitulionem oppcllamus. materia, a cui trattare
logorarono l'ingegno con assai di fatica i filosofi, codesto è ben una
folle forscnnalezta. Che se Ermagora avesse pure con lo studio c le
apprese dottrine acquistata una gran- de perizia di tali cose, ci
mostrerebbe d'aver mes- sa in piedi sull' appoggio della scienza sua
pro- pria una falsità circa all'ulllcio dell'oratore, e fat- to
vedere non ciò die l’arte, ma ben ciò eh’ egli stesso sapesse fare. Egli
è poi da natura si condi- zionato, clic molto più tosto altri gli
negherebbe sufficienza in fallo di retorica, clic non gli conce-
derebbe sufficienza in fallo di filosofia. Nò questo io dico perclii
Ermagora nel trattar che fece l'ar- te retorica sparnicciassc qui e qua
di sbardellati errori, quando anzi vi Ita posto cose qua e là Ira-
scelte con abbastanza d'ingegno c diligenza da- gli antichi trattali di
retorica, c parie v'aggiunse egli stesso un po' di nuovo: ma parlare
dell' arte, come fece Ermagora, per un oratore i cosa da nulla; il
malagevole è ragionare secondo le leggi dcll'arlc; ciò che ognun vede non
aver Ermagora saputo fare. VII. Il perchè io sono d'avviso la
materia della retorica esser quella che, come io dissi, fu indi-
cala da Aristotele; c le parli di essa, secondo che molti hanno scritto,
l'invenzione, la disposizione, la locuzione, la memoria, la
pronunciazione In- venzione è trovar col pensiero le cose vere o
ve- risimili che rendati la causa probabile; disposi- zione è
distribuire ordinatamente le cose trovale; locuzione è adattar le parole,
rhc sono acconce, al Irovamenlo dc'concelti; memoria è percezione
fermata nella mrnle delle cose c delle parole che servono alla invenzione;
pronunciazione è regge- re la voce c la persona secondo che s’avviene
alti digitila delle cose e dello parole. Dcfinile cosi alla breve
queste parli della rclorica, rimandiamo ad altro tempo le ragioni con che
si possa dimnslra- re l’essenza, ruttici» c il fine di essa, poiché
do- mandano esse parli assai di parole, c d'altronde non hanno uno
stretto rapporto col metter in trat- talo quest’arte e somministrarne
prccclli. Chiun- que volesse compilare una Irallaziotie compiuta
dell' arte retorica, dovrebbe scrivere, io penso, della materia dell’arte
divisamente dalle parli di essa: io però c della materia e delle parti
non debbo trattare clic a un tempo stesso. E poiché di tulle qucsle
parli la invenzione è la più prin- cipale, si vuol considerare quale in
ogni genere di cause ella si debba essere. Vili. Ogni affare clic
Involge qualche contro- versia in genere esornativo o giudichile,
conlienc qucslionc o di fallo, o di nome, o circa il genere del
fatto, o circa le persone a cui compelc agire. La questione, da cui nasce
la causa, io l'appello Digitized by Google
utino i. Conslilulio c>l prima confliclio catisarum
ex dc- pulsione intcnlionis profocla, hoc modo : Fecisli. Non feci,
aul: Iure feci. Quum farli conlrovcrsia est, quoniam coniccluris causa
(ìrmalur, cnnsliiu- lio roniccluralis appcllalur. Quum aulem
nomini*, quia iis vocahuli dclinienda verbis esl, conslilulio
definitiva nominalur. Quum vero, quali» rcs sii, quacriiur, quia cl de vi
et de genere ncgnlii con- Iroversia est , conslilulio generali» tocalur.
Al quum causa ex co pendei, quod non aul is agere vidclur, quelli
oporlct. cui non cum co, quicum nporlct, aul non apud quo», quo tempore,
qua lege, quo crimine, qua poemi operici, Iranslaliva dicilur
conslilulio, quod aclio trauslalionis el com- mulaiionis indigere
vidclur. Alque haruin aliquam in omne causar gcnus incidere necesse esl.
Ram in quam rein non inridrril, in ea niliil esse polcril
controversine; quarc cam ne cansarn quid“in con- venti pulari. Ac facli
qiiidcm controversia in om- nia tempora polesl distribuì. Nam quid factum
sii, polcsl quaeri, hoc modo: Oeciderilnc Aiaccm Uli - ics. El quid
dal, hoc nonio : llononc animo siili erga popolimi ilnmauum Fregollani.
El quid fu- luruin sii, hoc modo : Si Cnrlliugìnem roliqueri- mus
incoiumcin, num quid sii iucnnmiodi ad rem putdicam perveuturum. Nomiuis
est controversia, quum de farlo conventi, et quacriiur, id quod fa-
ctum est quo nomine appcllelur. Quo in genere neccssc est ideo nomini» e.
se con!rover.-iam, quod de re ipsa non convenial ; non quod de facto
non conslcl, seri quod id, quod factum sii, aliud alii videa tur
esse, ri idcirco aliti» alio nomine id ap- pellel. Quare in eiusmodi
gcnerihus definicnda res eril verbi», el brevih r dose ribellila: ut, si
quis sacrum ex privalo surripueril, ulrum fur an sarri- legus s.l
iudieamlus. Ram id quum quacriiur, ne- cesse eril dcOnirc ulriimque, quid
sii fur, quid sacriirgus, el sua dcsmplione cisterniere alio no
mine iilam reni, de qua agilur, appellari oporlere, ulque adversarii
dicunl. IX. Generis esl conlrovcrsia. quum cl, quid
fa- ctum sii, convelli!, cl, quo id factum nomine ap pellari
oporteal, constai; et (amen, quanlum cl I cuiusmodi el omiiinn quale sii,
quaentur, hoc modo: Jusluin an iriiusl uni, utile au inutile, et
Classici. Voi. V. r: costituzione. La costituzione è
la prima contesa delle cause, derivante dalla replica die si fa
con- Iru l'accusa, come sarebbe: Hai fallo Non Un fallo, oppure:
ilo fallo a buona ragione. Quando è con- troversia circa un fallo, poiché
la causa si fian- cheggia di eongdiure, la costituzione si domanda
enng' Ituralc. Quando è circa un nome, siccome si dee definire a parole
l'essenza del vocabolo, la co-tiluzionc si appella definitiva. Qualora j'
inve- stiga di clic qualità sia una cosa, giacché si con- troverto
sull' essenza e sul genere di essa, la co- stituzione si appella
generale. Sia quando la cau- so dipende da questo, che o non è odore chi
dee, o non è contro chi lo dee essere, o non presso dì quelli clic
si conviene, non in quel tempo, o se- condo quella legge, o per quel
dcbllo, o per quel- la pena che il dovrebbe essere, la costituzione
diccsi traviatila, poiché la trattala abbisogna di eccezione dedicatoria
e di permuta. Di lati que- stioni è inevitabile clic una o un'allra vi
abbia in ogni genere di causa, perocché l'altare che non ne
involgesse alcuna , non può ammollerò con- troversia ; non può quindi
aver natura di causa. I.a conlrovcrsia di Tallo puossi riferire a tulli
i tempi. Si può inqtiircrc su ciò che fu fallo, di qiuslo modo: Se
Ulisse uccise o no Aiace. E su ciò clic si fa, a questa maniera: Se quei
di Fre- gellc sieoo o no ben volli verso i Romani. E su ciò clic è
fulcro, come se si chiedesse: Se noi Ir- secreto in buon essere
Cartagine, ne verri egli al- cun detrimento alla repubblica? È
conlrovcrsia di nome, quando essendo ludi d'accordo sul fallo, si
cerca di clic nome il fallo s'abbia a domandare. Nel qual caso non può
non esserci conlrovcrsia di nome, però clic le persone non sono in
accor- do sulla materia stessa clic si traila; non perchè non
consti il fallo, ma perché questo fatto a chi Ira paruta d’essere d'uno
qualità, a chi di un'allra; e però da alcuni è appellalo con un nome, da
al- cuni con un nome diverso. Laonde in casi di falla simile si
vuol la cosa definire a parole con alquan- la poca di descrizione,
acciocché se alcuno aves- se, a mo’ d' esempio, privalamcnlc rapilo un
og- getto sacro, si vegga se e’sia da giudicare per la- dro, o per
sacrilego. Quando dunque sia tale il punto della causa, converrà defluire
clic si voglia intender per ladro, e clic per sacrilego, e con una
acconcia sposizionc dar a conoscere come il fallo che si ag la è da
appellar d'un nome diverso da quell", onde dagli avversari! i
appellalo. IX. b conlrovcrsia circa al genere,' quando le parli
sono belisi d'accordo sul fallo, e sul nome con che il fallo si convien
designare, ma lulljii.i si cerea di clic gravezza esso sia, di clic
specie, di clic qualità, a questa guisa: Se il fallo è giu. lo o
122 Digitized by Google 10
1*1X1/ ORATORE umilia, in quibus, quale sii i'I, quud
factum esl, quaerilur sine ulla nominis controversia Iluic ge- neri
Hermagoras parlcs qualuor supposuil, deli- beralivam, dcmonslraliram,
luridicialcm, negolia- lem. Quod eius, ut nos putamus, non mediocre
pcccalum reprehendendum vidclur, vcrum lirevi, ne aul, si laci-i
pradericrimus, sino causa non se culi ctim pulemur ; aul, si diulius in
hoc consti- lerimus, moram alque impi-dimentum reliquia praeceplis
intulissc videamur. Si deliberano el demoiistralio genera sunl causarunv,
non possimi recle parles alicuius generis causac polari. Eadem cium res alii
gcnus esse, alii pars polesl ; cidem gcnus esse et pars non polesl.
Dclilieralio aulem ci demonstralio genera sunl causarono. Nani aul
nnllum causae gcnus esl , ani iudiciale solino, aul cl iudiciale cl demouslralivuin
et doliborali- vum. .Nu I Inni diccrc causae esse gcnus, quum cau-
sas esse mullas ilical, el in ca9 praecepla del, a- menlia esl; unum
iudiciale aotem solmn esse qui polesl, quum deliberali» et demonslraliu
ncque ipsae similes inler se sinl, et ali iudiciali genere plurimum
dissidi-ani, cl suum quaeqiie linem lia- beanl, quo referri debeanl? Rclinquilur ergo, ili omnia iria genero
sin! causarum. Deliberano imi- tar el demonstralio non possimi recle
parlcs ali- cuius generis causae pulari. Male igilur cas gene-
rai'* conslilulioilis parles esse divii. X. Quodsi generis
causae parles non possimi recle pulaii, multo minus recle partls causae
par- ics putabunlur. Pars oulcui causac est conslilutio omnis. Non
enim causa ad constilutimiem , sed constilullo ad causam arcommodalur.
Sed demon- slralio el dclihcralio generis causac parles non possimi
recle pulari, quod ipsa sunl genera; mullo igilur minus rccte parlis
eius, quod liic dici!, pnr- les putabunlur. Dciiidc si conslilutio cl
ipsa cl pars eius quaclibel inlcntionis depulsio est, quae inleu-
lionis depulsio non esl, ea ncc conslilulio ncc pars conslilulioilis esl.
Al si, quae inlentionis depulsio non esl, ea ncc conslilulio nec pars
constilutionis esl, demonstralio cl deliberali!) neqnc conslilulio
nec pars conslilulionis est. Si igilur conslilulio el ipsa cl pars eius
inlcntionis depulsio esl, delibe- rali» cl demonslratio ncque conslilutio
neque pars conslilulionis est. Placet autem ipsi consti lutionem
inlcntionis esse depulsioiicm; placcai igilur opor- tei dcmonslralioncm
cl deliberalionein non esse ingiusto, se proficuo u inutile,
c ogni altro simile, in cui si inquerisce di clic qualità sia il fallo
sen- za veruna controversia circa al nome. Alla contro- versia
circa al genere Ermagnra attribuiva quattro parli, la delibcraliva, la
ditnoslraliva, la giurldi- ciolc, la negoziale. Non credo di dover
cessarmi dal riprendere questo di lui non mezzano errore, perchè se
io me ne passassi in silenzio non si cre- desse clic io mi scostassi da
questo autore senza motivo; avvegnaché il farò cosi di passo c alia
brc;ualc ii sostegno della dife- sa: le quali tulle cose debbono partire
dalla costi- tuzione. La questione è quella conlroversia clic nasce
dal conllillo delle rausc, come a dire: Non facesti a buona equità. Ilo
fallo a buona equità. Il conflitto delle cause è quello in cui consiste
la cos iluzione. I)a questa dunque nasce quella co- lai
controversia clic io appello queslione, come se si diccsso:llacg!i fallo
o no a buona equità? Ragio- ne è quella clic cornicile il motivo: lollo
esso, non resta nella causa punto di conlroversia, come se si
dicesse, per servirmi di un esempio facile e a (ulti conosciuto: Poslu
che sia accusalo Oreste di aver moria la madre, se egli non si esprimesse
co- sl:L’lio moria a tulio «tirino, perdio ella mi ho uc- ciso il
padre; ci non avrebbe difesa, c lolla la dife- si, è lolla eziandio ogni
conlroversia. Laonde la ragione ovvero motivo ili quesla causa sla in
ciò che la donna aveva ucciso Agammenone. La giu- dicazione è la
conlroversia che nasce dall’ infer- mar che fa l'accusatore, c dall'
avvalorar che fa l’accusalo la ragione, ossia il motivo. Insidiamo
nella ragione qui sopra esposta. .Mia madre, dica Orcslc, mi ha ucciso il
padre. Ma non era dicevo I le, risponde l'accusaiore, clic lo uccidessi
la ma i die, lu clic le eri figlio, poiché poteva quel fallo
Digitized by Google DEL)/ ORATORE
2 XIV. Ei tuie ileducliiinc ralifìnis illa somma
mi scilur controversia, qoam juilicatioiicm appella mus. Ea esl
huiusmodi: Reclutimi: fueril ab Ore- ale tnalrcm occidi, quum illa
Orcslis patron occi- dissi l. Fiimamcntum est (irmissinta
argumcntalio defensoris, el appoailissima ad itidicalioncni: ul si
volil Orestes dircre cjusmodi aiiimum malris suao fuisse io palrcni suum,
in se ipsuni ac sororca, in regnimi, in famain generis el rainiliac, ul
ab ea poenas liberi sui polissimuin pelare debucruil. Et in ceb ria
quidenieonsliltilioiiilius ad lume modum judicalioncs reperieulur ; in
conjeelurali auleti) conslilulione, quia ralin non esl ((aduni cnim
nnn conccdilur), non polesl ci dcduclionc ralinnis na- sci
judicali». Quare neccssc esl camdem esse quacslioncni el judiealionem:
Facilini esl. Non est factum . Faelunine sii ? Quol anioni in causa
con- sliluliones ani earum parles eruul, lolidein neccs- sc erti
qnacslioncs, raiiones, judicalioncs, firma- uiciila reperir! Ilis omnibus
in causa reperlis, luni denique singulau parles lolius causae
consideran- dac sunl. Nani non ul quidquc eli endum prillili ni,
ita primuni anim i hcrlenduin lulelur; ideo quod illa, quac prima
dicaulur, si u liemenlcr velis ron- grtiere el cdiacrcrc cum causa, ex
bis ducas oper- ici, quac post direnila sunl. Quare quum judica-
lio, et ea, quac ad judiealionem oportel argentea- l i iineiiiri,
diligcnlcr eruul arlificio repcrla, cura cl cogitalioue pi-rtraclala, Inm
denique ordinali- dac sunl cctcrac parles oralionis. Eac parles sei
ose umilino nobis videnlur: exordium, narralio, parlilio, conili
malio.repreliensio, conci u-io. Nuiic qtioniam exordium princeps omnium
esse debel, I uos quoque primum in ralionem cxordicndi prae- ccpla
dabinius. XV. Evnrdiuni esl orali» animum audiloris
ido nec eomparans od reliquam diclioriem: quo I eve- ilici, si cum
benctuluni, altcnlum, duodeni con- (eeeril. Quare qui bene exordiri
caosam volel, rum necesse esl genus suao causae diligenler au- le
cognoscere. Genera cau.-arum qiiinquc sunl : lioneslnm, admirabilc,
Immite, anccps, obscurum. Henesliim causae genus esl, cui slatini sino
ora- l ione nostra audiloris farei animus; admirabilc, a quo esl
ahvualns animus cerimi, qui autliluri sunl; | esser puuilo
sema elle lu li gallassi in unascelle- ragginc. XIV. Dal torre
all'accusato questa ragione o di- fesa nc tien la controversia sul gran
punto da de- cidere, che io appello giudicationfi. Essa sla in
questi termini: Se fu giusto che Oreste uccidesse la madre perchè ella ad
Oreste ateva ucciso il pa- dre. Il sostegno della difesa è la più furie
argo- mentatone del di felli ire, c la più propria a de- terminare
i giudici; e sarebbe se Oreste de cise, tale essere stalo il inai talento
di sua madre si con- ilo il padre, sì contro lui slesso, e le sorelle, c
il regno, e la ripiilaxione della stirpe o della fami- glia, che i
suoi llgli stessi avrian dovuto chiedere ch'ella fosse ponila. Cosi in
tulle le altre costitu- zioni si Irorcranno allo slesso modo i punii da
giu- dicare: perù nella cosliluiione congetturale, sic- come non
v'ha ragione (perchè il fallo non si con- cede), cosi essendo sottraila
la ragione, non può uscirne il punto da decidere. Il perchè è mestieri
! ■ he sia la stessa e la queslione e la cosa da deci- dere, come
in questo caso: Fu follo. Non fu fallo. Quel che s'ha a vedere è, se
veramenle fu fallo o no. Oliatile poi saranno nella causa le
costituzio- ni u le parli loro, allrellaulc dovranno essere le
questioni, i punii di difesa, i capi da decidere, i sostegni, di clic te
parli litigami s'avvalorano. Tro- valo tulio questo, allora Cmatmcnle si debbono
ciiusidcrarc le singole parli di luna la causa; pe- rocché non è già clic
s'abbia prima a ben avverti- re quello che ha da dirsi prima dì tutto,
perchè le cose clic si dicono in prima, se vorrai che si
coufaeciano bene e si leghino con la causa, le dei derivare da quelle che
si vogliono dir poscia, bionde quando bene col mezzo dell'arte si sarà
c- sattamenle rinvenuto, c poi pensalo e ripensalo con diligenza
qua'e sia il punto decisivo che dee essere giudicalo, e insieme gli
argomenti che sono il caso, allora dovranuosi disporre per ordine
le albe parli dcll'oraziooe. Queste parli io penso es- sere al
postullo sei: esordio, narrazione, divisione, confermazione,
confutazione, conclusione. E poi- ché l'esordio dee essere la prima fra
le parli dei- l'orazione, anch'io darò per primi i preeellì che
all'esordio si riferiscono. XV. L’esordio è un discorso che dispone
conve- nevolmente l'animo dcll’ud ture a tulio il rcslo
dell'orazione: Il clic addiverrà -e si faccia di ren- derlo bcnvoglienle,
allento, e disposto a lasciarsi istruire. Oudcchè chi vorrà ben iniziare
la causa è incinero ch'egli conosca a fondo che specie di causa c'
prende a Irallarc Le cause sono di cin- que specie: oncsla, disonorevole,
abielta, ambi- gua, o-cura. Causa onesta è quella, a cui gli udi-
i tori si mostrano ben volli pur innanzi che noi co-
Digitized by Google unno i.
il liumilc, quoti negligilur ab auditore, et non
ma- g impero altcndcndum videlur; nnceps, in quo aut judicalio
dubia est, aut causa et honcslalisel tur- pitudini particcps, ut et
benevolenti pariat et of- fensionem: obscurum, In qun aut tardi
auditorcs sunt, aut ditBcilioribus ad cognoscendum negotiis causa
implicala est. Quarc quoniam lam diversa sunt genera causarum, eiordiri
quoque dispari Ta- llone in uno quoque genere necc3sc est. Igitur
eiordium in duas pnrtcs dividitur, ili principinm et insinualionem.
Principinm est omiìo perspicue et proiiuus contJciens audilorem
benevolum, aut docilem, aut allentum. Insinualo est oraio qua- .lam
dissiniulatione et circuilione obscurc subicns audiloris animino. In
admirab li genere eausac, si non oinnino infesti audilores crunl,
principio tic- nevoleiilium comparare licebiUSinerunl vetiemen- ter
abalienali, confugerc uecesse crii ad itisinua- tionem. barn ab iralis si
perspicue pai et benevo- lenti petilur, imn modo ea unii invenilur, seri
au- getur alque infialimi, ilur odium. In Immiti autem genere
causae contcmplionis tollemic cau-a nc- cesse eril allentum cfllcere
audilorem. Anceps ge- nus causae si dubiam judicalionem babebil, ab
ipsajudicalioiiecxordicndum est. Sin antem partem turpitudiuis, parlcm
boneslalis babebit, beneio- lenliam captare nport. bil, ut in gcnus
li'.nesiitm causa transita lidealur. Omini autem crii lume- slum
causae genus, vel prueleriri principinm po- leril, rei, si comniodum
lucrit, aul a uarralione incipicmus, aut a lego, aut ab aliqua
(imissima rationc nostrae diclionis; sin uti principio placebil,
benevolcnliae partibus ulcmlum est, ut id, quod est, angcalur.
XV). io obscuro causae genere per principimi! doi-ites
audilores clllccre oportcbil. Nunc, quo- niam quas res esordio conficerc
nporteat dietimi est, reliquum est, ut oslendalur, quibusquaeque
raliombus res confici possit. Benevolenti quatuor i l locis comparatur:
ab nostra ab adversariorum, ab iudicuin persona, ab ipsa causa. Ab
nostra, si de noslris factis et nfllciis sinc arroganti dice-
iiius; si criniina illai et aliquas minus honcslas suspiciones inieclas
ililuemus; si, quac incornino* da acciderint, aul quae instcnt
dilliculiatcs, pro- fcreuius; si prece et obsecralionc humili ac
sup- plici utemur. Ab advcrsariorum autem, si cos aut
mincimo di parlare; disonorevole diccsi quella che è contro
l'opinione di coloro clic sono per a- scollare; abietta si dice perchè è
sprezzata dall'u- ditore, siccome quella clic ha un oggetto da non
farne conto gran fatto; ambigua 6 quella, in cui o è dubbio il punto da
giudicare, o v'è mescolato l'onesto e il turpe, da cccilarc a un tempo c
bcnc- voglienza c sdegno: oscura dicesi quella, cui gli uditori
hanno le fatiche a ben comprendere, o clic è intralciata di soggetti
molto difficili a esser co. mischili. Per esser dunque cosi diverso le
specie delle cause, vuole essere ciascuna in diversa ma- niera
cominciala a parlare. I.' esordio perciò ha due parlile, ii principio c
l'Insinuazione. Per prin • cipio s’ intende quel discorso che all’aperta
e Gn dalle prime renile l’uditore ben volto, o attento, o disposto
a lasciarsi istruire. Insinuazione è quel parlare clic mostrando altro,
con certe svolte di parete impercettibilmente si intromette
iiclt'animo dell' uditore. Nella causa straordinaria se gli udi-
tori non saranno al postutto di animo avverso, si potrà fare nel
principio di renderli benvoglienli. Ctie se fossero contrarli troppo
forte, converrà aver ricorso all’insinuazione. Perocché se vuoisi
rap- paciar all'aperta c render benevolo chi è sdegna- to, non pure
non se oc verrà a capo, ma si aumen- terà e si rinfocolerà vie più lo
sdegno. Nella cau- sa abietta, a voler rilevarla dallo sprezzo, si
con- viene rendere attento l'uditore. L'ambigua Ita es- sa dubbio
il punto da giudicare ? si vorrà da que- sta punto far esordire
l'orazione. Clic se sarà mi- sta di turpezza e di onestà, donassi
accattar la he • nevoglietiza parlando di tal maniera clic paia
esse- re la causa diventata in ispecic solamente onesta. Quando poi
sarà davvero di specie onesta la cau- sa, si potrà cessarsi dall'esordio,
ovvero, se verrà in concio, dorassi principio dalla narrazione, o
da discorso sopra la legge, o da qualcuna delle più sode difese
della nostra orazione. Clic se abbonas- se all'oratore porci l'esordio,
il farà ad acquisto di benevolenza, acciocché quella che gli è già
avu- ta si possa vie piò accrescere. XVI. Nella causa oscura
converrà con l'esordio rendergli uditori inscgncvuli. Ora, giacché s'è
del- lo a quali effetti l’esordio dee over la mira, rosta che si
dimostri per quali vie ciascuno di questi ef- fetti si possa raggiungere.
La benvogl enza si pro- caccia per quatlro mezzi, per mezzo di noi,
per mezzo degli avversarti, dei giudici, della causa stessa. Per
mezzo di noi, se parleremo de' i.oslii fatti c mansioni senza
millanteria; se ci purghere- mo da colpe che ci sicno imputale, o da
altre me- no oneste sospieioni; se porremo innanzi le mo- lestie
che ne accalcarono, o ic malagevolezze ila cui siamo premuti; se
condiremo i preghi e le sup- Digitized by Google
Zi liEl.1.’ OIUTORF. ili
odium, aul in invidiam, aul in conlcmplionem adducemus. In odium
duccntur, si quod forum spurcf , superbo, crudcliler, maliliosc faclum
pro- ferclur; in invidiati), si vis eorum, polcnlia, divi- tiac,
rognatio, pocuniac profercnlur, alqtic eorum usus arrogans cl
inlulerabilis, ul bis rebus niagis vidcanturquam rausae suae confidcre;
in contcm- plioneni addueeulur, si eorum inerba, negligen- do,
ignavia, desidinsum sludium et huuriosum otium prufcrclur. Ab audilorum
persona benevo- lentia caplabilur, si res ab bis forlilcr,
sapienlcr, mansuete gestae proferenlur, ut ne qua adsenla- lio
nimia signiflcclur, ri si de bis, quain bonesla ciistimatio quantaque
coruin indici! et auctorila- lis esspeclalio sit, oslcndelur; ab ipsis
rebus, si nosiram cau-am laudando cvlollcmus, advcrsarlo- rum
rausam per conlemptionem deprimeinus. Al- tenlus aulem Taciemus, si
demonstrabimus ca, quae dicturi crimuv , magna nova , incredibitia
esse , aul ad omnes , aut ad eos, qui audienl, aul ad aliquos illuslrcs
homincs , aul ad deos immorlales, aul ad summam rem publicam prr-
linerc ; et si poUiccbimur nos brevi noslram cau- sam dcmonslraluros ,
alque eiponemus iudica- lionem, aut iudicalioncs, si plures ciunt.
Doiilcs audilorcs faciemus; si aperte et breviler summam causac
eiponeinus, hoc est, in quo consistili con Iroversia. Nani et quum
docilem velis lacere, si- mili altcntum facias nportet. Piam is est mavirne
dncilis, qui allcntissime est paratus audirc. XVII. filine
insinualiones qnemadmodnm ba- ciari conveuiant, deinceps dicendum
vidclur. In- siuualione igitur ulendum est, quum admirabile gcnus causae
esl, hoc est, ut anle diximus, quum animus auditoris infcslus est. Id
aulem tribus ex causis fll maxime; si aut inest in ipsa causa quac-
dam turpitudo; aut si ab iis, qui ante dixerunt, iam quiddam auditori
persuasum vidclur; aul co Icmpurc Incus dicendi datur, quum iam illi, quos
audire oporlet, defessi sunl ambendo. Nani ex liac quoque re non minus,
quam ex primis duabus, in oralore nonnumquam animus audiloiis
oflenditur. Si causac lurpiludo conlrahel oflensìnnem, aul
pliche di riverenza ed iimillà. Per mezzo degli av- versari, se li faremo venire in odio altrui, o
in ina- Icvoglicnza, o in disprezzo. Verranno in odio, se si
spiattellerà qualche lor trailo di turpezza, di su- perbia, di crudeltà,
di malizia: in malevoglienza, se si darà a conoscere cli’ei son forli,
polenti, do- viziosi, addanaiali, pieni di parentele, ma clic usa-
no questi mezzi per modi arrogami c incomporta- bili, da far apparire eh'
essi troppo più che nella propria causa hanno confidanza o si tengono
furti di questi lor mezzi. Verranno in disprezzo, se si farà nota
la inerzia loro, la negghieoza, la oziosag- gine, l'amore alla
infingardia, lo scioperarsi a la- scivire. Si accatterà bcnvuglirnza
dagli uditori, se si pronunzieranno falli di forza, di saviezza, di
mansuetudine da essi operati, cosi perù clic non vi Iraluca troppo di
piaggenleria; se si mostrerà quanto essi splendano per onorala
estimazione, e quanto si debba fare assegnamento sul loro giudi ciò
ed autorità; In fino si cattiverà henvoglienza per mezzo della causa
stessa, se noi lodandola porre- mo in sul grande la parie nostra, e
faremo n -l tem- po stesso di screditare a forza di spregio la
parie degli avversarli. Ridurremo allento l'uditorio, se renderemo
dimostro che sono di grande rilievo, clic son nuove c maggiori della
credenza le cose clic siamo per esporre, ovvero se faremo conosce-
re clic esse riguardano o tulli quanti, o quelli clic ne ascollano, o
alcuni uomini insigni, o gli dei immortali, ovveramenle i negizii più
impor- tanti della repubblica ; e se prometteremo clic sia- mo per
dimostrare di rorlo la giustizia della nn- sira causa, e porremo in
veduta il punto da dover giudicare, o i punii, so saranno più. Faremo
in- scgncroli gli uditori se sporremo chiaro c in brevi parole il
sunto della causa , voglio dire in clic consista la controversia.
Pcrocrhè quando lu voglia far 1' uditore inscgnevole , è mestiere
clic insieme lu lo Taccia atteso , poiché quegli ò il più disposto a
lasciarsi istruire , che è an- che disposto ad ascollare con la massima
atten- zione. XVII. Ora si vuol dire per Io seguilo come si
convengano ballare In insinuaz : oni. Dcesi usare insinuazione quando la
causa è di specie straordi- naria, clic vien a dire, come toccai innanzi,
quan- do 1'udilore i di animo avverso. Questo uso si fa
spccialmcnlc per Ire ragioni; o perchè nella sles- sa causa s' involge
alcun che di lurpe; o perché pare clic da quelli, i quali hanno ballalo
prima, F uditore siasi lascialo qualche cosa persuadere; o perchè ì
data copia di parlare a un'ora, in cui quelli che ascollar debbono hanno
già tanto ascol- talo ch’ei ne sono lassi e ristucchi. E diretto
anche da questa cosa ultima, non meno clic dalle due
Digitized by Google LIBRO I. prò
eo liomine, in quo olTemlilur, alluni liomincm, qui diiigilur, interponi
oporlcl; aut prò re. in qua offenditur, aliato rem, quac probàlur ; aut
prò re liomincm, aut prò liomine rem, ut ab eo, quod odit, ad id,
quod diligil, auditori» animus tradu- cami", et dissimulare id te
defensurum, quod evi- stimeris defensurus. Di-inde, quum iam mitior
fa- ctus erit auditor, ingredi pcdelenlim in defensio- nem, et
diecre ca, quac indignenlur adversarii, libi quoque indigna videri:
deinde, quum lenieris eum, qui audiet, demonslrarc, nilul coroni ad
te pertinere, et negare le quidquam de adversariis esse diclurum,
ncque boc, ncque illud: ut ncque aperte laedas cos, qui diliguniur, et
lanicn id ob- scurc faciens, quosd possis, alicnes ab eis nudi-
torum toluntalem ; et aliquorunt iudicium simili de re aut auctorilalem
proferre imilalione dignam; deinde camdem, aut consmiilem, aut
maiorent, aut minorem agi rem in praescmia demonslrarc. Sin oratio
adversariorum fidi-m videbitur ondi- toribus fecissc (idque ei, qui
intelligel, quibus re- bus fides fiat, Tacile erit cognito), uporb-l aul
de eo, quod adversarii sibi firmissimum putariut, et maxime n, qui
audicnl, probarinl, primiiui te di- clurum polliceri; aul ab adversarii
dirlo esordir!, et ab co polissimum, quod illc tiiipcrriine
divori!; aul dubilationc uli, quid primum dicas, aul cui polissimum
loco rospo mica- , eum ndmiralionc. Nani auditor quum eum, quem
adversarii pcrlur- batum pula! oralionc, videi animo firnii-simo coti
- tra diccrc parai urn , pleruinquc se polius temere adsensissc,
quum illuni sine causa confiderò arivi- tratur. Sin audiloris sludiuni
dcTaligalio abalii-na- vil a causa, le brevius quam paralus fueris,
esse diclurum commodum est polliceri; non iniilatu- rum
arlvcrsarium. Sin rcs daini, non inutile est ab aliqua re nova aul
ridicula incipcrc ; aul ev tempore quac nata sii, qund getius, strepitìi,
tic- clamalionc ; aul iam parala, quac sci apnlogum, vel Tabulant,
vel aliquam conlincal irrisionem; aul si rei dìgnilas adimct iocandi
Tarullatem, aliquid triste, novurn, liorribile statini non
incoinmodum. est iniicerc. Nam, ut cibi saliclas et Taslidium aul
subamura aliqua re relcvalur, aul dulci miligalur, sic auiinus defessus
audicudo aut admiralionc in- tegralur aut risu novatur.
Glassici. Voi. V. prime, rascollonte lai fiala piglia
motivo di esser mal tolto verso l'oratore. Se il turpe che v'ha
nella causa è motivo di malevogl inula nell'uditore, allora si
conviene per la persona elicsi odia iniromeltere un'altra persona che sia
amata; o per la cosa, di cui l'uditore si otTcnde, un'altra cosa clic sia
degna di approvazione; o per la cosa una persona, o per la persona
una cosa, acciocché l'animo dell'udilore sia richiamato da ciò elio odia
a ciò che. ama; « conviene ancora clic tu l'infinga di non tolcr
difen- dere ciò clic si crede già clic tu difenderai. Dipoi, quando
l'uditore sarà cosi addolcilo, vorrai cnlra- rc a passo a passo alla
difesa, e dire clic le cose, le quali muovono a sdegno gli avversarli
paiono a le pure da doversi avere a schivo: poi, insieme che avrai
mitigalo l'udilorr, verrai dimostrando che di colali cose niente si
aspetta alla tua orazio- ne, c atTermei'ai che intorno agli avversarli
non sci per dir nulla, nè questo, nè quello; affinché non mostri di
offendere apodamente coloro che so» benvoluti, c nondimeno facendo questo
in maniera palliala, fino a che il possa, allunghi da loro il buon
volere degli uditori; c cilcrai, qual esemplo degno di servire per
regola, il g udirlo c la testimonianza di taluni sopra affare di
fatta consimile: dipoi mostrerai che al presente si trat- ta un
alTar eguale, o simigliarne, o di piò, c di meno rilievo. Che se il
discorso degli avversarli panà avci fatto clic gli uditori gli
aggiustassero fede ( c facilmente si conoscerà, chi sa con che meni
ella si aggiusti), ti conviene promettere che per prima cosa tu parlerai
intorno a ciò che gli avversarli hanno credulo il loro sostegno piò
prin- cipale, e che gli uditori hanno soprattutto appro- valo; o
pigliar l’esordio da quanto fu dello dal- l'avversario, c massime da ciò
ch’egli ha dello da sezzo; o mostrare di esser in penderne circa a
quello da che dei cominciare, o al punto a cui particolarmente dei
rispondere, incUcnda altrui alquanto di stupore. Poiché l'ascoltante
quando vede esser disposto a replicare ardimentosamente quello
stesso ch'ci crede sconcertalo dal discorso dell'avversario, fa ragione
le piò volte di aver egli aggiustato fede con poca considerazione, anzi
che quegli si confidi senza motivo. Clic se l' uditore per
islaneliez/a non si inoslra più interessato nella causa, fi) al fatto che
In prometta di essere per ■spacciarti più di breve che non eri disposto a
fa- re, e di non volere imitar le lungherie dell'avver- sario. Non
sarà anche inutile, se oflrirassono l'oc- cos.one, far principio da
qualche cosa nuova o ri- devole; owero da qualcuna naia
d'improvviso, come sarebbe qualche strepilo, qualche allo gri-
dore; o da alcuna già preparala, che rnnicnca vi un apologo, o una
favolosità, o alcun rive ili bui- 123 Digitized by
Google 2t DELLA INVENZIONE RETTOMCA
XVIllr Ac scparalim quidcm, quac «te principio r-l Jc
insinuatioiic dicenda vidclianlur, lisce fere soni. Nane quiddam brevi
cominunitcrdc utroque praciipieiidum tidolur. Erordium
scnlcnliariim cl gravitali* plnrimum delie) liabcrc, cl umilino
omnia, quac pcrlincnt ad dignitalcm, in se conti- nere, proplcrca quod id
iqilìmc racicndum c-l, quod oratorcin auili lori minime commendai:
splcn- doris cl fcslivilalis cl concinni ttnlinis minimum,
proplcrca quod ex bis susp ciò quacdani lippa- ralionis alquc
arliliciosac diligcnliae nascilur ; quac maxime nrationi (Idem, oralori
odimi) au- clorilalcm. V'ilia vero baco sunl ccrlissima cxor-
iliurum, quac summopcrc vitari oporlebil : rul- lare, communc,
commulabilc, longum, separa- timi, Iranslatum, conira pracccpla. Volgare
cs!> quod in plurcs catisas potcst accominodari , ul convenire
videalur. Commune, quod nibilo minus in hauc, quam io conlrariam parimi
causar, po- Icsl convenire. Commulabilc, quod ab adversariu polcsl
leviler mutalum ex conlraria parie dici. Longuni, quod pluribus verbis
aul seutcnlHs ullra quam satis est producilur. Scparalum, quod non
ex ipsa causa duclum est, noe sicul aliquod mcin- brum adnexum oralioni.
Translalum est, quod a- liud confici), quam causau gcnus postulai ; ul
si qui docilcrn facial audilorem quum benevolcntiam causa desidero,
aul si principio ulalur, quum in- sinualioiicm rcs postulo. C.onlra
pracccpla est, quod nihil corum efiicit, quorum causa de cxor- diis
pracccpla Iradunlur; hoc usi, quod eum, qui audii, ncque bcncvolum, ncque
alteiilum, ncque docilem cfiicil, aul, quo ndiil profeclo peius
est, ul conira sii, facil. Ac de esordio qnidem salis di- cium
est. XIX Narralio csl gcslarum rcrum, aul ul gc-
slarum csposiliu. Narraliouum genera Iria sunl. Unum gcnus csl, in quo
ipsa causa et omnis ralio conlrovcrsiac conliiiclur; allcrum, in quo
digrcs- ' 1 aliqna extra cau-am aul criminalionis, aul si-
Icvolc; oppure, se la gravili dcH'afiarc non lascc- rà tempo allo
scherzo, si può far principio con l’introdurre alla prima qualche cosa di
serio, di nuovo, o che metta orrore. Poiché come la nausea del cibo
e la sazietà si rileva con qualcho amaro- gnolo, o si alleggerisce con un
po'di dolce, così l’animo slanco di ascoltare o si rinforza con la
ma- raviglia, o col riso si rimane in essere. XVIII. Queste a un
di presso son le cose clic mi parve dover dire del principio e della
insinua- zione spnrtatamcnlc. Ora si vuole cosi olla breve dir
qualche nonnulla di ambedue insieme. L’e- sordio dee tener mollo del
scntimcnloso e del gra- ve, e comprendere in sé tulio quanto si
appar- tiene alla dignità, poiché si dee raffazzonare il me- glio
possibile, siccome quello che più di ogni al- tra cosa raccomandal'
oratore all’ udilorio. Non dee avere però clic appena un menomo di
splen- dore, di piacevolezza e di acconcialura, perchè di qua si
viene a dar sospetto di apparecchio e di una diligenza consigliala dall’
arto; le quali snn cose clic troppo lolgono il buon concedo all'
ora- zione, e il credilo all’oratore. I difetti die incon- trano il
piò snvcnlc negli esordii, e che si vorran- no con somma cura schifare,
seno questi : esser volgare, che può servire a prò e contro,
mutabile, lungo, improprio della ca usa, fuori di proposito,
contrario alle regole. È volgare quello che può accomodarsi ad ogni
specie di causa, si che le paia star bene. Può servire a prò e contro
quello clic conviene alla parte In favore non meno che alla parte
contraria. È imitabile quello che con alquanta poca di varietà può anzi
che da noi esser recitato dal nostro avversario. È lungo, quando si
disfi ode in assai parole e concedi più che non è mestieri. É improprio della
causa, quando non é trailo da essa, e non come un membro unito al
resto della orazione. E fuori di proposito, se con- chiudc altro da
quello che domanda la specie del- la causa; come sarebbe se tendesse a
render in- segncvole l'uditore, mentre la causa il ionia ben- voglienlc
anzi che no, o se adoperasse il principio quando l'affare esigerebbe anzi
la insinuazione. É contrario alle regole quando non raggiunge
nessuno di quei Din, per cui si danno precetti cir- ca all’ esordio; come
a dire, quando non rende ben volto l'uditore, né allento, né bisognevole,
o, ciò che al postutto è troppo peggio, quando lo rende affililo
mal volto ed avverso. Quanto è all’e- sordio, abbastanza detto è.
XIX. La narrazione è un esposto di cose avve- nute, o come se avvenute.
La narrazione é di tre specie. La prima è quella, in cui é compresa
la causa stessa e lutto il cardine della controversia: la seconda é
quando si frammette una qualcho Dìgitized by Google
UDRÒ I. tiiìliludinis, aul «Iclcclalionis non
alienar ab co negolio, quo '' e agitar, aut amplificatioiiis causa
interponimi-. Tcrlium genus est remoliim a civili- bus causis, quoti
tlcleclationis causa non inutili cum ezetcilalinnc dicilur et scribìlur.
Eius parles suoi duac, quaruin altera in ncgotiis, altera in per-
sona ma lime versatur. Ea quac, in nrgntiorum cipositionc posila est, trcs habel parles,
fabulam, liistoriain, argumentum. Fabula est, in qua ncc vera e uec
veri similes res continentur, cuiusmo- di est : « Angues ingcnlcs
alitcs, iuncti iugo... a llistoria est gesta res, ab actatis nustrac
memoria remota; quod genus: Appius indisi! Cartliaginien- sibtis
bellum. Argumentum est lieta res, quac ta- men fieri poluit lluiusnmdi
apud Terentium ; Hoc in genere narralionis multa debet
incsse fé- slivitas, conicela cs rorum varietale, animorum
dissimilitudinc, gravitale, lenitale, spc, mclu, su- spicione, desiderio,
dissirnulationc, errore, mise- ricordia, forlunac eommutalione, insperato
incom- modo, subita laetilia. iucundu esitu rerum. Venmi bacc ex
iis, quac postea de clocutionc praecipicn- tur, ornamenta sumcntur. Nunc
de narralionc ca, quae causae cominci csposilioncm , diccndum
videtur. XX- Oporlcl igilur eam trcs habere res: ut
bre- vis, ut aperta, ut probabili» sit. Brevis crii, ss unde
Decesse est, inde inilium sumetur, et non ab ultimo repetetur, et si,
cuius rei satis crii summam dixisso, eius parles non diccntur, (nani
saepe satis est, quid factum sii, diccrc, non ut cuarrcs, que madniodum
sii faclutu); et si non lougius, qtiam quod scilo opus est, in narrando
proecdetur; et si tiullain in rem aliam lransibitur ; et si ila
dicc- tur, ut nonnumqtiam ex co, quod dicium sii, id, quod nuli sit
dicium, inleltigalur; et si nuli modo id, quod obesi, veruni ctiain id,
quod lice ubi si uec adunai, praeteiibilur; et si Semel unum quid
ili digressione che s'allunghi dalla causa, o di que-
rela, o di similitudine, o di diletto, elio non sia straniero all'afTare
di che si tratta, o che si faccia a (Ine di amplificazione. La terza specie è estranea alle cause
civili, la quale con cs crc zio non inutile si scrive e si recita per
amore di dar piacere. Ila due parli la narrazione, di cui la prima versa
spe- cialmente sui fatti, l'altra piuttosto sulle persone. Quella
clic consiste licita sposizione dei falli, ha (reparti, la favola, la
storia, l' argomento. Fa- vola è quella clic conlicnc cose nò vere, nè
veri ■ simili, come sarebbe : La narrazione clic versa
intorno a personaggi è fatta di modo clic insieme con i falli si possali
co- noscere le parole o l'animo dei personaggi stessi. Tale i la
seguente ; ( Ei viene spesso a me, mille tragedie Facendomi nel
capo : o Milione, Grida, che fai ? a clic ci perdi il figlio ? A
clic gli amori, e il vino ? a clic di queslo Gli dai le spese ? tu di
troppe gale Gli lasci far, e troppo esci dei termini. Troppo egli
è austero, oltre l’onesto c il retto • In questa specie di narrazione
bisogna molta pia- cevolezza, la quale si vuol trarre dalla varietà
del- le cose, dalla dissomiglianza degli animi, dalla gravitò delle
persone, dalla loro mansuetudine, dada speranza, dal Umore, dal sospetto,
dal desi- derio, dalla dissimulazione, dall'errore, dalla mi-
sericordia, dalla cambiatila di fortuna, dalla di- sgrazia improvvisa,
dalla subita allegrezza, dalla lieta riuscita delle cose. Però questi
ornali della narrazione si piglieranno dietro i precetti clic ila-
no dati quando della locuzione verrà da parlare. Ora s'ha a dire di
quella specie di narrazione clic comprende la sposizione della causa.
XX. E necessario di’ essa sia breve, clic aper- ta, che probabile.
Sarà breve, se piglicrasscnc il principio da ciò clic preme, c non si
comincerù da qualche punto che sia lontano di troppo, e se bastando
clic si esponga la somma dell' alTare, si lascerà di divisarne le parli
individuale (perocché spesso è sufficiente che si dica ciò clic fu
fatto, senza clic si racconti come fu fatto); c se nel fare la
racconlazinnc si schiverà di andar più là di quel clic fa d'uopo perchè
si sappia ciò clic imporla sa- pere; c se si eviteranno i passaggi io
altre cose diverso; e se si |>arlcrà in guisa che qualche volta
da quel clic fu detto s'intenda ciò clic fu taciuto; e
Digitized by Google iti DLL!. A
INVENZIONE RE1TORICA que dicelur; cl si non ab co, in quo
proiimc desi- min crii, deinccps ineipiclur. Ac mulo: imilalio
brcvilatis decipil, ul, quuin se breves pulentc-sc, longissiml siisi;
quuin detti operarli, ul rcs mullas brevi dicaul, non ut omnino paucas
rcs dicant, et non plures, qnnm necessc sii. Nani plerisquc bre-
viler videtur il cere, qui ila ilicil : Accessi ad ae- dcs. Pucru.'U
evocavi, liespondil. Quacsivi domi- nuin. Domi negavi! esse. Ilio
torneisi lot res bre- vius non poluil diccrc, lamen, quia salis fui!
di- xissc : Domi negai it esse, IU rerum mulliludine longus.
Oliare, Ime quoque in genere vitanda est brevilatis imilalio, et non
niinus rcrum non neccs- sariarum , quam «erborimi mullltudiue
superse- denduin esl. Aperta autern narrati» poteri! esse, si, ut
quidquc primum gcslum crii, ita printum opoueliir, et rerum ac temporum
ordo sorvabimr, ut ila uarrcnlur, ut gcslac rcs erunl, sul ut po-
tuissc gerì vid' buniur. lire crii considerandum, nc quid perturbale, ne
quid contorte dicalur, ne quam in aliam rem Iransealur, ne ab ultimo
repe- lalur, ne ad cvlrenium prodealur, ne quid, quod ad rem
pertinenti, praelereatur ; et omnia», quae praccepta de brevilate sunt,
hoc quoque in gene- re sunl conservando. Nani saepe res parum est
in- tellccta longitudine magis, quam obscurilate nar- ralionis Ac
verbis quoque drluridis uicndum esl; quo de genere diccndum est in
praeccplis clocu liullii. XXI, Probabilis erit
narrilio, si in ea videbuu- lur inesse ea, quae seleni apparerò in
vcritale ; si personarum digiiilalcs servabunlur ; si causae fa-
dorimi cislabunl ; si fuissc faeullales radunili vi- ilebrintur ; si
Irmpus idoncum, si spalli salis, si bicus opporluuos ad camdetn rem, qua
de re nar- rabitur, fuisse oslendclur; si rcs et ad corum, qui
agoni, uaturam, et ad vulgi morena, et ad eorum, qui aiidicnt, opinionem
accuininodabilur. Ac veri quidem similis cvliis ralionibus esse polerit.
Illusi aulem praetcrca considerare oporlcbil, nc, aul quum olisi!
narrati», aut quuin nihil prosatameli intarponatur; aut non luco, aut
non, qiicraaduio- riunì causa postulai, narrctur. Obest lum, quum
ipsius rei gcslae evpositio magnam eveipit olfcn- siouem, quam
argiimciilando et catisam agendo Icniri oporlcbil. Quoti quum ucciderli,
membra- j tini opurlebil parlcs rei gcslac dispergere ili cau- i
sani, clad imam quaiuque coulestim ralionem ac- j cotnuicdarc, ul vulneri
praeslu mcdicamcnluin sii, | se si Iralasccrà non pure ciò
che nuoce, ma ezian- dio ciò clic nè nuoce, uè giova; e se ogni cosa
si dirò solo una fiala; c se si causerà di ricominciar da quello,
da cui si sarà finito. Molti allucinano nel seguire la brevità, sicché
quando hanno fan- tasia di esser brevi, sono per coulra
lunghissimi, perché danno opera a dir molte cose alla breve, nou ai
dirne al postutto poche, e non piò che non bisogna. E infal li credono
molli che saria breve chi parlasse cosi: Fui alla casa. Chiamai il
servo. Rispose. Chiesi del padrone. Mi disse che era ruo- ri.
Costui, eziandio che lame cose non polea dire piò brevemente di cosi,
lunaria, perchè bastava aver dello; Rispose che era fuori, diventa
lungo per le troppe cose. Laonde anche in questa parie si vuol
evitare d’i.-nitar una falsa brevità, c si dee astenersi non meno dalle
cose non necessarie, che dalia moltitudine eziandio delle parole.
Aperta potrà essere la narrazione, se sarà esposto prima ciò clic
prima addivenne, e ai manterrà l'ordine delle cose e dei tempi cosi che
le coso sien narra- le come cltellivamenlc sono addiv enute, o come
pare che lo potessero essere. E qui s'ha a veder bene clic uiciilc sia
dello alla confusa, niente c»n istiracchiatura; clic non si sdruccioli in
co«c estra- nee, clic non si ripigli il dello prima, clic non si
vada innanzi fino allo stremo, qualora sia inol io alla causa; elio non
si trapassi nulla di quanto s’at- licue al fullo:in somma ciò che sopra
alla brevità si è prima insegnalo, anche in questa parie si dee ri-
tenere del lutto. Perocché avviene di frequente che una cosa é poco
inlcsa più per la sua lunghezza che per la oscurità della narrazione.
Anche si vorrà far uso di parole ciliare; ma di questo in'
incontrerà di dire nei precelli clic darò sopra l'elocuzione. XXL
Sarà probabile la narrazione, se si trove- ranno in essa quei seguali che
sogiiuno manife- starsi nella verità; se si conserteranno i
caratteri delle persone; se sussisteranno le cause dei falli; se si
parrà cho l'agente avesse copia di agire; se si mostrerà clic al fallo
che si narra il tempo fu acconcio, lo spazio sufficiente, opportuno il
luo- go; se la cosa sarà relativa alla natura di quelli clic vi
avranno parie, c al reslanle del volgo, e aU'opinionc degli uditori. Per
queste ragioni po- trà il racconto esser anche verisimile. Conterrà
inoltre considerare pur questo, che non s'ha a far narrazione si quando
nuoce, c si quando non gio- va, o clic non s'ha a farla fuori di luogo, o
diver- samente da quel che la causa richiede. Nuoce, al- lorché la
dipintura del fallo é esposta a qualche grate contrarietà, clic
argomentando c trillando la causa sarà necessario di miligarc. Quando
av- verrà il caso che nuoca la narrazione, si dovrà il fallo
distribuire a parie a parie nell' orazione, e Digitized by
Google LIBRO I. 21 et
odium stallar, detonilo miligct. Nihil prodcsl ilari alio lutti, quum aut
ab advcrsariis re cvposita, nostra nihil interest itcrum, aut alio modo
narra- re ; ani quum ab iis, qui audìunt, ita tcnctur ue- goliuni,
ut nostra niliil intersit cos alio paolo do. cere. Quod quum accideril,
ninnino narratione supcrsedcndum est. Non loco dicitur, quum non in
ca parte orationis collocalur, in qua res postu- lai ; quo de genere
agcmus lum, quum de dispo- stone diccmns; iijiii hoc ad disposiliimem
pcrti- net. Non quemadnindiim caus i postulai, narratur, quum aut
id, quod adversario prodesl, dilucidc et ornate cvponilur, aut id, quod
ipsum adiuvat, oli- scure dieilur et ncgligcnter. Quare, ut hoc
litium vitetur, omnia turquenda sunt ad commodum suae causac,
contraria, quae praclcriri poterunt, prac- lercundo, quac illius eruut,
leviter attingendo, sua diligcnler et cnodalc narrando. Ac de
narra- tone quidem salis dicium ìidclur ; dcìnccps ad parliiioncin
Irauseamus. XXll.Rrcle habila in causa parlilio
illustrerò et pcrspicuam totani cllìcil oralioncin. Parlcscius sunt
duae, quarum ulraqoc magno opere ad ape- ricndam caosam, et constitucndam
pertinct con- troversiani. l'na pars est, quae quid cimi ad versa
riis convelli, il, el quid in controversia rclinqualur, oslendil; et qua
certum quiddam deslinalur audi- tori. in quo animimi dclical bobere
oceiipalum. Altera est, in qua reruni carimi, de quilius crimus
dicltiri, brciilcr eiposiiio poniliir dislribula ; ci qua connciiur, ut
ceri -s animo rcs tcncai audi- tor, quibus diclis inleliigal roro
peroratimi. Nunc ulroquc genere parlilionis quemadmodum con- vcnlat
uti, brevitcr dicemlum videtur. Quae par- tilio, quid convenial, ani quid
non convcnial , oslendil, dace debel itimi, quod convenil, incli-
nare ad suae causac commodum, hoc modo : In- lerfeclam malrcin esse a
lilio convenil mihi cum advcrsariis. lem conica : iiiierfeclom esse a
Oly- taenineslra Againemnonem convenil. Nam liic uler- que et id
posuil, quod convcniebat, cl laincn suae causac commodo consuluit. Deinde, quid contro- vertiae sii,
ponendum est in imlicalionis esposi- lione ; quao quemadmodum
invenirelur, ante di- cium est. Quae aulcin parlilio rcrum
dislribula- rum conlinet ciposilioncin , haec Iutiere dolici
brevitaicui, absoliitioiiem , paacilalcni. Itrciilas esl, quum uisi
neccSsarium imi lum adsumilur ver- soggiunger loslu a
ciascuna parie la sua ragione giiislilicaliva, acciocché alla ferita sia
subito in pronto In medicina, e ciò che olleude sia miliga- In
dalla ragione che tosto lo giuslillca. Non giova la narrazione, quando
essendo csposlo il fallo da- gli avversarli, non è di nessun momento il
ripeter noi la slessa cesa, ancora clic in altro modo; o quando
quelli che ascoltano si conoscon dell'alfa, re co.) bene, che importa
nulla che noi lo porgia- mo loro a sapere con olire parole. Allorché
dun- que imballerà questo caso, s> dovrà affittii omet- tere la
narrazione. È essa fuori di luogo quando si colloca in ultra parie della
orazione da quella che il fatto esige; ma di ciò tratteremo quando
si parlerà della disposizione, a cui questo caso si riferisce È
falla la narrazione diversamente da quel che richiede la causa, quando o
si espone con chiarezza c adornalo ciò che prolilla all'av- versario,
o diciamo oscuramente c alla spensiera- ta ciò che dee far prò a noi
slcssi. Il perchè, a vo- ler che questo difello non intervenga, si dee
pie gare ogni cosa al vantaggio della noslra causa, causando delle
cose sfavorevoli le più clic si pos- sa, e facendo di attinger alla
rieisa ciò che fa al- l'avversario, e narrare ciò che fa a noi con
diligen- za e lucidità. Della narrazione mi pare aver dello
abbastanza; ora facciamoci alla partizione. XXII. La partizione, quando
sia ben falla, dà lustro e chiarezza a tutta la diceria. Issa ha
due parli, di cui ciasc 1 1.1 conferisce troppo bene a chiarir la
ragione dell i causa c (issare la conlrovcr- sia. La prima di qiieslc
parli dimostra i punii, in cui si è in concerto con gli avversari, e i
punii che si lasciano alle parli da dover d-ballcre; nel che ci si
licite come ad assegnare all'uditore la parte di che la sua attenzione si
dee frammettere. L'al- tra è quella, io cui cun brevi parole si
spnngonn divisalamentc le cose, di cui siamo per ragio- nare; di
che viene, che l’uditore coirà a cono- scere quelle date cose, ragionale
le quali sa che l'orazione dee esser finita. Ora, come si convenga
far uso di quesle due parlile, verrò dicendo sotto brevità. La partizione
moslru quello in cui le parli accordano, e quello in cui no. L'oralorc
dee però acconciare l'accordo al taniaggio della propria causa;
«ciò egli farà, dicendo: Che la madre sia siala uccisa dal (iglio, io
accordo con gli avversa- ri!. E cosi per conira: Accordo io già che Agamen-
none sia sialo morto ila Clilcnneatra. In questo dire l'uno c l' altro
avversario toccò un pillilo di comune accordo, c nondimeno provvide al
prò della propria causa. Dipoi, quanto v’è di coulro verso dee
collocarsi là dove si spone il punto da giudicare; c del controverso come
venga a rilevar- si, si è già delio di qui addiclro. La seconda
parie, Dìgitized by Google 28
CELLA INVENZIONE KETTOItICA lium. Ilare in hoc
genero ideirco est utilis, quod rebus ipsis cl parlibns causac, non
verbis ncque cilrancis ornamenlis animus auditnris tencndus est.
Absolulio csl, per quain omnia, quac ioeidunl in causam, genera, de
quibus diccudum csl, ara- pleclimur. In qua parli Mone lidendum csl, ne
aut aliquod gcnus utile rclinqualur, aul sero dira parlilioncu),id
quod viliusissiinum aclurpissiinum csl, inferalur. Paucilas in partilione
scrvalur, si genera ipsa rerum pnnunlur, ncque periuiilc cum
parlibus implicaniur. Nam genus csl, quod plurcs partes ampleclitur, ul
animai, l’ars est, quac su- bosl generi, ul cquus. Sed saepe eadem res
alii gcnus, alii pars est. Nam homo animalis pars csl, Thebani aul
Troiani gcnus. XXIII. liaee ideo diligcntius ìnducilur
pracscri- plio, ul aperte in'cllecla generali partilione, pau-
cilas gcucrum in partilione scrvari possil. Nam, qui ila parlilur;
Oslendain propler cupidilalcm cl audaciam et avariliam adveisariorum
omnia io- commodu ad rem publicam pervenisse; is non in- Icllcxil
in parlilione, «posilo genere, parlem se generis admiscuisse. Nam genus est omnium
ni- inirmn l.bidinuin cupidilas ; eius autein generis sine dubio
pars est avaritia. Hoc igitur vilanduin csl, ne, cuius genus posucris,
eius siculi aliquam diversam ac dissimilem parlem ponas in eadem parlilione.
Quod si quod in gcnus plurcs
incident partes, id quuin in prima causac parlilione eri!
simplioilcr expositum , dlslribucliir lemporc co rommodissime, quuin ad
ipsum venlum crii oi- plieandum in causae diclionc post parlilioncm.
Alquc illud quoque pcrlincl ad paucilalem, ne aul plura, qoain salis csl,
demouslraluros nos di- ranius, li io modo : Oslendain adversarios,
quod arguimus, et potuissc faeere, el v*duissc, el fccìs* se; nam
fecisse salis csl osleuderc : ani, quum in causa parlilio nulla sii, et
quum simplex quiddam agalur, tamen ulamur dislribuliouc; id quod
per- raro polesl aceidere. Ac suoi alia quoque praccc- pia
parlilionum, quae ad hunc usum oralorium non laido opere perlincant, quae
vcrsanlur in plii- losophia, ex qmbus liacc ipsa Iranslulimus, qiuc
convenire videbanlur, ipioruin niliil in ceteris ar- libns invciiicbamus
Alquc bis de parlilione prae- ceplis, in omni diclionc meminisse
oporlebil, ul cl prima qiiaequc pars, ul espusila esl in parlino-
ne, sic ordine iran-igatur; cl omnibus esplicali* peroratimi s i hoc modo
, ul ne quid posteriu» cioè dire quella che conlicno la
sposiiione delle cose divisale, dee esser breve, intiera, parca. È.
breve, quando non si pongano parole olire le ne- cessarie. Questa qualità
della partizione è utile per ciò, clic l'addizione deU'uditore bassi a
fer- mare per mezzo delle cose stesse c delle parli del- la rausa,
non per mezzo delle parole nè di ornali estranei. È iutiera quando
abbracciamo tulli i punii che cadono nella causa, e de'quali bassi
a ragionare. In questa dote della partizione deesi aver l'occhio
che o non si ommetta qualche punto vantaggioso, o non si introduca troppo
lardi fuori della partizione, il elio è difello molto vizioso e da vergognarsene.
È parca la partizione, se vi si toc- cano I soli generi delle cose senza
impigliargli e intrigare delle loro specie. È genere quello che
conlicno in sè più specie, come animale. È specie quella che è soggetta
al genere , come cavallo. Ma sovente la stessa cosa da dii è adoperala
per genere, da chi per ispecie. E infatti uomo è spe- cie di
animale, è genero di Tcbano o Troiano. XXIII. Questa regola si vuole
perciò inculcar bene, perchè inlesa clic siasi chiaramente la par-
tizione generale, si potrà serbare in essa la parsi- monia delle parli.
Poiché chi facesse la parlilione cosi: Mostrerò clic, colpa la cupidigia,
l'audacia c l’avarizia degli avversarli, vennero addosso alla re-
pubblica tulli i malanni: costui non si avviserebbe che dopo esposto il
genere ei mescolò nella parti- zione una specie di esso genere. Perocché
la cupi- digia è un geuere che abbraccia tutti i desideri i
sfrenali, c l'avarizia è senza dubbio una specie di qucslo genere. Si dee
dunque guardarsi che quan- do è posto il genero non si ponga nella slessa
par- tizione la sua specie, come se fosse una cosa di- versa, che
non avesse alcuna somiglianza col ge- nere. Clic se nel genere cadranno
molte specie; poi clic si sarà esposto il solo genere nella prima
partizione della causa, si potrà a ludo agio scom- partirlo nelle sue
spcc c allora che si verrà a (rat- tare di esso nel corpo della causa
dopo la parti- zione. Inoltro si spella anello questo alla parsimo-
nia, voglio dire, che non promettiamo di dimo- strare più di quello clic
basta, coinè sarebbe: Mo- strerò che gli avversarii e poterono fare, o
vollero, c fecero quello, di elio io li accuso; poiché il mo-
strare elio fecero è quanto fu: ovvero che qualvolta la causa non patisce
partizione, e si traila un alTur semplice, non dobbiamo divisarlo in
partile; ma queslo caso non può occorrere che assai di rado. Ci
sono altri precetti circa la partizione, uia che non si roiifamio gran
fallo con questo uso orato- rio, porcili spellano alle cose di filosofia,
lo uè ho qui recali quelli che mi parte fossero il raso, e clic
noli (rovai in nessun altro trattalo di retorica. Digitized
by Google LI URO I. praclcr conclusionem
inferatur. l’artilur apud Te- rcnlium brevi ter et commode scnci in
Andria, qua e cognoscere libertum veli! : t Eo paolo
et gnati vilam, et consilium meum Co- gnosces, et quid Tacere in hac re
te velim. a Itaquc quemadmodum in parlionc proposuit, ita narrai,
priimim guati vitam : a Nam is pnslquam exccssil ci cpbcb ; s, Sosia...
a Delude simin ennsilium : Dipoi ciò eli’ egli pensa
: o E di presente a questo io penso . . . • In line ciò ch’ei vuol
fatto da Sosia, il che dice da ultimo perchè l’espose in ultimo nella
partizione: « Or egli è ufficio tuo Come dunque esso vecchio
trattò per prima in parie che pose prima nella partizione, e finito
di ragionarle tutte, fece line, cosi sta bene a noi pi- gliar per
mano secondo ordine i membri della partizione, e solo dopo svoltili
lutti, farsi a con- chiudcrc. Ora è da venire ai precetti circa la
con- fermazione, secondo clic richiede l'ordine finora tenuto.
XXIV. La confermazione è quella, per la qua- le la orazione col
mezzo dcH’argomcnlarc aggiun- ge fede e autorità c fermezza alla nostra
causa. Iti questa parte della orazione v'ha alcune regole
determinalo, le quali saranno sparlile c applicate alle singole specie di
causa, quando se ne Irallcià. Nuli di manco non torna qui inopportuno
mettere innanzi una certa selva, ro'dirc un ammasso sfol- goralo di
tulle le forme ili argomentazione, clic finora non erano altro clic un
miscuglio, clic un disordine, e poscia insegnare come sia da farsi
la confermazione in ogni maniera di causa con tutte quelle formo di
argomentare clic fra queste si sa- ranno pigliale. Ogni asserto si
conferma con le argomentazioni clic si traggono o dalie circostan-
ze clic si riferiscono alle persone, o da quelle che- ai falli. Alle
persone si riferisce il nome, la ualu- ra, il vivere, la condizione, la
dispostezza, l'affc- zi iuic, gli sludii, i disegni o intenzioni, i
falli, gli accidenli, il discorso. Il nome è quella appella- zione
clic si dà ad ogni uomo, pen ile sia chiama- lo con proprio c dclcrminalo
vocabolo- La naluia è cosa forte a definire: più facile è
annoverare quelle patii di essa ilio a porgere questi nostri
prerclli soli di bisogno. Parli siffatte son proprie, alcune della specie
divina, alcune della specie Digitized by Google
DELLA INVENZIONE RETTORICV 31 nius ;
cognatione, quibus malori bus, quibus con- sanguineis: actate, pucr an
adolesccns, nalu gran- dior an sene*. Praelerca commoda et
incommoda considerantur ab natura dala animo aul torpori, hoc modo:
valens an imbccillus; longus an bre- vis; fon ’osus an deformisi telox an
lardus sii; aculus an licbctior ; memor au oblis io^us ; co- mis,
oIRciosus, pudens, paliens, an conlra. Et omnino, qnao a natura danlur
animo et corpori, considerabunlur in natura. Nam quac industria
comparantur, ad habitum perllncnt, de quo poslc- rius est dicendum.
XXV. In vielu considerare oporlel, apud quos, et quo more,
et cuius arbitrali! sit cducalus, quos habuerit arliuni liberalium
magislros, quos livcn- di pracceptores, quibus amicis ulalur, quo in
tic- golio, quacslu, artifìcio sii oecupatus, quo modo rem
familiarem adminislret, qua consuetudine do- mestica sit. In fortuna
quaeritur, scrvus sii an li- ber, pecuniosusan Icnuis, privalus an cum
pole- stalc : si cum poleslaie, iure in iniuria; Mix, eia-
rus, an conlra ; qualcs libcros liabcal. Ac si de non vivo quaerctur,
cliarn quali morte sit adfcc- lus. crii considcrandum. Habitum autem
appella- mus animi aul corporis constanlem el absolutam aliqua in
re pcrfcclioncm, ut virlulis aut arlis ali - cuius pcrci ptionem, aut
quamvis scicntiam , et item corporis aliquam eominodilalem non
natura dalam, sed studio el industria parlarli. Adfcclio est animi
aul corporis l-i tempore aliqua de causa commutal o, ut taclilia,
cupidilas, rnctus, moles- tia, morbus, debililas, et alia, quac genere in
co- dem rcpcriunlur. Studium est aulem animi adsi- dua el vcliemcns
ad aliquam rem applicata magna cum lolunlale occupatili, ut
philosopliiac, poèli- cao, geometriae, littcrarum. Consilium est
aliquid facicudi, non faciendivc escogitala ratio. Farla ali- lem
et casus et orationes iribus e* temporibus considerabunlur : quid
fcccril, aut quid ipsi acci' derit, aut quid diserit ; et quid facial,
quid ipsi acridi!, aut quid faelurus sit; quid ipsi casurum sii,
qua sit usurus oralionc. Ac personis quidem bore vidcnlur esse
attribula. umana. Quelle della specie umana, altre si
conia- no nell'uomo, altre nelle bestie. Quelle clic ncl- Fuorno,
sono il sesso, o virile o muliebre, la nazio- ne, la patria , la
parentela, l'età: la nazione, se è greco o barbaro; la pairia, se
Ateniese o Sparlano; la parentela, cioè dire quali ha antenati ,
quali consanguinei; la clà, se è fanciullo o adolescente, se adulto
o vecchio. Si riguardano oltracciò i co- modi o le incomodità che son
date, dalla natura all' animo o al corpo, quali sono l'csscr l'uomo
possente 0 debole; lungo o orlo; bello o brullo; veloce o lardo; acuto o
ottuso; memore o sme- morato; dolce, obbligante, verecondo, pazicnlc,
o all'opposto. In somma quelle qualità che son da- te dalla natura
all' animo o al corpo si vorranno considerare per palli di essa natura:
giacché le qualità che si acquistano coll'Industria sospettano alla
vlisposlezza, di cui s'ita da dire dappoi poco. XXV. Nel vivere ò uopo
osservare presso cui l'uomo fu educato, a quali coslumi, ad arbdrio
di chi, quali maestri abbia avuti delle arti liberali, quali
precettori della maniera di vivere, con qua- li amici egli usi, di quali
faccende, di quali gua- dagliene, di quale prie si frammetta, come
ammi- nistri il patrimonio domestico, quali usanze c mo- di ci
tenga in casa. Quanto è alla condizione, s'ha a vedere se l'uomo è servo
o se libero, se bene o se male accivilo di danaro, se privalo o in
uIH- cio pubblico; e dato clic in ulllcio, se vi fu eletto, 0 se
vi s'intruse; se felice, se nominato, n all'op- posto, se i suoi Agli
sono di buona o di malvagia qualità. E se si parlasse di un trapassato,
si dovrà vedere di qual morto c’iiniva. Dispostezza o abito si
appella una cosiamo e assoluta perfezione dcl- l'aiiimo o del corpo in
una cosa, come sarebbe la conoscenza pratica di una virtù o di un'arte,
ov- vero una scienza qualunque, e similmente una qualche dote del
corpo, non impartita dalla natu- ra, ma acquisita con lo studio e
l'industria. Affe- zione è ogni mnlanza che succede improvviso o
nell'animo o nel corpo, originala da qualche cau- sa, come allegrezza,
desiderio, paura, moleslia, malattia, debolezza, 0 altrettale. Studio è
un'as- sidua e forte occupazione dcll'ouinio intorno a qualche
cosa, accompagnata con grande inclina- zione di volontà, come sarebbe
intorno a filosofia, a poesia, a geometria, a erudizione. Disegno n
inb-nzioiic diccsi un avviso pensato di fare o non fare alcuna cosa. I
fatti la ultimo, gli accidenti, 1 parlari vogliono considerarsi
relativamente ai Ire tempi, cioè attendere clic cosa altri abbia già
fat- to, che gli sia intervenuto, che abbia detto; che cosa faccia,
che gl'inlcrvenga, che dica; clic sarà per fare, che per avvenirgli, che
discorso sarà per lenere. Tutto questo si riferisce alle persone.
Digitized by Google LIBRO I.
31 XXVI. Negotiis aulem quae sunl atlributa,
par- tim sunl contincnlia rum ipso ncgolio, pari irn in gestione
negotii consideranlur , parlim adiuncia negolio sunl, parlim gcstuni
ncgotiiim consequun- lur. Conlinenlia cum ipso negolio sunl ea, quae
semper adlìxa esse vidcnlur ad rem, neque ab ea possunl separari. Ei bis
prima est brevi* compie- aio totius negolii, quae summam cominci
facli, hoc modo: Pareniis occisio, palriae prodiiio; dein de causa
cius summae, per quam el quam ob rem et cuius rei causa factum sii
quaerilur; deinde ante geslam rem quae farla sinl, conlinenlcr us-
que ad ipsum negolium; deinde, in ipso gerendo ncgolio quid aclum sii ;
deinde, quid pò- le a fa- ctum sii. In gestione autem negolii, qui locus
sc- cundus eral de iis, quae negnliis atlributa sunl, quacrctur
locus, lempus, occasio, modus, facul- lalcs Locus considcralur, in quo
res gesta sii, et opporluuifalc , quam videatur liabuissc ad ne-
golium adminislrandum. Ea autem opporluuilas quaerilur ei magnitudine,
immollo, longinqui- lalc, propinquilale, solitudine, cclcbrilale,
natura ipsius loci el «icinilate lotius regionis ; ex bis et- iam
allribulionibus : sacer an profanus, publicus an privalus, alicnus an
ipsius, de quo agilur, lo- cus sii aut fueril. Tcmpus est autem id, quo
Dune ulinaur ( uam ipsum quidem generallter defluire difllcile est
), pars quaedam aelernilalis cum uli- cuius annui, mensurni, diurni,
noclurnirc spalii certa signiflcatione. In hoc et quae praclcrierinl
consideranlur; el eorum ipsorum, quae propter velustalem obsolcterinl, ut
incredibilia tidcanlur, et iam in fabularum numerum reponanlur;cl
quae iam diu gesla et a memoria nostra remota, lamen faciant (idem
«ere tradita esse, quod eorum mo- numenla certa in lilteris exslent ; et
quae nupcr gesla sint, quae scire plerique possinl ; el ilem quae
instenl in praesentia, et quae quum maxime flant, et quae consequanlur.
In quibus polest con- siderari, quid ocius et quid serius fulurum sii.
El ilem communiler in tempore perspicicndo lon- ginquilas cius est
considerando. Nam saepe opor- tel commctiri cum tempore negolium, el
«Mere, potueritne aut magnitudo negolii aut mullitudo rerum in co
transigi tempore. Considcralur aulem lempus et anni et mensìs el dici et noclis et
vigi- line el borac et in aliqua parie alicuius borimi.
Classici Voi. V.
XXVI. Quanto poi alle circostanze che si rife- riscono ai
falli, parte di esse son congiunte col fal- lo stesso, parie si
riconoscono nella gestione del fallo, olire sono come una aggiunta, altre
vengo- no in conseguenza del fallo. Congiunte con esso sono quelle
che se nc stanno costantemente ap- piccale al fallo, senza che le si
possano da esso dispiccare. Fra queste la prima i il breve sunto
che contiene la somma del fallo, per esempio: La uccisione del padre, il
tradimento contro la pa- tria: la seconda è la causa di quella somma,
per la quale si cerca quale sia il movente, e quale lo scopo del
fallo: la terza è il cercare quali sicno gli antecedenti che avvennero
sino all' istante del fallo: la quarla £ il vedere clic si fucessc
nell'ano stesso di trascinar quell’azione; in One il cercare che si
facesse dappoi. Circa alla gestione del fal- lo, clic è la seconda tra le
specie di circostanze che si riferiscono alle cose, si cercherà quale
ne fosse il luogo, il tempo, la occasione, il modo, la attitudine
di citi lo trascinò. Per luogo s' intende il dove fu operalo,
rclalivamenlc alla opportunità che offerse di poterlo maneggiare. Questa
oppor- tunità si cerea di trovarla nell' ampiezza del silo,
neU'intervallo, nella lunghezza, nella prossimità, nella solitudine, nel
bazzicarvi la genie, nella na- tura del luogo slesso, nel suo vicinare
col rcslo della contrada. Ccrcherassi l'opportunità eziandio in
questi altri caratteri del luogo; ac esso £ ovve- ro fu sacro o profano,
se pubblico o privato, se d’altrui o di quello stesso, di clic si traila.
Il tempo quale £ quello che noi usiamo oggi (poiché il de- finirlo
in generale £ malagevole), £ una parie del- i’clernilà, che porla seco la
speciale significazio- ne dello spazio annuo, del mensile, del diurno
o notturno. Quanto al tempo si dovrà considerare le cose passale; e
fra queste si daranno a credere per false c da ripor Ira le favole quelle
clic per vecchiezza sono andate In disuso; e quelle altresì che furono
operate pezza fa, c che son venule a quasi non si sapere; le quali però
si mostrerà che son vere, e che la tradizione che le rapporta è
giustificala da monumcnli non dubliii che restano tuttavia nelle storie;
e quelle inoltre che furono fatte di fresco, e che possano per ciò essere
a molti sconosciiilc; e similmente quelle che addivengono in
presente, c quelle che il più spesso, c quelle che poscia seguiranno. Tra
queste ultime si può far attenzione quali più tosto, e quali saranno
più tardi per accadere. Arrogo, clic quando bassi ad argomentare
dal tempo, convien d' ordinario por mente alla lunghezza di esso; poiché
incontra so- vente che si debba coinmisu rar con esso la cosa, e
vedere se in un dato andare di esso polessc es- sere dalo spaccio a un
affar di rilevanza o a molte 124 Digitized by
Google l'KLI.A INVENZIONE lUCTTOIlli: A
XXVII. Occasio aulcm est pars lemporis Imbens in se alicuius rei
idoneam faciendi aul non facien- di opporlunilaiem. Quarc cum tempore hoc
dif- ferì : nam genere quidem ulrumque idem esse iiitelligitur ;
vcrum in lemporc spalium (|uodam modo deelaralur, quod in anni», aul in
anno, aul iu aliqua anni parie spcrlalur , in occasione ad spalium
lemporis faciendi quacdain opporlunilas inlelligilur adiuncla. Quare quum
genere idem sii, fit aliud, quod parie quadam cl specie, ul di-
xiinus, ditterai. Haec disi ributtar in Iria genera, publicum, communo,
singolare. Puhlicum esl, quod clritas universa aliqua de musa
frequentai, ul ludi, dies feslus, belluin. ('.orninone, quod ac-
cidil omnibus codcm fere lemporc, ul messis, sin- demia, calor, frigus.
Singolare aulcm est, quod aliqua de causa privatilo alicui solcl
accidere, ul uupllac, sacrillcium, funus, convivium, somnus. Modus
aulcm est, iu quo quemadmodnm cl quo animo factum sii, quaerilur. Kius
parics sunl pru- denlia cl imprudenlia. Prudenliae aulcm ratio
quaerilur ex iis, quae ciani, palam, vi, persuasio- ne feceril.
Imprudenlia aulcm in purgationem ronferlur, cuius parics sunl Inseienlia,
casus, ne- eessilas, cl in adfeelionem animi. Ime esl, tnulc-
stiam, iracundiam, amorem, cl celerà, quae' in si- mili genere vcrsanlur.
Facullalcs
sunl, aul quibus facilius fit, aul siile quibus aliquid ronfici non
potosl. XXVIII. Adiunclum negolio aulem jd inlelligi-
lur, quod majus, el quod iniiius, el quod sìmile, eril ei negolio, quo
ile agitur, el quod aeque ina- gnum, el quod contrarimi), cl quod
disparalum, el genus et pars cl ciculus. Majus el minus el ac- que
magnum ex vi el ex numero et ex figura nc- golii, sicul ex sialura
corporis, consideratur. Si-
mile aulem ex specie comparabili : comparabile aulem ex conferenda aique
adsimilanda natura ju- dicolur. Conlrarium esl, quod positum in
genere diverso, ab codcm cui conlrarium esse dicilur, plurimutn
disiai, ul frigus calori, vilae mors. Di- sparatuni nnlcm evi id, quod ah
aliqua re per op- patilioncm negalionis separalur, hoc modo: sa-
pere, el non sapere. Genus esl, qund parles ali - quasampleclilur, ul
cupidilas. Para osi, quae su- besl generi, ul amor, ovaritia. Kvenlus esl
exilus | cose insieme. Si fa aitarsi allenzionc al tempo
ri spello all'anno, al mese, al giorno, alla notle, allo vigilia
militare, all'ora, e ai ritagli di ciascuno di questi periodi.
XXVII. Occasione è una parlila di tempo clic contiene in sè l'opportunità
o l'adatta congiuntu- ra di fare o non fare alcuna cosa. Quindi da
oc- casione a tempo v’ha questo divario, clic sebbeoe c questo e
quella son compresi nello slesso gene- re, puro nel tempo si vieti a significare
solo un qualche spazio che si trova o in più anni, o in uno, o in
qualche parie di esso; laddove nell'occasione s'intende allo spazio dei
letnpo aggi mila una cola- le opporlunllà di fare. Epperò, tuttoché
eguali nel genere, diventano pure due cose differenti; perchè, come
dello è, si differenziano in una par- ie, ossia nella specie, che è
l'opportunilà. L'occa- sione si divide in tre, cd è o pubblica, o
comune, o particolare. E pubblica quella che si presenta bene
spesso alla città intiera per qualche ragione, come sono i giuochi, i giorni
festivi, la guerra. È comune quella che dà a tulli quasi nel tempo
me- desimo, come è la messe, la vendemmia, il calo- re, il freddo.
É particolare quando si presenta pri- vatamente ad alcuno per qualche
causa, come so- no le nozze, il sacrifizio, il funerale, il convito,
il sonno. Modo è quello, nel quale si cerca come e con che
intendimento è falla una cosa. Ila esso due parli, prudenza c imprudenza.
S'indaga inum- ilo alla prima badando a ciò che altri fece di na-
scosta, in palese, con la forza, con la persuasione. La imprudenza si
risguarda come ragione giustifl- conlc. e si divide in ignoranza, caso,
necessità; o si risguarda come affezione dell'animo, e si dipar- i
le in moleslia, iracondia, amore, e negli altri inoli interni dello
slesso genere. Attitudine è quella fa- coltà, per cui si fa con molta
agevolezza alcun che, o senza coi niente si può fare. XXVIII. È
circostanza aggiunta al fallo ciò che è di maggior importare o di minore,
o simile al caso di clic si Iratta, e ciò che £ egualmente gran-
de, e ciò che conlrario, c ciò che disparata, e il genere del fallo, e la
specie, e l'avvenimento di esso; cose tulio che per avere attinenza col
fallo oifrono materia di argomentazione. Come dalla sta - tura si
deduce la grandezza di un corpo, così dal nerbo, dai punii, dalla forma
dui fallo si conosce la circostanza clic gli è maggiore, o che da
meno, o che lo pareggia. Il simile si rileva da specie che possono
ira loro paragonarsi; e si può paragonare ciò clic Ita natura suscettiva
di confronto e di es- sere rassomigliata. Conlrario è ciò che balle
in genere diverso, e clic va mollo di lungUla quello a cui si dire
conlrario, come il freddo va lungi dal calore, la morie dalla vita.
Disparate dieonsi dite Digitized by Google
LI litio I. 33 alicujus negotii, in
quo quocri solfi, quii) pi quo- que re cveneril, evenirli, cvrnlurum sii.
Quarc hoc jn genere, ut commodius,quid eventurum sii, aule animo
colligi possi!, quid quaque ei re solcai eve- nire, considerandum est,
hoc modo: Ex adroganlia odium ex insoleoiia adrogaqlia. Quarta aulem
pars esl ei iis, quas negotiis dicchamus esse allrihutns,
consentilo. In Irne rae rcs quaerunlur, quae gc- slum negotium
conscquuntur: primum, quod fa- ctum esl, quo id nomine appellar! coni
miai; delu- de ejus facti qui sin! prtneipes et invenlores, qui
denique aucluriialis ejus cl invcnlionis compro- halorcs alqoe aemuli;
deinde ccquae de ea re aul cjnsrci sii lev, consuclmlo, urlio, judicitim,
scint- ila, arliOcium; deinde natura cius evenire vulgo solcai au
insolcntcr cl raro; poslea lioinines id sua auclorilalc cnmproharc, an
offendi re in iis con- sueriol; et celerà, quae fariuin aliquod
simililer confeslim, aul ex intervallo solent Consequi. Dein- de
proscenio allendcudum esl, cium quae res ci iis rebus, quae positae sunl
in parlihus honcsla- lìs aul ulililalis, consequanlur; de quibus in
del- heralivo genere causae distinclius crii diccndum. Ac ncgoliis
quidem fere res cae, quas commemo- ravimus, sunl altribulac.
XXIX. Oninis auleta arguii» ulali", quae ex iis locis, quos
commetnoraviinus, sttnielur, aul pro- bahilis, aul necessaria debt-bii
esse. Elcnini, ut breviler describamus, argumenlalio vidclur esse
Intenlum aliquo ex genere, rem aliquam aul prò- babiliter oslcndens, aut
necessarie demonstrans. Necessarie dcmnnslranlur ea, quae aliler ac
di- cunlur noe fieri ncc probari possuul, hoo modo : Si pepcril,
cum viro concubuit. line gcnus argu- mentandi, quod in necessaria
dcmonslralioncvcr- satur, maxime Iraclal tir in dicendo atti per
com- pleiionem, aul per enumerahoneni. aul per sim- plicem
eonclusionem. Coitiplcxiu esl, iti qua, u- Irunt concesseris,
rcprchendilur.ad liunc modum: Si intprobus esl, c.ur uteri» ? si probus,
cur accu- sas ? Enumcralio esl, in qua pluribus rebus expo- silis
et ccleris inlirmatis, una rcliqua necessario conlirntalur, hoc pacto:
Neces.sc esl aui iniiiiici- tiarum cuu-a ab Itoc esse occialini, aul inclus,
aut o più cose die si separano l'ulta dall'altra per nte-:
10 di negativa, come sarebbe: sapere, e non sa- pere. È genere ciò
che abbraccia alcune specie, come cupidigia. È specie quella clic è
soggetta al genere, come amore, avarizia. Avvenimento del fallo
significa la sua riuscita, nella quale si cerca ciò che sia avvenuto, ciò
che avvenga, ciò che sia per avvenire da una cosa qualsiasi. Epperfi,
quan- to a questo, perchè si possa prima agevolmente comprendere dò
che sia per avvenire, o die so- glia avvenire da una cosa qualsiasi, bassi
a far de- duzione a questo modo: Dall' arroganza nasce l’o- dio,
dalla superbia l'arroganza. Delle circostanze che, cotn'i dello,
s'appropriano ai falli, la quarla parte comprendo quelle clic al fallo
tengono die- tro. Qui dunque si ccica lituo clic seguila poi clic
11 fallo è venuto a compimento; c prima, di clic nome il fallo sia da
appellasi; di poi chi simo gii autori di esso c gli agenti precipui, e in
fine quali sieno quelli che approvarono e seguirouu l’ordi- namento
del fatto: poscia si ceri Iterò qual sia la legge, sotto cui cade il
fallo, quale la usanza clic gli si oppone, quale l'azione giudiciaria, fi
giudi- ciò, la scienza, l'arte; poi se per sua natura ci suo- le
accascare comunemente, o per islraordinario c di raro; indi se le persone
Itati costume di auloriz. zarlo con l’approvazione loro, ovvero se esse
di cose di lai falla si olTmviono; e cosi si cercano vki via le
altre cose che a modo simile sogliono segui- re o immantinente, o dopo
qualche intervallo. In fine decsi badare se consegnano di quelle cose che
t si riferiscono all" onesto c all’ ulile; ma di qucsle verrà
di discorrere più dislinlamcnlc, quando si tratterà della causa
deliberativa. Or queste clic si sun delle sono a un di presso le
circostanze pro- prie dei falli. XXIX. Ogni argomculaziunc che
piglierassi dal- le fottìi di qui addietro ricordale dovrà essere o
necessaria, o probabile. Perocché l'argomentazio- ne è, per dirlo in
breve, un trovalo di qualche sorte, che dimostra con ragioni probabili o
con necessarie una qualche cosa. Si dimostra con ra - gioni
necessarie ciò che non può nè essere nè pro- varsi divcrsamcnle da quello
elle si dice, come sa- rebbe: Se partorì, dunque giacque con un
uomo. Questo modo di argomentare die versa nella di- moslrazionc
necessaria , si licite specialmente quando si parla o per dilemma, o per
enumerazio- ne, o per sola conclusione. Dilemma è quello, in cui si
ribalte o l'un pittilo o labro che lu conce- da; per esempio: S'egli è un
malvagio, perchè li vali di lui? se uomo probo, perchè lo accusi?
K- niimerazione è quella, in cui esposte più cuse, se uc conferma
necessariamente una, dopo aver man- dale a nulla tulle le altre; ionie
sarebbe : h no Digitized by Google
DKLLA INVENZIONE RETfOKlC.Y spei, 3ut alicujus amici
grafia; aul, si tiorum ni- hil esl, ab hoc non esse orcisum; nani sine
causa malelicium susceplum non polest esse. Sed nc- que inimici) ac
ruerunt, ncc melus ullus, nccspcs ex morie illius alicujus commodi, ncque
ad ami- rum liuius aliqucm mors illius perlinrbal. Rolin- quilur
igitur, u) ab boc non sii occisus. Simplex auiem conclusio ex neerssoria
conscculione confi - cilur, hoc modo: Si vos me islud co tempore
fe- risse dicilis , ego aulem eo ipso tempore trans mare fui,
relinquitur, ut id, quod diritis, non mo- do non fecerim, sed ne polucrim
quidem Tacere. Alque hoc diligonlcr oporlebil xidere, nc quo pa.
cto genus hoc refelli possi!, ut ne conlirmalio mo- dum in se
argumentaliouis solum habeat et quam- dam simililudinem neccssariae
conclusionis, re- rum ipsa argumenlalio ex necessaria ralionc con-
sista). Probabile aulem est id, quod fere sole! (ie- ri, aul quod iu
opinione posilum est, aul quod habcl in se ad lisce qtiamdam
simililudinem, site id falsum est, sivc veruni. In co genere, quod
fe- re (ieri solel, probabile buiusmodi est: Si mater esl, diligi!
fllium: si avorus est, negligi! ius iuran- dum. In co autem, quod in
opinione posilum esl, buiusmodi sunl probabili: Impiis apud inferos
pocuas esse paratas; eos, qui philosopbiae doni operali!, non arbitrari
dcos esse. XXX. Similitudo aulem iu coulrariiset
paribus et ni iis rebus, quae sub camdrm rationem ca- dimi, maxime
speclatur. In conlrariis, hoc modo: Nani si iis , qui imprudciites
laeserunl, ignosci ronvenil, iis, qui necessario profucriml,
liaberi gratiam non oportcl. Ex pari sir: Nani ut locus in mari
sine porlu naxibus esse non potrsl tulus. sic animus sine fide stabills
aniicis non polest es- se. In iis rebus, quae sub eanulem rationem
ca- duul, boc modo probabile considcralur: Nani si Ilodiis turpe
non esl porlorium locare, nc llcrma- rrconli quidem turpe est ronducere.
llaec Ioni vera sunl, hoc pacto: Quoniam cicalrix esl, fuit vulnus;
tum veri similia boc modo: Si mullus e- i al iu calceis pulvis, ex
ilinrre cum venire opor- lebal. Omnc autem ( ut certas qtiasdant in
partes disiribuamus) probabile, quod sumilur ad argu- mentalionem,
aul signum esl, aut credibile, aut indicatimi, aul comparabile. Signum esl, quod sub scusimi aliqucm
cadil et quiddam significai, quod ex ipso profectum tidclor, quod aul
aule. , Inerii, aut in ipso nrg u tio, aut posi sii eonsecu- ; lum,
et lame» iudigrt lestimouii et gravioris ron- ressario ch’ei
sia sialo morto da costui o per mo- tivo di nimicizia, o per motivo di
timore, o di spe- rarne, o per far piacere a un amico; o se non fu
nessuno di questi motivi, non fu dunque morto da costui; da che senza
motivo non può esser com- messo un misfatto. Ma non vi fu nimicizia, non
ti- more alcuno, non isperanza chea quella morte ri- spondesse
vantaggio, nò profittava essa a nessun amico dell' uccisore. Resta dunque
che e' non fu ucciso da costui. La conclusione schietta si forma
dalla conseguenza necessaria, a questo modo: Se voi dito che io feci
questo in quel tempo, e io in quel tempo era oltremare, resta clic questo
clic voi dite, non solo io noi feci, ma neppur il poteva fare.
Vorrassi altresì ben attendere che una tatù conclusione sia fatta in modo
clic per nessun ver- so non possa essere ributtala, affinchè la
confer- mazione non solamente abbia forma di argomen- tazione, c
come una scmbiauza di conclusione ne- cessaria, ma si faccia in effetto
per ragioni clic ne- cessariamente concludano. Probabile è ciò che
le più volle suol essere, o ciò che si opina che sia, o ciò che lia
in se qualche somiglianza col vero che determina la nostra opinione, sia
esso vero effet- tivamente, o sia falso. Quanto a ciò che suol es-
sere, ecco un esempio del probabile: se ella è ma- dre, ella ama il
figlio: se costui è avaro, non si cura del giuramento. Quanto a ciò clic
si opina die sia , il probabile è questo : Agli empi nt-1- l'
inferno sta preparala la pena ; coloro clic met- lon opera alla filosofia
non pensano che ci siano gli dei. XXX. La similitudine si ravvisa
specialmente licite coso contrarie, c nelle pari, e in quelle clic
cadono sotto una stessa qualità. Nele cose con- trarie, a questo modo :
Se a quelli che offcscro senza avvertire , si conviene dar perdonatila,
a quelli che giovarono perchè non poterono a me- no, non è
necessario aver obbligazione. Nelle pa- ri, di questa maniera: Come nel
mare un silo che manchi di porlo non può prestar sicurezza alle navi,
cosi un cuore clic mauclii di fede non può esser costante in amar le
persone. Nelle cose clic cadono sotto una stessa qualità il probabile si
de- duce cosi: Se i Rodiani non commettono disone- stà a dar in
affitto il pedaggio, neppure Erma- creuntc noti commette disonestà a prenderlo
in affilio. Il probabile poi passa a verità quando si enuncia a
questo modo: Poiché rimane cicatri- ce, c'ci fu ferita: o a verisìmile,
quan to si enun- cia cosi : Se te scarpe tencano di molla polve-
re, essa volea esser lolla sii nel viaggio. Ogni I probabile ( per
volerlo dividere in alcune parti determinate ) , clic si adopera per
argoineiila- ; rione, o consiste in un segno , o in una cosa
LIBRO I. 35 firmaliouis, ut cruor, Tuga,
pallor, pulvis, et quae li js sunt similia. Credibile est, quod sine ullu
le- ste auditoris opinione firmalur, hoc modo: Memo est, qui non
liberos suos ìncolumes et beatos esse cupial. Judicalum est resadsensione,
aut auclori- talc, aut iudicio alicuius, aut aliquorum compro-
bala. Id trìbus in generibus spectaiur, religioso, commu ni, approbato.
Heligiosum est, quod turati legibua iudicarunt. Coinmunc est, quod
omnes vulgo probarunt etsecuti sunt, huiusmodi: ut ma- ioribus natu
adsurgalur, utsupplicum miserealur. Approbatum est, quod homincs, quum
dubiurn essel, quale haberi oporteret, sua constitucrunl
aucloritate: rei ut lloratii factum a popolo appro- balum, quod occìdd
sororem, quum illa deviclum Curiatium hostem deflerel; vel ut Gracchi
patria factum, quem populus Romanus ob id faclum, quod insciente
collega in censura nihil egissel, post censuram consulem feci!.
Comparabile au- tem esl, quod in rebus diversis similem aliquam
rationem contine!. Eius parles sunt Ires: imago, collatio, eiemplnm.
Imago esl oratio demonslrans corporum aut naturarum simililudinem.
Collatio est oratio rem cum re ex similitudine conrerens. Esempi um
est, quod rem aucloritate, aut casu a- licuius hominis, aut negotii
confirmai aut infir- mai. Ilorum esempla et descriptiones in
praecc- ptis clocutionis cognoscenlur. Ac fonsquidem con-
firmationis, ut facullas tulit, apertus esl, nec mi- nus di lucide, quam
rei natura fercbal, demonstra- tus est: quemadmodum aulem quaeque
conslilu- lio et pars conslilutionis et omnis controversia, sire in
ralione site in scriplo versabitur, traeteli debeai, et quae in quamque
argumenlationes con- venianl, singillalim in secundo libro de uno
quo- quo genere diccmus. In praesenli lantummodo nu- mcros et modos
et parles argumenlandi confuse et pernii Miro dispersimus; post descriple
et electe in geiius quodque causae, quid cuiquc convenia 1, ci liac
copia digeremus. Alque inveniri quidem omnis es bis locis argunienlalio
poterli: inventaro ciornari et certas in parles distingui et
suavissi- rnum esl, et suinroe necessarium, et ab artis scri-
plnribus maiimc negleclum. Quarc et de ea prae- ceptioue nobis et in hoc
loco dieendum visum esl, sii ad inventionem arguincnli absolulio quoque
ar- gumcnlandi adiungerelur. Li
magna cum cura et diligenfia locus file omnis considerando esl,
quod rei non solum magna ulilitas esl, sed praecipien- di quoque
summa difllcullas. credibile, o in una giudicala , o iu una
parago- nabile. É segno ciò che cade soilo qualche sen- so e
significa un che, il quale par derivato da es- so segno, c fu prima del
fatto, o nella gestione, o vrnne iu conseguenza di esso, ma che
nondimeno ha uopo di testimonio e di esser meglio conferma- lo,
come è il sangue, la fuga, il pallore, la polve- re, e cose altrettali. E
cosa credibile quella, cui l' uditore si rappresela per si falla senza
esservi indotto da alcun testimonio, come sarebbe : Non *' ha
nessuno che non brami sani, salti e felici i suoi figliuoli. Il giudicalo
i una cosa che vien ren- duta ferma e immutabile o dall' assenso, o
dalla autorità, o dal giudicio di una o più persone. Que- sta
specie di probabile è di tre maniere, religio- so, comune, approvato.
Religioso ò quello che tie- ne stabilito da un giudicio fallo secondo le
leggi da persone giurale. Comune è quello che da lutti è
generalmente commendalo e seguila, coma sa- rebbe: clic si dee levarsi al
sopraggiungere di uo- mo attempalo; clic si dee aver pietà dei
suppliche- voli. Approvalo i quello che, scndo dubbio se si dovesse
aver in conio di bene o di mal fallo, gli uomini stessi con la loro
autorità hanno stabilito in che conio si dovesse avere; per esempio: Fu
ap- provato dal popolo il fallo di Orazio che uccise la sorella,
mentre essa andava in pianto perchè era slato vinto il Curiazio nemica
dei Romani; op- pure fu approvalo il fallo di Gracco il padre,
tanto , clie il popolo Romano per rimeritarlo di esso, cioè dire di aver
nella censura operala ogni cosa di ron-erlo col collega, dopo la censura
lo fece entrar consolo. Paragonabile è quello che in cose diverse
pur contiene alcun che di simile. Ila Ire parli: imagine, confronto,
esempio. Imaginc è un discorso che dimostra la somiglianza dei cor-
pi o delle nature. Confronlo è un parlare che con- para una cosa con
un'altra per ragione del loro assomigliorsi. Esempio è ciò clic conferma
o ab- baile una rosa con l’autorità, o con l'accidente av- venuto a
una persona, o col successo di qualche altare. Di qucsle specie di
paragonabile si vedran- no gli esempi e una sposizionc piu distesa là
dove si daranno 1 precetti della elocuzione. Fin qui si son messi
in manifeslo i principii della conferma- • zinne, secondo che io ho
saputo fare, e illustrato con quella chiarezza elle domandala la natura
del- l'argomento che trotini. Come poi debba maucg giarsi ogni
costituzione ed ogni parie di esia, e cosi ancora ogni conlrotcrsia, sia
die essa versi circa la mente dello scrillore, sia che circa le pa-
role stesse dello scrino, e quali argomentazioni calzino bene a ciascuno
di questi articoli, si vorrà dire sparliiamenlc nel secondo libro. Finora
io ho posto qua e là soltanto in ammasso c alla confusa
Digitized by Google ;ie HKI.U
INVEòZIOiNB ltETTOBICA XXXI. Omnis igilur argomentalo! aul
per indu- clioneni (racla mia est , aul per raliocinaliouem.
Induclio est oratio. quae rebus non dubiis captai adseusiones eìus,
quicum inslituta est; quibusad- sensionibus facil, ut illi dulia quaedain
res pro- pter similitudincm carum rerum, quibus adscn- sil,
probetur; velili apud Socralicum Aeschinem dcmonslrat Socralcs min
Xenopliuntis uxorc cl cum ipso Xcnnplionte Aspasiam locutam: Die
mi- lii, quaesn, Xcnopliomis uxor, si vicina tua melius habeat
aururn. quani tu habes, utrum iltiusnc an luutu malis? Illius, inquii. Quid, si
vestem et ce- tiTuin oruatum mulicbrcin preti! maioris habeat,
quain tu habes, luumnc an illius, melisi Itespon- dil: Illius vero.
Agcsis, inquii, si virum itla indio- rem habeat, quam tu habes, ulrunine
luum virum malis, an illius? Hic inulier erubuit. Aspasia au- tem
sermonom cum ipso Xenophqule instiluil. Quaeso, inquii, Xcnophon, si
vicinus tuus equuin meliorem habeat, quain tuus est, luumnc equuin
malis, an illius? Illius, iuquil. Quid, si luminili meliorem luibeal, quam
tu habes, utrum tandem fondimi Iutiere malis? illuni, impili,
meliorem scilircl. Quid, si uxorcin meliorem liabeal, quam tu
habes, iilriim illius malis? Alque Ine Xenoplion quoque ìp-e lacuil Posi
Aspasia : Quoniam uler- que vestrùin, inqud, id nnhi solum non
respon- dil, quod ego sobilli uudire volucram, egomel di- cam, quid
ulerque cogilel. ,\am el lu, uiulicr, o- plimum virum vis balere, cl tu,
Xcnophon, uxo- retn liaberc loclissimatn maxime vis. Quare, nisi hoc perrecerilis, ul ncque
vir mclior ncque femi- na liclior in lerris sii, profeo.lo semper id,
quod oplimuin potabili! esse, imillo maxime pcquire- lis, ul cl lo
marilus sis quam oplimae , el lisce quain optimi) viro mipla sii. die
quum rebus non dubiis ossei ad*cn : um, factum esl proplcr simi-
li numero delle argomentazioni, e i modi di farle, e le
parli di esse: verrò poi da dover (ulta questa materia disporre con
ordine e sceltezza rispetto a ciascun genere di causa c a ciò che a
ciascuna causa si conviene. Dal dello finora si potrà rinve- nir
ogni argomentazione clic fa d’ uopo; ornarla poi che si ì rinvenuta, c
distinguerla uclle sue parli, è cosa assai piacente a fare; senzachè è
al sommo necessaria, eziandio clic dagli scrittori di retorica
affano niente curata. E per questo Ionio ch'io trovo di dover qui dare
alcuni preconi ezian- dio sopra ciò, perciò dopo la invenzione dell’
ar- gomento si venisse anche a sapere in quali modi ci si debba pur
adoperare. E questa parie vuoisi svolgere tutta con mollo di attenzione c
di esat- tezza, non pure perciò essa è di grande utilità, ma ancora
perchè è diOicilc assai il darne i pre- cetti relativi. XXXI. Ogni
argomentazione bassi a fare ri per induzione, o per raziocinio. Induzione
6 un di- scorso, ii quale alle cose non dubbie accatta l'as- senso
di colui con cui si parla; c la che per (aie assenso egli approva una
cosa dubbia per la somi- glianza die passa tra questa e quelle, a cui
altre volte egli ha già dato il suo assenso. No dà un e- sempio
Socrate presso Eschinc, clic tu della sua scuola , là dove dice che
Aspasia tenne que- sto ragionamento con la moglie di Senofonte e
con Senofonte istesso: Diurni, di grazia, o mo- glie di Senofonte, se la
tua vicina avesse più bello fornimento d'oro che tu non hai, ameresti
meglio il tuo, o qucllu di colei? oh! quello di colei, rispo- se. E
se porlasse il vestire c l’altro ornalo mulie- bre di prezzo più
vantaggialo che non porli lu, vorresti le robe tue, o non più preslo
quelle dì lei? Affò, rispose, quelle di lei. Dimmi ancora,
soggiunse, se ella avesse marito migliore del tuo, vorresti il tuo,
ovvero quello di lei? Qui la donna arrossì. Aspasia poi rivolse la parola
a Senofonte istesso, e gli disse; Di grazia, Senofonte, se il tuo
vicino possedesse un cavallo più prestante die non è il tuo, vorresti
anzi ii tuo, clic avere quel- lo di lui? Quello di lui, rispose. E se
possedesse un fondo che avesse miglior essere che il tuo non ha,
vorresti piuttosto quello di costui? Si certo, rispose, qucllu di costui.
E se aresse moglie mi; gliure della tua, quale brameresti delle due ?
E qui lo stesso Senofonte si tacque. Allora Aspasia: Giacché l'uno
e l’altro di voi, disse, ciò solo non mi rispose clic anzi era il solo
elle io voleva udi- re, dirò io ciò che voi due pensale. Tu, o
moglie, vuoi avere il miglior di lutti i mariti: e tu. Seno- fonie,
la moglie di tutte migliore. Laoude, se voi non giungerete a fare che non
ci sia al mondo nò un uomo migliore degli altri, nè una donna delle
Digitized by Google LIBRO I.
liludinem, ut etiam illud, quoti dubium videba- tur, si quis
stqiaralim quacrercl, id proptcr ratio- ncm rogandi conccderetur. Hoc
modo sermonis plorimum Socralcs usus est, propterca quod ni- hil
ipsc adrerrc ad perSuadcndum volcbal , sed ci co, quod sibi ilio dederat,
quiciim dispulabat, aliquid coufìcere malcbal, quod iJlejci co,
quod iam concessissel, necessario approb. ro debercl.
XXXII. Hoc in genere praacipiendum nobis vi delur primum, ut illud,
quod inducemus per si- millludinem, ciusmodi sii, ut sit necesse
concedi. Nani ex quo poslulabiimis nobis illud, quod du- biuin sit,
concedi, dubium esse ìd ipsum non opor- tebit. Deinde illud, cuius
coniìrmandi causa Gel induetio, tidendum est, ut simile iis rebus
sit, quas rcs quosi non dubias ante induxerimus (nam aliquid ante
concessum nobis esse nihil proderit, si ei dissimile crii id, cnius causa
illud concedi primum xoluerimus) ; deinde non inteltigal, quo sperlcnt
illae primac induclionrs, et ad quem sin! cxiluni porventurae. Nam qui
vìdei, si ei rei, quam primo rogetur,rectc adsensciil, illain quoque
rem, tjuae Sibi displice.it, esse necessario conccdcn- dam,
plerumquc aut non respondendo, aut male respondendo, longins rogalioncm
procedere non siml. Quare rationc rogationis imprudens ab eo, quod
concessi), ad id, quod non sull concedere, deduccndus esl. Evlremum
autein aut taccalur oporlcl, aut conccdatur, aut urgetur. Si
negabi- lur, aut ostcndenda similitudo est carum rerum, quae ante
conccssae sunt, ani alia utendum in- duellane. Si concedctur, concludonda
est argu- menlatio. Si tuccbilur, aut clicieuda responsio esl, aut,
quoniani lacitumilas imilatur confcssioncm, prò eo, ac si concessum sit,
concludere oporlebit argunienlationcm. Ha fu hoc gentis
argumentandi Iripertilum: prima pars ex similitudine constai una
pluribusvc; altera ci co, quod concedi volumus, cuius causa simililudincs
adhibilac sunt ; tcrtia ex conclusione, quae aut conGrmal
concessionem, aut quid ex ca conOciatur oslcndit. 31
altre più egregia, per fermo voi sempre agogne- rete ciò die
slimìatc essere il migliore, voglio di- re che tu vorrai esser marilo
della più prestante, e che costei vorrà avere il più prestante per
suo marilo. Qui dunque fu dato assenso a cose non dubbie, cppcrò
per ragione delia somiglianza av- venne che anche quello, die saria
partito dubbio a chi I* avesse cerco separatamente, fu conceduto
per certo per la somiglianza delle interrogazioni. Usò più volte Socrate
questo modo di ragiona- re, siccome colui che non volea da sè
proferir nulla clic conducesse a persuasione, ma amava meglio da
quello che gli porgeva la persona con cui dispulaia, trame una illazione
tale, che quel- la persona, appunto per causa di quanto avea con-
cesso, dovesse necessariaoienle approvare. XXXII. Circa alla induzione,
il pruno precetto che io fo ragione di dover dare.'ù questo; clic
li induzione che si fa per similitudine sia (ale elicsi debba di necessità
concedere. Non dovrà punto esser dubbia la cosa, merci di cui
domanderemo che sia dato assenso a quella che è dubbia Inol- tre c
da ba dar bene che quello, in conferma di clic si farà la induzione, sia
simile alle cose clic avremo innanzi rappresentale per quasi non
dub- bie ( giacchi non ei gioverà punto che qualche cosa ne sia
stala innanzi concessa, se a questa Ila dissimile quella, per cui cagione
avremo voluto che ne sia conceduta' la prima ) ; dipoi s’ ha da
provvedere che l'avversario non possa addarsi do- ve vadano a batter le
prime induzioni, c a quale uscita sieho per venire. Conciossiacbi chi si
ac- corgesse clic se darà assenso olla prima cosa di elle è
interrogato, dovrà necessariamente darlo altresì a quella che gli
ripugna, costui o col non rispondere, o col risponder male, non
lasccràebc la interrogazione se ne vada molto alla lunga. Laonde s'
ha da teucre una lai guisa d’interroga- re, che l'avversario, senza clic
vi faccia pensiero, sia condotto da quello clic concesse a
concedere anche quello che non vorrebbe. Però I' ultimo punto della
interrogazione dee esser taciuto , o concesso, o negalo. Se lia negalo,
allora o deesi mostrare la similitudine che t’ha tra esso e gli al-
tri punti clic prima furono conceduti, ovveramen- tc deesi lar uso di
nu'allra induzione. Se il punto ultimo Ga concesso, si dee chiudere
l'argomenta- zione. Se in Gne sarà taciuto, o si dee fare di prò
vocaruc come die sia la risposta, ovvero, sicco- me il silenzio
rassomiglia in ccr o modo alla con- fessione. si dovrà venire alla chiusa
dcll’argomcn- lazionc appunto come se l’avversario avesse rispo-
sto affermatitainenlo. Cosi questa maniera di ar- gomentare viene ad aver
tre parti; la prima con- l.i di una o più similitudini, la seconda consta
di Digitized b/Google 38
DELLA INVENZIONE RETTORICA XXXIII. Seti quia non salis
alicui videbilttr dilucitle demonstralum, nisi quid ei chili causa-
rum genere esempli subiccerimus, videlur eius- modi quoque Sitcndbm t^cVnpió'
noti quo' pwe- ceplio dilTeral, aul aiitcr hoc in sermone atque in
dicendo sii ulendum, se'd ut eorum volunlaii aqtis Dal, qui, quoti
allrjuo in loco viderunl, alio in t ‘ loco, Risi mpnatratum.mequeSnt
cognoscerc. Ergo in hac causa, qaoe aputTGraeeos eaLpgnagala, quod
Epaminondas, Thebanorum imperaler, ei, qui sibi ci lege praclor
successcrat, eiercilum non Iradidit, cl, quum paucos ipsc dics conira
le- gem oneri inni) lenuisset, Lacedaemonios funditus vici!,
poleril occupato* argumenlatione uli per in- ly^clioncm, quum scr : ptum
legis conira senlen- liam defendat, jd hunc modum: Si, iudiccs, id,
quod Epaminondas ail legis scriplorem sensissc, as ribat ad legem, et
addai Itane ezceplionem: exira guani si quia rei publicae causa
exercìlum non tradideril, paliemini ? Non opinor. Quod ai vosmel
ipsi, quod a vostra religione cl sapienlia remolissimum est, islius
honoris causa liane eam- dem eiceplionem iniussu populi ad legem ascribi
iubealis, populus Tliebanus id patieturne Aeri ? Profcclo non palietur.
Qu«t, ergo ascribi ad le- gem nefas est, id sequi, quasi aseriplum sii,
rec- ium vobis videalur ? Novi veslram inlclligenliam; non polcsl
ila voleri, iudices. Quod si lillcris cor- rigi neque ab ilio neque a tobis
scriploris volun- tas polest, videle ne multo intlignius ail, id re
et iudicio vestro mulari, quoti ne verbo quidem com- rrttibiri
polest. ,tc de inductionc quidem salis in prac^|tia dictuin videlur. Nunc
deinceps ratio- cìnalionteyim et naluram considercmus. « q .
XXXIV. Ratiocinalio est oralio ei ipsa re proba- bile
aliquid eliciens, quod eiposilum el per se cognilum sua se vi cl ralione
conflrmel. Hoc de genere qui diligenlius cousitlerandum pulaverunl
quello che vogliamo ne sia concesso, e per cui le
similitudini si sono adoperate ; la terza contien la chiusa, la quale o
conferma la concessione o mo- stra che conseguenza se ne può trarre.
XXXIII. Ma poichi poiria sembrare a taluno che tulio questo non
fosse dimostralo con chia- roaza, ai ^ansassi dall' apparvi qualche
poco ‘•d'csernjift trailo dalle cause di qualità civile, io vorrò
pur addurle un esempio adatto alla matc- > ria, non perchè belle
cause, sia diversa la regola, di farej' induzione o nel linguaggio oratorio
sia da farne altro uso da quello che si fa nel filosofi- co, ma per
àStjàr a' versi di quelli che ciò che hanno veduto in un luogo non sanno
ravvisar in un altro, se loro non sia dimostro e fatto cono- scere.
Or bene, togliamo l'esempio da quella cau- sa che presso i Greti caper le
bocche. Epami- nonda comandante de* Tebani non volle conse- gnar
l'esercito, come era di legge, al pretore che veiùvqgli "àufrogalo,
e tenutolo cosi illegalmente alquanti giorni, in questo mezzo ruppe di
santa •ragione i Lacedemoni. Qui potrà l'arcusalorc ar- gomentar
per induzione , difendendo quanto è scritto nella legge ad onta del senso
che vi si vo- lesse sottintendere. Procederà dunque cosi : Se
Epaminonda, o giudici, aggiungesse alia legge ciò eh' egli dice aver
avuto in intenzione il legi- slatore , e vi affibbiasse questa eccezione,
che non è espressa: salvo il caso che tui capitano tro- vasse esser
d' utilità alla repubblica il non con- segnare l'esercito a chi si
spella, ve lo compor- tereste voi? No, mi do a credere. Che se voi
stes- si ( il clic troppo si dilungherebbe dalla vostra co scienza
e saviezza) comandaste che per onorare Epaminonda si dovesse aggiungere
alla legge la eccezione stessa, che della è, se ne starebbe forse
contento questo popolo di Tebe? Non se ne sta- rebbe egli per certo. Ciò
dunque che non si può aggiungere alla legge vi par ben fallo che si
met- ta in pratica come se aggiunto già fosse ? So che voi siete
persone d'intelligenza, e per questo io credo che ben fatto, o giudici,
codesto non vi deb- ba parere. Che se Epaminonda nè voi altri non
potete per veruno scritto correggere la volontà del legislatore, badale
che saria cosa troppo più indegna che voi con l'opera e giudicio vostro
ve- niste a mutare quella volontà che neppure con lo scritto non si
può ni anehe correggere. Ma della induzione mi pare aver detto abbastanza
per ora. Entriamo a far parola stilla forza e sulla natura del
raziocinio. XXXIV. Raziocinio è un discorso che dalla cosa probabile
trae fuori qualche nuota proposi- zione, la quale esposta che sia,
siccome è nota per si, è confermata dalla slessa sua forza e
carattere, Digitized by Google unno
i. quum idem usu direnili scquerenlur, paullulum in
praccipicndi ralione disscnscrunt. Nani par litri quinque cjus partes
erse dixerunt, panini non plus quam in Ircs parici posse distribuì
putave- runt. Eorum conlrovcrsiam non incommodum vi- dclur cum
ulrorumque ralione ciponere. ft'ain cl brevis est, cl non ejusmodì, ut
alteri prorsus ni- hil diccre pulcntur, et locus hic n -bis in
dicen- do minime negligendo videtur. Qui pulanl in quinque
distribuì parles opurlcrc, nj uni primum convenire cxponcrc summam
argumcntalionis.ad liunc modum : Melina accuranlur, quae consilio
gcrunlur, quam ipjae siile consilio adininistran- lur. liane primam
parlcm numeranl ; cain dedi- co ps ralionibus variis cl quam
copiosissimi! ver- bis approbari pulant oporlcre, boc modo : Humus
ca, quae ralione regilur, omnibus est inslructior rebus et apparalior,
quam ea, quae temere et nullo consilio administralur. Esercitila is ,
cui praepositus est sapiens cl callido impcrntor, om- nibus
partibns commodius regilur , quam is , qui slullilia et Icmcrilalc
alicujus adminislralur. Eadem navigli rollo est. Nam navis oplimc
cursum coniìcil ea, quae scientissimo gubcrnatorc ulilur. Quum
proposilio sii boc paclo approbala, et dnac parles Iransierinl
raliocinationis, Icrlia in parie ajunl, quod oslenderc velis, id ex vi
proposilio* nis oporlcre adsumcrc, hoc paclo : Niliil aulem omoium
rerum melius, quam omnis mundus, ad* minislraiur. Ilujus adsumplionis
quarto in loco aliam porro inducunl approbationem, hoc modo : Nam
cl signorum ortus cl obilus delinitum quem- dara ordinem serrani, cl
annuac commulalioncs non modo quadam ex necessiludinc semprr eo-
dem modo Qunl, veruni ad ulililalcs quoque re- rum omnium sunt
accomodarne, et diurnao noc- turnaeque vicissiludines nulla in re umquam
mu- talae quidquam nocuerunl; quae sigilo sunl om- nia non mediocri
qundam consilio naluram mun- di adminislrari. Quinto inducunl loco
complcxio- nem cam, quae aul id inferi solimi, quod ex om- nibus
partibns cogitur, boc modo : Consilio igilur mundus adminislralur: aul
unum in locum quum conduxeril breviler propositionem el adsumplio*
nem, adjungil, quid ex bis conlìcialur, ad lume modum: Quodsi melius
gcrunlur ca, quae consi- lio, quam quae sine consilio adminislranlur,
ni- trii aulem omnium rcrum melius adminislralur, quam omnis mundus
; consilio igilur mundus ad- minislraiur. Quinquopertilam igilur Ime
paclo pu- lsiti esse argumentationem. Cussici t ot
V. :ì9 Quelli clic hanno posto più di csaltczza nel
trat- tare su questa specie di argomentazione, benché si
attenessero nel discorso alla sostanza slessa, si allungarono perù
alquanto gli uni dagli altri nel sottoporla a regolo. Alcuni dissero
avere il raz n cinio cinque parli, altri non gliene diedero più
clic tre. i\on è dunque fuori di proposito clic io venga discorrendo la
costoro conlrovcrsia c le ragioni di clic e gli uni e gli altri si
avralorano, tanto più ch’cssa è breve, e uon di lai sorla, clic non
vi si trovi della cosa di qualche mollicelo; e d'allro lato è una
argomeutazionc elio ncll'ar- ringarc non si vuol mcllorc in cesso. Quelli
clic stimano doversi il raziocinio dividere in cinque parli, dicono
che si conviene per primo pronun- ziare la somma dell'argomentazione,
come sareb- be: Meglio si procurano le cose elio si fanno die- tro
considerazione, di quelle clic si fanno senza di essa. Que-un mi Mono in
conto di prima parte, e credono clic la si debba ili mano in innno
compro- vare tra con ragioni varie c incisi assai abbondanti di
parole. Foniamone questi esempli : l.a casa clic ù diretta
giudiziosamente è mollo più fornita ili bisogni o di apparalurc clic non
è quella , la quale è diretta a capriccio e senza fior di buon
senno. L'esercito che ha per capo un uomo sa- vio e sagace è regolalo per
ogni verso più con vcncvolmcntc che quello non è, il quale ha per
sopracciò un midollonaccio temerario. Dicasi lo stesso della nave; poiché
la nave fa ottimamente il suo corso, se 6 guidata da un pilota clic si
cono sca bene dell'ano sua. Comprovala clic sia ili que sio modo la
proposizione, e toccale cosi due par- li del raziocinio, dicono clic
nella terza parte si dee pigliare dal forte ridia proposizione ciò
che lu vorrai dimostrare, come sarebbe: Ma di tulle cose nessuna è
meglio governala elio il mondo universo. Di qucsla nuova proposizione
aggiungo- no pure la sua prova, a questo modo. Foicliè il nascere c
il tramontare, degli astri serba un ordi- ne inalterato, e le stagioni
dell'anno noe solo suc- cedono sempre allo stesso modo per quella
certa necessitò che loro ha imposta la natura, ma son altresì
accomodale all'ulile andamento di tulle co- se, c le vicissitudini diurne
e nolturnc in nessuna parie mai minale non recarono mai di nocumrn-
10 nè un menomo che; le quali cose danno sicurtà che il mondo è
governalo da provvidenza non lieve. Danno il quinto luogo alla chiuso
dcll'argo- incnto, la quale o ciò solo concliiude, che da tulle le
parli si viene a conchiuderc, siccome sarebbe : 11 mondo è dunque
governalo con provvidenza: ovvero allora quando e la prima e la secooda
pro- posizione saranno brevemente condoltc n far capo c
conchiuderc, aggiunge la illazione che da quel- iti
Digitized by Google ÌO DELLA
INVENZIONE nETTORICA XXXV. Qui aulem Iripcrlilam esse dicunt
, li non aliler Iraclari puljiit oporlere argumenlatio- ncin, srd
parlitionem borimi rcprchendimt. Nc- ganl cnim ncque a proposiliouc ncque
ab adsum- plionc approbaiioncs caruin separar! oporlere, neque
propnsilioncm absolulam , ncque adsum- plionem sibi pcrfcctam vldcri,
quac approbalionc coufirniala ncn sii. Quare quas illi duas partes
numcreDt, prnposilioncm cl apprubalioncm, sibi unam partem vidcri,
proposi lionem ; quae si ap- prettala non sii, proposìlio non sii
arguincutalio- nis. Item. quae ab illis adsuinptio el adsumptio-
nis approbalio diralur, eamdcin sibi adsumptio- nem solam vidori. Ila
(ir, ni cadeni raliouo argu- mentatio Iraelala aliis Iriperlila, aliis
qoinqiicpcr lila tidealur. Quare evcnit, ul res non lam ad Usiim
diccndi pei lineai, quain ad ralionem prae- ceplionis. .Nobis aulein
cormnodior illa parlilio vi- dclur esse, quae in quinque parlcs
dislribula est, quain omnes ab Aristotele el Tlieopbraslo profecli
ma lime seculi suiti. Nani queinadinuduni illud superius gcnus
argumcntandi, quoti per inducilo- nem sumilur, inastine Socralcs cl
Socratici Iracla- mnl, sic hoc, quoti per raliocinalionem
espolitur, stiniute est ali Arislolelc alque a l’cripalclicis el
Tlieopbraslo frequenlalum, deinde a rlieloribus iii, qui cleganlissinii
alqun arliliciosissimi pulali sunl. Quare aulem nobis dia ruagis parlilio
pro- betur, dicendum vidclur, nc Icmere seculi pule- mur; cl
bretiler dicendum, nc in liujusmodi re- bus diulius , quain ralio
praecipiendi postulai, emumoremur. XXXVI. Si quadam in
argumcnlutione salis esl uli proposiljonc, el non nporlet adjungcre
appra- balionem propositioni, quadam aulem in argumcn- laiinne
infirma esl proposito, nisi adjuncla sii np- probalio, separnlum esl
quiddam a proposiliono approbalio. Quod enim el adjungi et separali
ab aliquo potasi, id non polcst idem esse, quod esl id, ad quod
adjungilur cl a quo separalur; est aulem qunedam argumenlalio, in qua
proposìlio non indigel approbationis, et quaedam , in qua
le si Irac, siccome sarebbe: Che se meglio vanno le cose che son
governale da provvidenza di quelle clic noi sono, e se di lune la meglio
governala è il mondo universo; il mondo adunque si governa per
provvidenza. Per queste ragioni erodono che il raziocinio sia divisalo in
cinque parli. XXXV. Quegli altri poi che dicono esser il ra- ziocinio
di Ire parli, non credono già che s'abbia da variare l'argomentazione:
disapprovano le cin- que parli solo perchè non credono clic si
debba dalle due proposizioni sceverare le due prove, e trovano nè
intiera la proposizione prima, nè ben compiuta la seconda, so E una c
l'altra non porla seco la prova clic la conferma. Laonde mentre i
faulori delle cinque parli fan due parli distinte la proposizione e la
prova, i faulori delle Ire riduco- no queste due a ima sola, c la dicono
ricisamente proposizione ; la quale se non ha unita la sua pra- va,
non è punto la proposta dell’argomentazione. Similmente la seconda e la
prova di essa , clic i primi dicono esser due parli, i secondi
ristringo- no a una parie sola. Da ciò deriva che un’argo
lucidazione per raziocinio, comechè (rullata nello slesso modo, da altri
è tenuta perdi tre, da altri per di cinque parti ; il che non lanlo
risgu8rda I' uso clic ne dee far l'oratore, quanto riguarda la
maniera di stabilire i precelli circa a questa male- rio. Se ho a dir ciò
clic io senio, io trovo esser più acconcia la dislribuzione del
raziocinili in cinque parli, la quale fu seguila da quanti vennero
dopo Aristotele c Teofraslo. E elio quesli nomi perchè come
l'argomcnlar che si fa per induzione, di rhe è dello, fu seguilo da
Soerate c da quelli della sua sella, cosi questo argomentar clic si fa
per raziocinio fu mollo di frequente usalo da Arislo- lelc c dai
Peripatetici c da Teofraslo, 0 poscia da quei relori che furono de’ piò
nominali per ele- ganza ed artifizio. Quale sia poi l'itnpcrcliè, onde
10 approvo la partizione in cinque, fo ragione di doverlo dire, a
causi che non si credesse che io m* avventassi in questa opinione senza
pensarci sopra. Il farò uundimeno alla breve, per non di morar in
queste cose troppo piò che non richieda 11 mio assillilo di sporre i
precelli dell' arie che ho per mano. XXXVI. Se v' ha di quelle
argomentazioni in cui basta la proposizione sola, c non v’ è
mestieri soggiungerne la prova, c se per conira v’ ha di quelle che
ini Illudono una proposizione clic va- cilla, c non regge, ove non le sia
aggiunta la sua prova, nc segue che la prova è un che di separa- lo
dalla proposizione. Perocché una cosa clic s'ag- giungo a un' ultra, o
che si separa da essa, non può esser la slessa con quella a cui si
aggiunge, o da cui si separa. Ma c vi sono argomentazioni ,
Digitized by Google LIBRO I. mini
valel sino approbalioue, ul oslcndemus. Se- parala igilurcsla
proposilione approbalio Osten- dctur autem iti, quod pollicili surcus,
hoc modo: Quae proposilio in se quiddam conlinct perspi- cuum, el
quod slarc inler onmes nccessc est, liane velie approbarc el Ormare nihil
allinei. Ka est hu- jusmodi : Si, quo die isla cacdcs ltouiac racla
est, ego Allienis eo die fui, iu cacdc interesse non po lui. Hoc
quia perspicue veruni est , nihil allinei opprobari. Quarc adsunii slatim
oportcl, hoc mo- do: Fui auleni Allienis eo die. lloc si non con-
stai, indiget approbalionis ; qua iuduela, complc- tio coDsequeltir. Esl
igilur quaedam proposilio, quae non indiget approbalioue. Sani esse
quideiu quumdaui, quae indigeni, quid allinei oslendcrc, quod
cuivis facile perspicuum est? Quod si ita est, ex hoc, el ex co, quod
proposueranms, hoc coiiflcitur, separatum esse quiddam a proposto-
ne approbalionem. Sin autem ila esl, falsum esl non esse plus quam
Iripcrlilain argumcnlalionem. Simili modo liquet allcram quoque
approbalio nem separalam esse ab adsumplionc. Si quadani io
argumenlalione salis esl uti adsumplionc, el non oporlct adjungcrc
approbalionem adsumptio- ni; quadam autem in argumenlalione infirma
esl adsumptio, nisi adjuncla sii approbalio: scpnra- lum quiddam
exira adsumptiooem est approbalio. Est autem argumculalio quaedam, in qua
adsum- plio non indiget approbalionis; quaedam autem, in qua nihil
vaici sino approbalionc, ul ostende- mus. Separala igilur est ib
adsumplionc appro- balio. Oslendcmus autem, quod pollicili sumus,
hoc modo : Quae perspicuam omnibus vcriialem cominci adsumptio, nihil
indiget approbalionis. Ea est hujusmodi : Si oporlct velie sapere,
dare operaci philosophiae convenil. Hacc proposilio iudigel
approbalionis ; non rnim perspicua esl, neque constai inler omnes,
proplerea quod multi nihil produsse philosophiani, plcrique ctiam
oh- esse arbilranlur. Adsumptio perspicua osi; est cnim baco:
Oporlct aulem vello sapere. Hoc quia ipsum ex se perspicilur, el vergai
esse inlcliigi- lur, nihil allinei approbari. Quare slatim conclu-
denda est argumculalio. Est ergo adsumptio quae- dam, quae approbalionis
non indiget ; nain quam- dam indigere perspicuum esl. Separala est
igilur ab adsumplionc approbalio. Falsuin ergo est non esse plus
quam Iripcrlitam argumcnlalionem. in cui la proposilione non
ha necessaria la prova, e v’ ha di quelle, in cui la proposizione senza
la prova non ha nessun valore, come si dimostrerà. È dunque la
prova una cosa separala dalla propo- sizione. Or io dico, secondo clic ho
qui promesso di dimostrare, che una proposizione , la quale
contiene iu se qualche verità evidente, c che non può clic non sia da
tulli tenuta per ferma, non ha necessità di esser provata e ribadita. Jio
sia que- sto un esempio : Se io era in Alene il giorno in cui fu fallo
a Roma questo gran taglio di gente, è cerio che iu non mi vi poteva
trovare iu mezzo. Quella proposizione che è evidente, non ha biso-
gno di prova. So dee perciò porre in mezzo la se- conda proposizione,
cioè : Ma in quel giorno io fui in Alene. Se questo non consta, se ne dee
dar la prova, e datala ne seguirà la conclusione. V’ha dunque una
specie di proposizioni che non hanno uopo di prova : esservene poi di
quelle clic ne hanno uopo, non imporla dimoslrarlo, perché non c’è
chi non se lo sappia. Che se cosi è, si per que- sto e sì per quello che
ho dimostralo, ne conse- gue che la prova è un che di separalo dalla
pro- posizione. E se questo é vero, dunque è falso che
rargomcnlazione per raziocinio non abbia piò che Ire parli. Per cgual
modo ì chiaro clic anche la seconda prova è separata dalla seconda
proposi- zione. Se in qualche argomentazione basta toccar la
proposizione seconda di per sè, c non è me- sliero di aggiungervi la
prova ; c in qualche altra la proposizione seconda è debole, se la prova
non le sia aggiunta, ne segue che la prova seconda è audio essa un
clic di separalo dalla seconda pro- posizione. Mn v'ha argomentazioni iu
cui la della proposizione non abbisogna di prova, c ve »’ ha altre,
in cui essa proposizione non tal punto, se non sia provala, come si
dimostrerà. È dunque la seconda prova separala dalla seconda
proposizio- ne. Or io dico, per dimostrare ciò clic qui ho
promesso, che la seconda proposizione che con- tenesse una verità a tulli
evidente, non abbisogna di prova. Eccone un esempio: Se preme di
voler venire in sapere, e' si dee metter opera alla filo- sofia.
Questa proposizione ha bisogno di prova, perchè non è evidente, nè tenuta
da lutti per ve- ra, essendo che molli sou di credere che la
filoso- fia non giova, c molli piò che anzi ella nuoce. Bensì è
evidente la seconda proposizione , cioè : Ma dee premere il voler venire
in sapere. E que- sta, perchè è una verità per sè patente e da
lutti ritenuta per tale, non abbisogna di essere com- provata. Si
vuol quindi venir subito alla chiusa dell' argomentazione. V ha dunque
una specie di proposizioni, parlando delle seconde , che non hanno
mestieri di prova, c ve n’ ha dì quelle che Digitized by Google
ti DELLA INVENZIONE RETTOIllCA
si »ede chiaro »eme mestieri. Dunque la propo- sizione seconda è
cosa separala dalla sua prora. Epperò è falso non potersi l’
argomentazione per raziocinio dividere in più che tre parti.
XXXVII Alque ex his iltud jam pcrspicuum XXXVII. Da tutto questo si par chiaro
che si est, esse qnamdam argumcnlationem, in qua nc- dà una specie di
argomentaiione, nella quale ni i|uc propositio ncque adsumptio imligcat
appro- 13 prima ni la seconda proposizione ha bisogno hationis, hujusmodi,
ut crrtum quiddam et breve jj prora. Ne reco qui un esempio, brere, e che
esempli causa ponamus: Si summo opere sapien- sta garante di quanto io dico :
Se si dee cercare lia pe tenda est: summo opere stultitia vitanda di gran
maniera la sapienza, si dee di gran ma- is! : Summo aulem opere sapicntia
pctcnda est : uiera guardarsi dalla stoltezza : ma la sapienza si tummo
igitur opere stultitia vitanda est. tlic et dee cercare di gran maniera; si dee
dunque guar- udsumptio et propositio perspicua est ; quare darsi di gran
maniera dalla stoltezza. Qui si la neutra quoque indiget approbatinne.
Ex bisce prima che la seconda proposizione £ una verità , omnibus illusi
pcrspicuum est , approbationem non abbisogna dunque di prora nè l'una nè
l'altra, min adjungi, lom non adjungi. Ex quo cogno. Di qua apparisce a
chi che siasi che la prora ora scilur ncque iu propositionc neque in
adsum- si aggiunge, ed ora no; onde è chiaro altresì que- pliono
contineri approbationem , sed utramque sto, che nè nello proposizione maggiore,
nè nella suo beo poiitam vim suoni tamquam certam et minore non si
contiene la prova lor propria, ma propriam oblinerc. Quod siila est,
eommodc che ciascuna di esse proposizioni posta a suo luo- partili sunt
illi, qui in quinque partes distribuc- go ha una forza sua, che ì come una
determinata runt argumcnlationem. Quinque suoi igitur par- proprietà.
Clic s'ella è cosi, ben fecero coloro che Ics ejus argumcnlationis, quac
per raliocinatio- hanno divisa in cinque parli siffatto argomcnta- iieui
tractatur; propositio, per quam locus is bre-_.zioue. Cinque son dunque le
parli della argo- viter eiponitur, ex quo vis omnis oporlct cmanel
mcnlazionc che si conduce per via di raziocinio, ratiocinalionis:
proposilionis approbatio, per quam voglio dire: la proposizione maggiore, per
la id, quod breviter exposilum est, rationìbus adlir- quale si spone
brevemente il punto che contiene matum, probabilius et apertius IH ;
adsumptio, tutto il forte del raziocinio : la prova di questa per quam
id, quod ex propositionc ad ostenden- propositionc, per la quale ciò che
brevemente è dum perline!, adsumilur; adsumptionis approba- cspo-lo, e
ribadito con le ragioni , si rendo più tio, per quam id, quod adsumptum
est, rationi- probabile c più manifesto : la proposizione mino- bus
firinalur; corapiciio, per quam id, quod con- re, per la quale si pronunzia ciò
che dietro la fiuitur ex ornili argumcntalione, breviter esponi- maggiore
bassi a dimostrare: la prova di questa tur. Quac plurima» habcl argumcntalio
partes, ea minore, per cui si conferma con ragioni ciò che constai ex his
quinque parlibus ; secunda est qua- fu pronunziato : la conclusione, con cho di
corlu dripcrlita; lerlia Diportila ; deiu bipartita; quod si espone ciò
che risulta dall’ argomentazione in- ni controversia est. De una quoque
parte potcst fiera. Ogni argomentazione ha più parti : la più ulicui
vidcri posse consistere. numerosa conta le cinque prelato ; altre ne hanno
quattro, altre solo tre, c ve n' ha che non ne con- ta più clic
due, ma quest'ullima è in controversia. V ha chi crede che anche ci siano
argomentazioni di una parte sola* XXXVIII. Eorum igitur, quac
Constant, esempla XXXVIII. Pertanto parlando dello parli del ra- ponemus
lioruin, quac dubia sunt, ralioncs adfe- ziocinio da tulli adollalo, io ne
verrò adduccndo remus. Quinqucpcrtila argumcntalio est buiusmo- gli
esempli; c di quelle che son coiilroversc ne di : Omncs leges, iudices,
ad commodum rei pu- porrò in campo le ragioni. Il raziocinio di cinque
blicac referre oporlct, et eas ex militate communi, parli ò qui: Tullcquante le
leggi, 0 giudici, si vo- non ex scriplionc, quac iu littcris est,
inlerprclari. gliono riferire al bene della repubblica, e intor- ba chini
tirtulc et sapicntia maiorcs nostri lue- pretore secondo il vantaggio comune,
non secon- runt, ut in legibus scribcndis niliil sibi aliud, ubi do che
suonati le parole presentate dallo scritto, salulem alque utililatcm
reipublicac.proponcrcnl. Erano i nostri anhpassati di tale sapienza c virtù,
Neque eoim ipsi, quod ohcsscl, scribcre volcbant; che nello scriver le leggi
non si proponcano altro et, si scripsisscnt, quum ossei intcllectum,
repu- clic la salvezza cd il vantaggio della repubblica, dialum iri
legein iiilclligcbanl. Nomo enim leges Nuli vulcano scriver cosa elio avesse
potuto nuo- Icgum causa salvas esse vull, sed rei publicac. cere; esc
pure l'avessero scrilla, conosccano come Digitized by
( LIBRO I. quod et lcgibus omnes rem publicam
oplime pu- iant administrari. Quam ob rem igitur Icges ser- var!
oporlal, ad eam causam scripta omnia inter - prctari convenit: boc est,
quoniam rei publicac servimus, e* rei publicae commodo atqoe
utiiilate interpretemur. Narri ut ci medicina nihii oportet putire
proflcisci, disi quod ad corporis utilitatcm spectet, quoniam cius causa
est insliluta, sic a le- gibus niliil convcnil arbitrari, Disi quod rei
pu- blicae conducat, proflcisci , quoniam eius causa suol
comparane. Ergo in hoc quoque iudicio de- sinile litteras legis
perscrutari, et legem, ut ae- quum est, ei utililate rei publicae
considerate. Quid magis utile fuil Thebanis quam Lacedaemo- nios
opprimi r Cui rei magia Epaminondam The banorum imperalorcm, quam
vicloriae Thebano- rum consulere dccuit? Quid hunc tanta Tbebano-
rum gloria, taro darò atque cromato tropaeo ca- rius atque antiquius
habere convenit? Scripto vi- delicel legis omisso, scriptoris sentenliam
consi dorare debebat. At hoc quidem salis consideralum est, nullam
esse legem nisi rei publicae causa scriptam. Summam igitur amentiam esse
eiisti- mabat, quod scriptum esscl rei publicae salutis causa, id
non ei rei publicae salute interpretari. Quod si leges omnes ad
utilitatcm rei publicae referri convenit, bicautem saluti rei publicae
pro- fuit, prorecto non potest codcm faclo et comuiu- nibus
fortunis consuluissc, et lcgibus non oblem- perasse.
XXMX. Qualuor auletn parlibus constai argu- mentatio, qtitint aut
proponimus, aut adsumimus sino approbatioue. M Tacere oportet, quum
aut propositio ex se inlelligitur, aut adsumplio per- spicua est,
et nullius approbatiunis indiget. l’ro- positionis approbatioue
praetcrìta, qualuor ci par- tibus argumcntalio tractatur, ad liunc
tnodutn : ludiccs, qui ex lege turati iudicalis, obtemperare
legibus dibetis. Oblemporare aulem lcgibus non potestis, nisi id, quod
scriptum est in lege, acqua- ttimi. Quodenini ccrtius legis scriptor
teslltnonium volunlatis suae relinqucrc poluit, quatti quod
i|»»c 43 insieme clic ciò si Tosse inteso, la legge
sarebbe siala abolita. Nessuno
inTalli vuole conservalo le leggi perchè son leggi, ma perchè
conferiscono al bene dello Sialo, giacché luti! sono d'avviso ebe
per governare il meglio la repubblica fan di biso- gno le leggi. Quale
adunque £ il One per cui le leggi si deono mantenere, tale dee esser il
One a cui si vogliono interpretare tutti gli scrìtti che son di
regola allo Stato: voglio dire, che siccome noi ci adoperiamo in servigio
della repubblica, cosi dobbiam vedere d' inlerprelar le leggi secondo
il vantaggio e rutilili di essa. A quella guisa ette si dee credere
non altro venire dalla medicina, se non ciò che aspetta al ben essere del
corpo, perchè essa è per ciò appunto islituita; alla guisa slessa
si vuol credere che altro servigio non ne venga dalle leggi, se non
quello che concorre a mellcr In buon essere io Stalo, perchè per ciò
ap- punto osse furono stabilite. Laonde anche in quo- slo giudicio
lasciate, o giudici, di ragguardar pel sonile le parole della legge; e
voi Tjrctc cosa più giusta e dicevole, se voi applicherete la legge
se- condo che profitta alla repubblica. Qual piè van- taggio pei
Tcbani, che quello di stremar la poten- za dei Lacedemoni? Quale altra
cosa s’addiceva meglio a Epaminonda comandante dei Tcbani, clic di
arrabattarsi per la vittoria de'suoi? Che al- tro potea quest’ uomo aver
tanto caro ed accetto, quanto si sfolgorala gloria dei Tcbani, e si
cospi- cuo trofeo e si magnifico ? Certo a ciò ottenere ei non
polca che lasciare dall' un de’ (ali il testo della legge, e por meole
all’ inlcozione del legi- slatore. E per vero ei facea ragione ebo non v’
Ita legge che non sia scrìtta per lo vantaggio della repubblica.
Slimava dunque essere un* avventata pazzia che quello scritto medesimo,
Il quale era fallo a vantaggio dello Sialo, s’ interpretasse a di-
servigio di esso. Che se tulle le leggi si vogliono riferire al vantaggio
della repubblica, e se que- st' uomo alla salute della repubblica bene
contri- buì, cerio non è da inpulargli che ei disobbedissc alle
leggi con quel fallo stesso con cui provvido al ben essere dello Sialo
intiero. XXXIX. Ha quattro parli il raziocinio, quando è senza
prova la proposizione maggiore, o la mi- nore, il che addivieneo come la
maggiore s'in- tende di per sé, o come la minore è si evidente che
non ha necessaria alcuna prova. Quando dun- que la maggiore fa senza di
prova, il raziocinio Ita quadro parli, e si svolge in questo modo : Voi
al- tri, o giudici, clic giuraste di giudicare secondo la legge,
dovete fare la felicità c il comandamen- to di essa. Ma farlo voi non
potete, se voi liuti se guitc ciò clic nella legge è già scrino; poiché
qual testimonio piè certo della sua volontà potea la-
Digitized by Google 44 DELIA
INVENZIONE RETTORfCA magna curii cura alquc diligcntia
scripsit ? Quod si liucrai» non ezstarent, magno opere eas requi-
reremtis, ut ex iis scriptoris rolunlas cognoscerc- tur ; nee tamcn Epaminondae
pernii tleremus, ne si extra itnlieintn quidem esset, ut is notiis
sen- tenliam legis inlerprelaretur, netlum nune istum patiamur,
quuiii praeslo lex sii, non ex eo, quod apertissime scriptum est, sed ci
co, quod suae causar convenit, scriptoris roluntalem intcrprela-
ri. Quod si vos, ìudiccs, legibus olilemperare de- belis, et id fanere
non potcslis, nisi id, quod scri- ptum est in lego, scquamìni, quid
causaci est, quin islum cuntra legnili fecisse iudicelis ?
Adsumptio- nis aulenti npprobalionc praeterita, quadripertila sic
(ini argunicnlalio : Qui saepcnuincro nos per Qilem f-fei I ir un t ,
eoruni uraliani ruleni liabere non debemus. Si quid enim perfidia illorum
de- trimenti accepcrinius, ricino erit praetcr nosmet ipsos, quem
iure accusare possimus. Ac primo quidem decipi incommodum esl; ilerunr,
stullum; terlio, turpe. Cartbaginenses aulem persaepe iam nos
fcrellcrunt. Somma igitur amentia est in eo- rum fide spem liabere,
quorum pciQdia lotiens deceptus sis. (Jtraquc approbatione praeterita,
Iri- pertita (il, hoc parto: Aut mcluamus Carlbaginien- ses
oportet, si incolumcs cos reliquerimus; aut corum urbem diruamus. Ac meluere quidem
non oportet. Ueslat igdur, ut urbem diruamus. XL.
Suiil onte in qui putant uounumquam posse complexione et oportere
supersederi, quum, id perspicuum sii, quod conficialur ex
ratiocinatione; quod si fiat, biperlilam quoque bari argumenla-
lionem, Irne modo : Si pcperil, virgo non est: pc- pcrit autom. Ilic
salis esse dicunt proponere et adsumerc, quoniam perspicuum sii, quod
confi- ci, itur ex ratiocinalione ; quod si fiat, compleiio- nis
rem non indigere. Nobis aulem vidclur et om- nis ratioeinatio concludenda
esse, et illud vilium quod illis displiccl, magno opere vilandum,
ne, quod perspicuum sit, id in complciiunem infe- ramus. Hoc autem fieri poteri!, si comptexionum
genera inteliigenlur. Nani aut ita complccteuiur, ut in unum conducamus
propositionem et ndsum- ptionem, huc modo: Quod si leges omnea ad
ufi- litalem rei publicac referri convenil, hic autem
sciare il legislatore, se non quello di aver egli scritta la legge
con tutta la diligenza e la cura? Che se il lesto della legge non si
avesse alle ma- ni, noi faremmo ogni potere di trovarlo, per co-
noscere indi qual fosse la volontà del legislatore. E se noi non pcrmclleremmo
od Epaminonda che, ni eziandio nel caso che questo giudizio non gli
riguardasse, prclendcsse di voler inlerpretare il sentimento della legge;
mollo meno dobbiam per- mettere nel caso presente, in cui la leggo è qui
in pronto, eh' ei ci venga interpretando la volon- tà del legislatore non
già secondo quello che ma- nifestamente è scritto, ma secondo quello che
ri- sponde meglio alla sua causa. Che se voi, o giu- dici, dovete
Tare il comandamento delle leggi, e tuttavia noi potete, se voi non vi
atteneste a ciò clic nella legge è scrino, con quale appoggio voi
giudicherete che quest’ uomo non fece contro la legge? Quando poi la
proposizione minore fa senza di prova, il raziocinio è di quattro parli,
e si fa a questa maniera: Coloro che ne hanno piò volle rotta fede
non son degni che noi delle loro paro- le facciamo a fidanza con essi;
poiché se dalia perfidia loro noi abbiamo rilevalo alcun che di
danneggioso, non nè potremo giustamente corre cagione ad altri che a noi
stessi. Lasciarsi garabul- larc una volta £ cosa incomoda; lasciarsi
un’altra, è sciocchezza; una terza, £ vergogna. Ma i Carta- ginesi
ne hanno gabbato delle volle assai, e non tenutisi alla fedeltà. K dunque
una matlezza av- ventala Tare a sicurtà con quella fede loro, clic
tenie volte nc ha perfidamente IrufTati. Qualvolta si lascia i'una prova
e l'altra, il raziocinio £ di tre parli, come sarebbe: 0 cl conviene slar
in timore dei Cartaginesi, se concederemo loro incolumità, o ci
conviene dar a terra la città loro. Ma star in timore e' non ci conviene.
Resta dunque che ci convieuc darne a terra la città. XL. Ci son
tali, che stimano potersi talora, ed anzi dover fare a meno della
conclusione, quando sia di per sé evidente quale del raziocinio
debba esser la uscita : e in questo caso dicono di due parli il
razionioio, che si enuncia cosi: Se infantò, essa non è vergine: ma
infantò già. Qui dicono es- ser baslevoli le due proposizioni, perchè è
chiaro a che devenga il raziocinio ; e in questo caso non y’esser
uopo di concludere. Quanto è a me, io son di credere che qualsisbi
raziocinio debba avere la sua conclusione; con questa avvertenza però,
che s'abbia attentamente da evitare il difetto che di- spiace pur a
que’ tali, di introdurre nella chiusa ciò che £ evidente per s£. Si potrà
evitare questo difetto, se si conosceranno bene le varie specie di
conclusione. Perocché ovvero si conchiuderà in modo da abbracciar nella
chiusa sì Cuna che l' al- Digitized by Google
LIBRO I. 45 saluti rei pubbeae
profuil, profecto non polesl co- tieni paclo et saluti communi
consuluisse, et lc- gibus non oblempcrasse : aut ila, ut ci
contrario couliciatur senlcnlia, hoc modo : Summa igilur amentio
est corutn in fide spem liabere, quorum perfidia toliens deceplus sis:
aut ila, ut id solimi, quoti conficitur, infcratur, ad liunc niodum :
Ur- bem igilur diruamus : aut, ut id, quod cam rem, quac
conficitur, sequalur necesse est. Id est Ini immolli : Si pcperit, cuni
tiro concubini : pcpcril aulem. Conficitur hoc: Concubuil igitur cum
viro. Hoc si nolis inferro, et inferas id, quod sequilur: Kecil
igitur incestimi ; et concluseris argumenla- tionem et perspicuam fugeris
complexiuncm. Qua- re in longis argumentalionibus aut et conduclio-
nibus, aut ex contrario, complecli oporlel: in bre- tibus id soluin, quod
coniicitur, exponcre, in iis, in quibus exitus perspicuus est,
consecutinnc uti. Si qui aulem ex una quoque parte putabuul con-
stare argumunlationcm, potermi! dicere saepe sa- li» esso hoc modo
argumcntationcm Tacere : Quo- niatn peperit, rum tiro concubuil: nam hoc
nul- lius iici|iic approbationis ncque contplexionis in- digere.
Sed nobis ambignilale nominis videnlur errare. Nam argumentatio nomine
uno res duas significai, ideo quod et iiiventum aliquam in rem
probabile aut nccessarioni argumentalio tocalur, eteius inventi
artificiosa cxpolitio. Quando igitur proferent aliquid huiusmodi: Quoniam
pcpcril, cum tiro concubuil, invcnlum proferent, non ci- politionem
; nos aulem de expolilionis parlibus loquimur. xt.l.
piiliil igilur ad liane rem ratio illa pcrtine- liit; otque hac
distinclionc alta quoque, quac vi» debuntur olilcere buie partitioni,
propuUabimus, si qui aut adsumplonem aliquandn tolti posse pulci,
ani proposilinnem. Quac si quid habd pro- babile aulnecessarium, quoquo
modo eommoveat audiiorcm necesse est. Quoti si soluni spcctarrinr,
ac nihil, quo pacto Iraclorclur id, quoti cs«ct ex- cogitatum, referret
nequaquani lanlum inlcr sum- mos oratore» et mcdiocrcs interesse
oxislimaretur. Variare autem oralionem magno opere oporlebil ; nam
omnibus in rebus similitudo est salietalis ma- fia
proposizione, come in questo esempio: Che se sia bene diesi riferiscano
le leggi tutte al ben es- sere della repubblica, e costui alla salute
della repubblica ita giovalo, certo ci non polca per la stessa
guisa e provvedere alla saiote comune, e farsi disobbcdienle alle leggi:
ovvero si conchiu- derà in modo da trarne la chiusa dai contrario,
come in quest' altro esempio: fi dunque una mal- tcxza avventata porre
speranza di fedeltà in coloro, dalla cui perfìdia tante volle fosti
raggirato : op- pure in modo da pronunciare ciò solo che si vien a
concludere, come : convicn dunque clic no dia- mo a terra la città: o in
maniera da enunciare ciò che segue necessariamente a ciò clic s'ò
concluso; corno ili questo esempio: Se quella tal donna par- torì,
certo ella giacque con un uomo : ma partorì già. La conclusione i :
Dunque giacque con un uomo. Cile se non vuoi dir questa conclusione,
e vuoi piuttosto enunciare ciò che ad essa consegue, dirai :
Commise dunque un incesto ; e così avrai bensì concliiuso il raziocìnio,
ma avrai schifalo la chiusa già evidente da sè. Per lo clic nei
razioci- ni! lunghi la chiusa si dee trarre o dall'aggregato delle
due proposizioni, ovvero dai contrario: nelle brevi s'ha ad esporre solo
ciò clic si conchiude ; e in quelle, in cui la conclusione ì evidente, si
dee pronunciare ciò che dal raziocin io ne consegue. Se v’ Ita poi
di quelli, che credano esservi razioci- no anche di sola una parte,
costoro potranno dire clic basta sovente fare II raziocinio a questa
ma- niera : Ella ha partorito; questo è segno che giac- que con un
uomo; poiché qui non v'ha bisogno nè di prova, nè di chiusa. Ma io fo
pensiero elle costoro sien tratti in errore dall'ambiguiià del no-
me, poiché raziocinio è un nome solo, ma signifi- ca due cose. E infatti
appellasi raziocinio e il tro- vato probabile, o necessario, a favore o contro
uu che, c f artificioso raffazzonamento e pulitura di esso trovato.
Quando dunque enuncieranno a que- sto moiio: Poiché ella partorì, certo
conobbe qual» che uomo ; essi spolmono il trovalo, ma non la
pulitura di esso: in invece parlo delle parli della pulitura medesima.
XL1. Non pcrliene dunque ni tema eh’ io svolgo quella loro
opinione ; anzi se mai ci sarà ehi cte- de-se potersi talora omettere la
proposizione mi- nore, o la maggiore, io farò di confutarlo con la
distinzione testé annunziala, e dissipare ogni altro argomento che si
combattesse con la partizione che ho seguila. Dico intanto che se il
raziocinio lidio sue proposizioni contiene uu probabile o un
necessario, ileo per uno o per altro modo com- muovere inevitabilmente
l'uditore. Nondimeno, se si mirasse al solo necessario o ai probabile, t
non si facesse alcun caso del come si tratlassc la ma-
Digitized by Google tc DELLA INVENZIONE
RETTORICA Icr. Id Iteri palerii, ti non similiter scmper
Ingre- diainur in argumcnlaiioncm. Nam primum ora- ninni gcneribus
ipsis distinguere convcnit oralio- ncm, hoc est, tura indnclioric uti,
tura raliocina- lionc. Deinde in ipsa arguraenlatiunc nuli scraper
a proposilione inciperc, ncc scraper quinquc par- libus abuti, ncque
cadcm ratione parliliones cx- polirc ; scd tura ah adsumptiunc inciperc
licci, lum ab approbationc alterutra, Iran utraquc, tura hnc, lum
ilio genere complexionis uli. Id ut per- spicialur, aut seribamus, ani in
quolibct «empio de iis, quac propesila sunl, hoc idem cicrceamus;
ut quam Tacile facili sii Ac de partibus quidem argunicnlalionis salis
nubis dirlura videtur. Illud aulcm volumus inlclligi , nos probe tenere
aliis quoque rationibus Iraclari argumentalioncs in plii- pisnphia
mullis el ubscuris, de quibus ccrtum est arlilicmni conslitulura. Veruni
illa nobis abhorrcrc ab usu oratorio visa sunt. Quao pertincre
aulem ad diccndum pillarmi*, ca nos coniraodius, quam celeros,
allendissc non adlìrmamus ; perquisilius et diligcnlius conscripsisso
pulliccmur. Nane, ut iiistiluimus, prollcisci ordine ad rcliqua
pergemus. XI, II. Ucprchensio csl, per quam
argumenlando adversariorum coullrmatio diluilur, aut infirmatur,
aut cteiolur. Ilare Tonte invcnlionis codcm utelur, quo utitur
confìrmatio, proplerea quod, quibus ex locis aliqua res confirmari
potcst, iisdem polcsl ex locis infirmari. Nibil cnim considerandum
est in bis omnibus invenlionibus, nisi id, quod perso- nis aut
negotiis attributura est. Quare invenlioucm et argumentalionum
expolitioncm ex itlis, quac snlc praecepta sunt, liane quoque in parlem
ora- tionis IransTcrri oportebil. Verumtamen, ut quac- daui
praeccplio detur liuius quoque partii, cipo- uenius modos reprehensionis
; quos qui obscna- buut, facilius ca, quac conira dicenlur, dilucre
aut infirmare potcrunl. Omnis argunienlatio reprelien- dilur, si
aut ex iis, quac sinopia sunt, non conce- dilur aliquod unum plurale,
aut, his concessi!, complexio ci iis conGci ncgalur, aut si gcnus
ip s uni argumcnlatiunis «itiosum oslendilur, aut si contro firmam
argumcnlaliunem alia aeque firma tcria che s' ha in mento,
non si crederebbe che passasse quella si grande distanza che pur
passa dai sommi ai mediocri oratori. È poi di troppa necessità
variare il discorso, poiché in tulle cosa la somiglianza d madre di
stucchevolezza. Detras- si variare, se entreremo nell’ argomentazione
ora d' uno, ora di un altro modo : perchè innanzi a lutto conviene aver
l' occhio di ornare il discorso con la varietà delle argomentazioni,
voglio dire, Tar uso ora della induzione, ora del raziocinio.
Inoltre nella argomentazione istessa non va bene cominciar sempre dalla
proposizione, nè sempre Tare, sto per dir abuso, delle cinque parti, nè
raf- Tazzonar alla stessa guisa i membri deU’argomcn- laxiunc ; ma
ora giova cominciar dalla proposizio- ne minore, ora dalla prova dell'
una, o da ambe le prove delle due proposizioni, ora da questa, ora
da quella specie di chiosa. Perchè questo si possa ben ullncìare e
scorgere, Tacciamone prima una bozza di scrittura, cd esercitiamoci in
qualche c- sempio relativo alla materia che dobbiamo tratta- re :
Tatto questo, la varianza nel discorso ne verrà più agevole a introdurre.
Mi pare di aver detto a bastanza sopra le parti dell'argomentazione.
Voglio però che s’ intenda come io so bene che in filoso- fia le
argomentazioni si maneggiano per altri mo- di, che paiono oscuri, intorno
ai quali v’ha un si- stema proprio di trattazione. Ma io credo che
quei modi non si conTacciano punto con gli usi oralorii. I modi che
si debbono seguire nelle orazioni io non dirò d'avcrli avvertiti meglio
degli altri ; ben Tu Tede d'avcrli cerchi con più diligenza, e
scritti con più precisione. Ora, come ho proposto, pas- serò alle
altre cose che sono ordinatamente da dire. Xl.ll. ConTulazionc è
quella parie del discorso, per la quale col mezzo degli argomenti si
ribalte, o s'indebolisce, o si scema la contermazionc degli
avversarii. La cunTutazione dee attingere allo stes- so Tonte
d'iiivcnlive, a cui attingono le prove, poi- ché per gli stessi modi onde
una cosa comprova- si, la si può altresì confidare. I’erò in queste
in- ventile si dee aver mira di non far uso se non di quello che
può esser appropriato alle persone o aile cose. Ond’è die anche in questa
parte dell'o- razione si dee ripetere quanto s’è insegnalo prima
circa al trovare le argomentazioni e all’ a frazio- narle come conviene.
Nondimeno perchè anche questa parte abbia in proprio qualcosa di
regole, metterò innanzi i modi onde si può fare la confu- tazione:
i quali daranno all' oratore di polcrc più leggermente ribattere e
indebolire le obbiezioni che gli fossero poste in mezzo. Si confula
ogni specie di argomentazione col ricusar di concede- re uno o più
puuli di quelli diedra pigliati per Digitized by
Google unno i. 47 aut
flrmior ponilur. Ex iis, quae sumuntur, ali. quid non concedilur, quum aut
id, quod cre- dibile dicunt, ncgatur esse oiusmodi, aul, quod
comparabile putanl, dissimile ostenditur, aul iu- dicalum aliam in partcm
traducilur, aut omnino iudicitim improbnlur, aul, quod signum esse
ad- versarii dixerunl, id eiusmodi ncgatur esse, aut si complexio
aut una, aul ulraque ex parte reprehen- dilur, aut si enumeratio falsa
ostenditur, aut si simplex conclusio falsi aliquid conlinere
ilemoo- slratur. Nani omne, quod sumitur ad argumenlan- dum site
prò probabili sire prò necessario, ne- ccsse est sumaturex bis
locis,ulante ostendimus. XUII. Quod prò credibili sumplum crii,
id in- flrmabilur, si aut perspicue falsum eril, hoc modo: Remo
est, quin pecuniam, quam sapirnliam ma- li! ; aut ex contrario quoque
credibile aliquid ha- bebil, hoc modo: Quis est, qui noti oflicii
cupidior, quam pecuniacsil? aut erit omnino incredibile, ut si
aliquis, quem consto! esse avarum, dica! ali- eni)» mediocris oflicii
causa se maximani pecu- niam neglexisse;aut si, quod in quibusdam
rebus ant hominibus accidit, id omnibus dicitur usu ve- nire, hoc
paclo: Qui pauperes surit, iis anliquior officio pecunia est. Qui locus desertus est, in
eo cacdctn factam esse oporlet. In loco celebri homo occidi qui poluit ? aut si id, quod raro flt,
Aeri omnino negatur, ut Curio prò Fulvio: > Nemo potest uno
aspectu ncque praetericns in amorem incidere. > Quod autem prò signo
sumetur, id ex iisdem locis, quibus eoofirmatnr , inlirmabilur. Nam
in signo primum verum esse oslcndi oporlet; deinde esse eius rei signum
proprium, qua de agi- tar, ut cruorem caedis ; deinde factum esse
quod non oportuerit, aut non factum quod oportuerit; postremo
scisse eum, de quo quaerilur eius rei iegcm et consuetudinem. Nam eae res
sunt signo altributae ; quas diligenlius aperiemus, quum se-
paratim de ipsaconieclurali constilulione dicemus. Ergo liorum unum
quidquc in reprehensione, aul non esse signo, aut parum magno esse, aut a
se potius.qusm ab adversariis stare, aut omnino falso dici, aut in
aliam quoque suspicionem duci posse demonstrabilur.
CliSSICI Xol, v. mano, o col negare, quando pur si
concedano, che si possa Irar da essi la pretesa illazione, o col
far apparire viziosa quella tale argomentazio- ne dell’avversario, o se
ad una argomentazione forte se ne contrapponga un'altra egualmente
for- te, o più forte di quella. Dei detti punti si ricu-a di
concederne uno o più, quando si oppone non esser credibile ciò che ci
vien dato per tale, o si mostra essere di specie diverse le cose che ci
si vorricno dare per paragonabili, o si devia il giu- dichi da un
punto per fermarlo sopra un punto secondario, o il giudicio stesso si
riprova in lutto; o se si nega essere indizio o segno quello che
da- gli avversarii si caratterizza per tale, o se si ribat- te la
conclusione del raziocinio come non corri- spondente ad una o ad ambedue
le premesse, o si mostra falsa la enumerazione, o si dimostra che
almeno la chiusa contiene alcun che di falso. Poiché ogni punto che si
adopera per fare l'argo- mentazione, sia rispetto al probabile e sia al
ne- cessario, non può che non sia preso di qui, sicco- me addietro
io dimostrai. XUII. Ciò che ci sarà dato per credibile, si ab- ballerà,
o clic evidentemente sia falso, come sa- rebbe il dire : Nessuno è che
non ami meglio il danaro che la sapienza; o che abbia qualcosa di
credibile in confronto del contrario, come se si di- cesse: Chi v’ha che
non abbia più voglia di una carica,che di danaro? o che sia affatto
incredibile, come sarebbe se alcuno, clic si sa essere un gret- to,
una pillacchera, dicesse d’avere un ufficio me- diocre anteposto a una
cospicua somma di danaro: o se ciò che abbatte solo a certi uomini o cose
si dicesse esser solilo abbattere a lutti, come sarebbe il dire:
Chi è povero ha più a caro il soldo che non un ufficio pubblico. In luogo
solitario dee certo essersi commessa l’uccisione. In luogo
frequentalo come potè un uomo essere tolto di vita? o se quel- lo
che accasca di raro si dicesse che non acca- sca mai, come disse Curio in
quella a prò di Ful- vio: a Nessuno può lasciarsi andare in amore
al veder di passaggio e a prima giunta una perso- na. » Quando
qualche incidente verrà preso per indicio e segno, esso si abbatterà con
quegli stes- si argomenti, con che si avvalora. Perocché, la pri-
ma cosa.deo mostrarsi ch’esso è segno vero; dipoi che i un segno proprio
della cosa di che si (ratta, come il sangue è segno di uccisione;
inoltre, che fu fallo ciò che punto non si doveva, o non fatto ciò
che pur dovevasi; da ultimo, che l’ accusato sapea troppo bene a che
legge quel tal fatto e a die consuetudine si opponeva. Queste son le
cose che si riferiscono al segno, delle quali darò più distinta
spiegazione quando mi verrà da parlare separatamente delle cause
congetturali. Or dico «6 Digitized by Google
48 DELLA INVENZIONE RETTORICA
XL1V. Quum autcm prò comparabili nliquld in ducetur, quoniam iti
per simililudincm maxime Iraclalur, in rcprehendcndo convellici simile
id negare esse, quod conferelur, ei, qnicum confcre- lur. Id Ceri
poteri!, si demonstrabilur diversum esso genere, natura, vi, magnitudine,
tempore, loco, persona, opinione ; ac si, quo in numero il- lud,
quod per simililudincm adfcrelur, et quo in loco hoc, cuius causa
adferetur, haberi conveniat, ostcndclur. Deinde, quid res cum re
ditterai, de- monstrabimus: ex quo doccbimusaliudde co, quod
eoniparabilur,et de eo,quicum comparab itur, exi- slimari oporlere.
liuius facullalis maxime indige- mtis, qtium ea ipsa argumcnlatio, quac
per indù- clionem Iraclalur, eril reprehendenda. Sin iudica- lum
aliquod inferelur, quoniam id ex bis locis maxime firmalur: laude corum,
qui iudicaruut; similitudine eius rei, qua de agiiur, ad cam rem,
qua de iudicatum est; et commemorando non mo- do non esse reprebensum
iudicium, sed ab omni- bus approbalum ; et dcmonslrando difilcilius et
maius fuissc id iudicatum quod adleralur, quam id, quod inslet :
contrari» locis, si res aut vera, aut veri similis permittet, inCrmari
oporlebil. Al- que crii observandum diligentcr, ne niliil ad id,
quo de agalur, perlincal id, quod iudicatum sii ; et videndum, ne ea res
proferalur, in qua sii of- fensum, ut de ipso, qui iudicaril, iudicium
(ieri videatur. Oportet aulem animadverlere, ne, quum aliler sint
multa iudicata, solitarium aliquod aut ramni iudicatum adleralur. Nani
bis rebus aucto- rilas ìudicali maxime potesl inCrmari. Alque ea
quidem, quae quasi probabilia sumentur, ad Iiudc modum tentari
oporlebil. XLV. Quae vero siculi necessaria
induccnlur, ca si Forte imilabuntur modo necessariam argu-
menlationem, neque crunt eiusmodi, sic repre- hendentur. Primum
complexio, quae, ulrum con- adunque che nella conFutatione
s’ha a dimostrare qualcuno di questi punti, ciò sono, o quel tale
non esser segno del Fallo, o esserlo troppo lieve, o star a vantaggio
dell' oratore più che degli av- versarli, o esser dolio segno Falsamente,
o poter esso dar sospetto che l atrare sia ben d' altra ma- niera.
XLIV. Allorché vten posto in campo alcun che siccome paragonabile,
essendo che questo sì trat- ta per mezzo della similitudine il più delle
volte, converrà nella confutazione asserire clic il para- gonalo
manca di somiglianza con quello a cui si paragona. Il che si potrà fare,
dimostrando che Fra l'uno e l'altro v’ha diversità nel genere,
nella natura, nella Forza, nella grandezza, nel tempo, nel luogo,
nella persona, nell' opinione; o dimo- strando in qual conio c pregio
s'Im da tenere il punto che si reca per istituire la somiglianza,
in quale quello con die esso si vuol ragguagliare. Dipoi si
dimoslrcrà in che risieda la diOcrcnza da cosa a cosa; e di qui si verrà
significando altra essere l'idea che s'ha da avere di ciò che
parago- nasi, altra l’idea di ciò con che quello si parago- na. I)i
questa qualità d’argomentazione abbiam mestieri massime allora che saran
da confutare gli stesa! argomenti della induzione. Se verrà esposto
qualche punto già passala in giudicio, siccome esso si rafTerma c
consolida o con la lode di quelli clic giudicarono, o col mostrare la
somigliania che v'ha Ira la cosa giudicala c quella che trattasi
attualmente, o col rammentare che il giudicio non pure non ebbe biasimo,
ma che anzi tulli se no sono lodali, o col mettere a vedere che il
punto giudicalo era più rilevante c più difficile del pao- lo che
non ancora ha subito il giudicio; se verri esposto, dico, questo tal
punto, converrà confu- tarlo col mezzo de’ luoghi contrarli, secondo
che il fallo o vero o vcrisimile lo permetterà. Sarà al- tresì da
attendere con diligenza che ciò che trat- tasi abbia relazione a ciò die
Fu giudicato, ma ve- dere che non si ripeta cosa in die il giudice
abbia posto il piede in Fallo e incespicalo, a causa che non paia
che si voglia Fare il giudicio delio stesso giudicatore. Conviene anche
osservare clic se mol- li punti furono diversamente giudicati, non si
al- leghi qualche punta isolalo c non troppo solilo n venire in
giudicio; poiché per questa via si può addcbolirc l'autorità dd giudicio
che Tu fatto. A questo modo adunque converrà che sien maneg- giati
gli argomenti che si allegheranno siccome probabili. XLV. Quelli
poi che si allegassero siccome ne- cessarli, se per avventura imiteranno
l’argomen- tazione necessaria, senza però esser necessari), si
confuleranno di qucsla maniera. Innanzi a tutto Digitized by
Google LIBRO I. 49
cesserò, Betel lollerc, si «era esl, numquam re- prchendelur ; sin
falsa, duobus moilis, ani con- versione, aul alterius parlis
inflrroalione. Conver- sione, hoc modo: «Nani si vcri'lur,quid cum
accuies, qui est probus? Sin inverecundum animi ingenium possidet,
Quid eum accuscs, qui id parvi audilu acslimd?» llic, sive vereri
diieris, conccdcndum hoc pillai, ul neges esse accusandum. Quod
conversione sic reprehendetur : linmo vero accusandus esl. Nam si
vcrclur, accuses ; non cnim parvi audilu acsli- mabit. Si inverecundum
animi ingenium possidet, la me n accuscs; non cnim probus esl. Allcrius
au- tem parlis infirmaliono hoc modo rcprcheiidclur: Verum si
vcrclur, accusalionc lua corrcclus ab erralo recedei. Enumcralio vinosa
intelligilur, si aul praeterilum quiddam dicemus, quod velimus
concedere, aut infirmimi aliquid adnumcralum quod aul conira dici possi!,
aul causa non sii qua- rc non honeslc possimus concedere.
Praclcrilur quiddam in ciusmodi cnumeralionibus : Quoniam habes
islum equum, aul cnicris oporlct, oul hcre- ditale possidcas, aul muncre
accepcris, aul domi libi ualus sii, aul, si horum nihil est,
surripueris neccssc est : sed neque enusli, neque hcrcdilale venil,
ncque doualus est, neque domi nalus esl ; Decesse esl ergo surripueris.
Hoc commode re- prehendilur, si dici possil ex hoslibus equus esse
captus, cuiua predac seclio non venierii ; quo il- iato, infirmelur
enumcralio ; quoniam id sii indu- elum, quod praeterilum sii in
enumeralione. XLVI. Altero autem modo rcprchendilur, si
aul conira aliquid dicelur, hoc est , si esempli causa ut in eodem
versemur, poteri! oslendi hcrcdilale venisse; aul si illud estremimi non
crii turpe con- cedere, ut si qui, quum diserint adversarii : Aut
insidias faccre voluisli, sul amico morem gessisi!, aut cupfdilale clalus
cs, amico se morem gessisse faleaiur. Simplex aulem conclusio
reprehenditur, si hoc, quod sequilur, non videalur necessario cnm
eo, quod anleccssit, cohacrere. Nani hoc qui- dem ; Si spirilum ducil,
vivil : Si dics esl, lucei ! ciusmodi esl, ut cum priore necessario
posterius cohacrere videalur. Hoc aulem: si maler est, dili- gi! :
Si aliquando peccavi!, numquam corrigelur ! tic convellici reprehendi, ul
demonslrolur non ne- non si confuterà mai il dilemma, il
quale da sè dee togliere o l'uno o l'altro dei punii conceduti, se
è dilemma vero; o se falso, si confuterà in due modi, o invertendo, o
abbattendo l'ima o l'altra proposizione. Si inverle cosi: a S’cgli
sente rossor, perchè l’accusi, Mentre è da por fra i buoni ? Se affolli
inverecondi in seno ha chiusi, Perchè ne lo incagioni, Mentre
d'aver infamia ei non si cura?! Qui, sia che lu dica esser verecondo
costui, sia che inverecondo, l'avversario le lo concede, af- finchè
lu dica clic e' non si dee accusare, àia lu confuterai cosi per
inversione: Anzi ei dee pur accusarsi, giacché se è verecondo, si dee,
perchè non porrà a non calere la infamia; e se nulre af- folli
inverecondi, si dee dot pari, poiché non è punto persona proba. Se poi lu
vorrai addebolire l’una delle due proposizioni, dirai cosi: che
s'egii è pur verecondo, venendosi per la tua accusa a emendare, si
cesserà dal suo fallo. La enumera- zionc si parrà difettosa, o se
riporteremo qualche punto già omesso, il quale vogliamo concedere,
o se nell’enumerazione si sarà inserita qualche co- sa mal fondala, la
quale o possa essere contrad- detta, o non offra ragione perchè
onestamente la si possa concedere. Un esempio di punto omesso si ha
nella seguente enumerazione: Poiché lu hai questo cavallo, è inevitabile
elio tu o lo abbi com- pero, o acquistato in eredità, o avuto in dono,o
che li sia nato in casa: che se nessuna è vera di queste eose.lu lo
del cerio aver rubalo. Ma nè l'hai com- pero, nè acquistalo in eredità, nè
avuto in dono, nè ti è nato in casa; è necessario dunque che lu
l'ab- bi rubato. La confutazione qui viene a taglio, se si può dire
che il cavallo fu (olio ai nemici, ma clic non era compreso nella parte
di preda che fu ven- duta. Aggiunto che sia questo, la enumerazione
verrà riballula per difettosa, poiché s'é posto in campo un punto che
v’era stalo pretermesso. XLVI. Si fa la confutazione in secondo
modo, se si contraddirà un qualche punto, voglio dire, per
attenermi all'esempio testé citato, se si potrà mostrare che colui ebbe
quel cavallo per eredità: ovvero se un tal punto si potrà ultimamente
con- cedere senza vergogno, come se, dicendo gliavver- sarii: 0 tu
hai voluto tender insidie, o fare a fan- tasia dell'amico, o li
se'lasciato vincere alla cupi- d già, si rispondesse: si, ha fallo a
fantasia dell'auli- co. Si confuta la conclusione sola, se Cièche
segue non sembra legarsi necessariamente con ciò die precesse.
Queste conclusioni: Se respira, dunque vive; se è giorno, dunque è
chiaro; son tali clic il detto poi si lega necessariamente col detto
pri- ma: laddove queste: Se è madre, dunque ella
Digitized by Google DELLA INVENZIONE REIT01UC
:>) Cessarlo cum priore posterius cobaerere. Hoc
ge- nita cl celerà necessaria, et omnino onmis argu- inenlalio, el
eius reprcliensio maiorem quamdam vini cornine!, el lalius palei, quam
hic esponilur; seti eius arlilicii cognilio ciusmodi esl, ni non ad
buius arlis parlem aliquam adiungi possil, sed ip- sa separatine longi
lemporis et magnae alque ar- duac cognilionis indigeni. Onore illa nobis
alio tempore alque ad aliud instilulom, si facullas crii,
explicabuntur; nunc bis pracceplionibus rbelorum ad usum oralorium
conlcnlos non esse oporlcbil. Quum igilur et iis, quac sumunlur, aliquid
non concedilur, sic iulirmabllur. XLVI1. Quum aulem,
liis concessis, complciio ei bis non conOcilur, hacc erunl considerauda
: mi in aliud conficialur, aliud dicalur hoc modo : Si, quum
aliquis dical se profeetum esse ad exer- rilum, contro eunt quis tclil
bac uli argumcnla- lionc: Si venisses ad excrcitum, a tribunis
milila- ribus visus esses ; non es aulem ab bis visus; non cs
igilur ad exercilum profcclus. llic quum con- cesseris proposilioncm ut
adsumplioncm, coinple- xio est inlirmamla. Aliud enim, quam
cogebalur, illulum est. Ac nunc quidem, quo facilius res co-
gnosccrelur, perspicuo el grandi vitio pracdilum posuiwus ciemplum; sed
saepc obscutius posilum vilium prò vero probalur, quum aul parum
me- niiucris, quid concesseris, aut ambiguum aliquid prò certo
conccsseris. Ambiguum si concesseris cs ea parte, quam ipse intcllexeris,
eam parlem si adversarius ad aliam parlem per complciioncm veli!
accommodare, demonslrare oporlcbil non ci eo, quod ipse concesseris, sed
ex eo, quod ilio sumpseril, confici complexionem, ad liunc mo-
llimi : Si indigelis pecuniac, pccuniam non babe- tis ; si pccuniam noti
habetis, pauperes eslis : in- digelis autem pccuniae : mcrcalurae enim,
ni ila cssel, operano non darelis : pauperes igilur eslis. Hoc si
rcpreheqdilur: Quum diccbas : Si indigelis pccuniae, pccuniam non habetis
; hoc inlclligc- bam : Si propler inopiam in egcslatc eslis, pecu-
niam non habetis ; et idcirco concedebam : quum aulem hoc sumebas :
Indigelis autem pecuniac ; illusi accipicbam; Vullis aulem pecuniac plus
ha - bere. Exquibus conccssionibus non coulìcilur hoc: I auperes
igilur eslis ; eonilcerelur aulem, si libi primo quoque bue conccssissem,
qui pccuniam maioreui velici babere, cum pccuniam non habcrc.
ama: Se una volta ha fallalo, dunque dal suo fallo non si
correggerà più mai ; converrà vengano confutate in modo che si dimostri
il detto poi non collegarsi col dello innanxi. Queste e le altre argoinenlaiioni
necessarie, ansi al tulio ogni ar- gomentazione con le relative risposte
coufulalo- ric hanno una forza maggiore, e pigliano più del largo
clic qui non è dello; ma il conoscerne l'ar- lifizio è cosa che non si
può trattare in unione con veruna di queste parti della retorica,
perchè vorrebbe per se sola una trattala assai lunga, cd esigerebbe
di grandi c difficili cognizioni. A te- ma sifTallo io darò mano, se pure
io ne avrò il potere, quando me ne verrà acconcia altra oc-
cupazione: per ora conviene ch'io mi stia con- tento a porger questi
precetti retorici relativa- mente all'uso che n’ ha da far l'oratore.
Cosi dunque, come detto è, si ribalteranno i punti clic non si vuol
concedere. XLVI1. Qualora poi, concessi che sieno i punii, non ne
vien traila una cnnclusione che quadri, si dovrà osservare se sia stato
conchiuso diversa- mente da quello che comportano le premesse; co-
me in quesla argomentazione, dalo che un tale volesse opporre a un lai
altro che dicesse d’essersi mosso in via per l'esercito: Se tu fossi
venuto al- l'esercito, saresti stato veduto da'lribuni militari; ma
non sci stalo da loro veduto: tu dunque non ti se'mcsso in via per
aU'esercilo. Qui tu concede- rai la maggiore e la minore, ma dovrai
confutar ta illazione. Per dire il vero, a causa che si inten-
desse meglio quello che io dico, ho qui allegalo un esempio che ha un
difetto grave o facile ad es- ser conosciuto; ma avviene di sovente che
per es- sere il difetlo poco riconoscibile, si piglia per vero
quello che non lo é ; e ciò avvidi quando o non avrai bene a memoria
quali punii lisi conceduti, o avrai conceduto per cerio quello che non
era che ambiguo. Se avrai concesso l'ambiguo in quella premessa che
li era noia, conterrà che l'avversario, se vorrà connettere quella
premessa con un' altra per mezzo d' una conclusione, dimostri che
non dal punto che tu bai conceduto, ma da quello elio egli ha
introdotto si trae la conclusione. Per esem- pio : Se bisognate di
danaro, dunque voi non ne avete : se non nc avete, dunque siete poveri:
ma di danaro voi bisognale, poiché so ciò non fosse non vi sareste
dati alla mercatura : dunque sicle poveri. Questa argomentazione si
confuta cosi : Quando dicevi : Se bisognale di danaro, dunque voi
non nc avete, io ci capiva : Se per sostenere inopia siete in bisogno,
dunque non avete danaro; eper questo io concedeva. Quando poi lu
aggiun- gevi : àia voi bisognate di danaro; io invece trovo clic
dovevi soggiungere : Ha volete venir iu più Digitized by
Google LIBRO l. SI
XLV1II. Saepe autem oblilum pulanl, quid con- cesseris, et idcirco
id, quod non conficitur, qnasi conficialur, in conclusione infertur, lioc
modo: Si ad illum hercdilas vcniebat, veri simile est ab ilio
necalum. Deinde hoc approbant plurimis terbis. Tosi adsmnunt: Ad illum
autem hcredilas vcnie- bat. Deinde inrertur: lite igilur occidil; id quod ex
iis, quae sumpserant, non conficitur. Quare observare diligenlcr oportcl,
et quid sumatur, et quid ex his conficialur. Ipsum autem genus
argu- mentalionis vitiosum his de causis ostendelur, si aul in ipso
viliuni crii, aut si non ad id, quod in- slituit, accommodatiilur. Atque in ipso vitium crii, si omnino
totum falsum erit, sì commune, si vul- gare, si leve, si remolum, si mala
dellnitio, si con- troversum, si perspicuum, si non concessimi, si
turpe, si offensum, si conlrarium, si inconstans, si adversum. Falsum
est. in quo perspicue mcn- dacium est, hoc modo: Non polesl esse
sapiens, qui pccuniam negligi!. Socrates autem pecuniam negligebal:
non igilur sapiens crai. Commune est, quod pillilo magis ab adversariis,
quam a nobis fucil, hoc modo: Idcirco, iudices, quia vcram cau- sam
habebam, brevi peroravi. Vulgarc est, quod in aliam quoque rem non
probabilem, si none concessum sii, transferri possi!, ut hoc: Si
causam vcram non haberet, vobis se, iudices, non eom- misissct.
Leve est, quod aut post tempus dicilur, hoc modo: Si in menlem venisset,
non commisis- setiaut perspicue lurpem rem levi legere vult
defensionc, hoc modo : a Quurn le expetcbanl omnes, fiorentissimo
Regno rcliqui : nunc dcserlum ab omnibus Summo pcriclo, solu' ut
restituam paro. > XI IX Remotum est, quod ultra quam
satis est, petitur, huiusmodi : Quod si non P. Scipio Cor- neliam
filiam Ti. Giaccho collocasset, atque ex ea duos Gracchos procreasse),
tanlae seditiones natae non essenl ; quare hoc incommodum Scipioni
as- cribendum videtur. ltuiusmodi est illa quoque conquestio :
« t'iinam ne in nemore Pelio securibus a Coesa accidissct abiegna
ad terroni Irabcs I » copioso danaro. Dalle quali
concessioni non s' in- ferisce già: Voi dunque siete poveri.
Inferirebbcsi bensì, se io t’ avessi prima concedutoianchc que-
sto. che chi vuol venire in più copioso danaro, ei non ha donaro.
XLVIII. Spesse volte credono gli avversarli che tu li sii smcniicato ciò
che bai conceduto, epperò mcltono nella conclusione come inferito ciò
che non lo fu, per esempio: se toccava o lui l’eredità, è
verisimilc che da lui l’ infelice sia sialo ucciso ; e a provar questa
illaiione si distendono in parole. Indi vengono alla proposizione minore:
Ma l’ ero- dila toccava a lui. In fine conchiudono: È egli dunque
l’ uccisore : il che dalla delta premessa non si può inferire. Il perchè
si vuole avvisar con attenzione c ciò che vien aggiunto alla minore,
e ciò che giustamente sia da conchiuderne. Questa specie di
argomenlazionc si mostrerà esser viziosa o per l'uno o per Patirò de’
seguenti capi, cioè se il difetto risederà in essa, e se essa non sarà
accon- cia al punto che si trossina. Risiede il difetto nella
argomenlaxione, se essa è al latto falsa, se comu- ne, se volgare, se leggera,
se rimota, se inchiude una definizione errala, se ì questionevolc, se
per- spicua, se inopportuna, se turpe, se offensiva, se rontraria,
se inconsunto, se avversa. E falsa quan- do vi si avvista chiara la
menzogna, come sarebbe: Non può esser sapiente chi fa nessun conto
dei danari: ma Socrale di danari non facea conto ve- runo: non era
dunqne sapiente. Comune è quando non giova n enie più a noi che agli
avversarli, co- me a dire : Per ciò, giudici, io mi spacciai di
cor- to, perchè avea per le mani una causa giusta. Vol- gare è
quando essa può accomodarsi, se ne ven- ga il concio, anche a un' altra
cosa non probabile, come il dire: Se non avesso dai suo lato la
giustizia della causargli, o giudici, non si sarebbe affidalo a
voi. È leggera, so si diresse dopo il suo tempo, per esempio: Pur che se
ne fosse ricordalo, non avreb- be commesso il lai fallo: o se volesse con
lieve difesa giustificare un'azione aperta mente turpe, come qui: «
Quando avevi amicizie e in fior il regno, Olii poco io l' essendo, ito ne
sono. Or die perigli, e t' han già tulli a sdegno, Peno so! io di
ritornarti in trono, a XL.IX. E rimota l'argomentazione, quando si
pianta da punti più ionlanichcnon bisogna, come la seguente : che se P.
Scipione non avesse collocala la figlia Cornelia in matrimonio a Tiberio
Gracco, o non avesse da lei avuti nipoti i due Gracchi, non sa-
rebbero addivenutesi gravi sedizioni: il perchè que- sto infortunio s'ha
da riputare a Scipione. Di fatta simile ì altresì quel lagno che siiegge
in Ennio : Dìgitized by Google
52 DELLA INVENZIONE RETTOR1CA iDngius
cnim reputila est, quam rcs postulibal. Mala (leQnilio est, qiium aut
communia deseribit, hoc modo: Scdiliosus cstis, qui inalos atque
inu- lilis est civis (nam hoc non magis seditiosi, quam anibiliosi,
quam calumniatoris, quam alicuins ho- minia improbi vini deseribit); aut
falsum quiddam dicil, hoc pacto : Sapientia est pecuniae quaeren-
dno inlclligentia ; aut aliquid non grave ncc ma- gnum conlinens, sic:
Stullilia est immensa gloriae cupiditas. Est liaec quidem stullilia, sed
ex parte quadnm, non ex omni genere definita. Controvcr- sum est,
in quo ad dubium demoustrandum dubia causa adferlur, hoc. modo : x
Elio tu, di, quibus est polestas motus supe- rùm atque inferòm,
l’accm iulcr scse conciliant, confermi! concor- dino]. a
l’erspicuttm est, de quo non est controversia, ut si qui, quum Orcstcn
accuset, planimi facialab co malrem esse ocrisam. Non concessum est
, quum id, quod augetur, in controversia csl, ut si qui, quum
Ulixen accuse!, in hoc maxime com- morclur : Indignimi esse ab liomine
ignavissimo virum fortissiinum Aiacem necalum. Turpe est, quod aut co loco,
in quo dir-ilur, aut co Domine, qui dicil, aut co tempore, quo dicilur,
aut iis, qui audiunt, aut ea re, qua de agitur, indignum pro- pter
inhonestam rem videtur. OlTensum csl, quod corum qui audiunt, voluntatem
laedit: ut, si qui apud cquilcs Homnnos, cupidos iudicandi, Cae-
pionis legem iudiciariam laudcl. L. Conlrarium est, quod
contra dicilur atque li, qui audiunt, fccerunl: ut si qui apud Alcxandrum
Maccdonem conira aliquem urbis expngnalorem dicerct uiliil esse
crudelius, quam urbes diruerc, quum ipsc Alexander Tlicbasdiruissel.
Inconslans est, quod ab codem de eadem re diverse uicilur : ut si
qui, quum dixeril, qui lirlutcm Italica!, cum nultius rei ad bene
vivrndum indigere, neget po- stea sinc bona valetudine posse bene vivi :
atti, se amico adesse proplcr benevolentiam, sperare ta- men
aliquid commodi ad se pervenlurum. Advcr- sum csl, quod ipsi causac
aliqua ex parte oIDcil, ut si qui hoslium vini et copias et felicitatoli
au gcat, quum ad pugtiandum mililcs adhortetur. Si non ad id, quod insliluilur, accommodubilur
ali- qua pars argumenlalinnis, borimi aliquo in vitio reperielun si
plura pollicilus pauciora dcmonslra- poiché è ripetuto da
più lontano che la circostanxa non richiedeva. Incltiude definizione
errata, quan- do o spiega cose comuni, a questo modo ; Sedi- zioso
è colui che fa da cattivo c inutile cittadino (poiché questo spiega il
carattere del sedizioso né più nè meno che del calunniatore, del rollo
alla ambixione, e di altri malvagi); o dice alcun che di falso, a
questo modo: È sapicnxa I’ essere esperto a cercare danaro; o contiene
alcun che di non graie nè grande, come : È stoltezza un' immensa
brama di gloria. Anche questa, 6 vero, è una specie di stoltezza,
ma non è definita che per parte, e non nella sua generatili.
Qucslionevolc è I' argomen- tazione, quando per dimostrare una cosa
dubbia si reca un' altra cosa o un esempio dùbbio, come il
seguente; « Con me far cruccio ? ve’ gli dei contenti D'csser
concordi e consigliarsi a pace: E sì che a scombuiar ci son possenti
■ Quanto v’ ha in cielo, e quanto in terra giace. Perspicua è l'
argomentazione, quando contendo sopra un punto chiaro e confessato ; come
chi vo- lendo accusare Oreste, dimostrasse ch'egli ha uccisa sua
madre. Inopportuna è quando ciò che si amplifica è il punto stesso della
controversia, come allora che alcuno, accusando Ulisse, si fer-
masse specialmente in questo: È cosa indegna cito il fortissimo Aiace sia
stato morto da uu uomo così vile come se mai alcuno. Turpe, è quando per
la vituperevole cosa eh' essa tratta riesce indegna o del luogo in
che la si dice, o della persona che la espone, o del tempo in che viene
esposta, o di quelli che l’ascoltano, o della causa stessa che si
trassina. Offensiva è, se si urlano le voglie degli uditori, come se
alcuno alla presenza dei cavalieri Romani, vogliosi d'esser soli in fare
i giudicii, lo- dasse la legge giudiciaria di Cepionc. L.
Contraria è quando si parla contro a ciò che fecero quelli clic stanno ad
udire, come se alcuno in presenza di Alessandro Magno, movendo ram-
pognosc parole coui ro alcuno che avesse espu- gnata una terra, si
dicesse non v’ esser fallo più crudele che il dare a terra una città,
mentre lo stesso Alessandro avea dato a terra la città di Te- be. È
incostante se lo stesso oratore, dopo aver parlalo a un modo di una cosa,
ne parli poi a mo- do diverso; come chi avendo prima asserito che
chi possedè la virtù non difetta di nulla al ben vi- vere, dicesse poscia
che senza prospera salute non si può viver bene;o se dicesseche ei
favoreggia l'a- mico per sola bonevoglicnza,ma che tuttavia spera
sia per venirgliene qualche buon servigio. Avver- sa è, quando in qualche
parte nuoce alla stessa causa, come se chi è suii’csortare i soldati a
coni- LIBRO I. $3 bit;
aut si, qmim tolum debebit ostcndcrc, de parte aliqua loquatur, hoc modo:
Mulicrum gcnus avarimi est ; nam Eriphjla auro viri vitam vendi-
dii : aut si non id, quod accusabilur, defcndcl, ut si qui, quum ambitila
accusabilur, manu se forlem esse defcndcl; ut Ampbion apud Euripidcm
(ilem apud Pacuvium ), qui vituperala musica, sapicn- tiam laudai ;
aut si rcs ex hominis vilio vitupera- bilur, ut, si qui doctrinam ex
aiicuius docli vilio reprebendat ; aut si qui, quum aliquem volet
lau- dare, de felicitate cius, non de «inule dica! ; aut si qui rem
cum re ita comparabit, ut alleram se non pulci laudare, nisi alleram
vituperanti aut si alleram ita laude!, ut alterius non faciat
mcntio- tieni ; aut si, quum de certa re quacrelur, de com- muni
iiisliluctur oralio, ut, si qui, quum aliqui dc- liberenl, bellum gerani
an non, pacem laude! cro- llino, non illud bellum inutile esse demonstret
; aut si ratio aiicuius rei reddetur falsa, hoc modo : Pecunia
bonum est, proplerca quod ea maxime vitam bealam cflicial ; aut si
infirma, ut Plautus : • Amicura castigare obmerilam noxìam.
Immune est facinus ; veruni in aelatc utile Et conducibile ; nam ego
amicum hodic incum Coneastigabo prò commerita noxia, Invitus , ni
me id invitcl ut faciam fldes : a aut eadem hoc modo : Maximum malum est
ava- rino; mullos cnim magnis iucommodis adfccit pe- cunie
cupidilas ; aut parum idonea, hoc modo : Maximum bonum est amicitia; plurimae
enim sunt ' deleclalioncs in amicitia. LI. Quartus
modus era! reprehensionis, per quem conira Ormam irgumcnlationem aeque
fir- ma aut firmior poncbalur. Hoc genus in delibcra- tìonibus
maxime versabilur, quum aliquid, quod conira dicatur, aeqtium esse
concedimus, sed id, quod nos defendimus, neccssarium esse demon-
stramus ; aut quum id, quod illi defendant, utile battere,
esaltasse la fortezza dei nemici, il nume- ro, la feliciti delie altre
lor pugne. Quando alcu- na parte dell’ argomentazione non s'
acconciasse' bene con ciò che si venne a proporre, sarà difet- tosa
per una o per un'altra di queste ragioni, cioè se l'oratore dimostrerò
meno punti di quei molti che aveva promesso; o se, quando avrà a
mostra- re un lutto, parlerà solo di alcuna parte, come se dicesse:
Le donne sono avaro; poiché Enfila ven- dette per oro la vita di suo
marito; o se nel difen- dere non adatterà la difesa a ciò che è posto in
ac- cusa, come se colui che fosse incagionato di bro- glio si difendesse
con dire di esser forte di mano; come Allibine appo Euripide (e
similmente appo Pacuvio), Il quale parlando a biasimamenlo della
musica finisce col lodare la sapienxa; oppure se sviluperassc una cosa
per cagione del difetto d'u- na persona, come se alcuno improverasse una
dot- trina per aver qualche magagna colui che la pos- sedè; oppure
se volendo commendar altrui nc lo- dasse la felicità, non la virtù; o
quando si facesse paraggio di una cosa con un' altra, e si credesse
di non lodarne questa se non se sriluperando quella; o quando se ne
facesse l' elogio dell' una senta far motto dell'altra; ovvero se si
facesse un discorso applicabile ad ogni questione, mentre non si
tratta che di una questione determinata, come sarebbe se altri, essendo
in deliberare se abbia a farsi la guerra, ovveramente no, venisse
lodando la pace, senta dimostrare se quella guerra sia u- tile, o
non sia; o quando d'uria cosa si renderà una ragione falsa, come sarebbe
il dire: Il danaro é un bene, perocché esso più clic altro fa felice la
vita; o quando se ne renderà una ragione debole, co- me in quella
di Plauto: a L'amico improverar del suo malfatto É forte si che
ad un amico incrcscc; Ma se 'I rimproccio in suo momento è fatto,
A laudabile prò pur gli riesce: Ond' io rabbufieronne oggi l'amico.
Ma dirò per amor quello eli' io dico; a oppure in quest' altro
esempio: Gravissimo male è l’avarizia, poiché I' agonia di danaro trasse
di molli a gran mal essere: o se si renderà una ra- gione poco
idonea, come a dire: Un sommo bene è l'amicizia, poiché in essa si
trovano piacimenti pure assai. LI. S'è detto il quarto modo di
confutare es- ser quello, per cui a un'argomentazione solida se nc
mette incontro una egualmente solida, opiù solida di quella.
Argomentazione si fatta sarà da usare specialmente nelle deliberazioni ,
quando concediamo esser retto c giusto ciò che no vien replicato,
ma dimostriamo come quello che per Digitized by Google
Si DELLA INVENZIONE RETTORIC.Y
esse fateamur; quod nos dicamus, honeslum esse demonslremus. Ac de
reprehensione quidem hacc existimavimus esse diccnda. Deinceps mine
de conclusione ponemus. Ilermagoras digressiotiem deinde, lum
poslremani conelusionum pomi. In hac auleni digressione illc pulal
oportere quatn- dam inferri oralionem a causa alque a iudicalionc
ipsa remolam, quae ani sui laodem, aut adversa- rii vitupcralioncm
conlineat, aut in aliam causam deduca l, ex qua confidai aliquid
confirmalionis aut repreliensionis, non argomentando, sed au- gendo
per quamdam amplilìcationem. liane si qui partimi pularii esse orationis,
sequatur Ermago- ram liccbil. Nam et augendi et laudandi et vitupe-
randi praccepta a nobis parlim data sunt, partito suo loco dabuntur.
Nobis aulem non placuit batic parlcm in nutnerum reponi, quod de causa
digre- dì, nisi per locum cominunem, displicet : quo de genere
poslerius est dicendum. Laudes aulem et vitiiperalioncs non scparalim placet tractari,
sed in ipsis argumcntalionibus esse implicalas. Nunc de conclusione
dicctnus. 1.11. Conclusio est eiitus et determinano
totius orationis. llaec habel parles tres, cntimeralionem,
indignationem, conqueslionem. Enumeratio est, per quam res disperse et
diffuse diclae unum in locum cogunlur, et reminiscendi causa unum
sub aspcctum subjieiuntur. llaec si semper eodem mo- dolraclabilur,
perspicue ab omnibus artificio quo- dam tractari intclligetur; sin varie
flct, et hanc su- spicionem et salictatem sitare poteri!. Quarc lum
oporlcbit ita Tacere, ut plcrique faciunt propter facildalcm, singillatim
unam quamque rem attin- gere et ita omnes transire breviter argumentatio-
nes; tum aulem, id quod diOlcilius est, dicere quas partes exposucris iu
partitone, de quibus te pollicilus sis diclurum, et reducere in
memoriam quibus rationibus unatn quamque parlcm confir- maris; tum
ab iis, qui audiunt, quaerere quid sii, quod sibi velie debeant
demonstrari, hoc modo : 111 ud docnimus, illud planum fccimus. Ita
simul et in memoriam redibit auditor, et pntabit nihil esse
praelerea, quod debeat desiderare. Atque in bis gencribus, ut ante dictum
est, tum tuas argu- mcutaliones transire scparalim, tum, id quod
ar- tiliciosius est, cum luis contrarias conjungerc; et quum tuam
dixeris argumenlationem, tuum, con- no! si difende, è
necessario; o quando confessia- mo esser vantaggioso ciò che gli
avtcrsarii sosten- gono, ma esser onesto ciò che sosteniamo noi. Questo è quel tanto che della confulaxione ho
cre- duto si dovesse dire. Da qui innanzi tratteremo della
conclusione. Ermagora prima di trattar della conclusione tratta del
digresso. In questo ci fa fantasia che s'abbia da porre un discorso che
sia spiccalo dalla causa e dal punto che ì a giudica- re, e clic in
tal discorso debba l’oratore far un e- logio a sè stesso o metter in
biasimo gli avversa- rli; ovvero toccar un'altra causa, da ritrarne alcun
che di conferma a suo prò; o di confutazione a donno degli avversarli,
non coll'argomcnlare, ma coll’anncrvar la difesa per mezzo d'una cotale
am- plificazione. Chi amasse tener il digrosso per una parte del
discorso oratorio, il tenga pure a suo grado con psso Ermagora; già dei
precetti circa all' amplificare, al dar lode, al muover biasimo,
parte io ne bo dati, e parte a luogo acconcio ne porgerò. Che se io non
pongo il digrosso nel no- vero delle altre parli, noi pongo perchè non
mi abbclla che si faccia digressione dalla causa se non per mezzo
di qualche luogo comune, spettan- te a vizio o virtù; ma di questo ò già
a parlare da poscia. Delle lodi e de' biasimi quel che mi resta a
dire non lo tratterò separalamcnlc, perchè io considero e questi c quelle
come innestate nelle argomentazioni stesse. Ora veniamo alla
perora- zione o conclusione. *■ LII. La perorazione, o
conclusione, è la uscila e il termine del discorso intiero. Ila tre
parli, enu- merazione, indignazione, commiserazione. Enu- merazione
è quella, per cui si raccozzano in un luogo solo le cose che si son dette
sparsamente qua c là, e si mettono come in un quadro davanti agli
occhi per potersene rammentare. Se 1' enu- merazione si maneggiasse mai
sempre di un mo- do, ognuno verrebbe agevolmente a sospirare es-
ser essa maneggiala per un cotale artifizio; ma se sia fatta con qualche
varianza, potrassi rimuove- re da chi ascolta tanto questo sospetto,
quanto la sazievolezza ingenerala dalla uniformità. Laonde ora
converrà farla, come la fanno di molli alla fog- gia più facile, voglio
dire, toccar le cose ad una ad una, c cosi passar di volo sopra ogni
argomen- tazione; ora invece, il che è più forte a fare, ri- cordar
i punti della partizione di che hai promes- so che ti verrebbe da discorrere,
e rider alla me- moria le ragioni con che ogni parte bai conferma-
ta; e talora chiedere agli uditori che altro possono volere che loro sia
dimostrato, come sarebbe il dire: Che volete di vantaggio 7 questo io ho
fatto vedere, di quest'auro ho già la evidenza rilevala. Per iti
modo e l' uditore potrà risovvenire che Dìgitized by
Google LIBRO I. ira eam quoti
adTcrcbatur, quemndmodum dilue- ris, oslendcre. Ila per tircvcm
comparalioncm au- diloria memoria «1 de confirmalionc el de reprc-
hensioue redinlcgrabilur. Atquc liaec aliis aclio- nis quoque modis
variare oporlebit. Nam luin ex tua persona enumerare possis, ut, quid et
quo quidque loco dixeris, admoncas; tum vero perso- nam aut rem
aliqnam inducere, et cnutneraiio- nem ei totani atlnbuere. Pcrsonam boc
modo : Nam si legis scriplor exsislal, et quaerat a vobis, quid
dubitetis; quid possilis dicere, quum vobis boc el boc sii demonslralum?
Alque hic, ilem ut in nostra persona, licebit alias siugdlalim
transire omnes argumenlationes, alias ad partilioncs sin- gula
genera relerre, alias ab auditore, quid desi- dercl, quaerere, alias haec
Tacere per cnmparatio- netn 9 uarum et conlrariaruin
argumenlatioiium. Res autem inducetur, si alicui rei huiusinodi,
le- gi, loco, urbi, monumento oratio allribueliir per
enumerationem, boc modo: Quid, si leges loqui possenl ? Nonne baec apud
vos quaercri nlur ? Quidnam amplius desideralis, judices, quum vo-
bis boc et hoc planurn factum sii? In hoc quoque genere omnibus iisdem
modis uti licebit. Com- mune autem praeceptum boc datur ad cnumera-
lionem, ut ex una quoque argumentatione, quo- niam lotaiterum dici non
polesl,id eligalur, quod eiil gravissimum, et unum quidque quam
brevis- ■irne transealur, ut memoria, non oratio rcnovala videa
tur. LUI. Indignalio est oratio, per quam conficilur,
ut in aliqurm hominem magnino odium aut in rem gravis olTensio
cnncitcllir. In hoc genere il- lud primum intelligi volumus, posse
omnibus ex locis iis, qoos In conlirniandi pracceptis posili- mus,
trattari iiidignalionetn. Nam ci iis rebus, quac persomi, et quac
ncgoliis ullribulac suol, quaevis ampMficaliones el iiidigualioncs nasci
pos- suiti; sed lamon ea,quac separalim de indignalio ne praeripi
possimi, consideremus l'rinus locus Classici Val. V.
questo o quello fu dello, e insieme si persuaderà non v'csserc cosa
ch'egli debba di vantaggio desi- derare. E seguendo a dire dei modi con
clic si può variare la enumerazione, tu dovrai, come ho dello innanzi,
ora toccar di passo e a parte a par- te le tue argomentazioni; ora, ciò
clic domanda più arte, metter vicine delle tue le argomentazio- ni
dell' avversario; c poscia che avrai tocche le tue, mostrare come abbi
confutale le repliche di quello. Cosi per questo breve raffronto l'uditore
potrà farsi ricorrere alla memoria e la conferma dei punti ricordati e la
confutazione clic se ne fe- ce. E queste cose medesime si dovranno
esporre in modi differenziali, secondo clic comporterà la specie di
orazione: poiché ora potrai enumerare in persona tua, ricordando quali
cose bai dette e a quali propositi; ora introdurre altra pcr-ona o
cosa, e farne far da essa tutta la enumerazione. S'introduce una persona
a questa maniera : Poi- ché se esistesse lo scrittore stesso della legge,
e vi chiedesse di clic siete dubitasi, che potreste ri- spondere
ora che vi fu dimostro c questo c questo? E qui similmente, come iu
nostra persona, potre- mo toccare ad una ad una le argomentazioni
tulle; c alle volle scorrer i singoli capi secondo le divi- sioni
che si son fatte; alle volle chiedere all' udi- tore che altro egli
amerebbe, c late altra volle invitarlo a dire se volesse pur altro dopo
avergli messe le nostre argomentazioni a raffronto con quelle della
parte contraria. Si ottiene la enume- razione mercé una cosa, se si
attribuisce il parlare dc'sunmii capi o a una legge, o a un luogo, a
ima città, a un monumento, eccetera. Per esempio: Or clic sarebbe,
se le leggi potessero parlare? non si lagnercbber esse appo voi di cose
s) falle? Che volete di vantaggio, o giudici, mentre vi fu mostralo
a evidenza e questo e questo ? Ne' quali casi si potrà egualmente far uso
de' modi sopra indiroli. Però il precetto sempre applicabile ad
ogni specie di enumerazione é questo, sfiorato an- che sopra, che,
siccome non si può ogni argomen- tazione di bel nuovo ripetere, si dee
scegliere da : ciascuna il punto clic più rileva, e toccarlo alla
succinta, tanto che sia richiamata la memoria del- | le cose, non già
rifatta la orazione, LUI. Indignazione é un discorso, per cui si
vieti a capo clic sia colto addossa a qualche persona un odio
acerbo, o a qualche cosa una forte c dura avversione. E qui innanzi a
tutto voglio che si sap- pia come della indignazione si può trattare
con 1’ appoggio di tutti quei lunghi elio ho svolli nel dar i
precetti sopra la confermazione: poiché lutto quello che s’appropria alle
persone c ai Tatti é una Tonte copiosissima, da cui si può torre quanto
bi- sogna per Tare qualsiasi amplificazione, e per in- 121
Digitized by Google DELLA INVENZIONE RETTORI
CA .'ili siiniilur ab auclorilalc, i|uum
commomoranius , quanlac dirne rcs ca Inerii, nc per indignationcin oslendilur,
ani ad omnes ani ad majorem parlem, quod alrorissimum esl, ao ad
superiorcs, qitalcs suoi ii, quorum ex att- clorllalc indignano sumitur,
quod indignissimunt esl, an ad pnros animo, fortuna, corpore, quod
iniquissinittm esl, an ad iitleriores, quod superbis stimmi esl. Terlius
Incus esl, per quom quoeri tnus qiiidtiam sii evcntiiruni, si idem celeri
fa ciani; el simili oslendinius, buie si concessimi sii, inulliis
aemttlos ejusdem audiciac fuluros; ex quo quid mali sii cvcnluruni,
dciuoiislmbiinus. Quar- I its locus esl. per qttem dcniuiislramus mullus
a- lacrcs «spedare, quid slalualur, iti ex eo, quod otti conecssuni
sii, sibi quoque (ali de re quid li* c.eal, inlelligcrc possinl. Quitilus
locus esl, per quem oslentliinus cclcras res perperatn conslilu-
las, inlellecla fCrilale, conimulalas corrigi posse; Itane esse rem, quac
si sii semel judicala, ncque alio ronimulari itidicio, ncque ulla
poluslale cor- rigi possil. Sexlus locus esl, per quem eonsullo ri
de industria faclum demonstralur, cl illuci ad itingilur, toluulario
maleficio vcuiam ilari non o porlere, imprudenliae concedi iionnuniqtiam
con- venire. Seplimus locus est, per quem iudignamur, quod lelrum.
crudele, nefariurn, Ijraimicuni fac- ilini esse dicanola, per vini,
matium, opulenllam, quac res ab legibus el ab aeqtiabili iure
rcmolis- siinae siili. I.IV. Octavus locus est, |>cr
quelli demonslra- tnus non vulgnre ncque faclilalum esse ne ab au-
dacissimi* qiiidem liomnibiis id malelicinm, de quo agilur; al. pie id a
feris quoque liuminibus cl a barbaris gcntibiis el immanibus bcsliis esse
re- inolimi. Dace crunl, quac in parcnles, libcros, conj tgcs, consanguincos,
supplice., erudclilcr far- generarci lo sdegno. Ora perù
dubbiamo trattar i preconi clic riguardano la indignazione in
parti- colare. Il primo luogo oratorio, ovvero sorgente, donde essa
si fa derivare, 6 l'autorità, il credilo; per esempio se ricordiamo
quanto la lai cosa fu a cura degli dei immortali, o di quelle persone,
il cui credilo e l'autorità dee esser avuta perdi gran peso. E qui
se ne caverà argomento o prova dalle . sorti, dagli oracoli, dai vali,
dagli eventi moslruo- ! si, dai prodigii, dai responsi, e da cose
altrettali; ; c per islesso modo dai nostri maggiori, dai re,
dalle ciilà, dalle genti, dagli'uomini più satii, dal senato, dal popolo,
dai legislatori. Il secondo è i quello, per cui si mostra a quali persone
fece dati- 1 no il lai fallo, eccitando lo sdeguo con quanto si i
può di amplificazione; o se lo fece a tulle, ovvero alla piò parie, il
clic è estrema atrocità; o se a* superiori, ebe à cosa indegnissima; c
qui si farà nascere Tudiu dalla ragguardevolezza clic in loro fu
offesa; o se danneggiò altri che siano eguali per qualità di animo, di
fortuna, di corpo, il cito è somma iniquità; o se gl'inferiori, clic è
callivez- ] za piena di superbia. Il Icrzu luogo è quello, per |
cui si cerca che ne avverrebbe, se tulli facessero ; a quel modo, c
insieme si mostra clic se si desse pus-ala a quel tale, si Accrebbero
molli altri an- 1 dare alla stessa audacia; c qui si mostrerà
quanto gran danno incontrerebbe per ciò. Il quarto 6 quello, per
cui diamo a conoscere che molli a o- rccclii lesi espellano che venga
deciso, per sapere da quanto s'indulge all'accusato quanto essi
pos- sano assicurarsi in caso simile. Il quinto luogo è, quando
mostriamo che si può bene ogni altra de- cisione, appoggiala a cadivi
dati, mutar e correg- gere, insieme elio se no conosca la verità ; ma
il I fallo presente essere di lai sorla, che giudicalo i una volta,
ili si può mutare per altro giudicio, ni ■ per veruna podestà se ne può
alterare la decisio- ne. Il sosto tende a dimostrare clic il fallo fu
com- messo da seuuo e a bella posta ; e qui si aggiun- gerà altresì
clic a un misfallu lolouiario non si cou- i viene perdono: convenirsi
solo alcuna volta indul- gere alla inconsideratezza. Il settimo i quello,
per cui facciamo cruccio per essere il fallo orrendo, crudele,
nefando, tirannico, condodo con la vio- i lenza, di mano del tale, con lo
spreco di contanti, le quali cose sono di troppo aborrenti dalle
leggi C d >lla nin i. -razione. LI V. L'ollavo luogo, o
sorgente d'indignazione, I ì quello per cui mezzo dimostriamo che il
delitto di clic si traila non è nò proprio del volgo, uè pra-
ticalo eziandio dagli uomini più audaci; anzi esser nuovo agli stessi
barbari, ai selvaggi, alle fiere piò immani. Tali sono le sevizie con le
quali diremo essersi albi incrudito coirli o i genitori, i figli.
Digitized by Google LlliHU I.
la diccntur, cl doinceps si qua prolcranlur in ma- jores ualu, ili
liospilcs, in vicino*, in amicos, in eos, quitiuscum vitaio lineria, in
cos, apud quos educai us sis, in eos, a quibus erudilus, in mor-
luos, in miscros el misericordia dignos, in liomi- ne-s claros, nobile*
el lionore usos, in eos, qui nc- que laedere alium noe se defendcrc
poluerint, ut in pucros, scncs, inulieres ; quibus et omnibus
acrilcr cucitala indignatio suiumuin in cum, qui violarii horum aiiquid,
odiuni comnioverc polc- rit. Nonus locus est, per quem
cumaliispeccalis, quac Constant esse peccata, hoc, quo de quaestio
est, comparatur, et ita per conlcnlioneni, quanto atrocius et indignius
sit iilud, de quo ogitur, ostenditur. Dccinius locus est, per quem
omnia, quae in negotio gerendo acta aulii, quaeque post uegolium
consecula sunl, cum uniuscujusqucin- dignalione et criminalionc
colligiinus, cl rem ver- bis quam maxime ante oculos ejus, apud
quem dicilur, ponimus, ut id, quod iudignum est, pc- rinde illi
videalur iudignum, ac si ipse inlerfucril et praesens videril.
Undccimuslocus est, per quem ostendimus ab eo factum, a quo minime
oporlue- rit, et a quo, si alius Tacerei, proliiberi conveni- re!.
Duodccimus locus est, per quem indignamur, quod nobis hoc primis
accideril, ncque alicui umquam usu venerit. Tcrtius dccinius locus
est. si cum injuria contumelia juncla dcmonsiralur, per quem iocum
in superbiam el adrogantiam odium concilatur. Quarlus dccinius locus est,
per quem pelimus ab iis, qui audiuut, ut ad suas res noslras
iujurias referant: si ad pueros perliiicbil, de libcris suis coglioni; si
ad muliercs, do uxori. bus;si ad scncs, de patribusaut pareulibus. Quin-
lus dccinius locus est, per quem dicimus, inimi- cis quoque et lioslibus
ea, quac nobis accideriul indigna vidcri solere. El indignatio quidem
bis fere de locis gravissime sunielur. LV.
Conqucstionis anioni liujtismodi de rebus parles pelcrc oporlcbil. Coi uj in sti o est oratio au- diloruni
miscricordiam caplaus. In liac. priuium animum audiloris milem cl
misericoidein conli' cere o porle!, quo facilius cnnqueslione
commove- ri possi!, ld locis communibus eflicere nporlebiti per
quos fortunae vis io omnes, el lioniinum in- Grmilas ostenditur; qua
oratiune ballila graviler el scnlenliose, maxime dimiilitur animus
liomiuum, el ad miscricordiam comparalur, quum in alieno malo sua
in infirmila toni consideralo! . Delude pri- uius locus est miscricordiae,
per quem quibus in ài il inarilo, la moglie, i
parenti, i domandami mercè; c cosi via via, i debili cunlru i maggiori di
elà, gli ospiti, i vicini, gli amici, quelli con elle vivesti . 0
presso cui fosti educalo, o da cui istruito, i mor- ii, i miseri e degni
di piulft, gli uomini illustri, i nobili, c quelli clic liaiuiu sostenute
onoranze pub- bliche, quelli clic non poterono né offendere al-
trui, uè difender sè slessi, come sono i fanciulli, 1 vecchi, le
femmine. Per (ulti questi molivi ecci- tandosi forte la indignazione,
potrà fare che ognu- no venga in grossezza e ira con chi avesse adontala
0 luna o l'ultra di queste persone. i*el nono luogo si mene a
riscontro la colpa, onde si controverte, di altre colpe da tulli
confessale per tali, c si di- mostra argomentando esser di tulle quelle
più a- truce c più infame questa, di che si traila. Cui de- cimo
razzoliamo tulle le circostanze chcaccunr [lagnarono il fallo e le conseguenze
che ne soli poi venule con isdeguo c querela d’ognuno, c niel-
liamo il fallo davanti agli ocelli dell' uditore per Tarma che ne ravvisi
la indegnità come s'egli stes- so ci fosse staio in mezzo e avesselo di
presenza veduto. Coll' undecimo meniamo a vedere essersi fornito il
fallo da chi meno il dovea, da ehi anzi avria dovuto far rimanere
qualunque altro l'avesse Imlaio. Il duodecimo è quello, per cui ci
scor- rubliiamo della mala ventura di aver dovuto esser 1 primi a
trattar un fallo, clic mai a nessun altro avvenne di dover Irailare. Il
licdicesimo è, se si di- mostra all' offesa esser anche aggiunto lo
scher- no e la villania ; e in questo caso I' odio se la pi- glierà
ancora con la superbia c l' alterigia degli offensori. Il quarlodecimo
luogo è quello, per cui preghiamo gli uditori che vogliano immaginare
di aver ricevuto essi I' offesa che abbiamo ingozzalo noi ; e se
essa sarà caduta sopra fanciulli, ripen- sino essi ai Agli proprii ; se
sopra femmine, pen- sino alle lor mogli ; se sopra vecchi, ai genitori
o parenti loro. Il quindccimo è quello, per cui di- ciamo clic
quanto occorse a noi è cosa clic si tie- ne per indegna pur dai nemici c
dalle persane più ostili. Ua tulli questi luoghi e sorgenti si farà
na- scer gravissima la indignazione. l.Y. Converrà ora vedere cumc
dal fin qui dello si traggano i mezzi e le fonti della
commiscraziu- ue. È questa un discorso clic accada la compas- sione
degli uditori, l'or accanarla prima cosa è render inde e benigno l'animo
di chi ascolla, co- lalcliè possa dalle querimonie esser
ageminicele commosso. Questo sì potrà conseguile per mezzo dei
luoghi e fonti comuni, pei quali si dj a vedere la forza che esercita su
tulli la fortuna, e la fra- lezza che fa declinar l’uomo ai male; c con
questo discorso fallo con parole gravi e senlcnziosc, si viene ad
ammollir furie il cuore degli uomini c Digitlzed by
Google fi8 DELLA INVENZIONE
UETTOIIICA bonis fuerint, et nunc qnibus in malis sinl,
ostcn- ditur. Sccundus, qui in tempora Irìbuilur, per quelli, quibus
in malis fucrint, et bini, et futuri sinl, demoustralur.Tertius, per
i|uem unum quod- que deploralur incoromodum, ut in morte Dlii pue-
riiiae dcleclatio, amor, spes, solatium, cducalio, et, si qua simili in
genere quolibcldc incommodo per conqueslioncm dici poterunl. Quartus,
per quem res turpes et bumiles et illiberalcs profercn- tur et
indignac aelatc, genere, fortuna, pristino honore, bcncficiis; quae passi
perpessurive sinl Quinlus, per quem omnia ante oculos singillatim
incommoda ponunlur, ut vidcatur is, qui audit, siilere, et re quoque
ipsa, quasi adsit, non terbis solurn ad miscricordiam ducalur. Seilus,
per quem practcr spem in miseriis dcmonslralur esse, et, qumn
aliquid eispeclarel, non modo id non adeplum esse, sed in summas miserias
incidisse. Seplimus, per quem ad ipsos, qui audiunt, simi- lem casum
converlimus, et petinrus, utdesuis li- bcris aul parentibus aut aliquo,
qui illis carus de- beat esse, nos quum videanl, rccordentur. Ocla-
r us, por quem aliquid dicilur esse factum, quod non oporlueril, aut non
factum, quod oportueril, hoc modo: Non adfui, non ridi, non
posircmam vorem ejus nudivi, non estremum spirilum ejus eicepi.
Itcm: Inimicorum in manibus mortuus est, lioslili in terra lurpiler
jacuit insepultus, a fe- ria diu vcialus, eommuni quoque lionorc in
morie caruit. Nonus, per quem oralio ad mutas et cr- pertes animi
res refcrclur, ut, si ad equum, du- tnum , tcslem , sermnnem alicujus
accomodes , quibus animus corum, qui audiunt et aliquem di-
cierunl, vehementer commovclur. Decimus, per quem inopia, iulirmi tas,
soliludo dcmonslralur. Endccimus, per quem aut liherorum, aul
paren- timi , aut sui corporis sepeliendi , aut alicujus ejusmodi
rei commendano lìl. Duodeeimus, per quem disjunctio deploralur ab aliquo,
quoti) di- ducaris ab eo, quicum libenllssime vlzeris, ul a
parente, (ìlio, fratre, familiari. Terlius decimus, per quem cum
indignationc conqucrimur, quod ab iis, a quibus minime convcnial, male
traclc- mur, propinquis, amicis, quibus benigne feceri- mus, qnos
adjulores furo pularimus, aut a quibus indignum sii, ut servis, liberili,
ebentibus, sup- plicibus. disporlo a esser misericordcrole, siccome quello
che nel fallo altrui riconosce la propria debolciza. La prima fonte di
compassione è il mostrare di quali beni si borano forniti, e da che mali
si tro- vano essi sbattuti gl'infelici. La seconda si diride per
tempi, c viene a descrivere le calamità dreni ban sostenute, che
sostengono in presente, e che sono per sostenere appresso. La lena lagna
di qualsiasi crepacuore: cosi nella morie di un figlio compiangesi
la gioia che ne recava la sua puerizia, l’amore, la speranza, il
conforto, l'educazione, c quanl' altro di simile potrà esser motivo di
com- miserazione. La quarta è quella, per cui si fa ve- dere che
turpezze, che umiliazioni, che incivilii ha dovuto e dovrà trangugiar l'
infelice, indegne della sua età, della sua slirpc, della sua
condizio- ne, dell' antico splendore, dei bencllzii da lui im-
parlili. La quinta è quella, per cui si schierano di- nanzi agli occhi
dell'uditore ad una ad una le di- savventure deli’ infelice , affinchè ascoltando
le possa quasi clic vedere, e siane condotto a com- passiono non
pur dalle parole dell' oratore, ma dal figurarsi d’essere quasi presente
ai fatti stesti- La sesta è quando si dimostra esser un tale irre-
tito nelle disgrazie senza speranza di poterne u- scire.e mentre se
u’atlcndcva qualche allcviazione, non solo non esserne venuto a capo, ma
precipi- tato anzi nelle miserie più dure. La settima ì quan- do
imaginìamo in quelli che neascollano un infortu- nio simile al nostro, e
ii preghiamo che nel veder noi rammentino i loro figli, i genitori, o
qualche altro che lor debba esser caro. L’ ottava, quando si dice
essersi fatto ciò die non bisognava, o la- sciato di fare ciò che si
dovea, come a dire : Non fui presente, non vidi, non ho udite le ultime
di lui parole, non ne ho raccolto il respiro eslrcroo; oppure : E
morto in potere dei nemici, giacque indcccnlcmcnle insepolto in terra
ostile, mislrat- lato a lungo dalle fiere, senza avere nè in morie
i comuni onori. La nona è quella, per cui s'appro- pria il discorso ad
esseri muti e privi di ragione, come se lu facessi parlare per altri un
cavallo, li- na casa, una veste; c questo è caso in cui quelli die
ascoltano e che hanno portato amore a qual- cuno, restano vivamenlc
commossi. La decima è quando si dimostra l'altrui miscrlà, la
debolezza, l'abbandono di tulli. La undecima è quella, con che si
raccomanda che non manchino di sepoltu- ra i figli, i genitori, il
proprio corpo, o clic sia for- itila qualche altra cosa consimile. La
duodecima deplora la separazione che dei sostenere da qual- che tuo
amorevole, con cui menasti vita della mi- gliore tua voglia, come sarebbe
dal padre, dal fi- gliuolo, dal fratello, dall'amico. La
tcrzadccima è quella, per cui alle querele accoppiamo altresì
Digitized by Google LIBRO I.
LVI. (joartus decimus, qui per obsecralionem sumilur; in quo
oraninr modo illi, qui audiunl, humili el supplici oralionc, ut
miscreanlur. Quin- tus decimus, per quem non nostras, scd corum, qui
cari nobis dcbcnl esse, forlunas conqueri nos demonstramus. Sextus
decimus, per quem ani- mum nostrum in olios misericordem esse
ostendi- mus, et tamen amplum et escelsum et patienlem incommodorum
esse, et futurum esse, si quid ac- ciderit, demonstramus. Nam sacpe
virlus et ma- gniCcenlia, in quo gravilas et auctoritas est, plus
proOcit ad misericordiam commorendam quam liumililas el obsccralio.
Commotis aulcin animis, dlutius in conqucslione morarì non
oportebit. Qucmadmodum enim dilli rbctor Apolionius, la- crima
nihil citius aroscil. Sed quoniem et satis, ut (idemur,
dcomnibuspartibusoralionis diiimus, el hujus «nluminis magnitudo longius
processil, quac scquuntur dciriceps, in sccundo libro di-
ccmus. SS) 10 sdegno di esser duramente tribolati da
chi noi dovca, come a dire dai parenti, dagli amici, da quelli che
hanno da noi ricevuto del bene, i quali ci snidavamo dovessero esserci
aiutatori , o da quelli che non ci potevano mislratlare se non con
la più nera indegnità, come sono i servi, i liberti, i clienti, e quelli
che altre volte sono ricorsi a noi supplichevoli. LV'I. Il
quartodecimo luogo o fonte di compas- sione £ la preghiera, con clic
facciamo forza al cuore di quelli che ascoltano, per discorso
reumi- liato c che va alla mercede loro, perchè ne fac- ciano
misericordia. Col decimoquinto mostriamo di compiangere non le nostre
disavventure, ma quelle di coloro che ne debbono esser amati e ca-
ri. Col seslodccimo dimostriamo che il nostro cuore è pietoso verso
altrui, ma che tuttavia nelle presenti disgrazie è magnanimo, elevalo o
soffe- rente, quale altresì sarebbe, se altro gli fosse per
incontrare. Ed è un fatto, che sovente la virtù e 11 portamento di
grand'animo in uomo autorevole e grave fa più al muover la compassione
che non farebbe rumiliamcnlo e la preghiera. Commossi gli animi,
non si vuole esser lungo nella querimo- nia, poiché, a detto del retore
Apollonio, niente si asciuga più presto che le lagrime. Or, poiché
ho dello a bastanza, per mio avviso, circa le parti tutte dell'orazione,
e questo libro m’è anche ve- nuto un po' troppo allungalo, dirò a mano a
ma- no nel secondo libro le cose che mi restano da c- s
porre. Digitized by Google DELLA
INVENZIONE EETTORICA L1DRO SECONDO
ARGOMENTO Tullio culla eoo una elegante narrativa, e
poi passa a trattare del genere gludic iato, e della costituitone congetturale,
e deferiti a che per agitare si fatte cause dee ricorrere e ruttore c
l'accusato. Della costituitone definitiva,' indi della traslativa.
Della costituitone generate, di cui spiega Tullio le due parti in che
essa ai divide, eiósonolinegotialcelagioridiciilc. Delle controversie
circa lo scritto. Del genere deliberativo, e delToncslo e deU'utile.
In Due, del genere dimostrativo. i. Crolortialac
quondam, quum llorcrent omni- bus copiis, et in Italia cum primis beati
numcra- rcnlur, lemplum Junonis, quod religiosissime co- lebaul,
egregiis picturis locupletare toluerunl. Ilaque ileracleolem Zeuxiu, qui
lum longe ccte- ris ciceilere pirloribus csislimabalur, magno pre-
lio conductum adhibucrunl. Is et cclcras contplu- rrs fabulas pinxil,
quarum nonnulla pars usque ad nostrani memoriam propter funi religloncm
re- tnansil, el, ut exccllcnlem muliebris formac pul- critudinein
muta in scse imago contiueret, Ilele- nac pingcrc se simulammo velie
diiil; quod Cro- tonialac, qui eum muliebri in corporc pingendo
plurimum aliis pracstarc saepe acccpisscnt, libcn- ler audicrunl.
rulavcrunt enim, si, quo in genere plurimum posscl, in co magno opere
elaborasscl, egregium sibi opus ilio in fatto rcliclurum. Ncque tum
cos ilia opinio fefeliil. Nani Zeuiis illico quac- sivil ab cis, quasnain
virgines forntosas liabcrcnt. Illi aulem statini hominem dcduicrunt in
pale- stram, atquc ci pucros ostcndcrunt multos, magna praedilos
dignilalc. Elenim quodam tempore Cro- lonialac mullum omnibus corportim
viribus et di- gnitalibus anlcstclcrunt, alquo lioncslissitnas ci g
vinilico ce riamine viclurias domum cum laude maxima rclulcrunt. Quum
pucrorum igiiur formas 1. 1 Croloniesi, allorché erano in
florido e di ogni bene rinfusi, c in Italia coniali Ira i popoli
più felici, fecero su pensiero di voler arricchire di dipinli i più
squisili il (empio di Giunone elio veneravano a grande rispello ed onore.
A ciò in- silarono Zelisi di Eraclea, che di quei tempi avea nome
di eccellente in pittura sopra ogni altro, c a gran contante patlovirono
con esso il lavoro. Co- stui vi condusse parecchie dipinture, delle
quali alquanto poca parte si conservò lino ad oggi per la
venerazione in che il tempio fu sempre avuto; c per comporre una imaginc
clic nella sua mutez- za esprimesse quanto può avervi di sfolgorala
bel- ili in fattezze muliebri, si profferse di voler fare il
ritratto di Elena. 1 Croloniesi udirono questo del miglior grado, siccome
quelli ebe spesso arcano udito come in dipinger sembianze di donna ci
la- sciavasi in dietro ogni altro di lunga mano. Fa- ceano ragiona
che se egli, il quale in dipinger donne era al postutto vaiente. Tosse
stato attorno a quel lavoro con proposito di farne ogni suo po-
tere, avrebbe lasciato nel tempio un’opera di som- ma eccellenza, Mési
apposero in fallo. Zcusi chie- se tosto quali avessero donzelle di più
bellezza. Esssi lo condussero inconluuculc nella palestra, e gli
fecero vedere molli garzoni di maestosa av- Digitized by
Google LIBRO 11. CI et
corpora magno liic opero mlrarelur: llorum, inquilini illi, sorores suol
apuli nos virgines Olia- re, qua siili illac ilignilalc, polcs ex his
suspicari. Pracbetc igilur milii, quaeso, inquit, ex istis vir-
ginibus formosissimas, dum pingo id, quod polli- cilus suiti vobis, ul
mutui» in simulacrum ex ani- mali esemplo vcrilas Iransferatur. Tum
Crotonia- tae publico de concilio virgincs unum in locum
coiiduxcrunl, cl pictori quam velici eligendi potè- slatcm dedcrunl.Ille
aulein quiuquedelcgit; qua- rum nomina multi poiitac mcmoriac prodiderunt,
quod ejus csscnt judicio probalac, qui pulcrilu- dinis habere verissimum
judicium dcbuissel, Nc- que cnini putavil omnia, quac quaercret ad i
cuti slalom, uno se in rorporc reperire posse, ideo quod niliil
siuiplici in genere omnibus cv partibus perfeclum naluru expolivit.
Ilaquc, tamquam cc- leris non sii habilura quod largialur, si uni
cuncla enncesseril, alimi olii commodi aliquo adjuucto iurommodo
muneralur. 11. Quod quoniam nobis quoque toluulatis
ac- ridi!, ut urlcui diccildi pcrscribcremus, non unum aliquod
proposuimuscxeinplum,cujusonines par- ics, quoenmqnc esscnl io genere,
exprNneodac nobis necessario viderenlur; sed, omnibus unum iu locum
coaclis scriploribus, quod quisque com- modissime pracripere videbalur,
cxcerpsimus, et ex variis ingcniis excelleulissima quaeque libavi-
inus. Ex iis Chini, qui nomine et memoria digiti sunl, ncc mini optiine,
nec omnia pracclarissimc quisquam diccre nobis videbalor. Quaproplcr
stul- titia visa csl aul a bene inventis ulicujus recedere, si quo
in vitto cjusoITemJerctnur, aul ad vilia quo- que cjus accedere, cujus
aliquo bene pracccplo duccremur. Quodsi in ccteris quoque sludiis a
umili, cligere boni ncsconnnodissimuin quodque, quam sesc uni slicui
eerto/cllcnl addiccrc, minus in adrogantiam oOenderent; non tanto opere
in viliis perseverami! ; aliquanto levius ex inscienlia laborarcnl.
.Ve si par in uobis liujus arlis atquc in ilio picluruc scienlia fuisscl,
fonasse magis Ime in suo genere opus nuslruin, quam ilio in sua pictu-
ra nobilis enilercl. Ex majore cium copia uobis quam iili fuil eiempiorum
eligendi poleslas. lite una ci urbe et cv co numero virginum, quac
tum eranl, cligere poluìl: nobis omnium, quicumque fueruut ab
ultimo principio liuj-is pracceplionis veneroleixa. E
infatti una volta I Crotonicsl anda- vano innanxi a ogni altro popolo per
corpi fatticci e di nobile appariscenza, c negli agoni ginnastici
vernano riportando con ispantc lor lodi vittorie onoratissime. Or mentre
Zcusi si dava attorno ad ammirare i corpi c le fattezze di quei garzoni;
Son qui fra noi, dissero i Croloulesi, le vergini sorelle di
colesloro, le quali quanto sieno di bellezza van- taggiale, da questi
loro fratelli ne puoi far sag- gio. Ed egli: di grazia, me ne date le
meglio leg- giadre finché io travagli il dipinto clic vi ho prof-
ferito, c annesti nella mula effigie la verità del- l'animato esemplare.
Altura i Crotonicsi di comu- ne conserto ragimarono insieme le loro
donzelle, c fecero copia al dipintore di scerre delle tante quella
ch'egli volca. Egli ne fece eletta di cinque, i cui nomi dappoi per molli
poeti furono messi in celebrità per esser esse in conto di belle nel
giu- dichi di quell'imo, clic della bellezza dovea esse- re
giustissimo estimatore. Ne volle cinque, per- chè non andava capace di
trovar in solo un corpo quanto ei cercava di venustà, però clic non v'
ha individuo di veruna specie, in cui la natura alftz- zunassc e
rendesse perfetta ogni sua parte; tan- to che essa, come se non avesse più
die dare agli altri se concedesse lutto ad uno, alle doli clic di-
spensa a questo o a quello mette sempre allato una qualche imperfezione.
II. Or poiché avvenne pur a me ch'io fossi d’a- nimo di scrivere
sopra l' arte di parlare, non mi proposi io già mi qualche modello
speciale, da dover di necessitò ritrarre in tutte le sue parli, di
qualunque ragione esse si fossero; ma mi raccol- si innanzi quanti di
tale materia hanno già scritto, e ne presi da ciascuno i precetti clic uh
parvero il caso, sdorando dai v arii ingegni quanto di più eccellente
ti Iruvai. Perocché di lutti gii autori die son degni di esser nominali c
tenutane me- moria io m'avvisai die ognuno dice belisi quatdie cosa
di gran rilievo c peso, ma clic noti ogni sua cosa è della stessa
qualità. Oud' è dio io repulai non essere da buon senno clic io
rifiutassi ciò die alcuno ha ritrovalo di buono, solo perchè io mi
fussi imbattuto ili quulelic suo difetto, che mi spia- cesse, ovvero che
io ne andassi dietro fin anche alle pecche, se di qualche suo buon
precetto aves- si preso piacere. Che se anche negli altri studii
amassero gli uomini scerre da molli il lior delie cose più presto clic
attenersi agl'insegnamenti di uno svio, saiieno meno presontuosi, itoti
islarcb- bero nei difetti cotanto alla dura, ed anche s' u-
vrebbero d’ignoranza alquanto meno, E se io del- l'arlc retorica avessi
una scienza clic stesse iu rag- guaglio con quella clic avea Zeusi della
pittura, forse clic quest'opera risponderebbe nei suo gc-
Digitized by Google li 2 DELI.A
INVENZIONE RETTOIUCA usquo od hoc tempus, eiposills copiis,
quodcum quc placerct, eligendi poteslas fuil. Ac vcleres qui dem
scriplorcs artis usque a principe ilio alque inventore Tisia rcpelilos
unum in Incum condoli! Aristolelcs, et nominalint cujusquc praccepla
ma- gna conquisila cura perspicue conscripsil, alque enodala
diligentcr ciposuil; ac tantum invenlo- rilius ipsis suavilale et
bretitale diccndi praestitil, ut nemo illorum praccepla ex ipsorum libris
co- gnoscat, sed omnes, qui quod illi praecipiant vc- lint intelligcre,
od liunc quasi ad qucmdam multo commodiorcm eiplicalorcin revertanlur.
Atquc hie quidem ipse et so ipsum nobìs, et ens, qui ante se
fucrant, in medio posuit, ut celeros et se ipsum per se eognosccrrmus :
ab hoc aulem qui profccli stilli, quamquam in maximis philosophiac
partibus operae plurimum consumpserunt, S'cul et ipse, cuius
instiluta sequebanlur, beerai, tamen per- mulla nohis praccepla dicendi
reliquerunt. Alque alii quoque alio ex fonte praeceplores dicendi
emanavcrunl, qui ilem permullum ad dicendum. si quid ars prolicit, opilulati
sunt. Nani fuit tem- pore endem. quo Aristutcles, magnilo et
nobili* rhclor isocrales; cuius ipsius quam conslet esse arimi, non
invenimus. Discipulorum aulem, ali|ue eorum, qui prolinus ab hac suoi
disciplina pru- fccli, multa de arte praccepla repcrimus.
III. Ex bis duabus diversi* siculi ramiliis, qua- rtini allora quum
vcrsarelur in philosophia, non- nullam rhcloricae quoque arlis sibi curam
adsu- mebal, altera vero omnis in dicendi crai studio el
pracceptione occupala, unum quoddam est con- natum genus a poslerioribus,
qui ab ulrisque ea, quae commode dici vidcbanlur, in suas arles
con- lulerunl, quos ipsos simul alque illos supcriores nos nobis
omnes, quoad facullas lulit, proposui- mus, et ex nostro quoque noniiibil
in commune coiiluliinus. Quud si ea, quao in bis libris expo-
tiuiilur, laido opere eligenda fuerunl, quanto stu- dio ciccia suut,
prorecto ncque nos ncque alios iuduslriae noslrac poenitebit. Sin autem
temere aliquid alicuius praclcriisse, aul non salis degan-
nere più che nella pittura ci non fece; poiché io a potere far
scella ho maggior abbondanza di mo- delli ch’ei non ebbe polulo avere.
Egli raccolse il meglio in 3ola una cillà e fra quel numero di don-
zelle che vi Bveano allora: io per contra ebbi in- nanzi agli occhi tulio
il gran capitale che hanno ammassalo quanti furono lino da quando si
co- minciò di ridur quest' arte a precedi, e vi potei scegliere ciò
che meglio mi abbellava e piaceva. Quanti v'ebbero scrittori di retorica
per insino da Tisia che ne fu l' inventore, e primo ne scrisse,
tutti gli raccolse insieme Aristotele, e i precedi che con molla cura
rauuò da questo e da quello, citandone anche il nome, pose con tutta
chiarez- za in iscritto, e sviluppò e svolse con precisione; e
tanto seppe eccellere gli stessi primi inventori per piacevolezza e
brevità di dedalo, che nessuno sa conoscere esser quei loro precetti
tolti dai li- bri loro, ma conviene che qualunque, il quale vo- glia
sapere che si dicessero con quei loro precedi gli antichi, ricorra a lui
come ad esplicalorc molto più frullcvolc e più giudizioso di ogni altro.
An- che più, che questo autore ne pose innanzi sé ste- so oltre
quelli che erano stali prima di lui, accioc- ché per mezzo suo
conoscessimo e gli altri e lui medesimo. Quelli poi che lo secondarono
oppres- so, eziandio che mollo spendessero ili fatica piai - disio
nella trattazione delle parli cssenzialPdclla filosofia, come avea fallo
quell'esso, di cui segui- vano le dottrine, tuttavia ne lasciarono un
buon dato di precetti pur sopra l'arte del dire. Prece do- ri di
quest' arte nc uscirono fuori anche da altro fonte, i quali similmenle
recarono assai soccorsi al dire, se pur l' arie si lascia alcuna cosa
soccor- rere. E infatti a’ tempi stessi di Aristotele fu un grande
ed eccellente retore, Isocra'e voglio dire ; ma quali leggi ci seguisse
dell' arte sua, non ho trovalo chi il sappia. Bensì i suoi discepoli, e
que- gli altri che vennero da questa sella troviamo aver lascialo
ben molti precetti di retorica. HI. Da queste due dirò cosi diverse
famiglie, l’uno, avvegnaché di professione trattasse filosofia, pur
facea qualche sludio anche dell’orle relorica, e quella d’ Isocrate era
tutta iu faccende solo nel far l'esame e dar leregple del ragionare. Or
que- ste due famiglie furono ridotte a una sola dai po- steriori, i
quali introdussero nell' arte che inse- gnavano quaulo han trovato di
buono c di meglio negli uni e negli altri ; c son questi medesimi e
quelli più antichi che io mi proposi di seguire quanto lio potuto, e coi
quali ho messo in comune pur qualche poco di mio. thè selccosc che ho
espo- sto in questi miei libri io le ho Irascelte con quella
colatila cura che una scella cosi rilevante pur do- mandava, corto della
mia industria né io posso, né Digitized by Google
1.10110 II. «5 ler scemi
viilcbimur, dodi ab aliquo Tacile cl li- benler commutabimur sen'cnliam.
Non enim pa- nini cognossc, sed in parum cngnilo stililo et din
perseverasse turpe est, proplerea quoti nllcruni eommutii linminum
iuflrmitali, allcrum singolari unius cuiusque litio est atliihulum. Quarc
nos quidem sinc ulta adfirmalione simut quacrcntes dubilanter unum
quidquc dicemus, ne, riunì par- vulum Ime eonsequinmr, ut salis linee
rommnde perscripsisse videamur, i limi amitlamus, quod maximum est,
ut ne cui rei temere alque adrogan- ter adscnserimus. Verum Ime quidem
nos cl in hoc tempore et in onini vita studiose, qnoad Tacullas
lerci, consequeniur. None autem. ne longius ora- lio progresso ndcalur,
de reliquia, quae praeeipicn- da videntur esse, dicemus. Igilur primus
liber, ciposito genere liuiusarlis el olllein, et (Ine, et materia,
et partibus , genera controversiarum et inventiones el eonslitutiones et
iudieationes eonti- nebal, deinde parles oralionis et in eas omnes
omnia praecepla Quarc quum in co ccloris de re- bus dislinctius dicium
sii, disperse autem de con llrmalione el do reprchensione, nunc cerlos
con- firniandi cl repreliendendi in singula caiisarum genera locos
tradendos arbiiramur. El quia, quo pacto traclari convenirci
argumentaliones, in li- bro primo non indiligcnlcr espositum est, hic
tan- tum ipsa inventa unam quantque in rem exponen- tur simplieiler
sinc ulta eiornalionc, ut ex hoc inventa ipsa, ex superiore autem
eipoldio inven- lorum pelalur. Quarc liacc, quac mine prnccipicn- tur, ad
confirmationis et reprchensionis parles rc- ferre oporlcbil.
IV. Omnis cl demonstraliva cl deliberativa cl iudicialis causa
necesse est in aliqno carimi, quac ante exposila sunl, eonstilulionls
genere, uno piu ribusve, verselur. Hoc quamquam ila est, lumen quum
communilrr quaedam de omnibus praeripi possi»!, separatilo quoque aliac
sunl cuiusque generis diversac pracccptiones. Alimi enim laus ani vituperano, aliud sente.nlian
dictio, alimi ac- cusatili aut rccusalio conflecrc debet. In
iudiriis, Classici Vol, V. può andare scontento chi
che sia. Se poi dì qual- che autore io avessi senxa avvisarmene
prelermes- so alcun che, o trascrillo con meno di pulitezza !e cose
clic mi pareano da dover adottare, quando io ne sia fallo accorto da
qualcheduno, io son presto a far di leggieri c della miglior voglia le
necessarie mulaiioni. Non è vergogna aver delle cose una conoscenza
rislrellu, ma bene è do vergognare a dii durasse scioccamente c alta
lungo in cono scema si fatta : poiché la primo è propria della
pochezza umana, c l’altra non è chorgrossn difetto di colui elle se ne
accontentasse. Laonde io laser- rù nel loro dubbio le ricerche die sono
per fare, c delle cose clic dirò mi vorrò cessare da ogni af-
fermazione, acciocché mentre io vengo a capo ili scrivere questa materia
sufficientemente bene, die pur t cosa menoma, io non perda ciò che più
ri- leva, voglio dire il merito di non aver acconsenlilo a cosa
veruna da arrogante c inavveduto- Il che mi servirà di regola, per quanto
potrò, si nella circo- stanza presente, e si ancora in ogni altra
occasione della mia vita. Ma perché il mio discorso non si distenda
troppo in parole, vengo agli altri precetti die restano da insegnare. Or
il primo libro, do- po di aver detto che specie di orte sia la
relntica, c quale sìa il suo ufficio, il (ine, la materia, In parli,
lia ragionalo de'tarii generi di controversia, dc'modi di trovare gli
argomenti, delle costituzio- ni delle cause, dei punti da giudicare,
dipoi delle porli dell’ orazione, e di lutti i precedi clic a lune
codeste parli si riferiscono. Il perchè , siccome delle altre cose si è
parlalo in quello alquanto di- stintamente, ma della confermazione C
della con- futazione non altrimenti clic a spizzico, io Iroro da
dover ora insegnare i luoghi ovvero le fonti ac- conce a fare la
confermai ione c la confutazione In ciascuna specie di causa. E giacché
nel primo li- bro lio dimostro non senza esali- zza come sian ila
svolgere c maneggiare le argomentazioni , qui si esporranno nudamente c
senza alcuna politura le invenzioni acconce per ogni bisogno, affinchè
da questo I bro si allindano solo le argomentazioni trovale, mentre
dal primo se nc attinge anche l'or- namento e la politura. I precetti
adunque che ven- go ora a porgere si vogliono riferire olla confer-
mazione c alla conlu lozione. IV. Ogni causa, sia duno-lrativa, sia
deliberati- va, sia gìudiciale, dee necessariamente aggirarsi in
uno o in un altro genere di cosliluzione, sia uno, o sic o più, dei tanti
clic sonosi per addietro dimostrati. Tuttoché non possa essere
altramente, pure siccome V ha precetti applicabili in comune a
tulli i generi di cause, cosi ve n‘ ha altri diversi che di ciascun
genere sono propri! e speciali. Pe- rocché altro dee avere per Isropo la
lode o la dif- tn Digitized by Google
Ui: I LA INVENZIONE 1IETTOMCV 61 quello,
aitine di far apparire quanto gli sia possibile che P accusalo fu
indotto a misfarc da una ragiono che Iroppo gli cattava bene. Se
questa ragione era la gloria, ciduvrò far vedere quanto di gloria colui
imaginava gliene sarebbe seguilo; e cosi se la ragione, se lo scopo
era o dominio, o danaro, o incontrar amicixia, o romper nimisiò , insomma
qualunque ragione co- lui avesse di far ciò clic fece, egli dovrò
aniptiQ- carla quanto piò sappia. Anche dovrò attesamente
speculare, non pure se fosse ragion vera che mosse l'accusato, ma
eziandio, c mollo piò, quale fosse la opinione clic esso n'avea: poiché
nulla molila clic non ci fosse o elle non ei sia nella ra- gione
del fallo un vantaggio o un dissutile, se può provarsi che l’ accusalo
tenevo realmente che questo o quello ci fosse. L'opinione fa
allucinare gli uomini per due modi, o quando una cosa è d’altra
maniera ch'essi non credono, o quando un successo riesce diversamente da
quello ch'essi han- no pensato- La cosa è d'altra maniera quando
essi credono un male ciò che è un bene, o per centra un bene ciò
che ò un male, ovvero credono male o bene ciò che non è bene nè male,
ovvero cre- dono nè male nè bene ciò che è bene o male, in- teso
questo, se l'accusalo dirò non v' esser som- ma di danaro che gli sia più
accetta c più cara clic la vita del fratello o dell'amico, o ancora
del proprio dovere, non dovrò l'accusatore negarglie- ne; poiché ci
si trarrebbe addosso una pecca, un odio acerbo, negando una asserzione
clic può es- ser vera nel tempo stesso che è pia. Solo potrò dire
l'accusatore che colui non pare essere di que- sto avviso, e darò
rincalzo al suo dello con gli argomenti elio si traggono dalie persone ,
dei quali fla dello più sotto. VII. Il successo inganna quando
esso riesce allramenlc da quello che gli accusati o altri qua-
lunque si promettevano; come se si dicesse clic un tale ha moria altra
persona da quella che avria voluto, perchè trailo in errore o dalla
somi- glianza, o dal sospclto, o da una appariscenxa fallace; n che
l’ha uccisa perchè fu di credere ch’essa nel testamento lo avesse
nominalo suo crede, mentre secondo il testamento l'crcdilò non era
legala a lui. Non si dee desumere la intenzio- Digitized by
Google LIBRO II. 67
tasti utalur, ad rem pcrlincre. In hoc attieni loco caput illud
erit accusatori, si dcmonslrarc polerit alti neniini causam fuisse
faciendi; secundarium, si tanlam aul tam idoneam nomini. Sin fuisse
aliis quoque causa faciendi xidebitur, aut poteslas de- funse aliis
demoiislranda est, aut farullas, aul vo- luntas. Polestas, si aul
nescissc, aut non adfuissc, aul enndeere aliqtt'd non poluisse dicelur.
Eacul- tas, si ratio, adiutore», aditi menta celcraquc, quae ad rem
pertinebunl, deruisse alicui deni'tusirabun tur. Voluntas, si animus a talibus
faclis vacilli» et integre esse dicelur. Pnslrcmo, quas ad
defensio- nem rationes reo dab mos, iis accusalor ad alins ex culpa
eximendos abutelur. Veruni M breii
fa- ciendtim est, et in unum multa sunlconducenda, ut ne alterius
defendendi causa huuc accusare, sed huius accusandi causa defcndcrc
altcrura vi- dealur. Vili. Atque accusatori quidem
hacc fere sunt in causa faciendi consideranda. Defensor autem ci
contrario primum impul9Ìonem aut nullam fuisse dicet, aut, si fuisse
concedei, exlenuabit, et por- vultm quamdam fuisse demonstrabil, aut non
ei ea solere huiusmodi facta nasci docebit. Quo erit in loco
demonstrandum, quae vis et natura sii eius adfcclionis, qua
impulsusaliquid rcus commisissc dicclur; in quo et exempla et
similitudincs crunl profercndae, et ipsa diliirenler natura
eiusadfeclio- nis quam lenissime quielissimam ad parlcni eipli-
canda, ut et res ipsa a facto crudeli et lurbulcnlo ad quiddam mitius et
tranquillius traducalur, et oratio Inmcn ad animum eius, qui audicl, et
ad animi qucmdam inlitnum sensum accommodetur. Ratiocinationis
autem suspicione.» infirmabil, si aut commodum nnllum fuisse, aut
parvuin, aut aliis magis fuisse, aut niliilo sibi magis, quam aliis,
aut incommodum sibi maius, quam commodum dicci; ut nequaquam
fticril illius. cominodi, qund expe- lilum dicalur, magnitudo aut rum co
incommodo, quod accidcrit, aut cttm ilio periculo, qund subca- tur,
comporti tela: qui omnes loci simdiler in iu- commodi quoque vitatione
traclabunlur. Sin accu- salor dixerit cum id esso scculum, quod ei usi
m sii commodum, aut id fugisse, quod putarit esse ne
dal successo, ma bensì badare quale Tu proprio l'intensione c la speranza
con che l'animo si è accinto a malfare: perocché quel clic fa al
caso si è il vedere la intenzione con la quale altri fa un fallo,
non la uscita a che il fatto stesso è ve- nuto. E qui il punto primario
per l'accusatore sta in questo, che possa dimostrare come verun
altro, dall'accusato in Tuori, non ebbe la ragione ch’ebbe egli di venir
a quel fatto: il punto se- condario è prmarc che nessun altro polca
avere unti ragione di si gran peso ed opportunità. Che se potrà pur
essere clic altri avesse la stessa ragio- ne di fare, si dimostrerà che
nondimeno glie- ne mancava o il potere, o il destro, o la vo-
lontà; il potere, se dirassi ch’egli non se ne seppe, n che non fu
presente, o clic non ebbe i mezzi per fare; il destro, se si rnoslrerà
clic non ebbe nè modo, nè nppnggialori, nè aiuti, nè quant'allro
saria stalo di bisogno; la volontà, se dirassi che egli ha un animo
scevro c intatto da opere dì si falla maniera. Da ultimo, le
ragioni che daremo all’accusato per la propria difesa son le stesse
che tirerò al suo vantaggio I’ accusatore per purgare da colpa qualunque
altro che invece di quello fosse accusato. Questo però si vuol fare
alla breve, ammassicciando in uno piò cose, tanto clic si paia non clic
s’accusi questo per difender quello, ma che si difende l'uno per
anzi accusar l'altro. Vili. Tali sono le considerazioni clic dee
far l'accusatore rispetto alla ragione che mosse l'ac- cusato a far
quel clic fece. Il difensore in quel cambio dee tenere diversa via. l a
prima cosa c! dirà clic quel fallo non venne da impulso d'ani- mo,
o se concederà elle un impulso ci sia pure stato, farà di stremarlo e
mostrare che fu assai lieve, ovvero farà vedere clic falli di quella ma-
niera per l'ordinario non procedono da impulso interno. E qui ci verrà
dispiegando la forza c la natura di quella affezione, da cui si dice
essere stato impulso l’accusato a commetter I’ azione imputatagli:
porgerà a difesa esempii e simili- tudini, c svolgerà accuratamente quel
molo del- l’animo dal suo lato più calmo e più tranquillo; talché
il fatto stesso, che è cagione di accusa, di crudele e turbolento pas-i
ad aver sembianza di mite e pacato, e il discorso sia nondimeno ac-
concio a svegliar nell'animo di chi ascolta un sen- tire accostante alta
sembianza elle si vuol dare al fallo. Il difensore anche addebotirà i
sospetti ap- poggiali a raziocinio, se dirà che dal fallo non venne
vantaggio di sorta, o che ne venne pochis- simo, o che esso profittò agli
altri mollo piò, o che niente piò all'accusato che agli altri rftin fece,
o anzi gli tornò più a danno che a utile; di forma
Digitized by Google ti» DELLA
INVENZIONE RETTOMCA incommodum, quamquam in falsa fucril
opinione, dcmonslrandum crii ilcfcnsori ncniinem Ionia esse
slullilia, qui tali in re possil verilatem ignorare. Quod si id
conccdnlur, illud min ronccssum ili, ne dubitasse quiilem lume, quid
u-rius ossei, sed id. quod falsimi Inerii, sino olla duliilalione
prò vero protrasse. Quod si duliiliirit, smuntile Inisse
amctilioedtibias|ie inipulsiiin eerlurn in periculiini se conunillere.
Qiieniadniodum anioni areu-alnry quum ab aliis culpam deiuovebil,
defensoris Ineis ulclur, sic iis locis, qui a-cusatori doli soni,
ute- lur rem, quum in ilios ab se crimcn vote! Iran s Terre.
IX. Et persona uulem eonicclura capielur, si rac res, rpiae
personis atlriliulae soni, diligenler eonsidcrabuntur, qnas omnes in
primo libro ovpo- suimus. N.un el tic nomine nonmunqunin aliquid
suspiciouis nascilur. Nomen ameni 1 poco scaltra, che possano es- sere
ribattuti evoltali a utile della parte contraria; della qual fatta sono i
Ire clic ultimamente ho toc- cati. Quanto (• alta querela gravissima, con
che si dimostra che seguirebbe scompiglio in tutliquonli i
giudicii, ove l' accusatore avesse licenza d' in- fligger la pena a chi
non fu condannalo, l'accu- satore addebolirà essa querela primamente se
farà vedere esser il fatto una ingiustizia cosi acerba, ila non
poterla portare un uomo dabbene, e molto ancho meno un uomo libero; dipoi
se farà co- noscere esser essa cosi evidente, ria non poterla
mettere in dubbio neppure colui medesimo elio la commise; poscia esser di
tanta gravità, che colui clic n’ha fatto punizione l’ha senza altro
Digitized by Google unno n.
89 communis accusatori in cum, qn>, quum
id.qnnd argnilur, negare non possi!, lamen al quii! sibi spai compn
et ex iudlciorum pcrln» boli, no ,\ ! quc hic ulilitalis iudiciorum
ocmonslrnliu et de co conquesti» , qui supplicium dederil indi miinlus
; in eius autem, qui sumpseril, audacia!» pi crudr- lilalcm
indignali». Ah defensorp. In eius , quem ullus sii, audacia!» sui
conquesti» : rrm non ex nomine ipsius negolii, sed ex consilio eius, qui
fe ccril, et causa et tempore consideraci nporlerc ; quid mali
fulurom sii ani ex iniuria aut ex serio- re alicuius, nisi tanta et Ioni
perspicua audac a ab eo, ad cuius famam, aut ad parentes, aut ad li
beros perlinuerit, ani ad aliquam rem, quani ca- ram esse omnibus aut
ncccssc est, aut oportel es- se, fueril «indicata.
XXIX Remolio criminis est, quum eius inleidio f ieli, quod ab
adversario inferinr, in atium aut in aliud dem >velur. Id IH bipcrlito
; nam tum causa, lum res ipsa removetur. Causae remotionis hoc
nobis esemplo sit: Rhodii quosd.im legarunl Ailie- nas. Legatis
quacstorcs sumplum, quem oporlcbal dari, non dcderunl. Legali profedi non
stud Ac- cusantur. Intenti» est : Profieisci oportuit, Dipoi sio est:
Non oportuit. Quaestio est: Opertucrilnc? Ratio est: Sumptus enim, qui de
publico dari so- le!, is ab quacstore non est datus. Inflrmalio
est: Vos tamen id, quod publice vobis erat negotii da- tum,
conflccrc oporlcbal ludicatio est: Quum iis, qui legali eranl, sumptus,
qui debebatur de pu- blico, non daretur, oporlueritnc eos conlieere
ni- hilo minus legalioncm ? Hoc
in genere primum, sicut in coieria, si quid aut ex conieclurali aut
ex alia constilulionc sumi possi! , viderì oporlcbil. Deinde pleraquc et ex
comparatione et ex rclaiio- ne criminis in liane quoque causam
convenire poterunt. Accusalor
autem illum, cuius culpa id factum reus dice!, primum dcfendel, si
polcrii ; dovuta fare di necessario; di modo clic se
Tu cn-a giu-la, se fu onesta clic quella ingiustizia veni.se
portata in giudici», motto più fu onesta e giusta rosa die si punisse a
quel modo c da quello, ila cui fu cosi punita; indi esser essa cosi
manifesta, da non esser mestieri die neppure se uè tenesse giudici». E
qui con ragioni e circoslan- rc simili si dee dimostrare come si danno di
molte altre cose egualmente atroci ed egualmente chia- re, le quali
non solo non è necessario, ma ni eziandio utile aspettar di punire quando
ne sarà fallo il giudicio. A questo punto toma acconcio un lungo
comune: a carico dell'accusatore, mo- strando la parte arveisa clic non
potendo egli negare il fallo, movente c causa del fatto cli'cssa
difende, va tuttavia a mendicare nello scompiglio dei giudici qualche
speranza di buona uscita. E qui s' ha a dimostrare l'utilità dei
giudicii, e me- nar doglianza sull'Infelice che doveltc soggiacere
a pena senza previa condanna, e far cruccio con- tro l'audacia e la
crudclvzza di colui che impose la pena. A carico del difensore, dolendosi
l’accu sante dell'arroganza di colui ch'egli ha punii». Dirò,
doversi riguardare il delitto non dal nome dell' a ITa re totale, ma
dalla intenzione di colui clic il fece, dal motivo, dalle circostanze del
tem- po; c badar bene al male che ridonderebbe dalle ingiustizie c
dalle scellcranzc dei malvagi, se cosi grande e cosi Dolente audacia non
fosse punita dall'uomo clic se ne vede mistratiala la fama, o i
genitori, o i figli, o qualche atiro oggetto che necessità o convenienza
domanda clic da ognuno sia avuto a caro. XXIX. È retnoziune del
distillo allora che un Io- le riversa sopra un'allra persona o un'altra
cosa il fallo che l'avversario imputa contro a lui. Ciù si fa per
due modi, poiché ora si riversa sopra altrui la causa del fallo, ora il
fatto stesso. Quanto alla cau- sa, abbiamone il seguente esempio: I
Rodiani vol- lero mandare certi loro ambasciadori in Alene, àia
siccome i questori non diedero loro le spese, co- me era dovere, gli
ambasciadori per ciù non par- tirono. Sono accusati. Dice l’attore: Si
doveva par- tire. Replica colui che difende: Non si doveva. La
questione è: Sì doveva o no? La ragione, ovvero difesa: Poiché ii
questore non forni il danaro del comune, che si fornisce per consueto
agli amba- sciadori. La confutazione è: Voi non di meno do- vevate
spedir la bisogna che a nome del pubblico vi era commessa. Il punto da
decidere si i : Non essendo date agli ambasciadori le spese di
quel- lo del comune, come pur bisognava, dovevano es- si non
ostante ciò andare in ambasceria? In que- sia causa, come in lolle le
altre, é da vedere se si possa (or qualche punto che profili! o dalla
con- Digitized by Google 90
DELLA INVENZIONE BETT0K1CA si minus poteri!, ncgabil
ad hoc iudicium illius, scd liuius, qucm ipsc accuse!, culpam pei
linere. Poslca dicci suo quemquc officio consolerò opor- tcre ;
ncc, si illc peccasse!, hunc oporluisse pec- care : deinde, si ille
deliquerit, separabili illum sicut hunc accusari oporlere,ct non cum
huius dc- fensioneilliusaccusalionem. Defensoraulom quum celerà, si
qua ex aliis incidenl conslilulionibus, pertractaril, de ipsa rcmolionc
sic argumenlabilur. Primum , cuius acciderit culpa , demonstrabil ;
deinde, quum id aliena culpa accidisscl, ostcndel se aut non poluisse aut
non debuissc id tacere, quod accusator dica! oportuisse. Quod non
polue- ril, ex ulililalis partibus, in quibus csl necessilu- dinis
vis implicata, demonstrabitur; quod non dc- buerit, ex honeslate
considerabilur. De ulroque distinctius in deliberativo genere dicelur.
Deinde omnia racla esse ab reo, quac in ipsius Tuonili po- testalc;
quod minus, quatn convencrit, faclum sii, culpa id allerius accidisse.
Deinde in allcrius cul- pa cxponcnda dcmonslrandum esl, quanlum vo-
lunlatis elstudii fuori! in ipso; et id signis confir- mandum huiusmodi ;
ex celerà diligenlia, ex ante factis aut diclis; alque hoc ipsi utile
fuissc Tacere, inutile autem non facere, et cum celerà vita fuisse
hoc magia conscntaneum, quain quod proplcr al- terius culpam non
feceril. XXX. Si autem non in hominem certum, sed in
rem aliquam causa demovebilur, ut in hac eadem re, si quaestor mortuus
esse!, et idcirco legalis pecunia data non essel accusatone allcrius el
cul- pae depulsione dempta, ccleris similitcr uli locis oporlebit,
et ex conccssionis partibus, quae con- venienl, adsumere ; de quibus post
nobis diccn- dum erit. Loci autem communes idem ulrisque fere, qui
superioribus adsumplivis, incidenl ; hi tamen certissime : accusaloris ,
facli indignato, defensoris, quum in alio culpa sii, aut in ipso
non sii, supplicio se adOci non oporterc. Ipsius autem
gcllurjle, o da qualche altra costituzione. Dipoi potranno anche in
questa causa risponder bene molti capi della comparazione c del lrasfc, a
cui era interdetto sacrificar vi- telli. Giunti i naviganti a terra, c
ignorando la leg- ge, sacrificarono il vitello votato. Il padrone
della nave £ tradotto al tribunale. L'accusa che gli si dà £
questa: Hai sacrificato un vitello a quella di- vinità, a cui non si
poteva La replica non fa che eoncedcrc. Il motivo, o difesa, si £: lo non
sa- peva clic non si potesse. La confutazione 6: Però, quando fu
fallo ciò clic non era permesso, sci merilevolc del casligo voluto dalla
legge. Il punto da dover giudicare sarà così: Poichò coslui ha
fallo ciò clic non era permesso, ma ignorava clic per- messo non
fosse, £ egli merilevolc o no di casli- go? Il caso si rapporterà alla
concessione allorch£ mosirerassi che qualche ostacolo e impiglio
for- tuito ovviasse che l'uomo non facesse a sua vo- lontà, come in
questo fatto: Era legge in Fsparta che colui, il quale aveva l'appalto di
sommini- strare le vidimo, fosso punito di morte se non le avesse
apprestate per un dato sacrifizio. Co- minciò adunque si fallo
appaltatore di condurre dalla campagna le villimc alla volta della città,
Digitized by Google LIBRO II.
praeslo non lucrimi. Dcpulsio esl: Concessio. Ra- tio: Fluraen cnim
subito accrcvil, et ra re traduci non poluerunl. Inlìrmalio est : Tamcn,
quoniam, quod lei iubct, factum non est, supplicio digitus es.
Iudicalio est : Quum in ea re contro Irgern re- demptor ali.quid fecerit,
qua in re studio eius su- bita flutninis obstitcrit magnitudo, supplicio
di- gnusne sit ? XXXII. Necessitudo autcm infcrlur,
quum li quadam reus LI, quod feccrit, fruisse defeudilur, hoc modo
: Lei est apud Rhodios, ut, si qua ro- strata in porlu navis deprrhensa
sit poblicetur. Quum magna in alto tcmpestas esse), vis vcntoruin
invilis nautis in Khodiorum portum navem cocgil. Quaestor navem populi vocat.
Navis dominus ne- gai oportrre publicari. Intenlio est: Rostrata
navis in porlu dcprchensa est. Dcpulsio est: Concessio. Ratio: Vi
ol necessario sunius in portum c acti. Inlirmatio est : Navem ex lego
tamcn populi esse operici. Judicalio est: Quum roslralam navem in
poi tu deprehensam L-s publicaril, quumque liacc navis invilis nautis vi
lempcstatis in pollimi con- icela sit, oporleatne cam publicari? Ilorum
tiium gencrum idcirco in unum locum contuliuius esem- pla, quod
siniilis in ra praeccptia orgumeiibrum traditur. Nani in bis omnibus
primum, si quid res ipsa dabit fdculiatis, cnniecluram induci ab
accu- satore oporlcbit, ut id, quod volunlulc factum oc gabilur,
consulto faclum suspicione aliqua demon- slrelur ; deinde iuducere
dclinitionem nccessitu- dinis, sul casus, aut imprudenliae, et esempla
ad eam dclinitionem adiungere, in quibus iinprudcn- lia foisse
vidcalur, aut casus, aut necessitudo, et ab bis id, quod reus infoiai,
separare, id esl, es- tendere dissimile, quod levius, facilius, non
igno- rabile, non forinitum, non neccssarium fueril. ro- sica
dcmonslrare poluissc vilari ; et hac radono provideri poluissc; si Ime
aut illud fecissct, aut, 93 perchè avvicinava già il
gioruo del sacriGxio. Av- venne però caso che essendosi messa una fiera
procella, il (lume Eurola che scorre rasente a Sparla ingrossò di tanto c
prese un andare si impetuoso, che per nessun modo vi si poterono
far passare le vittime. L' appaltatore per dar a conoscere com'egli era
d’animo di voler far il dovere, appostò tutte le vittime sulla spiaggia
per amore che le potessero vedere quelli eh’ erano dall' altra
parte del fiume, Avvegnaché tutti sa- pessero die al desiderio di passare
gii avea fatto ostacolo la si tosta piena del fiume, nondimeno ci
fu chi gl' intentò lite in fatto capitale. Ecco l'accusa: Non furono in
pronto lo vittime che tu dovevi somministrare pel sacrifizio. La replica
i: Vi si concede La ragione giustificante : Giacché il Guuie fatto
grosso d' improvviso mi vietò dal tragittare le vittime alla città. La
confutazione: Tuttavia, siccome non hai fallo ciò clic comanda la
legge, sei degno che le ne sia inflitta la pena. Il punto che vuol esser
giudicato è tale : Poiché ('appallatole non apprestando le vittime ha
man- cato alla legge, ma non le apprestò perchè gliene pose
ostacolo la subita piena del fiume, è egli meritevole o no di supplicio ?
XXXII. La ncccssilà Ira luogo nella concessione quando I' accusato
deduce che a far ciò che egli fece fu spinto da una cotale prepotenza
delle cir- costanze. Per esempio: Vi ha legge presso i Ro- diani
che in evento che sia sorpresa nel porlo loro una nave rostrata di
qualsiasi forestiere, essa di- venta proprietà del comune. Or essendosi gettato
il mare a burrasca fierissima, avvenne che la furia dei venti, nondimeno
che i naviganti volesseio te- ner l'alto, spinse la nave loro malgrado,
nel porlu dei Rodiani. Il questore vanta per la legge clic la nave
è proprietà del comune. Il padrone sostenta che non dee al postutto
essere. Si viene alla peti- zione: Fu presa una nave rostrata dentro dal
por- to. La rcplicu è la concessione del fatto. Il motivo di difesa
: Fu la forza dei venti cito necessaria- niente u' ha avventalo addentro
il porlo. La confu- tazione : Tuttavia la nave a richiesta dc!la
legge dee cadere in proprietà del comune. Il punto da decidere:
Essendo la riave rostrata, che fu presa nel porto, fatta dalla legge di
ragion del comune, ed essendo questa nave avventata nel porto dulia
furia delta procella a malissimo grado dei navi- ganti, si dee essa o non
si dee aggiudicar al co- mune coinè sua proprietà? Ilo unito di seguilo
gli esempli di queste tre parli della scusa, perché son simili i
precetti che si danno circa agli argomenti proprii di tutte o tre. Difatti
in tulle c tre converrà primamente che l'accusatore, se il fallo stesso
glie- ne olTrirà qualche appiglio, ricorra alio parti della
Digitized by Google 9i RULLA
INVENZIO.NE HETTORICA ni sic ferisscl, praccaveri ; el
dcfinilionihns os- tendere non tianc imprmlentiam, aut casum, aul
ncccssitudiricm, sed inertiam, ncgligonliam, fa- luilalem noininari
oporlere. Ac si qua nccessiludo lurpitodinem videbilur liabcre, oportebit
per lo- corum communium implicationem redargucnlcm dcmonstrarc
quidvis perpeti, mori denique salius fuisse.quam ciusmodi nccessitudini
obtemperare. Alquc lum ei iis locìs, de quibus in negoliali par- ie
dictom esl, iuris et aequilalis naluram opor- tobit quaererc, el, quasi
in obsoleta iuridiciali, per se, hoc ipsutn ab rebus omnibus
separatim considerare. Atque hoc in loco, si facullas crii,
riempii* liti oportebit, quibus in s'mili eicu«alio- ne non sii ignotum,
et contenlione, mauis il Iis ignosrendiim fuissc , el delibcralionis
parlibus turpe ani inutile esse concedi eam rem, quac oh aihcrsario
commis»a sit ; permagnuin esse, cl magno fulurum detrimenln, si ea res ab
iis, qui pntest ilern habenl viodieandi, neglecla sii.
XXXIII. ltiTensor aulein conversi! omnibus bis parlibus poterit
oli. Hhivime aulein ili vidimiate defeiidenda commnridiilur. el in ea re
adaugenda, quae vnluntati fiieril impedimento; el se plus, qnam
feeerit. tacere non poluisse ; el in omnibus rebus «oliintalem speelari
oporlere; el se convin- ci non posse, quod alis i a culpa: et et suo
nomi- ne eomtnunem Immillimi inlirntilalem posse doni nari. Deinde
n ini esse indignius, qoam cuni, qui culpa careni, supplicio non rarere.
Loci aulein commuiies accussaioris, in contcssionem, el quan- ta
pntestas peccandi rclinqualur, si semel iuslilu questione
congetturale, per potere quando l’ac- cusalo dicesse aver tatto contro
sua voglia ciò che egli fece, dimostrare col melterc in rilievo
qualche sospetto eh' egli anzi ha tallo a sciente c a bello studio
; dipoi si dovrò porgere la definizione della necessità, o del ca-o, o
della ignoranza, e aggiu- star a quella definizione esempii si falli che
dimo- strino etTetlivomente o ignoranza, o caso, o neces- sità, c
separare da questi il fatto presente, voglio dire farlo conoscere ben
diverso da quelli, asse- verando che qui il fallo era di meno importanza
, più agevole, non ignoto, non forlunevole, non ne- cessario. Dipoi
si vorrà dimostrare che l’accusalo poteva schivarsene, e darsi attorno
facendo questo o quello, perchè nulla avvenisse, o almeno preve-
dere dò che sarebbe seguilo se nè questo nè quel- lo avesse fallo; e col
mezzo delle definizioni met- tere in chiaro che il fallo presente non dee
nomi- narsi o tratto d'ignoranza, o caso, o necessità, ma più
presto dipendere da inerzia, negligenza, sto- lidezza. Che se nella
necessilà fosse impigliala qualche azione ignominiosa, converrà
all'accusato- re col mezzo ili varii luoghi comuni mostrare che
saria sialo meglio patire qualunque stremo, e fin anche la morte, che
obbedire a necessità di quella fatta. Inoltre converrà ilielio la guida
di quei luo- ghi, di che si è dello parlando dello stato negozia-
le, cercare quale sia la natura ilei giure e dell'e- quità. c. come si Tu
nella causa assoluta di genere giuridici.de, considerar ciò medesimo di
per sè, separatamente da ogni altra rosa. E qui, se pure se n'avrà
in pronto, dovrassi addurre esempii di falli, che quantunque giustificali
per mezzo di scusa simile, pure non hanno ottenuto perdono, c mostrare
por via di confronto che quelli allato a questo erano perdonabili mollo
più di vantag- gio, ed entrando a ragionare dietro le regole dello
s'ato deliberativo, far vedere essereosa tur- pe o inutile clic del suo
delillo il reo se la passi liscia: esser cosa di troppo momento, c elio
ri- donderà a gran male, tc di lai delitto si volessero
trascuratamente passare coloro che hanno l'auto- rità di esigerne la
pena. XXXIII II difensore all'opposto potrà valersi di tulli
questi argomenti, ma in verso contrario. Egli però si fermerà il più a
difendere il buon volere (l' Il'aecu-ato, e ad esagerare ciò che
gli intervenne inciampo e di ostacolo: sosterrà ch'e- gli non ha
potuto fare più di quello che fece; e clic in ogni azione deesi aver in
mira l'intendimento, e la volon'à: e che egli non può esser
convinto perchè da colpa è ben lontano; e che se si con- dannasse
per questa sua causa, si potrebbe egual- mente condannare la debolezza
comune a lutti gli uomini. Dirà poscia, non v'esser cosa più
crudele Digitized by Google LIBRO
II. 95 lum sii, ut non de facto, sed de
facti causa quae- ratur : defcnsoris conquestio est calamilatis
cins, quae non culpa, sed si malore quadam accideril, et de
forlunac polestalc, et hominum iulirmitalc, et, uti suiim animum, non
cvrntum considerent. In quibus omnibus conquestioncm suarum acrum-
narum, et crudelilalis adversariorum indignalio- nem inesse oportebit. Ac
neminem mirari convc- niet, si aut in his aut in aliis exemplis scripti
quo- que conlroversiam adiunctam videbit. Quo de ge- nere
posteritnobisscparalim dicendum, propterca quod quaedam genera causarum
simpliciter ex sua vi considerantur, quaedam aulem sibi aliud
quoque aliquod controvcrsiac gcnus adsumunt. Quarc omnibus cognilis, non
erit difficile in unam quamque causam transferre, quod ex eo quoque
genere convenict; ut in bis exemplis conccssionis inest omnibus scripli
controversia ea , quae ex scripto et sentenlia nominatur ; sed, quia de
con- cessione loquebamur, in eam praecepla dedimus. Rune in alleram
concessioni; partem consideralio- nem intcndemus.
XXXIV. Deprecatio est, in qua non defensio fa- eli, sed ignoscendi
postulatio continetur. Hoc Bo- nus vix in iudicio probari polest, ideo
quod con- cesso peccato difficile est ab co, qui peccalorum rindex
esse debet, ut ignnscat, impetrare. Quarc parte eius generis, quum causam
non in eo con- stitueris, uti licebit. Uti si prò aliquo claro aut forti
viro, cuius in rem publicam multa suoi be- neficia, dixeris, possis, quum
videaris non uli de- precalionc, uti tamen, ad hunc modum : Quodsi.
iudices, hic prò suis bencflciis, prò suo studio, quod in vos semper
habuit, tali suo tempore mul- torum suorum recte factorum causa uni
deliclo ut ignosceretis postulare!, tamen dignum veslra man-
suetudine, dignum virtute huius csscl, iudices, a vobis hanc rem hoc
postulante impctrari. Deinde angere beneficia licebit , et iudices per
Iocum communem ad ignoscendi volunlatem deducerc. Quaro hoc genus.
quamquam in iudiciis non ver- Clxssici Voi. V. di
quella, che soggiaccia a pena quell'esso, che di male fallo non è punto
reo. I luoghi comuni che gli tornano a prò li piglierà l’accusatore,
l’uno da ciò che confessa il reo di aver fatto, l’altro dal far
osservare che si lasccrohbe a tulli un pieno arbitrio di venire a
nequizie, se una volta si auto- rizzasse l'abuso di far il processo non
del fatto, ma della causa del fatto. I luoghi a prò del difen- sore
sono: il deplorare quella disavventura che occorse non per colpa
dell'accusato, ma per una forza maggiore, cui egli non fu poderoso a
ribat- tere; il lamentare sopra la gran possanza della for- tuna e
la debolezza degli uomini, c clic si voglia alle intenzioni di lui
attribuire una pravità, anzi che cercar la cattiveria del fatto nelle
circostanze che lo accompagnarono. In tutti questi punti dovrà il
difensore mostrar doglianza delle disgrazie del suo protetto, c sdegno
della crudeltà degli avtcr sarii. Nè dee prender maraviglia chi che sia,
se in questi esempi, come in ogni altro, vedesse involta
controversia altresì di scritto. Di questo però ho da parlare
distintamente più sotto, poiché alcuni generi di causa si riguardano
puramente in sè e nel solo punto controverso in cui s'aggirano, ed
alcuni altri associano alla propria qualche altra I specie di
controversia. Quando adunque sieno ben conosciuti i capi precipui di ogni
causa, non sarà malagevole introdurre in ciascuna quel tanto della
controversia di scritto che l'è occoncio o che vi calza: ed anzi in
questi medesimi esempi della concessione è inchiusa la controversia clic
si do- manda di scritto e di senso; ma siccome si par- lava della
concessione sola, non ho dato altro clic i precetti che erano relativi ad
essa. Dello scritto e del senso parlerò altrove. Ora passiamo a
con- siderare la seconda parte della concessione. XXXIV. Preghiera
è quel discorso, in cui con- siste non la difesa del fallo, ma la istanza
che gli sia dato perdono. La preghiera di questa specie è troppo
difficile che in giudirio possa essere pode- rosa, perchè quando il
delitto è confessalo, appe- na può darsi che lo perdoni colui che ne dee
anzi essere il punitore. Laonde, qualvolta la tua causa non sia
così spallala, che tu non le possa dar altro per appoggio che la
preghiera, dovrai usarne con parsimonia solo qualche parte. Per esempio
se Iti arringassi a prò di un personaggio di gran levatu- ra o
valore, il quale avesse recali di molli benefi- zii alla repubblica,
potrai, facendo partila di non dar punto in preghiere, darvi non di meno
a que- sta guisa: che se quest'uomo, o giudici, clic sa di aver
fatti imporlanti bcnclìzii, e preso per voi tulli molto impegno e
premuraci facesse istanza che in si grave sua disgrazia voi altri a
riguardo di latito buone e belle sue azioni gli aveste a perdonare il
132 Digitized by Google 96
DELLA INVENZIONE ItEl TUNICA satur, nisi quadam
ex parie, lamen, quia el pars ' haec ipsa ìnducenda nonnumquam osi, el iq
se- | nalu, aut in consilio saepe omrii in generp, trac- tanda, in
id quoque praceepla pnnemus. Nani in senalu el in consilio de Syphacc diu
deliberatimi | esl ; el de Q. Numilorio Pullo apud L. Opimium | et
eius consilium diu diclum est. Et magia in Ime quidem ignoscendi quam
cognoscendi poslulatio Tatui!. Nani semper animo liono se in
popolimi Romanum fuisse non lam Tacile probabili, quurn
coniccturali conslitutionc uleretur, quam ut pro- pterpostcrius bcneDcium
sibi ignoseerclur, quum deprecationis partes adiungerct.
XXXV. Oporlebit igitur eum, qui sibi ut ignos- catur , postulabit ,
commemorare , si qua sua poteri! beneficia, et si polcrit ostendere ea ma-
lora esse, quam haec, quae deliquerit, ut plus ab eo boni quam mali
proTcclum esse videatur ; deinde maiorum suorum beneficia, si qua
cxsta- buoi, proTcrre; deinde ostendere non odio nc- que
crudclilate fecisse , quod fecerit , sed aut atuUilia, aut impulsu
alicuius, aut aliqua bone- ala, aul probabili causa ; poslea polimeri el
con- firmarc se et hoc peccalo doclum, el beneficio eorum, qui sibi
ignoverint, confirmalum , ornili tempore a lati radono afuturum ; dcinilc
spem ostendere aliquo se in loco magno iis, qui sibi concessemi,
usui fulurum. Poslea, si facullas eril, se aul consanguincum, aul iam a
maiori- bus in primis amicum esse demonstrahit, el am- pliludinem
suac voluntalis , nobili latem generis eorum, qui scsalvum velini, el
dignilalem esten- dere, el celerà ea, quae personis ad honestalem
et amplitudinem sunt allribula, cum couqueslionc, aìne adrogantia,
in se esse demonstrahit, ut bone- re polius aliquo, quam ulto supplicio
digiius esse videatur ; deinde celeros proTerrc, quibus moiora
solo delitto ch’egli ha commesso, sarebbe pure un tratto
degno della clemenza vostra, o giudici, e degno della virtù di tanto uomo
clic voi scendeste a indulgenza si fatta per essere si Tallo il
perso- naggio clic la vi ehiede. Dipoi si potrò mettere in sul
grande i delti lienefizii, e col maneggio del luogo comune clic è
calzante ed alto a ciò, pie- gare il cuore dei gindici a volere pur
perdona- re. Il perchè, sebbene dilla preghiera non si dee far uso
ne’ giudicii se non che per qualche poco, lunaria perchè quesla porle
medesima si dee pur qualche rolla interporre, ed ami incontra
sovcnle che o in senato o in consulta si debba trattar la preghiera
per ogni sua parte, così verrò qui dan- do i precetti che a questo capo
si riferiscono. Cer- to è clic sull’ aliare di Si Tace cosi in senato
come in consulta si deliberò molto a dilungo se gli si dovesso
perdonare, ed altresì sopra Q. Numilorio Pullo fu parlato lunga pezza
davanti L. Opimio e ga sua consulta; c massime nella causa di Numito-
rio Tu senz'altro piò valevole il fare istanza clic gli fosse perdonalo,
elio non l'insistere perchè ne se- guisse il processo. Non era infatti
troppo facile per lui, essendo la sua causa basala sul
congellurale, far vedere manifestamente ed in prova ch’egli fos- se
stato sempre di buone intenzioni e voleri verso il popolo Romano; ben per
contrario gli fu facile ottenere che gli fosse perdonato, Ira in vista
del beneficio che da ultimo avea fallo, c mollo piò per avere al
suo ragionamenlo aggiunta la fona dello preghiere. XXXV. Converrà
dunque che colui il quale fa- cesse istanza perchè gli fosse perdonalo,
vada ri- cordando i benefizii che potesse aver fallo, e mo-
strando, se il caso gliene pcrtnclterà.ch’cssi in con- fronto sono mollo
piò rilevanti clic non le man- canze ch'egli lia commesse, tanto che si
paia che ha fallo del bene troppo più che del mole; dipoi dovrà
recare in mezzo, se polrà vantarne, i bene- fizii dei suoi maggiori; indi
dar a divedere come a ciò che egli fece non fu indolto nè da odio
nè da crudelezza, ma o dalla scioccaggine o dalle istigazioni di
alcuno, ogipure perch'egli n'ebbe una causa onesta o lodevole; dappoi dar
parola e far ad ogni modo fede eh’ egli ammaestrato dalla espe-
rienza presa nella prcscnlc sua colpa, e reso raf- fermo e savio dal
beneficio di quelli che di quel fallo gli perdonarono, non vorrà piò in
nessun tem- po adoperarsi mai di quella maniera; inoltre mo- strare
anche speranza che in qualche occasione ei polii pur fare avvantaggio
mnlloe servigio a quelli die avranno indulto con lui. Dipoi, se avrà
ragio- ni da polerlo fare, dimostrerà aver egli parentezza con
quelli a che rivolge le suo preghiere, oppure coltivala sempre l'
amicizia che verso loro gli fu LIBRO li. 91
concessa dclicta sinl. Ac mullum profìcicl, si se
miscricordem, in polestalc propcnsum ad igno- sccndum fuissc oslendcl.
Alque ipsuin illnd pec- calum crii cxtcnuandum, ut quam minimum ob-
fuisse videatur, etani turpe aul inutile demons- trandum tali de liominc
supplicium sumere. Dein- dc loda communibus miscrieoMiam captare
opor- tebit ex iis praeceptis, quae in primo libro sunt
eiposila. XXXVI. Advcrsarius aulem malefacta augcbil:
nibil imprudentcr, sed omnia ci crudelitale et malitia fa da dicet; ipsum
misericordcm, super- bum fuissc, et, si poteri!, ostendet semper
immi- cum fuisse et amicum fieri nullo modo posse. Si beneficia
proferel, autaliqua decausa facla, non proplcr bcncvolenliam
dcmonstrabil, aut poslea odium esse acre susccplum, aul illa omnia
male- ficiis esse deleta, aut levìora beneficia quam ma- leficia,
aut, quum bencficiis bonos habitus sii, prò maleficio pocnam sumi
oportere. Deinde turpe esse aut inutile ignosci. Deinde, de quo ut
poles- tas esse! saopé optarint, in eum polestate non uti
summamesse stulliliam; cogitare oportere, quem animum in cum et quale
odium habuerint. Locus aulem communis erit, indignano maleficii.et
alter, eorum misereri oportere, qui proplcr fortunam, non proplcr
maliliam in miseriis sinl. Quoniam ergo in generali conslilutione lamdiu
proplereius parlium mulliludinem commoramur, ne forte va- rietale
et dissimililudine rerum diduclus alicuius animus in qucmdam errorem
deferatur, quid et- iam nobis ex eo genere resici, et quare resici,
ad- monendum videtur. Iuridicialcm causam esse di- cebamus, in qua
acqui et iniqui natura et praemii aul pocnae ratio quaererelur. Eas
causas, in qui- bus de acquo et iniquo quaerilur, exposuimus.
trasmessa dai maggiori, c farà conoscere il gran- de suo
buon volere, come altresì la nobiltà della stirpe e la grandetta degli
ufllcii tenuti da quanti il bramano salvo o risparmialo: dimostrerà avere
in sé, pure clic il faccia con parole dimesse e in tuo- no presso
ette lamentevole, tulli quei caratteri che son proprii delle persone clic
per grandetta c one- stà ranno dagli altri distinte, sicché faccia in
cer- to modo apparire esser egli meritevole piullosto di qualche
onore ebe di un castigo: inoltre nomi- nerà tulli gli altri, quanti ne
sappia, a cui furono perdonati delitti vie più gravi del suo. Mollo
anche gioverà alla sua causa, se mostri com'egli fu sem. pre
compassionevole, e come sempre che ebbe c- sercitio di autorità fu
inchino ad usar perdonanti ed indulto. Anche dovrà il difensore
appicciolir la colpa dell' accusalo, e mostrare che il danno indi
venutone é da nulla, ed esser o cosa vana o da far disonore il soggettare
a castigo una persona tale. Dipoi si vorrà con l'uso de' luoghi comuni
accat- targli compassione secondo i precetti che nel pri- mo libro
se ne son dati. XXXVI. L'avversario per contro amplificherà il
delitto: dirà che niente vi fu fallo per ioconside- rama, ma lutto ami
per malizia e crudelezia: che egli fu superbo e senza pietà; c dove il
possa, fa- rà vedere ch’egli fu sempre porlalo alle nimicizie, e
che amicarlo mai per nessun modo è possibile. Se toccherà i benefizii da
lui fatti, dimostrerà che essi ebbero origioe da qualche ragione di suo
van- taggio, non da animo proclive a ben volere, op- pure eh’ egli
poi ti attossicò con l' odio acerbo in che colse i beneficali, o che i
benefizi! furono di- strutti da altrettanti diservigii e male cose, o
che il ben eh’ egli fece fu da meno che il tanto male, ovvero che
deesi oggimai, poiché hanno avuto la debita mercede i suoi benefizii,
volere il castigo delle sue malvagità. Poscia verrà dicendo che il
perdonare sarebbe una inutilità, o un tratto vitu- perevole: essere un
troppo scioccheggiare il non volere punto far uso i giudici sopra costui
di quel- la autorità che sopra di esso hanno tante volte am- bito
di avere: dover essi riandar seco quanto mal animo e qual odio a quel
tristo hanno già portato. E qui il luogo comune che fa al proposito è
in prima lo andar in parole piene di sdegno contro il delitto
dell'accusato, secondamente mostrare che si dee aver pietà s) bene, ma
solo di quelli che sono flagellali dalla fortuna, non di quelli che
sono nelle miserie per loro propria malvagità. Ma posciachè io mi
trattengo cosi alla lunga circa la costituzione generalo per la moltitudine
delle parti eh’ essa comprende, voglio ammonire che altro mi resti
ancora di questa trattazione, e per- chè mi resti; e il vo' fare perchè
qualcuno per ar- Digitized by Google
DELLA INVENZIONE RETTORICA XXXVII. Restai nunc, ul de
praemio, et de poe- na explieemus. Sun! cnim mullae causae, quae ex
pracmii alicuius pctilione Constant. Nametapud itidices de praemio saepe
accusalorum quaerilur, et a senaiu aul a Consilio aliquod pracmium
saepe pelilur. Ae neminem conxeniet arbitrari nos, quum aliquod
exemptum ponainus, quod in senatu aga- tur, ab iudiciali genere
exemplornm recedere. Quidquid cnim de homine probando aut impro-
bando dicitur, quum ad cam diciioncm scntentia- rum quoque ratio
accommodetur, id non, si per senleiiliae diciioncm agilur, dcliberativum
est; sed quia de homine staluitur, iudicialc est habendum. Omnino
autem qui diligcnter omnium causarum vim et naturam cognoverit, genere et
prima con- formationc eas inlelliget dissidere. Ccleris autem
partibus aptas inter se omnes et aliam in alia im- plicatalo videbit.
Nunc de pracmiis consideremus. L. Licinius Crassus consul quosdam in
citeriore Gallia nullo illustri neque certo duce, ncque eo nomine,
ncque numero praeditos, ut digni cssent, qui hoslcs pnpuli Romani esse
dicerentur, qui lune cxcursionibus et latrociniis infestam provin-
ciam reddercrit, consectatus est et confecit. Ro- mani rcilil : triumphum
ab senatu postulai, llic, ut et in deprccatione, niliil ad nos allinei
rationi- bus et inflrmationibus rationum supponendis ad
iudicationem pervenire, propterea quod, nisi alia quoque incidcl
conslitutio, aul pars constilulionis, simplex erit iudicalio, et in
quacslione ipsa conti- ncbitur. In deprccatione, huiusmodi : Oporteatne
pocna adfici? In hac, huiusmodi: Oporteatne dari pracmium ? Nunc ad
praemii quacstionein apposi- tos locos exponemus.
XXXVIII. Ratio igilur praemii qoatuor est in partes distributa : in
bcnelicia, in hominem, in praemii gcnus, in facultates. Beneficia ex sua
ri. ventura non pigliasse le cose a rovescio, tratto
in errore dalla varietà e dissomiglianza di esse, lo già diceva,
quella essere causa giuridiciale, in cui si cerca la natura del giusto e
dell' ingiusto, e la ragione del premio e della pena; ed anche ho
c- sposlo le cause, nelle quali del giusto e dell'in- giusto si la
la debita investigazione. XXXVII. Resta dunque adesso che si venga
a parlare del premio e delia pena. Ci sono di molle cause, le quali
consistono nella domanda di qual- che premio. E infatti si controverte
spesso davanti ai giudici del premio da dover dare agli accusatori
c cosi ancora molle delle volte si domanda pre- mio dalla consulta o dal
senato. Nessun però cre- da che quando io reco alcun esempio di causa
che si agili in senato, io mi diparta dagli esempii di genere
giudiciale; conciossiachè ciò che si dice o a lode o a biasimo di una
persona, quantunque eziandio a questo genere di dicitura vada
spesso unita la pronunzia della sentenza, non si vuole pe- rò per
la ragione della sentenza ascriver al genere deliberativo la causa di
lode o di biasimo: nondi- meno, siccome si tratta di persona da
prosciogliere o da condannare, la causa è per questo da agitarsi
con le forme del genere giudiciale. Del resto, chi conoscerà a fondo la
forza e la natura di ciascuna causa, intenderà che tutte hanno bensì una
differen- za si nel genere primario e si ancora nella forma, ma che
però nelle rimanenti lor parti son tutte colle- gate fra loro, c come a
dire l' una impigliata nel- l' altra. Ora dunque entriamo a far parola
circa 1 premii. Il console L. Licinio Crasso nella Gallia citeriore
s' avvenne in una banda di armali che avea per capo una persona oscura, o
a meglio dire non avea nessun capo stabile, e ni pel nome con che
veniva designata, ni per lo numero dei com- battenti, non meritava esser
della al popolo Ro- mano nemica ; e solo con i ladroneggi e l'anda-
re in corso molestava la provincia. Il console non di meno le diede
addosso, e la pose in rolla e sgo- minio. Tornato a Roma, chiede che ii
senato gli decreti il trionfo. Qui, come anche nella causa che si
fonda sulla preghiera, non ci i mestieri di met- ter innanzi nè le
ragioni giustiDcanti, nè le repli- che incontro, per venire al punto da
giudicare, poiché se non interviene un' altra costituzione, o una
sua parte, il punto da giudicarsi è uno solo, quello che si contien nella
questione. Nello stato di preghiera questo punto è, Se si debba o
no infligger la pena: nel presente, Se si debba o no dare il premio
richiesto. Ora sporremo i luoghi acconci alla questione di premio.
XXXVIII. La ragione del premio è di quattro maniere, secondo che si
riguardano o i benefizi!, o la persona che li fa, o la qualità del
premio, o Digitized by Google LIBRO
II. 99 ex tempore. Gì animo eius, qui
feci!, ex casu con- sideranlur. Ex sua vi quaercntur lioc modo :
ma- gna an parva, facilia an dilBcilia, singnlaria sinl an
vulgaria, vera, an falsa, quanam cxornalione honeslcnlur. Ex tempore aulem,
si lum, quum in- digcremus ; quum celeri non possent aul nollcnt
opitulari ; si lum, quum spes deseruissct. Ex ani- mo, si non sui commodi
causa, si co consilio fccil omnia, ut hoc conlicere posso! ; ex casu, si
non fortuna, sed industria faclum videbitur, aul si in- duslriae
fortuna obslitisse. In hominem aulem, quibus raliunibus viieril, quid
sumplus in eam rem aul laboris insumpserit ; cequid aliquando tale
fcceril ; num alieni laboris aut deorum boni- tatis praemium sibi
postulel ; num aliquando ipse lalem ob causam aliquem praemio adOci
negarli oportere; aut num iam salis prò co, quod feccril, honos
habitus sii; aul num necesso fueril ei tacere id, quod feceril ; aul num
ciusmodi sii faclum, ul, nisi fecisset, supplicio dignus esse!, non,
quia fecerit, praemio ; aul num ante tempus praemium petat, et spem
incertam certo vendilet predo: aut num, quod supplicium aliquod vile), eo
praemium postulet, uti de se praciudicium factum esse vi-
dealur. XXXIX. In praemii autem genere , quid et
quantum et quamobrcm postuletur, el quo et quanto quaeque rcs praemio
digna sii, considera- bitur; deinde apud maiores quibus hominibus
et quibus de causis lalis honos habitus sii, quaere- tur ; deinde,
ne is bonos nimium pervagclur. Al- que bic eius, qui conira aliquem
praemium pos- tulameli) dicet, locus eril communis: praemia vir-
tulis et oRìcii sancta et casta esse oporlere, ncque ea aut cum improbis
communicari, aul in medio- cribus hominibus pervulgari ; el alter : Minus
ho- mines virlutis cupidos forc, virtulis praemio per- vulgato;
quae enim rara et ardua sinl, ea ex prae- mio pulcra et iucunda hominibus
v ideri; et tertius: le sostante dal benemerente possedute.
I bcnelìiii si vogliono considerare in quanto al peso che han- no
in sì, in quanto al tempo, nH'inleniione di chi li fa.all'accidcnte da
cui forse dipendono. Rispetto il peso che hanno in sì, si cercherà se
siano grandi o piccoli, se fatti con travaglio o senta, se siano
slraordinarii o comuni, se veri o se falsi, c da quali speciose parole
siano onestali. Rispetto il tempo, si cercherà se ci furono falli quando
ci andavano a bisogno; se quando gli altri non potevano o non ri
voleano aiutare ; se quando ogni speranza ne facevamo già andata.
Rispetto alla intenzione, se altri fece il benefizio senza nessun disegno
di pro- prio interesse, se operò tutto con l’ intento di po- ter
elTeiluare quel bene : rispetto all'accidente, se il beneficio ha vista
di esser fallo non a fortuna, ma piuttosto a belio studio, ovvero se fu
il caso che oppose ostacolo alla premura e al buon vole- re. Si
vogliono considerare i benefizii relativamen- te alla persona che li fa,
badando quali furono i modi del trarre costui la vita, quali spese
abbia sostenute o quali fatiche per acquistarsi quel me- rito : se
altre volle abbia fallo azioni altrettali : se domandi un premio dovuto
alle altrui fatiche, o che non è largito che dalla sola bontà degli dei
; se abbia mai detto che per una tale ragione quel premio non dee
esser dato a nessuno ; o se per quello che ha fatto n'abbia già avuto una
sufficien- te mercede ; o se egli fece niente altro che quello che
non poteva a meno di fare ; o se l' azione fos- se di tale necessità, che
se non l’avesse fatta saria stato degno di supplizio, piuttosto clic
esser degno di premio per averla falla ; o se voglia esser pre-
mialo quando il tempo non ì da ciò, non si sa- pendo ancora I* appunto
del suo merito , e ven- der per un prezzo certo una cosa ancora incerta
e dubbia ; o se chieda un rimerito con la mira astuta di cessarsi
da qualche punizione, facen- do quasi apparire che si fosse già fatta un’
ordi- nanza a suo favore prima che l'alTare n’andasse al giudicio.
XXXIX. Quanto è alia qualità del premio, bassi a vedere quale e
quanto grande sia la cosa eh’ è domandata, e per qual motivo, e poi di
quale e di quanto premio ciascuna azione sia degna : indi si verrà
esaminando a quali persone fra gli antichi e per quali cause siasi
conceduta una tale mercede; dipoi si baderà che mercede si fatta non
abbia a divenire troppo comunale. E qui ecco il luogo co- mune da
dover usare chi arringherà contro il po- stulante: i premii dovuti alla
virtù c a qualche ri- levante mansione volersi avere in luogo di cosa
santa e di pura, nè doversene far partecipe la gente malvagia, o farsi
tener a vile col lasciarsi andare alle mani di uomini mediocri e volgari;
ed ecco un \ Digitized by Google
100 DELLA INVENZIONE RETTORIC.V
Si exsislanl, qui apud maiores noslros ob opre- piani virliilem
lati lionorc (tignali smit, nonne de sua gloria, quum pari praemio loles
liomines aliti- ci vulcani, dilibari pulenl ? cl coruin enuineralio
Ct rum eis, quns conira ilicas, comparano. Eius autem. qui pracmiiim
pelei, tarli sui amplificano, eorum, qui praemio adfccli sunl. cum suis
taclis conlenlio Deindc celeros a virlulis studio rcpul- sum iri,
si ipse praemio non sii adfeclus. Facul- lales aulem considcranlur, quum
aliquod pecu- niarum pracmium poslulalur ; in quo, ulrum co piane
sii agri vectigalium, pccuniae, an penuria, consideralur. Loci communes:
Ka rullo Ics augerc, non minuerc oporlere.cl : Impudcntcm e<se,
qui prò beneficio non graliam, verum merredem pos- tulo! ; conira
aulem de pecunia raliocinari sordi- dum esse, quum de gralia reterenda
dclibcrclur ; el, se prclium non prò tarlo, sed honorem ila, uli
faclilatum sii, prò beneficio postulare. Ac dcron- stilulionibus quidem
salis dicium esl : nunc de iis conlroversiis, quac in scriplo rersanlur,
dicen- dum videlur. XL. In scriplo vcrsalnr
controversia, quum cv scriplionis ralione aliquid dubii nascilur. Id lì l
ex ambiguo, ex scriplo cl scnlenlia, ex conlrariis Ic- gibus, ex
raliocinationc, ex definilionc. Ex ambi- guo autem nascilur conlruvcrsia,
quum, quid seti- scrii scriplor, obsrurum esl, quod scriptum duas
plurcsvc res significai, ad huno modum : Palerfa- milias, quum lilium
hcredem tacerei, vasorum ar- genleorum contimi pondo uxori suae sic
legavi! : lleres meut uxori mene iiasorum argenieorum pondo cenlum,
quae rotei, dato. Posi mortem eius vasa magnifica ct pretiose cadala
pelil a (Ilio ma- icr. lite se. quae ipse velici, debere dici!.
Primum, si fieri poteri!, demonstrandum est non esse am- bigue
scriptum, proplcrca quod omnes in consuc- ludine scrmonis sic uti solenl
eo verbo uno pluri- busve io eam seatealiam, in quam is, qui dice!.
altro : Rendersi chi che sia meno bramoso della virtù, se
vedesse il premio ad essa dovuto divenire quasi che una trivialità ; rhè
le cose rare c mala, geroli a conseguire sono appunto quelle che
gli uomini, ore le ottengano in premio, hanno in conto di gioconde
c di belle; e tenamente : Se v' ha tra i nostri antichi di quelli ebe per
la sfolgorata loro virtù furono giudicati di tal premio meritevoli,
non crederebbero essi forse che la gloria loro se ne andrebbe
scemala, se vedessero un premio eguale cader nelle mani a persone che non
ne son degne? c qui viene in concio che tu venga noverando quei
tali amichi, e li metta a confronto con quelli, con- tro ai quali tu
arringhi. Quanto a colui che chieda il premio, ei maneggerà il seguente
luogo comune; darà Importanza al fallo ch'egli operò, e farà com-
parazione di quanto operarono quelli che furono premiali con quanto ha
operato egli stesso. Dipoi farà vedere elicsi obbligherebbe ogni altro a
rom- persi dall’ amore alla virtù, dove egli del suo ben fare non
fosse rimeritato. Alle sostanze si dee aver riguardo allorché é domandato
qualche premio in danaro ; e rispetto a questo caso si esamina se
il petente è bene avvantaggialo di campagne, di en- trate, di
dauaro, o se per contrario ne patisce di- fetto. I luoghi comuni sono
questi : Le sostante si deono accrescere, non mica scemare, c : Voler
a- vcre una fronte invetriata colui che per un benefi- zio chiede
una paga, anzi clic un alto di ricono- scenza ; per contra si dirà essere
una grettezza che mentre si consultano consigli intorno a grazie da
riferire, sì faccia computi sul danaro da dover numerare ; c, chieder
egli non già il prezzo della sua azione, ma un premio del suo beneficio
in quel modo o misura clic altre assai volle fu prati- cato. Or
questo tanto potrà bastare ad essersi detto delle costituzioni: adesso è
da dire di quelle con- troversie che si aggirano sopra lo scritto.
XL. È controversia circa allo scritto, allorché dal modo con che lo
scritto fu espresso ne viene qualche dubbielà. Nasce essa controversia
dalla espressione ambigua , dallo scritto e dal senso, dalle leggi
che si fan contro, dal raziocinio, dalla definizione. Nasce controversia
dalla espressione ambigua quando é oscuro c non si può compren*
dere che volesse dir lo scrittore, però che la sua espressione significa
due o più cose. Per esempio; Dii padre nell' istiluiro suo erede il
figlio legò alla moglie de' vasi d'argenlo per lo peso di cento
lib- bre, e acrisse cosi: Il mio erede dia a mia moglie, per lo
peso di cento libbre, de’ vasi di argento quelli che vorrà. Poi che il marito
si mori, la ma- dre domanda dal figlio de’ vasi magnifici, che a-
veano gran lautezza d' intagliature. Costui rispon- de che le dovea
quelli eh' egli volesse. Or la pri- Digitized by
Google UDRÒ 11. 101
aecipiendum esse demonstrabit. Deinde ex supe- riore el et
inferiore scriptum docciulum iti, quoti quaeralur, (Ieri perspicuum.
Quare si ipsa srpara- tim ei se verba considcrenlur, omnia aul
plcraque ambigua visiim iti ; quac auleni ex omni conside- rata
scriptum perspicua Kant, baec ambigua non oporlcre eiislimari. Deinde, qua
in sentenlia scri- plor fueril, ci celerà eius scriplis et ex faclis,
di- ttila, animo alque fila eius stimi oporlebil, el cam ipsam
scriplurnm, in qua inerii illud antbiguum, de quo quaerctur, totani
omnibus ex partibus per- icolare, si quid aul ad id appositum sii, quod
nos interprclcmur, aut ei, quoti adversarius inlelligat,
Qdvcrsetur. Nani facile, quid verosimile sii eum voluisac, qui scripsit,
ex orniti scriptum , et ex persona scriploris, alque iis rebus, quae
personis attributac sunt, considerabilur. Deinde erit dc-
monstrandum, si quid ex re ipsa dabilur factilla- lis, id, quod
adversarius inlelligat, multo minus commode Aeri posse, quam id, quod nos
accipi- mus, quod illius rei ncque adminislratio neque exitus ulius
ciste! ; nos quod dicamus, facile et commodc iransigi posse. Ut in hac
lege (nibil enim prohibel (iclam «empii loco ponere, quo facilius
res Intelligalur) : «eretrix coronarti ne habclo; si habueril , pubitea
erto, conira eum, qui merctri- cem pubi icari dical ex lege oportere,
possi! dici neque adminislralionem esse ullam publicac me-
retricis, neque exilum legis in meretrice publican- da; at in auro
publicando et adminislralionem et exilum facilem esse, cUncommodi nibil
incsse. XLI. Ac diligentcr illud quoque allenderc
opor- tebit, anni, ilio probato, quod adversarius inlelli- gat, res
utilior, aul honcstior, aul magis necessa- ria a scriptorc ncglecta
videalur. Id fìct, si id, quod nos demonslrabimus, bonestum, aul
utile, aut necessariitm demonslrabimus ; et si id, quod ab
adversariis dicclur, minime eiusmodi esse di- cemus. Deinde, si in lege
erit ex ambiguo conlro- versia, dare operam oporlebil, ut de co, quod
ad- versarius inlelligat, alia in lego caulum esse do-
ma cosa, in evento cito si possa, decsi dimoslrare non essere punto
ambigua la scrittura, conciossia- cbè tutti nell’ uso comune del parlare
cosi soglio- no adoperar quell' una o ptù voci per esprimere quel
senso, nel quale citi parla dimostra esse voci dover essere intese. Dipoi
è da ammonire clic ciò clic si cerca è già reso evidente dal contesto
che precede c da quello che segue. Se si volesse at- tenersi a
questa o a quella parola presa separala- mente c di per sé, tulle le
parole, o almeno la più parte, potranno aver aspetto di esser ambigue;
ma non si dcono tenere per tali quelle che son già messe in
evidenza dall'esame del contesto e com- plesso dello scritto. Dipoi, a
voler conoscere qua; fosse la mente dello scrittore, si vorrà roviglior
e razzolare tutti gli altri di lui scrini, i falli, i detti, il
modo di pensare, il modo di vivere, e scrutar In ogni sua parte tutto lo
scritto che porla la della ambiguità, per conoscere se alla espressione
am- bigua che interpretiamo ne sia soggiunta qualche altra che ne
la chiarisca, o che stia contro a quel senso che l' avversario crede di
dover inferire: pe- rocché sarà anzi facile trovare ciò che
verisimil- mente abbia voluto lo scrittore, quando si voglia por
mente a lutto lo scrino, e alla persona che scrisse, e a quelle altre
cose clic alle persone si riferiscono. Dipoi sarà da dimostrare, se la
cosa slessa ne porgesse qualche appicco, che ciò che intende
l'avversario si può fare molto meno util- menlc che ciò clic intendiamo
noi, poiché quello non è conduccnlc a vcrun vantaggio, a vcrun suc-
cesso ; mentre ciò clic diciamo noi può legger- mente c con vantaggio
comporre ogni cosa. Citia- mo per esempio questa legge ( che niente vieta
il pigliar ad esempio una legge immaginaria, purché s' intenda la
cosa più di facile) : Nessuna meretri- ce porterà corona : se una la
portasse, sarà in- camerata. Contro colui che dicesse doversi iti
for za della legge por nel fisco la meretrice, si potrà rispondere
non avere il comune alcun provcnlo da una donna pubblica, nè v' essere
nel recarla al fi- sco alcuno scopo della legge : bensì »' essere e
provcnlo al comune e scopa della legge incame- rando l’oro di che è
composta la corona, senza che ne emerga un menomo clic di svantaggio.
XU. Si vorrà eziandio ben attendere, se nel caso che fosse
adottato il seoso voluto dall’ avversario, possa parere che lo scrittore
abbia trascurala qual- che cosa piò utile, o più onesta, o più
necessaria. E questo si farà, se porremo a vedere che ciò cito
adontatilo noi è onesto, od utile, o necessario ; e che ciò che dicono
gli avversarli non porta nessu- na di queste qualità. Dipoi, se la
controversia sarà circa I' ambiguo che si trovasse in una legge, si
vorrà meller opera a dimoslrare che all' inconve- Digitized by
Google DELI A INVENZIONE BETTORICA 10 *
ccalur. Pcrmullum aulem prodcict illud demon- slrare, qucmadmodum
scripsisset, si id, quod ad- vcrsarius accipial, Acri aut inlclligi
voluissct : ut In hoc causa, in qua do vasis argenteis quaerìtur,
possi! mulier dicere, nihii allinuisse ascribi, quae volef, si heredis
collimati permitleret. Eo enim non adscriplo niliil esse dubilalionis,
quin hcres, quae ipse vcllet, daret. Amenliam igitur fuissc, quum
hercdi velici caverò, id adscribere, quo non adscriplo nihilominus hcredi
cavcrctur. Quare hoc genere magno opere talibits in causis uti
oporlc- bit : si hoc modo scripsisset, Isto verbo usus non csset,
non isto loco verbum istud collocasse!. Nani ex bis scnlcntia srriploris
maxime pcrspicitur. Deinde quo tempore scriptum sii, quacrendum
est, ut, quid cum voluisse in ciusmodi tempore veri simile sit,
intelligatur. Post ex deliberationis parlibus : quid ulilius, et quid honeslius et
illi ad scribendum, et bis ad comprobandum sii, demon- strandum ;
et ex his, si quid amplificationis (labi- tur, communibus utriuque locis
uti oportebit. Xl.lt. Ex scriplo et sententia controversia
con- sistil. quum alter verbis ipsis, quae scripla sunt, utilur,
allcrad id, quod scriplorem scnsisse dicci, omnem adiungit diclionem.
Scriploris autem sen- tcntia ab eo, qui sententia se dcfendel, lum
scm- per ad idem spoetare et idem ielle demonslrabi- tur ; lum ex
farlo ani ex evento aliquo ad Icmpus id, quod insliiuil, accommodatur.
Semper ad idem spedare hoc modo: Palerfamilias quum libero- rum
Imberci niliil, uxorem aulem haberel, in te- stamento ita srripsit : Si
mihi filivs genitur unni pluresve, is mi hi heres calo. Deinde quae ad-o- icnt. Poslea : Si Mita
ante morilur, quam in tu- tela m sumn venerii, lum inibì lite sccundus
he- res eslo. Fillus natus non est. Ambigunt agnati cum eo, qui est
hcrcs, si fllius ante quam in suam tutelam venia!, morluus sit. In hoc
genere non potest hoc dici, ad tempus et ad eventum aliquem
scnlenliam scriploris oporlere accommodari, prò- pterea quod ea sola esse
demonslratur, qua fretus ilio, qui conira scriptum dicit, suam esse heredi-
nienza messa in campo dall'avversario fu gii prov- veduto
con altra legge. Gioverà poi gran fatto il mostrare come si saria
espresso io scrittore, ove avesse voluto che si facesse o s'intendesse
ciò che l'avversario crede d'aver inteso. Per esempio, nella causa,
in cui s' ioquerisce sopra le vasa di argento, potrebbe dire la donna,
che se il testatore avesse voluto lasciar l' arbitrio all' erede, non
era di bisogno che aggiungesse quelle vasa che vorrà. E infatti, se
non ci fosse quella giunta, non ci sa- rebbe neppure dubbio che l'erede
non avesse date alla madre le vasa eh' egli avesse creduto. Essere
dunque stata una mattezza che lo scrittore, volen- do lasciar si fatto
arbitrio all’erede, facesse una giunta di tal sorta, che se anche non ci
fosse, lo lascerebbe niente di meno nell'arbilrio stesso. Eppcrò
in cause di questa fatta sarà mollo im- portante far uso dell'argomento
che segue: se lo scrittore avesse avuto un tale intendimento nello
scrivere, ei non avrebbe adoperata quella tal voce, non avrebbe allogato
quella parola in questo tal silo; conciossiachò son questi, più che ogni
altro, gl’indizii da cui si viene a riconoscere la mente dello
scrittore. Dipoi si dee esaminare in qual tempo fu messo giù lo scritto,
per mettersi a sa- pere ciò che vcrisimilmente in quelle tali
circo- stanze lo scrittore volesse. Poi si dimostrerà, die- tro le
parti del genere deliberativo, quale delle due cose dibattute sia la più
utile c la più onesta che l'autore dovesse scrivere, e che gli
avversari! debbano voler sostenere ; a dote alcuno di questi punti
sia da trattare col mezzo della amplificazio- ne, dovrà l'una parte e
l'altra valersi de' luoghi comuni che sono da ciò. XLII. Sorge
controversia di scritto c di senso allora che l'uno de' litiganti
s'attiene alle parole stesse che sono scritte, c l'altro converte c
piega tutto lo scritto al senso ch'ei crede avere avulo in mente lo
scrittore. Quegli che sostiene il senso, mostrerà come con quel tale
concetto Io scrittore mira sempremai al senso stesso e ad esprimere
la stessa coso ; oppure che esso concetto è acconcia- to in tal
senso a questa tale circostanza per amo- re di qualche avvenimento, di
qualche fatto, e via via. Dcll'avcr sempre un concetto il senso
mede- simo ecco un esempio è qui: Gn padre che non avea figliuoli,
sì bene avea moglie, nel suo testa- mento lasciò scritto cosi: Se mi
nascesse un figlio, uno o più, voglio che sia mio erede. E qui se-
gue il testo secondo che è uso. Indi dice: Se il fi- glio morisse innanzi
che fosse giunto alla puber- tà, allora quello che è secondo sarà
l'erede. Non nacque nessun figlio. I consanguinei del padre entrano
in litigio sul diritto di eredità con quello che pretende clic il padre
lo istituisse crede in Digitized by Google
LIBRO II. 103 talcm dcfendit.
Allerum autem genus est eorum qui senlenliam inducunt ; in quo non
simplex vo- lunlas scriptoris ostemJilur, quae in omne tempus, et
in omne factum idem valeat ; sed ex quodam facto aut erenlu ad tempus
interprctanda dicitur. Ea parlibus iuridicialis adsumplivac maxime
susli- netur. Nana tum inducitur comparatio, ut in eo, qui, quum
lex aperiri portas noctu «darei, aperuit quodam in bello, et auxilia
quaedam in oppidum recepii, ne ab hostibus opprimercnlur, si foris
es- sent, quod propc muros bostcs castra habercnl ; tum relatio
criminis, ut iu eo milile, qui quum communis lei omnium hominem occidcre
velare!, tribunum suum, qui «im sibi adferre conarctur, occidit;
tum remolio criminis, ut in eo, qui quum lex, quibus diebus in legationem
proflcisceretur, praeslitueral, quia sumptum quaeslor non dedit,
profeclus non est; tum conccssio per purgatiouem et per imprudenliam, ut
in viluli immolalionc, et per vim, ut in nave rostrata, et per casum, ul
in Eurotae magnitudine. Quarc aut ila sentcntia in- ducelur, ut
unum quiddam voluisse scriptor de- monstretur; aut sic, ul io ciusmodi
ra, et tempore boc voluisse doceatur. XLITI. Ergo is,
qui scriptum defendet, bis locis plerumquc omnibus, maiore aulem parte
semper poteri! uli : primum scriptoris collaudatone et loco communi
nihil eos, qui ìudiccnl, nisi id, quod scriptum sit, spedare oporlere; et
boc eo magia, si legitimum scriptum proferelur, id est, aut lex
ipsa, aut aliquìd ex lege. Postea, quod vehemen- lissimum est, facli aut
intenlionis adversariorum cum ipso scripto contenlione, quid scriptum
sii, quid factum, quid iuratus index ; quem locum mullis modis
variare oportebit, lum ipsum secum admirantem, quidnam centra dici
possi!, tum ad iudicis ofOcium reverlentem et ab eo quaereotem,
Classici Vol. T. evento die il figlio morisse innanzi alla
pubertà. In questa causa non si può dire che debbasi acco- modare
il dello dallo scrittore al tempo c ad un avvenimento di qualche sorla ,
poiché si dimostra senza contrasto essere quel detto non altro che
il senso, di che si fa forte il litigante che parla con- tro lo
scritto per difendere che è sua l'eredità. La seconda specied'interpretazione
ammessa da quel- li che s'attengono al senso, si ò il dimostrare
non essere la volontà dello scrittore così semplice e condizionala,
da avere in ogni tempo e per ogni caso l'intento medesimo, ma doversi
interpretare secondo la circostanza, secondo che richiede quel tale
avvenimento o quel tal fatto. Questa specie di trattata appartiene
specialmente a quella costitu- zione giuridiciate che si domanda
assunliva. E in- fatti egli avviene che ora si dee istituire la
com- parazione, come rispetto a colui clic, vietando la legge
dall’aprire lo porle sempre clic dura la not- •e, le aperse in tempo di
guerra, e mise dentro in città uno sforzo di aiuti, perchè stando fuori
non fossero oppressali dai nemici clic stavano a campo soltesso le
mura ; ora si dee riversare la colpa so- pra un altro, come farebbe quel
soldato che, in- terdicendo la legge a tutti comune di levarla vita
a chi che sia, la levò al suo tribuno clic si lascia- va andare a fargli
le forze addosso ; ora si dee ve- nire alla remozionc della colpa, come
farebbe co- lui che, avendo la legge posti i giorni in cui si do-
vesse partire in ambasceria, non parti altrimenti però che il questore
non gli diede le spese ; talora si dee venire alla concessione
coll’addurreo la scu- sa o la ignoranza della legge, come nel
sacrifizio del vitello; o la forza maggiore, come nel fatto della
navcroslrata ; ol'accidente, come nella escre- scenza detl’Eurota. Laonde
il senso di uno scritto si dee difendere per due modi, o mostrando
che lo scrittore con quel tale concetto ha sempre vo- luto
esprimere una cosa stessa, o facendo vedere che in questo tal fallo e in
questo tal tempo ha vo- luto esprimere nel suo scritto questa tale sua
vo- lontà. XLIII. Il litigante per contro che difenderà lo
scritto quale esso è, potrà far uso le più volte an- che di tutti i
seguenti luoghi, ma sempre perù del- la più parte: primamente si loderà
dello scrittore, ed uscirà in questo luogo comune: dover quelli che
hanno in mano il giudicio por mente solo a ciò che è scritto; il che egli
affermerà di più for- za , se si trattasse di uno scritto legittimo ,
corno sarebbe o la stessa legge, o qualche cosa che dal- la legge
fosse cavata. Poi verrà al punto che inga- gliardisce della maggiore
veemenza , voglio dire al far agguaglio dallo scritto al fatto o all'
accusa degli avversarli, mostrando ciò che fu scritto, ciò
133 Digitized by Google iOi
DELLA INVENZIONE RETTOHICA quid praetcrca audire aul
exspcctare debeai; tum jpsum adversarium, quasi intentanti loco
produ- cendo, hoc est, interrogando, utrum scriptum nc- gel esse co
modo, an ab se conira ractum esse, aut contra contendi neget; utrum
negare ausus sit se dicere desilurum. Si neulrum neget, et contra
tamen dical nihil esse, quod hominem impuden- tiorem quisquam se visurum
arbilrctur. In hoc ita commorari conveniet, quasi nihil praeterea di-
j ccndum sit, et quasi contra dici nihil possi!, saepe Id, quod
scriptum est, recitando saepe cum scri- pto factum adversarii confluendo,
atquc inlerdum acritcr ad iudicem ipsum reverteudo. Quo in loco
iudici demonstrandum est, quid iuratus sit, quid sequi debeat : duabus de
causis iudicem dubitare oportere, si aut scriptum sii obscure, aul neget
ali- quid adversarius. XLIV. Quum et scriptum aperte
sit, et adver- sarius omnia conflteBtur, tnm iudicem legi parere,
non intcrprelari Icgem oportere. Hoc loco conflr- mato, tum diluere ea,
quae contra dici poterunl, oportebit. Contra autem dicetur, si aut prorsus
a- liud scnsisse scriplor et scripsisse aliud drmon- slabitur: ut
in illa de testamento, quam posuimus, controversia; aut causa adsumptiva
inferetur, qua- mobrem scripto non potuerit aut non oporluoril
obtemperari. Si aliud seusisse scriplor, aliud seri- psisse dicetur, is
qui scriplo utclur, haec dice! : non oportere de cius voluntate nos
argomentavi, qui, ne id lacere possemus, indicium nobis reli-
querit suae voluntalis ; multa incomrnoda conse- qui, si instiluatur, ut
ab scriplo rccedatur. Nato et cos, qui aliquid scribant, non
eiistimaluros id, quod scripserint, rallini futurum; et cos, qui
iudi- cenl, cerlurn, quod sequantur, nihil habituros, si semel ab
scripto recedere consueverinl. Quod si voluntas scriptoris conscrvanda
sit, se, non adver- sarios, a voluntate cius stare. Nam multo
propius accedere ad scriptoris voluutatem cum, qui ci ip- sius cam
lilteris Inlcrprclctur, quam illum, qui sententiam scriptoris non ci
ipsius scripto special, quod illae suae voluntalis quasi imaginem
relique- rit, sed domcsticis suspicionibus pcrscrutclur. Sin
che fatto, ciò che sia di dovere al giudice che ha giurato di
osservare la legge; e questo luogo do- vrà il litigante variare per molti
modi , ora mo- strandosi ammirato che si trovi cosa da voler op-
porre; ora tornando sopra alfuDlcio del giudice , c chiedendogli clic
altro di vantaggio ei possa ascollar cd attendere; ora con cerl'aria come
di minaccia appellandosi all'avversario, inlerrogan- I dolo cioè se
mai po«sa dire o che lo scritto non sia alTallo a quel modo, o ch'egli
non faccia con- | irò allo scritto c contenda Dior di dovere; e
sog- giungendo che ove abbia il coraggio di dire o l'uno o l’altro,
ci si rimarrà dal più avanti discorrere. Se non dicesse nè questo nè
quello, e non di me- no durasse a dir contro, aggiungerà il
difensore dello scritto, nessuno dover credere di poter mai vedere
un uomo più impudente di quello. In que- sto proposito si dovrà dimorare
un po’ a lungo , come se più altro non restasse da dire, c come se
non potesse colui aver più che rispondere incon- tro : si reciterà più
volle lo scritto, si combatterà spesso con lo scritto lo adoperarsi
dcll’atvcrsario, e qualche fiata con parole ardite si farà appello allo
stesso giudice. E qui si vorrà al giudice an- che dimostrare che
s’intenda per giurato, e quale sia il partito eh' ci dee seguire , c come
per due capi è necessario che il giudice sia in dubbio, va- le a
dire, se lo scritto Tosse oscuro, o se l'avversa- rio negasse qualche
punto dello scritto. XLIV. Qualvolta lo scrino è chiaro, c
l'avversa- rio stesso nc confessa di ogni punto la chiarezza, devsi
ammonire il giudice che suo dovere è obbe- dire alla legge, non già
farsene il turcimanno e lo sposilorc. Raffermato questo asserto con le
prove addotte, converrà ribattere ogni obbietlo elicvi potesse
esser mosso. Sarà obbietlo, se il nostro avversario dimostrerà che lo
scrittore intese espri- mere ben altra cosa da quella che porla lo
scritto, siccome nella controversia circa il testamento, cho qui
sopra Ito toccala; ovvero se avrà ricorso a co- stituzione di genere
assuntilo per mostrar la cau- sa onde non si potè o non si dovette
obbedire allo scritto. Se il nostro avversario dicesse aver lo scrit-
tore inteso d'esprimere ben altra cosa da quella clic dimoslra,
risponderà quegli clic allo scritto si attiene: non esser mestieri che
noi discutiamo circa alla intenzione dello scrittore, il quale ap-
punto perchè non ci fosse di che discutere ne ha lasciato della sua
intenzione un indicio non dub- bio; venirne in conseguenza molli mali
cQctli, se i *’ introducesse l'abuso di allontanarsi dallo scril-
< lo: imperocché quelli che scrivono faranno ragione j che non si
starà punto allo scritto loro ; e quelli che deono giudicare non avranno
nessun dato cer- | to c sicuro da dover seguire, ove avessero una
Digitized by Google LIBRO II.
105 causam adfcret is, qui a scntcnlia stobil,
primum crii conira dicendum ; quam absurdum non ne- gare conira legem
ferisse, seri quarc fcccril, cau- sam aliquam Rivenire ; di-inde,
conversa esse om- nia ; ante solilos esse accusatorcs iudicibus
per- suadere, adlìnem esse alicnius culpac eum, qui accusarclur;
causaui prorerre, quae curii ad pcc- candum impulisscl: mine ipsuin rcum
causam ad- ferro, quare deliqucril. Deinde liane inducere par-
lilionem, cuius in singulas parles mullac come- uieul argumentalionrs :
primum, nulla in lege ul- lam causam «mira scriptum accipi convenire
; deinde, si in celeris logilnis «invernai, liane esse eiusmodi
legem, ut in ca non oporleal; postremo, si in hac quoque lege oporleal,
liane quidem cau- sato accipi minime oporlcre. XLV.
Prima pars bis fere locis conBrmabilur: scriplori ncque ingcnium, ncque
operam, ncque ullam facullatem defuisse, quo minus aperte pos- se!
perscribere Id, quod cogitarci ; non fuisse ci grave nec difficile cani
causam excipcrc, quam adversarii proferant , si quidquam cvcipicndum
putassct ; consuesse eos, qui leges scribanl, cicc- plionibus uli. Deinde
opor'.et recilare leges cum ciccptionibus scriplas, et maxime ridere,
ccquae in ca ipsa lege, qua de agalur, sii «copilo aliquo in
capile, aut apud eumdem legis scriptorem, quo magis probclur cum fuisse
exceplurum, si quid evcipicndum putarel ; et ostendcrc causam acci-
pere niliil aliud esse itisi legem tollere; ideo quod, quum semel causa
considerclur, nihil allineai cain ex lege considerare, quippc quae in
lege scripta non sii. Quod si sii institulum, omnibus dari cau- sam
et polcstalcm pcccandi, quum intcllexcrinl vosex ingcnio cius, qui conira
legem fcccril, non ex lego, in quam iurali silis, rem iudicare;
deinde et ipsis iudicibus iudicamli et cctcris civibus vi- vendi
ralioncs pcrlurbolum iri, si semel ab legibus recessum sii ; nam cl
iudices ncque quid sequan- volla piglialo l' uso di non si
allenerò allo'scrillo. Dirà inoltre clic se s’ba da conservare la
inten- zinne dello scrittore, è anzi egli, c non mica gli
avversarli, clic Iroppo meglio la conserva; peroc- ché a questa
intenzione avvicinasi assai più colui clic la desume dalla scriltura
slessa, clic non qucl- l' altro clic indaga il sentimento avuto in
animo dallo scrittore diclro i suoi calcoli e congetture private ,
anzi clic volerlo riconoscere per mezzo dello scrino stesso, clic 1'
autore lasciò come un ritrailo visibile della sua intenzione. Se poi
que- gli clic s'attiene al senso a Idurrà il motivo perché si debba
allonlanarsi dallo scrino, so gli dovrà in prima così rispondere: esser
assurdo, non negare egli di aver fallo contro la legge, e nondimeno
vo- lere trovar un qualche motivo perché cosi facesse; dipoi
dirassi clic oggi si conduce il giudicio ludo a riverso; per prima erano
gli accusatori che met- icano a vedere ai giudici come l’accusalo era
reo di qualche colpa, e poncan loro innanzi la causa che in quella
colpa lo fece cadere : ora è il reo stesso che manifesta la causa della
sua reità. In- di si dovrà discorrere queste Ire parli, ciascuna
delle quali olfrirà parecchie argomentazioni , vo- glio dire: primamente
non doversi per veruna leg- go ammettere alcun molivo che si oppooga
allo scrino; in secondo luogo, se anche tulle le altre leggi
comporlassero tale ammessione , la legge presente essere di tale natura
che aliano non la comporla; in line, se anche la legge presente am-
metlcssc un molivo, non essere però tale il moli- vo addotto, che
ommellere punto si possa. XLV. La prima di qucsle parli comprovasi a un
di presso cosi; lo scrittore non mancava né di in- dustria, nè di mezzi,
nè di parole c facilità per e- sprimcrc chiaro ciò eh’ egli pensasse; nè
incontra- va difficoltà o pena a fare una eccezione in favore del
molivo che meltono in campo gli avversarli, so avesse credulo esserci
cosa da dover eccelluare; anco più che quelli che scrivono le leggi ne
scri- vono eziandio lo necessarie eccezioni. Dipoi si dee citare il
lesto delle leggi che recano le loro eccet- tuazioni scritte, c
soprattutto osservare se v’ ha e quale v’ ha eccezione in qoalche articolo
della legge questionala, o in altre dello stesso scrittore perché
si possa comprovar con più evidenza che egli, ove una eccezione fosse
siala necessaria, l'a- vrebbe s-'iiz' altro opposta alla legge, di che
si traila; e insieme deesi mostrare clic ammettere la eccettuativa
non posla dallo scrittore è nienle me- no che distrugger la legge, perù
clic una volta che si abbia riguardo ad essa, non è più bisogno di
considerarla relativamente alla legge , siccome quella che nella legge
non è punto inserita. Che se si cominciasse di avere un Iole riguardo,
ognu- Digitized by Google 106
DELLA INVENZIONE RETTORICA tur babiluros, si ab
co, quoti scriptum sii, reco- datti ; ncque, quo paolo alios improbare
possinl, quod conira legem iudicarinl ; cl cclcros civcs, quid
agalli, iguoraluros, si ei suo quisque cotisi- lio e! ex ca rationc, quac
in mcnleoi aul in libidi- netti vencril, non ex communi pracscriplo
civilalis unam quamque rem adminislrarit. Rosica quacre- rc ab
iudicibus ipsis, quarc in alienis dclineanlur negoliis ; cur rei publicae
munere iinpedianlur, quo seriis suis rebus et commodis servire
possinl; cur in cena verba iurent ; cur certo tempore con- veniant,
cerio discedanl, nibil quisquam adferat causac, quo minus frequenter
operam rei publicae det, nisi quae causa in lege cxccpla sii; an se
le- gibus obslriclos in lanlis molesliis esse acquutn censeanl,
adversarios nostros leges negligere con- cedati); deinde ilem quaerere ab
iudicibus, si eius rei, propler quam screus conira legem fecisse
di- ca!, cxceplionem ipse in lege ascribal, passurinc aint;poslca
boc, quod facial, indigniusel impu- dcnlius esse, quam si ascribal; ago
porro, quid- si ipsi velico! iudices ascribcrc, passurusnc sii po-
pulus? alqttc hoc esse indignius, quam rem verbo et litlcris mulare non
possinl, eam re ipsa et iudi- cio maxime commutare. Deinde indignimi esse
de lege aliquid dcrogari, aul legem abrugari, aul ali- qua ex parie
commutari, quum populo cognoscen- di et probandi aut improbandi poleslas
nulla fiat; hoc ipsis iudicibus invidiosissimum fulurum; non hunc
locura esse, ncque hoc tempus legum corri- gendarum ; apud populum haec
el per popolimi agi convenire : quod si nunc id agant, velie se scirc,
qui lalor sii, qui sin! accepturi; se captioncs videro, el dissuadere
velie : quod si bacc quum summe inutilia lum mullo turpissima sint;
legem, cuicuimodi sii, in praesenlia conservai ab iudiri- bus,
post, si displiceal, a populo corrigi conveni- re ; deinde, si scriptum
non extarct, magno opere quaereremus; ncque isti, nc si extra
pcriculum quidem ossei, crelercmus. Nunc quum scriplum sii,
amcnliam esse eius, qui peccarli, polius quam legis ipsius verba
cognoscerc. llis et huiusmodi ralionibus ostenditur causam exira scriplum
acci- pi non oporlere. no avrà licenza e buona presa
di fallire, perchè si avviserà che voi giudicale dcll'alTare secondo
che lalenta a colui che contravvenne alla legge, non secondo la
legge stessa, a cui avete giuralo di al- tenervi nel giudicare: dipoi
mostrerà che gli stes- ! si giudici avranno tutta in iscompiglio la
condotta del giudicio, c gli altri cittadini lutto in disordine
l’andamento delia vita, se si piglierà una volta ad andar a ritroso della
legge; conciossiacbè nè i giudici avranno una regola da seguire, se si
di- vertissero da ciò che è scritto, ni potranno con- vincere i
contravventori di aver fallilo, quando essi medesimi abbiano giudicato ad
onta della legge c gli altri cittadini non sapranno che far si debbano,
se ognuno si governerà in ogni caso non dietro i generali statuti della
città, ma a talento proprio, c dietro quella ragione che gli
passerà per la metile, o che andrà a seconda delle sue voglie.
Poscia ci verrà inlerrogando gli stessi giu- dici, perchè si frammettano
di altari alimi, che loro non si perlengono; perchè dall'ulllcio
clteso- stengon nella repubblica si lascino impedire di attender
alle gravi loro faccende e provvedere ai propri! interessi; perchè
giurino dietro una formo- la prescritta; perchè a un posto tempo si
raccolga- no insieme, c ad una data ora se ne vadano, sen- za che
alcuno molla innanzi altra ragione che lo autorizzi a prestarsi meno di
spesso al servigio deila repubblica, eccetto quella che è indicala
nella legge: che? slimeranno giusto e ben fatto te- nersi essi obbligati
alle leggi in mezzo a si gravi lor cure, o comportare clic i nostri
avversarli si gellino quello leggi medesime dopo le spalle? Di- poi
verrà similmente chiedendo ai giudici, se mai essi patirebbero che I’
accusalo aggiungesse egli stesso nella legge la eccezione in favore del
mo- livo, da cui si dichiara indotlo a far contro alla legge, c
aggiungerà, ciò che fa l’avversario esser una sfrontatezza più indegna
che se apponesse al- la legge quella eccezione : di più, dato anche
il caso che i giudici stessi la volessero apporre in proprio, forse
che il popolo se la porterebbe in pace? eppcrò esser cosa ben troppo
riprovevole che una legge eh' essi nè per parole nè per iscril-
tura non possono mutare, vogliano invece mu- tarla più che più col
giudicio e sentenza loro. Di. rà appresso, essere uno scoocio indegno o
detrar- re alquanto alla legge, o abrogarla a pieno, o cam- biarne
qualche parte, senza che siane data copia al popolo di giudicarne i
moliti, c di approvarli o riprovare: questo non poter che riuscire di
odio acerbo contro gli stessi giudici; non esser questo nè luogo nè
tempo da farsi a corregger le leggi; questo esser un aliare da
trascinarsi col popolo e per mezzo del popolo: che se ora volessero
Ira- Digitized by Google unno li.
107 XLVI. Seconda pars est, in qua est
oslenden- dum, si in celeris legibus oporleat, in hac non o-
porlcrc. Hoc dcmonslrabilur, si lei aulad res ma- ximas, ulilissimas,
honeslissimas, religiosissimas ridebilur pcrlinere ; aut inutile , aut
turpe, aut nefas esse tali in re non diligentissime legi obtcrn-
perare ; aut ila lev dlligenler pcrscripta dcmon- slrabilur, ila cautum
una quoque de re, ila.quod oporluerit, eiceplum, ut minime convcniat
quid- quam in tam diligenti scriptum praelerilum arbi- trari.
Tcrlius est Incus ci, qui prò scriplo dicci, maxime necessarius, per quem
oporlet ostcndal, si convcniat causam contro scriptum accipi, cam
lamen minime oportere, quae ab adiersariis adfe- ratur. Qui locus idcirco
est buie necessarius, quod semper is, qui conira scriptum dicet,
aequitalis aiiquid odierai oporlet. Nani summa impudentia sii cum,
qui conira quam scriptum sii, aiiquid probare rclil, non aequilatis
pracsidio id Tacere conari. Si quid igitur et hac ipsa quippiam accu- sator
deroget, omnibus partibus iustius et proba- billus accusare videatur. Nani superior oralio hoc omnisfaciebat,
uti iudices cliamsi noi leni, necessc esse! ; baco aulern, eliamsi
ncccsse non esset, ut yellent conira iudicare. Id aulem (iet, si,
quibus ex locis culpa dcmonslrabilur esse in eo, qui com-
parationc, aut remolione, aut relatione criminis, aut concessionis
partibus se duTcndil ( de quibus ante, ut poluimus, diligenter
perscripsimus ), si de iis locis, quae res poslulabit, ad causam
adver- sariorum itnprobandam IransTeremus, aut causac et raliones
adferentur, quare et r|uo consilio ita sit in lego, aut in testamento
scriptum, ut senten- za quoque et voluulalc scriploris, non ipsa
solum scriptura causa con&rmata esse, videatur: aut aliis
quoque constitutionibus factum coarguetur. stillarlo essi,
or chi n* è il proponente, e citi son quelli clic approveranno? sé non
vederci che ca- lappi e trullerie, c volere lor giù altrui dal
lasciar- si cogliere: che se ogni disegno di mutazione olire clic
al lutto è inutile, ancora £ cosa sommamente sconcia, dcono per ora i
giudici mantenere intatta la legge, di qualunque sorte ella sia; ove non
piac- cia, si vorrà più tardi emendare dal popolo. Dirà inoltre; se
lo scritto non ci Tosse qui presente, noi faremmo ogni potere per averlo
a rinvenire, n£ porremmo fede iu costui neppure s' ei trattasse con
noi sicuro da ogni pericolo. Ma siccome è qui presente Io scritto, è dare
iu pazzia senza più, vo- ler essere inTormali delle parole di uno clic
falli, anzi che di quelle della legge medesima. Per que- sti adunque
e per simili altri argomenti si dimo- stra cotue una eccezione, che non è
nello scritto, non si dee per nulla ammettere. XLVI. La seconda
parte £ quella, nella quale deesi dimostrare che se anche tutte le altre
leggi dovessero ammettere una eccezione, la legge pre- sente non la
dee per veruna guisa. Questo si pro- verà, mostrando clic la legge
rfsguarda cose di grande rilevanza, di sommo vantaggio, onoratissi-
me e della maggiore santità; ed essere o vana, o turpe, o illecita azione
non obbedire puntatamen- te alla legge in circostanza si fatta: ovvero si
por- rà a vedere essere scrina la legge con tale esat- tezza, si
ben provveduto a ogni cosa, cosi eccelle le circostanze che volcauo
eccettuazione da non si dover credere che in una scrittura cosi
condot la fosse intralascialo n£ un menomo clic. Il terzo luogo £
di tutta necessità per lo contendente che sostiene lo scritto. Ei dee
mostrare che se anche la legge ammettesse un motivo eccezionabile,
non £ però di tale qualità il motivo addotto dagli av- versarti,
che si debba per esso seguire un senso non indicato dallo scritto. Dissi
esser necessario questo luogo, perch£ siccome chi ragiona contro lo
scritto dee sempre mettere innanzi qualche pun- to che risguarda
l'equità, c saria grave sfacciatez- za, chi volesse provar qualche punto
che è in pu- gna con lo scritto, non far quanto potesse per aiu-
tarsi di quella; così l'accusatore, se farà di detrar- re e mostrar
qualche parte non consentanea alla equità, sarà in casa di far credere la
sua accusa da lutti i laii più giusta e più probabile. E infatti le
regole esposte più sopra circa al non doversi ammettere ragione contraria
allo scrino riusciva- no tulle a fare clic i giudici dovessero di necessi-
tà, ancora che non volessero, portar giudicio con- tro al motivo
ccccziouabile: le regole presenti per conira parano a fare che i giudici
vogliano dar giudiciu conira quello slesso motivo, eziandio se loro
non fosse necessario di cosi fare. Or ciò si
Digitized by Google 108 DELLA INVENZIONE
RETTORICA XLVII. Conira scriptum autcm qui dicol, pri-
mum induco! cum lorum, perquom aoquilas cau- sae demonstrclur ; aut
oslcndel, quo animo, quo consilio, qua de causa fccoril ; cl,
quamcumque causani adsumcl, adsumplionis parli bus se defcn- del,
de quilius anlc dicium esl. Alquc in hoc loco quum diulius commoratus sui
Cacti ralionem cl equitatem cansac cxornavcril, lum ex liis locis
foro conira adversarios dicci oporlcrc causas accipi. Dcmonslrabil
nullam esse leeoni, quae aliquam rem inuldcm aut iniquam Acri «clil;
omnia sttp- plicia, <1 ime ab lcgibus profìciscanlur, cuipae ac
malitiac «indicandac causa conslilula esse ; scri- plorcin ipsum, si
cvsislat, factum hoc prohalurum, cl idem ipsum, si ei lalis res
accidissel, faclurum fuisse ; ca re legis scriplorcm certo et ordine
iu- dices certa aelate prandi tos consliluisse, ut essont, nun qui
scriptum suoni rccilarcnl, quod quivis pucr Tacere posse!, sed qui
cogilalionc adsequi posscnl cl volunlatcm interpretar! ; deinde
illum scriptorem, si scripla sua slultis liominihus et bar- baris
iudicibus coinmilleret, omnia somma ddi- gentia pcrscriplurom fuisse ;
nun - vero, quod in- lelligeret, quales viri res iudicaturi essenl,
idcirco cum, quae perspicua videro! esse, non ascripsissc; ncque
cnim vos scripli sni recitatore], sed voluti- latis interprcles foro
putavil. Poslea quaerere ab adversariis : Quid, si hoc fccisscm ? Quid,
si hoc accidissel ? Eorum aliquid, in quibus aut causa sii honcstissima,
aut neccssitudo certissima, tumnc accusarclis ? Atqui hoc lei nusquam
excepil; non ergo omnia scriplis, sed quaedam, quae perspicua sint,
lacilis cxccpliouihus cascri ; deinde nullam rem ncque legibus ncque
scriptura ulta, denique ne in sermone quidem quotidiano atque
impcriis domeslicis recto posse administrari, si unus quis- que
vclit verba spedare, et non ad voluolalcm eius, qui ea verba habuerit,
accedere. otterrà, se di que - luoghi, con che rooslrerassi
es- serci colpa in colui che si accolla difesa o dalla comparatone,
o dalla remozi one del delitto, o dal rivcr.-arlo in allra cosa v
persona, o dalle parli della concessione (di che per addietro ho
trattato con quella diligenza migliore che ho sapulo), se di que'
luoghi, dico, si farà uso secondo il biso- gno dell'aHare, per ribattere
la eccezione ammes- sa dalla parie contraria, o se si pareranno
dinanzi le cause e le ragioni comprovanti e perchè e con quale
disegno sia stato cosi scritto in quella tal legge o in quel testamento;
con che si verrà a ca- pa di ralTorzarc la causa non pure col solo
mezzo della scrittura, ma eziandio col mostrar in nostro vantaggio
il sentimento e la volontà dello scritto- re', oppure si aumenterà
l'accusa contro il fatto facendo uso altresì di altre costituzioni.
XLVII. Quegli che parlerà contro Io scritto, pri- mamente si varrà
di quel luogo con che si dimo- stra la giustizia della causa, oppure farà
vedere con che mente, con che disegno, per qual motivo ha fatto
cosi piuttosto che no; e qualunque sia il motivo con che si parerà, dee
pigliare a sua difesa le parli dell'assunzione che furono di qui addietro
vedu- te. E qui, appresso ch'egli abbia un po’ alla dife- sa
raffazzonalo di belle esortazioni i molivi di ciò ch'egli ha fallo e la
giustizia della causa; sosterrà contro gii avversarli doversi animaliere
quei suoi molivi a un bel circa con gli orgomcnli che seguo- no.
Dimostrerà non v' esser legge al mondo che comandi cosa inutile ovvero
iniqua; tulli i casti- ghi che sono inflitti dalle leggi essere stabiliii
per punire la colpa c la malignità: lo scrittore mede- simo, se
esistesse, approverebbe il fallo, anzi egli stesso sarebbesi adoperalo di
eguale maniera, se si fosse abbattuto in tale affare: per questo lo
scrit- tore della legge aver designato a giudici persone
appartenenti a una data classe, e giunti a un' età prestabilita, volendo
che tenessero i giudicii per- sone che sapessero non già recitare il
testo della legge, che da lauto è un fanciullo qualsiasi, ma
raggiungere col raziocinio e inlerpelrarc la sua volontà. Dipoi, se
quello scrittore avesse fatto ra- gione che il suo lesto saria venuto
alle mani di gente sciocca e di giudici selvaggi da ogni civiltà,
avrebbe esposto ogni cosa Alo per Alo e con la maggiore accuratezza; ma
siccome ei s' avvedeva troppo bene quali personaggi avrebbero avuto
il maneggio dei giudicii, non inserì nella legge ceni punti che
vedeva essere da sì di facile intelligen- za: non vi tenne egli dunque
per recitatori del suo scritto, ma per interpetri della sua volontà.
Poscia dovrà chiedere agli avversari: Or che sarebbe, se io avessi
fallo questo f che, so quest' altro fosse mai acca scalo? V' Ita cose
prodotte da un motivo Digitized by Google
MURO II. 10J XLV1II Doindcei
ulilitatis cthonestatis partibus ostenderc, quam inutile aut quam lurpe
sit id, quod adversarii dicant fieri oporluisse aut oporte- re; et
id quod nos feccrimus aut postulemus, quam utile aut quam honestum sii;
deinde leges nobis caras esse non proptcr lilteras, quac tcnues
etobscurae nolae sint voluntatis, sed propler ca- rum rerum, quibus de
scriptum est, utililalcin, et corum, qui scripscrint, sapicntiam et
diligentiam, postea, quid sii lei, describerc, ut ea tidealur in
scnlentiis, non in vcrbis consistere; et iudci is vi* dealur iegi
obtcmperare, qui scntentiam eius, non qui scripluram sequatur; deinde,
quam indignum sit, eodem adfici supplicio eum, qui proptcr ali- quod
scelus et audaciam contra leges fccerit, et eum, qui honcsta aut
necessaria de causa non ab scntcntia, sed ab litteris legis reccsserit ;
atquc bis et buiusmodi rationibus et accipi causam, et in hac lege
accipi, et cam causam, quam ipse od- ierai, oporlerc accipi demonstrabit.
Et qucmad- modum ei diccbamus, qui ab scripto dicerei, hoc Tore
utilissimum, si quid de acquitele ea, quac cum advcrsario starei,
derogasse!, sic huic, qui contra scriptum dicci, plurimum proderii, ci
ipsa scriplura aliquid ad suam causam converlere, aut ambigue aliquid
scriptum oslendere ; deinde ei ilio ambiguo cam partem, quae sibi prosit,
defen- dere, aut verbi definilionem inducerc, et illius verbi vim,
quo urgeri videatur, ad suae causae commodum traducerc ; aut ex scripto
non scrip- tum aliquod inducerc per ratiocinalioncm, de qua post
dicemus. Quacumquc autcm in re, quamvis levitar probabili, scriplo ipso
se dcfendcrit, etiam quum acquitalc causa abundabil, necessario
mul- timi proDciet, ideo quod, si id, quo nililur adrer- sariorum
causa, subduxeril, omncm eius illain vim et acri moniam lenierit ac
dilucrit. Loci
autcm communes celeris ci adsumptionis partibus in utramque partem
convcnient. Praetcrea eius,
qui a scripto dicci: leges es se, non ex eius, qui con- tra
commiscri!, ulilìlutc spcclari oportere, et In- tanto onesto
quanto nessun altro mai, o da una necessità indeclinabile: or di queste
cose ne accu- sereste voi alcuna? Ma questa cotale non è dalla
legge in nessuno de' suoi articoli eccettualo: dun- que non a tulle cose
si provvede con Io scritto, ma solo si provvedo con tacile eccezioni ad
alcune, clic sono lucide c appariscenti a chi clic sia: di- poi,
nessun affare si potrebbe reggere con dirit- tura nè per magistero di
leggi, nè di scritto qual- siasi, anzi nè eziandio nel discorso della
giornata e nei comandi domestici, se volesse ognuno starsi affitto
alle parole, c non piuttosto adocchiar bene la volontà di colui che
quelle (ali parole Ita c- spresse. XLVIII. Dipoi aiutandosi con le
parti dell' utile e dell’onesto, dimostrerà quanto saria danneggio-
so o quanto lurpe ciò che gli avversarli dicono es- sersi dovulo o
doversi fare; e a riverso quanto sia utile o quanto onesto ciò che noi
abbiamo fatto, o ciò che veniamo chiedendo; poscia, esserci a gra-
to le leggi non per le parole, che son segni incon- cludenti ed oscuri
dell'altrui volontà, ma per lo profitto che ne viene a lutti dai
provvedimenti delle leggi , e per la sapienza c sceltezza dei
precetti che vi hanno posto quelli che le scris- sero ; indi si dovrà
definire clic sia legge per modo tale clic si paia manifestamente
consister essa nei concetti, e non nelle parole, c far ve- dere che
solo quel giudice mostra di obbedire alla legge, il quale si attiene al
sentimento di essa, non alla materiale scrittura ; dipoi quanto sia
cosa danncvolc e da riprovare che sia mollato della stessa pena colui che
con sua scellcrmiza c lemeritè si fece ribelle alla legge, c si quegli
che per una ragione onesta o necessaria si è dilunga- lo non dal
sentimento della legge, ma dalle paro- le di essa; e con questi e
altrettali argomenti di- mostrerà ed esser ammissibile il motivo clic
in- duce eccezione, ed esserlo in questa legge stessa ed esso
motivo esser tale che affatto si debba am- mettere. E come io diceva
esser di giovamento assai a quello che sostenta lo scritto, se
avesse spizzicato e detrattone alquanto delle ragioni di equità che
avvantaggiano I’ avversario, così a co- stui clic discorre contro lo
scritto profitterà a gran misura il convertire in suo prò qualche punto
del- lo scritto medesimo, ovvero dimostrarne di qual- che tratto il
doppio senso e 1' ambiguità: di van- taggio, difendere de' due sensi
quello che gli tor- na utile, o recar la definizione della parola
ambi- gua, c guadagnar un argomento in favore della sua causa dal
significato di quella parola stessa, che pareva gli dovesse tornar al
contrario; oppu- re per mezzo di sillogismo, di che mi verrà da di-
re più sotto, ricavar c dedurre dallo scritto qual-
Digitized by Google HO DELI A
INVENZIONE RETTORICA wm* gibus anliquius
haberi niliil oporterc. Conira scri- plum: logos in consilio scriploris et
ulilllalc com- muni, non in verbi* consistere ; quasi indignimi
sii, aoquitatom litleris urgori, quac volunlalc eius qui scripscril
defendatur. XLIX. Ex con Ira ri is aulem logibus
conlrovcr- sia nasedur, qiium inlor se Jii.'ys vidcnlur logos aul
pluros discrepare lioc modo: Lcx: Qui (yrun- num (inciderti,
Olympionicarum proemia capilo, ni quatti cole! libi rem a muqisltolu
doposcì lo, cl magislralus ci concedilo. El altera lei: T grati- no
occiso, quinque ejul jiroximos coqtiuliotie ina- yislratus ficcato.
Alexandrum, qui apud Pheraeos in Tliessalia lyrannldcm occuperai, uxor
sua, cui Thcbc nomen fiiil, nocl’u, quum simul cubarei uccidi!.
Ilare (ilium suum, quom ex lyranno ha- bebal, sibi in praemii loco
doposcil. Sunl, qui ci lego occidi pucruin dicant oporlere. Rcs in
iudicio osi. In hoc genere utramque in parlcm lidcm loci alque
cadem praecepla comcnicnt, ideo quod u- terque suam legein conlirinare,
contrariam infir- mare debcbil. Primum igilur leges oportet con-
tendere considerando, ulra lcx ad maiorcs, hoc est, ad uliliores, ad
honcsliorcs ac magis noces- sarias res perlincal; ex quo conlìcilur, ut,
si leges duac, aul si plures erunl, aul quolquot erunt, con-
servaci non possint, quia discrepeut inter se, ca maxime conservando
pulclur, quac ad maximas rcs pcrlinere vìdoatur; deinde, ulra lcx
poslcrius lata sii; nani postrema quaeque gravissima est ; deinde,
utra lei iubeal aliquid, ulra permillal; nam id , quod imperatur ,
nccessarium , illud, quod pcrmiltilur , volunlarium est ; deinde ,
in ulra lege, si non obtcmpcratum sii, pocna od- liciatur, aut in
ulra raaior poena slalualur ; nam maxime conscrvanda est ea, quae
diligentissime che corollario che non vi è espresso.
Qualunque sia il punto, tuttoché tampoco verisimile, in cui questi
potrà piegare u propria difesa lo scritto medesimo, anche quando la causa
si fiancheggias- se di molle ragioni di equità, ei sarà condotto
sen- za manco nessuno a giovar di molto la causa pro- pria,
perocché se giunga ad abbattere e tor di mezzo le ragioni che sono di
appoggio agli avver- sarli, egli avrà bella e distrutta, non che
addog- lila, tutta la forza e veemenza della causa loro. Quanto è
ai luoghi comuni che si traggono dalle altre parli dello stalo assunlivo,
questi cadranno bene in taglio all’ uno e all'altro avversario. Di
più, quegli che s'altienc allo scrìtto avrà dalla sai questo argomento:
le leggi doversi riguardare in sé, non mica secondo il vantaggio clic dal
violarle uomo ne trac, e doversi esse aver a cuore e a ca- pitale
più clic ogni altra cosa. Quegli clicslà con- tro lo scritto si gioverà
di quest’ altro: avere le leggi il loro fondamento e sostegno non nelle
pa- role, ma nella intenzione dello scrittore; esser co- sa indegna
far forza con le parole contro quella equità, che ha in sua difesa il
volere e l'intendi- mento dello stesso legislatore. XLIX. Nasce
controversia per leggi contrarie allora che due o più leggi non vanno di
piena con- cordia fra loro, come in questo esempio : Dice l'una :
Chi darà morie a un tiranno si abbia il premio che si dà ai vincitori di
Olimpia, e chie- da al magistrato ciò che meglio gli aggrada, chè
il magistrato gliene dovrà concedere. Dice un’altra legge: Insieme che
sia ucciso il tiranno, dovrà il magistrato menar a morie cinque
altri che siano a quello legali di parcnlaggio. Tebe, moglie di
quell'Alessandro che s’era fallo tiranno Ira i Ferei nella Tessaglia,
nottetempo, essendo ella nello stesso letto con lui, lo pose a morte.
Per premio chiede costei la vita del lì glio di' essa dal tiranno
aveva avuto. Insorge altri a dire dover il fanciullo per legge esser
ucciso. L' aliare é messo in giudicio. Or in causa si falla all'uno c
all'altro avversario verranno a taglio I luoghi stessi, gli stessi
precetti, perchè dovranno lutti e due tener ferma la legge che lor giova,
e battere molto di vena la contraria. La prima cosa adunque, si dee
far il pareggio e confronto delle due leggi, esami- nando bene quale
delle duo vada a battere a mag. glori cose, voglio dire quale provveda a
cose più utili, a più oneste, a più necessarie ; e di qua con-
chiudere che se due leggi, o se saranno più, o quante potranno essere,
non si possono ritenere per essere disconsenzienti Ira loro, abbiadi
tutte a ritenersi quella che provvede alla maggiore utilità delle
cose ; poscia è da vedere quale delle due fu fatta poi giacché l'ultima
ha più forza ed autorità; Diijitized by Googlc LIBRO
II. IH sancta est; deinde, utra lei
iubcat,utra vetel; nam saepeea, quae velai, quasi exceptione quadam
corrìgere videlur illam, quae iubel; deinde, utra lei de genere omni,
utra de parie quadam; utra communiler in plurcs, utra in aiiquam cerlam
rem scripla vidcalur; nam quae in partem aiiquam el quae in cerlam
quamdam rem scripta est, propius ad causam accedere videlur, et ad
iudicium ma- gia perlinerc; deinde, ci lege ulrum statini fieri
nccesse sii; ulrum habeal aiiquam moram et su- slentationem; nam id, qund
stalim faciendum sii, parlici prius oportel; deinde operam dare, ut
sua lei ipso scriplo vidcalur niti, contraria anioni aul per
ambiguum, aul per raliocinalionem, sul per detinilionem induci, uli
sanclius el firmius id vi- dealur esse, quod apcrtius scriptum sii ; deinde
suac legis ad scriptum ipsam senlentiam quoque adiungere, contrariam
legein ilem ad aliam sen- Icntiam Iransducere, ut, si fieri poteri!, ne
discre- pare quidem videantur inter se; postremo Tacere, si causa
Tacultalem dabil, ut nostra ralione utra- que lei conservar! vidcalur,
adversariorum ralio- ne altera sii necessario ncgligenda. Locos
autem communcs, et, quos ipsa causa del, ridere opor- tcbil, el ex
utilità tis et ex honcslalis amplissimi partibus sumere demonstrantem per
ampliGcalio- nem, ad utram potius legem accedere oporteal.
L. Ex raliocinatione nascitur controversia, qunm ex eo, quod uspiam
est, ad id, quod nusquam scriptum est, venilur; hoc paclo: Lei: Si
furiosus ejcif, agnalum genliliumqve in eo pecuniaquc c- ius
potestà! etto. Et lei: Palerfamilias uli super [umilia pecuniaquc sua
legassi t, ila ius esto. Et Glissici Voi.. V. indi
quale mena obbligo intorno a un che, quale non lo metta, conciossiachè il
Tare, quando ci ha obbligo è atto di necessità, quando non ci ha, è
atto volontario senza più; inoltre, qual legge sog- getti a pena chi non
le obbedisce, o quale soggetti a pena più grave che non le altre, poiché
deesi in paragone ritener quella che guarentisce meglio la propria
inviolabilità col multare di più gravi am- mende quello che ad essa
contrarrà; poscia, quale di esse leggi prescriva una azione, quale invece
la interdica, poiché spesso quella che la interdice dà vista di
correggere quasi che per mezzo di eccezio- ne quella che la prescrive : quindi
, quale delle leggi si riferisca a lutto un genere, quale a sola
una qualche specie ; quale sia scritta in comune per molti oggetti, quale
lo sia per un solo oggetto determinalo^ poiché quella che si riferisce a
una specie, come anche quella che é scritta per un oggetto solo, si
applica meglio ai bisogni della causa e meglio serve a determinarne il
giudicio : oltracciò, se la legge imponga la necessità che si
Taccia di presente ciò che é da Tare, o se conceda qualche soprastanza e
indugio, poiché ciò che di presente è da Tare si c^invien compiere per
primo e innanzi a lutto; dipoi metter opera che la legge, a che noi
ci atteniamo, mostri di aver la sua Tona nelle sue stesse parole : e per
conira quella dello avversario si farà veder che non tiene, o citandone
l'ambiguità, 0 deducendo per sillogismo o per definizione qualche
corollario che le tolga la forza c il valore, in maniera che si venga a
conchiuder di netto, come ciò che é scritto con più chiarezza é
appunto cièche si dee tenere vie più per Termo e giustamente ordinato. In
seguito, alla legge da noi difesa applicheremo il senso che ne pare,
e vedremo per lo simile di accomodar alla legge contraria un senso
cosi fatto, che lasci apparire a misura del possibile, non esser poi le
due leggi cosi discordanti Tra loro come si crede: in ultimo,
dovremo travagliarci, se la causa ne darà il po- terlo, di dar a divedere
che il nostro ragionamento concilia e ritiene ambe le leggi, laddove per
lo ra- gionar degli avversarli o l'una o l'altra ne dee ne-
cessariamente essere rigettata. Converrà altresì vedere quali luoghi
comuni la causa offra da sé, e pigliarne anche dalle molle e varie parti
deli' u- tilc e dell' onesto per dimostrare col mezzo della
amplificazione a quale delle due leggi sia più pre- sto da attenersi.
L. Nasce controversia dal raziocinio, quando da ciò che è scritto
in una legge si viene a trattare ciò che in nessuna è scritto, per
esempio: V'è una legge che dice: Se alcuno vien pazzo furioso, gli
agnati e gli offri della stessa famiglia acquiste- ranno padronanza sopra
di lui c sopra if sito 131 Digitized by Google
112 DELLA INVENZIONE RETTORICA
Ics.- Si palcrfamitias intestalo maritar, familia pccuniaque eit a
agnatumgentiliumijne està. Qui- dam iudicatus est parcnlem occidisse. Ei
slatini, quoti cffngicndi potcslas non fuit, ligneac soleac in
pedes induclac suol; os anioni obtolulum osi folliculo el pracligatum;
deinde osi in carcerem deduciti*, ul ibi ossei tarilisper, dum coleus,
in ijuein coniceli!* in proflucnlem doferrelur, com- pararelur.
lnlcrea quidam ojus familiares in car- ccrem labulas adrerunl cl loslcs
adducimi; bere- des, quos ipsis libel, seribunt; labulao obsignan-
lur. De ilio posi snpplicium sumilur. Inler eos, qui herodes in labulis
scripli sunl, el inler agna- los de licrcdilale conlrovorsia esl. Ilio
corta lei, quac testamenti faciemli iis, qui in co loco siot,
adimal polcslalem, nulla prorerlur. Ex ccleris Ic- gibus, el quae liunc
ipsum supplicò)' liuiusmodi adliciunt, el quac ad testamenti lacicndi
potestà- lem pertinenl, per raliocinationcm vcnicndum est ad
eiusmodi rationem, ut quacralur, habucritne testamenti faciendi
poleslntem. Locos aulem com- muncs in Irne genere argumenlandi lios et
liuids- inodi quosdam esse arbilramur; primum cius seri- pii, quod
proli-ras, laudalioncm cl coniirmalio- nem; deinde cius rei, qua de
quacralur cum co, de quo constcl, collationem eiusmodi, ut iti, de
quo quacritur, rei, de qua constcl, simile esse vi- deatur; postea
admiratioocm perconlationc, qui fieri possit, ut, qui hoc acquum esse
conccdal, il- lud ncgel, quod aul aequius aul eodem sii in ge-
nere; deinde idcirco de hac re niliil esse scriptum quod, quum de illa
cssel scriptum, de hac is, qui scribebat, dubitalurum nomi noni
arbitratila sit; postea mullis in legibus multo practenla esse,
quac idcirco practenla nemo arbitrclur, quod ci ccleris, de quibus
scriptum sit, inlelligi possint ; deinde acquitas rei dcmonslranda est,
ul in iuri- diciali absolula. Contro autem qui dicet, simililu-
dinem infirmare dcbcbil: quod facicl, si demon- slrabit illud, quod
conlcralur, ab co, cui confcra- lur, divcrsuni esse genere, natura, vi,
magnitudi- ne, tempore, loco, persona, opinione; si quo in numero
illud, quod per similitudincm adfertur, el quo in loco illud, cuius causa
adfertur, liaberi conrcnial, ostendetur; deinde, quid res cum re
ditterai, dcmonslrabitur, ut non idem videalur de utraque exislimari
oporterc. Ac, si ipse quoque polerit raliocinalionibus uli iisdem
rationibus, quibus ante dicium esl, utclur; si non poteri!, ne-
gabit oporterc quidquam, itisi quod scriptum sii, considerare;
pcriclitari omnia iura, si similitudi- ncs accipiantur; niliil esse pacnc
quod non alteri simile esse videatur: mnllas de similibus rebus et
in unam quamque rem tantum singulas esse leges omnia posse inler se rei
similla tei dissimilia do- danaro. Un’ altra dico : Se un
padre testamento rapporto a' suoi schiavi c ai suo danaro, sieno
ferme e rate le sue disposizioni. Dice una teria : Se un padre se ne
muore intestato, i suoi schiavi e il suo danaro divengono proprietà degli
agnati e degli altri della siesta famiglia. Un tale fu giu- :
dirato reo d’ aver ucciso suo padre. Siccome non potò trovar modo di
prender la fuga, gli furono I calzale le piante di piedi che di legno a
nifi di scar- ' pc, c imbavagliato il volto in un baccuceo stret-
to alla gola ; poi fu dato alla carcere perché vi I stesse prigione tanto
solamente che fosse am- mannala la saccaia di cuoio, io clic si dovea
chiù- 1 dere c gettare in fiume. In quel mezzo tempo al- | cuni
suoi amici recan nella carcere uno stromenlo testamentario c insieme
alcuni testimoni; nomano eredi di esso quelli che lor pare c piace, c
met- tono allo slromcnlo il suggello dovuto. Poscia si prendo il
supplizio del delinquente. Nasco litigio circa l' eredità fra gli agnati
c quelli che sou no- mali eredi nello scritto. Qui non si rena in
mezzo nessuna leggo positiva che tolga il dirillo di far 1
testamento a quello che ha poco andare ad esser morlo. Si dee dunque
dalle altre leggi, si da quel- | le clic a lai delinquente infliggono un
tale supplì- ! ciò, si da quelle clic si riferiscono al dirillo di
far 1 testamento, venire per la via del raziocinio a una
trattazione clic versi sulla ricerca, se quel parricida | avesse o no
diritto di testare. I luoghi comuni clic | son proprii a questo modo di
argomentare sono i seguenti senza clic ve n'ha certi altri di falla
simi- le ; primamente dello scritto clic metterai innanzi I dei
fare la lode, c raffermarne l'autenticità: dipoi ! deesi fare della cosa
che si cerca con quella che è manifesta un confronto di tal maniera, che
appari j sca esser simile alla manifesta la cosa che cercasi;
poscia eccitar la maraviglia coll'intcrrogarc, come 1 possa mai darsi che
olii concede esser questa casa : ben giusta, dica non lo essere quella,
che giosta è molto più, o almeno in eguale misura ; indi, se della
cosa che cercasi non »’ è nulla di espresso nello scritto, nop v'èa
motivo che P autore, allo- ra che scriveva, lacca ragione che nessuno ne
mo- i «crebbe già dubbio; io altre leggi esser trasandate ; di
molte cose, le quali nessuno crederà mal che - P autore le Irasandassc
perchè non le volesse , ma solo perchè le non iscritte si possono
racco- gliere da ben altre, che scritte già sono; di van- taggio,
deesi dimostrare la equità della cosa, come nella costituzione
giuridicialo di specie assoluta. Quegli che terrà il contrario dovrà lor
forza alla somiglianza mostrata dalla parte avversa; c il farà
dando a vedere esser la cosa messa a paragone di genere diverso da quella
con che s' è messa, cd altresì esser di diversa natura, fona,
grandezza, Digitized by Google Limtu
il. 113 inonslrari. Loci communes: a
raliocinalionc, opor- Icre conieclura ci co, quoti scriptum sii, ad
iti, quod non sii scriptum, pervenire; et neminern posse omnes rcs
per scripturam amplccli.sed eunt commodissimc scribcre, qui curel, ut qoacdam
ex quibusdam inlclligantur. ('.mitra ratiocinalioncm, huiusmodi :
coniccluram divinalionem esse , et stulli scriptum esse non posse omnibus
de rebus caverò, quibus velil. LI. Dcllnilio est, quum
in scripto verbum ali- quod est positum, cuius de vi quaerilur, hoc
mo- do; Lei: Qui in aduna tempestale nocem reli- querinl, omnia
amiilunto; forum nauta et onera sunto qui innave remanserint.Duo quidam,
quum iam in allo navigarcnl, et quum eorum allerius navis, allerius
onus esset, nautragum qucmdnm nalaolcm et manus ad se tcndcnlcm animum
ad- vcrlerunt; misericordia commuti navem ad rum : applicarunl,
hominem ad se suslulcrunt. Postea aliquanlo ipsos quoque tempesta»
vehcmenliiis lodare coepit, u*que adeo, ut dominus navis, quum idem
gubernator esset, in scapliam confu- gcrel, et inde funicolo, qui a poppi
religalus sca- pham adneiam Irahobat, navi, quoad possel, nio-
derarclur; ilio aulem, cuius merces crani, in gla- diuin ignave ibidem
incumbcrct. Ilic
ille naufra- gus ad gubernaculum accessit, et navi, quoad po luil,
est opiluluios. Sedatis aulem lluctibus, et tempestale iam commutata,
navis in portum pcr- vchilur. Ilio
aulem, qui in gladium incumbucral, leviter saucius facile ei vulncre est
rccrealus. Na- vem cuni onere liorum (riunì suam quisque esse
tempo, luogo, personaggio, opinione ; il farà an- cora,
mostrando in qual conto c prozio s’ abbia a tenere la deduzione traila
dalla pretesa somiglian- za, in quale il motivo perchè si è tratta: in
line si dimostrerà in che balla la differenza dall' una alla altra
cosa, acciocché si paia clic dell'ima e dell’al- tra non densi avere la
stessa idea. E se egli stesso avesse opportunità di valersi di
raziocinii, se ne dovrà valere in quelle stesse guise clic si snn
dette poco avanti ; se di opportunità direnasse, dovrà sostenere
clic non si dee allcudere ad altro che a ciò die è scritto; andar a
ripcnlaglio tulli i diritli, se si ammettessero somiglianze sì folte,
imperocché non v'Iia quasi cosa alcuna clic non tenga del si- mile
con qualche altra ; esservi molle leggi che Irailano nggelti somiglianti
tra loro, ma l' una es- sere separala dall'altra, e ciascuna trattar
sola- mente il suo oggetto speciale ; in tutte le cose po- tersi
scorgere somiglianza o dissomiglianza delle unc con le altre. I luoghi
comuni clic qui tornano a capello sono i seguenti : quegli clic ragiona
per mezzo di raziocinio dee da ciò clic è scritto rag- giungere per
congettura eiò clic non è scritto, c difendere clic nessuno autore può
racchiudere ugni cosa nella sua scrittura, c che meglio scrive e a
meglio riesce chi prucura che da alcune cose alcune altre se nc venga ad
intendere. Quegli che ragiona conlro il raziocinio, dovrà sostenere
clic darsi alla congettura è un farsi a indovinare, cd essere un
balordo e uno sciocco quello scrittore clic non sa ben esprimere c
provvedere tutto quel- lo eh' ci vuole. LI. fi definizione, quando
cercasi qual sia il vero signilicato d' una qualche parola che ai
ritrova nello scritto, come in questo esempio : Dice la legge : Chi
abbandona la nave in tempo di bur- rasca, si diierla e perde ogni cosa:
la nave c le mercalanzie cadono in proprietà di quelli che nella
nave si rimasero. Due persone viaggiavano per mare, I" uno padrone
della nave, I' altro della merce di che essa era carica. Videro nell'
acqua un tale clic stava perduto c che tuttora nuotava tendendo
verso essi le mani ; presi da pietà, driz- zarono la nave alla volta di
quello, o lo raccolsero dal mare. Alquanto dappoi cominciarono essi
me- desimi di esser forte travagliati dalla burrasca che vi si
mise, di modo che il padrone della nave, che n' era eziandio il pilota,
riparò per salvezza nel palischermo, c di quivi, a misura del
possibile, reggeva la navo con la funicella clic raccomandala alla
poppa traeva il palischermo dietro a sé. L'al- tro clic era il padrone
della mercalanzia, sul ponte della nave lasciossi radere da codardo sulla
punta di un pugnale per morirsene. Intanto il naufrago di’ era
slato raccolto dal mare si fece al limone, e Digitized by
Google in blil-LA INVENZIONE
ItETTORlCA dici!. Die orones scriplo ad causato acceduti!,
el et nominis tì nascilur controversia. Natn et rclin- quere
nateti), et remancrc in navi.deniquc natia ipsa quid sii, definilionibus
quaerelur. tisdem au- tem et locis omnibus, quibus definitiva
conslilu- lio, traclabilur. Nunc, exposilis iis argumcntatio-
nibus, quac in iudiciale causarutn gettus accomo- danlur, deinceps in
deliberativum gcnus et dc- monslratitum argumenlaudi loco: et
praecepla tlabimus; non quo non in aliqua conslitulione om- nia
semper causa veraetur, sed quia proprii tan- tum liarum causarum quidam
loci sunt, non a con- stilutione separati, sed ad (Ines liorum
generum accomodali. Nam placet in iutliriali genere flnem esse
aequilatrm, Itoc est, partem quamdam Itone- stalis. In deliberativo aulcm
Aristoteli placet uti- lilatcm, nobis et honcslatcm et ulilitalem. In
de- ntonstralivo , lionestatem. Quarc in hoc quoque genere causae
quaedam argumcntalioncscommu- niter ac simililcr Iraclabunlur; quaedam
separa- tius ad liucm, quo referri onincm ralioncm opor- let, adiungcntur.
Alque uniuscuiusque constilo- lionis escmplum supponcrc non gravaremur,
itisi {liuti viderentus, qucmadntodum ros obscurac di- cendo
fioretti aperliores, sic rcs apcrtas obscurio- rcs fieri orationc. Nunc
ad dclibcralionis praecepla pergamus, LI I . Rerum
cipelendarum Iria genera sunl; par autcni numerus tilandarum et contraria
parte. Nam est quiddam, quod sua vi nos adliciat ad ec- se non
emolumento captans aliquo, sed Irahens sua dignilale; quod gcnus, tirlus,
scienlia, veri- tas est. Est aliud autem non propter smini vini et
naturam, sed propter fruclum alque ulilitalem pe- Icndum; quod genus,
pecunia est. Est porto quid- dam ci liorum parlibus iunctum, quod el sua
vi et dignilale nos iuduclos ducit, el prue se quam- dam gerii
utilitatem, quo magis eipetatur, ut ami- citia, bona cxislimalio. Alque
ex is liorum conira- per quanto seppe porse aiuto alla nave.
Calmatisi i fluiti, e volta la burrasca in bonaccia, la nave fu
fatta entrare nel porlo. Colui clic s'era gettato sulla punta del pugnale
non avea rilevala che una assai lieve ferita, ondechè tosto e di facile
si rimise in meglio. Ciascuno di questi tre vanta per sua la nave
con la merce denlrovi. Perciò intentano cau- sa tutti e tre, pretendendo
ciascuno avere la legge dal lato proprio. Si rimesta controversia di
nome, cioè dire di significato; poiché deesi realmente cercare con
altrettante definizioni che significhi abbandonar la nave, che rimanersi
in quella, e in- fine che sia la nave stessa. Or questa causa si
trat- tori precisamente con tutti quei luoghi, con che trattasi la
coslituiione definitiva. Esposte cosi le argomentazioni che si adattano
alle cause di ge- nere giudiciale, verrò a mano a mano dando i pre-
cetti e indicando i luoghi che sono il caso per le argomentazioni proprie
dei due generi, delibera- tivo e dimostrativo; non perchè ogni causa
non s’ aggiri sempre sopra qualche stato di questione oratoria, ma
perche ci sono dei luoghi solamente proprii di questi due generi di
cause, non già dis- giunti e divisi dallo stalo delta loro questione,
ma adatti c relativi ai (ini, a cui para ciascuno di que- sti due
generi. E infatti si tiene dai relori rito il genere giudiciale abbia per
line la equità, ciò è dire tuta parte dell' onesto ; c da Aristotele clic
il fine del deliberativo sia l' ulilc : io però tengo clic sia
l'utile cd anche l'onesto. Si tiene da ul- timo che l’ onesto sia il line
del genere dimo- strativo. Laonde, eziandio riguardo a questi dne
generi di cause insegnerò in comune e per lo si- mile alquante
argomt-nlazioni, aggiungendone an- cora certe altro speciali che si
riferiscono stretta- mente al fine che è proprio di ogni causa , c
a cui si dee rapportare tutta la orazione. Noti mi graverebbe di apporre
il proprio esempio a cia- scuna costituzione clic io toccherò, se non
osser- vassi che siccome le cose oscure si fanno più cilia- re col
ragionarvi sopra, cosi le ciliare si fanno, ragionandole, alquanto
oscure. Ma veniamo ai precetti circa il genere deliberativo.
Lll. Tre sono le specie delle cose appetibili, c tre le loro
opposte, da cui l'uomo si dee guardare. Vita certi oggetti che per lo slesso
loro valore ne allettano ad abbracciarli: non ne tirano già a sè
colla lusinga di qualche profitto, ma coll'innamo- rarne della nobiltà e
pareggio loro, quali sono la virtù, la scieuia, la verità. Te n’ha altri
che sono a desiderarsi non per lo valore c natura loro, ma perchè
conferiscono uo qualche profiliti ed utilità, siccome è il danaro. Ve n'
Ita invece che sono un misto di questi e di quelli, i quali olire che ne
a- deseano a seguirli pel loro valore e nobilezza, an-
Digitized by Googli LIBRO IL
113 ria facile, tacenlibus nobis, intelligenlur. Seti
ul expedilius ralio trndalur, ea, quae posuimus, bre- vi
nominabuntur. Narri in primo genere quae sunl, honesla appellabunlur;
quae aulem in secondo, ulilia. Haec autem Icrlia, quia partimi
honeslalis comincili, et quia mnior esl vis honeslalis, iuneta esse
omnino ci duplici genere intelligenlur; sed in nteliorem partimi vocabuli
coiiferanlur, cl ho- nesta nominentur. Gì bis itimi conlicitur, ul
appc- lendarum rcrum partes sint borie. las et utililas, vitandarum
turpiludo et inulililas. ilis igitur dua- bus rebus res duac grandes sunt
atlribiitae, nc- cessiludo cl adfectio; quarum altera ei vi, altera
ci re cl personis consideratili. De ulraque post aprrlius perscribemns; nunc
honeslalis ralioncs primum eiplieemus. UH. Quod ani
tolum aul aliqua ex parte prop- ter se pelilur, honestum nominabimus.
Quare quum eius duac partes sint, quarum altera sim- plex, altera
iuneta sii, simpllcem prius conside- remus. Kst igitur in co genere omnes res una «i alquc
uno nomine amplexa virlus. Nam virtus est animi habitus, naturae modo,
atque rationi con- scnlaneus. Quamobrem omnibus eius partibus co-
gnitis, loia vis erit simplicis honeslalis considera- ta. Ilabet igitur
partes quatuor: prudentiam, iu- slitiam, foriiludinem, lempcrantiam.
Prudenlia est rerum bonarum et malarum neutrarumque scien- lia.
Partes eius: memoria; intei iigentia, provien- ila. Memoria est, per quam
animus repctil illa, quae fuerunt; intei Iigentia , per quam ea
perspicit; quae sunt; providentia, per quam futurum aliquid vidclur
ante quam factum sit. lustitia est habitus animi, communi utililate
conservala, suam cuique tribuens dignilatcm. Eius inilium est ab natura
profectum ; deinde quaedam in consucludincm ex ulililatis ratione
venerunt; postea res et ab na- tura profeelas et ab consuetudine probalas
legum melus et religio sanxil. Natura ius esl, quod non opinio
genuil, sed quaedam innata vis inscruit, ul religicncm, pielatem, gratiam,
vindicationcm, ob- scrvantiam, verilatem. Religio esl, quae
supcrioris cuiusdam naturae, quam divlnam vocant, curam
ceremoniamque adferl ; pietas per quam sanguino- coniunclis palriacqne
benevulis oflicium cl diti- gens Iribuilur cullus; gralia in qua
anticiiiarum cl olliciorutn allcrius memoria et remuncrandi vo-
cile ne mostrano una cotale utilità, perchè ad ap- petirli
siamo vie piè invogliati, come à l'amicizia, la buona stima, e via via.
Gli oggetti che sono op- posti ai prcfali, ancora clic io li ponga in
silenzio, di leggiere si potranno intendere. Ma perchè sieno più
chiari i precetti che vengo a porgere, ricordo cosi di passo di che nomi
sieno da appellare gli oggetti che ho qui sopra accennali. I primi si
ap polleranno onesti, i secondi si diranno utili. I ter- zi, perchè
sono contempcrati con l'onesto, e per- chè in essi la forza dell' onesto
è maggiore clic la propria, si capisce di lieve che sono appetibili
per due ragioni unite insieme ; ma s’ abbiano pure il nome dalla
ragione migliore, e si appellino onesti anch' essi Da lutto ciò si
deriva, che gli oggetti da dover appetire sono di due specie, onesti
ed utili, c gli opposti da doversene chi che sia guarda- re, sono i
turpi ed i dannosi. A queste due specie si riferiscono due cose di assai
rilievo, la necessità e la circostanza; delle quali la prima si
risguarda in sè e nella forza sua propria, la seconda relati-
vamente ai fatti ed allo persone. Dell' una e del- l’ altra scriverò poi
con sudlcicnle chiarezza : qui intanto mi farò a trattare cièche
risguarda l'onesto. LUI. lo appello onesto ciò che in tutto o
per amore di alcuna sua parte è appetibile per sè. Sic- come però
son due le parli dell'onesto, una sem- plice, una mista, ci occuperemo in
prima della parte semplice. Or quella che per la sua propria
potenza, c sono il solo suo nomeoomprendequan- to v’ha nella specie
dell'onesto semplice, èsen z’al- Iro la virtù. È infuni la virtù un abito
interno, basalo sulle regole naturali, e consentaneo alla ragione.
Per la qual cosa, conosciute che siano tulle le parli di essa, si può
dire di aver conosciula tutlaquanta la forza dell'onesto semplice. Ha
essa virtù ben quadro parti, prudenza, giustizia, for- tezza,
temperanza. Prudenza è la facoltà di cono- scere ciò che è bene e ciò che
è male, e ciò che non è nè l'uno nè l'altro. Le sue parti sono, me-
moria, intendimento, antiveggenza. Memoria è quella dote, per cui l'anima
si risovviene dello cose clic furono; inlendimenlo è quello, per cui
l'anima acquista la conoscenza delle cose clic so- no; antiveggenza è
quella che dà a conoscere in- nanzi che avvenga qualche cosa che dovrà
avve- nire. Giustizia è quell' abitudine interna, per cui l'uomo,
senza alterar l'utile generale, dà a ciascu- no quello di che esso è
degno. I suoi principii son venuti dalla natura: poscia certe azioni,
per amor dell' utile che danno, sono passale in con- suetudine; in
fine si i principii venuti dalla natu- ra, e si le azioni che furono
approvate dalla con- suetudine, vennero sancite dal timor delle
leggi c dalla religione. Natura è una legge che non fu
Digitized by Google Ut! DELLA
INVENZIONE RETTOMCA lunlas contiiictur ; vindicatio , per
quaro vis aut iniuria et ninnino amile, quod obfuluruin csl, de*
rendendo ani ulcisccndo propulsala; observanlia, per quam lioniines
aliqua dignilalc anlceedcnles cultu quodam et honorc dignantur ; vcrilas,
per quam immillala ea, quac snnt, aut aule fuerunl, aut futura
suut, dicunlur. LIV. Consuetudine ius csl, quod aut levitar,
a natura tracium aluit et maius lecit usua, ut rcli- gionetn; aut
si quid coruin, quac ante diximtis, ab natura proreelum maius Lictum
propler consuc- tudiuem viilemus, aut quod in morem vetustas lui-
gi approbaliuue perduti!, quod genus pactum est, par, iudicatum. Pactum
csl, quod inler aliquos convenit ; par , quod in omnes aequabile est
; iudicatum, de quo alicuius aut aliquorum iam scntenlìis
constitulum csl. Lego ius est, quod in co scripto , quod popolo ciposilutn
est , ut obscrvct , conlinctur. Fortiludo est considerala
periculorum susceptio , et laboruin perpessio. Eius parles, magnificcnlia
, Odeutia , patinili, i, perseverantia. Magniflcentia est rcruin
magnaruin et cicelsarum cum animi ampia quadam et splen- dida
proposilionc agilatio alque administralio ; li- dentia csl, per quam
magnis et bonestis in rebus multum ipsc aniinus in se fiduciae cerio cum
spe collocavi! ; palicntia csl bonestnlis aut utililatis causa
rerum ardnaruni ac dillo ilium vnlunlaria ac diuturna perpessio ;
perseverantia csl in ralionc j bene considerala stabilis et perpetua
parmansio. i Temperantij est ralionis in libidinem alque in alios
non rcclos impelus animi firma et moderala domi- : nalio. Eius parles,
coiiliociilìa, clemenlia, mode- | stia. Conlinemia est, per quam
cupidiias cnnsilii gubcriialionc regilur ; clemenlia, per quam
animi temere in odium alicuius iticeli roncilaliquc comi- tale
rctincnlur ; modestia, per quam pudor honc- sti curam cl slabilcm comparai
auctorilatcm. At- que lince omnia propter se solum, ut nihil adiun-
galur emolumenti, pctcnda suoi. Quod ut demon- strclur, ncque ad hoc
nostrum instilutum pcrtinct, et a brcvilate praccipiciidi remulum csl.
l’roplcr se aulem vitanda suut non ca mudo, quae bis con-
prodotta dalla opinioue umana , ma è per una certa l'orza che le è
ingenita, quale è la religione, la pielà, la grazia, la vcndclla, la
osservanza, la verità. Religione è procurare le cerimonie e il
culto di una natura più prestante della nostra, la quale si domanda
divina; pielà £ quella vir- tù, per cui l'uomo presla ossequio c rispetto
a quelli che gli sono attinenti di sangue , ed agli amatori della
patria ; la grazia comprende la memoria dell'altrui amicizia e (ratti
officiosi, e la volontà di muncrargliene; vendetta è quella, per
cui, difendendo o ricattandoci, ributtiamo la vio- lenza c il sopruso,
anzi tutto affatto ciò clic ne potrebbe essere nocitivo; osservanza £
quella di- sposizione dell'animo, per cui teniamo degni di certa
venerazione ed onore gli uomini di parag- gio che son posli in dignità. É
verità quella virtù, per cui, senza punlo alterarle, diciamo le
cose quali furono, o quali sono, o quali sono a venire. MV. Consuetudine
è una norma o legge, che tratta a poco a poco dai principii naturali, fu
af- forzata e resa maggiore dall’ uso, come è la reli- gione; e
forza di norma o legge ha qualunque del- le cose provenienli dalla
natura, clic ho toccalo poco fa, le quali vediamo più che più aver preso
piede mediante la consuetudine; ovvero qualsiasi delle cose, che tenute
dal popolo inaino ab antico per buone c per vero son passale in costume
fino a noi, emne è il patto, la parità, il giudicalo. È patto ciò,
in cui più persone convengono e fanno accordo tra loro; é parità ciò che
guarda verso tutti la deb la uguaglianza; è giudicalo ciù, sopra
cui fu giù da uno o più pronunziata sentenza. Leg- ge è una regola
esposta in quello scritto che si presenta al popolo perché In debba
osservare. Fortezza, è sofferenza delle fatiche, è un esulo c
approvveduto incontro dei pericoli. Le sue parti sono, magnificenza,
sicurezza, pazienza, perseve- ranza. I’cr magnificenza s’ intende un
esercizio e un maneggio di coso eccelse e rilevate, congiunto con
una larga e splendida dimostrazione dell'ani- mo; sicurezza è quella
virtù, per cui l'uomo nelle imprese grandi cil onorale ripone in sé
stesso molto di fiducia, in modo da avere la sua speran- za per
riuscibilc; pazienza è un volontario c lungo sofferimento delle cose
ardue e malagevoli, eoi . disegno di giunger a fatti di onore o di
utilità; perseveranza é una ferma c perpetua permanenza in un
partito che siasi preso dietro consiglio e ponderazione. Temperanza é un
signoreggiamento della ragione, forte, ma moderalo, sopra la libi-
dine c sopra gli altri non rclli trasporti del cuore. Le sue parti sono
contenutezza, clemenza, mode- stia. Contenutezza 6 quella rirlù, per cui
viene clic i desideri! affienali si lasciano reggere dal con*
Digitized by Google LIBRO II.
117 Iraria sunl, ut fortitudini ignavia et iusliliac
inius- titia veruni etiam illa, quac propinqua vidcnlur et Unilima
esse, absunt autem longissime ; quod gè- nus fidenliae conlrarium est
dillìdenlia, et ca re vilium est; audacia non conlrarium, sed
apposilum esl ac propinquum, cl lanieri vilium osi. Sic uni- cuiquc
virluti fmilimum vilium rcpericlur , aul cerio iam nomine appellalum, ul
audacia, quac fi- denliac, pertinacia, quac perscverauliac finitima
csl, supcrstilio, quae religioni propinqua esl ; aut sine ullo cerio
nomine. Quae omnia ilem, uli con- traria rerum bonarum , in rebus
vitandis repo- ncntur. Ac de eo quidem genere honcstalis, quod et omni
parte propter se pctilur, salis dicium csl. LV. bone de eo,
in quo ulilitas quoque adiun- gilur, quod famen honeslum vocamus,
dicendoci vidclur. Sunl igilur multa, quae nos quum digni- lale lum
fruclu quoque suo ducunl; quo in genere csl gloria, dignilas, ampliludo,
amicilia. Gloria csl frequens de aliquo fama cum laude; dignilas,
ali- cuius bonasia, et cultu et honore cl vcrccundia di- gita
auctoritas; ampliludo, polcntiac, aut maiesta- tis, aul aliquarum
copiaruoi magna abundanlia ; amicilia, volunlas erga aliquem rerum
bonarum il- lius ipsius causa, quem diligi), cum eius pari vo-
luntate. Ilio quia de civilibus causis loquimur, fru- clus ad amicitiam
adiungimus, ut eorum quoque causa pelenda vidcalur ; ne forte quis nos de
om ni amicilia diccre ciistimans reprclicnderc incipial. Quamquam
sunl, qui propter ulililatem modo pc- lendam pulanl amicitiam ; soni qui
propler se so- lum ; sunt qui propler se et ulililalcra. Quorum
quid verissime conslitualur, alius locus crii consi- dcraudus- Nunc hoc
sic ad usuui oralorium rclln. qualur,
utrami|uc propler rem amicitiam esse ci- pclciidam. Amiciliarum aulem
ralio, quoniain par- lim sunl religionibus iunclac, parlili) non suul,
cl siglio e dal senno; clemenza £ quella, che, quan-
do l’uomo è allenalo e spinto all’odio contro alcu- no, ne lo aflrena con
dolcezza c benignità; mode- stia è quella virtù, per cui l'uomo mercè il
suo pudore ha cura dell'onestà, c acquista una slabile riputazione.
Tulle queste virtù sono appetibili da per sè sole, posloehè non sicno
accompagnale di nessun approvacelo ed utilità; cosa clic non mi
fermo qui a dimostrare, Ira perchè non si perbe- ne nll’assunlo clic ho
per mano, e perchè non si consente con la solila brevità di questi mici
pre- cetti. Vogliono però esser evitali di per sè non solo i vizii
che a tali virtù sono contrarii, come la codardigia clic è contraria alla
fortezza, la ingiu- stizia clic alla giustizia; ma quelli altresì che
pa- iono esser loro propinqui c vicini, ma in quel cambio non sono
a mille miglia tali; per esempio, la diffidenza è contraria alla fidanza,
e per questo è vizio; l'audacia invece non è di essa fidanza il
contrario, ben anzi l'é confine c le va appresso, c niente di meno è
vizio. Similmente ciascuna virtù si vedrà essere confinata dal suo vizio
con- trario, il quale o si domanda con un nome suo proprio, come
l'audacia che confina con la fidan- za, la pertinacia che ha con la
perseveranza mol- ta approssimità , la superstizione che alla reli-
gione vicn seconda ; o non ha nessun nome de- terminato. Or tutti questi
vizii, come conlrarii delle virtù, si riporranno nel novero delle
cose da dover evitare. Parlai della specie di onesto, che da ogni
parte è appetibile di per sè: or il Un qui basta ad aver dello. LV.
Al presente è da parlare di quell'aura spe- cie di onesto che porta con
sè ragioni di utilità, ma che io appello onesto niente di meno.
Sonci dunque molte cose che ne invogliano a sè non so- lamente per
riguardo alla nobiltà loro, ma ezian- dio per l'approvcccio e vantaggio
che no arreca- no: di questa ragione sono la gloria, la dignità, la
grandezza, l'amicizia. Gloria è la fama celebre che gode alcuno,
accompagnala di lode; dignità è una maggiorla onesta ed autorevole, degna
di onoranza, di stima e di riverenza; grandezza è un essere di
grandissima lunga poderoso di possan- za, o di macslevoli esteriorità, o
di qualche spe- cie di ricchezze; amicizia £ voler bene c vantaggio
ad altrui per riguardo della stessa persona clic si ama, e trovare in
esso un'eguale disposizione di volontà. Siccome perù io parlo qui delle
causo civili, attribuisco all'amicizia anche una ragione di
utilità, perchè ancora per tal verso essa com- parisca appetibile; c fo
questa avvertenza, per causa clic alcuno noti mi volesse per
avventura riprendere, credendo che io qui metta a fascio ogni sorta
di amicizia. Mondimene v’ita dii opina . ' Digitized by
Google 118 DELLA INVENZIONE RETTOKICA
quia parUm telerei sunt, parlim novae, panini ab illoruni,
parlim ab noslro beneficio profcclac, par- lim uliliores, parlim minus
uliles, ex causarum di- gnilatibus, ex temporum opporlunUalibus, ci
ofli- ciis, ex rcligionibus, ex veluslalibus habebiiur.
LVI Uliiilas aulem aut in corporc posila est, aul in cxirariis
rebus ; quBrum (amen rerum multo maxima pars ad corporis commodum
revertilur, ut in re publica quacdani sunt, quae, ut sic dicam, ad
corpus perlincnt civitalis, ut agri, portus, pe- cunia, classi», naulac,
mìliles, sodi, quibus rebus 'ncolumilatem ac liberlatem re linoni
civilates: aiiae vero, quae iam quiddam magis amplum et minn s
necessarium conflciunl, ut urbis egregia exornatio alque ampldudo, ut
quaedam cxcelicns pccuniae magnitudo, amicitiarum ac sociclalum
mulliludo. Quibus rebus non illud solum conOcilur, ut salvac et incolumes, terum
rliam ul amplae alque polen- tes sint ciiitales. Oliar e utililalis duae
partes vi- denlur esse, ìncolumilas el polenba, incolumiias est
salulis tuia alque integra conscrtalio; polenlia est ad sua conservanda
cl allerius oblinenda ido- nearum rerum facullas. Alque in iis omnibus, quae ante dieta sunt, quid
fieri, cl quid Tacile (ieri pos- sii, oporlet considerare. Facile id
dicimus, quod sinc magno aul sino ulto labore, sumptu, molestia
qtiain brevissimo tempore conlici potcsl ; posse autem (Ieri, quod
quamquam iaboris, sumplus, molestine, longinquitalis indigel, alque aul
omnes aut plurimas, aul maximas causas liabet dilficulta- lis,
lamen, bis suscepfis diilicullalibus, compleri atque ad exilum perdimi
potesl. Quoniam ergo de honestale el de ulililale dixiinus, none restai,
ut de iis rebus, quas bis allributas esse dicebamus, nccessitudine
cl adTeclione pcrscribamus. 1— VII. Pulo igitur esse liane,
necessiludinem, cui esser l'amicixia appetibile solo per
l'utilità cb'essa produce, e chi dice esser appetibile solamente di
per sè, c chi esserlo e per sè e per l'utile che da essa deriva. Quale
però sia f appunto e il Termo da stabilire intorno a questa maleria,
verrò espo- nendo in altro luogo. Intanto per l'uso oratoriosi
ritenga questo, esser appelibile l' amicizia c per sè c per l'utile
cb'essa apporta. Essendo poi che delle amicizie alice si sono unite coll’
essersi in- termessa la religione, altre sema intervento di lei, e
parte sono antiche, parte recenti, e quali son nate da un beneficio
Tattoci, parte da un beneficio che Tacemmo noi slessi, ed altre sono piò
utili, ed altre meno; cosi nel trattarne si dovrà avere
considerazione alla nobilezza delle cause, alle op- portunità dei tempi,
alle relazioni di esse amici- zie, agli alti religiosi che le hanno
ratificale, c alla lontananza della loro origine. LVI.
L'ulitilà ridonda nel corpo, o nelle cose elio gli son fuori; ma anche
queste per la massi- ma parie si convertono a vantaggio del corpo stes-
so. Se nc vegga I* esempio nella repubblica. Cl son cose, clic, per cosi
dire, appartengono al cor- po della popolazione, come le campagne, i
porli, il danaro, la (lolla, i naviganti, i militi, gli allea- ti,
ron le quali cose c persone conservano le po- polazioni la propria
salvezza o libertà: altre ce ne sono, che conferiscono a un vantaggio più
appa- riscente. ma meno necessario, come a dire un co- spicuo
ornato cd ampiezza della cillà, uno stra- ordinario stollo di pecunia,
una moltitudine di amicizie c di società. Da queste cose deriva che
le. popolazioni non pure si manlengonsalro ed in- columi, ina eziandio
vanno distinte per potenza e dignità. Ondecbì io To ragione esser due le
parti dell' utile, ve' dire potenza c incolumità. Questa suona
tanto come conservar sicura e intatta la propria salvezza; quella esprime
il possesso dei mezzi appropriati per mantener il proprio, e venir
all' acquisto dell’ altrui. In tulio questo elio ho dello fin qua si
vuole dislinguerc ciò che Tar si possa da ciò che sia Tacile a Tare.
Diciamo Tacile a Tarsi ogni cosa clic si può Tornire con brevità,
senza grande, o senza alcuna Talica, spesa, Tasti- dio: diciamo che una
cosa si può Tare, quando es- sa, avvegnaché domandi Talica, spesa,
raslidio, lunghezza di tempo, ed involga o tulle, o la piò parte, o
le piò gravi cause di difficoltà, non però niente di meno anche
affrontando queste dillkollà medesime, può esser Tornila c condona al
suo pieno cffcllo. Ora dunque che s' è trattato dell'o- nesto c
dell'utile, resta da trattare delle due cose che, come ho dello, si
rapportano a loro, ciò so- no, la necessità e la circostanza.
LVI I. Credo esser necessità quella senz'altro.
Digitized by Googlc unno ii.
li» nulla vi resisti polost, quo ca sccius id, quod
la- cere polcst, perflcial, quac ncque mulari, ncque leniri polca!.
Atque, ul apertili? hoc sii, cicniplo licci vim rei, qunlis et quanta
sit, cognoscamus. Cri posse (lamma ligneam motcriam noccsse est.
Corpus mortale aliquo tempore inlcrire ncccsse est; atque ita nccessc, ul
vis postulai ea, quam modo dcscribcbamus, ncccssiludinis.
Iluiusmodi neccssitudines quum in diccndi raliones inciderli, rcclc
neccssitudines appcllabunlur. Sin aliquae res accidcnl difflciles, in
illa supcriore, possilne fieri, quaestlone considerabimus. Atque oliam
hoc milii vidcor viderc, esse quasdam cum adiunctione nc-
cessitudiucs, quasdam simpliccs et absolutas. .Nani alitcr dicere
solemus: Ncccsse est Casilincnscs se dedere llannibali ,*alilcr autcìn :
Nccessc est Casilinum venire in llannibalis polcslalcm. Illic, in
supcriore , adiunclio est liacc: Nisi si malunl fame perire ; si cnim id
malunl non est ncces- sc. Hoc inlcrius non ilem , proplcrca quod , sivc
velini Casilincnscs se dedere, sive famein perpcli atque ita perire,
neccssc est Casilinum venire in llannibalis potcstatem. Quid igitur
bare per licere potest ncccssiludinis dislribuiio ? Pro- pc dicatn
, plurimum , quum Incus necessiludi- nis videbilur incurrere. Nam quum
simplex crii neccssiludo, niliil crii quod inulta dicamus, quum eam
nulla rationc lenire possiraus ; quum aulem ila ncccsse crii, si aiiquid
cffugcrc aul adipisci vc- limus, tum adiunclio illa quid liabcat
utililalis au| quid honcstalis, crii considcrandum. Nam si vclis
attendere, ita tamen, ul ìd quacras, quod come, nial ad usum civilalis,
reperias nullam esse rem, quam lacere ncccsse sii, nisi propler aliquam
cau- saci, quam adiunctioncm unminamus; praeler linee auledi esse
mullas res ncccssilaiis, ad quas simili* adiunclio non accudii; quod
geuus, ut homines morlales necessc est inlcrire, sine adiunctione:
ul cibo ulantur, non necessc est, nisi cum illa eice- plionc: Evira
quam, si nolinl fame perire. Ergo, ut dico, illud, quod adiungilur,
sempcr, cuiusmo- di sii, erit considerandum. Nam omni tempore id
pcrlinebil, ul aul ad boncslalcm hoc modo expo- ncnda neccssiludo sii :
Necesse est, si boncslc vo- lumus vivere; aul ad incolumilalcm, hoc modo
: Nccessc est, si incolumcs volumus esse; aul ad commodiialcnt, hoc
modo : Ncccsse csl , si sine incommodo volumus vivere.
Classici Voi. V. alla quale per veruna forza non si
può impedire clic faccia nò più nè meno ciò eli' essa può fare,
poiché non si può nè miliare, nè restringere. Ma perchè questa definizione
torni più chiara, sarà bene conoscere per qualche esempio quale e
quanta sia la forza della necessità. Che le legna sicno bruciale dal
fuoco, è questo un necessario. Clic un corpo mortale in uno o in altro
tempo ven- ga a perire, anche questo è un necessario; c ne-
cessario così come è richiesto dalla forza della slessa necessità clic
leslè ho descritta. SI falli ne- cessarli quando imballeranno fra gli
argomenti che si trattano, si appelleranno a buon diritto ne-
cessità. Che se involgessero fatti o circostanze ma' (agevoli, si
esamineranno a termine della questio- ne tocca qui sopra, clic è, quando
uno cosa si può fare, o può avvenire. Oltracciò osservo pur questo,
esservi alcune necessità clic s' accompa- gnano di una qualche
condizione, alcune altre esser affatto semplici cd assolute. E infatti
nell’u- so del parlare noi diciamo in un modo: È neces- sario che
quelli di Casilino si dicno in mano ad Annibale; c in un altro: E
necessario clic Casilino venga ad Annibale in podestà. Al modo
primo va accompagnala questa condizione: Se non vo- gliono
pericolar di morire di fame; perocché se amano meglio codesto, la resa
non è lor necessa- ria. Ma non è altrettanto del secondo modo, pe-
rocché, o sia che quelli di Casiliuo vogliano ve- nire alla mercè c alla
misericordia di Annibaie, o sia che amino piuttosto patirsi la rame c
così di- sertarsi c perire, è necessario ad ogni modo che venga
Casilino in potere di Annibali'. Ora, c clic dunque se ne ricava, si
dirà, da questa distinzio- ne del necessario ? Se ne ricava, sto per
dire, di molto, ognora clic intervenga qualche luogo spel- lante
alla necessità: conciossiacliè quando essa necessità fosse non più che
semplice, non c’è bi- sogno di andare in lungherie di parole,
essendo che essa non si può già per veruna guisa mutare; e quando
per conlra la necessità avesse questa condizione, ciò è necessario, se
vogliamo scansa- re ovvero ottener qualche cosa, allora bassi a por-
re ben mente che cosa arrechi essa di utile, oppu- re di onesto. E
infatti se tu vorrai considerare di ciò, tuttavia solo nel caso che tu
abbia qucsliorc su quello che risguarda gli usi civili,
riconoscerai non v' esser azione clic s'abbia necessariamente a
lare, se non per qualche motivo, che io appello condizione; e inoltre
esservi molle specie di ne- cessità, alle quali simile condizione non va
punto accompagnala; per esempio: gli uomini mortali debbono di
necessità venir a mancare, questo è un necessario senza condizione: ma il
dire, i for- za che piglino Ucl cibo, questo non è un neccs-
135 Digitized by Google 120 DELLA
ENVENZIORE ilETTORICA LVtll. Ac summa quidcm ncccssiludo
videlur esse honeslatis: liuic proxima, incolumilatis: ter lia ac
Icvissima, commodilatis;quac cum liis num- i|tiam poteril duabus
contendere. Ilasccaulem iti- le r se saepe Decesse est comparari, ut
quamquam prarstet boneslas incolumitali, (amen utri polissi- inum consulendum
sii, delibcrelur. Cuius rei cer- tuni quoddam praescriplum videlur in
pcrpeluum ilari posse. Nani, qua in re iteri poteril, ut, quum
incolumitali consu!ucrimns,qund sii in pracsenlin tic honeslatc
delibatimi, virtute aliquando et indu- stria recuperetur, incolumilatis
ratio vidcbilurba- benda; quum autem id non poluerit, honcslalis.
Ila in huiusmodi quoque re, quum incolumitali lidebimur consulerc, vere
poterimus diccre nos lionestalis rationem liabcre, quoniam sino
inco- lumilatc cam nullo tempore possumus ndipisci. Qua in re tei
concedere alteri, voi ad conditioncm allerius descendere, vel in
pracscnlia quiescere atquc alimi Icmpus cxspeclarc uportcbil. In
com- modilalis vero ratinile modo illud altcmlatur, di- gnane causa
videalur ea, quac ad ulilitalem per- tincbil, quarc de niagiiiliccnlia aul
de bonestate quidam dcrogetur. Alque ili hoc loco milii caput illud
videlur esse, ut quaeramus, quid sii illud, quod si adipisci aut ctTugerc
velimus, aliqua res nubis sit necessaria. Ime est, quac sii
adiunclio, ut proinde, uti quaeque res eril, laboremus, et gravissimom
quamquecaiisam vebemcnlissimene- cessai iati! iudicemus. A il feci io est
quaedam ex tempore aul ex negotiorum eventu , aut admini-
slratione.aul homiimni studiocommulalio rcrum, ut non lales, quales ante
babilac siili, sul plcruin- que liabcri solenni habondac videantur esse ;
ut, ad hostcs transire turpe videlur esse; ut non ilio animo, quo
Ulyxes transiit ; et pccuniam in mare deiicere inutile; al non eo
consilio, quoArislipptts fecit. Sunt igilur r s quaedam ex tempore et
ex consilio, non ex sua natura considerandac; quibus in omnibus,
quid tempora pctanl,aut quid personis dignum sit, considcrandumesl, et
nonquid, sed quo quidquc animo, quicum, quo tempore, quamdiu fìat,
altcndenduin est. Ilis ex parlibus ad senlctt- liam dicemtam loeos stimi
oporlere arbitramur. sario, se non con la condizione :
eccetto se non vogliono perir di Tante. Laonde, come dico, è sem-
pre da esaminare quale della condizione sia il mo- do c la qualità;
poiché in ogni tempo è da badar bene clic la necessità, se si riferisce
all'onesto, si esponga in questo modo: è necessario, se toglia- mo
vivere onestamente; o se si riTeriscc alla inco- lumità, si esponga in
questo: È necessario, se vo- gliamo mantenerci inrolumi; o se ai nostri
agi, si esponga cosi; È necessario, se vogliamo vivere bene
agiati. LVtll. La necessitò di tulle maggiore è di Ta- re
oncslamcnlc: a questa s’avvicina quella della nostra incolumità; la
terza, da meno di tulle, è quella di essere agiati, la quale non potrà
mai competere con le altre due. Queste necessità ì mestieri di
paragonarle spesso Tra loro, ai line che possa esser risolto c stabilito,
sebbene l’one- sto si vantaggia molto sopra la incolumità, a quale
de’ due debbasi piuttosto provvedere. Intorno a ciò si può Dssare un
precetto, che volga per sem- pre. Quando noi battiamo sopra Talli
d’incolumi- tà, c vediamo die nel provvedere ad essa ne va per al
presente diminuito e leso l'onesto in qual- che parte, che nondimeno si
può quando clic sia risarcire e rimettere con l’ industria e la
virtù, dovrassi alla ricisa aver riguardo alla incolumità: ma
quando si prevedesse elle lo scapilo dell’one- sto non si poiria più
rifare, deesl provvedere al- 1’ onesto anzi che alla incolumità. Cosi anche
in questo caso mostrando di provvedere alla incolu- mità, potremo
dir daddovero che noi abbiamo ri- guardo all' onesto, poiché senza la
incolumità in verun tempo non è possibile asseguire l'onesto c
mantenerne il possesso. Or su questo punto si do- vrà o cedere altrui, o
venire nel partilo di un al- tro, o non far altro per ora, e stare in
aspetto di tempo più opportuno. Quanto poi spelta agli agi, decsi
considerare di questo, se la causa che si riTeriscc all'utile debba
richiedere elicsi detragga alcun clic dalla magnificenza o dall' onestà.
E ri- spetto a questo io trovo esser un punto capitate lo
investigare di qual sorta sia la rosa, a cui otte- nere o scansare ben
un’altra cosa ci è necessaria, voglio dire, quale ne sia la condizione,
acciocché ci possiamo arrahatlare ed aiutare secondocliè lo esige
la qualità della cosa, c conoscere che la causa, Tosse pur la più Torte e
malagevole, è non- dimeno per ogni verso una causa necessaria. Cir-
costanza è una rotai mutazione delle cose, clic dipende dal tempo, o
dalla riuscita degli affari, o dal maneggio loro, o dalle propensioni
degli uo- mini, c fa elio non si debbau le cose per tali ave- re,
quali si son credute per lo avanti, o quali tut- te le più volte si
credono. Per esempio: il passare Digitized by Google
l-lliRO II. LIX. Laudes autem cl vilupcraliones
ei iis lo- cis aumentar, qui loci pcrsonis sunt attribuii, ile
quibus ante diclum esl. Sin dislributius baciare ijuis videi, partialur in
aiiimum.cl corpus, et extra- rias res licebil. Animi esl virtus, cuius de
parli- bus paullo ante dicium esl; corporis, valeludo, di- gnitas,
tire*, velocitasi estrariae, lionos, pecunia, adfinilas,genus, amici,
pairio, potenlia cl celerà, quae simili esse in genere inteliigciitur.
Alque in bis id, quod il) omnia valet, valere oportebit: con-
traria quoque, quac et quaba einl, inlelligcnlur. Videro autem in
laudando et in vituperando opor- lebil non tam quae in corpore aul in
estrania re- bus liabuerit is, de quo agetur, qunm quo paclo bis
rebus usus sii. Anni fortunali! quidem et lau- dare slultilia, et
vituperare superbia est; animi autem et laus honesta, cl viluperatio
veliemens esl. Rune quoniain oninc in causac gcnus argu- incnlandi
ratio tradita est, de invcnliono. prima ac inavima parte rlieloricac,
salis diclum vidclur. Quare, quoniam et una pars ad ctituin boc ac
su- periore libro perducla esl, et Ilio libcr non parum coiitiiiet
litlerarum, quae restaul, in rcliquis di- ccmus. 121
ai nemici £ cosa turpe ; ma non £ tale, se si fac- cia con la
intenzione, con clic lilissc: gettar il da- naro in mare £ cosa
dannevolc; ma non lo £, se si faccia con l'intendimento, conche
Arislippo. Ci son dunque delle cose, clic si vogliono riguarda- re
non in sè c nella natura loro, ma relativamente al tempo e al disegno di
cbi le fa; c in tube que- ste decsi aver l'occhio a discernerc quale sia
I' c- sigenza dei tempi, c ciò clic sia competente e de- gno delle
persone, ed osservare non ciò che venga fatto, ma con clic animo altri il
faccia, con quali compagni, iti qual (empii, e quanto a lungo vi
duri, ba parti si fatte io trovo clic si debbano ritrarre i luoghi
acconci a provocare la sentenza dovuta. LIX. La lode c il biasimo
si trarranno da quel- le fonti di argomenti, elle si sono indicate
quando si £ discorso sopra ciò clic si riferisce alle perso- ne. Se
alcuno volesse attenersi a una divisione bene accurata, la farà riguardo
all'animo, al cor- po, c alle cose esteriori, bell’ animo £ propria la
virtù, delle cui parli s’£ trattato poco più addietro; del corpo £
propria la buona o mala salute, la di- gnità, le forze, Tesser veloce.
Per cose esteriori si intendono l'onore, il danaro, i parerli aggi,
la stirpe, gli amici, la patria, la possanza, c quanto vi ha di genere
altrettale. E per queste cose avran- no valore gli argomenti clic hanno
valore per tut- te le altre; e cosi ancora si potrà conoscere quali
si slcno le toro contrarie. Bensì rispetto ai far uso della lode c del
biasimo si dovrà osservare non tanto quali vantaggi o scapili avesse quel
ta- le, di quelli clic si riferiscono al corpo e alle cose
esteriori, quanto in qual foggia e maniera siasi comportalo rispetto ad
essi: puicliè lodare la for- tuna £ ima stoltezza, e svitupcrarla £
un’arrogan- za; mentre la lode clic si dà all'animo £ cosa clic lo
onora, come il biasimo che se gli dà è cosa clic lo punge c trafigge.
Esposte cosi le fonti c le for- me di argomentare per ogni genere di
causa. Irò- vo d’aver detto quanto basta circa la invenzione, clic
£ la prima c la più principale tra le parli del la retorica. Epperó,
giacché una metà del mio te- ma tra in questo c nel precedente libro fu
condot- ta ad uscita, c questo secondo m' £ venuto lungo non poco,
dirò negli altri libri le cose die Bucina mi restano. eoa gqu 9
Digitized by Google
Marco Tullio Cicerone. Cicerone. Keywords:
Marc’Antonio, untranslatable, signans/signatum, signans, signatum. Cicerone, Cicero = Tully. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cicerone” – The Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment