Grice e Cosi: l’implicatura
conversazionale del cuore -- accordo – cuori -- l’accordo – scuola di Firenze –
filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza
-- (Firenze).
Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo
italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love Cosi; my favourite of his
philosophical essays on justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my
principle of conversational helpfulness or co-operation is all about!” Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna
a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e
il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè); "Religiosità e teoria
critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e ri-sacralizzazioni"
(Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di archetipologia”
(FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in
forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la
Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile";
"Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come gentiluomo (Giuntina);
“La obbedienza civile, la disobbedienza
civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la plutocracia, la
democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista perduto: avvocati e
identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica” (Giappichelli,
Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo spazio della
mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè). “Invece di
giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto della diada
conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia”
(Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto
filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione artificiale: l'uomo e il
diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio sulla disobbedienza
civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè, Milano; Il
giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, Firenze; Il
sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco Angeli,
Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità del
giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società, diritto,
culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia del
Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione: materiali
di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per una
politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive", Archivio
Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione culturale dell'uso
di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria Critica: la teologia
negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione
e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche
dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher, Cristianesimo,
secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano -
Baden-Baden); "Sulla 'naturalità' dei diritti civili",
Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e
Hillman", Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile
nella società liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a
un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo:
critica della pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia
del Diritto; "L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale;
"Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze;
"Professionalità e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella
società", Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente:
appunti storici e sociologici sulla professione legale", Materiali per una
storia della cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge",
Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "Il diritto del
mondo I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill e la sua eredità", Sociologia del
Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli avvocati", in
Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese di Inanna",
Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI Convegno nazionale
di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze, Iustitia,
"Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi Vallauri
(ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e
strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale tra etica
e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto
e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico",
Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini
della coscienza", Per la filosofia; "Naturalità del diritto e
universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F.
D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti,
Giappichelli, Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto:
un'interpretazione psicologico-culturale", Per la Filosofia;
"Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI, Logos
dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza giudizio.
Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A. AMOROSO,
Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le forme
dell’informale”, comunicazione al Congresso Nazionale della Società di
Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti del
suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti Scuola,
“Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia e
prevenzione”, Dirigenti Scuola. Ricerca Cuore organo muscolare, centro motore
dell'apparato circolatorio. disambigua.svg Disambiguazione. Se stai cercando
altri significati, vedi Cuore (disambigua). Il cuore è un organo muscolare, che
costituisce il centro motore dell'apparato circolatorio e propulsore del sangue
e della linfa in diversi organismi animali, compresi gli esseri umani, nei
quali è formato da un particolare tessuto, il miocardio ed è rivestito da una
membrana, il pericardio. natomia del cuore umano EmbriologiaModifica Può
originare da un abbozzo mesodermico ventrale, come negli anfibi, nella parte
rostrale del celoma, oppure da due abbozzi pari, come nei mammiferi, che poi si
uniscono medialmente. In entrambi i casi il primo abbozzo cardiaco è compreso
nel mesentere ventrale che in seguito si dividerà in mesocardio dorsale e
ventrale; successivamente entrambi spariranno per far spazio al tubo cardiaco
che permane nella cavità pericardica, separatasi dalla cavità addominale per lo
sviluppo di un setto trasverso. In questa fase il cuore, che si trova
lungo il decorso del vaso sanguifero mediano nella regione subfaringea, non ha
ancora né valvole né altre suddivisioni: è rappresentato da un tubo con due
pareti, una muscolare più esterna, miocardio, e una endoteliale più interna,
endocardio. Anatomia comparataModifica Nei vertebrati l'apparato
circolatorio presenta una complessità crescente dai pesci ai mammiferi, le
modifiche che ha subito nel corso dell'evoluzione sono in relazione allo
sviluppo di un apparato respiratorio[1]sempre più efficiente. Nei pesci
il cuore è costituito da un solo atrio, che raccoglie il sangue povero di
ossigeno proveniente da tutto il corpo, e un solo ventricolo, che raccoglie il
sangue proveniente dall'atrio: esistono però un seno venoso nel punto di arrivo
delle vene e un bulbo arterioso all'inizio delle arterie, quindi le camere sono
in realtà quattro. Le camere nel cuore dei pesci La circolazione in questi
animali è definita semplice perché il sangue compie un intero ciclo passando
una sola volta per il cuore, da dove raggiunge le branchieper essere ossigenato
così da arrivare ai tessutitrasportato dalle arterie. Dopo aver ceduto alle
cellule l'ossigeno e aver prelevato il diossido di carbonio e i prodotti di
rifiuto, il sangue torna verso l'atrio per mezzo delle vene. A questo punto
torna nel ventricolo e da qui alle branchie: a questo punto il ciclo
ricomincia. Nei vertebrati terrestri, mammiferi e uccelli, vi è una
circolazione doppia (polmonare e sistemica), nella quale il sangue, nel corso
di un ciclo completo, passa due volte per il cuore. Negli anfibi e nella
maggior parte dei rettili il cuore ha due atri, ma un solo ventricolo così che
i due tipi di sangue finiscono nell'unico ventricolo, qui si rimescolano
parzialmente e riducono la quantità di ossigeno destinata ai tessuti; insieme
all'aorta, alle arterie e vene polmonari esiste un’arteria pulmo-cutanea che
porta il sangue alla pelle, dove il sangue circolante si ossigena.[1]
Cuore dei varani Anatomia: RVH= atrio destro; LVH= atrio sinistro; KK=
circolazione sistemica; LK= circolazione polmonare; SAK= valvole del setto
atrioventricolare; CP= cavità polmonare. Sistole: Frecce blu=
sangue venoso, Frecce rosse= sangue arterioso Diastole: Frecce blu=
sangue venoso, Frecce rosse= sangue arterioso Solo nei coccodrilli i
ventricoli sono separati, mentre l'aorta e l'arteria polmonare sono collegate
dal forame di Panizza. Per ricapitolare i diversi tipi di circolazione,
potremmo così riassumere[2]: Nei pesci la circolazione è semplice, è
unidirezionale e ha un solo ventricolo; Negli anfibi e nei rettili è doppia e
incompleta; Nei mammiferi e uccelli è doppia e completa, vi sono due ventricoli
completamente separati Anatomia umanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Cuore umano. La posizione del cuore
all'interno del torace umano Negli esseri umani è posto al centro della cavità
toracica, precisamente nel mediastino in posizione anteroinferiore fra le due
regioni pleuropolmonari, dietro lo sterno e le cartilagini costali, che lo
proteggono come uno scudo, davanti alla colonna vertebrale, da cui è separato
dall'esofago e dall'aorta, e appoggiato sul diaframma, che lo separa dai visceri
sottostanti. Il cuore ha la forma di un tronco di conoad asse obliquo rispetto
al piano sagittale: la sua base maggiore guarda in alto, indietro e a destra,
mentre l'apice è rivolto in basso, in avanti e a sinistra;[4] pesa nell'adulto
all'incirca 250-300 g, misurando 12-13 cm in lunghezza, 9-10 cm in larghezza e
circa 6 cm di spessore (si sottolinea che questi dati variano con età, sesso e
costituzione fisica). Battito del cuore di un uomo a 61 bpm Fisiologia Il cuore
si contrae e si rilascia secondo il ciclo cardiaco. Il cuore è costituito
dalle cellule del miocardio, tipicamente striate, che si occupano della
contrazione e dalle cellule auto ritmiche non contrattili, da cui origina lo
stimolo di contrazione. Le cellule auto ritmiche possiedono la capacità di auto
depolarizzarsi, grazie all'apertura canali del sodio (detti fun), che spostano
il potenziale di membrana verso valori più positivi, consentendo l'apertura dei
canali del calcio. L'ingresso di calcio nella cellula è prolungato e porta il
potenziale a stabilizzarsi su valori positivi per qualche millisecondo,
generando un plateau. Il segnale termina grazie all'apertura dei canali del
potassio, che riportano il potenziale di membrana a valori negativi e
consentono ai canali funny di aprirsi nuovamente. La contrazione del miocardio
inizia grazie all'ingresso del calcio nella cellula, che provoca la fuoriuscita
di altro calcio dal reticolo sarcoplasmatico e quindi la contrazione. Il
cuore nelle culture umane. Nell'antichità classica (anche per il filosofo e
scienziato Aristotele) il cuore era ritenuto sede della memoria. Il verbo
ricordare deriva infatti dal verbo latino recordari e questo dal sostantivo cŏr
(genitivocŏrdis), cuore (come sede della memoria) col suffissore- di movimento
all'incontrario: quindi, propriamente, rimettere nel cuore (= nella memoria). Ancora
oggi l'espressione "a memoria" si traduce par coeur in francese, by
heart in inglese e de cor in portoghese ("coeur", "heart" e
"cor" significano "cuore"). Particolarmente cruento
era il sacrificio del cuore nel mondo azteco. Gli Aztechi prendevano un cuore,
estratto ancora palpitante dalle vittime sacrificali umane, e lo offrivano agli
dei. Apparato respiratorio nei vertebrati, su sapere La circolazione dei
vertebrati, su hischool.weebly. Fiocca, Testut e Latarjet, Dizionario
etimologico della lingua italiana, di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, ed.
Zanichelli. Léo Testut e André Latarjet, Miologia-Angiologia, in Trattato di
anatomia umana. Anatomia descrittiva e microscopica – Organogenesi, Torino,
UTET, Fiocca et al., Fondamenti di anatomia e fisiologia umana, 2ª ed., Napoli,
Sorbona, cuore, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Cuore, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere riguardanti Cuore, su Open
Library, Internet Archive.Cuore, in Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Portale Anatomia Portale
Biologia Portale Medicina Ultima modifica 18 giorni fa di Lorenzo
Longo Arteria vasi sanguigni che trasportano il sangue dalla periferia del
cuore al corpo Cuore umano organo muscolare cavo Apparato
circolatorio insieme degli organi deputati al trasporto di fluidi diversi –
come il sangue e, in un'accezione più generale, la linfa – che hanno il compito
di apportare alle cellule gli elementi necessari al loro sostentamento
Wikipedia Il contenutoGrice: “Italians are afraid of the ‘sacro’ because since
the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! – unless otherwise stated
by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have spent more time
analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to realise how wrong
his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford, should
have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’ before
opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite include
that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the conflict in
the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to use
‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni
Cosi. Keywords:
l’accordo, il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il
filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il
disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato –
legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura,
naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo,
fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Cosi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cosmacini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del consenso e la compassione –
sinestesia e simpatia – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano,
Lombardia. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my
concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’!
– on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is
at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini
(Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o
INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un
ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non
significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura
di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie.
raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti
erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera
docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere:
la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza
medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana
La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo
dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie,
Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano,
Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea
alla guerra mondiale. Gius. Laterza et Figli); “Medicina e Sanità in Italia nel
Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma, Laterza); “La
medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano,
Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi,
Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità
nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. C. Cristina Cenedella, I
vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La
qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza);
“Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della
medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano.
Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e
medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Cortina, La Ca' Granda dei milanesi.
Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di medico.
Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina);
“Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca' Granda.
Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e mondo
ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari,
Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e
i tempi di Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute e bioetica,
Torino, Einaudi, G. C. Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini,
Roma, Laterza, La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre edizioni, Il medico
materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi,
Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La peste bianca.
Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte lunga.
Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il romanzo
di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un
«tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, Le
spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi,
Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età
dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La
medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana
Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e
avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento,
istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina,
Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il
cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze
per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano,
Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa
del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo
De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie.
Vita e avventure di Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza); “Como,
il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e stetoscopio.
Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio,. Medicina
e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo” (Collana
Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un triennio cruciale. Como, il
lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea. Medici socialisti e
compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco,
Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra
Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco, Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il
galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica
della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per
una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra
Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici,
medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della
medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni,.
Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna,
NodoLibri, Salute e medicina a Milano.
Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana
Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo”
(Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia
cordis, Ass. Beretta,. Curatele Dizionario di storia della salute, G.
Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino,
Einaudi. “mutua gratia” - Practicis
nostris, Muri LAPIDES, sine inscriptione, apud nus, gadinca, vel Hnoc. Non
liquet, “don mutual” – mutual gift -- Chartain Chartul. Hygenum de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes, in Con
thesaur. S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta
suet. MSS. Eccl. Colon. e Bibl. Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto
thesaurario quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ.
Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom. 6. col.
Nulla angaria, par I mutio, id est, Patuus. Vocabul. dictam Ysabellam et
prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris.
dum vivebat, et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron.
Parmense ad mutis, Truncus, stirps. Pactum inter nio inter ipsos. aapud eumdem
Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”, Mutuum, seu exactionem ec
impositum fuit per commune Parma in Reg:. Chartoph. reg.: nomine mutui
impositam solvere. Vide unum mutuum octo millium librarum impe recte tendendo
ad pedem cujusdam margassii mutuum. rialium per episcopatum, et quinque millium
seu claperii in quo margassio seu cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti-
per civitatem. Et mutuum clericis fuit im rio sunt duæ mutes arborum. dii
Archiep. Bisonticensis cap. 5: Bene- positum duo millium librarum, etc. Chron.
Åwwvíz, in Gloss. Græc. Lat. dictionis ergo dono mutuatim dato, etc. Mutin.:
Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in
Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3. p.112, Eoque quippiam
petere volente, MSS. Auscior. art. 3: Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici
cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum
annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est;
qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1:
V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet, et tandem certa ex Ital. Mutola,
Muta. Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia
comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9. Reb. gest.
Italic. pag. 86: Communes da præterea toin. 2.Sanctorum Apr.], Idem quod
Expeditatus, riæ, exactionesque et Mutua publica el priMuronagium. Vide in
Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis Monasterii
Ka Mullo. latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib. ann. 1308. ex (Ovis,
Massiliensibus Mous, Nudus, glaber. Regesto Philippi Pulcri Regis Franc. Tabu
tonfede. Charta ann. 1390: Quilibet Mu- Gloss. Lat. Græc. MSS. Sangerman. larii
Regii n. 11: Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat xvi. denarios. * Castigat. in
utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis mutuare voluerint habitan
Lugdunensibus, Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns, ex Vulc. tes. Ita in
Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4: Si citania ann. in
alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem ibidem infra terminationem
aliqua in- Regis ann. n. 16. Vide Credentia, neum. Supplem. Antiquarii et
Gloss. MSS. dicia sua arte, vel butinæ,aut Lat. Græc. Sangerm. Aliud itidem
Gloss.: extiterint, ad sacramentum non admittatur, mutuum coactum* exactio, quæ
a Mutonium, Tepábeuo, Additio. etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter-
dominis in urgentibus negotiis suis ac ne 1., quos Motes nostri vocant: aut
forte cessitatibus fiebat super subditos, vassallos, equilatus, quod sic
describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum
restitutionis conditione ac lib. 14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine
inscriptione, vice terminorum po- pollicitatione: a qua quidem exactione
præstantes, toto orbe conquisiti, ea condi- siti. Vide Bonna 2. exempta
pleraque oppida, quibus concessæ tione militant, ut quos velint Deos, impune KF
Errat Cangius, si fides Eccardo, libertates, leguntur. Charla libertatum
colant, præsentique tantum Imperatori ope- in Notis ad Legem citatam, quam ad
cal- Aquarum Mortuarum ann. 1246: Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino
cem Legis Salicæ edidit. Mútuli enim sunt habitatores loci illius sint liberi
et immunes in Lex. milit. machinaliones clandestinæ, vel seditiones ab omnibus
questis, talliis, et toltis, et clam excitatæ, a veteri German.Meulen, tuo
coucto, et omni ademptu coacto. Con capitis tegumentum, quod monachi cap. |
clandestine agere, unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS.: paronem
vocabant. Gall. Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin.
Hæc vir Toltam nec quistam, vel Mutuum coactum, col uti. Mutrellis 782:
Statuimus in dormitorio, quod liceat fratribus eruditus; quæ tameninmeam fidem
reci. vel aliquam exactionem coactam non habet;. Vide Mitræ.
necunquam habuit dominus Montispessulani I Vide Morth. I Gall. Mouton. in
hominibus Montispessulani. Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. exArchivis Massil.:
naculæ, totas inquistas, ni prest forsat, o Terrear.villæ de Busseul ex Cod.
reg. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha, etc.
Libertates fol. 47. vº.: Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum,
astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2. Feda 2.
pere nolim. etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem significatu,
De S. 6: L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ
ex Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom. 1. Maii pag. 399: ROBRECHARIO VIX
ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140: Nec recipiemus
Episcopus Narniensis ex suo palatio, ialari L. OLYMPUSA PECIT. in ibi Muruum, nisi
gratis nobis mutuare velint reste indutus, racheto et Muzzeta. Vide Inscript.
Vide Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta.
hac voce. magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in. Fantasia, miratores. Pa
Mutuum VIOLENTUM, in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo.
pias. tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw, Mugio, reboo. Vide
Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta, in I Piscis genus, qui alius zer.
Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem.
in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat. Computus
ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318: Debeat solvere emptori villa: Omnes
homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium,
solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes, el eorum hæredes, a 575: Et in
111. copulis viridis piscis... Et bet rubo piscium, et intelligatur detracta
talia, ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde
Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos
et immunes esse sol. vi. d. et in xx. Myllewell
majoris sortis Eadem notione, usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi
VI. Re- Xit, sol. (* Vide Mulsellus.] lius Aurelianus, Celsus, et Apicius. Vide
gis Frane. 3. Febr. ann. 1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum
fieri ullum Mutuum coactum xop. myn'e'cen'e, vel minicene, hodie Graviter, com
super subditos suos: quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse.
Copeil. posite ambulare. Chron. Ditm. Mersburz. anie exegisse docet Diploma
anni 1342. Ænbamiense in Anglia: l'episc. tom. 10. Collect. Histor. Frane. pag.
28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates, monachi et
Mynecenæ, 131: Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud ann. 1309. in
12. Regesto Char- canonici et nonne, natoribus duodecim vallatus, quorum ser
tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in rasi barba,alii prolixa
Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis. Cantharus po- cum buculis,
etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius Scaligero, qui a similitudine muris
I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in Regestis publicis testa- et barbæ, quæ
in conum desinit, Myobar- tus; titulus honorarius Archiep. Toletani,
tur D. de Lauriere tom. 2. Ordinat. Reg. bum voce ibrida dietum existimat.
Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234. Undeexistimat D. Cangium bus vero
Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd.
| bum compositum mure et barbo, quod |, Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15.
non3. Febr.spectasse, mensuram, liquidorum sescunciam penitus, vel princeps.
Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut
sit tamquam muris cya- 349: Bene est, quod ipse ex omnibus My subditis suis
exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le;
emendat Lil. Gyraldus Epist, *mutuum
violatum* Exactio nomine xobarbaru, quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP.
ann.748. tom. 1. Rer. Mo *mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum
in Harpocrate pag. 78. gunt. pag. 255, Officium, sacra Li mutuum violatum, velmessionem
bajuli vel turgia. Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum. [** Leg.
Violentum ut, supra.) ctum... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege
Hispan.: Tunc Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem
ligabis oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis
Portugalliæ tom. 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida, aut spongia in ipsa Aldebrandum
cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa.
rius. Ideo hoc fecit, quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam. 9piratici genus
arium habere voluit in omni Regno. Infra: mutuum,
stipendium datum in ante-, ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium
in cessum. Lit. ann. 1408. tom. 9. Ordinat. nebo lib. 3. Adversar. cap. 1.
nomen omne regnum Regis Adefonsi æra 1113. (Chr. reg. Franc.: Ordinamus adepti.
Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores,
thesaurarios,... hoc est, angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum
nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag.
parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. col. 2:
Indutus est (Gratilianus) ve nostras accedant, *mutuum* fieri priusquam apud
Murator. tom. 31. Script.
Ital.col.stimentis a. Wikipedia Ricerca Sinestesia (psicologia) fenomeno
sensoriale/percettivo Lingua Segui Modifica Avvertenza Le informazioni
riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I
contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico:
leggi le avvertenze. La sinestesia è un fenomeno sensoriale/percettivo, che
indica una "contaminazione" dei sensi nella percezione. Il fenomeno
neurologico della sinestesia si realizza quando stimolazioni provenienti da una
via sensoriale o cognitiva inducono a delle esperienze, automatiche e
involontarie, in un secondo percorso sensoriale o cognitivo.[2]
Possibile visione dei mesi dell'anno da parte di una persona soggetta al
fenomeno della Sinestesia Descrizione generale del fenomenoModifica Con il
termine "sinestesia" si fa riferimento a quelle situazioni in cui una
stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi
sensoriali distinti ma conviventi.[1] Nella sua forma più blanda è
presente in molti individui, spesso dovuta al fatto che i nostri sensi, pur
essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli
altri. Più indicativo di un'effettiva presenza di sinestesia è il caso in
cui il percepire uno stimolo (come ad esempio il suono) provoca una reazione
netta e propria di un altro senso (ad esempio la vista). Per "forma
pura" si intende la sinestesia che si manifesta automaticamente come
fenomeno percettivo e non cognitivo. Il fenomeno è involontario, ma una
maggiore attenzione prestata dal soggetto può evocarlo con maggiore
consapevolezza, al punto che il sinestesico puro, vedendo i suoni e sentendo i
colori, può riuscire a trarre vantaggio da queste contaminazioni sensoriali; un
compositore che sfruttava questa sua capacità fu Olivier Messiaen, così come il
pittore Vasilij Vasil'evič Kandinskij, che affermava di poter sentire la voce
dei colori, che per lui erano suoni, entità vive e lo spiega bene nel suo libro
Lo spirituale nell’arte. Un altro sinestesico fu il pittore e musicista
lituano, Mikalojus Konstantinas Čiurlionis. Il compositore russo Aleksandr
Nikolaevič Skrjabin era particolarmente interessato agli effetti psicologici
sul pubblico quando sperimentavano suoni e colori contemporaneamente. La sua
teoria era che quando si percepiva il colore giusto con il suono corretto, si
creava "un potente risonatore psicologico per l'ascoltatore". La sua
opera sinestetica più famosa, che viene eseguita ancora oggi, è Prometeo: il
poema del fuoco [1]. Ma la lista degli artisti sinestesici è molto lunga,
infatti le ultime ricerche affermano che il fenomeno sinestesico interessi il
4% della popolazione e di questo 4% la maggior parte sono artisti. Un'altra
caratteristica della sinestesia è poi che si presenta a volte nelle persone
mancine, o in concomitanza con altre caratteristiche come l'allochiria
(confusione della mano destra con la sinistra), scarso senso dell'orientamento,
dislessia, deficit dell'attenzione e, raramente, autismo. Spesso la
contaminazione sensoriale avviene a direzione unica: ad esempio, se vedo una
nota musicale come un colore, non è detto che vedendo quel colore la mia mente
evochi quella nota. Questa è una delle caratteristiche della sinestesia
percettiva, l'unidirezionalità. Secondo lo storico Angelo Paratico il mancino
Leonardo Da Vinci era affetto da sinestesia.[3] Esperienze di tipo
sinestetico possono essere indotte in maniera artificiale, mediante l'uso di
sostanze allucinogene, sostanze stupefacenti come l'LSD, esperienze di
deprivazione sensoriale, meditazione, ed in alcuni tipi di malattie che
colpiscono la corteccia cerebrale. Questo tipo di sinestesia è detta
pseudosinestesia, in quanto è indotta o non presente dalla nascita. La
sinestesia acquisita sembra riguardare solo le forme di sinestesia percettiva,
e non sono stati documentati casi di sinestesia concettuale acquisita. Le
persone che hanno esperienze sinestesiche nella "forma pura" sono un
numero relativamente ridotto. Studi recenti hanno mostrato una certa
variabilità: 1 ogni 2000 1 ogni 200 Queste esperienze sono quotidiane ed
iniziano sin dall'infanzia. Molti sinestesici si sorprendono scoprendo che
questa esperienza non è provata da tutte le persone. L'esperienza
sinestetica è composta da due elementi: L'evento induttore (inducer).
L'evento concorrente (concurrent). Per esempio, può accadere che un sinestesico
descriva il suono (inducer) del proprio bambino che piange come un colore
giallo sgradevole (concurrent). La relazione tra un inducer e un concurrent è
sistematica, nel senso che a ogni inducer corrisponde un preciso
concurrent. Grossenbacher et Lovelace, distinguono due tipi di sinestesia
a seconda che l'inducer sia percettivoo concettuale. Sinestesia
percettiva: l'inducer è uno stimolo percettivo (per es. la vista di lettere
produce anche la vista di colori "collegati"). Sinestesia
concettuale: i concurrent sono prodotti dal pensare a un particolare concetto
(per es: numero, mese dell'anno, posizione nello spazio). Si utilizza
intensivamente la sinestesia anche nella terminologia utilizzata nella
degustazione o nell'analisi sensoriale. Basi genetiche della
sinestesia Purtroppo con le competenze scientifiche attuali non è possibile
identificare singoli loci genici che determinino con certezza questo fenomeno
neurocognitivo. Il fenomeno è più probabilmente dovuto a un complesso
meccanismo neurale e non a singole proteine codificate da parti di genoma. In
ogni caso interessanti esperimenti di neuroimaging paiono confermare tale
fenomeno. [6] Sinestesia: grafema-coloreModificaRamachandran e i suoi
collaboratori hanno notato che la forma più comune di sinestesia è quella
grafema(lettera, numero) - colore e infatti i rispettivi centri cerebrali sono
molto vicini tra loro. Tecniche di neuroimmagini (es. risonanza magnetica
funzionale) hanno permesso di individuare il "centro del colore" (es.
Zeki et Marini, 1998, Brain), l'area V4 nel giro fusiforme. L'area dei
grafemi è stata anch'essa individuata nel giro fusiforme, in particolare
nell'emisfero sinistro vicino all'area V4. L'area si attiva sia in seguito alla
presentazione di lettere sia in seguito alla presentazione di numeri.
L'ipotesi di Ramachandran è che ci sia una attivazione congiunta. La
presentazione di un grafema fa attivare l'area dei grafemi, che fa attivare
contemporaneamente anche l'area del colore, anche senza la presenza di uno
stimolo. Questo è dovuto ad un eccesso di connessioni tra le due aree, non
presente in tutte le persone. Le connessioni che si hanno alla nascita
sono un numero superiore di quello che si trovano in un cervello adulto. Quello
che avviene nei primi mesi di vita è un processo definito pruning (potatura,
sfoltimento) delle connessioni cerebrali. L'ipotesi di Ramachandran è che le
connessioni tra area del colore e area dei grafemi, che normalmente subiscono
un processo di pruning, rimangono invece intatte nei sinestesici. Probabilmente
per una mutazione genetica che fa fallire il processo di pruning. Esisteranno
delle regole che in seguito all'esperienza permetteranno di sviluppare
connessioni particolari tra area dei grafemi e area del colore. Questo
spiegherebbe perché ad un grafema viene sempre associato un certo colore.
Ramachandran ipotizza che l'attivazione del giro fusiforme non implichi un
arrivo alla coscienza delle informazioni. Perché sia possibile essere
consapevoli dell'informazione percepita si dovranno attivare altre aree
superiori. Tuttavia, Grossenbacher sostiene che la sinestesia non sia dovuta
alla presenza di un numero maggiore di connessioni neurali (le quali non
sarebbero presenti nei non sinestesici); infatti, secondo lo studioso tale
fenomeno percettivo è imputabile al fatto che, nel cervello dei sinestesici,
alcune connessioni neurali risultano ancora attive, mentre non vengono più
"utilizzate" in chi non sperimenta tale modo di percepire. Questo
spiegherebbe il motivo per cui chi assume droghe psicoattive sia in grado di
esperire una condizione di "pseudo-sinestesia", circoscritta
esclusivamente al limite temporale in cui tali sostanze dispieghino il loro
effetto, per poi tornare a non percepire sinestesicamente una volta terminato
quest'ultimo. Secondo Grossenbacher è molto improbabile, infatti, che si siano
create nuove connessioni neurali durante l'assunzione di tali droghe;
piuttosto, risulta più probabile che vengano percorse "strade"
neurali solitamente "disattive". Influenza dell'attenzione
sulla percezioneModifica Esperimento di Ramachandran e Hubbard: caso della
figura gerarchica (un 5 composto da tanti 3), se ai soggetti veniva chiesto di
fare attenzione a livello globale vedevano il colore rosso, se invece dovevano
dirigere la loro attenzione a livello locale (3) vedevano verde. Questo
esperimento porta a concludere che l'attenzione influenza il manifestarsi del
fenomeno sinestesico. Sinestesici projector Nel caso di grafema-colore, il colore è visto
come una pellicola che ricopre il numero completamente. Un sinestesico testato
da Dixon, riferiva di provare un'esperienza irritante se il numero era di un
colore incongruente con quello del fotismo (l'effetto della sua sinestesia). Se
per esempio il numero 5 gli evocava il colore rosso, ma in realtà era scritto
con il giallo. Sinestesici associatorModifica Sempre nel caso di
grafema-colore, il colore appare nella mente, e non sopra il numero. In genere,
i sinestesici associator riferiscono che l'esperienza di vedere un numero con
un colore non congruente con quello del fotismo, non è un'esperienza per nulla
disturbante. La percezione del colore "reale" del numero è
un'esperienza molto più intensa del fotismo, per un sinestesico
associator. I sinestesici projector sembrano una minoranza rispetto ai
sinestesici associator (11 su 100, tra quelli intervistati da Dixon e
collaboratori). Tra i maggiori studiosi della sinestesia percettiva,
Richard Cytowic, Ramachandran, E. Hubbard, Sean Day, Bulat Galeyev, Irina
Vaneckina. Rapporto con i canali del calcioModifica Studiando nel
moscerino della frutta un gene coinvolto nell'elaborazione del dolore, alcuni
ricercatori hanno creato il primo modello della sinestesia. Con la tecnica
dell'interferenza a RNA hanno isolato 600 geni quali candidati a interessare
possibili geni del dolore. Il primo ad essere analizzato più in dettaglio è
stato quello che codifichi parte di un canale del calcio noto come α2δ3. Questi
canali che regolano il passaggio di Ca2+ attraverso la membrana cellulare sono
fondamentali per l'eccitabilità elettrica dei neuroni. Con questi canali interferiscono
diversi antidolorifici. Nei topi carenti di α2δ3 si è dimostrato che
questo gene controlli la sensibilità al dolore provocato dal calore sia nella
Drosophila sia nei mammiferi. Indagini condotte con la MRI hanno anche rivelato
che α2δ3 partecipi all'elaborazione del dolore termico a livello cerebrale. In
assenza di α2δ3 il segnale del dolore a genesi termica arriva al talamo, ma poi
non prosegue verso i suoi centri corticali superiori. Le immagini di fMRI
mostrano piuttosto un'attivazione crociata delle aree corticali per la visione,
l'olfatto e l'udito. Questa sinestesia si osserva anche quando lo stimolo
doloroso sia di natura tattile. Emozioni colorate | Le Scienze, su
lescienze.espresso.repubblica.it. ^ Harrison, John E.; Simon Baron-Cohen (1996).
Synaesthesia: classic and contemporary readings.
Oxford: Blackwell Vinci. A Chinese Scholar Lost in Renaissance Italy, Lascar
Publishing, lascarpublishing.com/Leonardo in Internet Archive. ^ Baron- Cohen,
Ramachandran et Hubbard, Neurocognitive mechanism of synesthesia" Edward
M. Hubbard1 and V.S. Ramachandran, Neurocognitive mechanism of synesthesia, su
cell.com, November 3, 2005. URL consultato il libero. ^ percezione e
idee, la sinestesia | PsycHomer, su psychomer. Le Scienze: Non provo dolore, ma ne sento l'odore e ascolto le note
BibliografiaModifica Córdoba M.J. de, Hubbard E.M., Riccò D., Day S.A., III
Congreso Internacional de Sinestesia, Ciencia y Arte, Parque de las Ciencias de
Granada, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Edición Digital
interactiva, Imprenta del Carmen. Granada. Córdoba M.J. de, Riccò D. (et al.),
Sinestesia. Los fundamentos teóricos, artísticos y científicos, Ediciones
Fundación Internacional Artecittà, Granada. Cytowic, R.E.,
Synesthesia: A Union of The Senses, second edition, MIT Press, Cambridge,
Cytowic, R.E., The Man Who Tasted Shapes, Cambridge, MIT Press, Massachusetts,
Marks L.E., The Unity of the Senses. Interrelations among the modalities,
Academic Press, New York Riccò, Sinestesie per il design. Le interazioni
sensoriali nell'epoca dei multimedia, Etas, Milano, Riccò D., Sentire il
design. Sinestesie nel progetto di comunicazione, Carocci, Roma, 2Tornitore T.,
Storia delle sinestesie. Le origini dell'audizione colorata, Genova, 1986.
Tornitore T., Scambi di sensi. Preistoria delle sinestesie, Centro Scientifico
Torinese, Torino, Voci correlate Takete e Maluma Sinestesia tattile-speculare. «sinestesia»
Udire i colori, gustare le forme, su lescienze.espresso.repubblica.it, Le
Scienze. TED Talk: "I listen to color" Portale Psicologia: accedi
alle voci di che trattano di psicologia Qualia aspetti qualitativi delle
esperienze coscienti Locus ceruleus Sinestesia tattile-speculare raro
fenomeno sensoriale/percettivo Wikipedia Il contenutoGrice: “The grammar
of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make
sense as an analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or
exchange *information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated:
‘mutual’ -- A and B are friends –
implicated: mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never catch the
subtlety of his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m
surprised from Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Cosmacini. Keywords:
compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina,
Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo,
fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la medicina
non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita,
bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation and
compassion. Imperativo conversazionale, compassione
conversazionale, imperative della mutualita conversazionale – mutualita
conversazionale – imperative of conversational mutuality, mutuality, mutual,
the depth grammar of mutuality – Grice against Schiffer – Grice scared by
‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s
‘mutual knowledge’ have been proposed to replace my regress when there’s
nothing wrong with stopping it elsewise!” Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cosmi: all’isola-- la ragione conversazionale el’implicatura
conversazionale dei discorsi: corsi e ricorsi -- metodo dei principi generali
del discorso – scuola di Casteltermini – filosofia girgentina – filosofia
siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Casteltermini). Filosofo girgentino. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Casteltermini,
Gigenti, Sicilia. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase
I do, ‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a
rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful
communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer
to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity
(chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a
more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract,
“Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated
on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where
he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and
perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu
un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not
considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei
Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando
l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un
rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo,
il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali
del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Principi
generali del discorso, e della ortografia italiana ad uso delle regie scuole
normali di Sicilia by C., edition published in Italian and held by 2 WorldCat
member libraries worldwide. E primo forne il D2 Cosmi. Questo e un aureo
libretto dei "Principi generali del discorso" – i. e. un principio
comune a ogni discorso. Questo affinchè il filosofo a una nozione direttrice,
non superflue. In questo trattato invano cercheresti quella immensa farragine
di precetti disordinati, e quelle infinite minuterie non necessarie, con cui si
sostitoleva confondere e stancare la prattica conversazionale del giovanetto.
Si spone un solo principio generale e fondamentale, sintetizzato nell'antico ma
verissimo motto: precetto uno. Il resto e uso. Questa mia preziosa filosofia è
un sapientissimo essamine pel filosofo che vuole adoperare il "metodo
conversazionale." Quivi si ricorda dapprimà quanto in occasione di
filosofare sulla maniera di dare la prima istruzione conversazionale al
ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come puo potè attuare la mia
prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un maniobra chiara, spedita,
uniforme per ogni topico conversazionale adattata alla maniera del civil
conversare -- è cosa necessaria il sapere la semantica e le implicature
conversazionale del volgare linguaggio. Il pirincipio della conversazionale e
un principio di chiarezza (perspicuita) -- e un principio di aggiustatezza
(approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza (stilo estetico), e un
principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza cattive equivoci
(un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt multiplicanda praeter necessitatem
--, e un principio senza superfluità (economia dello sforzo conversazionale,
fortitudine conversazionale, candore conversazionale -- e un principio senza
barbarismi -- imperciochè la perfezione e efficenza del volgare linguaggio
guidato dalla semantica formale e il segno del reale. E vuole che al giovane si
da un principio generale e fondamentale -- e un principio generale della
conversazione, esposto con metodo ragionabile e calculable e con chiarezza. Un
solo principio o imperativo categorico, un principio di efficenza communicative
-- un principio soggetto il meno che si può all'eccezione o la violazione
involuntaria si non a la splotazione retorica -- e un principio stesso ben
capito e ben esercitato, chi forma il corpo di ogni parte della filosofia.
Ebbe un giorno a scrivere di CICERONE, che questo ingegno eminente prende a
gradi la sua maturità e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e col
maneggio dei grandi affair. Or quello che osservo su Cicerone, intervenne
proprio me medesimo, i cui Elementi di filologia, non prometto continuazione;
ma osservazioni su l'uso dei Principj del Discorso, e qualche riflessione su i
primi pensieri, da cui era partito nell'immaginar il mio metodo, gli
somministrarono la materia di un secondo, e anche di un terzo volume di
preziose nozioni di metodica prammatica. Il secondo volume e come il primo, è diviso in due parti.
La prima parte ha per titolo, “PRINCIPJ GENERALI DEL DISCORSO applicati alla
lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene nelle parti già pubblicate
dei “Principj generalie del discorso” siesi detto ciò che basta per
l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto conoscere, che,
volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per la piena
intelligenza, 1 C., Elem. di filol. ecc.,
Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo; pag. III
ed imitazione dei classici principalmente italiani, era necessario ad
entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per multiplicare
l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di cui inutili
sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno. Dietro di che,
in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del Pronome in
generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del verbo che ne
dipendono; Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione
irregolare”. I quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei
PRINCIPJ GENERALI DEL DISCORSO --
PRINCIPIO GENERALE DEL DISCORSO -- già stampati a riprese. Egli fece riunire in
separato volumetto per uso degli scolari 3 Io non mi stancherei, dirò
col Blasi, di riportare varie altre
sentenze, che oggi pajono roba fresca, e pure da presso a un secolo il nostro
l'aveva annunziato con tanta chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi; ed è
per tanto che riferisco qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e
nella coscienza ognuno, che si dà all'educazione specialmente elementare:
Invece di sorprendere, cosi il C., l'età fanciullesca coll' apparenza dottrinale
di parole incognite, ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò che
s'insegna di nuovo, è presso a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto avrebbe
potuto agevolmente sapere con un poco di riflessione 5. Anzi che ad un
giuoco di memoria desiderava che lo studio fosse diretto allo sviluppo
dell'intendimento; inculcava lo studio dell' aritmetica fatto a norma delle
regole predette, e indi tornava a ribadire che: Per mantenere sempre
desta l'attività nella mente degli allievi, è di somma importanza il non
sgomentarli giammai coll'apparenza di gravi difficoltà nelle operazioni che
loro si propongono; anzi colla frequenza degli esempi il far loro osservare,
che avrebbero da se sciolto le domande, se avessero fatto riflessione alle cose
sa pute 6. E poi seguiva cosi: Che se alle volte occorrerà di
dovere insegnare delle cose difficili, allora il maestro procurerà di scemare
la difficoltà colla curiosità della ricerca, perchè il piacere della scoverta
l'incoraggisca al tedio dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è
infiammata, il fanciullo non sente altro che la fatica, e la fatica sola da se
ributta 7. Poi chiedeva a se stesso: É necessario il rappresentare
al naturale lo stato presente della educazione ncstra letteraria? Lo farò con
coraggio. Si è caricata la nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e
senza originalità l'intelletto. La nostra filosofia, in vece C.,
Metodo dei principj generali del Discorso, Palermo, Metodo cit., BLABI, Note
storiche di G. A. De C.; Palermo, Cosmi, Metodo ecc., d'essere l'arte di
pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica,
l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio,
gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada
regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro
cuore. Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle
scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni
realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel
suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità
fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle
cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella
sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia; che nelle lingue doite si
cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci
servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si
cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per
influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti
dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero
termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi,
senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '. [ocr errors]
IV. A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima
parte dei Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin.
dal 1790; cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni, dei
verbi, dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune
regole primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte;
e terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri
necessari allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i
libri del Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il
Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli
antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il
Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5. A sintesi di
tutto il libretto il De Cosmi conchiude così: Ciò che i maestri debbono
inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità
delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni
lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",
Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di
essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una
bellissima ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena Cosmi, Metodo
ecc. L'articolo dell' O. G. R. P. venne riprodotto da Angelo nelle Memorie per
servire alla Storia letteraria di Sicilia; Ms. della Biblioteca Comunale C..
Discorso concetto filosofico Un discorso è una modalità di
comunicazionelinguistica mediante cui si parla o scrive. La definizione del
termine varia a seconda dei campi di applicazione (antropologia, etnografia,
cultura, letteratura, filosofia, ecc.).
In semantica e analisi del discorso è una generalizzazione del concetto
di comunicazione all'interno di tutti i contesti. Nel campo dei codici è la
totalità del linguaggio utilizzato (vocabolario) in un determinato settore di
pratica sociale o ricerca intellettuale (es: discorso giuridico, discorso
religioso, discorso medico, ecc.). Michel Foucault ha definito il discorso come
"un ensemble de séquences de signes" (un insieme di sequenze di
segni).[1] Per quanto riguarda il campo delle scienze sociali e delle scienze
umanistiche, il termine ha rilevanza riguardo a un pensiero che si può
esprimere mediante il linguaggio. Il
discorso si differenzia dall'enunciato e dalla dichiarazione. Il discorso,
infatti, può rappresentare la manifestazione di un pensiero individuale
relativamente o meno a un determinato argomento; la dichiarazione invece
consiste in un atto ufficiale di solito è preparato e coinvolto in
documentazioni. Con il termine discorso
si identifica anche l'esposizione pronunciata in pubblico relativamente a un
argomento o materia (discorso inaugurale, discorso commemorativo, ecc.). Foucault, L'archéologie du savoir, Parigi,
Gallimard, 1969, p. 141. Voci correlateModifica Parti del discorso Parresia Discorso
diretto Discorso indiretto Frase Autore Dialettica Retorica Monologo Dialogo «discorso» Portale Antropologia Portale Filosofia Portale Linguistica Portale Sociologia Pregiudizio
Strutturalismo (filosofia) movimento filosofico
Le parole e le cose Libro di Michel Foucault. Grice: “I call it ‘principle’ not ‘principles’ – or at least I did in my
first William James lecture: ‘some general principle of discourse’ – I later
found out that Aristotle is right: ‘arkhe’ is best used in the singular!.Grice:
“So MY principle is ‘be cooperative’ – principle of conversational helpfulness
--. Maxims are not as important as
‘principle’ is – as Kant would agree!” Cosmi. Giovanni Agostino De Cosmi.
Giovanni Cosmi. R Cosmi. Keywords: metodo dei principi generali del discorso,
discorso, discursus, principle versus principle – principio, principii -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmi” –
The Swimming-Pool Library. Cosmi.
Grice e Cosottini: la ragione conversazionale el’implicatura
conversazionale di MELOPEA – scuola di Figline Valdarno – filosofia fiorentina
– filosofia toscana -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Figline
Valdarno). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Figline
Valdarno, Firenze, Toscana. Grice: “Cosotini considers
‘Home, sweet home,’ in terms of linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the
score! Especially if she did visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton,
and shed a tear!”. Si laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM,
Gruppo per la Reserccia dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la
research dell’Improvisazione conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione
Musicale. Le Fanfole, canzoni composte su testi del poemetto meta-semantico di
Fosco Maraini Gnosi delle Fanfole. Linearità e
Nonlinearita in semiotica – sintagma lineare, sintagma soprasegmentale – the
volume of a sound – a ‘natural’ expression of pain – the higher the volume, the
higher the pine --. Grice on stress, intonation and implicature. I KNOW it. I
KNOW it (you don’t have to tell me). SMITH paid the bill. Due
conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie, variando direzioni e
anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e mai serrati. “La
musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto libera e interamente
legata all'istante, tale da produrre mozzione conversazionale dallo sviluppo verticale.
Improvvisare la verità. Il concetto di ‘improvvisare’ improvissato – cf.
English ‘improved’. Improvisation – improvised. Musica e Filosofia. Realizza la
partitura grafica Dettagliper tre esecutori, che consiste di una mappa e
ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa e le carte sono i
“veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera molteplici possibilità di
implicature. “wordless novel”. I suoi studi si concentrano sulla filosofia
della musica e sull’improvvisazione musicale, scrivendo numerosi saggi per
riviste specializzate come Musica Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis,
Musicheria e la rivista online De Musica. Inoltre pubblica un saggio sul silenzio e
sulle sue potenzialità performative. Metodologia dell'Improvvisazione Musicale.
Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di metodologia dell’improvvisazione
musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia tra Linearità e Nonlineairtà
come strumento per l’analisi dell’improvvisazione musicale. Non-linearita
EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia della Musica.
Non-linearità. Metodi non lineari. EDT
Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di un’improvvisazione
musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra Linearità e
Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio
in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia. Do You
Need A Sign. Wikipedia Ricerca Palazzo Bardi edificio a Firenze Lingua
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significati, vedi Palazzo Bardi (disambigua). Palazzo Bardi Palazzo
busini-bardi 11.JPG Esterno del Palazzo Bardi Localizzazione StatoItalia Italia
RegioneToscana LocalitàFirenze Indirizzovia de' Benci 5 Coordinate 43°46′02.99″N
11°15′32.75″E Informazioni generali CondizioniIn uso CostruzioneXV secolo Realizzazione
Committentebanchieri Busini Il palazzo Bardi o Busini-Bardi-Serzelli si trova
in via de' Benci 5 a Firenze. Palazzo Bardi, il cortile attribuito
a Brunelleschi StoriaModifica Fu costruito su preesistenze negli anni Trenta
del XV secolo per conto della famiglia di banchieri Busini, su disegno forse di
Filippo Brunelleschi: è quindi evidente la sua grande importanza nel
testimoniare, circa quindici anni prima della costruzione di palazzo Medicidi
via Larga ad opera di Michelozzo, il definirsi della tipologia del palazzo
rinascimentale, con cortile centrale, in un momento di significativa crescita
urbana promossa dai ceti dirigenti del tempo. Giovanni de' Bardi (della
linea di Gualtiero, non di quella di Piero, esiliata nel 1343) acquistò il
palazzo nel 1482: la famiglia già nel secolo precedente aveva significative
proprietà di là dal ponte. Agnolo de' Bardi, nipote di Giovanni, fece fare dei
lavori di ammodernamenti al palazzo, forse con il concorso di Giuliano da
Maiano, ma non ne venne modificato l'assetto generale. Furono chiuse le grandi
aperture sul fronte che davano accesso a vari locali adibiti a botteghe (una
successione di fornici è ancora apprezzabile su via Malenchini e due permangono
su via de' Vagellai). Da sottolineare come i lavori, pur giungendo ad esiti
formalmente diversi, si sviluppassero in parallelo con quelli dell'antistante
palazzo Corsi, ugualmente volti a convertire la più antica struttura medievale
in un palazzo adeguato alla nuova concezione rinascimentale. Preesistenze
sul lato sud in via Malenchini Verso la fine del XVI secolo, come ricorda una
lapide sulla facciata, si riuniva in questo palazzo una comitivadi letterati,
artisti e musicisti, conosciuta sotto il nome di Camerata fiorentina di casa
Bardi, istituita dapprima allo scopo di risuscitare l'antico teatro greco e che
più tardi si occupò del melodramma teatrale, tanto che qui si eseguì per la
prima volta il canto dantesco del conte Ugolino, messo in musica da Vincenzo
Galilei e si eseguirono le Nuove Musiche di Giulio Caccini. Più tardi la
Camerata divenne Accademia, trasferendosi nell'odierno palazzo Corsi-Tornabuoni
in via Tornabuoni. Il palazzo fu abitato dai Bardi fino all'estinzione
del ramo familiare a inizio dell'Ottocento, per poi passare ai Bardi Serzelli,
che l'hanno abitato fino al 1954, anno della morte del conte Alberto.
Successivamente affittato alla Provincia di Firenze, è stato da questa scelto
negli anni settanta per ospitare il III Liceo Scientifico statale. Ha subito il
rifacimento degli intonaci sul fronte di via Malenchini. A partire dal 1990
circa, oramai liberato dalla presenza della scuola e acquistato da una società
immobiliare, è stato interessato da un complesso cantiere finalizzato al
recupero della fabbrica e alla suddivisione in appartamenti dei grandi ambienti
interni, conclusosi nel 2007. Il palazzo appare nell'elenco redatto nel
1901 dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, quale edificio
monumentale da considerare patrimonio artistico nazionale, ed è sottoposto a
vincolo architettonico. Descrizione Esterno La semplice facciata,
sviluppata sui canonici tre piani e graffita con una finta muratura a conci
rinnovata nel 1885 (al tempo della proprietà di Ferdinando Bardi, comunque da
considerare sostanzialmente fedele alle preesistenze), quindi restaurata e
integrata nell'ambito del recente intervento, presenta ai lati due scudi con le
armi, oramai consunte ma ancora ben leggibili, della famiglia Busini
(d'azzurro, a tre fasce increspate d'oro, e alla banda attraversante di rosso,
caricata di tre rosed'argento). Da segnalare sul fronte anche la lapide che
ricorda come, in questo palazzo, Giovanni Bardi conte di Vernio avesse riunito
a Camerata fiorentina di casa Bardi, in seno alla quale nacque il
melodramma. IN QUESTA CASA DEI BARDI VISSE GIOVANNI CONTE DI VERNIO CHE
AL VALOR MILITARE MOSTRATO NEGLI ASSEDI DI SIENA E DI MALTA CONGIUNSE LO STUDIO
DELLE SCIENZE E L'AMOR DELLE LETTERE COLTIVÒ LA POESIA E LA MUSICA E ACCOLSE E
FU L'ANIMA DI QUELLA CELEBRE CAMERATA LA QUALE INTESA A RIPORTARE L'ARTE
MUSICALE IMBARBARITA DALLE STRANEZZE FIAMMINGHE ALLA SUBLIMITÀ DELLA MELOPEA DI
CUI SCRISSERO GLI STORICI DELL'ANTICA CIVILTÀ APRÌ LA VIA GIÀ CHIUSA DA SECOLI
AL RECITATIVO CANTATO E ALLA MELODIA E CON LA RIFORMA DEL MELODRAMMA FU LA CUNA
DELL'ARTE MODERNA. Palazzo busini-bardi, targa camerata dei bardi. JPG
Stemma Bardi sul cancello d'ingresso Di rilievo l'androne, chiuso sul fondo da
una elegante cancellata (presumibilmente databile al Settecento) con sulla
rosta l'arme dei Bardi (d'oro, alla banda di losanghe accollate di rosso)
accostata da due aquile. Le fasce marcapiano aggettanti sono ornate da volute
di fiori, primo esempio di "stile nuovo" fiorentino. Semplici
finestre centinate si allineano su otto assi. all'esterno si trova murato anche
un piccolo tabernacolo con un affresco scarsamente leggibile con la Madonna in
gloria adorata da una monaca. L'elemento più interessante è il bel
cortile centrale porticato sui quattro lati, progettato forse dal Brunelleschi,
probabilmente il primo cortile privato signorile a Firenze (dopo i cortili
pubblici del Palazzo del Bargello e di Palazzo Vecchio): a pianta quadrata,
presenta arcate a tutto sesto con colonne con capitelli corinzi che scandiscono
lo spazio. I volumi sono scanditi ad altezza doppia rispetto al modulo usato
spesso successivamente del cubo sormontato da semisfera: qui l'altezza delle
colonne è doppia rispetto all'intercolumnio (a differenza per esempio del
loggiato dello Spedale degli Innocenti) e, pur mantenendo dimensioni armoniche,
presenta un maggior slancio. Tipicamente brunelleschiana è anche la
disposizione delle porte che si aprono sul cortile. "Si osservi
anche il sonoro androne d'ingresso, con volte a crociera su capitelli pensili
strettamente analoghi a quelli del palazzo di Niccolò da Uzzano; o lo splendido
episodio dei capitelli delle colonne del cortile stesso, che presentano un
singolare episodio di protocorinzio appunto brunelleschiano, cui non a caso
rispondono i capitelli del cortile della casa di Apollonio Lapi, posta in via
del Corso 13, egualmente attribuita all'esordio professionale di Filippo: per
la qual cosa piacerebbe datare pure il prezioso testo architettonico
protobrunelleschiano di palazzo Bardi (Morolli). All'interno molte stanze
presentano dei soffitti in legno risalenti all'epoca di Agnolo de' Bardi, che
li fece uniformare. BibliografiaModifica Tabernacolo Emilio Burci,
Guida artistica della città di Firenze, riveduta e annotata da Pietro Fanfani,
Firenze, Tipografia Cenniniana; Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti), Elenco degli Edifizi Monumentali in
Italia, Roma, Tipografia ditta Ludovico Cecchini; Ross, Florentine Palace and
their stories, with many illustrations by Adelaide Marchi, London, Dent; Schiaparelli,
La casa fiorentina e i suoi arredi, Firenze, Sansoni, Limburger, Die Gebäude
von Florenz: Architekten, Strassen und Plätze in alphabetischen Verzeichnissen,
Lipsia, F.A. Brockhaus, Bertarelli, Italia Centrale, II, Firenze, Siena,
Perugia, Assisi, Milano, Touring Club Italiano; Garneri, Firenze e dintorni: in
giro con un artista. Guida ricordo pratica storica critica, Torino et alt.,
Paravia; Bertarelli, Firenze e dintorni, Milano, Touring Club Italiano; Allodoli,
Arturo Jahn Rusconi, Firenze e dintorni, Roma, Istituto Poligrafico e Libreria
dello Stato, Barfucci, Giornate fiorentine. La città, la collina, i pellegrini
stranieri, Firenze, Vallecchi; Thiem, Christel Thiem, Toskanische
Fassaden-Dekoration in Sgraffito und Fresko, München, Bruckmann, Limburger, Le
costruzioni di Firenze, traduzione, aggiornamenti bibliografici e storici a
cura di Mazzino Fossi, Firenze, Soprintendenza ai Monumenti di Firenze,
Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio
per le province di Firenze Pistoia e Prato); Bucci, Palazzi di Firenze, fotografie di
Raffaello Bencini, 4 voll., Firenze, Vallecchi, Quartiere di Santa Croce; Quartiere
della SS. Annunziata; Quartiere di S. Maria Novella, Quartiere di Santo
Spirirto; Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell’arte, Firenze, Giunti
et Barbèra, Fanelli, Firenze architettura e città: atlante -- Firenze,
Vallecchi, Touring Club Italiano, Firenze e dintorni, Milano, Touring Editore; Salvagnini,
La guerra degli sporti, in "Granducato", Bargellini, Ennio Guarnieri,
Le strade di Firenze, Firenze, Bonechi, Il Monumento e il suo doppio: Firenze,
a cura di Marco Dezzi Bardeschi, Firenze, Fratelli Alinari; Firenze. Guida di
Architettura, a cura del Comune di Firenze e della Facoltà di Architettura
dell’Università di Firenze, coordinamento editoriale di Domenico Cardini,
progetto editoriale e fotografie di Lorenzo Cappellini, Torino, Umberto
Allemandi; MOROLLI, Vannucci, Splendidi palazzi di Firenze, con scritti di
Janet Ross e Antonio Fredianelli, Firenze, Le Lettere; Zucconi, Firenze. Guida
all’architettura, con un saggio di Pietro Ruschi, Verona, Arsenale; Cesati, Le
strade di Firenze. Storia, aneddoti, arte, segreti e curiosità della città più
affascinante del mondo attraverso vie, piazze e canti, 2 voll., Roma, Newton et
Compton editori; Touring Club Italiano, Firenze e provincia, Milano, Touring, Pecchioli,
‘Florentia Picta’. Le facciate dipinte e graffite dal XV al XX secolo,
fotografie di Antonio Quattrone, Firenze, Centro Di; Paolini, Case e palazzi
nel quartiere di Santa Croce a Firenze, Firenze, Paideia; Paolini, Lungo le
mura del secondo cerchio. Case e palazzi di via de’ Benci, Quaderni del
Servizio Educativo della Soprintendenza BAPSAE per le province di Firenze
Pistoia e Prato n. 25, Firenze, Polistampa; Paolini, Architetture fiorentine.
Case e palazzi nel quartiere di Santa Croce, Firenze, Paideia, Palazzo Bardi; Paolini,
scheda nel Repertorio delle architetture civili di Firenze di Palazzo
Spinelli(testi concessi in GFDL). Una pagina sulla conservazione del palazzo,
su limen. Portale Architettura Portale Firenze Ultima
modifica 2 anni fa di Omega Bot Palazzo Malenchini Alberti Palazzo Bardi-Tempi
Palazzo de' Benci Edificio a Firenze, Italia. Mirio Cosottini.
Cossotini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds
to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill,
and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her
AND that he loves her.” Keywords: melopea, prosodia, Hjelmslev, Hockett,
fonema, tratto sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the
cat” – “Smith didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I
knew it” “I love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cosottini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Costa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interno e l’esterno –
l’internalizzazione-l’esternalizzazione -- uomini fuori di sé– scuola di Torre
del Greco – filosofia napoletana – filosofia campanese --filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torre del Greco). Filosofo napoletano. Filosofo
campanese. Filosofo italiano. Torre del Greco, Napoli, Campania. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my favourite essays of
his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se: l’esternalissazione’
and above all, his sublime, “l’estetica della communicazione,’ which is what my
philosophy is all about!” -- Mario Costa
(Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare, per aver
studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica, delle nuove tecnologie,
introducendo nel dibattito filosofico una nuova prospettiva teorica, attraverso
concetti come "estetica della comunicazione", "sublime
tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del
flusso". Professore a Salerno e, come professore incaricato di
Metodologia e storia della critica letteraria e di Etica ed estetica della
comunicazione, ha contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università
degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno
ha fondato e diretto, daArtmedia, Laboratorio permanente dedicato al rapporto
tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste tematiche
decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. L'estetica
dei media ha ottenuto il Premio Nazionale Fabbri. Pubblicato una trentina di libri; alcuni di
essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in
America. Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha
seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica
e filosofica delle avanguardie artistiche, e l'elaborazione di una filosofia
della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei cambiamenti che la
nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e
nell'estetico. Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate,
ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi
movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria. Momenti di particolare
rilievo in questo ambito di ricerca possono essere considerati i suoi lavori su
Duchamp e sulle funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul
"lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di
grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in
Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo
pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno
riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica,
riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni che analizza gli
effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La
disumanizzazione tecnologica, e l'altro, dominante rispetto al primo,
consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e
l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove
tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine,
della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad
una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo
investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la tecnica)
la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando luogo ad
una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale. Alcune opere
rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i contenuti trattati
e per la inedita metodologia di indagine instaurata e seguita, un libro che
apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle
discipline estetologiche, quello appunto della "estetica dei media",
da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia o con quella del
cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro
in questione segue ai diversi contributi teorici relativi all'estetica della
comunicazione le cui identificazione, nominazione e formulazione teorica
risalgono, e che è ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e
indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è considerato il lavoro più noto
e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che,
considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla
nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della dimensione
dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una nuova
forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto quello che
questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime tecnologico è stata
diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale della teoria estetica
ed ha sollecitato un incalcolabile numero di sperimentazioni da parte di
artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed estetica del flusso traccia le
linee di una nuova estetica e della sperimentazione artistica che da essa può
scaturire. Si tratta da una parte di un violento e argomentato pamphlet contro
l'arte contemporanea, ritenuta “una congerie più o meno sgradevole di nullità
mercantili”, e dall'altra della tematizzazione ed elaborazione del concetto di
“flusso estetico tecnologico”, considerato come ultima e residua possibilità di
sperimentazione per gli artisti e come chiave per comprendere alcuni aspetti
dell'ontologia contemporanea. Dopo la tecnica ripercorre la storia delle varie
epoche della tecnica sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire
configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di
chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la
tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo
incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad
appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Altre saggi: “Arte come soprastruttura”,
Napoli, CIDED, Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, Sulle
funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp,
Napoli, M.Ricciardi Editore, Il ‘lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e
Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore, Roma, Carucci Editore,
Le immagini, la folla e il resto. Il dominio dell'immagine nella società
contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Il sublime tecnologico,
Salerno, Edisud, L'estetica dei media. Tecnologie e produzione artistica,
Lecce, Capone Editore, Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia,
Napoli, Morra, La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo
‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, Lo ‘schématisme
parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione
Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento del sublime e strategie del
simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria
dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Co.& Nolan, Il sublime
tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi,
Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica dei media.
Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della comunicazione.
Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della
simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento alla
computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica, Napoli,
Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare l'arte.
Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano,
Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La
disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove
tecnologie, Milano, C. et Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una
teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, C. et Nolan, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio, Ontologia dei media, Milano, Post media books, Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli,
Liguori. Il lavoro teorico di C. teso, tra l'altro, a definire la nuova epoca
dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e digitali, e a
fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo, si è, per ciò
stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione estetico-culturale:
agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col supporto della RAI-TV,
una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per sollecitare una
riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle tecnologie della
comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il Convegno
Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla Rivista di
estetica di Torino, necrea, con l'artista Forest, il movimento internazionale
dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti (Electra di Popper, al Centre Pompidou a La
Revue parlée di Gautier, ialla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art
di Revault D'Allonnes); dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della
comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio);
concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di
Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso l'Salerno un
Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; organizza presso la stessa
Università il Convegno "Il suono da lontano". Eventi sonori e
tecnologie della comunicazione"; realizza, per la RAI-TV (Dipartimento
Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in tre puntate: Un'estetica per
i media; fa svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.GiorgioNapoli)
Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media e della Comunicazione;
presenta per la prima volta in Italia presso l'Salerno due videoplays di Samuel
Beckett; fonda e dirige, la Rivista Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e
tecnologie, fonda e dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici,
una «Collana di Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche
connesse ai nuovi media (testi di Piselli, Cauquelin, Adorno, C., Solulard,
Dorfles); co-organizza a Parigi la
Edizione di Artmedia; co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale
Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del
Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini,
Forest, Kriesche, Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di
Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; norganizza presso
l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo "L'oggetto estetico
dell'avvenire". Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a
proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi, C., L'oggetto estetico e la critica,
Edisud, Salerno. C., Il 'lettrismo' di Isou. Creatività e Soggetto
nell'avanguardia artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'.
Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme,
schéma, ornement, in "Schéma et schématisation", L'estetica dei
media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma, C.Il sublime tecnologico.
Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli. Inoltre: Technology,
Artistic Production and the "Aesthetics of communication", in
"Leonardo", Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti
e destino della scrittura. Sulla diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si
vedano tra gli altri: Bootz, The thesis of Benjamin and C., in Bootz, Baldwin,
Regards Croisés, West Virginia, Abruzzese, Il compiersi della pubblicità dal
manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici del presente: pretesti, testi
e questioni, in Lattuada, Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e
nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Kerckhove, L'estetica
dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di C., in
"Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, C.,
professore di estetica, in MCmicrocomputer, Roma, Pluricom. esternalismo/internalismo.
– La nozione di esternalismo (externalism), usata in contrapposizione a quella
di internalismo (internalism), si è sviluppata principalmente in merito ai
dibattiti sulla filosofia della mente e sull’epistemologia ed è attualmente al
centro del dibattito filosofico sulla giustificazione epistemica,
sull’epistemologia sociale, sul ruolo dell’ambiente e dell’esterno negli stati
mentali, nei processi cognitivi e nei processi linguistici e comunicativi; si
parla di e./i. anche in filosofia morale. Nell’e. una conoscenza si considera
giustificata se è causata da processi affidabili derivati dall’esperienza
esterna; diversamente, nella prospettiva internalista, una credenza viene
considerata vera se fondata su esperienze interne al soggetto (per es. il
cogitocartesiano), riconducendo la conoscenza, anche sensibile, del mondo
esterno all’appercezione di stati di coscienza (Kornblith, Epistemology:
internalism and externalism; Bonjour, E. Sosa, Epistemic justification:
internalism vs. externalism, foundations vs virtues). Nella filosofia della
mente, gli stati mentali vengono ricondotti, in prospettiva esternalista, a
connessioni causali con l’ambiente esterno; in chiave internalista, a processi
e fattori interni alla mente. Nella teoria della motivazione morale si parla di
i. allorché si ritiene che vi sia una connessione necessaria fra considerazioni
morali e motivazione, costitutiva della considerazione morale stessa; si parla
invece di e. quando si ritiene che tale connessione si fondi su fattori
concomitanti contingenti. Con l’argomento della ‘Terra gemella’ (twin Earth),
il filosofo Hilary Putnam ha sostenuto che una differenza di estensione, ossia
dell’insieme degli individui cui si applica un concetto o un predicato, è anche
una differenza di significato; questo per dimostrare che i significati non sono
enti mentali, ossia che la medesima parola applicata a due enti diversi (anche
se non apparentemente tali) cambia di significato, benché averne o meno
cognizione dipenda dalla competenza semantica dei parlanti in merito
all’oggetto designato (The meaning of ‘meaning’, Gunderson, ed.,Language, mind
and knowledge). A partire dalle tesi dell’e. semantico (in filosofia del
linguaggio si privilegia la coppia di termini esternismo/internismo) il
dibattito si è esteso alle filosofie della mente e alle scienze cognitive,
indagando se il soggetto cognitivo sia circoscrivibile al cervello e al sistema
nervoso, o se la mente e il mentale includano anche fattori ambientali, sia
fisici sia sociali, ricalibrando i confini fra mente, corpo, ambiente. Nel dibattito
filosofico ha avuto rilievo anche la tesi della ‘mente estesa’ di Clark e
Chalmers (Chalmers, The extended mind, in Analysis; Clark, Supersizing the
mind: embodiment, action, and cognitive extension, ), che riconosce il ruolo
dei fattori extracorporei e ambientali nel costituirsi della mente, ma riguardo
agli aspetti cognitivi non fenomenici (non coscienti). Superando
contrapposizioni troppo rigide fra le due posizioni, nelle tesi esternaliste
più recenti si tende a riconoscere non unicamente la dipendenza causale
dall’esterno del mentale, ma a vedere l’origine del mentale nell’interazione
causale ambiente-corpo-cervello, ciascuno influente nei processi cognitivi e
mentali. In ambito sia semantico sia fenomenico si è differenziato l’e. dall’i.
in base alla possibilità di ‘individuare’ uno stato mentale ritenendo di poter
ricorrere, o meno, a fattori esterni (Wilson, Boundaries of the mind. The
individual in the fragile sciences: cognition). Più recentemente si è teso
invece a privilegiare l’aspetto della realizzazione fisica. Si parla, in tal
senso, di e. del veicolo o anche procedurali, spostando il punto di messa a
fuoco dall’identificazione del contenuto dello stato mentale (intenzionale o
fenomenico) alla natura del sistema di realizzazione fisica di tale stato
(Amoretti, La mente fuori dal corpo. Prospettive esternaliste in relazione al
mentale). Entro l’approccio incentrato sul veicolo e sulla realizzazione fisica
sono state elaborate posizioni differenziate, principalmente riguardo alla possibilità
di comprendervi o meno elementi fenomenici, ossia legati agli stati cognitivi
coscienti.Grice: “Costa uses words in ways we don’t allow at Oxford: a sign by
which nobody signs; and so on.Mario Costa. Keywords: – uomini fuori di sé, blocco
comunicante, communicazione sine contenuto, communicazione fatica, semiotica,
estetica della comunicazione, significante sine significato – segno sine
segnato – autoreferenzialita – asemanticita – sintassi – retorica – codice –
intenzione communicative, medio, messaggio, recursivita, self-reference,
meta-linguaggio – linguaggio come metalinguaggio -- - Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library. Costa.
Grice e Costa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della sinestesia
conversazionale – scuola di Ravenna – filosofia ravennese -- filosofia emiliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo ravennese. Filosofo emiliano. Filosofo Italiano. Ravenna,
Emilia-Romagna. Grice: “My favourite keyword for Costa is ‘contrassegnare’!” –
Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke; on the composition of
ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli precisi’ – I explored that
a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when I attack minimalism and
extensionalism, and provide a way which is meant to resemble Locke’s way of
words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or ‘composite’ (Costa’s
‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out ‘bachelor’ unmarried
male that I play with with Strawson in “In defense of a dogma.” In this
respect, it is interesting to see that Costa also wrote on ‘ellocution’ and ‘sintesi’
versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia Ricciarelli, studia a
Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa Costa, Bologna -- è
costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato alla Carboneria.
Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati della elocuzione e del modo di
esprimere l’idea e di segnarla con una espressione precisa a fine di ben
ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,” C. segna che fa freddo. Il trattato
filosofico della sintesi e dell'analisi; i quattro sermoni dell'arte poetica,
un commento alla Divina Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua
italiana, poesie (Laocoonte), lettere e traduzioni. Letterato neo-classico e dunque tipicamente
italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani e sostenitore
del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella lettera a Ranalli
di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni
filosofiche. È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle
scienze ideologiche, di dare all’espressione un determinato valore. Sostengo
che questo non si può ottenere, come crede Locke, colla de-finizione (horismos)
(la quale e una scomposizioni di una idea o di piu idee), se prima la idea non
sia stata ben composta. Sostengo che questa non si puo compor bene, se prima
non si conosce quale ne sieno gli elementi semplici – soggetto e predicato, il
S e P -- Sostengo che un elemento semplice e una reminiscenza relative a una
sensazione, e che la idea si compone di almenno due di sì fatti elementi – il S
e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del sentimento del rapporto di una
reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione – nel indicativo o imperative –
il giudizio – il giudicato – e la volizione – il volute. Da ciò conséguita che
l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il
fondamento della scienza umana. I kantisti ed altri filosofi distinguono una
idea in una idea soggettiva e in una idea oggettiva, ed attribuiscono
un'origine a posteriori e sintetico alla una ed un'origine a priori e analitico
all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma non è buona l'ammettere che abbiano
origini di natura diversa: a posteriori/sintetico, dal senso – e a
priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus quod prior non
fuerit in sensu. Ogni idea ha un stesso
origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo
nascere sue proposizioni. Una
proposizione: "La reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra
proposizione: “La reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è
l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento.
Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in
me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione.
Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo
pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso).
Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di
questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della
mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la
rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico,
ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè
che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra
differenza, se non che nella che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è nella nostra
persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in
me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il
reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori?
Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in
che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che
il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un
sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione,
una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse,
nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni
fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo
che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la
sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in
relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi
vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la
modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella
nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono
che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo
che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe.
Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio
non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano
il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”.
Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo
del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza
accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero
ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la
qualità della sensazione di natura
diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del
colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori
di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella
dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre
la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa
cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla
più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può
rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione
condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo,
perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue.
Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi
elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle
nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato
per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista.
Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno
materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo
percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa
esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in
Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle
di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche
si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo
trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha
tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire
corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del
irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia
dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della
elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e
dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina
commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna
de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento
artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del
giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS (sulla formazione padovana del Costa, e sulla
sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani
illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una
delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella
[fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo
si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a
fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono
con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del
bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual
cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore
onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla
dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e
pacifica; per questa sono animati i
guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più
degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si
mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o
giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo
nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica
l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il
venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè,
essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e
si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione
alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che, pel naturale
desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque
volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine, poniam subitomente al
fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed
ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada
conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero
e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE,
sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice:
“imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione
sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che
poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima:
dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione –
cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione,
L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea,
fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè
appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra
appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna
considerare che ogni idea e composta – il S e P -; e che alcune, differendo da
altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire
distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un
esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a
ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi, comprende le idee
delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto
la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf.
Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un
errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere
molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano
i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto
sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa,
che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero,
pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza
d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria,
mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf.
Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè
della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con
esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono
dinanzi agli occhi ci somministrano
esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di
quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che
dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come
l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa,
che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un
ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a
denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi
Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che
dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di
dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione
“moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE
SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid
ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto
maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali
e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero
dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che
dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli,
cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de'
ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella
sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di
un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di
Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che
sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of
conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad
acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono.
Prima, il saper bene dividere le idee
fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia
dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi
famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci
pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto
di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una
breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una
medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee
principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i
seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili.
Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e
rendetli; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran
numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di
qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero, palafreno, poledro,
rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna
differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la
particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a
mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità
dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci
unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua
donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra
è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra
alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono
per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile,
o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di
quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono, a
cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento
presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento; dal che si
vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure
trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É
dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci
rappresentano stesso complesso d'idee; e quindi può intervenire, che ingannali
dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da
avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso
universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci
proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari,
e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto
la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia;
e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo
polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa,
che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il
trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio
all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione
esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso
formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui, qualvolta
sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole
avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le
quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella
eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però
offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi)
delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di
quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel
ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che
viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le
allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del
Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro
comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu, mu
travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta.
L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa)
principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa
minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in
un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è
che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero
troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro
officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza, che circa
le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura
di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione
loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin
guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte
le parli loro sono manifeste, come nella seguente: ľuomo è ragionevole. Diconsi
implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo
o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti.
L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la
patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si
appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si
dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La
proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio,
che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che
non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA
(splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di
nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la
proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè
quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del
solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio
qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e
noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far
conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve”
trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’).
Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o
espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo
intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da'
participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto
parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa
mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a
modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo.
Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel
seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo
nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato
falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo
libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata
chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi,
ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un
uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel
pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in
Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge
resla alcun poco sospesa. Molte TRASPOSIZIONE – Grice: William Blake: love that
told cannot be, love that never told can be --, che si biasimano nella lingua
italiana, sono spesso con venevoli NALLE LINGUA LATINA, perchè, nella lingua
romana, il nome aggettivo, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri
e nei casi si accordano col nome sustantivo, rade volte LASCIANO DUBBIO a cui
vogliano appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto,
comunque nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente
luogo di CRASSO, riportato da CICERONE. HÆC TIBI EST EXCIDENDA LINGVA QVA VEL
EVVLSA SPIRITV IPSO LIBIDINEM TVAM LIBERTAS MEA REFVTABIT. Tenendo l'ordine di
queste parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza. Sconvolgendolo
si perde tutta l'efficacia. Se dico. Questa lingua li è d'uopo recidere: recisa
questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà’ – Appare che
LA SFRENATEZZA reprima LA LIBERTÀ. Se, per
lo contrario, dico. La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo
alla sentenza molto della sua forza – devuta a una disobbedenza intenzionale
della massima conversazionale d’evitare l’ambiguità. Vedremo a suo luogo la
ragione, per cui la diversa collocazione di una espressione semplice rafforza o
snerva l'espressione complessa. Ora ci basta osservare, poichè cade in acconcio,
che le varie lingue -- parlando ora della sola facoltà, che hanno di PERMUTARE
IL LUGO ALLE PAROLE – “love that never told can be”/”love that told can never
be” -- luttochè sieno alle a qua. Junque
specie di componimento, nol sono ad esprimere uno stesso concetto nella stessa
FORMA – massima conversazinale della forma, non del contenuto --; perciò è che
quando si trasportano le scritture da una favella ad un'altra non dove
l'espositore darsi briga di ritrarre espressione per espressione. Avendo rispetto
al genio della lingua, cerca di produrre per altro convepevol modo nell’animo
di nostro compagno conversazionale gl’effetto che l’espressione in lui operano.
Per fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] giov ancora badare
ne' verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo – “amava” -- la quale
è simile alla terza, dicendosi “amava” +> “io amava”; “amava” +> “colui amava” – cf. latino: ‘amaba’/’amabaT’
--. Perciò a distinguerle è sovente bisogno di preineltere all’espressione ‘AMAVA’
– latino: AMABA/AMABAT -- il nome o il pronome. Giova spesso alla CHIAREZZA, e
segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere le
persone e le cose, delle quali si parla (il topico). E perciò sta bene talvolta
il *ripetere* il nome sostantivo per non confondere l’una coll'altra. Imperciocchè,
i pronomi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco – confusione
– cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of conversational
clarity. E questo interviene specialmente, quando nella proposizione
antecedente sono più nomi sustantivi di un medesimo genere e numero, che si
possono accordare coi relativi delle susseguenti. Perciò, conviene tal volta o
giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un
femminino. O inulare il numero del più in quello del meno. O viceversa. Può ancora
geverarsi PERPLESSITÀ nell'usare il possessivo “suo” e “suoi,” invece de
relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per
quello, come nel caso seguente. “MAI DA SÈ PARTIR NOL POTÈ, INFINO A LANTO CHE
EGLI [CIMONE] NON L’EBBE FINO ALLA CASA *DI LEI* ACCOMPAGNATA” (Boccaccio). Se Boccaccio avesse detto: “fino
alla casa SUA accompagnata”, si sarebbe potuto credere essere QUELLA DI CIMONE!
Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono
assai opportune le particelle copulative (“e” – He went to bed and took off his
trousers” (Urmson); avversative (“ma” – Lei e povera, ma onesta – Frege,
FARBUNG), illative (“se” – se p, q – FILONE, DIODORO, CRISIPPO) e somiglianti –
e disgiuntiva (“o” – “Lei sta alla cucina o alla stanza di dormire”). Molli
fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere
a piccoli membri, senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da
biasimare, iaperciocchè costringono la mente o l’animo di nostro compagno
conversazionale a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli
occasione di scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf.
Grice, category of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. JILL: JACK IS AN ENGLISHMAN; HE IS, THEREFORE, BRAVE” – deduzione,
induzione, adduzione? --. Affinchè si vegga manifestamente quanto la
mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente
luogo di PASSAVANTI le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona
sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella che più ta
sprona. Se vede che si, non a. spetti che al sogno suo debba altro seguitare.
Quel sogno non è cagione alla quale debba altro effetto seguitare; è l'effetto
dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare donde
proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo congiunti
questi membri colla particella “e”, la particella “imperciocchè”, la particella
“ma” e vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and she was
honest”). Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde
all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. *E* se vede che si, non aspetti
che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è
cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto del
l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde
proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione.” Questi
pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori che
desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose che i filosofi
hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual volta siasi
imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore) dalle proposizione
subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la virtù di queste si è di
modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di *molto sottile* ragionamento
a sapere in che modo elle si debbono collocare nella orazione o espressione
complessa; perciò senza più entro a parlare dell' ornamento. La perſezione
dell'arte del conversare nella LINGUA LATINA, secondo CICERONE, consiste
nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico,
che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro –
CANDORE --, che dall’invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona
nella rettorica – G. N. LEECH: “H. P. GRICE’S CONVERSATIONAL RHETORIC”. Accade qui di parlare delle suddette tre
qualità solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il
concetto ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre
due, che fanno il discorso – la mozione, mossa, o moto, conversazionale --
accetto a nostro compagno conversazionale. Grice: “I’m not
surprised that the Italians start the cataloguing of the maxims of
conversations by the MANNER, rather than the CONTENT!” -- Prima di tutto si
vuole osservare che la proprietà delle voci e l'ordinata (cf. Grice, be
orderly) composizione loro generano gran parte della BELLEZZA DEL DISCORSO –
Grice: “My maxims aim at rational cooperation, they are not moral or aesthetic
in purpose.”. Imperciocchè
fanno sì, che esso sia inteso senza fatica, che è quanto dire con qualche sorta
di piacere. Ma questo non basta; chè nessuno per verità loda il conversatore
solamente perchè si fa intendere dal suo compagno conversazionale; ma lo
biasima e sprezza, s'ei fa altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gl’uomini
e tragga a sua voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più
che more tale? Colui che NEL CONVERSARE è distinto, COPIOSO – ma non *troppo*
copioso --, splendido, armonioso, e che queste qualità, onde si forma
l'ornamento, congiunge al decoro – CANDOR – veracita e sincerita. Que' che
conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno
conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento DISGIUNTO
DAL DECORO diviene sconcezza e deformità. Molto leggiadre ed efficaci sono le
voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col significato,
o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E espressione, che
ricorda il significato per somiglianza di suono le seguenti: “belato”;
“ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre,
che per alcuni furono sono termini figure, a differenza di quelle, che, non
avendo soosiglianza veruna col significato, sono delle termini memorativi o
cifre. Fra i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo teste
accennat, quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di cosa
somigliante al signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice on the
circularity of analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano l'origine o
gl’usi del significato. L’espressione “spirito” è bella per certa tal qual
somiglianza, che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra avere col
fialo o con qualsivoglia altra sottil materia, che SPIRI (onomatopoeia) e
preferibile a ‘animo’. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione
“pecunia”. la prima delle quali, venendo da “moneo”, significa che il metallo
ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda,
venendo da “pecus”, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed
alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due
esempi ancora perchè si vegga quanto giovi alcuna volta l'investigare
l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la
mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente
adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli
uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla
qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla
qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè
tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gl’uomini letterati sieno ESPERTI
A CONVERSARE *con legge*, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente.
Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide [‘the ---
bishop fell from the – stairs – profanity – Grice], sono tuttavia tenute per
nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose significando, in
grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie sono in Italia
l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili
conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto, l’espressione “papa”, siccome
osserva il lodato cardinale Pallavicini, la quale nobilissimo personaggio
rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave componimento poetico. In tre schiere
vengono separate da Pallavicini le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà
loro. Nella prima si collocano quelle, che dal conversatore in nobile
conversazione e usata a significare un concetto grande ed il lustre. Vocaboli
di questa specie non si potranno senza AFFETAZIONE adoperare in tenue argomento,
o in famigliare discorso. Che se alcuno famigliarmente usa l’espressione
“pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in vece di “occhi”; “accento” o “nota”
in vece di “parola”, certo è che moverebbe a riso il compagno conversazionale.
La seconda schiera è di quella espressione, che vanno egualmente per le bocche
degl’uomini ragguardevoli e del popolo, e che si possono senza biasimo usare in
ogni occorrenza. La terza poi è di quelle, che sono avvilite nella bocca della
plebe, come e l’espressione “pancia”; “budella”; “corala” e simili, le quali
possono essere opportune in una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa,
come e la mossa, noto, o mozione conversazionale ‘satirica’. Anche le
espressione antiche, qualvolta elle hanno convenevole forma e non sieno passate
ad altro significato [non multiplicare sensi piu di la necessita], vagliono à
nobilitare la conversazione. Ma si richiede somma cautela in co lui che a vila
le richiama, poichè una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco
oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation,
be perspicuous [sic]], ‘avoid unnecessary proliity [sic]’], più spesso fanno
l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi potrebbe, senza indurre a riso il
compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”;
“piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You
are the cream in my coffee), la quale, usata opportunamente, è lume e vaghezza
della orazione. Prima è a sapere che gl’uomini selvaggi per essere scarsi di
cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna
cosa non ancora significata, fanno uso naturalmente di quella espressione gia
usata, la quale e inventata a contras-segnare *altra* cosa somigliante in qualche
parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”). Occorrendo
loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre” per
la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele. Cosi
dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a fox” –
he is a fox), “capo del monte” la cima – ‘top of the heap’ ‘New York, New York’
-- e “piè” del monte la falda di quello. Per gl’addotti esempi si vede questo
trasporlamento (meta-bole, transferenza, trans-latio) di una expression da un significato
propio e vero ad un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro
non essere che una similitudine ristretta in una espressione (“You are like the
cream – simplifcata a “You are the cream”); imperciocchè la seguente
similitudine spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si
restringe, per brevita, in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”.
È dunque la metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si
fa recando una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e
perciò da Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora e
da principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il
numero delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga
pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè,
sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra
le selvagge e rozze, pure la metafora è e sempre luce e VAGHEZZA della
conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità. La metafora presenta
spesso all'animo più chiaramente ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di
forma *sensibile* una idea non-sensibile, o intelleltuale (nihil est in
intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le pone davanli agli cinque
sensi. Vuole Alighieri significare che non è meraviglia se per la le nuità
della nostra fantasia non possiamo per venire ad imaginare le cose, che
Alighieri desidera narrare del Cielo; e questo con una metafora dicendo. E se
le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è maraviglia. Per tal modo il
concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale, divenne sensibile e per
conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous [sic] – the imperative of
conversational clarity] e più popolare. E se taluno volendo dire che gl’uomini
bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gl’atti e le parole a modo di
parer verilieri, dice che la menzogna prende talvolta il manto della verità,
non significherebbe egli il suo concetto assai vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re the
cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream in
the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella
metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si
mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza
della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi,
più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri
sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della
qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte
le altre appartenenti a quello pur si risvegliano, e vivamente ed intero lo ci
pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore
– parola dolce. che si cávano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato
(secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto
senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore
di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento
ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si
presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinque sensi, sono
le seguenti. Splende la gloria (visum). Folgoreggiano gli scudi. Ridono i prali
(udito). Si rasserena la fronte; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero ad
Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum,
rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora
attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di
Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche VIRGILIO,
parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, dice. Harsit
virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa
vivamente quasi innanzi agl’organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita
(no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele,
partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non
osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la nobillà della
prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. O poca
nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non
s'appondi die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco
manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni
uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi nobiltà:
ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in giorno
scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova
similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere
con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie
astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una
dopo l'altra, la metafora, rappresentandole tutte ad un tempo, assale l’animo
con veemenza. Basti un solo esempio di PETRARCA, il quale rivolto alla morte
così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce
ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli
pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione
frasale “lume degli ochi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si
vuole por menle che ella non mostra il
lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha
l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure
retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di
gentilezza il segnato, che espressa con un termino *proprio* (e non un termino
figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio di Passavanti.
La innata concupiscenza, che nella s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata,
si cominciò a svegliare: la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma; e le
frigide membra, che come morte si giacevano in prima, si risentirono con
oltraggioso orgoglio. E VIRGILIO dice. O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua
moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e
i principale vantaggio della metaſora, onde sovente viene preferita al termino
proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle possono avere. Se bella e la
metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the
cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo e l'altra, a cui si reca,
chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji paragone di rose o polla e
poco somiglianti, e che sono male acconcie al proposto dne (“a woman without a
man is a fish without a bicycle”). Nessuna somiglianza si vede fra le cose
paragonale nella seguente metafora di MARINI. Folendo egli lodare un maestro,
che formara bellissimi esempi da scrivere, esalta la penna di lui, dicendo
ch'ella deve essere divina: Perchè una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto
e sicura, Se divina non è tanto non rola. E qual somiglianza è mai tra il
relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza quella metafora che volendo
segnare una cosa piccola prende da una cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai
assomiglia le lacrime della sua douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il
diluvio universale al bucato. Erro similmente colui che dice a suo amante. Son
gli occhi resiri archiòugiati a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È
bellissina la metafora che Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar
come fa il mare. Sarebbe difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le
biade. Viziose come le sopraddeile sono la più parte delle metafore usate dagli
scrittori del secolo XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i
monti per estrarne i metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio
colp inchiostro. Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè
il nostro secolo, sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra
nemico. Della metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo
essere mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir
cosi e che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la seguente:
Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora, che la sorvenire il
nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga
alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa
rimprovera ALIGHIERI per essere talvolta caduto in questo difeilo, siccome
quando disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal
vivanda fosse gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi,
se avessi avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine
plebea e sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo
Pallavicini, comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale,
quando disse, che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora
coll' inchiostro, e quando per accennare la qualità, ond'è costituita
l'eleganza della elocuzione, dice: saputi distintamente quali ingredienti
compongono quesla salsa, cioè l'eleganza; i quali modi sono da biasimare,
essendochè nel primo esempio li vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala
d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce l'abbietta voce che sa di cucina.
Similmente non paiono degni di lode coloro, che sogliono usare per vezzo della
conversazione un idiotismo, e segnatamente quello, che ha origine da certa
anticha costumanze dimenticata oggidi. Non merita lode Davanzali quando volendo
dire: o nulla o lullo: disse: o asso o sette. Questo proverbio, oltre chè si è
di vilissima condizione, è tolto da un giuoco, che potrebbe essere sconosciuto
a molli. E proverbio, del quale non si sa l'origine, il seguente; e perciò
freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di cercar la cosa dove ella non e.
Bastino questi pochi proverbi per moltissimi, che qui si po ebbero recare, e
de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti conversatori, onde parere versali
nella lingua antica. Aucora è biasimevole alcune volte la metaſora, che si
deriva dalle materie filosofiche; imperciocchè, se il fine, pel quale il
conversatore usa di quella, si è di rendere più chiaro e più vivo i concetto,
questo non si potrà ottenere traendo la similitudine da cose poco nole o malagevoli
ad intendere, come a la metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno
bisogno delle similitudini tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano
imagini, che vagliano a cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi
tempi sono alcuni conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta
metafora, avvisando d'illustrarne la sua mozzione conversazionale, e di mo
strarsi intendente e sottile; ma va grandemente errato, perciocchè non solamente
appor tano ombra ed oscurità (‘avoid obscurity of expression, be clear) alla
sentenza, ma danno segno di affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si
è dello di sopra che la metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi
agli oc ebi in forma quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci
porge ammaestramento col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima
non osservata; dal che si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar
maraviglia, de guardarsi dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle,
che, a somiglianza della monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza.
Non ogni metafora poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni
conversazione. Poichè tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri,
converrà avvertire che il grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità
del componimenlo. Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al
pensare della gente nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de'
climi fa che gli uomini abbiano diversi i costumi e le usanze, e perciò diverse
ancora le idee e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente
le similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi, incontra
che alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una
cosa marittima, tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e
costume. Il rigore o la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana
imaginativa sia più vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una
metafora naturalissime nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche
l’essere le geoli più o meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè
dove sono leggi meno buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza
del vero è più amore del verisimil; il che torna il medesimo, ove è minor virtù
intelleltiva, ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo
errore coloro, che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli,
sperano di venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti
e dalle tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro
inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di
bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul
brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i
torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono
in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe
anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se
non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto
contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere
produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga
manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli,
recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla
lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit
habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla.
Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem
corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse.
lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo
dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum
Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime
altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua
latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità
di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora
la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per
clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di
parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso
della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele
parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule
volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da
avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra
metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga
opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di
guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai
eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del
fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle
idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai
contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori
eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire
metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio
lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente
a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel
Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso
ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si
diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa
allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di
natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una
similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo
talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime
sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di
nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal
esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa
opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella
diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va.
glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco
al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi
soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi
mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora
divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla
mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali
riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di
quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi
a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra
loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi
e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere
nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi
palesement, che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione,
principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom, ' concorrer deve
a scuotere ed a sferzare l'industria, on de riguardo allo sviluppamento di
questa [Oh quanta confusione ed oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il
conversatore volesse dire, che i savi conobbero che la natura ha posto nel
cuore dell' uomo il desiderio d'emulare gli altri; e che da questo procede
l'industri; ma accoppiando i vocaboli principio e costituzione, che sono segni
d'idee molto astratte, colla melaforica voce “inserire” ha composto un enigma;
perciocchè nessuno polrà imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi
diviene la metafor, quando l'astratto segnato dalla espressione “principio” si
fa a scuolere ed a sferzare l'ind stria falla inopportunamente persona per
trasformarsi losto in altra cosa, che si sviluppa a guisa di una malassa. In
questa forma la metafora, che e vaghezza e luce della favella, diviene tenebre
alla mente e vano suono (flatus vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE
del conversatore non sia solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo
talvolta dilettevole e maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui
dilelto e maraviglia, si fango a derivare dalla metafora certe loro
conseguenze, come se in quella non già una simililudine si contenessa, ma come
se la cosa a cui si reca il nome novello, veramente si trasformasse nella cosa,
donde esso nome si toglie. Di questa specie di concetti si presero diletto i
prosatori ed i poeti del secolo decimo settimo, forse per desiderio di avanzare
gli scrittori delle altre elà, ed in fastidirono tutti i sani intellelli. Basti
di ques 1 [Atti dell' Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone
Grozio, per mostrare che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver
lodate nel principio di un epigramma le virtù di lei, sog giunse: Necfas est de
morte queri, namque ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con
l’espressione “fuoco”, imposta a cagione di similitudine, viene il conversatore
a trasformare la misera vergine in vero fuoco materiale; e quindi trae la
strana conseguenza, che ella mai non dovesse morire, o morire nel fuoco.
Similmente si è frivolo modo e sciocco il derivare la metafora dalla
somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose diverse, ALLUDENDO all' una
di esse mentre si fa mostra di ſavellare dell'allra. In questo difetto incorse
anche il primo de'nostri poeti lirici quando, piangendo la sua donna, parla del
lauro, ed allude freddamente al nome di lei, come nella canzone, che comincia, Alla
dolce ombra delle belle fronde ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi
fin qui parlato de' pregi e de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il
ragionare degli altri traslati di parole e di concetto e della figura: ma, perciocchè
queste cose sono state definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici,
stimo che qui basti il ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella,
se non in quanto vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo
stesso fine, che la metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto,
melte bene talvolta il trasportare l’espressione a un segnato improprio o
nominando invece del tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia,
ond'ella è composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare
(majestic plural – We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto
usando questo traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine
della cosa, da cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee,
che si vo gliono svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo
più che le altre ide, che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò
un solo esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele,
di quello ch: fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele
gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui,
che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa
all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa
o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno
con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela
dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per
l’effetto, o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per
la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso:
il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”,
giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza
alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono
in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già
dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”,
dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi
saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere
mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per
rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura,
ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che
nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi”
(contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far
uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella,
abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole
a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come
detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal,
riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici.
Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre
scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto
egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che
ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in
che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e
quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione
conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de'
traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine di Palavicini,
degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic
maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione
“eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza
e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad
essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da
tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella
si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid
unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole
morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà
(non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be
perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione
conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e
più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono
essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto
fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro
empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò
è da guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da
una vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più
da un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo
inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione,
che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le
seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi,
gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra
lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e
questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi,
che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta
qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle
cose onde fosti et cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando tacque
a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui do
mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene
questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione,
Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi
di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose
particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza;
ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben
ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il
concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in
falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè
quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che
vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non
induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo
che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un
solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando
negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine
eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon
desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i
lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane
forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori
plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo,
siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni
scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così
pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante,
e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi
quasi fisonomia, per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che
precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”,
si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può
mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di
essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non
usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in
chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il
giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila
recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa
cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola.
Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come
una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene
non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali, e
per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere
parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato;
e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti. La
negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che
falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno
credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e
fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere
eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua,
compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla
boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per
bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per
verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare
occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi?
Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno
dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si
fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma
nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non
la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione
vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe
la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed
arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil
conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo
di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua; e dalla sua definizione trarrò
alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre
sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle
quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua
(come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da
questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere
autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana;
ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione
intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee
proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e
diano opera gl'illustri scrittori. E così avvenne di vero nella formazione e
nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare
d'Italia, poichè, come dice BEMPO, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano e
e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano. Tutte
le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con chiarezza
i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o moderne; chè
le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie no
necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli
antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono
prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee
si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito
a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova
espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta
dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo –
libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua
italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli
illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando
si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non
si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero
vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la
potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo.
Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire,
cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali
hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i
quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi
forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”, e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi
e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque
sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per
derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente; ma alla co
storo petulanza coll'autorità di CICERONE ri spondano arditamente che colui, il
quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è
poela, ma non è uomo (CICERONE, de orat.). Quarta e ultima, se le parole
fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o
legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet. Il discorso può
ricevere varietà da sei luogh, che ad uno ad uno ver remo a dichiarare
brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente
la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti
del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci
sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi,
non tolga al discorso laproprietà necessaria; per non peccare contro la quale
sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero
intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare
l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà che
questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente
essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo
della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come,
a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire
era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare
della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe'
suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e
inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo
peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger,
che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un
esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel
rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al
cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la
congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata.
Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle
cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece
delle cose stesse, o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come
chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la
fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il
quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o
passivo da un verbio Potrai dire: Raffaele colori questa tavola, ovvero, da
Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o
questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria
d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o
positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative
seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione
splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non
isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in
my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo
in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda
praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con
termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da
cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi: ora
le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal
quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o
assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth
protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”)
si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto
sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem
virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna
ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è
il temere. La buona coscienza è sempre sicura. Avvegnachè la sentenze sia più
accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno
possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere
famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate
con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie
più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa
parere affettato. In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i
quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò
del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche
l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma
che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone
rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo
predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane
infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente
nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata,
ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori
invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di
Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si apprende a fare buon
uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non pare che quelle
sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per
recar luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto, onde viene grazia
o piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice una certa
proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano altrui
diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di
due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con proprio
nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi luo ghi, e
differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si traggono da
cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare veramente
che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle, che esso
comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la
congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per un
esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un
vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e
di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione
d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa
figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave
con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena,
che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed
accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna, che termina in
pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque
manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che
è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto
diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè
disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di
tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora
cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un
uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò
ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato,
o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol
dire: non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si
dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi
sono pres sochè infinile, e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro
dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali. Cicerone
distingue primieramente le maniere graziose, che consistono nelle parole, da
quelle che stanno nella cosa, o che si esprimono col parlare continuato. Egli
dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le
parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le narrazioni
verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini, e di
queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda consiste nella
imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato, come quella
che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole
con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne imitò cosi bene
la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo, per le statue,
distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si
naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due maniere, che
consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle che maggiormente
si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di que'concetti, la
grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni molli graziosi si generano
in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua
impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere disposto a cacciare dall'Italia
gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori fiorentini, che loro ne paresse.
Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza
tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto, quando ad alcuno, che
metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa inaspettata continuando la metafora
stessa. Tale si fu detto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fiorentini
ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la gallina cova, rispose. Male potrà
covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è
spesso cagione di ridere, come in questi versi del Berni: E prima, iodanzi
tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose
tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera della
facezia guardarci dal fare sovvenire il compagno conversazionale di cose laide
e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria: lo che
sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti
molti ridevoli si formano per via di iperbole [“Every nice girl loves a
sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo
le cose Cicerone parlando giocosamente di suo fratello, che essendo di piccola
slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato
mio fratello a quella spada? Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed
insulsi, ma spesse volte ancora gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo
di una donna, che fosse di molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe
ancora essere usato per lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è
in que’ delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la
quale l'altra s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo in cui si favella di un'amazzone dormiente,
recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena
era la faretr, e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono mai.
Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come fece
lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si era
trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione scusasi di
sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicuri; perchè,
o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose Scipione. Perchè non amo
gl;uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si
DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio
Claudio dice a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto affare, quale tu sei,
ignori il nome di tante persone. Non maravigliare, rispose Scipione, perocchè
io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a far si,
che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che chiamava
sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai chiamarlo “ignorantissimo”, perchè
col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto della risposta
conversazionale può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun
insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno spartano,
perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose. Acciocchè mirando in
essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga. Hauno
grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della
persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone caduto
inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto
parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse:
Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar via
la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti, che
procedono da sciocchezza o goffezz, finta o vera che ella sia. Tali sono le due
seguenti terzine di Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un fanciullo a
VIRGILIO Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece per
compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla
disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di
nuov, che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono
queste usate dal Boccaccio: picchia. pello; madonna poco.fila; lava-ceci; bacia
santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè
dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e
perciò inducono a ridere e han lode di graziose; ma se poi in forza dell'uso
divengono proprie, perdono, a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto
della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene
alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un
effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe
minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali
da Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e
che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia,
parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel
dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna.
Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi
da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di
ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con
grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il
buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a
tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per
l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa
procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza, la
benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con
venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la
conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di
pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa
role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della
chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol,
chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe
officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con
maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime
qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione; ina qui si
vuol prendere la parola nel segnato, in che viene usata da ' più de' moderni
reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si
dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o
forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia.
Tali sono i seguenti. Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di
vendicare Achill, e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli
inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne
il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di
Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato:
perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe
che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno
conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora
quel luogo di T. LIVIO nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal
pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la
fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria
fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla
nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e
tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec:
Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il? Med. Moi. In luogo del
nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto maraviglioso
e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella voce “moi”.
Il poeta latino col nome di Medea desta nel compagno conversazionale la memoria
della potenza, della sapienza e della magnanimità di quella maga. Divisata così
la natura de' motti graziosi e piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al
cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo
delle sentenze, cioè che lo scrittore si guardi dal fare troppo uso de'
concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi, poichè non è cosa tanto contraria
alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio manifesto e l'affettazione. Le
grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare che elle sono nemiche di tutto
che non è ingenuo e naturale. La grandezza similmente non va mai disgiunta
dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle cose, che sono piene
d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle
e divise imaginet le in luogo di quella imagine sola, che ci rappresenta la
cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che non avendo rispetto alla
materia, di che favellano, nè alle persone ne alla modestia nè alla gravità
conveniente allo scrittore, colgono tutte le occasioni, che loro porgono o le
cose o le parole, per trar materia di motleggiare; perocchè invece di mo strare
acutezza d'ingegno appaiono loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que, che
abusano dell'ingegno per empiere le scritture di freddi e falsi concelti, di
riboboli, di bislicci e d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime
arguzie le allusioni delle parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi
seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla
fatica, e per indur ſesta e riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è
costretto di udirli. Se il discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è
necessario che egli sia accompagnato dall' armonia, della quale niuna cosa ha
maggior forza negli uomini. L'armonia ci dispone al pianto e all'ira, e ci
rallegra e ci placa; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla
dolcezza di lei; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac
crescere efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely
(armosin), che segna connettere, è derivata la voce “armonia”. I maestri di
musica insegnano, che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel
medesimo punto; ma coloro, che parlano del l'arte retorica e della poelica,
presero questa parola quasi nel significato, che i maestri di musica prendono
quella di melodia, come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa
significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste
nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel
salire dal grave all'acut: e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia
sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si
succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano
dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere, semplice o imitative.
L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi, l'altra, oltre la
dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei movimenti delle cose
inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti: colle quali imitazioni
inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia. La
dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo
analogo, come è dello, alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le
voci e tutti gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole.
L'imitazione poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli
o robusti, secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo
alcuna cosa più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice
e l’armonia composita o imitativa. Le parole, le quali, come tutti sanno, si
compongono di vocali e di consonanti, sono più o meno armoniche, secondo che le
lettere delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le
vocali fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che
si succedono, producono quel suono spiacevole, che si dice iato; le troppe
consonanti fanno le parole aspre e diſficili a pronunciare: così l'incontro
delle sillabe somiglianti produce la cacofonia, Circa le parole non molto
armoniche, ma approvate dall' uso, diremo chę elle non si banno a rigettare; ma
si deve aver cura di collocarle in guisa, che il loro suono disarmonico serva
al l'armonia di tutto il discorso. Anzi sono da commendare quelle lingue che
ricche si trovano di vocaboli diversi di suono, i quali, giunti insieme con
bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia del conversare. Sebbene,
circa l'arte del collocare le parole con armonia, non possa darsi maestro
infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici scrittori, pure non
sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa delle parti, onde
l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che l’altenenza tra le
lettere, le sillabe e le parole, dalle quali risulta l'armonia, sono di due
ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè si pronunciano o in tempi uguali o
disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni sillaba differisce dall'altra per
aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di asprezza. Diciamo prima
delle attenenze di tempo. Pie chiamamo I LATINI quella certa quantità di
sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si potevano misurare colla battuta
del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori. E, poichè si
pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle parole)
in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano
la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le altre, che
occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio, si compone di due sillabe e
si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre: perciò coelum è un
piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due brevi. I piedi
sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de' semplici di due
sillabe, che sono o due brevi o due lunghe, una breve e una lunga, o una lunga
e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia combinazione delle brevi
e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha finalmente più di cento specie
dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici.
Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura
dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e definire non
si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di varii piedi,
i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi, onde sono
composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti
specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il
suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che
sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i
versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella
loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di
molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di esametri,
si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione di queste
armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi upili
nasce il ritmo poetico, così da quello di minuti membri d' indeterminala mi
sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome avremo
occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia della
favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle sillabe,
come si vede aver fatto i latini, per la qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto
determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali il Caro,
tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma quanto poco
(per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere rispondesse l'effett,
apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali, se non sono molto
aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere soavità. Ecco il chiaro
rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride. Scacciano
gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi coprendo; Spiraci con dolce fato
auretta vaga. A noi servono invece di piedi le sillabe é gli accenti, e quindi
è che da un determinato numero di sillabe e da una determinata positura di
accenti nasce il numero, onde si generano molte specie di versi. Omettendo le
di spute de'rettorici e le loro opinioni circa questa materia, faremo qui alcun
cenno solamente rispetto agli accenti. Le parole sono di una o più sillabe: se
di una soltanto, l'accento è su quella, come in tu, me, no, si: se di più o
egli è nell'ullima, come in mori, o nella pri 79 ma, come in tempo, o nella
penullima come in andarono, o prima di essa, come in concedea glisi. L’indicati
accento si dice “acuto”, perchè alzano la pronuncia: dove questi non sono, si
trova il “grave”, che l'abbassano. Gli acuto e il grave alzando ed abbassando il discorso, por tano
seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi il luogo de' piedi
Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la quantità delle
sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o ottonarii o
novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi nascono i
diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando della lingua
latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo upano
dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si piace di
que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo
specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere
per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso
ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù
imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle
lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione
delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra
lingua troverà, secondo che osserva BEMPO, voci sciolle, languide, dense,
aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e
strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno
ordinare.e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi.
tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina
Commedia: ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che ALIGHIERI udi
nell'Inferno: Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza
stelle, Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole
di dolore, accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano
un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come
l'arena, quando il turbo spira. Del medesimo genere sono i seguenti versi del
Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il
bosco suon: Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor
l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba: Con tal tumulto, onde la
gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin
sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il
guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers.
Aita, aita, Parea dicesse; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco rispose.
Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che
questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi
movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro.
Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il
furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante: Non altrimenti fatto che
d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu
rallento, E i rami schianta, abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va
superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori. Mirabilmente Virgilio descrisse il
tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo: Qua data porta ruunt et
terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque,
Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu
clus. Insequitur clamorque virum, stridorque rudentum. Fra i versi che
esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti: E caddi come corpo
morto cade; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur
praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare
dell'acqua precipitosa: ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il
Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù. In virtù di
quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente
il romor dell'acqua che l'inghiotte: Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo
stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del carro
di Net tuno: Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente,
ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole
di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue; Procumbit humi bos.
Dell’armonia che imita gli affetti col suono, Onde conoscere per qual modo gli
affelli vengano imitati dall'armonia, uopo è d'inve sligare quali altenenze
essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle altenenze si ponga
mente che ad ogni sorta di affetli risponde un particolar molo del l'organo
vocale, per cui si formano voci di verse secondo la diversità de' medesimi
affetli; all'allegrezza risponde il riso, alla mestizia il pianto; ed il riso
ed il pianto si manifestano con suono al tutto diverso: così presso tutte le
geoli la subita maraviglia è significata dal l'esclamazione ah, ovvero oh; il
lamento dall' eh, o dall’ahi; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da
principio sono elfelti naturali delle aſſezioni dell'animo, diventano poi,
merce dell'esperienza, segni di quelle: per la qual cosa interviene che i
vocaboli composti di ma, niera, che facciano mollo sentire il suono di quelle
leltere, che alle predette voci primitive si assomigliano, avranno virtù
d'imitare o questa o quella affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o
per l'o, che sono lettere di largo suono, saranno acconce ad esprimere
l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli: quelle, che declinano per la é e per
l'i, che sono lettere di molle suono, saranno convenienti alla malinconia ed
agli umili e miti affetti. [ Omnis enim motus
animi suum quemdam a natura habet vullum, et sonum et gesium (CICERONE, de
Orat. ). quelle,
che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le perturbazioni
dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle parole viene poi
rafforzata dalle attenenze, che le passioni hanno col numero. Volgendo la
considerazione alle varie passioni, si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è
fatto impetuoso, frettoloso nell'allegrezza, lento nella mestizia, svarialo
nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente
si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde
modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto. A somiglianza di quest' arte
maravigliosa, anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando,
innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole,
secondo la natura degli affetti, che di esprimere intende. Con quest' arte
medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la
gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di
questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer. mazione di quanto
abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a
innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del PETRARCA:
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se
dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono; sostituendo 1'i alla a.
Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due diverse
armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e
Francesca d' Arimino dolente dicono all’ALIGHIERIdi esser presti a rispon dere
alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile: Parlare e
lagrimar vedrai insieme; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono: Farò come
colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo
sdegno: E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La
velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello, apparisce in questo esempio
dello stesso poeta: Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè tanta viltà nel
core allelte? Perchè ardire e franchezza non bai? Un verso, che esprime luogo
pauroso e cupo, si è questo: 10 venni in loco d'ogni luce mulo. Dove si vede
che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe messo
nell'animo quel sentimento d'orrore. La e, che è lettera di suono lento, basso
ed oscuro, rende sommamente imitativi i se gucnti versi: Buio d'inferno e di
notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol
tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que'
maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo, ene
ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura, non già perchè
io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la regola; chè
anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari d'ogni allra
vaghezza poetica ed oratoria, nascere spontaneamente; ma questo volli fare,
perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti l '
intelletto a dirittamente giudi carne, e quindi a formare quell'interior senso
si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito, che prendono gli orecchi
alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere agli
orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del quale
diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o suono od
affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci faremo
oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre conciliare
l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello, ma spesso ancora con
quello, che rende più evi. denti o più efficaci i concetti, del quale ora ci
rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo della
collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la mozzione
conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le
proposizioni si possono, senza to gliere la chiarezza, alcuna volta posporre o
anteporre l'una all'altra in più maniere; ma è da por mente che, fra le molte
possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate, e che
spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più delle
volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine diretto,
e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi all'inverso,
segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma nifesta alcun
affetto; ma certo egli è che l'or. dine diretto (prescindendo dai mancamenti
che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di biasimo, siccome
freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire, ol. tre a quella
già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le parole e le
propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più efficace
l'espressione degli affetti? La filosofia ci mostra che le idee tornano alla
mente associate in quell' ordine, che vennero all' anima per l'impressione
delle cose ester 88ne, o in quello, che si genera in virtù della forza
particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che
maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre;
e questo mostrandoci, ella ne insegna che, se vogliamo fedelmente ritrarre
nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che
sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle
nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità
verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente
esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono
in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima
farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a
mano le altre secondo loro qualità e silo: La stanza quadra e spazïosa pare Una
devola e venerabil chiesa, Che su colonne alabastrine e rare Con bella
architellura era sospesa. Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea
d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran
lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli
occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e
l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale
somiglia, cioè la devota e venerabil chiesa: indi l'allenzione del riguardante
si indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne
alabastrine e rare: queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle
qualità dell'architellura, indi alle parli. più minute, cioè all'altare, alla
lampada, alla luce, che si spande d'intorno. Quanto giovi disporre le parole
nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle
successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo
esempio di Virgilio, il quale, volendo rappresentare all'imaginazione nostra il
greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi: Namque ut conspectu
in medio turbatus, inermis Constitit, atque oculis Phrygia agmina circumspexit.
La collocazione di queste parole è secondo l' ordine, nel quale avrebbero
proceduto le sensazioni di colui, che avesse veduto cogli occhi propri sinone,
e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima cosa, che gli
verrebbe all'animo, sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in
medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità, turbatus, inermis;
poi l'azione, constitit; poi la parte del' vollo, che subito chiama a sè
l'altenzione del riguardante, co Die quella, che è indizio dello stato dell'ani
ma, oculis; poi le cose, sopra le quali gli occhi si volsero, Phrygia agmina;
infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla tarda parola
circumspesil. go Un altro esempio dello stesso VIRGILIO dimo. slrerà come sieno
poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo
tranquilla per alla (Horresco referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt
pelago, pariterque ad litora tendunt: Pectora quorum inter fluctus arrecta,
jubacque Sanguineae exsuperant undas: pars cae lera pontum Pone legit,
sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo, jamque arva
tenebant; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant
linguis vibrantibus ora. و Colui che fosse presente al descritto caso,
osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli
fosse al co spetto, gemini a Tenedo; indi le acque per le quali nuotassero,
tranquilla per alta; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli
comiocerebbe a distinguere il loro divincolare; poi ecco che le due cose, che
da prima indi stinte si mostravano, si vedrebbe essere due serpenti, angues, i
quali più s'accostano e più li vedi, e più discerni l'azione loro; prima del
gittarsi sul mare, poi del girarsi al lido, incumbunt pelago, pariterque ad
litora lendunt; ed a mano a mano più visibili la. cendosi le qualità de'
serpenti, si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne,
e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec.
Finalmente udi rebbe il suono dell' acque, e ne vedrebbe le spume. Pervenuti al
lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni, ne
ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec. Per
l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la
catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso
avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni: di qualità che
all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri.
Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo
di chi mira le cose, e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del
particolareggiare: chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e
nella minutezza, la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente
particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose
hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a
concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore; così interviene talvolta, che
esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine, che è secondo i gradi
della ri. spettiva loro forza. Perciò è che qualvolta le idee in virtù delle
parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è caldo e
passionato; e freddo e di nessun efletto se l'ordine delle parole discorda da
quello delle idee. Nel libro IX dell'ENEIDE veggendo Niso l'amico EURIALO già presso
ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui feci), in me conver:
tite ferrum, O Rutuli, mea fraus onnis: nihil iste nec, ausus, Nec potuit:
coelum hoc, et conscia si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza
della passione di NISO, soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle
altre la voce me quarto caso, poichè la prima idea, che viene all'animo del
giovanetlo, si è quella della propria persona, che egli vuole sacrificare per
l'amico suo; poi vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della
legge. Similipente PETRARCA: E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero,
Apri tu, padre, inlenerisci e spoda. Se invece egli avesse dello: Apri tu,
padre, intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero,
l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si
presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con quelle
prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè si piaccia d'intenerirli.
Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria
sentenza, e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che
all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì, che le idee
vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio: Tu
se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio: Ri. prenderannomi,
morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay
verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo, qualvolla sieno posti
nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà: io
ti amerò sempre, che io sempre ti amerò: è facile il sentire come questa
seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il
Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo
alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne; perchè non
solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle
volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale
associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o
disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe
il trattare qui minutamente questa materia e il prescrivere le regole
applicabili a tutti i casi particolari; queste si possono age volmente dedurre
dalla regola generale, che abbiamo assegnata, e perciò stimiamo che qui 94
basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il
verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boccaccio,
rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione
vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il
fatto rimprovero, gli dice: in che non taccorgi che non il mio pec cato, ma
quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello:
non taccorgi che non riprendi il mio pec cato, ma quello della fortuna, avrebbe
par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in LIVIO, sdegnato che il padre suo gli abbia
inpedito di uccidere Annibale, si volge alla patria dicendo: O PATRIA FERRVM
QVO PRO TE ARMATVS HANC ARCEM DEFENDERE COLEBAM HODIE MINIME PARCENS QUANDO
PATER EXTORQVE ACCIPE. Ne'due citati luoghi son poste innanzi le idee, che
prima si presentano all'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il
verbo, che apporta luce alla MENTE SOSPESA dell'ascoltatore. Se T. LIVIO avesse
detto: O Patrin, accipe ferrum ec., oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo
naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe ancora mancato di
quell'arte, che l'attenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli
ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane vuole difendere ostinatamente
la rocca, subito la mente sta attendendo impazientemente che cosa esser debba
di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, resla preso da
subita maraviglia e ne riceve diletto. Nel collocare le parole secondo la
catena delle idee, si vuol porre grande cura di conciliare quest'ordine con
quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua, al quale non si
può contrariare. Qualvolta lo scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le
sue parole siensi di persé poste al luogo loro, e che chiunque avesse voluto
dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Questa si è quella facilità,
che molti avvisano di poter conseguire, ma spesso invano a ciò si affaticano e
sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gl’elemenli,
onde si compongono accade ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi
della CONVENEVOLEZZA, o sia del DECORO. Come dalla mescolanza de'sette colori
fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle cose dal
pittore imitate, cosi dalla mescolanza degl’elementi predetti, similmente fatta
con legge, nasce la varietà e la venustà della conversazione. Colui che si
facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole nobili, modi urbani,
mela fore, traslali, igure, sentenze, ec., verrebbe certamente a comporre di
buona materia as sai deforme Perſella riuscirà posizione, allorchè le parole e
i modi e l'armonia e le figure verranno e ben divisale le une con le altre e
lulle insieme, SECONDO I FINI che lo scrillore si propone, secondo la materia
della quale savella, secondo la condizione sua e di coloro che l'odono, secondo
i luoghi in cui parla; chè in queste tutte cose consiste IL DECORO. Dal decoro
nasce la leggiadria, che risplende nelle più belle opere dell'arle, e senza di
esso nessuna cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono I FINI speciali,
che lo scrittore si propone, varii i subbielli, di che può ragionare, varie le
umane condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le
specie de' conponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual carattere,
per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente: Il carattere del
discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali risultano la CHIAREZZA
e l'ornamento, fatta secondo la legge del decoro. E perciocchè la principal
legge del decoro si è quella, che riguarda IL FINE CHE CI PROPONIAMO QUANDO
ALTRUI MANFESTIAMO I NOSTRI CONCETTIi, a questo volgeremo tosto la nostra
considerazione. Chi scrive intende o a convincere o ä PERSSUADERE o dilettare altrui. Secondo questi tre fini
nasceno tre generi di scrivere o tre caratteri si diversi, che vogliono essere
di stigli e particolarmente considerati; cioè il filosofico, il PERSUASIVO, il
poetico. Di questi diremo prima alcuna cosa in generale, indine accenneremo le
specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è
il mostrare altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che
il lettore od ascoltatore non sola. menle venga di buona voglia nella sentenza
a lui esposta, ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto
dire ch'egli rimanga convinto. Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella
virtù del linguaggio, per la quale si genera il convincimento, ci saranno
subito manifeste le qualità, onde il carallere filosofico si distingue dagli
altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi
percepiamo l’ATTENENZA ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser
convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni
insieme collegate e procedenti da una o da più altre conformi a'falli, le quali
si chiamano principii; ed in questo secondo caso diciamo di essere CONVINTI CON
EVIDENZA DI RAGIONE. A costringere l’animo con questa evidenza intendono i
filosofi, ed a tal fine son loro necessarii i vocaboli di singolare
significazione ed i modi precisi; imperciocchè se nella catena delle
proposizioni che formano il ragionamento, una sola vi fosse di perplesso
significato, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportante
alcuna idea, si mulerebbero le attenenze delle dette proposizioni, dal che
procederebbe l'errore, come accade nelle operazioni aritmeliche, qualvolta, no
solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che Dio
volesse) di ordinare la lingua italiana a modo che dalle percezioni delle
qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non
fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il
ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria, come si ragiona nella
matemalica; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al
conoscimento delle attenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro
principii; e per tal forma ciascuno potrebbe sempre rendersi certo della
enunciata verità. Da tutto ciò si raccoglie che nella precisione delle parole e
dei modi sta la virtù di convincere; e che perciò essa precisione esser dee la
prerogativa dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle
figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che
l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le metafore, e
commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni,
non secondo la natura delle cose, ma secondo le apparenze e la capricciosa
indole della fantasia. Il sistema del Malebranche, ch'ebbe tanti se.guaci e
disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si
dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura,
e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente
alcune malerie (e tale è per avventura la ideologia ), le quali richieggono un
linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra; ma non è
perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera
scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia
filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza
degli artifizii oratorii, non venga ad invadere. il luogo del vero, nė paia che
il filosofo voglia invescare e prendere altrui: nulladimeno è necessario che a
quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo ragionare,
trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga oscurala.
Perciò il filosofo collo schivare le parole barbare, rance, oscure e
disarmoniche toglie ogni ruvidezza al suo discorso, e gli da grazia e
leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili, colle vereconde metafore
scelte a maggiore schiarimento di quanto per le parole ben determinate e
espresso; colla BREVOTÀ e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure,
quale sarebbe l'interrogazione, e specialmente coll’armonia facile e piana, e
con tutti gli allri modi naturali alla temperata favella. Questo carattere
filosofico e si ben divisato da CICERONE, che io stimo convenevole cosa di
recare le sue parole temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è
composta di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre
liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente
di astuto. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento
che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso di carattere PERSUASIVO o PROTETTICO [Grice –
‘protreptic’]. Poichè abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico, veniamo
a fare il medesimo della mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere” (“to
influence and being influenced”) segna propriamente far credere altrui alcuna
cosa; dal che manifesto apparisce essere grande la differenza tra il “convincimento”
e la “persuasion”. Perchè siamo CONVINTI è forza che conosciamo ogni
proposizione che compone un ragionamento fino alla prima percezione, dalle
quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè siamo “PERSUASI” basta
che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o l'apparenza o l'autorità
(non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a cagion d' esempio, di essere “PERSUASI”
che il sole si giri intorno la terra, ed altri che la terra si volga intorno al
proprio asse. Gl’uni prestano fede all'apparenza, gli allri al detto degl’uomini
sapienti. Ma di quello che credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione.
Da questo esempio, e da infiniti altri, si può vedere che la PERSUASINE non è
sempre generata dal conoscimento – o sceinza, ma credenza -- di ogni
proposizioe che si richieggono nella
dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti
del più degl’uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera
del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio: di
comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di adoperare figure che,
perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale, conformino i pensieri
di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli sia per venire nella
nostra sentenza, precipitosamente vi corra. Ma tutte queste cose si vogliono
adoperare a modo, che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione;
perciocchè l’uditore di qualsivoglia condizione sempre domanda al conversatore
che sia loro mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural
guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni proposizione ed ogni artificio,
nel quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio del conversatore si
è il provare la sua proposizione nella divisata maniera. Secondo, il dilettare.
Terzo, il commovere; accorgimento si richiede nelle prove; sobrieta dell’ornamento
che intendono al diletto; veemenza nel concitare l’affeto. Con queste arti si perviene a trionfare ed a
governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si
conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di
quanto afferma, questo non fa sempr: del che si può aver prova nella disputa,
che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una
delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa
(reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte
della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola
nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte
di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra
indicato modo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva, de
abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione falsissima;
perciocchè non si ſa inganno agl’uomini adoperando a bene quell'arte, che sola
si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono coloro, che possono
essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento;
anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti falsissimo il vero e piacesse
a Dio che così non fosse), è forz, per guadagnare l'opinione foro, venire ad
alcuna utile verità per le strade del verisimile; e questo non è certo
ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero ufficio dei conversatori si è l '
usare l'eloquenza non ad inganno, ma per indurre gl’uomini a fuggire il vizio,
a seguitare la virtù e la verità; per metter fine alle conlese, per sedare i
tumulti, per sollevare l'autorità della legge contro il volere di coloro, che
il privato bene antepongono a quello della repubblica: che se alcuni malvagi
intellelli abusano di tutte le arti civili, dovremo per questo sbandirle da
Roma e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude? Finalmente e la mozzion
conversazionale di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia fou dai
ROMANI inventata per proprio diletto, e poscia dagli autori della vila civile
ad ammaestramento di esso popolo adoperala. Piacque ad aleuni a solo ricreamen
to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti sotto il velame delle favole, delle
imitazioni e dei mirabili concetti pascosero la dottrina, e con locuzione
accesa nella fantasia e con soavi armonie si aprirono la strada alle menli
volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo
che niuno può dubitare che chiunque si dispone a fare una mozzione
conversazionale poetica non debba cercare di piacere alla più parte degli
uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il nostro Alighieri, la cui divina
Commedia leggevano anche le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti
a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha
vaghezza di essere salutato un autore di una mozzione conversazionale poetica. Se
dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano il più degli uomini,
e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a conoscere quali convengano e
quali disconvengano al carattere della mozzione conversazionale poetica. E
primieramente e palese che le espressione apportano diletto e colla materiale
struttura loro e colla qualità delle idea, che recano alla mente; perciò è che
l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà
generarsi. Una delle qualità necessarie alla mozzione conversazionale poetica
sarà dunque la più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato
l'intelletto in virtù della imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza,
perchè passeremo tosto a dire della natura delle idee dilettevoli. Il diletto
si genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la
mente senza tenerla in fatica: e perciò è che le imagini dei corpi diversi e
tulte quelle cose e que’ concetti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti,
ci recano maraviglioso piacere e le idee astratte all'incontro non lo ci
recano, perciocchè, se non sono mollo complesse, fanno lieve impressione
nell’animo; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e perciò
affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e
i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza di molte sensazioni
dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sensibili coll'aiuto
delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti della
mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la passione o l’azione,
e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali in virtù dei soli nomi
sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno conversazionale, o ci
verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti più
frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le cose,
siccoine colui che non ha per fine principale il diletto. Colla metafora si dà
corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della mente
quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al senso
di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predetti modi, si
perviene a dare a’ concetti intellettuali forma sensibile guisa, che nostro
compagno conversazionale, direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma
le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente si vegga questa prerogativa,
che sopra tutt e rende il carattere poetico distinto dagli altri, recherò ad
esempio alcuni concetti intellettuali, convertendoli in forma sensibile. Tutti
i viventi muoiono. La sede del romano impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio
Il popolo facilmente mula consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo,
sino a quello dei Tarquinii. Quello concetto si dice intellettuale, siccome
quelli che si denno giudicare secondo il segnato proprio di ciascuna parola;
sensibili saranno, qualvolla sieno espressi di maniera che giudicare si debbano
secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli
nel modo seguente. La morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’
palagi de’ re. Posciachè Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che
la seguiu Dietro quel grande, che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E
guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che
assai di lettano, e perchè contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono
veri intellettuali concetti, sono talmente proprie della mozzione
conversazionale poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno
per fine primario il diletto. Come queste poi si addicano più a cerle specie,
che a certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata
la natura del carattere poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro,
i quali cercando "fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e
di soltile ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e
distinto. I concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco
molta oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e
commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del
poet, o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E
quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo
dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi
molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare
a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli
vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e
non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta
si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per
le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra
sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si
vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati
i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna
nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari,
che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere
filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la
matematica, la fisica, la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria e
la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da
queste principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta,
richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in
chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar
parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano
diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle
persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due
maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono
avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre,
le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche
talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il
discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai
perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta
sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e
i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe
materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i
conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti
accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o
protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente
savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana
riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere
convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo
cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter
essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti
artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di
astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare
con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti
è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura
nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso
persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le
persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più
dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel
conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di
questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto,
cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è
perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il
discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona
dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto,
presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par
vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di
vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o
minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si
possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati: la seconda
degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo
basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere PERSUASIVO procedono.
La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di
quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima
specie e l’allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici; della
seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a
persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la
predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati.
Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le
cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il
carattere PERSUASIVO a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose
si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili,
piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del carallere
persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che a ciascuna
di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile comprendere e
chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un eroe o di un
sapiente si convengono maniere diverse da quelle, che sarebbero accomodate a
descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera famigliare intenla
a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura diversa dall' orazione
che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi che qui non sia bisogno
di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò, cioè, che von
solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere, ma ancora
particolare collocazione di parole e particolare armonia. Imperciocchè l'animo
di chi favella, essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato, o
elevato o umiliato, non è dubbio che, nel seguitare questi diversi affetti,
variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che
similmente dee variare l'armonia, se vero è ch'ella soglia naturalmente,
qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi
considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da
proferirsi ad alla voce, sogliono muoverla e modularla con diverso andamento da
quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente
in angusto loco alcun fatto narrasse; e perciò il ritmo di que ste due specie
di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le
nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi
negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia.
Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga,
insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de classici
scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole cosa il
collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice
alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre
coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col porre
innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli
di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e
particolari e generali, assalti, uccisioni, incendii, battaglie, saccheggi,
trattazioni, páci congiure, delilli e
virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai
capilani, i gravi consigli e i documenti della politica; di esprimere i
caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle
cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della
maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia,
cioè grave, siccome si addice a chi le gravi cose racconta, certo egli è che
secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello innalzarsi,
ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni più ameno
ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi introdolli a
parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da ogni parteggiare
dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere storico nè
l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie, nè la poetica
pompa, che torrebbe fede alla narrazione; perciò é forza che gli sieno proprie
le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale differisce sola
mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e altra specia del
discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in alcune specie il
carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore altitudine delle menti
umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa il carallere poetico;
imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno, quanto quelli, in cui la fantasia
prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi al poela una medesima disposizione.
Se il popolo porge orecchio alle finzioni noe. tiche, quasi come a cose vere, i
sapienti le riguardano come simboli della verità e quasi come leggiadri sogni
della filosofia, e in questo loro dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e
fino l'apparenza delle faticose forme filoso. fiche. Perciò è palese che il
poeta rivolge sem. pre le parole ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia
condizione, amano che la mente loro şia condotta ad operare senza fatica. Da
que. sto si ricava che ogni specie di carattere poe tico dovrà avere sempre la
prerogativa di schivare, come dicemmo di sopra, le idee che tengono in falica
l'intelletto, e rappresentare quelle, che vestile di forme sensibili, eserci.
citano la imaginativa. Non sarà dunque diviso in ispecie questo genere per
rispelto della diversità degl'intel letti, ma della condizione del poeta o
delle persone che introduce a parlare, e delle varie cose, che ei ſa subbietto
del canto. Ma, prima di entrare in questo proposito, parni che sia da togliere
una falsa opinione circa la natura della poesia. Sono alcuni i quali avvisano
che 115 ma il l'essenza di lei consista nel metro, e fra que sti è il
Melaslasio, il quale nella sua esposi zione della Poetica d'Aristotele sostiene
che la lavella metrica, per essere l'istrumenlo con che l'imitazione si fa, ne
forma l'essenza. Ma io domanderei voleplieri a coloro che cosi la pensano, qual
nome vorrebbono dare all’ENEIDE tradolla in favella sciolta dal metro? Le daranno
per avventura nome di prosa? L’espressione “prosa” altro non segna che discorso
senza metro, e per ciò verranno a dire solamente che quell'illustre racconto è
fatto sce. mo di quella sola qualità, di che grandemente si diletta l'orecchio,
ma non già di tutte le altre, che stabiliscono la natura dei discorsi composti
a fine di diletto. Dal che appare manifesto che un altro general nome è bisogno
per distinguere i discorsi composti per dilettare. E quale è a ciò più
accomodalo vocabolo che quello di poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua
origine, significa facilore o vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà
lo stesso che fabbricazione o finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i
discorsi, che si compongono a fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è
dilettevole sempre e in ogni sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che
il verso non è quello che faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio
talvolla più poeta si mostra in una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide.
Ed Orazio afferma che a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta
disgiungerne le membra, cioè loglierle il metro, e allora si vede
manifestamente che il carattere non le si toglie. Conchiudiamo pertanto, che il
metro induce diſſerenza di specie ma non determina la natura del genere; e
stabiliamo che a tutti i discorsi che
hanno per fine il dilettare con metro o senza, si conviene il nome di “poesia”.
Ora veniamo alle specie. Talvolta il
poeta rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli
Eroi; talvolta quella, ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore,
o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano
dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”,
e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si
possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in
varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo:
cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità
sue proprie. Magnificenza e gravità di mod, di sentenze e di arinonia, e splendore
d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra le laudi
degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui maniere
e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e canta di
subbielli meno nobili: quegli poi, che dice i mili affetti o gli scherzi o le
umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da ogni fasto
lontana, ed armonia soave e varia, ma sempre tenue. Alla detta varietà
d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano
secofl'umiltà, altri la mediocrità, altri l'allezza dell'armonia. Sono molti
esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al
ritmo delle due canzoni d'amore, una delle quali comincia, Chiure, fresche e
dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà
la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia,
e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri
ſalli; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi
epici, i romanzi, i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a
parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili, e quindi provengono le
tragedie, le commedie, le egloghe pastorali e le pisca torie. Ognuna di queste
specie, siccome è pa lese, ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla
condizione delle persone. Perciò è che il poeta, specialmente nella tragedia,
nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a
par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa, che lo
spettatore, ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire: così
parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale
favella fos sero i versi. Giovi questo generale avverli mento, perciocchè non
si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie.
Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari, alle quali colui che
ben vede di stintamente le raffigura: pure a quando a quando or questa or
quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa, che l'epico nelle
forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il
più sublime lirico parra alcuna volla, siccome fa l'epico. Lo stesso interviene
delle allre specie, fra le quali per fino la commedia talora si leva a
gareggiare colla Tragedia, e la tragedia al dire l'Orazio, spesso, si duole con
sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la nalura, si
scorge infinita diversilà, ma per questa spesso non è tolto che moltissimi indi
vidui della medesima specie, sebbene molto dissimili, non sieno egualmente
belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole colorite da'
celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello dell'imitare la
bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro dipingere.
Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i quali cerlo non
mancano nelle regole invaria bili dell'arte, sono fra loro assai differenti.
Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione, belle forme, ben
disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono i costumi e
gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù una cotale
mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la maniera
dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia mano
maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed
a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene
tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio
ed a nessun altro assomiglia? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni
dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno
di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della
perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza.
Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi
copioso, chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di
noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale
di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la
quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi
chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce
dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa
più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in
genere o in ispecie: ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene d'usarla
nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in generale,
carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie carattere
oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue: e stile di
Demostene, di CICERONE, di Ortensio, di Omero, di VIRGILIO: percioc chè nei
primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno
ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non
gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera,
che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della
fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l'
animo disposto: laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che far
si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo le
qualità dell'intellelto, della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo
sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare
civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile, non sarà
indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello
scrivere; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e
pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto, della fantasia
e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole e
pulito, bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si può.
L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di sentire, di
percepire, di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di
ricordarsi, di imaginare, ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente
usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù pressochè divina, che si
appella la ragione, la quale consiste nell'abito di. paragonare in sieme i
sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le
nozioni gene. rali; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie
o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro, e secondo i loro
gradi di più o di meno. A formare que sl’abito, sarà bisogno di studiare le
opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle
proprietà dell'intelletto e del cuore umano; di apprendere l ' istoria, senza
la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre
fanciullo; di osservare la nalura, di pralicare fra le diverse condi. zioni
degli uomini, e di operare ne privati negozii e ne' pubblici. Ad arriccbire
l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle
qualità sensibili che più ci muovono e dilellano; di congiugnere insie me con
verisimiglianza quelle, che sono di. sgiunte in nalura, e di significare per
siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene
di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie, ina di por menle a tutto ciò
che ai sensi porge diletlo, sia nelle azioni degli uomini e degli anigali sia
nel l’esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate; e soprattullo gioverà
di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia
genere e specie; chè que sto si è il fonte, dal quale si derivano le vuo ve e
maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed
all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i
quali, essendo il compendio di quanto ove i filosofi hanno osservato intorno le
cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano
quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno
di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno. Vuolsi però sull'osservanza
de'precelli avvertire ciò che nell'arle poetica osserva Zanotti; cioè che le
cagioni del piacere e del dispiacere trovate da’ filosofi, essendo cagioni
universali ed indeterminale, mostrano bensi i luoghi, non vogliono che si
ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o
rimanere, per non ecce dere o non mancare; ond' è che, a fare buon uso del
precello, è bisogno di quella discre. zione, che si acquista con lungo sludio e
fatica. Rispetto agli affelli, io mi penso che, sel) bene sieno da natura, pure
a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte. Se l'amore,
l'odio, l'ira, la mansuetudine, la misericordia ed allre affezioni dell'animo
na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da bellezza e da
virtù, l’odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio
che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per virtù della
viva' rappresentazione di quelle cagioni: dal che si raccoglie che lo
scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le
cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi
perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello, che
imperſellamente avrebbe operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione.
Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e
l'immaginativa, ed aiuta a muovere gli affetti, e che perciò ella si è il fonte
dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani intellelli da
due cagioni: queste sono: la naturale disposizione delle organo corporale e
l'azione delle cose esterne sopra di esso; sì falte ca. gioni sono di necessità
diverse in ciascuno; perocchè non è da credere che si possano tro vare due
corpi nella stessa maniera conforma li; ed è poi certamente impossibile che uno
riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per
la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si generi la scienza, e quindi
diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya, diversa la qualilà degli
affetti, e per conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire
diverso. Dal che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano
ad imitare lo stile d'altri. E alcuni pur sono che andando passo passo sull'
orme di ALIGHIERI, del Petrarca o del Boccaccio, avvisano alla costoro gloria
di per venire; ma le opere loro per verità, in fuori di un poco di pulita
buccia, niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere dagli scrittori?
Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia
ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli. Da questo scrillore
ci sludieremo di procacciare una cosa, da quello un'altra, a seguileremo sempre
la nostra natura, secondo l'esempio di Dante, il quale lasciò scritto di sè: lo
mi son un che, quando amore spira, nolo, ed a quel modo che delta dentro, vo
significando. Che se allrove disse a VIRGILIO: Tu se' lo mio maestro e lo mio
autore, Tu se' solo colui, da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo
onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel
poeta, ma sibbene la qualità, onde il carattere poetico é differente dal
filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo
stile di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a dire degli autori, che
coloro che amano di scrivere nell'italiana favella, devono scegliere a maestri.
Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina, perciocchè essendo notissimo
che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto il mondo, e
che questa nostra da quelle procede, ciascuno conosce di per sé quanta ulilità
trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola de' solo il
conversatore italiano, che agli altri si devono preporre. E prima è a sapere
che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro
tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli: che nel secolo
XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore della lingua latina
e per pusillanimità degli uomini d’Italia: che nel secolo XVI ſu dal Fortunio e
dal Bembo ridollo a regole deter. minate; e da molti ſu nobilmente adoperato in
varii generi di scritture: che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente
impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze, fu da alcun altro
scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e rivolto in
vanilà di falsi concelli: che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene usato, e da
moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato. Tale essendo stata la
fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi
sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli, cioè quello di studiare
agli antichi esemplari? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava
essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori
del Lazio, quanto maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia
per giovare a noi, che viviamo in un secolo, ove gl'ita liani, pressoché tutti,
più delle cose forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì, che
punto non pare alle loro scritture che sieno stali allevati in Italia?
Verissimo si ė (anche parlando delle arti) quello che dicono i politi ci, cioè
che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro
principii. Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro,
che amano il profitto de' giovani nelle lettere umane; pure sono al cuni cbe,
deridendo coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza
il darsi tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1centisti, abbia cura
dei concelli; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda
dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza
o ne' soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo
studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo
au. torità, non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta
non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare
prima nelle opere de’ trecentisti, ne’ quali è dovizia di vocaboli proprii e di
forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza, ed
a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero
eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà: non
dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di
piacer loro seguendo l'usanza? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii
ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor
d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivocazioni, e talvolta negligenza
e stranezza nel costrutti? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere
i soli scrillori del cinquecento, i quali seguitando le regole grammati. cali
dettate dal Fortunio e da Bembo, non solo scrissero correttamente, ma
trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie? A queste obbiezioni
risponderemo che si dee se guire l'usanza, del buon conversatore, l'usanza del
volgo; che non si vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino
ma non fra la copia delle maniere proprie, nobili e graziose, varii difelli; ma
che per questo non ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro
sopra tutti quel secolo beato, e di leggere per tempo i suoi eccellenti
scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile il rendersi famigliari
e domestiche le maniere native e gentili, altrettanto è facile di perdere
l’abito di peccare contro la grammatica e contro l’uso. La predetta virtù non
si può acquistare se non con lungo esercizio: il diſello si può togliere assai
agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per la filosofia e per
la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di ben
distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban
no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed
efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per
essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo
adoperarono la lingua, che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca e
dagli altri tre centisti, emulando mirabilmente i romani in molli generi di
scrilture: ma teniamo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al
candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma
gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché
lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla
filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella
buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere
con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la
tenera età, troveranno assai comodale al bisogno le parole ed i modi usati
da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia dell'italico
sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo, in che
a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora
apprenderanno da Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino
sobrietà ed evidenza; dal Carocopia, efficacia e gentilezza; da Casa splendore
e magnificenza; da GALILEI ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso i pregi
lulli, ond' ė divina la poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri molli,
che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di. sposto
se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del trecento,
da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o Giovani, è
quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel cammino
delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario. Vi
ho mo strato quali sieno gli elementi dell’ELOCUZIONE; come nel contemperarli
secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final. mente come
lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere si perfezioni.
Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio fanno l'arte, è
vero altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo stile cercate onore,
vi sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di scrivere mollissimo. Ricerca
Sinestesia (figura retorica) Questa voce sull'argomento retorica è solo un
abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. La
sinestesia (dal greco syn, 'insieme', e aisthánomai, 'percepisco') è una figura
retorica, in particolare un tipo di metafora ("metafora
sinestetica"), che prevede l'accostamento di 2 parole appartenenti a due
sfere sensoriali diverse. Ha largo uso in poesia ed in genere nella
versificazione: «L'odorino amaro» (Giovanni Pascoli, Novembre.)
«Voci di tenebra azzurra.» (Giovanni Pascoli, La mia sera.) «Venivano
soffi di lampi.» (Pascoli, L'assiuolo.) «Urlo nero» (Salvatore
Quasimodo, Alle fronde dei salici.) Tra le canzoni, si può citare Il sogno di
Maria di Fabrizio De André: «Quando mi chiese: "Conosci
l'estate?" io per un giorno per un momento, corsi a vedere il colore del
vento.» È usata anche nella lingua di tutti i giorni ("colori
caldi", "giallo squillante" ecc.) e quindi anche in prosa.
NoteModifica ^ Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano,
Arnoldo Mondadori Wikizionario contiene il lemma di dizionario
«sinestesia» Portale Linguistica: accedi alle voci di Wikipedia che
trattano di Linguistica Ultima modifica 2 mesi fa di Nima Tayebian, Enfasi
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Sinestesia (psicologia) fenomeno sensoriale/percettivo Lingua Segui Modifica
Avvertenza Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non
essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono
il parere medico: leggi le avvertenze. La sinestesia è un fenomeno
sensoriale/percettivo, che indica una "contaminazione" dei sensi
nella percezione.[1] Il fenomeno neurologico della sinestesia si realizza
quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono a delle
esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo percorso sensoriale o
cognitivo. Possibile visione dei mesi dell'anno da parte di una
persona soggetta al fenomeno della Sinestesia Descrizione generale del
fenomenoModifica Con il termine "sinestesia" si fa riferimento a
quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva
è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella sua forma
più blanda è presente in molti individui, spesso dovuta al fatto che i nostri
sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli
altri. Più indicativo di un'effettiva presenza di sinestesia è il caso in
cui il percepire uno stimolo (come ad esempio il suono) provoca una reazione
netta e propria di un altro senso (ad esempio la vista). Per "forma
pura" si intende la sinestesia che si manifesta automaticamente come
fenomeno percettivo e non cognitivo. Il fenomeno è involontario, ma una
maggiore attenzione prestata dal soggetto può evocarlo con maggiore consapevolezza,
al punto che il sinestesico puro, vedendo i suoni e sentendo i colori, può
riuscire a trarre vantaggio da queste contaminazioni sensoriali; un compositore
che sfruttava questa sua capacità fu Messiaen, così come il pittore Kandinskij,
che affermava di poter sentire la voce dei colori, che per lui erano suoni,
entità vive e lo spiega bene nel suo libro Lo spirituale nell’arte. Un altro
sinestesico fu il pittore e musicista lituano, Mikalojus Konstantinas
Čiurlionis. Il compositore russo Skrjabin era particolarmente interessato agli
effetti psicologici sul pubblico quando sperimentavano suoni e colori
contemporaneamente. La sua teoria era che quando si percepiva il colore giusto
con il suono corretto, si creava "un potente risonatore psicologico per
l'ascoltatore". La sua opera sinestetica più famosa, che viene eseguita
ancora oggi, è Prometeo: il poema del fuoco. Ma la lista degli artisti
sinestesici è molto lunga, infatti le ultime ricerche affermano che il fenomeno
sinestesico interessi il 4% della popolazione e di questo 4% la maggior parte
sono artisti. Un'altra caratteristica della sinestesia è poi che si presenta a
volte nelle persone mancine, o in concomitanza con altre caratteristiche come
l'allochiria (confusione della mano destra con la sinistra), scarso senso
dell'orientamento, dislessia, deficit dell'attenzione e, raramente,
autismo. Spesso la contaminazione sensoriale avviene a direzione unica:
ad esempio, se vedo una nota musicale come un colore, non è detto che vedendo
quel colore la mia mente evochi quella nota. Questa è una delle caratteristiche
della sinestesia percettiva, l'unidirezionalità. Secondo lo storico Angelo
Paratico il mancino Leonardo Da Vinci era affetto da sinestesia. Esperienze di
tipo sinestetico possono essere indotte in maniera artificiale, mediante l'uso
di sostanze allucinogene, sostanze stupefacenti come l'LSD, esperienze di
deprivazione sensoriale, meditazione, ed in alcuni tipi di malattie che
colpiscono la corteccia cerebrale. Questo tipo di sinestesia è detta
pseudosinestesia, in quanto è indotta o non presente dalla nascita. La
sinestesia acquisita sembra riguardare solo le forme di sinestesia percettiva,
e non sono stati documentati casi di sinestesia concettuale acquisita. Le
persone che hanno esperienze sinestesiche nella "forma pura" sono un
numero relativamente ridotto. Studi recenti hanno mostrato una certa
variabilità: 1 ogni 2000 1 ogni 200 Queste esperienze sono quotidiane ed
iniziano sin dall'infanzia. Molti sinestesici si sorprendono scoprendo che
questa esperienza non è provata da tutte le persone. L'esperienza
sinestetica è composta da due elementi: L'evento induttore (inducer).
L'evento concorrente (concurrent). Per esempio, può accadere che un sinestesico
descriva il suono (inducer) del proprio bambino che piange come un colore
giallo sgradevole (concurrent). La relazione tra un inducer e un concurrent è
sistematica, nel senso che a ogni inducer corrisponde un preciso
concurrent. Grossenbacher et Lovelace (2001), distinguono due tipi di
sinestesia a seconda che l'inducer sia percettivoo concettuale.
Sinestesia percettiva: l'inducer è uno stimolo percettivo (per es. la vista di
lettere produce anche la vista di colori "collegati"). Sinestesia
concettuale: i concurrent sono prodotti dal pensare a un particolare concetto (per
es: numero, mese dell'anno, posizione nello spazio). Si utilizza intensivamente
la sinestesia anche nella terminologia utilizzata nella degustazione o
nell'analisi sensoriale. Basi genetiche della sinestesiaModifica
Purtroppo con le competenze scientifiche attuali non è possibile identificare
singoli loci genici che determinino con certezza questo fenomeno
neurocognitivo. Il fenomeno è più probabilmente dovuto a un complesso
meccanismo neurale e non a singole proteine codificate da parti di genoma. In
ogni caso interessanti esperimenti di neuroimaging paiono confermare tale
fenomeno. Sinestesia: grafema-coloreModifica Ramachandran e i suoi
collaboratori hanno notato che la forma più comune di sinestesia è quella
grafema(lettera, numero) - colore e infatti i rispettivi centri cerebrali sono
molto vicini tra loro. Tecniche di neuroimmagini (es. risonanza magnetica
funzionale) hanno permesso di individuare il "centro del colore" (es.
Zeki et Marini, Brain), l'area V4 nel giro fusiforme. L'area dei grafemi
è stata anch'essa individuata nel giro fusiforme, in particolare nell'emisfero
sinistro vicino all'area V4. L'area si attiva sia in seguito alla presentazione
di lettere sia in seguito alla presentazione di numeri. L'ipotesi di
Ramachandran è che ci sia una attivazione congiunta. La presentazione di un
grafema fa attivare l'area dei grafemi, che fa attivare contemporaneamente
anche l'area del colore, anche senza la presenza di uno stimolo. Questo è
dovuto ad un eccesso di connessioni tra le due aree, non presente in tutte le
persone. Le connessioni che si hanno alla nascita sono un numero
superiore di quello che si trovano in un cervello adulto. Quello che avviene
nei primi mesi di vita è un processo definito pruning (potatura, sfoltimento)
delle connessioni cerebrali. L'ipotesi di Ramachandran è che le connessioni tra
area del colore e area dei grafemi, che normalmente subiscono un processo di
pruning, rimangono invece intatte nei sinestesici. Probabilmente per una
mutazione genetica che fa fallire il processo di pruning. Esisteranno delle
regole che in seguito all'esperienza permetteranno di sviluppare connessioni
particolari tra area dei grafemi e area del colore. Questo spiegherebbe perché
ad un grafema viene sempre associato un certo colore. Ramachandran ipotizza
che l'attivazione del giro fusiforme non implichi un arrivo alla coscienza
delle informazioni. Perché sia possibile essere consapevoli dell'informazione
percepita si dovranno attivare altre aree superiori. Tuttavia, Grossenbacher
sostiene che la sinestesia non sia dovuta alla presenza di un numero maggiore
di connessioni neurali (le quali non sarebbero presenti nei non sinestesici);
infatti, secondo lo studioso tale fenomeno percettivo è imputabile al fatto
che, nel cervello dei sinestesici, alcune connessioni neurali risultano ancora
attive, mentre non vengono più "utilizzate" in chi non sperimenta
tale modo di percepire. Questo spiegherebbe il motivo per cui chi assume droghe
psicoattive sia in grado di esperire una condizione di "pseudo-sinestesia",
circoscritta esclusivamente al limite temporale in cui tali sostanze
dispieghino il loro effetto, per poi tornare a non percepire sinestesicamente
una volta terminato quest'ultimo. Secondo Grossenbacher è molto improbabile,
infatti, che si siano create nuove connessioni neurali durante l'assunzione di
tali droghe; piuttosto, risulta più probabile che vengano percorse
"strade" neurali solitamente "disattive". Influenza
dell'attenzione sulla percezioneModifica Esperimento di Ramachandran e Hubbard:
caso della figura gerarchica (un 5 composto da tanti 3), se ai soggetti veniva
chiesto di fare attenzione a livello globale vedevano il colore rosso, se
invece dovevano dirigere la loro attenzione a livello locale vedevano
verde. Questo esperimento porta a concludere che l'attenzione influenza
il manifestarsi del fenomeno sinestesico. Sinestesici projectorModifica
Nel caso di grafema-colore, il colore è visto come una pellicola che ricopre il
numero completamente. Un sinestesico testato da Dixon, riferiva di provare
un'esperienza irritante se il numero era di un colore incongruente con quello
del fotismo (l'effetto della sua sinestesia). Se per esempio il numero 5 gli
evocava il colore rosso, ma in realtà era scritto con il giallo.
Sinestesici associatorModifica Sempre nel caso di grafema-colore, il colore
appare nella mente, e non sopra il numero. In genere, i sinestesici associator
riferiscono che l'esperienza di vedere un numero con un colore non congruente
con quello del fotismo, non è un'esperienza per nulla disturbante. La
percezione del colore "reale" del numero è un'esperienza molto più
intensa del fotismo, per un sinestesico associator. I sinestesici
projector sembrano una minoranza rispetto ai sinestesici associator (11 su 100,
tra quelli intervistati da Dixon e collaboratori). Tra i maggiori
studiosi della sinestesia percettiva, Richard Cytowic, Ramachandran, E.
Hubbard, Sean Day, Bulat Galeyev, Irina Vaneckina. Rapporto con i canali
del calcioModifica Studiando nel moscerino della frutta un gene coinvolto
nell'elaborazione del dolore, alcuni ricercatori hanno creato il primo modello
della sinestesia. Con la tecnica dell'interferenza a RNA hanno isolato 600 geni
quali candidati a interessare possibili geni del dolore. Il primo ad essere
analizzato più in dettaglio è stato quello che codifichi parte di un canale del
calcio noto come alfa 2 delta 3 (α2δ3). Questi canali che regolano il passaggio
di Ca2+ attraverso la membrana cellulare sono fondamentali per l'eccitabilità
elettrica dei neuroni. Con questi canali interferiscono diversi
antidolorifici. Nei topi carenti di α2δ3 si è dimostrato che questo gene
controlli la sensibilità al dolore provocato dal calore sia nella Drosophila
sia nei mammiferi. Indagini condotte con la MRI hanno anche rivelato che α2δ3
partecipi all'elaborazione del dolore termico a livello cerebrale. In assenza
di α2δ3 il segnale del dolore a genesi termica arriva al talamo, ma poi non
prosegue verso i suoi centri corticali superiori. Le immagini di fMRI mostrano
piuttosto un'attivazione crociata delle aree corticali per la visione,
l'olfatto e l'udito. Questa sinestesia si osserva anche quando lo stimolo
doloroso sia di natura tattile. Emozioni colorate | Le Scienze, su
lescienze.espresso.repubblica.it. ^ Harrison, John E.; Simon Baron-Cohen Synaesthesia:
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November 3, 2005. URL consultato il libero. ^ percezione e idee, la sinestesia
| PsycHomer, su psychomer.it Le Scienze:
Non provo dolore, ma ne sento l'odore e ascolto le note Córdoba M.J. de,
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Internacional Artecittà, Edición Digital interactiva, Imprenta del Carmen. Granada Córdoba M.J. de, Riccò D. (et al.), Sinestesia. Los fundamentos
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interazioni sensoriali nell'epoca dei multimedia, Etas, Milano, Riccò D.,
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T., Storia delle sinestesie. Le origini dell'audizione colorata, Genova, 1986.
Tornitore T., Scambi di sensi. Preistoria delle sinestesie, Centro Scientifico
Torinese, Torino, Voci correlate Takete e Maluma Sinestesia tattile-speculare
Altri progettiModifica Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma
di dizionario «sinestesia» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su sinestesia Collegamenti esterniModifica Udire
i colori, gustare le forme, su lescienze.espresso.repubblica.it, Le Scienze.
TED Talk: "I listen to color" Portale Psicologia. Qualia aspetti qualitativi
delle esperienze coscienti Locus ceruleus Sinestesia tattile-speculare
raro fenomeno sensoriale/percettivo Wikipedia IlWikipedia Ricerca
Sinestesia (film) film diretto da Bernasconi Sinestesia Lingua originale italiano
Paese di produzione Svizzera Durata 91 min Rapporto1:1.85 Generedrammatico
RegiaErik Bernasconi SceneggiaturaErik Bernasconi ProduttoreVilli Hermann,
Imagofilm Lugano e RSI FotografiaPietro Zuercher MontaggioClaudio Cormio
Effetti specialiFlavio Scarponi, Oltremondo studio Lugano MusicheZeno Gabaglio,
Christian Gilardi ScenografiaFabrizio Nicora CostumiLaura Pennisi Interpreti e
personaggi Alessio Boni: Alan Giorgia Würth: Francoise Melanie Winiger: Michela
Leonardo Nigro: Igor Teco Celio: Padre di Francoise Bindu De Stoppani: Maide
Roberta Fossile: Cathrine Igor Horvat: Martin Federico Caprara: Uomo strano Eva
Allenbach: Segretaria Massimiliano Zampetti: Infermiere Daniele Bernardi:
Fisioterapista Alessandro Otupacca: Proprietario ristorante Sinestesia è un
film del 2010 scritto e diretto da Erik Bernasconi, prodotto da Villi Hermann e
coprodotto da Giulia Fretta per la RSI. I protagonisti sono Alessio Boni,
Melanie Winiger, Würth e Nigro. È stato nominato ai Quartz per la miglior
sceneggiatura, per la miglior attrice (Melanie Winiger) e per la miglior
attrice esordiente (Giorgia Wurth). La pellicola è uscita nelle sale ticinesi. Trama
Il film racconta due momenti della vita di quattro giovani adulti confrontati
con le prove del destino. Alan, sua moglie Françoise, la sua amante Michela, il
suo migliore amico Igor, vivono le sfaccettature del quotidiano dopo un
incidente che costringe Alan su una sedia a rotelle. Per questo la narrazione
si compone, con una struttura circolare, in quattro capitoli: uno per
personaggio, ognuno ispirato a un genere cinematografico. Sono quattro momenti
di una stessa storia, che esplorano le emozioni dei personaggi da quattro
angolature diverse. La trama si basa in larga parte sull'osservazione di fatti
realmente accaduti e affronta con accenti diversi (thriller psicologico,
commedia, dramma…) i temi dell'amicizia, dell'amore, dell'infedeltà e della
disabilità. ProduzioneModifica L'idea del film è partita nel dicembre
2006, con la lettura di un trafiletto in un quotidiano. Poi nell'estate del 2007
il regista e sceneggiatore Erik Bernasconi ha vinto un concorso indetto dal
Dipartimento della Cultura del Cantone Ticino e dalla RSI per progetti di
scrittura di film. Così Erik Bernasconi inizia a collaborare con il produttore
Villi Hermann, della Imagofilm, e parte la stesura della sceneggiatura.
AmbientazioneModifica Il film è stato girato quasi interamente nella Svizzera
italiana, a parte alcune scene girate a Lucerna e Ginevra. Le riprese hanno
avuto luogo nella primavera e nell'estate del 2009.
RiconoscimentiModifica 2010 - Premio del cinema svizzero Candidatura al premio
Quartz per la miglior sceneggiatura Collegamenti esterniModifica ( EN )
Sinestesia, su Internet Movie Database, IMDb.com. Sinestesia, su Rotten
Tomatoes, Flixster Inc. Sinestesia, su FilmAffinity. Modifica su Wikidata
Portale Televisione: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
televisione Ultima modifica 2 mesi fa di Botcrux Melanie Winiger modella e attrice
svizzera Erik Bernasconi regista e sceneggiatore svizzero Zeno
Gabaglio Grice: “It may be said that my transcendental Kantian approach to
cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally empiricist
(or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of
conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the categories that
inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista della
communicazione – senso – consenso – aesthesis – synaesthesia --– idea dei chi
proferisce la proposizione “Me diletta l’odore di questa rosa piu del colore”,
cooperiamo, e la risponsa di nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il
colore di questa rosa piu dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa”
– The Swimming-Pool Library.
Grice
e Costantino: la ragione conversazionale
a Roma – la scuola di Naissus – i romani della Dardania -- filosofia italiana –
Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Naissus, parte
dell’Impero Romano, oggi, Nis, nella Serbia, capostipite della dinastia
costantiniana: Cloro Costanzo, romano d’origine illirica e nativo della
Dardania. Madrelingua: latina unicamente. Costantino I. Costantino I Cesare e
poi Augusto dell'Impero romano Testa dell'acrolito monumentale di Costantino
(Musei Capitolini) Nome originale: Flavius Valerius C. Regno Cognomina ex
virtute: Pius Felix Invictus Maximus Victor Triumphator Germanicus maximus IV
Sarmaticus maximus III Gothicus maximus II Dacicus maximus Adiabenicus Arabicus
maximus Armeniacus maximus Britannicus maximus Medicus maximus Persicus maximus Nascita Naissus Morte Nicomedia
Sepoltura Chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli Predecessore Costanzo
Cloro (per parte dei territori di competenza amministrati) e Flavio Severo (per
la carica di Cesare d'Occidente) Successore Costantino II (cesare) Costanzo II
Costante I (cesare dal 333) Dalmazio (cesare dal 335) Coniuge Minervina Fausta
Figli Crispo Costantina Costantino II Costanzo II Costante I Elena Dinastia Costantiniana
Padre Costanzo Cloro Madre Elena Flavio Valerio Constantino (Constantino I)
Moneta di Costantino con la rappresentazione del monogramma di Cristo sopra il
labaro imperiale Nascita Naissus Morte Nicomedia Cause della morte naturali
Luogo di sepoltura Chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli Religione cristianesimo
convertito dal paganesimo Dati militari Paese servitor Impero romano Forza
armata Esercito romano Grado Augusto Comandanti Costanzo Cloro e Massimiano
Guerre Guerra civile romana Campagne germanico-sarmatiche di Costantino
Invasioni barbariche del IV secolo Campagne siriano-mesopotamiche di Sapore II
Battaglie Battaglia di Verona Battaglia di Torino Battaglia di Ponte
Milvio Battaglia di Cibalae Battaglia di Mardia Battaglia dell'Ellesponto
Assedio di Bisanzio (324) Battaglia di Adrianopoli Battaglia di Crisopoli
Nemici storici Massenzio e Licinio Comandante di Esercito romano voci di
militari presenti su Wikipedia Manuale San Costantino I Raffigurazione di san
Costantino nella basilica di Santa Sofia a Istanbul. L'imperatore, che la
Chiesa ortodossa ha definito «Simile agli Apostoli», proclamandolo santo, è
raffigurato nell'atto di dedicare la basilica. Imperatore Nascita Naissus Morte
Nicomedia Venerato da Chiesa cristiana ortodossa Santuario principale Chiesa
dei Santi Apostoli Ricorrenza 21 maggio Manuale Battaglie di Costantino I nella
guerra civile. Flavio Valerio Aurelio Costantino, conosciuto anche come
Costantino il Vincitore, Costantino il Grande e Costantino I (in latino:
Flavius Valerius Aurelius Constantinus; iΚωνσταντῖνος ὁ Μέγας?, Konstantînos o
Mégas; Naissus, Nicomedia), è un filosofo italiano. Costantino è una delle
figure più importanti dell'impero romano, che riforma largamente e nel quale
permise e favorì la diffusione del cristianesimo. Tra i suoi interventi più
significativi, la riorganizzazione dell'amministrazione e dell'esercito, la
creazione di una nuova capitale a oriente, Costantinopoli, e la promulgazione
dell'Editto di Milano sulla libertà religiosa. La Chiesa ortodossa e le
Chiese di rito orientale lo venerano come santo, presente nel loro calendario
liturgico, col titolo di Eguale agli apostoli; mentre il suo nome non è presente
nel Martirologio Romano, il catalogo ufficiale dei santi riconosciuti dalla
Chiesa cattolica. Le fonti primarie sulla vita di Costantino e sulle relative
vicende da imperatore devono essere prese con la dovuta cautela. La principale
fonte contemporanea è costituita da Eusebio di Cesarea, autore di una Storia
Ecclesiastica che non manca di esaltare la gloria e la nobiltà di Costantino in
quanto imperatore, a cui fa seguito una Vita di Costantino che ne costituisce
una vera e propria agiografia. Anche Lattanzio, nel suo De mortibus
persecutorum, delinea in modo netto la distinzione fra il pio Costantino e il
perverso Diocleziano (Salona). Distinzione forse non del tutto disinteressata,
visto che Lattanzio, nato in Nordafrica da famiglia pagana e convertitosi al
cristianesimo, dove fuggire precipitosamente da Nicomedia, sede imperiale di
Diocleziano, all'alba dell'ultima persecuzione contro i Cristiani. La stessa
cautela deve valere per la Storia Nuova di Zosimo. Infine, l'appendice alla
storia di Ottato di Milevi sullo scisma donatista racchiude alcune lettere che
C. invia ai cristiani del Nordafrica e che, se autentiche, potrebbero rivelare
alcuni tratti del pensiero dell'imperatore riguardo alla questione.
Albero genealogico della dinastia costantiniana che ha in COSTANZO CLORO (si
veda) il vero capostipite. Costantino nacque a Naissus (odierna Niš, in
Serbia), un modesto centro situato nella provincia romana della Mesia
Superiore, figlio di COSTANZO CLORO (si veda), militare e politico romano di
origini illiriche e nativo della Dardania. Costantino e di madrelingua latina
e, ha sempre difficoltà nel padroneggiare il greco, tanto da doversi avvalere
d'interpreti con locutori ellenofoni. Si conosce pochissimo della sua gioventù.
Perfino la sua data di nascita è incerta. Forse è proprio durante l'adolescenza
che gli è affibbiato il soprannome dispregiativo “Trachala,” da interpretare
nel senso di "viscido come una lumaca". Nominato Prefetto del
pretorio delle Gallie (cioè comandante militare) e in base al sistema della
Tetrarchia voluta da Diocleziano, nominato Cesare dall'Augusto di Occidente,
Massimiano, di cui sposa la figliastra Teodora. Costantino e affidato
all'Augusto d'Oriente, Diocleziano, ed educato a Nicomedia presso la corte
dell'imperatore, sotto il quale comincia la carriera militare: fu tribunus
ordinis primi e con questo grado fu al seguito dello stesso Diocleziano nel suo
viaggio in Egitto. Successivamente partecipò attivamente alla campagna contro i
Sasanidi condotta da Galerio per poi tornare a servizio di Diocleziano con il
quale lascia definitivamente l'Egitto attraversando la Palestina. Combatté
ancora tra le file dell'esercito di Galerio sul confine danubiano, ove si
distinse nelle guerre contro i Sarmati. Diocleziano abdicò a favore del proprio
Cesare Galerio e lo stesso fa Massimiano in Occidente, a favore di Costanzo
Cloro. Galerio nomina proprio Cesare il nipote Massimino Daia e impone a
Costanzo, con il sostegno di Diocleziano, come nuovo Cesare Flavio Severo, un
ufficiale di alto rango che aveva militato tra le file dello stesso Galerio.E
in questo frangente che Costantino raggiunse il padre in Britannia (alcune
fonti vogliono che quella di Costantino sia stata una vera e propria fuga da
Nicomedia, dove Galerio avrebbe voluto trattenerlo per garantirsi la fedeltà di
Costanzo Cloro) e condusse con lui alcune campagne militari nell'isola.Circa un
anno dopo, Costanzo Cloro morì nei pressi di Eburacum, l'odierna York. Qui
l'esercito, guidato dal generale germanico Croco (di origine alamanna), proclama
C. nuovo Augusto d'Occidente, mettendo a repentaglio il meccanismo della
tetrarchia, ideato da Diocleziano proprio per porre termine all'uso ormai
consolidato degli eserciti di proclamare di propria iniziativa gli imperatori.
Per tale ragione Galerio, che al tempo era l'unico Augusto legittimo rimasto in
carica, e inizialmente scettico nel riconoscere l'investitura di Costantino,
tuttavia alla fine si convinse a cooptarlo nel collegio imperiale ma con il
rango di Cesare, promuovendo invece come nuovo Augusto d'Occidente Flavio
Severo. Costantino da parte sua accettò la decisione di Galerio e, per
dimostrare come riconoscesse l'autorità di Severo quale nuovo superiore in
grado, cede a quest'ultimo il controllo della diocesi Iberica, mentre a lui
sarebbe rimasto il governo delle Gallie e della Britannia. La sofferta nomina
di C. a Cesare, per quanto gestita e riassorbita nei quadri della tetrarchia,
aveva mostrato la debolezza del sistema di successione per cooptazione creato
da Diocleziano. Infatti Massenzio, figlio dell'Augusto emerito Massimiano,
scontento di essere stato tagliato fuori da qualsiasi posizione di potere, si
fece acclamare imperatore a Roma con l'appoggio dei pretoriani,
dell'aristocrazia senatoria e della plebe urbana. Galerio per l'occasione
decise di agire senza indugi e con durezza, ordinando a Severo, che risiedeva a
Milano, di marciare verso Roma per sedare la rivolta ma, giunto in prossimità
della città, le truppe al suo comando disertarono poiché venute a conoscenza
che Massimiano, per il quale avevano militato prima della sua abdicazione, si
era schierato a sostegno del figlio. Severo, fatto prigioniero, fu poi
ucciso.Galerio allora tenta di organizzare in prima persona una spedizione in
Italia, ma non ottenne alcun risultato e fu costretto a ritirarsi
nell'Illirico. Durante questi eventi, Costantino e impegnato sul confine renano
a combattere con successo i Franchi e si era mantenuto neutrale nella disputa
tra Galerio e Massenzio. Massimiano cerca dunque di farselo alleato e, per
attirarlo alla sua causa, lo raggiunse a Treviri, offrendogli in sposa la
figlia Fausta e il titolo di Augusto. Costantino accettò l'offerta di alleanza
e, dopo essere convolato a nozze, si fa proclamare Augusto sul finire
dell'anno. Tornato a Roma, Massimiano entra in urto con Massenzio, al potere
del quale non voleva più essere subordinato e, costretto a fuggire dalla città
poiché le truppe erano rimaste leali al figlio, fu riaccolto alla corte di
Costantino in Gallia. Galerio, nel tentativo di porre rimedio alla crisi
istituzionale creatasi, convoca a Carnuntum un convegno al quale presero parte,
oltre a lui, anche Massimiano e, soprattutto, Diocleziano. In questa
circostanza e creato Augusto Liciniano Licinio, un commilitone di Galerio, mentre
Costantino fu degradato nuovamente a Cesare e Massimiano dovette deporre,
questa volta definitivamente, le vesti imperiali per una seconda volta.
Contestualmente Massenzio fu dichiarato hostis publicus («nemico pubblico»). Tornato
deprivato di ogni potere, Massimiano inizia a tramare contro Costantino. Approfittando
dell'assenza del genero, impegnato a sedare una sollevazione dei Franchi, il
vecchio Erculio si proclamò per la terza volta imperatore e, assunto il comando
della truppe stanziate a Marsiglia, si arroccò nella città.[49] Costantino,
tornato in fretta dal confine renano, la pose d'assedio ma, ancor prima che
iniziassero le ostilità, i soldati all'interno della città si arresero e
consegnarono Massimiano, a cui fu però risparmiata la vita.[50] Agli inizi del
310, dopo un ennesimo complotto ordito da Massimiano e sventato questa volta
dalla figlia Fausta, Costantino ordinò la messa a morte del suocero e
successivamente, attorno alla metà dell'anno, decise di riappropriarsi del
titolo di Augusto che gli era stato tolto a Carnuntum, ottenendo stavolta il
consenso di Galerio. Alla morte di Galerio nel 311, Costantino si alleò con
Licinio, mentre Massenzio con Massimino Daia. Costantino, ormai sospettoso nei
confronti di Massenzio, riunito un grande esercito formato anche da barbari
catturati in guerra, oltre a Germani, popolazioni celtiche e provenienti dalla
Britannia, mosse alla volta dell'Italia attraverso le Alpi, forte di 90 000
fanti e 8 000 cavalieri.[53] Lungo la strada, Costantino lasciò intatte tutte
le città che gli aprirono le porte, mentre assediò e distrusse quante si
opposero alla sua avanzata. Egli, dopo aver battuto due volte Massenzio prima
presso Torino e poi presso Verona, lo sconfisse definitivamente nella battaglia
di Ponte Milvio,[54] presso i Saxa Rubra sulla via Flaminia, alle porte di Roma.
Con la morte di Massenzio, tutta l'Italia passa sotto il controllo di C. Durante
questa campagna sarebbe avvenuta la celebre e leggendaria apparizione della
croce sovrastata dalla scritta In hoc signo vinces che avvicina C. al
cristianesimo. Secondo Eusebio di Cesarea questa apparizione avrebbe avuto
luogo proprio nei pressi di Torino. Ebbe dalla moglie Fausta Costantina.
Augusto d'Occidente Schema della battaglia avvenuta presso Adrianopoli, dove C.,
seppure in inferiorità numerica, prevalse su Licinio, il quale lasciò sul campo
secondo Zosimo ben 34.000 armati. Massimino Daia veniva sconfitto da
Licinio e si dava la morte. Entrando in Nicomedia Licinio emanò un rescritto
(impropriamente detto editto di Milano dal luogo dove era stato concordato con
Costantino), con cui a nome di entrambi gli augusti rimasti veniva riconosciuta
anche in Oriente la libertà di culto per tutte le religioni, ponendo fine
ufficialmente alle persecuzioni contro i cristiani, l'ultima delle quali,
cominciata da Diocleziano tra il 303 e il 304, si era conclusa nel 311 su
ordine di Galerio, prossimo a morire. Il testo del decreto recita: Cum
feliciter tam ego [quam] C. Augustus quam etiam ego Licinius Augustus apud
Mediolanum convenissemus atque universa quae ad commoda et securitatem publicam
pertinerent, in tractatu haberemus, haec inter cetera quae videbamus pluribus
hominibus profutura, vel in primis ordinanda esse credidimus, quibus
divinitatis reverentia continebatur, ut daremus et Christianis et omnibus
liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset, quod quicquid
<est> divinitatis in sede caelesti, nobis atque omnibus qui sub potestate
nostra sunt constituti, placatum ac propitium possit existere» Noi,
dunque C. Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a
Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e
sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere
in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità
affinché sia consentito ai galilei e a tutti gli altri la libertà di seguire la
religione che ciascuno crede, affinché il divino, qualunque essa sia, a noi e a
tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. -- Lattanzio, De mortibus
persecutorum, capitolo XLVIII) Nella prosecuzione il rescritto ordina
l'immediata restituzione ai galilei di tutti i luoghi di culto e di ogni altra
proprietà delle chiese. Costantino e Licinio, che ne aveva sposato la
sorella Costanza, entrarono una prima volta in conflitto (in seguito alla riappacificazione l'Illirico
passò a Costantino). In seguito alla sconfitta di Licinio, che si arrese dopo
le battaglie di Adrianopoli e di Crisopoli e venne successivamente ucciso, Costantino
rimase l'unico augusto al potere. Questo periodo cominciò con una serie di
uccisioni, a partire da quella del suo antico rivale Licinio. L'anno seguente
Costantino fa uccidere a Pola il figlio primogenito Crispo, figlio di
Minervina, per una presunta relazione con Fausta e inoltre Liciniano, figlio
della sorella Costanza e di Licinio. Quindi anche la moglie Fausta venne uccisa
soffocata o annegata nel bagno termale, riscaldato oltre la temperatura
normale. La leggenda vuole che Crispo sia stato eliminato in seguito all'accusa
di Fausta di averla insidiata, e quindi anche lei venne giustiziata quando
Costantino riconosce l'innocenza del figlio. Forse erano entrambi vittime di
falsi delatori o lei volle assicurarsi l'eliminazione dei rivali dei propri
figli come successori di Costantino. Il rimorso di C. e grande, secondo quanto
riporta ne “I Cesari” il suo polemico successore, il principe Giuliano. Si
erano iniziati i lavori per la costruzione della nuova capitale Nuova Roma sul
sito dell'antica Bisanzio, fornendola di un senato e di uffici pubblici simili
a quelli di Roma. Il luogo venne scelto come capitale nper le sue
eccezionali qualità difensive e per la vicinanza ai minacciati confini
orientali e ai danubiani. Inoltre, particolare non secondario, consentiva a
Costantino di sottrarsi all'influenza invadente, arrogante e irritante degl’aristocratici
presenti nel Senato romano, che tra l'altro erano della religione dell’antica
Roma. Nova Roma e inaugurata e prese presto il nome di “Costantinopoli”. Rispetto
alla vecchia città, la nuova era quattro volte più vasta: dove c'era un'antica
porta Costantino pose un foro circolare, inoltre spostò le sue mura più a
occidente di 15 stadi. La città (oggi Istanbul) resterà poi fino al 1453
capitale dell'Impero romano d’oriente. Diocesi (impero romano) e
Prefettura del pretorio. Riprendendo la divisione della riforma tetrarchica
dioclezianea che prevedeva due Augusti e due Cesari, l'Impero venne ridisegnato
e suddiviso in quattro prefetture, tutte facenti capo a un unico Imperatore: delle
Gallie, comprendente la Gallia transalpina, la Spagna e la Britannia; d'Italia, comprendente l'Italia, la Sicilia,
Sardegna e Corsica, e l'Africa dalle Sirti alla Mauretania Caesariensis; d'Oriente,
comprendente tutte le province orientali con l'eccezione delle isole di Lemno,
Imbro e Samotracia, l'Egitto e la pentapoli di Libia, oltre alla Tracia e la
Mesia inferiore; d'Illirico, comprendente le province balcaniche, vale a dire
dalla Macedonia, alla Tessaglia, a Creta all'Ellade, ai due Epiri, all'Illiria,
a Dacia, Triballia e Mesia superiore, oltre alle Pannonie sino alla Valeria. All'interno
di queste prefetture mantenne rigidamente separati il potere civile e politico,
da quello militare: la giurisdizione civile e giudiziaria era affidata a un
prefetto del pretorio, cui erano subordinati i vicari delle diocesi e i
governatori delle province. I prefetti furono, quindi, privati in parte del
potere militare,[65] lasciando loro ancora compiti di logistica militare,[66] e
diventarono amministratori delle grandi prefetture in cui era diviso l'impero.
Essi svolgevano le seguenti funzioni:[67] la suprema amministrazione
della giustizia e delle finanze (sostenendo anche le spese militari[68]).
l'applicazione e, in alcuni casi, la modifica degli editti generali. controllo
dei governatori delle province, i quali in caso di negligenza o corruzione
venivano destituiti e/o puniti. Inoltre il tribunale del prefetto poteva
giudicare ogni questione importante, civile o penale, e la sua sentenza era
considerata definitiva, al punto che neanche gli imperatori osavano lamentarsi
della sentenza del prefetto. Costantino poi controbilanciava l'importanza e la
potenza dei prefetti del pretorio con la breve durata della carica. Ogni
prefettura, divisa in tredici diocesi, di cui una (Oriente) era governata da un
Conte d'Oriente, un'altra (Egitto) da un Prefetto Augusteo, e le altre undici
da altrettanti Vicari o sottoprefetti, i quali sottostavano all'autorità del
prefetto del pretorio.[69] Ogni diocesi era ulteriormente suddivisa in
province. L'apparato burocratico venne snellito e suddiviso tra gli
affari della corte, affidati a quattro alti dignitari, e gli affari dello
Stato, affidati a tre alti funzionari: costoro, insieme con i prefetti urbani
componevano il Concistorium principis o Sacrum concistorium ("Consiglio
del principe" o "Sacro collegio"). I quattro dignitari che
regolavano le attività della corte erano: il comes rerum privatarum
("ministro degli affari privati"), che si occupava di gestire il
patrimonio privato dell'imperatore[70], il praepositus sacri cubiculi
("preposito del sacro cubicolo"), una sorta di gran ciambellano che
si occupava della vita della corte imperiale e da cui dipendevano cortigiani e
schiavi, due comites domesticorum ("ministro dei domestici"),
responsabili l'uno del personale che svolgeva il proprio servizio a piedi e
l'altro del personale a cavallo e della guardia imperiale. I tre alti
funzionari a cui competeva l'amministrazione dello Stato erano: il
magister officiorum ("maestro degli uffici"), un cancellerie che si
occupava dell'amministrazione interna e delle relazioni esterne, il quaestor
sacri palatii ("questore del sacro palazzo"), con competenza in
materia di leggi e di giustizia, che dirigeva inoltre il "Consiglio del
principe", il comes sacrarum largitionum ("ministro delle sacre
elargizioni"), che si occupava delle materie finanziarie statali. La
politica amministrativa di Costantino è controversa e in particolare è stata
aspramente criticata dallo storico illuminista Edward Gibbon, autore di Storia
del declino e della caduta dell'Impero romano (opera composta tra il 1776 e il
1788), che dà di Costantino un giudizio estremamente negativo. Per Gibbon al
tempo di Costantino: si istituì un poderoso sistema burocratico, coniando
cariche sconosciute in antecedenza (magnifico, illustre, conte, duca, ecc.),
tali da creare un controllo vessatorio e di spionaggio su tutte le province; i
pretoriani erano in numero spropositato ed erano di origine armena, con corazze
di argento e d'oro; la capitale trasferita da Roma a Costantinopoli (depredando
importanti opere di Fidia e altri scultori della Grecia classica) accentuò
l'emarginazione del Senato romano; la tassazione esorbitante finì per spopolare
anche una delle regioni (Campania) più produttive dell'Italia; si accentuò, inoltre,
la disgregazione dell'esercito romano, sia con la nomina di barbari al massimo
comando militare, sia con la penalizzazione economica dei soldati che
salvaguardavano il confine (limes) dalle invasioni. Complessivamente, per
Gibbon, neppure Caligola o Nerone fecero più danni all'impero di
Costantino. Politica estera e frontiere Lo stesso argomento in
dettaglio: Campagne germanico-sarmatiche di Costantino, Limes romano, Diga del
Diavolo e Brazda lui Novac (limes). Le frontiere romane settentrionali e
orientali al tempo di Costantino, con i territori acquisiti nel corso del
trentennio di campagne militari. La mappa qui sopra rappresenta anche il mondo
romano poco dopo la morte di Costantino, con i territori "spartiti"
tra i suoi tre figli (Costante I, Costantino II e Costanzo II) e i due nipoti
(Dalmazio e Annibaliano) Già ai tempi in cui era stato Cesare in Occidente,
attorno agli anni 306-310,[71] Costantino ottenne grandi successi militari su
Alemanni e Franchi, di cui si dice riuscì a catturare i loro re, dati in pasto
alle belve durante i giochi gladiatorii. Divenuto unico augusto in Occidente
nel 313 respinse una nuova invasione di Franchi in Gallia. Dopo una prima crisi
con Licinio, al termine della quale i due augusti trovarono un nuovo equilibrio
strategico nel 317, ottenne nuovi successi contro le genti barbare lungo il
Danubio. Egli, infatti, batté sia i Sarmati Iazigi sia i Goti. Avendo ottenuto
da Licinio anche l'Illirico, Costantino non solo respinse numerose incursioni
di Sarmati Iazigi e Goti, ma potrebbe aver dato inizio alla costruzione di due
nuovi tratti di limes: il primo nella pianura ungherese chiamato diga del
Diavolo, formato da una serie di terrapieni che da Aquincum collegavano il
fiume Tibisco, per poi piegare verso sud e collegare il fiume Mureș, percorrere
il Banato fino al Danubio all'altezza di Viminacium; il secondo nella Romania
meridionale chiamato Brazda lui Novac, che correva parallelo a nord del basso
corso del Danubio, da Drobeta alla pianura della Valacchia orientale fin quasi
al fiume Siret.[74] Divenuto unico augusto nel 324, affidò ai figli la
difesa dell'Occidente contro Franchi e Alamanni (contro i quali ottenne nuovi
successi e il titolo di Alamannicus maximus, insieme con Costantino) mentre lui
stesso combatteva sul confine danubiano i Goti) e i Sarmati). Divise l'impero
tra i figli assegnando a Costantino II Gallia, Spagna e Britannia, a Costanzo
II le province asiatiche, l'Oriente e l'Egitto e a Costante I l'Italia,
l'Illirico e le province africane. Alla sua morte nel 337 si preparava ad
affrontare in Oriente i Persiani. Costantino nei suoi oltre trent'anni di
regno aveva aspirato a riconquistare, non solo tutti i territori appartenuti
all'Impero di Traiano, ma soprattutto a diventare il protettore di tutti i
Cristiani anche oltre le frontiere imperiali. Egli, infatti, costrinse molte
delle popolazioni barbariche sottomesse a nord del Danubio, a sottoscrivere
clausole religiose dopo averle battute più e più volte, come nel caso dei
Sarmati e dei Goti. Identica sorte sarebbe toccata al regno d'Armenia e ai
Persiani se non fosse morto. Esercito Riforma costantiniana dell'esercito
romano. Mappa della ex-Dacia romana con il suo complesso sistema di
fortificazioni e difesa. In grigio la cosiddetta diga del Diavolo e a destra
(in verde) il Brazda lui Novac, di epoca costantiniana. Le prime vere modifiche
apportate da Costantino nella nuova organizzazione dell'esercito romano, furono
effettuate subito dopo la vittoriosa battaglia di Ponte Milvio contro il rivale
Massenzio nel 312. Egli infatti sciolse definitivamente la guardia pretoriana e
il reparto di cavalleria degli equites singulares e fece smantellare
l'accampamento del Viminale. Il posto dei pretoriani fu sostituito dalla nuova
formazione delle schole palatine, le quali ebbero lunga vita poi a Bisanzio ormai
legate alla persona dell'imperatore e destinate a seguirlo nei suoi
spostamenti, e non più alla Capitale. Una nuova serie di riforme furono poi
portate a termine una volta divenuto unico Augusto, subito dopo la sconfitta
definitiva di Licinio nel 324. La guida dell'esercito fu sottratta ai prefetti
del pretorio, e ora affidata a: il magister peditum (per la fanteria) e il
magister equitum (per la cavalleria). I due titoli potevano tuttavia essere
riuniti in una sola persona, tanto che in questo caso la denominazione della
carica si trasformava magister peditum et equitum o magister utriusque
militiae[80] (carica istituita verso la fine del regno, con due funzionari
praesentalis). I gradi più bassi della nuova gerarchia militare prevedevano,
oltre ai soliti centurioni e tribuni, anche i cosiddetti duces,[65] i quali
avevano il comando territoriale di specifici tratti di frontiera provinciale, a
cui erano affidate truppe di limitanei. C., inoltre, sempre secondo Zosimo,
rimosse dalle frontiere la maggior parte dei soldati e li insediò nelle città
(si tratta della creazione dei cosiddetti comitatensi): «città che non
avevano bisogno di protezione, privò del soccorso quelle minacciate dai barbari
[lungo le frontiere] e procurò alle città tranquille il danno generato dalla
soldataglia, per questi motivi molte città risultano deserte. Lasciò anche che
i soldati rammollissero, frequentando i teatri, e abbandonandosi alla vita
dissoluta.» (Zosimo, Storia nuova) Nell'evoluzione successiva il
generale in campo svolse sempre più le funzioni di una sorta di ministro della
guerra, mentre vennero create le cariche del magister equitum praesentalis e
del magister peditum praesentalis ai quali veniva affidato il comando effettivo
sul campo. Costantino introdusse una riforma monetaria, necessaria anche
per fare fronte alla scarsità di monete d'oro. Venne, quindi, introdotto il
solidus d'oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, cioè più leggero (anche
se più largo e sottile) dell'aureo, che in quel momento valeva 1/60 di libbra.
Si ritornò inoltre al sistema bimetallico di Augusto coniando la siliqua
d'argento, di 2,27 g pari a 1/144 di libbra: il miliarense, con un valore
doppio della siliqua, aveva quindi lo stesso peso del solidus. Per quanto
riguarda i bronzi, il follis, ormai fortemente svalutato, venne sostituito da
una moneta di 3 g, detto nummus centonionalis, cioè 1/100 di siliqua. Fu
una riforma duratura, tanto che il peso aureo del solido introdotto con la
riforma di Costantino rimase invariato per secoli anche durante l'impero
bizantino. Ma a livello sociale le conseguenze furono catastrofiche: tutti
coloro che non avevano accesso alla nuova moneta d'oro, infatti, dovettero
subire le conseguenze dell'inflazione, a causa di una svalutazione rispetto al
solidus delle altre monete d'argento e di rame, che non erano più protette
dallo Stato. Il risultato fu una insuperabile spaccatura tra una minoranza
privilegiata di ricchi e la massa dei poveri. Morte e successione
Albero genealogico della dinastia costantiniana: i discendenti di Costantino.
Costantino morì il non molto lontano da
Nicomedia (in località Achyrona), mentre preparava una campagna militare contro
i Sasanidi. La sua salma fu portata a Costantinopoli e sepolta in un sarcofago
nella Chiesa dei Santi Apostoli. C. preferì non nominare un unico erede,
ma dividere il potere tra i suoi tre figli cesari Costante I, Costantino II e
Costanzo II e due nipoti Dalmazio e Annibaliano. Costanzo, che era impegnato in
Mesopotamia settentrionale a supervisionare la costruzione delle fortificazioni
frontaliere,[86] si affrettò a tornare a Costantinopoli, dove organizzò e
presenziò alle cerimonie funebri del padre: con questo gesto rafforzò i suoi
diritti come successore e ottenne il sostegno dell'esercito, componente
fondamentale della politica di Costantino. Si ebbe un eccidio, per mano
dell'esercito, dei membri maschili della dinastia costantiniana e di altri
esponenti di grande rilievo dello stato: solo i tre figli di Costantino e due
suoi nipoti bambini (Gallo e Giuliano, figli del fratellastro Giulio Costanzo)
furono risparmiati. Le motivazioni dietro questa strage non sono chiare:
secondo Eutropio Costanzo non fu tra i suoi promotori ma non tentò certo di
opporvisi e condonò gli assassini; Zosimo invece afferma che Costanzo fu
l'organizzatore dell'eccidio. Nel settembre dello stesso anno i tre cesari
rimasti (Dalmazio e Annibaliano furono vittime della purga) si riunirono a
Sirmio in Pannonia, dove il 9 settembre furono acclamati imperatori
dall'esercito e si spartirono l'Impero: Costanzo si vide riconosciuta la
sovranità sull'Oriente, Costante sull'Illirico e Costantino II sulla parte più
occidentale (Gallie, Hispania e Britannia). La divisione del potere tra i tre
fratelli durò poco: Costantino II morì nel 340, mentre cercava di rovesciare
Costante, e Costanzo guadagnò i Balcani; nel 350 Costante fu rovesciato
dall'usurpatore Magnenzio, e Costanzo divenne unico imperatore. Icona
ortodossa bulgara con l'imperatore e la madre Elena e la "vera
croce". Il comportamento costantiniano in tema di culto uffiziale ha dato
spazio a molte controversie fra i filosofi -- controversie particolarmente
aspre quando essi hanno preteso di valutare non solo il comportamento pubblico,
ma le sue convinzioni interiori. In alternativa all'opinione tradizionale,
secondo cui Costantino si sarebbe convertito al cristianesimo poco prima della
battaglia di Ponte Milvio, è stata, invece, asserita la sua costante adesione
al CULTO SOLARE, mettendo in dubbio perfino il battesimo in punto di
morte. Secondo altri filosofi, poi, il culto uffiziale e per Costantino un
puro e semplice instrumentum regni. Burckhardt afferma: «Nel caso di un uomo
geniale, al quale l'ambizione e la sete di dominio non concedono un'ora di
tregua, non si può parlare del sacro consapevole -- un uomo simile è
essenzialmente a-religioso, e lo sarebbe anche se egli immaginasse di far parte
integrante di una comunità religiosa. Secondo altri filosofi ancora, poi,
occorre distinguere fra convinzioni private e comportamento pubblico, vincolato
dalla necessità di conservare il consenso delle proprie truppe e dei propri
sudditi, qualunque ne fosse l'orientamento religioso. Da questo punto di vista
è utile distinguere fra il comportamento di Costantino antecedente e quello
successivo alla battaglia di Crisopoli, grazie alla quale consegue il dominio
assoluto sull'impero. Dopo questo, si trova comunque d'accordo molti
studiosi di quell'epoca. Tra costoro, Veyne sostiene con sicurezza
l'autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con Bury, che la sua
rivoluzione e forse l'atto più audace mai compiuto da un autocrate in spregio
alla grande maggioranza dei suoi sudditi. E ciò in considerazione del fatto che
la popolazione che segue il culto dei galilei e circa il 8% del totale nel
principato di Costantino.Veyne ha inoltre proposto un'interessante teoria per
tentare di spiegare in modo razionale il fenomeno leggendario della visione che
potrebbe aver spinto Costantino a una conversione solo apparentemente
improvvisa. Veyne ipotizza che un sogno abbia potuto avere azione catalitica su
un terreno psicologico predisposto da esperienze e suggestioni vissute
precedentemente. È comunque fuori di dubbio la sincerità costantiniana nella
ricerca dell'unità e concordia del culto, la cui necessità deriva da un preciso
disegno politico che considera l'unità del mondo condizione indispensabile alla
stabilità della potenza imperiale. Costantino infatti interpreta in questo
senso l'antico tema, caro alla Roma sul principato della “pax deorum”, nel
senso che la forza del principato non deriva semplicemente dalle azioni di un
principe illuminato, da una saggia amministrazione e dall'efficienza di un ben
strutturato e disciplinato esercito, ma direttamente dalla benevolenza del
divino. Mentre però, nella religione della Roma antica, vi era un rapporto DIRETTO
tra il potere del principe e il divino, il principe non puo ignorare istituzioni
che, tramite i suoi vescovi, adita la fonte divina del potere. Costantino non puo
fare a meno di essere co-involto nelle lotte teologiche. Su una tale base
ideologica, questa ricerca dell'unità e della concordia comporta quindi anche
interventi molto duri nei confronti di coloro che il principe considera
eretici, che sono trattati duramente, dei pagani. I conflitti teologici si
trovarono dunque ad avere una ricaduta politica, mentre d'altra parte le sorti
interne del principato sono sempre più dipendenti dai risultati delle lotte
teologiche. Gli stessi vescovi, infatti, sollecitavano continuamente
l'intervento del principe per la corretta applicazione delle decisioni dei
concili, per la convocazione dei sinodi e anche per la definizione di
controversie teologiche. Ogni successo di una fazione comportava la deposizione
e l'esilio dei capi della fazione opposta, con i metodi tipici della lotta
politica. La religione della Roma Antica si era fortemente trasformata: sulla
spinta della insicurezza dei tempi e dell'influsso dei culti di origine
orientale, le sue caratteristiche pubbliche e ritualistiche hanno sempre più
perso di significato di fronte a una più intensa e personale spiritualità. Si
era andato diffondendo un sincretismo venato di mono-teismo (il colto solare di
un divino unico, il re sole identificato con Giove -- e si tendeva a vedere
nelle immagini degli dei tradizionali – altri che Giove -- l'espressione di un
unico essere divino: Giove. Una forma politica a questa aspirazione
sincretistica e data dall'imperatore Aureliano con l'istituzione del culto
ufficiale del Sole Invitto con elementi del mitraismo e di altri culti solari
di origine orientale. Il culto e diffuso nell'esercito, soprattutto
nell'occidente, e a esso non furono estranei né Costanzo Cloro, il padre di
Costantino, né Costantino stesso. Costantino e certamente il primo a
comprendere l'importanza della religione per rafforzare la coesione culturale e
politica dell'impero romano. Fa vietare il concubinato dei mariti, mentre
fu reso più difficile il ripudio, antenato del divorzio. La domenica e elevata
a giorno festivo pubblico. Lo Stato inizia a finanziare il clero pubblico e la
costruzione di nuove edificii o fu l'imperatore a farle erigere personalmente,
ad esempio a Roma (Antica basilica di Pietro nel monte Vaticano), ma
especialmente fuora di Roma: a Betlemme
(Basilica della Natività), Gerusalemme (Basilica del Santo Sepolcro) e
Costantinopoli (Chiesa dei Santi Apostoli). In un decreto concesse che su
richiesta di una sola delle parti contendenti, le cause civili potessero essere
giudicate innanzi ai vescovi. Fu concesso agli ecclesiastici l'esonero dagli
oneri municipali. Moneta di Costantino, con una rappresentazione del Sol
Invictus e l'iscrizione SOLI INVICTO COMITI, "al Sole Invitto
compagno" Moneta di Costantino con la rappresentazione del
monogramma di Cristo sopra il labaro imperiale Le monete coniate da Costantino
forniscono indirettamente notizie sull'atteggiamento pubblico di Costantino
verso i culti religiosi. Quando ancora ricopriva il ruolo di principe, alcune
emissioni si inserirono nel classico filone della Tetrarchia, con dediche «al
Genio del Popolo Romano» ("Gen Pop Romani"), provenienti specialmente
dalla zecca di Londinium (Londra). Ancora per alcuni anni dopo la battaglia di
Ponte Milvio le zecche orientali (Alessandria, Antiochia, Cyzicus, Nicomedia,
ecc.) continuarono a produrre monete dedicate «a Giove salvatore» (Iovi
conservatori). Nello stesso periodo le monete delle zecche occidentali (Arles,
Londra, Lione, Augusta Treverorum, Pavia, ecc) continuarono a coniare monete
dedicate «al Sole invitto compagno» e, nel caso della zecca di Pavia, anche «a
Marte salvatore» (Marti Conservatori) e «a Marte Protettore della Patria»
(Marti Patri Conservatori). L'attributo «compagno» riferito al Sole, che
manca in monete analoghe di precedenti imperatori, è singolare e occorre
chiedersene il significato. Normalmente viene interpretato come «al compagno
(di Costantino), il Sole Invitto»; indicherebbe quindi una indiretta
deificazione dell'imperatore stesso. Il vero significato, però, potrebbe anche
essere completamente diverso. Nell'età imperiale, infatti, la parola latina
comes, oltre che «compagno» indicava un funzionario imperiale e perciò da essa
è derivato il titolo nobiliare «conte». Alle orecchie dei galilei, quindi,
questa strana legenda poteva ricordare che il sole non era un dio, ma una
potenza subordinata alla divinità suprema. A sua volta l'imperatore si presenta
come l'autorità suprema in terra allo stesso modo come il sole lo era in cielo;
autorità, però, entrambe subordinate. Questa interpretazione è confermata
dall'emissione (durante la prima guerra
civile contro Licinio), la cui legenda recita: SOLI INVIC COM DN (soli invicto
comiti domini), che potrebbe essere tradotto come «al sole invitto compagno del
signore», ma che sembra più logico tradurre «al sole invitto, ministro del
Signore». La maggior parte delle zecche sia in oriente sia in occidente
passarono a emissioni laiche benaugurali, fra cui per prima quella con la
legenda «Liete vittorie al principe perpetuo» (Victoriae laetae prin. perp.).Da
quell'anno dalle monete bronzee di Costantino iniziano a sparire gli dei
tradizionali, come Elio, Marte, Giove, sostituiti dall'immagine solitaria
dell'imperatore, che volge gli occhi verso l'alto, ad un divino generico, che
può essere interpretata come Giove. La monetazione aurea invece mantiene ancora
a lungo gli dei tradizionali, forse perché rivolta ai patrizi e a persone di
rango elevato, ancora legate alla religione tradizionale Le monete con
simboli dei galilei o supposti tali sono rare e costituiscono solo circa l'1%
delle tipologie conosciute. La zecca di Pavia (Ticinum) conia un medaglione
d'argento in cui il monogramma di Cristo era riprodotto sopra l'elmo piumato
dell'imperatore. Solo dopo la vittoria su Licinio compare la tipologia con il
labaro imperiale e il monogramma di Cristo, che trafiggono un serpente, simbolo
appunto di Licinio,[99] e simultaneamente scompaiono del tutto dalle monete sia
le immagini del sole invitto sia la corona radiata, altro simbolo apollineo e solare.
Nel 326 appare il diadema, simbolo monarchico di derivazione ellenistica, e
poco dopo il sovrano viene raffigurato con lo sguardo rivolto in alto, come nei
ritratti ellenistici, a simboleggiare il contatto privilegiato tra l'imperatore
e la divinità. L'ambiguitas constantiniana Quanto sopra osservato a
proposito delle monete di Costantino, cioè la volontà imperiale di presentarsi
come un prediletto dal cielo, senza, però, mettere in chiaro quale fosse la
divinità, può essere rilevato in molti altri aspetti dell'impero di
Costantino. Il ruolo determinante giocato da Costantino nell'ambito della
chiesa cristiana (ad esempio tramite la convocazione di concili e il
presiederne i lavori) non deve oscurare il fatto che Costantino svolse funzioni
analoghe nell'ambito di altri culti. Egli infatti mantenne la carica di
pontefice massimo della religione pagana; carica che era stata di tutti gli
imperatori romani a partire da Augusto. Lo stesso fecero i suoi successori
cristiani fino al 375. Anche la battaglia di Ponte Milvio, con cui nel
312 Costantino sconfisse Massenzio, diede origine a leggende discordanti, che,
però, potrebbero risalire tutte a Costantino, sempre attento a presentarsi come
prescelto dal divino, qualunque essa fosse. Per queste leggende si veda la voce
in hoc signo vinces. In questo senso si spiegano sia l'editto imperiale di
tolleranza o l'editto di Milano del 313 (conferma rafforzata di un editto di
Galerio del 30 aprile 311), sia l'iscrizione sull'arco di Costantino: entrambi
citano una generica "divinità", che poteva dunque essere identificata
sia con il Dio cristiano, sia con il dio solare. L'ambiguità dell'Editto di
Milano, però, è ovvia, dato che esso fu proclamato da Licinio. Costantino
persegue probabilmente il proposito di riavvicinare i culti presenti
nell'impero, nel quadro di un non troppo definito monoteismo imperiale. Vi fu
una grande confusione da parte degli osservatori esterni del cristianesimo che
portò molti ad identificare i cristiani come adoratori del sole. Molto prima
che Eliogabalo e i suoi successori diffondessero a Roma il culto siriaco del
Sol invictus, molti romani ritenevano che i cristiani adorassero il sole:
«Gli adoratori di Serapide sono cristiani e quelli che sono devoti al dio
Serapide chiamano se stessi Vicari di Cristo» (Adriano) «…molti
ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto noto che noi
preghiamo rivolti verso il Sole sorgente e che nel Giorno del Sole ci diamo
alla gioia» (Tertulliano, Ad nationes, apologeticum, de testimonio animae)
Questa confusione era senz'altro favorita dal fatto che Gesù era risorto nel
primo giorno della settimana, quello dedicato al sole, e perciò i cristiani
avevano l'abitudine di festeggiare proprio in quel giorno (oggi chiamato
domenica): «Nel giorno detto del Sole si radunano in uno stesso luogo
tutti coloro che abitano nelle città o in campagna, si leggono le memorie degli
apostoli o le scritture dei profeti, per quanto il tempo lo consenta; poi,
quando il lettore ha terminato, il presidente istruisce a parole ed esorta
all'imitazione di quei buoni esempi. Poi ci alziamo tutti e preghiamo e, come
detto poco prima, quando le preghiere hanno termine, viene portato pane, vino e
acqua, e il presidente offre preghiere e ringraziamenti, secondo la sua capacità,
e il popolo dà il suo assenso, dicendo Amen. Poi viene la distribuzione e la
partecipazione a ciò che è stato dato con azioni di grazie, e a coloro che sono
assenti viene portata una parte dai diaconi. Coloro che possono, e vogliono,
danno quanto ritengono possa servire: la colletta è depositata al presidente,
che la usa per gli orfani e le vedove e per quelli che, per malattia o altre
cause, sono in necessità, e per quelli che sono in catene e per gli stranieri
che abitano presso di noi, in breve per tutti quelli che ne hanno
bisogno.» (Giustino) Questa scelta liturgica era inevitabile. Il
giorno del sole, infatti, non solo era proprio il primo della settimana, quello
in cui Gesù era risorto, ma anche aveva una valenza metaforica teologicamente e
scritturalmente corretta. L'abitudine di chiamare tale giorno "giorno del
Signore" (dies dominica, da cui, appunto il nome domenica) compare per la
prima volta alla fine del primo secolo (Apocalisse 1, 10[100]) e poco dopo
nella didaché, prima cioè che il culto del Sol Invictus prendesse piede.
Anche la decisione di celebrare la nascita di Cristo in coincidenza col
solstizio d'inverno ha dato origine a molte controversie, dato che le date di
nascita di Gesù fornite dai Vangeli sono imprecise e di difficile
interpretazione. Le prime notizie di feste cristiane per celebrare la nascita
di Cristo risalgono circa all'anno 200. Clemente Alessandrino riporta diverse
date festeggiate in Egitto, che sembrano coincidere con l'Epifania o col
periodo pasquale (cfr. Data di nascita di Gesù). Nel 204 circa, invece,
Ippolito di Roma propone il 25 dicembre (e la correttezza storica di tale
scelta sembrerebbe essere stata approssimativamente confermata da recenti
scoperte). La decisione delle autorità romane, tuttavia, di uniformare la data
delle celebrazioni proprio il 25 dicembre potrebbe essere stata stabilita in
buona parte per motivi "politici" in modo da congiungersi e
sovrapporsi alle feste pagane dei Saturnali e del Sol invictus. La
confusione delle date liturgiche fra i culti continuò per un certo periodo,
anche perché ovviamente l'editto di Tessalonica, che proibiva i culti diversi
dal cristianesimo, non determinò la conversione immediata dei pagani. Ancora
ottanta anni dopo, nel 460, il papa Leone I sconsolato scriveva: «È così
tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare
nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si
volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente.
Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per
mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a
questo culto degli dei.» (Papa Leone I, 7° sermone tenuto nel Natale del
460 - XXVII-4) La sovrapposizione fra culto solare e culto cristiano ha
dato origine a molte controversie, tanto che alcuni hanno sostenuto che il
cristianesimo sia stato pesantemente influenzato dal mitraismo e dal culto del
Sol invictus o addirittura trovi in essi la sua radice vera. Questa ipotesi si
forma durante il Rinascimento, ma si è diffusa negli ultimi decenni del XX
secolo, tanto da essere considerata (se non accettata) perfino negli ambienti
più progressisti delle chiese cristiane. Un esempio di questa ipotesi ce lo fornisce
il vescovo siriano Jacob Bar-Salibi che, alla fine del XII secolo, scrive:
«Era costume dei pagani celebrare al 25 dicembre la nascita del Sole, in onore
del quale accendevano fuochi come segno di festività. Anche i Cristiani
prendevano parte a queste solennità. Quando i dotti della Chiesa notarono che i
Cristiani erano fin troppo legati a questa festività, decisero in concilio che
la "vera" Natività doveva essere proclamata in quel giorno.»
(Jacob Bar-Salibi) Anche l'allora cardinale Joseph Ratzinger (poi papa
Benedetto XVI) parla della cristianizzazione della festa antico romana dedicata
al sole e agli dei che lo rappresentavano. È introdotta la settimana di sette
giorni e fu decretato come giorno di riposo il dies Solis (il "giorno del
Sole", che corrisponde alla nostra domenica). (LA) «Imperator
Constantinus.Omnes iudices urbanaeque plebes et artium officia cunctarum
venerabili die solis quiescant. ruri tamen positi agrorum culturae libere
licenterque inserviant, quoniam frequenter evenit, ut non alio aptius die
frumenta sulcis aut vineae scrobibus commendentur, ne occasione momenti pereat
commoditas caelesti provisione concessa. * Const. A. Helpidio. * <a 321 PP.
V NON. MART. CRISPO II ET CONSTANTINO II CONSS. Nel venerabile giorno del Sole,
si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti
i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il
proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura
del grano o la cura delle vigne; sia così, per timore che negando il momento
giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal
cielo.» (Codice giustinianeo) Benché dopo la sconfitta di Licinio
il cristianesimo di Costantino trovi sempre più conferme pubbliche, occorre non
dimenticare che: «Mentre egli e sua madre abbelliscono la Palestina e le grandi
città dell'impero di sfarzosissime chiese, nella nuova Costantinopoli egli fa
costruire anche dei templi pagani. Due di questi, quello della Madre degli dèi
e quello dei Dioscuri, possono essere stati semplici edifici decorativi
destinati a contenere le statue collocatevi come opere d'arte, ma il tempio e
la statua di Tyche, personificazione divinizzata della città, dovevano essere
oggetto di un vero e proprio culto». Probabilmente il progetto politico di
Costantino di tollerare il Cristianesimo, se non frutto di una conversione
personale autentica, nacque dalla presa d'atto del fallimento della
persecuzione contro i cristiani scatenata da Diocleziano. La sconfitta così
clamorosa di Diocleziano aveva dovuto persuadere Costantino che l'Impero aveva
bisogno di una nuova base morale che la religione tradizionale era incapace di
offrirgli. Bisognava, quindi, trasformare la forza potenzialmente disgregante
delle comunità cristiane, dotate di grandi capacità organizzative oltre che di
grande entusiasmo, in una forza di coesione per l'Impero. Questo è il senso
profondo della svolta costantiniana, che finì per chiudere la fase movimentista
del cristianesimo trascendente e aprire quella del cristianesimo politicamente
trionfante. I cristiani furono inseriti sempre di più nei gangli vitali del
potere imperiale. Inoltre, alla Chiesa cristiana, già alimentata cospicuamente
dal flusso delle contribuzioni spontanee dei fedeli, furono concesse numerose
esenzioni e privilegi fiscali, moltiplicandone la ricchezza. Dopo l'esercito,
la Chiesa cristiana grazie a Costantino stava diventando il secondo pilastro
dell'Impero. La leggenda della donazione costantiniana Secondo una tarda
leggenda medievale, Costantino, dopo la battaglia di Ponte Milvio, fece dono a
papa Silvestro I (convinto di essere stato da lui guarito dalla lebbra), dello
splendido Palazzo Laterano (di proprietà della moglie Fausta), consegnando così
al papa romano la città di Roma e dando avvio, con quell'atto di devoluzione,
al potere temporale dei papi, ma la cosiddetta Donazione di C. (nota in latino
come "Constitutum Constantini", ossia "decisione",
"delibera", "editto") è un documento apocrifo conservato in
copia nelle Decretali dello Pseudo-Isidoro e, come interpolazione, in alcuni
manoscritti del Decretum di Graziano (XII secolo). Nel 1440 il filologo
italiano Lorenzo Valla dimostrò in modo inequivocabile come il documento fosse
un falso. Colonna di Costantino I a Costantinopoli. Sotto di essa
l'imperatore avrebbe posto amuleti pagani e reliquie cristiane a protezione
della città La leggenda della donazione quindi probabilmente voleva dare un
fondatore illustre, il primo imperatore cristiano, al successivo disegno
politico di imporre il Cristianesimo come unica religione ufficiale dell'impero
romano. Tale sviluppo però ebbe luogo solo a partire dall'epoca tarda, con
Graziano e Teodosio quindi verso la fine del IV secolo (391). Dopo la caduta
dell'Impero d'occidente, nel 476, la "donazione" divenne la base
giuridica del Papato per legittimare il proprio potere temporale sulla città di
Roma e la sua indipendenza dall'imperatore. La conversione Costantino
mantenne il titolo di Pontifex Maximus che gli spettava come imperatore e
condusse una politica di mediazione tra i vari culti dell'Impero e anche tra le
diverse correnti del nascente Cristianesimo. Riceve il battesimo cristiano
solo IN PUNTO DI MORTE, per mano di un suo consigliere, il vescovo ariano
Eusebio di Nicomedia.[109] Alcuni storici, però, ritengono che questo racconto
possa essere stato tramandato per motivi politico-religiosi e
propagandistici.[110]. Va detto che il battesimo ricevuto sul letto di morte da
catecumeno era un'usanza del tempo, quando non essendo stato ancora
riconosciuto il sacramento della confessione si preferiva annullare tutti i
propri peccati prima della morte, che avveniva così in albis. Senza escludere
l'utilità politica attesa da Costantino dall'alleanza con la Chiesa cattolica,
alcuni documenti risalenti al periodo dell'Editto di Milano rivelerebbero un
avvicinamento dell'imperatore al cristianesimo ben più marcato di quanto
descritto da parte della storiografia, in una lettera del 314-315 di Costantino
a Elafio, suo vicario imperiale in Africa, si rivolgeva infatti circa lo scisma
donatista con queste parole[111]: «… non sarò mai soddisfatto né mi aspetterò
prosperità e felicità dal potere misericordioso dell'Onnipotente fino a quando
non sentirò che tutti gli uomini offrono al Santissimo la retta adorazione
della religione cattolica in una comune fratellanza…» solo dieci anni più
tardi scriveva a Sapore II re di Persia con medesimi accenti[112]: «…Io sarò
soddisfatto solo quando vedrò che tutti pregheranno, con fraterna concordia
d'intenti, nell'autentico culto della Chiesa universale…» ciò farebbe
pensare che il battesimo venne amministrato in punto di morte a Nicomedia solo
come termine di un lungo processo di conversione che non fu estraneo a
contaminazioni con ambienti dell'arianesimo, nella cui fede fu battezzato. Tali
contaminazioni gli costarono la mancata canonizzazione cattolica (per la Chiesa
cattolica, coerentemente, la santificazione spetta solo a coloro che sono stati
battezzati secondo le norme cattoliche) e gli concessero l'inserimento
ufficiale solo tra i santi ortodossi; accadde diversamente per la madre Elena,
che si commemora il 18 di agosto, il cui battesimo fu invece celebrato in
osservanza di tale liturgia. Fu dunque l'adesione all'arianesimo negli ultimi
anni della sua vita, quelli successivi alla partenza per la nuova
Costantinopoli, a indurre la Chiesa di Roma a prenderne le distanze; ciò
avvenne attraverso la riscrittura agiografica della vita, da parte di papa
Silvestro così come descritta negli Actus Silvestri. Non è altresì da
escludere che sulla conversione di Costantino abbiano influito in modo
determinante gli eventi succedutisi dagli inizi del IV secolo con la constatazione
del fallimento delle persecuzioni del 303 e l'editto di Galerio del 311 che
tentava di far rientrare la religione cristiana nell'alveo di tutte le altre
religioni ammesse nell'impero, che tradiva il timore dell'universalismo del
cristianesimo che metteva a rischio le istituzioni romane basate sulle
differenze etniche. Dal papiro di Londra numero 878, che contiene una
parte di un editto del 324, e da un'attenta riconsiderazione storica pare che
Costantino fosse animato da "un effettivo accostamento al sentimento
cristiano". Che sia stato per convinzione personale o per calcolo
politico, Costantino appoggiò comunque la religione cristiana soprattutto dopo
l'eliminazione di Licinio nel 324, costruendo basiliche a Roma, Gerusalemme e
nella stessa Costantinopoli; conferì alle chiese il diritto di ricevere beni in
eredità e quelle maggiori furono dotate di vaste proprietà; diede ai vescovi
vari privilegi e poteri giudiziari, quali quello di essere giudicati da loro
pari ponendo le basi al principio relativo al vescovo di Roma del prima sedes a
nemine iudicatur; concesse gli episcopalis audientia. Fu in epoca costantiniana
inoltre, una volta identificata la Chiesa secondo la definizione paolina di
Corpus Mysticum e ritenuta capace di ricevere donazioni ed eredità, che ebbe
luogo il concetto, prima sconosciuto nella legislazione romana, di persona
giuridica nella successiva legislazione. Il riformatore cristiano
Lo stesso argomento in dettaglio: Concilio di Nicea I. L'icona di San Costantino
nel Castello di Lari (Toscana), opera realizzata per i 1700 anni dell'editto di
Milano La politica di Costantino mirava a creare una base salda per il potere
imperiale sull'assioma che c'era un unico vero dio, una sola fede e quindi un
unico legittimo imperatore. Nella stessa religione cristiana per questo motivo
era dunque importantissima l'unità: Costantino fu promotore, pur non essendo
battezzato, di diversi concili, per risolvere le questioni teologiche che
dividevano la Chiesa. In tali concili presenziò come pontifex maximus dei
romani o "vescovo di quanti sono fuori della chiesa". Il primo
fu quello convocato ad Arelate (primo concilio di Arles), in Francia nel 314,
che confermò una sentenza emessa da una commissione di vescovi a Roma, che aveva
condannato l'eresia donatista, intransigente nei confronti di tutti i cristiani
che si erano piegati alla persecuzione dioclezianea: in particolare si trattava
del rifiuto di riconoscere come vescovo di Cartagine Cipriano, il quale era
stato consacrato da un vescovo che aveva consegnato i libri sacri. Ancora
nel 325, convocò a Nicea il primo concilio ecumenico, che lui stesso inaugurò,
per risolvere la questione dell'eresia ariana: Ario, un prete alessandrino
sosteneva che il Figlio non era della stessa "sostanza" del padre, ma
il concilio ne condannò le tesi, proclamando l'omousia, ossia la medesima
natura del Padre e del Figlio. Il concilio di Tiro del 335 condannerà tuttavia
Atanasio, vescovo di Alessandria, il più accanito oppositore di Ario, soprattutto
a causa delle accuse politiche che gli vennero rivolte. L'imperatore fece
costruire numerose chiese cristiane, tra cui le basiliche del Santo Sepolcro a
Gerusalemme, la basilica di Mamre e la basilica della Natività a Betlemme. A
Roma eleva la basilica del Laterano e la prima basilica di San Pietro. Per la
sua sepoltura decise di non farsi seppellire nel mausoleo dove era già la madre
a Roma, ma si fece costruire un mausoleo a Costantinopoli vicino o all'interno
della chiesa dei Santi Apostoli, tra le reliquie di questi ultimi, che cercò di
radunare. Eusebio di Cesarea narra che Costantino fu munifico e ornò gli
edifici di oro, marmi, colonne, e splendidi arredi. Purtroppo nessuna delle
basiliche originali di Costantino si è conservata fino ai giorni nostri, salvo
pochi resti di fondazioni. In tutto l'impero, i templi pagani, salvo poche
eccezioni, non vennero riconvertiti in chiese, ma abbandonati, perché inadatti
al nuovo culto che richiedeva la presenza di numerosi fedeli all'interno. I
culti pagani invece si svolgevano all'aperto, con la cella del tempio riservata
al dio. Vi fu quindi la riconversione ad uso religioso di un particolare tipo
di edificio romano, la basilica civile. Culto Anche se divenuto
cristiano, alla morte Costantino venne divinizzato (divus), per decreto del
senato, con la cerimonia pagana dell'apoteosi, come era consuetudine per gli
imperatori romani. Costantino, nonostante avesse iniziato a costruire un
grandioso mausoleo di famiglia a Roma, lo lasciò a sua madre (il cd. Mausoleo
di Elena) e volle essere sepolto a Costantinopoli, nella Chiesa dei Santi
Apostoli, divenendo così il primo imperatore a essere sepolto in una chiesa
cristiana. Costantino è considerato santo dalla Chiesa ortodossa, che
secondo il Sinassario Costantinopolitano lo celebra assieme alla madre
Elena. La santità di Costantino non è riconosciuta dalla Chiesa cattolica
(infatti non è riportato nel Martirologio Romano), che tuttavia celebra sua
madre[117] il 18 agosto. A livello locale il culto di san Costantino è
comunque autorizzato anche nelle chiese di rito romano-latino. In Sardegna, per
esempio, la festa del santo (nella tradizione religiosa sarda) ricorre il 7
luglio. Il 23 aprile invece, viene festeggiato a Siamaggiore, in provincia di
Oristano, l'unico paese dell'isola in cui Costantino Magno Imperatore ne è
anche il patrono. Nell'isola esistono due santuari principali dedicati
all'imperatore: uno si trova a Sedilo, nel centro geografico dell'isola, in
provincia di Oristano, dove il 6 e 7 luglio di ogni anno si corre l'Ardia, una
sfrenata e spettacolare corsa a cavallo di origine bizantina che rievoca la
vittoria del 312 a Ponte Milvio; l'altro è a Pozzomaggiore, in provincia di
Sassari. Altre attestazioni minori si hanno in vari luoghi della Sicilia;
l'ultimo sabato di luglio, a Capri Leone, paese in provincia di Messina, si
festeggia la festività in suo onore, dove per devozione paesana egli è divenuto
Santo Patrono. Suggestiva la processione serale, con il simulacro di Costantino
Imperatore portato a spalla dai fedeli. Titolatura imperiale Lo
stesso argomento in dettaglio: Monetazione tetrarchica e Monetazione di
Costantino e dei Costantinidi. Titolatura imperialeNumero di volteDatazione
evento Tribunicia potestas33 volte: la prima volta il 25 luglio del 306, la
seconda il 10 dicembre del 306, la terza nel settembre del 307, la quarta il 10
dicembre del 307 e poi annualmente ogni 10 dicembre fino al 337 (anno in cui
non assunse l'iterazione perché premorì). Consolato. Salutatio imperatoria: la
prima quando è proclamato Caesar, poi
rinnovata ogni anno. Titoli vittoriosi Germanicus maximus; Sarmaticus maximus);
Gothicus maximus); Dacicus maximus; Adiabenicus; Arabicus maximus; Armeniacus
maximus; Britannicus maximus; Medicus maximus; Persicus maximus. Altri titoli Caesar,
Filius Augustorum e augustus; Pius, Felix, Pontifex Maximus; Invictus, Pater
Patriae, Proconsul; Maximus; Victor (in sostituzione di Invictus); Triumphator
(titolo aggiunto tra il 328 ed il 332). Località italiane in cui è attestato il
culto a San Costantino imperatore Calabria Calabria, Provincia di Vibo
Valentia, San Costantino Calabro Calabria, Provincia di Vibo Valentia,
Briatico, San Costantino di Briatico (frazione) Lucania Basilicata,
Provincia di Potenza, San Costantino Albanese Basilicata, Provincia di Potenza,
Rivello, San Costantino (frazione) Sardegna Sardegna, Provincia di
Oristano, Siamaggiore, Parrocchiale di San Costantino Magno Imperatore
Sardegna, Provincia di Oristano, Sedilo, Santuario di Santu Antinu Sardegna,
Provincia di Sassari, Pozzomaggiore, Chiesa di San Costantino (Pozzomaggiore)
Toscana Toscana, Provincia di Pisa, Casciana Terme Lari, Castello dei
Vicari a Lari Toscana, Provincia di Pisa, Casciana Terme Lari, Santuario di San
Martino in Petraja a Casciana Terme Trentino-Alto Adige Trentino-Alto
Adige, comune di Fiè allo Sciliar, frazione di San Costantino/St. Konstantin,
Chiesa di San Costantino Trentino-Alto Adige, comune di Naz-Sciaves, frazione
di Raas, Chiesa dei Santi Egidio e Costantino Note ^ Costantino si attribuì il titolo
Invictus dopo la propria autoproclamazione ad Augusto, nella seconda metà del
310. Si veda nel merito Thomas Grünewald, Constantinus Maximus Augustus.
Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stoccarda 1990,
pp. 46-61. Il senato di Roma gli accordò questo titolo dopo la vittoria
su Massenzio. Si veda Lattanzio, De mortibus persecutorum Costantino adottò il
titolo Victor in sostituzione di Invictus nel 324, dopo la vittoria definitiva
su Licinio. Si veda nel merito Thomas Grünewald, Constantinus Maximus Augustus.
Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stoccarda 1990,
pp. 134-144. Costantino adottò il titolo Triumphator al tempo delle
campagne gotiche sul confine danubiano. Si veda nel merito Thomas Grünewald,
Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen
Überlieferung, Stoccarda 1990, pp. 147-150. Timothy Barnes, The victories
of Constantine, in Zeitschrift fur Papyrologie und Epigraphik 20, 1976,
pp.149-155. CIL. CIL Iscrizione databile al 319 sulla quale troviamo
diversi titoli vittoriosi: «Imperatori Caesari Flavio Constantino Maximo Pio
Felici Invicto Augusto pontifici maximo, Germanico maximo III, Sarmatico maximo
Britannico maximo, Arabico maximo, Medico maximo, Armenico maximo, Gothico
maximo, tribunicia potestate XIIII, imperatori XIII, consuli IIII patri
patriae, proconsuli, Flavius Terentianus vir perfectissimus praeses provinciae
Mauretaniae Sitifensis numini maiestatique eius semper dicatissimus.»
(CIL VIII, 8412 (p 1916)) ^ Y.Le Bohec, Armi e guerrieri di Roma antica.
Da Diocleziano alla caduta dell'impero, Roma; Scarre, Chronicle of the roman
emperors, New York. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica; Malalas,
Cronografia; IL Alg-1, (Africa proconsularis, Tenoukla): Dddominis nnnostris
Flavio Valerio Constantino Germanico Sarmatico Persico et Galerio Maximino
Sarmatico Germanico Persico et Galerio Valerio Invicto Pio Felici Augusto XI. ^
Il giorno e il mese sono largamente accettati, mentre l'anno è talvolta
anticipato al 271 o ritardato al 275 o anche molto più tardi (ad esempio
"ca. 280" secondo l'Enciclopedia Europea della Garzanti. Fonti WEB
citano addirittura il 289.). Il suo biografo ufficiale, Eusebio di Cesarea,
dice soltanto che la sua vita fu approssimativamente lunga il doppio del suo
regno, cioè circa 62-63 anni. Purtroppo Eusebio dichiara che il suo regno durò
32 anni (e non 31), in quanto contava come interi anche gli spezzoni incompleti
dell'anno di nascita e di morte; ciò ha indotto in errore alcuni storici, che
anticipano di due anni la sua nascita. Nel merito si veda inoltre Barnes, The
New Empire of Diocletian and Constantine, pp. 39-42. Sesto Aurelio
Vittore, De Caesaribus, 41.16; Sofronio Eusebio Girolamo, Cronaca; Eutropio,
Breviarium historiae romanae, X, 8.2; Annales Valesiani, VI, 35; Orosio,
Historiae adversos paganos; Chronicon paschale, p.532, 7-21; Teofane
Confessore, Chronographia A.M. 5828 (testo latino); Michele siriaco, Cronaca,
VII, 3. ^ Il titolo imperiale ufficiale era IMPERATOR CAESAR FLAVIVS CONSTANTINVS
PIVS FELIX INVICTVS AVGVSTVS; dopo il 312 aggiunse MAXIMVS ("il
grande") e sostituì INVICTVS con VICTOR, in quanto INVICTVS ricordava il
culto del Sol Invictus. ^ Costantino I, in Santi, beati e testimoni -
Enciclopedia dei santi, santiebeati.it. ^ Origo Constantini Imperatoris Barnes,
Constantine and Eusebius; Elliott, Christianity of Constantine, 17; Odahl, 15;
Pohlsander, "Constantine I"; Southern, Odahl, Constantine and the
Christian empire, London, Routledge, Gabucci, Ancient Rome : art, architecture
and history, Los Angeles, CA, J. Paul Getty Museum, Barnes, Constantine and
Eusebius; Lenski, "Reign of Constantine" (CC); Odahl, Drijvers, J.W.
Helena Augusta: The Mother of Constantine the Great and the Legend of Her
finding the True Cross (Leiden, 1991) 9, 15–17. ^ Barnes, Constantine and
Eusebius, 3; Barnes, New Empire, 39–40; Elliott, Christianity of Constantine,
17; Lenski, "Reign of Constantine" (CC); Odahl, 16; Pohlsander,
Emperor Constantine, 14. ^ Eleanor H. Tejirian e Reeva Spector Simon, Conflict,
conquest, and conversion two thousand years of Christian missions in the Middle
East, New York, Columbia; Barnes, The New Empire of Diocletian and Constantine,
pp. 39-42. ^
Epitome de Caesaribus, 41.16 ^ Come convincentemente dimostrato in A. Alflödi,
Constantinus... proverbio vulgari Trachala... nominatus, in BHAC (Bonn). Nel
merito si veda anche V. Neri, Le fonti della vita di Costantino nell'Epitome de
Caesaribus, in Rivista storica dell'antichità XVII-XVIII/1987-88, Bologna; Lattanzio,
De mortibus persecutorum, Costantino I, Oratio ad sanctorum coetum Eusebio di
Cesarea, Vita di Costantino Origo Constantini Imperatoris 2, 3. Tra il 299 ed
il 307 i Tetrarchi iterano il titolo Sarmatico massimo per quattro volte e ciò
ben testimonia l'intenso sforzo bellico profuso contro tale popolazione
barbara. Si veda Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later
Roman Empire, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum; Eutropio Lattanzio, De
mortibus persecutorum; Zosimo, Origo Constantini Imperatoris 2,4; Zonara
Epitome de Caesaribus, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, 25, 1-5 ^ Moreau,
Lactance. De la mort des persécuteurs, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, 26,
1-3; Zosimo Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, Lattanzio, De Mortibus
Persecutorum, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, p. 71. ^
Pasqualini, Massimiano Herculius. Per un'interpretazione della figura e
dell'opera, p. 87. ^ Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, Lattanzio, De Mortibus
Persecutoru; Zosimo, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, Sulle deliberazioni
di Carnuntum si veda Roberto, Diocleziano, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum,
29, 3. ^ Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, Lattanzio, De Mortibus
Persecutorum, Lattanzio, De Mortibus Persecutorum; Lattanzio, De Mortibus Persecutorum, Zosimo,
Storia nuova, Eutropio, Breviarium historiae romanae, Barnes, C. and Eusebius Nella
pianura tra Rivoli e Pianezza: Vittorio Messori e Giovanni Cazzullo, Il Mistero
di Torino, Milano, Mondadori, Zosimo, Storia nuova, II, 26. ^ Zosimo, Storia
nuova, II, 28. Zosimo, Storia nuova, Battesimo di Costantino, su treccani
Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, Zosimo, Storia nuova,
II, 30. Zosimo, Storia nuova, Zosimo, Storia nuova, II, 33.2.
Zosimo, Storia nuova, II, 33.3. ^ Ammiano Marcellino, Storie; Gibbon
(Saunders), Zosimo, Storia nuova, Gibbon (Saunders), Per la traduzione di
"comes" con "ministro" si interpreti: Ita etiam qui sacri
Palatii ministeriis ac officiis praeficiebantur, eorumdem ministeriorum ac
officiorum Comites dicti, ut ex infra observandis constat., cfr. Du Cange,
Baroni, Cronologia della storia romana, Eutropio, Breviarium historiae romanae,
Zosimo, Storia nuova, Maxfield, L'Europa continentale, Baroni, Cronologia della
storia romana; Flavio Claudio Giuliano, De Caesaribus, 329c. ^ C.R.Whittaker,
Frontiers of the Roman empire. A social ad economic study, Baltimora et London,
1Zosimo, Storia nuova, Bohec, Armi e guerrieri di Roma antica. Da Diocleziano
alla caduta dell'impero, Roma, Lido, De magistratibus; Zosimo, Storia nuova,
Bohec, Armi e guerrieri di Roma antica. Da Diocleziano alla caduta dell'impero,
Roma, Zosimo, Storia nuova, Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza,
Einaudi, Più tardi, nel 358, il vescovo Macedonio fece traslare il sarcofago
imperiale nell'attiguo mausoleo del martyrium di S. Acacio. ^ Chronicon
paschale, Bury, Chronicon paschale; Passio Artemii; Zonara, L'epitome delle
storie, In particolare furono uccisi i
fratellastri di Costantino I, Giulio Costanzo, Nepoziano e Dalmazio, alcuni
loro figli, come Dalmazio Cesare e Annibaliano, e alcuni funzionari, come
Optato e Ablabio. ^ Eutropio, Breviarium historiae romanae, X, 9. ^ Zosimo,
Storia nuova, ii.40. ^ Burckhardt, Costantino il Grande e i suoi tempi, tr.it.
Longanesi Ad esempio, Clemente, titolare della cattedra di storia romana
all'università di Firenze, autore di una Guida alla storia romana; Fraschetti,
docente di storia economica e sociale del mondo antico presso la Sapienza di
Roma, autore de La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana; Arnaldo
Marcone docente di Storia romana all'università di Udine, autore di Pagano e
cristiano. Vita e morte di Costantino; Robin Lane Fox, docente di Storia antica
presso il College di Oxford, autore di Pagani e cristiani; e molti altri
titolati studiosi del mondo antico, come Andrea Alfoldi, Franchi de' Cavalieri,
Baynes, Sordi, Bringmann. Veyne, Quando l'Europa è diventata cristiana,
Collezione Storica Garzanti, Milano, Filoramo, La croce e il potere, Mondadori,
Milano; Horst, Costantino il grande, Milano Il ripudio nel tardo Impero: una
costituzione di Teodosio II, su jus.vitaepensiero.it. Dal Gesù storico al
Cristo della fede: la svolta costantiniana, su homolaicus.com. Costantino e la
legislazione antiereticale. La costruzione della figura dell'eretico Notizie in
inglese sulle monete di C. in bronzo con simboli cristiani Apocalisse su La
Parola La Sacra Bibbia in italiano in Internet. La nascita di Gesù è avvenuta
secondo i vangeli circa quindici mesi dopo l'annuncio a Zaccaria della nascita
del Battista. La collocazione di questo evento nell'ultima settimana di
settembre, in accordo con la tradizione cristiana, è compatibile con le notizie
oggi disponibili sul turno di servizio sacerdotale al tempio della classe
sacerdotale di Abia, alla quale apparteneva Zaccaria. Cfr. Data di nascita di Gesù
^ da Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries, Yale, Ramsay
MacMullen, La scelta del 25 dicembre per celebrare il Natale cristiano: dal
dies natalis del Sol invictus, espressione del culto solare di Emesa e del dio
Mitra, alla celebrazione del Cristo, “sole che sorge”, su gliscritti.it. Burckhardt
Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi; Ruffolo, Quando
l'Italia era una superpotenza, Einaudi, nella sua opera De falso credita et
ementita Constantini donatione ^ Sozomeno, Historia Ecclesiastica, II,34;
Eusebio di Cesarea, Vita Constantini, IV,61–63; Socrate Scolastico, Historia
Ecclesiastica; Cirro, Historia Ecclesiastica, GIRLAMO (si veda), Chronicon.
Barbero, Costantino il Vincitore, Salerno, Epistula Constantini ad Aelafium,
CSEL; Carile in L'imperatore e la Chiesa. Dalla tolleranza alla supremazia
della religione cristiana (380), alle contese per la cattolicità delle chiese;
Enciclopedia Costantiniana, Treccani Gli Actus Silvestri sono menzionati la
prima volta nel Decretum Gelasianum, documento attribuito a papa Gelasio I,
come affermato in: Marilena Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande.
Storia di una scomoda eredità (Hermes Einzelschriften, 95), Franz Steiner
Verlag, München; Wilhelm Pohlkamp n Internet Archive. aveva identificato nei
manoscritti una versione più antica, e una versione più recente. Carile in
L'imperatore e la Chiesa cit. ^ Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli,
L'arte dell'antichità classica, Etruria-Roma, Utet, Torino 1976, pag 112. ^
Alberto Perlasca, Il concetto di bene ecclesiastico. Anche se si pensa che la
madre di C. propendesse più per la religione ebraica, tanto da restare delusa
alla notizia della conversione al cristianesimo del figlio (Giorgio Ruffolo,
Quando l'Italia era una superpotenza). Scarre, Grünewald, Constantinus
Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung,
Stoccarda; Galerio attribuì questo titolo a C. e Massimino Daia subito dopo il
convegno di Carnuntum, sostituendolo a quello di cesare. Si veda nel merito Stefan, Un rang impérial nouveau à l’époque de la
quatrième Tétrarchie: Filius Augustorum. Première partie. Inscriptions
révisées: problèmes de titulature impériale et de chronologie, in Antiquité
Tardive; Costantino si attribuì il titolo invictus, e con ogni probabilità
anche quello di Pater Patriae insieme alla carica di Proconsul, dopo la propria
auto-proclamazione ad OTTAVIANO (si veda). Si veda nel merito Thomas Grünewald,
Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen
Überlieferung, Stoccarda; Costantino adottò il titolo Victor in sostituzione di
Invictus dopo la vittoria definitiva su Licinio. Si veda nel merito Thomas
Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der
zeitgenössischen Überlieferung, Stoccarda; Ammiano Marcellino, Historiae (testo
a fronte in inglese). Vittore, De Caesaribus (versione latina) Consolaria
costantinopolitana. Chronicon paschale. Costantino I, Oratio ad sanctorum
coetum. Epitome de Caesaribus (versione latina). Eusebio di Cesarea, Vita di
Costantino (latino); Storia ecclesiastica (traduzione inglese). Eutropio,
Breviarium historiae romanae (testo latino), IX-X . Giordane, De origine
actibusque Getarum; Vedi qui testo latino. Girolamo, Cronaca, versione francese
QUI. Lattanzio, De mortibus persecutorum; latino. Origo Constantini
Imperatoris; Vedi qui testo latino e traduzione in inglese. Orosio, Historiarum
adversus paganos libri Vedi qui testo latino. Notitia dignitatum, Notitia
dignitatum (latino) . Panegyrici latini, testo latino. Socrate Scolastico,
Storia ecclesiastica, I. Sozomeno, Historia Ecclesiastica, I. Teodoreto di
Cirro, Historia Ecclesiastica, I. Teofane Confessore, Chronographia (testo
latino) . Zonara, L'epitome delle storie, Vedi qui testo latino. Zosimo, Storia
nuova, traduzione inglese, QUI. Studi Andreas Alföldi, Costantino tra
paganesimo e cristianesimo, Laterza, Roma-Bari; Barbero, Costantino il
Vincitore, Salerno Editrice, Roma, Barnes, The victories of Constantine, in
Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik Timothy Barnes, Constantine and
Eusebius, Cambridge, MA Harvard; Barnes, The New Empire of Diocletian and
Constantine, Harvard, Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the
Later Roman Empire, Wiley Blackwell, Malden - Oxford, Bandinelli e Torelli,
L'arte dell'antichità classica. Etruria-Roma, UTET, Torino, Burckhardt,
Costantino il Grande e i suoi tempi, tr.it. Longanesi, Milano, Carpiceci e
Marco Carpiceci, Come Costantin chiese Silvestro d'entro Siratti - Costantino
il grande, San Silvestro e la nascita delle prime grandi basiliche cristiane,
Edizioni Kappa, Roma Chastagnol, L'accentrarsi del sistema: la tetrarchia e
Costantino, Storia di Roma, Einaudi, Torino, Storia Einaudi dei Romani, Ediz.
de Il Sole 24 ORE, Milano; Cuneo, La legislazione di Costantino II, Costanzo II
e Costante; Giuffrè, Diehl, La civiltà bizantina, Garzanti, Milano, Donati e
Gentili, Costantino il Grande: la civiltà antica al bivio tra Occidente e
Oriente, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Fraschetti, La conversione: da
Roma pagana a Roma cristiana, Laterza, Bari; Grünewald, Constantinus Maximus
Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung,
Stoccarda Eberhard Horst, C. il Grande, Milano, Bompiani, Bohec, Armi e
guerrieri di Roma antica: da Diocleziano alla caduta dell'impero, Carocci,
Roma, Marcone, Pagano e cristiano: vita e mito di Costantino, Laterza,
Roma-Bari, Maxfield, L'Europa continentale, in Il mondo di Roma imperiale. La
formazione, Laterza, Roma-Bari, Mazzarino, L'Impero romano, tre vol., Laterza,
Bari; riediz. e successive rist.; Moreau, Lactance. De la mort des
persécuteurs, Parigi Percivaldi, Fu vero Editto? C. e il Cristianesimo tra
storia e leggenda, Ancora Editrice, Milano, Pasqualini, Massimiano Herculius.
Per un'interpretazione della figura e dell'opera. Roma, Rentetzi, Costantino,
Elena e la vera croce. Modelli iconografici nell'arte bizantina, Studi
Ecumenici. - Istituto di Studi Ecumenici S. Bernardino - Pontificia Università
Antonianum, archive
isevenezia.it/it/ pubblicazioni/ pubblicazioni_dell_ise /rivista_
di_studi ecumenici/ Roberto, Diocleziano, Roma Ruffolo, Quando l'Italia era una
superpotenza, Einaudi, Torino, The paradigmatic value of the depiction of
Constantine in the homonymous arch in the formation of the Christ in Throne's
iconography web.archive.org
/web/.ni.rs/ byzantium/ english.php (Paper presented to the Nis
and Byzantium Symposium”, Nis), Nis, Scarre, Chronicle of the roman emperors,
Pat Southern, The Roman Empire: from Severus to Constantine, Londra, Stefan, Un
rang impérial nouveau à l’époque de la quatrième Tétrarchie: Filius Augustorum.
Première partie. Inscriptions révisées: problèmes de
titulature impériale et de chronologie, in Antiquité Tardive Costantino e le
sfide del cristianesimo. Tracce per una difficile ricerca, a cura
di Tanzarella - Adamiak, Il pozzo di Giacobbe, Trapani. Whittaker, Frontiers of
the Roman empire. A social ad economic study, London, L'editto di Milano e il
tempo della tolleranza. Costantino, Mostra di Palazzo Reale a Milano, mostra a
cura di Paolo Biscottini e Gemma Sena Chiesa, catalogo a cura di Gemma Sena
Chiesa, Ed. Mondadori Electa, Milano. Filmografia Costantino il Grande, regia
di Lionello De Felice, con Cornel Wilde, Belinda Lee e Massimo Serato. Voci
correlate Aeroporto C. il Grande Niš (Serbia) Antica basilica di San Pietro in
Vaticano Ardia Arco di Costantino Arco di Malborghetto Arte costantiniana
Basilica della Natività Basilica del Santo Sepolcro Basilica Palatina di
Costantino (ad Augusta Treverorum, oggi Treviri) Basilica di Massenzio (a Roma)
Basilica di San Giovanni in Laterano Basilica di San Paolo fuori le mura
Cesaropapismo Colonna di Costantino Monumento a Costantino Imperatore Donazione
di Costantino Flavia Giulia Elena In hoc signo vinces Monogramma di Cristo Statua
colossale di Costantino I Terme di Costantino Ponte di Costantino (Danubio)
Costantino I imperatore, detto il Grande, su Treccani– Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Alberto Olivetti, COSTANTINO I imperatore,
detto il Grande, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Costantino I detto il Grande, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, MacGillivray Nicol e J.F. Matthews, Constantine I,
su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Costantino I, su
BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Costantino I, in Diccionario biográfico
español, Real Academia de la Historia. Opere di Costantino I, su digilibLT,
Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Modifica su
Wikidata Opere di Costantino I, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Costantino I, su Open Library, Internet Archive. C. I, su Goodreads. Costantino
I, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. C. I, su Santi, beati e
testimoni, santiebeati.it. The Roman Law Library by Professor Yves Lassard and
Alexandr Koptev, su web.upmf-grenoble. Monete emesse da Costantino I, su
wildwinds.com. Sito dedicato alle monete di Costantino in bronzo, su
constantine the great coins. Predecessore Imperatore romano Successore Costanzo
Cloro (con Galerio) Costantino IIVDM Imperatori romani e relative linee di
successione VDM Diocleziano Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Bisanzio Portale Cristianesimo Categorie:
Imperatori romani Santi romani Nati a Naissus Morti a Nicomedia Costantino I Dinastia
costantiniana Santi per nomeStoria antica del cristianesimo Personalità del
cristianesimo ortodosso Personaggi citati nella Divina Commedia (Inferno) Personaggi
citati nella Divina Commedia (Paradiso) Santi della Chiesa ortodossa[altre] Costantino.
Grice e Costanzi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’amore e la morte – scuola di Pozzuolo Umbro -- filosofia perugina
– filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pozzuolo Umbro). Filosofo italiano. Pozzuolo Umbro, Castiglione del
Lago, Perugia, Umbria. Grice: “I like Costanzi; possibly my favourite of his
essays is the one on ‘amore’ and ‘morte’ – eros and Thanatos for the Oxonian!” Si laurea a Bologna. Ensegna a Bologna. Altre opere:
“Pensiero ed essere” (Perrella, Roma); “Varisco: l’uno e i molti” (Perrella,
Roma); “Noluntas” (Perrella, Roma); “Schopenhauer” (Roma); “L'asceta moderno” –
L’asceta -- Arte e storia, Roma; Spinoza, Universitas, Roma); “Il sentito in
Platone” -- Arte e storia, Roma); “L'ascetica di Heidegger” Arte e storia,
Roma); “L'ascesi di coscienza e l'argomento d’Aosta”, Arte e storia, Roma); “Meditazioni
inattuali sull'essere e il senso della vita” Arte e storia, Roma); “La
terrenità edenica del Cristianesimo e la contaminazione spiritualistica”
(Patron, Bologna); “La donna angelicata e il senso della femminilità nel Cristianesimo”
(Patron, Bologna); “La filosofia pura, Alfa, Bologna); “Il senso della storia,
Alfa, Bologna); “Sul prologo di Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con
trad. dello stesso Prologo, in Ethica; “L'etica nelle sue condizioni
necessarie, Ed.ni di Ethica, Bologna); “L'estetica pia, Patron, Bologna); “L'ora
della filosofia, R. Patron, Bologna); “L'uomo come disgrazia e Dio come
fortuna” (Alfa, Bologna; “La critica
disvelatrice” (Ed.ne dell'Istituto di Filosofia dell'Bologna, Bologna); “Amore
e morte” (L. Parma, Bologna); “La singolarità della diada: compimento di un
itinerario senza vie” (Cooperativa libraria universitaria editrice, Bologna); “L'equivoco
della filosofia cristiana e il cristianesimo-filosofia” (Clueb, Bologna; e
ragioni della miscredenza e quelle cristiane della fede, Clueb, Bologna); “La
fede sapiente e il Cristo storico” (Sala francescana di cultura Antonio Giorgi,
Assisi); “La rivelazione filosofica” (Sala francescana di culturaAntonio Giorgi,
Assisii); Il Cristianesimo: filosofia come tradizione di realtà” (Sala francescana
di cultura, Assisi); “Breviloquio della sera” (Sala francescana di culturaAntonio
Giorgi, Assisi); “L’immagine sacra” (Sala francescana di cultura, Assisi); “L'identità
del Lumen publicum nelle privatezze di Anselmo e Tommaso” (Il Cristianesimo-filosofia,
Le Lettere, Roma); Opere, E. Mirri e M. Moschini, Bompiani, Milano). Sgarbi
torna a Tuoro per presentare l'opera omnia del filosofo Teodorico
Moretti-Costanzi, "Umbria Left. Il
filosofo imagliato dal Sessantotto, "il Giornale"Dizionario
Biografico degli Italiani. Wikipedia Ricerca Al di là del principio di
piacere saggio di Sigmund Freud Lingua Segui
Al di là del principio di piacere Titolo originaleJenseitsdes
Lustprinzips Freud Jenseits des Lustprinzips. djvu Autore Freud 1ª ed.
originale Genere Saggio Sottogenere Psicoanalisi Lingua originale tedesco Al di
là del principio di piacere (tedesco: Jenseits des Lustprinzips) è un saggio di
Sigmund Freud incentrato sui temi dell'Eros e del Thanatos, ovvero
rispettivamente la "pulsione di vita" e la "pulsione di
morte" (Todestrieb[e]). Giuditta II di Klimt,, Venezia,
Galleria internazionale d'arte moderna. Achille sorregge Pentesilea dopo averla
colpita a morte, una delle leggende fiorite sull'episodio vuole che l'eroe se
ne innamori proprio in questo momento. Bassorilievo dal tempio di Afrodite a
Afrodisia Il dualismo di EmpedocleModifica Freud formula il conflitto
psicologico in termini dualistici fin dai suoi primi scritti, ma è solo in
questo testo che egli presenta un simile conflitto mediante concetti desunti
dal pensiero di Empedocle, il quale parla d'un dissidio cosmico fra i princìpi
o forze di Amore (o Amicizia) e Odio (o Discordia). Empedocle di Agrigento
si presenta come una figura fra le più eminenti e singolari della storia della
civiltà greca. Il nostro interesse si accentra su quella dottrina di Empedocle
che si avvicina talmente alla dottrina psicoanalitica delle pulsioni, da
indurci nella tentazione di affermare che le due dottrine sarebbero identiche
se non fosse per un'unica differenza: quella del filosofo greco è una fantasia
cosmica, la nostra aspira più modestamente a una validità biologica. I due
principi fondamentali di Empedocle – philìa (amore, amicizia) e
neikos(discordia, odio) – sia per il nome che per la funzione che assolvono,
sono la stessa cosa delle nostre due pulsioni originarie Eros e Distruzione.»
Il nome di Eros deriva da quello della divinità greca dell'amore, e «tende a
creare organizzazioni della realtà sempre più complesse o armonizzate, [mentre]
Thanatos tende a far tornare il vivente a una forma d'esistenza inorganica.
Queste sono pulsioni. Eros rappresenta per Freud la pulsione alla vita, mentre
Thanatos quella della distruzione. Qualora l'autodistruzione diventasse oggetto
di malattia però Thanatos diviene il nome del conflitto che si crea tra energia
negativa (autodistruzione) e positiva (la rabbia del Thanatos viene utilizzata
per distruggere la malattia stessa).» Freud riscontra anche in un altro
filosofo, questa volta contemporaneo, un'anticipazione della sua scoperta:
"E ora le pulsioni nelle quali crediamo si dividono in due gruppi: quelle erotiche,
che vogliono convogliare la sostanza vivente in unità sempre più grandi, e le
pulsioni di morte, che si oppongono a questa tendenza e riconducono ciò che è
vivente allo stato inorganico. Dall'azione congiunta e opposta di entrambe
scaturiscono i fenomeni della vita, ai quali mette fine la morte. Forse
scrollerete le spalle: 'Questa non è scienza della natura, è filosofia, la
filosofia di Schopenhauer'. E perché mai, Signore e Signori, un audace
pensatore non dovrebbe aver intuito ciò che una spassionata, faticosa e
dettagliata ricerca è in grado di convalidare?" «Thanatos non
compare negli scritti di Freud, ma egli, a quanto riferisce Jones, l'avrebbe
talvolta usato nella conversazione. L'uso nel linguaggio psicoanalitico è
probabilmente dovuto a Federn.» Sabina Spielrein e Barbara LowM= Su esplicita
influenza di Sabina Nikolaevna Špil'rejn, citata in nota nel libro, per Freud
Thanatos segnala il desiderio di concludere la sofferenza della vita e tornare
al riposo, alla tomba. Concetto che non deve essere confuso con quello di
destrudo, vale a dire con l'energia della distruzione (che si oppone alla
libido). Thanatos è il principio di costanza,accennato fin dal capitolo
sette de L'interpretazione dei sogni e che adesso, sotto l'influsso del
pensiero di Schopenhauer, diventa identico al principio del Nirvana proposto da
Low: le eccitazioni della mente, del cervello, dell'"apparato
psichico" non vengono più solo sgomberate, tenute costanti al più basso
livello possibile, bensì estinte, eliminate sino al grado zero della realtà
inanimata. La coazione a ripetereModifica Nel testo del '20 Freud sostiene che
«nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere la quale si afferma
anche a prescindere dal principio di piacere.» Sulla falsariga del motto errare
humanum est, perseverare autem diabolicum, essa viene definita per quattro
volte «demoniaca»: Vi sono individui che nella loro vita ripetono sempre, senza
correggersi, le medesime reazioni a loro danno, o che sembrano addirittura
perseguitati da un destino inesorabile, mentre un più attento esame rivela che
essi stessi si creano inconsapevolmente con le loro mani questo destino. In tal
caso attribuiamo alla coazione a ripetere un carattere "demoniaco". La
coazione a ripetere è riscontrabile anche nella nevrosi traumatica dei reduci
della prima guerra mondialeoppure di chi tende a rivivere o reinterpretare gli
eventi più violenti. Freud collocò la coazione a ripetere fra i sintomi
della nevrosi: si ripete il sintomo nevrotico invece di ricordare, si ripete
per non ricordare, con quello che Freud chiama «l'eterno ritorno dell'uguale. Per
la relazione tra pulsione e coazione a ripetere, Freud notò che le coazioni
tendono come la pulsione a una ripetizione assoluta e atemporale, mai
definitivamente appagata, e che tendono a sparire quando un fatto viene
riportato a conoscenza del paziente. Dalla rimozione di una pulsione (a
muoversi ovvero a ricordare un fatto doloroso o traumatico), la coazione a
ripetere trae l'energia per imporsi sulla volontà cosciente dell'Io. La
coazione a ripetere diventa il punto di partenza della terapia psicoanalitica.
Occorre ricordare per non ripetere gli errori del passato, gli stessi dubbi e
conflitti per tutta la vita, in amore, in amicizia, nel lavoro. Freud
rileva questa coazione anche nelle circostanze più ordinarie e naturali,
persino nel gioco dei bambini come quello con il rocchetto usato dal suo
piccolo nipote di diciotto mesi. Il bimbo, lanciando il rocchetto lontano da
sé, simboleggia la perdita della madre e, ritraendo il rocchetto a sé,
rappresenta il ritorno della madre. Imparerebbe così a padroneggiare l'assenza
materna attraverso un duplice movimento, che è sempre seguito dalla
vocalizzazione di un "oooo..." (ted. fort, «via!»), quando il
rocchetto è lontano, e da un "da" (ted. da, «Eccolo!»), quando il
rocchetto è di nuovo vicino. Dopo l'esposizione d'una serie di ipotesi (in
particolare l'idea che ogni individuo ripete le esperienze traumatiche per
riprendere il controllo e limitarne l'effetto dopo il fatto), Freud considera
l'esistenza di un essenziale desiderio o pulsione di morte, riferendosi al
bisogno intrinseco di morire che ha ogni essere vivente. Gli organismi, secondo
quest'idea, tendono a tornare a uno stato preorganico, inanimato – ma vogliono
farlo in un modo personale, intimo. In definitiva, «sembrerebbe proprio che il
principio di piacere si ponga al servizio delle pulsioni di morte. A questo
punto sorgono innumerevoli altri quesiti cui non siamo in grado attualmente di
dare una risposta. Dobbiamo aver pazienza e attendere che si presentino nuovi
strumenti e nuove occasioni di ricerca. E dobbiamo esser disposti altresì ad
abbandonare una strada che abbiamo seguito per un certo periodo se essa, a
quanto pare, non porta a nulla di buono. Solo quei credenti che pretendono che
la scienza sostituisca il catechismo a cui hanno rinunciato se la prenderanno
con il ricercatore che sviluppa o addirittura muta le proprie opinioni. Implicazioni
Modifica Uno psicoanalista con competenze pure di antropologia filosofica come
Sciacchitano sostiene che «la vera psic[o]analisi fu il frutto tardivo
dell'attività teoretica di Freud. Bisogna aspettare la svolta degli anni Venti,
con l'invenzione della pulsione di morte, per parlare di vera e propria
psicoanalisi. Essa comincia con la rinuncia alle pretese e alle finalità
mediche della psicoterapia. Il nuovo modello freudiano individuava nello
psichico un nucleo patogeno fisso, qualcosa che non si scarica mai, ma continua
a ripetersi identicamente a se stesso e insensatamente, cioè fuori da ogni
intenzionalità soggettivistica e contro ogni teleologia vitalistica. Ce n'era
abbastanza per far crollare ogni illusione terapeutica. Parecchi allievi a
questo punto abbandonarono il maestro che toglieva avvenire, come si dice
terreno sotto i piedi, alle loro illusioni umanitarie». Freud non cambierà più
idea. Ciò significa che il fondatore della psicoanalisi asserirà la sostanziale
"inguaribilità'" del disagio psichico per lo stesso arco di tempo, un
ventennio, in cui egli precedentemente aveva affermato l'esatto contrario. Reich,
in La funzione dell'orgasmo e Analisi del carattere, propose una propria
ipotesi di confutazione alla teoria della pulsione di morte. La
madre morta, Egon Schiele, Vienna, Leopold Museum. Nell'arte: SchieleModifica
«Egon Schiele sa che tutto ciò che vive è anche morto, porta in sé il suo
esistenziale compimento, fin dall'istante del concepimento, come attesta il
funesto dipinto: La madre morta, in cui il grembo appare come un lugubre
mantello, un involucro mortuario che racchiude il Sein zum Tode
[Essere-per-la-morte] del nascituro, ne circoscrive la parabola
esistenziale.» (Vozza) Agonia, Egon Schiele, Monaco di Baviera,
Neue Pinakothek. Madre con i due bambini, Vienna, Österreichische Galerie
Belvedere. «Schiele introduce un evento di grande rilievo nell'iconografia
della malinconia e della vanitas, operandone una trasfigurazione tragica:
l'uomo non [...] medita più sulla morte raffigurata in un teschio posto nel suo
studiolo come altro da sé, ma assume sul proprio volto l'icona funebre, diventa
morte incarnata, esibita nel gesto d'esistere, nel godimento del sesso e nella
prostrazione della sofferenza. Nessuna iconoclastìa sopravvive nel gesto
pittorico di Schiele: si pensi all'Agonia, sacra rappresentazione di
stupefacente intensità cromatica, allegoria del dolore immedicabile, emblema di
una eterna e impietosa Passione, sublime omaggio a quell'incomparabile maestro
di sofferenza che è stato Grünewald.» (Marco Vozza) «La Madre con i due
bambini esibisce un volto già visibilmente cadaverico, mentre un infante
osserva sgomento il deliquio orizzontale del fratellino. Nessuno meglio di
Schiele ha saputo render visibile quella che l'analitica esistenziale ha
chiamato Geworfenheit, l'indifeso essere gettati in un mondo ostile. Insieme a
lui soltanto Kokoschka, in seguito Dubuffet e Bacon.» (Marco Vozza)
Quadro che Sabina Nikolaevna Špil'rejn sceglie come modello rappresentativo del
connubio Eros-Thanatos nel film biografico Prendimi l'anima (Roberto Faenza):
Perché Giuditta uccide Oloferne, estratto dal film su YouTube (vedi
screenshot). Freud, Al di là del principio di piacere(1920), in Opere di Freud
L'Io e l'Es e altri scritti; Torino, Bollati Boringhieri, . Ed. paperback
Freud, Analisi terminabile e interminabile, in OSF L'uomo Mosè e la religione
monoteistica e altri scritti, Torino, Bollati Boringhieri; Ed.
paperbackGalimberti, Enciclopedia di psicologia, Garzanti, Torino; Freud
Introduzione alla psicoanalisi, Edizioni Boringhieri; Jones, Vita e opere di
Freud: L'ultima fase, Milano, Garzanti, Laplanche, Jean-Bertrand Pontalis, a
cura di Luciano Mecacci e Cyhthia Puca, Enciclopedia della psicoanalisi,
Bari-Roma, Laterza, voce Thanatos, The language of psycho-analysis, Karnac,
Paperbacks, books.google.it. ^ Sigmund Freud, Al di là del principio del
piacere; Freud, Freud, op. cit., p. 235. ^ Sigmund Freud; Mugnani, Analisi del
testo di S. Freud: "Il problema economico del masochismo". Pasqua, Al
di là del principio di piacere: sul principio di Piacere e la Coscienza; Laplanche,
Jean Bertrand Pontalis, voce Principio di piacere. su books.google.it. Freud; Laplanche,
Pontalis, op. cit., voce Coazione a ripetere. Anteprima disponibile; Google
Libri. ^ Sigmund Freud; Cf. anche Il perturbante, OSF; Freud Introduzione alla
psicoanalisi,Boringhieri Freud, Al di là del principio di piacere, Torino,
Bollati Boringhieri, Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere; Freud,
op. cit. Sciacchitano, Il demone del godimento, Godimento e desiderio, aut aut,
Vozza, Il senso della fine nell'arte contemporanea, in L'Apocalisse nella
storia, Humanitas, Vozza, op. cit., Vozza, ibidem. Voci correlateModifica
Psicoanalisi Empedocle Eros (filosofia) Eros Il disagio della civiltà Libido
Destrudo Morte Sabina Nikolaevna Špil'rejn Tanato; Edizioni e traduzioni di Al
di là del principio di piacere, su Open Library, Internet Archive. Edizioni e
traduzioni di Al di là del principio di piacere, su Progetto Gutenberg.
Laplanche, Pontalis, The language of psycho-analysis, Karnac, Thanatos, Nirvana
Principle, e Compulsion to Repeat, Portale Letteratura Portale
Psicologia Nikolaevna Špil'rejn psicoanalista russa Differimento
Resistenza (psicologia) ciò che negli atti e nel discorso, si oppone
all'accesso dei contenuti inconsci alla coscienza Teodorico Moretti
Costanzi. Keywords: amore e morte, l’essere, il sentito, ascesi (verbo?),
Zarathustra, il singolo della diada, l’uno e i molti, nolere, nolitum, volitum,
amore/morte, eros/tanatos, immagine sacra, imaginatum, essere, un essere, due
esseri, le due esseri entrambi – rivelazione – la rivelazione filosofica – a
new discourse on metaphysics: from genesis to revelations – un nuovo discorso
di metafisica: del genesi alle rivelazione. – Zarathustra e cristita -- nollere in Schopenhauer --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Costanzi” – The Swimming-Pool Library. Costanzi
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