Grice ed Algarotti: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale – scuola di Venezia – filosofia veneziana –
filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Venezia). Filosofo
veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia,Veneto. Grice: “You’ve
got to love ‘il conte Algarotti’; he is the typical Italian philosopher of
language, relishing on ‘la bella lingua,’ by which they do not mean the Roman! “La Latina, in bocca di un popolo di
soldati, e concise e ardimentosa.’” Grice: “Algarotti thinks that the
Florentines have enriched it – ‘Imagine Aligheri in Latin!” – Grice: “All that should be lost on Oxonians, but it ain’t!” – Consider
‘conciseness.’ One of my conversational maxims is indeed, ‘be concise, i. e. or
viz., avoid unnecessary prolixity [sic].” – So, if the Roman tongue was the
tongue of soldiers, and a soldier needs to be concise in communicating with
another soldier – The justification of the maxim is in the practice of
‘soldiering.’ With ‘ardimentosa’ we have moer of a problem!” – Grice: “In any
case, Algarotti’s excellent point is that each conversational maxim has its
root in the practice of the corresponding conversants!” -- Grice: “Nobody
can fail to be enchanted by the drawing by Richardson of Algarotti!” -- essential
Italian philosopher. Grice: “I don’t have a monicker, but Algarotti had two: il
cigno di Padova and il Socrate veneziano. Spirito
illuminista, erudito dotato di conoscenze che spaziavano dal newtonianismo
all'architettura, alla musica, è amico delle personalità più grandi dell'epoca:
Voltaire, Argens, Maupertuis, Mettrie. Tra i suoi corrispondenti vi sono Chesterfield,
Gray, Lyttelton, Hollis, Metastasio, Benedetto XIV, Brühl, e Federico II di
Prussia. Saggi. Nacque da una famiglia di commercianti. Dopo un
primo periodo di studio a Roma continua gli studi a Bologna, dove affronta le
diverse discipline scientifiche nella loro vastità. Si trasfere a Firenze per
completare la propria preparazione letteraria. Inizia a viaggiare, raggiungendo
Parigi. Presentare il proprio newtonianismo, opera di divulgazione scientifica
brillante. Il saggio è prima apprezzato, e poi denigrato da Voltaire, che dal
lavoro del suo caro cigno di Padova — come è solito appellarlo — trasse alcuni
temi dei suoi Elementi della filosofia di Newton. Voltaire e A. si sono
conosciuti personalmente a Cirey nello stesso periodo in cui l'italiano
preparava il saggio. Dopo il periodo trascorso in Francia, A. si reca in
Inghilterra, per soggiornare per qualche tempo a Londra, dove è accolto nella
Societa Reale. Tornato in Italia si dedica alla pubblicazione del Newtonianesimo.
Dopo un breve ritorno a Londra, anda a visitare alcune zone della Russia
(fermandosi in particolare a San Pietroburgo) e della Prussia. Quando il
re Federico si reca a Königsberg a incoronarsi, A. si trova in mezzo gl’applausi
e il giubilo di quella potente e valorosa nazione misto e confuso coi principi
della famiglia reale, e stette nel palco col re, spargendo al popolo sottoposto
le monete con l'immagine di Federico. Fu in tale congiuntura che questi conferì
a lui, quanto al fratello Bonomo e ai discendenti della famiglia Algarotti, il
titolo di conte, meno vano quando è premio del sapere, e lo fa suo ciambellano
e cavaliere dell'ordine del merito, mentr'era alla corte di Dresda col titolo
di consigliere intimo di guerra. Dal momento che conosce Federico né
l'amicizia, né la stima del re, né la gratitudine, la devozione e il sincero
affetto del cortigiano vennero meno, né soffersero mai alcuna alterazione. L’amicizia
fra A. ed il re e estesa anche alla sfera più intima. Il re lo volle non solo a
compagno degli studi e dei viaggi, ma altresì dei suoi più segreti piaceri,
essendoché della corte di Potsdam, ora fa un peripato, ed ora la converte in un
tempio di Gnido, il che significa: in un tempio di Venere. Utilizza la
propria influenza anche a favore degli oppositori filosofici a Venezia,
Bologna, e Pisa. Altre saggi: “Viaggi di Russia”; “Il Congresso di Citera” -- un
romanzo dedicato ai costumi galanti e amorosi rivisitati secondo quanto
osservato nei diversi luoci in cui soggiorna. Altre opere: edizione con indice
analitico – reproduzione anastatica -- Poesie -- Epistole in versi -- Annotazioni
alle epistole -- Rime giusta l'ediz. di Bologna -- Elegia ad Francisci Marive
Zanotti Carmina -- Dialoghi sopra l'ottica Neutoniana -- Breve storia della
Fisica ed esposizione dell' ipotesi del Cartesio sopra la natura della luce e
de' colori. I principi generali dell'ottica -- La struttura dell'occhio e la
maniera onde si vede; e si confutano le ipotesi del Cartesio e del Malebranchio
intorno alla natura della luce e de colori -- Esposizione del sistema d'ottica
neutoniano. Il principio universale dell'attrazione -- Applicazione di questo
principio all'ottica -- Si confutano alcune ipotesi intorno la natura de
colori, e si riconferma il sistema del Neutono -- Opuscoli spettanti al
neutonianismo. Caritea, ovvero dialogo in cui spiega come da noi si veggano
dritti gli oggetti che nell'occhio si dipingono capovolti e come solo si vegga
*un* oggetto, non ostante che negli occhi se ne dipingano *due* immagini --
Dissertatio de colorum immutabilitate eorum que diversa refrangibilitate --
Memoire sur la recherche entreprise par m. Du fay, s'il n'y a effectivement
dans la lumie re que trois couleurs primitives -- Sur les sept couleurs
primitives, pour servir de réponse à ce que m. Dufay a dit à ce sujet dans la
feuille du Pour et contre -- Le belle arti. L'Architettura. La Pittura. L'Accademia
di Francia ch'è in Roma. L'opera in musica. Enea in Troja. Ifigenia in en
Aulide: opera -- Sopra la necessità di scrivere nella propria lingua -- La
lingua francese -- La Rima -- La durata de' regni de' re di Roma -- L'impero
degl'incas -- Perchè i grandi ingegni a certi tempi sorgono tutti ad un trat o
e fioriscono insieme -- se le qualità varie de' popoli originate sieno dall'
influsso del clima, ovveramente dalle virtù della legislazione -- Il
gentilesimo. Il Commercio -- Cartesio -- Orazio -- La scienza militare del
segretario fiorentino. Discorso militare -- La ricchezza della lingua italiana
ne' termini militari -- Se sia miglior partito schierarsi con l'ordinanza piena
oppure con intervalli -- La colonna del cav. Folfrd -- Gli studj fatti da
Andrea Palladio nelle cose militari -- L'impresa disegnata da Giulio Cesare
contro a' Parti -- L'ordine di battaglia di Koulicano contro ad Asraffo capo
degli Aguani. L'ordine di battaglia di Koulicano a Leilam contro Topal Osmano.
Gl'esercizi militari de' prussiani in tempo di pace -- Carlo XII re di Svezia
-- La presa di Bergenopzoom. La potenza militare in Asia delle compagnie
mercantili di Europa -- L'ammiraglio Anson -- La scienza militare di Virgilio
-- La guerra insorta tra l'Inghilterra e la Francia -- Il principio della
guerra fatta al re di Prussia dall' Austria, dalla Francia, dalla Russia, etc. --
Gl'effetti della giornata di Lobositz -- La condotta militare e politica del
ministro Pitt -- Il poema dell'arte daila guerra -- Il fatto d'armi di Maxen --
La pace conchiusa l'anno MDCCLXII tra l'Inghilterra e la Francia -- La giornata
di Zamara -- Viaggi di Russia -- Storia metallica della Russia -- Lettere a
milord Hervey sopra la Russia -- Lettere al marchese Scipione Maffei sullo
stesso argomento -- Congresso di Citera -- Giudicio di Amore sopra il Congresso
di Citera -- Vita di Stefano Benedetto Pallavicini -- Sinopsi di una
introduzione alla Nereidologia -- Lettera sopra il prospetto o Sinopsi della
Nereidologia. 387 Risposta dell' Autore -- Gl'effetti dell'invasione dei goti e
de'vandali in Italia -- Le Accademie -- Michelagnolo Buonarroti -- Gl'italiani
-- Il passaggio al sud per il norte -- L'industria. Gl'inglesi -- Bernini --
Metastasio -- Gl'abusi introdottisi nelle scienze e nelle arti -- Le donne
celebri nella letteratura -- La difficoltà delle traduzioni -- Il commercio --
Fontenelle -- La forza della consuetudine -- L'utilità dell' Affrica per il
commercio -- Il secolo del seicento -- Ovidio -- Cicerone -- Plutarco -- I
romani -- L'etimologie -- I principi dotti -- L'eleganza nello scrivere
del Vasari e del Palladio -- Galilei -- La maniera onde si venre a popolar
l'America -- Dante Alighieri -La lingua francese -- Voltaire -- Euclide -- Le
misure itinerarie degli antichi -- La questione della preferenza tra gli
antichi e i moderni -- Il secolo presente -- Omero -- Lettere di Polianzio ad
Ermogene intorno alla traduzione dell'Eneide del Caro -- La Pittura --
Descrizione dei quadri acquistati per la Galleria di Dresda -- La prospettiva
degli antichi -- Pitture ed altre curiosità di Parma -- Pitture di Mauro Tesi
-- Pitture di Cento -- Pitture di Bologna -- Pitture di varie città di Romagna
-- L'Architettura -- Un'antica pianta di Venezia, prete so intaglio di Alberto
Durero -- L'uso dello appajar le colonne -- L'origine delle basi delle colonne
-- Descrizione dei disegni di Palladio ed altri per la facciata di s. Petronio
di Bologna -- Delle antichità ed altri edifizj di Rimini -- Delle cose più
osservabili di Pisa -- Progetto per ridurre a compimento il R. Museo di Dresda
-- Argomenti di quadri dati a dipingere a' più celebri Pittori moderni per
la R. Galleria di Dresda -- Lettere scientifiche -- Lettere erudite -- Il
Cesare tragedia di Voltaire -- EUSTACHIO MANFREDI -- Saggio tritico sulle
facoltà della mente umana dello Swift -- L'opera de natura lucis del Vossio --
Omero -- I poemi del Tasso -- Milton -- La traduzione di Omero fatta dal Salvi
-- Il poema le Api del Rucellai -- Iscrizioni ed epitaffj rimarcabili --
Sandersono -- Iscrizioni per la chiesa cattolica di Berlino -- Le traduzioni
delle sue opere -- Il moto dell'apogeo della luna -- Le comparazioni -- Gli
Scrittori italiani del cinquecento -- L'ANTI- LUCREZIO del card. di Polignac --
Gl'abitanti del Paraguai -- Alcuni plagiati de' francesi -- Le cose che i
irancesi hanno imparato dagl'italiani -- L'invenzione degli specchj ustorj di
Buffon -- L'Edipo di Sofocle -- L'ULISSE del Lazzarini -- L'elettricità -- Il
CATONE dell' Addison -- Elogio di Giovanni Emo -- I fosfori -- La doppia
rifrazione de' prismi di cristallo di rocca. -- La diffrazione della luce. 355
rocca -- Le Poesie di Gio: Pietro Zanotti -- Pope -- Lo stile di Dante --
L'opinioni del Rizzetti intorno la luce -- La stranezza di alcuni paralelli --
Il poema di Milton -- Il libro De orli et progressu morum del p. Stellini --
Elogio del Caldani -- Gl'influssi della luna -- L'abuso della filosofia nella
poesia -- Il Poema del Trissino -- La maniera di seminare insegnata da
Alessandro del Borro -- L'operetta Il Congresso di Citera -- Pregi degli
scrittori toscani -- Le due tragedie di Mason r Elfrida ed il Carattaco --
L'odi di Tommaso Gray -- La necessità di arricchire di voci toscane il
dizionario della Crusca -- La deformità di Guglielmo Hay. Il gnomone di Firenze
rettificato dal p. Ximenes -- Storia de' Dialoghi dell' Autore sopra la luce e
i colori -- L'origine dell'Accademia della Crusca -- Carteggio con Tesi --
Lettere a Zanotti -- Lettere a Conti -- Carteggio con il p. d. Paolo Frisi.
Lettere. Di Eustachio Manfredi al co. A. -- Di Giampietro Zanotti al co. A. --
Di Francesco Maria Zanotti al co: Algarotti -- Del co: A. a Zanotti -- Del co:
A. a Zanotti -- OPERE INEDITE. Lettere. Di Francesco Maria Zanotti al co: A. --
Di Zanotti al co: A. -- Del co:
Algarotti a Francesco Maria Zanotti -- Dell' ab. Metastasio al co: Algarotti --
Dell' ab. Frugoni -- Di Fabri -- Di Flaminio Scarselli -- Di Benedetto XIV.
Sommo Pontefice. -- Del co: Paradisi -- Del co: Giammaria Mazzuchelli – Di Giacomelli.
Del co: A. a Scarselli -- Del co: A. a Benedetto XIV -- Del co: A. a Mazzuchelli.
Dell ab. Clemente Sibiliato al co: A.—Di Bettinelli -- Del consigliere Pecis --
Di Beccari – Di Maffei -- Del co: Aurelio Bernieri – Di Brazolo. Di Bianconi..
Del padre Paolo Paciaudi. Del marchese Gio: Poleni. Di Antonio Cocchi. 291 Del
doge Marco Foscarini. Dell' ab. Giammaria Ortes. Di Grimaldi. Di Metastasio. Di
Belgrado.Di Bianchi. Di Temanza. Del padre Antonio Golini. 350 Dell'ab. Gaspero
Patriarchi. Di Giuseppe Bartoli. Di Pozzo. Del marchese Bernardo Tanucci. 383
Dell'ab. Spallanzani. Di Martorelli. Di Lazzarini. Del co: A. all'ab. Sibiliato.
3 Del co: A. A Bettinelli -- Del co: A. al consigliere Pecis --Del co:
Algarotti al co: Aurelio Bernieri. -- Di Federico II. Re di Prussia al co: A.
-- Del Principe Guglielmo di Prussia -- Del Principe Ferdinando di Prussia --
Del Principe Enrico di Prussia -- Del Principe Brünswic -- Del cardinale di
Bernis -- Del sig. du Tillot. Del co: A. a Federigo II -- Del co: A. al
Principe Guglielmo -- Del co: A. al Principe Ferdinando -- Dello stesso al
Principe Enrico -- Dello stesso al Principe Ferdinando di Brünswic -- Dello
stesso al cardinale di Bernis -- Della marchesa di Châtelet. Di Voltaire -- Di
Maupertuis -- Di Formey ---- Del.co: A. a Voltaire -- Del co: A. a Formey --
Dello stesso a madama Du Boccage -- Di mad. Du Boccage al co: Al. -- Del
co. A. alla stessa -- Del triumvirato di CRÀSSO, POMPEO E CESARE. È
sepolto nel camposanto di Pisa in un monumento di stile archeologizzante, tradotto
in marmo di Carrara. L'epitaffio è quello che per lui dettò il re di Prussia:
“Algarotto Ovidii aemulo” -- Neutoni
discipulo, Federicus rex". Algarotti medesimo si era preparato il disegno
del sepolcro e l'epitafio, non già per orgoglio, ma spinto dal sacro amore del
bello che anche in faccia alla morte non poteva intiepidirsi nel suo petto. Aperto
al progresso e alla conoscenza razionale, esperto del bello (si prodiga come
fautore di Palladio), fu rispetto alla filosofia un grande assertore delle
teorie di Newton, sul conto del quale scrisse uno dei suoi più noti saggi, Il
newtonianesimo. Viene considerato una sorta di Socrate veneziano e per
comprendere la sua statura di insigne filosofo con un'infinita sete di sapere e
divulgare è sufficiente porsi davanti al suo innumerevole campo di interessi.
Al di là del suo ruolo di spicco nell'illuminismo filosofico, fu anche un
diplomatico e un procacciatore d'arte. In particolare viaggia cercando
antichita romani per conto di Augusto III di Sassonia. È noto che fu a comprare
a Venezia il capolavoro di Liotard, il pastello de La cioccolataia, che poi
divenne una delle perle a Dresda. Di bell'aspetto, dotato di un aristocratico
naso aquilino (esiste al Rijksmuseum uno suo ritratto a pastello, sempre di
Liotard, nel Saggio sopra Orazio non perde occasione di far notare come questi
fosse ambi-destro, e tanto lodava i vantaggi di questa disposizione, che c'è
chi suppone che egli la condividesse. Ebbe a filosofare praticamente su tutto,
affrontandocon l'acuta attenzione dello scienziato presso ché ogni aspetto
dello scibile umano. Basti ricordare i saggi “Sopra la pittura”; “Sopra
l'architettura”; “Sopra l'opera in musica”; “Sopra il commercio”; “Poesie”. Il
demone ben temperato. tra scienza e letteratura, Italia ed Europa,
Sinestesie, Note Umberto Renda e Piero Operti, Dizionario
storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 195226. Ugo Baldini, BRESSANI, Gregorio, in
Dizionario biografico degli italiani,
14, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco
Algarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A.,
su Enciclopedia Britannica, A., in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A., su Find a Grave. Opere di A., su Liber Liber. Opere di A. A. (altra versione), su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Algarotti,. Spartiti o libretti di A.,
su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC. Progetto per ridurre a compimento il Regio
Museo di Dresda su horti-hesperidum.com. Sito A. dell'Treviri, su
algarotti.uni-trier.de. La casa d’A. è aperta da settembre come alloggio turistico. A. e Palladio, su
cisapalladio. Il newtonianismo per le dame, su google.com. Opere del conte A.,
su google.Corrispondenza con Federico II di Prussia V D M Illuministi italiani
-- LGBT
LGBT Letteratura Letteratura
Teatro Teatro Categorie: Scrittori
italiani del XVIII secolo Saggisti italiani del XVIII secolo Collezionisti
d'arte italiani Venezia PisaTeorici del restauro Illuministi Scrittori
trattanti tematiche LGBT Membri della Royal SocietyViaggiatori italiani Mercanti
d'arte italiani. Il conte A. adunque per più ragioni, secondo che egli dice,
entra in pensiero, che della metà a un di presso s'avesse ad accorciar la
durata de’ regni de’ re di Roma. Alcune di queste possono considerarsi come certi
sguardi, che getta ad un traito sopra tutto il corso degli anni, che. E per
trattare ordinatamente la quistione reputo necessario l'accennare prima ditutto
il cammino, che ho avvisato dover battere per giungere al vero. Breve lavoro
sarebbe pertanto i l rispondere alle opposizioni della prima maniera, che fa
contro le epoche dagli antichi fissate alla storia de' re, in ispecie a quelle,
che sono in principio del suo saggio, le quali sono tratte, direi cosi, dalla sola
natura del soggetto. P r ciocchè alcune ch'egli aggiugne in fine del suo
saggio, quantunque risguardino in genere tutto il tempo della durata de' sette
regni, contuttociò tratte sono dagli avvenimenti narrati dagli storici, e sono
come un fidicono passati. Sotto cotesti Re. Altre, e queste sono in
maggior copia, risguardano più particolarmente ciascun regno, e s'in gegna con
tutto questo di dimostrare, com e i fatti, che dagli storici, e principalmente
da Livio ci furono tramandati, facciano guerra alle epoche assegnate da esso
altri scrittori di quelle storie; le quali ragioni io non istimo Livio
medesimo, e dagli essere di tal peso, che s'abbia -perciò ad infringere
l'autorità degli storici, ed abbre viare della metà circa la durata de'mentovati
Regni. un risultato delle osservazioni sue sopra ciascun regno. Ma riesce
poi più lunga faccenda il togliere quelle contraddizioni, e ripugnanze, che dice
ritrovarsi tra i fat tiregistrarinegli annali degli storici, e le epoche da elli assegnate.
Ben è vero, che per questo rispetto chi volesse restringersi unicamente a
mettere la cosa in dubbio, quella stessa facilità, con cui prese per guida
que’.foli Storici, che gli andavano a grado, e fece scelta di que ' foli luoghi
di questi, che gli erano favorevoli, potrebbe appigliarsi ad altro Scrittore,
oppure ammertendo gli stesii sceglier da quelli que'luoghi (che al certo non
gli mancherebbono), i quali favorissero l'antico cronologico sistema. Ma questo
sarebbe porre folianto, c o m e disli, in dubbio la cosa; anzi il far vedere,
che non mancano testimonianze in favore sia dell'una, che dell'altra opinione,
riuscireb be di non poca confusione, e darebbe a credere a' poco avveduti, che
la quistione definir non sipossa. Onde io credo, che far si debba un passo più
oltre, vale a dire non appagarsi di ridur la cosa a tal segno soltanto,che
vengano ad indebolirfi le ra gioni addotte d’A. contro l'antico Cronologico
Sistema, per m o d o che non che per l'altra, o pure anche che
venga non fiavi per una parte ragion più forte, a rendersi più probabile
l'antico Sistema, m a di più innalzarlo al grado delle cose più fi cure, che
affermar si possano di quella pri ma età di Roma:ilche per recare adef fetto si
dovrebbono esaminare le qualità, ed il particolarcaratteredi ciascuno degli
Storici, che scrissero gli avvenimenti di que' secoli, e confrontandone i
luoghi, far ragio ne dal tempo, in cui vissero, dal fine,per cui presero a
dettare le loro Storie, in somma ad operarsi per conciliarli fra di loro, ed
accertarsi per mezzo di una sana Critica della verità de'fatti, onde
chiaramente siscopra, se questi, ove sieno ben accertati, sieno poi tali, che
all'epoche ripugnino. Ora adunque seguendo lo stesso ordine te nuto dall'Autore
nel Saggio suo, allorchè mi sarò ingegnato di rispondere a quelle generali
opposizioni, ch'egli fa, e dopo che avrò delineato non dirò già un ritratto, m
a un lieve abbozzo de'tre principali Scrittoridelle Storie di Roma sottoi Re,
mi farò distin tamente ad esaminare quelle irragionevolez ze; ed anche
ripugnanze, com'ei le chiama, per cui stimò doversi abbreviar ciascun R e gno,
e per conseguente di molto, cioèdella i b metà metà forse,
doversi scemar la durata di tutti fette iRegni. Si risponde ad alcune
obbiezioni, che fa A. coniro l'antico dero no, CAPO Cronologico Sistema.
Per farci a considerar quelle ragioni, che adduce prima di tutto l'Autor nostro
nel suo Saggio, e che tutta la quistione abbraccia fa d' ilpremettere, uopo, e
che gli mette troppo bene a conto, ed è che i fatti fieno staticonservati
illesi dalla semplice tradizione, che tro egli chiama vaga, senza ajuto degli A
n nali,i quali perirono nelle fiamme, cui die 1 noftri ultimi tempi alcuni
Letterati Francesi dell'antica avanti Pirro osservato Storia molti luoghi
avendo Roma farono doverne dubitar della certezza nel qual dubbio se fosse per
avventura 'egli en trato, non opporre che, essendo il tutto dubbioso egualmente
egli un partito Ora è da avvertire prender che a questi di sottilmente, p e n
più ragionevolmente potrebbe i fatti dagli Storici narrati all'epo di mezzo per
al dero in preda i Galli la Città di Roma, e le epoche sieno state
interamente distrutte da quell'incendio, nè per quelte sole tradi zioni veruna
valendo, abbiano dovuto gli Storici posteriori immaginarsele a senno loro. Il
qual partito, soggiugne il noitro Autore, ben volentieri presero essi, trovando
modo di appagar con questo quel natural deside rio,che,nonmeno diciascuna
famiglia, ha ciascun popolo di spingere, come e'fece ro, tant'oltre quanto
poterono nella oscuri rità de'tempi la propria origine. E quello che è più lidà
a credere,che a ciò fare giustificati fossero dalla opinione, la quale ei dice
ch'essi aveano, che tante generazio ni corressero quanti Re; onde circa tre R e
gni largamente in ogni secolo si avessero a porre, essendo ogni generazione di
trentatrè anni: laddove egli pensa, che più brevi di molto sieno di Regni, non
giungendo questi l'uno fagguagliato coll'altro se non ai di. ciotto o vent'anni,
secondo che scrisse il Neurone (a), la qual legge, segue egli a dire, si vede
confermata in quella unga fe rie d'Imperadori, che da Yao infino a ' di b2 (a)
“The Chronology of the ancient kingdoms of Rome, amended by Newton. Veggansi
le due tavole Cronologiche in fine. nostri tennero il vasto Impero della
China, D a tutto questo si raccoglie fupporsi dall'Au tor noftro, che quella
vaga tradizione, la quale conservò gli avvenimenti, comechè facili a ricevere
alterazioni, a cagion delle molte circostanze, che fogliono accompagnarli, anzi
che conservò, c o m e di alcuni dovrem notare le epoche precise, in cui non
abbia potuto conservare le altre epoche più notabili, vale a dire la durata di
ciascun Regno, e per conseguen te la somma dello spazio di tempo,che ab
bracciarono tutti isette Regni insieme,quan tunque cosa non meno importante di
m o l tiffimi fatti, che pur furono da cotesta sua tradizion conservari, e non
capace di pren dere come ifatti diverso alpetto passando per le bocche degli
uomini. Non troppo ra gionevole pertanto mi sembra la sua preten. fione, e per
asserire, che gli Storicidique' primi tempi di R o m a non fossero informati di
queste epoche, farebbe mestieri produrre qualche testimonianza, o almeno
congettura, da cui si potesse chiaramente inferire che di quelle veramente
informati non fossero, la qual cosa non facendo egli, io ftimo, che non maggior
ragion fiavi per credere a' fatti, che alle epoche. Cie seguiti sono 1 Ciò
posto o è l'antica Storia di Roma del pari tutta dubbiofa, e d in questo caso
inutili sono le osservazioni sue, o è del pari certa tanto a' farti, ed
rispetto alle epoche allora non hassi a dire,che le, quanto i che sieno state
supposte ci. Senzachè se gli Storici si fossero i m m a ginato a piacer loro le
durate de'Regni se condo la legge delle generazioni, com'egli pensa, non si
sarebbono tolto la briga di far registro di quanti anni precisamente sia stato
ilRegno diciascun Re, edavrebbonodato qualche cenno d' aver seguita una tal
legge; fe pur non vogliam credere, non che seguit sero una regola da essi
giudicata sicura,ma che avessero concepito di tessere un dolce inganno
a'contemporanei loro, il che, senza che se ne adducano le prove, conceder non
si dee a giudizio mio per modo nessuno. epo da'pofteriori Stori- [il malizioso
disegno 1 Quantunque però sia abbastanza Ito, che, quand'anche tutta l'antica
Storia di Roma fi fosse, non solo ugualmente per semplice tradizione conservata
instrutti della Cronologia, che de'fatti por si debbano gli Storici mentovati;
nulla dimeno, fia per salvar dalle fiamme questa Cronologia, d a cui divorata,ma
anche più manife la presume ľ sup Aus b due (6)Quae
incommentariisPontificumaliisquepublicisprive. tisque erant monumentis incenfa
urbe pleraeque interiere. T.Liy. Dec. I.Lib. VI.inprinc. Plut. in Numa
inprinc. non che vorrà negare. Autor noftro, sia perchè resti maggiormen
te confermata la certezza dell'antica Storia di Roma (la quale a vero dire già
ha a v u to troppo più valorosi difensori di quello ch'io m i sia ) stimo
pregio dell'opera il *mostrare, che non fu poi, qual per alcuni si dipinge,si
funesto l'incendio de'Galli per gli annali di Roma. E per cominciar da Livio,
della testimo nianza di cui si fiancheggia in prima il no ftro Autore, oltrechè
mostreremo fra breve, che a lui non poco premeva di fare passar per dubbiosi
gli antichi avvenimenti seguiti avanti l'incendio de'Galli, se si considera no
attentamente le parole di lui (b), que ste non vengono a dir altro, se buona
parte de'monumenti perì in quelle. fiamme,ilche nè io, nè alcuno, penso,
Plutarco poi non dice altro, se non che, secondo quello, che avea osservato un
certo Clodio,supposte erano alcune m e m o rie appartenenti a Numa, essendo le
vere mancate nella presa di Roma. Se da questi ро . 23 due luoghi
di LIVIO, e di Plutarco si possa inferire, che abbiano gli Archivj di Roma
fofferto un generale incendio, lo lascio al giudicio de'giusti estimatori delle
cose. Se Roma fosse itata inaspettatamente presa di asfalto, non riuscirebbe
forse difficile ilcon cepirlo;ma ad ognuno è noto,che iRo mani, dopo l'infaufta
giornata di Allia, in cui furono da’Barbari sconficci, vedendo di ·non potere
per modo nessuno difendere la Città dal vittorioso esercito de'Galli,ebbero
ancora tale spazio di tempo (tre giorni
dicono DiodoroSiculo, e Plutarco) da po ter fornire di munizioni il
Campidoglio,m e t tervi alla difesa il miglior nerbo della solda tesca, i più
valorosi Senatori, e la più vi gorosa gioventù, ove ancora per teftimo nianza
del medesimo Diodoro posero in fal v o quant' oro, argento, vesti preziose, e
cose rare, che s'avessero (f): ebbero t e m b4 Diodor. Sicul, non le
Vertali di ricoverarsi a Cere, non r é itando nella Città fe non que'venerandi
vecchị, che vollero rimanervi. Ora adunque Liv ) Diodor. Sicul. Bibliot. Stor.
ed. Amft.. Plut. in Camillo. ed incerta, ma poco o nulla men pregevole delle
Storie medesime, di cui abbiamo fatto parola sopra, e per mezzo di cui, secondo
quello che abbiamo osservato, riesce non avranno o i guerrieri rinchiusi
nella roca o quelli, che lisottrassero colla fuga. all' eccidio della Città,
falvati dalle fiamme quegli antichi Annali? I n verità bisognereb be far forza
a noi medesimi per idearci Romani accesi com'erano dell'amor Patria, e
solleciti di ogni cosa, che potesse fervire alla gloria di quella, così Voffius
de Hift. Lat. O p a i della ca, ranti delle proprie poco Storie.M a supponiamo
cu che,che questi an fossero periti; il famoso Vossio Annali osserva tacciar
non per questo tica Storia dubbia credibile l'an avessero di Roma, essendo pur
anche i loro Annali, che le circon fi dovrebbe vicine Città, con tuto ad un
bisogno loro; ed in secondo alle luogo non essereda cre dere, che coloro
fra'Romani, i quali li legge vano, custodiyano duto la memoria, scriveano del
tutto: ed ci riduciamo a quella tradizione vaga,, non però,che di falsa, o cui
i Romani abbiano mancanze supplire, avessero in tal caso po per ed, Amst. CICERONE,
de Orat. de Legib. Nulla enim lex neque pax, neque bellum, nequè res ficnotata:
Corn. Nep. in Attico. Senex Historias fcribereinstituit, quarumsuntlibrisep.
Ma che serve affaticarsi di provare con congetture una cosa, di cui abbiamo
cost chiare, e sicure testimonianze? Non giunse ro gli Annali Maslimi. a'rempi
di CICERONE, e non ne reca egli giudizio in più luoghi. delle opere sue? Onde
Fabio Pirrore, Lucio Pilon FRUGI, Valerio Anziate Scrittori che furono tra
lemani dị Dionigi, e di LIVIO, avranno prese le memorie per dettare le Storie
loro, se non da'monumenti, che avanti l'incendio esistessero? Pomponio A t tico
intrinseco amico di CICERONE, che se condo Cornelio Nipote non tralasciò in certo suo libro di porre
sotto l'epoca pre cisa cosa alcuna riguardevole del popolo Romano, CATONE, il
primo libro delle Storie di cui comprende i fatti de’ Re di Roma come riferisce
lo stesso Cornelio, onde avran tratto i materiali per quest' opere loro? VARRONE
il più dotro de'Romani, uomo al tiesce
non solo ugualmente, m a più credi bile eziandio la Cronologia de'fatti. certo
ili luftris estpopuli Romani, quae non in eo,fuo tempore com,primus continet
res gestasRegum populi Romani Corn. Nep. in Cat. certo di non facile
contentatura,su che avrà fondato l'opinion sua contraria a quella di CATONE circa
al tempo della fondazion di Roma, se non sopra monumenti,che a'suoi tempi
ancora esistessero, in cui fosse accura tamente descritta quella prima età? E,va
gliami per ultimo l'autorità di quel diligen te investigatore delle antichità Romane
Dio. nigi d'Alicarnasso, quante tenebre egli non dilegua coi Commentarj
de’Censori, e con altre memorie, le quali pajono anteriori alla famosa
irruzione de'Galli, o almeno sopra quelle compilate? E non è forse da crede. re,
che a quel Dionigi, il quale dovendo per mezzo di un suo computo fissar la giu
Ata epoca della fondazione di Roma, fi Itu dia di portare tanti monumenti, per
venire in cognizione del numero d'anni, che cor sero dalla deposizion di
Tarquinio insino all' incendiodiRoma,e che circa alla durata de'Regni non muove
la minima que stione, anzi concordando con LIVIO, gli af segna il medesimo
numero di anni;a quel Dionigi,cui è data la lode di esattissimo nel fissar le
epoche, come più sotto vedremo, Dionyf. Halic: Antiq. Rom. ex ed, non
Graeco-Lat. Friderici Sylburgii Lipfiae. Che poi per vantare antichità abbiano
gli Storici allungata la Cronologia, è noto a d ognuno esserregola dell'Arte
Critica, doverfi presumere, che alcuno abbia ingan, nato sulla fola luogo bio non
nato in suo pro l'ingannare, m a doversi a d d'aver egli.veramente ciò fatto;
ed oltre a questo non può cade dur prove manifeste sopra Dionigi., come quello,
ch'essendo straniero re per modo nessuno un talsospetto non era tentato
dall'amor della patria a mentire per adularla, e che fece un particolare ftudio
di chiarire l'antica Storia di Roma. che sarebbetor non mancassero i suoi
fondamenti per accer tartaldurata,come cosa fuord'ognidub congettura, Non
istimo ora del resto dover parlare della diversità, che l'Autor nostro dice cor
Tere tra le generazioni, e le successioni de' Regni;giacchè è manifesto non
aver gli Storici seguito una tal regola, e quand'an. che seguita l'avessero
potendosi far veder di leggieri, che se per alcuni motivi da lui e dal Neutone
addotti sembra, che iRegni debbano riuscir più brevi, che le, per altri
rispetti potrebbe più lunghi restassero tazioni. Tanto più che dovrò accennare
in generazio succedere, che i Regni, che le gene ni luogo più opportuno
quelle regole ch'io stimo doverli osservare, nel fiffar queste g e nerazioni,
potendosi queste sotto diversi a f petti riguardar da ' Cronologi.
(mn)Description de l'Empire de la Chine par le P.Dus Halde.Faites de la
Monarchie Chinoise per dare a divedere, che quella rego Mi basterà per
ora notare, ch' in quella lunga serie degli Imperadori della Cina s'in •
contrano n o n una volta sola, m a diverse fiare sette Regni di seguito, i
quali se non giungono, si avvicinano però assai allo spa zio di tempo, che
tolti insieme durarono i Regni de'Re diRoma:per comprovarla qual cosa giova il
recarne alcuni esempj, che m'è venuto fatto di ritrovare ne'fatti di quella
Monarchia descritti dall'accurato P. Du-Halde (m).Nella prima.Dinastía da Ti
Pou-Kiang insino a Kiè corsero dugento e dodici anni. Nella seconda da
Tching-Tang infino a Tai-Vou passarono dugento e quat tro anni; e nella terza
Dinastía dugento 'e venticinque da Tchao -Vang insino a Li-Vang. Facilmente non
saranno questi foli i casi, in cui,non uscendo dalla serie degli Imperadori
della Cina, fecte Regni di seguito abbiano abbracciato più di due secoli; tanto
però basta la, 2.9 gi la, la quale pure è vera, trattandosi di l u n
ghissimo spazio di tempo, riesce falsa nelle itesse Tavole Cronologiche degli
Imperadori Cinesi, quando si reftringa a fette soli R e gni. Ed ecco come si
vengono a sciogliere tutte quelle diffico'tà inosse dall'Avior no stro per
diminuir la credenza, che prestar fi dee agli Storici, e rendere improbabile in
genere la lunghezza di questi Regni. Ora fa di mestieri farsi a considerare
quelle ragioni, ch'ei deduce dalla ripugnanza dei fatti, di cui fecero gli
antichi Scrittori re gistro,alleepoche,per venireadaccorciar
ciascunRegno:Seiodicesli,che concor dando a un dipresso tutti gli Storici nelle
epoche principali, e circa la durata de'Re-. gni, e discordando ne'fatti,
ilconsenso loro nello afferir la durata dee meritar. troppo maggior fede, e
pertanto doversi come lup-, posti rigettar quegli avvenimenti, e quelle epoche
particolari di alcun fatto, che taluno fra essilasciò ne'suoilibri descritte,
che ripugnano a quello, la di cui certezza è chiaramente,e concordemente da
essi affe rita; se jo ciò dicefli, mi servirei di una ragione più atta a far
forza, che a persua dere. Perciocchè resterebbe sempre una c o tal nebbia, ed
oscurità nella mente de'Lega gitori, non vedendo eglino quali oltre
a que ito fieno i motivi, per cui come falsi s'ab biano'a rigettar questi
fatti, che falli certa mente avrebbono a d essere, quando ad una verità fi
opponeffero. Laonde è convenien te o farne vedere per altre ragioni la fal fità,
o mostrarne la non ripugnanza, quan do, come di alcuni veri dovrò fare meno
avvedutamente ripugnanti, sieno stati dall'Au tor nokro creduti.Per condurre a
fine le quali cose, siccome è d'uopo far uso delle regole, che prescrive l'Arte
Critica, stimo pregio dell'opera il premetter quella, la quale più d'ogni altra
ttimali necessaria, ed è il chiarir bene a quale Scrittore s'ab bia per CAPO. Si unus aut alius (Hiftoricus) adverfus plures teftifi: Centur,
Historicorum conferendae dotes, fecundum cas je dicandum. Genuenfis in Arte
Logico-Crit. COSI. l'antica Storia Latina, i di cui av. venimenti cadono nella
nostra quiltione, a ri correre, ed in caso di disparere, a quale fi debba
prestar maggior fede. Trattasi della credenza, che prestar fi dee a LIVIO,
Dionigi d'Alicarnaso Plutarco, per rispetto ai fatti, che R a gli Scrittori, in
cui troviamo descritti i principi di quella Nazione, al di cui co fpecto dovea
tremar l'Universo, primeggia no Tito Livio, Plutarco per le vite, che stese
de'due primi Re, e Dionigi di Alicarnasso. Penso adunque esser buona cosa l'in.vestigare
prima di tutto il vero carattere di ciascuno di questi, per rispetto al
maggiore o minor caso, che far si vuole della au torità di taluno di effi per
riguardo a tal altro,ne’racconti,che pressodiloro sitrovano. per (a) Come Livio
scrive, che non erra, Dante Inf. cant. che non Fra cądono nella presente
quistione. Se farò poi in questa disamiņa precedere Tito Livio agli altri due,
si è, perchè di lui fi pregia più che d'ogni altro l'Autor nostro, e glid à ad
una voce col creatore della nostraLingua,non meno chedellano Itra Poesia la
lode di Scrittore 2 erra, la qual lode se vera se giusta sia. Livius etiam, et Curtius
artem declamatoriam affe&taffe videntur. Nimiam ftyli.curam in Hiftorico fufpettam
ho beo,Genuens. in Arce Logico-Crit. per rispetto a quel tratto della Storia
Latina', che cade sotto la controversia noftra, verrà brevemente esaminando.
pol L'andar dietro alle quistioni, e dubbie tà, che s'incontrano nella Storia
de primi tempi di Roma, il diradar lenebbie,incui si avvolgeva quell'oscuro
secolo, era cofa, che ripugnava all'indole di Livio, il qual certamente più
compiacevafi nel dipingere con quel luo vivo, e maestoso itile i bei giorni di
R o m a, che in ricercarne sottilmen te le origini traendo alla luce gli avveni
menti, che succeduti erano in quelle rimote età. Pare veramente ch'egli dovesse
te mer forte non i suoi lettorifi disgustassero, se egli si fosse messo in un
tale intricato sen tiero, sentiero, che male egli avrebbe p o tuto spargere di
tutti i fiori della sua E l o quenza; la quale fua Eloquenza però, per dirlo
alla sfuggita, rende sospetta a tal Critico la veritàde'fatti da lui narrati
(b). Principale intendimento era adunque di lui lo stendere la Storia più
luminosa di Roma, vale a dire allor quando falira a gran possanza,
ed a grande onore questa Repubblica cominciò a stender le ali Pontificum
libros annosa volumina Storia in fine, la quale troppo più che l'antica era
confacente algeniodi Livio, ed alcomun desiderio dei Romani de'suoi tempi, per
cui preso avea a dettarla.Che se Tacito parago nando le Storie de'tempi suoi a
quelle di que sto secolo, di cui favelliamo, dice, che m i nute,e poco
memorevoli farebbono sembrate le per cose, 1Uni verso. Quando, domati
finalmente i feroci popoli dell'Italia, qual rinchiuso fuoco, che rovescia ogni
ostacolo più forte, avventò le fiamme in grembo all'emula Cartagine, ed a
Corinto, e loggiogata parte coll'armi, par te coll' accortezza la Grecia tutta,
e corsa l' Asia trionfando, essendo, per servirmi delle parole di Tacito,
l'antica, e natural ansietà ne'mortali della potenza cresciuta e scoppia ta
colla grandezza dell'Impero (c), sidivise in quelle fazioni, che tanti e si
gran casi somministrarono alla Storia. Storia di gran di imprese, di gran
personaggi, e di gran di avvenimenti ripiena; Storia non troppo lontana dal
secolo, in cui egli vivea, e per cui non avea a rivoltare Tacit. Hist. Cte
nimia obfcuras, velut, quae magno ex intervallo'lo ci vix cernuntur; tum quod,
et rarae por cadem tempo ra literae fuere,u n a custodia fidelis memoria rerum
g e ftarum; et quod etiam fiquaein commentariis Pontificum, aliisque publicis,
privatisque erant monumentis incenja urbe pleraeque interiere. Clariora
deinceps certioraque ab secun 'da origine velut ab ftirpibus laetius
feraciusque renatas urbis, gefta domi militiaeque exponentur, mo cose,
ch'egli avea a raccontare, e che non erano da eguagliarsi le Storie sue agli A
n nali antichi di Roma, poichè gli Scrit tori di quelle narravano guerre
grosse, Città sforzate, Re prefi, e sconfitti, e dentro di scordie di Consoli
con Tribuni, leggi a'fru menti, zuffe della plebe co'grandi,larghilli mi campi,
scarso all'incontro e stretto effe re il suo: che ne avrà dovuto pensar Livio
paragonandole a quelle di que'rimoti, ed oscuri secoli? Se non tralasciò
pertanto del tutto di far menzione de'principj de’ Romani, non altra ragione,
penso io, averlo a ciò moffo, fe non per non incorrer la tac cia d'aver
composta una Storia mancante, e per potersi in certo modo fpianar la ftra da a
descrivere le susseguenti famose impre se di quel popolo d'Eroi. Ed in fatti
dalle sue stesse parole fi rac coglie non aver egli troppo dibuon ani TACITO, Annal.
&.. cum vetufla m o lavorato a ftendere quel tratto delle sue Storie.
Cofe le chiama oscure per troppa antichità, e che, per così dire, a cagione
della grande distanza appena più sivedeano. Parla di quelli avvenimenti in modo
che fi scorge, che poco o nessun conto ne fa cea, tanto più dicendo, ch'esporrà
più l u minose, ed accertate gelta della quafi da più fertili, e rigogliole
radici rinata Città dopo l'incendio de'Galli. Poco, ei dice, scriveasi avanti
l'irruzione de' Galli, e se al cune memorie eranvi negli Annali de’ Pontefici,
ed in altri pubblici, e privati m o n u menti,buona parte di queste peri nelle
fiam me. La qualcosa, posto che veramente molte memorie ancora esistessero
a'suoi gior ni di que'tempi, come ben feppe rinvenirle Dionigi, dà non lieve
motivo d i dubitare non il dire, che molti di questi monumenti periti fossero
in quell'incendio sia un mendi cato pretesto di lui per ispacciarsi in poche
parole di quelle antichità. Per raccogliere il tutto in breve non p a re, che
in questo tratto di Storia almeno Livio sia quel Livio, che non erra, e che a
più buona ragione, che non quel verso di ALIGHIERI, adattar fe gli.patrebbe il giudicio
di с2 di Quintiliano, ove dice,che quella dol ce facondia di Livio
non sarà mai per a p pagare colui, che non la venuftà del dire, m a la verità
cerca nella Storia. Perlaqual cosa a giudicio non solo del P .Rapino, ma di
quasi tutti i più valenti Critici, e per l'accuratezza, e per lo discernimento,
e per la verità delle cose narrateanteporre fidee a LIVIO Dionigi d'Alicarnasso.
Questo Storico è appunto il nostro caso. Perito egli era della lingua, e
de'costumi de'Latini,fra cui fece lunga dimora.Con temporaneo di Livio, Critico
eccellente p r e se a trattar quella parte della Storia Latina, ch'era più
oscura per la lontananza de'tem consultò tutti gli antichi Romani Scrit tori
diligentemente; e siccome si scorge, se condo quello, che abbiam notato, che
l'in tenzion di Livio era di trattar principalmen te la Storia di Roma dopo
l'incendio de' Galli, così il fine di Dionigi era d'inftrui re i suoi lettori
nelle antichità soltanto di quella Nazione, per le quali sue doti
ftimò pi? il Neque illa Livii
lattea ubertas fatis docebit eum, qui non speciem expofitionis, fed fidem
quaerit. Quiptil. Rapin. Réflex. sur l'Hift. Sto. Bodino di doverlo in
questa parte pre ferire a tutti gli altri Storici Greci e Latini. E se per
avventura non è, come osservò il Rollin (i), nella lingua lua si eloquente, e
si colto come Livio nella Latina, in quanto all'accuratezza, e diligenza il
vince sicura mente d'affai.Che poi più cose, e più ac intorno antichità presso
di lui, che presso Livio fi curatamente descritte ritrovino, è anche il parere di
quel VARRONE dell'Ollanda Gerardo Vossio (k), ilqual coll' autori tà di Eusebio,
e dello SCALIGERO, l'ultimo fuo sentimento egli fiancheggia de quali lo
commenda appunto per quella dote, di cui noi abbisogniamo, voglio dire per essere
stato egli più d'ogni altro dili gente nel fissar le epoche. M a a che serve
andar raccogliendo le testimonianze de'Cri tici? Niuno v'ha fra' letterari, che
ignori quanto Dionigi sia benemerito delle Romane antichità, e che non sappia
esser egli alla C3 alle Romane Dionyfius Halicarnasseus antiquitates Romanorum
ab ipfius urbis origine tanta diligentia confcripfit, ut Graecos omnes, ac
Latinos fuperaffe videatur. John Bodin. Meth. a d f acil.
Hift. cogn. Rollin Histoire Anciene; Voffiusde Hift. Graecis,&ibi
Euseb. in prep. Evang., et Scaligerin animad. Euseb., il qual dice: Curatius co
niemo tempora obfervavit, E'ben vero esservi taluno fra'moderni,il
quale non fa gran calo dell'autorità di lui per riguardo a ciò, che scrive
intorno alle origini de'popoli d'Italia, avendo a parer suo Dionigi,per gloria
della propria nazio ne, dato luogo troppo leggermente alle con getture, per
derivar dalla Grecia i primi abitatori dell'Italia (l). Lascio ad altri il
giudicare le giusta fia, o no quest'accusa; m a, quanrunque fosse ben fondata,
non so avrebbe per questo a dubitare delle cose n a r rate da lui, le quali
cadono nella nostra qui ftione: perciocchè in quella parte dell'Ope ra sua, di
cui servir ci dobbiamo, n o n trattasi più delle prime origini de' popoli
Italici, m a delle origini soltanto primi tempi di Roma; onde non può più aver
luogo quel sospetto, ch'egli abbia v o luto adulare la nazion sua, non
essendovi piùlagloriadiquellainteressata in modo nessuno. Questo Storico
pertanto, quantun que venga una volta fola in campo nel Saga Storia
Latina de primi tempi quello, che è alla Storia d'Italia de'secoli di mezzo
l'eru dito, e diligente.Muratori. e dei gio Guarnacci Origini Italiche. Veniamo
ora finalmente a Plutarco.M o l to discordanti sono i giudici, che di lui re
cato hanno i Critici:perciocchè, se a molti Letterati di grido siattribuisce
per una par te quel detto, che se in uno universale in cendio di tutti i libri
un solo scampar se ne potesse dalle fiamme, si vorrebbono falvare le vite di Plutarco;
non manca per altra parte chi ne rechi troppo più vantaggioso giudicio, e fra
gli altri un celebre Lettera to Inglese il Signor Midleton giunse a chiamar l'opera
di lui un abbozzo piuttosto, che il compimento di un gran disegno. A chi fu
Saggio sopra la durata de'Regni de’ re di Roma. A. ediz. di Livorno. Nella
edizione fatta di questo Saggio in Firenze non è mai citato Dionigi, anzi nella
lettera a Zanotti dice A. che non avea voluto leggere altri scrittori, che parlassero
de’ re di Roma fuor chè LIVIO e Plutarco. Conyers Midleton prefaz, álla Vita di
CICERONE, per gio del nostro Autore (m ), sarà però quello, che più
d'ogni altro ci additerà la strada, che li vuol battere per giungere al vero
nella presente materia, c o m e quello, il quale più giustamente di Livio
merita il nome di P a dre di Romana Storia. ! altro pon mente alle belle
qualità, per cui fu lodato, ed a'diferti, perliquali C4 Del resto
per giungere a farci una chia ra idea del merito di questo Autore fa d' uopo
prendere d'alquanto più alto i princi p j.Quantunque pertanto pregio essenziale
della Storia sia la verità de'fatti, si voglio no con tutto ciò offervare e la
scelta che fa l'Autore di questi, e le rifleffioni, e l'ordi ne, con cui
dispone ogni cosa, e la dici tura, di cui si serve, del che tutto nell'al tra
nostra Opera abbiamo copiosamente ragionato. Ora per parlar soltanto delle
riflel fioni, queste son quelle, che danno a vede re il giudicio dell'Autore
intorno alle cose narrate, giudicio,che resta più o meno de gno di stima a
misura, che viene ad esser fondato sopra valide ragioni, e che non esce di
quella scienza, a cui ènoto aver con Jode dato opera lo Storico. Le
considera 1 fu ripreso, riuscirà agevole il comporre i lorodispareri.
Vero è, che ilSignorMidle ton ne recò più svantaggioso giudizio di al cun altro,
perchè forle non ritrovò in lui, come bramato egli avrebbe, abbastanza en
comiato l'Eroe, a gloria di cui egli consa crò una sua assai lunga, ed
elaborata o p e ra, nella quale però sembra ad alcuni, che ne tefla egli
piuttosto il Panegirico, che la Storia. zioni, zioni di un Polibio,
o di un Cesare sopra l'arte della guerra, o di un Tacito sul Inoltre
dalla scelta, che fa de'fatti, fi Arte Poetica di Zanotti verno de'popoli
intanto degne sono di c o m tore le manifeste, in quanto hanno essi fama di ef
mendazione fere stati di quelle facoltà ottimi conoscitori M a fupponiamo, che
sitralascino. dallo Scrita riflessioni,non èforsevero, è per così dir forzato
lo Sto che narrando rico a dar segni della approvazione fapprovazion,odi sua?
Cosi pensa quel dotto, e Scrittore, uno de'primi lumi d' leggiadro Italia, cui
il Conte fto fuo Saggio (o). Ora que ognun Algarotti indirizzo ciò posto
professò principalmente sa, che Plutarco fcienza de'costumi; questa cui le
altre tutte qual più direttamente s'hanno a riferire, come raggi d'un meno
cerchio al centro, esercita l'impero suo so pra le azioni tutte degli uomini,
ond'è m a nifesto, che anche supposto, che Plutarco alcuna osservazione do reca
giudicio dell'azione non aggiugnesse fcrivendo, e giudicio, di cui non piccol
caso facoltà,narran ', che va de uscito dalla penna di un Fifar fi dee,come
losofo de'più rinomati dell'antichità. go la poi, a, qual viene Rag.,Bologna
qual dà maggiormente a conosce re il bellicofo genio di quell'Alessandro del
Settentrione Carlo XII., loggiugne, che tal cosa lasciato non avrebbe
d'inserire nella vita di lui un Plutarco. Remmo. Discordimilitari Disc, e nel
formare il carattere de'perso naggi, di cui stende la vita. Egli non sia p paga
delle azioni pubbliche, e ftrepitose, nè si ferma intorno alla sola corteccia,
m a seguendo, per dir così, i suoi Eroi in ogni lu go, e non temendo di
abbassarsi col de. scrivere certe minute particolarità, entra ne? più fecreti
ripostigli dell'animo loro, e pre fentà al lectore ad un tempo medesimo un
fedel ritratto e di esli, e della umana na. tura. E questa singolar dote di
Plutarco fu giàdal nostroAutore osservata; poichènar rando in un suo discorso
un tal fatto parti colare, il qual dà viene in cognizione della perizia di lui
nello scoprire le più nascoste proprietà del cuore umano, e nel formare Questo
è il favorevole aspetto, fotto cui riguardar fi possono le vite da lui
scritte,e gli encomj,di cui gli furono cortefi iCrie tici,vengono a ridurlia
questo.Ma sevo leffimo poi in materie dubbie, ed oscure ri poläre interamente
sulla fede di lui, corre altri. remmo non piccolo pericolo d'ingannarsi.
Plutarco, con ben raro esempio, congiun geva un ingegno straordinario ad una
credu lità somma (difetto, da cui i rari ingegni fogliono per altro andar
esenti, cadendo più sovente nell' eccesso contrario). Forse ritene va in questo
parte degli influfli del Cielo di Beozia. Occupato da'negozji, ch' ebbe a
trattare, e dall'impiego di dare lezioni di Filosofia, poco tempo gli rimaneva
per ac certarsi della verirà delle cose, che s'accin geva adescrivere.Sifa,ed
eglistessolo con feffa, che ignorava la lingua Latina, nè o b bligato era dalla
necessitàa d iftudiarla, ava vegnachè dimorasse in R o m a, servendo la lingua
Greca a que' tempi presso i Latini di lingua,come fuoldirsidiCorte,cioè par
lata dalla più leggiadra, e brillante parte delpopoloRomano,edi linguadotta.La
(ciopensare di quanti sbaglj una tale igno ranza possa essere itato cagione.
Che della fola autorità di lui pertanto non si debba far molco caso, è il
sentimento del dotto Bodino, del Rualdo, del Dacier, e di Bodin. Method.Hist. Interdum
etiam in Romanorum antiquitatelabitur.Ruald.animad.inPlut. Dacier nelle note
alla fua traduzion francese delle Vite di Plutarco. Vero Vero è,
che l'erudito Giureconsulto Ei neccio (r) per salvar dalle accuse de'Critici un
luogo di Plutarco, ove narra questo Sto rico aver Numa concesso certi privilegj
alle Vestali, i quali si sa indubitatamente non essere stati ad effe concessi
senon dopo que sto R e, avvisofli di fare una mutazione nel teito di lui,di
modo che seavantidiceva: aver conceduro grandi onori alle vergini Ve Itali,
veniffe a dire: loro concedettero (i Romani ei sottointende ) molti onori, e
fog giugne, che per sì fatta maniera salvar li possono molti luoghi di questo
Storico.cen Turati dagli eruditi. M a lasciando stare, che molti non saran no
quelli,che con una talcurafanarfipof fano; non so, perchè con tanta facilitànon.
essendo il luogo di Plutarco un frammento di qualche antico Giureconsulto, il
qual abbia necessariamente cogli altri a concordare, si avventuri da lui questa
emendazione, fen za addurne altra ragione, fe non che ilfal varsi con questa
l'autoritàdi Plutarco.Am mesfa una tal Critica si fanno scomparire con poca
fatica tutti gli sbaglj de'libri, che ci restano dell'antichità. Heineccius ad
legem Papiam Poppaeam. Amít, apud Wetftenios, Sia adunque per la ignoranza
della lingua Latina, lia molto più per lo genio credulo, e poco critico, anzi
qualora trattasi di Sto rie lontane da tempi fuoi portato al meraviglioso
Plutarco, non è guida ficura per chi vuol penetrare nelle più rimote istoriche
notizie. Quella Storia favolosa, che dic' egli rinvenirli nelle origini delle
nazioni prende, e li ftende troppo negli scritti di lui sopra i diritti della
vera Storia maggior mente sgombra dalle finzioni presso altri Scrit tori. M a
per riguardo a quella parte della Storia di Roma, i di cui avvenimenti ca d o n
o nella nostra quistione, potea troppo qui cilmente schivar gli errori.
Non avea egli nella sua stessa lingua le accurate fatiche di Dionigi di
Alicarnasso Scrittore, che ben dovea esfergli noto, e noto veramente gli era,
facendone egli menzione? Perchè adunque non si restrinse a lui solo,
tralasciando quelle fue popolari, e favolose tradizioni? Niuno dubiterà
pertanto, che in questa parte della Romana Storia pofpor si debba Plutarco a
Dionigi. E ben riuscirà singolar cosa, fe recherò in mezzo l'autorità dello
stesso A., il quale, fuori di questa fa Plut, in Theseo in princ.
quistione non lasciò di rendere il dovuto omaggio a Dionigi, e di
mostrare il poco caso, che far fi dee della sola autorità di Plutarco ne 'fatti
de' Romani, efefarò ve dere aver egli in cofamolto più recente negato credenza
a quel Plutarco, a cui tan to s'affida per rispetto ad avvenimenti ri motissimi
dalla età di lui. Bafta per chiarirfi di quanto ho detto dar un'occhiata a ciò,
che scrisse l'Autor nostro intorno all'impre fa di Cesare contro a'Parti. Questo
è quanto ho io stimato dover pre mettere circa la fede, che prestar fidee agli
Storici, innanzi di farmi ad esaminare. la verità, o falsità de'fatti, e la
ripugnan ża o non ripugnanza di questi alle epoche il che mi studierò quanto
più brevemente per me sipossa di recare ad effetto. Alicarnasco, Polibio danno
una più esatta contez fa delleragioni dei costumi Romani che non fanno i Romani
medefimi. Ma quei Greci sapeano a fondo la lingna Latina, buona parte della
vita erano viffura co'Romani ec. A. Disc. Milit. Disc. Sopra la impresa disegnata
da Giulio Cesare contro a'Partipo La verità si è, che ognuno si può effere ac
corto quanto nelle cose dei Romani fia poco efatro Plu tarcoec., Egli è certo che
delle cose Romane le migliori informazionisi può dire che le dob biamo a'
Greci. Ed è naturale che così sia. A forestieri ogni cosa giugne nuovo ec, Di
qui èche Dionigi Dis cIsecnedndeenndo ora coll'Autor -noftro al
para ricolare, ci si fa innanzi il Regno del bel licoso Fondatore della Romana
grandezza, e sarà secondo quello, ch'io Atimo Indole guerriera, dic'egli, danno
ad una voce tuttigli Storici al Fondatore di quella Impero, che dovea coll'armi
fare la con. quista del Mondo. Questa indole bellicosa piùnonfipuò celebrare in
Romolo, quando fi mostrasseaver eglipassatola maggior par te del suo Regno in
grembo alla pace:ora le prime guerre di lui contro i Sabini, che ridomandavano
le donne loro, e contro al quni altri popoli per gelosia d'Impero, furo no
tutte breviffime, e della penultima guerra contro a’ Camerj ce ne dà l' tarco,
che non cade più in là dell'anno sedicesimo dalla fondazione di Roma. Ne dopo
questa si ha notizia di alira guerra, falvo Regno di Romolo.? cagio ne di
non piccola maraviglia il farsi a c o n siderar la prima venir ad abbreviare la
durata. ragione,ch'egliadduce per epoca Plu. Plut.in Romulo, salvo di quellaco'Vejemi,
i quali doman davano, che fosse loro restituita Fidene, come Città di lorragione,
dicui Romolos' era impadronito, avanti che egli s'impadro niffe di Camerio. E
questa guerra non si ha da porre più tardi, che sotto l'anno d i ciassettesimo
dalla fondazione di Roma 0 là in quel torno non essendo verisimile che una
nazione potente com'erano iVejenti tardasse gran tempo a cercare di riavere il
suo. Senzachè ognun ben fa, che le guer re tra que popoli erano subitanee, tra
loro la vendetta non tardava molto a seguitar l'offesa. Posto adunque, ei
soggiu gre, che l'ultima guerra fatta da Romolo cadeffe nell'anno
diciassettesimo del suo Regno, se non vogliamo, che i Romani fie no stati più
lungo tempo in pace che in guerra fotto il reggimento dilui,nonsivuo le farlo
regnar trentotto anni, m a della m e tà circa il Regno di lui accorciar fi dee
Questa è la prima ragione, che adduce l'Autor noftro per abbreviar la durata
del Regno di Romolo, a proposito di cui,,co m e già disli, strana riuscir dee a
chi pon mente quella epoca, su cui fonda egli ilsuo argomento, ed è ľ
epoca della e che tro i Camerj somministrata guerra con da Plutarco. A., che la
durata del Regno · di Romolo attestata da tutti gli Storici vuol distruggere,
adopera per mandarla in rovi na un'epoca di un fatto particolare,dicui niuno fa
menzione, fuorchè il solo Plutarco Storico a tutti i Critici, ed a lui medesimo
sospecto. E d in fatti di questa guerra contro i Camerj LIVIO non ne parla
punto nè p o co, prova forse della trascuratezza di lui nel tessere l'antica
Storia. Dionigi poi, il quale nel
collocarla frale guerre co'Fide nati, e co'Vejenti da Plutarco non discor da,non
dice però, che questa precisamen te seguita sia l'anno sedicesimo di Roma. Vede
pertanto ognuno,ch'io potrei, rifiu tando la testimonianza di Plutarco,
togliere ogni fondamento a questa ripugnanza, m a conveniente mi pare di
mostrarmi cortese ful bel principio delle osservazioni mie. Concediamo adunque,
che nell'anno fe dicesimo di Romolo succeduta appunto sia questa guerra coi
Camerj:.con qual ragio ne si prova, che tantosto abbiano impugna te le armi i
Vejenti? Forse perchè avendo i Vejenti mosso contro i Romani per riaver
Fi... Dionyf. Halic. Dice Plutarco, che
i popoli circonvicini vedendo riuscir bene tutte le guerre a Romolo, da
invidia,e da timore agitati, ftimarono non essere la sua crescente gran dezza
da guardar con occhio indifferente, e doversi opprimere una potenza, era ne'
suoi principi formidabile Laon de i Vejenti,i qualitenevano un ampio paese, ed
erano de'più potenti fra' Tosca ni, mosfero contro Romolo, chiedendo la
restituzion di Fidene che dicevano essere di giurisdizion loro; il che,
foggiugne Plutarco, non solamente ingiusto,m a ridicolo era, poichè domandavano
come ad efli sper tante una Città, che non avean difeso, quan che già do
Fidene come Citrà di lor ragione soggioga ta da Romolo innanzi a Camerio, non è
da credere, che un popolo potente come quello abbia tardato molto a farsi
rendere il fuo, essendo le guerre a que'tempi fubitanee,nè tardando molto la
vendetta a seguitar l'of fela? Ora io intendo dimostrare,anchecollo stesso
Plutarco, effer piuttosto da credere, che alla guerra co' Camerj seguita fia
las guerra co'Vejenti dopo qualche notabile spa zio di tempo. Plut. in Romulo.
do da Romolo era stata assalita, e lasciati in quel tempo gli uomini in
balia de'nemi ci, aspettavano allora a pretenderne lemura. LIVIO poi dice, che
presero le armi i V e jenti, non perchè fossero possessori di Fidene loro tolta
da Romolo, ma perchè i Fidenati erano anche Toscani, e quel che è più, perchè
temevano non le armi de' Romani avessero ad esser fatali alle vicine nazioni; e
Dionigi in fine dice, che il pretesto della guerra fu la strage de' Fide nati.
Ora adunque, poichè siamo certi,che per gelosíad'Impero, e non per altro im
pugnarono le armi i Vejenti, li dee piutto Ito credere effere questa gưerra
fucceduta qualche tempo notabile dopo quella coi Ca. meri; perciocchè stava ad
osservare questo popolo, le poteva assicurarsi della sua forte Tenza arrischiar
nulla, e se riusciva a qual che altra nazione di abbattere i Romani: veggendo
poi, che s'erano felicemente sbri gati da quelle, e che anzi salivano ogni
sanguinitate (nam Fidenates quoque Etrufci fuerunt ), et quod ipfa propinquitasloci,
fiRomana armaomnibusin. d 2 gior LIVIO.
Belli Pidenatis contagione irritaii Vejentium animi, et con festafinitimis
effent, fimulabat. Dionyf. Halic. Oltr' a ciò, avvegnachè seguita fosse., come
si dà a credere l'Autor noftro, questa guerra circa all'anno diciassettesimo
dalla fondazione di Roma, chi ci assicura, che altre non ce ne sieno state, le
quali, come di non gran conseguenza, non sieno state dagli Storici giudicate
degne di entrare negli A11 nali loro? Pretende pure egli stesso, che non fisia
tenuto accurato registro de'fatti, anzi confervari fi fieno per mezzo di una
cotal vaga, ed incerta tradizione? Veda adunque non se gli possano ritorcere le
sue stesse ar mi, e ch'egli medesimo ammetter debba p o ter offer fucceduti
cali da cotefta fua vaga tradizione non conservati. giorno a maggior
buona cosa il non lasciarli fortificar nella grandezza stimò esfer pa ce. Se
ruppe adunque per propria sua ial vezza la guerra, è probabile, che ciò non
abbia fatto se non dopo un qualche conside rabil tratto di tempo, nel quale
abbia ve duto, che nessuno s'arrischiava di sfidar Romolo a battaglia. Queste
osservazioni,a me pare,bastar po trebbono per dimostrare, cheleirragionevo
lezze ręcate in mezzo dal nostro Autore non sono di tal peso, che vagliano ad
in fringere la Cronologia, e sminuir la durata del del Regno di
Romolo: nulladimeno stimo pregio dell'opera, acciocchè maggiormen te appaja la
verità, fare una luppolizione, Orsù adunque abbiasi per non detto tutto ciò, di
cui abbiamo ragionato sin ora.Dianli per invincibili le ragioni del nostro
Autore. Concedafi la presa di Camerio esser seguita; com'ei pretende,l'anno
sedicesimo di Ro m a, l'anno seguente la guerra co'Vejenti, e dopo questopace
profonda; che ne segui rà per ciò? Si opporrà questo per avventu ra a quell’indole
bellicosa, che gli Scrittori danno ad una voce al Fondatore del R o m a no
Imperio? Non potrà un Principe dopo essere felicemente riuscito in molte
pericolo se imprese, dopo essersi procacciato stima, e venerazione presso le
vicine nazioni colla fua bravura, goder de'frutti delle sue vit torie, e
riposando all'ombra allori 9. col mantenere il guerriero valore vivo, e
rigoglioso ne'suoi soggetti, fare in modo,che la fama diprode,ed invittoac
quistatası, ed il sapersi esser egli a guerega giare sempre apparecchiato, gli
proccurino una pace non inquieta,turbata, e vergogno fa,ma
ferma,ftabile,sicura,pienadiglo ria, e di virtù. Troppo sarebber funesti all?
uman genere gli Eroi, e troppo infelice vi de'conquistati ta d 3 A.. Epistole
in verfa ep.16. sopra il Commercio pag. Dionyf. Halic. se per guerra fosse
valente, ce ne assicura Dionigi, ove con quanti modi studiato fi di sia ta
avrebbono eglino stessi a menare, acquistarsi tal n o m e, viver dovessero o g
n o ratra le stragi, e tra'l sangue. E non eb be lo stesso Autor nostro a
lodare l'amor delle bell'arti, la profonda Scienza Politica, e le altre civili
virtù di quel bellicoso Prin cipe, il quale tanto, vivo, il processe, ed in
tanto illustre modo, morto,rese celebre la memoria di lui? E non fu la verità
ster fa, che animò la sua tromba, quando ce. lebrò quel paese. Dove un Eroe
audace, e saggio Nestore, e Achille in un fa fede al Mondo, Che l'Italo valor
non è ancor morto. Troppo fiera fu adunque l'idea, ch'egli fi formò in questo
suo Saggio di un Principe guerriero,potendo essere molto bene, e che Romolo
abbia la maggior parte del suo Regno passato in pace, e che ciò non ostan te a
sminuir non si venga la gloria milita re, dicui gode presso gli Storici. E che nell'arti
nonmeno di pace, che 4 fia di ordinare lo stato va divisando. Ne
meno di un Romolo vi avrebbe voluto,per assodare, ed unire con faldi nodi una
sì mal ferma società, e per ispirare la dovuta fom missione, una sola foggia di
vivere, di pen fare in certo modo, l'amordella patriaido. lo de’ Romani., e
fonte di tutte levirtù loro, in uomini di varie nazioni, di non ottimi costumi,
per l'armi, e per le vittorie feroci. Nè quelle parole, che Plutarco mette in
bocca di Numa, quando per sottrarsi dallo accettare il Regno offertogli
insiste, dicendo, che di un uomo di spiriti ardenti, e in sul fior dell'età, che
non di un re ma di un condottier d’esercito hanno di bisogno i Romani per
fronteggiar que'potenti nemici, che Romolo avea lasciato loro sulle braccia;
quelle parole, dico, non sono da tanto, come si cre dell’Autor nostro, che,
anche concedendo non esservi ftata dopo l' anno diciassettesimo del Regno di
Romolo guerra alcuna, perciò ritrar debbasi la morte di lui al diciottesimo, o
ventesimo anno del suo Regno. Temeva Numa, che i po poli circonvicini, i quali
non s'attentavano di moleftar i Romani, poichè ben sapevane qual d4 Plut.
in Numa, Storici, che finsero aver que'personaggi, i quali a favel lare
introducono, ragionato secondo le cir costanze, e giusta l'indole loro. Dalle
mal sime, che nel corso del suo Regno dimostrò Numa, dalla non curanza di
luiper gli ono ri ricavo Plutarco questa parlata da lui fat ta, rifiutandoil
Regno offertogli da'Romani. A proposito del qual nulla trovarsi appreffo Livio,
altra prova. forse della sua trascuratezza, e che Dionigi rifiuto è da notare
qual prode Principe li reggeffe, non pren dessero animo dal genere di vita
tranquillo, e filosofico, che noto era ad ognuno essere da lui professato, e
non volessero lasciarsi sfuggir di mano una occafione sì favorevo le di
abbattere un popolo, il quale già d a to avea tanti non dubbj fegni di voler
fot tomettere le confinanti nazioni, ed in queto modo è da intendere, che
Romolo la sciato avesse potenti nemici sulle braccia a' Romani. Senzachè, per
non ripeter quello, che già disfi, e di nuovo mi converrà dire intorno al poco
credito, che far sidee della autorità di Plutarco, certa cosa è, che quelle
parole, le quali presso di lui si leggono come di Numa,s'hanno
ariguardarealpari delle altre concioni,sia di LIVIO, chedilui, quai lavori
della mente degli Storici 1 fire stringe a dire, che avendoperbuo no
spazio di tempo ricusato ilRegno, s'in duffe poi ad incaricarsene a persuasione
de' fuoi, è inutil cofa riuscirebbe cercar in Lo stesso Plutarco poi è
quello,che fom miniitra il fondamento ad un'altra ragione, con cui ftudiasi il
noitro Autore di abbre viare il Regno di Romolo. Ammette.egli adunque, che nel
cinquantesimoquarto anno dellasua età giunto siaa morte Romolo, ma conceder poi
non vuole,che difolidi ciassette anni abbia cominciato a regnare, la qual cosa
è forza dire, quando foftener si voglia, che di anni trentotto stata sia la
durata del Regno di lui. Le ragioni, che egli adduce per mostrare non poter
Romolo esser cosìper tempo falitolulTrono,non fono altre, se non che ciò
ammesso,non po. terli quelle tante cose, che questo Principe facea secondo
Plutarco con sì tenera età conciliare; ed essere maggiormente impro babile, che
si giovane abbia fondato u n a Città, fiasi fatio Capo di un popolo, ed
pone Plutarco. 1 abbia sto Storico quelle parole, che in bocca gli Dionyf.
Halic. Plut. in Romulo. que A., Disc, milit. Disc. Per via della
conversazione, dice che Plutarco conviene instruirsi delle particolarità, che sonos
fuggite agli Storici abbia guidato difficilissime imprese, c o m e a tutti
è noto. Ma io non so ritrovare in primo luogo ripugnanza veruna tra la età, e
la condot ta di Romolo innanzi a'principi del suo R e ' gno,principalmente se
vogliamo attenersi a ciò che di lui narrano LIVIO, e Dionigi, e non ricorrere a
Plutarco quale pren dendo le notizie dalla bocca di que' Romani, con cui
conversa, come stesso'noftro che dalla venerazione, in cui quelli tenevano
dell' Imperio leggiadro Autore, ben è da credere, ogni cosa, che appartenesse
al Fondatore loro,sia Scrittor erudita, ed elegante, dice che la grandezza sero
i Romani cia, e dell'Alia dopo le conquiste, avea (parfo voluttà non ebbe, e di
gloria fu que'pri lume di chiarezza de’ m i loro antenari posteri, qual rozzo,
e barbaro popolo sem il, i quali senza la fama avverti lo. Un, che in fatto di
stato ingannato Francese pari, a cui giun della G r e per così dire un Non so
sei moderni noftri Criticii le Clerc, é i Muratorigli avessero menato buono tal
fuo Criterio. Euremont Ouvres mélées, pre Montesq. Consid. sur les
causes de la grand. Des Rom. a segnes venando peragrare falous: hinc robore
corporis bus animisque fumo jam, non feras tantum fubfiftere, fed in latrones
praeda onuftos impetum facere, pastorie busque rapta dividere, et cum his
crescente in dies grege juvenum ferias, ac jocos celebrare, pre 1
farebbono stati riguardati dalle colte n a zioni. Io non voglio per
niun modo adot tare il parere di lui, anzi penfo, che lo stesso Montesquieu, il
quale osservò c o n occhio si filosofico tutto il corso della Romana Storia,
abbia avvilito di non Dionyf. Halic. ful
bel principio della sua Opera (n) l'ori gine di quella Città Regina; ma credo
Tuttavia di potere a buona ragione sospetta fondato sopra popolari tradizioni,
e proveniente dalla bocre del racconto di Plutarco ca di coloro,che qual Nume
Romolo ado ravano, quando nè Dionigi, e nè pur LIVIO danno di ciò il minimo
cenno. Ed in fatti Dionigi ci fa sapere soltanto, che i due giovani Principi
furono condotti Città de'Gabj, perchè loro s'insegnassero leLettere,laMusica,ed
ilmaneggiarle armi alla foggia Greca insino a tanto che pervenissero alla
pubertà, e tutti que'p r e gi, i quali attribuisce loro LIVIO. Quum primum
adolevit aetas nec inftabulis, nec ad peco troppo alla disconvengono
punto alla giovanile età, a n zi più diquella, ched'ogni altracomecor porali
esercizj fon convenienti. M a su via concedasi per vero ciò, che dice Plutarco,
sarebbe poi da farne le maraviglie, che un giovane d'ottimo ingegno fornito
cominci a dar segni di quella prudenza, che ha da tilucere un giorno in lui. Educato
Romolo, come fu, non v'ha inverisimiglianza nessu na,cheinlui,avvegnachè
giovanetto,sfa villasse un raggio di qualche cosa maggior del comune Ma dirà
egli, per quanto, e dalla natura di belle doti fornito,e dalla educazione in
strutto suppor si yoglia Romolo, che abbia edificato una nuova Città, che si
sia fatto capo d'un popolo, che abbia guidato diffi cilissime imprese, sempre
con si tenera età mal potrafficoncordare. Non sipuò nega re, che di troppo
maggior forza, che non e cominciassero a svilupparsi que'semi di
generosità, che dalla sua prin cipesca origine avea tratto? Oltre di che quan
te volte il corso dello ingegno è più velo ce di quello degli anni? Una
illustre prova ben ce ne diede lo stesso noftro Conte A., il quale nella sua
prima età in molte, e varie facoltà dimostrò l'acume, e la perfpicacia
dell'ingegno suo. la la precedente sia questa ragione: vediamo con
tutto ciò il modo, con cui Romolo di venne Re, e non parrà più forse tanto dif
ficile il concepire, che si giovane sia giun to a tanta grandezza; e prina
d'ogni cosa prendiamo le più sicure notizie di quello, che è succeduto dalla
nascita di Romolo in Gino al tempo, in cui fu innalzato alTrono. A tutti
que'racconti della infanzia diR o molo io ltimo doversi preferire quello di F a
bio antico Storico seguito da molti, come dice Dionigi, ed acui più propende
egli medesimo, come quello, che favole chia m a le narrazioni degli altri
Scrittori. Egli adunque rigettando quella poetica finzione della Lupa, nega
insino, che fieno stati ef posti i due gemelli; che anzi afferma aver Numitore
per destro modo sottoposti altri fanciulli, i quali furono da Amulio spieta
tamente trucidati. Quindi essere stati i due Principi da Faustulo educati, ed
inviati, perché ricevessero una insticuzione, secondo che richiedeva la origine
loro, alla Città de' Gabj; il qual Fauftulo, per dirlo alla sfuga gita,
quaprunque pastore de'Regj armenti, è da credere fosse poco meno di un
uomo Dionyf. Halic. di di stato de'nostri dì, attesa la semplicità
de costumi di que'tempi. Ritornati poi dalla Città de'Gabi, legue a dir Fabio
presso Dionigi, di consenso dello stesso Numitore, i due giovani Principi fi
azzuffarono co'p a stori di lui, e gli sforzarono di ritirarsi in un co'loro
armenti dà certi pascoli tuttoc chè comuni. Questo aver fatto Numitore per
poterli accufare, e trovar m o d o di far entrare senza dar sopetto tutti que'
pastori nella Città. Ordita una tal trama, esser v e nuto Numitore dal fratello
Amulio a lagnarsi, e chiedere a lui, che gli dovesse consegna Te que'due
Fratelli col Padre loro, i quali l'aveano sì villanamente oltraggiato, e d a n
neggiato nelle cose sue, se pure seguito era ciò senza colpa di esso Amulio.Amulio
per dare a divedere, che avuto non ne avea al cuna parte, manda tosto per esli,
dando,che nella Città venir dovessero non il solo Faustulo co'suoi supporti
figliuoli, m a tutti coloro eziandio, i quali erano di tale delitto accagionati.
E con tal mezzo essen dosi, oltre a 'rei, grandissima moltitudine nella Città
introdotta, Numitore, dopo aver a' giovani l'origine loro, i loro cali, e le
offele da Amulio ricevute, averli scoperto animati alla vendetta, ed averli
persuasi a esli, coman non non lasciarsi sfuggir di mano sì favorevole
occasione di eftirpar quel Tiranno come fe cero. Questo è quanto si raccoglie
da Fabio presso Dionigi; narrazione, lia per la quali tà del testimonio, sia
per la veritimiglianza, da antiporsi sicuramente a quella di Plutarco, che
porta in se stessa scolpito ilca rattere della finzione, e che al primo aspet
to si dà a conoscere per lavoro della fanta sía de'Romani de'suoi tempi, da cui
attin geva questo Storico le sue notizie, i ogni cosa nel loro Fondatore
finsero straordi naria, e maravigliosa. N o n fu adunque solo Romolo in quella
impresa, anzi fu a quella stimolato dall'Avo, e fu diretto da quello il suo
valore, perchè produr potesse non solo discordie, e sangue, ma utilità, e fi
curezza. quali con Non voglio poi ora parlare diquellaopi nione accennata
da Dionigi e se non -abbracciata, nemmeno riprovata da lui, che R o m a stata
sia anteriore a Romolo; onde egli non Fondatore diquellaCittà,ma Capo soltanto
d'una colonia chiamar 'si debba; Plut, in Romulo. Dionys. Halic. concedo, che
ne sia stato ilFondatore,ma è da sapersi, che, ha l'idea di edificare una Città,
lia i mezzi per condurla a fine, fu rono opera di Numitore, e non diRomolo.
Dionigi di questo ci assicura, dicendoci, che due fini il mossero a ciò fare;
primie ramente per dare un ricetto degno di loro a'due giovani Principi, in
secondo luogo per isgravare la troppo grande popolazione della Città di Alba,
allontanando principal. mente coloro, che avean seguito le parti di Amulio,
ond'egli poteffe regnare libero di ogni sospetto. La qual cosa è, avvegnachè
oscuramente accennata da Livio (u): per ciocchè dicendo questo contro
l'autorità però e di Fabio, e di Dionigi, i quali per ianti rispetti degni sono
di maggior fede, che il disegno di fabbricare una nuova Città fu pure Numitore,
opera della mente dei due Fratelli,m a n i felto indizio, che troppo non erasi
studiato di diradar le tenebredi que'primi secoli, soggiugne, ch'eravi allora
una gran molti tudine diAlbani,e di altri,con cui pote vano popolarla. Nè mancó
Lores quoque accefferant, come. Dionyf. Hasic. LIVIO. Supererat multitudo
Albanorum, Latinorumque, ad id per come attesta Dionigi, di somministrar
loro e danari,ed armi,ed ognialtra cosa,che abbisognasse per edificareuna Città.
Ed a quella parte di popolo, che seco condot ta avea Romolo, fra cui eranvi non
po chi de' principali di Alba, iecondo il parer dell'Avo, ragionò sul
cominciare della edi ficazione. Dal tutto il fin.qui detto pertanto ftati
e Dionyf. Halic. Dionys. Halic. Dionyf, Halic. ramente ne risalta non
esserpunto cosa in verisimile, che di soli diciassette anni, o di diciotto
abbia potuto Romolo farquello,che pur fece, se lipon mente, che in quelle sue
prime imprese ebbe sempre a'fianchi l' Avo, ed ogni cota secondo il consiglio
di lui esegui;fu egli l'Achille d'ogni impre fa,Numitore ilChirone. Tanto ho
stimato dovermi stendere su que ho particolare, perchè non è Plutarco il solo,
che ciò scriva; ma lo stesso Dionigi chiaramente attesta aver Romolo incomincia
to il fuo Regno di foli diciotto anni. Vero è, che se si dovessero togliere
dagli anni, che corsero avanti N u m a cinquanta giorni, i quali vogliono molti
Autori essere 1 chia. stari aggiunti da questo Re, oltre ad undi ci
giorni, che pur mancavano all'anno fe condo la riforma, ch'egli ne fece, tre
anni fi vorrebbono togliere dalla età di Romolo, quando ascese al Trono, nè vi
farebbe per venuto di diciassette, o diciotto anni, di quattordici, o quindici.
Anche ciò con cesso nel modo, che divenne Re, non sa rebbe gran meraviglia, che
divenuto lo foffe in età si tenera, non avendo forse altro egli fatto, senon
imprestare ilsuonome alieim presedell'Avo:ma dipiùsivuolnotare che quegli
Autori, da cui raccogliesi esser giunto al Solio Romolo di soli diciassette, •
diciott'anni, non sono di parere, che tanti giorni mancassero all'anno avanti
Numa. za r Dionigi, il qual dice (aa) essere il Fon dator di Roma morto
di cinquantacinque anni dopo averne regnato trentafette, e che aggiugne sulla
testimonianza di tutti gli a n tichi Scrittori, i quali parlarono di lui, che
molto giovane fu innalzato al Solio vale a dire di soli diciott' anni, di
questa rifor ma dell'anno fatta da Numa, per quanto io ne abbia osservato, non
ne dà alcun cen no, silenzio, che congiunto colla accuratez Dionyf. Halic. Plut.
in Roinulo. Plut. in Numa. LIVIO; MACROBIO
Salurnal. Numa quin quaginta dies addidit, ut in trecentos quinquaginta qua.
suor dies za di lui mi mette in dubbio della verità della cosa.Plutarco poi,
che dice esseregli morto di cinquantaquattro anni, onde abbia dovuto
incominciare ilsuo Regno di diciassette, parla di questa riforma, ma vuole, che
Numa altro non abbia fatto,le non aggiugnere gli undici giorni, che m a n
cavano all'anno, e togliere l'irregolarità de' mesi, che erano in uso,
essendovene tale, che non giungeva a venti giorni, e tale, che giungeva a
trentacinque e più. Che al tro egli non abbiafatto, che regolare i mesi, ed
aggiungervi alcuni pochi giorni, è quello pure, c h e intorno a questo
raccogliere fi possa da LIVIO. So, che molti Scrittori, come MACROBIO, OVIDIO,
CENSORINO, ed altri furono di contrario parere. Si dee però distinguere tra
quelli, che asserirono, che l'anno avanti Numa era di soli dieci mesi, e
quelli,che dissero precisamente di quanti giorni fosse composto, perchè
potrebbe essere, trattan e2 dosi annus extenderetur, OVIDIO, Falt.] dosi di
Scrittori molto lontani da'tempi di Numa, che da quelli, i quali lasciarono
scritto essere stato l ' anno avanti Nu ma di soli dieci mesi, abbiano altri,
come forse Macrobio,argomentato, che l'anno foffe di foli trecento e quattro
giorni, la qual congetturą ognun può vedere, quanto sarebbe · fallace, potendo
esser benissimo, che fi fa. cessero avanti N u m a dei mesi più lunghi a l fai
del convenevole, e si venisse a compor re con foli dieci mesi l'anno di
trecento cinquantaquattro giorni, non di foli trecento e quattro. Del resto
il.Signor Dacier afferma, che alla opinione, che di soli trecento e quattro
giorni fosse composto l'anno avanti Numa prevalse quella, che giugnesse ai
trecento cinquantaquattro per l'autorità principalmen te di Fenestella, e di
Licinio Macro. Credo pertanto, che ciò basti per togliere quello 'ombra
d'inverisimiglianza, c h ' altri ritrovar potesse tra l'età di Romclo, e
l'elier egli giunto ad ottener la Corona, dovendosi, le condo la più comune
opinione, togliere fol tanto pochi mesi, che risultano dagli undici giorni, i
quali mancavano all'anno avanti (f) Dacier nelle note alla vita di Nuina di
Plutarco, Numa, Così dice il Signor Dacier nelle mentovate sue annotazioni
doversi leggere Plutarco, e non trecento e sessanta, come molto bene lo dà a di
vedereil contetto, Numa, e non tre anni dalla età di diciotto. Senzachè a
me baita, come già disfi, che da quegli Autori, da cui fi rica-. va questa età
di Romolo quando fali sul Trono, non fi può l'obbiezione dedurre in modo
alcuno, anzi il primo glıtoglieilfon damento, non parlando di questa riforma.
lui di dell' anno, te, il secondo la confuta espressamen dicendo, che l'anno
avantiNuma giun geva ai trecento cinquantaquattro giorni. Onde mi pare a
sufficienza dimostrato, che tuttique'fatti,iqualirecatisono inmezzo dall'Autor
nostro come ripugnanti alla d u rata del Regno del primo Re diRoma,ot timamente
con questa possono conciliarsi, e vengono a perdere.ogni lor forza, e a di.
leguarsi cutte le contrarie ragioni. L'Ami des Hommes Des Pro cui V.
Fondare Regno di Numa. CAPO Ondare un Regno, e dargli le leggi sono due
operazioni cosi fra loro diverse dice un valente Politico, che richiedono per
lo più due distinti Principi per eseguirle. Nascono ordinariamente gl'Imperj
nella fe. rocia de'popoli tra la discordia,e learmi: laddove la Legislazione (intendo
io di quella, che veramente meriti un tal nome ), è uno de'più preziosi frutti della
pace.Ed èben conveniente, che ciò, che rende per quan to si può gli uomini
felici, tra quello for ger mal poffa, che ne fa l'infelicità m a g giore. Ed in
effetto le leggi di Romolo,. di cui abbiam sopra fatto parola, riguarda vano
soltanto lo stato corrente degli affari, erano leggi, che abbisognavano, per
così dire, allagiornata. Numa si che fu poi quello, che concepì una vasta
pianta di L e gislazione, un general Sistema, il quale m i rar dovea alla
eternità; Sistema, che sotto di se comprendeva eziandio la Religione,di
hibitions. Ma l'Autor noftro, quafichè ridur non si possa a credere, che
senza alcuno indirizzo ira popoli feroci, e pressochè barbari, g i u n gere
Per fia potuto Numa a tanto senno da cui egli secondo l'uso de'
Legislatori,iquali furono a' tempi degli Dei bugiardi, utilmen te fi servi per
fiancheggiarne quelle leggi, quegli instituti, que'coitumi, e quelle opi nioni,
che a parer fuo doveano maggiormen te contribuire alla felicità della Nazione:
per se, mette in campo quella tradizione, che correva per bocca de'Romani insin
da'tem pi di Augusto, secondo cui dicevasi essere Itato ilRe Numa uditor di
Pitagora:onde le belle doti, le quali rilussero in lui, frutto fieno stato
degli ammaestramenti di quel Filosofo, la qual tradizione torna molto in a v
vantaggio del suo Sistema. Perciocchè, dic' egli, posto che Numa sia stato
discepolo di Pitagora, siccome sappiamo da CICERONE, LIVIO, e da altri scrittori
esser giunto queIto Filosofo in Italia in età molto lontana dal tempo, in cui
comunemente fi pone. Numa, dee questo far accorciare almeno la durata de'cinque
susseguenti Regni, perchè il Filosofo possa essere contemporaneo del Re
Legislatore. еА 3 da Per rispetto al qual suo ragionamento dei che
se egli si fosse soltanto servito di quella tradi zione, secondo cui dicevasi N
u m a essere Itato uditor di Pitagora, da questo n o n avrebbe potuto inferirne
cosa alcuna in fa vore del suo Sistema, potendosi una tal voce concordar molto
bene coll'antica Cronologia, cioè dicendo, che Pitagora venne in Italia in
que'tempi, in cui secondo questa, fi crede regnasse Numa; facendo ascendere in
una parola Pitagora a'tempi di lui.Ma siccome egli desiderava farlo discendere
a’ tempi pofteriori, non bastavagli questa s e m plice tradizione, bisognava,
che d'altronde in cui coreito raccoglier potesse il tempo, Filosofo venne in
Italia: preselo da Cicero ne, e da Livio, ma non s'avvide, che vo. lendo
servirsi della autoritàloro,erapoi for za rinunciare a quella tradizione base
avea posto alla obbiezion sua. Percioc chè vero è bensì, ch'essi dicono esser
giun to questo Filosofo molto più tardi in Italia di quel tempo, in cui secondo
l'antica C r o nologia regnava N u m a, m a in tanto l'asse riscono in quanto
l'uno lo fa contemporaneo di Servio, di Tarquinio il Superbo, o, del Console BRUTO
(si veda) l'altro. Volendo pertanto at gno è di particolar considerazione. che
per 9 te 266., ed ivi Giamblico, e Diodoro. Diogen. Laert. In Pythagora;
Clem. Alex, il qual venne Pitagora in Italia, poichè ne lia l'epoca, come
bene osservò incerta il dotto Gerdil, non però Scritto gran fatto fra loro i
più accreditati far ri, i quali di tal sua venuta dovertero fessagesimaleconda
te concordano quale asserisce piade 'feffagefima Clemente Alessandri. Diodoro
menzione piade sesfagefimaprima sotto la facilmen no, che lo mette conda, e
finalmente fotto la pone forto, Giamblico l’Olim, le quali epoche (c), il aver
egli fiorito fotro l'Olim con Diogene Laerzio con variano la fessagesimale con
Eusebio dice esfer egli morto nel quarto anno della fettantesima Olimpiade
Diogene mentovato - ottanta o novant'anni. LIVIO poi, CICERONE- in cui
quantunque del in età di, e per attestato Laerzio ne, renerli ad effi, non
v'era ragione per a b bracciare soltanto il tempo, e n o n di qual R e fu
contemporaneo questo Filosofo le non il tornar questo in avvantaggio del suo
Sistema. lo pon parlerò qui del tempo, ntroduz. allo Studio della Relig.; Strom.;
Diogen. Laert. ed altri Scrittori in tanto ci danno 19 epoca inquanto,come ho
accennato,cidi con di qual Re fu Pitagora contemporaneo le quali epoche però da
loro fissate non ef cono dagli anni, che secondo la Cronolo gia comunemente
ricevuta, corsero dal fine del Regno diServio, insinoalprincipiodel Consolato;
del che niente è da maravigliarsi, poichè essendo probabile aver dimorato in
Italia questo Filosofo un notabile spazio di tempo, tale Scrittore avrà tolto
l'epoca, di cui fece registro, dall'anno della sua v e nuta,tal altro da un
fatto accaduto essendo lui in Italia, tal altro dalla sua partenza, o dal tempo
di mezzo della sua dimora, onde possono aver detto tutti ilvero,quando fiasi
fermato in Italia non più di venticinque anni, che tanti ne corsero appunto
dalla morte di Servio infino al principio del Consolaro. Tutto questo adunque
io lafcierò da par te.Concedo, che ammettendo per vera quella popolar voce,
essa dovesse piuttosto far discender N u m a a'tempi di Pitagora, che far
ascender Pitagora a'tempi di Numa. Ma quello, a cui principalmente badar fi dee,
è, che questa tradizione medesima non è fondata sopra alcuna autorevole testimo
nianza, che la renda credibile. Vero è,che ne 2 al. verità
nelsuo gover alcuni rammentati da Livio,
da Dionigi, e da Plutarco furono di parere, che da Pitagora, il quale in quella
parte d'Italia, che Magna Grecia nomavası, gittò ifonda menti della sua
filosofica serta, N u m a ricevu to avesse quelle maflime di Religione, e di
Politica, che pose in opera no. Ma è da considerarsi negar Livio ciò
apertamente, non essendo secondo luivenu to Pitagora in Italia,se non sotto
ilRegno di. Servio Tullio, e dopo alcune ragioni, con cui studiasi di mostrar
l'insusistenza della opinione di costoro, soggiugne, che di sua natura
inclinato fosse alla virtù cotesto Re, nè bisogno avesse di straniera
instituzione bastandogli la dura, e severa disciplina degli antichi Sabini, de'
quali non v'avea una vol ta più incorrotta nazione. E questa se LIVIO. Dionyf. Plut.in
Numa.LIVIO. Auétorem doctrinaeejus, quianonexa taralius,falfo Samium Pythagoram
edunt: quem Servio Tullio regnante Romaecentum amplius poftannos inul tima
Italiae ora.juvenum emulantium ftudia coetus habuiffe conftat..fuopte igitur
ingenio, temperatum animum virtutibusfuisfeopinor magis, instru&tumquenon
tam peregrinis artibus, quam disciplina teirica, ac tristi veterum Sabinorum,
quo genere nullum quondam incorru. prius fuis. verità origine ebbe
per avventura da una Colonia di Spartani venuta in Italia a't e m pi di Licurgo,
come appare dalle memorie antiche nazionali portate da Dionigi, e di cui anche
ne dà un cenno Plutarco, la qual Colonia è da credere che trasfufo avesse ne’Sabini
buona parte de'costumi de' Lacedemoni. CICERONE poi in più luoghi delle opere
sue afferma fuor di alcun dubbio esser giunto questo Filosofo in Italia sot to
ilRegno di Tarquinio ilSuperbo,eche in Italiapur era a que’tempi,in cui Bruto
diedelalibertà a'Romani(h).SottoilCon solato di Bruto lo mette pure Solino, ed AULO
GELLIO in fine dice effer venuto questo Filosofo in Italia sotto il Regno dello
stesso Tarquinio Superbo. Dirà forse taluno, che l'alterigia de’ Ro Dionyf.
Halic. Plut. in Numa in piternum Hanc opinionem discipulus ejus Pythagoras
maxime confirmavit, quicum ·Superbo regnanteinItalian veniffet tenait magnam
illam Graeciam ec. CICERONE Tusc. BRUTO patriam liberavit. Aulus GELIO Noet.
Attic. Poftea Pytagoras Samius in Italiam venit Tarquinii filio regnum
obtinente, cui cognomento Superbus fuit, mani princ. Ferecides Syrus
primum dixit animos hominum ellefema Quaeft. Pythagoras, qui fuit in Italia
temporibus iisdem, quibus L. mani fu cagione del non darsi credenza
a questa tradizione dai dori, quafichè ellite messero non venir con questo a
scemare la gloria di que'primi secoli,, riconoscendo da un Greco l'Institutore
della Religione, ed il più favio de'Re loro. Quantunque questa non paja ragion
bastante per negare ciò, che gli Scrittori Romani ci dicono: poichè ammessa
questa regola, rifiutar fi potrebbe come supporto tutto ciò, che uno Storico
narra di avvantaggioso per la nazion sua, v e diam tuttavia ciò, che ne dissero
i Greci. E' da credere; che questi sisarebbono recato ad, onore l'aver dato a
Romani il Maestro di Numa: che per Greco passò presso Dionigi e Plutarco
Picagora, che che ne sia della opinione di alcuni moderni, i quali nè Greco.il.
vogliono, e nè, pure di quelle Greche Colonie fondate negli ultimi confini
d'Italia. pal Ora ciò non oftante Plutarco
nonscio glie la quistione, e reca foltanto in mezzo le varie opinioni, che
a'suoi di correvano, fra le quali degna è di considerazione quella di coloro,
che asserivano essere venuto in Italia un certo Pitagora Spartano, il quale
avea nella Olimpiade sedicesima riportata la Plus,in Numar bre
Dacier nelle annotazioni alla sua traduzione francese delle vite di Plutarco;
alla vita di Nuina. palma ne'giuochi Olimpici, fotto Numa terzo anno
appunto del Regno di lui il Dacier fi ride di una tale opinione, fembrando a
questo Critico ripu gnanza da non potersi comportare, che u n personaggio atto
a dare instruzioni ad un Re, e ad un Re,qual fu Numa, abbia gareggiato in
Olimpia per ootttenere il premio del corso.Ma a me pare con buona avendo
Spartani questi additato parecchj al Re ftrato fondamento uli degli sommini
Legislatore alla favola., abbia ed pace di 'un tanto uomo, che le usanze
moderne lo abbiano ingannato nel giudicar delle antiche. A tutti è noto, che
Socrate il più rinoma to Filosofo della Grecia non isdegnava di suonar la cetra,
e che anzi non lasciò di esercitarsi nella lotta; ed oltre a ciò non era poi
mestieri, che fosse un gran scien ziato costui per instruire N u m a delle
leggi degli Spartani. Si sa, che quel popolo nella rigidezza de' costumi, e
privazione di prel so che tutte le cose, le quali rendono dol ce la vita,
godeva per altro dell'avvantag gio d'aver leggi, che per la semplicità, e
con brevità loro, e per la cura del governo nel farle apprendere
a'fanciulli erano note a tutti coloro, che doveano obbedirvi. N o n farei
pertanto lontano dall'ammettere que fta opinione,se altro non vi fosse in con
trario, fuorchè questa ripugnanza ritrovata dal Signor Dacier; m a rinunciar vi
fi dee per troppo più forte motivo, ed è la te stimonianza di Dionigi, il qual
dice non ri levarsi da alcuna memorabile Istoria, che stato vi sia in Italia
altro Pitagora anterio re al famoso Filosofo. Del resto, che il celebre Filosofo
di questo nome nonsia stato a'tempi di Numa, con molte, ed incontrastabili
ragioni Atelio Dionigi si prova, e di più ac cenna ciò, c h e diede occasione a
questa voce sparsası nel volgo, e sono la venuta di Pitagora in Italia, la
sapienza di Numa fuori dell'usato della nazion sua, a cui sipuò ag. giugnere la
conformità della dottrina, ed il ritrovarsi presso alcuni antichi Scrittori, da
cui non dissente Dionigi, che Numa è chiamato al regno il terzo anno della fedi
cesima Olimpiade, il qual anno designarono dallo Dionyf. Halic.con dire, che fu
quello appunto, in cui quel certo Pitagora Spartano avea riportato il premio
de'giuochi Olimpici. E le pure è fondata quella taccia data a Dionigi di
derivare da'Greci assai più di quello, che ragion voglia delle cose de’ Romani,Greco
da lui efsendo Pitagora stimato, ben è da credere, che nel secolo, in cui
eglivivea, fossero i dotii,uomini sicuri della falsità di questa popolar
tradizione. Chiaro è adunque abbastanza, che nessun caso si volea fare di
questa, quando da'più dotti fra' Romani, e fra' Greci fu non solo rigettata, m
3 confutata eziandio, e quando fondato sopra l'unanime consenso loro già
esitato, non avea l'erudito Stanlejo di chiamarla fas vola folenne Quello, di
cui abbiamo infino ad ora raa gionato,non risguarda il regno di Numa, m a
tendeva ad accorciare i cinque seguenti Regni,ed inquestoluogo se*o'èdovuto
trattare, perchè da cosa appartenente a lui ricavata era l'obbiezione. Facciamoci
ora a considerare quelle ragioni, per cui accorciar debbasi il Regno di Numa
medesimo. Pare adunque primieramente all'Autor nostro, che non Stanlejus in
Hift. Philosoph. Io non fo rispondere altro a queste ragio ni,se non lasciare
al giudicio di chiha fior di senno,sesianon solo maraviglioso, eri pugnante, ma
soltanto fuori dell'ordinario corso delle cose, che, quando un uomo fia stato
di singolare ingegno dalla natura for nito, e quand'esso abbia posto cura in
col tivarlo, giunga in età di quarant'anni ad acquistarsi il grido di favio:
tanto più che sappiamo aver Numa ha l'arte di conciliarsi venerazione presso
gente rozza, e per conseguente superstiziosa, collo sfuggire il con non
potesse esser fornito nella fresca età,ei dice, di quarant'anni questo Re di
tanta fcienza, e di cosi alto lenno 2 che già ri suonaffe la sua fama non folo
pressoi suoi nazionali, m a ancora presso gli stranieri, e che il suo nome già
dovesse far tacere in un subito ogni particolar riguardo, e le ani mosità delle
parti, che per lo spazio di un anno intero contefo aveano fra loro dello
Imperio. Che tale fosse la riputazione, che si avea della sua scienza, nelle
cose divine, ed umane, che quantunque i Padri vedes sero la grandezza, che
tornava togliendo il Re dalla nazion loro,nondime n o niuno ebbe ardire di
preporre ad un tal uomo. alcuno a'Sabini, 7 f consorzio degli
uomini, dimorando ne'sagri boschi, col disprezzar le pompe, M a questo non è il
tutto, segue a dire il nostro Autore. Tazio, che reggeva Roma insieme con
Romolo, preso al grido della fapienza di N u m a, gli ditde Tazia unica sua
figliuola in moglie; ed ancorchè dalla Storia non abbiasi in qual tempo ciò
preci samente avveniffe, si può affermare senza tema di errore, questo essere
avvenuto nei primi anni del Regno di Romolo dacchè Tazio morì prima della
guerra co'Fidenati, e co'Camerį, cioè prima dell'anno sedice TACITO, Annal. Nobis
Romulus ut e le grandezze, e lasciar che corresse la voce dei suoi
pretesi congressi colla Ninfa Egeria.La fama della sua giustizia non era tale
da afa sicurar i Romani, che non sarebbono stati molestati da 'Sabini, quantunque
essi avesse ro tolto il Re della nazion loro? Doveano finalmente concordare una
volta i Padri, e stanchi forse i Romani, e mal foddisfatti, come quelli, che
dato ne aveano non dubbj segni,del governo di Romolo, il qualpen deva al
tirannico, fi contentarono di eleggere a R e loro un Filosofo. fimo, libitum
imperitaverat. fimo, o diciassettesimo del Regno di Romolo; e
Plutarco inoltre atteita, che Tazia era morta, quando Numa fu chiamato al Regno,
e che era vissutacon effo luilo spazio di ben tredici anni. Quindi ei rac
coglie, che gran tempo innanzi fioriva la fama della fapienza di Numa, e
dice,che, volendosi ritenere il compuro di Plutarco, sarebbe di necessità
asserire contro ogni ve. risimiglianza, che all'età di soli venticinque anni la
fama della fapienza di Numa fosse già tanta da indur Tazio Re ad allogare una
fua unica figliuola con lui u o m o priva Ed ecco altre opposizioni,a cuidàsem
pre il fondamento il folo Plutarco. E che fede fi dee prestar mai a questo
Scrittore, to, f2 е onde conchiude
non potersi fare a m e no di non dare un sessant'anni almeno a Numa, quando ad
una voce fu eletto Re di Roma, e ne deduce, che se vogliamo, che, come s'ha
dagli Storici, sia vissuto in fino all'età di ottantatré anni, avendo vent'
anni più tardi, che non è la comune cre denza, incominciato a regnare, è
neceffario, che di altrettanti fi venga ad accorciare il suo Regno. Plut. i n
Numa. avanti lui? Per formarci una chiara idea della falsità del
ragionamento del nostro A u tore, connettiamo alcune delle epoche di Plutarco,
che è il suo Achille per questi due primi Regni col suo Sistema Cronologico.
Tredici e più anni avanti alla morte di Romolo ei raccoglie da questo Storicoesser
seguite le nozze di Numa con Tazia. Que sto Storico medesimo dice esser nato N
u m a nello stesso tempo che Romolo innalzava le mura dell'alta sua Roma: ma
vuole il nostro Autore, che di foli diciannove anni circa stato sia il Regno di
Romolo, dunque ne seguirebbe a ritenere tutte queste e p o che di Plutarco,e
congiungerle col suo S i stema, che nel fefto, o fettimo anno della età e
per rispetto almatrimonio di Numa con Tazia, e per rispetto all'esatto numero
di anni, che vissero insieme, minute particola rità, le quali sfuggono agli
stessi contempo sanei? D'onde ebbe egli si particolarinoti zie,che aver non
potè non già ilsoloLi vio,ma nè pure l'accurato Dionigi,ilqua le tanta maggior
diligenza usò nello stende re le sue Storie, che di maggior criterio è fornito,
e che visse notabile spazio di tempo Plut. in Numa. 1 età fua N u m a
avesse menato moglie, ridi colo affurdo, ed inverisimiglianza troppo maggiore
al certo, che non sia quellad' averla menata nell' anno vigesimoquinto. So che
rigetterà egli quest'epoca, poichè chia ramente scorgesi doversi secondo il suo
Si Itema porre f 3 la nascita di Numa quarant'anni innanzi alla
fondazione di Roma; ma è da riflettere,che se di quelle, direi così, m i nute
epoche, di cui favella Plutarco, non ne danno gli altri Scrittori un minimo cen
no,nel mettere la nascita diNuma alprin cipio del Regno di Romolo, o là in quel
torno, concordano tutti; poichè tanto asse risce Dione, lo stesso si raccoglie
a un dipresso da Livio, ed infine l'accurato Dionigi dice che Numa quando
giunsealSo lio, era vicino al quarantesimo anno, onde non essendovi, come a luo
luogo opportu no abbiam mostrato ragione alcuna di ab breviare il Regno di
Romolo, fi vuol pure secondo lui mettere circa a'prinċipj di Roma la nascita di
Numa. Perlaqualcosa stra no dee riuscire, che l'Autor noftro rifiuti Dion.
Cocej. in fragm. Peiresc. ex ed.Rei. quella mari Hamburg. LIVIO. Dionys, Halic.
quella epoca di Plutarco, la quale è atte Iata dagraviffimi Scrittori,ed
ammetta quel le, nello asserir le quali trovasi solo questo Stórico. E' adunque
forza rigettare le epo che di Plutarco, e queste sue minute noti zie,non solo
perchè incerte,ma perchèfe fi colgono tutte insieme mal congiungerli possono
col Sistema del nostro Autore. Per rispetto poi a quelle parole di questo R e
presso Plutarco, con cui rifiuta il R e gno, le quali pajono a lui disdicevoli
i n bocca M a concediamo, che queste particolarità accertate fieno, e n o
n ripugnino col Sitte m a di lui le epoche stesse di Plutarco, che grande
assurdo ne seguirebbe poi? Che Tazio avrebbe data lasua figliuola in isposa a
Numa, mentre questi era di soli venti cinque anni;a Numa de'principali fra' Sa
bini; a Numa, che già erasi acquistato per avventura riputazion d i fapiente; a
Numa infine, che quantunque giovane, ben si può far ragione dal gran renno, che
poscia di mostrò, che di venticinque anni uguagliasse molti uomini, i quali già
fossero avanti nell' età. Qui mi pare in una parola, che la grandezza moderna
abbia offuscato l'intellet to del nostro Autore nel recar giudizio dell' antica
semplicità. E' ben vero però, che fa d'uopo fer marsi ancora alquanto
intorno ad una sua considerazione, la quale entrambi gli abbrac cia,ma
spero,chemi verrà fatto di dimo, bocca di un uomo di soli quarant'anni,già
ne abbiamo sopra ragionato. .Basta aggiugnere, che quantunque proferite le avel
le questo Re Filosofo in taleesà, male non gli sarebbono state in bocca. Forse
tuttigli uomini hanno da potersi vantare di militar bravura? E quando
vantatosene fosse,non era egli noto, che mai vissuto non avea fra l'armi?
Concedası, che questa dote fosse necessaria ad un Principe in quelle circostan
ed egli appunto mostrò di stimarla tale e per questo accettar non volea
l'offertagli Corona. Non hanno pertanto da parer disdi cevoli, e vergognose in
bocca di un Filosofo di quarant'anni, mentre Numa di tutt' altro pregiavasi,
che di stare in full armi, ed avea preso b e n diverso cammino per giungere
alla gloria. Laonde mi pare, che già li fia fatto chiaramente vedere, che per
quello, che spetta a'due primi Regni, non avea l'Autor noftro per accorciarli.
alcun bastantemotivo Itrare ze, f A (+) Cap ly. Strare non aver questa maggior forza delle
altre sue obbiezioni. Pare adunque all'Autor noftro improbabile, Tullo
Ostiliori accendere petti de'Romani (nervati che abbia la bellica virtù ne® di sessantacinque
anni dice risultare l'antica Crono logia da quarantatré anni del Regno di Numa,
da un anno d'interregno, e da ven tuno pacifici già da una pace anni, i quali
sessantacinque di Romolo. secondo potuto samente potuto Tullo Ostilio delta re
dopo sì gran tempo Romani, e guidarli come ei fece si animo alla vittoria: fi
ponga però soltan to mente alla pace, da cui uscivano i Romani, e biano
interrotto l'ardor guerriero n e ' per qual guerra una e chiaramente fi verrà a
comprendere, come ciò fia poflibile. tal pace ab Lasciando ora da parte, se
quegli ultimi anni di Romolo sieno stati cosi pacifici come si dà a credere il
nostro Autore, o fe almeno, come abbiamo sopra mostrato, non abbia quel
bellicolo Principe mantenuti vivi gli spiriti marziali ne'suoi Soggetti; venia
mo a vedere, fe ammettendo questasilun ga pace,ne risulti tale
inverisimiglianza, per cui abbiasene a negar la possibilità. Tutta la
ripugnanza consiste nel concepi come abbia те, La pace de'Romani non era nata
dall' ozio, è dal timore, ma era una pace, che ben lungi dal paventar de'nemici
era in istato di farsi temer da quelli:onde non dovea pure sembrare improbabile
al nostro A u tore, che le circonvicine nazioni gelose della grandezza di Roma
non ne abbiano turba ta la tranquillità. E che senno sarebbe stato il loro di
romper guerra con un popolo pol sente, e valoroso, che vivea in pace bensi, m a
in una pace lontana dalle morbidezze, dura, rigida,anzi feroce, che non le of
fendeva in cosa alcuna, che dava speranza in fine di voler depor l'armi,
confervar l' acquistato, nè più curarsi di estendere i confini? Aggiungafi
inoltre di quai belle doti a b bia il saggio N u m a fornito i suoi soggetti
pendente il suo pacifico Regno. Numa acconciò il popolo a Religione, e
Divinità, per servirmi delle parole di Tacito, fu, vale a dire, datore di quel
freno, e {pro ne sì necessario, promosse, favorì, e ftudioffi in ogni modo di
farfiorirel’Agricoltura,co me hassi non già dal solo Plutarco, ma da Dionigi
eziandio. Ora ciò posto non iscriffe Plut, in Numa, Dionyf, Halic. TACITO, Annal.
Che A. Saggio sopra il Gentilefiro go lo stesso noftro A., seguendo il
parere del Segretario Fiorentino, che, se dove sono le armi, e non Religione,
con dif ficoltà fi può quella introdurre, dove è Religione, facilmente si
possono introdurre le armi? E in quanto allo avere un popolo di agricoltorinon
avrà egliavuto probabilmen te sotto gli occhi una riflessione veramente aurea
diPlutarco,laqualequestopiùFilo. fofo, che Storico inserisce nella vita di Numa,
ed è, che, se in villa si perde quella temerità, e malnata voglia, che ci
spinge a rapire le sostanze altrui, fi conserva però ottimamente tutto il
necessario coraggio per difender le proprie? Che più? Non diceegli stesso, che
quel Principe, che ha uomini può farne presto de'soldati, che un zappatore, un
contadino li avvezza agevole mente a marciare, a patir caldo e gelo, alle
fatiche, ed agli ordini della milizia? Ecco in qual maniera da que'robusti
contadini, della Religion loro veneratori, amanti della patria abbia Tullo
Ofilio potuto ben tosto crarre un poderoso esercito. A. Viaggi di Rusia ra,
avere Che se altri poi si volgerà a considerare, per qual guerra abbia questo R
e rotti gli ozj dellapatria, e spintii Romani all'ar mi, come s'esprime
Virgilio, vedrà,che ca de rovinata del tutto la ripugnanza i m m a ginata dal
nostro Autore. Nella prima guer che ebbero i Romani dopo il Regno di Numa, non
trattossi di uscire dal proprio paese,e andarad invaderecon armata ma no
l'altrui, trattosli di difendere i propri confini dagli Albani', che per
gelosía d'ima pero vollero la guerra con esli, e le per avventura non
si-sarebbono questi accinti di buon animo ad una straniera espedizione, è da
credere, che non avendo ne'campi perduto il necessario coraggio per difende re
il suo, con tanto maggior ardore moffi G fieno a rintuzzare la forza degli
ingiusti aggressori. Che tali poi fieno stati gli Alba ni, avvegnachè Livio
secondo l'usanza fua distintamente non ne favelli, non ce ne lasciano dubitare
e Diodoro Siculo, e lo Atesso tante volte lodato Dionigi. Per ciocchè il primo
dice, che finfero gli Alba ni di aver motiyo di lagnarside'Romani per LIVIO Diod.
Sicul. excerp. Legat. Dionys Halic. iRomani sia per gara di primato, sia a
cagione di questo stesso maltalento, che contro esli gli Albani dimostravano,
non mancassero di corrisponder loro in malevolenza, e già in questo modo fparli
fossero que'semi di odio, i quali scoppiarono poi in guerra manifesta. Nè
tralasciarfidee,cheilnuovoReTullo Ostilio già erasi colle sue belle qualità cat
tivato l'affetto de'Romani, e col distribui re a'bisognosi cittadini certe
terre, le quali aveano appartenuto a'due primi Re, come scrive Dionigi, avea
già dato ad effi avere un pretesto di muovere contro esli, come quelli,
che portavano invidia alla p o •tenza loro; e Dionigi attesta, che Cluilio
Dittator di Alba volle la guerra co’Roma ni, e permise a'suoi di dare il sacco
impu nemente alle terre loro.Aggiungafi, che gli Albani, come sopra abbiam
cacciato una parte del popolo loro, la qua le a persuasion di Numitore, che per
rego la dibuon governo volea purgarne laCittà lua,era ita con Romolo probabile,
che vedessero di mal occhio cre sciuta a tanta grandezza una Città formata
de’rifiuti loro, e che d'altra parte riferito, avean a Roma, onde è mo 1 Diony.
Halic. motivo di sperare di dover condurre una vita felice sotto il
governo di lui. In abbiano Regni di Tullo Ostilio, Anco Marzio, Ccoci ora
giunti al Regno di quel Tullo Oftilio, che meritò di nuovo corona per la sua
perizia militare, e guidò alla vittoria. pure il nostro Autore, che d'alcun
poco s'ac VIRGILIO, Aeneid, potuto cor Patria si cara, e che già per le
civili, e militari virtù di Romolo, e per lo senno di Numa salita era ingrande
stima,ed ono re presso le vicine nazioni. difendere una Eccoci e Tarquinio
Prisco. que Ita maniera resta verisimile, che i Romani robusti, e valorofi
com'erano dilornatura, offesi da un popolo ad essi odioso, governati, e retti
da un favio, e prode Principe, che amavano, Agmina J a m desueta triumphis
Questo Regno adunquenon meno diquello del suo fucceffore Anco Marzio
defidera Vero è, che si potrebbe in primo luogo fospettare e
dell'età si avanzata di Anco e della stessa asserzione, che questo R e alla
morte sua non avesse un figliuolo, il quale giunto fosse alla pubertà.
Perciocchè il n o Itro Autore da un'epoca del suo Plutarco raccoglie, che
giunto già foffe Anco all' anno sessantesimoprimo dell' età sua, quan do venne
a morte, prestando intera fede a questo Storico, allorchè dice, che Anco ni
pote di N u m a per parte di una figliuola alla morte dell'Avo già era nel
quintoanno dell' età fua; minuta particolarità, di cui egli folo c'instruisce,
non facendone motto non solo Livio, m a nè pure Dionigi, entrambi corcino,
avvegnachè non possano chiamarfi di lunga durata, non giungendo ilprimo se non
a trentadue anni, ed il secondo a ven tiquattro, secondo la Cronología
comunemente ricevuta; e la ragione, che lo spinge ad abbreviarli, non è altra,
se non l'improba bilità, che, secondo lui, risulta dal doversi ! fupporre
nell'antico Sistema, che il Re Anco Marzio fia morto nella età di anni fel
fantuno senza aver figliuoli, i quali già per venuti fossero alla pubertà.
Plut. in Numa in fine. i fe dati questi per ne nyf. Halic. LIVIO.
Jam filii i quali fi restringono a dire,
che questo R e nipote era per via di una figliuola del Re Numa. Nè
certaèpurequell'altraal serzione del nostro Autore, che alla morte di Anco non
fosse ancora alcun suo figliuo lo giunto alla pubertà: perciocchè, te LIVIO
descrivendo non troppo accuratamente quel primo secolo di R o m a secondo
l'ufan za fua,diceallasfuggita,cheifigliuolidi Anco erano vicini alla pubertà,
Dioni gi, il quale con occhio più diligente scorse que'tempi, attefta, che uno
de'sopraccen nati figliuoli era già pervenuto alla pubertà, e l'altro ancora
fanciullo (e). Dubbiosi sono pertanto,per nondirfalsi,ifondamentidella
difficoltà. Vediamo ora, veri fia almeno questa convincente".
Perdonimi A.; ma io debbo con fessare,
che quando lessi questa parte del suo Saggio,non potei fare a meno di non com
piangere m é costesso la deplorabil sorte della umana ragione, non potendosi
coloro, che LIVIO. NumaePom pilii Regis Nepos filia ortus Ancus Martius
erat.Dio prope puberem aetatem erant. Dionys, Halic. ne fanno la gloria, qual
certamente egli era liberare da'pregiudizi pienamente. Grave presunzioneinvero
contro alla giustiziadella causa si è l'esser forzato un u o m o del suo senno
a ricorrere a tali ragioni per sostenerla. La grande impressione, che avea
fatto in lui il Sistema Cronologico del Neutone, 1'opinione, che aveva della
dottrina di quefto Filosofo fecero sì, che lasciò sfuggir dalla penna certe
ragioni, le quali eglim e desimo, le altri gliele avesse opposte, non avrebbe
né m e n o degnate di risposta se è da credere, che tutti gli uomini facciano,
e d Anco medesimo abbia fatto quello,che pru dentemente far fi dovrebbe. Se
finalmente anche concesso, che ne'giovani suoi anni abbia Lascio pertanto al giudizio de'giusti matori
delle cose, se l'esser morto il Re Anco Marzio in età di anni sessantuno fen za
aver figliuoli, i quali trapassasseroiquac tordici ami, sia tale
inverisimiglianza, che ci sforzi a negar fede a'più gravi Scrittori delle cose
Romane di que'tempi, e lascio per conseguente pure al giudicio loro, fe,
fupposto, cheil partito prudente fosse di tor moglie, essendo egliancor giovane
perpo terlasciare, come l'Autor nostro s'esprime, dopo le figliuoli attial
governo, esti abbia tolto moglie, sia cosa inverisimile, che se non tardi
abbia avuti figliuoli,o pu re morti fieno avanti lui i primi,non rima nendovi
che gli ultimi. Tutte queste cose, come dicea,io le lascio al giudicio de'let
tori, e mi reftringerò soltanto a dimostrare, che la speranza, la quale
prudentemente a y rebbe potuto nodrire, che i suoi figliuoli poteffero
succedergli nel Regno, non era tale da spingerlo a tor moglie affai per tempo,
la qualcosa per recare ad effetto mi con verrà indagare attentamente quelle
leggi, o per dir meglio costumanze,secondo cuicrea vanli i Re di Roma; tanto
più che, oltre all' effere materia per se importante, non ci riuscirà forse
inutile l'averla trattata nel de. corso di queste osservazioni. Chi dunque
prende a considerare la con ftituzione del governo di Roma a que tem
pi,hadapormente innanzi di tutto,che le cose non erano ordinate, come sono
negli Statide'giorninoftri, ma chesenonrego lavansi gli affari del tutto all'
avventura, elea forza, e l'accortezza aveano per l'ordina rio'non poca
parte nelle deliberazioni. Dif ficile pertanto sarebbe trovare le leggi fone
damentali, secondo cui fissata fosse la suc cessione al Trono, ovvero il modo
della la g A due capi ridur si può la base della constituzione di
qualunque Stato: al modo, con cui si e leggono, od intendonsi eletti quel
Principe, o que' Magistrati, che hanno da reggerlo, ed alla autorità, che
questi hanno sopra i loro soggerti. Della autorità, che i Re di Roma avessero
soprailorosog getti, non appartenendo punto alla presente quistione, io non
farò parola. Chi deside raffe per avventura d'esserne informato, potrà
ricorrere a Grozio, ed al Cellario ed a que'luoghi degli antichi Scrittori da
essi accennati. Mi volgerò bensì a mostra che Grotius de Jure Belli et Pacis
Chriftoph. Ceilar. Breviar. Antiq. Roman..feff.1.1 elezione: tuttavia
connettendo alcuni luoghi degli Scrittori, e facendovi sopra alcune ri
flessioni, verremo in chiaro, per quanto comportar lo possa un si rimoto
secolo, di quelle consuetudini, le quali, secondo c h e io stimo, tenevano
luogo presso i Romani di leggi fondamentali. per quanto raccoglier si poffa
dalle scarse notizie di quella età il Regno di Roma piuttosto elettivo, che
altro chiamar li dee. re, 1 E 03.120. ma E prima di tutto, le dalla
qualitàde'Re, i quali fuccedettero l'uno all'altro, si può ricavare alcuno
indizio, certa cosa è, che in que'sette Regni mai figliuolo non succe dette al
padre, che anzi tutti furono di di verle famiglie. Non parlo di Tarquinio il
Superbo, il quale non per giusta strada, m a colla forza, e per mezzo delle
scelleratezze giunse al Trono, a cui mai sarebbe in al tro modo pervenuto.Veda
adunque l'Au tor noftro, se dalla elezione di Anco, che nipote era per via di
una figliuola di N u che non subito dopo il Regno dell' Avo,ma dopo quello
diServioTullioasce se al Trono, inferir se ne possa, che piut tosto pendesse ad
essere successivo il Regno di Roma. Che se Tarquinio Prisco allonta nò da Roma
i figliuoli di Anco nella ele zione del nuovo Re, la qual precauzione egli
s'avvisa dimostrar, che vantassero que sti giovani diritto al Trono,si vuol
notare, che tutto facea per li figliuoli di Anco,per muovere i Romani a
conceder loro il Regno, e tutto era contrario a Tarquinio. Erano i primi
discendenti da N u m a figli uoli di Anco Principe, che congiunto avea le più
belle qualità de'suoi antecessori, o n de è detto da Livio uguale a qualunque
de' pal. g 2 Pa LIVIO. Medium erat
in Anco ingenium,& Numae, et Romuli memor. Id. ibid. Cap. 14. n. 35.
Cuilibet fuperiorum Regum belli ) Dionyf. Halic. Lib. III, pag. 184. 1
Too passati R e nella gloria delle arti
sia di Sequitur jactantior Ancus Nunc quoque jam nimium gaudens popu laribus
auris. Uno di questi poi secondo Dionigi già era alla pubertà pervenuto.Laddove
Tar quinio oltre ad essere straniero essendo stato dal morto Anco fuo fingolar
benefattore d e ftinato per tutore a'suoi figliuoli, la qual cosa fece per
avventura, lusingandosi, che avrebbe egli tentato ogni modo di aprir loro la
strada al Trono,nè per gratitudine questo dovendofi fupporre ignoto a' R o m a
ni, certa cosa è, che eravi ragion di teme re per lui di non poter ottenere il
suo in tento, quantunque il Regno fosse elettivo, se i figliuoli di Anco
avessero potuto chia marlo, esponendo a' Romani i meriti del paces che di
guerra, e quello, che è più grandemente amato dal popolo,secondo che disse
Virgilio in que'suoi versi, ove più da Storico, che da Poeta favella.
pacisque,& artibus, et gloriapar. Virgil. Aeneid. Padre loro, la di cui
memoria era ad effi si cara. Sapea benissimo l'astuto, ed a m bizioso Tarquinio,
qual impressione far p o tea nel popolo l'aspetto de' giovani Princi pi, ed il
rinfacciargli, che avrebbono fatto la sua ingratitudine. Temè pertanto la pre
senza loro giustamente, e trovò m o d o di allontanarli da’ Comizj. Dal fin quì
detto chiaramente risulta, che non ostante i pregj, che vantavano i figliuoli
di Anco, essendo stati esclusi dal Trono, a cui quantunque per molti motivi
gliene dovesse esser chiusa la strada, fu innalzato Tarquinio, ben lungi
dall'inferire da questo allontanamento, che nella elezio. ne del R e i voti
stessero ordinariamente per la ftirpe Reale, 'avendo un tale allontana mento
bastato ad escluderli, se ne dovea a più buona ragione dedurre, che i Romani
niun riguardo avessero al sangue Regio nella elezione del Re loro. min, Alienum
quod exaétum: alienioremquod ortum Corin tho:faftidiendum quod mercatore
genitum: erubefcendum quodetiam exule Demararo narum patre, VALERIO MASSIMO, Ma
veniamo ora con testimonianze degli Storici a dimostrar maggiormente il diritto
de'Romani nell'elezione de’ re loro, eco.. g3 ininciando da Livio: Servio
Tullio, dice questo Storico, avvegnachè foffe coll'uso al possesso del Regno,
tuttavia perchè sa peva, che il giovane Tarquinio andava dif ieminando esso
regnare senza ordine espres so del Popolo, conciliatosi il buon voler della
plebe col distribuir certe terre tolte a’ nemici, fi arrischio di porre in
deliberazio ne a'Romani, fe volevano, ed ordinavano, che regnasse o no, e con
tanto general c o n senso, con quanto per lo innanzi alcun al tro giammai Re fu
dichiarato. Ove è da notare,che Tarquinio il Superbo per farsi strada al Trono
non vanta già i suoi diritti come figliuolo di Re, nè taccia Servio di
usurpatore, perchè coll'occasione di a m m i nistrar la tutela di lui era
giunto al Princi pato, m a dice, che fenza espressa elezione del popolo Servio
Tullio governava il R e gno: e Servio per dileguar que'rumori,non risponde già
non essere un tal consenso n e cessario, ma, assicuratosi prima dell'affetto
quam jam ufu haud dubie Regnum poffederat; tamen quia interdum jactari voces
LIVIO Serviusquam del a juvene Tarquinio audiebat fe injusu populi regnare,
conciliata prius voluntate plebis, agro capto ex hoftibus viritim diviso, aufus
eft ferre ad populum, vellent juberentne fe regnare: santoque consena fui,
quanto haud quisquam alius ante, Rex eft declarcius; # Questo è
quanto dice Livio lo Storico, di cui l'Autor nostro maggiormente si pre gia; m
a per dare a vedere con alcun altro Scrittore la verità medesima, a chi della a
u torità del solo Livio non si volesse appaga consideriamo c o m e parla lo
ítesso S e r vio presso Dionigi per difendersi dalle accu fe di Tarquinio:
mentre io era disposto (ei dice adunque a Tarquinio ) a rinunciare il Regno i Romani
mi trattennero, sulqual Regno essi hanno diritto, e non voi altri, o Tarquinj;
quindi prosegue: siccome al vostro Avo (cioè a Tarquinio Prisco ) fu dato il
Regno, quantunque estero, ed alie nisfimo dalla cognazione diAnco, sprezzati i
figliuoli di Anco non fanciulli e nipoti, m a nel fiore dell'età loro, nello
stesso modo a m e f u concesso, perchè il Popolo Romano non un erede del Padre
metre algo verno della Repubblica, ma un personaggio veramente degno del
Principato. Tutto questo vien confermato dalla con g4 'del popolo, pone
in deliberazione a’Romani, le volevano, che seguitasse a reggerli, cose tutte,
che l'autorità del popolo nella elezione de'Re appieno dimostrano. dotta 1 re,
(in) Dionyf.Halic. dotta di Tarquinio Prisco verso i figliuoli di Anco; chi si
vorrebbe dare a credere, che un uomo cosi accorto avesse commesso tale
inconsideratezza di lasciar dimorare in Roma questi Principi, e non proccurare
di al lontanarli per destro modo da quella Città se avesse loro usurpato il
Regno? Bisogna credere, ch'ei s'avvisasse dinon esser reo d'ingiustizia veruna
contro d'essi, non altro avendo fatto, se non usare una destrezza per ottener
dal Popolo una cosa, di cui questo poteva liberamente disporre. Vero è, che sia
Anco Marzio, fia Tare. quinio Prisco, destinando per tutori de'pro pri
figliuoli personaggi, i quali doveano ef sere per ogni ragione ad elli tenuti
grande mente, si lusingarono, che questi proccurasse roa'lorofigliuoli
quelRegno, cheime desimi procacciarono per fe, servendosi per l'appunto del
credito acquistatofi penden te il governo de'benefattori loro. M a que sta cura
medesima, ed il non aver sortito l'effetto desiderato da que’ due Re, dimo-.
ftra vie più il poco riguardo, ch'avea il Popolo Romano al sangue Reale nelle
ele, zioni de’nuovi Principi. Del resto, se da quel general ritratto de?
costumi de'Romani di que'tempi, che racs Troppo parrà a taluno, che
dilungato mi fia in questa materia, la quale in vero non avrei trattato così
ampiamente, se non mi fosli dato a credere, che anche prescinden Montes Esprit
des Loix LIVIO cogliesi dalla Storia, si può trarre qualche congettura, essendo
propria di popoli rozzi peranco e semibarbari una costituzione in forme di
governo, non è da credere, che la successione al Trono di padre in figliuo lo
stabilita fosse tra esli, essendo questa frut to di secoli più colti, e per
recar finalmen. te la testimonianza di qualche moderno Scrit tore ', che questa
verità abbia riconoíciuto, basterà per tutte quella del Montesquieu, il quale
asserisce chiaramente e fuori di verun dubbio, che il Regno di Roma era
elettivo. Veda adunque l'assennato lettore, se la SPERANZA di lasciar figliuoli
atti al Regno allamorte fua era tanta da muover Anco a tor moglie assai per
tempo, e se anche c o n cedendo tutte le conseguenze, che da que Ro matrimonio
cosi per tempo contratto ne deduce il nostro Autore, le quali altri forse non
avrebbe alcun ribrezzo a negare il fon damento, che a queste ei pose,
siastabile, e fermo fufficientemente. do do dalla nostra quistione, non
sarebbe per avventura riuscito discaro il veder posto in pieno lume untal
punto. Tempo è ora, che veniamo al Regno di Tarquinio Prisco. Se de'Regni di
Tullo Ostilio, ed Anco Marzio toccò per così dire soltanto alla sfug gita il
nostro Autore, di troppo più forti r a gioni fi crede afforzato per accorciar
la d u rata di quest'ultimo. E qui debbo di nuovo avvertire, che l'essersi egli
appagato degli scarsi racconti di Livio, e il non aver rivolto l'occhio a quel
lume, che mena di ritto per l'oscuro calle di que' primi tempi di Roma, voglio
dire a Dionigi, è stato cagione dell'aver egli ritrovate ripugnanze, che non vi
sono. Strana a lui pare, per istringere le sue ragioni in breve,la disfimu
lazione de' figliuoli di Anco, che per tren totto anni aspettarono luogo e
tempo vendetta, e vendetta ei dice eseguita contro un usurpatore del Regno in
pregiudizio loro, avvegnachè fosse itato instituito tor di essi dal Padre
medesimo. E d'altra parte a lui pare, che troppo grande disdet ta sia stata la
loro, che di tanta dissimula zione dopo aver indugiato intino alla età di
cinquant'anni ad operar quel fatto, non ne abbiano colto frutto alcuno alla tu.
tuttociò essendo cona rimasi esclusi dal Trono. per altro grido di
accurato nel raccogliere i fatti descritti dagli Antichi, e il di cui difetto
non è la brevità, cioè, ch'essendo stato ucciso il famoso Augure Accio Nevio
colui, di cui si racconta il prodigio vero o supporto della cote tagliata col
rasojo, i figliuoli di Anco attribuirono questa uccisione a Tarquinio, fia
perchè, essendo il R e entrato in pensiero di far m u tazioni nelle leggi,
temeva non gli dovesse di Ma se avesse egli consultato Dionigi, avrebbe
veduto, che vero è bensì aver in terposto i figliuoli di Anco trent'otto anni
tra la ingiuria, e la vendetta in questo fen fo, che potessero recate ad effetto
le loro crame, ma vero poinon è, che in questo frattempo questa medesima
scelleratezza altre volte macchinato non avessero,laqual cosa non sivenne a
sapere,se non dopochè eb bero eseguita quella tragedia: Chiaramente in farti
asferisce Dionigi, ove narra la morte di Tarquinio, che coteíti figliuoli di
Anco più volte aveano tentato di togliergli la vita, che anzi aggiugne questa
partico larità, omeffa da uno Storico moderno, il quale ha Dionyf. Halic. Rollin
Hift. Rom. di nuovo efier contrario questo Augure,coa m e altre volte
trovato lo avea, sia perchè egli non fece le necessarie ricerche per stato
a 1 conoscere, e punirne gli uccisori. Riconci liolli Servio Tullio con
Tarquinio, ma avendolo ritrovato facile al perdono, dopo tre anni il messero a
morte nel modo, che de scrive Livio. Dirà taluno non esser da cre dere, che
abbia Tarquinio sì facilmente p e r donato un tale attentato a'figliuoli di
Anco; m a forse vero era ciò, di cui l'accagiona vano, e se ne avesse mostrato
risentimento, avrebbe dato peso all' accusa. Del rimanen te è da credere, che
note non fossero a Tarquinio le antecedenti macchinazioni, perchè dicendo
Dionigi unicamente a proposi to di quest' ultima, che lo ritrovarono fa cile al
perdono, dimostra, che le altre giun te non erano a cognizione di lui; onde
cagion di quella accusa, ben avesse egli m o tivo di tenerli per malcontenti,
ma non a segno di volergli toglier la vita. ri che allora pre Anzi di più è da
notare cipitarono l'impresa i figliuoli di
Anco, quando sividero chiusa lastrada dipoteredopo la morte del vecchio R e,
esponendo i m e riti del Padre loro, procacciarsi il Regno; voglio dire quando
giunto Servio inalto stato presso a Tarquinio, ed instituito tutor
re de' figliuolidilui, vedevano, chequesti amato, e ten Tutto questo succeduto
non sarebbe, se fosse stato, come pensa l'Autor noftro, Tar quinio un
usurpatore, poichè non avrebbo no dovuto tentare tante obblique strade, usar
tanta diffimulazione, ed è da credere, che più facilmente, e più presto
sarebbono forse venuti a capo de'loro disegni. M a già so pra abbiam messo in
chiaro, ch'elettivo ef Tendo ilRegno di Roma ingrato bensi, e sconoscente ad
Anco fuo benefattore non usurpatore chiamar fi può Tarquinio Prisco. Strano
pertanto non dee riuscire che abbiano frapposto i figliuoli di Anco
trentore'anni non già tra l' ingiuria, e la e riverito da'Romani poteva
con tro esli servirsi del credito rante ilRegnodi Tarquinio.Fecero per tanto
pensiero di arrischiare il tutto iare, le poteva loro venir fatto con una d i
{perata impresa di far levare il popolo a r u more,presso cui(prestando
fededileggie ri l'uomo a quello, che spera ) stimato a v ranno, potere ancor
molto la memoria del di quel Trono, a cui avvisavano di non poter giugnere in Padre,
e così impadronirsi altro modo. acquistatofi du ma de deliberazione,
che fecero di vendicarsi,m a tra l'ingiuria, ed il vedere la vendetta loro
eseguita non sarebbe questo il solo esempio, che delle contraddizioni
c'instruisca dello spirito umano. Non avete, dice pure egli stesso A. Disc,milit.Disc.Sopra
la Giornata di Maxen. Non fa ora quasi più mestieri di farmi a dimostrare,
che per non aver esli colto al cun frutto dalla loro lunga dissimulazione, non
sidee,come fa l'Autornoftro,negare, che di trentotto anni stato non zio di
tempo, il qual corse dalla morte di Anco a quella di Tarquinio Prisco. E chi
non sa, che moltissime volte non riescono ad uomini avvedutissimi i loro
disegni? Dice pure lo stesso A., che l'efito il quale importa il tutto innanzi
agli occhi del volgo, è nulla innanzi a quelli del fa vio? E d ancorchè fuppor
fi volesse, che i figliuoli di Anco, i quali aveano per si lungo tempo con
tanta cautela l'affare, non avessero poi usate condotto le dovute della c o n
giura, non farebbe questo, per servirmi di avvertenze nell'ultimo scoppiar
nuovo delle parole di lui in altra sua o p e sia lo spa tan ra tante
volte veduto la medesima nazione, il medesimo uomo prudentissimo ragionevolisii
m o in una cosa, imprudente, ed irragione vole in un'altra, benchè in ammendue
gli dovessero pur esser di regola le stesse m a l fime, gli itefli principi?
Del rimanente chi la, se non si farebbo no gli uccisori impadroniti del Trono,
quan do Servio Tullio, e Tanaquilla non foliero stati così avveduti, come
e'furono? A tutti è noto, che Tanaquilla fece correr voce, che Tarquinio ancor
vivea, affinchè niente si tentaffe di nuovo, e Servio avesse c a m ро di
premunirsi. Onde possiam conchiude re, che nè pure in questoRegno diTar quinio
vi è ripugnanza tale tra i farti, e le epoche, che ci sforzi ad abbreviarlo.
Regni di Servio Tullio, e di Tarquinio E il non aver consultato Dionigi traffe
più volte l'Autor noftro in errore, secondo A. Dialoghi sopra
l'OtticaNeuron, quello, SE Superbo. Dialog. Per venire adunque prima di
tutto alle ragioni, per cui giudica l'Autor nostro d o versi abbreviare il Regno
di Servio Tullio: fu Servio, ei dice, ucciso da Lucio Tarquinio, di poi
cognominato il Superbo, che voleva ricuperare il Regno paterno toltogli d a
effo Tullio, uomo intruso, e dischiattaser vile,e fu ucciso dopo un indugio di
qua rantaquattro anni, il che, segue eglia dire, vie maggiormente pare
inverifimile a chi fa considerazione, che questo Tarquinio era già uomo da
menar moglie, allorchè Servia Tullio divenne Re, ch'egliera dispiritiol
tre quello, che abbiam sopra dimostrato, onde ritrovò irragionevolezze, ed
inverisimiglian ze tali, che stimò doversi di sì lungo trat to di tempo
abbreviar la durata de'Regni de'RediRoma,ilnon aver rivolto lo sguardo a questo
Storico assurdi gli fece rinvenire in questi due ulti mi Regni. Perciocchè in
vero gliere le difficoltà mosse de'cinque primi Regni contro la durata non
avrebbe molte volte fairo mestieri d i mente a Dionigi; m a più difficile
riuscireb be il rispondervi per rispetto ultimi,se non si face fleuso della autorità
di lui. troppo maggiori ricorrere necessaria. a questi due, per iscio 1
che abbrancato Servio nel mezzo della persona lo si portò di peso fuor
della Curia,e gittollo giù perli gradini;ora sea quarantaquattro anni del Regno
di Servio si aggiungono venti circa, ch' eidovea ave re alla morte di Tarquinio
Prisco,verrà ad esser vecchio di sessantaquattro anni, allor chè dimostrò tanta
gagliardía. Questi sono i motivi, per cuistima l’Au tor nostro esser più
inverisimile aver Servio regnato quarantaquattro anni, che Tarqui nioPrisco
trentotto.Già abbiamosopradi mostrato non esser punto contraria a'fatti la
durata del Regno di Tarquinio, ora verre mo a far vedere effer non meno
verisimile la durata del Regno di Servio, che quella non tremodo ardenti,
ed ambiziosissimo,.e v e niva tuttodi stimolato ad occupare ilRegno da Tullia
sua moglie femmina trista fopra ogni credere, e malvagia. Dal che ne c o n
chiude esser m e n o probabile, che Servio Tullio abbia potuto regnare
quarantaquattro anni, che Tarquinio Prisco trentotto. Oltre di questo ei
riflette, che Lucio Tarquinio, il quale vivente Servio Tullio è sempre q u a
lificato giovane, fosse tuttavia giovane, e robusto alla fine del Regno di
quello, la qual cosa egli arguisce da ciò, che fi leg ge, LIVIO Tuumeft.....
non sia del suo antecessore. Desidererei per tanto prima di tutto lapere, onde
abbia r a c colto l'Autor noftro quella particolarità,c h e al principio del
Regno di Servio già fosse Lucio Tarquinio in età da menar moglie. Di questo non
m i venne fatto di ritrovarne parola presso gli Storici, e non mi posso
persuadere, che perchè Livio descriven do le azioni di Servio pone prima di tut
to aver egli date in ispose due sue figliuo le a Lucio, ed Arunte, per questo
abbia l' Autor nostro stimato di poter mettere q u e sti due matrimoni al
principio del Regno di Servio: perciocchè in questo caso ognun vedrebbe sopra
quanto fallace congettura egli avrebbe avventuraro questo fatto. M a quando
pure da Livio ciò ricavar fi potesse, vorrei di più, ch'altri mi sciogliel se
questo nodo, cioè se a tale età già per venuto era Tarquinio Superbo alla morte
di Tarquinio Prisco, c o m e riuscir poffa proba bile, che Tanaquilla con
quelle si eloquenti parole eforti presso Livio Servio Tullio a Servi fi vir es
Regnum, non eorum, qui alienis mani. bus peffimum facinus fecere: erige'te
Deosque duces re. quere, qui clarum hoc fore caput divino quondam circum
Desidererei pure, ch'altri insegnar mi sa pesse ilmodo dicomporre insieme
l'aver Tanaquilla un figliuolo giunto alla luccenna ta età, ed il proccurar,
ch'ella fa il R e gno a Servio piuttosto, che a Tarquinio suo figliuolo. E d
ecco che senza rivolgere al tro Storico, che il folo Livio, dando vento anni
circa a Tarquinio Superbo al princi pio del Regno di Servio, ne risultano in
verisimiglianze grandissime, per toglier le quali altro far non si potrebbe,
che suppor re fanciullo Tarquinio Superbo alla morte di Tarquinio Prisco; il
qual partito essendo a prendere le redini del Regno ancor manti del sangue di
Tarquinio Prisco, e a vendicar la morte dell'uccilo fuo marito, A m e sembra,
che ad una tal vendetta ad ogni m o d o piuttosto ella proprio figliuolo, se
questi già pervenuto era al ventesimo anno dell'erà sua, ed è ben da credere,
che u n giovane Principe nel fior de'suoi anni facesse troppo più m e morabil
vendetta della uccisione del Padre di quello, che fosse per fare Servio Tullio.
fufo igni portenderunt: nunc te illa coeleftisexcitesflama ma:nunc expergifcerevere:&
nosperegriniregnavimus: qui fis non unde natus fis, reputa: Si iua, re subita 2
confilia torpent, at tu mea confiliafequere. animar dovesse il fu quello, Posto
ora adunque, che ancor fanciullo fosse TarquinioSuperbo alprincipio delRe. gno
di Servio Tullio, ne segue, che da lui allevato, non avendo vedute. le
grandezze del Regno dell'Avo, del quale lapea. aver Servio vendicata la morte
collo allontanarne dal Trono gli uccisori, e per ultimo stret to seco lui in
vincolo di parentado, e spe rando di succedere ad un uomo già oltre negli anni
per commettere la scelleratezza che commise, dovettero concorrere questi due
impulsi, vale a dired' avere a lato una malvagia, ed ambiziosa femmina, e d'ef
fer fuori di speranza di poter succedere a Servio Tullio, avendo questi, come
ce ne affi e quello, che toglie tutte le ripugnanze, d altra parte non
raccogliendosi dagli Stori ci, di qual' età precisamente ei fosse alla morte di
Tarquinio Prisco, sarebbe quello, che prendere li dovrebbe.M a non abbia m o
bisogno di congetture, poiché, che Tarquinio Superbo fosse per anco fanciullo,
non figliuolo, ma nipote di Tarquinio Pri sco, chiaramente viene attestato da
Dionigi; il che dovremo di nuovo notar più fotto. Dionys. Halic. re frapposto
qualche indugio, affinchè m a • nifeftamente n o n risaltassero agli occhi i d
e suno 5 che ci dicono gli Storici (e), per potere stringere quel
scellerato matrimonio, fra l'una delle quali, e l'altra avranno p u assicurano
Livio, e Dionigi, fatto pen fiero di rinunciare il Regno, e dare la lic bertà a
Romani. Ma è da avvertire, che forse qualche notabil tempo trascorse oltre il
ventefimo anno del Regno di Servio, innanzi che si congiungessero con quelle
infa m i nozze Lucio Tarquinio, e Tullia: per. ciocchè, fupponendo, che avanti
al vente fimo anno del Regno suo non abbia Servio date le sue figliuole in
ispose a' Tarquinj, ad ognuno è noto, che Tullia moglie era di Arunte, e non di
Lucio, e Lucio a m m o gliato era coll'altra figliuola di Servio, o n de ebbero
a passare per tutte quelle scelle ratezze, litti loro. Credo poi veramente, che
dopo ch' ebbero coronate le commesse iniquità colle nozze, non si debbano per
modo nef h3 LIVIO tani mite tam
moderatum imperium deponere eum inani. mo habuisse quidam Auctores funt, ni
fcelus intestinum li. berandae patriae confilia agitanti interveniffet. Dionyfi
Halic. LIVIO. Dionyf. Halic. che la ragione, per cui finalmente val sero preffo
Tarquinio le persuasioni della sua rea moglie, fu l'aver questi inteso c h e
Servio volea dar la libertà a’ Romani, alla qual risoluzione forse fu egli
spinto princi. palmente dalle malvagità della figliuola, e di Tarquinio. Vedeva
egli benislimo che Tarquinio da lui giudicato indegno del T r o no,appunto
perchè tristo,giàdovea forse essersi formato una fazione di ribaldi pari suoi,
e che dopo la morte di lui o avreb be forzato i Romani ad eleggerlo a Re lo ro,
o pure quando avessero avuto tanto co raggio di eleggerne un altro, prevedeva,
che avrebbe tentato ogni mezzo, ed anche accesa una civil guerra per giungere
al Trono. E d'altra parte Tarquinio Superbo, se con questa risoluzione di
Servio non sifosse veduta tagliata ogni strada, non avrebbe avventurata la sua
fortuna e la sua vita LIVIO. Initiumcura suno passar sotto silenzio i
continui stimoli di una donna, quale si era Tullia, onde a buona ragione abbia
detto Livio (F), che il principio di sconvolgere ogni cosa da una donna ebbe
origine: m a contuttociò io sti me mo, bandi omnia a foemina orium ift
Tolti ora diciannove o venti anni dalla età, che aver dovea Tarquinio il Superbo,
onde venga ad essere di soli quarantaquat sro o quarantacinque anni, e non di
sessan taquattro, quando gittò giù per ligradini della Curja Servio Tullio, non
parrà più in nessun m o d o inverisimile tanta gagliardía. Senzachè io lascio
al giudicio degli assen nati, se, anche concedendo, che di sessan taquattro
anni abbia Tarquinio fatta una tal prova, menandosi allora una vita più dura, e
per conseguente più robusta, ed essendo Tarquinio riscaldato dalla collera, sia
poi cosa da farne tanto le meraviglie.Onde mi pare di potere a buona ragion
conchiudere, medesima come fece, ma servito fifareb be della fama dell'Avo suo
dopo la morte di Servio, che già era oramai pieno di anni per farsi elegger Re
da'Romani, cosa, la qual potea giustamente sperare potergli riu sčir più
agevole, che d 'intraprendere, com ' egli fece, di usurpare il Regno vivente
lui medesimo. Ben vedea, che se tentato avel 1 se inutilmente questo passo di
trucidare il suo Suocero, ed impossessarsi coll'armi del Solio, non gli
rimaneva più speranza alcu na. Non arrischiò adunque iltutto, senon quando si
vide in procinto di tutto perdere. chę ) <che siccome non v'ha motivo di
accorcia. re i precedenti Regni, così nè pure ve ne ha alcuno per accorciar
quello di Servio Tullio. Siamo finalmente pervenuti al Regno dello steffo
Tarquinio Superbo ultimo Re di Roma. La principal ragione, che adduceľ Autor
noitro per abbreviare il Regno di lui, e che abbraccia anche i Regni di Tarqui
nio Prisco, e di Servio Tullio, è questa. A c cadde,ei dice, che verso la fine
del Regno di Tarquinio Superbo, Sefto Tarquinio, e Tarquinio Collatino essendo
a campo ad Ardea, vennero a contesa chi di loro avesse moglie più onefta;
d'onde poi nacque, c o m e ognun fa, il Consolato, e la libertà di R o m a. Ora
questo Tarquinio Collatino a quel tempo secondo le parole di LIVIO era giovane,
e secondo lo stesso Autore era figliuolo di Egerio, a cui Tarquinio Prisco suo
Zio commise la guardia di Collazia Città novellamente acquistara nella guerra S
a Regiiquidem juvenes interdum orium conviviis comeslaf. fionibusve inter fe
terrebant; forte potantibus his apud (fratris hic filius erat ) Collasiae in
praefidio relictus bina, Sextum Tarquinium incidit de uxoribus mentio etc.
LIVIO. bina, e ciò fu verso il principio del Regno di Tarquinio Prisco, il
quale viene acade re fe non prima l' anno centocinquanta se condo il computo
comune della edificazione di R o m a. Convien dire, ei soggiugne, che Egerio a
quel tempo avesse almeno i suoi quarant'anni, fe vogliamo crederlo atto a
Costenere un carico di tanta gelosía, come è quello di castodire una Città, di
nuovo a c quisto, e se vogliamo, che fosse nato, come si h a da LIVIO, prima
che Tarquinio Prisco veniffe a Roma.Ma come può fta re, ei conchiude, che un
uomo di quarant' anni l'anno di Roma centocinquanta avesse un figliuolo'ancor
giovane l'anno dugento quarantaquattro? Cioè quasi un secolo dopo, come non fi
voglia dire, ch'egli avesse fi gliuoli passati i novant'anni, il che merita va
aver luogo secondo lui tra le meraviglie della Storiadi Plinio,non
traifattidiquella di Livio. Pensa adunque l'Autor noftro, che s e vogliamo
ritenere questa discendenza de'Tarquinj, fa mestieri prendere ilpartito di
accorciare i Regni di Tarquinio Prisco, di Servio Tullio, e di Tarquinio
Superbo, che occupano il tempo, che è di mezzo tra il figliuolo, ed il Padre.
Molte cose io potrei qui porre sotto )Collariae inpraefidio reli&us.T.
Liv.loc.fupra cita opera ucchio del lettore per isciogliere questa dif
ficoltà, come farebbe il dire, che non sifa precisamente il tempo, in cui sia
stata con quistata Collazia; che Livio Storico non trop po'accurato può esserfi
ingannato nel dire, che già nato era Egerio prima che Tarqui nio Prisco venisse
a R o m a, che la custodia d'una Città non era carica a que'tempi, per
esercitar la quale dovesse u n guerriero effer giunto all'età di quarant'anni:
tanto più trattandosi di un Zio, che una tal c u ftodia commette ad un Nipote:
perciocchè non essendo in quell'età le cose così rego late,come a'dinostri, piùo
sservavasinegli uomini, i quali davano al mestier delle armi,la bravura,elagagliardia,doti,
di cui potea egli molto bene esser fornito alla età di venti o venticinque anni
che non il senno, che a ' n oftr i tempi in un Governatore fi richiede, per
fuppor ilqual sen no ci vorrebbe per avventura più avanzata età. Potrei dire di
più, che se vogliamo Itare alle parole di LIVIO, da queste nonfi può dedurre,
che la custodia della Città sia Itata a lui principalmente come Capo commesla,
ma solamente che fu lasciato di presidio inquella Città dal Re fuo Zio.Por ter
essere finalmente, che questo Collatino giovane più non fosse, attesochè, per
non far parola della poca esattezza di Livio, questo Storico non dice
precisamente, che giovanefosseCollatino,ma cheiRegjgio vani passavano il tempo
in conviti, mentre erano occupati in quella piuttosto lunga,che viva guerra, 1
gliuolo sotto le quali parole di Regi giovani può egli aver foltanto intesi i
figli uoli del Re, e non Collatino, quantunque della stessa famiglia, tanto più
che dicendo egli dopo,che stando essibevendo pressoSe sto Tarquinio, ove pur
Collatino cenava, cadde ildiscorso sopra le moglj (k), a me pare, che quelle
parole ove pur Collatino cenava, dimoltrino, che sotto quelle ante riori di
Regj giovani non altri abbia volu to intendere Livio fuor che ifigliuoli di
Tarą quinio. M a comunque fiafi di ciò, s'abbia per nulla il fin quì detto,
concedasi essere impossibile, che Egerio abbia potuto avere un figliuolo
giovane al fine del Regno di Tarquinio Superbo. Sappiasi adunque, che Dionigi
crede Collatino nipote,e non fie Forte potansibus his apud Sextum Tarquinium
ubi Collatinus coenabat. LIVIO ) Dionys, Halic. L'ultima ragione, con cui
l'Autor nostro ftudiali di abbreviare il Regn o di Tarquinio Superbo, e che
abbraccia anche quello del fuo predecessore Servio Tullio, ei la ricava da
questo. Tarquinio quando pervenne al Principato, avea secondo lui
sessantaquattro anni, a'quali chi aggiugne i venticinque che si dice aver egli
regnato, troverà, che era questi in età di Ottantanove anni, a l lorchè fu
cacciato dal Regno, la qual par ticolarità posto che vera,n o n sarebbe stata
passata dagli Storici sotto silenzio. Che più, segue egli a dire, leggeli, che
il medesimo Tarquinio parecchj anni dopo che fu c a c ciato di Roma, combatté a
cavallo al L a go Regillo contra il DictatorePostumio, ciò, che verrebbe a
cadere l'anno centefimo circa della età fua, onde ei correrebbe la giostra c o
n un secolo sulle spalle,affurdo, prosegue egli, non punto diffimile da quello
avvertito da Luciano (n), che quella Elena, gliuolo di "Egerio, ed
in questa maniera con un colposolositagliailnodo. 1 i Per cui l'Europa armolli,e
guerra feo, E l alto imperio antico a terra sparse, LIVIO. Lucian, in Somnio
seu Gallo, quando desto quelle si celebri fiamme i n petto a Paride già fosse
coetanea di Ecuba. suo. Lalcio io qui,d'avvertire, che a Tarqui nio
Superbo si vogliono torre que'vent'anni, iquali,come già sopra abbiam mostrato,
gli dà di troppo l'Autor noftro, onde per dirlo alla sfuggita, non avea egli da
mara vigliarsi, che gli Storici abbiano taciuta quella particolarità, che
quando Tarquinio fu cacciato di Roma, già era pervenuto alla età di oitantanove
anni. Quello poi, che tronca ogni quistione per rispetto alla giornata del L a
g o Regillo si è, che Dionigi (o), ch'egli pure reca in mezzo a questo
proposito, e non gli presta fede, riprende quegli Storici, i quali narrano tal
fatto, e dice doversi credere suo figliuolo, e non lui medesimo esser quello,
che fu,ferito com. battendo contro ilDittatore Poftumio. O v? è da notare che
anche facendo il caso, che con sole congetture si dovesse scioglie re questo
nodo, essendovi due mezzi noti al nostro Autore per togliere l'inverisimi
glianza,, cioè o di abbreviare i due.Regni di Servio Tullio, e di Tarquinio
Superbo, o pure di dire non essere stato lui,m a il Dionyf. Halic. Si dà risposta a varie
opposizioni. Chiaro Hiaro ora resta abbastanza, che le in. verifimiglianze
raccolte dal Conte Algarotti, s'altri le viene minutamente osservando,non
fuo figliuolo quello, che ritrovossi alla giord nata del Lago Regillo, il
nostro Autorem prende piuttosto il primo, cioè quello, che favorisce l'opinion
sua, quantunque a m m e t ter non si possa per modo nessuno, quando si sa, che
Dionigi, il quale avea con tan ta cura studiati gli antichi Storici Latini, e
che se non altro fu tanti secoli più antico del Conte Algarotti, Dionigi in s o
m m a così diligente nel fiffar le epoche, stima più prudente partito prendere
il secondo. La scio ora pertanto decidere da chi diritto ragiona, se tali fieno
i motivi addotti dallo Autor noftro, che si debba pure accorciare il Regno di
Tarquinio Superbo,o se piut tosto,come ioavviso,non resistanoalla autorità
degli antichi Storici, e debbano c a dere a terra come damento, del tutto privi
di fon fon folamente non sono valevoli a mandare in rovina la Cronologia
comunemente ricevuta, m a nè pure hanno forza per ispargervi fo: pra alcuna
ombra di dubbietà,nè efferne cessario ricorrere a quel suo ripiego di a b
breviare pressochè della metà la durata de' sette Regni per conciliare la
giovanile erà di Romolo colle grandi cose, ch'egli ope To, e l'età di Numa
colla sua esalcazione al Trono. Nè secondo quello, che abbia m o osservato, l'
uomo indugia troppo cogli ftimoli della vendetta, e dell'ambizione a fianco
anzi lungo spazio di tempo non ba fta ad estinguerli; nè quella gagliardía,che
trovar non si può nella vecchia età, avvien che vi si trovi, onde senza negar
credenza, com 'egli pretende, a' più gravi Storici dell' antichità in cosa, in
cui tutti convengono, quale si èla duratade'fette Regni, torna ogni avvenimento
(per servirmi delle stesse fue parole in contrario senso ) nell' ordine
naturale delle cose. nolo. 1 Del resto si dee avvertire, e di fatticre do,
che ognuno avrà avvertito quanto d e boli, e leggiere fieno le
inverisimiglianze ed assurdi,dicuiservisli ilnostro.Autore per distruggere la
durata de'mentovati Regni, e venire a confermare il Sistema Cronologico del suo
Filosofo. Quand o altri nes gar vuole la verità di un fatto attestato da gravi
Storici per folo glianze, o contraddizioni, queste devono ef ler tali, che
ammesse per vere il fatto al trimenti fufliftere non pofsa: perciocchè è legge
dellaPoesia,non della Storia,ilnarra re soltanto cose verifimili. La.Storiaècon
tenta di narrar cose vere; e quante cose, a v vegnachè vere inverisimili ci
pajono per una minuta circostanza o smarrita, o di cui non pensarono gli
Scrittori di far menzione,per un costume, per una legge, per una fog. gia
particolare di vivere, di cui come di cose a'contemporanei loro notiffime, n o
n istimarono dover far parola? In s o m m a molte volte assomigliar potrebbefi
la Storia ad una macchina, la qual produca maravigliosi ef fetti, ei di cui
ordigni sieno ignoti. Tali dicono essere i nostri orologi per rispetto a’cinesi,e
noinondirado, inispecieinquan. to allaStoria, laqual'èo da’tempi,oda? paesi
nostri lontana, fiamo nel caso loro. Ecco adunque,che leguate non fi fossero le
inverisimiglianze i m maginate dall'Autor noftro, sono queste si deboli, che
come saette vibrate contro una motivo d'inverisimi quantunque eziandio di falda
armatura, ben lungi di recare alcuna offesa, offesa, cadono effe medesime
infrante a terra, chę E appunto per iscogliereil nodo, ch'egli benissimo
vedea, ch'alori gli avrebbe potu to mettere innanzi agli occhi, vale a dire per
qual ragione egli opponesse alcuni fatti, in cui discordano gli Storici alla
durata di tutti i sette Regni tolti insieme, ed alla d u rata di ciascheduno in
particolare, in cui sono a un di presso di un medesimo pare re, ei dice, che la
memoria de'fattidovet te con più sicurezza essere conservata dalla tradizione,
che non fu da quante volte, mentre quelli avvennero tornato un Pianeta al
medesimo sito del Cie lo; la qual risposta io non so, se basterà per appagare
chi considera alquanto adden tro nellecose; perciocchè a me pare noti zia non
meno importante,e degna di esse re dalla tradizione, e dagli Scrittori a' p o
steri trasmessa il numero degli anni, che occupòilTrono un
Principe,diquello,che fieno molti fatti, a cui presta l'Autor n o ftro intera
credenza. N e aveano i Romani bisogno di troppo fortili astronomiche culazioni,
come pare, ch'egli accennar v o glia, per sapere di grosso, quando terminal
le,eprincipiassel'anno.Ed unaprova, che questa tradizione del numero degli anni,
i essa trasmessa sia {pe ' epoca di molti de principali fatti, non
si sia notato però l'anno preciso, in cui segui ciascun fatto. Ove è da
riflettere che lo stesso noftro Autore dicendo non ef fere da credere, che gli
Storici sapessero quanti anni sieno trascorsi, mentre andava no fuccedendo i
fatti, è forza,che ammet guerra di Romolo con lo veramente credo poi, che
quantunque tenuto fi sia registro non solo del numero degli anni, che durarono
i Regni de'Re di Roma, ma ancora del Regno di ciascun. R e, e dell ta, che
abbia regnato ciascun Re, e per con seguente della somma di tutti isetteRegni,
inratta conservata fi fia, si può dedurre da quella ammirabile concordia degli
Storici nella Cronología, concordia, la qual non si vede certamente ne'fatti.
che non sapesser nè pure l'anno preci fo, in cui questi avvenimenti seguirono.
Ora con questa sua sola concessione viene a ro vinare buona parte delle ragioni,
ch'egli apporta per abbreviare ciascun Regno. E d in fatti quante volte non fi
serve egli di epoche di avvenimenti minuti, e per lo più; registrati soltanto
da un Plutarco, per ritro var ripugnanze nell'antico Cronologico Sistema, come
sarebbe,per recarne alcuno esem pio, l'epoca della tro e del diverse
guerre; tempo Approssimandosi l’Autor nostro al fine del suo Saggio, reca altra
prova contro l'anti co Cronologico Sistema,e ben sivede,che avendola riserbata
in ultimo, ei crede, che dia questa l'estremo colpo, e il nodo del tutto recida.
Questa prova, ei dice, è c a vata dalle generazioni di uomini, le quali tro i
Camerj, che è in Plutarco, l'epoca del matrimonio di Tazia con N u m a, che
trovali presso lo Iteffo Storico, come anche il precito numero d'anni, che
vissero insie m e, il qual pure èri cavato dallo esatto re giftro, che il
medesimo Plutarco ne tenne, per non parlare de cinque anni nè più nė meno,che
avea Anco allamortediNuma e degli anni, in cui seguirono precisamente della
nascita di Egerio, ch'egli raccoglie da Livio. Le quali epoche tutte oltre
all'essere tratte la maggior parte da Plutarco o da Livio, credulo il primo,
Itraniero, e lontanissimo da'tempi,poco accurato l'altro,non dovea no per
nessun modo addursi da lui, come quello, che pretendea non aver la tradizio ne
potuto tramandareepoche di troppom a g gior rilievo, che queste non fieno, e c
h e sono da tutti i più gravi Storici ammesse per vere. fono i2
sono indicate dagli Autori nella Storia dei R e diRoma,le
qualigenerazionidice,che con vincono di falsa la loro Cronología quanto alle
durate de'Regni. Nella vita di Romolo, ei segueadunque, liha,che OttilioAvo lo
di Tullo Ottilio mori nella guerra contro a'Sabini, la qual fu ne'primi anni di
R o ma,iRegni pertanto,eiconchiude,diRo molo, di Numa, e di Tullo Oftilio non
si stendono più là, che il tempo razioni.Da Numa ad Anco Marzio,ei se gué, ci è
una generazione sola, perchè l' uno era Avolo dell'altro; dal che seguita, che
la generazione tra Numa, ed Anco coincidendo col tempo di Tullo Oftilio, ci fia
l'età di un uomo qualche anno più o meno da Tullo al fine del Regno di Anco.
Onde dal principio del Regno di Romolo allafinediquellodiAncocorrono datre
generazioni. Lucio Tarquinio Prisco, pro legue egli, uno de'Lucumoni
dell'Etruria, viene a Roma uomo maturo sotto ilRegno di Anco, de cui figliuoli
fu instituito tuto re: e però l'età di Tarquinio convenendo con quella di Anco,
non resta che una. e fola generazione tra il Regno di Anco il Regno di
Tarquinio Superbo figliuolo del Prisco. Talchè, ei conchiude, dal
principio di due gene del del Regno di Romolo alla fine di
quello di Tarquinio Superbo fi contano quattro sole generazioni in circa, e non
più. Ora som mando insieme gli anni di quattro genera zioni, che corrono
durante ifetteRe diRo. m a fi hanno cento trentadue anni; poiché una
generazione di uomini trentatré anni. E fommando insieme gli anni di ciascun Re,
secondo il computo di LIVIO, fi hanno d u gento quarantaquattro anni; e vi ha
più di un secolo di differenza tra due risultati, che pur avrebbono ad essere
uguali. D'altra par te facendo, che tocchi a ciascun R e l'uno ragguagliato
coll'altro diciannove anni di Regno, come vuole il Neutone, fi ha cento trentatré
anni, e tra questi due risultatinon corre differenza niuna. di comune
sentimento vengono dati a 9 fSin quì il nostro Autore. Io per rispon dere
a questo lungo ragionamento prima di tutto voglio concedere, che quattro fole g
e nerazioni fieno corse da Romolo insino a Tarquinio Superbo: perciocchè ciò si
riduce finalmente a dire, che durante i Regni dei serte Re, quattro uomini in
tutto il Romano popolo ebbero prole un dopo l'altro di sessanta e un anno. Ora
farebbe poi forse questa impossibilità tale fisica, per cui non i3
fi dovesse più prestar fede agli Storici delle antiche memorie de'Romani?
Ma, suppo sto (quello però, che in nessun modo con cedere fi può che questa
fosse inverisimi glianza tale, per cui sipotesse negar cre denza alla Storia,
s'è forse l' Autor nostro bene assicurato, che, non uscendo da quelle persone,
di cui egli fece scelta per fissare le generazioni, quattro soltanto corse ne
fie no pendente il Regno dei sette Re? Dio nigi (a) attesta pure, che Tarquinio
S u perbo fu nipote, e non figliuolo di Tarqui nio Prisco?Questo accuratissimo
Storico d o po aver fatto parola di molti assurdi, che ne seguirebbono, fe
figliuolo, e non nipote ei fosse di Tarquinio Prisco, fi afforza colla
autorevole testimonianza di Pison Frugi, il qual solo tra gli Storici affermò
questa cosa. Nè mancadiaccennarequello,cheperav ventura fu cagion dello sbaglio:
poichè dice, che dall'essergli nipote per natura, e figli uolo per adozione
fieno stati forse gli altri Storici ingannati. Nè
giovaildire,comefal'Autornoftro, che la contrarią opinione cioè, che figliuo lo
fosse questo Re, e non nipote di Tarqui Dionys, Halic.Hic, L. Tarquinius Prisci
Tarquinii Regisfiliusneposre fuerit parum liquet:pluribus tamen
auctoribusfiliumcreg diderim LIVIO In quanto a Collatino poi, quà di nuovo
addotto dall'Autor nostro p e r confermare il 2 fuo di numerare in quegli
arcaismi come le autorità, contentofli e non si fece a pesarle il diligente
sciando da Dionigi. In secondo luogo, la perder tempo ľ autorità di Dionigi, la
quale, com ' è palese, è molto più da segui re, che non sia quella di Livio, ben
diver sa è la maniera di spiegarsi dei due Scritcori intorno a questo
affare,l'uno ne tocca alla sfuggitą, l'altro vi si ferma, ragiona reca
latestimonianza di uno de'più antichi Storici, e sappiglia a quella opinione,
la quale sia per lo credito, che ha all'Autore fia per, quinio Prifco fu
opinione dei più, ed opi pione abbracciata da Livio medesimo; d o vendosi in
primo luogo riflettere alla manieta, con cui LIVIO s'esprime, vale a dire, che
questo punto era assai all'oscuro, che egli peraltro seguendo i più credevalo
figliuo lo; il che dimostra aver egli benissimo veduta la difficoltà, ma che
non volendo, come sopra abbiam notato lo contesto di tutta la Storia, gli pare
più sicura. is suo Sistema, già sopra abbiamo osservato
raccogliersi dallo stesso Dionigi, che n i pote era, e non figliuolo di Egerio.
Ciò posto ne viene, che senza uscire da quelle persone, di cui egli osservò le
generazioni, non quattro, m a cinque numerar se ne debe bono d a Romolo inlino
a Tarquinio Super bo: onde se aver non si dovea per assurdo tale da negar fede
alla Storia l' essersi ritro vare quattro persone in tutto il popolo Romano le
generazioni, di cui fossero di fef santa e un anno, tanto meno dovrà parer
ripugnante, che cinque susseguite ne sieno, ciascheduna delle quali
uguagliatamente non oltrepassi i quarantanove anni. Dionyf. Halic. que Ma
dirà il nostro Autore, che ad una generazione comunemente si danno soli tren
tatré anni, laonde non si può essere così largo, e concederne a ciascheduna di
queIte quarantanove. Qui mi convien prendere d'alquanto più alto i principi, e
si verrà a conoscere, che quelle generazioni, a cui comunemente fi danno
trentatré anni, o secondo altri tren tacinque,non sono della specie di quelle
osa servate dal nostro Autore. Vediamo adun que quali fieno quelle, a cui
diedero tal nu: mero di anni i Cronologi, e verremo in chiaro, fe tali fieno le
osservate da lui. La Cronologia, come tutte le altre facoltà,dee seguir la
natura, come maestro fa ildiscen te, per dirlo alla Dantesca, e pure è che
collo.Specularvi sopra molte fiate,in luo go diavvicinarsiaquellaaltrilafugge,e
gli ultimi passi sono quelli c h e riconducono a lei nella vero, L e
generazioni pertanto, che fiffarono i Cronologi circa a trentatré anni, sono
quelle, che generalmente si osservano in un lungo spazio di tempo nella maggior
parte famiglie di una nazione; laonde, fe fiof servano in una sola, o poche
famiglie, a n che per lungo tempo questa osservazione, non è più fattasecondo
la regola, che general mentela maggior parte abbraccia:percioc chè, se nella
maggior parte delle famiglie sono uguagliatamente le generazioni di tren tatré
anni,potrebbe succeder benissimo, che fi ritrovasse una famiglia, od anche
diver se, in cui queste foffero o più lunghe, più brevi. Se poi non si
osservassero in un lungo spazio di tempo, riuscirà ancor più agevole il
ritrovarne. M a le generazioni, di cui servifli il nostro Autore, nè corsero
delle - nella maggior parte delle famiglie, nè in lungo tempo, anzi
nè pure in unasola fa miglia, essendo composte di diverse perso ne d i varie
famiglie. Certamente se si fa un Cronologo ad osservare per tal modo le
generazioni, ben tosto fisserà la regola ge nerale di queste a settanta e più
anni, per chè in un notabil tratto di paese popolato iopenso,chenon
passisecolo,senzachèfi veda uno, o forse più uomini, che di tale età hanno
prole. Lo sbaglio in somma d’A. consiste nello aver presa la regola d a quello
che suole generalmente avvenire, gli esempj da ciò, che in pochi succede, ed
aver pensato, che que'casipar ticolari sotto la general regola cadessero, onde
la Cronologia degli Storici delle cose de? Romani sottoi R e s'opponesse a
quella legge, che osservaro aveano nella natura i più periti Cronologi. Nel che
quanto sia a n dato lungi dal vero credo d'aver fatto ba ftantemente palese.
Due ragioni reca ancora finalmente l'Au tore in difesa del Sistema del Neutone,cui
è necessario rispondere innanzi di por fine a quelte nostre osservazioni. La
prima fiè, che tal Sistema discolpa Virgilio esattissimo Poeta, ci dice, da
quello anacronismo i m putatogli
volgarmente per conto de'tempi, in cui vissero Didone, ed Enea. La secon da,
perchè giustifica quella comune tradi zione tenuta in Roma, che N u m a foffe
fta to uditor di Pitagora. Ora per rispondere alla prima, questa. ammetter fi
dovrebbe senza dubbio veruno qualora fosse stato Virgilio tenuto a soddi sfare
alle leggi della verità storica;ma non fa mestieri ricordare, che da tali leggi
sciolti sono i Poeti.Raro è quel vero, che non abbia bisogno del finto per
aggradire ai più, e se non inftillano virtù, col dilet tare mancano i Poeti al
principal fine dell' arte loro; tanto più, che fecondo quello che pensa il
dotto P. dellaRue (d),non per ignoranza delle antiche Storie, m a per dar
ragione de'famosi odj, i quali si lungo tempo fra' Cartaginesi, e la Nazion
suam durarono, e per introdurre quel patetico, che tanto piacque, come ce ne
assicura OVIDIO, a'suoi contemporanei, e tanto è degno di piacere ad ogni età,e
ad ogni popolo, non ebbe difficoltà di commettere (4) Ruaeus in not. ad.
VIRGILIO .Aeneid. quell'OVIDIO Trift. Eleg. Nec legitur pars ulla magis
de corpore toto. Quam non legitimo foedere junétus4 mor,
quell'anacronismo. S'aggiunga, che
que ito anacronismo non era tale che facil mente potesse venire scoperto dalla
comune de'Leggitori, da'quali soltanto balta, che non vengano scoperti gli
errori storici dei Poeti: perciocchè correa fama fecondo A p piano, che
Cartagine fosse stata fonda ta alcuni anni avanti all'eccidio di Troja da una
colonia di Fenici, presso i quali poi ricoverossi dopo lungo tempo Didone, del
che non lascia Virgilio didarne qualche cen nei? Appian. apud Ruaeum cit.
loc. no, > onde trattandosi di tempi assai lontani dalla età di Virgilio,
questo rumore basta va per render tale la finzione, che non fof se la verità ad
un tratto conosciuta,e vinta a terra cader dovesse la invenzione di lui. Ma
abbreviando della metà iltempo,che durarono i Regni de'Re di Roma viene forse a
nulla cotesto anacronismo? E che fa rebbe, se il nostro Autore inutilmente ado
perato fi fosse, e che anche togliendo pref so che la metà degli anni dalla
somma di tutti quelli, che corsero sotto a'Regni dei fette R e, non si venisse
con questo a ren der probabile in alcun modo, che Enea, e Didone potessero
essere stati contempora Tre secoli e più corsero,secondo gli an
tichi Scrittori, dall'incendio di Troja alla fuga di Didone, come osservaron o
il dotto Petavio, e l'erudito Commentator di Vir gilio della Rue: ora da
trecento e le dici anni (che tanti ne corlero fecondo il Petavio dall'eccidio
di Troja alla fondazion di Cartagine ). togliendone cento e undici, come piace
all'Autor noftro,vale adire facendo venire Enea in Italia cento undici anni più
sardi, rimangono nulladimeno d u gento e cinque anni di svario. Laonde é chiaro,
che nè VIRGILIO abbisogna della di fesa del nostro Autore, nè, quand' anche ne
abbisognasse, sarebbe questa bastante per do Petav. Rationar. tempor. Cartagofundata
dicitur anno posttemplum incoatum qui est annus poft Trojanam calamitatem
Ruaeus loc, supracis. te svanire l' anacronismo da lui commesso. fa nei? Sia adunque egli pur certo, che cote fto
fuo ripiego nontoglie, ma soltantosmi nuisce l'anacronismo di Virgilio; che
anzi questo rimane peranco maggiore di due le coli. N è soltanto vuole il Conte
Algarotti, che fia alla più esatta verità conforme ciò,che si legge in un
Poeta, purché in alcun m o anno > che comunemente credefi
centesimo undecimo dalla fondazion di Roma, alprin cipio del Regno, di cui già
dovea effer giunto Numa al quarantesimo primo della età fua (se pur vogliamo
seguire ical coli dell'Autor nostro, il quale dando diciannove anni circa di
Regno a Romolo faprincipiare il suo Regno aNuma giàvec chio di sessant'anni ),
e fissando d'altra p art, come già sopra abbiamo osservato, le condo la mente
di lui, la venuta di Pitas gora anno soli do favorir possa il suo Sistema; ma
preten de eziandio, che maggior credenza prestar fi deggia ad una popolar voce,laqualtor
na in avvantaggio della opinion sua che a'più rinomati Storici dell'antichità.
Già abbiamo sopra veduto il suo parere circa all'essere stato Pitagora
contemporaneo anzi Maestro di Numa, ora adunque a confer mare vie più ilsuo
Sistema, lorecadinuo vo in mezzo quasichè ridondar debba in avvantaggio di
questo il porgere, che fa fa vorevole interpretazione ad un a tale popolar voce.
Avendone però già altrove fuffi cientemente favellato, non mi resta altro da
aggiugnere, se non che, anche fiffando il principio del Regno di Romolo secondo
lo intendimento del nostro Autore, a quello Queste sono le riflessioni, le
quali, fecon do quello, ch'iopenso, chiaramentedimo streranno, che A. cadde
trat to dal suo Filosofo in errore. Se parranno per avventura troppo più lunghe
di quello, che neceffario fosse, gioveràin primo luo go considerare, che
bastano poche parole per mettere una cosa in dubbio, m a effer forza per
iftabilirne la certezza ricorrere a' principi, onde riescono sempre le risposte
più lunghe delle opposizioni; in secondo luogo, c h e ho stimato dovermi
fermare alquanto in torno a certi punti, i quali oltre allo influi re nella
materia, che per me trattar fi do vea, poteano essere forse non del tutto inu
tili per chiarir la Storia di quella prima età di Roma. Che gora in
Italia circa a quello anno, che giu dicasi dagli Storici dugentefimo quarantesi
moquarto diRoma, virimaneciònon ostan te un anacronismo di cento trentatré anni
tra la venuta di questo Filosofo in Italia, ed il tempo, rendere in cui
Numa-già era perve anno della età sua; o n de il Sistema del Neutone non può nè
pure nuto al quarantesimo Pitagora, e Numa contemporanei, come non può
affolvere Virgilio te dall’anacronismo interamen di Didone, e di Enea. Che
se,come fpero,mi è riuscitodifar vedere l'inganno del Conte Algaroiti, sarà
questa una novella prova di quanto sia in tralciato il cammino del vero, quanta
1 sia connesso, ed unito l'errore: collo inge gno umano, poichè gli uomini
fommi non tralasciando desser uomini, in tutto spogliar non se ne possono. La
più bella discolpa del resto che addur si possa in difesa di lui, îi è il dire,
che fe pur s'ingannò, s'ingan nò seguendo un Neurone. L'opinione del Newton fu
sostenuta in Italia dal conte Algarolti in un suo saggio sopra la durata de're
gni de'Re di Roma,scritto nel 1729,cioè due anni dopo la morte di Newton e un
anno dopo la pubblicazione del libro di lui!.Ora,in questo suo saggio
l'Algarotti lascia poche censure intentale contro la cronologia dei primi due
secoli e mezzo di Roma,procurando di provare in particolare come non fosse
succeduto davvero ciò che per una ragione generale il Newton aveva affer malo
che non era potuto succedere. Ilsuo fondamento è soprallulto Livio; e in
secondo luogo Plutarco, non 1Ilsaggio d’A. si trovanelvol.IV dellesueopere
(Cremona), Ma laristampa chequivi n'è fatta non è in tutto conforme
all'edizioni anteriori,delle quali ioho la seconda, Firenze presso Bonducci; e
dico la seconda perchèl'editoreinunaletteradidedica all'illustrissimo sig. Serristori
chiama questaunari stampa,e nonpuò esservistata, se non una sola edizione
prima, perchè una lettera d’A a Zanotti, che precede il saggio, è del 24
dicembre 1745, e da essa appare che il saggio non fosse stato stampato prima.
In questa lettera A. dice appunto di averlo scritto oramai sedici anni
passati,quando dava opera alla Cronologia sotto la scorta di quel lume vero
d'Italia, Eustachio Manfredi, e che non vi avrebbe più riguardato, se voi nonmia
vesteeccitatoain andarlovi come fate»; e se n'era distolto, perchè « distratto
da mille altre cose, e gli pareva,che non fosse da moltiplicare in iscritture e
in istampe intorno a cose già trattate,benchè in modo diverso dal mio.» Que gli
il quale aveva trattat a questa, era un Inglese di cui non dice il nome,ma di
cui gli aveva dato notizia,in un suo viaggio in Inghilterra, Condui t, erudito
gentiluomo inglese ed erede del Newton, quello stesso che ha scritto una
lettera di dedica alla Regina, messa avanti alla Cronologia.Lo scritto
dell'Inglese doveva esser pub blicato in fronte d'una storia Romana. Non so chi
fosse. E. M a n fredi scrisse gli « Elementi della Cronologia con diverse
scritture appartenenti al Calendario Romano. Sono pubblicati in Bologna Egli accetta
la datavarron della fondaz. di Roma, LAMONARCHIA. riferendosi a Dionisio
mai; anzi confessando di non avere lello se non i due primi. Ora,ilsuo assuntoé
che i fatti che LIVIO racconta dei Re,non s'accordano col numero d'anni che
questi, secondo lui stesso, avreb. bero regna lo. Il ce prova, mostrando per
Romolo, quanta parte del suo regno resti vuota di avvenimenti,e quanta
sial'inverisimiglianza, che, a17anni, ch'è l'etàincui si dice cominciasse a
regnare, desse già segno di tanta prudenza civile e virtù di guerriero, quanta
gli se ne attribuisce; per Numa,che dovesse,poiché eletto per la fama sua e per
avere avuto in moglie Tazia, essere asceso sul regno a sessant'anni; per Tullo
Ostilio ed Anco Marcio, che dovessero aver avuto più breve regno, di 32 anni il
primo, di 24 il secondo, se dev'es. sere vero, che i figliuoli di queslo, il
quale aveva, a detta di Plutarco, cinque anni alla morte di Numa, non fossero
ancora maggiorenni alla sua,cioè quando Anco avrebbe avuto sessantun anni; per
Tarquinio Prisco, che non può avere regnato trenlolto anni, se dev'essere stato
ucciso per opera de'figliuoli di Anco, attentato da giovani, ancora freschi del
torto ricevuto, e non da uomini di cinquant'anni quanti ne avreb bero avuto
alla morte di Tarquinio dopo cosi lungo re gno, anche supposto che non ne
contassero se non soli dodici alla morte del padre; per Servio Tullio,che a i
Cosi dice nella lettera allo Zanotti, secondo sta nell'ediz.; ma non è ripetuto
in quella dell'edizione,che è variata anche in altri punti. E di fatti in
questa seconda edi zioneècitato Dionisio,,permostrare come questi, accor
gendosi dell'impossibilità, che Tarquinio Superbo assistesse egli stesso alla
battaglia del Lago Regillo, vi fa invece assistere il figliuolo Tito.Però, anchecosi,
lostudio d’A. resta,come prima, poggiato tutto sopra Livio e Plutarco.
dargli quarantaquattro anni di regno, Tarquinio Superbo, il quale era già ingrado
dimenar moglie al principio diquello, non avrebbe potuto a sessantaquattro anni
opress'apoco ucciderlo nel modo che si racconta; per Tarquinio Superbo
infine,che Tarquinio Collalino non avrebbe potuto essere giovine alla fine del
regno di lui, poichè egli era figliuolo di fratello,se il suo cugino avesse
avulosessantaquattro anni al principio del regno stesso; e che, se questi
n'aveva tanti allora, n'avrebbe avuto ottantanove, quando su sbalzato dal
trono, e cento alla battaglia al Lago Regillo dove avrebbe combattuto a ca vallo,e
sarebbe poi morto, si può aggiungere, di cento trèanni. Sicché l'Algarotti
crede che questi regni si debbono accorciare lulti, se la storia di ciascun Re
si deve accordare colla duratadel regno.E di quanto biso gni accorciarli, egli
lo trae da un'altra considerazione, cioè dal numero di generazioni, intervenule
durante la monarchia. Queste,egli dice, non poter essere state se
nonquattro:poichèiregnidiRomolo, diNuma ediTullo Ostilionon siestendono più di
due generazioni, stante ché Ostilio,avolodi quest'ultimo, è contemporaneo di Ro
molo; un'altra generazione richiede il regno di Anco, che è vissuto la maggior
parte di sua vita durante il regno di ullio; ed un'altra, i regni di Tarquinio
Prisco. di Servio Tullio e di Tarquinio il Superbo, poichè il primo ha del pari
vissuto la maggior parle di sua vita durante il regno di Anco. Sicché contando
ciascuna generazione per trentatré anni,la durata della monar Chia sarebbe
stata di centotrentadue anni,e ne tocche rebbero a ciascun Re, l'uno
ragguagliato con l'altro, diciannove. Sopra la durata de'Regni DE RE DI
ROMA. Gli è una neceffaria conse guenza delSistemacronolon gico del Neutono
abbrevia re considerabilmente i regni de' sette Re di Roma, a ciascun de' quali
agguagliatamentegli Storici danno trentacinque anni di regno, mentre il comun
corso di Natura secondo le offervazionidel Filosofo, non ne concede loropiù di
diciot to o di venti. La qual conseguen za separesse stranaad alcuno,pur dovrà
meno parerlo a chi risguar derà, che gli Archivi di Roma perirono dalle fiamme
nel tempo che Ma noi (chiarati anco in questa parte dalle of (1) Plut, in Numa
in principio p. 59.ed. Grecolat, Francofurti. 16 che i Galli occuparono
quella Cita tà(1),onde gliStoricinonebbę. ro dipoi alrro fondamento di quel lo
scriveano, se non se la tradi zionevaga ed incerta,ch'era ri masa delle cose
passate Talmente che ritenendo esli i nomi de'Re e registrando le azioni di
quelli che tuttavia duravano nella m e moria degli uomini, fecero una
Cronologia a modo loro. E questa Cronologia allungandola più del dovere,
poterono in quella incer tezza fatisfareaquelnaturale ap
petitocosidelleFamigliecome del le Nazioni, di cacciar le origini l o r o il pịù
in dietro che posso none l la caligine del tempo.Come Livioscrivechenonera ra.DanteInf.29:
offervazioni del Neutono,possiamo rimettere le cose al debito ordine nella
serie de'tempi, e ciò fare mo non in altro modo che aflog gettando i Re di Roma
a quelle comunileggi diNatura, alle qua li ubbidiscono nelle Tavole cro
nologiche tutti gli altri Re della Terra.Pur nondimeno questa par cosa duraa
molti che si debba f r a n ger,dicono efli,l'autorità di Sto
ricichenonerrano(1),echevo gliano uomini di jeri giudicar m e glio degli
antichi di cose passate tantisecoliavanti.A questiioin tendo di ragionare;e
perchè ilN e u tono nella fua Cronologia non fa al tro che accennare così in
generale la detta quiftione, io intendo d i fputarla con alcune particolari
ragioni,e quefte derivate appunto da quegliStorici,dell'autoritàde' quali
e'fanno sì gran caso, e maffi-. me daTitoLivioPadre diRoma na Istoria.Nel che
io mostrerò, che avolerritenere ifattida efio lui riferiti, egli è forza
rigettar le epoche da esso affegnate 'a quelli, come non sivogliaammettere(che
niuno ilvorrà) certe irragionevo lezze da non ammettersi,che na scono da'suoi
raccontimedefimi, e da quella sua Cronologia, E prima diognialtracosa io
metterò innanzi una Tavoletta de' regnidiquestiRe distesagiustal'
oppinioncomune la qualeporrà fotto l'occhio in un tratto l'anti co
Sistema,eserviràameglio in tendere ilseguente Ragionamento. Tarquinio Superbo Numa
muore dopo un regno di anni 38 Tullo Oftiliom u o IV.Anco Marziomuo
redopounregnodi anni V. Tarquinio Prifco muore dopo un remgno di anni Tulliomuo
·redopoun regnodi - anni 1 TavolaCronologicade' anni anni RediRomasecondor de'
ab oppiniondiT itoLivio. Regn.Romolo muore Interregnodiun'anno Í è cacciato da
Roma dopounregnodi anni 25 re dopo un regno di anni DOV i. Servio Ba Dove non
sarà fuor di propofi to avvertire quello che avverte lo stelloNeutono comedaltem
poincui la Cronologia cominciò ad ellercertaedesatta,non sitrovain tutta
laStoria pure un'esempio di sette R e, i più de'quali furono a m mazzatied uno
deposto,che ab biano regnato dugenquarantaquat tro anni senza interruzione
veruna. Ma venendoal particolare, e in cominciando da Romolo, i fatti di questo
Principe dopo il ratto del ledonne,primacagione delmet tersi in arme. Nella
Cronol. dellaE furono le guerre contro i?Sabini, che ripeteano le donne
loro, e. leguerrecontroal cuni popoli per gelosia d'imperio. Plutarconedà
l'epoca della pe nul-, diz, Franzese giuri sdizione, laqual Fidene era stata
soggiogata da Romolo innanzi Camerio. Il che ne somministra assai pro α)και την
πόλιν ελών, τοίς. μεν ημίσεις των περιγενομένων εις Ρώμην εξώκισε,τών
δ'υσομερόν- τωνδιπλασίους έκ Ρώμης κατώ κισεν εις την Καμερίαν Σεξτιλίαις
Καλάνδαις.τοσύτοναυτώ περιήν πολιτών εκκαίδεκα έτησχεδον οί κάντι την Ρώμην. nultima
di queste guerre che fu contro i -Camerj, l a quale epoca ca -, de nell'anno
sedicesimo della edificazione di Roma,e del Regno di Romolo. E dopo questa e
gli non imprese altraguerra se non contro iVejenti, chemoslero cono tro i
Romani domandando la resti tuzion diFidere, come di,Città che siapparteneva
alla loro probabile argomento di por questa ultima guerra guerra l'anno
decimofetti mo della edificazion di Roma o là in quel torno, non essendo punto
verisimile che i Vejenti domandaf sero la restituzione di cofa tolta troppo
lungo tempo avanti; tanto più che siccome era rozza.a quei di l'arte della
guerra,rozza altresì era quella de'Manifesti. Stando an Rom. in fine. In Numa
in princip.dunquecosìlacosa,cioè che l'ul tima guerra fatta da Romolo cadel
senel'anno decimosettimo delre gno suo, e facendolo regnare tren totto
anni,comedicePlutarco, ne rimarrebbe uno spazio di ven tun'anno in bianco,
voglio dire tuttopacifico e quieto, e con verria dire che sotto il reggimen
to A queste particolariragionidi abbreviare il regno di Romolo se ne
aggiugne un' altra non meno ftringente tratta da Plutarco, fe condo cui egli
deveaver cominciato diquel Re fosserostatiiRom mani molto più tempu in non in
guerra; il che non accorda punto con quella indole bellicosa che tutti
gliAutori ad una voce danno al fondatore di quello Iinperio. Ne ciò accorderia
pure con quelle pa role che Plutarco mette in bocca á Numa, il quale per
rifiutare il Regno offerto gli dalRomani,dice che si convenia loro un Condot
tierod'esercitoanzicheunRe per cacciare que' potenti nimici che Romolo avea
lasciato loro in sulle braccia. pace che. Plut,in Numa nRom.infine ciatoa regnare in età di anni di cialette,
dacchè egli è morto di anni cinquantaquattro secondoi computi di quello, e ne à
regnata trentotto. Ora come sipuò egli mai conciliare con una età cos sì tenera
quelle tante cose che fa cea costui secondo lo stesso Plutara
co,perlequalisivoleaunaetà più gagliarda, e più ferma?Egli eccellente
ne'consigli e nella civil prudenzá mostrò moltepruovedel suo mirabile ingegno
inoccasiondi trattar co' vicini, attendeva agli ftudidell'artiliberali;fi
esercita vanellefatiche, nellecacce delle fiere,nelperseguitare gliaffaslini,
nel purgar levie da'ladroni,e nel difender dalle ingiurie coloro che
fusleroftati oppressi dall'altrui fu per perchieria:modi tutticheil feceró
crescere in reputazione fra glialtri påstori,e chedebbono fara
locrescerdietàapponoi. Nè lo aver' egli guidato a quel tempo
impresedifficilisfime,lo efferfi fat to capo di un popolo, e lo aver fondato
una Città ne rimoveranno dall'oppinione di farlocominciare a regnar più tardi,
e di accorciare ilsuoregno. tore E da Romolo passando a N u
ma,eglinoncisonomenfortira gioni per abbreviare il regno anco di questo. Io
lascio ftare quella quistione roccata da Livio,e da Plutarco come questo
Legisla Plut.in:Rom. Numap. LIVIO. Ed. Ald..: por Authorem
do&trina ejus quia non extat,alius,falfo SamiumP y thagoram edunt,quem
Servio Tül lo regnante Rom et centum amplius poft annos in ultima Italiæ ora
cir ca Metapontum Heracleamque de Crotonam juvenum æmulantium fta diacatus
habuilleconstat.Liv,Ibid. 26 gnan tore potesse essere stato uditor di
Pitagora, il quale essendo venuto inItaliapiùtardiche Numa non cominciò a
regnare secondo la co mune oppinione, ne farebbe Plut,in Numa Pherecides Syrus primum di xit animos bominum
esse fempiter nos:antiquusfane:fuit enim meo regnante Gentili.Hanc opinionem
discipulus ejus Pythagoras maxime confirmavit, quicum Superbo re fu
CICERONE Tusc. Quæft. il regno suo più sotto, e per conseguente accorciare
almeno le durate degli altri cinque regni, che furonodaesso Numa fino alRegi
fugio;della certezza della qual'e pocanonsi dubitadaniuno lo Jascio, dico,questa
quistione,la qua lenon risguarda tanto la durata del regno diquesto Re, quanto
il prin cipio di quello:e vengo a cið che ne appartienepiù davicino, porre
Plutarco ne dice che Numa aveva quaranta anni, quando gnante in Italiam
menisset, tenuit magnam illam Greciam ac. Pythagoras qui fuit in Italia
temporibusiisdem,quibusL. Bru tus patriam liberavit. InNuma p.62,
28 qua rantatre, la quale ultima cosa ne dice fimilmente Livio..Ma qui io
domando le parrà ragionevole ad altrui,che incosìfrescaetàpo tesseNuma
essergiuntoaquelloe minente grado di fapienza, che fi dice;emoltopiùpoiseparrà
ve risimile, che tenendo egli maslime modi di vivere differenti dagli u fatinel
fuo paese, egli potesse esser salico in così alto grado di re LIVIO fu eletto
in Re di Roma, e che la governò per lospaziodi pu Plut. InNuma Romulus feptem
do triginta regnavit annos. Numa tres a quadraginta - Vedi Plut. in Numa in
princip. Annumque intervallum regni fuit. Id ab re quod nunc quoque
tenet nomen,interregnum appella tum. ld paullo post. Consultissimus vir omnis
di putazione,che lo facesse riverire non solo appo gli stranieri, ma nel
proprio paeseeziandio per così straordinario modo,come narrano; e per recar le
molte parole in u. na, che l'autorità del nome suo. fossetale,ch'ella dovesse
in un subito far ceffare le animosità, e le gare delle parti, che per lo Ipazia
di un'anno aveano conteso in Ro.: m a per lo Imperio Ma egli Patrum interim
animos certamen regni ac.cupido verfa bat etc.
ci LIVIO. Plut.in Numa --- a
y ci è ancora alcuna altra confider1 zione da farsi.Tazio che reggeva
Roma insieme con Romolo,mcf so dalla gloria e dal nome dilui che tantoalto
suonava,selofece genero dandogli per moglie una sua unica figliuola che si
chiama va Tazia. Quando questoavvenif feper appunto nonsilegge;ma
eglièverobensì,che ciðfumol divini atque'bumani juris dito nomine Nume Patres
Romani quamquam inclinari opes ad Sabi nos rege inde fumpto videbantur: t a m
enne que se quisquam, nec fa Etionisfuæalium,nec denique Pa trum aut Civium
quenquam prefer re illo viro auf ud unum omnes. Numa Pompilio regnumdeferendum
decernunt, LIVIO. Plut. In Rom. sua to di buon'ora nel regno di R o molo,dacchè
Tazio muorì prima della guerra co'Fidenati, e co'Cameri,cioè prima dell'anno
see dicesimo del regno di Romolo; e d'altra parte ne racconta Plutarco che
Tazia era morta quando N u ma fu chiamato al regno, e ch'era vissuta con esso
luilo spazio di tredicianni. Dal chetuttofi deeraccogliere,che grantempoa vanti
la morte di Romolo fioriva la fama della fapienza di Numa;e converrià dire,ritenendo
il computo di Plutarco, cheavendo Numa foli venticinque anni,questa fama fossegiàtanta,
che inducefle Tazio Re a dare in matrimonio una Plut .in Numa. sua unica
figliuola a lui uomo privato, il che mostra essere alieno da verisimiglianza,
Diremo per tantoa salvareilvero, cheNuma dovesse avere sessanta anni almeno
quando fu eletto con tanta unani mitàaRediRoma;eciòpofto, gli staranno molto
meglio inbocca quelle parole che periscansarsi da questo carico gli fa dire
Plutarco, qualmente alle condizioni de'Ro mani era bisogno che laCittà avef
seun Re dianimoardente erobu sto, le quali parole più tosto fi disdirieno che
no ad un'uomo di quarantaanni.Postoadunque che Numa, come ragion vuole,comin ci
a regnare vent'anni più tardi che non si crede,> di altrettanti an ni fi
verrà ad accorciare ilsuo re gno in età in circa di ottantatre
anni. gno, dove si voglia ch'egli sia morto come narrano, sta E per tal modo abbreviando il regno di
Numa, e similmente quello di Romolo, si verrà a render più probabile la
lunghezza del la pace di cui godè Roma a tempo attorniata da popoli estre
mamente gelosidellasua grandezza, come ellaera.Questapace giusta l'antico
computo farebbe dileffan tacinque anni,iqualirisultano dal la somma de'quarantatre
del regno diNuma,daun'anno d'interre gno,e da'ventun'anni passati da Romolo,
dirò così, nell'ozio e nella cessazion dalla guerra; e g i u C: quel ετελεύτησε
δε χρόνον ο σ ο λύντοϊςογδοήκοντα προσβιώσας. Plut,in Numa.
ven di pre 34 itale cose discorse, questapace viene ad essere di
ventiquattro an ni in circa e non più. E da ciò riesce molto più verisimile,
come Tullo Ostilioerededelregno,non dell'arti di Numa, abbia potuto facilmente
rinvigorir ne' Romani la bellica virtù inspirata loro da R o
molo,ecomeabbiapotuto sente combatter con feroci Nazio ni e soggiogarle; il che
di troppo fáriafuordell'uso,e della oppi nion comune se la virtù de' R o
manifossestata(nervatadauna pa c e di fesfantacinque anni. Io non dirò nulla
de' due fuf seguenti regnidiTullo Ottilio,edi Anco Marzio,ilprimo de'qualiè di XXXII
anni, l'altro di Tullus magna gloria bel li regna vitannos duosdotriginta. LIVIO.
Jam.filii prope puberem etatem erant Id. Ib. 35 ventiquattro, se non che
ab breviandogli un tal poco, egli ne parrà piùverisimilequello che di ce Tito
Livio de'figliuoli di Anco Marzio: cioè che alla morte del padre e'non fossero
ancora ag giunti agli anni della pubertà Regnavit Ancus quatuor dig viginti.
Ib.p. 26. a tergo. Anco Marzio aveva cinque anniallamorted iNuma(3):sea cinque
se ne giungano trentadue, e ventiquattro, avremo leffantun’ anno,cioè l'età
d'Anco Marzio allamorte fua;ilqualeavriadova to naturalmente lasciare figliuoli
più adulti, postoche egliavesse regnato ventiquattro anni, e Tul C2 lo annos
Plut. in Numa lo trentadue; e cið perchè seconda ragione,un regio uomo come si
era Anco Marzio e che fu poi Re, dovea menar moglie assaidibuon' ora per
lasciare il regno a'figliuoli nella più ferma età che far fi po tesse. Eniente
farebbe ildire,ch' egliavesle avuto figliuoli maggio ri di età che morisfero
innanzi a lui, e che questa cura del padre di la fciar figliuoli atti al regno
futle del tutto inutile in un regno e lectivo qual sieraquello diRoma, poichè
dall ' una parte egli pare improbabile che dovessero ellere morri in tenera età
tutti i primi suoi figliuoli più tosto, che gli altrs,edall'altrocanto eglisem
bra che si avesse risguardo alla stir pe regia nella elezione del Re. Segno è
di questo, che i Romani chiamarono al regno il medesimo An Ma
Anco Marzio nepote di Numa che Tarquinio Prisco allontand i figliuoli diluida Roma
neltem po de'Comizj C3 do peromnia expertus (L.Tarquinius ) postremo tutore
diam liberis regis testamento insti tueretur Jam filiiprope pube remætatemerant.EomagisTar
quinius instare, utquamprimum comitia regi creando fierent: qui.. bus
indi&tisfub tempus pueros vem natum ablegavit:isque primus de petisse
ambitiofe regnuin et c. LIVIO atergo. Tum Anci filii duo, etfi a n tea femper
pro indignissimo habue rant fepatrio regno tutorisfraude pulsos:regnare Romæ
advenäm non modo civica, fed ne Italica qui demftirpis et c..terg. e Nel
luogo citato. Ma non è già così da passar sotto silenzio il regno del
medesi mo TarquinioPrisco successoredi Anco.Ne viene costui rappresen tato come
usurpatore del regno, secondo che disli, a' figli di quello, de'quali egli era stato
istituito tu tore dalpadre. Egliregna tren totto anni,e vien finalmente
ammazzato per opera degli stessi fi gliuolidi Anco vaghidi ricuperare il regno
paterno tolto loro dalla frande dell'uomo straniero. Nel che Sed injuria dolor
in Tarquininın ipsum magis quam in Servium eosftimulabat Duo de quadragefimo
fer me anno ex quo regnare cæperat Tarquinius bc.Id.Ib. ipse regiinfidi aparantur.Id.
Ib. aullo poft. ob hæc che chi non ammirerà la flemma incredibile
di costoro, che tra la ingiuria e la vendetta polero in mezzo trent'otto anni,
spazio di tempo bastante a sedare e spegner forfe nell'animo qualunque più
violenta passione? Questo fatto a dunque dovette avvenire nella lo to giovanile
età non molti anni d o polamortedel padre; il che quan to è comprovato dalla
vatura del fatto medesimo, lo è altresi dal non ne avere effiraccolto frutto
alcuno, come coloro che dopo la uccisione di Tarquinio rimasero ne più nè meno
esclusidal regno pa terno.La qualcosaben mostraef fere questa stataopera di età
gion vanile e inconsiderata, e non di quella ferma e matura di cinquan ta anni,
in cui LIVIO gli fa con troogni verisimiglianzaoperarque Ita. C4
Che diremo oltre del suo suc cessore Servio Tullo, il quale nel fapno
regnare quarantaquattro an ni? Se non che dobbiamo di moltoaccorciarean coquesto
regno, per quella medesima ragione per la quale abbiamo accorciatoquello di
Tarquinio Prifco fuo predeceffore. È Servio Tullo anch' ello mello a morte da
chi volea ricuperare il regnopaternotoltoglida essoTul lo,ch'era di schiatta
fervile,e chefuportosultronodi Roma per artifiziodi Janaquilę moglie
diTar sta Tragedia, E però rimane che fi debbaabbreviareilregnodi Tar
quinio Priscocomesiè fattode' superiori. 1 qui Servius Tullus regnavit,
annosquatuor quadraginta.. a tergo. e preso dalla più violenta
ambizione; e ch'egliin quinio Prisco. È in ciò dovrà pa rere molto strano che
Lucio Tarquinio, che fu poi cognominato il Superbo,abbiaaspettatoa metter lo a
morte quarantaquattro anni.E molto più poi le altri vorrà por
menteatrecose,chequestoTar quinioera giovine fatto allorchè Servio Tullo fu
aflunto al Trono, ilqualela prima cosa diede per moglie due sue figlie a due
giova ni Tarquinj Lucio ed Arunte; che questo Tarquinio era di natu ra
3rdentifima EtnequalisAneiliberum animusadversusTarquinium fuerat, talisadversusse
Tarquinii liberam esset: duas filias juvenibus, regiis' Lucio
atqueAruntiTarquiniisjunio git a tergo fine era eccitato
cotidianamente ad occupare il regno da Tullia fua moglie la più stimolofa è rea
f e m mina che fulle mai. Le quali cose considerate che fieno,faranno che debba
credersi molto più irra gionevole che Servio Tullo abbia potuto regnare
quarantaquattro an ni,che Tarquinio Prisco trentotto. Et ipfe juvenis
ardentis animi do domi #xore Tullia in-, quietum inimum stimulante Sen
Servius quanquam jam fu haud dubie
regnum possederat; tamen quia interdum jactari voces a juvene Tarquinio
audiebat büs, àtergo. a tergo, quid te stregium juvenem confpici jenis Nel fine
del regno di Ser. Tullo. Senzache questoTarquinio,che è sempre chiamato
giovine nella vi ta di Servio Tullo, moftra effére robusto e giovinę tuttavia
allafi nedelregnodiquello,come co luichepiglioServioperlomez zo della perfona,
e sollevatolo in alto lo gittò giù per la scala della Curia. La qual pruova
giova nile non avrebbe potuto altrimenti fareseaquarantaquattro anni del regno
diServioneaggiungiamo venti più o meno,ch'egli ne do yea avere alla morte di
Tarquinio Brisco;.che lo farebbono vecchio di sessantaquattro anni allorchè ei
(1)Multo ætateį viribus va lidior medium arripit Servium,es latumque eCuria in
inferiorempar temper gradusdejecit.Id.Ib.p.34. a tergo. per de
uxoribus mentio, Suam quisquelaudat miris modis, Ora venghiamo finalmente
ale lo stesso Tarquinio Superbo che fu l'ultimoRe diRoma iAvvenne verso la fine
di questo regno,che nell'offidionedi Ardeainforgesle quistione traSesto
Tarquinio e Tarquinio. Collatino marito di quella Lucrezia,chị de'dueavesse più
savia moglie, dal che poi nacque, come Yaognuno), Confolato ela
libertàRomana,Ora quertoTar quinio Collatina secondo le parole di Livio era
giovine","e Yecondo lo ftesto autorem pervenne ad occupare il regno
5. Upitni HI,1, cer era figlio di un Inde IT: Forte potantikusbisapud Sextun
Tarquinium ubii collati aus cænabat, Tarquinius Egerii fs lius
incidit (fratrisbicfilius e rat Regis) Cyllațiæ in præfidio re lietus.a
tery. eerto Egerio,il quale fu lafciato da Tarquinio Prisco alla guardia
di Collazia Città di novella con quita nella guerra Sabina verso la metà del
regno fuo o la in torno, che viene a cadere nell'an no
cencinquantacinqueincircadal Collatio.c quisquid citra Collariam agri erat
Sabinisadema ptum Egerius py,sub Indecertamine accenfoCollatinusne
gatverbisopus effe; paucisid quide12 horis poffe:frisi,quantum cæteris præftet
Lucretia. Quin sivi gor juventa ineft confcendimus, e qws,invifimulqise
præsentesstrarun ingenia? LIVIO Vedi'anco la Tavoletta Cronologica registrata
di topra.la edificazione di Roma,lomi penso che sarà mestiero darea ques sto
Egerioaquel tempo per lo meno XXX anni, sì perchè l'età sua foffe in alcun modo
eguale al cari co commessogli dal Re Tarquinio Prisco, sìperchèquesto Egerioera
nato prima del tempo in cui Tar quinio venne a Roma sotto il re. gno di Anco
(2), Ora come può egli starecheun'uomoditrent'anni ļ' anno di Roma cencinquanta
cinque avere unfigliogiovine l'anno du genquarantaquattro,come non sivo glia
supporre ch'egli avesse questo figlio dopo l'età degli ottant' an ni? ilche ben
vede ognuno quan to LIVIO che è di niez zo tra ilpadre,e ilfigliuolo. to siacontrario all'ordinario corfo delle
cose naturali. Per lo che se vorremo ritenere questa discenden za de'Tarquinj,
bisognerà accor ciare ilregiodiTarquinio Prisco di ServioTullo e similmente di
TarquinioSuperbo,che occupano tutti e tre il tempo ot Un'altrapruova
peracccrcia re ilregnodiTarquinio Superbo e quello eziandio di Servio Tullo
fuopredecessore, fipudcavarda questo. Tarquinio Superbo quand? egli occupò il
regno avea festanta quattro anni,come abbiani veduto poco innanzi, a'qualichiaggiunga
i venticinque che fi dice avere ef fo regnato troverà,ch'egli avea L.
Tarquinius Superbus regna ottantanove ánniallorchè fu elpus: fo
dalregno;laqualcosapofto che vera, avšia merit:ito d'esser nota=; ta dagli
Storici. Che più? Si legno gechequestoTarquinio parecchi annido poil e g i fugio combattè a cavallo alLago Regillo
con tro il Dittatore Postumio, il che gnavit annos quinque la viginti !
Regnatum konæ ab condita Urbe ad liberatam. Id. Ib.infinepo. LIVIO in
Pofthumian prima in acie firos adhortantem inftruen temque Tarquinius Superbus
quam quam jam '&tate a viribus erat gravior equum infeftus admifit;
ietusqueab latere,concursufuorini receptus in tutum eft. du che verrebbe
a cadere nell'anno centesimo e più.là ancora dell'età sua, irragionevolezza
troppo mag giore chenon sipuò comportare, e la qual nasce pure anch'essa, co me
ognunvede,da uncalcolofon dato sopra leEpoche Liviane. Come adunquesidebbano le
var molti e dalle du rate de'regnidi inni cotefti R e, egli si provato rimane
abbastanza altrimenti nasco dagliassurdiche insieme i nelvoler comporre no le
altre condizioni che ac fatti,e regni; medesimi cer questi conpiù compagnano
furono i quali fatti dalla tra a'pofteri men tezdatrasmesli quantevolte
dizione,che non un pia tornò. Ed egli abbastanza, come se fi riducano seguirono
del Cielo tre quelli sito neta al medesimo provato è medesimamente le,cred'io, SO
durate di cotesti Re allà ordinaria legge diNatura,che li faregna re presi
insieme diciotto o venti anniperuno,secondocheàdisco perto il Neutono, tutte le
difficol tà siappianano, esvauiscono leir ragionevolezze tutte degli Storịci.
La qual cosa benchè sia oramai fuor d'ogni quistione,mi piace aggiu gnere
un'altra pruova, perchè fi vegga vie meglio qualmente sorga il vero da ogni
lato, come all' in contro da ogni lato si manifefta 1
errore·Questanovellapruova fa rà ricavata dalle generazioni d'uo mini che sono
indicate dagl’autori nella storia di detti re, le quali anch’esse arguiscono di
falla la tecnica loro cronologia in quanto alle durate de’regni. Nella vita di Romolo
fià, che Ottilio Avolo di Tullo Oftilio morì nella guerra mo [Principes
utrinque pugnam ciebant: ab Sabinis Metius Curatius, ab Romanis Hoftius
Hoftilius [τετάρτω δε μηνί μεν την κτίσιν ως φάβιο ςισορά τοπε ρι την αρπαγήν ετολμήθη
των γυ Voixãi. Plut. in Rom. Plut. descrivendo co mele Sabine divisero la zuffatra
i Romani, e Sabini aggiugne: aipšv. muidice κομίζ εσαινήπια προς ταίςαγκάλαις
racontro i Sabini, che viene a cadere ne’ primi anni di quel regno. Il regno pertanto
di Rout Hostius cecidit etc. LIVIO. Indo Tullum Hostilium nepotem
Hostilii,cujus in infima arce clara pugna adver Sus Sabinos fuerat, regem
populus. jussit. Plut. In Rom.] molo di Numa e di Tullo Ottilio, non
occupa a un di presso che il tempo di due generazioni: quella del padre,o della
madre che dir vogliamo di ello Tullo Ostilio, che duvette nascere al principio
del regno di Romolo, e quella di Tullo Ostilio medesimo Da Nuna ad Anco Marzio
suno due generazioni, poichè ello Numa era avolo di Anco Marzio; dat che ne seguita
che la generazione tra Numa ed Anco finendo al tempo di Tullo Ostilio, rimanga·una
generazione sola da Tullo alla fine del regno di Anco. Con che dal principio
del regno di Romolo al [Numa Pompilii regis ne pos filia ortus Ancus
Martiuserat. LIVIO. Plut. In Numa] ne la fine di quello di Anco corrono
in circa tre generazioni. Lucio Tarquinio Prisco prima detto Lucumo ne viene a
Roma uomo maturo nel regno di Anco, onde la generazione di Tarquinio coincidendo
con quella di Anco non resta che una sola generazione di uomini tra il regno di
Anco e il regno di Tarquinio Superbo figlio di Tarquinio il vecchio o Prisco, Adunque
dal principio del regno di Romolo al la fine di quello di Tarquinio Superbo
corrono IV sole generazioni in circa di uomini e non più, Egli è il vero che
LIVIO dice dubitare alcuni, se questo Tarquinio Superbo fosse figliuolo a [LIVIO
eat ergo. Hic L. Tarquinius Prisci Tarquinii filius, ne posve fuerit, parum
liquet: pluribus tamen authoribus filium crediderim devolvere retro ad stirpem
fratrifi milior quam patri. a ter go. Quas
Anco prius, patre deinde Sito regnante, perpelli fint. Tarquinius reges ambos
patrem vie, filium perfecisse a terg. nepote del Prisco. M a senza che i
più erano di oppinione ch'ei gli fusse figliuolo, oppinione abbracciata da esso
LIVIO medesimo, egli si può mostrare, che da Tarquinio Prisco al Superbo corresse
una sola generazioneper esser Col latino ancora giovane in ful fine del regno
di Tarquinio Superbo, mentre il padre suo Egerio è uomo già fatto nel regno di
Tarqui nio Prisco,come abbiamo veduto avatt avanti.Ora fommando
insieme gli anni di IV generazioni, ognu na delle quali ragguagliata è di XXXIII
anni, si hanno cento e trentadue anni, e dando a ciascun Re XIX anni di regno,
si hanno cento trentatre anni, il che derivato dalla legge di natura co sì
maravigliosamente conviene col la regola cronologica del Neutono, che le osservazioni
astronomiche più a capello non convengono colle teorie ec o'calcoli di quel
grand’ uomo. Io non aggiugnerò altroa questo ragionamento, se non che a quel
modo che la cronologia di Neutono assolve VIRGILIO che è il più esatto de’ poeti
da quello acronismo imputatogli comunemente. Vedi la cronologia di Neutono te
in rispetto a’ tempi in cui vissero ENEA e Didone, così ella può giustificare quella
comun tradizione tenuta in Roma che NUMA è uditore di Pitagora, e che non meno
contribuisse a fondar quello imperio, il qual è signor delle cole, la virtù italiana
che la romana sapienza. Algorottus. Francesco Algarotti. Keywords. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice ed Algarotti," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Algarotti.
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