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Wednesday, January 15, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z V VA

 

Luigi Speranza -- Grice e Vacca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ala del silenzio – scuola di Bari – filosofia pugliese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bari). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari, Puglia. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo” -- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature. Gruppo parlamentare Collegio Bari Partito Comunista Italiano, Partito Democratico della Sinistra, Partito Democratico Laurea in giurisprudenza e filosofia del diritto. Docente universitario. Si laurea in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di CROCE. Svolge una intensa attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno dedicato alla casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito Comunista Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della Sinistra. Libero docente in storia delle dottrine politiche, vince la cattedra di tale disciplina a Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in Puglia e a livello nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, diventandone poi Presidente. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di GRAMSCI. Professore di Storia delle dottrine politiche a Bari, si è occupato in particolare dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda metà del XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari, Laterza); Lukàcs o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari, Donato); Scienza, Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato); Politica e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI, Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari, De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia. Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e trasformazione. Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di sinistra e la crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e democrazia, curatela, Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa (Milano, Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori Riuniti); Dal PCI al PDS. Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con GRAMSCI: Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci,  GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari, Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo, sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano, L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari, Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale,  Il dilemma euroatlantico. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,  I dilemmi dell'integrazione. Il futuro del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna, Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci, Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi gramsciani nel mondo.  e con Schirru, Bologna, Il mulino,  Perché l'Europa? Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi, e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e pensieri di Gramsci.  Collana Storia, Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci. Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di Gramsci, Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione, Scritti e discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano  Quel che resta di Marx, Salerno Editore, Roma,  L'Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra,  Marsilio, Venezia. V., su storia.camera, Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà conversazionale, fascismo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Vacca.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vacca: il deutero-esperanto – By Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i popoli.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vaccarino: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errore del filosofo – scuola di Pace del Mela – filosofia siciliana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pace del Mela). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Pace del Mela, Messina, Sicilia. Essential Italian philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la ‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake (“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo Figlio del titolare di un importante saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma. Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato alla libera docenza in filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di storia della filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia della scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano, presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti, ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza", in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza. Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa. Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia analitica, che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente. La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti ripensamenti e revisioni.  Pubblica “La chimica della mente” (Carbone, Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando, Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria Universitaria del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti vedute professate da filosofi della scienza.  I suoi interessi si rivolgeno anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna, Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti edizioni. Repubblica  Semantica Filosofia della scienza  Centro Internazionale Di Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino. Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vaccaro: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura come eteropia – la scuola di Palermo – filosofia siciliana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palermo). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.”  Si laurea a Palermo, inizia l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a contratto, poi come ricercatore e come professore associato. Titolare del corso di filosofia politica e supplente di scienza politica nella facoltà di scienze della formazione dell'ateneo palermitano.  -- è pro-rettore a Palermo per la politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano, membro fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica (soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze) dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della globalizzazione, della governance e dei diritti umani. Saggi: “Decostruzione di una realtà macchinica”, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma); “Il capitalismo regolato statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano, Angeli); “Oltre la pace” -- saggi di critica al complesso politico militare, curatela con Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra); “Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano, Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari” (Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano, Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro. Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo.  Mimesis Edizioni: collane. Archiviato Palermo: scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze: catalogo autore., su opac. bncf.firenze..  Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. Vaccaro. Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Vaccaro.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vailati: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semantica filosofica di Peano– la scuola di Crema – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Crema). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Crema, Cremona, Lombardia. Essential Italian philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver lavorato come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario e così puo proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da vivere insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia gamma di discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa fornisse una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa ragione, e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni, e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio tecnico specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che sostituite con qualche nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con cautela, distinse fra SIGNIFICATO e verità. La questione di determinare che cosa vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una questione affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è cruciale. V. ha una filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai pragmatisti in questa loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche si esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui, succedere o esser successi, e in che cosa essi differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero succedere o essere successi, nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato come "l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno dei primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di Platone e Berkeley -- che egli vide come precursori importanti del pragmatism -- Leibniz, V. Welby-Gregory, Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose con molti dei suoi contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende scritti sulla logica matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia. La dottrina recente pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria storiografica del pragmatismo analitico italiano.  I suoi principali interessi storici riguardarono la meccanica, la logica e la geometria. Egli da un importante contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica, dei predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di definizione e del suo ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di SACCHERI. S’interessa particolarmente  ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di storico della scienza e strettamente connesso con quello filosofico. Per le due attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e metodologie di fondo. Vede lo studio storico e lo studio filosofico come differenti nell'approccio ma non nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il background sociale pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La posizione di V. sulla storia della scienza ricalca quella di una serrata critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo ammette nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza, come mostrano anche le vicende di CALDERONI (Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO, il quale vanta certe affinità con il pensiero filosofico del periodo (Rinzivillo, V., Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia, Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO, In Memoriam, Bolletino di matematica,  Pozzoni, Cent'anni di V.” (Liminamentis, Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava, La psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di V., Liminamentis Editore, Villasanta,  Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net. Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Couturat  e Leau, Histoire  de  la  langue  universelle  Paris,  Hachette. Rivista  Filosofica. Non è solo pel fatto di contenere un’esposizione accurata e particolareggiata dei numerosi progetti di  lingua universale che si sono succeduti a cominciare dai primi di cui si ha notizia (Urchard, Dalgarno, Wilkins) fino a H. P. Grice che la storia di Couturat e Leau  ha il diritto d’intitolarsi una ‘storia’ della questione della lingua internazionale. Il saggio merita tale titolo anche in un altro e più  importante senso, in quanto i suoi autori riescono con esso a provare che la serie di tentativi d’essi  presi  in  considerazione,  lungi dal presentare l’aspetto d’una  successione di sforzi  indipendenti e incoerenti, lascia  trasparire le traccie  d’una  graduale  evoluzione  verso  uno  schema  il  cui  carattere  generale  è già  fin  d’ora suscettibile  di  un’approssimata determinazione,  e le  cui  linee  fondamentali vengono  in  certo  modo  a sovrapporsi  a quelle  segnate  dal processo spontaneo  che porta  irresistibilmente, per  quanto  lentamente,  le  nazioni  civili  ad  aumentare  sempre  più  il  patrimonio di  vocaboli  e di  espressioni  che  possiedono  in  comune e  persone,  anche  colte,  che  non  hanno  avuto  occasione  di  riflettere  sull’argomento non  si  fanno  facilmente  un’idea  esatta  della  quantità di  parole  « inter-naziona1 » che  esse  adoperano,  e della  parte  sempre  crescente  che  queste  vengono ad  occupare,  non  dico  nei  dizionari  compilati  dai  letterati  o dai  puristi  ma  nel  dizionario  reale  ed  effettivo  dell’uso corrente – “the little Oxford dictionary,” nelle parole di Austin rapportate da Grice --,  nella  lista  cioè dei vocaboli del CUI significato si esige e si  presuppone  la  conoscenza  anche  in  chi  non  conosca  altra  lingua  che  la  propria.  Così, per esempio, nessun italiano può  addurre la  sua  ignoranza  del  francese  o del  tedesco,  come  giustificazione  del  suo  non conoscere  il  SIGNIFICATO (O senso) di  parole  come  le  seguenti: òuffet,  bureau,  chèque,  club,  hotel,  itufiresario,  meeting,  menu,  restaurant,  rdclame,  record,  reporter  revolver,  sport  toilette,  traimvay,  tunnel,  etc.  Il  che vuol  dire  che,  se si  prende  come  criterio  dell’“italianità” di  una  parola  il  fatto  che  essa  è  usata  e intesa  agl’italiani – cf. H. P. Grice, “native speaker of English,” William James Lecture V -- (e  non  si  vede  quale  altro  criterio  si  puo prendere,  da  chi  a meno  non  sia  disposto  a negare  che  siano  ITALIANE  anche  le  parole  alcool,  ze-  7itth,  ovest,  gas  pel  fatto  che  esse  ci  provienneno  dall’arabo  o dall’olandese),  i  vocaboli  sopra  riportati  hanno  ben  più  diritto  a essere  qualificati  come  ITALIANI  di quanto  ne  abbiano  tanti  altri  che  i dizionari  registrano  solo  perchè  usati  da  scrittori  di  qualche  secolo  fa  : come,  per  esempio,  “allotta,” “arrogi  »,  < gtta-  gnele  »,  « millanta  »,  etc.   Ne  al  fatto  che  alcune  delle  suddette  parole  contengono  lettere  o sillabe  aventi  valore  fonetico  diverso  da  quello  che  loro  spetterebbe  nella  nostra  « ortografia » può  essere  ormai  attribuita  molta  importanza  dal  momento  che  tale  circostanza  non  è più  considerata  come  un  ostacolo  alla  trascrizione  esatta  dei  nomi  proprii  stranieri  di  luogo  e di  persona.   Le esigenze  pratiche  s’alleano  ora  al  senso  estetico  per  trattenerci  dallo  scrivere  “Stoccarda” o Conisberga  invece  di  Stuttgart  e di  Konigsberg.  E se  a  molti  non  ripugna  ancora  lo  scrivere  “Volfango” invece  di  Wolfgang,  a nessuno  verrebbe  certo  ora  in  mente  di  imitare  VICO (si veda)  citando  Descartes  sotto  il  nome  di  Renato  delle  Carte.  Un  esempio  caratteristico  di  creazione  di  nuove  parole  internazionali  mediante  un  espresso  accordo  tra  gl’interessati  ci  è fornito  dal  sistema  di  unita  C.  G.  S.  adottato  e promulgato  dal  congresso  internazionale  degli  elettricisti,  tenuto  a Parigi,  e le  cui  denominazioni  sotto  forma  invariabile  (volt,  ampire,  ohm,  etc.)  sono  ora  adoperate  dagli  scienziati  e dagl’elettrotecnici  di  ogni  nazione.   La  gran  maggioranza  tuttavia  delle  parole  che  possono  praticamente  essere  riguardate  come  già  in  effetto  internazionali  non  è costituita  da  quelle  che  figurano nelle  varie  lingue  sotto  forma  assolutamente  identica,  ma  bensì  da  quelle  che  vi  si  trovano  leggermente  modificate,  sopratutto  nella  desinenza, a seconda  dell’indole  dei  rispettivi  linguaggi,  come  avviene  ad  esempio  per  le  parole:  caffè,  cioccolata,  tabacco,  garanzia,  posta,  vagone,  consolato, oasi,  concerto,  etc.  E in  questa  categoria  che  rientrano  i numerosi  termini  tecnici  (di  scienze,  di  arti,  di  sostanze  chimiche,  di  strumenti,  di  malattie,  etc.)  derivati  dal  greco,  come  chirurgo, estetica,  ossigeno,  fonografo,  emicrania,  etc.   A projiosito  dei  quali  giova  notare  come  parecchie  radici  o prefissi  greci  (come  —logo,  —grafo,  z=.geno,  fono—,  termozzz,  baro=,  archi—,  end—,  anti—,  i^o —, filo —, geo—,  etc.)  pure  non  figurando,  sotto  qualsiasi  forma,  come  parole  isolate, nel  dizionario di  alcuna  lingua  moderna,  tuttavia  per  il  solo  fatto  di  trovarsi  ripetutamente  adoperati,  e con  un  senso  ben  determinato,  nella  composizione di  parole  appartenenti  a ogni  linguaggio  civile,  finiscono  per  essere  correttamente interpretate  anche  da  chi  si  trovi  sprovvisto  di  qualsiasi  conoscenza  della  lingua  dalla  quale  provengono. La  stessa  osservazione  si  può  ripetere  per  quei  VOCABOLI LATINI che,  pure  non  potendo  essere  qualificati  come  internazionali  nel  senso  che  essi  appartengano ad  altre  lingue  oltre  che  alle  neo-latine,  lo  sono  tuttavia  nel  senso  che  le  lingue  neo-latine  non  sono  le  sole  nelle  quali  esse  figurano  come  elementi  di  parole composte.    Cosi  per  esempio  le  parole  latine  : navts,  oculus,  currere,  secretum,  ovum,  pubblicus,  annus,  etc.  non  possono  essere  riguardate  come  del  tutto  estranee  all’inglese  e al  tedesco  dal  momento  che  a queste  lingue  appartengono  le  parole oculist,  concurrence,  secretary,  ovai,  Publizist,  Annalen,  etc.   E specialmente  in  virtù  di  questa  circostanza  che  i più  recenti  progetti  di  lingua  universale,  quanto  più  deliberatamente  si  propongono  di  costruire  il  dizionario  in  base  al  criterio  pratico  della  massima  effettività  internazionale  delle  singole  parole  o radici  (criterio  che  viene  a essere  naturalmente  imposto  dalla  necessità  di  ridurre  al  minimo  gli  sforzi  richiesti  dall’apprendimento  di  parole  interamente  nuove  da  parte  di  chi  conosca  già  qualcuna  delle  lingue  civib''europee,  e dalla  convenienza  di  rendere  il  dizionario  della  lingua  internazionale  quanto  più  è possibile  utile  per  facilitare  l'eventuale  apprendimento  delle  lingue  civili  europee  da  parte  di  chi  non  ne  conosca  alcuna),  tanto  più  si  trovano  condotti ad  attribuire  una  parte  preponderante  all’elemento  LATINO.   La  maggior  parte  di  tali  progetti  finiscono  anzi  per  differire  tra  loro  assai  meno  di  quanto  possano  differire  due  dialetti  di  una  stessa  lingua,  e per  avvicinarsi anche  senza  volerlo,  per  ciò  almeno  che  riguarda  il  dizionario,  ai  progetti avanzad  dai  fautori  di  un  ritorno  all’uso  internazionale  del  LATINO,  in  quanto  anche  questi  sono  costretti  ad  ammettere  i neo-logismi  indispensabili  per  esprimere cose  e concetti  moderni,  e a rinunciare  quindi  a qualunque  pretesa  puristica e letteraria.  Come  è naturale,  il  latino  più  ricco  d’elementi  internazionali  non  è quello  classico  di  CICERONE (si veda) o di  TACITO (si veda),  ma  quello  usato  dagli  scolastici  e dagli  scienziati del  medio  evo; non  quello,  per  esempio,  in  cui  il  Ministero  della  pubblica  istruzione  sarebbe  chiamato  Summus  moderator  shidiortcm,  ma  quello  in  cui  verrebbe semplicemente  indicato  come  Minister  pttMicae  instructionis  o,  anche  meglio, de  puèlica  instricctioìie.   Ma  a rendere  difficile  un  completo  accordo  tra  i fautori  di  un  latino  comunque modernizzato  e semplificato,  e quelli  che  propongono  la  costruzione  d una  lingua  affatto  artificiale,  per  quanto  costruita  con  materiali  tolti  in  gran  parte  dal  latino,  si  presentano  le  questioni  relative  alla  grammatica o SINTATTICA.   Benché  gl’uni  e gl’altri  si  trovino  d’accordo  nel  riconoscere  che  le  difficoltà  inerenti  all’adozione  del  latino  come  lingua  internazionale  puo venir  notevolmente diminuite  coll’introdurre  nella  sua  grammatica  delle  modificazioni  semplificatrici  d’indole  analoga  a quelle  che  si  sono  spontaneamente  prodotte  ne  le  lingue  neo-latine,  pure  essi  non  cessano  per  ciò  di  differire  grandemente  nell  apprezzamento  dei  criteri  da  seguire  in  tale  semplificazione.   Vi  è chi  si  contenterebbe  di  regolarizzare  le  declinazioni  o le  coniugazioni,  togliendo  la  loro  inutile  molteplicità  e permettendo,  per  esempio,  che  si  dicesse  ati  t o e legebo  come  si  dice  amabo  e monebo,  o loqtiivi,  currivi  invece  di  locutus  S2tm  e di  czicurn.  Altri  abolirebbero  senz’altro  ogni  declinazione  dei  nomi  indicando invece  i vari  casi  colle  preposizioni  come  fanno  le  lingue  neo-latine  1 armenti  sopprimerebbero  le  varie  flessioni  dei  verbi  corrispondenti  alle  persone,  bastando,  per  distinguere  queste,  l’impiego  dei  pronomi.   Anche  per  indicare  i diversi  tempi  dei  verbi  v’è  chi  propone  si  abbandoni l’impiego  di  speciali  desinenze  o modificazioni  adottando  invece  l’artificio  dei  verbi  ausiliari  (anche  per  il  futuro).   Un  passo  piu  avanti  è fatto  da  quelli  che  propongono  si  abolisca  la  distinzione tra  i generi  dei  nomi  e tutte  le  regole  di  concordanza  ad  essa  relative, indicando  solo,  quando  occorra,  il  sesso  con  uno  speciale  prefisso  come  si  fa  in  inglese  (he-goat,  she-goat).   Ne  qui  SI  arrestano  le  proposte  di  semplificazioni,  tra  le  quali  la  più  radicale  è rappresentata  dal  « Latino  sine  flexione  » di PEANO (si veda),  riattaccantesi  a un  ordine  di  ricerche  il  cui  primo  impulso  risale  a Leibniz.   Già  questi  ha  osservato  che,  allo  stesso  modo  come  l’uso  delle  proposizioni rende  inutili,  pei  nomi,  le  flessioni  corrispondenti  ai  differenti  casi,  così  anche  l’uso  delle  congiunzioni  potrebbe  sostituire,  per  i verbi,  le  flessioni  indicanti i differenti  modi.   Così,  per  esempio,  la  differenza  di  SIGNIFICATO (O SENSO)  tra  l’ indicativo  e il  soggiuntivo è già  sufficientemente  espressa  dalla  sola  presenza,  per  il  secondo,  delle  congiunzioni: ut,  quod,  “si,” (if) – cf. H. P. Grice, “Indicative Conditionals” --,  etc.   Non  occorre  quasi  notare  che  anche  il  modo  imperativo  non  ha  affatto  bisogno di  venire  indicato  da  alcuna  modificazione  del  verbo,  bastando  a ciò  premettere (o  far  seguire)  a questo  l’indicazione  del  comando  o del  desiderio  (opto,  peto,  quaeso,  etc.)  come  già  del  resto  si  pratica  in  più  d’una  lingua  (PLEASE – R. M. Hare: “The door is closed, please” --,  bitte,  s’il  vous  plait,  etc.).   Un’  idea  più  ardita,  suggerita  pure  da Leibniz  a PEANO (si veda),  è quella  dell’  inutilità di  qualsiasi  flessione  per  indicare  il  plurale  dei  nomi  {videtnr  pluralis  inutilis  in  lingtia  rationali). La  distinzione  tra  singolare  e plurale  sembra  a  PEANO (si veda) puo essere  sufficientemente  espressa  dal  semplice  premettere  al  nome,  quando  occorra,  un  aggettivo  numerale,  U7tus,  aliqtds,  omnis,  plurcs,  duo,  diversi,  etc.).   A questa stessa  conclusione  è  pure  antecedentemente  venuto  anche  un  altro filosofo  che  si  occupa  molto  a fondo  delle  questioni  relative  alla  grammatica razionale,  BELLAVITIS, di  Padova,  di  cui  l’importante saggio,  portante  il  titolo “Pensieri  sopra  ima  lingua  universale  e su  alcuni  argomcnli  analoghi,” Memorie  dell’I.  R.  Istituto  Veneto,  è sfuggito all’attenzione di Couturat. Tra l’altre proposte originali  e suggestive  che il saggio  di BELLAVITIS (si veda) contiene è da notare quella relativa all’adozione di una speciale preposizione anche per  distinguere  il soggetto (“Fido”) dal  predicato (“is shaggy” – Grice) di  una  proposizione, da  adoperare, s’intende, solo  quando ve ne è bisogno. Tale è il caso, per  esempio, quando  si  tratti  di  una  proposizione  il  cui  soggetto  (“Fido”) o attributo  (“shaggy”) è rappresentato da  un  pronome  relativo,  il  quale,  per  ragione  di  chiarezza [Grice, DESIDERATUM OF CONVERSATIONAL CLARITY: “Be perspicuous [sic]”. -- non può venire troppo allontanato dal precedente nome cui si riferisce, e non può  quindi  indicare, per  mezzo  della  sua  posizione  rispetto  al  verbo,  se  dove  essere  inteso  come  il  suo  soggetto  o il  suo  predicato.  Quest’osservazione  di BELLAVITIS (si veda) non  è priva  anche  di  una  certa  importanza filosofica  in  quanto  costituisce  in  sostanza  una  critica  della  distinzione  tra  verbi  transitivi  e intransitivi  e di  quella  tra  verbi  attivi  e passivi.  Essa  mira  infatti  a sottoporre  non  solo  l’accusativo  (o CAUSATIVO, strettamente -- come  già  avviene  in  alcune  lingue,  p. e.  nella  spaglinola),  ma  anche  il  nominativo  a norme  analoghe  a quelle  che  reggono  gl’altri  casi,  sopprimendo  l’inutile  complicazione  della  costruzione  [Atti  della  R.  Accademia  di  Scienze  di  Torino; Leibniz [citato da Grice – “one of the greats”].  Opusculcs  el  Fragnicnt  inédils  publiés  par  Couturat. BELLAVITIS (si veda)  ha su  questo  punto  dei  precursori  fra  gli  scolastici,  in  Occam [cf. il sermone mentale – discusso da Geach e Grice e Leibniz – PARIDE AMA ELENA -- e  Alberto  di  Sassonia. L’apprezzamento  espresso  su  quest’ultimo  da Prantl – lesso da LAMENTANI (si veda) nella  sua  “Storia  della  Logica,” precisamente  a questo  proposito,  è da deplorare come erroneo e ingiusto. COUTURAT  E L.  LEAU,  HISTOIRE  DE  LA  LANGUE  UNIVEKSELLE] passiva – Strawson, “The exhibition was visited by the King of France” --,  ed  emancipando  nello  stesso  tempo  la  frase  d’ogni  restrizione  relativa  alla  collocazione  delle  sue varie  parti  rispetto  al  verbo. Anche sull’uso  dell’articoli  e delle  particelle  dimostrative  le  osservazioni  di BELLAVITIS (si veda) apportano  un  contributo  prezioso  alla  soluzione  delle  controversie  che  ancora  si  dibattono  tra  gl’autori  di  vari  progetti  di  GRAMMATICA RAZIONALE. Un  concetto  dominante  sul  quale  egli  ritorna  frequentemente  è questo  che  l’adozione  di date  preposizioni  o congiunzioni  o articoli  -- “voci  grammaticali,” come  egli  le  chiama -- per  indicare  date  relazioni  tra  le  parti  d’una  frase non  implica  che  tali  voci  devono essere  sempre  adoperate  per  esprimerle. Esse  possono e devono  invece  essere  omesse  ogni qualvolta  la  loro  assenza  non  produce ambiguità – cf. Grice, “Avoid ambiguity” – Blake, “Love that never told can be”.   'lutte  queste semplificazioni,  le  quali,  del  resto,  potrebbero  applicarsi,  come  al  LATINO,  anche  a qualsiasi  altra  lingua,  finisceno,  come  si  vede,  per  far  capo  al  concetto  d’un  linguaggio  suscettibile  di  venir  compreso  e adoperato  indipendentemente  dalla  conoscenza  di  qualsiasi  regola  grammaticale. E in  fondo l’ideale  che  si  presenta  già  alla  mente  di CARTESIO [vide Grice, “Descartes on Clear and Distinct Perception”]  in  quella  sua  lettera  a Mersenne nella  quale,  discutendo  un  progetto  d’ignoto  filosofo  che  ritiene  aver  costruito  un  linguaggio  (“Deutero-Esperanto”) atto  a essere interpretato  e scritto  col  solo  aiuto  di  un  dizionario – Grice: “The Little Oxford Dictionary? Austin hated it! --  conclude  che  ce  n’est pas  mcrvetlle  que  les  esprits  vulgaires  apprennent  *en  moins  de  six  heures*  à composer  en  cette  langue.  Cartesio,  Opere, edit.  Tannery  e  Adam). Ed  e questa  stessa  idea  d’una  lingua ARTIFICIALE [Deutero-Esperanto],  costruita,  per  quanto  riguarda il  dizionario,  con  materiali  tolti  alle  lingue  viventi  e sottoposta  invece,  per  quanto  riguarda  la  grammatica – strettamente, SINTASSI --,  alla  massima  semplificazione  razionale – cf. RULES OF FORMATION OF SYSTEM G-HP di MYRO],  che  Rcnouvler  sembra  avere  in  vista  in  quella  frase,  quasi  profetica,  che  appunto  Couturat  riporta  a questo  proposito. La  langue  universelle  doti  ciré  empiriquc  par  son  vocabulairc o LEXICON, et  PHILOSOPHIQUE PAR SA SINTASSIS, ou grammaire. (ReNOUVlER,  De  la  question  de  la  langue  universelle, Revue. Non  voglio  chiudere  il  presente  cenno  senza  richiamare  l’attenzione  su  un  altro saggio  italiano  sul  soggetto  della  lingua  universale,  del  quale  pure  non  è  fatta  menzione  nel  volume  di  cui  parliamo.  Esso  è pubblicato  a Roma col  titolo, “Riflessioni  intorno  all’istituzione  d’una lingua  universale,” -- lettera  di  Glice  Ceresiano  a Giotto fllo  Eugenio.   L’autore  ne  è il filosofo SOAVE (si veda),  il  quale  si  propone  in  esso  di  esaminare un  progetto  di  lingua  universale  da  Kalmar. Questo  è tutto  ciò  che  mi  ò riuscito  di  sapere  sul  contenuto  del  detto  opuscolo, che  finora  non  sono  stato  in  grado  di  rintracciare  e che  conosco  solo  dalla  menzione  che  ne  è fatta  in  un’altra  opera  italiana,  pure  ignorata  da Couturat -- FERRARI (si veda), Monoglottica,  Modena. Di  quest’ultima V. ha conoscenza  per  mezzo  di MERIGGI (si veda),  appassionato  cultore  di  questi  studi  e autore  lui  pure  di  un  progetto  di  cui  sono  segnate  le  traccio  in  un  volumetto  pubblicato  a Pavia, Frat.  Fusi.   Como. Grice: “My favourite Vailati is an essay cited by Peano (I wouldn’t have heard of it otherwise). It is concerned with the Italian counterparts to “non,” and the ‘congiunctioni’: “e”, “o”, and “se”. La  Grammatica  dell  Algebra.   iRivisla  di  Psicologia  Applicata,  A Parlare  dell’algebra  come  d’un  linguaggio.   Sommario:  In  che  senso  ^ f Quali  sentii  corrispondmio  tn  al~   e di  una  sua  speciale  J.  Come  si  presenti  in  algebra  la  distin-   gcbra  ai  verbi.  Loro  carcittere  r . V-   l'altra,  ad  ussa  corrispondente,  tra   ìionè  tra  verbi  transiti  e verbi  Dei  verbi  molteplice-   nomi  (o  aggettivi)  relativi,  e gH^izioni  Carattere grammaticale dei segni mente transitivi,  e dell  / caratteristiche  dei  segni  di  uguaglianza j • fiirtincri  e oarlando d’essa  come  di  uno  spe-  LParlando  d’algebra  a dei  attribuire,  alla  pa- ciale  linguaggio,  devo  pregarli d, P ^ essi  le  attribuì- rola  . linguaggio  >.  astrazione da un scono ordinariamente. di  studiano  — i quali  tutti  hanno  per  loro   carattere  comune  ai ^^ttendomi  d’applicare  lo  stesso  nome  anche  elementi  delle  «parole  » P^^  rivolgono  ad altri  sensi  che non  sono ad  altri  SISTEMI DI SEGNI eh, f„n7inni  dei linguaggi propriamente detti,   radilo,  adempiono  wttavia  alle  tCTfpo^J^   e„  „r„SS'e  ^.-—nLròne,  piò   pir"arhVL“rr^ « UpÓ  . Ideo^radoo  nel,uall  le  ooae [11  .ommario  e le pari.,  che,u  „„p„ve  ..ella  Xmsh  *'  «to-   parentesi  quadre,  non sono mclus  carte  di V.,  che  a lu.   serve pella comunicazione  da  lu  p • grammalicali  e SINTATTICI del  lingnaggto   delle  Scienze  (Firenze)  sotto  il  ti  . Rivista  di  Scienza   algebrico,  e che in  parte è riprodotto  in  una  i^Algèbre  ati  point de  vue  Hngui-   ., intitolata: PiiLr  it^de  de  l’Algebre  ? ^ stiquei\  ai  cui  si  voleva  comunicare  Jos^'dvano  il  nome  nel  Un-   scura  alcun  riferimento  ai  gruppi  d,  suoni  che  ne guaggio  parlato. rappresentati,  di  quei  rapporti Per indicare il sussistere,  tra  g i ogg   proposizioni,  le  scrit- che  dai linguaggi parlati sono espressi in principio ad  espe-   ture  di questa seconda specie dovetter  affatto   dienti  (alterazioni  nella  forma,  nell  ordine  g > preposizioni, analogo  a quello  che,  nelle lingue  parlate  etc.   ai  segni  di  PREDICAZIONE (“... is shaggy” – GRICE),  d ;Jggiare  interesse per quei  sistemi di   L’esame di tali espedienti presenta panico  ^ „,,iea.  ve- notazioni ideografiche che,  come  cs-  g ordinaria,  subiscono in certo   nendo impiegati  contemporaneamente alla  ^ avrebbero finito  per  soc   .nodo la  cencorreusa  di  questa,  p.eferibill  per  1 partico- combere  se qualche  speciale  carattere  no lari  uffici ai quali  sono  applicati – cf. Grice, ONTOLOGICAL MARXISM: If they work, they existd..  dell’algebra,  la  ragione  di   Dire che, nel  caso  che  ora  c,  Jgg,or  brevità  e pre- tale  preteribilltà  stia  nclPattltudlne  sua  a j ancora  rlsob cislone  le proposizioni relative a.  numer  determinare da quali vere la  questione.  04  che  Importa dipendano: Uno  a che   circostanze  le  suddette  proprietà  del  >”^8,  geografiche al  posto delle punto cioè  esse  si  riconnettano  f ‘j; ‘7^'®°„gÌ„o  .“orso,  fatto dall’algebra,  ;role.  e per  nurdrpontTltguaggio parlato,  per dare senso alle  Afferenti combinazioni dei esempio  caratteristico   sto.  non certo nel  fatto che  le  cifre  sia  P ^,e„e  attribuita   ^alrmrrrsrrg^Sa"^  della posizione che esse occupano in hT  prop™^^  f rrti soprattutto d’attribuire  i strumento  di  ricerca  e di  dimostra- che  come  mezzo  di  ^a  avere  indotto uno  dei  piu  grandi   zione. Tali  vantaggi  sono  rivolgere  modestamente  a sè  stesso  una   ^a^  cbe  è rivolta  da Schiller  a un  poeta  presuntuoso, in  quei  noti versi .   pi confronto  tra  i “cTriuogo'*!’ impiego  dei segni derivano dall’impiego  delle  . q un’altra distinzione  importante dell'algebra,  si  P""“  ehe occorre  fare  tra  i sistemi di notazione   ^;:.'lomTa;;unT:df’e  de, .'aritmetica,  o le note  musleaii [AND GRICE WOULD PLAY THE PIANO AT CLIFTON – la notation della pavanne de Ravel – MEISTERSINGER is for children – He loved MAHLER, Song of the Earth --,  hanno  solo  I uf-    LA  grammatica  DELL’ALGEBRA  mnorre  nei  loro  elementi,  dati gruppi di  sensazioni  fido  di  descrivere,  e di  decom  ^ ^pp^nto  il   0 di  azioni  complesse,  e queg,,  chimica  — si  presentano come capaci   caso dell’algebra  o '5'“'  ^, in  parole e frasi del  definirla o caratterizzarla  m modo   f perrtlirco'nicio chiunque  abbia  coll’algebra  una sufficiente   -f;:Ìadiffierenzachesiba--   à^e   potr^rcorr —  'linana,  le  proposizioni  relative  ai  numeri  e alle loro  proprietà.  differenza  equivale  ad  ammettere  implicitamente  che Il  riconoscere  una tale differenz  espressione  e come  strumento la  speciale  efficacia  ^°^t^ibuire,  non  tanto  all’impiego che in essa di ricerca e di  '"arposto^ parole  del  linguaggio  or-   dintio!  q^a^P^uttostra  delle  particolarità  d’indole SINTATTICA.  meren  i  "Esamffiar'e  iTche  cosa guaggio  algebrico,  ricercare  e propriamente  dette:  que-   riscontrano,  in  maggiore  o minor  grad  J . sembrano  bene  degne  di Tra  le  distinzioni,  che  si  trovano ‘“‘I,elle  che  si  riferiscono   rittcair;‘:.rc:ot^Una  frase  spesso ripetuta dai linguisti, colla quale essi tentano di  precide ciò che costituisce il tratto caratteristico d’un vero linguaio  -- cf. COMPOSITIONALITY AND THE ESSENCE OF LANGUAGE – H. P. Grice, “Meaning Revisited” – open-endeness, finite means, potentially infinite utterances>,  hi  opposizione alle forme meno perfette  d’ESPRESSIONE ISTINTIVA [natural groan – Grice] di  stati  d amm  .  qualf  si  riscontrano  anche negli  stadi inferiori di sviluppo della vita animale.   ' la  «pcriiente  • « il  linguaggio comincia dove l’interiezioni (GROANS AND FROWNS, MOANING AND MEANING) finiscono. Se noi ci domandiamo, alla nostra volta,  in che cosa differiscano effettivamente l’interiezioni – Grice’s GROAN -- da  quelle  che  i grammatici  chiamano  le  altre parti  del  discorso, ci  accorgiamo subito che esso sono le  sole parole che,  anche  enun-  flTLàtalnte,  bastano, per sé stesse,  a esprimere  -^^Ye   Qualche  opinione,  di  chi  le pronuncia,  mentre  le  altre  specie  d .   i nomi  eli  aggettivi,  i verbi,  etc.,  non  possono,  d’ordinario,  servire  a a e p  se  non  comparendo  raggruppate [TERZA ARTICOLAZIONE] l’une insieme  all’altre,  in  modo  da dar luogo  a una frase  o a una  proposizione – GRICE: UTTERER’S MEANING, SENTENCE MEANING, WORD MEANING]. Quando  emettiamo [UTTER – GRICE],  per  esempio,  il  suono  brr,  o il  suono  " • ^  abiamo bisogno d’aggiungere altre parole per fare  intendere  a  ^Ze  che "sentiamo""del  freddo, o che  desideriamo  che egli non faccia nimore.  SeTnvece  pronunciamo,  per  esempio,  il  nome  di  un  oggetto  --a  accompagnarlo con  qualche  parola  (o GESTO),  che  indica cosa vogliamo dire  di  esso  -  fhe  diefiii  cioè:  se  vogliamo dire  che  lo vediamo,  o che  lo  desideriamo,  o  fotmilmo,  ; che ne  aspettiamo  la  comparsa  etc. aifatto  alcuna  nostra opinione, o disposizione  d’animo,  ma  al  piu  segnaliamo  -- SIGNIFICAMO, SEGNALARE -- che  stiamo  pensando a quell’oggetto,  senza dire  nulla  di  ciò  che  ne  pen segue  che  l’interiezioni  possono qualificarsi  come  quelle,  tra le parole del  nostro  linguaggio,  che  hanno PIÙ SIGNIFICATO (“more meaning”) di  tutte le  akre,  e in  certo  modo,  come le sole  che  ne  abbiano,  quando  sono  prese  a se.  mentre altre sono  soltanto  capaci  d’acquistarne,  nel  caso che  siano  assunte  a far  parte   una  frase  che  ne  abbia.  L’affermazione  riferita  sopra  equivale,  dunque,  a dire  che  il “vero  linguaggio” comincia  con  la  prima  introduzione  di  parole che,  prese per se  stesse NON hanno  alcun  SIGNIFICATO,  e che  di  tanto  un  linguaggio  e °   più  rilievo  hanno  in esso  le  parole  che  si  trovano  in  questo  caso,  di  front  litro  che,  anche  enunciate isolatamente,  esprimono  qualche  opinione d’animo,  di  chi  le PRO-NUNCIA. Si  ha  una conferma  di ciò  nel  fatto  che  le  parole che  hanno  MENO SENSO delle  altre  - quelle  cioè  alle  quali  è necessario  aggiungere un piu  grande  numero  d’altre  parole  per  ottenere  una  frase  che  voglia  sono  apppunto  quelle  che  compaiono  piu  tardi,  tanto  nello  sviluppo storico dei  linguaggi,  quanto  nel  processo  individuale  del  loro  apprendimento.   Tra  tali  parole  sono  da  porre,  in  primo  luogo,  le  pre-posizioni,  in  quanto  esse  hanno  l’ufficio  di  indicare  le varie  specie  di  relazioni  che  possono  sussi-  fi)  La  trovo  citata  tra  gli  altri  da  ZOPPI (si veda),  nel  suo  volume  sulla  Filosofìa  della  Grammatica  (Veron),  che  ho  trovato  pieno  di  osservazioni  suggestive  sull’argomento  qui  trato.] stere  tra  gl’oggetti  di  cui  si  parla. Esse  infatti,  appunto  per  questa  ragione,  non  indicano  assolutamente  nulla  se  non  sono  accompagnate  dalle  parole  che  denotano  gl’oggetti  tra  i quali  si  asserisce  aver  luogo  la  relazione  che  ad  esse  corrisponde. Così,  quando  pronunciamo,  per  esempio,  le  parole: “accanto”,  “sopra  »,   « dopo  »,  etc.,  -- cf. Grice, ‘betwen’, not aequivocal -- senza  indicare  quali  siano  le  cose  di  cui  intendiamo  affermare  che  runa  è accanto  all’altra,  sopra l’altra,  etc.,  noi  non  comunichiamo  a chi  ci  ascolta  alcuna  determinata  INFORMAZIONE (si veda FLORIDI) sulle  cose  di  cui  parliamo.   A considerazioni  analoghe si  presta  il  confronto  delle  varie  specie  di  verbi  e,  in  particolare,  la  distinzione  espressa  comunemente  con  l’opporre  i verbi  « transitivi  » ai  verbi  « intransitivi  »,  col  porre  in  contrasto,  cioè,  i verbi  che,  come  per  esempio: « desidero  »,  « respingo  »,  « nascondo  »,  « indico  »,  etc.,  richiedono  che  alla  loro  enunciazione  segua  l’indicazione  di  qualche  « oggetto»  al  quale  si  riferiscono,  coi  verbi  che  invece,  come  per  esempio:  « dormo  »   « cresco  »,  « rido  »,  « muoio  »,  etc.,  non  hanno  bisogno  di  alcuna  ulteriore   determinazione  o specificazione  di  tal  genere  (^).   Qui  è tuttavia  da  osservare  che la suddetta  distinzione,  in  quanto  è stabilita dai  grammatici  in  base  al  criterio  puramente  formale consistente  in  ciò  che  il  verbo  esiga,  o non  esiga,  ciò  che  essi  chiamano  un  « complemento  diretto » —,  non  coincide  esattamente  con  quella  che,  per  il  nostro  scopo,  è opportuno  è  posta  in  rilievo.   A nessuno  certo può  venire  in  mente  di  dar  torto  ai  grammatici quando  essi  si  preoccupano  di  distinguere i casi  nei  quali  l’indicazione  dell  oggetto,  a  cui  si  riferisce  l’azione  espressa  da  un  verbo,  avviene  per  mezzo  della  semplice  aggiunta  del  nome  di  tale  oggetto  — come  quando  si  dice  per  esempio: « desidero la  tal  cosa  » — dai  casi  nei  quali  invece  è necessario  che,  tra  il  verbo  e il  nome,  sia  interposta  una  preposizione  — come  quando  si  dice  per  esempio:,  di  certi  nomi  come  quelli  che  abbia'mo  sopra  citati,  è ordinariamente  indicato  col  qualificarli  come  nomi  « relativi ».  Della  connessione  tra  i nomi  « relativi  » e i verbi  transitivi  si  ha  una   chiara  manifestazione  anche  nella  possibilità,  frequentissima,  di  tradurre  frasi,  in  cui  a un  dato  oggetto,  o persona,  è applicato  un  nome  esprimente  una  relazione, in  altre  ^si,  equivalenti,  nelle  quali  figura  invece  un  verbo  transitivo.  Non  vi  è,  per  esempio,  differenza  tra  il  SIGNIFICATO (O SENSO)  delle  frasi  : « il  tale  è nemico  del  tale  altro  »,  o « il  tale  oggetto  c più  alto  del  tale  altro  »,  e le  altre  : « a  tal  persona  odia  la  tal  altra  »,  o « il  tale  oggetto  supera,  o sopramnza,  il  tale   altro  »,  etc.   Il  matematico  e filosofo  americano  Peirce [su cui Grice insegna a Oxford],  che  più  d’ogni  altro  si  è occupato  dell’analisi  e della  classificazione  delle  varie  specie  di  « relazioni  »,  è stato  portato  dalle  sue  ricerche  a stabilire  una  distinzione  tra  i verbi  (o  nomi  ed  aggettivi)  transitivi,  a seconda  che  essi  esigano  l’aggiunta  di  un  solo  o di  più  nomi  per  acquistare  un  SIGNIFICATO (O SENSO)  determinato,  per  diventare  cioè  capaci  di  affermare  qualche  cosa  degl’oggetti  e delle  persone  a cui  vengono  ap-   Sono,  per  esempio,  verbi  « doppiamente  transitivi  » (o  bivalenti,  come  si  potrebbero  chiamare  con  una  opportuna  immagine  tolta  dal  linguaggio  della  chimica),  comportanti  cioè  l’ aggiunta  di  due  nomi,  i verbi  seguenti  : « insegnare » (qualche  cosa  a qualche  persona),  « dare  » ( qualche  cosa  a qualche  persona),  e i corrispondenti  nomi:  « maestro  » (di  qualche  cosa  a qualcheduno)  « donatore  » (di  qualche  cosa  a qualcheduno),  etc.  Sarebbe  forse  più  proprio  chiamarli  « tri-valenti  »,  in  quanto  anche  il  soggetto  rappresenta  una  « valenza  ».  Sarebbero  allora  « bi-valenti  » i verbi  semplicemente  transitivi,  « uni-valenti  » i verbi  intransitivi,  e « nulli-valenti  » (o  privi  di  « valenza  »)  gli  impersonali  come  « piove,  » « nevica  ».  etc.  – “As Srawson once asked me, “it is raining – what is ‘it’?” – Grice. Gli  impersonali  latini  come  « pudet  me  ».  « piget  me  » « mihx  tur  » etc.  sono  « bi-valenti  » come  i verbi  transitivi.  Come  esempio  di  verbi  a quattro  « valenze  » si  potrebbe  citare  il  verbo  « scambiare  » nel  senso  commerciale    il  tale  scambia  con  la  tal  persona,  la  tal  cosa  con  la  tal  altra  »,  o più  semplicemente  « le  tali  due  persone  si  scambiano  fra  loro  le  tali  due  cose  »)].   Esempi  di  verbi  « tri-valenti  » capaci  cioè,  o esigenti,  di  venire  .  o « comperare  >     vendo  un  oggetto  A a una  persona  B,  per  un  prezzo  C »,  « compro  un  oggetto A da  una  persona  B,  per  un  prezzo  C »).  Nel  caso  di  questi  verbi  « pluri-valenti  »,  o molteplicemente  transitivi,  si  scorge  chiaramente  quale  sia  l’ufficio  che  hanno  le  preposizioni,  in  quanto  servono quasi  da  organi  connettivi,  per  applicare  a ciascun  verbo  ordinatamente   i rispettivi  « complementi  ».  Quanto  più  cresce  il  numero  delle  « valenze  » tanto  più  cresce  naturalmente  il  bisogno  di  speciali  segni  o particelle  destinate  ad  evitare  le  ambiguità  nell’assegnazione  di  diversi  complementi  a uno  stesso  verbo.  Servono  a tale  scopo,  nel  linguaggio  ordinario,  le  preposizioni  (o  le  flessioni)  corrispondenti  ai  diversi   « casi  » dei  nomi.   Finché  il  verbo,  pur  essendo  a più  « valenze  »,  è tale  che,  come  avviene  per  esempio  in  quelli  sopra  citati,  i diversi  nomi  richiesti  per  completarne  il  SIGNIFICATO (O SENSO) appartengono  a categorie  cosi  distinte  da  rendere  impossibile  qualsiasi  equivoco  o confusione  tra  loro  — quando,  per  esempio,  come  nel  caso  del  verbo  « dare  »,  l’un  complemento  deve  indicare  una  persona,  e l’altro  un  oggetto,  può  parere  sempre  superfluo  l’impiego  di  qualsiasi  preposizione.  Si  tende  infatti  ad  abolire  queste  in  tutti  quei  casi  in  cui  si  haparticolare  interesse  a fare  ECONOMIA [principle of economy of rational effort – GRICE] di  parole,  come  per  esempio  nei  telegrammi,  negl’indirizzi,  negli  avvisi economici  delle  quarte  pagine  dei  giornali.  Se  si  telegrafa,  per  esempio  « spedite  plico  segretario  » nessun  dubbio  può  nascere  che  il  plico  è la  cosa  spedita  e il  segretario  la  persona  « a cui  » la  spedizione  è fatta,  e non  viceversa].  – cf. PECCAVI – Grice.  Ma  quando,  invece,  i diversi  complementi  di  un  verbo  appartengono  tutti  a una  medesima  classe  — quando  sono,  per  esempio,  tutti  nomi  di  persone,  come  per  esempio  nelle  frasi  : « dico  male  di  Tizio  a Caio  »,  « dico  male  a Caio  di  Tizio  » —, l’omettere  le  preposizioni  equivarrebbe  a togliere  ogni  mezzo  a chi  ascolta  di  distinguere  le  diverse  relazioni  in  cui  i diversi  nomi  stanno  col  verbo,  e a esporsi  quindi  a esser  capiti  a rovescio. Se,  tenendo  presenti  le  considerazioni  svolte  sopra,  ci  proponiamo  di  determinare quali  siano  gli  speciali  caratteri  grammaticali  e SINTATTICI per  i quali  il  linguaggio  algebrico  si  distingue  da  quello  ORDINARIO,  un  primo  fatto  notevole che  ci  si  presenta  è l’assenza,  nel  linguaggio  algebrico,  di  qualsiasi  specie  di  verbi   (cioè  l’eguaglianza  e e oro  aree),  resta,  per  ciò  solo,  precluso  il  suo  simultaneo  impiego  per  esprimere  qualsiasi  altra  relazione  tra  figure,  come  per  esempio,  quella  d’ “egua-  g lanza” propriamente  detta  (o  sovrapponibilità),  quella  di  similitudine,  etc.   1 inconvenienti  ai  quali,  in  casi  di  questo  genere,  potrebbe  dare  occasione 1 impiego  di  uno  stesso  segno,  per  indicare  relazioni  affatto  diverse  puo essere  evitati  in  algebra  ricorrendo  (come,  infatti,  qualche  volta  si  fa)  all  introduzione  di  nuovi  segni  che,  accanto  a quelli  di  eguaglianza  e di  diseguaghanza,  assumessero  l’ufficio  che,  nel  LINGUAGGIO ORDINARIO,  spetta  alle  di-  verse specie  di  verbi  transitivi  (,  «il  tale  edificio  è eguale  all’altro  in  altezza  ^ \ i tali  due  cliL  si  equivalgono  per  salubrità  »,  etc.   ner  T Preposizìone  è,  per  così  dire,  accidentale; in  greco,   cusatir^Tn  questione,  posto  All’accusativo, in  LATINO  si  adopera  l’ABLATIVO.  Ma  vi  è anche  un  altra  forma  che  possono  assumere  le  proposizioni  del  tipo  suddetto,  ed  e quella  che  si  presenta  nelle  frasi:  « la  statura  della  tal  persona eguale  a quella  della  tale  altra  »,  « l’altezza  del  tale  edificio  ^ e.u^le  a    0 Sull  opportunità  di  ricorrere  a questo  espediente,  nel  caso  delle  relazioni  tra  gl’enti  geometrici  considerati  nel  calcolo  vettoriale,  si  è molto  discusso  recentemente  (al  Congresso»,.   tenuto  a Roma  a proposito  della  relazione  presentata  su  tale  soggetto  da FORTI (si veda), dell 'Accademia  Militare  di  Torino, e LONGO, di Messina.  i ormo;  e aiarcoqtiella  del  tale  altro, la  salubrità  del  tale  clima  à eguale  a q^lella  del  tale  altro,  etc. Queste  espressioni, nelle quali figurano al  posto del soggetto e del predicato, i nomi,  non  più degl’oggetti [GRICE, obble] di cui si parla, ma delle qualità [GRICE, SHAGGY] d’essi, e dei caratteri rispetto ai quali essi sono posti a confronto,  corrispondono precisamente all’espressioni che compaiono nel linguaggio algebrico o ARIMMETICO o matematico o FORMALE quando,  per esprimere,  per  esempio,  che due angoli, a e b, hanno uno stesso seno, si scrive, “sen  a = sen b,  o quando,  per indicare o significare che  i triangoli  ABC e DEF  hanno una stessa area, si  scrive: “area  ABC  = area  DEF.” I due  esempi  citati, quello  del  seno  e quello  dell’area, possono  servire a mettere in luce una differenza che è importante segnalare. Mentre  dell’affermazione  che un angolo ha un dato seno si può definire perfettamente il SIGNIFICATO (o SENSO) anche senza considerare alcun altro angolo oltre quello di cui si parla,  per il caso, invece, dell’AREA, il  SIGNIFICATO (O SENSO) della  frase o proposizione, ‘La  tal  figura  ha  una  data  area,’ non  può  venire  determinato  se  non  ricorrendo,  o riferendosi, direttamente  o indirettamente,  a quell’operazioni  di  confronto  tra  l’AREA  di  una  figura  e l’area  di  un’altra  -- la  quale  altra  può  anche  essere,  per  esempio,  quella  che  si  è scelta  per  unità  di  misura  delle  aree  -- che  sono  richieste  per  riconoscere  se  due  date  figure  hanno,  o non  hanno,  una  stessa  area.   In altre parole, mentre nel caso del SENO d’un angolo si può prima dichiarare o definire che cosa esso  sia,  e poi  passare  a riconoscere se il seno  di  un  dato  angolo  sia  eguale,  o maggiore,  o minore  del  seno  di  un  altro,  nel  caso  dell’AREA,  invece, tali  due  procedimenti  sono  inseparabili,  e non  possono  neppure  essere  concepiti  indipendentemente  l’uno  dall’altro.  II modo ordinariamente impiegato  per  distinguere  i casi  dell’una  specie  dai  casi  dell’altra  consiste  nel dire  che,  mentre,  nei  casi  analoghi  a quello  del  SENO,  si  definisce  *ESPLICITAMENTE* un  nuovo  SEGNO di  FUNZIONE. Nei  casi  invece  analoghi a quello  dell’AREA,  il  SIGNIFICATO (O SENSO) del  nuovo  nome  introdotto  è determinato  soltanto, non esplicitamente, ma IMPLICITAMENTE, o,  come  anche  si  dice,  per  mezzo  d’una definizione per  astrazione.   Il  più  antico  esempio che  di  definizione  per  astrazione  ci  presenta  la  storia  del  linguaggio  matematico è la  definizione  della  parola RAPPORTO (logos), che  si  trova  posta  a base  della  trattazione  sulla  PROPORZIONE a:b::c:d nell’Elementi  d’Euclide. Questa  definizione,  che  la  tradizione  fa  risalire  ad Eudosso, consiste infatti soltanto nel determinare esattamente sotto una forma applicabile anche al caso delle quantità incommensurabili  il  SIGNIFICATO (O SENSO)  della  frase o proposizione, ‘Le tali due grandezze hanno lo stesso RAPPORTO (logos) delle  tali  altre  due.’ Oppure: il  RAPPORTO (logos) tra tali due quantità è eguale a (=) (o  maggiore (a>b),  o minore  (a<b) di)  quello tra le tali altre due quantità. Per mezzo d’un tale procedimento, una relazione tra quattro grandezze    la  relazione  cioè  che  si  esprime  dicendo  che  esse  formano la PROPORZIONE a:b::c:d    viene a poter  essere  espressa sotto forma  d’una  eguaglianza  fra  due  termini,  in  ciascuno dei  quali  figura  uno  STESSO  nome,  o SEGNO,  di  FUNZIONE (tra  due  VARIABILI). Mentre  della  parola  ‘RAPPORTO’ (logos) non  è data,  e non  occorre  c e s,   altra definizione oltre quella  che consiste nell’attribuire  un determinato alle  frasi  in  cui  si  parla  di  eguaglianza  o di  diseguaglianza  tra  rappor  quantità. Sui  numerosi  esempi  che  del  suddetto  genere  di  definizioni  ci  presentano  !  diversi rami della  matematica  e le  varie  scienze  nelle  quali  essi  trovano  apph- C3^ion0  non  c oni  il  Cciso  di  fcrnicirsi.  « . • i Si presenta opportuno invece il domandarsi quali siano le condizioni da cui dipende l'applicabilità del procedimento descritto sopra; il domandarsi, cioè, in  quali  circostanze  una definizione  per  astrazione è  possibile,  e in  qua  casi  è  lecito,  o conveniente,  introdurre  un nuovo SEGNO DI FUNZIONE per  mezzo   di  6SS6  j. Ciò equivale a domandarsi quali sono le  proprietà  di  cui deve  essere  dotata una  relazione  (o una  corrispondenza)  tra oggetti  di  una  data  classe perche il  suo  sussistere,  tra  due oggetti  « e à di  tale  classe,  può  venire  espresso  per  mezzo  di  eguaglianze  del  tipo:/«=:/^.  ove  del  SEGNO – o dispositivo formale --  / non  e  finizione  oltre  quella  che  risulta  dal  SIGNIFICATO (O SENSO) che si attribuisce alla forra condizione indispensabile  pell’applicazione di untale  procedimento  è,  anzitutto,  questa:  che  la relazione  di  cui  si  tratta  ha  in  comune  colla  relazione di  « eguaglianza  > la  proprietà  che,  per il caso di quest’ultima,  viene espressa d’un ASSIOMA. Se  a è uguale  a e -5  è uguale  a r,  anche  a e ugna  e a c. Se  infatti questa condizione non si verifica  — se, cioè, la  relazione  in  questione è  tale  che,  dal  suo  sussistere  tra  due  oggetti  a e -5,  e tra  due  altri,   ^ e et non  derivas senz’altro  il  suo  sussistere  tra  a e r -,  il servirsi d’una  espressione  del  tipo  ; fa—fb,  per  indicare il fatto che  essa  si  verifica  tra  due  oggetti  a e b,  porta  alla  conseguenza  assurda  -- o,  ad  ogni  modo,  incompatibile con  una  proprietà,  fondamentale,  del  segno  di  eguaglianza, usato da Peano e Grice (x=y)  che,  ^lle  eguaglianze : fa±ifb,  e fb—fc.  non  si  può  dedurre l’altra. Per una ragione analoga, la relazione di cui si parla dove anche godere di  un’*altra* proprietà. Essa  dove  cioè  essere  tale,  che,  dal  suo  sussistere  tra  due  oggetti  « e à,  si  può  sempre  concludere  che  essa  sussiste  pure,  all’inverso,  tra  b ed a.  Altrimenti  si  dove  ammettere  che,  dalla  formula  fa  =/à,  non  si  può passare all’altra fb—fa,  contrariamente  a un’altra delle  proprietà  caratteristiche dell’eguaglianza. Soddisfano  a questa  condizione,  per  esempio,  le  relazioni  di  perpendicolarità e di  parallelismo,  mentre  non  vi  soddisfa,  per  esempio,  la  relazione  di  divisibilità. Dall’essere  un  numero  n1 divisibile  per  un  altro  n2 non  deriva  certamente che  il  secondo  n2 sia  divisibile  per  il  primo n1. Il  nome  di  definizioni  per  astrazione è stato  introdotto da  PEANO – e usata da Grice nel suo metodo di psicologia razionale alla Ramsey. Il  riconoscimento dell’importanza del procedimento  che  conduce  ad  esse,  risale  a Grassmann, AUSDEHNUNGslehre.  Un notevole contributo alla loro analisi è apportato  da PADOA (si veda), Atti  del  sfi  Congresso  della SOCIETÀ ITALIANA DI FILOSOFIA, Parma. Le relazioni che, pur soddisfacendo alla prima delle due condizioni sopraccennate – cioè, a quella  che  chiamo ‘TRANSITIVITÀ  sillogistica’, non soddisfacciano alla seconda, possono,  per ciò solo, venir rappresentate d’uno qualunque dei  due  segni  di DIS-UGUAGLIANZA (a>b e a<b),  poiché  tanto  per  l’uno  come  per  l’altro  d’essi  si  verifica  appunto  la  prima,  e non  la  seconda  delle  due  condizioni   suddette.  Le  due  condizioni  enunciate  sopra,  oltre  che  necessarie,  sono  anche  sufficienti perchè  è  lecito il ricorso a una definizione per astrazione,  e all’introduzione, per  tal  via,  di  un  nuovo  nome  o di  un  nuovo SEGNO DI FUNZIONE.   La sola  obiezione  che qui  può  presentarsi  è quella  che  consiste nel  dire  che,  venendo  il  SEGNO DI FUNZIONE così  introdotto  a essere  definito  solamente  in  quanto  figura  in  espressioni d’una  data  forma -- cioè, in  espressioni  del  tipo  fa—fb  --, esso  rimane  privo  di  ogni  significato  in  tutti  i casi  in  cui  si  voglia adoperarlo  isolatamente,  o combinato  diversamente  con  altri  segni  della  stessa  o diversa  di  specie. A questa  obiezione si può  rispondere  osservando  che,  allo  stesso  modo  come  si  è attribuito  un SIGNIFICATO (O SENSO) all’espressioni  del  tipo  fa  —fb,  così  nulla  vieta  di  determinare  ulteriormente  anche  il  SIGNIFICATO (O SENSO)  d’altr’espressioni  nelle  quali,  d’un  lato,  o d’ambedue  i lati,  di  un  SEGNO D’UGAGLIANZA (Grice: x = y),  figurano,  non  già  dei  termini  isolati,  come  fa  o fb,  maf dei  determinati  aggruppamenti  d’essi  (come  per  esempio  f a ^ /^),  composti  interponendo  determinati  segni  di  operazione. Perchè  ciò  può farsi  occorre, naturalmente, che  la  relazione  di  cui  si  tratta  soddisfisce a un  certo  numero  d’altre  condizioni,  in  aggiunta  a quelle  che,  come  si  è visto,  sono  richieste  perchè  il  fatto  che  essa  sussiste  tra  due  oggetti  a e b può venire  espresso  d’una  formula  del  tì^o  : f a f b. Quali sono  queste  condizioni  risulta in  ogni  caso  dall’esame  delle  proprietà che  caratterizzano  le  diverse  operazioni  i cui  segni  figurano  nelle  formule  da  definire. Il  caso  che  si  presenta  più  frequentemente  è quello  di  relazioni tali che,  mediante esse,  si può attribuire  un  SIGNIFICATO (O SENSO),  oltre  che  alle  formule  del  tipo    yo!  — fb,  anche  a quelle  del  tipo  : fa  fh  + f c,  e per  conseguenza  anche  a  quelle  del  tipo;  fa—fb  — fc,  nonché  a quelle  del  tipo;  fa  — kfb,  ove  “k” rappresenta  un  numero – cf. il sufisso di H. P. Grice, “VACUOUS NAMES”.   Si  ha  un  esempio  di  una  relazione  appartenente  a questa  categoria,  nel  linguaggio tecnico  della FISICA,  in  quella  relazione  che  si  esprime  dicendo,  di  due  dati  corpi,  che  essi  hanno  una  stessa  massa  (‘m’),  o due  masse  che  stanno  fra  loro  in  un  dato  rapporto – cf. Ramsey, Bridgman, The language of physics. Un  altro  esempio  ci  è fornito  da  tutto  un  altro  ordine  di  rapporti,  da  quelli,  cioè,  riferentisi  al  valore  di  scambio  delle  merci.  Mentre  infatti  gl’econo-  [Posso  rimandare  il  lettore,  che  desidera  maggiori  schiarimenti,  a un  saggio  che  recentemente  pubblicato  su  questo  soggetto,  nel  Nuovo  Cimento, ‘Sul  miglior modo  di DEFINIRE  la MASSA nella meccanica – in “Opere” Sul  miglior  modo  di  definire  la  Massa  in  una  tratta-  zione elementare  della  meccanica.   (Nuovo  Cùnento,  voi  XIV,  luglio-agosto-settembre,  1907)-    La  via  comunemente  seguita,  nei  testi  di  Fisica  in  uso  presso  le  nostre  scuole  secondarie,  per  arrivare  al  concetto  di  « massa  » è,  com’è  noto,  la  se-  guente :   Enunciata  la  legge  d’ inerzia,  e definite  le  forze  come  le  cause  che  tendono  a modificare  lo  stato  di  moto  o di  quiete  di  un  corpo,  si  accenna  anzitutto  al  modo  di  confrontarne  e misurarne  l’ intensità  per  mezzo  dei  loro  effetti  statici.   vSi  passa  poi  ad  enunciare,  come  .  ^®®®lerazione  volte  più   Come  un  fatto  sperimentalmente  constatahiio  .i-  chio,  il  Mach  indica  poi  anche  questombelf  ‘'‘PP-®-   c se,  a un  corpo  di  massa    rispetto (*)   (*)  £>te  Mechanik  in  ihrer  Enlwìcke lituo-  hi  et  ■,,     ediz.,  pag.  268.  risc/i.krtlisch  dargeslelU.  Leipzig,  Brockliaus,    SUL  MIGLIOR  MODO  DI  DEFINIRE  LA  MASSA    8oi    a un  dato  corpo,  se  ne  aggiunge  un  altro  di  massa  /«',  essi,  presi  insieme,  si  comportano  come  un  corpo  di  massa  m + nC .   Per  ben  chiarire  la  distinzione  tra  peso  e massa,  il  Mach  consiglia  poi  di  ricorrere  direttamente  alla  considerazione  delle  diverse  resistenze  che  oppon-  gono, al  cambiamento  del  loro  stato  di  moto  o di  quiete,  apparecchi  nei  quali,  come,  ad  esempio,  un  volante,  o una  carrucola  da  cui  pendano  eguali  pesi  dalle  due  parti,  i vari  pesi  che  si  muovono  siano  disposti  in  modo  da  controbilan-  ciare i propri  effetti.   Le  differenze  sostanziali  tra  la  via  seguita  dal  Mach  (Leitfaden  der  Phy-  sik,  pag.  28)  per  stabilire  il  concetto  di  massa,  e quella  che,  con  qualche  dif-  ferenza di  dettaglio,  è seguita  in  pressoché  tutte  le  ordinarie  trattazioni  della  meccanica  per  le  scuole  secondarie  (*),  possono  quindi  ridursi  alle  due  seguenti  ;   1“  Invece  di  definire  la  « massa  di  tm  corpo  »,  il  Mach  definisce  il  « rap-  porto della  massa  di  due  corpi  » ; si  limita  cioè  a precisare  il  senso  delle  frasi  :  « Il  tal  corpo  ha  massa  doppia,  tripla,  etc.,  di  un  altro  ».     Tale  definizione  è da  lui  effettuata  ricorrendo  ad  un’esperienza  nella  quale  i due  corpi  in  questione  sono  fatti  agire  l’uno  sull’altro  ; nella  quale  cioè  le  forze  uguali,  che  sono  constatate  imprimere  ad  essi  accelerazioni  diverse,  sono  rappresentate  dalla  tensione  di  un  filo  che  li  congiuiige  l’uno  all’altro.   E da  notare  che  questi  due  caratteri  della  trattazione  del  Mach  sono  affatto  indipendenti  l’uno  dall’altro,  nel  senso  che  si  potrebbero  immaginare  altre  trat-  tazioni le  quali  avessero  con  essa  comune  il  primo  carattere  e non  il  secondo.   Ciò  è tanto  più  interessante  a rilevare  in  quanto,  tra  gli  inconvenienti  che  presenta  il  metodo  ora  ordinariamente  impiegato,  parecchi,  e non  dei  meno  gravi  dal  punto  di  vista  didattico,  dipendono  unicamente  dal  fatto  che  in  que-  sto, a differenza  di  quanto  si  fa  dal  Mach,  si  ricorre,  per  la  prima  determinazione  del  concetto  di  massa,  al  confronto  delle  diverse  velocità,  o accelerazioni,  che  un  dato  corpo  assume  col  variare  delle  forze  di  cui  subisce  l’azione,  invece  di  ricorrere  al  confronto  tra  le  diverse  velocità,  o accelerazioni,  che  diversi  corpi  sono  capaci  di  assumere  sotto  l’azione  di  una  data  forza.   Ora  è fuori  di  dubbio,  come  è stato  osservato  nel  corso  della  discussione  dal  prof.  F.  Bonetti,  che  sono  i fatti  e le  esperienze  di  questa  seconda  specie,  e non  quelle  della  prima,  che  sono  particolarmente  atte  a dare  un  contenuto  concreto  al  concetto  che  si  vuol  fare  acquistare  daH’alunno.   Che  una  spinta,  data  a una  barca  scarica,  la  faccia  muovere  con  più  velo-  cita, o la  fermi  con  più  facilità,  che  non  la  stessa  spinta  data  alla  stessa  barca  quando  sia  carica  ; che,  in  generale,  — per  citare  letteralmente  la  proposizione  come  si  trova  già  enunciata  nel  Libro  VII,  c.  5 della  Fisica  di  Aristotele    una  data  forza  sia  capace  di  fare  acquistare,  alla  metà  di  un  corpo,  una  velo-  cita doppia  di  quella  che,  a parità  di  condizioni,  farebbe  acquistare  al  corpo    (M  Non  mancano  però  eccezioni.  Il  procedimento  seguito,  ad  esempio,  nel  testo  del  Pitoni,  almeno  nelle  ultime  sue  edizioni,  s’avvicina  molto  a quello  che  più  innanzi  propongo.    51    S02    GIOVANNI  VAILATI    intero  (')  ; — queste  e le  altre  analoghe  esperienze  costituiscono  la  prima  sorgente,  o il  primo  nucleo,  attorno  al  quale  il  concetto  più  preciso  e rigoroso  di  massa  può  gradatamente  formarsi  e organizzarsi  nella  mente  dell’alunno,  come  si  è gra-  datamente formato  e organizzato  nella  storia  della  scienza.   Per  convincersi  della  scarsa  connessione  che  sussiste,  invece,  tra  le  espe-  rienze relative  al  diverso  modo  di  comportarsi  di  uno  stesso  corpo,  sotto  l’azione  di  forze  differenti,  e il  concetto  di,  basta  semplicemente  pensare  che  questo  ultimo  conserverebbe  tutta  la  sua  importanza  teorica  e pratica  anche  in  un  universo  per  il  quale  la  legge  di  proporzionalità  tra  le  forze,  staticamente  misurate,  e le  accelerazioni  da  esse  rispettivamente  impresse  a un  dato  corpo,  cessasse  affatto  di  aver  vigore,  purché,  in  tale  universo,  i rapporti  tra  le  acce-  lerazioni, che  le  varie  forze,  agendo  per  un  dato  tempo,  impritnono  rispettiva-  mente ai  vari  corpi,  restassero  fìssi  (indipendenti  cioè,  per  esempio,  dalla  dire-  zione e intensità  delle  forze,  dalle  posizioni  presentemente  e antecedentemente  occupate  dai  corpi,  dal  tempo  per  il  quale  questi  sono  stati  tenuti  in  riposo,  dalle  velocità  loro,  dalle  forze  che  su  essi  contemporaneamente  agiscono,  etc.).   Come  giustamente  è stato  osservato  (Clifford,  The  Commo7i  Sense  of  thè  cxact  Sciences,  London,  1907,  pag.  270),  ciò  che    importanza  alla  nostra  cono-  scenza della  7nassa  dei  corpi  è semplicemente  questo  : che,  da  essa,  noi  siamo  messi  in  grado  di  applicare  la  nostra  eventuale  conoscenza  degli  effetti  che  date  circostanze  (tensioni,  urti,  pressioni,  etc.)  producono  sul  modo  di  muoversi  anche  di  un  solo  corpo,  per  determinare  gli  effetti  che  le  stesse  circostanze  produr-  rebbero sul  movimento  di  q7ialu7ique  altro  corpo  (®).   Ma  se,  per  il  primo  dei  sopraindicati  due  caratteri,  la  forma  di  esposizione  proposta  dal  Mach  si  presenta,  a mio  parere,  come  preferibile  a quella  seguita  nella  trattazione  ordinaria  della  massa  nei  testi  per  le  scuole  secondarie,  ben  diverso  mi  sembra  il  caso  per  l’altro  carattere  che  resta  da  considerare,  quello  cioè  che  concerne  la  scelta  degli  apparecchi  e delle  esperienze  su  cui  basare  la  prÌ77ia  co7istatazio7ie  del  diverso  modo  di  accelerarsi  di  corpi  diversi  sotto  l’azione  di  forze  uguali.   Il  ricorrere,  per  questo  scopo,  ad  esperienze  in  cui  le  forze  uguali  conside-  rate sono  rappresentate  dalle  azioni  che  due  corpi  esercitano  l’uno  sull’altro    sia  che  queste  vengano  provocate  per  mezzo  dell’apparato  a forza  centrifuga  descritto  sopra  (^),  sia  con  altre  disposizioni  (per  esempio,  come  propone  il  Love,    (* *)  Si  ritrova  questa  stessa  proposizione,  e sotto  questa  stessa  forma,  anche  nei  manoscritti  di  Leonardo  da  Vinci  (Cfr.  l’edizione  del  Ravaisson-Mollien.  Paris,  1889,  fol.  26  recto).   (*)  Cioè,  per  servirmi  di  una  locuzione,  opportunamente  introdotta  dall’  Enriques  (Pro-  blemi della  Scienza,  Bologna,  1906,  pag.  406),  1’  importanza  del  concetto  di  massa  non  sta  solo  nel  suo  designare  una  data  specie  di  « sosliluibililà  »,  o « equivalenza  »,  dei  corpi,  ma  nel  fatto  di  indicare  come  differisca  il  comportarsi  (rispetto  alle  forze  che  su  essi  agiscano)  di  due  corpi  meccanicamente  noti  sostituibili.   (*)  Come  il  Mach  gentilmente  m’ informa,  egli  stesso  non  è perfettamente  soddisfatto  di  questa  parte  del  suo  procedimento.  A ricorrere  alle  esperienze  con  quell’apparato  a forza  cen-    SUL  MIGLIOR  MODO  DI  DEFINIRE  LA  MASSA    803    facendo  urtare  tra  loro  due  corpi  elastici  appesi  a due  fili,  e confrontando  le  altezze  da  cui  si  sono  lasciati  cadere  con  quelle  a cui  risalgono  dopo  l’urto)    sembra  a me  presentare  dal  lato  didattico  dei  gravi  inconvenienti.   Le  esperienze,  alle  quali  in  tal  modo  si  viene  a fare  appello,  esigono,  per  essere  interpretate  e riconosciute  adeguate  allo  scopo  a cui  sono  rivolte,'  una  quantità  di  ipotesi  e di  cognizioni  preesistenti,  la  cui  considerazione,  anche  se  non  offre  speciali  difficoltà,  tende  però  a distrarre  l’attenzione  dell’alunno,  e a  rendergli  più  difficile  il  chiaro  apprendimento  del  principio  che  si  tratta  di  il-  lustrare e di  provare.   Il  condensare  e il  far  quasi  coincidere,  come  vorrebbe  il  Mach,  in  un  solo  enunciato,  da  provare  e verificare  con  una  stessa  serie  di  esperienze,  due  prin-  cipii  così  diversi,  a primo  aspetto,  come,  da  una  parte,  quello  dell’uguaglianza  dell’azione  alla  reazione,  e,  dall’altra  parte,  quello  della  costanza  del  rapporto  tra  le  accelerazioni  prodotte  da  una  stessa  forza  su  corpi  di  diversa  massa,  se  corrisponde  a un’  ideale  altamente  apprezzabile  di  trattazione  teorica,  non  mi  sembra  affatto  raccomandabile  come  espediente  didattico.   Ciò  di  cui  ha  soprattutto  bisogno  l’alunno,  nella  prima  fase  di  studio  della  meccanica,  è di  avere  a propria  portata  dei  tipi  di  esperienze  che,  anche  senza  prestarsi  a verifiche  quantitative  rigorose,  gli  offrono  delle  illustrazioni  imme-  diate e dirette  delle  singole  proposizioni  su  cui  la  trattazione  si  basa.   E,  per  quanto  riguarda  la  massa,  sembra  a me  che  le  esperienze  che  me-  glio soddisfano  a questa  condizione  siano  :   in  primo  luogo,  quelle  in  cui  si  confrontano  le  velocità  che  assumono  dei  corpi  mobili  (per  es.  carrelli  su  guide,  galleggianti,  etc.)  in  un  piano  orizzontale  (naturalmente  in  condizioni  da  eliminare  più  che  sia  possibile  l’attrito)  sotto  l’azione  di  date  spinte  o trazioni,  rappresentate  da  dati  urti,  o pesi  ;   in  secondo  luogo,  quelle  in  cui  le  velocità  che  si  confrontano  sono  quelle  che  assumono,  su  due  piani  diversamente  inclinati,  due  gravi  i cui  pesi  siano  prima  stati  constatati  esser  tali  da  produrre  una  stessa  tensione  su  due  fili  pa-  ralleli ai  rispettivi  piani,  da  cui  essi  prima  pendevano  ;   in  terzo  luogo,  le  esperienze  colla  macchina  di  Atwood  (*),  o con  altri  analoghi  apparati  in  cui,  per  esempio,  i due  gravi,  pendenti  dalle  due  parti  della  carrucola,  possano  esser  fatti  muovere  lungo  piani  diversamente  inclinati,  etc.   Della  difficoltà,  o impossibilità,  di  rimuovere  l’influenza  perturbatrice  degli  attriti,  non  si  dovrebbe  qui  preoccuparsi  più  di  quanto  si  faccia,  per  esempio,   nelle  prime  esperienze  relative  alle  condizioni  di  equilibrio  delle  macchine  sem-  plici.    essere  stato  indotto  dalle  obbiezioni  che,  al  suo  modo  di  far  dipendere  il  con-  cetto  CI  mas.sa  da  quello  di  azione  reciproca  tra  due  corpi,  erano  state  mosse  da  alcuni  suoi  eg  I tra  gli  altri  Boltzmann  — i quali  asserivano  che  il  definire  la  massa  in  tal  modo  implicava  la  considerazione  di  azioni  a distanza.    dell’  ^ inconvenienti  didattici,  notati  nel  corso  della  discussione  dal  prof.  M.  Ascoli,   zamend*^'^^”  Prematuro  della  macchina  d’Atwood  sono  interessanti  le  osservazioni  e gli  apprez-   «w/ "i"  rapporto  sull’  insegnamento  della  meccanica  elementare,  negli  Atti  del   Jirtixsh  Association  Meeting  (Johannesburg,  1905).    8o4    GIOVANNI  VAILATI    Solo  in  seguito,  quando  l’alunno  abbia  bene  afferrato  il  significato  dei  prin-  cipii  fondamentali,  potrà  esser  conveniente  guidarlo,  per  successive  approssima-  zioni, a tener  conto  dei  vari  ordini  di  cause  perturbatrici,  e ad  apprezzarne  anche  quantitativamente  l’influenza.   Tenendo  presente  quest’ultima  osservazione  si  potrebbe  anche  procedere  ad  un  altro  ordine  di  esperienze:  quelle  cioè  che  si  riferiscono  alla  caduta  dei  corpi  in  liquidi  di  diversa  densità.   Porre  l’alunno  davanti  a un  apparecchio  in  cui  figurino,  pendenti  dalle  due  parti  di  una  carrucola,  due  corpi  di  ugual  forma,  i cui  diversi  pesi  siano  scelti  in  modo  da  equilibra/  1 quando  l’uno  e l’altro  dei  detti  corpi  vengano  rispettivamente  immersi  in^^itic  dati  liquidi  di  diversa  densità,  e invitarlo  a pre-  vedere quale  dei  due  corpi  scenderebbe  con  maggior  velocità  se  ciascuno  fosse  lasciato  libero  nel  rispettivo  liquido,  e a rendersi  ragione  del  fatto  che  il  più  pesante  scenderebbe,  in  tal  caso,  più  lentamente  del  più  leggero,  pare  a me  costituisca  un  ottimo  mezzo  per  indurlo  a riflettere  sul  significato  e sulla  por-  tata della  distinzione  tra  peso  e massa.   E da  notare  che  è appunto  per  questa  via,  e attraverso  considerazioni  di  questa  specie  (relative  cioè  a campi  di  forze  in  cui  gravi  si  muovono  sotto  l’a-  zione di  una  parte  soltanto  della  forza  rappresentata  dal  loro  peso),  che,  nella  storia  della  meccanica  moderna,  il  concetto  di  massa  si  è svolto  ed  elaborato  come  distinto  da  quello  di  peso.   É molto  interessante  a questo  proposito  il  seguente  brano  che  trascrivo  dalla  prefazione  del  Baliani  alla  sua  opera  De  motu  gravitivi  (1638),  nel  quale  la  suddetta  distinzione  si  trova  esplicitamente  formulata,  e applicata  al  caso  della  libera  caduta  dei  gravi,  con  parole  poco  diverse  da  quelle  che  furono,  più  tardi,  adoperate  dal  Newton,  spesso  erroneamente  citato,  a tale  riguardo,  come  il  primo  cui  si  debba  un’espressa  definizione  del  concetto  di  ‘massa  :   « ....  E fui  condotto  a pensare  che,  mentre  il  « peso  » (gravitas)  si  com-  « porta  come  un  « agente  »,  la  « materia  » si  comporta  invece  come  un  « /a-  « zietite  »,  e che  quindi  i gravi  si  muovono  secondo  la  proporzione  dei  loro  pesi  « alla  loro  « materia  »,  onde  se  cadono  senza  impedimento  verticalmente,  si  « devono  muovere  tutti  colla  stessa  velocità,  poiché  quelli  che  hanno  più  « peso  »   « hanno  anche  più  materia  o « quantità,  di  materia  » [plus  materiae,  seti  mate-  « rialis  quantitatis).  Quando  invece  vi  sia  qualche  impedimento  o resistenza,  il  « moto  si  regolerà  secondo  l’eccesso  della  « virtù  che  agisce  » sulle  resistenze  « e sugli  impedimenti  al  moto  » («  secundum  excessum  virtutis  agentis  super  resi-  stentiam  passi,  seti  impedientia  motum  » ; in  altre  parole,  secondo  il  valore  di  quella  parte,  o componente,  del  loro  peso  che  può  effettivamente  agire,  e che  è rappresentata  dallo  sforzo  che  si  dovrebbe  esercitare,  in  direzione  contraria  al  moto,  per  trattenere  il  grave  dal  cadere).]. economisti  utilitarii – futilitarii citati da Grice -- possono,  e devono,  determinare  e definire  esattamente  il  SIGNIFICATO (O SENSO) di  frasi  come  le  seguenti. IL  VALORE della  tal  merce  è UGUALE al  valore  della  tale  altra. IL VALORE MONETARY  della  tal  merce  è UGUALE  alla SOMMA  dei  valori  delle  tali  due  altre. Etc. Essi  non  hanno  alcun  bisogno, e  neppure  alcuna  possibilità,  a meno  di  cadere in  tautologie, di  definire  isolatamente  la  parola  “VALORE.” E tale impossibilità non dà luogo, nè  qui, nè  negli altri  casi  analoghi,  ad alcun inconveniente o ambiguità. Precisamente, come  nessun  inconveniente  deriva nel  LINGUAGGIO ORDINARIO (GRICE, ORDINARY LANGUAGE PHILOSOPHY) dal fatto che noi NON siamo in grado di dire che cosa significhino [SIGNIFICA] isolatamente  le  parole “stregua,” “solluchero,” “josa,” “zonzo,” “acchito,” “chetichella,” “vanvera,” etc.,  bastandoci del tutto conoscere il SIGIFICATO (O SENSO) di tutte le frasi in cui tali parole compaiono – cioè, delle FRASI: “giudicare a una data STREGUA,” “andare in SOLLUCHERO,” “averne  a  JOSA,” “andare  a ZONZO,” “di  primo  ACCHITO,” etc. – CHETICHELLA. VANVERA. STREGUA – GIUDICARE A UNA DATA STREGUA – SOLLUCHER –ANDARE IN SOLLUCHERO – JOSA – AVERNE A JOSA – ZONZO – ANDARE A ZONZO – ACCHITO – DI PRIMO ACCHITO – CHETICHELLA – VANVERA -- [to judge by a given standard, to go delighted, to have joy, to go for a round, at first glance. -- Il frequente impiegò che è fatto,  nei vari  rami  della  matematica,  di  locuzioni, o segni  di  funzione,  il  cui  SIGNIFICATO (O SENSO) è determinato  solo  per  mezzo  di  definizioni per  astrazione,  viene  a confermare  ciò  che  già  è stato  asserito  indietro,  quando  si  assegna  come  uno  dei  tratti  caratteristici  del  linguaggio  algebrico,  di  fronte  al  LINGUAGGIO ORDINARIO [informalists di Grice],  il  maggior  rilievo  e la  maggiore  importanza  che  assumono  in  esso  i segni  i quali,  non  avendo,  quando  siano  considerati  isolatamente, alcun  SIGNIFICATO (O SENSO) separatamente  enunciabile,  sono  capaci  di  venire  definiti  solo  in  modo  IMPLICITO – cioè, solo  coll’ indicare  il  SIGNIFICATO (O SENSO) d’intere  espressioni -- o formule -- in  cui  il  segno  da  definire  compaia  associato  con  altri  segni. Il  riconoscere  come  affatto  legittimo  l’impiego  di  segni  o parole,  che  si  trovano  in  questo  caso,  e come  affatto  irragionevole l’esigenza,  per  essi, d’una  definizione ESPLICITA,  non  è privo  d'importanza,  teorica  o pratica,  anche  fuori  del  campo  delle  scienze  matematiche. Basta  dare  uno  sguardo  alle  prime  pagine  degl’usuali  libri  di  testo,  o ai  manuali  elementari  di  qualsiasi  ramo  d’insegnamento  — dalla  grammatica  al  diritto  costituzionale,  dalla  elettrotecnica  alla  musica  —,  per  convincersi  del  grave  danno  che  deriva  alla  chiarezza  e alla  intelligibilità  (e  nello  stesso  tempo  anche  alla  precisione  e al  rigore)  della  esposizione  dalla  tendenza  dei  trattatisti a riguardare  come  unico  mezzo,  per  la  determinazione  del  SIGNIFICATO (O SENSO) dei  termini  tecnici,  il  ricorso  alle  DEFINIZIONE *propriamente  dette*.   Che  il  procedimento  ordinario  di  definizione  — quello  cioè  secondo  il  quale,  prendendo  in  considerazione  la  nozione  da  definire,  isolatamente  e indipendentemente dalle  frasi  nelle  quali  essa  dove poi  essere  adoperata  per  dire  qualche cosa,  si  mira  a decomporla  nei  suoi  elementi,  facendola  comparire,  in  certo  modo,  come  il  risultato  della  intersezione  d’altre  nozioni  più  generali  — [il fratendimento di Mrs. Jack sul reduzionismo di H. P. Grice, “to mean” “to intend”, asymmetricalista -- può  essere,  in  dati  casi,  utile  e anche  necessario,  non  è da  porre  in  dubbio.   Ma,  anche senza tener conto del fatto che,  anche  seguendo  tale  procedimento, si  dove  pure  arrivare,  presto  o tardi,  a nozioni  che  non  possono  essere  in  tal  modo  ricondotte  ad  altre  più  generali – il punto essato di Grice quando preferisce dare una definizione IMPLICITA di ‘willing’ --,  anche  senza  tener  conto,  dico,  di  questa  circostanza,  chi  espone  gl’elementi  di  qualunque  scienza o rama della filosofia non  dove mai  trascurare  di  domandarsi,  ogni  volta  che  si  tratti  d’introdurre  un  nuovo  segno,  e di  spiegarne  il  SIGNIFICATO (O SENSO),  se,  tra  i due  modi,  visti  sopra,  di  procedere  alla  determinazione  di  questo  - tra  quello,  cioè,  che  consiste  nel  darne  una  definizione  propriamente  detta,  e l’altro  invece  che  consiste  nel  precisare  semplicemente  il  senso  di  determinate  frasi  nelle  quali  il  termine  da  definire  figura  -,  sia  più  conveniente  il  primo  o il  secondo. Se,  per  esempio – cf. Grice on psychological laws --,  quei  concetti (più  generali  di  quello  che  si  vuol  definire),  ai  quali  deve  essere  fatto  ap-  pello quando  si  proceda  nel  primo  modo,  siano  poi  veramente  più  chiari  e piu  facilmente  apprendibili,  dagli  alunni  o dai  lettori,  di  quanto  non  sia  il  concetto  stesso  che  si  vuol  definire,  e se,  ad  ogni  modo,  quest’  ultimo  non  possa  essere  più  facilmente  da  essi  acquistato  mediante  la  diretta  osservazione  dei  fatti  e  delle  relazioni  che  esso  dovrà  poi  servire  ad  esprimere.   Le  discussioni  interminabili  sul  tempo,  sullo  spazio,  sulla  sostanza,  suU’in-  finito,  etc„  che  occupano  tanta  parte  in  ' certe  trattazioni  filosofiche,  forniscono  numerosi  e caratteristici  esempi  delle  varie  specie  di questioni  fittizie alle  quali  può  dar  luogo  la  pretesa  di  dare,  o di  ricevere,  definizioni  propriamente  dette,  in  quei  casi  in  cui  le  parole  o nozioni  delle  quali  si  tratta  di  determinare il  SIGNIFICATO (O SENSO) O ANALYSANS  sono  di  tal  natura  da  non  poter  essere  definite  se  non  ricorrendo a procedimenti  analoghi  a quelli  rappresentati,  in  algebra,  dalle  « defini-  zioni per  astrazione  ».   [Si  è parlato  fin  qui  dei  mezzi  che  l’algebra  ha  a disposizione  per  esprimere  proposizioni  isolate.   Ma  quando  si  discute,  o si  cerca,  o si  dimostra,  si  ha  altresì  bisogno  di  poter  collegare  le  proposizioni  le  une  con  le  altre. Si  ha  cioè  bisogno  di  mezzi  per  esprimere  i rapporti  di  dipendenza  o di  indipendenza  che  sussistono,  o che  si  vogliono  stabilire,  tra  esse.   A tale  scopo  servono,  nel  LINGUAGGIO ORDINARIO,  quelle  particelle  che  i grammatici distinguono  col  nome  di “congiunzioni”.  E piu facile spiegare ‘p v q’ che il SENSO di ‘o’ – in fatto, suona straneo di questionare per il SIGNIFICATO O SENSO di “o” o “a” (to) – Grice.  L’ufficio  di  queste,  rispetto  alle  pro-posizioni,  si  può  paragonare  a quello  che  adempiono  le  pre-posizioni – il ‘to’ di Grice -- rispetto  ai  nomi..   Allo  stesso  modo  come  una  pre-posizione,  posta  tra  due  nomi,    luogo  a  una  locuzione  atta  a esercitare  l’ufficio  di  un  nuovo  nome – “Jones e tra Williams e Smith” – CHE SENSO? FISICO, MORALE? --,  così  anche  una  congiunzione – il ‘o’ di Grice --, posta  tra  due  asserzioni,  da  luogo  a una  nuova  asserzione,  la  cui  verità o falsità  può  anche  essere  indipendente  dalla  verità  o falsità  di  ciascuna  di  esse.   Per  una  scienza  a tipo  deduttivo,  come  e appunto  1 algebra,  le  piu  impor-  tanti congiunzioni  sono  naturalmente  quelle  che  servono  a indicare  che,  di  due  date  asserzioni,  l’una  è conseguenza  dell’altra.   Al  posto  delle  molteplici  particelle,  o perifrasi,  che  sono  adoperate  a tale  scopo  nel  linguaggio  ordinario  -- “dunque”,  “quindi,” “perciò,” “donde,” “di  qui,” “per  cui,” “se,” (Grice, if); “quando,” “in  caso  che...,”  “ne  deriva,” “ne  consegue,” “ne  risulta,” etc. -- non  si  ha  bisogno  in  algebra  che  di  avere  a disposizione  un  solo  segno.   Altre  congiuzioni  assolutamente  indispensabili  in  qualsiasi  trattazione  algebrica, che  non  è una  semplice  raccolta  di  formule,  sono  le  seguenti. Una  per  indicare  che  una  proposizione  enunciata  non  è vera  (un  segno cioè  corrispondente  al  “non” del  linguaggio  ordinario – cf. Grice, “Negation and privation” – “We may do without ‘not’ but we would need to introduce one of the strokes, making our conversational moves go against the maxims”). Altre  due,  corrispondenti,  rispettivamente,  all’ “e”  e all’”o” del  linguaggio ordinario,  per  indicare  che  due  date  proposizioni  sono  simultaneamente  vere,  o che  di  esse  una,  e una  sola  può  essere  vera.   L’avere  introdotto  quattro  speciali  segni  per  indicare  i suddetti  quattro  rapporti  tra  le  proposizioni,  e l’aver  riconosciute  le  curiose  analogie  che  sussistono tra  le  proprietà  di  tali  segni  e quelle  degli  altri  segni  già  adoperati  in  algebra,  e merito  di  Leibniz  e dei  fondatori  della  cosiddetta,  scelti  e costruiti deliberatamente  in  vista  degli  scopi  ai  quali  devono  servire,  e il  cui  sviluppo  non  è soggetto  a leggi  o uniformità  del  genere  di  quelle  che  lo  studio  comparato  permette  di  riconoscere  e di  formulare  per  i linguaggi  “naturali,” non  mi  pare  ha gran  peso.   Alla  distinzione  stessa  tra  lingue  “naturali” e lingue  “artificiali” – formale – formalisti di Grice -- mi  sembra  difficile  che  dagli  stessi  glottologi  può  venire  attribuito  alcun  senso  preciso  e scientifico,  quando  essi  ammettono  che  nella  formazione  e nello  sviluppo di  qualsiasi  linguaggio,  per  quanto  “naturale” (lay) e non  colto (learned),  una  parte  non  trascurabile  è pur  sempre  da  attribuire  ai  fattori  volontari  e individuali  che  ne  determinarono  i successivi  adattamenti  alla  sua  funzione  di  strumento  per  esprimere  e comunicare  determinati  sentimenti  o idee – Austin. Grice to Warnock: How clever language is! For it had done for us distinctions we needed. And who needs ‘visa’? È strano  del  resto  che  mentre  l’obiezione  della  ARTIFICIALITÀ  NON  è considerata  valida  per  escludere  dal  campo  della  glottologia  e della SEMASIOLOGIA lo  studio  dei gerghi propri delle classi più infime della società,  essa  dove  aver  vigore  soltanto  per  il  caso  di  quelli  che,  nella  peggiore  ipotesi,  ci  contenteremmo  di  veder  classificati  come  dei  gerghi  ideografici – le parole sonodi CROCE (si veda),  propri  ai  cultori  delle  più  progredite  tra  le  scienze].   [Accenno  infine  a una  considerazione,  d’indole  tutto  aflfatto  pratica  e  attuale,  che  mi  ha  fatto  parere  tanto  più  opportuno  richiamare  l’attenzione  dei  filologi  sui  caratteri,  per  così  dire,  linguistici  dell’algebra.   Va  diventando  sempre  più  un  luogo  comune,  nelle  discussioni  sull’ordinamento degli  studi  nelle  nostre  scuole  secondarie,  il  lamento  sui  danni  derivanti,  allo  studio  delle  lingue  antiche  o moderne,  dall’impiego  di  metodi  troppo “grammaticali” o “filologici”,  -- Grice insegna greco a Rossall per un periodo -- dalla  troppa  parte,  cioè,  che  è fatta  ordinariamente, nei  primi  stadi  dell’insegnamento,  all’enumerazione delle regole grammaticali, in  confronto  allo  scarso  tempo  e alla  minor  cura  dati  invece  agl’esercizi  di  interpretazione  e di  conversazione. A questo  che  si  ritiene  comunemente  essere  un  difetto  particolare  dell’insegnamento delle  lingue,  fanno  riscontro,  a mio  parere,  dei  difetti,  non  solo  analoghi,  ma  addirittura  identici  in  quella  parte  dell’insegnamento  scientifico  che  ha  per  scopo  di  fare  acquistare  agl’alunni  la  capacità  di  servirsi  delle  notazioni  dell’algebra. Promuovere  un  chiaro  riconoscimento  di  questa  specie  di  solidarietà  tra  due  rami  d’insegnamento  che  la  tradizionale  distinzione  delle  “materie” in  letterarie  e scientifiche  tende  a far  riguardare  come  eterogenei  e privi  di  qualsiasi rapporto  tra  loro  equivale  a render  possibile,  tra  i cultori  dei  due  ordini  di  disciplina,  uno  scambio  d’idee  che  non  mancherebbe  di  riuscir  fecondo  di  eguali  vantaggi  per  ambedue  le  parti]. Giovanni Vailati, Vailati. Keywords: Peano. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Vailati.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valdarnini – scuola di Castiglion Fiorentino – filosofia toscana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Castiglion Fiorentino). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Castiglion Fiorentino, Toscana.  Profesore di filosofia, Bologna. V. di Castiglioni, professore in Bologna  di Alpini  PERCORSO: Fatti, personaggi, documenti ed oggetti testimoni di vita e di storia > questa pagina  Alpini ringrazia il geometra Rossano Gallorini che l’offre la possibilità, tramite due lettere del suo archivio personale, di approfondire un ulteriore aspetto della famiglia di V. per anni docente di filosofia teoretica a Bologna. V. proviene d’una modesta famiglia di lavoratori della terra, ma, nonostante ciò riusce a studiare prima presso gli Scolopi in Castiglion Fiorentino, poi a Pisa dove consegue la laurea.  Dopo aver insegnato in vari licei vince la cattedra presso la prestigiosa Bologna ove insegna  Carducci e successivamente Pascoli. V. è un tenace assertore dell'esistenza obiettiva d’una realtà assoluta e infinita, dell'anima e di Dio. Il confronto con il positivismo lo condusse ad affermare la supremazia della metafisica sulla scienza, anche se, secondo V., la metafisica dove essere critica e positiva ravvivata dal progresso delle scienze sperimentali e dalle altre discipline. V. ricordato a Castiglion Fiorentino, dall'associazione Spazio aperto", con l'evento, Il percorso umano e culturale di V: dall'amata Castiglioni alla dotta Bologna. Narrazione e mostra documentaria” V. partecipa attivamente alla vita politica della sua città natale e ne è sindaco nelle file del partito veramente monarchico e veramente democratico. Nel primo dopoguerra fonda, sulla scia di PASCOLI (si veda) e CORRADINI (si veda), a Castiglion Fiorentino l'Associazione Nazionale, ma quando questa, si fuse con il Fascismo troviamo V. segretario del fascio locale. Dal matrimonio con Vittoria Tocci erano nati ben sette figli. I due maschi, Corrado e Virgilio, muoroo in modo prematuro. Le figlie: Valeria, Virginia, Clara, Ida e Giorgina ereditano dal padre un cospicuo patrimonio composto da diversi poderi, due case in Castiglion Fiorentino ed una villa a Cegliolo in comune di Cortona e titoli bancari. Valeria, la più grande, vive a Modena ed sposa un Tavernari. Le altre sorelle viveno a Castiglion Fiorentino. Ida che sposa un Ferrari è nominalmente la responsabile delle sorelle V. delle quali una aveva forti problemi di salute. Nel dopoguerra le condizioni economiche sono peggiorate e non navigano in buone acque, ma, nonostante ciò le sorelle cercano di mantener fede ai desideri del padre che ha espresso questo desiderio nel suo testamento di rimanere unite. Probabilmente la sorella che vive a Modena è quella che se la passa meglio e quindi speravano in un suo aiuto concreto. Valeria ospita per circa un mese alcune sorelle, ma non poteva lesinava aiuti concreti. Di ciò se ne duole Ida in una lettera che non abbiamo. Nella risposta che abbiamo a questa missiva appaiono chiaramente le prime crepe ed i primi dissapori. Anche il nipote Vittorio che, probabilmente ha un buon stipendio in quanto dipendente di una Compagnia di Navigazione, nell'inviare dei soldi, fa pesare il sacrificio che gli costa il farlo e esterna i sacrifici che deve fare stando lontano da casa per mesi. Oggi vivono a Castiglion Fiorentino solo parenti lontani che hanno partecipato attivamente al ricordo che l'Associazione Culturale "Spazio Aperto" ha organizzato con il titolo "V.: dall'amata Castiglioni alla dotta Bologna. Narrazione e mostra documentaria". Nell’Istituto Superiore di Magistero ^kmmiwilp: in jlox*  FIRENZE COI TIPI DI M. CULLIMI E C.  alla Galileiana Oli esemplari di questo libro non muniti della firma  originale dell’Amore si riterranno falsili a 0 i n  lore procederà contro I ralsiflcnlnn. FILOSOFIA.  SULLA TEORICA DELLA   DIANA CONOSCENZA E DELLA MORALE   IN RELAZIONE   COLLE DOTTRINE DI E. KANT. Argomento o sua opportunità. Nozione del Vero e del Bene. Loro fondamento reale. Principali facoltà conoscitive o morali del¬  l'uomo. Leggi razionali e legge morale. Loro  fondamento c valore. Senso, intelletto e ragione  pura speculativa secondo, il Kant, ed ufficio loro. Valore c limiti della ragione para speculativa.  Tre ordini di cognizioni umane. Differenza tra la Ma¬  tematica, la Fisica e la Metafisica, secondo il Kant. Distinzione kantiana del fenomeno dal nou¬  meno. In qual senso vero può ammettorsi tal distin¬  tone. Teorica della relatività della conoscenza umana. Conno sul Neokantismo. Cenno  sul nuovo Criticismo o Realismo tedesco ed inglese.  L’ inconoscibile di Spencer. In qual senso c  dentro quali confini la conoscenza umana si può e si  deve ammettere come relativa, -r- Obbietto o va¬  lore della ragiono pratica o morale, secondo il Kant.  Vi li a contraddizione fra la Critica della ragione pui a  eia Critica della ragione pratica? Giudizj opposti di varj filosofi. Due criterj, secondo noi, per  risolvere il quesito. Criterio soggettivo : Secondo 1 in¬  tendimento del Kant vi è contraddizione fra quello due  Critiche? Breve raffronto delle tro Critiche di lui.  Criterio oggettivo: Le ideo morali sono asso¬  lute ed oggettive anche pel Kant, oppure sono relative e soggettive? La ragione umana può scindersi in  duo facoltà, in ragione speculativa e in ragione mo¬  rale, opposte fra loro? L’intoresse teorico può egli  separarsi dall'interesse pratico della ragione? Le dot¬  trine di Kant sulla conoscenza umana o sulla Morale,  considerate oggettivamente, non isfuggono alla con¬  traddizione. La relatività della conoscenza  umana e dolla scienza, nell'odierno significato, impli¬  ca logicamente una Morale affatto relativa. Nostra  dottrina sulle relazioni oggettive, necessario o natu¬  rali fra il conoscere o l'operare umano, o però tra il  Vero ed il Bene.    Tre fatti notabili ed importanti nell’ordine filo¬  sofico e scientifico e nell’ordine morale mi paro do¬  vrebbero fermare oggidì l’attenzione dello studioso  e del pensatore. Questi fatti sono: La moderna  teoria della relatività della conoscenza umana-, il  ritorno di parecchie menti, specie in Germania, alla  filosofia speculativa e pratica del Kant; una ten¬  denza quasi generale presso gli odierni scienziati  c filosofi a porre in discussione la Morale ed a cercarne  nuovi fondamenti, considerandola alcuni come re¬  iva instabile ed evolutiva, altri come assoluta  oggettiva, universale ed iucrolkbil» •  sistemi scientifici e filosofici. Di quei tre fatti mi  propongo d’esaminare con brevità nel presente lavoro  i primi due segnatamente, e di vedere così qual  relazione logica c naturale corra fra il sapere o il  conoscere e l’operare umano, e se il Kant cadesse  o no in contraddizione co’suoi principj teoretici di¬  versi da quelli morali. Determinato così il campo  di queste indagini, non debbo nè voglio qui esa¬  minare i varj sistemi morali antichi e moderni: i  quali ultimi, come accennai in altro mio lavoro (Studj  critici di Filosofia morale e sociale, Firenze),  possono ridursi principalmente alla Morale razionali¬  sta ed assoluta, alla Morale indipendente, alla Mo¬  rale dei Positivisti e alla Morale evoluzionista; men¬  tre la Morale spiritualista e la teologica son comuni  sì all’evo antico e sì al moderno.  Il Vero ed il Bene sono concettiuniversali. Uni¬  versali, perchè gli uomini tutti, anche i meno civili  e colti, hanno un certo sentimento ed una certa  nozione della Verità e del Bene, come si ravvisa-  altresì nei loro discorsi e giudizj e nell'azioni loro.  Universale il concetto di Vero, perchè la mente  nostra l’applica agli esseri tutti che vengano in qual¬  che modo in attinenza con lei ; anzi l’applica alle  stesse operazioni dello spirito, e quindi a’sentimenti,  a’pensieri, alle cognizioni, a’giudizj, ai ragionamenti,  alla scienza, all’arte, agli stessi atti della libera vo¬  lontà. Dunque così al gran mare dell’essere come a tutto l’ordine del conoscere e, sotto un certo ri¬  spetto, all’ordine dell'operare si estende il concetto  di Vero. Universale il concetto di Bene, perchè la  mente nostra riconosce c giudica buone le cose tutte,  che siano quello che debbono essere por natura loro,  che sieno amabili o per intrinseche perfezioni, o  per Tatile e pel diletto che ci procurano ; e perche  a tutti gli atti umani, in quanto procedono dalla  ragione c dalla volontà libera, e sono conformi alla  legge inorale, si applica dalla mente il concetto di  Buono.-Se pertanto il Vero ed il Buono hanno il  carattere dell’universalità, in che troveranno il loro  fondamento? Non possono averlo, quali concetti, nello  spiritò umano, anzi in veruna mente finita, perchè  le menti finite sono contingenti e individuali, non  necessario ed universali, c perchè non possono fave  a meno di usare, fra gli altri, quei due concetti.  Non possono averlo in alcuna delle cose mondiali,  perche l’individuale e il particolare non può mai  scambiarsi coll’universale. Il vero fondamento del  Uro e del Beno non può ravvisarsi che nella na¬  tura medesima degli enti in universale -, e però il  ero ct i,i Bene hanno il carattere dcll’obbiettività.   »2"T iemm » « i.   nota ad altro * r* ° l0tlavÌ!l 'l ue3t l esser   quindi giudicarla ver, o fll |,, duna . 0Ma > 0  intanto, la cosa in .a * 3 '’ uona 0 catt ' va 1 ma,  v»a o no» vi“1"““'’ T"° C ',e a !"*»  ’ bU0 ” a 0 ”™ ^ona, indipcnden- dell’umana conoscenza e della modale 7  temente dal giudizio è dal volere delle menti finite.  V'ha pertanto il Vero oggettivo universale, come il  Bene oggettivo universale, fondati sulla stessa natura  degli enti. Anzi il concetto universale che noi ab¬  biamo del Vero e del Bene conserva questo carattere  di universalità, perchè fondato in una necessità non  formale, nè soggettiva, si materiale od ontologica ed  oggettiva. D’altra parte', il Vero ed il Bene oggettivi pos¬  sono stare disgiunti da ogni intelligenza e da ogni  volontà? No, perchè' il Vero suppone una mente  che lo' conosca, e il Bone suppone una volontà che  l ami e che lo voglia conseguire. Le cose tutte, vere  od intelligibili, o buone od amabili, richiedono per¬  tanto una relazione naturale coll’Intelligenza e colla  Volontà. Inoltre, gli esseri finiti corno avrebbero in sè  stessi, e specie gli enti irragionevoli, il carattere della  verità e della bontà, senza una Monte ed una Volontà  infinita che li abbia appunto creati e veri e buoni?  E questa Mente e Volontà assoluta non potrebbesi  concepire se non come essenzialmente vera e buona  in sè stessa. Il Vero ed il Bene, benché fondati sulla  natura degli esseri, hanno dunque attinenza natu¬  rale e necessaria coll’Intelletto e colla Volontà. Ora,  nell’uomo esistono diverse facoltà deputate a cono¬  scere il Vero, ad amare ed operare il Bene. Ogni  entità, come ha natura e leggi sue proprie, così ha  un fine speciale ; ogni funzione ed atto ha un termine proprio : e    io : e però termine, fine, oggetto immediato-    della Intelligenza è il Vero ; termine, fine, oggetto  immediato della Volontà il Bene. Qui non mi fermo-  a dimostrare le intime relazioni da una parte fra  il Vero ed il Buono, dall’altra fra il concetto di fine    e il concetto di Bene, avendone discorso a lungo  ne’ miei Elementi scientifici di Etica c Diritto (Roma). Diconsi in¬  tellettuali, conoscitive, razionali tutte quelle facoltà  onde l’uomo intende, conosce o scuopre il Vero;  diconsi morali quelle facoltà ond’egli ama, vuole c  pratica il Bene. Quattro sono le facoltà principali  dello spirito umano : il Senso, l’Intelletto, la Ragione  e la Volontà. Le prime tre appartengono all’ordine    della conoscenza, l’ultima all’ordine della moralità. Il  Senso ha immediata relazione con gliobbiettisensibili  e porge all’intelligenza la materia del conoscimento.  L Intelletto apprende le cose sensibili ed intp.llio-i'hn; dell’umana conoscenza e della morale !)  ha . leggi suo proprio. Ciò. posto, quali sono le leggi  dell’Intelligenza e della Volontà umana, e qual fon¬  damento e valore hanno esse? Poiché l'Intelligenza  e la Volontà sono due facoltà diverse, come diverso  è l’obbictto loro, cioè il Vero ed il Bene, anco le  rispettive leggi dovranno essere differenti. Queste  due facoltà umane non potrebbero varcare dalla  potenza all’atto e conseguire il fine loro, senza una  regola, una norma, una legge che le indirizzasse  alla vespettiva mèta. Ora, le leggi che governano la  Intelligenza nel conoscimento e nel possesso del Vero  diconsi razionali, c ne tratta di proposito la Logica ;  la legge che governa la Volontà nella pratica del  Bene dicesi morale, c ne parla espressamente l’Etica.  In queste leggi dello spirito umano c segnatamente  nelle razionali, va distinto l’elemento formale dal¬  l’elemento materiale . L’elemento formale risguarda  più direttamente l’intelligenza, forma del conosci¬  mento ; l’elemento materiale risguarda più diretta-  mente Soggetto, la materia del conoscimento. Dico  più direttamente, non esclusivamente, perchè ogni  conoscenza suppone due termini distinti ma inse¬  parabili, cioè un soggetto intelligente ed un obbietto  inteso in atto o capace di essere inteso. E quindi  non può darsi una Logica puramente formale, come  non può darsi una Logica puramente materiale.  Imperocché le nozioni, i concetti, i giudizj, iraziocinj  sono atti ed operazioni della mente ; la forma nel  giudizio, nel raziocinio ed' in ogni ragionamento è  posta dalla mente nostra ; i giudizj, i raziocini son governati da leggi proprie : ma intanto, lo no¬  stre idee, le nozioni, i concetti sono vuoti d'ogni contenuto, non sono oggettivi, non hanno cioè alcuna  rispondenza colla natura degli obbietti? L’csperien-  za e la ragiono dimostrano che vi ha naturale ri¬  spondenza ed armonia fra i concetti nostri, le idee  c gli obbietti. Ove non esistesse questa relazione,  potrebbesi domandare: Come c donde la mente nos¬  tra formerebbe le idee, i concetti, .le cognizioni tutte?  Ogni giudizio, poi, ed ogni raziocinio ha la rispettiva  materia, oltre la forma; c la varietà dei nostri giud'izj  e raziocini dipende non tanto dalla mente unica clic li  forma, quanto dalladiversità della materia onde risu.l ;    tano. Lo leggi logicali ed i priucipj della ragione hai),  no, pertanto, un fondamento reale ed un valore ogget¬  tivo, perchè fondati sulla reale attinenza fra la mente  nostra e le cose intelligibili, è perchè mostrammo già  che .1 Vero e oggettivo ed universale. Può cHi darsi-   JW ‘T' C,1,! SÌS ° Mri U " senza la'   Z “ lT" eS “ dmi una qua-, PC “v 60s,anza ? »«. poo formo :   .>C d ir caosaiì,a • «• ~ -»   D’altra parte Finteli cd apoditticamente,   la C ausr;“ tt0 PU C ° nCC P Ìrc »tto senza  È logicamente imponibile .\ S ° 3tan “’ e vicCT ersa?  Je ggi razionali hanno un fi» i^® 1 P r,nci PJ « le   ore oggettivo, C però u„. nda “ 5ato rca le, un va-   Se questa ò la nnt .. * CCI tezza assoluta.   !eggi razionai; che diw taLT* 10 et U Valore de,lc   della legge morale ? Come le leggi razion ali non sono fondate esclusivamente  sulla forma della conoscenza o sulla mente nostra,  ma principalmente sull’essenza degli obbietti intel¬  ligibili, e però sul Vero oggettivo ; così la legge mo¬  rale non ha il suo fondamento sulla volontà umana,  ma sulla natura stessa degli enti amabili e rispetta¬  bili, c però sul Bene oggettivo. E come la natura  delle cose intelligibili e il Vero oggettivo servono  all’uomo di criterio c di norma nelle sue cognizioni  e ne’suoi giudizj ; così la natura degli enti amabili e  rispettabili c il Bene oggettivo gli sono di criterio  e di norma nelle sue libere azioni. Può l’uomo di¬  sconoscere il Vero c non seguire le leggi naturali del  pensiero nell'ordine della conoscenza ; può ribellarsi  alla legge morale, non praticare il Bene e giudicare  non rettamente le sue azioni e quelle degli altri : ma  restano sempre il Vero ed il Bene oggettivi, ma non si  distruggono per questo le leggi eterne ed immutabili  del pensiero e della volontà. E come gli errori di alcu¬  ni uomini, i sofismi e lo scetticismo di altri uonlianno  alterate, non che distrutte, le leggi del pensiero lima¬  no, nè abbattuta la Verità oggettiva ; così le prave  azioni di alcuni e le false dottrine morali di altri non  hanno cambiata la legge morale assoluta, non hanno  abbattuto il Bene oggettivo, nèsradicata dal mondo la  moralità. Tuttavia l’errore torna sempre funesto nella  speculazione e nella pratica, e conviene quindi ado¬  perarsi a tutt’uomo a fuggirlo ed a combatterlo.   Fermate tali verità, passo ad esaminare breve¬  mente le dottrine speculative e morali del Kant in        |SULLA TEORICA  relazione colle teorie moderne delle relativi* delle  conoscenza umane, 1» quel teorie mene log,cernente  ad una Morale soggettiva e relativa.    \r    Il Kant è generalmente considerato non solo  qual fondatore del Criticismo filosofico, sì anche quale  autore della moderna teoria della relatività della  conoscenza umana. E ciò nondimeno, tutti ricono¬  scono che non v’ha sistema filosofico morale più ri¬  gido ed assoluto di quello dol Kant ! Come si spie¬  ga questo fatto? Il Kant non ammise relativa, nel¬  l’odierno significato, la conoscenza umana, oppure  nella Morale si contraddisse fondandola su principi  assoluti ed oggettivi ? Ecco il quesito che dobbia¬  mo esaminare, gettando un rapido sguardo sulla  filosofia kantiana. So negli scritti del filosofo di Ivo—  nigsberga la chiarezza della forma e la coerenza    logica, in senso formale o materiale, fossero pari alh  novità dei concetti, alla profondità e all' acutezz;  dell ingegno critico c speculativo di cui dette provi  l’autore segnatamente nelle tre Critiche, io pensi  che nessun filosofo antico o moderno potrebbe ugua   ! “ Kimt Ma “mnquo vogliasi giudicaro   on può negarsi che la filosofia c la scienza in gc   2“™ Smunte del nuov   K il fT,'* 6 *«*»» s P ccu lczione   4 stata considerata unallndc rl*^ P '"  &iandc Introduzione alla Filosofia pura ed alla Scienza in generale, come dissi  altrove (Principio, intendimento c storia della classi¬  ficazione delle umane conoscenze secondo Francesco  Bacone. Parte terza, capo XI, 2 a edizione, Firenze,  1880). Come gli antichi supponevano che il sole e gli  astri girassero intorno alla terra, così il Kant nella  Critica della Ragionpura volle far girare gli obbietti  intorno allo spirito umano per ricercare e determinare  le leggi dell’umana conoscenza. Ma se in Àstronorniail  sistema Tolemaico fu abbattuto, perchè falso, da quello  di Copernico, potrebbe avere ugual sorte nella Filo¬  sofia speculativa il sistema del Kant? Crediamo di  no, benché questo sistema non possa accettarsi, per  gli errori, ond'ò viziato, qual canone certo, incon¬  cusso e definitivo della mente, e quale sulstratum  della Filosofia e della Scienza.   Che posso io conoscere e sapere ? Che devo io  fare? Che posso io sperare? Ecco le tre domande che  il Kant rivolse a sè stesso nella Critica della Ragion  pura, e nelle quali sta il germe di tutta, la Filosofia  speculativa e pratica di lui. Alla prima domanda  non si poteva rispondere senza esaminare 1 origine  e il valore delle nostre cognizioni, c le attinenze  loro con le facoltà del nostro spirito e con gli obbietti.  Nelle nostre cognizioni ravvisa il Kant due elementi :  uno formale, soggettivo, a priori, puro, necessario,  permanente; l'altro materiale, oggettivo, a posteriori,  contingente, mutabile. Il primo elemento è fornito  dallo spirito, il secondo dagli obbietti distinti da  noi e fuori di noi. Il tempo o lo spazio, le rapprosentazioni o intuizioni, i concetti puri o le categoria  sono gli elementi a priori, formali, necessarj, uni¬  versali, della nostra conoscenza. Ma da chi e in  qual modo si conoscono gli obbietti ? Tre sono pel  Kant le principali facoltà umane conoscitive: Senso,  Intelletto e Ragione. Dico principali, perchè egli,  dopo aver distinto recisamente il Senso dalla Intel¬  ligenza, suddivide quest’ultima in Intelletto, Giudizio  c Ragione. Il Senso porge all'Intelligenza l'elemento  materiale, molteplice c variabile delle cognizioni  sperimentali. L'Intelletto è la facoltà dei concetti  puri, apriori, o categorie, che non hanno per sè alcun .  \alore nè reale nè oggettivo, nelle quali però con¬  siste 1 elemento formale, necessario ed universale  della conoscenza. L Intelletto prende i suoi materiali  dal Senso e li ordina secondo alcuni de'suoi con¬  cetti puri che costituiscono la forma di tutti i giu-  d.zj Dcdici, com'è noto, sono i concetti puri, a   pluralità! ! ? atCS ° nc clementar i e sono: unità,  L* 11 ’ re>lli ' . ne 8. MÌ0M > ‘imito; sostanza,   Quest'’T'r a ’ possiljlllt à, esistenza, necessità.   «sto trm puri ° c * tcsoHc cic -   categoric comnles alle c l uattr o grandi   *««® c di modaiS. r nt ; tà> di quaiità; di rcia_   dall’esperienza m  ° a e ^ or * e non derivano  qual modo ? sotto nonlT 0 ! re ? dono Possibile. In  1 fenomeni alle cate e chepcrò tra-  gettivo, non ci dà un v Spazi0 ’ non ha valore og-  dl cui parla non li pos J° Sapere ) lacchè gli obbietti  fotal b le colonne d’K rc ^ m °i  U “   in essenziali ed uccido t v m Generatesi distinguono   L o Valiti. essenziali foriti’“““ ° “ c01 ' ;1 " 1 ' io forme o leggi del * ° T® Ìn S ° lo cate S oric >  applicare ai fenomeni nSlCr ° ^ blS0 ° na solamente   Occorre appena osservare el,o 1   >c che la prova diretta      dell’umana conoscenza e della MODALE rJ  della relatività della conoscenza sarebbe valida sola¬  mente quando fosse dimostrato vero e fondato il Cri¬  ticismo, clic tutta la realtà vuol ridurre ad un mero  fenomeno, ed i nostri concetti e le leggi del pensiero  a mere forme dello spirito, vuote d’ogni valore ogget¬  tivo e reale. La prova indiretta, poi, risguarda il me¬  todo seguito dal Kant e le conclusioni a cui egli  giunse nella Critica della ragion pura, allorché tolse  in esame le tre massime idee della ragione e tento di  conoscere la essenza intima dell’/o, dell Universo e  di Dio, applicandovi le sue categorie !   I noumeni, le cose in sò medesime, sono adun¬  que inconoscibili ; e quindi la scienza degl intel¬  ligibili o Metafisica non ha un valore oggettivo, anzi  non è possibile. E tuttavia il Kant colle sue di¬  stinzioni tra il fenomeno e il noumeno, fra la intui¬  zione sensibile c la intuizione intellettuale, fi a le  puve idee, le cose di fatto e le coso di coscienza,  fra il sapere teorico e il sapere pratico, e quindi  avendo ammesso come fatto certo e primitivo la  legge morale, non rannicchiava tutta la coscenza  umana nel puro sensibile, nel fenomeno ; o almeno,  lasciava aperto qualche sentiero alla ragione pei pe¬  netrare nel mondo intelligibile e delle cose in sè. Beu  diversa, e sotto alcuni aspetti assai più ristretta, è la  teorica della relatività della conoscenza nei princi¬  pali rappresentanti del nuovo Criticismo e Realismo  tedesco ed inglese. Dico sotto alcuni aspetti, perchè  il nuovo Criticismo e Realismo ha dato al fenomeno  un valore diverso da quello kantiano, ma per altri riguardi, e nulla tuona della conoscenza e soprattutto   nella Morale, ò rimastodi gran lunga inferiore al Kant.   IX.   Gl’immediati successori del Kant, movendo  dalla pura intuizione intellettiva o trascendentale  che permetteva di cogliere il nuomeno e l’assoluto,  cercarono di penetrare l'essenza intima delle cose  e di ricostruire così tutta la Metafisica, oltre dare  un valore oggettivo alla Morale ed ai tre postulati  kantiani. Ma il Comte in Francia e l’FTamilton in  Ingkiltera si opposero recisamente all’ Idealismo  trascendentale e ad ogni Metafisica, dichiarando  vana la ricerca delle cause prime e finali, e pro¬  pugnando la relatività della conoscenza. Visto bensì  che il mero Positivismo non dava ragione di tutti  gli elementi della conoscenza, nè valeva a spiegare *  datamente l'origine e la natura de' varj ordini   e di* S C r L C Vedut0 COme,e dottri ne di Ilerbart  travano molta Caduto ^egelianismo, incon-  e scienziati 1 avore 5 in Smania alcuni filosofi   elative del GH ' alle dottrine S P 0 '   cerearono negli C ° me 1,HeImholtz '   della raoio* - k ntlam anteriori alla Critica '   80fi -CCall% fil .r fia n ^;edifilo-  ch lari re e consolidare W ra 9 ion P ura P er   ela fi losofia critica. VvÌ ttnna della conoscenza  tengono conto dei nr e °l vantia ni da una parte   wi -^p;cr:^,rr“ sperimOT -   uct0 sapere umano deriva dal pensiero, non potendosi concepire il mondo  senza il pensiero.   Principali rappresentanti del Neokantismo filo¬  sofico in Germania sono il LaDge, il Liebmann e  lo Schultze (1). Secondo il Lange, la coscienza e la  sensazione sono il limite d’ogni cognizione; il mondo  non c che una nostra idea. Difatti, la realtà o la  cosa ò un gruppo di fenomeni che noi concepiamo  uniti per astrazione di ulteriori nessi e di muta¬  menti interni ; la forza è quella proprietà della  cosa clic abbiamo conosciuto per determinati effetti  su altre cose ; la materia ò ciò che, in una cosa,  poniamo come base dello forze conosciute e che indi  non possiamo sciogliere in altre forze (2). Dunque  materia e forza, egli conclude coU’Helmholtz, sono  astrazioni nostre dal reale. Ma esiste questo reale, ed  abbiamo noi conoscenza della cosa insè? Il fenomeno  ci mena per fermo al concetto d’un che problematico  c che dobbiamo ammettere come causa del fenome¬  no. Ma intanto la cosa in se, il noumeno, è una mera  creazione della nostra mente, ed ignoriamo se abbia    (1) Lange, Gcschichte des Materialismus, 18 74 -  Liebmann, Kantvnd die Ejpigonen, 1865. Zar Analysis der  Wirhlichlceit, ISSO. - Schultze, Kant und Darwin, 1S75.  Philosophie der Natunoissenschafl, 1881-S2.   (2) Vedi G. Cesca, Storia e dottrina del Criticismo,  1884. - Vedi pure duo pregevoli scritti di G. Barzel-  lotti : La nuova Scuola del Kant e la Filosofia scientifica  contemporanca in Germania, 1880-, o Le condizioni presentì  della Filosofia c il problema della Morale, un significato fuori della nostra esperienza ! - Alle  medesime conclusioni e venuto il Liebmann. I pi in*  cipj a priori, leggi della ragione, son necessarj (egli  dice) per osservare, sperimentare c pensare. Bensì  tutto il nostro mondo è un fenomeno ; più, tutta  la realtà è fenomenica od empirica, dacché noi  non possiamo uscire dalla sfera sensibile delle no¬  stre rappresentazioni. Tempo, spazio, moto, causa¬  lità, per noi sono concetti puramente soggettivi. E  però il Liebmann ammette solo una realtà empirica,  non riconosce alcuna realtà assoluta e nega ogni  valore alla cosa in sé. — Anche lo Schultze concorda  in sostanza col Kant e arriva alle stesse conclusioni  del Lange c del Liebmann. Salvochò lo Schultze  nsguarda il tempo e lo spazio non quali ' concetti  ma quali intuizioni a priori, ed ammetto la causa¬  lità quale unica categoria. Ciò posto, tutte le nostre  rappresentazioni, egli dice, hanno un carattere sog-  Sciti™, l lerellè " m Vha rappresentazione senza  coscienza, ne questa senza quella. E però noi,ttal * in 86 ’ raa,] " alc  carico e e.seil„zl:: h ;~ Ì0 “;- H °" a °   ouali fon,..., • r, 1 uca son P 01 la stessa cosa,   Idi che? della cosa h,   ”oe possiamo noTreTcsiT™ 0 la . natara ’ ma di cui   rebbo la base dM ì 1S enza ' altrimenti mauebe-   Vicn d ^que ammem dallo Scrk 00 ' La ^ **   rispetto alla nostro, Schultzo come ipotetica,  alo,,. ... * D0Stra c °Sn.zione. E però egli non dà    alcUD valore oggettivo*    ^otafisica ed ai tre       dell’umana conoscenza e della morale 33  massimi concetti di Dio, dell’Anima e della Materia,  perchè non sono obbietti della nostra intuizione, ma  nostri meri concetti.   Dal fenomenalismo de'più recenti Kantiani in  Germania diversifica il nuovo Criticismo tedesco  ed inglese, il quale pone e riconosce alcun che di  reale nelle nostre cognizioni. Diamo un cenno, a  questo proposito, delle teoriche di Helmholtz, Wundt,  Goring e Riehl, di Spencer e Lewes (1).   L'Helmholtz ammette la causalità come una leg¬  ge a priori ; ma all’intuizione dello spazio dà un'ori¬  gine sperimentale, come pure agli assiomi di Geo¬  metria. Quanto alla sensazione e alla percezione,  vi distinguo l’elemento soggettivo dall’oggettivo. La  sensazione, nell’aspetto fisico, è un effetto della  qualità esterna sopra uno speciale apparato nervoso ;  c riguardo alla nostra rappresentazione, ella fe un  segno di riconoscimento della qualità oggettiva. Le  nostre intuizioni o rappresentazioni, poi, sono l'effetto  che gli obbietti percepiti o rappresentati han cagio¬  nato sul nostro sistema nervoso e sulla nostra co¬  scienza, e però sono segni o simboli delle cose. - Il    (1) IlroLiinOLTZ, Pkysiologischc Optile, 18G7. Die  Tkatsachen in dcr Walirnchmung, 1879. —- Wundt, Dogi!:,  ISSO. Grundxiigc dcr physiologische Psychologie, 1881. —  GoRING, Sistcm dcrkritUche Pkilosophic, 1874-75. — IIieul,  Derphilosopische Krilictsmus, 1876-79. — Spencer, First  Principici, 1862. Principici of Psychology, 1S55. — Lkwes,  Problema of life and Mind, 1875. Gcschichtc der neucrcn  Philosopkie (trad. tcd.). Wandt non mena buono al Kant che spazio e tempo  siano forme a priori della sensibilità. Lo spazio,,  per lui, oltre non essere a priori, sarebbe un con¬  cetto e non già una intuizione. Vero ed unico prin¬  cipio a priori è il pensiero logico co’suoi caratteri  di spontaneità evidenza ed universalità. Il pensiero  logico, postulato d’ogni nostra esperienza, segue,  operando, alcune leggi che derivano dalla sua stessa  natura, quali sono gli assiomi d’identità, di contrad¬  dizione, di ragion sufficiente. Da queste leggi del  pensiero provengono lo categorie di sostanza, db  causa e di fine. Le categorie, per la stessa origine  loro, hanno un valore non assoluto ma relativo, per¬  chè si applicano entro i limiti della nostra espe¬  rienza. Così, il concetto di forza c la causalità sup¬  posta inerente alla materia; il concetto di materia-   ha un carattere ipotetico; il concetto di spirito do¬  ma da una nostra illusione' TI n- • i   a differenza dei .. TT, 11 Ge gnoseologica.,5* ZZng*** V ual °   ci PJ pari a priori JclK ' “8"’™"°-1 P"«-   essere scoperti dallo cenza non potendo   dogmaticamente quali n' M ’ bÌS ° Sna ammetterli   tenta di mostrl-e c ' 11 Rio H invece,   Kant s’asconde il rca i- 10 10, 11 fonora cnalismo del  cognizione oggettiva C .'° ren“ ooe -  II tempo ò la, V, 1 tcm P° 0 lo spazio-  coscienza- lo ^ a ^ re * az ‘ on i colla nostra  esterne colli m!/ 210 ° ' a coes ' ste nza delle relazioni  dotto delle nostre^ n ° Stra ’ Dicesi materia 51 F 0 '   o consisto   esistenti che oppongono resi-       dell' umana conoscenza e della morale 37  stenza ed occupano lo spazio. Dai concetti di ma¬  teria, di spazio e di tempo non può andar separato  il moto, il quale è una sintesi dall’esperienze di forza,  di tensione muscolare e cambia continuamente di po¬  sizione. Ora si domanda: Questi concetti e fenomeni,  realtà, tempo, spazio, materia, moto, hanno essi un  valore puramente soggettivo, od anche un valore  oggettivo? Sono essi realtà unicamente per noi, o  sono realtà in se medesimi? Questi fenomeni, non  essendo un mero prodotto della nostra coscienza,  hanno anche per Spencer una realtà oggettiva. E  tuttavia egli tiene fermo più che mai sulla relati¬  vità della conoscenza. Imperocché se Spencer am¬  mette una causa reale assoluta di tutti questi reali  relativi, cioè una realtà, un tempo, uno spazio, una  materia, un moto ed una forza assoluti, compresi  tutti nella formula dell’Assoluto inconoscibile; egli  però conclude che le nostre cognizioni non hanno  alcuna attinenza con l’Assoluto inconoscibile, e che  indi questa Realtà assoluta è ignota ed inconosci¬  bile alla mente umana. Segni o manifestazioni di  questa medesima Realtà ignota ed inconoscibile  sono pure la Materia e lo Spirito. - Accennata così  la dottrina di SpcDcer, potremmo, fra molte altre  obbiezioni, rivolgergli questa : Se tutto le nostre  conoscenze sono relative, conforme voi ammettete,  con qual diritto asserite che in noi e fuori di noi  ci sono certe relazioni assolute?   Il realismo di Spencer, fondato sui segni o  simboli delle cose sentite e percepite, e che cerca      gg SULLA TEORICA   di comporre il dissidio tra realisti e idealisti, è un  realismo trasfigurato. Il Lewes non va pienamente  d'accordo con lo Spencer e fonda il realismo ra¬  gionato (nasonaded Roalistnus). Perche realismo  ragionato? Perchè afferma la realtà di ciò che vien  dato in ogni fatto o negli stati di coscienza, e per¬  chè giustifica quest’affermazione. Il Lewes, pertanto,  muove dalla coscienza, che ci rende certi di due  fatti, cioè del me e del non-ms, uniti fra loro. Di-  fatti, non possiamo negare la sensazione e l’esistenza  del mondo esterno. La psicogenia mostra che l’ordine  esterno determina l’interno, e non viceversa. Gli  idealisti, per negare la realtà dell’oggetto, son co¬  stretti a dividere colla riflessione il soggetto dal-  1 oggetto •, la qual divisione non accade nò può farsi  nel|a sensazione. Ma la distinzione fra il soggetto  e 1 oggetto comincia nella percezione. Questa, pel  Lewes, non è un simbolo dell’azione esterna, ma  una gitante che non altera il reale: il simbolo   cS™ ri4 “- La dell» per¬  si 6,7 “ un * «pM°a ma   il ;r os T wtra ' ^ «w™. 0   b °uo, r cose come   nosco la realtà ■ ■ meutre d Lewes rico-   fisima della Combatte   uomeno e noum Pnn 1 .’ La dlst,nzi one tra fe-   e Può ammettersi so^am^'t ^ ha valore oggettivo,  nazione: i n ta l caso •. “ 6 Come art ificio di clas-   in rel azio ne colla mc'nt» .  ’ 1   l>uvo fenomeno. Errano giqdealist° Ve SÌ, fermin0 al   e PWa idea non possi™ W Wtl ’ perche dalla sola   Posino varcare alla realtà, o perchè         dell'umana CONOSCENZA E DELLA .MUIIALE 43   la scienza non può fondarsi a priori. Errano i Sog¬  gettivisti, perchè i concetti e le idee hanno attinenza  non pure col soggetto intelligente, si anche e in modo  principale con gli obbietti ch'esse ci rappresentano.  Errano quindi i seguaci del puro fenomalismo, perchè  il fenomeno stesso, vuoi interno (stato della coscienza)  vuoi esterno, è una realtà, perchè il fenomeno implica  l'esistenza e la natura della cosa in cui esso appare,  l’esistenza e la natura del soggetto senziente ed intel¬  lettivo al quale appare. E che tutto non sia fenomeno  venne già dimostrato dallo scienze sperimentali e  segnatamente dalla Geologia, la quale dimostra che  un tempo gli esseri sensitivi ed i ragionevoli, cioè i  bruti c l’uomo, non esistevano sulla Terra, eppure  questa già esisteva con le sue qualità, con le sue forze  e le sue leggi ! Errano i nuovi Realisti, perchè, esa¬  gerando la parte soggettiva nella sensazione o nel¬  la percezione, o togliendo il suo reale fondamento  all’ astrazione, alcuni riducono a mero simbolo il  sentire, il percepire e il concepire, altri dicono non  potersi mai e in vcrun modo conoscere le cose in  sè stesse, cioè le naturali e vere loro qualità. La  diversità delle nostre percezioni c sensazioni, dei  nostri stati di coscienza, non che la varietà dei nostri  concetti e delle nostre idee, implica la diversità natu¬  rale dogli obbietti sensibili e intelligibili da noi per¬  cepiti, sentiti e intesi, c distinti da noi. Certo, la  facoltà di sentire o di percepire è nostra, come nostre  sono le sensazioni e le percezioni ; certo, chi pone  forma nei nostri giudizi e la mente nostia . ma,  d’altra parte, le nostre sensazioni e percezioni, i  nostri giudizi mutano col mutarsi degli obbietti, o dei  modi in clic gli obbietti a noi si palesano. E che il  Senso e l’Intelligenza non s’ingannino, nè clic si fog¬  gino a loro talento le cose, ne abbiamo una conferma  luminosa e certa, quando l’esperienza ci mostra (per  cagiond’esempio)che le coso reali,gii percepite, cono¬  sciute c giudicate da noi, se poi misurate c pesate,  decomposte ed analizzate, corrispondono ora esatta¬  mente, ora approssimativamente ai nostri modi di  percepire e sentire, di conoscere c giudicare. Dunque,  materia, spirito, realtà assoluta, sostanza, cause, forze,  leggi, c va dicendo, non sono meri fenomeni, nè mere  nostre astrazioni, ma sono realità in sè stesse e rela¬  zioni oggettive d’esse realità colla natura e con le leggi  dello Spirito nostro.    Ma dunque, mi sichiederà, la conoscenza umana è  relativa od assoluta? Relativa, rispondo io. Relativa  c non assoluta, perchè limitata, imperfetta, relativa è   men f nostra ’ la 1 uale non avendo create le cose,  p o conoscerle in modo perfetto ed assolato, come   “il" * T‘° ‘ nfìllìU 0 Piattissima. Relativa,   t Attiva o natalo   't,“r T 8 1““* k* oggettiva.   ^^^°rt“ oi r,igìfai ' : ^ rohè   fattive dell? mi X f lM1 T 00110  ss, «lai «mo 50 im Mlo ‘ “°™ ««^ien-   assorge alla scienza e dii • daUarte spontanea   a pratica, in armonia         io    dell’umana conoscenza e della morale  collo spirito e colla natura! Relativa, perchè la forma  e la materia del conoscere hanno intima relazione  fra loro. Relativa, infine, perchè ha persilo immediato  fondamento la coscienza nostra, non solitaria, ma con  tutte, le sue relazioni, con sò stessa, con gli enti ragio¬  nevoli, coll’universo sensibile e con Dio : relazioni  che bisogna riconoscere talquali, perchè poste da natu¬  ra ed inseparabili. Fermato ciò, sensazioni, perce¬  zioni, idee, giudizi,ragionamenti, verità, scienza han¬  no valore oggettivo e reale; materia, anima ed assoluto  non sono mere astrazioni ; e la mente umana può  cogliere, entro certi confini, la natura delle cose va¬  lendosi dcH’csperienza e della ragione: quindi è pos¬  sibile una scienza degl’intelligibili, la vera Metafisica.   XI.   Dalla ragione pura speculativa il Kant distingue  la ragione pratica o morale. È noto che nella Critica  della ragione pura egli esaminò le condizioni ed i  limiti della ragiono teoretica, por rispondere alla sua  dimanda : (Rie posso io sapore? Invece nella Critica  della ragion pratica e nei Fondamenti della Morale  esamina l’obbietto e il valore della ragione pratica,  per rispondere alle altre due dimande : Che devo  io fare ? Che posso io sperare ? Ufficio della ra¬  gione pratica non ò veramente lo speculare, ma  l’operare, ed ha per obbietto suo il Bene, l’attuazio¬  ne del dovere colla virtù. Il Kant aveva già distinto  profondamente il mondo della Natura dal. mondo  della Libertà inorale, per riservare quest’ ultimo alla ragione pratica ed assegnarle un primato sullaragionc  speculativa. Esiste la legge morale, come fatto primi¬  tivo, certo ed universale:ecco il punto dal quale muove    tlVO, Certo eU UU1 Versali;.UUUU II («uiu uu-i mnui c   il Kant. La legge morale comanda e obbliga assoluta-  mente, è un imperativo categorico (Katcgorisches Im¬  perati?). Ma a chi comanda essa? Comanda agli enti  ragionevoli che sono fine in sè stessi ccl a sè medesimi.  Chi l’effettua ? II Volere buono, che ha un valore asso¬  luto e supremo. Questo Volcresi determina da sè e per  sè, è autonomo e libero essenzialmcnte.Macomelibero  essenzialmente e come autonomo, e che indi opera solo  pel rispetto alla legge o non per altri motivi, il Vo¬  lere buono e libero appartiene al mondo sovrasscnsi-  bile, non a quello sensibile o fenomenico. E cosi Ra¬  gionepratica pura, Volontà pura, Legge morale sono  inseparabili nel regno dei noumeni c dei fini. Ma  uomo aqnal mondo egli appartiene’Pcl ICant, l’uomo  appartiene al mondo sensibile, come fenomeno, e al  mondo intelligibile, come noumeno. Adunque l’uomo  nel pnmo rispetto nou è libero, perehò sottoposto allo  •oggi e alla causalità della Natura sensibile ; nel se-  nd„ r, sp0tto 6 libero . Pe r divenire buono ed acqui-   doveritLT ^ a " Ch ' I ’“° m0 «"»PÌ°ro il   lc.ge morale “ pratloare 11 kt " s por la stima della  A PW “ llri Ma intanto l’uomo,   modo conseguirla? V^^ falioità ’ In I ™ 1   disinteressalo alla ?| 0Ì! Co1 ris P olt!>   do moralmente sè si ’ 0 ln d I porfezionan-   La Boralo cosi con “ al Bene sommo.   51 “"«P’ta, affinché abbia iU„ 0 pieno  dell’ umana conoscenza e della morale 47  e vero compimento, esige tre postulati : la libertà,  Y immortalità dell’anima e l'esistenza di Dio. Senza  libertà, come il volere potrebbe uniformarsi alla leg¬  go morale ? Ove lo spirito non fosse immortale, come  attuare il sommo Bene e conseguire nella vita pre¬  sente la santità o la massima perfezione morale ?  Senza Dio, creatore e Legislatore morale del mondo'  e giusto Giudice, come attuare il Bene sommo e quin¬  di armonizzare la felicità vera colla virtù ?   È chiaro che la Ragiono pratica ha un valore  assoluto anche pel Kant, perchè ella non si contenta  del fenomeno, ma parte dal noumeno, cioè dalla Leg¬  ge morale assoluta ed universale ; cd esige, qual suo  termine e compimento, il noumeno, cioèitrc postulati  morali. “ In questi postulati la Ragione pratica, vin¬  cendo tutti gli ostacoli, ci porge dello affermazioni,  alle quali la Ragione teoretica non poteva autoriz¬  zarci; ed infatti coll’asseverare l’immortalità dell’ani¬  ma scioglie un problema nel quale laRagiono teoretica  non trovava che paralogismi; coll’ammettere la libertà  e il mondo intelligibile al quale noi, come soggetti  liberi, apparteniamo, stabilisce un principio in cui la  Ragione teoretica non trovava che antinomie; c final¬  mente col porre nc\\’ Ideale della Ragiono (in Dio) la  condizione dclsommoBcne, riesce per suo proprio uso a  determinarlo quanto basta, mentre la Ragion pura lo  doveva lasciare affatto indeterminato n (Cantoni, E.  Kant, voi. II, p. 191).   E qui sorge un quesito tanto grave quanto dif¬  ficile : Vi ha non dubbia contraddizione fra la dottrina speculativa c la dottrina morale del Kant, fra  la Critica della ragion pura e la Critica della ra¬  gion pratica? I giudizj d'uomini insigni non sono  concordi su questo punto, anzi gli uni opposti agli  altri. I più ammettono che vi sia contraddizione ;  pochi altri affermano il contrario. Per esempio, Cou-  sin, B. Saint-Hilaire, Renouvier, Barni, Conti, Fouil-  lée direttamente, e il Rosmini indirettamente vi rav¬  visano contraddizione ; il Cantoni e il Fiorentino (1)  vi riscontrano anzi conciliazione ed armonia. Pre¬  feriamo di accennare la difesa e poi diremo l’animo  nostro. Il Cantoni più volte nega vi sia contraddizione  ed osserva: u Kant avverte nel modo più esplicito e  risolato che i principj e i concetti morali, riguardanti  nella Ragione pratica il mondo nouraenico, non hanno  e non possono avere nessun valore perla Ragione teo¬  retica, e non valgono in nessun modo ad allargare il   **'!■ ™>; ni, r.403).   sto nlnnun 11 • * *' raon ^° intelligibile, rima-   “ r “ s,0M Eretica, s ; dischiude alla   «toliic, 185G. - R>’vr\irTr, ; ' e / a 'U>ne alla Morale d’Ari-  1859. -Barxi, Examen, rfc ^ ri tique générale,   18M - ■t'OSTl; Storia della Pi rUl bene su-   l’uomo si pronono n c con dizionc soggettiva onde-  filale consiste il bene mmo è la ^cità, nella   «“'e fdicitìi dipoiT m ° «.«io-   dsli'armooia dollVono c„n °®f CÌ ° 6,a v ‘rtù. Ora nu cstp 1 eg S c borale mediante  1 Kt ° dM “Risicai, necessarie por dell’umana conoscenza e della modale ò 3  conseguire il fine ultimo prescritto dalla legge mora¬  le, non le vediamo unite c armonizzate dalle cause  della natura : dunque per la libertà si richiede un’al¬  tra causa, Dio, affinchè la Morale abbia il suo com¬  pimento. Quest’armonia esiste, dunque Dio esiste ne¬  cessariamente. Ecco il nesso, da una parte, fra la  Critica del giudizio e la Critica della ragion pratica  e, dall’altra, fra la Morale, la Teologia morale o la  Religione ; sebbene il Kant si adoperasse di continuo  a voler mantenere autonoma la Morale, cioè indi¬  pendente non pure dalla Religione, sì anche dalla  Teologia razionale.   XIII.   Ora lasciamo i criterj soggettivi del Kant, gl’in-  •tcndimenti suoi, per fermo retti e nobili, e conside¬  riamo oggettivamentele sue dottrine speculative e mo¬  rali. Ecco, secondo me, il vero criterio per risolvere  il quesito posto qua sopra.   1 ® I concetti puri dell’ intelletto vedemmo es¬  ser privi, pel Kant, d'ogni valore oggettivo e reale, ed  acquistarlo soltanto applicati, nelle intuizioni sensi¬  bili, non alle cose in sè, ma ai fenomeni : le tre mas¬  sime ideo della ragione, l’Io, il Mondo, Dio, non avere  alcun valore oggettivo, ma essere solo principj rego¬  lativi non costitutivi della ragione nelle sue specula¬  zioni. Dunque i concetti e le idee non hanno pel Kant  valore oggettivo ; o se pure, ne acquistano uno ri¬  stretto e relativo, applicati al mondo fenomenico. Ciò  posto, le idee morali come le risguarda il Kant? Che       SULLA TEORICA   valore assegna loro ? Alla legge morale, ammessa anco  da lui come certa, dà un valore oggettivo, assoluto e  universale. Dunque l’idea della legge morale non c un  puro concetto, una categoria deH’intelletto nostro, c  ancor meno una forma della.sensibilità ; e quindi è  un’idea oggettiva, assoluta, necessaria anco pel Ivant.  L’idea della legge morale implica le altre di volere  puro buono, di sommo bene, e quelle di libertà, di  Dio, d’immortalità, per avere il suo compimento c la  sua efficacia. Ora tutte queste idee morali non sono  relative e soggettive, ma hanno caratteriopposti, non  dipendenti dalla nostra intelligenza.   2° Legge morale, libertà pura, fine, Bene, e va  dicendo, sono anche pel Kant noumeni o fenomeni?  Sono cose in se, noumeni, non fenomeni. Ma se la  Ragione speculativa non può trascendere il mondo  sensibile e fenomenico, poteva il Kant entrare colla  sua ragione nel mondo intelligibile, dei noumeni, al-   meno p er aver l’idea di Legge morale, del dovere  categorico ed assoluto ?   calativi"^ V “ l8 ' 111 ' Iisli ” 2Ì0n0 fra la legione spe-  P à „ i S T r‘“ : '» —« Ragione   *. T m suiie Terit “ moraii -   Tanto i voto elio i| Kan, ” Mrl teorici.  speculativa e sì l a • ‘‘ ama pura s * la Ragione  distingue la Filosofia C?- 81 ?' I ^ oltrG . c gli stesso  ™ro(i moral ° s “P e ‘  Morale, Critica della P • ^ meta Mù della   corale elementare 0 a '^ l0n P rat ^ ca ) e in Dottrina  e - Oia la scienza morale non va eoo-    Òl>  fusa coll’aWe, colla pratica della moralità. Quindi il  Rosmini osservava giustamente: u La filosofia è una  specie di dottrina, non è azione. Quando si dice filo¬  sofia pratica, non vuole intendersi che la filosofia sia  attiva ; ma solo, clic quella parte di dottrina c ordi¬  nata a dirigere l’azione della vita .,.   4° Del rimanente, si accetti pure la distin¬  zione: ma va notato elio altro è distinguere, altro se¬  parare e contrapporre. Kant non si restringe a distin¬  guere la Ragione speculativa dalla pratica, ma con¬  trappone l’una all’altra: imperocché, mentre la prima  si ferma al fenomeno, nulla sa di certo intorno al  noumeno e però intorno alla legge morale, alla libertà,  all’anima, all’universo, a Dio ; la seconda, invece,  ammette come certa la legge morale, ed esige il valore  oggettivo e reale, sia pure nell’interesse pratico, dcl-  l’idce di libertà, della vita oltremondana e di Dio.  Qui, adunque, non v’ò più. mera distinzione o subordi-  nazioue, ma vera contrapposizione di due facoltà, che  sostanzialmente sono identiche formando nell’uomo  la stessa e unica Ragione 1   5° Similmente, non può ammettersi la sepa¬  razione del fine o interesse teorico da quello pratico  dacché questo supponga quello e anzi ne dipenda,  secondo l’aforisrao: Nil volitum qninpraecognitum. E  il Ivant stesso diceva, che ogni interesse della ragiono  é finalmente pratico. Nou vale pertanto distinguere  il sapere teorico da quello pratico, dacché la pratica  o l’arte riflessa richieda per necessità la teorica •, c      2    'Jg perchè, ad ogni modo, il sapere pratico non deve mai   trovarsi in opposizione col sapere teorico.   Esaminato così il quesito nei suoi veri aspetti e  però con criterj oggettivi, non si può negare che fra  le dottrine speculative del Kant e quelle morali, come  risulta dall'esame comprensivo della Critica della Ra¬  gion pura e della Critica della Ragion gnat ica, non  siavi contraddizione.   XIV.    Poiché il sapere pratico suppone lo speculativo,  e la pratica viene preceduta o illuminata dalla teorica,  il principio della relatività della conoscenza umana,  nell odierno significato, implica per necessità una Mo¬  lale soggettiva o relativa. Ogni nostra cognizione, la   verità, la scienza sono relative ? Or bene, le idee e   le venta morali c la scienza morale saranno parimente  ic ative pei la mente nostra, per la mente di ciascun  omo. e i elativa è la conoscenza, se questa non può  ma. coglier» la natura dell» coso, vice a mncar0 il   or, «rio assduto, oggettivo, nulvctsaledd Vero. Ma   non La' e " 0 °86 ctli ™, assoluto del Vero,   Mt™ assT!”?,n PPm a otitoi ° «turale, og-  bruivo, assoluto del Bene F ■,, .   illuminata e preceduta dall ^ ? * V ° l0ntà °P era   =»"«tti, principj » V*»   ■relative non mro • - J teoricl rel ativi saranno  1 «MfcJ SU cu** “T m0ra,i «uomo, si anello   *“ Potranno non aow"''ii° 8 '‘ prItlei P.i morali  re 11 cara ttere della relatività       :ì7    dell’ umana conoscenza e della morale  •e quindi un carattere soggettivo, contingento c mu¬  tabile. Nè si opponga, per avventura, che i concetti  •ed i principj morali costituiscono il sapere pratico c  sono indipendenti dalle speculazioni della mente e  dalle opinioni scientifiche, perchè abbiamo visto qua  sopra non potersi ammettere questa separazione. E  volendo anche far tale concessione, volendo per esem¬  pio ammettere col Kant clic l’uomo sia certo a priori,  naturalmente, della legge morale e dei suoi caratteri,  resterebbe sempre la difficoltà di sapere scegliere tra  beni e beni conosciuti, di attenersi a un partito anzi¬  ché a un altro, di confrontar bene l’azioni colla legge  morale e però di giudicarle rettamente. Inbuonalogica,  la relatività della conoscenza mena dritto dritto alla  relatività della Morale. E difatti, Erberto Spencer  nei Dati della Morale non discorre egli d’una morale  relativa e di una morale assoluta? La morale relativa  governa la condotta delle presenti società umane,  imperfetto nell’esser loro, e che hanno cognizioni rela¬  tive ; la morale assoluta potrà effettuarsi, egli dice,  •quando l’uomo e la società avrauno conseguita, pei  legge di evoluzione, la loro perfezione vera : allora  l’Etica assoluta formulerà la condotta ideale dell’uomo  e della società. Ma che significato e valore attribuisce  Spencer alla morale assoluta ? La morale assoluta per  lui consiste nell’ideale della condotta che, sotto le  condizioni derivate dall’unione sociale, dev’essere at¬  tuata per assicurare a ciascun uomo ed a tutto il  • consorzio civile la massima felicità. Dunque 1 assoluto  (dice il Guyau stesso nella Morale inglese contemporetnea), vagheggiato dall’Etica evolutiva eli Spencer/  è semplicemente il limite a cui tende l’evoluzione della  vita. Altra conferma l’abbiamo in Kant stesso. Egli  ammise la Morale assoluta, necessaria,universale, non  particolare, contingente c relativa: bensì per fondare  questa Morale, non si attenne più a’suoiprincipj spe¬  culativi, alla relatività della conoscenza e al fenome¬  no, ma partì da un principio morale certo ed uni¬  versale, penetrò e rimase nel mondo intelligibile o dei  noumeni. Questa contraddizione logica e metafisica nel  sistema del Kant gli salvò la sua Morale, formalistica  o astratta se vuoisi, ma nobile, pura, elevata. Spencer,   invece, propugna una Morale evoluzionista, con-   ■orme alla relatività della conoscenza umana : ma  egli pure non evita ogni contraddizione, quando nel-  l^meny le dimenila affatto la EeaL assohUcl   Z"«‘ mmCSa Pt!TO P 01 ' meta Usi¬   le qua,, che, osserva giustamente il Fouiilée (li-   nan Z1 al concetto d’uoa Tto„n-, uce, ai   nere indifferente il monisti ! P ° tCSS °   al quesito su\wiócc'° l j ‘,l | r ’ l0S 'j fo ° '° SM " zia '  gnisioni, e però il divento modellT' * T"* °°'  l'crso^'UomoeDio haun'effi ° 0MeI,irc rUn! -   neHascienza rnotai,, 0 nella^““«lutareopemiciosa  La dottrina sulla cono^ * a pnvata e pubblica.  garsi dai Principj morali ^ Umana Q on può segre¬  go c dentro quali ' ’ Abblam ° Mostrato in qual  a conoscenza umana r ’ ^ ° relaliva anche per noi   ““«^iuoènni iirr’ 50 ‘ "*»; U con-  * ° l'altro di rda-  oO  siona, perchè l’ordine sta nell’armonia di relazioni.  Queste relazioni sono reali e ideali, onde gli enti sono  ordinati fra loro, e questi hanno relazione colla nostra  coscienza e colla mente nostra mercè le idee che li  rappresentano. La coscienza non è mero fenomeno,  ma realtà sostanziale ; non vive solitaria, ma in at¬  tinenza col mondo c con Dio. Il Vero e il Bene sono  oggettivi perchè fondati sulla natura e sul fine degli  enti : le leggi del pensiero e la legge morale hanno  un valore oggettivo, non sono mero creazioni della  mente, pure nostre astrazioni. Fra il senso, l’intellet¬  to e gli obbietti sensibili ed intelligibili passano natu¬  rali e necessarie relazioni, come pure fra la volontà  e la legge morale assoluta. Come dalle particolari no¬  zioni e da’giudizj dell’uomo va distinta la verità og¬  gettiva, universale; una; cosila legge morale c il Bene  oggettivo ed assoluto vanno distinti da’liberi atti e  da’giudizj morali degli uomini. Negato il valore og¬  gettivo alla Verità c al Bene, tolte le reali e neces¬  sarie attinenze tra le facoltà dello spirito nostro e  gli esseri ; la cognizione, la verità, la scienza, la mo¬  ralità, la coscienza, l’universo, Dio, ci parrebbero illu¬  sioni o meri fenoneni : sicché avrebbe avuto ragione  il Leopardi quando cantava l ’infinita vanita del  tutto ! Ogni linguaggio veramente umano, clic sia capace di esprimere un certo grado d’incivilimento d’un  popolo intero, ha vocaboli proprj e distinti per signifare oggetti non pii materiali, come Anima, Spirito,  -f, Zo Cesctenca, Pensiero, Dio. E questi vocaboli,  pefatonars, dei linguaggi e eoi progredire deliri  ■ornila non 81 cancellano nò dal volgo né dal dotti   óTsSr,:; dclla sc!enM   ™.r«;r:r i, ' mMiodivCT “-” ra P iic,e -   P°to. m mono oerto è querfXf°tt b °°“ ^ T  ^ le cose più car e l v ‘ 10 fatto universale, clic   avvi una parte • enerato del genere umano   sparisco al senso ^ ^T 81 ’ C, ' e n ° n ® cor P° e non  J a coscienza l'iò ;i C pur esiste e si sente, vi  llere umano ha semnro ^ ° Sp,rito - E come il ge-  gando altari e terjp qUalche divinità, eri-   “ ik “-liver:itai'r tMnd0 "» • bigioni,  u 'o: abbia mo infatti la Rei ' CI ” P ® v  mirabili pro-   coltào, se vuoisi,^stTfatt POtUt ° T ’   subentrano due altre seienzeTp t UmanÌ ' AU ° rft  fisica, per ricerca™, ? Psicolo G ia e la Meta-   di ciò che dimandai !| rminare n ° n ° he la natura   i! fine della Materia ^ raSÌOne stcssa ed   13 lnor e an ma ed organata. E così      GO    dalla nozione scientifica della Materia passiamo alla  ricerca della nozione scientifica dell’Àniina umana.   IV.   Como si è rinnovata profondamente la Fisica,  non può non rinnovarsi la vecchia Psicologia o l’an¬  tica Metafisica, perchè nell’uomo corpo e spirito sono  congiunti, perchè nell’universo ci sono esseri matcrn-vli,  sensitivi o ragionevoli, e perchè le scienze tutto han¬  no parentela più o meno stretta fra di loro. Abbiamo  già detto in che consisteva l’antico e il moderno Spi¬  ritualismo. Conviene ora esaminare la nuova dottrina  scientifica intorno all’Anima umana.   La scienza positiva contemporanea ha un meto¬  do suo proprio, il metodo d’osservazione, analatico ed  oggettivo, opposto al metodo deduttivo, psicologico e  soggettivo, tanto caro allaMctafisica ed alla Psicologia  tradizionale. E non si contenta l’odierna Scienza posi¬  tiva di osservare ed analizzare il mondo corporeo, ma  vuol descriver fondo a tutti gli esseri mondiali, spie¬  gare le cause, le leggi, lo attinenze, l’ordine, l’essenza,  l’origine ed il fine delle cose tutto ^ insomma, vuo¬  le surrogarsi alla vecchia Metafisica, che ritiene orinai  non solo spodestata, si anche morta c seppellita! In  qual maniera studia essa latto l'uomo? Lo studia  valendosi dell'osservazione esterna, dell’esperienza  sensibile, c dell’analisi fisica e fisiologica : quasi che  nell’uomo non ci sia altro che una massa di materia  organata, un sistema di forze meccaniche c fisiolo¬  giche. di moti meccanici e vitali, di organi c fanzioni, da sottoporsi direttamente o ai sensi esterni,.   o ai nuovi e mirabili strumenti dell'osservazione c   dell’analisi sperimentale, come il dinamometro, il micro¬  scopio, la bilancia chimica, il termometro, il coltello  anatomico, e somiglianti !La nuova Psicologia scienti¬  fica o sperimentale crede di spiegar tutti i fatti del¬  l’uomo, i sensitivi, gl’intellettuali ed i morali, mercè  l’osservazione esterna c l’analisi fisiologica, facendoli  tutti generare dal puro nostro organismo. Vediamolo  brevemente.   Noi siamo capaci, come gli animali bruti, di  sensazioni e di moto ; ed infatti il corpo nostro ha  distinti organi per sentire e per muoversi. Che anzi,  recenti esperienze hanno scoperto organi della per¬  cezione esterna distinti da quelli della sensazione.  Così, tagliando i lobi cerebrali, si perde subito la  facoltà di \edeie, mentre il nervo ottico ò ancora-  eccitabile, sensibile la rètina, mobilissima l’iride. Non  solamente alla facoltà di percepire e dì sentire, si an-  ff a " e allr .°  «Mollo Ol¬  le avrebbero per sede • ° 801150 0 1 istinto anima¬   li cervelletto i cem- CGri l 1 ' 1 mediani clic riuniscono  ’ ° Mf i *.a« 0 va dicendo ili sansa         lì La Vita sociale    71    spirituale, l’immaginazione, il pensiero, la volontà e  quindi tutti i sentimenti morali, tutti gli atti razio¬  nali e volitivi, risederebbero nei centri superiori o  nei lobi cerebrali.   Quanto alla coscienza, la Fisiologia non è giunta  a scoprirne la causa vera ed efficiente, ma ne può  determinare l’organo e la condizione. Secondo l’Her-  tzen, l’attività mentale, di cui è tipo la coscienza,  seguo i cambiamenti della forza nervosa \ cresce o  decresce conformo i cambiamenti d'innervazione o  d’enervazione che subisce la temperatura vitale. La  integrazione della forza nervosaòcondizione organica  della coscienza. E già Claudio Bernard aveva dimo¬  strato che ogni fenomeno della vita, dalla più semplice  funzione vitale sino ai fatti più elevati dell’iutelU—  genza e della volontà, ha per causa un lavorìo d’organamento, e per effetto un lavorìo disgregativo d’ele¬  menti fisici e chimici.   I progressi ed irisultamenti analitici della Fisio¬  logia c della Psicologia sperimentale hanno certo gio¬  vato a rischiarare le tenebre da cui era avvolta la  vecchia e tradizionale Psicologia, quando presu¬  meva di spiegare l’unione fra l’anima ed il corpo, e  di stabilire le attinenze fra il morale ed il fisico della  vita umana.   Ma la nuova Psicologia è riuscita, almeno finora,  a spiegare la natura dell’uomo, le cause tutte e le  leggi del senso, della intelligenza e della volontà? Ha  potuto essa fornirci co’suoi metodi una nozione esatta  e scientifica della coscienza e dello spirito? No, dacché il filosofo e la comune degli uomini non possono certo  appagarsi di queste definizioni : Il pensiero è un moto  o una trasformazione della sostanza cerebrale ; lo spi¬  rito è un polipaio d'imagini; la virtù ed il vizio sono  meri prodotti come il vetriolo ; il genio è il predomi¬  nio d'una facolta organica sulle altre; l’attività dell’in¬  telligenza è una danza continua delle cellule cerebrali;  il me o la coscienza è un gruppo di fatti organici.   A dimostrare false scientificamente queste defi¬  nizioni valga esaminare un sol fatto dello Spirito. Se  il pensiero fosse un moto cerebrale, e quindi se fosse  materia per le sue rispettive proprietà, noi saremmo  incapaci di fare qualunque giudizio, e di poterlo ana¬  lizzare e spiegare, dacché il confronto di due idee  (soggetto e predicato) c il giudizio ricavatone, sono  attributi del pensiero che ripugnano assolutamente  con a impcnctiabilità, 1 estensione e la divisibilità  e a materia c con le prerogative del moto. Rife-  mm„ gl. argomenti addotti dalli cigno modico 0 no-   2,? «T° fa ' ini   fan» con notrèbb r “ I>1 "' K0 ",ati ™ «idea !>, perché   Parimente il moto |,llla ' lca percezione ?   4d giudizio, si polrobbo PMt,0e !l ra W >rescntativ0  4ai moti dolio pai-ticoilo A '°7 re,ldor    re e dimostrate delle scienze positive, ha rimesso in  onore l’osservazione interna ed ha rinnovato il meto¬  do psicologico e metafisico. In ogni epoca i grandi  pensatori hanno distinto il scuso intimo dai sensi  esterni, l’esperienza sensibile dall'ospericnza interio¬  re, il metodo induttivo psicologico c storico, dal me¬  todo induttivo lisico. Per quali ragioni ? Perchè due  sono gli ordini dei fatti che a noi si manifestano, i  fatti del mondo esteriore c del corpo nostro, ed i fatti  della coscienza o dello spirito, i quali ultimi non pos¬  sono essere spiegati dalla mera osservazione esterna -,  perchè due sono gli ordini delle realità mondiali, la  realtà fìsica e la realtà dell’io negli esseri pensanti-,  e infine, perchè nelle cose tutto bisogna distinguere  l’elemento sensibile dall’elemento intelligibile o, pa¬  usare il linguaggio della scuola del Kant, il fenomeno  dal noumeno. L’esperienza interna o la coscienza non  pure sente e indaga gli atti spirituali, ma ne spiega  le cause, lo facoltà e le leggi, distinguendo ciò che  spetta all’organismo da ciò che spetta alito, allo spi¬  rito, e coglie finalmente la realtà stessa dell io. Se pci-  tanto ha un gran valore l’esperienza clic indaga i  fatti dell’universo materiale, compresivi quelli del  corpo nostro, non ha minor valore positivo lossena-  zione interna che ci fa conoscere quest altro ordino  di fatti c ci rivela l’essenza eia realtà dell io. Che  anzi, l’osservazione interiore illumina c perfeziona  l’esperienza esterna, applicando i principj universali  di causalità e di finalità ai fenemeni del mondo sen¬  sibile e materiale. Affermando ciò non intendo ammettere con qualche filosofo esagerato che tutto nel  mondo sia spirito : come falso o il materialismo uni¬  versale, così falso è l’idealismo e lo spiritualismo uni¬  versale. In ogni nostra cognizione vi è l’idea, fatto  dell'intelligenza, ma vi ha la sua parte anche il sen¬  so ; nell'universo esiste la materia sotto mille forme,  ma v’è anche lo spirito, che si palesa in noi ed a noi  come senso, come pensiero, come volontà, come amo¬  re, come coscienza. Impcrtanto il nuovo Spirituali¬  smo scientifico, valendosi dei risultamenti e progressi  delle discipline positive, e rimettendo in uso ed onore  il microscopio della coscienza, fa della Psicologia una  scienza veramente induttiva e si travaglia nella so¬  luzione dei grandi problemi metafisici, riponendo nel-  1 esperienza interiore, come già praticarono Aristotile,  san Tommaso, i più insigni e migliori Cartesiani, il  oibnitz cd altri, il principio fondamentale ed il me-   concCn- COmPÌUt0 de " C SUC Ì,UlaSÌ,1Ì 6 dcll ° SU °    unioni* è ^ ; neI1 ’ uomo vi « mei  tà. Ecco i risulf 6 1 S ° StaUZe ’ ma vera e propria un   Positiva modem^Ifatr ^ C ° nclusÌ0ni dclla Scienz  fenomeni del covn * ' S P Illtuad ‘ son o congiunti ;   dirsi, a tutto rie-nr •* le * azi onc. E se non pi   dell’anima hanno i Tìm^-’ ^ h SÌnsolc faco11   esempio che alla facoltà d r/sni CerQhrali > 1 5(   1 onda esattamente que la data parte del cervello, alla facoltà B il cervel¬  letto, alla facoltà C i lobi cerebrali, alla facoltà D i  corpi striati} il fatto si c che da un lato .varie sono le  potenze dell’anima, c dall’altro vediamo nel corpo no¬  stro organi diversi, e che ogni fatto spirituale viene  accompagnato da un fatto fisiologico. Vero ò che la  Psicologia scientifica sperimentale non ammetto nel¬  l’uomo facoltà distinte, quali il senso, la intelligenza,  la volontà ; riconosce solamente i fenomeni psichici,  vale a dire le sensazioni, i pensieri, le volizioni. E lo  stesso Hcrbart impugnava la vecchia distinzione e  pluralità di potenze originarie nell’ anima nostra.  Eccettoehò si potrebbe osservare che una è certa¬  mente l’essenziale energia dello spirito umano 5 ma  la varietà irriducibile de’suoi atti implica la varietà  delle sue potenze, pur non cessando d’essere una nel  fondo suo. Comunque sia, queste correlazioni tra i  fatti della coscienza ed i fenomeni del corpo, questa  rispondenza fra lo attività dello spirito c la struttura  del corpo e segnatamente del cervello, questa mede¬  sima unità della vita umana, portano forse scientifi¬  camente e logicamente a concludere che materia or¬  ganata ed Ànima sono in fondo cosa identica, c che  però gli organi cerebrali generano le facoltà dette  spirituali 0, se vuoisi, che i fatti psichici non diver¬  sificano sostanzialmente dai fenomeni fisiologici ed  hanno in questi la loro causa vera, unica cd efficien¬  te ? Ecco quello che, stando pure alla scienza nei  confini dell’osservazione, non può menar buono nean¬  che lo Spiritualismo scientifico moderno. Il fisiologo osserva le funzioni del corpo vivente e distingue gli  organi rispettivi ; analizza gli clementi della vita,  procede man inano dal semplice al complesso, dalla  vita locale alla centrale, dalla varietà dei fenomeni  vitali all’unità apparente delle cause della vita stessa.  Ora, il metodo puramente fisiologico vale come ana¬  lisi sperimentalo, ma non può valere come sintesi ove  presuma di ricercare e stabilire la causa vera, il prin¬  cipio di tutti i fatti della coscienza. E, a buon conto,  la sintesi fisiologica vi darà sempre un’unità fìsica,    cioè un’unità apparente, non reale, non vera, ma sem¬  pre composta c molteplice, perchè materiale ; vi darà  insorama la risultante di più funzioni organiche e  nicnt altro. Con questi metodi non si può dunque  analizzare i fatti veri dello spirito, quali sono le idee,  i pensieri, i sentimenti, gli affetti, le volizioni, e ancor  meno si può i icci'carc c stabilire il principio unifi-  utoie di tutti quei fatti, perchè la coscienza ci atte¬  sta la semplicità, l’unità, l’identità, l’attività e la  berta delh o.U q Uestc sono vane par0, 0 destituite   ogm valore oggettivo, ma sono fatti reali, incon¬  cussi, quantunque siano fatti rio .   •coi sensi esterni d potcrsi P ei ’ ce P irc   io i temi; Rechiamone alcune prove.   |loÌa hanT StarC . Ch ° nè ]a Flsica > ^ la Fi-   ^ della inteUigLta cldl trar ? he ^ ^ M 8 ° n “  effetto di causo o v r ° a Volonta sono un mero  che, non può rev ^ ^,Ucccanicllc e fisiologi-   ?SÌchic o, 8e ^aziontTensie n ro dUb r°- ^ ^ ^   veQ ga e sia da noi aJL ' V ° llz,one > Perchè av¬    vento spiegato, esige non solamente la condizione organica, ma un soggetto uno  q indivisibile, non materiale, che senta, pensi, voglia,  ed abbia coscienzadei rispettivi sentimenti e pensieri  e delle sue volizioni. Ora, questa unità reale e indi¬  visibile, sensitiva, intelligente e volitiva, consapevole  di se e degli atti suoi, e quindi personale, domandasi  appunto me, io } spirito. Altri la chiami pure Causa  o Forza, ma è sempre una Forza vivente e reale, non  astratta c però inerente ad un soggetto \ una Forza  spirituale, cioè sensitiva, intelligente e volitiva, non  meccanica nè fisiologica come le altre forze della Na¬  tura o del corpo nostro.   2° Mentre nel corpo vivente non si dà vera uni¬  tà, ma unione soltanto, ed i fatti fisiologici non pos¬  sono tutti ridursi ad un solo principio ; invece il me  unifica, nel senso stretto della parola, tutti i fatti del  sentire, del conoscere e del volere. Il che dimostra che  1-Jo è davvero uno e impartibile nell’csser suo, e che si  mantiene identico a se stesso in mezzo a tanta varietà  di fatti clic genera ed unisce, c dei quali ha coscienza.   3° Crii atti più elevati e cospicui dell’animo no¬  stro oltrepassano evidentemente nell’obbietto, nella  durata, nel fine, nel valore, ogni fatto del corpo vi -  vento. Certi affetti, certi sentimenti spirituali, certo  idee, certe volizioni possono,.attuate, cambiare la vita  d’un uomo, decidere le sorti d’una nazione, dare im¬  pulso ad una nuova civiltà. Il principio, la causa vera  di essi fatti, non può dunque trovarsi nel corpo no¬  stro e negli obbietti sensibili, ma nel pensiero, nella  volontà, nella coscienza. E di fatti, Keplero, Newton e Faraday non confessarono d’aver dovuto ad una  rivelazione interiore lo loro più mirabili scoperte  scientifiche ? Nò va dimenticato ciò che scrisse Co¬  lombo uc’suoi Bicordi: u Quand’io stava a meditare  solitario lungo il mare, la voce delle onde accorda-  vasi alla segreta voce dell’anima mia per parlarmi di  questa nuova terra   4° Il principio di causalità domina tutti gli es¬  seri materiali e sensitivi: nel mondo corporeo signo¬  reggia il determinismo. Anche gli atti del pensiero  e della volontà umana hanno le rispettive cause e  leggi. ma con questa differenza, che ogni essere della  natura obbedisce o ciecamente o istintivamente alle  cause ed alle leggi prefisse e costanti dell’universo ;  mentre la ragione e la volontà dell’uomo ora trasgre¬  discono, almeno in parte, queste leggi; ora pongo¬  no da se certi motivi diversi da quelli della materia  el senso, e si propongono altri fini nei loro atti ;   a».r,loUau°al S e„so ed * mater!, „   sm 1 evento. Ad„„ que il «, ollre aTW oirasc „,   ZZ rrr*,iWo 0 «“onomo,almenoentro   5,j “ a malcna inorganica ed organata,   le cause fin ^ ° i’ lnto ' oomc 'diligenza, comprende   perfezionando sé rii n UmvcmIe del Bene,  ignorando e tra’sfor m a T eSSen Umani P ensanti>   sensibile che 1 Dd ° in Parte lo stesso mondo   ossi, insieme con gli   *- - utto armonioso e perfettibile in    sommo grado. Ecco quello che riconosce ed ammette lo Spiri¬  tualismo scientifico moderno. La scienza positiva con¬  temporanea non può negare queste verità, che diver¬  samente invaliderebbe i suoi principj fondamentali e,  oso dire, il metodo e la maggior parte delle sue con¬  clusioni. Il nuovo Realismo scientifico ammette le cose  in sè, oltre i fenomeni. L’esperienza testimonia che  ogni realtà è una nella sua varietà, molteplice nell’uni¬  tà sua. La scienza positiva ammette il processo evo¬  lutivo, insenso di perfezionamento, delle cose tutte mon¬  diali, crede non perituralamateria, ma solo trasforma¬  bile. Or bene, lo Spiritualismo scientifico moderno,  facendo tesoro della stessa scienza positiva, riconosce  lanaturaela realtà deH’io, oltre distinguere i fatti dello  spirito da quelli del corpo vivente ; mantiene l’unità  dell’io pur ammettendo la varietà de’suoi atti; proclama  l’anima umana perfettibile indefinitamente ; non la  separa dal corpo e dal mondo, ma le riconosce pro¬  prietà e leggi sue particolari ; la considera come una  forza ed una causa, ma qual forza e causa personale.  E seia materia, come realtà e forza, ò indistruttibile,  non avrà diritto anche lo Spiritualismo scientifico mo—  derno, ch’è un progresso della Filosofia perenne, di  credere indistruttibile ed immortale, perchè consape •  vole di sè, quest’altra forza e realtà dell’universo,  l ’anima umana ?   Il vero Spiritualismo scientifico moderno non può  adunque consentire, in nome della stessa scienza positi¬  va, con certi insigni cultori dellaPsicologia fisiologica,  quali il Taine ed il Ferrière, che l’anima umana sia una. pura individualità vitale, una risultante di forze  organiche; che l’istinto e la volontà siano il risultato  dell’azione riHessa dei nervi ; che la volontà ecl il  pcusicro umano vengano sottoposti alle cause ed alle  leggi fatali, costanti, generali del mondo corporeo; che  non esistano le cause finali nell’Universo ; che Dio  sia la pura legge di tutte le forze cosmiche onde si  genera l’armonia universale. Ammessi questi princi¬  pi) natura umana c l’universo intero sono inespli¬  cabili, quando si voglia proprio indagare il midollo c  non la sola corteccia delle cose, quando si voglia ri¬  cercare c stabilire le cause, le ragioni, le leggi, l’ordine  supremo di tutto il reale.    Vi.    ila il nuovo Spiritualismo, oltre essere in ar-, ”',odo 6 Wwi certi c positivi dell)   STt'. 1 * dÌ fa “° °  civili e po-  La differenzatrarr... uu i tì C1 010410 S0(:i età animali  a o* «indo, essenziale, fra la vera soci et; umana, capace di progresso indefinito, e le parziali  ed imperfette associazioni di alcune specie di ani¬  mali, ci fanno subito arguire una radicale differenza  tra l’uomo ed i bruti. Nò si opponga che questo di¬  vario trova la sua ragione, nell’essere l'uomo il più  perfetto degli animali. Sì, l’uomo è il più perfetto  dogli animali, ma non tanto per il suo organismo e  per il senso, quanto per la sua intelligenza e per la  sua volontà, che lo fanno consapevole di se, che lo  costituiscono persona, che lo sottraggono in parte alle  cause e leggi fatali dell’universo materiale, che forma¬  no insomma il suo spirito. La vita umana sociale può  dirsi non abbia confini, perchè dalla famiglia si esten¬  de a tutta l’umanità consociata, e perchè le presenti  società civili sono figlio delle generazioni e società  umane ora spente, come noi prepariamo le future  società civili. La perfezione graduata della vita socia¬  le consta di più o diversi clementi, quali sono: verità  e scienza, linguaggio e letteratura, economia privata  •e politica, moralità, doveri e diritti sociali, consuetudini  morali e giuridiche, istituzioni civili e religiose, arti  manuali cd arti belle, e per ultimo lo Stato. Questi  ed altri elementi della vita sociale non sono dati dal  puro organismo e dal senso dell’uomo, ma sono effetto  principalmente della nostra intelligenza e volontà,  sono prodotti dello spirito umano. Il corpo nostro  perisce, ma le opere dello spirito sono immortali ;  tramontano le generazioni umane, ma sopravvive sotto  mille forme la loro civiltà; cade la potenza materiale  delle nazioni, ma restano in piedi le sane loro istituzioni civili. Così, la Grecia fa domata eolie anni dar  Romaui; ma la Filosofia, la Letteratura, le Ai ti Belle,  produzioni dello spirito greco, dominarono poi le menti  romano. Che resta oggi del Partenone e dell’Acropoli  di Atene ? Poche rovino ; ma la Scienza, la Poesia e  l’Arte greca hanno trionfato sulla matcriae sul tempo.  L’impero romano, opera segnatamente delle armi con¬  quistatrici, non c più da secoli ; ma il Diritto civi¬  le romano vive c vivrà perpetuo. La vita sociale uma¬  na è dunque armonia di varj elementi, come armonia  di elementi varj è la civiltà che ne deriva.    Questi elementi non possono affatto segregarsi dal  corpo e dal senso, nè possono recarsi ad atto senza  l’aiuto del corpo vivente; ma intanto sono vera opera  dellaniraaraziooale,non delcorponèdel scuso. Inoltre,  la eh iltà ed il piogresso umano tengono arcanamente  unite le presenti generazioni colle passate, non tanto  per le memorie, gli affetti, le tradizioni dei nostri cari,  quanto per la scienza, la letteratura, le arti liberali,  le istituzioni civili, politiche e religiose, cose tutte  che costituiscono .1 fondo o la parto essenziale della  mila presente. Aneto il mondo raa(erÌ!ll mantiene salde   CCCì M S!0V “ ri00rin0 ’ cI ’ e   0 segnatamene 1 °r> ' ‘ UlCCu le Scienze Naturali   enctemente k B„ta nicia ^   (0 Orni, ptrij., v, l, c Iv 8 nuove piante, precorse Linneo ed altri insigni bota¬  nici moderni in una sistematica e razionale cassa¬  zione dei vegetabili, divinò per esperienza e per  ragionamento la grande circolazione del sangue ; e  quindi precorse l’ITarvcy, come in Fisica ed Astro¬  nomia Copernico aveva preceduto Galilei, come questi  precorse il Newton, e come nei principii del Diritto  internazionale applicati alla guerra ed alla pace un  altro grande Italiano, contemporanco del Cesalpino,  vo’dirc Alberico Gentile, col suo trattato Dejure belli  aveva preceduto Ugonc Grozio. Ma questa, per or¬  dinario, c la sorte dell’ingegno italiano, novatore per  eccellenza ; il quale o resta dimenticato per alcuni  secoli, come avvenne a G. B. Vico, o gli stranieri no  usurpano e gli contendono le sue vere scoperte. Ba¬  stona, infatti, c’inscgnachepiù volte gl’italiani hanno-  seminato i più peregrini e fecondi prodotti dell'in¬  gegno ; ed i forestieri li hanno poi mietuti, vagliati c  spacciati come propri !   In secondo luogo, il Cesalpino non fu un gretto  commentatore di Aristotile ed un seguace servile del-  Peripato, ma riusci egli pure novatore nelle Scienze  Naturali, senza l’aiuto del microscopio, inventato 17  anni dopo la sua morte, e privo di tutti quei mirabili  ed efficaci strumenti de’quali dispongono gli scenziati  dei tempi nostri ; e tuttavolta in più rami dello sci¬  bile sgombrò la via a’suoi successori, quali furono  Marcello Malpighi, Harvey, Grcw, Tournefort,  Linneo, Pristlcy, Morgagni ed altri.   Continuando l’indirizzo positivo che Leonardo-        '.ili Ali   da Vinci aveva  salpino facevasi     •a dato alle Scieuzc sperimentali, il Ce-   isi forte dell’autorità di Aristotile nel    metodo induttivo, ma spesso ne abbandonava le orme  dove non poteva seguirlo, come nella Fisica •, e però  coglieva il meglio dei libri logici dello Stagirita ed  attingeva largamente alla Storia dagli animali, lo¬  data assai dal Buffon c dal Cuvier. Non intendo dire  con questo che al nostro fflosofo naturalista non deb-  .basi imputare alcun errore nello studio della Natura  inorganica ed organata, e che rispetto al metodo spe¬  rimentale Francesco Bacone c il Galilei non facessero  .clic perfezionare il metodo seguito dal Cesalpino. In¬  tendo solo dire ch’egli cooperò moltissimo a rimettere  in onore l’osservazione e l’esperienza, soffocate dalle  ascetiche idealità del Medio Evo, dalle minute di¬  stinzioni e dai sillogismi della Scolastica \ e quindi  richiamò le Scieuze sperimentali al retto loro' sen-  tieio. Il senso e 1 esperienza non debbono essere di- gel, il più ardito metafisico del secol nostro, seguen¬  do le dottrine fisiche di Platone affermava, verso la  fine dell’agosto 1801, dovervi essere una lacuna tra  Marte e Giove : mentre il nostro Piazzi circa otto  mesi prima aveva scoperto Cerere !   Adunque il Cesalpino, non solo per le sue mira¬  bili scoperte nella Mineralogia, nella Chimica, nella  Botanica e nella Fisiologia, ma ancora pel metodo  sperimentale da lui seguito, per l’uso razionale del¬  l’autorità scientifica e per taluni concetti nuovi, come  dimostreremo più avanti, segua il principio dell’età  moderna. Onde scrisse il Mamiani nel Rinnovamento  dell'antica Filosofia italiana : l£ Se faremo studio  profondo nel Cesalpino...., vedremo quanta sapienza  riluce dentro quel senno, e come la Filosofia odierna  sperimentale in Italia si appicca al filo delle opinioni  che aristoteliche si addimandarono. „   II.   Il Cesalpino lo chiainamrnoqua sopra novatore e  filosofo. È novatore non solo per le sue stupendo e utili  scoperte scientifiche già note, sì anche pel metodo  onde vi giunse : e questa novità di dottrine e di me¬  todi la sente egli stesso e ne discorre apertamente.   Come il Machiavelli nel proemio a’suoi Discorsi  immortali dice d’essereentrato pcruna vianou ancora  battuta da alcuno rispetto alla Scienza politica; come  Alberico Gentile fin dal principio del suo famoso trat¬  tato Dejure belli dichiara d’intraprendere un'opera ra e difficile, quella cioè (li stabilire le leggi alla   ... t • _,11 miftefA mnn fi n    nuova    -- ww   disumana di questo mondo, alla  guerra ; così il Cesalpino nella dedica o prefazione*  delle principali sue opere accenna d’essere novatore e  filosofo.-Non panni cosa sterileillibrochesonoperpub-  blicare, dopo avere studiato Filosofia per molti anni,  dim in philosophice studiis versor multosjam annos,  egli premette alle Questioni peripatetiche. Ài nostri  tempi, scrive nella prefazione alle Questioni mediche,  sono stati ritrovati rimedj nuovi ed ottimi ( nova qui-  dem remedia atque optima ) ignoti agli antichi. Per  essere utile agli studiosi, aggiunge nel proemio al  trattato sulle Piante, mi sono ingolfato in un vasto  mare : ingrcssus autem sum gurgitem vastum. Ed  ivi prosegue nel chiarire il fine ed il metododella sua  nuova classazione delle piante, cassazione conforme  non pure ai dettamidellasanalogica,sìanchealle qua¬  lità essenziali deivegetabili.“ Ogni scienza, egli dice,  consistendo nell’unire lo cose somiglianti e nel distin¬  guere le dissimili tra loro, mi sono studiato di fare  nella storia universale delle piante una distribuzione  di esse per generi e per classi o specie, secondo lo  differenze desunte dalla natura stessa 5 sccundim  uxgerentias rei naturavi indicantes. „   Bensì alla partizione universale delle piante era  egb armato mercè l’induzione, ebe ha da precedere  a divisione. Tre, pel filosofo Aretino, sono ! processi   peir I ' i “ ellcll ° toccare la   divisione   P 1 P 1 °gressu.„. perfectionem         ANDREA CESALPINO FILOSOFO 97   attìngimus : inductione scilicet, divisione, definii ione.  Colla induzione vediamo la somiglianza e la con¬  venienza ; colla divisione, la dissomiglianza e la dif¬  ferenza ; colla definizione, la sostanza propria di  ciascuna cosa. L’induzione va dal singolare all’uni¬  versale e porge alla mente ogni materia intelligibile;  la divisione trova la differenza degli universali ten¬  dendo a quegli enti che nella specie sono individui; la  definizione poi risolve le specie nei loro principii fino  agli elementi, cominciando dal singolare. Imperocché  siapiù facile, a mo’d’csempio, definire l’uomo che l’ani¬  male. E quindi Aristotile insegnò doversi ascendere  dal singolare all’universale (1) ; e dove non arrivano  i sensi vi supplisca l’analogia (2). Nè diversamente  aveva PÀlighicri concepito l’induzione, quando sta¬  biliva che la natura delle cose e delle potenze loro  non può conoscersi che per gli effetti :   Ogni forma 9ustanzial, che scita  È da materia, ed è con lei unita,   Specifica virtude ha in sò colletta,   La qual senza operar non è sentita,   Nè si dimostra ina’chc per effetto,   Come per verdi frondo in pianta vita (3).   Ed eccoci entrati nel campo vero della Filo¬  sofia speculativa del Ccsalpino.    (1) Qincst. pcrip., 1, 1.   (2) Appendìx ad Quccst. perip., c. V.   (3) Purgatorio in.   S’illuderebbe chi nelle opere del Cesalpino vo¬  lesse ritrovare un sistema rigoroso e compiuto di  Filosofia razionale. Come le regole logicali del Galilei  vannno desunte dai varj suoi scritti c specialmente  dal Saggiatore ; così lo dottrine filosofiche del Cesal-  pino bisogna ricercarle soprattutto nello Questioni  peripatetiche e ne\Y Appendice allo medesime, pub¬  blicata l’anno stesso della sua morte 1603 e nou facile  a trovarsi dovunque.   Il metodo, la filosofia prima e la scienza, gli  universali, Dio e le sue relazioni col mondo, l'uomo  e le sue facoltà, non che l’ultima sua destinazione,  formano anche pel Cesalpino il subbietto della Filo¬  sofia ; le quali materie mi accingo ad esporre e ad  esaminare brevemente.   Stabilito cheilsensoel’intclletto sono le due facoltà  necessarie alla conoscenza umana, e che il corpo non  è necessario alle operazioni del senso e dell’intelletto,  perchè le cose sensibili ed intelligibili ricevonsi nel¬  l’anima senza la materia, quantunque gli organi del  senso non possano stare senza materia (1) ; egli fissa   \ Chej SeC ° ndo 1 P recetti di Aristotile negli   1, a . 1C1 P os ^ et ù°ri, deve usare la mento umana  e a ricerca del vero e nella formazione della scienza.  •He 0086 Daturali dobbiamo elevarci al soprassensi.    Perip-, c. IV.    (1) Appendix ad Quceet. bile per via naturale (via naturali), che consiste  nel muovere eia quello che a noi è più noto, per  quanto all’uomo è dato di sapere. E quali cose a  noi sono più note ? Le cose individuali e sensibili ;  queste poi si rendono intelligibili, astratte le condi¬  zioni della materia ; e così abbiamo l'universale che  forma l’obbietto della intelligenza : unde universale  consurgit. quod est obiectum intellectus (l).L’operazio-  ne dell’intelletto, poi, non è quiete, ma un certo moto.   La Filosofia Prima è scienza universale : quod  prima philosophia universali sit scienlia (2). La  Filosofia Prima, fondamento di tutte le altre scienze,  non si vale della dimostrazione, nè della definizione:  primam philosophiam ncque demonstradone, ncque  definitine uti (3). Per qual ragione ? Perchè si fonda  su’prirai principii o questi sono superiori all’intel¬  letto umano e da esso indipendenti '.prima principia  non in nostra sunl potestate. La Filosofia Prima tratta  del primo genere della sostanza *, dovecchè l’Astro-  logia tratta del corpo sensibile ed eterno : de corpore  sensibili et (eterno agii; le Matematiche hanno per ob-  bietto le sostanze incorruttibili ; le Scienze Naturali  riguardano le sostanzo corruttibili (4). E manifesto  che il Cesalpino distingueva le scienze secondo i gene-    (1) Appendi® ad Quasi, perip., c. II.   (2) Quoeat. pcrip., I, 4.   (3) Ivi, I, 3.   14) Ivi, I, 4.  ri della sostanza, e però mirava ad una classifica¬  zione obbiettiva del sapere umano ; come nell’ap¬  pendice alle Questioni peripatetiche ammetteva le idee  in senso oggettivo ed universale, aventi cioè un es¬  sere proprio [smini esse habent in se) e quali note od  ioiagini delle cose che rappresentano tutti gii obbietti  della stessa natura. E così evitava gli errori del sog¬  gettivismo, che mena facilmente allo scetticismo ne¬  gando la naturale relazione fra l’intelletto nostro e le  cose intelligibili mercè l’idea, fra la mente e lo cose.  Infine, ogni scienza dipende da principii notissimi,  tali sarebbero quelli di sostanza e di causalità, appro¬  vati dall'universale consentimento: oranis enim scien-  tia pendet ex principia notissimis omnium consensu  approbalis (1).   Se la sostanza è un principio, e se la Filosofia  Prima tratta del primo genere della sostanza, che in¬  tendeva mai per questa il filosofo Aretino ? Sostanza  c ciò che sussiste per sè, c non aderisce ad altra cosa:  Substantia dicitur qua per se subsistit, non enim inest  alteri(2). Or qui vuoisi notare che le definizioni della   sostanza date posteriormente da Cartesio e da Spi¬  noza non differiscono da quella del Cesalpino, salvo-   e a cu ma, diversa e meno chiara, tale insomma  da ingenerare il sospetto di Panteismo reale. Giusta i pi’incipii del nostro filosofo, la sostanza  si spiega per quello che sia e indi risguarda l'essenza ;  mentre gli accidenti, che non esistono fuori della  sostanza, si riferiscono alla quantità, alla qualità,  insomma si riferiscono alle altre nove categorie o  predico menti, secondo ladottrina Aristotelica. Inoltre,  la sostanza non riceve il più ed il meno, perchè è  indivisibile ed immateriale : quea sine, maleria est.  La sostanza prende anche il nome di forma, a cui  si contrappone la materia. La forma, secondo Ari¬  stotile, veniva prima della materia, perchè l’atto sem¬  plice è prima della potenza: onde l’atto puro ammet-  tevasi come principio di tutte le cose e costituiva  la sostanza. La materia poi non era sostanza per  sè, ma in virtù dell’atto § della forma (1). Movendo  da questa teorica il Cesalpino considerava pur la  sostanza come fine c come perfezione degli esseri :  finis cnim et perfectio substantia est ; ed aggiungeva  sapientemente che il fino di ciascun ente si conosce  dallo sue operazioni (2), come dall’effetto si argui¬  sce la causa.   Dalla sostanza o forma indivisibile, immate¬  riale, una, dipendono le sostanze finite o, com’ci le  chiama, le forme naturali, che sono certe partecipa¬  zioni del sommo Bene, o come tali non sono divisibili    la definì : per subslanliam intellign id, qnod in se est et   per se concìpitur.   (1) Appendi.* ad Qucest. perip., c. II.   (2) Ivi, c. III.        I  nò materiali ; ma si dividono accidentalmente, in  quanto cioè sono ricevute nella materia, per cui la  natura corporea ad esse tutte si rende necessaiia .  solum natura corporea omnibus necessaria est. Adun¬  que, le forme naturali o sostanze finite vanno a in¬  dividuarsi, per così dire, nella materia ; ma questa  alla sua volta non può del tutto separarsi dalla forma :  quia omnino Materia separari nequit a Forma.   E qui non ti sembra di ravvisare nel Cesalpi-  no il precursore di Spinoza? Io sono propenso a  crederlo ; ma con questo divario : che il filosofo olan¬  dese, oltre non aver distinto la sostanza infinita dalle  sostanze finite, e quindi non far cenno aperto della    creazione sostanzialo, libera, ad extra, perchè tutti  gli esseri mondiali, così estesi come pensanti, non    erano che modi di due attributi infiniti, dell’estensione  e del pensiero divini : in quel cambio il filosofo di  Arezzo non pure distingue la sostanza o forma dalla  materia, e però la sostanza infinita da quelle finite,  ma distingue chiaramente l'Intelletto divino dal-  1 umana intelligenza, che si moltiplica secondo la mol-  ìtudine degli uomini ; oltre il pensiero ammette an-    « • aiurnubbu i   che il senso non dorìva+A/Un» • i. .,     (l) Avpendix Qmst. per i p., c . L  seri tutti, e quindi anche la materia, in quanto le  cose tutte scorrono da Lui (1) 5 ed ora sembra che  si avvicini aU'Emanatismo spirituale, come quando  afferma che ogni anima ripete la sua prima origine  dal cielo, c che il lume, interiore, cioè l’intelletto  onde l’uomo conosce le cose, gli viene partecipato  dalla sostanza immateriale che sola genera la scien¬  za (2) \ ed ora pare si accosti al Dualismo aristote¬  lico, ammettendo da una parto Dio, intelletto infinito  ed eterno, e dall’altra la Materia prima, non generabile  e indeterminata ( 3 ); non bisogna al tempo stesso di¬  menticare che nella prima del quinto delle Questioni  peripatetiche aveva distinto la successione degli es¬  seri nel tempo per leggi c cause naturali dalla prima  creazione di tutti gli animali c degli altri esseri per  efficienza dcH’Entc primo : cum alia sit prima om¬  nium animalium et cceterorum entium creatio, guce  a primo Ente in principio ejjluxit ; alia eorundem  successio. Ed altrove accenna alla conservazione e  provvidenza del mondo per opera dell’Ente uno e su¬  premo : ab Uno igitur sunt omnia et conservantur (4).   D'altra parte, il Cesalpino dmmise la genera¬  zione spontanea degli esseri organati, in vii tù del    (1) Appendix ad Quaist. perip., c. V.   (2) Ivi, c. V.   (3) u Nos igitur dicimua primain Materiata ultiranm  esse Bubiectumin quod resolvuntur trasmutabilm quatenus  trasmutabilia sunt-, neque componi amplius actu otpotentia,  esset enim generabili n. Qucest. perip., IV., V.   (4) Appendix ad Quasi, perip., c. I. calore e dell’azione del sole ; disse che ogni genera¬  zione si eflettua nel tempo j che bisogna pai tiie da  ciò ch’ò meno perfetto per avere ciò cli’è più per¬  fetto, anche secondo Aristotile ; che la prima gene¬  razione degli animali perfetti procede dal verme ;  e. da ultimo, asserì non potersi dare altre sostanze  fuorché le animate e le parti degli esseri animati.  Laonde a taluni è parso di ravvisare nel Cesalpino il  precursore di Lamarck e di Darwin rispetto alla dot¬  trina dell’Evoluzione o del trasformismo delle specie.   Non può negarsi una certa analogia fra queste  proposizioni dell’insigne nostro Naturalista ed alcuni  punti fondamentali della teorica Darwiniana. Ma,  dopo le cose da noi esposte, come sarebbe non con¬  forme a verità cd a giustizia accusare il Cesalpino  d aver negato assolutamente la creazione dell' Univer¬  so, ed accusarlo anche d’ateismo e d’empietà, come  piacque al Taurel (1) cd al Parker (2), e non dargli  tutto ciò che gli spetta qual fisiologo e filosofo na¬  turalista, nel che sbagliò lo stesso Puccinotti; così ra¬  to n vuole che non si possa a tutto rigore considerare  qua e antesignano dell'odierna teorica dell’EvoIu-  zione, perche il Cesalpino nelle Questioni perita-   “ m,so "»» s «'» videniia divina.  e le forme naturali non si fanno nò si corrompono: spe-  cies autem et forma neque fit neque corrumpitur (1); e  quindi affermò lespecie essere eterne, e solo corrompersi  in qualche tempo gl’individui (2). E nella prefazione al  trattato sulle Piante aggiunse che la natura non pro¬  duce nuove forme, nò dà vita a nuove bellezze delle  cose : non quod natura novas edat formas, aut novas  rerum pulchritudines ejjingat. Il qual pronunciato  senza dubbio pecca di esagerazione ; ma intanto ò  chiaro che si oppone all’odierno trasformismo.   Piuttosto conviene ammettere che il Cesalpino,  medico insigne e filosofo ad un tempo, accennasse qua  e là meglio di tutti i suoi predecessori e contempo¬  ranei la stretta relazione tra il corpo vivente, il senso,  l’intelletto e il mondo esteriore, e quindi precorresse  l’odierna Psicologia sperimentale, senza però con¬  fondere una cosa coll’altra, e senza cadere nel mate¬  rialismo e nel sensismo. Imperocché s'egli errava nel-  l’insegnare che tutta l’anima sensitiva risieda nel  cuore, peraltro distingueva gli organi corporali dal  senso, dimostrava tutte le sensazioni esser provate  ed unificate dall’anima ; la ragione essere differente  dal senso ed a questo superiore ; l’anima umana es¬  sere immortale. Quanto alla conoscenza, distingueva  le sensazioni dalle idee che sono oggettive, ammet-    (1) Quasst. perip., IV, 8. •   (2)  c °me Carlo Alberto, Maz-  Gioberti, M a miani t0 M O a EUlanUele, ManZOnÌ ’   •«co, nè filosofo della storia* 011 ^ ^ St °”   P^ò i diritti del futuro pi *’ ® anC ° r men ° USUr '  del nostro politico e mn, ® dd futur0 0mei '°   •di Terenzio Mamiani ** * ® d 1 menti filosoficl  Questo nome suona caro e venerato all’animo  nostro. Rari in ogni tempo e presso qualunque na¬  zione sono stati gli uomini che coll’ingegno, coll’ani-  mo, coll’operosità, col carattere, coll’esempio, abbiano  saputo e voluto nobilitare l’uomo, il cittadino, la pa¬  tria, il mondo delle nazioni, la scienza, la filosofia, la  civiltà umana. Il più grande fra tutti gli elogj d un  uomo preclaro è sempre la verità : ed io pure mi at¬  terrò al vero, sicuro che al Mamiani non potrà venirne  danno nè macchia, a lui che del vero fu sempre  amante passionato, e ricercatore acuto e indefesso.   IL   L’ingegno, l’animo e la vita del Mamiani furono  sempre dominati o ispirati da due nobili sentimenti,  da duo eccelsi ideali, cioè dalla patria nostra diletta  c dalla filosofia. Egli vagheggiava un modello perfet¬  tissimo del cittadino e del sapiente ; onde ricordava  con ammirazione Socrate e Platone, Varrone, Maico  Tullio e Boezio, Dante, Michelangelo e Campanella,  c l’antico popolo di Reggio e di Metaponto, popolo di  filosofi, morti por la libertà e per la sapienza.   Miserande erano le condizioni politiche e civili  d’Italia, e non liete nè prospere le sorti della Filoso¬  fia nazionale nel primo quarto del secol nostro. La  Patria serva e divisa 5 la Religione cristiana fr&ntesa  da molti, che pareva la volessero nemica di libertà -,  laFilosofia speculativa imbevuta del sensismo di Con-  diUac. Ora, la potenza 0 la grandezza dell’antica  Roma signora di sè ] gli splendori e la libertà dei nostri Comuni ; l’antica purezza e 1 efficacia moiale  del Cristianesimo, religione divina in se ma essen¬  zialmente umana e civile ne’suoi effetti ; le glorie  della Filosofia italiana dalla scuola Pitagorica fino a  G. B. Vico, e quindi il primato civile e intellettuale  d'Italia già venuto meno : queste rimembranze, al  cospetto delle miserie ed umiliazioni italiane dopo i  nefandi trattati del 1815o dopo i moti infelici del 21,  dovevano straziare l'animo del giovine Mamiani, nato  a cose grandi. Ma egli non disperò : la Storia gl’in-  segnava che il popolo italiano cadde più volte, ma  non perì mai e risorso più tardi con forze nuovo e  gagliarde. E però una fede invitta e perseverante  nei futuri destini della Patria animava l'ingegno c  il cuore del nostro giovine patriota, poeta, letterato,  pensatore, filosofo.    L Italia è sacra e starà eterna! Ecco il motto fati¬  dico che ripeteva sovente il Mamiani agli oppressori  e agli oppressi, nella patria sua e fuori durante il lungo  esilio. La suamente, robusta e moltiforme per natura,  nudrìtadi studj svariatissimi e profondi, vagheggiava  unaquintaenuovaepocadiciviltà italiana,chetornasso  a splendore c profitto dclfuniverso mondo civile. La  nuo\a foima della nostra civiltà doveva soprattutto  essere incarnai ndJa indipendenza e libertà d’Italia;  ne a distinzione dell'Autorità spirituale dalla Potestà  i e e P°^| ca * a Loma stessa.Fin dalla sua gioventù,  T ani ? a men ^ cet Ll cuore, il pensiero e il senti-   en o, apoesiaekscienza, il cittadino eilfilosofo cooi-  onevano una stupenda armonia ed unità. E queste doti e qualità diverse sono appunto necessario a con¬  cepire un alto ideale, ad avvisarne i mezzi per at¬  tuarlo, a porsi davvero all’opera per dagli almeno le  prime fattezze, lasciando ad altri, fossero pure gli  avvenire, il compimento q la perfezione dell’opera  grande.   Napoleone I disse che nel mondo sociale vi sono  due forze poderoso ed efficaci, la spada e lo spirito ;  ma soggiunse che lo spirito vince finalmente la spada.  Al risorgimento politico, intellettuale e morale Italia,  e però ad iniziare la nuova epoca di nostra civiltà, il  Mamiani reputava esser necessarie quelle due grandi  forze, la spada e lo spirito, le armi o il pensiero. E della  necessità di contcmperarc alle armi gli studj abbiamo  esempj antichissimi in casa nostra, nelle città fa¬  mose di Metaponto, Crotcme, Taranto, Locri eReggio,  famiglie e collegj di filosofi e di guerrieri. Ma lo spi¬  rito, vale a dire la intelligenza e l’animo, la lettera¬  tura, l’arte, la scienza, la filosofia, insomma la rige¬  nerazione intellettuale e morale degl’italiani dove¬  vano, secondo lui, precedere edaccompagnare le armi,  perchè bene apparecchiata, illuminata, compiuta e  durevole fosse la vittoria di queste, e indi perchè alle  imprese guerresche potesse e dovesse soprastare la  opera feconda della civiltà vera. E qui appare tutta  la nobiltà del conte Mamiani, come patriota, citta¬  dino e uomo di Stato.   Già fino dal 1838, assai prima di Cavour, l’esule  Mamiani inculcava ne’suoi scritti doversi abituare  « le menti, e sopratutto le giovanili, a scorgere ed a riverire nell’eccelsa Roma la sola e legittima città  capitale d’Italia E sul cadere del 47 vaticinava  prossima e solennemente giurava la salvezza del¬  l'Italia intera. M Cademmo per le discordie e la cor¬  ruttela (egli diceva ai Perugini), e per li soli con-  trarj loro noi potremo risorgere. Inebriamoci, a così  dire, della carità cittadina, e un qualche tempo al¬  meno viviamo dimentichi di noi stessi e ricordevoli  unicamente della patria comune : cd io vel giuro  per gli spiriti sacri e immortali dei martiri della li¬  bertà, noi salveremo l’Italia, e tutta la salveremo o  per sempre „. E ancor dopo le italiche vittorie e le  sconfitte del 48 e 49, gloriose le une, non umilianti  le altre ; dopo la caduta di Roma e di Venezia c la  sconfitta di Novara, egli non disperò delle sorti d’Ita¬  lia, e ripeteva in Genova sopra la fredda e venerata  spoglia di Carlo Alberto : L’Italia farà da sè.   HI.    Ma quali furono gli atti più cospicui del Mamia-  m come patriota e statista, e quali mezzi ravvisava  eg cconcj ed opportuni a rigenerare politicamente  «ralente l'Italia ? Nato a Pesaro il !0 settembre   Eom ''7' “ nlara a K> e " a 22 anni ed era studente a  ^ -do avvennero ipr ìmi ffioti UboraU nol _   mtramonr° r n ‘ ltttori Principali » fileno   » fa-   tatti d'aver 1 -a ^ pr ' s ‘ oni delio Spielbergo, rei   Sol i no tr! Cra ‘° k Ub “ a dd 'a patria In  nostro giovine patrizio non solo attendeva a larghi studj letterarj, filosofici e storici, ma s’ispirava  insieme alle glorie passate di Roma e d’Italia; e non  tardò guari ad esprimere, in una certa sua poesia,  concetti e sentimenti liberali. Onde il padre suo, conte  della Rovere, lo richiamò a Pesaro, dove fioriva in  allora la scuola classica marchigiana del Pcrticari,  del Leopardi, del Cassi e di altri minori, e che fu  anche patria del principe dei musicisti italiani, del¬  l’immortale Rossini.   Chi non percorre la nostra bella Italia non può  conoscerla nò amarla degnamente ; clic quanto più  si conosce c si pregia una cosa, e tanto più si ama.  Dal 1826 al 30 il Mamiani percorre l’Italia media e  la superiore, e ritorna più volte alla nativa Pesaro.  Nel 26 conobbe in Firenze i principali scrittori dcl-  l'Antologia fondata dal Vieusscux, quali erano Gr.  Capponi, Tommaseo, Niccolini, Giordani, Poerio, Col¬  lctta : ingegni tutti liberali, robusti ed eletti, che non  potendo in allora e da soli bandire e combattere una  guerra di nazionale indipendenza intendevano col  pensiero c colla penna a rigenerare la Penisola serva  e divisa. Più tardi lo vediamo a Torino, dove in¬  segna per due anni le patrie lettere nell’Accademia  militare. Ma il primo periodo d'intellettuale e civile  preparazione pel giovine patriota ò oramai finito.   Mentre il Mamiani attende in Pesaro a dar  compimento, degna e classica forma a’suoi Inni sacri  perchè meglio ritraggano i suoi nuovi ideali civili,  politici e religiosi, ne viene distolto dai moti liberali  del 31 nelle Romagnc c nell’Italia media. Risponde lieto c volenteroso all’appello della patria ; eletto a  deputato di Pesaro, siede poi a Bologna ministro del¬  l’Interno c però membro del Governo 'provvisorio  ilelle provincia unita italiane. M’avvicinarsi delle  truppe austriache, solo il Mamiaui corre animoso dal  generale Zucchi scongiurandolo a resistere colle po¬  che milizie cittadine. Ma prevalse londa straniera  invadente e il Governo provvisorio dovè trasferirsi  ad Ancona. Dopo il fatto d’ariuc, non inglorioso, di  Rimini, disperando oramai di potere più a lungo  tener fronte alle agguerrite e soverchiane forze stra¬  niere, il Governo provvisorio venne a patti col cardi¬  nale Benvenuti, stabilendo di concedere amnistia ge¬  nerale agli insorti, c di restaurare il Governo ponti¬  ficio. Ma al giovine o delicato Mamiani non parve  dignitoso quell’atto c rifiutò sdcgnoeamcntc di fir¬  marlo, anteponendo l’esilio volontario all’amnistia 1  Sul ponte del vascello che portava lui con altri pri-  gonicu italiani a Venezia, il cugino del Leopardi,  pieno di fede nei destini d'Italia, nonostante i fatti  dolorosi e la realtà del presente, concepì l’inno stupendo  ai Patriarchi. Dalla prisca civiltà, dalla storia del  popolo italiano sempre risorgente c dall’eccelsa natu-  a c uomo Egli traeva gli auspicj perle sorti non  1 e o piogressive del genere umano e segnata-   nente della stirpe latina: XItalia è sacra c starà  eterna !    Ma ogni fede, c però anche la fede del cittadino   ta c snrrptt^T’if ' ana ’ c l uan ^° non sia accompagna¬  la c sorretta dalle onpm T,’’ • . . .   P c. L il Mamiani si accinse subito a corroborare la sua fedo di patriota ed a colo¬  rire il suo ideale col pensiero, colla penna, coll'esempio,  coll'azione, colla vita intera. Da Venezia fu condot¬  to a Marsiglia, dove gli fu comunicata la sua con¬  danna all'esilio perpetuo. Dal 31 al 47 visse dignito¬  samente a Parigi, dedicandosi tutto all'avvenire della  patria, al culto delle lettere, al rinnovamento della  filosofia in Italia. Considerando tutte le reali condi¬  zioni della nostra penisola e d’Europa non gli sem¬  brava guari fattibile il disegno ardito c vasto di  Giuseppe Mazzini, esule egli pure fino dal 31. E però  dopo un breve carteggio col fervido ed eloquente apo¬  stolo dell’italica democrazia, il Mamiani, pur con¬  corde con lui nel fine supremo, di far cioè libera e  indipendente l’Italia, opinava si dovesse battere altra  via. E così di fronte alla Giovine Italia si costi¬  tuì un Comitato nazionale presieduto in Parigi dal  Mamiani. Pensiero ed azione; Dio e popolo : ecco  il motto assennato e pratico dell’apostolo civile ge¬  novese. Pensiero, concordia ed azione ; rigenerazione  intellettuale e morale degli Italiani; miglioramento  economico del popol minuto, osservanza e fiducia nel  medesimo per liberare l’Italia : ecco le massime fon¬  damentali che dal canto suo predicava e inculcava il  Mamiani.   E poiché l’azione dev’essere preceduta e illumi¬  nata dal pensiero, così la letteratura, la poesia, la  storia, la filosofia sono principalmente rivolte dal¬  l’esule Pesarese a rivendicare la libertà c indipen¬  denza della patria. Compone \'Ausonio, c vi canta patrii e civili sentimenti. Scrive il Rinnovamento  dell’antica Filosofia italiana, e (oltre dedicarlo alla  sua città natale) vi pone in maggiore evidenza il  pensiero speculativo e insieme pratico degl Italiani j  con esso libro richiama alla mente de’ suoi conna¬  zionali e fa meglio conoscere agli stranieri il nome,  le dottrine, il metodo scientifico d’ingegni nostrani,  quali furono il Pomponaccio, il Cremonini, lo Zaba-  rella, il Cardano, il Eizolio, il Telesio, il Della Porta,  il Valla, il Bruno, il Campanella, e Andrea Cesal-  pino, ingegno sommo, inventivo e acutissimo non  pure nelle fisiche ma eziandio nelle metafisiche di¬  scipline. E così il Mamiani accennava ad altri la  via per fare nuove ed impensate ricerche. Ma non  contento di questo, chiude il suo libro col vivo de¬  siderio ed augurio che sorga presto nella nostra  patria una scaola novella da cui si pigli ad ereditare  con franco animo l’antica sapienza speculativa e le  antiche arti metodiche. In progresso medita i Dia¬  loghi dx Scienza prima, ove distilla il succo nutritivo  oave della sua mente profonda, e vi raccomanda,  speme per l’Italia, una filosofia alta e piena di vita,   Um / aCC - lUd M let ? raassime Perfezioni dell’essere   0106 ll - pens, ’ ero s ùnte, la fede incrollabile .   t ZI 6 li offre nel 46 al Popolo   TÌZT maiPerÌtUr °’ ÌQ 8 e S Q0 d ’ a *ore immenso  e ui sublime speranza. •   tesse avvenire^ ^ nsor81mento politico italiano po-  aal a Q escogitarne i mezzi pratici e morali. Come Dante per ritornare a civile  grandezza l’Italia, già donna di provinole, mirava  prima col suo divino poema a rigenerare moralmente  l'uomo e la società civile e religiosa ; cosi il Mamiani  credeva necessaria la rigenerazione delle menti e  degli animi italiani perchè indi risorgessero politi¬  camente. Di qui il suo concetto dell’educazione mo¬  rale e intellettuale del popolo, dei modi per attuarla,  dei doveri e diritti delle moltitudini: cose tutte  esposte è determinate magistralmente nei Documenti  pratici, che seguono al Parere dello stesso Mamiani  sulle cose italiane, e che meritano d’essere anche ai  nostri giorni attentamente considerate. Dalla pub¬  blicazione di quei pratici Documenti alla proclama¬  zione delle varie Costituzioni italiane nel 48 corse  appena un decennio ! Il pensiero e gli studj prece¬  devano dunque le riforme civili e le armi, e ne as¬  sicuravano le prime vittorie.   Anche le solenni riunioni dei dotti italiani nelle  più colte e principali città della Penisola giovarono  assai a maturare il risorgimento politico della Na¬  zione. Ora vuoisi notare che la prima idea dei nostri  congressi scientifici si deve al Mamiani, avendone  egli accennata la utilità e convenienza ne’ suoi Do¬  cumenti pratici. Del primo congresso di Pisa nel 39  non potè il nostro esule partecipare ; ma nel 73 con¬  vocò sul Campidoglio la XI di queste riunioni e potè  bandire al mondo civile che oramai u libero il pen¬  siero, una la patria, il congresso degli scenziati ita¬  liani scioglieva in Roma l’antico voto n .  Ma riprendiamo o seguiamo rapidamente gli  eventi. Per opera di Carlo Alberto, il Mamiani ave¬  va nel 47 rimesso piede in Italia, ospitato prima a  Torino, poi a Genova. Ma ne a Pc3aro, nè a Roma  volle far ritorno se non dopo la promulgazione dello  Statuto pontificio, avendo giurato che sarebbe rien¬  trato in patria solo pa' la povta dell’onora ! A Ge¬  nova fonda il giornale politico la Lega italiana, il  cui vasto e nobile programma, mentre era una con¬  ferma delle sue idee intorno alla rigenerazione in¬  tellettuale e morale degl’italiani, rivelava le doti emi¬  nenti del pubblicista ed i sani principi sulla vera  missione della stampa, detta oggidì il quarto potere  dello Stato ; come pure faceva palese le nobili aspi¬  razioni del cittadino c del filosofo a ricollocare nel  primo seggio la sapienza civile degl’italiani. E sotto  questo ì ispetto 1 opera del Mamiani si riannodava alle  idee dell’autore del Primato o del Rinnovamento  civi e d Italia. Eletto a deputato di Pesaro e poi no¬  minato Ministro dell'Interno, propone all’Assemblea  romana liberali e savie riformo d’ordine politico ed  amministrativo ; parla nobile c franco a Pio IX, mira  6 empre, come deputato e ministro, col pensiero, colla   esilV:f 1 :, att, ',H 1,UnÌV - a ltalia > e s P osa a ^ e reali   della civili et P ° ^ et * tl 1 ficozza e pre-  IbnTdf *T r “ "" KC ° vera   .iniani Non 1 6 ancora si s P in S e il Ma-  Non solo ammetto la > reaRj^obbietUva u _^lle    j- AtX idee, ma pare voglia conciliare l’esperienza interna  ed esterna con {'intuito delle idea, intuizione che non  è più sentimento nè percezione. E dopo aver pro¬  pugnato che ogni idea universale è ante rem, mentre  ogni nostra cognizione è post rem, conclude reciso :  “ O credete all’idee, ovvero disperate di mai salire  a certezza c universalità di scienza „.   Ne’ Dialoghi di Scienza prima scrisse che Dio  era conosciuto dalla mente nostra non quale oggetto  immediato d'intuito, ma sotto la relazione comune  dell’essere. Invece nei Principj d’Ontologia non pure  fa consistere l a pietra angolare di tutta la scienza  n el reale sussistere dell'Assolu to, ma propugna che la  mente umana intuisce l’Assoluto, cioè il Vero, il Bello,  il Buono, il Santo. Onde quel contatto marginale della  nostra mente coll’ Assoluto e la famosa teorica degl’m-  flitssi divini, che vogliamo compendiare colle stesse  parole del Mamiani: “ L’a zione occ ulta dell’Assoluto  sull’animo nostro ha cinque forme originali e diverse,  e cioè la creativa, la in telle ttiva, la estetica, la mo¬  rale c la re ligio sa. Per la prima aziono l’uomo esiste,  per la seconda egli afferma, per la terza ammira, perla  quarta ap prov a, per l’ultima adora „. — Certo,queste  dottrine filosofiche sono ardite ed esagerate. Ma chi  potrebbe dire che non abbiano alcun fondamento, clic  siano false tutte c di sana pianta, ove si consideri tutti  gli elementi neccssarj a formare la conoscenza uma¬  na, ove scrutiamo a fondo Tesser nostro in sè e nelle  suo relazioni, ne’suoi concetti più elevati e senti¬  menti più nobili, ove infine si badi alla natura purissima della scienza clic rispecchia nella mente nostra  finita ed imperfetta, la realtà, la grandezza e la per¬  fezione dell’universo? Del rimanente, ogni gran pen¬  satore e novatore ha sempre qualcosa di manche¬  vole e di erroneo accanto ai suoi peregrini concetti  ed alle sue verità. Por esempio, al Vico, creatore  della Filosofia della Storia, fu contestata la teoria  dei corsi storici ; al Leibnitz, autore del famoso  trattato sulle Monadi e che avea chiarito da pari  suo ed applicato universalmente il concetto di forza,  venne a buon conto rimproverata l’armonia presta¬  bilita.   Ma l'ingegno filosofico del Mamiani spicca alto  c sicuro il volo nei Principj di Cosmologia, là ove  segnatamente discorre della vita e del fine nell’Uni¬  verso, e dove stabilisce e compie la nuova teorica  del Progresso. Tesoreggiando la parte inventiva,  sana e vera delle dottrine del Leibnitz circa l’ori¬  gine, la natura e l’ordinamento dell’Universo, o  giovandosi dei mirabili progressi delle scienze spe¬  rimentali, due grandi nostri filosofi hanno scrutato a  fondo c con novità di concetti l’essenza intima, la  prima origino, le correlazioni supreme, l'armonia  e l’ordine, nonché il fine ultimo dello cose tutte:  >1 Mamiani nei detti Principj di Cosmologia, e più  taici il Conti nell Armonia della cose. Io penso che  mora nessuno li abbia superati su questo subbietto  capita issirno della Filosofia, trattato da essi con  acume e larghezza di vedute, con sapere consuma¬  ssimo e, specie del Mamiani, con analisi fine perciò che risguarda i principj causali c formativi, le  relazioni supreme e finali così della vita vegetativa  ed animale, come della vita umana e razionale.   La teorica dell'umano progresso non è nuova;  si deve segnatamente al Turgot, al Condorcet, al-  l’Herder, al Kant e al Fichte. Ma il nostro Mamiani  ha dimostrato con novità di prove razionali c spe¬  rimentali la necessità del progresso indefinito non  sulla Terra unicamente, ma nell’Universo intero  mercè la vita razionalo c morale degli esseri .intel¬  ligenti e liberi. E quanto al progresso umano sociale,  questo dovrà alla perfine condurre alla massima ci¬  viltà, armonizzando le forme parziali di progresso e  d’incivilimento dei varj popoli, che tutte possono  ridursi a sei, cioè l’attività, la scienza, la libertà,  l'arte, lo Stato e la moralità. E poiché il risultamento-  finale e durevole del progresso e perfezionamento di  molte nazioni non può esser mai l’opera esclusiva di  ciascuna di esse, come la Storia dimostra ; esso vuol  essere attribuito a certo organismo occulto di tutte,  che si svolge e si perfeziona per disegno e lavoro ma-  raviglioso della natura. E così il Mamiani rinnovava  e compivalaTeorica del Progresso, e stabiliva l’Unità  organica del mondo delle nazioni.   Questa cd altre dottrine del Mamiani, come la  sua teorica della Percezione, hanno davvero fattezze  native e indole schiettamente nazionale, e bastereb¬  bero da sole a far glorioso il nome d'un uomo e a dar  vita ad una Scuola filosofica italiana, teista spiritua¬  lista civile e liberale ad un tempo. Il Mamiani credo   Valdarninì 9        ]30 TERENZIO ATAMANI   nc fosse internamente persuaso; onde vi tornava so¬  pra più volte c sotto diversi aspetti nelle «altre sue  opere, c segnatamente nella Rivista di Filosofia delle  scuole Udirne da Ini fondata e diretta per 15 anni.    V.   Ma la filosofia del Mamiani fu non meno spe¬  culativa e profonda, elio pratica c civile : a nessuno  dei più gravi problemi sociali del nostro secolo ri¬  mase straniera. Tutte le questioni sociali si possono  in fondo ridurre a quattro : religiosa, morale, eco¬  nomica (l), politica. ÀI Mamiani parve ornai risoluto  presso di noi il problema politico, ritenendo egli suf¬  ficienti c sicure le nostre guarentigie costituzionali,  e stimandola libertà più c meglio che un diritto, un  dovere. Al problema religioso rivolse egli la mente  «no dalla sua gioventù, mirando ad una religione pu¬  ra, ottima, universale, conforme alla natura razionale  O religiosa dell'uomo, o olio fosso ad un tempo emi¬  nentemente civile o morale. A questo idealo egli mirò  »« vai;, suo, scritti,dagl'/,,,,; sacri „ W|,   r 1" ^•"‘l’oMvae^tua id    D 0 .° n ^ cm P 0 > lordine morale, l’ordine giuiùdico  e or me economico ? L’ingegno umano e la scienza, ani ™ ancora ns P 03t ° a questa formidabile do-  * . SC . P Urc Un Scorno arriveranno il pensa¬   sti nrp* ^ SC ‘ enZa . ad armonizzare quei tre ordini  fiJLT 6 r dÌVCrSÌ elementi sociali, dubitiamo   V aVUa prati0a 8i «"* -empre e do-   daiia mmie   acuta»! ‘ h “ "r7- KMt   ’ cne * ra * e arti umane due sono le più difficili : l’arte d'educare e quella di governare,  gli uomini.   Quindi ogni secolo ha avuto gravi problemi so¬  ciali da risolvere. Di questi problemi alcuni sono di  indole generale perchè riguardano il mondo delle  nazioni o l’umanità consociata, tal sarebbe il ricono¬  scimento pratico e giuridico de’diritti naturali degli  uomini ; altri sono particolari, riguardanti cioè una  sola nazione, tal sarebbe il modo di conciliare l'unità  c la integrità dell’impero Austro-Ungarico col prin¬  cipio d’autonomia e di libertà delle varie schiatte e  popolazioni che oggi formano quell’impero.   A quattro possiamo ridurre le principali que¬  stioni sociali dei tempi nostri e sono le infrascritte.   1° La questione morale, non tanto per la varietà  e moltiplicità dei sistemi scientifici morali che oggi  più che mai si contendono il campo, quanto per lo  scadimento pressoché universale del senso etico.  Quindi convien ricercare le cagioni tutte di questo  fatto, ravvivare e rinvigorire negli uomini il senti¬  mento morale, e praticare nelle relazioni vuoi private  vuoi pubbliche i sommi principj di moralità e onestà  e di equità naturale.   2° La questione religiosa, non solo pei doveri  dell’uomo verso Dio e nell’interesse della sua desti¬  nazione oltremondana, ma per istabilire e mante¬  nere in modo più sicuro l’unità morale fra gli uomini  tutti. Ai nostri tempi, invece, non solo permane la  diversità delle religioni positive che possono dar ésca  a divisioni di popoli e fomentare guerre sterminatrici e da barbari, ma sempre più vivo si palesa il  conflitto fra la ragione e la fede,, tra il domina e  l’esperienza illuminata, fra la scienza c la religione.  In qual modo comporre il dissidio tra i principj della  scienza e i diritti della ragione da un lato, fra le  verità di senso comune e le aspirazioni dell'anima  umana dall’altro, essendo l’uomo costituito dalla na¬  tura animalo religioso ?    8° La questione politica, la quale risguarda non  tanto la forma di Governo, lo più sicure ed ampie  guarentigie costituzionali, quanto e meglio la libertà  civile e politica, che le democrazie moderne vor¬  rebbero portare col fatto all’ultima sua espressione.  Oia ognun vede che siffatto problema presenta gra¬  vissimo difficoltà, ove specialmente si riconosca cs- •  sere la libertà per gli uomini particolari e per le  nazioni, pei governati e per gli stessi governanti,  non solo un diritto ma un dovere.   4° La questione economica, vale a dire la ric¬  chezza d, pochi e la quasi indigenza dei proletari  che cosi,tu,senno i quattro quinti del genere umano! Il   rim to d, proprietà individuale e le condizioni miser-   r k > Ìl Capi ‘ ale e U “"0 «peeial-   fii T„ ", ”T° ' 1Uasi in aperto co,, -   „ lìr r r p0n '° “«evolute « ™io.   alla nel’ itt0 ' d,e tla U«"i » spinto «no   Può il°.e 0 ', 0 ' ° dlntt0 1,1 Possedere c di testare?  pili "° S . lro -P'-omettar.i di risolvere il   Ln Z) m (00me il   0 nella »™‘'“»‘a Ma sorbir M salario e quindi nella reale a compita emancipa¬  zione del quarto stato ?   Lo quattro grandi questioni sociali si riducono  in sostanza a due : al problema morale cd a quello  economico sociale, che hanno carattere di universa¬  lità vera e propria, riguardando essi il genere umano  nell’ampio giro del tempo o dello spazio sulla Terra.  Noi ci occupiamo qui della sola questione economica  sociale e del modo di risolverla praticamente in Italia,  secondo le dottrine c gli espedienti del Mamiani, de¬  sumendo lo une c gli altri dai varj scritti di lui.  Ma prima diamo un cenno storico della questione  medesima.   II.   La questione economica non c nuova nè mo¬  derna, ma può dirsi rimonti alle prime società civili.  Ogni epoca e ogni grande Istituzione sociale, come  lo Stato c la Chiesa, han tentato di risolvere o a  modo loro o in conformità dei tempi l’arduo c com¬  plicato problema. Ma è stata sempre una soluzione  parziale e provvisoria, mai totale, generale o defi¬  nitiva, sia per la natura dei mezzi adottati, sia per  la stessa nativa diseguaglianza degli uomini c  per le nuove esigenze della civiltà progrediente.  La istituzione delle caste nell’antico Oriente, la di¬  visione legale fra i liberi e gli schiavi nella Grecia  c nel mondo romano, le corporazioni religiose isti¬  tuite dalla Chiesa, il sistema feudale nel medio evo.  le stesse corporazioni d’arti e mestieri appo i nostri Comuni c le nostre Repubbliche, si credettero spc-  dieuti efficaci a risolvere la questione economica so-  cialc, e quindi furono adottati per Scongiurare il  pericolo. Ma nè il Paganesimo che negava agli schia¬  vi ed ai servila personalità morale e giuridica, nè il  Cristianesimo che riconosceva nei volghi servili la  personalità umana c l’eguaglianza morale, e pre¬  dicava ai ricchi la carità, ai poveri la rassegnazione,  nè le istituzioni sociali del medio evo in Italia ed  altrove, riuscirono a risolvere la questione economica,  ma ol’aggiornarono semplicemente, o la indirizzarono  per una nuova strada.    I nuovi principj del Cristianesimo neppure nel  medio evo valsero ad appagare sempre lo plebi, a  distoglierle dai beni presenti esortandole a restar  povere e tranquille. u I pensieri c gli affètti dell'uomo  staccati a forza dalla vita presente, nondimeno di  tratto in tratto vi tornavano, c il sentimento della vita  irrompeva fortemente e violentemente. È questo senti¬  mento che in Italia nel 1035, al tempo della lega dei  valvassori minori contro i maggiori, faceva cospirare  anc ie gli uomini di servii condizione contro ipadroni,  e darsi giudici, ragioni e leggi. Parimente nel 1387  vediamo nel Canavcsc, Vercellese e Vallese, nella  mna e Tarantasia e in altre parti, il popolo   i nnViT 10 a^ 6 t0lrc 0 ca «)pagna sollevarsi contro  mm-P ì tl * vast ‘ mot i dei contadini misero a ru-  di li fn eBta “ Ìa -  la ricchezza c la povertà. Col  sistema dello p.ccolc industrie, l’operaio poteva sce-   :r c tra ; d,vcrsi P adl '°"i quello che gli faceva mi-  ST COnd ' Z10 "' ; 11 Ch0 «« “'-va di stimolo a rcn-   *«*“» “1 ambita Papera m Si  voro V),. 0,- e ’i " n C ° rt ° ei l ailibrio tr a capitalo e 1»-   AtomtVoll b ° n °| ZJ n °" Si 1WSSOno P iil avcr0 001   « s“ V-'; ° Ì,,dUSl, ' !a - » * 'intedia co-   -i caoitalist' asolanti, PCi-cU alla lega di questi  P'tabst, possono contrapporre la propria eoa piti  HI  sicura e pronta efficacia. Venendo meno le piccole-  industrie e scomparendo gradatamente il ceto medio,  alla perfine il cajiitale e il lavoro si troveranno l’uno  di fronte all altro. JE già il conflitto è cominciato  qua e la in più luoghi e sotto aspetti diversi : vi è  un cumulo di odii mal repressi che anelano la ven¬  detta o almouo la rivincita. Tantoché, ove non si  pensi in tempo ai firnedj, vi è da temere uno scon¬  volgimento sociale nell’ordine politico ed economico.  Ma quali rimedj adottare e come prevenire un ri¬  volgimento sociale, clic potrebbe essere il più ter¬  ribile nella storia del genere umano ? Ecco l’arduo-  problema economico sociale, ecco la sfinge moderna,  che preoccupa la mente del filosofo, del filantropo,,  dell’economista e dell’uomo di Stato.   III.   Alla pratica soluzione di questo formidabile pro¬  blema in Italia il nostro compianto Mamiani involse  per oltre quarant’anni (1S3S-.1SS2) la mente, il cuore,  gli studj suoi ampj e consumati. “ Quella comunanza  di uomini (egli scriveva fino dal 1838) elio non sa-  trovar modo, o non vuole, di schermire dalle neces¬  sità estreme della vita gl’indigenti onesti e d’ogni  fatica volonterosi, non può dirsi con proprietà sa-  piente e civile, ma sotto apparenze molto contrarie è-  barbara e insipiente tuttavia. Le genti educate ed  agiate sono dalla natura e da Dio costituite madri  e tutrici delle infime plebi, e di queste hanno a.  render conto molto severo sì innanzi alle società urnane e sì innanzi a Dio padre dei poveri „ (1). Fer¬  mato ciò, il Mamiani rigettando le strambe utopie dei  Comunisti e dei Socialisti moderni perchè ingiuste  e non attuabili, e scegliendo quelle riforme e quei  miglioramenti sociali che erano o che gli parevano  possibili e praticabili in Italia, esule a Parigi segnò  ne’ suoi Documenti pratici intorno alla rigenerazione  morale intellettuale ed economica degli Italiani, al¬  cune linee di quel vasto disegno onde il secol nostro  intendeva e intende a migliorare le condizioni del  popol minuto. I mezzi da lui proposti per soddisfare  ai diritti che riguardano la sussistenza sono gl’in¬  frascritti.   1° Abolire i dazj c le imposte d'ogni natura che  gravano più propriamente sull’infimo popolo.   2° Francarlo dalle viete tasse parrocchiali as¬  segnato all’ adempimento di certi atti solenni, civili  e religiosi.   •j° Moltiplicare e perfezionare gli ospedali, i  ìicovcri, i monti di pietà c simili altri istituti di  pubblica beneficenza.   4 Propagare il più che si può tali istituti anche  per i villaggj e le campagne, c imitare da per tutto  esempio d alcuni Comuni rurali, che a loro spese  provvedono i contadini di medico e medicine.   ò Rifornì are ed ampliare le leggi e i regola¬  menti circa ai patti e alle mutue relazioni tra i fab-    (1) Scritti politici, edizione  renze, Le Monnicr, I853.    ordinata dall’autore. - Fi e la questione economico- soci a Lu¬  bricanti, capomastri e bottegai da un lato, e gli ope¬  rai, giornalieri, manuali e apprendisti dall.’altro,  porgendo a tutti i secondi guarentigia e soccorso nei  termini dell equità, e contro l'egoismo e la durezza  dei primi.   G° Istituire in ogni città, dove gli operai so¬  vrabbondino, due sorte di lavorerìe pubbliche per¬  manenti : 1 una pei rozzi braccianti, l'altra per gli  operai delle arti comuni.   7° Tali istituti ordineranno per guisa i rego-  menti c le discipline proprie, c con si fatta misura  proporzioneranno le loro mercedi, da non sopraffare  in nulla le industrie de’privati; mentre toglieranno  a queste l’arbitrio di soverchiare gli operai in nes¬  suna cosa.   • 8° In tali lavorerìe ed officine pubbliche non  debbono gli operai nè esser costretti a vivere rin¬  chiusi, nè perdere alcuna porzione di quella indi¬  pendenza, di atti c pensieri che la civile libertà con¬  cede ad ogni uomo onesto. I lavori, poi, scelti e  ordinati in quelle saranno volti con provvidenza ed  accorgimento alla pubblica utilità, e segnatamente  a quella del popol minuto.   9° L’ammissione a tali opificj sarà concessa ad  ogni operaio il quale darà prova di aver offerto in¬  vano l’opera sua nelle officino privato. E il pericolo  della soverchia c non strettamente necessaria fre¬  quenza degli operai in quelle lavorerìe sarà evitato,  con fare strette più dell’uso ordinario le discipline, le  quali poi debbono esser pensate c trovate con ingegnò SÌ fatto da convertirle in buoni e quotidiani  metodi educativi.   IO 0 - Tutto ciò richiede che il tesoro arricchisca  abbondevolmente per altre vie. Nuova fonte di ric¬  chezza pubblica può divenire la tassa detta progres¬  siva, ed una sull’eredità trasversali proporzionata al  grado più o meno stretto di parentela, e il rendere  mobili e circolanti i beni immobili c camerali, o per  ultimo il fare sparmio di tutta l’immensa moneta  che inghiottono e scialacquano i grossi eserciti stan¬  ziali, i gran favoriti di corte, i doganieri, e mille  altre specie di ufficiali e di salariati o perniciosi o  superflui.   11° Con molto valsente tenuto in. riserbo, si  ovvierà a quegli accidenti imprevisti che turbano  a un tratto 1 economie delle industrie e del lavoro  quotidiano. Così gl’italiani, antichi fondatori delle  Case di lavoro, perfezioneranno conforme ai bisogni  dell età nostra il pietoso trovato degli avi loro.   12 Riguardo alle campagne, bisogna in primo  luogo riformare ed ampliare il codice forese od agra¬  rio, perchè si tutelino con più efficacia i patti e le  relazioni giornaliere fra i possidenti e i coloni, mi¬  gliorando le condizioni di questi ultimi, e mallevat¬  ole contro ogni ingiustizia e sopruso.   13 In secondo luogo, bisogna istituire in ogni  P noia compagnie di assicurazione (sovvenute dal   mune) contro i danni delle gragnuole, delle carestie,  jpizoozie ed inondazioni, affinchè i contadini si veg-   accertato ogni anno il frutto del loro sudore. E quando il raccolto sarà favorevole ed abbondante,  i contadini concorreranno per la lor quota al pa¬  gamento della tassa di assicurazione.   14° Un Consiglio superiore, aiutato dai suc¬  cursali delle provincie, prenda in cura speciale lo  studio e la vigilanza degl’interessi del popol minuto.  A questo Consiglio saranno ascritti molti uomini  pratici e versati in dottrine particolari relative ai  fini proposti, e tutti splenderanno di specchiata pro¬  bità o di zelo grande verso i poveri.   15° Una parte del Consiglio medesimo prov-  vederà specialmente alla vita sana del popolo, pro¬  movendo le società di temperenza felicemente ini¬  ziate in America e in Inghilterra, ed esaminando  l’interno delle officine, la materia e la qualità dei  lavori, i cibi quotidiani, gli alloggj, le vesti e simili  obbietti. E sarà bene imitare Leopoldo I di Toscana,  il quale a spese dell’erario fece murare in luogo ario¬  so gran numero di casette decenti ed acconce per l’in¬  fimo popolo. Questi pagherebbe una modica pigione.   16° L’altra parte del Consiglio veglierà gli an¬  damenti del popolo, la qualità delle sue industrie e  de’suoi negozj. Vedrà pure ilConsiglio quel che sia da  ristorare degli antichi Statuti delle arti e quello che  sia da aggiungervi : ad ogni modo, promoverà le con¬  gregazioni e consorterie legali degli operai, dei ca-  pomastri e d'ogni specie di artieri, con l’intento di  accrescere ad ognuno i mezzi di produzione, e se-  gnatamentelo spirito di fratellanza e disciplina. Si¬  milmente, il Consiglio promoverà con zelo perseverante le anioni e consorterie dei piccoli proprietarj  e dei fittajoli, compensando per tal guisa i danni e  gl’inconvenienti dei poderi troppo angusti. Veglierà,  infine, sulle pubbliche mostre, sui comizj agrarj, su¬  gl’incoraggiamenti e sui premj da assegnare ; stu¬  dierà il valore de’ nuovi ritrovati e degli ultimi per¬  fezionamenti, ed agevolerà ai poveri artieri lo smal¬  timento de’ rispettivi lavori, contro il monopolio dei  troppo ricchi, cd a freno degl’ incettatori e riven¬  ditori.   17° Il Consiglio procaccerà di mettere in buono  accordo fra loro gl’ istituti di carità e beneficenza,  facendo che si accostino tutti a certa unità di mas¬  sime direttrici, e che l'opera dell’ uno v P rcndo a chiarire e ad inculcar!  cono circa la questione sociale. Mentre il  essa Lettera esaminava il Mamiani se la nuova Ke-  pubblica francese potesse fornir lavoro quotidiano  agli operai che ne mancassero, tornava a racco¬  mandare la istituzione di lavorerìe pubbliche, ma  con lo infrascritte cautele affinchè non divenissero  perniciose allo Stato c non turbassero 1’ operosità  economica dei privati.   1° Lo pubbliche officine debbono istituirsi uni¬  versalmente c poco meno che in qualunque grosso  Comune, per evitare una soverchia accumulazione di  popolo in quelle sole città dove fossero pubbliche la¬  vorone. Converrà, inoltre, cercar compensi nuovi e  gagliardi, noll’istituiro officine in tutto lo Stato a fa¬  vore dell'agricoltura, affinchè i contadini non siano  indotti a lasciar la villa e ricoverarsi nelle città.   2° Bisogna decretare che nello officine dello Stato  sicno raccolti solamente quegli operai a’quali nessuna  privata industria ha potuto fornir lavoro. Imperocché  le lavorerìo pubbliche sono costituite per supplire e  riparare alla insufficenza delle industrie private, dalle  quali ricevono limitazione e misura.   3° Il Governo procaccerà, per non rovinare  molte industrie private, elio i lavori molteplici e sva¬  riati da lui condotti siano di qualità da non potersi  dai privati cittadini imprendere con profitto. Il che  importa che le manifatture pubbliche quanto più cre¬  scono, e tanto più costino e siano a maggiore scapito  del tesoro.   4° Avviata la generale istituzione degli opificj  •comuni, il prezzo della mano d’opera non potrà sminuire tanto e sì presto, quanto si vede ne’paesi dove  il numero delle braccia soverchia il bisogno. Però,  tutte quelle industrie le quali competono con gli stra¬  nieri, mercè del buon mercato e del potere scemare'  fino all’ultimo estremo i salarj, cesseranno e si an¬  nulleranno.    Y.    Dalla teoria conviene a suo tempo scendere al¬  l’applicazione. E così fece il Mamiani. Divenuto Mi¬  nistro costituzionale sotto Pio IX, nel giugno 1848-  il Mamiani compilò e sottopose all’Assemblea roma¬  na una proposta di legge per la istituzione di un .Mi¬  nistero speciale di pubblica beneficenza . È pregio del¬  l’opera riferire, tralasciando le funzioni speciali e  straordinarie del nuovo Ministero, le sue funzioni  generali non tanto per far conoscere la natura e la.  missione di esso Ministero, quanto perchè ci sembra,  che quelle funzioni ed attribuzioni generali possano  anche oggidì servir di lume per la riforma e il rior¬  dinamento dello nostre Opere pie.    1 II Ministro di pubblica beneficenza procura  in genere la riforma, il perfezionamento e la molti¬  plicazione degl’ istituti e delle opere di beneficenza  c ie sono in atto, e la fondaz ione e 1’avviamento detuzionc cd ogni opera rivolta all’educazione morale e  intellettuale delle infime classi.   2° Procura con mezzi mediati o immediati di  approssimare le opere tutto di beneficenza a certa  unità e collegamento, affinchè se ne aumenti da ogni  lato l'efficacia, e non ne siano gli effetti o troppo par¬  ziali o manchevoli.   3° Promuove presso i Consigli deliberanti le  leggi c gli ordinamenti giovevoli alle classi indi¬  genti c al popolo minuto.   4° Sopraintende agl’istituti laicali di beneficenza  da lui fondati o dal Governo posseduti, e a qualun¬  que disegno e impresa *da lui o dal Governo attuata,  e la quale intende al sollievo e all’educazione delle  classi inferiori.   5° Sopraintende similmente a quegli istituti e  opere laicali di beneficenza e di educazione popo¬  lare, le quali sono posto dai fondatori sotto il riguar-  damento e la cura immediata di chi governa.   G° S’ingerisce, d’accordo coi Municipj o coi Ret¬  tori privati, nel regolamento di quegli istituti ed  opere coraunitativc o private, alle quali viene in  soccorso il Governo con il denaro pubblico, o con  altra maniera efficace e ragguardevole di ajuto.   7° Quanto alle fondazioni e congregazioni, o  similmente a qualunque specie ed atto di pubblica  beneficenza, dipendenti al tutto dai Municipj o dalla  carità di privati, c che si rimangono esclusi dalle  tre dette categorie, il Ministro ne piglia cognizione  esatta e particolareggiata, ed esige copia autentica degli statuti c dei regolamenti. Invigila clic non con¬  travvengano in nulla alle leggi universali dello Stato.  Promove e propone in seno de Consessi legislativi  quei provvedimenti c quelle cautele che impediscono  alle beneficenze d’istituto municipale o privato di  fuorvia.e c corrompersi. Risponde ai consigli richie¬  sti, e invita per via officiosa a modificare, migliorare,  propagare e in ogni guisa perfezionare l’opera della  beneficenza. Similmente invita e procura la colle¬  ganza e reciprocazione degli ufficj ed aiuti fra l'uno  istituto e l’altro, o in genero favorisce e caldeggia  per ogni modo l'azione loro.   Occorre appena far notarle che il Mamiani, met¬  tendo così in pratica le sue nuove dottrine sociali,  tentava di dare all’opera del Governo quell’ampiezza  e quell efficacia che si accorda generalmente con le  libei tà co privati, e con ogni trasformazione c pro¬  gresso nello spirito di associazione e di civile con¬  sorzio. Sulla quale Istituzione egli ritornò più. tardi  nei Saggi di Filosofia civile. Ma è noto che il Mini¬  stero di pubblica beneficenza non ebbe fortuna negli  Stati Romani, mentre alle idee del Mamiani si fece  m sostanza buon viso in Toscana, dove al Ministero  ella Istruzione pubblica fu aggiunto l’ufficio di tu¬  bare c dirigere la pubblica beneficenza.    VI.    lennpir/ il Mamiani fece a tutti manifesto so  sociali D i eC0 6U ° P on ^ crato volume sulle Qucstion  ’ ° ° ln mczzo a tante vicende politiche italiane ed europee dal 48 in poi, in mezzo a’ suoi  profondi studj filosofici cd alle sue occupazioni di  statista, non aveva perduto d’occhio i progressi teo¬  rici e le fasi pratiche della questione economica so¬  ciale nelle diverse parti d’Europa. Girando l’occhio  della mente nell’essenza profonda e nelle attinenze  della questione sociale, c pur tenendo conto dei sug¬  gerimenti dell'esperienza e della riflessione por oltre  quarantanni, nella suddetta opera Egli esaminò acu¬  tamente i due massimi problemi dell’età nostra, fra  loro distinti ina non separati, cioè il problema ino¬  rale c quello economico. Intorno al secondo problema,  ecco in breve le dottrine o le proposte che il Mamiaui  professava e additava per risolvere in Europa e se¬  gnatamente in Italia la questione sociale.   L’autore delle Questioni sociali ammette le¬  gittimo il diritto della proprietà individuale ; affer- *  ma, contro certi Economisti, che il lavoro non crea,  ma presuppone la proprietà ; rigetta le strambe teo¬  riche di Proudhon e le altre nò giuste nò pratica¬  bili dei moderni Comunisti c dei Socialisti esagerati;  reputa non assoluto il diritto al lavoro. Ma, d’altra  parte, egli deplora gli effetti della libera concorrenza  che ritiene sia causa dell’ anarchia economica ; è  seriamente preoccupato dal fatto che i quattro quinti  del genere umano formano la classe intera dei pro-  letarj : e quindi pensa e propone un sistema di ri¬  forme rivolte ad armonizzare la produzione e il  capitale, gl’interessi e le sorti del proletario, si¬  stema che si compendia nelle seguenti proposte :  Istituire un magistrato speciale col nome  di Tribuni del popolo, eletto dal corpo intero dei  lavoranti, il quale tuteli ed invigili i diritti e gl’in¬  teressi del proletario.   3° Abolizione del dazio consumo.   2° Fondazione di colonie per riparare all’ ec¬  cedenza annua della popolazione, secondo la teo¬  rica di Malthus.   4° Favorire e proteggere 1’ emigrazioni volon¬  tarie, quando pure al Governo apparisse nè difficile  nò dispendioso il tragittare i nostri emigranti da  una provincia interna ad un' altra, per esempio in  Sardegna, nelle campagne romane, in più parti di¬  sabitate ed incolte della Sicilia c della Puglia.   5° Proteggere ed allargare le Società coope¬  rative, nelle quali il lavorante, oltre alla sua mer¬  cede, divida coi socj il modesto lucro ricavato dalle  pioduzioni, e pelò sia nel tempo stesso comproprie-  taiio. Quanto si dilateranno questo società, tanto  più effettuabile apparirà la Cassa di pensioni per i  1600 i e gl invalidi, alimentata da quoto versatevi  a ogni libera corporazione di artigiani, e da elar¬  gizioni del Governo in proporziono delle somme ri¬  sparmiate o dai singoli membri o da una intera   • norT A 1 i rtÌerÌ ’ C CU ‘ amm i Q istrazione però   °" “ ai i» mano del Governo.   del l a T? com P r °P r ^ario anche il lavoratore  del fondo da lui coltivato.   oc ni Gn | are 1° imposte ai contadini proprietari.  on are Scuole governative professionali,   lo3   cioè di arti e mestieri, in unione con le Provincie  ed i Comuni quanto alle spese ; nelle quali scuole  sarebbero accolti i figli dei lavoranti, compiuta  1' istruzione elementare.   9° Riformare le Scuole tecniche, adattandole  ai mestieri ordinarj ; e quanto alle grosse borgate  c alla campagna, ammaestrarvi i contadini subur¬  bani negli clemeuti di agricoltura e di pastorizia.   10° Provvedere ad un Manuale popolare di  agraria.   11° Dove manchi l'insegnamento elementare,  supplirvi con le scuole dette ambulanti.   12° Prestazioni al buon colono per ajutarlo a  divenire comproprietario ; e dono degli utensili al  giovine proletario, ghà prestatigli quando entrò nelle  officine urbane e noi fondi rustici in possesso ed  uso dello Stato.   Dall’ attuazione di queste riforme e proposte  il Mamiani si riprometteva la graduata cessazione  della servitù del salario e quindi la emancipazione  reale a compita del quarto stato.   Ma in qual modo lo Stato avrebbe provveduto  a quello nuove ed incessanti spese ? Con le infra¬  scritte riforme, secondo il Mamiani, oltre al pro¬  vento delle consuete imposte.   1° Cancellazione dell’ esercito stanziale.   2° Imposta prediale e mobiliare temperatamente  progressiva.   3° Incameramento dell’ eredità trasversali dal  terzo grado in giù.  Sbassamento della rendita pubblica dal quat¬  tro al tre e al due e mezzo, secondo luoghi e tempi.   5° Amministrazione disimplicata e scemamente  di ufficiali e di paghe.   6° Ogni legatario pagherà una volta soltanto  il decimo del valsente legatogli..   7° Monopolio delle miniere.   VII.    Non tutte le riforme c le proposte sociali messe  innanzi dal Mamiani sono guari praticabili, nè  tutte collimano con la inviolabilità del diritto na¬  turale di proprietà individuale, oltre accordare un  soverchio ingerimento allo Stato moderno nelle ma¬  terie economiche. Noi non potremmo quindi accet¬  tare senz’ alcuna restrizione e temperamento tutte  e singole le dottrine economiche e sociali del Ma¬  miani, nè crediamo che si possa mai giungere a  pienamente e stabilmente risolvere il problema  conomico sociale, come ci studiammo dimostrare  a suo uogo in due nostri libri, negli Elementi scien¬  tifici di Etica e Diritto o nella Filosofia morale  e sociale (1). Ma intanto, nobile, alto, eminente-   ” e -i°iT,le • Gd . Umanitario « il fine a cui rivol-   rifnrm anai ^ n * 1° su    La disciplina o educazione ci fa passare dallo  stato di animale a quello d’uomo. Un animale è pel  suo istinto medesimo tutto ciò che può essere ; una  ragione a lui superiore ha preso anticipatamente per  esso tutte lo cure necessarie. Ma l’uomo ha bisogno  della sua propria ragione. Costui non ha istinto, c  conviene che formi da so stesso il disegno della sua  condotta. Ma, siccome non ne possiede la immediata  capacitò, e viene al mondo nello stato selvaggio, ha  bisogno dell’aiuto altrui.   La specie umana c obbligata a cavare a grado  a grado da sò stessa colie proprie sue forze tutte le  qualità naturali che appartengono all’umanità. Una  generazione educa l'altra. Se ne può cercare il primo  principio in uno stato selvaggio o in uno stato per¬  fetto di civiltà -, ma, nel secondo caso, bisogna pure  ammettere che l’uomo sia poi ricaduto nello stato    selvaggio c nella barbane.   9 _ La disciplina impedisce all’uomo di lasciarsi   deviare dal suo destino, dall'umanità, pur Io sue  inclinazioni animali. Occorro, por esempio, oh essa  lo moderi, perché egli non si gotti noi porle» o corno  no animalo feroce, 0 come uno stordito^ a  dina è puramente negativa, perche si resinose  soovliarc l'uomo della sua selvatichezza; 1 istruzione,  ^ ° -nèh parte positiva dell’educazione. “ir ™ ioho- coiste nell' indipondeoza da,, • T a disciplina sottomette 1’ uomo alle   r Lvfmou» e lincia a fargli sentirò la  E, l'autorità dolio leggi stesse. Ma ciò dovesse.   Valdarnini       226 la pedagogia di e. kant   fatto per tempo. Così, maudansi per tempo i bam¬  bini alla scuola, non perchè vi apprendano qualcosa,  ma perchè vi si avvezzino a restare tranquillamente  seduti e ad osservare puntualmente ciò che loro vien  comandato, affinchè in progresso di tempo sappiano  cavar subito buon partito da tutte le idee che ver¬  ranno loro in mente.   Ma l'uomo è così portato naturalmente alla  libertà che, quando vi abbia preso una lunga abitu¬  dine, le sacrifica tutto. Ora questa è la precisa ra¬  gione onde conviene per tempo ricorrere alla disci¬  plina ; chè altrimenti sarebbe troppo difficile di  cambiar poi il carattere di lui, e seguirà allora tutti  i suoi capriccj. Parimente, si vede che i selvaggj  non si abituano mai a vivere come gli Europei,  quantunque restino per lungo tempo ai servigj loro.  Il che non deriva già in essi, come opinano Rous¬  seau ed altri, da una nobile tendenza alla libertà, ma  da una certa rozzezza, perchè l'uomo appo essi non  si è ancora spogliato in qualche maniera della na¬  tura animale. E però dobbiamo avvezzarci per tempo  a sottometterci ai precetti della ragione. Quando  all uomo si è lasciato seguire la piena sua volontà  pei tutta la gioventù c non gli si è mai resistito in  nulla, ci conserva una certa selvatichezza per tutta  la vita. Rè alcuna utilità reca ai giovani un affetto  materno esagerato, dacché più tardi si pareranno loro  dinanzi ostacoli da tutte le parti, c troveranno do¬  vunque contrarietà quando piglieranno parte agli  affari del mondo. Un vizio, nel quale ordinariamente si cade ncl-  1’ educazione dei grandi, e quello di non opporre  loro alcuna resistenza nella loro gioventù, perché  son destinati a comandare. Nell’ uomo la tondenza  alla libertà richiedo ch’egli deponga la sua rozzez¬  za : nell’animale bruto, al contrario, questo non e  necessario per l’istinto di lui.   L’uomo ha bisogno di sorveglianza e di cul¬  tura. La cultura abbraccia la disciplina e l'istru¬  zione. Nessun animale, che noi sappiamo, ha bisogno  di quest’ultima ; imperocché veruno di essi apprendo  alcun che da’ suoi antenati, salvo quegli uccelli clic  imparano a cantare. Infatti, gli uccelli sono am¬  maestrati nel canto dai loro genitori ; ed è mirabil    cosa il vedere, come in una scuola, i genitori can¬  tare con tutte le proprie forze davanti ai loro nati  e questi'adoperarsi a cavare gli stessi suoni dalle  loro tenere gole. Se taluno volesse convincersi che  gli uccelli non cantano per istinto, ma clic imparano  a cantare, basta ne faccia la prova ed è questa :  levi ai canarini la metà delle uova loro e vi sosti¬  tuisca uova di passero ; ed ancora coi piccoli ca¬  narini mescoli insieme passeri giovanissimi. Li metta  in una gabbia donde non possano udire i passeri  di fuori ; essi impareranno il canto dai canarini e  così avremo passeri cantanti. Nò meno stupendo e  il fatto, che ogni specie d’uccelli conserva m tut e  le generazioni un certo canto principale; cosi la  tradizione del canto è la più fedele nel mondo   L’ uomo non può diventare vero uomo che per           228 la pedagogia di e. kant   educazione ; egli e ciò eh essa, lo fu. \ uolsi notai e  eh’ egli può riceverò questa educazione soltanto da  altri uomini, che l’abbiano egualmente ricevuta dagli  altri. Quindi la mancanza di disciplina e d’ istru¬  zione in certi uomini li rende assai cattivi innesti i  dei loro allievi. Se un essere di natura superiore  si prendesse cura della nostra educazione, vedrebbesi  allora ciò che noi possiamo divenire. Ma siccome  l’educazione, da una parte, insegna qualcosa agli  uomini, e, dall’altra, non fa che svolgere in loro  certe qualità, non si può sapere fin dove portino le  nostre disposizioni naturali. Se almeno si facesse  una esperienza coll’ aiuto dèi grandi e col riunire  le forze di molti, ciò ne illuminerebbe sulla que¬  stione di sapere fin dove l’uomo può arrivare per  questa via. Ma una cosa tanto degna di osserva¬  zione per una mente speculativa quanto triste per  un amico dell’ umanità si è il vedere, clic la più  parte dei grandi non pensano che a se stessi e non  pigliano alcuna parte alle interessanti esperienze  sulla educazione, per fare avanzare di qualche altro  passo verso la perfezione la natura umana.   3. - Non vi ha alcuno clic, essendo stato trascura¬  to nella sua gioventù, siaincapaco di ravvisare nell’età  matura in elio venne trascurato, vuoi nella disciplina,  vuoi nella cultura (poiché si può chiamar cosi la istru¬  zione).Chi non possicdecultura di sorta e bruto pollinoli  Ita disciplina o educazione e selvaggio. La mancanza  di disciplina è un male peggioro della mancanza di  cultura, perche a questa si può ancora rimediare più tardi, mentre non si può più mandar via la selvati¬  chezza e correggere un difetto di disciplina. Forse  l’educazione diverrà sempre migliore, e ciascuna del¬  le generazioni venture farà un passo di più verso il  perfezionamento dell’ umanità ; imperocché il gran  segreto della perfezione della natura umana dimora  nel problema stesso dell’educazione. Si può cammi¬  nare oramai per questa via ; difatti, oggidì si prin¬  cipia a giudicare esattamente e a vedere in modo  chiaro in clic proprio consiste unabuoua educazione.   E reca dolce conforto il pensare che la natura umana  sarà sempre più e meglio dispiegata e migliorata dal¬  l’educazione, e che si può arrivare a darle quella tor¬  ma che veramente le conviene. In ciò consiste la pro¬  spettiva della felicità avvenire della specie umana.   L’abbozzo d'una teorica dell’educazione è un  ideale nobilissimo, c che non tornerebbe punto noci¬  vo, quando anche non fossimo in grado di effettuarlo.  Non bisogna considerare un’idea come vana e rite¬  nerla come un bel sogno, perchè certi ostacoli ne im¬  pediscono l’effettuazione.   Un ideale altro non è ohe il concetto d una per-  lezione che non si ò riscontrato ancora noU'esporicn-  za : tal sarebbe, per esempio, l'idea 4 una repubblica  perfetta, governata secondo le regole dell» g.nst.z.a.  Si dirà dunque impossibile? Basta,,u pruno nego,  Che la nostra idea non sia falsa; in seconde lungo,  ohe non sia impossibile assolutamente d, vincere luti,  „u ostacoli per tradurla in atto. Se, poniamo ca¬  scano mentisse, la veracità sarebbe per questo una chimera ? L’idea eli una educazione clic dispieghi  nell'uomo tutte le sue disposizioni naturali è vera as¬  solutamente.   Con l’educazione presente l'uomo non consegue  appieno il fine della sua esistenza. Imperocché quan¬  ta diversità non corre tra gli uomini nel loro modo  di vivere ! Ne tra loro può essere uniformità di vita  se non in quanto essi operino secondo gli stessi prin-  cipj e questi principj divengano per loro come una  seconda natura. Noi possiamo almeno lavorare intor¬  no al disegno d’una educazione conforme all’intento  che dobbiamo proporci, e lasciare istruzioni agli av¬  venire che potranno a grado a grado metterle in  pratica. Osservate, per esempio, i fiori detti orecchi  di orso: quando li tiriamo dallo radici, hanno tutti  il medesimo colore •, quando invece se no pianta il  seme, otteniamo colori tutti differenti e svariatissimi.  La natura ha dunque riposto in loro certi germi del  colore, e basta, per isvilupparvcli, seminare e pian¬  tare convenientemente questi fiori. Il somigliante  accade nell’uomo !   Vi sono molti germi nell'umanità, e spetta a noi  svolgere con debita proporzione le nostre disposizioni  naturali, dare all’umanità tutto il suo dispiegamento,  e adoperarci a conseguire la nostra destinazione. Gli  animali compiono il loro destino spontaneamente e  senza conoscerlo. L’uomo, al contrario, e obbligato  a cercar di conseguire il fine suo ; il che non può  egli fare se prima non ne ha un’idea. L’individuo  umano non può compiere da se questa destinazione. Se ainmettesi una prima coppia del genere umano  realmente educata, bisogna sapere altresì com’essa  ha educato i suoi figli- I primi genitori danno ai  loro figli un primo esempio ; questi lo imitano, e così  dispiegansi alcune disposizioni naturali. Ma tutti  non possono esser educati a questo modo, giacché  ordinariamente gli esernpj si offrono ai bambini se¬  condo l’occasione. In altri tempi gli uomini non ave¬  vano alcuna idea della perfezione onde la natura  umana è capace ; noi stessi non l’abbiamo ancora in  tutta la sua purezza. È corto del pari che tutti gli  sforzi individuali, clic hanno per fine la cultura dei  nostri allievi, non potranno mai far sì che costoro  giungano a conseguire la loro destinazione. Questo  fine non può esser dunque conseguito dall’uomo sin¬  golo, ma unicamente dalla specie umana.   4. - L’educazione c un’arte, la cui pratica ha bi-  sogno d’essere perfezionata ila più generazioni. Cia¬  scuna generazione, provvedala delle conoscenze dello  precedenti generazioni, è sempre pii in grado di ar¬  rivare a una educazione che in una giusta piopoi-  zionc c in conformità Sol loro fine svolga tutte le  nostre disposizioni naturali e cosi guidi tutta la spc-  eie umana alla sua destiuazionc. - La Provvidenza  ha voluto ohe l'uomo fosse obbligato a cava™ da se  stesso il bene, 0 in qualche modo gli dice Edia  nel mondo. Io ho mosso in te ogni speco d. alt tudin.   porilbcno. Ora a te solospcttasvilupparlcpcr,1 bene;  e quindi la tua felicità 0 la tua infelicità dipende da  te ., Cosi il Creatore potrebbe parlare agli nomini ! L'uomo deve innanzi tutto svolgere le sue  attitudini per il bene ; la Provvidenza non lo ha  messe in lui bcll’e formate, ma come semplici dispo¬  sizioni, c però non vi è ancora distinzione di mo¬  ralità. Render se stesso migliore, educare se me¬  desimo, e, s’egli è cattivo, svolgere in sè la mora¬  lità, ecco il dovere dell'uomo. Quando vi si riflet¬  ta consideratamente, si vedo quanto ciò sia difficile.  L'educazione, pertanto, c il più grande e il più ar¬  duo problema che ci possa esser proposto. Di fatti le  cognizioni dipendono dall’educazione, e questa di¬  pende alla sua volta da quelle. Onde non potrebbe  l'educazione progredire elio di mano in mano ; e noi  possiamo arrivare a farcene un’idea esatta solo in  quanto ciascuna generazione trasmette le sue spe-  rienze e le sue cognizioni alla generazione posteriore  clic vi aggiunge qualcòsa di suo c le tramanda così  aumentate aqucllachele succede. Qual cultura e qua¬  le sperienza dunque non suppone questa idea? E  però essa non poteva sorgere che tardi, e noi stessi  non 1 abbiamo ancora innalzata al suo più alto grado  di purezza. Si tratta di sapere se l’cducazionc nel¬  l’uomo singolo debba imitare la cultura che l’uma¬  nità in gcnciale ricevo dalle suo diverse genera¬  zioni.   -Lia le umane scoperte ve ne ha duo difficilis¬  sime, e sono l’arte di governare gli uomini e l’arto  di educarli ; c però si disputa ancora su queste idee.   Ora, donde principieremo a svolgere le naturali  disposizioni dell’uomo ? Bisogna muovere dallo stato barbaro o da auo stato già culto ? Non è agevol  cosa il concepire uno svolgimento partendo dalla  barbarie (per la difficoltà somma di farci un’idea  del primo uomo) ; e noi vediamo che, ogni qualvolta  si sono prese le mosse da questo stato, 1 uomo è  ricaduto nella selvatichezza, e che però sono stati  sempre necessari nuovi sforzi per uscirne. Anche nei  popoli assai civili ritroviamo un avanzo di barbarie,  attestato dai più antichi monumenti scritti a noi  tramandati ; e qual grado di cultura non suppone  già la scrittura stessa ? E da questo punto, cioè dalla  invenzione della scrittura, si potrebbe anzi far co¬  minciare il mondo, rispetto alla civiltà.   Poiché le nostre disposizioni naturali non si  svolgono da sè stesse, ogni educazione è un’arte. -  La natura non ci ha dato per questo hnc alcun   istinto. - L’origine, come il suo relativo progresso,   dell’arte educativa, è o meccanica, senza disegno  sottoposta a date circostanze, o ragiona « L«to   •d’educare non risulta meccanicamente dalle caco  . stanze in che apprendiamo per esperienza se una   data cosa ci è dannosa od utile. Ogni arte di questo  -onere clic sarebbe puramente meccanica, con i  s „ 1-ioune perche non seguirebbe   f b0 m0lt ' Cn oln-c “ia’nto Che l’arte delMn-   alcnna norma. 0 1 W   caziono 0 1» P f*°” io „,J, or,„odo d» con-   nata ” 0 d « linnzion m I genitori, ebe hanno   sognuo I. educazione, sono gin   3i rcgoinnoirr,i.Mn ..or rendere       23 i    LA PEDAGOGIA DI E. KANT  questi migliori, è necessario di fare uno studio della  Pedagogia ; diversamente nulla se ne può sperare,  e l’educazione viene affidata ad uomini educati non  bene. Al meccanismo nell’arte educativa bisogna so¬  stituire la scienza, altrimenti ella non sarà clic uno  sforzo continuo, cd una generazionepotrebbe distrug¬  gere quanto un’altra avesse edificato.   6. - Un principio di Pedagogia, al quale dovreb¬  bero mirare segnatamente gli uomini che propongono  norme di arte educativa, ò questo : Che non devc-  si educare i fanciulli secondo lo stato presente della  specie umana, ma secondo uno stato migliore, pos¬  sibile nell’avvenire, cioè secondo l'idea dell’umanità  o della sua intera destinazione. Questo principio 6  d’una importanza tragrande. I genitori educano per   10 più i loro figli per la società presente, sia puro  corrotta. Dovrebbero, al contrario, dar loro una edu¬  cazione migliore, perche un miglioro stato ne possa  venir fuori nell’avvenire. Ma qui si parano dinanzi  due ostacoli : 1° I genitori non si curano per ordi¬  nario che di una cosa sola, ed è che i figli loro fac¬  ciano buona figura nel mondo ; 2° I principi ri-   sguaidano i proprj sudditi oomc strumenti dei loro  disegni.   I genitori pensano alla casa, i principi allo Stato,  fxli uni e gli altri non si propongono per fine ultimo   11 bene generale e la perfezione a cui è destinata  1 umanità. Le basi fondamentali d’uu disegno d’edu¬  cazione fa d uopo che abbiano un carattere mondiale.  Ma il bene generale è un’idea che possa tornar  dannosa al nostro bene particolare? Niente affatto !  Imperocché, quantunque sembri che gli si debba  sacrificare qualcosa, veniamo cosi a lavorar meglio  pel bene del nostro stato presente. E allora quante  nobili conseguenze ! Una buona educazione è proprio  la sorgente d’ogni bene nel mondo. I germi che sono  riposti nell’uomo debbono svilupparsi ognor di vantag¬  gio ; imperocché nelle disposizioni naturali dell uomo  non v’ha principio di male. La sola causa del male  sta nel non sottoporre a norme la natura. Nell uomo  non vi sono che i germi per il bene.   Da chi dee provenire il miglioramento dello  stato sociale? Dai principi o dai sudditi? Conviene  clic questi si migliorino prima da sé stessi, 0 fac¬  ciano la metà di strada per andare incontro a go  verni buoni ? Se, invece, devo partire dai principi  questo miglioramento, si cominci dunque a rifor¬  mare la loro educazione; poiché si é commesso per  lungo tempo questo grave sbaglio, di non resistere  „vii stessi principi nella loro gioventù. Un  albero°cho rosta isolato in mozzo ad un campo pei de  la sua dirittura nel crescere c stendo lungi . suo.  rami ' al contrario, quello elio cresco nel mezzo  una foresta si mantiene diritto, per la reste» a  ohe «li oppongono gli alberi vicini, e cerea al di-  olio 0 i opp j A vviene lo stesso nei ffirn-   ^-“rnvale a Meglio siano educati da qua,-  ouno dei tafsudditi che dai loro pari. Non si può  attendere il bene doli-alto so prima non vi sava  migliorata l’edncazionel Qui bisogna dunque con-       23G la pedagogia, di i:. kant   tare più sugli sforzi dei privati che sul concorso  dei principi, come hanno giudicato Basedow ed  altri ; dacché l’esperienza c’insegna che i principi  nell’educazione badano meno al bene del mondo che  a quello del loro Stato, c vi scorgono solo un mezzo  per giungere ai loro fini. Se col denaro soccorrono  la educazione, si riservano il diritto di stabilire le  norme che loro convengano. Lo stesso va detto per  tutto ciò che risguarda la cultura dello spirito umano  c l’incremento dello umane conoscenze. Questi due  risultamenti non sono procurati dal potere c dal  •denaro, ma solo facilitati ; bensì potrebbero procu¬  rarli ove lo Stato non prelevasse le imposto uni¬  camente nell’interesse del suo erario. Ncppur le Ac¬  cademie li hanno dati finora, ed oggi più che mai  non si scorge alcun segno ch’esse comincino a darli.   7. - La direzione delle scuole dovrebbe per¬  tanto dipendere dal senno di persone competenti ed  illustri. Ogni cultura comincia dai privati e da  questi poi si diffonde. La natura umana non può  avvicinarsi di mano in mano al suo fine che per  gli sforzi di persone dotate di generosi e grandi  sentimenti, le quali s’interessano al bene del mondo  sociale e sono in grado di concepire uno stato mi¬  gliore, come possibile, nell’avvenire. Intanto alcuni  potenti riguardano il loro popolo come, in certa  guisa, una parte del regno animale, e mirano sola¬  mente alla propagazione. Al più desiderano ch’esso  abbia una certa abilità, ma solo a fine di potersi  giovare dei proprj sudditi come di strumenti più  acconcj ai loro disegni. I privati devono certamente  badare al fine della natura fisica, ma devono so¬  prattutto curare lo svolgimento della umanità, e  far sì ch’ella diventi non solo più abile, ma an¬  cora più inorale \ da ultimo, cosa molto più difficile,  adoperarsi a elio i posteri arrivino ad un più alto   grado di perfezione.   8 . - L’educazione, pertanto, deve :   1° Disciplinare gli uomini. Disciplinarli vuol  dire cercar d’impedire clic la parte animale non  soffochi la parte veramente umana, così nell’umano  individuo come nella società. Dunque la disciplina  consiste semplicemente nello spogliar l’uomo dc.la.  sua selvatichezza.   90 D evc coltivarli La cultura abbraccia la  istruzione ed i varj insegnamenti &sa fornisce  labilità : 0 questa è il possesso d un attitud,ne suf¬  ficiente a tutti i lini elio possiamo proporci. Lss.   dunque non determina da sé alcun tino ma lascia  dunque • . costjinzC . Alcune arti sono utili   questa cura comc sarebbero le arti   in ogni cinp ^ nitro non sono buone elio   di loggoi l’arte della musica, elio   in riSpCt, ° v,H J itTfe possiede. L'abilità 6 in  rende M** ° M molti fini elio   certo modo infinita, et   Jovn altresì enrarc che l'uomo   divenga „ crrt autorità. Questa   dicesi propriamente civiltà. Essa richiede certi modi cortesi, gentilezza c quella pru¬  denza onde possiamo giovarci degli altri uomini pei  nostri fini ; e si regola secondo il gusto mutabile  di ogni secolo. Così amiamo ancora, dopo alcuni  anni, le cerimonie in società.   4° Deve, finalmente, curare nell’uomo la mo¬  ralità. Ed invero, non basta che l’uomo sia capace  di ogni sorta di fini ; occorre altresì clx’ ci sappia  farsi una massima di scegliere tra quelli soltanto  i buoni. Diconsi buoni que’ fini clic sono necessa¬  riamente approvati da ognuno e che pouno essere  al tempo stesso i fini di ciascuno.   9. - L’uomo può essere guidato, disciplinato,  istruito in modo affatto meccanico, ed illuminato  •veramente. Si guidano i cavalli, i cani, e si può  guidare anche gli uomini.   Ma non basta guidare i fanciulli ; preme so¬  prattutto eli’ essi imparino a pausare. Occorre ba¬  dare ai principj dai quali derivano tutte le azioni.  È dunque manifesto quante cose richiede una vera  educazione! Ma ncH’educazionc privata la quarta  condizione, che è la più importante, viene per lo  più assai trascurata; poiché insegnasi ai fanciulli ciò  che stimiamo essenziale, e intanto si lascia la morale  al predicatore. Ma non ò forse importante d’inse¬  gnare ai fanciulli a odiare il vizio, non per la sem¬  plice ìagione che Dio l’ha proibito, ma perchè di  natura sua è spregevole ! Altrimenti e’ si lasciauo  indurre nel vizio, pensando che il male potrebbe  esser lecito se Dio non l’avcsse vietato, c clic si può far benissimo una eccezione a favor loro. Dio,  ch'e l’essere sovranamente santo, non vuole se non  ciò cb’ò buono. Egli vuole che noi pratichiamo la  virtù per il suo valore intrinseco e non perchè Ei  lo esiga.   Noi viviamo in un’epoca di disciplina, di cul¬  tura e di civiltà, ma che non è ancora quella della  moralità vera. Nelle presenti condizioni si può dire  che la felicità degli Stati cresce di pari grado colla  infelicità degli uomini. E non si tratta ancora di  sapere se noi saremmo piu felici nello stato di bai-  barie, dove non esiste tutta questa nostra cultura,  che nello stato presente. Come si può, difatti, render  felici gli uomini, se non li rendiamo morali e savj ? La  quantità del male appo essi non verrà così diminuita.   Bisogna fondare scuole sperimentali prima di  poter creare quelle normali. L’educazione e l’istru¬  zione non debbono essere puramente meccaniche,  ma riposare su principj. Tuttavia non hanno da  fondarsi sul puro ragionamento, ma in un certo senso  anche sul meccanismo. L’Austria non ha guari che  scuole normali, istituite giusta un disegno contro  il quale si sono a buon diritto sollevate molte ob¬  biezioni, ed al quale si poteva rimproverare un  cieco meccanismo. Tutte le altre scuole dovevano  regolarsi su quelle, e si negava altresì un ufficio  pubblico a chi non avesse frequentato quelle scuole  Tali prescrizioni dimostrano quale e quanta parte  abbia in certe cose il Governo ; e non e possie di  arrivare a qualcosa di buono con sbatti ordinamenti. Si crede da’ piu che non sia necessario di fare  spcricnzc in materia di educazione, e che si può  giudicare con la sola ragione se una cosa sara buona  o cattiva, ila qui sta un grave errore, c l’esperienza  ne insegna clic i nostri tentativi hanno spesso dato  risultamcnti opposti affatto a quelli che ci attende¬  vamo. È dunque chiaro clic, sondo qui necessaria  l'esperienza, nessuna generazione d uomini può fare  un disegno compiuto d’educazione. La sola scuola  sperimentale clic abbia finora incominciato in qual¬  che modo a battere questa via c stato l’Istituto di  Dessau. Nonostante parecchi difetti che gli potremmo  rimproverare, ma che del rimanente si riscontrano in  tutti i primi sperimenti, bisogna concedergli questa  gloria, ch’esso non ha cessato di spronare a nuovi ten¬  tativi. In un certo modo esso è stato l’unica scuola do¬  ve i maestri avessero libertà di lavorare secondo i prò*  prj metodi c disegni, e dove fossero uniti fra loro c  si mantenessero in relazione con tutti i dotti della  Germania.   10. - L’educazione comprende le cura necessarie  ai bambini c la cultura.   La cultura c: 1° negativa, come disciplina clic  si restringe ad impedire le colpe ; 2° c positiva, co¬  me istruzione c direziono ( Anfilhrung ), c sotto  questo rispetto merita il nome di cultura. La dire¬  ziona serve di guida nella pratica di ciò clic si vuole  apprendere. Di qui la differenza tra il precettore,  che è semplicemente un maestro, e il governatore  [Hofmeister), che è un direttore. Il primo dà soltnnto l’educazione della scuola; il secondo, quella della  vita.    II primo periodo dell’ educazione è quello in  cui l’allievo deve mostrare soggezione ed obbedienza  passiva ; il secondo, quello in cui gli si permette far  uso della sua riflessione e della sua libertà, ma pur¬  ché sottometta l’una e l’altra a certe leggi. Nel primo  periodo il costringimento è meccanico, nel secondo è  morale.   11 . - L'educazione b privata o pubblica. Que¬  st’ ultima si riferisce all' insegnamento che può sem¬  pre rimaner pubblico. La pratica dei precetti si  lascia all’educazione privata. Un’educazione pub -  blica compiuta è quella che riunisce ad un tempo  la istruzione c la cultura morale. Il suo line con¬  siste nel promuovere una buona educazione privata.  Una scuola dove si pratichi questo si chiama un    Istituto di educazione. Di somiglianti Istituti non  può esservi gran copia, né potrebbero essi ammet¬  tere un gran numero di allievi ; imperocché sono  costosissimi, e la semplice istituzione di questi Col¬  legi richiede molte spese. Lo stesso va detto degli  ospedali. Gli edifizj loro necessarj, il trattamento dei  direttori, dei sorveglianti o dei domestici assorbiscono  la metà decentrate : ed è oramai provato che se si  distribuisse questo denaro ai poveri nelle ispettive  loro case, e’sarebbero curati assai meglio. - ^difficile  ancora di ottenere che i ricchi mandino i loro   figliuoli negl’istituti educativi.   Fine di questi Istituti pubblici e il perfezio¬  namento dell’educazione domestica. Se i genitori o quelli che li assistono nell’educare i loro figli aves¬  sero ricevuto una buona educazione, la spesa degli  Istituti pubblici potrebbe non esser più necessaria.  Quindi bisogna farvi delle prove e formarvi persone  adatte, affinchè ci possano dare in progresso una  buona educazione domestica.   L’educazione privata è data dai genitori stessi,  o, se per caso non ne abbiano il tempo, la capacità o  il gusto, da altre persone che li aiutano in ciò, me¬  diante una ricompensa. Ma questa educazione data  così da persone ausiliarie ha il gravissimo difetto di  dividere l’autorità fra i genitori ed il precettore. Il  fanciullo deve regolarsi secondo i precetti dei suoi  maestri, e deve in pari tempo seguire i capricci  de’suoi genitori. E necessario che in questo genere  di educazione i genitori depougano tutta la loro au¬  torità in mano dei maestri.   Ma fin dove l’educazione privata è preferibile  alla educazione pubblica, o questa a quella ? L’ edu¬  cazione pubblica, in generale, sembra più vantag¬  giosa dell educazione domestica, non solamente in  rispetto all abilità, si anche in rispetto al vero carat¬  tere di cittadino. L’educazione domestica, oltre non  correggere i difetti appresi in famiglia, li aumenta.   12 . - Quanto tempo deve durare l’educazione ?  Fino a che la natura ha voluto che l’uomo si governi  da se stesso, fino a che si svilpppi in lui l’istinto  del sesso, fino a che egli può divenire padre cd es¬  ser tenuto di educare alla sua volta, ossia fino al-  . 1 età di circa 1G anni. Decorsa quest’età, si può  ricoiiere a maestri clic proseguano a coltivarlo, e sottoporlo ad uua celata disciplina, ma la sua edu¬  cazione regolare é finita.   13. - La soggezione dell’allievo è positiva o ne¬  gativa. Positiva, in quanto ei deve fare ciò che gli  viene comandato, non potendo ancora giudicare da  se c non avendo ancora appreso l’arte d’imitare.  Negativa, in quanto l’allievo dee faro ciò che de¬  siderano gli altri, se vuole ch’essi dal canto loro  facciano qualcosa che gli torni piacevole. Nel primo  caso egli è esposto ad essere punito; nel secondo,  a non ottenere ciò elio desidera : o qui, benché  possa oramai riflettere, ei dipende dal suo piacere.   14. - Uno dei più grandi problemi dell’educa¬   zione si ò di poter conciliare la sommissione all au¬  torità legittima coll’uso della libertà, Imperocché  l'autorità é necessaria! àia in qual modo coltivare  la libertà per mezzo dell’àutorità ? Bisogna che io  avvezzi il mio allievo a soffrire che la sua libertà  venga sottoposta all’autorità altrui, c che in pati  tempo io gl’insegni a far retto uso della sua libertà.  Senza questa condizione, in lui non vi sarebbe che  puro meccanismo ; l’uomo sfornito di vera educa¬  zione non sa far uso della sua libertà. Fa duopo  ch’egli senta per tempo la resistenza inevitabile  della società, perché impari a conoscere quanto o  difficile di bastare a sé stesso, di tollerare le pri¬  vazioni c di acquistare quanto basti a rendersi in¬  dipendente. \,   Cui devesi por mente alle infrascritte regole.   1» Bisogna lasciar libero il fanciullo fino dalla sua prima età c in tutti i suoi movimenti (salvo in quelle  occasioni in cui può farsi del male come, per esempio,  se prendesse in mano uno strumento tagliente), a  patto bensì di non impedire la libertà altrui, come  quando grida, o manifesta il suo brio in modo trop¬  po l’umoroso e da recar disturbo agli altri. 2 11 Gli si  deve mostrare ch’ei può conseguire i suoi lini, a patto  bensì ch’egli permetta agli altri di conseguire i loro  proprj •, ad esempio, non si farà niente di piacevole  per lui s’ei non fa ciò clic desideriamo, come d’im¬  parare ciò che gli viene insegnato e via dicendo.  3° Bisogna provargli che l’autorità, il costringimento  a cui si sottopone, ha per fine disegnargli ad usar  bene della sua libertà, che lo educhiamo ed istru¬  iamo affinchè possa un giorno esser libero, cioè fare  a meno del soccorso altrui. Questo pensiero sorge  assai tardi nella mente dei fanciulli, poiché non riflet¬  tono nei primi anni che dovranno un giorno prov¬  vedere da se stessi al loro mantenimento. Credono  che la cosa andrà sempre come nella casa paterna,  cioè ch’essi avranno da mangiare e da bere senza  darsene alcun pensiero. Ora senza questa idea, i  fanciulli, segnatamente quelli dei ricchi ed i figli  dei principi, restano per tutta la vita, come gli abi¬  tanti di Otahiti. L’educazione pubblica ha qui ma¬  nifestamente i più grandi vantaggj : vi s’impara a  conoscere la misura delle proprie forze ed i limiti  che c impone il diritto altrui. Non vn si gode alcun  privilegio,poiché vi sentiamo dovunque la resistenza,  e ci eleviamo sopra gli altri solo per merito proprio.  Questa educazione pubblica e la migliore immagine  della vita del cittadino.   Resta ancora una difficoltà clic non vuol essere  qui dimenticata, e riguarda la cognizione anticipata  del sesso, .a fine di preservare i giovinetti dal vizio  prima dcll’elà matura. Vi ritorneremo sopra più  innanzi. La Pedagogia, o scienza dell’educazione, si’  distingue in fisica e in pratica. L'educazione fisica c-  quella che l'uomo ha comune con gli animali, c ri-  sguarda le cure della vita corporea. L’educaziom  pratica o morale (si chiama pratico tutto quello  che si riferisce alla libertà) c quella che risguarda  la cultura dell’uomo, perche costui possa vivere come  ente libero. Quest’ultiraa è l’educazione della per¬  sona, 1 educazione d’un ente libero, che può bastare-  a sè stesso e tenere il suo vero posto in società, ma.  che altresì è capace d’avere per sè un valore in¬  trinseco. %   Quindi 1 educazione consiste: 1° nella cultura  scolastica o meccanica, che risguarda l’abilità ; essa  pertanto è didattica (e sta nell’opera del maestro) ' r  “° ne ^ a ^ura prammatica, che si riferisce alla  prudenza (e sta nell’opera del governatore) ; 3° nella  cultura morale, e si riferisco alla moralità.   L uomo ha bisogno della cultura scolastica o  ella istruzione, per mettersi in grado di conseguire  tutti i suoi fini. Essa gli dà un valore come in—  re che La disciplina non tratti i fanciulli come schiavi,,  e far sì ch’e’sentano sempre la loro libertà, ma in guisa  tale da non ledere quella degli altri: ne segue pertanto  che conviene abituarli alla resistenza. Parecchi geni¬  tori ricusano tutto a’ioro figliuoli per esercitare così  la loro pazienza, esigendo da questi più che da se  stessi. Ma è una crudeltà. Dato al bambino quanto  gli abbisogna, e poi ditegli : Tu nc hai abbastanza.  Ma è assolutamente necessario che questa sentenza  sia irrevocabile. Non fato alcuna attenzione alle grida  dei bambini e non credete loro, quando credano di  ottenere qualcosa per questa via; ma se lo dimandano  con dolcezza, date ai medesimi ciò che loro torna  utile. Si avvezzcranno'così ad essere sinceri; e, come  non importuneranno alcuno colle grida, ciascuno sarà,  in compenso, benevolo]con essi. La Provvidenza pare  veramente abbia dato ai fanciulli un aspetto piace¬  vole per incantare lo persone adulte. Nulla v’ha di  più funesto per essi che una disciplina ostinata e ser¬  vile, intesa a piegare la loro volontà.   Per ordinario si grida ai medesimi: Eh via!  non ti vergogni, questa cosa c indecente ! e somi¬  glianti espressioni, le quali non dovrebbero mai ado¬  perarsi nella prima educazione. Il bambino non ha  ancora idea alcuna di vergogna e di convenienza ;  non ha di che arrossire, non deve arrossire ; e di¬  venterà solamente più timido. Si troverà impacciato  dinanzi agli altri, e fuggirà volentieri la loro presenza.  Quindi nasce in lui una riservatezza male intesa cd  una molesta dissimulazione. Non osa più dimandar       dell’educazione fisica 261   nulla, mentre dovrebbe poter dimandar tutto;nascon¬  de i proprj sentimenti, e si mostra sempre diverso  da quello che è, mentre dovrebbe poter dire tutto  francamente. Invece di star sempre appo i suoi ge¬  nitori, li evita c si getta nello braccia dei domestici  più compiacenti.   Nè meglio di questa educazione irritante gio¬  vano la burla c le continue carezze, d ulto ciò rende  tenace il fanciullo nella sua volontà, lo rende fìnto,  •e, manifestandogli una debolezza ne suoi genitoii,  gli toglie il rispetto dovuto ai medesimi. Ma, se viene  educato in modo clic nulla possa ottenere con le grida,  egli diverrà libero senza essere sfacciato, o modesto  senza essere timido. Non si può tollerare un insolente.  Certi uomini hanno un aspetto così insolente da far  sempre temere qualche villania ; ve n’ha degli altri,  .all’opposto, che al solo vederli si giudica suino inca¬  paci di dire una villania a qualcuno. Possiamo sempre  mostrarci aperti e franchi, purché vi si unisca una  •certa bontà. Si sente dire spesso che i grandi hanno  un aspetto veramente regale; ma questo m essi al ro  non 6 die un certo sguardo insolente, a cu. s, abl-  -tuarono da giovani, non avendo trovato alcuna ics,   5t °° Tutto ciò riguarda solamente Mutazione ne¬  gativa. Difatti, molte debolezze delfuomo non prò-  vengono da quanto non gli insegna, ma » q«c  tanto che gli comunicane le false «F-, W d'esempio, lo jmbùoi  parlando dei ragni, dei rospi, bambini potrebbero certamente prendere i ragni,,  come pigliano le altre cose. Ma, siccome le nutrici,  veduto un ragno, palesano nella faccia il loro spa¬  vento, questo si comunica al bambino con una certa  simpatia. Molti lo conservano per tutta la vita e,  sotto questo rispetto, rimangono sempre fanciulli.  Imperocché i ragni sono certamente dannosi allo  mosche, e il loro morso è per esse velenoso, ma  l’uomo non ha di che temerne. In quanto al rospo,  è un animale innocuo al pari di una rana verde-  o di qualunque altro animale.   32. - La parte positiva dell’educazione fisica è  la cultura ; per questa l’uomo si distingue dal bruto.  La cultura consiste principalmente nell’esercizio delle  facoltà dello spirito. Quindi i genitori debbono por¬  gerne ai figli occasioni favorevoli. La prima cd es¬  senziale regola è di fare a meno, per quanto e  possibile, d’ogni strumento. Bisogna dunque abolire  1 uso delle dande e delle girelle, lasciando che il  bambino si trascini per terra finché impari a cam¬  minare da sé, giacché a questo modo camminerà  più sicuramente. Gli strumenti riescono dannosi alla  abilità naturale. Così, ci serviamo d’una corda per  misurare una certa estensione, ma si può fare ugual¬  mente colla semplice vista ; ricorriamo ad un oriolo  pei determinare il tempo, ma basterebbe guardare  la posizione del sole ; ci serviamo d'un compasso  per conoscere in qual regione é situata una foresta,  ma si può anche sapere osservando il sole se di  giorno e le stelle se di notte. Aggiungiamo che--       dell’educazione fisica 263   invece di servirci di una barca per passare nel¬  l'acqua, si può nuotare. Il celebre Franklin si ma¬  ravigliava che l’esercizio del nuoto, cosi piacevole  ed utile, non fosse appreso da ognuno : e ne indi¬  cava così il modo facile per apprenderlo. Si lasci  cadere un uovo in un fiume dove, stando tu ritto  e toccando co’ piedi il fondo, la testa almeno ti ri¬  manga fuori dell’acqua. Cerca allora quell uovo.  Nell’abbassarti, fa risalire i piedi in alto, e, perche  l’acqua non ti entri in bocca, solleva la testa sulla  nuca, ed avrai così la giusta posizione necessaria a  nuotare. Allora basta mettere in moto le mani, e si  nuota. — L’essenziale sta nel coltivare 1 abilita natu¬  rale. Il più delle volte basta una semplice indica¬  zione; spesso il fanciullo stesso è fecondo d’invenzio¬  ni, e si crea da se gli strumenti.   33 - Ciò che bisogna osservare nell’educazione  fisica, e però in quella del corpo, si riferisce o al¬  l’uso del moto volontario, o all’uso degli organi e  senso. Nel primo caso il fanciullo deve semprei am-  tarai ila sè. Quindi ha bisogno di fora», d, ab.»,  di colorita, di sicurezza. Egli devo. P«' e J •  poter traversare luoghi stretti, sabre su altezze a   piceo, donde si scorge l'abisso dinanzi c no, ca^   r ; i, . «:ii„Tifi Se un uomo non può   minare su palchi vac.llan . cte   far tutto questo, egli aoi . T) es .   potrebbe essere. Pache ['Istituto Mantrop «*   sau ne ha dato l'esempio. imi.b siicu stìtati .   genere sono stati fatti co, fa-°" ndo 00me gli  Restiamo assai meravigliati m ie a Svizzeri sino dall’infanzia si avvezzino a salire sulle  montagne e fin dove li spinga la propria agilità, con.  quanta sicurezza traversino i luoghi più stretti e  saltino al di là dei precipizj, dopo aver giudicato  con un’occhiata di potervi riuscire senza pericolo.  Sia la più parte degli uomini han paura d’una cadu-  tapresentata loro dalla immaginazione; e questa paura  ne paralizza talmente le membra che por essi ci  sarebbe davvero pericolo disaltare oltre. Questa paura  cresce ordinariamente coll’età, c si riscontra in specie  negli uomini che hanno molte occupazioni mentali.   Simili sperimenti nei fanciulli in realtà non sono  i più pericolosi. Per l’età loro, il corpo è meno pesante  del nostro, cnon cadono tanto gravemente.Di più, non  hanno le ossa nè cosi fragili, nò cosi dure come sono  quelle degli adulti. I fanciulli sperimentano da se  stessi le loro forze. Ad esempio, li vediamo spesso  arrampicarsi senza un fino determinato. La corsa  è un moto salutare c clic fortifica il corpo. Saltare,  alzar pesi, tirare, lanciare, gettar sassi verso una  mira, lottare, correre, e tutti gli escrcizj di questo  genere sono eccellenti. La danza regolare non pare  convenga ancora ai fanciulli.   Il tiro a segno, vuoi per la distanza vuoi per  colpii e il bersaglio, esercita pure i sensi e parti¬  colarmente la vista. Il giuoco della palla è uno dei  migliori pei fanciulli, perchè richiede una corsa salu¬  tare. In generale i migliori giuochi sono quelli che,  oltio s\ilupparc labilità, sono ancora esercitazioni  pei sensi; ad esempio, quelli clic esercitano la vista nel giudicare esattamente la distanza, la grandezza  e la proporzione, nel trovare la posizione dei luoghi  secondo le regioni, il che si può fare coll'aiuto del  sole, e via dicendo. Tutti questi esercizj sono ec¬  cellenti. Assai, vantaggiosa ò pure la immaginazione  locale, ossia l’abilità di rappresentarci tutte le cose  nei rispettivi luoghi dove si sono vedute j ossa da,  per esempio, la soddisfazione di ritrovarci in una  foresta, osservando gli alberi vicino ai quali siamo  prima passati. Dicasi lo stesso della memoria locale,  onde sappiamo non solamente in qual libro si è letta  una cosa, ma altresì in qual parte del libro stesso.  Così, il musico ha il tasto in mente, onde non ha  più bisogno di cercarlo. È del pari utilissimo di  coltivare l’orecchio dei fanciulli, e d’insegnar loro a  discernere se una cosa c lontana o vicina ed in qual    direzione.   Il giuoco alla mosca cicco elei fanciulli era già  noto appo 1 Greci. In generale, i giuochi dei fanciulli  seno pressoché universali. Quelli noti o praticati m  Germania ritrovansi anche in Inghilterra, in Francia  ed altrove. Hanno lo propria origino da una corto  naturaleinclinaaionc dei fanciulli! ilgiu.coal .mosco  cicca, per esemplo, nasce in css, dal i   sapore corno potrebbero aiutarsi so fossero pm.d un  senso. La trottola é nn giuoco particolare ma -,u-   sorte di giacchi da bambini foro, seon g—   argomento di riflessimi 1 ultcriouj,so^ ^ esmpilJj   casiono d'importanti scopei °, questo   scrisse una dissertazione sulla t.otio, i poi fornì ad un capitano di vascello inglese 1 ’ oc¬  casione d’inventare uno specchio, col quale si può mi¬  surare sopra un vascello l’altezza delle stelle.   I fanciulli amano gli strumenti rumorosi, come le  piccole trombette, i piccoli tamburi, e cose simili. Ma  questi strumenti non hanno alcun valore, perchè i  bambini stessi li rendono disadatti. Meglio sarebbe  che imparassero da sè medesimi a tagliare una canna,  dove potrebbero soffiare.   Anche l'altalena è un buon esercizio ; può gio¬  vare alla salute dei fanciulli e anco delle persone  adulte ; ma i fanciulli han qui bisogno d’essere sor¬  vegliati, perchè il moto che vi cercano può essere  molto rapido. L’aquilone è un giuoco innocentissimo 5  serve a coltivare la destrezza del corpo, stantecliè  il sollevarsi in aria dell’aquilone dipende da una  certa posizione riguardo al vento.   Pigliando interesse a questi giuochi il fanciullo  rinunzia ad altri bisogni, e così a grado a grado si  avvezza a privarsi di altro cose di maggiore impor¬  tanza. Di più, acquista l’abito a star sempre occupato,  ma i suoi giuochi debbono avere anche un fine. Im¬  perocché, più il suo corpo si fortifica e s’indurisce in  questa guisa, più e’ divien sicuro contro le conse¬  guenze corruttive della mollezza. La ginnastica  stessa deve ristringersi a guidar la natura; non deve  procurare grazie forzate. Alla disciplina, e non alla  istruzione, spetta il primo passo. Educando il corpo  deifanciulli, non va però dimenticato che li formiamo  per la società. Rousseau dice : u Non arriverete mai a formare dei savj, se prima non fate dei monelli „.  Ma da un fanciullo svegliato si caverà piuttosto un  uomo dabbene, che da un impertinente un cameriere-  discreto. Il fanciullo non ha da essere importuno in  società, ma non deve mostrarsi neppure insinuante.  Verso quanti lo chiamano a se, deve mostrarsi fami¬  liare, senza importunità; franco, senza impertinenza.  Per ottenere questo da lui, bisogna non guastarlo in  niente, non ispirargli idee di decoro, che varranno  solo a renderlo timido e selvaggio, o che, d’altra  parte, gli suggeriranno il desiderio di farsi valere. In  un fanciullo niente v’ha di più ridicolo che una pru¬  denza senile, od una sciocca presunzione. Nel secondo  caso è nostro dovere di far maggiormente sentire al  fanciullo i suoi difetti, ma procurando insieme di non  fargli troppo sentire la nostra superiorità ed autorità,  perchè egli si formi da so stesso, come un uomo che-  dee vivere in società ; perocché se il mondo è abba¬  stanza grande per lui, dev’essere non meno grande   anche per gli altri. _^   Toby, nel Tnstram Shandy, dice a una mosca]   oh» l’avo™ molestato per tango tempo o oh. lasca  soapparc dalla finestra: « Va’, catt.vo ammalo .1-  mondo h abbastanza grande per me e pe. e. „  Ciasouno potrebbe pigliare questo detto per dms .  Non dobbiamo renderei importa», gl. um «gb   il mondo è abbastanza glande P ei *, .   34,-SiamoeosU^ta.U^Unrm.   tl «a dalla Liberti,. Altra eosa b dar leggi alla libertà, ed altra coltivar la natura. La  natura del corpo e quella dell’anima si accordano  in questo : coltivandole devcsi cercare d'impedir loro  che si guastino, e l’arte aggiunge ancora qualcosa alla  natura del corpo ed a quella dell'anima. Si può dun¬  que, in un certo senso, dimandar fisica la cultura  dell’anima quanto quella del corpo.   Ma questa cultura fisica dell’anima si distinguo  dalla cultura morale, poiché 1’ una si riferisce alla  ^Natura, l’altra alla Libertà. Un uomo può essere col¬  tissimo fisicamente; può avere ornatissimo lo spirito,  ma esser privo di cultura morale, ed essere un cat¬  tivo uomo.   Bisogna distinguere la cultura jisica dalla cul¬  tura pratica, che è prammatica o morale. Quest’ul-  tima si propone di render l’uomo più morale clic colto.   Divideremo la cultura Jisica dello spirito in cul-  tuia libera e in scolastica. La cultura liberà si ri¬  duce, sto per dire, ad uno svago; mentre la cultura  scolastica è cosa seria. La prima è quella che ha  luogo naturalmente nell’allievo; nella seconda, egli  può essere considerato come soggetto ad un obbligo.  Anche nel giuoco possiamo essere occupati, il clic  si chiama occupare i nostri ozj ; ma possiamo essere  obbligati ad occuparci, e questo dicesi lavorare. La  cultura scolastica sarà dunque un lavoro pel fanciullo, c la cultura libera uno svago.   - Sono stati proposti varj sistemi di educa¬  zione per cercare, cosa davvero lodevolissima, il mi-      dell’educazione fisica 2G!)   glior metodo educativo. Si è pensato, fra gli altri,  di lasciare clic i fanciulli apprendano tutto come un  divertimento. Lichtenberg, in una puntata del Ma¬  gazzino di Gottinga, deride l’opinione di quanti vo¬  gliono che si tenti di lasciar fare ogni cosa ai fanciulli  come un divertimento, mentre dovrebbero essere abi¬    tuati per tempo a serie occupazioni, dovendo essi  entrare un giorno nella vita scria del mondo. Quel  metodo produce un effetto detestabile. Il fanciullo devo  giuncare, aver le sue ore di ricreazione, ma deve  anche apprendere a lavorare. È bene certamente di  esercitare la sua abilità e di coltivare il suo spirito,,  ma a queste due sorte di cultura vogliono esser de¬  dicate ore diverse. La tendenza alia infingaida 00 ine  costituisce per l’uomo una grande infelicità; e piu  egli è abbandonato a questa tendenza, più gli torna  poi difficile di mettersi al lavoro.   Nel lavoro l’occupazione non è piacevole per  se stessa, mas’ intraprende per un altio fine. L°c  cupazione nello svago è piacevole in se, nò qumc  c’c bisogno di proporsi alcun fine. Se vogliamo pas¬  seggiare, la passeggiata stessa ò fine, c quinci p  lunga è la strada fatta, più ci «   Le distrazioni non devono osser mai tollerato,   almeno nella senola, porctó finiscono per degenerare  in una certa tendenza, in una corta abitudine. An  che le più bolle qualità dell'ingegno si perdono in  un uomo so-ctto alla distrazione. Quantunque . fan-   ossi non i—   metà, rispondono in senso contrario, non sanno quei  che leggono, c somiglianti. La memoria devesi coltivare per tempo, procu¬  rando bensì di coltivare insieme anche la intelligenza.  Si coltiva la memoria : 1° facendole ritenere i  nomi che trovansi nelle narrazioni ; 2° merce la let¬  tura e la scritt ura, esercitando i fanciulli a leggere-  attentamente e senza bisogno di compitare ; 3° con¬  io studio delle Lingue, che i fanciulli debbono capire,  avauti di passare a leggerne qualcosa. Quello clic di-  cesi il mondo dipinto (’orbis pictus), quando sia de¬  scritto convenientemente, rende i più grandi scrvigj,  e possiamo incominciarlo dalla Botanica, dalla Mi¬  neralogia e dall a Fisica generale. Per descriverne gli  obbietti, fa mestieri d’imparare a disegnare e a mo¬  dellare, e quindi vi abbisognano le Matematiche. Lo  prime cognizio ni scientifiche debbono soprattutto aver  per obbietto la Geografia così matematica come fisica.  I racconti di viaggj, spiegati per via d’incisioni e di  carte, condurranno poi alla Geografia politica. Dallo-  stato presente della superficie della terra si risalirà,  al suo stato primitivo, e si arriverà alla Geografia  antica, alla Storia antica, e via dicendo.   Leli istruzione del fanciullo bisogna cercare di  •anirc a grado a grado il sapere e il potere. Fra tutte  le scienze la Matematica pare sia la più adatta a  far conseguile questo fine. Inoltre, bisogna unire la-  scienza e la parola (la facilità del dire, l’eleganza  eloquenza). Ma occorre altresì che il fanciullo im¬  pari a distinguere perfettamente la scienza dalla  mp ice opinione e dalla credenza. A questo modo  ouncià in lui una mente retta, e un gusto giusto       dell’educazione fisica 275   se non /ne o delicato. Il gusto da coltivarsi sarà  prima quello dei sensi, degli ocelli specialmente, e  infine quello delle idee.   Vi debbono essere norme per tutto ciò che pu^  coltivare l’intelletto. È anche utilissimo di astrarle,  affinchè l’intelletto non proceda in modo puramente  meccanico, ma abbia coscienza della regola che segue.   Riesce ancora di grande utilità l’esprimere le  norme con una certa formula c tramandarle così alla  memoria. Se abbiamo in mente la regola e ne di¬  mentichiamo l’uso, non si pena molto a ritrovarla.  E qui si domanda : Convicn principiare dallo studio  delle regole astratte, o le si devono apprendere dopo  averne fatto uso, oppure conviene far procedere i  pad passo lo regole e il rispettive uso? Quest ul¬  timo è il solo partito conveniente : nell alito caso  l’uso rimane incertissimo finché non stame arrivai,  alle regole. Occorre altresì, ove s, presenti 1 occa¬  sione, ordinare per classi le regole; e necessarieHuano  unite fra loro. Dunque, sotto questo   diversa dalla cultura P^^'^^gna alcun che   rxtrsrr--—   dello spirito. Essa e fisica ^ m ^ S   a) Nella cultura/ ^ fano gll 0 non ha bisogno  tica c dalla disciplina c ‘ di conoscere alcuna massima. È cultura passiva pel  discepolo, che deve.seguire l’altrui direzione. Altri  pensano per lui.   b) La cultura morali si fonda sulle massime,  e non sulla disciplina. Tutto e perduto, quando la  si voglia fondare sull'esempio, sulle minacce, sulla  punizione, e via dicendo. Sarebbe allora una pura  disciplina. Bisogna fare in modo che l’allievo operi  bene secondo le proprie sue massime e non p#r abi¬  tudine, e che non faccia solamente il bene, ma che  lo faccia perchè è bene in sè. Imperocché tutto il  valore morale delle azioni risiede nelle massime del  bene. Tra l’educazione fisica e l’educazione morale  corre questo divario : la prima è passiva per 1 al¬  lievo, mentre la seconda è attiva. Fa d’uopo ch’egli  veda sempre il principio fondamentale dell’ azione  e il vincolo che la rannoda all’ idea del dovere.   2° Cxiltura particolare dello facoltà dello spirito.  Questa cultura risguarda l’intelligenza, i sensi, la  imaginazione, la memoria, l’attenzione e lo spirito  (Witz) come qualità peculiare. Abbiamo già parlato  della cultura dei sensi, per esempio della vista. I 11  quanto alla immaginazione, devesinotare una cosa ed  è, che i fanciulli son dotati di una immaginazione  potentissima, e però non ha bisogno d’ essere svilup¬  pata ed estesa con favole e novelle. Piuttosto dev'es¬  sere frenata e sottoposta a regole, senza lasciarla però  disoccupata del tutto.   Le carte geografiche sono una grande attrattiva  per tutti i fanciulli, anche pei bambini. Benché stan-       dell’educazione fisica 217   chi d’ogni altro stadio, essi imparano ancora qual¬  cosa per mezzo delle carte. Questa pei fanciulli è  una distrazione eccellente, dove la immaginazione,  senza divagar troppo, trova da fermarsi su certe  ligure. Onde si potrebbe far loro incominciare gli stu-  dj dalla Geografia, cui sarebbero unite figure di ani¬  mali, di piante, eccetera, destinate a vivificare la Geo¬  grafia stessa. La Storia dovrebbe venire più tardi.   Riguardo all’attenzione, vuoisi notare ch’essaba  bisogno et d’essere fortificata in generale. Unire forte¬  mente i nostri pensieri ad un oggetto meglio che  una prerogativa è una debolezza del nostro senso  interiore, il quale si mostra indocile in questo caso  e non si lascia applicare dove noi vogliamo. Nemica  d'ogni educazione si c appunto la distrazione. La me¬  moria suppone l’attenzione.   2S. - Ora passiamo alla cultura delle facoltà su¬  periori dello spirito, che sono l’intelletto, il giu mio  « 1» ragione. Si può cominciare dal formare in quaò-   chemodo passivameli tel’iiitollotto, chiedendogli esernpj   che si applichino all. regola, o al centrano I.   dinon "P 8tel °“°“ oltane certe cose che por am¬  mencì senea capirle! E fi   — ‘ PriMÌPÌÌ -    bisogna por    lente ohe 9 «i si tratta d’una ragione non ancora diretta o educata. Essa pei tanto non deve  sempre voler ragionare, ma badare di non ragionar  troppo su quanto è superiore alle nostre idee. Qui  non si parla ancora della ragione speculativa, ma  della riflessione su ciò che avviene secondo la legge  degli effetti e delle cause. V’ha una ragione pratica  sottoposta al suo impero ed alla sua direzione.   Il miglior modo di coltivare le facoltà dello spiri¬  to consiste nel far da se tutto quello che si vuol  fare; per esempio, mettere in pratica la regola gram¬  maticale che abbiamo imparata. Si capisce segnata-  mente una carta geografica, quando possiamo ese¬  guirla da noi. Il miglior mezzo di comprendere è  quello di fare. Quello che s’impara e si ritiene più  stabilmente e meglio è appunto ciò che s’impara in  qualche maniera da noi stessi. Ma pochi sono gli  uomini che siano in grado di far da maestri a se  medesimi. Questi chiamansi grecamente autodida-  scali (a, j~c5'.5icx“oi).   Isella cultura della ragione bisogna praticare il  metodo di Socrate. Costui infatti, che chiamava so  stesso 1 ostetricante della intelligenza de’suoi uditori,  ne suoi dialoghi, conservatici in qualche maniera da  Platone, ci dà esempj del come si può guidare anco  le persone d’età matura a tirar fuori certe idee dalla  loro propria ragione. Su molti punti non ò necessario  che i fanciulli esercitino la mente loro. Non devono  ragionare su tutto. Non hanno bisogno di conoscere  le ragioni di quanto può conferire alla loro educa¬  zione ; ma quando si tratta del dovere, necessita     dell’educazione fisica    farne loro conoscere i principj. Tuttavia si deve in  generale fare in modo da cavar da loro stessi le  cognizioni razionali, piuttosto che d’introdurvcle. Il  metodo socratico dovrebbe servir di norma al me¬  todo catechetico. Esso è certamente un po'lungo ; e  torna difficile il condurlo in maniera tale da fare  imparare agli altri qualcosa, mentre si cavano le  •cognizioni dalla mente d’uno. Il metodo meccani¬  camente catechetico giova pure in molte scienze, come  nell’insegnamento della religione rivelata. Nella re¬  ligione universale, al contrario, devesi praticale il  metodo socratico. Ma per tutto ciò che dev essere  insegnato storicamente, si raccomanda il metodo mec¬  canicamente catechetico.    39. - Dobbiamo qui trattare anche la cultura del  sentimento del piacere o del castigo. Dev essere  negativa; il sentimento non dev’essere effeminato.  La inclinazione alla effeminatezza c pei 1 uomo il  più funesto di tutti i mali della vita. Dunque preme  sommamente d’avvezzare per tempo i gio\ani a     punto all’ altro, per cada loro qualcosa di sinistro. Il padre, invece, che  li sgrida, che li picchia quando non sieno stati  buoni, li conduce talvolta in campagna, e quivi li  lascia, correre, giuocare c divertirsi a loro posta,  conforme alla loro età.   Si crede di esercitare la pazienza de’giovinetti  facendo loro attendere una cosa per lungo tempo.   Il che non dovrebbe essere punto necessario. Ma essi  hanbisognodipazienza nellemalattio einaltre contin¬  genze della vita. Di due sorta è la pazienza: consiste  o nel rinunziare ad ogni speranza, o nel prendere nuo¬  vo coraggio. La prima non c necessaria, quando si  desideri unicamente il possibile; e si può aver sem¬  pre la seconda, quando non altro si desideri che il  giusto. Ma tanto funesto è il perdere la speranza  nelle malattie, quanto è favorevole il coraggio al  ristabilirsi della salute. Chi ò capace di mostrarne  ancora nel suo stato fisico o morale, non rinuncia  alla speranza.   Non bisogna render più timidi i fanciulli. Que-  sto accade principalmente quando ci rivolgiamo ad  essi con parole ingiuriose e quando si umiliano spes¬  so. Conviene pertanto biasimare quelle parole che  molti genitori indirizzano ai loro figli : Eh, non ti  vergogni ! Non vedesi di che i fanciulli potrebbero  vergognarsi, quando, per esempio, mettono in bocca  il loro dito. Si può dir loro che ciò non sta bene,  questo non essendo l’uso: ma dobbiamo dir lo*' 0  che si vergognino solamente quando mentono. La  natura ha dato all’ uomo il rossore della vergogna, perchè si palesi quand'egli mente. Se dunque i ge¬  nitori parlassero di vergogna ai loro figli solamente  quando mentono, essi conserverebbero fino alla morte  questo rossore per la menzogna. Ma se li facciamo  arrossire di continuo, si darà loro una timidezza  che non li abbandonerà più.   Come abbiamo detto qua sopra, non devesi pie¬  gare la volontà dei fanciulli, ma dirigerla per modo-  che ella sappia cedere agli ostacoli naturali. Sulle  prime il fanciullo deve obbedire ciecamente. Non  è conforme a natura eh’ egli comandi con le sue  grida, e che il forte obbedisca al debole. Dunque  non va mai ceduto alle grida dei fanciulli c dei  bambini stessi, perchè ottengano così ciò che vo¬  gliono. Qui i genitori per lo più &’ ingannano, e cre¬  dono di poter rimediare al male più tardi ricusando  ai loro figli quanto dimandano. Ma e assuido i  negar loro senza ragiope quello eh’ essi' attenti on  dalla bontà dei genitori, coll’unico intento   vogip ie du r T ii"Tr::r   la loro volontà ed i un trastullo   ordinariamente sino « o do Jn cui co _   pei genitori segna et ind J enZ a reca loro   minciano a parlare. L’opposizione ai conoscere come debbono governarsi. — Importante  la regola da praticarsi coi bambini è questa : andare  a soccorrerli quando gridano e si teme che non  accada loro qualche male, ma lasciarli gridare quando  lo fanno per cattivo umore. E una somigliante con¬  dotta bisogna costantemente tenere più tardi. La  resistenza che in questo caso trova il bambino è  affatto naturale e propriamente negativa poiché ri¬  fiuta semplicemente di cedere a lui. Molti figliuoli,  invece, ottengono dai loro genitori quello che desi¬  derano, mercé le preghiere. Ove si lasci ottenere  loro ogni cosa con le grida, essi divengono cattivi ;  ma se ottengono tutto con le preghiere, diventano  dolci. Bisogna dunque cedere alla preghiera del fan¬  ciullo, salvo che non ci sia qualche potente ragione  in conti ario. Ma quando ci siano queste ragioni per  non cedere, non bisogna lasciarsi più commuovere  da molte preghiere. Ogni rifiuto dev’essere irrevo¬  cabile. Ecco un mezzo certo per non ripetere così  di frequente il rifiuto.   Supponete che vi sia nel fanciullo (cosa da po¬  tei si ammettere assai di rado) una tendenza naturale  alla indocilità; il miglior partito si è, quando egli  non faccia niente per rendersi a noi piacevole, di  non fai niente per lui. — Piegando la sua volontà,  t, ispiriamo sentimenti servili ; la resistenza natu¬  rale, al contrario, genera la docilità.   40. La cultuì a morale vuoisi fondare su certe  massime, non sulla disciplina. Questa impedisce i   - 5 1 ucllc formano la maniera di pensare. Bisogna fare in modo che il fanciullo si avvezzi ad  operare secondo le massime, e non secondo certi  motivi. La disciplina non genera che gli abiti, i  quali svaniscono con gli anni. Necessita che il fan¬  ciullo impari ad operare secondo certe massime, di  cui veda egli stesso la convenienza. Non occorre  dimostrare come sia difficile di ottenere questo dai  bambini, e come la cultura morale richieda molte  cognizioni da parte dei genitori e dei maestri.   Quando un fanciullo mente, per esempio, non  si deve punire, ma trattarlo con disprezzo, dirgli  che in avvenire non gli crederemo più, e somi  glianti. Ma se lo castighiamo quando fa male, e Io  ricompensiamo quando fa bene, egli a b° ia a *  bene per essere ben trattato ; e quanc o piu a  entrerà nel mondo dove le cose procedono altnmcn >,  dove cioè egli può fare il bene ed il male senza  riceverne ricompensa o castigo, non penserà  mezzi per conseguire il suo fine, e sarà buono o cat¬  tivo secondo 1’ utile proprio.   Le massime della coadotta amaca vanno "te¬  sante dall' nomo stesso. Dcvcsi ceicaic p  d'inculcare ai fanciulli, mediante 1.•   l'idea di ciò che ò bene o male. S.^-^   dare la moralità, non bisogna punire. ^ '   è qualcosa di così santo c sn ^appari colla  abbassare a questo P»"‘° ° |M „1 C deb-   disciplina. I primi sfora' ., qualo consiste   buco tendere a fermare .1^ • ’ imc . Queste   nell’abito d’operare secondo cerio dapprima sono le massime della scuola e poi quelle  dell' umanità. Sul principio il fanciullo obbedisce a  certe leggi. Anche le massime sono leggi, ma per¬  sonali o soggettive, perchè derivano dall’ intelligenza  stessa dell’uomo. Niuna trasgressione alla legge della  scuola deve restare impunita, ma la pena vuol es¬  sere sempre proporzionata alla colpa.   Quando si vuol formare il carattere dei fanciulli  preme assai di mostrar loro in tutte le cose un certo  disegno, certe leggi, che essi ponno seguire fedelmen¬  te. Quindi, a ino’ d’esempio, si stabilisce loro un  tempo per dormire, per lavorare, per ricrearsi; questo  tempo, stabilito che sia, non devesi più nè allungare  nè abbreviare. Nelle cose indifferenti si può lasciare  l’elezione ai fanciulli, a patto bensì che poi osservino  sempre la legge che han fatto a sè stessi. — Non bi¬  sogna tentare, per altro, di dare a un fanciullo il ca-  ìatteie di un cittadino, ma-quello di un fanciullo.   Gli uomini che non si sono proposti certe regole  non potrebbero inspirare molta fiducia; spesso ci ac¬  cade di non poterli comprendere, nè mai sappiamo da  qual verso conviene pigliarli. Vero è che non di rado  si biasima la gente che opera sempre secondo certe  i e^olc, come un tale che ha sempre un'ora cd un  tempo stabilito per ogni azione ; ma sovente questo  biasimo è ingiusto, e quella regolarità è una favore¬  vole disposizione al carattere, benché sembri una  tortura.   Elemento essenziale del carattere d’un fanciullo,  e segnatamente d'uno scolare, è soprattutto l'obbe-      dell’educazione fisica 285   dienza. Questa è di due sorte: prima, un’obbedienza  alla volontà assoluta di cbi dirige -, seconda, un’obbe¬  dienza ad una volontà riguardata coma ragionevole  c buona. L’obbedienza può venire dal costringimento,  dall'autorità, e allora è assoluta ; o dalla fiducia, c in  questo caso è volontaria. Importantissima è la secon¬  da-, ma anche la prima è assolutamente necessaria,  perchè questa prepara il fanciullo al rispetto delle  leggi che dovrà più tardi osservare come cittadino,  quand’anche non gli andassero a genio.   Si deve dunque sottoporre i fanciulli ad una  certa legge di necessità. Ma questa legge, dev’essere  universale, e bisogna averla sempre dinanzi al a  mente nello scuole. Il maestro non devo mostrare al¬  cuna predilezione, alcuna preferenza pei un a ° cl  tra molti : chè diversamente la legge cessele   universale. Quando il tannilo vedo> d». tu»,  gli alivi non sono sottoposti alla medesima legge nomo   lui, diviene ostinato. presentata in   Si dico sempre che ogni cosa P . clin£lzion e.  modo tale ai fanciulli che la faccl ‘™ P ma pareC chic  Il che in molti casi è c J 0 dove ri. E ciò   cose vogliono esser loio p . tutta la vita,   in progresso tornerà loro ^ funz ioni unite   Imperocché nei servizj p u > ^ solo pu ò   alle cariche, ed in molti a Ove supponessimo   guidarci c non la indinone. ^ sare bbe   che il fanciullo non compien . c d ’ a ltra parte   sempre meglio di forniig ienC f - u ii 0 quantunque  egli sa che ha doveri come veda più difficilmente d’averne come uomo. Se com¬  prendesse ancor questo, il che solo con gli anni è  possibile, l'obbedienza sarebbe ancor più perfetta.   Ogni violazione d’un ordine pel fanciullo è un  mancare di obbedienza, che porta seco una puni¬  zione. Ma non è inutile di punire anche una semplice  negligenza. La pena è fisica o morale.   La pena è morale quando si attutisce la nostra  inclinazione ad essere onorati cd amati, due aiuti,  della moralità, come quando si umilia, o si accoglie  freddamente il fanciullo. Tale inclinazione dev’essere,  finche si può, conservata. Ora questa sorta di pena è  la migliore, perchè aiuta la moralità; per esempio, se  un fanciullo ménte, castigo sufficiente ed il migliore  per lui è un’occhiata di disprezzo.   La pena fisica consiste o nel ricusai’e al fan¬  ciullo ciò che desidera, o nell’infliggergli una certa  punizione. La prima sorta di pena si avvicina a  quella morale, ed è negativa. Le altre pene vanno  adoperate con precauzione, affinchè non generino di¬  sposizioni servili (indoles servilis). Non conviene  dar ricompense ai fanciulli, perchè ciò li rende in¬  tei essati e genera in essi disposizioni mercenarie  (indoles mercenaria).   Inoltre. 1 obbedienza risguarda ora il fanciullo,  01 a il giovinetto. Il mancare d’obbedienza deve  sempio avere la sua pena. Questa punizione, che  si merita l’uomo per la sua condotta, o è affatto  naturale, come sarebbe la malattia che si procura  il fanciullo quando mangia troppo ; e questa specie      dall’educazione fisica 287   di pena è la migliore, perchè l’uomo la subisce non  solamente nella infanzia, ma per tutta la vita. 0  la pena è artificiale. Il bisogno di essere stimati ed  amati è un espediente sicuro per rendere i castighi  durabili. Le pone fisiche vanno adoperate solo come  rimedio alla insufficienza delle pene morali. Quando  il castigo morale non ha più efficacia e si ricorre  alla pena fisica, bisogna rinunziare per sempre a  formare con questo mezzo un buon carattere. Ma  sulle prime la pena fisica serve a riparare la man¬    canza di riflessione nel fanciullo.   Non approdano i castighi inflitti con segni ma¬  nifesti di collera. I fanciulli non vi scorgono allora  che gli effetti della passione altrui, e considerano  sè stessi come vittime di questa passione. In o ene  rale, bisogna fare in modo che i fanciulli stessi ve  dano come il fine vero e ultimo delle pepe inflitte sia  il loro miglioramento. È assurdo pietendere c e :  fanciullo da voi punito vi renda grazie, ^i ac  mani, e via dicendo -, sarebbe un volerne ai  schiavo. Quando le pene fisiche sono c i lC fl  ripetute, formano caratteri ‘“Egoismo   quando i genitori puniscono 1 fig P . „   Lo, non fanno cberonderlUncorapmcgo ^«n   sono sempre i pm cattivi qrxo facilmcntc   intrattabili, ma questi spesso *   con le buone maniere. i nuella   L'obbodionna de, giovinetto o -ve-   del fanciullo, e sta nel sottomette- », v   dovere, l'aro una eosa per dovere eqn.vale bedirc la ragione. Parlar di dovere ai fanciulli è  fiato sprecato; essi alla fin fine concepiscono il dovere  come una cosa da farsi sotto pena di essere fiustati.  Unicamente dai suoi istinti potrebbe esser guidato il  fanciullo ; ma, quando cresce, gli necessita 1 idea del  dovere. Parimente, non dcvesi cercare di mettere  innanzi ai fanciulli il sentimento della vergogua, ma  riserbarlo alla età giovanile. .Difatti non può aversi  tal sentimento se prima non siasi radicata la no¬  zione dell’onore.   Una seconda qualità, cui bisogna soprattutto mi¬  rare nella formazione del carattere del fanciullo, è  la veracità. Questo infatti è il tratto principale e  l’attributo essenziale del carattere. Un uomo che món¬  te non ha carattere, c 6e v’ha in lui qualcosa di buo¬  no lo deve al suo temperamento. Molti fanciulli hanno  una tendenza alla menzogna, che spesso deriva uni¬  camente da una talquale vivacità d’immaginazione. Ù  dovere dei padri segnatamente di badare che i figli  non contraggano questo abito, poiché le madri non  vi annettono per ordinario che niuna o poca impor¬  tanza ; se pure esse non vi trovino una prova lusin¬  ghiera delle attitudini e dello capacità superiori dei  loro figli. Qui torna opportuno di ricorrere al senti¬  mento della vergogna, poiché il fanciullo in questo  caso lo comprende benissimo. In noi si manifesta il  rossore della vergogna quando mentiamo, ma que¬  sta non ò sempre una prova di aver mentito o di  mentire. Sovente arrossiamo della impudenza onde  altri ci accusa d’una colpa. Non devesi cercare a ve- mn costo di trai’ di bocca ai fanciulli la verità per  via di punizioni, avesse pure a cagionare qualche  danno la loro menzogna : e’saranno allora puniti per  questo danno. La sola pena che ai mendaci convenga  è la perdita della stima.   Possiamo dividere le pene ancora in negative o  in positive. Le negative si applicherebbero alla infin-  gardia, o alla mancanza di moralità o almeno di gen¬  tilezza, come la menzogna, il dispetto di cortesia, la  insocialità. Le pene positive sono riservate alla mal¬  vagità. Preme sommamente di non tener rancoio  verso i fanciulli.    Una terza qualità del carattere del fanciullo c  la socialità. Egli deve pur conservare con gli altri  relazioni di amicizia, e non vivere sempre c tutto per     sè. Parecchi maestri, c vero, sono contrarj a questa  idea; ma è ingiustissimo. I fanciulli debbono cosi  prepararsi al più dolce di tutti i piaceri della vita.     2 dovesse  oggi pagare il suo creditore, «   T\ Itf “suo creditore, farebbe cosa gia-   occorre sia libeio eia 0 meritoria ■ ma pa-   correndo un povero foJ. mi0 . Si domando-   “n'oTtro se l’a necessiti. ' pud giustificare la  tÌloX 'Sdì certo I non si potrebbe concep.re un solo caso in cui potesse ciò scusarsi, almeno davanti  ai fanciulli; clic altrimenti essi piglierebbero la più  lieve cosa por una necessità e si permetterebbero  spesso di mentire. Se ci fosso un libro di questo ge¬  nere, gli si potrebbe consacrare con grande utilità  un’ora ogni di, per insegnare ai fanciulli a conoscere  ed a pigliare a cuore i diritti degli uomini, che sono '  eccitamento posto da Dio sulla terra.   In rispetto all’obbligo di essere benefici, questo ò  un dovere imperfetto. Occorre meno affievolire che  eccitare l’animo dei fanciulli per renderlo sensibile  alle sventure altrui. Che il fanciullo sia tutto pene¬  trato non dal sentimento, ma dall’idea del dovere!  Molte persone son divenute realmente dure di cuore  perchè, altre volte essendosi mostrate compassione-  voli, furono di sovente tratto in inganno. E inutile di  voler far sentire a un fanciullo il lato meritorio delle  azioni. I preti commettono assai volte l’errore di pre¬  sentare gli atti di beneficenza come qualcosa di  meritorio. Anche senza riflettere che, agli occhi di  Dio, non possiamo far mai che il nostro dovere, si  può dire che adempiamo semplicemente 1’ obbligo  nostro beneficando i poveri. Difatti, la disuguaglianza  del benessere tra gli uomini deriva da mere condi¬  zioni accidentali. Dunque, se posseggo beni di for¬  tuna li debbo a quelle circostanze che han favorito  me o chi mi ha preceduto, c però devo pensaro anco  alla società di cui sono membro.   Si eccita l’invidia in un fanciullo avvezzandolo  a stimare sè stesso giusta il valore degli altri. Deve, al contrario, stimar se giusta le ideo della sua ra¬  giono. Cosi l’umiltà vera e propria è un confronto  del nostro valore colla perfezione morale, La reli¬  gione cristiana, per esempio, comandando agli uomini  di paragonar sò medesimi al modello sovrano della  perfezione, li rendo umili piuttosto che insegnar loro  la umiltà. Far consistere l'umiltà nello stimar se meno  degli altri c assurdo. — Vedi come questo o quel fan¬  ciullo si porta bene! e somiglianti espressioni. Parlar  così ai fanciulli non c certo il modo d’inspirar loro  nobili sentimenti. Quando l’uomo stima sè, giusta il  valore degli altri, cerca o di elevarsi sopra loro, o di  abbassarli. Il secondo caso c proprio dell' invidia.  Allora non si pensa che a trovar difetti negli altri-,  solo a questa condizione si reggo al confronto, c si  riesce superiori. Lo spirito di emulazione applicato  non bene produce l’invidia. Quando volessimo per¬  suadere alcuno che una cosa 6 fattibile, qui l’emu¬  lazione potrebbe giovare : come, puta caso, quan o  esigo da un fanciullo un certo compito e gli mostro   che altri han potuto farlo.   A un fanciullo non va permesso di umiliare gli   nitri in qualsiasi modo. Conviene ndoprarsi a sof¬  focare ogni superbia fondata sui vantaggi  na. Ma bisogno fondare m pari tempo a ^   cioè una modesta fiducia in tó “f*'” 0 .   r",:^rro g auro,obestane, non curarsi  affatto dc’giudizj altrui. Tatti i desiderj umani sono o formali (libertà c  potere), o materiali (relativi ad un oggetto,) cioè  desiderj d’opinione o di piacere -, o, lilialmente, ri¬  guardano la semplice durata di queste due cose, come  clementi della felicita.   Son desiderj della prima specie quelli degli onori,  del potere e delle ricchezze. Appartengono alla se¬  conda specie i desiderj del piacere sessuale (voluttà),  delle cose (benessere materiale) c della società (con¬  versazione). Sono, infine, desiderj della terza specie  l’amore della vita, della salute, delle comodità (il  desiderio d’essere scevro di cure nell’avvenire).   I vizj sono quelli o di malignità, o di bassez¬  za, o di grettezza d’animo. Alla prima specie ap¬  partengono la invidia, la ingratitudine e la gioia per  la sventura altrui -, alla seconda, la ingiustizia, la  infedeltà (falsità), il disordine, vuoi nel dissipare le  proprie sostanze, vuoi nel rovinarsi la salute (in¬  temperanza) e la propria reputazione ; alla terza  specie, la durezza di cuore, l'avarizia c la infingardi  (effeminatezza).   Le virtù sono o di puro merito, o di obbligò'  sione stretta, o d 'innocenza. La prima classe com¬  prende la magnanimità (che consiste nel domare se  stesso, vuoi nella collera, vuoi nell’amore del benes¬  sere materiale e delle ricchezze), la beneficenza, il  dominio sopra sè stesso. Spettauo alla seconda classe  l’onestà, la decenza e la dolcezza’, alla terza infino,  la buona fede, la modestia e la temperanza.   Si domanda : l’uomo è moralmente buono o cattivo per sua natura ? Io rispondo : egli non è mo¬  ralmente buono nò cattivo, perchè non ò un essere  morale per natura ; ©'diviene morale quando innalza  la sua ragione fino alle idee del dovere e della legge.  Si può dir tuttavia che l’uomo racchiudo in sè tendenze  originario per tutti i vizj, avendo inclinazioni ed  istinti che lo spingono da una parte, mentre la sua  ragione l’attira dalla parte opposta. Egli dunque  potrebbe divenire moralmente buono solo in grazia  della virtù, ossia d’una forza esercitata sopra se  stesso, quantunque possa rimanere innocente finche   non si destano le suo passioni.   La maggio.' parte dei vizj dorivano dallo stato  di civiltà quando fa violenza alla natura; c c.ò nond.-  meno la nostra destinazione corno uomini « 4. usci  dal puro stato di natura dove non cor» d.fle.on»  tra noi o gli animali bruti. L'arto perfetta ..teina   alla natura., „„„ „„„ p .i   Nell’ educazione tutto dipendo, a . ‘ g[   ò: si stabiliscano dovunque buoni P ri “ W  facciano comprender bene od   Questi debbono imparare a sos . uue U d.o 1   ..cedi tutto   surdo ; il timore dclh P P stima di sò   degli «“ ini istori.™ JPepini». *«™i;   medesimi o la le c la condotta a.   il pregio ìntrinseo a, sentimento ; una   moti del cuore, l inre “ *» devozione mesta,   pietà serena odi animo boto a una de   cupa e selvaggia- Ma bisogna anzitutto preservare i giovani dal  pericolo di stimar troppo i meriti della fortuna ( me¬  rita fortunaà).   43. - Se togliamo ad esame l’educazione dei  fanciulli nella sua attinenza colla Religione, la prima  questione da risolvere c questa : Si può inculcare  per tempo ai fanciulli idee religioso? Ecco un punto  di Pedagogia sul quale si è molto disputato. Le idee  religiose suppongono sempre qualche Teologia. Ora,  come insegnare una Teologia alla prima gioventù,  che non conosce ancora il mondo, c neppure se stes¬  sa ? I fanciulli, che non hanno ancora la nozione  del dovere, come potrebbero capire un dovere im¬  mediato verso Lio ? Ciò che v’ ha di certo si è,  che se potesse avvenire che i fanciulli non fossero  mai presenti ad alcun atto di venerazione verso  1 Ente supremo, e non udissero mai pronunziare il  nome di Dio, sarebbe allora conforme all’ ordine  delle cose d attirare prima la loro attenzione sulle  cause finali e su quanto si addice all’ uomo, di  esercitarvi il loro giudizio, d’istruirli sull’ordine  e sulla bellezza de’ fini della natura, di aggiungervi  poi una cognizione più estesa e perfetta del sistema  dell universo, e di venir così alla idea d’ un Ente  upiemo, d un Legislatore. Ma siccome ciò non e  possibile nello stato presente della società, come non  1 o \ietaisi che i fanciulli non odano pronunziare  i nome di Dio e non siano presenti ad atti di de-  ìonc veiso di Imi, se volessimo attendere per  insegnar loro qualcosa intorno a Dio, ne deriverebbe        dell’educazione PRATICA 303   nel loro animo o una grande indifferenza per la  divinità, o una idea falsa, come il timore della po¬  tenza divina. Ora, poiché bisogna evitare che questa  idea metta radice nella immaginazione dei fanciulli,  devesi cercare per tempo d’inculcar loro idee reli¬  giose. Il che, per altro, non vuol essere un mero  esercizio di memoria, nè una pura imitazione affet¬  tata, ma devesi al contrario seguir sempre a via  naturale. I fanciulli, pur non avendo ancora 1 idea  astratta del dovevo, dcll'obbligazione, della condotta  buona o cattiva, capiranno esservi una leggo del   dovere, o ch'cssa non consisto noi piacere, nell ut.le   o in altri simili considerazioni elle la  ma in qualcosa di generalo che non s. fonda sm  • capriccj umani. Bensì il maestro medesimo d   toi p q r;sit;e tutto riferire a Dio nella indura,  e attribuire ancor questa a Lui. lei ]a   mostrerà in primo por Lequilibrio loro, ma   ind^rcttameute^ancbe^per 1’ uomo affinchè possa ren¬  dersi felice. fin a* principio un’idea   La miglior via pe m .. a o- 0 nare per ana-   chiara di Dio sarcb c que^ ^ m paJre 0, ie   logia il concetto di . cosi fclieemento   abbia cura di no,1““^ onere nn,ano corno nna   a concepire 1 unita   sola famiglia., Tfeliffione ? La re-   ° b °’ aÌ "T;Sr^2ei, inquanto  ligione è la legge che risied  riceve da un legislatore c da un giudice l'autorità  che ha su noi ; è la morale applicata alla cognizione  di Dio. Se la religione non si unisce alla inorale,  essa altro non è che una maniera di sollecitare il  favore celeste. 1 cantici, lo preghiere, il frequentare  lo chiese, tutto ciò deve servire unicamente a dare  all' uomo nuove forze ed un nuovo coraggio per di¬  ventare migliore ; altro non deve essere che la pura  espressione di un cuore animato dall’ idea del do¬  vere ; tutto ciò c preparazione al bene, ina non co¬  stituisce il bene in se. Non possiamo piacere all’Ente  supremo se non diventando migliori.   Ai fanciulli conviene anzitutto insegnare la  legge che hanno entro di loro. L’uomo ò dispregevole  agli stessi occhi suoi quando cade nel vizio. Questo  disprezzo ha la sua ragione in sò, e non già nella  considerazione che Dio ha proibito il male ] impe¬  rocché non è necessario che ogni legislatore sia nel  tempo stesso autore della legge. Così un principe  può vietare il furto ne’ suoi Stati, e nondimeno egli  potrebbe non essere 1’ autore della proibizione del  furto. Quindi 1 uomo riconosce che la sua buona  condotta può solo renderlo degno della felicità. La  legge divina deve nel tempo stesso apparire come  una legge naturale, poiché non c arbitraria. La re¬  ligione rientra dunque nella moralità.   Ha non bisogna cominciare dalla Teologia. La  religione elio sia fondata semplicemente sulla Teolo¬  gia, non può contenere alcun che di morale. Essa  non ispirerà altri sentimenti clic il timore da una      dell’educazione pratica 30S   parto e la speranza del premio dall'altra ; e quin¬  di produrrà un culto superstizioso. La Morale de¬  ve pertanto venir prima della Teologia. E così ab¬  biamo la Religione.   Dimandasi coscienza la legge considerata in  noi. La coscienza è veramente 1’ applicazione dello  nostre azioni a questa legge. I rimorsi della coscienza  resteranno inefficaci, ove non li consideriamo come rap¬  presentanti di Dio, il cui trono sublime è fuori c  sopra di noi, ma che ha pure stabilito in noi un tii-  bunale. D’ altra parte, quando la religione non è  accompagnata dalla coscienza morale resta inefficace.  La religione senza la coscienza morale, come ab¬  biamo detto, è un culto superstizioso. Si pretende  servire Dio con lodarlo, per esempio, col celebrarne  la potenza e la sapienza, senza curarsi di osservare  lo leggi divine, senza neppur conoscere e studiare a  sapienza e potenza di Lui. Taluni cercano in quelle  lodi una sorta di narcotico per la loro coscienza, o   una sorta di cuscino sul quale sperano riposare tran-   non * i» g-* «.-*»  lo idee religiose, me posiamo tuttavia  loro alcune ; queste bensì debbono essere piuttosto  negative efaL positive. È inutile d. ar re tare ^  mole ai fanciulli 1 questo non pub dar loro eh u idea  falsa della pietà. La vera   sta nell'opera,-e secondo 1» volontà d Ln. . e  massimale si devo i^—   terossc loro ed anche nosti, I ^ nome di Dio non sia profanato così spesso. Invocarlo  nei desiderj e negli augurj, sia pure con intendi¬  mento pietoso, è una vera profanazione. Ogni qual¬  volta gli uomini pronunziano il nome Dio, e’ dovreb¬  bero essere tutti compresi di rispetto ; dovrebbero  pertanto farne uso di rado e mai leggermente. Il  fanciullo deve imparare a riverire Dio, prima come  signore della sua vita e dell'universo, poi come pro¬  tettore o provvidente deH’uomo, e finalmente come  suo giudice. Dicesi che Newton si raccogliesse uu mo¬  mento ogni qualvolta pronunziava il nomo di Dio.   Unendo e rendendo ciliare nella mente del  fanciullo ad un tempo le nozioni di Dio c del do¬  vere, gl’insegniamo a rispettar meglio le cure prov¬  videnziali di Dio verso le sue creature, e lo pre¬  serviamo dalla tendenza alla distruzione ed alla cru¬  deltà, che in tanti modi si compiace di tormentare  i piccoli animali. Si dovrebbe nello stesso tempo  istruire la gioventù a scoprire il bene nel male,  mostrandole, per esempio, modelli di nettezza e di  operosità negli animali di rapina e negli insetti. Essi  fan ricordare agli uomini cattivi il rispetto della  legge. Gli uccelli che danno la caccia ai vermi, sono  i difensori de’giardini ; c così prosegui.   Bisogna pertanto inculcare ai fanciulli certe  nozioni intorno all’Ente supremo, affinchè quand/cssi  vedono gli altri pregare, sappiano a chi o perchè si  fanno quelle preghiere. Ma poche hanno da essere  tali nozioni e, come dicemmo qui sopra, puramente  negative. Devesi cominciare ad imprimerle fin dalla      dell’educazione pratica 301    prima età neH’animo dei fanciulli, ma insieme badare  ch’essi non istimino gli uomini secondo la pratica  della rispettiva religione ; imperocché, nonostante la  diversità dei culti religiosi, trovasi dovunque unità  di Religione.   44. - Aggiungeremo, per concludere, alcune  osservazioni, rivolte particolarmente ai fanciulli che  entrano nellagiovinezza.Aquest’età il giovinetto prin¬  cipia a fare certe distinzioni che non faceva prima.  Viene ili luogo la differenza dei sessi. La   natura ha in qualche modo gettato là sopra il velo    del segreto, come se la ci fosse qualcosa di meno  decente per l’uomo e che per lui fosse un mero bisogno  della vita animale. Essa ha cercato d unirlo con ogni  sorta di moralità possibile. Gli stessi popoli selvaggi  conservano su questo punto una specie di pudore e  di ritegno. I fanciulli curiosi fanno talvolta certe di¬  mando su questa materia alle porsone adulte, per  esempio : Donde nascono i bambini ? Ma possiamo con¬  tentarli facilmente o dando risposte insignificanti, o  dicendo loro che ia dimanda è propi io da barn ini  Meccanico è lo svolgimento di questo tendenze  nel giovinetto; e, come in tutti gl'istinti che si dispie¬  gano in lui, non ha bisoguo di conoscerne prime^ og¬  getto- È dunque impossibile di mantener qui, g pa¬  netto nella ignoranza e nella innocenza o i  compagna. Il silenzio non fa che aggravalo li male;  Dna prova ci è fomitadall'edncaz.ono dei noeta “ 0  nati. Secondo l'educazione dell'età nostra*  giustamente che di queste cose bisogna pollare «,  vinetto senz’ambagi, in modo chiaro o preciso. Per  fermo si tocca un tasto delicato, poiché non so ne  fa volentieri soggetto di conversazione pubblica. Ma  tutto sarà ben fatto se gli parliamo di ciò in modo  serio e conveniente, e se penetriamo nelle sue incli¬  nazioni.   L’età dei 13 o dei 14 anni è e quella ordina¬  riamente in cui la tendenza per il sesso dispiegasi  ne' giovinetti (se avviene prima, vuol dire che i  fanciulli sono stati corrotti e perduti da cattivi escm-  pj). A quell’età il giudizio loro si ò già formato, c  la natura l’ba provvidamente preparato affinchè pos¬  siamo allora discorrere di tal oggetto con essi.   Non v’ò cosa che tanto fiacchi lo spirito e il cor¬  po quanto la specie di voluttà che l’uomo consuma  sopra sè stesso ; non occorre diro ch'essa è contraria  alla natura umana. E quindi non si deve più tener  celata al giovinetto. Bisogna mostrargliela in tutto  l’orrore suo, e dirgli elio si rende cosi disadatto alla  propagazione della specie, che rovina le sue forze  fisiche, che si prepara una vecchiaia precoce, che con -  suma il suo spirito, e va dicendo.   Per fuggire le tentazioni di questo genere bi¬  sogna stare occupati sempre e non concedere al letto  ed al sonno altre ore che le necessarie. A questo modo  il giovinetto caccerà via dalla mente i pensieri cattivi 5  poiché, sebbene l'oggetto esista nella pura immagina¬  zione, egli usa ancora la forza vitale. Quando la incli¬  nazione si porta sull’altro sesso, almeno s’incontra  sempre qualche resistenza; ma quando è rivolta sopra      DELL’EDUCAZIONE l'UATlCA 309   l’individuo stesso, può ad ogui momento essere ap¬  pagata. Rovinoso ò l’effetto fisico’, ma le conseguenze  morali sono ancor più funeste. Qui si varcano i con¬  fini della natura, e la tendenza non è mai sazia,  perchè non trova mai alcuna soddisfazione reale. Ri¬  spetto ai giovani, alcuni precettori han posto la qui-  stione : Può ad un giovane permettersi di formare  unione con una persona di sesso diverso? Sebisognasse  scegliere uno di questi duo partiti, il secondo sarebbe  certamente migliore. Nel primo caso il giovane opere-  rebbe contro natura -, ma nel secondo, no. La natura ia  destinato a diventare uomo, e quindi anche a pro¬  pagare la specie umana, appena è in grado di proteg  gere sè stesso; ma i bisogni, a’quali deve neces¬  sariamente sottostare l’uomo nella società civile non  gli consentono di poter ancor» allevare .suor SgU.  Qui pertanto egli va contro l'ordine ernie. U n,^'  partito pel giovane, e questo k per In. «ohe u  vere, sta nell'attenderc ohe sia in grado d uni...  regolarmente in matrimonio. P“ ra “ 0 ^ btl on   mostrerà non solo uomo dabbene, s.   cittadino. tempo a dimostrare alla   Il giovine apprenda pe. ^mp ^ mMÌlMn0   donna tutto il rispetto c 0 ^ j, epararsi così   la stima con lodevole operosità, ed a piepa   all'onore d’nna ““ il gi»™* 110 ’   La seconda diff corainc ia a porre e   oramai ad entrare nel dei ceti e ladisu-   quella che risguarda la fanciullo, non   guaglianza degli uomini. Finche bisogna fargli notare questa differenza. Non gli si  deve permettere di comandare ai domestici. S’egli  osserva che i suoi genitori comandano ai domestici,  gli si può sempre dire : Noi li manteniamo, e però  essi ci obbediscono. I fanciulli ignorano del tutto que¬  sta differenza, se i genitori non ne porgono loro l’idea.  Convien dimostrare al giovinetto come la disugua¬  glianza degli uomini sia un ordine di cose derivato  dai vantaggj onde certi uomini hanno cercato di di¬  stinguersi dagli altri. La coscienza dell’eguaglianza  degli uomini, nonostante la disuguaglianza civile, può  essergli inspirata a poco a poco.   45. - Fa mestieri di avvezzare il giovine a sti¬  mar se giusta il proprio valore, c non secondo il va¬  lore altrui. La stima degli altri, in tutto ciò clic non  costituisce affatto il valore dell’uomo, è vanità. Bi¬  sogna, inoltre, insegnare al giovine a fare ogni cosa  coscenziosamente, ed a porre ogni cura non tanto di  parere, quanto di essere. Avvezzatelo a far sì che  in ogni contingenza della vita, presa ch’egli abbia  la sua risoluzione, questa non resti vana ; meglio  sarebbe di non venire in alcuna deliberazione, e di  lasciar sospesa la cosa. Insegnategli la moderazione  ne’suoi rapporti col mondo e la pazienza nel lavoro :  Sustine et abetine ; insegnategli la temperanza nc’  piaceri. Quando l’uomo non desidera unicamente i  piaceri, ma sa ancora essere paziente nel lavoro, di¬  viene un membro utile alla società e si preserva  dalla noia.   Conviono pure istruire il giovine a mostrarsi         DELL'EDUCAZIONE 1MIAT1CA 311   festevole e di buon umore. La serenità dcH’anirao  deriva naturalmente dalla coscienza tranquilla. Rac¬  comandatogli pertanto di conservare lo stesso tem¬  peramento. Con l’esercizio egli può arrivare amo- ■  strarsi sempre di buon umore in società.   Abituatelo a considerare molto cose come do¬  veri. Un’azione dev'essere pregevole, non perche si  accorda colla mia inclinazione, ma perche nel farla   io compio il mio dovere.   Bisogna educare il giovine all’amore verso gh  altri c poi a tutti i sentimenti verso l’umanità. Nel¬  l’animo nostro v’ha qualcosa che vuole c'interessiamo  di noi stessi, di coloro coi quali siamo cresciuti non  dio educati, o del bene universale. Va rose fam.liaro  questo interesse ai fanciulli perchè riscaldi le anime  loro. Essi debbono gioire del bene universale, quando  anche non torni a vantaggio della patria o d,   ‘“ 0d Conviene abituarli ad nneordare una mediocre   stima al godimento de'piaoen ndln vi• •   nirè i, timore puerile Eseguire   strare ai giovani che il P ia   ciò ohe promette. loro atten2 ;„ne   Bisogna, per ultime, torma a „ U a   ii -i* ri! rpndorsi conto 0 o m o   sulla necessita di rende ine de n a vita pos-   propria condotta, perdi • * acq ùistato.   sano stimare debitamen Chi esaminasse con occhio diligente, acuto od  imparziale tutte le cagioni e tutti gli umani indivi¬  dui che in un modo o nell'altro concorrono al pro¬  gresso ed al perfezionamento della specie umana,  vedrebbe che alla donna spetta non picciola parte  di gloria in questo progresso indefinito. Anzi tutte,  come osservò uno storico nostro contemporaneo, se  1 uomo incontra spesso la morte per la salvezza della  patria, la donna corre pericolo della vita ogni qual¬  volta mette alla luce una creatura umana. Onde il  Leopardi (Canto notturno di un pastore errante del'  l'Asia ) scriveva :   Nasce l’uomo a fatica,   Ed è rischio di morte il nascimento.   Dalla cuna alla tomba, dalle più modeste cure della  famiglia a'più alti e gloriosi ufficj dello Stato, dai  primi rudimenti del sapere e del viver civile alle  più nobili manifestazioni del pensiero ed al più squi¬  sito incivilimento cui sieno pervenuti gli umani consorzj, nella prospera e nell’avversa fortuna, in pace  ccl in guerra, nelle arti, nelle scienze e nelle lettere,  in ogni tempo e presso le nazioni tutte, per via più  o meno diretta, in modo ora occulto ora palese, vi  scorgi sempre l’opera e l’efficacia della donna ne vaij-  suoi ufficj di sorella, di figlia, di amante, di sposa,  di madre, di cittadina, di cultrice d’ogni arte li¬  berale od ispiratrice de’più nobili sentimenti, d’eroina  del dovcree,seoccorre,di martire del sacrifizio. Senza  la donna, oltre non potersi' conservare o perpetuare  il genere umano, l’opera divina della creazione non  sarebbe stata compiuta, non avi ebbe avuto i  più bello e vero coronamento.   IL    Sollevata dal Creatore ad un grado sì nobile,  destinata a sì alto ufficio, la donna non fu m »  tempo c debitamente pregiata dagli uomini, n   ellastessa o non volle sempre corrispondere al a sua  missione. Nel paganesimo essa o fu tenu a s • j   o fu considerata del tutto inferiore all’uomo e qual   mero strumento di voluttà. Pei atio un 8V0 iaero  basso e misero stato, se ufficio,   tutte le sue facolta e compì umana   non mancò affatto nel progresso della -v ^   l’opera di lei, giacché la natuia s . res trin-   di quando in quando i calpes a i invano   prò-   le donne si volevano appa ^ Qultara in^   cacciavasi loro una buon tellettualc, chi nei più aspri pericoli della patria,  nelle arti e nelle lettere faccvasi tuttavia sentire  l’impulso animatore della donna greca. Infatti; dii non  ricorda come la giovinetta, la sposa e la madre inspi¬  rassero animo forte alla greca gioventù, che prima  della battaglia acconciavasi la bella persona, quasi  .traesse a convito e alla danza? Chi non ricorda come  Socrate rassomigliasse il suo modo di filosofare al¬  l’arte della madre sua Fenarete ? Chi non ricorda le  ispirazioni di un'Aspasia, c il valore poetio dell’in¬  felice Saffo, molti versi della quale possono reggerò  al confronto di quelli più affettuosi d’Anacreonte? E  questi non imitò poi la fanciulla di Lesbo ? - Invano  l’antica lloma negava alla donna ogni personalità giu-  'ridica, che ivi pure non mancavano stupendi esempi  di amor patrio c di senno. Chi non ricorda infatti  la pacò fra i Romani ed i Sabini, stipulata (checche  ne pensi la critica moderna) per int.crcessiono delle  rispettive donne? E, per tacere dello influsso della  ninfa Egeria su Nuraa Pompilio, la storia non ha  essa glorificato l'eroismo di Clelia ; le preghiere,  ispirate da vivo amor patrio, della madre e della sposa  di Coriolano ; il sacrifizio di Virginia ; la rettitu¬  dine e l’anuegazione delle madri dei Gracchi e degli  Scipioui, esempio rinnovato ai nostri giorni dall’eroica  madre dei fratelli Cairoli ? L’opera della donna non  fu adunque del tutto manchevole od impotente nella  civiltà pagana, e presso le schiatte che abitavano al  mezzodì c all’occidente del mondo antico.   Rinobilitata dal Cristianesimo e tenuta in.maggiorc stima appo i vigorósi popoli del settentrione,   La clonna ; ritornò man mano signora di sò, fu pro¬  clamata degna o ■ inseparabile compagna dcH’uomo.  Èssa allora comprese tutta la nobiltà della sua natura,  andò via via perfezionandosi, e cooperò efficacemente  a rialzare la stessa dignità umana, e a far progredire  la civiltà. Lasciati gli Dèi falsi c bugiardi, abbrac¬  ciata la religione di Cristo, la donna se uc fa la più  valida sostenitrice c propagatine©, come ci,testi¬  monia la madre di Agostino il santo, la imperatrice  Eletta madre di Costantino; Teodolinda regina dei  Longobardi, c' molte altre rioordate dall’istoria. Nel  medio evo i più intrepidi c cortesi cavalieri cingono  la spada-in difesa della donna e della fede; un Abe¬  lardo,'famoso disputatore nelle più aride c nelle pm  alte questioni di filosofia e teologia in Paii D i ne  colo XH, ò attratto dalla bellezza c dall’ingegno   d'Eloisa, nobile creatura (dico il Cousin) che amo come   santa Teresa e scrisse talvolta come eneca " .  donna ispira il canto dei trovatori, e porgo ra  alle’ lingue romanze ; Beàtnce si 6 che sia   stare l’ingegno più universal l . a]la   vissuto nei tempi di mezzo  al   Ugnato Papato, lo richiama a a         316 LA .MISSIONE DELLA DONNA   suo vero ufficio. Instigatrice a nobili imprese, la don¬  na piglia non di rado la lira, ne trae suoni armoniosi  e delicati, come Gaspara Stampa, Veronica Gambara  e Vittoria Colonna. Altre maneggiano con onore il*  pennello, come SofonisbaAnqùisciola, Barbara Longhi  e Teodora Danti, pittrice c matematica insigne; e ta¬  lune maneggiano perfinolo scalpello, come a'dì nostri la '  egregia e valenteAmaliaDuprè. Moltissime poiriesco-  no eccellenti nella musica. Una Margherita illuminae  rende civile la Scozia ; più tardi Maria Teresa c  Caterina II a governano sapientemente due più te¬  muti Imperi d’Europa. In tempi a noi più vicini  la signora di Stiicl predicava la Comunione intel¬  lettuale dei popoli; Albertina-Necker scriveva di  Pedagogia, ed in molte osservazioni sullo sviluppo  della intelligenza e degli affetti del bambino fu più  acuta di Emanuele Kant. La signora Swetchino,  oriunda della Russia, onorava gli uomini più illustri  della Francia contemporanea e alla sua volta era  da essi meritamente onorata. In Ginevra tenne cat¬  tedra di lettere italiane la nostra Caterina Ferrucci,  e poi scriveva un insigne trattato smW Educazione  morale della donna italiana. Taccio poi gl’illustri  nomi dello signore De Spuches Galati, Milli, Fuii  Fusinato, Alinda Brunamonti ed altre, per ricor¬  dare quello della perugina marchesa Florenzi, che  a nostri giorni coltivò con onorato successo una delle  più difficili e la più universale delle discipline ra¬  zionali, vo dire la Filosofia. Ecco ricordati, in questi  pochi csempj, i meriti insigni del gentil sesso.         NELLA SOCIETÀ ODIERNA    ni    III.   A questi meriti la donna moderna può e deve  aggiungerne degli altri, adempiendo sempre il suo  nobile mandato, perfezionando sè stessa, e coope¬  rando efficacemente ai multiformi aspetti della civiltà  e dell’umano progresso. Poiché la uatura della donna  non cambia, e poiché dal Cristianesimo é stata sol¬  levata al suo più alto c vero grado, ella ha sempre  c dovunque il medesimo fine da conseguire. Ma m  gran parte variano i modi per adempiere sì alta  missione, secondo che mutano le condizioni politiche,  intellettuali e morali della società in mezzo alla quale,  vive la donna. Questa, inoltre, si é perfettibile e non  perfetta, né può sottrarsi, in mezzo agli sp e  della civiltà nostra, alle leggi che governano il gra¬  duato avanzamento del genere umano, osi, po  in oggi la donna ispirare animo al guerr.ero pei la  stessa idea e per le stesse cagioni onde Io ispira  tempi di meco ? E le sole doti mota!.,  da Ima conveniente cattura intellettuale sainbb no  oggidì sufficienti a .cadere, non diri.   spettata la donna, “‘.^““notanefieo o potente  congiunture della vita tatto   influsso negli nomini «1» consistere il   Vediamo, portante, >n ‘ ^ nelIa 80 „ietà  vero e compiuto ufficio d ^ ^ cavat teri   odierna, tenendo fermi da ™ giuste o   essenziali, e dall’ altro tenendo con  razionali esigenze dei nostii temp Nel suo librò La dolina e là scienza -1' onorevole  SalvatdreMorelliassegnavaun triplice scopo alla donna,  cioè di partorire 1’ uomo, di educarlo, di muoverlo o  dirigerlo al bene. E per l’illustre professore gine¬  vrino, Ernesto Naville, il véro ufficio della donna  consiste in opere di educazione, di pietà e di mise¬  ricordia (Il Dovere: discorso alle signore di Ginevra  c di Losanna). E sta bene: ma noi'vogliaiio consi¬  derare la donna in modo più esplicito c sotto qualche  altro aspetto, vale a dire in tutte le sue più affet-  tuose e più solenni manifestazioni. Cominciamo a  riguardare la donna come sorella.   Dopo il rispetto che il figlio deve ai genitori,  viene quello verso la sorella. Ah ! chi può mai com¬  prendere tutta la dolcezza e la soavità di questo  meno ? I più gentili e nobili sentimenti clic poi fanno  caro e degno di stima 1-' uomo in società, egli deve  apprenderli ed esercitarli in famiglia e specie con  le sorelle. Queste, per ordinario pazienti, soavi, gra¬  ziose, capaci di profondo c puro affetto fraterno,  destano rispetto ed amore, raddolciscono l’animo,  fanno più miti le correzioni dei genitori, formano  a piu bella e fida compagnia del fratello. Quando  esse lasciano la casa c il nome del padre per assii-  meie quello d un altro uomo, o quando inesorabile  morte le rapisco anzi tempo, la casa paterna pare  cnenga un deserto. È la sorella Paolina che, nel primo caso, inspira al Leopardi uno dei più belli  suoi canti. È la buona Manétta Pellico che rinunzia  alle gioie torrone, si ritira in un chiostro e prega  pel fratello Silvio prigioniero allo Spielbergo; e quel-  1' atto magnanimo ispira versi affettuosi all’ amico  di lui, all’intrepido Maroncelli ! “ La sorella è al¬  l’uomo la prima compagna, la prima amica, quella  che all’ uomo fa presentire le dolcezze innocenti del-  1’ amore di donna. L'ineguaglianza degli anni e la  severità de’ modi pone tra genitori e figliuoli certa  distanza che accresce 1 affetto vero rinforzandolo co  rispetto, ma clic richiede come a ristoro altri eser-  cizj del cuore. Col fratello ogni cosa comune: la me¬  moria, le gioie, i patimenti, i piccoli enoii.... n  luoghi di pochi e poveri e sovente divisi, abitanti  la famiglia è patria e universo. La sorella in que  ire tenaci infonde qualche parola di amoie .  lo sguardo, le lagrime di donna ritemprano, per  fiera che sia, la virile durezza, e a generosi a  spengono. Onde sorella è dolce e poetico nomerò   di questo nome si   rapilo nel 1874 all'Italia, alle lettere, alla   V.   a „ annsa la donna ha un  Se poi diviene amante P > opGr0 sità.   più vasto campo dove eterei ai ^ . zi   È il- forte adopra o pensa. E voi specialmente, donne italiane, abbiatevi:  pure questo vanto, o sappiate ognor più meritarvelo :  a vostro senno molte fiate pensa ed opera il letterato,  l’artista, l’uomo di scienza, e talvolta anche l’uomo  di Stato ! Per citarvi un solo esempio, senza l’im¬  pulso, il conforto e l’approvazione di due egregie-  donne, la contessa Balbo e la siguora Pellico madre  di Silvio, questi avrebbe egli scritto e reso di pub¬  blica ragiono Le mie Prigioni, libro che ha fatto  palpitare tanti cuori, che noi da giovinetti leggevamo  piangendo e fremendo, e che ha cooperato, più di  molte battaglie, alla libertà e indipendenza d'Italia?'  Sicché la donna, oltre poter da so coltivare non  senza gloria lo lettere ed alcune razionali discipline,  e divenire eccellente nelle arti liberali, può c deve  inspirare il letterato c l'artista, animare lo scien¬  ziato, c può altresì correggerlo quando certe suo-  teorie pugnino con i più nobili sentimenti del¬  l’animo e col senso comune, che il più delle volte  lasciando parlar la natura, diceva il Mamiani, fa-  la spia della verità. Infatti, se il Rousseau avesse  pensato a sua madre o se avesse potuto interro¬  garla, avrebbe egli scritto quel terribile voto, che  i figli non dovessero mai conoscere i loro parenti ?'  E se alcuni oggidì, oltre dover meglio badare alla  prova certa e compiuta dei fatti e alle sane regole  «ella logica, pensassero alla nobiltà dell’uomo e in¬  terrogassero il cuore profetico della donna, verrebbero essi a certe conclusioni c teorie che procla¬  mano non punto dissimilo da quella dei bruti la  discendenza di nostra progenie ?   Quanto alle lettere, tanta c l’efficacia della don¬  na, che se ad una letteratura moderna rimangono  estranee le donna, e’vuol dire eh’essa non ha vita.  l>en è vero che la donna, soggiungo quel dottissimo  ed acuto ingegno del Bonghi, devo entrare in una  letteratura più come direttrice clic come operaia 5  allora col suo criterio lino c giusto, con quella sua    delicata spontaneità di sentire, con quella sua at¬  titudine a scovrire le pieghe del cuore,.... con quel  suo vivere nel presente, colla sua inclinazione a  non accontentarsi, secondo l’indole, se non o d un  pensiero ben circoscritto 0 d’un affetto infinito 0  col potere tutto suo di sancire col sorriso e colla  grazia il giudizio ch’esprime, ha un influsso po¬  tente ed utile nella letteratura d’un popolo mo¬  derno. Oltre di clic, per il suo posto nella fami  glia e nella società, la donna è lo -strnmen 0 pm  adatto e più sicuro della diffusione della^ coltuia 0  por la natura dolio suo ocoupao.cn, P°^bbe fcr  niro il maggior numero do’lcttcr. d'un l.bro (R. Boa  6K iwS lu Matura italiana non *.***.•  in Italia. Lotterà prima). donna   Dieeva egregia^ diretammt0  dello scoraggiamento. Infelice quell'uomo che, tutto  assorto nelle questioni politiche, non ha poi un con¬  forto nel seno della famiglia ! E quanto l’aspre e  continue battaglie della politica .snervino l’uomo, noi  già lo vedemmo negli ultimi anni e nella fine del  compianto deputato Civinini: l’amorevoli curo della  madre c il pensiero dei figli non furono più capaci  a salvarlo da morte immatura! Non vi dirò poi come  gli affetti domestici e la soavità della donna pos¬  sano informare a pacatezza ed a maggiore equità  l’animo del legislatore e dell'uomo di Stato, poiché  la vita umana dev’essere, tutta un’armonia. Così una  saggia economia domestica ottenuta per cura della  donna, può servire di norma, fatte le debite pro-  . P orz ‘oni, a chi deve amministrare il tesoro del Co¬  mune, della Provincia, dello Stato.   IX.   Ove poi consideriamo la donna come prima  educati ice de figli, essa deve infondere per tempo  nell'animo del giovinetto non solo i precetti morali,  ma può eziandio, secondo l’opportunità, fargli co¬  noscere alcuno massime di prudenza e di saviezza  politica. E non si creda che sia questo un mero sogno,  un vano parto della mia fantasia. No, era il Tom¬  maseo stesso che raccomandava d’iniziare per tempo,  ilici cò 1 educazione, i giovinetti alla conoscenza c  ‘ a pratica di quelle norme che si riferiscono al  viver civile e politico. Mi sia concesso, pertanto, di  riferire 1’ autorevoli parole di quell’ uomo illustre, clic non fa alieno dalla vita politica, ma che anzi  ebbe tanta parte nel risorgimento della nostra na¬  zione. u Ed io tengo per vero (scriveva egli nel  trattato sulla Donna) che la politica nostra sia cosi  piena di miserie c di passioni e di pericoli, appunto  porche troppo tarda disciplina è a’figliuoli nostri;  appunto perchè primi maestri di politica sono ad  essi le tragedie dell’Alfieri e i giornali di Francia ;  appunto perchè il nome di patria suona loro nella  mente innanzi che nel cuore, o suona come figura  vettorica   Sicché la donna può e deve giovare all uomo  in tutto, non pure nella scienza come abbiamo ac¬  cennato, ma talvolta anco nelle dispute filosofiche e   religiose. Narra inflitti S. Agostino che la madie, i  lui entrò nella stanza dov’egli con un amico ragio¬  nava di filosofia, c i dialoghi si scrivevano di mano  in mano : si scrissero anche lo d, lo. ; al le   Monica mostrando di mcrav.gliarsi, disse j ?  esser olla sapiente: « E peschi, non saro o, * jL   italiane oggi non manca, salvo pocio ®°  modo di apprendere siffatta.educazionee^ ^ ^   Nò voglio dire con c i ueS \ ‘ Uo occupazioni  rinunziare, per lo studio, a fi ^ c j ob   proprie della sua indole, de ^Jdrc’di famiglia;  s’addicono alla donna di ca, ‘ d bban fare un  nè presumo che le donne m K alunn i di   corso di studj, come viene pi dell’Università:   u» Liceo, „ donna in   che allora tanto vaueb scenziato, in   ingegnere, in avvocato, in medico,   letterato di professione. È noto che il Boccaccio fu tra i primi col suo  libro De clarìs mulieribus ad illustrare 1’ ingegno  femminile. Più tardi, uno scrittore del Quattrocento  volle dimostrare la preminenza della donna in tutte  le facoltà e in tutte le doti, nell’intelletto, nella bel¬  lezza, nella nobiltà, nel conversare (Vedi E. Magliani,  Storia letteraria delle Donne italiane). Altri hanno  sentenziato, come Francesco Coccio nel libro sulla  Nobiltà della Donna, aver la donna sortito da na¬  tura, al pari dell’uomo, forte ragione, mente c favella,  e tendere ad uno stesso fine. Invece il Lamennais,  il Cousin ed altri negarono alla donna prerogati¬  ve intellettuali. Noi certamente non siamo dello  stesso parere •, anzi manteniamo elio se qualcuna  di esse, fornita di non comune ingegno, avrà tem¬  po agio e voglia di attendere a studj speciali o  di coltivare qualche parte nobilissima dell’umano  sapere, ciò non le sarà nè dovrebbe esserle vietato  dagli uomini e dalla società, vuoi per intolleranza,  vuoi per invidia. E ne abbiamo prove luminose nei  due recenti Istituti superiori di Magistero femminile  in Roma e Firenze, dove si dà una istruzione quasi  universitaria alla donna e dove parecchie alunne  hanno conseguito con felice successo il diploma supc¬  riore nelle discipline letterarie, storiche, morali e  pedagogiche. Ma io intendeva parlare di quella soda  e retta cultura intellettuale e morale, di cui oggi  piu che mai abbisogna non pure la giovinetta delle  classi piivilegiatc dalla fortuna o di nobile linguag¬  gio, sì anche la donna del ceto medio o della bor-      NELLA SOCIETÀ ODIERNA 333   gbesia, salvo le debite differenze. E per conseguire  questo intento, basta che da un lato si riordini le  nostre scuole femminili, segnatamente le Scuole nor¬  mali, che per cultura e nel fine pedagogico sono infe¬  riori a quelle tedesche; dall’altro, chela donna com¬  prenda meglio il suo ufficio, e quindi sprechi meno  tempo e danari nelle mode ricercate, nel lusso c in  certe frivolezze che la fanno apparire più/unwwioc ìe  donna. In quanto all’istruzione media femminile, in¬  vece di fare apprendere alle nostre giovinetteuu po di  grammatica c di far loro pronunziarealla meglio qual-  che centinaio di vocaboli francesi ed inglesi, tanto  per mostrarsi dotte o brioso in alcune società, non  sarebbe più utile insegnare prima alle medesimo a  parlare c scrivere convenientemente Inaiano?  invece di tenerle per lungo tempo rinchiuse fra  quattro mura d'un monastero o d'un Istitutoi no,  sempre arioso ed igienico e tenerlo occ*to per  molto ore al pianoforte, ai ricami e a a 11  femminili, non sarebbe più vantaggioso cond I •  respirare le pure auro dell'aperta campagna del  giardino, e cogliere il destro d' insegnar 1™ ^giene   menti di scienze fisiche d, stoua^na^^ Ma   domestica, e somiglian M dell’Istoria   ritrarrebbe la donna dal P ^jjjg, ariosamente  antica e moderna, piuttos mani?   di leggere ogni — ignoro   Io non nego la beata ‘ cs, ere coltivata; ma   che l’immaginazione pu p rome ssi Sposi,   i buoni romanzi, a comiuci si contano sulle dita, e l’immaginazione dev' essere  governata dalla ragione, come il cuore dev’essere il¬  luminato dall’ intelletto.   Or bene, dirò io alle donne italiane : Siete voi  disposte a rinunziare ad ogni frivolezza che vi renda  meno perfette o meno degne di stima ? Siete voi di¬  sposte ad arricchire, anche a patto di qualche an-  negazione, il vostro intelletto di sode ed utili cognU  zioni? In caso affermativo, come ne ho fiducia piena,  voi mostrerete di comprendere l’alto ufficio che vi  spetta nella società odierna, potrete compierlo de¬  gnamente, c sarete stimate dagli uomini probi ed  .assennati 5 diversamente, oltre venir meno alla vostra  missione, voi non otterrete che il plauso dell’uomo  fiivolo 0 dell idiota, e troverete chi v’aduli, non mai  chi vi stimi e vi ami d’un affetto sincero e dura¬  turo. L qui voi potreste accusarmi di troppa fran¬  chezza, non mai (lo spero) di poca lealtà e di poco  rispetto e interesse per la vostra dignità e pel vostro  avvenne. Ma questa è la sola ricompensa ch’io at-  -tendo dalle gentili mie legatrici c dal cortese lettore.   XI.   Un altro dovere incombe oggi alla donna, se  uo tutelare la propria dignità, se vuol meglio ga¬  rantire la sua indipendenza entro i confini del con¬  venevole, se ama di aver qualche parte nella pub¬  ica vita 0 di concorrere, al pari dell’uomo, ad   a ^ CLlnc ^ unz i°ni ' per esempio quelle del  1 ico insegnamento, ed altre simili più confacenti alla natura di essa. Alla donna insomma, a qualunque  ceto appartenga, occorre una professione. Ed invero,  si trova ella in una condizione non pnnto o non  molto agiata ? E ragion vuole che provveda one¬  stamente alla propria sussistenza. La fortuna le  concesse un avito censo ? Ma chi prevede tutti i casi  della vita ? E quindi è prudente consiglio apparec¬  chiarsi per tempo*, onde la comune sentenza: Impara  l'arte a mettila da piarle. Nè alla donna agiata e di  non oscuro liguaggio mancheranno vie, secondo le   sue naturali tendenze, dove spiegare la sua attività :   come le lingue, la musica, le lettere, la pittura, 1 piu  delicati c squisiti lavori femminili ; non occorre poi  dire che ogni specie di lavoro onesto ha la sua no   biltà, o almeno il suo pregio. •   Quanto al proprio stato, la donna s amaca a-  ruomo par formare la famiglia? E m tal caso eli  davo concorrerà colla sua abilità, mossone quand, abbia suadenti beni di fortuna, « rendere mano    non    gravi    residenze del matrimonio. 0 la donna, sia pei   elezione ^   non vuole o non può 1. divenire sp0 sa   assumere quello d'un altro uomo 0 “™“ ?„ il   0 madre? E allora si fa “ >“ fa su»   bisogno di provvedere on ' s ‘““°“ slrel, a da necessitò   sussistenza. 0, senza css i n _   economiche, desidera di   dipendente dall'uomo, e 1 P* ^ ? £, ori d on to clic   modo agli uffici dc ”“ moltOT i in grado di oc-  in tal caso la donna,  cuparo degnamente quei tali uffici e però di ap-  parecchiarvisi con sufficiente istruzione, deve pur  anco esser capace di esercitarli con tutte quelle virtù  che sono richieste dalla vita civile e dalla natura  stessa di quel dato ufficio. E qui pure giova ri¬  cordare la grave autorità del Tommaseo, il quale,  dopo aver raccomandato che tutte le donne abbiano  alle mani una professione che, occorrendo, possa loro  campare la vita, scrive queste formali parole : lt A  taluno dei più facili esercizj civili si addestrino ; e  affrettino il tempo quando la donna potrà vivere la  vita indipendente daU’uomo, potrà seco trattare da  pari a pari, e per amore e per ragione e per dove¬  re gli cederà, non per legge iniqua o per necessità  ferrea 5 quando in molte funzioni della privata e della  pubblica vita la donna potrà tenere le veci dell’uomo,  ed essergli aiutatrice ed amica nel pieno significato  del nobilissimo nome ; quando il tempo di fare il  bene le mancherà, non le vie {La Donna). „   XII.   E sia questa e non altra, 0 Donne italiane, la  vostra più alta e vera emancqyazìona. Chi di voi  andasse in cerca di altri privilegj, od agognasse  uno stato ben diverso da quello destinatovi dalla  natura e nobilitato dal Cristianesimo, e volesse di  donna convertirsi in uomo, verrebbe meno alla sua  missione, snaturerebbe se stessa e compromette¬  rebbe la sua dignità. E quei pochi tra gli uomini  che van predicando 1’ assoluta vostra emancipazione o la vostra eguaglianza in tutto e per tutto coll' uo¬  mo, o essi non hanno un giusto concetto della  donna, o non sta loro a cuore la dignità e il vero  perfezionamento di lei. Quella donna, infatti, che  presumesse tener le veci dell uomo in ogni disci¬  plina razionale, in tutta l’interminabile scala degli  ufficj civili e politici, e in ogni pubblica rappre¬  sentanza, dovrebbe innanzi tutto abbandonare le  pacate care della famiglio, rinunziare ai più dolo,  affetti di madre, e quindi sottoporsi a lunghi e se¬  veri studj, temprare l'animo ed il gracile corpo a  duro fatiche, allo quotidiane ed aspro battaglie della  pubblica vita. Oh! se sapeste quanto ma, costone  cari agli uomini-certi onori, certi elog), «rie glorie   non sempre durature; oc sapeste quanta prudenze   quanto sapere, quanti sacrifici, quanti trav gli t  chiedono certe incombenze onorevoli e - A » «J*   della pubblica vita, e qual cumulo 1 P, >1 .. nitro chi disconosca od ignori   seco ! Non v a, P c ’ yogtra immaginazione  quanto possauo esalta,  titoli, come   certi gradi sociali, alcune igm £ su premo,   di Prefetto, di Magistrato>, d i P   di Deputato, di Sen f*°”' to \ Q difficoltà di ben go-  Ma avete ma. °°“ 81 un tumulto, di pre¬  vernare un popolo, innocue tutte   " ^ -Si 0 :—^' ti ° politici P Avete  le conseguenze deg agitazioni della di-   mai considerato la g»   plomazia, le controv - pu bblica stampa, le   d’ una critica smoda a go   Vàldarn%n\    »         338 la missione della donna   ire dei partiti politici, le difficoltà della tribuna, gli  odj segreti, le basse invidie, la guerra sovente  implacabile c sleale di chi vuole occupare quel po¬  sto eminente o lucroso ?   E, al postutto, clic mai significa donna eman¬  cipata ? Significa donna francata da ogni giogo, che  ha x'igettata l’obbedienza di figlia, la dolcezza di  amante, la dipendenza di sposa, la nobile servitù  di madre •, in una parola l’onore stupendo del sa¬  crifizio ! Una donna che oltre ripetere uguaglianza  di diritti.coll’uomo, vuol con esso comunanza di  ufficj ; una donna insomma che nelle pagine inal¬  terabili dell’ indole sua, che nelja storia della sua  gentilezza, che nello specchio del suo cuore, che  nei decreti dell’Archetipo eterno legge assolutamente  a rovescio di quel che sta scritto sulla missione di  di lei (A. Alfani : La Donna).   Ora, non è questa l’emancipazione che deve  cercare la vera donna, cioè la donna, onesta ed as¬  sennata. Noi pure vogliamo l’emancipazione di lei;  vogliamo ch’ella si emancipi dall’ignoranza, da certi  pregiudizj religiosi e sociali, da ogni frivolezza, dal-  l’imitare certe mode o corrompitrici del buon costume  o rovinatrici d’ogni patrimonio, dal ripetere c spesso  praticare quella sciocca e superba sentenza: Oggi si  fa cosi! Per amor del cielo, griderò io pure con Paolo  Ferrari, non emancipatevi, gentili Signore! Appena  emancipate cessereste di essere così utili apostoli  delle nobili e caritatevoli imprese; perchè appena  emancipate cessereste di comandare. Senza crnan.- cipazione, noi uomini crediamo di comandare noi !   E voi nel segreto confidente de’vostri amabili ci-  caleggj, ridete pianino pianino della nostra maschia  e gloriosa dabbenaggine, per la quale crediamo di  comandare, c si obbedisce ! La vostra potenza mo¬  rale c fisiologica sta ncH’osscre donne: se diven¬  taste uomini (s’intende per quella finzione giuridica  che chiamano emancipazione), ogni prestigio vostro  svanirebbe. Ma finche siete e volete esser donno e  vi consacrato all’esercizio delle vostre qualità carat¬  teristiche, la grazia, l’amore, la carità, chi governa  il mondo siete voi. Noi andiamo solennemente a de¬  porro i nostri voti in un'urna; ci accogliamo c  deliberiamo intorno ai destini della patria ; ordi¬  niamo una guerra, una pace, un'alleanza, o petto¬  ruti decantiamo l’energia maschile, l’attività del sen¬  no dell’uomo! No ; dentro di noi in ognuno di quei  supremi momenti fremeva un pensiero i o  un pensiero di amante, di sposa di figha d «wj*   «Ita. .a   gio, nel sottoscrivere quel trattato (  conferenze pel Collegio di Amsu Milano, 187o).   XIII-   • della donna deve pertanto   La vera 61 ° Q iorr n£ n te rispettare ed amare   consistere nel farsi m oa te dentro i con-   dall'uomo, nel fa '*di sopra,  fini e noi modo che » > > 0j se occorro,   al reale progresso ° . lft aocietà civile, che  a salvare o almeno raddrizzare    li a il suo principio e fondamento nella famiglia, di-  cui Ja donua è guida e conforto. Solo per questa  via e mediante l’istruzione e l’educazione, ripeterò  col brioso ed arguto scrittore G. Hamilton Caval¬  letti, le donne potranno rimettersi sul capo la loro  corona di regine, attirando intorno a se il genio,  il talento, l’onestà e il coraggio. Sia la loro amicizia  il premio di .ogni nobile sentimento, sia la loro sti¬  ma il guiderdone di ogni nobile fatto, sia la loro  intimità il compenso di ogni nobile fatica. Non è  adunque sognando emancipazioni assurde dove non  esiste mancipio, non è aspirando alle naturali pre¬  minenze dell’uomo, non è coll'addottorarsi nelle scien¬  ze giuridiche, filosofiche o naturali, che le donne  rialzeranno il vero loro stato sociale ; sì, al con¬  trario, coll’ aumentare il loro valore, col forzarci .ad  amarle e stimarle di più, col rendersi ognor più  degne del caro nome di spose, del santo nome di  madri. Ma (prosegue il Cavalletti) finche al pen¬  satore esse preferiranno un uomo che non ha altro  merito che di avere un bravo cavallo da corsa, ed  è spesso un mediocrissimo cavaliere; finche al poeta  esse anteporranno l'uomo clic sa farsi meglio il  nodo della cravatta; finche allontaneranno dalla loro  società un uomo che ha il torto di anteporre una  forma di cappello ad un’altra ; finche all’uomo sin¬  cero, leale, integro preferiranno un uomo che sap¬  pia fare i daddoli e le moine ; finché i sentimenti  piaceranno loro sulla bocca dell’uomo c non cure¬  ranno quelli del cuore ; finchc un uomo volgare con il   nnczzo milione di patrimonio sarà più certo di ot¬  tenere le loro grazie che un cuore nobile, un animo  •elevato con cinquantamila lire; finché un babbuino  sentimentale riceverà il dolce deposito dello loro  confidenze, ed uno schietto galantuomo avrà appena  un cenno di saluto ; finché esse saranno una lot¬  teria nella quale troppo spesso i vincitori sono gl im¬  becilli... ; lo stato morale e sociale della donna non  si eleverà certamente: la società si avvierà al de¬  cadimento ; le donne pian piano più non saranno che   femmine.    XIV.   Ed ora mi pare utile di far l'epilogo delle cose  •dette fin qui. Abbiamo accennato dapprima la na-  tura e 1’ ufficio della donna, senza la qua P  klh creazione non sarebbe stata compiuta, ne po-  trebbesi conservare e FPOt«il^  Poi, esaminando in ° volgarc, abbiamo   donna presso i P a S ani c ^ dlC la donna,  provato colla .tona a anche quando,   esercito in gran pa • s, cbbe in coato 7 C r Pa "tedila voluttà; afi¬  di schiava o quale quan t a parte   biamo veduto, l’umano progresso ed in-   abbia preso a do . dal Cl . ls tianesimo richiamata  civilimcnto, dopoché ftlt0 ufficio- E quan-   cd elevata al suo ' cl ° c^ sia ] a stessa na-   tunque in lei 8 « n P r ° ® abbiana0 detto che i mezzi  itura.e lo stesso fino» P per compiere la sua missione doveauo mutare se¬  condo la civiltà, secondo le condizioni politiche,  intellettuali, religiose e morali. E però, accennato-  l’ufficio che le assegnano il Morelli e il Naville,  noi abbiamo considerato la donna in tutte le sue  principali attinenze e nelle sue più nobili manife¬  stazioni, vale a dire come sorella, come amante e  sposa, come madre, come educatrice ed institutricc,  come cittadina, come ispiratrice d’ogni- nobile sen¬  timento all' artista, all* uomo di scienza o di lettere,  non che all’uomo di Stato. Abbiamo poi dimostrato la  necessità d’ una conveniente cultura nella donna ai  tempi nostri, affinchè possa meglio compiere quell’uf¬  ficio tanto nobile e così complesso; ed abbiamo dimo¬  strato eziandio la necessità o la convenienza nella  donna di apprendere in oggi una professione sì per  soddisfare meglio ed in ogni congiuntura all’ esi¬  genze della vita, si per incominciare la sua più  razionale o giusta emancipazione c rendersi, dentro  certi confini, indipendente dall'uomo. Abbiamo com¬  battuto, per altro, l’assoluta e falsa emancipazione  della donna, perchè contraria alla natura e al no¬  bilissimo fine di lei, non che al bene della società  ed al progresso del genere umano.   Tanta e 1 efficacia delle donne, che da esse ven¬  nero sovente grandi ajuti, o grandi impedimenti  non solo alla libertà d’un popolo, sì anche al bene-  od al male dell' uomo singolo, delle famiglie e dello  Stato. La donna è per sua natura la ispiratrice, o,  se vuoisi, la regina dell’uomo e della società. Ma. ili suo regno, piuttosto che sconfinato ed assolato, vuole  essere un regno di pace, d’ispirazione, di nobili    sentimenti; insomma Indonna (siami permessa questa  similitudine) a guisa de’principi costituzionali, deve  regnare e non governare. — Ma Voi, donne italiane,  vorrete appunto regnare, non governare ; Voi, come  ' foste di grande ajuto al nostro risorgimento politico,  sarete altresì di grande stimolo ed ajuto al nostro  risorgimento •intellettuale e morale, che dipende in  parte da Voi. In .peata grata Mieta, non saprò,  scegliere più acconce od autorevoli parole cito qttd c  dell'illustre Tommaseo, per chiudere il P 10S0 “  discorso. La donna italiana, d'  sapiente dell'ubbidire, 80 P'“" 1 ® ^ “ d desfas .  occorra, c guarentigia a noi di men La creazione di due Istituti superiori di Magi¬  stero femminile inltalia, uno a Roma e l’altro a Firenze,  in virtù della legge 25 giugno 1882, e l’ordinamento  delle discipline scientifiche e letterario che vi sono e  vi debbono essere insegnate, secondo il Regolamento  organico 19 novembre 1882, ci porgerebbero materia  a molte e svariate considerazioni non prive d’inte¬  resse speculativo e pratico. Qui non intendiamo di  enumeiarle e di svolgerle tutte, ma non possiamo  astenerci dall'acccnnarne le più rilevanti e dal pi¬  gliare in esame particolare il come nei due nuovi  Istituti letterarj e scientifici femminili debbono  esseie insegnate alcune materie importantissime,  quali sono appunto la Filosofia teoretica, la Morale e  la Pedagogia.   I.   E prima di tutto dimandiamo : Era necessaria  in Italia la creazione di due Istituti superiori di  Magistero femminile, mentre abbiamo non pure le Scuole normali femminili, ma alle donne stesse non,  è vietato dalla legge Casati sull’istruzione pubblica  di frequentare i Ginnasj, i Licei, le Università, e  di addottorarsi in qualunque disciplina ? Posto così il  quesito, non sarebbe giustificata la creazione di quei  due Istituti superiori femminili. Ove però si consi¬  deri che la missione della donna nella famiglia e  nella civile società si palesa chiaramente ben diversa, da quella dell’uomo ; che gli studj femminili debbono  esser rivolti essenzialmente alla cultura della donna  come madre di famiglia, com’cducatrice ed istitutrice,  e non all’esercizio di elevate e gravi professioni sociali,  come quelle di avvocato, di medico, d’ingegnere, di  capitano, c va discorrendo; che quasi tutto 1 insegna¬  mento nelle Scuole normali femminili ora viene xm^  tito dagli uomini; ed infine, cheidue nuovi Istitutimon  sono equiparati interamente alle prime Universitari  Regno: la fondazione'loro apparisce »noo«^   tamonte necessaria, certo conveniente ed joituna.   Vero è che alcuno j^dìritti^degli uomini   m parte, si viene a lede e ^ # pcdag0 _   laureati in Lett ° rc . C e d 16 hanno scelto la car-   già, o in altre disciph, _ . u dotto ri piu   riera lucrosa dell'insegna p0sto nelle   difficilmente d'ora i^ anzl fcmmin ili, avendo per   Scuole normali e secondario ^ ^ Istltutl   competitrici le donne a ‘‘ ^ italian e, della Storia   all’ insegnamento delle Uet Lingue   e Geografia, della Pedagogia o ^ tcdesca . E  moderne straniere, franooso, m B un’osservazione eli questo genere non sarebbe de¬  stituita di fondamencnto ; ma starebbe sempre il fatto  clic l’uomo, laureato in qualcuna di esse discipline,  ha una più larga ed elevata carriera dinanzi a se.  E poi, come negare alla donna questo diritto in una  società liberale e civile, che non pure vuol rialzata  la condizione intellettuale e migliorata la condizione  economica della donna, ma che tende ogni giorno a  dilatare una certa eguaglianza civile e giuridica della  donna stessa ? Altri, invece, potrebbe osservare che  le donne in generale o non sono portate a lunghi e  severi studj, o che esse non hanno capacità mentale  ed attitudine didattica pari a quelle dell’uomo. La  quale obbiezione certo non reggerebbe dinanzi a  fatti storici e ad esetnpj particolari, e dinanzi al  fine stesso di quei due Istituti, il quale consiste nel  compiere e rinvigorire l’istruzione secondaria della  donna, e nel formare abili insegnanti in alcune  materie (qui sopra ricordate) per le Scuole nor¬  mali e secondarie femminili. Ad ogni modo, la  più elementare prudenza consiglierebbe di atten¬  dere nuove prove e nuoA'i risultainenti di questa  prima istituzione italiana. E diciamo nuove prove  e nuovi risultamene, perchè quelli già dati in questi  tre anni da ambedue gl’istituti sono favorevolissimi  e confortanti. Le allieve che vi studiarono e vi  ottennero il diploma, ora sono direttrici abili di Edu¬  candati e Istituti femminili, o insegnano con valore  nelle Scuole normali femminili, inferiori e superiori.  Alcune di esse alunne mostrarono attitudine anche ai gravi studj filosofici e pedagogici, c si segnalarono,  in specie all’Istituto superiore di Roma, negli esami  di Stato pel diploma in Lettere italiane, m Pedago¬  gia e Morale, e in Storia.   In quanto a noi, che abbiamo sempre avuto un  alto concetto della donna c della sua nobile missione  sociale, noi vogliamo anzi riguardare la.fondazione  di questi due Istituti superiori femminili non solo  come opportuna c conveniente pei le accennai -  gioni, ma altresì come uno dei tanti mezzi ondo  avviarci alla pratica colazione della »«“*:   che da ogni parto minaccia d’irrompere fimo»",d.  sommergere quanto le si pari dinanz,. Imporoe *  noi siamo d’avviso cho la quest,ono somalo va con  sidorata sotto vario forme o sotto ir™» ’   Additiamo di volo ipriaeipali. sono probi   tive famiglie onde si compone la nazione P   e morigerati, oppure si fanno s ° ostu ™ ‘ ]o ha viva  to morale della questione sociale Un P P   c giusto, e quindi amme °° vit j O itrcmonda-   una giustizia soprannatura e mate ria e del   na; oppure non va piu. ia ^ ^ caIc0 l 0 e all’utile  senso, tutto per lui si J e y a questione-   bone inteso ? È l'aspo»» g oye rao ch’è adat-   sociale. Scelta quella forma e morali,   ta alle sue condizioni civi i, ^ forma, esercita  una data nazione si contenta senza ne .   saviamente la libertà e 1 V ^ ^ |£ e parlavo de  gare i suoi doveri ; opp ul       348 sull’ordinamento degl’ istituti superiori   suoi diritti, vorrebbe la libertà spinta all’eccesso,  è desiderosa di novità rendendo instabile ogni reggi¬  mento politico e tutte le altre istituzioni clic ne di¬  pendono ? E l’aspetto politico della questione sociale.  In quella stessa nazione, mantenendosi l'armonia fra  i diversi ordini della cittadinanza e vivo il rispetto  del diritto di proprietà individuale e collettiva, si  stabilisce un’equa proporzione di mercede e d'utilità  fra 1' operaio e il capitalista ; e nelle famiglie si  •consuma e si spende in proporzione almeno dell’en¬  trata e del guadagno : oppure, inimicatesi fra loro le  diverse classi sociali, il capitalista non si cura di far  lavorare o non ricompensa equamente il lavoro, svo¬  gliato è l’operaio, vede nel proprietario il suo mor¬  tale nemico e ritiene essere una ingiustizia, anzi un  furto la proprietà individuale? E nelle famiglie non  abbienti o poco agiate l'entrata è minore dell’uscita,  o non si pensa coi modesti risparinj al dimani ? Ecco  l’aspetto economico della quistione sociale.   In tale stato di cose, la donna colla sua spedalo   missione nella famiglia e nella civile società, c come   esempio vivente di pace e di rassegnazione, o come  educatrice ed istitutrice, e come massaja e, nel caso  nostro, come professionista, può efficacemente con-  tiibuire o a risolvere in parte l’ardua c complicata  quistione sociale, o ad attenuarne gli effetti, quando  a lei non fosse dato nè di risolverla parzialmente,  nò di ritardarla o di arrestarla. Ma perchè la donna  sia capace di quest'opera altamente morale civile  -ed utilissima, in lei che cosa si richiede ? Nella vera donna, di cui intendiamo parlare, si richiede mora¬  lità a tutta prova ed in tutta l’estensione del termi¬  ne, non disgiunta da un puro ed elevato sentimento  religioso; si richiede una soda cultura, in cui entrino  anche lo nozioni elementari circa lo Stato e l’eco¬  nomia; si richiede un’attitudine speciale, studio molto  e singoiar valore nell’insegnamento, quando voglia  o debba esercitare questo nobile ufficio ; si riduce e,  infine, costante dignità o modestia, condito di soavità  c di grazia, evitando così ogni frivolezza nel dire,  nel fare e nel vestire, come ogni presunzione e verso   l’uomo o verso lo altro donne forse  lei mn non per questo meno degno d. stima.Tut¬  elò supera le forse naturali della donna inette da   sana 0 vigorosa educamene ed tstrumone da un  sentimento c da un elevato conre 0^ ^ dimand ar   sioue sulla terra ai „ e au „„ esiger troppo   troppo alla donna. Ano i vodia, e   da lei, purché essa V0 ^,a ^ tC " aCe a ” te del ]’ a o.no in  senza ch’ella presuma di * 1 ^ alcune   società e di emanciparsi, tota ’ ÌMm egua-   donno vorrebbero bramando ali ' 1Um »   glianza di diritti, non badando esse « “o,   dei diritti implica l’eguagbansa Jet do^ ^ ^   Premesse c chiarite queste co » Magistero   dinamento dei due Istituti sU P conducente al'  femminile sia in tutto c pei  fine da noi vagheggi^ 0. IL   la uno Stato libero e civile come il nostro, ogni  Istituto educativo e d’istruzione secondaria, sia tec¬  nica sia classica, deve mirare (secondo me) a tre  principalissimi fini inseparabili tra loro, a voler  eh’ esso riesca utile davvero e sia bene ordinato.  l°Deve impartire agli alunni, destinati a diventare  .liberi cittadini, una buona cultura generale, sia pu¬  re elementare, tanto letteraria quanto scientifica.  2° Deve preparare convenientemente agli studj su-  riori. 3° Deve poter avviare alle professioni manuali  cd agli impieghi minori quegli alunni che non  potessero o non volessero proseguire gli studj. A  questo triplice fine dovrebbero pertanto mirare non  solo gl’ Istituti tecnici, i Licci, e le Scuole normali  maschili e femminili, ma la stessa Scuola tecnica. Le  Università e gli altri Istituti superiori in generale  hanno, invece, o debbono avere per fine specula¬  tivo .la ricerca del vero e il progresso della scienza,  e per fine pratico le professioni liberali e le car¬  riere superiori negli ufficj dello Stato.   I due Istituti superiori di Magistero femminile,  non essendo equiparati in tutto e per tutto ailc Uni¬  versità, ed essendo destinati alle donno esclusiva¬  mente, dovrebbero mirare direttamente a compiere  c rinvigorire la cultura letteraria o scientifica della  •donna, e a x-enderla capace d’insegnare nelle Scuole  normali e secondarie femminili. E questo, invero,  •c stato il duplice fine che ha guidato la mente del legislatore nel coordinare la quantità e la qualità  delle materie di studio nei due Istituti superiori  femminili. A tutte le alunne, pertanto, corre ob¬  bligo di apprendervi Lettere italiane, Geografia e  Storia generale, Storia d’Italia, antica medievale e  moderna, Elementi di Logica e Psicologia, Morale  e Pedagogia, Istituzioni d’igiene, Matematica, Ele¬  menti di Fisica e di Chimica, Storia Naturale e  Geografia fisica, Lingua e letteratura francese, in¬  glese e tedesca, Disegno e Lavori femminili. Ciò  per la cultura superiore della douna. le quanto alla  professione loro di maestre, le future insegnasi! han¬  no facoltà di scegliere ed approfondire nel secondo  biennio quegli studj che debbono metterle in grado  di conseguire il diploma d-insegnamento o nello Letttere italiane, o nella Storia e Geografi*ella  Pedagogia e Morale, 0 nelle Lingue mo  niere e sono francese, inglese c te,,   Non possiamo ohe lodare . legislatore da.ve,   mantenuti obbligatorj 1 Uvon faccia   questi Istituti superiori,   pur la maestra, non ces P . uj a i] a donna   guida principale delta pressoché quo-   occorre speciale abilita Digean0 poi, si rende  tidiano in siffatti iavon.• don ° neschi pi ù squisiti   necessario per gli > stessl vido consiglio di met-   e delicati-, e pero e s a p jf c il 0 studio delle   terlo fra le materie obbh ° ‘ to anche alle isti-  Scienze sperimentali sl, e oeuza di questa di¬   luzioni d’igiene, perche la cono         3o2 sull’ordinamento degl’istituti superiori  sciplina nella sua applicazione risguarcla tutti, e  segnatamente chi deve attendere alla famiglia ed  alle cure domestiche, e chi deve educare la prima  gioventù, come appunto è la donna; che anzi, l’Igiene  fa parte dell’educazione fisica, quantunque Ales¬  sandro Bain opini il contrario. La Matematica, gli  Elementi di Fisica c di Chimica, la Storia Natu¬  rale, gli Elementi di Logica e la Psicologia, par¬  rebbe dovessero alla donna servire di mera cultura  superiore, o di sussidio e di complemento allo studio  di certe altre materie. Imperocché, secondo il Re¬  golamento organico di quei due Istituti, non può  l'alunna essere abilitata legalmente ad insegnare  Matematiche, Fisica, Chimica e Storia naturale.   Clic alla donna siasi negato il diploma di ma¬  gistero in Matematica e nelle Scienze spcrimeutali,  la cosa spiegasi facilmente perchè nei due nuovi  Istituti non si dà ora un corso compiuto e supe¬  riore di quelle scienze, e porche nelle Scuole nor¬  mali o in quelle superiori femminili l’insegnamento  delle Scienze fisiche e naturali tiene un posto se¬  condario o dcv'esscrvi impartito in modo elemen¬  tarissimo. Inoltre, quelle Scienze non riguardano  direttamente la prima e vera missione educatrice  della donna, nè sono le più confacenti alle naturali  inclinazioni della donna in generale, segnatamente  la Matematica e la Chimica.   Ma qui pure abbiamo notevoli eccezioni, per¬  chè talune allieve hanno mostrato singolare attitu -  dine allo studio delle Matematiche e delle Scienze fisiche. Il Governo, poi, suole affidare l’insegnamento  elementare anche di queste materie nello Scuole pre¬  paratorie o inferiori normali alle giovani che in uno  de’due Istituti superiori conseguirono il Diploma o  in Lettere, o in Storia, o in Pedagogia! Non sa¬  rebbe adunque più logico ed opportuno concedere  addirittura il diploma nelle Scienze fisiche e ila-  tematiche, ed ampliarne il relativo insegnamento ?    ni.   Ci resta da esaminare il modo in che l’inse¬  gnamento delle materie filosofiche propriamente dette  e della Pedagogia viene ordinato cd affidato nei due  nuovi Istituti. A tutte le alunno è fatto obbligo di  studiare per un anno nel primo biennio gli elementi di  Logica e di Psicologia, e la Morale nel 2‘ biennio.  Più, nel secondo biennio tutte debbono seguire un  corso di Pedagogia. Finalmente, le S*™.. dm  amano d'cssorc abilitato « 11 -iosegn.mento. tirila P*  dagogia teorica c pratica debbono stod,a,c pe.   00 T°ti P dftdt F int°rodòt.a anche negl.   dell' intelletto. Ma non s »PP‘ a filosofiche, ossia  le ragioni per cui tutte e a Pcdago gia deb-   Logica, Psicologia e Mora e gsbre! q uì l'onorc-   bono essere affidate ad un s Q poteva e può   volo Ministro Baccelli, al qua e Oberali e buona  negare elevato ingegno, 8 ® atl “ rQZ i 0 ne in Italia,   volontà di migliorare la pubblica ist ^non fu ben corrisposto da chi ebbe il mandato di fare  nuo schema di Regolamento organicopercoordinarvi  anche le materie filosofiche e pedagogiche, c di sta¬  bilire il modo in che l’insegnamento di queste di¬  scipline doveva essere affidato c distribuito. E lo  dimostriamo brevemente.   Il professore di Filosofia c di Pedagogia sarebbe  tenuto a fare non meno di undici lezioni per set¬  timana nei respettivi corsi ! E noto che i professori  •di Filosofia ne’Licei fanno da sei ad otto lezioni la  settimana, e tre lezioni i professori di Università.  Come presumere seriamente clic un Professore dia  con zelo ed efficacia non meno di dodici lezioni per  settimana in materie difficili, disparate c soltanto  affini tra loro? Diciamo in materie dispaiale, poiché  la Logica e la Psicologia sono ben differenti dalla  Morale e più ancora dalla Pedagogia. Nè si dica,  per avventura, che ivi trattasi di dar nozioni ele¬  mentari sii quelle scienze ; imperocché, oltre restare  il fatto che le son materie ben diverse, la istituzione  elementare risguarda soltanto la Logica. materia  nuova per lo alunne, ma non risguarda la Psicologia  e ancor meno la Pedagogia e la Morale, già studiate  elementarmente dalle giovani o nelle Scuole normali  o nelle Scuole secondarie e preparatorie all’ Istituto  superiore femminile. Chi vuole ottenere il diploma  in Pedagogia, deve seguire un corso speciale di  Psicologia : ma ognun sa che questa ultima scienza  ai nostri giorni ha fatto progressi notevoli, nè può  essere affatto separata dallo studio delle scienze sperimentali, come per esempio la Fisiologia. Che  anzi, noi troviamo un altro difetto nell’ordine delle  materie obbligatorie per conseguire il diploma in  Pedagogia. Ivi ò detto che 1’ alunna potrà scegliere  un corso di Matematica, o di Fisica, o di Storia  Naturale. Non sarebbe stato più razionalo di pre¬  scriverle addirittura il corso speciale di Storia Na¬  turale, in mancanza d’ uno studio a parte su la   Biologia e la Fisiologia ?   Ritornando alla Morale ed alla Pedagogia, que¬  ste due scienze, fra loro assai differenti, non possono  nò debbono essere insegnate in modo elementare nei  due Istituti femminili superiori. La Morale pura e  applicata, individuale e sociale, e c c 8U PP 0 "®  cognizione di altre scienze affini, quali sono le di¬  scipline giuridiche e sociali, ò   molto vasta e complicata, fi i> ità   d’ un solo docente. L inse ° n qecon dario, non   può servire.di meio aj ^ cittadino si   i Doveri .;i ^“ormali secondarie, perni»   studiano già nelle oc obbligate a   le alunne de’due Istituti supei‘ 0 ro hò infine   studiar l’Etica nel secon o » anche ]a Scieu-   il diploma di Pedagogia compren   za Morale. i a Morale come   So poi si volesse eonsidciare s „ p8 .   deile materie di P uia ragione del-    una   riore, allora non    ragione de,-      336 sull'ordixajiento degl'istituti superiori  l’assoluta dimenticanza d’ogni più elementare isti¬  tuzione di Economia sociale e di Diritto. Come ! in  un Istituto superiore d’ educazione e d’istruzione  femminile si prescrive’l’insegnamento dell’Igiene e  della Chimica, e non si fa parola de’ primi rudi¬  menti d’Economia e di Diritto positivo, mentre in  uno Stato libero, coni’ e il nostro, si affida legal¬  mente alla donna il nobile mandato di fornire la  prima educazione ed istruzione ai futuri cittadini  d’Italia, di educare ed istruire le future maestre e  madri di famiglia, oltre la missione propria di cia¬  scuna donna, cioè di farsi ella stessa educatrice dei  proprj figli e savia amministratrice dell’ azienda  domestica? Anzi, ritornando al nostro concetto (espo¬  sto qua sopra) intorno al giovamento grande clic  può la donna fornire nella soluzione pratica della  complicata e formidabile quistione sociale, anche  nell’aspetto fioUtico ed economico, a noi parrebbe  necessario clic nei duo Istituti superiori femmi¬  nili dovesse pur trovar luogo l’insegnamento co¬  mune delle prime nozioni di Economia sociale e di  Diritto, segnatamente del Diritto civile e privato  e del Diritto costituzionale.   Veniamo alla Pedagogia. Le giovani tutte, che  amino dedicarsi all’ insegnamento privato o pub¬  blico, hanno da apprender bene l’arte difficilissima  di educare e d’istruire; e molto più devono attendere  a questa scienza ed a quest’arte le alunne clic vo¬  gliono abilitarsi all’ insegnamento della Pedagogia  stessa. Ora, è noto che secondo i più recenti prògramini governativi. i maestri c le maestre per  conseguire la patente elementare di grado supcriore,  i maestri per essere dichiarati idonei all Ispettorato  scolastico, son obbligati a sostenere, fra le altic  prove, un esame di Pedagogia storica, teoretica ed  applicata.   E questo largo, elevato e compiuto insegnamento  della Scienza pedagogica, teoretica, pratica c storica,  viene oggidì propugnato anche in Italia da valorosi  c dotti pedagogisti ; i quali pensano clic la Pedago¬  gia teoretica, so vuole uscire dal campo delle gene¬  ralità e cessare di ridursi ad una metodica astra ta  o formalo, non possa fare « mono d. mollc  scienze affini, quali sono la Biologia»  fisica, In Psicologia o la Logica, la Morale   h Sociologia c la Filosofia politica. Ma sottoponili   US a^u» tara considerevole questa smnma ;   scienze «ffini troppo elevala, o nducendo 1 ms»  mento pedagogico nei fino   entro più modesti limiti, P » ^,„ torario o  monto elio deve “ 8S ™“| 0 d Minano pur seni-   filosofici,e università, tale insomma   pre una sci^ tutto il sapere o tutta  da richiedere tutto i "‘o o   l’operosità d’ un solo piofcssoi convcl . 1 . e bbc divi-  Pcr queste principali ragi » sup6 rio- doro, anello «O »^ "^„o delle tre  re, l'insog, lamento della. » posologia, Logica e   disciplino pura, non o 1 aUr0 „ duo professori.   Morale, affidando 1 una e       3o8 sull’ordinamento degl’ istituti superiori  E allora si potrebbe anco estendere a tre anni l’in¬  segnamento teorico e pratico della Pedagogia per le  alunne che amassero di prendervi il diploma : ove  tale insegnamento si volesse mantenere per soli due  anni, il professore di Pedagogia dovrebbe insegnare  anche la Psicologia applicata alla Scienza pedagogica.   IV.   Gli studj superiori di Lettere italiane, di Storia,  di Filosofia, di Pedagogia e della stessa Botanica, a  voler che riescano scrj e fecondi, richiedono la cono¬  scenza della lingua e letteratura latina. E però ame¬  remmo clic presso i due Istituti superiori femminili  fosse istituita una cattedra di Lettere latine, come  pare no abbia intendimento 1’ on. ministro Coppino.  Ma altre innovazioni bisognerebbe fare nei due Isti¬  tuti, fissando e ripartendo nell’infrascritto modo le  discipline sia per la cultura generale, sia per gli  studj speciali in attinenza co’ varj diplomi di abilita¬  zione.   Discipline comuni da studiarsi nel primo bien¬  nio : Lettere italiane, Storia generale, Psicologia e  Logica, Fisica e Chimica, Storia naturale e Geo¬  grafia fisica,Matematiche, Lingua latina, Lingue mo¬  derne straniere, Disegno, Istituzioni d'igiene, Lavori  femminili.   I diplomi speciali dovrebbero essere cinque :  1° Diploma di Lettere italiane 5 2° di Storia c Geo¬  grafia; 3° di Pedagogia e Morale; 4° di Lingue stra-       DI .MAGISTERO FEMMINILE 359   nicrc, francese, inglese e tedesco ; 5° di Scienze  fisiche e Matematiche.   GT insegnamenti speciali per otteuere ciascuno  di questi Diplomi di abilitazione sarebbero ripartiti  nel seguente modo :   Pel diploma in Lettera italiane: Lettere italiane,  Letteratura greca e latina comparata coll’italiana;  Storia d’Italia, antica, mediocvale e moderna -, Mo¬  rale; Pedagogia; Lingua c letteratura latina; Due  lingue e letterature straniere moderne a scelta de -   l’alunna. ...   Pel diploma in Storia a Geografia : Le disci¬  pline identiche a quelle pel diploma in Lettere ita¬  liane, ad eccezione della Letteratura greca c latina  comparata coll’ italiana, alla quale sarebbero sosti¬  tuite la Fisica terrestre e la Etnografia.   Pel diploma in Pedagogia e Morale: Pedago  teoretica e pratica; Filosofia morate-. Ps.colog ;   Fisiologia umana; Igiene aPP 1 ^ 3, “ nt *J e mo der-   Lcttere italiane; Storia i « ‘ > j; n  °„j ese e tedesca   Le italiane; Let, età,una “„^i» ««-   contpanateoon.aLe»».^-^.   iia, antica e moderna, = „   Pel diploma m j Cosmo grafia ;   Fisica; Chimica; Geometria c Trigonome-   Storia Naturale; Al D eb       360 sull’ordlnauento degl'istituti superiori ecg.   (ria; Igiene e Chimica fisiologica; Disegno; Conta¬  bilità domestica; Lettere italiane; Pedagogia; Mo¬  rale ; Lingua latina.   Non occorro dimostrare che l’attuazione di que¬  sto largo disegno di studj femminili superiori esige¬  rebbe la riforma parziale delle nostre Scuole normali  femminili. Come son ordinate presentemente, massi¬  me per ciò che si attiene all’insegnamento letterario,  morale e didattico, le nostre Scuole normali, oltre non  essere coordinate bene con i due Istituti superiori  femminili, non corrispondono adeguatamente al fine  loro speciale, c si rimangono inferiori alla Scuola  normale tedesca (Das Lehrerseminar) dove si pre¬  parano i veri educatori del popolo.   Koi siamo fermamente persuasi che una riforma  e un riordinamento, di studj, come abbiamo a larghi  tratti delineato qui sopra, tornerebbe di grande  utilità e decoro al fine speculativo c pratico dei due  Istituti superiori di Magistero femminile, creazione  ancor questa dell’Italia nuova che molto si ripro¬  mette dall opera salutare e benefica della donna.  So**»»». - I. E.gta- rf   to. — Ginnasio c Liceo ; buio la teem  leoni». Loro somiglianze e   rione secondarie classica e Iconica in 111 >’ J" 6  ìin /ìniii. «àcuolc secondarie in Geimanit •   nata con quella delle - ^  8trat ‘ v0   Distratti da questioni P ‘ deraro i problemi  finanziarie, non avvezzi a co pedagogici e gli ordinamenti delle scuole sott’ogni  loro aspetto, morale intellettuale ed economico, gl’ita¬  liani in generale poco o punto badano al modo in  clic viene ordinata c impartita la pubblica istru¬  zione. Lo stesso Parlamento non crede necessario di  spendere molto tempo e cure speciali in questo ra¬  mo di pubblica amministrazione ; bensì il Ministro  dell’Istruzione pubblica va soggetto egli pure alle  vicende politiche, alle crisi parlamentari e mini¬  steriali ; e non di rado la politica invado anche il  tempio pacifico di Minerva, e fa sentire i suoi influssi  al personale insegnante. Eppure si tratta di formare  gl Italiani stessi \ trattasi del modo in che debba  essere educata ed istruita la crescente generazione ;  si tratta del come e quando i novelli cittadini ed  i futuri governanti d’Italia debbano compiere i loro  studj ; si tratta di stabilire quanti anni debbano  consumarvi e quanta spesa vi occorra ! La sarebbe  dunque una questione di alto interesso morale ed  economico, teorico e pratico, privato c pubblico. Il  Paese, invece, poco opunto vi bada: ed ceco una dello  principali cagioni per cui l’istruzione pubblica ince¬  ndale, e segnatamente l’istruzione secondaria classica  e tecnica, letteraria e scientifica, non ha avuto ancora  presso di noi un ordinamento stabile e razionale.   E poiché ogni Ministro che sale al potere, come  ci ammaestra 1 esperienza di questi ultimi anni, fa o  pi omette innovazioni nel pubblico insegnamento se¬  condario ; c poiché i lamenti nel pubblico non sono  cessati, e gli esami di licenza tecnica c liceale (ma soprattutto liceale) non sempre corrispondono alla  viva espettazione del Governo e del Paese ; stimo  esser cosa utile ed opportuna il ripigliare qucst’ardua  questione di vivo e grande interesse nazionale,dibat¬  tuta più volto, sebbene per altri fini e rispetti, in pre¬  giati periodici e specialmente nella Nuova Antologia,  da uomini insigni quali sono il Villari, il Luzzatti, il  Ferri, il Gabelli, il Barzcllotti, ed altri. Come inse¬  gnante, io non parlerò qui della capacità intellettuale,  letteraria scientifica o didattica, dei nostri profes¬  sori nelle scuole secondarie, delle norme e cr.terj  nelle nomine e promozioni del corpo  delle condizioni economiche fette da o - >   Provincie e dai Comuni ni professor, anched f ut  egli nitri pubblici ufficiali ; ne istituita gu  paragone tra i nostri insegnanti e M-tdolla Gc  nanfa, dell' Impero Anstro-Unganeo, do a I ...»  o di altre nazioni. Ma facendo tesoro;«£££.  lunquc siasi esperienza da me acqui, gnamento liceale, tecnico o «“P'™. ' onte ordina-   sè Btesso e nei suoi effetti socia i letteraria   mento della nostra istruzione sei} manEcne re tal  c scientifica, per vedere so ‘ Q   quale, ovvero se debba essere mod   n.   • s’ rltslln. le"ge Casati 13 uo  È notorio che in vir u 0 secon daria in   vcmbre 1859, la istruzione ; n Massica e in   . Italia si distingue indue g iaI ^ nuindi abbiamo   tecnica o industriale e professici quattro sorte d’istituti: GINNASIO E LICEO, Scuola tecnica c Istituto tecnico, aventi ciascuno un essere pro¬  prio, e dai quali istituti gli alunni escono forniti d’una  licenza o diploma. Bensì il Ginnasio serve nel tempo  stesso di fondamento e di preparazione al Liceo,  •come la Scuola tecnica agl’istituti tecnici profes¬  sionali c industriali. Difatti, nel Ginnasio s’insogna  oggigiorno italiano, latino e greco, storia antica,  geografia, matematica, storia naturale c disegno ;  nel Liceo poi lettere italiane, latine c greche,  storia e geografia, matematica, filosofia, storia na¬  turale, fisica e le prime nozioni di chimica. Ideila  Scuola tecnica gli alunni sono ammaestrati in ita¬  liano, storia c geografia, matematiche c contabilità,  calligrafia c disegno, francese, elementi di fisica c  di storia naturale, doveri c diritti del cittadino.  Dell’Istituto tecnico, secondo 1’art. 275 della legge  Casati, s insegnavano : letteratura italiana, storia c  geogiafia, lingua inglese c tedesca, istituzioni di  diiitto amministrativo c di diritto commerciale, eco¬  nomia pubblica, materia commerciale, aritmetica  sociale, chimica, fisica c meccanica elementare, al¬  gebra, geometria piana e solida, c trigonometria  rettilinea, disegno ed elementi di geometria descrit¬  tiva, agronomia e storia naturale. E con 1’ ultimo  Decreto del 5 giugno 1885 furono stabilite le in¬  frascritte materie, suddivise nelle rispettive cinque  sezioni dell' Istituto : Agraria, Calligrafia, Chimica,  Computisteria, Costruzioni, Diritto civile, commer¬  ciale ed amministrativo, Disegno, ELEMENTI DI LOGICA E DI ETICA, Economia, Estimo, Fisica, Geografia, Lettere italiane, Lingua francese, inglese e  tedesca, Legislazione rurale, Matematica, Merciologia, Ragioneria, Storia civile, Storia naturale,  Statistica e Scienza finanziaria, Topografia.   Ognun vede qual notevole differenza corre fra  gl’istituti classici o letterari e gl’istituti tecnici o-  professionali : in questi prevalgono le scienze positive, in quelli le lettere. I primi servono, in modo  speciale, di gradino nll'Cniversitlt; i secondi avviano  'alle professioni ed agli uiliej minoiine o . ta o  mitre, lo Scuole classiche e le Scuole tecniche hanno  questo di comune: Che sì lo uno corno le altre danno  ài giovani una cultura generale, fondamento degna  altro studio, e corrodo necessario ad ogm vern o.  tadino che sia degno di tal nome, che e.o togli»  rendersi conto dei propri doveri socia i et  bene i suoi diritti civili e politici.   ni.   per quello clic si rifcriacea fonnQ ^ g,. 8tu dj.   e al modo in che s’insegna uberalo vorrebbe   Fortunatamente, nessun > • ‘ ^ naz ^ on alità e   imitare il sistema tedesco m ‘ r j amc ntari, quale   di franchigie costituziona i e p ^ ^ Bismarck.   viene inteso e praticato e a ^ ^ ^ quintessenza dei  Ma quanto agli studj, P aie metodi educativi e didattici e del sapere umano si  ritrovi in Germania, e solo in Prussia la si possa ap¬  prendere : il cervello del mondo prima era Parigi,  oggi è Berlino! Confrontiamo adunque l’istruzione  secondaria tedesca con la nostra, che già conosciamo.   In Prussia l’insegnamento secondario viene im¬  partito in tre specie d’istituti nazionali: ne’Ginnasj,  corrispondenti al nostro Ginnasio e al nostro Liceo  riuniti, onde in alcune parti della Germania il Gin¬  nasio è detto anche Liceo •, nelle Scuole Reali ( Beai-  schulen ) di moderna istituzione, le quali hanno una  certa somiglianza colla nostra Scuola tecnica ed Isti¬  tuto tecnico uniti*, nei Proginnasj e nelle Scuole bor¬  ghesi ( Biirgerschulen ), che servono di preparazione  quelli al Ginnasio, queste alla Scuola Reale, o sono  strettamente coordinati gli uni a’Ginnasj superiori,  le altre alle Scuole Reali superiori. Le Scuole bor¬  ghesi della Germania (una specie delle nostre Scuole  tecniche) hanno per fine, considerate in sò stesse,  più una cultura generale inferiore, che un insegnamento pratico o professionale. Vi si compie general¬  mente il corso intero in 6ei anni, e in qualcuna s’in¬  segna anche il latino. Ma le discipline comuni a  tutte le Scuole borghesi tedesche sono le infrascritte:  Religione, tedesco, francese, inglese, geografia, sto¬  ria, matematiche, fisica, storia naturale, disegno c  •calligrafia.   Ora, qual fine educativo e scientifico si pro¬  pongono i Ginnasj tedeschi e le Scuole Reali,  c quali materie vi sono insegnate? u Fine diretto del GINNASIO G(dice Pullè  nella sua erudita relazione sulla Istruzione secon¬  daria in Germania) c quello di preparare per lo  studio scientifico delle Università. L’istruzione clic  vi viene impartita però, nel suo contenuto c nella sua  forma, c ordinata in modo da rendere la monte atta  e fornita dei mezzi necessari per raggiungere qualun¬  que grado e specie di coltura intellettuale. Il centi o  di gravità degli studj ginnasiali c l’insegnamento lin¬  guistico, e si fonda pei Ginnasj tedeschi sulle tre  lingue letterarie che rappresentano la vita delle tre  più grandi famiglie umane, attrici della storia c della  civiltà europea : la greca, la latina e la tedesca.   “ Il concetto informatore del programma deg 1  studi ginnasiali si ò : nella conoscenza dello lingue,  aprire al pensiero lo spirito dell’antmhità e le forme  dell’espressione ; abbracciare nella stona 1 con  ■ dell’umanità e del progresso civile e nel a s o   tararia formare l'idea nazionale. Nella geogr ^  storia, naturale, nella fisica e nella «nata» ^  prender le relazioni dell'uomo eolia naturi ^  di quello colle forze di questa : • ' amca to   all’esattezza del ealcoloedeig.^^“  dei mezzi pratici e delle necessda posavo. _ ^   a contemplare dalla elevatezza . iuoven( j 0 da un  comprendendoli nel loro spiri ° ^ dcl]c CO sc. Colle  ■criterio morale, P roCoa ° V ®', ivor8e materie, messe in  cognizioni acquistate 0 ' da]la disciplina sco-   contatto c collegate dal consapevolmente   . letica, l'intelletto giovanile s, v. abituando e si conquista questo liberalissimo modo  di pensare, che poi applicherà o ai suoi studj futuri  o alla pratica della vita.   “ Lo Scuole Reali invece, conforme alla loro ori¬  gine, hanno un fine più limitato c più direttamente  pratico. Esse sono destinate a fornire una generale  coltura scientifica, come preparazione a quelle pro¬  fessioni, per le quali gli studj universitari non sono  richiesti. La loro principale differenza dai Ginnasj  consiste in ciò, clic l’insegnamento classico scema, e  di altrettanto cresce in suo luogo quello delle materie  scientifiche. Il latino vi c mantenuto, ma ridotto a due  terzi dell’orario settimanale nelle classi inferiori, alla  metà incirca in quello superiori. Il greco n’ò escluso  del tutto : invece si dà un posto maggiore alle lingue  moderne; il tedesco c il francese hanno un orario più  ricco clic non nei Ginnasj; vi s’insegna l’inglese nello  treclassisuperiori, ed in alcuni casi, facoltativamente,  lo spagnolo o l'italiano. Questo ricco apparato lin¬  guistico però non viene trattato, come nei Ginnasj,  da un punto di vista scientifico, ma solamente da quello  pratico, per l’uso moderno e del commercio. .,   E però nel Ginnasio tedesco s’insegna: Religione,  tedesco, latino, greco, storia e geografia, matematiche,  storia naturale, fisica ; e in alcuni Ginnasj superiori  della Prussia, come nel Ginnasio Federico Guglielmo,  si aggiunge l’insegnamento del disegno, del francese  c dell’inglese. Le stesse materie s’insegnano nella  Scuola Reale, fuorché il greco che viene sostituito dal  francese, inglese o spagnolo. Ecco pertanto gl’inscgiramenti che si danno nel Ginnasio e nella Scuola  Reale superiori, uniti insieme : Religione, tedesco,  latino, greco, francese, inglese, ebraico, storia c geo¬  grafia, aritmetica e matematica, storia naturale, fisica  e chimica, disegno c calligrafia. Più tardi, in alcune  città della Germania sorsero scuole industriali per  soddisfare a certi bisogni e tendenze locali 5 coinè  tra noi, per cagione d'esempio, e sorta la Scuola in¬  dustriale e professionale di Vicenza che ha surrogato  quell’istituto tecnico, perchè più vantaggiosa a coloro  che, a poca distanza, a Schio lavorano nel grandioso  e prospero stabilimento industriale del benemerito  seuatorc A. Rossi. Presso la Scuola industriale nel  centro di Berlino s'insegna: Religione, tedesco, fran¬  cese, inglese, storia e geografia, aritmetica, materna-  tica pura ad applicata, fisica c chimica, chimica  pratica nel laboratorio, storia naturale, calhgia .,  disegno a mano libera c disegno geometrico.   Il Ginnasio superiore tedesco, con 1 esame b   sturila o di licenza, schiude le Porte dol^   versità; c le Scuole Reali di l u ‘ m01 J degl’inge-  loro licenziati di passare    ai    IL/ W” *- . . *V   gneri, di essere ammessi ^^o'di’volontariato, di  tare e a godere i benefi ‘ nci Ministeri. E qui gio-  aspirare alla carriera u ‘ . licenziati dai nostri   va ricordare che anche a * ;1 benefizio del   Licei ed Istituti Aitare, sono am-   volontariato quanto _, i;ce{iU) e a n a facolta di  messi all’Università (t sezione fi s i c0 -ma-   matematiebe quelli (tecni .) tematica ; inoltre possono tutti aspirare ai pubblici  uffizj minori, come nelle Poste, nelle strade ferrate,  nelle Prefetture, nelle Intendenze di finanza e nei   Ministeri. .   Ed orapotrebbesi domandare: Perchè nei Gin¬  nasi tedeschi non è compresa la filosofia, e nelle  Scuole Reali non s’insegna economica politica, sta¬  tistica, diritto positivo, computisteria c ragioneria,  estimo ed agraria, che troviamo invece presso i nostri  Istituti tecnici, ne’quali bensì manca il latino ? Nei  Ginnasj tedeschi (eccettuati alcuni pochi dove si  studia la logica formalo, o la propedeutica filosofica)  non avvi l’insegnamento della filosofia per due ra¬  gioni: 1° perchè, a differenza d’Italia per il con¬  trasto e la separazione fra la Chiesa e lo Stato, là si  mantiene vigoroso l’insegnamento della religione, sia  cattolica sia protestante, secondo la confessione reli¬  giosa degli alunni ; 2° perchè i giovani, oramai bene  apparecchiati c riflessivi, apprendono la filosofia nelle  Università ordinate diversamente dalle nostre: di fat¬  ti nelle Università tedesche la facoltà filosofica com¬  prende altresì quella filologica e storica, quella fisi¬  co-matematica e di storia naturale. Per altro, se ai  nostri Istituti tecnici manca il latino, onde i giovani  licenziati (eccetto quelli della sezione matematica)  non sono ammessi all’Università, e in fatto di cultu¬  ra letteraria sono generalmente inferiori ai licenziati  dal Liceo; le Scuole Reali tedesche, paragonateagl’Isti-  tuti tecnici italiani, hanno il capitale difetto di non  apparecchiare direttamente gli animi alle lotte nobilia feconde della vita pratica sociale ed agli ufficj  amministrativi, perchè non vi si danno le principali  nozioni di scienze morali o sociali, come la morale,  l’economia politica, la statistica, il diritto, la compu¬  tisteria, e somiglianti.   IY.    I nostri G-innasj e Licei non hanno subito no¬  tevoli e sostanziali cambiamenti, almeno in ciò che  riguarda la natura e il numero delle materie d’inse¬  gnamento. Non così gl’istituti tecnici, dalla loro crea¬  zione fino al 1885 : e però giova esaminare i prin¬  cipali mutamenti introdotti in essi coi programmi del   1871, del 1876 e del 1885.   Nei programmi del 1865 non si provvedeva  sufficientemente alla cultura letteraria e morale de  giovani ; non si distingueva un doppio orine 4. stadi   negl'istituti, studj penerai, c teorie, da un, V   Mi . pratici dall'altro ; infine la temone fis,=o-ma, ematici era unita a quella industnalo A que*  inconvenienti si procuri di rimodare dal Mistero  d’agricoltura industria e commercio (   pendevano allora “Mastico 1871-72,   grammi al principio d de p a circolare   precedati dalle relative is ruz ^ sanzionat ; con  ministeriale del 17 otto re ’ l’onorevole   R. Decreto del 30 marZ °,? 8 '^ iglio superiore per  Domenico Berti, a nome ^ ^ Qtta relazione al  l’istruzione tecnica nella ™ r neva ques te savie  Ministro riforme: P Ripartizione della sezione di meccanica  c costruzioni in sczìodc fisico—matematica, c in  sezione industriale; 2 a Prolungamento del corso  delle sezioni negl’istituti; 3 a Ampliamento o mi¬  glior distribuzione della cultura generale c scien¬  tifica, c della cultura speciale ; 4 a Riordinamento dei  programmi d’insegnamento; 5 a Connessione de¬  gl’ Istituti tecnici con le Scuole superiori, c nonno  per l’attuazione del riordinamento degl’istituti.   In ordine a tali riforme, il corso degli studj  tecnici da tre fu portato a quattro anni : gli studj  del primo anno comuni a tutte le sezioni, giusta il  Regolamento del 18G5, furono estesi a tutto il pri¬  mo biennio in comune e determinati nelle seguenti  materie : Lettere italiane, storia c geografia, lingua  francese, inglese o tedesca, matematiche elementari,  storia naturale, fisica, nozioni generali di chimica,  c disegno ornamentale. Clic anzi, per rinforzare la  cultura letteraria e morale, alcuni insegnamenti di  cultura generale, come l’italiano, la storia c la geo¬  grafia, vennero protratti nelle varie sezioni per tutta¬  la durala del corso tecnico ; agli studj lettcrarj si  volle aggiunto ed unito lo studio della Psicologia c  delle principali nozioni ed applicazioni della Logica,  restringendo ilprimoalle facoltà essenziali dell'anima,  alloro svolgimento e al destino immortale di essa, il  secondo alla teorica del giudizio e del raziocinio,  e alle norme fondamentali dell’ arte critica. Impe¬  rocché il Consiglio superiore di istruzione tecnica  é d’avviso (diceva 1’ esimio relatore Berti) u clic nulla tanto giovi a restaurare gli studj letterari  e all’ incremento della cultura generale quanto i  buoni studj filosofici. Speriamo clic il tempo ci con¬  cederà d’introdurre noi nostri Istituti un vigoroso  insegnamento di morale, che, oltre al servire di  preparazione o di aiuto alle diverse discipline giu¬  ridiche ed economiche, tornerà eziandio di vantag¬  gio all’educazione dell’animo, alla quale si deve  mirare negli Istituti tecnici non meno operosamente  clic nelle altro scuole Finalmente, le sezioni  degl' Istituti furono divise in cinque : seziono fismo-  matcmctica, industriale, agronomica, commerciale,  c quella di ragioneria ; lo prime quattro da com¬  piersi ciascuna in quattro anni, 1 ultima in un .  dopo aver conseguita la licenza nella sezione coin   mordale., Ma pii. notevoli c piofonde mno^.on sul»   ■Menzioni sai piograni™ bcllcmc,iti delle   Commissione «I ^ jc larevisione   scienze sperimenta, g j u dj Z io e al-   dei programmi stessi ’ ”,priore distriuione  V approvamene del C°™=> ctl n »ovi programmi,  tecnica le opportune n j> Decreto u n0 ~   gVIs,itati farete ai «se riforme,   vembre 187G. Ilcco 1 l .   paragonate con quelle c c Fu ristretta al solo primo anno la cultura  generale, comune a tutte le Sezioni, facendo pre¬  valere nei tre anni successivi la cultura speciale-  tecnica.   2° A chigavesse ottenuto la licenza ginnasiale  o di scuola tecnica, fu data facoltà di iscriversi al.  secondo anno d’istituto, purché avesse prima supe¬  rato l'esame nelle materie del primo.   3° Fu ristretto rinsegnamento delle matema¬  tiche per la sezione fisico-matematica 5 ma vi fa¬  aggiunta la trigonometria sferica, che non s’insegna  nelle Università^cui debbono presentarsi gli alunni  dell’Istituto col diploma di licenza, anche senza lo  studio del latino, prima di essere ammessi alle Scuole  di applicazione.   4° La sezione agronomica fu distinta in due,  con nuova distribuzione di materie c con indirizzo-  più pratico : in sezione di agronomia, destinata a  formare gli amministratori rurali c i direttori di  p aziende agrarie ; in sezione di agrimensura, per co¬   lmo clic si danno alla professione di periti stimatori  di fabbriche, e di periti misuratori di campi.   5° Alla sezione commerciale fu riunita quella  di ragioneria, da compiersi in quattro anni perchè  1 esperienza fatta in alcuni Istituti aveva già dati  buoni risultamenti.   G° In quest’ultima seziono la statistica fu unita  all economia politica ajiplicata, avendo sempre cura  di far prevalere nell’Istituto la parte applicata alla  teoretica. Bensì mentre nei programmi del 1871 il diritto amministrativo era obbligatorio nella sezione  di ragioneria, in quelli del 1816 non se ne parla  affatto !   7° L’economia politica teoretica, qual parte della  cultura generale scientifica, fa estesa a tutte le   sezioni.   8 ° Infine, s’introdusse un nuovo insegnamento  comune a tutte le sezioni, e che nell’anno scolastico  1S77-7S fu reso obbligatorio in tutti gl'istituti tecnici  del Regno, cioò gli Elementi scientifici di Etica ci¬  vile c Diritto, con doppio intendimento : di prepa-  rare lo menti allo stadio del Dirittoposavo e del-  l'economia politica, o di temperare .1 cara, o de  giovani formando non solo « abita profe^—,, ma  cittadini degni per virtù moral. e emù E -  il nobile desiderio acconnato lino da  presidente del Consiglio snpenore  ca, onorevole Berti, venne urc dal   il ministro Calatabiano irebbe lodo P   Consiglio stesso e dai P 1 ’ 0 ^^ ^alfeta grande-  gli uomini imparziali . della crescen te   mente a cuore l’cducazion   generazione. . v i 1077, ecco per-   Secondo i nuovi program*speciali,  tanto la distribuzione delle male ^ Lettere   Insegnamenti comuni a a o-QQtrrafiii., matemati-  italianc, lingua francese, sitera, b ° natur ale ;   che, disegno, fisica, chinu ca » ^^ cnt - scientifici. di  economia politica teoietic., dalle nozioni di   etica civile e di diritto, P lC     370 sulla riforma de’ licei   psicologia c di logica. Seguono le materie speciali  delle cinque sezioni (oltre le materie in comune) nel-  •J’ordine infrascritto :   Sezione fisico-matematica : Lingua inglese e  tedesca.   Sezione di agrimensura: Costruzioni, geometria  pratica, agraria, estimo, diritto privato positivo.   Sezione agronomica : Costruzioni, geometria  pratica, diritto privato positivo, agraria, estimo, chi¬  mica applicata all’agricoltura.   Sezione di commercio c di ragioneria : Diritto  privato positivo, teoria della statistica ed ccouomia  politica applicata, computisteria c ragioneria.   Sezione industriale : Teoria della statistica ed  economia politica applicata.   V.   Ritornati gl’ Istituti tecnici sotto la dipendenza  del Ministero dell’Istruzione pubblica pel Decreto  leale del 26 dicembre 1S77, si pensò j)iù volte in  questi ultimi anni a riordinare la istruzione tecnica  di primo c di secondo grado. Il Ministro Baccelli  aveva nominata una Commissione per la riforma  della Scuola tecnica c dell’ Istituto tecnico. L’ on.  Ministro Ceppino ha fatto tesoro delle proposte di  netta Commissione ] c quindi abbiamo la recente  riforma degli studj tecnici, approvata con Decreto  reale del 21 giugno 1SS5.   Alla Scuola tecnica si è conservato il suo du¬  plice line teorico e pratico, cioè di preparare i giovani all’Istituto e di fornire “ una certa istruzione  reale e pratica ai giovani che volessero darsi al  piccolo traffico, agli umili ufficj pubblici ed alla mi¬  lizia E però nel terzo ed ultimo anno gli alunni  si dividono in due sezioni, con diverso programma  di studj e con metodi di csercizj convenienti e prò-   prj, sccondochè intendono di passare all’Istituto, o   di sottoporsi all'esame di licenza per entrare nella  vita pratica del lavoro utile. Per 1’ ammissione al-  V Istituto tecnico si richiede l’esame m queste ma¬  terie : Calligrafia, Disegno, Geografia, Lingua fran¬  cese, Lingua italiana, Matematica (Aritmetica ra¬  zionale e Geometria), Storia antica, orientalo e gioca,  Storia d'Italia, Dovari a Diritti dal  rioni di Storia naturala. Por ffr* 1» ““   tannica si richiede olirà lo’ io ‘ 8 teria-   (salvo la Storia antica), 1 esame 1, t i   Un Escrcizj di Lingua franaata, no. .   di Aritmetica, nelle Lozioni   di Mineralogia. . on o conservate   Riguardo all’Istituto toc» co, s “° la sc .   le cinque vecchie sezioni, sue l '* . Commcrc io c   zione industriale in due lami, „-. n0c Ragioneria  Ragioneria privata, diAmniinis sezione   pubblica. Gli studj dal . tutti gli   Fisico-matematica si sono 1 s tadj speciali   alunni dell’Istituto, de terni nn q . 0 ^ cr ciascuna   tecnici e pratici ncl^ sCC ° UC . 1 ° in( | 0 i e s ua particolare,  sezione, secondo il fi nc e . vo n’cbbc a for-  Ondo la soriana Fisino-matamatic marcii Liceo scientifico moderno, e le altre Sezioni  altrettante Scuole professionali.   Ecco, pertanto, le materie comuni a tutte lo  sezioni : Chimica generale ed clementi di Chimica  organica ; Disegno ornamentale geometrico c a mano  libera; Fisica elementare; Geografia Lettere; ita¬  liane; Lingua francese; Matematica (Algebra e Geometria) ; Storia generale ; Storia naturale.   Materie speciali per le rispettive Sezioni.   Sezione Fisico-matematica : Chimica (esercitazioni) ; Disegno di applicazioni ornamentali c di  architettura ; Elementi di Logica e di Etica ; Fi¬  sica complementare ; Lettere italiane ; Lingua in¬  glese o tedesca ; Matematica (complementi c Trigonometria) ; Storia complementare. Sezione di Agri¬  mensura : Agronomia, Agricoltura ed Economia  rurale ; Chimica (esercitazioni) ; Costruzioni e Di¬  segno relativo ; Estimo ; Fisica (Meccanica e Idrau¬  lica) ; Legislazione rurale ; Lettere italiano ; Mate¬  matica (Trigonometria ed esercitazioui, Geometria  descrittiva c Disegno relativo) ; Topografia e Di¬  segno relativo. Sezione di Agronomia : Agronomia,  Agricoltura ed Economia rurale ; Tecnologia rurale  e Zootecnia ; Chimica agraria ed esercitazioni ; Ele¬  menti di Topografia e di Costruzioni, e Disegni re¬  lativi; Fisica (Meccanica, Idraulica o Meteorologia) ;  Legislazione rurale ; Lettere italiane; Storia natu¬  rale applicata all’Agricoltura. Sezione di Commercio  e Ragioneria: Calligrafia ; Computisteria e Ragio¬  neria (parte generale e speciale); Scienza economica,         e degl’istituti TECNICI IN ITALIA 37S>   Economia applicata, Statistica e Scienza finanziaria;  Elementi di Diritto civile, commerciale ed ammini¬  strativo ; Merciologia ed esercitazioni ; Lettere ita¬  liane; Lingua francese, inglese o tedesca;Storia com¬  plementare (delle colonie o delle industrie c dei com-  merej). Sezione Industriale : Chimica; Disegno 01 -  namentale ; Fisica elementare ; Geografia ; Lettele  italiane ; Lingua francese; Matematica; Storia ge¬  nerale ; Storia naturale.   Questa riforma segna certamente un notevole  progresso nell’ordinamento generale dei nostri s u ]  Liei di primo e' di secondo grado. *£» ^  ohe sia una riforma compiuta c e '   pare davvero : ansi nella Beiamone al He si fa co ^   prendere che dallo stesso Ministero «sente_   desiderio di ulteriori modificamo»! e '‘"Jf della  nefica intorno all’assetto “'S 1 * 01 ® °. n p attuale  istruzione tecnica secondaria. > te0 _   Scuola tecnica e bene Cù0Vcl |^ a S cu|Ìc pre¬   nci alle Scuole di arti 6 “ Cb ’ iftndi? La seziono  fessionali inferiori, per „i e or dinaria-   Fisico-matematica dell'f 8tlt ^ j vcrH ità, come può  mente prepara i 8 * ova ?'^ moderno, so non vi si   dirsi un vero Liceo scic ^ ^ noto c he in Ger-  studia affatto la lingua latina. gQ ]ft Scuo i a   mania il latino si studia ano ^ ^ i#| e re-  Rcalc. Perchè abolire le no della Logica e   stringere l’insegnamento e ^. o _ roa t e matica? Dcl-   dell’Etica alla sola sezione i alcan bisogno   la Logica e delia Morale no» ha»»gli scolari delle altre quattro sezioni, i quali poi la¬  sciamo affatto gli studj ? Infine, perché abolire gli  elementi scientifici del Diritto razionale, mentre que¬  sto è fondamento del Diritto positivo c della stessa  Economia sociale ? Il presente ordinamento della  Scuola c dell’ Istituto tecnico non ha dunque rag¬  giunto il suo ideale.   VI.   Ma dall’altro lato, si può egli diro che l’istruzione  classica da noi sia perfetta sott’ogni rispetto? I nostri  Ginnasj e Licei sono in piena armonia coll’esigenzc  de’buoni metodi, coll’avanzamento delle lettere c dello  scienze, coi bisogni e collo nuove condizioni della so¬  cietà odierna? E tutte lo nostre Scuole secondarie mi¬  rano esse ad un fine principale, ad infondere nell’ani¬  mo della gioventù una sana o vigorosa educazione  morale c civile? Ognuno si troverebbe fortemente im¬  pacciato a rispondere a queste domande : il che si¬  gnifica, clic molto ci rosta ancora da fare per le nostre  Scuole secondarie, classiche c tecniche.   Vero è che un compiuto c razionale ordinamento  della istruzione secondaria presenta non poche c serie  difficolta per natura sua ; e difficilmente presso qua¬  lunque nazione può essere opera d’un solo periodo di  tempo c d un legislatore solo. Quindi non deve recar  meiaviglia so nell’Italia nuova, tenendo conto ancora  delle sue condizioni politiche, intellettuali c morali,  il giavissimo problema d’un compiuto c stabile assetto  delle Scuole secondarie non ha avuto fin qui la migliore ed ultima soluzione. Quattro, secondo me, sono  i principali quesiti a cui deve rispondere un razionale  fecondo e stabile ordinamento dei nostri Istituti se-  condarj vuoi lotterarj o classici, vuoi tecnici o pro¬  fessionali :   a) Cultura generale degli alunni.   I) Metodi in armonia con lo svolgimento gra¬  duato delle facoltà umane, e in pari tempo con 1 pro¬  gressi e fini della scienza. _ •   a) Relazioni fra i Ginnasj, i Licei c le Univer¬  si,, fra lo Scuole tecniche, gl'Mtutì e la Un,ver-  sitò, i Politecnici od altro scuole saperlo,,.   d) Attinenze dello nostre scuole s“™ d ”' c0 ° '  la vita pratica c con gli uffici minor. «1 “ Statm^   Ed ora esaminiamo brevemente 1 qua ^   per vedere poi quali rimedj principali oceor.aco .  nostre scuole.   VII.   a; Quali materie si dovranno tn*&*   ciascun istituto secondai io P‘^ ss nell’Istituto?   nasio e nel Liceo, nella Scuo a ec ” . ò e3S3r c   La scelta eia quantità di osso matouc,^^   arbitraria, oppure deve cs.cic ^ ^ v ; debbon  me, a criterj ben definiti . ^ definiti, i q uab   essere certe norme, anzi cn ^ gtcss0 c he si pro¬  si desumono principalmente a ^ ^ogni sociali  pone il legislatore, vero interpre ^ ^Hoscuole,   nell’istituire o nel riordinare cia finc immediato   Ogni istituto ha due fini esscn cioè di provvedere alla cultura generale della cre¬  scente gioventù studiosa e dei futuri cittadini ; un  fine mediato, che sta ora allappateceliiare le menti  a studj superiori, ora nell’abilitare a certe profes¬  sioni, o a certi ufficj minori nello Stato, e all’am¬  ministrazione delle proprie sostanze.   La cultura generale cambia secondo i pro¬  gressi dello scibile umano e secondo le peculiari  condizioni della società civile. Trent’ anni fa, per  esempio, dalla classe più numerosa dei veri cittadini,  dalla borghesia, in Italia non si sentiva il bisogno  di apprendere certe cognizioni politiche e scientifi¬  che, perchè allora la borghesia aveva minore im¬  portanza sociale di fronte al clero e all’ aristocrazia,  e perchè mancavano al paese istituzioni liberali, che  portan seco nuovi diritti c doveri. A voler com¬  piere ed esercitar bene questi doveri e diritti so¬  ciali, richieggonsi opportune cognizioni c un più  alto grado di cultura intellettualo. Come pure dalle  nuove condizioni sociali è sorta la convenienza di  rendere più colta ed istruita la donna, senza cadere  per questo nell’opposto eccesso. Ma la vera c soda cultura d’un popolo non deve consistere soltanto  nell istruzione della mente, si anche e principalmente  nella retta educazione dell’ animo, come richiedono  la natura e il fine dell’ uomo considerato e in sè  stesso, e in relazione colla famiglia e colla società,  senza qui entrare nel campo religioso. L’istruzione  non è fine a sè stessa e all’ umana società, ma piut¬  tosto e mezzo all’ educazione morale e civile. La prima ha per fine diretto la conoscenza del vero -,  la seconda mira alla pratica del bene.   Ciò posto, se le materie clic oggidì s’insegnano  nelle nostre scuole secondarie soddisfano in generale  ai bisogni della mente e alle nuove condizioni sociali,  per ciò che attiene al sapere, non sono pero le piu  adatte, considerate fra loro c da sole, ad invigorire  il scuso morale, a prodarre mia 0 ““   educazione, che torni vantangiosa alle singole fami¬  glie o all' intero consorzio civile. He.  da°*ogici e scientifici, in buona parte della stampa  a “liberalo, nel Parlamento e ne. paese pressai   generali o frequenti sono le "ri « sècot   rizzo educativo delle nostro scucem»  darle. AU’ insegnamento. re ìgm mim care   c razionalmente impaitito, tare come   in nessun grado delUi— 9Ì ‘  giudicano molti uomini i us ii secondarie   voluto o saputo contrapporre mo ingegnamen to  in generale un vigoroso stadj CODS iderati   morale, coordinandovi pu» | . q molta parte della  nell’aspetto educativo. d eleva to sentimento   nostra gioventù manca 1 P, no bili, l’affetto  del bene, l’entusiasmo pei e c s j t i retti, il ca-   disinteressato, la fermezza n  rattere morale.   Vili.   n0 arduo ed importante  b) Altro quesito non m ^ sapcre inse¬   di è quello del metodo, non gnaro quanto nel coordinare le materie di studio:  quesito che non si può risolvere convenientemente,  ove non si badi al graduato e armonico svolgimento  delle facoltà umane. Con qual ordine si svolgono le  facoltà dell’uomo ? Prima il senso, la fantasia c la mo-  moria ; poi la immaginazioncintellettiva e la ragione,  colle sue varie operazioni o facoltà secondarie, come  l’attenzione, la riflessione, l’astrazione, l’analisiclasin-  tesi, la comparazione ; per ultimo, la volontà libera.   Ora, queste facoltà non sono l’una dall’altra se¬  parato, come l'esperienza o la ragione ci attcstano ;  ma sono invece strettamente congiunto, perchè tutte  dipendono dallo stesso ed unico principio che in noi  sente, intende e vuole. Bensì 1’ una prevale sull’altre  nelle diverse età dell’uomo, e secondo la natura degli  obbietti a cui son rivolte le operazioni intellettive e  morali di lui. A questo naturale c graduato di-  spiegarsi delle facoltà umane, a quest’ armonia loro  meravigliosa, deve sempre corrispondere l'ordina¬  mento degli studj e un acconcio metodo d’insegna¬  mento nelle nostre scuole, dalle prime classi elemen¬  tari all’ Università.   Per chiarire meglio le nostre ideo, gioverà qui  fare un’osservazione’ pratica. In virtù del R. Decreto  22 settembre 187G, la filosofia s’insegnava in tutti  e tre i corsi liceali ; mentre prima cominciavasi a  studiare nel second’anno di Liceo. E nella Rela¬  zione che precedeva quel R. Decreto diccvasi che  nel prira’anno liceale l’insegnamento della filosofia  dovesse consistere segnatamente nella lettura e nello studio di luoghi filosofici Latini, e nella spiegazione  della nomenclatura filosofica, di cui tanta parte si  chiarisce colla lingua greca. — Senza disconoscere  le intenzioni più che rette del legislatore, a noi pare  (confortati in ciò dall’esperienza) che sarebbe stato  miglior partito ritornare alle vecchie disposizioni,  cioè principiare lo studio della filosofia nel secondo  anno di Liceo, perchè le menti de giovani sono  allora più riflessive e mature, ed hanno acquistato  nuove e più sode cognizioni di letteratura, di sto¬  ria e di matematica nel primo anno liceale, dalle  quali trarranno poi giovamento nello studio della  filosofia stessa. Vediamo infatti che in Austria s in¬  segna la propedeutica filosofica solo nella classe Vili,  od ultimo anno del Ginnasio-liceo ;, e no Gmnasj  di Boltzen o di Klangcnfilrt la logica /orma  studia nello ultimo duo classi, comspondentmdfe¬  condo e terzo anno del nostro Liceo In Trace .  poi, ««ero corso di   l'ultimo anno d. Liceo ' ; l nostri   otto ore d'insegnamento P« “ ^ ^ ge .   alunni, appena usciti a un ver o insc-   ncralmente ben prepara liceale, sia per   gnamento di filosofia sa perficiali   la tonerà età, sia pei aWtuatialla n-   cognizioni, sia per no poteva giovare   flessione e al ragionamen o - - m0 co rso liceale   gran, fatto spendere tutte » 1 p. oso fica, che si   nell’ insegnar loro la nom p 0 studio delle   può di mane in mano apprendere singolo parti della filosofia elementare 5 e ancor  meno avrebbe giovato spenderlo per intiero nella  lettura o nello studio di luoghi filosofici latini, por  esempio nel De OJJiciis e nel Da Leyibus di Cice¬  rone, perchè tali studj c letture presuppongono un  corso ordinato, già compiuto, di filosofia razionale  e morale. Più tardi l’insegnamento liceale filosofico  si restrinse a soli due anni, cominciando lo studio  della Psicologia e della Logica nel secondo, e ri¬  servando al terzo la Morale. Ma con P. Decreto  del 23 ottobre 1884 l’insegnamento filosofico è stato  di nuovo esteso a tutti e tre i corsi liceali, asse¬  gnando al primo lo studio della parte più generale  della Logica. - Per le ragioni suddette, converrebbe  tornare al vecchio sistema, cioè principiai’e addi¬  rittura lo studio della filosofia elementare nel secondo  corso liceale, e compierlo in due soli anni.   Siffatto ordinamento c siffatto metodo converrà  poi che nelle scuole secondarie si trovi in armonia  perfetta con i progressi della scienza o con i fini  dell’ insegnamento. Lo studio della Filosofia e dello  •Scienze naturali, a cagion d’ esempio, deve esser  fatto in modo ben diverso da quello in che facevasi  venti anni addietro : e qui siamo già incamminati  per la retta via. La Storia greca e romana dovrà  essere insegnata nel Ginnasio e nell’Istituto tecnico  in modo differente, per la diversità del fine di esso  studio nei due Istituti ; all’ insegnamento della Chi¬  mica non potrà darsi nel Liceo quell’ estensione o  profondidà che deve avere presso l’Istituto tecnico. Governo e professori debbono pertanto aver di mira  questi quattro punti essenzialissimi : 1° Lo svolgi¬  mento armonico di tutte le facoltà umane; 2* La  •cultura generale degli alunni; 3° Il progresso dello  scibile ; 4° Il fine pratico della scuola.   IX.   c) Come le scuole inferiori od elementari, oltre  avere un fine proprio, debbono servire di fondamento  e di preparazione agl’istituti secondarj, così questi  vogliono essere coordinati razionalmente allo scuole  superiori e di perfezionamento. E però i nostri Licei  ed Istituti tecnici, specialmente in alcune seziom,  come in quella fisico-matematica e di a S ron0 “ ia ’debbono avere stretta relazione col or inam  .degli studi nelle Universi.!., «M*-***   Scuole superiori di   per la stessa ragione, i G. J ^ tcomcho ag Ii  legati strettamente a U, 1 ha m flM   Istituti professionali, be U rog i on di   più speculativo che pratico, S ® . P ge ins ° mm a à  mezzo die di fine, a ' 0S ^ip er il Liceo, parrebbe   destinato a preparale g j s6 avere un fine   che anche la Scuola tecnic re p arar e le   più speculativo ch ® ^Jistìtuto tecnico, anziché   menti a studj super io fes9 i 0 ni, per quanto   presumere di abilitare a ^, ione precoce super¬   umili sieno, e di dare un * s ^ dimostrato non  Sciale inefficace, che 1 es P erI v uon0 risultamento.   .condurre da sola a verna pratico e Ma se la Scuola tecnica, com’era prima ordi¬  nata, non corrispondeva nè al suo fine speculativo,  cioè di dare una conveniente cultura generale, o di.  preparar bene gli alunni all’Istituto, nè al fine pratico,  ossia di abilitare a’più modesti ufiicj nella vita pri¬  vata e pubblica; anche il Ginnasio, il Liceo e l’Isti¬  tuto, nelle attinenze loro cogli studj superiori, hanno  i loro difetti. Così, nel Ginnasio si dovrebbe inse¬  gnare la lingua francese, materia non solo di cultura  generale, ma eziandio necessaria agli studj succes¬  sivi nel Liceo e nelle Scuole superiori ; c lasciar da  parte la Storia Naturale, che viene ripresa nel Liceo  in modo più esteso e profondo. Inoltre, come studiar  bene le Scienze naturali senz’aver prima studiato¬  la Fisica ? Nel LiRco, poi, hanno troppa estensione  alcune materie, come la matematica, le scienze fisico¬  chimiche ed il greco, dacché queste materie, spinta  oltre i debiti confini, non sono d'interesse generale,,  non danno per se un risultamcnto pratico, si ripren¬  dono quasi daccapo nelle rispettive Facoltà univer¬  sità) ic, richiedono molto tempo nel corso liceale con  grave scapito delle altre materie.   Tale inconveniente non ha luogo negl’istituti  classici della Germania. Ecco quello che scriveva  in proposito l’egregio professor Pullè nella citata sua  i dazione: “La parte più importante ve l’hanno l'arit¬  metica e la matematica ( elementare, come si vede dai  piogrammi) per far vero il principio, che le lingue,  classiche e la matematica sono il centro dello studio  ginnasiale. Yicn dopo lamica, quindi la storia natuvale. La chimica e per sè, o perchè ancora troppo  poco è venuta a scientifiche conclusioni, ed è tuttavia  da riguardarsi come in via di sviluppo, non viene,  nei Ginnasj almeno, accettata come materia obbli¬  gatoria. Così anche alla storia naturale non si dà  una sostanziale importanza : anzi per regola, dove  manchi un buon maestro per questo insegnamento,  nella classo IV c V le due ore vanno impiegate per  l'aritmetica eia geografia. A questo punto va fatta  un’ osservazione importante. L’insegnamento delle  scienze positive nei Ginnasj o Licei c ordinato non   tanto ad un fine pedagogico, quanto acciò che il .gio¬  vane, che vi compio la sua educazione, ne esca con   una generale coltura, sappia qual posto occupa cia¬  scuna scienza nell’ insieme dello scibile e si avvezzi  a liberamente pensare. Per questo vai tanto m e-  gnamento realistico per coloro che -n d Una ti a   professioni giuridiche, alle   V ÌnSCSnan,e ^° m“ peTqueste ultime, quel tanto che  scienze esatte Ma per q ^ ^ do, tutt0   se ne apprende nel L la fisica, lachi-   insuffieientc, poiché al rfetfa mat6 .   mica, la storia naturale, e &U ? a n ^ llcipio e ripetute   matica, vengon riprese quasi calzallte è quello   quasi alla lettera. L’ esempio P ^ anni ne l   della fisica generale, che appi ‘ ^ bienna le al-   Liceo, viene ripresa pei un a, ti tem po eia   l'Università. Or» per Ucw, o lo   fatica sono irrornss, talmente p»  sono all’ Università. Ad ogni modo, chi volesse approfondirsi nelle  matematiche elementari e nel greco, per indi pro¬  seguire i medesimi studj nelle Facoltà di scienze  fisico-matematiche e di lettere, potrebbe frequentare  alcune lezioni facoltative da stabilirsi nell’ ultimo  anno dei nostri corsi liceali. Nell’ Istituto tecnico,  poi, converrebbe insegnare la lingua latina nella se¬  zione fisico-matematica, essendo questa direttamente  coordinata all’Università.   X.   d) Finalmente, un compiuto e razionale ordi¬  namento degli studj liceali e tecnici deve provve¬  dere non solo alla cultura generale degli alunni e  ad apparecchiare le giovani menti e studj superiori,  quando esse vogliano e possano dedicarvisi, ma deve  altresì avere un fine pratico, abilitando i giovani a  certi ufficj minori presso le società private o presso   10 Stato, e fornire tutte quelle cognizioni che fanno   11 buon cittadino.   Non tutti i giovani ch’escono dai nostri Licei  sono in grado, per le condizioni economiche della  famiglia o per altri motivi, di proseguire i loro studj  nell’Università e negl’istituti superiori. Essi pertanto  cercano un’occupazione negli Ufficj postali, comu¬  nali e provinciali, nelle Prefetture, nelle Intendenze  di finanza, nei Ministeri, nelle Strade ferrate, nelle  Biblioteche, c via dicendo. Coloro poi che frequentano  gl Istituti tecnici si dànno tutti, meno quelli della  sezione fisico-matematica ed altri pochi fortunati acl una professione libera, come i periti agrimensori;  o ad un impiego presso le Amministrazioni private  o pubbliche, secondo i lori studj e la capacità.  Inoltre, il diploma di licenza tecnica o liceale, confe¬  risce loro certi diritti pubblici, non solo il diritto  al voto politico, sì anche 1 altro di essere giurati (a  25 anni) presso la Corte d’Assise. Or bene, come  potranno adempiere convenienteinentesì gravi doveri  ed esercitar bene sì nobili diritti quei giovani, che,  secondo l’attuale ordinamento dei nostri Licei, non  vi hanno apprese nè vi apprendono le nozioni piu  •elementari del diritto pubblico interno, e che (po¬  tendo anche sedere nei Consigli amministrativi del  Comune e della Provincia) non. sanno mente d.  Economia politica c d’Amministraz.on= ? So pò. ca¬  cano un modesto collocamento nello Poa *®>  letture, nelle Intenderne di finanza, nelleStradefer  rate, nei Ministeri, come potranno sostenere, gl, am, j; „nn avendo appreso nel Uinnasiu   senza nuovi studj 1 ^ n *u contabilità c la   enei Liceo ne ^ itiv0 ? E quindi, o   computisteria, 1 dovran no sostenere questi   nuove spese o fatiche ^ classiclie> od avremo  giovani licenziati . f Quanto ag u alunni dei-  in società altri sjjos • _ diritto amministra-  l’Istituto tecnico, le sezioni* 1 come nel 1877   tivo vanno estese aim ento, a tutte le se-   furono estesi, con savi I economia teoretica,   ziom dell fstitnto g ^   di etica civile e dii ut         392    SULLA RIFORMA DE’ 1ICEI    Conclusione.   Ed ora concludiamo. Quali pronti cd efficaci  riraedj vanno recati ai nostri Istituti secoudarj clas¬  sici e tecnici? A mio parere, eccoli brevemente :  1° Si metta obbligatorio lo studio del francese nel  Ginnasio, e si tolga la storia naturale. 2° Si restrin¬  ga il programma di matematica, di fisica e chimica,  e del greco nel Liceo per quegli alunni, che non si  danno poi nell’Università alle matematiche, alle let¬  tere ed alla filosofia. 3° Nella terza classe liceale si*  stabiliscano corsi superiori facoltativi di matema¬  tica e di greco pecchi ha interesse di approfittar¬  ne. 4° Vi si insegnino pure le nozioni elementari  di economia politica e di diritto amministrativo.   Quanto agli studj tecnici : 1° Si coordini net¬  tamente e definitivamente la Scuola tecnica all'Isti¬  tuto tecnico nel terzo anno. 2° Si renda più. pratica  la Scuola tecnica per i licenziandi, collegandola al¬  tresì alle Scuole professionali inferiori o di arti e  mestieri. 3 Si metta obbligatorio il latino per con¬  seguile la licenza nella sezione Fisico-matematica  dell Istituto. 4° Si estendano a tutte le sezioni del¬  l’Istituto gli Elementi di Logica c di Etica. 5° Si  icnda obbligatorio lo studio dell’Economia teoretica  sociale a tutte le Sezioni, eccetto a quella Fisico-ma-  tematica. G° Si ristabilisca il corso elementare di  Diritto razionale. 7° Si porti a cinque anni il corso  compiuto dell Istituto, quando non si credesse meglio di stabilirò in quattro anni il corso teorico  o pratico della Scuola tecnica.   A questo modo, mi pare che i nostri Licei ed  Istituti tecnici possano davvero rispondere al fine  loro speculativo e pratico, alla ragione dei tempi e  alle condizioni del nostro paese, e riuscire superiori  o migliori dei Ginnasj tedeschi, e delle Scuole reali  e borghesi della Germania. Comunque sia, in ogni  riforma de’nostri Istituti mezzani e superiori, classici  e tecnici, non dimentichiamo la massima che fino  dal 1S38 inculcava il Mamiani ne'suoi Documenti  pratici intorno alla rigenerazione intellettuale e mo¬  rale degl’italiani : u Gli studj che mirano a poco  alto fine e versano sopra materie futili ne emano   di nudrirsi di scienza profonda, snervano 1 intelletto   e l’animo. GENTILE    E IL DIRITTO INTERNAZIONALE. Allicricus ilio fuit, qucra non Brilannia modo, seti  et tota Europa pracccplorom in Jure suum eolil  et agnoscit »•   Jl. PrecuiD, Elogio di Scipione Ganlue.    I.   Fra tante e nobili glorie italiane fin qui di¬  menticate v’era il nome di un insigne Marchigiano,  che. più d'ogni altro meriterebbe di far parte quella storia, « magnifica e peenhare de,U Ita   liani fuori d'Italia, che Cesare Balbo m fine gin  nani jwn* « » . connazl0 nali.   vissinri «itti nato a San-   Questa gloria italiana m0 rto   ginesio (provincia di Macerata) nel UM   esule in Inghilterra a 19 e t “"j” a metà del  Visse dunque ABonc» e la se»  secolo XVI, che fu una dell epoc P ^   religiosa. E questo Q Bran0 e di Cam-   Francesco Bacone, i Elisa betta : epoca famosa,  panella, di Filippo II e di JM per grandi avvenimenti politici e religiosi, per in¬  gegni preclari e fortissimi caratteri.   Matteo Gentile, valente medico, venuto in so¬  spetto d’avere abbracciato la riforma religiosa, esulò  dalla patria conducendo seco il giovine Alberico e  l’altro figlio minore Scipione. Alberico, ebe avea  già studiato la scienza del diritto nell’Università di  Perugia ed avea tenuto l’ufficio di magistrato in  Ascoli Piceno, non poteva non essere amato e pre¬  giato nella culta Germania, dov’erasi rifugiato col  fratello e col padre, che fu protomedico in Carniola.  Il duca di Wiirtemberg, l’Elettore Palatino e tutte le  Università dei loro Stati tennero in alto pregio il  nostro Alberico per il suo ingegno e per la molta sua  dottrina. Più tardi, Matteo ed Alberico si recarono  nella dotta ed ospitale Inghilterra, mentre Scipione  rimase in Germania ; e, stimato egli pure e di forte  ingegno, divenne successivamente professore di Diritto nelle Università di Heidelberga, di Altorf e  di Norimberga, dove morì a 53 anni nel 1016.  Matteo fu archiatro della regina Elisabetta, e morì  a Londra nel 1602.   In grazia d’un suo eloquente discorso che salvò  da morte l’ambasciatore spagnolo nella corte di Elisa-  betta, Alberico Gentile fu eletto dal re di Spagna  ad avvocato della Corona e dei connazionali di¬  moranti in Inghilterra. Fu inoltre professore al Col¬  legio di San Giovanni Battista in Oxford, l’Atene  d’Inghilterra, e in appresso fu lettore primario di  Giurisprudenza in quella celebre Università, che in occasione della festa anniversaria fu  visitata, com’è noto, da un altro insigne italiano,  da Giordano Bruno. Onde a vcrun altro, meglio  che ai tre Gentili, ma soprattutto ad Alberico s’at¬  tagliano quelle splendide parole clic C. Balbo lasciò  scritte nel Sommario delle cose d’Italia : “ Mira¬  bile ingegno italiano che, chiusagli una via, ne trova  altre ed altre infinite ; che, chiusagli la patria ad  operare, opera fuori, corca, trova campi in tutti i  paesi, in tutte lo colture ! „    IL   Se non che, somma ed universale gloria si ac-  smistò Alberico Gentileper le sue opere e spcoialmen-  te pel suo famoso trattato Dejwre belli. Non meno d.  quaranta sono gli scritti fin qui conosciuti deU illu-  stre Marchigiano. Primeggiano su tutti le ha oji lutato universalmen ditfeoGrozio, autore   Mica dirilto, e quale P" ccurù /pradier-Fodóró   ael De jvre Belli et scrisse che   (Grotius et son temjps), a ^ . mcgnasse u leggi Gentile fu ^ P quello ohe dice su   della pace e della guerra . Ecco q tal proposito Eraerico Amari nella Critica di una  scienza delle Legislazioni comparate (cap. IV, art.  ir, in nota), opera non conosciuta degnamente,  come avviene spesso di altri libri italiani : lt Sebi  bene il titolo dell’opera di Gentili sia solamente De  jure belli, pure io dico avere fondato la scienza del  diritto della guerra e della pace, sì perchè il libro  III di quello tratta interamente delle paci, come  perchè in altri due trattati, l’uno De Legationibus  e l’altro De armis Eomanis in due libri, nel primo  dei quali tratta delle guerre ingiuste, c nel secondo  delle giuste dei Komani, copiosamente parla del gius  delle genti della pace ; laonde in queste tre opere  tutto il diritto internazionale è compreso. Lo stesso  Grazio, quantunque per debolezza d’amor proprio  d’autore ne abbassi il merito, pure per candore di  scienziato confessa essersene non raramente giovato;  e chi confronti le opere di questi due grandi uo¬  mini, vedrà che Grazio non esagerò gli obblighi suoi  col nostro Gentili   Che altri ingegni italiani avessero trattato della  Guerra e qualcuno di loro avesse per avventura  tentato di applicare la scienza delle leggi all’uso  della guerra prima di Alberico Gentile, ciò non viene  impugnato dallo stesso autore del De jure belli o  dal Grazio, e lo attestano il Tiraboschi, £. Amari  e P. S. Mancini. Ma prima di Alberico nessuno  e rasi elevato sì alto ; ond’egli stesso rivendica a sè  questo primato fin dal principio del suo trattato famoso : Magnam atque difficilem rem aggredior. Non baleni libri illi de hoc jure, non olii vili, qui  cxtcnt. Non ti sembra egli che quelle prime parole  trovino un degno raffronto in queste altre, onde il  Machiavelli, restauratore della scienza politica in  Italia, palesa c attesta la novità del suo metodo e  dell'opera sua ? lt Ho deliberato entrare per una via  la quale, non essendo stata per ancora da alcuno pesta  se la mi arrecherà fastidio c difficulta, mi poti eb¬  be ancora arrecare premio, mediante quelli che  umanamente di queste mie fatiche considerassero  {Discorsi, I) „• Agl’intelletti novatori non può man-  care la consapevolezza dell’opera loro, come non  mancava al grande contemporaneo del nostro Gen¬  tile, all’autore del Nuovo Organo, il quale sapeva  di additare alle scienze sperimentali un metodo veto,  ma nuovo e non ancora praticato fuor, d Italia :   • quac via vera est, sed intentata.   Mirabile potenza dell’ingegno italiano, nevato e   speculativo e pitico ad un tempo! Cocce .. m   PÌ ^ÌTn7^:r S rMe “cono 1 Fimi. P"   alla mente enciclopedica. dj^ ^ di rÌ3 a-   taneo del Gen * lle ’ D ° albeggi delle leggi (leges  lire alle fonti del 111 ’ trattat ° S Tilla Giustizia um-  legum) e di scrivere ^ ^ dovea C om-   versale. Ma delle cinq tratt ò c he della prima,  porsi l’opera sua, per aforismi, che risguarcla la certezza delle leggi   nella loro intimazione (1).   ni.   Ma veniamo senz’altro a dare un cenno dell ope¬  ra insigne di Alberico, Dejure belli. Questo trattato,  che fu dall’autore dedicato a Roberto conto d’Es-  sex, è diviso in tre libri. Rei primo, data la no¬  zione della Guerra, si esamina in chi risiede l'au¬  torità di muover guerra, e per qual fine s’intraprende ;  poi si dice quando la difesa è necessaria, quando  utile c quando onesta; infine si esamina le cause  che spingono alla guerra, che vicn fatta ora per  necessità, ora per utilità, ora per cause naturali ed  umane-, e si conclude che, dovendosi anteporre l’onesto  all’utile (III, c. 12), la guerra vuol esser fatta per  una causa onesta. Il secondo libro tratta del come  e quando si dichiari la guerra, dell’inganno e degli  strattagemmi ; e qui l'autore detto clic “ fondamento  della giustizia è la fede vuole con Marco Tullio  che il giuramento e la fede sicno rispettati anello  dai combattenti: tueri inter bella fiderà. In progresso  tratta delle regole che vanno osservate verso i bel¬  ligeranti, verso i parlamentarj, verso i prigionieri,  verso quelli che hanno deposto le armi \ e infine    (1) Vedi i nostri due libri: F. Bacone e la Classifi¬  cazione delle scienze. Firenze. Elementi scientifici di Etica c Diritto, Roma] parla degli assedj, del come vogliono essere trat¬  tati i non combattenti, del rispetto cioè verso i sup¬  plichevoli, le donne e i fanciulli, della facoltà di  dar sepoltura ai morti in battaglia, la violazione  del qual diritto da parte dei nemici sarebbe im¬  proba ed empia. E termina questa seconda parte  •con fervide parole a Dio, perchè si rimuova dalle  guerre la barbarie, la crudeltà, l’odio inestinguibile;  e perchè non le genti cristiane dai barbari, ma  questi da quelle apprendano le leggi ed i modi più  equi ed umani di guerreggiare. Il terzo libro c  •tutto consacrato al fine vero ed ultimo delle guerra,  vo'dire alla pace, ai modi più equi nel ristabilirla,  All’amicizia ed alleanza tra Stato e Stato. .   Questo breve cenno mi pare sia sufficiente a  dimostrare la grave importanza di tale r,Opera : onde  ai spiega facilmente perchè tutti i P m insigni trat¬  tatisti moderni del pubblico diritto ricordino con  molte lodi il nome e la dottrina di Gentile.  CI se iù quel suo trattato egli non sempre indaga, ? * metodo rigorosamente scientifico, le   a fondo, e co eminenti del giure   ragioni supreme e le le OD 1 ^ ^   universale di gu*»» ^ esemp j 0 con   mirabile erudizi,^ . occorre tener   autorevoli e n vivesse il nostro Gentile, e   -"In prto» ad « ltore ^   *°. de “ 0 ° fcui ^mirava, questo il concetto  -fine altissimo a cui e nobilissimo pei’ cui il nome di Alberico va associato  ai nostri tempi e vivrà immortale. Non pago di u^ eie  stabilite e di volere applicate le leggi alluso della  guerra, non pago di aver raccomandato clic la guer¬  ra sia fatta sempre per cause oneste e giuste, quel  forte e magnanimo intelletto invoca dal Padre del—  l’eterna giustizia, clic voglia rimuovere ogni motivo  di contrasto fra i popoli, che cessi ogni guerra, sia  pur mossa da cause giuste :Tu pater justitiae, Deus „  eliam has lolle causas nobis, tolle bellum omne : eia,  Domine, paceni in diabus nostris, da •pacava (I, e.  25). Nò si creda che Alberico, esule della patria, e  che viveva in un secolo pieno di persecuzioni e tri¬  stamente famoso per tante guerre politiche e religiose,  abbia invocato una pace transitoria, la pace solo per  l’età sua e per i suoi contemporanei !No ; egli, am¬  maestrato dalle discordie e dai gravissimi danni di  molto e diverse guerre, dai mali che esso arrecano  •all'umanità, dal ritardo e dagli ostacoli clic ne pro¬  vengono alla civiltà ed al progresso dell’umana fami¬  glia, invocava, precorrendo ai magnanimi tentativi  del Leibnitz e del Kant {Disegno di paca perpetua  fra le nazioni) ed allo aspirazioni di molte anime  generose del secolo XIX, la pace perpetua ed uni¬  versale, con quelle memorande parole onde chiudeva  il suo trattato : u Deus autem optimus maximus  faciat, principes imponeva bellis omnem Jìnem, et  jura pacis ac foederum colera sanctc. . . . JEtiaiU  Deus, etiam impone tu bellis finem : tu nobis pa-  cem effi.ee n . e ir. Diurno internazionale Chi può, adunque, negare la importanza tra¬  grande di quest’ Opera e la sua opportunità ? Sono  ornai decorsi circa tre secoli da che fu scritto il Da  jurahdli, ma le crudeltà della guerra non sono affatto  cessate, ed anche a’nostri giorni ne abbiamo avuto  tristi esempi in conflitti memorabili ; nè ancora tutta  Europa sembra disposta a custodire santamente i  diritti della pace e dei popoli. Bensì il Diritto in¬  ternazionale, che può dirsi fondato dal grandeMarchi-  giano, ha progredito non poco, e gli ultimi congressi  europei ne sono stati la più solenne testimonianza,  e, se non compiuta, certo la più retta ed umana  applicazione. Quanto all’epoca d’una pace universale  e perpetua, clic sì ardentemente invocava il nostro  Alberico, se per ora appare assai lontana, giova per  altro ricordare lo splendido e solenne trionfo che nel  1872 riportò in Ginevra il principio delUròifrafo   Muterà la sua indi-   omaI, ‘Coiaio, u proclamatasi «tomento   pondon» od unita- * olto3tM .u dinaosi al   di ordine 4. cavdt ^, cbi primo formuli,   mondo mteiolas.it 0 „ acrra c d invocò   il diritto dolio g0"*> la pace universale. Il Romagnosi fu il primo a dire-  che l’Italia doveva rendere ad Alberico la debita  giustizia. Questo voto fu accolto dall’illustre professore P. S. Mancini e dal Municipio di Sanginesio,  quando seppe clic Tommaso Erslcine Holland, pio-  fossore di Diritto internazionale nella celebre Oxford, aveva in un pubblico discorso-  rivendicato gl’insigni meriti del suo immortale pre¬  cessore, Alberico Gentile. Ma la gloria d’aver dato  corpo e vita, per così dire, a questo nobile desiderio,  spetta all’operoso e fervido pubblicista Pietro Sbar¬  baro, mentre insegnava Filosofia del Diritto nel¬  l’Ateneo di Macerata. Di fatto, il Consiglio accademico di quella Università, convocato in adunanza  straordinaria il 27 marzo 1875, udita una bella  relazione dello stesso prof. Sbarbaro, unanime de¬  liberava di esprimere pubblicamente il voto che si  costituisse, sotto la presidenza dell’ insigne giure¬  consulto P. S. Mancini, un Comitato internazionale  per erigere in Italia un monumento a Gentile.   Questa nobile iniziativa fu encomiata universalmente. Osiamo dire che forse mai somiglianti proposte ebbero un successo più splendido. Tutti i più  autorevoli periodici d’Italia vi fecero plauso, o la  proposta fu bene accolta anche dalla stampa estera,  specialmente in Inghilterra, Germania, Francia e  Belgio. Parecchie Università e le principali Accademie scientifiche c letterarie del Jlcgno aderirono  alla proposta dell’Ateneo maceratese. I più insigni uomini (l’Italia in ogni ramo del sapere, illustri  statisti e scienziati stranieri, tra’ quali vanno qui  ricordati Bismarck e Gladstone, Holtzendorff, Er-  skine Holland. Laurent e il compianto Laboulaye, o accettarono di far parte del Comitato Merita d’essere riferita per intiero la seguente lettera, che in quciroccasiono scrisse al prof. Sbarbaro, segretario del Comitato internazionale, l’eminente giureconsulto, storico c pubblicista E. Luboulayc. Mon elici- Profcsseur, a Versailles. L’ idée d' honorcr la mdmoiro à'Alberico Gonidi est  oxcellcntc; jc m* y associerai bica volonticrs. Alberico a  ctd le précurseur do Grotius, et à ec t.tre .1 ménte qu o  lo tiro de T ombre où on 1’ a laissd trop longtemps .i 1 on  pouvait donnei: un. boa». ddi.lo» d. »» Jur, MU «J  rdunir dea documenta sur sa vie, et des lett c,  esiste, on lui roudrait lo plus parfait Uommago que puu^  désiror uu bomme de lettrcs apres sa tcmps   dori vaine, qui sommes ravement pensée s dcrèto   et cn notre pays,, '°^ av0 " s 01 | ;P ] U3) n os iddes sewi-   qu’un jour, quand nous n j rumnn itd. C’est eetto   rout la cftUSe d ° 1 ’faìt dddftìgncr la fortune, Ics placcs et  illusion qui nous fait dd 6 C3 tdans l’aventi-.   tout co que lnfoule cn ' ic ’^ sa tom bc, ne sernit-il paa Gcr  Si Gentili pouvnit sortii: do cc ^ a to «td pour   de penso.- qu’on se aei-ico  Ma-   gistero f0 “ ” aegii ìstitaH Tecnici   Sulla riforma de Licei o b . in Italia.. Gentile c    A.pp© udicC-  il Diritto internazionale. DELLO STESSO AUTORE. Elementi scientifici di Etica e di Diritto. Filosofia Morale e Sociale. La Teodicea di A. De Margerie, con una Prefazione di Conti. Principio, intendimento e storia della classificazione dell’umane conoscenze secondo Bacone. Dottrina dell’Evoluzione e sue conseguenze teoriche e pratiche. Discorso Accademico. Elogio funebre di Ile Vittorio Emanuele II. Opuscolo. Esposizione critica del sistema filosofico di Wahltuch. Opuscolo. Critiche varie. In corso di pubblicazione: Elementi scientifici di Psicologia e di Logica. Valdarnini. Keywords: semantica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valdarnini,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valdarnini.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valent: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della forma della lingua – la scuola di Treviso – filosofia veneta -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. “Some like Vitters, but Valent’s my man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s thought!” Essential Italian philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale, dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI). Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO (vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica (BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola filosofica di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza della logica” di Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V., che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile, dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton, ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande, forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi: “Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein, Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda, Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo); “Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a. c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici, Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent. Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The Swimming-Pool Library. Valent.

 

Luigi Speranza --- Grice e Valentino: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale di Romolo divino -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He moves from elsewhere to Rome where he created a sect called ‘The Valentinians’, who Valentino described as being the only ones who would save themselves. Ippolito di Roma did not like him. Valentino. Keywords: Roma antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valeri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello spazio tra sè e sè – l’antropologia filosofica come ricerca dell’inter-soggetivo – la scuola di Somma Lombardo – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Somma Lombardo). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Somma Lombardo, Varese, Lombardia. Essential Italian philosopher. Grice: “I especially like his idea of anthropology, alla Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.” Si laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della scuola normale superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore BARONE (vedi), si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro Lévi-Strauss. Gl’è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze sociali.  Fra i molti suoi saggi, cura pure diverse voci antropologiche per l'Enciclopedia Einaudi.  Tra le sue molte saggi, il saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” (Roma) può considerarsi una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni, "Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in Studi e materiali di storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio. La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e materiali di storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione alla teoria dello scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie biografiche più esaustive, riferirsi alle  xxvii-xix dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e ricercatore; Valerio Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri” per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valeriis: implicatura – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library(Venezia).   L'immagine dell'albero delle scienze – e della filosofia come regina scientiarum, nelle parole di H. P. Grice, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, è particolarmente fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l'aspirazione verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo suggestioni derivanti d’altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre d’Etaples e Bovillus, Gregoire e V., Alsted e Leibniz faranno preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del lullismo. A conclusioni griceane giunge il patrizio veneto V. che nell’“Opus aureum” riprende, modificandolo e integrandolo, il progetto dell'arbor scientiarum. Nel testo di V. il problema dell'albero delle scienze viene presentato come strettamente connesso con quello della formulazione delle regole della combinatoria. V. tratta la cognizione necessaria al raggiungimento della conoscenza degl’alberi. Sono gl’alberi dalla cui conoscenza dipende l'intera conoscenza degl’enti e che V. illustra con esempi. L’arte generale vada ridotta a questa impresa d’insegnare a moltiplicare i concetti e gl’argomenti all'infinito, mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gl’alberi con gl’alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi. L'interpretazione che vienne data delle figure dell'arte appare fortemente influenzata dal commento di Agrippa e anche dalle tesi di BRUNO (si veda) nei suoi saggi mnemotecnici. Più che ad Agrippa e a BRUNO (si veda), V. si richiama tuttavia più volte a Scoto e allo scotismo (de aliorum dictis non curamus, Scotum praeceptorem sequimur) introducendo una dottrina dei PREDICATI (Grice: ‘shaggy’) assoluti e RELATIVI (Grice: “want”). L'esigenza di un'arte aurea nasce in ogni modo, anche in questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e caotico dell'orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno d’un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi conto dell'ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gl’uomini, dopo  infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza (Nec sine maximis incommoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure quiescere). Anche per V. le radici degl’alberi coincidevano con i principi dell'arte, mentre lo stesso ordine di successione dei vari principi vienne presentato come dipendente dalla natura. Magnitudo vero, quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio. È proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi dell'Arte ai subiecta. Nell''uniforme applicazione di queste radici ai sudiecta è da impiegare la più grande diligenza bisogna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev'essere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla PIETRA, che occupa il gradino infimo, dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il secondo grado della scala naturale. Ciò che comporta una imperfezione, se conviene all'inferiore, non è da attribuire ad ogni superiore. Ne deriva che la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se convengono alle cose inferiori. Il divino ordina secondo nove soggetti ed alberi la scala della natura. Colui che desidera sapere molte cose in ogni discilina si formi questa scala. Sul V. cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana. Per la prima edizione dell'opera si veda RocenT Duran, Biblio-grafia. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER. Orbum aerum. AUREUM SANE OPUS,  IN QUO EA OMNIA  BREUITER  EXPLICANTUR, QUAE  SCIENTIARUM...   Valerio Valier Ex Bibliolhcca  majori Coll. Rom.  Socict. Jesu AVREVM SANE OPVS, IN QVO EA OMNIA   BREVITER EXPUCANTVR. QVffi  fcicnti*arumommuinParcii«,RAYMVN# •DVsLvLLVs, cam m fcicntiarum   Arborc,cp artc Krali AVTORE V. M, D, AVGVSTA VINDELICO-  rum imprimebat Miclutcl ^  Mangcr»   Coffl gratia et Priuilcgio S^CseCMay*  ILLVSTRI ET   CieN&KOSO B ARONl DOMINO  Antonio Fuggcro» Domino Kirchbergx  di VVnnTenhoTni, Autorpcri  pecuarobfrruaiuix er»   g6 de dicai, 7:   L.LVSTR . ET GENB-   rofc vir, Mccognas perpetuo  Iionore colcndc; quod tempua  cranscgi Augufta > libcraliori'  bus Citrrcuacionibus dandum cxi(limaui:  quod piicarcm cflc curpifsimum ; G, quac c!a-  baturcommendandi occafioi amc ncgligc^  rccun Ergo Ray mundi Lulli craditioncs ad-  huc SchoIii$ brcvibus illuftravi : racus quip-  pc, quod rcs, dignifsimam cflc ciufccmodi  lcicquz digna efc cof^nicione fui. i Vaferif. Eu^anex dulcilsimagtona gencis.  Prllege.quod fummz e(l dexcericacis,oput.  Ha6Venus in cjrca iacuic caligine Lullus.   in Uicem reuncacquem labor hi(cc novut*  Hunc npc|legeris my Reria magna videbit,   Quar nunquamdo^itvifa fucre prius«  Addr quod tngenuas gremio comple(5licur artCi^ i   Arcuquz verenomenhaberequeunt»  Aucori mericas igicur perfolvico graces:  £(rc Dcimunusnemonegarepocert«     i  (lNpiLVLLANy£ AR.   * tiS R ARx^ EXPLICA-  tioncm Valcri) dc Valc  lijs VcninV   M^xfma pirs iuhUit* nuva cm»fcifnt?a Lulli  Raymfidi rxf.^^ac: pars quocp magna ncga^  Eccittcfrra ndfsfR, tradido^martt vlum; V jt   Mcndacis ficriDzmonts arrf frtufir* '*  Spiritus hos agirat cundlos c rroris aman';   Qut lovar cf mnunt optima dona facri«  Pauca olim LuUus nobis pnrcf pta rcliquirs  Volvlf quarafsidu^do^a catcrva manu:  Hancctiam docuit Bruno lordanusad Albim  ^ Irriguum, gratusquimibi doAorfrat»   Tradidit at mctius, mihi crcdc, ValcriusiHc:  Itala qucm gcnuit> Tcutona, tcrra. favcr«  Maximushimc vfutdocurtcommittcrcprarfot  Quar prodf quf nnc iam tibi doS» cohort*.  Artc ncc c(l vfus Rc gts phlcgcthont is dC aftu ;   AuAornon Darmon, (cd Drutarcitcric»  £t liCiC f minf ac nuHut fplf ndor^ dccus^  Rcs tamcn c(l vcrbit antcfcrcnda bonit*  Ert^o non duhica.quinccrca (cicnria rradi   Raymundi pofsic: quaro capc, volvc>IC(;C  Lf^(o lcAa placcc, lc ^am rraduciro adv fum*  ^dgrauc ptinciphim; fru^hit amicusciib   (> •   - 1     AD LECTOREM. NOuiquidem, amice Lecflor.intereot  quofdam eflTc qui fe fapientes cxiftimat,  qui verborum potiu$,eIe^ •\tjam, quam al-  Cifsimos fenfus curant« f^uni verb res ipfae  ponderandse potius quam verba fuere* Mo-  re etenim fcholafticorum quod vnico verbo  cxplicare potui libentifsime feci^nec verbo'  rum concinnitatem curauu Non fuit ociuoi  crrata corrigendi. Candida igitur meor  cc ipfe corrige, ac impreiroht  currenti manui Hmul  igQofcc^Valc»     .M3;iOrD3JUA 1.lii ccl   . -TJTrn m^: .. .. h INTENTIO AVTORIS EXPLICATVR,   IXIT ANNIS ABHINC Raym»„.   circiter irtccntii tnpgnii quidam Vir fummx e- Lullus  uditionkdc fapientije,nccmi/iorii (Brfdn) fdn- fepp^  6htdtis. nomine Raymundui tuUws, qui maxi^ ecqualisfu  \ndm difficulatem in fcientijs quihuscunc^, confti* crit.  ^tutam admirdns, dc edrundem inter fe uarietd^ ♦Duos l\.  temcontempldnsyhominis miferidmdef>lorauit,quod longo tempo bros Lull»  rislhdtioperdeuidfcientiarumerrdndo, uixtandem oh immenfum *c'^'pfif.ad  laboremi non mmus confujdm quam exiguam rerum cognitionem aj- .,  fequnetur: Cupiensq; Uterarum cultores db ooc feruitutls wg) /i» paradas.  berdre^ dc breui temporis curriculo in fummdm omnium fcientiarum Qija re pau  noticiam deducere : nefcio quo diuino dfflatui furorcy inter cxtctd ci ad noti-  9duos Ubros ddomncs fcientias djjequenddf confcripfit : quoruunum ciam artiu  breucmdrtcm, dlterumucrbgcnerakmdppcUdt, cx quo poileriori "V*^**.  priorcm coUcgit.Veriim ob lon^m cxpcricntiam deindc cognofccns jjjyg^jJJJj*  pdUcosddiUdrum cognitiottem deucnirt, tnm propter fin^Urc dc ^ arboa  ddmirabilcdrtificium, quoda>ntincnt ; tiim ctim ob prxceptorum rcm rcien?  pducitdtem,quibuiimmenfum fcientiarum chaos impUcatur, uoUiit tiaruiti clas  mclariwi fentcntidm fuam cxpUcare; tdU amcn modo nc fdCra dpro- rui s _ L u 1 1 i  phdnif contdmindripoffent, cr non nifi fummdlnffniddrcanorum •'■'^'ctu cx  penetrdUddeguitdrcnc. Ad quod pcrdgendum Librum cdidit, quem  nominarc uoUtit thrborcm fcientidrum, nec immcrito : quoniam ea cnciaru no  omnid»qu4e db omnibui fcientijs unipoffuntcoprxhcdi, LihcriUe imeriro ra.  qudtuordccim tintum arboribws di^inShts miro modo confiderat. lis dicicur.  Q£icumddmdnusnofiriudeuencrit,curduimui mdiori, quam fieri Intetio Au  poterdtffdciUtAtCteimUbrifenfumdperirc^a-circahoc unumton «hoiis clr^  noflrd mtctttioHcrfdtur. Qu^ddm cnim inutilid fubtrdximut i aU- ci^^od     >  qud ucrb uddcncccjfdrU ddiidunut;[lcutilpdrjim m toto opcre tcr»  QuxprjB^ mpoteflyCt potijiimu in primaetquartx pttrtCy'mquaruprimi,pir^'  cipuein pri ter animJtducrllonesin totoLuRiartificio siimc nccijjaridis fabricd'  mx ct quar ^j-^j^  Catc^rias,ucL,ut uulg» intcUi^t prddicamcn qu£ cnti*  AiK*-'fiiu coucnirc pofjunt, quxcuq-fint iflj fiucrcali4,fiueab iih-   addira. tcUcCht fibricata.fluecrcatd ucl incrcatd.*Adiccimu^ mfupcr in fc  Qnibusca- cunda parte arboriunicuic^proprixs formaSy ea omnia brcuitcrcx*  regorixno pUcando^qux ad arborcmquamcunc^ rcducipotcrant. Intcrtiaut*  ftrx conue j-o p^rte cr quarta proprio lAartemulta dcfumpfimuiy «t i«grnw/2  . cognofcere potcrunt: NecfJne maximis incommoditatibm cTmultis  funHn*ia^ wgrZ/yj id pcrfecimus. ut VUlofophit imbuti ualcant fe aliquando ab  nteaddira*. infinitis ambagibus libcrareya' Viriin fcicntijs confumati pofl infi*  Quarchoc nitoslaborcs pcrxBcs pofsint fubfclictharumarBorum umbra per»  opus Aut: petub CT fccure quicfccre. Isonrcprthcndant nosEloqucnti£ culto*  cdcrcvolu resfirudi Mincrua in fcribcndo ufi fumuty quoniam fatis trit (ut ar»  "j^*, bitramur) fi fub rudi cortice DoA Eloqucntcs fua ^loqucntid tie*  Bonreprx* crgM^?4rf poftrint. Hi>«r ^Morww prxcognitio neccffaria c/? ad confequendam  In fccuda, ftrbortmcognitioncm. infccundapartequatuordtcim arborum n4«  turam icclarabimuSy ex quarum notitia tota entium cognttio depen»  In tertia, dct^ I n tcrtia exemplis iUvftrabimus qu£ tum in prima quam in fet  In 4ta.quf cuniapdrtetraduntur* In quirta uerb ct ultima moiumo^endt^  doccaniur p,^,^^ fpf^ gencralis ars Kaymundi adhoc opus fit rcduecndai  cgrcgu, iQcdidoulteriiis multiplicare fcrme m infinitum conceptui» rfrgir*     mnU utt cuiuscunq; dUctiut gentrk cmf>Uxd tim pro piYtc un4  quimfalpitmifceniordiiccscumridicibui, ndiccs cunformift dr^  bores cum arboribut CT rcgulM cum hii omtnbus^ CdUjsmuUiS   De primaepartis divifione»   PRtm4 pirs in quinq; partcs fubdiuiditur, in quarum primdrd* Principall».  dicum ndturd arborts cuiuscunq; oflcnditur, Infecundd arbo ^^P^ ^jj  rumfDLidnumerdntur,dcdccldrdntur, In tcrtid fvrmdrumcf  [tntid expUcdtur^ In qudrtd qudJUonum uel reguUrum quidiitdi dc et *  numcrui (locetuK. In quinta ucro cr uUimd animaduerfionesqud* ^t* ptc  tuor prxccdentium.pdrtium ponuntur,qu4rumnoticidddLuUio   mniu fecretiord intcUigenda c{t neccOfaridf   ' " ponuncau   ^ lecrcraLul   DE R ADICIB VS in Communi» liinucaiga   da.   LOquuturi de principijs iUk uniuerfdUoribus qu£ quodUbct cn  ti/s gemps circunda nt dtq; infcnfibilitcr pcnctrant, ncmpe dc Bo^ Enum erai  nitdtc,Mdgnitudine, Duratiofie,Fotc(tdtc, Sdpientid uel cognitione.VoluntdteuiU^petitu, VirtUtCy Veritdtc» G/orw, D»^-* 5^,^-  rcntidyConcorddntid^Contrdrietdtc, Principioy McH/o, Fwe, Miff^emid^ Concorddntid dc ContrdrietAtc» cum tribus pnmk rd-  iicibm dbfolutis concordet : quid ficuti BonitM notdt effenlidmy Md"  gnituio perjeBionem rei efjentidlem, cr Durdtio tiusitm rti fxi-  S^entidmuel fubft^entidm, ficper Concoridntidm cr Diffrrtntidm  habeturiettrminans cr ieterminjbilt tx quibu* unAconiunfbsrti  cxifientidpeniet dc perfcCho. Cwttrdrietsiutro Durdtioni reffton»  det, quonidm res extrd caufdm fudm exi^entcs Udrijs paj^ionibui af'  ficiuntur,qudrum ratione uarijs quoq; oppofltionibm funt futie^^*.  Stcuniuitriingulws qiti e{lie Principio, Meiio dc Fiiit cum tribu$  pofttrioribus rdiicibM optime conutmt, quid poffe operari quoi  Foteftdtidifcribitur. Principiumrequirit^ quodeftauthor operdti-  onfs. Cum Medio fsmbolum habet mdximum Sdpientid uel cognitio»  O* t conutrfo, quid utluti Mtdium intcr duos limitts conftitutum tft,  itd cr Sapicntid, inttr potentidm cognofctnttm cr cogmtuw obie»  Oummeiiat.Tinlsutrodpprimi Appttitui ucl Voluntdti propor*  tionatur. quia nihiiiefiieraturnifxob aliquem finem. Tertius cr ul.  timus tridn^lu4 ie Sidioritdtt, Atqualitdte cr lAinoritdtt opti'  mdmhabttSymmetridm,cumultimis tnbus raiictbus priork arii*  nis. qudmfic ofieniitnui : Cum Virtute S\diorit4x mdximi conuenire  iicitur.quid Virtuf eit fons ^ ortgomultirumoperdtionum.qu£  iuo maioritatem qudnidm infinudnt: Vcritati Atqualitds ti^iunfbl  cum VeritMfitditqudtioquxidm uclsqudUtMeffentit di fuam i»  iedm. Etdeniq;Gloridueldeleditiocumab ommbu4 non ^qualiter  ftt pdrticipdtd,fed d quibufddm m mdiorigrddu (fifds tftfic bquiy   Vdk     cr ab alijs in minori, ah aUquihm proptic CT e&iuisjicuti cr uicifum iUa dc bonitate  ^ ^*' (imo quodUbet dc quolibet cr de omnibut prxdicari dicitur) ideo efl   iUis ratio cur bona. uocentur cr quatenui talia bonum producere pof*  fint, Omnes igitur arbores acearum partes qu£cunq; d Bonitate ge-  neraltbonjc dicuntur^a-ficutibonitas ffneralifefi fui ipfiut picnA^  cr cttenrum partium : (ic BonitM particulark datur. qut fui ipfi*  B oniras q '/^ P^^' ^ aliarum partium, Tunc ^nerilis Bonitdt cfi fuiipfiut  modo fit plcns, protit concernit bonificatiuum, bonipcare, crbonificabile^  plena fuii- Tunc uero diiirum partium pleuA exiflit, quanio per mgnituii*  pfius. nem r magnA, per Durationem durans, atq; per cxterat radices td^  Bonitasqii Hf^i^ffndicaturdcBonitateinparticulari^s. Trunci, Brancharum  aijar u m -^yy^ arborum partium. ConfimiUter quoq; dc unaquaq} radi*   liulicplea. ^j^^^ j^ncenimfuiipfiuiplena erit, quando potcntiam   proximant     p   proximm iffndi, a^m dc corrcUtmm connotihit» fcd exterarum   partium, quinio 46 dijs earum limdituiinem fufcipiet^ JEjJent ipfi*   ui Boniatis qudmpLurtm^ proprieaxtes defcribenix.quM Pythd^*   rj(y Arijio : t^umeniusPUtonicuf, MercuriusTrime^ftMi P^' Dialo: fo>   cr pUto enumerant, mter qu4s tlercu : Trim : ai Tatium loquens^   nouem dj^ignAt, quonidm txlium proprietdtum notio plurimum proi   deji pro txornAniis conceptibus dcmeiijsdrgumentorum muenien*   iiSy iequibu/idlidsuerbdfdciemws.VdriM uerb Boniatis iiuifiones   tu ipfe ooUigito ex iiuajd drborum iiflm^one : ii^ poterk obfer*   UdreicdUjsrdiicibus»   De Magnftudinc»   MAgnituio efl ens rdtione cuius omnes rdiices funt mkgnt dc q^\^ (Jj  c£terd entid. Cuiui iefinitionis pdrtes confwiili moiofunt Mzgnhii»  explicdnixyjicuti m Bomafff iefinitione explicdtx funt. do.  t(.cf}dt tintum ofleniere plures mdgnituiinls dcceptiones,quje tres Variz ma-  funt nempCy uirtutky moliSyVoperdtiomim, qud^ LuUm optbneco gnitudinis  gnouitium lnquit» Mdgnituio cfl ambiens omnes extremiates ef. ^cccpiio-  ftnii, pcr qux ucrbd inmit triplex effe^f effcntit cr fpiritudle^ cui  conuenit primum mdgnitudinis grnw icquoabunic dicctur m Cdte*  ^rid QUdntititis : aliuiefl efje ccrporeumy cuimagmtuio molis ac  uirtutiscompetit. Tertiumefieffcm d6kperoperdtioncm, cui re*  lj)onietoperdtionummdgnituio. Et h£c ultimd magnitudo multif  moiis uariatur, flcuti cr udrix funtoperdtionum jf>ccics, rcalcs, in Va rix ope^  tentionAles j immanenteSy trdnfeuntes : ndturdlcs^ dcciicntalcs : rationum  proprit, dppropridt£ : re^it, refiexjc : fj>irituales, corporalcs % ^P^cics,  necclfdri£y contmffntes : inftdntdnex, cr in tempore faiit i fj  mlt£ diix qut Philofophis cr Thcologts funt nott,   DeDuratlone,     c     l^urdtio     Daratioqd T^Vrj^io eftensy per quoi rddices cmnesdcrdiquientUda*  (i u I J rdnt: V multiplex efi. Qu^eddm enim uocdtur timput conttp   Multiplex nuum, qud res fuccefiiu^e dimcfurdntur^ utmotui omnes.Mid  duratio» jfQcafur Aeuum, qud fj>iritudles fubftdntix finita nec non corpore£,  absc^ udridtione fuccefiiud conJiderdt£ mefurdntur. Vltimd uerb Ae*  ternitds dppeUdtur, qut foU Deo compctit, nec fucce^ionem dlU  qudmuclmutxtioncmflgnificdt. liec eft cenfendum Deum menfurd-  f.li:sntiar. ridurdtionedliqudycummenfurd menfurdtoflt prior digniate uel  i.q.dift: 9- HAturd :atq; finitis folum conueniens ut mquit Cdpreolus^Et Ucet dim  Quomodo cdtur,€ternitdtemT:>eieffemenfuram,ficdicituryquid Deusa nobk  ^ternitas^ 4pprffc««eciefu4   titu aftiuo conferudndd. Ex quibus uerbis pdtet eum mtcUigerc dc ddiuoi  intelligai. quem omnid entidhdbent,quidindliqucm finemtendunt. £t ndtU'   rdUs cft, qui ndturdlcm pr/fupponit cognitionemy qut longe melius  Cognitio Dirigentis cognitio potcft nomindriDci f benediBi omnid, in fuos  Dirigctis. p^^^ perduccntk. Sic homo. m fuum finem tendens^ ndturdUm hdbet   dppetitum, idemdcbrutisdicds, licctddutilidprofcquendd, crno-   ciuduitdndd in hominedcbrutodUus dppetitus uigcdt didusq; fen*  In h oiet ret ^n^s cum his, qui Voluntdjs dicitur eft in eodem homine, quo  •ppctitui. ^^p^^ .^p,^ j^^^^ utendK, cr Htitur f-utndis^   Dc Virtute*     13   Vlrtusellori^unionkridicumomnium. Et orituruirtwthjtc Qu\d Virt»  A rciunitxteyqudtcnut dClum proprium rcs cAdemuirtuose ^ ^ndc o-  producit.EtutprobcinteUi^s. tiibiLaliudejl uirtus (qum  intcUismui)qudmfacultdfilld innAtxrei,qu4 eliciuntur operatiof yj^j,^  nes conformes. Et dilHnguiturdPotejldte optrdtiomm, de qud fuf j^u^j^ ^jj  prdloquutifumuiyquidPotefldsantumdicit non rcpugnjjitidm ai ftinguicur.  operdndum : Virtus uero toUit utiq; rcpugndntidm, cr prxtercd co.  notitm opcrdntehdbiliatemuelproprieatem qudnddm fccundum  qudm conjimiUs operdtio producitur. Nim^J prolixui clfemlimultas  tiirtutkJpeciesdcfcriberem.Tuipfcdifcurre per drbores omnes dc  per omnium drborum pdrtes, v^cudrids diftm^bones.dc mfinitum  mmerum proprieatum hdrum^ uel uirtutum inuenies. Difcrimen  timenfdcito mterinnAtds uirtutesdcquifitM, cr infufds^   Dc Vcritate*   VEritd/Sy efl id quoduerum e{l de rddicibuff cr de omnibus enti» Qutd Vcri.  bws. Qtt£ueritdi uclref^icitreiexiftentidm, uel eiusdem ef^ tai.  fentidm. Siextjlemidmy tunchdbetur ueritds cont'mffns:cr Veritas qe-  iftomodo propolifiones de fecundo ddidcente fintuerje cr etidm de >£»ltciiiiam  tertio ddiacente in contivffnti mdterid : fi ii notit propofttio quod d p p ^ j j,  pdrtereifuit ueleft. Si dutcm effentiam ueritds rejficit, tuncneceffd- ^^^^  xiAeftcumeffcntis ed notet, qux tjliterfuntuniti.quoiunumline cundo et  glio cjfe nonpo^it, V unum eftdceffentiddlterimcrdmbounum tcnio vcr£*  tertium conftituunU   Dc Gloria vel Dckflatione*   Lorid eft ipfd deleSkLtioy in qua rddices omnes cr cxterd en- ^.^V* tid duiefcunt, Notxre oportet, quoddc rdtiont Gloric duo S -*  funtJciUcctquodquiefcdt,cr delea&tmem prxbedt, quo» ^tio^gio.  nmdUcrumfiremoutbisGlori^mnoncognofcef.lidm Lapif fur fj, coSdd.   C > fmn und^  G     fum detentuf ((uiefcit cettejei non dcle^tur. Hkceli^ quod fton efi  gloriofut* Homines quoe^ muninnif deUdantur^quU tnmeneorum  Cloria im - appetitut non efi fitUTy iieo glorioji non funt^ Clorid boc m looo  Droprieco proprieconliierdturyfcilicct pro qudcunt^ completa, dcle^tiont,  hdctzi hic rciconueniente, feicum quictej quAomnidfruuntur. VropriA autem  Gloria pro Gbrid duplex c/?, qutediam »«cre4ta, qua Deui bedtuicj} fruenio fem  pria cft du- jrfircri uerb crwt» dicitur^ qudtenwt m cretturd recipitur, «b  P wcrcdto tmen Dfo, prmcipdliter in uolunntem proiuih» cr a>/w   EpUog* cs r^^*^'^^^ totim dnima rffentidm rdtiomiH credtura. Ef fic hd'  orum qux besnouemdbfolut44rdiices,qu4rumprimatresdrboribufCTedrum  diCtk (Unt. pdrtibuf tribuunt cffentidm, perfe&ionem efjentix, CT Durdtionem  Utl e%ifltntidm,Tres uerohdx immeiidte fequentes, potentidm ope»  rdniiyiuplicioperdniimodoqudUficdam fignificint, uiieUcet ru^  turdli, quiper Cogtutionem inteUi^tur, c^Libero, qui per dppeti-  tuM expiicdtur. Per ultimds dutemy Gloridm, f cr que edm prace*.  iunt, inteUigefinemt Seidirejpe£hud(rdiices efl ieuemenium,qu£  Arboribm extrirtfecum effe Ur^untur, z^multum fdciuiH di cognot'^  ftenidm Mturm cuiuscunq; rei,   De Differcntia*   Quid DiU T^TCplicdtkdcdteUrdlkdbfohitkrdiicibuf^refidt ul idrtjffe*.  fercntia. f^jSiudrum iecUrdtionem ieuenidmut. ?riu* amen quaidn  prrmittere uolumat qut fumme fluiiofi obfcrudre iebent. \Ha  Kota, ter omnid hoc prtcipuum efl^ ne rdiices iflx fumdntur pro dbfolHtB  edrum effe^ dlids mdximd fidtim oriretur confufio, mter prioret CT  hMrdiices,qu£Confuflocdufdr€tur, quoineq; reindturdexplicdri  poffet, necminut m probdnio, iocenio, uel confuttnio iuuenk fuum  Qualitcr confequereturpropofitum. Confidereturigitiir Diffvrentidnonpf  Diffcretia dbfolutoiUo,quo abfoluaresdbdliddiffrrt,fiuehoc Jf>e&tddiiffi^  fit confidc- rentidmcommunem, propridmyCrjpecificdm ifedpro reUtione iU  "^**** U, qu£ m bkfuni4t«r, cr ii(m inteii^tur dt Concorddntid, Coit*   tftm*     m     ff   trdrieate icatijs. Ex quibui pdtim errormdttiftfiaidppdutliettri- Ettot  €iComelij Agnpp£,quirddicesiUdiUtlpr'mci{>id,fubdbfolutoelfe g''PP»»  confiderdt.Vir ijle do^j^imut.qudndo de Mdgnitudine loquitur,qu€  ^eopdriterwmittAtur dbfolutum principium iUdm difiinguit, in  uirtudlemy m corp&redm ; qu£ dicitur Mdgnitudo molky cr m iUdm  qujt m opcrdtionibui rcperitur.VirtudUs Mdgnitudoiex D.Augufli li.'^.dcTifc  nifententid i nobis m cdp : dt Magnitudine dUe^a^nibildUud eji,q ♦  perfeBio fffentit^ qud perfrBione dliquod unum db dlioejfentiiUter  diffrtt qu£ dUo nomine fi>ecificd uel DifjircHtid magis proprid, uo*  cdtur, qudm idemmet Agrippd mcdpide Difftrentid fub rdtionet'  ddem quoq;confid(rdt.dum diuidit Dijfrrentidm incommunem,pro*  pridm» cr magls propridm:quod fuperfluum efl CT uitium^cum prx»  dicdtihxccr priordhdbedntoppoflamnuturdmy V eonfequenter  oppofltum conftderdndi modum» hoc etidm contrdintentionem ^^^^^^ y^.  huUi omnino uidetttr, qui dumdeflnitDiffrrentuim, inquit,Diffr» grippx, eft  retidefiid, rdtioecuiHfBomtM,Mdgnitudoetc;funtrdtiones incon^ contraLui  fuf£. SiinteUigeret ipfenonde reldtione,fed de re dbfobtd,no diceret: lum.  Bifjrretid efl idyrdtioecuiusBonitd/t etc:funtrdtionesincdfuf£f AnU Animad-  mdduertendus quo^ efi ordo fuprddfiigndtusycuius cognitionon pd.  Tum efl utilfs ddfoluendum drgumentit Kec minus principid hxcy o*  mnibut tX quibufcun^ entibus conueniunt, qudm dbfolua» li£ccuM  dignd fcitu dc necefftrid effedrbitnremur, omittere nokimu^, ne i-  gnordntit uelnegUffnti^e ttotd reSnrdtione nos fludiofl crimindri  foflent, Modo expUcemus Diffcrentidw, Diffrrentid efl idy rdtiont DifferelU  cuius rddices omnes cr cxterd entid funt inconfufd CT diflindi.Quid quid!  fddix ifld efl fummte utilitdtis utter entid omnid^ i qud omnk ornd*  tusdcpulchritudo mdximd, dtpendet: nonpiffbit eius Utifiimdm nd*  turdm oflendere, ut difcrimen omne uel diuerfltdtem inter res omnes  ^dre cr perff>icue cognofcdtur. Totd DiffvrentiiC ndturd dd h£c cd» DtfTeretrx  pitd reducitur ^f dd DiMi/io/iew, DiflinHioncm cr No« identitdtem* ^ ca pica»  Etifidtridflcddinuicmfunt ordindtdy quod fecundumefl fuperiui ^rdo.  it  Quare di- y?{„(ffoy ab aUjs duabus pcrfonts, crtamennon elidiuifusabiUis;  uiliono fit quiidiuijiofempcro' in quocunq; reperiatur, notat imperjiBio*  in diuinis. ^cctidm in corporcis tantum inucnitur cuiufmodinon efl Deus^  difiindiouerojiperji^ionemdUqudmnon lignificdt neq; imptrfe^  Noniden aionem^l\omdentitisuerb,efidddifiin(iioncmfuperior, quid qus  liutis rta funtinttrfedijUnihyparittrfunt^ noneadem:nontamcn ftquitur:  tura& in q f^qu£funtnoneddem,effediflin{bi,qHoniam KonidentitM repcri*  b»inueu£. ^^^ pojitiud,uehfjirmdtiud,dutucrdentid, fcde-   tim hdbct locum inttrentia, quorum unum tjlajjlirmdtiuum CT aU*  ud nt^tiuum, ut intcr tffe c non cffe : unum pojitiuum cr aliud pri'  udtiuum, ueluti inter uifum CT cxcitdtem ; unum ucrum cr dliud fi»  {btium, jicuti inttrPetrumcChimxrdmiCretim mtercd, quo*  rum unum dChiaUter txijlit, aUerum dutem nequdquam, qucmdd*  modum mtcr Pctrum, quinunc efi, cr Antichriflum creandum, fei  D*ninaio  hkreperitur, quorum quodlibet pofitiuum efi, utputd  ubi fic. i^'»* ^ftrum tT Paulum. Ef Ucet pro ne^tio noflro, tam diuifio  quam dijiindio, fy nonidentitdf fint neceffdrid : dttdmen dijimdio  mdiorcm exhibet oommodititem, quid de rdroentidne^tiua, imt  poj^ibtUd dd exifiere, cr priudtiud ueniunt confidcrdndd,qut ptr  nonidentitdtem poffunt feiunp, ideode Difimdione cr eiu4 Jpeciea  bus loqudmur. Si tamen dUjs partibus uti erit opiis, earum naturd 4C  OCto difli- '/^'"^'^«'^cb/f qu£di(kifunt manijrfij reUnquitur. Ododiftinaio*  ftionu ge- numffnerj,crtotidemidentitdtum,ATheolo^rum omnium Vrm»  nera. cipe fubtiUj^imo Scoto funt exco^tatd: quorum ufus m fcientijs quii  bufcunqx tft udlie necrffnrius pro ueritate inds^nid CTfdlfitdte co$  gnofcendd. Dediftindiombus ftjtim erit fermo fed de identitatibuf,  Primu ge», in fequentibus, ubitrdMitur dc Concorddntid. Vrimm Diftinfiio»   nhffnus     t7   tiUffnm uocdtur diHm^ordtionkiqut irdtmAli pottntUori^*  ntm ducit, m quantum tandem rtm ab ilUmet di'iinguity ftcunduni  gUum er dlium conftdtrdndimodum. Ctrtum tft» quod bomo m pro^  pofltiont dUqud confidtrdtus ut fubijciturt ut prttdicdtur.dfei^  pfodiflm^itur, qutmddmodumcrpricdicdtumJifuhit^h i non rtt  gUdi/lm&ionttquididemAftipfo rtalittr diuidi non pottfl, i^tur  fdtiondUy quonidm tsUf di/lmfbo folum rdtionH bcntfcio tfi mutn*  m^Stcundumffnuttlly diftm(ho txnAturdrei:queinttriUdmuf •  mtur,dtquU>us contrddiBorii pr^dicaa utri prxdicdntur,uel ndti  funtpradicdri^nuUomttUt^concurrcnte, qbtorum tiltm n^tu*  rdm,Pcutipottfldici(inquiuntScDtift4tcbtntydt InttUt^ Dti,  crVoUintxtt* inttUt^UiStnimDticumtfftntiddiuinAdd ¥iUj ^nt* IntcIIc£luf  rdtiontm concurrit, cr non uoluntM : cr concurrcrt» cr non wncur* ^9.*  rtrt funt contrddidorid : inttr inttUe^m igitur cr uoluntdtem, di ^^[J,*  pinHio tx ttAturd reioonfurgit. \dtm dicunt dt ffftntid diuinA cr r« Essetifbci  Utionibui perfonAUbut ; quiddutinA tjjentid tribut diuinis ptrfonk 4 rcUtioiii-  tommunit txiftit^ non duttm rtUtionts ptrfonAUs, erg) tx rti UAtu- but diftiiu.  rd iUd db his dtftinguitur.Ntedtfunt incrtdtk infinitd txtmpU. qu£ ^^0*  trtuitdtis gratuomittimut. Ttrtium grnwcft, diftinSho /ormaUs : 3™' S^" •  CinteriUdeft^quorumunumdliudnonincUidit in primo modo di»  ctndi ptr ft, cr hocmodo fuptrius quodUbttibinfrrioritftdiftinm  ibimiCnoni contrd j utl iUa, qut habtne diutrfxf dtfin> tiones, dt- .  fcriptionts, uel uarios conctptus k parte reiy hac difiin^bont funt dif  ftin^.ftcutihomo O" fuarifibiUtis. Quartum gf/J«4c/^, dtftindio 4111 gen%  modaliSyqu£oriturinttrtlJentUmrtiaUcuiui,Gr fuummodum in*  irinftcum: quxdcfaciU pottft inueniri inter aWedinis cffcntimt CT  'grddus eiuidtm ptrfiSbonaUs: utlinter effentUm caUditatls,CT fuos  grddus : utl inter Dti effentiam cr infinitatem (fcoc uerum prdfup»  ponendo.quodinfinitds fit modm intrinfecw in Dro, ut omnts fire  Scotifiit parioonftnfu affirmdnt) utl inter unum modum intrinfccum  cr dUum, uti inutnitur inttr grddut dWtdinis CT tiut txifttntiam»  Cmintumffnuitft dijlinibo rcdUSfqujcconfurgittxrt cr rt. Rts ^m.gen*.   D in proi     tt   m propoPto dccipitur pro eo omm, quod poteft corrumpi cr defiru^  alio remancnte cr ccontrd, ut dlbedot qu£ potefl deflrui fubie^  mdnente,reaUterifubie£hdif}in^itury idem dtcatur de nigredin»  tyalijsaccidentibuiy cr deomnibus fubflantijs primit. lUa quoc^ res  nominantury quorum unum cft ffnerans,cr aliud genitum^ cr hoc   li : prim 0 "»   tiocdtW.fedinahliritShyUt nifjvrentU ultimd Vttri» eli VetreitM,  if{£ dijlindiones omne genut entis circundgnt, omnesq; prtter  penuUimdm conueniunt (fuo modo) entibut d ratione fabri ^^^^ ecies confiituit, fgntiz fpci  quarum priorrepe^itur intcr fenfudle cr fcnfudle, quemddmodum LuWo afi>  inter Uominem cr Afinum. Secundam confittuit inter fenfuale cr w« ngn»cH expUcdt£ continentur, qufrftt-  tuendum. Optimatdmeneflintcr 'tnteUc(fuale cr inteUeftudle con*  corddntid, ueluti dc intcUe^bt cr uoUintdte poteft cognofci, qu£ cb  eorum lf>iritudlem nAturam nontdntum in cffcntid conueniunt.fedf  tidm in operdtionibu/ty quid quod uoUintas acceptdtvel refutat, idtm  inteUeduscognouit. Hoc femper animdduertendo : quod frnfudledC»  cipitur pro iUd re.qMC fenfu priM cognofcitur, cr inteU edti pojieri*  us : fed per inteUeii Udle id tdntum conpderatur : quod ab inteUedu  ^uocUnq; modo cognofcitur. Adhas concorddnridx uel fccundum Lul -  lum dPignAtdSy uelfecundum Scotifldrum fubtiUtdtes, concordanti^  f. omnes proculdubio reducuntur : uerum fi numerum infinitum hdrum  ?rkadiin'/ identHdtumtibicompdrdreuolueris,poterhhoc utH medio', difcur^  finitasidci rendo uideticet per quvnq; prxdicdbiUdy per decem prtdicdmentd^  dtates« pcr oMecim prfdicdtd uel rddices Lwlli, cr demum per formds : i«  iemobferudrepoterii dd muUipUcdndum quoicunq; prtdicdtam^  tamdbfolutumqttdmrejpe^liuumyrecurrendoetidm dd nouem fub*   ie^ cr reguUs uel quxftiones,   DcContrarictate vcl Oppofitionc^   NOn efl oput muUd expendere in iecldranio quiifit oppofltioi  cum A Difjvrentid uel Di{iin(iione, ic qud fuprd locutifumws,  nonmuUumfltiiucrfd^nonmUdtdmcn diiucemus ut huiui   Contrarie- ^i^ '^^^i  fi^^' ^ontrdrietd* fk iefinitun  Us quid ? Zontrsrietd/i f quorunidm mutua reflflentid. Pro cuius iefimtiontt  expUcdtione fcirc opottet : hic non lo^ui nos ie contrdrietdte iUd,   proprid^     1  »3   pTopriiy qu£intcr qudtuor primM qualitdtts inucnitur : quoniamin de (^ua co-   ommbas cnt^us, nmpc rdtiondlibui dc rcdlibuflocumhdhcrcnon tf*iictate   potc{t,nc(^ de cd inuUigcndum ciitdc qu^Antoniut Andredt loqui* Ij!^   tur:cuifcxproprictdtesconucnirctcit4tur,qudmq;ftridjim oppo^ taph?* Q 6   fitioncm ucl contrdrictdttm uocdt* Scdbic Contrdrictdf confidcrdn^ • *i* •   dd pro qudcunqi oppofitionc, qudtenus unum dlteri opponitur ;   fiuc mcdidtc ucLimmcdidtc : compLcxc uel incomplcxc^ ticc imdgind*   ridcbes tdndcm cffercmcum Dtffcrcntid: quid Diffirtntim confi- "nttio   r r ^ n contrarics   dcrdmi'4yUtpcr cdm enttd inconiu^ rcmdncant ; Oppofitioncm jjjj, ^ ^jj^;   autcmutnonfolum rcs dijlingiidntur» fcd ctidm intcr fc qudnddm fcrcntia»   pugndm hdbcdnt, Secus ctenim rdtiondlUdif confidcrdtur ; pro ut db   irrdtiondlitdtc diiiinffiitur ; CT qudtcnm irrdtionalitdti opponitur,   quid oppofitio rcpugndntiam dicit, cr nc^t, id pojje ficri,quod eS'   dem rcs fccundum idcm cr fimul oppofitd in fc habeat ; diilin^io ttc-   rbineodemacjlmulinucniripoteit.lnfuperoppolitio ucra interea   cjfe dicitur^ qu Ex multorum dccidentim com» Inultrq.Ii:  munimcognitioncuirtutcintcMuidifcurrentiiydeuenitur in cot i. PoHc  ^nitionm alicuim proprij, quodq; m fu£ caufe notitidm ducit, dtf»  fircntue uidelicet effcntialis, eciem reptjefentdtum, cum  tddem potentid conneBit, Medium dUud dicitur menfurt, de quo  R4>: hxcponit exempld, mquiens: Sicut centrum. quod eft m me»  dio loco circuU; cr cdUftcere., quod eii in medio calefdcientis CT cc*   E X citi xt   uesdiciturTink nt^tionk : quo iUd tfu^percorruptionem quomm  docunq; confideratdm fuum ejje ptrdunt, finiutttur. Tertia CT uUit  Wd nomindtury priuattonkt quid priudtiofub ratione finis termtndt»  Zthocmododdc£ciatemuifuitermindtur^ Cr dd furditdtem dudi»  twtt Hkq; tribut /peciebuf Fink» uel und dut dudbui^ tntid omnid tetm  mindntur, ut difcurrenti per arbores omnes dc tdrumpdrtesfdtk  poteflpdtert.     DeMaioritate,     VdmuU dUquod unum ens dlio mdiwt dici pofiit^ rdtiont dlh  quot prxdicdtorum abfolutorum^ uclrrfpeiliuorum,dut forp  'marumy ueldeniq^ultimi fubie^ii, fub quo nouem dccidentif  prxdicdmentd continentury tres tdmen Mdioritatk J)>ecies dfignarc  tres Maio- poffumus, ddquas omnes dUjereduci poffunt. Maioritas quxdam in»'  nutisrpes. uenitur mter fubfiantidmdcfubftantiam.quxdttenditur penes wi-  iorem cr minorem effcntix perfidionem : ty fic Homo t{t Afino  mdior. Pdid interfubftdntidmtjdccidens i quemadmodum ejl intet  Hominem dc eiut qudntitdtem. Et qu^dam dlid inter dccidens cr 4C#  cidens ddtur, ficutitxempUficaripoteft de omniquaUtatt per com»  pdrdtionem dd qudntitdtem, cr de omni dccidente /piritudU refpedm  MaToritat corporei. ^iecdUudeji Mdioritdt, qulm ratiOy qud dUquo di&crum  quid ? modorum unum ejl aUo maiwt^ ucl pluribm. Et hoc in loco fubflanti4  dccipiturnon tdntum pro corporea, fed ttidm ^iritudUdc infinits»   DeJEqualitate»   *ICQttdUtdfin hoc toco dccipitur^ non ut tfl pafiio qujntitdtk  prxdicdmetttdlk, fedqudtenus cum ente conucrtitur trdnfcen»  dtntifiimo: cr in hoc diffirt x Concorddntid : quid A equdUtds efl eiu4  ^qualitaj finis. AequdUtat inuenitur inter fubflantiam cr fubflantiam ; ficuti  auuir""*'* '«^«•'«4iwe^uis rddicibui omnes entium f^ecies cir»  €uit. In diuinis amen nec Mdioritdi nec^ Minoritds bcum bdbet,qui4  iftorum uter^ imperfifhonem mdximdm pgnificdt, Hxc dc rddici^  bus tm dbfoUitis qum rejpe^uis dida fint,   DE NOVEM CATEGORIIS   Tranfcendencibus*   D^^cUrdtis principijs dbfolutk cr reJpeHiuky qu£ m uha  qudq^ drbcMre pro rddicibui funt prmda^ reftdt ut fecundo U>*  co de folijSy qux omnibui drboribuf pro fiuQuum conferudti*  cnty dc totiui arboris oruAmento funt communidy pertrddnnus. Et ^?.^^^J^  Ucet dUqudntulum d trdmitcLuUidecUnauerimus itt modo trddendo, ciinau  quotmcredtis quAm diuinis drboribus htc omnia. filid oonuenire  popint: qu4C dpud Peripdteticos nouem dccidentis prttdicdment» ho«  €Mtur : ignofcdnt t^men nobis LuUimatoreSj quidii obftrudre «0*     Qnire Aii- luimui,ut conceptuum dr^imentOYumlonglor ftticfUi qudcUn^  thora Lul ntdtcridhabcretur. Hjecetcnim trdnfcendentifiimd confiderarc n*.  lo dcclincc ^^jp, . p^^^ realiquolibet Ente CT rdtiondU prxdicdri  co^dcrari^ poj^wf. qutre/pe^h Entis trdnfcendentipimi mfrriordfunt; fed dt  dcbcat iftx principijsquoq; tdmabfolutis qudmrefpediuls, qux cum Ente iHo  CJitcgo rix. conuertuntury CT dequibut fstis fuprd egimm. Quibut prdmi^^, di  unmcuiuAq^ contempUtioncm ueniendum efl.   De Quantitatetranfccnclcntiffima*   Quantita- Vdntitecies ponimus, quarum primd continud nomindturt tjnuactd^i-  dUerd difcrea^ Contimd quidem efl in quintum perfiHio copuUt «• fcreta.  napotentidm proximam, aShimy correUtiuum ;utifl quis homi- Continaa  nis cfJentUlem perfeftionem contempletury de qud efl pr^fens nodrd quid Gc.  conflderdtioyfl fldtim ddaiium reducdtur, potentUm proximdm uo-  eamui, eddem ucro proximd potentU in ddum dedu^bi» dum efl m  uiiddbominis produiiionem, diius uocdtur^ cr ipfum produdutn  dppeUdre debemui terminum potentitt» uel producentis correUti-  uum. Qtit trU 4 LkDo iccipiunturmiUe in locis pro 1 VO, ARE CT Quid fcet  BILE ; quorum primum refpondet potentix proximxj fecundum ds luu, Afc,6c  fiui. cr tertium correUtiuo. Difcretx auttm Quantit^ nafcitur d  difftrentUyquteflinterperfrdionemuniusentiscr dUeritn. Cuius n^^^nStll^  rei ddbimut excmpUimt m his, quibut hiccqudntitss repugnare uide qn]^ (^^.  tury ut LuUifbidiofws tuto pof^U unicuiq; enti appUcare. Diuinuit i»* Exemplu  teUe^uiCTUoUtntdS tiUs funtnaturx, quod fldefiniripofftnt^alUm de difcrct*  fhrmilem inteUe^atrationemhabtrct, cr aUdmuoLuntM : fcd quU Quatitaia  definitione nequcunt d nobU intcUigiy eorum tamen d£tus neceffarij  aUud fatii decUrdnt cr mdnifefldnt ; quorum unu^ tfl Filij generatio,   £ 4 quim*     duarein- quimttUefiulconuenitidUtruerh, Spirimfdniii fpintio, qul  tcllea* Dei yi„^uolunntidttribuitur : quitmtniiiutlicproprid determindn^  no ficprin- py^„cipid cum effentid requirunty ut «nw, nempe, generdre, k  di &uSlG^ uoluntdtc,Grdlter fc:fpirdre, dbinteUeaunonpojiit ejjc. Nec dli'  taigeiicra- dmrdtioncminuenircquispotcrit, niPquiddiuiniintclle{iut cr tto-  di. luntAtisdlid^dlideflrdtiotcrtn hdcdiftindioncdifcretdqudntitM   Quantitas confiftit. \dem dc tribwidiuinu pcrfonis cenlcd^^qux Ucet cd ratto^  diicrcta in ffg^qu^incffentidconucniuntynonftntdifcrct^ : tdmen in qudntum  dTuinas"" pernotiondlefpropricatesdiftinguuntur.difcrctd qudntitdx cisco*  pericur. P'^*^ • P^** continuidiuifionemcdufdturyjicutipr^dicdmcn-   Latittlao tdUsJedunumquodq; ensndturdlittrfequitur. Ethactfttdntxld*  quatiuiis. titudinis, ut cr qudntitdti ipft prxdicdmcntdU conucnire dicdtur:   fed pr£dicdmentdlis,finitis tdntum a^Umitdtis rebmy de qud kri&l   uidcinprxdicdmentis,   De Qualitate»   POftQudntitdtisconfidehitionem fequitur QUdUtdtis conteMi  pldtio.quam ftc dcfcribcrc pldcet^ Qu^Utdfcft uniuscuiusi^ " entislecunddridperfraio,fiu€ proprU, fiuc dpproprUtd. U  quid huiwi defcriptionitpdrtesdecldrdtioneeffnt, id fdcercnon pU  pbit, Dicitur perfcd.io fecunddrid^ ut Qudlitdtis CT QUdntitdtit  difcrimencognofcdtur Sdtisemmexdidisin cdpite dc Qudntitdte  pdtetj ibi efftntidlm perfrdionem confiderdH : hic dutem iUdmyqux  Diam* inco, fcd pnite crcdttt, drborum rd^  dicibws,ut rddiccs funt itruncis uero ut potcntid funt brdnch£, rd»  mi, foUd, fiores v fiuilus^ Sed dd Keldtionem fermonem rftr/^m w.     R     Dc Rclatione^   l£ldtionumcognitiofdtkdifficiUscli\quidoh cdrum debilcm DeRclatTo  cffentiamfunddmenturcquirut,dquohdbentxffciet terminu, f^^nda-  quofuumcomplctum cfjewnfequuntur, quitcrminusinfub "^cco&tcr   f Jldntijs     34   jiintijs cr abfolutk non ejl cotrtUtiuumy fcd abfolufumy In quo cor*  rcUtiui reUtio funddtwr : qu£ dcfdciU non a>gnofcumur, cr ipfnm  ReUcionis yeUtionemqualiobfcurdnt. Scd iaiReUtioadqujtiCunq;reUtioncs  dcfiniuo. communii dejinitur^ ReUtio eftratio, qua unum ad aliud refertur,  ut de paternitdteo' fiUationc oftenditur :hje etenim dux reUtiones  faciunty quodfuppojitum uel perfona um. aliam rej^iciat^ \t abfo*  DiuiHo re- pa i ls iJJiud filij per paternitatemy cr fiUj abfoUitum reiie piratio Patri cr Ftlio in tffeconfii^  tutis (quajiyaducHiens, c:rji>iratiopaj?iua qua Spiritus fanQus i»  effeperfonAUconjiituitur, jujlinendocum D. ihoma Franc* Mayi  Scoto, pcrfonof diuinas reUtiua ZT non abfoUta proprietate in  idaS in*^' ^lJ^P^f''*^ Siih reaU quoq; reUtionc conjidxrantur re>  concincli^ idftoncfiH^, quadogici conjiderant atq; dijiingiiunt m reUtiones   p h -^ca ^^c ^* ^'^^ membrum primx diuijionfs   Adaiiqd. iccipiatur, quddam pariter in Deo repcriuntur, dc quibut fuprx  Quare rela memionemjvcimu4, incapitedc Quantitatc ;qux ideo non dicuntur  tiones rois ReUtionesrationif,quiaab mteU€^fabricantur: fcd quia non o-  inDconnt mnes conditiones eis conueniunt, qux ad realem funt requijitx^ Dc  Kclaiion ^"^* matcria,jicupls arcanA cognofarcy Scotijiaf confulc. Qjjxdam  creac«, ^'^^ f**^ creats, qu£ ab inteUc&isa^bi dcpendcnc, ut identitas   imdem adfcipfum ; cr dijlin^o eiusdem afeipjo, prout idcm in pro*  pofitionc Apartc fubieSU vprxiicdti concipitur at^ prxiicatunt  Relationii a fubicSh cfl dijiinChimtBtharumreUtionum cognitio cfl ualde «r#  ncfclT^*^ c^fi/rfrWj quia meriiante KeUtione cr habitudine (quam r^ices cu»  itttcunq; arbork habentadtruncum^crtrunciadbranchai, crbran-  ch£ ad ramos ; cr/?c dc ommbus arborum partibw) carundem cjjen»  lU cognofcitur, Df A&oiu^     l     i1   De Adionc^   VT didiuin^A crhumdndx optrationtt, immdnentes ucl trdns-  euntes confcendcre pof^k: banc breuem ipfiws aBionis notato  defcriptionem, aHio efi refpeCks operantis di operitum: \Ci\oU de-  nondicimui dffmis 4d pdffum.ite Utijiimui aShonis ^nsin riuulum fcriptio o-  tuaiat. Affns emm cum pafjum rcjj>iciatt cf tn DtonuUumjit paf pJim**  fum, cum imperfvdiotum arguat^ ncc a^ntis ai paffum rejpe^ks  'tffe potefi : cr tamen funt ibi operationes ac produSbones : operati'  'ones quiiemy prout Deus effentiam inteUi^t, cr taniem fumme d*  Ptdt : proiu&iones uero in quantum iiem Dews, ut fuppofitum notat,  tdlesoperationesproiucit: quxficproiu^l£,aLtera uocatur filiuSy  cr dlterd fi>iritw! fandus. Proiucit quoq; Deu6 ab eeterno credturax ^^^^ ^  in effe cognito et uoUto, nec tdmen ptffum poffum dici, cum idem fint tg ^ n o p ro*  redliterquodDeus, Etut latiorem differendi campum habeas, non ducitcrca-  tdntum relpcBiueipfam aRionem confidcrare pottris : fed etim ab- turas.  folute,ficuti crnosconfiierauimus, ium ie proiu^lionibus cr ope*  rationibui uerba faceremus^ diflingiicndo de adione immanente cr  iranfeunte tXm in diuinis quam creatis : iUo tamen fublato in buiwt»  tnodidHionibut. ut Deo dttribuuntur, quod imperfvdionm notat :  dependentti uideUcet, d^ntis ad aihm cr e contra ; CT fi quid dUui  ejl quod imperfr^ionem notet* Necdiuerfd ddionum ^ncra notabi'  mus,utlo^cicrphyficipdndunt : fed tdntum iUui dnimaiuetten'  4um putduimus : nuUum iari etts,cui ddio dUqud non conutnidt. Nullu da{  l\dteri£ emm prims ddio conuenit, cr aU/s boc ente iebiUortbus.fi ^(k\o  nonrealis, faUem intentionAlis, prout obiciii rationcm hdbet. Et "^?  quintum profit huiui tranfcenientis cognitio breuibus expUcari  poffe haui puto,cum d latif^imk iUis raiicibui, de quibus fupra cm  Hionismcdio,pcromnespartescuiuscttnq;arboris dijfufje, inde ai^  mirabiUsjruihtSj tam creati, quam incrcati, puUuUnt,   DePafsionc»     N:     ' On erit Uhoriofum, per ed» ^U£ ie A^iont fiint expUcdtd, CT  ruturam pa^ionis mamfrfljire ; cum mutuo a^io cr pajiio fe  refpiciant^ de qua non multa dtihri, fic eam defcribimUs,  Pafiionis Va^io elirejpcihis opcrantls adoperatum ; cr pafiio htc» fifiu efi,  defcripuo. ut pdjiio nomincturydiuinis nonrepugnAt : quia produ^x perfon^  Pafsio p'*f prodMcentemuelproducentesrefpiciuntjUt fatis notum cfl : fine td^  uinisno fnendependentiaaliqui. ApudLuRumadio pcr Aif^E notatur, CT  ^ " A^^fo &C ^ Bl LE, per bontficare» botutatis adio habetur^ CT pet bot.  Dafiio a- nificabile magnitudinis^ duritionisueLaUcuiu^aUeriu^radicis habc  pud Lullu. magnitudinis cr durationls pa^io* Uec minoris ejl utilitatis paf»  fionis cognitiot quamadionis, cum per iUam^ res uario modo deter*  ninAtas, uel quafi quaUficataSy cognofcere pof^imus : cr inde muUos  conceptut fabricare* QU£ de adione didn funt CT de pafiione pro»  portione quadam poffunt dicitjic crgp tot erunt jpecics ucl pafiiooii  f^nerd, quot ddionis^   De Habim*   V^lutireUqud prjedicamentd dd omnidcommunij^imd conjide^  rauimuiiitdcr habitum conjiderare oportet, Habituser^  non efl habitus ad habituatum rejpe^lus, ut in Cdte^rijs tn»  Habit^qd ? quiunt Logici ;fed uniuicuiusq; rei proprietas.qua habituatum ordi-  ^uk^tAi'^^ n dnffLo CT homini conueniunt : quonidm uoUtntdx in dffn»  dointeUe^mprtffuppomtyquidmLuoHtumnilicdgnUumy cr mc  morid 'mteUe6hmcr uoluntdtem ; mteUe^my ut potentidm pro*  dudiudm» fed uoLuntdtem ut pdrentem cum prolc copuLdre po^it.  1/1 crtdtis quoq; corporets,mdterid form^prafupponitury quum nd* Sit» in crc^  turd fdtem priui eft perjrBibUe ipfo perficiente, tT in C£teris cor^ atisr  pore exptrtibut : compofltis tdmen ex dChi cr potentia, ueL ex grnc*  re V differentid^ueLex pofitiuo et priudtiuo,fituf cr ordoreperitur:  W confufto, qudm Hdturd pdti nequity ddmittdtur, Hmc Kijmundo A ni mad-  deuotioptimednimdduertdntyttecumconfullonequdddmy prmcipid, uctfio»  uel radices rtbui applicent j quonidm,ficuti ab t tr ddmirdbiii ordinc  funt defcriptdy ut uLtimum primum pr^efuppondty qudmais unum  cum dLio dUquo modo conuertdtur :itd V ipfl cuftodidnty w quodU*  Ut prmcipium fluc dd ^robdndum fiue dd improbdndum, in-   ^ F j dijfhtiuer     5«   dtfjrrcnttTdffumdnt.QUdlkdtttcmllt intcr principid iUd ordo, tx  hi/f qu£ ic rddicibws dida funt, fdtis confiAty dtq; in commcntarijs  nofhU m nrtcm brcucm Idtiut dccUrdbimu*. Nec multoi ordinis mO'  doicxplicdrcmodooportcty quii in cnumcrdndis formis, omnibm  tntibus communifiimis, intcr quds ordo numcrdturt idfictt.     H DcTempore»   » 'i   On potefl fdhc djiignAri tcmput rcdlc quibitscunq; entibtH  conucmcns, cum eorum tdntum fxtmcnfurd, quacontinue in^, P ftdbilitdti funt fubic^y dc corruptioni obnoxid : intcr qu^   o rcpucnat  dnnumcrdri uerc potcfl, mli didboUca mrnj, ip/?j?i*  mo Didbolo nequiory id non minus impie,qudm irrdtiondbiUtcr dc  ftuUecogitdret, cm CT crcdtur^ qtt^ddm in entium ordtne repcri»  antur, qu£ tempordncx mutdtioni mimmc fubiaccnt. AnffU uiitU»  cct ac rationalcs animx i corporibus proprijs exutsc, Quomodo n*-  ^ affcqui potcrimui intcntum nofirum^ quiuoluunus ommbus enti*  bus hdf nojirM latifiimds catc^rias conuenire i DicimuSy ipfa expe^  Tcp*omni rientidnobisinjinudnte,fecundummodumnoflrum cognofcendi, dd»  b' couenit ritempwsquoddamommbusentibu* indifjrrens. Et ne impofiibiUd  fecundum uii(amu/t affcrere, de Dco differendo tcmpuA noflrum conuenirc fic  m od u n o oHendimus, Certum efi diijvrentes operationes ad intrd rffcv dtcr»  flru m coO- ^j^^j ^^^^^ ji cathoUcus expUcare contendit. fub ratione prxte»  derandu ^.^^y^^ p^^^ffj f^^m tempofis, expUcabit ; inquiendo, Dc*  ut Dcum^nuitcrffnerdbit. Deus Antichrillum ab dterno cogno'  vit4 Et undc hoc i propter inteUeihs noflri imbeciUitatemy qui ma«  dofuoresdiuittdscognofcityCrnonftcutifunt, Tempus igiturquoi  fccundum modum nofirum concipichdi res (quafi) menfurat : in nu*  merum trdnjcendcntiumponimus^   DeLoco»     Kottejl     39   NOri efl ddinoium difficile oftendcrCf non tdntum credturdi  corporcM in loco fjfe, uerum etidm Jj>iritudlcs fubfldntids  tdmfinitdff qudm infinitd/sJicetdiuerfomodozTUdldetequi-  uoce. \mpofiibUe dutem fire putOydUqudm loci defcriptionem dfiig Qu-^g fQ.»  ndre,propterudriosmodos(\Jendi\li: dt quibwin j\.,Vhyf: Arifl. dcfcribino  trdBitfV propter oppofitu modum ejfendi in locojDeo cr crcdturt pofiiu  conueniens ; quum credturd fit in loco^ ut contineturJi loco. Deut du*  tem ut locum continenSfCy conferudns. Sed fdt erit cognofcerecor^ Corpora^  pordeffcinbcoperfeyUeldimenfurdlitery circumfcriptiue, occupd ^*"^  tiucy cr repletiue ; qujc omnid idem fignificdnty pdrtesq; eorum inte- °  grdntesy cr dccidentid^ per dccidens : pdrtes autem effentidles  dumfunt^a^potentidtdntum funt pjtrteSy dicuntur e(fe per fe in lo»  co. EthocdiciturobdnimdminteUeftudmpdrtem hominis cffentid'  lem,qu£cumccorporemigrdty'dtq;tdntumpotenti4Us pdrs effich  tur^ tunc inloco efi, cr eo modo quo Angeli, quifunt in locOydefini* Angeli sut  tiue.Eteffeinlocotdlipd^hefteffcinloco^O' nonoccupdre /oc«w, inloco dc^   in uno nuncy quod nonindliotnifidliterdiuinduirtut dijj>enfa- Anitiue.  ret : nec locus femper compdrdtione dd Angelum pro fuperficie fu-  mitury cum cr in pun^ pofiit definitiuc exifiere. Deus uero immens o.  liueinomnilocoefi.dtqiomncmlocumv locdtd confcrudt. Sdcrd^ ^° * *  tifiimum dutcm Chrifti fdludtoris noftri corpus cft inhoftidfdcrd' chriflicor  inentdUttr, crfichdbesdiuerfosmoioscffcndiin loco, conuenientes p^quomo-  exiftintibus uelfubfiftenttbus. hd uerd qu£ tdntum rffe effentit uel do (it in lo5  cognitum hdbenty proprtc non funt in loco : poffunt tdmen dui in ios  co,prout ihdnimdconferudnturyfi funtJffecicsinteUi^biles, dCks '^?  inteUigendi uclhdbitus : p uero uniuerfdUd inteUe{ks operdtionem  a^determindntidydicdXCdiffeininteUe^hobieBiuCy dt inconcduo tf,^ quomo  orbisLun£obcoruminflMitdtcmtdnqumin loco, ubi cr flulto* do fint in  rum cogitdtiones qi^iefitint. Hxc funt qu£ de Cdte^rijs trdnfcent loco,  dentifiimis proponereuoluimuSyUt dptior ftudiofus fteret in dppli-  cdtione cuiuscunq^ dd quoicunc^ : qu£ fi optime contemplabitur,  non exigiidm utiUtdtcm confequetur,   F 4 Drcii'     4»   D tor forma»  husentibusconuenirepoffunt : nec inconfuUo id obferuduimwSy ne^ td, qutfud nAturd fum trdnfcendentijiimd,fierentminws ^nerdUd ; *^P^*  unicate» tdte^udet: qut nomin&ripotefi identitdtis unitdi, quid per ipfdm  dttribua omnid, ncc non cr proprictita omnes in dmnAm trdnfeA  unt efjentidnu   Dc Pluralitatr»,   EXft/f qus diSti funt de unitnte facile erit diiudicdre de ippt  plurdUtdte: unumtxntum idobferudre prxcipimu/s, quodplup  YdUtds trdnfcendcns i» rddicibw cr pdrtibus drborum efi femi*-  mti, m qudntum efi fuiipfiui plend^.f cum proximd potentid dd d*  ^him fibicomenientem, cumd^ cr fuo correlatiuo : qut nomindn^  turplurificdtiuum,plurificdre cr plurificdbile, Quot enumerdui*  Qug pliira- mmunitdtismodos.tot funtplutdUtdtis. inDeouero efi pUtraUtds  Jitas in Dc- pnfondrum, dc etiam dttributorum^ qutexnatura rti funt dtfiinih. ut optim (UiHcmt Scotifit,     3. D( Sim     5, DcSimplicitace. j   PKout quMet drbor inuifibilm fubjldntidm Ji radicibuf flmt  plicibui\recipit,flmplcxnomiudtury crfecundum fc toam *^£)gqua fitn  qudmlibet fuipdrtem : necioquiintendimwsdeedpmplicitdtet pijcicatc  qux opponitur plurdliati, quid titem plurdliatem hic immedidte ^[QiQf^^jj^f^  fuprd concefiimut :fed de iUd qu£ non pdtitur compofltioncm exdli*  quo potentidU cr x^dli : dlittrfvrmd hxc drbori diuittdli non con-  uenirety qut nuUdm prorfut hdbet compofltionem. Exquo fequitur^  qu6dcompofltio,qujt pLurium tintum pofltionem nont^ potefl mter  formds hdAce locum hdberc. \n dlijsuero drboributy qu£ pro crcdtk  rebus funt condituttj compofltio ex ddu cr potentid etid reperitur*   4^ Dc Forma*   FCtmno ut perficiens.fedut kt efjerc tdntumconflituityin qud' pQr,„jo,„.  cunq^drborepotejlinueniri, quid nec diuinx effentis ^«"pM^* nib**arbori  ndt, qu£ cum diftindis proprietitibus reUtiuis, perfonds dif bus conuc-  ^finfhs conflitvit. Mdteridm dutem omnino remouemuxj quid m dr niens fir.  bore diuindli inumri non potefl,licet Henrico non uidedturinconuet M^feria k  nien s,Effentidm diuindm cffe qujfl materidm in diuinis produBioni* ^^'  hws, ut fubtilifiimus Scotus recitdt in fecundd q diit : ^.primifen Suh:\[[ril'  Untidrum, m' Scoruf.   ' DeAbftracflo*   Iii qudlibet drbore funt dbftrd^, f rjdices : Verum cum ipfje ^^^jj^gj  fubftdntidm fudm tribudnt quibuflibet drboris pdrtibas., dtq; fujuabftra-  njturdm iUdrum indudnt: nec dmpUm bonitds uH mdgnitudo flm {i^^ qj^i,„^>  pUciterdicuntur, fedcumddditione. Vtfuntin trunco, nomindntur  ionitdfuelmdgnitudotrunci,cridem dicdtur ut funt in brdnchis,  rdmifj/olijSyfloribuscrfi-uihbuii   . G 2 ^.DeCott.     44   6^ DcConcrcto,     Q:     VU ut di^.um cft fuprd, dum de plurdUtdte dgtbdmut* wuf  qu£q; Tddix in qudmcunq; drboris pdrtm defcendity ut ejl m  proxtmd potentid dd diium^ cum ddu v ]uo correUtiuo,  quorum primum cr ultimuminconcreto fumuntur .f. pro IVO CT  . BILE, ideo tdUd concretd per omtusdrborei funt diJPerfd dc femis  c6creta^^n "^"''» dumddexercitumddum uenimutMcendo :  omnib*ar Tntncus e{l bonus,mdgnus CTc; Brdnchtt funt boiue, mdgnx CTc:  borib^ pa^ frudus funt bonijmdgni (jc: fic demedijsdrboris pdrtibus difcut'   exerci rendof  tum.   7* DcGcncratione»   Qwariterge Enerdtiofeiun^dmutdtione lic conftderdtury qu£ Tddici*  neratio co ^J"f>Mf omnibus dttribuitur, ut undconuentdnt dd uniuSt uei pUt*  Bderctur. ^-^^^ produikonem: eo modo, quo produccre poffunti c hoc   Suppofitii pUcuit dicere, quid tdntum fuppofitk produiho proprie conuenit :  tm produ?,, ., / ri i • r   (Xio coueit* ^""'^ dutcm ueL qu£ dd moium formdrum [e hdbenty m tdttone folu   principij formdUs iobbdnc foUm cdufdm Thcologi non dffirmdre   notadedi' dudent^dttiindmeffcntidm generare ucl Jpirdrej ncq^ gencrari uel   uinaefsen- J^trdri^crqu^efintrdtiones.uidedpudSootuin i,q, ^,di^:primi.  tta*   Dc Plcnitudinc*   \Lenitudo,utmquitLuUus,el!generdU principium m drbort  qudcunq; femindtumy cr dcriudtur drddictbuSt non tdntumut  rddixundcitfctpfdplend,fcdetidm ut fimiUtudo dUdrum rd»   Forma   h dicum pdrtictpdt icrdebis pUnitudinibus totd drbor c/i plend. Sec  kphi ralira^ formd htc efi eddem cum plurdUtdte, quid effentiales pdrtes pUrdU»  le dift ing u i f ^ tjntum re/picit ucl integrdntes : hxc uerd cr iUdf, cr dlurum  mmumfimiluudinemt uddUqudrum^  p;     1 9^ DeTotalitatc*   TOtsiliUi hic conlidtrdtur, in qudtttum drboret totdm fudm  ndturdm i ffnerdU omnium radicum infiuxu confequuntur,  qudm quidem totsiUtxtem trunci brdnchtSt brdnchx rdmk, CT  rdmi/oLifS, floribw cr fruBibut communicdnt. huius rei txempUim  m quaUbet drbore defdcUi potefl muemri : de drbore txmen diuinds  UexempUficabimufyCuiminus totiUtdx conuenire uidttur. Kddices Excplu de  mbdcarbore funtbonitM» mdgnitudo arc: contrdrietxte excepa, totalicatep  C aU£quximptrJr8ionemarguHnt,qu£ m totnmtruncittAturdm arbore di-  Deifcifubfldntiam mfluuntyproutfuntfub mfiniti rationt dc ptr- "^^*^*»  frHione.confidtrdts: non quod rddicts fint ipfo trunco priortSy dc d^  UquU mrdtioneprincipij m Deiefftntiaminfludnty cum rddicts i- Radices in  ft^tquxmDtojunt perfiSionts, d diuimx puUultnt tffcntid : ftd Oiuina ar-  quid mttUtiiwsnofltrcognofcitDeum cr creaturdm cotmenire m borcqmo-  tranfcendentiyratione bonititis ^mdgnitudinis^ durxtionfs, potefld- y°'^jJJ"*^*  tiSy CT dUjs tranfiendentibusj qut conuenientid uel confhrmitdi non  poteflefje ddaUquod mfrriws, quid dd mfrriordefidiffrrentiaier^  maUquofuperioriytyfuptriu^ femper infiuentiam babet dUquam,,  ddmfvriora : fi cfl fuptriuf m tfjindoy babet mfiuentidm realem : fi gj^^jQgjjJJ  ht pnedicdndo^rationxlemfc: ptrmodum prjtdicandi. Truncufutro pjj(jicado.  branchis fuam totxUtxtem coinmunicdt, cr brdncbx rdmis, per iden-  titdtem fdUem. Ex diSis pdtet non ejje confiderationem de totxUta,-  tt, ut efl rdtio, qud aUquid proprie totum dicatur, fei improprii^   to» DePartialitate*.   VAiicit^ Obicdum uero extra di'   citur,quoddBiudpotentidnonrelpicittdnqudm correUtiuum pro»   prium, fedextrdneumy utmdgnitudo, duratio CTc: qu£ d potentid  Obie^lu ex dHiud bonitdtk tdntum extrinflce afpiciuntur. Verum tdmen efi quoi  tra (itiira. obie^um extru^fitobie^umddintrd, quando uirtute potentijt a&i*   U£ iUud inproprUm fui naturdm conuertit dgens, ut in motu gene*   Tdtionis cr dugmcnti mdnifcite dppdret,   ip Df A^».     49   ACtusdupUcirdtioneconlidcr4tur:primomodo pro operati' ^Q^^, ^  one, qux i potentia aShud procedit, qui m omnibus arbori ^^^^^  bui locum habet : fed dlio modo pro aih.quo res prius in po*  tentii exiftenSj fit m 4c7a, qui entibws iUis conuenit tantum, qux  muationidlicuifubidcent.Perd^impriorem radicum mfluxuf, d*  lidrumqidrborum pdrtium cogiofcuntur : dt per fecundum formdm  Yei uel ejjentidm in credtis inteUi^mus» "   io^ DePriontate»   QVidinteromnesformdfVrioritdscrPollerioritds funt prt-^ poncriorfJ  cipux,cumdb ipfis totusrerum ordo pendeat, mdiori egtiu ras.funtp^  mquiptioneMeoplurcsmodos prioriatk dfiigttAbimus, ut cipux.  probccognofcdmfludiofi^quomodo indpplicatione huius formx fe Nora ufq;  debednt ^bernAre; ne impofiibilid Deo dUqudndo dttribudnt, cr ^J^^^'  qu£diuinfsconuemunt,repugttAreopinentur, Quinq;modosprioi di^^?'  rititis Scotiflx in fuis firmdUatibus afiigttAnt,quorum prior eft pri Prfmus"*'  oritdf perfr^onis^ zrfic in quoUbet gpncre entium ddtur unum pri-  mum, quod rdtionem mcnfurx habet, inteUis^ndo de menfurd perfvt.  ihonif, Vt in genere fubfldntix pro menfurd extrinfeca Deus afig^ Dc' eft m ci  mtur:fedpro intrinfecd oonuenientcr dj^ignxre poffcmus Luci(et exaiii  rumyquo ddfudndturdUd.quid in perfiSboneyquamcunqi creatu* 'p  liquidcommumcatur^utaliquidpariterretribuaty quodcunq-, fit iU  lud, Et ab his nAturalibui conditionibui exeuntartificiales, quibm t»  mentes C ueadentes, ac cxtcri quotidie utuntur,   2$* Delntentione*   Ibltentio rdtio c/?, per qudm res operantur ob finem aliquem, ]gt Intetio ^d?  nk dando acri fuam caliditatem^ hdc mtentione ducitur, ut bonu/t  cognofcatur, quia fe ipfum diffundit, Volendo aittcm deftruere  aquam, quic imer aerem terrammediatyhocideo factt, ut maio'  rem cum terrx habeat concordantiam ad recipiendum ipfim ficcita- -  f rw, quod non fatk commode fieri potej}, proptcr aqux fripditd*  tem^ impedientem. QU£ intentio dupUx efl : primd fc: C7 fecunda. ^"^^^*  Vrimd eft finis ultimui rei: Secunda uero, efl finisfub fine, 'Et exrur-^ ^^*  turaUbus intentionibMy artipcialesoriuntur,   29. De Ordinatione*   P^ErordinAtionemresfuntinconfuf^cr diflindie, qux ordita Perordlna  tionontdntumrequiritur interdrborumpartes,fed etiam m- tioncm  ter rddices, tTnon folum in effendo, fed m operdndo quoq; . Ex ?  ndturdlibut ordindtionibus homines dcceperunt drtificidles,qu£ mo"  tes, operdtioncs cr tdlid ordinant, Plures funtmodi ordmis, qui fub  ttomine prioritdtis fuprd funt expUcdtit.   3 o. De Operatione»   EN/w cum nonfint ociofa, ttdturales fuds hdbent operdtionef,  quibm Udrios producunt ejfiCks. Ncc dluui enti dene^tur o-  ptrdtio dUqudfUel reaKs uel mtentiondlis^l     Intetiodu-     p     5J» Dclnnucntia»   lcrinftuentidm res jlmilituiinemfum rebufdlijscommttmcdttt^  Vnde rddices in Truncum infiuunty cr Truncu* in Brdncbdt: flc  inducendouiq;ddindmiduainclullue,(lU£in dlid infiuunt, ut   direfie feipfd.uel indireae confcruetu^   ^x. DcRcfluentiaf   HAccformdAConditionedifJvrt, Per conditionem,ut diximut^  dliquid fuo communicdntiy iUe cui fit communiedtio,  ""l *yrJ"^ reddit \flue iUudfuidemcum co, quod communicdns trddi».  acoditioc. ^f pf^cnonl fedRefiutntUrell^icitin correUtiiio fuum reUtiuum,  Qdrcrpict ftcundum edm fbrmdm. qudm correldtiuum d reUtiuo dccepit, C«u«  au m exemplum trddere non efl oput, cum hdnc KefiuetUidm quotidic   in his perJpicidmM, qui ntdlum pro mdlo redduntJ;oniiq; pro bono^   33. DcProdudiione^   Vid perOpcrdtionem nonrequiritur, ut dliquod tertium re»  fultet,utpdtetdeimmdnente,fedin produ^onc requiritur,  'ideointer fe du£ iflx /ormx funt difiin^tx, tdnqudm mdgis cr  Diffcrentis minuicommunes.Diffvrtquo(i;h£cf6rmdAffnerdtione, de qud di*  inrcr Pro ximut, quU efl opuf ndturs, ?roiu£ho dutem eflUtior. Dicimus es  duaioncm sptnV«T« f^n^um produci, non tdmen ^nerdri. Diffvrentidm  ct gcneutis j^n^ ddmodum notdre oportet, ne wu confunddntur^   ^"^"^* cr edrum ndturd ignoretur, Vonit Kdyl LuUui duju formds, fc, Ori'  De oricinc ^nemcrExHum,qu£cumpojiiHtdefdciUconfufioncmcjufdre wd-  et cxitu. ximdm in litc9u cuimcuuq;,ob conuementidm qudm hdbent cum  his uiielicet Generdtione, Augmctitdtione, Conditione^ Operdtione,  Itifiuentidy t^efluetitU, VroduiHonecrdlijs, ideo ei^ omittimus* Sei  fi fubtdis uolucrit hds quoq; cognofcere, h£c pducd, fi'  Orico qd? bi fufficiint. Ori^ ponitur pro operdtione iUd, qud fuhU^m  E itusad? quodltbet proprUmpdfiionemproducit. ExitM uerb d{hii dccom»  ' moidttir ; qui ib d^ud potentU efl, non compdrdnio ipfum dd term.   mituim^ q;     5r   mmmy^luUtunctlfctutlffturdtio, uclproiuiHo, utl tUi^ud aUs  opcrAtiot   34, DeSeparabilitace*   Llcct uidcmr, quod ifld formd flt adcm cum cxterioritdte^udU j^. ^^y^^ jj j  detdmcndifjvrunty quiacxtcrioritdf cfiinteriUd, qu£ aliquo ^^^^  modo intcr fefunt dijlinddy fepirabilitdf ucro tdntum in hH  repcritur, qux fecundum exiftentiam funt dif\in6h^ ut, Pdter, FUi*  ut, tirborcrfru^s.quinoneflindrbore. Et quid flc hdnc fort Hxcforma  mdm confidcrdndo nonomnibM entibu4 potcfl conucnire, quid tdli ^  difiinBioneentu omnid nonfunt diftiniai,ideo pofjumwdicere, ed tib»conue-  cffcf(pardtd,quorum unum cognitum eflr, aliud non. In homine nircpofsiu  quidcmcflbonitdia' mdgnitudo, quem fl conflderauero ut bonut  tdntum, tunc in eo bonitj^ cr magmtudo crunt fcpdrdts»,   3^» De Infeparabilitate*   ^p\Er cd, qu£ de fuperiori immedidtd formddiSh funt^ huim  fatif erit notd efjcntid, oppofltum meditdndo^ Et ueluti  eam duplicimodo confldcrauimut, realiter fc: CT rdtiondUtcrx  itd^yhancijsdcmmodii contemplar! dcbcmut, \flx dux firmx in  homine funt idcm rcaUtcr fc: Bo/»>quxinmUoent€inuemturjCum ndturam deftrtut^ prd*  ter qu4m in chim^rdi q^m ima^ndtio noftrd ex impofibiltbut  ftbricat. Hxc omnia funt impojitbiUdy uidcUcet : Bonitdt non eft md»  gnd : Bonitds non eft in Deo : Bonitds non eft in credturd, Et per o»  mnes drbores eft ne^tiuc dijperfd*   38» DcSimilitudinc.   SEcundum Teripdteticorum fententidm, propric ftmiUtudo in  qudUtdte funddtur, non eft tdmen inconueniens, ut  Urge pmiUtudinem dccipicndo cr in qudntitdte dc fubftdntid  fit ; quid cr identitdx uel diuerfttOitt qux in fubftdntid proprie  lib:io.Me funddtur,interentidq. *cunq;inueniturJefteArift,quiinquit^  taph : tcx. mneensomnienticpmpdrdtum, eftidemuel diuerfum. Q|f4fc»Mecietin ffnere conueni»  tntid funt dc flmiUd» V qu^e numero difjvruntyin fj^ecie dj^imiUntur»   39. DcDirsimilitudinc.   REsomnes, qu£ diflinSbishdbent ndturdx^ inter fe dif?imiles  nuncupdntur. Ethsc difimiUtudo dttenditur penes quam-  cunq^ diffrrentidm, quemddmodum a" fimiUtudo pcnes omnc  conuenientUm uel identitd tem»   40» DcNatura.   NAturd in omni drbore eft neceffxrU, propter Udridt ^nerdti*  ones uel produStiones in iUit repertdx, qu£ fieri minime pof»  funt dbsq^ ndtur^beneficio, quid principium eftdUcuius fir*  }n£dbfoUtt£»   4 Dc Pundualitatc»     NOriw»««f metipljorUehocin loco dcerpntuf pun^dUtjt,  quimlonfttudo. Utitudo CT profunditds, dc quibus fuprd  didumejl. Vimc efitquodpunChdlitM efl d^s, fub rdtionf  'mdiuifibiUoittt confldcritut, quimedidtmterrelatiuum dliquod CT  correUtiuum fuum, ucluti bonilicdrey quod mediurc uidcmut inter  bonificdntem cr bonificdbile^   • 4z. Delnftrumcntalitatc*   QVdmuk h£c formd \n unA qudq; drborelocum hdhedt pecuU'  drem, utuidcbimut : ftincrt nccfibirepugn&t, ut etim dlijt  drborum pjrtibui fe communicet, quid nihil dliud efl^ q^m  potenttj (ubdShiopcrdndiacccpti;qu£ddinftar 'Ml}ramenti drti»  fcidlitpropinquioreftfuofflT^hti^quim^etredd effvShtm ordinX'  tx . Cuiui reifl exemplum dcfldcrdty fume pottntum uifludm fubdCh  fuo, qu£ mflrumcntum dppelUtur uiflonis,   4j» DcNccefsitate»   NOn efftt htc formd omnibui rebuicit operationemM Diffirt ^oq^ d potentiaa^ua, quia h£c af>  iUa fupponitur, nec efl idem cum Virtute de qua fupra loquutum efl,  ^uia ibi uirtws m effe quieto confideratur, hic autem fub adu. Q» Utijiimdm iUdi  rum ttAturdm und alijs omnibui eommunis r/?, quemadmodum de ri*  dicibui fuprd diximMi quodLuUidrtipciu generdUhoc txpojluUtk     p:     Dc Qua!ftionc VTRVM.   I Er hdnc (jutftionem de rei cffe quxritur, fccundum omnes f f w  pork difftrentids ; cr regidjLtur pcr pof^ibilitatem. Eiut fpeciei  tresfuntjejle LuUo^ in prlncipio quartr pdrtis principalit  HzC qu«s Artis fu£ generaliSy uidelicet DubitdtiOy JKffirmatio CT Nfgafw;  flio tres ha qudrumpriorrcjpe^ueorum ef},qu£ ddutrumltbct dicuntur,ucl qu£  becfpecies* contingeatU funt. Secunda ucro de his quxrit, qujt neceffarid cognom  fcuntur. Tertii dutem efl de impoj^tbdibus: dd quas rejpondendunt  efl per dffirmdtionem uel ne^tionem^ dut per po^ibilitdtem, contin^  gentidmy impofiibilitdtem uel neccfitdtem.flcuti mdgis expediens €#  Noca« rit: id tdmen obferudndo, ne per rejponfionem principid deffruantur^  ideligendo quodrdtionon difbit^ Si enim fidt quxfiioy Nmm knti»  chriflus flt credndM i fldtim per priticipid uel rddices tdm db^olutdi,  quim refpeEhuis difcurrere neceffdrium efi, c id concedere quod  tnagis Bonitdti, Mdgnitudini, Diffvrentije, Concordantix CT dlijt  rddicibusconfonat. Toterisquoq^arbores uel fubic^ contempUrif  quibusflnonrepugnabityfubfeidcontineredequo motd eflqutfiiot  tunc eligendum crit, Quid f rg) non inconuenit honitdti dc dlijs rddi*  €ibu4 ddbominem conflituendumy ut unidntur fimul, ideo Anticbri»  flw homo, crednduA efi. Diuinx quoq; ^onitdti, hldgnitudini cr Po*  tefidtinondduerfdtur Antichriftum credre, ut fatis pdteie potefK  Ncqf; ArborihumdndUrepugndt hunc fufium producere, cum ndtu»  tdfu4bonusPt,UcetprdU4UoUtntdte fceUJlipimus : ob\id dUqudnda   trit.Si     trit. Siuero decie:necminu*perregiiUsueLqu£ftiones dtfcur^  fendOjdUqudpolJunt mueniri,pcrqu£ Chimtrje dtfinitio oftcndd-  tur.Perbdncrepildmdefinitio mdi^rinonpotellt cum de rci efjfe Quarc pet  ^U£r4t^ quod m definitione (juacunq; fupponitur. y^^^U 'd^e'   DcQuxRioncQyiD. ^(1^'"'   QV^^io hfCf qu£ per Quidditntem, ^ffentidmt Ndturim dc  B^edlitdtem reguldtur^ qudtuor hdbet j^ecies prmcipdles, fub  quibuA plures dlue cotitineri poffunt» Primd Jpecies eft de defi' Prima fpe^  nitione cr dcfintto, quomodocunq; fumdturdefinUio,fiue fit quiddit> cics»  titiudcrpcr mtrmfecdffiuequietdtiud cr per extrmfecd muentd,  dummodo cum fuo definito aonuertxtur : CT huiusmodi definitiones  poterk multiplicdre, recurrendo dd Topicdm Arifto: Secundum hdnc  primdm fpeciem fumuntur definitiooes rddicum, dum dicimus, Boni»  tM eft rdtio qud Mdgnitudo^ Durdtio dc cxtene rddices bonx funt,  uel Bcnitds eft, cui competit bonificdrexfuo modo de quibufcunc^ ent  tibu/sdicendumeft. Kecdtfinitionesiftt ineptx funt, ut inepti qui»  ddm opituntur^ quid multx funt,qu£ ffnere cr diffcrentid cdrent, ex  quibui dcftnitia confidtun ueluti funt trdnfcendentid omnid dc gcnet  rdUfimd generd^ qux fi definire uoUteris^ bdc meUorem nunqudm in-  uenieSyqudmLuUus docet. Secunddfpecieseft, qudndo de re Secudatfpt  quxritur, quid hdbedt in fe nAturdUter dc effentidUter : cr rcfpon- Cici»  dendum eft per edyfine quibut res effe non potefty ut puti per IVVM,  ARE, cr BILE. crfic Bonitdx CT dUtrddiceshdbent plurd coeffen»  tidUd uelconnAturdUd. Etmodus ifte definiendi eft Udlde tutMf cum  per mtimd reidf^ignetur^ udletq; dd confbruend^is dcmonftrdtiones ic  tdtiones neceffdrinf, InteUiff timen per I VVM, ARE, cr BILE non   l l qudtenm     quitenwiiiUidwtt, quU hoc efl per Accidenf t  ]cd uthrc trii indifjvrenter fe habent dd omnid, cr hoc ijfentiale cfi».  Vluribwtdlijs modisaUquid mfeaUud hdbere dicitur, quos rcciart  nonexpedit, acfi^Uitim lUorum unumquemcj; defcrtbere j hoc cxnt  tum tibi fatHflt cogMfeerty entid m feaUquid babere,altquo tfiorum  modorumueLpluributtUideUceteminenttr. uirtualitcr m ejje reaU,   Plures mo uirtuaUter m efje cognito, potentiaUter, aduaUter, identice» uniti'   di habcdi. immenjiue, per domimum, per mjiuxum, per mixtionem,per mot  dum U>ci tim communif quam proprijy uel ptr modum pcrficientk^  fiue fubflantiaUtcr flue dcctdentaUter, uel aU/s modit de quibui ubit^  Arif}o:dif[erity quosq; defaciU mucntre pottrif,dtfcurrendo per Rtf #   Tertii fpc; dices, Arbores, partesq; lUarum. Per tertiam jfpeaem qu^ritUTf  Qvidfit res in alio { Et uarijs modis ad hanc quxjUonem rej^ondat»  dumefiyquiavdiuerfimodcunacr^adem res potefi cffe m aUquo  uel m pluribwt. Bonitas entm uel i>\agnttudo dtcuntur tn aUquo effe^  quatenus iUud efl habituatum, ut fecundum BonitAtem ud Magnitun  dinem a^t uel patiatur. Hanc Jpeciem poterls muUtpUcare eo modo,  quofecunda f^tciesmuUipUcaa efl, difcurrcndo ettam per fubteibk  omnia, radices, acregulM. OuaUteruerb definuiones fumend^ fint,   n «rta r unicoexemplomanifrfiabitur.cumdereetilis omnibm tradatum e»  ^ rit. Ouarti fpecies efi^qua quxritur, Quidres in jUohaheatjf cuirc*  Jpondendum efi per ea, qut aBionem uel pafiionem flgmftcant ; ut  wteUe^ts m obieBc c/?, tUud mteUigendo,atq; in jpecie inteUigibUi^  quia eam recipiendo patitur Deu^ in tredtis ommbiu ptr faptenti-  am^potentiamcT effentim i^reatA uero in co reperiuntur, quis  eonferuantur tj diriguntur.     H     DcQua?flione DE QVO*   Af c qu£flio,per materialem rationem in rehuA impUcatm rc  ^Latur, quoniamdehis qutrit, qutad rem aUquam confli'  tiundtimfuntncceffxriA/flueiUa mtranufint ucl extrancA:     jCriibetdrtsffecies. Vrimdpetit unie ueUCTregnuntKegiS4 Huius fj^eciei quxftiones pof* Hxc qnio   (unt muLtipUcari, difcurrendo per omnia, qut refbedum aLiquem q"o»podo   DeQuxftioneaVARB» ^   Hkecqu£ftiOy interro^tderei ejjentia, quatemts ad exiHere  uel operari ordinatur: iieo huiuf qu£fiti du£ funt fpecies»  Per exiftere nonmteUi^mut (ffeextra caufam fuam, aliter pcr cxiftcv  dd entia omnia qu^ftio h£c non effet uniuerfalk, fedmdifjvrenterac' rc quid in>.  dpitur pro quocun^ effe,fiue reaU.fiue cognito, Sipcr primam ft[>e$ iclligatui»  tiemieinteUe(luqu£ratur^quareexiftati reff>ondendum eft, quia »'Q>ccics«.  hoc i, proprid pLenitudine habet, nempe ab inteUefhuo^ inteUigere  cr intcUi^bili, tum quia ptrBonitxtemy Magnitudinem ac c£terM  radices^ fuum effe confcquutus e{i. Per operationem uer6eH,utin* ». fpecicf*  teUi^t cr cognofcdt fuum finem^ aliorumqi entium naturam, CT ut  per eam,homines uarios fcientiarum habituf acquirant,   Dc Qu2cflionc> cufus rcgula eil   QVANTITAS.   SEcundumtuUumihmus qu^flionk iu£ funt fhecics gentralet^ P°*, Af*  I 4 wMat,     fccundum hanc qut-  rendi furmulam^nequdquam quxrere uel dubitiire poffemus 'Xonjidc q qo jj,  retur erg) hic temporalitMjpro duratione quacunq;,uel eo modo,quo j „ tepora»  d nobk in Cate^rijsdeclaratum eft j cr tothabet /pecieSy quot fc lica» hicco  cunda, tertidt >w«a, cr decima quxftiones habent. Sub ijs uerb j^eci*^ lidcrctur.  tbui diuijiones fumere poterfs, diuidendo durationes per /ignd uel m*  ftantidy fl aliam diuijlonem nequiuerint admittere, quemadmodum  Aetemitas cr Aeuum, facilefatifeft,peraliarum quxftionum ft>eci'  ts.huiutqutftionis ^eciesquoq; inda^re : exemplum tamen dabi'  mus quomodo ftnt petendx d fecundo quxfltOyUt promptiorftt ftudi' _ '^|^ j  ofusadreliqua mquirenda^Si quxratur per primam ft>ecicm iUius fpccfcbui!  quxflti. Qttando eft homo f tunc effe debemm fateriy quando iUius ef*  fentia fubfiftit^ Per fecundam Jpeciemitunc eft homoy quando fuan  partes effentiales habet. ?er tertiam . f quid ftt In alio ecies,quotaj^ignAuimui,fed mdiffirentcr cr omnit do loc* (ii  busiUismod(t,quihusresunAmaliapoteftef[e,flue fecundum deter cofidcrad*  minAtum quoddam ffnm ucl j^edem» aut fecundum tranfcendens ali»  i K quoi^     Exc U fc  exmpUy qudittr perfpeciei aUqu^tyhiteUei^  cundu ua- ^^^fit ln locoy utlociefjentu magk cognolcatur, qux defcrtbcreuo-  liat fpccici luimus, Pcrprimam Jpecicm fccundLe qtuej}iontfyinteUe{ks efl inubi  jiue loco, quia ejl m fud effentia.* Pcr fecundam ejl in feipfo, JicuH  partcs m fuo toto. Per tcrtiam eji m alio, quia in anima Jiue homU  nc. Per quartameft in ilLa uirtutCyfecundum qium habethabitumfci»^  endi. Per primam Ipeciem terti  biliSyfed per 'mteUie^im cognofcibiUs folum* Perfecundam, fua fifft»  ra uijibilif O" imaginxbiUs cft, non q^o ad effemiam. Per tertiam lo»  CMe{lcoUocatipa}^idcntislocum,licut caUfaChim poj?id(t caUdit%^  ttm, ipjo habituato caUdLnte Et fubiun^t LuUus^ quod^pcrhas tres-  ^ecies attin^tur ejfendaloci per mteUiftre tanium i ita quodlocm-  particularis m fubie^ fuftentato eft diffufus, cr dcriuatur a loca  uniuerfaU in fubieSh uniuerfaU fuftentato» Quilocu4 uaiuerjaUs Iop  cat omnia locata^ftcut omnLi caUda funt caUda, ptr uniuerfalem c^  Uditatem* Per primam Jpeciem nont quxftionis,loci nAtura cogno»  fciturinAmptrhocquodparseft in parte,ftcutignis 'm acre,tttpa^  tet in elementato, Jorma m materia C7 amnes partes mfuo toto^ ^  e conuerfo, fic unus locus ed in aUo per accidens, ty omnia loca par^  Ucularia mloco uniuerfaU. Locus ulteriut a)g*iofcitur per fecundam  ln' 4. par: Jpeciemiquiaeft iiiftrumentttmfhbftdntix,quolocdtpartem in par^  principali. ^ j^^^^^ j^^^ Vbitradit LuUus, in Arte fuaffneraUi   Dc Qujcftionc OyO MODO» cuius   icguiacn MODALLTAS.   huii*"''ft"* A ^) innumer£ tmett  nis ifit fpc- jfj^P^IP*"^ 'B^-> T^^^i^fs omnest dc prddicamenta omnid acm  ClQ9^ cidentaUd cum fuis ffneribut, Jpeciebm^ dc proprietatibuf   confideratdfUnamquami^ rcpt faUm crcdtdm poffunt modificdrt^     ^7   ^teicumeUte m^dificdtioiik, fjfccies huius qujejiti confurgunt* Sed   quxPntiUtquituorJpeciesquMRjjy^tndit* rejlit uiiere. Pnwrf I. fpccttf»   eih, quando de re aUqus qutritur, Quomodo jit in fe f qut [i appU»      ledu qu^rituryCXaofff^^^^o fit in aUoyU- iUud idem in ipfof cui hoc   modo fatisfAciendum efl.f intcUe^um in uoUtntatehabere fuum effe,   ipfac^ in eo exiflere^quatcnus cum memoria animam rationAlem con»   ftituunt, Tcrtia petit» Quomodo intcUe^lus rft in partibus fuiSy par* j>   tesq;iniUof adquamrcjjfondcrepoteriSyhocideo effcy quia per e-   dndcmmetnaturamquaipfcconflatex proprio inteUcBiuo^ inteUi   gt biU, cr intcUi^e, fic cr hrc trid eius partes dicuntur, Qtfarta au- 4,   tem inquirit. Qjtomodo inteUe^us fuam fimiUtudincm ad extrd   tranfmitterr pofiU f Et huic dubitationi brcutbus fatkfacerc quis po»   tcrU, fi eundcm inteUe^lum aUquo habitu infDrmatum confidi rauerit   gxtranea inteUiffre,   Dc Quxftione C VM QV O, cuiiis Rc   gidAcft lNSTRVMENTALITAS.   HAecqu^eflioqutrUdcinflrumcntPs CT medijSy quibus res in Notioptlf  fulsoperationibusutunturyfiueiUa effentiaUa fint. quemad*^^*  modum anima rationalis infirumcntum c^t, quo homo ii:tctti'  git, uuU cr memoratur ; fiuc paj^iones uel proprictatcs, /icutiin jir'  roe{i grauit4f, cr in igne lcuitas ;aut fint accidentia communiay fe»  tundum qujt fubflantije operantur, uclutifunt noucm acciicntis prtt.  Mcamenta ; cr deniq; qutflio hxc petit de omnibus accidentibus mo'  raUbuSyft^quibusuirtutcsomncsacuitia contincntur, ac etijm de  iUis corporibus quibus lAccanici in diuerfis eorum artibus utuntur,  B.ay'.autcmquatuor J}>eciesiUlsbaudabfimUts,enum(rat qu£ im^  mcdiateprioriqu£fitofuntappUcat£, ?er primam quxritur. Cum f. fpccies  ^uo inteUcdus c anims^ars t Et rej^onderi dcbet, quod cum Boni   K i tMte^     tatCy TiiffircntU^ ConcorddniU dc omnihus radicihuty contrarieUfe  txcepta. perfecundam^ Cum quo inteUtilus alia a fe inttUi^tf Di-  CAtur, quodinteUi^one. pertertism. Cum quo inteUedus cil uni*  niuerfaLis ud particuUris { R ejpondeatur, quod ratione Ipecttrum,  quicji uaiuetlalium funt^ uniutrlalis fit, Ji particuUrium^ particw  Urif, Per quartam, Cum quo inteUc^us extra fe, fuam mittit fimiU"  tudmemt Potellrejponderi,quodcum proprio inteUe^iuo, inteUi»  gibtU,acinteUiffre,cumquibusfacitJpecicscUe inteUe^inSy CT prr  j^^^^ nemoriam recoUbiLesacetijm peruoluntatcm amatiles* Et e£ quf  fiiones omnes, intcr fe non funt tam diucrjx ac dijparatJty quod uns  deijs,qu£ad omncs aUas rejponfum fft, quarcre ucL dubitare non  pofiit; imo oh earum maximam ^neralitatem funt tam connex£^  quod de una quaq; datd rtjponjione, fccundum omnes, homo potefi  ueritdtem inuejli^rc.   Modusfumendi Dcfinitionescx   QuxHionibus*   ^^omiflmus exemplis odendcre, qualiterrei uniuscuiusq; deftm  nitiones quamplurimx, ualeanrfabricariex qux/}ionibus,quo(i  Jlatim obferuarecurabimus, de AngeLo id manijcjlandot Dixi»  ■,Definit|o^ mus,primam quiejlionem non ejje ad propojitum huius ne^tij, quo»  b^'fh ^dl' '*^'*"'*PA^''" 'J(7^?"'"^» ^*^^'^ dcfinttiontbus fupponitur; ptr  lumprz. ' TcliquM igitur intcmum noflrum explicabimus : Ptr primam Jpeci»  £x fcc u da. fecundx qurJ}ionis AngeLus definiri potejl, AngcUs eit tUd creA"  turdy qute magis r DeoJimiLis. Per fecundam. AngeLus e{i, quihd'  bet partes fuds effentUleSj tanqudm conjiitucntes eius tjfe, per tertii  dm. quodddfbonem^ AngeUis eit, qui id agit, quod fud uoluntM  uulttinteUcdus inteUigit, acmemorU memordttir, cr hoc jine fuc-  cefiionc crfantdfmdte ddiuuante. Quo adpafionem AngcLus bonat  cft » qui A Deo recipit immediate infiuentiM. Angelus uero mdLus iUe  f ft, quidh extrd recipit pdjiiones, qudndonequit homines ad peccdtt'  dmindnctrtfUelquidDcoptT grdtidm dbeJi,fuo fine Jrujlrdtus^   Per^uurtiiMU     F     Terqudrtimy Bonuihabctm Deoglorimy in tnferionSui pott* Ex\»  ftutem, MdlM ucro panam^Fer primam fpcciem tertijequx/l. An-  gf/w eft A Dto creatuSy non dcmateria aUqua*. Pcr fccundam,eft de  omnibuf radicibui uet prmcipijs^m ejje /piritualiac compLeto confti»  tutui. Pertertiam., tftDei creatura cum bcnedi£bone cr gloria, fl  bonui tft iftmaluieft^ utiq; Deicreatura dicitur, cum eonlradi£ho'  neydoloreacpariA Per primamjpeciemquartx qujrftionky eodem 5x4.  nodo dcbet definirit ficuti deftnitus ed in fecunda jpecie tertix qu^t'  ftionit.Perfecundamucro idco efty ut Deum mteUi&t ac dili^t,  prxbendo obfequia hominibut, Per quinam qux{iionem,Anffluf «n. Ex f ♦  tui efty quant^funt eius partes tffentiales,fiue dtfcretx jint, uel con*  tinux. Perfextam qutftionem^ quoadqualitates proprias. An^lui Ex  tit.cuiui mteUiffrecrueUe efh efjicacijiimum, uel qui m tcmpore  impcrceptibilimaximum tranfxt fpaciumyUclquinoneft nAtwi uniri  corpori. Secundum uerb appropriitax qualitateSy An^lui eft fecun-  diim diuer/os habitui in inteUeiht uel uoluntate fubiedatoSy logicuty  grammaticuiyUel philofophwf iaut fapiens., prudenSy bonuif humi'  lis,fideUi,mitiiy patienSy cr uerax.ft bonus r/f, fl uero maUUy quo ai  ta qu£ ad uoluntatem fpeibt, oppofitum conjiderd*. Per feptimam Ex/»  qu£ftionemyqu£ eft de tempore, AageUa e{l, cuius effe in xuiternita*  te exifttt. perhuiui qu£{iionis jjfecies difcurrere poterk* Ver oAl- Ex8.  uam quxfiionemy AngeLui eft UAtura completa, in loco exiftens, non  tamenlocum occupans» Perprimam fpeciem nonx qurftionts» An Ex 9,  geluieftfubiiamiaqutdamfpiritualif^cuiuitffeeft per fcy cr non  cum aUqua re coniunCium. Per fecundam, Angelwi eft in CaloyUt mo*  tor, calumq^ in eo ratione poteSiatis. Per tertiamy Angelui eft in fuk  partibui efJentiaUbut.per propriam naturam utl tfjentiam, partes^  w eo reperiuntury eadem de eaufa^ per quartamyAngeluseit^ qui  uoluntate fua ac potentia exequutiua, uarijs modis operatur. Per  primamfpeciemqu^ftionisdecimg^ Angeltti eiiyquicum^Bonitateac Ex 10»  dUjsradicibu4 exidityContrarietate excUtfa. Perfecundamy AngeUts  t&, cum fuk prmipijs innatis cr naturaUbuft aUx funt buiut qu£*   K 5 fliotik     dionli fPecicSy de tjuibut exmpU tion ddducufUur, C[U£ tdmcn quiWt  bctinuemredcfdcilipotcrityli optimc JpccuUbitur, Poffunt quot^;  res definiripcr rddiccs omnes, ac udrijs alijs modiSy quos aliqudnio  ttuimcrabimus (Deo concedente) fcd pro nunc contentut eflo»   ANlMADVERSIONES pro -   Radkibus.   PKincipdlis prims partk hjec pars quintd critUimd, pdued qui^  dcm continett fcd admodum neceffdrU fcitUy quonUm in hac  explicdmur qu£ db drte LuUi omnem ambi^titdtcm toUurit,  Ani mad- ^ rdiicibm igitur dujpicaturi, hxc crit primd dnimdduerjio, non rd »  uerdo t* dicibwt folum accommoddndd, fcdetidm Cdte^rijs dcTormls Quod  liccth^comnid natura fud fint trdnfcendcntifiimd, tdmcn qudndo  fubfldntijs pdrticuUribuidppUcdntin-per prxdicdtionem, ucl acci*  dcntibws, tunc pdrticuUrU fiuiU; nec dmpUus cdndcm obtinent fa*  cuUdtem,qudtrdnfcendentifiitncconfidcrdtd,ndtd funt frui; ncmpt  ut rddix mid ucl dUquid tdU,dc dUerd in dbftrach prjcdicdri pofiit^  Vndc propofitiones ifitfdifs funt, donitd^ petriy eft Mdgnitudo Pc-  tri» Mdgnitudo Pctri, efi Durdtio Petri; quid dbihdikm de dbdri^  £kncquxqudmpr£dicdripotefi,nijiqudndodmbofunt infinitd poi  fitiue uel permij^iue, ucl fxUcm dUcrum iUorum ; quod de prxdicatk  iUis ucrificdrinonpotcfl ad Petrum compdrdtis;fecui erit fi incom  creto fumdtuur. De hdc mdtcrid pUrimd omittOy qux pofjunt uidcri  In dirt apudiUumindtum MayMijectdmcnpropofitiouerdeR. Bonitd/sPe»  fui Coflat' tri, eih Mdgtiitudo, uel Mdgnitudo Petri, fft Durdtio ; quid prtedi-  tdtum non fumitttr UmUdtc, fed trdnfcendentifiimc ; CT fecutidum  buncmodumoptimedcUmitdtofubieSh prjcdicdri potefi ; quia Ucct  pofitiue formalUer noninfitiitum fit,tdmen pcrmif^iuc, quonidtn  DeopotefidppUcdri>quiJormdUterefiinfinitus4 Nec /r«/?rub ^>fcrimtnintcrriiiias4crtU,iu,i,^r,,   rm(M Aai/i;,,. " "i^n». ?«« w i, Diffi.   7. ^""iriridicumnituritHrrru^«A, /•   ''^oppofl.ofuonon.pp^Zur l^t ' L"  ANIMADVERSIONESpro   uiickctt     71   itiideliathit Cdte^oriit /^tcimtrddererddicibus dc firmff, ftcun-  dm qudt pojjunt ales nomindri. BonitAS etenimf Vnitd/s uel 2lurd*  UtMylicetfpeciemqudnddmrecipiantAfubiedis iUis quibws dppli*  cdnturf ddbuc tAmennefciturquii determinAte fint, nifi dd Cdtc-  goriM tecurrdtur. Scio quidem undm C edndcm rem plures hdbere  Ydtiottes, fecundum quM diflMe concipipotefl ; quam fi confidcrd*  uero bondm ucl mugn^m, qudteniu eft homo uel bpis, nec ddkuc o»  ptimdm iUius boniatis uel mdgnitudinis noticidm habtbo ; prout  tBonitdsconuenireadxqudtedicituriUirei* Si ucro rm edndem fc'  cundum Cdte^riM ordinduero^ tunc per dpplicationcm rjdicum uel  formdrum, in hdnc deuenidmcognitionemfciUcet.dlidmejfe homi-  nis uel Upidis effentidlem boniatem, dliam fecundum qudlitntcm  proprixmuel dppropridtim, CT dlidm fecundum Cdtcgorids reli»  quds, diuidendo dc fubdiuideiJo ommbui modis pofibilibus. Ntc ncs  '^muihxc pariter drddicibu^ uelfhrmif jf>ecificiri, quii dque funi  trdnfcendentifiimd. Vicifiim igitur J^ecificdntur, fcd ab ijs omnibus,  drboresKTfubicOn^   Admirdbilemutilitdtemconfequeris^fihtcpridicdmentd dij^o* u  fucrfs eo modo, quo rddices dijponumur,• cd dliqudndo confiderdndo A d m i rabi*  dbfolute,dliqudndorefpeitiue, cr ex iUis quatuor figiirds confiitu- ^** utiHus.  €ndo4 Vrimdm, qud omnid hic dbfolute confiderentur, cr unum dc Noca»  4iUopr£dicetur,imoomniddc uno, Secunidm, m qud Qbdntitxs^  Q^dlitdSyCTHdbitu^ordincnturproprimo tridngulo. A^Ho, Re«  IdtiOyCr Pdfiio pro fecundo. VbiQudndocTSitus pro tertio, mif»-  cendounum tridngulum uel dngulum cum dlio, rc^c, obtiquc, CT  irdnfuerfaliter. Tertid fi^rd, unJi hds duM fiourds connedct, camc»  Tds trigmtd fexconfiituendo i c fecundumundm qujmq; cdmtram  duodecim propojitiones elicies dc uiginti qudtuor qujefiiones, uti  LuUus hoc de rddicibuspoffefieridocuit* Inqudrti uer6, poterft  primdm,fecunddm CT tertidm figunt comun^re, dtq; mjximdm  tdbuldmoonftruere.qud infinitdsrdtiones ucl dr^menix conficiet»  Qu« onmA itt qmu pdrteprincipdU cUriora fient, per ed quje de   L qudtu&t     n   qujtuorp.gurk iLuUo hmnlU eicplicAhttntur. jlt dupUcdtm  b4ftbi6 LuUiartem. Bxc proCati^riJs tibt fufficiAnt.   ANIMADVERSIONES pro   Formis.   i.Anknad Q^Olita fudiitffnij per/f^icdcitate LuUus /Drmas inuenityUt e^runt  uerllo. ^^mediomagis atqimagis m rei cognitionem inttUe^s deuenire  pojbit i cx cteninty cum nibU aUudfint quan rerum proprietatef^  quieareidtffrrehtia uel modo intrinftco emanAntt ipjis cognitis^  V Tci (jjentid cognofcitur j cr hunc modum cognofcendi ubiq; mon»  In li: pofl Ar. CiModaufcmfcoc/itwcrMm, ttmco exmplo uideamui. Ar#.  Metaph: 7 in Ubris pbificorum^ fubie^ totiui nAturalis phdofopbiirilualt  ueUtm Drttw de 'cnbtrty hxc utiq^ dtfcriptio inanls efjtt, quia An*  ^loo" dinmjcrationaUac Jpccicbut inttUigibiUbut competere pom  tefl. Siuerodicam* Dm cfl necrffariuiomninoimmobilifabomniq^  compofitione fcgrc^tusi htc utiq; defcriptio bona. exiftimabUuK  Dicet aUquis, I Ua fanc defcriptio bona eft, fed unde habeatuTy nefci^^  ^ ^ Nofti optime qu£ fequuntkry^fcies. Quando aUcuiws reiignoran'  Adhabeda tur paj^iones proprix, ftatim ad iUiui oppofiti naturam recurren*  pafsi^oriu m ' ^*""* P-     poliefiorutn in Uli fcdU indi^re pipionis, et qudf^u^ ccgnitione,  tiwi de quo cupis, pcrrejpedus unrios, pdfiionesco^nolies. Qudrt*  do Deum defcripfhficmifuprd pstet, credtunm contempUtut fum,  quje m rdtione diuiiionis entif Deo opponitur, cuiu^ pafliones prx'  xipu£, cum fintcontinffntid, mobilitd^ cr compojitioy oppojivm  Heoconutnireconjidcrduiytdeooptimedefcripji. Plurd pojfem di»  tere,fed fubtiles fubtilid qu^erdut.   ANlMADVERSIONES pro   Quxnionibut.   EKijsqu£ieQU£j}ionibws di6k funtyfdtk edrum dnimdduer»i, Animad  fionesfuntnotx:nonnuUdtdmenmdnijrlldre non piffbit, dt ucrCo.  cum breuioite. frimumdnimdduerteredcbes* QJidndodered'  liqud quxjitum erit ; licet perpropridm quxjlionem rej^onjio fujji»  cienselicietur^huic txmen comunffre potertt rejponjionemy qudm  iUd qujeflio expofiuldt, qutdb hdc originem ducit: mutuo enim fe  iebent ddiuudre, ut ref^onjio cUriorjit, Secundum ejl, utcdueds m j^; .  dcfinitionibut d quecict  ^ oes inteUigibiUs.uThabit* etiu reaUu;  de hoc quoq; in Arbore huanaU tradit   ((Kdtione originis temporalisi crftc habetur Arbor  (Credto comjtAdternalis.ubideCloriofiftimdVir^nt Mdridsa  |lfl» l iunikm ^bundediffeiitur,   [^^^'J [^dtionehypoftatici cffeide quo miro modo traSkt   ) inarborc Chriftianalif diuivaU tt humanjU ftmuU   [IncrtdtumtAmuidequgArhoTuUim diuinalis lateo' digitsem^     7»   NOnttcoiilutUt mict tfbis mdnifvfti fi-  unt pcr formis, dc quibm m primd pdrtc di^m cfi,  dcctidmdiCcfur.cumHcmcntaUs drbor cxpUcdbi0  ^cgctdntis J turyplurcs numcrdndo j ucrius amcn pergenerdti^  ctrboris pdr 1 onem, corruptionem^ priudtioncm cr rcnoudtio^  US, ncm, quim per reUquds firmdf,   FoUd funt mucm dccidentis prtdicdmcntd,  Florcshuiusdrborfsfunt mjlrumcntx qutddm, qutex  tribusfuntcon(}itut%.fcx potcntidy obic^ cr  OuyUt fruCbtmgencrdtioncmucl tffe gcnitu, rcj^i0  ciunt,   Tru^s funt uegctintid omnid pdrticuldridy qu£ di  qudtuor cldffes poffunt reduci, ficuti cr qudtuoY  funt elcmentd qux in ipfis hdbcnt doniimm^ iuxti  fhccicrum udrictdtcm^   DB     I  DE ARBORE SENSVALI  QV^ecunq; in hdc drhore conflderantury priws ca rdtione quA  fenfudlid funty conftderdri dtbent^ cr demde qudtenm dud*  rum prxcedentium drborum ndturdmpdrticipdnt.   'Kddiccs, e£dem penitm funt, qut \n prioribuf drhori»   bmfuntconftitut£,  TruncwSyC^ uniuerfdlechdos, omnid fenfudlid conti»  nens.   Brdnchx, funt fex fenfut exteriores .f uifu/S, duditws»  td^Sj giiftuiy odordtws C7 dffutu^t.  Arhork Rdmi,funtfenfualismembrd interiord CT exteriord;  fenfudif ^ interiora, ut cor, epar, f^len, cr pulmo ; exteriors  partes funt uero, caput, pedes, crura cc.   ¥oUa,funt eadem» dequibm inprioribus diihm eft, fuh   triplicitamen ratione confiderda,  F/orcj, funt operationes fenfudlis corporh, ficuti uidc»   re, dudire, ^ftdre CTC.  ?Tu6hiS. funt omnid dnimdntia. qudtenuf fenfuaUd^ we-  fftxntiatO^elcmentAtifunt. DE ARBORE IMAGINALI.   IK hac arbore fimiUtudines cr idola eorum omnium qux in drbori»  bwi fenfuaU,uefftiU ZT elementaU cotttinentur, coiifiitrandd ft  offrrunt.Etptrimaginatiuam,noneamuntum potentiam dcci*  pere debemu«,qu£ fenfuscommunk/pecics confiruat, fcd potentiat  omnes interiores ; nempefenfum communem, ima^nAtiuam, xftima-  tiuamyUelcogitdtiudmy phantaflam ac fenfualem memoriami qu£  firte,TAtione diucrfdrum operatioimm dtfiinguuntur, cr non in ef.  fentid*   M ArboT^     \     r»   'RaiiccSyfuiU e£dem,qux In trihat drhoribm funtcan*  pdcrutje, pro ut potentix alicui mtcriori uel omni»  I bui,per Jpeciem reptjefentantem funt prxfentef,, Truncut^ eftllmilitudo trucicuiutlibet arborls priori^,  I alicui potentix mteriori obbta,  Mbork I' \Branch£,funtpmilitudinesbranchdrumdrborumpri*  ma^nAlis { oru,i*  ritualtm, ia c pars quxUbet arboris fjwitw, fecunium hanc  dupUcem nxturam confiierania efli corporea dutem quairu*  pUciierationeexaminAnidreimquitury^f quatenws efl elemetalif,  uefftdnSyfenfualiscrimdginAlis* Ex quibuicoUigitur,quaUbet huius  arboris partem, quinqi moiis efjeconpicrdniam,   fRdiices iUxmet funt, ie quibu^ fuprd» quinq; moifs  conflicrdtie,   TruncuSyefl^ecieshuntdnAuelchdos, m quahomine$   omnes funt contenti,  Erdnchx huiui drborls corporex funt  cr prjtcipuc arboris Ima^nAlis^  folia,funt uouem dccidentid» ex quibus uirtutes funt   orndtjc.   FloreSy funtuirtutum mcritHy crmtdtipUcdntur dduir-   tutum multiplicationem.  Fr«(ff««. funt mtritorum mercedes^crnt Deui honorc*  tur uirtuose^dc eiferuiitut,   M 2 Artor     Arhork  mordlls uU   tes lunt.     Arbor Vitiorum»   'Kd^ttm hdcarbore^qu^ddm funt principilioret,  qutdd uero minui prmcipdUs ; prmcipdliores funt,  ^\dlitidyStultitid,Fdlfitdi,a' Priudtto finis ; qui"  hws ex minus principdUs funt connex^, uidelicet  Udgnitudo, DurdtiOy ?ote(id^, Voluntd^y DeUih^  tio, DiffirentidfConcorddntidy ContrdrietdSyVrm*  cipium^ Uiedium, Mdioritds^ Aequdlitds dc Mi/w*  ritd4» '   Truncu^yefl confufio ffnerdlis, in qud funt omniJpdrti^  culdrid uitid contentd*   Brdnch£dlijefuntprincipdUs,dli£dbijs originem fu*'  dm trdhentes ; principdUs funt Guld, Audritid, L«-  xurid,SuperbiayAccidid, Inuidid C7 Ird j reliqu^  dutem funt Iniuridy Indiffretio, Debilitds cordis, lft#  temperdntid^ InfideUt^, Dejj^erdtio, Crudelitds,  Trdditio, Homicidium, l^trocinium, Mendacium^  MdUdidio, Impdtientid, inconfldntid, Immundici^t^  fdlfitds, Vigritid, incuridlitds cr Inobcdientidt \   Rdmid Brdnchk oriridicuntur, c funt iUd quibus uiti»  orum hdbitus ffnerdnttsr, cr oppojitx uirtutet re»  ifciuntur*   FoUd,funtdccidentidnouem,quibus uitid funt qudUft*   Cdtd»   lloreSi funt culpt iuitijs mdndnteu  JeruduSffuntpocn^, oh mtia peccitoribm hfHdf^  DE ARBORE IMPERIALl     •f     IKhdcdrboreeaomnUconliderdntur, qutdd regimen unmerfUc  Ipe^redicuntur» qudtenwt tileregimenejltempordleuelfeculd*  re. Nfc hoc in Locoyimperatorid MaieftiU txntum ejl confideritnddy  fedetidm cuiuiuis dlteriui perfonjedominium, inqudntum legibu4 im*  perdtorijsfuUiturdc refpedum hdbet dd Impcrdtorem. Et htc drbor  m duM pdrtes diuiditur^ primd quarum rejpondct prioriparti drbo»  ris moraliSy cr fecunda fecundic i hinc eji quodiRdrum duarum pdrti--^  um debet fieri m omnibm huic drbori dpplicdtio, fecundum uirtuo^  fum effe aut mtiofum,lmptrdtoris^     'Kddices,funtiU£,qu£inprioribufdrboribus funt con-  jidtrdtsc.   Truncu«,eft commune regimen f£culdre,quodlignificdt  communem perfondm imperdtoris^   Brdnchjtyfuntdecem .f Bdrones, MiliteSy Burffnfer^  ConfiliarifjProcurdtoreSyludices, Aduocdti, Nwi-  cijyZonfejfariwi zilnquifitores^   Arbork\m   palts par- ^Kami,funtijdem quilttmoraliarbore funt conlideratt,  tes funt cr pr£ter hos, feptem quoq; dj^ignAntur f luftitia^  Amor^ Timor, SapientUf Poteflasy Honor ac JLi»  bertax,   ¥olia, funt nouem accidentia, de quibus fupra^   Tlores, funt Imperatork iudicia ac fuorunt miniflroru.   TruChsy efl pax ffntium, ut ht pace Deum dili^re poft  l fint.   n $ DEAR* DE ARBORE APOSTOLICALl     EA omnid qutt hominem di Datm ordindnt, hdc m drbore confl*  dcrdmur, ty Ufrfxtur circaperfonds cr res eccUfidfticdx Qu *  dd Truncum cr BranchM,potrfi conjiierari ommbut moin qui hut drbores prxceitntes funt conjiierdtjey prster Imperidlemy qu£  pdriterpriores omnes continet,fdUem,quo di Truncum cBrdncbdf^     'B.diices,funt Virtutes Theologics CT CdriindleSy qud*  tenuf d rdiicibui uniucrfalioribus funt w/ormdtx^   Truncuf.efi perfonA ^neralk, qut iicitur fummw Po«  tifrx, fuccrffor Pe^hnt dd  GLORIOSISSIMAM CT SANCTISSLMAM DEI HOMI»  NlSqi MATREM, ViRGINEM MARIAM, qu£ Mund0  feperit h^undi Sdludtorem,     fRddices, funt pnes hominum recredtorumy qudtenui l  gencrdlioribuf principijs [unt injvrmdta dc orndt^,   Truncutt eft hdbitut quiddm generdlPSy rdtionc cuiui  VIRGO M ARI A dicitur refugium efje peccdtorii,   Brdnch^y funt dux uAturx, uidelicet diuind arhumdnd,  ArhorUmd qu^iUud diuinum fuppofltum conflitucrunt^ cuiut  terndtkpdr « VtRGO mdterfuit, Virgine permdnentct  Uifutit   Kdmiy funt SpatFietdS^dHocdtiotUumibtdScryirf  ginitM^   FlorcSy funt dignitdtum M ATRIS DEI.   TruChsyeflmvscH¥dSTVS,ciiiutcruore, 4' tnortt  ^ Uber^tifmmi     DEAIU     DE ARBORE CHRISTIANALI.     Il^illd.drboreeA conflderdri debcnt, qux dd vncdrndtum diuinum  Vcrbum jpe^bint : cuim drbork du£ fitnt partes prkicipdliores .f.  Diuind cr huntdnd, ficuti cr m Chrifto du£ funt natur£; cr fecurt'  dum utrdmq; eft cxdimittAndd i rdtione bumdniatiSt pdrtes omncs ar»  boris funtytlementtilcst Vcfftdntcs^ Scnfitiux, Imdgindtiut ^dtin  onales irdticncuero DeitdtiSf pdrtes proportione qudddm funtfn*  mendjc»     fRddices, funtgenerdlii principid diuindchumdnSt  I   J Truncus, eftlESVS CUKlSTVS ; qui truncws unitt tfi  j rdtione bypoftdfls, fcd duplex rdtione ndturdrum^   hrdncb£, funt du£, uidclicet ndturd diuind. cr humdnA.   Krboris Rrfwt, funt rcfpe^ks, quos ift£ du£ ndtur£ hdbcnt, »»-  Chriftiddlis ecificdri CT determindri;ideo qudndo confidcrdntur drbori* "f-Qj^^j^  bus trddcre cffe, neceffmum ejl iUjK confidcrdre dformis prius udrio  modo informdtdt CTptrfr^s : ex qudrum pcrfiBione drborum pdr-  tibus inefl quoq-, pcrfe^o. Berddicibuspducd ddmodum infequenti*  bus dicemus, quid proUxitdlem CT inutiles eiusdcm rei repetitionet  uitire intendimus. H/c igitur qu£ de ijsdiximusobfcrud^C pur^  mente contempUrc»   N 3 Dr Truncou     J»4   DE TRVNCO.   V, . nr^R««cwfr dutem dcbedt inteUi^y in mixto eUmeutd ejfe ; unicuianriai  mumm terminum ; cr h£c duplex eft f pcrmancnscr fuccefiua ; ^^J,'^"' ^  permdncnsycuius psrtes quxshabet funtjimuli fucccj^iud autem, cu» fucceUiu»  ius pirtes non funtftmul ; quod dcbet in utrdq; qudniitatfs dcfimtiot qu id.  ne intcUigi.noude pjrtibus effentUUb'J4, fed tdntum mltgnnti.  fcw orqudnrititiuts Difcreta cft, cuiui pjirles un.i pcr tirmintm dU 'crefa  quem communem nonconiunguntur, QUic ut cdptafdaUordftnt, \n ^u*'^^»^**»  m9dm drborh dij^ofuimut^     Qudntitdi4 *   U4     ^q6   'Lined fjutefl logitudotdnm  tmn,   Superfiaes, qu^pr^terlon^  ^Venmnens^ gitudmem habet Utitudmc^  I Corpui. quoiefllongumM'  [ tum, profunduwq;.  (Continud l f lAotut,cT cjl aOtis etif,qu4>   I tenui in pjtetnid.   I \Juccepiud ^TempufyCreflnumeruimoA   tm jecundum prius cr pot  fteriut*   fOrdtio, (juatenut eiui fyUabx menfurdn»  j tur breuitate uel longitudme» iw pro*  Difcretd i mnctando.   I (Effentidlit.utdigitui drticu»   (V^ejpefhu^.utpdr^  Accide-i pdnter pdr, pdri'  tdlis \ tertmpar^c.   \^QSdlitdtiumcrefi  tUe quiimportdt  pguriyUt affcret^  fbbi.pararelli.pt'  des crc.   Pf op rlu m Qniiuitdtk efl proprium.ut fecundm ipfam res £qudLes uel mxqud^     Omnls   oualitas ry^rqudlitdtemresqudlesdicunturiut per iuflitidm homini m#   nat fubie Xr^'''^'"'''"»^'''"^'"^"*'^"^^*'»^'*"'*'^''''"''"''^"* Hccqud-  du. ct qiia^ ^^"^ denomindtfubiedum m quo efl, mp in eo fit utenfd;   !€• . blttcefi     DE dVALITATE.     r     t4tisfuntqua\  tHor \     tol   hmcefl(juoidqudtepidjne(li edUdd neq; frigidi poteft flmpliciter  nomuun i retiuiri^ur quoicidnt,*uelquodddc6* Propria rc  uertentUm de feip/is prxdicentunquod jint flmui naturd ^i. na- latiuoru,  turali inteUigentid j CT quod uno pofito, dlttrum ponatur» cr *f*>gnani,  deflru^, deflruatur^ Non mc Idtet, mdteriam hdnc effeddmodm  dtfficilem, plurai^ expoflulare j hxc tdmen procompendio fufjiciat^   DE ACTIONE   ACfio non dcbet confiderdri pro formd dih, uel mdteridUter, ..  fcdfvrmaliter CT pro rej^eOu ; cr mhil dliud efl quxm refpe. fi u5-  {ks quidam, quo dgens reftrtur ddpdffum.^ropriumefid' fidcrandal  (tionif, ut jit rdtio qu4 pdjiio iiifirdtur.   DE PASSIONE   EX diihs hic immcdidte fuprd> fatis crit paj^ionls ndturd manifr^  fid } dejinitur tamenjic, Paj?io ejl rejpe^ius pdtientis ddagens^  Proprim c{h huiusy ut injirdturdb dSHone^   DEPOSlTIONEudSlTV.   POjitiOy efl ordo pdrtium dlicuiustotius ddipfumtotuniy CTdd ^oCulo ab  locum-y cr w hoc po(itiodbubidiffhrt,quidubijigndttdntum "^i^ii^cru  rej^eiium ddlocum, pofuio dutem prxtcr hunc^ dlium denotdt,  utpdtet»   DE HABITV.   HAbitus hoc in /oto, non dccipitur jicuti inprimo qudlitdtit  moio dccipicbatur ; fed pro rejpedu rei dlicuius^ db extrinfe-  co dltcrirciddidcens^ pcrmodum orndtus uel deorndtus: fiu$  totum uel pdrtcs multas rejpicidt iutrejpe^usintcrulxddeumqui  td ejl indutus i fiue minimam pdrtem ; ut anuU re^eiiusdddigiM.  tum,   DE VBI ucl LOCO*   VBi, tj} rejpeaus lo€'  citfdjiigndt P(trus hy^dnus, qu£ nuUius funt momenti^   O 4 JDEQt^do^     > ^ DE QVANDO»   QVdndo^ellrefpeCknemporkddrmtempordUm j ut rtjf>i$  L%s huiu4 bor^j dd rem tali tempore exHlentem, cuiui operd'  tiouelmotui menfuratur. Duplex quoqipotefttlfe.aaiuutfi  Uideliceta-pdj^iuum^licutcrubi, \demde bdbitu dia poffet. Huiuf  dccidcntistresaj^ignAnturproprietdtet, quarum cognitto cum non  ddmodm im6 parum uel fvrfan nihil profit, fcribere non curauimw^  Hjtc de fvlijs omuibw! corporek rebus conuenienttbM, dida \ufj\ci*^  4tvt Q^ndo igiturdere aUqud materiaU traihbitur, poterit luUi  Pndtofuipnhtc accidentid edm fdtit ornare, poteritq; Cate^riat  nofirM non folum reijppUcdrcfedetiam cuicunq; horum dccidentui.   DE FLORIBVS.   AJ^dmis foUd generantur v fiorts ;de /vlijs di&in efljed dt  fionbm aqmbw frudusdcpendenty rcfiatut nonnuUa uidea*  mwi4 F los hic dccipitur pro re iUd qut fruOui uel efjviiui e(l  Flos quali p^^^i„i^^. mfhrumentum dicitur quo res dcquirit tffe. ?ere4  rcr accipu ^^^^^ ^.^ ^^^^^^ ^^^^^ defaciUdignolci,quidperi>\f\ru*   Dubia Lul mentumuelfiosueUt;uidcturetenimquodpro mfhumtnto optratij  li fenteru onmdccipiat,^ tamenremabaUomotamquandoq;proeodem ca»  defloribusy|4(|.4f. t« uero brcuiter nobtfcum poterii afjirmare; principaUus  Opcratio e ^Hfumentum operationem cjfe, quia fruCkiuatdeeit proxima: ftcUM.  ^^^^*^^^^^^ tipdtetdifciirrenttperomnet motuf ff>eciesi remotum ucro iUui  mcntum. ^^.^^ ^^^^ difpontt, ut mdefequaturfi-u^hisificuti ignifcahr»  quid calore combufiibtU uel caUfj^bile dt)j>onnur» ut formam ignis  fufcipiat : dUud remotijiimum datur, quod motum ab dUo recipit : CT  duplex f f nAturale CT drtificidle ; ndturale ut minui. pesO-c: dr-  uficiAeut funttUd qutbus tAechanici CT aUj utuntur.Et omntbuf ijt  tnodis mjirumentHm uelfiospotej} accipi, ftd jecundum LunHnten»  tum (ut m fequentib^4A patebit) uerius optrationef fiorts uel infiru»  mtntd dicuntur, quJim cttera quxnmirauimM. Hoc quoq; fidcmfd.   cit,qui4     tit,quU in(hmenU duobut uUimk modk conjldcrdtA, dut funt qud»  litdtes dijj>onenteSy qux cum elementit cor^iderantHr iUel fuiH tl^  menatA^ qu£ pro jruShbui dccipiuntur, >   DE FRVCTIBVS»   Flnts cr compUmentum rddicumy Brdncdrumy rdmorvmy foUo-  rum cr deniq; florum,frui^s funt ; qui per eminentiam quant flu^^i^^*^^  damomnesarbbrk pdrtes continenc^nec unquam partes arbo' °  rlf quiete fruuntur, mji quando fru^is fuumcffeconfequutifunt»  pK«(f?wy huiiuarboris funttUmentiL omnid(feclufiseUmentis com^  pofitiSy qux pro rais funt accepn) quxcuq; fint iUayfiue perfiet&^  fiue imperfida, de quibu^ in quatuorUbris Meteororum d^U Philofo'  phut. tion eflprxfentis ne^^tij de ifs traShreyfedqujc finc numtrd*  bimui faUemy cr nonnuUd forfan deiUis diccmus. D«o funtmixtorum  generayquorum primumimperfe^rum dtcitun quoniam tefte Ari-  flo: in primo Meteororum, fecundum naturam minus ordinationm Duo mix-  fiuntyquJim reUqud corpord ; uel quia fubito mifcenturac ffnerantur, " gcnc-  Etfubhoc mixtorum ffnere meteorica omnis imprrj?io contmetury " 9"«fint  UtUquetuidereex fcquentiarbore. AUcrum mixtorumpnut perfit ^4"*^»  {htm efiyfub quo lUa omnia comprxhenduntur, qux in terrx uifctri-  hut generantunqux fnnt difjicilis mixtionis, ffnerationis, ac ccrru^  ptionis i de quibtu Ar: traibAt m 4 Ub Mettororum, cr funt Upi^  deSy metxUayfales cr fimiUa. Ab imperftEhs aujpicaturi ; qu£ cr uu  ffnerationis perjvdiora prxceduntyhanc tmprcj^ionum omniumad'  uotduimus diuifionm j utfdciUus qux fittt, cognofca tur, y     P Omnfc OmnkMtte  oricd imprcft  fo cdufatur  utl     flno^UiLSphxrd.utGaUxi^  Sine upore, vfubit^tuf { \n acre, cr tx radiorum folk refie^  aut [^xiom fiti ut Hnlo, Irif, Pdnhelif^   (Comdt4  fSteUd i Bdrbdti  I Colu^ [cduidti  In fupremd dtrlt j nxpyrmidAles»     *Sicco cdli'  do CT m-*  fldmmdto     Vdpore     'Simplici^   I     regione,ut fune « lii medid^ ut     inmfima,ut     CdndeU drdctes  Lance£ ardetes,  Titioyquidicituf   Afub»  'Cdprt fdltdntes  ec'iem ^rit lapidfs  vellutidccodi: qui defcendendocorponquantumuis durd pcrcutit  ac eucrtit. Si uipor cleuatus efl mixtu* fulphtire uelargento uiuo ;  tunc ex dccodione v infiuxu coclefti, -quaodoq; infiuftumfcrriucl  chalibls conuertitur. Venti turbink ong) abaqueanuht; (fl,quite' Deuenio  nus contincttcrreflrcm uaporcm i ex nubis fradione vaporiUc tcn* ^urbinii.  dit maximo cum impetu terram uerfus, crd tcrra repercvlfus^ fecum  trahit quxinuenit,   DeimprcfsionAus gcmtis no cx iiaporibus,   fed ex reBsxione folis uel Lunxauc ScelUrum.   DVm dcr uentorum impetu non molcflelur, folct aliquando ap^ og Halo-  pirere circultu albu4, circd folem aut lunam ud fteUam ; qui ne,  Lorond Ldiinc, cr Udlo grxcc iiomindtur ; crgencniurflc^   Quando     I     fi4   Qudndo hmni£ui ttdparfurfum dcudtof cjl, nec tmtn attigitmtd^'  Amaeris regioitm^ ritionerdritatis fuxoptimcluminis (fi fufctptu-  mt» GT migii in medio quim in cxtrcmitatibus,* quii co m loco tft  intcnfion corpuiq; lucidumuaporH ccntrum diamctralitcrradifsfuig  iUuminatiSyhumidiat*mdeftruiti qiut ciccntro rtccdcns ai pcriphf  rit partcs conftkgit, cr bocpu^ fit circuhu j qui cum tUuminetuTt  nobis albut apparett quia ntc adhuc uapor m nubtm denfam cft con»  DeTride. ucrfas. \ris gmcratur cx reftexionc radiorum foLarium uclalicuittt  dlttriui ttflny m dupliciroratione cr nube detifay tx oppoftto foOiS  dut altcrim aftri conftitutis ; pcr duplicem rorationcm mtcUigc im*  brcm dupliccm^ fubtiltorcm ./*♦ cr crafsiorcm, Quando nubcs denfd  cr aquofa cum duplici iUd roratione Soli ucl altcri aftro e regione  opponitur>adeo ut radij oblique incidant itt camt nec petietrare ua-  Uantt tunc fitradiorum refttxio^ m qua rtftxxioncy carporisluminoll  ima^ (^fedimpcrfrilc) reprcfcntatur: cr quia talif rcprefcntatio  fit fecundum arcuaUm ftgiiram»ideo iris nominAtur^ Colores in Iri-  de caufanturuirij^exuarictxte fubic(ht m quo fubic^bitur. Tcrru  prlsenimuapor uel nubes denftfsima, nigrum colorcm prxbet ifT  quanto magis accedit ad terreftreitatcm cr denfitatem ucLrecedit»  tanto magk colot adnigredinem uel albcdinem dccedcns cdufatut^  Multa effcnt dicendd tam dc pluralitate Iridis quim cius figurddrcn^  Ofc P:iahe alicrcoloribus, qux omittimuscaufabrcuititis* ParabcUj, funt Sa«  ^i**- lis jimiUtndims, quicaufantutex rtftexione radiorum folis in nube  dquofa ualdc denfa dc rotunda AUtere foUs txiftcme ifi plurcs con»  jimilcs nubes aUtere folis mueninntur» CT plures parabclij caufdtu  tur. Ex tranfitu radioruw Solis in tiube non continud fcd pcrforatdt  udin.aUqiubiM partibtts rarior^ ftib foU tamtn pcrpcndicularitcr rxU  [icnte, folent nobis apparcrc cordt virg^^ diucrfls coloribtM-or»  Calaxiaq nat£; cr ij colorcs ex tranfituradiorum pcr nubem caufantur* Efl  modo ge aUerd impref^io qud-tiecm uaporibut fubiefkitur, neq; ex uapori'  ncrctur. conftat, cr eft GaUxia, qurfic caufatur, 1« o^ua Sph^ra md^  tte funt PeUs^ aUqux uifu notabtUs, cr aUqute non i qud cwn Uicid^     flnt . Tiiios emittuitty fcd ex minhnd dd inuicm litUdrum iUdYum di*  ftdntix rjdi/rcfnnguntur^circulMq^fummealbuicaufatur, quird*  tione t^ntx glbcdinis ladcus dicitur. Hunccirculum Vulgwt appeUdt  uittm fin9i Ucobi^ qud mortuorum dnim£ priusqudmcoclumcoti-  fcendjnt, iUuc perueniunt, Dc MenUis cr reliquiSt ^U£ in terrd uel  Urrxuifceribuigenerantur, mt fumus di^ri, ut Alcbimiflis   [obiidiud^     dd firmdfciicntdcni»     fd^dU.     potentiaU,  dd£qudtum.     mddtqudtum^   fixmdU.   prxmdrivofu   ftcunddrium*      [InffiUre*  uniuerfiU^     Itntitdtiuui, qwus txtUcdufmfum ttiHii^     txt   fperji^onk,  I originif,  topriotitds ^ndtur€»  dignitAtk»  ordink,  Stcundarioritmi  TertioritM»   f pcr iuxtipojitioncm illc dugetur iofl^  tio     1 f Vroprie   tdS     t,6Vropor>  tio     17 Coditio     s8 mttntio     I propriiy cr repcritur (KdtionaliSy C tH interiUd qu£ und comuni  inttr qudniUdtcsi menfurd mcnfurdntur^utbicubitum uel tri*  cubitum, qu£ cubito mtnfurantur^ CTina-  fn&turdlk» ritbmeticis numeri omnts^ quid comunimc'   ^ furd >f unitdtc dimcntiuntur*   [drtijicidlif, [irrdtionAlis^c^f^ft intcriUd, qut und co^   nunimcnfurd ncqudqudm pojfunt mcnftu  'primdrU, rari, mlt^ funt tdm rdtiondiis qulm ir^   rationaHsqudntitttif JpccicSt qu£ dpui  fecmddrid» UUtbemdticos pojjuiu uidcri.   ip Ordiua^  tlf   I tcmporis»  Ordinxtio\originiS0  \jxcrcitM»   (morditer,  (bona^   3 o Opndtio ^ [entitdtiur»  I f mordliur*  [mdld^   [cntitdtiua fbonl^  f rtdUSf eciesdptitudine :fT   gicu cc phi \ Jduplex eft, phificum c logicum j phiflco ffntrt ^udent que*  lic u «^uid ? cunq; ex §aiem mdteria funt conftitutx, ut corporalia omni^  fic ^ruplex corrupttbilid. Genuslogiciimduplexeft.f generalifiimum cr fubal»  logtcum» ffYtium ;generalij?imum fkpra quod aliudgenui non daturylicet tran^  fcendcns po^it ddri:fubalternum, quod rcfpeShi fuperiorum eft Jjfti  Quare ge^ des,injtriormiter6 genw. Genut logicum eflunumdequinq-pre^  C^^inu^de ^''" quatcnus de pluribus dijfrrentibut ft>ecie ac numer»  bnq- ^5di prtdicatunfedobbdnc C4ufdm, cr prtterta, quid tdntum parten^   CAblliblll.     s     ^cnti4ef}>ecichuicotmunicdt:& i /^cie difftirt, ^nU hdc iotm ScotizjU  rJJentUm mdiuiiuis Urgitur^   4. DeSpccie»  '   Pecies eft qu£ Jub fe plurd mdiuidud tdntum continet, ucl ttAtd efi  contincre. HMabsci; conliderdtione pofuimus in hacff^ecicidcfia, Notl»  nitione hM p^icaiix, uil wt(a eft contincft, quidfumquxddm  JPecies,cChimi prior m iUk corporibui rcperi*  turyquitndjx funtaeterkcorporibuiUuioribus fupereminere^  pcundd ucro m iUk qu£ grduioribut utroq^ modo,   13» DcPondcrofitatc uel grauitatc.   GKduitdt cfl rdtia, qud corpord ndtd funt dcorfum tendere j  qutdupUx cfiy jimpUcitcr cr per rcjpe^umi primo modo  corpord iUd fum grduid» qux infimum omnium locum ndt4  funt occupdre^ fccundo dutcm modo qu£ fuprd hxc tdntum Locumjibi  uendicdnt.   i4^DeMotii»   VThreuibui Idnc/Drmdmdcfiniendomeexpedidm, motum td'  tioncm tffc dico, qud crcdtd cundn mouentur. Ldrge motum  Accipiendogaitrdtioui cr corruptioniconuenit, dc quihm /»-   &. 5 quuti     quuiifumut ; hic tdmen firi^ie oDn/lderArevoUimui^ Motui (^eclet  muUgfuntfUtftdtimtibidemonflrabuur.  j Augmentdtio^ O" efi augmentum qudntitatk»  2 Dimtnutio,creJldecrementumquantitattf,  ) Altetdtio, cr efi mutatio de und qudlitite in dUdm,  4 Loci mutntiOf CT ofitk tribuit, nepUtribut m rdtio*  ne fuperiork fc communictnt. AfsignAntnr diuerfa indiuidu»   Qrum     f   l   ' WMgtntrd iitempe, flgtutUm iniiuiiuum^ ex demoftftrdtiotie, ud*   gKf», cr tx hypotbeji. Qtiod horum jit difcrimetiy Logid trddunt^   ji» Dc Attrafpeciesobiedcrufuorum4ttrahut,   3 2* De Contingentia»   OMne id quod i cdfuueljortundeuenitthocmodocontingent  efl, Sihomo templum uolensddire, d iapide deorfum cadente  ' in capitc Udatur» contingens efl, Si tripoix cadens e fupremo   \ locojfiat aptx fcdcs, contingensefl. Behaccontingentia fub nomine in 2« phi0»   cdfut dutjhrtunx mteUiffttda, pr^eclara Mo: tradit.   3 3, Dc Imperfeflionc»   Ih^iperfr^o pcrfr^Honk ef} oppofitum, ideo quot perjrBionU Jj>f«  ciesexplicanturuclexpUcaripoffuntttot cr imperfiihonk* Iw*  pcrfeBio e/? rattOy qua aUqtdd non habet effe completum. Sic ho9  mo A ndtiuitdte caccus aut furiws ucimancuf, imperje^s efi,   34. DeColore*   r ^dndis cft colortm uis, quonidm eorum medio m cognitionem   [ qudmplurimarum rerum dcucnitur. Plura etenim corpora re»   I periuntur colore uel lumine affc^y quitn aUjs quaUtatibus ut   f fatis notum reUnquitur de coelo. Cobr igitureflratio,qua mixta funt   colorata ; nota wtxf», quomam elementi quaUtdtibus fecundis carct,   3^,DeSono»   SOnui efl tmiucrfale quoddam ad otnnes fonos^Moc Ln loco fotuim  izcipe et quatcus icorponbus fottatibui proccdit,et ct ut efi qu4-   S i Uidii     «3«   Utds qu£ddm vn derm imprrlJj, ipfumci: ptrcutiens, ie quo eonllde^  Ydtur et^Um m dtbore fenjudUjed per dccidcns.ubi dc pottntijsfenji»  tiuis exterioribut obie£hstrdditur notitid,   FVmdUs eudpordtionts i corporibus odorifiris excuntes^ dcrc^  mouenteseumdUcrdndoyddor^num olfdCks dtueniuntyquoi  in dudbut nirium cdrunculis conjifiity crjlc ptrcipiunturodo»  tes* iUcuit breuitcr oRendtre olfdciendi modum i tu dutem in fe odo»  resconflderdf cr ([Udtenus dd potentidm ordindntur^   37.DcSaporc»   _ . 1"^^ Sdpore muUd effent diccnddt brcuitdte tdmen ^udenteSy  macen^^" 1 J  tangrmus. Saporis mdterid fubU^h, tjl bumidum^  cui ddmixtum efi flccum terre/lrc i humidd enim tdntum^ non  _ . funt fdpiddt quid nimfs fubtiUd ; neq; flccd tdntum, ut dc  finiUo ' * '^"^** ^ bMtM4W0({i fdtif dppdrct. Hocmodoftpor potefl definirL  Sdpor efl humidi pdflio iJUtd iflcco tcmftri, quod a cdUdo pdtitur i  unde perhumidum,receptiuum faporis txpUcdtur ;ptrflccum ttrre»  arepalJum, efficiens propinquum ; pcrcdidum m ficcum dgenSt tffi»  ciensremotum. Sdporlt muUxfunt J^ecies.   1 Dulck, confldt ex cdUditdte cr humiditdte mgroffd fubfldntidi  medidtq; eius compUxio intercdUditdtem G" fiigidudtem^   2 Suduky ex cdUditdtedchumidUdtemfubtiUfubfldntid; eiutq; com^  plexio efl medid*.   3 Pinguist ex cdUiUdte dc humiiitdte in fubfldntid mediocri ;eflmf  dixcompUxioniSt   4lnflpiduf, exfrigUitdte ; eU quoq; meiix compUxionkt^   f Sdlfus,excdliditdtevflccUdteinfubfldntidmediocri; compUxi^   tdcdUidt   6 Amdrus» txcdUiitdte cficcitdtc in^xoff^i i compUxi^ efi tdiem  eumprdceienti.     7 AcutMy ex cdlidiute CT ficcitite In fubtili s complexio efi eddem,  t A cetofwsy ex frigiditate cr jiccitite m fubftamia fubtili ffnetdtur t  tomplexio efi frigidd.   5> Stipticui, exfrigidintecrflccitite «t mediocriiedde eflcopUxio^  1 o Ponticuty exfrigidiate c^liccitdteingroljd j crefteundem co'  plexionls cum Stiptico Acetofoq;,   Korum fdporum multdt poffcm ajiignAre operdtioncsccdufu opc^  rdtionumf ^udx conJiderundM rclin^uimut Medick»   jS^DeScnfu»   HAncformdm uult huUui fub fe ^flum bL^muc contincre, fiy Recitantut  cutiexeiuiuerbiscoUigiLlnquitcnim^SenfuteflfemittAtusm Lulli vec-  drbore elementdli^ qui diJf>ofitui cfl rdtionc fenfUiux mfert£ ba.  in elementdtiud ej ue^tdtiud^ quod ex tUod^s nMurdle dnimdtunt  htd{hmdeducdtperfentire,cdloremdUtfrigiditdtem,fdmem v fi*  tim dc tuihtm» Non effet tamen mconutnientf hdnc fotmdm dccipert  fudtenut cuilibet fenfui efl dpplicdbilis.   3 9. Dc Conceptionc» *   PErhdncformdm mteUigendx funt conceptioaesndturdtefy qu£ Concepti*  ddffnerdtioncmfenfitiuiucL uegetdtiui ordinAntur. Ali^lunt ones naies  etidmconceptiones.f mentdlcs, quarum pdrtui func cxplicdti eimetales*  9ncs qux fcripturd» nutibut dut uerbis fiune.   40. DcDormitionc4.   DOrmitio uel fomnut efi dnimdUs perfeib uel impcrfeBi pdf^io;  ficuti ey uigilis^ hhic efl quodcd qu£ fenlibiit cdrent, ijs quoq;  cdrere ncccfje efl. Somnusdtiimdntibudnccefptriut efi dupUdS on* quk"  decdufdi primo ut uirtutes nAturdUs quibut uti nequdquam pofju^ reaniman-  mutfineiUdrumfdti^tionCyinterdumquiefcdnti fecundo ob uirtu^ ccffariui"*  tcs ue^tdtiudty qu£ continuo motu k fuis operdtionibut impediun*  turiCT hocuerum efje ex efftibbut cernitur ; exptrimurenim bomi-  ms JludiofoStmultum^ fenfibus utcntes non admodum efje pinguer,   S> ) obmA*-     1     M4   ob ntdldm nutritionem (jux m t:h ft i ex oppojlto ucro quidm kuH  uiuntur ignuuit^ ocio, fomnodediti^quitdmpinguesfunt^quoi  Somni gc nilfuprd.Generdturautemfomnutbocmodo. Obciborumdecodio-  neratio* nemyd corde uapores eleudntur, cerebrumq^ petunt, qui Ji nimid ctre*  brijri^ditdtecondenfantury replentq^ uenM dcmedtun, quibui d cem  rebroor^nii uirtutfenfitiud communicatur j C2r fic ItQ^ntur orQind  uel impediuntur ne pofiint fenjationcs fudf exerctret   4J* De Vjgilia.   DE uigilid oppofitum eiuf quod de fomni ndturd di(km efl, con»  jiderandum reimquitun conuenit pariter uigilid dnimdntibun  cr nihil dliud efi, qum folutio fcnfuum ad exteriores d^is,  per cdlork ndturdlis reiicrjlonem ab mterioribuf dd extiriord,   42*DeSomnio*   Definitar T) txplicdturi quid fomnium fit, dicimm effe dppdritiom   fomnium. J^nem quanddm exrecurfulimuUchrorum a phdr^tjfldyptr com*  pofittonem ucl diuifionem uario modoconfiitutamy ad jenfum  communem j quibu^ phantafmatibiu homini dormimific effe ad ex*  trd uideturut ipfa mouent, nu Uo cxtrinfeco agente in ftn [unu per re*  prxfentdntk modum : non jine caufa pofuimui hdt pdrticula^ (per  reprxfentantif modum) quonim per modum excUantk exirinfecs  qu^dam ad fomniorum caufationem rcquiruntur. Corpora enim cae»  leftta concurrunt adhoc; cum pbanthajid dccttert mteriorts pote*  ti£materialesfint,dcmdtcrijles obit6hrum ff>ecies retincdnt^ qu4t  Coeli &E_ mfiuxuf ccelcflk funt rcccptiute» Elcmentorum quoq; qualitates di  lcmentoru fonmiumefjliciendumopcranturdc conducunt; ndm corpork pdrtes.   ad ro'nii*iri "''^'P^^^W"'^ pariter afficiunt quali»  concurrut, ^''^'^'^ '^^> hinceH quodfidormicntii manw uel pcdes m aqium fri*  Nota. gidam ponatur, ftjtim fe in dqufedere fomnidbit. Mult£ funt fom*  fiiorumfj^eciesqud/srcUnquimmt,     43,DeGaudio»   GAuiium fink tft potcnturum fire omnium : dppetit dnimalt  timtt, irdfcitur, proftquituraliquid, CTdliuiuitdttob dcUdi»  tioncm CT ^uiium, qudtenut did^s tttles iire^ie uel indire'  Ae fequitur^ucloppolitumeiusuitatur. Efl^tiiium rdtio qud 4nu  tudl ic bono ddepto uel ddipifcendo, dut mdlofugiendo Utdtur»   44^Delra#   IKdex concupifccntid oritur, dt4*,   41 Hrfcrogcnritaf.   42 Ingroffdtio,   4 3 liltgMdlrt/ffif.  44 IncoAo.   4 f Imprepibilitdit  4d IncodguLi t(0.     47lffii'     4 7 uil^h^ €p Penetrdth»   4.8 mjiammitio^ 7 o Kemifiio»   4p inquiMtio, 7 r Rtjpiratio»   5 o InfclubilitM» 7 2 RctfflMaf  5 i U d Putrtdo^ 8 8 VniuerfalitdS,   67 Putrcfd Hio» S ^ VioUnidtio,   6 8 PorrofltdS, p o VflibilitdS»   Tlures formdt fdbricire poterts m undqudq; drbore, fl pjrtes omnes  4rboris conflderduerk dc indd^ucris edrum partium proprietdtes,  ^udtlocoformdrumpoterkhAberei quid Mt dixi dliqudndo, form^  iooo proprietdtumafiignAntur, qut meliusm reicognitionem ducunt  qudm cetetd txtrinfeci prxdicdOi* Dedimus modum fMcdndimul  tis formdSt Sdt uolmm de /ormis dixiffe, dc de primd drborc.     T DEAR.     R     ^> f ^ 8   DE ARBORE VEGETALL   ris demc^ contempUtiodrbor(sutffalifyquonum fccundum nttur^ or»  talis ad ve- dinempoftlimpUxclfcquoirebwtconuenit.fcquituruiucrt.quo  getancem. melfcncbiUonconftituunturinec altiorcm gndum poffunt corpo»  rea cntii unqu4m coafequi, nifi ue^tans uitj prxfupponatur. Inh^c  drborcomnufumconliderandafub dupUci rationcy uideUcet qudte*  nwi habent effetf^enhxtiuum CT uegctitiuum, boc ettnim lUud prr»  fupponit»   DE RADICIBVS.   AdiceshuiMarborkeiedem penitns funt, qute pro etementsU  arborc funt firiitatXi aquibus omnes arbork Jpartes fuum effe  dccipiunt : nec aUquidradicibtM oonuenity qum arborum par*  tibut fccundario conucnidt.   DE TRVNCO,   TKuncu/s efi qttoddm uninerfale corpWy m quo potentiaUttr  particularestrunciwntinenturdcreliqua omnia, qu£ iruncu  fequuntur. Nam uirtutenAturaUumaffntium qu£ m eo jun^  potenttaUterada^mdeducuntur*   DB BRANCHIS.   BKancl£ funt quatuory fciUcet potentidappetitiudydigejUHd^  retcntiudy cr expulfiud. Per appetitiudmquodconueniense^  pctitiua uefftantibwfy defideratur, dc beneficio nAtur£ fruitur^ ?rouid4   uelatcia£li HAturd diuerfls diMerfat trddidit uirtutes, quibwt conuenientiddttr^  bunturut m effe conferuentur, Quoniam uero quod dttrd^m e/J,  ad attrahentis membra roboranday qu£ nAturalH calorls ui ac MrtM-  te debiUoitA fuere, nunquam efl aptum, nift membrk nutriendls flmile  fiat; ob id opm efl difffiiua^ qua alimentum concoquaturyac digem.  rantnr ea qu£ f^eciem cr formam membrornfufcipere noo apta funt^   £tioc     TEt Idcalimcntum tfuodih extrinfeco ucnit, quii m tcmpdrc impcr* ^  ccptibilinonpotcjltranfmutdri ac conucrti in aliti fubfldntiiMyoh  mbcciUcmtr>insmutantif aibonemcicpafircfiflcntiam: idco ncccft  farid cfl quicdam rctcntiuafacultast qua nutrimcntum tamdiii rctinc' Reteatiui^  dtury quoaduiq; nutritio fiat, At propter impuritatcs abifcicndas,  qu£mrtutc digcfliux pottntix, d purioribusfubtilioribwsucfuntfc-  g«gifno ; qutdam inquiunt, effe cor, aOj controuer-  neruum^nonnuUic^rne ;cum omnibus idem pottris afferereiinteUii notadui*  'jgendo cor effe radicale orginum, non ta^us folum fcd aliarum etiam *  potentiarum ; neruus uerb efl or^nnm defirens ff>ecies j caro fufcipi*  ens per tnflrumenti moium i caro deniqi ncruofa eft totale or^num^  Veeius quoqiUniateuelmultiplicititemultx funt lites, qud/t fic po Oeunitate  .Uris fedare. Plnres funt uSus non raiione diuerfarum formarum et plurali*  fubftanlialiumy fedrjtione diuerforum contemperamentorum quali^ tateta£tus«  tatum ; aliud enim eil contemperamentum faciens ad percipiendam  ealiditxtemcr frigiditatem, aliudreffyedu humiditatis cr ficcitxtit,  Affatus (mquit LuUus) eftiUe fenfus, per quem mMifeftatio fit t» Dc Affatu»  fermone,quieftintraconceptmtCrd4texempU» Sicut homoquilo'  quituriUudquodcogitat, CT 4ttw flmiUter i ficut ttiam ^Uinaqus  tUmatxdfiUosfuos^  DE RAMIS 4   RAmihuius drboris triplicis funt natur^, ut fupra oftenfiim e^  de qudUbet huius arboris parte ;crfutu membra unimaUum  tam mteriora qulm exteriora, m quibus Ht renouatio perut*,  getatiuam potentUm, compofitit per elementaiem ndturum, com  municitio uero idfenfus omesper fenfitiuam uirtutem^   ^ ' T 4 DEIO DE FOLIIS, FOlid funt ediem dccidentU qu^CTin prioribus drhorihus rept*  riuntur, fub triplici tdmtn rjitmeconfiierdtdicrhocrjttioni  fubicdi A quo icnomindtionem dliqudm recipiunt i cum igitvr  • gnimdliatriplicis[intitAturx,Pc&dcciientidiniUk fubie(htdcon^  Jimilif nxtura fiunt. Non ignormus hdnceontemplttioncmfatis effc  impropridm, fei fcquimur Frxceptorem^   DE FLORIBV8»   OVerdtiones omnes qu£ db dnimdliprouenirepolfunt^qudte'  nus hdbct fffe,uiutre vfcntire extrinfccumy flores iicuntur»  Nfc plura ii^bit rdtio ut ie ijs iicamus, can in qudcunq^ /fre  4rbore,optrdtion€sloco florum hdbcdntur.   DE FRVCTIBVS Quituora Tn»ai«ffttf funt dnimdntid omnid fuh qudirupliciratione conflit*  nimalium h^r^fi, quorumqutidm funt igned quid inigneuiuunt^ dliquddk'»  rpccics, red^quonism tdUlocofruuntuT^nonnuUd ttrrcflrid.vqudijm   4qued;ii(iinguunturigiturinqudtuorcUlfef. No« eltprafcntitne*  gocij dnimdUumfpeciesnumerdredc eoruniem proprietdtcs oflen»  dere,Q^iieijsmuUdcognofcerecupit,le^t Ariftot inUbris ie  porid, ie pdrtibus^ CT ie generdtione dnimdUum,   DE FORMIS.   ItHter formdx dnimantibus conuenientes ifl£ qud^modoielinidhh  muslocumhdbent,qudrumcognitiononpdrum utilis erit*. Bt ne  iiipLex fit Ubor nofler, formds unJi coniungere uvlumus, qu£  ^nimdUconueniunt, qudtenus e(t exterioribus fenfibus dc intcrmi»  bus fenjitiuum*   l Apprxhenfio. ' /^AflutU,  1 n ppetitus fenjltiuus, ^ Auidcid.   5 Alfenfus, 6Affmsd^Ut,   7 AeflimA*     Hf     tf Atdiittdtios    28 Intdgindri,    S Auditiu diiut»    2p inffnium.      9 0 lrecies in fenfucommuni  recipiuntur Uuiut fenfus ncccjiitM efly ut de fcn fmm exttriorum fft^  ciebui iudicium fucidtiUndm ab dlid diftinguendo^ dtq; ut fit dUqus  potentid que cognofcdtuifum uiderCt duditum dudire, cr fic de reU^  quiffenlibui;ipftenim ob eorum mdteridUtdtem nequeunt fuprd fc  ipfos uel proprias optrdtiones d^m habere rrflexiuum ; qui tdmin  De im.igii= fcnfuicommuninonrepugtuLt. Imd^nAtiud ftnfum communem ftdtitn  ^^^offi^io^ /f ^ Mi>«r, cMiwi pro^nnm f/? cj« db eodim jenfureceptdsconfcr»  ^ * uirezrretinereinAm fenfusconmuntis t^ntwn retinet ^ecies exti4  riorum fenfuum dum m obieiU tendune, inimdgindtiuddutemdM  conferudntur^ Aeliimdtiud hoc hdbet priuilevium ut imdsinAtiudtn   ClUlUelCOf^ r r ^ n t • • r   gitatiua e P^q^     ^ttiiiinonidrtturtirumj^tcierutn conferudtricem^qux dh tfiimd*   tXHd uel phdntafid funt fabricdtx» ideodlid potentid ddri necej[drium   eji, qu£ dppcUdri pottfi Mtmorid fenfitiud ; qu£ non ejl eddtm cum De Memo-   inieUediud utquiddm fdtk inefjicdcittr probdnt^ dc txiftimdnt. Et 'ia fcnfici-   flccompletus eflordoudldcddmirdbiUfinttrhdfcepotentidf. Dcrc'   minifctntidynihil omnino dicere uolumm»cum dmemorid non diffvrdtt   nifi in qudntum memorit funt proprix jpecies^ rtminifctnti£ utro   dUtn£. Stcundum hdt pottntids td qux in pritcedentibu* drboribut   eontintntUTj confidtrdri pottrunt^   DB RADICIBVS.   Slmilitudintsrddicumrtdlium drborum pr£ctdtntiumthuiui drt  horis funt rjidices, ut tdlesfimilitudines fbrmdliter ueluirtudlitcr u°?  interioribuf potentijs obie{h ofleniuntt J^diere hds pirticuldf U|*tuau"cc  ntceffariumfuit,f. fvrmdlittr utl uirtudliter, qutd non omnes rddicts^ jcn cat,  propridfbdbtntJpecieseMreprxfentdnttSjfcd uirtutt dlidrum notx  fiunt ; ut pofjumus dt bonitdtty ucritdtt, cr dlijs dicere. Hoc idem de Rclati oncf  quibufddm dlijs inttUiffrepottrlty ntmpt dt reldtiotiibut tdm intrin- qaom od o  fecui dduenientibui qum txtrinfecm i qu£ rdtiont funddmtntorum^^^^^^^^'  titftum cognofcuntur.   DE TRVNCO-   A^borlsimsgindistruncufexfuif rdiicibus confiat ; dtq; tfl  fimilitiido coiifufd truncorum reliquarum drbortm ic quibut  trdd^iuimas : in quo funtjimilitudines truncorum pjtrticuU*  rium.Quifintilii trunci ptrhuncrcprxftntdtinon efioput rep^erc^  atm fupn bis falttm hoc minififldium fit. DB BRANCHIS.   R dnchx ifiiM drboris funt fimilitudines brdnchdrum drhorUm,  ie quibu^ fuprd Ohonim ucro nyn omnes iU t brdnchje fuam  poffunt ciufdrclimtUtuiintm, ut p^ttt de potenti^ uiflui, audi-   V 2 tiudM     B 14^   tiud» guftdtiud» trd^ud^ cr dlijs in drhort fcnfudli nttmerdtts cr dt0  cUratift dc etidtn de brdncbis uefftdntisi quid interiores potenti^  obie^ potentidrum exteriorum cognofcunt, non dutem ipf^s pottn*.  tMU,nili per opentiones CT dCiusiiieodddiiusMlddtdUdiritudUm fecundum ordinem fupe*   riui obferudtum mdnifrlldbimut, oficndendo quds pdrtes flbi conuc*   nianf.   DE RADICIBVS»   HViws ndtunerddices/ffiritudles funty cumcripfx/lt J}>iritud- Inter hui*  Lis ; intcr quM txmen non efi dnnumerandd ContrartctM, pro* *f borislra-  priecontrdrict%tcmdccipicndoy quid m cdnec qudUoLtesrc* c5crar?crat  periuntur, in quibut funidtunSiuero contrdrietds confideretur pro ouiic^  repugndntid dliquorum iuorum aiiquoi tertium diuidentium, ibi uti^  ^ repentur, dc m omnibus qu£ fub ente continentur ; cr ueritu in ijs  qu£rdtionc difjrrcntidrum V nonmoiorum intrinfecorum ai Wio*  cem pugndnt, DE TRVNCO. TKuncuiefl qu^ddm fubfldntid gencralis CTconfufdy qux plu* ParticuT»  rimat fubHantiat parttcularcs ac Jpirituales, fed corponbus explicaict  ndtasconiun^ ln ratione /vrmx in^rmantiSyiiciturpotentid* definitio-  luer continerc. tion absq; ratione m hdc definitione plures particuU ncm»  €XpUcdtiu£ funt pofitx, ut magis buius trunci adtun cognofcatur, ac  difaimen buiits dtrunco drboris dngeUcalis. DB BRANCHIS.   N^turdh^c ff>iritualls tribus brdnchis confidt, qudrum prior  int(Ue^tseft,poftecie inteUigibili. R huUus  dehk tnbus branchis differendo ek applicat formas conuenientes^  quam proUxitatemuitamuSyCum modum appUcanii formas entibus  omnibusttm pcranimaduerfiones tum per expUcationem traiiit'  rimus. DE RAMIS.   RAmi iy?iKf natur£ funt concreta effentiaUa brdncharum . f in- Ra m i cn  teUediuumy inteUigerCy cr inteUigibtlc ipfius inteUe^us ; uot meraQCur,  Utiuum uelnoUtiuum, ueUeuelnoUc^ uoUibUeuelnoUibile,uo»  tuntdtts; memarue uero memoratiuum, memorariy memorabile, Su6  iflif expUcatdrum poteniiarum concrctk effentiaUbuSj omnid entid  continentury in rationt obiedcrum, a&u^ potentid propinqitdy CT  remotd, i pprxbenfibiUum.   DE FOLIIS.   SVomoiondturtiftifoUd, €onueniunt,qu4e fuptd dlifs drboribus  conuenire iocuimus ; uerum tamen eft, quoi absq; labore uUo o"  t meUus cathc^rix a nobis traiitx potcrunt appUcdri^ Siper c4»  the^rias Ariftotelis ie JpirituaU ndtura finitd cr Umitdtd iifferert  volueri/s^qudntitdtem tibi fume difcretam, quaUtxtem innatam uel  dcquifitam^ reldtionem dd principium eius produibuum dut con»  feruatiuum uel etidm dd operationes diutrfdf qudm operdtur, dHioi  nem pcrmouentis vinformdntk modum, dutmouentk tdntum; pdf* fhnem qudtenus primi principif recipit inteUe8ionem ; cr fic dt  dUjsfuomodo. Siuero peromnes iUds cdthe^rids nequdqudm pott*  rk difcurrere dd propriM confugito, Kdy: LuUus hdnc drborem ex^  ninando per cdte^rids omnes, ubi de babitu differit artes mecbdni*  CM dcfcientidf enumera^t i cr rdtioqux mouitipfum dd pertrdfkw  dum de ijs hoc in loco, ej non in cate^ria de quaUtattf r/?, quia fa»   V 4 cultdtes o  Artes ct U', fuluta iftje qu4s ftib brcuitdte tdrtffmns in finchuius opnts, plum  cuitaKS o. AdiUiigtndo,quiif Pigrippdinlib. dcVdnitdttfcientiarum cnumerdt,  mnci Ju :.i i^tiruiiuntdrtificidles^quiA ndturaUbus cmdndnt. Holo difcutere  pitc !li 1 ^^^^ ^^^^ fiiij}fn(Yit uel mdle f cr dn eius rdtio udlcdtf  ficaisignlt Secundum udrict4tem hdrum fdcultdtum uel habituum edruiidemip  ^prii ob- proprictdtummultse fDrmxpoterunthuicdrboridfiigndri, qudtcnus  iccia^ jiu furd corpordli dclpirituali confldt. Hdbitus iflifire omnes, homi-  ni conuetiiunt non rdtione dnim£ tdntum, fcd coniun^i^   DE FLORIBVS4   Verdtionesdb dnimd rdtionaliprodeuntesflbiqi peculidres fT  \nonconin^ijfunthMUS4rboTisfiores quodddlterjm pdrtcrn  cotifiderdtx* At operdtiotics qus dmmdconcurrentedccon  porcy funt fiorcs drboris humdndlis ex corpored iyf}>iritudlindturd  €onftitut£, DE FRVCTIBVS.   NHcefJe efi hicfiuChisconfiderdre,utdb drbore hdcexutrd^  ndturd confiitutd proueniuntj quonidm rdtionefj>iritUdlis nd*  ma anima turtfiv^lus nuUi ddri pofjunt in effe fimpliciter produSlu  non gcnc- qni^^tiimddtimdmtiongenerdtnec producit, ob immdteridUtdtem  '^^* qud feperpetuo confcrudre polefi m mdiuiduo, Tiunt etenim m cor#   ruptibiUbui generdtiones ut tdUd in tcuum confiruentUTyfaUem \n  'ff>ede. Generdt tdmcn dnimd fccundum quid, qudtcnus obit^lum  quodpotcntiderdtinteUigibile, diUgibile CT recoUbile, fit ddu tdle  uirtute inteUc^ius, tioluntd tlSy ucl memoride, qudrum uirtiulem fdUi m  imginem gerit, dd mfitr fiuiim refj^edu fut cduft uel drborls. ¥ru*  t Luiii*  €endd/fiproUxiatemnonuirxrtmus^ hoctimen fcire decety eleSHo*  nem tintummodo ex oonfequenti prudenti£ conuenirey mqudntum  iUHiontm ptr conliUum diri^t. Oihfunt pdrtes prudentidm 'mtt' Oflo^^tcf  grdntes,qudruvtquinq;fibiconueniuntutell cognofcitiud .f memo. prudctiac  f M, rdtioy inteUe(lu4y dociUtM dc folertid^ tres uero ut prtcipit .f  prouidentid» circumJpeBio^vcautio, dequibu/s trdfkt D. 'ShomM ^^J,/^  m fecundd fecundx,   TortitudofectmdumLuUumeflhdbitu^a' uirtufy per qudm ho» OeFoititO  mines funt fortes contrd uitid, cr nituntur dd Uicrdndum uirtutes» dinc»  Hi/ic definitioni dUudit TuUj defcriptiojnquientir^ Tortitudo efl con»  fiderdtd periculorum fufceptio,KJ Uborum perpefiioMiCc uirtus md^  gts d potefldte perficitur qudm ab dlijs radicibus, quii prmcipdUor  eiwtd^isellimmobiUterjiftere m pericuUt,quod poteftdtem mdxit  ndm dicityunde CT Arifto. uuU quod in fuftmendo triftid mdximd,ll 3. Ethl.  aUquifortcsdicdntur fedminus prmcipdUter; tion omnk firtitudo  tftcardinAlHuirtm.quidfipro fortitudine dccipidtur firmitdx quX'  dim dnimi^ tunc conditio eft qutedam omnium uirtutum qudrum pro» j jg, q,  prium eft firmittr ty immobiUter operdriut inquit D. Tho: 1 2 j, ai: i^.   Ver tmperjntidm repriinuntur conatpifcenti^cTdele^tionef, pcTepcri-  non qu£ funt fecundum rationem, fed qu£ rdtioni dduerfantur, CT  qudtenu^taUsdeUfbitionesfuntcdrnAleSyUndelfidorufdity Tempe Hb. Etym.  rantid eft qudUbido concupifcentidfi;refiendtur, cr Ar: uuU tempet 3» Ethi*  Tdntiam tjje delc6htionem a{his moderdtiudm^ Nw ed qu£ JtD.  AHgM. dicunturhis refia^ntur, quando ait. Temperdntideflmcoer^ j^qj! g^^j.  cendisifsqu£nosduertuntdU?tDei,quonidmibi loquitur de tem* ca. ij^»  perdntid, qut cfl ftnerdlis uirtus cr non JpecUlis. Certum ndmeCiueorumqua eiui capacitdtem excedun^  ddquietdmenordtHAturi quddam ei quoq; debent conuenire, quibui  Humana ilU pofiit dttinffre» Qjtx humandm excedunt fdcultdtemeft ipjeDem  facultate,^ acbedtitudoy wteUeik cr uoluntdte dttingibtLid,quatenut inteUe»  excedecia. ^utperfidem iv/ormdtur, ut ed qu^e lumine nAturdli percipi ne^  queuntyUerd effe creddt, CT uoluntdf per Jpem m Deum mouedtur, dc  Virtutes percbdritatemeofiudtur. Hdc dicere uoluimus ad oftendendam «ir*  •^* od^o Te theologicdUum fufficientidm,fed quid qudUbetfit modo oftenm  excedat 6c '^^'^*'* ^^deSyJpes v charitas ideo theologic£ uirtutes dicuntur, quom,  non* theologicum obie^m re/piciunt, nempe Deum fuper omnid be* nedi^umy C hi hoc tmUdm hter fe hdbent maioritdtem uel minori*  tdtem,Uceted ratione qud und propinqutoreftDeodlid, fecufoplM^  4undum fit;ndm chdritdf qux dmdto dmans coniun^t, fidedcjpe  perfi8ior eft,cum ift£ quandam diftantiam figntficent, iUd uero con».  iun(bonem, propter quod deipfd dicitur. Qui mdnet m chdritdte, m  i, loan. 4« mdnety cr Deut m ro»   LulUi6 n 6 fidcs,ut ait LuUuty eft uirtut qut compeUit inteUedum dd dffir^  tccipicfide mandum ud ne^ndum pofitUte lUd qu£ uerdfunt. HicLuUuinon  pcoprie. confiderdt fidem theologicam, fed indiffcrentem dd acquifttam cr   fttfam i quonidm de omnibw quje uera funt non eft fides mfufdy fcd dc  Deo tdntum, tanquam de obtedo formdU. CT de trdditk m fdcra fcri»  pturd Mt de obiedo mdteridli^ Fidcm igitur U€rdm CT mfufam optimc   D. P4lf«     i>. Pdulitfdepnit qudndo hquit, Tiics efi fublldntia ff>erdnddrum AdHeb. f f  rerumy ar^imentum non dpparentium ; ndm ut dit D.ThoXum ddwt »x.q.4»  fideifitcreiereexuoiuntdtisimpcrioy debet fignificdre ordinem dd  obieiium InteUe^ui cr uoluntdtk ; obiedum uoluntdtk efi res ff>erd*  tdyfidei ucro non uifx: qu£ duo obie&a, explicanturycum dicitur: Sub»  fidntid .1. primd Inchodtio rerum fperdnddrum in nobls per afjenfum  fideii cr drgumentum non dpparentium . i, eorum quibiis firmiter af-  fentiendo ddhtremw. Quid uerb ex frequentdtk ddibui credendiy Fides.rpcf,  /}>erdhdidcdUiff-ndiDeum»hdbitu5'iUis ddibus confvrmes generdn ficcharitai  tur.ideoprjeterinfufMhdfceuirtuteSjdcquifitdsquoq^ in homineeffc *cquifii«.  affirmaredebemits*   SpescumexfententidD, Augufi^fltfoUusboniardninondddlium Enchir.  fed aife pertinentH, ideo ad uoluntdtem pertinet, cuius proprium ^/^ ^?* ? '  in ente fub ratione bonifcrri ; cr non in quocunq^ ente bonoy fed in ^**  iUo quoi omnem habet bonitatem cr perfe^ij^imo modo.hince^ Spcs quj^j  quod LuUu^ fpem definitns, dit. Spes eff uirtu^ qut ait Aut alterius ': quoi  perhoc uelit inteUigere in ratione p nts, fed in ratione excitdntfs, cii-  iusmodifunt dnfflicufloies, cr boni homines^iuelprafupponentfs,  quidfiiesprarequiriturfperdntiiundea' ClolfafuperiUud Math^  j . Abraham^nuitlfaac: inquit.i. Fidesfpem. EtquodRay. loqud' D. Tho, la   tur{dcuerdJpe,patet,quandodit,Adquemuenirecreditplusper po- »/•  iefldtem crc« quam fuam. 7»   Chdritat di uoluntxtem quoq- pertinet, cum eius obiedum flt De* q y^^^   us fub ratione diligibilitdtlSy uel proximum ut in Deo. Kdnddtum hd* tatc   tfcmus i DtoydTt lodn, qui diligitBeum, dili^t fratrem fuum. Per   hanc enim uirtutem utfupra diximus, homo Deo coniungitUTy c ob   iduirtutumomr^iumeflexceUentiflimdy ut ttidmD^ Vdulus teftdtur |, Qqj   tiki inquit, mior horm efl chdtitM, Nfc dUqud uirtus fimpliciter * '   X 4 ueri     too   Mrru flne chdritdte tlfcpoteli, ut iicm fdtduteoiem loco dit. U  l^t connt- Ihibuerofyf^CbdritcLtemvc. nihUmilnprodcft.Rdy: LuUus con$  xione vir- neiiit qudmltbet uirtutem cdrdinAlem cumqualibet cdrdinali dc tht*  tutum srh ologicdy qudtenucunddUdm infDrmdtiquodutmeliuscognofcj^jexc'  Lullu vidc quxdam fubijcerepldcuit. DeluftitidO' Prudentid dit. Frudem  excmp 4. ^.^ iijponit iuftitix obiedd fud,in qudntum inquirit licitd cr iUicitd»  quideftoperdtiointeUe£lus,quiiUdinteUigit* De Tortitudine c lu*  fiitid.Fortituioiuftitidmfortificdtcontrd iniuridm tunccum bomi"  nes fvrtitudine utuntur. Sicut iudex cum tentdtur ut ob pecunidm det  fdfum iudicium, ipfeconfiderdtfDrtituduiem multipUcdtdm ex boni^  tdte,mdgnitudine,fdpientidyUoluntdte, uirtute,ueritdt€ CT gloridB  qu£ meliord funt qudm pecunix, cr tunc contrddicit iniurix cr fortts  remdnetijifuoiudicio. De\u(litid(jlide. Vult iuftitidquodinteUe»  Hus feip fum in crcdendo utrd cr dltd cdptiuet, licet ed non wfcD/gtf *  D« luftitid cr fpe. Uftitid prxparat ffiei fud obie3tk,in quantum iu*  flum e{i,quod homines mdtorem Jjjcm bibcdnt in poteftdte Det,cr in  eius bonitdte,mdgnitudine,a' uoluntdte, quim in poteftdte credtd».  Fer horum cognitionem tu ipfe poterk per omnes uirtutes difcurrert  conneikndo qudmlibet cum omnibus. Trdiiat LuUus de quibusddM  alijs uirtutibus mordUbus qut numero funt 1 6 cr dprioribus depetu  dent, de quibus breuijlimis uerbls dUqud dicemus,  1 Sdn^itdf eft iUduirtus, per qudm fdn^i funt innocentes CT 4 ptc»  cdtis mundi» .  z ?dtientid eft uirtuSy perqudm homo pdtienteromnid fuftinet^  5 fibftinentid eft, per quam homo db lUicitk cibH fe dbftinet*   4 WumiUtM eft, perquam homo propter Deum fc nihil effe reputdt..   5 ?ietdf eft uirtuSyqud cordlt bona afjv^io fe extenditdd parentes CT  patriam, cuUum eis exhibendo.   6 Caftitds eft uirtuSy per quam concupifcentid 4 rdtione cdfti^tur» •   7 Ldrgitds uel UberdUtds eft uirtus, qut confiftit in medietdte qudda^  circd pecunids uel diuitids.   8 Le^Utdx uel jideUtdiS eft uirtus, qu£ id obferudre fdcit quoi pro •  miffum rft« p Prr cotu     y Ver conftdntUm.homo pttfcuctit in hom pVopofttol   I o pcr dUi^ntimt ju^ chariatis funt homines qu^ruiU ae pigrU  tim peUunt,   I I SumtMhominesti^tchdritAtkumcuto, ut pdtientidm cr hu*  miliatem dmple^tiinturt.   1 z ConfcientUt, ntione timork ii cdufttf ut homines hnum fdciint  milumq; uitent*   I 3 Timoriifljicit,neDeum dut diipsuoriinAtdlomines ofjvnidt». 1 4 Conlritio ejl iolor perfeChs ie peccdtk commifis, cum propoJU  to non peccdniidmplimt. 1 5 Vcrecuniidy licet non fit proprie uirtuf, tnmen ejl pdfio qujtidm  Iduidbilis, qud homo turpituiinem timet,   1 6 Obeiicntid eftuirtus, qud homo liberfe dlietim uoluntitifubijcit  propterDeum,   DE RAMIS.   PEr Tdmos dUdrum drborum potefi hdberi cognitio rdmorum  huiuf drboris, fei potij^imum per rdmos drboris imdginAlis^  QuosjiiijlinBiuscognofcere cupls, hdbeds potentidtuirtuti*  hustnformdtdf, d quibus conftrmes prouenidnt operdtioneSytcrmf  nenturq; di obieih qu£idm ; crjic habchis uirtuoft drboris rdmos,  qui di uirtutum muUipUcdtionem pdriter multipUcdri iebent^   DE FOLIIS.   FOlidyfuntdeciientidiequibus fuprd muUotics loqiiuti fumutp  conformiter uirtutibus dppUcdtd. Non icbes imagijuLri uirtu»  tcm pofitionem locumq; hdbere propric, cumfit Jpirittidle quoi*  ddm dcciicns ih£c tdmen hdbet eomoio quo in Cdte^rijs trdttft  cendentij^imis expUcdtum efi,   DE FLORIBVS»   FLoresuirtutum funt meritddcquifltd;crdiuirtutum iillin^»  oncm fequiturmeritorum Helfiorum ii(lin^iO ; imo rdtione rdt  X dicum.     t4»   dicum, qu£ udrib modo uirt)tl^s pnpciuHt, flous diutrp pofjuni  coUi^idb urtAcadmqi uirtutc puUuUntcs.   DE FRVCTIBVS.   DVogenera funt fruCkum huiut arborls, frimum efl merctt  mentorum, qu£ uariatur ad uariationcm uirtutum, fecun»  dum eft feruitui ac honor Deo exhibitus uirtuosc. ARBOR VITIORVM. Itihacarboreconftderantur uitia utrtutiBu^ oppofita priuatLUe;  quorum cognitiononparum proderit ad uirtutes cognofcendast^  dequibu^aCbmefi: nam oppofuum inoppojiticognitionemaU»  ^uam»deducitf   DE RADICIBVS.   HVitw arborts radices prmcipaliores quatuor funt, uiielicet  malitia qut bonitati opponitur, ftultitia lapientue, faljitas  ueritatiypriuatiofiniSifinipoJitiuo; qu£ tamen ab alijsrd'  iicibm exceptk bonitatCi fapientia, ueritatCy cr fine mfbrmantury ac  tas mformant unde non minus uerum eft dicerc. Stultitia magna>du»  rans,appetibil{s,cognofcibtlis,fyc: quam magnitudo {^ulta,falfki  nia[a,acfinepriuata:di(currcndo per radices omnes tamablolutoi  quam ref^eChuax,huic arbori conutnientes^.   DE TRVNCO.   TRuncus ex radicibus fuis conftat,qui diciturmos confufu/icT  generalis fed prauus, m quo particularia uitia funt potentiali*  ter contenta, qu£ perlibtrum affns ad aChim reducuntur, pro  Ut tfoluntas inordinAta id quod deberet refutare» eligit^   DE BR/VNCHIS.   PFr ea qu£ de branchk arboris uirtuofe di^ funt.habetittum  dentiam fatis cUram, qux de hHiui arboris brmhis pojjunt di*   ci^curm.     ti, cum oppofito moio fint eonfiderdnii. Septem prmipdiores bri»  chx dfiign^ntur, uidelicet GuU.cuiabjlinentix opponitur ikudritii Numerai  cuiLiberalitM uelUrgitas aduerfatur ; Luxuria qujt ptr continentiam ^  toUttur j Superbid pcr humiUtatem deflruitur ; Accidia per diUgenti gj'-^ oppo-  «wi ; inuidia percharitatem ; CTlr^ per manfuetudinem uel fuauitdt  tem ; de quibwt omnibui poterk difcurrere conne6kndo quodUbet ui*  tium cum quoUbety quemadmodum de uirtutibm di^him efl. Ab bis  puUulant ac emanant uitia aliay qu£ nominare placetcum fuif oppO'  fltkt Iniuria eficontra iuflitiamy mdifcretio contri prudentiam^ de*  biUtix cordi^ contra fortitudinem, intemperantiacontratemperam  iidmt mfideUtaf fideUtatiopponitur, dej^eratiofj^ei^crudeUtan chd*  titatiytraditio defrnlioniyhomicidium diUBioni proximi, Utrocini'  m UberaUtdti uel temperantijey quia per guUm ut plurimum  tatrocinium committitur, mendacium ueritati, maUdiBio charitati^  impatientU patientix, mconflantU prudentix cr /Drtitudini, im^  tmindicid fxn^litati, pigritU diUgentije, cr mobcdientU obedientie*   DE RAMIS,   RAmitfunteffentLiUd correUtiud uitiorumy quibut uitid gentc  rantur iflcuti^iU rdmi, funt adiuus mordinAtm appetitu/s  comedendi, d^uiy cr correUtiuum ific crde reUquisuUijs  fenticndum efl,   DE FOLIIS.   FOlU funt nouemdccidentUyUitijs coouenienter dppUcata ; quo'  rumnonnuUd cr uitij naturdm foUnt dUffre dtq;mutare^t  reum ante iudicem uocarty ac etiam punire, iuxa iudicl/s uel \n:pera0  torts decretum. Tnquifltores ut inquirantt an a miniftrts utl alijs bferui»  d£ conftitutiones^t poftea tim ex parte uendetis qum cmcntis snmd  prxcij pro quatit4te;pro qualitMe^bonitat rtiucdit£ dtq; pecumarUi  . • Y j proreldA     pro reUtione mplor C ueniitory ftc de dlljs lolijf cohpicrdniA^  DeFlorib' flores funtiudicixlmperdtoris fuorumq^minijiroruny omnesq; \ms  perdLtoris ddiones dc operdtiones reUt£dd fuipopuU utilintem^ uet  regimentjiores quoq; pojfunt dici, idem cenfedtur deceptio»   Diffdmdtio, Turtum*.   iMxurid*.   Proditiot   Vomicidium,   Blafphemid*   Inobcdientid*   Menddciumt.   Indiffntid,   fortunA.   Voluntdrium,   Ignordntidt^   Obliuio»   Libertdt*   Seruitut,   Vrtefumptio^ DE ARBORE APOSTOLICALI.   QVs indrborei/lu fintconlidcrandd, mdnifrlla reUnquuntur cx  bis i qux in typo arborum ntdmfiftdta funt, DE RADICIB VS, Trunco, et Ramis»   RAdices funtCdrdinAlesuirtutes dc TheologicXt infimtdtxi  rddicibuiunius,bonicxte,f mdgnitudincy CT dlijs  omnibut. Supra mdnifrftdtum eft quod eodem modo rddices  non funt omnibufdrboribufdpplicdndtfcd fecundum exigentidm ed*  rumaieo non eft opws repetere. TKVSCVS eft perfond generdlis,  Tdtione /piritudlis poteftdtiSy cr eft fummus Vontijixy ?etri j/wccf jjor  C lefu Cbrifti Vicdrius j wt quo cxttrx dignitdtes eccleftdftict conti-  Hentur potentidUtcryreducunturq; dd d^bim per optimum rddicum  ufumfummiPontificlf. Hic truncus potcft confiderdri qudtenus eft  bonus uel mdUu, cui CT conformes rddices funt appUcandx; non quoi  ttdturd fuiunqudm pofiinteflemjlje,fedrdtione prduiufus.^KAii*  CHAE funt CdrdiiidleSy Pdtridrchx, Archiepifcopi, Epifcopi, Ab»  bdteSy PrioreSt Miniftri. CT dlit perfonx communes eccUfidfticx^  quorum officium eft, curdm torm ffrere qui fibi creditifunt, E/i  optimd brancdrum cr trunciconcorddntid, qua medidnte, inter bxc  duo confur^t pcrfi6ho reUqujrum rddicum^ contrdrietdte exceptj»  hocfuppofitoquodconcorddntidfitbond. RAMI funt qudmplurimi,  inter quos etidm funt iUifeptem quos in drbore imperidU expUcaui*  musy proprij uero funt decem prxctptJi decdhgi .f Vnum DeHmco- Prxcepra  lere^Sdbbdtum fdnibficare, Komen Deimuanumnon dffumere» Va dccalogu  rentes uenerdri^Teftimoniumfjlfun non perhiberetNonfurdri,tion  occidert.Kon luxurijrit Non dcfiderdre dUeriwt uxoremy Neq; rent  proximi, Worum prxceptorum fufficientidm optime mdnififtdt Ec ]i. ^.sntiar*  cUjix doBcr cr CdrdinaliA D. Jionduenturd Nrfm cum prxceptd (fu ^ ift ^ 7. q. 1  pUcid fint uidelicet primx tabulx cr fecundx tabulx i. quxdam re ^"fiiciecia  fi>e(lu Dci, CT nonnuUa rej^eik bominumi omnia adu perficiuntur; j^^i^   Y 4 quid^ui     t6t   quiA^sfi er^lifmelltunedHutdicifuroptfk uet orls dut eof^  dls;lioperishdb(!turddordtionispr£ctptum,llork, iUui quo pro*  libetur Dciudnd vmocdtioifidutc cordis, dliui bdbctur ic Sdbbdthi  fan(hficdtione. Siuero tdlis dftus efl f rga homines, dUt tft fecundum  inuocentiam dut bcneficid cxhibcnid,fihocmodoypr£ccptum dc\pd»  rcntum reuerentia hAbetunft primo moio, uel eft fecundum diium  cordiSy oris dut opcrisifi tcrtio modo,dut cft pro confcrudtionc pro*  ximi» cr tunc habcturpraccptum de non occidendo, ucl fpccici, ejflc  prohibctur luxurid, ucl dcniq; opcris priccptum eft de bonorum co»  fcrudtione dc polfefiionc, ut eft iUud No« fiirdri } fi oris eft^  iUud habctur, Konfalfum tcftimonium perhibcbis,* ji iuxtdcordit  De prxcep ^^iinuclcftdenonconcupifccndddltcriitfuxoreyuclre, Etflccftcx*  tis uctctis plctu*numcrusdcnariuspr£ceptorum4Aliter Kdy, trddit pr^ccpm  lcgif ♦ torumfufficicntiam quam pro nunc omittimus. In uetcrilegc fucrunt  ccremonialid cr iuiitialid prxcepta, qutcpoft Chrifti pafiionent fuc»  runt cuacuata, diucrdmoie tamcn : priord flc,quoinonfolumfunt  mortud, fci ctidm obfcrudntibus mortiftrd, fed poftcriord utiq; mor*  tudfuntnontdmcnmortifird,niflfubditiiulfu Principis iUd obfcrf  uarcnt tdnqudm hdbentid uim obfcrudtionis ex uctcris lcgls inftituth  oncy quid tunc etidm mortifird tffent^ In uetcri quoq; teftdmcnto  multd funtfcriptd cr trdiita prxceptd, qu^mordlid uocdntur, qus  Deut: 18, adcddccdlo^rcducunturyflcutiliquetuidcrc in pluribus fcripturs  34^ ! /.12. i^^jg^ ^j^^ funtobferudnda non cxui inftitutionis,ficuti iudicidUd CT  19?! 8.25* ^  M ^uid hdbcnt cfficdcidm ex diOA»   Exo. 2*3. ' ^in^i^^^^dlisrdtionvs*   DE FOLIIS.   HVius drhoris folid qu£iam funt proprid crqurddm eommu*  nid } proprid funt feptem EccUfix fxcrdmentd cr regtiU  omncs in iure cdnonico fcript£, communid ucro eadcm funt de  quibui in dlijs drboribus diiium cfi, Uon concediturut diutius Augu».   p£ mdne*     Ildmdncm,pr6pterimpedimentiqu£d4m quibtu fum agCks iter Quare aa-*  umperc* Dico i^tur quodpropterbteccoaCiusfumbrcuibuf boc o- torin fe-  puis dbfoLuerc, atq; propru uoUtnati morem nongcrere, Si boc aon ^ "cntibus  effcty de Sdcramentn muLn cr quidem digna, tradcrcm, ZT m reUqUH J^jj^  fcntentiamLulLifufiu^explicarem} diutna tamen adiuuante grdtia,  brcui tempore Uiorumdcjideriomeoq; fatHfactamy ubi artem  brcucmcxpUcauero, Ecclefix Idcramenta funt fcptem, qu^ tantum ^  ffominabot v dd quid jint ittjlituOL ojicndma, Bdptifmu6 ordt^ *'1  MtM efl ad toUendum pcccatum originale^ Confirmdtio in remcdium 5. a m .  ifUbiUatk fj^iritualis.hucbanfliacontra faciUtitcm ad pcccandum^ De Sacra-  xPanitentiacontrapeccatumA^hiale. Extrcma un^o contra peeca» mencii*  Jtorum rcUquiaSi Ordo contra dijfoUitionem muUitudinifi p" l\Atri*  momum contra carnaUm conwptfccntiam*   DEFLORIBVS&Fruiflu.   jT^Lorcs^ funt quatuordceim articklinoflr^e fxdei^ m Symbclodpof Quatuor-   jH^JloLorum explicati, quorum feptem pcrtincnt ad duanitatem, CT dccim arti   ^ feptem ad mcarnationts myficrium, Priora funt btc ♦/ de unitx- culi fidei*   tt Df I, de pcrfonarum trinitatCt tribut articulls expUcata, de creatit   pneydcfan^bficatione^ de refurreihone CT ^teruA uia Poficriord   uero funt de Lhrifii conccptione,natiuitate, pajiionCy morte, fepul»   tura, de defcenfu ad mftroSy derefurrcBioneydeafcenjlone CT de adt   uentu ad iudicium, Sub uniatecT omnipotcntia omnia dudnd attrit   huta contUtentur. Nr c iticonueniens eji, ut quampLurima naturali ra*   tione cognofcantttr, nt de fapientia, bonitate cr ali/s notum eft, f^onitd(, Mdgnituda, CT c£ttr*t ContrAtie»  «f» TXCfpti, quoniam catcfiid aorpoYd dlicuiw qudititd con  'ifUptitt£nonfuntfufceptifnUd.Tr«ncmrftqaoddm corput commu^  ni : o ff T .1 > ndtum dd motum cirenlirm ac ptrpxtuumyntqudqudm corrupth  jp .idci(r2^ hordrumy quo motuc^teriorbes mouentur. Cfcrjr*   Firmame M^^^^ ratione perf^icuitdtk dc trdnfpartnti£ flc dicitur, quci  tum. f^Yirmdmentum uero fieUk fixk CT mnumerk abuodati .  quodAflronomiprimummobileuocdnt^   BRANCH^ .   IMdgindti funt Afironomt m coelefii Jf>hardy pr^ter multipUcn  circulos edm itqudiiter uct in^qudUter diuidentes, circulum efje  Zudiaci» qucnddmedndtm in pdrtes ^quales diuidentemy obUqwe tdmen^  cuifolum Idtitudo adfcribifur. Duodtcim efi gru duum, quorum fex ti  Delineae. reUquk difiingtiuntur perUnem qudnddm, qu* ^cUpttcd uocdtwtti  clyptica. quix foie cr Iwid per hdnc moucntibus etUpfis cdufdtur ; uocdtur eti»  muid folk^quonidm nuUut planetdrum i fole, potefl totum fuum  motm W hdcUntdperficere. }flf iiem cinidns lcngitHdinem bdkct     iuoictimlignorum^quorum quodUhet tri^ntd gfiduunt hngituii^ ^*^^  mmpojitict. titc ligm^ nomim fumpftr^ qHorunlim animantium,  ctflteUarum muLtarwi uxrim di/politionem.qu^diMltdriUorum ^q^^^\^9  gnimdUum funt m cocLo Appdrentu ; dut rjtione iiutrfarum quaiitd^ nommcn£  tum, quM mhsc mfhiord mjiumt, qujeconlpiciunturbjbcredU'  quoi m buimmodidnimintibwtdjminium Horum fignorum nomirtA  slUnimut i qut uero numerum flellarum ex qmbu4 mtcgrdntur, cw  fUcognofcerc^dcproprietdtes, mfluxui, cr fimiUd; confuldtbuiu4  m perttos. Anrr, Tdurm, Gmini, Cdncer, Lro, Virgp, drticd fimt, ^ntun  ^uid contigud fitnt fiolo drtico. Librd^ ScorpiiM, Sdgittdruu» Cdpri-  cornut, Aqudriws, cr Pt/ccf, dntdrticd func, « pob dntdrtico fic U»  GtL Q»r omnU jignd bww drboris fwubrdncb*» k trunco origincm   trdbentet. ^   De R AMIS, FoliK floribus R friK^^ibus.   RAmi funt ftptcm piinetx, qui ntione motws quem mllgnk Dc Satuf-  Zoiiaciperficiunty db ilHi tdnquam Jt brdnchk depenieht* "o»  Vrimws omnium efi Sdturnui, qui ndturd fud mdleuolui eft, dc  wciuus, cum ficct dc jrigiitpt compUxionis, m quibu4 uitt priud- j  tio con(iitua. efl, Huic fucceiit lupiter totw heneuolws, cuidifcri*  ^unturcdUiitdi cr bumiditis, uit£ conferudtrices, l/?t uerb proximus j^ajtj  tfi Mjrj, quiUcetnoxiws fitrdtione ficcitdtii, cdUiicxte tdmendU  iqudntuLum malitidm fuam tempcrjt. inter quos Ifummo opifice « .  diwconfiitvtweft \upuer.,utria^c^; mdUtium temperdns. Mdrti S6l ° ^  fucceiit, dquotaim fupcriin-csqudmmfirtorespLdnetx fuum hjbent yencrc  Umen ihuic cilor uitdli^tZy^ re^c quiiem,dttribmtur. Veneri uero  qux folem fiucoriente fiue occidente, fempcr comitdtur, conufnire  4icitur humor uitdllt, in quibui duobus viid conjiflit ; hinc efl quod in  Jfoetdrumfdbulnhdbetur.,SoUm yeneremq; mdijfMiU mdtrimo*  nio Deum coniunxiffe.^x quibui proLcs innuml  l\ercuriiU niturd fud nes arborit fchemdtcdiximutyconfiderdrt   memnria, I oportct,duodbrdnchxinhdcruturddicuntur tfje pcrjhicdcio»  oC voluufl p   .,. . rct audm m hominibttf i duas compdrare poterit ad Deum, ncl  funt bran  quantitdtem difcretdm dc contmtu  hunianali. am cum c^teris prxdicdmetUis confidcrabis, Operdtiones utra i  brdnchif exeuateSy uel qudtenits txUs,U£Lpro ut rddicibm pcrficiun*  tur.tibifiorestrddunt. i^eUqua mfchcmdte confiderd, Dcdinius moa.  dum formds conficiendi, iUum obfcrua cr multas inuenies». DE ARBORE ^VITBRNALL   Bde hk^ qu£ m huiuf drborft breui dercriptione diximui, me^  ritA dcquifitd uel demerita, per humdnatis drboris brdncas mo*  ralit cr dn^Ucalls ^numerum radicum complercy ex quibm  tTuncuiconfurgit,qtacft meritorum uel demeritorum duratio pet*  petud, qu£ udriarinon poteft, cum nonampiiut deturpanitendif^d-  cium.Depdrddifodtq;HifhnonuUutambigit, cum Deus fit ipfdiu*  ftitidy qu£ pro iuftis prxmium uutt, pro irtiuftis poenam ac tormentd.  A bruncd pdudiji tres rdmi exennt, ^uorum prior iufiitue rdm ut r/l,   qui4 ^id Dfi« bonum probono opetdtortddit j cT i^ujtenui mttitu bo, A branct  'mm reiditqudmcxpofcantmeritAjfecunduibabctMr,quigf^ijc di* P^f^diH q  iitun tertiui improprie pafiionum dicitwTy quu abagentc Deo,ik^ '^*'?'  dondconfvrunturyquibmreUtionemhabetddaffns- AbrancamRr* -  m rdmuiiufhti£exit,icpd)itonum ; crproprie hocm toco accipitwr fgjjjj quj^  pdjhoyUidxLicet pro dobre in eorpore pofi iudicij diem,cr tn animtl  iriflUia.QupniAbedtoruma^s er^Deum funtgloria vUMipo^  tentijs mteUe^halibus cxeuntesy fecundum aibts ucL operdtiones bo»  ndrum rddicum; ideo fiores xuiterndlis bontt arboris funt; rejpe^lu  malorum,oppol{tumdic, Frudui qui afiore procedit, 'm bedtis[efi  quies fumma potentUrum ac radicum ; nam ficuti m fummo inteUigi^  hili, dtUgibiUacrecolibiUyquie[cuntmemoria,uoluntd« CTinteUeiius;  ficmfummqbonificdbiUymdgnificdbiUq^iefcunt bonitat CT magnitudo; per reUqu^tt rddices difcurre, Oppojitumconfiderddefruilu  iamnatorum : qui proprio fiiu ob maUtUm CT reliquM prduds radi^  ces fruflrati,finem dUum ddeptifunt^quo cod^c perpetuo debentfrui DE ARBORE MATERNALI.   POf} primi pdrentis Upfum, mxti diuin£UoUintdtis xternum de»  cretumy¥iUj Dei incarnatio bominum faUtandorum finis fuit,  Cum uero buius fdcratijlimx mcarndtionls medium fuerU G/ori»  ofd Virgp suridy ipfd quoc^ eorundem fink cenfenda efi^ quitdkeh  priori fubordindtur. hic finis licet m fe unicui fit^ amen rdtione eo*  rm qui hunc finem intuentuTymuUipUx efl, quem fidtuo m bdc drbo*  ft pro radicibM, quatenuA kbonitatemagnitudine acalijsmformd*  tur. Dt TruncD hi fcbemate fttts habes* hrtuichx^f diuiiia cr humd*  na natura hoc m lococonfiderantury quatenus in uno fuppofito funt,  tui natiuitsx attribuitur ; ndturis enim ndfcinon competit. SpeSy Pic-  AduocdtiOyrdmifuntyfiuein Gbriof(tVirgutecottcipUntur,fiu€  ht peccdtoribusy quatenm ad edfn confugiunt. HumiUtas uero cr «ir»  ginitdt in Virgine Mdrid rdmifunt; in rdtione exempli. \n fchemdte  nrboTUbumnonfuntpofitd folU (nefcio cuiux mcurU) qtke eaden   Z 5 ejfecom-     •m   tffi conpieTdhlfy ([U£ slijt iriorihm fttnt dtifihtttd. A^lr omneS fd*  dicumAcuUqudrumdtgnitatumdGUriofd Virgine exeunteSy qu^*  ttnm Mjtcr efi Dd» lunt hum drbork floret. DE ARBORE CHRlSTiANALL   Atione humdn£ naturt didfunt Chriffo dttribuenid, VT dlis  rdtione diuimetdiuerflmode quo(^ tonflderdtd Secundum f nV  orem confiderdtionem Chriflo omnid conueniunt, eibt  et quxda bedtitudinii dnim^e conuenientis, Ucct dUter fit quo dd /}>em de cor«  alix ^^^^^_- forisglorificdtione. Timor quoq; qudtenusignordntiam prdfuppo»  D'\utc!lii\ ^^^* ^ CbW/?o remouetur, dc etiam Contritio. Kdtione ^ui ne ndturA  td omnid Chriflo conueniunt, qur in arborts diuiniUs fchemdte diStk  fant. Br4«rhe^sdiuinx naturjeyddhumdnaminChrifioyfy humdU£ dd diui^  tuimi fecundum omnes potentiof dc uires in humdnd ; cr in diuind quo  etdinteUigere uejle,prxdi diflia*  mire ad Spiritum fan£lum : cr intcUigimus de termino ad^quatofj S"*^^"**  monfomaU i quoniam utriusq^ proiuihonit formalis ttrminus eft  4km,tfftntiauidelicetdiuind. Dealicrum diihs non curamus, Seo*  ium ptxccptorem fcquimur. Tolia funt nt^tiones catr^riarum Af  mftotclis, uelnoftrarum afjirmationes* Floresptnt probationesdiu^-  Mdrum produShonum, dtfumptdt aradicibus, Bonitof enimdiuina ff  fUfidum inteUciium CT uoluntatem fe ad itttra communicat: Sic fk  eommunicare eft magnum ; v cum ab £tecies efl, CT  ffnuf eius ignorofi uelad Jpeciem.fi indiuiduum efi; nec erit impojii*  bUebocobferuarerecurrendoadarbores,uelper enth omnem dmi*  lionemulq;ddgenufproximumuel fpeciem defcendendo; fl /f>eciem  non cognouerity recurre ad propriat paj^iones ueladnaturaletrei  dOus, qu£ cum a diffcrentia magts proprid emanenty te w j}>eciei c(h  ^tionemdeducent,qu£exffnerecrdiffvrentia magis propria im  tegratur;deindeuer6priorcsnouemradtces .f, abfoUta prmcipid^  fum,equxcumrei effentiam notem, uel qu£ immediatc eam confe*  ^ntur, priw rei conueniunt; ey per omnia iUaprincipia difcurreru  do uariM dcftnitiones fumes,iuxta. prdcepa in prima parte knoblt  obferudta;dum definiebamus rddices;boc tamen obferuando, netrafm  ^edidris naturam generls uel fpeciei, ad qux fubkihmreduciturt  ^uodoptimc poteris obferuare^ quiaut dixmus in traSkitu de radU  tibm ; perbonitatem CT cxtera prtncipia inteUiqit LuUm rei mtrit^  ftcdy quje non femper eddem funt^fed dd uariattonem fubiefh ipfk  quoq; udridntur. Pofied quodUbet principiumabfolutum,cum quoU^  het abfoWto et refpeihuo, cu quaUbet formd.dc f^ecie quefiionis cu*  iusUbet definiendum efi, quod cr obfcruari dcbet m definitiont etiam  fkbieSifUel rrjpedini prmcipij, aut formje uel quxflionis alicuittt»  Inde recurre ad refpcibua, deinde ad formaSy pofiea ad accidentia.cf  dtwicfi adqurfiiones CT qiuefiionum ff>ecies. Simagis conceptus muU  tipUcare uoUteris, refolutre poterls rc in principid fua, cr ^ibct rt»  Uuipirmcipiumut iUius cfiJefinire;peromna radius.formas, acei»  dcntia V quxfiioes difcurrcd; ucl rcfolucre poteris in ea omuia,qit€  * - de ipf4 1 dc ipfa pYddicdtttur, qudtenut futk iim fuhie^, cr quodUBet iUorii  omnibM diais modts muUipUcare. mUipUcabis oonccptus m infini^  tum^flpdrsaUcuiut arbork omnibui arboribut comparabk, educe/u  doconcordantiMUcldiffrrcntiai, aut maioritAtcs, uel minoriatett  dutomnidflmuLH£cfiobfcrudutrif/mfinitosdcundquaq;re babt^  bit conceptut. Obfcrud mfupcr dnimaduerflonet noftrat, cr uti diU.  ffntU in continud appUcatione, cr cognofcts td praxk prdfiare,  ^£ nobis.impofiibiUa uidcntur. OtAtuUi generalis ars conflftit in quatuor figurlt, nouem fuh^  leas, ac eorum cognitione. Primam figuram ex noucm prmci»  pt/sdbfoUitlsfabricatyqudfuntpriores nouemradiccs. Swm-  dam conftituit ex nouem rcfl>cault, qu^funtpoftcrioresradiccs^  Tcrtiam a prima crfccunda dcducit, cr quarcxm ex prima» fccundd»  a-tcrtUclicit.UabcsfigurMcx radicibus. Habcbis fubic^d nouct£  P confldcrabk ea qu£ m drboremoraU,impcrUU,apoftoUcaU,cr  mdternaU, ut taUsfunt; cffc accidcntU qu£dam, ncmpc rcUtioncsfu»  pcrioritatkydignititis,crhonorls,qu£ ad mftrumcnt^tiuam rcdum  cuntur; ucldi homincm; quatenut h£c omnU circahomincm fiunt.  AeuitcrnaUt quoq;arhor adhomincmy ucl ad anfflumrcducitur: o*  C hriftUnalit adDeum, qui cft primumfubieCkm i LuUo ordindtum^  Hk notxtity de figiirit nonnuUa diccre pUcct.   Vrima figiira qu£ abfolutorum eft, noucm hahet cJimcrat : cr cft  circuUris, quU quodUbct abfoUuum rcf^eChi cuimUhct, habct ratioM.  nem fubicm cr pr^dicati. Necfolum huiut figurt prmcipU de fcipfls  pr£dicantur, fcd dc omnibut quo^ txtrdneis,qu£cuttq; flnt iUd dum-  modo non flnt horum oppofltd. *   Secunda rejpeaiuorum eli, cr totidcm hahet camerat, eodcm mo»  do dijj^ofltas.quo primaicuiomnU coueniHt qux de priori diOnfunt.   TertU cx duabm dfiignatit conftat, cr habct oOuaginta crundm  cdmerdXyquarumqu£UbetduatUterdtcontinet, qu£ notxm prmci*  piorum abfoLutorum ac rc/peaiuorum naturam, per Uterdi flgnificd*  tiinotantq; uUcriut qu£ftiones UtcrH rc}j?ondcntes, Caufttur cx   A4 rcuol»$     L.  9tuolutianecdmerjLrumpfim£p^rf,ful>und fccnndr, fr mnium  fccuniUfubunaprimje. LuUui Umcn tantum trigintd fcx cmcxdx  dcccptAt^ut uiiebk in fcquenti fchcmdte iquoniam propofitiones nt  e^uibm idem de feipfo pr^cdicatur, non faciunt ad nc^cium pro de»  monflrationibM, m quihut debent tffe tres tcrmini diuerft, quod nott  poteft effc,P idem ucL Inmaioriuelmminoridefeipfoprtdicetur:  hQcautemaccideretifi omncs camerof acceptaret. Etut cognofcat  quibu4 literis jignentur prmcipia uel quicftioneSt^ fequcns fchemd  confiderd»   Scheaabrolucoiu. Schea refpediuoru* Schema qusftionu»  C Magnituinj.  D Duratiot  EPoteftof,  F Sapientid^  GVoluntaxt   KQlorid^  BDifjirentia^  C Concordantid.  D Oppofitio,  E Frmcipium^  F VLedium^  Gfink^  H Maioritdi.  I Aequalitas,.  KUi inoritM,   Figuia cerCia*     B V^rKW.  C Quid^  D De quo^  E Quare.  fQuantum.  CcXEale*  KQuando»  ivbi^   K Qjiomodo etCuft^,. he be ci  ce hh ch  hi ci  hk ck de   dZ  dh   di   dk eh et ek h fh fi hi hk i%  Ex qualibet cdmera duodecim eliciuntur propofitiones, cr uiginth  quatuorquicfiiones. fropofitiones ftcbabentur. Accipe primam c4*  merm *f b crfiic e, 4eb, pncdicetHrquo 4d fua fignificata cr   eeontr^:     175»   e contrd.cr <juodetidm .h. de feipfo,fccunium dliui Pgnificdtum^dh  iSo pro quo ejl fubiedum.c; jic tres propofitiones hdbebif ; quid ucc  fo UterdquxUbctduohabet Hgnificdtd . f . dbfolutum cr rejpeSUuu^  er du£ funt Uterx, rrg) qudtuor erut pgnificdU-y qut fi tripUcctuff.  refuLtdt numerm duodendriut. CuiUbet uero propofitioni ji dfiigrtM'  uerif qusfliones, per iUiwi cdmer/e Uterat fignificdtdSy hdbebis 2 4.   Qudrtd figurd ex tribm dfiigndtis con/idt,qu4ecummdximdm  tdbuidm producdty dtq; difficilis fdtisfit,crlon^ effdtdecUrdtione^  dt ed uerbd fdciemus m expofttionedrtlsbreuis LuUiiibi^ dd pleimm  mnijeftdbimus, qux hic tdntum tetigimut,   De fcicnciarum arcrum^obic6!i'f.   NOnpermittitdnffi^idtcmporkyUtfitftus de fcientidrum o5.  iedis txdihmus, dc eorum numero;ideo htc pducdnotdnd^  proponimufAnreUquis uideHenricum CorneUum AgrippS^  in eo Ubro, qui de udnitdte fcitntidrum intituUtur.  Crdmmdticxobiedumyeft ens rdtionitf quod m ordtiwte pinddttt,  qudtenus congrud eft uelincongrud^ (datum^  B^ethoricx,ens pdriterrdtionis,inordtioneomdtdUel inorndtd funt^  Vogic£,SyUogifmuiunwerldUterdcceptntt fecundum Scotuminft*  cundd q. uniuerfdUum*  philofophix ndturdUSy forpm ndturdU*  Kietdphiftc^Ci ens qudtenus ens*.   Theobgije, Deui fub rdtione deitdtk» „^ —  Ceometrixt CXUdntitdi continudi mdterid dhftr^Stu . . V  iirtthmetKt,Uumerux a mdterid legreQitm, ^'^^^ ^lgLW-^^S ^^  KuficeSy Kumerus fonoruA,  AftrohgLf, qudntitds cotitinud, qudtenus mobdisi      Ipo     PANDIMIGLIO   AFR.  c  t  4 V. Valerio de Valeriis. Valeriis. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeriis,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valerio: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale della morale togata – il gentiluomo romano-- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A philosopher of little originality, and a notorious flatterer of TIBERIO (vedi). He is best known for producing his IX books of memorable doings and sayings – the work is designed primarily as a resource for moral education by means of examples – showing how virtue is rewarded and vice punished. It preserves many otherwise lost snippets taken from a variety of sources – including newspapers. His ‘saggi’ are not much regarded today, but they were bestsellers throughout the dark ages and the Italian renaissance, “and I do find them incredibly amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore, “Practical ethics for Roman Gentlemen”. Valerio Massimo. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valerio: la ragione conversazionale alla villa di Roma – filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He has a statue erected in his honour in his own villa (‘Ain’t that cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valla: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della volutta – la scuola di Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani, un giurista funzionario in Curia. Il  suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia, succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia.  Da allora passa da un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius, capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium concessum est triduo, quam CONSTANTINUS esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis.” V. dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche l'ipocrisia nel “De professione religiosorum” suscita l'ira delle alte gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al tribunale dell'inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie all'intervento del re. Visita Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli. Vengono divulgati gli “Elegantiarum libri sex”.  Il saggio raccoglie una serie straordinaria di passi desunti dai più celebri scrittori latini – CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento umanista impegnato a riformare il latino sullo stile di CICERONE.  In le "Emendationes sex librorum Titi LIVII" discute, col suo modo di scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di LIVIO in opposizione ad altri due intellettuali della corte napoletana Panormita e Facio che non avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore di GIROLAMO (vedi) e DONATO e giudica spuria la corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta polemica sul potere temporale dei cattolici. -- è un personaggio di eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo. Con le sue spietate critiche ai cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO, ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ambiguo di molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e l'uso corretto della lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e comunicazione efficace. La grammatica e un appropriato modo di esprimersi sono a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa formulazione intellettuale. Da questo punto di vista, la sua filosofia e  tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due filoni, quello filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali doti di storico negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile nell'unico saggio definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.  Gl’effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione, decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano, ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal romano.  Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua annosa avversione alla cultura scolastica.  È indicativa ad esempio la sua tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso. Analogamente, nelle “DIALECTICAE DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di Aristotele e del LIZIO e la sua arida logica che non offre insegnamenti o consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro significato nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra nelle “Adnotationes in Novum Testamentum” quando usa la sua profonda padronanza del latino per provare che sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a causare incomprensioni ed eresie.  È a lui dedicata una fondazione che in collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono proposte edizioni critiche di testi classici.  L'arte della grammatica, Casciano (Milano, Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”, Pepe, Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti, Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La letteratura degl’umanisti", in Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican.  Pubblicate per la prima volta da Erasmo da Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale, Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma della lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato); Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago, Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio, Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.: Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Valla.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vallauri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretazione giuridica – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Flosofo lazio. Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what he’ll go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I do.” Professore universitario italiano. È stato Professore di filosofia del diritto a Milano e Firenze. Insegna all'Università degli Studi dell'Insubria e all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara fama. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea in giurisprudenza col massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso per la libera docenza. Diviene professore in filosofia del diritto a Firenze, dove ha insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia del diritto. Ottiene la cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il collocamento a riposo insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di teoria dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo libro traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto dall'autore per Radio Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie orientali.  Allontanamento dall'Università Cattolica. Insegna filosofia del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso rispetto alla dottrina della chiesa cattolica. Fra i punti problematici secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di V. sul dogma dell'inferno, da lui definito:  incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed io ho detto. Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei diritti dell'uomo.  La corte si è pronunciata a favore del ricorrente, ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione (per il provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli articoli della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.  Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] + (I.P.)]  La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi: “Saggio sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano); Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione animale, Milano,  Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, Firenze,  Scritti animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo,  Note. Magister, L'inferno? Una vergogna, L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo, Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima, algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società italiana di neuroscienze,  Guadagnucci, Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di giustizia, Milano, Terre di mezzo,  Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3 Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato da Progetto Vivere Vegan,   Interviste Sì agli interventi che aiutano i nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul "Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The Swimming-Pool Library. Vallauri.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valletta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei liberali, libertari e libertinisti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Eessential Italian philosopher. Grice: “He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia dapprima letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a Andrea, e fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande rinnovamento culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA, CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti.  Istituì a sue spese la cattedra di lingua greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE (vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori di essa”, “Historia filosofica”.  Lombardi, Storia della letteratura italiana, Tipografia camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi, V.,, nipote di V. Breve scheda biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte dei Medici.  Lettera   di V.,   napoletano   fn difetta della moderna Filofòfia, e  de' coltivatori di eflà,   INDIRIZZATA ALLA SANTITÀ’   DI CLEMENTE XLAggiuntavi in fine un'ojf umazioni fopra '  la medefima.  IN ROVERETO Nella Stamperia di Pierantonio Berno Libr.  ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB. ’f   FRANCESCO PARTINI * è   ;DE N AJOF,   • f + • -   Nobile Provinciale del Tirolo, ec.ec,,     l  Olto tempo è, Jlluflriffmo  Signor Abate, che  per darvi qualche piccio-  lo contraffegno della divo -  Zioa mia verfo di voi, io vado tra me  ftejjo meditando, qual co/ a, non del tut-  to di] pregevole, e di . voi indegna, do -  vejft offerirvi . Ed ora ufcendo da’ miei   * 5 tor- - .4 . p t * •#    /« •. è .. - j» %    ■ T“ » 'f '' i*' *'* * -ì r .!   *orri &; la prima volta una dotta * ed  erudita Opera del Sig. Giufeppe V., la quale manofcritta lungamen-  te era andata per le mani de* virtuofi;  quefta appunto ho . difegnato d' indiriz-  zare a voi, sì 5 per darvi un picciolo  faggio del de fiderio ardentìjfimo > eh' io  bo d' incontrare con e fio voi ferviti, sì  ancora per fare un pubblico attediato  al mondo della /lima grande, ch'io con-  fervo della voftra ragguardevole Perfo-  ra . E nel vero fé, com * a tutt' altri  è in ufo di fare, io voleffi raccoglier  qui le glorie de * trapaffati, teffendo un  lunoo catalogo di tanti e tanti glorio fi  Antenati della vofira nobile Famiglia,  i quali e nell' armi, e nelle . lettere rif-  plendendo, non meno il vofiro Ceppo,  che tutta cotejìa Patria ili ufi r areno ;  certo de non; uno > ma ben mille moti-  osi io avrei per indurmi a ciò fare. Concioffiachè allora egli . mi fi farebbe  . tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar-  mi di PIETRO, illu (Ire, e .antico ger-  irne della vofira onorati fiima Prof apia,   * il    Digitized by Google    il quale da Galeazzo Vìfconte Duca di  Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere  delle fue. armi > Mi . fi prefent crebbe  fitto gli occhi il valore di quell* altro  PIET RO d' età ma ? non di merito  inferiore, a cui i eccellenza nel mefiier  te ftmil mente della guerra, acqutfiò l*  uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj •  fimifiano J. i, e di ALESSANDRO  altresì, che in qualità pur di Capita •  no fi morì in Ungheria . Ma molti,  e molti ì anche fiudiof amente, trapalan-  do y come potrebbe . poi .fuggirmi dalla  vijìa la, decantata dottrina ., fingolar-  mente nell* arte Medica > e la probità 9  e integrità de' cofiumi di FRANCESCO PARTINI, il quale in quel feli-  ce fecola del cinquecento cotanto s* avan-  zò > e ft difiinfe, che meritò le lodi, e  gli applaufi d'uno de' maggiori letterati  di quell'età, che fu Mattioli > (i)   • e d'ef-  (i) Nell* Epiftola dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra  Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u Aria . Ve-  nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4-  di Diofcoride. e d' e ([ere fatto Prot omedico dì due Ce-  fali, cioè Ferdinando I ., e - Maffimilia-  no li.'? Cèrto che i pregi di co fiat, i  quali di molto accrebbero lo fplendore del-  la vofira Stirpe -, io non potrei per mo-  do alcuno non Jommamente celebrare:  e tanto meno que' di MELCHIORE  fuo figlio i il quale dalla matura pru-  denza pur di Maffimiliano li. Impera -  dorè » di cui era ' Configliero, > fu' (celta  a far efeguire ^Imperiai comandamento  di por giù /’ armi, fattola'- judditì  del Finale in Italia '.(*) Ma io non ne  verrei sì toflo a' capo, : quando 'a’ me-  riti degli Avi'-vojìrì i.'com' -bó det-  to piuttofiò chea voi mede fimo va-  le jft riguardare . I pregj degli ante-  nati' apportano più (limolo >3 -che lode  a' (uccefiori \, ed è molto ' mifer, abile  la condizione di colui -, ' il quale noti  po((a in altro . mod o diftinguerft, che  col! aprire i (epolcri de’ fuoi maggio-  ri » .    \ • r t    • r i n* •* a    (2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II.  a io4«    ri, e temendo nn lungo panegirico del-  le loro gloriofe azioni, far fi corona  al capo di meriti non fuoi.Per la  qual cofa, ponendo da /’ • un de' lati  quelle lodi, le quali non fono sì pro-  prie dì voi, che comuni non fieno an-  cora a tutta la Famìglia, ed alle fole  voftre t in cui gli altri non v* hanno  parte alcuna rifiringendomi ; dico >  che quello, che principalmente rn ha  invogliato a procacciarmi luogo nel no-  vero de' vofìri fervidori t e che non  pojfo fe non grandemente ammirare,  fi è quella incredibile gentilezza, e  foavità di coftumi.y e di maniere,  per mezzo della quale ben fate chia-  ramente apparire da qual . forgente  traete t origine, e i natali . h  non fo per cagion di quefla con qual  fronte poffano riguardare in voi cer-  te anime t le quali non riflettendo >  che • /’ e (fere nate nobili è fiato un  accidente, cui altro loro non appor-  ta, che impegno di ben imitare gli   antecejfori ; di tanta rufiicìtà, e   fai -    ... V3&7'   falvatkhe^za ripiene comparirono  folamente nell * afpre, ed altiere   fembr ano .avere ripofia la loro gloria .  Poi fiete certamente di un amaro rim-  provero a tutti cofioro % e C umanità  vofìra, quando attentamente vi riguar-  da Q ero, non potrebbe che riufcir loro di  jomma vergogna, e confo fione . Ma fic-  come y nè alterigia, o di / prezzo altrùi  la nobiltà della Famìglia, per chiara,  eh' ella fi fa, è fiata giammai baftan-  te ad infpirarvi, . Così nè al fafio y o al-  la. libertà le •comodità » e gli agj > che  dalla fortuna avete : nè .alla vanaglo-  ria * o alla prefunzione le nobili quali-  tà. dell’ animo voflro, hanno giammai  potuto aprirvi la firada, Tanti rari  pregi- finalmente, tutti infieme uniti,  non fono -fiati valevoli a feemar punto  di quella vofira naturale affabilità, e  dolcezza di tratto, la quale quanto in  altri è più rara > altrettanto in voi ab-  bondantemente appari fee t e campeggia .  Qttefta vi eccita la maraviglia di tut-  ti coloro, che di voi hanno alcuna co.   no-    • >. .   / *   't    d -   'V.    •4     ami.   difienpì guefia concilia ì* amore,  e ^uCfi^nera^iòni de- vojìri Concito adì*   . niy^ 0?quefia finalmente induce, an-  zi con una dolce violenta quaft rapi*  ffce, e sforzai cìafcbeduno a farvi un  volontario tributo de* fuoi affetti, e  del fuo cuore . Ma che dirò di quel -  i* bontà j ingoiare, con cui prendete  a protteggere qualche perfona ingiù •  fiamente oppreffa, e oltraggiata > fa-  cendo vedere, non altrimenti effervi  fenfibili- i torti > che fi fanno alla  ragione, e alla gtufiìzia, che fe a  voi me de fimo f off ero fatti ? Voi con  quel rincrefcimento fiete folito fentìre  i colpi t che la fortuna vibra con -  tra /’ onefie infelici perfine > col qua-  le gli fentirefie, fi contra voi me-  ' de (imo foffero fcagltati ; e con queir  occhio riguardate gl * infortuni » e mi-  ferie altrui, con cui riguarderefie quel-  le de* vojìri più cari congiunti . Di  qui è y che e col configlio, e con  /’ opera non mai vi mofìrate fianco  di fivvenire > e beneficare coloro >   i qua-    Digitized by Google    * quali per la loro innocenza fi ren-  dono meritevoli della vofira protezio-  ne ; ; ed avendo avvertito, che il ve-  ro carattere degli animi nobili, an-  zi quello, che piu .all' Al tifiimo ld-  dio viene ad accodarci, è * il f al-  levamento delle per fine \o dalla ma-  lignità degli uomini, >o dall' .avver-  ata della fortuna inìquamente fir ac-'  date ; voi perciò, avete creduto im -  prefa degna di voi lo fendere a que- >  fie benignamente il braccio, acciò la  Patria vofira potefse andare altiera ;  e dar fi vanto -, d'. avere d mercè di  voi maifempre aperto un a filo all '  innocenza, re .fempremai pronta una  fpada cantra la malvagità, e la co*  lunnia . Con tal- mezzo voi rifiorate -  i danni, che la me de [una '.per /’ im.  matura morte dì MELCHIOR PAR-  TINI vofiro . degnifsìmo, Fratello ha  que fi* anni addietro, fifferti # e quello ~  fplendore le ritornate,%che allora per  efser ella refiata priva -d'-uno de'-fuoi  più cofpicui, e qualificati Cittadini,  ave-    aveva pèrduto l ; A che fero molto t  molto contriluifcono ancora gli altri  due vofìri meritevoli (fimi Fratelli, di -  co GIOVA M BA TJS T A 'PA RTI-  NI > Abate della Reai Badìa di  San Pietro di Loreto nell ’ Abruz-  zo, e il Padre CARLO PARTINI, Definitor Perpetuo Carmelita-  no t la prudenza, e pietà di cui  è così nota, e pale/e in quefìa Cit-  tà. .y che. inut il cofa farebbe il farne  per me qui parole . Ma troppo chiaro  io m’aveggio d* avere già foverchiamen-  te la modejìia vofira offefa, non ri-  flettendo f che una delle maggiori lo-  di > che vi fi debbono, è appunto il  franco rifiuto, anzi difpregio, che  voi fate delle medefime, Solo mi re-  fia adunque di fupplicare il generofo  animo voflro a ricevere in buon grado  ia piccolezza del dono, che umilmen-  te vi offro, non alla qualità di ejfo,  ma al de fiderio dei donatore riguardan-  do \ e pregandovi in fine a non difdir-  mi la fofpirata grazia d’effere anch' io   al-    A     allogato tra i voflri   ~ fso v •    y    i,,, •    Di V.S   . f .   i    l    Rovereto;    V    *'> 1 ^ «a ^   V . o V ^      / «' • 1 t i »    ‘ t   •    V «    • 1 J    VmìUfs. Devotìfs. ObbUgatìfs. Servo   Pierantonio Berno.    lo    Digitized by Google    LO STAMPATORE   A CHI LEGGE. NON poco tempo e (Tendo, che va  per le mani degli ftudiofi una Lee*  tera manoferitta di V., Letterato Napoletano in difefa della Filofofia moderna, e d’ alquan-  ti Tuoi concittadini profeflori della medefi»  ma, .fino dal 1700. dirtela : ed avendo rav.  v ifato, com’ ella è molto avidamente ricer.  cata, e letta dagl’intendenti ; ho (limato  di far colà grata al pubblico, ed alle per*  Ione letterate, dandola fuori per mezzo  delle (lampe, sì per renderla più comune,  e sì ancora per levare la briga a chi deli*  dera averla, di farla tralcrivere.* (concia co*,  là parendomi, che un così utile lavoro ve*  nirte tuttavia contaminato, e guado dalla  trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io a»  vrei per verità molto caro avuto di abbatter*  mi (e non all’ Originai medelimo dell’ Auto-  re, almeno a qualche copia elàtta, e fedele;  il che per diligenza ufata non m* è venuta  pienamente fatto di conlèguire. Spero però,'  che mercè 1’ afliftenza da perlbne delle buo-  ne lettere amanti predatami > le quali lì fono    validamente adoperate in correggerla, rive-  dendo poco men che tutti i palli nel proprio  fonte, e togliendovi que* moiri, e quali in-  finiti errori incorfivi nelle copie ; il cottele  Lettore non avrà molto che deliberare . V*  ho in fine aggiunta un’Offervazione fopra la  medefi ma, affai tortele mente dal Sig. Gir ola-  7 ino Tartarotti Róveretano comunicatami, la  quale fono più che certo, o Lettore, che  non t’ increfcerà d’aver Ietta. Vivi felice, e  - favorirci col tuo aggradimento la buona incli-  nazione,- ch’io ho d* adoperarmi a tuo van-  taggio . La fegùente notizia, polla per più  contezza dell* Autore dell’Opera, è tratta dal  Leffico degli Eruditi del Sig. Burcardo Men.  thenio . Giureconfulto Italiano, na.  Io in Napoli a* 6 . d' Ottobre V anno 1 666. fece  la pratica nella fua Patria, e ranno una copio,  ftffimd libreria, injìeme con un gabinetto prezio fo  di monete antiche, in frizioni ecì Corrifponde .  va co ’ più infigni Letterati d’ Europa . Traduf-  fe alcuni libri dall ’ Inglefe in Italiano . Scriffe  un libro della necejjìtà della [olita pratica in ma-  teria di religione, come pure un ’ opera toccante  V impresone di monete move. ' BEAT1SSIMO PADR E.    f * » **•    » « 4    %# * • * t •    • • f f • f   l,i *  ; r    r* « *   I.  s.    »4 I     Ntichìflìmo coftumefu  Beatissimo Pad re,o  dir il vogliamo naturai  genio, ovvero inclina-  zione, o qual egli fi .fia avvenimento  degli uomini, i quali a’pofteri hanno  avuto in penfiero di lafciar qualche me-  moria per mezzo delle lettere, di muo-   A * verfi a tal opra da picciola e lieve oc-  cafione, ed. alle voi ce incominciare da  balle, e aHai deboli fondamenta, ed  indi poi pian piano p a dare più olcre fin-  ché al defiato fine fi aggiunga ; e quali  Tempre digiuni, e non mai fazj di di-  vorare fulle carte il tempo, e l’ore.  Quindi è, che veggiamo, che una fa-  - tica, la quale fui principio fu ftimara  opra di pochi fogli, tratto tratto li  avanzi » e fi accresca in tanta gran-  dezza, e mole, che a gran pena fe  ftelfa comprenda . Lo ftelfo eflere av-  ' venuto a me io già divido; ma non fo  com’egli avvenuto fia . Perocché aven-  do già per foddisfare al gènio de* Depu-  tati » incominciato a fcrivere una lette-  ra indirizzata alla Santità' Vostr a  intorno al procedimento del Santo Uf-  fìzio nella noftra città di Napoli ; cer-  to è, che io non ebbi altra intenzione^  che di raccorre breve e femplicemente  le ragioni) ch’ella ne tiene. ..Indi po>i  crefcendo da giorno in giorno, o ciò  folfe per l’ampiezza della materia > o   per la moltitudine delle ragioni, e va»  rietà degli argumenti, e delle autorità  che fi recavano in prova; s’ è tant’ol- .  tre la fcrittura avanzata., eh* è -per  comporre un volume intero .. Così io  mentre penfava di avere già compita  tutta la fatica, volli ancora inveftiga-  r e la cagione, el’ origine de* movimen-  ti > e tumulti della noftra città, acca»  »   duti per tal procedimento nel tribunale  del Santo Uffizio ; quand’ecco che io  conobbi-, Ae vidi chiaramente, che la  cagione-di tai tumulti altro non fia fra-  ta c che una tal gelofia, per così dire,  di Scuole coll* occafione d' una . cer*  ta Filofpfia, nomata- comunemente  Moderna, avvegnaché dia fia anct»  chiffima, e profetata dagli uomini mi-  gliori, e più fa vj della noli r a città. £  perchè la cofa o non è pur ben intefa,  ovvero fe intefa, per ambizione, por  aftio, o per altra cofa, è contrafiata a  campo aperto, fono forzato, come av«  vifai nella fuddetta altra fcrittura > con  quell* altra lettera, indirizzata pari-   A 2 racn-    f    i    Digitized by Google    mente alla Santità* Vostra, dimoi  Ararne apertiflinumente la verità. ( per  ordine ancora datomi da’ medefimi De-  putati ) acciocché niente li taccia per  quello, che convenevolmente appar-  tiene alla difefa così della vita » come  della fama de’ noftri cittadini ; e difen-  dere un lungo ragionamento > per far  palefe una volta > e più chiara teliimo-  nianzaal mondo dell* empietà della Fi-  iofolia Ariftotelica * « dell* innocenza  di quell* altra che chiaman Moderna;  al di cui manifeflamento ben poteano  dare opera gli altri, e non ftarfene sì  lentamente a ripofo in una caufa pub-  blica, e di tanta, importanza,• perla  quale ne lìamo malignamente tacciati,  echi per Eretico» e chi per Ateo» fe-  condo il livore» e l’ignoranza di quelli  banditori del Periparo; mentre vene  fono pur molti intendentilììmi di que-  lla novella Filofofta, che meglio di me»  e più profondamente l’appararono» il  che loro eforco a fare ugualmente, per  non cadere almeno nel bialìmo» che Ci-    .cerone diede a coloro, che appretto di  fefolirengon na 'corti i tefori delle let-  tere!,, fenza farne partecipi gli altri ;  così dicendo nell’orazione a favore di  Archia . Pudeat, ft qui ita fe litteris  abdiderunt, ut nibil po fjìnt ex bis, ne -  que ad communem adferre fruSìum,  ncque in : adfpeSìum, lucemque proferì  re . Ma non con animo, che pubbli-  candoli quella fcrittura » vi lìa taluno,  che fcrivcndo full’ifteffa materia, del-  le medelìme co fe li avvagha, facen-  done un’ altro edificio, in cui non vi  ila di nuovo che una deferente figu-  ra, e dimenfione. . .   Laonde tralafciando la parte difpu-  tabile, dalla quale fempremai la veri-  tà fugge, e ne va lontana, opponen-  doli ragioni a ragioni, . argomenti ad  argomenri, e fpette volte iofifmi co*  fofifini pugnando » con aliai delibera-  to conliglio ho, fcelta la-parte idonea,  in qua ponete, argumenta licei, non  argument ari ., La quale ettendo màe-  fira della vita, e de’ tempi, e de’co-   A 3 ftu-   fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j   potrà affai bene acconciamente com-  parire più fchietta, e più finceramen-  te difenderli avanti la Santità* Vo-  stra la caufa oneftilfima, e il diritto  di quella Filofofia iniquilfimamente  oltraggiata dalla turba de’ Peripatetici . Così furon degni di grandiffima lo-  da tanti fcrittori, e Greci, e Latini ;  i- quali all* i fioria fi appigliarono, po-  nendo perpetuo filenzio alle difpute,  tormento degl* ingegni delle Scuole li-  cenziofiflime delle feienze : così anco-  ra fu degnilfimamente commendato an-  che dagli eretici fiefii il dottilfimoCar-  dinal Baronio, il quale dovendo fcri-  vere delle colè appartenenti alla noftra  Chiefa cattolica » lafciando a’ chioftri  le controverfie, e le quefiioni, elefie  con affai maturo, e più fano avvedi-  mento la parte ifiorica > per trarne le  confeguenze- più vere, e reali . Plus  enim Annate s Baranti > quam Contro -  verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt .  • .£ qui io avrei già finito, nè bifb. gnerebbe più dilungarmi : ma perchè   1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che Ha  palefe, prima di paflare più oltre, e  affine,,-cbe niente fi taccia per quello,  che appartiene alla difeia, così della  vita, come della fama de’noftri citta-  dini; egli è neceflario far noto ancora  alla Santità' Vostra, che 1 * origine  di quelli nuovi rigori dell' Inquifizio-  ne ella è data, che vedendoli pur trop-  po fuora de’chioftri dilattate le lette-,  re, e propagata nella noQra patria la  Filofofia, la quale o fia. propria fata-  lità / portando fempremai feco defla  difagj, e fyenture, come dice Boe-  zio, Atque boe ipfo affine s fuiffe vtde-  mur maleficio, quod tua imbuti dìfcU  pìtnis o Pbìlofopbia :o-fia per propria-  gelosìa delle fcuole degli altri Filofo-,  fanti ; perchè Nibil volunt inter borni'  nes credi jmlius, quam quod ipfi te w,  nent / ha cagionato a’ medefimi fai  movimenti,. che fi fon lafciati a dire,  .che quella fpffe di pregiudizio aliano*  Ara fede, perchè da’ principi d’ A-ri-,   A4. fio- .    /•»    »   Itotele lontana fia, come per la tanta  autorità data ad Arinotele, diede mo*  tivo a taluno di dire fcherzando: Se»*  %a Ariftotele noi mancavamo di molti  articoli dì fede : come fe quelli fof-  fero (tati cavati dalla dottrina d' Ari-  notele, e non dalla facra Scrittura,  e da altro ; che tanto dir non fi po-  trebbe di S. Paolo, quanto alcuni han  detto d’ un autore gentile, quando,  come fcrifle un altro autore, e con  fenno : Sanila fanliorum non babet  _ bete Pbilofopbia .   Ma prima di venire allo fcioglinaen-  to di quelle vaniflìme oppofizioni, egli  è di bifogno ricordare alla Santità*  Vostra, quanto fia (tata commenda,  ta la Filofofia non meno da' Gentili,  che da* fanti Padri medefimi . Ecco  quel > che se diffe Tullio . Pbilofopbia  am vita parentem, et hoc parricidio fe  ( quifquam ) inquinare audet y et tam  impie ingratus effe, ut e am accufct,  quam vereri de ber et etiamfi minus per -  cipere potuijfet ? S. Giuftino così : Pbi-   lo m    I    ! 9   lofopbìa efl revfrà maximum lonutn t  et poffeffio i et apud Deum verter abili fi  qua" ducit ad eum > et fi flit fola > et  fanti i, beatique Htì, qui mentem et do-  nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo-  pbia reti am rationem intelligit ; quare  omnes homines pbilofopbari % et barre  pracipuam fanti ione m ducere (de. San  Clemente 1* Aleflandrino n* avvifa lo  fteflò, e Sant* Agortino parimente co-  sì : Qui Pbilofopbiam fugiendam putat %  nibil  vult aliud, quarti noi non amara  fapientiam . E 1’ A portolo quando dif»  fe, Videte ne quii vos decipìat per Pbi-  lofopbiam t egli intefe di quella Filofo-  fia, la quale con folli argomenti da  Sofirti > e fecondo lemalfime del mon-  do 6 produce ; il che chiarirtimo fi feor-  ge dalle parole che feguono, a ut ina •  nem fallati am % fecundum traditionem  bomìnum, fecundum dementa mundi .  11 che vien dichiarato da Sant’Agoftk  no medefimo, detto luogo fpiegando:  Et quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft con-  fiderete rem magnam, totoque animo appetendam ffgnifieat ( fiquìdem Pbiìoì  fophia e fi amof yfiudìumque f apienti* ), .  cautifftme Apcfialus h ne ab amore fapie a*,  ti* deterrere videretur, fubjeeit fecun -  d*m dementa bujus mundi .   . Egli è dunque affai ben chiaro, che  nè Satv Paolo, nè Sant* Agoftino, o  niun altro fanto Padre, Greco, o La-  tino, abbia giammai pretefo, che quel»  la apparare non fi doveffe ; anzi che  leggiamo tutto il contrario, come s’è  detto. Al che aggiugner u può - l’av-  vertimento di S. Clemente l’ Aleffan-  drino fopral lodato; Pbilofopbiam ante  Domini adventùm, Crucis ad jufiitiam  fui (fé neeeffariami nunc autem ad pei  caltum t et pietatem utilem effe (*j La   m* * » i j C|tt3e l • ...(*) Quello non fi vuol in terpefrar In modo, che  S* Clemente Aimafle, che I Greci fi giufti6catfe-  ro per mezzo della Filofofia .» Egli credeva, che  la Filofofia remotamente gli difndnetfe alla cogni-  zione di Crifio, dando lor notizia del vero Dio,  c fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli er-  rori . Per altro fenza la Divina grazia, la fede,  la carità &c. non credette, che uom fi giuftificaf-  • fe. Vedi Naral Alefiàndro Dijfert. Vllh in Hijior .,  E cc kf. f*c. IL    Digltlzed by Google    qual co fa ugualmente avverti il Cardi*  nal Palla vicino : La Fibfofia nelle dot-  trine Teologiche è utile come i foldati  frante ri negli eferciti; cioè in maniera  che fervano > ma non comandino . Im-  perocché a tutti fi permette la liber-  tà di fìlofofare. Bona mene ( dice Se-  neca ) omnibat patet, omnes admittit,  omnes ad hoc fumus nobile r, nec rejicit  quemquam Pbilofopbia, nec digit > omni-  bus lue et . Tanto maggiormente che  la natuta invidiofà per così dire a li-  vellare i fuoi Segreti avarifiimaraen-  te permette, che ora una cola, ora  un* altra fi fveli, come s’ è finora  fperimentato per tante ofiervazioni  fatte e che fi fanno in molte cele-  bri Accademie dell* Europa, (copren-  doli fempremai novelli arcani » non  che nuove, e plausibili opinioni nel-  le Filosofie . Jn Pbilofopbia ( lafciò  fcritto Seneca fcefio ) re maxima, et  involai iffima, cum etìam multum atìum  fuerit, omnis tamen atas, quod agat,  inveniet . Quindi Atenagora, che det-  tò    k*   tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani agl*  Imperatori Antonino, e Commodo  ambeduo filofofi, dille : Nulìum in  Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più  oltre così : Profeto autem bac crimine  vacat . Tutto ciò però intender fi dee  per la cognizione di quelle cole > che  dipendono da caufe naturali, non al*  tri menti foprannaturali. Il che fu con-  fiderà to dal medefimo Seneca, ancorch*  ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~  nam mentem, quam fiultum ejì opta -  re, cum pojfis a te impetrare. Non fune  ad Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri-  ma di lui avvisò Simplicio, Eos folum  de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata «  ifie: nequaquam autem de Ut ^ qua fa «  fra naturam exifiebant .  r : Ora fia lecito d* efaminare più efpref-  famente, fela Filofofia, che chiama»  Moderna fia d* alcun pregiudicio alla  noftra fede cattolica .   . Primieramente è neceflario, ch'io  rinnovi alla mente della Santità* Vo-  stra quei tempi più frefchi, in cui sì felicemente apparò le feienze tut-  te, e con ciò : io rinnovèlli, e rallegri  infìeme . 1* idee della prima fua età ;  perchè non v'è co fa (come ditte il  Cardinal Bentivoglio ) che maggior-  mente I’ animo ricrei, che la memo-  ria degli anni fcolarefchi, perchè ciò  egli non è altro, che un tornare a vi-  vere quella vita innocente, e piò  lieta dell’ uomo. Si ricorderà dunque  Vostra Santità», che malamente  quefta Filofofìa fia nomata moder-  na, perocch* ella è più antica, anzi  la primiera d’ Bardefane, ed altri  difenfori della Religione, furono tutti  Platonici • Ed a chi non è palefe l’A-  leffandrina fcuola in Oriente, ripiena  di tanti fanti Padri, e tutti Platonici?  Origene, Clemente, Cirillo, Eraclio,  Dionifio, Atanafio, ed altri, io modo  che Aleflandria, non meno per lofplen»  dorè della difciplina Ecclefiaftica, che  della domina, fu dimata un’altra Ro- i  ma, e la feconda fedia Patriarcale do»  po quella di S. Pietro . Sant’Agoftino  nel libro delle Confefttoni di fe fteffo, e \  d* altri rettifica eflere flati Platonici,   quando e’ narra la vilìta, che fece a Si m>  pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio,  raccontandogli i libri eh' egli aveva  letto de’ Platonici, da' Vittorino Ora-  tore Romano tradotti in Latino, che  morì poco dopo d’elferfi fatto Criftia-  no . Sopra la qual cofa fè palefe anco-  ra il piacere, che ricevette Simplicia-  no in fentire, che non era caduto nel-  la lezione d'altri libri di Filofofia, pie-  ni di menzogne, e d* inganni; ma lo-  lamente in quei de' Platonici, che in*  fegnavàno la conofcenza di 'Dìo, e del  Verbo Divino, le di cui parole fono  qu ette: Gratulatiti eft ntìbi, quod non  in aliorum Pbilofopborum f cripta incidi f-  fem, piena faltaciarum, et deceptionum,  fecundum dementa bujus mundi : in illh  autem omnibus in ftn aari Deum ' % et ejus  Verbum . Indi Agostino ileflo poi gli 1  chiamò i Filofofi di Dìo amatori ; ed  Eufebio nel libro XI. della Demolirà-  zione Evangelica, narra, commendan-  do tanto le contemplazioui di Plato-  ne, averle tratte da’facri libri degli Ebrei, cioè dell’Ente primiero ndelPI-  dee, deli*, immortalità dell’ Anima,  della produzione dell’ Univerfo,;del  bruciamento del Mondo, del R i forgi -  mento de’ morti, della Terra cele (le*  e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti ri-  portato ancora da Teofilo Galeo in di-  fefa della Filofofia Platonica; ed Eu-  febio. (lefib la difugualianza tra la Fi-  lofofia Platonica,.e T Ariftotelica in  quella maniera divisò : Mofes, Hebra't-  que Pro.pheta beate Divendi finem tn P r  ih mòdo • che fecondo  la jua dottrina il Mondo * non è già - una  monarchia, ma poliarchia y o piuttòflo  anarchia p. ciò che -San 'Gregorio Na%i.  anzeno ha' affai ben condannato . *   II, Platone chiama 'Dio nofìro fovra -  no Padre:' Arinotele non conofce ver fin  Dio' per padre . 1 * «4 u«>v > -.-v. ->   III. Platone nel primo- libro della fua   Repubblica affìcura, - che Dio fia > una  fo fianca (empiici fftma : • Arinotele ah duo-  decimo della fua 'Me taf (tea, lo pone  nelC ordine degli animali > e dell' effe n^e  compone. B 3 IV-    il  Platone nel [e fio della fua Re-  pubblica, che Dio fta nofro fommo be-  ne : Arinotele al duodecimo, della fua  Metafiftca, che' Dio fta un bene, che  conviene folamente al primo Cielo > del  quale egli è Motore. >, Platone nel quinto della ' fua Repub-  blica y che Dìo fta la fovraha Sapienza: .  Arinotele y che. fta un' intelligenza, che  conofcendo le cofe un he rf ali » non, f appi a  le. particolari . • •**..«   VI. Platone nel Timeo y che Dio fta   onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue,  che, non abbia ' altra potenza. > che di  far muovere il Cielo.,Platone nel.Filebo,, nel Soffia*  e nel Parmenide % thè . Dio abbia crea-  to le foftanze incorporee: Ari fatele che    tati .   ? X; Piatone, che il Mondo offendo' un  corpo, abbia . una potenza finita: Ari-,  (tot eie, che il Cielo, e il Mondo abbia-  no una potenza infinita dì muover fi .   XI. Platone y che il Cielo, e il Mon-  do^ come corporei ftano corruttìbili • A*  tintotele incorruttibili « -   = XII. Platone, che- Dìo [taf opra ogn\  e fiere, J opra ogni foftaitzai Arifioteic-y.  cbe’fìa falò foftanza .    ^ X /. . Platone che hi fogna pregare   D.io .a fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote -  le,, che Dio. -non .poffa- fentire, le no fi re  preghiere, non conofcendo le cofe parti»  eoi ari .   XXllvPlaton* i/ebe p uomo di buo-  na vita. i:. fta gradevole' a Dio: Art fia-  te le, che non .io gradifc4-\ t % 'non cono»  fcendolò\ «'Vi (. ^ viv, Platone, che dopo morte, 7*   ani-      «*    *5   anime de * malfattori fatto gafligate : ' A-  ri flot eie-, ube /’ anime e fendo corrotte  Col corpo i non -patif canti- più altro . XX^fV.- Piatone y^ thè, i' morti rifer-  gerantio' 1 Arijìotele, che dalla privanti*  otte all'abito non vi fia "rif òr pimento . Piatone, che V anirne derub-  ili faratino collocate in luogo y dove fa-  ranno molto' felici i' Arinotele non cono-  fce alcun- luogo di quefia fori a . Quindi il Sidonio-difle, Explicatut  Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e il Pei  trarca del difcorfo dell* ignoranza di  fe ftefloy e d’altri, attéfta, che Pia*  toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta  Grati nuncupabant ; e però nel Trioni»  fo della Fama, così di lui. degnamene    te canto:    A •   • t I n it    . V'olfimi dà man manca, e vidi  . Plato,  Cfo n quella fcbiera andò più prefr, . fo al fegno, . s  «* 4 / ?«*/ aggiunge, a chi dal cielo  ...... ^ dat o • ..  E fi-    *, £ finalmente tutti concordano, che  la Filofofia di Platone fia fiata la più  favorevole > ed acconcia, e quella d*  «Ariftotele la più contraria, e pregiu-  diciale alla dottrina della nofira Chie-  fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla.  Platonica f amili* Pbilofopbos facillìme  omnium, paucifque mutatiti r fieri poffe  Cbrifiianos, Anzi un Autore, che fé*   ce una Diftertazione del modo di ftu-   « \ 1   diare la Teologia, impreca coll’altre  di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis,  vituperando aifatto la Filofofia Ari»  fio te lica, e ragionando egli degli anti-  chi Filofofi Crifiiani, così dice \ \Qm  quis effet Arifiot elicti s, eo minus • Còri-  flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge :  Olir» multi viri pii, (S doElì % Origene: t  Clemens Alexandrinut, Jufiinus, Augu -  jlinu !, et alit y ex Plafoni s fcbola ad £c-  clefiam Cbriftianamtranfierunt : f ed nul-  li y aut certe pattei ex fcbola Ariftotelis,  qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn, et  arguti is inferii erant . E il medefimo  Autore dice f che Pietro £amo era  -fi d’opi*    Digitized by Google    d’ opinione, che fi dovefle bandire da T  tutte le Scuole, ed Accademie la Me-t  tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi   I   ( fono parole dello fleflò Autore ) stiri  do fi us, et perfpicacis in Philofopbia ju-  dici't ( luet Ariftotelici contra fentiant )  Tbeologiam illam, quam ? Arinotele s in  Metapbyjica docet » impietatem omnium  impie tatum maxime execrabìlem, et de->  tefiabilem effe confirmat, adeoque ex A-  cadem'ùs exterminanàam, ut a multi s fa-  flit atum efi . Avendo egli ancora propo-  fto> fecondò l'ufo dell’ Uni ver (Ita di Pa*  rigi, primach’ ei fofle creato Maeftro,  e primachè caduto fofle nell’erefla, pub*  bliche Conclufioni,per le quali foftenne,  Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a funt^falfa 4  et commentiti a effer, e perciò ifuoi fcrit-  ti in Francia in grandiflimo pregio fono  tenuti . £ di Guftavolte di Svezia rap*  porta il medeflmo Autore > che Omnes  Metapbyficas a regno fuo expulit t et exfu-  Idrejuffit . Come primamente Antonino  Caracalla, conofcendo ancor egli quefra  verità, vietò affatto l’ Accademie de’Peripatetici, 'facendo bruciare ancora  tutti i Iibrrd’ Arinotele . E Pietro Poi-  ret nel libro de Deo, le diede più. che  bando dalle fcuole con quella ’ defini-  zione: Pbilofopbia e fi contemplatiti, vel  cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari -  fiotelicarutii t vel fimiVtum, ad oblivi] ce n-  dum Dettm, mentemque tumidi s tenebri! t  et inquieta - pet ulani ta implendam ; In  modo che da’ mèdefimi Eretici fi con-  feda edere la Filosofia Ariftotelica dan-  nofilfima al Criftianefitrio.    : £ chi potrà giammai dubitare, che  la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata l’uni-  ca e fola cagione, anzi l’origine ftefta  di tutte 1* creile, eflendo ciò mani fe-  llo per l’autorità di tutti gl’lftorici,  e di tutti i fanti Padri, ' che in quei  tempi fiorirono, i quali erano preden-  ti alle difpute, e ne’ Concili ftefti per  confutarle ? Aezio Vefcovo d* Antio-  chia ne’ primi tempi appunto della no-  ftra Chiefa, non fu egli Eretico, e  poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe-  usì non peraltro, fe non perchè troppo addetto alle Categorie d* Arinote-  le egli era, come nota Svida; ed Epi-  fanio, e Gregorio Nifi'eno lo ftefio afr  fermano.. De Chrijìo magis Academico t  quant Eccleftaftico more f ape differebat .  E fattoli pertai fofifmi Eretico, e poi  Ateo, coro’ è detto,; fu. privato della  Chiefa, e la fua fetta,,ch’è la ftefla,  che l’Eunomiana, detta da Eunomio  fuo, difcepolo, e compagno nell’erefia;  fu fino alla morte perieguitata dagl*  Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te-  miftio Ariftotelico, come nota Svida  ftefio, chefcriffe fopra il trattato del-  la Fifica ». dell*. Animai» e d’altri libri  d’ Arinotele, fu Eretico, come Gio-  vanni Filopono. ; N ice foro così d’eflb  loro dicendo : Johannes ifte Philopone -  us Alexandrìnus, . ita ut diximus T rithei-  tarum i hdereticorum pr afe Bus fuit, prò-  inde atque olim Tbemiftius Pbilofopbut  jub .Valènte Agnoetarum feft et, qua conventi» lucis ad Be-  Hai? £ S. Gregorio Nazianzeno ugual-  mente ne fa molta doglianza, dicendo :  In Ecclefiam irrepftffe captiones fopbiflicas,  ac pravum art if cium Arinotele# artìs,  et bujus generis alia, veìut ALgyptiacas  quafdam piagar . E altrove così . Abjice  Ariflotelis minutiloquium, Jagacitatem,  et art ifi cium: abjice mortale s illos fuper  Anima fermones,& human a illa dogmata.  Ed in altro luogo deteftando in tutto e  per tutto Ariftotele il chiama Struggit »•  re della provi de n^a Divina . Ireneo in  in quefto modo ne parla: Minutiloquium,  et fubtilitatem circa quajìiones, cum ftt  Ariflotelicum, fidei inferre conantur :  Lattanzio così ; Arijlotelem de Deo    ìpfum fecum dtfftdere, et repugnantia di-  cere t et Jentire immo Deum nec colu-  ti, % nec curavit « San Girolamo ad Eu-  ftochio feri vendo : Attende et tu fa -  tuorum fapientum princeps Ariftoteles .  In altro luogo . Omnium b*reticorum do-  ppiata fedem fthi et requiem inter Art -  fiotelif, 0 Cbryfippi [pineta reponunt,  et Ut fub diem cunfia concludam fer mo-  ne, de illis fontibus univerfa dogmata argumentationum fuarum rivulis . trabunt .  E femprcmai.con aperto vocabolo Gi-  rolamo fteflb verfutiet chiama gli ar-  gomenti di lui. Origene ne* libri ch’ha  fatto contro Celfo, grida in più luo-  ghi contro d’ A ri Itotele come nocivo  al Criftianefimo > e la maggior parte  degli altri fanti Padri fono del mede-  limo fentimento, come Sàn Giuftino  nel Dialogo per la verità della religio-  ne Criftiana- con Trifone Giudeo : S.  Clemente PAleflandrino nelfuo avver-  timento, . che fa a’ Gentili ; Eufebio in  più luoghi delle fue Opere: Sant’Ata-  nalio contra Macedonia no : San Gre-    Digitized by Google    gorio Ni fieno eontra Cunomio : San  Gregorio Nazianzeno più voice nelle  fue Orazioni ; Sant* Epifanio ne* libri  contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di nuo-  vo ne* libri degli Uffizi : S Gio. Grifo-  ftomo fall* Epistola a* Romani ; e fo-  pra tutto, quel» che ne feri fie Tertul»  liano in più d’un luogo nel libro delle  Prefcrìzioni, e dichiarando egli quel di  San Paolo, Ne quii tot decipiat per  Pbilofopbiam, intende egli quella d’A«  riftorele vana, e fallace per fentenza  di tutti. Quindi Cirillo l’ A leflandrU  no gridava.* Heeretici- nìbil aìiud, quarti  Arifiotelem ruSlant . E Sant’ Ambrogio  con ugual fentimento, e colle lagrime  agli occhi dicea, Reliquerunt Apofiolunt »  fequuntur Arifiotelem . E fra Moderni  Melchior Cano così ; Habent Arifiote-  lem prò Cbrtfto, Averroem prò Retro,  et Alexandrum prò Paulo . E tant' ab  tri, i quali l'hanno riprovato, e con*  futato, foto per timore, che non s’irn-  primefle al Criftiano un carattere deb  fa fua dialettica » per efler tutta con»   *• C tra-    traria alla femplicità della fede > la qua»  le altro non richiede, che una umile  fommiffione» e totale credenza, fenza  veruno ragionamento, e difcorfo uma-  no . E finalmente lafciar non fi dee  ciò, che ne fcrifle S. Vincenzo Ferre--  rio » che fremeva contro un tanto abu-  fo nelle Scuole . Quel Predicatore io  dico tanto zelante, che introduce la  vigilanza dell’ Inquifizione .per man-  tenere la purità della fede, non appel-  la egli queft-a dottrina d’ Arinotele, e  quella d‘ Averroe fuo feguace, Pbia  ìas ir  che nell’ anno MCCIV. fotto Filip-  po ;1* Augufto, per pubblico confi-  gli©,' come dannevoli alla noftra fe-  de i libri della Metafilica, che al-  lora folamente veduti s’erano, e tut-  ti gli altri ancorché, non veduti, e  foflcro per ^comparire, fu ordinato >  che fi ì mandafiero alle fiamme . Ec-  co le : parole ., dell’ Iflorico riporta-  .te dal medefimo Padre Petavio >  in diebus .uillis .legebantur, Parifiis. li-  belli quidam ab Arinotele > ut dice ?   » C i ban-  bamur, compo fiti t luì aocebdnt Meta -  pbyftcatn,  éf 4 Graco in Latinum  translati; qui quoniam non folum pre-  dilla bareft fententiis (ubtitibus occafto *  **0» prabebant, ò»/»o 6 * 4/»/ sondane  investii pr abere poter ant, jufi funt 0-  mnes comburi t et fub paena excommuni-  eationis cautum eft in eodem Concilio,  ne quìi de cetero eoi fcribere, legere  fra fumerete vel quocumque modo b abe-  re. Esfei anni dopo che fu condanna-  ta ia Metafilica dei medeiimo, il Car-  dinal di S. Stefano mandato in Fran-  cia da Innocenzio III. in qualità di Le-  gato, proibì a* Profeffori dell* Oniver-  fità di Parigi d’ infegnare più la Fifica  del medefimo Arifrotele, il che fu con-  fermato poi per una Bolla di Gregorio  IX. come ancor prima per lo Concilio  •Tu rose fe fotto Aleflandro IIL fu pa-  rimente vietato leggerli più la Fifica  a’Religiofi ; quindi dall* Università del-  la Facultà Teologica di Parigi, c da  Francefco primo fu fcabilito > Che s*   r    Digitized    37   infognale la f 'anta Scrittura, i fanti  Canoni > i fanti Padri, la Teologia an-  tica con tutta la purità e femplicità  pofjtbile, e che fe ne sbandi (fero tutte le  vane fattigliele, come riferifce coll*  autorità di molti, M. Baillet . Alma*  rico ( narra il medefimo Ifrorico, ri*  portato dal P. Petavio (tetto ) non fu  egli eretico, come feguace de* princi*  pj d* Arifrotele? Simone de Turne ce*  iebre Profettòre di Teologia della me-  defima Univerfità di Parigi, e David  Dedinant, poco tempo dopo, non fu-  rono acculati per eretici, come trop-  po attaccati, a* fentimcnti d* Arinote-  le ? Gli Abailardi t i Lombardi, i Poi-  * tierfi, i Porretatii» come Iettatori del  medefimo, non furon eglino eretici ?  Quefte fono le parole del prologo del  libro contro le fentenze de* medefimi  condannate « Quii quii hoc legerit, non  dubitabit quatuor labyrintbos Francia,  id efl Abaelardum, et Lombardata, Pe-  trum PìEìavìnum, et Cilbertum Porre*  tanum uno fpiritu Arijìotelico affiatos,   C j dum    3 * .   dum ineffabtìia Trmitatis, et Incarna-   tionìs fcholaflica levitate t raffi arcnt,  multai barefet olim vomuiffe, et adbuc  errore s pullulare. I Luteri, i Calvini,  iMelantoni, i Buceri, i Zuinglj, e '  gli altri loro feguaci, ancorché apparen-  temente fi dimoftraflfero nemici. d’Ari-  ftotele, gettarono, e coltivarono i loro  velenofi Temi, non con altri ^principi fe  non 'con quelli d’Ariftotele ftefio . I  Pomponazj, i Porzj, ed altri traligna-  rono da’ veri fentimenti deirimmorta-  lità dell’anima, non con altro errore,  fe non con quello d* Ariftotele medefi-  mo . I Serveti, i Socini, i Poftelli,  non con altra direzione che di lui ftefio  divulgarono que’ loro pefiimi ritrovati ;  e fceleratifiìme innovazioni alla noftra  Religione . 11 Macchiavellifmo, ch’è  lo ftefio che l’Ateifmo Exiit ( dice il  Campanella, col fentimento ancora di  Melchior Cano, dottifiimo Spagnuolo,  ed uno de’ più facondi Scola dici del Tuo  tempo, ed il maggior ornamento della  famiglia Domenicana, degnifiimo Vescovo nell* Ifole Canariè, e fu eziandio  uno de'Padri, che intervennero ahCon-  cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex    Pcripateticifmo - Il quale aggiunge anco-  ra : Ex Arinotele nata funt in Italia pe*  fiifera illa dogmata de mori alitate animi,  et divina circa res bumanat improvi dea-  tia. £ Seneca ancorché Stoico, perchè  la Filofofia Stoica alla Criftiana li ag-  guaglia,' come dice Girolamo il Santo  nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar  cancellare dal cuore di Nerone Aio di-    fcepolo que* peftilènriflìmi. fentimenti,  che imprefli. gli *avea. Alèflandro d\E-  gea Aio primiero maeftra f efilofófo Pe-  ripatetico. Come Peripatetico fu ancor  ' Sergio, il maeftrcnperfidilfimodi Mau-  mety il che* vien -riferitò da Pico della  Mirandola ; avendo ancoi egli ( Arido*  tele io dico) d’ una maniera- infegnato la  fua Fitofofìa ad Alèflandro, e d’ um al-  tra in Atene, quafi che varia, ediver-  fà la.lnat ural Filofofìa infegnar fi dovef»  fe ad un Principe ciré al popolo ; del che  molto-de me. querelò «Alèflandro • cor»    4 ® . Arinotele fteflb, il quale fu atnbiziofó   nel dominio delle lettere, come fa  di più mondi . £ il Carpentario, an-  corché eretico, nel principio del libro   della fua JFilofofìa libera, non dice li-   • \   bera mente così tjQuis enim ita ferver fi  genti e fi, qui mecum nitro non fatea*  tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino-  tele ei parla )) ut bomini multa falja »  et erronea ; : ut etbnico, et pagano mul*  ta impia, et profana ; ut primo in*  fìauratori multa . manca, et $mperfe *  fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef-  fo, torno a dire, il genio veramente  della Teologia * e delle feienze, il qua-  le degnamente appellare fi dee il fior  degl’ ingegni, e ’1 primiero letterato  tra i Padri Gefui ti, allegando l’auto*  rità. d’Anaftafio Sinai ra, non dice egli  così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo libro quem  Via: Ducem nominavif, tefiit e fi, ha*  reticos omnet, qui vel contra Incarna*  tionit dogma nefarium movere belìum,  ex ilio Ari fìat elico fonte fuxiffe . Indi  egli è, che 1\ Autore fiefib della Filo-    Digitized by Google    4 * .   fofia volgare re fatata ; così contro i  fetrarj del medefimo grida : Et adbuà  Arifiotelem leghi s t interpretamini, de-  fenditi !, et exornatis.   Quindi egli è, che da’fan ti filmi Pa-  dri medefnni, e da molti favillimi, e  dotti (fimi Autori è (lato ancora nota-  to di gravifiimi errori . S Giuftino fcrif-  fe tutto un Trattato contro i dogmi a  e le fentcnze d* Arifiotele, nel princi-  pio del quale così ragiona : It nibil dà  rebus, quas definiendas ftbi commenta -  tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li-  bro contro a Giuliano fra i Filofofi »  eh’ hanno errato, principalmente ri-  pone Arinotele . E' perciò molto deri-  fo da Bafilio, e particolarmente per  quello, eh’ egliafierì intorno alla Ma-  teria prima, e che la materia abbia  una limpatia naturale d* unirli i e per-  fezionarti colla forma - Eufebio nel li-  ti ro della Preparazione dell’ Evangelio*  e in quello contro i Filofofi detefia non  (blamente la vita» i cofiumi, la Filo-  fofia morale > e naturale ; ma la fua   Me-      4 **   Metafifica, come una pelle delle Re-  pubbliche. Lattanzio Firmiano il dan-  na come Sofilla ., ed a fe fteflo contra-  rio . Ambrolio ugualmente come va-  rio, e incollante.- Come menzognero,  efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo-,  doreto, S. Bernardo, e il .Beato Sera-  fino da Fermo . San Tommafo allegane  do Agoftino medefimo coll’autorità del  Gcllio, prova, che fia un impoflore >  come rapporta il Campanella.. Scoio,  e Francefco Mairone, come un igno-  rante affatto della Metafifica, e che le  cofe tra effo loro repugnanti a-yefle ap-  provato . Gio. Pico della 'Mirandola,  e Francefco Patrizio il riprendono nel-  la Geografia, e nell’ Agronomia, nel-  le Meteore, nejl’jftorie degl’ animali;  e eh* egli abbia ! malamente creduto,  che la terra fia più elevata verfo il  Settentrione, che altrove.* che’l Da-  nubio prenda l’origine da’ Pirenei . Pie-  tro Gaflcndp lo biafima nell’errore in-  torno alla Galaflìa, all’ origine' delle  Vene, c jje* nervi del cuore t c in mol-  . . •> te    s   V   N   te altre fimili cofe . Telefio, Duran-  do, Baccone, Baffone,. l’ Harveo >•  Cherneo, Galilei, Maurneo, e Pie-  tro Alliacenfe, e Niccola di Cufa Car-,  dinali, ed ultimamente il P. Valeria-  no Magno, piiffimo, e dottiamo au-  tore Cappuccino, che fu Miffionario  al Nord, il confutano» l’ acculano, e  lo tacciano di molte altre limili fcioc-  chezze . La fomma, e la foffanza fia,  dice il medefimo Gaffendo,che non  v’è per fona, che fenza roffore diffen-  der lo poffa, nè fenza tema, e nota ef-  preffa d’infamia, e di vituperio, che  l'eguire lo voglia nell’ impoffibilità del-  la creazione per lo ftabilimento del fuo  principio, che noii fi faccia niente dal  niente: che il Mondo fia eterno» e l’a-  nima mortale : che la previdenza di  Dio fia talmente limitata nelle cofe ce-  letti, che non fi eftenda più di queir  lo, ch’è fopra la Luna, negando an-  corai’ idee, e confeguentemente il Ver-  bo di Dio, non che Dio fteffo auto-  re di tutte le cofe : l’efiftenza degl’Angeli, de* Diavoli!, l’Inferno, eia  gloria beata,, e con ciò le pene adat-  tivi, e i premj a ’ buoni . Inferni, et  Supere s, effe fabulas Legislatori! e' dif-  fe nel libro II. e XII. della fua Meta-  filica. £ tutto ciò o fia propria difav-  vedutezza, o fi a perchè fi ano fiate  trafilate, e guade le fue opere, co-  llie vogliono alcuni, perocché egli fa  uno de’ maggiori Filofofi della Grecia»  di cui molto n* hanno celebrata la fa-  ma, e la dottrina, come dice Macro-  bio : Nibil tantus vir ignorare potuit *  Certo egli è nondimeno, che leggia-  mo predo Diogene Laerzio, antichif-  fimo autore, che Cleante Stoico fin  da’fuoi tempi dir folea, Peripateticit  idem uccidere, quod litteris, qua cum  bene fonent, fé ipfas tamen non nudi*-  unt * £ che il medefimo Arifiotele fof.  fe fiato chiamato in giudicio a pena  capitale dagli Ateniefi, per non poter  (offrire anche nella loro politica, e  falfa religione quei bugiardi, e corrot-  ti principi d’ Arifiotele, diruttori per   così    Digitized by Google    così dire dell* uomo, e di Dio freffo }  la qual pena egli fchifò colla fuga .  Per la qual cofa in quella maniera fcla-  mò il Campanella di fdpra lodato; Et  nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma -  gijlrum, ne àum tontra Patres > et Con-  cilia / aera jubentia, quod jubebant A *>  tbenienfes ; et quod jus : naturar damnat  in illis, fciolonm au£lori%abit in nobisì  Abfit Cosi il fuo difeorfo conchiu*  dendo. O Ecelefia prudente r paftores,  et o prudente s priucipes, vefirum eft  banc domenicani perni eiem agnofeert »  et prodigate . : i .   £ quel, che maggiormente reca  maraviglia egli è, che quei medefimi,  che 1* hanno comentato, difendono  Platone, dove Aratotele lo danna, e  quei > che 1* hanno feguifato in molte  cofe, non folamente 1* hanno contrad*  detto y ma 1* hanno quali infamato .  Alberto Magno l’arguifce, Quod ani-  mai Coeli mot or e m facit . San Tomma*  fo lo beffa, Quod bine Mundi eterni-  tatem adferuit > illine animarum immor •    4 « . .   t alitatevi fili contradixerit . Scoto il fot-   tiliffimo Io. fchernifce, Quod tam in -  conflanter de anima fenferit . E quel,  che fommamente notar fi dee egli è,  che il mentovato Alberto Magno, tan-  to feguace d’ A ri (lo te le, per lo dubbio,  ch’egli aveva» fe bene, o male avef-  fe ragionato, in quello modo prote-  •ftandofi ne’ Tuoi comentarj, conchiu-  fe : In bis nibil.dixi fecundum opimo-  nem me am propriam ; fed juxta pofitio -  nes Peripateticorum ; et ideo illos l.au-  det, vel reprebendat, non me .   Quindi S. Tommafo fteflò, difcepo-  lo d’Alberto Magno, fi avvalfe nella  fua Teologia di quella Filofofìa, e di  .quella morale d’ Ariftotele, che più.  purgatamente fu difcefa in compendio !  da S- Gio. Damafceno, avendo da ef-   • et * % «, v - ^ * W   fo prefo un modo, più particolare, e  (incero ; e il Campanella afferma, che  S. Tommafo . Nullo palio putandum  efl Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote-  lem expofuiffe, ut occurreret malis per I  Arifìotelem illatis. E S. Tommafo me-    Digltized by Google    47   defìmé^iì lamentò molto con altri Fi-    lofofi più giudiciofi del fuo tempo,  che gli Arabi, e i Mori colà nell' Àfri-  ca avevan contaminata laFilofofia, e  T Opere tutte d’ Ariftotele, per non  faper eglino molto bene di Greco; per  la quai cofa Giovanni Lomejero nel  fuo libro della Biblioteca n* avvisò ;  Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue -  runt, quid de bis putandum e fi, qua  in Lattnum.converfa funt ? Sed melius  cum eo a Slum efi, qtsam cum aliis, . quo*  rum opera funditus perierunt, et ipfe  c auffa cxtitit cur multa per irent, qui  aliar um gloriam adfetraxit .. Indi  Monfignor Ciampoli chiamolla Filo-  fofia Morefca t Monfignor Minturno  Barbarica, e tutti Pagana-. E ben-  ché in «tempo poi dello /cadimento  dell* Imperio, e dell; Imperatore Pa-  leologo > venuti alla noftra Italia i  Greci filosofanti, e, fcienziati, forte ri-  fiorita; la nobiltà dell’ idioma Greco 9  delle filofofie, e delhaltrd Scienze, ap-  prettano! già eStinte* e tamraerfc coll*    ♦*   innondatone de* Barberi ; eglino parò  fi manifeftarono gagliardi difenfori del*  la Filosofia Platonica » e particolar.  mente il Cardinal BeiTarione Arcivef*  covo di Nicea, e il più dotto tra elfi  fai merito di cui tolfe il Papato laru*  fiicità dell* Arcivefcovo Perotti Tuo fa*  migliare » e concia viftaj dicendo in pri*  mo luogo contro i Peripatetici, eh* e*  glino .malamente . Conantur Ariftote •  lem ex gentili) et infitteli Apoflolum f&  sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum  Feripatcticorum dottrina no» convenite  Ne formò molte E pi (loie ; il quale  fu poi feguitato da' maggiori ingegni  Italiani» cioè da Marfilio Ficino, Gio.  Pico della Mirandola, e da altri cat-  tolici, e particolarmente da Niccola  di Cufa, e da Pietro Bembo ambe*  due Cardinali ; il quale contro d* Ari*  itatele così fclamò: Fovemus ferpentem  inter vifeera noftra . Di maniera che  vedeli per lo più Tempre ofiervata là  Platonica t la Democritica, e 1' Epi-  curea Filofofia « e (fendo che fono tut-    te uniformi in concedendo, che gli Ato-  mi foflero i primi principi di tutte le  co fé corporee, e che il fovrano bene  del piacere non confìtta ne’ diletti in-  degni, e brutali ; ma (blamente nell»  animo, e nella vitaonetta, e tranquil-  la della virtù : non come altrimenti  voleva Arittotele, conti* è detto . .Fu  notato bensì Epicuro per così dire pla-  giario > avendo pubblicati per fuoi i li-  bri degli Atomi di Democrito, «dan-  nata in lui l' opinione della mortalità  dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti,  per la fua moderazione, e moralità,  fembrarono così giutti, e ragionevoli  a Girolamo il Santo, che propofe a*  Crittiani di fuo tempo la lezione de*  fuoi libri ; e da molti fanti Padri eì fu  commendato . E San Gregorio Naziao-  zeno, così ne ragiona: jQuis crederete  Mode rat us, et cafìus dum vixit fuìt fi-  le, dogma moribui probans. E Sant’Am-.  brogio ancorché più fevero d'ognaltro  fanto Padre, e nelle Filofofie più ri-  gido» pur egli ftimò effere più cpmpatìbili gli orti d’Epicuro, che d’ Arinotele i portici, come affatto danne-  voli non che pericolofì ; perocché ne*  libri degli uffizj al Cri diano apparte-  nenti » così n’ avvisò ; Epicuri Hortot  tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; . Il  che rien confettato ancora da Lattan-  zio » e da Origene contra Cello . Ari*  Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que-  lla Filofofia adunque d’ Epicuro, o fe  altrimenti chiamar fi voglia Democri.  tica » vien molto largamente di vi fata,  e comprovata dall* incomparabile Pier  Gattendi > Canonico, e poi Propoflo  nella Chiefa di Digne fua patria, Teo-  logo, e profeffore delle Matematiche  feienze in Parigi» il quale fu di pura*  e cadiflìma vita, e uno de* più illuftri  ornamenti della Francia» o quali l’ora-  colo detto delle lettere del fecol no-  Uro» di cui giudamente dir li potreb-  be, eh* egli intorno alle cofe filofofi-  che » e feienze Matematiche ne diede  il giudicio cóme Pittagora, e fpiegol-  le come Platone . Indi il volere qui ri-  pe.    5 1   petere, anche in menoma parte quel*   10, eh* egli medefimo n’ ha fcritto,  farebbe un ridire miferamente ciò » eh’  egli felicemente ne diffe ; e tanto mag-  giormente, quantochè noi richiede la  prefente fcrittura, per edere il tutto  notiflìmo alla Santità' Vostra. An-  zi in qualunque altra occalione che  fofle, farebbe un cimentar la propria  ftima, ed acquetarli certamente la  rota di temerario, e d’arrogante. Ma  da lecito farne qualche parola, e dir  folo > che il Galìendi avendo apprefo  nelle, fcuole la Filofofia d’ Ariftotcle,  e da eflo poi tutti i varj fiftemi degli  antichi Filofofanti, per quanto gli fu  permeilo dalla condizione umana » e  dal fuo proprio intendimento » e abi-  lità ; volle dopo feguitare, e perfe-  zionare quella d’ Epicuro, come piti  acconcia, e proporzionata Filofofia  d’ ognaltra, ammettendo gli Atomi  principi di tutte le cole corporee ;  come fende di fe Giacomo) Colonna   11 Vefcovo al Petrarca:   Da    Se    5 *   Se le parti del corpo mio diflrutte,  E ritornate in atomi > e faville .   Softenendo però, che Dio gli abbia  creati, e che Dio averte lor dato il  movimento) e il dirtendimeato, e la  figura.   E che il corpo umano, fia di minu-  ti ffime particelle coni porto, leggefine*  libri del diritto Civile, e propriamen-  te nel Titolo de judiciis, nella Lege  ' Proponebatur, così dicendo A 1 fono Var-  rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-  to, e Confole di Roma, Quod fi quis  pittar et, partibut commutati s, aliam rem  feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non  idem eflemus, qui abbine anno fuiffemur,  fropterea quod, ut pbilofopbi dicerent, ex  quibus particul'ti mìnimts confliteremus,  bue quoti die ex noflro corpore dee e dere nt,  aliaque extrinfecus in earum locum acce*  derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a-  dem confifieret, rem quoque eandem ef-  fe exifìimari &c.   Quelta Filofofia è (lata feguitata  / v in    io molte i e quali innumerabili carte-  dre dell’ Europa, e ballerebbe fol di-  re, eh* ella non è altrimenti proibita  da verun Pontefice voftro predeceflb- ;  re; anziché quali in tutti i luoghi cat-  tolici pubblicamente s’infegna, ù. ap-  para, e li profèta . Sia ancor lecito  aggiungere a tante dottrine che li ad-  ducono dal mede fimo G a flcndi, e da  altri, per corroboramento di tal Filo-:  fofia, un’ altra autorità di S. Grego.:  rio Vefcovo di Nilfa, la primiera «fé-:  dia della Cappadocia, il quale viveva  nel quarto fecolo, fecondiamo di tan-  ti e tanti fanti Padri, e Dottori della  noftra Chiefa, fratello di S. Balilio il  grande, e di S» Pietro Vefcovo di Se perocché egli diffe:  Fuit fuhita, urgebat, nova rei fui fa -  bat aures . £ finalmente foggiunfe,  Che Veritas placet, et vincit . Carte -  fius bene intelleflut, nibsl cont'met ma-  li . Onde ravvedutili gli altri, fi di-  chiararono ugualmente Cartefiani .  ^Soggiungendo ancora altriTeologi, che  fentimenti di Renato intorno all’efi»  ftenza di Dio fi conformavano con quei  medefimi di Sant* Agostino, diftefi  nel librò X. della Trinità > e -propriamente nel capitolo X. Ed un dotti f-  fiimo Padre, di cui ne lafcia il no-  me lo fcrittore della vita di Rena-  to, vi aggiunfe molte altre limili dot-  trine > eh’ egli aveva ritrovato in pro-  va delle opinioni di Renato ; in mo-  do che ciò fu di gran gioja.a Rena-  to fteflò, in fentire, che i fuoi penile-  ri erano uniformi con quei di Sant’Agoftino, e di Sant'Anfelmo nel libro,  detto Profologio, e d’altri fanti Padri.  E per li fentimenti dell' anima io vi  aggiungo Glaudiano Mamerto, uno  de’ più celebri fonti Padri, . che fiori  nel quarto fecolo ftefiò della noli ra  Chiefa, che compofc un divinilfimo  Trattato dell’anima t in confutando  quell’ enormilfimo errore di Faufto,  Ve f covo di Rems nella Francia, che  tenea quella falfiffima opinione >xhe  nelle creature non vi fia niente d’ in-  corporeo; ma Solamente in Dio . Quello Trattato fu dedicato. a Sidonio  Apollinare, amiciflimo di Mamerto;  .ed egli è molto elegantemente, e con   foni-   fommo giudicio, e finimmo • ingegno  dirtelo, in cui trattanfi le queftioni  metafifi che con ogni chiarezza, e fa-  cilità poflibile in prova dell’immorta-  lità dell’ anima in modo che non vi  è fiato chi migliore, di lui ciò abbia  comprovato . Fondando egli con ro«  bufiifiitne ragioni, che l’anima operi  tutta intera ne’ Tuoi movimenti: che  non fi mova nè verfo l’alto, .-nè ver-  fo il baffo, o altrove ; eh* ella non  fia nè lunga» nè, larga, nè più alta r  eh’ ella non abbia parti interne, nè  efierne ; e eh* ella penfi, ella fenta,  ella immagini, e penetri tutta in  tutte le fofianze : eh* ella fia tutta  intendimento, tutta fentimento, tut-  ta immaginazione, tutta di. qualità»  e non altrimenti di quantità; e final-  mente, che fia immagine di Dio »  e confeguentemente incorporea, e im-  mortale. Et quia imago Dei efi, non  e fi corpus . E che però cerchi Tempre  Dio, e defideri conofcerlo, non con al-  tra immagine di Divinità, chedelia /ua    6o   propria ; e che fola mente il corpo fi  tnifuri per lo fuo di (tendi mento in  lunghezza» larghezza, e profondità,  e con altri fomiglianti principi, de*  quali fe la maggior parte fi veggono  nelle Meditazioni, e negli altri libri  di Renato » dir fi potrebbe, o che  Renato gli abbia stolti da Mamerto,  ò ch’egli abbia avuto un ingegno geo»  metrico » giudo » e uguale a quello  di Mamerto . Da tutto ciò adunque  fi vede » che quelli principi di Rena»  to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre,  che fu Mamerto » gran Filofofo, e  gr.and* Oratore, il quale fu giudicato  uno de’migliori, e favillimi Padri del-  la Chiefa: che meritò la dima d’ effere tenuto dotto, quanto Girolamo;  dedruttore degli errori, quanto Lat-  tanzio ; provatore della verità » quan-  to Agodino; e che fia levato in alto t  quanto Uario ; che abbia ancora fa-  vellato, come Grifodomo ; riprefo,  come Bafilio ; confortato» come Gre-  gorio/ e che fia dato fertile » come Orofio; robufto, come Ruffino; nar-  ratore, come Eufebio; dettatore, co*  me Eucherio ; declamatore, come  Paolino ; e foavitfimo, come Ambro-  gio .   Quella adunque nuova Filofofia, o  rinnovellata per dir meglio Filofofia  di Renato, è fiata feguitata, e dife-  fa dalle migliori Uniycrfità, e proviti-  eie dell'Europa, ed infegnata pubbli-  camente nelle cattedre più rinomate  del Mondo ; e i cattolici fieffi ne fo-  no difenfori, non che gli autori, e fer-  rar] ancora, così attefiando il dottif-  fimo Sorel ne’ Tuoi libri della Scienza  universale . La dottrina di Momìt Defi  cartes oggigiorno è feguitata in molte, Accademie, e conferenze . V* ha de*  Prof e (fori di Filofofia, che /* infegnano.  Molti fe ri appagano piu, che del -  la Filofofia antica . La quale vien con-  fermata con pubbliche (lampe da mol-  ti Religiofi, che n’han divifato tanti  e tanti libri che nulla più, approvati  da’ loro Superiori, e fpeciali/fimamen-   te    Digitized by Google    te ne fono Seguaci nelle cofe più prin-  cipali i dottiifimi Padri Merfenni, e  Detei, e Niceron Minimi . IIP. Mai-  gnani, e il P. Barde : T incomparabi-  le P. Nicolle, e il P. Malebranche,  che nel fuo libro de inquirenda Verità -  te vi pofe tutti i principi, e tutti le  parti della fua Filofofia Opera, che fi  potrebbe appellare ' 1’ ultimo sforzo  dell’ ingegno umano ; ed altri Padri  dell* Oratorio di Parigi, i quali furo-  no ancora amiciffimi di Renato, e fo-  pra ognaltro affezionati (fimo, e mol-  to famigliare di lui, e della fua JFilo-  _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de»   maggiori Teologi della Sorbona, e che  M per la fublimità del fuo ingegno, ed  eccellenza della fua dottrina, fi può  - £ /giustamente chiamare l’Aquila degl*  ingegni, lo Splendore dell’età noftra,  e il più gagliardo foftenitore della fe-  ‘uWw^r^de Contro il Calvinifmo ; il quale col fuo libro della perpetuità della fede, in cui con robufte ragioni, e con eloquen-   za veramente Grifciana ha fondata 1*   eli*     J     e fi (lenza reale di Cri (lo nella fantini**  ma Eucaristia, e poi con altri volu-  mi, autorizzando colle fentenze de*  fanti Padri e Greci, e Latini di feco-  lo in fecolo, e della Chiefa Orientale  ancora, che fervirono di ri fpofta al li-  bro di Monsù Claudio, Minirtro di  Charenton, approvati da tutti gli Ar-  ci vefcovi, Vefcovi * e Curati della  Francia > e da altri Teologi, e Dotto-  ri della Sorbona ; ha dato tal confu-  sone a'Calvinirti, colla lezione di quel*  lo, che molti d’elfi illuminati, fi fo-  no uniti alla nortra Chiefa, come il  Vefcovo della Roccella, uno degli ap-  provatoti fuddetti l’attefta: e per tan-  ti altri libri, che quali ogn’ anno di  fua vita ha dato alle (lampe, fe ne  va carco di gloria, e d* anni con  quella folitudine, propria d* un let-  terato in Olanda, dove gran tem-  po menò la fua vita ugualmente  Renato, con rifiuto magnanimo  delle cofe del Mondo . Parimen-  te furono di Renato amorevoli il Cardinal de Bagne, e il Cardinal di  Ecrè, e il Cardinal Berul, e il Car-  dinal Barberino* quando ei fu Lega»  to alla Francia * il quale tanto fu a-  mantiflìmo delle cofe dell’anima > che  non per altro . pare * eh* egli avelie  trasportato dall’ idioma Greco al no*  Uro Italiano la vita di Marco Aure*  lio Antonino Imperadore, eh* ei def*  crifle di fe fteflb a fa fteffo * fé non  per dedicarlo all’ anima fua, come  Specchio veramente, e dottrina, quel  libro* delle cofe morali * che ponde-  rar fi debbono dall* uomo ; perciocché  tutte le cofe di quaggiù, anche in ai-  tiamo grado confiderate * fvampano  in nulla . Fu protetta » e difefa anco*  ra quefta Filofofia da tutti i Principi*  e potentati ftelfi d* Europa } e partico-  larmente dal Re di Francia* che grati-  ficò di due penfioni Renato* e dalla Re-  gina di Svezia * in cafa di cui egli mo-  ri * ed ella in grembo della Chiefa ;  coftà venuta, e fatta cattolica per o-  pera fola d’un folo Renato * com’ ella fteffa afferma in fua lettera, che fi  legge nella vira del medefimo; l’auto-  re della quale narra ancora, che la  iua maniera di parlare della Religio-  ne fece convertire alla noftra. Chiefa  il Marefciallo di Torrena, un Ateo,  e due Proiettanti; e dalla Principcfla  Ehfabetta r fu nomato il refugio de’  cattolici di Olanda, ed al medefimo  furono celebrati i funerali con aflìften-  za di molti Prelati, e delì’Ambafcia.  tore di Francia -, e d* altri perfonaggi  illuftri t ed Ecclefiattici, e fu compian-  to con funeftiffime Orazioni, e lugu-  bri apparati dalle migliori Accademie,  a cui ugualmente furono rizzati più e.  pitafj e maufolei, ed impreffe medaglie  in memoria della fua pietà, e dottrina .  - Ed ancorché i Padri Gefuiti, i  quali poffono dar norma, ed efemplo  per la loro dottrina, e - fantità di  coftumi, abbiano, particolare infti-  tuto, e regola di feguitare affolu-  tamente .la . Filofofia d’ Ariftotele ;  il che vien riferito ancora da uno   E fcrit-    66   fcrittore, così dicendo : Apud Jefuitas  ie gibus fauci curii e fi, neminem in Pbilo -  fopbia prater Ariftotehm [equi, qua  caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non alia  de c auffa Pbilofopbiam rimentur, quam  qmd abfque ea non poffe cum Jefuitis  rette difputari ; nulladimeno vedefi,  che molti d’ elfi di celebre .fama, e  d’ una vita efemplare, non fedamente  la FUofofia.Ariftotelica hanno trala.  fciata, ma quella novella forma difi-  lofofare hanno abbracciata, come fo-  no il P. Fabbri, • il P. Cafati, ' il P.  Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies »  e il P. Bartoli . La qual cofa li olTer-  va per lo modo di filofofare, fpiegan-  do gli effetti della natura per mezzo  delle particelle, eh’ eglino -han tenu-  to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam-  pe, le quali non altrimenti permettonli  fe non coll’ approvazioni d’altri Padri,,  a ciò deflinati dal medefitno lor P.  Generale, o Provinciale . Il P. Char-  let, ugualmente Gefuita, che fu affi-  ttente Francefe del P. Generale della  Compagnia, e milfionario nell’Attjefi*  ca, non fu egli amico, protettoref^é  direttore di Renato? 1} rJ*>j Giacomo*  Dinet ^Provinciale nella Francia,:^*  conf flore di Lodovico XIII. e di Lodovico XI V. non fu affezionato di Re--  nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j  mente Gefuita, benché una volta, gli?  avelie contraddetto » e riprovate lo,  Meditazioni, non fu egli medefimo £>  che ravvedutoli, fi riconciliò con Re»  nato IfelTo per mezzo del medefimo P.;  Dinet ? Il P. Atanafio Kircher preoc-'  cupato una volta dall’odio contro Re-»  nato, non procacciò poi la fua amici»  zia, e corrifpondenza èri! P. Miland  ugualmente Gefuita, non fu feguace  della Filofofia. di Renato, riducendo;  in compendio le di lui Meditazioni, ed  in metodo Scolallico per infegnarle a’  fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo  Padre prima di partire per 1* America,  volle oflequiofamente, e con particó*  lar fentimento dar. 1* ultimo addio: a  Renato fuo amiciflìmc, quali che in   £ 2 tal    68 '   tal dipartenza non fendile altro cor-  doglio, che di lafciar Renato, non  già i Tuoi compagni, i parenti, e la  patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non  fu egli parziali (fimo di Renato, e fat-  to Rettore del Collegio di Chiaramon-'  te a Parigi, non dedicò i due fuoi li-  bri di Filìca a Renato, conformandoli  co’ fentimenti del medefimo ? Pren-  dendo ancor egli la difefa contro Paf-  cale per l’opinione toccante il Vacuo.  IlP.Vatier, parimente Gefuita, non  fu egli fettario di Renato, ed appro-  vante delle maniere di fpiegare il fa-  crofanto mifterio della Santilfima Eu-  cariftia, fecondo i fuoi principi, e ra-  gioni? Il P.Grandamy gli fu finalmen-  te amiciflirao i II P. Francò, il P#  Fournier furono tanto amici di lui,  che gli dedicarono i loro libri-. Il P.  Fonfeca, benché Portoghefe, e il P.  Ciermans Fiamingo, ma ugualmente  Gefuiti, fecero un elogio alla Metafi-  lica del medefimo . In fomma tutti i '  Padri-Gefuiti de’Collegi della Francia furonoapprovatori, e fettatori della  filofòfia di Renato, co’ quali egli ebbe  una continua corrifpondenza, e vicen-  devoi commercio di lettere ; e della Tua  vita ne' due libri ultimamente pubbli-  cati. Ed ancorché pochi anni fono ilP.  Rapini, Umilmente Gefuita fi fia al-  quanto allontanato da’fentimenti di Renato, dicendo egli molte cofe contra lui,  ie quali quanto fian meritevoli di rifpo-  ila lo dican gli altri, noi comportando  la prefente Scrittura ; nulladimeno il  xnedefimoP Rapini, parlando egli pri-  3 fiieramente del Cavalier Digby,eflerfi  egli tròppo attratto nel fuo Trattato  dell* immortalità dell'anima, così di Renato favella : Le Meditazioni Meta «  .fifiche del Defcartes hanno avuto della re.  f> ut azione j perch'egli s'interna più che al -  .trinci midollo di quefte materie. Soggiun-  gendo a quefte parole l’autor della vita  di Renato . Senza eccettuarne t Gefuiti  Suarez, e Fonfeca, de* quali prima egli  aveva parlato, e che p affano per i migliori,  e più profondi Met affici delle Scuole . E 3 Ag-    Aggiungendoli ancora, che-veden*  do le Univerlìtà Protettami di Bafilea  e d* Olanda effer pur troppo pregi udi-  ziale la Filofofia di Renato al Calvi*  nifmo, Il concitarono tanto contro Re*   . nato, che non contenti di fori vere con-  tro la fua dottrinargli ordirono anco-  ra contro la per fona molte calunnie,  in modo che GisbertoVoezio Miniftro  d* Utrecht, per avergli oppofto con  malignità il     Ir   r»  V   t  t   ì   t   .ì   r  tìamo le vivande fenza penfarci, dice  il dottiffimo Boezio, noi refpiriamo  dormendo fenza ciò considerare, e tan-  to meno faper fi, pofTono 1* altre cofe  naturali, e celefti . Jacent ( ne laSciò  fcritto Cicerone ) ita omnia crajjts oc»  calta, et circumfufa tenebris, ut nul-  la acies bumani ingenti tanta fit, qua  penetrare . in coelum, et terram intrare  pofjit i Corpora noftra non novimus, qui  fit fitus partium, quam vim unaquaque  pars, babeat ignoramus . L’Angelo del-  le Scuole manifestandone la ragione  nella fua Somma, così favella : Quia  ratio bumana in rebus bumani s ejl multum defciens, cujus fignum ejl, quia Pbilo/o-  pbi de rebus bumanis naturali invejìi-  gatione perfcrutantes in multis errave •  runt, et / ibi ipftt contraria \fenferunt ..  Il che Similmente avea detto Crifo.  Homo ; Hi ipji, qui ad omnem pom-  pam de Pbilofopbia gloriantur, multos,  et plurimos de eifdem cauffts fcribentes  libros, non modo fimpliciter difcepta-  rmt t fed ttiam ftbi contraria pleraque  ' di »    X    1S   dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino fteflb,  delle cole Metafifiche ragionando, con*  figliò : Noli qu^rere quid fit Veritas %  fiatim entra fé' oppone nt calìgine! imagi •  num corporalium, et " nubila pban t af-  ta at a, et pertutbabunt ferenitatem t  qua primo iftu diluxit tìbi, ut dìce-  rem Veritas . • Non perchè quella non vi  lìa ; ma perchè di quella capaci non fu-  mo, dille il medelimo ! Cicerone . Ve-  ri effe al'tquìd non negamut, pertipi pof-  fe negamus : E altrove : Non enim fu-  mar ii, quibus nihil verum effe videtur ;  fed qui omnibus veris fai fa quidam a-  djunSla effe dicamus tanta fimilitudi -  ne y ut nulla inftt certa judicandi, et  difcernendi nota . £ quella è la cagio-  ne, per ria- quale tanto fi lamentava  A gofiinò medelimo dell* ignoranza u-  •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid  fit tempus nefcioì-An forte ne feto que-  madmodum- die am quod fcio ? Hei mi-  bi, qui nefcio faltem '-quod nefeiam !  Come Plinio parimente compaifionan*  do tutto l’uomo, ftimollo in ciò piò   mi*      L   9     f    »   ' 1   $   i   an incredibili celeritate vol-  vatur : quanta fit terra crajjitudo, aut  qtitbus fundamentis librata > et ( ufpen -  fit . £' volere ciò difputare, e con-  ghietturare Lattanzio il medefimo dice, non e (Ter altro, che difeorrere, e  giudicare di cofe fatte in remotifiime  parti non mai da noi vedute, o fapu-  te . Quindi il medefimo Lattanzio-,  così ragionando, il fuo difcorfo con-  chiude : Si nobis in ea re feientiam  vendicemus, qua non potejl feirì, non-  ne infanire videamur, qui id affirmare  audeamus, *» quo revinci po/Jimus ?  Quanto, magis, qui natura Ha, qua jet*  ri ab bomine non poQunt, /city />«-, furìofi, dementefque funt ju di-  cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/  incerta r fuf-  penfa ; magìfque omnia verifimilia, quam  vera, Minuzio Felice dille, Indi il  Poeta .j  Incerta bac ft tu poflules Battone certa facere nihilo plus 1 agas >   Quam ft des operata, ut cum ra-  • tione infantai .   £d in confermamento di ciò, fs noi  riguardar vogliamo a quel, che n’han  giudicato i medelimi, e i primi fetta-  tori delle Filofofie, ritroveremo, eh’  eglino fteffi han detto > aver fondato  il filofofare fu i principi dell’ ignoran-  za medefima, comen’avvifà Arnobio  fteflo . Ipft denique principe t et feti a-  rum patres, nonne ipfa e a, qua dicunt,  fuit eredita fufpicionibus dicunt* Zeno-  ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi-  nazioni ftefle .• Opinar i entra, te feire,  quod nefeias, non ejl fapientis, fed te-  mer a rii potius, ac fluiti . Socrate,  Quod neque feiri quicquam poteft, nec  opinati oportet. Adunque Tota Pbilo-  fophia fublata efl, difle Lattanzio.  Ariftotele fteffo ne’ libri della Metafi-  sica così ; De bis- enìm omnibus non modo invenire veritatem difficile ejl, verune  ncque bene ratione dubitare facile ejl .  Gli Accademici contro a’ Filici, Nul-  la m effe fcientiam, ed ogni cola probabile . Democrito, che la verità delle  fcienze ftia nell’- abiflò nafcolta . Arce-  fila ( narra Epifanio ) nomato il mae-  ftro dell’ignoranza da Lattanzio ftef-  fo, niente doverli affermare di certo,  negando all’ uomo la fcienza, riponen-  dola lolo in Dio, e Dio ftelfo Non nifi  ignorando fcire pojftmus Là onde Cice-  rone così tutto il fuo detto fiabililce :  Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit,  non pertinacia, aut fludìo vincendi, ut  mihì quidem videtur, fed earum tettine  ohfcuritate, qtu ad confejjionem ignora-  tionif adduxerant Socra tem, et velutì a-  mantes Socratem, Democrìtum, Anaxa-  goram, Empedoclem, orane s pane vele-  rei ; qui nìbil cognofci, nihil per dpi, ni-  hil fciri pofje dixerunt : angttjlos fenfus,  imbecillos animoiy brevia curricula vita t  et y ut Democritus, in profundo verita-  tem effe demerfam; opinicnibus, et injìitutìs ornata teneri : . nìhil ventati reità*  qui : deinceps omnia tenebri! circttmf ti-  fa effe dixerunt . £ della varietà di tan-  te opinioni, dell* incertezza delle faenze y e della moltitudine di tanti Fi-  losofi giudiciofiffi ma  pirico così ne ragiona : Ita etiam in'  hunc mundum, velati in quamdamma -  i gnam domum, accefjìt multitudo Pbi -  lofophorum t ad quarendam veritatem,  quam qui acceperit e fi veriftmile e am  non credere, quod reEìe conjecerit . li  quidem certe non dicit ejse \aliquid,  quod judicetur verità!, propterea quod 4  in eorum,r qua funt natura, nìhil pef-  ftt comprebendi . Il che vien confermato  ancora da Galeno, così dicendo: Scien-  tiam neque apud Pbilofophoi, prafertim  dum rerum naturam perfcrutantur, in-  ventai . Ammonio tanto fettario d’ A-  riftotele fteffo n’allega la ragione: Quia  diverfitate opinionum, diverfo modo rei ef-  fe verni velf alfa! : quoniam autem opinio-  ne ihominum varine funt,& incerta, ideo  fcientiat quoque e] se variai, et incerta!, ac   F l prò -    86   proinde nuìlam effe rerum eertam f, eie ».  tiam, et veritatem. Avendo ciafcuno  il fuo fenfo, e la fua fantafia a parte,  perchè, come fi dice, quanti uomini,  tanti pareri:   m   Mille homìnum fpecies, et rerum  difcolor ufus.   Per la qual cofa è egli moltd virifimi-  le, che ognuno dipenda dalle fue fan-  tafìe, ed opinioni, Cum fit ftngulis o-  pinio affluxus diffe Empirico fletto; di  qui viene, che Eraclito nominava O-  pìnìonem facrum morbum . Quella è  quella, dalla quale fìam tocchi, e  non dalle co fe medefìme, la quale di. -  pende dalle prevenzioni, ed anticipa-  zioni della mente, Sua cuique cum (tt  animi cogitatio, colorque prior . Come  ancora per la flima fuperiore al meri-  to, eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio-  natagli dall’ amor proprio, eh’ è il più  cieco, ed il più violento d’ognalero,,  a niuno ceder volendo : Pbilautia enim  ejl omnium amorum violentiffìmus, cete- ToJ-    i   *7   rofque fuperat ; vien fempremai a darli  cieco, ed imperfetto il giudicio. Amor, ftcut odium, ventati! judicium  nefcit, ditte Bernardo il Santo. E 1*  uomo non ha altro di proprio, che il  mentire, e *1 peccare . Nemo enìmba v  het de fuo y nifi mendacium, et pecca -  tum . Per la qual cola, torno a dire  con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi-  lofofia? O coll'autore de’ cinque Dialoghi, della Filofofia fletta parlando :  Non e fi enìm de terminisi fed de tota  profefftone coment io . Cioè, che non vi  fia affatto certa, e determinata Filo-  fotta, anche Propter natuv alerti borni -  num ad difjentiendum facilitatem . Re-  nato medefimo per primo principio  nelle fue Meditazioni non pone egli  1’ averli Tempre a dubitare nelle cofe filofofiche? In modo eh’ e’ con mo*  deftiflima protefiazione la Tua Filo-  fotta dirtele, confettando egli . dì fe  fletto nella IV. Meditazione così . Cum  enìm jam feiam naturam me am effe vai -  di tnfirmam, et limitatam . Ed etten*   F 4 do-    88   dogli (lato una volta afpra, ed acerba-  mente jfcritto contro da un Padre Ge-  fuita, di cui virtuofameate non volle  palefare il nome alle (lampe, fé ne la-  mentò benignamente in una lettera,  che fcriffe al P. Dinet Tuo amico, ri-  chiedendogli, ch’ei tro valle il modo,  acciò gli fi notificaflero gli errori, per  emendargli, così dicendo-; Nibil enim  inibì cptatius efl, cjuam vel opinionum  mearum certitudinem experiri, fi forte  a magni! viris ex aminata nulla ex parte  falfa rsperiantur, vel faltem errorum  admoneri, ut ìpfos emendem . Come di  (e (teffo Agoftioo il Santo : Si ahquid  vel incautius, vel tndoSìius a me pofitum,  ab aliis merito reprebenderetur, necm't-  randum e fi, nec dolendum ; fed pottus ì-  gnofcendum, atque gratulandum, non  quia errai um eft ; fed quia improbatum.  E pure quello Padre non aveva lette,  nè vedute l’opere di Renato ; così egli  fcrivendo nella medefi ma lettera: Etfi  enim mibi valde indignum videretur,  hominem Rtligìofum, cum quo nulla    n   mibt unquam inìmìcitia, nee quidem  notitia intercejjerat, tam . publice t  tam aperte, tam infolenter de me ma •  le dixìfje, nibilque aìiud balere excu «  f atlanti, . quota quod diceret, fe Dif*  fertationem meam de Metbodo non le*   gip-- \ •   £ tutto quello perchè ben Sapeva  non eflervi certo filtema di Filofofia,  che l’uomo Scuramente Seguitar do*  vede ; elfendo ella in tante fette di-  vifa j che Varrone fin da* Suoi tem-  pi ducento ottantotto ne conta, e  Temiftio trecento: onde Sant’Ambro-  gio gridò: lnter bas diffenfiones, qu&  veri potejl effe affina t io ? £ Lattanzio  ugualmente così : In qua ponimus ve*  ritatem ? In omnibus certe non potejl  Or che direbbero Ambrogio, e Lat-  tanzio Hello fe foffero a* tempi no-  ftri, ; vedendoli in maggior numero  Sopraggiunte, ecrelciute ? E quella fra  Religiofi (ledi, dalla Chiefa non con-  traddetta, quella io dico sì fiera, e da  non mai rappattumarli, e quietarli tra AQUINIO AQUINISTI e Scotifti, Nominali, Re-  alifti, ed altri, e tutti Ariftotelici, a  fembianza degli Arabi, de* Greci, e  Latini, i quali eran difcordi in fegui-  re, ed interpetrare 1’ opinioni del me>  delimo Arinotele, come rapporta Pi-  to della Mirandola . Per la qual .cola  Teodoreto fin da* Tuoi tempi fciamò :  In litibus omne fiuditim, ornai s   nibiì denique de quo univerfi una men-  te, ac voce confentiant . £ San Bafilio  di quei, che furon tenuti i primi Savj  della Grecia, dice non efiervi nè an-  che una fola ragione ferma, e collan-  te . Nee fola quidem ratio, apud Gr ita ut eos refel-  lere nibil fit negotii, cum illi propria  dogmatibus evertendo fujficiant. E Teo-  > doreto (ledo in quella maniera favel»  la : Et Ht fiorici, et Pbilofopbi, et Po~  età tum de anima, tum de corpore,  tum de bominis genitura, et confiit ut io-  ne inter fe litem exercent, dum olii  qttidem bac » alti vero illa pr a ferunt,  alti rurfus et bis et - illis contrariam o-  pinionem adducunt, neque enim verità-  tìs dicentes fiudio, et defiderio teneban-  tur ; fed inani gloriola » et ambitioni  fervientes, ex quo fané faBum efi, ut  in errores multo: inciderint . Per la qual  cofa in quella maniera n’avvisò Minu-  zzo Felice : Itaque indignandum omni-  bus y indolofcendumque efi, audere quof-  dam certum aliquid de fumma rerum,  ac majeftate decernere » de qua ab o-  mnibus faculis feftarum plurimarum uf-  que adbuc ipfa Pbilofopbia deliberat *   Ed    i t    Ed allora » che le Filofofie de’Greci in*  cominciarono a comparire al cielo Romano, i Romani ftelfi non s’appiglia*  rono a veruna d’cfle, foggi ungendo Ci-  cerone, perchè non eran sì balli gl’ in-  gegni Romani, che avelfero a foggia*  cere alle altrui difcipline ; perocché Ro-  ma t che aveva trionfato nell* armi,  non comportava farli fervile alle lette*  re : anzi i Romani ftelfi non fi manife*  fìarono giammai fettatori d* alcuna Fi-  losofia, ed i Nobili li guardavano, co*  me da una pelle, di non efl'er tenuti  tali ; perchè certi, che avevano prò*  felfato la fetta Stoica, come Bruto,  e Caffio ; Aruleno, e Sorano ; Sene*  ca, e Trafea, ed altri erano tutti mal  capitati, come macchinatori di congiu-  re > quantunque Seneca flelTo avelie  altrimente prote flato in una delle fue  .Epi Itole, dicendo : Non me cu'tquam  mancipavi, nttllius nomen fero, multum  magnorum ingenio virorum tribuo, ali -  quid et fi meo vindico . Onde lubito che  alcuno attendeva alla Filofofia, cadeva nell* ifteflo fofpetto, come di (Te   Tacito di Agricola fuo focero . E a 'tem-  pi notòri dal Re di Francia con un fuo  arrefio delli d’Ottobre 1668. fu  proibito a tutti i fuoi fudditi di chia-  marli l’un l’ altro fettario > e fpecial*  mente Gianfenitòa. I fanti Padri me-  defimi avvertirono non dover elfere  fettario 1 * uomo, e fra gli altri Cle-  mente 1’ Aleffandrino > così dicendo :  Praterea non particularìs fefia efi eli-  genda, [ed quidquìd omnes reile dixe -  runt Stoici, Platonici, Epicurei > Ariflo-  telici . Hoc totum [eie Slum dico Pbilofo-  pbiam. E Sant’Agoftino nel libro deh  le Confezioni, diffe, Non iftam, a ut  illam feti am, [ed ipfam, quacumque ef-  jet, fapientiam diligebam > q vare barn,  et ampie Sì ebar, Quindi San Tommalo  ne’ fuoi Opufcoli infegnò con Agotòino  medefimo, Non effe adfentiendum alieni  Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana, [ed ex  omnibus decerpendum^quodreiìe dixerint.  E fra moderni filofofanti Pietro Petito  afferma nelle Differtazioni, che fa incorno alla Filofofia ftelfa di Cartellò,  doverli notare d’arroganza colui, che*  preflumcr voglia d’ alfentire più ad u-  na fetta, che ad un’altra, la ragione  egli rendendo : Ne uni precipue inba-  rentes, in alias fotte me Hot e s, iniqui,  et contumeliofi viderentur . Ed ancora  quell’ altra» perchè non puote perfo-  na veruna, benché a tutt’ uomo vi s*  applicale, apparare, e farli capace  di tutte; conciolfiecofachè non potreb-  be darne retto giudicio, lodando più  una, che un’ altra Filofofia . Omnium  ( die’ egli ) fetta rum fieri perfette pe-  ritum, humanum piane captum exce-  dit . E a fen lenza d’ Euripide .* Unus  non omnia vìdet . E Galeno così : Dif-  ficile effe, ut qui homo fit, non in  multis peccet, quadam videlìcet peni-  tus ignorando, quadam vero male in-  dicando, et quadam tandem negligen-  tius fcriptis tradendo . E quando vo-  glia alcuno vantarli di fapere, appet-  to di quel, che non fa, egli è nul-  la, dille Temiltio . Ea, qua novimuty portione minima contìnentur, fi .colla*  ta, et comparata bis fuerint, qua igne*  ramus. E Paganino Gaudenzio Teolo-  go, e Protonotario A poftolico nel Li-  bro degli errori delle Sette, parlando  egli delle Scuole di Zenone) di Platone, di Democrito, e d’ Arinotele,  così n* avvisò : Illusi quoque colligendum,  in iis, in quibus nobis Cbnfiianis diffi-  derà licet > non effe exploratam verità *  tem. Magna nobis fas e fi uti liberiate  extra illa, qua arcem Re ligio ni s non  refpidunt, ut defendamus, quod nobis  probabilius videretur., Ora egli è vero, com’ è verini-  mo, che quei medefimi tanto fegua-  ci d’ Arinotele fono gli autori, oppu-  re gli approvatoti neflì dell* opinione  probabile nelle cofe Morali, ammet-  tendola per lo parere di due, ed an-  che alle volte d’un folo Teologo, dot-  to, e dabbene ; perchè nella Èilofofia  non ammettono ugualmente la proba-  bilità per tanti, e tanti gravifiimi au- -  tori, e Teologi, e fanti Padri medesimi, dove ancora vi è la libertà di file*  fofare, fecondo Ariftotele fteffo ? Per-  chè concedere la probabilità nelle co-  fe Morali, e poi nelle Fifiche negarla?  Perchè amettere la probabilità in quel-  le co fe, che riguardano i precetti del  Decalogo, e di Cri Ilo, e poi contrad-  dirla nelle Filofofie, così incerte, e  dubbiofe? Perchè approvar, per co-  sì dire, la libertà di teologare, e poi  oppugnare la libertà nel filofofare ? In-  trodurre il probabile nelle cofe fpiri-  tuali, l’improbabile nelle feienze uma-  ne : magnifiche opinioni nel mefiiere  dell’ anima, Gretti cancelli nell* ope-  razioni dell’intelletto, argomenti nel-  la Morale, freno agl’ingegni : fetenza  nelle confcienze, confidenza nelle fet-  enze : ed in un motto, Accademici  nella ^Teologia, Dogmatici nelle Filo-  fofie : Filofofi nella Teologia, e nella  Filosofia Teologi?   Di qui neceffariamente nefegueper  forza de’ loro argomenti medefimi, o  che neghino affatto la probabilità nelle co fé Morali, o feguitandola, la con-  fe(fino .lunga certamente s’ in-  gannerebbe, perocché eflendo.fi dopo  tante fette fcòvérro, -nuove' delle, nuo-  vi pianeti, ed altri fenomeni,: e tane*  altre cofe, e quali :un nuovo Mondo *  par eh’ egli era d’uopo di nuova Filo-  fofia per inveli igarle, non badando 1*  antiche, per le quali torno 3 dire con  Seneca dedo, Multum adhuc re fìat 0-   - perii, multumque refìabit ; nec ulti noi  to pofl mille facula pracludetur oc c a fio  aliquid adbuc adjiciendi . E altrove c  Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+  perta noi nefcìffe mirentur . Plotino  predo Teodoreto così : Multa, qua  nobis 'ohm latebant, ipfa die i invenie tJ   Ed il Poeta:   • v . Multa dies 9   tabilii avi   f 4 k • • Rettulit in melius  * # « * • 0 t * » t   E noi fopravanzando in due mila anni  d’ efperienza, fiam piuttofto fuperio-  ri . . Indi Cicerone tteflò fin da* Tuoi  tempi vantava d* efferfi la fua etàl.u-  gualmente fatta fuperiore nell’ arti, e  nelle» feienze, perchè più finamente  refe migliori, e perfette, come ugual-  mente de’fuoi tempi affermò Tacito .•  Nec omnia apud priores meliora, fed  nojira quoque atas multa laudit > . et  art tu m imìtanda pofleris . £ che i Mo-  derni abbiano trapaflato, e fopraftat-  to gli Antichi > egli è chiaro per tanti   G 3 fpe-    variufque lai or ma-    I  sperimenti, e. nuovi inftrumenti per  elfi fatti nelle celebri Accademie di  Firenze, della Fraocia, della Germa-  nia, dell’Inghilterra, di Lipfia, ed al-  trove ; come ancora per molti libri  ciò fi comprova,• e particolarmente per  quelli delPerhault nel paragone tragli  Antichi, e i Moderni; e del.P. Rapi-  ni nella comparazione de’ medefimi %, i « V *  dottilfimi in vero, ed eloquenti Ili mi  fcrittori . Quelle fono le parole del me*  defimo P’ Malebranche : Si quis Ari-  jìoteiem, et Platonem taf allibite s fui ([e  crederet, tum ih folis dumtaxat intei «  ligendis merito • forte incumberet, [ed  quii id credat, cui faltem mens jana  fuerit ? quin ratio noe monet ìpfos no-  vi s Pbilofopbis inferiore s effe, quippe  bis mille annorum, quo tempori s fpatio  silos Pbilofophos fuperamus, experien-  ti a nos efficere debuit pe/tticres . E  più nobilmente da Renato {ledo in  quella maniera : Non eft quod anti-  quis multum. tribuamus propter antiqui-  tatem, (ed nos  potius jis antìquiores dicendi ; jam en'rn fenior e fi mundus t  quatti tutte » major emque babemus rerum  experientiam . Il che fu detto fi foll-  mente prima dal P. Antonio Pofle-  vini dottillimo, ed eruditismo Gefuita - \Quamobrem fi diutius vtxijjet  Anftotekt, vel fi jam revwifceret pofl  tot fxcttla » quibtts ali £ res innumera t  ac propemodum alter orbis emerfit, mul-  ta effet correSìurus, quia contraria not  experimur . Ed anche fulle feene dal  latiniStno Comico . • r-   I   Res y tetas, ufus » aliqtiid adpor-    ' ; tet novi y   Aliquid admoneat, ut qu quos varia de parte  Ventai éff anditi- non cernant, propte>ea  quod uni fefe Arinoteli non dediderunt  fnodo y fed adeo devoverunt, ut fi fue -  rit opus, prò dogmatibus ejus tuendit  in fierrum, fiammamque ruaUt;' in cu -  jus Pbilofopbia fi quafdam opinione s pra-  va! conce perù ut $ ut iffum, fi furgeret  e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn  confermato ancora dal medesimo So-  rel, così dicendo .* Noi ci' prete jìia-  mo di voler men male ad Arinote-  le, che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi fono  guelfi, che ofiinatamente #* oppongono a  cofe > ch’egli, fe vive (fé riceverebbe   con piacere, per far profitto de' nuovi  lumi, che ai .Mondo comparir vedreb-  be. Lamentandoli ancora il medefimo  P. Malebranche, che li ut piar imam,  qui adverfus quafdam Pbilofopbia veri -  ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob-  firepunt, quibufdam innovatìonibus in  Tbeologia detefiandis, pertinacia! a db at-  tere 1 et indulgere videntur-. Quando   i fe-    Digltized by Google    iò 5   i feguaci fteflì d” Ariftotel®, Ammo-  nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au-  tori, avvertirono non dover effere gl»  Interpetri ^cogì attaccati a’fentimenti  delmedefimò» cornei ex tripode pro-  nunziati, e tanto meno, come fetta-  rj fcguirgti . Ammonio così: Horum  . vero explanatcr debet ; neque per bene -  volentiam afiruere conari ea, qua per -  per am funt ditta, ac velati a tripode  ea recipere t fed fuum ìpftus adferre  dicium . Simplicio in quell’ altra ma-  niera : Dignum autem Ariftotelicorum  fcriptorum expofetorem oportet, non ef-  fe vacuum undequaque magnitudine il-  lius mentis . Oportet quoque judicium  babere fwcerum^ jut neque ea, que re-  tte ditta funt, malo more fufcipiendo,  invalida ofiendat, neque ft quid ani-  madverftone indigeat, omni contentane  inculpabilia moneret, velati in Pbilofo-  pbi fettam fe fe infcripfe/tt •   Anzi infra i Giureconfulti ancora,  i quali a guifa di Filofofanti fi divife-  ro ugualmente in fette, chiamandole   Tul-    v    ioS   Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi,  ch’eglino non erano cosi pertinaci in  feguire le loro fette, che liberamen-  te non dicefiero i loro proprj lenti-  menti, ed alle volte a quei della con-  traria fcuola non aderifiero, come fi  vede praticato tra Capitone, e La-  beone > i quali furono i primi fetta-  tori affatto contrari fotto Auguflo,*  e fotto Vefpafiano, ancorché vi folle  quella de' Proculejani, e Pegafiani,  e l’altra de’Sabiniani, e Caffiani, af-  fai più contrarie fra efiò loro, perchè  quei 1’ Aritmetica proporzione, e quc-  fti la Geometrica feguitavano, gli uni  Stoici, e gli altri Accademici elfendo;  nulladimeno fu riguardevole la loro  modeflia in non aderire tanto fervil-  jnente alle loro famiglie, che volle  la loro modejflia avellerò apportato  freno alla libertà delle loro opinioni.  Matiifejia futi, et confpicua vtterum  Jurifconfultorum mode fi a y quod non  ita nec certa alicujus feSìa opinionibus,  nec futi quoque peculiaribus fententiis   inh il quale ragionando  di Cello; contrario alla fetta di Jabo*  leno, fotto Adriano > e Antonino Pio f  così loggiunge : Et fané videtur bh  Celfus non adeo partium fiudiis addiSlut  fuiffe ; • quintino Uberrima voluntate in  utraque verfatut barefi, et qua ( ibi ad  palatum fuere, nullo babito feSìa fua  refpetlu [elegiffe . E in ritornando al  medefimo Arinotele, leggeli nell’ O-  pere di effo lui, ch’egli non prelume-  va tanto di fe, che altri onninamen-  tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif-  fe un autore ) noi docet Arìftoteles *  quam quod etiam docuerat Plato : ni»  mirum fe ipfum refutare. Dicendo dife  quello medelimo autore. Omne equidem  genus Pbilofopbia peragravi, nulli acqui e f-  co, et quamvis ex pr : mis fludkrum rudimen-  ti!, Peripatetici, Stoici, aut Ac aderitici  audivimus, pofiremotamen fapientijjimum   quem-    IO?   f uemque Scepticam faSlum, tanquam  ffanum aliquem in fetenti* campii in -  gredientem video . E chi fece la nota  al libro del fuddetto autore, foggiun-  fe : Plato docuit Veritatem omnibus re*  bus effe anteponendam . Male ergo fibi  confulunt, qui veterum, a ut Arijlote -  ìis placitis ita ob finate inbarent, ut  tnalint cum illis .  Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi Pare *  r», e nelle Mofetc, e di Francesco Re-  di . Il nobilissimo ritrovamento dell*  argento vivo ne* cannelli per la prova  del vuoto del Torricelli, efaminata  alla lunga dal P. Bartoli Gefuita : de*  Vortici del gran Renato ; e di tanti,  e tant* altri ritrovati del Verulamio,  del Sorelli, del Keplero, del Gil-  berto, dello Steiliola, del Campanel-  la, del Digby, del GaSTendi, del Boy-  le, ed’ altri. Neil’ Algebra il Cardi-  nal Slulio, che non ha rinvenuto col  fuo libro Mefolabium, e il Cardinal  Ricci in quello De maximis, et mini-  mii ? Nell’ Agronomia che non hanno  fcoverto i moderni ? dimostrando i  Cieli edere fluidi, e non più orbi So-  lidi, come vollero gli antichi : i pia-  neti Stimati prima fare i loro giri in-    ili   >»   torno alla terra, muoverli intorno al  Sole; Venere mutar le lue fall, o  figure a gutfa di Luna : Mercurio,  e Marte ancora far lo' Hello : Giove « t   edere circondato da quattro delle,  chiamate Medicee, e Saturno da cin-  que altre, come ditte il Cattini .* ef-  fer la Lunà un corpo di fùperficie di-  fuguale, e montuofa : ritrovarli nel--  la faccia del Sole molte macchie di'  difuguale grandezza, e di varia dura*  zione, agli antichi affatto ignote; eia  qualità, e difpolizione delle Comete»  e d’altri corpi celelti non intefe da A-  riftotele, ed ; inveftigàte da Ticone ;  e dal" Galilei : la Zòna torrida ere-  duta inabitabile, etter abitabile, Antì-  pode!, qui imaginarìì dicelantur, nunc rt-  vera effe t et alia f excent a, ditte il noftro  Luca Tozzi nella fua Lezione: e final-  mente l’agghiacciamento de* liquori non  etter condenfazione.ma rarefazione contra Ariftotele:ne’gravi cadenti accelerar-  fi il moto fecondo i numeri fpari, ed ef-  fer il tempo radice quadrata dello fpazio   de-    r    I «   ì *   Jt   # Ir   I     t    IM '  '#1    « J    ij    V   I   1:i   r    11.    ' avverandófi  quello, che dagli antichi (ledi fu pre-  detto, e fi confeda da Cicerone anc'o^  ra : O pintori um commenta delet dies 't  natura judicia confrmat . E però egli  è vero, che quella Filofofia d’ Ari-  notele dagli Àriftotelici (ledi non è  altrimenti commendata, così dicendo 1  il ; medefimo P. • Podevini i' Deiride  monjìrandum ( id quod etiam tritura  ejì apud omnet Ariflotelicos ) nidiata-  e!}e in Arifìotelis libris fcientificam de-  fnonftrationem qua ' perfedìiffma fit y et  omnibus numeris abfoluta' it agite nàti  effe ipfius doSlrinam inconcuffam . La  quale ha avuto- tanta varietà, ed  incodanza di fortuna, óra 5 abbrac-  ciandofi, ora rifiutandoli > che nul-  la più, dome fi può- leggere Irt  quel libro di Giovanni Launoi ^ quin-  di in fimil calo ebbe a dire un au-  tore Francefe : In effetto fi vede 1 ';   che la fortuna ugualmente efercita il  fuo capricciofo impero . fopra 1‘ opinio-  ni, che jopr a /’ altre coje umane ;   . H ma    ma. non già fopra ìe mentì purìffime,  e tétte de’ Tanti Padri, da* quali lem*  pre è (lata bìafi mata, come nociva al*  la noftra religione, e proibita da’  Sommi Pontefici, e da* Concili ltefli,  com* è detto, e da quello Lateran eTe  nella Seflìone ottava affatto vietato da  infegnarfi piu nelle Scuole, come rap-  porta il Campanella, e Neri nel libro, detto Setta Pbilo -  fopbica, dicendo quefti ; Pracepit Con-  ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo-  telila non immorari, quoniam babet ra-  dica infetta!.   ' J  i  .,   Ma Te, come poco dianzi io dilli,  fra tanti Filofofì, i prìncipi di Rena*  to fono piìi conformi alla nollra reli-  gione, chi non dirà, che colf ui, più che  Ariftoteie .feguìr li debba ? Perocché  chiunque hlofofar voleffe fra noi Cri-  lliani co* medelimi principi di Renato,  li uniformerebbe Co’ fentimenti d’A-  goftino il. Santo, da cui o avvertito  Renato, o Renato col proprio fpirito  Criftiano, e filofofico meditandogli, US   gli ha pubblicati, e dirteli. Parole del  Santo, nella Città di Dio, fecondo i  documenti -del quale compofe il fuo  Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi-  lofophi de -Dea fummo > et vero ifìa jen-  jerunt y quod et rerum creatarum fit  ejfefior y et lumen cognofcendarum, et  borni m agendarum » quod ab ilio nobis  ftt et princtpium'- natura meritar   doZìrin# * et felicita s vitee, five Pla-  tonici accomoda tius numupentur ? fi ve  quodlibet aliud fu a feti a. nomea impo *  nani ; five itant ammodo J onici generiti-  qui in eit precipui -fuerunt, ifìa jenfe -  rinty ficut idem Plato, et qui eum be-  ne intellexerunt : five etiam Italici prò-  pter Pytbagoram, &• Pytbagoreos, et fi  qui -forte alii: ejufdem Pententi# in ìd  idem fuerunt : -.five -. aliar um quoque gen-  tium, qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba  li, Hi f pani., alìique reperiuntur, qui  boQ viderint., ac docuerint ; eos amnes.  ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò  -tV* H 2 fin -    x 1 6   pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f vo-  lt fle co’principj diRenatofi unifor-  merebbe con S. Gregorio Nifleno, di-  cendo egli nella narrazione della vira  di Moisè : Si immortalerà effe animarti  Pbilofopbus perbibet tic, et Deum effe  non negat, - creatoremque omnium, d  quo curiti a depende nt, et vere adfeve -  rat, ac rationibus quantum fieri potè fi,  demonftrat ; propìtius nobis Dei angelus  fiet. Quella adunque è la Filofofia ve-  ramente Criftiana, e non altrimente  Pagana, come quella d’ .Arinotele  Quella è la '. Filofofia veramente cat-  ' tolica, fecondo gli avvertimenti de’  fanti Padri-.»..... .   Quella è quella Filofofia di Rena-  to, il quale fdegnando di vedere piò-  involte, e deturpate le fcuole Criftia-  ne nelle Filofofiede’ gentili, meditò,  e diltefe una Filofofia affatto lontana  dal Paganefimo, conformandola, alla,  noffra fanta religione, alla quale pa-  reagli, che folo mancafle,* per laper •  egli molto bene, che Definitisi! erat -   - i Pia -   »    r    «7   Plato J et Arinotele }, po/l mortem Cbri -  fii, et eo rum I afte atta in Ecclefta pro>  nibilo' babetur, come il dottiflìmo Re-  my l’Arcirefcovo di Lione, re l’ avea  infegnato colla fentenza fuddetta; de-  liri dimando le Filosofie d’ ambedue  il piiflimo. Prudenzio, in quella ma-:  niera dicendo .,t    Confale barbati delir amenta Pia -  >tonis .«   Confale » et birce fot Cynicos > quos  • fomniat, Ó* quos   Texit Arijloteles torta vertigine, -nv- nervotv   • Quella .è quella Filofofìa di Re-  nato il quale confederando, che   tutta la Filofofìa Agoflino il Santo   diftinfe in due foli principi, che fo-  no 1* immortalità dell’anima, accioc-  ché noi ftelfi riconofciamo ; e 1’ efi-  lienza diDio» acciocché riconofciamo  la noftra origine . Pbilojopbi# duplex   guaflio e fi, una de Anima > altera de  Deo . Prima ejficit y ut'nofmet ipfot  nove rimas : altera originerà noflram ;   H 3 fon-    ri8   fondò i principi dei fuo fi'lofo/are fu  quefte eterne,. ed infallibili verità., v ;   .Quella è; quella Filofofia di Rena*,  to, la quale non folo, come didi, fu  > lodata da tanti e tanti Relig'tofi, ed  uomini di fantiffima vira,. -ma fpecial-  mente dal P. Merfcnni, intendentifli-  xno delle Matematiche, e 'Teologiche  fcienze, così dicendo in un' Epiflola :  Son refiato forprefo, che .un -uomo, il  quale non ha fluitato in Teologia, ab -  ha rifpofio sì fondatamente / opra punti  import antijfimi della noftra religione . lo  l'ho trovato così uniforme- collo, fpirito,  e dottrina dì Sant' Ago fino., che. offerì  vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti  dell'uno, e dell altro . E più oltre  così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes  infptra Soavemente l' amor di Dio, di  modo che non pojfo perfuadermi, che  la Filofofia di lui non fta, per Aornare  in bene, e in ornamento dell a.. ver a re -  ligione . Ed in un’ altra Lettera., che  fi legge registrata nel primo Tomo  della Geometria . del medefimo P.   Mer-    Merferini, cosi feri ve à Retiatd fteffiò:'  Quibus omnibus, cum a udì am Pbyfii  cam illam 'ab eruditi: viri: adeo exo-  ptatam, prope dieta edìturum, qud  longe perfeSfius cum dofir# fdei myftfr  riis conveniat > omnium catbolicoriim  nomine iibì maxima:,qua: poffum,  gratids b’abtó > qui non folum Pbilofp-  pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV  bus tam feliciter patrocinarli V ’ ', . Quella è quella Fflofófia di Ruba-  to, alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù  Parlier Antiqua' fide:, Tbeologia no?  va perchè Vincenzo Lirinefe dicea,  Ecclefiam non dovere nova, fed nove \  Sòltenendó egli, che i principi di Re-  nato fono più acconci > ed oppdrtuni  di quelli, onde fi fervono' volgarmén-  te gli altri, in ifpiegando ì mifteij  della nolfra religióne -, ‘ e :che non "vi   fia cofa nella fua Filófofià > che non  s’accord» co* principi della hofira Chie-  fa cattolica, così il detto Parlier at-  teftando ; Ma egli ba fatto altresì ve-  dere t non avervi altra Filo fifa,~che  d H 4 me-    1    t V !, .1   b*      ‘H*’    •h    »•   .t    no   meglio della fu a j* accordi co’.prinìcpj  della fede della Cbiefa . : .. ...   Quella è quella Filofofia di Rena*  to, della quale il profondo, ed acu-  tilfimo ingegno 4* Monfignor Caramu*  .cle ne diede il giudizio ., e prefagio  infieme, dicendo., che 1' opinioni di  Renato faranno un giorno comuni .  ed univerfalmente ricevuta, toltene  però alcune pochiflìme cofe, copie ri*  ferifle llaut I pj;e G della vita del medefi-  mo . • Monfignor \ Caramuele ba predetto,  che l opinioni del • DejcarW,. diverrei   * ** » « Li V. • • » »* A'i .   botto un.', giorno affatto comuni t e fareb»  fono univer/aìmente ricevute .,  rr»r alcune poche . E con ciò verifican-  doli 1* altro prefagio d’Alefiandro Taf-  fone, intorno ad Arinotele Iteflò, di-  cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri fot ile, le  quali innanzi (e vittorie di Siila non erano  introdotte, nè conofciute in Italia, potrebbe  venir tempo, che non oftante /’ ofiin anione  degl ’ idolatri di quel Filofofo, fi vedranno  f cartate, * . / r   Quella è quella Filofofia di Renatola   * V '  Cattolica religioni*  profefftone perfeverans y me prafente, et  exbortante, mortem cum vita commu-  tanti, Cbrifti Salvator» redemtionem  petit ur us . In ipforum fidem coram Dee  tejìimonium perbibens, prafentem Aflum  fubftgnavi in Conventu SanEìi Augufli -  ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667.   Que-   o pur per  geiofia di gloria» da cui vien tócca, e  facilmente turbata la Repubblica de’  Letterati . E fe in alcune cofc la Tan-  ta .Sede-ha voluto, che refii donec  cpYrigatur, potrebbe alla fine la San-  tità' Vostra purgandola, fedare tan-  te liti, e difpute, ancorché il contra-,  rio malamente pretenda, e con danna-  bile temerità la famiglia d’ alcuni Re.  ligiofi, Solo per mantenere odi nata-  mente le loro opinioni nelle loro Filo-  fofie, come vien riferito dal P. Gre-  gorio di Valenza, dal Vefcovo Fra  Melchior Cano, e da altri . .   Ma refiino pur nelle, fcuole que-  lli, e sì fatti argomenti, e ragioni  intorno alla varietà delle Filofofie,  e Vostra Santità* a cui s’appartie-  ne di fiabilirne la verità./ perocché   non    **$   non ceffan mai tali contefe ; concor.  dandoci piuttofto, come Seneca ditte»  la divertirà degli orologi ne’ momenti»  che de’filofofànti le fcuole,e partico-  larmente tanto più fiere, quantochè  fono d’ ingegno ; ond’ ebbe a dire uni  certo autore: Citiut in gratiam, pojt  mutuai cladei ingerita redeunt 'regei- »'  quam partium fìudio infiammati pkilo-  fopbi . Vnaqueque enim feda ( Lat-'  tanzio ditte-) omnei aitai- evertit, ut  fe j fitaque confrmet, nec ulti - alteri  fapere conce dit, ne fe dèfipere fatea -  tur . Ita ut ( foggiunfe Eufebio  non lingua, et calamo foltim, verum  etiam manibui pralium -geratur . E  sì fiottili ? e facili in rifutando  beifando 1* una 1’ altra, com’; egli’  è più agevole il riprendere, .che 1*  insegnare; il convincere la bugia,  che ritrovare la verità E. in ve--  ro che ha che fare la Filofofia u—  mana colla - ' celefte, eh’ è • la reli-  gione, così appellandola Crifnftomo  in più luoghi ? Religio Cbrijìiana  ve-    Digitized by Google    I.i6   9 0 •   vera » et caelejlìs Pbilofopbia eft . Che hi  che fare la Filofofia umana > o fia l’an-  tica, o fia la moderna colla fede, quan-  do non v,’è altra Filofofia più vera, che  la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam  folata comperi efse ver am, atque utilem  Pbilofopbiam .» di/Te Giudino . C fe al-  cuna cofa di vero avellerò detto i Fi-  Iqfofi, come ingiudi pofleflòri di quel-  la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi-  lofopbi vera dix/rqnt, ab eis effe tan-  quam injufiis poffefforibus vindicanda .  E però 1* Apodolo delle genti, fopra  ognaltra cofa efprelfamente comandò:  Captare intelleRum in obfequium jidei  noe debere  qua rat ione demon -  firari nequeunt . Conciolfiecofachè la  nodra fede derivi da principi altiflìmi,  e fopraqnaturali . Che ha che fare la  ragione umana colla Teologia ftelfa ?  Qjtemadmodum enim ( dice il Ver u la-  mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua*  rere per inde e fi, ac fi viver quarat  inter mortuos, ita contra Pbilofopbiam  in Tbeologia quarert aliud non e fi V  quarti mortuos quarere inter v'tvos . Ol-  treché la Filofofia egli è ancella, e  ferva della Teologia medefìma la  quale, come regina, delle fcienze,  tragge dietro di fe incatenate tutte 1*  altre facoltà > e difcipline umane ; la.  qual cofa in piìi luoghi vien detta da  S. Gio Grifo domo. Ex Pbilofopbia res  divinar intelligere velie, e fi candent.  ferrant i, non forcipe yf ed digito contee  Slare . Lo fteffo in quelF altro modo .*  Nibil commune babet bumana ratio  collata in divinis ; ideoque * blafpbemia    I  1 ' 4   *#   fu' condannata per comune parere de’ mede li mi  Arillotelici, • a tellimonianza del, !*.  PolTevini di fopra lodato ; ardirono  di dire quella eflere la vera -, quella  elTere la più certa, quando mon effer-  vi niente di vero, e di certo nelle Fi*  lofofie, Porfirio dilTe : Nulium effe in  Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo  Hello altrove : De rebus Pbilofopbia  multa diSla effe a Gradi, veruni ex  conjeSìura . Quindi è, che.Adexerci-  t attorie m ingenti Pbilofopbias > effe inven-  tar,-Seneca manifellò . £d altrove co-  sì : Pbilofopbias ft elegantias, et argu-  tias dixero, reSìe cenfeam appella fj e .  Anzi dalle ciance, e favole de’ Poeti }  efler quelle originate arrelìa PlutarcOi  Omnes videlicet P biìofopborum feSlas ab  fìomero originerà fumfiffe . lpfeque Art -  fioteles fatetur Pbilefopbos natura Pbi -  lotnytbos, hoc efi fabularum fludtojos   '/•      .--J    Digltized by Google    li*   effe. De’ quali per li loro fogni, e fe-  gni dati alle delle, diffe Manilio   Fit totum fabula Coslum — • '• .   Vuole però Macrobio-» che Nec omni-  bus f abititi Pb lo jopbia repugnai, nec o-  mnibus acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio  fpezialmenre chiamò' la Filofofia d’A-  ri Itocele quoddam fabulamentum . Leg-  gendoli preìfo Varrone' ancora : Porre-  mo nemo agrotus quidquam (orrtniat tam  ìnfandum, quod non alìquis dìcat Pbi -  Jofopbus . E predo Cicerone lo (ledo:  Nefcto quomedo nibil tam abfurdi dici  potelì, quod non dicatur ab aliquo Pbi -  lofopbo . E parlando della barbarica  Filofofìa Clemente 1’ Aledandrino cosi  ne lafciò fcrirto: Quod hi novi Pbilo •  fopbi apud Gr fecondo il Paflavanti, diconfot-  tigliezze, e noviradi, e varie Filofo-  fie con parole miftiche, e figurate,  che nulla conchiudono, come di Por.  firio l’Ariftotelico, tanto nemico de*  Crittiani, e della Criftiana dottrina  cantò il Petrarca:   Pot firio y .cbe d'acuti, fillogifmi  Empiè la dialettica faretra,  Facendo contea s / vero arme i fo-  fifmi .   Dicendo fimilmente il Petito, eh’ e-  glino (ledi non intendono quello, che  dicono, e tantomeno gli uditori. Non  ìntellìgunt neque, qua loquuntur, ne-  que de quibus affirmant . Il,he fece  dire al Verularmo : Habet hoc ìnge -   nìum bumanum, ut cum ad folida non  fuffeccrìt, in futihbus atteratur . Po-  co o nulla badando, quando fentono  altrimeore parlare nella Teologia dell'  Evangelio, de’ Padri, de’ Concilj  Aedi, come n’avvifa il P. Malebran-  che . Nejcio tamen qua mentis per-  turbatione nonnulli eferantur, fi ali-  ter quam Arijìoteles, pbilofopbari a si-  de as, dum parum curant, an in re-  bus T beolcgicis ab Evangelio Patribus t  et Concilìis non difeedas . Il che fu  detto primamente da Monlignor Ciam-  poli, chiamandogli in primo luogo  ambizioni di parere più Peripateti-  ci, che Cattolici, poi fclamò; Che  perversione di gìudicio è quefia, volere      f    ...Il      f    f    ! i     fk •,j t|    Sì  Ir    134   introdurre una religione più fedele ad  Arijlotele, che a Dio ? E quel eh’ è di  maraviglia, proccurano coltoro ('dice  l’autore de’ cinque Dialoghi ) Di jof-  fogare tutte l' altre fette nella maniera  dagli Ottomani ujata, i quali non la-  j ciano vivere alcuno de’ fuoi fratelli,  per ijlabilire sì magi fralmente i loro do-  gmi in tutte le fctiole Crìfiane . Come  riferifee d’ Arinotele fteflo il Verula-  mio. Arifìoteles more Otbomanorum re-  gnare jebaud tutopoffe putaret, nifi fra -  tres fuos omnes trucidaret . Credendo  ancora di ritrovar in quello loro mae*  Aro la falute, e di Ilare con elfo lui  sì llrettamente attaccati, come ad un  fallo, ad uno fccglio, qualìchè foffe-  ro buttati da una tempella per fuggi,  re il naufragio . E così appiccati, ed  ubbidienti, dice un altro autore alla  Filofofia del medefimo, che fembra  lor commettere un delitto di fellonia  il partirli un menomo punto da lui,  in modo che non dicefi Peripatetico  chiunque in tutto non s’ abbandona a’   fen.    Digitized by Google    H5   feriti menti del medefimo. Eaàem men-  te ( dice il medefimo P. Malebranche  in un altro luogo ) Pbilofopbia ifta di-  scenda eji, qua leguntur bì fiori* ; fi  enìm eo licentia deveniat ut ratióne et  mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-  res te evafurum effe in magnum Philo-  fopbum : oportet enim difcipulum ere.  dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo-  pra lodato, in quell’ altra maniera .*  Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-  no di pubblicare, che non bi fogna Sof-  frire alcuna innovazione nè' riformazione  nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo  piezzo per. renderle perfette . • Ma. a chi  creder affi; piuttofio, a degli f chiavi, e  mercenari* che non. fanno jemplicemente,  che. difiribuire per gli feriti i t e per le loro  lezioni la dottrina, ch'eglino hanno tro-  fvata negli,.fcr itti degli altri} E pi fi  oltre il medefimo Sorel così : Ci fino  delle perfine così f empiici, che credono,  che non fi debba ; rivocar pili in dubbio  quello, eh' è in Arjfiotele, che quello »  eh' è nell' Evangelio. Non mancandovi ancora degli altri,  ì quali per difendere cotefta lor Filo-,  fofia fi danno alle maldicenze, ed  alle fatire, poco avvertendo non ef-  fervi fatira maggiore > che quella  della ragione llefla, la quale rende  bugiardo, ed ignorante colui, che  vien convinto da fbrtifiimi argomenti,  facendo ingiuria ancora a tanti uomi-  ni dabbene, e a tanti Religiofi, co-  me fono i Padri de’ Minimi, e i  Padri dell’ Oratorio, ed i migliori  Gefuiti, eh han feguitato la Filo-  fofia moderna, e foraftieri, e Ita-  liani, e in Bologna particolarmente,  dov* è Campata la Filofofia moder-  na, fotto nome Burgundi a, infegna-  ta pubblicamente a tempo, che  Vostra Santità’ era ivi Legaro . E  perciò coftui in quella maniera vien  riprefo da Sant* Agoftino : Illius [cri-  pta fumma funt, et au fioritale dignif-  ftma, qui nuìlum verbum, quod revo-  care deber et omifit . Hoc quifquis non  efi adjequutus fecundas babeat partes    *37   modeftU, quia primas non potuti ba-  lere Capti nti et catbedrar primas  ambiente s ; in quello modo con in-  crepazione favella : A deo nimirum   altercando • non modo verità f arnitti-  tur, jed caritas exjìinguitur, et dif-  pntandi modum majorum exemplo tan-  tum agreffos, nulla modeftia repagu-  la cohibent ; ; Onde Luca Holftenio  eruditilfimo Bibliotecario, -dolendoli  della difunione della Chiefa Orien-  tale, ed Occidentale ebbe a- di-  re : LuEluofum fcbtfma Orienti!, et   Occidenti s Ecclefias divìdens induxit  dijput aridi pruritus, omnia in quafito-  nem, et controverfiam > • poftb abita  cantate, adducens ; nulla venta »   ' tis cura, fed uno vincendi ftudio ;  .e a confuet udine, vel opinione aliis   legern fr^jcribens » et quod • mife-   ra, * 3 $   ra j ó* afflìtta fortuna duri (firn atto ha-  hjet, é? iniquijfmum efi, qttod ir, fugati-  ti um ludibriis impune pateat -, Dicendo  un altro autore : Jd nec Pbìkfophum,  multo minus Cbrijlianum decuiffe videtur.  Nè qui termina la loro baldanza, ar-  rogandoli, ]a medelìma poteftà della  SENTITA'- Vostra in condannare quel-  lo., che non mai ha condannato nè  Vostra Santità’, nè altro Pontefi-  ce, dico, 1’, opinare nelle Filofofie, for-  zando gl’ ingegni umani a feguir folo  ifentimenti d’un gentile. Peripatetico,  e con noyp giogo privarli di quella li-  bertà, ch’.abbiamo per diritto di na-  tura, e per legge d’ Iddio, che ci ha  Jafciato il liberamente penfarc e medi-  tare :> il che è quali l’ unica, e fola ra.  gione, colla quale provali, che l’uo-  mo lia ragionevole, e l’anima immor-  tale . Quindi è, che prefe giufta oc-  cafione Tommafo Moro ( alle di cui  lodi ogni penna è ..vile per elTer egli  chiari (fimo non meno nelle lettere,  che nella pietà Criftiana, per la quale    *39   facrifìcò fa vita, c i beni, e la fami-  glia della ) di formare appodatamen-  te una DilTertazione intorno a que*  Teologi di fuo tempo » dandole que-  llo titolo : Differtatio Epiftolica de a-  lìquot fui tempori s Tbeologaftrorum ine •  pt'jis ; non per altro, fe non perchè  quedi co* principi d’ Aridotele difen-  dere voleano, o piuttodo offen-  dere la Teologia, • in quella ma-  niera fgridandogli : Quamobrem piane  non video qu  qui in fuo fterquilinio fuperbit > ac. extra  illa fepta fi panilo producatur longius »  illico ignota rerum omnium facies, tene-  bras > ac vertiginem offundit . E più ol-  tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi-  rum in modum verfa rerum vice contin-  gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in  argumentoja loquacitate pofuerat > jam I    fenex infantijfimus omnibus rifui foret ~  nifi fluititi^ fu* fuperciliofum fuentium t  fapientia loco pratexeret ; imo potute  hoc ipfo ridìculus, quod qui fuerat  Stentore 'damo fior, taciturnior pj[ce  reddatur, et inter loquentes fedeat,   v" * ' %   Per fon* muta > truncoque ftmìlli-   tnus Herma. E Umilmente Gio. Gerfone il gran  Cancelliere della Chiefa, e dell’U*  niverfità di Parigi, non potè atte-  nerli di non- querelarli ancor egli  de* Teologi di fuo tempo, in que-  lla maniera dicendo : Cur appellati-  tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl*,  ut verbofi, imo et pbantafiici, nifi  quia r elidi is utilibus, intelligibilibus  prò auditorum qualìtate > transferunt  fe ad nudam Logicam, vel Metaphy •  ficam, etz/nw Mathematica™ > ubi t  et, quando non oportet, i».   ten fionc formarum, nunc de div'tfione  continui, nunc detegendo fopbifmata The-  ologicis termini s adumbrata, pri-  ori-    Digltized    oritates quafdam.in Divini!, menfuraf % '  durationes, injìantias » ftgna natura,  éf ftmilia in medium adducentes,   vera r et foli da effent, ficut non  funt, ad fubverfiotiem tamen magie .  audientium •, vel irriftonem, quam  re Sì am fidei adipe ationem proficiunt.  Come eziandio de’ filofofanti diiuO  tempo il giudiciofiflimo Niccola Leonico, {limato il più dotto delia  fua età, nel Dialogo, a cui diede  il titolo di Peripatetico, così lafciò  fcritto : An non ego decem integro s   annos, borum auditori a, ne die am  ìufira, ad fidu a contrivi opera ? om -  nefque illorum ineptiat, . et futile s co-  ptionum tricas, ficcis, ut ajunt, an*  ribus ebibi ? anxie femper quteritans  fi quid inde excerpere poffem, ne va-  cui s, quod dicunt, manibus et ofei-  tans domum rtdirem . Verum, Dii  immortale s, quam rerum inanità -  tem apud silos, quantam ?   u   ? r      I    y   i     r4.it:   mìb't magis fapere vifus fum, f »»  quod cum Ulti de fi pere aliquando de (li-  ti ; »  così egli' ragiona ?  Quofdàm pbilofopbantium avibus fimiles  vide ri, qui levitate quadam, et ambi-  tione ingenti e lati, alta petunt, et  Phiftca fcrutantur tantum : aliot cani-  bit t, qui laniare, et vellicare avidi *  foli Logica adbarefcunt ut pelli, et in  ea rixantur, et mentem ad ulteriora non mittunt. Indi leggiamo predo Laerzio, che da Euclide fofle fiata no-  mata la Logica Rabiem difputandi : e  leggiamo ancora che Arifione antichif-  firno Filofofò quelli tali Cum iis compa -  rabat, quicancros comedunt . Nam prò-  pter exiguum alimentum circa crujìas,  et teftat diu occupantur.   Quindi Mario Nizolio, che fece un  Trattato de' veri principi, e del vero  modo di filofofare, fi lamentò non po-  co di Leonico parimente, e di Pico,   com’ eglino s’aveflero folamente rifen-  tiro degl’ Intepetri e non d' Arino-  tele, origine, e caufadi tutti. i mali*  così dicendo: Hac quoque Jo Pieus Mi-  randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter-  prete conqueritur, et vere Me quidem t  Jed quemadmodum Leonicus, non cami-  no jujìe, quia pratermittit eum, qui tan-  forum illis errorym. c auffa fuerat, boa  eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì e  faci*, cum de foli s Ini erpretibus Arifto-  teli $ quereris, ipfum autem Ariflotelem,  qui omnium malorum cauffq, et origo f it-  iti. » omittis ; dìcen* te perdidiffe meliores  anno*, tantafque vigilia apud Interprete Arinoteli, et nollens illud dicere  quod erat verius, eadem illa omnia te  multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem ;  Per la qual cofa pareagli, che miglio-  re d’ ognaltro avefle fatto il Valla,  che lafciando gl’ Interpetri fi prele la  briga in dar la colpa ad Ariftotele, co-  me vero autore, e primo fonte di tan-  ti errori, e fallita, riprendendolo a-  pertilfimamente dov* egli andò errato. Maravigliandoli grandemente il mede-   fimo Nizolio ancora della barbarie del,  lor favellare, Qui 5 e fi enim in fcbolit  ijiorum pbilofopbaflrorum tam parum ver*  fatti s, qui non centies audierit, potentia -  Ut atei, quidditates . entitates, ecceitates,  univerfalitates, formalitates, materiali -  tates, et alia Jexcenta hujufmodi verbo -  rum monfira, qua qui pattilo frequentiut  ufurpant, ufquc adeo l^duntur, et per •  vert untar, ut neceffe ftt eos, non folum  valde falli, et errare in pbilojophando,  fed etiam in loquendo, et fcrìbendo ve -  hementer fadari, et confpurcari . Come ugualmente molto fé ne querelò  Apulejo per alcune novità di parole a  fuo tempo introdotte, le quali difle  egli non fervire che all’ofcurità delle  cole. Datar venia novitati ve ri or um,  rerum obfcuritatibus fervientibm . E fi-  nalmente cosi il medefimo Nizolio  tutto il fuo difcorfo conchiufe: Quibus ita monftratìs, ut tandem aliquando et Caput hoc pofìremum, et totum   bttnc Librum abfolvamus, ita concludi -   K mus,    X4$   tnuf, ut reììnquamus duo memoria man»  danda, et adfidtte diligenter cogitanda  omnibus, r^iìte pbilofopbari cupiunt,  quorum unum e fi, Ubicumque, et quot»  Cumque Dialettici, Metaphyscique funt,  ibidem, et totidem effe capitales . veri i  latti bofìes : alterum vero Quandiu  in fcboiii pbilofopborum regnabit, Ari fio -  rrtex 7/te Dialetticus, Ó* Metapbyftcus,  fonditi in eis et falfitatem et barbari -  fi» „ fi non lingua et orit, at perocché   la Pitagorica > nomavafi Italiana } ila  Platonica per efler egualmente Pitta*  gorica non potea (limarli, anzi piut-  tolto dottrina, e Capienza > tche •Filo*  fofia, come dipendente da quella de*  gli Ebrei. La Stoica poi, Epicurea,  o (ìa Democritica riguarda più la Mo*  tale, e il regolamento de’coltumi .che  altro. E quella d* Arinotele io 'fon per  dire edere la medeiima con quella d*  A ree fila, (limata la più enorme ; per-  chè quelli malamente (i ferviva della  Platonica, infegnatagli da Crantore  Platonico t imbrattandola co* (odimi  di Diodorot (ottilifiuno dialettico, e  col mutabile» e fuggitivo di Pirrone acutiflìmo fillogilta. Indi egli è » che  dicealì di lui » come narra Plato > 'ex  pojìerioribus Pyrrbo * ex mediti Diodo •  rui ; E (eguitando Eufebio (ledo »  cosi parla di lui : H/c autem fubtìlìtch  tibus-. Diodori, qui actttui dìalefttcus  erat, . et Pirrbonis ratiocinationibus Pia*  tonte am eloquentiam feedavit, et modo K a toc y   «I *    qua ! pria ! aflruxerat,  confutare . Erat igitur Hydra capita  fap proprio enfe amputanti nec aliquìd  habem utile », nifi quod libenter > et  audiretur, et videretur . E dell’ of-  curità, e ftrepiro di parole, di cui  fon pieni i libri d’ Arinotele con ter-  mini vaghi, e generali, in modo che  appena rinvenire fi poflan due, an-  corché fuoi feguaci, e Tettar j, che  convenir fappiano in un medefimo   fen-     Digltized by Google    fentimento ; ecco il P. Malebranche  come ne fa chiari/lima testimonianza:  Quamvii cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria am  fc docere adfeverent et autument, vìx  tamen duo reperientur, qui circa ejat  fententiam inter fe conjentiant ; quanti,  am revera /iriflotelis libri adeo objcurl  funt, totque fcatent termini t vagit et  generalibui, ut eorum opinione s, qunC  ipft maxime adverfantut non fine verift-  milìtudine pojfìnt ipft trtbuì . In non-  nulla illìus operibus quidlibet ipft adfcri-  bere lìcet, quia in ijs ntbil pene dicìt t  quamvts multa magno (Irepitu deblate-  ret : quemadmodum pueri campwnas fo-  ndu fuo quidlibet dicere fingunt, quia  campana ingentem edunt fonum, nec  quicquam dicunt . ' \   Quindi non fenza roSTóre de’ me-  desimi Ariftotelici Gio. Sculero nell’Orazione per cosi dire inaugurale,  eh’ ei fece intorno al riftauramer-  to della Filofofia con quel princi-’  pio-: .   ‘ i    diffe : Quid magli noxiura Cbrijlìanre  }uventuti Cógitarì fot e fi,  a  tenerti audire ? Quid periculoftus quarti  tene* riniti eofum animiti > qui ad majo »  ra defìinantut, et qu bui > juo tempo •  re > fine ReìpubVtca » fitte Eoclefue ad L  tninìfiratio committenda, talia, in fi ahi»  lire, aperte Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t inftitu-  tì \ five ex adfeSlu erga praceptores.  certi! opinionibui adharent, omnia fe-  cundum illos dtjudicanl, quacumque  auEìor ìtale y et demonflratione po fi b abi-  ta, ad eafdem trahentes quidqutd au-  diunt i qmdquid ìegunt . Il che fo al-  mamente difpiacque ancora a Rodol-  fo Agricola, uno de’ primi - letterati  del fecolo pattato, (*) che di tanti FU  lofofi 'dell’ antica età era folamente  4 ri-   m 1, -»«,Cioè del fecolo fedicefimo, mentre il Signor  Valletta { criflfe la fua Lettera nel 1700. in pun-  tò : ma veramente Agricola non toccò  plinto il decin*ofefto fecolo, pbiché nacque Tan-  no *44 x.e mori l’anno 1485, come notò il Trite-  mio • * v     Ci u  ir    tì   ì  1  f    y  v»   A'   r    ’i   I    t I    'I    Jil   f    :n ; -ib,  pra coftui muore T ultimo Audio de*,  vecchi . ... Ecco le Aie parole ? Quid  de Ari ftotele die am ? hic gnìm prope*  modum [ohi omnium prife a alati! Pbi-  ìojopborum permanfit in manibui : hunc  [ohm, -, qui \ Pbilojopbite, defìinantur,  attìngunt : hunc .primum pueri difeunt  buie ultimum jenum jl uditi m immori -  tur : hunc artet omnei, omnia fiu*  diorum genera terunt, trahunt,, dif*  cerptmt . Ma non già dopo che il  Cartello aprì, il vero fentiero al mi-  gliore, e più certo modo di filofo*  fare;, che ad un Criftiano convenga*.  Come ugualmente tutto ciò fu con»  fiderato dal dottilfimo Vanhelmon-  zio, dicendo ; Jndignor et merito »  quod ScboU •• Pbilofopbia ethnica ado »  lefcentet male ìmbuant . Lamentan-  doli egli fra 1* altre cofe, non ben convenire la definizione pi che Ari*  Itotele diede all* uomo chiamando-  lo Animai ' Rat tonale ; non avendo  egli conofciuto la Tua creazione > nè  T effetto d’ ella ; e perciò 1, dice il fud«   detto autore malamente fervirfène le fcuole Criftiane Vituperai am ìtaqttc   definitìonem exìfiimo t qua homo Ani *  mal rat tonale, vel e a effenti ee defcrì-  ptione depìngitur . Siquidem ex ulti •  mato fine dejìinationum . proprietatibus  in creando - dejiniendut erat, fi .finii  fit cauffarum prima ex Arinotele . Qua-  propter nec hominii de fini fio e fonte  Pagani f mi mendicanda erat ì qui ere*  ationem, ejufque fines piane ignora*  vit, Così egli defìniendolo ; Homo  ergo eft creatura vivent in corpore • per.  a rum am immortalem oh honorem Dei *  fecundum lumen » &: ad tmaginem Ver-  bi . Quando Arinotele -diede una  definizione all* uomo che nulla va-»  le » - non 'Vedendoli in quella nè crea*  tura di Dio, nè immortalità dell*  anima, da ‘ effo lui affatto negata *    Digitized by Google    *54   come Cerna verun dubbio l’ affettano  Ciucino nella Parerteli, Teodoreto  nel Libro della natura dell* uomo,  Gregorio Nifleno nel Libro dell* Ani-  ma Origene in più luoghi delle Tue  Opere, Gregorio Nazianzeno nella dif-  puta contro Eunomio, il Cardinal  Gaetano nel Trattato deli’ Anima,  Plutarco y Galeno, ed infiniti altri  fcrittori profani . Per lo che non fen*  za ragione chia mai Io Tertu]]iano«?//é-  to f dicendo nel Libro delle Ptefcrizio-  ni Miferum Arijlotelem ; foggiung; ndo,  J Qui illis Diale Che am inHituit, artifi -  eem (Intendi, et defiruendi verfipellem t  in fententiìs co a Cium, in conjeCìurit  nec t allietate Panos -, oec ar*  tibusGracos, nec denique hoc ipfo bu -  jus' sentii, et terra domenica > . nativo •  que - fenftt Jtalos iffoi > et Latìnot $  fed pktate, ac religione, atque  naiionel ’•   que [uperavìmus . •• ’• • :i   E finalmente eonofeendofi ancora   dagli Ebrei, la Filofofia d’ Arinotele   ef- li   •* *   è 1   f     r    f     Ì-1    h    È   i    l -     i   Ir    À,   • I   f   .»    t    •1    a  # •   i    li      I   t5*   eflere in pregiu diciò della religione,  fa. pubblicato decreto nel Sinedrio de-  gli Afrnonei ( come fi legge nell* irto-  ria de’ loro tempi ) così dicendo .• Ma-  le diti us qui docet filium fuum Pbtlofo-  pbiam G rac am . : Il che vien riferito  ancora da Arrigo Enefiio nel fuo Li-  bro Vir fapiens . Quindi, non fia ma-  raviglia, quando leggiamo preffoCle-  mente 1’ Aleflandrino, Grata itaque •  Pbilofopbia, ut alti volunt, a Diabo-  lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo la  venuta del noftro Salvatore, ancorché  * empj, pur dannarono la Filofofìa d’A-  riftotele ; perocché avendo pubblicato  il Re Moisè un Libro» a cui diede il  titolo 1 Mereh Nevekim, fu acculato,  dagli altri Dottori d’aver corrotta la  loro religione » per aver in effo pur  troppo mefcolata la Metafilica d’ Ari-  flotele, come narra il P. Si mone nel  fupplemcnto al Libro delle cerimonie/  e de’coftumi de’ Giudei di Leone Mo-  dena .. Ed io in finendo dirò di lui  con il gran Pico della Mirandola ;     Mali prtnctpiì finis masut .   Da turco ciò, che fi è fin qui rap*  portato, potrà la Santità 1 V ostra  pienamente avvifare quànto fian da ri-  prenderti co fi oro, ì quali ardi (cono di  biafimare quefta Filofofia, che mala-  mente chiaman moderna, e nuova, e  dannarla come fcandalofa, e mala - r  quando finora nè la Santità’ Vostra*  nè gli altri fantiflìmi Pontefici antecefi»  fori * hannola giammai penfiata con-  dannare . Anzi il contrario leggiamo  riabilito dalla Santità d’Innocenzio XI»  in una Bolla ; ciò egli è * . che niuna.  cola tra filofofanti, ed altri, che fico-  lafiicamente fi contende, giammai fi'  danni o in difiputando* o fcrivendo, o  in pubblicando, che pria dalla Santa  Romana Chiefia condannata non fia ;  Ma quando anche ciò non fofie, qual  furore, o fpinto dii zelo ijpinge tant*  oltre, cofioro ad incagionar coma- rea *  e mala una Filofofia * che ha per au-  tori uomini cattolici, • dabbene, e di  integrifiìma vita ; avendo per lo con*    x$8   trario la lor Filofofia per autori fio.  mini gentili, e tra gentili i più per-  vertì, e federati ? Qual ila (iato già il  lor Padre Arinotele, e di che coftumi  l’iftorie de* Greci, e de’. Latini ne fan  piena, ed affai- ampia tedimonianza ;  Quai fentimenti, e quanto perniziofi  sì alle Repubbliche, sì alla j religione,  che a* Tuoi tempi lì tenea tra Greci,  egli lanciato abbia a’ poderi la San-  tità' Vostra, rivolgendo l’occhio a  quello, che per 1* autorità d’ infiniti  fanti Padri, e di molti altri autori pro-  fani fi è riportato, porrà benignamen-  te giudicarlo., Non evvi Tanto Padre,  che per otto e più - fecoli riprefo -, e  biafimato non l’abbia, nè mai leggia-  mo, che alcuno l’abbia feguito, o fia  dato così dettamente legato alla di  lui dottrina, come tuttavia fon codo-  ro. Dottrina veramente tre volte per-  niziofiflìma, madre, e fonte di tante  e tante erefie + che per tanto tempo  didurbarono. ed affliflero la Chiefa,  e di Crido la vede lacerarono . E fe  .. : rifor-    159   riforgefle il gran Bafilio, quanti equa-'  li de’ noftri tempi riprenderebbe più  fortemente, che non fece ad Eunomio^  ed agli Eunomiani- de* Tuoi tempi j t -  quali giuravano Tulle parole d* Arino-  tele, come full* Evangelo > e pofero in  ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente? Che  diremo degli Atanasj, e degli A leffa n*  dri Vefcovi d\ Aleffandria ? . Quanti  Crilìiani taccierebbono d’ Arianifmo,  yeggendogli così attaccati ad Arinotele,  onde Tempio Ario prefe Tarmi, e le  faettc contro del Verbo ? Non farei  per mai finirla, fe voleffi addurre par*  titamente tutte Terefie, • che da’fegua*  ci d’ Arinotele fono fiate indotte nell»  Romana Chiefa per tanti fecoli, e di  giorno. in giorno van riforgendo. Baffi  fol dire, che da fei, o più. fecoli tut-  ti gli errori fian venuti da oriondi per  così dire, e figliuoli del grande Aride*  tele ... i ' «   • Ma fliafì pur colla fua pace Arido*  tele, con quella pace, che nel più cu-  po dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar  > fi può    i6o   fi può- Siali ' flato Arinotele non tan-  to federato ; anzi dirò più, fiati (tato  uomo dabbene, avvegnaché gentile ei  lì (offe . Sianli Santi tutti gli Arifto-  telici, i quali hanno avuto, ed hanno  il nome di Criltiano . Siali la lor dot-  trina ottima-, e di niun pregiudicio j  non però avrà che far nulla colla no-  Itra l’anta' religione nè di buono, nè  di malo . Siali io dico, e ridico la lor  dottrina profittevole in ifpiegare gli ar-  cani della natura, la natura delle pian-  te » degli animali, e che lo io ; non  dovran perciò biafimare tutte 1’ altre  Filofofie, eh’ eglino non profèlTano,  quando quelle niuna cola infegnano,  che contraria lia a’ buoni collumi, al-  le leggi naturali, ed alle leggi di Cri-  Ho, e della Chiefa . Coloro, che rin-  novate l’hanno tutti fon già morti cat-  tolici, ed in feno della Chiefa, lenza  veruno fofpetto, quantunque minimo  d’ erefia . E* conceduto, che in qual-  che Libro d’ alcun Filofofo Criltiano  vi folle qualche opinione » chiaramente   con-    rii   'contraria alla verità della religione,  fenza dubbio 'veruno toccherebbe alla  Chiefa di condannarla . Potrebbe!! pe-  rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo,  con quella riverenza ed ubbidienza,  che lì dee alla Santità* Vostra, ed  alla Santa Chiefa ) dìdimamente con-  dannare quella opinione eretica, ovve-  ro fcandalofa > come fece per molte  dichiarazioni AlelTandro VII. ed altri  Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor-  po d’un libro, il quale lì compone d*  infinite, e varie opinioni, delle quali  la maggior parte niuno attaccamento  ha, ovvero dipendenza colla verità del-  la fede. Così leggiamo Origene, e  Tertulliano lìcuramente, avvegnaché  ambedue in molte co fe lian traviati,  come poco ollervanti della nollra reli.  gione . Così leggiamo ancora ' San Ci-'  priano Martire, quantunque folle fia-  to d'opinione, che i battezzati dagli  eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua-  le poi fu dannata dalla Santa Chiefa'  per mezzo d’ un Concilio > come ancora tanti altri errori di Lattanzio >d*  Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia lecir-  to nelle cofe di tanta importanza » cioè  nella Teologia, potrà ancora efler-Te- /  cito nelle Filosofie, le quali van de-  correndo femplicemente degli arcani  della natura.   Il filosofare, Beatissimo Padre,  fu Tempre mai, conforme s* è dimo-  ftrato, libero, e permefiò a chi che  fia, purché contrario egli non fia alla  religione > alle leggi umane > ed a’ buo-  ni coftumi. Non han cofa gli uomini»  che fia più lontana > e men foggetta al-  le poteftà terrene, che il loro Spirito.  Nè v’ è cofa più intollerabile, cl}e  quando fi veggono rapire la libertà de*  loro penfieri ; perocché tanto è toglie-  re la libertà del filosofare, quanto è  togliere la libertà dell’ opinare ftefTo,  non effendo altro le Filofofie che opi-  nazioni * Quindi è, che coloro, i qua-  li per dura legge delle genti fono fchia-  vi delle altrui volontà > pur fi riman-  gono liberi nelle loro opinioni, ed i lor   pa-   e    Digitized by Google    padroni > i quali han poteftà della lor  vita, non poflòno difporre de’ loro li*  beri fentimenti . Solamente lo fpirita  dell’ uomo a Dio è tenuto renderli avvinto, elfendo egli folo la prima veri-  tà per elfenza, la quale non può giam-  mai nè ingannarli, nè ingannare ; ed  iòdi poi ancora la fua Chiefa > la qua-  le ci favella da fua parte, toccando a  lei d’interpetrare gli oracoli, ed arca-  ni di Dio . Indi quella ubbidienza del-  la nollra ragione libera all* autorità  Divina fu fempre giudicata da tutti la  prima, e più grata vittima, che noi  dobbiamo offerire a Dio. Il facrifizio  certamente non è egli fanguinofo, è  ben però il più pregiato, e caro ; perocché conduce gli fpiriti nollri, na-  turalmente di ripofo impazienti a sì  felice fervi tù, principio » e mezzo d*  ogni nollro bene, e falute • Perchè li  dee in ciò ufare grandilfima diligenza,  nè legare sì llrettamente quello nollro  libero arbitrio in cofe, le quali poco,  o nulla montano ; perocché potreb-   Lz beli befi temere di qualche rivolgimento,  o per così dire temerità dal vederli  sì ftretto, e incatenato . Oltreché po-  trebbeli da ciò dar luogo di penfar  malamente, che la noftra fede dipcn-  deffe da’ principi delle Filofofie, e che  la noftra religione » ed Arinotele fot  fero sì Erettamente uniti, e me (cola-  ti, che 1' una fenza l’altro non polla  da noi crederli. Sarebbe ben tre volte  incollante la noftra fede, fe ftabilita  folle fopra così balle, e poco (labili  fondamenta, ed andalfe dietro a’fogni,  ed alle frafche de’ Filofofanti . La ve-  rità vien ricercata si dalla Filofofia,•  ed è Hata ricercata già per migliaia d*  anni ; ma non giammai però è Hata  ella ritrovata ; perocché Iddio ha vo-  luto lafciare il Mondo all’efercizio in-  nocente delle Filofolie, ed all’incerto  inveftigamento delle cole naturali, e  però alle difpute . Mundum tradidit  difputation'tbus eorum. Conforme anco-  ra va dimoftrando San Gregorio Nazianzeno in un difeorfo, ch’egli detta delle dìfpute. La Teologia fola ha ri-  trovata la verità, perch’ella fola s’ ag-  gira intorno alla vera luce, e prima 1   ferità, eh’ è Iddio, principio d’ ogni j   noftro fapere; onde gloriavafi 1* Apo-  flolo di non fapere altra cofe, cheCri-  tto crocifitto. Quefla verità ritrovata  nella Teologia altri non poffede, che 1   la noftra fanta religione, la quale quan-  tunque contrattata, ed afflitta da tan-  ti e tanti tiranni, pur fempre mai •   vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli ha  trionferò, e trionferà per fempre più  gloriofa . Veritatem ( ditte un autore )   Pbilofopbia quper ciò fare ha volu-  to fervirfi ; perocché verfando quefte intorno  ad una caufa, la quale al prefente fi può dir  prelfochè comune, di comune, ed univerlal  difefa ancora elleno pedono molto acconciamente fervire. Recando adunque le molte parole fue m  una, quella nella foftanza fembra edere fia-  ta T idea di lui . Egli ha come in due parti  divifa tutta la Lettera, in una delle quali s*  è ingegnato di biafimare, e deprimere il pia  che ha potuto Ariftotile; e nell’altra lodare,  e portare alle ftelle Renato Defeartes. Egli  ha depredo Ariftotile, comparandolo prima-  mente con Platone, e inoltrando, che il  principato tra i filolòfi è di quello fecondo;   L 4 che da tutti i fanti Padri molto è flato cele*  brato: che la fua filofofìa è la più favorevo-  le, ed acconcia alla Chiefà cattolica ; e che  quella d’ Ariftotile è la più contraria, e pre-  giudiziale . S’ e poi ingegnato di inoltrare,  che Ariftotile è flato 1* origine di tutte l’erefie.* eh’ è flato biafimato da tutti i fanti Pa-  dri, e finalmente tutto quello ha raccolto,  che può fèrvire di biafimo, e di vitupero di  quello filolofo • Di qui è pallato a glorifica-  re il Defcartes . Ha mcftrato da quanti e  quali uomini e fiata la lita filofofìa appro-  vata, e ricevuta : com’ ella s’ uniforma a’fen-  timenti de’ fanti Padri : come ferve molto per  difi reggere l’erefie, e così fatte altre cofe af-  fai. Onde porta l’incertezza di tutte le filo-  fofie per cagione del corto intendimento u*  mano, e porta Umilmente la libertà di giu-  dicare, eh’ hanno gl’ intelletti nelle materie  fìlofcfiche y ha concitilo, ellère molto da riprovare Tattaccarfi fidamente ad Ariftotile .  C jntra il quale molte colè di nuovo adducen*  do, e moltiflime altresì a favore di Renato,  della filofofìa di cui teffe un lungo panegiri-  co ; finalmente conclude, effere forte da ri-  prendere coloro, che ardifeono biafimare la  filofofìa moderna, la quale non fido al paro  coll’ Ariftotelica può andare; ma in oltre ad  erta dee ellère antiporta, come quella, che  dalla Platonica fi deriva, e per più altre lo*  i6$   di, ch’egli affai minutamente, e a lungo ya  numerando.   Ora volendo (opra cosi fatta argomentazio-  ne col medefimo fine dell* autor fuo, cioè a  prò della moderna filofòfia, alcuna colà of*  fervare; dico in prima, non effere molto da  commendare Io ftabilire la difefa di effe mo-  derna filofòfia fopra la depreffione d’Arifto-  tile, e fopra la deificazione, per dir così, di  Renato delle Carte . Quantunque volte un  eccellente fcrittore ha occupato un poftocon-  fiderabile nella repubblica delle lettere, non  manca mai la fazione di quelli, che Pefàltano, e di coloro, che lo deprimono fuori del  dovere . Vero è, che ci fono ancora difcreti  eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo  feparando, quel prudente mezzo eleggono  nel dar giudicio, che fecondo dirittura di ra*  gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei  addurre per confermazione di ciò: ma perchè  fopra Ariflotile procede ilnoftro ragionamen-  to, volentieri io non mi partirò da eflo. Per  efempio adunque de’ glorificatori affettati di  quello filofofo fia Averroe, il quale in que-  llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir do *  Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei*  lelhts fuit finis bumani intclleftus ; quare bene  dicitur de ilio, quod ipfe fnit creatus, et da*  tus nobis Divina providentia, ut non ignori   mus Doffibilia feiri . E nella Prefazione alla   .. Fifica; Complevii ( Ix>gicam, Ethicam -, óc  Metaphyficam ) quia nullus eorum, qui fecu *  ti funt eum ufque ad hoc tcmpus, quod efl  mille et . quingentorum annorum, quidquam ad*  didit, nec invenies in ejus verbi s errorem ali*  cujus quantitatis, # ta/ew £// per quan-  to egli raedefimo ne dice, venti anni interi  fpefi avendo iti Squadernare i libri d* Ariflo-  tile, anzi oracolo, che giudicio è da repu-  tarli . Così adunque egli fcrive nel Prolago  al libro JY. del fuo Examen vanitati* dottrir  Tue gentium : Multa apud Ariflotelem erudì . f >   tio, multa eleganti a fcribendi, inulta etiam,   fcrtajfe verità* : fed certe non parva vanita* *   - JLo fcrutinio fin qui da noi fatto di varj,  c oppofti giudicj intorno al medefimo fog-  getto formati, può fervir di regola nel giudi- 1   care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq bifir  gna nè alla bellezza della virtù, nè alia brut-  tezza de’vizj lafciarfi cosi rollo ingannare, nè fafcinare in modo la vi (la, che fi travegga  e fi finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui  Tempre colla (corta della ragione dobbiamo  proccurare d* incamminarci . Ma egli fi ritro-  vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar-  da e forte, che poiché hanno fidato la men-  te nella qualità d’ un oggetto, non (anno  tanto o quanto fidarla per dominarne le al-  tre - Conoro confederano ' le colè (blamente  per quel verfo, a cui dal moto de* (oro fpi-  riti fono portati, e di qui è, che o il bene  folo, o il male precifamente contemplano »  Quello predominio dell’ immaginazione in  nelfun’ altra opera per mio avvilo meglio fi  fcorge, quanto in quella de veris principiis,  et vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo-  iio. Quello fcrietore avendo al principio con-  ceputo della (lima verfo Cicerone, e vdeldifi  credito per • Ari dotile,‘a poco a poco  s* è lafeiato condurre a tale, che nuli*- altro  che il lodevole in quello, e in quello nuli*  altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-  nalmente» paruto, eh’ ogni cofa, anche 1’  imperfezioni del primo roderò divinità, e le  cole anche buone del fecondo fodero vizj, e  magagne . Di qui è, che negli accennati li-  bri, egli conculca ogni opinione, e lèntenzia  d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di CICERONE (si veda); per qualunque definizione anche de-  bole, e imperfetta del quale, egli s’ ingegna   di ritrovare principi, da cui fi deduce com*  ella è giuftiflima, e vera. Quella lòrta di li-  bri può efler utile per quelli, che all* oppo-  fla parte fono dalla palfione portati / perchè  fcorgendo nella lettura di elfi il rovescio, co-  me fi dice, della medaglia, può avvenire,  che s* inducano a dubitare di quello, che fi-  no allora aveano tenuto per fermo . Per al-  tro e l’uno e 1* altro di quelli eflremi merita grandilfimo biafimo, nè v’ ha colà,che  più i retti giudici impedifca quanto quello fv la-  mento della ragione, a cui la fantafia ha tolto  la briglia di mano,. Intanto la vanità, e lafu-  perbia dell’ uomo fi palce molto di così fat-  to cibo, perchè o colla deificazione, o colla  deprelfione altrui o coll’uno e l’altro inlìeme,  fi fpera di potere llabilire la propria fama «  Egli avviene nonpertanto, che la colà il più  delle volte va tutt* all’ oppollo . Nulla è  che minor imprelfione faccia nelle menti de-  gli uomini, e che più agevolmente dimenti-  chino, quanto quelli sforzi violenti : degl’  intelletti da troppo gagliarda immaginazione  trafportati : non altrimenti appunto, che 1*  azioni llravaganti, e inufitate de’ pazzi, ap-  pena s’oflèrvano . E chi è egli, che fìlolò-  fando fi Ila giammai attenuto a’ principj di-  Mario Nizolio? lo non ritrovo appena regi-  flrato il filo nome tra i nemici d’Àrillotile. Ma ritornando in via, dico, che l’autore di quella Lettera fembra effere (lato alquan*  to tocco dal prurito y di cui abbiamo fin qui  favellato, mentre con tutto lo sforzo dello  fpirito s y è ingegnato di raccogliere il polfibL.  le con tra Ariftotile, e dall* altro canto por-  tare fino alle ftelle il Delcartes ; ogni prova  facendo > e nulla intentato lalciando per ap-  pannare, e far violenza agl* intelletti de’luoi  leggitori . Per contraflegno della fila palilo*  ne, anche dentro a* cancelli di puro racco*  glitore degli altrui giudicj, offervifi il modo,  eh* egli tiene alla pagina 34. in iftorcere vio-  lentemente contra Ariftotile alcune parole  del P. Petavio, dette ad altro intendimento,  anzi in propofito tutto conti ario. Quello Pa-  dre nel capitolo III. numero V. dei Prolago  alla fua Opera de* Dogmi Teologici, dopo  avere addotto un lungo palio di S. Bafiiio,  nel quale lèmbra, eh* e* rigetti in tutto la  filolòfia Ariftotelica, foggiunge al fine cobi:  Ceterum iifdem in verbi * videtur Bafìlius in  totum abdicale, ac rejecijje ab fidei, Theo*  hgiécque conjortio univerfam Ariflotelis philofo*  phiam tanquam Cbriflo irrvifam, et inimicami  atque ab bofle illius Diabolo proferì am . Quam  uonmllorum opinionem refellit Clemens Ale*an-  drinus in primo Stromateon > ut alibi memini -  mus . Sed ab bujufmodi Jufpicione Bafilium  paullo pofl purgabimus . Ora il nollro autore  prende da quello palio quelle lòie parole ;   Ari m  Ari flotti is j>hilofophiam tanquam Chriflo invi,  fam, et inimicam i atque ab hofle illitis Dia.  bolo profeti am ; e le porta come un detto del  P. Petavio contra la fìlolòfia d’ Ariftotile. E  chi non vede però che il prurito di conculcare  quello filofofo ha fuggerito all’autore della let-  tera una sì aperta, e abominevole ftorpiatura?   E pure y fe per 1* altro verfo vogliamo ri-  guardare e Arillotile, e il Delcartes, non ci  mancherà motivo, nè fcrittori, i quali ci a-  prirànno la ftrada a deificare il primo, ed a  deprimere, e conculcare ancora il fecondo,  lènza nè pure aver bifogno di ricorrere a tali  artificj . Ogni volta che uno fcrittore s’ha a.  cquiftato un gran nome nella repubblica del-  le lettere, e mafTìme per lungo tratto di tem-  po, ’è pazzia l’immaginarli, che tutte le co-  fe lue pollano eflère tee . Il buono làrà mi-  fto col men buono, come di tutte l’ umane  cofe, che perfette giammai non li videro j  fiiole avvenire ; e però quelli, eh’ amano dì  cogliere negli eftremi, troveranno in amen. -  due le parti da làttollarli . Il punto Uà, che  non lì lufinghino d’innalzare una fabbrica,  che non polla eflère da alcun altro colle ilei*  fe forze diftrutta, per non ritrovarli contra  la loro efpettazione ingannati. Un altro, che  riguardi lo fteflò oggetto dal lato oppofto a  quello, che 1’ hanno riguardato efli, ritro-  verà tolto gli liromenti da dilhuggere in quella fletta fucina dov’eglinò gli avevano ri.  trovati per fabbricare - Di quella difputa d’  Ugone da Siena, al tempo del Concilio, che  fi cominciò in Ferrara, riferita dall* autor  della Letteta, come cola inftituitaperefalta-  re Platone, e deprimere Ariftotile, così nel.,  la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da Ber-  gamo : Cumque Nicolaus Marchio, et multi  in Synodo congregati pbilofophi excellentes ad -  venijfent, cuniios in medium philofophia jocos  adduxit ( Ugo ) de quibus inter fe Plato ±  Arifloteles fuis in Operibus contendere, ac  magnopere dijfentire videntur, cdocens eamfe  partem defenfurum y quamGraci oppugnandam  ducer ent, five Platone m y fi ve alium je fequen -  dum arbitrarentur . Lo fletto atteftano Enea  Silvio nel capitolo LI I. della Dedizione delF  Europa, e Andrea. Tiraquello nel capìtolo  XXXI. del libro de Nobilitate . Ecco pertan-  to, che il fine d’ Ugone non fu V efaltazion  di Platone, e Pabbaflàmento d* Ariftotile,  come vien fuppofta : ma fi profefsò di voler  difputare problematicamente, che vai a dire,  difendere la parte impugnata, e per confe-  guenza difendere o l’uno, o l’altro di quelli  due fUofofì . Cosi il Concilio Lateranefe V.  a torto vien portato alla facciuola 114. come  difàpprovatore, e condannatore della filofo-  fia Peripatetica nella Scffione Vili. Bafta fo-  to leggere P accennato luogo per chiarirli,  che quello Concilio non condannò nè Anda-  tile, nè Platone, nè alcun altro filofofo in  particolare : ma generalmente della filofòfia  ragionando, proibì primamente I* abufo a  que’ tempi introdotto di difendere nelle pub-  bliche Tefi, che circa lo dello punto, quel-  lo era da dire fecondo la filofofia, e quefto  fecondo la verità : ovvero tal colà fecondo la  filosofia e r a vera, che fecondo la fede erafal-  fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori  pubblici delle Univerfità, chefpiegando i  fìlofòfi, avvertilfero la gioventù degli errori  loro, alla fede noftra contrari, -confutando*  gli, e riprovandogli . E finalmente (labili,  che niunCherico doveffe dopo io ftudio della  Grammatica appigliarli a quelloodeilaPoefia,  o della Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo-  gia, e Canoni, acciocché, foggiugne, In bis  Janlìif, et utilibus profijfionibus Sacerdotes  Domini inveniant, unde infili a s Pbilofopbia,  et Poe fi s r adice s purgare, et fanare valeant.  E tanto è lontano, che i Padri di quefto  Concilio abbiano avuto in animo d’oltraggia-  re Ariftotile, eh’ anzi lette le poco fa accen-  nate cofe, e ricercato, fe alcuno avelTè pun-  to che dire in contrario, fi levò fufo Niccolò  Lippomano Vefcovo di Bergamo, e sì difle^  Quod non pìacebat fìbi, quod Tbeoìogi impo -  nerent Pbilofopbis difputantibus de veritate in -  ielle fi us tanquam de materia po/ita de mente   M - Ariflotelis y quam [ibi imponti Averroes : lieti  fecundum verità rem tali* opimo e fi fai fa . Si-  milmente di queir Aezio Vefcovo * che dall*  autor deir Epiftola è rapportato come uno *  che per troppo ftarfi attaccato alle Categorie  cT Ariftotile, cadeffe in erefia * e diventaflTe  Ateifta, Socrate nel libro II. capitolo XXXV-  della Tua fteria Ecclefiafticacosl ragion a: Hoc  aiitem facit Cat egorii s Ariflotelis ( fic liber iU  le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex quibus  difputando * ac fe ipfum fallendo y non int clie-  nti y ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari fio -  telis feopus . Ille namque propter fopbifias phi*  lofoph'ue lum illudentes id genus exerctiii con -  fcripfit y et Di al etite en per fophifmata novis  fopbiflis dicavti. Itaque Academici * qui Pia-  toni* y ac Plotini fcripta e L 9 immaginazioni belle piut-  rollo ad udirli, che fiifliftenti e fode,  le quali fono fparfe per tutto il corpo del-  la fua filolòfia y e che tinta di fanatifmo  T hanno fatta comparire . I Vortici, che  da fonti torbidi Italiani, come fono quel-  li di Giordano Bruno Nolano, ha prefi  il . Defcartes per far girare la fila tripli-  ce materia ; fono colori, che poffono fer-  vire a fare un ritratto di lui tutto diver.  fo da quello, che ha fatto V autor del-  la Lettera * Il Padre Malebranche mede,  fimo 5 uno de* più acerrimi difenfòri, e  approvatori della dottrina di Renato, co-  sì lafciò fcritto nel libro ili. patte L  capitolo» IV. della ricerca della Verità .  Mortsù Defcartes era anch'egli uomo y fog -  getto all 9 errore, e all 9 illufione, come gli  altri . Non v 9 ha alcuna delle fue Ope-  re y non eccettuando nè pure la fua Geome*  * tri a y in cui non fi a . qualche fegno della  debolezza dello fpirito umano . Non bifo-  gna adunque fi are alla fua parola ; ma  leggerlo cautamente, com 9 egli ftejfo ci av~  vertijfe . Non fono anche mancati uomi-  ni dotti, i quali hanno fatto vedere, che  Ja fua filofofia è di pregiudicio alla fede,    i8i   cd è contrarla a molti dogmi cattolici - AI-  cuno ha pretefo, eh * ella rinnovi V ere-  fie di Pelagio, e di Neftorio : ed altri,  eh* ella fia la firada allo Spinofifmo, e  all* Ateifmo * Io fò, eh 5 è flato rifpo-  fto a quefli tali, e che vi fi rifponde.  rà : ^ma quello appunto è quello, che il  di fopra da noi detto conferma, e che  moftra quanto agevol colà fia o, ecceder  nella lode, o ecceder nel biafimo, quan-  do non s 9 ami di fidar V occhio che o ne*  fòli vizj, o nelle fole virtù . Non fem-  bra adunque, com > ho detto, degno di  molta lode il difegno di ftabilire la difefa  della filofofia moderna fopra le lodi, el*  efaltazione di Renato Defcartes, e fopra  i biafimi, e depreflione d * Ariftotile, fic-  oome fopra un fondamento, che fi può di-  ftruggere con quella fteflà facilità, con  cui s è innalzato : e per mezzo del quale,  fermo e inconcuflò renando, fi verrebbe a  flabilire quello, che V autor filo medesi-  mo in alcun luogo con molte parole s 9 e  ingegnato di diftruggere, cioè il farli fè-  guace indivifibile d* alcun filofbfo partico-  lare .   Ora diciamo alcuna cofa della principal ra-  gione, fopra cui Pautor della Lettera ha pian-  tato la difefa della filofofia modèrna ; la qua-  le fi è, che derivando ella dal fonte di Pia-  rvi 3 «o*    iS z   tone, fìlofcfo fupcrioread Ariftotile, appro-  vato dagli antichi Padri, e riconofciuto come  molto vicino a’dogmi cattolici; ella non vuol  eflere riprovata, maflimamente in confronto  dell* Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J }a*  fa V unica, e fola cagione, anzi l y orìgine JìcJfa  di tutte V erefie.   E quanto al primo, cioè quanto al prin-  cipato,tra Platone, ed Ariftotile ; molto dif-  ficile, molto dibattuta, e da niiino per anche  decite quiftione ha prefo a diterminare il no-  Aro autore, augnandolo al primo • La dif-  ficoltà di tal decisione procede, che molti ef-  ffendo i pregj delfinio e dell* altro filofofo,  amendue ancora hanno le loro imperfezioni.  Secondcchè pertanto fi vogliono riguardare sì  nell* uno, che nell* altro più quelli, che ques-  te, fi ha campo ancora di antiporre, o pote  porre V uno all* altro.   Ma per quello, che riguarda il fecondo y  cioè quanto al far ufo dell* uno, o delP altro  nella Teologia, e nelle cole della religione,  non fono pure ben d* accordo tra loro gli uo-  mini dotti qual fia da preferirli . Se per Pla-  tone fta P ufo, che moftrano averne fatto i  primi Padri della Chiete: nè anche Ariftotile  va privo in tutto di fimi! pregio, mentre al  riferire d’Eufebio nel libro VII. cap. XXXIL  della Storia Ecclefiaftica, in Aleftàndria, an-  che al tempo, che i Dottori Apoftolici rif-   pJea«    plendevano, l’Ariflotelica (cuoia fioriva. Gle-  mente Aleffandrino lib.V. Stromatam, riferita,  che Ariltobolo con molti libri provò, la (liofoba  Peripatetica dalla legge di Mosè,e dagli altri  Profeti derivarli. E Gioleffo nel lib. I. contvaAp*  pìonem, infieme col mentovato Eufebio nel lib.  IX. cap. V. de preparatane Evangelica, recano  un luogo di Clearco,ditapoIod’ Annotile, da  cui fi fcorge, come quello filofofo, eliendo m A-  fia, tenne lunghi, e fciendfici ragionamenti  con un dotto, e favio Ebreo, da cui apparo mol.  te belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con*  tenute . Anzi fu opinione d’alcuni, che lo «el-  fo filofofo, avendo avuti per mezzo d Alelìan.  dro i libri di Salamone, molte cofe da quelli rac-  coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono  fra moderni ( lafciando per ora da parteltare i  libri de vietate Arijlotelis, de f alate Anflotchs,  ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra  la Scrittura facra, ed Ariftotile facendo, s in-  segnarono a tutta lor polla di moftrarc, eh e-   alino pattano d’accordo, come Giorgio Trape-  zonzio, Giovanni Zeifoldo, AgofiinoSteuco,  ed altri . Sopra così fatta lite pertanto a muno,  s’ io non vado errato, difpiacerà il prudente   giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen-  te dall’autor del la Lettera il maggior ornamen-  to della famiglia Domenicana. Divo Augufli,  wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de loets  Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom Enea Gazeo, di Teofìlo Patriarca d’ Antio-  chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio Ce-  fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze-  [ no, di Girolamo, di Crifoftomo, e di Teodoreto, ne’quali, tutti concordemente biafimano, e {gridano Platone, e la sua fìlosòfia, come quella, ch’è fiata l’origine, ed da palcolo e fomento ad infiniti errori ed eresie. Ecco adunque che IL LIZIO non è fiata la sola pietra dello scandalo. Ecco ch’egli non è l’unica cagione di tutte l’eresie. Ma L’ACCADEMIA senz’alcun dubbio, in quella parte lo supera, ed è flato guardato di malocchio da Padri; e l’accollarli, ch’egli fa in qualche  modo più a noi, è ridondato in nollro maggior pregiudicio. Di qui fu però, che negìi ultimi tempi, quando Gemillo, il  Cardinal BelTarione, Gufano, e FICINO (si veda) illullrarono, e fecero rifiorire la Platonica limola, quali tutti non pertanto {limarono miglior avvifo, o almeno minor  pericolo, attenerli tuttavia ad Ariflotile. Sen.  tali lòpra ciò 1’ avvedutiflìmo Giovan Fran-  celco PICO (siveda) Mirandolano, il quale nel libro 1 V.  capitolo IL del fuo Ex amen vanìtatis dotivi,  ttee gentium, in quello modo lafciò Icritto.  Alti nihilominus, Platone poflhabito, haferunt  Arifloteli, exiflimantes illum noflr et exatìe,  fed in comuni defumta ) prxbere aditum faci -  lius po/fit, quam Arifloteles, qui rationibus,  non fide, foleat plurìmum et fere femper inni -  ti . Ma il talento di avvallare Ariflotile, e  cacciamelo del mondo, e della memoria degli uomini; non ha lalciato Icorgere all’ au-  tor della Lettera, non dico le lodi fue ; ma nè pure i biafimi, «Squali i medefimi Padri  ne’medefimi luoghi, in cui nello ripigliano,   » anche il fuo maedro fogliono non punto di-  verfamente trattare . Per cagion d y efempio  nel capitolo XJ. del Libro intitolato Regala  Monacharum, a Girolamo già attribuito,  fi leggono quelle parole ; Attende, et tu fatuorum fapientum princeps Arifloteles . Elleno  però fono Hate tolto notate dal nodro auto,  re, e nella lettera aliai avidamente inferite :  ma queir altre: Verum non fine labore didicu  ) fii tuam Japientiam fatuam Plato y folamente  due verfi lontane, e quelle ancora aliai vicine;  Non banv fatuitatem doéìijjimam Athenis Plato  didicit, non Arifloteles y non Anaxagoras > non cete -  rorum fiultorum mundi fapientum turba percepita  non fono Hate avvertite da lui, nè notate,  non altrimenti, che feo non iforitte, o rafe,  e cancellate Hate li fodero. Ma che diremo,  che dopo quel detto da lui in difcredito d’Afrillotilc recato, immediatamente al medefimo  . filofofo quedo elogio è teduto, o leurato fi mil-  mente, non fo come, c tolto agli occhi del  nollro autore? Et fi fueris abfque dubitano,  ne prfdigium, grandeque miraculum in tota na+  tura y cui pene videtur infufum, quicquid  naturai iter efl capax humanum genus, 43c.  Le quali parole anzi della foiocca abbjezio-  > ne, e viltà del Chiofatore Arabo, che del-  la gravità Geronimiana tenere mi fcmbra-   no   r  no (*) Vero è però, che da tutti i Critici efl  fendo coiai opera da quelle di Girolamo fe pa-  rata, e come lavoro di più baili tempi, non   fu Averroe nella Prefazione alla Fifica 4 parlando d’ Afiftotile difTe : Talem ejfe virtutem in indi-  viduo uno tniraculofum et extra neum exifiit . A che pa-  re, che corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab -  fque dubitation e prodigi um 3 grand eque mìraculurn in  tota natura . Averroe ancora fopra il libro JL della  generazione degli animali, così lafciò fcrirto : Lau*  demur Deum, qui feparavit lune virum ab a li ir in  perfezione 5 appropriavitque ei vltimam dignità tem  bumanam ò quam non omnis homo pottft in quacumque £tote attingere . Alle quali parole s } accofta-  no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu -  fum, quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut .  Di qui fi può formar conghiettura, che cotal Li-  bro non fia flato feri ero prima del 1150, in cui fio-  rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi, e  parecchj veftigj di fcolaftico, e Parigino idioma,  che vi s* incontrano y e che pofTono fervire per  confermazione di quello 3 maggiormente ancora  tutto ciò fi ftabilifce dalle parole, che fi leggo*  Do nel capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo -  pborum videretur in eis verificavi opinio, qui unam  ponunt in bominibur univerfir animar» folam . La qual  è opinione venuta fu ne* tempi baffi,dai rappor-  tato Averroe mefTa fuori e difefa, impugni 3 da  S. Tommafo,e finalmente condannata nel V. Con-  cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè per  . altra parte dell* accennata opera fi fa menzione del pranfodo-  po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella  Chiefa confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5  perciò potrebbe argomentarli 3 che il Libro non fof9i   fna giudicata non era da farfi arma  fuor di ragione contra lo Stajprita del  nome d’un tanto Padre . Ben piu vantag-  giofo e per V autore della Lettera, e per la  verità flato farebbe, eh’ egli nelle vere ope-  re i veri '(entimemi di sì gran Santo intorno  a ciò rintracciato, e quafi fpigolato avefle,  mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto-  tile dal glorificato Platone non mai guari lon-  tano ritrovato avrebbe - Come (opra il capi-  tolo X. v. XV. deir Ecclefiade. Lege Platone m: Arifloìdis revolve verfutias y et proba -  bis verum effe quod dicitar : labor flaltoram  affliget eos . Sopra il Salmo v. Vi. al-  tresì. Nane ipji hareticì licet per Arìftotelern y  et Platonem videantar fimplicitatern Ecdefi  e fin dove fi debba  fèguitargli • Poflòno è vero accodarli f chi  piu, e chi meno a* dogmi della noftra re-  ligione, fecondo i fonti da* quali attinie*  ro le loro cognizioni ; ' ma non è però  giammai da fperare, che ferifcano il fe.  gno, perchè le tenebre, nelle quali viveano, loro non permettevano d y arrivare  tant* alto . Altro dunque non fi può in  /quella parte, che com piagnere la mifèria,  e infelicità loro : per altro il biafimo, e  la lode non ha propriamente luogo fòpra  elfi,?fe non quando fi confiderano • da fe,  come puri filofòfi, e fèparatamente da* do-  gmi de* Criftiani. T   Ora palliamo a dilcorrere brevemente  dell* idea generale, che P amore della  prefènte Lettera ha avuto ; il quale ha  divifato > che la difefà di Renato Defcar-  tes fia la difefa della filofofia moderna, e  la condannagione d’Ariftotiie fia la con.  dannagione cella volgare.   Incorno a ciò è da avvertire, che la mo-  derna filcfòfia non è in modoconftituita dalla filofofia del Defcartes, che Cartellano, e   N Mo' Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben vero,  che non fi può eflère Cartellano lènza eflère  ancora Moderno; ma non è vero, che non  fi pofla eflère Moderno fenza eflère Cartefia-  no, Per la qual cofa la filolòfia Cartefiana  fi ha alla Moderna, come la fpezie al genere. Ancora è da notare, che avvegnacchè la  volgare fiJtfofia abbia voluto unicamente ac.  taccarfi ad Ariftotile, tuttavia eflèndofi ella  lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni de-  gli Arabi, i quali per l’ignoranza delle lirt^  gue, e per mancanza d’erudizione, peflima-  mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo gli  Scolaflici quefte interpetrazioni nell’idioma, in cui da’ loro autori erano fiate fcritte; ma  dall’Arabico trafportate in LATINO, o come  alcun dice, in Ebreo dall’Arabico, e po.  fcia dall’Ebreo in LATINO trafvafate ; può et  fere per ciò aflai facilmente avvenuto, che  la mente d’ AriflotiJe per lo diritto intendi-  mento prefo, fia del. tutto oppofta a quella  degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola. Ilici a quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé-  gue, che come vituperandoli, e condannan-  doli i modei ni, per avventura nè fi vitupe-  rerebbe, .nè fi condannerebbe il Defcartes; '  così per l’oppoflo lodandoli, e difendendoli  il Defcartes, può eflère, che nè fi lodino,  nè fi difendano i moderni . Similmente fi c-   come vituperandoli, e condannandoli gli Sco-  la- lattici, è facil cotti, che nè fi vituperi, nè  fi condanni Arittotile • cosi potrebbe dare  il calo, che vituperandoli, e condannandoli Ariftotele, nè fi vituperaflèro, nè li con-  dannaflèro gli Scolatici, eh’ è quanto dire  la filolòfia volgare. E* ben vero però, che  quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima, e  preffochè imponibile ; perchè non è da cre-  dere, eh’ elfi Scolatoci perverlàmente intendendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma  piuttotto piggiorato affai ; cosi il vituperare,  e il condannare Arittotile pare, che provi  molto quanto al vituperare, e condannare  la filolòfia volgare . Ma per 1’ oppofta {ra-  gione il lodare, e il difendere Renato Dett  cartes non pare, che provi tanto per quello^  che fpetta al lodare, e difendere la filcfofia  moderna; Perbene adunque, e acconcia diente difen-  dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di me*  ftieri cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon-  tà ^.o difetto del quale, la lode, e il bia*  fimo ad eflà Umilmente fe ne derivi. Ora  quello, che fembra la filofofìa moderna  conttituire, e alla volgare degli Scolali ici  immediatamente oppofta; renderla, fi è lo  lcotimento del giogo Peripatetico, e di  qualunque altro particolar filolòfo ; e la  pura ricerca della verità. dove, e in qua-  lunque luogo ella fi fia . La ichiavitù nel.   N * la la quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani*  ino baffo, e fervile, avevano pollo il loro  intelletto gli Scolaftici, per ellere dapper-  tutto fparfi, e difufi, s’era ancora dapper^  tutto difufa, e inoltrata, ed avevano cbbli*  gato tutto il mondo a non filofofare con altra mente, che con quella ' d* Ariflotile. Avvegnaché fopra infinite quiflioni di filo-  lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo-  fo, non fi fappia per anche nulla y tuttavia  eglino s* erano immaginati di làper tutto. Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Giovan Francesco PICO (si veda) ) fed Pbìlofopbi* legem  pkrique omnès arbitrobantur . Quella però è  la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui.  ftionepiù libri, deflinati ad eliminar la men-  te d’ Ariflotile,' che a ricercare la lidia veri,  tà della colà . Molti hanno incominciato a  riflettere, che quello era un travaglio molto  penofò, e che il frutto non -iftance era aliai  tenue. Hanno offervato, che per quella via,  al più non fi’ poteva venire in cognizione che  di quanto fapeva Ariflotile, che vuol dire  di pochiflìme cofe, rifpetto a quelle, che s*  avrebbono potute fcoprire . Dove 1* altre ar-  ti al tempo de* primi ritrovatori • fono Tempre comparlè rozze tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone, di Demo-  erito, e d’ Ippocrate, molto fi làpeva per  squelPctà, allo ’ncontrocol tratto del tempo  era venuto anzi perdendo che no, e le fet-  enze s* erano piuttolìo abballate, e o Taira te,  ^he illuflrate, e innalzateli, com’era di ra-  gione - Conchifero adunque, che quello modo di filofofare degli Scolatici èra irragione-  vole, e barbaro, e non tendeva ad altro, che  a coprire tutto il mondo d’ una miferabile i-  gnoranza, mentre, come avvertì anche Sene»  .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi, imo ne*  que quarti.. Valla Romano fu il pri-, che a’ adpprò a trarre la filofofia del mi.  fero fervaggio, in cui li giaceva, inoltrando  èllere lecito fentire diverfo da Ariftotile co*  duci tre Libri Diale Elie arum difputatwmm, che  fcriflfe a ^quello fine . Anche .Giovati Francei-  co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del  fuo E* amen vanitati s dottrina gentium, molte  colè difputò contra lo lìdio filofofo ; e mol-  te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de  cauffts corrupanrm artium, per non dir nulla  delTelefio, del Patrizio i e d’altri fomiglian.  ti,ii quali pure tennero la ll'eflà via . Die*  tro le velìigie di coltoro BONAIUTI (si veda) in  Italia, e Barcone, in Inghilterra inftituirono Un modo di frlólòfare libero,  e del tutto oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e  gittarono le prime fondamenta di quella ft-   r«o n ? •  io. lotcfia che fi chiama Moderna/ non perchè  fidamente ora Ì fuoi principi fieno /tari po.  Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i fiecoli gli  uomini ragionevoli altra via non hanno mai  tenuto ne! tilofcfare; ma perché dopo ? in.  fezione orribile, e univerfale degii Scolaftick  iqtiali amava n meglio di fcioccheggiare coti  Ariftotile, che con altri tàggiameme'iditcop*  rere, come alcun diffe j q netti ottimi pria,  eipj fono fiati felicemente richiamati, e pa.  fti in ufo da moderni . Aperta cosi Ja fi rada  da queftì due nobili, e valorófi ingegni . «  primo de* quali fu il primo ancora, che chia.  mo in ajuto della filofofia le Matematiche,  e che con profpero avvenimento Je v’ intro-  dufie; comparvero ben tofloCartefio, e Gali, do ?r, r £ na . altri ec.   celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì diverte   ecfe e in cielo *, e in terra difcóprirono, e  cosi fatto utile recarono a tutte I» altre arti,  e fpecialmente alla Medicina, che ben fece,  ro conofcere cogli effetti, quanto infelice, e  miterevole fia la condizione di qpefti aridi,   f d, g' 1 ™ d* Ariftotifc ; e quanta fia   la necetfita di battere altra via per ben fìioi   babugemus in Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur libere quo*  cumque vagari. Verumenimvcro nec argumen -  ta in oppofitum defunty pracipue quantum ad  pbilofopbiam. ^Ecce quanam plus minufve . /.  Ouod nonHdeo rerum fcìentia aequiritur y fla-  tim ac auttpfis innotefeit opimo 5 quacumque  aliter fentiendi, aut fcribendi pr aclu fa facuh  tate . Ih Qupd fape fapius temporis multum  fruflra tranfigitur, germanum vefligando prò*  prii auttoris fenfum > fpeciatim in aliquibus con-  troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit. Hinc ea penitus non declinari y qua timentur  abfitrda, hoc efl circa opinandi libcrtatem ;  Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem quem-  piam ad proprhtm fenfum jugiter potè fi expo - . i ntn - tot   tendo trabere, ita ut in eunlfis fihi patroci.  nari videatur. IV. Quod in pbilcfapbicis libe .  rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re.  .rum natura fentire, et quod fcrutanda veri,  tati plurimum obefl ita jur are in verba dolio,  rum, ut borum auHoritatì, baudquaquam li.  eeat refragari.V-, Quod iflopotifftmum loco  Divi Atfguftinì norma m fequi cportet, adferen.  tis, quantavis auiloritate, ac fanlìitate fulge.  fit aliquis aulior, ipfi tamen indubitatum, fir.  tnumque affenfum co folum effe prabendum,   ? to rationes ejus illum a nobis extorqent . VI.   andem Deum onice. effe, cujus auHoritati,  nipote maino infallibili, fit tace fidendum.     4 t 1 » i    INE. 0 •* •  :t \  ; u M    s i  Delle cofe notabili, contenute nella  preferite Lettera, . e -nell’; ; ;  Offervazione. M si  pone in Dio. 84. gran fbfifta. 147. 148  AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J   AriflotUe rfòvetchia autorità dataglida alcuni 8  . * 1 ?4- condanna Platone, e n*è riprefo. 1 j.fiioi  * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9. pròBaMJifti venerato còme idolo. 30. i59.bia/tmatoda >  fanti Padri ..   da altri . 40. 41. 45. fuoi libri condannati .  35. 36. notato di gravi errori da’ Padri, ed  r, altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori filo-  . lòfi delia Grècia 44. fu chiamato in giu-  *5 ^icio . 44. fuoi principi bugiardi . 44.; infa-  mato da 1 fuoi feguaci lteffi ., 45-46. fe ve-  nifle ora al mondo fi difdirebbe. 103. 104  c noniftimò di dover eflère norma univerfà-  le . 107. e 1 origine di tutti gli errori de  interpetri. i^.fwacrfcurità. 148. 149. è  li ìóJò tra tanti filofofi,(:he fia ftudiatq, fxid ila  V n izio ne deIL*iTOii\c> biajtj ma|? - 1*   - immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica  T fofìftica . 154. lodato affettatamente . flrabocchevolmente biafimato> 170.. 172  giudici retti fopra il medefimo . 171. non  •%• •   C Ano ( Melchior ) ; Tuo elogio •: 38. giu-  ì dicio del medefimo intorno a Piatone e jAnilotile Capitone : fct raggiante i, ; Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno al-, la filofofìa Cartefiana. . {, 120   Cartefto ( Renato ): lii che fondamenti pian-  « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi giu*  ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57  «‘ fo*! fuoi protettori converte la Regina di Svezia e altri lupi fentimenti fi conformano  v «> n que, de y Padri.  n8. chiamato il refu gio de J cartoli-  onori fattigli. 65. calunniato dalle   univerfità Protettami . 70. fuoi nemici -  fiioi difenlòri .  pone  per primo principio il dubitare . 87-fua prote-  it azione, $7. a ma d’effère corretto. 88. per-  chè fine meditate una nuova, fflofofìa. 116  lodato dal P. .Merlènni . 118.119. s’uniforma  fo’ftntimenti di Platone. 121. fuoi coltami.   iiz. giudicio fòpra il medefi.   ino del Malebranche . 180. fua filofofia  -difefa dalle migliori univerfità d’Europa.   61. ù »Ojr   61. fi dee antiporte a quella d* Ariftolile.  114. è veramente Criltiana  lodata.  prefagio del Caramuele intorno al*  la medefima- 120. è tratta dalla Genefi perchè contraddetta da alcuni ha dato motivo a molti di dar in pazzie .  ed empietà. 179. fuoi difetti U  ha alla Moderna come la fpecie al genere Cartellano, e Moderno non è lo   fteflq. 19+   P. C a fati: abbraccia la fìlolòfia Moderna. 66  Caffi ni: fila oflervazione . ili   Celfo: contrario a J a bolero. CeJ alpini ( Andrea ) .* fua. (coperta. Charlet : amico del Cartello Cbiefa: fua dottrina è la vera fìlolòfia .   è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve-  di Teologia .   P. Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici-  zia del Cartello Clemente ( AlefTandrino ): non iftimò, che i  Greci fi giuftificafièro per mezzo della fìlo-  lòfia. Cicerone ( M. Tullio ) .* divinizzato dal Nizo-  Ito. 172   Cielo : (ita grandezza, materia, e moti ignoti. • . . .• '• '>'••• ' Cipriano ( Martire ): fao errore . 16 1   P.Ciermans : loda il Cartello. Concilio Latermefe V. : filo luogo alla Seflìone  Tie 8. fplegato . D Daniel ( Niccola ) : impugna Cartebracciata fua opinione intorno alla   i . . •   P- Detei: Cartellano . Defcartes . Vedi Carte fio.   Digiuno : fin quanto abbia durato nella Chie-  *'• là il pranlò dopo Nona.  p. Di net ( Giacomo )ì amico del Cartello . >   Dio: è la prima verità. . 163   Difpute : la verità fogge da eflè . 5. fono un   tormento degl’ingegni . 6 . hanno diftrut.   * to la filolofìa . altro lor pelfi-   mo effètto. 137. Vedi Filofofi i Perìpate.    E Berardo ( Gio. ) difende il Cartello. 71  Epicuro : plagiario. 49- commendato da’  Padri. fua filofofìa abbracciata. anche da’ Padri meri.  •• tò della medesima . 49. 53. illultrata dal tiri) Sette.    E    Gal'      v ; G^irenaiv T " - ; ' 5 °   Erbe : non fi fa la loro virtù Ereboore : ( Adriano ) : Cartellano. . 7 O  Euclide: fuo detto ’ ; \ r \ * : f ’ Eunomiam: giurano 4 filile parole d’Ariftotile.   - ^ 59 .,   Etintìniicr: compagno d’ Aezio nell’erefia . 29   ‘ ^ fi vanta di conofcer Dio r . 7 6 : è riprefo da   ’ Bafilio.'’" : i ! ', 7*    Eurìpo : fuoi vortici non fi fa donde derivi- ' • 81    no*. «, .   • .op * u:- t \ r r *jLvì r   r f r   *• » /i # ' »IA «4 • al *,1 *l*v* • 1 I • #  Fabbri i abbraccia la fìlofofia Moderna.   p. Farvagtie : difertfore del Cartefio. • 5^  Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi Chic.   • *'/», ‘ : v>- ! v .   Ecmrib( S. Vincenzo ) : introduttore dell In.   '• cfuifizione Fìlopono X Giovanni ) .* eretico . ^ '2.9   Filosofare : è permeilo à tutti . -ir. liberta di  •' éffo . l 72. 97- 99: 1?8. die fine deb-   : bà avere.' • ^ ^  Filofofi'r contrari a fe medefimi .' 74. ton-  ’ dano i principi del fi lofofare foli’ igno.   •' ... .-L 'i. a_ . 1 14 fri-    • I • t  “ «•.    ?» tii.t 22.'fonó amanti delle favole .  • i-! o *J°»    1 ZIO   dicono le maggiori pazzie. *3 1. fé. ne  - può trar bene, e male per la religione, 19^  non poflòno eflère biafimati di queftó   • non bilbgna fperare, che parlino da Cristìiani biasimo 1 e lode quando abbia,  luogo lopra euì. ' Filofopa: commendata’ da’ Gentili ) $ da^Pa-  dii. 8. 9. io. 11. ip. non è fapienza..rV7^  : non è altro che opi nazione  non  . ve n'ha al mondo. divife in mille  fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91  130. non abborrifce Je novità * 98. fogget-  ta a nuove (coperte. 100. 101. ancella del.   . la Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata per  efercitazion dell’ ingegno Jia avuto  t. origine dajle fàvole de’ Poeti . non è  . contraria a tutte le. favole. 131.nan.haan.   cor trovato la verità. .,-y '^64   Filofofia Antica : fua / debolezza . j Hj-è up   • giuoco fanciulldco Vedi Àrtjlotùc ~ y  . 'Peripatetici t Scelffiiai •  Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v - .     ‘ " j; - :l ;;;;i 51   Gtfitttr:' hanno partkolar irtftituto di feguita*  c re Ariftotile. 65. molti hanno abbracciato  la fìlofofìa Moderna*. Gianfenifla : titolo proibito in Francia. 93  G indie io : norma .da tenerli nel. dar gfridició.  .cr 171. noti bifògna dar negli cftremi Giureconsulti : non fono così pertinaci, come  v : i iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j . vui !;; .1,06.107  Giuflino ( Martire ) : convertito per mezzo  -ideila fìlofofìa Platonica i \ :U iV *7  f. Grandamy : amico del Cartello . 68   O 2 Grandini: non fi fa cóme s’ingenerino. 8r  S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo elogio. 53. Epi-   _ laureo. . .. 53- 54   P. Grimaldi : abbraccia la filofofia Moderna.   • L ^ •   ^ ' t   \ * ;, M • - » .  \ •   «•..*# t 4 ( / 1 »» M « ^ 1 f » V •      * ' i »»•'   #..*•> « y i »    ♦ • f . r    I * *    %     I Gnoranz* ì et uo panegirico. 1 -- : % V« % ’  Incendy: ne* monti, non fi fa come fi  i-ì facciano. . • *:,. ' \    r . . » .   ^ . »... » ir f-.' % » “ 1 .   «ili i • » r - •    r » M ' • « 1 » t :   i Lampi : non n fa come s’ ingenerino.   .    ci. ;   P. Lupi : fi fa Cartellano. 56. perchè. 57,   ? . S . •   Stoici : negano 1 * opinarionì lofpetti ap-  po i Romani.  T Affitti - f Alefiàndro ^ : fuO prefagio in-  torno ad Ariftotilc verificato a Temiflio: eretico. ’ *9   Teologi: loro> difetti- • • 1 ^ 9 - * 4 °   Teologia : le novità in eflà fimo pericolofe . 98  ammeflè dagli Scolali ici. 164.133. è regina  delle fcienze. 127. non ha che fare colla fi-, lofofia.127. 128. ha ritrovato la verità. 165  Icolallica non fi dee riprovareperchè fa ufo  . • d* Arittotile Terremoti : non fi là come fi facciano Terra : ignoto fu qual baie fi libri, e quanto  Ila grande. "8*   Tejt pubbliche : loro abufo al tempo del V.   Concilio Lateranelè . *77   Ticcùne: file {coperte: • ” ^   S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come, e a che   fine iludiafle Ariftotile . 46. fuo lamento .   * . * » • •,,   47 - ' • - _    Digltized by Google    iZlO   Tmricdli : .dio ritrovamento . . ' jio   De Turne ( Simon ) : perchè acculato d* ere-  fia., ... 22    f   • f    V   ' “ f*** j    »' i  I    V ' Alla ( Lorenzo .) r Tuo penfiero appro-  vato dalNizolio. 144. Fu il primo a li.  re: nega Topinazioni. 83. fua fetta  fofpetta appo i Romani. Giuseppe Valletta. Valletta Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valletta.

 

Luigi Speranza -- Grice e Valore: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inventario del mondo – la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo Lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Essential Italian philosopher. Grice: “Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!” Si occupa di metafisica, di ontologia generale e delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa anche dei progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea in filosofia a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su riferimento, rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia della filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al gruppo fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali (ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj, rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del progetto  per il programma Euro Scholars USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata (editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea (editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione, riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la verità senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone. Lezioni,  (Valore), Milano, Unicopli, Forma dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano, Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di ontologia (Milano, Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano, Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme,  "Idealizzazione della verità e coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti inesistenti", in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza, filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più recente", in  V., Forma dat esse rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e l'ontologia del mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei...,  "Il mestiere antico e nuovo del filosofo", in la Repubblica, (Milano).  "Fisica e geometria come modelli di lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario di PRETI a BANFI", Ad BANFI cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa c'è che non va nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo e Società,  "Nothing is part of everything", in Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito da Utri sulla rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura,  e da Marazzi sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito da Gesner sulla rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da Bianchetti, Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica,  Volume recensito da Giardino sulla Rivista di filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà" – cf. H. P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani su SWIF Volume recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, recensito da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica all'articolo di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica, sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords: Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valore.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vanghetti: implicature di Deutero-Esperanto – la scuola di Greve in Chianti – la scuola di Firenze – filosofia fioretina – filosofia toscana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Greve in Chianti). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Greve in Chianti, Firenze, Toscana. I progetti e l'influsso del Latino sine flexione di PEANO (si veda), interessante. Nonostante la fama inferiore rispetto ad altre LAI, è innegabile che, in seguito alla pubblicazione dei lavori di PEANO (si veda), si assisté a una proliferazione dei progetti di inter-lingua di base latina, ispirati proprio a quella del matematico piemontese. I numerosi tentativi sono testimoni del fatto che molti esponenti della comunità dei filosofi italiani condivide il pensiero che la lingua latina, opportunamente modificata, puo divenire il  mezzo perfetto per la comunicazione. Per i primi tentativi d’emulazione si devono aspettare a quando il filosofo italiano Vanghetti, esperto di lingue moderne e internazionali, pubblica le sue proposte di carattere esperantido, il Latin-Ido e il Latin-Esperanto. Con il termine “Esperantido” si intendono quelle lingue inventate ad uso internazionale che presentano un certo numero di caratteri tipici dell'Esperanto – cf. H. P. Grice, “Deutero-Esperanto in One Easy Lesson” -- entrambe si configurano come commistione delle idee di PEANO (si veda) e di altri sistemi, presentando un vocabolario di base ispirato al Latino sine flexione accostato rispettivamente alla struttura grammaticale dell'IDO (cf. Grice, Studies in the Way of IDO” --  e dell'Esperanto. A Empoli, mentre è membro della commissione, nominata dalla Società Italiana per il Progresso delle Scienze, che dove occuparsi della promozione dell'uso e dello studio delle lingue internazionali, commissione di cui fa parte anche lo stesso PEANO (si veda) - pubblica nella rivista “Riforma” anche un saggio intitolato «Questione de lingua auxiliario internationale in Italia» a riprova del suo particolare interesse per la materia. Giuliano Vanghetti  Voce Discussione Leggi Modifica Modifica wikitesto Cronologia  Strumenti  Giuliano Vanghetti Giuliano Vanghetti (Greve in Chianti, 8 ottobre 1861 – Empoli, 4 maggio 1940) è stato un medico ortopedico italiano, famoso per aver condotto innovative sperimentazioni di protesi per arti amputati, in particolare quelli superiori. Di un certo rilievo fu anche il suo interesse alla linguistica: conoscitore di molte lingue, si occupò della promozione degli studi sulle lingue ausiliarie internazionali: l'interlingua e il latino sine flexione di Giuseppe Peano.  Biografia Giovinezza Dopo i primi studi a Greve in Chianti, dove il padre Dario si era trasferito da Empoli per svolgere l'incarico di pretore, conseguì la maturità a Siena e si iscrisse poi all'Università di Bologna. Qui frequentò ben tre facoltà - fisica, matematica e medicina - prima di optare per quest'ultima, in cui si laureò con un modesto 80/110 nel 1890. Iniziò la professione come assistente alla Clinica Dermosifilopatica di Parma ma, quando il padre si ritirò in pensione, rientrò con lui a Empoli accettando supplenze come medico condotto nei paesi circostanti.  L'esigenza di mantenere la famiglia che si era intanto formato (la moglie e i due figli Dario e Flora) e il desiderio di viaggiare e "conoscere il mondo", evadendo in qualche modo dalla dimessa routine della sua vita, lo spinsero allora a imbarcarsi come medico di bordo su navi in genere di emigranti italiani. Compì in quegli anni numerose e lunghe traversate soprattutto alla volta di Australia, Stati Uniti, Argentina e Brasile, imparando così l'inglese, il tedesco, il francese, lo spagnolo e interessandosi anche ai primi studi sull'interlingua.[1]  Protesi "cinematiche" Come un po' tutti gli italiani, anche Vanghetti si crucciò alla notizia della disfatta di Adua (1º marzo 1896), ma rimase pure angosciato nell'apprendere della doppia mutilazione (mano destra e piede sinistro) inflitta a un migliaio di àscari fatti prigionieri dagli abissini, ai quali poi il governo italiano aveva fornito degli inerti "pezzi di legno" in sostituzione degli arti mancanti. Riflettendo sul come dare "movimento" a tali protesi, in particolare a quelle della mano, il "dottorino" toscano giunse alla semplice e geniale conclusione che esse dovevano essere collegate proprio a quei muscoli e tendini che erano stati recisi dall'amputazione: era il principio delle protesi "cinematiche" (talora definita anche "cineplastica"[2][3][4]).  Lasciate quindi navi e piroscafi, rientrò a Empoli per rintanarsi nella casa paterna in frazione Villanova, suddividendo il proprio tempo fra il pollaio e il laboratorio da lui improvvisato accanto allo studio del primo piano, in cui sperimentò le sue teorie testandole su delle galline[5] alle quali aveva amputato una zampa e applicato delle protesi "mobili" in legno. Vanghetti e la sua domestica, promossa assistente, le visitavano ogni giorno con la soddisfazione di vederle tornare a camminare dopo qualche mese. Nell'aprile 1898 pubblicò a sue spese Amputazioni, Disarticolazioni e Protesi, breve memoria illustrativa del suo metodo che tuttavia non ebbe alcuna eco nel mondo medico e scientifico.  Nel 1900 riuscì a compiere il passaggio decisivo dalla teoria e dalla sperimentazione sugli animali alla pratica chirurgica sull'uomo presentando direttamente le sue idee al professor Antonio Ceci, direttore della Clinica chirurgica di Pisa, che le applicò in un intervento di amputazione all'avambraccio destro utilizzando una protesi realizzata dal rinomato ortopedico pisano Giuseppe Redini. L'operazione e il paziente furono presentati nel 1905 a Pisa, al XVIII Congresso italiano di chirurgia, suscitando i primi timidi interessi per la "cinematizzazione" dei monconi d'amputazione (oltre allo stesso Ceci, i chirurghi Roberto Alessandri di Roma, Riccardo Galeazzi di Milano e pochi altri). Dal canto suo, Vanghetti cercò di dare forma organica alle proprie concezioni in varie pubblicazioni, soprattutto nel saggio Plastica e protesi cinematiche del 1906, che ottenne un premio d'incoraggiamento dall'Accademia Nazionale dei Lincei.  Solo dieci anni dopo, con lo scoppio della prima guerra mondiale, tornarono di tragica attualità il problema della funzionalità delle protesi e quello connesso della reintegrazione sociale dei mutilati. Augusto Pellegrini, primario di chirurgia all'ospedale Melino Mellini di Chiari, prese allora Vanghetti con sé e, con il grado di maggiore della Croce Rossa, lo incaricò di organizzare e dirigervi un Centro per mutilati.[6] Del resto, le necessità belliche incrementarono rapidamente e in tutta Europa i progressi della tecnologia e dell'efficacia protesica e molti chirurghi tradussero in pratica i principi di Vanghetti pur senza riconoscergliene pubblicamente la paternità (non così il celebre Ernst Ferdinand Sauerbruch, che attribuì al medico empolese la primogenitura dell'idea)[7]. Allo stesso modo, anche i dispositivi ortopedici da lui elaborati vennero utilizzati e brevettati da altri per produrre protesi funzionali; è il caso ad esempio della "mano Marelli", di fabbricazione italiana, in cui, in base ai principi di Vanghetti, due tiranti consentivano i piegamenti delle dita e la chiusura del pollice sul palmo.[8]  I riconoscimenti e gli ultimi anni Alla fine arrivarono anche i riconoscimenti, seppur pochi e tardivi: dall'Accademia Nazionale dei Lincei, come detto, dall'Accademia di Medicina di Torino con l'assegnazione del premio Alessandro Riberi, e dalla Croce Rossa Italiana, che gli conferì un diploma di benemerenza e la medaglia d'oro. La Società Ortopedica Italiana lo accolse come socio onorario in occasione del congresso nazionale del 1918, tenutosi a Milano sotto la direzione di Riccardo Galeazzi e con tema "Sull'amputazione cinematica. Patologia e cura dei monconi d'amputazione". Nello stesso anno gli giunse particolarmente gradito l'invito a visitare l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, dove il chirurgo Alessandro Codivilla era passato dall'iniziale diffidenza a un convinto sostegno per le protesi cinematiche, così come il suo successore, Vittorio Putti.  Dopo la parentesi bellica, comunque, Vanghetti tornò a isolarsi nella campagna empolese occupandosi da un lato del figlio Dario, immobilizzato da una grave malattia, e dall'altro di disegnare e costruire nuovi apparecchi meccanici (fra cui un corsetto correttivo della scoliosi). Usciva di casa raramente, in genere il giovedì per recarsi in città al mercato e poi dal farmacista, dal meccanico e dal falegname: per l'abbigliamento un po' trasandato e per queste sue abitudini poco socievoli, che gli facevano preferire i polli agli uomini, passava per un eccentrico, uno strambo, un "matto" inoffensivo.  Dopo la morte fu sepolto nella cappella di fronte alla sua vecchia casa, sul cui portone d'ingresso il municipio di Empoli fece affiggere nel 1942, nel secondo anniversario della sua scomparsa, una lapide: «In questa casa degli avi suoi, schivo di onori, sdegnoso di lucro, ricreò lo spirito curioso d'ogni cultura, Giuliano Vanghetti, riformatore della tecnica delle amputazioni, ideatore geniale della vitalizzazione delle membra artificiali, il cui nome l'Italia e il mondo hanno meritamente iscritto nell'albo dei grandi benefattori dell'umanità».  Successivamente, l'officina-laboratorio-studio di Vanghetti è stata ricostruita in due ampi locali nel sottotetto della Biblioteca Comunale "Renato Fucini" di Empoli. Contiene tutti oggetti originali dell'epoca, donati nel 1990 dalla figlia Flora, come attrezzi, libri, calendari e protesi funzionanti.[9]  Greve in Chianti, suo paese natale, ha intitolato a Giuliano Vanghetti un viale.  Empoli, sua città avita e di adozione, gli ha dedicato una via, prossima al centro e, nel 1974, una delle scuole secondarie di I grado, in Via Liguria.[10]  Il 10 ottobre 2017, sulla rivista scientifica Neurology è apparso un articolo che presenta Vanghetti come il pioniere della neuroprotesica.[11] La copertina dello stesso numero è a lui dedicata.[12]  Note ^ Se ne occuperà soprattutto negli anni precedenti e in quelli successivi alla prima guerra mondiale, entrando anche a far parte (1924-1925 e 1926-1928) del consiglio direttivo dell'Academia pro Interlingua di Giuseppe Peano, votata alla promozione delle lingue ausiliarie internazionali e, in particolare, del latino sine flexione di Peano. ^ cineplastica, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ cinematizzazione, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ Giuliano Vanghetti, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ «L'animale più indicato per questi studi sarebbe la scimmia, ma il prezzo d'essa, l'indisciplina e l'ingombro sono tali da renderlo impossibile ad esperimentatori di mezzi limitatissimi. I polli, dal pulcino al tacchino, sono gli animali che meglio si prestano per la loro docilità, per il prezzo svariato e per avere i tendini del tarso facilmente accessibili all'operatore.» Riportato da Nunzio Spina, op. cit., p. 174. ^ (EN) Alessandro Porro e Lorenzo Lorusso, "Augusto Pellegrini (1877–1958). Contributions to surgery and prosthetic orthopaedics", in Journal of Medical Biography, n. 15 (2), maggio 2007, pp. 68-74. ^ (EN) Journal of the American Medical Association del 25 dicembre 1920, p. 1811. Tuttavia, secondo Antonio Conti e Donatella Lippi, "La formazione sanitaria ad Empoli da Vincenzio Chiarugi ad oggi", in Alfiero Ciampolini (a cura di), L'innovazione per lo sviluppo locale. L'università per il territorio (atti del convegno di studi, Empoli, 12 marzo 2004), Firenze, Firenze University Press, 2005, p. 70, ISBN 88-8453-362-7 (parzialmente disponibile su Google Libri), «Il chirurgo tedesco Sauerbruch, dopo aver letto gli scritti di Vanghetti, se ne impossessò, iniziando ad applicare a tappeto la sua cura. Forte della sua fama e delle evidenze raccolte da Vanghetti, rivendicò a sé la paternità di queste scoperte.» ^ Francesco Mattogno, Loredana Chiapparelli, Roberto Pellegrini e Marco Borzi, Manuale dispositivi ortopedici e classificazione ISO, ITOP - Officine Ortopediche, 2001, p. 144 (consultabile on line Archiviato il 7 ottobre 2009 in Internet Archive.). ^ Sul cosiddetto "Museo Vanghetti" si possono vedere: Maria Stella Rasetti, "Il Museo Vanghetti nella biblioteca cittadina di Empoli", in La Restitutio ad Integrum. Da Giuliano Vanghetti al Corso di laurea in fisioterapia, seminario di studi, Empoli, 10 maggio 2004 (consultabile on line Archiviato il 21 luglio 2007 in Internet Archive.); Ilenia Castaldi, "Il genio sperimentale del 'dottor' Giuliano Vanghetti", sul quotidiano on line gonews Archiviato il 9 agosto 2010 in Internet Archive. del 29 luglio 2010. ^ Cfr. il sito della scuola Archiviato il 18 giugno 2012 in Internet Archive.. ^ (EN) Peppino Tropea, Alberto Mazzoni, Silvestro Micera, Massimo Corbo, Giuliano Vanghetti and the innovation of “cineplastic operations”, in Neurology, vol. 89, n. 15, 10 ottobre 2017, pp. 1627–1632,. ^ Cover Neurology, su neurology.org. Bibliografia Giuliano Vanghetti, Amputazioni, Disarticolazioni e Protesi, stampato in proprio, aprile 1898. Giuliano Vanghetti, Plastica e protesi cinematiche. Nuova teoria sulle amputazioni e sulla protesi, Empoli, Traversari, 1906. Giovanni Franceschini, La ricostruzione delle membra mutilate, Milano, Sonzogno, 1919. Augusto Pellegrini, "Come Vanghetti preconizzava le trazioni sullo scheletro mediante filo", in La chirurgia degli organi in movimento, n. 3, 1932, pp. 315–316. (FR) Augusto Pellegrini, "Traitement des fractures des membres par l'archet de forgeron et les tractions sur le squelette par fil métallique selon la méthode de Vanghetti", in Bulletins et mémoires de la Société nationale de chirurgie, n. 28, 1932. Giuseppe Maccaroni, "Giuliano Vanghetti", in La riforma medica, n. 15, 1942. Città di Empoli, Le onoranze a Giuliano Vanghetti nel X anniversario della morte (4 maggio-25 giugno 1950), Firenze, Noccioli, 1951. Francesca Landi, Mario Mannini e Pier Luigi Niccolai (a cura di), Giuliano Vanghetti (8 ottobre 1861 - 4 maggio 1940). Mostra documentaria, Empoli, Comune, 1990. Francesca Vannozzi, "I 'ferri del mestiere' di Vanghetti: possibilità di una indagine storica", in Giuliano Vanghetti: nascita, sviluppi e tendenze della chirurgia protesica dei mutilati (atti del convegno di studio, Empoli, 26 ottobre 1991), Empoli, 1991. Antonia Francesca Franchini, "Empoli per Giuliano Vanghetti: l'importante convegno di studio sulla nascita, sviluppi e tendenze della chirurgia protesica dei mutilati", in Oris medicina, n. 7, 1991, pp. 36–38. Nunzio Spina, "Giuliano Vanghetti e le mutilazioni degli ascari: quando compassione e sensibilità scatenarono l'ingegno", in GIOT Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia[collegamento interrotto], n. 5, 2009, pp. 170–178. Peppino Tropea, Alberto Mazzoni, Silvestro Micera, Massimo Corbo, Giuliano Vanghetti and the innovation of “cineplastic operations”, in Neurology, vol. 89, nº 15, 10 ottobre 2017, pp. 1627–1632, DOI:10.1212/WNL.0000000000004488 Collegamenti esterni Vanghétti, Giuliano, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Portale Biografie   Portale Linguistica   Portale Medicina Categorie: Medici italianiMedici del XIX secoloMedici del XX secoloItaliani del XIX secoloItaliani del XX secoloNati nel 1861Morti nel 1940Nati l'8 ottobreMorti il 4 maggioNati a Greve in ChiantiMorti a Empoli[altre] Il Latino sine flexione di PEANO (si veda) ed altri, cioè l'Inter-Latino, o latino  internazionale, è già in uso vantaggiosamente in altre discipline, anche  in forma ufficiale (v. per es. le circolari dell'osservatorio di Cracovia).  Il soggetto è trattato in modo conciso, ma completo, dallo stesso O.  sulla Riforma Medica, in latino internazionale perfettamente  intelligibile a prima lettura da ogni persona colta di qualunque paese  anche se conosce bene solo l'inglese od una lingua neo-latina  più specialmente ad un medico, ed a chi ha studiato il latino. Lo scrivere in latino internazionale costa poca fatica, senza necessità  di studiare una grammatica e senza possibilità d’errori. Del resto esi stono già dizionari appositi (BASSO (si veda), PEANO (si veda), CANESI (si veda), Pinth) che lascian  solo da applicare s al plurale o poco più.  L'Esperanto richiede studio di grammatica e di vocabolario. Questo  ultimo è in via di esser LATINIZZATO per più facile comprensione. Ma la  grammatica, per quanto ridotta rispetto alle lingue naturali, è sempre un  po'complicata rispetto all'inter-latino che non ne ha affatto per il lettore,  e quasi nessuna per lo scrittore, e ad ogni modo non è obbligatoria. Anche astrazion fatta da ragioni politiche *contro* l'esperanto, non  è ammissibile l'obbligatorietà dello studio di esso nelle pubbliche scuole, come neppure quello di alcun altra delle lingue artificiali, nessuna delle quali è ancora perfettissima. La Società delle Nazioni, respinse alla quasi unanimità detta pretesa; e pur rimandando la questione generale  allo studio dell’Intesa Intellettuale, mostra propensione alla base inter-latina. Intanto, oltre che a scopo di corrispondenza scientifica praticamente già constatata facile e vantaggiosa, è nell'interesse della scienza italiana della sua lingua spesso ignorata e spogliata per scarsa diffusione  anche in quanto riguarda l'ortopedia, che gl’articoli  originali dei nostri periodici scientifici portassero un sommario in latino  internazionale. La società internazionale per lo studio del problema è attualmente in Italia, e presieduta da PEANO, via Barbaroux, Torino, insegnante di calcolo in quella R. U. Giuliano Vanghetti. Vanghetti. Keywords: Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vanghetti,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vanini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – la scuola di Taurisano – filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Taurisano). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taurisano, Lecce, Puglia. Essential Italian philosopher. “If you speak Italian, you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce al casale di Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce sposando una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia appaltatrice delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'srchivio segreto vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da SARPI che, con l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po' magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni disciplinari, al provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine carmelitano, SILVIO, ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello genovese GENOCCHI. Nel viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni svizzeri e discendono il corso del Reno sino alla costa del mare del nord, attraversando la Germania, i paesi bassi, il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth -- sede arcivescovile del Primato d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi II anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, ABBOT, li conosceva sotto un nome diverso da quello reale. Nella chiesa londinese detta dei MERCIAI o degl’italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, V. e il suo compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica, abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è il nunzio a Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici, è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia, arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al cardinale BORGHESE a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI, e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già operante nella repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del vescovo italiano. La segreteria di stato vaticana esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura alla segreteria di stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto del papa e della congregazione del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione dell'inquisizione romana. Un'altra lettera del cardinale BORGHESE invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al cardinale BORGHESE notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla chiesa di Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il processo contro V.. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro nel cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due frati.  Tra la fine dele l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e poi ad OXFORD (cf. H. P. GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa nella chiesa degli Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati il re e le massime autorità dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono con grande calore.  GENOCCHI, eludendo la sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e dall'Inghilterra. In conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso nella carzel publica, ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia di Westminster. Dilaga lo scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO, e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo.  A Londra viene intanto istruito il processo a V. Il frate rischia una severa punizione, non il rogo come i martiri della fede -- come il carmelitano scrive con enfasi poi nelle sue opera --, ma una lunga deportazione in desolate colonie lontane, come l'arcivescovo ABBOT suggerisce al re.  Anche V. riesce a evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità romane e del cappellano dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di questi.  II anni dopo, durante il processo della repubblica veneta contro l'ambasciatore FOSCARINI per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di sottoporre ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce anche dettagli sulla complicità della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano a Bruxelles e si presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso, ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni, alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca nello stesso periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato dall'Inghilterra, MARCHETTI. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede del nunzio UBALDINI, V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa del rifiuto di parte del clero gallicano. Per orientare gl’animi nella direzione voluta dalla santa sede, scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la sincerità del suo ritorno nella fede cattolica.  Riprende quindi la strada per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali del processo presso il tribunale dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a Genova, dove ritrova l'amico GENOCCHI e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai figli di DORIA. Nonostante le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo. GENOCCHI viene inaspettatamente arrestato dall'inquisitore di Genova. A Ferrara accade lo stesso all'altro frate "recuperato", MARCHETTI. V. teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse V. esagera il pericolo insito in queste operazioni di polizia dell'inquisizione. A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in un dispaccio di UBALDINI alle autorità romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore spagnolo presso la santa sede, già collegato con la famiglia V., da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione della concessione del perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, V. ritorna a Parigi e si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al cardinale BORGHESE, chiedendo chiare indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del segretario di stato. V., comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese. V. completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis” ed l'affida a due filosofi della Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia. Il saggio è pubblicato in settembre a Parigi. Esso è dedicato a BASSOMPIERRE, uomo potente alla corte di Maria de' MEDICI, ma è stampata da Perier, tipografo notoriamente PROTESTANTE. Il saggio vede la luce in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono guardate con sospetto e che provocano pesanti condanne. L'opera del V. ottiene un immediato successo presso certi ambienti della nobiltà, popolati di spiriti che guardano con interesse alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo senso il “De Admirandis” costituisce una summa, esposta in modo vivace e brillante, del nuovo sapere. Dà una risposta alle esigenze del momento di questo settore della nobiltà. Diviene una specie di manifesto culturale di questi esprits forts e rappresenta per V. una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la pubblicazione del saggio, i due teologi della Sorbona che espressano la loro approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della facoltà di teologia in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi scritti da V. Di non avervi trovato allora niente che contrastasse con il cattolicismo; di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circola invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente alcuni errori contro la comune fede di tutti, per cui i due dottori avanzano la supplica che il saggio non circoli più con la loro approvazione e che tale richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni della facoltà stessa. La Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un DIVIETO di circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non occuparsi più del saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne, come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, RUDÈLE, a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre anche la congregazione dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De admirandis” e condannato con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla quale il SOTOMAIOR colloca V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La collectio judiciorum de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, in Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ, dottore della Sorbona e vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni espresse dalla facoltà che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di KHUNRATH e la “De Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece provvedimenti contro V..  Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali specifici di persecuzione contro V. da parte delle autorità parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti. Ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori. Una condanna del saggio di V. non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da V. non costituivano una novità.  Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra, impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon, è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC. Ma intervengono anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI, favorito di Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio, seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio, di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo.  Dopo averlo ricercato per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno esplicitamente il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto V., l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di alcuni settori cattolici parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET, che, con la quinta Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. RUDELE, teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY e di averle trovate contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza, La Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ divino-magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni, che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora, Protagora, CICERONE (vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi), l’orto, Aristotele, Averroè, CARDANO, i peripatetici dei LIZIO, il PORTICO, ecc., su questo argomento. “De Admirandis Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il saggio si divide in IV libri:  un Liber I de Cœlo et Aëre; un Liber II de Aqua et Terra; un Liber III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un Liber IV de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri; sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia; sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta; sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo; sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva; sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista; sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille; sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione naturalistica dei fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V. magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a CARDANO, a BORDONI e ad altri cinquecentisti.  Dio agisce sugli esseri sub-lunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo, quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti, interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe, come insegna già MACHIAVELLI, il principe degli atei per il quale tutte le cose religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo ancora POMPONAZZI e PORZIO nella loro interpretazione dei testi aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima. Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente a BRUNO, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO, elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico. Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi, afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e lo storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse, ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche, biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne, nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo (il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia, sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In “De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione. E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V. ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana, cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V., analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas qu'elle mérite fort d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne -- Epist. ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al passare del tempo, si espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT che V.entra nella filosofia inglese ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo. Un manoscritto inedito della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle Observations sur Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot, il quale la trasferisce poi nella biblioteca ducale del duca di Württemberg. Attualmente essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo “The life of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di V. e del suo pensiero è ormai aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris, De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae, Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti, Milano (Galatina,); “Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna Vasta, Catania, De Martinis et C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini, Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia per il "compleanno" di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a Venezia, Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina,  Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini, “Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto” Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola, “Documenti per una lettura di V., in «Bruniana et Campanelliana», Raimondi, Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, “La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano, Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.” in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le Theophrastus redivivus et V., in «Kairos»,  Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino, "V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip. Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine, articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V., in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi. Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani, V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni dai loro superiori. London Public Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V. manda a Carleton informazioni riguardanti alla sua ricezione a Lambeth e la buona stima di cui gode lì. London Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull. Londra. Albery, un mercante inglese e corrispondente di Trumbull, agente inglese a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di V. e le sue esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una copia della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton. Londra London Public Record OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth  London Public Record OfficeState Papers Carleton a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton. Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report Hastings,  Notes of speeches and proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings, Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di Stato a Gregorio Barbarigo,  London Calendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, Venetian Archives. Examinations for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni. Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot. LondonForeign State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers Domestic. James I.  7 Chamberlain a Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I.  Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic. James I.  Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Biondi a Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot.  London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth. London State Papers Domestic. James I.   Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers Domestic. James I.  Abbot  a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice.  Carleton a Abbot. Archivio de Simancas, Estado,  Cardinale Millino a Alonso de Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Millino a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de Simancas, Estado,  Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e lettori in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi), Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente della vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo cattolico.  RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di Francia,  Ubaldini, Nunzio papale in Francia, al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Fiandra,   il Nuntio alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese. (Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,  293A, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Ubaldini a Borghese Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Registro di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  lettere scritte al Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a  Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card. Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  Lettere del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini. Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,” Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza, “Il medaglione di Vanini a Roma.” Vanini.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vanni: la ragione conversazionale dell’azione e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione conversazionale – la scuola di Città della Pieve – filosofia perugin – filosofia umbra -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Città della Pieve). Filosofo perugino. Filosofo umbro. Filosofo italiano. Città della Pieve, Perugia, Umria. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Inizia la carriera a Perugia e successivamente insegna a Parma, Bologna, e Roma.  Tra i fondatori del positivismo soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo. A lui si deve anche una originale lettura positivista della dottrina storicistica di VICO. Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole distinguere cioè tra la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando l'assimilazione positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia, dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la quale V. ha un interesse particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico differenziandola però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia, come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’ (métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona); “La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna); “Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo, La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana (Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu, La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere u open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere. I. Vanni. Vanni. Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo, positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vanni.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vannini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del mistico – scuola di mistica -- di ‘Vitters’ – la scuola di Sa Piero a Sieve – la scuola di Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Piero a Sieve). Filosofo Fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. San Piero a Sieve, Firenze, Toscana.  Essential Italian philosopher. “Never to be confused with the vain Vanini!” -- Grice. Dopo gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze, si laurea in filosofia a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto nel convento agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia nei licei. Per un triennio storia della filosofia a Firenze e storia della mistica all'Istituto di scienze religiose a Trento.  Ha tenuto seminari e conferenze in università ed accademie italiane e straniere: Genova, Trento, Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo, Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart, nonché quelle di altri autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon, Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel, ecc. Lungo un percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e curatore di importanti testi della mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in maniera innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose. Per V., la mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in senso mistico della religione cristiana.  La filosofia di V. si basa su una esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza, una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La “salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno, libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI, CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO, VATTIMO, e VOLPI.  La particolare rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro “la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V.. Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart. MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia, fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e filosofia in V.” Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart. Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus, Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI -- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia); “La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); Tesi per una riforma religiosa (Lettere, Firenze); La religione della ragione” (Mondadori, Milano); “Sulla grazia” (Lettere, Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la religione come verità e come menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le parole della saggezza” (Le Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica fascista’; “Il santo spirito fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre il cristianesimo: da Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria: la storia vera della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine sulla vita eterna” (Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e testi” (Lettere, Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano); “All'ultimo papa: lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore, Milano); “VIO contro Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il muro del paradisoL dialoghi sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica, psicologia, teologia” (Lettere, Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze. Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su Materialismo Storico   Bio-  Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Mucci, Il pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il misticismo vive in tutte le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su corriere. Torno, Alla ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere della Sera», Cultura, Forte, Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin, Mistica e filosofia in V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano Mistica renana Meister Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the mystic, das mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  

 

Luigi Speranza -- Grice e Vario: la ragione conversazionale della filosofia della vita a Roma – Philosophy of Life -- filosofia italiana – by Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi). His tutor was SIRO (vedi). Lucio Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza -- Grice e Varisco: la ragione conversazionale, o l’implicatura conversazionale del sommario di criticismo – la scuola di Chiari – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chiari). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Chiari, Brescia, Lombardia. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “We all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular mystique is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi del positivismo.  Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante componente fideistica di ogni affermazione di verità.  Questo ricorso alla fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani).  Altre saggi: “Scienza ed opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti); “Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords: know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Varisco.

 

Luigi Speranza -- Grice e Varrone: LINGUISTICA FILOSOFICA -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica filosofica – la scuola di Rieti – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rieti). Filosofo lazio. Filosofo italiano. Rieti, Lazio. Grice: “I count Varrone as the first language philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking ‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’ has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as in “Lazio,  -- the calcio team from Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” – Grice: “The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this Austin always reminded me: ‘We should be like Varro, analysing our tongue as a ‘fluid’ semiotic system!’”. Academic, Roman polymath, author of essays on language, agriculture, history and  philosophy, as well as satires, and principal conversationalist in CICERONE’s "Academica.” Questore della repubblica romana. Gens: Terentia. Questura in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani -- CICERONE, Academica Posteriora. Detto reatino, attributo che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO (vedi) lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la lingua italiana con Lucio ACCIO (vedi), a cui dedica “De antiquitate litterarum.” Come molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri filosofi del tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente accostandosi agl’optimates, forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum – trium-viro capitale, questore, e legato -- e vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi di grande importanza. Legato e pro-questore, combatte nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un’incerta difesa del suo territorio che si concluse in una resa che GIULIO (vedi) CESARE (vedi), nei Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO CESARE, che apprezza il reatino soprattutto sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca. Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e inserito nelle liste di proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati più alle sue ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie all'intervento di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui dedica il “De vita populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO CESARE. Ha una produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta opere. Saggi: “De re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta produzione è suddivisa da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver scritto 490 saggi.  I suoi saggi  possono essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i filosofi successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta (dette "pseudo-varroniane”);  le restanti, spurie.  Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua di AGOSTINO nel “De civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione di V. sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni, pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri, composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica -- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente. Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide” contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone, De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V. logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga, calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e, davvero di rado, una tinozza".  Horsfall, V., in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro, Le Menippee di V.: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira varroniana, cfr. Alfonsi, Le Menippee di V., in "ANRW". Atti del Congresso di studi varroniani. Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli, “Varroniana” Istituti e terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano, Giuffrè); Dahlmann, “V. e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V., il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi Romani”. Fonti, esegesi, edizione critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo” (Roma Istituto di studi romani); Traglia, Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA), Zucchelli, “V. logistoricus: prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e letteratura latina, Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt: cum fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis, excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in aedibus Teubneri. “M. Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. Riese, Lipsiae, in aedibus Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different world. One rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified civilisation around the Mediterranean area, but the respective roles of the Italotes and the Romns are dissimilar, if complementary. Without the other, the contribution of either would have been less significant and less productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is, achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the world during which the condition of the human race is most happy and prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically, this is reflected in the different languages of the eastern and the western provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had been made with a recognised civilization, Latin  -- which subsists in Italian – becomes he language of administration, business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires, with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks) excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek --  must have been a concern for all manner of persons both in private households and in organized schools. Translations are numerous. Greek literature is systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed during the classical period and after in metres learned from the Greek poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It is surprising that we know so little of the details of all this linguistic activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In linguistic science, the Roman experience is no exception to the general condition of their relations with Greek intellectual work. Roman linguistics is largely the application of Greek philosophy, Greek controversies, and Greek categories to the Latin language. The relatively similar basic structures of the two languages, together with the unity of civilization achieved in the Greco-Roman world, facilitate this meta-linguistic transfer. The introduction of linguistic studies into Rome is credited to one of those picturesque anecdotes that lighten the historian's narrative. CRATES, a philosopher of the Porch and grammarian, comes to Rome on a political delegation, and while sightseeing, falls on an open drain and is detained in bed with a broken leg. CRATES passes the time while recovering in giving lectures on literary themes to an appreciative audience. It is probable that Crates as a philosopher of the PORCH introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman antiquities. The number of his writings is celebrated by his contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers, though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies, into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and second.V. envisages language developing from an original set of primal words, imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These changes take place in the course of years. An earlier forms, such as "duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”, once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,” from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious. Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of historical loans at various periods once the two communities made indirect and then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some extent be reconstructed by the methods of comparative and historical linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much more informative and perceptive than his attempts at historical etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and "eques" -- stem "equit-" – may be associated with and descriptively referred back to "equus". But that no further explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’ is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms in languages other than Latin. In the field of word form variations from a single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the word formations of a language and in the meanings associated with them. In discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in culturally important areas than in others. Thus "equus" and "equa" have separate forms for the male and female animal, because the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not, because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of "columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since "columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form "columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’, because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to person and from one word root to another. From "ovis" and "sus" are formed "ovile" and "suile.” But "bovile" is *not* acceptable to V. from "bos" -- although rustic CATONE is said to have used the form as opposed to the more standard "bubile.” The facultative and less ordered state of this part of morphology, which gives a language much of its flexibility, is distinguished by V. in what he dubs ‘declinatio VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original in his proposed morphological classification of Latin words. His use in this of the morphological categories shows how V. understands and makes use of Greek sources without deliberately copying their conclusions. V. recognises, as the Greeks do, case and tense as the primary distinguishing categories of inflected words, and sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally contrasting classes. Those with case inflexion. Those with tense inflexion. Those with case and tense inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective). Verbs. Participle. Adverb. These IV classes are further categorised as a forms which, respectively, names, makes a statement, joins (i.e. shared in the syntax of nouns and verbs), and supports (constructed with verbs as their subordinate members). In the passages dealing with these IV classes, the adverbial examples are all morphologically derived forms -- like "docte" and "lecte". V.’s definition would apply equally well to the un-derived and mono-morphemic adverbs of Latin -- like "mox" and "eras". But these are referred to elsewhere among the uninflected, invariable or 'barren,’ sterile, words. A full classification of the invariable words of Latin would require the distinction of syntactically defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later Latin grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear that what was of prime interest to V. is the range of grammatically different words that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB – CLASS II), "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" – PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division, incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present future Aspect incomplete DISCIBAM  I was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR  I shall be loved loved loved complete AMTITUS  I had AMTITUS I have AMIITUS I shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive* place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both* completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably the most independent and original philosopher on linguistic topics among the Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter, the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’ appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the classification of Latin words have been noticed. But the word class system that is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist in  Latin. The definite article of Italian develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and ‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’, instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN regards the separate status of the interjection as common practice among Latin scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a Spaniard, not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on education, and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions, he dealt briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts --, regarding it as a propaedeutic to the full and proper appreciation of literature in a liberal education, in terms very similar to those used by Thrax at the beginning of the Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses the analysis of the Latin case system, a topic always prominent in the minds of Latin scholars who knew Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO suggests isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii" -- as case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate ‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit, and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by reference to one of their meanings – DATIVUS,  'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning, or more generally, their meanings, and their syntactic functions being associated with a morphologically distinct form in at least some of the members of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant – or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and categories, in their application to the Latin language. But Latin linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are the best known. Though they differ on several points of detail, on the whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system of grammatical description. For the most part, Roman philosophical grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’ ‘PRO-NOMEN’ ‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO,  a voluminous scholar, who states that every feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the personal pronouns in one class, so that the absence of a word form corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the 'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted grammatical description of the language is brought to completion and handed on to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the imperial peace in the third century, and the final shattering of the western provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of the empire. Historically these centuries witness two events of permanent significance in the life of the civilized world. In the first place, Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots, spread and extended its influence through the length and breadth of the empire, until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of the period shows the struggle between the old declining pagan standards of classical antiquity and the rising generations of Christian apologists, philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the Eastern Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the break-up of the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman Church, while Christianity in the east gradually evolved in other directions to become the Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on from the so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual exhaustion of older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save only in the rising Christian communities, scholarship is backward-looking, taking the form of erudition devoted to the acknowledged standards of the past. This is an era of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin grammarians, whose oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars, like them directed their attention to the language of classical literature, for the study of which grammar serves as the introduction and foundation. The changes taking place in the spoken and the non-literary written Latin around them arise VERY little interest – ‘the plebs use it!’ --; their works are liberally exemplified with texts, all drawn from the prose and verse writers of classical Latin and their ante-classical predecessors Plautus and Terence. How different accepted written Latin is becoming may be seen by comparing the grammar and style of GIROLAMO's fourth translation of the Bible (the Vulgate), wherein several grammatical features of the Romance languages are anticipated, with the Latin preserved and described by the grammarians, one of whom, DONATO, second only to PRISCIANO in reputation, was in fact GIROLAMO’s teacher – and learned from him that God could be allowed a solecism or two! The nature and the achievement of the Latin philosophical grammarians can best be appreciated through a consideration of the work of their greatest representative, PRISCIANO, who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though PRISCIANO draws much from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to transfer as far as he could the grammatical system of Thrax's Techne and of Apollonius's writings to Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic scholarship and his dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in particular, 'the greatest authorities on grammar', are made clear in his introductory paragraphs and throughout his grammar. PRISCIANO works systematically through his subject, the description of the language of classical Latin literature. Pronunciation and syllable structure are covered by a description of the “littera’, defined as the smallest part of articulate speech, of which the properties are “nomen”, the name of the letter, “figura”, its written shape, and “potestas,” its phonetic value. All this had already been set out for Greek, and the phonetic descriptions of the letters as pronounced segments and of the syllable structures carry little of linguistic interest except for their partial evidence of the pronunciation of the Latin language. From phonetics PRISCIANO passes to morphology, defining the “dictio” and the “oratio” in the same terms that Thrax uses, as the minimum unit of sentence structure and the expression of a complete thought, respectively. As with the rest of western antiquity, PRISCIANO’s grammatical model is word and paradigm, and he expressly denies any linguistic significance to a division, in what would now be called morphemic analysis, *below* the word. On one of his rare entries into this field, PRISCIANO misrepresents the morphemic composition of words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus” -- by identifying it with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“, negative, and “in-”, the prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”, which may negate or strengthen the stem that follows (two words with two meanings, not a polysemous expression). After a review of earlier theories of Greek linguists, PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes laid down by Thrax and Apollonius, with the omission of the article but the separate recognition of the interjection. Each class of words is defined, and described by reference to its relevant formal category and “accidentia,” whence the later accidence for the morphology of a language, and all are copiously illustrated with examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII books, the last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY) to readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first, second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of lexical restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a PRONOMEN. The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM, to which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO is to be used as a separate word before case inflected words and in composition before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax, identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO. INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to join syntactically two or more members of any other word class, indicating a relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one notices that in the context in which he is writing and in the form in which he casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne. It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory of the establishment of categories and of the use of semantic labels to identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET --  such a definition would require considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic functions associated with each single set of morphologically identified case forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist -- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the recognition of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely, PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim” -- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first person termination in -im. This seems all the more surprising because the corresponding forms in Greek --  “tetypsomai” -- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism. A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood (independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account. They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology. Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance (“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive), passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs, passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis” -- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative absolute construction, though the actual name of this construction is a later invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui, quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs from all other words, in that these latter were generally used only in syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of word being able by themselves to constitute complete sentences of the favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history. But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO. In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s “Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been identified as one of the main defences of the classical heritage in the darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin, Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP, The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical scholarship, Cambridge, STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire (ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3: Tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes), pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The interpreters of foreign languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING, FUNAIOLI, Grammaticorum Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars grammatica scientia est eorum quae a poetis historicis oratoribusque dicuntur ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus, Ars grammaticae I (KEIL, Grammatici, Leipzig). On Varro's linguistic theory in relation to modern linguistics, cp. D. LANGENDOEN, 'A note on the linguistic "theory of V.', Foundations of language 2, SUETONIUS, Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae  PRISCIANO, Institutio de nomine pronomine et verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS, Instituta artium (H. KEIL, Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER, Anecdota Graeca, Berlin, APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as pronoun,- PROBUS, Instituta (KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER, Anecdota Graeca, CHARISIUS, Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile habent, significant tamen adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their works are published in KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris numerorum  PRISCIAN De differentiis et societatibus Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis grammaticae maximi auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima orationis constructae; Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans. Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars orationis, quae unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam qualitatem distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate; Verbum est pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel patiendi significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus habet, quibus caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos habet, quos continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba accipitur, ex quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad similitudinem nominis et accidentia verba absque discretione personarum et modorum. The problems arising from the peculiar position of the participle among the word classes, under the classification system prevailing in antiquity, are discussed there. Proprium est pronominis pro ali quo nomine proprio poni et certas significare personas; Pronomen est pars orationis, quae pro nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque finitas recipit. Substantiam significat sine aliqua certa qualitate. Proprium est adverbii cum verbo poni nee s·ine eo perfectam significationem posse habere; Adverbium est pars orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis adicitur. Praepositionis proprium est separatim quidem per appositionem casualibus praeponi coniun~tim vero per compositionem tam cum hahentibus casus quam cum non habentibus; Est praepositio pars orationis indeclinabilis, quae praeponitur aliis partibus vel appositione vel compositione. 48. IS-7·40: Videtur affectum habere in se Yerbi et plenam motus animi significationem, etiamsi non addatur verbum, demonstrare. Proprium est coniunctionis diversa nomina vel quascumque dictiones casuales vel diversa verba vel adverbia coniungere; Coniunctio est pars orationis indeclinabilis, coniunctiva aliarum partium orationis, quibus consignificat, vim vel ordinationem demons trans. so. cp. MATTHEWS, 'The inflectional component of a word-and-paradigm grammar', :Journal of linguistics HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta ferum victorem cepit et artes Intulit agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et le debut du moyen age, Paris.  Marco Terenzio Varrone. He led an active and sometimes risky political life. Although he backed the wrong side in the civil war, he survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was influenced by Antioco d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have since been lost. Amongst them was an extended series of fictional philosophical dialgoues, the Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of toipics, illustrating the arguments with examples from history. Tertulliano calls him the Roman Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is highly unlikely that he was a Cinargo. Better attested is his interest in Pythagoreanism, whose cult he followed to the letter.   THE LOEB CLASSICAL LIBRARY   FOUXDED BY JAMES LOEB, LL.D.   EDITED BY  t T. E. PAGE, C.H., UTT.D.   E. CAPPS, ph.d., ll.d. W. H. D. ROUSE, utt.d.     VAERO   ON THE LATIN LANGUAGE  I     VARRO   ON THE LATIN LANGUAGE   WITH AN ENGLISH TRANSLATION BY   ROLAND G. KENT, Ph.D.   PROFESSOR OF COMPARATIVE PHILOLOGY IN THE  UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA   IN TWO VOLUMES  I   BOOKS V.- VII.      LONDON   WILLIAM HEINEM ANN LTD   CAMBRIDGE, MASSACHUSETTS   HARVARD UNIVERSITY PRESS   MCMXXXVIII     Printed in Great Britain     CONTENTS     Introduction* page   Varro's Life and Works vii   Varro's Grammatical Works . . . viii   Varro's De Lingua Latina ix   The Manuscripts of the De Lingua Latina . xii   The Laurentian Manuscript F . xv   The Orthography of the De Lingua Latina . xvii   The Editions of the De Lingua Latina . xxvii   Bibliography ..... .xxxiii   Our Text of the De Lingua Latina xliii  The Critical Apparatus .... xliv   The Translation of the De Lingua Latina . xlv   The Notes to the Translation . ., xlvi   Symbols and Abbreviations  . . . xlix   De Lingua Latina, Teat and Translation   Book V 2   Book VI. 172   Book VII 266     v     INTRODUCTION     VARRO'S LIFE AND WORKS   Marcus Terextius Varro was born in 116 B.C.,  probably at Reate in the Sabine country, where his  family, which was of equestrian rank, possessed large  estates. He was a student under L. Aelius Stilo  Praeconinus, a scholar of the equestrian order, widely  versed in Greek and Latin literature and especially  interested in the history and antiquities of the Roman  people. He studied philosophy at Athens, with Anti-  ochus of Ascalon. With his tastes thus formed for  scholarship, he none the less took part in public life,  and was in the campaign against the rebel Sertorius  in Spain, in 76. He was an officer with Pompey in the  war with the Cilician pirates in 67, and presumably  also in Pompey 's campaign against Mithradates. In  the Civil War he was on Pompey 's side, first in Spain  and then in Epirus and Thessaly.   He was pardoned by Caesar, and lived quietly at  Rome, being appointed librarian of the great collec-  tion of Greek and Latin books which Caesar planned  to make. After Caesar's assassination, he was pro-  scribed by Antony, and his villa at Casinum, with  his personal library, was destroyed. But he himself  escaped death by the devotion of friends, who con-  cealed him, and he secured the protection of Octavian.   vii     INTRODUCTION     He lived the remainder of his life in peace and quiet,  devoted to his -writings, and died in 27 B.C., in his  eighty-ninth year.   Throughout his life he wrote assiduously. His  works number seventy-four, amounting to about six  hundred and twenty books ; they cover virtually all  fields of human thought : agriculture, grammar, the  history and antiquities of Rome, geography, law,  rhetoric, philosophy, mathematics and astronomy,  education, the history of literature and the drama,  satires, poems, orations, letters.   Of all these only one, his De Re Rustica or Treatise  on Agriculture, in three books, has reached us complete.  His De Lingua Latina or On the Latin Language, in  twenty-five books, has come down to us as a torso.;  only Books V. to X. are extant, and there are serious  gaps in these. The other works are represented by  scattered fragments only.     VARRO'S GRAMMATICAL WORKS   The grammatical works of Varro, so far as we know  them, were the following :   De Lingua Latina, in twenty-five books, a fuller  account of which is given below.   De Antiquitate Litterarum, in two books, addressed  to the tragic poet L. Accius, who died about 86 b.c. ;  it was therefore one of Varro 's earliest writings.   De Origine Linguae Latinae, in three books, ad-  dressed to Pompey.   Ylzpl XapaKTrjpuv, in at least three books, on the  formation of words.   Quaestiones Plautinae, in five books, containing  viii     INTRODUCTION     interpretations of rare words found in the comedies  of Plautus.   De Similitudine Verborum, in three books, on re-  gularity in forms and words.   De Utilitate Sermonis, in at least four books, in  which he dealt with the principle of anomaly or  irregularity.   De Sermone Latino, in five books or more, addressed  to Marcellus, which treats of orthography and the  metres of poetry.   DiscipUnae, an encyclopaedia on the liberal arts,  in nine books, of which the first dealt with Grammatica.   The extant fragments of these works, apart from  those of the De Lingua Latina, may be found in the  Goetz and Schoell edition of the De Lingua Latina,  pages 199-242 ; in the collection of Wilmanns, pages  170-223 ; and in that of Funaioli, pages 179-371 (see  the Bibliography).     VARRO'S DE LINGUA LATINA   Varro's treatise On the Latin Language was a work  in twenty-five books, composed in 47 to 45 B.C., and  published before the death of Cicero in 43.   The first book was an introduction, containing at  the outset a dedication of the entire work to Cicero.  The remainder seems to have been divided into four  sections of six books each, each section being by its  subject matter further divisible into two halves of  three books each.   Books II.-VII. dealt with the impositio vocabulorum,  or how words were originated and applied to things   ix     INTRODUCTION     and ideas. Of this portion, Books II. -IV. were prob-  ably an earlier smaller work entitled De Etymologia  or the like ; it was separately dedicated to one  Septumius or Septimius, who had at some time,  which we cannot now identify, served Varro as  quaestor. Book II. presented the arguments which  were advanced against Etymology as a branch of  learning ; Book III. presented those in its favour as a  branch of learning, and useful ; Book IV. discussed  its nature.   Books V.- VI I. start with a new dedication to Cicero.  They treat of the origin of words, the sources from  which they come, and the manner in which new words  develop. Book V. is devoted to words which are the  names of places, and to the objects which are in the  places under discussion ; VI. treats words denoting  time-ideas, and those which contain some time-idea,  notably verbs ; VII. explains rare and difficult words  which are met in the writings of the poets.   Books VIII.-XIII. dealt with derivation of words  from other words, including stem-derivation, de-  clension of nouns, and conjugation of verbs. The first  three treated especially the conflict between the  principle of Anomaly, or Irregularity, based on con-  suetude* ' popular usage,' and that of Analogy, or  Regularity of a proportional character, based on ratio  ' relation ' of form to form. VIII. gives the arguments  against the existence of Analogy, IX. those in favour  of its existence, X. Varro 's own solution of the con-  flicting views, with his decision in favour of its exi-  stence. XI.-XIII. discussed Analogy in derivation, in  the wide sense given above : probably XI. dealt with  nouns of place and associated terms, XII. with time-  ideas, notably verbs, XIII. with poetic words,  x     INTRODUCTION     Books XIV.-XIX. treated of syntax. Books XX.-  XXV. seem to have continued the same theme,  but probably with special attention to stylistic and  rhetorical embellishments.   Of these twenty-five books, we have to-day, apart  from a few brief fragments, only Books V. to X., and  in these there are several extensive gaps where the  manuscript tradition fails.   The fragments of the De Lingua Latina, that is,  those quotations or paraphrases in other authors which  do not correspond to the extant text of Books V.-X.,  are not numerous nor long. The most considerable  of them are passages in the Nodes Atticae of Aulus  Gellius ii. 25 and xvi. 8. They may be found in the  edition of Goetz and Schoell, pages 3, 146, 192-198,  and in the Collections of Wilmanns and Funaioli (see  the Bibliography).   It is hardly possible to discuss here even summarily  Varro's linguistic theories, the sources upon which he  drew, and his degree of independence of thought and  procedure. He owed much to his teacher Aelius  Stilo, to whom he refers frequently, and he draws  heavily upon Greek predecessors, of course, but his  practice has much to commend it : he followed neither  the Anomalists nor the Analogists to the extreme of  their theories, and he preferred to derive Latin words  from Latin sources, rather than to refer practically  all to Greek origins. On such topics reference may  be made to the works of Barwick, Kowalski, Dam,  Dahlmann, Kriegshammer, and Frederik Muller, and  to the articles of Wolfflin in the eighth volume of the  Archiv fur lateinische Lexikographie, all listed in our  Bibliography.     INTRODUCTION     THE MANUSCRIPTS OF THE  DE LINGUA LATIN A   The text of the extant books of the De Lingua  Latina is believed by most scholars to rest on the  manuscript here first listed, from which (except for our  No. 4) all other known manuscripts have been copied,  directly or indirectly.   1. Codex Laurentianus li. 10, folios 2 to 34, parch-  ment, written in Langobardic characters in the  eleventh century, and now in the Laurentian Library  at Florence. It is known as F.   F was examined by Petrus Victorius and Iacobus  Diacetius in 1521 (see the next paragraph) ; by  Hieronymus Lagomarsini in 1740 ; by Heinrich Keil  in 1851 ; by Adolf Groth in 1877 ; by Georg Schoell  in 1906. Little doubt can remain as to its actual  readings.   2. In 1521, Petrus Victorius and Iacobus Diacetius  collated F with a copy of the editio princeps of the  De Lingua Latina, in which they entered the differences  which they observed. Their copy is preserved in  Munich, and despite demonstrable errors in other  portions, it has the value of a manuscript for v. 119 to  vi. 61, where a quaternion has since their time been  lost in F. For this portion, their recorded readings  are known as Fv ; and the readings of the editio  princeps, where they have recorded no variation, are  known as (Fv).   3. The Fragmentum Cassinense (called also Excerptum  and Epitome), one folio of Codex Cassinensis 361,  parchment, containing v. 41 Capitolium dictum to the  end of v. 56 ; of the eleventh century. It was  xii     INTRODUCTION     probably copied direct from F soon after F was  written, but may possibly have been copied from the  archetype of F. It is still at Monte Cassino, and was  transcribed by Keil in 1848. It was published in  facsimile as an appendix to Sexti Iulii Frontini de  aquaeductu Urbis Romae, a phototyped reproduction  of the entire manuscript, Monte Cassino, 1930.   4. The grammarian Priscian, who flourished about  a.d. 500, transcribed into his De Figuris Numerorum  Yarro's passage on coined money, beginning with  multa, last word of v. 168, and ending with Nummi  denarii decuma libella, at the beginning of v. 174.  The passage is given in H. Keil's Grammatici Latini  iii. 410-411. There are many manuscripts, the oldest  and most important being Codex Parisinus 7496, of  the ninth century.   5. Codex Laurentianus li. 5, written at Florence in  1427, where it still remains ; it was examined by Keil.  It is known as^*.   6. Codex Havniensis, of the fifteenth century; on  paper, small quarto, 108 folia ; now at Copenhagen.  It was examined by B. G. Niebuhr for Koeler, and his  records came into the hands of L. Spengel. It is  known as H.   7. Codex Gothanus, parchment, of the sixteenth  century, now at Gotha ; it was examined by Regel for  K. O. Mueller, who published its important variants  in his edition, pages 270-298. It is known as G.   8. Codex Parisinus 7489, paper, of the fifteenth  century, now at Paris ; this and the next two were  examined by Donndorf for L. Spengel, who gives  their different readings in his edition, pages 661-718.  It is known as a.   9- Codex Parisinus 6142, paper, of the fifteenth   xiii     INTRODUCTION     century ; it goes only to viii. 7 declinarentur. It is  known as b,   10. Codex Parisinus 7535, paper, of the sixteenth  century ; it contains only v. 1-122, ending with dictae.  It is known as c.   11. Codex Vindobonensis lxiii., of the fifteenth  century, at Vienna ; it was examined by L. Spengel  in 1835, and its important variants are recorded in  the apparatus of A. Spengel's edition. It is known  as V.   12. Codex Basiliensis F iv. 13, at Basel; examined  by L. Spengel in 1838. It is known as p.   13. Codex Guelferbytanus 896, of the sixteenth cen-  tury, at Wolfenbiittel ; examined by Schneidewin for  K. O. Mueller, and afterwards by L. Spengel. It is  known as M.   14. Codex B, probably of the fifteenth century, now  not identifiable ; its variants were noted by Petrus  Victorius in a copy of the Editio Gryphiana, and  either it or a very similar manuscript was used  by Antonius Augustinus in preparing the so-called  Editio Vulgata.   These are the manuscripts to which reference is  made in our critical notes ; there are many others,  some of greater authority than those placed at the  end of our list, but their readings are mostly not  available. In any case, as F alone has prime value,  the variants of other than the first four in our list can  be only the attempted improvements made by their  copyists, and have accordingly the same value as  that which attaches to the emendations of editors  of printed editions.   Fuller information with regard to the manuscripts  may be found in the following :  xiv     INTRODUCTION     Leonhard Spengel, edition of the De Lingua Latina   (1826), pages v-xviii.  K. O. Mueller, edition (1833), pages xii-xxxi.  Andreas Spengel, edition (1885), pages ii-xxviii.  Giulio Antonibon, Supplemento di Lezioni Varianti ai   libri de lingua Latina (1899) 3 pages 10-23.  G. Goetz et F. Schoell, edition (1910), pages xi-xxxv.   THE LAURENTIAN MANUSCRIPT F   Manuscript F contains all the extant continuous  text of the De Lingua Latina, except v. 119 trua quod  to vi. 61 dicendojinit ; this was contained in the second  quaternion, now lost, but still in place when the other  manuscripts were copied from it, and when Victorius  and Diacetius collated it in 1 521 . There are a number  of important lacunae, apart from omitted lines or  single words ; these are due to losses in its archetype.   Leonhard Spengel, from the notations in the  manuscript and the amount of text between the  gaps, calculated that the archetype of F consisted  of 16 quaternions, with these losses :   Quaternion 4 lacked folios 4 and 5, the gap after  v. 162.   Quaternion 7 lacked folio 2, the end of vi. and the  beginning of vii., and folio 7, the gap after vii. 23.   Quaternion 11 was missing entire, the end of viii. and  the beginning of ix.   Quaternion 15 lacked folios 1 to 3, the gap after x. 23,  and folios 6 to 8, the gap after x. 34.   The amount of text lost at each point can be cal-   ° tJber die Kritik der Varronischen Bucher de Lingua  Latina, pp. 5-12.   VOL. I 6 XV     INTRODUCTION     culated from the fact that one folio of the archetype  held about 50 lines of our text.   There is a serious transposition in F, in the text of  Book V. In § 23, near the end, after qui ad humum,  there follows id Sabini, now in § 32, and so on to Septi-  viontium, now in § 41 ; then comes demissior, now in  § 23 after humum, and so on to ab hominibus, now in  § 32, after which comes nominatum of § 41. Mueller,"  who identified the transposition and restored the text  to its true order in his edition, showed that the altera-  tion was due to the wrong folding of folios 4 and 5 in  the first quaternion of an archetype of F ; though  this was not the immediate archetype of F, since the  amount of text on each page was different.   This transposition is now always rectified in our  printed texts ; but there is probably another in the  later part of Book V., which has not been remedied  because the breaks do not fall inside the sentences,  thus making the text unintelligible. The sequence  of topics indicates that v. 115-128 should stand be-  tween v. 140 and v. 141 6 ; there is then the division  by topics :   General Heading v. 105   De Victu v. 105-112   De Vestitu v. 113-114, 129-133   De Instrument v. 134-140, 115-128, 141-183   a In the preface to his edition, pp. xvii-xviii. The dis-  order in the text had previously been noticed by G. Buchanan,  Turnebus, and Scaliger, and discussed by L. Spengel, Emen-  dationum Varronianarum Specimen I, pp. 17-19.   6 L. Spengel, Emendationum Varronianarum Specimen I,  pp. 13-19, identified this transposition, but considered the  transpositions to be much more complicated, with the follow-  ing order: §§105-114, §§ 129-140, § 128, §§ 166-168, §§118-  127, §§ 115-117, §§ 141-165, § 169 on.  xvi     INTRODUCTION     Then also vi. 49 and vi. 45 may have changed  places, but I have not introduced this into the  present text ; I have however adopted the transfer  of x. 18 from its manuscript position after x. 20, to  the position before x. 19, which the continuity of the  thought clearly demands.   The text of F is unfortunately very corrupt, and  while there are corrections both by the first hand and  by a second hand, it is not always certain that the  corrections are to be justified.     THE ORTHOGRAPHY OF THE  BE LINGUA LATIN A   The orthography of F contains not merely many  corrupted spellings which must be corrected, but  also many variant spellings which are within the  range of recognized Latin orthography, and these  must mostly be retained in any edition. For there  are many points on which we are uncertain of Varro's  own practice, and he even speaks of certain per-  missible variations : if we were to standardize his  orthography, we should do constant violence to the  best manuscript tradition, without any assurance  that we were in all respects restoring Varro's own  spelling. Moreover, as this work is on language,  Varro has intentionally varied some spellings to suit  his etymological argument ; any extensive normal-  ization might, and probably would, do him injustice  in some passages. Further, Varro quotes from earlier  authors who used an older orthography ; we do not  know whether Varro, in quoting from them, tried to   xvii     INTRODUCTION     use their original orthography, or merely used the  orthography which was his own habitual practice.   I have therefore retained for the most part the  spellings of F, or of the best authorities when F fails,  replacing only a few of the more misleading spellings  by the familiar ones, and allowing other variations  to remain. These variations mostly fall within the  following categories :   1. EI : Varro wrote EI for the long vowel I in the  nom. pi. of Decl. II (ix. 80) ; but he was probably not  consistent in writing EI everywhere. The manuscript  testifies to its use in the following : plebei (gen. ; cf.  plebis vi. 91> in a quotation) v. 40, 81, 158, vi. 87 ;  eidem (nom. sing.) vii. 17 (eadem F), x. 10 ; scirpeis vii.  44 ; Terentiei (nom.), vireis Terentieis (masc), Teren-  tieis (fem.) viii. 36 ; infeineiteis viii. 50 (changed to  infiniteis in our text, cf. (in)finitam viii. 52) ; i(e)is  viii. 51 (his F), ix. 5 ; iei (nom.) ix. 2, 35 ; hei re(e)i  fer(re)ei de(e)i viii. 70 ; hinnulei ix. 28 ; utrei (nom.  pi.) ix. 65 (utre.I. F ; cf. utri ix. 65) ; (B)a(e)biei,  B(a)ebieis x. 50 (alongside Caelii, Celiis).   2. AE and E : Varro, as a countryman, may in  some words have used E where residents of the city of  Rome used AE (cf. v. 97) ; but the standard ortho-  graphy has been introduced in our text, except that  E has been retained in seculum and sepio (and its  compounds : v. 141, 150, 157, 162, vii. 7, 13), which  always appear in this form.   3. OE and U : The writing OE is kept where it  appears in the manuscript or is supported by the  context : moerus and derivatives v. 50, 141 bis, 143,  vi. 87 ; moenere, moenitius v. 141 ; Poenicum v. 113,  viii. 65 bis ; poeniendo v. 177. OE in other words is  the standard orthography.   xviii     INTRODUCTION     4. VO UO and VU UU : Varro certainly wrote  only VO or UO, but the manuscript rarely shows  VO or UO in inflectional syllables. The examples  are novom ix. 20 (corrected from nouum in F) ; nomina-  tuom ix. 95, x. 30 (both -tiuom F) ; obliquom x. 50 ;  loquontur vi. 1, ix. 85 ; sequontur x. 71 ; clivos v. 158 ;  perhaps amburvom v. 127 (impurro Fv). In initial  syllables VO is almost regular : volt vi. 47, etc. ;  volpes v. 101 ; volgus v. 58, etc., but vulgo viii. 66 ;  Folcanus v. 70y etc. ; volsillis ix. 33. Examples of the  opposite practice are aequum vi. 71 ; duum x. 11 ;  antiquus vi. 68 ; sequuntur viii. 25 ; confiuunt x. 50.  Our text preserves the manuscript readings.   5. UV before a vowel : Varro probably wrote U and  not UV before a vowel, except initially, where his  practice may have been the other way. The examples  are : Pacuius v. 60, vi. 6 (catulus (Fv)), 94, vii. 18, 76,  and Pacuvius v. 17, 24, vii. 59 ; gen. Pacui v. 7, vi. 6,   vii. 22 ; Pacuium vii. 87, 88, 91, 102 ; compluium,  impluium v. 161, and pluvia v. 161, compluvium v. 125 ;  simpuium v. 124 bis (simpulum codd.) ; cf. panuvellium  v. 114. Initially : uvidus v. 24 ; uvae, uvore v. 104 ;  uvidum v. 109-   6. U and I : Varro shows in medial syllables a  variation between U and I, before P or B or F or M  plus a vowel. The orthography of the manuscript  has been retained in our text, though it is likely  that Varro regularly used U in these types :   The superlative and similar words : albissumum   viii. 75 ; fnigalissumus viii. 77 ; c{a)esi(s)sumus viii.  76; intumus v. 154; maritumae v. 113; melissumum   viii. 76 ; optumum vii. 51 ; pauperrumus viii. 77 ;  proxuma etc. v. 36, 93, ix. 115, x. 4, 26 ; septuma etc.   ix. 30, x. 46 ler ; Septumio v. 1, vii. 109 5 superrumo   xix     INTRODUCTION     vii. 51 ; decuma vi. 54. Cf. proximo, optima maxima  v. 102, minimum vii. 101, and many in viii. 75-78.   Compounds of -fex and derivatives : pontufex v. 83,  pontufices v. 83 (F 2 for pontifices) ; artufices ix. 12 ;  sacrujiciis v. 98, 124. Cf. pontifices v. 23, vi. 54, etc. ;  artifex v. 93, ix. Ill, etc. ; sacrificium vii. 88, etc.   Miscellaneous words : monumentum v. 148, but  monimentum etc. v. 41, vi. 49 bis ; mancupis v. 40, but  mancipium etc. v. 163, vi. 74, 85 ; quadrupes v. 34,  but quadripedem etc. vii. 39 bis, quadriplex etc. x. 46  etc., quadripertita etc. v. 12 etc.   7. LUBET and LIBET : Varro probably wrote  lubet, lubido, etc., but the orthography varies, and the  manuscript tradition is kept in our text : lubere  lubendo vi. 47, lubenter vii. 89, lubitum ix. 34, lubidine  x. 56 ; and libido vi. 47, x. 60, libidinosus Libentina  Libitina vi. 47, libidine x. 61.   8. H : Whether Varro used the initial H according  to the standard practice at Rome, is uncertain. In  the country it was likely to be dropped in pronuncia-  tion ; and the manuscript shows variation in its use.  We have restored the H in our text according to the  usual orthography, except that irpices, v. 136 bis, has  been left because of the attendant text. Examples  of its omission are Arpocrates v. 57 ; Ypsicrates v. 88 ;  aedus ircus v. 97 ; olus olera v. 108, x. 50 ; olitorium  v. 146 ; olitores vi. 20 ; ortis v. 103, ortorum v. 146 bis,  orti vi. 20 ; aruspex vii. 88. These are normalized in  our text, along with certain other related spellings :  sepulchrum vii. 24 is made to conform to the usual  sepulcrum, and the almost invariable nichil and  nichili have been changed to nihil and nihili.   9. X and CS : There are traces of a writing CS for  X, which has in these instances been kept in the text :  xx     INTRODUCTION     arcs vii. 44 {ares F) ; acsitiosae (ac sitiose F), acsitiosa  (ac sitio a- F) vi. 66 ; dues (duces F) x. 57.   10. Doubled Consonants : Varro's practice in this  matter is uncertain, in some words. F regularly  has littera (only Uteris v. 3 has one T), but obliterata  (ix. 16, -atae ix. 21, -at-trf v. 52), and these spellings  are kept in our text. Communis has been made  regular, though F usually has one M ; casus is in-  variable, except for de cassu in cassum viii. 39, which  has been retained as probably coming from Varro  himself. Iupiter, with one P, is retained, because  invariable in F ; the only exception is Iuppitri viii. 33  (iuppiti F), which has also been kept. Numo vi. 61,  for nummo, has been kept as perhaps an archaic  spelling. Decusis ix. 81 has for the same reason been  kept in the citation from Lucilius. In a few words  the normal orthography has been introduced in the  text : grallator vii. 69 bis for gralaior, grabatis viii. 32  for grabattis. For combinations resulting from pre-  fixes see the next paragraph.   11. Consonants of Prefixes : Varro's usage here  is quite uncertain, whether he kept the unassimilated  consonants in the compounds. Apparently in some  groups he made the assimilations, in others he did not.  The evidence is as follows, the variant orthography  being retained in our text :   Ad-c- : always acc-, except possibly adcensos vii.  58 (F 2, for acensos F 1 ).   Ad-f- : always off-, except adfuerit vi. 40.   Ad-l- : always all-, except adlocutum vi. 57, adlucet  vi. 79, adlatis (ablatis F) ix. 21.   Ad-m- : always adm-, except ammonendum v. 6,  amministrat vi. 78, amminicula vii. 2, amminister vii. 34  (F2, for adm- F*).   xxi     INTRODUCTION     Ad-s- : regularly ass-, but also adserere vi. 64,  adsiet vi. 92, adsimus vii. 99? adsequi viii. 8, x. 9> a^-  significare often (always except assignificant vii. 80),  adsumi viii. 69, adsumat ix. 42, adsumere x. 58.   Ad-sc-, ad-sp-, ad-st- : always with loss of the D,  as in ascendere, ascribere, ascriptos (vii. 57), ascriptivi  (vii. 56), aspicere, aspectus, astans.   Ad-t- : always a#-, except adtributa v. 48, and  possibly adtinuit (F 1, but a^- F 2 ) ix. 59-   Con-l-, con-b-, con-m-, con-r-: always coll-, comb-,  comm.-, corr-.   Con-p- : always comp-, except conpernis ix. 10.   Ex-f- : always eff-, except exfluit v. 29.   Ex-s- : exsolveret v. 176, exsuperet vi. 50, but  exuperantum vii. 18 (normalized in our text to  exsuperantum).   Ex-sc- : exculpserant v. 143.   Ex-sp- : always expecto etc. vi. 82, x. 40, etc.   Ex-sq- : regularly Esquiliis ; but Exquilias v. 25,  Exquiliis v. 159 (Fv)i normalized to Esq- in our text.   Ex-st : extol v. 8, vi. 78 ; but exstat v. 3, normalized  to extat in our text.   In-l- : usually ill-, but inlicium vi. 88 bis, 93 (illici-  tum F), 94, 95, inliceret vi. 90, inliciatur vi. 94 ; the  variation is kept in our text:   In-m- : always imm-, except in (i?i)mutatis vi. 38,  where the restored addition is unassimilated to indi-  cate the negative prefix and not the local in.   In-p- : always imp-, except inpos v. 4 bis (once  ineos F), inpotem v. 4 (inpotentem F), inplorat vi. 68.   Ob-c-, ob-f-, ob-p- : always occ-, off-, opp-.   Ob-t- : always opt-, as in optineo etc. vii. 17, 91 >  x. 19, optemperare ix. 6.   Per-l- : pellexit vi. 94, but perlucent v. 140.  xxii     INTRODUCTION     Sub-c-, sub-f-, sub-p- : always succ-, suff-, supp-,  except subcidit v. 116.   Subs- and subs- + consonant : regularly sus- + con-  sonant, except subscribunt vii. 107.   Sub-t- : only in suptilius x. 40.   Trans-l- : in tralatum vi. 77, vii. 23, 103, x. 71 ;  tralaticio vi. 55 (tranlatio Fv) and translaticio v. 32,  vi. 64- (translatio F, tranlatio Fv), translaticiis vi. 78.   Trans-v- : in travolat v. 118, and transversus vii. 81,  x. 22, 23, 43. '   Trans-d- : in traducere.   12. DE and DI : The manuscript has been followed  in the orthography of the following : directo vii. 15,  dirigi viii. 26, derecti x. 22 bis, deriguntur derectorum  x. 22, derecta directis x. 43, directas x. 44, derigitur  x. 74 ; deiunctum x. 45, deiunctae x. 47.   13. Second Declension : Nora. sing, and acc. sing,  in -uom and -uum, see 5.   Gen. sing, of nouns in -ius : Varro used the form  ending in a single I (cf. viii. 36), and a few such forms  stand in the manuscript : Muci v. 5 (muti F) ; Pacui  v. 7, vi. 6, vii. 22 ; Mani vi. 90 5 Quinti vi. 92, Ephesi   viii. 22 (ephesis F), Plauti et Marci viii. 36, dispendi   ix. 54 (quoted, metrical ; alongside dispendii ix. 54).  The gen. in II is much commoner ; both forms are  kept in our text.   Nom. pi., written by Varro with EI (cf. ix. 80) ;  examples are given in 1, above.   Gen. pi. : The older form in -um for certain words  (denarium, centumvirum, etc.) is upheld viii. 71,  ix. 82, 85, and occurs occasionally elsewhere :  Velabrum v. 44, Querquetulanum v. 49, Sabinum v.  74, etc.   Dat.-abl. pi., written by Varro with EIS (cf. ix. 80) ;   xxiii     INTRODUCTION     examples are given in 1, above, but the manuscript  regularly has IS.   Dat.-abl. pi. of nouns ending in -ius, -ia, -turn, are  almost always written IIS ; there are a few for which  the manuscript has IS, which we have normalized to  IIS : Gabis v. 33, (Es)quilis v. 50, kostis v. 98, Publicis   v. 158, Faleris v. 162, praeverbis vi. 82 (cf. praeverbiis   vi. 38 bis), mysteris vii. 34- (cf. mysteriis vii. 19) 5 miliaris  ix. 85 (inilitaris F).   Deus shows the following variations : Nom. pi.  de{e)i viii. 70, dei v. 57, 58 bis, 66, 71, vii. 36, ix. 59,  dii v. 58, 144, vii. 16 ; dat.-abl. pi. deis v. 122, vii. 45,  diis v. 69, 71, 182, vi. 24, 34, vii. 34.   14. Third Declension : The abl. sing, varies  between E and I : supellectile viii. 30, 32, ix. 46, and  supellectili ix. 20 (-lis F) ; cf. also vesperi (uespert- F)  and vespere ix. 73.   Nom. pi., where ending in IS in the manuscript, is  altered to ES ; the examples are mediocris v. 5 ; partis   v. 21, 56; ambonis v. 115; urbis v. 143; aedis v. 160;  compluris vi. 15 ; Novendialis vi. 26 ; auris vi. 83 ; dis-  parilis viii. 67; lentis'vs.. 34; omnis ix. 81; dissimilis  ix. 92.   Gen. pi. in UM and IUM, see viii. 67. In view  of dentum viii. 67, expressly championed by Varro,  Veientum v. 30 (uenientum F), caelestum vi. 53, Quiritum   vi. 68 have been kept in our text.   Acc. pi. in ES and IS, see viii. 67. Varro 's dis-  tribution of the two endings seems to have been  purely empirical and arbitrary, and the manuscript  readings have been retained in our text.   15. Fourth Declension : Gen. sing. : Gellius,  Nodes Atticae iv. 16. 1, tells us that Varro always used  UIS in this form. Nonius Marcellus 483-494 M. cites  xxiv     INTRODUCTION     eleven such forms from Varro, but also sumpti. The  De Lingua Latina gives the following partial examples  of this ending : usuis ix. 4 (suis F), x. 73 (usui F), casuis  x. 50 {casuum F), x. 62 (casus his F). Examples of  this form ending in US are kept in our text : fructus   v. 34, 134, senatus v. 87, exercitus v. 88, panus v. 105,  domus v. 162, census v. 181, mofws vi. 3, sonitus vi. 67   sensus vi. 80, wjms viii. 28, 30 c, except as noted below.   Letters changed from the manuscript reading are  printed in italics.   Some obvious additions, and the following changes,  are sometimes not further explained by critical notes :   ae with italic a, for manuscript e.  oe, with italic o, for manuscript ae or e.  italic b and v, for manuscript u and b.  italic f andpA, for manuscript ph andf.  italic i and y, for manuscript y and i.  italic h, for an h omitted in the manuscript.   The manuscripts are referred to as follows ; read-  ings without specification of the manuscript are  from F :   F=Laurentianus li. 10 ; No. 1 in our list.   F 1 or m 1, the original writer of F, or the first  hand.   F 2 or m 2, the corrector of F, or the second hand.  Fv = readings from the lost quaternion of F, as  recorded by Victorius ; our No. 2.   xlix     INTRODUCTION     Frag. Cass. = Cassinensis 361 ; our No. 3.  f= Laurentianus li. 5 ; our No. 5.  H= Havniensis ; our No. 6.  G = Gothanus ; our No. 7.   a = Parisinus 7489 ; our No. 8.   6 = Parisinus 6142 ; our No. 9-   c=Parisinus 7535 ; our No. 10.  V= Vindobonensis lxiii. ; our No. 1 1 .  p = Basiliensis F iv. 13 ; our No. 12.  M= Guelferbytanus 896 ; our No. 13.  B = that used by Augustinus ; our No. 14.   The following abbreviations are used for editors  and editions (others are referred to by their full  names) :   Laetus = editio princeps of Pomponius Laetus.  Rhol. = Rholandellus, whose first edition was in  1475.   Pius = Baptista Pius, edition of 1510.  Aug. = Antonius Augustinus, editor of the Vul-  gate edition 1554, reprinted 1557.  Sciop. = Gaspar Scioppius, edition of 1602, re-  printed 1605.  L. Sp. = Leonhard Spengel, edition of 1826 (and  articles).   Mue. = Karl Ottfried Mueller, edition of 1833.  A. Sp. = Andreas Spengel, edition of 1885 (and  articles).   GS. = G. Goetz and F. Schoell, edition of 1910.     1     M. TERENTI VARRONIS  DE LINGUA LATINA     De Disciplina Originum Verborum ad   ClCERONEM  LIBER II1I EXPLICIT ; INCIPIT   LIBER V   I. 1. Quemadmodum vocabula essent imposita rebus  in lingua Latina, sex libris exponere institui. De  his tris ante hunc feci quos Septumio misi : in quibus  est de disciplina, quam vocant eri'/ioAoyi/ojv 1 : quae  contra ea(m) 2 dicerentur, volumine primo, quae pro  ea, secundo, quae de ea, tertio. In his ad te scribam,  a quibus rebus vocabula imposita sint in lingua  Latina, et ea quae sunt in consuetudine apud (popu-  lum et ea quae inveniuntur apud) 3 poetas.   2. Cuwz 1 unius cuiusque verbi naturae sint duae,  a qua re et in qua re vocabulum sit impositum (itaque   § 1. 1 For ethimologicen. 2 Rhol., for ea. 3 Added  by A. Sp.   §2. 1 Rhol., for cui.   §1. "Books II. -VII. ; Book I. was introductory.  * Books II.-IV. e Quaestor to Varro, cf. vii. 109 ; but  when or where is not known. Possibly he was the writer  on architecture mentioned by Vitruvius, de Arch. vii. praef.  1 4, and even the composer of the Libri Observationttm men-   2      ON THE LATIN LANGUAGE   Ox THE SciEXCE OF THE ORIGIN OF WORDS,  ADDRESSED TO ClCERO   BOOK IV EXDS HERE, AND HERE BEGINS   BOOK V   I. 1. In what way names were applied to things  in Latin, I have undertaken to expound, in six books."  Of these, I have already composed three b before this  one, and have addressed them to Septumius c ; in  them I treat of the branch of learning which is called  Etymology. The considerations whichmight be raised  against it, I have put in the first book ; those adduced  in its favour, in the second ; those merely describing  it, in the third. In the following books, addressed  to you, d I shall discuss the problem from what things  names were applied in Latin, both those which are  habitual with the ordinary folk, and those which are  found in the poets.   2. Inasmuch as each and every word has two  innate features, from what thing and to what thing   tioned by Quintilian, Inst. Orat. iv. 1. 19. d Cicero, to  whom Varro addresses the balance of the work, Books  V.-XXV., written apparently in 47-45 b.c.   3     VARRO     a qua re sit pertinacia cum requi(ri)tur, 2 ostenditur 3  esse a perten(den)do 4 ; in qua re sit impositum  dicitur cum demonstratur, in quo non debet pertendi  et pertendit, pertinaciam esse, quod in quo oporteat  manere, si in eo perstet, perseverantia sit), priorem  illam partem, ubi cur et unde sint verba scrutantur,  Graeci vocant £Tu//oAoyiav, 5 illam alteram Trtp(}) °" r l-  /xcuvo/xevwi'. De quibus duabus rebus in his libris  promiscue dicam, sed exilius de posteriore.   3. Quae ideo sunt obscuriora, quod neque omnis  impositio verborum extat, 1 quod vetustas quasdam  delevit, nec quae extat sine mendo omnis imposita,  nec quae recte est imposita, cuncta manet (multa  enim verba li(t)teris commutatis sunt interpolata),  neque omnis origo est nostrae linguae e vernaculis  verbis, et multa verba aliud nunc ostendunt, aliud  ante significabant, ut hostis : nam turn eo verbo  dicebant peregrinum qui suis legibus uteretur, nunc  dicunt eum quern turn dicebant perduellem.   4. In quo genere verborum aut casu erit illustrius  unde videri possit origo, inde repetam. Ita fieri  oportere apparet, quod recto casu quom 1 dicimus  inpos, 2 obscurius est esse a potentia qua(m> 3 cum   2 OS., for sequitur. 3 For hostenditur. 4 Rhol., for  pertendo. 5 For ethimologiam.   § 3. 1 For exstat.   § 4. 1 Aug., with B, for quem. 2 p, Laetus, for ineos.   3 For qua.   § 2. ° Properly an abstract formed from pertinax, itself a  compound of tenax ' tenacious,' derived from tenere ' to hold.'  § 3. ° Cf. vii. 49.   § 4. Not from potentia ; but both from radical pot-.   4     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 2-4     the name is applied (therefore, when the question is  raised from what thing pertinacia ' obstinacy ' is,° it  is shown to be from pertendere ' to persist ' : to what  thing it is applied, is told when it is explained that it  is pertinacia ' obstinacy ' in a matter in which there  ought not to be persistence but there is, because it  is perseverantia ' steadfastness ' if a person persists in  that in which he ought to hold firm), that former  part, where they examine why and whence words are,  the Greeks call Etymology, that other part they call  Semantics. Of these two matters I shall speak in the  following books, not keeping them apart, but giving  less attention to the second.   3. These relations are often rather obscure for the  following reasons : Not every word that has been  applied, still exists, because lapse of time has blotted  out some. Not every word that is in use, has been  applied without inaccuracy of some kind, nor does  every word which has been applied correctly remain  as it originally was ; for many words are disguised by  change of the letters. There are some whose origin  is not from native words of our own language. Many  words indicate one thing now, but formerly meant  something else, as is the case with hostis ' enemy ' :  for in olden times by this word they meant a foreigner  from a country independent of Roman laws, but now  they give the name to him whom they then called  perduellis ' enemy.' a   4. I shall take as starting-point of my discussion  that derivative or case-form of the words in which the  origin can be more clearly seen. It is evident that we  ought to operate in this way, because when we say  inpos ' lacking power ' in the nominative, it is less  clear that it is from potentia a ' power ' than when we   5     VARRO     dicimus inpotem 4 ; et eo obscurius fit, si dicas pos  quam 5 inpos : videtur enim pos significare potius  pontem quam potentem.   5. Vetustas pauca non depravat, multa tollit.  Quem puerum vidisti formosum, hunc vides defor-  mem in senecta. Tertium seculum non videt eum  homincm quem vidit primum. Quare ilia quae iam  maioribus nostris ademit oblivio, fugitiva secuta  sedulitas Muci 1 et Bruti retrahere nequit. Non, si  non potuero indagare, eo ero tardior, sed velocior  ideo, si quivero. Non mediocres 2 enim tenebrae in  silva ubi haec captanda neque eo quo pervenire  volumus semitae tritae, neque non in tramitibus  quaedam obz'ecta 3 quae euntem retinere possent.   6. Quorum verborum novorum ac veterum dis-  cordia omnis in consuetudine com(m)uni, quot modis 1  commutatio sit facta qui animadverterit, facilius  scrutari origines patietur verborum : reperiet enim  esse commutata, ut in superioribus libris ostendi,  maxime propter bis quaternas causas. Litterarum  enim fit demptione aut additione et propter earum  tra(ie)ctionem 2 aut commutationem, item syllabarum  productione (aut correptione, denique adiectione aut   4 Aug., for inpotentem. 5 Aug., with B, for postquam.   § 5. 1 For muti. 2 For mediocris. 3 For oblecta.   § 6. 1 After modis, Fr. Fritzsche deleted litterarum.  2 Scaliger and Popma,for tractationem.     * Avoided in practice, in favour of dissyllabic potis. " Be-  cause the nasal was almost or quite lost before s ; cf. the  regular inscriptional spelling cosol= consul.   § 5. ° P. Mucius Scaevola and M. Junius Brutus, distin-  guished jurists and writers on law in the period 150-130 b.c.  Mucius, as pontifex maximus, seems to have collected and  6     ON THE LATIN LANGUAGE, V. e(n)ta'fodinae 2 et viocurus ? Secundus quo  grammatica escendit 3 antiqua, quae ostendit, quem-  admodum quodque poeta finxerit verbum, quod  confinxerit, quod declinarit ; hie Pacui :   Rudentum sibilus,   hie :   Incwrvicervicum 4 pecus,   hie :   Clamide clupeat bacchium. s   8. Tertius gradus, quo philosophia ascendens per-  venit atque ea quae in consuetudine communi essent  aperire coepit, 1 ut a quo dictum esset oppidum, vicus,  via. Quartus, ubi est adytum 2 et initia regis : quo  si non perveniam (ad) 3 scientiam, at* opinionem  aucupabor, quod etiam in salute nostra nonnunquam  facit 5 cum aegrotamus medicus.   3 Added by Kent, after Scaliger, Mite., OS. ; cf. Quintilian,  hist. Orat. i. 6. 32. 4 After libris, Aug. deleted qui.   §7. 1 After infimus, Sciop. deleted in. 2 Canal, for  aretofodine. 3 Sciop., for descendit. 4 O, Aldus, for  inceruice ruicum. 8 For bacchium.   §8. 1 For caepit. 2 Sciop., for aditum. 3 Added by  L. Sp. 4 Sciop., for ad. 5 Aldus, with p, for fecit.     § 7. ° Cf. viii. 62. 6 Teucer, Trag. Rom. Frag. 336  Ilibbeck 3 ; R.O.L. ii. 296-297 Warmington. c Ex inc. fab.  xliv, verse 408, Trag. Rom. Frag. Ribbeck 3, R.O.L. ii. 292-293  Warmington, referring to the dolphins of Nereus ; the entire   8     ON THE LATIN LANGUAGE, V. &-8     by examples, in the preceding books, of what sort  these phenomena are, I have thought that here I  need only set a reminder of that previous discussion.   7. Now I shall set forth the origins of the indivi-  dual words, of which there are four levels of explana-  tion. The lowest is that to which even the common  folk has come ; who does not see the sources of  argentifodinae a ' silver-mines ' and of viocurus ' road-  overseer ' ? The second is that to which old-time  grammar has mounted, which shows how the poet has  made each word which he has fashioned and derived.  Here belongs Pacuvius's 6   The whistling of the ropes,   here his c   Incurvate-necked flock,   here his d   With his mantle he beshields his arm.   8. The third level is that to which philosophy  ascended, and on arrival began to reveal the nature of  those words which are in common use, as, for example,  from what oppidum ' town ' was named, and vicus ' row  of houses,' a and via ' street.' The fourth is that  where the sanctuary is, and the mysteries of the high-  priest : if I shall not arrive at full knowledge there, at  any rate I shall cast about for a conjecture, which  even in matters of our health the physician sometimes  does when we are ill.   verse in Quintilian, Inst. Orat. i. 5. 67, Nerei repandirostrum  incurvicervicum pecus. d Hermiona, Trag. Rom. Frag. 186  Ribbeck 3, R.O.L. ii. 232-233 Warmington ; the entire verse in  Nonius Marcellus, 87. 23 M. : currum liquit, clamide contorta  astu clipeat braccium.   § 8. ° From this meaning, either an entire small ' village '  or a ' street ' in a large city.   9     VARRO     9. Quodsi summum gradum non attigero, tamen  secundum praeteribo, quod non solum ad Aris-  tophanis lucernam, sed etiam ad CleantAis lucubravi.  Volui praeterire eos, qui poetarum modo verba ut  sint ficta expediunt. Non enim videbatur consen-  taneum qua(e>re 1 me in eo verbo quod finxisset  Ennius causam, neglegere quod ante rex Latinus  finxisset, cum poeticis multis verbis magis delecter  quam utar, antiquis magis utar quam delecter. An  non potius mea verba ilia quae hereditate a Romulo  rege venerunt quam quae a poeta Livio relicta ?   10. Igitur quoniam in haec sunt tripertita verba,  quae sunt aut nostra aut aliena aut oblivia, de nostris  dicam cur sint, de alienis unde sint, de obliviis re-  linquam : quorum partim quid ta(men) invenerim  aut opiner 1 scribam. In hoc libro dicam de vocabulis  locorum et quae in his sunt, in secundo de temporum  et quae in his fiunt, in tertio de utraque re a poetis  comprehensa.   11. Pythagoras Samius ait omnium rerum initia  esse bina ut finitum et infinitum, bonum et malum,   §9. 1 Aug., for quare.   § 10. 1 After A. Sp., with tamen from Fay's quo loco  tamen ; for quo ita inuenerim ita opiner.   §9. Aristophanes of Byzantium, 262-185 b.c, pupil of  Zenodotus and Callimachus at Alexandria, and himself one  of the greatest of the Alexandrian grammarians, who busied  himself especially with the textual correction and editing of  the Greek authors, notably Homer, Hesiod, and the lyric  poets. 6 Frag. 485 von Arnim ; Cleanthes of Assos, 331-  232 b.c, pupil and successor of Zeno, founder of the Stoic  school of philosophy (died 264), as head of the school, at  Athens, and author of many works on all phases of the Stoic  teaching. e L. Livius Andronicus, c. 284-202 b.c, born at  Tarentum ; first epic and dramatic poet of the Romans.   §11. Pythagoras, born probably in Samos about 567 b.c,   10     ON THE LATIN LANGUAGE, V. $-11     9. But if I have not reached the highest level, I  shall none the less go farther up than the second,  because I have studied not only by the lamp of Aris-  tophanes, but also by that of Cleanthes. 6 I have  desired to go farther than those who expound only  how the words of the poets are made up. For it did  not seem meet that I seek the source in the case of  the word which Ennius had made, and neglect that  which long before King Latinus had made, in view of  the fact that I get pleasure rather than utility from  many words of the poets, and more utility than  pleasure from the ancient words. And in fact are  not those words mine which have come to me by  inheritance from King Romulus, rather than those  which were left behind by the poet Livius ? c   10. Therefore since words are divided into these  three groups, those which are our own, those which  are of foreign origin, and those which are obsolete and  of forgotten sources, I shall set forth about our own  why they are, about those of foreign origin whence  they are, and as to the obsolete I shall let them alone :  except that concerning some of them I shall none the  less write what I have found or myself conjecture. In  this book I shall tell about the words denoting places  and those things which are in them ; in the follow-  ing book I shall tell of the words denoting times and  those things which take place in them : in the third  I shall tell of both these as expressed by the poets.   11. Pythagoras the Samian says that the primal  elements of all things are in pairs, as finite and infinite,   removed to Croton in South Italy about 529 and was there the  founder of the philosophic-political school of belief which  attaches to his name. His teachings were oral only, and  were reduced to writing by his followers.   11     VARRO     vitam et mortem, diem et noctem. Quare item duo  status et motus, (utrumque quadripertitum) 1 : quod  stat aut agitatur, corpus, ubi agitatur, locus, dum  agitatur, tempus, quod est in agitatu, actio. Quadri-  pertitio magis sic apparebit : corpus est ut cursor,  locus stadium qua currit, tempus hora qua currit,  actio cursio.   12. Quare fit, ut ideo fere omnia sint quadri-  pertita et ea aeterna, quod neque unquam tempus,  quin fuerit 1 motus : eius enim 2 intervallum tempus ;  ncque motus, ubi non locus et corpus, quod alterum  est quod movetur, alterum ubi ; neque ubi is agitatus,  non actio ibi. Igitur initiorum quadrigae locus et  corpus, tempus et actio.   13. Quare quod quattuor genera prima rerum,  totidem verborum : e quis (de) locis et ns 1 rebus quae  in his videntur in hoc libro summatim ponam. Sed  qua cognatio eius erit verbi quae radices egerit extra  fines suas, persequemur. Saepe enim ad limitem  arboris radices sub vicini prodierunt segetem. Quare  non, cum de locis dicam, si ab agro ad agrarium 2  hominem, ad agricolam pervenero, aberraro. Multa   §11. 1 Added by L. Sp.   §12. 1 For fuerint. 2 A ug., for animi.   § 13. 1 L. Sp., for uerborum enim horum dequis locis et   his. 2 L. Sp., for agrosium.     § 13. ° Celebrated on April 23 and August 19, when an  offering of new wine was made to Jupiter ; cf. vi. 16 and  vi. 20.  12     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 11-13     good and bad, life and death, day and night. There-  fore likewise there are the two fundamentals, station  and motion, each divided into four kinds : what is  stationary or is in motion, is body ; where it is in  motion, is place ; while it is in motion, is time ; what  is inherent in the motion, is action. The fourfold  division will be clearer in this way : body is, so to  speak, the runner, place is the race-course where he  runs, time is the period during which he runs, action is  the running.   12. Therefore it comes about that for this reason  all things, in general, are divided into four phases,  and these universal ; because there is never time  without there being motion — for even an intermission  of motion is time — ; nor is there motion where  there is not place and body, because the latter is  that which is moved, and the former is where ; nor  where this motion is, does there fail to be action.  Therefore place and body, time and action are the  four-horse team of the elements.   13. Therefore because the primal classes of things  are four in number, so many are the primal classes of  words. From among these, concerning places and  those things which are seen in them, I shall put a  summary account in this book ; but we shall follow  them up wherever the kin of the word under discus-  sion is, even if it has driven its roots beyond its own  territory. For often the roots of a tree which is close  to the line of the property have gone out under the  neighbour's cornfield. Wherefore, when I speak of  places, I shall not have gone astray, if from ager  ' field ' I pass to an agrarius ' agrarian ' man, and to  an agricola ' farmer.' The partnership of words is one  of many members : the Wine Festival a cannot be set   13     VARRO     societas verborum, nec Vinalia sine vino expediri nec  Curia Calabra sine calatione potest aperiri.   II. 14. Incipiam de locis ob 1 ipsius loci origine.  Locus est, ubi locatum quid esse potest, ut nunc  dicunt, collocatum. Veteres id dicere solitos apparet  apud Plautum :   Filiam habeo grandem dote cassa(m> atque   inlocabile 3  Neque earn queo locare cuiquam.   Apud Ennium :   O Terra T/jraeca, ubi Liberi fanum incZutfum 3  Maro 4 locavi. 5   15. Ubi quidque consistit, locus. Ab eo praeco  dicitur locare, quod usque idem it, 1 quoad in aliquo  constitit pretium. In(de) 2 locarium quod datur in  stabulo et taberna, ubi consistant. Sic loci muliebres,  ubi nascendi initia consistunt.   III. 16. Loca natura(e) 1 secundum antiquam  divisionem prima duo, terra et caelum, deinde par-  ticulatim utriusque multa. Caeli dicuntur loca su-   § 14. 1 Sciop., for sub. 2 So Plautus, for cassa dote  atque inlocabili F ; Plautus also has virginem for filiam.  3 Wilhelm, for inciuium. 4 For miro F 2, maro F 1 .  6 Ribbeck, for locaui.   § 15. 1 Turnebus, for id emit. 2 Laetus,for in.   § 16. 1 Aug., for natura.     6 A place on the Capitoline Hill, near the cottage of  Romulus, and also the meeting held there on the Kalends,  when the priests announced the number of days until the  Nones ; cf. vi. 27, and Macrobius, Saturnalia, i. 15. 7.   § 14. a Theuncompounded word; which, like its compound,  meant both ' established in a fixed position ' and ' established  in a marriage.' b Aulularia, 191-192. e That is, in  marriage. d Trag. Rom. Frag. 347-348 Ribbeck 3 ; R.O.L.   14      on its way without wine, nor can the Curia Calabra  ' Announcement Hall ' b be opened without the  calatio ' proclamation.'   II. 14. Among places, I shall begin with the  origin of the word locus ' place ' itself. Locus is where  something can be locatum a ' placed,' or as they say  nowadays, colhcatum ' established.' That the ancients  were wont to use the word in this meaning, is clear in  Plautus 6 :   I have a grown-up daughter, lacking dower,   unplaceable,'  Nor can I place her now with anyone.   In Ennius we find d :   O Thracian Land, where Bacchus' fane renowned  Did Maro place.   15. Where anything comes to a standstill, is a locus  ' place.' From this the auctioneer is said locare 1 to  place ' because he is all the time likewise going on  until the price comes to a standstill on someone.  Thence also is locarium ' place-rent,' which is given  for a lodging or a shop, where the payers take their  stand. So also loci muliebres ' woman's places,' where  the beginnings of birth are situated.   III. 16. The primal places of the universe, accord-  ing to the ancient division, are two, terra ' earth ' and  caelum ' sky,' and then, according to the division into  items, there are many places in each. The places of  the sky are called loca super a ' upper places,' and   i. 376-377 Warmington. Maro, son of Euanthes and priest  of Apollo in the Thracian Ismaros, in thanks for protection  for himself and his followers, gave Ulysses a present of  excellent wine (Odyssey, ix. 197 ff.). Because of this, later  legend drew him into the Dionysiac circle, as son or grandson  of Bacchus, or otherwise. There were even cults of Maro  himself in Maroneia, Samothrace, and elsewhere.   15     VARRO     pera et ea deorum, terrae loca infcra et ea hominum.  Ut Asia sic caelum dicitur modis duobus. Nam et  Asia, quae non Europa, in quo etiam Syria, et Asia  dicitur prioris pars Asiae, in qua est Ionia ac provincia  nostra.   17. Sic caelum et pars eius, summum ubi stellae,  et id quod Pacuvius cum demonstrat dicit :   Hoc vide circum supraque quod complexu continet  Terram.   Cui subiungit :   Id quod nostri caelum memorant.   A qua bipertita divisione Lua'Zius 1 suorum un(i)us 2  et viginti librorum initium fecit hoc :   Aetheris et terrae genitabile quaerere tempus.   18. Caelum dictum scribit Aelius, quod est  ccelatum, aut contrario nomine, celatum quod aper-  tum est ; non male, quod (im)positor 1 multo potius  (caelare) 2 a caelo quam caelum a caelando. Sed non   § 17. 1 Scaliger, for lucretius. 2 Laetus, for unum.  § 18. 1 GS.,for posterior. 2 Added by Scaliger.   § 16. ° Asia originally designated probably only a town or  small district in Lydia, and then came to be what we now call  Asia Minor, and finally the entire continent. 6 Ionia was  a coastal region of Asia Minor, including Smyrna, Ephesus,  Miletus, etc., and was included within provincia nostra. But  ' our province ' ran much farther inland, comprising Phrygia,  Mysia, Lydia, Caria (Cicero, Pro Flacco, 27. 65), which explains  the ' and.'   § 17. ° Chryses, Tray. Rom. Fray. 87-88 and 90 Ribbeck 3 ;  R.O.L. 2. 202-203, lines 107-108, 1 1 1 Warmington. 6 Satirae,  verse 1 Marx. As there were thirty books of Lucilius's  Satires, the limitation to twenty-one by Varro must be based  on another division (for which there is evidence), thus : Books  XXVI.-XXX. were written first, in various metres; I.-XXI.,   16     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 16-18   these belong to the gods ; the places of the earth are  loca infer a ' lower places,' and these belong to man-  kind. Caelum ' sky ' is used in two ways, just as is  Asia. For Asia means the Asia, which is not Europe,  wherein is even Syria ; and Asia means also that  part a of the aforementioned Asia, in which is Ionia 6  and our province.   17. So caelum ' sky ' is both a part of itself, the top  where the stars are, and that which Pacuvius means  when he points it out :   See this around and above, which holds in its embrace  The earth.   To which he adds :   .That which the men of our days call the sky.   From this division into two, Lucilius set this as the  start of his twenty-one books 6 :   Seeking the time when the ether above and the  earth were created.   18. Caelum, Aelius writes," was so called because  it is caelatum ' raised above the surface,' or from the  opposite of its idea, 6 celatum ' hidden ' because it is  exposed ; not ill the remark, that the one who applied  the term took caelare ' to raise ' much rather from  caelum than caelum from caelare. But that second   to which Varro here alludes, were a second volume, in dactylic  hexameters, which Lucilius had found to be the best vehicle  for his work; XXII.-XXV. were a third part, in elegiacs,  probably not published until after their author's death.   § 18. ° Page 59 Funaioli. Caelum is probably connected  with a root seen in German heiter ' bright,' and not with the  words mentioned by Varro. 6 Derivation by the contrary  of the meaning, as in ludus, in quo minime luditur ' school, in  which there is very little playing ' (Fesrus, 122. 16 M.).   vol. I c 17     VARRO     minus illud alterum de celando ab eo potuit dici, quod  interdiu celatur, quam quod noctu non celatur.   19. Omnino epk(ap). 3 A  puteis oppidum ut Puteoli, quod incircum eum locum  aquae frigidae et caldae multae, nisi a putore potius,  quod putidus odoribus soepe ex sulphure et alumine.  Extra oppida a puteis puticuli, quod ibi in puteis  obruebantur homines, nisi potius, ut Aelius scribit,  puticuli 4 quod putescebant ibi cadavera proiecta, qui  locus publicus ultra Esquilias. 5 Itaque eum Afranius  /mti/ucos 6 in Togata appellat, quod inde suspiciunt  per p?*teos 7 lumen.   26. Lacus lacuna magna, ubi aqua contineri potest.  Palus paululum aquae in altitudinem et palam latius  diffusae. Stagnum a Graeco, quod ii 1 o-reyvov quod  non habet rimam. 2 Hinc ad villas rutunda 3 stagna,  quod rutundum facillime continet, anguli maxime  laborant.   § 25. 1 For summi. 2 Buttmann, for potamon sic po  tura potu. 3 Victorius, for pe. 4 Mue.,for puticulae.  5 For exquilias. 6 Scaliger, for cuticulos. 7 Canal, for  perpetuos.   § 26. 1 For 11. 2 Scaliger, for nomen habet primam.  3 B, for rutundas.   § 25. Or ' pit ' ; derivative of root in pidare ' to cut,  think,' cf. amputare ' to cut off.' 6 Aeolis, nom. pi. = Greek  AloXeis. " This and ttvtcos are unknown in the extant  remains of Aeolic Greek, but a number of Aeolic words show  the change : anv for a-no, vfioCcos for ofiotcos. d The modern  Pozzuoli, on the Bay of Naples, in a locality characterized  by volcanic springs and exhalations ; Varro's derivation is  correct. * Page 65 Funaioli. ' The Roman ' potters'  field,' for the poor and the slaves. * Com. Rom. Frag.  430 Ribbeck 3 ; with a jesting transposition of the consonants.  Cf. for a similar effect ' pit-lets ' and ' pit-lights.' The  description suggests that they were constructed like the  Catacombs.     24-     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 25-26     25. If this moisture is in the ground no matter  how far down, in a place from which it pote ' can ' be  taken, it is a puteus ' well ' ° ; unless rather because  the Aeolians 6 used to say, like 7ruTa/zos c for Trorafios  ' river,' so also Trvreos ' well ' for iroreos ' drinkable,'  from pohis ' act of drinking,' and not (f>peap ' well ' as  they do now. From patei ' wells ' comes the town-  name, such as Puteoli, d because around this place there  are many hot and cold spring-waters ; unless rather  from putor ' stench,' because the place is often putidus  ' stinking ' with smells of sulphur and alum. Outside  the towns there are puticuli ' little pits,' named from  putei ' pits,' because there the people used to be buried  in putei ' pits ' ; unless rather, as Aelius e writes, the  puticuli are so called because the corpses which had  been thrown out putescebant ' used to rot ' there, in  the public burial-place f which is beyond the Esqui-  line. This place Afranius 9 in a comedy of Roman life  calls the Putiluci ' pit-lights,' for the reason that from  it they look up through putei ' pits ' to the lumen  ' light.*   26. A lacus ' lake ' is a large lacuna a ' hollow,'  where water can be confined. A palus b ' swamp ' is  a paululum ' small amount ' of water as to depth,  but spread quite widely palam ' in plain sight.' A  stagnum c ' pool ' is from Greek, because they gave the  name o-reyvos d ' waterproof ' to that which has no  fissure. From this, at farmhouses the stagna ' pools '  are round, because a round shape most easily holds  water in, but corners are extremely troublesome.   §26. ° Lacuna is a derivative of lacus. 6 Palus, paulu-  lum, palam are all etymologically distinct. e Properly, a  pool without an outlet ; perhaps akin to Greek arayuv ' drop  (of liquid).' d Original meaning, ' covered.'   25     VARRO     27. Fluvius, quod fluit, item flumen : a quo lege  praediorum urbanorum scribitur 1 :   Stillicidia fluminaque 2 ut ita 3 cadant  fluantque ;   inter haec hoc inter(est), quod stillicidium eo quod  stillatim cadit, 4 flumen quod fluit continue.   28. Amnis id flumen quod circuit aliquod : nam  ab ambitu amnis. Ab hoc qui circum Aternum 1  habitant, Amiternini appellati. Ab eo qui popu-  lum candidatus circum it, 2 ambit, et qui aliter facit,  indagabili ex ambitu causam dicit. Itaque Tiberis  amnis, quod ambit Martium Campum et urbem ; op-  pidum Interamna dictum, quod inter amnis est  constitutum ; item Antemnae, quod ante amnis,  qu(a> Anto 3 influit in Tiberim, quod bello male ac-  ceptum consenuit.   29. Tiberis quod caput extra Latium, si inde  nomen quoque exfluit in linguam nostram, nihil (ad) 1  eTv/ioAoyov Latinum, ut, quod oritur ex Samnio,   § 27. 1 For scribitur scribitur. 2 For flumina quae.  8 L. Sp., after Gothofredus, for ut ita. 4 a, Pape, for  cadet.   §28. 1 Aug., with B, for alterunum. 2 For id.  3 Canal, for quanto.   § 29. 1 Added by Thiersch.     § 27. a Cf. Digest, viii. 2. 17. * That is, rain-waters  dripping from roofs and streams resulting from rain shall in  city properties not be diverted from their present courses.  Such supplies of water were in early days a real asset.   § 28. " Probably to be associated with English Avon (from  Celtic word for ' river '), and not with ambire ' to go around.'  b Good etymology ; Amiternum was an old city in the Sabine  country, on the Aternus River ; with ambi- ' around ' in the  form am-, as in amicire ' to place (a garment) around.'     26     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 27-29     27. Fluvhis ' river ' is so named because it jiuit  ' flows,' and likewise jiumen ' river ' : from which is  written, according to the law of city estates,"   Stillicidia ' rain-waters ' and flumina ' rivers ' shall  be allowed to fall and to flow without interference. 6   Between these there is this difference, that stillicidium  ' rain-water ' is so named because it cadit ' falls '  stillatim ' drop by drop,' and Jiumen ' river ' because it  jiuit ' flows ' uninterruptedly.   28. An amnis a is that river which goes around  something ; for amnis is named from ambitus ' circuit.'  From this, those who dwell around the Aternus are  called Amiternini ' men of Amiternum.' 6 From this,  he who circum it ' goes around ' the people as a candi-  date, ambit ' canvasses,' and he who does otherwise  than he should, pleads his case in court as a result  of his investigable ambitus ' canvassing.'" Therefore  the Tiber is called an amnis, because it ambit ' goes  around ' the Campus Martius and the City d ; the  town Interamna ' gets its name from its position  inter amnis ' between rivers ' ; likewise Antemnae,  because it lies ante amnis ' in front of the rivers,' where  the Anio flows into the Tiber — a town which suffered  in war and wasted away until it perished.   29. The Tiber, because its source is outside  Latium, if the name as well flows forth from there  into our language, does not concern the Latin ety-  mologist ; just as the Volturnus, because it starts from   e That is, for corrupt electioneering methods. d The Tiber  swings to the west at Rome, forming a virtual semicircle.  * A city in Umbria, almost encircled by the river Nar.   § 29. Adjective from voltur ' vulture ' ; there was a Mt.  Voltur farther south, on the boundary between Samnium and  Apulia.   27     VARRO     Volturnus nihil ad Latinam linguam : at 2 quod proxi-  mum oppidum ab eo secundum mare Volturnum, ad  nos, iam 3 Latinum vocabulum, ut Tiberinus no(me)n.'  Et colonia enim nostra Volturnu?/? 5 et deus Tiberinus.   30. Sed de Tiberis nomine anceps historia. Nam  et suum Etruria et Latium suum esse credit, quod  fuerunt qui ab Thebri vicino regulo Veientum 1 dixe-  rint appellat?fimam 4 Novam  Viam locus sacellum (Ve>labrum. 5   44. Velabrum a vehendo. Velaturam facere  etiam nunc dicuntur qui id mercede faciunt. Merces  (dicitur a mcrendo et aere) huic vecturae qui ratibus  transibant quadrans. Ab eo Lucilius scripsit :   Quadrantis ratiti.  VIII. 45. Reliqua urbis loca olim discreta, cum  Argeorum sacraria septem et viginti in (quattuor)   §43. x Added by Laetus. 2 Mue., with M, for auen-  tinum. 3 Added by L. Sp. 4 Turnebus, for fimam.  5 Mue., for labrum.     § 43. ° Page 115 Funaioli. Etymologies of place-names  are particularly treacherous ; none of those given here ex-  plains Aventinus. Varro elsewhere (de gente populi Romani,  quoted by Servius in Aen. vii. 657) says that some Sabines  established here by Romulus called it Aventinus from the  Avens, a river of the district from which they had come.  6 Frag. Poet. Rom. 27 Baehrens; R.O.L. ii. 56-57 Warming-  ton. c The spelling with d is required by the sense.  d Varro says that a ferry-raft was called a velabrum, and  that this name was transferred to the passage on which the  rafts had plied, when it was filled in and had become a street ;  but that there survived a chapel in honour of the ferry-rafts.   § 44. ° Correct etymology. 6 Incorrect etymology.   40     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 43-±5     several origins. Naevius b says that it is from the  aves ' birds,' because the birds went thither from  the Tiber ; others, that it is from King Aventinus  the Alban, because he is buried there ; others that it  is the Adventine c Hill, from the adventus ' coming ' of  people, because there a temple of Diana was estab-  lished in which all the Latins had rights in common.  I am decidedly of the opinion, that it is from advectus  ' transport by water ' ; for of old the hill was cut off  from everything else by swampy pools and streams.  Therefore they advehebaniur ' were conveyed ' thither  by rafts ; and traces of this survive, in that the way  by which they were then transported is now called  Velabrum ' fern",' and the place from which they  landed at the bottom of New Street is a chapel of the  Velabra. "   44. Velabrum ° is from vehere ' to convey.' Even  now, those persons are said to do velatura ' ferrying,'  who do this for pay. The merces 6 ' pay ' (so called  from merere ' to earn ' and aes ' copper money ') for  this ferrying of those who crossed by rafts was a  farthing. From this Lucilius wrote c :   Of a raft-marked farthing. 1 *   VIII. 45. The remaining localities of the City  were long' ago divided off, when the twenty-seven   c 1272 Marx. d The quadrans or fourth of an as was  marked with the figure of a raft.   § 45. ° It would seem simpler if the shrines numbered  twenty-four, six in each of the four sections of Rome. But  both here and in vii. 44 the number is driven as twenty-seven.  It is hardly likely that in both places XXUII ( =XXVII) has  been miswritten for XXIIII ; yet this supposition must be  made by those who think that the correct number is twenty-  four.     41     VARRO     partis 1 urbi(s) 2 sunt disposita. Argeos dictos putant  a principibus, qui cum /fercule Argivo venerunt  Romam et in Saturnia subsederunt. E quis prima  scripta est regio Suburana, 3 secunda' Esquilina, tertia  Collina, quarta Palatina.   46. In Suburanae 1 regionis parte princeps est  Caelius mons a C#ele Vibenna, 2 Tusco duce nobili, qui  cum sua manu dicitur Romulo venisse auxilio contra  7atium 3 regem. Hinc post Caelis 4 obitum, quod  nimis munita loca tenerent neque sine suspicione  essent, deducti dicuntur in planum. Ab eis dictus  Vicus Tuscus, et ideo ibi Vortumnum stare, quod is  deus Etruriae princeps ; de Caelianis qui a suspicione  liberi essent, traductos in eum locum qui vocatur  Cfleliolum.   4-7. Cum Cflelio 1 coniunctum Carinae et inter eas  quern locum Caer(i)o/ensem 2 appellatum apparet,   § 45. 1 L. Sp., for sacraria in septem et uiginti partis.  2 Ijaetus, for urbi. 3 Aug., for suburbana F 1, subura F 2 .   § 46. 1 Aug., with B,for suburbanae. 2 Frag. Cass.,  for uibenno / cf. Tacitus, Ann. iv. 65. 3 Puccius, \oith  Servius in Aen. v. 560, for latinum. 4 Coelis Aug., for  celii.   § 47. 1 Laetus, for celion. 2 Kent ; Caeliolensem ten  Brink {and similarly through the section) ; for ceroniensem.     * Puppets or dolls made of rushes, thrown into the Tiber  from the Pons Sublicius every year on May 14, as a sacrifice  of purification ; the distribution of the shrines from which  they were brought was to enable them to take up the pollu-  tion of the entire city. Possibly the dolls were a substitute  for human victims. The name Argei clearly indicates that  the ceremony was brought from Greece.   § 46. Comparison with § 47, § 50, § 52, § 54, shows that   42     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 45-47     shrines of the Argei 6 were distributed among the four  sections of the City. The Argei, they think, were  named from the chieftains who came to Rome with  Hercules the Argive, and settled down in Saturnia.  Of these sections, the first is recorded as the Suburan  region, the second the Esquiline, the third the Colline,  the fourth the Palatine.   46. In the section of the Suburan region, the first  shrine ° is located on the Caelian Hill, named from  Caeles Yibenna, a Tuscan leader of distinction, who is  said to have come with his followers to help Romulus  against King Tatius. From this hill the followers of  Caeles are said, after his death, to have been brought  down into the level ground, because they were in  possession of a location which was too strongly forti-  fied and their loyalty was somewhat under suspicion.  From them was named the Vicus Tuscus ' Tuscan  Row,' and therefore, they say, the statue of  Vertumnus stands there, because he is the chief god  of Etruria ; but those of the Caelians who were free  from suspicion were removed to that place which is  called Caeliohim ' the little Caelian.' 6   47. Joined to the Caelian is Cannae ' the Keels ' ;  and between them is the place which is called Caerio-   the sacra Argeorum (§ 50) used princeps, terticeps, etc., to  designate numerically the shrines in each pars ; and that the  place-name was set in the nominative alongside the neuter  numeral : therefore " the first is the Caelian Hill " means that  the first shrine is located on that hill. Cf. K. O. Mueller, Zur  Topographle Horns : ilber die Fragmenta der Sacra Argeorum  bei Varro, de Lingua Latlna,v. 8 (pp. 69-94 in C. A. Bottiger,  Archaohgle und Kunst, vol. i., Breslau, 1828). * The  Caeliolum, spoken of also as the Caeliculus (or -um) by  Cicero, De liar. Resp. 15. 32, and as the Caelius Minor by  Martial, xii. 18. 6, seems to have been a smaller and less im-  portant section of the Caelian Hill.   43     VARRO   quod primae regionis quartum sacrarium scriptum sic  est :   Caer(i)olensis 3 : quarticeps 4 circa Minerviuin qua in  Caeli?/(m> monte(m) B itur : in tabernola est.   Cflcrolensis s a Carinarum 7 iunctu dictus ; Carinae  pote a 8 caeri(m)onia, 9 quod hinc oritur caput Sacrae  Viae ab Streniae sacello quae pertinet in arce(m), 10  qua sacra quotquot mensibus feruntur in arcem et  per quam augures ex arce profecti solent inaugurare.  Huius Sacrae Viae pars haec sola volgo nota, quae  est a Foro eunti primore 11 clivo.   48. Eidem regioni adtributa Subura, quod sub  muro terreo Carinarum ; in eo est Argeorum sacel-  lum sextum. Subura(m) 1 Iunius scribit ab eo, quod  fuerit sub antiqua urbc ; cui testimonium potest esse,  quod subest ei 2 loco qui terreus murus vocatur. Sed  (ego a) 3 pago potius Succusano dictam puto Suc-  cusam : (quod in nota etiam) 4 nunc scribitur (SVC) 5   3 Kent, for cerolienses. 4 Aug., for quae triceps.  5 Aug., for celio monte. 6 Kent, for cerulensis. 7 For  carinaernm. 8 Jordan, for postea. 9 cerimonia Bek-  ker, for cerionia. 10 Aug., and Frag. Cass., for arce.  11 Aldus, for primoro.   § 48. 1 Wissowa, for subura. 2 Victorius, for et.  3 Added by Laetus (a Frag. Cass.). 4 Added by Mae.,  after Quintilian, Inst. Orat. i. 7. 29. 5 Added by Merck-  lin, to fill a gap capable of holding three letters, in F ; cf.  Quintilian, loc. cit.     § 47. ° That is, Caeliolensis ' pertaining to the Caeliolus.''  Through separation in meaning from the primitive, the r has  been subject to regular dissimilation as in caerulus for *catlu-  44     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 47-48     lensis, a obviously because the fourth shrine of the first  region is thus written in the records :   Coeriolensis : fourth 6 shrine, near the temple of Minerva,  in the street by which you go up the Caelian Hill ; it is in a  booth.'   Caeriolensis is so called from the joining of the Carinae  with the Caelian. Carinae is perhaps from caerimonia  ' ceremony,' because from here starts the beginning  of the Sacred Way, which extends from the Chapel  of Strenia d to the citadel, by which the offerings are  brought ever)' year to the citadel, and by which the  augurs regularly set out from the citadel for the  observation of the birds. Of this Sacred Way, this  is the only part commonly known, namely the part  which is at the beginning of the Ascent as you go  from the Forum.   48. To the same region is assigned the Subura,  which is beneath the earth-wall of the Cannae ; in it  is the sixth chapel of the Argei. Junius 6 writes that  Subura is so named because it was at the foot of the  old city (sub urbe) ; proof of which may be in the fact  that it is under that place which is called the earth-  wall. But I rather think that from the Succusan dis-  trict it was called Succusa ; for even now when abbre-  viated it is written SVC, with C and not B as third   his, Parilia for Palilia ; possibly association with Carinae  furthered the change. * Cf. § 46, note a. e The words  sinistra via or dexteriore via may have been lost before in  tabernola ; cf. ten Brink's note. d A goddess of health  and physical well-being.   § 48. " Etymology entirely uncertain. The neuters quod  and in eo, referring to Subura, mutually support each other.  6 M. Junius Gracchanus, contemporary and partisan of the  Gracchi ; page 1 1 Huschke. He wrote an antiquarian work  Be Potestatibus.   45     VARRO   tertia littera C, non B. Pagus Succusanus, quod  succurrit Carinis.   49. Sccundac rcgionis Esquiliae. 1 Alii has scrip-  serunt ab excubiis regis dictas, alii ab eo quod (aes-  culis} 2 excultae a rege Tullio essent. Huic origini  magis concinunt loca vicina, 3 quod ibi lucus dicitur  Facutalis et Larum Querquetulanum sacellum et  l?*cus 4 Mefitis et Iunonis Lucinae, quorum angusti  fines. Non mirum : iam diu enim late avaritia una  (domina) 5 est.   50. Esquiliae duo montes habiti, quod pars (Op-  pius pars) 1 Cespzus 2 mons suo antiquo nomine etiam  nunc in sacris appellatur. In Sacris Argeorum  scriptum sic est :   Oppius Mons : princeps quili(i>s 3 u/s 4 l?. 4 Sunt qui,  quod ibi vimineta 5 fuerint. Coin's 6 Quirinalis, (quod  ibi) 7 Quirini fanum. Sunt qui a Quiritibus, qui cum  Tatio Curibus venerunt ad Roma(m), 8 quod ibi  habuerint castra.   52. Quod vocabulum coniunctarum regionum  nomina obliteravit. Dictos enim collis pluris apparet  ex Argeorum Sacrificiis, in quibus scriptum sic est :   Collis Quirinalis : terticeps cis 1 aedem Quirini.  Collis Salutaris : quarticeps adversum est polinar  cis 2 aedem Salutis.   13 Mue., for sceptius. 14 Mue., for quinticepsois.  15 Laetus, for lacum. 16 Scaliger, for esquilinis.   § 51. 1 L. Sp., for colles. 2 Laetus, for uiminales.  3 Aug., with B, for uimino / cf Festus, 376 a 10 M. 4 L.  Sp., after ten Brink (arae eius), for arae. 6 O, Aug., for  uiminata. 6 Laetus, for colles. 7 Added by L. Sp.  8 Ten Brink ; Romam Laetus ; for ab Roma.   § 52. 1 Mue., for terticepsois. 2 Apollinar cis Mue.,  for pilonarois.     c Apparently to be associated with putidus ' stinking,'  because of the mention of Mefitis a few lines before ; but if  so, the oe is a false archaic spelling, out of place in putidus  and its kin. Another possibility is that it is to be connected  with the plebeian gens Poetelia ; one of this name was a  member of the Second Decemvirate, 450 b.c. d That is,  adjacent to the sacristan's dwelling.  48     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 50-52     Cespian Hill : fifth shrine, this side of the Poetelian "  Grove ; it is on the Esquiline.   Cespian Hill : sixth shrine, at the temple of Juno Lucina,  where the sacristan customarily dwells.*   51. To the third region belong five hills, named  from sanctuaries of gods ; among these hills are two  that are well-known. The .Viminal Hill got its name  from Jupiter Viminius ' of the Osiers,' because there  was his altar ; ■ but there are some a who assign its  name to the fact that there were vimineta ' willow-  copses ' there. The Quirinal Hill was so named  because there was the sanctuary of Quirinus 6 ;  others c say that it is derived from the Quirites, who  came with Tatius from Cures d to the vicinity of  Rome, because there they established their camp.   52. This name has caused the names of the  adjacent localities to be forgotten. For that there  were other hills with their own names, is clear from  the Sacrifices of the Argei, in which there is a record  to this effect ° :   Quirinal Hill : third shrine, this side of the temple of  Quirinus.   Salutary Hill * : fourth shrine, opposite the temple of  Apollo, this side of the temple of Salus.   §51. "Page 118 Funaioli. b Quirinalis, Quirinus,  Quirites belong together ; but Cures is probably to be kept  apart. c Page 116 Funaioli. d An ancient city of the  Sabines, about twenty-four miles from Rome, the city of  Tatius and the birthplace of Xnma Pompilius, successor of  Romulus; cf. Livy, i. 13, 18.   § 53. ° Page 6 Preibisch. 6 Sal u tar is, from salus  ' preservation ' ; the temple perhaps marked the place of a  victory in a critical battle, or commemorated the end of a  pestilence. We do not know whether this Salus was the  same as Iuppiter Salutaris. mentioned by Cicero, De Finibus,  iii. 20. 66 ; cf. the Greek Zevs aarrqp ' Zeus the Saviour.'   vol. l E 49     VARRO   Collis Mucialis : quinticeps apud aedem Dei Fidi 3 ; in  delubro, ubi aeditumus habere solet.   Colli's 4 Latiaris 5 : sexticeps in Vico Instef'ano 6 summo,  apud au(gu)raculum' ; aedificium solum est.   Horum deorum arae, a quibus cognomina habent, in  cius regionis partibus sunt.   53. Quartae regionis Palatium, quod Pallantes  cum Euandro venerunt, qui et Palatini ; (alii quod  Palatini), 1 aborigines ex agro Reatino, qui appeliatur  Palatium, ibi conse(de)runt 2 ; sed hoc alii a Palanto 3  uxore Latini putarunt. Eundem hunc locum a pecore  dictum putant quidam ; itaque Naevius Balatium  appellat.   5 1. Huic Cermalum et Velias 1 coniunxerunt, quod  in hac rcgione 2 scriptum est :   Germalense : quinticeps apud aedem Romuli.   Et   Veliense 3 : sexticeps in Velia apud aedem deum Penatium.   3 For de i de fidi. 4 For colles. 5 M, Laetus, for  latioris. 6 Jordan, for instelano ; cf Livy, xxiv. 10. 8,  in vico Insteio. 7 Turtiebus,for auraculum.   § 53. 1 Added by A. Sp. 2 Fray. Cass., M, Laetus,  for conserunt. 3 Mite., (Palantho L. Sp.), for palantio /  cf Fest. 220. 6 M.   § 54. 1 For uellias. 2 M, Laetus, for religione.  3 Bentlnus, for uelienses.   c 3Ivcialis, apparently from the gens Mucia ; the first known  Mucius was the one who on failing to assassinate Porsenna,  the Etruscan king who was besieging Pome, burned his right  hand over the altar-fire and thus gained the cognomen Scae-  vola ' Lefty.' Several Mucii with the cognomen Scaevola  were prominent in the political and legal life of Rome from  215 to 82 b.c. d Detts Fidivs was an aspect of Jupiter;  cf. Greek Zev? marios. e Latiaris 'pertaining to Latium';  Iuppiter Latiaris was the guardian deity of the Latin Con-  federation, cf. Cicero, Pro Milone, 31. 85.    Mucial Hill e : fifth shrine, at the temple of the God of  Faith, 4 in the chapel where the sacristan customarily dwells.   Latiary Hill * : sixth shrine, at the top of Insteian Row, at  the augurs' place of observation ; it is the only building.   The altars of these gods, from which they have their  surnames, are in the various parts of this region.   53. To the fourth region belongs the Palatine, so  called because the Pallantes came there* with Evan-  der, and they were called also Palatines ; others think  that it was because Palatines, aboriginal inhabitants  of a Reatine district called Palatium, 6 settled there ;  but others c thought that it was from Palanto, d wife  of Latinus. This same place certain authorities  think was named from the pecus ' flocks ' ; therefore  Naevius e calls it the Balalium f ' Bleat-ine.'   54. To this they joined the Cermalus ° and the  Veliae, 6 because in the account of this region it is thus  recorded c :   Germalian : fifth shrine, at the temple of Romulus,   and   Velian : sixth shrine, on the Velia, at the temple of the  deified Penates.   § 53. ° For Palatium, there is no convincing etymology.  6 An ancient city of the Sabines, on the Via Salaria, forty-  eight miles from Rome, on the banks of the river Velinus.  ' Page 116 Funaioli. 4 According to Festus, 220. 5 M.,  Palanto was the mother of Latinus ; she is called Pallantia  by Servius in Jen. viii. 51. e Frag. Poet. Rom. 28 Baeh-  rens; R.O.L. ii. 56-57 Warmington. 'As though from  balare ' to bleat.'   § 54. "There is no etymology for Cermalus ; the word  began with C, but for etymological purposes Varro begins it  with G, relying on the fact that in older Latin C represented  two sounds, c and g. 6 Apparently used both in the  singular, Velia, and in the plural, Veliae; there is no ety-  mology. e Page 7 Preibisch.   51     VARRO     Germalum a germanis Romulo et Remo, quod ad  ficum ruminalem, et ii ibi inventi, quo aqua hiberna  Tiberis eos detulerat in alveolo expositos. Veliae  unde essent plures accepi causas, in quis quod ibi  pastores Palatini ex ovibus 4 ante tonsuram inventam  vellere lanam sint soliti, a quo vellera 5 dieuntur.   IX. 55. Ager Romanus primum divisus in partis  tris, a quo tribus appellata Tztiensium, 1 Ramnium,  Lueerum. Nominatae, ut ait Ennius, Titienses ab  Tatio, Ramnenses ab Romulo, Lueeres, ut Iunius,  ab Lueumone ; sed omnia haee voeabula Tusca, ut  Volnius, qui tragoedias 2 Tuscas seripsit, dicebat.   56. Ab hoe partes 1 quoque quattuor urbis tribus  dietae,ab loeis Suburana, Palatina, Esquilina, Collina ;  quinta, quod sub Roma, Romilia ; sic reliquae 2  tri(gin)ta 3 ab his rebus quibus in Tribu(u)m Libro 4  scripsi.   X. 57. Quod ad loca quaeque his coniuneta fuerunt,   4 Victorius, for quibus. 5 Laetvs, for uelleinera (uellaera  Frag. Cass.).   § 55. 1 Groth, for tatiensium. 2 For tragaedias.   § 56. 1 For partis. 2 For reliqna, altered from re-  liquae. 3 Turnebus, for trita. 4 Frag. Cass., L. Sp.,  for libros.     d Page 118 Funaioli.   § 55. ° Roman possessions in land, both state property  and private estates ; as opposed to ager peregrinus ' foreign  land.' 6 None of the etymologies is probable, which is  not surprising, as they were of non-Latin origin, whether or  not they were Etruscan. e Ann. i. frag. lix. Vahlen 2 ;  R.O.L. i. 38-39 Warmington. d Page 121 Funaioli ;  page 11 Huschke. e Page 126 Funaioli ; Volnius is not  mentioned elsewhere.   § 56. ° The four vrbanae tribus ' city tribes.' 6 The   52     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 5±-57     Germalus, they say, is from the germani ' brothers '  Romulus and Remus, because it is beside the Fig-tree  of the Suckling, and they were found there, where the  Tiber's winter flood had brought them when they had  been put out in a basket. For the source of the name  Veliae I have found several reasons/* among them,  that there the shepherds of the Palatine, before the  invention of shearing, used to vellere ' pluck ' the wool  from the sheep, from which the vellera ' fleeces ' were  named.   IX. 55. The Roman field-land a was at first  divided into tris ' three ' parts, from which they called  the Titienses, the Ramnes, and the Luceres each a  tribus ' tribe.' These tribes were named, 6 as Ennius  says," the Titienses from Tatius, the Ramnenses from  Romulus, the Luceres, according to Junius/* from  Lucumo ; but all these words are Etruscan, as Vol-  nius, e who wrote tragedies in Etruscan, stated.   56. From this, four parts of the City also were  used as names of tribes, the Suburan, the Palatine,  the Esquiline, the Colline, a from the places ; a fifth,  because it was sub Roma ' beneath the walls of Rome,'  M as called Romilian 6 ; so also the remaining thirty c  from those causes which ris. 1 A qua vi natis dicta vita  et illud a Lucilio :   Vis est vita, vides, vis nos facere omnia cogit.   64. Quare quod caelum principium, ab satu est  dictus Saturnus, et quod ignis, Saturnalibus cerei  superioribus mittuntur. Terra Ops, quod hie omne  opus et hac opus ad vivendum, et ideo dicitur Ops  mater, quod terra mater. Haec enim   Terris gentis omnis peperit et resumit denuo,   quae   Dat cibaria,   8 Sciop.,/or uiere est uincere. 4 Scaliger, for palmam.   § 63. 1 L. Sp. ; significantes Veneris Laetus ; for signi-  ficantes se ueris.     ' Vincire is in fact derived from an extension of the root  seen in viere. 3 25 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 404-405 Warming-  ton. h Palma and paria are etymologically separate.   § 63. A Greek legend, invented to connect the name of  Aphrodite with dpos ' foam ' ; cf. Hesiod, Theogony, 188-  198. The name Aphrodite is probably of Semitic origin.   60     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 62-64-     itself, from vinctura ' binding,' said vieri ' to be plaited,'  that is, vinciri ' to be bound ' f ; whence there is the  line in Ennius's Sota 9 :   The lustful pair were going, to plait the Love-god's  garland.   Palma ' palm ' is so named because, being naturally  bound on both sides, it has paria ' equal * leaves.^   63. The poets, in that they say that the fiery seed  fell from the Sky into the sea and Venus was born  "from the foam-masses," ° through the conjunction  of fire and moisture, are indicating that the vis ' force'  which they have is that of Venus. Those born of this  vis have what is called vita 6 ' life,' and that was meant  by Lucilius c :   Life is force, you see ; to do everything force doth  compel us.   64. Wherefore because the Sky is the beginning,  Saturn was named from satus a ' sowing ' ; and  because fire is a beginning, waxlights are presented to  patrons at the Saturnalia. 6 Ops c is the Earth, be-  cause in it is every opus ' work ' and there is opus  ' need ' of it for living, and therefore Ops is called  mother, because the Earth is the. mother. For she d   All men hath produced in all the lands, and takes  them back again,   she who   Gives the rations,   * Vis and vita are not connected etymological ly. e 1340  Marx.   § 64. ° This etymology is unlikely. * Confirmed by  Festus, 54. 16 M. e Ops and opus are connected ety-  mologically. d Ennius, Varia, 48 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 412-  413 Warmington.   61     VARRO   ut ait Ennius, quae   Quod gerit fruges, Ceres ;   antiquis enim quod nunc G C. 1   65. Idem hi dei Caelum et Terra Iupiter et Iuno,  quod ut ait Ennius :   Istic est is Iupiter quem dico, quern Grneci vocant  Aerem, qui ventus est et nubes, imber postea,  Atque ex imbre frigus, verities 1 post fit, aer denuo.  Hacc(e) 2 propter Iupiter sunt ista quae dico tibi,  Qui 3 mortalis, (arva) 4 atque urbes beluasque omnis  iuvat.   Quod hi(n)c 5 omnes et sub hoc, eundem appellans  dicit :   Divumque hominumque pater rex.   Pater, quod patefacit semen : nam turn esse 8 con-  ceptual (pat)et, 7 inde cum exit quod oritur.   66. Hoc idem magis ostendit antiquius Iovis  nomen : nam olim Diovis et Di(e)spiter 1 dictus, id  est dies pater ; a quo dei dicti qui inde, et diws 2 et   § 64. 1 Lachmann ; C quod nunc G Mite. ; for quod  nunc et.   § 65. 1 Laetus, for uentis. 2 Mor. Jlaupt ; haecce  Mae. ; for haec. 3 Aug., with B, for qua. 4 Added  by Schoell. 5 L. Sp., for hie. 6 Mue., for est.  7 Mue., for et.   § 66. 1 Laetus, for dispiter. 2 Bentinus, for dies.     'Varia, 49-50 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 412-413 Warmington ;  gerit and Ceres are not connected. / There was a time  when C had its original value g (as in Greek, where the  third letter is gamma) and had taken over also the value of  K. The use of the symbol G for the sound g was later. C  in the value g survived in C. = Gaius, Cn. = Gnaeus.   § 65. Varia, 54-58 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 414-415 Warm-  ington. * Iupiter and iuvare are not related. c An-   62     OX THE LATIN LANGUAGE, V. 64-66   as Ennius says, e who   Is Ceres, since she brings (gerit) the fruits.  For with the ancients, what is now G, was written C/   65. These same gods Sky and Earth are Jupiter  and Juno, because, as Ennius says,°   That one is the Jupiter of whom I speak, whom  Grecians call   Air ; who is the windy blast and cloud, and after-  wards the rain ;   After rain, the cold ; he then becomes again the  wind and air.   This is why those things of which I speak to you  are Jupiter :   Help he gives * to men, to fields and cities, and  to beasties all.   Because all come from him and are under him, he  addresses him with the words c :   O father and king of the gods and the mortals.   Pater ' father ' because he patefacit d ' makes evident '  the seed ; for then it patet ' is evident ' that concep-  tion has taken place, when that which is born comes  out from it.   66. This same thing the more ancient name of  J upiter a shows even better : for of old he was called  Diovis and Diespiter, that is, dies pater ' Father Day " b ;  from which they who come from him are called dei  ' deities,' and dius ' god ' and divum ' sky,' whence  sub divo ' under the sky,' and Dius Fidius ' god of   nates, 5S0 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 168-169 Warmington.  d Pater and patere are not related.   § 66. ° Iu- in Iupiter, Diovis, Dies, deus, Dius, divum  belong together by etymology. b K. O. Mueller thought  that Yarro meant dies as the old genitive, ' father of the day,'  instead of as a nominative in apposition ; but this is hardly  likely.   63     VARRO     divum, unde sub divo, Dius Fidius. Itaque inde eius  perforatum tectum, ut ea videatur divum, id est  caelum. Quidam negant sub tecto per hunc deierare  oportere. Aelius Dium Fid(i)um dicebat Diovis  filium, ut Grceci Aiocr/vopoi' Castorem, et putabat 3  hunc esse Sancum 4 ab Safeina lingua et Herculem a  Graeca. Idem hie Dis 5 pater dicitur infimus, qui est  coniunctus terrae, ubi omnia (ut) 6 oriuntur ita? abori-  untur ; quorum quod finis ortu(u)m, Orcus 8 dictus.   67. Quod Iovis Iuno coniunx et is Caelum, haec  Terra, quae eadem Tellus, et ca dicta, quod una iuvat  cum love, Iuno, et Regina, quod huius omnia ter-  restria.   68. Sol 1 vel quod ita Sa&ini, vel (quod) 2 solus 3 ita  lucet, ut ex eo dco dies sit. Luna, vel quod sola lucet  noctu. Itaque ea dicta Noctiluca in Palatio : nam  i.bi noctu lucet templum. Hanc ut Solem Apollinem  quidam Dianam vocant (Apollinis vocabulum Grae-  cum alterum, altcrum Latinum), et hinc quod luna in  altitudinem et latitudinem simul it, 4 Diviana appel-  lata. Hinc Epicharmus Ennii Proserpinam quoque   3 Puccius, for putabant. 4 Scaliger, for sanctum.  6 Mm., for dies. 6 Added by Miie. 7 Mue., for ui.  8 Tnrnebus, for ortus.   § 68. 1 Laetus, with M, for sola. 2 Added by Aug.,  with B. 3 Sclop., for solum. 4 L. Sp., for et.     c Page 60 Funaioli. d Sabine Sancus and the Umbrian  divine epithet Sangio- are connected with Latin sanclre ' to  make sacred,' sacer 'sacred.' ' Dis is the short form of  dives ' rich,' cf. the genitive divitis or ditis, and is not con-  nected with dies ; it is a translation of the Greek ITAoutoji'  ' Pluto,' as 'the rich one,' from -ttXoCtos 'wealth.' f The  Italic god of death, not connected with ortus, but perhaps  with arcere ' to hem in,' as ' the one who restrains the dead.'  § 67. a Not connected either with Iupiter or with iitvare.   64     OX THE LATIN LANGUAGE, V. 6&-68     faith.' Thus from this reason the roof of his temple  is pierced with holes, that in this way the divum,  which is the caelum ' sky,' may be seen. Some say  that it is improper to take an oath by his name, when  you are under a roof. Aelius c said that Dins Fidius  was a son of Diovis, just as the Greeks call Castor the  son of Zeus, and he thought that he was Sancus in the  Sabine tongue, d and Hercules in Greek. He is like-  wise called Dispater e in his lowest capacity, when he  is joined to the earth, where all things vanish away  even as they originate ; and because he is the end of  these ortus ' creations,' he is called OrcusJ   67. Because Juno is Jupiter's wife, and he is Sky,  she Terra ' Earth,' the same as Tellus ' Earth,' she  also, because she iuvat ' helps ' una ' along ' with  Jupiter, is called Juno,° and Regina ' Queen,' because  all earthly things are hers.   68. Sol a ' Sun ' is so named either because the  Sabines called him thus, or because he solus ' alone '  shines in such a way that from this god there is the  daylight. Luna ' Moon ' is so named certainly be-  cause she alone ' lucet ' shines at night. Therefore  she is called Noctiluca ' Night-Shiner ' on the Pala-  tine ; for there her temple noctu lucet ' shines by  night.' 6 Certain persons call her Diana, just as they  call the Sun Apollo (the one name, that of Apollo, is  Greek, the other Latin) ; and from the fact that the  Moon goes both high and widely, she is called Diviana. c  From the fact that the Moon is wont to be under the   § 6S. " Not connected with solus. * Either because  the white marble gleams in the moonlight, or because a light  was kept burning there all night. 'An artificially pro-  longed form of Diana ; Varro seems to have had in mind  deviare ' to go aside ' as its basis.   vol. if 65     VARRO     appellat, quod solet esse sub terris. Dicta Proserpina,  quod haec ut serpens modo in dexteram modo in  sinisteram partem late movetur. Serpere et proser-  pere idem dicebant, ut Plautus quod scribit :   Quasi proserpens bestia.   69. Quae ideo quoque videtur ab Latinis Iuno  Lucina dicta vel quod est e(t) 1 Terra, ut physici  dicunt, et lucet ; vel quod 2 ab luce eius qua quis  conceptus est usque ad earn, qua partus quis in lucem,  (l)una 3 iuvat, donee mensibus actis produxit in lucem,  ficta ab iuvando et luce Iuno Lucina. A quo parientes  earn invocant : luna enim nascentium dux quod  menses huius. Hoc vidisse antiquas apparet, quod  mulieres potissimum supercilia sua attribuerunt ei  deae. Hie enim debuit maxime collocari Iuno Lucina,  ubi ab diis lux datur oculis.   70. Ignis a (g)nascendo, 1 quod hinc nascitur et  omne quod nascitur ignis s(uc)cendit 2 ; ideo calet, ut  qui denascitur eum amittit ac frigescit. Ab ignis iam  maiore vi ac violentia Volcanus dictus. Ab eo quod   § 69. 1 L. Sp., for e . 2 For quod uel. 3 Sciop.,  for una.   § 70. 1 Mue., for nascendo. 2 OS., for scindit.   d Ennius, Varia, 59 Vahlen 2 . Proserpina is really borrowed  from Greek Hepoe6vri, but transformed in popular speech  into a word seemingly of Latin antecedents. e Poenulus  1034, Stichus 724 ; in both passages meaning a snake.   § 69. ° Lucina, from lux ' light,' indicates Juno as goddess  of child-birth. 6 Equal to ' full moon,' or ' month.'  66     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 68-70     lands as -well as over them, Ennius's Epicharmus calls  her Proserpina.* Proserpina received her name  because she, like a serpens ' creeper,' moves widely  now to the right, now to the left. Serpere ' to creep '  and proserpere ' to creep forward ' meant the same  thing, as Plautus means in what he writes e :   Like a forward-creeping beast.   69. She appears therefore to be called by the  Latins also Juno Lucina, either because she is also  the Earth, as the natural scientists say, and lucet  ' shines ' ; or because from that light of hers 6 in  which a conception takes place until that one in which  there is a birth into the light, the Moon continues to  help, until she has brought it forth into the light when  the months are past, the name Juno Lucina was made  from iuvare ' to help ' and lux ' light.' From this fact  women in child-birth invoke her ; for the Moon is the  guide of those that are born, since the months belong  to her. It is clear that the women of olden times  observed this, because women have given this goddess  credit notably for their eyebrows." For Juno Lucina  ought especially to be established in places where the  gods give light to our eyes.   70. Ignis ' fire ' is named from gnasci a 'to be  born,' because from it there is birth, and everything  which is born the fire enkindles ; therefore it is hot,  just as he who dies loses the fire and becomes cold.  From the fire's vis ac violentia ' force and violence,'  now in greater measure, Vulcan was named." From  the fact that fire on account of its brightness fulget   e Because the eyebrows protect the eyes by which we enjoy  the light (Festus, 305 b 10 M.).  § 70. a False etymologies.   67     VARRO   ignis propter splendoreni fulget, fulgwr 3 et fulmen, et  fulgur(itum) 4 quod fulmine ictum.   71. (In) 1 contrariis diis, ab aquae lapsu lubrico  lt/mpha. Lympha Iuturna quae iuvaret : itaque  multi aegroti propter id nomen hinc aquam petere  solent. A fontibus et fluminibus ac ceteris aqm's 2 dei,  ut Tiberinus ab Tiberi, et ab lacu Velini Velinia, et  Lymphae Com(m)otiZ(e)s 3 ad lacum Cutiliensem a  commotu, quod ibi insula in aqua commovetur.   72. Neptunus, quod mare terras obnubit ut nubes  caelum, ab nuptu, id est opertione, ut antiqui, a quo  nuptiae, nuptus dictus. Salacia Neptuni ab salo.  Vem'lia 1 a veniendo ac vento illo, quern Plautus dicit :   Quod ille 2 dixit qui secundo vento vectus est  Tranquillo mari, 3 ventum gaudeo.   73. Bellona ab bello nunc, quae Duellona a duello.   3 Canal, for fulgor. 4 Turnebus, for fulgur.   § 71. 1 Added by Madvig, who began the sentence here  instead of after diis. 2 V, p,for ceteras aquas. 3 GS„  for comitiis.   § 72. 1 Aug., for uenelia. 2 mss. of Plautus, for  ibi F. 3 mss. of Plautus have mare.     6 The three words are from fulgere ' to flash ' ; but the -Hum  of fulguritum is suflixal only, and is not connected with  ictum.   § 71. ° Properly from the Greek vu^ij, with dissimilative  change of the first consonant. 6 The first part may be the  same element seen in Iupiter, but is certainly not connected  with iuvare. e A lake in the Sabine country, formed by  the spreading out of the Avens River a few miles southeast of  Interamna. d A lake in the Sabine country, a few miles  east of Reate, in which there was a floating island which  drifted with the wind.   § 72. ° Neptunus is not connected with the other words,  though nubes may perhaps be related to nubere and its   68     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 70-73     ' flashes,' come fulgur ' lightning-flash ' and fulmen  ' thunderbolt,' and what has been fulmine ictum ' hit  by a thunderbolt ' is catted fulguritum. b   71. Among deities of an opposite kind, Lympha a  ' water-nymph ' is derived from the water's lapsus  lubricits ' slippery gliding.' Juturna 6 was a nymph  whose function was ittvare ' to give help ' ; therefore  many sick persons, on account of this name, are wont  to seek water from her spring. From springs and  rivers and the other waters gods are named, as  Tiberinus from the river Tiber, and Yelinia from the  lake of the Velinus, c and the Commotiles ' Restless '  Nymphs at the Cutilian Lake, d from the commotus  ' motion,' because there an island commovetar ' moves  about ' in the water.   72. Neptune, because the sea veils the lands as  the clouds veil the sky, gets his name from nuptus  ' veiling,' that is, opertio ' covering,' as the ancients  said ; from which nupiiae ' wedding,' nuptus ' wed-  lock ' are derived. Salacia, 6 wife of Neptune, got  her name from salum ' the surging sea.' Venilia c was  named from venire ' to come ' and that ventus ' wind '  which Plautus mentions d :   As that one said who with a favouring wind was borne  Over a placid sea : I'm glad I went.*   73. Bellona ' Goddess of War ' is said now, from  helium a ' war,' which formerly was Duellona, from   derivatives. 6 Almost certainly an abstract substantive to  salax ' fond of leaping, lustful, provoking lust * ; though  popularly associated with salum. c There is a Venilia in  the Aeneid, x. 76, a sea-nymph who is the mother of Turnns.  d Cistellaria, 14-15. * Punning on ventum. : the last  phrase may mean also " I'm glad there was a wind."  § 73. ' Correct.   69     VARRO     Mars ab eo quod maribus in bello praeest, aut quod  Sabinis acceptus ibi est Mamers. Quirinus a Quiri-  tibus. Virtus ut viri^us 1 a virilitate. Honos ab 2  onere : itaque honestum dicitur quod oneratum, et  dictum :   Onus est honos qui sustinet rem publicam.   Castoris nomen Graecum, Pollucis a Graecis ; in  Latinis litteris veteribus nomen quod est, inscribitur  ut IloXvSevK-qs 3 Polluces, non ut nunc 4 Pollux. Con-  cordia a corde congruente.   74. Feronia, Minerva, Novensides a Sa&inis. Paulo  aliter ab eisdem dicimus haec : Palem, 1 Vestam,  Salutem, Fortunam, Fontem, Fidem. E(t> arae 2  Sabinum linguam olent, quae Tati regis voto sunt  Romae dedicatae : nam, ut annales dicunt, vovit Opi,  Florae, Vediovi 3 Saturnoque, Soli, Lunae, Volcano  ct Summano, itemque Larundae, Termino, Quirino,  Vortumno, Laribus, Dianae Lucinaeque ; e quis non-  nulla nomina in utraque lingua habent radices, ut  arbores quae in confinio natae in utroque agro ser-   § 73. 1 Scaliger, for uiri ius. 2 After ab, Woelfflin  deleted honesto. 3 For pollideuces. 4 For nuns.   § 74. 1 Scaliger, for hecralem. 2 Mue., for ea re.  3 Mue., for floreue dioioui.     6 Mars and Mamers go together, but mares ' males ' is  quite distinct. c Virtus is in fact from vir. d Honos  and onus are quite distinct. * Com. Rom. Frag., page 147  Ribbeck 3 . 'As in inscriptions, where such spellings are  found. 9 Essentially correct.   § 74. ° An old Italian goddess, later identified with Juno.  6 Apparently ' new settlers,' from novus and insidere, used of  the gods brought from elsewhere as distinct from the indigetes  or native gods. c It is unlikely that all the deities of the   70     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 73-74     duellum. Mars is named from the fact that he com-  mands the mares ' males ' in war, or that he is called  Mamers 6 among the Sabines, with whom he is a  favourite. Quirinus is from Quirites. Virtus ' valour,'  as viritus, is from virilitas ' manhood.' e Honos ' honour,  office ' is said from onus d ' burden ' ; therefore hones-  turn ' honourable ' is said of that which is oneratum  ' loaded with burdens,' and it has been said :   Full onerous is the honour which maintains the state/   The name of Castor is Greek, that of Pollux likewise  from the Greeks ; the form of the name which is  found in old Latin literature 1 is Polluces, like Greek  lloXvSevKijs, not Pollux as it is now. Concordia ' Con-  cord ' is from the cor congruens ' harmonious heart.' 9  74. Feronia, a Minerva, the Novensides 6 are from  the Sabines. With slight changes, we say the follow-  ing, also from the same people c : Pales, d Vesta, Salus,  Fortune, Fons, e Fides ' Faith.' There is scent of the  speech of the Sabines about the altars also, which by  the vow of King Tatius were dedicated at Rome :  for, as the Annals tell, he vowed altars to Ops, Flora,  Vediovis and Saturn, Sun, Moon, Vulcan and Summa-  nus, f &nd likewise to Larunda, 9 Terminus, Quirinus, V er-  tumnus, the Lares, Diana and Lucina ; some of these  names have roots in both languages,* like trees which  have sprung up on the boundary line and creep about   next two lists were brought in from elsewhere ; many of the  names are perfectly Roman. d Goddess of the shepherds,  who protected them and their flocks. ' God of Springs ;  cf. vi. 22. 1 A mysterious deity who was considered  responsible for lightning at night. * Called also Lara, a  tale-bearing nymph whom Jupiter deprived of the power of  speech. * Quite possible, but very unlikely in the cases  of Saturn and Diana.   71     VARRO     pwnt* : potest enim Saturnus hie de alia causa esse  dictus atque in Sabinis, et sic Diana, 5 de quibus supra  dictum est.   XL 75. Quod ad immortalis attinet, haec ; de-  inceps quod ad mortalis attinet videamus. De his  animalia in tribus locis quod sunt, in aere, in aqua,  in terra, a summa parte (ad) 1 infimam descendam.  Primum nomm(a) omm'wm 2 : alites (ab) alis, 3 volucres  a volatu. Deinde generatim : de his pleraeque ab  suis vocibus ut haec : upupa, cuculus, corvus, Airundo,  ulula,bubo ; item haec : pavo, anser,gallina,columba.   76. Sunt quae aliis de causis appellatae, ut noctua,  quod noctu canit et vigilat, lusci(ni)ola, 1 quod luctuose  canere existimatur atque esse ex Attica Progne in  luctu facta avis. Sic galeritfus 2 et motacilla, altera  quod in capite habet plumam elatam, altera quod  semper movet caudam. Merula, quod mera, id est  sola, volitat ; contra ab eo graguli, quod gregatim,   * For serpent. 5 Aldus, for dianae.   §75. 1 Added by O, II. 2 Fay ; nomen omnium  Mite. ; for nomen nominem. 3 Aug., for alii.   §76. 1 Victorius, for lusciola. 2 Aug., with B, for  galericus.     * Saturn in § 64, Diana in § 68.   §75. "The first six, except hirvndo (of unknown ety-  mology), are onomatopoeic. Of the last four, pavo is  borrowed from an Oriental language ; anser is an old Indo-  European word ; gallina is ' the Gallic bird ' ; cohimba is  named from its colour.   §76. "Perhaps correct, if from luges-cania 'sorrow-  singer.' * Procne, daughter of Pandion king of Athens  and wife of Tereus king of Thrace, killed her son Itys and  served him to his father for food, in revenge for his ill-treat-  ment and infidelity ; see Ovid, Metamorphoses, vi. 424-674.  c Literally ' hooded,' wearing a galerum or hood-like helmet.  d If not correct, then a very reasonable popular etymology.   72     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 7^-76     in both fields : for Saturn might be used as the god's  name from one source here, and from another among  the Sabines, and so also Diana ; these names I have  discussed above.*   XL 75. This is what has to do with the immortals ;  next let us look at that which has to do with mortal  creatures. Amongst these are the animals, and  because they abide in three places — in the air, in the  water, and on the land — I shall start from the highest  place and come down to the lowest. First the names  of them all, collectively : alites ' winged birds ' from  their alae ' wings,' volucres ' fliers ' from volaius ' flight.'  Next by kinds : of these, very many are named from  their cries, as are these : upupa ' hoopoe,' cuculus  ' cuckoo,' corvus ' raven,' hirundo ' swallow,' ulula  ' screech-owl,' bubo ' horned owl ' ; likewise these :  pavo ' peacock,' anser ' goose,' gallina ' hen,' columba  ' dove.' °   76. Some got their names from other reasons,  such as the noctua ' night-owl,' because it stays awake  and hoots noctu ' by night,' and the lusciniola ' night-  ingale,' because it is thought to canere ' sing ' luctuose  ' sorrowfully ' ° and to have been transformed from  the Athenian Procne 6 in her luctus ' sorrow,' into a  bird. Likewise the galeritus c ' crested lark ' and the  motacilla ' wagtail,' the one because it has a feather  standing up on its head, the other because it is always  moving its tail."* The merula ' blackbird ' is so named  because it flies mera ' unmixed,' that is, alone e ; on  the other hand, the graguli f 'jackdaws ' got their  names because they fly gregatim ' in flocks,' as certain   e That is, without other birds, like wine without water : an  absurd etymology. f Properly graculi ; not connected with  greges.   73     VARRO     ut quidam Graeci greges yepyepa. Ficedula(e) 3 et  miliariae a cibo, quod alterae fico, alterae milio fiunt  pingues.   XII. 77. Aquatilium vocabula animalium partim  sunt vernacula, partim peregrina. Foris muraena,  quod p.vpa.iva Gracce, cybium 1 et thynnus, cuius item  partes Graecis vocabulis omnes, ut melander atque  uraeon. Vocabula piscium pleraque translata a ter-  restribus ex aliqua parte similibus rebus, ut anguilla,  lingulaca, sudis 2 ; alia a coloribus, ut haec : asellus,  umbra, turdus ; alia a vi quadam, ut haec : lupus,  canicula, torpedo. Item in conchyliis aliqua ex  Graecis, ut peloris, ostrea, echinus. Vernacula ad  similitudinem, ut surenae, 3 pectunculi, ungues.   XIII. 78. Sunt etiam animalia in aqua, quae in  terram interdum exeant : alia Graecis vocabulis, ut  pohypus, hzppo(s) potamios, 1 crocodilos, 3 alia Latinis,   3 Ed. Veneta, for ficedula.   §77. 1 Aldus, for cytybium. 2 Aldus, for lingula  casudis. 3 For syrenae.   § 78. 1 L. Sp., for yppo potamios. 2 For crocodillos.     9 Correct ; Varro, De Re Rustica, iii. 5. 2, speaks of miliariae  as prized delicacies, raised and fattened for the table.   § 77. The identification of many animals and fishes is  quite uncertain, and the translation is therefore tentative. But  the etymological views in § 77 and § 78 are approximately  correct. 6 More precisely, the flesh of the young tunny  salted in cubes. " Seemingly a variant form for melan-  dryon, Greek fie\dv8pvoi> ' slice of the large tunny called  He\dv8pvs or black-oak.' d From Greek ovpatos 'pertain-  ing to the tail (oi)pa).' 'Diminutive of anguis 'snake.'  / Because flat like a lingua ' tongue ' ; lingulaca means also   74     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 76-78     Greeks call greges ' flocks ' yepytpa. Ficedulae ' fig-  peckers ' and miliariae ' ortolans ' are named from  their food, 9 because the ones become fat on the Jicus  ' fig,' the others on milium ' millet.'   XII. 77. The names of water animals are some  native, some foreign." From abroad come muraena  ' moray,' because it is pvpaiva in Greek, cybium ' young  tunny ' 6 and thunnus ' tunny,' all whose parts likewise  go by Greek names, as melander ' black-oak-piece ' and  uraeon d ' tail-piece.' Very many names of fishes are  transferred from land objects which are like them in  some respect, as anguilla e ' eel,' lingulaca f ' sole,'  sudis 9 ' pike.' Others come from their colours, like  these : asellus ' cod,' umbra ' grayling,' turdus ' sea-  carp.' h Others come from some physical power, like  these : lupus ' wolf-fish,' canicula ' dogfish,' torpedo  1 electric ray.' * Likewise among the shellfish there  are some from Greek, as peloris ' mussel,' ostrea  ' oyster,' echinus ' sea-urchin ' ; and also native words  that point out a likeness, as surenaej pectunculi k  ' scallops,' ungues 1 ' razor-clams.'   XIII. 78. There are also animals in the water,  which at times come out on the land : some with  Greek names, like the octopus, the hippopotamus, the  crocodile ; others with Latin names, like rana ' frog,'   ' chatter-box, talkative woman.* ' On land, a ' stake.'  * On land, respectively ' little ass,' ' shadow,' * thrush.'  ' On land, respectively ' wolf,' ' little dog,' ' numbness.'  1 Of unknown meaning, and perhaps a corrupt reading ;  Groth, De Codice Florentino, 27 (105), suggests pernae from  Pliny, Nat. Hist, xxxii. 11. 54. 154, who mentions the  perna as a sea-mussel standing on a high foot or stalk, like a  haunch of ham with the leg. * On land, ' little combs,'  diminutive of pecten. 1 ' Finger-nails ' ; perhaps not the  razor-clam, but a small clam shaped like the finger-nail.   75     VARRO   ut rana, (anas), 3 mergus ; a quo Graeci ea quae in  aqua et terra possunt vivere vocant dfufiifiia. E quis  rana ab sua dicta voce, anas a nando, mergus quod  mergendo in aquam captat escam.   79. Item alia 1 in hoc genere a Graecis, ut quer-  quedula, (quod) 2 K€pK?yS?;s, 3 alcedo, 4 quod ea (xAkcwv;  Latina, ut testudo, quod testa tectum hoc animal,  lolligo, quod subvolat, littera commutata, primo vol-  ligo. Ut ^4egypti in flumine quadrupes sic in Latio,  nominati lw(t)ra 5 et fiber. Lw(t)ra, 5 quod succidere  dicitur arborum radices in ripa atque eas dissolvere :  ab (luere) ktra. 6 Fiber, ab extrema ora fluminis  dextra et sinistra maxime quod solet videri, et antiqui  februm dicebant extremum, a quo in sagis fimbr(i)ae  ct in iecore extremum fibra, fiber dictus.   XIV. 80. De animalibus in locis terrestribus quae  sunt hominum propria primum, deinde de pecore,  tertio de feris scribam. Incipiam ab honore publico.   3 Added by Aug.   § 79. 1 L. Sp., with B, for aliae. 2 Added by Kent.  3 OS., for cerceris. 4 Groth ; halcedo Laettis ; for  algedo. 5 GS. ; lytra Turnebus ; for lira. 6 Stroux ;  ab luere Scaliger ; for ab litra.   § 78. Of. § 77, note a.   § 79. Conjectural purely. * An absurd etymology.  c Originally udra ' water-animal,' with I from association with  lutum ' mud ' or lutor ' washer.' Varro attributes to the  otter the tree-felling habit of the beaver. d Properly ' the  brown animal.' e Fiber, fimbriae, fibra have no etymologi-  cal connexion.   76     ON THE L ATI NT LANGUAGE, V. 78-80     anas ' duck,' mergus ' diver.' Whence the Greeks  give the name amphibia to those which can live both  in the water and on the land. Of these, the rana is  named from its voice, the anas from nare ' to swim,'  the mergus because it catches its food by mergendo  ' diving ' into the water.   79. Likewise there are other names in this class,  that are from the Greeks, as querquedula ' teal,' because  it is Ke/DK/}S?;?,° and alcedo ' kingfisher,' because this is  olXkvcjv : and Latin names, such as testudo ' tortoise,'  because this animal is covered with a testa ' shell,' and  lolligo ' cuttle-fish,' because it volat ' flies ' up from  under, 6 originally volligo, but now with one letter  changed. Just as in Egypt there is a quadruped  living in the river, so there are river quadrupeds in  Latium, named Intra ' otter ' and fiber ' beaver.' The  lutra c is so named because it is said to cut off the roots  of trees on the bank and set the trees loose : from  luere ' to loose,' lutra. The beaver d was called fiber  because it is usually seen very far off on the bank of  the river to right or to left, and the ancients called a  thing that was very far off afebrum ; from which in  blankets the last part is called fimbriae ' fringe ' and  the last part in the liver is the fibra ' fibre.' 6   XIV. 80. Among the living beings on the land, I  shall speak first of terms which apply to human beings,  then of domestic animals, third of wild beasts. I shall  start from the offices of the state. The Consul was   § 80. Properly, consulere is derived from consul. Of  consul, at least four reasonable etymologies are proposed, the  simplest being that it is from com+sed ' those who sit to-  gether,' as there were two consuls from the beginning ; the  I for d being a peculiarity taken from the dialect of the Sabines  (cf. lingua for older dingua).   77     VARRO     Consu Jnominatus qui consuleret populum et senatum,  nisi illinc potius uiide Accius 1 ait in Bruto :   Qui recte consulat, consul /iat. 2  Praetor dictus qui praeiret iure et exercitu ; a quo id  Lucilius :   Ergo praetorum est ante et praeire.   81. Censor ad cuius censionem, id est arbitrium,  censeretur populus. Aedilis qui aedis sacras et  privatas procuraret. Quaestores a quaerendo, qui  conquirerent publicas pecunias et maleficia, quae  triumviri capitales nunc conquirunt ; ab his postea  qui quaestionum iudicia exercent quaes^tores 1  dicti. Tribuni militum, quod terni tribus tribubus  Ramnium, Lucerum, Titium olim ad exercitum mitte-  bantur. Tribuni plebei, quod ex tribunis militum  primum tribuni plebei facti, qui plebem defenderent,  in secessione Crustumerina.   82. Dictator, quod a consule dicebatur, cui dicto  audientes omnes essent. Magister equitum, quod   § 80. 1 Later codices, for tatius F 1, p*, taccius F 2, V, a.  2 Laetus, for consulciat.   § 81. 1 Mommsen, for quaestores.     * Trag. Rom. Frag. 39 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 561-565 War-  mington. c lure is dative. d 1160 Marx.   § 81. ° The tribunus was by etymology merely the ' man  of the tribus or tribe,' and therefore did not derive his name  from the word for ' three,' except indirectly ; cf. § 55.  6 That is, elected by the plebeians from among their military  tribunes whom they had chosen to lead them in their Seces-  sion to the Sacred Mount (which may have lain in the terri-  tory of Crustumerium), in 494 B.C. Their persons were   78     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 80-82     so named as the one who should consulere ' ask the  advice of ' people and senate, unless rather from this  fact whence Accius takes it when he says in the  Brutus b :   Let him who counsels right, become the Consul.   The Praetor was so named as the one who should  praeire ' go before ' the law c and the army ; whence  Lucilius said this d :   Then to go out in front and before is the duty of  praetors.   81. The Censor was so named as the one at whose  censio ' rating,' that is, arbitrium ' judgement,' the  people should be rated. The Aedile, as the one who  was to look after aedes ' buildings ' sacred and private.  The Quaestors, from quaerere' to seek,' who conquirerent  ' should seek into ' the public moneys and illegal  doings, which the triumviri capitales ' the prison board '  now investigate ; from these, afterwards, those who  pronounce judgement on the matters of investigation  were named quaesitores ' inquisitors.' The Tribuni a  Militum ' tribunes of the soldiers,' because of old there  were sent to the army three each on behalf of the three  tribes of Ramnes, Luceres, and Tities. The Tribuni  Plebei ' tribunes of the plebs,' because from among the  tribunes of the soldiers tribunes of the plebs were first  created, 6 in the Secession to Crustumerium, for the  purpose of defending the plebs ' populace.'   82. The Dictator, because he was named by the  consul as the one to whose dictum ' order * all should  be obedient. The Magister Equitum ' master of the   sacrosanct, enabling them to carry out their duty of protect-  ing the plebeians against the injustice of the patrician officials.  § 82. ° Rather, because he dictat ' gives orders.'    summa potestas huius in equites et acccnsos, ut est  summa populi dictator, a quo is quoque magister  populi appellatus. Reliqui, quod minorcs quam hi  magistri, dicti magistratus, ut ab albo albatus.   XV. 83. Sacerdotes universi a sacris dicti. Pontu-  fices, ut 1 Scaevola Quintus pontufex maximus dicebat,  a posse et facere, ut po(te)ntifices. 2 Ego a ponte  arbitror : nam ab his Sublicius est factus primum ut  restitutus saepe, cum ideo sacra et uls 3 et cis Tiberim  non mediocri ritu fiant. Curiones dicti a curiis, qui  fiunt ut in his sacra faciant.   84. Flamines, quod in Latio capite velato erant  semper ac caput cinctum habebant filo, flamines 1  dicti. Horum singuli cognomina habent ab eo deo  cui sacra faciunt ; sed partim sunt aperta, partim  obscura : aperta ut Martialis, Volcanalis ; obscura  Dialis et Furinalis, cum Dialis ab love sit (Diovis  enim), Furi(n)alis a Furriwa, 2 cuius etiam in fastis   §83. 1 After ut, Ed. Veneta deleted a. 2 OS., for  pontifices, cf. v. 4. 3 For uis.   § 84. 1 Canal, for flamines, cf. Festus, 87. 15 M. 2 L.  Sp. ; Furina Aldus ; for furrida.     6 Not quite ; for magistratus is a fourth declension sub-  stantive, ' office of magister,' then ' holder of such an office,'  while albatus is a second declension adjective.   § 83. ° Q. Mucius Scaevola, consul 95 b.c, and subse-  quently Pontifex Maximus ; proscribed and killed by the  Marian party in 82. He was a man of the highest character  and abilities, and made the first systematic compilation of the  ius civile ; see i. 1 9 Huschke. 6 Varro may be right, though  perhaps it was the ' bridges ' between this world and the next  which originally the pontifices were to keep in repair ; cf.  Class. Philol. viii. 317-326 (1913). "The wooden bridge  on piles, traditionally built by Ancns Marcius. d The curia   80     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 82-84     cavalry,' because he has supreme power over the  cavalry and the replacement troops, just as the dictator  is the highest authority over the people, from which  he also is called magister, but of the people and not of  the cavalry. The remaining officials, because they  are inferior to these magistri ' masters,' are called  magistratus ' magistrates,' derived just as albatus  ' whitened, white-clad ' is derived from albus ' white.' 6   XV. 83. The sacerdotes ' priests ' collectively were  named from the sacra ' sacred rites.' The pontifices  ' high-priests,' Quintus Scaevola a the Pontifex Maxi-  mus said, were 'named from posse ' to be able ' and  facet e ' to do,' as though potentifices. For my part I  think that the name comes from pons ' bridge ' 6 ; for  by them the Bridge-on-Piles c was made in the first  place, and it was likewise repeatedly repaired by them,  since in that connexion rites are performed on both  sides of the Tiber with no small ceremony. The  curiones were named from the curiae ; they are created  for conducting sacred rites in the curiae.*   84. The jiamines a ' flamens,' because in Latium  they always kept their heads covered and had their  hair girt with a woollen filum ' band,' were originally  called Jilamines. Individually they have distinguish-  ing epithets from that god whose rites they perform ;  but some are obvious, others obscure : obvious, like  Martialis and Volcanalis ; obscure are Dialis and  Furinalis, since Dialis is from Jove, for he is called also  Diovis, and Furinalis from Furrina, 6 who even has a   was the fundamental political unit in the early Roman state ;  it was an organization of yentes, originally ten to the curia,  and ten curiae to each of the three tribes.   § 84. ° Of uncertain etymology, but not from filamen.  b A goddess, practically unknown ; cf. vi. 19.   VOL. I G 81     VARRO     feriae Furinales sunt. Sic flamen Falacer a divo  patre Falacre.   85. Salii ab salitando, quod facere in comitiis in  sacris quotannis et solent et debent. Luperci, quod  Lupercalibus in Lupercali sacra faciunt. Fratres  Arvales dicti qui sacra publica faciunt propterea ut  fruges ferant arva : a ferendo et arvis Fratres Arvales  dicti. Sunt qui a fratria dixerunt : fratria est Groe-  cum vocabulum partis 1 hominum, ut (Ne)apoli 2 etiam  nunc. Sodales Titii pdrrjp ' clan  brother ' ; any reference to it is here out of place. f Ac-  cording to Tacitus, Ann. i. 54, they were established by Titus  Tatius for the preservation of certain Sabine religious  practices.   § 86. Perhaps from an old word meaning ' law,' from  the root seen in feci ' I made, established ' ; but without  connexion with the words in the text. Foedus, fides, fidus  are closely connected with one another. 6 In the early   82     OX THE LATIN LANGUAGE, V. 84-86     Furinal Festival in the calendar. So also the Flamen  Falacer from the divine father Falacer. 6   85. The Salii were named ° from salitare ' to  dance,' because they had the custom and the duty of  dancing yearly in the assembly-places, in their cere-  monies. The Luperci 6 were so named because they  make offerings in the Lupercal at the festival of the  Lupercalia. Fratres Arvales 1 Arval Brothers ' was  the name given to those who perform public rites to  the end that the ploughlands may bearfruits : from  ferre ' to bear ' and arva ' ploughlands ' they are called  Fratres Arvales'. But some have said d that they  were named from fratria ' brotherhood ' : fratria is  the Greek name of a part of the people, e as at Naples  even now. The Sodales Titii ' Titian Comrades ' are  so named from the titiantes ' twittering ' birds which  they are accustomed to watch in some of their augural  observations/   86. The Fetiales a ' herald-priests,' because they  were in charge of the state's word of honour in  matters between peoples ; for by them it was brought  about that a war that was declared should be a just  war, and by them the war was stopped, that by a  foedus ' treaty ' thejides ' honesty ' of the peace might  be established. Some of them were sent before war  should be declared, to demand restitution of the  stolen property, 6 and by them even now is made the  foedus ' treaty,' which Ennius writes c was pronounced  Jidus.   days wars started chiefly as the result of raids in which  property, cattle, and persons had been carried off. e Page  23S Vahlen* ; R.O.L. i. 5&4 Warmington ; Ennius probably  wished by a pun to indicate a relation between foedus and the  adjective Jidus which, in his opinion, did not really exist  (though it did).   83     VARRO     XVI. 87. In re militari praetor dictus qui praeiret  exercitui. Imperator, ab imperio populi qui eos, qui  id attemptasse(n)t, oppressi(t) 1 hostis. Legati qui  lecti publice, quorum opera consilioque uteretur  peregre magistratus, quive nuntii senatus aut populi  essent. Exercitus, quod exercitando fit melior.  Legio, quod leguntur milites in delectu.   88. Cohors, quod ut in villa ex pluribus tectis  coniungitur ac quiddam fit unum, sic hie 1 ex manipulis  pluribus copulatur 2 : cohors quae in villa, quod circa  eum locum pecus cooreretur, tametsi cohortem in  villa /fypsicrates 3 dicit esse Graece X!°P T0V * apud  poetas dictam. Manipuhuo 4 canit, ut turn cum  classes comitiis ad comit(i)atum 5 vocant.   XVII. 92. Quae a fortuna vocabula, in his quae-  dam minus aperta ut pauper, dives, miser, beatus, sic  alia. Pauper a paulo lare. Mendicus a minus, cui  cum opus est minus nullo est. Dives a divo qui ut  deus nihil 1 indigere videtur. Opulentus ab ope, cui  eae opimae ; ab eadem inops qui eius indiget, et ab  eodem fonte copis 2 ac copiosus. Pecuniosus a pecunia  magna, pecunia a pecu : a pastoribus enim horum  vocabulorum origo.   XVIII. 93. Artificibus maxima causa ars, id est,  ab arte medicina ut sit medicus dictus, a sutrina sutor,  non a medendo ac suendo, quae omnino ultima huic  rei : (hae enim) 1 earum rerum radices, ut in proxumo   §91. 1 For caepti. 2 IihoL, for litigines. 3 A.  Sp., for classicos. 4 A. Sp., for cornu no. 5 Ver-  tranius, for comitatum.   § 92. 1 For nichil. 2 Turnebiis, for copiis.   § 93. 1 Added by Reitzenstein.   6 That is, from lituus ' cornet ' and canere.   § 92. " Pau-per has the same first element as pau-lus.  b Derivative of mend um ' error, defect.' c Quite possibly,  since the gods were thought of as conferring wealth ; dives is  derived from divus as caeles is from caelum. d From co-  opts. * The earliest unit of value was a domestic animal ;  cf. English fee and German Viek ' cattle,' both cognate to  Latin pecu.   § 93. " Properly medicina from medicus, which is from  mederi, etc.   88     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 91-93     assistants, were at the start called optiones ' choices ' ;  but now the tribunes, to increase their influence, do  the appointing of them. Tubicines ' trumpeters,' from  tuba ' trumpet ' and canere ' to sing or play ' ; in like  fashion liticines b ' cornetists.' The classicus ' class-  musician ' is named from the classis ' class of citi-  zens ' ; he likewise plays on the horn or the cornet,  for example when they call the classes to gather for  an assembly.   XVII. 92. Among the words which have to do  with personal fortune, some are not very clear, such as  pauper ' poor,' dives ' rich,' miser ' wretched,' beatus  ' blest,' and others as well. Pauper a is from paulus  lar ' scantily equipped home.' Mendicus b ' beggar '  is from minus ' less,' said of one who, when there is a  need, has minus ' less ' than nothing. Dives ' rich ' is  from divus 6 ' godlike person,' who, as being a deus  ' god,' seems to lack nothing. Opulentus ' wealthy '  is from ops ' property,' said of one who has it in abun-  dance ; from the same, mops ' destitute ' is said of  him who lacks ops, and from the same source copis d  ' well supplied ' and copiosus ' abundantly furnished.'  Pecuniosus ' moneyed ' is from a large amount of  pecunia ' money ' ; pecunia is from peca ' flock ' : for  it was among keepers of flocks that these words  originated.'   XVIII. 93. For artisans the chief cause of the  names is the art itself, that is, that from the ars viedi-  cina ' medical art ' the medicus ' physician ' should be  named, and from the ars sutrina ' shoemaker's art '  the sutor ' shoemaker,' and not directly from mederi  ' to cure ' and suere ' to sew,' though these are the  absolutely final sources for such names. For these  are the roots of these things, as will be shown in the   89     VARRO     libro aperietur. Quare quod ab arte artifex dicitur  nec multa in eo obscura, relinquam.   94. Similis causa quae ab scientia voca 3  coactum in publicum, si erat aversum.   96. Ex quo 1 fructus maior, hie 2 est qui Graecis  usus : (sus), quod vs, bos, quod j3ovs, taurus, quod  (Tavpos), item ovis, quod ots : ita enim antiqui  dicebant, non ut nunc -n-pofSarov. Possunt in Latio  quoque ut in Graecia ab suis vocibus haec eadem ficta.  Armenta, quod boves ideo maxime parabant, ut inde  eligerent ad arandum ; inde arimenta dicta, postea   1 tertia littera extrita. Vitulus, quod Greece anti-  quitus iVaAos, aut quod plerique vegeti, vegitulus. 3  Iuvencus, iuvare qui iam ad agrum colendum posset.   97. Capra carpa, a quo scriptum   Omnicarpae caprae.   //ircus, 1 quod Sa&ini fircus ; quod illic fedus, 2 in Latio  rure hedus, qui in urbc ut in multis A addito Aaedus. 3  Porcus, quod Saoini dicww^ 4 aprun«(m) porra(m) 5 ;  proi(n)de 6 porcus, nisi si a Graecis, quod Athenis in  libris sacrorum scripta est iropK-q e(t> 7to/3ko(s). 7   2 Fay, for ut. 3 Aug., for esse.   § 96. 1 Mue., for qua. 2 Mue., for hinc. 3 Laetus,  for uigitulus.   § 97. 1 Aug., for ircus. 2 For faedus. 3 Aug., for  aedus. 4 Laetus, for dicto. 5 Kent ; aprinum porcum  L. Sp. ; aprum porcum Scaliger ; for apruno porco.  6 Turnebus, for poride. 7 Kent, for porcae porco.     § 96. Correct equations ; but the Latin words are not  derived from the Greek : the four pairs are from the ancestral  language, and only sus is likely to be onomatopoeic.  6 The Greek word is not the source of the Latin word, but  is borrowed from it ; there is no satisfactory etymology of  vitulus. c Really ' youthful,' a derivative of invents  ' young man,' and not from iuvare.   §97. "Wrong. 6 An old inherited word. c Iden-   92     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 95-97   a fine was imposed in pecus ' cattle ' and there was a  collection into the state treasury, of what had been  diverted.   96. Regarding cattle from which there is larger  profit, there is the same use of names here as among  the Greeks : sus ' swine,' the same as vs ; bos ' cow,'  the same as (3ov$ ; taurus ' bull,' the same as ravpos ;  likewise ovis ' sheep,' the same as 6is a : for thus the  ancients used to say, not irpoparov as they do now.  This identity of the names in Latium and in Greece  may be the result of invention after the natural utter-  ances of the animals. Armenta ' plough-oxen,' because  they raised oxen especially that they might select  some of them for arandum ' ploughing ' ; thence they  were called arimenta, from which the third letter I was  afterwards squeezed out. Vitulus ' calf,' because in  Greek it was anciently Itu\6 3 an's 4 ;  veteres nostri ariuga, hinc ariug?. 5   104. Vernacula : lact(u)c 1 a lacte, quod Aolus  id habet lact ; brassica 2 ut p(r)aesica, 3 quod ex eius  scapo minutatim praesicatur ; asparagi, quod ex  asperis virgultis leguntur et ipsi scapi asperi sunt, non  leves ; nisi Graecum : illic quoque enim dicitur  dcnrdpayos.* Cucumeres dicuntur a curvore, ut curvi-  meres dicti. Fructus a ferundo, res eae quas 5 fundus  et eae (quas) quae 6 in fundo ferunt ut fruamur.   §103. 1 For raphanum. 2 For malachen. 3 For  lirio. 4 For malache. 6 A. Sp.,/or sysimbrio.   § 104. 1 M, Laetus, for lacte. 2 Laetus, for blassica.  3 Turnebus ; praeseca Aldus ; for passica. 4 For aspara-  gus. 5 A. Sp., for ea cquas. 6 Mue., for ea eque.     * Optima et maxima suggests Jupiter Optimus Maximus.  e The juice of the walnut-hull does make a very dark stain.   § 103. "All the examples in this section have come into  Latin from Greek, except radix, rosa, malva. Radix is  native Latin, and its Greek equivalent had a different mean-  ing. Rosa and malva, and their Greek equivalents, were  separately derived from an earlier language native in the   98     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 102-104     being best and biggest, 6 is called ia-glans from 7«-piter  and glans ' acorn.' The same word nux ' nut ' is so  called because its juice makes a person's skin black,  just as nox ' night ' makes the air black.   103. ° Of those which are grown in gardens, some  are called by foreign names, as, by Greek names,  ocimuvi ' basil,' menta ' mint,' rata ' rue,' which they  now call -rffavov ; likewise caulis ' cabbage,' lapathium  ' sorrel,' radix ' radish ' : for thus the ancient Greeks  called what they now call pdfavos ; likewise these  from Greek names : serpyllum 6 ' thyme,' rosa ' rose,'  each with one letter changed ; likewise Latin names  from these Greek names : KoXiavhpov c ' coriander,'  fj.aXdxrj, nvfiivov ' cummin ' ; likewise lilium ' lily ' from  Xeipiov and malva ' mallow ' from p.a\d%i] and sisym-  brium ' thyme ' from cricrvpfipiov.   104. ° Native words : lactuca ' lettuce ' from lact  ' milk,' because this herb contains milk ; brassica  ' cabbage ' as though praesica, because from its stalk  praesicatur ' leaves are cut off ' one by one ; asparagi  ' asparagus shoots,' because they are gathered from  aspera ' rough ' bushes and the stems themselves are  rough, not smooth : unless it is a Greek name, for in  Greece also they say da-Trdpayos. Cucumeres ' cucum-  bers ' are named from their curvor ' curvature,' as  though curvimeres. Fructus ' fruits ' are named from  ferre b ' to bear,' namely those things which the farm  and those things which are on the farm bear, that   Mediterranean region. * With initial * rather than h,  by assimilation to Latin serpere. c Usually KopiavSpov,  but here with dissimilative change of the prior r to I.   § 104. " Correct on lactuca, fructus, mola ; wrong on  brassica, cucumeres, itva ; asparagus Is from Greek. * Cf.  v. 37, and note e.     99     VARRO     I line declinatae fruges et frumentuni, sed ea c terra ;  etiam frumentum, quod rum  (m)acerare 3 cruda Solera. E quis ad coquendum  quod e terra eru(itu)r, 4 ruapa, unde rapa. Olea ab  eAcua 5 ; olea grandis orchitis, quod earn Attid 6 opxw  /xopa.'   109. Hinc ad pecudis carnem perventum est.  \bv  Zvrepov appellasse. Ab eadem fartura farcimina  (in) 6 extis appellata, a quo (farticulum) 8 : in eo quod  tenuissimum intestinum fartum, hila ab hilo dicta  i(l)lo 7 quod ait Ennius :   Neque dispendi 8 facit hilum.   Quod in hoc farcimine summo quiddam eminet, ab eo  quod ut in capite apex, apexabo dicta. Tertium  fartum est longavo, quod longius quam duo ilia.   3 Added by GS. ; cf. Festus, 225. 15 M. 4 Laetus,for eo.  5 A. Sp.,for ad.   §111. 1 Added by Mve. 2 Laetus, for lucanam.  3 Added by Aldus. 4 Fay, for partes. 5 Added by  Aug., with B. 6 Added by GS. 7 Lackmann, for hilo.  8 For dispendii.     e Perna has no connexion with pes ; but the remaining  etymologies of this section seem to be correct. d The  precise meaning of this word is unknown ; perhaps ' pork-  chop,' cf. W. Heraeus, Archiv f. ImL Lex. 14. 124-125.  e Meaning assured by offulam cum duobus costis, Varro,  De Re Rustica, ii. 4." 11. 1 Page 345 Maurenbrecher ;  page 3 Morel.   §111. °The preceding etymologies in this section are  correct, but hila is properly hilla, diminutive of hira ' empty   106     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 110-111     Perna c ' ham,' from pes ' foot.' Sueris, d from the  animal's name. Offula ' rib-roast,' e from offa, a very  small sueris. Insicia ' minced meat ' from this, that  the meat is insecta ' cut up,' just as in the Song of the  Salii f the word prosicium ' slice ' is used, for which,  in the offering of the vitals, the word prosectum is  now used. Murtatum ' myrtle-pudding,' from murta  ' myrtle-berry,' because this berry is added plentifully  to its stuffings.   111. An intestine of the thick sort that was stuffed,  they call a Lucanica ' Lucanian,' because the soldiers  got acquainted with it from the Lucanians, just as  what they found at Falerii they call a Faliscan haggis ;  and they say fundolus ' bag-sausage ' from fundus  ' bottom,' because this is not like the other intestines,  but is open at only one end : from this, I think, the  Greeks called it the blind intestine. From the same  fartura ' stuffing ' were called the farcimina ' stuffies '  in the case of the vital organs for the sacrifice, whence  also farticulum ' stufflet ' ; in this case, because it is  the most slender intestine that is stuffed, it is called  hila a from that hilum ' whit ' which Ennius 6 uses :   And of loss not a whit does she suffer.   Because at the top of this stuffy there is a little projec-  tion, it is called an apexabo, c because the projection is  like the apex ' pointed cap ' on a human head. The  third kind of sausage is the longavo, e because it is  longer than those two others.   intestine ' ; cf. Festus, 101. 6 M. 6 Annales, 14 Yahlen 2 ;  li.O.L. i. 6-7 Warmington ; quoted also v. 60 and ix. 54.  Apexabo and longavo doubtless have the same suffix, differ-  ing only through the late Latin confusion of 6 and v; unless  indeed both words are further corrupt.   107     VARRO   112. Augmentum, quod ex immolata hostia dc-  sectum in iecore (imponitur) 1 in por(ric)iendo 2  a(u)gendi 3 causa. Magraentum 4 a magis, quod ad  religionem magis pertinet : itaque propter hoc  (mag)mentana 5 fana constituta locis certis quo id  imponeretur. Mattea 6 ab eo quod ea Graece /larrm].  Item (a) 7 Graecis . . . singillatim haec 8 : . . . 9  ovum, bulbum.   XXIII. 113. Lana Graecum, ut Polt/bius et Calli-  machus scribunt. Purpura a purpurae maritumae  colore, wt 1 P(o)enicum, quod a Poenis primum dicitur  allata. Stamen a stando, quod eo stat omne in tela  velamentum. Subtemen, quod subit stamini. Trama,  quod tram(e)at 2 frigus id genus vestimenti. Densum  a dentibus pectinis quibus feritur. Filum, quod  minimum est hilum : id enim minimum est in vesti-  mento.   § 112. 1 Added by A. Sp. 2 L. Sp., for im poriendo.  3 Turnebus, for agendi. 4 B, M, Aug., for magnentum.   6 Tumebus, for mentarea. 6 Popma, for mattae.   7 Added by L. Sp. 8 For heae. 9 The lacuna was noted  by Scaliger ; the exact arrangement is by Kent, after Mue.'s  indication of the probable contents.   §113. 1 Lachmann ; colore G, Laetus ; for colerent.  2 Aug. {quoting a friend), for tramat.   § 112. ° Correct, unless the purpose was to increase, that  is, glorify the god. 6 Properly connected with mactare  ' to sacrifice,' though popular association with magis affected  its meaning. e A highly seasoned dish of hashed meat,  poultry, and herbs, served cold as a dessert.  108     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 112-113     112. The augme/itum a ' increase-cake ' is so called  because a piece of it is cut out and put on the liver of  the sacrificed victim at the presentation to the deity,  for the sake of augendi ' increasing ' it. Magmentum b  ' added offering,' from viagis ' more,' because it  attaches viagis ' more ' closely to the worshipper's  piety : for this reason magmentaria fana ' sanctuaries  for the offering of magmenta ' have been established  in certain places, that the added offering may there  be laid on the original and offered with it. Mattea c  ' cold meat-pie ' is so named because in Greek it is  /larrvij. Likewise from the Greeks is another meat-  dish called . . ., which contains item by item the  following : . . ., an egg, a truffle.   XXIII. 113. Lana a 'wool' is a Greek word,  as Polybius 6 and Callimachus c write. Purpura d  ' purple,' from the colour of the purpura ' purple-fish '  of the sea : a Punic word, because it is said to have  been first brought to Italy by the Phoenicians.  Stamen 1 warp,' from stare ' to stand,' because by this  the whole fabric on the loom stat ' stands ' up. Sub-  temen e ' woof,' because it subit ' goes under ' the  stamen ' warp.' Trama * ' wide-meshed cloth,' be-  cause the cold trameat ' goes through ' this kind of  garment. Densum B ' close-woven cloth,' from the  denies ' dents ' of the sley with which it is beaten.  Filum 9 ' thread,' because it is the smallest hilum  ' shred ' ; for this is the smallest thing in a garment.   § 1 13. ° An old Italic word cognate to English wool ; cf.  v. 130. b Frag. inc. 99 (101) Hultsch. e Fray. 408  Schneider. 4 Quite possibly a Phoenician w ord, but  transmitted to Italj' by the Greeks (irop^vpa). « From  subtexere ' to weave underneath.' ' From trahere ' to  pull.' " Wrong.   109     VARRO     114. Pannus Graecuw, 1 ubi E A 2 fecit. Panu-  vellium dictum a pano et volvendo filo. Tunica ab  tuendo corpore, tunica ut (tu)endica. 3 Toga a  tegendo. Cinctus et cingillum a cingendo, alterum  viris, alterum mulieribus attributum.   XXIV. 115. Anna ab arcendo, quod his arcemus  hostem. Parma, quod e medio in omnis partis par.  Conum, quod cogitur in cacumen versus. Hasta,  quod astans solet 1 ferri. Iaculum, quod ut iaciatur  fit. Tragula a traiciendo. Scutum (a) 2 sectura ut  secutum, quod a minute consectts 3 fit tabellis. Urn-  bones 4 a Graeco, quod a/x/Swves. 5   116. Gladiu/M 1 C in G 2 commutato a clade, quod  fit ad hostium cladem gladium ; similiter ab omine 3  pilum, qui host«s periret, 4 ut perilum. Lorica, quod  e loris de corio crudo pectoralia faciebant ; postea  subcidit galli(ca) 5 e ferro sub id vocabulum, ex anulis   § 1 14. 1 Aug., with B, for greens. 2 Fay, for ea.  3 GS., for indica.   §115. 1 For sollet. 2 Added by Laetus. 3 Aug.,  for consectum. 4 For umbonis. 5 Turnebus, for  ambonis.   § 1 16. 1 L. Sp., for gladius. 2 For G in C. 3 Aug.,  for homine. 4 Aug. (hostis B), for hostem feriret.  6 Mue.,for galli.     § 1 14. ° Not pannus ' cloth,' but pannus ' bobbin,' in  view of what follows ; there is a Greek -nfjvos ' web,' and its  diminutive irqvlov ' bobbin,' which in the Doric form would  have A and not E. 6 Possibly right, if, as A. Spengel  thinks, the word is really panuvollium. e From Semitic,  either directly or through Etruscan.   §115. ° Arma, parma, conum, hasta, tragula, scutum,  umbones : all wrong etymologies. 6 Not from traicere,  but from trahere ' to pull, drag ' ; perhaps because the thong  wound round it for throwing (like the string used in starting  a peg-top) ' pulls ' the javelin.  114. Pannus ° ' bobbin,' is a Greek word, where  E has become A. Panuvelliuin 6 ' bobbin with thread '  was said from panus 4 bobbin ' and volvere 4 to wind '  the thread. Tunica c ' shirt,' from tuendo 4 protect-  ing ' the body : tunica as though it were tuendica.  Toga 4 toga ' from tegere 4 to cover.' Cincius ' belt '  and cingillum 4 girdle,' from cingere 4 to gird,' the one  assigned to men and the other to women.   XXIV. 115. Arma ° ' arms,' from arcere 4 to ward  off,' because with them we arcemus 4 ward off' the  enemy. Parma ' cavalry shield,' because from the  centre it is par * even ' in every direction. Conum  4 pointed helmet,' because it cogitur 4 is narrowed '  toward the top. Hasta 4 spear,' because it is usually  carried astajis' standing up.' Iaculum' javelin,' because  it is made that it may iaci ' be thrown.' Tragula 6  ' thong-javelin,' from traicere 4 to pierce.' Scutum  4 shield,' from sectura 4 cutting,' as though secutum,  because it is made of wood cut into small pieces.  Umbones 4 bosses ' from a Greek word, namely   116.° Gladium 4 sword,' from clades 4 slaughter,'  with change of C to G, because the gladium 6 is made  for a slaughter of the enemy ; likewise from its omen  was said pilum, by which the enemy periret ' might  perish,' as though perilum. Lorica ' corselet,' because  they made chest-protectors from lora 4 thongs ' of  rawhide ; afterwards the Gallic corselet of iron was   § 1 16. ° All etymologies wrong except those of lorica and  (with reserves) of galea. b Varro prefers {cf. viii. 45, ix. 81,  Be Re Rust. i. 48. 3) the unfamiliar neuter form, which may  be due to the influence of the associated words scutum, pilum,  telum. The word is of Celtic origin, but may have an ulti-  mate connexion with the root of clades.     Ill     VARRO     ferrea tunica. 6 Balteum, quod cingulum e corio  habebant bullatum, balteum dictum. Ocrea, quod  opponebatur ob crus. Galea ab galero, quod multi  usi antiqui.   117. Tubae ab tubis, quos etiam nunc ita appellant  tubicines sacrorum. Cornua, quod ea quae nunc sunt  ex aere, tunc fiebant bubulo e cornu. Vallum vel  quod ea varicare nemo posset vel quod singula ibi  extrema 6acilla furcillata habent figuram litterae V.  Cervi ab similitudine cornuum cervi ; item reliqua  fere ab similitudine ut vineae, testudo, aries.   XXV. 118. Mensam escariam cillibam appella-  bant ; ea erat 1 quadrata ut etiam nunc in castris est ;  a cibo cilliba dicta ; postea rutunda facta, et quod a  nobis media et a Graecis fxecra, mensa dic^(a) 2 potest ;  nisi etiam quod ponebant pleraque in cibo mensa.  Trulla a similitudine truae, quae quod magna et haec   6 Turnebus, for ferream tunicam.   § 1 18. 1 For erant. 2 Mue.,for dici.   e Rather galerum from galea, which looks like a borrowing  from Greek yaAe'r; ' weasel ' ; the objection is that caps of  weasel-skin are nowhere attested.   §117. ° Wrong etymology. 6 Thrust into the embank-  ment, to increase its defensive strength ; can they be the  stakes, pali or valli, forming a fence along its top ? But  these are not elsewhere spoken of as forked. e Used by  Caesar, who inserted such forked branches into the face of  his wall at Alesia, Bell. Gall. vii. 72. 4, 73. 2. d Otherwise  ' grape-arbours ' ; in military use, sheds under the protection  of which soldiers could advance up to the enemy's fortifica-  tions. " A close formation of overlapping shields.   §118. "Borrowed from Greek KiXAlfias 'three-legged  table,' a derivative of kIXXos ' ass.' 6 Or perhaps mesa,  since n was weak before s ; Priscian, i. 58. 17 Keil, states  that Varro used both spellings. Mensa seems to be the  112     OX THE LATIN LANGUAGE. V. 116-118     included under this name, an iron shirt made of links.  Balteum ' sword-belt,' because they used to wear a  leather belt bullatum ' with an amulet attached,' was  called balteum. Ocrea ' shin-guard' was so called  because it was set in the way ob crus ' before  the shin.' Galea c ' leather helmet,' from galerum  ' leather bonnet,' because many of the ancients used  them.   117. Tubae ' trumpets,' from tubi ' tubes,' a name  by which even now the trumpeters of the sacrifices call  them. Cornua ' horns,' because these, which are now  of bronze, were then made from the cornu ' horn ' of  an ox. Vallum a ' camp wall,' either because no one  could varicare ' straddle ' over it, or because the ends  of the forked sticks 6 used there had individually the  shape of the letter V. Cervi c ' chevaux-de-frise,'  from the likeness to the horns of a cervus ' stag ' ; so  the rest of the terms in general, from a likeness, as  vineae ' mantlets,' d testudo ' tortoise,' e aries ' ram.'   XXV. 118. The eating-table they used to call a  cilliba ° ; it was square, as even now it is in the camp ;  the name cilliba came from cibus ' victuals.' After-  wards it M'as made round, and the fact that it was  media ' central ' with us and p-ka-a ' central ' with the  Greeks, is the probable reason for its being called a  mensa 6 ' table ' ; unless indeed they used to put on,  amongst the victuals, many that were mensa ' measured  out.' Trulla e ' ladle,' from its likeness to a trua  ' gutter,' but because this is big and the other is small,  they named it as if it were truella ' small triia ' ; this   feminine of mensus ' measured ' ; perhaps from tabula  mensa ' measured board.' e Trulta is of uncertain origin,  and yielded trua by back-formation ; Greek rpinJAij seems  to have been borrowed from Latin, as Varro states.     VOL. I     [     113     VARRO   pusilla, ut tr«e 3 enim et navovv* d(i)c(untur) 5  Graece. 6 Reliqua quod aperta sunt unde sint  relinquo.   XXVI. 121. Mensa vinaria rotunda nominabatur  ci(l)liba (a)nte, 1 ut etiam nunc in castris. Id videtur  declinatum a Graeco kvAikcuo, 2 (id) 3 a poculo cylice  qui (in) 3 ilia. Capk?(es) 4 et minores capulae a  capiendo, quod ansatae ut prehendi possent, id est  capi. Harum figuras in vasis sacris ligneas ac fictiles  antiquas etiam nunc videmus.   122. Praeterea in poculis erant paterae, ab eo  quod late (pate)nZ 1 ita 2 dictae. Hisce etiam nunc in  publico convivio antiquitatis retinendae causa, cum  magistri fiunt, potio circumfertur, et in sacrificando  deis hoc poculo magistratus dat deo vinum. Pocula a  potione, unde potatio et etiam posca. 3 Haec possunt  a 7roTa», 4 quod ttotos potio Graece.   2 Aug., with B, for triplia. 3 Aug., with B, for triplion.  4 L. Sp.,for canunun Fv. 5 GS.,forde. 6 Canal, for  greca.   § 121. 1 GS., for cilibantiim. 2 Turnebus, for culiceo.   3 Added by Mue. 4 L. Sp. ; capis Turnebus ; for capit.   § 122. 1 GS. ; patent L. Sp. ; pateant latine Aldus ; for  latini. 2 After ita, Aldus deleted dicunt. 3 Turnebus,  for postea. 4 Mue., for poto.   6 From Greek fiayLs ' a round pan.' " Better lancula,  diminutive of lanx ' platter.' d Correct, except that canis-  trum is from Greek Kaviorpov 4 bread-basket,' made of K&wai  'reeds ' ; page 117 Funaioli.   § 121. ° Of. § 118, where a different etymology is given.   § 122. Not from Greek, but from an Indo-European  root inherited by Latin as well as by Greek. 6 The Greek-  word means properly not a ' draught,' but a ' drinking-bout.'  116     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 120-122     The magida 6 and the languid, both meaning ' platter,'  they named from the magnitudo ' size ' of the one and  the latitudo ' width ' of the other. Patenae ' plates '  they called from patulum ' spreading,' and the little  plates, with which they offered the gods a preliminary  sample of the dinner, they called patellae ' saucers.'  Tryblia ' bowls ' and canistra ' bread-baskets,' though  people think that they are Latin, are really Greek A :  for rpvBkiov and Kavovv are said in Greek. The  remaining terms I pass by, since their sources are  obvious.   XXVI. 121.' A round table for wine was formerly  called a cilliba, a as even now it is in the camp. This  seems to be derived from the Greek kvXikcIov  ' buffet,' from the cup cylix which stands on it. The  capides ' bowls ' and smaller capulae ' cups ' were  named from capere ' to seize,' because they have  handles to make it possible for them prehendi ' to be  grasped,' that is, capi ' to be seized.' Their shapes we  even now see among the sacred vessels, old-fashioned  shapes in wood and earthenware.   122. In addition there were among the drinking-  cups the paterae ' libation-saucers,' named from this,  that they patent ' are open ' wide. For the sake of  preserving the ancient practice, they use cups of this  kind even now for passing around the potio ' draught '  at the public banquet, when the magistrates enter  into their office ; and it is this kind of cup that the  magistrate uses in sacrificing to the gods, when he  gives the wine to the god. Pocula ' drinking-cups,'  from potio ' draught,' whence potatio ' drinking bout '  and also posca ' sour wine.' ° These may however  come from ttotos, because ttotos is the Greek for  potio. b   117     VARRO   123. Origo potionis aqua, quod oequa summa.  Fons unde funditur e terra aqua viva, ut fistula a qua  fusus aquae. Vas vinarium grandius sinum ab sinu,  quod sinum maiorem cavtur 2 urnarium,  quod urnas cum aqua positas ibi potissimum habebant  in culina. Ab eo etiam nunc ante balineum locus ubi  poni solebat urnarium vocatur. Urnae dictae, quod  urinant in aqua Aaurienda ut smnator. C/rinare 3 est  mergi in aquam.   127. .^m&un^m} 1 fictum ab uruo, 2 quod ita  flexum ut redeat sursum versus tit 3 in aratro quod est  wrvum. 4 Calix a caldo, quod in eo calda puis 5 appone-  batur et caldum eo bibebant. Vas ubi coquebant  cibum, ab eo caccabum appellarunt. Vera 6 a ver-  sando.   XXVIII. 128. Ab sedendo appellatae sedes,  sedile, so/ium, 1 sellae, siliquastrum ; deinde ab his  subsellium : ut subsipere quod non plane sapit, sic  quod non plane erat sella, subsellium. Ubi in eius-  modi duo, bisellium dictum. Area, quod arcebantur   § 126. 1 GS., for et. 2 uocabatur, tcith ba expunged,  V ; nocatur other mss. 3 Bent huts, for orinator orinare.   §127. 1 Kent ; imburvom Mue. ; imburum Aldus, with  B; for impurro. 2 Mue., for urbo. 3 Aldus, for est.  4 B, for aruum. 6 Laetus, for plus. 6 Aldus, for uera.   § 128. 1 Aug., for souum.     § 126. ° Wrong etymology. 6 Derivative of vrina at  an early date when itrina still meant merely 4 water,' and not  specifically ' urine.'   § 127. ° ' Bent about,' a vessel shaped like a gravy-boat ;  if my conjecture as to the spelling of the word is right, there  is basis for Varro's etymology. 6 Of uncertain etymology,  but popularly derived by the Romans from Greek icvXii;  ' cup,' the normal meaning also of Latin calix, but not the  meaning in this passage. c From Greek KaKKaftos, a pot  with three legs, to stand over the fire. d Wrong.   120     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 126-128     XXVII. 126. Besides there was a third kind of  table for vessels, rectangular like the second kind ; it  was called an urnarium, because it was the piece of  furniture in the kitchen on which by preference they  set and kept the urnae ' urns ' filled with water. From  this even now the place in front of the bath where  the urn-table is wont to be placed, is called an  urnarium. Urnae ' urns ' got their name a from the  fact that they urinant b ' dive ' in the drawing of  water, like an urinator ' diver.' Urinate means to be  plunged into water.   127. Amburvum, a a pot whose name is made from  urvum ' curved,' because it is so bent that it turns up  again like the part of the plough which is named the  urvum ' beam.' Calix b ' cooking-pot,' from caldum  ' hot,' because hot porridge was served up in it, and  they drank hot liquid from it. The vessel in which  they coquebant ' cooked ' their food, from that they  called a caccabus. Feru ' spit,' from versare ' to  turn.' d   XXVIII. 128. From sedere ' to sit ' were named  sedes ' seat,' sedile ' chair,' solium ' throne,' sellae a  ' stools,' siliquastrum 6 ' wicker chair ' ; then from  these subsellium ' bench ' : as subsipere is said a thing  does not sapit ' taste ' clearly, so subsellium because  it was not clearly c a sella ' stool.' Where two had  room on a seat of this sort, it was called a bisellium  ' double seat.' An area ' strong-chest,' because  thieves arcebantur ' were kept away ' from it when it   § 128. ° With M from dl. b Probably seliquastrum (or  selli-), as in Festus, 340 b 10, 341. 5 ; Fay suggests ' seat-  basket ' (sella + qualum + suffix), citing certain types of Mexi-  can chairs. e Rather ' under-seat,' that is, a seat under  the sitter.     121     VARRO   fures ab ea clausa. Armarium et armamentarium ab  cadem origine, sed declinata aliter.   XXIX. 129. Mundus (ornatus) 1 muliebris dictus  a munditia. Ornatus quasi ab ore natus : hinc enim  maxime sumitur quod earn deceat, itaque id paratur  speculo. 2 Calamistrum, quod his calfactis in cinere  capfillus ornatur. Qui ea ministrabat, a cinere cinera-  rius est appellatus. Discerniculum, quo discernitur  capillus. Pecten, quod per euro explicatur capillus.  Speculum a speciendo, 3 quod ibi (s)e spectant.*   130. Vestis a vellis vel 1 ab eo quod vellus lana  tonsa universa ovis : id dictum, quod vellebant.2  Lan(e)a, 3 ex lana facta. Quod capillum contineret,  dictum a rete reticulum ; rete ab raritudine ; item  texta fasciola,qua capillum in capitealligarent, dictum  capital a capite, quod sacerdotulae in capite etiam  nunc solent habere. Sic rica ab ritu, quod Romano  ritu sacrificium feminae cum faciunt, capita velant.   § 129. 1 Added by GS. ; cf. Festus, 143. 1 M, 2 A.  Sp., for speculum. 3 Laetus, for spiciendo. 4 a, b,  Turnebus, for espeetant.   § 130. 1 Ixietus, for uela. 2 B, Laetus, for uellabant.  3 Turnebus, for lana.     d Both area and arcere are derived from arx ' stronghold.'  * Not connected with area ; but belonging together.   § 129. Munditia is derived from mundus. 6 Wrong  etymologies.   § 130. Both etymological suggestions for vestis arc  wrong ; for the meaning, see A. Spengel, Bemerkungen, 264.   122     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 128-130     was locked.** Armarium ' closet ' and armamentarium  ' warehouse,' from the same source,' but with different  suffixes.   XXIX. 129. Mundus is a woman's toilet set,  named a from munditia ' neatness.' Ornatus ' toilet  set,' as if natus ' born ' from the os ' face ' 6 : for  from this especially is taken that which is to  beautify a woman, and therefore this is handled  with the help of a mirror. Calamistrum ' curling-  iron,' because the hair is arranged with irons when  they have been calfacta ' heated ' in the embers. 6  The one who attended to them was called a cinerarius  ' ember-man,' from cinis ' embers.' Discerniculum  ' bodkin,' with which the hair discernitur ' is parted.'  Pecten ' comb,' because by it the hair explicatur ' is  spread out.' b Speculum ' mirror,' from specere ' to  look at,' because in it they spectant ' look at ' them-  selves.   130. Festis ' garment ' " from velli 6 ' shaggy hair,'  or from the fact that the shorn wool of a sheep, taken  as a whole, is a vellus ' fleece ' : this was said because  they formerly vellebant ' plucked ' it. Lanea ' woollen  headband,' c because made from lana ' wool.' That  which was to hold the hair, was called a reticulum ' net-  cap,' from rete ' net ' ; rete, from raritudo ' looseness  of mesh.' d Likewise the woven band with which  they were to fasten the hair on the head, was called  a capital ' headband,' from caput ' head ' ; and this  the sub-priestesses are accustomed to wear on their  heads even now. So rica ' veil,' from ritus ' fashion,' d  because according to the Roman ritus, when women  make a sacrifice, they veil their heads. The mitra   6 Yellis, dialectal for villis. e For meaning, see A. Spen-  gel, Bemerkungen, 264. d Wrong etymologies.   123     VARRO   Mitra et reliqua fere in capite postea addita cum  vocabulis Graecis.   XXX. 131. Prius deinde (ind)utui, 1 turn amictui  quae sunt tangam. Capitium ab eo quod capit pec-  tus, id est, ut antiqui dicebant, comprehendit. In-  dutui alterum quod subtus, a quo subucula ; alterum  quod supra, a quo supparus, nisi id quod item dicunt  Osce. Alterius generis item duo, unum quod foris  ac palam, palla ; alterum quod intus, a quo (indusium,  ut) 2 intusium, id quod Plautus dicit :   Indusiatam 3 patagiatam caltulam* ac crocotulam.   Multa post luxuria attulit, quorum vocabula apparet  esse Graeca, ut asbest(in)on. 5   132. Amictui dictum quod abiectum 1 est, id  est circumiectum, 2 a quo etiam quo 3 vestitas se invol-  vunt, circumiectui appellant, et quod amictui habet  purpuram circum, vocant circumtextum. Antiquis-  simi amictui ricinium ; id quod eo utebantur duplici,   § 131. 1 B, Turnebus, for deinde utui Fv, f. 2 Added  by GS. 3 GS., for intusiatam ; after the text of Plautus.  * Laetus, for caltulum/ after the text of Plautus. 6 GS.,  for asbeston ; cf. Pliny, jVat. Hist. xix. 4. 20.   §132. 1 Mue., for abiectum. 2 ^w#.,/o?-circumlectum.  3 G, Aug., for quod.     § 131 . The datives indutui, amictui, and circumiectui, are  used in § 131 and § 132 as indeclinables, like frugi ' thrifty,'  cordi ' pleasant,' original datives of purpose that have become  stereotyped. 6 From caput ' head,' because it was put on  over the head like a sweater. c From sub and the verb in  ind-tiere, ' to put on,' ex-uere ' to take off.' d Probably  Oscan. * Of unknown etymology. ' From induere  'to put on.' 9 Epidicus, 231. h The Latin words are  adjectives modifying tunicam in the preceding line. ' Made  of a mineral substance called aofieoTos.  124.     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 130-132     ' turban ' and in general the other things that go on  the head, -were later importations, along -with their  Greek names.   XXX. 131. Next I shall first touch upon those  things which are for putting on,° then those which are  for wrapping about the person. Capitium 6 ' vest,'  from the fact that it capii ' holds ' the chest, that is, as  the ancients said, it comprehendit ' includes ' it. One  kind of put-on goes subtus ' below,' from which it is  called subucula c ' underskirt ' ; a second kind goes  supra 1 above,' from which it is called supparus d  ' dress,' unless, this is so called because they say it in  the same way in Oscan. Of the second sort there are  likewise two varieties, one called palla e ' outer dress,'  because it is outside and palam ' openly ' visible ; the  other is intus ' inside,' from which it is called indusium *  ' under-dress,' as though intusium, of which Plautus  speaks 9 :   Under-dress, a bordered dress, of marigold and saffron  hue.*   There are many garments which extravagance  brought at later times, whose names are clearly  Greek, such as asbestinon i ' fire-proof.'   132. Atnictui ' wrap ' is thus named because it is  ambiectum ' thrown about,' that is, circumiectum ' thrown  around,' from which moreover they gave the name of  circumiectui ' throw-around ' to that with which women  envelop themselves after they are dressed ; and any  wrap that has a purple edge around it, they call  circumtextum ' edge-weave.' Those of very long ago  called a wrap a ricinium ' mantilla ' ; it was called  ricinium from reicere ' to throw back,' ° because they   § 133. ° Properly from rica (§ 130) ; it was a square piece  of cloth worn folded over the head in sign of mourning.   125     VARRO   ab eo quod dimidiam partem retrorsum zaciebant, 4 ab  reiciendo ricinium dictum.   133. (Pallia) 1 hinc, quod facta duo simplicia paria,  parilia primo dicta, R exclusum 2 propter levitatem.  Parapechia, 3 cAlarmydes, 4 sic multa, Graeca. Loena, 5  quod de lana multa, duarum etiam togarum instar ;  ut antiquissimum mulierum ricinium, sic hoc duplex  virorum.   XXXI. 134. Instrumenta rustica quae serendi aut  colendi fructus causa facta. Sarculum ab serendo ae  sanendo. 1 Ligo, quod eo propter latitudinem quod  sub terra facilius legitur. Pala a pangendo,  2  GL quod fuit. Rutrum ruitrum a ruendo.   135. Aratrum, quod aruit 1 terram. Eius fer-  rum vomer, quod vomit eo plus terram. Dens, quod  eo mordetur terra ; super id regula quae stat, stiva  ab stando, et in ea transversa regula manicula, quod  manu bubulci tenetur. Qui quasi temo est inter   4 Ixietus, for faciebant.   § 133. 1 Added by Canal. 2 Mue. ; R esclusum  Turnebus ; for resclusum /, resculum Fv. 3 For para-  pecchia Fv. 4 Ed. Veneta, for clamides. 5 Aldus, for  lena.   § 134. 1 Aldus, for sarcendo. 2 Added by Ellis.  § 135. 1 Turnebus, for aruit ; cf. Varro, De Re Rustica, i.  35, terra adruenda.   § 133. ° Probably of Greek origin. 6 Greek irapam)xvs  ' beside the elbow,' also ' woman's garment with purple  border on each side.' The Latin word seems to come from  the diminutive irapaTrrjxtov ' radius, small bone below the  elbow,' which however may also have denoted the woman's  garment, though this is not attested. c Probably from  Greek ^Acum, perhaps with an Etruscan intermediary.   126     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 132-135     wore it doubled, throwing back one half of it over  the other.   133. Pallia ° ' cloaks ' from this, that they con-  sisted of two single paria ' equal ' pieces of cloth,  called parilia at first, from which R was eliminated for  smoothness of sound. Parapechia b ' elbow-stripes,'  chlamydes ' mantles,' and many others, are Greek.  Laena 6 ' overcoat,' because they contained much lana  ' wool,' even like two togas : as the ricinium was the  most ancient garment of the women, so this double  garment is the most ancient garment of the men.   XXXI. 134. Farming tools which were made for  planting or cultivating the crops. Sarculum ° ' hoe,'  from serere ' to plant ' and sarire ' to weed.' Ligo 6  ' mattock,' because with this, on account of its width,  what is under the ground legitur ' is gathered ' more  easily. Pala c ' spade ' from pangere ' to fix in the  earth ' ; the L was originally GL. Rutrum ' shovel,'  previously ruitrum, from mere ' to fall in a heap.'   135.° Aratrum ' plough,' because it arruit b ' piles  up ' the earth. Its iron part is called vomer ' plough-  share,' because with its help it the more vomit ' spews  up ' the earth. The dens ' colter,' because by this the  earth is bit ; the straight piece of wood which stands  above this is called the stiva ' handle,' from stare ' to  stand,' and the wooden cross-piece on it is the mani-  cula ' hand-grip,' because it is held by the manns  ' hand ' of the ploughman. That which is so to speak  a wagon-tongue between the oxen, is called a bura   § 134. From sarire. b Of uncertain origin. c Cor-  rect ; but from pag+ sla, with loss of the extra consonants in  the group.   § 135. ° Wrong on aratrum, vomer, stiva, bura, urvum.  b Really from arat ' it ploughs.'   127     VARRO     boves, bura a bubus ; alii hoc a curvo urvum 2 appel-  lant. Sub iugo medio cavum, quod bura extrema  addita oppilatur, vocatur coum 3 a cavo. 4 Iugum et  iumentum ab iunctu.   136. Irpices regula compluribus dentibus, quam  item ut plaustrum boves trahunt, ut eruant quae in  terra ser(p>unt 1 ; sirpices, postea (irpices) 2 S detrito..  a quibusdam dicti. Rastelli ut irpices serrae leves ;  itaque 3 homo in pratis per fenisecza 4 eo festucas  corradit, quo ab rasu rastelli dicti. Rastri, quibus  dentaiis 5 penitus eradunt terram atque cruunt, a quo  rutu n*a(s)tri 6 dicti.   137. Falces a farre littera 1 commutata ; hae in  Campania seculae a secando ; a quadam similitudine  harum aliae, ut quod apertum unde, falces fenariae  et arbor(ar)iae 2 et, quod non apertum unde, falces  lumaria(e) 3 et sirpiculae. Lumariae sunt quibus  secant lumecta, id est cum in agris serpunt spinae ;  quas quod ab terra agricolae solvunt, id est luunt,  lumecta. Falces sirpiculae vocatae ab sirpando, id   2 Turnebus, for curuum. 3 Aug., with B, for cous Fv.  4 Rhol., for couo.   § 136. 1 Turnebus, for serunt. 2 Added by Mue.   3 Aug., with B, for ita qua. 4 Aug., for fenisecta.  6 Turnebus, for dentalis. 6 Kent ; rutu rastri Scaliger :  erutu rastri Turnebus ; for ruturbatri Fv.   § 137. 1 For litera in Fv, as often. 2 Georges, for  arboriae ; cf. Varro, Be Re Rust. i. 22. 5, and Cato, De Agric.  10. 3. 3 For lumaria.     " The earlier form of cavus ' hollow ' was in fact covos.   § 136. ° Properly hirpices, from hirpus, the Samnite word  for ' wolf.' b Roots of weeds and grasses. " Diminu-  tive of rostrum ; therefore ultimately from radere. d Mas-  culine plural of neuter singular rastrum, from radere ' to  scrape.'  128     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 135-137     ' beam,' from botes ' oxen ' ; others call this an urvum,  from the curvuvi ' curve.' The hole under the middle  of the yoke, which is stopped up by inserting the  end of the beam, is called coum, from cavum ' hole.'  Iugum ' yoke ' and iumentum ' yoke-animal/ from  iunctus ' joining or yoking.'   136. Irpices a 'harrows' are a straight piece of  wood with many teeth, which oxen draw just like  a wagon, that they may pull up the things 6 that  serpunt ' creep ' in the earth ; they were called sir-  pices and afterwards, by some persons, irpices, with  the S worn off. Rastelli c ' hay-rakes,' like harrows,  are saw-toothed instruments, but light in weight ;  therefore a man in the meadows at haying time  corradit ' scrapes together ' with this the stalks,  from which rasns ' scraping ' they are called rastelli.  Rastri d ' rakes ' are sharp-toothed instruments by  which they scratch the earth deep, and eruunt ' dig  it up,' from which rutus ' digging ' they are called  ruastri.   137. Falces ' sickles,' from far ' spelt,' a with the  change of a letter ; in Campania, these are called  seculae, from secare ' to cut ' ; from a certain likeness  to these are named others, the falces fenariae ' hay  scythes ' and arborariae ' tree pruning-hooks,' of  obvious origin, and falces lumariae and sirpiculae,  whose source is obscure. Lumariae 6 are those with  which lumecta are cut, that is when thorns grow up in  the fields ; because the farmers solvunt ' loosen,' that  is, luunt ' loose,' them from the earth, they are called  lumecta ' thorn-thickets.' Falces sirpiculae c are named   §137. "Wrong. 6 Possibly for dumariae and dumecta,  with Sabine I for d ; cf. Festiis, 67. 10 M. 'Apparently  from sirpus ' rush,' collateral form of scirpus.   VOL. I K 129     VARRO     est ab alligando ; sic sirpata 4 dolia quassa, cum  alligata his, dicta. Utuntur in vinea alligando fasces,  incisos fustes, faculas. Has xranclas 5 Cherso(ne)sice. 6   138. Pilum, quod eo far pisunt, a quo ubi id fit  dictum pistrinum (L 1 et S inter se saepe locum corn-  mutant), inde post in Urbe Lucili pistrina et pistrix.  Trapetes 2 molae oleariae ; vocant trapetes a terendo,  nisi Graecum est ; ac molae a mol(l)iendo 3 : harum  enim motu eo coniecta mol(l)iuntur. 4 Vallum a  volatu, quod cum id iactant volant inde levia. Ven-  tilabrum, quod ventilatur in aere frumentum.   139- Quibus conportatur fructus ac necessariae  res : de his fiscina a ferendo dicta. Corbes ab eo  quod eo spicas aliudve quid corruebant ; hinc minores  corbulae dictae. De his quae iumenta ducunt,  tragula, quod ab eo trahitur per terram ; sirpea, quae  virgis sirpatur, id est colligando implicatur, in qua  stercus aliudve quid vehitur.   4 Aug., with B, for sirpita. 5 Mue., for phanclas /,  G, fanclas H, V, p. 6 Aug., with B, for chermosie /,  chermosioe G, a.   § 138. 1 Aug., for R. 2 For trapetas Fv. 3 Scaliger,  for moliendo. 4 Scaliger, for moliuntnr.     d Cf. the fiaschi vestiti or ' clothed wine-flasks ' of modern  Italy. * Messana in Sicily was before the Greek coloniza-  tion named Zancle ' sickle,' from the shape of the cape on  which it stood. There is no other evidence that this cape was  called a Chersonesus, but as over twenty peninsulas are  referred to by this name, it is possible that the name was  applied here also.   § 138. a Varro's basis for this statement is not apparent.  6 Cf. 521 and 1250 Marx ; one must assume that one of the  Satires of Lucilius was entitled Urbs. c From Greek.  d From molere ' to grind.' e Diminutive of vannvs ' fan.'   §139. "Wrong on fiscina and corbes. b Cf. § 137,  note c.  130     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 137-139     from sirpare ' to plait of rushes,' that is, alligare ' to  fasten ' ; thus broken jars are said to have been  sirpata ' rush-covered,' when they are fastened to-  gether with rushes.* 1 They use rushes in the vine-  yard for tying up bundles of fuel, cut stakes, and  kindling. These sickles they call zanclae in the  peninsular dialect."   138. The pi lum ' pestle ' is so named because with  it they pisunt ' pound ' the spelt, from which the place  where this is done is called a pistrinum ' mill ' — L  and S often change places with each other" — and from  that afterwards pistrina ' bakery ' and pistrix ' woman  baker,' words used in Lucilius's Cityfi Trapetes c are  the mill-stones of the olive-mill : they call them  trapetes from terere ' to rub to pieces,' unless the word  is Greek ; and molae d from mollire ' to soften,' for  what is thrown in there is softened by their motion.  Vallum * ' small win no wing-fan,' from volatus ' flight,'  because when they swing this to and fro the light  particles volant ' fly ' away from there. Ventilabrum  ' winnowing-fork,' because with this the grain venti-  latur ' is tossed ' in the air.   139. Those means with which field produce and  necessary things are transported. Of these, fiscina a   rush-basket ' was named from ferre ' to carry ' ; corbes  ' baskets,' from the fact that into them they corrue-  bant ' piled up ' corn-ears or something else ; from  this the smaller ones were called corbulae. Of  those which animals draw, the tragula ' sledge,'  because it trahitur ' is dragged ' along the ground by  the animal ; sirpea 6 ' wicker wagon,' which sirpatur  ' is plaited ' of osiers, that is, is woven by binding  them together, in which dung or something else is  conveyed.     131     VARRO     140. Vehiculum, in quo faba aliudve quid vehitur,  quod e 1 viminibus vietur 2 aut eo vehitur. Breviws 3  vehiculum dictum est aliis ut* arcera, quae etiam  in Duodecim Tabulis appellatur ; quod ex tabulis  vehiculum erat factum ut area, 5 arcera dictum. Plaus-  trum ab eo quod non ut in his quae supra dixi (ex  quadam parte), 6 sed ex omni parte palam est, quae  in eo vehuntur quod perluce(n)t, 7 ut lapides, asseres,  tignum.   XXXII. 141. Aedificia nominata a parte ut  multa : ab aedibus et faciendo maxime aedificium.  Et oppidum ab opi dictum, quod munitur opis causa  ubi sint et quod opus est ad vitam gerendam ubi  habeant tuto. Oppida quod opere 1 muniebant,  moenia ; quo moenitius esset quod exaggerabant,  aggeres dicti, et qui aggerem contineret, moerus. 2  Quod muniendi causa portabatur, mwnus 3 ; quod  sepiebant oppidum co moenere, 4 momis. 5   142. Eius summa pinnae ab his quas insigniti   §140. 1 GS. ; ex Laetus ; for est. 2 Tvrnebus, for  utetur. 3 A. Sp., for breui est. 4 A. Sp., for uel.  5 Laetus, for arcar Fv. 6 Added by L. Sp. 7 Aug., for  perlucet.   §141. 1 Aug., for operi. 2 Sciop., for moerum Fv.  3 Laetus, for manus. 4 Turnebus, for eae omoenere Fv.  5 Sciop., for murus.     § 140. ° From vehere ' to carry.' 6 Page 116 Schoell.  c From plaudere ' to creak.'   § 141. ° Whence ' temple ' in the singular, ' house ' in the  plural. * From prefix ob + pedom ' place ' ; cf. irihov, San-  skrit padam. c Munire, moenia, murus, munus all belong  together ; oe is the older spelling, preserved in moenia in  classical Latin. It is a question how far we ought to  restore moe- for mu- in this passage ; possibly in all the   132     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 140-142     140. Vehiculum ° ' wagon,' in which beans or some-  thing else is conveyed, because it vietur ' is plaited ' or  because vehitur ' carrying is done ' by it. A shorter  kind of wagon is called by others, as it were, an arcera  ' covered wagon,' which is named even in the Twelve  Tables b ; because the wagon was made of boards like  an area ' strong box,' it was called an arcera. Plaus-  trum e ' cart,' from the fact that unlike those which I  have mentioned above it is palam ' open ' not to a  certain degree but everywhere, for the objects which  are conveyed in it perlucent ' shine forth to view,' such  as stone slabs, wooden beams, and building material.   XXXII. 141. Aedificia ' buildings ' are, like many  things, named from a part : from aedes a ' hearths '  andjacere ' to make ' comes certainly aedificium. Op-  pidum 6 ' town ' also is named from ops ' strength,'  because it is fortified for ops ' strength,' as a place  where the people may be, and because for spending  their lives there is opus ' need ' of place where they  may be in safety. Moenia c ' walls ' were so named  because they muniebant ' fortified ' the towns with  opus ' work.' What they exaggerabant ' heaped up '  that it might be moenitius ' better fortified,' was called  aggeres d ' dikes,' and that which was to support the  dike was called a moerus ' wall.' Because carrying  was done for the sake of muniendi ' fortifying,' the  work was a munus ' duty ' ; because they enclosed  the town by this moenus, it was a moerus ' wall.'   142. Its top was called pinnae a ' pinnacles,' from  those feathers which distinguished soldiers are accus-   words, since Varro had a fondness for archaic spellings.  d Exaggerare is from agger, which is from ad ' to ' and  gerere ' to carry.'   § 142. ° Literally, ' feathers.'   133     VARRO     milites in galeis habere solent et in gladiatoribus  Samnites. Turres a torvis, quod eae proiciunt ante  alios. Qua viam relinquebant in muro, qua in op-  pidum portarent, portas.   143. Oppida condebant in Latio Etrusco ritu  multi, id est iunctis bobus, tauro ct vacca interiore,  aratro circumagebant sulcum (hoc faciebant religionis  causa die auspicato), ut fossa et muro essent muniti.  Terram unde exculpserant, fossam vocabant et intror-  sum i'actam 1 murum. Post ea 2 qui fiebat orbis, urbis  principium ; qui quod erat post murum, postmoerium  dictum, eo usque 3 auspicia urbana finiuntur. Cippi  pomeri stant et circum Arcciam et 4 circum 5 Romam.  Quare et oppida quae prius erant circumducta aratro  ab orbe 6 et urvo urb 2 postilionem postulare, id est civem  fortissimum eo demitti. 3 Turn quendam Curtium  virum fortem armatum ascendisse in equum et a Con-  cordia versum cum equo eo 4 praecipitatum ; eo facto   2 macella Scaliger, for macelli. 3 Jordan, for iunium.  4 Added by 08., from Plautus, Cure. 474. 5 Added by  GS. 6 Laetus, for quern. 7 For cuppedinis.   § 147. 1 Stowasser, for fuerit; cf. Festus, 125. 7 M.   § 148. 1 After Cornelius, Mue. deleted Stilo. 2 Laetus,  for manio. 3 Turnebus, for eodem mitti. 4 A. Sp.,  with II, for eum.   6 Curculio, 474. c Page 115 Funaioli.   § 147. "Page 116 Funaioli. 6 Seemingly only an   aetiological story ; the cognomen is not otherwise known.  Could it here be a corruption of Marcellus ?   § 148. a A writer on historical topics, possibly the Pro-  cilius who was tribune of the plebs in 56 u.c. 6 L. Cal-  purnius Piso Frugi, consul 133 B.C., adversary of the Gracchi ;   138     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 146-148     small fortified villages. Along the Tiber, at the  sanctuary of Portunus, they call it the Forum Pis-  carium ' Fish Market ' ; therefore Plautus says 6 :   Down at the Market that sells the fish.   Where things of various kinds are sold, at the Cornel-  Cherry . Groves, is the Forum Cuppedinis ' Luxury  Market,' from cuppedium ' delicacy,' that is, from  fastidium ' fastidiousness ' ; many c call it the Forum  Cupidinis ' Greed Market,' from cupiditas ' greed.'   147. After all these things which pertain to human  sustenance had been brought into one place, and the  place had been built upon, it was called a Macellum,  as certain writers say, a because there was a garden  there ; others say that it was because there had been  there a house of a thief with the cognomen Macellus, 6  which had been demolished by the state, and from  which this building has been constructed which is  called from him a Macellum.   148. In the Forum is the Lacus Curtius ' Pool of  Curtius ' ; it is quite certain that it is named from  Curtius, but the story about it has three versions : for  Procilius a does not tell the same story as Piso, 6 nor  did Cornelius c follow the story given by Procilius.  Procilius states d that in this place the earth yawned  open, and the matter was by decree of the senate  referred to the haruspices ; they gave the answer that  the God of the Dead demanded the fulfilment of a  forgotten vow, namely that the bravest citizen be sent  down to him. Then a certain Curtius, a brave man,  put on his war-gear, mounted his horse, and turning  away from the Temple of Concord, plunged into the   author of a work on Roman history. e Identity quite  uncertain. 6 Hist. Rom. Frag., page 198 Peter.   139     VARRO     locum coisse atque eius corpus divinitus humasse ac  reliquisse genti suae monumentum.   149- Piso in Annalibus scribit Sabino bello, quod  fuit Romulo et Tatio, virum fortissimum Met(t)ium  Curiium 1 Sabinum, cum Romulus cum suis ex su-  periore parte impressionem fecisset, 2 in locum 3 palus-  trem, qui turn fuit in Foro antequam cloacae sunt  factae, secessisse atque ad suos in Capitolium re-  cepisse ; ab eo lacum (Curtium) 4 invenisse nomen.   150. Cornelius et Lutatius 1 scribunt eum locum  esse fulguritum et ex S. C. septum esse : id quod  factum es(se)t 2 a Curtio consule, cui M. Genucius 3  fuit collega, Curtium appellatum.   151. Arx ab arcendo, quod is locus munitissimus  Urbis, a quo facillime possit hostis prohiberi. Career  a coercendo, quod exire prohibentur. In hoc pars  quae sub terra Tullianum, ideo quod additum a  Tullio rege. Quod Syracusis, ubi de(licti) 1 causa  custodiuntur, vocantur latomiae, (in)de 2 lautumia   § 149. 1 For curcium Fv. 2 After fecisset, Popma de-  leted curtium. 3 Laetus, for lacum. 4 Added by GS.   § 150. 1 Aug., with B, for luctatius. 2 Mue., for est.  3 For genutius.   § 151. 1 Bergmann, for de. 2 Mue. ; exinde Turnebus ;  for et de.     § 149. Hist. Rom. Frag., page 79 Peter. 6 Tradition-  ally built by the first Tarquin ; cf. Livv, i. 38. 6. c Cf.  Livy, i. 10-13, especially i. 12. 9-10 and! 13. 5.   § 150. Q. Lutatius Catulus, 152-87 b.c, consul 102 as  colleague of Marius in the victory over the Cimbri at Ver-  cellae ; a writer on etymology and antiquities. b Hist.  Rom. Frag., page 126 Peter ; Gram. Rom. Frag., page 105  Funaioli. c C. Curtius Chilo and M. Genucius Augurinus  were colleagues in the consulship in 445 b.c.  140     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 148-151     gap, horse and all ; upon which the place closed up  and gave his body a burial divinely approved, and  left to his clan a lasting memorial.   149. Piso in his Annals writes that in the Sabine  War between Romulus and Tatius, a Sabine hero  named Mettius Curtius, when Romulus with his men  had charged down from higher ground and driven in  the Sabines, got away into a swampy spot which at  that time was in the Forum, before the sewers b had  been made, and escaped from there to his own men  on the Capitoline c ; and from this the pool found its  name.   150. Cornelius and Lutatius a write b that this  place was struck by lightning, and by decree of the  senate was fenced in : because this was done by the  consul Curtius, 6 who had M. Genucius as his colleague,  it was called the Lacus Curtius.   151. The arx ' citadel,' from arcere ' to keep off,'  because this is the most strongly fortified place in the  City, from which the enemy can most easily be kept  away. The career 6 ' prison,' from coercere ' to con-  fine,' because those who are in it are prevented from  going out. In this prison, the part which is under the  ground is called the Tullianum, because it was added  by King Tullius. Because at Syracuse the place  where men are kept under guard on account of  transgressions is called the Latomiae c ' quarries,' from   § 151. "The northern summit of the Capitoline, on which  stood the temple of Juno Moneta. * Beneath the Arx, at  the corner of the Forum ; etymology wrong. e Greek  XoLTOfuai, contracted from XaoTOfuai, which gave the Latin  word ; there were old tufa-quarries on the slopes of the  Capitoline, and the excavation which formed the dungeon was  probably a part of the quarry.     141     VARRO     translatum, quod hie quoque in eo loco lapidicinae  fuerunt.   152. In (Aventi)no 1 Lauretum ab eo quod ibi  sepultus est Tatius rex, qui ab Laurentibus inter-  fectus est, (aut) 2 ab silva laurea, quod ea ibi excisa et  aedificatus vicus : ut inter Sacram Viam et Macellum  editum Corneta (a cornis), 3 quae abscisae loco re-  liquerunt nomen, ut ^esculetum ab aesculo 4 dictum  et Fagutal a fago, unde etiam Iovis Fagutalis, quod  ibi saeellum.   153. Armilustr(i)um 1 ab ambitu lustri : locus  idem Circus Maximus 2 dictus, quod circum spectaculis  aedificatus wbi 3 ludi fiunt, et quod ibi circum metas  fertur pompa et equi currunt. Itaque dictum in  Cornicula(ria) 4 militi's 5 adventu, quern circumeunt  ludentes :   Quid cessamus ludos facere ? Circus noster ecce  adest.   §152. 1 Groth, for in eo. 2 Added by Sciop.  3 Added by Aug., with B. 4 Laetus, for escula.   § 153. 1 For armilustrum. 2 Laetus, for mecinus.  3 Aug., with B, for ibi. 4 Vertranius, for cornicula.  6 Tumebas, for milites.     § 152. There is here a lacuna, or else the in eo of the  manuscripts stands for in Aventino ; for the Lauretum was  on the Aventine.   § 153. The word denotes both the ceremony, held on  October 19, and the place where it was performed, which  seems originally to have been on the Aventine ; according to  Varro, it was later held in the Circus, in the valley between  the Aventine and the Palatine. According to Servius, in  Aen. i. 283, the name was ambilustrum, so called because the  ceremony was not legal unless performed by both (ambo)  censors jointly ; it is possible that the word should be so  emended here and at vi. 22. " Circum is merely the ac-     that the word was taken over as lautumia, because  here also in this place there were formerly stone-  quarries.   1 52. On the Aventine a is the Lauretum ' Laurel-  Grove,' called from the fact that King Tatius was  buried there, who was killed by the Laurentes ' Lauren-  tines,' or else from the laurea ' laurel ' wood, because  there was one there which was cut down and a street  run through with houses on both sides : just as  between the Sacred Way and I lie higher part of the  Macellum are the Corneta ' Cornel-Cherry Groves,'  from corni 'cornel-cherry trees,' which though cut  away left their name to the place ; just as the Aescu-  letum ' Oak-Grove' is named from aesculus ' oak-tree,'  and the Fagutal ' Beech-tree Shrine ' from fagus  ' beech-tree,' whence also Jupiter Fagutalis ' of the  Beech-tree,' because his shrine is there.   153. Armilustrium a ' purification of the arms,' from  the going around of the lustrum ' purificatory offering';  and the same place is called the Circus Maximus,  because, being the place where the games arc  performed, it is built up circum 6 ' round about ' for  the shows, and because there the procession goes  and the horses race circum ' around ' the turning-posts.  Thus in The Story of the Helmet-Horn c the following  is said at the coming of the soldier, whom they en-  circle and make fun of :   Why do we refrain from making sport ? See, here's  our circus-ring.   cusative of circus. e Frag. I of Plautus's Cornicularia,  which may be taken as the Story of the Corniculum, a horn-  shaped ornament on the helmet, bestowed for bravery ; here  apparently assumed by a braggart soldier, the miles of the  text.     143     VARRO     In circo primum unde mittuntur equi, nunc dicuntur  carceres, Naevius oppidum appellat. Carceres dicti,  quod coercentur 6 equi, ne inde exeant antequam  magistratus signum misit. Quod a(d) muri spm'em'  pmnis 8 turribusque 9 carceres olim fuerunt, scripsit  poeta :   Dictator ubi currum insidit, pervehitur usque ad  oppidum.   154. Intumus circus ad Murcice 1 vocatur, 4 ut  Procilius aiebat, ab urceis, quod is locus esset inter  figulos ; alii dicunt a murteto declinatum, quod ibi id  fuerit ; cuius vestigium manet, quod ibi est sacellum  etiam nunc Murteae Veneris. Item simili de causa  Circus Flaminius dicitur, qui circum aedificatus est  Flaminium Campum, et quod ibi quoque Ludis  Tauriis equi circum metas currunt.   155. Comitium ab eo quod coibant eo comitiis  curiatis et litium causa. 1 Curiae duorum generum :  nam et ubi curarent sacerdotes res divinas, ut 2 curiae   6 p, Ed. Veneta (cohercentur Laetus), for coercuntur.   7 Mue., for a muris partem. 8 Laetus, for pennis.  9 Aug., for turribus qui.   § 154. 1 L. Sp.,for murcim Fv. 2 Sciop.,/or uocatum.  § 155. 1 Mue. ; caussa Aug., with B ; causae Fv. 2 For   et.     d Merely the plural of career ' prison ' ; not related to  coercere. e Naevius, Comic. Rom. Frag., inc. fab. II Rib-  beck 3 ; R.O.L. ii. 148-149 Warmington.   § 154. ° Hist. Rom. Frag., page 3 Peter. " Page 116  Funaioli. c In the level ground of the Campus Martius,  through which C. Flaminius Nepos as censor in 220 b.c.  built the Via Flaminia, the great highway from Rome to the  north, and near it the Circus Flaminius ; he was consul in  217 and was killed in the battle with Hannibal at Lake     144     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 15S-155     In the Circus, the place from which the horses are let  go at the start, is now called the Carceres ' Prison-  stalls,' but Naevius called it the Town. Carceres d  was said, because the horses coercentur ' are held in  check,' that they may not go out from there before  the official has given the sign. Because the Stalls  were formerly adorned with pinnacles and towers  like a wall, the poet wrote e :   When the Dictator mounts his car, he rides the whole  way to the Town.   1 54. The very centre of the Circus is called ad  Murciae ' at Murcia's,' as Procilius ° said, from the  urcei ' pitchers,' because this spot was in the potters'  quarter ; others 6 say that it is derived from murtetum  ' myrtle-grove,' because that was there : of which a  trace remains in that the chapel of Venus Muriea 4 of  the Myrtle ' is there even to this day. Likewise for a  similar reason the Circus Flaminius ' Flaminian Circus '  got its name, for it is built c circum ' around ' the  Flaminian Plain, and there also the horses race  circum ' around ' the turning-posts at the Taurian  Games. d   155. The Comitium ' Assembly-Place ' was named  from this, that to it they coibant ' came together ' for  the comitia curiata a ' curiate meetings ' and for law-  suits. The curiae 6 ' meeting-houses ' are of two  kinds : for there are those where the priests were to  attend to affairs of the gods, like the old meeting-   Trasumennus. d Games in honour of the deities of the  netherworld.   § 155. ° Long before Varro's time, practically replaced by  the comitia centuriata. * Curia denoted first a group of  gentes ; then a meeting-place for such groups ; then any  meeting-place.   vol. i L 145     VARRO     veteres, et ubi senatus humanas, ut Curia Hostilia,  quod primus aedificavit Hostilius rex. Ante hanc  Rostra ; cuius id vocabulum, ex hostibus capta fixa  sunt rostra ; sub dextra huius a Comitio locus sub-  structus, ubi nationum subsisterent legati qui ad  senatum essent missi ; is Graecostasis appellatus a  parte, ut multa.   156. Senaculum supra Graecostasim, ubi Aedis  Concordiae et Basilica Opimia ; Senaculum vocatum,  ubi senatus aut ubi seniores consisterent, dictum ut  yepoverta 1 apud Graecos. Lautolae ab lavando, quod  ibi ad Ianum Geminum aquae caldae fuerunt. Ab  his palus fuit in Minore Velabro, a quo, quod ibi  vehebantur lintribus, 2 velabrum, ut illud de quo supra  dictum est.   157. Aequimaelium,quod a€p€Tpoi>.   167. Posteaquam transierunt ad culcitas, quod in  eas acus 1 aut tomentum aliudve quid calcabant, ab  inculcando culcita dicta. Hoc quicquid insternebant  ab sternendo stragulum appellabant. Pulvinar vel a  plumbs vel a pellulis 2 declinarunt. Quibus operiban-  tur, operimenta, et pallia opercula dixerunt. In his  multa peregrina, ut sagum, reno Gallica, ut 3 gaunaca 4  et amphimallum Graeca ; contra Latinum toral, 5  ante torum, et torus a torto, 6 quod is in promptu.   2 Aug., for terras. 3 Ed. Veneta, for quam. 4 L. Sp.,  for ubi. 5 Added by L. Sp.   §167. 1 Turnebus, for ea sagus. 2 Aldus, for a  pluribus uel a pollulis. 3 GS. ; gallica Turnebus ; for  galli quid. 4 GS. ; gaunacum Scaliger, for gaunacuma.  5 A. Sp. ; toral quod Aug.; torale quod Aldus ; for tore  uel. 6 Meursius, for toruo.     6 That is, on additional straw and grass (if the text be  correct). e From the Greek, with dissimilative loss of the  prior t. d The standing grain ; then, the stems of the  grain-plants, not merely of wheat. * From the Greek  word, which is from epa> ' I bear.'   §167. "Wrong. 6 Hoc = hue 'into this.' c From  156     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 166-167     ' gathered ' the straw-coverings and the grass with  which to make them, as even now is done in camp ;  these couches, that they might not be on the earth,  they raised up on these materials 6 ; — unless rather  from the fact that the ancient Greeks called a bed a  \tK-pov. Those who covered up a couch, called the  coverings segestria, c because the coverings in general  were made from the seges d ' wheat-stalks,' as even  now is done in the camp ; unless the word is from the  Greeks, for there it is o-rkyao-rpov. Because the bed  of a dead man fertur ' is carried,' our ancestors called  it a feretrum e ' bier,' and the Greeks called it a   3 quod olim v(i)num 4  dicebant multa?« 5 : itaque cum (in) 8 dolium aut  culleum vinum addunt rustici, prima urna addita  dicunt etiam nunc. Poena a poeniendo aut quod post  peccatum sequitur. Pretium, quod emptionis aesti-  mationisve causa constituitur, dictum a peritis, quod  hi soli facere possunt recte id.   § 175. 1 Bergk,for issedonion.   § 176. 1 L. Sp., for ceptum. 2 A. Sp., for ab eadem   mente. 3 Bentinus, for intrigo (intrigo dicta et intertrigo  B and Aug.).   § 177. 1 Groth, for a. 2 Aug., for multas. 3 Added   by Mue. 4 B, Laetus, for unum. 5 Goeschen, for   multae. 6 Added by Aug., with B.   §176. "Wrong.   § 177. ° Multa 'fine,' possibly taken from Sabine, but  probably from the root in mulcare ' to beat.' Varro seems  to identify it with multae ' many,' supply perhaps pecuniae :  the magistrate imposed one multa after another, just as the  countrymen poured one multa of wine after another into   164     ON THE LATIN LANGUAGE, V. 175-177     is Sdi'ciov with the Aeolians, and 86p.a as others say it,  and ooo-is of the Athenians. Arrabo ' earnest-money,'  when money is given on this stipulation, that a  balance is to be paid : this word likewise is from  the Greek, where it is dppafiwv. Reliquum ' balance,'  because it is the reliquum ' remainder ' of what is owed.   176. Damnum ' loss,' from demptio ' taking away,' a  when less is brought in by the sale of the object than  it cost. Lucrum ' profit ' from luere ' to set free,' if  more is taken in than will exsolvere ' release ' the price  at which it was acquired. Detrimenium ' damage,'  from detritus ' rubbing off,' because those things which  are trita ' rubbed ' are of less value. From the same  trimentum comes intertrimentum ' loss by attrition,'  because two things which have been trita ' rubbed '  inter se ' against each other ' are also diminished ;  from which moreover intertrigo ' chafing of the skin '  is said.   177. A multa ' fine ' is that money named by a  magistrate, that it might be exacted on account of  a transgression ; because the fines are named one at  a time, they are called midtae as though ' many,' and  because of old they called wine multa : thus when the  countrymen put wine into a large jar or wine-skin,  they even now call it a multa after the first pitcherful  has been put in. a Poena ' penalty,' from poenire 6 ' to  punish ' or because it follows post ' after ' a transgres-  sion. Pretium ' price ' is that which is fixed for the  purpose of purchase or of evaluation ; it is named  from the periti d ' experts,' because these alone can  set a price correctly.   the storage jars or skins. 6 Poena from Greek : poenire  (classical punire) from poena. * As though from pone  ' behind,' =post. d Wrong etymology.   165     VARRO     178. Si quid datum pro opera aut opere, merces,  a merendo. Quod manu factum erat et datum pro  eo, manupretium, a manibus et pretio. Corollarium,  si additum praeter quam quod debitum ; eius voca-  bulum fictum a corollis, quod eae, cum placuerant  actores, in scaena dari solitae. Praeda est ab hosti-  bus capta, quod manu parta, ut parida praeda. Prae-  mium a praeda, quod ob recte quid factum concessum.   179- Si datum quod reddatur, mutuum, quod  Siculi [xoItov : itaque scribit Sophron   Moitov arri/xo. 1   Et munus quod mutuo animo qui sunt dant officii  causa ; alterum munus, quod muniendi causa impera-  tum, a quo etiam municipes, qui una munus fungi  debent, dicti.   180. Si es{ty ea pecunia quae in h/dicium 2 venit  in litibus, sacramentum a sacro ; qui 3 petebat et qui  infiiiabatur, 4 de aliis rebus ut(e)rque 5 quingenos aeris  ad ponte Re liustica, iii. 5. 3, who says that  the entrance to a bird-cote is called a coclia ' snail-shell,'  being intended to admit air and some light, but not to permit  direct vision from the interior to the outside. ' Varro had  a friend Q. Lucienn% a Roman senator, well versed in Greek;  he appears as a speaker in Varro's De Re Rustica, ii. (5. 1,   174     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 2-i     in turdarium ' thrush-cote ' and turdelix e ' spiral en-  trance for thrushes.' Thus the Greeks, in adapting  our names, make Aeivuqi'ds of Lucienns * and Koii'-ios  of Quinctius, and we make Aristarcfius of their'Aptcr-ap-  Xos and Z)/o of their Attov. In just this way, I say, our  practice has altered many from the old form, as solum 9  ' soil ' from solu, hiberum h ' God of Wine ' from hoe-  besom, hares i ' Hearth-Gods ' from hases : these  words, covered up as they are by lapse of time, I  shall try to dig out as best I can.   II. 3. First we shall speak of the time-names, then  of those things which take place through them, but in  such a way that first Ave shall speak of their essential  nature : for nature was man's guide to the imposition  of names. Time, they say, is an interval in the  motion of the world. This is divided into a number  of parts, especially from the course of the sun and the  moon. Therefore from their temperatus ' moderated '  career, tempus ' time ' is named," and from this comes  tempestiva ' timely things ' ; and from their motus  ' motion,' the mundus b ' world,' which is joined with  the sky as a whole.   4. There are two motions of the sun : one with the  sky, in that the moving is impelled by Jupiter as ruler,  who in Greek is called ii'a, when it comes from east to  west ° ; wherefore this time is from this god called a   etc). ' With change from the fourth declension to the  second (if the text is correct). * With change of the vowel  as well as rhotacism ; the accusative form must be kept in  the translation, to show this clearly. * With rhotacism  (change of intervocalic s to r).   § 3. * The converse is true : temperare is from tempus.  b Wrong.   § 4. ° This insertion in the text gives the needed sense :  the second motus is in § 8.   175     VARRO     ab hoc deo dies appellatur. Meridies ab eo quod  mcdius dies. D antiqui, non R in hoc dicebant, ut  Praeneste incisum in solario vidi. Solarium dictum  id, in quo horae in sole inspiciebantur, (vel horologium  ex aqua), 2 quod Cornelius in Basilica Aemilia et  Fulvia inumbravit. Diei principium mane, quod  turn 3 manat dies ab oriente, nisi potius quod bonum  antiqui dicebant manum, ad cuiusmodi religionem  Graeci quoque cum lumen affcrtur, solent dicere  dyudov.   5. Suprema summum diei, id ab superrimo. Hoc  tempus XII Tabulae dicunt occasum esse solis ; sed  postea lex P/aetoria 1 id quoque tempus esse iubet  supremum quo praetor in Comitio supremam pronun-  tiavit populo. Secundum hoc dicitur crepusculum a  crepero : id vocabulum sumpserunt a Safiinis, unde  veniunt Crepusci nominati Amiterno, qui eo tempore  erant nati, ut Luci(i) 2 prima luce in Reatino 3 ; cre-  pusculum significat dubium ; ab eo res dictae dubiae  creperae, quod crepusculum dies etiam nunc sit an  iam nox multis dubium.   2 Added by GS. 3 For cum.   §5. 1 Aug., for praetoria. 2 Laehis,for luci. 3 Mue.,  for reatione or creatione.     * Dies is cognate with Greek Ala, but not derived from it.  " P. Cornelius Scipio Nasica Corculum, when censor in  159 b.c. with M. Popilius Laenas, setup the first water-clock  in Rome in this Basilica, which was erected in 179 on the  north side of the Forum by the censors M. Aemilius Lepidus  and M. Fulvius Nobilior, from whom it was named.  d Both etymologies wrong.   §5. "Approximately correct. * Page 119 Schoell.   176     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 4-5     dies ' day.' 6 Meridies ' noon,' from the fact that it is  the medius ' middle ' of the dies ' day.' The ancients  said D in this word, and not R, as I have seen at Prae-  neste, cut on a sun-dial. Solarium ' sun-dial ' was the  name used for that on which the hours were seen in  the sol ' sunlight ' ; or also there is the water-clock,  which Cornelius* set up in the shade in the Basilica of  Aemilius and Fulvius. The beginning of the day is  mane ' early morning,' because then the day manat  ' trickles ' from the east, unless rather because the  ancients called the good manum d : from a supersti-  tious belief of the same kind as influences the Greeks,  who, when a light is brought, make a practice of  saying, " Goodly light ! "   5. Suprema means the last part of the day ; it is  from superrimum. a This time, the Twelve Tables say, 6  is sunset ; but afterwards the Plaetorian Law c de-  clares that this time also should be ' last ' at which the  praetor in the Comitium has announced to the people  the suprema ' end of the session.' In line with this,  crepusculum ' dusk ' is said from creperum ' obscure ' ;  this word they took from the Sabines, from whom  come those who were named Crepusci, from Amiter-  num, who had been born at that time of day, just like  the Lucii, who were those born at dawn (prima luce) in  the Reatine country. Crepusculum means doubtful :  from this doubtful matters are called creperae ' ob-  scure,' d because dusk is a time when to many it is  doubtful whether it is even yet day or is already  night.   e A law for the protection of minors, named from Plaetorius,  a tribune of the people. d All etymologically sound, but  a meaning 4 doubtful ' must have proceeded from a word  crepus ' dusk.'   VOL. I X 177     VARRO   6. Nox, quod, ut Pacm'us 1 ait,   Omnia nisi interveniat sol pruina obriguerint,   quod nocet, nox, nisi quod Graecc vv^ nox. Cum  Stella prima exorta (eum Graeci vocant ea-irepov,  nostri Vesperuginem ut Plautus :   Neqne Vesperugo neque Vergiliae occidunt),   id tempus dictum a Graecis kcnrkpa, Latine vesper ;  ut ante solem ortum quod eadem Stella vocatur iubar,  quod iubata, Pacui dicit pastor :   Exorto iubare, noctis decurso itinere ;  Enni* Aiax :   Lumen — iubarne ? — in caelo cerno.   7. Inter vesperuginem et iubar dicta nox intem-  pesta, ut in Bruto Cassii quod dicit Lucretia :   Nocte intempesta nostram devenit domum.   Intempestam Aelius dicebat cum tempus agendi est  nullum, quod alii concubium 1 appellarunt, quod  omnes fere tunc cubarent ; alii ab eo quod sileretur   § 6. 1 Ribbeck ; Pacuvius Scaliger ; for catulus. 2 GS. ;  Ennii Laetus ; for ennius.   § 7. 1 Laetus, for inconcubium.   §6. ° Antiopa, Trag. Rom. Frag. 14 Ribbeck 3 ; R.O.L.  ii. 170-171 Warmington; cf. Funaioli, page 123. Ribbeck 's  nocti ni for nisi is probably Pacuvius's wording; Varro, as  often, paraphrases the quotation. * Nox and vv£ come  from the same source; connexion with nocere is dubious.  e Amphitruo,275. d Correct etymologies. " Iubar and  tuba ' mane ' are not related, despite vii. 76. f Trag. Rom.  Frag. 347 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 320-321 Warmington.  » Trag. Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 226-227  Warmington; cf. vi. 81 and vii. 76.   § 7 ° A writer of praetextae, otherwise unknown : the  name recurs at vii. 72 ; possibly Victorius's emendation to   178     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 6-7   6. Nox ' night ' is called nox, because, as Pacuvius  says,"   All will be stiff with frost unless the sun break in,   because it nocet ' harms ' ; unless it is because in  Greek night is vv£. b When the first star has come  out (the Greeks call it Hesperus, and our people call  it Vesperugo, as Plautus does c :   The evening star sets not, nor yet the Pleiades),   this time is by the Greeks called lter (ac> caeli, 1 quod  movetur a bruma ad solstitium. Dicta bruma, quod  brevissimus tunc dies est ; solstitium, quod sol eo die  sistere videbatur, quo 2 ad nos versum proximus est.  Sol 3 cum venit in medium spatium inter brumam et  solstitium, quod dies aequus fit ac nox, aequinoctium  dictum. Tempus a bruma ad brumam dum sol redit,  vocatur annus, quod ut parvi circuli anuli, sic magni  dicebantur circites ani, unde annus.   9- Huius temporis pars prima hiems, quod turn  multi imbres ; hinc hibernacula, hibernum ; vel, quod  turn anima quae flatur omnium apparet, ab hiatu  hiems. Tempus secundum ver, quod turn virere 1  incipiunt virgulta ac vertere se tempus anni ; nisi  quod Iones dicunt r;p 2 ver. Tertium ab aestu aestas ;  hinc aestivum ; nisi forte a Graeco aWecr9ai. Quar-  tum autumnus, (ab augendis hominum opibus dictus  frugibusque coactis, quasi auctumnus). 3   2 For conticinnium /. 3 uidebitur Plautus. 4 redito  hue Plautus. 6 For conticinnio /.   § 8. 1 Mue.,for alter caeli. 2 quo A. Sp. ; quod Mue. ;  for aut quod. 3 A. Sp. ; proximus est sol, solstitium  L. Sp. ; for proximum est solstitium.   § 9. 1 Aldus, for uiuere. 2 L. Sp. ; eap Victorius ; for  et. 3 Added by GS., after Krieg shammer, and Fest.  23. 11 If.   d Asinaria, 685.   § 8. For the first motion, see § 4. 6 The winter and  the summer solstices. e Annus is not connected with anus  or anulus ' ring.'   § 9. Wrong. * Cognate with the Greek, not derived  from it.   180     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 7-9     the time which Plautus likewise calls the conticinium  ' general silence ' : for he writes d :   We'll see, I want it done. At general-silence time  come back.   8. There is a second motion of the suri, a differing  from that of the sky, in that the motion is from bruma  ' winter's day ' to sohtitium ' solstice.' 6 Bruma is so  named, because then the day is brevissimus ' shortest ' :  the sohtitium, because on that day the sol ' sun ' seems  sister e ' to halt,' on which it is nearest to us. When  the sun has arrived midway between the bruma and  the sohtitium, it is called the aequinoctium ' equinox,'  because the day becomes aequus ' equal ' to the nox  ' night.' The time from the bruma until the sun re-  turns to the bruma, is called an annus ' year,' because  just as little circles are anuli ' rings,' so big circuits  were called ani, whence comes annus ' year.' c   9. The first part of this time is the hiems ' winter,'  so called because then there are many imbres  ' showers ' a ; hence hibernacula ' winter encamp-  ment,' hibernum ' winter time ' ; or because then  everybody's breath which is breathed out is visible,  hiems is from hiatus ' open mouth.' a The second  season is the ver b * spring,' so called because then the  virgulta ' bushes ' begin virere ' to become green ' and  the time of year begins vertere ' to turn or change '  itself" ; unless it is because the Ionians say rjp for  spring. The third season is the aestas ' summer,'  from aestus ' heat ' ; from this, aestivum ' summer pas-  ture ' ; unless perhaps it is from the Greek aWetrdai  ' to blaze.' 6 The fourth is the autumnus ' autumn,'  named from augere ' to increase ' the possessions of  men and the gathered fruits, as if auctumnus. a   181     VARRO     10. endo 5 sub/iga&ulum. 6  Vo/turnalia 7 a deo Vo/turno, 8 cuius feriae turn. Octo-  bri mense Meditrinalia dies dictus a medendo, quod  Flaccus flamen Martialis dicebat hoc die solitum  vinum (novum) 1 et vetus libari et degustari medica-  menti causa ; quod facere solent etiam nunc multi  cum dicttnt 10 :   Novum vetus vinum bibo : novo veteri 11 morbo medeor.   22. Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae eius ;  ab eo turn et in fontes coronas iaciunt et puteos  coronant. Armilustrium ab eo quod in Armilustrio  armati sacra faciunt, nisi locus potius dictus ab his ;  sed quod de his prius, id ab luendo 1 aut lustro,  id est quod circumibant ludentes ancilibus armati.   3 L. Sp., for aut. 4 Aldus, for diciturne. 6 Skutsch,  for suffiendo. * Kent, for subligaculum. 7 For uor-  turnalia ; cf. volturn. in the Fasti. 8 For uorturno / cf.  preceding note. 9 Added by Laetus. 10 L. Sp., for  dicant. 11 After veteri, G, V,f, Aldus deleted uino; cf.  Festus, 123. 16 M.   § 22. 1 Vertranius, for luendo.     c An oblong piece of white cloth with a coloured border,  which the Vestal Virgins fastened over their heads with a  fibula ' clasp ' when they offered sacrifice ; cf. Festus, 348 a 25  and 3*9. 8 M. d On August 27; the god Volturnus  cannot be identified unless he is identical with Vortumnus  (Vertumnus), since he can hardly be the deity of the river  Volturnus in Campania or of the mountain Voltur, in Apulia,  near Horace's birthplace. « On October 3 ; Meditrina,   194     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 21-22     may enter it except the Vestal Virgins and the state  priest. " When he goes there, let him wear a white  veil," is the direction ; this suffibuluni e ' white veil '  is named as if sub-Jigabulum from sujfigere ' to fasten  down.' The Volturnalia ' Festival of Volturnus,'  from the god Volturnus, 41 whose feast takes place then.  In the month of October, the MeditrinaUa e ' Festival  of Meditrina ' was named from mederi ' to be healed,'  because Flaccus the special priest of Mars used to say  that on this day it was the practice to pour an offering  of new and old wine to the god, and to taste of the  same/ for the purpose of being healed ; which many  are accustomed to do even now, when they say :   Wine new and old I drink, of illness new and old  I'm cured.*   22. The Fontanalia ' Festival of the Springs,' from  Fons ' God of Springs,' because that day ° is his holi-  day ; on his account they then throw garlands into  the springs and place them on the well- tops. The  Armilustrium 6 ' Purification of the Arms,' from the  fact that armed men perform the ceremony in the  Armilustrium, unless the place c is rather named from  the men ; but as I said of them previously, this word  comes from ludere ' to play ' or from lustrum ' puri-  fication,' that is, because armed men went around  ludentes ' making sport ' with the sacred shields. d   Goddess of Healing. 'The ceremonial first drinking of  the new wine. ' Frag. Poet. Lat., page 31 Morel.   § 22. » October 13. » October 13. e The place was  named from the ceremony ; cf. v. 153. d The first ancile  is said to have fallen from heaven in the reign of Numa, who  had eleven others made exactly like it, to prevent its loss  or to prevent knowledge of its loss ; for the safety of the  City depended on the preservation of that shield which fell  from heaven.   195     VARRO     Saturnalia dicta ab Saturno, quod eo die feriae eius,  ut post diem tertium Opalia Opis.   23. Angeronalia ab Angerona, cui sacrificium fit  in Curia Acculeia et cuius feriae publicae is dies.  Larentinae, quem diem quidam in scribendo Laren-  talia appellant, ab Acca Larentia nominatus, cui  sacerdotes nostri publice parentant e sexto die, 1 qui  a& ea* dicitur die* 3 Parent(ali)um 4 Accas Larentinas. 5   24. Hoc sacrificium fit in Velabro, qua 1 in Novam  Viam exitur, ut aiunt quidam ad sepulcrum Accae, ut  quod ibi prope faciunt diis Manibus servilibus sacer-  dotes ; qui uterque locus extra urbem antiquam fuit  non longe a Porta Romanula, de qua in priore libro  dixi. Dies Septimontium nominatus ab his septem  montibus, in quis sita Urbs est ; feriae non populi, sed  montanorum modo, ut Paganalibus, qui sunt alicuius  pagi.   25. De statutis diebus dixi ; de anrialibus nec   § 23. 1 parentant Aug., e sexto die Fay, for parent ante  sexto die. 2 Mue., for atra. 3 L. Sp., for diem.  4 Mommsen, for tarentum. 6 L. Sp., for tarentinas.   § 24. 1 Laetus, for quia.   ' December 17, and the following days. ' December 19.   § 23. ° On December 21. * Goddess of Suffering and  Silence. c On December 23 ; supply feriae with Laren-  tinae. d Wife of Faustulus ; she nursed and brought up  the twins Romulus and Remus. e " Sixth " is wrong if  the Saturnalia began on December 17, unless in this instance  both ends are counted, or the allusion is to an earlier practice  by which the Saturnalia began one day later. On the phrase  e sexto die, cf. Fay, Amer. Jmtrn. Phil. xxxv. 246.  f Archaic genitive singular ending in -as.   190     OX THE LATIN LANGUAGE, VI. 22-25     The Saturnalia ' Festival of Saturn ' was named from  Saturn, because on this day * was his festival, as on the  second dav thereafter the Opalia/ the festival of  Ops.   23. The Angeronalia," from Angerona, 6 to whom a  sacrifice is made in the Acculeian Curia and of whom  this day is a state festival. The Larentine Festival, 6  which certain writers call the Larentalia, was named  from Acca Larentia, d to whom our priests officially  perform ancestor-worship on the sixth day after the  Saturnalia,' which day is from her called the Day of  the Parentalia of Larentine Acca/   24. This sacrifice is made in the Velabrum, where  it ends in New Street, as certain authorities say, at the  tomb of Acca, because near there the priests make  offering to the departed spirits of the slaves ° : both  these places b were outside the ancient city, not far  from the Little Roman Gate, of which I spoke in the  preceding book." Septimontium Day d was named  from these septem viontes ' seven hills,' ' on which the  City is set ; it is a holiday not of the people generally,  but only of those who live on the hills, as only those  who are of some pagus ' country district ' have a holi-  day 1 at the Paganalia 3 ' Festival of the Country  Districts.'   25. The fixed days are those of which I have  spoken ; now I shall speak of the annual festivals   § 24. ° Faustulus and Acca were, of course, slaves of  the king. * The tomb of Acca and the place of sacrifice  to the Manes serciles. e v. 164. d On December 11.  * Not the usual later seven; Festus, 348 M., lists Capitoline  with Velia and Cermalus, three spurs of the Esquiline —  Oppius, Fagutal, Cispius — and the Subura valley between.  ' Supply feriantur. ' Early in January, but not on a  fixed date.     197     VARRO     de 1 statutis dicam. Compitalia dies attributus  Laribus viaUhus 2 : ideo ubi viae competunt turn in  competis sacrificatur. Quotannis is dies concipitur.  Similiter Latinae Feriae dies conceptivus 3 dictus a  Latinis populis, quibus ex Albano Monte ex sacris  carnem 4 petere fuit ius cum Romanis, a quibus Latinis  Latinae dictae.   26. Sementivae 1 Feriae dies is, qui a pontificibus  dictus, appellatus a semente, quod sationis causa sus-  cepta(e). 2 Paganicae eiusdem agriculturae causa  susceptae, ut haberent in agris omn/s 3 pagus, unde  Paganicae dictae. Sunt praeterea feriae conceptivae  quae non sunt annales, ut hae quae dicuntur sine  proprio vocabulo aut cum perspic?/o, 4 ut Novendiales 5  sunt.   IV. 27. De his diebus (satis) 1 ; nunc iam, qui  hominum causa constituti, videamus. Primi dies  mensium nominati ivalendae, 2 quod his diebus calan-   § 25. 1 Mommsen, for de. 2 Bongars, for ut alibi.  3 Laetus, for conseptivus. 4 Victorius, for carmen.   § 26. Vertranius, for sementinae. 2 Aldus, for   suscepta. 3 Aldus, for omnes. 4 Aug., for perspicio.  6 For novendialis.   § 27. 1 Added by Sciop. 2 Aug., with B, for caK     § 25. ° That is, set by special proclamation, and not  always falling on the same date. b By the praetor, not far  from January 1. e Written competa in the text, to make  the association with competunt. d The festival of the  league of the Latin cities; its date was set by the Roman  consuls (or by a consul) as soon as convenient after entry  into office.   § 26. ° In January, on two days separated by a space  of seven days ; as they were days of sowing, the choice  depended upon the weather. * Collective singular with   198     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 25-27     which are not fixed on a special day.° The Compitalia  is a day assigned 6 to the Lares of the highways ;  therefore where the highways competunt ' meet,'  sacrifice is then made at the compita c ' crossroads.'  This day is appointed every year. Likewise the  Latinae Feriae ' Latin Holiday ' d is an appointed day,  named from the peoples of Latium, who had equal  right with the Romans to get a share of the meat at  the sacrifices on the Alban Mount : from these Latin  peoples it was called the Latin Holiday.   26. The Sementivae Feriae ' Seed-time Holiday '  is that day which is set by the pontiffs ; it was named  from the sementis ' seeding,' because it is entered  upon for the sake of the sowing. The Paganicae  ' Country-District Holiday ' was entered upon for the  sake of this same agriculture, that the whole pagus 6  ' country-district ' might hold it in the fields, whence  it was called Paganicae. There are also appointive  holidays which are not annual, such as those which are  set without a special name of their own, c or with an  obvious one, such as is the Novendialis ' Ceremony of  the Ninth Day.' d   IV. 27. About these days this is enough ° ; now  let us see to the days which are instituted for the  interests of men. The first days of the months  are named the Kalendae, b because on these days the   plural verb. e Such as the supplicat tones voted for Caesar's  victories in Gaul ; cf. Bell. Gall. ii. 35. 4, iv. 38. 5, vii. 90. 8.  d The offerings and feasts for the dead on the ninth day after  the funeral ; also, a festival of nine days proclaimed for the  purpose of averting misfortunes whose approach was indicated  by omens and prodigies.   § 27. ° The insertion of satis makes the chapter beginning  conform to those at v. 57, 75, 95, 184, vi. 35, etc. * The K  in Kalendae and halo, before A, is well attested.   199     VARRO     tur eius menszs 3 Nonae a pontificibus, quintanae an  septimanae sint futurae, in Capitolio in Curia Calabra  sic : " Die te quin/z 4 ka\o 5 Iuno Covella " (aut) 8 " Sep-  tim(i) die te 7 ka\o 5 Iuno Covella."   28. Nonae appellatae aut quod ante diem nonum  Idus semper, aut quod, ut novus annus Kalendae 1  Ianuariae ab novo sole appellatae, novus mensis (ab) a  nova luna Nonce 3 ; eodem die 4 in Urbe(m) 5 (qui) 6 in  agris ad regem conveniebat populus. Harum rerum  vestigia apparent in sacris Nonalibus in Arce, quod  tunc ferias primas menstruas, quae futurae sint eo  mense, rex edicit populo. Idus ab eo quod Tusci  Itus, vel potius quod Sabini Idus dicunt.   29. Dies postridie Kalendas, Nonas, Idus appellati  atri, quod per eos dies (nihil) 1 novi inciperent. Dies  fasti, per quos praetoribus omnia verba sine piaculo  licet fari ; comitiales dicti, quod turn ut (in Comitio) 2   3 Aug., with B, for menses. 4 Mommsen ; die te V  Christ ; for dictae quinque. 5 See note 2, § 27. 6 Added  by Zander. 7 Mommsen ; VII die te Christ ; for septem  dictae.   § 28. 1 Aug., with B,for calendae. 2 a added by Sciop.  3 Sciop., for nonis. 4 After die, Mue. deleted enim.  8 Laetus,for urbe. 6 Added by L. Sp.   §29. 1 Added by Turnebus. 2 Added by Bergk.     e See v. 13. d The statement of Macrobius, Sat. i. 15. 10,  that kalo Iuno Covella was repeated five or seven times re-  spectively, may rest merely on a corrupted form of this passage  which was in the copy used by Macrobius. ' ' Juno of the  New Moon ' ; Covella, diminutive from covus ' hollow,'  earlier form of cavus (cf. v. 19) — unless it be corrupt for  Novella, as Scaliger thought. For the New Moon has a  concave shape.   § 28. The north-eastern summit of the Capitoline.  6 Origin uncertain ; perhaps from Etruscan, as Varro says.   200     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 27-29   Nones of this month calantur ' are announced ' by the  pontiffs on the Capitoline in Announcement Hall, c  whether they will be on the fifth or on the seventh, in  this way d : " Juno Covella, e I announce thee on the  fifth day " or " Juno Covella, I announce thee on the  seventh day."   28. The Nones are so called either because they  are always the nonus ' ninth ' day before the Ides, or  because the Nones are called the novus ' new ' month  from the new moon, just as the Kalends of January  are called the new year from the new sun ; on the  same day the people who were in the fields used to  flock into the City to the King. Traces of this status  are seen in the ceremonies held on the Nones, on  the Citadel," because at that time the high-priest  announces to the people the first monthly holidays  which are to take place in that month. The Idus b  ' Ides,' from the fact that the Etruscans called them  the Itus, or rather because the Sabines call them the  Idus.   29. The days next after the Kalends, the Nones,  and the Ides, were called atri ' black,' because on  these days they might not start anything new. Dies  fasti b ' righteous days, court days,' on which the  praetors c are permitted fart ' to say ' any and all  words without sin. Comitiales ' assembly days ' are so  called because then it is the established law that the   § 29. a Gf. Macrobius, Sat. i. 15. 22 ; the use of ater was  appropriate after the Ides, when the moon was not visible in  the day nor in the early evening, nor was it visible immedi-  ately after the Kalends. 6 That is, when it was fas to hold  court and make legal decisions; Varro connects with fari  ' to say,' with which the Romans associated fas etymologi-  cally, but the connexion has recently been questioned.  e Who functioned as judges.   201     VARRO   esset populus constitutum est ad suffragium ferun-  dum, nisi si quae feriae conceptae essent, propter quas  non liceret, (ut) 3 Compitalia et Latinae.   30. Contrarii horum vocantur dies nefasti, per  quos dies nefas fari praetorem " do," " dico," " ad-  dico " ; itaque non potest agi : necesse est aliquo  (eorum) 1 uti verbo, cum lege qui(d) 2 peragitur. Quod  si turn imprudens id verbum emisit ac quem manu-  misit, ille nihilo minus est liber, sed vitio, ut magi-  stratus vitio creatus nihilo setf us 3 magistratus. Praetor  qui turn fatus 4 est, si imprudens fecit, piaculari hostia  facta piatur ; si prudens dixit, Quintus Mucius aiebat 5  eum expiari ut impium non posse.   31. Interctsi 1 dies sunt per quos mane et vesperi  est nefas, medio tempore inter hostiam caesam e t exta  porrecta 2 fas ; a quo quod fas turn intercedit aut eo 3  intercisum nefas, intercis?. 4 Dies qui vocatur sic  " Quando 5 rex comitiavit fas," is 6 dictus ab eo quod   3 Added by Laetus.   § 30. 1 Added by Laetus, with B. 2 Laetus, for qui.  3 A. Sp. ; secius Victorius ; for sed ius. 4 Turnebus, for  factus. 8 L. Sp., for abigebat.   § 31. 1 Laetus, for intercensi. 2 Aug., with B, for  proiecta. 3 L. Sp. ; eo est Mue. ; for eos. 4 A. Sp.,  for intercisum. 5 Before quando, B inserts Q R C F, the  abbreviation found in the Fasti. 6 fas is Victorius, for  fassis.     § 30. ° For the meaning of vitio, see Dorothy M.  Paschall, " The Origin and Semantic Development of Latin  Vitium," Trans. Amer. Philol. Assn. lxvii. 219-231.  * i. 19 Huschke.   § 31. ° March 24 and May 24. * The caedere ' to cut '  in intercidere and the cedere ' to go on ' in intercedere are not  etymologically connected.  202     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 29-31     people should be in the Comitium to cast their votes —  unless some holidays should have been proclaimed on  account of which this is not permissible, such as the  Compitalia and the Latin Holiday.   30. The opposite of these are called dies nefasti  ' unrighteous days,' on which it is nefas ' unrighteous-  ness ' for the praetor to say do ' I give,' dico ' I pro-  nounce,' addico ' I assign ' ; therefore no action  can be taken, for it is necessary to use some one  of these words, when anything is settled in due  legal form. But if at that time he has inadvert-  ently uttered such a word and set somebody free,  the person is none the less free, but with a bad  omen" in the proceeding, just as a magistrate  elected in spite of an unfavourable omen is a  magistrate just the same. The praetor who has  made a legal decision at such a time, is freed of  his sin by the sacrifice of an atonement victim, if  he did it unintentionally ; but if he made the pro-  nouncement with a realization of what he was doing,  Quintus Mucius 6 said that he could not in any way  atone for his sin, as one who had failed in his duty  to God and country.   31. The intercisi dies ' divided days ' are those a on  which legal business is wrong in the morning and in  the evening, but right in the time between the slaying  of the sacrificial victim and the offering of the vital  organs ; whence they are intercisi because the fas  ' right ' intercedit 6 ' comes in between ' at that time,  or because the nefas ' wrong ' is intercisum ' cut into *  by the fas. The day which is called thus : " When  the high-priest has officiated in the Comitium, Right,"  is named from the fact that on this day the high-priest  pronounces the proper formulas for the sacrifice in the   203     VARRO     eo die rex sacrificio ius' dicat ad Comitium, ad quod  tempus est nefas, ab eo fas : itaque post id tempus  lege actum saepe.   32. Dies qui vocatur " Quando stercum delatum  fas," 1 ab eo appellatus, quod eo die ex Aede Vestae  stercus everritur et per Capitolinum Clivum in locum  defertur certum. Dies Alliensis ab Allia 2 fluvio  dictus : nam ibi exercitu nostro fugato Galli obse-  derunt Romam.   33. Quod ad singulorum dicrum vocabula pertinet  dixi. Mensium nomina fere sunt aperta, si a Martio,  ut antiqui constituerunt, numeres : nam primus a  Marte. Secundus, ut Fulvius scribit et Iunius, a  Venere, quod ea sit ApArodite 1 ; cuius nomen ego  antiquis litteris quod nusquam inveni, magis puto  dictum, quod ver omnia aperit, Aprilem. Tertius a  maioribus Maius, quartus a iunioribus dictus Iunius.   34. Dehinc quintus Quintilis et sic deinceps usque  ad Decembrem a numero. Ad hos qui additi, prior a  principe deo Ianuarius appellatus ; posterior, ut idem  dicunt scriptores, ab diis inferis Februarius appellatus,   7 Other codices, for sacrificiolus Fv.   § 32. 1 Before quando, B inserts Q S D F, the abbrevia-  tion found in the Fasti. 2 B, Laetus,for allio (auio/).   § 33. 1 For afrodite.   § 32. a June 15. 6 July 18 ; anniversary of the battle  of 390 b.c, at the place where the Allia flows into the Tiber,  eleven miles above Rome.   § 33. ° Probably from an adjective apero- ' second,' not  otherwise found in Latin. 6 Servius Fulvius Flaccus,  consul 135 b.c, skilled in law, literature, and ancient history.  "Page 121 Funaioli ; page 11 Huschke. d From Maia,  mother of Mercury. * From the goddess Juno ; page 121  Funaioli.   § 34. a Varro wrote before Quintilis was renamed Iulius  204     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 31-34     presence of the assembly, up to which time legal  business is wrong, and from that time on it is right :  therefore after this time of day actions are often taken  under the law.   32. The day a which is called " When the dung has  been carried out, Right," is named from this, that on  this day the dung is swept out of the Temple of Vesta  and is carried away along the Capitoline Incline to a  certain spot. The Dies Alliensis b ' Day of the Allia '  is called from the Allia River ; for there our army was  put to flight by the Gauls just before they besieged  Rome.   33. With this I have finished my account of what  pertains to the names of individual days. The names  of the months are in general obvious, if you count  from March, as the ancients arranged them ; for the  first month, Martius, is from Mars. The second,  Aprilis, a as Fulvius 6 writes and Junius also, 6 is from  Venus, because she is Aphrodite ; but I have nowhere  found her name in the old writings about the month,  and so think that it was called April rather because  spring aperit ' opens ' everything. The third was  called Maius d ' May ' from the maiores ' elders,' the  fourth Iunius e ' June ' from the iuniores ' younger  men.'   34. Thence the fifth is Quintilis a ' July ' and so in  succession to December, named from the numeral.  Of those which were added to these, the prior was  called Ianuarius ' January ' from the god b who is first  in order ; the latter, as the same writers say, 6 was  called Februarius* ' February ' from the di inferi ' gods   and Sextilis was renamed Augustus. * Janus. 'Page  16 Funaioli ; page 11 Huschke. d From a lost word feber  ' sorrow.'   205     VARRO     quod turn his paren(te)tur x ; ego magis arbitror  Februarium a die februato, quod turn februatur  populus, id est Lupercis nudis lustratur antiquum  oppidum Palatinum gregibus humanis cinctum.   V. 35. Quod ad temporum vocabula Latina  attinet, hactenus sit satis dictum ; nunc quod ad eas  res attinet quae in tempore aliquo fieri animadver-  terentur, dicam, ut haec sunt : legisti, cumis, 1 ludens ;  de quis duo praedicere volo, quanta sit multitudo  eorum et quae sint obscuriora quam alia.   36. Cum verborum declinatuum 1 genera sint quat-  tuor, unum quod tempora adsignificat neque habet  casus, ut ab lego leges, lege 2 ; alterum quod casus  habet neque tempora adsignificat, ut ab lego lectio  et lector ; tertium quod habet utrunque et tempora  et casus, ut ab lego legens, lecturus ; quartum quod  neutrum habet, ut ab lego lecte ac lectissime : horum  verborum si primigenia sunt ad mi/fe, 3 ut Cosconius  scribit, ex eorum declinationibus verborum discrimina  quingenta milia esse possunt ideo, quod a* singulis  verbis primigenii(s) 5 circiter quingentae species de-  clinationibus fiunt.   § 34. 1 Aug. ; parentent Laetus ; for parent.  § 35. 1 Mue., with G, II, for currus.   § 36. 1 B, Laetus, for declinatiuum. 2 V, b, for lego  Fv. 3 Victorius, for admitte. 4 L. Sp., for quia.  5 Aug., for primigenii.     • Three different ceremonies are confounded here : one of  purification, one of expiation to the gods of the Lower World,  one of fertility ; cf. vi. 13, note a.   § 35. That is, all verbal forms, and the derivatives from  the verbal roots.   § 36. The verb has both meanings ; some of the deriva-  tives have only one or the other. 6 Q. Cosconius, orator   206     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 34-36     of the Lower World,' because at that time expiatory  sacrifices are made to them ; but I think that it was  called February rather from the dies februalus ' Puri-  fication Day,' because then the people februatur ' is  purified,' that is, the old Palatine town girt with flocks  of people is passed around by the naked Luperci.'   V. 35. As to what pertains to Latin names of time  ideas, let that which has been said up to this point be  enough. Now I shall speak of what concerns those  things which might be observed as taking place at  some special time a — such as the following : legisti  ' thou didst read,' cursus ' act of running,' ludens  ' playing.' With regard to these there are two things  which I wish to say in advance : how great then-  number is, and what features are less perspicuous  than others.   36. The inflections of words are of four kinds : one  which indicates the time and does not have case, as  leges ' thou wilt gather or read,' a lege ' read thou,'  from lego 1 I gather or read ' ; a second, which has  case and does not indicate time, as from lego lectio  ' collection, act of reading,' lector ' reader'; the third,  which has both, time and case, as from lego legens  ' reading,' ledums ' being about to read ' ; the third,  which has neither, as from lego lecte 'choicely,' lectis-  sime ' most choicely.' Therefore if the primitives of  these words amount to one thousand, as Cosconius 6  writes, then from the inflections of these words the  different forms can be five hundred thousand in  number for the reason that from each and every  primitive word about five hundred forms are made  by derivation and inflection.   and authority on grammar and literature, who flourished  about 100 b.c. ; page 109 Funaioli.   207     VARRO     37. Primigenia dicuntur verba ut lego, scribo, sto,  sedeo et cetera, quae non sunt ab ali(o) quo 1 verbo,  sed suas habent radices. Contra verba declinata sunt,  quae ab ali(o) quo 2 oriuntur, ut ab lego legis, legit,  legam et sic 3 indidem hinc permulta. Quare si quis  primigeniorum verborum origines ostenderit, si ea  mille sunt, quingentum milium simplicium verborum  causas aperuerit una ; sin 4 nullius, tamen qui ab his  reliqua orta ostenderit, satis dixerit de originibus  verborum, cum unde nata sint, principia erunt pauca,  quae inde nata sint, innumerabilia.   38. A quibus iisdem principiis antepositis prae-  verbiis paucis immanis verborum accedit numerus,  quod praeverbiis (in)mutatis 1 additis atque commu-  tatis aliud atque aliud fit : ut enim (pro)cessit 2 et  recessit, sic accessit et abscessit ; item incessit et ex-  cessit,sic successit et decessit, (discessit) 3 et concessit.  Quod si haec decern sola praeverbia essent, quoniam  ab uno verbo declinationum quingenta discrimina  fierent, his decemplicatis coniuncto praeverbio ex  uno quinque milia numero efficerent(ur), 4 ex mille ad  quinquagies centum milia discrimina fieri possunt.   §37. 1 Mue. ; alio Aug., G ; for aliquo. 2 Mue., for  aliquo. 3 After sic, Laetus deleted in. 4 Turnebus, for  unas in.   § 38. 1 GS., for mutatis. 2 Fritzsche, for cessit.  3 Added by GS (et discessit added by Vertranius). 4 Aldus,  for efficerent.     § 37. " That is, cannot be referred to a simpler radical  element.  Primitive is the name applied to words like  lego ' I gather,' scribo ' I write,' sto ' I stand,' sedeo ' I  sit,' and the rest which are not from some other word, a  but have their own roots. On the other hand deriva-  tive words are those which do develop from some other  word, as from lego come legis ' thou gatherest,' legit  ' he gathers,' legam ' I shall gather,' and in this fashion  from this same word come a great number of words.  Therefore, if one has shown the origins of the primi-  tive words, and if these are one thousand in number,  he will have revealed at the same time the sources of  five hundred thousand separate words ; but if without  showing the origin of a single primitive word he has  shown how the rest have developed from the primi-  tives, he will have said quite enough about the origins  of words, since the original elements from which the  words are sprung are few and the words which have  sprung from them are countless.   38. There are besides an enormous number of  words derived from these same original elements by  the addition of a few prefixes, because by the addition  of prefixes with or without change a word is repeatedly  transformed ; for as there is processit ' he marched  forward ' and recessit-' drew back,' so there is accessit  ' approached ' and abscessit ' went off,' likewise incessit  ' advanced ' and excessit ' withdrew,' so also successit  ' went up ' and decessit ' went away,' discessit ' de-  parted ' and concessit ' gave way.' But if there were  only these ten prefixes, from the thousand primitives  five million different forms can be made inasmuch as  from one word there are five hundred derivational  forms and when these are multiplied by ten through  union with a prefix five thousand different forms are  produced out of one primitive.   vol. i p 209     VARRO     39. Democritus, Ecurus, 1 item alii qui infinita  principia dixerunt, quae unde sint non dicunt, sed  cuiusmodi sint, tamen faciunt magnum : quae ex his  constant in mundo, ostendunt. Quare si etymologws 2  principia verborum postulet mille, de quibus ratio ab  se non poscatur, et reliqua ostendat, quod non pos-  tulat, tamen immanem verborum expediat numerum.   40. De multitudine quoniam quod satis esset  admonui, 1 de obscuritate pauca dicam. Verborum  quae tempora adsignificant ideo locus 2 difficillimus  (TVfj.a, 3 quod neque his fere societas cum Graeca  lingua, neque vernacula ea quorum in partum memoria  adfuerit nostra ; e 4 quibus, ut dixi, 5 quae poterimus.   VI. 41. Incipiam hinc primura 1 quod dicitur ago.  Actio ab agitatu facta. Hinc dicimus " agit gestum  tragoedus," 2 et " agitantur quadrigae " ; hinc " agi-  tur pecus pastum." Qua 3 vix agi potest, hinc angi-  portum ; qua nil potest agi, hinc angulus, (vel) 4 quod  in eo locus angustissimus, cuius loci is angulus.   42. Actionum trium primus agitatus mentis, quod   § 39. 1 Turnebus, for secutus Fv, securus G, II. 2 ety-  mologos B, Rhol., for ethimologos Fv, ethimologus G.  § 40. 1 Laetus, for admonuit. 2 f, Aldus, for locutus.   3 est Irv/xa Sciop. (L. Sp. deleted est), for est TTMa Fv.   4 A. Sp.,for nostrae. 6 M, Laetus, for dixit.   §41. 1 Laetus, for primus. 2 For tragaedus. 3 Al-  dus, for quia. 4 Added by Mue., whose punctuation is  here followed.     § 39. Of Abdera (about 460-373 b.c), originator of the  atomic theory. * Of Athens (341-270 b.c), founder of the  Epicurean school of philosophy; Epic. 201. 33 Usener.  e That is, that he should be excused from interpreting them  (quod for quot).   § 40. For adfuerit with the goal construction, cf. Vergil,  Eel. 2. 45 hue ades, etc. 6 v. 10.  210     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 39-42     39. Democritus, a Epicurus, 6 and likewise others  who have pronounced the original elements to be  unlimited in number, though they do not tell us  whence the elements are, but only of what sort they  are, still perform a great service : they show us the  things which in the world consist of these elements.  Therefore if the etymologist should postulate one  thousand original elements of words, about which an  interpretation is not to be asked of him, and show the  nature of the rest, about which he does not make the  postulation, c the number of words which he would  explain would still be enormous.   40. Since I have given a sufficient reminder of the  number of existing words, I shall speak briefly about  their obscurity. Of the words which also indicate  time the most difficult feature is their radicals, for the  reason that these have in general no communion with  the Greek language, and those to whose birth a our  memory reaches are not native Latin ; yet of these,  as I have said, 6 we shall say what we can.   VI. 41. I shall start first from the word ago ' I  drive, effect, do.' Actio ' action ' is made from agitatus  1 motion.' a From this we say " The tragic actor agit  ' makes ' a gesture," and " The chariot-team agitantur  ' is driven ' " ; from this, " The flock agitur ' is driven '  to pasture." Where it is hardly possible for anything  agi ' to be driven,' from this it is called an angiportum 6  1 alley ' ; where nothing can agi ' be driven,' from this  it is an angulus ' corner,' or else because in it is a very  narrow (angustus) place to which this corner belongs.   42. There are three actiones ' actions,' and of these   § 41. All these words are derivatives of agere, except  angiportum and angulus ; but actio does not develop by loss  of the »' in agitatus. b Cf. v. 145.   211     VARRO     primum ea quae sumus acturi cogitare debemus,  deinde turn dicere et facere. De his tribus minime  putat volgus esse actionem cogitationem ; tertium, in  quo quid facimus, id maximum. Sed et cum cogi-  tamus 1 quid et earn rem ogitamus 2 in mente, agimus,  et cum pronuntiamus, agimus. Itaque ab eo orator  agere dicitur causam et augures augurium agere  dicuntur, quom in eo plura dicant quam faciant.   43. Cogitare a cogendo dictum : mens plura in  unum cogit, unde eligere 1 possit. Sic e lacte coacto  caseus nominatus ; sic ex hominibus contio dicta, sic  coemptio, sic compitum nominatum. A cogitatione  concilium, inde consilium ; quod ut vestimentum  apud fullonem cum cogitur, conciliari 2 dictum.   44. Sic reminisci, cum ea quae tenuit mens ac  memoria, cogitando repetuntur. Hinc etiam com-  minisci dictum, a con et mente, cum finguntur in  mente quae non sunt ; et ab hoc illud quod dicitur  eminisci, 1 cum commentum pronuntiatur. Ab eadem   § 42. 1 Sciop., for hos agitamus Fv. 2 L. Sp., for  cogitamus.   § 43. 1 a, p, RhoL, for elicere. 2 Aug., for consiliari.  § 44. 1 Heusinger, for reminisci.   § 42. a Page 16 Regell.   § 43. a Here Varro gives a parenthetic list of words with  the prefix co- or com- ; though he is wrong in including  caseus. b Cogitatio, concilium, consilium have nothing in  common except the prefix.   212     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 42-44     the first is the agitatus ' motion ' of the mind, because  we must first cogitare ' consider ' those things which  we are acturi ' going to do,' and then thereafter say  them and do them. Of these three, the common folk  practically never thinks that cogitatio ' consideration '  is an action ; but it thinks that the third, in which we  do something, is the most important. But also when  we cogitamus ' consider ' something and agitamus  ' turn it over ' in mind, we agimus ' are acting,' and  when we make an utterance, we agimus ' are acting.'  Therefore from this the orator is said agere ' to plead '  the case, and the augurs are said a agere ' to practice '  augury, although in it there is more saying than  doing.   43. Cogitare ' to consider ' is said from cogere ' to  bring together ' : the mind cogit ' brings together '  several things into one place, from which it can  choose. Thus a from milk that is coactum ' pressed,'  caseus ' cheese ' was named ; thus from men brought  together was the contio ' mass meeting ' called, thus  coemptio ' marriage by mutual sale,' thus compitum  ' cross-roads.' From cogitatio ' consideration ' came  concilium ' council,' and from that came consilium  ' counsel ' ; 6 and the concilium is said conciliari ' to be  brought into unity ' like a garment when it cogitur ' is  pressed ' at the cleaner's.   44. Thus reminisci ' to recall,' when those things  which have been held by mind and memory are fetched  back again by considering (cogitando). From this also  comminisci ' to fabricate a story ' is said, from con ' to-  gether ' and mens ' mind,' when things which are not,  are devised in the mind ; and from that comes the  word eminisci ' to use the imagination,' when the  commentum ' fabrication ' is uttered. From the same     213     VARRO     mente meminisse dictum et amens, qui a mente sua  cU'scedit. 2   45. Hinc etiam metus 1 (a) mente quodam modo  mota, 2 ut 3 metuisti (te> 4 amovisti ; sic, quod frigidus  timor, tremuisti timuisti. Tremo dictum a simili-  tudine vocis, quae tunc cum valde tremunt apparet,  cum etiam in corpore pili, ut arista in spica ^ordei,  horrent.   46. Curare a cura dictum. Cura, quod cor urat ;  curiosus, quod hac praeter modum utitur. Recor-  dan, 1 rursus in cor revocare. Curiae, ubi senatus  rempublicam curat, et ilia ubi cura sacrorum publica ;  ab his curiones.   47. Volo a voluntate dictum et a volatu, quod  animus ita est, ut puncto temporis pervolet quo volt.  Lwbere 1 ab labendo dictum, quod lubrica mens ac  prolabitur, ut dicebant olim. Ab lubendo libido,  libidinosus ac Venus Libentina et Libitina, sic alia.   2 Aug., for descendit.   § 45. 1 GS., for metuo. 2 Canal, for mentem quodam  modo motam. 3 L. Sp., for uel. 4 Added by Kent,  after Fay.   § 46. 1 Aug., with B, for recordare.   § 47. 1 L. Sp., for libere.     § 45. ° According to Mueller, the sequence of the topics  indicates that this section and § 49 have been interchanged in  the manuscripts. All etymologies in this section are wrong.   § 46. ° Three etymologically distinct sets of words are  here united : cura, curare, curiosus ; cor, recordari ; curia,  curio.   § 47. ° Volo ' I wish ' is distinct from volo 1 I fly.'  6 Ijubet, later libet, is distinct from labi and from lubricus.  e Either as a euphemism, or from the fact that the funeral  apparatus was kept in the storerooms of the Temple of Venus,  which caused the epithet to acquire a new meaning.   214     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 44-47     word mens ' mind ' come meminisse ' to remember '  and amens ' mad,' said of one who has departed a  mente ' from his mind.'   45. ° From this moreover metus ' fear,' from the  mens ' mind ' somehow mota ' moved,' as metuisti ' you  feared,' equal to te amouisti ' you removed yourself.'  So, because timor ' fear ' is cold, tremuisti ' you  shivered ' is equal to timuisti ' you feared.' Tremo ' I  shiver ' is said from the similarity to the behaviour of  the voice, which is evident then when people shiver  very much, when even the hairs on the body bristle  up like the beard on an ear of barley.   46. " Curare ' to care for, look after ' is said from  cur a ' care, attention.' Cura, because it cor urat ' burns  the heart ' ; curiosus ' inquisitive,' because such a  person indulges in cura beyond the proper measure.  Recordari ' to recall to mind,' is revocare ' to call  back ' again into the cor ' heart.' The curiae ' halls,'  where the senate curat ' looks after ' the interests of  the state, and also there where there is the cura ' care '  of the state sacrifices ; from these, the curiones ' priests  of the curiae.'   47. Volo ' I wish ' is said from voluntas ' free-will '  and from volatus ' flight,' because the spirit is such  that in an instant it pervolat ' flies through ' to any  place whither it volt ' wishes.' a Lubere 6 'to be  pleasing ' is said from labi ' to slip,' because the mind  is lubrica ' slippery ' and prolabitur ' slips forward,' as of  old they used to say. From lubere 1 to be pleasing '  come libido ' lust,' libidinosus ' lustful,' and Venus  Libentina ' goddess of sensual pleasure ' and Libitina c  ' goddess of the funeral equipment,' so also other  words.     215     VARRO   48. Metuere a quodam motu animi, cum id quod  malum casurum putat refugit mens. Cum vehe-  mentius in movendo ut ab se abeat foras fertur,  formido ; cum (parum movetur) 1 pavet, et ab eo  pavor.   49. Meminisse a memoria, cum (in) id quod  remansit in mente 1 rursus movetur ; quae a manendo 2  ut manimoria 3 potest esse dicta. Itaque Salii quod  cantant :   Mamuri Vetwn', 4  significant memoriam veterem. 5 Ab eodem monere, 6  quod is qui monet, proinde sit ac memoria ; sic  monimenta quae in sepulcris, et ideo secundum viam,  quo praetereuntis admoneant 7 et se fuisse et illos  esse mortalis. Ab eo cetera quae scripta ac facta  memoriae causa monimenta dieta.   50. Maerere a marcere, quod etiam corpus mar-  cescere(t) 1 ; hinc etiam macri dicti. Laetari ab eo   § 48. 1 Added by L. Sp.   § 49. 1 A. Sp., for id quod remansit in mente in id  quod/ the omission, with Sciop. 2 Rhol., for manando.  3 Other codices, for maniomoria Fv. 4 Turnebus, for  memurii ueterum or ueteri. 5 Maurenbrecher ; veterem  memoriam Aug., with B ; where, according to Victorius, F  had memoriam followed by an illegible word. 6 For mo-  nerem. 7 For admoueant Fv, admoneat B.   § 50. 1 L. Sp.,for marcescere.   § 48. All etymologies in the section are wrong.   § 49. See note on § 45. Meminisse, mens, monere,  monimentum (or monumentum) are from the same root ;  memoria is perhaps remotely connected with them ; but  manere is to be kept apart. 6 Frag. 8, page 339 Mauren-  brecher; page 4 Morel. c The traditional smith who made  the best of the duplicate ancilia (see vi. 22, note d), and at his  request was rewarded by the insertion of his name in the  Hymns of the Salii (Festus, 131. 11 M.). But Varro seems  216     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 48-50     48. ° Metuere ' to fear,' from a certain motus  ' emotion ' of the spirit, when the mind shrinks back  from that misfortune which it thinks will fall upon it.  When from excessive violence of the emotion it is  borne foras ' forth ' so as to go out of itself, there is  formido ' terror ' ; when parum movetur ' the emotion  is not very strong,' it pavet ' dreads,' and from this  comes pavor ' dread.'   49. ° Meminisse ' to remember,' from memoria  ' memory,' when there is again a motion toward that  which remansit 1 has remained ' in the mens ' mind ' :  and this may have been said from manere ' to remain,'  as though manimoria. Therefore the Salii, 6 when  they sing   O Mamurius Veturius,'   indicate a memoria vetus ' memory of olden times.'  From the same is monere ' to remind,' because he who  monet ' reminds,' is just like a memory. So also the  monimenta ' memorials ' which are on tombs, and in  fact alongside the highway, that they may admonere  ' admonish ' the passers-by that they themselves were  mortal and that the readers are too. From this, the  other things that are written and done to preserve  their memoria ' memory ' are called monimenta ' monu-  ments.'   50. ° Maerere ' to grieve,' was named from marcere  ' to wither away,' because the body too would marces-  cere ' waste away ' ; from this moreover the inacri  ' lean ' were named. Laetari ' to be happy,' from this,   to feel an etymological connexion between Mamuri Veturi  and memoriam veterem.   § 50. All etymologies wrong, except the association of  laetari, laetitia, laeta.   217     VARRO     quod latius gaudium propter magni boni opinionem  diffusum. Itaque Iuventius ait :   Gaudia   Sua si omnes homines conferant unum in locum,  Tamen mea exsuperet laetitia.   Sic cum se habent, laeta.   VII. 51. Narro, cum alterum facio narum, 1 a  quo narratio, per quam cognoscimus rem gesta(m). 2  Quae pars agendi est ab dicendo 3 ac sunt aut con-  iuncta cum temporibus aut ab his : eorum 4 hoc genus  videntur ervfia.   52. Fatur is qui primum homo significabilem ore  mittit vocem. Ab eo, ante quam ita faciant, pueri  dicuntur infantes ; cum id faciunt, iam fari ; cum hoc  vocabulum, 1 (turn) a similitudine vocis pueri (fario-  lus) ac fatuus dictum. 2 Ab hoc tempora 3 quod turn  pueris constituant Parcae fando, dictum fatum et res  fatales. Ab hac eadem voce 4 qui facile fantur facundi  dicti, et qui futura praedivinando soleant fari fatidici ;  dicti idem vaticinari, quod vesana mente faciunt :   §51. 1 Victorius, for narrum. 2 For gesta Fv. 3 L.  Sp. ; a dicendo Ursinus ; for ab adiacendo Fv. * Aug.,  for earum.   § 52. 1 Aug., for uocabulorum. 2 OS., for a simili-  tudine uocis pueri ac fatuus fari id dictum. 3 Popma, for  tempore. 4 Canal, for ad haec eandem uocem.     6 Com. Rom. Frag., verses 2-4 Ribbeck 3 . Juventius was a  writer of comedies from the Greek, in the second century b.c.   § 51. ° Varro wrote naro, with one R, according to Cas-  siodorus, vii. 159. 8 Keil ; the etymology is correct. 6 Cf.  vi. 42.   § 52. ° The etymologies in this section are correct, except  those of fariolus and vaticinari. 6 Dialectal form, prob-   218     OX THE LATIN LANGUAGE, VI. 50-52     that joy is spread latius 'more widely' because of the  idea that it is a great blessing. Therefore Juventius  says 6 :   Should all men bring their joys into a single spot,  My happiness would yet surpass the total lot.   When things are of this nature, they are said to be  laeta ' happy.'   VII. 51. Narro a 'I narrate,' when I make a  second person narus ' acquainted with ' something ;  from which comes narratio ' narration,' by which we  make acquaintance with an occurrence. This part of  acting is in the section of saying, 6 and the words are  united with time-ideas or are from them : those of  this sort seem to be radicals.   52.° That man fatur ' speaks ' who first emits from  his mouth an utterance which may convey a meaning.  From this, before they can do so, children are called  infantes ' non-speakers, infants ' ; when they do this,  they are said now fan ' to speak ' ; not only this word,  but also, from likeness to the utterance of a child,  fariolus 6 ' soothsayer ' and fatuus ' prophetic speaker '  are said. From the fact that the Birth-Goddesses by  fando ' speaking ' then set the life-periods for the  children, fatum ' fate ' is named, and the things that  are fatales ' fateful.' From this same word, those who  fantur ' speak ' easily are called facundi ' eloquent,'  and those who are accustomed fari ' to speak ' the  future through presentiment, are called fatidici  ' sayers of the fates ' ; they likewise are said vaticinari  ' to prophesy,' because they do this with frenzied   ably Faliscan, for hariolus, which is connected with haruspex.  * As though fati- ; but properly from the stems of rates  ' bard ' and canere ' to sing.'   219     VARRO     sed de hoc post erit usurpandum, cum de poetis  dicemus.   53. Hinc fasti dies, quibus verba certa legitima  sine piaculo praetoribus licet fari ; ab hoc nefasti,  quibus diebus ea fari ius non est et, si fati sunt, pia-  culum faciunt. Hinc efFata dicuntur, qui augures  finem auspiciorum caelcstum extra urbem agri(s) 1  sunt effati ut esset ; hinc effari templa dicuntur : ab  auguribus efFantur qui in his fines sunt.   54. Hinc fana nominata, quod 1 pontifices in sac-  rando fati sint finem ; hinc profanum, quod est ante  fanum coniunctum fano ; hinc profanatum quid in  sacrificio aique 2 Herculi decuma appellata ab eo est  quod sacrificio quodam fanatur, id est ut fani lege^it. 3  Id dicitur pollu(c)tum, 4 quod a porriciendo est fictum:  cum enim ex mercibus libamenta porrecta 5 sunt  Herculi in aram, turn pollu(c)tum 4 est, ut cum pro-  fan(at)um 6 dicitur, id est proinde ut sit fani factum :  itaque ibi 7 olim (in) 8 fano consumebatur omne quod   § 53. 1 Laetus, for agri.   § 54. 1 Laetus, for quae. 2 M, V, Laetus, for ad quae  Fv. 3 Canal, for sit. 4 Aug. {quoting a friend), for  pollutum. 5 Aug., with B, for proiecta. 6 Turnebus,  for profanum. 7 Vertranius, for ubi. 8 Added by  Vertranius.   d Cf. vii. 36.   § 53. ° Fastus and nefastus, from fas and nefas ; but  whether fas and nefas are from the root of fari, is question-  able. 6 Cf. vi. 29-30. c Page 19 Regell. d Effari is  used both with active and with passive meaning.   § 54. Fanum (whence adj. profanus), from fas, not from  fari. b Profanus was used also of persons who remained  ' before the sanctuary ' because they were not entitled to go  inside, or because admission was refused ; therefore ' un-  initiated ' or ' unholy,' respectively. " Wrong etymology.  d Any edibles or drinkables were appropriate offerings to  220     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 52-54     mind : but this will have to be taken up later, when  we speak about the poets. d   53. From this the dies fasti a ' righteous days,  court days,' on which the praetors are permitted fori  ' to speak ' without sin certain words of legal force ;  from this the nefasti ' unrighteous days,' on which it is  not right for them to speak them, and if they have  spoken these words, they must make atonement. 6  From this those words are called effata ' pronounced,'  by which the augurs c have effati ' pronounced ' the  limit that the fields outside the city are to have, for  the observance of signs in the sky ; from this, the  areas of observation are said effari d ' to be pro-  nounced ' ; by the augurs, 6 the boundaries effantur  ' are pronounced ' which are attached to them.   54. From this the f ana ° ' sanctuaries ' are named,  because the pontiffs in consecrating them have fati  ' spoken ' their boundary ; from this, profanum ' being  before the sanctuary,' b which applies to something  that is in front of the sanctuary and joined to it ; from  this, anything in the sacrifice, and especially Hercules 's  tithe, is called prqfanatum ' brought before the sanc-»  tuary, dedicated,' from this fact that it fanatur ' is  consecrated ' by some sacrifice, that is, that it becomes  by law the property of the sanctuary. This is called  polluctum ' offered up,' a term which is shaped c from  porricere ' to lay before ' : for when from articles of  commerce first fruits d are laid before Hercules, on his  altar, then there is a polluctum ' offering-up,' just as,  when prqfanatum is said, it is as if the thing had be-  come the sanctuary's property. So formerly all that  was profanatum e ' dedicated ' used to be consumed in   Hercules ; cf. Festus, 253 a 17-21 M. ' That is, so far as  it was not burned on the altar, in the god's honour.   221     VARRO     profan(at)um 8 erat, ut etiam (nunc) 10 fit quod praetor  urb(an)ws u quotannis facit, cum Herculi immolat  publice iuvencam.   55. Ab eodem verbo fari fabulae, ut tragoediae et  comoediae, 1 dictae. Hinc fassi ac confessi, qui fati id  quod ab is 2 quaesitum. Hinc professi ; hinc fama et  famosi. Ab eodem falli, sed et falsum et fallacia,  quae propterea, quod fando quern decipit ac contra  quam dixit facit. Itaque si quis re fallit, in hoc non  proprio nomine fallacia, sed tralati(ci)o, 3 ut a pede  nostro pes lecti ac betae. Hinc etiam famigerabile 4  et sic compositicia 5 aha item ut declinata multa, in  quo et Fatuus et Fatuae. 6   56. Loqui ab loco dictum. 1 Quod qui primo  dicitur iam fari 2 vocabula et reliqua verba dicit ante  quam suo quique 3 loco ea dicere potest, 1 hunc CArys-  ippus negat loqui, sed ut loqui : quare ut imago  hominis non sit homo, sic in corvis, cornicibus, pueris  primitus incipientibus fari verba non esse verba, quod   8 L. Sp., for profanum. 10 Added by L. Sp. 11 Aug.,  with B, for P. R. urbis Fv.   % 55. 1 For tragaediae et comaediae. 2 For his.  3 A. Sp. ; tralatitio Sciop. ; for tranlatio. 4 M, V, p,  Aldus, for famiger fabile Fv. 5 A. Sp.,for composititia  Fv. « B, O, f, for fatue Fv.   § 56. 1 Punctuation by Stroux. 2 For farit Fv. 3 L.  Sp. ; quidque Aug. ; for quisque.     § 55. ° The preceding words all belong with fari ; but  falli, falsum, fallacia form a distinct group. 6 Instead of  by speaking. e That is, beet-root. d Faunus and the  Nymphs.   § 56. ° Wrong. 6 Page 143 von Arnim. " Ravens  222     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 54-56     the sanctuary, as even now is done "with that which  the City Praetor offers every year, when on behalf  of the state he sacrifices a heifer to Hercules.   55. From the same word fan ' to speak,' the  fabulae ' plays,' such as tragedies and comedies, were  named. From this word, those persons have fassi  ' admitted ' and confessi ' confessed,' who have fati  4 spoken ' that which was asked of them. From this,  professi ' openly declared ' ; from this, fama ' talk,  rumour,' and famosi ' much talked of, notorious.' a  From the same,/affi ' to be deceived,' but also falsum  ' false ' and fallacia ' deceit,' which are so named on  this account, that by fando ' speaking ' one misleads  someone and then does the opposite of what he has  said. Therefore if one fallit ' deceives ' by an act, 6 in  this there is not fallacia ' deceit ' in its own proper  meaning, but in a transferred sense, as from our pes  ' foot ' the pes ' foot ' of a bed and of a beet c are  spoken of. From this, moreover, famigerabile ' worth  being talked about,' and in this fashion other com-  pounded words, just as there are many derived -words,  among which are Fatuus ' god of prophetic speaking '  and the Fatuae ' women of prophecy.' d   56. Loqui 'to talk,' is said from locus 'place.'  Because he who is said to speak now for the first time,  utters the names and other words before he can say  them each in its own locus ' place,' such a person  Chrysippus says 6 does not loqui ' talk,' but quasi-  talks ; and that therefore, as a man's sculptured bust  is not the real man, so in the case of ravens, crows,"  and boys making their first attempts to speak, their  words are not real words, because they are not talk-   and crows were the chief speaking birds of the Romans ; cf.  Macrobius, Sat. ii. 4. 29-30.   223     VARRO     non loquantur. 4 Igitur is loquitur, qui suo loco quod-  que verbum sciens ponit, et is turn 5 prolocutus, 6 quom  in animo quod habuit extulit loquendo.   57. Hinc dicuntur eloqui ac reloqui 1 in fanis  Sabinis, e cella dei qui loquuntur. 2 Hinc dictus  loquax, qui nimium loqueretur ; hinc eloquens, qui  copiose loquitur ; hinc colloquium, cum veniunt in  unum locum loquendi causa ; hinc adlocutum mulieres  ire aiunt, cum eunt ad aliquam locutum consolandi 3  causa ; hinc quidam loquelam dixerunt verbum quod  in loquendo efferimus. Concinne loqui dictum a  concinere, 4 ubi inter se conveniunt partes ita  3  novissimum, quod extremum. Sic ab eadem origine  novitas et novicius et novalis in agro et " sub No vis "  dicta pars in Foro aedificiorum, quod vocabulum ei  pervetustww, 4 ut Novae Viae, quae via iam diu vetus.   60. Ab eo quoque potest dictum nominare, quod  res novae in usum quom 1 additae erant, quibus ea(s) 2  novissent, nomina ponebant. Ab eo nuncupare, quod  tunc (pro) 3 civitate vota nova suscipiuntur. Nuncu-  pare nominare valere apparet in legibus, ubi " nun-  cupatae pecuniae " sunt scriptae ; item in Choro in  quo est :   Aenea ! — Quis  4 est qui meum nomen nuncupat ?   § 59. 1 Aug., from Gellius, x. 21. 2, for dico. 2 Ben-  tinus, from Gellius, I.e., for uetustus ac ueterrimus.  3 Added by Aug., from Gellius, I.e. 4 B, Laetus, for  peruetustas.   § 60. 1 Aug. (quoting a friend), for quomodo. 2 Ver-  tranius,for ea. 3 Added by L. Sp. 4 Added by Grotius.     e Naples ; Nova-polis is a half-way translation into Latin.   § 59. ° Page 57 Funaioli. * The Tabernae Novae were  the shops on the north side of the Forum which replaced  those burned in the fire of 210 b.c. ; those on the south side,  which escaped the fire, were called the Tabernae Veteres.   § 60. ° Nomen and nominare are distinct from novus, and  226     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 58-60     derived from a Greek word ; from this, accordingly,  their Neapolis e ' New City ' was called Nova-polis  ' New-polis ' by the old-time Romans.   59. From this, moreover, novissimum ' newest ' also  began to be used popularly for extremum ' last,' a use  which within my memory both Aelius and some  elderly men avoided, on the ground that the proper  form of the superlative of this word was nimium novum ;  its origin is just like vetustius ' older ' and veterrimum  ' oldest ' from vetus ' old,' thus from novum were derived  novius ' newer ' and novissimum, which means ' last.'  So, from the same origin, novitas ' newness ' and novi-  cius ' novice ' and novalis ' ploughed anew ' in the case  of a field, and a part of the buildings in the Forum was  called sub Xovis 6 ' by the New Shops ' ; though it has  had the name for a very long time, as has the Nova Via   New Street,' which has been an old street this long  while.   60. From this can be said also nominare ' to call  by name,' because when novae ' new ' things were  brought into use, they set nomina ' names ' on them,  by which they novissent ' might know ' them. From  this, nuncupate* ' to pronounce vows publicly,' because  then nova ' new ' vows are undertaken for the state.  That nuncupare is the same as nominare, is evident in  the laws, where sums of money are written down as  nuncupatae ' bequeathed by name ' ; likewise in the  Chorus, in which there is c :   Aeneas ! — Who is this who calls me by my name ?   also from novisse ' to know.' * Containing the elements of  nomen and capere ' to take.' e Trag. Rom. Frag., page  272 Ribbeck 3 ; R O.L. ii. 608-609 Warmington ; possibly  belonging to a play entitled Proserpina, cf. vi. 9-1. But  the title is perhaps hopelessly corrupt.   227     VARRO     Item in Medo 5 :   Quis tu es, mulier, quae me insueto nuncupasti nomine ?   61. Dico originem habet Graecam, quod Graeci  SeiKvvw. 1 Hinc (etiam dicare, ut ait) 8 Ennius :   Dico VI hunc dicare (circum metulas). 3   Hinc iudicare, quod tunc ius dicatur ; hinc iudex,  quod iu(s> dicat 4 accepta potestate ; (hinc dedicat), 5  id est quibusdam verbis dicendo finit : sic 6 enim aedis  sacra a magistratu pontifice prae(e)unte 7 dicendo  dedicatur. Hinc, ab dicendo, 8 indicium ; hinc ilia :  indicit (b)ellum, 9 indixit funus, prodixit diem, addixit  iudicium ; hinc appellatum dictum in mimo, 10 ac  dictiosus ; hinc in manipulis castrensibus (dicta 11  ab) 13 ducibus ; hinc dictata in ludo ; hinc dictator  magister populi, quod is a consule debet dici ; hinc  antiqua ilia (ad)dici 13 numo et dicis causa et addictus.   6 Aldus, for medio.   §61. 1 L. Sp. ; SeiKvvvai Mue. ; SeiKco Scaliger ; for  NISIhce Fv. 2 Added by Kent. 3 Fay, for qui hunc  dicare; cf Festus, 153 a 15-21 M., and Livy, xli. 27. 6.  4 Aug., with B,for iudicat. b Added by Stroux. 8 With  sic enim, F resumes ; cf. v. 118, crit. note 7. 7 Bcntinus  (or earlier) ; praeunte /, Laetus ; for prae unce F. 8 L.  Sp.,for dicando. 9 Turnebus, for ilium. 10 B, Aldus,  for minimo. 11 Added by Aug., with B. 18 Added by  Kent ; a added by Fay. 13 Budaeus, for dici.     d Pacuvius, Trag. Rom. Frag. 239 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 260-  261 Warmington ; the play was named from one of Medea's  sons.   §61. ° All the words explained in this section belong  together ; but dicere is cognate with the Greek word, not  derived from it. 6 Inc. frag. 39 Vahlen 2 ; see critical note.  c Rather, because he dictat ' gives orders ' to the people.  d Numo in the text is the older spelling, in which consonants  were never doubled. * Applied to the fictitious sale of an   228     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 60-61     And likewise in the Medus d :   Who are you, woman, who have called me by an  unaccustomed name ?   61. Dico ° ' I say ' has a Greek origin, that which  the Greeks call BeiKvi'm ' I show.' From this more-  over comes dicare ' to show, dedicate,' as Ennius  says b :   I say this circus shows six little turning-posts.  From this, iudicare ' to judge,' because then ius ' right '  dicitur ' is spoken ' ; from this, index ' judge,' because  he ius dicat ' speaks the decision ' after receiving the  power to do so ; from this, dedicat ' he dedicates,' that  is, he finishes the matter by dicendo ' saying ' certain  fixed words : for thus a temple of a god dedicatur ' is  dedicated ' by the magistrate, by dicendo ' saying ' the  formulas after the pontiff. From this, that is from  dicere, comes indicium ' information ' ; from this, the  following : indicit ' he declares ' war, indixit ' he has  invited to ' a funeral, prodixit ' he has postponed ' the  day, addixit ' he has awarded ' the decision ; from this  was named a dictum ' bon mot ' in a farce, and dic-  tiosus ' witty person ' ; from this, in the companies of  soldiers in camp, the dicta ' orders ' of the leaders ;  from this, the dictata ' dictation exercises ' in the  school ; from this, the dictator c ' dictator,' as master  of the people, because he must did ' be appointed ' by  the consul ; from this, those old phrases addict nummo d  ' to be made over to somebody for a shilling,' e and  dicis causa ' for the sake of judicial form,' and addictus  " bound over f ' to somebody.   inheritance to the heir. ' Said of a defendant who was  unable to pay the amount of debt or damages, and was de-  livered to the custody of the plaintiff as a virtual slave until  he could arrange payment.   229     VARRO     62. Si dico quid (sciens 1 ne)scienti, 2 quod ei 3  quod ignoravit trado, hinc doceo declinatum vel quod  cum docemus 4 dicimus vel quod qui docentur induczm-  tur 5 in id quod docentur. Ab eo quod scit ducere 6 qui  est dux aut ductor ; (hinc 7 doctor) 8 qui ita inducit, ut  doceat. Ab dwcendo 9 docere disciplina discere litteris  commutatis paucis. Ab eodcm principio documenta,  quae exempla docendi causa dicuntur.   63. Disputatio ct computatio e 1 propositione  putandi, quod valet purum facere ; ideo antiqui  purum putum appellarunt ; ideo putator, quod  arbores puras facit ; ideo ratio putari dicitur, in qua  summa fit pura : sic is sermo in quo pure disponuntur  verba, ne sit confusus atque ut diluceat, dicitur dis-  putare.   64. Quod dicimus disserit item translati(ci)o 1  aeque 2 ex agris verbo : nam ut //olitor disserit in areas  sui cuiusque generis res, sic in oratione qui facit,  disertus. Sermo, opinor, est a serie, unde serta ;  ctiam in vestimento sartum, quod comprehensum :   § 62. 1 Added by L. Sp. 2 Scaliger, for scienti.  3 Sciop., for det. 4 After docemus, Laetus deleted ut.   6 Reiter, for inducantur. 6 M, Laetus, for ducare.   7 Added by GS. 8 Added by L. Sp. 9 Fay, for docendo.   § 63. 1 L. Sp., for et.   §64. 1 A. Sp. ; translatitio Aug.; for translatio.  2 Aug., for atque.   § 62. ° Docere is quite independent of dicere, and also  of ducere. b Disciplina was popularly associated with  discere, but was really a derivative of discipulus, which came  from dis + capere 1 to take apart (for examination).'   § 64. ° There are in Latin two verbs sero serere, distinct in  etymology : serere sevi satus 4 to sow, plant,' and serere serui  sertus ' to join together, intertwine.' The derivatives in this  section are all from the second verb, except sartum, the  participle of sarcio, which is distinct from both.   230     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 62-64     62. If I dico ' say ' something that I know to one  who does not know it, because I trado ' hand over ' to  him what he was ignorant of, from this is derived  doceo a ' I teach,' or else because when we docemus  ' teach ' we dicivius ' say,' or else because those who  docentur ' are taught ' inducuntur ' are led on ' to that  which they docentur ' are taught.' From this fact,  that he knows how ducere ' to lead,' is named the one  who is dux ' guide ' or ductor ' leader ' ; from this,  doctor ' teacher,' who so inducit ' leads on ' that he  docet ' teaches.' From ducere ' to lead,' come docere  ' to teach,' disciplina b ' instruction,' discere ' to learn,'  by the change of a few letters. From the same  original element comes documenta ' instructive ex-  amples,' which are said as models for the purpose of  teaching.   63. Disputatio ' discussion ' and coniputatio ' reckon-  ing,' from the general idea of putare, which means to  make purum ' clean ' ; for the ancients used putum to  mean purum. Therefore putator ' trimmer', because  he makes trees clean ; therefore a business account is  said putari ' to be adjusted,' in which the sum is pura  ' net.' So also that discourse in which the words are  arranged pure ' neatly,' that it may not be confused  and that it may be transparent of meaning, is said  disputare ' to discuss ' a problem or question.   64. Our word disserit a is used in a figurative mean-  ing as well as in relation to the fields : for as the  kitchen-gardener disserit ' distributes ' the things of  each kind upon his garden plots, so he who does the  like in speaking is disertus ' skilful.' Sermo ' conversa-  tion,' I think, is from series ' succession,' whence serta  ' garlands ' ; and moreover in the case of a garment  sartum ' patched,' because it is held together : for   231     VARRO   sermo enim non potest in uno homine esse solo, sed  ubi (o)ratio 3 cum altero coniuncta. Sic conserere  manu(m) 4 dicimur cum hoste ; sic ex iure manu(m) 5  consertum vocare ; hinc adserere manu 6 in libertatem  cum prendimus. Sic augures dicunt :   Si mihi auctor es 7 verbenam 6 manu 9 asserere,  dicit(o> 10 consortes.   65. Hinc etiam, a quo 1 ipsi consortes, sors ; hinc  etiam sortes, quod in his iuncta tempora cum homini-  bus ac rebus ; ab his sortilegi ; ab hoc pecunia quae  in faenore sors est, impendium quod inter se iung^t. 2   66. Legere dictum, quod leguntur ab oculis  litterae ; ideo etiam legati, quod (ut) 1 publice mit-  tantur leguntur. Item ab legendo leguli, qui oleam  aut qui uvas legunt ; hinc legumina in frugibus variis ;  etiam leges, quae lectae et ad populum latae quas  observet. Hinc legitima et collegae, qui una lecti, et  qui in eorum locum suppositi, sublecti ; additi allecti  et collecta, quae ex pluribus locis in unum lecta. Ab   3 Aug., for ratio. 4 Other codd.,for manu F. 5 Sciop.,  for manu ; cf. Gellius, xx. 10. 6 p, Aug., for manum.  7 Aug., for est. 8 Bergk, for verbi nam. 9 Aug., for  manum. 10 A. Sp.,for dicit.   §65. 1 L. Sp., for ad qui. 2 Groth, for iungat.   § 66. 1 Added by B, Aldus.   b Genitive plural. e Page 18 Regell.   § 65. ° These words belong to serere, but Varro's reason  for the meaning of sors may not be correct. 6 To Varro,  the fundamental meaning in sors is one of ' joining ' : cf.  v. 183.   § 66. ° All words discussed in this section are from various  forms of the root seen in legere, which means ' to gather, pick,  select, choose, read ' ; except legumen. * Properly parti-  ciple of legare ' to appoint,' a derivative of legere. e More  exactly, legumina are, according to Varro, fruits of various  kinds that have to be picked (rather than cut, like cabbage,   232     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 64-66     sermo ' conversation ' cannot be where one man is  alone, but where his speech is joined with another's.  So we are said conserere manum ' to join hand-to-hand  fight ' with an enemy ; so to call for vianum 6 consertum  ' a laying on of hands' according to law ; from this,  adserere manu in libertatem ' to claim that so-and-so is  free,' when we lay hold of him. So the augurs say c :   If you authorize me to take in my hand the sacred  "bough, then name my colleagues (consortes).   65. From this, moreover, sors a ' lot,' from which  the consortes ' colleagues ' themselves are named ;  from this, further, sortes ' lots,' because in them time-  ideas are joined with men and things ; from these,  the sortilegi ' lot-pickers, fortune-tellers ' ; from this,  the money which is at interest is the sors 1 principal,'  because it joins 6 one expense to another.   66. ° Legere ' to pick or read,' because the letters  leguntur ' are picked ' with the eyes ; therefore also  legati 6 ' envoys,' because they leguntur ' are chosen '  to be sent on behalf of the state. Likewise, from  legere ' to pick,' the leguli ' pickers,' who legunt ' gather '  the olives or the grapes ; from this, the legumina e  ' beans ' of various kinds ; moreover, the leges ' laws,'  which are lectae ' chosen ' and brought before the  people for them to observe. From this, legitima ' law-  ful things ' ; and collegae ' colleagues,' who have been  lecti ' chosen ' together, and those who have been put  into their places, are sublecti ' substitutes ' ; those  added are allecti ' chosen in addition,' and things which  have been lecta ' gathered ' from several places into  one, are collecta ' collected.' From legere ' to gather '   or mowed, like wheat) ; but the resemblance to legere seems  to be only accidental.   233     VARRO     legendo ligna quoque, quod ea caduca legebantur in  agro quibus in focum uterentur. Indidem ab legendo  legio et diligens et dilectus.   67. Murmuran' 1 a similitudiae sonitus dictus, qui  ita leviter loquitur, ut magis e sono id faccre quam ut  intellegatur videatur. Hinc etiam poctae   Murmurantia litora.   Similiter fremere, gemere, clamare, crepare ab  similitudine vocis sonitus dicta. Hinc ilia  Arma sonant, fremor oritur ;   hinc   Nihil 2 me increpitando commoves.   68. Vicina horum quiritarc, iubilare. Quiritare  dicitur is qui Quiritum fidem clamans inplorat. Qui-  rites a Curensibus ; ab his cum Tatio rege in socie-  tatem venerunt civitatz's. 1 Ut quiritare urbanorum,  sic iubilare rusticorum : itaquc hos imitans Aprissius  ait :   Io bucco ! — Quis me iubilat ? —  Vicinns tuus antiquus.   Sic triumphare appellatum, quod cum imperatore   § 67. 1 L. Sp.,for murmuratur dictum. 2 For nichil.  § 68. 1 Sciop., for civitates.   d Better spelling, delectus.   § 67. ° Some, but not all, of the words discussed in this  section are onomatopoeic. b Lh-iter ' lightly.' e Trag.  Rom. Frag., page 314 Ribbeck 3 ; but the words look like  part of a dactylic hexameter, in which case it should read  Arma sonant, oritur fremor. d Trag. Rom. Frag., page  314 Ribbeck 3 .   § 68. a Frequentative of queri ' to complain,' and not  connected with Quirites. b Cures, ancient capital city  of the Sabines. c The name is corrupt, but no probable   comes also ligna ' firewood,' because the wood that  had fallen was gathered in the field, to be used on the  fireplace. From the same source, legere ' to gather,'  came legio ' legion,' and diligens ' careful,' and dilectus A  ' military levy.'   67. ° From likeness to the sound, he is said mur-  murari ' to murmur,' who speaks so softly b that he  seems more as the result of the sound to be doing  it, than to be doing it for the purpose of being  understood. From this, moreover, the poets say   Murmuring sea-shore.  Likewise, fremere ' to roar,' gemere ' to groan,'  clamare ' to shout,' crepare ' to rattle ' are said from  the likeness of the sound of the word to that which it  denotes. From this, that passage c :   Arms are resounding, a roar doth arise.  From this, also, d   By your rebuking you alarm me not.   68. Close to these are quiritare a ' to shriek,'  iubilare ' to call joyfully.' He is said quiritare, who  shouts and implores the protection of the Quirites.  The Quirites were named from the Curenses ' men of  Cures ' b ; from that place they came with King  Tatius to receive a share in the Roman state. As  quiritare is a word of city people, so iubilare is a word  of the countrymen ; thus in imitation of them Apris-  sius c says :   Oho, Fat-Face ! — Who is calling rne ? —  Your neighbour of long standing.   So triumpkare ' to triumph ' was said, because the   emendation has been suggested ; Com. Rom. Frag., page  332 Ribbeck 3 .     235     VARRO   milites redeuntes clamitant per Urbem in Capitolium  eunti " (I)o 2 triumphe " ; id a dpidfifiu) 3 ac Graeco  Liberi cognomento potest dictum.   69- Spondere est dicere spondee-, a sponte : nam id  (idem) 1 valet et a voluntate. Itaque Lucilius scribit  de Cretcea, 2 cum ad se cubitum venerit sua voluntate,  sponte ipsam suapte adductam, ut tunicam et cetera 3  reiceret. Eandem voluntatem Terentius significat,  cum ait satius esse   Sua sponte recte facere quam alieno metu.   Ab eadem sponte, a qua dictum spondere, declinatum  (de)spondet 4 et respondet et desponsor et sponsa,  item sic alia. Spondet enim qui dicit a sua sponte  " spondeo " ; (qui) spo(po)ndit, 5 est sponsor ; qui  (i)dem« (ut) 7 faciat obligatur sponsu, 8 consponsus.   70. Hoc Naevius significat cum ait " consponsi."  (Si) 1 spondebatur pecunia aut filia nuptiarum causa,   2 Laetus, for o. 3 Aldus, for triambo.   § 69. 1 Added by Fay. 2 For Gretea. 3 For ceterae.  4 GS, after Lachmann, for spondit. 8 L. Sp., for spondit.  6 B, Ed. Veneta, for quidem. 7 Added by Aug., with B.  8 L. Sp.,for sponsus.   § 70. 1 Added by Fay.   d From the Greek, through the Etruscan. e Ac, intro-  ducing an appositive.   § 69. ° Verses 925-927 Marx. Cretaea was a meretrix,  named from the country of her origin. Varro has para-  phrased the quotation, which was thus restored to metrical  form by Lachmann, the first two words being added by Marx :   Cretaea nuper, cum ad me cubitum venerat,  Sponte ipsa suapte adducta ut tunicam et cetera  Reiceret.     236     ON THE LATINS LANGUAGE, VI. 68-70     soldiers shout " Oho, triumph ! " as they come back  with the general through the City and he is going up  to the Capitol; this is perhaps derived** from dpiafifios,  as * a Greek surname of Liber.   69« Spondere is to say spondeo ' I solemnly promise,'  from sponte ' of one's own inclination ' : for this has  the same meaning as from voluntas ' personal desire.'  Therefore Lucilius writes of the Cretan woman, that  when she had come of her own desire to his house to  lie with him, she was of her own sponte ' inclination '  led to throw back her tunic and other garments. The  same voluntas ' personal desire ' is what Terence  means 6 when he says that it is better   Of one's own inclination right to do,  Than merely by the fear of other folk.   From the same sponte from which spondere is said, are  derived despondet ' he pledges ' and respondet ' he  promises in return, answers,' and desponsor ' promiser '  and sponsa ' promised brides' and likewise others in  the same fashion. For he spondet ' solemnly promises '  who says of his own sponte ' inclination ' spondeo ' I  promise ' ; he who spopondit ' has promised ' is a  sponsor ' surety ' ; he who is by sponsus ' formal  promise ' bound to do the same thing as the other  party, is a consponsus ' co-surety.'   70. This is what Naevius means" when he says  consponsi. If money 6 or a daughter spondebatur ' was  promised ' in connexion with a marriage, both the   While this might accord with the Lucilian prototype of  Horace, Sat. i. 5. 82-85, the meter forbids, and because of the  subject matter A. Spengel proposed Licinius, writer of  comedies, for Lucilius. b Adelphoe, 75.   §70. " Com. Rom. Frag., page 34 Ribbeck*; R.O.L.  ii. 598 Warmington. * As dower.   237     VARRO     appellabatur etpecunia et quae desponsa erat sponsa ;  quae pecunia inter se contra sponsu 2 rogata erat, dicta  sponsio ; cui desponsa quae 3 erat, sponsus ; quo die  sponsum erat, sponsalis.   71. Qui 1 spoponderat filiam, despondisse 2 dice-  bant, quod de sponte eius, id est de voluntate,  exierat : non enim si volebat, dabat, quod sponsu erat  alligatus : nam ut in com(o)ediis vides dici :   Sponde(n) 3 tuam gnatam 4 filio uxorem meo ?  Quod turn et praetorium ius ad legem et censorium  iudicium ad aequum existimabatur. Sic despondisse  animum quoque dicitur, ut despondisse filiam, quod  suae spontis statuerat finem.   72. A sua sponte dicere cum spondere, (respon-  dere) 1 quoque dixerunt, cum a(d) sponte(m) 2 re-  sponderent, id est ad voluntatem rogatoris. 3 Itaque  qui ad id quod rogatur non dicit, non respondet, ut  non spondet ille statim qui dixit spondeo, si iocandi   2 L. Sp., for sponsum. 3 Hue., for quo.   § 71. 1 G, B, Laetus, for quo. 2 B, Aldus, for dispon-  disse. 3 Aug. ; spondem Rhol. ; for sponde. 4 Rhol.,  for agnatam.   § 72. 1 Lachmann, for a qua sponte dicere cumspondere.  2 Turnebus, for a sponte. 3 L. Sp.,for rogationis.     c To be forfeited to the other party as damages by that party  which might break the agreement.   § 71. ° Com, Rom. Frag., page 134 Ribbeck 3 .   238     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 70-72     money and the girl who had been desponsa ' pledged '  were called sponsa ' promised, pledged * ; the money  which had been asked under the sponsus ' engagement '  for their mutual protection against the breaking of  the agreement,* was called a sponsio ' guarantee de-  posit ' ; the man to whom the money or the girl was  desponsa ' pledged,' was called sponsus ' betrothed ' ;  the day on which the engagement was made, was  called sponsalis ' betrothal day.'   71. He who spoponderat ' had promised ' his  daughter, they said, despondisse ' had promised her  away,' because she had gone out of the power of his  sponte ' inclination,' that is, from the control of his  voluntas ' desire ' : for even if he wished not to give  her, still he gave her, because he was bound by his  sponsus ' formal promise ' : for you see it said, as in  comedies a :   Do you now promise your daughter to my son as wife ?   This was at that time considered a principle estab-  lished by the praetors to supplement the statutes, and  a decision of the censors for the sake of fairness. So a  person is said despondisse animum ' to have promised  his spirit away, to have become despondent,' just as  he is said despondisse Jiliam ' to have promised his  daughter away,' because he had fixed an end of the  power of his sponte ' inclination.'   72. Since spondere was said from sua sponte dicere  ' to say of one's own inclination,' they said also re-  spondere ' to answer,' when they responderunt ' promised  in return ' to the other party's spontem ' inclination,'  that is, to the desire of the asker. Therefore he who  says " no " to that which is asked, does not respondere,  just as he does not spondere who has immediately said   239     VARRO   causa dixit, neque agi potest cum eo ex sponsu.  Itaqu(e) is 4 qu(o)i dicit(ur) 5 in co?«oedia 6 :   Meministin 7 te spondere 8 mihi gnatam 9 tuam ?   quod sine sponte sua dixit, cum eo non potest agi ex  sponsu.   73. Etiam spes a sponte potest esse declinata,  quod turn sperat cum quod 1 volt fieri putat : nam  quod non volt si putat, metuit, non sperat. Itaque  hi 2 quoque qui dicunt in Astraba Plauti :   Nwwc 3 sequere adseque, Polybadisce, meam spem   cupio consequi. —  Sequor hercle (e)quidem, 4 nam libenter mea(m)   sperata(m) 5 consequor :   quod sine sponte dicunt, vere neque ille sperat qui  dicit adolescens neque ilia (quae) 6 sperata est.   74. Sponsor et praes et vas neque ide/w, 1 neque  res a quibus hi, sed e re simili. 2 Itaque praes qui  a magistratu interrogatus, in publicum ut praestet ;  a quo et cum respondet, dicit " praes." Vas appel-   4 L. Sp., for itaquis. 5 Kent, for qui dicit F (d'r a = dici-  tur). 6 L. Sp.,for tragoedia. 7 Aug., for meministine.  8 Lachmann, metri gratia, for despondere. 9 Rhol., for  agnatam.   § 73. 1 Aug., for quod cum. 2 L. Sp., for hie. 3 L.  Sp., for ne. 4 L. Sp., for quidem. 6 Ritschl, for mea  sperata. 6 Added by Kent.   §74. 1 Laetus, for ideo. 2 Sciop., for simile.     § 72. Hanging nominative, resumed by cum eo after the  quotation. b Trag. Rom. Frag., page 305 Ribbeck 3 ; but  as the content indicates that it came from a comedy rather  than from a tragedy, I have accepted L. Spengel's emenda-  tion comoedia for the. manuscript tragoedia.   § 73. a Wrong. * Frag. I Ritschl. c A dseque, active  imperative form ; cf. Neue-Wagener, Formenlehre der lat.   240     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 72-74     spondeo, if he said it for a joke, nor can legal action  be taken against him as a result of such a sponsus  'promise.' Thus he" to whom someone says in a  comedy, 6   Do you recall you pledged your daughter unto me ?   which he had said without his sponte ' inclination,'  cannot be proceeded against under his sponsus.   73. Spes ' hope ' is perhaps also derived a from  sponte ' inclination,' because a person then sperat  ' hopes,' M'hen he thinks that what he wishes is coming  true ; for if he thinks that what he does not wish is  coming true, he fears, not hopes. Therefore these  also who speak in the Astraba of Plautus 6 :   Follow now closely,' Polybadiscus, I wish to overtake  my hope. —   Heavens I surely do : I'm glad to overtake her whom  I hope :   because they speak without sponte ' feeling of success,'  the youth who speaks does not truly ' hope,' nor does  the girl who is ' hoped for.' d   74. Sponsor and praes and vas are not the same  thing, nor are the matters identical from which these  terms come ; but they develop out of similar situa-  tions. Thus a praes is one who is asked by the  magistrate that he praestat 1 make a guarantee ' to  the state ; from which, also when he answers, he  says, " I am your praes." He was called a vas   Spr. 3 iii. 89. d Sperata, a regular term for the object of  a young man's love.   § 7i. " Varro apparently says that a sponsor is one who  undertakes an engagement toward an individual or indivi-  duals ; a praes is one who undertakes an engagement on his  own behalf, toward the state ; a vas is one who guarantees  another person's engagement toward the state.   VOL. I r 2-H     VARRO   latus, qui pro altero vadimonium promittebat. Con-  suetudo erat, cum re?/s 3 parum esset idoneus inceptis  rebus, ut pro se alium daret ; a quo caveri 4 postea lege  coeptum 5 est ab his, qui praedia venderent, vadem ne  darent ; ab eo ascribi coeptum 5 in lege mancipiorum:   Vadem ne poscerent nec dabitur.   75. Canere, 1 accanit et succanit ut canto et can-  tatio ex Camena permutato pro M N. 2 Ab eo quod  semel, canit, si saepius, cantat. Hinc cantitat, item  alia ; nec sine canendo (tubicines, liticines, corni-  cines), 3 tibicines dicti : omnium enim horum quo-  da^) 4 canere ; etiam bucinator a vocis similitudine  et cantu dictus.   76. Oro ab ore et perorat et exorat et oratio et  orator et osculum dictum. Indidem omen, orna-  mentum ; alterum quod ex ore primum elatum est,  osmen dictum ; alterum nunc cum propositione dici-  tur vulgo ornamentum, quod sicut olim ornamenta 1   3 For reos. 4 For cavari. 6 For caeptum.   §75. 1 For canerae. 2 Mue., for N.M. 8 Added  by L. Sp., after Mue. recognized the lacuna and its contents,  but set it after tibicines; cf v. 91. 4 Kent ; quoddam  Canal ; for quod a.   §76. 1 OS., for ornamentum.     §75. ° The words explained in this section belong to-  gether, except Camena, which stands apart. 6 Either  ' sing ' or ' play on an instrument.' c Usually in the  plural ; Italian goddesses of springs and waters, regularly  identified with the Greek Muses. d The insertion in the  text is rendered necessary by omnium horum ; cf. also critical  note. e Quodam, ablative with canere.   § 76. ° These words are from os, except omen, ornamen-  tum, oscines.   242     OX THE LATIN LANGUAGE, VI. 74-76     ' bondsman ' who promised bond for another. It  was the custom, that when a part}' in a suit was not  considered capable of fulfilling his engagements, he  should give another as bondsman for him : from which  they later began to provide by law against those who  should sell their real estate, that they should not  offer themselves as bondsmen. From this, they began  to add the provision in the law about the transfer of  properties, that   " they should not demand a bondsman, nor will a  bondsman be given."   7o. a Canere 6 ' to sing,' accanit ' he sings to ' some-  thing, and succanit ' he sings a second part,' like canto  ' I sing ' and cantatio ' song,' from Camena c ' Muse,'  with N substituted for M. From the fact that a  person sings once, he canit : if he sings more often, he  cantat. From this, cantitat ' he sings repeatedly,' and  likewise other words ; nor without canere ' singing,  playing ' are the tubicines ' trumpeters,' named, and  the liticines ' cornetists,' cornicines ' horn-blowers,' d  iibicines ' pipes-players ' : for canere ' playing ' on  some special instrument * belongs to all these. The  bucinator ' trumpeter ' also was named from the like-  ness of the sound and the cantus ' playing.'   76. a Oro ' I beseech ' was so called from os  ' mouth,' and so were perorat ' he ends his speech ' and  exorat ' he gains by pleading,' and oratio ' speech ' and  orator ' speaker ' and osculum ' kiss.' From the same,  omen ' presage ' and ornamentum ' ornament ' : because  the former was first uttered from the os ' mouth,' it  was called osmen ; the latter is now commonly used  in the singular with the general idea of ornament,  but as formerly most of the play-actors use it in   24-3     VARRO     scoenici plerique dicunt. Hinc oscines dicuntur apud  augures, quae ore faciunt auspicium.   VIII. 77. Tertium gradum agcndi esse dicunt, ubi  quid faciant ; in eo propter similitudinem agendi et  faciendi et gerendi quidam error his qui putant esse  unum. Potest enim aliquid facere et non agere, ut  poeta facit fabulam et non agit, contra actor agit et  (non) 1 facit, et sic a poeta fabula fit, non agitur, ab  actore agitur, non fit. Contra imperator quod dicitur  res gerere, in eo neque facit neque agit, sed gerit, id  est sustinet, tralatum ab his qui onera 2 gerunt, quod  hi sustinent.   78. Proprio nomine dicitur facere a facie, qui rci  quam facit imponit faciem. Ut fictor cum dicit fingo,  figuram imponit, quom dicit formo, 1 formam, sic cum  dicit facio, faciem imponit ; a qua facie discernitur, ut  dici possit aliud esse vestimentum, aliud vas, sic item  quae fiunt apud fabros, fictores, item alios alia. Qui  quid 2 amministrat, cuius opus non extat quod sub   § 77. 1 Omitted in F. 2 G, H, for honera F.   § 78. 1 L. Sp„ for informo. 2 Aug., for quicquid.     6 Found only in the plural in the scenic poets, who used  it of ornaments for the head and face (os) ; it is a derivative  of ornare ' to adorn,' which comes from ordo ordinis.  c From prefix ops + can- ' sing ' : cf. o(p)s-tendere ' to show.'   § 77. Cf vi. 41-42. 6 The distinction is almost  impossible to imitate in translation, but the argument is good  so far as the examples in the text are concerned.   § 78. a Fades is from facere.  244     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 76-78     the plural. 6 From this, oscines c ' singing birds ' are  spoken of among the augurs, which indicate their pre-  monitions by the os ' mouth.'   VIII. 77. The third stage of action ° is, they say,  that in -which they fadunt ' make ' something : in this,  on account of the likeness among agere ' to act ' and   facere ' to make ' and gerere ' to carry or carry on,'  a certain error is committed by those •who think  that it is only one thing. 6 For a person can facere  something and not agere it, as a poet fadt ' makes ' a  play and does not act it, and on the other hand the  actor agit ' acts ' it and does not make it, and so a play   ft ' is made ' by the poet, not acted, and agitur ' is  acted ' by the actor, not made. On the other hand,  the general, in that he is said to gerere ' carry on '  affairs, in this neither fadt ' makes ' nor agit ' acts,'  but gerit ' carries on,' that is, supports, a meaning  transferred from those who gerunt ' carry ' burdens,  because they support them.   78. In its literal sense facere ' to make ' is from   fades ° ' external appearance ' : he is said facere ( to  make ' a thing, who puts a fades ' external appear-  ance ' on the thing which he facit ' makes.' As the   fetor ' image-maker,' when he says " Fingo ' I shape,' "  puts a figura ' shape ' on the object, and when he says  " Formo ' I form,' " puts a. forma ' form ' on it, so when  he says " Fado ' I make,' " he puts a fades ' external  appearance ' on it ; by this external appearance there  comes a distinction, so that one thing can be said to be  a garment, another a dish, and likewise the various  things that are made by the carpenters, the image-  makers, and other workers. He who furnishes a  service, whose work does not stand out in concrete  form so as to come under the observation of our     245     VARRO     sensu(m) 3 veniat, ab agitatu, ut dixi, magis agere  quam facere putatur ; sed quod his magis promiscue  quam diligenter eonsuetudo est usa, translations  utimur verbis : nam et qui dieit, faeere verba dieimus,  et qui aliquid agit, non esse inficientem.   79- (Et facere lumen, 1 faculam) 2 qui adlueet,  dieitur. Lucere ab luere, (quod) et 3 luce dissolvun-  tur tenebrae ; ab luce Noctiluea, 4 quod propter lueem  amissam is eultus institutus. Aequirere est ad et  quaerere ; ipsum quaerere ab eo quod quae res ut  reeiperetur datur opera ; a quoerendo quaestio, ab  his turn quaestor. 5   80. Video a visu, (id a vi) 1 : qui(n)que 2 enim  sensuum maximus in oeulis : nam cum sensus nullus  quod abest mille passus sentire possit, oculorum  sensus vis usque pervenit ad stellas. Hinc :   Visenda vigilant, vigilium invident.   Et Acci 3 :   3 //, Aldus, for sensu.   § 79. 1 Added by GS. 2 Added by Fay, from Plautus,  Persa, 515. 3 quod et Kent; quod A. Sp. ; for et.   4 After Noctiluea, L. Sp. deleted lucere item ab luce, a mar-  ginal gloss that had crept into the text. 6 Kent, for con-  qucstor.   §80. 1 Added by L. Sp. 2 For qui que. 3 Kent, for  atti.     6 vi. 41-42.   § 79. " Wrong etymology. 6 This sentence, if properly  reconstructed, goes with the preceding section. c Wrong.  d As dis-so-luuntur, which is in fact its origin. * This  sentence is out of place, but its proper place cannot be deter-  mined ; cf. v. 81. f Correct etymologies, except that of  qnaerere itself.   § 80. " Video is to be kept distinct from vis and from  vigilium. 6 Part of a verse from an unknown play, in   246     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 78-80     physical senses, is, from his agitatus ' action, motion,'  as I have said, 6 thought rather agere ' to act ' than  facere ' to make ' something ; but because general  practice has used these words indiscriminately rather  than with care, we use them in transferred meanings ;  for he who dicit ' says ' something, we say facere  ' makes ' words, and he who agit ' acts ' something, we  say is not inficiens ' failing to do ' something.   79. And he who lights a faculam a ' torch,' is said  to facere ' make ' a light. 6 Lucere ' to shine,' from  luere c ' to loose,' because it is also by the light that the  shades of night dissohuntur d ' are loosed apart ' ; from  lux ' light ' comes Noctiluca ' Shiner of the Night,'  because this worship was instituted on account of the  loss of the daylight. Acquirere e ' to acquire ' is ad' in  addition ' and quaerere ' to seek ' ; quaerere itself is  from this, that attention is given to quae res ' what  thing ' is to be got back ; from quaerere comes  quaestio ' question ' ; then from these, quaestor ' in-  vestigator, treasurer.' *   80. Video a ' I see,' from visus ' sight,' this from vis  ' strength ' ; for the greatest of the five senses is in  the eyes. For while no one of the senses can feel that  which is a mile away, the strength of the sense of the  eyes reaches even to the stars. From this 6 :   They watch for what is to be seen, but hate to  stay awake.'   Also the verse of Accius d :   which the persons are watching the night sky for omens.  e Invidere 4 to look at with dislike ' originally took a direct  object, as here ; cf. Cicero, Tusc. iii. 9. 20. d If properly  reconstituted, an iambic tetrameter catalectic, referring to  Actaeon,_who inadvertently beheld Artemis bathing with  the nymphs.   247     VARRO   Cum illud o(c)wli(s) violavit 4 (is), 5 qui inmdit 6  invidendum.   A quo etiam violavit virginem pro vit(i)avit dicebant ;  acque eadem modestia potius cum muliere fuisse  quam concubuisse dicebant.   81. Cerno idem valet : itaque pro video ait En-  nius :   Lumen — iubarne ? — in caelo cerno.   Cawius 1 :   Sensumque inesse et motum in membris cerno.   Dictum cerno a cereo, id est a creando ; dictum ab eo  quod cum quid creatum est, tunc denique videtur.  Hinc fines capilli d^scripti, 2 quod finis videtur, dis-  crimen ; et quod 3 in testamento (cernito), 4 id est  facito videant te esse heredem : itaque in cretione  adhibere iubent testes. Ab eodem est quod ait  Medea :   Ter sub armis malim vz'tam 5 cernere,  Quam semel modo parere ;   quod, ut decernunt de vita eo tempore, multorum  videtur vitae finis.   4 Mue., for obliuio lavet (obviolavit Aug., with B).   5 Added by Kent, metri gratia. 6 Kent ; vidit Mue. ;  for incidit.   §81. 1 Schoell, marginal note in his copy of A. Sp.'s  edition,for canius. 2 A. Sp., for descripti. 3 Turnebus,  for qui id. 4 Added by Turnebus. 5 Bentinus, from  Nonius Marc. 261. 22 M.,for multa.     e See note c. f Invidendum with negative prefix in-,  unlike the preceding word; cf. infectum meaning both  ' stained ' and ' not done.'   §81. "Literally 'separate'; hence 'distinguish, see,'  and also ' discriminate, decide.' Cerno has no connexion     248     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 80-81     When that he violated with his eyes,   Who looked upon • what ought not to be seen.'   From which moreover they used to say violavit ' he did  violence to ' a girl instead of vitiavit ' ruined ' her ;  and similarly, with the same modesty, thev used to  say rather that a man fult ' was ' with a woman, than  that he concubuit ' lay ' with her.   81. Cerno a has the same meaning; therefore  Ennius b uses it for video :   I see light in the sky — can it be dawn ?   Cassius c says :   I see that in her limbs there's feeling still and motion.   Cerno ' I see ' is said from cereo, that is, creo ' I create ' ;  it is said from this fact, that when something has been  created, then finally it is seen. From this, the bound-  ary-lines of the parted hair, d because a boundary-  line is seen, got the name discrimen ' separation ' ; and  the cernito ' let him decide,' e which is in a will, that is,  make them see that you are heir : therefore in the  cretio ' decision ' they direct that the heir bring wit-  nesses. From the same is that which Medea says / :   I'd rather thrice decide, in battle wild,   My life or death, than bear but once a child.   Because, when they decernunt ' decide ' about life at  that time, the end of many persons' lives is seen.   with creo. 6 Trag. Rom. Frag., verse 338 Ribbeck* ;  R.O.L. i. 226-227 Warmington ; from the Ajar ; cf. vi. 6  and vii. 76. e Fitting Cassius's play Lucretia ; cf. vi. 7  and vii. 72. * Capittus in the singular was used as a  collective by Varro, according to Charisius, i. 104. 20 Keil.  • Cf. Gams, Institut. ii. 1 74. ' Ennius, Medea, 222-223  Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 316-317 Warmington; translated from  Euripides, Medea, 250-251.     249     VARRO     82. Spectare dictum ab (specio) 1 antiquo, quo  etiam Ennius usus :   uos 2 Epulo postquam spexit,   et quod in auspiciis distributum est qui habent spec-  tionem, qui non habeant, et quod in auguriis etiam  nunc augurcs dicunt avem specere. Consuetudo  com(m)unis quae cum praeverbi(i)s coniun(c)ta  fuerunt etiam nunc servat, ut aspicio, conspicio,  respicio, suspicio, despicio, 3 sic alia ; in quo etiam  expecto quod spectare volo. Hinc speculo(r), 4 hinc  speculum, quod in eo specimus imaginem. Specula,  de quo prospicimus. Speculator, quern mittimus  ante, ut respiciat quae volumus. Hinc qui oculos  inunguimus quibus specimus, specillum.   83. Ab auribus verba videntur dicta audio et  ausculto ; aures 1 ab aveo, 2 quod his avemus di(s)cere 3  semper, quod Ennius videtur ervfiov ostendere velle  in Alexandro cum ait :   lam dudum ab ludis animus atque aures avent,  Avide expectantes nuntium.   Propter hanc aurium aviditatem theatra replentur.  Ab audiendo etiam auscultare declinatum, quod hi   § 82. 1 Added bp Aug. 2 A. Sp., from Festus, 330 b  32 31., for uos. 3 31, Jxietus, for didestspicio. 4 Canal,  for specula.   § 83. 1 3Iue., for audio. 2 Laetus, for abaucto.  3 Aug., for dicere.   § 82. ° Annales, 421 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 148-149 Warm-  ington ; given in better form by Festus, 330 b 32 M. : Quos  ubi rex (Ep)ulo spexit de cotibus (=cautibus) celsis. Epulo  was a king of the Istrians, who fought against the Romans  in 178-177 b.c. ; cf. Livy,xli. 1,4, 11. 6 Page 20 Regell.  c Page 17 Regell.   § 83. Auris, audio, ausculto belong ultimately together,   250     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 82-83     82. Spectare ' to see ' is said from the old word  specere, which in fact Ennius used a :   After Epulo saw them,  and because in the taking of the auspices 6 there is a  division into those who have the spectio ' watch-duty '  and those who have not ; and because in the taking  of the auguries even now the augurs say c specere ' to  watch ' a bird. Gammon practice even now keeps  the compounds made with prefixes, as aspicio ' I look  at,' conspicio ' I observe,' respicio ' I look back at,'  suspicio ' I look up at,' despicio ' I look down upon,'  and similarly others ; in which group is also expecto ' I  look for, expect ' that which I wish spectare ' to see.'  From this, speculor ' I watch ' ; from this, speculum  ' mirror,' because in it we specimus ' see ' our image.  Specula ' look-out,' that from which we prospicimus  ' look forth.' Speculator ' scout,' whom we send  ahead, that he respiciat 1 may look attentively ' at  what we wish. From this, the instrument with  which we anoint our eyes by which we specimus ' see,'  is called a specillum ' eye-spatula.'   83. From the aures ' ears ' seem to have been said  the words audio ' I hear ' and ausculto ' I listen, heed ' ;  aures ' ears ' from aveo a ' I am eager,' because with  these we are ever eager to learn, which Ennius seems  to wish to show as the radical in his Alexander, 1 * when  he says :   A long time eager have been my spirit and my ears,  Awaiting eagerly some message from the games.   It is on account of this eagerness of the ears that the  theatres are filled. From audire ' to hear ' is derived  also auscultare ' to listen, heed,' because they are said   but are not to be connected with aveo. 6 Trag. Rom. Frag.  34-35 Ribbeck'; R.O.L. i. 236-237 Warmington.   251     VARRO   auscultare dicuntur qui auditis parent, a quo dictum  poetae :   Audio, . 7   84. Ore edo, sorbeo, bibo, poto. Edo a Graeco  low, 1 hinc esculentum et esca  edulia 2 ; et quod  Graece yei'eTcu, 3 Latine gustat. Sorbere, item bi-  bere a vocis sono, ut fervere aquam ab eius rei simili  sonitu. Ab eadem lingua, quod irorov, potio, unde  poculum, potatio, repotia. 4 Indidem puteus, quod  sic Graecum antiquum, non ut nunc (f>peap dictum.   85. A manu manupretium 1 ; mancipium, quod  manu capitur ; (quod) 2 coniungit plures manus,  manipulus ; manipularis, manica. Manubrium, quod  manu tenetur. Mantelium, ubi manus terguntur. . . . 3   4 Aug. {quoting a friend), for aut. 5 B, Laetus, for ob-  scnlto. 6 L. Sp., for odoratur. 7 sic alia ab ore A. Sp.,  for sic ab ore (Mue. deleted sic, and set ab ore at the begin-  ning of the next section).   §84. 1 A Idus, for edon. 2 Canal; escae edulia Aldus;  for escaedulia. 3 Victorias, for geuete. 4 Aug. (quot-  ing a friend), for repotatio.   § 85. 1 Victorius, for mantur praetium. 2 Added by  G, H. 3 Lacuna recognized by Aug.     e That is, with an changed to o, as if audor were the origin  of odor ; olor, with the well-known change of d to I, is not  attested elsewhere in Latin literature, but is found in the  glosses and survives in the Romance languages. These  words belong together, but are not to be grouped with audio.   § 84. ° The etymological connexions are correct (except  for puteus ; cf. v. 25 note a), but the Latin words are cognate    auscultare who obey what they have heard ; from  which comes the poet's saying :   I hear, but do not heed.   With the change of a letter are formed odor c or olor  ' smell ' ; from this, olet ' it emits an odour,' and odorari  ' to detect by the odour,' and odoratus ' perfumed,' and  an odora ' fragrant ' thing, and similarly other words.   84. a With the mouth edo ' I eat,' sorbeo ' I suck in,'  6160 ' I drink,' poto ' I drink.' Edo from Greek eSto ' I  eat ' ; from this, esculentum ' edible ' and esca ' food '  and edulia ' eatables ' ; and because in Greek it is  yevtrat ' he tastes,' in Latin it is gustat. Sorbere ' to  suck in,' and likewise bibere ' to drink,' from the sound 6  of the word, as for water fervere ' to boil ' is from the  sound like the action. From the same language,  because there it is — 6-ov ' drink,' is potio ' drink,'  whence poculum ' cup,' potatio ' drinking-bout,' repotia  ' next day's drinking.' From the same comes puteus  ' well,' because the old Greek word was like this, and  not pcap as it is now.   80. From manus ' hand ' comes manupretium  ' workman's wages ' ; mancipium ' possession of pro-  perty,' because it capitur ' is taken ' mann ' in hand ' ;  manipulus ' maniple,' because it unites several manus  ' hands ' ; manipularis ' soldier of a maniple,' manica  ' sleeve.' Manubrium ' handle,' because it is grasped  by the manus ' hand.' Mantelium ' towel,' on which  the manus ' hands ' terguniur ' are wiped.' . . . a   with the Greek, not derived from it. 6 These words are  not onomatopoeic   § 85. The gap is serious : the subject matter shifts  abruptly, and many appropriate topics are missed, such as  the actions of the feet, and some further discussion of the  distinctions among agere, facere, gerere, cf. § 77.   253     VARRO     IX. 86. Nunc primum ponam (de) 1 Censoriis  Tabulis :   Ubi noctu in templum censor 2 auspicaverit atque de  caelo nuntium erit, praeconi 3 sic imperato 4 ut viros vocet :  " Quod bonum fortunatum felix salutareque siet 5 populo Ro-  mano Quiritiiw* 6 reique publicae populi Romani Quiritium  mihique collegaeque meo, fidei magistratuique nostro :  omnes Quirites pedites armatos, privatosque, curatores  omnium tribuum, si quis pro se sive pro 1 altero rationem dari  volet, voca 8 inlicium hue ad me."   87. Praeco in templo primum vocat, postea de moeris 1  item vocat. Ubi ht 12 ex(qua)0ra(s>, 13 consules  praetores tribunosque plebis collegasque uos, 14 et in  templo adesse iubeas omnes 15 ; ac cum mittas, contionem  avoces. 18   92. In eodem Commentario Awquisitionis 1 ad ex-  tremum scriptum caput edicti hoc est :   Item quod attingat qui de censoribus 2 classicum ad  comitia centuriata redemptum habent, uti curent eo die quo  die comitia erunt, in Arce classicus canat 3 circumque muros  et ante privati huiusce T. Quinti Trogi scelerosi ostium 4 canat,  et ut in Campo cum primo luci adsiet. 5   93. Inter id cum circum muros mittitur et cum  contio advocatur, interesse tempus apparet ex his  quae interea fieri mlicium 1 scriptum est ; sed ad  comitiatum 2 vocatur populus ideo, quod alia de causa  hie magistratus non potest exercitum urbanum con-   § 91. 1 Bergk, for orande sed. 2 Mommsen, for au-  spiciis. 3 L. Sp., for dum. 4 Sciop., for commeatum.   5 Kent ; praeco reum Aug. ; for praetores. 6 Laetus, for  portet. 7 Aug., with B, for cornicem. 8 Aldus, for  cannat. ' Rhol., for colligam. 10 Mue., for rogis.  11 Victorius, for comitiae dicat. 12 Mue., for censeat.  13 Bergk ; exquiras Mue.; for extra. 14 Sciop., for uos.  15 Sciop., for homines. 16 B, G, Aug., for auoces.   § 92. 1 Aug., with B, for acquisitionis. 2 Aug., with  B, for decessoribus. 3 Victorius, for cannatum.  4 Sciop., for hostium. 5 Sciop., for adsit et.   § 93. 1 Aldus, for illicitum F 1 (illicium F 2 ). 2 Sciop.,  for comitia turn.   § 91. a The document is addressed to Sergius as quaestor.   6 Page 21 Regell. "The northern summit of the Capito-   258     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 91-93     91. You° shall give your attention to the auspices, 4 and  take the auspices in the sacred precinct ; then you shall send  to the praetor or to the consul the favourable presage which  has been sought. The praetor shall call the accused to  appear in the assembly before you, and the herald shall call  him from the walls : it is proper to give this command. A  horn-blower you shall send to the doorway of the private  individual and to the Citadel," where the signal is to sound.  Your colleague you shall request that from the speaker's  stand he proclaim an assembly, and that the bankers shut up  their shops.* You shall seek that the senators express their  opinion, and bid them be present ; you shall seek that the  magistrates express their opinion, the consuls, the praetors,  the tribunes of the people, and your colleagues, and you shall  bid them all be present in the temple ; and when you send the  request, you shall summon the gathering.   92. In the same Commentary on the Indictment, at  the end, this summing up of the edict is written :   Likewise in what pertains to those who have received  from the censors the contract for the trumpeter who gives the  summons to the centuriate assembly, they shall see to it that  on that day, on which the assembly shall take place, the  trumpeter shall sound the trumpet on the Citadel and around  the walls, and shall sound it before the house-entrance of this  accursed Titus Quintius Trogus, and that he be present in the  Campus Martius at daybreak."   93. That between the sending around the walls  and the calling of the gathering some time elapses, is  clear from those things the doing of which in the  meantime is written down as the inlicium ' imitation ' ;  but the people is called to appear in the assembly  because for any other reason this magistrate cannot  call together the citizen-army of the City. The   line. * These shops (c/. § 59 and note), on both sides of  the Forum, were to be closed during the trial of Trogus.   § 92. In early Latin, lux was normally masculine, as in  Plautus, Aul. 7-lS,Cist. 525, Capt. 1008 ; Terence, Adel. 841.   § 93. a The praetor.   259     VARRO     vocare ; censor, consul, dictator, interrex potest, quod  censor 3 exercitum centuriato constituit quinquen-  nalem, cum lustrare 4 et in urbem ad vexillum ducere  debet ; dictator et consul in singulos annos, quod hie  exercitui imperare potest quo eat, id quod propter  centuriata comitia imperare solent.   94. Quare non est dubium, quin 1 hoc inlicium sit,  cum circum muros itur, ut populus inliciatur ad magis-  tratus conspectum, qui (vi)ros 2 vocare 3 potest, in eum  locum unde vox ad contionem vocantis exaudiri possit.  Quare una origine illici et inlicis quod in Choro Pro-  serpinae est, et pellexit, quod in //ermiona est, cum  ait Pacuius :   Regni alieni cupiditas   Pellexit.   Sic Elicii Iovis ara 4 in Aventino, ab eliciendo.   95. Hoc nunc aliter fit atque olim, quod augur  consuli adest turn cum exercitus imperatur ac praeit  quid eum dicere oporteat. Consul augur(i) 1 imperare  solet, ut iralicium 2 vocet, non accenso aut praeconi.  Id inceptum credo, cum non adesset accensus ; et  nihil intererat cui imperaret, et dicis causa fieba(n)t 3   3 Laetus, for censorem. 4 Scaliger, for lustraret.   § 94. 1 Vertranvus, for cum. 2 L. Sp., for qui ros.  3 Aldus, for uocari. 4 Victor -ins, for iobis uisa ara.   §95. 1 Victorius, for augur. 2 B, Laetus, for is licium.  3 Aug., with B, for fiebat.     6 This statement refers to the consul only ; the part de-  fining the dictator's powers seems to have fallen out of the  text.   § 94. " Trag. Rom. Frag., page 272 Ribbeck 3, of an un-  known poet ; unless Chorus Proserpinae is a substitute name  for Eumenides, a tragedy of Ennius. " Trag. Rom. Frag.,  verses 170-171 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 226-227 Warmington.  c A popular etymology only, since Jupiter could hardly be   260     ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 93-95     censor, the consul, the dictator, the interrex can,  because the censor arranges in centuries the citizen-  army for a period of five years, when he must cere-  monially purify it and lead it to the city under its  standards ; the dictator and the consul do so every  year, 6 because the latter can order the citizen-army  where it is to go, a thing which they are accustomed  to order on account of the centuriate assembly.   91. Therefore there is no doubt that this is the  inUcium, when they go around the walls that the  people may inlici 1 be enticed ' before the eyes of  the magistrate who has the authority to call the men  into that place from which the voice of the one who is  calling them to the gathering can be heard. There-  fore there come from the same source also illici 1 to be  enticed ' and inlicis ' thou enticest,' which are in the  Chorus of Proserpina, a and pellexit ' lured,' which is in  the Hermiona, when Pacuvius says 6 :   Desire for another's kingdom lured him on.   So also the altar of Jupiter Elicius ' the Elicited ' on  the Aventine, from elicere ' to lure forth.' c   95. This is now done otherwise than it was of old,  because the augur is present with the consul when the  citizen-army is summoned, and says in advance the  formulas which he is to say. The consul regularly  gives order to the augur, not to the assistant nor to  the herald, that he shall call the inlicium ' invitation.'  I believe that this was begun on an occasion when the  assistant was not present ; it really made no difference  to whom he gave the order, and it was for form's sake   ' tricked ' ; according to G. S. Hopkins, Indo-European  deiwos and Related Words, 27-32, Elicius is a derivative of  liquere ' to be liquid,' and Jupiter Elicius is a rain-god.   261     VARRO     quaedam neque item facta neque item dicta semper.  Hoc ipsum inlieium scriptum inveni in M. Iunii Com-  mentariis ; quod tamen (inlex apud Plautum in Persa  est qui legi non paret), 4 ibidem est quod illicit illex,  (f)it quod 5 (I) 6 cum E et C cum G magnam habet  co(m)munitatem.   X. 96. Sed quoniam in hoe de paucis rebus verba  feci plura, de pluribus rebus verba faciam pauca, et  potissimum quae in Graeea lingua putant Latina, ut  sealpere a o-KaAeveiv, 1 sternere a a-rpwvvf.iv, 2 lingere  a Xixfiaadai? i ab W(t), i ite ab Ttc, 5 gignitur toris. 6 Non reprehendendum igitur in illis  qui in scrutando verbo litteram adiciunt aut demunt,  quo 7 facilius quid sub ea voce subsit viden' 8 possit :  ut* enim facilius obscuram operam (M)yrmecidw 10 ex   1 The lost heading is restored after that of Book VI. 2 F  contains this statement of loss; B and the Leipzig codex  contain an interpolated beginning : Temporum vocabula et  eorum quae coniuncta sunt, aut in agendo fiunt, aut cum  tempore aliquo enuntiantur, priore libro dixi. In hoc dicam  de poeticis vocabulis et eorum originibus, in quis multa  difficilia : nam, after which comes repens ruina aperuit.   266     MARCUS TERENTIUS VARRO'S  ON THE LATIN LANGUAGE     BOOK VI ENDS, AND HERE BEGINS  BOOK VII   AT THIS POINT, IN THE MODEL COPY, ONE LEAF IS  LACKING, ON WHICH IS THE BEGINNING OF BOOK VII   I. 1. The words of the poets are hard to expound.  For often some meaning that was fixed in olden times  has been buried by a sudden catastrophe, or in a word  whose proper make-up of letters is hidden after some  elements have been taken away from it, the intent of  him who applied the word becomes in this fashion  quite obscure. There should be no rebuking then of  those who in examining a word add a letter or take  one away, that what underlies this expression may be  more easily perceived : just as, for instance, that the  eyes may more easily see Myrmecides' indistinct     § 1. 1 Proposed by A. Sp., as the most probable indication  of what immediately preceded. * Turnebus, for aperuit.  s A. Sp., for ut. * Turnebus, for sit. 5 Aldus, 11, for  obscurius. 6 Victorius, for in posterioris. 7 Turnebus,  for quid. 8 L. Sp., for uidere. ' Victorius, for et.  10 L. Sp. ; Myrmetidis Aldus ; for yrmeci dum.   267     VARRO     ebore oculi videant, extrinsecus admovent nigras  setas.   2. Cum haec amminicula addas ad eruendum  voluntatem impositoris, tamen latent multa. Quod  si poetice (quae) 1 in carminibus servant 2 multa prisca  quae essent,sic etiam cur essent posuisset^yecundius 4  poemata ferrent fructum ; sed ut in soluta oratione  sic in poematis verba (non) 5 omnia quae habent 8  ervfxa possunt dici, neque multa ab eo, quern non  erunt in lucubratione litterae prosecutae, multum  licet legeret. AeliV hominis in primo in litteris  Latinis exercitati interpretationem Carminum Salio-  rum videbis et exili littera expedita(m) 8 et praeterita  obscura 9 multa.   3. Nec mirum, cum non modo Epemenides 1  (s)opor(e) 2 post annos L experrectus a multis non  cognoscatur, sed etiam Teucer Livii post XV annos  ab suis qui sit ignoretur. At 3 hoc quid ad verborum  poeticorum aetatem ? Quorum si Pompili regnum  fons in Carminibus Saliorum neque ea ab superioribus   § 2. 1 Added by L. Sp. 2 Victorius, for servabit.  3 Victorius, for posuissent. 4 Laetns, for secundius.  6 Added by line. 6 For haberent. 7 H, B, Ed. Veneta,  for helii. 8 Laetus, for expedita. 9 For praeteritam  obscuram.   §3. 1 Aug., icith B, for Epamenidis. 2 GS., for opos.  3 Victorius, for ad.     § 1. ° Cf. ix. 108 ; his carvings were so tiny that the  detail in the white ivory could be seen only against a black  background.   §3. ° A Cretan poet and prophet, reputed to have cleansed  Athens of a plague in 596 b.c According to one story, in his  boyhood he went into a cave to escape the noonday sun, and  fell into a sleep that lasted fifty-seven years. When he awoke,   268     OX THE LATIN LANGUAGE, VII. 1-3     handiwork in ivory, men put black hairs behind the  objects.   2. Even though you employ these tools to unearth  the intent of him who applied the word, much remains  hidden. But if the art of poesy, which has in the  verses preserved many words that are early, had in  the same fashion also set down why and how they  came to be, the poems would bear fruit in more pro-  lific measure ; unfortunately, in poems as in prose,  not all the words can be assigned to their primitive  radicals, and there are many which cannot be so  assigned by him whom learning does not attend with  favour in his nocturnal studies, though he read pro-  digiously. In the interpretation of the Hymns of the  Saltans, which was made by Aelius, an outstanding  scholar in Latin literature, you will see that the inter-  pretation is greatly furthered by attention to a single  poor letter, and that much is obscured if such a letter  is passed by.   3. Nor is this astonishing : for not only were there  many who failed to recognize Epimenides ° when he  awoke from sleep after fifty years, but even Teucer's  own family, in the play of Livius Andronicus, 6 do not  know who he is after his absence of fifteen years.  But what has this to do with the age of poetic words ?  If the reign of Numa Pompilius c is the source of those  in the Hymns of the Saltans and those words were not  received from earlier hymn-makers, they are none the   everything was changed ; his younger brother had become an  old man. * Livius Andronicus, T rag. Rom. Frag., page 7  Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 14-15 Warmington. Teucer, son of  Telamon king of Salamis, was absent from home during  the Trojan War, and again during his exile after his return  from that war. e Second king of Rome, founder of the  Salian priesthood.   269     VARRO     accepta, tamen habent DCC annos. Quare cur  scriptoris industriam reprehendas qui herois tritavum,  atavum non potuerit reperire, cum ipse tui tritavi  matrem dicere non possis ? Quod intervallum multo  tanto propius nos, quam hinc ad initium Saliorum,  quo Romanorum prima verba poetica dicunt Latina.   4. Igitur de originibus verborum qui multa dix-  erit commode, potius boni consulendum, quam qui  aliquid nequierit reprehendendum, praesertim quom  dicat etymologice 1 non omnium verborum posse dici  causa 2 natura in caelo, ab  auspiciis in terra, a similitudine sub terra. In caelo  te(m)plum dicitur, ut in .Hecuba :   O magna templa caelitum, commixta stellis splendidis.   In terra, ut in Periboea :   Scrupea saxea Ba(c)chi  Templa prope aggreditur.   Sub terra, ut in Andromacha :   Acherusia templa alta Orci, salvete, infera.   7. Quaqua 1 initi erat 2 oculi, a tuendo  primo templum dictum : quocirca caelum qua attui-  mur dictum templum ; sic :   Contremuit templum magnum Iovis altitonantis,   2 Sciop., for excidit.   § 6. 1 Groth, with V, p, for auspicendo. 2 Added by  L. Sp.   % 7. 1 Aug., for quaquia. 2 Sciop., for initium erat.     § 6. ° Said of Romulus, by Ennius, Ann. 65-66 Vahlen 2 ;  R.O.L. i. 22-23 Warmington ; quoted without templa by  Ovid, Met. xiv. 814 and Fast. ii. 487. » Properly a  ' limited space,' for divination or otherwise ; from the root  tern- 'cut.' c Page 18 Regell. d That is, likeness to a  templum in the sky or on the earth. ' Ennius, Trag.  Rom. Frag. 163 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 292-293 Warmington.   272     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 5-7   that if any word lies outside this fourfold division, I  shall still include it in the account.   6. I shall begin from this :   One there shall be, whom thou shalt raise up to sky's  azure temples."   Templum 6 ' temple ' is used in three ways, of nature,  of taking the auspices, 6 from likeness d : of nature, in  the sky ; of taking the auspices, on the earth ; from  likeness, under the earth. In the sky, templum is  used as in the Hecuba e :   O great temples of the gods, united with the shining  stars.   On the earth, as in the Periboea f :   To Bacchus' temples aloft   On sharp jagged rocks it draws near.   Under the earth, as in the Andromacha :   Be greeted, great temples of Orcus,  By Acheron's waters, in Hades.   7. Whatever place the eyes had iniuiti ' gazed  on,' was originally called a templum ' temple,' from  tueri ' to gaze ' ; therefore the sky, where we  attuimur ' gaze at ' it, got the name templum, as in  this ° :   Trembled the mighty temple of Jove who thunders  in heaven,   ' Pacuvius, Tray. Rom. Frag. 310 Ribbeck*; R.O.L. ii. 278-  279 Warmington ; anapaestic; said of a Bacchic rout.  ' Ennius, Trag. Rom. Frag. 70-71 Ribbeck*; R.O.L. i. 254-  255 Warmington ; anapaestic ; quoted more fully by Cicero,  Tusc. Disp. i. 21. 48.   §7. "Ennius, Ann. 541 Vahlen*; R.O.L. i. 450-451  Warmington.   vol. i T 273     VARRO     id est, ut ait Naevius,   HemispAaerium 3 ubi conca*  Caerulo 6 septum stat.   Eius templi partes quattuor dicuntur, sinistra ab  oriente, dextra ab occasu, antica ad meridiem, postica  ad septemtrionem.   8. In terris dictum templum locus augurii aut  auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus.  Concipitur verbis non isdem 1 usque quaque ; in  Arce sic :   Tem tescaque 2 me ita sunto, quoad ego- ea rite 3  lingua 4 nuncupavero.   Olla t'er(a) 6 arbos quirquir est, quam me sentio  dixisse, templum tescumque me esto 6 in sinistrum.   Olla ver(&} 7 arbos quirquir est, quam 6 me sentio  dixisse, te(m)plum tescumque me esto 6 (in) 9 dextrum.   Inter ea conregione conspicione cortumione, utique  ea (rit)e dixisse me 10 sensi.   9. In hoc templo faciundo arbores constitui fines  apparet et intra eas regiones qua oculi conspiciant, id   3 Turnebns, B, for hiemisferium. 4 Mue., for conca.  6 For cherulo.   §8. 1 Mue., for hisdem. 2 Turnebus,for item testaque.  3 ea rite L. Sp., for eas te. 4 Victorius, p, for linquam.  6 Kent, for ullaber. 6 tescum Turnebus, -que me Fay, esto  Scaliger and Turnebns, for tectum quern festo. 7 Kent,  for ollaner. 6 Mue., for quod. . 9 Added by B, Laetus.  10 L. Sp., ; ea dixisse me Sciop. ; for ea erectissime.     b An uncertain fragment, not listed in the collections of the  fragments of Naevius. c Cf. p. 18 Regell.   § 8. Page 18 Regell. 6 Text and translation both  very problematic. I take me as dative (cf Fest. 160. 2) ;  regard quirquir as equal to quisquis, either by manuscript  corruption or with rhotacism in the phrase quisquis est,   274     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 7-9     that is, as Naevius says, 6   Where land's semicircle lies,  Fenced by the azure vault.   Of this temple c the four quarters are named thus :  the left quarter, to the east ; the right quarter, to  the west ; the front quarter, to the south ; the back  quarter, to the north.   8. On the earth, templum is the name given to a  place set aside and limited by certain formulaic  words for the purpose of augury a or the taking of the  auspices. The words of the ceremony are not the  same everywhere ; on the Citadel, they are as  follows 6 :   Temples and wild lands be mine in this manner, up to  where I have named them with my tongue in proper  fashion.   Of whatever kind that truthful' tree is, which I con-  sider that I have mentioned, temple and wild land be  mine to that point on the left.   Of whatever kind that truthful tree is, which I consider  that I have mentioned, temple and wild land be mine to  that point on the right.   Between these points, temples and wild lands be mine  for direction, for viewing, and for interpreting, and just  as I have felt assured that I have mentioned them in  proper fashion.   9. In making this temple, it is evident that the  trees are set as boundaries, and that within them the  regions are set where the eyes are to view, that is we   becoming quisquir est (so Fay, Amur. Journ. Phil. xxxv.  253) ; take as datives the three words in -one in the last  sentence (meanings, vii. 9), supplying after them templa  tescaque me sunto. For meaning of tescum, cf. vii. 10-11.  ' That is, lending itself to true predictions through the  auspices.   275     VARRO     est tueamur, a quo templum dictum, et contemplare,  ut apud Ennium in Medea :   Contempla et templum Cereris ad laevam aspice.  Contempla et conspicare id(em) 1 esse apparet, ideo  dicere turn, cum te(m)plum 2 facit, augurem con-  spicione, qua oculorum conspectum fmiat. Quod  cum dicunt conspicionem, addunt cortumionem,  dicitur a cordis visu : cor enim cortumionis origo.   10. Quod addit templa ut si(n)t 1 tesca, 2 aiunt  sancta esse qui glossas scripserunt. Id est falsum :  nam Curia Hostilia templum est et sanctum non est ;  sed hoc ut putarent aedem sacram esse templum,  . 14   Quare haec quo(d) tesca dixit, non erravit, neque  ideo quod sancta, sed quod ubi mysteria fiunt at-  tuentur, 15 tuesca dicta.   12. Tueri duo significat, unum ab aspectu ut dixi,  unde est Ennii 1 illud :   Tueor te, senex ? Pro Iupiter !   § 11. 1 Laetus, for ut. 2 Aldus, for philocto etatem.   3 Aldus, for appones (cf. adportas Festus, 356 a 26 31.).   4 Added by Mue. 6 Aug., with B, for prest olitor a rarat.  6 For teues. 7 Aldus, for castris. 8 For uolgania.  9 Added by Ribbeck. 10 Aug., with B, for lumine.   11 Vertranius {from Cicero, Tusc. ii. 10. .23), for ignes.   12 Aldus, for clauet. 13 Added by Victorius (from Cicero,  I.e.). 14 Turnebus (from Cicero, I.e.), for diuis. 15 Mue..  for aut tuentur.   § 12. 1 Sciop., for enim.     § 11. » Trag. Bom. Frag. 554 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 514-  515 Warmington. 6 Trag. Bom. Frag. 525-534 Ribbeck 3 ;  278     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 11-12     11. For there is the following in Accius, in the  Philoctetes of Lemnos a :   What man are thou, who dost advance  To places desert, places waste ?   What sort of places these are, he indicates when he  says 6 :   Around you you have the Lemnian shores,  Apart from the world, and the high-seated shrines  Of Cabirian Gods, and the mysteries which  Of old were expressed with sacrifice pure.   Then :   You see now the temples of Vulcan, close by  Those very same hills, upon which he is said  To have fallen when thrown from the sky's lofty sill. e   And :   The wood here you see with the smoke gushing forth,  Whence the fire — so they say — was secretly brought  To mankind.*   Therefore he made no mistake in calling these lands  tesca, and yet he did not do so because they were con-  secrated ; but because men attuentur ' gaze at ' places  where mysteries take place, they were called tuesca. 6   12. Tueri has two meanings, one of ' seeing ' as I  have said, whence that verse of Ennius ° :   I really see thee, sire? Oh Jupiter !   R.O.L. ii. 506-507 Warmington ; anapaestic. e He fell on  Lemnos, as related in Iliad, i. 590-594. d This last portion  is quoted by Cicero, Tusc. Disp. ii. 10. 23, who continues  with a summary of the story of Prometheus. * Varro  means that tesca is for tuesca, waste or wild land where men  may look at (attueri) celebrations of religious mysteries : an  incorrect etymology.   § 12. ° Trag. Rom. Frag. 335 Ribbeck 8 ; R.O.L. i. 290-  291 Warmington.   279     VARRO     Et :   Quis pater aut cognatus volet vos 2 contra tueri ?   Alterum a curando ac tutela, ut cum dicimus " vellet 3  tueri villain," a quo etiam quidam dicunt ilium qui  curat aedes sacras cedituum, non aeditamuiw ; sed  tamen hoc ipsum ab eadem est profectum origine,  quod quern volumus domum curare dicimus " tu domi  videbis," ut Plautus cum ait :   Intus para, cura, vide. Quod opus(t> 5 flat.   Sic dicta vestis(pi)ca,* quae vestem spiceret, id est  videret vestem ac tueretur. Quare a tuendo et  templa et tesca dicta cum discrimine eo quod dixi.  13. Etiam indidem illud EnmV 1 :   Extemplo acceptam 2 me necato 3 et filiam. 4  Extemplo enim est continuo, quod omne te(m)plum  esse debet conti(nu)o septum nec plus unum in-  troitum habere.   2 Aug., with B, for nos. 3 Ellis, for bell . . et {vacant  space for two letters). 4 For aeditomum. 6 From  Plautus, Men. 352, for quid opus. 6 Aldus, for vestisca.   § 13. 1 Scaliger, for enim. 2 Voss, for acceptum.   3 Scaliger, for negato. 4 Bothe,for filium / cf. Euripides,  Hecuba, 391.     » Ann. 463 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 172-173 Warmington.  * Aeditumus is original, with the second part of uncertain  origin. d Varro compares the two meanings of tueri  with the two meanings of videre, ' to see ' and ' to see after,  care for.' * Men. 352.    And 6 :   Who will now wish, though father or kinsman, to look  on your faces ?   The other meaning is of ' caring for ' and tutela  ' guardianship,' as when we say " I wish he were will-  ing tueri ' to care for ' the farmhouse," from which  some indeed say that the man who attends to con-  secrated buildings is an aedituus and not an aedi-  tumus c ; but still this other form itself proceeded from  the same source, because when we want some one to  take care of the house we say " You will see to d  matters at home," as Plautus does when he says * :   Inside prepare, take pains, see to 't ;  Let that be done, that's needed.   In this way the vestispica ' wardrobe maid ' was named,  who was spicere ' to see ' the vestis ' clothing,' that is,  was to see to the clothing and tueri 1 guard ' it. There-  fore, both temples and tesca ' wastes ' were named  from tueri, with that difference of meaning which I  have mentioned.   13. Moreover, from the same source comes the  word in Ennius a :   Extemplo take me, kill me, kill my daughter too.   For extemplo 6 ' on the spot ' is continuo ' without in-  terval,' because every templum ought to be fenced  in uninterruptedly and have not more than one  entrance.   § 13. a Trag. Rom. Frag. 355 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 380-  381 Warmington; perhaps spoken by the captive Hecuba,  who gave her name to a tragedy by Ennius. 6 Templum  denotes a limited portion of time as well as of space ; in  extemplo the application is to time.   281     VARRO   14. Quod est apud Accium :   Pervade polum, splendida mundi  Sidera, bigis, (bis) 1 continues )  Se(x ex)pkti $ign\s,*   polus Graecum, id significat circum caeli : quare quod  est pervade polum valet 3 vade irepl ttoXov. Signa  dicuntur eadem et sidera. Signa quod aliquid  significent, ut libra aequinoctium ; sidera, quae  (qua)si 4 insidunt atque ita significant aliquid in terris  perurendo aliave 5 qua re : ut signum candens in  pecore.   15. Quod est :   Terrarum anfracta revisam, 1   anfractum est flexum, ab origine duplici dictum, ab  ambitu et frangendo : ab eo leges iubent in directo  pedum VIII esse (viam), 2 in anfracto XVI, id est in  flexu.   16. Ennius :   Ut tibi   Titanis Trivia dederit stirpem liberum.  Titanis Trivia Diana est, ab eo dicta Trivia, quod in   § 14. 1 Added by Kent ; cf. GS., note. 2 Continui se  cepit spoliis F ; continuis sex apti signis Scaliger ; picti  Ribbeck, exceptis Fay, expicti Kent. 3 Victoritis, for  valde. 4 quae quasi GS. ; quod quasi L. Sp. ; for quae  si. 5 A. Sp., for aliudue.   § 15. 1 Aug., with B, for anfractare visum. 2 Added  by GS ; following Sciop., who added viam after iubent.     § 14. ° Trag. Rom. Frag. 678-680 Ribbeck 3 ; R.O.L.  ii. 572-573 Warmington ; anapaestic. The passage is appar-  ently addressed to Phaethon, but possibly to the Sun-God or  to the Moon-God. The twelve signs of the zodiac are con-  ceived as taken by the Universe and worn by it as a girdle.  6 Properly 1 white-hot ' ; the Roman poets often speak of   282     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 14-16     14. As for what is in Accius,°   With thy team do thou go through the sky, through  the bright   Constellations aloft, which the universe holds,  Adorned with its twice six continuous signs,   the word polus ' sky ' is Greek, it means the circle  of the sky : therefore the expression pervade polum  ' traverse the sky ' means ' go around the -oAos.'  Signa 1 signs of the zodiac ' means the same as sidera  ' constellations.' Signa are so called because they  significant ' indicate ' something, as the Balance marks  the equinox ; those are sidera which so to speak in-  sidunt ' settle down ' and thus indicate something on  earth by burning or otherwise : as for example a  signum candens ' scorching sign,' 6 in the matter of  the flocks.   15. In the phrase   Again of the land I shall see the anfracta,"   anfractum means ' bent or curved,' being formed from  a double source, from ambitus ' circuit ' and frangere  ' to break.' Concerning this the laws 6 bid that a road  shall be eight feet wide where it is straight, and six-  teen at an anfractum, that is, at a curve.   16. Ennius says ° :   As surely as to thee  Titan's daughter Trivia shall grant a line of sons.   The Trivian Titaness is Diana, called Trivia from the   the flocks as being burned by the heat of Canicula ' the  Dog-star,' which is visible while the sun is in the sign of Leo.   § 15. • Accius, Trag. Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L.  ii. 440-141 Warmington. 6 Cf. XII Tabulae, page 138  Schoell.   § 16. ■ Trag. Rom. Frag. 362 Ribbeck*; R.O.L. i. 260-  261 Warmington.   283     VARRO   trivio ponitur fere in oppidis Graecis, vel quod luna  dicitur esse, quae in caelo tribus viis movetur, in  altitudinem et latitudinem et longitudinem. Titanis  dicta, quod earn genuit, ut ai(t) 1 Plautus, Lato ; ea,  ut scribit Manilius,   Est Coe(o> creata 2 Titano.   Ut idem scribit :   Latona pari(e)t 3 casta complexu Iovis  Deliadas 4 geminos,   id est Apollinem et Dianam. Dii, quod Titanis  aX6si 1 :   /iellespontum et claustra.   (Claustra), 2 quod Xerxes 3 quondam eum locum   clausit : nam, ut Ennius ait,   Isque Hellespont*) pontem contendit in alto.   Nisi potius ab eo quod Asia et Europa ibi cow(c)ludi-   t(ur> 4 mare ; inter angustias facit Propontidis fauces.   §19. 1 Ribbeck, for quid. 2 Ribbeck ; aequam pugnam  Mue. ; aequom palam Bothe ; for quam pudam. 3 Laetus,  for his locis.   § 20. 1 For piple. ide ( = id est) espiades, with h above the  e of esp-.   § 21. 1 Mue. ; Cassius Sciop. ; for quasi. 2 Added by  Scaliger. 3 Bentinus, for exerses. 4 A. Sp. ; con-  clude Ijaetus ; for colludit.     c Trag. Rom. Frag. 349 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 272-273  Warmington. d At the trial of Orestes for the murder  of his mother.   §20. "Ennius, Ann. 1 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 2-3 War-  mington ; opening the poem. * As home of the gods.  c That is, not merely the Greeks. a Pipleides or Pim-   288     OX THE LATIN LANGUAGE, VII. 19-21     In the verse of Ennius, c   Since the Areopagites have cast an equal vote,*   Areopagitae ' Areopagites ' is from Areopagus ; this is  a place at Athens.   20. Muses, ye who with dancing feet beat mighty  Olympus."   Olympus is the name which the Greeks give to the  sky, b and all peoples c give to a mountain in Mace-  donia ; it is from the latter, I am inclined to think,  that the Muses are spoken of as the Olympiads : for  they are called in the same way from other places on  earth the Libethrids, the Pipleids, d the Thespiads,  the Heliconids. e   21. In this phrase of Cassius,   The Hellespont and its barriers,   claustra ' barriers ' is used because once on a time  Xerxes clausit ' closed ' the place by barriers b : for,  as Ennius says, c   He, and none other, on Hellespont deep did fasten  a bridgeway.   Unless it is said rather from the fact that at this place  the sea concluditur ' is hemmed in ' by Asia and Europe ;  in the narrows it forms the entrance to the Propontis.   pleides. e Respectively from Libethra, a fountain sacred  to the Muses, near Libethmm and Magnesia, in Mace-  donia ; Pimpla, a place and fountain in Pieria, in Mace-  donia ; Thespiae, a town of Boeotia at the foot of Helicon ;  and Helicon, a mountain-range in Boeotia.   §21. 8 Trag. Rom. Frag. inc. inc. 106 Ribbeck* ; with  the text as here emended, it belongs to Cassius. * Cf.  Herodotus, vii. 33-36. e Ann. 378 Vahlen*; R.O.L. i.  136-137 Warming-ton.   vol. I U 289     VARRO     22. Pacui :   Li 2 nos esse   (Camenas). 2   Ca(s)menarum 3 priscum vocabulum ita natum ac  scriptum est alibi ; Carmenae ad eadem origine sunt  declinatae. In multis verbis in quo 4 antiqui dicebant  S, postea dicunt R, ut in Carmine Saliorum sunt haec :   10 This statement is in the margin of F, opposite a blank space  which amounts to one and one half pages.   § 24. 1 Added by L. Sp. and by Bergk. 2 Mue., for  infulas hostiis. 3 For sepulchrum. 4 L. Sp. and Rib-  beck, for lanas. 6 L. Sp. and Ribbeck, for frondentis  comas.   § 25. 1 GS. (cornutam umbram L. Sp. ; cornutarum  umbram Victor hi s ; iacit Scaliger), for cornua taurum  umbram iaci.   § 26. 1 Scaliger, for curuamus ac (which includes the last  word of § 25). 2 Additions by Jordan. 3 Laetus, for  camenarum. 4 Later codd.,for quod F.     § 24. a Trag. Rom. Frag. inc. inc. 220-221 Ribbeck 3 .   § 25. ° Trag. Rom. Frag. inc. inc. 222 Ribbeck 3 .  6 Cornu and curvus are not connected etymologically.   § 26. a Ennius, Ann. 2 Vahlen 2 . 6 Perhaps of Etruscan  origin ; at any rate, not connected with canere ' to sing.'  c A spelling caused by association with carmen and Car-   292     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 23-26     HERE OXE LEAF IS LACKING IX THE MODEL COPY   III. 2 k ... it is clear that agrestes ' rural '  sacrificial victims were so called from ager ' field-  land ' ; that infulatae ' filleted ' victims were so called,  because the head-adornments of wool which are put  on them, are infulae ' fillets ' : therefore then, with  reference to the carrying of leafy branches and flowers  to the burial-place, he added a :   Decked not with wool, but with a hair-like shock  of leaves.   25. The horned shadow lures the bull to fight.   It is clear that cornuta ' horned ' is said from cormia  ' horns ' ; cornua is said from curvor ' curvature,'  because most horns are curva ' curved.' 6   26. Learn that we, the Camenae, are those whom   they tell of as Muses.   Casmenae b is the early form of the name, when it  originated, and it is so written in other places ; the  name Carmenae c is derived from the same origin. In  many words, at the point where the ancients said S,  the later pronunciation is R, d as the following in the  Hymn of the Saltans e :   menta ; though no etymological connexion with them exists.  d The well-known phenomenon of rhotacism, the change of  intervocalic S to R. • Fragy. 2-3, pp. 332-335 Mauren-  brecher ; page 1 Morel. It is hazardous in the extreme to  attempt to restore and interpret the text of the Hymn. These  sentences seem to invoke Mars not as God of War, but in his  old Italic capacity of God of Agriculture, spoken of in several  functions. It was the view of L. Spengel, approved by A.  Spengel, that this verbatim text of the Hymn was an inter-  polation, and that foedesum foederum of § 27 immediately  followed in Carmine Saliorum sunt haec.   293     VARRO     Cozevi o6orieso. Omnia vero ad Patulc(ium)   co»imisse.  Ianeus iam es, duonus Cerus es, du(o)nus Ianus.  Ven(i)es po(tissimu)m melios eum recum . . . 5   IIIC SPATIUM X LINEARUM RELICTUM ERAT IN  EXEMPLARI 6   27. . . . f(o)edesum foederum, 1 plusima plu-  rima, meliosem meliorem, asenam arenam, ianitos  ianitor. Quare e 2 Casmena Carmena,  3 Carmena 4  R extrito Camena factum. Ab eadem voce canite,  pro quo in Saliari versu scriptum est cante, hoc  versu :   Divum em pa 5 cante, divum deo supplicate. 6   28. In Carmine Priami 1 quod est :  Veteres Casmenas cascam rem volo profarier, 2   5 F has : Cozeulodori eso. Omnia uero adpatula coemisse.  ian cusianes duonus ceruses, dunus ianusue uet pom melios  eum recum. This is here emended as follows : Cozevi Havet ;  oborieso Kent; Patulcium Kent, after Bergk ; commissei  Kent; Ianeus GS., cf Festus, 103. 11 31.; iam es Kent;  duonus Cerus es, duonus Ianus Bergk; ueniet V, venies  Kent ; potissimum, cf Festus, 205 all 31. 6 At this point,  the remainder of the line and the next four lines are vacant in  F, with traces of writing in the last empty line, which must  have given the data for this statement, found in II and a.   §27. 1 For faederum. 2 A. Sp. ; ex Ursinus ; for e  (=est). 3 Added by A. Sp. * A. Sp., for carmina  carmen. 5 Bergk, for empta. 6 Grotefend, for sup-  plicante.   § 28. 1 At this point, the rest of the page (three and one-  third lines) remains vacant in F, but there is no gap in the  text. 2 Scaliger,for profari et.   ' Cozevi, voc. of Consivius (epithet of Janus, in Macrobius,  Sat. i. 9. 15), with NS developing to NTS as in Umbrian,  the N not written before the consonants (cf. Latin cosol for  consul), and z having the value of ts, as in the Umbrian   294     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 2&-28     O Planter God/ arise. Everything indeed have I  committed unto (thee as) the Opener." Now art  thou the Doorkeeper, thou art the Good Creator,  the Good God of Beginnings. Thou'lt come especi-  ally, thou the superior of these kings * . . .   HERE A SPACE OF TEX LIXES WAS LEFT VACANT IX  THE MODEL COPY *   27. . . . (In the Hymn of the Saltans are found  such old forms as) foedesum for foederum ' of treaties,'  plusima for plurima ' most,' meliosem for meliorem  ' better,' asenam for arenam ' sand,' ianitos for ianitor °  ' doorkeeper.' Therefore from Casmena came Car-  viena, and from Carmena, with loss of the R, came  Camena. b From the same radical came canite ' sing  ye,' for which in a Salian verse c is written cante, and  this is the verse :   Sing ye to the Father d of the Gods, entreat the God  of Gods.*   28. In The Song of Priam there is the following ° :  I wish the ancient Muses to tell a story old.   alphabet. 9 Epithet of Janus, in Macrobius, Sat. i. 9. 15.  * The god is addressed as more powerful than all earthly  lords, whether kings or (perhaps) priests. The gen. plural  eum, equal to eorum. is elsewhere attested. ' The vacant  lines in the model copy may have represented more of the  text of the Hymn, too illegible to copy.   § 27. a Fragg. 4, 7, 20, 26, 27, pages 335, 339, 347, 349  Maurenbrecher. Ianitos is an incorrect form, since the word  had an original R ; but all the other words have R from  earlier S. » Cf. § 26, note 6. e Frag. 1, page 331  Maurenbrecher ; page 1 Morel. * Here em pa stands for  in patrem ; so Th. Bergk, Zts.f. Altertumswiss. xiv. 138 =  Kleine Philol. Schriften, i. 505, relying on Festus, 205 all M.,  pa pro parte (read patre) et po pro potissimum positum est in  Saliari Carmine. * Equal to ' father of the gods.'   § 28. a Frag. Poet. Lat., page 29 Morel.   295     VARRO   primum cascum significat vetus ; secundo eius origo  Safeina, quae usque radices in Oscam linguam egit.  Cascum vetus esse significat Ennius quod ait :   Quam Prisci casci populi tenuere 3 Latini.  Eo magis Manilius quod ait :   Cascum duxisse cascam non mirabile est,  Quoniam cariosas 4 conficiebat nuptias.   Item ostendit Papini epigrammation, quod in adole-  scentem fecerat Cascam :   Ridiculum est, cum te Cascam tua dicit arnica, 5  Fili(a> 6 Potoni, sesquisenex' puerum.   Die tu illam 8 pusam : sic net " mutua 9 muli " :  Nam vere pusns tu, tua arnica senex.   29. Idem ostendit quod oppidum vocatur Casinum  (hoc enim ab Sabinis orti Samnites tenuerunt) et 1  nostri etiam nunc Forum Vetus appellant. Item  significat 2 in Atellanis aliquot Pappum, senem quod  Osci 3 casnar appellant.   3 Columna, for genuere. 4 L. Sp. and Lachmann, for  carioras. 6 Laetus, B, for amici. 6 Popma, for fili.  7 Turnebus, for potonis es qui senex. 8 Turnebus, for dicit  pusum puellam. 9 Pantagatkus, for mutuam.   § 29. 1 L. Sp. deleted nunc after et. 2 For significant.  3 For ostii.     * The native Latin word was canus 1 grey-haired,' from  casnos, with the same root as in cascus, but a different suffix.  e Sabine was not a dialect of Oscan, but stood on an equal  footing with it. d Ann. 24 Vahlen 2 ; B.O.L. i. 12-13  Warmington. ' Frag. Poet. Lat., page 52 Morel.  1 Frag. Poet. Lat., page 42 Morel ; the poet's name is  doubtful : Priscian, ii. 90. 2 K., calls him Pomponius, and  Bergk, Opusc. i. 88, proposes Pompilius. 9 Casca was  a male cognomen in the Servilian gens only ; for this reason  Potonius is rather to be taken as a jesting family name of  the arnica. h Pusum puellam (see crit. note) was origin-   296     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 28-29   First, cascum means ' old ' ; secondly, it has its origin  from the Sabine language, 6 which ran its roots back  into Oscan. c That cascum is ' old,' is indicated by the  phrase of Ennius a :   Land that the Early Latins then held, the long-ago  peoples.   It is even better shown in Manilius's utterance e :   That Whitehead married Oldie is surely no surprise :  The marriage, when he made it, was aged and decayed.   It is shown likewise in the epigram of Papinius/ which  he made with reference to the youth Casca :   Funny it is, when your mistress tenderly calls you her  " Casca " 3 :   Daughter of Rummy she, old and a half — you a boy.  Call her your " laddie " A ; for thus there will be the   mule's trade of favours ' :  You're but a lad, to be sure ; Oldie's the name for   your girl.   29. The same is shown by the fact that there is a  town named Casinum, a which was inhabited by the  Samnites, who originated from the Sabines, 6 and we  Romans even now call it Old Market. Likewise in  several Atellan farces c the word denotes Pappus, an  old man's character, because the Oscans call an old  man casnar.   ally a marginal gloss to pusam, since pusus had no normal  feminine form ; cf. French la garqonne. But the gloss  crept into the text. ' Proverbial phrase, equal to ' tit for  tat,' or ' an eye for an eye.'   § 29. A town of southeastern Latium, on the borders of  Samnium. b The Samnites and the Sabines were separate  peoples, but their names are etymologically related, and so  presumably were the two peoples. e Com. Rom. Frag,  inc. nom. vii. p. 334 Ribbeck 3 ; these farces were named  from Atella, an Oscan town in Campania a few miles north  of Naples.   297     VARRO   30. Apud Lucilium :   Quid tibi ego ambages Ambiv(i) 1 scribere coner ?   Profectum a verbo ambe, quod inest in ambitu et  ambitioso.   31. Apud Valerium Soranura :   Vetus adagio est, O Publi 1 Scipio,  quod verbum usque eo evanuit, ut Graecum pro eo  positum magis sit apertum : nam id(em) est 2 quod  Trapoi/xiav vocant Graeci, ut est :   Auribus lupum teneo ;  Canis caninam non est.   Adagio est littera commutata a(m)bagio, 3 dicta ab  eo quod ambit orationem, neque in aliqua una re  consistit sola. (Amb)agio 4 dicta ut a(m)6ustum, 5  quo(d) 6 circum ustum est, ut ambegna 7 bos apud  augures, quam circum aliae hostiae constituuntur.   32. Cum tria sint coniuncta in origine verborum  quae sint animadvertenda, a quo sit impositum et in  quo et quid, saepe non minus de tertio quam de  primo dubitatur, ut in hoc, utrum primum una canis   § 30. 1 Laetus, for ambiu.   § 31. 1 Abbreviated to P in F. 2 idem est Mve. ; idem  early edd., with later codd. ; for id est F. 3 Tvrnebus,  for abagio. 4 L. Sp. ; adagio Laetus ; for agio. 8 Aug.,  for adustum. 6 Laetus, M, for quo. 7 Tvrnebus, with  Festus, 4. 16 M., for ambiegna.     § 30. ° 1281 Marx. 6 If the text is correctly restored,  this is L. Ambivius Turpio, famous stage director and actor  of Caecilius Statius and of Terence ; Lucilius puns on his  name. c Equal to Greek a^i, and found in Latin only  as a prefix.   § 31. "A little-known writer of the second century b.c. ;  Frag. Poet, Lat., page 40 Morel. b Adagio, gen. -onis ; not   298     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 30-32     30. In Lucilius ° :   Why should I try to tell to you Roundway's * round-  about speeches ?   The word ambages ' circumlocutions ' comes from the  word ambe c ' round about,' which is present in ambitus  ' circuit ' and in ambitiosus ' going around (for votes),  ambitious.'   31. In Valerius of Sora a is the following :   It is an old adagio, 1 * Publius Scipio.   This word has gone out of use to such a,point that the  Greek word put for it is more easily understood : for  it is the same as that which the Greeks call Trapoifita  ' proverb,' as for example :   I'm holding a wolf by the ears, c  Dog doesn't eat dog-flesh.   Now adagio d is only ambagio with a letter changed,  which is said because it ambit ' goes around ' the dis-  course and does not stop at some one thing only."  Ambagio resembles ambustum, which is ' burnt around,'  and an ambegna cow f in the augural speech, 9 which is  a cow around which other victims are arranged.   32. Whereas there are three things combined  which must be observed in the origin of words, namely  from what the word is applied, and to what, and what  it is, often there is doubt about the third no less than  about the first, as in this case, whether the word  for dog in the singular was at first canis or canes :   the more usual adagium. e Terence, Phor. 506, etc.  4 Really from ad ' thereto ' and the root of aio 'I say.'  e That is, it applies also to other things than that which it  specifically mentions. ' ' Having a lamb {agna) on each  side.' 8 Page 17 Regell.   299     VARRO   aut canes si^ 1 appellata : dicta enim apud veteres una  canes. Itaque Ennius scribit :   Tantidem quasi feta 2 canes sine dentibus latrat.   Lucilius :   Nequam et magnus homo, laniorum immams 3 canes ut.   Impositio unius debuit esse canis, plurium canes ; sed  neque Ennius consuetudinem illam sequens repre-  hendendus, nec is qui nunc dicit :   Canis canina(m> 4 non est.   Sed canes quod latratu 5 signum dant, ut signa canunt,  canes appellatae, et quod ea voce indicant noctu quae  latent, latratus appellatus.   33. Sic dictum a quibusdam ut una canes, una  trabes :   (Trabes) 1 remis rostrata per altum.   Ennius :   Utinam ne in nemore Pelio 2 securibiis  Caesa accidisset abiegna ad terram trabes,   cuius verbi singularis casus rect«s 3 correptus 4 ac facta  trabs.   § 32. 1 For sic. 2 For faeta. 3 Aug., with B, for  immanes. 4 Laetus, for canina. 6 M, V,p, Laetus,for  latratus.   § 33. 1 Added by Colnmnn. 2 For polio. 3 Sciop.,  for recte. 4 Laetus, for correctus.     §32. ° Ann. 528 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 432-433 Warming-  ton. 6 Her bark is worse than her bite, as a pregnant  bitch was proverbially harmless ; cf. Plautus, Most. 852,  Tarn placidast {ilia canis) quam feta quaevis. e 1221   300     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 32-33   for in the older writers the expression is one canes.  Therefore Ennius writes the following, using canes a :   Barks just as loud as a pregnant bitch : but she's  toothless. 6   Lucilius also uses canes :   Worthless man and huge, like the monstrous dog  of the butchers.   When applied to one, the word should have been  cams, and when applied to several it should have been  canes ; but Ennius ought not to be blamed for follow-  ing the earlier custom, nor should he who now says :   Canis ' dog ' doesn't eat dog-flesh.   But because dogs by their barking give the signal, as  it were, canunt ' sound ' the signals, they are called  canes ; and because by this noise they make known  the things which latent ' are hidden ' in the night, their  barking is called latratus. d   33. As some have said canes in the singular, so  others have said trabes ' beam, ship ' in the singular :   The beaked trabes is driven by oars through the waters.   Ennius used trabes in the following 6 :   I would the trabes of the fir-tree ne'er had fall'n  To earth, in Pelion's forest, by the axes cut !   But now the nominative singular of this word has lost  a vowel and become trabs.   Marx. d Canis is not etymologically connected with  canere, nor tat rat us with latere.   §33. ° Ennius, Ann. 616 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 458-459  Warmington. * Medea Exul, Trag. Rom. Frag. 205-  206 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 312-313 Warmington; that is,  " would that the ship Argo had never been built."   301     VARRO   34. In Medo :   Caelitum Camilla, expectata advenis : salve, Aospita.  Camilla(m) 1 qui glos(s)emata interpretati dixerunt  administram ; addi oportet, in his quae occultiora :  itaque dicitur nuptiis camillus 2 qui cumerum 3 fert, in  quo quid sit, in ministerio plerique extrinsecus  neim 1 :   Subulo quondam marinas propter astabat plagas. 2  Subulo dictus, quod ita dicunt tibicines Tusci : quo-  circa radices eius in Etr(ur)ia, non Latio quaerundae. 3   36. Versibus quo(s) 1 olim Fauni 2 vatesque canebant.   Fauni dei Latinorum, ita ut et Faunus et Fauna sit ;  hos versibus quos vocant Saturnios in silvestribus  locis traditum est solitos fari (futura, 3 a) 4 quo fando   § 34.. 1 Mue., for Camilla. 2 Turnebus, for scamillus.  3 Turnebus, for quicum merum. 4 Turnebus, for nectunc.  6 For casmillus.   § 35. 1 Laetus, for enim. 2 Mue., from Fest. 309 a 5  M., for aquas. 3 Victorius, for querunda e.   §36. 1 Aldus, for quo. 2 Laetus deleted et after Fauni,  following Cicero, Div. i. 50. 114, Brut. 18. 71, Orator, 51. 171.  3 Added by Mue., from Serv. Dan. in Georg. i. 11. 4 Added  by Aug.     §34. "Pacuvius, Trag. Rom. Frag. 232 Ribbeck 3 ;  R.O.L. ii. 256-257 Warmington. 6 Page 112 Funaioli.  c Probably certain belongings of the bride. d Identified  with Hermes, the messenger of the gods, according to Ma-  crobius, Sat. iii. 8. 6. ' More probably Etruscan than  Greek : there were Etruscans on Lemnos, not far from  Samothrace, which may explain the use of the similar word   302     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 34-36     34. In the Medus a :   Long awaited, Camilla of the gods, thou comest ;  guest, all hail !   A Camilla, according to those who have interpreted 6  difficult words, is a handmaid assistant ; one ought to  add, in matters of a more secret nature : therefore at  a marriage he is called a camillus who carries the box  the contents of which c are unknown to most of the  uninitiated persons who perform the service. From  this, the name Casmilus is given, in the Samothracian  mysteries, to a certain divine personage who attends  upon the Great Gods.  6 poematis cum scribam  ostendam.   37. Corpore Tartarino prognata Pallida virago.  Tartarino dictj^m) 1 a Tartaro. Plato in IIII de  fluminibus apud inferos quae sint in his unum Tar-  tarum appellat : quare Tartari origo Graeca. Paluda  a paludamentis. Haec insignia atque ornamenta  militaria : ideo ad bellum cum exit imperator ac  lictores mutarunt vestem et signa incinuerunt, palu-  datus dicitur proficisci ; quae propter quod con-  spiciuntur qui ea habent ac fiunt palam, paludamenta  dicta.   38. Plautus :   Epeum fumificum, qui legioni nostrae habet  Coctum cibum.   Epeum fumificum cocum, ab Epeo illo qui dicitur ad  Troiam fecisse Equum Troianum et Argivis cibum  curasse.   39. Apud Naevium :   Atque 1 prius pariet lucusta 2 Lucam bovem.   Luca bos elepAans ; cur ita sit dicta, duobus modis   5 Canal and L. Sp., for antiquos. 6 Added by L. Sp., cf.  vi. 52.   § 37. 1 Laetus, for dicta.   § 39. 1 For at quae. 2 For lucustam.   c This applies both to words and to music. d Page 213  Funaioli.   §37. "Ennius, Ann. 521 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 96-97  Warmington; referring to Discordia, an incarnation of chaos.  b Phaedo, 112-113; in Thrasyllus' numbering of Plato's  dialogues, the Phaedo was the fourth in the first tetralogy.  But in Plato's account, Tartarus is not a river of Hades, but  the abyss beneath, into which all the rivers of Hades empty.  c Of unknown etymology ; not from palam.     304.      ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 36-39     rates ' poets,' the old writers used to give this name to  poets from viere ' to plait ' c verses, as I shall show  when I write about poems. d   37. Born of a Tartarine body, the w arrior maiden   Paluda.   Tartarinum ' Tartarine ' is derived from Tartarus.  Plato in his Fourth Dialogue,* speaking of the rivers  which are in the world of the dead, gives Tartarus as  the name of one of them ; therefore the origin of  Tartarus is Greek. Paluda c is from paludamenta,  which are distinguishing garments and adornments  in the army ; therefore when the general goes forth  to war and the lictors have changed their garb and  have sounded the signals, he is said to set forth palu-  datus ' wearing the pahdamentum.' The reason why  these garments are called paludamenta is that those  who wear them are on account of them conspicuous  and are made palam ' plainly * visible.   38. Plautus has this a :   Epeus the maker of smoke, who for our army gets  The well-cooked food.   Epeus fumificus ' the smoke-maker ' was a cook,  named from that Epeus who is said to have made the  Trojan Horse at Troy and to have looked after the  food of the Greeks. 6   39. In Naevius is the verse a :   And sooner will a lobster give birth to a Luca bos.  Luca bos is an elephant ; why it is thus called, I have   § 38. Fab. inc. frag. 1 Ritschl. * Epeus is not else-  where said to have been a cook, though he is said to have  furnished the Atridae with their water supply.   § 39. « Frag. Poet. Jxit., page 28 Morel; R.O.L. ii. 72-73  Warmington.   vol. I x 305     VARRO     inveni scriptum. Nam et in Cornelii Commentario  erat ab Libycis Lucas, et in Vergilu 3 ab Lucanis  Lucas ; ab co quod nostri, cum maximam quadri-  pedem quam ipsi habercnt vocarent bovem et in  Lucanis PyrrAi bello primum vidissent apud hostis  elep^antos, id est 4 item quadripedes cornutas (nam  quos dentes multi dicunt sunt cornua), Lucanam  bovem quod putabant, Lucam bovem appellasse(nt). 5   40. Si ab Libya dictae essent Lucae, fortasse an  pantherae quoque et leones non Africae bestiae  dicerentur, sed Lucae ; neque ursi potius Lucani  quam Luci. Quare ego 1 arbitror potius Lucas ab  luce, quod longe relucebant propter inauratos regios  clupeos, quibus eorum turn ornatae erant turres.   41. Apud Ennium :   Orator sine pace redit regique refert rem.  Orator dictus ab oratione : qui enim verba 1 haberet  publice adversus eum quo legabatur, 2 ab oratione  orator dictus ; cum res maior erat (act)iom', 3 lege-   3 For uirgilius. 4 Aug. deleted non after est. 5 O, H,  Mue., for appellasse.   § 40. 1 G, H, M, for ergo.   §41. 1 Sciop. deleted orationum after verba. 2 Seal i-  ger, for legebatur. 3 GS. (maior erat Turn.), for maiore  ratione.     6 Cf. v. 150. " An otherwise unknown author; page 106  Funaioli. a Varro is wrong ; elephants' tusks are teeth.  * Apparently correct ; iAicanus was in Oscan Jsucans, pro-  nounced Lucas by the Romans, to which a feminine form  Lnica was made.  306     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 39-41     found set forth by the authors hi two ways. For in  the Commentary of Cornelius 6 was the statement that  Lucas is from Libyci ' the Libyans,' and in that of Ver-  gilius, c that Lucas was from Lucani ' the Lucanians ' :  from the fact that our compatriots used to call the  largest quadruped that they themselves had, a bos  ' cow ' ; and so, when among the Lucanians, in the  war with Pyrrhus, they first saw elephants in the  ranks of the enemy — that is, horned quadrupeds like-  wise (for what many call teeth are really horns riai. 1  Olli valet dictum illi ab olla et olio, quod alterum  comitiis cum recitatur a praecone dicitur olla centuria,  non ilia ; alterum apparet in funeribus indictivis, quo  dicitur   Ollus leto 2 datus est,  quod Graecus dicit ^jOy, id est oblivioni.   43. Apud Ennium :   Mensas constituit idemque ancilia (primus. 1  Ancilia) 2 dicta ab ambecisu, quod ea arma ab utraquc  parte ut TTzracum incisa.   44. Libaque, 1 fictores, Argeos et tutulatos.  Liba, quod libandi causa fiunt. Fictores dicti a fin-  gendis libis. Argei ab Argis ; Argei fiunt e scir-  peis, simulacra hominum XXVII ; ea quotannis de   § 42. 1 Victor his, for egria i. 2 For laeto.  § 43. 1 Added by Scaliger. 2 Added by B, Laetns.  § 44. 1 Victorius, for incisa saliba quae {which includes  the end of § 43).   c Ann. 582 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 438-439 Warmington.   § 42. ° Ann. 119 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43 Warmington ;  a conversation between Numa Pompilius and his adviser,  the nymph Egeria. 6 Fest. 254 a 34 M. inserts Quirts  in this formula after ollus. c Of uncertain etymology,  but not from the Greek.   § 43. ° Ann. 120 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43 Warmington ;  enumerating the institutions of Numa Pompilius. 6 Of  the priests ; cf. Livy, i. 20. e Cf vi. 22.   §44. "Ennius, Ann. 121 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43   308     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 41-44     port, those were selected for the pleading who could  plead the case most skilfully. Therefore Ennius  says c :   Spokesmen, learnedly speaking.   42. In Ennius is this a :   Olli answered Egeria's voice, speaking softly and sweetly.   Olli ' to him ' is the same as Mi, dative to feminine olla  and to mascuhne ollus. The one of these is said by  the herald when he announces at the elections " Olla  ' that ' century," and not Ma. The other is heard in  the case of funerals of which announcement is made,  wherein is said   Ollus h ' that man ' has been given to letum e ' death,'  which the Greek calls XrjOrj, that is, oblivion.   43. In Ennius this verse is found a :   Banquets 6 he first did establish, and likewise the  shields c that are holy   The ancilia ' shields ' were named from their ambe-  cisus ' incision on both sides,' because these arms  were incised at right and left like those of the  Thracians.   44. Cakes and their bakers, Argei and priests with   conical topknots."   Liba ' cakes,' so named because they are made  libare ' to offer ' to the gods. 6 Fictores ' bakers ' were  so called irom Jingere ' to shape ' the liba. Argei from  the city Argos c : the Argei are made of rushes, human  figures twenty-seven d in number ; these are each   Warmington; continuing the list of Numa's institutions.  * Libare is derived from liba I c Etymology of Argei and  of tutulus quite uncertain. * On the number, see v. 45,  note a.   309     VARRO   Ponte Sublicio a sacerdotibus publice dezci 2 solent in  Tiberim. Tutulati dicti hi, qui in sacris in capitibus  habere solent ut metam ; id tutulus appellatus ab eo  quod matres familias crines convolutos ad verticem  capitis quos habent vit(ta} 3 velatos 4 dicebantur tutuli,  sive ab eo quod id tuendi causa capilli fiebat, sive ab  eo quod altissimum in urbe quod est, Arcs, 5 tutis-  simum vocatur.   45. Eundem Pompilium ait fecisse flamines, qui  cum omnes sunt a singulis deis cognominati, in qui-  busdam apparent erv/xa, ut cur sit Martialis et Quiri-  nalis ; sunt in quibus flaminum cognominibus latent  origines, ut in his qui sunt versibus plerique :   Volturnalem, Palatualem, Furinalem,  Floralemqu^ 1 Falacrem et PomonaJem fecit  Hie idem,   quae o(b>scura sunt ; eorum origo Volturnus, diva  Palatua, Furrina, Flora, Falacer pater, Pomona. 2   46. Apud Ennium :   lam cata signa ferae 1 sonitum dare voce parabant.   Cata acuta : hoc enim verbo dicunt Sa&ini : quare   Catus Melius Sextus   2 Rhoh, for duci. 3 Mue. ; vittis Popma ; for uti.  4 Laetus, for velatas. 5 For ares.   § 45. 1 Mue., for floralem qui. 2 Turnebus, for pomo-  rum nam.   § 46. 1 So F ; but fera {agreeing with voce) Mue.     " See § 44 note c.   §45. "Ennius, Ann. 122-124 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 44-45  Warmington. 6 The protecting spirit of the Palatine.   §46. Ann. 459 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 182-183 "Warming-  ton. "Ennius, Ann. 331 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 120-121   310     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 44-46     year thrown into the Tiber from the Bridge-on-Piles,  by the priests, acting on behalf of the state. These  are called tutulati ' provided with tutuli,' since they at  the sacrifices are accustomed to have on their heads  something like a conical marker ; this is called a  tutulus from the fact e that the twisted locks of hair  which the matrons wear on the tops of their heads  wrapped with a woollen band, used to be called tutuli,  whether named from the fact that this was done for  the purpose of tueri ' protecting ' the hair, or because  that which is highest in the city, namely the Citadel,  was called tutissimum ' safest.'   45. He says ° that this same Pompilius created  the flamens or special priests, every one of whom gets  a distinguishing name from one special god : in cer-  tain cases the sources are clear, for example, why one  is called Martial and another Quirinal ; but there are  others who have titles of quite hidden origin, as most  of those in these verses :   The Volturnal, Palatual, the Furinal, and Floral,  Falacrine and Pomonal this ruler likewise created ;   and these are obscure. Their origins are Volturnus,  the divine Palatua, 6 Furrina, Flora, Father Falacer,  Pomona.   46. In Ennius is this verse ° :   Now the beasts were about to give cry, their shrill-toned  signals.   In this, cata ' shrill-toned ' is acuta ' sharp or pointed,'  for the Sabines use the word in this meaning ; there-  fore   Keen Aelius Sextus *   Warmington ; Sextus Aelius Paetus, consul 198, censor  194, a distinguished writer on Roman law.   311     VARRO     non, ut aiunt, sapiens, sed acutus, et quod est :   Tunc cepit memorare simul cata 2 dicta,  accipienda acuta dicta.   47. Apud Lucilium :   Quid est P 1 Thynno capto co&ium 2 excludunt foras,   et   Occidunt, Lupe, saperdae te 3 et iura siluri   et   Sumere te atque amian.  Piscium nomina sunt eorumque in Groecia origo.   48. Apud Ennium :   Quae cava corpore caeruleo (c)orh'na receptat. 1  Cava cortina dicta, quod est inter terram et caelum  ad similitudinem cortinae Apollinis ; ea a eorde, quod  inde sortes primae existimatae.   49. Apud Ennium :   Quin inde invitis sumpserwnt 1 perduellibus.   2 Bergk filled out the verse by reading simul stulta et cata,  Vahlen, by proposing simul lacrimans cata.   § 47. 1 L. Sp., for quidem. 2 Mue., for corium.   3 Turnebus, for lupes aper de te.   § 48. 1 Mue. (following Turnebus in cava and cortina  receptat, and Scaliger in deleting in and caelo; he himself  deleted que and transposed corpore cava), for quaeque in  corpore causa ceruleo caelo orta nare ceptat.   § 49. 1 M, Laetus, for sumpserint.     "Page 115 Funaioli. d Ennius, Ann. 529 Vahlen 2 ;  R.O.L. i. 458-459 Warmington.   § 47. a Respectively 938, 54, 1304 Marx. 6 Lucilius  puns on iura, 'sauces ' and ' rights, justice,' and on Lupe, a  man's name and also a kind of fish. Respectively Ovwos  ' tunny,' called horse-mackerel and tuna in America ; Kw&og  ' sand-goby,' a worthless fish ; o. 3   Roram 1 dicti ab rore qui bellum committebant, ideo  quod ante rorat quam plu«7. 4 Accensos 5 ministra-  tores Cato esse scribit ; potest id (ab censione, id  est) 6 ab arbitrio : nam ide(m) 7 ad arbitrium eius  cuius minister.   59- Pacuvius :   Cum deum triportenta . .  60. In Mercatore :   Non tibi 1 istuc magis dividiaest 2 quam mihi hodie fuit.   (Eadem (vi) 3 hoc est in Corollaria Naevius (usus). 4 )  Dividia ab dividendo dicta, quod divisio distractio est  doloris : itaque idem in Curculione ait :   Sed quid tibi est ? — Lien enecat, 5 renes dolent,  Pulmones distrahuntur.   § 58. 1 RhoL, for rorani. 2 F 2, for an F 1 . 3 Added  by Kent, to complete verse metrically. 4 H 2 and p, for  plusti. 5 For acensos F 1, adcensos F 2 . 6 Added by GS.  7 Brakmann, for inde.   § 59. 1 Lacuna marked by Scaliger.   § 60. 1 L. Sp. deleted in mercatore non tibi, here repeated  in F. 2 Aug., for diuidia est, from the text of Plautus.  3 Added by GS. 4 Added by L. Sp. 5 b, for liene negat.     b That is, not to be retained in the hand during use.   § 58. a Plautus, Friv. frag. IV Ritschl. 6 Page 81. 14  Jordan. e For correct etymology, see vi. 89, note a.   §59. a Trag. Rom. Frag. 381 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 304-   320     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 57-60     empty and profitless ; or because those were called  ferentarii cavalrymen who had only weapons which  ferrentur ' were to be thrown,' 6 such as a javelin.  Cavalrymen of this kind I have seen in a painting in  the old temple of Aesculapius, with the label "feren-  tarii."   58. In The Story of the Trifles a :   Where are you, rorarii ? Behold, they're here.  Where are the accensi ? See, they're here.   Rorarii ' skirmishers ' were those who started the  battle, named from the ros ' dew-drops,' because it  rorat ' sprinkles ' before it really rains. The accensi,  Cato writes, 6 were attendants ; the word may be  from censio ' opinion,' that is, from arbitrium ' de-  cision,' for the accensus c is present to do the arbitrium  of him whose attendant he is.   59- Pacuvius says a :   When the gods' portents triply strong . . .   60. In The Trader a :  That's no more a dividia to you than 'twas to me to-day.  (This word was used by Naevius in The Story of the  Garland, b in the same meaning.) Dividia ' vexation '  is said from dividere ' to divide,' because the distractio  ' pulling asunder ' caused by pain is a division ;  therefore the same author says in the Curculio e :   But what's the matter ? — Stitch in the side, an aching  back,   And my lungs are torn asunder.   305 Warmington ; perhaps referring to portents of the in-  fernal deities.   § 60. Plautus, Merc. 619. " Cam. Rom. Frag. IX  Ribbeck*. e Plautus, Cure. 236-237 ; literally, ' my  spleen kills me, my kidneys hurt me.'   vol. 1 Y 321     VARRO   61. In Pagone :   Honos syncerasto peri(i>t, x pernis, gla stribula 1 (a)ut 2 de lumbo obscena viscera. 3  Stribula, ut Opil/us 4 scribit, circum coxendices 5 sunt  bovis e ; id Graecum est ab eius loci versura.   68. In (N)ervolaria 1 :   Scobina 2 ego illu?i(c) 3 actutum adrasi (s)enem. 4  Scobinam a scobe : lima enim materia(e) 5 fabrilis est.   69. In Penulo :   Vinceretis cerium curs?* 1 vel gralatorem 2 gradu. 3  Gral(l)ator 2 a gradu 3 magno dictus.   70. In Truculento :   Sine virtute argutum civem mihi habeam pro praefica.  (Praefica) 1 dicta, ut Aurelius scribit, mulier ab luco  quae conduceretur quae ante domum mortui laudis   ' Added by Mue., whose et was changed to ut by GS.   § 67. 1 Buecheler, for distribute. 2 Sciop., for ut.  3 Mue., for obscenabis cera, with o above first e and v above  second b, F 1 . 4 GS. (cf. vii. 50), for opilius. 5 Aldus,  for coxa indices. 6 Sciop., for uobis.   § 68. 1 Aldus, for eruolaria. 2 Sciop., for scobinam.  3 A. Sp., metri gratia, for ilium. 4 Lachmann, for enim.  5 Canal, for materia.   §69. 1 Aldus, from Plautus, for circumcurso. 2 -1I-,  from Festns, 97. 12 M. 3 Aldus, from Plautus, for gradum.   § 70. 1 Added by B, Aldus.   c Page 97 Funaioli.   § 67. ° Plautus, Frag. 52 Ritschl. 6 Page 92 Funaioli.  c Of uncertain etymology ; Festus, 313 a 34 M ., has strebula,  and calls it an Umbrian word. d Varro perhaps derived  it from Greek orpefiXos ' twisted.'  326     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 66-70   Claudius c writes that women who make joint en-  treaties are clearly shown to be axitiosae ' united,  unionist.' Axitiosae is from agere ' to act ' : as fac-  tiosae ' partisan women ' are named from facere  ' doing ' something in unison, so axitiosae are named  from agere ' acting ' together, as though actiosae.   67. In the Cesistio a :   For the gods the thigh-meats or the lewd parts from  the loins.   Stribula ' thigh-meats,' as Opillus 6 - writes, are the  fleshy parts of cattle around the hips ; the word c is  Greek, derived from the fact that in this place there  is a socket-joint. d   68. In The Story of the Prison Ropes a :   At once I with my rasp did scrape the old fellow clean.   Scobina ' rasp,' from scobis ' sawdust ' ; for a file belongs  to a carpenter's equipment.   69- In The Little Man from Carthage a :   You'd outdo the stag in running or the stilt-walker  in stride.   Grallator ' stilt-walker ' is said from his great gradus  ' stride.'   70. In The Rough Customer a :   Although without a deed of bravery I may have  A clear-toned citizen as leader of my praise.   Praefica ' praise-leader,' as Aurelius 6 writes, is a name  applied to a woman from the grove of Libitina, 6 who  was to be hired to sing the praises of a dead man in   § 68. ° Plautus, Frag. 94 Ritschl.  § 69. ° Plautus, Poen. 530.   § 70. ° Plautus. True. 495. " Page 90 Funaioli.  c Where the wailing-women had their stand ; cf. Dionysius  Halic iv. 15.   327     VARRO   eius caneret. Hoc factitatum Aristoteles scribit in  libro qui (in)scribitur 2 No/xi/m (3apj3apiKa, 3 quibus  testimonium est, quod (in) Freto est 4 Noevii :   Haec quidem hercle, opinor, praefica est : nam  mortuum collaudat.   Claudius scribit :   Quae praeficeretur ancillis, quemadmodum  lamentarentur, praefica est dicta.   Utrumque ostendit a praefectione praeficam dictam.  71. Apud Ennium :   Decern Coclites quas montibus summis  Ripaeis fodere. 1   Ab oculo codes, ut ocles, dictus, qui unum haberet  oculum : quocirca in Curculione est :   De Coclitum prosapia  2 esse arbitror :  Nam hi sunt unoculi.   IV. 72. Nunc de temporibus dicam. Quod est  apud Cassium :   Nocte intempesta nostram devenit domum,   intempesta nox dicta ab tempestate, tempestas ab   2 Aug., with B, for scribitur. 3 Turnebus, for nomina  barbarica. 4 GS. ; Freto inest Canal ; for f return est.   § 71. 1 a, Ttirnebvs,for federe. 2 Added by Aug., from  Plautus.     d Frag. 604, page 367 Rose. " Coin. Rom. Frag. 129  Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 142-143 Warmington. 'Page 98  Funaioli.   § 71. ° Sat. 67-68 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 392-393 Warming-  ton. The one-eyed Arimaspi of northern Scythia (where the  Rhipaean or Rhiphaean mountains were located) were said  to have taken much gold from their neighbours the Grypes  (or Griffins); cf. Herodotus, iii. 116, iv. 13, iv. 27, who   328     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 70-72   front of his house. That this was regularly done, is  stated by Aristotle in his book entitled Customs of  Foreign Nations d ; whereto there is the testimony  which is in The Strait of Naevius e :   Dear me, I think, the woman's a praefica : it's a dead  man she is praising.   Claudius writes f :   A woman who praeficeret ur ' was to be put in charge '  of the maids as to how they should perform their  lamentations, was called a praefica.   Both passages show that the praefica was named from  praefectio ' appointment as leader.'  71. In Ennius we find ° :   Treasures which ten of the Coclites buried,  High on the tops of Rhiphaean mountains.   Codes ' one-eyed ' was derived from ociilus ' eye,' as  though ocles, b and denoted a person who had only  one eye ; therefore in the Curculio c there is this :   I think that you are from the race of Coclites ;  For they are one-eyed.   IV. 72. Now I shall speak of terms denoting time.  In the phrase of Cassius,"   By dead of night he came unto our home,   intempesta nox ' dead of night ' is derived from tem-  pestas, and tempestas from tempus ' time ' : a nox   quotes (with incredulity) from a poem by Aristeas of Procon-  nesus. Fodere = infodere. * Varro means, from co-ocles  ' with an eye ' ; but the word is derived from Greek kvkXcdi/i,  through the Etruscan. e Plantus, Cure. 393-394.   § 72. ° Accius, Com. Rom. Frag. Praet. V, verse 41 Rib-  beck 8 ; R.O.L. ii. 562-563 Warmington ; repeated from  vi. 7, where see note a on authorship.   329     VARRO   tempore ; nox intempesta, quo tempore nihil 1  agitur.   73. Quid noctis videtur ? — In altisono  Caeli clipeo temo superat  Stellas sublime(n) 1 agens etiam  Atque etiam noctis iter.   Hie multam noctem ostendere volt a temonis motu ;  sed temo unde et cur dicatur latet. Arbitror antiques  rusticos primum notasse quaedam in caelo signa, quae  praeter alia erant insignia atque ad aliquem usum,  (ut) 2 culturae tempus, designandum convenire  animadvertebantur.   74. Eius signa sunt, quod has septem Stellas  Graeci ut Homcrus voca(n)t a/jui^ar 1 et propinquum  eius signum {3qwti)v, nostri eas septem Stellas  (t)r(i)o«es 2 et temonem et prope eas axem : triones  enim et boves appellantur a bubulcis etiam nunc,  maxime cum arant terra??* 3 ; e quis ut dicti   Valentes glebarii,  qui facile proscindunt glebas, sic omnes qui terram  arabant a terra terriones, unde triones ut dicerentur   detrito. 4   75. Temo dictus a tenendo : is enim continet  § 72. 1 For nichil.   §73. 1 Skutsch, after Buecheler, for sublime. 2 Added  by Mue.   §74. 1 For AMA2AN. 2 L. Sp.,/or boues. 3 For  terras. 4 A tig., for de tritu.   §73. "Ennius, Trag. Rom. Frag. 177-180 Ribbeck 3 ;  R.O.L. i. 300-301 Warmington; freely adapted from Euri-  pides, Iphig. in Aid. 6-8; anapaestic. Cf. v. 19, above.  6 Signa in this and the following seems to vary in meaning  between ' signs = marks ' and ' signs = constellations.'   § 74. " E.g., Od. v. 272-273. 6 Charles' Wain, or the  Great Dipper ; and other parts of the constellation Ursa   330     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 72-75     intempesta ' un-timely night ' is a time at which no  activity goes on.   73. What time of the night doth it seem ? — In the shield  Of the sky, that soundeth aloft, lo the Pole   Of the Wain outstrippeth the stars as on high  More and more it driveth its journey of night."   Here the author -wishes to indicate that the night is  advanced, from the motion of the Temo ' Wagon-  Pole ' ; but the origin of Temo and the reason for its  use, are hidden. My opinion is that in old times the  farmers first noticed certain signs 6 in the sky which  were more conspicuous than the rest, and w T hich were  observed as suitable to indicate some profitable use,  such as the time for tilling the fields.   74. The marks of this one are, that the Greeks, for  example Homer, call these seven stars the Wagon 6  and the sign that is next to it the Ploughman, while  our countrymen call these seven stars the Triones  ' Plough-Oxen ' and the Temo ' Wagon-Pole ' and near  them the Axis ' axle of the earth, north pole * c : for  indeed oxen are called triones by the ploughmen even  now, especially when they are ploughing the land ;  just as those of them which easily cleave the glebae  ' clods of earth ' are called   Mighty glebarii ' clod-breakers,'   so all that ploughed the land were from terra ' land '  called terriones, so that from this they were called  triones, d with loss of the E.   75. Temo is derived from tenere ' to hold ' ° : for it   Major. e Or perhaps even the Pole-Star itself. d Trio  is a derivative of terere ' to tread,' cf. perf. trivi and ptc.  tritus.   § 75. ° Wrong etymology.   331     VARRO   iugum et plaustrum, appellatum a parte 1 totum, ut  multa. Possunt triones dicti, VII quod ita sitae  stellae, ut ternae trigona faciant.   76. Aliquod lumen — iubarne ? — in caelo cerno.   Iubar dicitur stella Lucifer, quae in summo quod  habet lumen diffusum, ut leo in capite iubam. Huius  ortus significat circiter esse extremam noctem.  Itaque ait Pacuius :   Exorto iubare, noctis decurso itinere.   77. Apud Plautum in Parasito Pigro :   Inde hie bene potus 1 primo 2 crepusculo.   Crepusculum ab Saftinis, et id dubium tempus noctis  an diei sit. Itaque in Condalio est :   Tarn crepusculo, ferae 3 ut amant, lampades accendite.   Ideo (d)ubiae res 4 creperae dictae.   78. In Trinummo :   Concubium sit noctis priusquam (ad) 1 postremum  perveneris.   Concubium a concubitu dormiendi causa dictum.  § 75. 1 B, Laetus,for aperte.   § 77. 1 Pius, for de nepotus. 2 Scaliger, for primo.  3 Buecheler, for fere. 4 Laetus, for ubi heres.  § 78. 1 Added by Aug., from Plautus.   6 Wrong etymology.   § 76. ° Ennius, Trag. Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L.  i. 226-227 Warmington; cf. vi. 6 and vi. 81. 6 Iubar and  iuba are not etymologically connected. c That is, shortly  before sunrise, when it is visible in the eastern sky.  d Trag. Rom. Frag. 347 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 320-321  Warmington : cf. vi. 6.  332     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 75-78     continet ' holds together ' the yoke and the cart, the  whole being named from a part, as is true of many  things. The name triones may perhaps have been  given because the seven stars are so placed that the  sets of three stars make triangles. 1 *   76. I see some light in the sky — can it be dawn ? °   The morning-star is called iubar, because it has at the  top a diffused light, just as a lion has on his head a  tuba ' mane.' 6 Its rising c indicates that it is about  the end of the night. Therefore Pacuvius says d :   When morning-star appears and night has run her  course.   77. Plautus has this in The Lazy Hanger-on a :   From there to here, right drunk, he came, at early  dusk.   Crepusculum ' dusk ' is a word taken from the Sabines,  and it is the time when there is doubt whether it  belongs to the night or to the day. 6 Therefore in  The Finger-Ring there is this c :   So at dusk, the time when wild beasts make their  love, light up your lamps.   Therefore doubtful matters were called creperae. b   78. In The Three Shillings ° :   General resting time of night 'twould be, before you  reached its end.   Concubium ' general rest ' is said from concubitus  ' general lying-down ' for the purpose of sleeping. 6   § 77. ° Frag. I, verse 107 Ritschl. * Cf. vi. 5 and notes.  e Plautus, Frag. 60 Ritschl.   § 78. a Plautus, Trin. 8S6 ; that is, " if I should try to  tell you my name." * Cf. vi. 7 and note c.   333     VARRO     79. In Asinaria :   Videbitur, factum volo : redito 1 conticim'o. 2   Putem a conticiscendo conticinn/m 3 sive, ut Opil/us 4  scribit, ab eo cum conticuerunt homines.   V. 80. Nunc de his rebus quae assignificant ali-  quod tempus, cum dicuntur aut fiunt, dicam.   Apud Accium :   Reciproca tendens nervo equino concita  Tela.   Reciproca est cum unde quid profectum redit eo ; ab  recipere reciprocare Actum, aut quod poscere procare 1  dictum.   81. Apud Plautum :   Ut 1 transversus, 2 non proversus cedit quasi cancer  solet.   (Proversus) 3 dicitur ab eo qui in id quod est (ante,  est) 4 versus, et ideo qui exit in vestibulum, quod est  ante domum, prodire et procedere ; quod cum lerao 5  non faceret, sed secundum parietem transversus iret,   § 79. 1 A. Sp. ; redito hue Vertranius, from Plautus ; at  redito Rhol. ; for ad reditum. 2 Laetus, for conticinno.  3 Laetus, for conticinnam. 4 GS.,for o pilius ; cf. vii. 50,  vii. 67.   § 80. 1 B, Aldus, for prorogare.   § 81. 1 Bentinus,for aut. 2 Aug., for transuersum ;  the mss. of Plautus have non prorsus uerum ex transuerso  cedit ... 3 Added by L. Sp. 4 Added by Christ.  5 Aldus, for lemo.     § 79. Plautus, Asin. 685 ; where the text is redito hue.  Cf. vi. 7. 6 Page 88 Funaioli.   § 80. a That is, words of actions, whether or not they are  verbs. 6 Philoctetes, Trag. Rom. Frag. 545-546 Ribbeck 3 ;  Ji.O.L. ii. 512-513 Warmington. Reciproca tela is properly   334     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 79-81     79- In The Story of the Ass there is this verse a :   I'll see to it, I wish it done ; come back at conticinium.   I rather think that conticinium ' general silence ' is  from conticiscere ' to become silent,' or else, as Opillus 6  writes, from that time when men conticuerunt ' have  become silent.'   V. 80. Now I shall speak of those things which  have an added meaning of occurrence at some special  time, when they are said or done.   In Accius b :   The elastic weapon bring into action, bending it  With horse-hair string.   Reciproca ' elastic ' is a condition which is present  when a thing returns to the position from which it has  started. Reciprocare ' to move to and fro ' is made c  from recipere ' to take back,' or else because procare  was said for poscere ' to demand.' d  81. InPlautus :   How sidewise, as a crab is wont, he moves,  Not straight ahead.   Proversus ' straight ahead ' is said of a man who is  turned toward that which is in front of him ; and  therefore he who is going out into the vestibule,  which is at the front of the house, is said prodire ' to  go forth ' or procedere ' to proceed.' But since the  brothel-keeper was not doing this, but was going  sidewise along the wall, Plautus said " How sidewise   only the Homeric (Iliad, viii. 266, x. 459) iraAlmova t6£cl  ' backward-stretched bow,' and not as Varro interprets it.  e Probably from reque proque ' backward and forward ' ;  not as Varro interprets it. d That is, ' demand return.'   §81. " Pseud. 955; said of the brothel-keeper as he  enters.   335     VARRO     dixit " ut transversus cedit quasi cancer, non pro-  versus ut homo."   82. Apud Ennium :   Andromachae nomen qui indidit, recte 1 indidit.  Item :   Quapropter Parim pastores nunc Alexandrum vocant.   Imitari dum volm't* Eurip/den 3 et ponere ervfiov, est  lapsus ; nam Euripides quod Graeca posuit, eTv/ia  sunt aperta. Ille ait ideo nomen additum Andro-  machae, quod ai'S/yt ^a^eTca 4 : hoc Enni?/(m) 5 quis  potest intellegere in versu 6 significare   Andromachae nomen qui indidit, recte indidit,  aut Alexandrum ab eo appellatum in Graecia qui  Paris fuisset, a quo Herculem quoque cognominatum  aX^iKaKov, ab eo quod defensor esset hominum ?   83. Apud Accium :   Iamque Auroram rutilare procul  Cerno.   Aurora dicitur ante solis ortum, ab eo quod ab igni  solis turn aureo aer aurescit. Quod addit rutilare, est  ab eodem colore : aurei enim rutili, et inde equam 1 lymphata (aut Bacchi sacris  Commota.   Lymphata) 2 dicta a hympha ; (lympha) 3 a Nympha,  ut quod apud Graecos 9eT 5 spe quidem id successor* tibi ;  apud Pompilium :   Heu, qua me causa, Fortuna, infeste premis 7 ?   Quod ait iurgio, id est litibus : itaque quibus res erat  in controversia, ea vocabatur lis : ideo in actionibus  videmus dici   quam rem sive litem 8 dicere oportet.   Ex quo licet vidcre iurgare esse ab iure dictum, cum  quis iure litigaret ; ab quo obiurgat is qui id facit  iuste.   94. Apud LuczVium 1 :   Atque aliquo(t) sibi 2, 8 osmen, e  quo S 9 extritum.   98. Apud Plautum :   Quia ego antehac te amavi o 5 quidem nos pretio (facile 8   0>ptanti est 7 frequentare :   Ita in prandio nos lepide ac nitide   Accepisti,   apparet dicere : facile est curare ut (adsidue) 8 adsi-  mus, cum tarn 9 bene nos accipias.   100. Apud Ennium :   Decretum est stare i muset 1 obrutum.   §99. 1 Aug., for quo desimi. 2 Ellis ; fere quom  Canal; for ferret quern. 3 Aug., with B, for his.  4 Added by L. Sp. 5 GS. (pol istoc Aug., from Plautus),  for dicunto. 8 Added by Aug., from Plautus. 7 Schoell  (after A. Sp., icho proposed and rejected optanti), for ptanti  F, with p deleted by cross-lines. 8 Added by GS. ' Aug.,  for iam.   § 100. 1 GS., after Fest. 84. 7 M. ; est stare et fossari  Bergk ; est fossare B, Vertranius ; for est stare.   § 101. 1 L. Sp. ; fac is musset Mue. ; face musset Turne-  bus ; for facimus et.     § 99 ° Plautus, Cist. 6. b Frequens usually means  ' in numbers ' (that is, many at one place at the same time)  352     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 99-101   99- In the same author, the word frequentem b  frequent ' in   Frequent aid you gave me   means assiduam ' busily present ' : therefore he who is  at hand assiduus ' constantly present ' fere et quom  ' generally and when ' he ought to be, he is frequens,  as the opposite of which infrequens c is wont to be used.  Therefore that which these same girls say d :   Dear me, at that price that you say it is easy  For one who desires it to be frequently with us ;  So nicely and elegantly you received us  At luncheon,   clearly means : it is easy to get us to be constantly  present at your house, since you entertain us so well.   100. In Ennius ° :   Resolved are they to stand and be dug through their  bodies with javelins.   This verb Jbdare ' to dig ' which Ennius used, was made  from fodere ' to dig,' from which comes fossa ' ditch.'   101. In Ennius ° :   With words destroy him, crush him if he make a sound.   and not ' frequent ' (that is, one in the same place at many  different times), which is why the word here needs explana-  tion. Varro takes it as a shortening of the phrase fere et  quom=f, r, e'qu(ym+s, which needs no refutation. " Used  especially of a soldier qui abest afuitve a signis ' who is or has  been absent from his place in the ranks ' (Festus, 112. 7 M.).  d Cist. 8-11, with omissions ; anapaestic and bacchiac verses  alternately.   §100. 'Ann. 571 Vahlen*; B.O.L. i. 190-191 Warm-  ington.   § 101. » Trag. Rom. Frag. 393 Ribbeck 8 ; R.O.L. i. 378-  379 Warmington.   VOL. I 2 A 353     VARRO   Mussare dictum, quod muti non amplius quam fxv  dicunt ; a quo idem dicit id quod minimum est :   Neque, ut aiunt, (iD facere audent.   102. Apud Pacuium :   Di 1 monerint meliora atque amentiam averruncassint  (tuam. 2   Ab) 3 avertendo averruncare, ut deus qui in eis rebus  praeest Averruncus. Itaque ab eo precari solent, ut  pericula avertat.   103. In Aulularia :   Pipulo te 1 differam ante aedis,  id est convicio, declinatum a pi(p)atu 2 pullorum.  Multa ab animalium vocibus tralata in homines,  partim quae sunt aperta, partim obscura ; perspicua,  ut Ennii :   Animus cum pectore latrat.   Plauti :   Gannit odiosus omni totae familiae.  (Cae)cilii 3 :   Tantum rem dibalare ut pro nilo habuerit.   § 102. 1 For dim. 2 Added from Festus, 373. 4 M.  3 Added by Turnebus.   § 103. 1 So F ; but pipulo te hie Nonius, 152. 5 31., pipulo  hie Plautus. 2 Aldus, for piatu. 3 Laetus, for cilii.     6 Onomatopoeic, as Varro indicates. c Ennius, Inc. 10  Vahlen 2 ; R.O.L. i. 438-439 Warmington.   §102. a Trag. Rom. Frag. 112 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii.  206-207 Warmington; quoted by Festus, 373. 4 M., with  tuam, and by Nonius, 74. 22 M. (who assigns it to Lucilius,  Bk. XXVI.) with meam. b Monerint is perf. subj. of  monere, a form known from other sources also. e The  word combines averrere ' to sweep away ' with runcare  ' to remove weeds.' d Mentioned elsewhere only by  354     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 101-103   Mussare 6 ' to make a sound ' is said because the muti  ' mute ' say nothing more than mu ; from which the  same poet uses this for that which is least c :  And, as they say, not even a mu dare they utter.   102. In Pacuvius a :   May the gods advise * thee of better things to  do, and thy madness sweep away !   Averruncare e ' to sweep away ' is from avertere ' to  avert,' just as the god who presides over such matters  is called Averruncus.  neque 12 in  Iudicium ^4esopi nec theatri trittiles.   105. In Colace :   Nexum . . .   (Nexum) 1 Mawilius 2 scribit omne quod per libram et  aes geritur, in quo sint mancipia ; Mucius, quae per  aes et libram fiant ut obligentur, praeter quom 3  mancipio detur. Hoc verius esse ipsum verbum  ostendit, de quo quaerit(ur) 4 : nam id aes 5 quod  obligatur per libram neque suum fit, inde nexum  dictum. Liber qui suas operas in servitutem pro  pecunia quam debebat (nectebat), 6 dum solveret,  nexus vocatur, ut ab aere obaeratus. Hoc C. Poetelio   9 GS., after Mati Mue., for Maccius. 10 Baehrens, for  sues. 11 Mue. ; a volucri L. Sp. ; for auoluerat.  12 Kent, for tradedeque inreneque.   § 105. 1 Added by L. Sp., who recognized the lacuna.  2 Laetus, for mamilius. 3 Huschke, for quam. 4 Aug.,  for querit. 5 Mommsen, for est. 6 debebat nectebat  Kent ; debeat dat Aug. ; for debebat.     ' Plautus, Cas. 267 ; the more common orthography is  fringilla and friguttis. k Frag. Poet. Lat., page 54  Morel ; wrongly listed by Ribbeck 3 as Juventius, Com.  Rom. Frag. IV. 1 Trit, the sound made by the crushing  or breaking of a hard grain or seed, as by the strong-beaked  birds. If the text is correctly restored, the passage refers  to a complaint against trittiles, that is, persons who made  similar noises and thereby disturbed a theatrical perform-  ance ; the poet says that he will refer the complaint to a  regular law-court, and not to the prejudiced decision of the   358     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 10Jr-105     That of Maccius in the Casina, from finches 3 :   What do you twitter for ? What's that you wish so  eagerly ?   That of Sueius, from birds * :   So he'll bring the snappers 1 fairly into court and not  To the judgement of Aesopus m and the audience.   105. In The Flatterer a :   A bound obligation . . .   Xexum ' bound obligation,' Manilius 6 writes, is every-  thing which is transacted by cash and balance-scale, c  including rights of ownership ; but Mucius d defines  it as those things which are done by copper ingot and  balance-scale in such a way that they rest under  formal obligation, except when delivery of property is  made under formal taking of possession. That the  latter is the truer interpretation, is shown by the very  word about which the inquiry is made : for that copper  which is placed under obligation according to the  balance-scale and does not again become independent  (nec suum) of this obligation, is from that fact said to  be nexum ' bound.' A free man who, for money which  he owed, nectebat ' bound ' his labour in slavery until  he should pay, is called a nexus ' bondslave,' just as a  man is called obaeratus ' indebted,' from aes ' money-  debt.' When Gaius Poetelius Libo Visulus * was   offended actor and of the annoyed fellow - spectators.  m Famous tragic actor of Cicero's time.   § 105. ° Plautus, Frag. IV Ritschl ; but possibly from  the Colax of Naevius. 6 Page 6 Huschke. e That is,  by agreement to pay a sum of money, measured by weight.  * Page 18 Huschke. • Consul in 346, 333 (?), 326 (Liyy,  viii. 23. 17), and dictator in 313 (Livy, ix. 28. 2), in which  Varro sets the abolition of slavery for debt, though Livy,  viii. 28, sets it in his third consulship.   359     VARRO   (Li)bone Ftsolo 7 dictatore sublatum ne fieret, et  omnes qui Bonam Copiam iurarunt, ne essent nexi  dissoluti.   106. In Ca(sina) :   Sine ame^, 1 sine quod lubet id facial, 2  Quando tibi domi nihil 3 delicuum est.   Dictum ab eo, quod (ad) deliquandum non sunt, ut  turbida quae sunt deliquantur, ut liquida fiant.  Aurelius scribit delicuum esse 1 ab liquido ; Cla(u)dius  ab eliquato. Si quis alterutrum sequi malet, 5 habebit  auctorem.   Apud Atilium :   Per laetitiam liquitur  Animus.  Ab liquando liquitur fictum.   VI. 107. Multa apud poetas reliqua esse verba  quorum origines possint dici, non dubito, ut apud  Naevium in ^4esiona mucro 1 gladii " lingula " a  lingua ; in Clastidio " vitulantes " a Vitula ; in Dolo   7 Poetelio Libone Visolo Lachmann ; Poetelio Visolo Aug. ;  for popillio vocare sillo.   § 106. 1 In CasinaiW^M*, sine a.met Aldus (from Plautus),  for in casineam esses. 2 Aug. (from Plautus), for facias.  3 Plautus has nihil domi. 4 For est. 5 Laetus, for  mallet.   § 107. 1 Aesiona Buecheler, mucro Groth, for esionam  uero.     ' That is, swore that they were not regular slaves, but were  held in slavery for debt only. 9 Mentioned also by Ovid,  Met. ix. 88.   § 106. ° Plautus, Cas. 206-207 ; anapaestic. * Appar-  ently meant by Plautus as ' lacking,' from delinquere ' to  lack,' and so understood by Festus, 73. 10 M., who glosses it  with minus. Varro has taken it as ' strainable, subject to  straining (for purification),' and has connected it with liquare  and liquere ' to strain, purify,' also ' to melt.' c Page   360     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 105-107     dictator, this method of dealing with, debtors was  done away with, and all who took oath f by the Good  Goddess of Plenty 3 were freed from being bond-  slaves.   106. In the Casino. a :   Let him go and make love, let him do what he will,  As long as at home you have nothing amiss.   Nihil delicuum 6 ' nothing amiss ' is said from this, that  things are not ad deliquandum ' in need of straining  out ' the admixtures, as those which are turbid are  strained, that they may become liqvida ' clear.'  Aurelius c writes that delicuum is from liquidum ' clear ' ;  Claudius, 4 * that it is from eliquatum ' strained.' Any-  one who prefers to follow either of them will have an  authority to back him up.   In Atilius e :   With joy his mind is melted.  Liquitur ' is melted ' is formed from liquare ' to melt.'   VI. 107. I am quite aware ° that there are many  words still remaining in the poets, whose origins  could be set forth ; as in Naevius, 6 in the Hesione, 6  the tip of a sword is called lingula, from lingua  ' tongue ' ; in the Clastidium, d vitulantes ' singing songs   89 Funaioli. d Page 97 Funaioli. • Com. Rom. Frag.,  inc. fab. frag. II, page 37 Ribbeck*.   § 107. » Cf the beginning of § 109. * All the citations  in § 107 and § 108 are from Naevius; R.O.L. ii. 88-89, 92-93,  96-97, 104-105, 136-137, 597-598 Warmington. c Trag.  Rom. Frag. 1 Ribbeck 8 ; for the spelling of the title, cf  Buecheler, Rh. Mus. xxvii. 475. d Trag. Rom. Frag.,  Praet. I Ribbeck* ; vitulari was glossed by Varro with TrauwC-  £«v, according to Macrobius, Sat. iii. 2. 11. It is difficult  to connect the two words with Latin rictus and victoria, so  that the resemblance may be fortuitous — unless Vitula be a  dialectal word, with CT reduced to T.   361     VARRO   " caperrata fronte " a caprae fronte ; in Demetrio  " persibus " a perite : itaque sub hoc glossema  ' callide ' subscribunt ; in Lampadione " protinam  a protinus, continuitatem significans ; in Nagidone  " c/u(ci)datfus " 3 suavis, tametsi a magistris accepi-  mus mansuetum ; in Romulo " (con)sponsus " 3 contra  sponsum rogatus ; in Stigmatia " praebia " a prae-  bendo, ut sit tutus, quod si(n)t 4 remedia in collo  pueris ; in Technico 5 " confidant" 6 a conficto con-  venire dictum ;   108. In Tarentilla " p(r)ae(l)u(c)idum Ml a luce,  illustre ; in Tunicularia :   ecbolas 2 aulas quassant   quae eiciuntur, a Graeco verbo ck/JoA?? 3 dictum ; in  Bello Punico :   nec satis sardare 4   2 Scallger, for caudacus. 3 JYeukirch, with Popma, for  sponsus. 4 Laetus, for sit. 5 For thechnico. 6 Turne-  bus, for conficiant.   § 108. 1 Mue., for pacui dum. 2 Kent, for exbolas,  metri gratia. 3 Aldus, for exbole. 4 A. Sp. {from  Festus, 323. 6 M.), for sarrare.     * Com. Rom. Frag, after 49 Ribbeck 3 ; caperrata may be  related to capra only by popular etymology. ' Com. Rom.  Frag, after 49 Ribbeck 3 ; persibus is seemingly an Oscan  perfect participle active, cf. Oscan sipus, from which perhaps  it is to be corrected to persipus. 9 Page 113 Funaioli.  h Com. Rom. Frag, after 60 Ribbeck 3 . * Com. Rom.  Frag, after 60 Ribbeck 3 ; clucidatus is a participle to a Latin  verb borrowed from Greek yAu/a'£eiv ' to sweeten.' ' Trag.  Rom. Frag., Praet. IT Ribbeck 3 ; for consponsus, cf. vi. 70.   * Com. Rom. Frag. 71 Ribbeck 3 . 1 Com. Rom. Frag, after  93 Ribbeck 3 ; confidant, derived from confingere.   362     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 107-108   of victory,' from Vitula 'Goddess of Joy and Victory ' ;  in The Artificer caperrata f route ' with wrinkled fore-  head,' from the forehead of a capra ' she-goat ' ; in  the Demetrius/ persibus ' very knowing,' from perite  ' learnedly ' : therefore under this rare word they  write 9 collide' shrewdly ' ; in the Lampadio, h protinam  ' forthwith ' from protinus (of the same meaning),  indicating lack of interruption in time or place ; in  the Nagido,* clucidatus ' sweetened,' although we have  been told by the teachers that it means ' tame ' ; in  the Romulus,' consponsus, meaning a person who has  been asked to make a counter-promise ; in The  Branded Slave, k praebia ' amulets,' from praebere ' pro-  viding ' that he may be safe, because they are prophy-  lactics to be hung on boys' necks ; in The Craftsman, 1  confidant ' they unite on a tale,' said from agreeing on  a confictum ' fabrication.'   108. Also, in The Girl of Tarentum, a praelucidum  ' very brilliant,' from lux ' light,' meaning ' shining ' :  in The Story of the Shirt, b   They shake the jars that make the lots jump out,   ecbolicas ' causing to jump out,' because of the lots  which are cast out, is said from the Greek word  eK/SoXi] ; and in The Punic War c   Not even quite sardare ' to understand like a Sardinian,'   § 108. ° Com. Rom. Frag, after 93 Ribbeck 3 . h Com.  Rom. Frag. 103 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 106-107 Warming-  ton (with different interpretation). e Frag. Poet. Rom.  53-54 Baehrens; R.O.L. ii. 72-73 Warmington. According  to Festus, 322 a 24 and 323. 6 M., sardare means intel-  legere, perhaps 'to understand like a Sardinian,' that is,  very poorly, for the Sardinians had in antiquity a bad re-  putation in various lines. The verse of Naevius runs :  Quod bruti nec satis sardare queunt.   363     VARRO     ab serare dictum, id est aperire ; hinc etiam sera, 5  qua remota fores panduntur.   VII. 109. Sed quod vereor ne plures sint futuri  qui de hoc genere me quod nimium multa scripseriwz 1  reprehendant quam quod 2 reliquerim 3 quaedam  accusent, ideo potius iam reprimendum quam pro-  cudendum puto esse volumen : nemo reprensus qui e  segete ad spicilegium reliquit stipulam. Quare in-  stitutis sex libris, quemadmodum rebus Latina  nomina essent imposita ad usum nostrum : e quis tn's 4  scripsi Po. 5 Septumio qui mihi fuit quaestor, tris tibi,  quorum hie est tertius, prior es de disciplina verborum  originis, posterior es de verborum originibus. In illis,  qui ante sunt, in primo volumine est quae dicantur,  cur ervfj-oXoyiKr) 6 neque ar(s> sit 7 neque ea utilis sit,  in secundo quae sint, cur et ars ea sit et (ut)ilis 8 sit,  in tertio quae forma etymologiae. 9   110. In secundis tribus quos ad te misi item  generatim discretis, primum in quo sunt origines  verborum 1 locorum et earum rerum quae in locis  esse solent, secundum quibus vocabulis te(m)pora  sint notata et eae res quae in temporibus hunt, tertius   5 Ed. Veneta, for serae.   §109. 1 Laetus,for rescripserint. 2 quam quod A Idus,  for quamquam. 3 For reliquerint. 4 Laetus, for tres.   5 po stands here in F, but with lines drawn through the letters.   6 L. Sp.,for ethimologice. 7 ars sit V, p, L. Sp.,for ansit.  8 et utilis Turnebus; et illis utilis V; for et illis F. 9 For  ethimologiae.   § 110. 1 Crossed out by F 1, but required by the meaning.   d In such an etymology, Varro is operating on the basis that  things may be named from their opposites; cf. Festus, 122.  16 M., ludum dicimus, in quo minime luditur.  § 109. ° A liber or ' book ' was calculated to fill a volumen   364     ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 108-110     where sardare is said from serare ' to bolt,' d that is,  sardare means ' to open ' ; from this also sera ' bolt,'  on the removal of which the doors are opened.   VII. 109- But because I fear that there will be  more who will blame me for writing too much of this  sort than will accuse me of omitting certain items, I  think that this roll must now rather be compressed  than hammered out to greater length a : no one is  blamed who in the cornfield has left the stems for the  gleaning. 6 Therefore as I had arranged six books c on  how Latin names were set upon things for our use d :  of these I dedicated three to Publius Septumius who  was my quaestor," and three to you, of which this is  the third — the first three on the doctrine of the  origin of words, the second three f on the origins of  words. Of those which precede, the first roll con-  tains the arguments which are offered as to why  Etymology is not a branch of learning and is not  useful ; the second contains the arguments why it is  a branch of learning and is useful ; the third states  what the nature of etymology is.   110. In the second three which I sent to you, the  subjects are likewise divided off: first, that in which  the origins of words for places are set forth, and for  those things which are wont to be in places ; second,  with what words times are designated and those  things which are done in times ; third, the present   or ' roll ' of convenient size for handling. * That is, who  has cut off the ears of standing grain and left the stalks.  e Books II.-VII. ; cf. v. 1. d This sentence is resumed at  Quocirca, in the middle of § 1 10. * Varro held office in the  war against the pirates and Mithridates in 67-66, under  Pompey, and again in Pompey's forces in Spain in 49 and  at Pharsalus in 48 ; but it is unknown in which of these he  had Septumius as quaestor. ' Books V.-VII.   365     VARRO     hie, in quo a poetis item sumpta ut il/a 2 quae dixi in  duobus libris solwta 3 oratione. Quocirca quoniam  omnis operis de Lingua Latina tris feci partis, primo  quemadmodum vocabula imposita essent rebus,  secundo quemadmodum ea in casus declinarentur,  tertio quemadmodum coniungerentur, prima parte  perpetrata, ut secundam ordiri possim, huic libro  faciam finem.   8 Victorius, for utilia. 3 Sciop., for solita.     366      ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 110     book, in which words are taken from the poets in  the same way as those which I have mentioned in  the other two books were taken from prose writings.  Therefore," since I have made three parts of the  whole work On the Latin Language, first how names  were set upon things, second how the words are  declined in cases, third how they are combined into  sentences — as the first part is now finished, I shall  make an end to this book, that I may be able to  commence the second part.   §110. "This resumes the sentence interrupted at the  middle of § 109.     367     Printed in Great Britain by R. et R. Clark, Limited, Edinbu,     THE LOEB CLASSICAL  LIBRARY     VOLUMES ALREADY PUBLISHED     LATIX AUTHORS     AM MI ANUS MARCELLINUS. J. C. Rolfe. 3 Vols.  Vols. I. and II.   APULEIUS. THE GOLDEN ASS (METAMOR-  PHOSES). W. Adlington (1566). Revised by S. Gase-  lee. (6th Imp.)   AULUS GELLIUS. J. C. Rolfe. 3 Vols.   AUSONIUS. H. G. Evelyn White. 2 Vols.   BEDE. J. E. King. 2 Vols.   BOETHIUS: TRACTS and DE CONSOLATIONE   PHILOSOPHIAE. Rev. H. F. Stewart and E. K.   Rand. (3rd Imp.)  CAESAR: CIVIL WARS. A. G. Peskett (3rd Imp.)  CAESAR: GALLIC WAR. H.J.Edwards (7th Imp.)  CATO and VARRO : DE RE RUSTICA. H. B. Ash and   W. D. Hooper. (2nd Imp.)  CATULLUS. F. W. Cornish; TIBULLUS. J. B.   Postgate; and PERVIGILIUM VENERIS. J. W.   Mackail. (10th Imp.)  CELSUS : DE MEDICINA. W. G. Spencer 3 Vols.  CICERO: DE FINIBUS. H. Rackham. (3rd Imp. revised.)  CICERO: DE NATURA DEORUM and ACADEMICA.   H. Rackham.   CICERO : DE OFFICIIS. Walter Miller. (3rd Imp.)  CICERO : DE REPUBLICA and DE LEGIBUS. 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Platnauer. 2 Vols.   FLORUS : E. S. Forster ; and CORNELIUS NEPOS :  J. C. Rolfe.   FRONTINUS: STRATAGEMS and AQUEDUCTS.   C. E. Bennett and M. B. McElwain.  FRONTO : CORRESPONDENCE. C. R. Haines. 2 Vols.  HORACE : ODES and EPODES. C. E. Bennett. (10th   Imp. revised.)   HORACE: SATIRES, EPISTLES, ARS POETICA.   H. R. Fairclough. (4<th Imp. revised.)  JEROME : SELECT LETTERS. F. A. Wright.  JUVENAL and PERSIUS. G. G. Ramsay. (5th Imp.)  LIVY. B. O. Foster, Evan T. Sage and A. C. Schlesinger.   13 Vols. Vols. I.-V., 1X-XII. (Vols. I. and IX.,2nd Imp.   revised.)  LUCAN. J. D. Duff.   LUCRETIUS. W. H. D. Rouse. (4th Imp. revised.)   MARTIAL. W. C. A. Ker. 2 Vols. (3rd Imp. revised.)   MINOR LATIN POETS: from Publilius Syrus to  Rutilius Namatianus, including Gkattius, Calpurnius  Siculus, Nemesianus, Avianus, with "Aetna," " Phoenix"  and other poems. J. Wight Duff and Arnold M. Duff.  (2nd Imp.)   OVID: THE ART OF LOVE and OTHER POEMS.   J H. Mozley.  OVID : FASTI. Sir James G. Frazer.  OVID : HEROIDES and AMORES. Grant Showerman.   (3rd Imp.)   OVID: METAMORPHOSES. F. J. Miller. 2 Vols.   (Vol. I. 6th Imp., Vol. II. 5th Imp.)  OVID : TRISTIA and EX PONTO. A. L. Wheeler.  PETRONIUS. M. Heseltine; SENECA: APOCOLO-   CYNTOSIS. W H. D. Rouse. (6th Imp. revised.)  PLAUTUS. Paul Nixon. 5 Vols. (Vol. I. Uh Imp.,   Vols. II. and III. 3rd Imp.)   2     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY     PLINY: LETTERS. Melmoth's Translation revised by  W. M. L. Hutchinson. 2 Vols. (4th Imp.)   PLINY: NATURAL HISTORY. H.~ Rackham and  W. H. S. Jones. 10 Vols. (Vol. I).   PROPERTIUS. H. E. Butler. (4th Imp.)   QUINTILIAN. H.E.Butler. 4 Vols. (Vols. I. and IV.  2nd Imp.)   REMAINS OF OLD LATIN. E. H. Warmington. 4   Vols. Vol.1. (Ennius and Caecilius.) Vol.11. (Livius,   Naevius, Pacuvius, Accius.) Vol. III. (Lucilius, Laws   of the.XII Tables.)  ST. AUGUSTINE, CONFESSIONS OF. W. Watts   (1631). 2 Vols. (Vol. I. 4th Imp., Vol. II. 3rd Imp.)  ST. AUGUSTINE, SELECT LETTERS. J. H. Baxter.  SALLUST. J. Rolfe. (2nd Imp. revised.)  SCRIPTORES HISTORIAE AUGUSTAE. D. Magie.   3 Vols. (Vol. I. 2nd Imp. revised.)  SENECA: APOCOLOCYNTOSIS. Cf. PETRONIUS.  SENECA : EPISTULAE MORALES. R. M. Gummere.   3 Vols. (Vol. I. 3rd Imp., Vol. II. 2nd Imp. revised.)  SENECA : MORAL ESSAYS. J. W. Basore. 3 Vols.   (Vol. II. 2nd Imp. revised.)  SENECA: TRAGEDIES. F. J. Miller. 2 Vols. (2nd   -7/7219 • T&'VtS&cl^   SIDONIUS: POEMS AND LETTERS. W. B. Anderson.   2 Vols. Vol. I.  SILIUS ITALICUS. J. D. Duff. 2 Vols. (Vol. II,2nd Imp.)  STATIUS. J. H. Mozley. 2 Vols.   SUETONIUS. J. C. Rolfe. 2 Vols. (Vol. I. 5th Imp.,  Vol. II. 4th Imp. revised.)   TACITUS : DIALOGUS. Sir Wm. Peterson ; and AGRI-  COLA and GERMANIA. Maurice Hutton. (4th Imp.)   TACITUS : HISTORIES and ANNALS. C. H. Moore  and J. Jackson. 4 Vols. (Vol. I. 2nd Imp.)   TERENCE. John Sargeaunt. 2 Vols. (5th Imp.)   TERTULLIAN : APOLOGIA and DE SPECTACULIS.  T. R. Glover. MINUCIUS FELIX. G. H. RendalL   VALERIUS FLACCUS. J. H. Mozley. (2nd Imp. revised.)   VARRO: DE LINGUA LATINA. R.G.Kent. 2 Vols.   VELLEIUS PATERCULUS and RES GESTAE DIVI  AUGUSTI. F. W. Shipley.   VIRGIL. H. R. Fairclough. 2 Vols. (Vol. I. 12th Imp.,  Vol. II. 10th Imp. revised.)   VITRUVIUS : DE ARCHITECTURA. F. Grangei . 2 Vols.     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY     GREEK AUTHORS     ACHILLES TATIUS. S. Gaselee.   AENEAS TACTICUS : ASCLEPIODOTUS and ONA-   SANDER. The Illinois Greek Club.  AESCHINES. C. D. Adams.   AESCHYLUS. H. Weir Smyth. 2 Vols. (3rd Imp.)  APOLLODORUS. Sir James G. Frazer. 2 Vols.  APOLLONIUS RHODIUS. R. C. Seaton. (Uh Imp.)  THE APOSTOLIC FATHERS. Kirsopp Lake. 2 Vols.   (Vol. I. 5th Imp., Vol. II. Uh Imp.)  APPIAN'S ROMAN HISTORY. Horace White. 4 Vols.   (Vol. I. 3rd Imp., Vols. II., III. and IV. 2nd Imp.)  ARATUS. Cf. CALLIMACHUS.   ARISTOPHANES. Benjamin Bickiey Rogers. 3 Vols.   (Vols. I. and II. Uh Imp., Vol. III. 3rd Imp/) Verse trans.  ARISTOTLE : ART OF RHETORIC. J. H. Freese.  ARISTOTLE: ATHENIAN CONSTITUTION, EUDE-   MIAN ETHICS, VIRTUES and VICES. H. Rackham.   (2nd Imp.)   ARISTOTLE: METAPHYSICS. H. Tredennick. 2 Vols.  (2nd Imp.)   ARISTOTLE: MINOR WORKS. W. S. Hett. On  Colours, On Things Heard, Physio gnomics, On  Plants, On Marvellous Things Heard, Mechanical  Problems, On Indivisible Lines, Situations and Names  of Winds, On Melissus, Xenopiianes, and Gorgias.   ARISTOTLE: NICOMACHEAN ETHICS. H. Rack-  ham. (2nd Imp. revised.)   ARISTOTLE: OECONOMICA and MAGNA MOR-  ALIA. G. C. Armstrong ; with Vol. II. Metaphysics.  (2nd Imp.)   ARISTOTLE: ORGANON. H. P. Cooke and H. Tre-  dennick. 3 Vols. Vol. I.   ARISTOTLE : ON THE SOUL, PARVA NATURALIA,  ON BREATH. W. S. Hett.   ARISTOTLE: PARTS OF ANIMALS. A. L. Peck;  MOTION AND PROGRESSION OF ANIMALS,  E S. Forster.   ARISTOTLE :' PHYSICS. Rev. P. Wicksteed and F. M.  Cornford. 2 Vols. (Vol. II. 2nd Imp.)   ARISTOTLE : POETICS and LONGINUS. W. Hamil-  ton Fyfe; DEMETRIUS ON STYLE. W. Rhys  Roberts., (2nd Imp. revised.)   ARISTOTLE : POLITICS. H. Rackham.   4     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY     ARISTOTLE: PROBLEMS. W. S. Hett. 2 Vols.  ARISTOTLE: RHETORICA AD ALEXANDRUM.   H. Rackham. (With Problems, Vol. II.)   ARRIAN : HISTORY OF ALEXANDER and INDICA.   Rev. E. Uiffe Robson. 2 Vols.  ATHENAEUS: DEIPNOSOPHISTAE. C. B. Gulick.   7 Vols. Vols. I. -VI.  ST. BASIL: LETTERS. R. J. Deferrari. 4Vols.  CALLIMACHUS and LYCOPHRON. A. W. Mair ;   ARATUS. G. R. Mair.  CLEMENT OF ALEXANDRIA. Rev. G. W. Butterworth.  COLLUTHUS. Cf. OPPIAN.   DAPHNIS and CHLOE. Thornley's Translation revised  by J. M. Edmonds; and PARTHENIUS. S. Gaselee.  (3rd Imp.)   DEMOSTHENES: DE CORONA and DE FALSA  LEGATIONE. C. A. Vince and J. H. Vince.   DEMOSTHENES : MEIDIAS, ANDROTION, ARISTO-  CRATES, TIMOCRATES, ARISTOGEITON. J. H.  Vince.   DEMOSTHENES: OLYNTHIACS, PHILIPPICS and  MINOR ORATIONS : I-XVII and XX. J. H. Vince.   DEMOSTHENES : PRIVATE ORATIONS. A. T. Mur-  ray. 4 Vols. Vol. I.   DIOCASSIUS: ROMAN HISTORY. E. Cary. 9 Vols.  (Vol. II. 2nd Imp.)   DIO CHRYSOSTOM. J. W. Cohoon. 6 Vols. Vol. I.   DIODORUS SICULUS. C. H. Oldfather. 12 Vols.  Vols. I. and II.   DIOGENES LAERTIUS. R. D. Hicks. 2 Vols. (Vol.   I. 3rd Imp.)   DIONYSIUS OF HALICARNASSUS : ROMAN ANTI-  QUITIES. Spelman's translation revised by E. Cary.  7 Vols. Vol. I.   EPICTETUS. W. A. Oldfather. 2 Vols.   EURIPIDES. A. S. Way. 4 Vols. (Vols. L, II., IV.  Sth Imp., Vol. III. 3rd Imp.) Verse trans.   EUSEBIUS: ECCLESIASTICAL HISTORY. Kirsopp  Lake and J. E. L. Oulton. 2 Vols.   GALEN: ON THE NATURAL FACULTIES. A. J.  Brock. (2nd Imp.)   THE GREEK ANTHOLOGY. W. R. Paton. 5 Vols.  (Vol. I. 3rd Imp., Vols. II. and III. 2«d Imp.)   GREEK ELEGY AND IAMBUS with the ANACRE-  ONTEA. J. M. Edmonds. 2 Vols.   5     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY     THE GREEK BUCOLIC POETS (THEOCRITUS,   BION, MOSCHUS). J. M. Edmonds. (6th Imp. revised.)  GREEK MATHEMATICAL WORKS. Ivor Thomas.   2 Vols. Vol. I.  HERODES. Of. THEOPHRASTUS : CHARACTERS.  HERODOTUS. A. D. Godley. 4 Vols. (Vol. I. 3rd   Imp., Vols. II.-IV. 2nd Imp.)  HESIOD and THE HOMERIC HYMNS. H. G. Evelyn   White. (5th Imp. revised and enlarged.)  HIPPOCRATES and the FRAGMENTS OF HERA-   CLEITUS. W. H. S. Jones and E. T. Withington. 4 Vols.  HOMER : ILIAD. A. T. Murray. 2 Vols. (Vol. I. 4th   Imp., Vol. II. 3rd Imp.)  HOMER: ODYSSEY. A.T.Murray. 2 Vols. (4th Imp.)  ISAEUS. E. S. Forster.   ISOCRATES. George Norlin. 3 Vols. Vols. I. and II.  ST. JOHN DAMASCENE: BARLAAM AND IOASAPH.  Rev. G. R. Woodward and Harold Mattingly. (2nd Imp.   JOSEPH US. H. St. J. Thackeray and Ralph Marcus.   9 Vols. Vols. I. -VI. (Vol. V. 2nd Imp.)  JULIAN. Wilmer Cave Wright. 3 Vols. (Vols. I. and II.   2nd Imp.)   LUCIAN. A. M. .Harmon. 8 Vols. Vols. I.-V. (Vols.   I. and II. 3rd Imp.)  LYCOPHRON. Gf. CALLIMACHUS.  LYRA GRAECA. J. M. Edmonds. 3 Vols. (Vol. I.   3rd Imp., Vol. II. 2nd Ed. revised and enlarged.)  LYSIAS. W. R. M. Lamb.   MARCUS AURELIUS. C.R.Haines. (3rd Imp. revised.)  MENANDER. F. G. Allinson. (2nd Imp. revised.)  MINOR ATTIC ORATORS (ANTIPHON, ANDOCIDES,   DEMADES, DEINARCHUS, HYPEREIDES). K. J.   Maidment. 2 Vols. Vol. I.  OPPIAN, COLLUTHUS, TRYPHIODORUS. A. W. Mair.  PAPYRI (SELECTIONS). A. S. Hunt and C. C. Edgar.   4 Vols. Vols. I. and II.  PARTHENIUS. Cf. DAPHNIS and CHLOE.  PAUSANIAS: DESCRIPTION OF GREECE. W. H. S.   Jones. 5 Vols, and Companion Vol. (Vol. I. 2nd Imp.)  PHILO. 10 Vols. Vols. I.-V. F. H. Colson and Rev. G.   H. Whitaker; Vols. VI. and VII. F. H. Colson.  PHILOSTRATUS : THE LIFE OF APOLLONIUS OF   TYANA., F. C. Conybeare. 2 Vols. (Vol. I. 3rd Imp.,   Vol. II. 2nd Imp.)     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY     PHILOSTRATUS : IMAGINES ; CALLISTRATUS :   DESCRIPTIONS. A. Fairbanks.  PHILOSTRATUS and EUNAPIUS : LIVES OF THE   SOPHISTS. Wilmer Cave Wright.  PINDAR. Sir J. E. Sandys. (6th Imp. revised.)  PLATO : CHARMIDES, ALCIBIADES, HIPPARCHUS,   THE LOVERS, THEAGES, MINOS and EPINOMIS.   W. R. M. Lamb.  PLATO: CRATYLUS, PARMENIDES, GREATER   HIPPIAS, LESSER HIPPIAS. H. N. Fowler.  PLATO: EUTHYPHRO, APOLOGY, CRITO, PHAE-   DO, PHAEDRUS. H. N. Fowler. (7th Imp.)  PLATO : LACHES, PROTAGORAS MENO, EUTHY-   DEMUS. W. R. M. Lamb. (2nd Imp. revised.)  PLATO : LAWS. Rev. R. G. Bury. 2 Vols.  PLATO : LYSIS, SYMPOSIUM, GORGIAS. W. R. M.   Lamb. (2nd Imp. revised.)  PLATO: REPUBLIC. Paul Shorey. 2 Vols. (Vol.1.   2nd Imp. revised.)  PLATO: STATESMAN, PHILEBUS. H. N Fowler;   ION. W. R. M. Lamb.  PLATO : THEAETETUS and SOPHIST. H. N. Fowler.   (2nd Imp.)   PLATO : TIMAEUS, CRITIAS, CLITOPHO, MENEXE-   NUS, EPISTULAE. Rev. R. G. Bury.  PLUTARCH : MORALIA. 14 Vols. Vols. I.-V. F. C.   Babbitt ; Vol. X. H. N. Fowler.  PLUTARCH: THE PARALLEL LIVES. B. Perrin.   11 Vols. (Vols. I., II., III. and VII. 2nd Imp.)  POLYBIUS. W. R. Paton. 6 Vols.  PROCOPIUS: HISTORY OF THE WARS. H. B.   Dewing. 7 Vols. Vols. I.-VI. (Vol. I. 2nd Imp.)  QUINTUS SMYRNAEUS. A. S. Way. Verse trans.  SEXTUS EMPIRICUS. Rev. R. G. Bury. 3 Vols.  SOPHOCLES. F. Storr. 2 Vols. (Vol. I. 6th Imp., Vol.   II. 4th Imp.) Verse trans.  STRABO: GEOGRAPHY. Horace L. Jones. 8 Vols.   (Vols. I and VIII. 2nd Imp.)  THEOPHRASTUS : CHARACTERS. J. M. Edmonds ;   HERODES, etc A. D. Knox.  THEOPHRASTUS: ENQUIRY INTO PLANTS. Sir   Arthur Hort, Bart. 2 Vols.  THUCYDIDES. C.F.Smith. 4 Vols. (Vol. I. 3rd Imp.,   Vols. II., III. and IV. 2nd Imp. revised.)  TRYPHIODORUS. Cf. OPPIAN.     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY     XENOPHON : CYROPAEDIA. Walter Miller. 2 Vols.  (2nd Imp.)   XENOPHON: HELLENICA, ANABASIS, APOLOGY,  and SYMPOSIUM. C. L. Brownson and O. J. Todd.  3 Vols. (2nd Imp.)   XENOPHON : MEMORABILIA and OECONOMICUS.  E. C. Marchant. (2nd Imp.)   XENOPHON : SCRIPTA MINORA. E. C. Marchant.     VOLUMES IN PREPARATION     GREEK AUTHORS     ARISTOTLE: DE CAELO. W. K. C. Guthrie.  ARISTOTLE: HISTORY AND GENERATION OF   ANIMALS. A. L. Peck.  ARISTOTLE: METEOROLOGICA. H.P.Lee.  MANETHO. W. G. Waddell.  NONNUS. W. H. D. Rouse.   PAPYRI: LITERARY PAPYRI. Selected and trans-  lated by C. H. Roberts.  PTOLEMY: TETRAB1BLUS. F. C. Robbins.   LATIN AUTHORS     S. AUGUSTINE : CITY OF GOD. J. H. Baxter.  CICERO : AD HERENNIUM. H. Caplan.  CICERO : DE ORATORE. Charles Stuttaford and W. E.  Sutton.   CICERO : BRUTUS, ORATOR. G. L. Hendrickson and   H. M. Hubbell.  CICERO: PRO SESTIO, IN VATINIUM, PRO   CAELIO, DE PROVINCIIS CONSULARIBUS, PRO   BALBO. J. H. Freese.  COLUMELLA : DE RE RUSTICA. H. B. Ash.  PRUDENTIUS. J. H. Baxter.   QUINTUS CURTIUS : HISTORY OF ALEXANDER.  J. C. Rolfe.   DESCRIPTIVE PROSPECTUS ON APPLICATION     London . WILLIAM HEINEMANN LTD   Cambridge; Mass. . HARVARD UNIVERSITY PRESS  8      I      LQ      - ~n      cr   -r        ru      o        n   r-q          m     THE LIBRARY  of   VICTORIA UNIVERSITY  Toronto     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY   FOUNDED BV JAMES I,OEB, IX. D.   EDITED BY  fT. E. PAGE, C.H., LITT.D.   E. CAPPS, ph.d., ll.d. W. H. D. ROUSE, litt.d.     VARRO   ON THE LATIN LANGUAGE     II     VAKRO   ON THE LATIN LANGUAGE   WITH AN ENGLISH TRANSLATION BY  ROLAND G. KENT, Ph.D.   PROFESSOR OF COMPARATIVE PHILOLOGY IX THE  UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA   IN TWO VOLUMES  II   BOOKS VIII.- X.  FRAGMENTS     CAMBRIDGE, MASSACHUSETTS   HARVARD UNIVERSITY PRESS   LONDON   WILLIAM HEINEMANN LTD   MCMXXXV1II     v.i.     V ^>0     Printed in Great Britain     CONTENTS   PAGE   De Lingua Latina, Text and Translation   Book VIII 370   Book IX. ....... 440   Book X 534   Fragments 5gg   Comparative Table of the Fragment Numbers 630   Indexes   Index of Authors and Works . . .631  Index of Latin Words and Phrases . . 634  Index of Greek Words .... 675     M. TERENTI VARRONIS  DE LINGUA LATINA     LIBER VII EXPLICIT ; INCIPIT   LIBER VIII   QUAE DICANTUR CUR NON SIT ANALOGIA LIBER I   I. 1. Quom oratio natura tripertita esset, ut su-  perioribus libris ostendi, cuius prima pars, quemad-  modum vocabula rebus essent imposita, secunda, quo  pacto de his declinata in discrimina iermt, 1 tertia, ut  ea inter se ratione coniuncta sententiam efferant,  prima parte exposita de secunda incipiam hinc. Ut  propago omnis natura secunda, quod prius illud  rectum, unde ea, sic declinata : itaque declinatur in  verbis : rectum homo, obliquum hominis, quod de-  clinatum a recto.   § 1. 1 Sciop.,for ierunt.   § 1. a That is, bent aside and downward, from the vertical.  The Greeks conceived the paradigm of the noun as the upper  right quadrant of a circle : the nominative was the vertical  radius, and the other cases were radii which 4 declined 1 to  the right, and were therefore called m-coous 'fallings,' which  the Romans translated literally by casus. The casus rectus  is therefore a contradiction in itself. The Latin verb de-  370     MARCUS TERENTIUS VARRCTS  ON THE LATIN LANGUAGE   BOOK VII ENDS HERE, AND HERE BEGINS   BOOK VIII   One Book of Arguments which are ad-  vanced AGAINST THE EXISTENCE OF THE   Principle of Analogy   I. 1. Speech is naturally divided into three parts,  as I have shown in the previous books : its first part  is how names were imposed upon things ; its second,  in what way the derivatives of these names have  arrived at their differences ; its third, how the words,  when united with one another reasoningly, express an  idea. Having set forth the first part, I shall from  here begin upon the second. As every offshoot is  secondary by nature, because that vertical trunk from  which it comes is primary, and it is therefore  declined a : so there is declension in words : homo  1 man * is the vertical, kominis * man's ' is the oblique,  because it is declined from the vertical.   clinare is used in the meanings * to decline (a noun)/ * to  conjugate (a verb),' and * to derive ' in general, as well as  * to bend aside and down * in a literal physical sense : it  therefore offers great difficulties in translating.   371     VARRO     2. De huiusce(modi) 1 multiplici natura discrimi-  num (ca)wsae 2 sunt hae, cur et quo et quemadmodum  in loquendo declinata sunt verba. De quibus duo  prima duabus causis percurram breviter, quod et turn,  cum de copia verborum scribam, erit retractandum et  quod de tribus tertium quod est habet suas permultas  ac magnas partes.   II. 3. Declinatio inducta in sermones non solum  Latinos, sed omnium hominum utili et necessaria de  causa : nisi enim ita esset factum, neque di(s)cere 1  tantum numerum verborum possemus (infinitae enim  sunt naturae in quas ea declinantur) neque quae  didicissemus, ex his, quae inter se rerum cognatio  esset, appareret. At nunc ideo videmus, quod simile  est, quod propagatum : legi (c)um (de lego) 2 de-  clinatum est, duo simul apparent, quodam modo  eadem dici et non eodem tempore factum ; at 3 si  verbi gratia alterum horum diceretur Priamus, alterum  fiecuba, nullam unitatem adsigniflcaret, quae ap-  paret in lego et legi et in Priamus Priamo.   4. Ut in hominibus quaedam sunt agnationes ac 1  gentilitates, sic in verbis : ut enim ab AemiMo homines  orti ^emilii ac gentiles, sic ab ^emilii nomine de-  clinatae voces in gentilitate nominali : ab eo enim,   § 2. 1 Added by L. Sp. 2 L. Sp., for orae.   § 3. 1 Mue. t for dicere ; cf, § 5. 2 GS.,for legium F ;  cf. declinatum est ab lego Aug. from B, and last sentence of  this section. 3 Mue., for ut.   §4. 1 L. Sp. t for ad.     § 2. a Cf. viii. 9 in quas. b That is, the collective  vocabulary;.   § 3. a The term ' inflection ' will be convenient oftentimes  to express declinatio, including both declension of nouns and  conjugation of verbs.  372     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 2-i     2. From the manifold nature of this sort there  are these causes of the differences : for what reason,  and to what product, a and in what way, in speaking,  the words are declined. The first two of these I shall  pass over briefly, for two reasons : because there will  have to be a rehandling of the topics when I write of  the stock of words, 6 and because the third of them has  numerous and extensive subdivisions of its own.   II. 3. Inflection a has been introduced not only  into Latin speech, but into the speech of all men,  because it is useful and necessary ; for if this system  had not developed, we could not learn such a great  number of words as we should have— for the possible  forms into which they are inflected are numerically  unlimited — nor from those which we should have  learned would it be clear what relationship existed  between them so far as their meanings were con-  cerned. But as it is, we do see, for the reason that  that which is the offshoot bears a similarity to the  original : when legi ' I have gathered ' is inflected  from lego ' I gather,' two things are clear at the same  time, namely that in some fashion the acts are said to  be the same, and yet that their doing did not take  place at the same time. But if, for the sake of a  word, one of these two related ideas was called  Priamus and the other Hecuba, there would be no  indication of the unity of idea which is clear in lego  and legi, and in nominative Priamus, dative Priamo.   4. As among men there are certain kinships, either  through the males or through the clan, so there are  among words. For as from an Aemilius were sprung  the men named Aemilius, and the clan-mcmbers of the  name, so from the name of Aemilius were inflected  the words in the noun-clan : for from that name which     373     VARRO     quod est impositum recto casu ^emilius, orta ^emilii,  ^emilium, ^emilios, ^4emiliorum et sic reliquae eius-  dem quae sunt*stirpis.   5. Duo igitur omnino verborum principia 3 im-  positio (et declinatio), 1 alterum ut fons, alterum ut  rivus. Impositicia nomina esse voluerunt quam  paucissima, quo citius ediscere possent, declinata  quam plurima, quo facilius omncs quibus ad usum  opus esset 2 dicerent. 3   6. Ad illud genus, quod prius, historia opus est :  nisi dzscendo 1 enim aliter id non* pervenit ad nos ; ad  reliquum genus, quod posterius. ars : ad quam opus  est paucis praeceptis quae sunt brevia. Qua enim  ratione in uno vocabulo declinare didiceris, in infinito  numero nominum uti possis : itaque novis nominibus  allatis 3 (in) 4 consuetudinem sine dubitatione eorum  declinatus statim omnis dicit populus ; etiam novicii  servi empti in magna familia cito omnium conser-  vorum (n)om{i)na 5 recto casu accepto in reliquos  obliquos declinant.   7. Qui s(i) 1 non numquam offendunt, non est  mirum : et enim ille 2 qui primi nomina imposuerunt  rebus fortasse an in quibusdam sint lapsi : voluis(se)  enim putant(ur) 3 singularis res notarc, ut ex his in  multitudine(m) 4 declinaretur, ab homine homines ;   § 5. 1 Added by L. Sp., V, p. 2 Canal, for essent.  3 Ed. Veneta, for dicerentur.   § 6. 1 Stephanus, for descendendo. 2 For idum.  3 For allatius. 4 Added by Aug. 6 Aug., for omnes.   § 7. 1 Aldus, for quid. 2 Aldus, for ilia. 3 Ellis,  for putant. % 4 -dinem H, for -dine F and other codd.     § 7. ° That is, in the singular.  374     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 4r-7     was imposed in the nominative case as Aemilius were  made Aemilii, Aemilium, Aemilios, Aemiliorum, and in  this way also all the other words which are of this  same line.   5. The origins of words are therefore two in num-  ber, and no more : imposition and inflection ; the one  is as it were the spring, the other the brook. Men  have wished that imposed nouns should be as few as  possible, that they might be able to learn them more  quickly ; but derivative nouns they have wished to be  as numerous as possible, that all might the more easily  say those nouns which they needed to use.   6. In connexion with the first class, a historical  narrative is necessary, for except by outright learning  such words do not reach us ; for the other class, the  second, a grammatical treatment is necessary, and for  this there is need of a few brief maxims. For the  scheme by which you have learned to inflect in the  instance of one noun, you can employ in a countless  number of nouns : therefore when new nouns have  been brought into common use, the whole people at  once utters their declined forms without any hesita-  tion. Moreover, those who have freshly become slaves  and on purchase become members of a large house-  hold, quickly inflect the names of all their fellow-  slaves in the oblique cases, provided only they have  heard the nominative.   7. If they sometimes make mistakes, it is not  astonishing. Even those who first imposed names  upon things perhaps made some slips in some in-  stances : for they are supposed to have desired to  designate things individually, that from these inflec-  tion might be made to indicate plurality, as homines  ' men * from homo ' man.' They are supposed to have   375     VARRO     sic mares liberos voluisse notari, ut ex his feminae  declinarentur, ut est ab Terentio Terentia ; sic in  recto casu quas imponerent voces, ut illinc e sent  futurae quo declinarentur : sed haec in omnibus  tenere nequisse, quod et una(e) et (binae) 5 dicuntur  scopae, et mas et femina aquila, et recto et obliquo  vocabulo vis.   8. Cur haec non tarn si(n)t x in culpa quam putant,  pleraque solvere non difficile, sed nunc non necesse :  non enim qui potuerint adsequi sed qui voluerint, ad  hoc quod propositum refert, quod nihilo minus 2 de-  clinari potest ab eo quod imposuerunt 3 scopae scopa-  (rum), 4 quam si imposuissent scopa, ab eo scopae, sic  alia.   III. 9. Causa, inquam, cur eas 1 ab impositis  nominibus declinarint, quam ostendi ; sequitur, in  quas voluerint 2 declinari aut noluerint, ut generatim  ac summatim item informem. Duo enim genera  verborum, unum fecundum, 3 quod declinando multas  ex se parit disparilis formas, ut est lego legi 4 legam,   5 Mette ; unae et duae A. Sp. ; unae Mue. ; for una et.   § 8. 1 Aug.) with for sit. 2 For nichiloniinus.  3 For imposiuerunt. 4 Reitzenstein, for scopa.   § 9. 1 Laetus, M,for earn. 2 Laetits deleted declinarint  after voluerint. 3 JlhoL, for fcmndum. 4 L. Sp., for  legis ; cf. § 3, end.     1 The genitive.  376     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 7-9     desired that male children be designated in such a  way that from these the females might be indicated  by inflection, as the feminine Terentia from the  masculine Terentivs ; and that similarly from the  names which they set in the nominative case, there  might be other forms to which they could arrive by  inflection. But they are supposed to have been  unable to hold fast to these principles in every-  thing, because the plural form scopae denotes either  one or two brooms, and aquila ' eagle ' denotes both  the male and the female, and vis * force ' is used  for the nominative and for an oblique case b of  the word.   8. Why such words are not so much at fault as  men think, it is in most instances not hard to explain,  but it is not necessary to do so at this time ; for it is  not how they have been able to arrive at the words,  but how they wished to express themselves, that is of  import for the subject which is before us : inasmuch  as genitive scoparum can be no less easily derived from  the plural scopae which they did impose on the object  as its name, than if they had given it the name scopa  in the singular, and made the genitive scopae from  this — and other words likewise.   III. 9- The reason, I say, why they made these  inflected forms a from the names which they had set  upon things, is that which I have shown ; the next  point is for me to sketch by classes, but briefly, the  forms a at which they have wished to arrive by inflec-  tion, or have not wished to arrive. For there are two  classes of words, one fruitful, which by inflection pro-  duces from itself many different forms, as for example  lego ' I gather/ legi * I have gathered,' legam * I shall   § 9. a Understand voces with eas and with quas.   377     VARRO   sic alia, alterum genus sterile, quod ex se parit nihil, 5  ut est et iam 6 vix eras 7 magis cur.   10. Quarum rerum usus erat simplex, (simplex) 1  ibi etiam vocabuli declinatus, ut in qua domo unus  servus, uno servili opwst 2 nomine, in qua 3 multi, pluri-  bus. Igitur et in his rebus quae 4 sunt nomina, quod  discrimina vocis plura, propagines plures, et in his  rebus quae copulae sunt ac iungunt 5 verba, quod non  opus fuit declinari in plura, fere singula sunt : uno  enim loro alligare possis vel hominem vel equum vel  aliud quod, quicquid est quod cum altero potest  colligari. Sic quod dicimus in loquendo " Consul fuit  Tullius et Antonius," eodem illo ' et ' omnis binos  consules colligtfre 6 possumus, vel dicam amplius,  omnia nomina, atque «deo 7 etiam omnia verba, cum  fulmentuw 8 ex una syllaba illud ' et ' maneat unum.  Quare duce natura (factum)s/,* quae imposita essent  vocabula rebus, ne ab omnibus his declina/us 10 puta-  r emus. 11   IV. 11. Quorum 1 generum declinationes oriantur,  partes orationis sunt duae, (ni)si 2 item ut Dzon in  tris diviserimus partes res quae verbis significantur :   6 For nichil. 6 GS., for etiam. 7 L. Sp., for vixerat ;  cf. vix magis eras Aug., with B.   § 10. 1 Added by Sciop. 2 servili L. Sp., opust Sciop.,  for seruilio post. 3 B, for quam. 4 L. Sp.^for quorum.  6 Mue. f for hmguntur. 6 Aug., for colligere. 7 Sciop.,  for ideo. 6 Mue., for fulmen tunc. 9 L. Sp., for si.  10 Laetus, for declinandus. 11 Fay, for putarent.   § 11. 1 Laetus, for quarum. 2 Roehrscheidt, for si.   6 The invariable and indeclinable words.   § 10. a ~Cf. the Marcipor ' Marcus' boy,' of earlier times.  6 In 63 b.c. ; the example compliments Cicero, to whom the  work is addressed. c That is, we should expect some words  to be invariable and uninflected.     378     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 9-11     gather/ and similarly other words ; and a second  class which is barren, 5 which produces nothing from  itself, as for example et * and/ tarn * now/ vix ' hardly/  eras ' to-morrow/ magis * more/ cur 'why/   10. In those things whose use was simple, the  inflection of the name also was simple ; just as in a  house where there is only one slave there is need of  only one slave-name, a but in a house where there are  many slaves there is need of many such names. There-  fore also in those things which are names, because the  differentiations of the word are several, there are more  offshoots, and in those things which are connectives  and join words, because there was no need for them  to be inflected into several forms, the words generally  have but one form : for with one and the same thong  you can fasten a man or a horse or anything else,  whatever it is, which can be fastened to something  else. Thus, for example, we say in our talking,  " Tullius et * and ' Antonius were consuls " 6 : with  that same et we can link together any set of two con-  suls, or — to put it more strongly — any and all names,  and even all words, while all the time that one-syllabled  prop-word et remains unchanged. Therefore under  nature s guidance it has come about that we should  not think that there are inflected forms from all these  names which have been set upon things.   IV. 11. In the word-classes in which inflections  may develop, the parts of speech are two, unless,  following Dion, a we divide into three divisions the  ideas which are indicated by words : one division   §11. ° An Academic philosopher of Alexandria, who  headed an embassy to Rome in 56 to seek help against the  exiled king Ptolemy Auletes, and was there poisoned by the  king's agents.   379     VARRO     unam 3 quae adsignificat casus, 4 alteram 5 quae tem-  pora, tertia(m) 6 quae neutrum. De his Aristoteles  orationis duas partes esse dicit : vocabula et verba,  ut homo et equus, et legit et currit.   12. Utriusque generis, et vocabuli et verbi, quae-  dam priora, quaedam posteriora ; priora ut homo,  scribit, posteriora ut doctus et docte : dicitur enim  homo doctus et scribit docte. Haec sequitur locus et  tempus, quod neque homo nec scribi(t) 1 potest sine  loco et tempore esse, ita ut magis sit locus homini  coniunctus, tempus scriptioni.   13. Cum de his nomen sit primum (prius enim  nomen est quam verbum temporale et reliqua pos-  terius quam nomen et verbum), prima igitur nomina :  quare de eorum declinatione quam de verborum ante  dicam.   V. 14. Nomina declinantur aut in earum rerum  discrimina, quarum nomina sunt, ut ab Terentius  Terenti(a), 1 aut in ea(s) 2 res extrinsecus, quarum ea  nomina non sunt, ut ab equo equiso. In sua dis-  crimina declinantur aut propter ipsius rei naturam de   3 i?, for unum. 4 Laetus, for capus. 5 Laetus, B, for  alterum. 6 Mue.^for tertia.  § 12. 1 B, II, Laetus, for scribi.   § 14. 1 Reitzenstein, for Tcrenti; cf. ix. 55, 59. 2 V,  p, Laetus^ for ea.     b A division into nouns, verbs, and convinct tones went back  to Aristotle, according to Quintilian, Inst, Oral. i. 4. 18 {cf  also Priscian, ii. 54. 5 Keil) ; but more detailed classifications  of the parts - of speech had also been made before Varro's  time. e Rhet. iii. 2 ; but cf. preceding note.   § 19. ° That is, grammatically subordinate in the phrase.   § 13. ° Since verbum means both ' word ' in general, and   380     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 11-14     which indicates also case, a second which indicates  also time, a third which indicates neither. 6 Of these,  Aristotle c says that there are two parts of speech ;  nouns, like homo * man * and equus ' horse/ and verbs,  like legit * gathers ' and currit ' runs.*   12. Of the two kinds, noun and verb, certain  words are primary and certain are secondary a :  primary like homo ' man * and scribit * writes/ and  secondary like doctus * learned * and docie * learnedly/  for we say homo doctus ' a learned man * and scribit  docie * writes learnedly.* These ideas are attended  by those of place and time, because neither homo nor  scribit can be asserted without the presupposition of  place and of time — yet in such a way that place is  more closely associated with the idea of the noun  homo, and time more closely with the act of writing.   13. Since among these the noun is first — for the  noun comes ahead of the verb, a and the other words  stand later relatively to the noun and the verl> — the  nouns are accordingly first. Therefore I shall speak  of the form-variations b of nouns before I take up  those of verbs.   V. 14. Nouns are varied in form either to show  differences in those things of which they are the  names, as the woman's name Terentia from the man's  name Tereniius, or to denote those things outside, of  which they are not the names, as equiso ' stable-boy *  from equus * horse.* To show differences in them-  selves they are varied in form either on account of the  nature of the thing itself about which mention is   ' verb * specifically, Varro here writes verbum temporale to  avoid any ambiguity. * Declinatio denotes not only de-  clension, but conjugation of verbs, derivation by prefixes  and suffixes, and composition.   381     VARRO     qua 3 dicitur aut -propter illius (usum) 4 qui dicit.  Propter ipsius rei discrimina, aut ab toto (aut a parte.  Quae a toto, declinata sunt aut propter multitudinem  aut propter exiguitatem. Propter exiguitatem), 5 ut  ab homine homunculus, ab capite capitulum ; propter  multitudinem, ut ab homine homines ; ab eo (abeo)*  quod alii dicunt cervices et id Hortensius in poematis  cervix.   15. Quae a parte 1 declinata, aut a corpore, ut a  mamma mammosae, a manu manubria, aut ab animo,  ut a prudentia pruden(te)s, 2 ab ingenio ingeniosi.  Haec sine agitationibus ; at ubi motus maiores, item  ab animo (aut a corpore), 3 ut ab strenuitate et nobili-  tate strenui et nobiles, sic a pugnando et currendo  pugiles et cursores. Ut aliae dechnationes ab animo,  aliae a corpore, sic aliae quae extra hominem, ut  pecimiosi, agrarii, quod foris pecunia et ager.   VI. 16. Propter eorum qui dicunt usum 1 declinati  casus, uti is qui de altero diceret, distinguere posset,   3 Vert ran ius, for quo. 4 Added by GS., following Reitzen-  stein, who added it after dicit. 5 Added by Reitzenstein ;  aut a parte, ab toto added by L. Sp., after Aug.* who  added aut a parte, a toto, suggested to him by B aut a parte  aut ab animo. a toto. • Added by Fay.   § 15. 1 For aperte. 1 L. Sp. t for prudens. 3 Added  by L. Sp.   § 16. 1 Vert ranius, for dicuntur sum.     § 14. a That is, syntactical variations, indicated by  the  case-forms. b Other categories resulting in variations  might have been listed. e Frag. Poet. Lat.^ page 91 Morel.  d As did also Ennius and Pacuvius, before Hortensius ; the  plural was the only regularly used form, outside the poets.   § 15. ° We expect rather a plural adjective meaning * big-  handed.* 6 The long abstract nouns are of course derived  from the adjectives. e Or perhaps in the original meaning  * farmers.*  332     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 14-16     made, or on account of the use to which the speaker  puts the word. a On account of differences in the  thing itself, the variation is made either with reference  to the whole thing, or with reference to a part of it.  Those forms which concern the whole are derived  either on account of plurality or on account of small-  ness. 6 On account of smallness, homunculus * mani-  kin ' is formed from homo * man/ and capitulum * little  head ' from caput 4 head.' On account of plurality,  homines 4 men ' is made from homo 4 man ' ; I pass by  the fact that others use cervices 4 back of the neck ' in  the plural, and Hortensius c in his poems uses it in the  singular cervix. d   15. Those which are derived from a part, come  either from the body, as mammosae * big-breasted  women ' from mamma * breast ' and manubria a   * handles ' from manus * hand/ or from the mind, as  prudentes 4 prudent men * from prudentia * prudence '   and ingeniosi * men of talent ' from ingenium 4 innate   .... .  ability.' The preceding are quite apart from move-  ments ; but where there are important motions, the  derivatives are similarly from the mind or from the  body, as strenui 4 the quick ' and nobiles * the noble/  from strenuitas 4 quickness ' and nobilitas 4 nobility/ b  and in this way also pugiles 4 boxers * and cursores   * runners * from pugnare 4 to fight ' and currere 4 to  run.' As some derivations are from the mind and  others from the body, so also there are others which  refer to external things, as pecuniosi 4 moneyed men '  and agrarii c 4 advocates of agrarian laws/ because  pecunia * money * and ager * field-land ' are exterior to  the men to whom the derivatives are applied.   VI. 16. It was for the use of the speakers that the  case-forms were derived, that he who spoke of another   383     VARRO     cum vocaret, cum daret, cum accusaret, sic alia  eiusdem (modi) 2 discrimina, quae nos et Graecos ad  declinandum duxerunt. Sine 3 controversia (sunt  obliqui, qui nascuntur a recto : unde rectus an sit  casus) 4 sunt qui quae(rant. Nos vero sex habemus,  Graeci quinque) 4 : quis vocetur, ut 7/ercules ; quem-  admodum vocetur, ut 7/ercule ; quo vocetur, ut ad  7/crculem ; a quo vocetur, ut ab 7/ercule ; cui voce-  tur, ut 7/erculi ; cuius vocetur, ut 7/erculis.   VII. 17. Propter ea verba quae erant proinde ac  cognomina, ut prudens, candidus, strenuus, quod in  his praeterea sunt discrimina propter incrementum,  quod maius aut minus in his esse potest, accessit  declinationum genus, ut a candido candidius candi-  dissimum sic a longo, divite, id genus aliis ut fieret.   18. Quae in eas res quae extrinsecus declinantur,  sunt ab equo equile, ab ovibus ovile, sic alia : haec  contraria illis quae supra dicta, ut a pecunia pecunio-   2 Added by Mue. 3 For sinae. 4 Added by Schoell  apud GS. ; cf. note b.   § 16. ° Vocative, dative, accusative cases ; the accusative  was in Latin a poorly named case, through a mistranslation  of its Greek name. b The only controversy was whether  or not the nominative was to be called a case, and the  text must be expanded to conform to this basic fact ; cf.  Charisius, i. 154. 6-8 Keil, Priscian, ii. 185. 12-14 Keil, etc.  Cf. viii. 1 note a, above. c The Greeks had no ablative  case.   § 17. a Nowhere recorded as a cognomen, despite Varro.  b Recorded as a cognomen in the Claudian and the Julian  gentes, and in several others. c Not recorded as a cog-  nomen. d Namely, comparison of adjectives. * For  such cognomina, c/. Fulvius Nobilior and Fabius Maximus.  f i.e., adjectives.  384     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 16-18     might be able to make a distinction when he was  calling, when he was giving, when he was accusing,"  and other differences of this same sort, which led us as  well as the Greeks to the declension of nouns. The  oblique forms which develop from the nominative are  without dispute to be called cases ; but there are  those who question whether the nominative is properly  a case. 6 At any rate, we have six forms, and the  Greeks five e : he who is called, as (nominative) Her-  cules ; how the calling is done, as (vocative) Hercule ;  whither there is a calling, as to (accusative) Herculem ;  by whom the calling is done, as by (ablative) Hercule ;  to or for whom there is a calling, as to or for (dative)  Herculi ; of whom the calling or called object is, as of  (genitive) Herculis.   VII. 17. There are certain words which are like  added family names, such as Prudens ° * prudent,*  Cajididus b * frank/ Strenuus e * brisk,* and in them  differences may be shown by a suffix, since the quality  may be present in them to a greater or a smaller  degree : therefore to these words a kind of inflection d  is attached, so that from candidum 1 shining white '  comes the comparative candidius and the superlative  candidissimumf formed in the same way as similar  forms from longum * long,' dives 1 rich,' and other  words of this kind/   18. The terms which are derived for application  to exterior objects, are for example equile ' horse-  stable ' from equus ' horse,' ovile ' sheepfold * from  oves 1 sheep,' and others in this same way ; these are  the opposite of those which I mentioned above, such   § 18. ° Here, objects named by derivation from living  beings ; in § 15, living beings named by derivation from  inanimate objects.   vol. ti c 385     VARRO     sus, ab urbe urbanus, ab atro atratus : ut nonnunquam  ab homine locus, ab eo loco homo, ut ab Romulo  Roma, ab Roma Romanus.   19. Aliquot modis declinata ea quae foris : nam  aliter qui a maioribus suis, Laton{i)us 1 et Priamidae,  aliter quae (a) 2 facto, ut a praedando praeda, a  merendo merces ; sic alia sunt, quae circum ire non  difficile ; sed quod genus iam videtur et alia urgent,  omitto.   VIII. 20. In verborum genere quae tempora ad-  significant, quod ea erant tria, praeteritum, praesens,  futurum, declinatio facienda fuit triplex, ut ab saluto  salutabam, salutabo ; cum item personarum natura  triplex esset, qui loqueretur, (ad quern), 1 de quo, haec  ab eodem verbo declinata, quae in copia verborum  explicabuntur.   IX. 21. Quoniam dictum de duobus, declinatio 1  cur et in qua(s) 2 sit facta, 3 tertium quod relinquitur,   § 19. 1 p, Laetus, for latonus F. 2 Added by Aug.,  with B.   % 20. 1 Added by Laetus after de quo, and transferred to  this position by Mue.   § 21. 1 Mue., for duabus declinationibus. 2 KenU for  qua ; cf in quas viii. 9. 3 A. Sp.,for fama.     b Romulus is derived from Roma, not the reverse, as Varro  has it.   § 19. Apollo ; but oftener Latonia (fern.), Diana.  b Especially Hector, Paris, Helenus, Deiphobus. e Cf v. 44.   § 20. a That is, verbs.  386     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 18-21     as pecuniosus ' moneyed man * from pecunia 1 money/  urbanus 1 city man ' from urbs 1 city/ atraius * clad in  mourning ' from atrum ' black.' Thus sometimes a  place is named from a man, and then a man from this  place, as Rome from Romulus b and then Roman  from Rome.   19. The nouns which relate to exterior objects are  derived in sundry ways : those like Latonias ' Latona's  child * a and Priamidae ' Priam's sons/ b which are  derived from the names of their progenitors, are  formed in one way, and those which come from an  action are made in another way, such as praeda  ' booty ' from praedari * to pillage * and merces ' wages ' c  from mereri ' to earn. 1 In the same way there are  still others, which can be enumerated without diffi-  culty ; but because this category of words is now  clear to the understanding and other matters press  for attention, I pass them by.   VIII. 20. Inasmuch as in the class of words which  indicate also time-ideas a there were these three  time-ideas, past, present, and future, there had to be  three sets of derived forms, as from the present saluto  ' I salute ' there are the past salutabam and the future  salutabo. Since the persons of the verb were likewise  of three natures, the one who was speaking, the one  to whom the speaking was done, and the one about  whom the speaking took place, there are these deriva-  tive forms of each and every verb ; and these forms  will be expounded in the account of the stock of verbs  which is in use.   IX. 21 . Since two points have been discussed, why  derivation exists and to what products it eventuates,  the remaining third point shall now be spoken of,  namely, how and in what manner derivation takes   387     VARRO     quemadmodum, nunc dicetur.* Declinationum genera  sunt duo, voluntarium et naturale ; voluntarium est,  quo ut cuiusque tulit voluntas declinavit. Sic tres  cum emerunt Ephesi singulos servos, nonnunquam  alius declinat nomen ab eo qui vendit Artemidorus,  atque Artemam appellat, alius a regione quod ibi  emit, ab Ion(i)a 5 Iona,* alius quod Ephesi Ephesium,  sic alius ab alia aliqua re, ut visum est.   22. Contra naturalem declinationem dico, quae  non a singulorum oritur voluntate, sed a com(m)uni  consensu. Itaque omnes impositis nominibus eorum  item declinant casus atque eodem modo dicunt huius  Artemidori 1 et huius Ionis et huius Ephesi, 2 sic in  casibus aliis.   23. Cum utrumque nonnunquam accidat, et ut in  voluntaria declinatione animadvertatur natura et in  naturali voluntas, quae, cuiusmodi sint, aperientur  infra ; quod utraque declinatione alia fiunt similia,  alia dissimilia, de eo Graeci Latinique libros fecerunt  multos, partim cum alii putarent in loquendo ea verba  sequi oportere, quae ab similibus similiter essent  declinata, quas appellarunt dvaXoylas, 1 alii cum id   4 Aitg., for dicitur. 5 Laetus, for Iona. 6 Mue., for  Ionam.   §22. 1 Apparently Varro^s own slip for Artemae.  2 Rhol.,for Ephesis.  § 23. 1 For analogiias.     § 21. a This term includes both word-formation and word-  inflection. 6 Practically equal to subjective and objective.  C A common type of hypocoristic or nickname, cf. Demas  from Demvcritus and similar names, Hippias from Hip-  parchus, etc.   § 22. a This is inflection. b Specifically, declension.  §23. a Cf. viii. 15-16, 51. b Cf. page 118 Funaioli.  388     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 21-23     place. There are two kinds of derivation, voluntary  and natural. b Voluntary derivation is that which is  the product of the individual person's volition, direct-  ing itself apart from control by others. So, when  three men have bought a slave apiece at Ephesus,  sometimes one derives his slave's name from that of  the seller Artemidorus and calls him Artemas c ;  another names his slave Ion, from Ionia the district,  because he has bought him there ; the third calls his  slave Ephesius, because he has bought him at Ephesus.  In this way each derives the name from a different  source, as he preferred.   22. On the other hand I call that derivation  natural, which is based not on the volition of indivi-  duals acting singly, but on general agreement. So,  when the names have been fixed, they derive the  case-forms of them in like fashion, 5 and in one and the  same way they all say in the genitive case Artemidori,  Ionis, Ephesi ; and so on in the other cases.   23. Sometimes both are found together, and in  such a way that in the voluntary derivation the pro-  cesses of nature are noted, and in the natural deriva-  tion the effects of volition ; of what sort these are,  will be recounted below. Since in the two kinds of  derivation some things approach likeness and others  become unlike, the Greeks and the Latins b have  written many books on the subject : in some of them  certain writers express the idea that in speaking men  ought to follow those words and forms which are  derived in similar fashion from like starting-points—  which they called the products of Analogy c ; and   e The regularizing principle which tends to eliminate irre-  gular forms of less frequent occurrence, still called Analogy,  by scientific linguists.   389     VARRO     ncglegendum putarent ac potius sequendam (dis)-  similitudinem, 2 quae in consuetudine est, quam  vocaruwtf 3 d(v)o)fxakiav, 4 cum, ut ego arbitror, utrum-  que sit nobis sequendum, quod (in) 5 declinatione  voluntaria sit anomalia, in naturali magis analogia.   24. De quibus utriusque generis declinationibus  libros faciam bis ternos, prioris tris de earum declina-  tionum disciplina, posteriores de 1 eius disciplinae  propaginibus. De prioribus primus erit hie, quae  contra similitudinem declinationum dicantur, secun-  dus, quae contra dissimilitudinem, tertius de simili-  tudinum forma ; de quibus quae expediero 2 singulis  tribus, turn de alteris totidem scribere ac dividere 3  incipiam.   X. 25. Quod huiusce 1 libri est dicere contra eos  qui similitudinem sequuntur, quae est ut in aetate  puer ad senem, (puella) 2 ad anum, in verbis ut est  scribo scribam, 3 dicam prius contra universam ana-  logiam, dein turn de singulis partibus. A natura  sermo(nis) 4 incipiam.   XI. 26. Omnis oratio cum debeat dirigi ad utili-  tatem, ad quam turn denique pervenit, si est aperta   2 Aug., with B t for similitudinem. 3 For vocarum.  4 Aldus* for AtoM AeNAN. 5 Added by Aug.   § 24. 1 L. Sp.,for ex. 2 Mue. ; expedierint Aug. ; for  experiero. 3 L. Sp. deleted incipimus after dividere.   g 25. 1 For huiuscae. 2 Added by Aldus. 3 L. Sp.  deleted dico after scribam. 4 Aug., for sermo.     d The irregularities summed up in this term are the products  of the regular working of ' phonetic law,' unrestrained by the  operation of Analogy ; the term Anomaly names it from  the product rather than from the working process. e It  seems better henceforth to translate analogia by Regularity  or the like, rather than to keep the word Analogy.   390     OX THE LATIN LANGUAGE, VIII. 23-26     others are of opinion that this should be disregarded  and rather men should follow the dissimilar and  irregular, which is found in ordinary habitual speech  — which they called the product of Anomaly.* But  in my opinion we ought to follow both, because in  voluntary derivation there is Anomaly, and in the  natural derivation there is even more strikingly  Regularity.*   24. About these two kinds of derivation I shall  write two sets of three books each : the first three  about the principles of these derivations, and the  latter set about the products of these principles. In  the former set the first book will contain the views  which may be offered against likeness in derivation  and declension ; the second will contain the argu-  ments against unlikeness ; the third will be about the  shape and manner of the likenesses. What I have  set in order on these topics, I shall write in the three  separate books ; then on the second set of topics I  shall begin to write, with due division into the same  number of books.   X. 25. Inasmuch as it is the task of this book to  speak against those who follow likeness a — which is  like the relation of boy to old man in the matter of  human life, and like that of girl to old woman, and in  verbs is the relation of scribo * I write * and scribam ' I  shall write * — I shall speak first against Regularity in  general, and then thereafter concerning its several  subdivisions. I shall begin with the nature of human  speech.   XI. 26. All speaking ought to be aimed at  practical utility, and it attains this only if it is clear   § 25. ° That is, regularity of paradigms resulting from  the process of Analogy.   391     VARRO     et brevis, quae petimus, quod obscurus 1 et longi(or) 2  orator est odio ; et cum efficiat aperta, ut intellegatur,  brevis, ut 3 cito intellegatur, et aperta(m) 4 consuetudo,  brevem temperantia loquentis, et utrumque fieri  possit sine analogia, nihil 5 ea opus est. Neque enim,  utrum Herculi an Herculis clavam dici oporteat, si  doceat analogia, cum utrumque sit in consuetudine,  non neglegendum, 6 quod aeque sunt et brevi(a) et  aperta.   XII. 27. Praeterea quoius 1 utilitatis causa quae-  que res sit inventa, si ex ea quis id sit consecutus,  amplius ea(m) 2 scrutari cum sit nimium otiosi, et cum  utilitatis causa verba ideo sint imposita rebus ut  ea(s) 3 significent, si id consequimur una consuetudine,  nihil 4 prodest analogia.   XIII. 28. Accedit 1 quod quaecumque usus causa  ad vitam sint assumpta, in his no(strumst) 2 utilitatem  quaerere, non similitudinem : itaque in vestitu cum  dissimillima sit virilis toga tunica(e), 3 muliebri(s) 4  stola pallio, tamen inaequabilitatem hanc sequiwur 5  nihilo 6 minus.   XIV. 29. In tfedificiis, quo?n 1 non videamus habere   § 26. 1 Aldus, for obscurum. 2 GS., for longi (Aldus  longus). 3 Aldus, for et. 4 Aug., for aperta. 5 For  nichiL 6 Aug. deleted sunt after neglegendum.   §27. 1 Mue. s for quod ius. 2 Aug., for ea. 3 Ver-  tranius, for ea. 4 For nichil.   § 28. 1 Aldus, for accidit. 2 Fay, for non. 3 Laetus,  for tunica., 4 Cuper, for muliebri. 5 Aug., with B, for  sequitur. . 6 For nichilo.   § 29. 1 Mue. ; quod quom L. Sp. ; for quod.     392     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 2S-29     and brief : characteristics which we seek, because  an obscure and longish speaker is disliked. And  since clear speaking causes the utterance to be  understood, and brief speaking causes it to be under-  stood quickly, and since also habitual use makes the  utterance clear and the speaker's self-restraint makes  it brief, and both these can be present without Regu-  larity, there is no need of this Regularity. For if  Regularity should instruct us whether we ought to  say Herculi a or Hercitlis for the genitive, as in the  phrase * the club of Hercules,' we must not fail to  disregard its teaching, since both are in habitual use,  and both forms are equally short and clear.   XII. 27. Besides, if from a thing one has secured  that useful service for which it was invented, it is the  act of a person with a great deal of idle time, to  examine it further ; and since the useful service for  which names are set upon things is that the names  should designate the things, then if we secure this  result by habitual use alone, Regularity adds no gain.   XIII. 28. There is the additional fact that in  those things which are taken into our daily life for  use, it is our practice to seek utility and not to seek  resemblance ; thus in the matter of clothing, although  a man's toga a is very unlike his tunic, et and a woman's  stola c is very unlike a. pallium? we make no objection  to the difference.   XIV. 29. In the case of buildings, although we do   § 26. This form occurs in Plautus, Persa 2, Rudens 822,  and in other authors.   § 28. The formal outer garment of a Roman man.  * A shirt or undergarment. c The dress of a Roman  matron. d The long outer garment of the Greeks, properly  a man's garb only, but worn also by prostitutes both in  Greece and in Italy as a sign of their livelihood.   393     VARRO     (ad) 2 atrium 7reptcrTv\.ov z similitudinem ct cubiculum  ad equile, 4 tamen propter utilitatcm in his dissimili-  tudines potius quam similitudines seqm'mur 5 : itaque  et hiberna triclinia et aestiva non item valvata ac  fenestrata facimus.   XV. 30. Quare cum, ut 1 in vestitu aedificiis, sic in  supellectile cibo ceterisque omnibus quae usus (causa) 2  ad vitam sunt assumpta dominetur inaequabilitas, in  sermone quoquc, qui est usus causa constitutus, ea  non repudianda.   XVI. 31. Quod si quis duplicem putat esse sum-  mam, ad quas metas 1 naturae sit perveniendumin usu,  utilitatis et elegantiae, quod non solum vestiti esse  vol umus ut vitcmus frigus, sed etiam ut videamur vestiti  esse honeste, non domum habere ut simus in tecto et  tuto solum, quo 2 necessitas contruserit, sed etiam ubi  voluptas retineri possit, non solum vasa ad victum  habilia,sed etiam figura bella atqueab artifice (ficta), 3  quod aliud homini, aliud humanitati satis est ; quod-  vis sitienti homini poculum idoneum, humanitati  (ni)si 4 bellum  parum ; sed cum discessum e(s)t 5 ab  utilitate ad voluptatem, tamen in eo ex dissimilitudine  plus voluptatis quam ex similitudine saepe capitur.   32. Quo nomine et gemina conclavia dissimiliter   2 Added by L. Sp. 3 For ITePHCThAON. 4 Hue.  deleted quod after equile. 5 F, Mue., for sequamur.   § 30. 1 Stephanus, for et. 2 Added by L. Sp.   §31. 1 For maetas. 2 Aug. (quoting a friend), for  quod. 3 Fay ; facta L. Sp. ; to fill a blank space in F of  about 4 letters. 4 Aldus, for si. 5 Aug., with B,for et.     § 29. a Jhe garden in the rear part of the house, surrounded  by colonnaded porticos. 6 The main hall in the front of  the house, with a central opening to the sky under which  there was a rectangular water-basin built in the floor.  394.     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 29-32     not see the persistyle a bearing resemblance to the  atrium 6 nor the sleeping-room bearing resemblance  to the horse-stable, still, on account of the utility in  them we seek for unlikenesses rather than likenesses ;  so also we provide winter dining-rooms and summer  dining-rooms with a different equipment of doors and  windows.   XV. 30. Therefore, since difference prevails not  only in clothing and in buildings, but also in furniture,  in food, and in all the other things which have been  taken into our daily life for use, the principle of  difference should not be rejected in human speech  either, which has been framed for the purpose of use.   XVI. 31. But if one should think that the sum of  those natural goals to which we ought to attain in  actual use consists of two items, that of utility and  that of refinement, because we wish to be clothed not  only to avoid cold but also to appear to be honourably  clothed ; and we wish to have a house not merely that  we may be under a roof and in a safe place into which  necessity has crowded us together, but also that we  may be where we may continue to experience the  pleasures of life ; and we wish to have table- vessels  that are not merely suitable to hold our food, but also  beautiful in form and shaped by an artist — for one  thing is enough for the human animal, and quite  another thing satisfies human refinement : any cup  at all is satisfactory to a man parched with thirst, but  any cup is inferior to the demands of refinement unless  it is artistically beautiful : — but as we have digressed  from the matter of utility to that of pleasure, it is a  fact that in such a case greater pleasure is often got  from difference of appearance than from likeness.   32. On this account, identical rooms are often   395     VARRO     pohwnt 1 et leetos non omnis paris magnitudine ae  figura faeiunt. Quod (si) 2 esset 3 analogia petenda  supelleetili, omnis leetos haberemus domi ad unam  formam et aut eum fulcro aut sine eo, nee eum ad  trieliniarem gradum, non item ad cubicularem ; neque  potius delectaremur supellectile distincta quae esset  ex ebore (aliisve) 4 rebus disparibus figuris quam  grabatis, 5 qui dva koyov* ad similem formam plerum-  que eadem materia fiunt. Quare aut negandum  nobis disparia esse iucunda aut, quoniam necesse est  confiteri, dicendum verborum dissimilitudine(m),  quae sit in eonsuetudine, 7 non esse vitandam.   XVII. 33. Quod si analogia sequenda est nobis,  aut ea observanda est quae est in eonsuetudine aut  quae non est. Si ea quae est sequenda est, prae-  ceptis nihil 1 opus est, quod, eum eonsuetudinem  sequemur, ea nos sequetur ; si quae non est in eon-  suetudine, quflteremus : ut quisque duo verba in  quattuor formis finxen't 2 similiter, quamvis haee  nolemus, tamen erunt sequenda, ut Iuppit(r)i, 3  Marspitrem ? Quas si quis servet analogias, pro  insano sit reprehendendus. Non ergo ea est se-  quenda.   § 32. 1 Koeler, for pollent. 2 Added by Laetus.  3 Laetus, for essent. 4 Fay ; aliisque Laetus ; to fill a  blank space of about 4 letters in F ; cf ix. 47. 5 For  grabattis. 6 Mue., for analogon ; cf x. 2. 7 For  eonsuetudinem.   §33. 1 For nichil. 2 Vert ran ius, for finxerunt. 3 L.  Sp., for Iuppiti.     § 33. a Namely, genitive, dative, accusative, ablative,  from the nominative as starting-point. 6 Such forms,  retaining and inflecting the pater which forms the second   396     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 32-33     ornamented in unlike manner, and couches are not all  made the same in size and shape. But if Regularity  were to be sought in furniture, we should have all the  couches in the house made in one fashion, and either  with posts or without them, and when we had a couch  suited for use beside the dining-table, we should not  fail to have just the same for bedroom use ; nor should  we rather be delighted with furniture which was  decorated with varying figures of ivory or other  materials, any more than in camp-beds, which with  regularity are almost always made of the same  material and in the same shape. Therefore either we  must deny that differences give pleasure, or, since we  must admit that they do, we must say that the un-  likeness in words which is found in habitual usage, is  not something to be avoided.   XVII. 33. But if we must follow Regularity,  either we must observe that Regularity which is  present in ordinary usage, or we must observe also  that which is not found there. If we must follow that  which is present, there is no need of rules, because  when we follow usage, Regularity attends us. But if  we ought to follow the Regularity which is not present  in ordinary usage, then we shall ask, When any one  has made two words in four forms ° according to the  same pattern, must we employ them just the same,  even though we do not wish to — as for example a  dative Iuppitri and an accusative Marspiirem ? b If  any one should persist in using such * regular forms,*  he ought to be rebuked as crazy. This kind of  Regularity, therefore, is not to be followed.   part of Iuppiter and Marspiter, are quite abnormal, and are  found chiefly in the grammarians as examples of forms which  are not to be used.   397     VARRO     XVIII. 34. Quod si oportet id es(se), 1 ut a simili-  bus similiter omnia declinentur verba, sequitur, ut ab  dissimilibus 2 dissimilia debeant fingi, quod non fit :  nam et (ab) 3 similibus alia fiunt similia, alia dis-  similia, et ab dissimilibus partim similia partim dis-  similia. Ab similibus similia, ut a bono et malo  bonum malum ; ab similibus dissimilia, ut ab lupus  lepus lupo lepori. Contra 4 ab dissimilibus dissimilia,  ut Priamus Paris, Priamo Pari ; ab dissimilibus  similia, ut Iupiter ovis, lovi ovi.   35. Eo iam magis analogias (esse negandum, 1  quod non modo ab similibus) 2 dissimilia finguntur, sed  etiam ab isdem 3 vocabulis dissimilia neque a dis-  similibus similia, sed etiam eadem. Ab isdem 4 voca-  bulis dissimilia fingi apparet, quod, cum duae sint  Al&ae, ab una dicuntur Albani, ab altera Albenses ;  cum trinae fuerint Athenae, ab una dicti Athenae(i), 5  ab altera Athenaiis, a tertia Athenaeopolitae.   36. Sic ex diversis verbis multa facta in declinando  inveniuntur eadem, ut cum dico ab Saturni Lua Luam,   § 34. 1 id esse Canal ; ita esse Hue., for id est. 2 L.  Sp.,for his similibus. 3 Added by L. Sp. ; a Aug., with B.  4 Aug., for contraria.   § 35. 1 Added by L. Sp. 2 Added by Christ, who has  non solum a., for which Groth, citing L. Sp., gives non modo  ab. 3 Mae. ; iisdem Laetus ; for hisdem. 4 For  hisdem. 8 Laetus, for Athenae.     § 34. a Or accusative masculine.   § 35. ° Inhabitants of Alba Longa. h Inhabitants of  Alba Fucens or Fucentia, among the Aequi on the borders of  the Marsi. c There were several cities named Athens,  only that in Attica being important ; the forms of the names  are uncertain, especially that of the second, which may  however stand for 'Adyvateis like Aeolis v. 25 for AtoXeis.  There were many ethnics in -tvs, plural -e?s.  398     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 3^36     XVI II. 34-. But if the proper thing is that all words  that start from similar forms should be inflected  similarly, it follows that from dissimilar starting forms  dissimilar forme should be made by inflection ; and  this is not what is found. For from like forms some  like forms are made, and other unlike forms, and from  unlike forms also come some like forms and some  unlike forms. For instance, from likes cume likes, as  from bonus * good ' and malus * bad * come the neuter a  forms bonum and malum ; also from likes come unlikes,  as from lupus * wolf * and lepus ' hare ' come the unlike  datives lupo and lepori. On the other hand, from  unlikes there are unlikes, as from the nominatives  Priamus and Paris come the datives Priamo and Pari ;  also from unlikes there are likes, as nominatives  Iupiter * Jupiter,* avis * sheep,' and datives Iovi and  aw.   35. So much the more now must it be denied  that Regularities exist, because not only are un-  likes made from likes, but also from identical  words unlikes are made, and not merely likes, but  identicals are made from unlikes. From identical  names unlikes, it is clear, are made, because while  there are two towns named Alba, the people of the  one are called Albani a and those of the other are  called Albenses b ; while there are three cities named  Athens, the people of the one are called Athenaei,  those of the second are Athenaiis, those of the third  A thenaeopolitae. c   36. Similarly, many words made in derivation  from different words are found to be identical, as  when I say accusative Luam from Saturn s Lua, a and   § 36. ° An old Italic goddess who expiated the blood shed  in battle ; her formulaic connexion with Saturn is uncertain.   399     VARRO     et ab solvendo luo 1 luam. 2 Omnia 3 fere nostra  (n)omina 4 wrilia 5 et muliebria multitudinis cum recto  casu fiunt dissimilia, e#(de)m (in) 6 danc?(i) 7 : dis-  similia, ut mares Terentiei, feminae Terentia(e), 8  eadem in dandi, vireis Terentieis et mulieribus  Terentieis. Dissimile Plautus et Plautius, (Marcus et  Marcius) 8 ; et co(m)mune, ut huius Plauti et Marci.   XIX. 37. Denique si est analogia, quod in multis  verbis e(s)t x similitudo verborum, sequitur, quod in  pluribus est dissimilitudo, ut non sit in sermone  sequenda analogia.   XX. 38. Postremo, si est in oratione, aut in  omnibus eius partibus est aut in aliqua 1 : at 2 in omni-  bus non est, in aliqua esse parum est, ut album esse  ^ethiopa 3 non satis est quod habet candidos dentes :  non est ergo analogia.   XXI. 39- Cum ab similibus verbis quae declinan-  tur similia fore polliceantur qui analogias esse dicunt,  et cum simile turn 1 denique dicant esse 2 verbo ver-  bum, ex eodem si 3 genere eadem figura transitum de  cassu in cassum similiter ostendi possit, qui haec  dicunt utrumque ignorant, et in quo loco similitudo  debeat esse, et quemadmodum spectari soleat, simile   § 36. 1 Suerdsioeus, for abluo. 2 Aug.,, for abluam.  3 For omina. 4 JO. Sp.^for omina. 5 Scaliger, for libe-  ralia. * L. Sp.,for eum. 7 Laetus,for dant. 8 Ixietus,  for femina e terentia. 9 Added by Groth.   §37. x Aug., for ^t.   § 38. 1 Aug., with B, deleted esse parum after aliqua.  2 Canal, for et. 3 Mue.,for ethiopam.   § 39. 1 Aug., with B, for simili laetum. 2 L. Sp., for  dicantes se. 3 L. Sp., for sit.     b Solvendo is here attached to luo as a grloss, just as Saturni is  attached to Lua. c The older spelling -EI, historically  correct in these forms, was normal after I until the end of the  400     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 35-39     also luam as future of luo 1 loosing.' b Almost all our  names of men and women are unlike in the nomina-  tive case of the plural, but are identical in the dative :  unlike, as the men Terentu, c the women Terentiae, but  identical in the dative, men Terentiis c and women  Terentiis. Unlike are Plautus and Plautius, Marcus  and Marcius ; and yet there is a form common to  both, namely the genitive Plauti and Marci. d   XIX. 37. Finally, if Regularity does exist for the  reason that in many words there is a likeness of the  word-forms, it follows that because there is unlikeness  in a greater number of words the principle of Regu-  larity ought not to be followed in actual talking.   XX. 38. In the last place, if Regularity does  exist in speech, it exists either in all its parts or in  some one part ; but it does not exist in all, and it is  not enough that it exists in some one part, just as the  fact that an Ethiopian has white teeth Is not enough  to justify us in saying that an Ethiopian is white :  therefore Regularity does not exist.   XXI. 39. Since those who declare that Regulari-  ties exist, promise that the inflected forms from  like words will be alike, and since they then say that  a word is like another word only if it can be shown  that starting from the same gender and the same  inflectional form it passes in like fashion from case to  case, those who make these assertions show their  ignorance both of that in which the likeness must be  found and of how the presence or absence of the like-  Republic, and was therefore Varro's regular orthography.  In the translation the standardized Latin forms are used.  d The contracted form ending in -I was practically the exclu-  sive form used as genitive of nouns ending in -I US in the  nominative, until the end of the Republic.   vol. 11 D 401     VARRO     sit necne. Quae cum ignorant, sequitur ut, cum  (de) analogia 4 dicere non possint, sequi (non) 6 de-  beamus.   40. Quaero enim, verbum utrum dicant vocem  quae ex syllabis est ficta, earn quam audimus, an quod  ea significat, quam intellegimus, an utrumque. Si  vox voci esse debet similis, nihil 1 refert, quod significat  mas an femina sit, et utrum nomen an vocabulum sit,  quod ilk' 2 interesse dicunt.   41. Sin illud quod significatur debet esse simile,  Diona et Theona quos dicunt esse paene ipsi geminos,  inveniuntur esse dissimiles, si alter erit puer, alter  senex, aut unus albus et alter ^ethiops, item aliqua  re alia dissimile(s). 1 Sin ex 2 utraque parte debet  verbum esse simile, non cito invenietur qui(n) 3 in  altera utra re claudicet, nec Perpenna et Alfen(a) 4  erit simile, quod alterum nomen virum, alterum  mulierem significat. Quare quoniam ubi similitudo  esse debeat nequeunt ostendere, impudentes sunt qui  dicunt esse analogias.   XXII. 42. Alterum illud quod dixi, quemad-  modum simile (s)pectari 1 oporteret, ignorare apparet  ex eorum praecepto, quod dicunt, cum transient e   4 GS.,for analogiam ; cf. viii. 43. 5 Added by Vertranius.   % 40. 1 For nichil. 2 Laetus, for illae.   §41. 1 Aug., for dissimile. 2 For ex ex. 3 Ed.  Veneta, for qui. 4 GS. ; Alphena L. Sp. ; Alphaena  Rhol. ; Alfaena Laetus ; for Alfaen.   § 42. 1 Victorias, for expectari.   § 41. ° These names were often used by the philosophers  as a typical pair in their discussions ; the accusatives Diona  and Theona in the text, instead of the nominative, are assimil-  402     ON THE LATIN LANGUAGE, VIIL 39-42     ness is wont to be recognized. Since they are ignorant  of these matters, it follows that we ought not to  follow them, inasmuch as they are unable to pro-  nounce with authority on the subject of Regularity.   4-0. For I ask whether by a * word ' they mean  the spoken word which consists of syllables, that word  which we hear, or that which the spoken word indi-  cates, which we understand, or both. If the spoken  word must be like another spoken word, it makes no  difference whether what it indicates is male or female,  and whether it is a proper name or a common noun ;  and yet the supporters of Regularity say that these  factors do make a difference.   41. But if that which is denoted by like words  ought to be like, then Dion and Tkeon, a which they  themselves say are almost identical, are found to be  unlike, if the one is a boy and the other an old man,  or one is white and the other an Ethiopian 6 ; and  likewise if they are unlike in some other respect. But  if the word must be like in both directions, there will  not quickly be found one that is not defective in one  respect or the other, nor will Perpenna and Alfena  prove to be alike, because the one name denotes a  man and the other a woman. Therefore, since they  are unable to show wherein the likeness must exist,  those who assert that Regularities exist are utterly  shameless.   XXII. 42. The other matter that I have men-  tioned, how the likeness is to be recognized, they  clearly fail to appreciate in that they set up a precept  that only when the passage is made from the nomina-   ated to the immediately following relative. b For the same  contrast, yatic. et   XXXII. 57. The words which are made from  verbs are such as scriptor ' writer ' from scribere 1 to  write * and lector ' read er * from legere ' to read * ;  that those also do not preserve a likeness can be seen  from the following : although amator * lover ' from  amare * to love ' and salutator * saluter * from salutare  ' to salute * are formed in like manner, there is no  cantator ° ' singer * from cantare * to sing * ; and   § 56. a Wrong forms, formed for purposes of argument.  * Not Libyatici, but Libyci was the form in use.   § 57. a Up to Varro's time, only cantor was used ; can-  tator is a later word.     415     VARRO     cum dicatur lassus sum metendo ferendo, ex his voca-  bula non reddunt proportionem, quo(niam) 2 non fit  ut messor fertor. Multa sunt item in hac specie in  quibus potius consuetudinem sequimur quam ra-  tionem verborum.   58. Pr^eterea cum sint ab eadem origine ver-  borum vocabula dissimilia superiorum, quod simul  habent casus et tempora, quo vocantur participia, et  multa sint contraria ut amo amor, lego legor, 1 ab amo  et eiusmodi omnibus verbis oriuntur praesens et  futurum ut 2 amans et amaturus, 3 ab eis verbis tertium  quod debet fingi praeteriti, in lingua Latina reperiri  non potest : non ergo est analogia. Sic ab awor 4  legor et eiusmodi verbis 5 vocabulum eius generis  praeteriti te(m)poris fit, ut amatus, 6 neque praesentis  et futuri ab his fit.   59. Non est ergo analogia, praesertim cum tantus  numerus vocabulorum in eo genere interierit 1 quod  dicimus. In his verbis quae contraria non habent,  (ut) 2 loquor et venor, tamen dicimus loquens et  venans, locuturus (et venaturus, 3 locutus et venatus), 4  quod secundum analogias non est, quoniam dicimus   2 L. Sp., for quo.   § 58. 1 L. Sp. t /or amor amo seco secor. 2 Bentinus,for et.   3 H, B, Ixzetus, for ueta maturus. 4 Aug., for amabor.  5 Aug.> for uerbi est. 6 L. Sp.,for amaturus eram sum ero.   § 59. 1 Laetus, for inter orierit. 2 Added by L. Sp.  3 Added by Laetus. 4 Added by Fay.     b The corresponding noun of agency is lator.   § 58. a,That is, active and passive voices. 6 Of the  active voice. c Of the passive voice. d Varro does not  consider the gerundive amandus to be a future passive par-  ticiple.  416     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 57-59     though we say " I am tired with metendo * reaping '  and ferendo * carrying,' " the words from these do not  represent a like relation, since there is no fertor b   * carrier ' made like messor ' reaper.' There are like-  wise many others of this class in which we follow usage  rather than conformity to the verbs.   58. Besides these there are other words which  also originate from verbs but are unlike those of which  we have already spoken, because they have both cases  and tenses, whence they are called participles. And  as many verbs have opposite forms, such as amo ' I  love,' amor * I am loved,* lego ' I read,' legor * I am  read,' from amo and all verbs of this kind 6 there  develop present and future participles, such as amans   * loving ' and amaturus * about to love,' but from these  verbs the third form which ought to be made, namely  the past participle, cannot be found in the Latin  language : therefore there is no Regularity. So also  from amor * I am loved,' legor * I am read,' and verbs  of this kind c the word of this class is made for past  time, as amatus ' loved,' but from them none is made  for the present and the future.*   59. Therefore there is no Regularity, especially  since such a great number of words has perished in  this class which we are mentioning. In these verbs  which have not both voices, such as loquor ' I speak '  and venor 1 I hunt,' b we none the less say loquens  1 speaking ' and venans ' hunting,' locutarus * about  to speak ' and venaturus * about to hunt,' locutus  ' having spoken ' and venatus * having hunted.' This  is not according to the Regularities, since we say   § 59. That is, many verbs lack a complete paradigm  that includes both active and passive forms. b Deponent  verbs.     VOL. 11     E     417     VARRO     loquor et venor, (non loquo et veno), 5 unde 8 ilia erant  superiora ; e(o) minus 7 servantur, quod 8 ex his quae  contraria verba non habent* alia efficiunt tenia, ut ea  quae dixi, alia bina, ut ea quae dicam : currens  ambulans, cursurus ambulaturus : tertia enim prae-  teriti non sunt, ut cursus sum, ambulatus sum.   60. Ne in his quidem, quae saepius quid fieri  ostendunt, servatur analogia : nam ut est a cantando  cantitans, ab amando amitans non est et sic multa.  Ut in his singularibus, sic in multitudinis : sicut enim  cantitantes seditantes 1 non dicuntur.   XXXIII. 61. Quoniam est vocabulorum genus  quod appellant compositicium et negant conferri id  oportere cum simplicibus de quibus adhuc dixi, de  compositis separatim dicam. Cum ab tibiis et canendo  tibicines dicantur, quaerunt, si analogias sequi opor-  teat, cur non a cithara et psalterio et pandura dicamus  citharicen et sic alia ; si ab aede et tuendo (aeditumus   5 Added by L. Sp. 6 venor unde Laetus, for uenerunt  de. 7 L. Sp., for eminus. 8 Mue. deleted cum after  quod. 9 Aug., with B,for habentur.  § 60. 1 M, Laetus, for sed ettitantes.     c That is, the deponent verbs, since they lack the active  forms otherwise, should not have the active participles  which actually they have. d Deponent verbs. e In-  transitive verbs of active form, which naturally have  no passive, and consequently no passive participle.  / Varro's logic here deserts him, since the deponent verbs  have a perfect participle of passive form and active mean-  ing, and there is no reason why intransitive verbs of active  form should not have a perfect participle passive in form  and active in meaning : in fact, such a participle is sometimes  found, like adultus * grown up,* from adoJescere 1 to grow up.'   418     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 59-61     loquor and venor, not loquo and veno, whence came the  forms given above. c The Regularities are the less  preserved, because some of the verbs which have not  both voices, make three participles each, like those  which I have named, d and other make only two each,*  such as those which I shall now name : currens   * running * and ambulans 1 walking,' cursurus ' about to  run ' and ambulaturus ' about to walk ' ; for the third  forms, those of the past, do not exist/ as in cursus sum   * I am run/ ambulatus sum 1 I am walked.'   60. But Regularity is not preserved even in those  which indicate that something is done with greater  frequency ; for though there is a cantitans ' repeatedly  singing * from caniare 1 to sing,' there is no amiians  1 repeatedly loving ' from amare * to love/ and simi-  larly with many others. The situation is the same in  the forms of the plural as in those of the singular :  though the plural caniitantes is used, seditantes*  1 sitting ' is not.   XXXIII. 61. Since there is a class of words which  they call compositional, saying that they ought not to  be grouped in the same category with the simple words  of which I have so far spoken, I shall deal separately  with these compounds. Since from tibiae * pipes * and  canere * to play * the tibicines 1 pipers ' are named, they  ask, If we ought to follow the Regularities, why then  from cithara * lute * and psalterium 1 psaltery ' and  pandura * Pans strings * should we not say citharicen a   * lute-player * and the rest in the same way ? If  from aedes * temple ' and tueri ' to guard * the aedi-   § 60. a The singular seditans also is not used, which is  implied by Varro, but not stated.   §61. • Citharista^ fern, citharistria, are used, both taken  from Greek.     419     VARRO     dicatur, cur non ab atrio et tuendo) 1 potius atritumus  sit quam atriensis ; si ab avibus capiendis auceps  dicatur, debuisse aiunt a piscibus capiendis ut aucu-  pem sic pisci(cu)pem 2 dici.   62. Ubi lavctur aes aerarias, non aerelavinas  nominari ; et ubi fodiatur argentum argentifodinas  dici, neque (ubi) 1 fodiatur ferrum ferrifodinas ; qui  lapides caedunt lapicidas, qui ligna, lignicidas non  dici ; neque ut aurificem sic argentificem ; non  doctum dici indoctum, non salsum insulsum. Sic ab  hoc quoque fonte quae profluant, (analogiam non  servare) 2 animadvertere est facile.   XXXIV. 63. Reliquitur de casibus, in quo Aris-  tarchei suos contendunt nervos. XXXV. Primum si  in his esset 1 analogia, dicunt de&ttisse 2 omnis nomi-  natus 3 et articulos habere totidem casus : nunc alios  habere unum solum, ut litteras singulas omnes, alios  tris, ut praedium praedii praedio, alios quattuor, ut   §61. 1 The omission in F (and all codd.) was filled by  Laetus with edituus est cur ab atrio et tuendo / Aldus inserted  non after tuendo ; Mue. wrote aeditumus and (with B) set  non after cur; A. Sp. proposed dicatur for sit. 2 Aug.,  with Btfor piscipem.   §62. 1 Added by Laetus. 2 Added by Christ.   § 63. 1 For essent. 2 Aldus, for de risse. 3 L. Sp. 9  for nominatiuos.     b The regular word is piscator ; one inscription has piscicapus.   §62. ° Regularly ferrariae * iron-mines.' b Regularly  lignatores 4 wood-cutters.' c Regularly argentarius 4 silver-  smith.' d The difference here consists in the change of the  radical vowel of salsus, when it comes to stand in a medial  syllable ; the process is called Vowel Weakening.   § 63. n Aristarchus, of Samothrace, famous grammarian  of Alexandria, lived about 216-144 b.c. He wrote many  commentaries on Greek authors, and many works on gram-  mar, in which he defended the principle of Regularity.   420     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 61-63     tumus * sacristan * is named, why from atrium ' main  hall * and tueri ' to guard ' is it not atriiumus ' butler '  rather than atriensis ? And if from avis caper e 4 to  catch birds * the auceps 4 fowler * is named, they say,  from pisds capere 4 to catch fish ' there ought to be a  pisciceps b * fisherman ' named like the auceps.   62. They remark also that establishments where  aes * copper * lavatur * is refined ' are called aerariae  4 smelters ' and not aerelavinae 4 copper-washery ' ;  and places where argentum 4 silver 1 foditur 4 is mined '  are called argentifodinae ' silver-mines,* but that  places where ferrum 4 iron ' is mined are not called  ferrifodinae a ; that those who caedunt 4 cut * lapides  * stones ' are called lapicidae * stone-cutters,' but that  those who cut lign a * firewood ' are not called ligni-  cidae b ; that there is no term argentifex e * silver-  smith ' like aurifex * goldsmith ' ; that a person who is  not doctus * learned ' is called indoctus, but one who is  not salsus * witty ' is called insulsus. d Thus the words  which come from this source also, it is easy to see, do  not observe Regularity.   XXXIV. 63. It remains to consider the problem  of the cases, on which the Aristarcheans a especially  exert their energies. XXXV. First, if in these there  were Regularity, they b say that all names and articles  ought to have the same number of cases ; but that as  things are some have one only, c like all individual  letters, others have three/ 1 like praedium praedii   Among his pupils were important scholars of the next genera-  tion. h Those who do not believe in the principle of Regu-  larity. c These are the indeclinable nouns. d Varro  counts only different case-forms : where he finds three, the  nom., acc., and voc. are identical, and the dat. and abl. are  identical ; etc.   421     VARRO     mel mellis melli melle, alios quinque, nt quintus  quinti quinto quintum quinte, alios sex, ut unus unius  uni unum line uno : non esse ergo in casibus analogias.   XXXVI. 64. Secundo quod Crates, 1 cur quae  singulos habent casus, ut litterae Graecae, non dican-  tur alpha alphati alphatos, si idem mihi respondebitur  quod Crateti, 2 non esse 3 vocabula nostra, sed penitus  barbara, qucreram, cur idem nostra nomina et Per-  sarum et ceterorum quos voeant barbaros cum easibus  dica(n)t. 4   65. Quare si essent in analogia, aut ut Poenicum  et ^/eg^ptiorum vocabula singulis easibus dicerent,  aut pluribus ut Gallorum ae eeterorum ; nam dicunt  alavda alauefcs 1 et sie alia. Sin 2 quod scrib?mt 3 dicent,  quod Poenicum si(n)t, 4 singulis casibus ideo eas lit-  teras Graecas nominari : sie Graeci nostra senis  easibus non quinis 5 dicere debebant ; quod eum non  faciunt, non est analogia.   XXXVII. 66. Quae si esset, 1 negant ullum casum  duobus modis debuisse dici ; quod fit contra. Nam  sine reprehensione vulgo alii dicunt in singulari hae   § 64. 1 Laetus, for grates. 2 Laetus, for grateti.   3 Aug., with B, for essent. 4 Laetus, for dicat.   § 65. 1 Scaliger, for alacco alaucus. 2 Popma, for  alias in. 3 Popma, M, for scribent. 4 lihol., for sit.  6 Laetus transposed quinis non.   § 66. 1 Laetus, for essent.   § 64. ° Crates of Mallos, head of the Pergamene school of  scholarship, was a contemporary and opponent of Aris-  tarchus, and championed the principle of Anomaly.  b Names of letters were indeclinable both in Greek and in  Latin.   § 65. a Not the Carthaginians, but the Phoenicians.  6 Varro knew that neither language had a case system.   422     ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 63-66     praedio * farm,' others four, like mel mellis melli melle  ' honey/ others five, like qidntus quinti quinto quintum  quinie ' fifth,' others six, like units unius uni umim  une uno * one ' ; therefore in cases there are no  Regularities.   XXXVI. 64. Second, in reference to what Crates °  said as to why those which have only one case-form  each are not used in the forms alpha, dat. alphati, gen.  alphaios, because they are Greek letters b — if the  same answer is given to me as to Crates, that they are  not our words at all, but utterly foreign words, then I  shall ask why the same persons use a full set of case-  forms not only for our own personal names, but also  for those of the Persians and of the others whom they  call barbarians.   65. Wherefore, if these proper names were in a  state of Regularity, either they would use them with  a single case-form each, like the words of the Phoeni-  cians a and the Egyptians, b or with several, like those  of the Gauls and of the rest : for they say nom.  alauda c * lark,' gen. alaudas, and similarly other  words. But if, as they write, they say that the Greek  letters received names with but one case-form each  for the reason that they really belong to the Phoeni-  cians, then in this way the Greeks ought to speak our  words in six cases d each, not in five : inasmuch as  they do not do this, there is no Regularity.   XXXVII. 66. If Regularity existed, they say, no  case ought to be used in two forms ; but the opposite  is found to occur. For without censure quite com-  monly some say in the ablative singular ovi * sheep '   e The text is desperate here ; but at any rate alauda is Celtic.  d Greek had no form by which it might represent the Latin  ablative.   423     VARRO     ovi et avi, alii hac ove et ave ; in multitudinis hae  puppis restis et hae puppes restes ; item quod in  patrico 2 casu hoc genus dispariliter dicuntur civitatum  parentum et civitatium parentium, in accusandi hos  montes fontes et hos montis fontis.   XXXVIII. 67. Item cum, si sit analogia, debeant  ab similibus verbis similiter declinatis sirnilia fieri et  id non fieri ostendi possit, despiciendam earn esse  rationem. Atqui ostenditur : nam qui potest similius  esse quam gens, mens, 1 dens ? Cum horum casus  patricus et accusativus in multitudine sint dispariles 2 :  nam a primo fit gentium et gentis, utrubique ut sit  {I), 3 ab secundo mentium et mentes, 4 ut in priore solo  sit I, ab tertio dentum et dentes, ut in neutro sit.   68. Sic item quoniam simile est recto casu surus  lupus lepus, rogant, quor non dicatur proportione 1  suro lupo lepo. Sin respondeatur sirnilia non esse,  quod ea vocemus dissimiliter sure lupe lepus (sic enim  respondere voluit Aristarc^us Crateti : nam cum  scripsisset sirnilia esse Philomedes Heraclides Meli-  certes, dixit non esse sirnilia : in vocando enim cum   — and that both kinds are present in our  language also ?   32. For my part I have no doubt that you have  observed the countless number of likenesses in speech,  such as those of the three tenses of the verb, or its  three persons. XXV. Who indeed can have failed  to join you in observing that in all speech there are  the three tenses lego 1 I read/ legebam ' I was  reading/ legam * I shall read/ and similarly the  three persons lego 1 I read/ legis * thou readest/  legit ' he reads/ though these same forms may be  spoken in such a way that sometimes one only is  meant, at other times more ? Who is so slow-witted  that he has not observed also those likenesses which  we use in commands, those which we use in wishes,  those in questions, those in the case of matters not   peratives and subjunctives) exhibit certain regular resem-  blances ; and so do those used in wishes, etc.    in interrogando, quibus in infectis rebus, quibus in  perfectis, sic in aliis discriminibus ?   XXVI. 33. Quare qui negant esse rationem 1  analogiae, non vide(n)t 2 naturam non solum ora-  tionis, sed etiam mundi ; qui autem vident et sequi  negant oportere, pugnant contra naturam, non contra  analogian, et pugnant volsillis, non gladio, cum pauca  excepta verba ex pelago sermonis (po)puli 3 minus  (usu) 4 trita afferant, cum dicant propterea analogias  non esse, similiter ut, si quis viderit mutilum bovem  aut luscum hominem claudicantemque equum, neget  in 5 bovum hominum et equorum natura similitudines  proportione constare.   XXVII. 34. Qui autem duo genera esse dicunt  analogiae, unum naturale, quod ut ex satis 1 nascuntur  (lentibus) 2 lentes 3 sic e.r (lupino) 4 lupinum, alterum  voluntarium, ut in fabrica, cum vident sctfenam ut  in dexteriore parte sint ostia, sic esse in sinisteriore  simili ratione factam, de his duobus generibus  naturalcm esse analogian, ut sit in motibus caeli,  voluntariam non esse, quod ut quo(i)que 5 fabro  lubitum sit possit facere partis scaenae : sic in homi-  num partibus esse analogias, quod ea(s) 6 natura  faciat, in verbis non esse, quod ea homines ad suam  quisque voluntatem fingat, itaque de eisdem rebus  alia verba habere Graecos, alia S?/ros, alia Latinos :  ego declinatus verbornm et voluntarios et naturalis   § 33. 1 For orationem. 2 For uidet. 3 Canal, for  puli. 4 Transferred to this place by Fay ; added by GS.  before populi. 5 Sciop, deleted cornibus after in.   §34. 1 Vertranius, after Aug., for natis. 2 Added by  L. Sp. 3 For lentis. 4 L. Sp. ; ex lupinis Aug., with  B ; for et. 5 B, for quoque. 6 Laetus, for ea.   § 34. a The expected continuation is, " They are in error."  462     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 32-34     completed and those for matters completed, and  similarly in other differentiations ?   XXVI. 33. Therefore those who say that there is  no logical system of Regularity, fail to see the nature  not only of speech, but also of the world. Those  who see it and say that it ought not to be followed,  are fighting against nature, not against the principle  of Regularity, and they are fighting with pincers,  not with a sword, since out of the great sea of speech  they select and offer in evidence a few words not  very familiar in popular use, saying that for this  reason the Regularities do not exist : just as if one  should have seen a dehorned ox or a one-eyed man  and a lame horse, and should say that the likenesses  do not exist with regularity in the nature of cattle,  men, and horses.   XXVII. 34. Those moreover who say that there  are two kinds of Regularity, one natural, namely  that lentils grow from planted lentils, and so does  lupine from lupine, and the other voluntary, as in the  workshop, when they see the stage as "having an  entrance on the right and think that it has for a like  reason been made with an entrance on the left ; and  say further, that of these two kinds the natural  Regularity really exists, as in the motions of the  heavenly bodies, but the voluntary Regularity is not  real, because each craftsman can make the parts of  the stage as he pleases : that thus in the parts of  men there are Regularities, because nature makes  them, but there is none in words, because men shape  them each as he wills, and therefore as names for the  same things the Greeks have one set of words, the  Syrians another, the Latins still another a — I firmly  think that there are both voluntary and natural    esse puto, voluntarios quibus homines vocabula  imposwerint 7 rebus quaedam, ut ab Romulo Roma,  ab Tibure* TVburtes, naturales ut ab impositis vo-  cabulis quae inclinantur in tempore* aut in casus,  ut ab Romulo Romuli Romulum et ab dico dicebam  dixeram.   35. Itaque in voluntariis declinationibus incon-  stantia est, in naturalibus constantia ; quae utrasque  quoniam iei non debeant negare esse in oratione,  quom 1 in mundi partibus omnibus sint, et declina-  tiones verborum innumerabilcs, dicendum est esse  in his analogias. Neque ideo statim ea in omnibus  verbis est sequenda : nam si qua perperam declinavit  verba consuetudo, ut ea aliter (non possint efferri) 2  sine offensione multorum, hinc rationem 3 verborum  praetermittendam ostendit loquendi ratio.   XXVIII. 36. Quod ad universam pertinet cau-  sam, cur similitudo et sit in oratione et debeat  observari et quam ad finem quoque, satis dictum.  Quare quod sequitur de partibus singulis deinceps  expediemus ac singula crimina quae dicunt (contra) 1  analogias solvemus.   37. In quo animadvertito natura quadruplicem  esse formam, ad quam in declinando accommodari  debeant verba : quod debeat subesse res quae 1   7 For imposierint 8 For tybere. 9 For tempore.   § 35. 1 Mtie., with a, for quam. 2 Added by GS., after  Aldus efferri non possit (Aug., possint). 3 Sciop., a, for  orationem.   § 36. 1 Added by L. Sp. ; cf ix. 7.   §37. 1 RhoL, for resque.     § 35. ° That is, a regular form must be discarded in  derivations of words, voluntary for the things on  which men have imposed certain names, as Rome  from Romulus and the Tiburfes ' men of Tibur ' from  Tibur, and natural as those which are inflected for  tenses or for cases from the imposed names, as  genitive Romuli and accusative Eomulum from  Romulus, and from dico ' I say ' the imperfect dicebam  and the pluperfect dixeram.   35. Therefore in the voluntary derivations there  is inconsistency, and in the natural derivations there  is consistency. Inasmuch as they ought not to deny  the presence of both of these in speech, since they are  in all parts of the world, and the derivative forms of  words are countless, we must say that in words also  the Regularities are present. And yet Regularity  does not for this reason have to be followed in all  words ; for if usage has inflected or derived any  words wrongly, so that they cannot be uttered without  giving offence to many persons, the logic of speaking  shows us that because of this offence the logic of the  words must be set aside.   XXVIII. 36. As far as concerns the general  cause why likeness is present in speech and ought to  be observed, and also to what extent this should be  done, enough has now been said. Therefore in the  following we shall set forth its several parts item by  item, and refute the individual charges which they  bring against the Regularities.   37. In this matter, you should take notice that by  nature there are four elements in the basic situation  to which words must be adjusted in inflection : there  must be an underlying object or idea to be de-  favour of an irregular form if the feeling (Sprachge/uhl) of  the speakers rebels against it.   vol. ii h 465     VARRO     designetur, 2 et ut sit ea res 3 in usu, et ut vocis natura  ea sit quae significavit, ut declinari possit, et simili-  tude* figura(e) 4 verbi ut sit ea quae ex se declinatw 5  genus prodere certum posset. 6   38. Quo neque a terra terrus ut dicatur postu-  landum est, quod natura non subest, ut in hoc alterum  maris, alterum feminae debeat esse ; sic neque  propter usum, ut Terentius significat unum, plures  Terentii, postulandum est, ut sic dicamus faba et  fabae : non enim in simili us(u) 1 utrumque ; neque  ut dicimus ab Terentius Terentium, sic postulandum  ut inclinemus ab A et B, quod non omnis vox natura  habet declinatus.   39. Neque in forma collata quaerendum solum,  quid habeat in figura simile, sed etiam nonnunquam  in eo quern habeat effectum. Sic enim lana Gallicana  et Apula videtur imperito similis propter speciem,  cum peritus Apulam emat pluris, quod in usu firmior  sit. Haec nunc strictim dicta apertiora fient infra.  Incipiam hinc.   XXIX. 40. Quod rogant ex qua parte oporteat  simile esse verbum, a voce an a 1 significatione, re-  spondemus a voce ; scd tamen nonnunquam quaerimus  genere similiane sint quae significantur ac nomen   2 Laetus, for design entur. 3 G, IJ, a, Laetus^ for cares.  4 Mite., for figura. 5 L. Sp.,for declinata. 6 Aug for  passu nt.   § 38. 1 L. Sp., for similius.   § 40. 1 After J^aetus, ab voce an, for aboceana.     § 38. a The singular faba was used also collectively for the  plural or mass idea ; cf. Priscian, ii. 176 Keil. b Names of  letters.   § 39. a Cf. § 92.   § 40. ° Cf viii. 40.    signated ; this object or idea must be in use ; the  nature of the utterance which has designated it,  must be such that it can be inflected ; and the re-  semblance of the word s form to other words must be  such that of itself it can reveal a definite class in  respect to inflection.   38. Therefore it is not to be demanded that from  terra * earth * there should be also a terms, because  there is no natural basis that in this object there  ought to be one word for the male and another for  the female. Similarly, with respect to usage, while  Terentius designates one person of the name and  Terentii designates several, it is not to be demanded  that in this way we should say faba * bean ' and Jabae  ' beans/ for the two are not subject to the same  use. a Nor is it to be demanded that as we say  acc. Tereniium from nom. Terentius, we should make  case-forms from A and B, b because not every utter-  ance is naturally fitted for declensional forms.   39. The likeness which the word has in its shape  must be investigated not in the comparison of the  basis merely, but also sometimes in the effect which it  has. For thus the Gallic wool and the Apulian wool  seem alike to the inexperienced on account of their  appearance, though the expert buys the Apulian at a  higher price because in use it lasts better. These  matters, which have been touched upon hastily  here, will become clearer in a later discussion.  Now I shall start.   XXIX. 40. To their question in what respect a  word ought to be similar, sound or meaning, we  answer that it should be so in sound. But yet some-  times we ask whether the objects designated are  like in kind, and compare a man's name with a man's,   467     VARRO     virile cum virili conferimus, feminae cum muliebri :  non quod id quod significant vocem commoveat, sed  quod nonnunquam in re dissim(ili par)ilis 2 figurae  formas in simile' 3 imponunt dispariles, 4 ut calcei mulie-  bres sint an viriles dicimus ad similitudinem figurae,  cum tamen sciamus nonnunquam et mulierem habere  calceos viriles et virum muliebris.   41. Sic dici virum Perpennam ut AZ/enam 1  muliebri forma 2 et contra parietem ut abietem esse  forma 8 similem, quo(m) 4 alterum vocabulum dicatur  virile, alterum muliebre et utrumque natura neutrum  sit. 5 Itaque ea virilia dicimus non quae virum'  significant, sed quibus proponimus hie et hi, et sic  muliebria in quibus dicere posswmus 7 haec aut hae.   XXX. 42. Quare nihil 1 est, quod dicunt Theona  et Diona non esse similis, si alter est Jethiops, alter  al6us, 2 si analogia rerum dissimilitudines adsumat ad  discernendum vocis verbi figuras.   XXXI. 43. Quod dicunt simile sit necne nomen  nomini impudenter AristarcAum praecipere opor-  tere spectare non solum ex recto, sed etiam ex  eorum vocandi casu, esse 1 enim deridiculum, si similes   2 GS. ; dissimilis Mue. ; for dissimilis. 3 GS. ;     §41. 1 ut Alfenam Mue., for aut plenam ; cf viii. 41.  2 Laetus, for formam. 3 Aldus, for formam. 4 Mue. ;  cum Aug.; for quo. 5 Ant. Miller and Reiter, for sic.  6 Aldus, for utrum. 7 M, Laetus,for possimus.   § 42. 1 For nichil. 2 Mue., for galhis / cf viii. 41.  § 43. 1 L. Sp., C. F. W. Mueller, Madvig, for esset.     § 41. a Cf viii. 41. 6 The forms of hie haec hoc are  regularly used by the grammarians to indicate the case,  number, and gender of a word.     in  simili Mue. ; for indissimiles.      468     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 40-43     a woman's name with a woman's : not because that  which they designate affects the word, but because  sometimes in case of an unlike thing they set upon  it forms of an equivalent appearance, and on a like  thing they set unequal forms, as we call shoes women's  shoes or men's shoes by the likeness of the shape,  although we know that sometimes a woman wears  men's shoes and a man wears women's shoes.   41. In like fashion, we say, a man is called  Perpe?ina f like Alfena, with a feminine form ° ; and  on the other hand paries ' house-wall ' is like abies  ' fir-tree ' in form, although the former word is used as  a masculine, the latter as a feminine, and both are  naturally neuter. Therefore those which we use  as masculines are not those which denote a male  being, but those before which we employ hie and hi,  and those are feminines with reference to which we  can say haec or hae. b   XXX. 42. For this reason it amounts to nothing,  that on the premise that Regularity adopts the  unlikenesses of the objects as a criterion for difference  in the forms a of the spoken word, 6 they say that  Theon and Dion are not alike if the one is an Ethiopian  and the other is a white man. c   XXXI. 43. As to what they say, a that Aristarchus  was shameless in his instructions that to see whether  one name was like another you should view it not  only from the nominative, but also from the vocative  — for the same persons say that it is absurd to judge   § 42. ° One of the rare examples of the accusative of the  gerund with an object. b The word as sound is vox, while  the word as symbol of meaning is verbum ; the vox verbi is  therefore the sound, or series of sounds, which represent the  symbol of meaning. Cf. viii. 40. e Cf. viii. 41.   § 43. a Cf. viii. 42.   469     VARRO     inter se parentes sint, de filiis iudicare 2 : errant, quod  non ab eo(rum) 3 obliquis casibus fit, ut recti simih' 4  facie ostendantur, sed propter eos facilius perspici  similitudo potest eorum quam vim habeat, 5 ut  lucerna in tenebris allata non facit (ut) 6 quae ibi sunt  posita similia sint, sed ut videantur, quae sunt  quoius (mo)di sint. 7   44. Quid similius videtur quam in his est extrema  littera crux Phryx 1 ? Quas, qui audit voces, auribus  discernere potest nemo, cum easdem non esse similes  ex (declin)atfs 2 verbis intellegamus, quod cum sit  cruces et Phryges* et de his extremis syllabis exemp-  tum* sit E, ex altero fit ut ex C et S crux, ex altero  G et S Phryx, 1 Quod item apparet, cum est demp-  tum S : nam fit unum cruce, 5 alterum Phryge*   XXXII. 45. Quod aiunt, cum in maiore parte  orationis non sit similitudo, non esse analogian,  dupliciter stulte dicunt, quod et in maiore parte est  et si in minore parte 1 sit, tamen sit, 2 nisi etiam nos  calceos negabunt habere, quod in maiore parte  corporis calceos non habeamus.   2 L. Sp. deleted qui after iudicare. 3 L. Sp., for eo.  4 Laetus, for simile. 5 Laetus, for habeant. 6 Added  by L. Sp. 1 L. Sp., for dissint.   §44. 1 Aldus, for frix. 2 GS„ for aliis. 3 Aldus,  for friges. 4 Aldus, for exemplum. 6 L. Sp., for cruci.  6 Phruge L. Sp., Phrj'gi Aldus ; for frigi.   § 45. 1 Here L. Sp., following other slightly different  deletions, deleted a repeated est et si in minore. 2 After  sit, L. Sp. deleted in maiore.     . § 44. a For Phryx and its forms, Augustinus (with B) read  frux, etc. ; but nom. frux was no longer used in Varro's  470     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 43-45     from the children whether the parents are alike :  those who say this are mistaken, for it does not come  about from their oblique cases that the nominatives  are shown to be of like appearance, but through the  oblique cases can be more easily seen what evidential  force lies in the likeness of the nominatives — even as  a lamp in the dark, when brought, does not cause that  the things which are there should be "alike, but that  they should be seen in their real character.   44. What seems more closely alike than the last  letter in the words crux ' cross ' and Phryx * Phry-  gian ' ? a No one who hears the spoken words can  by his ears distinguish the letters, 6 although we  know from the declined forms of the words that  though alike they are not identical ; because M'hen  the plurals cruces and Phryges are taken and E is  removed from the last syllables, from the one there  results crux, with X from C and S, and from the other  comes Phryx, from G and S. And the difference is  likewise clear, when S is removed ; for the one be-  comes cruce, the other Pkryge. c   XXXII. 45. As to what they say, a that since  likeness does not exist in the greater part of speech,  Regularity does not exist, they speak foolishly in two  ways, because Regularity is present in the greater  part of speech, and even if it should exist only in the  smaller part, still it is there : unless they will say that  we do not wear any shoes, because on the greater  part of our body we do not wear any.   time, cf. ix. 75-76. b The usual confusion of letters and  sounds. * Abl. sing. ; the manuscript has forms ending  in -i, which are datives, but the removal of s from cruces and  Phryges leaves forms ending in e, not in i.  § 45. a Cf viii. 37.   471     VARRO     XXXIII. 46. Quod dicunt nos dissimilitudinem  (potius gratam aceeptamque habere quam simili-  tudinem) 1 : itaque in vestitu in supellectile delectari  varietate, non paribus subuculis uxoris, respondeo, si  varietas iucunditas, magis varium esse in quo alia  sunt similia, alia non sunt : itaque sicut abacum  argento ornari, ut alia (paria sint, alia) 2 disparia, sic  orationem.   47. Rogant, si similitudo sit sequenda, cur malimus  habere lectos alios ex ebore, alios ex testudine, sie  item genere aliquo alio. Ad quae dico non dis(simili-  tudines solum nos, sed) 1 similitudines quoque sequi  saepe. Itaque ex eadem supellectili licet videre :  nam nemo facit triclinii lectos nisi paris et materia et  altitudine et figura. Qui(s) 2 facit mappas trielinaris  non similis inter se ? Quis pulvinos ? Quis denique  eetera, quae unius generis sint plura ?   48. Cum, inqui(un)t, 1 utilitatis causa introducta  sit oratio, sequendum non quae habebit similitudinem,  sed quae utilitatem. Ego utilitatis causa orationem  factam coneedo, sed ut vestimenta : quare ut hie  similitudines seqm'mur, 2 ut virilis tunica sit virili  similis, item toga togae, sic mulierum stola ut sit  stola(e) 3 proportione et pallium pallio simile, sie   § 46. 1 Added by GS., following other attempts {Aug.,  with B, inserted sequi after nos / but cf. § 47, where sequi is  actually found). 2 Added by Aug., with B.   § 47. 1 Added by Mve. 2 Aldus, for qui.   § 48. 1 Vertranius, for in quit. 2 Sciop., for sequere-  mur. 3 Aug., for stola.     472     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 46-4S     XXXIII. 46. As to what they say, a that we find  unlikeness pleasing and acceptable rather than  likeness, and therefore in clothing and in furniture  we take pleasure in variety, and not in having  our wives* undertunics all identical : I answer,  that if variety is pleasure, then there is greater  variety in that in which some things are alike and  others are not ; and just as a side-table is adorned  with silver in such a way that some ornaments  are alike and others are unlike, so also is speech  adorned.   47. They ask why, if likeness is to be followed,  we prefer to have some couches inlaid with ivory,  others with tortoise-shell, and so on with some other  kind of material. To which I say that unlikenesses  are not the only thing which we follow, but often we  follow likenesses. And this may be seen from the  same piece of furniture ; for no one makes the three  couches of the dining-room other than alike in material  and in height and in shape. Who makes the table-  napkins not like each other ? Or the cushions ?  And finally the other things which are several in  number but of one sort ?   48. Since speech, they say,° was introduced for the  sake of utility, we should follow not that kind of  speech which has likeness, but that which has utility.  I grant that speech has been produced for utility's  sake, but in the same way as garments have : there-  fore as in the latter we follow the likenesses, so that  a man's tunic is like a man's, and a toga like a -toga,  and a woman's dress is like a dress regularly and a  cloak like a cloak, so also, as words that are names   § 46. a Cf. viii. 31-32.  § 48. • C/. viu. 28-29.   473     VARRO     cum sint nomina utilitatis causa, tamen virilia inter  se similia, item muliebria inter se sequi debemus.   XXXIV. 49. Quod aiunt ut persedit et perstitit  sic (periacuit et) 1 percubuit quoniam non si(n)t, 2  non esse analogian, et 3 in hoc e(r)rant 4 : quod duo  posteriora ex prioribus declinata non sunt, cum  analogia polliceatur ex duobus similibus similiter  declinatis similia fore.   XXXV. 50. Qui dicunt quod sit ab Romulo Roma  et non Romula neque ut ab ove ovih'a 1 sic a bove  bovih'a, 2 (non) 3 esse analogias, errant, quod nemo  pollicetur e vocabulo vocabulum declinari recto casu  singulari in rectum singularem, sed ex duobus  vocabulis similibus casus similiter declinatos similes  fieri.   XXXVI. 51. Dicunt, quod vocabula litterarum  Latinarum non declinentur in casus, non esse analo-  gias. Hi ea quae natura declinari non possunt,  eorum declinatus requirunt, 1 proinde et non eo(rum) 2  dicatur esse analogia quae ab similibus verbis simili-  ter esse(nt) 3 declinata. Quare non solum in vocabu-  lis litterarum haec non requirenda analogia, sed (ne) 4  in syllaba quidem ulla, quod dicimus hoc BA, huius  BA, sic alia.   §49. 1 Added by Canal. 2 Kent, for sit. 3 Aug.,  for ut. 4 B, Bhol.,for erant.   § 50. 1 Aug., for ovilla. 2 Aug., for bovilla. 3 Added  by Stephanus.   § 51. 1 B, G, II, a, Aug., for sequirunt. 2 L. Sp., for  eo F 1, ea F 2 . 3 L. Sp. ; esset M, a, Aug. ; for esse.  4 Added by Aldus.     § 49. Referring to a passage now lost. b The two  verbs are not attested in any form.   § 50. Cf. viii. 54 and 80.  474     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 48-51     of persons exist for the purpose of utility, ue ought  still to employ men's names that are like one another,  and women's names that also have mutual resem-  blances.   XXXIV. 49. As to the fact that they say a that  Regularity does not exist because there are no  perfects periacuit ' remained lying ' .and percubuit  ' remained lying,' like persedit 1 remained sitting '  and perstitit ' remained standing,' in this also they  are mistaken : for the two perfects have no presents 6  from which to be inflected, whereas Regularity  promises only that from two like words inflected in  like manner there will be like forms.   XXXV. 50. Those who say that there are no  Regularities because from Romulus there is Roma  and not Romala and there is no bovilia ' cow-stables '  from bos * cow ' as there is ovilia * she epf olds ' from  ovis * sheep,' are in error ; because nobody professes  that one word is derived from another word, from  nominative singular to nominative singular, but only  that from two like words like case-forms develop  when they are inflected in like manner.   XXXVI. 51. They say that because the words  denoting the Latin letters are not inflected into  case-forms the Regularities do not exist. Such  persons are demanding the declension of those words  which by nature cannot be inflected ; just as if  Regularity were not said b to belong merely to those  forms which had already been inflected in like fashion  from like words. Therefore not only in the names of  the letters must this kind of Regularity not be sought,  but not even in any syllable, because we say nomina-  tive ba, genitive ba, and so on.   § 51. a Of. viii. 64. 6 Cf. viii. 23.   475     VARRO     52. Quod si quis in hoc quoque velit dicere esse  analogias rerum, tenere potest : lit eni(m) 1 dicunt  ipsi alia nomina, quod quinque habeant figuras,  habere quinque casus, alia quattuor, sic minus alia,  dicere poterunt esse litteras ac syllabas in voce quae  singulos habeant casus, in rebus pluris 2 ; quemad-  modum inter se conferent ea quae quaternos habe-  bunt vocabulis casus, item ea inter se qua(e) ternos, 3  sic quae* singulos habebunt, ut conferant inter se  dicentes, ut sit hoc A, huic A, esse hoc E, 5 huic E.   XXXVII. 53. Quod dicunt esse quaedam verba  quae habeant declinatus, ut caput (capitis, nihil  nihili), 1 quorum par reperiri quod non possit, non esse  analogias, respondendum sine dubio, si quod est  singulare verbum, id non habere analogias : minimum  duo esse debent verba, in quibus sit similitudo.  Quare in hoc tollunt esse analogias.   54. Sed nikilum 1 vocabulum recto casu apparet in  hoc :   Quae dedit ipsa, 2 cap/t 3 neque dispendi facit hilum,   § 52. 1 For eni. 2 GS. ; plureis Canal ; for plurimis.  3 Koeler, for quaternos. 4 For sicque. 5 After hoc E,  L, Sp. deleted huiusce E.   § 53. 1 Added by Reitzenstein.   § 54. 1 Lachmann ; in nihil Sciop. ; for initium.  2 Sciop., for ira. 3 Seal ig er t for caput.     § 52. a Cf. viii. 63. 6 That is, words indeclinable in  form have only one case-form, but still have all the case-uses.   § 53. There is no corresponding passage in Book VIII.  6 That is, when they select a unique word as basis for argu-  ment.   476     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 52-54     52. But if any one should wish to say that in this  also there are Regularities in the things, he can  maintain it. For as they themselves say a that some  nouns, because they have five forms, have five cases,  and others have four, and others fewer in like manner,  they will be able to say that the letters and syllables  which have one case-form apiece in sound, have  several in connexion with the things h ; as they will  compare only with each other those which have  four case-forms for the words, and likewise those  which have three apiece, so let them compare with  each other those which have only one form each,  saying that nominative E, dative E is like nominative  A, dative A.   XXXVII. 53. As to the fact that they say a that  there are certain words which have declensional forms,  like caput ' head,* genitive capitis, and nihil * nothing,*  genitive nihili, a match for which cannot be found,  and therefore the Regularities do not exist, answer  must be made that unquestionably any word which  is the only one of its kind is outside the systems of  Regularity ; there must be at least two words for a  likeness to be existent therein. Therefore, in this  case, et they eliminate the possible existence of the  Regularities.   54. But the word nihilum * nothing ' is found in  the nominative in the following a :   The body she's given  Earth doth herself take back, and of loss not a whit  does she suffer,   §54. ° Ennuis, Ann. 14 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 6-7 War-  mington ; cf. v. 60 and 111. The neuter accusative, having  the same form as the nominative, is used as a proof of the  nominative form.     477     VARRO     quod valet nec dispendii facit quicquam. Idem hoc  obliquo apud Plautum :   Video enim 4 te nihili 5 pendere prae Philolacho* omnis  homines,   quod est ex ne et hili : quare dictus est nihili 5 qui non  hili erat. Casus tautum 1 commutantur de quo dici-  tur, (ut) 8 de homine : clicimus cnim hie homo  nihili 9 et huius hominis nihili et hunc hominem  nihili. Si in illo commutaremus, dicercmus ut hoc  linum et li£>um, 10 sic nihilum, non hie nihili, et (ut) 11  huic lino et li&o 12, sic nihilo, non huic nihili. Potest  dici patricus casus, ut ei praeponantur 13 nomina 14  plura, ut hie casus Terentii, hunc casum Terentii,  hie miles legionis, huius militis legionis, hunc militem  legionis.   XXXVIII. 55. Negant, cum omnis natura sit aut  mas aut femina aut neutrum, (non) 1 debuisse ex  singulis vocibus ternas figuras vocabulorum fieri,  ut albus alba album ; nunc fieri in multis rebus  binas, ut Metellus Metella, 2 Aemi(]\)us ^e?wt(li)a, 3  nonnulla singula, ut tragoedws, com(o)edtt$ 4 ; sic  esse Marcum, Numerium, at Marcam, at Numeriam   4 Enim is Varro's addition; it is not found in the manu-  scripts of Plautus. 5 For nichili. 6 The manuscripts  of Plautus have Philolache. 7 Fay, for turn cum.  8 Added by GS. 9 After nihili, L. Sp. deleted est.  10 Mue., for limum, 11 et ut Mue. ; ut L. Sp. ; for et.  12 Mue., for Hmo. 13 Mue., for praeponuntur. 14 Kent,  for praenomina.   § 55. 1 Added by Mue. 2 Ixietus, for metelle.   3 Wackernagel ; Ennius Ennia Laetus ; for enuus enua.   4 Christ, for tragoedia comedia.  478     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 54-55     which is the same as ' nor of loss does she suffer  anything/ This same word is found in an oblique  case in Plautus 6 :   I see, beside Philolaches you count all men as nothing.   The word is from ne 1 not ' and genitive hilt ' whit ' ;  therefore he has been called nihili ' of naught ' who  was not kill * of a whit ' in value. Change is made  only in the case-forms of that about w hich the speak-  ing is done, as about a man ; for we say a man nihili  ' of no account ' in nominative, in genitive, in accusa-  tive, changing the forms of homo but not changing  the form nihili. If we were to make changes in it,  then we should say not hie nihili c but nihilum as the  nominative, like linum ' flax * and libum ' cake,' and  dative not huic nihili d but nihilo like lino and libo.  The genitive case * can however be said with various  nouns set before it, like nominative casus ' mishap '  Terentii ' of Terence,' accusative casum Terentii, and  nominative miles 'soldier* legionis 1 of the legion/  genitive militis legionis, accusative militem legionis.   XXXVIII. 55. They say a that since every  nature is either male or female or neuter, from the  individual spoken words there should not fail to be  forms of the words in sets of three, like albus, alba,  album ' white ' ; that now in many things there are  only two, like Metellus and Metella, Aemilius and  Aetnilia, and some with only one, like tragoedus   * tragic actor ' and comoedus ' comic actor ' ; that  there are the names Marcus and Numerius, but no   * Plautus, Most. 245. c The genitive nihili depending on  a nominative. d The genitive nihili depending on a  dative. * Such as the form nihili.   § 55. a Cf. viii. 47.   479     VARRO     non esse ; dici coruum, 5 turdum, non 6 dici coruam, 5  turdam ; contra dici pantherarn, merulam, non dici  pantherum, merulum ; nullius nostrum 7 filium et  filiam non apte 8 discerni marem ac feminam, ut  Terentium 9 et Terentiam, contra deorum liberos et  servorum non i/idem, 10 ut Iovis filium et filiam,  Iovem 11 et Iovam ; item magnum numerum vocabu-  lorum in hoc genere non servare analogias.   56. Ad haec dicimus, omnis orationis quamvis res  naturae subsit, tamen si ea in usu(m) 1 non pervenerit,  eo non pervenire verba : ideo equus dicitur et equa :  in usu enim horum discrimina 2 ; corvus et corva non,  quod sine usu id, quod dissimilis natura(e). 3 Itaque  quaedam al(i)ter ohm ac nunc : nam et turn omnes  mares et feminae dicebantur columbae, quod non  erant in eo usu domestico quo nunc, (ct nunc) 4  contra, propter domesticos usus quod internovimus,  appellatur mas columbus, femina columba.   57. Natura cum tria genera transit et id est in usu  discriminat*/(m), turn 1 denique apparet, ut est in  doctus 2 et docta et doctum : doctrina enim per tria  haec transire potest et usus docuit discriminare  doctam rem ab hominibus et in his marem ac feminam.  In mare et femina et neutro neque natura mans 3   6 Aldus, for corbum and corbam. * Aldus, for non non.   7 Aug., for neutros. 8 Aug., with B, for apta. 9 For  terentium et terentium. 10 Ed. Veneta, for ididem.  11 For iouem iouem.   § 56. 1 Aug., with B, for usu. 2 Aug., for discrimine.  3 Vertranius, for natura. * Added by L. Sp.   § 57. 1 Reiter, for discrimina totum. 2 Aug., with B,  for docto. 3 L. Sp., for mares.   b Numeria is in fact found, but as a divine name. c Cf.  §59.   § 56. a For the expression, cf. ix. 37.  480     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 55-57     Marca and Numeria 6 ; that corvus ' raven ' and  turdus * thrush ' are said, but the feminines corva and  turda are not said ; that on the other hand pantkera   * panther * and merula 1 blackbird ' are used, but the  masculines pantherus and merulus are not ; that there  is no one of us whose son and daughter are not suit-  ably distinguished as male and female^ as Terentius  and Terentia ; that on the other hand the children  of gods and slaves are not distinguished in the same  way, c as by Iovis and Iova for the son and the daughter  of Jupiter ; that likewise a great number of common  nouns do not in this respect preserve the Regularities.   56. To this we say that although the object is  basic a for the character of all speech, the words do  not succeed in reaching the object if it has not come  into our use ; therefore equus ' stallion ' and equa   * mare ' are said, but not corva beside corvtts, because  in that case the factor of unlike nature is without use  to us. But for this reason some things were for-  merly named otherwise than they are now : for then  all doves, male and female, were called columbae,  because they were not in that domestic use in which  they are now, and now, on the other hand, because we  have come to make a distinction on account of their  uses as domestic fowl, the male is called colnmbus  and the female columba.   57. When the nature goes through the three  genders and this distinction is made in use, then finally  it is seen, as it is in doctus 4 learned man ' and docta   * learned woman ' and doctum 4 learned thing ' ; for  learning can go across through these three, and use  has taught us to differentiate a learned thing from  human beings, and among the latter to distinguish  the male and the female. But in a male or a female      transit neque feminae neque neutra, et ideo non  dicitur fcminus femina feminum, sic reliqua : itaque  singularibus ac secretis vocabulis appellati sunt.   58. Quare in quibus rebus non subest similis  natura aut usus,in his vocabulis huiusce modi ratio  quaeri non debet : ergo dicitur ut surdus vir, surda  mulier, sic surdum theatrum, quod omnes tres (res) 1  ad auditum sunt comparatae ; contra nemo dicit  cubiculum surdum, (quod) 2 ad silentium, non ad  auditum ; at si fenestram non habet, dicitur caecum,  ut coccus et caeca, quod omnia (non) 3 habent (quod) 3  lumen habere debent.   59. Mas et femina habent inter se natura quandam  societatem, (nullam societatem) 1 neutra cum his,  quod sunt diversa ; inter se 2 quoque de his perpauca  sunt quae habeant quandam co(m)munitatem. Dei  et servi nomina quod non item ut libera nostra trans-  eunt, eadem e(s)t 3 causa, quod ad usum attinct (et) 4  institui opus fuit de liberis, de reliquis nihil attinuit,  quod in servis gentilicia natura non subest in usu, in  nostri(s) nominibus qui sumus in Latio et liberi,  necessaria. Itaque ibi apparet analogia ac dicitur  Tcrentius vir, Terentia femina, Terentium genus.   § 58. 1 tres res Mve. ; res Bentinus ; for tres. 2 Added  by Canal ; quod id Mae. ; quod sit Sciop. 3 Added by  Fay.   § 59. 1 Added by A. Sp., after L. Sp. and Mue. 2 B,  G, II, Aug., for interest. 3 L. Sp., for et. 4 Added by  L. Sp.     ' § 58. a Varro means a theatre in which it is difficult to  hear ; but the term is applicable also to an audience which  is inattentive. b Rather, things are called 4 blind ' because  they hinder vision by darkness or by walls without openings,  such as windows and doors.   482     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 57-59   or what is neither, the nature of the male does not  shift, nor that of the female, nor the neuter nature,  and for this reason there is no saying of feminus,  femina.) Jemirrum, and so with the rest. Therefore  they are called by special and separate words.   58. Wherefore in the names of those things in  which there is no likeness of nature or of use as the  basis, a relation of this sort ought not to be sought.  Accordingly, as a surdus * deaf * man is a current  term, and a surda woman, so also is a surdum theatre,* 1  because all three things are equally intended for the  act of hearing. On the other hand, nobody says a  surdum sleeping-room, because it is intended for  silence and not for hearing ; but if it has no window,  it is called caecum 1 blind/ as a man is called caecus  and a woman caeca, because not all sleeping-rooms  have the light which they ought to have. b   59. The male and the female have by nature a  certain association with each other ; but the neuters  have no association with them, because they are  different from them in kind, and even of these neuters  there are very few which have any elements in  common with other neuters. As for the fact that the  names of a god and of a slave do not vary like our  free names, there is the same reason, namely that  the variation is connected with use, and had to be  established with reference to free persons, but as to  the rest had no consequence, because among slaves  the clan quality has no foundation in practice, but  it is necessary in the names of us who are in Latium  and are free. Therefore in that class Regularity  makes its appearance, and we say Terentius for a  man, Terentia for a woman, and Terentium for the  genus * stock.'   483     VARRO     60. In praenominibus ideo non fit item, quod haec  instituta ad usum singularia, quibus discernerentur  nomina gentilicia, ut ab numero Secunda, Tertia,  Quarta (in mulieribus), 1 in viris ut Quintus, Sextus,  Decimus, sic ab aliis rebus. Cum essent duo  Terentii aut plures, discernendi causa, ut aliquid  singulare haberent, notabant, forsitan ab eo, qui  mane natus diceretur, ut is Manius esset, qui luci,  Lucius, 2 qui post patris mortem, Postumus.   61 . E quibus (ae)que 1 cum item accidisset feminis,  proportione ita appellata declinarant praenomina  mulierum antiqua, Mania, Lucia, Postuma : videmus  enim Maniam matrem Larum dici, Luciam Voht-  mniam 2 Saliorum Carminibus appellari, Postumam a  multis post patris mortem etiam nunc appellari.   62. Quare quocumque progressa est natura cum  usu vocabul?, 1 similiter proportione propagata est  analogia, cum in quibus declinatus voluntarii 2 maris  et feminae et neutri, quae voluntaria, non debeant  similiter declinari, sed in quibus naturales, sint de-   § 60. 1 Placed here by GS. ; added before Secunda by L.  Sp. 2 p t Aldus^for lucilius.   § 61. 1 A. for que. 2 Aug., for Volaminiam.   § 62. 1 Aug. y with i?, for vocabula. 2 L. Sp., for  declinationibus voluntariis.   § 60. a Seemingly a contamination of ab eo quod with  sic . . . ut. b Properly, as the * last ' child ; but not to  be associated with post kit mum * after (burial in the) earth,'  though this popular etymology gave a later spelling post-  humus and the English posthumous,   § 61. a Mania is perhaps not related etymologieally to  Manius ; see Marbach in Pauly-Wissowa's Encyc. d. cl. Alt.-  wiss, xiv. 1110. b More probable than the Volaminia of F,  484     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 60-62     60. In first names the situation is not the same,  because these were in practice established as in-  dividual names, by which the clan names might be  differentiated ; from the numerals came Secunda,  Tertia, Quarta for women, Quintus, Sextus, Decimus  for men. and similarly other names from other things.  When there were two or more persons of the name  Terentius, then that they might liave something  individual to distinguish them they marked them  perhaps in this way,° that he should be Manius who  was said to have been born mane ' in the morning,'  and he who has been born luci * at dawn ' should be  Lucius, and he who was born post ' after ' his father's  death should be Postumus. 6   61. When any of these things happened to  females as well, they derived the first names of  women regularly in this manner — that is, in former  times — and called them by them, for example,  Mania, Lucia, Postuma : for we see that the mother  of the Lares is called Mania, a that Lucia Volumnia b  is addressed in the Hymns of the Salians, c and that  even now many give the name Postuma to a daughter  born after the death of her father.   62. Therefore as far as the nature and the use of  a word have jointly advanced, so far has Regularity  been extended in like manner by a corresponding  relationship, since of the words in which there are  voluntary inflections of male and female and neuter,  those which are voluntary in inflection ought not to be  inflected in similar manner, but in those in which  there are natural inflections there are those regular   not found elsewhere ; several members of the gens Volumnia  are mentioned at Rome during Varro's time. e Frag. 5,  page 336 Maurenbrecher ; page 4 Morel.    clinatus hi qui esse reperiuntur. Quocirca in tribus  generibus nominum in(i)que 3 tollunt analogias.   XXXIX. 63. Qui autem eas reprehendunt, quod  alia vocabula singularia sint solum, ut cicer, alia multi-  tudinis solum, ut scalae, cum debuerint omnia esse  duplicia, ut equus equi, analogiae fundamentum esse  obliviscuntur naturam et usu(m). 1 Singulare est  quod natura unum significat, ut equus, aut quod  coniuncta quodammodo ad unum usu, 2 ut bigae :  itaque (ut) 3 dicimus una Musa, sic dicimus unae  bigae.   64«. Multitudinis vocabula sunt unum infinitum,  ut Musae, alterum finitum, ut duae, tres, quattuor :  dicimus enim ut hae Musae sic unae bigae et binae  et trinae bigae, sic deinceps. Quare tarn unae et uni  et una quodammodo singularia sunt quam unus et una  et unum ; hoc modo mutat, quod altera in singu-  laribus, altera in coniunctis rebus ; et ut duo tria sunt  multitudinis, sic bina trina.   65. Est tertium quoque genus singulare ut in  multitudine, uter, in quo multitudinis ut utrei 1 ; uter   3 Aldus, for inquae.   §63. 1 p t Mue., for usu. 2 A. Sp., for usum.  3 Added by h. Sp.   §65. 1 A. Sp.,for utre   § 62. a Crates and his followers, who uphold Anomaly.  § 63. ° Cf. viii. 48. b Cf. x. 54.   § 64. B The first is the generic or collective, without speci-  fication of the number or of the individuals ; the second is  numerical, in which the number of the individuals is given or  their identity is clearly implied. 6 A word like bigae,   486     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 62-65     inflections which are actually found to exist. There-  fore in the matter of the three genders they a are  unfair in setting aside the Regularities.   XXXIX. 63. Moreover those who find fault a  with the Regularities, because some words are  singulars only, like cicer ' chickpea,' and others are  plural only, like scalae ' stairs,' et although all ought  to have the two forms, like equus ' horse ' and equi  ' horses,' forget that the foundation of Regularity  is nature and use taken in combination. That is  singular which by nature denotes one thing, like  equus ' horse/ or which denotes things that by use  are joined together in some way, like bigae * two-horse  team.' Therefore just as we say una Musa * one  Muse,' we say unae bigae * one two-horse team/   64. Plural words are of two sorts, a the one in-  definite, like Musae * Muses/ the other definite, like  duae ' two/ tres * three/ quattuor 1 four ' ; for as we  say Musae in the plural, so also we say unae bigae ' one  two-horse team/ and binae ' two ' and trinae b bigae  1 three two-horse teams/ and so on. Wherefore  unae and the masc. uni and the neut. una are in  a certain manner as much singulars as unus and una  and unum : the word changes in this way because  the one set of forms is said of individual things, the  other of things joined together in sets ; and just as  duo and tria are plurals, so also are bina and trina.   65. There is also a third class which is singular  though expressed by a plural form, namely uter  1 which of two,' in which the plural form is for ex-   already plural in form, can be pluralized in meaning only by  the use of a numerical modifier ; for this purpose, distribu-  tive numerals such as bini are used. For the singular idea,  the plural form of unus is used.   487     VARRO     poeta singulari, utri poetae multitudinis est. Qua  explicata natura apparet non debere omnia vocabula  multitudinis habere par singulare : omnes enim  numeri ab duobus susum versus multitudinis sunt  neque eorum quisquam habere potest singulare  compar. Iniuria igitur postulant, si qua sint singu-  laria, oportere habere multitudinis.   XL. 66. Item qui reprehendunt, quod non dicatur  ut unguentum unguenta vinum vina sic acetum aceta  garum gara, faciunt imperite : qui ibi desidcrant  multitudinis vocabulum, quae sub mensuram ac pon-  dcra potius quam sub numerum succedunt : nam in  plumbo, 1 a(r)ge(n)to, a cum incrementum accessit,  dicimus 3 multum, 4 sic multum plumbum, argentum ;  non 5 plumba, argenta, cum quae ex hisce fiant, dica-  mus plumbea et argentea (aliud enim cum argenteum :  nam id turn cum iam vas : argent(e)um 6 enim, si  pocillum aut quid item) : quod pocilla argentea  multa, non quod argentum multum.   67. Ea, natura in quibus est mensura, non  numerus, si genera in se habe(n)t 1 plura et ea in  usum venerunt, a genere multo, sic vina et unguenta,  dicta : alii generis enim vinum quod Chio, aliuc? 2   § 66. 1 After phimbo, L. Sp. deleted oleo. 2 Aug., for  aceto. 3 After dicimus, Aldus deleted enim. 4 After  rnultum, L. Sp. deleted oleum. 5 After non, L. Sp. deleted  multa olea. 6 Aug., with B t for argentum.   § 67. 1 Laetus, for habet. 2 For aliut.     § 65. ° The old spelling of the nominative plural, still  more or less in use in Varro's time, though rarely attested in  the manuscripts.   § 66. a Cf § 67. b Derivative adjectives, ' made of  lead ' and * made of silver * ; supply vasa 4 utensils.'  488     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 65-67     ample utrei ° : uter poeta ' which of two poets ' in the  singular, utri poetae 4 which of two sets of poets ' in  the plural. Now that the nature of this has been  explained it is clear that plural nouns are not all  under obligations to have a like singular form ; for  all the numerals from two upwards are plural, and  no one of them can have a singular to match it.  Therefore it is quite wrongly that they demand that  all singulars that there are, must have a correspond-  ing plural form.   XL. 66. Likewise those who find fault because  there are no plurals aceta and gara to acetum ' vinegar '  and garum * fish-sauce ' like unguenia to unguentum  ' perfume ' and vtna to vinum ' wine/ a act ignorantly ;  they are looking for a plural name in connexion  with things which come under the categories of  quantity and weight rather than under that of  number. For in plumbum 4 lead ' and argentum * sil-  ver,' when there has been added an increase, we say  multum * much ' : thus multum plumbum or argentum,  not plumba ' leads ' and argenta ' silvers/ since articles  made of these we call plumbea and argentea b (silver  is something else when it is argenteum, for that is  what it is when it has now become a utensil ; thus  argenteum if it is a small cup or the like), because in  this case we speak of many argentea ' silver ' cups,  and not of much argentum ' silver/   67. But if those things which have by nature the  idea of quantity rather than that of number, exist in  several kinds and these kinds have come into use,  then from the plurality of kinds they are spoken of  in the plural, as for example vina 1 wines ' and un-  guenia ' perfumes.' For there is wine of one kind,  which comes from Chios, another wine which is from   489     VARRO     quod Lesbo, 3 sic ex regionibus aliis. (Ae)que 4 ipsa  dicuntur nunc melius unguenta, 5 cui nunc genera  aliquot. Si item discrimina magna essent olei et  aceti et sic ceterarum rerum eiusmodi in usu co(m)-  muni, dicerentur sic olea et (aceta ut) 6 vina. Quare  in titraque re (i)nique 7 rescindere conantur analogias,  et 8 cum in dissimili usu similia vocabula quaerant* et  cum item ea quae metimur atque ea quae numcramus  dici putent oportere.   XLI. 68. Item reprehendunt analogias, quod  dicantur multitudinis nomine publicae balneae, non  balnea, contra quod privati dicant unum balneum,  quo?/* 1 plura balnea (non) 2 dicant. Quibus respon-  ded' 3 potest non esse reprehendendum, quod scalae  et aquae caldae, pleraque* cum causa, multitudinis  vocabulis sint appellata neque eorum singularia in  usum venerint ; idemque item contra. Primum  balneum (nomen e(s)t 5 Graecum), (cum) 6 introiit in  urbem, publice ibi consedit, ubi bina essent con-  iuncta aedificia lavandi causa, unum ubi viri, alterum  ubi mulieres lavarentur ; ab eadem ratione domi  suae quisque ubi lavatur balneum dixcrunt et, quod  non erant duo, balnea dicere non consuerunt, cum   3 V, p, Aldus, for Lesbio. 4 A. Sp., for quae. 5 For  unguentia. 6 Added by L. Sp. 7 Canal, for denique.  8 Aug., for analogiam set. * L. Sp.,for querunt.   §68. 1 Canal, for quod. 2 Added by Popma. 3 Al-  dus, for respondere. 4 After pleraque, L. Sp. deleted quae.  6 GS., for et. 6 Added by GS.     §68. ° The word is a heteroclite in form, with a different  490     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 67-68     Lesbos, and so on from other localities. Likewise  unguenta 1 perfumes ' themselves are now properly  spoken of in the plural, for of perfume there are now  a number of kinds. If in like fashion there were great  differences in olive-oil and vinegar and the other  articles of this sort, in common use, then we should  employ the plurals olea and aceta, like vina. There-  fore in both these matters their attempt to destroy  the Regularities is unfair, since they expect that the  words will be alike though their uses are different,  and since they think that articles which we measure  and objects which we count should be spoken of in the  same way.   XLI. 68. Likewise they find fault with the Regu-  larities, because public baths are spoken of as balneae,  with the form in the plural, and not as balnea, in the  singular ; and on the other hand they speak of one bal-  neum of a private individual, though they do not use  the plural balneal To them answer can be made, that  fault ought not to be found because scalae * stairs '  and aquae caldae ' hot springs/ mostly with good  reason, have been called by plural names and the  corresponding singulars have not come into use : and  vice versa* The first balneuvi * bath-room ' (the  name is Greek), when it was brought into the city of  Rome, was as a public establishment set in a place  where two connected buildings might be used for  the bathing, in one of which the men should bathe  and in the other the women. From the same logical  reasoning each person called the place in his own  house where baths were taken, a balneum ; and they  were not accustomed to speak of balnea in the plural,   meaning in the two numbers. But the plural balnea began to  be used in the time of Augustus. 6 C/. § 69.   491     VARRO     hoc antiqui non balneum, sed lavatrinam 7 appellare  consuessent. 8   69- Sic aquae caldae ab loco et aqua, quae ibi  scateret, cum ut colerentur venissent in usum nostris,  cum aliae ad alium morbum idoneae essent, eae cum  plures essent, ut Puteolis ct in Tuscis, quibus uteban-  tur, multitudinis potius quam singulari vocabulo  appellarunt. Sic scalas, quod ab scandendo dicuntur  et singulos gradus scanderent, magis erat quaeren-  dum, si appellassent singulari vocabulo scalam, cum  origo nominatus ostcnderet contra.   XLII. 70. Item reprehendunt de casibus, quod  quidam nominatus habent rectos, quidam obliquos,  quod dicunt utrosque in vocibus oportere. Quibus  idem responderi potest, in quibus usus aut natura  non subsit, ibi non esse analogiam. . . .   71. Sed ne in his (quidem) 1 vocabulis quae  declinantur, si transeunt e recto casu in rectum  casum : quae tamcn fere non discedunt ab ratione  sine iusta causa, ut hi qui gladiatores Faustina* :  nam quod plerique dicuntur, ut tris extremas syllabas   7 Aug., with B, for lauiatrinam. 8 2?, Ed. Veneta,for   consuescent.   § 71. 1 Added here by L. Sp. ; added after vocabulis by  Madvig. 2 Mtie. t for faustinos.     c More commonly in the contracted form latrina, and in  Varro's time meaning ' water-closet, privy.'   § 69. ° At least nine places in Etruria bore the name  Aquae.   % 70. ° Cf. viii. 49. b There seems to be a lacuna here,  as examples illustrating this point of the refutation are lack-  ing.   § 71. c That is, by derivation with suffixes, not merely by  because they did not have two in one house — though  our forbears were accustomed to call this not a  balneum, but a lavatrina c ' wash-room.*   69. So also, the hot springs, on account of the  locality and the water which gushed out there, came  to be frequented for our use, since some of the  springs were beneficial to one disease and others to  another ; and because those which they used were  several in number, as at Puteoli and in Etruria,  they called them by a plural word rather than by a  singular. So also with the scalae ' stairs ' ; because  they are named from scandere ' to mount ' and there  were separate steps to be mounted, it would be a  more difficult problem to answer if they had called  them scala, in the singular, inasmuch as the origin of  the name shows their plural nature.   XLII. 70. Likewise they find fault a about the  cases, because some nouns have nominative forms  only, and others have only oblique forms : whereupon  they say that all words ought to have both the  nominative and the oblique forms. To them the  same answer can be given, that there is no Regularity  in those instances which lack a relationship in use  or in nature. . . . b   71. But they should not look for complete Regu-  larity even in these names which are derived by  passage from one nominative form to another.  Still, such words do not in general depart from the  path of logic without valid reason, such as there is for  those gladiators who are called Faustini b ; for though  most gladiators are spoken of in such a way that they   case-inflection. b The troops of gladiators were designated  by adjectives of this sort which were derived from the names  of the owners.     493     VARRO     habeant easdem, Cascelliani, (Caeciliani), 3 Aquiliani,  animadvertant, 4 unde oriuntur, nomina dissimilia  Cascellius, 5 Cflecilius, Aquilius, (Faustus : quod si  esset) 8 Faustius, recte dicerent Faustianos ; si(c) 7  a Scipione quidam male dicunt Scipioninos : nam est  Scipionarios. Sed, ut dixi, quod ab huiuscemodi  cognominibus raro declinantur cognomina neque in  usum etiam perducta, natant quaedam.   XLIIL 72. Item dicunt, cum sit simile stultus  luscus et dicatur stultus stultior stultissimus, non  dici luscus luscior luscissimus, sic in hoc genere  multa. Ad quae dico ideo fieri, quod natura nemo  lusco magis sit luscus, cum stultior fieri videatur.   XLIV. 73. Quod rogant, cur (non) 1 dicamus mane  manius manissimc, item de vesperi : in 2 tempore vere  magis et minus esse non potest, ante et post potest.  Itaque prius est hora prima quam secunda, non  magis hora. Sed magis mane surgere tamen dicitur :  qui primo mane surgit, (magis mane surgit) 3 quam  qui non pri(m)o 4 : ut enim dies non potest esse  magis quam (dies, sic mane non magis quam) 5 mane ;   3 Placed here by L. Sp. ; added after Aquiliani by Aug.   4 Aug., for animaduertunt. 5 Cascelius Aug., for Cas-  sellius F. 6 Added by Mue. 7 M 9 Laetus.for si.   § 73. 1 Added by Aug. 2 Popma, for uespertino.  3 Added by GS. 4 Stephanus, for prior. 5 Added by  L. Sp.     § 72. a Cf viii. 75.   § 73. a Cf. viii. 76. b The usual phrase is multo mane ;  evidently, to the Romans, mane was not completely an adverb  like English* early. e The Latin corresponding to this  (English) sentence should perhaps, as GS. suggest, be placed  before the sentence beginning Itaque prlus ; the argument  then develops more logically.    have the last three syllables alike, Cascelliani, Cae-  ciliani, AquilianiJ* let them take note that the names  from which these come, Cascellius, Caecilius, Aquilius  on the one hand, and Faustus on the other, are unlike :  if the name were Faustius, they would be right in  saying Faustiani. In the same way, from Scipio  some make the bad formation Scipionini ; it is prop-  erly Scipionarii. But, as I have said, since appella-  tions are rarely derived from surnames of this kind  and they are not fully at home in use, some such  formations fluctuate in form.   XLIII. 72. Likewise they say,° that although  stultus * stupid ' and luscus * one-eyed * are like words,  and stultus is compared with stultior and stultissimus,  the forms lusrior and luscissimus are not used with  luscus, and similarly with many words of this class.  To which I say that this happens for the reason  that by nature no one is more one-eyed than a one-  eyed man, whereas he may seem to become more  stupid.   XLIV. 73. To their question a why we do not say  mane ' in the morning/ comparative manius, super-  lative manissime. with a similar question about  vesperi * in the evening/ I reply that in matters of  time there is properly no ' more ' and ' less/ but  there can be before and after. Therefore the first  hour is earlier than the second, but not ' more hour/  But nevertheless to rise magis mane ' more in the  morning * is an expression in use ; he who rises in  the first part of the morning rises magis mane 6  * more in the morning ' than he who does not rise  in that first part. For as the day cannot be said  to be more than day, so mane cannot be said to be  more than mane* Therefore that very magis ' more '   495     VARRO     itaque ipsum hoc quod dicitur magis sibi non constat,  quod magis mane significat primum mane, magis  vespere novissimum vesper.   XLV. 74. Item ab huiuscemodi (dis)similitu-  dinibus 1 reprehenditur analogia, quod cum sit anus  cadus simile et sit ab anu aniculaanicilla, a cado duo  reliqua quod non sint propagata, sic non dicatur a  piscina piscinula piscinilla. Ad (haec respondeo) 2  huiuscemodi vocabuh's 3 analogias esse, ut dixi, ubi  magnitudo animadvertenda sit in unoquoque gradu  eaquc 4 sit in usu co(m)muni, ut est cista cistula  cistella et canis catulus catellus, quod in pecoris usu  non est. Itaque consuetudo frequentius res in binas  dividi partis ut maius et minus, ut lectus et lectulus,  area et arcula, sic alia.   XLVI. 75. Quod dicunt casus alia non habere  rectos, alia obliquos et idco non esse analogias, falsum  est. Negant habere rectos ut in hoc frugis frugi  frugem, item cole(m) colis cole, 1 obliquos non habere  ut in hoc Diespiter Diespitri Diespitrem, Maspiter  Maspitri Maspitrem.   § 74. 1 L. Sp., for similitudinibus. 2 Added by L. Sp.  3 L. Sp., for vocabula. 4 Mite., for ea quae.   §75. 1 A. Sp. ; colis coli colem Mue. ; for role rolis role.     § 74. a Cf viii. 79. b The diminutives are not ety-  mological derivatives of cants, but are of quite distinct origin.  e Curiously, none of the Latin words denoting sheep and  goats, cattle and horses, had a diminutive in regular use in  Varro's time or earlier, except that Varro himself used equulus  and equula. Plautus, Asin. 667, coined the words agnellns  ' little lamb,' haedillus 4 little kid,' vitellus 4 little calf,' as  terms of endearment, but they do not appear again. d The  normal, undiminished object.   § 75. ° Cf. viii. 49 ; the subject-matter of § 75 seems to  come closely after that of § 70, but there seems to be no sure   496     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 73-75     which is commonly said is not consistent with itself,  because magis mane means the first part of the mane,  and magis vespere the last part of the evening.   XLV. 74. Similarly, Regularity is found fault  with on account of unlikenesses of this sort," that  although anus * old woman ' and cadus * cask ' are  like words, and from anus there are the diminutives  aniatla and anicilla, the other two are not formed  from cadus, nor from piscina ' fish-pond * are piscinula  and piscinilla made. To this I answer that words of  this kind have the Regularities, as I have said, only  when the size must be noted in each separate stage,  and this is in common use, as is cista * box/ cistula,  cistella, and canis b 1 dog,' catulus * puppy,' catellus   * little puppy ' ; this is not indicated in the usage  connected with flocks.* Therefore the usage is more  often that things be divided into two sets, as larger d  and smaller, like lectus * couch * and lectulus, area  ' strong-box * and arcula, and other such words.   XLVL 75. As to their saying a that some words  lack the nominative and others lack the oblique  cases, and that therefore the Regularities do not  exist, this is an error. For they say that the nomina-  tive is lacking in such words as frugis frugi frugem b   * fruit of the earth * and colem colis cole c 1 plant-  stalk/ and the oblique cases are lacking in such as  Diespiter * Jupiter,' dat. Diespitri, acc. Diespitrem, and  Maspiter ' Mars,' Maspitri, Maspitrem*   way of rearranging the order of the text. * Gen., dat., acc.  c Acc, gen., abL, unless the manuscript readings are to be  more seriously altered ; the word is more properly caul- % but  Cato and Varro prefer the country forms, with o from au.  d For Dies pater and Mars pater ; the addition of pater is  found only in nom. and voc. (Iuppiter, older Iuplter % is a  voc. form).   VOL. II K 497     VARRO     76. Ad haec respondeo et priora habere nominandi  et posteriora obliquos. Nam et frugi rectus est  natura frux, at secundum consuetudinem dicimus ut  haec avis, haec ovis, sic haec frugis ; sic secundum  naturam nominandi est casus cols, 1 secundum con-  suetudinem colis, 2 cum utrumque conveniat ad analo-  gian, quod et id quod in consuetudine non est cuius  modi debeat esse apparet, et quod est in consuetu-  dine nunc in recto casu, eadem est analogia ac plera-  que, quae ex multitudine cum transeunt in singulare,  difficulter efFeruntur ore. Sic cum transiretur ex eo  quod dicebatur haec oves, una non est dicta ovs sine  J, 3 sed additum I ac factum ambiguum verbum  nominandi an patrici esse(t) 4 casus. Ut ovis, et avis.   77. Sic in obliquis casibus cur negent esse  Diespitri Diespitrem non video, nisi quod minus est  tritum in consuetudine quam Diespiter ; quod in  nihil argumentum est : nam tarn casus qui non tritus  est quam qui est. Sed est(o) 1 in casuum serie alia  vocabula non habere nominandi, alia de obliquis  aliquem: nihil enim ideo quo minus siet 2 ratio per-  cellere poterit hoc crimen.   § 76. 1 Mi*e., for rois. 2 Hue., for rolis. 3 L. &/>.,  for una. 4 L, Sp., for esse.   § 77. 1 L. Sp., for est. 2 Mue., for si et ; on the possi-  bility of the use of siet in Varro's time, cf Cicero, Orator  47. 157.     § 76. ° Frux is found in Ennius, Ann. 314 (' honest man ')  and 431 Vahlen 2 = R.O.L. i. 1 16-1 17 and 150-151 Warming-  ton ; but nom. frugis is not quotable from a text. b Colis  may be cited from Lucilius, 135 Marx, and Varro, R. R.  i. 41 . 6. 4 c Varro is speaking on the basis that the  relation is nom. sing, ending in -s, nom. pi. in -es, as in  dux^ pi. duces. d Haec before oves is the sign of the nom.  pi. fern. ; Varro appears to use hae before consonants, haec   498     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 76-77     76. To this I answer that the former have nomina-  tives and the latter have oblique case-forms. For  the nominative of fntgi is by nature frux, but by usage  we say fntgis, a like avis * bird * and ovis ' sheep * ; so  also, the nominative of the other word is by nature  cols and by usage colis. b Both of these agree with the  principle of Regularity, because it is perfectly clear  of what sort that form ought to be which is not in use,  and in that which is now in use in the nominative  there is the same kind of Regularity as most words  have that are hard to pronounce when they pass  from the plural to the singular. So when the  passage was made from the spoken plural oves, d the  form which was pronounced was not ovs without I,  but an I was added and the word became ambiguous  as to whether the case was nominative or genitive.*  Like the nominative ovis is also the nominative amis.   77. Thus I do not see why they say that in the  oblique cases Diespitri and Diespitrem are lacking,  except because they are less common in use than  Diespiter. But the argument amounts to nothing ;  for the case-form which is uncommon is just as much  a case-form as that which is common. But let us  grant that in the list of case-forms some words lack  the nominative and others lack some one of the  oblique cases ; for this charge will not for that reason  be able in any way to destroy the existence of a logical  relationship a among the forms.   before vowels as here (and at the sentence-end, as at v. 75).  * Varro is of course unaware of the fact that some nouns of  the third declension had stems ending in i and therefore had  a right to nominatives in is, while others had stems ending in  consonants and could have the ending is only by analogy  with the «-stems.   § 77. ° That is, Regularity.   499     VARRO     78. Nam ut signa quae non habent caput 1 aut  aliquam aliam partem, nihilo minus 2 in reliquis mem-  bris eorum esse possunt analogiae, sic in vocabulis  casuum possunt item fieri (iacturae. Potest etiam  refingi) 3 ac reponi quod aberit, ubi patietur natura  et consuetudo : quod nonnunquam apud poetas  invenimus factum, ut in hoc apud Naevium in Clas-  tidio :   Vita insepulta laetus in patriam redux.   XLVII. 79. Itemreprehendunt,quoddicaturhaec  strues, hie Hercules, 1 hie homo : debuisset enim dici,  si esset analogia, hie Hercul, haec strus, hie hom(en.  N)on 2 haec ostendunt no(mi)?*a 3 non analogian esse,  sed obliquos casus non habere caput ex sua analogia.  Non, ut si in Alexandri statua imposueris caput  Philippi, membra conveniant ad rationem, sic* et  Alexandri membrorum simulacro 5 caput quod re-  spondeat item sit ? Non, si quis tunicam in usu ita  consult, ut altera plagula 6 sit angustis clavis, altera  latis, utraque pars in suo genere caret analogia.   XLVIII. 80. Item negant esse analogias, quod   § 78. 1 After caput, M and Laetus deleted et. 2 For  nihil hominus. 3 Added by GS. ; but the lost part may be  some what longer.   % 79. 1 p, Laetus, for Herculis. 2 GS. ; homen Canal ;  for homon. 3 Kent, for noua. 4 G, H, Aug., for sit.  5 A. Sp.yfor simulacrum. 6 Aldus, for placula.   § 78. a By regular formation. b Tray. Rom. Frag.,  Praet. II Ribbeck 3 . c Redux, not elsewhere found in the  nom. sing.   § 79. If the nominatives were of the usual types, which  replace the .genitive ending -IS by -S or by nothing at all,  like $11$, animal, nomen, genitives suis, animalis, nominis.  b That is, the nominatives are not formed ' regularly ' from  the oblique cases, but from these nominatives of variant types For as some statues lack the head or some  other part without destroying the Regularities in  their other limbs, so in words certain losses of cases  can take place, with as little result. Besides, what is  lacking can be remade a and put back into its place,  where nature and usage permit ; which we sometimes  find done by the poets, as in this verse of Naevius, in  the Clastidium b :   With life unburied, glad, to fatherland restored.*   XLVII. 79. Likewise they find fault with the  nominatives strues 1 heap,' Hercules, homo * man ' ;  for if Regularity actually existed, they say, these  forms should have been strus, Hercul, homen. a These  nouns do not show that Regularity is non-existent,  but that the oblique cases do not have a head or  starting-point according to their type of Regularity. b  Is it not a fact that, if you should put a head of  Philip on a statue of Alexander and the limbs should  be proportionately symmetrical, then the head  which does correspond to the statue of Alexander's  limbs c would likewise be symmetrical ? And it is  not a fact that if one should in practice sew together  a tunic in such a way that one breadth of the cloth  has narrow border-stripes and the other has broad  stripes, each part lacks regular conformity within its  own class. d   XLVIII. 80. Likewise they say that the Regu-   the oblique cases are formed regularly. c That is, the  heads or nominatives may be varied, but the limbs or oblique  cases are of uniform type. d For there are tunics with the  broad stripe, worn by senators, and tunics with the narrow  stripe, worn by knights ; therefore, though the two halves in  the example do not belong together, each has its regular  precedent.   501     VARRO     alii dicunt cupressus, alii cupressi, item dc ficis  platanis et plerisque arboribus, dc quibus alii ex-  tremum US, alii EI faciunt. Id est falsum : nam  debent dici E et I, fici ut nummi, quod est ut num-  mi^) fici(s), 1 ut nummorum ficorum. Si essent  plures ficus, essent ut manus ; diceremus ut manibus,  sic ficibus, et ut manuum, sic ficuum, neque has ficos  diceremus, sed ficus, ut non manos appellamus, sed  (manus, nec) 2 consuetude* diceret singularis obliquos  casus huius fici neque hac fico, ut non dici(t) 3 huius  mani, 4 sed huius manus, (n)ec 5 hac mano, sed hac  manu.   XLIX. 81. Etiam illud putant esse causae, cur  non sit 1 analogia, quod Lucilius scribit :   Dccuis, 2   Sive decusibus est.   Qui errant, quod Lucilius non debuit dubitare, quod  utrumque : nam in aere usque ab asse ad centussis  numerus aes significat, et eius numero finiti casus  omnes 3 ab dupondio sunt, quod dicitur a multis  duobus modis hie dupondius et hoc dupondium, ut   § 80. 1 L. Sp., for nummi fici. 2 Added by Mue. ;  manus neque L. Sp. 3 Aug., for dici. 4 M, Laetus,for  manui. 5 L. Sp., for et.   §81. 1 After sit, Aldus deleted in. 2 Lachmann ;  decussi Mue. ; for decuis. 3 For omnis.     § 80. ° As belonging to the fourth and the second de-  clensions respectively. b This shows that Varro wrote the  nominative plural of the second declension with EI, and not  with I ; but it would be pedantic to substitute such spellings  throughout 4 his works, or even merely in this section.  c As type of the second declension. d As type of the  fourth declension.   502     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 80-81     larities do not exist, because some say cupressus  ' cypress-trees ' in the plural and others say cupressif  and similarly with fig-trees, plane-trees, and most  other trees, to which some give the ending US and  others give EI. This is wrong ; for the tree-names  ought to be spoken with E and l 9 b Jici like nummi c  ' sesterces,* because the ablative is jicis like nummis,  and the genitive is ficorum like nummorum. If the  plural were Jicus, then it would be like mantis d  * hand ' ; we should say ablative Jicibus like manibus,  and genitive jicuum like manuum 9 and we should not  say accusative Jicos, but Jicus, just as we do not say  accusative vianos but manus ; nor would usage speak  the oblique cases of the singular genitive Jici and  ablative Jico, just as it does not say genitive mani but  manus, nor ablative mono but manu.   XLIX. 81. Moreover, they think that there is  proof of the non-existence of Regularity, in the fact  that Lucilius writes a ;   Priced a teiww, or else we may say at ten-asses. b   They are in error, because Lucilius should not have  been uncertain as to the form, since both are right.  For in copper money, from the as to the hundred-a-y,  the number adds to itself the meaning of the copper  coin, and all its case-forms are limited by its numerical  value, starting from the dupondius * two-as piece,'  which is used by many in two ways, masculine  dupondius and neuter dupondium, like gladius and   §81. ° Lucilius, 1153-4 Marx. "Or decussis, decus-  sibus; but the single S is elsewhere attested in these words,  and Lucilius may well have followed the older orthography,  which doubled no consonants. On the as, cf. v. 169* c As  first element in the compound. hoc gladium et hie gladius ; ab tressibus virilia multi-  tudinis hi tresses et " his tressibus confido," singulare  " hoc tressis habeo " et " hoc tres(s)is 4 confido," sic  deinceps a(d) 5 centussis. Deinde numerus aes non  significatf. 6   82. Numeri qui aes non significant, usque a quat-  tuor ad centum, triplicis habent formas, quod dicun-  tur hi quattuor, hae quattuor, haec quattuor ; cum  perventum est ad mille, quartum assumit singulare  neutrum, quod dicitur hoc mille denarium, a quo  multitudinis fit milia denarii. 1   S3. Quare gwo(nia)m 1 ad analogias quod pertineat  non (opus) 2 est ut omnia similia dicantur, sed ut  in suo quaeque genere similiter declinentur, stulte  quaerunt, cur as et dupondius et tressis non dicantur  proportione, cum as 3 sit simple^, 4 d?*pondius 5 fictus,  quod duo asses pendebat, 6 tressis ex tribus aeris quod  sit. Pro assibus nonnunquam aes dicebant antiqui, a   4 For tresis. 5 Aug., for a. 6 Aug., for significans.  § 82. 1 Aug.) for denaria.   § 83. 1 Mue., for cum. 2 Added by GS. 3 as sit  Aldus, for adsit. 4 For simples. 5 For dipondius.  6 Aug., for pendebant.   d Cf. v. 116 and viii. 45. "The value-names tressis to  centussis were invariable in the singular, but had a full set  of cases in the plural, without multiplying the value of the  term ; thus tresses in the plural still means ' three asses '  precisely like the singular.   § 82. ° One invariable form serves for three genders.  b Mille is not only an indeclinable plural adjective, of three  genders, but also a neuter noun in the singular, upon which  a genitive depends ; and in this last capacity it has a plural,  which is declinable. c The denarius was a Roman silver  coin, equivalent to the Greek drachma, and in modern times   gladium* From tressis 4 three-as ' there is a mascu-  line plural 3 tresses in the nominative and tressibus in  the ablative, as in "I trust in these three asses,"  singular tressis as in " I have this three-flj " and " I  trust in this three-as." The same usage is followed  all the way to centussis 4 hundred-^. ' e From here on,  the numeral does not denote money any more than  other things.   82. The numerals which do not signify money,  from quaiiuor 4 four ' to centum 4 hundred/ have forms  of triple function, because quaituor is masculine,  feminine, and neuter. When mille 4 thousand ' is  reached, it takes on a fourth function, 6 that of a  singular neuter, because the expression in use is  mille 4 thousand * of denarii, c from which is made a *  plural, milia 1 thousands * of denarii.   83. Since therefore so far as concerns the Regu-  larities it is not essential that all words that are  spoken should be alike in their systems, but only that  they should be inflected alike each in its own class,  those persons are stupid who ask why as and dupondius  and tressis are not spoken according to a regular  scheme ; for the as is a single unit, the dupondius is a  compound term indicating that it pendebat 1 weighed '  duo 1 two ' asses, and the tressis is so called a because  it is composed of tres 4 three ' units of aes 4 copper.'  Instead of asses, the ancients used sometimes to say  aes 6 ; a usage which survives when we hold an as in   to the Swiss franc (about Is. 4d. English, or 32 cents U.S.A.,  in 1936).   § 83. ° From tres and as, not from tres and aes. b But  in the genitive, if with a numeral ; just as we say " four  o'clock," = " four (hours) of the clock " ; in the singular,  aes might mean * money ' collectively, like the French argent,  and sometimes even a * copper piece.'   505     VARRO     quo dicimus assem tenentes " hoc 7 aere aeneaque  libra " et " mille aeris legasse."   84. Quare quod ab tressis usque ad centussis 1  numeri ex (partibus) 2 eiusdem modi sunt compositi,  eiusdem modi habent similitudinem : dupondius,  quod dissimilis est, ut debuit, dissimilem habet  rationem. Sic as, quoniam simplex est ac principium,  et unum significat et multitudinis habet suum in-  finitum : dicimus enim asses, quos cum finimus,  dicimus dupondius et tressis et sic porro.   85. Sic videtur mihi, quoniam finitum et infinitum  habeat dissimilitudinem, non debere utrumque item  dici, eo magis quod in ipsis vocabulis 1 ubi additur  certus numerus miliar(i)is 2 aliter atque in reliquis  dicitur : nam sic loquontur, hoc mille denarium, non  hoc mille denari(orum), 3 et haec duo milia denarn/m, 4  non duo milia denari(orum). 5 Si esset denarii in  recto casu atque infinitam multitudinem significaret,  tunc in patrico denariorum dici oportebat ; et non  solum in denariis, victoriatis, drachmis,* nummis, sed  etiam in viris idem servari oportere, cum dicimus   7 After hoc, Brissonius deleted ab.   § 84. 1 Aug., for ducentussis. 2 Added by GS.   % 85. 1 M 9 Laetus, for vocalibus. 2 Miie. ; milliards  L. Sp. ; for militaris. 3 L. Sp.,for denarii. 4 Aug., for  denaria. 5 Christ, for denarii. 6 Rhol^for et rachmis.     c A legal survival used in symbolic sales, cf. v. 163; for the  ancient as UbraUs (cf v. 169) had long since been decreased  in weight and was not coined after 74 b.c.   § 84. ° Even as dies and annus were not modified by the  lower numerals ; for such phrases the Romans substituted  biduum, triduum, biennium, triennium> etc. So for sums   the hand and say " with this aes * copper piece ' and  aenea libra ' pound of copper/ " c and also in the legal  formula " to have bequeathed a thousand (asses) of  aes * copper.* '*   84. Therefore, because the numerals from tressis  to centussis are compounded of parts of the same  kind, they have a likeness of the same kind ; but the  word dupondius, because it is different in formation,  has a different system of declension, as it should  have. So also the as, because it is a single unit and  is the beginning, means one and has its own in-  definite plural, for we say asses ; but when we limit  them numerically, we say dupondius and tressis and  so on. a   . 85. Thus it seems to me that since the definite and  the indefinite have an inherent difference, the two  ought not to be spoken in the same fashion, the  more so because in the words themselves, when they  are attached to a definite number in the thousands,  a form is used which is not the same as that used in  other expressions. For they speak thus : mille dena-  rium a * thousand of denarii,' not denariorum, and two  milia denarium ' thousands of denarii,* not denariorum.  If it were denarii in the nominative and it denoted an  indefinite quantity, then it ought to be denariorum in  the genitive ; and the same distinction must be pre-  served, it seems to me, not only in denarii, victoriati, h  drachmae, and nummi, but also in viri, when we say   from 2 to 100 asses, the compound words were used, and not  asses with the numeral.   § 85. a For names of weights and measures, and for some  other words, the old genitive in -um continued in use long  after the new form in -onim had been generalized. 6 The  vktoriatus was a silver coin stamped with a figure of Victory,  and worth half a denarius.   507     VARRO     iudicium fuisse triumvirum, decem(virum, centum)-  wum, 7 non (triumvirorum, decemvirorum), 8 centum-  virorum.   86. Numeri antiqui habent analogias, quod omni-  bus est una 1 regula, duo actus, tres gradus, sex de-  curiae, qua(e) 1 omnia similiter inter se respondent.  Regula 3 est numerus novenarius, quod, ab uno ad  novem cum pervenimus, rursus redimus ad unum et  V(IIII) 4 ; hinc et LX(XXX) 6 et nongenta 6 ab una  sunt natura novenaria ; sic ab octonaria, et deo(r)sum  versus ad singularia perveniunt.   87. Actus primus est ab uno (ad) 1 DCCCC, se-  cundus a mille ad nongenta* milia ; quod idem valebat  unum et mille, utrumque singulari nomine appellatur :  nam ut dicitur hoc unum, haec duo, (sic hoc mille,  haec duo) 3 milia et sic deinceps multitudinis in duobus  actibus reliqui omnes item numeri. Gradus singu-  laris est in utroque actu ab uno ad novem, denariws 4  gradus (a) 5 decern ad LX(XXX), 6 centenarius a cen-  tum (ad) 7 DCCCC. Ita tribus gradibus sex decuriae  fiunt, tres miliariae, tres 8 minores. Antiqui his  numeris fuerunt contenti.   7 Added by L. Sp. 8 Added by A. Sp., after Aldus.   §86. 1 After una, L. Sp. deleted non novenaria (Aug.  deleted non). 2 Rhol., for qua. 3 Sciop., for regulae.  4 novem L. Sp., for V. 5 nonaginta Aldus, for LX.  6 L. Sp. ; nongenti G, H ; for nungenti.   § 87. 1 Added by Aug. 2 For nungenta. 3 Added  by Gronov. 4 Aug., for denarios. 5 Added by Aug.  6 nonaginta Aug., for LX. 7 Added by Aug. 6 L. Sp.,  for miliaria etres.     c The tresviri or triumviri capitales, in charge of prisons and  508     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 85-87     that there has been a decision of the triumvirs, c the  decemvirs, d the centum virs, e all of which have the  genitive virum and not virorum.   86. The old numbers have their Regularities,  because they all have one rule, two acts, three grades,  and six decades, all of which show regular internal  correspondences. The rule is the number nine,  because, when we have gone from one to nine, we  return again to one and nine ° ; hence both ninety and  nine hundred are of that one and the same nine-  containing nature. So there are numbers of eight-  containing nature, 6 and going downwards they arrive  at those which are merely ones.   87. The first act ° is from one to nine hundred,  the second from one thousand to nine hundred  thousand. Because one and thousand are alike  unities, both are called by a name in the singular ;  for as we say 1 this one ' and ' these two,* so we say  1 this thousand ' and ' these two thousands/ and  after that all the other numbers in the two acts are  likewise plural. The unitary grade is found in both  acts, from one to nine ; the denary grade extends  from ten to ninety ; the centenary grade from  hundred to nine hundred. Thus from the three  grades, six decades are made, three in the thousands,  and three in the smaller numbers. The ancients were  satisfied with these numerals.   executions. *The decemviri stlitibus iudicandis, a per-  manent board with jurisdiction over cases involving liberty  or citizenship. * The centumviri or board of judges with  jurisdiction over civil suits, especially those involving in-  heritances.   § 86. As multiples of ten ; and then as multiples of one  hundred. 6 But these do not constitute the 4 rule.*  § 87. Technical term, taken from the drama.   509     VARRO     88. Ad 1 hos tertium et quartum actum (addcntes) 2  ab decie(n)s (et ab deciens miliens) 2 minores im-  posuerunt vocabula, neque rationc, sed tamen non  contra est earn de qua scribimus analogiam. Nam 3  deciens 4 cum dicatur hoc deciens ut mille hoc mille,  ut sit utrumque sine casibus vocis, dicemus ut hoc  mille, huius mille, sic hoc deciens, huius deciens,  neque eo minus in altero, quod est mille, praeponemus  hi mille, horum mille, (sic hi deciens, horum deciens). 5   L. 89. Quoniam in eo est nomen co(m)mune,  quam vocant ofnovvfuav, 1 obliqui casus ab eodem  capite, ubi erit ofuavvfiia, 2 quo minus dissimiles fiant,  analogia non prohibet. Itaque dicimus hie Argus,  cum hominem dicimus, cum oppidum, Graec(e  Graec)an(i)ceve 3 hoc Argos, cum Latine (hi) 4 Argi.  Item faciemus, si eadem vox nomen et 5 verbum  significant, 6 ut et in casus et in tempora dispariliter  declinetur, ut faciemus a Meto quod nomen est  Metonis Metonem, quod verbum estmetammetebam.   § 88. 1 For ab. 2 Added by Kent, after Mue. (actum  ab deciens minorem, (a deciens miliens maiorem addentes),  imposuerunt). 3 A fter nam, L. Sp. deleted ut. 4 Aug.,  for decienis. 6 Added by L. Sp. ; there may have been  other text also in the lacuna.   § 89. 1 For omonimyan. 2 For omonimya / after which  Aug. deleted obliqui casus. 3 Fay, cf. x. 71 ; graecanice  Pius ; for graecancaene. 4 Added by Vertranius ; (hei)  Aug. 6 Pius, for nominet. 6 Pius, for significavit.     § 88. ° Elliptic for decies centena milia ' ten times a  hundred thousands.* b Similarly elliptic for decies milies  centena milia. c Varro seems not to know the abl. sing.  milll, found in Plautus, Bac. 928 (assured by the metre),  and in Lucilius, 327 and 506 Marx (assured by Gellius, i. 10.  10-13).  510     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 88-89     88. To these, their descendants added a third and  a fourth act, imposing names which started from  deciens a ' million ' and deciens miliens b ' thousand  million ' ; and though the names were not formed by  logical relation with the lower numerals, still their for-  mation is not in conflict with the Regularity about  which we are writing. For inasmuch as deciens is used  as a neuter singular like mille, so that both words are  without change of form for the various cases, 6 we  shall use deciens unchanged as nominative and as  genitive, even as we do mille ; and none the less  shall we set before mille the signs of nominative and  of genitive plural, because mille is also in the other  number — and so also shall we speak of* these deciens '  in the same cases.   L. 89. When a noun is the same in the nomina-  tive though it has more than one meaning, in which  instance they call it a homonymy, Regularity does  not prevent the oblique cases from the same starting  form in which the homonymy is, from being dis-  similar. Therefore we say Argus in the masculine,  when we mean the man, but when we mean the  town we say, in Greek or in the Greek fashion,  Argos a in the neuter, though in Latin it is Argi,  masculine plural. Likewise, if the same word de-  notes both a noun and a verb, we shall cause it to  be inflected both for cases and for tenses, with  different inflection for noun and verb, so that from  Melo as a noun, a man's name, we form gen. Metonis,  acc. Metonem, but from meto as a verb, * I reap/ we  form the future metam and the imperfect metebam.   § 89. ° The homonymy is not perfect, since the forms are  Argus and Argos ; the neuter Argos is found in Latin only  in nom. and acc.     511     VARRO     LI. 90. Reprehendunt, cum ab eadem voce plura  sunt vocabula declinata, quas a-vvtawfitas 1 appellant,  ut 2 Alc(m)#eus 3 et Alc(m)«eo, 3 sic Gen/on, Ger?/o-  n(e)us, 4 Ger^ones. In hoc genere quod casus per-  peram permutant quidam, non reprehendunt ana-  logiam, sed qui eis utuntur imperite ; quod quisque  caput prenderit, sequi debet eius consequenti(s) 5  casus in declinando ac non facere, cum dixerit recto  casu Alc(m)aeus, 6 in obliquis 7 Alc(m)«eoni 6 et  Alc(m)aeonem 6 ; quod si miscuerit et non secutus  erit analogias, reprehendendum.   LII. 91. (Reprehendunt) 1 Aristarchum, quod  haec nomina Melicertes et Philomedes similia neget  esse, quod vocandi casus habet alter Melicerta, alter  Philomede(s), 2 sic qui dicat lepus et lupus non esse  simile, quod alterius vocandi casus sit lupe, alterius  lepus, sic socer, macer, quod in transitu fiat ab  altero triss/llabum soceri, ab altero bisyllabum macri.   92. De hoc etsi supra responsum est, cum dixi  de lana, hie quoque 1 amplius adiciam similia non solum   §90. 1 For synonimyas. 2 After ut, Aug. deleted  sapho et. 3 Kent, for alceus and alceo, usually corrected  to Alcaeus, Alcaeo, though a variant nominative Alcaeo is  unknown ; whereas Alcumeus occurs in Plant us* Capt. 562,  and Alcmaeo in Cicero, Acad. Priora ii. 28. 89, and else-  where. 4 Mue., for gerionus. 6 L. Sp.,for consequenti.  • Kent, for alceus, alceoni, alceonem ; cf. crit. note 3.  7 After obliquis, Mue. deleted dicere.   §91. 1 Added by L. Sp„ after Aug. 2 Mue., for  philomede.   § 92. 1 For hie hie quoque.     § 90. Son of Amphiaraus and Eriphyle, who killed his  mother at the command of his father, because she tricked him  into going to a war in which he was destined to die ; cf. also  the critical note. b The three-bodied giant whom Hercules   512     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 90-92     LI. 90. They find fault when from the same  utterance two or more word-forms are derived, which  they call synonymns, such as Alcmaeus and Alanaeo, a  and also Geryon, Geryoneus, GeryonesS* As to the fact  that in this class certain speakers interchange the  case-forms wrongly — they are not finding fault with  Regularity, but with the speakers who use those case-  forms unskillfully : each speaker ought to follow,  in his inflection, the case-forms which attend upon  the nominative which he has taken as his start, and  he ought not to make a dative Alcmaeoni and an  accusative Alcmaeonem when he has said Alcmaeus in  the nominative ; if he has mixed his declensions and  has not followed the Regularities, blame must be laid  upon him.   LII. 91. They find fault a with Aristarchus for  saying that the names Meliceries and Pkilomedes are  not alike, because one has as its vocative Melicerta,  and the other has Pkilomedes b ; and likewise with  those who say that lepus * hare ' and lupus ' wolf *  are not alike, because the vocative case of one is  lupe and of the other is lepus, and with those who say  the same of socer ' father-in-law * and macer ' lean/  because in the declensional change there comes  from the one the three-syllabled genitive soceri and  from the other the two-syllabled genitive macri.   92. Although the answer to this was given above  when I spoke about the kinds of wool, I shall make  here some further statements : the likenesses of   overpowered and robbed of his cattle ; all three forms are  known in Greek, but only Geryon and Geryones in Latin.   §91. a Cf. viii. 68. b The Greek nominatives end in  -17s, but the vocatives end in -a and -€s respectivelv.   § 92. a C/. ix. 39.   VOL. II L 513     VARRO     a facie dici, sed etiam ab aliqua coniuncta vi et  potestate, quae et oculis et auribus latere soleant :  itaque saepe gemina facie mala negamus esse  similia, si sapore sunt alio ; sic equos eadem facie  nonnullos negamus esse similis, (s)i 2 natione s(unt) 3  ex procreante dissimiles. 4   93. Itaque in hominibus emendis, si natione alter  est melior, emimus pluris. Atque in hisce omnibus  similitudines non sumimus tantum a figura, sed  etiam aliu  for externi.   §101. ° Present imperative, future imperative, present  subjunctive. b The indicative mood. c Varro dis-  regards the, plural forms in this calculation.   § 102. ° Meaning 1 mood ' ; cf. § 95, note a. b Cf  ix. 75-79. used to say present esum es est, imperfect eram eras  erat, future ero eris erit. In this same fashion you  will see that the other verbs of this kind preserve the  principle of Regularity.   LVIII. 101. Besides, they find fault with Regu-  larity in this matter, that certain verbs have not the  three persons, nor the three tenses ; but it is with lack  of insight that they find this fault, as if one should  blame Nature because she has not shaped all living  creatures after the same mould. For if by nature not  all forms of the verbs have three tenses and three  persons, then the divisions of the verbs do not all have  this same number. Therefore when we give a com-  mand, a form which only the verbs of uncompleted  time have — when we give a command to a person  present or not actually present, three verb-forms a are  made, like lege ' read (thou)/ legito ' read (thou) * or  ' let him read/ legal ' let him read 1 : for nobody  gives a command with a form denoting action already  completed. On the other hand, in the forms which  denote declaration, 6 like lego ' I read/ legis * thou  readest/ legit ' he reads/ there are nine verb-forms  of uncompleted action and nine of completed  action.   LIX. 102. For this and similar reasons the  question that should be asked is not whether one  kind ° disagrees with another kind, but whether there  is anything lacking in each kind. If to these  there is added what I said above b about nouns, all  difficulties will be easily resolved. For as the nomina-  tive case-form is in them the source for the derivative  cases, so in verbs the source for other forms is in the  form which expresses the person of the speaker and  the present tense : like scribo * I write/ lego ' I read.'   521     VARRO     103. Quare ut illic fit, si 1 hie item acciderit, in  formula ut aut caput non sit aut ex alieno genere sit,  proportione eadem quae illic dicimus, cur nihilominus 2  servctur analogia. Item, sicut illic caput suum  habebit et in obliquis casibus transitio erit in ali(am)  quam 3 formulam, qua assumpta reliqua facilius  possint videri verba, unde sint declinata (fit enim, ut  rectus casus nonnunquam sit ambiguus), ut in hoc  verbo volo, quod id duo significat, unum a voluntate,  alterum a volando ; itaque a volo intellegimus et  volare et velle.   LX. 101. Quidam reprehendunt, quod pluit et  luit dicamus in praeterito et praesenti tempore, cum  analogize sui cuiusque temporis verba debeant dis-  criminare. Falluntur : nam est ac putant aliter,  quod in praeteritis U dicimus longum pluit (luit), 1  in praesenti breve pluit luit : ideoque in lege vendi-  tions fundi " ruta caesa " ita dicimus, ut U produ-  camus.   LXI. 105. Item reprehendunt quidam, quod  putant idem esse sacrifico 1 et sacrificor, lavat 2 et  lavatur ; quod sit an non, nihil commovet analogian,  dum sacrifico 3 qui dicat servet sacrificabo et sic per   § 103. 1 Mite.,, for sic. 2 For nichilominus. 3 Mue.,  for aliquam.   § 104. 1 Added by Aug.   § 105. 1 Aug.> for sacrificio. 2 L. Sp. ; sacrificor et  lavat Aug. ; for sacrifico relauat. 3 Aug,) for sacrifici.   § 103. ° Cf ix. 76.   § 104. a Found in older Latin, but seemingly shortened  by about Varro's time. 6 One might exempt from inclu-  sion in the sale of a property all things dug up (sand, chalk,  ete.) and ail things cut down (timber, etc.), even though they  were still unwrought materials. c The u is short in the  compounds erutus^ obrutus, etc. Wherefore, if it has happened in verbs as it  does happen in nouns, that in the pattern the starting-  point is lacking or belongs to a different kind, we give  the same arguments here which we gave there, with  suitable changes in application, as to why and how  Regularity is none the less preserved. And as in  nouns the word will have its own peculiar starting-  point and in the oblique cases there will be a change  to some other pattern, on the assumption of which it  can be more easily seen from what the word-forms are  derived (for it happens that the nominative case-form  is sometimes ambiguous), so it is in verbs, as in this  verb volo, because it has two meanings, one from  wishing and the other from flying ; therefore from  volo we appreciate that there are both volare ' to fly '  and velle * to wish/   LX. 104. Certain critics find fault, because we  say pluit * rains ' and luit * looses ' both in the past  tense and in the present, although the Regularities  ought to make a distinction between the verb-forms  of the two tenses. But they are mistaken ; for it is  otherwise than they think, because in the past tense  we say pluit and luit with a long U, a and in the present  with a short U ; and therefore in the law about the  sale of farms we say rata caesa ' things dug up and  things cut,' 6 with a lengthened u. c   LXI. 105. Likewise certain persons find fault,  because they think that active sacrifico ' I sacrifice '  and passive sacrificor, active lav at * he bathes ' and  passive lavatur, are the same ° : but whether this is  so or not, has no effect on the principle of Regularity,  provided that he who says sacrifico sticks to the future   § 105. ° With the same meaning ; but the passive of  these verbs sometimes has true passive meaning. totam formam, ne dicat sacrificatur 4 aut sacrificatus  sum : haec cnim inter se non conveniunt.   106. Apud Plautum, cum dicit :   Piscis ego credo qui usque dum vivunt lavant  Diu minus lavari 1 quam haec lavat Phronesium,   ad lavant lavari non convenit, ut I 2 sit postremum,  sed E ; ad lavantur analogia lavari reddit : quod  Plauti aut librarii mendum si est, non ideo analogia,  sed qui scripsit est reprehendendus. Omnino et  lavat 3 et lavatur dicitur separatimrecte in rebus certis,  quod puerum nutrix lava(t), 4 puer a nutrice lavatur,  nos in 6alneis et lavamus et lavamur.   107. Sed consuetudo alterum utrum cum satis  haberet, in toto corpore potius utitur lavamur, in  partibus lavamus, quod dicimus lavo manus, sic pedes  et cetera. Quare e balneis non recte dicunt lavi, lavi  manus recte. Sed quoniam in balneis lavor lautus  sum, scquitur, ut contra, quoniam est soleo, oporte(a)ti  dici solui, ut Cato et Ennius scribit, non ut dicit  volgus, solitus sum, debere dici ; neque propter haec,  quod discrepant in sermone pauca, minus est analogia,  ut supra dictum est.   4 L. Sp. f /or sacrificaturus.   § 106. 1 Plautus has minus diu lavare. 2 II, for T.  3 II, for lauant. 4 For laua.   § 107. 1 Mue.,for oportet.   § 106. ° True. 322-323.   § 107. °\The passive form as a middle or reflexive, but the  active form as a transitive requiring an object. b Frag,  inc. 54 Jordan. e Frag. inc. 26 Vahlen 2 .' * Cf. ix. 33.   524     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 105-107     sacrificabo and so on in the active, through the whole  paradigm, avoiding the passive sacrificatur and  sacrificatus sum : for these two sets do not harmonize  with each other.   106. In Plautus, when he says a :   The fish, I really think, that bathe through all their life,  Are in the bath less time than this Phronesium,   lavari * are in the bath/ with final I instead of E, does  not attach to lavant * bathe ' : Regularity refers lavari  to lavantur, and whether the error belongs to Plautus  or to the copyist, it is not Regularity, but the writer  that is to be blamed. At any rate, lavat and lavatur  are used with a difference of meaning in certain  matters, because a nurse lavat 1 bathes ' a child, the  child lavatur ' is bathed ' by the nurse, and in the  bathing establishments we both lavamus * bathe * and  lavamur ' are bathed.'   107. But since usage approves both, in the case  of the whole body one uses rather lavamur * we bathe  ourselves,' and in the case of portions of the body  lavamus * we wash,' in that we say lavo * I wash ' my  hands, my feet, and so on.° Therefore with reference  to the bathing establishments they are wrong in  saying lavi * I have bathed,' but right in saying lavi  * I have M ashed * my hands. But since in the bathing  establishments lavor * I bathe ' and lauius sum * I  have bathed,' it follows that on the other hand from  soleo 1 I am wont,' which is in the active, one ought  to say solui 4 I have been wont,' as Cato 6 and Ennius c  write, and that solitus sum, as the people in general  say, ought not to be used. But as I have said above,**  Regularity exists none the less for these few in-  consistencies which occur in speech.   525     VARRO     LXII. 108. Item cur non sit analogia, a^erunt, 1  quod ab similibus similia non declinentur, ut ab dolo  et colo : ab altero enim dicitur dolavi, ab altero colui ;  in quibus assumi solet aliquid, quo facilius reliqua  dicantur, ut i(n) 2 M^rmecidis 3 operibus minutis solet  fieri : igitur in verbis temporalibus, quo(m) 4 simili-  tudo saepe sit confusa, ut discerni nequeat, nisi trans-  ieris in aliam personam aut in tempus, quae pro-  posita sunt no(n e)sse 5 similia intellegitur, cum trans-  itum est in secundam personam, quod alterum est  dolas, alterum colis.   109. Itaque in reliqua forma verborum suam  utr(um)que 1 sequitur formam. Utrum in secunda  (persona) 2 forma verborum temporalz(um) 3 habeat  in extrema syllaba AS (an ES) an IS a(u)t IS, 4 ad  discernendas similitudines interest : quocirca ibi  potius index analogiae quam in prima, quod ibi  abstrusa est dissimilitudo, ut apparet in his meo, neo,  ruo : ab his enim dissimilia fiunt transitu, quod sic  dicuntur meo meas, neo nes, ruo ruis, quorum  unumquodque suam conservat similitudinis formam.   LXIII. 110. Analogiam item de his quae appel-  lantur participia reprehendunt multz 1 ; iniuria : nam  non debent dici terna ab singulis verbis amaturus  amans amatus, quod est ab amo amans et amaturus,   § 108. 1 adferunt Aug., for asserunt. 2 Aug., for uti.  3 Plus, for murmecidis. 4 Aug., for quo. 5 Vertranius,  for nosse.   § 109. 1 Schp.,for uterque. 2 Added by L. Sp. 3 h.  Bp., for temporale. 4 L. Sp. (aut ES Canal), for as anis  at si.   § 110. 1 GS.,for multa.   § 108. Just as we nowadays take the infinitive to show  the conjugation, adding the perfect active and the passive   526     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 108-110     LXII. 108. Likewise, they present as an argument  against the existence of Regularity the fact that like  forms are not derived from likes, as from dolo 4 1 chop '  and colo 4 I till ' ; for one forms the perfect dolavi  and the other forms colui. In such instances some-  thing additional is wont to be taken to aid in the  making of the other forms, a just as we do in the tiny  art-works of Myrmecides b : therefore in verbs, since  the likeness is often so confusing that the distinction  cannot be made unless you pass to another person or  tense, you become aware that the words before you  are not alike when passage is made to the second  person, which is dolas in the one verb and colis in the  other.   109. Thus in the rest of the paradigm of the  verbs each follows its own special type. Whether  in the second person the paradigm of verbs has in the  final syllable AS or ES or IS or IS, is of importance  for distinguishing the likenesses. Wherefore the mark  of Regularity is in the second person rather than in the  first, because in the first the unlikeness is concealed,  as appears in meo 4 I go/ neo 4 I sew,' ruo 4 1 fall ' ; for  from these there develop unlike forms by the change  from first to second person, because they are spoken  thus : meo meas, neo nes, ruo rids, each one of which  preserves its own type of likeness.   LXIII. 110. Likewise, many find fault with  Regularity in connexion with the so-called parti-  ciples ; wrongly : for it should not be said that the  set of three participles comes from each individual  verb, like amaturus 4 about to love,' amans ' loving,'  amaius 4 loved,' because amans and amaturus are from   participle to make up the "principal parts" which are our  guide. » Cf. vii. 1.     527     VARRO     ab amor 2 amatus. Illud analogia quod praestare  debet, in suo quicque genere habet, casus, ut amatus  amato et amati amatis ; et sic in muliebribus amata  et amatae ; item amaturus eiusdem modi habet  declinationes, amans paulo aliter ; quod hoc genus  omnia sunt in suo genere similia proportione, sic  virilia et muliebria sunt eadem.   LXIV. 111. De eo quod in priore libro extremum  est, ideo non es(se) analogia(m), 1 quod qui de ea  scripserint aut inter se non conveniant aut in quibus  conveniant ea cum consuetudinis discrepant 2 verbis,  utrumque (est leve) 3 : sic enim omnis repudiandum  erit artis, quod et in medicina et in musica et in  aliis multis discrepant scriptores ; item in quibus  conveniunt m 4 scriptis, si e(a) tam(en) 5 repudiat 6  natura : quod ita ut dicitur non sit ars, sed artifex  reprehendendus, qui (dici) 7 debet in scribendo non  vidisse verum, non ideo non posse scribi verum.   112. Qui dicit hoc monti et hoc fonti, cum alii  dicant hoc monte et hoc fonte, sic alia quae duobus  modis dicuntur, cum alterum sit verum, alterum  falsum, non uter peccat tollit analogias, sed uter  recte dicit confirmat ; et quemadmodum is qui 1  peccat in his verbis, ubi duobus modis dicuntur, non   2 Aug. ; amaturus ab amabar Rhol. ; for ab amaturus  amabar.   §111. 1 Mue. 9 for est analogia. 2 Mue., for dis-  crepant. 3 Added by GS. ; falsum A, Sp. ; falsum est  Popma. 4 A. Sp., for ut. 5 GS., for etiam. 6 For  repudiant. 7 Added by GS.   § 112. 1 L. Sp.,for quicum.     §112. fl C/. viii. 66.  528     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 110-112     the active amo, and amatus is from the passive amor.  But that which Regularity can offer, which the parti-  ciples have, each in its own class, is case-forms, as  amatus, dative amato, and plural amati, dative amatis ;  and so in the feminine, amata and plural amatae.  Likewise amaturus has a declension of the same kind.  Amans has a somewhat different declension ; because  all words of this kind have a regular likeness in their  own class, amans, like others of its class, uses the  same forms for masculine and for feminine.   LXIV. 111. About the last argument in the pre-  ceding book, that Regularity does not exist for the  reason that those who have written about it do not  agree with one another, or else the points on which  they agree are at variance with the words of actual  usage, both reasons are of little weight. For in this  fashion you will have to reject all the arts, because  in medicine and in music and in many other arts the  writers do not agree ; you must take the same attitude  in the matters in which they agree in their writings,  if none the less nature rejects their conclusions. For  in this way, as is often said, it is not the art but the  artist that is to be found fault with, who, it must be  said, has in his writing failed to see the correct view ;  we should not for this reason say that the correct  view cannot be formulated in writing.   112. As to the man who uses as ablatives monti  ' hill ' and fonti * spring ' while others say monie and  fontef along with other words which are used in  two forms, one form is correct and the other is wrong,  yet the person who errs is not destroying the Regu-  larities, but the one who speaks correctly is strength-  ening it ; and as he who errs in these words where  they are used in two forms is not destroying logical  vol. n m 529     VARRO     tollit rationem cum sequitur falsum, sic etiam in his  (quae) 2 non 3 duobus dicuntur, si quis aliter putat  dici oportere atque oportet, non scientiam tollit  orationis, sed suam inscientiam denudat.   LXV. 113. Quibus rebus solvi arbitraremur posse  quae dicta sunt priori libro contra analogian, ut potui  brevi percucurri. Ex quibus si id confecissent 1 quod  volunt, ut in lingua Latina esset anomalia, tamen  nihil egissent 2 ideo, quod in omnibus partibus mundi  utraque natura inest, quod alia inter se (similia), 3  alia (dissimilia) 3 sunt, sicut in animalibus dissimilia  sunt, ut equus bos ovis homo, item alia, et in uno  quoque horum genere inter se similia innumerabilia.  Item in piscibus dissimilis murctena lupo, is 4 soleae,  haec muraenae 5 et mustelae, sic aliis, ut maior ille  numerus sit similitudinum earum quae sunt separatim  in muraenis, separatim in asellis, sic in generibus  aliis.   114. Quare cum in inclinationibus verborum  numerus sit magnus a dissimilibus verbis ortus, quod  etiam vel maior est in quibus similitudines reperiun-  tur, confYtendum 1 est esse analogias. Itemque 2 cum  ea non multo minus quam in omnibus verbis patiatur  uti consuetudo co(m)munis, fatendum illud quoquo   2 Added by Aug. 3 After non, Aug. deleted in.   §113. 1 For conficissent. 2 Aug., for legissent.   3 Added by Mue. 4 L. Sp.,for his. 5 G, II, Aldus, for  nerene.   §114. 1 Aug., for conferendum. 2 Aug., for item  quae.   6 That is, wrong forms not recognized as having a limited  currency, but practically individual with the speaker.   § 113. a The identification of the various kinds of fish is   530     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 112-114     system when he follows the wrong form, so even in  those words which are not spoken in two ways, a  person who thinks they ought to be spoken otherwise  than they ought, b is not destroying the science of  speech, but exposing his own lack of knowledge.   LXV. 113. The considerations by which we might  think that the arguments could be refuted which  were presented against Regularity in the preceding  book, I have touched upon briefly, as best I could.  Even if by their arguments they had achieved what  they wish, namely that in the Latin language there  should be Anomaly, still they would have accom-  plished nothing, for the reason that in all parts of  the world both natures are present : because some  things are like, and others are unlike, just as in  animals there are unlikes such as horse, ox, sheep,  man, and others, and yet in each kind there are  countless individuals that are like one another. In  the same way, among fishes, the moray is unlike the  wolf-fish, the wolf-fish is unlike the sole, and this is  unlike the moray and the lamprey, and others also ;  though the number of those resemblances is still  greater, which exist separately among morays,  among codfish, and in other kinds of fish, class by  class.* 1   114. Now although in the derivations of words  a great number develop from unlike words, still the  number of those in which likenesses are found is even  greater, and therefore it must be admitted that the  Regularities do exist. And likewise, since general  usage permits us to follow the principle of Regularity  in almost all words, it must be admitted that we ought   in some instances uncertain, but is not important for Varro's  argument.   531     VARRO     7w{o)do* analogian sequi nos debere universos,  singulos autem praeterquam in quibus verbis ofFen-  sura sit consuetudo co(m)munis, quod ut dixi aliud  debet praestare populus, aliud e populo singuli  homines.   115. Ncque id mirum est, cum singuli quoque non  sint eodem hire : nam liberius potest poeta quam  orator sequi analogias. Quare cum hie liber id  quod pollicitus est demonstraturum absolved/, 1  faciam finem ; proxumo deinceps de dcclinatorum  verborum forma 2 scribam.   3 Canal ; quoque modo Mue. ; quodammodo Aug, ; for  quo quando.   § 115. 1 Aldus, for absoluerim. 2 Pius, for firma.     532     ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 114-115     as a body to follow Regularity in every way, and  individually also except in words the general use of  which will give offence ; because, as I have said, a  the people ought to follow one standard, the in-  dividual persons ought to follow another.   115. And this is not astonishing, since not all  individuals have the same privileges and rights ;  for the poet can follow the Regularities more freely  than can the orator. Therefore, since this book has  completed the exposition of what it promised to set  forth, I shall bring it to a close ; and then in the next  book I shall write about the form of inflected words.   §114. °C/. ix. 5.      DE LINGUA LATINA     AD CICERONEM LIBER Villi EXPLICIT ; INCIPIT   X   I. 1. In verborum declmationibus disciplinaloquendi  dissimilitudinem an similitudinem sequi deberet,  multi quaesierunt. Cum ab his ratio quae ab simili-  tudine oriretur vocaretur analogia, reliqua pars  appellaretur anomalia : de qua re primo libro quae  dicerentur cur dissimilitudinem ducem haberi opor-  teret, dixi, secundo contra quae dic(er)entur J 1 cur  potius similitudinem 2 eonveniret praeponi : quarum  rerum quod nee fundamenta, ut deb(u)it, 3 posita ab  ullo neque ordo ae natura, ut res postulat, explicita,  ipse eius rei formam exponam.   2. Dieam de quattuor rebus, quae continent  deelinationes 1 verborum : quid sit simile ac dissimile,  quid ratio quam appellant \6yov, quid pro portione 2   §1. 1 Aldus, for dicentur. 2 Aldus, for dissimili-  tudinem. 3 Aug., for debita.   § 2. 1 L. Sp., for declinationibus. 2 Plasberg* for pro-  portione.     § 1. ° Book VIII., which begins a fresh section of the  entire work. b Book IX.  ON THE LATIN LANGUAGE     Addressed to Cicero  book ix ends, and here begins   BOOK X   I. 1. Many have raised the question whether in the  inflections of words the art of speaking ought to  follow the principle of unlikeness or that of likeness.  This is important, since from these develop the two  systems of relationship : that which develops from  likeness is called Regularity, and its counterpart is  called Anomaly. Of this, in the first book, I gave  the arguments which are advanced in favour of con-  sidering unlikeness as the proper guide ; in the  second, 6 those advanced to show that it is proper  rather to prefer likeness. Therefore, as their founda- *  tions have not been laid by anyone, as should have  been done, nor have their order and nature been set  forth as the matter demands, I shall myself sketch an  outline of the subject.   2. I shall speak of four factors which limit the  inflections of words : what likeness and unlikeness  are ; what the relationship is which they call logos ;  what " by comparative likeness "is, which they call   53$     VARRO     quod 3 dicunt dva Aoyov, 4 quid consuetudo ; quae  explicatae declarabunt analogiam et anomalia(m), 5  unde sit, quid sit, cuius modi sit.   II. 3. De similitudine et dissimilitudine ideo  primum dicendum, quod ea res est fundamentum  omnium declinationum ac continet rationem ver-  borum. Simile est quod res plerasque habere videtur  easdem quas illud cuiusque simile : dissimile est  quod videtur esse contrarium huius. Minimum ex  duobus constat omne simile, item dissimile, quod  nihil potest esse simile, quin alicuius sit simile, item  nihil dicitur dissimile, quin addatur quoius sit dis-  simile.   4. Sic dicitur similis homo homini, equus equo,  et dissimilis homo equo : nam similis est homo homini  ideo, quod easdem figuras membrorum habent, quae  eos dividunt ab reliquorum animalium specie. In  ipsis hominibus simili de causa vir viro similior quam  vir mulieri, quod plures habent easdem partis ; et  sic senior seni similior quam puero. Eo porro  similiores sunt qui facie quoque paene eadem, habitu  corporis, filo : itaque qui plura habent eadem,  dicuntur similiores ; qui proxume accedunt ad id,  ut omnia habeant eadem, vocantur gemini, simillimi.   5. Sunt qui tris naturas rerum putent esse, simile,  dissimile, neutrum, quod alias vocant non simile, alias   3 Aug., for quid. 4 Plasberg, for analogon. 6 Pius,  for anomalia.     § 2. Cf. x. 37.  536     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 2-5     " according to logos " a ; what usage is. The explana-  tion of these matters will make clear the problems  connected with Regularity and Anomaly : whence  they come, what they are, of what sort they are.   II. 3. The first topic to be discussed must be like-  ness and unlikeness, because this matter is the  foundation of all inflections and set limits to the  relationship of words. That is like which is seen  to have several features identical with those of that  which is like it, in each case : that is unlike, which is  seen to be the opposite of what has just been said.  Every like or unlike consists of two units at least,  because nothing can be like without being like some-  thing else, and nothing can be unlike without associa-  tion with something to which it is unlike.   4. Thus a human being is said to be like a human  being, and a horse to be like a horse, and a human  being to be unlike a horse ; for a human being is like  a human being because they have limbs of the same  shape, which separate human beings from the cate-  gory of the other animals. Among human beings  themselves, for a like reason a man is more like a man  than a man is like a woman, because men have more  physical parts the same ; and so an elderly man is  more like an old man than he is like a boy. Further,  they are more like who are of almost the same  features, the same bearing of person, the same shape  of body ; therefore those who have more points of  identity, are said to be more like ; and those who  come nearest to having them all alike, are called  most like, as it were, twins.   5. There are those M*ho think that things have  three natures, like, unlike, and neutral, which last  they sometimes call the not like, and sometimes the   537     VARRO     non dissimile (sed quamvis tria sint simile dissimile  neutrum, tamen potest dividi etiam in duas partes  sic, quodcumque conferas aut simile esse aut non esse) ;  simile esse et dissimile, si videatur esse ut dixi, neu-  trum, si in neutram partem praeponderet, ut si duae  res quae conferuntur vicenas habent partes et in his  denas habeant easdem, denas alias ad similitudinem  et dissimilitudinem aeque animadvertendas : hanc  naturam plerique subiciunt sub dissimilitudinis  nomen.   6\ Quare quoniam fit 1 ut potius de vocabulo quam  de re controversia esse videatur, illud est potius  advertendum, quom simile quid esse dicitur, cui 2 parti  simile dicatur esse (in hoc enim solet esse error), quod  potest fieri ut homo homini simih's 3 non sit, 4 ut multas  partis habeat similis et ideo dici possit similis habere  oculos, nianus, pedes, sic alias res separatim et una  plures.   7. Itaque quod diligentcr videndum est in verbis,  quas partis et quot modis oporteat similis habere  (quae similitudinem habere) 1 dicuntur, ut infra  apparebit, is locus maxime lubricus est. Quid enim  similius potest videri indiligenti quam duo verba haec  suis et suis ? Quae non sunt, quod alterum 2 sig-  nificat suere, alterum suem. Itaque similia vocibus   § 6. 1 Aug., for fuit. 2 quoi L. Sp., for quin cui.  3 V 9 p, C. F. W. Mueller, for simile. 4 non sit Rhol.,for  sit non sit.   § 7. 1 Added by GS., cf § 12 end ; quae similia esse,  added by L\ Sp. ; ut similia, by Canal. 2 After alterum,  p and Aug. deleted non.  538     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 5-7     not unlike ; but although there are the three, like,  unlike, neutral, there can also be a division into two  parts only, in such a way that whatever you compare  with something else either is like or is not. They  think that a thing is like and is unlike if it is seen to  be of such a kind as I have described, and neutral, if  it does not have greater weight on one side than on  the other ; as if the two things which are being com-  pared have twenty parts each, and among these should  have ten to be noted as identical and ten likewise to  be noted as different, in respect to likeness and  unlikeness. This nature most scholars include under  the name of unlikeness.   6. Therefore since it happens that the question in  dispute seems rather to be about the name than  about the thing, attention must rather be directed,  when something is said to be like, to the problem to  what part it is said to be like ; for it is in this that any  mistake ordinarily rests. This must be noted, I say,  because it can happen that a man may not be like  another man even though he has many parts like the  other's, and can be said therefore to have like eyes,  hands, feet, and other physical features in consider-  able number, separately and taken together, like the  other man's.   7. Therefore because careful watch must be kept  in words to see what parts those words which are said  to show likeness ought to have alike, and in what ways,  the inquirer is on this topic especially likely to slip  into error, as will appear below. For to the careless  person what can seem more alike than the two words  suis and suis ? But they are not alike, because one is  from suere 1 to sew ' and means ' thou sewest,' and  the other is from sus and means * of a swine.' There-   539     VARRO     esse ac syllabis confitemur, dissimilia esse partibus  orationis videmus, quod alterum habet tempora,  alterum casus, quae duae res vel maxime discernunt  analogias.   8. Item propinquiora genere inter se verba  similem s^epe pariunt errorem, ut in hoc, quod nemus 1  et lepus videtur esse simile, quom 2 utrumque habeat  eundem casum rectum ; sed non est simile, quod eis 3  certae similitudines opus sunt, in quo est ut in genere  nominum sint eodem, quod in his non est : nam in  virili genere 4 est lepus, ex neutro nemus ; dicitur enim  hie lepus et hoc nemus. Si eiusdem generis esse(n)t, 5  utrique praeponeretur idem ac diceretur aut hie lepus  et hie nemus aut hoc nemus, hoc lepus.   9. Quare quae et cuius modi sunt genera simili-  tudinum ad hanc rem, perspiciendum ei qui declina-  tiones verborum proportione sintne quaeret, Quern 1  locum, quod est difficilis, qui de his rebus scripserunt  aut vitaverunt aut inceperunt neque adsequi potu-  erunt.   10. Itaque in eo dissensio neque ea unius modi  apparet : nam alii de omnibus universis discriminibus  posuerunt numerum, ut D/onysius S/donius, qui  scripsit ea 1 esse septuaginta unwm, 2 alii parti's 3 eius  quae habet 4 casus, cuius eidem hie cum dicat esse   § 8. 1 H 9 JthoL, for numerus. 2 Mue., for quod cum.  3 Aug., for eas. 4 After genere, Aug, deleted nominum  sint eodem, repeated from the previous line, 5 Aug., for  esset.   § 9. 1 Mue^for quod.   § 10. 1 L. Sp.,for eas. 2 L. Sp.,for unam. 3 Mue. y  for partes. 4 Mue.,for habent.   § 8. a That is, so far as the termination is concerned.   § 10. a That is, schemes of inflection. b A pupil of  Aristarchus.  540     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 7-10     fore we admit that they are alike as spoken words  and in their separate syllables, but we see that  they are unlike in their parts of speech, because  one has tenses and the other has cases ; and tenses  and cases are the two features which in the highest  degree serve to distinguish the different systems of  Regularity.   8. Likewise, words that are even nearer alike in  kind often cause a similar mistake, as in the fact that  nemus ' grove ' and lepus * hare ' seem to be alike since  both have the same nominative a ; but it is not an  instance of likeness, because they stand in need of  certain factors of likeness, among which is that they  should be in the same noun-gender. But these two  words are not, for lepus is masculine and nemus is  neuter ; for we say hie * this ' with lepus and hoc with  nemus. If they were of the same gender, the same  form would be set before both, and we should say  either hie lepus and hie nemus, or hoc nemus and hoc  lepus.   9. Therefore he who asks whether the inflections  of words stand in a regular relation, must examine  to see what kinds of likenesses there are and of what  sort they are, which pertain to this matter. And just  because this topic is difficult, those who have written  of these subjects either have avoided it or have begun  it without being able to complete their treatment of it.   10. Therefore in this there is seen a lack of agree-  ment, and not merely of one kind. For some have  fixed the number of all the distinctions a as a whole,  as did Dionysius of Sidon, 6 who wrote that there were  seventy-one of them ; and others set the number of  those distinctions which apply to the words which have  cases : the same writer says that of these there are   541     VARRO     discrimina quadnzginta 5 septem, Aristocles re/tulit 6  in litteras XII II, Parmeniscus VIII, sic alii pauciora  aut plura.   11. Quarum similitudinum si esset origo recte  capta et inde orsa ratio, minus erraret(ur) 1 in de-  clinationibus v(er)borum. 2 Quarum ego principia  prima duum generum sola arbitror esse, ad quae 3  similitudines exigi 4 oporteat : e quis unum positum  in verborum materia, alterum ut in materiac figura,  quae ex declinatione fit.   12. Nam debet esse unum, ut verbum verbo, unde  declinetur, sit simile ; alterum, ut e verbo in verbum  declinatio, ad quam conferetur, eiusdem modi sit :  alias enim ab similibus verbis similiter declinantur,  ut ab erus 1 ferus, ero 2 fero, alias dissimiliter erus 1  ferus, eri 3 ferum. Cum utrumque et verbum verbo  erit simile et declinatio declinationi, turn denique  dicam esse simile 4 ac duplicem et perfectam simili-  tudinem habere, id quod postulat analogia. 5   13. Sed ne astutius videar posuisse duo genera  esse similitudinum sola, cum utriusque inferiores  species sint plures, si de his reticuero, ut mihi relin-   5 My Laetus, for quadringenta. 6 Mue. ; retulit Laetus ;  for rutulit.   §11. 1 Vertranius, for erraret. 2 For ubo rum. 3 Al-  dus, for atque. 4 For exegi.   § 12. 1 For herus. 2 For hero. 3 For heri. 4 L.  Sp. t for similem. 5 For analogiam.     Probably Aristocles of Rhodes, a contemporary of Varro.   d A pupil of Aristarchus.   542     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 10-13     forty-seven, Aristocles c reduced them to fourteen  headings, Parmeniscus d to eight, and others made the  number smaller or larger.   11. If the origin of these likenesses had been  correctly grasped and their logical explanation had  proceeded from that as a beginning, there would be  less error in regard to the inflections of words. Of  these likenesses there are, I think, first principles of  two kinds only, by which the likenesses ought to be  tested ; of which one lies in the substance of the  words, the other lies, so to speak, in the form 6 of  that substance, which comes from inflection.   12. For there must be one, that the word be like  the word from which it is inflected, and two, that in  comparison from word to word the inflectional form  with which the comparison is made should be of the  same kind. * For sometimes there are like forms  reached by inflection from like words, such as datives  ero and fero from eras ' master * and Jerus ' wild,* and  sometimes unlike forms, such as genitive eri and  accusative Jerum, from erus and Jerus. When both  principles are fulfilled and word is like word and  inflectional form like inflectional form, then and not  before will I pronounce that the word is like, and has  a twofold and perfect likeness to the other — which is  what Regularity demands.   13. But I wish to avoid the appearance of tricki-  ness in having declared that there are only two kinds  of likenesses when both have a number of sub-forms  — if I say nothing about these, you may think that I  am intentionally leaving myself a place of refuge ; I   §11. a That is, its form and ending, in the form which is  the starting point for inflection. 6 The inflectional form ;  cf. § 12.   543     VARRO     quam latebras, repetam ab origine similitudinum quae  in conferendis verbis et inclinandis sequendae aut  vitandae sint.   14. Prima divisio in oratione, quod alia verba  nusquam declmantur, 1 ut haec vix mox, alia decli-  nantur, ut ab lima limae, 2 a fero ferebam, et cum nisi  in his verbis quae dcclinantur non possit esse analogia,  qui dicit simile esse mox et nox errat, quod non est  eiusdem generis utrumque verbum, cum nox suc-  cedere debeat sub casuum ratione(m), 3 mox neque  debeat neque possit.   15. Secunda divisio est de his verbis quae de-  clinari possunt, quod alia sunt a voluntate, alia a  natura. Voluntatem appello, cum unus quivis a  nomine aliae (rei) 1 imponit nomen, ut Romulus  Romae ; naturam dico, cum universi acceptum nomen  ab eo qui imposuit non requirimus quemadmodum  is velit declinari, sed ipsi declinamus, ut huius Romae,  hanc Romam, hac Roma. De his duabus partibus  voluntaria declinatio refertur ad consuetudinem,  naturalis ad rationem. 2   16. Quare proinde ac simile conferre 1 non oportet  ac dicere, ut sit ab Roma Romanus, sic ex Capua dici  oportere Capuanus, quod in consuetudine vehementer  natat, quod declinantes imperite rebus nomina im-  ponunt, a quibus cum accepit consuetudo, turbulenta   § 14. 1 For declimantur. 2 OS., for limabo. 3 Lach-  mann y for ratione.   § 15. 1 Added by GS. 2 Aug., for orationem.   §16. 1 Stephanus, for conferri.  544     OX THE LATIN LANGUAGE, X. 13-16     shall therefore go back and start from the origin of  the likenesses which must be followed or avoided in  the comparison of words and in their inflections.   14. The first division in speech is that some words  are not changed into any other form whatsoever,  like vix ' hardly ' and mox * soon/ and others are in-  flected, like genitive limae from lima * file,' imperfect  ferebam from fero * I bear ' ; and since Regularity  cannot be present except in words which are inflected,  he who says that mox and nox * night * are alike, is  mistaken, because the two words are not of the same  kind, since nox must come under the system of case-  forms, but mox must not and cannot.   1 5. The second division is that, of the words which  can be changed by derivation and inflection, some  are changed in accordance with will, and others in  accordance with nature. I call it will, when from a  name a person sets a name on something else, as  Romulus gave a name to Roma ; I call it nature,  when we all accept a name but do not ask of the one  who set it how he wishes it to be inflected, but our-  selves inflect it, as genitive Romae } accusative Romam,  ablative Roma. Of these two parts, voluntary deriva-  tion goes back to usage, and natural goes back to  logical system.   16. For this reason we ought not to compare  Romanus * Roman ' and Capuanus ' Capuan ' as alike,  and to say that Capuanus ought to be said from  Capua just as Romanus is from Roma ; for in such  there is in actual usage an extreme fluctuation, since  those who derive the words set the names on the  things with utter lack of skill, and when usage has  accepted the words from them, it must of necessity  speak confused names variously derived. Therefore   vol. ii n 545     VARRO     necesse est dicere. Itaque neque Aristarchd 2 neque  alii in analogiis defendendam eius susceperunt cau-  sam, sed, ut dixi, hoc genere declinatio in co(m)-  muni consuetudine verborum aegrotat, quod oritur  e populo multiplici (et) 3 imperito : itaque in hoc  genere in loquendo 4 magis anomalia quam analogia.   17. Tertia divisio est : quae verba declinata  natura ; ea dividwntur 1 in partis quattuor : in unam  quae habet casus neque tempora, ut docilis et facilis ;  in alteram quae tempora neque casus, ut docet facit ;  in tertiam quae utraque, ut doccns faciens ; in  quartam quae neutra, ut docte et facete. Ex hac  divisione singulis partibus tres reliquae 2 dissimiles.  Quare nisi in sua parte inter se collata erunt verba,  si 3 conveniunt, non erit ita simile, ut debeat facere  idem.   18. Unius cuiusque part/s 1 quoniam species plures,  de singulis dicam. Prima pars casualis dividitur in  partis duas, in nominatus scilicet 2 (et articulos), 3  quod aeque 4 finitum (et infinitum) 5 est ut hie et quis ;  de his generibus duobus utrum sumpseris, cum   2 Kent, for Aristarchii ; cf. viii. 63. 3 Added by Groth.  4 For loquenda.   §17. 1 L. Sp., for dividitur. 2 Mve. % for reliquere.   3 After si, Canal deleted non.   § 18. The text of this § stands in the manuscripts between  § 90 and § 21 ; the shift of position was made by Mueller \ who  left unius cuiusque partis at the end of § 20 ; A. Spengel  transferred these words also. 1 Sciop., for partes.   2 Laetus^for s ( =sunt). 3 Added by Mue* 4 L. Sp., for  neque. 6 Added by L. Sp. ; cf. viii. 45.     § 1 6. This is shown even to-day in the new technical  terminology of some near-sciences. b Varro is somewhat   546     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 16-18     neither the followers of Aristarchus nor any others  have undertaken to defend the cause of voluntary  derivation as among the Regularities ; but, as I have  said, this kind of derivation of words in common  usage is an ill thing, because it springs from the  people, which is without uniformity and without  skill. Therefore, in speaking, there is in this kind of  derivation rather Anomaly than Regularity. 6   17. There is a third division, the words which  are by their nature inflected. These are divided  into four subdivisions : one which has cases but not  tenses, like docilis ' docile ' and facilis ' easy ' ; a  second, which has tenses but not cases, 6 like docet   * teaches/ facit * makes ' ; a third which has both, c  like docens 1 teaching/ faciens * making ' ; a fourth  which has neither,*" like docte * learnedly * and facete   * wittily.' The individual parts of this division are  each unlike the three remaining parts. Therefore,  unless the words are compared with one another in  their own subdivision, even if they do agree the one  word will not be so like the other that it ought to  make the same inflectional scheme.   18. Since there are several species in each part, I  shall speak of them one by one. The first sub-  division, characterized by the possession of cases, is  divided into two parts, namely into nouns and  articles, which latter class is both definite and in-  definite, as for example hie * this ' and quis 4 who.'  Whichever of these two kinds you have taken, it must  not be compared with the other, because they belong   unfair here, since derivation by suffixes, though varied, is not  without its regular principles.   § 17. a Nouns, pronouns, adjectives (except participles).  6 Finite verbs. e Participles. d Adverbs.   547     VARRO     reliquo non conferendum, quod inter se dissimiles  habent analogias.   19. In articulis vix adumbrata est analogia et  magis rerum quam vocum ; in nomin(at)ibus 1 magis  expressa ac plus etiam in vocibus ac (syllabarum) 2  similitudinibus quam in rebus suam optinet rationem.  Etiam illud accedit ut in articulis habere analogias  ostendere sit difficile, quod singula sint verba, hie  contra facile, quod magna sit copia similium nomina-  tuum. Quare non tarn hanc partem ab ilia 8 dividen-  dum quam illud videndum, ut satis sit verecundi(ae) 4  etiam illam in eandem arenam vocare pugnatum.   20. Ut in articulis duae partes, finitae et infinitae,  sic in noyninaitibus 1 duae, vocabulum et nomen :  non enim idem oppidum et Roma, cum oppidum sit  vocabulum, Roma nomen, quorum discrimen in his  reddendis rationibus alii discernunt, alii non ; nos  sicubi opus fuerit, quid sit et cur, ascribemus. 2   21. Nominatm' 1 ut similis sit nominatus, habere  debet ut sit eodem genere, specie eadem, sic casu,  exitu eodem 2 : specie, 8 ut si nomen est quod conferas,  cum quo conferas sit nomen ; genere, 4 ut non solum  (unum sed) 5 utrumque sit virile ; casu, 6 ut si alterum  sit dandi, item alterum sit dandi ; exitu, ut quas   § 19. 1 L. Sp., for nominibus. 2 Added by GS.  3 After ilia, Aug. deleted ab. 4 Kent, for uerecundi.   § 20. 1 L. Sp., for uocabulis. 2 Sciop., for ascribimus.   § 21. 1 Mve., for nominatus (Sciop. changed the second  nominatus to -tui). 2 Mue., for eius. 8 Liibbert, for  genere, transposing with specie (note 4). 4 Liibbert, for  specie (cf preceding note) ; after this, L. Sp. deleted simile.  fi Added by Mite. ; sed added by Aug. 6 After casu, L.  Sp. deleted simile.   § 21. Here, as often in Varro, including adjective as well  as substantive.  548     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 18-21     to schemes of Regularity which are different from  each other.   19. In the articles, Regularity is hardly even a  shadow, and more a Regularity of things than of  spoken words ; in nouns, it comes out better, and  consummates itself rather in the spoken words and  the likeness of the syllables than in the things  named. There is also the additional fact that it  is difficult to show that Regularities reside in the  articles, because they are single words ; but in nouns  it is easy, because there is a great abundance of like  name-words. Therefore it is not so much a matter  of dividing this part from that other part, as of see-  ing to it that the investigator should be too much  ashamed even to call that other part into the same  arena to do battle.   20. As there are two groups in the articles,  the definite and the indefinite, so there are in the  nouns, the common nouns and the proper names ;  for oppidum ' town ' and Roma * Rome * are not the  same, since oppidum is a common noun, and Roma  is a proper name. In their account of the systems,  some make this distinction, and others do not ;  but we shall enter in our account, at the proper  place, what this difference is and why it has come  to be.   21 . That noun a may be like noun, it ought to have  the qualities of being of the same gender, of the same  kind, also in the same case and with the same ending :  kind, that if it is a proper name which you are com-  paring, it be a proper name with which you compare  it ; gender, that not merely one, but both words be  masculine ; case, that if one is in the dative, the  other likewise be in the dative ; ending, that what-   549     VARRO     unum habeat extremas littcras, easdem alterum  habcat.   22. Ad hunc quadruplicem fontem ordines derigun-  tur bini, uni transversi, alteri derecti, ut in tabula  solet in qua latrunculzs 1 ludunt. Transversi sunt  qui ab recto casu obliqui declinantur, ut albus albi  albo ; dcrecti sunt qui ab recto casu in rectos  declinantur, ut albus alba album ; utrique sunt parti-  bus senis. Transversorum ordinum partes appellan-  tur 2 casus, derectorum genera, 3 utrisque inter se  implicatis forma. 4   23. Dicam prius de transversis. Casuum voca-  bula alius alio modo appellavit ; nos dicemus, qui  nominandi causa dicitur, nominandi vel nomina-  tivum. . . . l   HIC DESUNT TRIA FOLIA IN EXEMPLARI 2   24. . . . (dicuntur una)e 1 scopae, non dicitur una  scopa : alia enim natura, quod priora simplicibus,   § 22. 1 Bentinus, for latrunculus. 2 Aldus, for expel-  lantur. 3 Aug., for genere. 4 Aug., for formam.   § 23. 1 There is blank space here in F, for the rest of the  page (18 lines), all the next page (39 lines), and the first part  of the following (8 lines). 2 F 2, in margin.   § 24. 1 Added and altered by Kent, for et ; cf viii. 7.     § 22. ° The * men ' in a game like draughts or checkers  were called latrunctdi ' brigands ' by the Romans. 6 Varro  did not arrange his paradigm of adjectives as we do, but set  the cases of the same number and gender in one line across  the page, while the other genders followed in the next two  lines, and then the three genders of the plural in the succeed-  ing lines. - c Varro counts his six genders by considering  the genders of the plural as additional genders.   § 23. ° The cases. b Varro's names for the remaining   550     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 21-24     ever last letters the one has, the other also have the  same.   22. To this fourfold spring two sets of lines are  drawn up, the ones crosswise and the others vertical,  as is the regular arrangement on a board on which  they play with movable pieces. Those are cross-  wise which are the oblique cases formed from a nomi-  native, et like albus ' white,' genitive albi, dative albo ;  those are vertical which are inflected from one  nominative to other nominatives, as masculine albus,  feminine alba, neuter album. Both sets of lines are  of six members. 6 Each member of the crosswise  lines is called a case ; each member of the vertical  lines is a gender ; that which belongs to both in their  crossed arrangement, is a form.   23. I shall speak first of the crosswise lines.  Scholars have given various sets of names to the  cases ; we shall call that case which is spoken for the  purpose of naming, the case of naming or nomina-  tive ... 6   HERE THREE LEAVES ARE LACKING Iff THE MODEL  COPY c   24-. . . . To indicate one * broom * the plural scopae  is used, not the singular scopa. a For they b are  different by nature, because the names first men-  cases, Ayhich were listed in the lost text, are : casus patriots  or pat ri us, casus dandi, casus accusandi or accusativus, casus  vocandi, casus sextus. The names genetivus, dativus, voca-  tivus, ablativus appear in Quintilian and Gellius. e In  the lost text stood the remainder of the discussion of cases, a U  the discussion of gender, and almost all concerning number,  which is concluded in § 30.   § 24. 8 Cf. viii. 7. 5 The nouns in the preceding dis-  cussion, of which scopae alone is preserved in the text.   551     VARRO     posteriora in coniunctis rebus vocabula ponuntur, sic  bigae, sic quadrigae a coniunctu dictae. Itaque non  dicitur, ut haec una lata ct alba, sic una biga, sed  unae bigae, neque 2 dicitur ut hae duae latae, albae,  sic hae duae bigae et quadrigae, (sed hae binae  bigae et quadrigae). 3   25. Item figura verbi qualis sit rcfert, quod in  figura vocis alias commutatio fit in primo 1 verbo suit 2  modo suit, 2 alias in medio, ut curso 3 cursito, alias in  extrcnio, ut docco docui, alias co(m)munis, ut lego  legs'. 4 Refert igitur ex quibus litteris quodque verbum  constet, maxime extrema, quod ea in plerisque  commutatur. 5   26. Quare in his quoque partibus similitudines ab  aliis male, ab aliis bene quod solent sumi in casibus  conferendis, recte an perperam videndum ; sed  ubicumque commoventur litterae, non solum eae  sunt animadvertendae, sed etiam quae proxumae  sunt neque moventur : haec enim vicinitas aliquan-  tum potes(t) 1 in verborum declinationibus.   27. In quis figuris non ea similia dicemus quae   2 After neque, p and Sciop. deleted ut. 3 Added by L. Sp.,  cf. ix. 64.   § 25. 1 Mue., for uno. 2 Mue. added the signs of  quantity ; cf. ix. 104. 3 Aug., for cursu. 4 Aug., for  lege. 5 L. Sp. for commutantur.   § 26. 1 Aldus, for potes.     c These are all lost. d Scopae, as * twigs ' done in a bundle ;  bigae and quadrigae, because of the number of horses in-  volved. e The distributive numeral is used to multiply  ideas whose singular is denoted by a plural form: cf. ix. 64.   § 25. ° I have added the signs of quantity in lego and legi,  to make clear Varro's point.  552     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 24-27     tioned c are set upon simple objects, and those men-  tioned later apply to compounded objects d ; thus  bigae ' two-horse team ' and quadrigae ' four-horse  team ' are employed in the plural because they denote  a union of objects. Therefore we do not say one biga,  like one lata 1 broad 1 and alba ' white,' but one bigae,  with the numeral also in the plural ; nor do Ave say  duae ' two ' with reference to bigae and quadrigae, as  we say duae ' two ' with application to the plural  forms laiae and albae, but we say binae * two sets ' of  bigae and quadrigae. 6   25. Likewise the character of the form of a word  is important, because in the form of the spoken word  a change is sometimes made in the first part of  the word, as in suit ' sews ' and suit ' sewed ' ; some-  times in the middle, as in curso ' I run to and fro/  and cursito, of the same meaning ; sometimes at the  end, as in doceo 1 I teach ' and docui * I have taught ' ;  sometimes the change is common to two parts, as in  Ugo ' I read,' legi 1 I have read.' a It is important  therefore to observe of what letters each word con-  sists ; and the last letter is especially important,  because it is changed in the greatest number of in-  stances.   26. Because of this, since the likenesses in these  parts also are wont to be used in the comparison of  case-forms, and this is done ill by some and well by  others, we must see whether this has been done rightly  or wrongly. Yet wherever the letters are altered,  not only the altered letters must be noted, but also  those which are next to them and are not affected ;  for this proximity has considerable influence in the  inflections of words.   27. Among these forms we shall not call those   55S     VARRO     similis res significant, sed quae ea forma sint, ut  eius modi res similis 1 ex instituto significare plerum-  que sole(a)nt, 2 ut tunicam virilem et muliebrem  dicimus non earn quam habet vir aut mulier, sed  quam habere ex instituto debet : potest enim mulie-  brem vir, virilem mulier habere, ut in scaena ab  actoribus haberi videmus, sed earn dicimus muliebrem,  quae de eo genere est quo indutui mulieres ut uteren-  tur est institutum. Ut actor stolam muliebrem sic  Perpenna et Ctfecina et (S)purinna 3 figura muliebria  dicuntur habere nomina, non mulierum.   28. Flexurae quoque similitudo videnda ideo  quod alia verba quam vi(a)m x habeant ex ipsis  verbis, unde declinantur, apparet, 2 ut quemadmodum  oporteat ute 3 praetor consul, praetori consuli ; alia  ex transitu intelleguntur, ut socer macer, quod  alterum fit socerum, alterum macrum, quorum utrum-  que in reliquis a transitu suam viam sequitur et in  singularibus et in multitudinis declinationibus. Hoc  fit ideo quod naturarum genera sunt duo quae inter  se conferri possunt, unum quod per se videri potest,  ut homo et equus, alterum sine assumpta aliqua re   § 27. 1 Mite., for similia. 2 Aldus, for solent.  3 Aug., for purinna.   § 28. 1 Schoell (marginal note in his copy of A. SpSs ed.),  for uim. 2 Pius, for appellant. 3 A. Sp.,for ut a.     § 27. ° With eius modi, understand figurae ; cf in eius  modi, v. 128. b Cf ix. 48. c Cf viii. 41, 81, ix. 41.   § 28. a That is, the nominative is the stem to which the  case-endings are added. 6 That is, the stem is seen in an   554     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 27-28     words like which denote like things, but those which  are of such a stamp that such forms a are in most  instances wont by custom to denote like things, as  by a man's tunic or a woman's tunic we mean not a  tunic that a man or a woman is wearing, but one  which by custom a man or a woman ought to wear. 6  For a man can wear a woman's tunic, and a woman  can wear a man's, as we see done on the stage by  actors ; but we say that that is a woman's tunic,  which is of the kind that women customarily use  to dress themselves in. As an actor may wear a  woman's dress, so Perpenna and Caecina and Spurinna  are said to have names that are feminine in form ;  they are not said to have women's names. c   28. The likeness of the inflection also must be  watched, because the way which some words take is  clear from the very words from which their inflection  starts, as how it is proper to use praetor and consul,  dative praetori and considi. Others are properly  appreciated only as a result of the change seen in the  inflections, as in socer 1 father-in-law ' and macer  1 lean,' because the one becomes socerum in the  accusative, and the other macrum ; after making  this change, each of them follows its own way in the  remaining forms, 6 both in the inflections of the  singular and in those of the plural. This method is  employed c because in the inflections there are two  kinds of natures which can be compared with each  other, one which can be seen in the word itself, such  as homo 1 man ' and equus ' horse,' but the second  cannot be seen through without bringing in some-  oblique case rather than in the nominative; cf. ix. 91-94.  e Varro's logical sequence is here at fault, for he brings in  derivative stems, after speaking only of noun declensions.   555     VARRO     extrinsecus perspici non possit, ut eques et equiso :  uterque enim dicitur ab equo.   29. Quare hominem homini similem esse aut non  esse, si contuleris, ex ipsis homini(bus) 1 animadversis  scies ; at duo inter se similiterne sint longiores quam  sint eorum fratres, dicere non possis, si illos breviores  cum quibus conferuntur quam longi sint ignores 2 ;  si(c) 3 latiorum atque altiorum, item cetera eiusdem  generis sine assumpto extrinsecus aliquo perspici  similitudines non possunt. Sic igitur quidam casus  quod ex hoc genere sunt, non facile est dicere similis  esse, si eorum singulorum solum animadvertas voces,  nisi assumpseris alterum, quo flectitur in trans-  eundo 4 vox.   30. Quod ad nominatuom 1 similitudines animad-  vertendas arbitratus sum satis es(se) tangere, 2 hctec  sunt. Relinquitur de articulis, in quibus quaedam  eadem, quaedam alia. De quinque enim generibus  duo prima habent eadem, quod sunt et virilia et  muliebria et neutra, et quod alia sunt ut significent  unum, (alia) 3 ut plura, et de casibus quod habent  quinos : nam vocandi voce notatus non est. Pro-  prium illud habent, quod partim sunt finita, et hie  haec, partim infinita, ut quis et quae, 4 quorum quod  adumbrata et tenuis analogia, in hoc libro plura  dicere (non) 5 necesse est.   §29. 1 Canal, for homini. 2 Aldus, for ignorent.  3 Aug., for si. 4 Aug., for transeundum.   §30. 1 L.. Sp. ; -tuum Aug., for nominatiuom.  2 Aug., for est angere. 3 Added by Aug. 4 After quae,  Aug. deleted et. 5 Added by Aug.   556     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 28-30     thing from outside, as in eques ' horseman ' and equiso  1 stable-boy * — for both are derived from equus  1 horse. ' d   29. By this method, you will, on making a compari-  son, know that of men observed in person one is or is  not like the other; but you could not say that the  two are in like fashion taller than their brothers, if  you should not know how tall those shorter brothers  are with whom they are compared. In this way the  likenesses of things broader and higher, and others  of the same kind, cannot be examined without bringing  in some help from outside. So therefore, inasmuch  as certain case-forms are of this kind, it is not easy to  say that they are like, if you observe the spoken words  in one case only ; to make a correct judgement, you  will have to bring in another case-form to which the  spoken word passes as it is inflected.   30. These considerations are what I have thought  enough to touch upon, for observing the likenesses of  nouns. It remains to speak of the articles, of which  some are like nouns and others are different. For of  the five classes the first two have the same properties,  because they have forms for masculine, feminine, and  neuter, they have some forms to denote the singular  and others to denote the plural, and they have five  cases ; the vocative is not indicated by a separate  spoken form. They have this of their own, that  some are definite, like hie ' this/ feminine haec, and  others are indefinite, like quis 4 which,' feminine  quae. But since their system of Regularity is  shadowy and thin, it is not necessary to speak  further of it in this book. a   d Cf. viii. 14.   § 30. • Cf. x. 19-20.      31. Secundum genus quae verba tempora habent  neque casus, sec? 1 habent personas. Eorum declina-  tuum species sunt sex : una quae dicitur temporalis,  ut legebam gemebam, lego 2 gemo ; altera perso-  narum, ut sero meto, seris metis ; tertia rogandi, ut  scribone legone, scribisne legisne. Quarta respon-  dendi, ut fingo pingo, fingis pingis ; quinta optandi,  ut dicerem facerem, dicam faciam ; sexta imperandi,  ut cape rape, capito rapito.   32. Item sunt declinatuum species quattuor quae  tempora habent sine personis : in rogando, ut fodi-  turne seriturne, et fodieturne sereturne. Ab re-  spondendi specie eaedem figurae fiunt extremis  syllabis demptis ; op(t)andi species, ut vivatur  ametur, viveretur amaretur. Imperandi declinatus  sz'ntne habet 1 dubitationem et eorum sitne 2 haec  ratio : paretur pugnetur, parafor pugna/or. 3   33. Accedunt ad has species a copulis divisionum  quadrinis : ab infecti et perfecti, (ut) 1 emo edo, emi   § 31. 1 Aug., for si. 2 For logo.   § 32. 1 Aug., for sum ne habent. 2 Aug.,, for sint ne.  3 Canal, for parari pugnari.  § 33. * x Added by L. Sp.     §31. ° Cf. x. 17. 6 Respectively tense, person, inter-  rogative (indicative), declarative indicative, subjunctive,  imperative ; the technical vocabulary was not fully developed  in Varro's time.   § 32. ° Corresponding to the last four of the categories in  § 31 ; Varro shows a good understanding of the impersonal  passive.   §33. a C/.x. 14-17.   558     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 31-33     31. The second subdivision a consists of those  words which have tenses but not cases, and have  persons. The categories of their inflections are six et :  one which is that of the tenses, as legebam 1 I was  reading,' gemebam * I was groaning,' lego ' I read,'  gemo * I groan ' ; the second is that of the persons, as  sero * I sow,' meto ' I reap,' seris ' thou sowest,'  metis ' thou reapest ' ; the third is the interrogative,  as scribone 1 do I write ? ', legone * do I read ? ', scribisne,  legisne ; the fourth is that of the answer, as Jingo * I  form,' pingo * I paint, ' Jingis, pingis ; the fifth that of  the wish, as dicerem * would I were saying,' facerem  * would I were making,* dicam * may I say,' faciam  ' may I make * ; the sixth that of the command, as  cape ' take,' rape ' seize,' capito, rapito.   32. Likewise there are four categories of inflec-  tions which have tenses without persons a : in the  interrogative, as foditume ' is digging going on ? ',  seriturne ' is sowing going on ? ' and fodieturne 4 will  digging be done ? ', sereiurne ' will sowing be done ? * ;  of the category for the answer the same forms are  used, but without the last syllable ne ; the category  for the wish, as vivatur * may there be living,' ameiur  ' may there be loving,* viveretur * would there were  living,' amaretur * would there were loving.* Whether  the inflections for the impersonal command exist, is  somewhat doubtful ; there is also doubt about the  scheme of the forms, which is given as parehir * let  there be preparation,' pugneiur * let there be fight-  ing,' or parator, pugnator.   33. There are added to these categories those  which proceed from the four sets of pairs a consisting  of the divisions : from that of the incomplete and  the completed, as emo ' I buy ' and edo * I eat,' emi * I   559     VARRO     edi ; ab semel et saepius, ut scribo lego, scriptito  lectito 2 ; (a) 3 faciendi et patiendi, ut uro ungo, uror  ungor ; a singulari et multitudinis, ut laudo culpo,  laudamus culpamus. Huius generis verborum cuius  species exposui quam late quidque pateat et cuius  modi efficiat figuras, in libris qui de formulis verborum  erunt diligentius expedietur.   34. Tertii generis, quae declinantur cum tem-  poribus ac casibus ac vocantur a multis ideo partici-  palia, sunt hoc ge(nere) 1 . . .   HIC DESUNT FOLIA III IN EXEMPLARI 2   35. ... quemadmodum declinemus, 1 quaerimus  casus eius, etiamsi siqui 2 finxit poeta aliquod vocabu-  lum et ab eo casu(m) 3 ipse aliquem perperam de-  clinavit, potius eum reprehendimus quam sequimur.  Igitur ratio quam dico utrubique, et in his verbis quae  imponuntur et in his quae declinantur, neque non  etiam tertia ilia, quae ex utroque miscetur genere.   36. Quarum una quaeque ratio collata cum altera   2 L. Sp.,for scriptitaui lectitaui. 3 Added by L. Sp.   § 34. 1 Added by Rhol. ; F here leaves blank the rest of  the page (a little more than 28 lines) and all the next page  (39 lines). 2 F 1, in margin.   § 35. 1 L. Sp., for declinamus. 2 L. Sp., for is qui.   3 L. Sp., for casu.     b Verbs. c Not extant.   § 34. a Adjective to the more common term participia or  participles ; both meaning * taking part ' in the features of  two sets of words (nouns and verbs). For the form partki-  palia (in F) rather than -pialia (in p), cf. M. Niedermann,  Mnemosyne, lxiii. 267-268 (1936). b The lost text contained  the discussion of participles, that of adverbs, and the be-  ginning of that on ratio.   § 35. ° This is perhaps the simplest way of giving a mean-  ing to the incomplete sentence. h Referring to the previous  discussion, now almost entirely lost. c The independent   560     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 33-36     have bought * and edi * I have eaten ' ; from that of  the act done once and the act done more often, as  scribo * I write ' and lego * I read/ scriptito 1 I am  busy with writing,' and lectito * I read and reread ' ;  from that of active and passive, as uro 1 I burn ' and  ango ' I anoint,' uror * I am burned ' and ungor * I  am anointed ' ; from that of singular and plural, as  laudo ' I praise ' and culpo * I blame,' laudamus ' we  praise * and culpamus ' we blame. ' With regard to the  words of this class 6 whose categories I have described,  the matter of how full an equipment of forms each  has, and what sort of forms it makes, will be set forth  with more attention to detail in the books c which  are to be on the paradigms of verbs.   34. The words of the third subdivision, which  are inflected with tenses and cases and are by many  therefore called participials, a are of this kind ... 6   HERE THREE LEAVES ARE LACKING IN THE MODEL  COPY   35. ... When w T e meet a new word, a we ask  about its case-forms, as to how we shall inflect them ;  and yet if some poet has made up some word and has  himself formed from it some case-form in an incorrect  way, we blame him rather than follow his example.  Therefore Ratio or Relation, of which I am speaking,  is present in both 6 : in the words which are imposed  upon things, 6 and in those which are formed by in-  flection d ; and then also there is that third kind of  Relation, which combines the characteristics of the  two.*   36. Among these, each and every relation, when   words. d The paradigms. e In derivatives formed by  suffixes. aut similis aut dissimilis, aut saepe verba alia, ratio  eadem, et nonnunquam ratio alia, verba eadem.  Quae ratio in amor amori, eadem in dolor dolori,  neque eadem in dolor dolorem, et cum eadem ratio  quae est in amor et 1 amoris sit in amores et amorum,  tamen ea, quod non in ea qua oportet confertur 2  materia, per se solum efficere non potest analogias  propter disparilitatem vocis figurarum, quod verbum  copulatum singulare 3 cum multitudine : ita cum est  pro portione, ut candem habeat rationem, turn  denique ea ratio conficit id quod postulat analogia ;  de qua deinceps dicam.   III. 37. Sequitur tertius locus, quae sit ratio  pro portione ; (e)a Greece 1 vocatur 2 dva Xoyov ; ab  analogo dicta analogia. Ex eodem genere quae res  inter se aliqua parte dissimiles rationem habent  aliquam, si ad eas duas alterae duae res allatae sunt,  quae rationem habeant eandem, quod ea verba bina  habent eundem Xoyov, dicitur utrumque separatim  dvdXoyov, simul collata quattuor dvaXoy(t)a. z   38. Nam ut in geminis, cum simile(m) 1 dicimus  esse Menaechmum Menaechmo, de uno dicimus ;  cum similitudine(m) 2 esse in his, de utroque : sic  cum dicimus eandem rationem habere assem ad   § 36. 1 After et, a repeated amor et has been deleted.   2 After confertur, Aug, deleted a. 3 Aug., for singularem.   § 37. 1 L. Sp., for agrece. 2 Aug., for uocantur.   3 OS. ; analogia Mue., with G ; for analoga.   §38. 1 C. F. W. Mueller, for simile. 2 Aug., for  similitudine.     § 36. a Because of the difference in number.   § 37. a As in mathematics, two ratios of equal value make  a proportion.   § 38. a In the comedy of Plautus.  562     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 36-38     compared with another, is either like or unlike ; and  often the words are different but the relation is the  same, and sometimes the relation is different but the  words are the same. The same relation which is in  amor ' love * and dative amort is in dolor 1 pain ' and  dative dolori, but not in dolor and accusative dolorem.  The same relation which is in amor and genitive  amoris is in plural amores and genitive amorum ; and  yet, because the subject-matter in it is not compared  as it should be, a this relation cannot of itself effect  Regularities, on account of the differences in the  forms of the spoken word, because a singular word  has been associated with a plural. So, when it is by  a proportionate likeness that the word has the same  relation, then and not until then does this relation  achieve what is demanded by Analogia or Regularity ;  of which I shall speak next.   III. 37. There follows the third topic : What is  Ratio or Relation that is pro portione ' by proportionate  likeness ' ? This is in Greek called 4 according to  logos * ; and from analogue the term Analogia or  Regularity is derived. If there are two things of the  same class which belong to some relation though in  some respect unlike each other, and if alongside  these two things two other things which have the same  relation are placed, then because the two sets of  words belong to the same logos each one is said  separately to be an analogue and the comparison of  the four constitutes an Analogia,   38. For it is as in a matter of twins : when we say  that the one Menaechmus is like the other Menaech-  mus, a we are speaking of one only ; but when we say  that a likeness is present in them, we are speaking of  both. So, when we say that a copper as has the same   563     VARRO     semissem quam habet in argento 3 libella ad simbeli&mf  quid sit dvdXoyov ostendimus ; cum utrubique dici-  mus et in aere et in argento esse eandem rationem,  turn dicimus de analogia.   39. Ut sodalis et sodalitas, civis et civitas non est  idem, sed utrumque ab eodem ac coniunctum, sic  dvdXoyov et dvakoyta idem non est, sed item est con-  generatum. Quare si homines sustuleris, sodalis  sustuleris ; si sodalis, sodalitatem : sic item si sus-  tuleris Xoyov, sustuleris dvdXoyov ; si id, dvaXoytav.   40. Quae cum inter se tanta sint cognatione, de-  bebis suptilius audire quam dici expectare, id est cum  dixero quid de utroque et erit co(m)mune, (ne) 1  expectes, dum ego in scribendo transferam in re-  liquum, sed ut potius tu persequare ammo.   41. Haec fiunt in dissimilibus rebus, ut in numeris  si contuleris cum uno duo, sic cum decern viginti :  nam (quam) 1 rationem duo ad unum habent, eandem  habent viginti ad decern ; in nummis in similibus sic  est ad unum victoriatum denarius, si(cut) 2 ad alterum  victoriatum alter denarius ; sic item in aliis rebus  omnibus pro portione dicuntur ea, in quo est sic  quadruplex natura, ut in progenie vois ' nature ' as an originating or  moving power. * Properly, of sounds.   § 56. ° Principia are the singular forms, in whichever  direction the argument is carried ; but perhaps quam in  singular} should be inserted between ordiri and quod.  b Because the B and the C ending the stems can be seen in the     deleted      repeated from above. to two, should the conclusion be drawn that in teach-  ing the later thing cannot be the clearer, for the  purpose of beginning from it, to show what the prior  thing is. Therefore even those who deal with the  nature of the universe and are on this account called  physici a ' natural philosophers,' proceed from nature  as a whole and show by backward reasoning from the  later things, what the beginnings of the world were.  Though speech consists of letters, 6 it is nevertheless  from speech that the grammarians start in order to  show the nature of the letters.   56. Therefore in the explanation, since one ought  rather to set out from that which is clearer than  from that which is prior, and rather from the un-  corrupted than from a corrupt original, from the  nature of things rather than from the fancy of men,  and since these three factors which are more to be  followed are less present in the singulars than in the  plurals, one can more easily commence from the  plural than from the singular, because in the latter  as starting-points ° there is less of a basis for relation-  ship in the forming of words. That the singular  forms of words can be more easily interpreted from  plural forms than plural forms from the singular, is  shown by these words 6 : plural trabes * beams,* singular  trabs ; plural duces * leaders,' singular dux.   57. For we see that from the plural nominatives  trabes and duces the letter E of the last syllable has  been eliminated and thereby in the singular have been   plural, but cannot be inferred with certainty from the nomi-  native singular, especially if we read not trabs but traps  (Roth, Philol. xvii. 176, and Mueller's note to § 57), which  represents the actual pronunciation. Yet Varro wrote trabs  and not traps, according to Cassiodorus, Gram. Lat. vii.  159. 23 Keil.  lari factum esse trabs dux. Contra ex singularibus  non tam videmus quemadmodum facta sint ex B et S  trabs 1 et ex C et S du#. 2   58. Si mwl(t)itudinis 1 rectus casus forte figura  corrupta erit, id quod accidit raro, prius id corrigemus  quam inde ordiemur ; (ab) 2 obliquis adsumere  oportetf 3 figuras eas quae non erunt ambiguae, sive  singulares sive multitudims, 4 ex quibus id, cuius modi  debent esse, perspici possit. 5   59. Nam nonnunquam alterum ex altero videtur,  ut Chn/sippus scribit, quemadmodum pater ex filio  et filius ex patre, neque minus in fornicibus propter  sinistram dextra stat quam propter dextraw 1 sinistra.  Quapropter et ex rectis casibus obliqui et ex obliquis  recti et ex singularibus multitudims 2 et ex multi-  tudinis singulares nonnunquam recuperari possunt.   60. Principium id potissimum sequi debemus, ut  in eo fundamentum sit 1 natura, quod in declina-  tionibus ibi facilior ratio. Facile est enim animad-  vertere, peccatum magis cadere posse in impositiones  eas quae fiunt plerumque in rectis casibus singulari-  bus, quod homines imperiti et dispersi vocabula rebus  imponunt, quocumque eos libido invitavit : natura   § 57. 1 Aug.,, for trabes. 2 Aug., for duces.   § 58. 1 si multitudinis Mue.,for similitudinis. 2 Added  by Canal. 3 L. Sp., for oportere. 4 Aug., for multi-  tudines. 5 Sciop.,for possint.   §59. 1 Laetu s, for dextras. 2 Vertranhis, for multitu-  dines.   § 60. 1 After sit, L. Sp. deleted in.     § 59. a Frag. 1 55 von Arnim.  made the nominatives trabs and dux. But on the  other hand, if we start from the singulars we do not  so easily see how they have become trabs, from B  and S, and dux, from C and S.   58. If the nominative plural is by any chance a  corrupted form, which rarely occurs, we shall correct  this before we make it our starting-point ; it is proper  to take from the oblique cases, either singular or  plural, some forms which are not ambiguous, from  which can be seen the make-up which the other forms  ought to have.   59- For sometimes the one is seen from the other  and at other times the other is seen from the one, as  Chrysippus writes, as the father s qualities may be  seen from the son, and the son's from the father, and  in arches the right-hand side stands on account of the  left-hand side, no less than the left on account of  theright. Therefore the oblique forms can sometimes  be regained from the nominatives, and sometimes the  nominatives from the oblique forms ; sometimes the  plural from the singular forms, and sometimes the  singular forms from the plural.   60. The principle that we should most of all follow,  is that in this the foundation be nature, because in  nature a there is the easier relationship in inflections.  For it is easy to note that error can more easily make  its way into those impositions b which are mostly  made in the nominative singular, because men, being  unskilled and scattered/ set names on things just as  their fancy has impelled them ; but nature d is of   § 60. a Rather than in voluntas. b Or imposed word-  names, characterized by voluntas, e For this point of the  Stoic philosophy, cf. Cicero, de Inventione, i. 2. d The  quality underlying the paradigms. incorrupta plerumque est suapte sponte, nisi qui  earn usu inscio deprava&it.   61. Quarc si quis principium analogiae potius  posuerit in naturalibus casibus quam in (im)positiciis, 1  non multa 2 (inconcinna) 3 in consuetudine occurrent  et a natura libido humana corrigetur, non a libidine  natura, quod qui impositionem sequi voluerint  facient contra. 4   62. Sin ab singulari quis potius proficisci volet,  inift'um 1 facere oportebit ab sexto casu, qui est pro-  prius Latinus : nam eius casuis 2 litterarum dis-  criminibus facilius reliquorum varietate(m) 3 discer-  nere poterit, quod ei habent exitus aut in A, ut hac  terra, aut in E, ut hac lance, aut in I, ut hac (c)lavi, 4  aut in O, ut hoc caelo, aut in U, ut hoc versu. Igitur  ad demonstrandas declinationes biceps v?a 5 haec.   63. Sed quoniam ubi analogia, tria, 1 unum quod  in rebus, alterum 2 quod in vocibus, tertium quod in  utroque, duo priora simplicia, tertium duplex, ani-  madvertendum haec quam inter se habeant rationem.   64-. Primum ea quae sunt discrimina in rebus,  partim sunt quae ad orationem non attineant, partim  quae pertineant. Non pertinent ut ea quae obser-  vant in aedificiis et signis faciendis ceterisque rebus   §61. 1 L. Sp. ; in impositivis Aug.; for in positiciis.  2 Aug., for multae. 3 Added by Christ. 4 Aug., for  contraria.   § 62. 1 Groth, for inillum. 2 A. Sp. ; cassuis Mue. ;  for casus his. 3 Aug., for uarietate. 4 Groth^for leui;  cf Varro, R. R. i. 22. 6. 5 Canal, for una.   § 63. 1 Aldus, for atria. 2 alterum is repeated in F.   e By making wrongly inflected forms.   § 62. a The name 4 ablative ' had not come into use in  580     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 60-64     itself for the most part uncorrupted, unless somebody  perverts it by ignorant use.*   61. Therefore, if one has founded the principle  of Regularity on the natural cases rather than on the  imposed case-forms, not many awkwardnesses will be  his to face in usage ; human fancifulness will be cor-  rected by nature, and not nature by fancy, because  those who have wished to follow imposition will in  reality act in the opposite way.   62. But if one should prefer to start from the  singular, he ought to start from the sixth case, a which  is a case peculiar to Latin ; for by the differences in the  letters b of this case-form he will be more easily able to  discern the variation in the remaining cases, because  the ablative forms end either in A, like terra * earth,*  or in E, c like lance ' platter,' or in I, like clavi ' key/  or in O, like caelo * sky,' or in U, like versu ' verse.'  Therefore, for the explaining of the declensions, there  is this way, which may proceed from either of two  starting-points.   63. But where there is Regularity, there are three  factors, one which is in the things, a second which is  in the spoken words, a third which is in both ; the first  two are simple, the third is twofold. In view of this,  attention must be given to the relation which they  have to one another.   64% First, of the differences which exist in the  things, there are some which have no bearing on  speech, others which are connected with it. Those  which are not connected with it are like those which  the artificers observe in making buildings and statues   Varro's time. b That is, the endings. e Varro does not  list separately the ablative of the fifth declension, ending in  long E.   581     VARRO     artifices, e quis vocantur aliac Aarmonicae, sic item  aliae nominibus aliis : scd nulla harum fit (in) 1  loquendo pars. 2   65. Ad orationem quae pertinent, res eae sunt  quae verbis dicuntur pro portione neque a similitudine  quoque vocum declinatus habent, ut Iupiter Mars-  piter, Iovi Marti. Haec enim genere 1 nominum et  numero et casibus similia sunt inter se, quod utraque  et nomina sunt et virilia sunt et singularia et casu  nominandi et dandi.   66. Alterum genus vocale est, in quo voces modo  sunt pro portione similes, non res, ut biga bigae,  nuptia nuptiae : neque enim in his res singularis  subest una, cum dicitur biga quadriga, neque ab his  vocibus quae declinata sunt, multitudinis significant  quicquam, id 1 quod omnia multitudinis quae decli-  nantur ab uno, ut a merula merulae : sunt (enim) 2  eius modi, ut singulari subiungatur, sic merulae duae,  catulae tres, faculae quattuor.   67. Quare cum idem non possit subiungi, quod 1  (non) 2 dicimus biga una, 3 quadrigae duae, nuptiae  tres, scd pro eo unae bigae, binae quadrigae, trinae  nuptiae, apparet non esse a biga et quadriga 4 bigae  et quadrigae, sed ut est huius ordinis una 5 duae tres   § 64. 1 Added by L. Sp. 2 Sentence division of Boot.   § 65. 1 Mue.,for genera.   § 66. 1 Fay, for ideo. 2 Added by Fay,   §67. 1 Sciop., for cum. 2 Added by Sciop. 3 L.  Sp. ; una b\g&Sciop. ; for bigae unae. 4 After quadriga,  L. Sp. deleted et. 5 Aug., for unae.   § 65. ° The unlikeness is in the forms of the nominative ;  but both words denote male deities.   § 66. a The two words belong to the same declension and  both lack the singular forms ; but the objects denoted are  entirely unlike.  582     ON THE LATIN LANGUAGE, X. 64-67     and other things, of which some are called harmonic,  and others are called by other names ; but no one of  these becomes an element in speaking.   65. The differences which pertain to speech,  consist of those things which are expressed by the  words in a proportionate way, and yet do not have a  likeness of the spoken words also to help in forming  the inflections : such as nominative Iupiter and  Marspiter, dative Iovi and Marti. a For these are like  one another in the gender of the nouns, and in the  number, and in the cases ; because both are nouns,  and are masculine, and singular, and nominative and  dative in case.   66. The second kind has to do with the sounds,  in which the spoken words only are similar in  a proportionate way — and not the things — as in  biga and bigae, nuptia and nuptiae. a For in these  there is no underlying unit thing expressed by  the singular when we say biga or quadriga, nor  have the plural forms which are derived from these  words any plural meaning. Yet all plurals which  are derived from a unit singular, like merulae from  merula ' blackbird,' do have such plural meaning ;  for they are of such a sort that there is subordina-  tion to a singular form : thus two merulae * black-  birds,' three catulae 1 female puppies,' four Jaculae  ' torches/   67. Therefore since there cannot be the same sub-  ordinating relation because we do not say una biga,  duae quadrigae, ires nuptiae, but instead unae bigae  ' one two-horse team/ binae quadrigae ' two teams of  four horses/ trinae nuptiae ' three sets of nuptials,' it is  clear that bigae and quadrigae are not from biga and  quadriga, but belong to another series : the usual   583     VARRO     princip(i)um una, sic in hoc ordine altero unae binae  trinae principium est unae.   68. Tertium genus est illud duplex quod dixi, in  quo ct res et voces similiter pro portione dicuntur ut  bonus malus, boni mali, de quorum analogia et Ari-  stophanes et alii scripserunt. Etenim haec denique  perfecta ut in oratione, illae duac simplices inchoatae  analogiae, de quibus tamen separatim dicam, quod  his quoque utimur in loquendo.   69- Sed prius de perfecta, in qua et res et voces  quadam similitudine continentur, cuius genera sunt  tria : unum vernaculum ac domi natum, alterum  adventicium, tertium nothum ex peregrino hie natum.  Vernaculum est ut sutor et pistor, sutori pistori ;  adventicium est ut Hectores Nes tores, Hectoras  Nestoras ; tertium ilium nothum ut Achilles et Peles.   70. De (his primo) 1 genere multi utuntur non  modo poetae, sed etiam plerique omnes qui soluta  oratione loquuntur. Haec primo 2 dicebant ut quaes-  torem praetorem, sic Hectorem Nestorem : itaque  Ennius ait :   Hectoris natum de mnro iactari and  lavo ' I wash,' perf. lavi, d pungo ' I prick/ perf.  pupugi, tundo 1 1 pound/ perf. tutudi t e and pingo * I  paint/ perf. pinxi. (7) And although/' he con-  tinues, " from ceno ' I dine * and prandeo ' I lunch '  and poto * I drink * we form the perfects cenatus sum,  pransus sum, and potus sum, f yet from destringor * I  scrape myself and extergeor * I wipe myself dry *  and lavor ' I bathe myself we make the perfects  destrinxi * I am scraped * and extersi ' I am dried *  and lavi ' I have had a bath.'* 7   (8) " Furthermore, although from Oscus ' Oscan/  Tuscus * Etruscan/ and Graecus ' Greek ' we derive  the adverbs Osce ' in Oscan/ Tusce * in Etruscan/   9 Active perfects of passive verbs, yet with passive (intransi-  tive, reflexive) meaning : this meaning of the perfect lavi is  regular in Plautus, but is nowhere attested for destrinxi and  extersi.   601     VARRO     Osce Tusce Graece, a Gallo tamen et Mauro Gallice  et Maurice dicimus ; item a probus probe, a doctus  docte, sed a rarus non dicitur rare, sed alii raro dicunt,  alii rarenter."   (9) Idem M. Varro in eodem libro : " Sentior,"  inquit, " nemo dicit et id per se nihil est, adsentior  tamen fere omnes dicunt. Sisenna unus adsentio  in senatu dicebat et eum postea multi secuti, neque  tamen vincere consuetudinem potuerunt."   (10) Sed idem Varro in aliis libris multa pro dva-  Xoyia. tuenda scribit.   Librorum XI-XXIV Fragmenta  XI   Fr. 6. 1 Et ubi auctoritas maiorum genus tibi non de-  monstraverit, quid ibi faciendum est ? Scripsit Varro  ad Ciceronem : " Potestatis nostrae est illis rebus  dare genera, quae ex natura genus non habent."   Fr. 7a. 1 Nunc de generibus dicamus. Varro dicit  " genera dicta a generando. Quicquid enim gignit  aut gignitur, hoc potest genus dici et genus facere."   Fr. 6. 1 Julianus Toletanus, Commentarius in Donatum>  v. 318. 31-34 Keil.   Fr. 7. 1 [Sergii] Explanat. in Donation, iv. 492. 37-493. 3  Keil.     h Charisius, i. 217. 8 Keil, cites rare as used by Cicero,  Cato, and Plautus (Budens 995) ; but editors usually replace  it by raro. * That is, not a deponent unless compounded ;  even in a passive meaning, the passive form of the un-  compounded verb is rare, though occasionally found, as in  Caesar, Bellum Civile i. 67 (sentiretur), where it is however  impersonal. > Notably in ix.  and Graece * in Greek/ yet from G alius ' Gaul * and  Maurus * Moor ' we have Gallice 1 in Gallic ' and  Maurice ' in Moorish ' ; also from probus * honest '  comes probe ' honestly/ from doctus * learned ' docte  ' learnedly/ but from rarus * rare ' there is no  adverb rare, but some say raro, others rarenter" h   (9) In the same book Varro goes on to say : " No  one uses the passive sentior* and that form by itself is  naught, but almost every one says adsentior 1 1 agree/  Sisenna alone used to say adsentio in the senate, and  later many followed his example, yet could not  prevail over usage."   (10) But this same Varro in other books 3 wrote a  great deal in defence of Regularity.   Fragments of Books XI -XX IV a  XI   Fr. 6. Where the authority of our ancestors has not  shown you the gender of a word, what in this instance  must be done ? Varro wrote, in the treatise addressed  to Cicero : " We men have the right and power to  give genders to the names of those things which by  nature have no gender." °   Fr. 7a. Now let us speak of genders. Varro says :  " Genera * genders ' are named from generare 1 to  generate.' For whatever gignit * begets * or gignitur  * is begotten/ that can be called a genus and can   XI.-XXIV. a On Books XI.-XIIL, see also vii. 110, viii.2,  20, 34, x. 33 ; and on Books XIV.-XXV., see vii. 110.   Fr. 6. ° Varro uses genus both for grammatical gender  and for natural sex ; each is a * kind ' or 4 class/ cf. Frag. 7,  note a.   603     VARRO     Quod si verum est, nulla potest res integrum genus  habere nisi masculinum et femininum.   Fr. 7b. 2 Tractat de generibus. Varro ait " genera  tantum ilia esse quae generant : ilia proprie dicuntur  genera." Quodsi sequemur auctoritatem ipsius, non  erunt genera nisi duo, masculinum et femininum.  Nulla enim genera creare possunt nisi haec duo.   Fr. 8. 1 Ostrea 2 si primae declinationis fuerit, sicut  Musa, feminino genere declinabitur, ut ad animaZ 3  referamus ; si 4 ad testam, ostreum 5 dicendum est  neutro genere et ad secundam declinationem, ut sit  huius ostrei, huic ostreo, 6 quia dicit 7 Varro " nullam  rem animalem neutro genere declinari."   Fr. 9- 1 Ait Plinius Secundus secutus Varronem :  " Quando dubitamus principale genus, redeamus ad  diminutionem, et ex diminutivo cognoscimus princi-  pale genus. Puta arbor ignoro cuius generis sit :  fac diminutivum arbuscula, ecce hinc intellegis et  principale genus quale sit. Item si dicas columna,   2 Pompeius, Commentum Artis Donati, v. 159. 23-26 Keil.   Fr. 8. 1 Cledonius, Ars Grammatica, v. 41. 24-28 Keil.  2 For ostria. 3 Keil, for animam. 4 For sic. 5 For  ostrium. 6 Keil, for sicui ostri. 7 For dicitur.   Fr. 9. 1 Pompeius, Commentum Artis Donati, v. 164. 13-  18 Keil.     Fr. 7. The root gen- lies at the basis of all these words ;  but genus has the weakened meaning * kind, class,* from  which the idea of * begetting ' has faded out. 6 Donatus,  the eminent grammarian who flourished about 350 a.d.  c That is, ' kinds ' ; cf Frag. 6, note a.   Ft. 8. This distinction is not borne out by the use of the  words in the Latin authors. 6 Almost precisely true for  Latin, though there are many exceptions in Greek and in the  Germanic languages (cf tIkvov, German das Kind, and the  neuter diminutives in -iqv, -chen, -lein). , 7a-9     produce a genus" a If this is true, then the genus  that a thing has is not perfect unless it is masculine  or feminine.   Fr. 7b. He 6 treats of genders. Varro says : " Only  those are genera * genders ' which generant ' generate ' ;  those are properly called genera.* 1 But if we follow  his authority, there will be only two genders, mascu-  line and feminine. For no genders e can procreate  except these two.   Fr. 8. If ostrea 'oyster* is of the first declension,  like Musa 4 Muse,* it will be declined in the feminine  gender, so that we refer the word to the liying being ;  if we use it for the shell, then the word must be  ostreum, inflected in the neuter and according to  the second declension, so that it is genitive ostrei,  dative ostreo a : because Varro says : " No living  creature has a name which is inflected in the neuter  gender." 6   Fr. 9- Plinius Secundus a says, following Varro :  " When we are in doubt about the gender of a main  word, let us turn to the diminutive form, and from  the diminutive we learn the gender of the main word. 6  Suppose that I do not know the gender of arbor  1 tree ' ; form the diminutive arbuscula, and lo !  from this you observe as well the gender of the word  from which it comes. Again, if you say, What is the   Fr. 9. a This and subsequent citations from Pliny are  taken from the Elder Pliny's Dubitts Sermo, a work in eight  books, mentioned by the Younger Pliny, Epist. Ui. 5. 5.  6 Diminutives have in Latin the gender of the words from  which they are derived; the exceptions are very few. In  Greek and in the Germanic languages, however, diminutives  are commonly neuter without regard to their primitives ; cf.  Frag. 8, note 6.   605     VARRO     cuius generis est ? facis inde diminutivum, id est  columella, et inde intellegis quoniam principale  feminini generis est."   Fr. 10. 1 " Jiypocorismata semper generibus suis  und(e oriuntur consonant, pauca dissonant, velut  haec rana) hie ranunculus, hie ung(u)is haec ungula,  h(oc glandium haec glandula, hie panis hie pastillus  et) hoc pastillum," ut Varro dixit : " haec beta hie  betace(us, haec malva hie malvaceus), hoc pistrinum  haec pistrilla, ut Terentius in Ad(elphis, hie ensis  haec ensicula et hie ensiculus) : sic in Rudente  Plautus."   Fr. II. 1 Dies communis generis est. Qui mascu-  lino genere dicendum putaverunt, has causas reddi-  derunt, quod dies festos auctores dixerunt, non festas,  et 2 quartum et quintum Kalendas, non quartam nec  quintam, et cum hodie dicimus, nihil aliud quam hoc  die intelligstur. 3 Qui vero feminino, catholico utun-  tur, quod ablativo casu E non nisi producta finiatur,   Fr. 10. 1 Charisius, Instit, Gram, i. 37. 13-18 Keil, The  right-hand edge of the manuscript is destroyed, but the restora-  tions are made with certainty from almost verbatim repetitions  Charisius i. 90. 10-12, 155. 14-17, 535. 21-25, 551. 36-38 Keil,  in which Varro is not mentioned as the source. Hie pastillus,  required by the space, was added by Keil from i. 90. 11, i.  94. 4.   Fr. 11. 1 Charisius, Instit, Gram, i. 110. 8-16 KeiL  2 For ut. 3 For intellegatur.     Fr. 10. ° As substantive, for pes betaceus : but betaceus is  an adjective, not a diminutive. 6 Also an adjective ; its  application as substantive is not known. c Adelphoe 584.  «Rudens 1156-1157.   Fr. 11. a Dies was by origin a masculine; in Latin,  because it was declined like the feminines of the fifth de-  clension, possibly also because its counterpart nox was   606     FRAGMENTS, 9-H     gender of columna ' column * ?, make from it the  diminutive, that is, columella, and therefrom you  understand that the word from which it comes is of the  feminine gender."   Fr. 10. " Diminutives always agree in gender  with the words from which they come : a few differ,  such as fern, rana ' frog,' diminutive masc. ranunculus  'tadpole'; masc. unguis 'nail (of finger or toe), 1 fern.  ungula ' hoof, talon ' ; neut. glandium ' kernel of  pork fem. glandula * tonsil * ; masc. panis 4 loaf  of bread,' masc. pastillus and neut. pastillum ' roll,' "  as Varro said ; " fem. beta ' beet,' masc. betaceus °   * beet-root'; fem. malva 'mallow,' masc. malvaceus h   * mallow-like vegetable ' ; neut. pistrinum ' pound-  ing-mill,' fem. pistrilla ' small mill,* as Terence says  in The Brothers e ; masc. ensis ' sword,' fem. ensicula  and masc. ensiculus ' toy-sword ' : so Plautus in The  Rope* "   Fr. 1 1 . Dies ' day * is of common gender. Those  who thought that it must be used as a masculine,  offered these reasons : that their authorities said dies  festi 'holidays,* with the masculine adjective, not the  fem. festae ; that they said the fourth and the fifth day  before the Kalends, 6 with the masculine and not the  feminine form of the adjective ; and that when we  say hodie * to-day,' it is understood as hoc die 'on this  day,' with the masculine article,* 5 and nothing else.  On the other hand, those who regard dies as feminine,  use the general argument, that in the ablative the   feminine, it acquired use as a feminine in some meanings.  6 Full phrase : ante diem quartum (quintum) Kalendas.  e The demonstrative was an * article/ in the grammatical  terminology of the Romans ; cf. viii. 45.     607     VARRO     et quod deminutio eius diecula sit, non dieculus, ut  ait Terentius :   Quod tibi addo dieculam.   Varro autem distinxit, ut A masculino genere unius  diei cursum significare(t), feminino autem temporis  spatium ; quod nemo servavit.   Fr. 12. A Catinus masculino genere dicitur . . . et  hinc deminutive catillus fit. . . . Sed Varro ad  Ciceroncm XI " catinuli " dixit, non catilli.   Fr. 13. 1 Naevus generis neutri, sed Varro ad  Ciceronem " hie naevus."   Fr. 14a. 1 Antiquissimi tamen et hie gausapes et  haec gausapa et hoc gausape et plurale neutri haec  gausapa quasi a nominativo hoc gausapum protulisse  inveniuntur, . . . Varro vero de Lingua Latina-ait,  " talia ex Graeco sumpta ex masculino in femininum  transire et A litera finiri : 6 Ko\^ta unless the genitive is identical with the nomina-  tive, when the ablative ends in i ; an adjective also has the  ablative in i if it stands before a noun which it modifies. The  scientific formulation is that consonant-stems should have  short e in the ablative, and t-stems should have long % : a  status much disturbed by the encroachment of the ^-ending  on the t-ending. c Not all these should, by the ' rule,'  end in i ; for carbo, falx, mons,fons t pons, teges do not have  identical nom. and gen. ; and the nom. of asse is as, very  rarely assis. As to the actual forms of the ablative, igni is  commoner than igne ; orbi, turri,frni, strigili, avi, axi, navi\  said and wrote senatuis, domuis, and jluctuis as the  genitive case of the words senatus ' senate,' domus  ' house,' and Jluctus * wave,* and used senatui, domui,  fiuctui as the dative ; and that they used other simi-  lar words with the corresponding endings.   Fr. 18. Amni was used by Vergil a as ablative of  amnis * river,* as in   He drifts with the stream of the river.   On this point, Pliny in the same book says : " By the  old writers, whom Varro criticizes adversely, all  observance of the rule 6 is disregarded, yet not  utterly. For we still say," says he, " canali ' canal,*  stti ' thirst,' tussi * cough,' febri ' fever * as the abla-  tive forms. But in most words the form has been  changed, and uses the ablative which ends in E :  cane ' dog,' orbe 1 circle,' carbone ' charcoal,* iurre   * tower,' falce ' sickle,' igne ' fire,' teste * garment,'  fine * limit,' monte * mountain,* fonie * spring,* ponte   * bridge,* sirigile * scraper,* tegeie ' mat,' ave ' bird,'  asse ' as,' axe * axle,' nave ' ship,' classe * fleet.' " c   Fr. 19. Varro, whom Pliny mentions as having  said, in the eleventh book of his treatise addressed to  Cicero " a plantation of trees set in rows rare a 1 in  the country.' "   Fr. 20. Fonteis * springs,' accusative plural spelled  with EIS : " The nouns which gain an I in the genitive  plural before the ending UM," says Pliny, " have the   classi are found in authors of the first century b.c, but are  less common than the forms with e, or are used to satisfy  metrical requirements ; ponti is found once in older Latin ;  monti and fonti are cited by Varro, ix. 112.   Fr. 19. Instead of the usual locative form ruri. accusativus," inquit Plinius, " per EIS loquetur,  montium monteis ; licet Varro," inquit, " exemplis  hanc regulam confutare temptarit istius modi, falcium  falces, non falceis facit, nec has merceis, nec hos axeis  lmtreis ventreis stirpeis urbeis cor&eis 3 vecteis men-  teis. 4 Et tamen manus dat praemissae regulae  ridicule, ut exceptis his nominibus valeat regula."   Fr. 21. 1 Poematorum et in II et in III idem Varro  adsidue dicit et his poematis, tarn quam nominativo  hoc poematum sit et non hoc poema. Nam et ad  Ciceronem XI, horum poematorum et his poematis  oportere dici.   Fr. 22. 1 Git : Varro ad Ciceronem XI per omnes  casus id nomen ire dcberc conmeminit ; vulgo autem  hoc gitti dicunt.   XIII   Fr. 23. 1 Palpetras per T Varro ad Ciceronem  XIII dixit. Sed Fabianus de Animalibus primo pal-  pebras per B. Alii dicunt palpetras genas, palpebras  autem ipsos pilos.   3 For curueis. 4 GS. t for inepteis, cf. viii. 67.   Fr. 21. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 141. 29-31 Keil.  Fr. 22. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 131. 7-8 Keil.  Fr. 23. 1 Ckarishts, Inst. Gram. i. 105. 14-16 Keil.     Fr. 20. ° This EI does not represent an earlier diphthong,  but was often written for a long i after the original diphthong  had become identical in sound with the long i. There are  scattered examples of the ending EIS in the accusative, found  in inscriptions and manuscripts.  614     FRAGMENTS, 20-23     accusative in EIS, a like genitive montium * mountains,'  accusative monteis ; although Varro," he continues,  " tried to refute this rule by examples of the following  sort : to the genitive fold urn ' sickles * the accusative  is folces and not folceis, nor is the proper spelling  merceis 1 wares,* nor axeis * axles/ lintreis ' skiffs,*  ventreis * bellies/ stirpeis * stocks/ urbeis ' cities/  corbeis * baskets/ vecteis * levers/ menteis * minds.'  And yet he gives up the fight against the aforesaid  rule in a ridiculous fashion, saying that apart from  these nouns the rule holds."   Fr. 21. In the second and the third books Varro  constantly uses the genitive poematorum * poems * and  the dative poematis, as though the word were poema-  tum in the nominative and not poema. For in the  eleventh book of the treatise addressed to Cicero he  says that genitive poematorum and dative poematis are  the proper forms to be used.   Fr. 22. Git * fennel ' a : Varro in the eleventh  book of the treatise addressed to Cicero states that  this form ought to be used in all the cases ; but  people quite commonly say gitti in the ablative.   XIII   Fr. 23. Varro in the thirteenth book of the treatise  addressed to Cicero used palpetrae, with T. But  Fabianus, a in the first book On Animals, wrote palpe-  brae with B. Others say that palpetrae means the  eyelids, and palpebrae the eyelashes.   Fr. 22. a Xigella sativa.   Fr. 23. ° Papirius Fabianus, who wrote on philosophy  and on natural history in the time of Augustus.   615     VARRO     Fr. 24. 1 Oxo : " Varro ad Ciceronem XIII olivo  et oxo putat fieri/' inquit Plinius Sermonis Dubii  libro VI.   XVIII   Fr. 25. 1 Indiscriminatim, indiflferenter. Varro de  Lingua Latina lib. XVIII : " Quibus nos in hoc libro,  proinde ut nihil intersit, utemur indiscriminatim,  promisee."   XXII   Fr. 26. 1 Rure Terentius in Eunucho :   Ex meo propinquo rure hoc capio commodi.  Itaque et Varro ad Ciceronem XXII " rure veni."   XXIII   Fr. 27. 1 Varro ad Ciceronem in libro XXIII :  " ingluvies tori," inquit, " sunt circa gulam, qui  propter pinguedinem fiunt atque interiectas habent  rugas." Sed nunc pro gula positum.   Fr. 24. 1 Charisins, Inst. Gram. i. 139. 15-16 Keil.  Fr. 25. 1 Nonius Marcellus, de Compendiosa Doctrina,  127. 24-26 M.   Fr. 26. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 142. 18-20 Keil,  Fr. 27. 1 Serv. Dan, in Georg. iii. 431.     Fr. 24. a Antecedent unknown. b Greek 6£os (neuter,  third decl.), denoting sour wine, and vinegar made therefrom.  Fr. 25. Antecedent unknown.   Fr. 26. a 971. b These are examples of rure as a pure  ablative. The continuation is our Fragment 19, in which  examples of rure as a locative are discussed.   Fr. 27. « That is, double chins.  616     FRAGMENTS, 24-27     Fr. 24. Ojco, ablative : " Varro, in the thirteenth  book of the treatise addressed to Cicero, expresses  the opinion that it a is composed of olive-oil and oxos b  * vinegar/ " says Pliny in the sixth book of the treatise  entitled Variations in Speech.     XVIII   Fr. 25. Indiscriminaiim means ' without differ-  ence.' Varro in the eighteenth book of the treatise  On the Latin Language says : " Which a in this book  we shall use indiscriminatim 1 without distinction/  promiscuously, just as if there were no difference  between them."   XXII   Fr. 26. The ablative rure is used by Terence in  the Eunuchus a :   I get this comfort from my near-by country-seat.   So also Varro, in the twenty-second book of the  treatise addressed to Cicero, says : " I have come  rure * from the country/ " 6   XXIII   Fr. 27. Varro, in the twenty- third book of the  treatise addressed to Cicero, says : " The ingluvies is  the bulging muscles around the throat, which are  produced by fatness and have creases between  them/* a But now the word is used merely for the  throat.     617     VARRO     Fr. 28. 1 (1) Cum in disciplinas dialecticas induci  atque imbui vellemus, necessus fuit adire atque  cognoscere quas vocant dialectici €itrayu>yas. (2)  Turn, quia in primo 7repl a^tw/xarwv discendum, quae  M. Varro alias profata, alias proloquia appellat, Com-  mentarium de Proloquiis L. Aelii, docti hominis, qui  magister Varronis fuit, studiose quaesivimus eumque  in Pacis Bibliotheca repertum legimus. (3) Sed in  eo nihil edocenter neque ad instituendum explanate  scriptum est, fecisseque videtur eum librum Aelius  sui magis admonendi quam aliorum docendi gratia.   (4) Redimus igitur necessario ad Graecos libros.  Ex quibus accepimus a£ta>/jta esse his verbis (defini-  tum) : XtKTuv avroreXh diro^avTov ovov etf> avra>.  (5) Hoc ego supersedi vertere, quia no vis et incon-  ditis vocibus ntendum fuit, quas pati aures per inso-  lentiam vix possent. (6) Sed M. Varro in libro de  Lingua Latina ad Ciceronem quarto vicesimo ex-  peditissime ita finit : " Proloquium est sententia in  qua nihil desideratur."   (7) Erit autem planius quid istud sit, si exemplum  eius dixerimus. 'A^tw/xa igitur, sive id proloquium  dicere placet, huiuscemodi est : Hannibal Poenus  fuit ; Scipio Numantiam delevit ; Milo caedis  damnatus est ; Neque bonum est voluptas neque  malum ; (8) et omnino quicquid ita dicitur plena  atque perfecta verborum sententia, ut id necesse sit  aut verum aut falsum esse, id a dialecticis d£«o/m   Fr. 28. 1 Aulas Gellius, Nodes Atticae, xvi. 8. 1-14 ;  Rolfe's text, in the Loeb Classical Library,     Fr. 28. a Rolfe's translation, in the Loeb Classical Library,  with modifications. b In Vespasian's Temple of Peace, in  the Forum Pacis. c Page 75 Funaioli.  618     FRAGMENTS, 28     Fr. 28. a (1) When I wished to be introduced to  the science of logic and instructed in it, it was neces-  sary to take up and learn what the logicians call  curaycoyac, or ' introductory exercises.' (2) Then  because at first I had to learn about axioms, which  Marcus Varro calls, now prof ata or ' propositions,' and  now proloqitia or ' forthright statements,' I sought  diligently for the Commentary on Proloquia of Lucius  Aelius, a learned man, who was the teacher of Varro ;  and finding it in the Library of Peace, 5 I read it.  (3) But I found in it nothing that was written to  instruct or to make the matter clear ; Aelius c seems to  have made that book rather as suggestions for his own  use than for the purpose of teaching others.   (4) I therefore of necessity returned to my Greek  books. From these I obtained this definition of an  axiom : " a proposition complete in itself, declared  with reference to itself only." (5) This I have for-  borne to turn into Latin, since it would have been  necessary to use new and as yet uncoined words, such  as, from their strangeness, the ear could hardly  endure. (6) But Marcus Varro, in the twenty-fourth  book of his treatise On the Latin Language, dedicated  to Cicero, thus defines the word very briefly : "A  proloquium is a statement in which nothing is lacking."   (7) But his definition will be clearer if I give an  example. An axiom, then, or a forthright state-  ment, if you prefer, is of this kind : " Hannibal was  a Carthaginian " ; 11 Scipio destroyed Numantia " ;  '* Milo was found guilty of murder " : " Pleasure is  neither a good nor an evil " ; (8) and in general any  saying which is a full and perfect thought, so expressed  in words that it is necessarily either true or false, is  called by the logicians an axiom ; by Marcus Varro, appellatum est, a M. Varrone, sicuti dixi, proloquium,  a M. autem Cicerone pronuntiatum, quo ille tamen  vocabulo tantisper uti se adtestatus est, " quoad  melius," inquit, " invenero."   (9) Sed quod Graeci crvvrjfxfxevov aftw^ta dicunt, id  alii nostrorum adiunctum, alii conexum dixerunt.  Id conexum tale est : Si Plato ambulat, Plato move-  tur ; Si dies est, sol super terras est. (10) Item quod  illi o-vfjLTreTrXeyfiei'ov, nos vel coniunctum vel copu-  latum dicimus, quod est eiusdemmodi : P. Scipio,  Pauli filius, et bis consul fuit et triumphavit et censura  functus est et collega in censura L. Mummi fuit.  (1 1) In omni autem coniuncto si unum est mendacium,  etiamsi cetera vera sunt, totum esse mendacium  dicitur. Nam si ad ea omnia quae de Scipione illo vera  dixi addidero Et Hannibalem in Africa superavit,  quod est falsum, universa quoque ilia quae coniuncte  dicta sunt, propter hoc unum quod falsum accesserit,  quia simul dicentur, vera non erunt.   (12) Est item aliud quod Graeci Siefrvy/itvov a£iw/xa,  nos disiunctum dicimus. Id huiuscemodi est : Aut  malum est voluptas aut bonum, aut neque bonum  neque malum est. (13) Omnia autem quae disiun-  guntur pugnantia esse inter sese oportet, eorumquc  opposita, quae dvriKd^va Graeci dicunt, ea quoque  ipsa inter se adversa esse. Ex omnibus quae dis-   d Tusc. Disp. i. 7. 14. * Two connected statements, of  which the second follows as the result of the first. f This  is the younger Africanus, who destroyed Carthage in 146 b.c;  it was the older Africanus who defeated Hannibal at Zama. FRAGMENTS as I have said, a proloquium or ' forthright state-  ment ' ; but by Marcus Cicero d a pronuntiatum  or * pronouncement/ a word however which he  declared that he used " only until I can find a better  one."   (9) But what the Greeks call a i-  charmus), S6 ; vi. 61 ; viL 35,  71, 101, 104 ; ix. 107   Epicurus, vi. 39   Euripides, vii. 82   Fasti, v. 84   Flaccus flamen Martialis, vi. 21  Fulvius, vi. 33   Glossae, Glossemata, vii. 10, 34, 107  Grammatici et similes, sine nomine   citati, v. 30, 34, 43, 49, 51, 53,   85, 120, 146, 147, 154, 157 ; vi.   7, 34, 96 ; vii. 10, 17, 34, 36, 46,   107 ; viii. 23, 44   llesiodus, v. 20 (Theogonia)  Homerus, vii. 74, 85  Hortensius, viii. 14 ; x. 78  Hypsicrates, v. SS   Iunius Brutus, v. 5, 42, 48, 55 ; vi.   33 bis, 95 (commentaria)  Iuventius, vi. 50 ; vii. 65, 104 note   Leges, vi. 60 ; v. Duodecim Tabulae  Leges privatae aedificiorum, v. 42  Lex mancipiorum, v. 163 ; vi. 74  Lex Plaetoria, vi. 5  Lex praediorum urbanorum, v. 27  Lex venditioni* fundi, ix. 104  Litterae antiquae, v. 143 ; vi. 33  Livius (poeta). v. 9 ; vii. 3  Lucilius, v. 17, 24, 44, 63, SO, 138  (Urbs); vi. 69; vii. 30, 32, 47  ter, 94, 96, 103 bis ; ix. 81  Lutatius, v. 150   Maccius, vii. 104 ; see Plautus  Manilius, vii. 10 bis, 17, 2S, 105  Manlius, v. 31  Matius, vii. 95, 96  Mimus, vi. 61   632     Mucius Scaevola pontifex, v. 5, 83 ;   vi. 30 ; vii. 105   Naevius, v. 43, 53, 153; vi. 70;   vii. 7, 23, 39, 51, 53 bis, 54 bis  (Cemetria, Romulus), 60 (Corol-  laria), 70 (Fretum), 92, 107  novies (Aesiona, Clastidium,  Dolus, Demetrius, Lampadio,  Xagido, Romulus, Stigmatias,  Technicus), 108 ter (Tarentilla,  Tunicularia, Bellum Punicum) ;  ix. 78 (Clastidium)   Nelei Carmen, v. Carmen Nelei   Opillus, v. Aurelius   Pacuvius, v. 7 Ur, 17 bis, 24, 60;  vi. 6 bis, 60 (Medus), 94 (Her-  miona) ; vii. 6 (Pertboea), 18, 22,  34 (Medus), 59, 76, 87, 88, 91,  102   Papinius(?), vii. 28(Epigrammation)   Parmeniscus, x. 10   Physici, v. 69 ; x. 55   Piso, v. 148, 149 (Annales), 165   (Annates)  Plato, vii. 37  Plautus :   Amph. vi. 6 ; vii. 50   Asin. vi. 7 ; vii. 79   Aid. v. 14, 108, 181 ; vii. 103   Bae. vii. 16   Cos. vii. 104, 106   Cist. v. 72 ; vii. 64 bis, 98, 99 bis   Cure. v. 146 ; vii. 60, 71   Epid. v. 131   Men. vii. 12, 54, 56, 93   Merc. vii. 60   Miles, v. 108 ; vii. 52, 86   Most. ix. 54   Persa, vl. 95 ; vii. 55   Poen. v. 6S ; vii. 52, 69, 8S note   Pseud, v. 10S ; vii. 81   Rud. F. 10   Stick, v. 68   Trin. vii. 57, 78   True vi. 11 ; vii. 70 ; ix. 106  Lost plays :   Astraba, vi. 73 ; vii. 66   Boeotia, vi. 89   Cesistio, vii. 67   Colax, vii. 105   Condalium, vii. 77     INDEX     Cornicuiaria, v. 153 ; vii. 52  Faenerairix, vii. 96  FrivoJaria, v. 80 ; vii 58  Fugitivi, vii 63  Aerro/aria, vii. 65, 68  Pagon, vii. 61  Parasitus piger, vii, 62, 77  SiteUUergus, vii. 66  Unnamed : vii. 38, 91, 103  Poetae sine nomine citati, v. 1, 88 ;   vi. 11, 60, 67, S3; vii. 52; v.   Comici, Mimus, Scaenici, Tra-   gici   Polybius, v. 113   Pompilius, vii. 93   Pontifices, v. 23, 9S   Porcius, v. 163 ; vii. 104   Priami Carmen, v. Carmen Priam i   Procilius, v. 148, 154   Pythagoras, v. 11 ; viL 17   Sacra vel Saerijicia Argeorum, v.  47-54 ; in aliquot sacris et sacel-  lis scriptum, vii 84 ; v. Athenis   Saliorum carmina, v. 110; vL 14,  49 ; vii. 2, 3 bis, 26, 27 ; ix. 61   Saturnii versus, vii. 36   Scaenici, vi 76     Scaevola, v. Mucins  Scenici, v. Scaenici  Scriptores antiqui Graeci, v. 123  Sergius, v. Commentarium  SibylHni libri, vi. 15  Sisenna, viii. 73, F. 5. 9  Sophron, v. 179  Sueius, vii 104 bis  Sulpicius, v. 40   Terentius: AdeL vi. 69; vii. 84,  F. 10   Tragici, vi. 67 bis, 72 ; vii. 23, 24,   25   Valerius So ran as, vii. 31, 65 ; x. 70  Varro :   Antiquitatum libri, vi 13, IS   De Aestuariis, ix. 26   De Poematis, vii 36; De Poet is,  vi 52   Epistulae, F. 14 c   Tribuum liber, v. 56  Vergilii commentarium Xaevi, vii 39  Volnius, v. 55   Zenon Citieus    A, viii. 68 ; ix. 3S, 52 ; A additum,  v. 97 ; A exitus, x. 62 ; A littera  finita, F. 14 a, F v 14 b ; A : E, vii.  94 ; AS : ES : IS : IS, ix. 109 ;  cf. E   abacus, ix. 46   abies, ix. 41   aborigines, v. 53   aboriuntur, v. 66   abrogatae, v. vetus   abscessit, vi. 3S   Acca Larentia, vi. 23 ; sepulcruin   Accae, vi. 24  accanit, vi. 75   accensus, v. 82 ; vi. 88, 89, 95 ; vii.  58   accessit, vi. 38   accipe, vii. 90   Acculeia, v. Curia   accusandi casus, viii. 66 ; accusati-  ve, viii. 67 ; v. casus   acetum (non aceta), ix. 66, 67   Acherusia templa, vii. 6   Achilles, x. 69   acquirere, vi. 79   acsitiosae, v. axitiosae   actio, v. 11, 12 ; vi. 41 ; actiones  tres, vi. 42 ; in actionibus, vi. 89,  vii. 93   actor, vi. 77; actores, v. 178, vi. 58,  x. 27   actus, v. 22, % 34, 35 ; actus numero-   rum, ix. 86-88  adagio, vii. 31  addici numo, vi. 61  addico, vi. 30   634     add ictus, vi. 61   additio litterarum, v. 6 ; v. I   addixit iudicium, vi. 61   adicere, v. litterae   adiectio (syllabarum), v. 6   adiunctum, F. 28. 9   artlocutum ire, vi. 57   adlucet, vi. 79   adminiculandi pars, viii. 44   administra, vii. 34 ; administros,   v. 91 ; cf. amminister  ad ilurciae, v. Circus  adsentior adsentio, F. 5. 9  adseque, vi. 73  adserere manu, vi. 64  adsiet, vi. 92   adventicium (genus similitudinis),   x. 69 ; adventicia (verba), x. 70  advocare, v. contio  adytum, v. 8   aedificia, v. 42, 141 ; viii. 29, 30 ; ix.  20 ; x. 64   aedilis, v. 81 ; v. Publicius   aedis aedes, v. 80, 160 ; vL 61 ;  vii.UO, 12 ; v. Aesculapii, cavum  aedium, Concordia, deus, Dius  Fidius, Iuno, Iupiter, Minerva,  Portunus, Quirinus, Romulus,  sacrae, Salus, Saturnus, Venus,  Vesta   aeditumus, v. 50, 52 ; viii. 61 ; aedi-   tuum non aeditumum, vii. 12  aedus, v. haedus  aeges, vii. 21  Aegeum fretum, vii. 22  aegrotus, v. 71 ; x. 46     INDEX     Aegyptiomm vocabula, viii 65   Aegyptus, v. 57, 79   Aelia, viii. SI   Aelius Sextus, vii 46   Aemilius -lii, etc., viii. 4 ; Aemilius   -ia, ix. 55 ; p. Basilica  aenea, v. vas  Aeneas, v. 144 ; vi 60  Aeolis, v. 25, 175; Aeolis Graeci,   v. 101, 102  aeqnabilitas, ix. 1, etc.  Aequimaelium, v. 157  aequinoctium, vi. 8 ; vii 14 ; ix. 25 ;   v. circulus  aequor, vii. 23  aequum, vi. 71 ; v. pila  aer, v. 65 ; cf. animalia  aerariae (non aerelavinae), viii. 6*2  aerarii, v. milites, tribuni  aerarium, v. 180, 1S3  aes, v. 169-171, 173, 180-1S3 ; ix. 81-   S3 ; x. 3S ; aes et libra, vii. 105,   ix. 83 ; r. militare, mille, raudus  Aesculapii aedes vetus, vii 57  aesculetum, v. 152  aestas, v. 61 ; vi 9  aestivum, vi 9 ; aestiva triclinia,   viii. 29  aestus, vii. 22 ; ix. 26  aetas, vi. 11 ; ix. 93  aeternum, vi. 11  Aethiops, viii. 38, 41 ; ix. 42  Aetolia, vii. 18  aeviternum aeternum, vi. 11  aevum, vi. 11  Africa, v. 159  Africae bestiae, vii. 40  Africus vicus, v. 159  Agamemno, v. 19  Agenor, v. 31   ager, v. 13, 34, 37 ; cultus, incultus,  v. 36 ; Roma mis, v. 33, 55 ; agro-  rum genera quinque, v. 33 ; v.  Aricimis, Calydonitis, Gabinus,  hosticus, incertus, Latius, nova-  Ms, peregrinns, Praenestinus,  Reatinus, restibilis, Romanus,  Sabinus, Tusculanus, uliginosus   agger, v. 141   agitantnr quadrigae, vi. 41, 42  agitatus, v. 11, 12 ; vi. 41, 78 ; men-  tis; vi. 42  agnus, v. 99   ago, v. 34 ; vi. 41, 42, 77, 78 ; agit     gestuni tragoedus, vi. 41 ; agitur  pecus pastum, vL 41 ; agitur  fabula, vi. 77 ; agere causam,  augurium, vi 42 ; agere ex sponsu,  vi 72 ; v. facio, gerit, gradus   agonales, v. dies   Agonenses, vi. 14   Agonia, vi. 14   agrarius, v. 13; agrarii, viii. 15  agrestis hostias, vii 24 ; p. loca  agricola, v. 13  agroshis, v. agmrtus  aio, F. 36  ala, v. 33   alauda alaudas (GalL), viii. 65  Alba, v, 144 ; viii 35 ; Alba Longa,  v. 144   Albani Albenses, viii 35 ; r. Aven-  tinus   Albanus mons, vi. 25 ; rex, v. 43  albatus, v. 82   Albius, viii. 80 ; x. 44 ; Albia, x. 44  Albula, v. 30   albus -a -um, etc., viii. 38, 41, 80;   ix. 42, 55; x. 22, 24, 44, 73;   album albius albissimum, viii.   52, 75  alcedo, v. 79 ; vii. 88  Alcmaeus Alcmaeo, ix. 90  alcyonia, vii 83  Alcyonis ritn, vii 88  Alexander (Magnus), ix. 79 ; eius   statua, ix. 79  Alexander (Paris), vii 82  Alexandres, v. 100  Alfena, viii 41 ; ix. 41  altena verba, v. 10  alienigenae, v. 90  alites, v. 75  allecti, vi 66  Allia, Alliensis dies, vi. 32  alpha, viii. 64  altiores, x. 29   altisono caeli clipeo, v. 19 ; vii. 73   altitonantis Iovis, vii. 7   amator, viii 57   ambages, vii. 30   ambagio, vii. 31   am be, vii 30   ambecisns, vii 43   ambegna bos, vii. 31   ambiectum, v. 132   ambiguus rectus casus, ix. 103   ambit, v. 23   635     INDEX     ambitiosus, vii. 30   ambitus, v. 22, 28 ; vii. 30 ; v. in-   dagabilis  Ambivius, vii. 30   ambulatur, vi. 1 ; ambulans, am-   bulaturus, viii. 59  amburvom, v. 127  ambustum, vii. 31  amens, vi. 44  amia, vii. 47  amicitia -am, x. 73  amictui, v. 131, 132  amiectum, v. ambiectum  amitans (non est), viii. 60  Amiternini, v. 28  Amiternum, vi. 5   amminister, vii. 34 ; cf. administra  amnis, v. 2S   amo amor, etc., viii. 58, 60; ix. 97,  110 ; x. 32, 48, 78 ; amans ama-  turus amatus, viii. 58, ix. 110   amoramorem, etc., x. 36, 42   amphimallum, v. 167   analogia, viii. 23, 25-27, etc ; ix. 1,  2, 7, 74, etc ; x. 1, 36-38, 43, 44,  51, 52, 63, 70, 72, 74, 79, 83, etc,  F. 34; perfecta, inchoata analogia,  x. 68, 69 ; index analogiae, ix.  109 ; analogiae genus deiunctum,  coniunctum, x. 45-47 ; poetica  analogia, x. 74 ; v. genus, poetica,  principium, proportione, ratio,  similitudo   anas, v. 78   ancilia, vi. 22 ; vii. 43  Andrius ab Andro, viii. 81  Andromacha, vii. 82  anfractum, vii. 15  Angerona, Angeronalia, vi. 23  angiportum, v. 145 ; vi. 41  anguilla, v. 77  angulus, vi. 41  ani, vi. 8   anicula anicilla, v. anus  anima, v. 59, 60 ; animae hominum,  ix. 30   animalia, v. 75, 102 ; ix. 113 ; aqua-  tilia, v. 77 ; in aere, v. 75 ; in  aqua, v. 78 ; in locis terrestribus,  v. 80 ; animalium semen, v. 59 ;  species, x. 4'; voces, vii. 103   animalis res, F. 8   animantium (animalium) voces, v.  75, 78, 96, 100 ; vii. 103   636     animum, v. despondisse  Anio, v. 23   annales, v. 74, 101 ; (feriae), vi. 25,  26   annus, vi. 8 ; v. novus   anomalia, viii. 23; ix. 1, 3, 113; x.   1, 2, 16; v. dissimilitudo  anquisitio, vi. 90, 92  anser, v. 75  Antemnae, v. 28   antiqua, vi. 61, cf. vi. 82 ; antiqui, v.  34, 71, 79, 96(Graeci), 131, vi. 19,  33, 58 (nostriX 63, vii. 26, 36, 73  (rustici), 84, ix. 17, 68, 83, 87,  x. 73, F. 1 ; antiquissimum, v. 133 ;  antiquissimi, v. 132 ; antiqui  Graeci, v. 103, 166 ; antiquae  mulieres, v. 69; antiquum oppi-  dum Palatinum, v. 164, vi. 34 ;  antiquum Graecum, vi, 84 ; anti-  quum nomen, v. 50 ; antiquis  litteris, v. 143, vi. 33 ; v. Graecus,  grammatica, Iupiter, numerus,  urbs, verbum   Antonius, v. Tullius   anuli, vi. 8   anus, viii. 25 ; anicula anicilla, ix.   74 ; v. Liber  a parte totum, v. 155 ; vii. 18, 75  Apelles, ix. 12  aper, v. 101 ; viii. 47  apexabo, v. Ill  Aphrodite, vi. 33  Apollinar, v. 52  Apollinares ludi, vi. 18  Apollo, v. 68 ; vii. 16, 17 ; cortina   Apollinis, vii. 48 ; v. Sol  appellandi pars, viii. 44 ; partes   quattuor, viii. 45  Aprilis, vi. 33  aprunum (Sab.), v. 97  Apula, v. lana  Apulia, v. 32   aqua, v. 61, 122, 123 ; v. animalia,  ignis   aquae caldae, v. 25, 156 ; ix. 68,   69   aquae frigidae, v. 25  aqualis, v. 119  aquarium, v. vas  aquatilia, v. animalia  aquila, viii. 7 ; ix. 28 *  Aquiliani gladiatores ab Aquilio,  ix. 71     INDEX     Aquilo, ix. 25   ara, v. 33 ; arae, v. 74 ; v. Consus,  deus, Elicii, Hercules, Iupiter,  Lavernae, Tatius   arationes, v. 39   aratrum, v. 135   Arbernus -na, v. Arveraus   arbitrium (=censio), vii. 53   arbor arbuscula, F. 9 ; arbores, vii.  S, 9, ix. SO   arborariae falces, v. 137   area, v. 128 ; ix. 74   Areas, v. 21   arcera, v. 140   arcs, v. Arc   arcula, ix. 74   ardor, v. 38, 61   area areae, v. 38   arefcicit, v. 33   arena, tr. asena   Areopagus, Areopagitae, vii. 19  Argei, v. 45 ; viL 44 ; Argeorum   sacrificia, v. 52 ; sacra, v. 50 ;   sacellum quartum, v. 47 ; sex-   tum, v. 48 ; sacra ria septem et   viginti, v. 45, e/. 47  argentarii, vi. 91  argenteum argentea, be 66  argentifex non dicitur, viiL 62  argentifodinae, v. 7 ; viiL 62  argentum, v. 169, 173, 174 ; ix. 66   (non argenta) ; x. 33  Argi, vii. 44 ; ix. S9  Argiletum, v. 157  Argivi, vii. 33 ; v. Hercules  Argos, ix. 89   Argus, ix. 89 ; Argus Larisaeus, v.  157   Aricia, v. 32, 143  Aricinus ager, v. 32  aries, v. 98, 117  ariga, v. ariuga  Arimnias, ix. 12  arista, vi. 49  Aristarchum, vi. 2  ariuga ariugus, v. 9S  anna, v. 115 ; v. sonant  armamentarium, v, 128  armarium, v. 128  Armenia (lingua), v. 100  armenta, v. 96  Armilustrinm, v. 153 ; vi. 22  arrabo, v. 175  arruit, v. 135     ars, v. 93 ; viiL 6 ; v. medicina,   mnsica, sntrina  Arte mas, viii. 21  Artemidorus, viii 21, 22  articuli, viiL 45, 51, 52, 63 ; x, 1S-   20, 30, 50 ; v. genus, infiniti  artifex artufex, v. 93; ix. 12, 18,   111; X. 64; artincum vocabula,   v. 93   aruspex, v. haruspex  Arvales (Fratres), v. 85  Arvernus -na/Viii. SI  arviga, v. ariuga  arvus, v. 39   Arx, v. 47, 151 ; vL 2S, 91, 92 ; vii.   S, 44 (arcs)  as, v. 169, 171, 174 ; ix. 81, 83, S4 ;   x. 33 ; asses, v. 170, 182 ; as assem   asses, x. 83 ; asse, F. 18  asbestinon, v. 131  ascriptivi, vii. 56  asellus, v. 77 ; ix. 113  asena (= arena), vii. 27  Asia, v. 16, 31 ; viL 21 ; viii. 56 ;   ix. 27  Asiatici, viiL 56  asinus -a, ix. 28 ; asini, ix. 93  asparagi, v. 104  aspicio, vi. S2  assarius assarium, viiL 71  asserere, v. adserere  asseres, vii. 23  assiduus, viL 99  assipondium, v. 169  assuetudo, ix. 20  assum, v. 109, etitum, vi. 91 ; au-  spicia, v. 33, 143 (urbana), vi. 53  (caelestia), vii. 8, 97 (sinistra);  v. Index of Authors, s.v. Augures   Auster, ix. 25   autumnus, vi. 9   auxilium, v. 90   Aventinus (mons), v. 43, 152 ; vi.   94 ; rex Albanus, v. 43  avermncassint, vii. 102  Averruncus, vii. 102  aviarium (non avile), viii. 54  avicula, v. avis  aviditas, v. aures   avis, viii. 54 ; ix. 76 ; avi et ave,  viii. 66 ; ave, F. 18 ; aves avium,  viii. 70 ; avis avicula aucella,  viii. 79 ; avem specere, vi, 82   axis, vii. 74 ; axe, F. 18 ; axes non  axeis, F. 20   axitiosae, acsitiosae, vii. 66   B, ix. 38 ; BA*, ix. 51 ; BS, x. 57  bacca in Hispania vinum, vii. 87  Bacchae, vii. 87  Bacchides Baccliidas, x. 71   638     Bacclms, vii. 6; Bacchi sacra, vii.   87 ; Bacchi templa, vii. 6  Baebii -iae -iis, x. 50  Balatium ( = Palatium), v. 53  balneae (non balnea), viii. 48, 53 ;   ix. 68, 106, 107 ; balneum, viii.   48, ix. 68  balneator, viii. 53  balteum, v. 116   barbara (vocabula), barbari, viii. 64   barbatus, v. 119 ; ix. 15   Basilica Aemilia et Fulvia, vi. 4 ;   Opimia, v. 156  beatus, v. 92  Bellona, v. Duellona  bellum, v. Carthaginiense, duellum,   indicit, Punicum, Pyrrbi, Sabi-   num   bes olim des, v. 172   bestiae, v. Africae   beta betaceus, F. 10 ; v. pes   bibo, vi. 84   bicessis, v. vicessis   bigae, viii. 55 (non duigae), ix. 63   64 ; x, 24, 66 (non biga), 67  binaria, v. formula  bini (non duini), viii. 55 ; binae   bina, ix. 64. x. 24, 67 ; v. nnus  bisellinm, v. 128   bonus boni, x. 68 ; bonum malum,  v. 11, viii. 34 ; melius optimum  (non bonius bonissimum), viii.  75, 76 (optnm optius, melum  melissimum desunt) ; v. Copia,  dea, duonus, melioseni, quod bo-  num, scaeva   bos boves, etc., v. 96 ; vii. 74 ; viii.  54, 74 (bos non bous ; bourn et  boverum) ; ix. 28, 113 ; bovis vox,  vii. 104 ; v. ambegna, Luca   bovantes, vii. 104   Bovarium Forum, v. 146   bovile (non dicitur), viii. 54 ; ix.  50   brassica, v. 104  breviores, x. 29  bruma, vi. 8 ; ix. 24, 25  Bruti, v. Mucius  bubo, v. 75  bncco, vi. 68  bucinator, vi. 75  bulbum, v. 112  bura, v. 135  Busta Gallica, v. 157     INDEX     C: G, v. 64, 101, 116; vi. 95; CS:   X, ix. 44, x. 57  Gabirum delubra, vii. 11  caccabus. v. 127  cad us, ix. 74   Caeciliani gladiatores a Caecilio,  ix. 71   Caecilms Cecilius, vii. 96  Caecina, x. 27   caecus -a -urn, ix. 5S ; r. cubi-  cnliim   caelare, v. 13   Caeles Vibenna, v. 46   caelestia, v. auspicium   Caeliani, v. 46   eaeligeua, v. 02 ; r. Venus   Caelii -iae -iis, x. 50   Caeliolum, v. 46   caelites, vii. 5, 34   Caelius mons, v. 46, 47   Caelum, v. 57-60, 63, 65, 67 ; caelum,  v. 16-18, 20, 31, viL 20; hoc  caelo, x. 62; caeli loca supera,  v. 16 ; caelum principium, v. 64 ;  caeli regiones, v. 31 ; v. signuni   Caeriolensis (locus), v. 47   caesa, v. exta, ruta   caesius (caesior non diciturj caesis-  simus, viiL 76   Calabra, r. curia   calamLstrum, v. 129   calatio, v. 13   calcearia taberna non dicitur, viii.  55   calcei, viii. 55 ; ix. 40  caldor, v. 59   caldus caldo, x. 73 ; caldum caldius   caldissimum, viii. 75 ; v. aquae  Calendae, v. lanuariae, Kalendae  calix, v. 127  calo (kaloX vi. 16, 27  calor, v. 60  Calpurnins, C, vi. S3  Calydon, vii. 18   Calydonius ager, non terra, vii. IS  camelopardalis, v. 100  came las, v. 100   Camena, vi. 75 ; vii. 27 ; Camena-  rum priscuni vocabulum, \iL 26 ;  r. Casmena   camillns Camilla, vii. 34   Campania, v. 137   campus, v. 36 ; vi. 92 (Martius) ; r.  Flaminras, Martius     canali, F. 18   cancer, viL SI   candelabrum, v. 119   candens, v. siguum   candid us -nm candid ins candidis-  simum, viii. 17 ; Candidas -a can-  did issimus -a, viiL 77   canes, vii. 32 (canes laniorum), 33  (caninam non est); canis, v. 99,  vii. 32 ; canis catulns cateilus,   ix. 74 ; caue, F. IS  canicula (piscis), v. 77  canistra, v. 120   canit can ere, vi. 75 ; canite cante,   vii. 27  cantatio, vi. 75  cantator non dicitur, viiL 57  cantitat, vi. 75 ; cantitans, viii. CO   (cantitantes non dicitur)  canto cantat, vi. 75  cape, viL 90 ; cape capito, x. 31  caperrata fronte, viL 107  capides, v. 121  capilli (gen. sing.), vii. 44  capital, v. 130  capitales, v. triumviri  capiteUum, r. caput  capitium, v. 131   Capitol in us, v. 41 ; Capitolinus   clivus, vL 32  Capitolium, v. 149, 15S ; vL 27, 63 ;   Capitolium vetus, v. 153  capitulum, v. caput  capra, v. 97  caprea, v. 101  capriticns, vL 18   Caprotina (iuno), vi 18; Capro-  tinae Xonae, vL 18   Capua Capuanus, x. 16   capulae, v. 121 ; ix. 21   caput capitis, etc, ix. 53 ; x. 82,  F. 32 ; caput capitulum, viii. 14 ;  capitellum(deest), viiL 79; caput  Sacrae viae, v. 47 ; caput unde  declinatur, x. 50, ef. ix. 102, 103,   x. 50  carbone, F. 13   career, v. 151 ; carceres, v. 153  care re (la nam), viL 54  Carinae, v. 47, 48  cariosas, vii. 23  Cannena -ae, vii. 26, 27  Carmentalia, vi, 12  Carmen tis feriae, vi. 12   639     INDEX     carminari, vii. 54   carnaria taberna non dicitnr, viii.  55   caro, viii. 55 ; carnem petere (ex  Albano nionte ex sacris), vi. 25 ;  v. pecus   Carrinas (non Carrinius), viii. 84   Carthaginien.se bellum, v. 165   cartibulum, v. 125   Cascelliani gladiatores a Cascellio,   ix. 71   cascus -i, x. 73 ; cascns -a, vii. 28 ;   Casca, vii. 28  caseus, v. 106, 108 ; vi. 43  Casinum, vii. 29  Casmena -ae, vii. 26-28  Casmilus, vii. 34  casnar (Osc), vii. 29  cassabundus, vii. 53  Castor, v. 58, 66, 73  castra, v. 121, 162, 166  casuale (genus declinationis), viii.   52 ; oration is prima pars casualis,   x. 18   casus de  cassu in cassum, viii. 39 ; casuum  vocabula, x. 23 ; casuum iacturae,  ix. 78 ; (casus) quis, quemadmo-  dum, quo, a quo, cui, cuius  vocetur, viii. 16; cum vocaret,  cum daret, cum accusaret, viii.  16; secundum naturam nomi-  nandi est casus, ix. 76 ; casus com-  munis, viii. 46 ; casus singuli,  terni, etc., ix. 52 ; casus naturales  etimpositicii, x. 61 ; v. accusandi,  dandi, declinatio, exitus, nomi-  nandi, obliqui, patricus, patrius,  ratio, rectus, series, sextus, trans-  itus, vocandi   eatellus, v. canes   Catinia -ae, viii. 73   catinus, v. 120 ; catinuli, F. 12   Cato Catulus, v. 99   catulae, x. 66   catulus, v. 99 v ; p. canes   catus -a, vii. 46   caulis, v. 103   caullae, v. 20   causam orare, vii. 41 ; causae ver-   640     bornm, vi. 37; v. ago, dicis,   nascendi  cava, v. 19 ; cava cortina, vii. 48  cavatio, v. 19, 20  cavea, v. 20  cavernae, v. 20   cavum, v. 19, 20, 135; cavum  caelum, v. 19, 20 ; cavum clipeum,   v. 19 ; v. cava, chaos, couin  cavum aedium, v. 161, 162  Cecilins, v. Caecilius  celare, v. 18   cella, v. 162   cenaculum, v. 162   ceno cenatus sum, F. 5. 7   censio ( = arbitrium), v. 81 ; vii. 58   censor, v. 81 ; vi. 86, 93 ; censores,   vi. 11, 87, 90, 92   censorium iudicium, vi. 71 ; cen-   soriae tabulae, vi. 86  centenarius, v. gradus, numerus  centum, ix. 82, 87 ; x. 43  centumvirum (non -virorum), ix. 85  centuria, v. 35, 88 ; v. ollus  centuriato constituit, vi. 93 ; v.   comitium  centurio, v. 88   centussis, v. 169, 170; ix. 81, 84  cerei, v. 64  cereo, vi. 81   Ceres, v.' 64; vi. 15; templum   Cereris, vii. 9  Cerialia, vi. 15   Cermalus, Germalus, Germalense,  v. 54   cerno, cernito, cernere vitam, vi.   81 ; cernere crevi, vii. 98  Ceroliensis, v. Caeriolensis  cerus, vii. 26   cervices cervix, viii. 14 ; x. 78  cervns cerva, viii. 47 ; cervus cerve,   x. 51 ; cervi, v. 101, 117  Cespius Mons, v. 50  chaos, v. 19, 20  charta, F. 14 a, F. 14 b  Chersonesice, v. 137  Chio mum, ix. 67  chlamydes, v. 133 ; clamide, v. 7  chorda citharae, x. 46  choum, v. 19   Chrysides Chrysidas, x. 71  Chrysion, F. 38  cibaria, v. 64, 90  cibus, viii. 30     INDEX     ciccum, vii. 91   cicer, viii. 48, 63 ; cicer ciceri   ciceris, x. 54  cicur cicurare, vii. 91  Cicurini, v. Veturii  cilibantum, v. cilliba  cilliba, v. 11S, 121  cinctus, v. 114  cinerarius, v. 129  cingillum, v. 114  cippi pomeri, v. 143  Ciprius, v. Cyprius  ciprum, v. cyprum  circulus aequinoctialis, solstitialis,   septemtrionalis, brumalis, ix. 24,   25 ; circuli, v. 106  circumiectui, v. 132  circum muros, vi. 90, 92, 93  eircumtextum, v. 132  Circus, v. 153 ; vi. 20 ; Flaminius,   v. 154 ; Maximns, v. 153 ; ad   Murciae, v. 154 ; v. oppidum  cista cistula, viii. 52 ; cista ci.stnla   cistella, viii. 79, ix. 74  cis Tiberim, v. 83  cistula, v. cista  cithara, viii. 61 ; x. 46  civilia vocabula dierum, vi. 12  civis, x. 39   civitas, x. 39 ; civitatum -ium, viii.  66   clam, vii. 94  c lama re, vi. 67  clamide, v. chlamydes  classes, v. 91 ; classe, F. 18  classicus, v. 91 ; vi. 92  claustra, vii. 21  clavi, x. 62   clepere clepsere, vii. 94  clipeus, v. 19   Clivos, v. Capitolinus, Cosconius,   proximus, Publicius, Pullius  cloacae, v. 149  Cloaca Maxuma, v. 157  clucidatus, vii. 107  clupeat, v. 7  cobius, vii. 47  cochlea, F. 14 a, F. 14 b  Cocles, vii. 71  cocus, vii. 38  coemptio, vi. 43  Coeus Titan, vii 16  cogitare, vi. 42, 43  cogitatio, vi. 42   VOL. II     cognatio verbonim, v. verbum  cognomina, viiL 17 ; ix. 71,  cohors, v. 88   colem colis cole, ix. 75 ; colis non   cols, ix. 76  collatio verborum, vin. 78  collecta, vL 66  collega collegae, vi. 66, 91  colles (Romae), v. 36, 51, 52; v.   Latiaris, ilucialis, QuirinalLs,   Salutaris, Viminalis  Collina tribus, VT 56 ; regio, v. 45  col loca turn, v. 14  colloquium, vi. 57  colo colis colui, ix. 108  colonia nostra, v. 29 ; coloniae nos-   trae, v. 143  columba, v. 75 ; ix. 56 ; columbus,   ix. 56   columna columella, F. 9   coma, v. frondenti   comissatio, vii. 89   comiter, vii. 89   comitiales (dies), vi. 29   comitiatum (ad c. vocare), v. 91 ;   vi 93 ; c/. vi 91  comitiavit, r. quando rex  comitium, v. 155 ; vi 5, 29, 31 ;   comitia, v, 85, 91, 155, vi 91, 92,   vii 42, 97 ; comitia centuriata,  vi 88, 92, 93 ; comitia curiata, v.  155   commentum, comminisci, vi. 44  commode, viii 44  Commotiles Lymphae, v. 71  communis, v. casus, consensus, con-   suetudo, nomen  conunutatio (syllabarum, littera-   rumX v. 3, 6, 79, 103, 137 ; vi. 2,   62, 83; vii. 31 ; ix. 99 ; x. 25 ;   commutatio vocis, x. 77  comoedia comoediae, vi 55, 71, 73  comoedus, ix. 55  comparativi, F. 31 a  compendium, v. 183  competa, v. compitum  compitalia, vi 25, 29  compitum, vi. 43 ; competa, vi. 25  eompluium, v. 161 ; compluvium,   v. 125   composita, viii 61 ; compositi   numeri, ix. 84  compositicium genus, viii 61 ; com-   positicia (verba), vi. 55   T 641     INDEX     computatio, vi. 63  conceptis verbis, vii. 8  conceptivns, v. dies, feriae  concessit, vi. 38  concliae, ix. 28  conchylia, v. 77  conciliari, vi. 43  concilium, vi. 43  concinne loqui, vi. 57  conclavia, viii. 32   Concordia, v. 73; (=templum), v.   148 ; aedis Concordiae, v. 15G  concubitus, vii. 78  concubium, vi. 7 ; vii. 78  condere, v. lustrum, oppidum, urbs  conexum, F. 28. 9  confessi, vi. 55  contictant, vii. 107  confingere, v. 7  congerro, vii. 55  coniugationes qnattuor, F. 34  coniunctae res, x. 24 ; v. analogia  coniunctio (ignis et humoris), v.   03; (verborum), vii. 110, cf.   viii. 1   coniunctum, F. 28. 10, 11   conpernis, ix. 10   conquaestor, v. quaestor, vi. 79   conregio, vii. 8   consensus communis, viii. 22   Consentes, v. deus   conserere manum, vi. G4 ; con-   sertuui mamim, vi. 04  consilium, vi. 43  Consiva, v. Ops  consortes, vi. 65  conspicare, vii. 9  conspicio, vi. 82 ; vii. 9  conspicio -nis, vii. 8, 9  consponsus, vi. 69 ; vii. 107 ; con-   sponsi, vi, 70  constantia, ix. 35  Consualia, vi. 20   consuetudo (communis), v. 1, 0, 8 ;  vi. 78, 82 ; vii. 32 ; viii. 6, 23, 26,  27, 32, 74, etc. ; ix. 1, 2, 8, 74, 76,  78, etc., 114; x. 2, 15, 16, 73,  etc. ; F. 5. 9 ; non repugnante  consuetudine communi, x. 74, 76,  73 ; consuetudo nostra, veterum,  vi. 2 ; consuetudo vetns, haec,  x. 73 ; v. prisca   consul, v. 80, 82; vi. 61, 88, 91, 93,  95 ; x. 28 ; con.sules, vi. 91, 99,   642     viii. 10; v. Curtius, Manlius,   Tullius  Consus (et eius ara), vi. 20  contemplare contempla, vii. 9  contentiones, viii. 75  conticinium, vi. 7 ; vii. 79  contio, vi. 43, 90 ; contionem advo-   care, vi. 91, 93  contraria (verba), viii. 58, 59 ; v.   deus   convallis cavata vallis, v. 20  convivium, v. 124, 168 ; convivium   publicum, v. 122  conum, v. 115   Copia Bona, vii. 105; copia ver-  bomm, viii. 2, 20   copis copiosus, v. 92   copulae, viii. 10 ; trinae copulae,  naturae et usuis (cf. viii. 14), per-  sonarum multitudinis ac finis, ix.  4 ; divisionis quadrinae copulae,  x. 33 ; v. faciendi   copulatum, F. 28. 10   cor, vii. 9, 48   corbes corbulae, v. 139 ; corbes   non corbeis, F. 20  corda, v. chorda  Corduba, v. 102  Cornelius, vi. 4  Corneta, v. 140, 152  cornicen, vi. 91 ; cornicines, vi. 75  cornices, vi. 56  cornua, v. 117 ; vii. 25  cornutus, vii. 25, 39  corolla Veneria, v. 62 ; corollae in   scaena datae, v. 178  corollarinm, v. 175, 178  corona, v. 62 ; coronas iaciunt in   fontes, puteos coronant, vi. 22  corpus, v. 11, 12, 59-61 ; a corpore   declinata, viii. 15  correptio (syllabarum), v. 6  cortina, v. Apollo, cava  cortumio, vii. 8, 9  corvus, v. 75 ; ix. 55, 56 (non   corva) ; corvi, vi. 56  Cosconius (Clivus), v. 158 ; vio-   curus, v. 15S  coum a cavo, v. 135 ; v. chouni  Covella, v. Tuno  coxendices, vii. 67  Cozevi, vii. 26  eras, viii. 9  cratis creatus, v. vitio  ere pa re, vi. 67   crepe rum, creperae res, vi. 5; vii.  77   Crepusci, vi. 5   crepusculum, vi. 5 ; vii. 77   Cretaea, vi 69   cretaria taberna, viii. 55   cretio, vi. 81   crocodilos, v. 78   cnula holera, v. 108   crusta, v. 107   crustulmn, v. 107   Crustumerina secessio, v. 81   crux cruce cruces, ix. 44   cubicularis gradus, viii. 32   cubiculum, v. 162 ; viii. 29, 54 ;   cubiculum caecum, ix. 58  cuculus, v. 75  cucumeres, v. 104  culcita, v. 167  culmen, v. 37  culmi, v. 37  culpo culpamus, x. 33  cultus, r. ager  cumerus, vii. 34  cum muliere fuisse, vi. SO  Cupidini.s Fomm, Forum Cuppe-   dinis, v. 146  cuppedium, v. 146  cupressi cupressus, ix, 80  cur, viii. 9  cura, vi. 46  curare, vi. 46   cura tores omnium tribuum, vi. 86  Cu reuses, vi. 86  Cures, v. 51   Curia Acculeia, vi. 23 ; Calabra, v.   13, vi. 27; Hostilia, v. 155, vii.   10 ; curiae, v. 83, 155, vL 15, 46 ;   curiae veteres, v. 155  curiata, v. comitinm  curiones, v. 83 ; vi 46  curiosus, vi. 46   currit, viii. 11, 53; currens cur-   surus, viii. 59  cursio, v. 11  curso cursito, x. 25  cursor, v. 11, 94; viii. 15, 53  cursus, vi 35   Curtius, v. 148 ; Curtius lacus, v.  148-150 ; Mettius Curtius Sabinus,  v. 149; Curtius, consul, v. 150   curvor, vii. 25 ; cf. v. 104     Cutiliensis lacus, v. 71  cyathus, v. 124  cybium, v. 77  Cyprius Vicus, v. 159  cyprum (Sab.) bonum, v. 159  Cyzicenus (non Cyzicius) a Cyzico,  viii 81   D : R, vi. 4, cf. vi. S3  damnum, v. 176   dandi casus, viii. 36 ; x. 21, 65 ; v.   casus ; cf. viii/ 16  dea bona, r. quis  decern, x. 41, 43, 45  December, vi. 34  decemplex, v. logoe  decemvirum (non -virorum) iudi-   cium, ix. 85  decernunt de vita, vi. 81  decessit, vL 38  decessus, v. Galli   deciens, hoc deciens, huius deciens,   ix. 88   Decimns, ix. 60 ; r. decuma  declinata verba vel vocabula, v. 7 ;  vi. 37; viii. 1, 2, 9; ix. 115; de-  clinata nomina, viii. 5  declinatio -ones, viii. 3, 5, 11, 13,  15, 20, 21, 24 ; ix. 10, 17 (novae),  110; x. 3, 11, 12, 16, 2S, 44, 51,  53, 60, 62, 74, 76 (verbi), 77;  declinatio in casus, vii. 110 ; de-  clinatio naturalis et voluntaria,   viii. 21-23, ix. 35, x. 15 (volun-  tas), 17, 51, 77, 83; declinatio-  num genus, viiL 17, 21 ; declina-  tionum genera quattuor, viiL 52 ;  declinationes verborum, vi. 2, 36,  3S, ix. 3, x. 1, 2, 9, 11, 26, 44 ;  r. declinatus, derectae, iuniores,  nothus, priscum, recentes, simili-  tndo, transitus   declinatus, viii. 6, 10; ix. 37, 38,  51, 53; x. 51, 76; declinatus  voluntarius, naturalis, ix. 34, 62,   x. 77, 83; vocum declinatus, x.  65; verborum declinatuum genera  quattuor, vi. 36; declinatuum  species quattuor, x. 32 ; sex, x. 31 ;  imperandi declinatus, x. 32, cf.   ix. 32, 101 ; v. ordo declinatuum  decuma, v. Hercules   decuriae numerorum, ix. 86, 87 ; cf.  v. 34, 91   643     INDEX     decuriones, v. 91   decussis, v. 170 ; ix. 81   dedicat dedicatur, vi. 61   definitiones grammaticorum, x. 75   deierare sub tecto, v. 66   Dei Penates, v. dens   deiunctum, v. analogia   Deli, vii. 16   Deliadae, vii. 16   delicuum, deliquare, vii. 106   Delphi, vii. 17   delubra, v. Cabirum   Demetrius rex, vii. 52   demptio litterarum, v. 6 ; vii. 1   denarius denarii, v. 170, 173, 174;   viii. 71 ; ix. 85 ; x. 41 ; denarinm  (non -oruin), viii. 71, ix. 82, 85 ;  v. formula, gradus, numeri   denasci, v. 70   dens, v. 135 ; viii. 67 ; dentuin   dentes, viii. 67  densum, v. 113   deorsum, v. 101 ; deorsum versus,   ix. 86  depsere, vi. 96   derectae declinationes, x. 44  derectus, v. ordo, ratio  des, v. bes  despicio, vi. 82   despondet, vi. 69 ; desponsa, vi. 70 ;   despondisse, vi. 71 ; despondisse   animum, filiam, vi. 71  desponsor, vi. 69  destringor destrinxi, F. 5. 7  detrectio (syllabarum), v. 6  detrimentum, v. 176  detritum, v. E, S  deunx, v. 172   dens deei, viii. 70 ; del, v. 57, 65,  66, 71 ; deos, F. 1 ; dei contrarii,   v. 71 ; deo principe, vi. 34 ; dei  principes, v. 57 ; Dei Consentes,  viii. 70 ; Deum (non Deorumj  Consentium aedem, viii. 71 ; dei  magni, v. 58, vii. 34 ; diis inferis,   vi. 34 ; Dii Penates nostri, v. 144 ;  Dei Penates, viii. 70 ; aedes Deum  Penatium, v. 54 ; Di Manes ser-  viles, vi. 24 ; ara deum, v. 3S ;  arae deorum, v. 62 ; liberorum  dei nomina, ix. 55, 59 ; v. Samo-  thraces ; cf. Novensides   dextans, v. 172  dextra, v. propter   644.     diabathra, vii. 53   Dialis flamen, v. 84 ; vi. 16   Diana, v. 68 (Diviana), 74; vii. 16;   Dianaetemplum, v. 43; v. Titanis,   Trivia  dibalare, vii. 103  dicare, vi. 61  dicendi pars, viii. 44  dicis causa, vi. 61, 95  dico, vi. 30, 61, 62; dicit, vi. 78;   dicere, vi. 42 ; dico dicebam dixe-   ram, ix. 34 ; dicerem dicam, x.   31 ; v. do  dictata in ludo, vi. 61  dictator, v. 82 ; vi. 61, 93 ; v. Poe-   telius  dictiosus, vi. 61   dictum in mimo, vi. 61 ; dicta in  manipulis castrensibus, vi. 61   dies, v. 68 ; vi. 4 ; ix. 73 ; x. 41 ; F.  11; Dies Agonales, vi. 12; die  auspicate, v. 143 ; dies concepti-  vus, vi. 25 ; dies fasti, vi. 29, 53 ;  dies Fortis Fortunae, vi. 17 ; dies  nefasti, vi. 30, 53 ; dies sacri  Sabini, v. 123 ; dies et nox, v. 11 ;  diemm nomiua, vi. 10-32 ; dierum  singulorum vocabula, vi. 33 ; v.  Alliensis, atri, civilia, comitiales,  februatus, intercisi, lupiter,  Larentinae, prodixit, quando,  quartus, septumus, statuti, Venus   Diespiter, v. 66; Diespiter Dies-  pitri Diespitrem, ix. 75, 77   dilectus, vi. 65   diligens, vi. 65; diligentior dili-   gentissimus -ma, viii. 78  Di Manes, v. deus, Manes  diminntio, F. 9  diminutivum, F. 9  diobolares, vii. 64  Diomedes -di -dis, x. 49  Dionem, vi. 2 ; Diona, viii. 41, ix. 42  Diores, ix. 12  Diovis, v. 66, 84  directus, v. derectus  discere, vi. 62 ; discebam disco dis-   cam, didiceram didici didicero,   ix. 96  discerniculuni, v. 129  discessit, vi. 3S   disciplina, vi. 62 ; loqnendi, x. 1  discordia verborum novorum ac  veterum discrimen, vi. 12 (naturale), 81 ; ix.  56 ; x- 20, 77 (verbi); discrimina  verborum, re rum, vi. 36, 38, viii.  1, 2, 10, 14, 16, 17 (cf. 51), ix. 32,  x. 64 (in rebus); discrimina lit-  terarum, x. 62 ; discriminum  numerus, x. 10   disertus, vL 64   disparilitas vocis figuranim, x. 36  Dis pater, v. 66  dispendiura, v. 183 ; ix. 54  dispensator, v. 1S3  dispntare, disputatio, ri. 63  disserit, vi 64   dissimilia, viii. 34, etc. ; v. simile  dissimilitude), viii. 23, 24, 29, 31, 32,   etc ; ix. 46, etc. ; x. 1, 3, etc.  distractio doloris, vii. 60  distrabuntur, viL 60  dius, v. 66 ; vii. 34  Dius Fidius, v. 66 ; aedes Dei Fidi,   v. 52  diva, v. Palatua  dives, v. 92 ; viii. 17  Diviana, r. Diana  dividia, viL 60   divisio, vii. 60 ; ix. 97 ; x. 14, 15,   17, 33; divisiones, viii. 44, ix.   95, 101 ; ex eodem genere et ex   divisione, ix. 96, 97  divum, v. 66; viL 27, 50; diva;,   F. 1 ; sub divo, v. 66 ; divi potes,   v. 58 ; v. deus  do dico addico, vi 30  do, r. ollus   doceo, vL 62 ; docet, x. 17 ; doceo  docui, x. 25 ; docentur inducun-  tur, vi. 62 ; docens, x. 17 ; doctus,  F. 5. S   docilis, x. 17   docte, viii. 12, 44 ; x. 17 ; F. 5. S  doctiloqui, vii. 41  doctor, vi. 62   doctus -a -tun, viii. 46; ix. 57;   doctus -a doctissimus -a, viii. 77 ;   doctus docte, viii. 12  documenta, vi 62  dodrans, v. 172  dolla, v. sirpata  doliola, v. 157  dolo dolas dolavi, ix. 10S  dolor dolori dolorem, x. 36, 42 ; r.   distractio  dolus mains, dolo malo, x. 51     domare, vi. 96   domus, v. 160; domus domuis  domui, F. 17 ; v. hibernum, Mae-  lius, video   donum, v. 175   dos, v. 175   Dossennus, viL 95   drachmae, ix. 85   dncenti, v. 170; x. 43   ducere ductor, vL 62   Duellona Bellona, v. 73, vii. 49   duellum, v. 73 pvii. 49   duigae, v. bigae   duini, v. bini   dulcis dulcior dulcissimus, viii. 76  duo duae, ix. 64, 65, 87 ; x. 24, 41,   43, 45, 49, 67, S3  duode nanus numerus, v. 34  duonus, vii. 26   duplex verbum, ix. 97 ; duplicia   vocabula, ix. 63 ; v. logoe  duplicarii, v. 90   dupondium dupondius, v. 169, 173 ;   ix. SI (-um), S3, 84  dux, vi. 62 ; duces dux, x. 56, 57   E, viii. 68; ix. 52; E : AE. v. 97,  vii. 96; SI: US, ix. SO; E : A, v.  114, vii. 94; 1:1, vi 95; E:U,  v. 91 ; E detritum, vii. 74 ; E ex-  clusum, x. 57 ; E exemptum, ix.  44 ; E exitus, x. 62   ecbolicas aulas, v. 108   echinus, v. 77   ecurria, vi. 13   edictum, vi. 92   edo, vi. S4 ; edo edi, x. 33   edulium, viL 61 ; edulia, vL 84   edus, t?. hedus   effari, templa effantur, fines effan-   tur, vL 53  effata, vL 53  efiFutitum, vii. 93  Egeria, vii. 42  elegantia, viiL 31  elephans, elephantos, viL 39  Elicii Iovis ara, vL 94  eliquatum, viL 106  elixum, v. 109  eloquens, \i. 57  eloqui, vi. 57  eminisci, vi. 44  emo emi, x. 33 ; v. homo  em pa, viL 27   645     INDEX     ensis ensiculus ensicula, F. 10  eo, v. i, ite  Epeus, vii. 38  Ephesi (loc.), viii. 21  Ephesius, viii. 21, 22  epiphysis, v. 124  epicrocum, vii. 52  epigrammation, vii. 28  Epimenides, vii. 3  epityrum, vii. 85  Epulo, vi. 82  equa, v. eqtras   eqnes equites, vii. 4 ; x. 28 ; v.   ferentarius, magister  equile, viii. 18, 20, 52  equirria, v. ecurria  equiso, viii. 14 ; x. 28  equitatum, vii. 4, 103  equus, vii. 4; viii. 11, 14, 52; ix.   113 ; x. 4, 28 ; cquus equi, ix. 63 ;   equoequum, viii. 52 ; equus equa,   ix. 28, 56 ; equus publicus, viii.   71 ; equi dissimiles eadem facie,   ix. 92, 93 ; v. Troianus  errare, vi. 96   erus eri ero, x. 12  esca, vi. 84   escaria mensa, v. 118, 120  esculentum, vi. 84  escnletum, v. aesculetum  Esquiliae, v. 25 (Exq-), 49, 50, 159  (Exq-)   Esquilina (regio), v. 45 ; (tribus), v.   56; Esquilinus lucus, v. 50  esum es est, v. sum  et, viii. 9, 10   Etruria, v. 30, 32, 46 ; vii. 35   Etrusco ritu, v. 143   etymologia, vii. 109   etymologice, vii. 3   etymologus, vi. 39   eu, vii. 93   Euander, v. 21, 53   euax, vii. 93   eum {gen. pi.), vii. 26   Europa, v. 16, 31, 32 ; vii. 21 ; ix. 27   exbolas, v. ecbolicas   exceptum, v. os   excessit, vi. 38   exercitus, v. 87 ; v. urbanus   exiguitas, viii. 14   exitium, v. 60   exitus v. 60 ; exitus nominatuum,   x, 21 ; exitus casus sexti, x. 62   646     ex hire (coctum), v. 109   ex iurc raanum consertum vocare,   vi. 64  exorat, vi. 76  ex parte, x. 84  explanandi, v. gradus  expecto, vi. 82  cxpensum, v. 183  ex quadam parte, x. 74, 76, 78  exquaeras, vi. 91   Exquiliae, v. 25, 159 ; v. Esquiliae  exta ollicofiua, v. 104, cf. v. 98 ; exta   caesa et povrecta, vi. 16, 31  extern plo, vii. 13  extergeor extersi, F. 5. 7  extermcntarium, v. 21  externa, ix. 102   extremum, vi. 59 ; v. littera, syllaba  extrita, v. syllaba, I, R, S   F : H, v. 97  faba, ix. 38 ; x. 84  fabri, vi. 78   fabulae, vi. 55 ; nova fabula, vi. 58 ;   v. ago  facete, x. 17   faciendi et patiendi copulae, x. 33  facies, vi. 78 ; ix. 92  facilis, x. 17   facio facere, vi. 42, 77, 78 ; facit, x.   17 ; poeta facit fabulam (non   agit), vi. 77 {v. ago, gerit) ;   facerem faciam, x. 31 ; faciens, x.   17 ; facere verba, vi. 78 ; v. lumen,   lustrum, velatura  factiosae, vii. 66   faculam, vi. 79; faculae, v. 137,   x. 66  facundi, vi. 52   Facutalis lucus, v. 49, 50; v.  Fagutal   Faeneratricem Feneratricem, vii. 96  faenisicia fenisicia, vii. 96  faenus, vi. 65   Fagutal, Iovis Fagutalis, v. 152 ; v.   Facutalis  Falacer flamen, pater, v. 84 ; vii. 45  falces, v. 137 ; falce, F. 18 ; falcium   falces, non falceis, F. 20; v.   arborariae, fenariae, lumariae,   sirpiculae  falera, v. phalera  Falerii, v. Ill, 162  Faliscus venter, v. Ill     INDEX     fallacia, vi. 55   falli, vi. 55   falsum, vi. 55   falx, v. falces   fama, vi 55   famigerabile, vi. 55   familia, v. funesta, mater, pater,   purgare  famosi, vi. 55   fana, v. 51 ; vL 54 ; fanorum servi,  viii, 23 ; v. Fortis Fortunae, Liber,  magmentaria, Quirinus, Sabinus,  Saturnus   fanatur, vi. 54   far, v, 106 ; v. mola   farcimina, v. Ill   fari fatur, vi. 52, 56 ; vii. 36   farina, v. 106, 107   fariolus, vi 52   farticulum, v. Ill   fartum, v. Ill   fartura, v. Ill   fas, vi 31 ; v. quando   fasces, v. 137   fasciola, v. texta   fassi, vi 55   fasti, v. dies   fastidium, v. 146   fateles res, vi 52   fatidici, vi 52   Fatuae, vi. 55   fat am, vi. 52   fatuus, v4. 52 ; Fatuus, vi. 55  fauces, v. 42 ; vii. 21 ; (non faux),  x. 78   Fauni (Faunus, Fauna), vii. 36  Faustiani glad ia tores a Faustio, ix.  71   Faustini gladiatores a Fausto, ix.  71   Faventinus a Faventia, viii 83  febri, F. 18   Februarius, vi. 13 (Nonae), 34  februatio, vi. 13  februatur, vi. 34  februatus dies, vi 13, 34  februm (— extremum), v. 79  februm (Sabini, purgamentum), vi.  13   fed us, v. 97   felix, v. quod bonum   femina, ix. 57 ; feminae, v. 130, ix.   67 ; feminae nomen, ix. 40 ; v.   mas     femininum, F. 14 a, F. 14 b; femi-  ninum genus, F. 9, F. 11   fenariae falces, v. 137   Feneratricem, v. Faeneratricem   fenestrate, viii 29   fenisicia, v. faenisicia   ferae, v. 80; ferarum vocabula, v.  100   feralia, vi 13  fere, vii. 92   ferentarins, ferentarii equites, \*ii.  57   feretrum, v. 166   feriae voncepti^'ae, vi. 26 ; con-  ceptae, vi 29 ; menstruae, vi.  13 ; v. annales, Carmentis, Furi-  nales, Latinae, paganicae, rex,  sementivae   ferio, F. 36; ferio feriam percussi,  feriam ferio feriebam, ix. 98   ferme, vii. 92   fero, F. 36 ; fero ferebam, x. 14 ;   ferte, vi 96 ; ferendo, viii. 57 ;   ferundo, v. 104  Feronia, v. 74  ferreus ferreei, viii 70  ferrifodinae non dicitur, viii. 62  fertor non dicitur, viii. 57  ferns fero ferum, x. 12  fervere, vi 84  fetiales, v. 86  fetus, v. 61  fiber, v. 79  fibra, v. 79  ficedulae, v. 76  ficta (verba), v. 9   fictor, vi. 78 ; fictores, vi, 78, vii.  44   Ficuleates, vi. 18   ficus, v. 76; ficus fici, ix. 80; v.  ruminalis   Fidenates, vi. 18   Fides, v. 74   Fidius, v. Dius   fidus, v. foedus   figlinae, v. 50   figuli : inter figulos, v. 154   figura figurae, vi. 78 ; viii. 39, 71 ;  ix. 39, 40, 42, 52, 93 ; x. 4, 11, 27,  32, 33, 58, 77 ; figura vocis, r, 25,   36, 51 ; figura verbi, viii 39, ix.   37, x. 11, 25; figurae vocabu-  lorum, ix. 55; v. Graecus, ob-  liqui, singularis   647     INDEX     filius, x. 59 ; filius -a, ix. 55, x. 41  filum, v. 113  fimbriae, v. 79   fingo, v. 7 ; vi. 78 ; flngo fingis, x.  31   finis fine, F. 18 ; v. copulae, effari  finitum ct infinitum, v. 11 ; viii.   45 ; ix. 31, 64, 85 ; x. 18, 20, 30 ;   v. infinitei, nmnerus ; c/. templum  fircus, v. 97  fiscina, v. 139  fistula, v. 123  fixum, F. 2   Flaccus flamen Partialis, vi. 21   flamen vinnm legit, vi. 16 ; flamines,  v. 84, vii. 45 ; v. Pialis, Falacer,  Flaccus, Floralis, Furinalis,  JIartialis, Palatualis, Pomonalis,  Quirinalis, Volcanalis, Volturnalis   Flaminius circus, campus, v. 154   flexura, x. 28   Flora, v. 74, 158 ; viU 45   Floralis flamen, vii. 45   flnctus fluctuis fluctui, F. 17   flumen, v. 27, 28   fluvius, v. 27   fodari, vii. 100   foditurne fodieturne, x. 32   foedus fidus, v. 86 ; foede-  sum, vii. 27   Fons, v. 74; vi. 22; fons, v. 123;  fonte, F. 18 ; fonti et fonte, ix.  112; fontis fontes, viii. 66; v.  corona   Fontanalia, vi. 22   forda (quae fert in ventre), vi. 15   Fordicidia, vi. 15   forma, vi. 78; viii. 9, 47; ix. 21,  39-41, 82 ; x. 1 (vocabulorum), 22,  27, 49 ; forma etymologiae, vii.  109 ; formain declinando, ix. 37 ;  formae verborum, ix. 101, 102,  109, 115, x. 56 ; formae Graecae  verborum, x. 70 ; v. similitudi-  num   formido, vi. 48   formo, vi. 78   formula, ix. 103 ; x. 44 ; formula  numerornm, x. 43 ; formulae ver-  borum, x. 33 ; analogiarum for-  mula binaria, denaria, x. 44  fornices, v. 19 (caeli) ; x. 59  Fortis Fortunae fanum, vi. 17 ; v.  dies   648     Fortuna, v. 74 ; vii. 93 ; u. vocabula  fortunatum, v. quod bonum  forum, v. 47, 145, 148, 149 ; vi. 59 ;   vii. 94; ix. 17; t>. Bovariuin,   Cupidinis, Holitorium, Pis-   carium, vetus  fossa, v. 143 ; vii. 100  Fratres, v. Arvales  fratria, v. 85  fremere, vi. 67 ; vii. 104  fremor oritur, vi. 67  frendit, vii. 104  frequens, vii. 99  frequentare, vii. 99  fretum fretu, vii. 22  frigidum, v. 59 ; v. aquae  frigus, v. 60  fringuillae vox, vii. 104  fringuttis, vii. 104  fritinnit, vii. 104  frondenti coma, vii. 24  fructus, v. 37, 40, 104  fruges, v. 37, 104 ; frugis frux   (haec), ix. 76; frugis -i -em, ix.   75   frugi (non frugalus -a) frugalissumus   -ima, viii. 77  frumentum, v. 104  fruor, v. 37, 104  fugitiva, v. 5  fulgur, v. 70  fulguritum, v. 70, 150  fullo, vL 43  fulmen, v. 70  fulmentum, viii. 10  Fulvia, v. Basilica  fumificus, vii. 38  fundolus, v. Ill  fundula, v. 145  fundus, v. 37  funesta familia, v. 23  funus, v. indicit, indictivum  Furinalis flamen, v. 84 ; vi. 19 ;   vii. 45 ; Furinales feriae, v. 84  Furnacalia, vi. 13  furo, F. 36   Furrina, v. 84 ; vi. 19 ; vii. 45  Furrinalia, vi. 19  fustes, v. 137  futis, v. 119  futurum, viii. 20, 58   G, v. C ; GL, v. 134 ; GS : X, ix. 44  Gabii, v. 33     INDEX     Gabinus ager, v. 33  galea, v. 116  galeritus, v. "6   Galli obsederunt Romam, vi. 32;  decessus Gallorum, vL 18 ; Gallo  rum ossa, v. 157 ; vocabula, viii.  65   Gallica (lorica), t. 116 ; (vocabula),   v. 167 ; v. Busta  Gallicana, v. lana  Gal lice, F. 5. 8  gallina, v. 75   Gallus Gallice, F. 5. 8 ; r. Galli  gannit, vii. 103  gargarissare, vi 96  gartibulum, v. cartibulum  garum (non gara), ix. 66  gaunaca, v. 167  gausapa, F. 14 a, F. 14 b  gemere, vi. 67 ; gemebam gemo, x.  31   gemini simillimi, x. 4; v. Ianus,   Menaechmi  geniculis, ix. 11  gens gentium gentis, viiL 67  gentilicia natura, ix. 59; nomina,   ix. 60  Genucins, M., v. 150   genus, ix- 40, 110 ; x. 8, 16, 21, 29,  31, 33-35, 37, 65; genera, ix. 55-  57, 67, 68, x. 11, IS, 22, 79, F. 10 ;  genus vocale, x. 66; ex eodem  genere, viii. 39, ix. 96, x. 37 ;  analogiae genus naturale, volun-  tarium, ix. 33 ; genus (vet genera)  nominatus (rel nominnm), ix. 62,   x. 8, 21, 65 ; genera articulorum,  x. 30 ; re rum, v. 13 ; verborum,  v. 4, 13, viii. 9, ix. 95, 102;  genera a generando, F. 7 a, F. 7 b ;  genera rebus dare, F. 6 ; r. ana-  logia, augendi, declinatio, de-  clinatus, femininum, mas, mascu-  linum, minnendi, muliebre,  natura, neutrum, principale,  virile ; ef mas, neutrum, simili-  tudo, virile   geometrae, x. 42   gerit (id est sustinet), vi. 77 ; res   gerere (non agere, facere), vi 77  Germalus Germalense, r. Cermalus  gerra, viL 55   Geryon Geryoneus Geryones, ix. 90  gignitur, vi 96     git, F. 22   gladiatores, ix. 71 ; Samnites, v.  142   gladium, v. 116 ; viii. 45 ; gladium   gladius, ix. 81  glandio, vii. 61 ; glandiumglandula,   F. 10   gleba abiecta in sepulcrum, v. 23  glebarii valentes, vii. 74  globi, v. 107  glossae, vii. 10   glossema gloss^mata, vii. 34, 107  grabatis, viii. 32   gradus in lectum, v. 168; gradns  agendi, vi. 77, ef. vi. 41, 51;  gradus analogiae, x. 83, 84 ; gradus  explanandi, v. 7-9 ; gradus nnme-  rorum, ix. 86; gradus singularis  denarius centenarins, ix. 87   Graecanica, x. 71 ; Graecanici nomi-  natus, x. 70   Graecanice, ix. S9   Graece, v. 77, 88, 96, 112, 120, 122,  175 ; vi. 4, 6, 10, 84 ; vii. 52, SS ;  ix. 89 ; x. 37 ; F. 5. 8   Graecia, v. 21, 96, 124; viL 47, 82.  87, S9 ; ix. 21   Graecostasis, v. 155, 156   Graecus, viL 42 ; Graeca, v. 100 ;  Graeci 61, vii. 20, 31, 50, 74,   87, 96, viii. 16, 23, 65, ix. 31, 34 ;  Graeci antiqui, v. 103, 166;  Graeco ritu, viL S8; Graeca  figura, v. 119; Graeca lingua, v.  66, vi. 12, 40, 96, ef. vi 84;  Graeca origo, vi 61, 96, vii. 37,   88, 89 ; Graecus Graece, F. 5. S ;  Graecum verbum rel vocabulum,  Graeca verba vtl vocabula, v. 6S,   77, 78, 85, 96, 103, 104, 106, 107,  113-115, 120, 121, 130, 131, 133,  138, 160, 167, 168, 175, 1S2, vi 9,  58, S4 (antiquum), vii 14, 31, 34,  53, 55, 61 (antiquum), 67, 82, 94,  97, 108, x. 70, 71, F. 14 a, F. 14 b ;  Graecum nomen, v. 73, 119, ix.  68 ; Graecum cognomentum, vi.  6S; Graeca oppida, vii 16; r.  Aeolis, forma   graguli, v. 76  grallator, vii. 69   649     INDEX     grammatica antiqua, v. 7  grammatici, x. 55, 75  granarium, v. 105  grandis olea, v. 108  gran uni, v. 106  greges, v. 76  gubernator, ix. 6  gustat, vi. 84  guttus, v. 124   haedus, v. 97 ; haedi vox, vii. 104   hahac, vii. 93   harmonicae res, x. 64   Ilarpocrates, v. 57   haruspex, vii. 88 ; haruspices, v. 14S   hasta, v. 115   hastati, v. 89   haurierint, F. 29   Hectorem, viii. 72 ; Hectorem -is -a,   x. 71 ; Hectores Hectoras, x. 69  Hecuba, viii. 3  hedus, v. 97  hehae, v. hahae  heiulitabit, vii. 103  Helena, viii. SO  Helicon ides, vii. 20  Hellespoutus, vii. 21  hemisphaerium, vii. 7  Ileraclides Heraclide, viii. 68  Hercules, v. 66 ; vii. 82 ; viii. 16   (-les -lis, etc.), 26 (-li an -lis) ; ix.   79 (non Hercul) ; Hercules -li -lis,   x. 49 ; Herculi immolata iuvenca,   vi. 54 ; Herculi in aram, vi. 54 ;   Herculi decuma, vi. 54 ; Hercules   Argivus, v. 45  herma, F. 14 b  herois tritavus atavus, vii. 3  heu, vii. 93  hibernacula, vi. 9  hibernum, vi. 9 ; hibernum domus,   v. 162 ; hiberna triclinia, viii. 29  hie, viii. 22 ; x. 18 ; hi his hibus,   viii. 72 ; hie haec, viii. 45, x. 30 ;   hie hi haec hae, viii. 46; hie   hunc, x. 50  hiems, v. 61 ; vi. 9  hilum hila, v. Ill ; hilum hili, ix.   54   hinnitus, vii. 103  hinnulei, ix. 28  hippos potamios, v. 77  hircus, v. 97  hirpices, v. irpices   650     hinindo, v. 75   Hispania, vii. 87   historia (vcrborum), viii. 6   holitor, vi. 64 ; holitores, vi. 20   Holitorium Forum, v. 146   holus holera, v. 104, 108, 146 ; x. 50   homo, viii. 11, 12, 14, 44, 52, 79  (non homen) ; ix. 113 ; x. 4, 6, 28,  29 ; hominis, viii. 1 ; homines,   viii. 7, 14 ; homines imperiti et  dispersi vocabnla rebus im-  ponunt, x. 60 ; homines emendi,   ix. 93 ; hominum vocabula, v. 80 ;  v. nihil, senescendi   homunculus, viii. 14  honestum, v. 73   honor publicus, v. 80 ; honos, v. 73  hora, v. 11 ; hora prima, secunda,   ix. 73 ; horae lunares, ix. 26  hordeum, v. 106 ; vi. 45 ; ix. 27  horologium ex aqua, vi. 4  horrent, vi. 45   horti, vi. 20 ; hortorum, vi. 146 ;   quae in hortis nascuntur, v. 103  hostia, vii. 31 ; v. agrestis, infulatae,   piacularis  hosticus ager, v. 33  Hostilia, v. Oiiria  Hostilius rex, v. 155  hostis, v. 3  humanitas, viii. 31  humanus -a -nm, viii. 47  humatus, v. 23  humectus, v. 24   humidus, v. 24 ; humidum, v. 59 ;   humidissimus, v. 24  humilior humillimus, v. 23  humor humores, v. 24, 59-61, 63  humus, v. 23, 59  hypocorismata, F. 10   I, viii. 67 ; I littera extrita, v. 96 ;   I : E, ix. 106 ; I additum, ix. 76 ;   I exitus, x. 62 ; v. E  i (imperative), vi. 96 ; v. ite  Iapetus, v. 31   Idus, vi. 14, 28, 29 ; v. Itus, Iuniae  ignis, v. 59, 61, 63, 70 ; igne, F. 18 ;   ignis et aqua in nuptiis, v. 61  Ilium, viii. 56, 80   Ilius (non Ilienns), viii. 56 t 80 ; ab  Ho, viii. 80 ; Ilia, viii. 56, 80   illex inlex, vi. 95 ; inlicis, vi. 94 ;  illici, vi. 94     INDEX     illicit, vi. 95 ; v. inlicere  immortales, v. 75 ; immortalia in   locis, v. 57  impendium, v. 1S3 ; vL 65  imperandi (facie.s), x. 31, 32 ; in im-   perando, x. 32 ; cum impe ramus,   ix. 101 ; r. declinatus  imperator, v. 87 ; vi. 77 ; vii 37  impius, vi. 30  impluium, v. 161  imponenda (vocabula), vi 3  impos, r. inpos   impositicia nomina, viii. 5 ; imposi-   ticii casus, x. 61  impositio verborum (vocabulorum),   v. 1,3; vi. 3 ; vii. 32, 100, 110 ;  viii. 5, 7; x. 15, 16, 34, 51, 53,  60, 61   impositor, v. IS ; vii. 1, 2  impositum (verbum, vocabulum,   nomenX v. 1-3 ; viii. 1, 9, 10, 22,   27 ; ix. 34, 52  impurro, v. amburvom  inaequabilitas, viii. 28, 30; ix. 1  incertus ager, v. 33  in cess it, vi. 38   inchoata (=infecta) res, ix. 96; v.   analogia  incircum, v. 25  inclinanda verba, x. 13  inclinatio inclinationes, ix. 1, 113 ;   c/. x. 13  incommntabilia, ix. 99  incrementum, viii. 17  increpitare, vi. 67  incultus, t\ ager  incurvicervicuin, v. 7  indagabilis ambitus, v. 28  indagare, v. 5   indeclinabilia, x. 14, 79, SO, S2 ;   viii. 9  indicandi, ix. 101   indicit belhun, vi. 61 ; indixit funus,   vi. 61  indicium, vi. 61   indictivum funus, v. 160 ; vii. 42  indiscriminatim, F. 25  indoctus, viii. 62 ; indocti, ix. 22  indusiatam, v. 131  indusium, v. 131  indutui, v. 131 ; x. 27  infantes, vi. 52   infecta (verba), ix. 97, 100, 101 ; x.  4S ; infecti verba, ix. 99, 101, x.     33, 4S; infecti tempora, ix. 96;   infectae res, ix. 32 ; cf. in-  choata  infeineitei, r. infinite!  inferi, vii. 37, r. deus ; infera loca,   v. terra  inficientem esse, vi. 7S  infima Nova Via, v. 43  infinite* articuli, viiL 50; infinita   natura articulorum, viiL 52 ; in-   finitae naturae verborum, viii. 3 ;   infinitum, v.ll, viii. 45, ix. S4 ;   v. finitum  infrequens, 99  infulae, vii. 24  infulatae hostiae, vii. 24  ingeniosi, viii. 15  ingluvies, F. 27  inhumatus, v. 23  inimicitia -am, x. 73  initia, v. 60; rerum initia, v. 11 ;   initiorum quadrigae, v. 12 ; initia   regis, v. S ; initia analogiae, x.   53 ; v. nascendi Sam oth races  inlex inlicis, u. Ulex  inlicere populum, vi 90 ; inliciatur   ad magistratus cons pec turn, vi   94   inlicium vocare, visere, vi. S6-S8,   93-95 ; v. illicit  inlocabilem, v. 14  inminutio, F. 31 a  inops, v. 92  inpos, v. 4  insane, vii. 86  insicia, v. 110  insidiae, v. 90  insignia militaria, vii. 37  insipitur, v. 105  Insteianns Vicns, v. 52  institutum, x. 27   instrumentum, v, 105 ; instrumen-   tum mulieris, ix. 22 ; v. rustica  instil sus, viiL 62  intempesta nox, vi. 7 ; vii 72  Interamna, v. 28  intercisi dies, vi 31  interduo, vii 91  intennestris, vi. 10  interpolate (verba), v. 3  interrex, vi. 93  interrogando, ix. 32  intertrigo, v. 176  intertrimentum, v. 176   651     INDEX     intervallum mundi motus, vi. 3, cf   v. 12  intuiti, vii. 7  intusium, v. indusium  inumbravit, vi. 4   invident, vi. 80; invidit inviden-  dum, vi. 80   Ion, viii. 21, 22   Iones, v. 146 ; vi. 9   Ionia, v. 16 ; viii, 21   ircus, v. hircus   irpices, v. 136   irundo, v. hirundo   is ea id, ea eae, eius eaius, ei eae,  ieis eais, viii. 51 ; eius viri, eius  mulieris, eius pabuli, viii. 51   Isis, v. 57   iste istunc, x. 50   Italia, vii. 86   ite (imperat.), vi. 96   iter, v. 22, 35   Itus (Tuscorum), vi. 28   iactarier, x. 70   iaculum, v. 115   iam, viii. 9   ianeus, vii. 26   ianitor ianitos, vii. 27   Ianualis Porta, v. 165   Ianuarius, vi. 34; Kalendae Ianu-   ariae, vi. 28  Ianus, v. 165 ; Ianus geminus, v.   156, cf vii. 26; Iani signum, v.   165   Ioum Ioverum, v. lupiter  iuba, vii. 76, cf. vi. 6  iubar, vi. 6, 7 ; vii. 76  iubilare, vi. 68  iucunditas, ix. 46  iudex, vi. 61 ; iudices, vi. 88  iudicare, vi. 61   iudicium, v. addixit, censorium,   decern virum  iugerum, v. 35  iuglans, v. 102  Iugula, vii. 50  iugum, v. 135  iumentum, v. 135  iungendi pars, viii. 44  Iuniae Idus, yi. 17 ; lunius mensis,   vi. 17, 33  iuniores, vi. 33, (declinationes) x.   71 ; v. iuvenis  Iuno, v. 65, 67 ; Iunonis, viii. 49 ;   652     IunoCovella, vi. 27 ;aedes Iunonis  Lanuvi, v. 162 ; Iuno Lucina, v.  69, 74 ; aedes Iunonis Lucinae, v.  50 ; Iucus Iunonis Lucinae, v. 49 ;  Iuno Regina, v. 67 ; v. Caprotina,  lupiter, terra  lupiter, v. 65, 67, 84 ; vi. 4 ; vii.  12, 16, 85 ; lupiter non lous,  viii. 74 ; lupiter Iovi, viii. 34, x.  65 ; Inppitri, viii. 33 ; lupiter  Iovis Iovem, viii. 49 ; Iovis Iovem  Iovi, viii. 74 ; Ioum Ioverum, viii.  74 ; aedes Iovis, v. 41 ; aedes  (Iovis) in Capitolio, v. 158 ; ara  Iovis Vimini, v. 51 ; sacellum  Iovis Iunonis Minervae, v. 158 ;  dies Iovis non Veneris, vi. 16 ;  Iovis Iuno coniunx, v. 67 ; Iovis  filium et filiam (non) Iovem et  Iovam, ix. 55 ; antiquius Iovis  nomen, v. 66 ; v. Elicii, Fagutal  iurgare, inrgium, vii. 93  ius, v. ex hire, praetorium  Iuturna lympha, v. 71  iuvencus, v. 96 ; v. Hercules  iuvenis iunior, F. 31 a, F. 31 b     Kalendae, vi. 20, 27-29 ; v. lanuariae  kalo, vi. 16, 27   L, v. G ; L : S, v. 79  Lacedaemonii, v. 146  lact, v. 104  lactuca, v. 104   lacus, v. 26 ; v. Curtius, Cutiliensis,   Velini  laena, v. 133  laeta, vi. 50  laetari, vi. 50  laetitia, vi. 50   Iana, v. 113, 130, cf. 133 ; vii. 24 ;   ix. 92 ; lana Gallicana et Apula,   ix. 39 ; v. carere, vellere  lanea, v. 130  Iangula, v. 120  laniena, viii. 55  Lanuvium, v. 162  lanx lance, x. 62  lapathium, v. 103  lapicidae, viii. 62  lapidicinae, v. 151  Larentalia, vi. 23  Larentia, v. Acca     INDEX     Larentinae dies, vL 23   Lares, v. 74 ; Lares Lasibus, vi. 2 ;   Lares viales, vi. 25 ; La rum Quer-   quetulanum sacellum, v. 49 ; v.   Mania  Larisaeus, v. Argus  Larunda, v. 74  Lasibus, v. Lares  lata latae, x. 24  Latiaris Collis, v. 52  Latinae feriae, vi. 25, 29  Latine, vL 6, 84 ; vii S9 ; ix. 89  Latinus (rex), v. 9, 32, 53, 144;   Latinos (adj.\ v. 29, passim;   Latinus casus sextus, x. 62 ;   La t inum vocabulum, Latina vo-   cabula, v. 29, 68, 78, 79, 103, 167,   vi. 35; Latini populi, vi. 25;  Latini, v. 30, 43, 69, vi 25,   vii. 23, 36, viii. 23, ix. 34; r.  lingua, litterae, nomen, sermo,  verbum   latiores, x. 29   Latium, v. 21, 29, 30, 32, 42, 57, 79,  S4, 96, 97, 100, 143, 144, 162; vi  16, 18 ; vii. 35 ; ix. 34, 59   Latius ager, v. 32   La to, vii. 16   latomiae lautumia, v. 151  Latona, vii. 16  Latonius, viii. 19  latrat, vii 103  latratus, vii. 32  latrocinatus, vii 52  latrones, vii 52  latrunculis ludere, x. 22  laudo laudamns, x, 33  Laurentes, v. 152  Lauretum, v. 152  lautolae, v. 156  lautumia, v. latomiae  lavatrina, v. 118 ; ix. 68  J^avemae ara, v. 163  La vernal is Porta, v. 163  Lavinia, v. 144  Lavinium, v. 144   lavo lavor lavat lavator lavare  lavari tautus sum, ix. 105-107 ;  lavo lavi, F. 5. 6; lavor lavi,  F. 5. 7   lea, F. 3   leaena Leaena, v. 100  lecte lectissime, vi 36  lectica, v. 166     lectio, vi 36  lectito, x. 33  lector, vi. 36 ; viii 57  lectus lectulus, ix. 74 ; lecti, viii  32 ; ix. 47 ; lectulorum vocabula,   v. 166 ; lectus mortui, v. 166 ; v.  pes   legasse mille aeris, ix. 83   legati, v. 87 ; vi. 66   legio, v. 87, 89; vi 66; miles   legionis, militis militem legionis,   ix. 54  legitima, vi 66   lego, vi 36, 37 ; viii. 44 (lego legens),   ix. 102 ; x. 33 ; lego legis, x. 4S ;  lego legis legit, ix. 32, 101 ; lego  legis legit legam, vi. 37 ; lego  legam, ix. 96 ; lego legi x. 25, 48 ;  legi lego legam, viii 3, 9, ix. 96 ;  lege bam lego legam, ix. 32, x. 31,  47, 48; legit, viii 11 ; leges lege,  vi 36 ; lege legito legat, ix. 101 ;  legere, vi. 66 ; legisti, vi 35 ;  legi legisti, x. 48 ; legor, viii. 53 ;  legone legisne, x. 31 ; legens lec-  turus, vi 36 ; v. flamen   legulus, v. 94 ; leguli, vi 66  leguruina, vi. 66   Lemnia litora, vii 11 ; Lemnius   Philoctetes, vii 11  lentes, ix. 34   leo, v. 100; vii. 76; leones,,vii   40 ; leonis vox, vii. 104  Leontion, F. 38  lepestae, v. 123   lepus, v. 101 ; viii. 68 ; ix. 91, 94 ;   x. 8 ; lepus leporis, F. 5. 6 ; lepus  lepori, viii 34 ; le pores, ix. 94   Lesas non Lesius, viii 84   Lesbo vinum, ix. 67   letum, vii 42 ; v. ollus   lex, vi 71 ; lex legi, x. 47 ; leges,   vi. 60, 66, vii 15, ix. 20; v.  poetica, vetus   libella, v. 174 ; x. 38   Libentina, v. Venus   Liber, vii. 87 ; Liberi cognomentum  Graecum, vi 68; Liberi fannm,  v. 14 ; sacerdotes Liberi anus, vi.  14 ; v. Loebeso   Liberalia, vi. 14   liberi, ix. 59 ; v. deus, servus   liberti, v. Romanus   libertini a mnnicipio mannmissi,   653     INDEX     viii. 83 ; orti a publicis servis   Romani, viii. 83  Libethrides, vii. 20  libidinosus, vi. 47  libido, vi. 47 ; x. 60, 61 ; v. lubido  Libitina, v. Venus  Libo, v. Poetelius  libra, v. 169, 174, 182 ; vii. 14 ; v. aes  librarii, viii. 51 ; ix. 106  libum, v. 106; libum libo, ix. 54;   liba, vii. 44  Libya, vii. 40 ; viii. 56  Libyatici non dicitur, viii. 56  Libyci, vii. 39  lictores, vii. 37  ligna, vi. 66   lignicidae non dicitur, viii. 62   ligo, v. 134   lilium, v. 103   lima, vii. 68 ; limae, x. 14   limax, vii. 64   lingere, vi. 90   lingua Latina, v. 1, 29 ; vii. 55, 110 ;  viii. 58 ; ix. 113 ; lingua nostra,   v. 3, 29 ; v. Armenia, Graecus,  Osca, Sabinus   lingula, vii. 107  lingulaca, v. 77  lintres non lintreis, F. 20  linum lino, ix. 54  liquidum, vii. 106  liquitur, vii. 106  lis, vii. 93   liticines, v. 91 ; vi. 75  litora, v. Lemnia   litterae, v. 30; vi. 2, 66; vii. 2;  viii. 63 ; ix. 52 ; x. 25, 26, 55, 82 ;  antiqnae litterae, v. 143, vi. 33 ;  litterae Latinae, v. 73, vii. 2, ix.  51 ; litterae Graecae, viii. 64, 65 ;  interpretationein exili littera ex-  peditam, vii. 2 ; littera praeterita,  vii. 2 ; littera extrema, ix. 44, x.  21, 25; littera extrita, v. 96;  litteram adicere, vii. 1 ; litteras  assumere, vi. 2 ; litteras mittere,   vi. 2 ; litteraruin vocabula, ix.  51 ; v. additio, commntatio,  demptio, discrimina, productio,  traiectio   lixulae, v. 107  locare, v. 14, 15  locarium, v. 15  locatum, v, 14   654     locus, v. 11-15, 57; viii. 12; loca,   vi. 97, vii. 5 ; loca agrestia, vii.  10 ; loca Europae, v. 32 ; loci  muliebres, v. 15 ; loca naturae,  v. 16 ; loca urbis, v. 45 ; origines  locorum, vii. 110 ; vocabula vel  verba locorum, v. 10, 184, vi. 1 ;  v, animalia, caelum, Caeriolensis,  terra, Tutilinae, urbs   Loebeso (=Libero), vi. 2   logoe, x. 43 (duplex, decemplex),   cf. x. 2, 37, 39  lolligo, v. 79  longavo, v. Ill   longus, viii. 17; longiores, x. 29  loquax, vi. 57  loquela, vi. 57   loquor, viii. 59 ; loquontur, vi. 1 ;  loqui, vi. 56 ; loquens locuturus  locutus, viii. 59 ; v. concinne,  disciplina   lorica, v. 116   Lua Saturni, viii. 36   Lubentina, v. Venus   lubere, vi. 47   lubido hominum, x. 56 ; lubidinem,   F. 4 ; v. libido  Luca bos, vii. 39, 40; Lucana bos,   vii. 39   Lucani, v. 32, 111; vii. 39, 40 ;   Lucana origo, v. 100  Lucanica, v. Ill  lucere, vi. 79  Luceres, v. 55, 81, S9, 91  lucerna, v. 9, 119   Lucia, ix. 61 ; Lucia Volumnia, ix.  61   Lucienus, vi. 2   Lucina, v. Iuno   lucifer (stella), vii. 76   Lucius, ix. 60 ; Lucii, vi. 5 ; v.   Aelius ; cf. Lucia  Lucretia, vi. 7  lucrum, v. 176  Lucumo, v. 55   lucns, v. Esquilina, Facntalis, Iuno,   Mentis, Poetelius, Venus  ludens, vi. 35   ludus, ix. 15 ; ludi qnibus virgines  Sabinae raptae, vi. 20; v. Apol-  linares, dicta ta, Taurii   lumariae falces, v. 137   lumecta, v. 137   lumen facere, vi. 79     INDEX     Luna, luna, v. 68, 69, 74 ; vi. 10 ;   vii. 16 ; is. 25 ; v. hora, nova  lunaris, t*. hora   luo luam, viii. 36; luit, ix. 104;   luendo (id est solvendo), vi. 11 ;   v. sol vii nt  Lupe (voc.), vii. 47  Lupercal, v. 85; vi. 13; Luper-   calia, vi. 13 ; Lupercalibus, v. 85  Luperci, v. 85; vL 13; Luperci   nudi, vi. 34  lupinum, ix. 34   lupus, v. 77 (piscis) ; ix. 28 ; lupus  lupi, F. 5. 6 ; lupus lupo lupe,   viii. 34, 68, ix. 91, 113 (piscis) ;  lupi vox, vii 104   lusciniola, v. 76   luscus (non luscior luscissimus), ix.  72   lustra re, vi. 93   lustrum, vi. 11, 22 ; lustrum facere,   condere, vi. 87  Intra, v. 79  lux, vii. 40 ; v. primo  Lyde, vii. 90   lympha, v. 71 ; vii. 87 (a Nympha) ;   v. Commotiles, Iuturna  lymphata, lymphatos, vii. S7  Lysippus, ix. 18   M : N, vi. 75  Macedonia, vii. 20  Macellnm, v. 14C, 147, 152  Macellus, v. 147   macer macri mac nun, ix. 91 ; x. 28 ;   macer macricolus macellus, viii.   79 ; macri, vi. 50 ; macrior inacer-   rimus, viii. 77  Maecenas (non Maecenius), viii. 84  Maelius (et eius domus), v. 157  maerere, vi. 50  Maesinm, v. Mesium  niagida, v. 120  magis, viii. 9 ; ix. 73  magister equitum, populi, v. 82 ;   vi 61   magistratus, v. 82 ; vi. 87, 91 ; viii.   83 ; v. vitio  magmentaria fana, v. 112  magmentum, v. 112  magnetae lapides, ix. 94  magnitude ix. 74 ; magnitudinis   vocabula, viii. 79  magnus, v. deus, pes     maiores, v. 5 ; vi. 17, 33 ; ix. 16  Mains (mensis), vi. 33  malaxare, vi. 96   malum, v. 102; mala, ix. 92; v.  Punicum   malus mali, x. 68 ; malum peius  pessimum (non malius malis-  simum), viii. 75, 76 (peium non  dicitur) ; v. bonum, dolus   malva, v. 103 ; malva malvaceus,  F. 10   Mamers (Sab.), 73   mammosae, viii. 15   Mamuri Veturi, vi. 49   mancipium, vi. 85 ; vii. 105   mandier, vii. 95   manducari, vii. 95   Manducus, vii. 95   mane, vi. 4 ; (manius manissirae   non dicuntur) viii. 76, ix. 73;   magis mane surgere, ix. 73 ; primo   mane, ix. 73  Manes, v. 148 ; v. dens  Mania mater Larum, ix. 61  manica, vi. 85  manicula, v. 135  Manilius Maniliorum, viii. 71  manipularis, vi. 85  manipulus, v. 88; vi. 61, 85  Manius, ix. 60  Manlius, T., consul, v. 165  mantel ium, vi. 85   manubrium, vi. 85 ; manubria, viii.   15, cf. v. 118  manum ( = bonum), vi. 4  manumissi, viii. 83 ; v. vitio  manupretium, v. 178 ; vi 85  manus, vi. 85 ; ix. 80 ; quae manu   lacta, v. 105 ; v. adserere, con-   serere   mappae tricliniares, ix. 47   mareescere, vi 50   Marcius Marci, viii. 36   Marcus Marci, viii. 36 ; Marcus  Marco, viii. 46, x. 51 ; Marcus  non Marca, ix. 55 ; v. Perpenna   margaritum margarita margiiri-  tarum, F. 14 c.   Maro, v. 14   Mars, v. 73 ; vi. 33 ; Mars Martes,  x. 54 ; Marspiter Marti, x. 65 ;  Maspiter, viii. 49 ; Maspiter sed  non Maspitri Maspitrem, ix. 75 ;  Marspitrem, viii. 33   655     INDEX     Martialis (fiamen), v. 84 ; vii. 45 ;   v. Flaccus  Martius (mensis), vi. 33 ; Martius   campus, v. 28, vi. 13, 92  mas femina, v. 5S, 61 ; viii. 7, 40 ;   ix. 38 ; mas femina neutrum, ix.  55, 57, 59, 62, c/. viii. 36, 47, 78,   x. 22 ; v. genus ; c/. virilia  masculinum, F. 14 a, F. 14 b ; mas-   culino genere, F. 11  Maspiter, v. Mars  matellio, v. 119   mater, x. 41 ; matres familias, vii.   44 ; v. Mania, Ops, terra  materia, x. 11, 36  Matralia, v. 106  mattea, v. 112  matula, v. 119  Maurus Maurice, F. 5. 8  maximus, v. Circus, Cluaca  Mecinus, v. maximus  media, v. 118 ; media nox, x. 41 ;   media vocabula, viii. 79  medicina ars, v. 93 ; vii. 4 ; ix. Ill  medicus, v. 8, 93 ; ix. 11 ; x. 46  Meditrinalia, vi. 21  Mefitis lucus, v. 49  Megalesion, vi. 15 ; Megalesia, vi. 15  mel mellis melli melle, viii. 63  melander, v. 76   Melicertes Melicerta, viii. 68 ; ix. 91  melios, vii. 26; meliosem, vii. 27;   v. bonus  melius, v. bonus  Melius, v. Maelius  meminisse, vi. 44, 49  memoria, vi. 44, 49  Menaechmum -mo, x. 38 ; Me-   naechmi gemini, viii. 43  mendicus, v. 92   mens, v. 59 ; vi. 43-45, 48, 49 ; mens  mentium mentes, viii. 67 ; mentes  non menteis, F. 20 ; v. agitatus   mensa, v. 118; vii. 43; v. escaria,  urnarium, vasaria, vinaria   mensis, v. 69 ; vi. 10, 33 ; mensium  nomina, vi. 33 ; v. novus, lanu-  arius, Februarius, Martius,  Aprilis, Maius, lunius, Quintilis,  Septembres, October, December   menstruae, v. feriae   mensura, ix. 67 ; mensura ac pon-  dera, ix. 66   menta, v. 103   656     meo meas, ix. 109   mera ( = sola), v. 76   merces, v. 44, 175, 178 ; .vii. 52 ;   viii. 19 ; merces non merceis,   F. 20  mergus, v. 78   meridies, vi. 4 ; vii. 7 ; x. 41  merula, v. 76 ; ix. 28, 55 (non meru-   lus) ; merula merulae, x. 66 ;   merulae vox, vii. 104  Mesium rnstici, non Maesium, vii.   96   messor, viii. 57   Metellus Metella, ix. 55   meto metis, x. 31 ; meto me tarn   metebam, ix. 89 ; metendo, viii.   57   Meto Metonis Metonem, ix. 89   Mettius, v. Curtius   metuere, vi. 48 ; metuit (non   sperat), vi. 73 ; metuisti, vi. 45  metus, vi. 45  Mico, ix. 12  miliariae (aves), v. 76  miliariae (decuriae numerorum), ix.   87 ; miliaria (vocabula), ix. 85  miliens, ix. 88   militare aes, v. 181 ; v. raudus ;   militaria, v. insignia, ornamenta  milites, v. 89 ; milites aerarii, v.   181 ; militis stipend ia, v. 182 ; v.   legio, tribuni  milium, v. 76, 106  mille milia, ix. 82, 85, 88 ; mille   aeris, ix. 83 ; hi, hoc, hums,   horum mille, ix. S7, 88 ; haec duo   milia, ix. 87  Minervae, v. 74 ; aedes Minervae,   vi. 17 ; v. Iupiter  Minervium, v. 47  minima vocabula, viii. 79  minores, ix. 87   minuendi (genus declinationis), vii.   52   minusculae, v. Quinquatrus  minuta opera, v. Myrmecidis  miraculae, vii. 64  miriones,' vii. 64  miser, v. 92  mitra, v. 130  moenere, v. 141  moenia, v. 141   nioeras, v. 141; mocri, vi. 87; v.  mums     INDEX     mola (sale et farre), v. 104 ; molae,  v. 13S   monere, vi. 49 ; monerint, vii. 102  monimenta, vi. 49  monitor, v. 94   montes (Romae), v. 41 ; vi. 24 ;   monte, F. 18 ; monti monte, ix.   112 ; montes montis, viii. 66 ; v.   Albanus, Caelius, Cespius, Op-   pius, Ripaei, Saturnius, Tarpeius  morbus, v. quartus, septumus  mors, v. vita   mortales, v. 75 ; mortalia in locis,  v. 57   morticinum, vii. 84  mortui lectus, v. lectus  motacilla, v. 76   motus, v. 11, 12 ; vL 3, 4, 8 ; ix. 34  (caeli) ; motus in mari, ix. 25 ; v.  sol   mox, x. 14, 79, 80  Mucialis collis, v. 52  Mucionis porta, v. 164  Mucins, Q., vL 30; viii. 81; Muci  et Bruti sedulitas, v. 5 ; Mucia,   viii. 81  Mugionis, t?. Mucionis  mugit, vii. 104  mulgere, vi. 96   muliebre, viii. 46, 51 ; muliebria,   ix. 41, 48, 110, x. 30; nomina  muliebria, viii. 36 ; v. locus, mun-  dus, stola, tunica   mulier, viii. SO ; x. 4 ; mulieris,  mulieribus, viii. 51 ; praenomina  mulierum antiqua, ix. 61 ; v.  antiqua, cum muliere   multa, v. 95, 177   multitudo multitudinLs, viii. 7, 14,  36, 46, 4S, 60, 66, 67 ; ix. 64-66,  68, 69, 76, 81, 82, 84, 85, 87 ; x.  28, 33, 36, 54, 56, 58, 59, 66, 83 ;  multitudinis solum, ix. 63, x. 54,  66; multitudinis vocabula, ix.  64, 65 ; multitudo verborum, vi.  35, 40 ; v. copulae   miilas mula, ix. 28 ; v. mutunm   mundus, vi. 3; (=ornatus mulie-  bris), v. 129 ; v. iutervallum, terra   municipes, v. 179   municipium, viii. 83   munus, v. 141, 179   muraena, v. 77 ; ix. 2S, 113   Murciae, v. Circus   VOL. II     Murmecidis, v. Myrmecidis   murmurantia litora, vi. 67   murmurari, vi. 67   murtatum, v. 110   Murteae Veneris sacellum, v. 154   murtetum, v. 154   murus, v. 143 ; v. circum, moerus,  postici, Saturnii, terreus   Musa, ix. 63; Musae, vii. 20, 26,  ix. 64   musica, ix. Ill   mussare, viL 101"   mustela, ix. 113   muti, vii. 101   Muti, v. Mucins   mutuum, v. 179 ; mutua muli, vii.  23   Myrmecidis opera minuta, ix. 108 ;  obscuram ope ram Myrmecidis,  viL 1   mysteria, vii. 11, 19, 34  mystica vada, vii. 19   X, cf. M   Naevia Porta, v. 163; Naevia   nemora, v. 163  naevus, F. 13  nanus, v. 119;  narratio, vi. 51  narro, vi. 51  narus, vi. 51   nascendi initia, v. 15 *, causa, v. 61 ;   cf. v. 60, 70  natare, viii. 74 ; ix. 71  natator, v. 94   natura, ix. 37, 38, 58, 62, 63, 70, 72,  76, 78, 94, 101 ; x. 15, 17, 24, 41  (quadruplex), 51-53, 55, 56, 60,  61, 83, 84, F. 6 ; natura novenaria,  octonaria, ix. 86; natura ser-  monis, viiL 25 ; natura verborum,  viii. 43, x. 51, 74 ; naturae verbi naturarum genera, x. 28 ;  v. copulae, gentilicia, infinitei,  locus   uatvLralis, v, casus, declinatio, dis-   crimen, genus  naviculae ratariae, vii. 23  na\is longa, viL 23 ; nave, F. 18  Xeapolis (Novapolis), v. 85 ; vi. 58  necatus sum necor necabor, x. 48  necessitas, viii. 31  nefas, vi. 30, 31  nefasti, v. dies   u nemus nemora, v. 36 ; ix. 94 ; x. 8,   50 ; v. Naevia  neo nes, ix. 109  Neptunalia, vi. 19  Neptunus, v. 72 ; vi. 19 ; v. Salacia  nequam, x. 79-81   Nestor, viii. 44; Nest6rem Nestoris,  viii. 72, x. 70 ; Nestores Nestoras,  x. 69   neutrum, viii. 46, 51 ; ix. 41 ; x. 8,   31 (neutra) ; F. 8 (genus) ; v. mas,   simile  nexus, nexum, vii. 105  niger nigricolus nigellus, viii. 79  nihil nihili, ix. 53 ; nihili nihilum,   homo nihili (non hili), ix. 54,   x. 81   nobiles nobilitas, viii. 15  Noctiluca, v. 68 (et eius templum) ;   vi. 79  noctua, v. 76  noctulucus, v. 99  Nola, Nolani, viii. 56  nolo, x. 81   nomen nomina, viii. 13, 14, 40, 45,  53, 56, 80 ; ix. 40, 43, 52, 54, 89, 91 ;  x. 20, 21, 27, 53, 54, 65, 80 ; nomen  an vocabulum, viii. 40 ; nomen  commune, ix. 89 ; nomen Lati-  num, v. 30, 119 ; Latina nomina,   vii. 109 ; nomina nostra, vi. 2,   viii. 64, 84 ; v. deus, dies, Graecus,  impositicia, Iupiter, mensis,  muliebre, Persarum, pisces, pro-  prio, servile, servus, Syriacum,  tralaticio, translaticium, virile   nomenclator, v. 94   nominandi casus, viii. 42 ; ix. 76,   77 ; x. 23, 65 ; nominandi genus   declinationis, viii. 52 ; v. casus  nominare, vi. 60  nominativus, x. 23  nominatus, viii. 45, 52, 63 ; ix. 69,   70, 95, 102; x. 18, 20, 21, 30;   v. exitus, Graecanica, species  Nonae, vi. 27-29; v. Caprotina,   Februarius  nonaginta, ix. 86, 87  Nonalia sacra, vi. 28  nongenta, ix. 86, 87  non hili, v. nihil  nonussis, v. 169   nostri, v. 36, 100, 166 ; vi. 2, 6 ; vii.  39, S7, 83 ; ix. 69 ; x. 71 ; nostra   658     memoria, vi. 40 ; v. antiqua,  colonia, consuetudo, deus, no-  mina, provincia, sacerdotes,  sacra, verba, vetus, vocabulum   nothum (genus similitudinis), x.  69 ; notha (verba), x. 70 ; nothae  declinationes, x. 71   novalis (ager), v. 39 ; vi. 59   nova luna, vi. 28   Nova Via, v. 43, 164; vi. 2t, 59;   v. infima  Novapolis, v. Neapolis  novem, ix. 86, 87  novenarius, v. natura, numerus  Novendiales, vi. 26  Novensides, v. 74   novicius, vi. 59 ; novicii servi, viii. 6  novitas, vi. 59   no\iis annus, mensis, sol, vi. 28 ;  sub Novis, vi. 59 ; novius novis-  simum, vi. 59 ; novissimum ves-  per, ix. 73 ; v. fabulae, nova luna,  Nova Via, senex, verbum   nox, vi. 6 ; x. 14, 41 ; v. dies, in-  tempesta, silentium   Numa, v. Pompilius   numen, vii. 85   Nuraerius (non Numeria), ix. 55  numerus, ix. 66, 67, 81, 85 ; x. 65 ;  numeri, ix. 65, 84, 87, x. 41, 43 ;  numerus novenarius, ix. 86 ; de-  narius, v. 170 ; duodenarius, v.  34 ; centenarius, v. SS ; numerus  singularis, v. 169 ; numerus ver-  borum, vi. 38, 39, viii. 3 ; numeri  antiqui, ix. 86 ; finiti, x. 83 ; v.  actus, decuriae, formula, gradus,  regula   nummi, v, 173, 174 ; ix. 80, 85 ; x.   41 ; v. addici  nuncupare, vi. 60  nuncupatae pecuniae, vi. 60  nuntium, vi. 86  nuntius, vi. 58   nuptiae, v. 72; vi. 70; vii. 28, 34;   x. 66, 67 (non imptia) ; v. ignis  nuptu ( = opertione), v. 72  nuptus, v. 72  nutus, vii. 85  mix, v. 102  Nympha, v. lympha   O exitus, x. 62  obaeratus, vii. 105     INDEX     obiurgat, vii. 93   obliqui casus, viii. 1, 2, 6, 7, 16, 46,  49, 51, 69, 7-t ; ix. 43, 54, 70, 75-  77, 79, 80, 89, 90, 103 ; x. 22, 44,  50-52, 58, 59 ; obliquae figurae, x.  53 ; obliquae declinationes, x. 44 ;  obliqui versus, x. 43   obi i via verba, v. 10   oblivio, v. 5 ; vii. 42   obscaenum obscenum, vii. 96, 97   obscuritas verborum, vi. 35, 40 ;  obscuritates grammatieorum, x.  75   obsidium, v. 90   occasus (solis), vi. 4, 5 ; vii. 7, 51   ocimum, v. 103   ocrea, v. 116   October mensis, vi. 21   octonaria, v. natura   odor olor, vi. 83   odora res, vi. 83   odorari, vi. S3   odoratus, vi. 83   offula, v. 110   olea, v. 108   olet, vi. 83   oleum (non olea), ix. 67  olitores, v. hoi i tores  olitorum, v. Holitorium  ollaner, v. olla vera  olla vera arbos, vii. 8  ollicoqua, t>. exta   ollus olla, vii. 42 ; olla centuria,  vii. 42 ; ollus leto datus est,  vii. 42   olor, v. odor   olus olera, v. holus   Olympiades, vii. 20   Olympus, vii. 20   omen, vi. 76 ; vii. 97   omnicarpa, v. 97   Opalia, vi. 22   Opeconsiva, vi. 21   opercula, v. 167   operimenta, v. 167   Opimia, v. Basilica   opinio, v. 8   oppidum, v. 8, 141 ; x. 20 ; oppidum  in circo, v. 153 ; oppida condere,   v. 143 ; v. antiqua, Graecus  Oppius Mons, v. 50   Ops, v. 57, 64 (mater), 74 ; vi 22 ;  Ops Consiva (et eius sacrarium),   vi. 21 ; v. terra     optandi species, x. 31, 32 ; in op-   tando, ix. 32  optimum, v. bonus  optiones, v. 91  opulentus, v. 92  opus, v. 64   oratio, vi. 64, 76 ; vii. 41 ; viii. 1  (tripertita), 38, 44 ; ix. 9, 11, 30,  32, 33, 35, 36, 45, 46, 48, 56, 112 ;  x. 14, 42, 49, 55, 64, 65, 6S, 77  (vocalis), 79; oratio poetica, vi.  97 ; oratio soiuta, vi. 97, vii. 2,  110, x. 70 ; v. partes, scientia   orator, vi. 42, 76 ; vii. 41 ; viii. 26 ;  ix. 5, 115   orbis, v. 143 ; orbe, F. 18   orchitis, v. 108   Orcus, v. 66 ; vii. 6   ordo, x. 67; ordo declinatuum, x.  54 ; ordines transversi et derecti  (vel directi), x. 22, 23, 43   oriens, vi. 4 ; vii. 7   origo, origines verborum, v. 3, 4, 6,  7, 92, 166; vi. 1, 37, 97; vii. 4,  47, 107, 109 ; viii. 58 ; origo duplex,  vii. 15 ; origo nominatus, ix. 69 ; v.  Graecus, locus, Lucana, poetica,  Sabinns, similitudo   Orion, vii. 50   ornamentum, vi. 76 ; ornamenta   militaria, vii. 37  ornatus (muliebris), v. 129, c/. v.   167   oro, vi. 76 ; v. causam  ortus, v. hortus   ortus (solis), vi, 6 ; vii. S3 ; (Luci-   feri), vii. 76  os exceptum, v. 23 ; ossa, v. Galli  Osce, v. 131, F. 5. 8  Osci, vii. 29, 54 ; Osca lingua, vii.   28 ; Oscus Osce, F. 5. 8  oscines, vi. 76  osculum, vi. 76   osmen (=omen), vi. 76 ; vii. 97  ostrea, v. 77   ovile, viii. 18, (non ovarium) 54 ;   ovilia, ix. 50  ovillum pecus, v. 99  ovis, v. 96 ; viii. 46, 54 ; ix. 76 (non   ovs), 113 ; ovis ovi, viii. 34 ; ovi   ove, viii. 66 ; oves ovium, viii.   70, ix. 26 ; v. peculiariae  ovum, v. 112  oxo, F. 24   C59     INDEX     pa (=patrem), vii. 27  pabulum, viii. 51  Paganalia, vi. 24  paganicae (feriae), vi. 26  pagus, vi. 26 ; v. Succusanus  pala, v. 134  Palanto, v. 53   Palatina tribus, v. 56 ; regio, v. 45 ;  Palatini, v. 53, 54 ; Palatinum, t>.  antiqua   Palatium, v. 21, 53, 68 (Bal-), 164  Palatua diva, vii. 45  Palatualis flamen, vii. 45  Pales, v. 74 ; vi. 15  Palilia, vi. 15  palla, v. 131  Pallantes, v. 53   pallium, v. 133, 167 ; viii. 28 ; ix. 48  palma, v. 62   palpetras, non palpebras, F. 23   Paluda, vii. 37   paludamenta, vii. 37   paludatus, vii. 37   palus, v. 26   panarium, v. 105   Pandana Porta, v. 42   pandura, viiL 61   panificium, v. 105   panis, v. 105 ; panis pastillus pas-   tillum, F. 10  pannus, v. 114   panther, v. 100 ; panthera, v, 100,  (non pantherus) ix. 55, F. 3 ;  pantherae, vii. 40   Pantheris, v. 100   panuvellium, v. 114   Pappus, vii. 29, 96   parapechia, v. 133   Parcae, vi. 52   Parentalia, vi. 23   parentant, vi. 23 ; parentare, vi.  13, 34   parentum parentium, viii. 66  paries, ix. 41   Paris, vii. 82 ; viii. 80 ; Paris Pari,   viii. 34  parma, v. 115  Parma (urbs), viii. 56  Parmenses (non Parmani), viii. 56  paro paretur parator, x. 32 ; paro   paravi, F.*5. 6  partes animae, ix. 30; partes ora-   tionis, viii. 11, 38, 44, 53, x. 7,   c/. vi. 36, viii. 48, ix. 31, x. 17 ;   660     v. casuale, ex quadam, scaena,   templum, urbs  participalia, x. 34  participia, viii. 5S ; ix. 110  patella, v. 120  patena, v. 120   pater, v. 65 ; x. 41, 59 ; pater  patres, viii. 48 ; pater familias,  patres familias familiarum, viii.  73; patres ( = sena tores), vi. 91;  v. Dis, Falacer   paterae, v. 122   patiendi, v. faciendi   patricus (casus), viii. 66, 67 ; ix. 54,  76, 85 ; ef. viii. 16   patrius casus, F. 17   Patulcium, vii. 26   pauper, v. 92 ; pauper (sed non  paupera) pauperrumus pauper-  rima, viii. 77 ; pauper pauperior,  F. 31 a   pavet, vi. 48   pavo, v. 75   pavor, vi. 48   pec ten, v. 129   pectere, vi. 96   pectunculi, v. 77   peculatus, v. 95   peculiariae oves, v. 95   peculium, v. 95   pecunia, v. 92, 95, 175, 177, 180,  1S1 ; vi. 65, 70 ; pecunia debita,  vii. 105 ; pecuniae signatae voca*  bula, v. 169 ; v. nuncupatae   pecuniosus, v. 92 ; viii. 15, 18   pecus (pecoris), v. 80, 95, 110 ; vii.  14 ; ix. 74 ; pecudem, v. 95 ;  peendis caro, v. 109 ; pecus ovil-  lum, v. 99 ; v. ago   pedem posuisse, v. 96   pedica, v. 96   pediseqnus, v. 96   peius, v. malum   pelagus sermonis, ix. 33   Peles, x. 69   Pelium, vii. 33   pellesuina, viii. 55   pellexit, vi. 94   pelliaria taberna non dicitur, viii. 55   pellicula, vii. 84   peloris, v. 77   pelvis, v. 119   penaria, v. 162   Penates, v. deus     INDEX     pensio prima, secunda, etc, v. 183  Percelnus Percelna, viii. SI  percubuit, ix. 49   percutio percussi percutiara, ix.  9S   perdnellis, v. 3 ; vii. 49  peregrinus, v. 3; peregrinus ager,   v. 33 ; peregrina vocabula, v. 77,   100, 103, 167  perfectum, ix. 100, 101; x. 43;   perfecti (verba), ix. 96, 101, x.   33, 4S; perfecta, ix. 97, 99, x.   4S ; perfectae res, ix. 32, 96 ; v.   analogia, similit\ido  Pergama, vi. 15; Pergamum, viii.   56   Pergamenns (non Pergamns -a),  viii. 56   pergendo (=progrediendo), v. 33  periacuit, ix. 49  peripetasinata, v. 168  peristromata, v. 16S  peraa, v. 110  perorat, vi. 76   Perpenna, viii. 41, SI (non Per-  pennus), ix, 41 ; x. 27 ; Marcus  Perpenna, viii. SI   Persarum nomina, viii. 64   persedit, ix. 49   perseverantia, v. 2   persibus, viL 107   personae, verbi, viii. 20 (qui   loqueretur, ad qnem, de quo) ; ix.   32, 95, 100-102, 108, 109; x. 31,   32 ; v. copulae, secunda  perstitit, ix. 49  pertinacia, v. 2  pervade, v. polum  pes, v. 95 ; pes lecti ac betae, vi. 55 ;   pes magnus, v. 95 ; v. pedem  pessinium, v. malus  phalera -am, x. 74  phanclas, v. zanclas  Phanion, F. 3S  Philippi caput, ix. 79  Philolacho, ix. 54  Philomedes -des, viii. 68 ; ix. 91  philosophia, v. 8  Phoenice, v. 31  Phoenicum, v. Poenicum  Phryx Phryge Phryges, ix. 44  physici, v. 69 ; x. 55  piacularis hostia, vi. 30  piaculum, vL 29, 53     pila terrae, vii. 17; pila aequa, vii.  19   pilani, v. 89   pill in corpore, vi. 45   pilum, v. 116, 138   pingo pingis, x. 31 ; pingo pinxi,   F. 5. 6  pinnae, v. 142  pinus, v. 102   pipatus pullorum, vii. 103   Pipleides, vii. 20   pipulo, vii. 103   Piscarium Forum, v. 146   pisces, viii. 61 ; ix. 28, 113 ; piscium  nomina, vii. 47 ; piscium voca-  bnla, v. 77   pisciceps non dicitur, viii. 61   piscina (non dicuntur piscinula pis-  cinilla), ix. 74   pistor pistori, x. 69   pistrinum pistrina, v. 138 ; pis-  trinum pistrilla, F. 10   pistrix, v. 138   placenta, v. 107   platanus platani, ix. 80   plaustrum, v. 140   Plautius Plauti, viii. 36   Plautus Plauti, viii. 36   plebs, v. tribuni   pluit, ix. 104   plombea, ix. 66   plumbum (non plumba), ix. 66   plura, ix. 32 ; x. 31   plusima, xii. 27   poeillum, ix. 66   poculum, vL 84 ; viii. 31 ; pocula,  v. 122   poem a non poo ma turn, F. 21 ; poe-  mata, vii. 2 ; poematorum, F. 21 ;  poematis, vii. 2, 36, viii. 14, F. 21 ;  poematibus, vii. 34   poena, v. 177   Poeni, v. 113, 182   Poenicum, v. 113; Poenicum voca-  bula, viii. 65   poeta poetae, v. 22, 88 ; vi. 52, 58,  67, 77, 83 ; vii. 36, 110 ; ix. 5, 17,  65, 78, 115 ; x. 35, 42, 70, 73, 74 ;  vocabula apud poetas, v. 1 ;  vocabula a poetis comprehensa,  v. 10 ; vocabula,j>etarum, vii. 1 ;  poetarum verba, v. 7, 9 ; verba a  poetis posita, vii. 5 ; verba apud  poetas, vii. 107 ; cf. poetica, vetus Poetelius lucus, v. 50 ; C. Poetelius   Libo Yisolus dictator, vii. 105  poetica verba, v. 9 ; vii. 3 ; poetica   analogia, x. 74 ; de pocticis ver-   bomm originibxis, vi. 97 ; lege   poetica, vii. IS  poetice, vii. 2  polluctnm, vi. 54  Pollux, v. 58, 73 ; Pol luces, v. 73  polus, vii. 14 ; ix. 24 ; pervade   polum, vii. 14  Polybadisce, vi. 73  polypus, v. 78  pom ( = potissimum), vii. 26  poma, ix. 93, cf. v. 10S  pomerium, v. 143  Pomona, vii. 45  Pomonalis flamen, vii. 45  Pompilius (Xuma), v. 157 ; vii. 45 ;   Pompili regnnm, viL 3; Pompilio   rege, v. 165  pondera, v. mensura  pons, v. 4, S3 ; ponte, F. IS ; Pons   Sublicius, v. S3, vii. 44  pontifex, v. 180 ; vi. 61 ; pontifices,   vi. 26, 27, 54 ; pontufices, v. S3,   vi. 61  Poplifugia, vi. 18   populns, v. 1, 35 ; via. 6 ; ix. 5, 6,  18, 114 ; x. 16, 74 ; v. inlicere,  Latimis, magister, rex, Romanus   porca, v. 39   porcus, v. 97   porrecta, v. exta   porta, v. 142 ; v. lanualis, Laver-  nalis, Mucionis, Xaevia, Pandana,  Rauduscula, Romanula, Saturnia,  Tusculanus   Portnnalia, vi. 19   Portunium, v. 146   Portumis (et eius aedes), vi. 19   portus, v. Tiberinus   pos, v. 4 ; potes, v. 58 ; v. pons   posca, v. 122   positivus, F. 31 b   posteriora (vocabxila et verba), viii.  12   postici muri, v. 42   postilionem postulare, v. 14S   postmoerium, v. 143   Postumus, ix. Postuma, ix. 61   potatio, v. 122 ; vi. 84   potens, v. 4   potio, v. 122; vi. S4   662     poto, vi. 84 ; poto potu.s sum, F. 5. 7  Potoni filia, vii. 2S  praebia, vii. 107   praeco, v. 15, 160; vi. 86, 87, 89,   91, 95 ; vii. 42  praeda, v. 178 ; viii. 19  praedium, viii. 4S ; praedium -ii -io,   viii. 63 ; praedia, v. 40, vi. 74,   viii. 4S  praeftca, vii. 70  praelucidum, vii. 10S  praemium, v. 17S  Praeneste, v. 32 ; vi. 4  Praenestinns (ager), v. 32  praenomina, ix. 60  praes, vi. 74 ; praedes, v. 40  praesens, viii. 20, 5S ; ix. 102, 104  praesidium, v. 90  praestigiator, v. 94  praeteritum, viii. 20, 5S ; ix. 104  praetor, v. SO, S7 ; vi. 5, 30, 89, 91,   cf. 93 ; viii. 72 (-toris -torem) ; x.   70 (-torem) ; praetores, vi. 29, 53,  87, 91 ; praetor -tori, x. 2S ; prae-  tor in Comitio supremam pro-  nun tiat, vi. 5 ; praetor urbanus,  vi. 54 ; cf. pretor   praetorium ins, vi. 71   praeverbia, vi. 38, S2   prandeo pransus sum, F. 5. 7   prata, v. 40   pretium, v. 177   pretor (rusticus), vii. 96   Priamidae, viii. 19   Priamus Priamo, viii. 3, 34   prima pars casualis, v. casuale   primigenia verba, vi. 36, 37   primo luci, vi. 92   primo mane, v. mane   principale genus, F. 9   principes, v. 89 ; v. deus   principium, x. 56, 60, 67 ; principia,  vi. 38 ; x. 56 ; principium analo-  giae, x. 61 ; principia verborum,   vi. 37, 39, viii. 5, ix. 99; prin-  cipia (declinationum), x. 11 ;  principia mundi, x. 55 ; v. caelum ;  cf initia   priora (vocabula et verba), viii. 12  priscum vocabuhim, vii. 26 ; prisca  consuetudo, x. 70 ; Prisci Latini,   vii. 28 ; priscae declinationes, x.   71 ; prisca nomina, ix. 22 ; prisca,  vii. 2     INDEX     pro (=anteX vL 5S   probus probi, F. 5. 6; probus   probe, F. 5. S  procare, viL 80   procedere, viL SI ; processit, vi. 38   proceres, F. 30 a, F. 30 b   prodire, viL 81   prodixit diem, vi. 61   productio syllabarum (rtl littera-   rum), v. 6 ; ix. 104  profanatum, vL 54  profanum, vi. 54  profeta, F. 2S. 2  professi, vL 55  Progne, v. 76  proiecta, v. porrecta  prolabitur, vi. 47  prolocutus, vi. 56  proloquram proloquia, F. 2S. 2, 6,   7, 8   prolubium, F. 4  proludit, vi. 5S  Prometheus, v. 31  promisee, F. 25  pronomen, viiL 45 ; ix. 94  pronuntiare, vi. 42, 5S  Propontis, vii. 21   proportione vol pro portione, v.  170, 1S1 ; viiL 50, 68, 78, SO, 83 ;  ix. 27, 29, 30, 33, 4S, 61, 62, S3,  103, 110 ; x. 2, 9, 36, 37, 41, 42,  47, 51, 65, 66, 63 ; proportionem,  viii. 57 ; cf. ratio   propositio, vi. 63, 76 ; v. putari   proprio nomine, vi. 55, 7S   propter dextram sinistra, propter  sinistram dextra, x. 59   prosapia, vii. 71   proscaenium, vL 53   prosectum, v. 110   proserpere, v. 68   Proserpina, v. 6S   prosicixun, v. 110   pros us et rusus, x. 52   protinam, vii. 107   Protogenes, ix. 12   p rovers us, viL SI   providere, vL 96   provincia nostra, v. 16   provocabula, viii. 45   proximus a Flora clivus, v. 158   prudens, viii. 15, 17   psalterium, viii. 61   publici servi, v. libertini     Publicius Clivos, v.M58; Publicii   aediles, v. 15S  publicus, r. honor  Publius, v. Scipio   puer, vii 28 ; viii 41 ; x. 4 ; puer  puella, viii. 25, ix. 29 ; puen, vi.  56, ix. 10, 11, 15, 16   puera, F. 37   pugil, v. 94 ; pngiles, viiL 15  pugnetur pugnator, x. 32; v. vol-  sillis   pulli, ix. 93 ;r.- pi pat us   Pullius Clivus, v. 15S; Pullius   vioenrus, v. 158  pulmentarium, v. 10S  pulmentum, v. 108  puis, v. 105, 107, 103, 127  pulvinar, v. 167  pulvini, ix. 43   pun go pupugi ptmgam, ix. 99; x.  4S ; pungo pupugi, F. 5. 6 ; pun-  gebam pungo pungam, pupuge-  ram pupugi pupugero, ix. 99   Punicttm bellum, v. 159 ; Punicum  malum, viL 91   puppis puppes, viiL 66   purgamentum, p. februm   purgare (familiam), v. 23   purpura, v. 113   pusus pusa, viL 28   putari, propositio putandi, vL 63   putator, vi. 63   Puteoli, v. 25 ; Puteolis, ix. 69  putere, vL 96   putens, v. 25 ; vL S4 ; r. corona  puticuli, v. 25  pntidus, v. 25  putihici, v. 25  putor, v. 25  putum, vi. 63  Pyrrhi bellum, vii. 39  Pythagoras (artifex), v. 31  Pythonos tumulus, viL 17   quadra gin ta, x. 43  quadra ns, v. 44, 171, 172, 174  quadrigae, viiL 55 ; x. 24, 67 ; quad-  riga, i. 66 ; v. agitantur, initia  quadringenti, x. 43  quadrini, viiL 55   quadripertitio, v. 11 ; vii. 5 ; c/. v.   6, 12, viiL 5U, ix. 31, x. 49  quadruple! fons, x. 22 ; natura, x.   41 ; analogia, x. 47, 4S   663     INDEX     quadrupes, v. 34, 79 ; quadripedem   -des, vii. 39  quaerere, vi. 79  quaesitores, v. SI  quaestio, vi. 79   quaestor, vL 79, 90 ; viii. 72 (-toris  -torem), x. 70 (-torem); quaes-  tores, v. SI, vi. 90; v. Septu-  mius, Sergius   quando rex comitiavit fas, dies, vi.  31   quando'stercum delatum fas, dies,   vi. 32  Quarta, ix. 60   quarta chorda citharae, x. 46   quarticeps, v. 50, 52   quartus dies morbi, x. 46   quattuor, ix. 64, S2 ; x. 43, 45, 49, 66   querquedula, v. 79   Querquetulanum, v. Lares   qui, v. quis   quinarii, v. 173   Quinctius, vi. 2 ; v. Quintius   quindecimviri, vii. SS   Quinquatrus, vi. 14 ; minusculac,   vi. 17   quintanae (Nonae), vi. 27  quinticeps, v. 50, 52, 54  Quintilis, vi. 34  Qu in this Trogus, T., vi. 90, 92  Quintus, ix. 60 ; Quintus -to, x. 51 ;   v. Mucius  quintus -ti -to -turn -te, viii. 63  Quirinalia, vi. 13   Quirinalis collis, v. 51, 52 ; flamen,   vii. 45   Quirinus, v. 73, 74 ; vi. 13 ; Quirini  aedes, v. 52 ; Quirini fanum, v. 51  quiritare, vi. 68   Quirites, v. 51, 73; vi. 68, S6 ;   omnes Quirites, vi. 88  quirquir, vii. 8   quis quae, viii. 45 ; x. 18, 30 ; quis  quoius quae quaius, quis quoi  qua quae, quern quis quos ques,   viii. 50 ; qui quis quibus, viii. 72 ;  qui homines, oportuit ques, viii.  50 ; deae bonae quae, dea bona  qua, viii. 50   quod bonum fortunatum felix salu-  tareque siet, vi, 86   R exclusum, v. 133 ; R extrito, vii.  . 27 ; R et D, vi. 4 ; c/. S   664     radix, v. 103 ; radices (nominum et  verborum), v. 74, 93, 123, vi. 37,  vii. 4, 28, 35, viii. 53 ; c/. v. 13   Ramnenses, v. 55 ; Ranines, v. 55,  81, 89, 91   rana, v. 78 ; rana ranunculus, F. 10   rapa, v. 10S   rape rapito, x. 31   rams raro rarenter, sed non rare,   F. 5. 8  rastelli, rastri, v. 136  ratariae naviculae, vii. 23  ratio, vi. 39, 63 ; viii. 57, 67, 72, 79,   83 ; ix. 2, 6, S, 9, 13, 15, 16, etc. ;   x. 1-3, 15, 36, 37, 41, 43, 82, etc. ;   ratio analogiae, x. 54 ; ratio   casuum, x. 14 ; ratio derecta,   transversa, x. 43  ratis, vii. 23  ratiti quadrantis, v. 44  raudus, aes, v. 163  Rauduscula (Porta), v. 163  raudusculum, v. 163  Reatinus ab Reate, viii. 83 ; ager   Reatimis, v. 53 ; Reatinum, vi. 5  recentes (declinationes), x. 71  recessit, vi. 38  reciproca, vii. SO  reciprocare, vii. SO  recordari, vi. 46   rectus casus, v. 4; vii. 33; viii. 1,  4, 6, 7, 16, 36, 42, 46, 49, 51, 53,  63, 69, 74 ; ix. 43, 50, 54, 70, 71,  75, 76, 85, 90, 102, 103 ; x. S, 22,  44, 50-52, 58-60; v. casus, nomi-  nandi   recum, vii. 26   redux, ix. 78   regia, vi. 12, 21   Regina, v. Iuno   regio regiones (Romae), v. 45-54 ; v.   caelum, Collina, Esquilina, Pala-   tina, Suburana  regula, F. 20 ; regula numerorum,   ix. 86  reliquum, v. 175  reloqui, vi. 57  reminisci, vi. 44   Remus, v. 54 ; viii. 45 ; v. Romulus  reno (Gall.), v. 167  repotia, vi. 84   res, v. animalis, creperae, discrimen,   fatales, genus, homo, initia  respicio, vi. 82     INDEX     respondendi, x. 31, 32 ; (species), x.  31, 32   respondet, vi. 69; respondere, vi.   72 ; respondere ad spontem, vi.   72 ; r. species  restibilis ager, v. 39  restipulari, v. 1S2  restis restes, viii. 66  rete, v. 130  reticulum, v. 130  reus, vi. 90 ; reus reei, viii. 70  rex regi, vL 12, 13, 28, 31 ; x. 47 ;   ad regem conveniebat populus,   vi. 2S ; ferias rex edicit populo,   vi. 2S ; v. Attalus, Aventinus,  Demetrius, Hostilius, initia,  Latinus, Pompilius, quando, re-  cum, Romulus, Tatius, Tiberinus,  Tullius   Rhea, v. 144   Rhodius ab Rhodo, viii 81  rica, v. 130  ricinium, v. 132, 133  Ripaei monies, vii. 71  rite, vii. SS   ritu, vii. 88 ; v. Alcyonis, Etrusco,   Graecus, Romanus  Robigalia, vi. 16  Robigo, vi. 16  rogandi (species), x. 31, 32  Roma, v. 33, 41, 45, 51, 56, 74, 101,   143, 144, 157, 164 ; vi. 15-17, 32 ;   vii. 10 ; viii. 18, 56, 83 ; ix. 34 ; x.  15, 16, 20; Roma non Romula,   viii. 80, ix. 50 ; Romae -am -a, x. 15  Romanula Porta, v. 164 ; vi. 24  Romanus, viii. 18, 83; x. 16;   Romanus ager, v. 33, 55, 123;  Romanus populus, vi 86 ; Romano  ritu, v. 130, vii. 88 ; Romani, vi.  25, vii. 3, viii. 56 (non Ro-  me uses), 83 ; Romanorum liberti,  viii. 83 ; Romana stirps, v. 144   Romilia tribus, v. 56   Romulus, v. 9, 33, 46, 54, 55, 144,  149 ; viii. 18, 45, SO ; ix. 34, 50 ;  x. 15 ; Romulo -i -am, ix. 34 ;  Romulus et Remus, v. 54 ; aedes  Romuli, v. 54   Romus, v. Romulus, v. 33   rorarii, vii. 5S   rosa, v. 103   Rostra, v. 155 ; vi. 91   rosus, v. rusus     rudentum sibilus, v. 7  nidet, vii 103  rufae (mnlieres), vii. S3  ruminalis ficus, v. 54  runcina, vi. 96  runcinare, vi. 96  ruo ruis, ix. 109   rura, v. 40 ; rure, (Zoc.) F. 19, (aM.)  F. 26   rustici, v. 177 ; vL 6S ; vii. 73, 84,  96 ; rustica instmmenta, v. 134 ;  v. pre tor, Vfamlia   rusus, v. pros us   ruta, v. 103   ruta caesa, ix. 104   rutilare, vii. S3   rutili rutilae, vii. S3   nit rum, v. 134   rutunda stagna, v. 26   S: R, vii. 26; S demptum, ix. 44 ;   S detritum, v. 136 ; S extritum,   vii. 97 ; v. C, G, L  Sabine, v. 159   Sabinus (ager), v. 123; Sabina  lingua, v. 66, cf. 74 ; origo Sabina,  vii. 2S ; Sabinum bellum, v. 149 ;  Sabinum vocabulum, v. 107 ;  Sabini cives, v. 159 ; Sabini, v.  32, 41, 6S, 73, 74, 97, 107, vi 5,  13, 28, vii. 29, 46, 77; Sabinae  virgines, vi. 20 ; fana Sabina, vi.  57 ; v. Curtins, dies   sacellum, v. 152 ; v. Argei, Iupiter,  Lares, Murtea, Strenia, Vela-  brum, Volupia; aliqnot sacra et  sacella, vii. 84   sacer, vii. 10 ; v. dies, sacra, vas   sacerdos, sacerdotes, v. S3 ; vL 16,  20, 21, 23 (nostri), 24 ; vii. 44 ; v.  Liber   sacerdotulae, v. 130   sacra nostra, vi 13 ; v. Argei,  Bacchus, carnem, Xonalia, sacel-  lum, tubae, tubicines   Sacra Via, v. 47, 152 ; r. caput   sacrae aedes, vii 10   sacramentum, v. ISO   sac ram, v. Argei, Ops Consiva   sacrificia, v. 9S, 124 ; v. Argei   sacrifico sacrificor, sacrificabo, sa-  crificaturus aut sacrificatus sum,  ix. 105 ; in sacrificando deis v.  122   665     INDEX     saepius, v. seniel  sagum (Gall.), v. 167  sal, v. mola  Salacia Neptuni, v. 72  Salii, v. 85 ; vi. 49  salinae, viii. 43  sallere, v. 110   salsnm salsius salsissimum, viii. 75  saltus, v. 36   Salus, v. 74 ; aedes Salutis, v. 52  Salutaris collis, v. 52 ; salutare, v.   quod bonum  salutator, viii. 57   saluto salutabam salutabo, viii. 20  Samnites, v. 142 ; vii. 29  Samnium, v. 29   Samothraces, v. 58 ; dii, v. 58 ;   Samothracum iuitia, v. 58  Samothracia, v. 58 ; Samothrece,   vii. 34   sanctum sancta, vii. 10, 11  Sancus, v. 66  saperda, vii. 47   sapiens sapientior sapientissimus   •ma, viii. 78  sapio sapivi et sapii, F. 35  sarculum, v. 134  sardare, vii. 108  sartum, vi. 64   satio, vi. 26 ; sationes, ix. 27   Saturnalia Saturnia antiquum oppidum Saturnia Porta Saturnia terra Saturnii muri, v. 42 ; Saturnii ver-  sus, vii. 36   Saturnius mons, v. 42   Saturnus, v. 57, 64, 74 ; vi. 22 ;  Saturni aedes, v. 42, 183 ; Saturni  fanum, v. 42 ; v. Lua   satus, v. 37   saxum, v. Tarpeius   scabellum, v. 168   scaena scena, vii. 96 ; x. 27 ; partes  scaenae, ix. 34 ; v. corollae   scaenici, vi. 76 ; scaenioi poetae, ix.  17   scaeptrum, v. sceptrum   scaeva, vii. 97 ; scaeva avi, vii. 97 ;   bonae scaevae causa, vii. 97  Scaevola, vif. 97   scalae, ix. 63, G8, 69 (non scala), x.  54 ; scalae -is -as, x. 54 ; scala  -am, x. 73   666     scalpere, vi. 96   scamnum, v. 168   scauripeda, vii. 65   Sceleratus Vicus, v. 159   scena, v. scaena   scenici, v. scaenici   sceptrum, vii. 96   sclioenicolae scientia scientiam orationis,   ix. 112  Scipio, P., vii. 31 ; ix. 71  Scipionarii gladiatores a Scipione   (potius quam Scipionini), ix. 72  scirpeis, vii. 44  scobina, vii. 68  scopae, viii. 7, 8 ; x. 24  scortari, vii. 84  scorteuin scortea, vii. 84  scortum, vii. 84  scratiae, vii. 65  scribae, vi. 87   scribo, vi. 37 ; viii. 12, 25, 44 (scribo  scribens); ix. 102 ; x. 33 ; scribone  scribisne, x. 31   scriptito, x. 33   scriptor, viii. 57 ; scriptores, ix. Ill  scrupea, vii. 6, 65  scrupipedae, vii. 65  scutum, v. 115 ; viii. 45  se ( = dimidium), v. 171  secessio, v. Crustumerina  seclum, vi. 11 ; seculum, v. 5  seculae, v. 137  Secanda, ix. 00  secunda persona, ix. 10S  sedeo, vi. 37 ; sedetur, vi. 1  sedes, v. 128   sedile, v. 128; (non sediculum),  viii. 54   seditantes (non dicitur), viii. 60  sedulitas Mnci et Bruti, v. 5  seges, v. 37 ; vi. 16 ; ix. 28  segestria, v. 166  selibra, v. 171  sellae, v. 128   semel et saepius, vi. 75 ; x. 33  semen, v. 37   sementis, vi. 26 ; sementes, v. 37   sementivae feriae, vi. 26   seminaria, v. 37   semis, v. 171, 173, 174; x. 38   semis tertius, etc., v. 173   semita, v. 35   semodius, v. 171     INDEX     semuncia, v. 171   senaculum, v. 156   senatus, F. 5. 9 ; senatus senatuis   senatui, F. 17  senecta, v. 5   senescendi homines, vi. 11   senex, viii. 25, 41 ; x. 4 ; F. 31 a,   F. 31 b ; senes nimium novum   verbnm vitabant, vi. 59  senior, x. 4, F. 31 a, F. 31 b  sentior nemo dicit, F. 5. 9  septem chordae citharae, x. 46  septem raontes, vi. 24  septem stellae triones, vii. 74 ; cf.   circulus  Septembres Kalendae, vi. 20  septemtrio, vii. 7 ; v. circulus  septimanae (Xonae), vi. 27  Septimatrus, vi. 14  Septimontium, v. 41 ; vi. 14  Septumius quaestor, v. 1 ; vii. 109  septumus dies morbi, x. 46  septunx, v. 171   sepulcrum, v. Acca, gleba, Tiber-  inus ; ad sepulcrum ferunt fron-  deni et flores, vii 24   sera, vii. 108   Sera pis, v. 57   sera re, vii. 108   Sergius, M'., M'. f. quaestor, vi. 90  series, ix. 97, 100 ; series casuum,   ix. 77 ; series perfecti, ix. 100 ;   series vocabuli, x. 82  senno, vi. 63 ; viii. 25, 37 ; ix. 1, 19,   107 ; sermones Latini, viii. 3, 30 ;   v. natura, pelagus  sero seris, x. 31 ; seriturne sere-   turne, x. 32  serpens, v. 68  serperastra, ix. 11  serpere, v. 68  serpyllum, v. 103  serta, vi. 64   servile nomen, viii. 10 ; v. deus   Servius, v. Tullius   servus, viii. 10 ; servus serve, x. 51 ;  servorum nomina liberorum servi  nomina, ix. 22, 55, 59 ; v. fana,  novicius, publici, societas   sesquiseuex, vii. 23   sessio, viii. 54   sestertius, v. 173   sex, x. 49     Sexatrus, vi. 14   sextans, v. 171, 172 '   sexticeps, v. 50, 52, 54   sextula, v. 171   Sextns, ix. 60 ; v. Aelius   sextus casus, qui est proprius   Latinus, x. 62 ; cf. viii. 16  sexus, viii. 46  sibilus, v. rudentiun  Sicilia, \-fi. 86   Siculi, v. 101, 120, 173, 175, 179  sidera, vii. 14   significatio, ix. 40 ; cf. vii. 1   signum candens, \ii. 14 ; signa,  14, 50, 73 (in caelo), 74, ix. 24,  78, x 46 (morbi), 64 ; v. Ianus   silentium noctis, vi. 7   siliquastrum, v. 12S   silurus, vii. 47   simbella, v. 174 ; x. 38   simile similia, vvi. 34, etc. ; ix. 92,  etc. ; x. 1, etc. ; simile dissimile  neutruni, x. 5   simillimi, v. gemini   similitudo, viii. 25, 28, 29, 31, 37,  39, etc. ; ix. 1, 26, 46, 53, etc. ;  x. 1, 72, etc. ; similitudo perfecta,  x. 12 ; similitudo declinationis,  x. 76, 77 ; declinationum, viii. 24 ;  verbi, x. 76 ; vocis vtl sonitus,  vi. 45, 52, 67, 75, 84, etc. ; simili-  tudo confusa in verbis tempo rali-  bus, ix, 108 ; similitudo verborum,   ix. 1 ; similitudinum forma, viii.  24 ; genera, x. 9, 13, 69 ; origo, x.  11, 13 ; ratio, ix. 8, x. 11 ; species,   x. 13 ; v. adventicium, animan-  tium voces, nothum, vernaculum   similia, ix. 92, etc.   similixulae, v. 107   simplicia (verba), vi. 37 ; viii. 61 ;  ix. 97 ; simplices analogiae, x. 68 ;  res, x. 24   simpuium, v. 124   sine sponte sua, vi. 72   singularis -re -res -ria, vii 33 ; viii.  60, 66 ; ix. 50, 60, 63-65, 68, 69,  80-82, 86, 87; x. 28, 33, 36, 54,  56, 57-60, 62, 65, S3; singularis  natura, x. 83 ; res, x. 66 ; voca-  buli series, x, 82 ; singula res  figurae, x. 58 ; casus, x. 59, 60 ;  singularia solum, viii. 48, ix. 63 ;  singula re verbnm, ix. 53 ; singu-   667     INDEX     lare vocabulum, ix. 57, 69 ; v.  gracilis   singuli (homines), ix. 5, 6, 18, 114,  115; x. 74; singula, ix. 32   sinistra, v. auspicinm, propter   sinnm, v. 123 ; ix. 21   sirpando (=alligando), v. 137 ; sir-  pa tur, v. 139   sirpata dolia, v. 137   sirpea, v. 139   sirpices, v. 136   sirpiculae, v. 137   siser, viii. 48   sisto, F. 36   sisymbrium, v. 103   siti, F. 18   socer soceri, ix. 91 ; socer socerum,   x. 28 ; socer socrus soceros so-   crus, x. 82  societas verborum, v. 13 ; vi. 40 ;   societatmn servi, viii. 83  sodalis et sodalitas Sodales,   v. Titii   Sol, v. 68 ( = Apollo), 74 ; ix. 24, 25;   de sole, v. 59 ; solis motus, vi. 4,   8 ; v. novus, occasus  sola terrae, v. 22  solarium, vu 4  solea, ix. 113   soleo solitns sum solni, ix. 107  solium, v. 12S   solstitium, vi. 8 ; ix. 24, 25 ; cf. cir-   culus  solu solum, vi. 2  soluta, v. oratio   solvunt ( = luunt), v. 137; v. luo,   trutina  sonant (arma), vi. 67  sonitus, vi. 84 ; v. similitudo  sonus vocis, vi. S4  sorbeo, vi. 84   sors, v. 183 ; vi. 65 ; sortes, vi. 65,   vii. 48  sortilegi, vi. 65   species, vi. 36 ; viii. 57 ; x. 13, 18,  79 ; species animalinm, x. 4 ;  nominatus, x. 21 ; usuis, x. 73 ;  declinatnum (imperandi, optandi,  personarum, respondendi, ro-  gandi, temporalis), x. 31-33, cf.  ix. 32 ; v. declinatus   specillum, vi. 82   specio, vi. 82 ; x. 18, 21, 79 ; specere,  v. 129, vi. 82, v. avis   668     spectare, vi. 82   spectio, vi. 82   specula, vi. 82   speculator, vi. 82   speculor, vi. 82   speculum, v. 129 ; vi. 82   sperat, vi. 73 ; sperata, vi. 73   spes, vi. 73 ; cf. v. 37   spica, vi. 45 ; spicae, v. 37   spiceret, vii. 12   spondere, vi. 69-72   sponsa, vi. 69, 70   sponsalis, vi. 70   sponsio, vi. 70   sponsor, vi. 69, 74   sponsu, vi. 69, 70, 73; v. ago;   sponsu alligatus, vi. 71  sponsus, vl 70 ; vii. 107  sponte, vi. 69, 71-73 ; v. respondere,   sine sponte  spumae, v. 63  Spurinna, x, 27  stadium, v. 11  stagnum, v. 26  stamen, v. 113  status, y. 11  statuti dies, vi. 25  stercum stercus, vi. 32  sternere, vi. 96  stillicidium, v. 27  stipare, v. 182  stipatores, vii. 52  stipendium, v. 182 ; v. milites  stips, v. 182  stipulari, v. 182   stirps, v. Romanus ; stirpes non   stirpeis, F. 20  stiva, v. 135  sto, vi. 37   stola muliebris, viii. 28 ; x. 27 ; cf.   ix. 48  stragulum, v. 167  strangulare, vi. 96  Streniae sacellum, v. 47  strenuitas, viii. 15  strenuus, viii. 17; strenui, viii. 15  strettillare, vii. 65  stribula, vii. 67  strigile, F. 18  stringere, vi. 96  strittabillae, vii. 65  strittare, vii, 65   strues (non strus), struis -em -i,  viii. 74 ; ix. 79     INDEX     stultus stultior stultissimns, ix. 72   sub divo, v. divum   sublecti, vi. 66   sublicitis, v. pons   sub Xovis, v. novus   subselliuna, v. 12S   subsidium, v. 89   subsipere, v. 128   sub tecto, v. 66   subtemen, v. 113   subucula, v. 131 ; ix. 46   subulo, viL 35   Subura, v. 4S   Suburana regio, v. 45, 46 ; tribus,   v. 56  succanit, vL 75  succes.sit, vi. 33  succidia, v. 110  Succusa, v. 43  Succusanus pagus, v. 43  sucus, v. 102, 109 ; ix. 93  sudis, v. 77  sudor, v. 24  sueris, v. 110  suffibulum, vi. 21  suite, viii. 54  suilla, v. 109  sulcus, v. 39   sum fui ero, ix. 100 ; esum es est   eram eras erat ero eris erit, ix.   100; fueram fui fuero, ix. 100;   siet, vi. 86, vii. 66, ix. 77, cf.   adsiet ; v. cum muliere  Summanus, v. 74  summum (contentions), viii. 78  suo suis, x. 7 ; suit suit, x. 25  supellex, \iii. 30, 32 ; ix. 20, 21, 46,   47   supera loca, v. caelum  supercilia, v. 69  supparus, v. 131   suprema, vi. 5; supremum, vi. 5,  vii. 51   surdus, -a, ix. 58; surdum thea-   trum, ix. 58  surenae, v. 77  surge re, r. mane   surus -o -e, viii. 68 ; suras *i, x. 73  sus, v. 96 ; snis, x. 7 ; sue, viii. 54 ;   sues sed non suium, viii. 70  suspicio, vi. 82   susnm versus, ix. 65 ; susus versus,  v. 158   sutor, v. 93 ; sutor sutori, x. 69     sutorium, v. atnum  sutrina (ars), v. 93 ; (taberua), viii.  55   syllaba, viii. 72 ; ix. 51, 52, 71 ; x.   7, 19, 57, 81 (extrita); syllaba ex-   trema, ix. 44, 109, x. 32, 57; v.   adiectio, commutatio, correptio,   detrectio, productio  syncerastum, vii. 61  Syracusis, v. 151  Syri, ix. 34  Syria, v. 16 —  Syriacum nomen, v. 100   taberna, xm. 55  tabernola, v. 47, 50  tabulae, v. censorium  Tarenti, v. 31   Tarpeius mons, v. 41 ; Tarpeia  (virgo), v. 41 ; Tarpeium saxum,  v. 41   Tarquinius Superbus, v. 159  Tartarinus, vii. 37  Tartarus, vii. 37   Tatius rex, v. 46, 51, 55, 74, 149,  152 ; vi. 68 ; arae Tati regis voto  dedicatee, v. 74   Taurii ludi, v. 154   taurus, v. 96   tectum, v. deierai-e   tegete, F. 18   tegus, v. 110   Tellus, v. 62, 67   temo, vii. 73-75   tempestas, vii. 51 (suprema), 72   tempestiva, vi. 3   tempestutem, vii. 51   templura, vii. 6-10, 12, 13 ; templi   partes, vii. 7 ; r. Acherusia, Ceres,   Diana, effari, Xoctiluca, Volcania  templum tescumque, templa tea-   caque, \ii. 8  temporals (species), x. 31 ; v. ver-   bum   tempus, v. 11, 12; vi. 3; vii. 80;  viii. 12 ; ix. 73, 108 ; tempore, v.  184, vi. 1, 3, 36, 40, 51, 52, 65, 97,  vii. 5, 72, 110, viii. 11, 20, 44,  5S, ix. temporum vocabula,  v. 10, vi. 1, 35; v. futurum,  praesens, praeteritam   tener tenerior, tenerrimus, viii. 77   669     INDEX     tera, v. 21, 22 ; v. terra   Terentius Terentii (pi), ix. 38, 60 ;   Terentius Terentium, ix. 38 ;   Terentius Terentia, viii. 7, 14, ix.   55, 59 ; Terentium genus, ix. 59 ;   Terentii casus, ix. 54 ; Terentiei   Terentiae Terentieis, viii. 36  tergus, v. tegus  terimen, v. 21  tentorium, v. 21  termen, v. terimen  Terminal ia, vi. 13  Terminus, v. 74 ; termini, v. 21  terra, v. 16, 17, 21-25, 31, 34, 36, 39,   66 ; vii. 17 ; ix. 38 ; terra, x. 62 ;   Terra, v. 57-60, 64 ( = Ops), 65   ( = Iuno), 67, 69 ; terra mater, v.   64 ; terrae loca infera, v. 16 ;   terra mundi media, vii. 17 ; v.   Calydonius, pila, Saturnia,   Thraeca ; cf. tera  terrestris, v. animalia  terreus murus, v. 48  terruncius, v. 174  Tertia, ix. 60  terticeps, v. 50, 52  tesca, vii. 8, 10-12  testuacium, v. 106  testudo, v. 79, 117, 161  tetraehorda, x. 46  Teucer, vii. 3  texta fasciola, v. 130  theatra, vi. 83 ; v. surdus  Thebris (=Tiberis), v. 30  Thelis (=Thetis), vii. 87  Theona, viii. 41 ; ix. 42  thesaurus, vii. 17  Thespiades, vii. 20  Thraces, vii. 43  Thraeca terra, v. 14  thrion, v. 107  thynnus, v. 77 ; vii. 47  Tiberinus (deus), v. 29, 71 ; Tibe-  rinus rex Latinorum, v. 30 ; Tibe-   rini sepulcrum, v. 30 ; Tiberinus   portus, vi. 19  Tiberis, v. 28-30, 43, 54, 71, S3, 146 ;   vi. 17 ; vii. 44 ; v. Tliebris, eis   Tiberim, uls Tiberim  tibiae, viii. 61   tibicines, vi.\L7, 75 ; vii. 35 (Tusci) ;   viii. 61  Tibur, viii. 53 ; ix. 34  Tiburs, viii. 53 ; Tiburtes, ix. 34   670     tigris, v. 100   Tigris (flumen), v. 100   t»tmor, vi. 45   tinguere, vi. 96   Titanis, vii. 16   Titan, v. Coeus   Titienses, v. 55, 89, 91   Titii sodales, v. 85   Titium tribus, v. 81   toga, v. 114; viii. 28; ix. 48; toga   praetexta, vi. 18  toral, v. 167  torpedo (piscis), v. 77  torus torulus, v. 167  trabes trabs, vii. 33 ; x. 56, 57  tragoediae, vi. 55 ; x. 70 ; v. Tuscus  tragoedus, ix. 55 ; v. ago  tragula, v. 115, 139  traiectio litterarmn, v. 6  tralaticio nomine, vi. 55 ; cf. trans-   laticium   tralatum, vi. 77 ; vii. 23, 103 ; x. 71  trama, v. 113  trames, vii. 61   transitus de casu in casum, viii. 39 ;  x. 28,- 51-53, 77, cf. x. 29; trans-  itus declinationis, x. 77   translaticium nomen, v. 32 ; trans-  laticium verbum, vi. 64 ; trans-  laticia verba, vi. 78 ; cf. tralaticio   transversus, vii. SI ; v. ordo   trapetes, v. 138   tremo, vi. 45 ; tremuisti timnisti,  vi. 45   tres tria, ix. 64 ; x. 49, 67, 83  tressis, v. 169; ix. 81, S3, 84; hi   tresses, hoc tressis, ix. 81  triarii, v. 89  tribulum, v. 21   tribuni aerarii, v. 181 ; militum, v.   81, 91 ; plebei, v. 81, vi. 87 ;   plebis, vi. 91  tribus, v. 35, 55, 56, SI, 91 ; v. Col-   lina, curatores, Esquilina, Pala-   tina, Rom ilia, Suburana, Titium  tributum, v. 181  trice.ssis, v. 170   tricliniaris gradu.s, viii. 32; tri-   cliniares mappae, ix. 47  triclinium, ix. 9, 47; v. aestivum,   hibernutn  triens, v. 171  trigae, viii. 55  trigona, vii. 75     INDEX     trini, viii 55 ; trinae trina, ix. 64 ;   trinae, x. 67 ; tf. copulae  triones, vii 74, 75  tripertita, v. 10 ; tripartito, v. 35 ;   r. oratio  triplicia, viii. 46  triportenta, vii. 59  tritavus, vii. 3  triticum, v. 106 ; Lx. 27  trittiles, vii. 104  tritura, v. 21  triumpliare, vi 63  triumviri capitales, v. 81 ; indicium   triumvirum (non -viroram), ix. 85  Trivia, vii. 16  trivium, vii. 16  trivolum, v. tribulum  Trogus, r. Quinthis  Troia, vii. 38  Troianus equus, vii. 38  trua, v. 118  truleum, v. US  tnilla, v. 118   trutina (per trutinam sohi), v. 183  tryblia, v. 120   tubae tubi, v. 117 ; tubae sacrorum,  vL 14   tubicines, v. 91 ; vi. 75 ; ttxbicines   sacrorum, v. 117  Tubulustrium, vi. 14  tueri, tueri villam, vii. 12  Tullia Tarquini Superbi uxor, v.   159   Tullianum, v. 151   Tulkus rex, v. 49, 151 ; Servius   Tullius rex, vi. 17  Tullius et Antonius consules, viii.   10   tumulus, r. Pytbonos   tundo tundam tutudi, ix. 99 ; tun-  debam tundo tundam, tutuderam  tutudi tutudero, tutudi tundo  tundam, x. 48; tundo tutudi,  F. 5. 6   tunica, v. 114; viii. 2S; ix. 79;   tunica ferrea ex anulis, v. 116;   tunica virilis et muliebris, ix. 4S,   x. 27  turdarium, vi. 2  turdelix, vi. 2   turdus, v. 77 ; xi. 2 ; ix. 28, 55 (non   turda)  turma, v. 91   turres, v. 142 ; turre, F. 18     Tuscanicum, v. 161  Tusce, F. 5. S   Tusculanus ager, viL 18 ; Tuscn-  lani, yL 14 ; Tusculanae portae,  vt 16   Tuscns dux, v. 46; Tusci, v. 32,  161, vi 2S, 35, ix. 69; Tuscus  Tusce, F. 5. 8 ; tragoediae Tuscae,  v. 55 ; vocabula Tusca, v. 55 ;  Vicus Tuscus, v. 46   tussi, F. IS   Tutilinae loca, vr>163   tutulati, viL 44   tutulus, vii. 44   U producere, ix. 104 ; U longum,  breve, ix. 104 ; U exitus, x. 62 ;  US : El, ix. SO; r. E   udor, v. 24   udus u\idus, v. 24   Ufenas (non Ufenius), viii. 84   uliginosus (ager), v. 24   ullaber, v. olla vera   uls Tiberim, v. S3   ulula, v. 75   ululantis (luporum vox), viL 104   umbilicus, vii 17   umbones, v. 115   umbra (piscis), v. 77   Umeri, vii. 50   uncia, v. 171, 172, 174   ungo ungor, x. 33   unguentaria taberna, viii 55   unguentum ta, Lx. 66, 67   unguis ungula, F. 10 ; ungues, v. 77   uni versa, x. 84   unocuU, vu. 71   unns -ius -i -um -e -o, viii. 63 ; unus  -a -um, ix. 64, x. 24 ; uni -ae -a,  ix. 64 ; una -ae, x. 24, 67 ; unum,  ix. 87, x. 30, 41, 43, 45, 49; uni  (pZ.), viii 55 ; unaeet binae, viiL 7   upupa, v. 75   uraeon, v. 76   urbanus, \iii. IS; urbanus exer-  citus, vi. 93; urbani, \i. 68; v.  auspicium, praetor   Urbinas, viii. 84   Urbinius, viii. S4   urbs, v. 28, 41, 43, 97, 151, 15S ; vi.  17, 18, 24, 28, 68, 93 ; vii 44 ; ix.  6S ; urbes non urbeis, F. 20 ;  antiqua urbs, v. 48, vi 24 ; urbis  loca, v. 45; urbis partes, v. 56;   671     INDEX     urbes, v. 143 ; urbes condere, v.   143 ; in Urbe Lucili, v. 138  urinare, v, 126  urinator, v. 1*26  urnae, v. 126   nrnarium (genus mensae), v. 126  nro uror, x. 33  ursi, v. 100 ; vii. 40  urvum, v. 127, 135  usura, v. 183   usus (communis), viii. 28, 30, 31 ;   ix. 7, 20, 37, 38, 56-60, 62, 63, 67-  71, 74; x. 72, 73, 83, 84; usus  loqnendi, ix. 6, x. 74 ; usus vetus,   x. 78 ; v. copulae, species  uter utrei, ix. 65   utilitas, viii. 26-20, 31 ; ix. 48  uvae, v. 104  uvidus, v. 24, 109  uvor, v. 104   V, v. 117   vagit (haedi vox), vii. 104   valentes glebarii, vii. 74   vallum ( = murus), v. 117; ( = van-   nus), v. 13S  valvata, viii. 29   varietas, ix. 46 ; (casuum), x. 62   vas vadis, vi. 74, F. 15   vas vasis, F. 15 ; vas aquarium, v.  119 ; vas argenteum, ix. 66 ; vas  vinarium, v. 123 ; vasa, viii. 31,  ix. 21 ; vasa aenea, v. 125 ; vasa  in mensa escaria, v. 120 ; vasa  sacra, v. 121   vasaria mensa, v. 125   vates, vii. 36   vatia, ix. 10   vaticinari, vi. 52   Vatinius Vatiniorum, viii. 71   vectes non vecteis, F. 20   Vediovis, v. 74   vehiculum, v. 140   Veientes, v. 30   Velabrum, v. 43, 44 ; vi. 24 ; minus  et maius, v. 156 ; Velabrum sacel-  lum, v. 43   velaturam facere, v. 44   Velia, Veliae, Veliense, v. 54   Velinia, v. 71   Velini lacufi, v. 71   vellere lanam, v. 54   velli ( = villi), v. 130   vellus, v. 130 ; vellera, v. 54   672     venabulum, viii. 53  venator, v. 94 ; viii. 53  Veneria, v. corolla  Venilia, v. 72   venor venans venaturus venatus,  viii. 59   venter, v. Faliscns ; ventres non  ventreis, F. 20   ventilabrum, v. 138   Venus caeligena, v. 62 ; Libentina,  Libitina, vi. 47 ; victrix, v. 62 ;  Veneris vis, v. 61, 63 ; dies Iovis  non Veneris, vi. 16 ; e spumis  Venus, v. 63 ; Aprilis a Venere,  vi. 33 ; Veneri dedicata aedes, vi.  20; lucus Veneris Lubentinae,  F. 4 ; v. Murteae   ver, v. 61 ; vi. 9   verberatus sum verberor verbera-   bor, x. 4S  verbex, v. 98   verbum, x. 77, etc. ; verba, viii. 11,   12, 53, 57, etc., ix. 56, 89, etc.,  F. 34 ; verbum temporale, viii.   13, 20, 53, ix. 95, 108, 109 ; verba  quae tempora adsignificant, vi.  40 ; verba aliena, v. 10 ; antiqua,   v. 9 ; concepta, vii. 8 ; declinata,   vi. 37, ix. 115 ; verba facere, vi.  78 ; verba ficta, v. 9 ; inclinanda,  x. 13 ; interpolata, v. 3 ; Latina,  v. 120, vi. 96, vii. 3 ; verba  nostra, v. 10, x. 71 ; verba ob-  livia, v. 10 ; primigenia, vi. ; verborum novorum et ve-  ternm discordia, v. 6 ; verborum  cognatio, v. 13, vi. 1 ; collatio,  viii. 78 ; copia, viii. 2 ; formulae,  x. 33 ; materia, x. 11 ; societas,  v. 13 ; v. discrimen, duplex,  figura, forma, genus, Graecus,  impositio, infecta, multitudo,  natura, mirneras, obscuritas,  origines, perfectum, personae,  poeta, poetica, principium, radix,  similitudo, simplicia, transla-  ticium, vernacula   Vergiliae, vi. 6 ; vii. 50   vernacula verba vel vocabula, v. 3,   77, 104 ; vi. 40 ; similitudinis   genus vernaculum, x. 69  versu, x. 62 ; versus obliqui, x. 43 ;   v. Saturnii, vieri  veru, v. 127 ; cf. v. 9S  vesper, vi. 6 ; vii. 50 ; vesperi, ix.   73 ; vespere, ix. 73 ; v. novus  Vesperugo, vi 6, 7 ; vii. 50  Vesta, v. 74 ; vi 17 ; Vestae aedes,   vi. 32   Vestales virgines, vi. 17, 21 ; virgo   Vestalis Tarpeia, v. 41  Vestalia, vi. 17  vestibulum, vii 81  vestigator, v. 94   vestimentum -ta, ix. 20, 4S ; x. 72  vestis, v. 130 ; veste, F. 18  vestispica, vii. 12   vestitus, v. 105; viii. 28, 30; cf.  viii. 31, ix. 45   Veturi, v. Mamuri   Veturii Cicurini, vii. 91   vetus vetiLstius veterrimum, vi. 59 ;  vetus consuetudo, v. 2, ix. 13,  20, 21, x. 73 ; Forum Vetus, vii.  29 ; veteres leges abrogatae, ix.  20 ; veteres, v. 14, 52 (poetae), 98  (nostri), vii. 32 ; Vetera, x. 73 ;  vetera vocabula, ix. 20 ; v. Aescu-  lapii, Capitoliom, Curia, verbum   vetustas, v. 3, 5 ; vi. 2   vexillum, vi. 93   via, v. 8, 22, 35 ; vii. 15 ; v. nova,   sacra  viales, v. Lares  Vibenna, v. Caeles  vibices, vii. 63  vicessis, v. 170   Victoria, v. 62 ; caeligena, v. 62  victoriatus, ix. 85 ; x. 41  victrix Venus, v. 62  victus, v. 105   vicus, v. 8, 160 ; vici, v, 145 ; r.   Africus, Cyprius, Insteianus,   Sceleratus, Tuscus  video, vi. SO ; tu domi videbis, vii   12 ; vide, vii. 12  vieri ( = vinciri), v. 62; versibus   viendis, vii. 36  vigilant vigilimn, vi. SO  viginti, x. 41, 43, 45  viilae, v, 35  villi, r. velli  Viminalis Collis, v. 51  Viminius lupiter, v. 51  Vinalia, v. 13 ; vi. 16 ; rustica,   vi. 20   vinaria mensa, v. 121 ; taberna,  VOL. II     viii 55 ; vasa, v. 123 ; vinarium   truleum, v. 118  vinciri, v. 62  vinclum, v. 62  vinctio, v. 61  vinctnra, v. 62  vindemia, v. 37 ; vi. 16  vindemiator, v. 94  vineae, v. 37, 117  vineta, v. 37   vinum, v. 13, 37- ; vi. 16 ; vinum  vina, ix. 66, 67 ; v. Chio, flamen,  Lesbo   viocurus, v, 7, 158   violavit virginem, vi. SO   violentia, v. 70   vir, viii. SO; ix. 85; x. 4; vireis,  viii. 36 ; v. centnmvirum, decem-  virum, quindecimviri, triumviri   virago, vii. virgo virgines, r. Sabinus, Tarpeius,   Vestales, violavit  virgultum, v. 102  \iride, v. 102   virile virilia, \iii. 46, 51 ; ix. 41, 48,  SI, 110; x. 8, 21, 30; nomina  virilia, viii. 36, x. 65; nomen  virile, viii SI, ix. 40, x. 65 ;  v. tunica ; cf. genus   virtus, v. 73   vis, v. 37, 61, 63, 70, 102; vi. 80;  viii. 7 ; haec vis, hums vis, hae  vis, F. 16 ; v. Venus, vita   visenda, vi. 82   visere, v. inlicium   Visolus, v. Poetelins   visus, vi. SO   vita a vi, v. 63 ; vita et mors, v   11 ; v. decernunt  vitio mannmissus, creatus magis-   tratus, vi. 30  vitis, v. 37, 102  Vitula, vii. 107  vitularttes, vii. 107  vitulus, v. 96 ; vituli, ix. 28 ; vituli   vox, vii. 104  vi rices, r. vibices   vivo non vivor, x. 78 ; vivatur vive-  retur, x. 32   vix, viii. 9 ; x. 14, 79, SO   vocabulum vocabula 66-68, 71, 74, 77, 78, 85, 88, 00 ; x.  6, 20, 23, 24, 35, 47, 51, 54, 81-83 ;  vocabulum Latinum, v. 29, 68 ;  priscum, vii. 26 ; vocabula a For-  tuna, v. 91 ; Aegyptiorum, viii.  65 ; aquatilium animalium, v. 77 ;  artificum, v. 93 ; barbara, viii.  64 ; dierum, vi. 12 (civilia), 33 ;  vocabula ex Graeco sumpta,  F. 14 a, F. 14 b; vocabula ferarum, v. 100; Gallica Gallorum vocabula im-  ponenda, vi. 3 ; lectulorum, v.  166 ; litterarum Latinarum, ix.  51 ; locorura, v. 10 ; magnitu-  dinis, viii. 79 ; mensium, vi. 33 ;  miliaria, ix. 85 ; multitudinis, ix.  64-66, 68, 09 ; vocabula nostra,  viii. 65 ; pecuniae piscium Poenicum temporum vocabula Tnsca, v. 55 ; vetera, ix. 22 ;  v. casus, figura, Graecus, homo,  impositio, peregrinus, poeta,  Sabinus, series, singularis, vernacula  vocalis, v. oratio   vocandi casus, viii. 42, 6S ; ix. 43,   91 ; x. 31 ; cf. viii. 16  vocare, v. comitiatum, inlieium  Volaminia, v. Volumnia  Volcanalia, vi. 20  Yolcanalis flamen, v. 84     Volcania templa, vii. 11  Volcanus, v. 70, 74 ; vi. 20  volgus, v. 58   volo (vis et volas), vi. 47 ; ix. 103 ;   x. 81  volpes, v. 101   volsillis pugnare, non gladio, ix. 33  Volturnalia, vi. 21  Volturnalis flamen, vii. 45  Volturnum (oppidum), v. 29  Volturnus (amnis), v. 29 ; vi. 21 ;  vii. 45   volucres, v. 75; ix. 28; volucrum   vox, vii. 104  Volumnia, v. Lucia  voluntarius -a -um, v. declinatio,   declinatus, genus  voluntas hominum, ix. 34 ; x. 15,   51 ; cf. voluntarius  Volupiae sacellum, v. 104  voluptas, viii. 31  vomer, v. 135  Vortumnus, v. 46, 74  vox voces v.   animantium, declinatus, tigura,   lupus, similitudo, sonus   X, cf. CS, GS  Xerxes, vii. 21   zanclas, v. 137     674      References are to Book (Roman numeral) and Section (Arabic number),  and to Fragment (F.) and serial number (Arabic), with subdivisions.     ayaBov, V.  dypof, v. 34  ayiov., vi. 12  act ov y vi. 11  ai8(a9ai, vi. 9  acura, vi. 11  aA«f uccucoe, vii. 82   aAjcvwv, v. 79 ; vii. SS   atia£av t vii. 74   a/x^Wef, V. 115   AfLckyeiv, VI. 90   ajju^t/ita, v. 78   avayapyapi^ecrdcu., vi. 96   ayaAoyta, X. 37, 39 ; apuAoytar,   x. 39 ; ayaAtryta?, viii. 23  ava Xoyov, viiL 32, 55 ; x. 2, 37  aFoAoyoi' x. 37, 3$, 39  av&pi fiax^rai, vii. 82  a*TopjeT»Kd»', ix. 24  avnKCifteva, F. 28. 13   &VTl)lOVj V. fLOtTOV   avrixOwv Ilvflayopa, vii, 17  av*ifLaAta.v t vii. 23 ; r. wept ay-  aStvuay F. 2S. 2, 4, 7, 8, 9, 12   ippafiiav, V. 175  amrapayof, v. 104   0ap£ap€py r * di'8pt  /ULeAuoj, V. 10G  /Accra, V. 118  /xipes, vi. 10  /xiJjtj, vi. 10   /XOlTOf aVTtjlOV, V, 179   fioptav, V. opxtv  fiv, vii. 101  fivpatva, v. 77   reap-, t7. errji'  pe'/xi), v. 3G   vajxifxa /SapjSapiKa, vii. 70  ia/M,\bv evTepov, V. Ill   5?, v. 9G   Xapn)?, F. 14 a, F. 14 b  ^dpT-ov, v. SS   e'peTe, vi. 90  ipeperpov, v. 1GG  (/>pe'ap, v. 25, 81  tpws ayafldi/, vi. 4     Printed in Great Britain by R. et R. Clark, Limited, Edinburgh  THE LOEB CLASSICAL  LIBRARY     VOLUMES ALREADY PUBLISHED     LATIN AUTHORS     AMMIANUS MARCELLINUS. J. C. Rolfe. 3 Vols.  Vols. I. and II.   APULEIUS. THE GOLDEN ASS (METAMOR-  PHOSES). W. Adlington (1566). Revised byS. Gase-  lee. (6th Imp.)   AULUS GELLIUS. J. C. Rolfe. 3 Vols.   AUSONIUS. H. G. Evelyn White. 2 Vols.   BEDE. J. E. King. 2 Vols.   BOETHIUS: TRACTS and DE CONSOLATIONE   PHILOSOPHIAE. Rev. H. F. Stewart and E. K.   Rand. (3rd Imp.)  CAESAR : CIVIL WARS. A. G. Peskett (4th Imp.)  CAESAR : GALLIC WAR. H. J. Edwards (7^ Imp.)  CATO and VARRO : DE RE RUSTICA. H. B. Ash and   W. D. Hooper. (2nd Imp.)  CATULLUS. F. W. Cornish; TIBULLUS. J. B.   Postgate; and PERVIGILIUM VENERIS.* J. W.   Mackail. (IQth Imp.)  CELSUS : DE MEDICINA. W. G. Spencer 3 Vols.  CICERO: DE FINIBUS. H. Rackham. (3rd Imp. revised.)  CICERO: DE NATURA DEORUM and ACADEMICA.   H. Rackham.   CICERO : DE OFFICIIS. Walter Miller. (3rd Imp.)  CICERO : DE REPUBLICA and DE LEGIBUS. 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(Vol.   I. 3rd Imp.)   DIONYSIUS OF HALICARNASSUS : ROMAN ANTI-  QUITIES. Spelman's translation revised by E. Cary.  7 Vols. Vol. I.   EPICTETUS. W. A. Oldfather. 2 Vols.   EURIPIDES. A. S. Way. 4 Vols. (Vols. I., II., IV.  tth Imp., Vol. III. 3rd Imp.) Verse trans.   EUSEBIUS: ECCLESIASTICAL HISTORY. Kirsopp  Lake and J. E. L. Oulton. 2 Vols. (Vol. II. 2nd Imp.)   GALEN: ON THE NATURAL FACULTIES. A. J.  Brock. (2nd Imp.)   THE GREEK ANTHOLOGY. W. R. Paton. 5 Vols.  (Vol. I. 3rd Imp., Vols. II. and III. 2nd Imp.)   GREEK ELEGY AND IAMBUS with the ANACRE-  ONTEA. J. M. Edmonds.   THE LOEB CLASSICAL LIBRARY   THE GREEK BUCOLIC POETS (THEOCRITUS,   BION, MOSCHUS). J. M. Edmonds. (6th Imp. revised.)  GREEK MATHEMATICAL WORKS. Ivor Thomas.   2 Vols. Vol. I.  HERODES. Of. THEOPHRASTUS : CHARACTERS.  HERODOTUS. A. D. Godley. 4 Vols. (Vol. I. 3rd   Imp., Vols. II.-IV. 2nd Imp.)  HESIOD and THE HOMERIC HYMNS. H. G. Evelyn   White. 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J.   Maidment. 2 Vols. Vol. I.  OPPIAN, COLLUTHUS, TRYPHIODORUS. A. W. Mair.  PAPYRI (SELECTIONS). A. S. Hunt and C. C. Edgar.    PARTHENIUS. Of. DAPHNIS and CHLOE.  PAUSANIAS : DESCRIPTION OF GREECE. W. H. S.   Jones. 5 Vols, and Companion Vol. (Vol. I. 2nd Imp.)  PHILO. * 10 Vols. Vols. I.-.V. F. H. Colson and Rev. G.   H. Whitaker; Vols. VI. and VII. F. H. Colson.  PHILOSTRATUS : THE LIFE OF APOLLONIUS OF   TYANA. F. C. Conybeare. 2 Vols. (Vol. I. 3rd Imp.,   Vol. II. 2nd Imp.)   THE LOEB CLASSICAL LIBRARY   PHILOSTRATUS : IMAGINES ; CALLISTRATUS :   DESCRIPTIONS. A. Fairbanks.  PHILOSTRATUS and EUNAPIUS: LIVES OF THE   SOPHISTS. Wilmer Cave Wright.  PINDAR. Sir J. E. Sandys. (6th Imp. revised.)  PLATO : CHARMIDES, ALCIBIADES, HIPPARCHUS,   THE LOVERS, THEAGES, MINOS axd EPINOMIS.   W. R. M. Lamb.  PLATO: CRATYLUS, PARMENIDES, GREATER   HIPPIAS, LESSER HIPPIAS. H. N. Fowler.  PLATO: EUTHYPHRO, APOLOGY, CRITO, PHAE   DO, PHAEDRUS. H. N. Fowler. (7th Imp.)  PLATO : LACHES, PROTAGORAS MENO, EUTHY-   DEMUS. W. R. M. Lamb. (2nd Imp. revised.)  PLATO : LAWS. Rev. R. G. Bury. PLATO : LYSIS, SYMPOSIUM, GORGIAS. Lamb. (2nd Imp. revised.)  PLATO: REPUBLIC. PaulShorey. 2 Vols. (Vol.1.   2nd Imp. revised.)  PLATO: STATESMAN, PHILEBUS. H. N Fowler;   ION. W. R. M. Lamb.  PLATO : THEAETETUS and SOPHIST. H. N. Fowler.   (2nd Imp.)   PLATO : TIMAEUS, CRITIAS, CLITOPHO, MENEXE-   NUS, EPISTULAE. Rev. R. G. Bury.  PLUTARCH: MORALIA. 14, Vols. Vols. I.- V. F. C.   Babbitt; Vol. X. H. N. Fowler.  PLUTARCH: THE PARALLEL LIVES. B. Perrin.   11 Vols. (Vols. I., II., III. and VII. 2nd Imp.)  POLYBIUS. W. R. Paton. 6 Vols.  PROCOPIUS: HISTORY OF THE WARS. H. B.   Dewing. 7 Vols. Vols. I.-VI. (Vol. I. 2nd Imp.)  QUINTUS SMYRNAEUS. A. S. Way. Verse trans.  SEXTUS EMPIRICUS. Rev. R. G. Bury. 3 Vols.  SOPHOCLES. F. Storr. 2 Vols. (Vol. I. 6th Imp., Vol   II. 4th Imp.) Verse trans.  STRABO: GEOGRAPHY. Horace L. Jones. 8 Vols.   (Vols. I and VIII. 2nd Imp.)  THEOPHRASTUS : CHARACTERS. J. M. Edmonds ;   HERODES, etc A. D. Knox.  THEOPHRASTUS: ENQUIRY INTO PLANTS. Sir   Arthur Hort, Bart 2 Vols.  THUCYDIDES. C. F. Smith. 4 Vols. (Vol. I. 3rd Imp.,   Vols. II., III. and IV. 2nd Imp. revised.)  TRYPHIODORUS. Cf. OPPIAN.   7     THE LOEB CLASSICAL LIBRARY   XENOPHON : CYROPAEDIA. Walter Miller. 2 Vols.  (2nd Imp.)   XENOPHON : HELLENICA, ANABASIS, APOLOGY,  and SYMPOSIUM. C. L. Brownson and O. J. Todd.  3 Vols. (2nd Imp.)   XENOPHON : MEMORABILIA and OECONOMICUS.  E. C. Marchant. (2nd Imp.)   XENOPHON : SCRIPTA MINORA. E. C. Marchanb.     VOLUMES IN PREPARATION     GREEK AUTHORS     ARISTOTLE: DE CAELO. W. K. C. Guthrie.  ARISTOTLE: HISTORY AND GENERATION OF   ANIMALS. A. L. Peck.  ARISTOTLE: METEOROLOGICA. H. P. Lee.  MANETHO. W. G. Waddell.  NONNUS. W. H. D. Rouse.   PAPYRI: LITERARY PAPYRI. Selected and trans-  lated by C. H. Roberts.  PTOLEMY: TETRAB1BLUS. F. E. Robbins.   LATIN AUTHORS     S. AUGUSTINE : CITY OF GOD. J. H. Baxter.  CICERO : AD HERENNIUM. H. Caplan.  CICERO : DE ORATORE. Charles Stuttaford and W. E.  Sutton.   CICERO : BRUTUS, ORATOR. G. L. Hendrickson and   H. M. Hubbell.  CICERO: PRO SESTIO, IN VATINIUM, PRO   CAELIO, DE PROVINCIIS CONSULARIBUS, PRO   BALBO. J. H. Freese.  COLUMELLA : DE RE RUSTICA. II. B. Ash.  PRUDENTIUS. J. H. Baxter.   QUINTUS CURTIUS: HISTORY OF ALEXANDER.  J. C. Rolfe.   DESCRIPTIVE PROSPECTUS ON APPLICATION     Cambridge, Mass. . HARVARD UNIVERSITY PRESS  London . . WILLIAM HE1NEMANN LTD  8 Marco Terenzio Varrone. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma, idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio, Varrone, Prisciano, Donato, Girolamo, Giulio Cesare – Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Varrone.

 

Luigi Speranza -- Grice e Varzi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale delle parole, degl’oggetti, e degl’eventi – la scuola di Galliate – filosofia piemontese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Galliate). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Galliate, Novara, Piemonte. Essential Italian philosopher. Some Italians do not consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s essays belong in English literature. He has written on ‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in ‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some Italians consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato insignito della Targa Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per l'Ontologia. Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso comune, si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista, nella convinzione che buona parte della struttura che siamo soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al nostro bisogno di rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività divulgativa, spesso in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo cui la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la quale si tratta de li errori et de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia,  Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi: Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla filosofia di V., Isonomia Epistemologica,  Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili, Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company all'edizione  del New York International Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords: ‘universal’. Refs.:  Luigi Speranza, "Grice e Varzi: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vasa: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della RAGIONE E LA LIBERTÀ – filosofia sarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aggius). Flosofo sardo. Aggius, Sassari, Sardegna. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri. Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente volontario e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a cattedre di filosofia teoretica, chiamato  a Cagliari e Firenze. Rimase sempre fortemente legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria.  Negli anni di formazione, si trova a partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui era allievo e amico, di superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo indirizzo. In questa operazione prende una sua via personale. Abbandona l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE (vedi) per quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a cadere per V. l’opposizione di immanenza e trascendenza.  Nella comune partecipazione alla Resistenza si lega di amicizia con PRA (vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in contatto con BANFI, che rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo critico di BANFI, che mira a chiarire una struttura della ragione nel solco della tradizione kantiana, V. pensa ad un razionalismo che anda oltre ogni struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della ricerca di una logica della possibilità. Si pone così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da PRA, sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” ri-nata dopo lo scioglimento imposto dall’autorità del FASCISMO. Il “trascendentalismo della prassi” è contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di tutta filosofia che presuppone un principio di datità del reale e del valore, cioè di tutta filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che riconosce la temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che è immediatamente critica del pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti gli indirizzi contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra, sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo, caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari. La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona. Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove, risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità proprie.  Per influenza dell’amico GEYMONAT, e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario) di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi” (Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica, scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius. Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia: Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale di Filosofia (Bologna,  promosso dalla SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl, L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano,  Logica e religione di fronte al compito di una possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V., Logica, scienze della natura e mondo della vita.  La frase (di V.) compare nella presentazione editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra, Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale, Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica, Milano. Marinotti,  Handjaras, “Ragione e libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V. (Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo (Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana. Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi, Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi inediti,  Minazzi e Sandrini, in «Il Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti, Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V., in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca, Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia». Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vasa.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vasoli: la ragione conversazionale e l’implicatura a MERTON ecc – la scuola di Firenze – filosofia fioretina – filosofia toscana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Firenze, Toscana. m. Firenze. Storico della filosofia italiano. Si formato con GARIN (si veda) e si laurea a Firenze con un saggio di filosofia morale. Al suo maestro è rimasto sempre profondamente legato, riprendendo e sviluppandone in modo originale temi e motivi.  Assistente e libero docente e incaricato di Storia della FILOSOFIA MEDIEVALE fnella facoltà di filosofia a Firenze. È stato professore ordinario di storia della FILOSOFIA MEDIEVALE a Cagliari, Bari e Genova, poi a Firenze di filosofia morale, di storia della filosofia, quindi di storia della FILOSOFIA DEL RINASCIMENTO. Dottore honoris causa della Sorbona e del Centro studi sul Rinascimento di Tours. Presidente dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, di cui è consigliere, e dei Lincei.  Autore di una vasta bibliografia, tra i suoi saggi si ricordano:  La filosofia medievale (Feltrinell), La dialettica e la retorica dell'Umanesimo: "Invenzione" e "Metodo"  (Feltrinelli; Città del sole) Umanesimo e Rinascimento (Palumbo) Magia e scienza nella civiltà umanistica (Il Mulino) La filosofia moderna (Vallardi) La cultura delle corti (Cappelli) Filosofia nel Rinascimento (Guida) Tra maestri, umanisti e teologi: studi (Le Lettere) Civitas mundi: studi sulla cultura (Storia e letteratura) Le filosofie del Rinascimento (Mondadori) L'enciclopedismo  (Bibliopolis) Ha inoltre tradotto in italiano il Defensor Pacis e il Defensor minor di Marsilio da PADOVA (si veda) ed ha curato, con Robertis, l'edizione critica del Convivio d’ALIGHIERI (Ricciardi).  Si è poi dedicato allo studio delle idee filosofiche (FICINO (si veda), SAVONAROLA (si veda) ed i suoi seguaci, SALVIATI (si veda), Postel, Patrizi da Cherso, Bodin, Marsilio da Padova), e, in particolare, al ritorno della tradizione dell’ACCADEMIA ed al rapporto tra le varie filosofie del Rinascimento e la diffusione delle nuove concezioni rconnesse alla Riforma protestante o alle particolari esperienze etico-politiche dell'età della Contro-riforma. Treccani -- Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Stabile, V. Enciclopedia Italiana, V Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari italiani, Associazione Italiana Biblioteche. Registrazioni di V. su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Storici della filosofia italianiItaliani del XX secoloItaliani del XXI secoloNati nel 1924Morti nel 2013Nati il 12 gennaioMorti il 16 aprileNati a FirenzeMorti a Firenze[altre].  La filosofia medioevale Storia della Filosofia La filosofia medioevale Il pensiero filosofico del Medioevo, dai mani-  chei ai nominalisti, da Ockham a Maestro  Eckhart, da S. Ag ostino a S. Tommaso, visto  in continuo, costante riferimento con l’am-  biente culturale, politico e sociale. Gli aspetti  ideologici delle dottrine e il loro peso effettivo  ‘nella società medioevale — sulla teologia, sul-  le concezioni della politica e dello stato —  vengono ampiamente analizzati e portati in  primo piano, offrendo al lettore un panorama  quanto mai affascinante dello sviluppo storico  e del significato culturale e politico delle varie  filosofie. In questo quadro denso di fatti, di  notizie, di osservazioni, di riferimenti, una  speciale attenzione è rivolta dall’autore alla  organizzazione della cultura, al formarsi delle  università, alla nascita degli ordini mendican-  ti, insomma a tutte le forme di vita teorica e  pratica del Medioevo, in cui si è riflessa in  maniera decisiva l’attività filosofica.    La filosofia medioevale di Cesare Vasoli è il  primo, in ordine di pubblicazione, di una se-  rie di volumi affidati a diversi studiosi, che  costituiranno un’organica storia della filosofia.  Seguiranno a questo i volumi dedicati alla  Filosofia antica, alla Filosofia nell'età del Ri-  nascimento, alla Filosofia moderna e alla Filo-  sofia contemporanea.    Quest'opera intende offrire a un pubblico colto, ma non necessariamente specializzato, un  ampio e documentato panorama dello svilup-  po storico del pensiero filosofico. Nella ste-  sura del lavoro i collaboratori si sono soprat-    segue  seguito    tutto preoccupati di evitare due opposti peri-  coli: un troppo rigoroso tecnicismo con una  conseguente terminologia da iniziati e una  sommarietà di trattazione adatta a manuali  di uso scolastico. La filosofia antica La filosofia medioevale   La filosofia nell’età del Rinascimento -  La filosofia moderna La filosofia contemporanea    Di imminente pubblicazione:    Francesco Adorno, La filosofia antica, vol. I    Cesare Vasoli, nato a Firenze nel 1924, è professo-  re di storia della filosofia medioevale nell’Università  di Firenze. È autore di un volume su Guglielmo di  Ockham e di numerosi studi sulla filosofia dei secoli  XV e XVI. Ha raccolto i risultati delle sue ricerche  sul pensiero contemporaneo nel volume, di recente  pubblicazione, Tra cultura e ideologia. Collabora al-  la “Rivista critica di storia della filosofia,” di cui è  redattore, a “Il Ponte,” a “Inventario,” a “Paragone”  e ad altre riviste filosofiche e di cultura.    Sovracoperta: Albe Steiner  Feltrinelli Milano Storia della Filosofia Giangiacomo Feltrinelli Editore  Milano    Cesare Vasoli    La filosofia medioevale    k4    Feltrinelli Editore Milano    A mia moglie, compagna carissima      Il 28 agosto 430 Aurelio Agostino, vescovo di Ippona, si spegneva  nella sua sede episcopale, assediata dalle milizie dei vandali. Nella  sua lunga esistenza di intellettuale pagano e poi cristiano, di retore  e di teologo, di elegante letterato e di Padre della cristianità occiden-  tale, Agostino aveva assistito al lungo sfacelo della società romana  corrosa da un’insanabile crisi economica e politica, minacciata dalla  crescente pressione delle gentes germaniche e dall’esplodere sempre più  frequente di drammatiche rivolte contadine; ma adesso, nei suoi ul-  timi giorni, egli assisteva all’estrema rovina di quello Stato che si era  ormai intimamente compenetrato con la Chiesa di Cristo, e, dal-  l’età costantiniana, aveva associato i vescovi e il clero romano alla  guida dell’Impero. Sorto per volere di una provvidenza misteriosa e  inaccessibile, che dispone dei troni e dei poteri, secondo l’esigenza di  un suo segreto disegno, l’Impero di Roma andava adesso dissolven-  dosi per una legge ugualmente necessaria e provvidenziale; ma nella  estrema confusione del secolo, nell’anarchia di tutte le autorità e di  tutti i poteri, il vescovo africano vedeva solo il segno dell’avvento di  una nuova società integralmente religiosa, capace di assorbire nella  sua più alta finalità cristiana l’ordinamento mondano, conservandolo  per i suoi scopi superiori. Se la città terrena scontava nella sua morte  la propria origine di violenza e di frode, la città di Dio poteva sor-  gere a imporre nel nome della sua destinazione ultraterrena la pace e  l'universale concordia, sotto il segno dell’alta guida della potestas Ecclesiae.   La dottrina che Agostino aveva elaborato nel De civitate Dei,  scritto tra il 416 e il 426, in anni trai più tragici della storia dell’Im-  pero, era certamente un tentativo coerente di sottrarre la comunità  cristiana all'imminente catastrofe, riaffermando che il suo destino ol-    Introduzione    trepassa sempre la storia e il mondo presente, che la sua verità tra-  scendente è al di là di ogni fortuna o sventura storica. Ma il suo  richiamo alla superiorità di un destino celeste, estraneo alla misura  mondana degli uomini “carnali,” non diminuiva la gravità di una crisi  che incideva sugli stessi fondamenti della situazione civile e intellet-  tuale in cui era maturato il trionfo politico del cristianesimo. In Gal-  lia e in Iberia le sanguinose dagaude, ribellioni delle gentes non  romane contro l’aristocrazia latina e quella indigena latinizzata, se-  gnavano irrevocabilmente la fine dell’unità romana. E mentre, nel pre-  cipitare della dissoluzione militare e amministrativa dell’Impero, si  spezzavano anche i legami culturali che avevano tenuto unite le più  diverse regioni d’Europa, i popoli germanici si installavano già pe-  santemente nel cuore dell'Impero, portando a contatto con la mille-  naria esperienza di una società economica evoluta la loro organizza-  zione ancora tribale, i loro culti della forza e del sangue.   Certo, ad Oriente, nella recente capitale di Costantinopoli, conti-  nuava la stessa tradizione romana che avrebbe più tardi trovato le  basi di una nuova ripresa politica e intellettuale nel difficile connubio.  dell’ellenismo e del cristianesimo. Ma nell’Occidente devastato dalle  invasioni e dalle insurrezioni contadine e militari, l’autorità e il potere  dell’Impero erano ormai soltanto un nome ed una finzione giuridica.  E presto i capi germanici avrebbero potuto imporre il loro sostanziale do-  minio a tutte le classi e i ceti dell’antica società romana. Cosî il potere mi-  litare e politico sarebbe passato definitivamente dalle mani dell’aristo-  crazia senatoria e latifondistica e della burocrazia imperiale in quelle  di una ristretta casta militare germanica, pronta però ad accettare la  collaborazione dei vinti e a riconoscere la loro superiorità intellettuale.   Questa dissoluzione dell’Impero e, con essa, la crisi della stessa  struttura organizzativa della cultura romana, non fu però, certamente,  un evento improvviso, né ebbe quel carattere catastrofico che gli è  stato cosî a lungo attribuito dalla storiografia romantica. Anzi, anche  quando tra la fine del IV e gli inizi del V secolo l'emigrazione delle  gentes germaniche si trasformò in vera e propria invasione, lo stan-  ziamento delle loro tribi nell’Occidente romano avvenne ancora, in  generale, nel quadro degli ordinamenti romani. I capi barbarici che  occuparono con i loro exercitus l’Italia e le province più latinizzate  dell'Europa occidentale e dell’Africa, tennero spesso a comportarsi: pit  come mandatari dell’autorità imperiale che non come veri e propri so-  vrani, senza mutare la struttura organizzativa dello stato romano. Né  le condizioni politiche e sociali delle élites subirono, almeno nei primi tempi, un mutamento radicale, o venne trasformata la struttura  sociale del Basso Impero, che restò di fatto immutata, anche se alle  aristocrazie latifondistiche romane o provinciali si sostitui, in gran  parte, la nuova aristocrazia militare germanica. È vero che le inva-  sioni barbariche, nelle regioni pid lontane o periferiche, ebbero tal-  volta come immediata conseguenza la rottura della recente tradizione  romana. Ma è altrettanto certo che lo stanziamento delle gentes ger-  maniche nelle vecchie terre latine, lì dove esisteva un forte tessuto  urbano e solide istituzioni culturali, non ebbe affatto un simile effetto.  Anzi, gli storici del Medioevo sono concordi nel contrapporre il rapido  regresso della cultura nelle regioni di recente latinizzazione alla ro-  busta e vitale continuità di tradizioni intellettuali che si ebbe invece  in Italia, in Gallia, in Spagna e nell’Africa romana.   Tuttavia, se pure le invasioni non distrussero volontariamente la  base della cultura romana, che negli ultimi secoli dell’Impero aveva  raggiunto un notevole grado di uniformità e di “stilizzazione”  scolastica, la dissoluzione dell’unità imperiale non fu certo priva  di gravi conseguenze. Già i grandi spostamenti etnici dei secoli  III e IV e le invasioni avevano cominciato ad infrangere quel comune  tessuto giuridico e amministrativo che aveva unito per secoli le re-  gioni dell’Occidente. Adesso, il costituirsi di regni barbarici sepa-  rati ed autonomi in Italia, in Spagna, nelle Gallie e nell’Africa ro-  mana, rese permanente quella rottura ed approfondi gli elementi di  divisione, anche sul piano della vita intellettuale. Per prima cosa, in-  fatti, l'Occidente fu separato dalle regioni dell'Oriente mediterraneo,  che seguirono di fatto uno sviluppo economico, politico e intellettuale  completamente diverso e nelle quali fiori una cultura con caratteri  assai distinti da quelli che si delinearono nelle terre occidentali. Ma    un’altra barriera venne pure a cadere tra l’Italia — che era stata il  maggiore centro della vita politica e amministrativa dell’Impero e do-  ve l'elemento romano restò sempre prevalente — e le altre regioni  dell'Europa centrale, ove i germani condizionarono in maniera assai  più netta la graduale formazione delle nuove unità nazionali. Il for-  marsi di diversi regni; la fine dell’unità giuridica e statale romana,  presto polverizzata nel particolarismo istituzionale dell'Alto Medioevo;  il sovrapporsi delle nuove aristocrazie militari germaniche alle vecchie  classi dominanti dell’età imperiale, ebbero quindi come naturale esito  storico il progressivo frazionamento della cultura e della vita intellet-  tuale, la cui unità fu però salvaguardata dalla dominante influenza  della gerarchia e delle istituzioni ecclesiastiche. E tale frazionamento fu poi accentuato dal costante spostamento dell’asse economico-so-  ciale della civiltà europea dalla città verso la campagna e dalle atti-  vità mercantili e artigiane a quelle rurali, dal rallentamento dei  rapporti economici e politici con l'Impero d’Oriente e dalla naturale  diminuzione degli scambi tra le varie regioni. Ciò spiega anche il  progressivo differenziarsi delle caratteristiche culturali di popolazioni  che erano pure rimaste per secoli nell’ambito della tradizione romana,  nonché l’effettivo regresso di molti aspetti della vita sociale, sui quali,  del resto, si rifletterono anche le condizioni di arretratezza proprie  delle aristocrazie barbariche. Certo, l’ossatura amministrativa -sulla  quale si ressero i regni romano-barbarici restò numana; e i romani  poterono spesso esercitare liberamente funzioni anche di notevole ri-  lievo politico e continuare a trasmettere il proprio patrimonio cultu-  rale. Ma questo non toglie che la scomparsa o l’indebolimento di un  saldo potere centrale, e il lento disgregarsi dei ceci sociali che avevano  avuto per secoli il pieno monopolio della cultura, non influisse deci-  samente. nelle condizioni “di base” della vita intellettuale. Da un  lato, infatti, si accentuò quel processo di riduzione “scolastica” della  cultura che era, del resto, già caratteristica dell'uitima età imperiale,  e la prevalenza di un criterio “utilitario” che legava lo svolgimento  dell’attività intellettuale alla formazione di un personale giuridico e  amministrativo, e, soprattutto, della gerarchia ecctesiastica. D'altro can-  to, la forza politica e amministrativa della Chiesa. unico corpo unitario  e saldamente organizzato nell’Europa frazionata. contribuf a dare alla  cultura un’impronta sempre più ecclesiastica, sostituendo all’organizza-  zione scolastica romana una nuova efficiente rete di scuole religiose.  Ma, soprattutto, il patrimonio di cultura greco-romana si sempli-  ficò e schematizzò, secondo le esigenze di una società sempre più  disorganica, e la riflessione filosofica venne ormai strettamente le-  gata alla tematica religiosa cristiana e quindi naturalmente esposta  agli interventi e al controllo della potente gerarchia vescovile. Cost,  mentre a Costantinopoli la direttiva cesaro-papistica degli Imperatori  conduceva a una stretta intrinsecazione tra dogma religioso e autorità  politica, preludendo alla definitiva liquidazione delle ultime scuole filo-  sofiche non cristiane operata da Giustiniano nel 529, anche in Occi-  dente il primato intellettuale della Chiesa pose di fatto le condizioni  del suo monopolio quasi esclusivo dell’educazione e della cultura. È appunto da questo momento storico, che conclude la lunga crisi  dell'Impero e inizia la lenta formazione della nuova società europea,  che deve muovere lo studio storico del pensiero medioevale. Poiché,  se è vero che il passaggio tra la civiltà greco-romana del tardo Impero  e quella dell’Alto Medioevo fu lento e graduale, è però altrettanto evi-  dente che la cultura di Boezio e di Cassiodoro, per non dir poi di  quella di Isidoro di Siviglia, presenta già dei caratteri ben definiti, i  quali la distaccano nettamente dagli ultimi sviluppi contemporanei del-  la filosofia classica che hanno luogo ad Atene o ad Alessandria. E chi  guardi alle radici concrete dei fatti intellettuali e all’ambiente storico  in cui essi si svolgono, non ha difficoltà a riconoscere che proprio in-  torno alla metà del V secolo passa il grande spartiacque tra la cultura  del mondo antico e quella dell’età medioevale.   Con questo, non si vuol certo dire che il carattere iniziale della  civiltà del Medioevo sia dato da un “profondo imbarbarimento,” o  tanto meno che la riflessione medioevale sia condizionata, fin. dalle  sue origini, da una esclusiva direttiva “scolastica” e “dogmatica.” Al  contrario, la vicenda della cultura dell’Alto Medioevo è anzi la testi-  monianza di vitali esigenze spirituali che, al di là di tutti gli ostacoli  posti dalle avverse condizioni politiche, mantengono le fila di una gran-  de tradizione e preparano la lontana. ripresa del IX secolo, Ed è pure,  a ben guardare, la testimonianza di quella costante differenziazione  di atteggiamenti intellettuali, nei confronti delle tradizioni fornite dal  pensiero classico che, fin dall’inizio dell’età medioevale, si delineò nel-  l’unità religioso-filosofica instaurata ben presto dalla Chiesa romana.  Ciò spiega, tra l’altro, perché la cultura medioevale occidentale —  della quale ci occuperemo in modo prevalente — abbia avuto risultati  più ricchi e fecondi della stessa civiltà bizantina, che pure era privi-  legiata sia dalla continuità dei suoi rapporti con i grandi centri intel-  lettuali della Grecia e dell’Oriente ellenistico, che dalle migliori condi-  zioni di convivenza civile e religiosa. Senza diminuire l’importanza sto-  rica della filosofia e della cultura bizantina, che pure ha avuto persona-  lità e momenti di singolare prestigio, non v’è dubbio che dei due “set-  tori” che dopo il V secolo si sostituiscono allo sviluppo sostanzial-  mente unitario della tarda antichità, quello occidentale fu nettamente  superiore nella capacità di tentare o suggerire nuove soluzioni teoriche  e speculative. Mentre in Oriente prevalse ben presto una rigida schema-  tizzazione di moduli scolastici e di atteggiamenti intellettuali che non    Introduzione    consentirono progressi di grante portata, la cultura dell’Occidente  cristiano svolse invece una funzione indubbiamente più positiva  e costruttiva nei confronti della società in cui operava, favorita in  ciò dalla stessa posizione particolare della Chiesa romana non legata,  come quella di Bisanzio, a una rigida subordinazione all’assoluta au-  tocrazia del Basileus.   L’indubbia superiorità dell'incidenza storica della cultura me-  dioevale occidentale nei confronti della tradizione bizantina, giusti-  fica poi il punto di vista che terremo nelle pagine seguenti, e l’atten-  zione prevalente, se non certo esclusiva, che porteremo alle dottrine ed  alle personalità della filosofia, della teologia, del pensiero politico e  della scienza occidentale. Certo, ci accadrà spesso di riferirci anche al  corso diverso e distinto della cultura greco-bizantina (basti pensare al-  l'influenza dello Pseudo-Dionigi e di Massimo il Confessore, e quindi  alla fortuna di Psello) e, più tardi, allorché diremo della svolta sto-  rica del XII e XIII secolo, dovremo trattare, con particolare ampiezza,  le dottrine dei filosofi arabi ed ebrei che esercitarono un’influenza cosi  decisiva nell’evoluzione intellettuale dell’Occidente. Nondimeno, per  quanto concerne la linea principale della nostra trattazione, essa verterà  soprattutto su quelle personalità e correnti di pensiero che si muovono  nell’ambito delle grandi scuole occidentali, dal primo grande tenta-  tivo compiuto da Boezio per assicurare alla civiltà latina medioevale un  ricco patrimonio filosofico e scientifico, alla “rinascita” carolingia, dal-  Ja grande ripresa dei secoli XI e XII alla eccezionale fioritura specu-  lativa del Duecento, e dalla crisi della tradizione filosofica medioevale  denunciata dalle correnti di pensiero trecentesco fino alle ultime mani-  ‘festazioni critiche del pensiero scolastico. Perciò, alla luce di questo  lungo e complesso processo storico, saranno pure valutati gli apporti  delle altre grandi tradizioni di pensiero e di cultura che agirono in  questi dieci secoli nel mondo mediterraneo.  Tale prospettiva, che è del resto comune a tutte le trattazioni ge-  nerali di storia della filosofia medioevale, non deve però indurre a  pensare che dieci secoli di sviluppo storico e intellettuale possano sem-  plicemente ridursi sotto la consunta etichetta di una “storia della sco-  lastica.”” È vero che nella civiltà latina medioevale la schola esercita  una funzione difficilmente paragonabile a quella delle istituzioni sco-  lastiche moderne, accentra intorno a sé quasi tutto il lavoro intellet-    14    Introduzione    tuale, controlla, insieme alla Chiesa, l’elaborazione delle idee direttive  di tutta la civiltà. Ma questo dato di fatto, di cui è facile render  ragione, analizzando le condizioni sociali di base che determinano la  fortuna e lo sviluppo delle scholae, non significa affatto che la cultura  filosofica medioevale sia un chiuso regno di teologi e di magistri, in-  differenti al volgersi storico delle vicende umane, estranei alla società  ‘in cui vivono ed operano. Né tanto meno il cosiddetto “mondo me-  dioevale” è certo quell’unità uniforme, statica, esclusa da ogni pro-  gresso, immutabile nei suoi principi dominanti, che è stata spesso  descritta dagli avversari, come dagli apologeti di un tipo di civiltà e  di vita sociale che non è mai esistita, né poteva esistere. Al con-  trario, il Medioevo europeo è invece una lunga età della storia umana  estremamente complessa, ricca di eventi e di processi storici che sono  stati decisivi per l’evoluzione di tutta la civiltà occidentale. In mille  anni, non solo si è compiuto quel processo di trasformazione econo-  mico-sociale che ha portato gran parte d’Europa dalla economia lati-  fondistica del tardo Impero al feudalesimo, e, quindi, al primo sviluppo  precapitalistico del XIV secolo, ma si sono realizzate esperienze intel-  lettuali, religiose, politiche e scientifiche, di cui non occorre neppure  ricordare l’eccezionale significato storico. Sicché giustamente si possono  ripetere anche oggi le parole che lo Haskins scrisse più di trent'anni  fa, quando la disputa sui caratteri storici del Medioevo era ancora  pienamente in corso e le polemiche sulla continuità e discontinuità del-  la sua cultura con la civiltà classica e l’età del Rinascimento erano ‘al  centro delle discussioni storiografiche: “Contrasti tra Oriente e Occi-  dente, tra Settentrione e Mediterraneo, tra vecchio e nuovo, sacro e  profano, ideale e attuale, danno vita e colore e movimento a questo  periodo, mentre la sua stretta relazione sia con l'antichità che con il  mondo moderno gli assicurano un posto nella continua storia dello  sviluppo umano. Tanto la continuità che il mutamento sono caratte-  ristiche del Medioevo, come di tutte le grandi epoche storiche” Chi  studi la storia del pensiero medioevale, non come un astratto museo  scolastico di dottrine “superate,” un arsenale di apparati teologici, o  una raccolta di “bizzarrie” o di “errori” scientifici, bensi come la ri-  sposta data da una particolare società ai problemi storici del suo tempo,  non può che condividere queste idee. Né gli è difficile riconoscere il  nesso tra la lucida elaborazione delle idee al livello teologico e filo-  sofico, la pugnace polemica della riflessione politica e i grandi muta-  menti economici e sociali che. si verificano nell’Europa medioevale,    15    Introduzione    determinando una serie di trasformazioni che ha sempre il suo ri-  flesso anche nell’ impassibile meditazione di metafisici o teologi.   Da questo punto di vista, anche la diversità e il mutamento di  orizzonti e prospettive intellettuali che si verificano nei diversi mo-  menti della cultura medioevale riceve una compiuta spiegazione solo  quando le varie dottrine sono immerse nel compiuto contesto storico  in cui si formarono e si diffusero. Non v’è dubbio infatti che sarebbe  ben difficile spiegare fuori dal complesso di una radicale trasforma-  zione economica e sociale il rinascimento intellettuale del XII secolo,  comprendere l’evoluzione della teologia e della filosofia duecentesca  fuori della grande fioritura della civiltà comunale, o intendere la crisi  speculativa del XIV secolo separatamente da una più profonda tra-  sformazione che coinvolge tutte le strutture della società medioevale.  Non solo; ma i caratteri peculiari e distintivi dei vari momenti in cui  si scandisce lo sviluppo storico della riflessione medioevale, risulta-  no sicuramente definiti solo se, prescindendo da ogni astratto riferi-  mento a “correnti” o “linee” ideali, sono riconosciuti come espres-  sioni di un mondo storico ben pi vasto e complesso di quello rappre-  sentato dalla esclusiva portata dei singoli temi filosofici o teologici  tradizionali.    *    A questo proposito — e per chiarire un’altra direttiva alla quale  ci siamo tenuti nella stesura di questa storia — è bene anche aggiun-  gere che il carattere particolare della filosofia medioevale costringe lo  studioso ad affrontare assai spesso una complessa tematica teologica,  la quale è anzi cosi intrinsecata con lo sviluppo della riflessione fi-  losofica, da rendere impossibile qualunque arbitraria distinzione. In  una società in cui la Chiesa mantiene per almeno otto secoli il mo-  nopolio effettivo della cultura, e in cui la figura dell’intellettuale si  identifica con quella del clericus, sarebbe infatti del tutto assurdo pre-  tendere di tracciare una “linea rigorosa di demarcazione” tra la storia  della filosofia e quella della teologia. E certamente, come lo studioso  del pensiero moderno non può prescindere nella valutazione dello svi-  luppo filosofico dalla concomitante incidenza della storia delle scien-  ze, a più forte ragione lo storico del pensiero medioevale deve tener  presente, per prima cosa, che proprio la teologia, con i suoi problemi  e i suoi dogmi, fu l’ambito ideologico in cui si sviluppò, per quasi  un millennio, la discussione filosofica, condizionandone naturalmente    16    Introduzione    i particolari svolgimenti. Ma questo non significa che si possa cata  logare mille anni di evoluzione storica del pensiero umano sotto l’eti-  chetta di comodo della “vocazione trascendente,” o dello “spirito asce-  tico” o ridurre la riflessione medioevale all’unico problema del rap-  porto fede-ragione. Che tale problema sia stato largamente presente  ai filosofi del Medioevo, che ‘abbia acquistato un'importanza dramma-  tica via via che tornavano a circolare le grandi testimonianze del  pensiero classico, è cosa evidente. Però, nulla sarebbe pit falso che ri-  durre questo problema, che fu anch’esso squisitamente storico e ri-  fletté atteggiamenti e soluzioni ben radicate nell’evoluzione della so-  cietà medioevale, ad una sorta di rigida disputa controversistica; tanto  più che è cosi facile cedere alla tentazione di introdurre in una cul-  tura e in una fase della storia della Chiesa che le ignoravano, certe  nozioni di “ortodossia” o “eterodossia” tipiche dell’età post-tridentina;  e ben lontane dalla mentalità e dai gusti speculativi dei magistri me-  dioevali,   D'altro canto, la prevalente natura teologica del pensiero medio-  evale (prevalente, ma non esclusiva, perché il Medioevo ebbe pure i  suoi grandi medici, giuristi e scienziati che influirono non poco anche  nella storia della filosofia propriamente detta) non deve indurre ad  accettare per la filosofia medioevale la definizione esclusiva di “filo-  sofia cristiana.” A parte il fatto che la cultura filosofica medioevale è  frutto dell’opera di Avicenna, di Averroè, di Avicebron e del Mai-  monide, certo non meno di quella di Bonaventura, di Tommaso o  di Duns Scoto, la sua “eredità” classica è sempre cosf attiva, da ren-  dere assai difficile stabilire quanto ogni singolo pensatore e il suo  ambiente intellettuale debbano al “messaggio” cristiano, e quanto in-  vece alla presenza di Platone, di Aristotele, di Cicerone e di Proclo.  Il caso della scuola di Chartres (per citare uno degli argomerti che  ha pit offerto occasioni per discutere l’ispirazione “cristiana” o “pa-  gana” di taluni pensatori di alto rilievo) insegna quanto sia fallace e  pericolosa l'applicazione di simili “parametri” alla storia della filosofia  medioevale. Perciò, senza entrare nei particolari di una discussione che  ha impegnato, trent'anni fa, alcuni dei maggiori studiosi cattolici e laici,  ci limiteremo a sottolineare che la nostra voluta astensione da ogni giu-  dizio di tal genere dipende dalla certezza che l’opera dello storico,  qualunque sia la direzione o i “livelli” in cui si svolge, non ha nulla  da guadagnare da simili atteggiamenti strettamente ideologici.   Naturalmente, non si vuol mettere in dubbio che la cultura me-  dioevale sia profondamente permeata di spirito cristiano e che, anzi,    proprio la tematica teologica e religiosa rappresenti la sua più imme-  diata espressione ideologica. Nondimeno è pur lecito ricordare che an-  che le credenze religiose assumono continuamente significati ed e-  spressioni sempre nuove, secondo le esigenze e i bisogni di quei ceti  o ambienti in cui si articola il grande corpo della C4ristianitas me-  dioevale, e secondo l’incidenza di idee, dottrine e atteggiamenti in-  tellettuali che venivano da ambienti e tradizioni “laiche.” Accanto al-  la dominante “facoltà” teologica, accanto ai commentatori della Bibbia  e delle Sentenze e agli autori delle grandi Summae, v'è infatti, e ac-  quisterà sempre più peso e influenza nella storia della cultura me-  dioevale, il mondo dei medici e dei giuristi, dei magistri artium e  degli spetiales, lettori spregiudicati degli scienziati e dei filosofi greci  e arabi, spesso osservatori acuti delle res nazurales e già abituati a  pensare il cosmo fisico come un complesso di fatti e di fenomeni  “autonomi.” Non solo; ma più procederà l’evoluzione della società me-  diosvale, e più questi ceti di intellettuali, estranei al tessuto “cleri-  cale” della cultura teologica, si trasformeranno in portatori di idee e  concezioni che minano profondamente l’antico ideale unitario e ca-  rismatico della Ckristianitas, per avanzare e difendere le nuove ragioni  degli stati cittadini e delle monarchie nazionali, o le radicali esigenze  laiche delle classi emerse dallo sfacelo del mondo feudale. Né questo  spirito resterà estraneo anche alla problematica teologica o all'ambiente  clericalis dei magistri Sacrae Theologiae, se è vero che, a Parigi come  ad Oxford, la scolastica del XIV secolo saprà esprimere in forma esem-  plare la crisi di una società e di una cultura che stavano profonda-  mente mutando.   Il fatto che i medesimi maestri che hanno criticato i fondamenti  della fisica e della metafisica “scolastica” siano, al tempo stesso, i li-  quidatori della scientia teologica medioevale e, non di rado, anche  audaci osservatori e teorici degli eventi politici e dei comportamenti  economici contemporanei dovrebbe cosî indurre a una maggiore cau-  tela nel giudicare i rapporti che la matura cultura medioevale istituî  tra le scienze sacre e profane, tra la teologia e la conoscenza critica  della realtà. Poiché la vicenda della tarda scolastica dimostra, nel modo  più chiaro e inequivocabile, che se la teologia offrf spesso il quadro  universale di una “visione del mondo” in cui si riconobbe tanta parte  della società medioevale, questa “visione” subî però sempre la stessa  sorte della realtà da cui nasceva, ed espresse nei suoi concetti più  “universali,” “trascendenti” quello stesso faticoso processo di evolu-  zione che si definiva concretamente nel progresso delle scienze e delle    18    Introduzione    tecniche, come nell’affermazione sempre più sicura di nuovi tipi di  organizzazione sociale e politica.   A queste considerazioni dobbiamo poi aggiungerne un’altra, non  meno importante; e, cioè che se l’autorità e le gerarchie della Chiesa  condizionarono in larga parte, e in senso positivo, come in senso ne-  gativo l’evoluzione del pensiero medioevale, pure non poterono mai im-  pedire che le ragioni della storia avessero il sopravvento. Le condanne,  i divieti, le ammonizioni di cui è pure straordinariamente ricca la  storia della cultura medioevale non hanno mai arrestato quelle idee o  dottrine che rispondevano ai bisogni più profondi e necessari di una  società in movimento; e, certo, chi rifletta alla storia dei ripetuti e  costanti divieti all'insegnamento di Aristotele, alla condanna del ve-  scovo Tempier, che colpì talune tesi tomiste, o alla lunga lotta con-  tro i teorici dell'autonomia della ricerca scientifica o filosofica, ha  larga materia di meditazione sull’estrema relatività di una vicenda  che doveva concludersi proprio con l'accettazione dell’aristotelismo co-  me strumento filosofico della teologia cattolica e con l’assunzione del  tomismo a filosofia ufficiale della Chiesa. Comunque, al di là dei con-  flitti che spesso opposero le correnti più avanzate della rifl-ssione me-  dioevale alla forza frenante di una tradizione sempre ancorata al pas-  sato, anche il mondo delle scholae fu protagonista e, insieme, testi-  mone dell’evoluzione storica che conduceva i popoli dell’Europa occi-  dentale verso l'avvento di un nuovo mondo storico fondato sui valori  umani della scienza, della tecnica e del lavoro. Tra il cristianesimo  monastico e ascetico di Pier Damiani e la lucida mentalità scientifica  di Ruggero Bacone che affida il trionfo della sua fede nel mondo alla  meravigliosa potenza di invenzioni e tecniche umane; tra la rigida teo-  crazia di Papa Gregorio e la teorica di Marsilio da Padova, che studia  con rigore razionale le strutture e le finalità dello stato “umano,” si  muove la lunga, umile fatica di commentatori e di maestri, di tra-  duttori e compilatori indaffarati a riconquistare e restituire ai propri  contemporanei il sapere degli antichi, a dare piena cittadinanza nella  Europa cristiana al “gran pagano” Aristotele, o ai nuovi strumenti e  ritrovati della scienza araba. Ma quest’opera che fornisce gli stru-  menti alla nuova scienza come ai prestigiosi edifici delle grandi Sum-  mae, dove la cultura del tempo celebra la propria “visione del mondo,”  ha significato e valore solo quando è calata nella vivente unità del  mondo storico, nella feconda fatica di una lunga giornata umana.    19    Parte prima    L'Alto Medioevo    Capitolo primo    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    I. Marco Anicio Severino Boezio    I regni romano-barbarici furono l’espressione politica di un lento  e complesso processo di assimilazione tra il tessuto tradizionale della  società romana e i nuovi elementi etnici e politici recati in Occidente  dagli invasori germanici. Nuovi ad una forma di vita organizzata en-  tro stabili ordinamenti politici ed amministrativi, ed anzi avvezzi ad  una forma di convivenza civile ancora rudimentale, i germani si tro-  varono infatti dinanzi al grave problema di dar vita ad un tipo di stato  che, pur assicurando il predominio militare e politico dell’aristocrazia  teutonica, permettesse però la convivenza con le élites romane, avvez-  ze da secoli a maneggiare i delicati strumenti amministrativi di una  grande società a struttura urbana. Cosf, pur essendo giunti nelle terre  dell’Impero con tradizioni assai diverse, i germani costituirono in Ita-  lia, in Spagna e nelle varie regioni della Gallia, un tipo di stato assai  simile che univa a istituzioni romane consuetudini e ordinamenti ca-  ratteristici delle diverse stirpi germaniche. E, mentre il potere politico  restava concentrato nelle mani del “kònig” germanico e degli “ariman-  ni” che costituivano l’exercitus barbarico, l’ossatura amministrativa del-  le singole regioni restò integralmente romana. E romana fu la cultura  e la forma di organizzazione della vita intellettuale che continuò a do-  minare i vari regni sorti dalla rovina dell'Impero.   In un tipo di stato cosî ordinato, era ben naturale che l’elemento  latino mantenesse immutata la propria supremazia intellettuale e che  tutte le forme di elaborazione ideologica fossero patrimonio particolare  dell’aristocrazia romana che aveva dovuto cedere ai germani la sua  tradizionale supremazia politica ed anche gran parte del suo potere  economico. Agli intellettuali formatisi nella pura tradizione della cul-  tura classica resta affidato il difficile compito storico di continuare la  esperienza giuridica-filosofica-teologica maturata dall’incontro delle con-    23    L'Alto Medioevo    cezioni filosofiche greche, della problematica dei Padri e dell’elabora-  zione secolare del diritto romano. Ma questa esperienza non venne  semplicemente trasmessa dai suoi naturali depositari alla nuova aristo-  crazia intellettuale che si formava soprattutto nell’ambito delle istitu-  zioni ecclesiastiche; fu invece profodamente trasformata attraverso una  complessa opera di adattamento cui parteciperanno ben presto an-  che intellettuali di origine barbarica, rapidamente assimilati dal tes-  suto vitale della Chiesa. I risultati e le conseguenze di questo pro-  cesso saranno ben visibili nelle condizioni della cultura europea tra il V  e il VII secolo, che rappresentano chiaramente una confusa e dramma-  tica età di transizione tra gli ultimi sviluppi della cultura greco-romana  e un nuovo ambiente intellettuale dominato dalla tematica religiosa  cristiana. Però il declino dell’alta cultura filosofica e la relativa povertà  anche delle espressioni più significative di questo periodo non può far  dimenticare la preziosa funzione esercitata da Boezio, da Cassiodoro  e da Isidoro di Siviglia nel periodo in cui si viene preparando la nuova  struttura sociale dell'Europa medioevale. È per loro merito che le  pur decadute istituzioni culturali dei regni romano-barbarici potranno  continuare a tramandare per due secoli, di generazione in generazione,  alcuni dei motivi dominanti della speculazione classica e della scienza  antica. Ed è pure sulla traccia segnata dalle loro opere che comincia a  prender corpo tutto un nuovo tipo d’insegnamento saldamente conte-  nuto nell’unità filosofica e religiosa della cultura ecclesiastica e perfet-  tamente adeguato alle esigenze del tempo. Certo, a parte il caso parti-  colare di Boezio la cui originalità filosofica è fuor di dubbio, l’opera  di questi intellettuali è volta principalmente all’utilizzazione del patri-  monio fornito dal pensiero classico ed alla sua riduzione in sintetiche  enciclopedie o manuali di facile uso scolastico, adatti al compito fonda-  mentale della formazione dei chierici che costituiscono adesso la prin-  cipale classe colta della società romano-barbarica. Eppure è proprio  attraverso questa attività apparentemente cosi umile che si cominciano  a predisporre le basi intellettuali per la futura rinascita carolingia e per  il primo grande tentativo di elaborazione culturale conforme ai carat-  teri sociali e politici dell'Europa medioevale.   Tra i pensatori che segnano il graduale passaggio tra la tarda  cultura classica e la nuova temperie spirituale dell’età romano-barbarica,  la figura di maggior rilievo è certo quella di Marco Anicio Severino  Boezio. Nato a Roma da famiglia senatoriale intorno al 470 d.C., egli  segui il normale corso di studi di un giovane aristocratico dei suoi  tempi, destinato ad alte funzioni politiche ed amministrative, e, in par-    24    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    ticolare, studiò filosofia nelle scuole di Roma e di Alessandria. Ancora  fanciullo allorché venne deposto l’ultimo imperatore d’Occidente, Boe-  zio era nella prima maturità quando la politica conciliante e filoromana  di Teodorico, re degli Ostrogoti, lo chiamò a far parte del concistorium  regio con il titolo di console e poi di magister palatit. In tale qualità  l’aristocratico romano visse alla corte del re barbaro per oltre un de-  cennio, vi esercitò delicati uffici e fu ascoltato consigliere di Teodo-  rico. Ma il profilarsi della minaccia bizantina e la violenta opposizione  della aristocrazia ostrogota, che si riteneva sacrificata all’elemento ro-  mano, indusse Teodorico a mutare politica e a liquidare gli aristocratici  romani di cui temeva i rapporti palesi ed occulti con il Basileus di Co-  stantinopoli. Cosi nel 524 Boezio, accusato di tradimento, fu imprigio-  nato nel carcere di Pavia ove scrisse la sua opera pit nota, il De conso-  latione philosophiae. Condannato a morte, fu ucciso poco dopo; e la  sua morte, attribuita a ragioni di persecuzione religiosa, fece fiorire  per tutto il Medioevo la leggenda del suo martirio che la critica storica  ha completamente dissolto. Anzi, in tempi non molto lontani, sono  stati sollevati addirittura dei dubbi sulla appartenenza di Boezio alla  religione cristiana, dubbi fondati, del resto, sull’assenza di qualsiasi  specifica allusione a dottrine cristiane nei suoi scritti di sicura attri-  buzione. La testimonianza di un frammento di Cassiodoro in cui si cita  un Liber de Sancta trinitate et capita quaedam theologica di Boezio, ha  permesso la sicura attribuzione almeno di alcuni scritti teologici che  andavano già tradizionalmente sotto il suo nome; e quindi anche di  accettare, con sicurezza, la sua appartenenza alla Chiesa cristiana.  Comunque, la civiltà medioevale deve assai più all’opera filosofica  di Boezio che non alla sua riflessione teologica direttamente esemplata  sui modelli agostiniani. Autore di un celebre commento all’Isagoge di  Porfirio (nella traduzione di Mario Vittorino), di un secondo com-  mento allo stesso testo da lui nuovamente tradotto, di vari altri trat-  tati e commenti logici (Introductio ad categoricos syllogismos, De syllo-  gismo categorico, De syllogismo hypotetico, De divisione, De differe-  tiis topicis) di un commento ai Topica ciceroniani, di un commento  alle Caregoriae e di due al De interpretatione, egli è l’effettivo fon-  datore della tradizione logica medioevale e l’ordinatore di quel com-  plesso di testi e di problemi che saranno al centro dell’insegnamento  dialettico dell'Alto Medioevo. Ma altrettanto importante è la sua atti-  vità di traduttore che gli permise di consegnare alla cultura occidentale  una parte notevole dell’Orgaron aristotelico, in versioni che hanno cir-  colato per secoli in tutte le scuole di Europa. Sue sono infatti le tradu-    zioni delle Categoriae, del De interpretatione, degli Analytici priores e  posteriores, degli Elenchi sophistici e dei Topici, ossia di quei testi che  furono fino al XIII secolo l’unica fonte essenziale dell’insegnamento di  Aristotele. Però il programma di Boezio era, a quanto sembra, assai  più ambizioso, se è vero che si era proposto di tradurre integralmente  tutti i dialoghi di Platone e tutto il corpus aristotelico, allo scopo di  mostrare il profondo, sostanziale accordo tra le due dottrine. Né il  fatto che il suo progetto non sia mai stato realizzato toglie importanza  a questo aspetto dell’opera di Boezio, prezioso intermediario tra i  maggiori documenti del pensiero greco e la cultura latina medioevale.   Anche un esame superficiale degli scritti logici basta, d’altra parte,  a mostrare la sua larga conoscenza della tradizione filosofica classica e  la sua familiarità con i problemi già dibattuti dagli interpreti alessan-  drini. Ed anzi, come è stato concordemente rilevato dalla maggior  parte degli studiosi, è sempre evidente nella logica di Boezio la tenden-  za ad interpretare le dottrine dell’Organon secondo una direttiva so-  stanzialmente platonica, perfettamente plausibile ove si pensi che egli  sente fortemente l’influsso dei commenti di Porfirio e della sua discus-  sione intorno al significato ed alla natura degli universali.   Quale sia stata l’origine di questo problema — che per una signi-  ficativa distorsione storiografica è stato considerato cosî a lungo come il  problema essenziale, per non dire addirittura l’unico, della filosofia me-  dioevale — è cosa ben nota. In un passo dell’]sagoge Porfirio, dopo aver  definito i termini logici di “genere” e di “specie,” aveva infatti aggiunto  che avrebbe rinviato ad altro luogo la decisione sull’effettiva natura di  questi concetti; e cioè se i “generi” e le “sp'cie” fossero delle realtà sussi-  stenti di per sé o, invece, delle semplici categorie mentali; se, nel caso  che fossero delle realtà, avessero una natura corporea o incorporea; e  se, infine, supponendole incorporee, esistess:ro separatamente dalle cose  sensibili o vi fossero invece intrinsecamente unite. Ora, sappiamo benis-  simo che di fronte a queste ipotesi Porfirio aderiva ad una soluzione  di schietto carattere platonico. Ma poiché l’Isagoge era semplicemente  uf testo elementare, scritto per avviare i giovani alla lettura dell’Orga-  non, era naturale che egli soprassedesse ad una discussione di carattere  metafisico, risolta, del resto, altrove in piena coerenza con la sua ispi-  razione metafisica. La questione lasciata così in sospeso dall'Isagoge è  invece affrontata da Boezio, il quale si rende perfettamente conto della  netta divergenza tra una soluzione fedele alla dottrina aristotelica e  quella che si può dedurre dalla concezione platonica delle idee. Così    26    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    nei suoi Commenti dell’Isagoge, egli espone, in sostanza, la tesi aristo-  telica, mostrando l’impossibilità di attribuire una realtà sostanziale alle  idee di genere e di specie che, appunto perché sono comuni ad interi  gruppi di individui, non possono essere esse stesse degli individui, e  tanto meno delle sostanze sensibili. D'altra parte, Boezio rileva che se  gli “universali” fossero soltanto delle semplici nozioni mentali e non  avessero alcun riferimento alle cose esistenti, il nostro pensiero non  avrebbe in tal caso nessun oggetto reale e, quindi, pensandoli, non pen-  serebbe nulla. Sicché è evidente che gli universali debbono essere sem-  pre dei termini di pensiero corrispondenti a delle realtà e che quindi il  problema della loro natura coinvolge tutto quanto il significato ed il  valore della conoscenza umana.   Per risolvere questo problema — che si sarebbe pi tardi ripre-  sentato a tanti logici medioevali costringendoli sempre a precise scelte  di ordine metafisico — Boezio si richiama poi ad una dottrina, non  nuova e già svolta ampiamente da alcuni interpreti greci. Egli nota  infatti che il nostro intelletto è capace di astrarre dalla visione confusa  delle cose particolari, presentate dai sensi, talune proprietà fondamentali  comuni ad un'intera classe o gruppo d’individui. Ma le specie ed i ge-  neri sono appunto delle qualità “comuni” che sussistono, in certo sen-  so, in ognuna delle cose individuali e materiali, pur essendo pensate dal-  l'intelletto come forme pure ed immateriali. La facoltà astrattiva del-  l’intelletto umano è, insomma, capace di estrarre dagli individui con-  creti le forme o nozioni astratte definite nei concetti universali. O,  come scrive appunto Boezio in un passo che ha goduto di un’eccezio-  nale fortuna storica, gli universali subsistunt ergo circa sensibilia, intel-  liguntur autem praeter corpora.   È chiaro che una soluzione di questo genere è assai vicina alla  classica dottrina aristotelica dell’astrazione di cui ricalca le linee gene-  rali. Ma sarebbe erroneo credere che Boezio, pur presentando come  “commentatore” la dottrina di Aristotele, vi aderisse pienamente, sen-  za dubbi o riserve. Intanto, di fronte al “testo” dell’Orgazon, egli non  manca anche di presentare l’opposta opinione platonica, ossia la dot-  trina “realistica” delle idee considerata come pienamente sostenibile e  legittima. Inoltre Boezio, che non cita mai la dottrina aristotelica del-  l'intelletto agente, inseparabile dalla concezione peripatetica dell’astra-  zione, presenta in un testo del V libro del De consolatione una dottrina  gnoseologica del tutto diversa, fondata sulla considerazione gerarchica  delle varie “facoltà” o “funzioni” dell'anima umana. Certamente an-  che qui Boezio muove dalle prime impressioni sensibili indispensabili    27    L’Alto Medioevo    a mettere in moto tutto il processo della conoscenza, per passare  poi all’analisi della facoltà immaginativa capace di cogliere nella ma-  teria sensibile le immagini e i segni. Ma al di sopra di queste facoltà  originarie, ma inferiori, egli pone l’attività della ragione capace di af-  ferrare la specie intelligibile presente nell’individuo e finalmente la  pura “virti” dell’intelligenza che perviene a cogliere le forme di per  se stesse, nella loro eterna unità, separate da ogni legame o connessione  sensibile.   Ciò spiega naturalmente le diverse e contrastanti interpretazioni  che vennero date durante tutto il Medioevo agli scritti di Boezio, non-  ché la ragione per cui tanti maestri di logica dell'Alto Medioevo pote-  rono pervenire a conclusioni schiettamente platoniche, pur movendo  dall’analisi delle dottrine aristoteliche. In realtà, tutta la meditazione  filosofica di Boezio è profondamente legata alla tradizione platonica  e neoplatonica, e tende a concludersi nella suprema scienza delle Idee  e nella contemplazione della Mente divina che reca già in se stessa gli  archetipi o rationes universali di tutte le cose.   Bene supremo ed assoluto, eterno oggetto di pensiero di cui ogni  mente umana possiede una conoscenza innata e indelebile, Dio è infatti  l’Essere perfettissimo, fonte di ogni esistenza, la causa prima di cui è  impossibile concepire qualcosa di più perfetto. Per questo, la sua esi-  stenza è cosi certa ed evidente da escludere ogni dubbio o incertezza;  poiché, se è vero che l’esistenza di tutto ciò che è imperfetto presuppone  sempre quella del perfetto, e se è evidente che esistono molteplici esseri  imperfetti, limitati e contingenti, dev’essere necessario che esista un  Essere perfettissimo, donde dipendano tutte le cose imperfette. In tal  modo, in uno schema dimostrativo sviluppato più tardi dalla teologia  dell'XI secolo, Boezio lega indissolubilmente la dimostrazione dell’esi-  stenza divina al postulato insieme logico e metafisico di un unico fon-  damento di tutte le esistenze e realtà particolari, culmine dell’ordine ge-  rarchico dell’universo e, al tempo stesso, unità eterna ed immutabile,  assolutamente superiore ad ogni categoria o determinazione logica.   Questa concezione di Dio (che non è necessariamente cristiana,  ma fondata su di un’argomentazione di carattere platonico) domina tut-  to il De consolatione, uno dei testi più fortunati di tutta la letteratura  filosofica medioevale. Identificando la filosofia con l’amore della sag-  gezza eterna, pensiero vivente e causa prima di tutte le cose, Boezio  ne considera infatti tutte le diverse funzioni secondo una precisa gerar-  chia che muove dalla considerazione delle cose naturali, per salire  quindi a quella degli “intelligibili” e affisarsi infine nella pura contem-    28    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    plazione degli inzellectibilia, sostanze separate da ogni corporeità o ca-  rattere materiale. Perciò, se la scienza dei corpi naturali è la “fisica”  (distinta nelle quattro arti del “quadrivio”: aritmetica, astronomia, geo-  metria e musica), e quella degli “intelligibili” svela invece le funzioni pro-  prie dell’anima nell’atto d’apprendere, la scienza degli inzellectibilia (la  teologia) ha per oggetto la dottrina di Dio e degli angeli. Ma la cono-  scenza teologica ci rivela come da Dio scaturiscano tutti gli esseri in-  telligibili, tra i quali è appunto l’anima umana concepita da Boezio,  platonicamente, come una pura essenza affine alle sostanze angeliche,  “degenerata” al contatto con il suo corpo, ma pur sempre mirante alla  conoscenza delle idee e di Dio. Come tutti gli esseri naturali che ten-  dono sempre al proprio scopo, l’uomo è volto al fine intrinseco della  conoscenza filosofica e teologica che coincide con la perfetta beatitu-  dine; però, mentre negli altri individui naturali questo moto è un pro-  cesso necessario e meccanico dominato dal ritmo fatale della Fortuna,  nell’uomo il tendere verso il Bene e la beatitudine spirituale è invece un  atto volontario e libero, non soggetto ad alcuna fatalità. Questo non vuol  dire, naturalmente, che non esista al di sopra e al di là di ogni volontà  particolare, la suprema legge della divina provvidenza che ha regolato  e disposto tutto il corso dell’universo secondo una norma di assoluta  perfezione. Ma il contrasto apparente tra il libero arbitrio della volontà  umana e l’ordine necessario della Provvidenza viene spiegato da Boe-  zio — che ha forse presente la classica problematica agostiniana — affer-  mando che la libertà dell’anima consiste nel volere ciò che Dio vuole e  nell’amare ciò che Egli ama. Per questo, anche di fronte al grande  problema teologico di come possa conciliarsi quella previsione infalli-  bile di ogni evento che Dio possiede 45 aeterzo e la libertà della  scelta umana, egli può sostenere che tale previsione non distrugge  affatto l’“arbitrio” dei singoli atti che sono appunto previsti da Dio  nella loro integrale libertà. E proprio nel De consolazione questa dot-  trina è confermata mediante la netta separazione tra il piano tempo-  rale, dove gli eventi mondani accadono nella successione del “prima” e  del “poi,” e l’immutabile eternità di Dio, “possesso totale, simultaneo  di una vita senza fine,” in cui ogni fatto presente, passato o futuro  esiste in una perenne eternità. La conoscenza eterna che Boezio attri-  buisce a Dio non è tanto una “previdenza” quanto piuttosto una “prov-  videnza,” né la sua prescienza degli atti volontari nega o diminuisce  la loro contingenza. Come l'occhio umano che scorge il sorgere del so-  le non è affatto la causa necessaria per cui esso si leva, cos anche la    29    L'Alto Medioevo    prescienza di Dio non impone affatto una condizione fatale alle libere  decisioni che ogni individuo può scegliere.   Simili motivi — presenti, del resto, anche in altri scritti boeziani —  sono probabilmente legati ad un filone di discussioni di chiara ascen-  denza patristica. Ma insieme a questa tematica teologico-metafisica, è  però presente nel De consolazione tutta una dottrina dell’origine e  della struttura del mondo, il cui influsso sarà poi costante per gran parte  del pensiero medioevale. Infatti, nel m. 9 del L. III, egli si accosta  a! contenuto del Timeo platonico (di cui conosce anche il commento di  Calcidio) per descrivere l’azione ordinatrice che Dio svolge nell’universo,  quando adorna la materia caotica secondo i modelli ideali, disponendo-  ne dapprima le forme matematico-geometriche e poi imponendo entro  questa materia già definita e determinata la luce degli archetipi eterni.  Tutte le idee fondamentali della tradizione platonica e neoplatonica (co-  me, ad esempio, la dottrina dei numeri e degli elementi e la teoria del-  l’anima del mondo, intermediaria tra la natura e il mondo ideale) sono  cosi risolte nel quadro di una grande visione cosmica, già del resto resa  familiare alla cultura filosofica classica dall’ecc:zionale fortuna del Ti-  meo platonico. Ma Boezio non si limita soltanto a trasmettere alla  riflessione medioevale dei temi cosi caratteristici e destinati a costituire  per secoli il fulcro delle concezioni cosmologiche, bensf si preoccupa  di armonizzare l’idea di un destino necessariamente immanente al-  l’ordine della natura, come la legge interna che regola il movimento  di tutte le cose, con la concezione provvidenziale dell’attiva presenza  divina. In questo tentativo — che costituisce uno degli aspetti più  interessanti del De consolatione — il filosofio romano subisce forte-  mente l’influenza di Calcidio donde trae la miglior parte dei suoi ar-  gomenti. E come nel commento di Calcidio al Timeo, cosi anche qui  l’ordine della natura assume un significato diverso secondo che lo si  consideri alla luce del pensiero divino che guida e muove tutta la  realtà per il suo alto disegno, o invece come una legge rigorosa e ne-  cessaria che agendo all’interno dei processi e fenomeni naturali ne costi-  tuisce la causa ineluttabile. Certo, si tratta di due considerazioni ben  diverse e distinte, giacché la provvidenza persiste eternamente nella sua  perfetta eternità, mentre il destino è invece la stessa successione degli  eventi temporali, il loro corso determinato e fatale. Eppure, né il desti-  no contrasta, per Boezio, con la provvidenza, né tanto meno la legge  di natura sopprime la responsabilità e la autonomia degli individui.  Tanto pid l’uomo si avvicina e si adegua a Dio, tanto meno è sotto-  posto alla forza del fato e gode di una libertà sempre pit compiuta    30    Filosofia e cultura nell'età des regni romano-barbarici    e perfetta. La concezione stoicheggiante del destino che sta alla base  della cosmologia boeziana può in tal modo coesistere con una solu-  zione di tono schiettamente platonico; la cert:zza dell’assoluta ne-  cessità che è pure presente in ogni aspetto o momento della natura  sembra cedere di nuovo ad un’immagine dell’universo non troppo di-  versa da quella di Agostino e dominata anch’essa dalla perfezione di  un disegno provvidenziale.   In un universo cosi concepito, nessuna delle cose esistenti può es-  ser quindi estranea all’ordine ed alla volontà d:1 Bene supremo. Ogni  ente reale, ogni individuo particolare, dal più umile al più eccelso, con-  tribuisce difatti a realizzare un disegno eterno che non ammette, nella  sua norma, né il male, né l’imperfezione. Ma il fatto che tutte le cose  siano sostanzialmente buone — in quanto partecipanti tutte dello stes-  so Bene — non implica, per Boezio, che esse s’identifichino con l’essere  supremo e non siano realmente diverse da Dio. Ciascun individuo pos-  siede un insieme di caratteri unico ed irrepetibile, ed è costituito da una  collectio di elementi e di principi da cui non potrebbe mai disgiun-  gersi senza distruggere la propria individualità. Se è vero che ogni  composto è distinguibile in una materia determinata e in una forma  determinante, la sua realtà effettiva è tuttavia sempre strettamente di-  pendente dalla indissolubilità del “composto.” Per questo, in ogni so-  stanza composta possiamo sempre scorgere la necessaria diversità tra  l’esse e l’id quod est, e cioè tra la sua essenza e l’esistenza di fatto  determinata. Tale diversità non potrebbe però mai verificarsi in Dio  che, per essere una sostanza assolutamente semplice, esclude da sé  ogni distinzione di elementi o principi costitutivi. Tra la natura delle  cose che da Lui dipendono e la sua propria realtà, v'è dunque un  criterio distintivo indiscutibile, la cui validità non potrebbe essere impu-  gnata se non rovesciando tutto l’ordine metafisico dell’universo.   Nondimeno, l’ordine delle cose naturali è tutto volto all’essere  divino, e ad esso aspira nelle più intime strutture. Ché tutti gli es-  seri, qualunque sia la loro dignità e la loro perfezione, partecipano alle  Idee divine o meglio a quelle forme con cui Dio ha determinato la  materia informe e che sono come il riflesso terreno degli archetipi pre-  senti nella mente divina. Queste forme o immagini — che Boezio pen-  sa in modo non lontano dalla dottrina delle species nazivae di Calcidio  o dalla dottrina stoica delle raziones seminales — sono i principi at-  tivi, le cause interne dei processi corporei e di tutte le operazioni biolo-  giche. Attraverso di esse e nella loro stretta, organica connessione, l’ani-    ZI    L'Alto Medioevo    ma del mondo attua infatti l’eterno disegno pensato da Dio e traduce  nel mondo della materia le divine essenze ideali.   L’interesse di Boezio per i motivi cosmologici della tradizione pla-  tonica e stoica, non è però soltanto attestato dalla sua riflessione filo-  sofica; ma è confermato dalle opere di carattere scientifico, dedicate a  ciascuna delle scienze del guadrivium, che comprende l’aritmetica,  la musica, la geometria e l’astronomia. Noi non possediamo il cor-  so completo degli scritti, destinati appunto a fornire un curriculum com-  pleto per gli studi superiori; ma ci sono giunti il De institutione  musica, il De institutione arithmetica, assai interessanti per la cono-  scenza delle fonti e dei materiali adoperati da Boezio. Non è difficile  scorgere che la sua Arithmetica è un adattamento e compendio della  classica trattazione di Nicomaco, o che la sua Musica si richiama al-  l’antica tradizione pitagorica. Il valore di questi trattati non sta quin-  di nell’originalità delle dottrine, bensi nel fatto che attraverso di essi  la cultura medioevale è entrata in possesso di un complesso di cogni-  zioni o ipotesi scientifiche destinato a guidare, per secoli, la cono-  scenza della natura. Né va dimenticato che l’influenza di Boezio sul-  l'ordinamento degli studi e delle scuole medioevali fu addirittura de-  cisivo, e che a lui si deve il quadro tradizionale entro cui verrà poi  organizzata per gran parte del Medioevo la trasmissione e la conti-  nuità della vita intellettuale.    2. Da Cassiodoro a Gregorio Magno    Il pensiero di Boezio di cui abbiamo soltanto enunciato i motivi  più interessanti e più attivi nella storia del pensiero medioevale, è certo  il frutto di una cultura maturata nell’ambito dell’ultima filosofia elle-  nistica, fondato su di un impianto metafisico platonico e stoicheggiante,  eppur già caratterizzato dalle esigenze della religiosità cristiana. Ma le  stesse caratteristichè della sua cultura sono ravvisabili anche nel suo  collega ed amico Cassiodoro (480/490-575/585), proveniente come Boe-  zio dall’aristocrazia romana, e come lui alto dignitario della corte teodo-  riciana. Più fortunato di Boezio, Cassiodoro, dopo una brillante carrie-  ra, poté ritirarsi intorno al 540 nel monastero calabrese di Vivarium ove  costitui una delle maggiori biblioteche del suo tempo e compose due  opere, il De anima e le Institutiones divinarum ct saecularium littera-  rum, che ebbero entrambe una larga fortuna nella letteratura scolastica.   La prima, ispirata al De anima e al De origine animae di Agostino,    32    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    nonché al De statu animae di Claudiano Mamerto. è un trattato in di-  fesa della pura spiritualità dell'anima e in aperta polemica contro i resi-  dui di una certa mentalità stoicheggiante, ancora non poco diffusa tra  gli stessi ambienti cristiani. Cosi, l’anima vi è concepita come una so-  stanza finita, creata, presente internamente al nostro corpo, ma imma-  teriale e immortale, semplice e puramente spirituale, secondo, del resto,  una dottrina ormai saldamente affermata nella teologia ortodossa. Più  importante è però l’altra operetta, usata a lungo come manuale nelle  scuole monastiche e citata frequentemente con il titolo De artibus ac di-  sciplinis litterarum. Il brillante cancelliere di Teodorico, autore di epi-  stole tra le più eleganti e raffinate dell’ultima latinità, traccia il piano  di un corso completo di studi liberali ad uso dei religiosi. E richia-  mandosi ad una divisione che risaliva attraverso Marciano Capella alla  costante tradizione pedagogica greco-romana, distingue le arti del £rs-  vium (grammatica, dialettica, retorica) da quelle del quadrivium (arit-  metica, geometria, astronomia e musica), ossia tra quelle arti che ci  offrono i mezzi per esprimere quanto comprendiamo e quelle che con-  ducono ad una effettiva conoscenza dell’ordine naturale e morale. La di-  stinzione, già adombrata anche da Boezio, non ha in sé molto di nuovo  e di originale. Eppure nella forma che le diede Cassiodoro, essa  formò la base dell’insegnamento per gran parte del Medioevo, e di-  venne un modello costantemente seguito nell’organizzazione fondamen-  tale degli studi. Per il resto l’aspetto più significativo dell’operetta è dato  dalla sistematica riduzione dei materiali elementari della cultura classica  al servizio delle esigenze ecclesiastiche e della conoscenza della Scrittura.  Che le arti liberali debbano diventare parte integrante delle discipline  cristiane e della stessa cultura monastica è infatti ferma convinzione di  Cassiodoro che ritiene indispensabile alla formazione dei “clerici” una  buona conoscenza degli scrittori antichi e una discreta peritia littera-  rum. Certo, le dottrine dei “Gentili” vanno spogliate del loro antico  significato peccaminoso e delle suggestioni demoniache che derivano  dalle loro origini pagane. Però la conoscenza delle lettere divine e la  loro giusta interpretazione sarebbe impossibile se mancasse la cogni-  zione dei mezzi di espressione e di pensiero o se non si conoscessero  almeno i fondamenti della scienza mondana. Le litterae humanae e le  litterae divinae non sono tra loro incompatibili e necessariamente av-  verse, tanto più che l’esatta comprensione e intelligenza della Scrittura  è condizionata dal possesso dei rudimenti essenziali del sapere. Proprio  per questo Cassiodoro, riprendendo la soluzione già posta da Agostino  al problema del rapporto tra la cultura profana e la tradizione cristia-    na, delinea una soluzione perfettamente conforme ai caratteri storici di  una società in cui l’elaborazione intellettuale sta diventando funzione  esclusiva degli uomini di Chiesa.   Boezio e Cassiodoro, con la loro raffinata cultura classica e la lar-  ga conoscenza della tradizione filosofica greco-romana, sono certo gli  ultimi rappresentanti dell’aristocrazia romana che ancora riesce ad im-  porre la propria supremazia intellettuale ai barbari e a legare alle isti-  tuzioni pedagogiche della Chiesa il proprio indirizzo filosofico e ideo-  logico. La fine della collaborazione tra i goti e i latini, la disastrosa  guerra greco-gotica che desolò per quasi venti anni le terre italiane e,  poi, la rovinosa invasione longobarda, dovevano però rendere sempre  più precaria quell’opera di mediazione tra la cultura classica e la nuova  società che nasceva faticosamente dai quadri rudimentali dei regni bar-  bari, sotto la crescente autorità politica e intellettuale della Chiesa.  Ma se l’Italia vide rapidamente imbarbarire le istituzioni culturali anco-  ra sopravvissute al crollo dell’Impero, se le dure condizioni del domi-  nio longobardo resero quanto mai labili le tracce di una continuità af-  fidata principalmente alle scuole monastiche o alla cultura burocratica e  giuridica che pure fiorisce nelle terre bizantine, non mancarono altrove  nuove testimonianze del progressivo processo di adattamento della tra-  dizione classica alle nuove esigenze storiche.   È infatti nella relativa stabilità del regno visigotico di Spagna,  largamente influenzato dagli elementi giuridici ed amministrativi del-  l'ordinamento romano, e dominato dalla crescente potenza dell’autorità  ecclesiastica, che opera il più tipico rappresentante della cultura del  VII secolo, il vescovo di Siviglia Isidoro (ca. 570-636). Autore di vari  scritti dottrinali e teologici, la sua opera più importante sono però gli  Etymologiarum libri (622-633), destinati ad una eccezionale fortuna sto-  rica. Quest'opera — tra le pil lette e diffuse in tutto il Medioevo — ci  mostra in modo esemplare come avvenga la riduzione del patrimonio  intellettuale della antichità in una sintetica enciclopedia di nozioni, utile  sia per chi si volge allo studio delle varie artes che per chi voglia dedi-  carsi alle cure del magistero ecclesiastico. Muovendo dall’idea che è pos-  sibile sempre rintracciare il principio e il significato di ogni cosa attraver-  so l'etimologia del suo nome, Isidoro ordina sulla base di questo singo-  lare criterio una grande massa di nozioni scientifiche, filosofiche e teo-  logiche, spesso trattate con grande ingenuità, ma sempre fondate sulle  testimonianze di molti autori classici. Ma l’importanza delle Origines  non sta certo nella ricchezza dei suoi riferimenti, quanto piuttosto nel-  l'interesse vivace e vitale per molti aspetti della cultura e della tradi-    34    l’ilosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    zione classica. Infatti, nei primi tre libri, i più celebrati e conosciuti,  Isidoro traccia un piano compiuto dello studio delle sette arti liberali,  cui aggiunge poi negli altri 17 libri un complesso ordinato di nozioni  che toccano tutti gli aspetti dello scibile, dalla medicina alla storia, dalla  Sacra Scrittura alla teologia ed alla ecclesiologia, dalla cosmografia al-  l’arte della guerra, dalla geografia alle arti meccaniche, ecc.   La evidente modestia delle dottrine esposte da Isidoro, la sua as-  senza di spirito critico o di attitudine filosofica, non toglie nulla alla  importanza storica di quest'opera che salvò dalla dimenticanza alcune  nozioni e idee fondamentali destinate ad esser tramandate, di genera-  zione in generazione, nella scuola medioevale. NÉ, del resto, è estranea  al suo autore una discreta conoscenza della scienza medica e naturale  del suo tempo che va posta forse in rapporto con la fioritura delle scuole  ebraiche spagnole, eredi di tanti aspetti e motivi della tradizione plato-  nica. Anche le altre opere di Isidoro — il De fide catholica, i Sententia-  rium libri tres, il De ordine creaturarum, il Chronicon e la Historia re-  gum Gothorum et Vandalorum — testimoniano, del resto, la notevole  larghezza della sua cultura teologica, dominata naturalmente dall’ispi-  razione agostiniana, delle sue conoscenze naturali e delle sue nozioni  storiche, fornendo altre preziose indicazioni sulle tonti filosofiche e  letterarie di cui poteva servirsi un uomo di cultura in pieno VII secolo.   Ora, è vero che nel corso di un secolo, il cerchio delle conoscenze e  delle letture si è fortemente ristretto, e che Isidoro mostra, nei confronti  di Boezio e di Cassiodoro, una conoscenza assai minore dei classici e un  uso molto più rozzo degli stessi strumenti linguistici. Eppure, nella sua  opera, come in quella di un altro minore contemporaneo, Martino  di Bracara, lettore ed espositore di Seneca, si realizza la continuità della  cultura classica e si compie il difficile salvataggio degli ultimi resti di  una civiltà ormai in rovina. Raccogliendo nozioni e dottrine, ordinan-  dole nell’ambito di una concezione educativa strettamente legata alla  finalità ecclesiastica, Isidoro lascia in eredità agli uomini della rinascen-  za carolingia un prezioso patrimonio sopravvissuto ai periodi più oscuri  della crisi del mondo classico.    La vita intellettuale dell’Europa occidentale continua a decadere  progressivamente nel corso del VII secolo sotto il peso di molteplici fat-  tori storici che fanno di questo periodo uno dei momenti più dramma-  tici e oscuri di tutta l’età medioevale. Mentre i regni romano-barbarici  si disgregano, svelando le loro profonde tare costituzionali (quando ad-  dirittura non scompaiono, stroncati dall’efimera ripresa bizantina), si    L'Alto Medioevo    cristallizza la struttura latifondistica della società europea, gravata dal pe-  sante predominio delle nuove aristocrazie germaniche, ancora estranee  alla cultura ed alla tradizione greco-romana. L'attività economica ral-  lenta adesso il ritmo, si attenuano, quando addirittura non si spezzano,  gli ultimi legami politici con l'Impero d’Oriente, che le invasioni isla-  miche stanno privando dei suoi territori africani e del Medio e Vicino  Oriente. E, intanto, il progressivo esaurimento delle classi dirigenti ro-  mane, l’avanzata di popolazioni più barbare e arretrate, rendono an-  cora più precaria la sorte della tradizione intellettuale greco-romana, le-  gata tradizionalmente alla continuità delle istituzioni urbane.   Quel filone di solida dottrina che scorre ancora per buona parte  del VI secolo, sembra adesso esaurirsi, oppure si fissa definitivamente  nei canoni stilizzati dell’insegnamento ecclesiastico, nelle formule spes-  so assai elementari e sommarie che guidano l’insegnamento dei maestri  delle scuole vescovili o monastiche. In luogo della ricca esperienza filo-  sofica, testimoniata ancora dall’opera di Boezio, si realizza ora il mo-  nopolio della vita intellettuale da parte della Chiesa, l’unica istituzione  che continui, al di là del crescente frazionamento dei poteri politici ed  amministrativi, la funzione unificatrice già esercitata dall’Impero, e che  imponga, in una società disorganica e disgregata, un’ideologia unitaria  e organica. Certo, anche la cultura ecclesiastica accusa gravemente le  conseguenze dello sfacelo della società romana e non è esente da un  processo di progressivo imbarbarimento e di netto regresso intellettuale.  Il tentativo di risolvere le idee dominanti nell’alta cultura greco-roma-  na entro il tessuto religioso del Cristianesimo si è ormai trasformato  nella passiva acquisizione di un complesso di nozioni dottrinali soprav-  vissute al dissolvimento della società che le aveva prodotte. Ma se il  crollo dell’Impero ha segnato la fine dell'ambiente storico in cui erano  maturate le prime esperienze decisive della filosofia “cristiana,” non  scompaiono le direttive intellettuali che la Chiesa ha ormai elaborato,  nell’età patristica, ed ha posto alla base della formazione delle sue  nuove élites sacerdotali.   Queste dottrine sono poi strettamente legate a un tipo di forma-  zione e di tirocinio ancora esemplato, in gran parte, sui modelli tradi-  zionali dell’età classica. Ed è appunto per questo che una personalità  come Gregorio Magno (540 ca. 604), interprete esemplare delle esigenze  politiche e organizzative della Chiesa romana, ha potuto esser consi-  derato come l’ultimo difensore di una tradizione romana trasferita  integralmente nell'ordinamento disciplinare della Chiesa, o come il pri-  mo vero rappresentante della cultura cristiana medioevale.    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    La sua personalità e la sua azione storica giustificano, del resto, que-  sta apparente differenza di giudizio; perché Gregorio, discendente da  una famiglia dell’alto patriziato romano, educato al tirocinio intellet-  tuale proprio della sua stirpe e della sua classe, fu il vero creatore della  Chiesa dell’Alto Medioevo, la cui organizzazione venne completamente  trasformata dalle sue riforme. Dall’ordinamento economico e giuridico  dei grandi feudi della Chiesa, alle forme rituali e liturgiche, non vi fu  campo della vita ecclesiastica che non recasse l'impronta di questa ecce-  zionale tempra di pontefice e di uomo di governo, abilissimo diplomatico  e politico raffinato. Ma la cristianità medioevale non venerò nel pon-  tefice romano solo l’uomo che aveva portato la Chiesa ad una effettiva  supremazia ideologica nell'Europa barbarica; bensi ammirò i suoi scritti  il cui successo eccezionale corrispose giustamente ai bisogni della cul-  tura ecclesiastica dei suoi tempi. Il Liber regulae pastoralis, che defi-  niva i compiti e le funzioni del clero romano, restò infatti, per secoli,  il libro fondamentale per la formazione della gerarchia cattolica;  Dialoghi (che sono una raccolta di leggende agiografiche) e i Moralia  in Job furono tra i libri più letti per tutto il Medioevo e tenuti a mo-  dello del metodo di commento allegorico della Scrittura. Eppure, no-  nostante la sua formazione e l’evidente influsso agostiniano, gli scritti  di Gregorio sono già ben lontani dalla mentalità e dalla ispirazione clas-  sica dominante dei grandi autori patristici. Ed anzi, la sua diffidenza  verso lo studio dei classici, la sua ostilità nei confronti dell’insegna-  mento grammaticale e letterario, sono drastiche e rigorose.   In una famosa lettera a Didiero, vescovo di Vienne nel Delfinato,  che s’era dedicato personalmente a insegnare la grammatica e a leggere  i poeti latini ai suoi chierici per impedire che la loro ignoranza della  lingua li rendesse incapaci d’intendere la' Sacra Scrittura, Gregorio con-  danna aspramente qualsiasi tentativo di associare l’insegnamento delle  litterae sacrae a quello delle Aumanae litterae, e di legare le parole di  Dio all’uso delle arti profane. Il suo atteggiamento nei confronti della  cultura classica è ancor meglio chiarito nel suo Commento al I libro dei  Re, ove si ammette che si possa conoscere la lingua latina e le arti libe-  rali, ma solo per quanto può giovare all’intendimento della Scrittura,  e senza alcuna pretesa di considerare lo studio delle lettere come fine a  se stesso. Ecco perché, anche di fronte al problema dell’uso retto della  lingua latina (e cioè se si debba prender come norma la lingua dei clas-  sici o quella della Bibbia), Gregorio afferma rigorosamente l’assoluta  preminenza del latino biblico, le cui pretese interpretazioni grammati-  cali e sintattiche sono ben superiori alle regole di Donato. Non solo;    37    L'Alto Medioevo    ma Gregorio — la cui prosa è ben lontana dalla misura ancora classica  di Boezio o di Cassiodoro — è il difensore e il teorico della nuova lingua  ecclesiastica, forgiata nel latino scritturale, e nettamente distinta dalla  lingua profana dei classici.   Il distacco tra le fonti della tradizione non potrebbe essere più re-  ciso. Né meraviglia che Gregorio, pur cosi latino nel suo spirito orga-  nizzativo e nella sua azione ecclesiastica e politica, concepisca lo studio  delle lettere solo come un mezzo per il magistero pastorale, e cioè per  ben intendere e spiegare la Bibbia. Nondimeno la sua opera di evange-  lizzatore doveva lasciare una grande traccia nella storia della cultura  e della filosofia medioevale. Perché fu proprio questo Papa, così scarso  ammiratore delle lettere, che promosse la cristianizzazione della Britan-  nia e di una vasta parte della Germania, diffondendo in quelle regioni  la lingua e la cultura latina della Chiesa. I risultati di tale impor-  tante evento storico saranno ben chiari già nella seconda metà del se-  colo, quando l’opera dei missionari e dei monaci delle abbazie britan-  niche e irlandesi avranno già costituito dei solidi centri di vita intellet-  tuale, al riparo dal marasma politico dell'Europa continentale, dove si  conserverà un ricco patrimonio di cognizioni teologiche, e fiorirà una  eccezionale cultura umanistica, destinata ben presto a rifluire nelle  scuole dell'impero carolingio.   Mentre in Occidente si consuma cosi la crisi della cultura antica  e si delineano le prime linee fondamentali della cultura medioevale,  nell’Impero bizantino continua la tradizione della filosofia classica ed  ellenistica e dei grandi padri greci. Chiusa la Scuola di Atene con un  decreto di Giustiniano (529) la vita filosofica prosegue a Bisanzio sotto  la predominante influenza della tematica neoplatonica. L'interesse per  gli scritti attribuiti a Dionigi Areopagita, che sarà cosî forte poi anche  ‘in Occidente, e per tutta la tradizione che va da Plotino a Porfirio a  Proclo è la caratteristica dominante delle scuole bizantine. Ma il neo-  platonismo nelle sue varie forme e sfumature si unisce anche a una so-  lida tendenza aristotelica, sviluppata soprattutto sul piano della logica e  delle scienze. Di questa cultura è tipico esponente Giovanni Damasceno  (+ 750) vissuto nel pieno delle lotte iconoclastiche e della prima grande  crisi nei rapporti tra la cristianità occidentale e orientale. La sua opera  principale IMInyhyv6oewg è una grande raccolta di materiali filosofici e  teologici ordinati sistematicamente e con un evidente scopo apologetico  e scolastico. Tuttavia nella sua introduzione a carattere filosofico, Kepa-  rasa piaoropixà, il Damasceno svolge un'interessante trattazione della  logica e metafisica di Aristotele nonché di dottrine derivate da Porfirio    38    Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici    e da Ammonio. A questo prologo filosofico segue un ampio catalogo  storico delle eresie e quindi, nella terza parte, una classificazione siste-  matica di testi patristici, unita ad una esposizione organica della teolo-  gia dogmatica. Proprio quest’ultima parte, che tradotta nel 1151 da  Burgundio Pisano influì sull’evoluzione dei Libri sententiarum, venne  largamente usata anche da Pietro Lombardo e fu sempre presente ai  teologi occidentali della seconda metà del XII e XIII secolo.   La tradizione platonica e aristotelica delle scuole bizantine continua  poi ancora per tutto il IX secolo per opera del patriarca Fozio (820-  897 ca.), commentatore di alcuni scritti logici di Aristotele e sostenitore  della superiorità di Aristotele di fronte a Platone. Ma con Fozio, la cui  grande Bibliotheca offriva amplissimi materiali sulla cultura filosofica  classica, siamo già al punto di massima rottura tra il mondo bizantino  e la Chiesa romana. Lo scisma dell’858 doveva rendere presto ben dif-  ficili i rapporti intellettuali tra Bisanzio e l'Occidente che, del resto, le  invasioni islamiche avevano già gravemente minacciato, spezzando la    unità “imperiale” del bacino mediterraneo.    39    Capitolo secondo    L'età carolingia    I. I presupposti storici e culturali    I due secoli che trascorrono dalla morte di Gregorio Magno all’in-  coronazione romana di Carlo segnano una svolta decisiva nella storia  dell'Europa medioevale. In questo periodo — che è pure uno dei pit  oscuri e drammatici della storia occidentale — si viene infatti compien-  do il lento passaggio dalla struttura sociale del tardo Impero alle for-  me di organizzazione economica e politica proprie della società feu-  dale; si opera la compiuta assimilazione tra gli ultimi residui delle ari-  stocrazie romane e provinciali e la nobiltà germanica; e si afferma  definitivamente la supremazia spirituale della Chiesa romana che costi-  tuisce il saldo tessuto ideologico e dottrinale della nuova società. Natu-  ralmente un simile processo si svolge in tempi e in modi assai diversi  a seconda che si compia nell'ambiente particolarmente propizio del re-  gno franco, ove si verifica una rapida e facile assimilazione tra la vec-  chia classe senatoriale gallo-romana e l’aristocrazia franca, oppure nel-  l’ambiente più arretrato e barbarico dell’Italia longobarda. Tuttavia il  suo ciclo può già considerarsi compiuto intorno alla metà dell’VIII se-  colo, quando l’alleanza tra la più forte monarchia germanica, quella  dei Franchi, e la crescente potenza spirituale e mondana del Vescovo  di Roma pone la condizione storica essenziale per la formazione del-  l'Impero carolingio.   All’avvento di questo nuovo ordinamento che interesserà ben pre-  sto la maggior parte dell'Europa occidentale cooperano molti e diversi  fattori di ordine economico e sociale che sarebbe impossibile illustrare  in questa sede in modo compiuto ed organico. Ma se anche non affron-  teremo i numerosi e gravi problemi relativi alla genesi dell'Impero caro-  lingio, all’origine ed alla funzione storica del feudalesimo, non si  potrà trascurare di indicare, per quanto sommariamente, quei caratteri  storici essenziali che sono propri di questo periodo.    L'età carolingia    Il primo e, certo, il più importante, è appunto la profonda trasfor-  mazione che hanno ormai subîto le strutture fondamentali della vita  economica e sociale dell'Europa occidentale che presenta adesso un aspet-  to profondamente diverso da quello dell’età delle grandi invasioni. An-  cora nel corso del VII secolo, i regni romano-barbarici avevano infatti  continuato a dominare su di una società, già in via di mutamento,  ma che non era ancora lontana dalle caratteristiche assunte durante gli  ultimi tempi del Basso Impero. La continuità di un'intensa vita econo-  mica in gran parte del bacino del Mediterraneo e soprattutto in Gallia,  in Africa e in Spagna, la persistenza di rapporti marittimi e di discreti  scambi commerciali con Bisanzio, la relativa, ma ancora notevole, flori-  dezza dei centri urbani e mercantili, testimoniano l’assenza di una vera  e propria cesura con la vita economica, sociale e intellettuale del mondo  romano. Se si assiste all’evidente imbarbarimento delle istituzioni e dei  costumi, gli ordinamenti amministrativi sono ancora in gran parte  quelli romani e la supremazia degli invasori germanici non ha ancora  totalmente distrutto le solide basi di strutture statali ancora improntate  al modello latino.   Naturalmente, le stesse conclusioni valgono per la cultura e gli isti-  tuti che permettono la continuità e lo sviluppo della vita intellettuale.  La cultura di tipo schiettamente classico decade — è vero — progressi-  vamente, via via che peggiorano le condizioni sociali e politiche, ma  continua ancora a muoversi sulla scia delle concezioni romane e gre-  che; né la tradizione bizantina cessa di esercitare il suo influsso, ancora  particolarmente forte intorno alla metà del VI secolo.   Che tale condizione di cose muti nel corso dell’VIII secolo, è  invece constatazione evidente, anche se si può discutere sulle ragioni  e le cause di questo mutamento, nonché sulla sua relativa profondità e  portata. Ma anche riconoscendo i limiti di una tesi troppo radicale co-  me quella del Pirenne (che ha indicato nella “svolta dell'VIII secolo”  l’inizio di un’età storica dominata dalla scomparsa dell’attività commer-  ciale e da una economia strutturale rigorosamente chiusa e rurale), è  certo che l’ambiente storico della civiltà carolingia non ha più molti  tratti in comune con la società in cui si erano mossi gli ultimi grandi rap-  presentanti della cultura classica, come Boezio e Cassiodoro. I terri-  tori mediterranei, un tempo al centro dell’attività economica e della  vita civile, sono adesso gravemente impoveriti per l’effetto congiunto  delle continue invasioni, delle carestie e delle guerre o della costante  diminuzione del traffico, insidiato dalla potenza marittima dell’Islam.  Le istituzioni urbane, anche se non scompaiono e non decadono in pro-    4I    L'Alto Medicevo    porzioni catastrofiche, sono però indubbiamente in forte declino; ed  alla loro decadenza corrisponde un notevole prevalere dell’economia  rurale, e la conseguente egemonia politica dell’aristocrazia militare e  fondiaria che detiene, in gran parte, il monopolio della terra. In tal  modo il carattere prevalentemente urbano e mercantile della società  romana cede adesso il suo posto ad un assetto economico e sociale fon-  dato prevalentemente sull’unità della vile e su un circuito di scam-  bi a breve raggio. Mentre si disgregano gli ultimi resti delle istitu-  zioni romane, mentre scompare il secolare ordinamento amministra-  tivo che era sopravvissuto anche alle invasioni, si delineano i nuovi  lineamenti di un ordine politico che non ha certo un diretto rapporto  con la tradizione romana.   L’impronta fortemente germanico-cristiana, che sarà propria del-  l’Impero carolingio, lo spostarsi verso il Nord dell’asse politico dell'Eu-  ropa cristiana, sono i segni più evidenti ed eloquenti del grande muta-  mento storico. Ma ancora più importante è la trasformazione che si  è verificata nei quadri dirigenti della società europea e, quindi, nei  ceti che elaborano e diffondono anche le nuove direttive intellettuali.   La base storica concreta su cui si fonda questo Impero è difatti la  grande aristocrazia fondiaria che è venuta lentamente costituendosi nel  secolo V e VI in tutti gli stati romano-germanici. Il perno della com-  plessa macchina amministrativa carolingia è costituito da una fitta rete  di poteri locali, nominati dall’Imperatore che essi rappresentano in  tutte le più delicate funzioni politiche ed amministrative, di una ge-  rarchia ben diversa dalla vecchia burocrazia imperiale romana, per-  ché vive del provento delle imposte o delle concessioni di terre lar-  gite dal sovrano ed è legata al proprio compito solo dal vincolo di fe-  deltà stretto “personalmente” con l'Imperatore. Questa aristocrazia,  prodotto naturale delle condizioni economiche e politiche maturate dal-  lo sfacelo dell’ordine politico romano e dalla sostituzione della nobiltà  germanica alla vecchia classe latifondista del Basso Impero, è insieme  la forza armata dell’Impero e il suo corpo amministrativo, ne rappre-  senta la salvaguardia militare e la classe politica dominante. Ma essa  non è certamente l’unico elemento della costruzione politica di Carlo  Magno che, sebbene strettamente plasmata sulla struttura sociale del-  l’Europa romano-barbarica, trova la propria giustificazione ideale nel  carattere religioso del potere e nella propria funzione mediatrice tra il  crescente particolarismo delle istituzioni politiche e la forza di un prin-  cipio universale che si richiama alla salda tradizione unitaria della  Chiesa romana.    42    L'età carolingia    Nell’immane mosaico di popoli e di genti ancora scarsamente amal-  gamate che ubbidiscono all’autorità di Carlo, l’unico vincolo unitario  è infatti rappresentato dalla radicale compenetrazione tra l’Impero e  la Chiesa. E quanto questa compenetrazione caratterizzi la struttura  politica della società carolingia, lo dimostra appunto la preoccupazio-  ne di Carlo di presentarsi sempre come l’advocatus ecclesiae, difen-  sore della cristianità, e di far coincidere la legittima estensione dei  suoi poteri con il corpo vivente della Chiesa che non ha mai confini  ma si estende su tutto l’orbe “ovunque si pronunzia il nome di Cri-  sto.” Convinto sinceramente che la sua autorità gli discenda dalla  natura di capo divinamente eletto del popolo cristiano, ispirato da  consiglieri che fondano la legittimità dell’Impero sull’i insegnamento  della Bibbia e sulle parole di Agostino, il monarca franco si presenta  con un carattere del tutto diverso da quello che era stato proprio an-  che degli ultimi imperatori cristiani, come sovrano e guida del po-  polo di Dio. Legislatore della comunità civile, supremo principio di  autorità e di diritto, egli è anche il legislatore della Chiesa pronto ad  impugnare le due “spade” dell’autorità spirituale e di quella tempo-  rale. Ma proprio perché l’Imperatore è reggitore della Chiesa oltre  che dello Stato, la sua autorità penetra ovunque, e come detta nei  capitolari le norme per la tenuta delle villze e l’amministrazione dei  demani imperiali, cosî fissa le regole più particolari e minute per la  condotta del clero e la disciplina rituale e canonica. “L'osservanza del-  la domenica, l'esecuzione del canto ecclesiastico e le condizioni per  l'ammissione dei novizi nei monasteri,” scrive giustamente il Dawson,  “sono punti fissati nei capitolari, altrettanto come la difesa delle fron-  liere e l'amministrazione dei beni della corona.” Ciò spiega un altro  carattere tipico dell'ordinamento carolingio, e cioè l’esistenza di una  potente aristocrazia ecclesiastica, non meno influente di quella mili-  tare e fondiaria, che partecipa all’amministrazione delle trecento contee  in cui si divide l’Impero, e ha una propria funzione politica e persino  militare. Il governo centrale è poi addirittura nelle mani degli eccle-  siastici della cancelleria e della cappella reale. Non solo; l’autorità di  questa aristocrazia ecclesiastica è ben rappresentata anche nella tipica  istituzione carolingia dei missi dominici, deputati alla sorveglianza ed  al controllo sull’amministrazione locale, costituiti in gran parte da ve-  scovi ed abati, sempre pronti ad informare minutamente il sovrano  dell'andamento della vita economica, civile e religiosa dei più lon-  tani territori della Christianitas.   Lo spirito profondamente teocratico che anima l’Impero, espresso    drasticamente in tanti ‘atteggiamenti e detti di Carlo, è perfettamente  definito nella identificazione dell’autorità sacramentale e carismatica  del clero e quella non meno sacrale che discende dalla volontà del so-  vrano. Ed è appunto nel quadro di questa concezione, destinata a con-  tinuare ben oltre lo stesso sfacelo dell’Impero, che la società carolingia  elabora i propri ideali e le proprie istituzioni culturali, strettamente  legate alle nuove esigenze politiche.   La rinascita culturale che va sotto il nome di “rinascenza caro-  lingia” è quindi il prodotto storico naturale dello spirito teologico  che permea tutta l’organizzazione carolingia, della necessità impellente  di formare un corpo di funzionari colti e competenti e di preparare  una larga élite del clero a compiti e funzioni che richiedevano un  tipo di cultura pid raffinata e mondana. Però la riforma perseouita da  Carlo non si limita solo a rinnovare la tradizione deoli studia Auma-  nitatis o a rinortare nelle istituzioni scolastiche dell’Occidente la lin-  fa vitale dell’insernamento delle “arti liberali” ma è addirittura il  primo tentativo di ricostituire l’unità intellettuale della società euro-  pea, edificata sui resti della cultura classica. la cui influenza continua,  del resto, a dominare anche i maestri delle “scuole palatine.” Natu-  ralmente, rroprio perché è legata cosî strettamente al particolare ca-rattere politico e organizzativo dell'Impero, la cultura del TX secolo  ne rispecchia fedelmente anche i tipici caratteri dominanti. Nonostante  tutti i tentativi di riconnettere la “rinascenza carolincia” alla grande  fioritura intellet  tuale del XII secolo, o, addirittura, all’umanesimo quat-  trocentesco, pesano infatti su questa cultura i limiti storici di una so-  cietà che non riusci mai a darsi una vera struttura statale organica e  che nella sua rigida divisione di caste realizzò la piti compiuta sepa-  razione tra il ristretto ceto dei “clerici” monopolizzatori della cultura  e la gran massa dei fedeli. Non a caso, quindi, la rinascenza caro-  lingia ha come suo precipuo ideale l’elaborazione di una cultura di  carattere esclusivamente ecclesiastico — 0, meglio, ecclesiastico-ammi-  nistrativo, — capace di garantire l’unità religiosa e ideologica della  Christianitas e di subordinare la stessa validità delle discipline classiche  alle esigenze dogmatiche predominanti della ortodossia cattolica. E  non per nulla gli stessi teologi e i maestri della scuola palatina, strenui  difensori di una concezione unitaria dell’autorità imperiale che è di  schietta impronta romana, sono, al tempo stesso, anche i tenaci so-  stenitori del fondamento sacrale del potere civile e della sua piena  coesione con l’immutabile ordine della gerarchia ecclesiastica.   Del resto, quant'è diversa la finalità e la destinazione ideologica    44    L'età carolingia    della civiltà carolingia nei confronti della tarda cultura romana, è al-  trettanto profondamente mutato l’ambiente in cui essa maggiormente  fiorisce. I cenui della “rinascenza” non sono ora le città del vecchio  mondo romano, né le terre dell’Italia, della Francia meridionale o  della Spagna, bensi la stessa corte imperiale, le innumerevoli abba-  zie e scuole monastiche disseminate nel vasto dominio franco e so-  prattutto nelle regioni settentrionali chiuse tra la Loira e il Weser.  I maestri, i chierici che la propagano non sono grandi aristocratici  romani, come Boezio o Cassiodoro, o eredi della tradizione latina  come Gregorio Magno, bensi degli intellettuali di origine barbari-  ca che hanno però profondamente assimilato quanto si è salvato della  tradizione classica. Da Fulda a S. Gallo, da Tours a Reichenau,  tutta l'Europa carolingia è percorsa da una potente corrente di nuova  vita intellettuale, che non si svolge soltanto nel campo limitato delle  lettere e della teologia, ma ha i suoi diretti riflessi anche nell’ambito  delle arti e della tecnica scrittoria che i monaci carolingi portano ad  una perfezione prima ignorata. Così, sebbene l’Impero, minato dal-  la sua debole struttura, si avvii rapidamente alla fine, le grandi abba-  zie benedettine diventano gli unici centri intellettuali dell'Europa, tor-  mentata dall’erompere dell’anarchia feudale, di una società sconvolta  e lacerata da nuove ondate d’invasione.    2. La cultura monastica anglosassone    All’adempimento di un tale compito storico, l’abbazia benedettina  era stata del resto già preparata da due secoli di oscura e paziente  elaborazione di nuove élises intellettuali. Da quando la regola di  Benedetto aveva creato, agli inizi del VI secolo, un nuovo tipo di  monachesimo, operoso e attivo, ispirato alla norma della preghiera e  del lavoro collettivo e fraterno, l’antico ideale dell’ascesi individuale  era stato sostituito da una nuova direttiva spirituale di contenuto so-  ciale. Nel monastero benedettino, costituito in una salda unità ammi-  nistrativa e disciplinare, il lavoro manuale e la pura ricerca contempla-  tiva avevano ritrovato una profonda unità del tutto ignota alla so-  cietà del tempo, costituita da una ristretta aristocrazia militare e fon-  diaria e da enormi masse di contadini-servi. Ma, soprattutto (in una  età in cui l’economia era prevalentemente agricola e gli ordinamenti  politici si sfasciavano sotto il peso crescente delle tendenze particola-  ristiche), la diffusione delle istituzioni benedettine aveva permesso la    45    L'Alto Medioevo    formazione di numerosi centri d’intensa vita produttiva, dove la colti-  vazione delle grandi proprietà abbaziali si alternava allo studio ed  all’apprendimento dei primi rudimenti delle arti liberali. Tutto ciò  spiega e giustifica la grande fortuna dell’ordine benedettino in tutta  la Cristianità occidentale, e soprattutto nelle regioni dell'Europa conti-  nentale ove si erano già delineati i caratteri incipienti della civiltà feu-  dale. Poiché fu soprattutto in Svizzera, in Francia e nella Germania  meridionale che il sistema delle abbazie, spesso unite da stretti vincoli  economici e amministrativi, pose fin dal VII secolo i presupposti della  diffusione organica di una ricca cultura di carattere ecclesiastico e mo-  nastico, ma largamente permeata di motivi e temi della tradizione  classica.    All’elaborazione della cultura carolingia dettero però un contri-  buto ancor più importante e decisivo le istituzioni monastiche dei paesi  anglosassoni, sorte fin dall’inizio del VI secolo, indipendentemente  dalla diffusione benedettina. Il carattere peculiare di questo monache-  simo, che in un periodo tra i più oscuri della storia occidentale fece  delle isole britanniche una vera oasi di civiltà, fu di non aver adottato  la gerarchia episcopale della chiesa, ma di aver organizzato la propria  vita entro la cornice esclusiva delle “regole” monastiche. E tale ca-  rattere è certo ben comprensibile, se si pensa che il monachesimo an-  glosassone sorse in un paese quasi completamente pagano, ove soltanto  nel 596 era ripresa la tradizione episcopale, sotto l’impulso diretto di  Gregorio Magno.    Il successo della predicazione del monaco Agostino, primo vescovo  di Canterbury, e dei suoi seguaci, era stato però assai rapido: già nel  644 l’East Anglia aveva un proprio vescovo anglosassone, e dieci anni  dopo anche il seggio primaziale di Canterbury era stato occupato dal  sassone Deusdedit cui: doveva succedere il monaco greco Teodoro,  dotto nelle lettere greche e latine. Teodoro e l’abate africano Adriano  furono gli iniziatori di una fortunata opera di riforma intellettuale che  aveva naturalmente uno scopo e una finalità essenzialmente devota,  ma che non trascurava neppure l’insegnamento delle lingue classiche  e la lettura degli auctores. Liberi da ogni stretto vincolo disciplinare  e dogmatico, animati da uno spirito di tenace e vivace proselitismo, i  monaci da loro educati ne diffusero l'insegnamento e la pratica in una  fitta rete di istituzioni monastiche che coprì rapidamente tutte le regio-  ni delle isole britanniche, dalla Britannia al Galles, alla pagana Cale-  donia.   Da Canterbury a Malmesbury, dall’Irlanda, già convertita da    L'età carolingia    S. Patrizio, ai grandi monasteri di Bangor Iscoed e di Clonard, fino al  lontano monastero scozzese di Jona, flui cosi un filone costante e ricco  di «cultura classica, che le particolari condizioni geografiche e storiche  posero al riparo dalle drammatiche crisi di tutti i paesi dell'Europa  continentale. E quale fosse il carattere di questa cultura ci è appunto  noto dalla testimonianza di Adelmo di Malmesbury, che ci ricorda di  aver appreso alla sua scuola monastica i rudimenti essenziali del di-  ritto romano, i principi della metrica e della prosodia, le figure prin-  cipali dell’arte retorica, e, ancora, la matematica e l’astronomia.   Certo, a giudicare dalla notevole “barbarie” della prosa di Adelmo  e dalla sua ingenuità e rozzezza, si potrebbero avanzare non pochi  dubbi sul valore della tradizione classica diffusa negli ambienti mo-  nastici anglosassoni. Eppure si tratta dei primi timidi frutti di una  cultura che non ignora né Virgilio, né Terenzio, né Orazio, né Gio-  venale, e che continua, in sostanza, un tipo d’insegnamento non trop-  po dissimile da quello praticato nelle scuole del Basso Impero. Né i  risultati di questo insegnamento sono da disprezzare, se è vero che  a poco più di un secolo dalla loro evangelizzazione i monasteri anglo-  sassoni inviavano sul continente i loro primi missionari.   Del resto, già dal 590 l’irlandese Colombano aveva fondato in  Francia il monastero di Luxeuil, donde mosse una larga diffusione mo-  nastica in Francia, nelle Fiandre, in Svizzera e in Germania, e in  Italia, ove l’abbazia di Bobbio fu un tipico prodotto del monachesimo  anglosassone. Ma ancora più importante fu l’opera di un monaco an-  glosassone, Wynfrith, l’evangelizzatore dei sassoni, e primo vescovo di  Magonza sotto il nome di Bonifacio. Questo monaco non fu soltanto  “l’apostolo della Germania,” da lui evangelizzata mercé la protezione  della monarchia franca e nel quadro della direttiva episcopale romana,  bensi l’uomo di Chiesa che seppe operare la saldatura storica tra la tra-  dizione benedettina e romana e quella anglosassone, diventando cost  il diretto intermediario tra la cultura dei monasteri irlandesi e britannici  e la ripresa intellettuale che cominciava a delinearsi nel continente.  Chiamato, nel 742, da Carlomanno, fratello e collega di Pipino il  Breve, perché provvedesse a riordinare lo stato della Chiesa nel suo du-  cato di Neustria, ove il clero era profondamente decaduto dal punto  di vista disciplinare e privo di ogni cultura, Bonifacio compì in breve  tempo una riforma radicale. Nel suo periodo di governo, durato dal  ‘42 al °47, non solo provvide ad eliminare gli abusi più gravi, e a sotto-  porre l’episcopato franco all’autorità apostolica romana, ma trapiantò  nelle scuole e nelle istituzioni espiscopali e abbaziali la cultura che fio-    47    L'Alto Medioevo    riva in Britannia nei nuovi monasteri sorti nel VII secolo, come quello  di S. Pietro di Wearmouth, fondato nel 674 da Benedetto Biscop.   In questo ambiente colto ed erudito, sui testi devoti e profani che  il Biscop aveva portato dall’Italia e dalla Gallia, si era, del resto, già  formato, negli ultimi decenni del VII secolo, un monaco anglosassone,  che aveva scritto la storia ecclesiastica del suo popolo in un latino ecce-  zionalmente limpido e puro. Nato nel 673, nel momento di massima  fortuna della cultura monastica anglosassone, il monaco Beda (t 735),  che i medioevali chiameranno il “Venerabile,” non si era limitato a com-  piere la sua opera di storiografo guidata da una fondamentale ispira-  zione romana, ma aveva illustrato la sua cultura letteraria nel De  orthographia e nel trattatello De schematibus et tropis, e definito i  principi e metodi della cronologia nel De temporibus, De temporum  ratione, De ratione computi. Però la sua opera pi fortunata, che godé  per tutto il Medioevo di una eccezionale fortuna, fu il De rerum natura,  costruito sul modello dell’enciclopedia di Isidoro, ove si esprime già una  cultura più raffinata e scaltrita. Scrittore limpido, il suo stile non diffe-  risce troppo da quello degli autori della bassa latinità; né a leggere le  sue opere si direbbe che Beda scriva verso la fine dell’VIII secolo, in  un ambiente sociale e intellettuale cosi profondamente mutato, e, ad-  dirittura, in un Paese che aveva conosciuto solo brevemente la civiltà  romana. Eppure, è proprio in Inghilterra e in Irlanda che la cultura  classica riprese a fiorire con forme ed intenti ancora ignoti agli altri  paesi dell'Occidente; né è certo un caso che le prime forme di prosa  d’arte, atteggiate sul modello della tradizione letteraria latina, nasces-  sero nei conventi di Inghilterra, di Scozia e d'Irlanda. Quando poi,  agli inizi del IX secolo, re Alfredo tradusse la Cura pastoralis di Gre-  gorio Magno, l’Historia di Paolo Orosio e la Consolatio di Boezio,  non creò soltanto i primi modelli letterari della prosa anglosassone, ma  offri una nuova prova del carattere squisitamente classico della ma-    tura civiltà anglosassone.    3. Alcuino e la “rinascita” carolingia    Questa ricca cultura di origine e ispirazione classica, non avrebbe  però avuto una effettiva incidenza storica, se non si fosse presto diffusa  nell'Europa continentale, improntando di sé la vita intellettuale del-  l’Impero carolingio. Abbiamo già accennato alla missione di Bonifacio  ed al suo tentativo di migliorare la formazione intellettuale del clero    48    L'età carolingia    franco mediante lo studio dei rudimenta letterari necessari per l’inse-  gnamento della Scrittura. Ma l’uomo che seppe trapiantare in Oc-  cidente i frutti più maturi della cultura anglosassone e servirsene co-  me fondamento di una vasta riforma intellettuale, fu un monaco irlan-  dese, Alcuino di York. Formatosi in una scuola largamente  aperta alle influenze classiche, Alcuino aveva percorso sotto la guida  di Egberto, discepolo di Beda, il corso normale del “trivio” e del “qua-  drivio.” Maestro a York nel 778, la sua fama di grande cultore della  humanitas si era presto diffusa anche nel continente: e Carlo, che già  in quegli anni progettava di organizzare nuove istituzioni scolastiche  per la formazione dei suoi dignitari chierici e laici, lo chiamò alla sua  corte, affidandogli la guida della riforma scolastica. Già presente alla  corte carolingia dal 781 al ’90, Alcuino, dopo un breve soggiorno  britannico, vi tornò stabilmente nel ’93, per restarvi fino alla morte  e per quasi vent’anni il monaco irlandese mirò — come disse — a tra-  sformare l’Impero di Carlo in una “nuova Atene,” “superiore anzi al-  l'antica Atene perché dotata dei doni sovrannaturali dello Spirito  Santo.”   In realtà, il maggiore merito storico di Alcuino fu quello d’in-  tendere perfettamente quale fosse il tipo di cultura necessario per la  società carolingia, e di trasformare la tradizione classica dei monasteri  e delle scuole anglosassoni in una organica direttiva intellettuale stret-  tamente associata all’ideale teocratico dell'Impero e legata alla gigan-  tesca macchina politica e amministrativa costruita da Carlo. Tutti i  risultati più positivi di due secoli di lenta maturazione intellettuale;  furono cosî posti al servizio della società rigorosamente gerarchica su  cui si fondava l’impero, e divennero i criteri formativi di una nuova  élite intellettuale, emersa dalla confusa vicenda di due secoli di  crisi. Ma l’opera di Alcuino non si limitò soltanto a questo compito  di organizzazione del nuovo sistema delle scholae imperiali, o alla  trasmissione della esperienza anglosassone; egli stesso elaborò la di-  stinzione organica e sistematica delle sette arti liberali, trasformando la  pratica tradizionale della cultura classica in un complesso ragionato c  ordinato di nozioni e di tecniche. I frutti della sua attività furono cer-  tamente tali da influenzare per quasi tre secoli gli sviluppi essenziali  della cultura europea; gli uomini educati alla sua scuola poterono giu-  stamente vantarsi di aver restaurato un solido legame con la cultura  classica, e di aver, per cosi dire, riannodato quel filo sottile della tra-  dizione che sembrava essersi spezzato con la crisi dell'unità romana.   Certo, il tipo di cultura instaurato da Alcuino rispecchiò anche    49    L'Alto Medioevo    tutti i limiti storici dell'ambiente da cui nasceva e per la sua imposta-  zione esclusivamente ecclesiastica fu lo specchio di una società divisa  in caste, e che affidava al dominio spirituale della Chiesa l’assoluto  monopolio della formazione delle id:e. Ma anche entro questi limiti,  l’opera di Alcuino fu eccezionalmente fruttuosa; si può dire che si  debba alla sua direttiva la prima organizzazione di un sistema di isti-  tuzioni scolastiche comune a gran parte dell'Europa carolingia e la  formazione di un tipo di cultura raffinata, non più limitata al chiuso  mondo anglosassone, bensi diffusa in Francia come nella Germania  meridionale, in Italia come nelle isole britanniche. Da questa cultura  — destinata a sopravvivere al crollo dell’Impero e al pid torbido pe-  riodo di anarchia feudale — muoveranno poi nell'XI secolo le nuove  correnti di pensiero che, parallelamente’ alla grande trasformazione  economica della società medioevale, guideranno la rinascita intellet-  tuale dell’Europa.   A spiegare il successo dell’opera di Alcuino può contribuire la  considerazione che la Gallia era stata influenzata dalla cultura latina  assai più dei territori britannici, e che il ricordo della lingua e della  civiltà non vi si era mai perduto. Però lo stato di miseria intellet-  tuale del clero franco — deprecato dal dotto Bonifacio — e i lamenti  che Gregorio di Tours o Fortunato di Poitiers avevano elevato sulle  condizioni della cultura nella vecchia Gallia romana, testimoniano una  profonda decadenza, che si era sempre più accentuata dopo che si erano  allentati i vincoli con l’Italia e con le altre regioni pi progredite del  vecchio Impero. Proprio la constatazione che gran parte dei suoi uffi-  ciali laici o ecclesiastici non sapeva neppure intendere la lingua latina,  aveva indotto Carlo Magno a ordinare nel 789 l’apertura di scuole  vescovili e monastiche, ove si insegnassero, oltre al canto, al solfeggio  e le salmodie, anche gli elementi fondamentali del compito ecclesia-  stico e della grammatica. Ma i suoi progetti di riorganizzazione delle  istituzioni scolastiche erano assai più ambiziosi, cosî com'era impel-  lente la necessità di organizzare in breve tempo un vero e proprio  corpo di dignitari e di amministratori, capace di adempiere al grave  compito del governo dell’Impero. Proprio per questo Carlo si era ri-  volto dapprima in Italia, donde era venuto alla sua corte il dotto  longobardo Paolo Diacono (725-797) che per cinque anni vi aveva in-  segnato il greco, prima di ritirarsi nell’abbazia di Montecassino.   Durante il suo breve soggiorno, Paolo aveva rivisto e corretto una  collezione di Omelie, pubblicate da Carlo, come incitamento alla ri-  presa degli studi. Più tardi il suo insegnamento era stato continuato    50    L'età carolingia    da Pietro di Pisa, già maestro a Pavia, e da Paolino di Aquileia, pre-  senti alla corte carolingia dal 772 al 787. Questi maestri erano però  ben lontani dal livello intellettuale e dalla preparazione dei monaci  irlandesi e britannici; e la loro cultura era forse anche inferiore a quella  di due dotti ecclesiastici ispano-gallici, come Agobardo (769- + 840),  che fu poi vescovo di Lione, e Teodolfo (t821) vescovo di Orléans,  vomini di larga cultura teologica e letteraria, conoscitori ed ammiratori  di Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano e Cicerone. Nondimeno, quei mae-  stri italici furono il primo nucleo della élite intellettuale raccolta da  Carlo intorno alla sua corte; e fu sul terreno preparato da questi modesti  professori che si maturò la riforma di Alcuino, guidata da una lucida  consapevolezza della continuità della cultura classica e dalla eccezio-  nale capacità di ridurre i suoi elementi essenziali a componenti di una  ruova direttiva ideologica e dottrinale.   Il rapporto che Alcuino volle porre tra la nuova cultura di cui  era- ispiratore e la tradizione classica, è infatti espresso chiaramente  in più di un testo. Il suo dialogo De virtutibus ci insegna che la scien-  za, la virti e la verità valgono di per se stesse, e che i cristiani, lungi  dal condannare le verità e le virti degli antichi, debbono anzi accet-  tarle e coltivarle. I poeti, i grammatici, i retori ed anche gli stessi  filosofi, spesso oggetto di timori e di condanne, hanno infatti inse-  gnato delle dottrine intrinsecamente utili e vere che costituiscono un  prezioso patrimonio umano. Perciò, al discepolo che gli chiede quale  sia la differenza tra i filosofi antichi e i cristiani, Alcuino può rispon-  dere che solo il battesimo e la fede li distinguono, e che la saggezza  antica, che ha compreso la natura e la ragione delle cose, può costi-  tuire il migliore accesso alla suprema sapienza cristiana. “I filosofi,”  egli scrive, “non hanno creato, ma solo scoperto quelle arti”; poiché  Dio stesso le ha poste nella realtà e nella natura, lasciando che gli  uomini più dotti le scoprissero con le loro forze. Come non ricono-  scere, perciò, la necessità dello studio delle arti liberali, necessarie,  del resto, anche ai teologi e a tutti i maestri della Sacra Pagina? E  come non scorgere in questo studio un alto dono di Dio, e un com-  pito meritorio per ogni cristiano?   Ecco perché, nel tracciare il suo piano di insegnamento, Alcuino  affermò cosi recisamente la funzione propedeutica delle arti liberali che  costituiscono la solida base della cultura, e perché costrui la scuola  carolingia sul modello delle scuole monastiche ed episcopali anglosas-  soni, cercando di raccogliere organicamente le testimonianze e le fonti  essenziali delle antiche “discipline.” Mediocre poeta, teologo di scarso    SI    L'Alto Medioevo    rilievo (il suo De ratione animae non è che una esposizione debole e  generica di motivi agostiniani e vagamente neoplatonici), egli ebbe pe-  rò, in sommo grado, il senso della organizzazione della cultura.E lo  testimoniano i suoi manuali, dalla Grammatica ricavata dagli scritti  di Prisciano, Donato e Isidoro, al De orthographia che ricalca Beda, al  Dialogus de rhetorica costruito su materiali ciceroniani, al De dialectica  ove utili zza Boezio, Isidoro e le pseudoagostiniane Categoriae decem.    4. Gli sviluppi della cultura carolingia    La nuova organizzazione degli studi promossa da Alcuino non  tardò a dare i suoi frutti. Già durante il regno di Carlo le regioni  centrali'dell’Impero vedono aumentare rapidamente le istituzioni sco-  lastiche, affidate in gran parte ai monaci benedettini. Le abbazie di  S. Martino di Tours, Fulda, Fleury, Reichenau, sono i centri della  cultura carolingia, di cui trasmetteranno, per tre secoli, le direttive  essenziali, mediante un tipo d'insegnamento letterario che ha non po-  chi punti di contatto con la tradizione grammaticale del tardo Impero.  Se infatti il carattere delle scuole resta sempre essenzialmente ecclesia-  stico e chiuso nell’ambito delle dottrine scritturali e patristiche, la base  su cui si fonda l’istruzione dei chierici è squisitamente classica e le-  gata alla lettura e al commento dei classici latini. Ciò spiega il molti-  plicarsi dei codici, copiati nei centri scrittori delle maggiori abbazie  e rapidamente diffusi nelle varie scuole di Europa. Ma la lettura di  questi testi e il commento grammaticale non sono certo l’unica atti-  vità dei dotti carolingi, né la loro cultura si esaurisce — come è stato  pur detto da taluni storici — in una esercitazione grammaticale.  La partecipazione commossa alla cultura classica, l’amore per gli  antiqui considerati come maestri di umanità, la familiarità con le lo-  ro opere, implicano infatti tutto un modo di concepire il rapporto tra  la sapientia cristiana e il pensiero degli antichi, ben lontano dalla  intransigente repulsa di un Gregorio Magno. Né meraviglia che i di-  scepoli di Alcuino possano addirittura usare i nomi e gli aggettivi del-  le divinità antiche per alludere agli attributi del Dio cristiano, o para-  gonare, quasi inconsapevolmente, le beatitudini paradisiache alle gioie  sensibili dell'Olimpo classico.   D'altra parte, accanto a questa formazione prevalentemente lette-  raria e umanistica, la cultura carolingia non manca già d’interessi più  nettamente filosofici, ereditati indirettamente dalla vicina tradizione    L'età carolingia    della filosofia classica. Studi recenti hanno appunto accentuato, ma-  gari attribuendole un significato superiore al suo vero carattere, l’Épi-  stola de nihilo et tenebris di un discepolo di Alcuino, Fredegiso di  Tours, maestro di notevole influenza durante il regno di Ludovi-  co il Pio e di Carlo il Calvo. Fredegiso muove dall’interpretazione lette-  rale del testo scritturale ove è scritto che Dio ha creato il mondo dal  nulla (er rikilo), per concludere che il nulla è qualcosa di reale. Que-  sta idea induce poi, come naturale conseguenza, ad affermare che il  nulla non è affatto semplicemente l’assenza o negazione dell'essere;  nerché — come argomenta il monaco — ogni nome deve avere un  sionificato esatto e determinato, e quindi indicare qualcosa. di po-  sitivo e di reale; perciò se, dicendo uomo, pietra, ecc.. indichiamo  sempre una cosa reale, anche pronunziando il nome niki! dovremo  indicare una res. Nel caso contrario non sarebbe possibile stabilire un  significato per il termine nihil, siacché “ogni significazione è signifi-  cazione di quello che c'è, ossia di qualcosa di esistente”; e se questo  è vero, e se il termine nihil è significativo, vuol dire che esso indica  un ente reale ed evidente.   L’argomento di Fredegiso può sembrare, e forse era, almeno nella  sua forma scolastica, un puro esercizio di abilità dialettica simile a  ouelli attribuiti a un îonoto “Atheniensis Sophicta” che sarebbe vissuto  alla corte di Carlo Magno; ma assume un sicnificato ben diverso, se si  riflette che la sua discussione finisce con l’implicare lo stesso concetto  doematico della creazione er nikilo e con l’ammettere l’esistenza di  una entità comune e indefinita di cui Dio si sarebbe servito come di  una materia indispensabile per creare il mondo. Una simile idea — che  rispecchia orobabilmente una precisa influenza platonica — spiega assai  hene le polemiche e le accuse sollevate contro Fredegiso da altri maestri,  come Agobardo che nel Liber contra Fredegisum gli contestò anche  di credere alla preesistenza delle anime. Agobardo, critico insistente  delle superstizioni popolari e delle pratiche magiche che stigmatizzò  più volte nei suoi scritti, riteneva pericolose le dottrine di Fredegiso,  di cui non gli sfuggiva il sostanziale contrasto con i dati della rive-  lazione. Eppure, anche la sua cultura, la sua familiarità con gli an-  tichi, la sua fiducia nell’accordo tra la ragione e la religione e la sua  avversione per la misura irrazionale delle oscure credenze superstizio-  se, sono i frutti della rinascita intellettuale carolingia di cui rispec-  chiano alcune delle componenti essenziali.   Fredegiso ed Agobardo sono due personalità strettamente legate  alla diffusione della nuova cultura, mei principali centri scolastici della    Francia carolingia. Ma negli stessi anni anche la Germania meridio-  nale conobbe gli effetti della rinascita intellettuale promossa da Carlo  e da Alcuino, soprattutto per merito della scuola benedettina di Fulda.  Principale protagonista di questa diffusione fu, del resto, un altro di-  scepolo di Alcuino, Rabano Mauro (748-856) che, dopo aver iniziato  i suoi studi a Fulda, era passato alla grande scuola di S. Martino di  Tours, per tornare di nuovo a Fulda, arricchito dell’esperienza di un  ambiente intellettuale cos superiore alla rozzezza delle scuole tede-  sche. Maestro ed abate di Fulda, e poi arcivescovo di Magonza, Ra-  bano esercitò una influenza determinante nell’organizzazione della  vita culturale ed ecclestiastica della Germania. Ma soprattutto egli  diede alle scuole medioevali un complesso di scritti e di manuali  particolarmente adatti alle condizioni della cultura del tempo, come la  Grammatica, redatta sui modelli cari ad Alcuino, e un trattato sul  “computo” ecclesiastico. Al nome di Rabano sono, pure attribuite, ma  senza gran fondamento, anche delle glosse a Porfirio e al De inter-  pretatione di Aristotele che, se fossero realmente sue, testimoniereb-  bero un vigore dialettico davvero eccezionale per i suoi tempi. Ma  la sua opera più importante fu il trattato De clericorum institutione,  un vero e proprio corso di studi ecclesiastici per la formazione e l’in-  civilimento del clero germanico.   Il programma che Rabano vi propone non è sostanzialmente di-  verso da quello di Alcuino, da cui riprende l’ordinamento sistematico  delle arti del “trivio” e del “quadrivio,” e lo studio degli autori clas-  sici come “maestri di eloquenza.” Certo, questo studio va condotto  secondo l’esempio dei Padri, con la stessa discrezione e prudenza di  un Agostino o di un Gerolamo, e senza cedere alle lusinghe mondane  che sono celate nelle parole degli scrittori pagani. Però i! loro sapere  non deve essere respinto o condannato: anzi Rabano si serve larga-  mente di materiali classici anche nel suo ampio scritto enciclopedico  De rerum naturis et verborum proprietatibus et de mystica rerum  significatione, ove la natura e i suoi fenomeni sono interpretati in  senso allegorico, mistico e morale, secondo un procedimento non dissi-  mile da quello di Beda e di Isidoro.   L’opera educativa di Rabano fu continuata in Germania da Can-  dido di Fulda, autore dei Dicta Candidi, modesto opuscolo intessuto  di citazioni agostiniane, che ha però interessato gli storici perché con-  tiene già alcuni elementi di una prova dialettica dell’esistenza di Dio,  fondata sul rapporto tra l’imperfezione umana e l’assoluta perfezione  divina. L'influenza di Rabano non si limitò però all'ambiente di Ful-    54    L'età carolingia    da, ma si estese anche al monastero benedettino di Reichenau, con l’in-  segnamento di Walfrido di Strabo, e in Francia, ove l’opera di Servato  Lupo di Ferrières s’ispira spesso ai canoni ermeneutici di Rabano, con-  tinuandone la direttiva umanistica con sottile sagacia filologica.   La vivace ripresa culturale della fine dell’VIII secolo e della prima  metà del IX, non poteva naturalmente restare estranea all’ambito del-    le discussioni teologiche, e difatti nella seconda metà del IX secolo  si svolgono nuove controversie che riflettono la presenza di tendenze  dottrinali divergenti e rivelano un uso già scaltrito degli strumenti  dialettici. Le controversie investono i temi più delicati della riflessione  teologica dalla natura del rapporto trinitario al modo onde è avvenuta  la generazione di Cristo, sul carattere della visione beatifica, sul rap-  porto tra l’anima e il corpo e, ancora e soprattutto, sulla presenza del  Cristo nelle specie eucaristiche. E se pure nascono nell’ambito di una  scuola o di una abbazia, divengono presto cosa pubblica, provocano  l'intervento delle gerarchie ecclesiastiche, e, molto spesso, anche  quello dell’Imperatore che, come advocatus ecclesiae, investe della lo-  rc soluzione i sinodi e i concili. Ciò spiega la rapida fioritura di una  vasta letteratura controversistica, nella quale vengono largamente usati  i metodi acquisiti attraverso la pratica delle arti liberali. Cosi Pascasio  Radberto, abate di Corbie (t 860) affronterà nel suo trattato De cor-  pore et sanguine Christi il problema della presenza del Cristo nel-  l’eucarestia, dibattuto dalle opposte dottrine di chi afferma la presenza  divina “in veritate,” e cioè come una realtà fisica e sensibile, e coloro  che sostengono la presenza in mysterio o in similitudine e quindi  attribuiscono all’eucarestia un carattere puramente mistico e simbolico.  D’altra parte, Ratramno di Corbie, non solo tornerà su questo tema  in polemica con Pascasio nel De corpore et sanguine Christi, ma scrive-  rà un trattato De quantitate animae e un De anima assai interessanti,  poiché rivelano la presenza, nella cultura teologica del IX secolo, di dot-  trine attribuite a un Macario Scotto, che affermano l’esistenza di una  anima universale comune a tutti gli uomini.   Queste discussioni — come quella assai più importante sulla pre-  destinazione che coinvolgerà intorno all’848 Ratramno di Corbie, Gott-  schalco di Orbais, Rabano Mauro, Incmaro di Reims e Giovanni Scoto  Eriugena — sono l’ultimo frutto della civiltà carolingia già avviata  al suo rapido declino. Ma prima che l’Europa, devastata da nuove on-  date d’invasione e travolta dall’anarchia feudale, conosca una nuova  età di regresso intellettuale, la cultura cafolingia toccherà il suo pit  alto livello filosofico nelle speculazioni di Giovanni Scoto Eriugena.    55    Capitolo terzo    Il IX e il X secolo    I. Il “Corpus arcopagiticum” e la sua penetrazione in Occidente    La cultura carolingia attinse principalmente le sue dottrine teo-  logiche dalla tradizione patristica latina e soprattutto da Agostino;  ma non le furono però neppure estranee le dottrine dei Padri greci  che i monaci britannici avevano spesso letto direttamente nella loro  lingua, né le tesi platoniche esposte e commentate nelle opere di Boe-  zio. D'altra parte, i monaci dell’Irlanda, ove già al tempo di Teodo-  ro di Canterbury si erano rifugiati dei dotti religiosi britanni desi-  derosi di dedicarsi liberamente alla vita contemplativa, perfezionarono  la conoscenza del greco al diretto confronto di testi e tradizioni ignote,  in quel momento, nelle scuole continentali. Sicché il vivo interesse per  il mondo antico e per i suoi grandi awctores poté essere mantenuto e  coltivato, nel corso del IX secolo, dalla larga emigrazione di maestri  irlandesi che passarono nelle scuole della Francia, soprattutto a Reims  e a Laon, portando spesso, insieme alla loro perizia nelle arti liberali,  anche la testimonianza e la diretta influenza di una generica ispira-  zione platonica. Ma le loro modeste conoscenze filosofiche non potreb-  bero spiegare la maturazione di un'eccezionale personalità filosofica co-  me Giovanni Scoto Eriugena, destinata a imporre una netta caratte-  ristica platonica e neoplatonica a tutta la riflessione filosofica dell’Alto  Medioevo. Né questa rinascita speculativa sarebbe storicamente com-  prensibile ove non ricordassimo la funzione determinante esercitata  nella tarda cultura carolingia dai trattati teologici attribuiti n Dio-  nigi l’Areopagita..   Questo Corpus dovuto probabilmente all’anonima fatica di uno  scrittore cristiano vissuto in Siria tra la fine del IV e l’inizio del V  secolo, incontrò subito una larga fortuna nell'ambiente intellettuale ca-  rolingio, già predisposto singolarmente a subire le suggestioni delle  dottrine neoplatoniche. Inviati in dono a Ludovico il Pio dal Basileus    56    Il IX e il X secolo    bizantino Michele il Balbo, gli scritti dionisiani furono infatti solen-  nemente custoditi fin dall’827 nell’abbazia di S. Dionigi presso Pa-  rigi, ove fiori rapidamente la leggenda che accompagnò poi costante-  mente la loro diffusione. Ma l’interesse che essi suscitarono tra i dotti  del tempo, e che continuarono poi ad esercitare per secoli, va indicato  proprio nel singolare carattere filosofico e storico dei quattro trattati  (De coelesti hierarchia, de ecclesiastica hierarchia, de divinis nominibus,  de mystica theologia) e delle dieci lettere, che rappresenta, in realtà,  il tentativo più compiuto ed organico di risolvere le dottrine essen-  ziali del neoplatonismo nel quadro di una concezione sostanzialmente  cristiana.   Nel Corpus areopagiticum, in cui rivive lo spirito di Plotino, ma  più ancora di Proclo (la cui Elementatio theologica ispirò largamente  l'ignoto autore), è delineato tutto un modo di considerare il sistema  della realtà, il suo rapporto con Dio, e l’essenza stessa della divina  natura e dei suoi attributi, che si accorda perfettamente alla menta-  lità di uomini educati al platonismo dei Padri e di Boezio. Applicando  alla conoscenza di Dio due metodi d’indagine, l’uno positivo e l’altro  negativo, lo Pseudo-Dionigi attribuisce a Dio tutte le perfezioni che  la mente umana coglie nelle creature e che nella divinità sono esaltate  al loro grado supremo; ma, sulla linea di Plotino e di Proclo, nega  tutto ciò che v’è di limitato e di definito in questi attributi umana-  mente apposti alla sostanza divina. Per questo, specialmente nel De  divinis nominibus, Dio è definito come “bontà,” “essere,” “luce,” “uni-  tà”; eppure viene insieme affermata la sua assoluta “impredicabilità,”  perché anche il più eccelso attributo è sempre inadeguato, e la più  alta conoscenza di Dio è data soltanto dall’oscurità tenebrosa del sa-  pere mistico.   La Theologia mystica accentua insomma radicalmente l’assoluta  trascendenza divina, che è al di là di ogni possibile definizione, per-  sino dello stesso “nome” di Essere e di Uno. Il sapere mistico che è ol-  tre ogni affermazione ed ogni negazione, che ignora sapendo d’ignorare  e rifiuta qualsiasi determinazione concettuale, è l’unico grado supremo  di conoscenza, smarrimento totale in cui si compone la assoluta fusione  della mente con Dio, nell'oblio assoluto di tutto ciò che è creato, limi-  tato e temporale. Ma ciò non toglie che, per lo Pseudo-Dionigi, tutta  la realtà partecipi in certo modo della realtà divina, sia insomma una  celeste processione di forme che Dio trae dalla sua perfetta “superni-  tà,” distinguendole da sé, nell’infinita diffusione della sua eterna luce.   Con lo stesso linguaggio immaginoso di Plotino e di Proclo, u-    L'Alto Medioevo    sando le loro stesse analogie luminose, cariche di reminiscenze pla-  toniche, l’ignoto autore descrive il diffondersi di Dio di grado in gra-  do, il suo generare un mondo scandito in successivi gradi di perfe-  zioni gerarchiche, il suo rivelarsi attraverso le proprie opere nella per-  fetta “teofania” dell’universo. Tutto, infatti, dagli esseri intelligibili  e intelligenti alle anime irrazionali degli animali, alla vita torpida  delle piante, alle cose che non hanno né anima né vita, è “parola” di  Dio, espressione compiuta della eterna illuminazione con cui Egli  esprime il suo Essere. E se è vero che infinita e incolmabile è la diffe-  renza e la distanza tra Dio e le creature, pure ogni aspetto e forma  della realtà è un grado dell’ascesa verso Dio, fino all’ultimo “salto”  della unione mistica. Naturalmente, la presenza divina si dispiega poi  in sommo grado nella gerarchia degli spiriti puri (trattato De coelesti  hierarchia), che muovono le sfere celesti e costituiscono gli interme-  diari tra Dio e la natura terrena, cosîf come la gerarchia ecclesiastica  è intermediaria tra l’uomo e la grazia divina. Cosi Dio, fine ultimo e  supremo, attira a sé tutte le cose create attraverso il moto d’amore che  ispira alle celesti intelligenze e che da queste si propaga di grado in  grado, fino a confluire nella perfetta mobilità della monade divina.  Per un duplice processo, la cui descrizione risolve in sé tutte le vi-  cende delle cose, il mondo esce eternamente da Dio ed eternamente  vi ritorna, come il raggio riflesso torna alla sua sorgente e le onde  del mare fluiscono e rifluiscono sempre dalla medesima riva.   Non occorre — credo — insistere ulteriormente sul carattere della  speculazione dionisiana, per ricordare come essa offrisse al pensiero  medioevale un immenso perfetto quadro dell’universo, in cui la tradi-  zione platonica pareva accordarsi con le parole della Bibbia e del Van-  gelo. Né è difficile mostrare come questa visione cosf gerarchica della  realtà potesse rispondere all’esigenza di una cultura fondata sull’or-  dine gerarchico della vita ecclesiastica e feudale dominata da un ideale  teocratico che pervadeva tutte le funzioni della vita civile. L’analogia  dionisiana tra la gerarchia celeste e la gerarchia ecclesiastica, l’inter-  pretazione allegorica e mistica di qualsiasi momento della realtà, l’in-  sistenza sulla trama di rapporti mistici e segreti che unisce all’unità  divina le molteplici, transitorie manifestazioni dell’ordine temporale  e mondano, furono infatti i caratteri della mistica dionisiana che do-  minarono tanti aspetti della cultura medioevale ispirando con uguale  fervore la fantasia dei poeti e l’esaltata visione dei santi. Ma se l’in-  fluenza del Corpus areopagiticum è presente in tutta la storia della mi-  stica medioevale, che di qui trasse la sua tipica descrizione dell’ascesa    dell'anima a Dio e il suo linguaggio speculativo, non fu però inferiore  anche nell’ambito strettamente filosofico. Ed è anzi proprio attraverso  gli scritti dionisiani che entrarono in circolazione molte dottrine e moti-  vi platonici e neoplatonici, presto associati alle testimonianze di Macro-  bio, alle dottrine del Timeo “fisico” e del commento necplatonico di  Calcidio.   Di questa influenza è prova eloquente la naturale diffusione del  Corpus artopagiticum nel corso del IX secolo e l’interesse che lo ac-  compagnò fin dalla sua prima comparsa. Tradotti, tra 1°828 e 1’830,  da Ilduino, abate di S. Dionigi, che non ebbe alcun dubbio nell’accet-  tare l’attribuzione al supposto discepolo di S. Paolo, questi scritti furono  infatti subito conosciuti nell’ambiente delle scuole palatine. Ma ben  più che alla rozza e infelice traduzione di Ilduino, essi dovettero la  loro rapida fortuna alla più tarda traduzione di un filosofo irlandese,  professore alla scuola palatina di Parigi durante il regno di Carlo il  Calvo: Giovanni Scoto Eriugena (800/815 + 870 ca.).    2. La filosofia di Giovanni Scoto Friugena    Dotto di latino e di greco (anche se sembra che abbia studiato  questa lingua solo durante il suo soggiorno parigino), questo monaco  si era rapidamente segnalato tra i suoi colleghi francesi e irlandesi.  Cosî, quando i vescovi Pardulo di Laon e Incmaro di Reims avevano  voluto confutare le tesi di Gottschalco che sosteneva l’assoluta prede-  stinazione sia alla dannazione che alla salvazione eterna, ne avevano  affidato l’incarico all’Eriugena già noto per la sua larga conoscenza  dei Padri e della letteratura teologica.   Nell’opuscolo De praedestinatione, Giovanni affrontò le tesi di  Gottschalco, negando recisamente qualsiasi forma di predestinazione al  peccato; ma il modo con cui trattò il delicato problema teologico alla  luce delle idee che furono poi al centro della sua meditazione, gli valse  la severa censura dei due vescovi e quindi le prime condanne com-  minategli dai Concili di Valenza e di Langres (855- 859). La tradu-  zione del Corpus arcopagiticum, cui attese intorno all’858, confermò poi  la sostanziale ispirazione neoplatonica che si era già manifestata nel  corso di quella polemica; tanto più che egli vi aggiunse anche la ver-  sione del De hominis opificio di Gregorio di Nissa e gli Ambigua di  Massimo il Confessore, due operette di schietta impronta platonica.  Non a caso, infatti, proprio Massimo (580-662) si era sforzato di vol-    59    L'Alto Medioevo    gere in un senso pienamente cristiano le dottrine più ambigue del  corpo dionisiano, identificando le forme divine con gli archetipi im-  mutabili che Dio immette nella realtà mondana come segni della pro-  pria perfezione e della propria bontà, mentre Gregorio di Nissa aveva  accentuato il significato “mediano” dell’uomo, posto come intermedia-  rio tra Dio e il mondo, partecipe di due diverse nature e di due oppo-  sti destini,   Queste fonti sono, del resto, sempre presenti in tutte le opere di  Scoto Eriugena, dal vasto dialogo metafisico De divisione naturae, al  commento alla Hierarchia coelestis, al commento, pervenutoci fram-  mentario, al Vancelo secondo Giovanni, all’Omelia sul prologo dello  stesso Vangelo. Ma tali scritti testimoniano principalmente la conti-  nuità di una corrente ispirazione platonica, nutrita sf da una larga  familiarità con l’opera agostiniana, ma soprattutto dalla puntuale co-  noscenza della prima parte del Timeo, noto attraverso le due versioni  di Calcidio e di Cicerone. A questa base dottrinale schiettamente pla-  tonica si accompagna però un metodo argomentativo che presuppone  una notevole conoscenza dei testi logici aristotelici e, in particolare,  delle Categoriae e del De interpretatione. Ed è anzi proprio la ridu-  zione degli strumenti logici aristotelici in funzione di una concezione  metafisica. platonica cosf operata dallo Scoto, che influirà, pid tardi,  profondamente sugli scritti dell'insegnamento logico dei secoli X e  XI, determinandone talune direttive essenziali.   La concezione dottrinale esposta principalmente nel dialogo De  divisione naturae è, certo, tra le pi audaci che siano state formulate  nell’età medioevale, anche se è vero che talune interpretazioni ne han-  no spesso deformato gli effettivi lineamenti storici, attribuendo al  monaco irlandese opinioni e atteggiamenti del tutto estranei al suo  ambiente ed alla sua formazione. Le tesi cosi care agli storici otto-  centeschi, che scorgevano nell’Eriugena una specie di libero pensa-  tore avant lettre e un filosofo decisamente orientato verso posizioni  panteistiche o immanentistiche sono state infatti smentite da analisi pi  approfondite ed aderenti alla reale posizione filosofica dello Scoto. Ep-  pure, anche se non è più possibile aderire ai giudizi del Cousin o dello  Hauréau, è ugualmente certo che la sua opera raporesenta un punto  di riferimento fondamentale nella storia della filosofia medioevale, ed  è la fonte e il principale veicolo di idee destinate ad influenzare fecon-  damente la cultura filosofica e teologica dell’Occidente.   Tutta l’argomentazione del De divisione si fonda sul principio  dell’assoluta unità tra fede e ragione, o, ‘meglio, della perfetta coinci-    IX e il X secolo    denza della verità filosofica raggiunta per la via del ragionamento lo-  gico, e la verità rilevata direttamente da Dio. Filosofia e teologia han-  no in comune la stessa origine divina, sono entrambe espressione della  medesima eterna Sapienza; e quindi non può esservi tra loro mai  contraddizione o opposizione perché è impossibile che due doni di-  vini siano contradditori ed avversi. Anche la stessa riflessione filoso-  fica è per Giovanni una forma di esposizione delle verità affermate  dalla fede, cosi come, d’altra parte, la vera autorità rivelata contiene  in se stessa tutte le possibili verità di ragione. O, come afferma ap-  punto l’Eriugena in un passo che è stato spesso citato come prova della  sua ortodossia: “la vera filosofia è la vera religione e, viceversa, la  vera religione è la vera filosofia.”   Tale principio, più volte affermato dallo Scoto, sembra presen-  tare una soluzione quanto mai coerente del problema dei rapporti tra  la ricerca razionale e i contenuti dogmatici della fede ortodossa legata  all'accettazione di un complesso ben definito di verità rivelate. E, in  realtà, egli ritiene fermamente che la “certezza salvatrice” della rive-  lazione debba essere sempre illuminata dalla ragione che ne permette  l'effettiva comprensione e la piena consapevolezza. Se la rivelazione  ci indica qual è la verità cui si deve credere a proposito della natura  divina, della natura della nostra anima e del suo destino oltremondano,  non è meno necessaria la ricerca sistematica della ragione che si sfor-  za di interpretare le parole della Scrittura e di renderle evidenti e  comprensibili. Non solo; non si potrebbe neppure intendere cosa si-  gnifichi, ad esempio, la dottrina biblica della creazione, o quale sia il  senso degli attributi divini, senza una oculata interpretazione, svolta  per via puramente razionale. Naturalmente, quest'opera interpretativa,  sottile e difficile, richiede l’ausilio dell’autorità dei Padri, che racco-  glie quanto è stato pensato da menti illuminate intorno ai massimi  problemi della teologia. Ma le autorità umane non possono mai es-  ser poste sullo stesso piano della rivelazione, né godono della infal-  libilità della parola divina. Perciò, ogni volta che vi sia un contra-  sto tra la “giusta ragione” e l’autorità dei Padri, l’Eriugena ritiene  che si debba scegliere la verità della ragione ben motivata e definita.  Ogni autorità è valida ed inoppugnabile solo se si fonda su di un  ragionamento evidente e rispondente ai requisiti della verità logica. Né  credere alla rivelazione o all'autorità divina significa accettare cieca-  mente i suoi interpreti, sia pure accreditati e ortodossi; la loro auto-  rità deve essere sempre confrontata con l’autorità più alta della ra-  gione cui spetta in ultima analisi il giudizio definitivo.    6I    L’Alto Medioevo    È appunto fondandosi su questa piena fiducia nel valore dell’in-  terpretazione razionale dei dati della rivelazione, che Eriugena traccia  un grande quadro della creazione e della realtà costruita mediante  l’uso sistematico e costante di un procedimento razionale che si ri-  chiama ai modelli della dialettica platonica. Se da un lato egli muo-  ve dalla considerazione dei generi supremi per distinguere analitica-  mente entro queste unità razionali i generi e le specie sempre meno  universali che vi sono contenuti, d’altra parte risale anche in sen  so inverso l’ordito della realtà, muovendo dall’individuo alla specie  ed al genere, e percorrendo cosî in un duplice movimento l’eterno pro-  cesso dialettico della creazione. La “divisione” della natura esposta nel  grande dialogo è pertanto un continuo discendere dalla unità immu-  tabile del sommo, unico principio divino alla infinita molteplicità delle  sue determinazioni successive che però, a loro volta, sono razionalmen-  te ricondotte all’unità che le genera e considerate nell’ambito assolute  dell’essere cui tutte partecipano. Il ritmo dialettico, definito da Plu-  tone nelle pagine del Parmenide, e riaffermato da Plotino e da Proclo,  è cosi posto a fondamento del rapporto tra Dio e il mondo, tra l’onni-  potenza creatrice, sottratta al tempo e al mutamento, e la realtà fluente  e mutevole delle cose sensibili. Ed ecco perché la comprensione del-  l'ordine e della struttura gerarchica dell’universo, già definita dallo  Pseudo-Dionigi, si risolve nell’intelligenza di come si generino dal-  la Sapienza divina le idee, i generi, le specie e gli individui che lo  costituiscono secondo la legge immutabile di un processo logico inter-  no ad ogni realtà. Se l’universo è — per l’Eriugena, come per lo Pseu-  do-Dionigi — il puro specchio di Dio in cui si riflettono le forme e le  immagini delle idee eterne, il movimento razionale per cui si risale  dalle cose alle idee, e dalle idee all’unità di Dio, è il ritorno della realtà  alla sua fonte ed alla perfezione originaria.   Tutto questo spiega perché la natura sia considerata nel De divi-  sione entro una quadruplice distinzione che segna appunto i momenti  essenziali del suo interno processo dialettico. Cosi, in primo luogo,  “natura non creata e creante” è l’unità divina donde tutto si genera.  “Natura creata e creante” sono le idee eterne presenti nel suo intellet-  to come archetipi eterni delle cose, mentre sono “natura creata e non  creante” le realtà molteplici e mutevoli, l’universo generato e definito  nella misura della temporalità. Infine Dio stesso, considerato come  ultimo fine e supremo scopo della realtà, è la “natura non creata e  non creante,” perfettamente, assolutamente conclusa nella sua eterna  perfezione. Ora è subito evidente che queste distinzioni si risolvono    sostanzialmente nell’unica distinzione fondamentale tra il creatore e  le creature, tra l’unico principio e la sua esplicazione nel molteplice.  Ma proprio perché Dio — secondo la definizione dionisiana — è al di  là di tutte le determinazioni possibili e trascende ogni forma, aspetto  o “nome” definito, anche l’Eriugena può riprendere la tematica della  teologia negativa applicandola con logico rigore. In tal modo, se per  “via positiva” si può affermare di Dio tutto ciò che esiste e attribuirgli  tutte le possibili perfezioni, occorre però ricordare che tale afferma-  zione è solo “simbolica” e che la si può riferire a Dio non perché  egli sia realmente questa o quella realtà determinante, ma perché è  la causa e il fondamento assoluto del suo essere. Definire Dio con un  nome o con un concetto, chiuderlo entro un “termine” particolare,  significherebbe negare la sua realtà “superessenziale”; perciò, ogni  volta che si predica di Dio qualcosa, occorre insieme affermare e ne-  gare, “attribuire” e “non attribuire.” Dio è infatti al di là di ogni  “essenza,” com'è al di là della verità e dell’eternità, oltre ogni catego-  ria logica e ogni perfezione attribuibile. Ma ciò non toglie che egli  sia però una “superessenza,” una “superbontà” e “sovraeternità,” e  che il linguaggio umano non abbia altra via che quella di alludere al  suo essere con l’artificio di negare la stessa affermazione.   Che simili temi, ripresi direttamente dalla tematica dionisiana,  derivino dalla tradizione di Plotino e di Proclo, è cosa ben evidente.  Ma la conseguenza più importante è la compresenza nel pensiero  dell’Eriugena di una profonda esigenza mistica che mira a risol-  vere la conoscenza di Dio’ nell’oscura trascendenza dell’“ignoran-  za,” e di una considerazione positiva della realtà mondana, colta nel  suo indissolubile nesso dialettico con l’Uno creatore. Tutto ciò che  esiste, ogni sostanza individuale, esprime infatti nella sua limitazione  la potenza della bontà divina che l’ha tratta dal non essere per con-  durla alla realtà. Ma nello stesso atto creativo è a sua volta implicita  l’eterna distinzione delle persone trinitarie che pone una intima rela-  zione dialettica tra il Padre, il Figlio e lo Spirito, e che, nel linguag-  gio platonizzante dell’Eriugena, assume una caratterizzazione non  molto lontana dalla successione emanatistica delle ipostasi plotiniane.  Certo, il processo che entro l’immutabile unità divina distingue il  Padre, il Figlio e lo Spirito, non è una divisione come quella che  distingue le varie specie entro lo stesso genere, o le varie parti nel  tutto, né è paragonabile alla generazione di una “forma” dall’altra  “forma.” Eppure, è proprio mediante questa distinzione che l’Eriu-  gena può pensare il moltiplicarsi dell’Unità divina nella molteplicità    63    L'Alto Medioevo    delle Idee, “prototipi,” “predestinazioni,” “volontà divine” e, insom-  ma, archetipi di tutte le cose create che il Padre “preforma” o “sta-  bilisce” nel Verbo. Tali Idee sono coeterne a Dio, e quindi non hanno  né origine né fine nel tempo, anche se il Padre è l’assoluto princi-  pio del loro essere. Pur diverse e molteplici, esse costituiscono nel  Verbo un’unica semplice realtà, ove è già eternamente contenuto tutto  ciò che potrà poi esistere e svilupparsi nel tempo. Ma benché siano  identiche e “identificate” nel Verbo divino, esse sono però già delle  creature, “teofanie” che svelano l’ineffabile superessenza divina, con-  servandone l’assoluta e immutabile perfezione. Nelle Idee la natura  divina può quindi apparire, al tempo stesso, come creatrice e come  creata. O meglio: Dio si autocrea nelle Idee per emergere dal segreto  della sua natura e rivelarsi a se stesso e a tutta la realtà che ne è, per  altro, l’effettiva e necessaria rivelazione.    Le Idee o specie eterne considerate nella loro molteplicità sono  però, al tempo stesso, anche quelle essenze e forme immutabili secon-  do le quali è costruito tutto l’“opificio” del mondo sensibile. Come  Dio crea le Idee distinguendole nella sua unità, cosî le Idee si moltipli-  cano nella produzione degli individui, secondo un ordine gerarchico  perfettamente logico e dialettico. Dalle Idee derivano infatti diretta-  mente i “generi,” dai “generi” le “specie” e da queste le sostanze  individuali; ma questo processo è pur sempre opera divina, anzi parti-  colare attribuzione della terza persona trinitaria, lo Spirito Santo, che  l’Eriugena concepisce come un principio fecondatore che distribuisce  nella natura le forme o essenze divine. Cosi ogni creatura che ripro-  duce a suo modo l’immagine di Dio resta definita in una sua intima  trinità che riflette la trinità divina; poiché, se l’essenza corrisponde al  Padre, la sua virtus attiva corrisponde al Verbo e la sua propria “ope-  razione” allo Spirito Santo.   Le serie delle “teofanie” che discendono dalle Idee agli individui  costituiscono l’ordine e la trama metafisica della natura. Ma questa  concezione è ulteriormente chiarita e sviluppata dall’Eriugena, me-  diante la ripresa della dottrina di origine neoplatonica e agostiniana  dell’illuminazione divina, che gli serve per definire il rapporto tra Dio  e la realtà. Tutti gli esseri creati costituiscono infatti altrettante de-  terminazioni particolari e singole dell’unica luce divina, il cui splen-  dore si manifesta in grado diverso secondo la maggiore o minore per-  fezione dei singoli individui. Ogni cosa determinata e particolare è,  a suo modo, segno e simbolo della divinità, “rivelazione” ed “espres-    64    Ml 1X e il X secolo    sione” dell’infinita potenza divina. Dalle sostanze immateriali come le  gerarchie angeliche, all'uomo che partecipa insieme dell’ordine spiri-  tuale e della natura materiale, alle cose puramente materiali e sensibili,  si svolge un continuo processo di “rivelazione,” un espandersi e defi-  nirsi della luminosità divina, in forme sempre pid limitate e lontane  dalla sua fonte originaria.   Tutto ciò che v'è di reale e di esistente deriva infatti necessaria-  mente dalla sostanza divina, il cui essere è pertanto l’essere di tutte  le cose. Eppure proprio perché ogni realtà individuale partecipa del-  l’Essere divino, ma senza potervisi identificare pienamente, ecco delinear-  si tra Dio e le creature un distacco e una diversità irriducibile  che nessun intermediario potrebbe mai colmare. Il diffondersi della  luce divina nei suoi diversi gradi di luminosità e di chiarezza segue  infatti un preciso ordine gerarchico, in cui ogni grado definisce dei  rapporti di analogia e significazione pifi o meno adeguati, ma pur  sempre incapaci di restituire compiutamente la fondamentale natura  divina; e la gerarchia presente in ogni grado e forma della realtà,  mentre esprime l’ordinata partecipazione di tutti gli esseri all’essere  divino, accentua però e definisce la distinzione tra il Dio-uno e la  natura limitata e molteplice. Così gli angeli, che occupano il primo  rango nell’ordine delle creature, sono sf intelligenze perfette in cui  la divinità si rispecchia nella sua più alta espressione; ma sono anch’es-  si distinti dalle idee divine perché possiedono un corpo spirituale, sen-  za dimensioni o forme sensibili, eppure ben diverso dall’assoluta sem-  plicità della natura creata e creante. Agli angeli spetta però il privi-  legio di conoscere direttamente la realtà divina, quasi per mezzo di  un’esperienza sovrarazionale che coglie Dio nella sua prima manife-  stazione del Verbo, nelle idee ed eterne cause di tutte le cose. Ma  anche questa conoscenza viene partecipata agli angeli, in linea gerar-  chica, a seconda della loro maggiore o minore perfezione, sino all’ul-  timo grado della gerarchia angelica che, a sua volta, la trasmette ai  supremi fastigi della gerarchia ecclesiastica, destinata a diffonderla tra  la massa oscura e “inferiore” dei fedeli,   Difatti l’uomo, per quanto sia posto per sua natura al confine tra  il mondo spirituale e quello naturale, non sarebbe mai capace di affer-  rare liberamente, con le sue forze naturali, la luce della rivelazione di-  vina. Situata nell’ordine cosmico, in un grado ben inferiore a quello  delle nature angeliche, limitata dalla sua esistenza corporea e dai bi-  sogni e dalle necessità che ne derivano, la natura umana è profonda-  mente decaduta e corrotta, né possiede di per se stessa i mezzi e il    65    L'Alto Medioevo    potere per liberarsi dalle proprie colpe. Eppure il suo fondamento  eterno è posto in primo luogo nell’Idea pura dell'uomo sempre pre-  sente nella mente divina e nella conoscenza che Dio ne possiede eterna-  mente. Per questo, appunto, l’uomo è capace di riunire in sé quanto  v'è di più eccelso e di più basso nella realtà e di presentarsi come la  sintesi vivente di tutta la creazione, il “microcosmo” che riflette e ri-  solve in sé l’ordine e l’infinita ricchezza del “macrocosmo.” Da un  lato, la parte più nobile della nostra natura, che è l’intelletto e l’es-  senza, c'induce a volgerci direttamente a Dio, con un atto di desiderio  che mira all’“essere eccellentissimo,” al di là di ogni essenza parti-  colare, o di ogni definizione o limite. Ma d’altra parte, l’uomo è  pure “ragione” discorsiva, e cioè capacità di definire l’essenza ignota  e infinita di Dio come causa di tutte le cose, di contemplare le  Idee o archetipi presenti in Dio, senza alcun bisogno dell’aiuto del-  l'esperienza sensibile. Certo, anche l'intelligenza di queste idee è  compito arduo, né la nostra mente sembra sempre capace di af-  ferrare direttamente e in modo compiuto l’essenza pura e ineffabile.  Ma se le Idee possono apparire irraggiungibili e troppo lontane dai li-  miti della ragione umana, è sempre possibile afferrare le loro “teofa-  nie” che si presentano nelle nature angeliche come nelle anime umane.  In tal modo attraverso la contemplazione delle “teofanie” la mente  può pervenire ad una conoscenza delle cause prime che se anche non  ci rivela le loro essenze, ci lascia però comprendere la loro effettiva  azione e la loro presenza nelle cose.   Oltre a queste due facoltà v’è poi, nell'anima umana, una terza  attività che mira a comprendere l’essenza delle singole cose create  dalle cause prime o archetipe e conoscibili dai sensi esterni. Tale cono-  . scenza è de*erminata dalle immagini sensibili che sono di diversa natura  a seconda che siano prodotte direttamente nei sensi sotto l’azione degli  oggetti esterni o che si tratti invece di immagini formate dall’anima in  dipendenza dell’esperienza sensibile. Nondimeno esse rappresentano  il diretto rapporto con il mondo molteplice degli iridividui in cui si  scandisce l’ordine naturale. E come il processo della creazione muove  dall’unità per generare l’infinita molteplicità della natura, cosi anche  la conoscenza umana viene determinandosi e distinguendosi di grado  in grado, via via che discende dalla contemplazione dell’uno all’intel-  lezione dei generi e delle specie, e quindi all’esperienza sensibile delle  cose determinate e individue. A questo processo di divisione, svolto  secondo la tecnica della dialettica platonica, corrisponde però un iden-  tico processo di ritorno all’unità. Poiché il pensiero umano è capace di    66 Ù    Ml IX e il X secolo    muovere dalla molteplicità degli individui conosciuti per via sensi-  bile per passare discorsivamente all’intelligenza delle loro specie e dei  loro generi, e da questi alla contemplazione delle Idee ed alla contem-  plazione dell’Uno.    3. ll “ritorno” all'unità divina    Che questo processo di “ritorno” sia possibile è dimostrato per Gio-  vanni Scoto Eriugena, da un'analisi più profonda della natura uma”  na. Se l’uomo, originariamente dotato di un corpo incorruttibile  come quello angelico, ha perso con il peccato originale questo’  dono ed è stato soggetto alla corruttela ed alla morte, non ha però  perduto la possibilità di salvarsi e di trovare nel Verbo divino un prin-  cipio di redenzione che riabiliti, attraverso la restaurazione della natura  umana, l’intero ordine della natura fisica. È infatti solo nell’unità idea-  le del Verbo che il mondo molteplice e transitorio, la matura creata  e non creante può tornare nuovamente alla sua fonte e compiere quel  processo di unificazione cui tende fatalmente ogni individuo creato.  Cosi l’uomo, creato simile a Dio, ma divenuto dissimile per il  peccato e la conseguente corruttela, può sforzarsi di identificare il  suo essere con la perfezione creatrice, risalendo di grado in grado  lungo la scala delle realtà.   Per giungere a questo scopo supremo è necessario un lungo pro-  cesso di “ritorni” successivi e parziali, attraverso il quale la mente  umana ripercorra esattamente tutti i gradi o momenti con cui si è  scandita l’opera della creazione. E se l’anima razionale si è prima come  dispersa e moltiplicata nell’infinita distinzione degli atti e dei desideri  fisici, occorre che adesso essa muova da questa dispersione per tor-  nare all’unità originaria e rispondere al richiamo irresistibile della di-  vinità. La morte fisica che disperde e dissocia al massimo gli elementi  costitutivi dell’uomo è quindi quel punto solutivo in cui la caduta  dell'anima dall’umanità divina nel mondo sensibile si arresta brusca-  mente ed ha termine. Una seconda fase del ritorno avrà luogo  nel momento della resurrezione, quando ogni anima riprenderà il  suo corpo e ricostituirà l’unità dei propri elementi; ad essa seguirà  una terza fase consistente nella progressiva trasfigurazione del corpo nel-  lo spirito, attraverso i vari gradi di vita spirituale, dal senso alla ra-  gione allo spirito o intelletto che è lo scopo e la tensione di ogni crea-  tura razionale. Infine, nella quarta fase, la natura umana nella sua    L'Alto Medioevo    »    totalità potrà tornare alle Idee o cause prime eternamente sussistenti  in Dio; cosi essa attingerà dapprima in Dio la conoscenza di tutte le  creature, per elevarsi, poi, alla Sapienza o contemplazione assoluta della  verità, almeno per quanto è possibile a un intelletto creato. Ma anche al  di là di questa fase, sarà possibile un ultimo più alto grado di ritorno;  e l’anima umana, in cui si compendia tutto l’universo creato, sarà pro-  fondamente penetrata da Dio e si risolverà nella sua “superessenza,”  termine ultimo, definitivo della perfetta unificazione.   Un tale processo di “ritorno” — che ricorda con impressionante pa-  rallelismo certe famose pagine neoplatoniche — non è però soltanto un  movimento intellettivo o un’ascesa a Dio della ragione naturale. Gio-  vanni Scoto Eriugena afferma che senza l’intervento della grazia di-  vina e senza la morte e la resurrezione di Cristo, non sarebbe mai  possibile restaurare la natura umana decaduta e corrotta. Né, d’altra  parte, quando parla dell’unità dell'anima con Dio o addirittura di  “deificazione,” egli intende teorizzare una totale risoluzione della na-  tura umana in quella divina o accedere ad una possibile soluzione  panteistica. Al contrario — come è scritto in un passo, del resto, ben  noto del De divisione — si tratta di una adunatio sine confusione, vel  iunctura, vel compositione, che non dovrebbe affatto negare la diver-  sità radicale tra la sostanza umana e la sovraessenza divina, pur rea-  lizzando la profonda unità spirituale tra l’anima contemplante e l’og-  getto supremo della sua contemplazione. Ma sebbene l’Eriugena pro-  fessi di restare fedele al suo compito di interprete della verità rivelata  e riaffermi costantemente il suo pieno ossequio alla dottrina cattolica,  la stessa forza delle formule neoplatoniche continuamente usate spinge  la sua riflessione a conseguenze difficilmente compatibili con l’orto-  dossia. In questo universo cosi profondamente unito all’unità creatrice,  in questa cosmologia che si sforza di conciliare il racconto biblico della  creazione con le dottrine del Timeo e di Calcidio, non è facile’ co-  gliere il punto di distinzione tra l’infinità assoluta di Dio e l’infi-  nita generazione delle creature prodotte dalla sua stessa essenza. E  certo, nonostante che l’Eriugena si richiami spesso anche ad Ago-  stino, e non perda occasione per temperare la sua ispirazione filoso-  fica con le dottrine dei Padri, egli è soprattutto un filosofo di forma-  zione e mentalità neoplatonica preoccupato profondamente di dare al  proprio pensiero un esito teologale e Ortodosso, sempre minacciato  però dal carattere schiettamente platonico delle sue dottrine fonda-    mentali.  Ecco perché le idee escatologiche di Giovanni Scoto Eriugena han-    no un significato cosi vicino a quelle di Origene, donde riprendono  del resto alcuni motivi fondamentali. In questo universo in cui la stessa  materia fisica si riduce ai propri elementi intelligibili non v'è natu-  ralmente posto per un male irriducibile o per la dannazione eterna,  né, tanto meno, per la concezione tradizionale delle pene oltramondane.  Certo, il filosofo irlandese non vuole con questo negare la distinzione  teologica tra i reprobi e gli eletti, né impugnare in tal modo uno dei  più saldi fondamenti del dogma cristiano. Ma basta leggere talune  pagine significative del De divisione o del commento al De coelesti hie-  rarchia per intendere come elezione e condanna, beatitudine e soffe-  renza eterna siano identificate dall’Eriugena con la vera conoscenza  o con l’assoluta ignoranza della verità divina, senza che vi sia più  alcuna allusione alle sofferenze o godimenti sensibili. La vera beati-  tudine della vita eterna è dunque la visione limpida e perfetta della  divinità, l’intima comunione col suo essere. La natura riscattata e sal-  vata dal sacrificio di Cristo e dall’ascesa dell'anima non reca più nes-  sun segno del male, né potrebbe mai ammettere nell’eternità dell’in-  ferno le vittorie del male e di Satana, la loro eterna ribellione all’in-  vincibile richiamo dell’Uno.   A motivi cosî speculativi e “filosofici” va poi connesso l’atteggiamen-  to di notevole libertà che Giovanni Scoto assume di fronte agli stessi  contenuti della rivelazione scritturale, nonché il suo costante uso di un  metodo di interpretazione allegorica che piega i testi biblici ed evan-  gelici ad esigenze schiettamente filosofiche. È vero che nel De divi-  sione l’uso di un linguaggio dedotto da fonti e tradizioni neoplatoni-  che può talvolta ingannare, inducendo a dar peso piuttosto alla forma  di espressione ardita e inattesa che non al significato effettivo delle  parole dell’Eriugena. Ma la sua sicura certezza nella capacità della  ragione d’interpretare perfettamente anche i sensi più riposti della  Scrittura, e il costante intreccio tra i tempi caratteristici della tra-  dizione filosofica classica e il contesto teologico cristiano, segnano co-  munque l’inizio di una lunga e duratura esperienza filosofica destinata  agli esiti più lontani e diversi. Il costante appello alle autorità di Dio-  nigi, di Massimo, di Gregorio, di Agostino e di tanti altri Padri e  Dottori chiamati a garantire le sue idee e il suo linguaggio cosî nuovo  e inquietante, non valse però ad evitare le condanne che le autorità  ecclesiastiche espressero e ripeterono con sintomatica frequenza nei  confronti della filosofia eriugeniana. Condannate e destinate alla di-  struzione dai teologi del suo tempo colpiti dalla sconcertante novità  di una riflessione che reintroduceva in Occidente dottrine ormai di-    L’Also Medioevo    menticate o risolte nel tradizionale contesto agostiniano, le opere del-  l’Eriugena continueranno però a diffondersi per tutto il X e XI  secolo fino alla rinascita del XII. E nonostante le nuove condanne e  le più aspre polemiche, l'immenso quadro cosmico tracciato dal mo-  naco irlandese rappresenterà il naturale presupposto della prima gran-  de cultura filosofica elaborata dall'Europa medioevale. Già del resto,  l'influsso della riflessione dello Scoto è chiaramente riconoscibile in una  lettera filosofica di Alamanno di Hautvillers a Sigibod, arcivescovo di  Narbona (879-885), ove si trovano larghe tracce della sua dottrina della  theoria e dell'anima e delle sue parti. Ma la fortuna dello Scoto Eriu  gena, nei suoi diretti riflessi su l’evoluzione del “platonismo” medioe-  vale, è un capitolo della storia della cultura ancora non del tutto chia-  rito.    4. La cultura postcarolingia    Il De divisione naturae è certo l’opera filosofica che conclude e  riassume l'ambizioso tentativo della rinascita carolingia, nata da un  tentativo di riorganizzazione politica dell'Europa e legata, natural-  mente, alla sorte delle istituzioni imperiali. Già intorno all’877, data  presumibile della morte dell’Eriugena, l’Impero carolingio sta infatti  avviandosi alla sua definitiva dissoluzione sotto la spinta convergente  di una nuova ondata d’invasioni barbariche, dell’evoluzione particola-  ristica dei poteri feudali e delle tendenze teocratiche del pontificato ro-  mano. La forza dominante dell’aristocrazia militare, arbitra di fatto  del potere e della forza armata, l’immobilità e la maggiore carenza  della vita economica e dei rapporti sociali, le crescenti difficoltà delle  comunicazioni con il mondo bizantino e tra le stesse regioni dell’Im-  pero aggravano le condizioni di isolamento in cui è immersa la na-  scente società feudale, corrosa dalla generale anarchia e da continui  insanabili conflitti dinastici. Ma a questa disgregazione — che è la  diretta conseguenza della debolezza originaria delle istituzioni caro-  linge — corrisponde il progressivo dissolversi del vincolo unitario che  durante il dominio di Carlo, aveva unito latini, germani e celti, per-  mettendo l’instaurazione di un tipo di cultura comune alle diverse  terre dominate dal monarca franco. Non a caso quindi, proprio tra  la metà del IX secolo e la metà del X secolo, giunge a compimento  quel processo di differenziazione linguistica delle maggiori naziona-  lità europee che già si distinguono nella formazione, sia pure ancora    70    IL IX e ti X secolo    soltanto nominale, dei regni d’Italia, di Francia e di Germania. E  se è vero che gran parte d’Europa è sottoposta a istituzioni non dissi-  mili, alle forme d’organizzazione politica e sociale del feudalesimo,  dietro questa uniformità apparente predominano ormai le tendenze e  le forze particolaristiche che mirano a trasformare i più importanti  centri feudali in altrettanti nuclei direttivi ed autonomi della vita eco-  nomica, sociale e politica. Indubbiamente questa società “immobile”,  abitudinaria e uniforme,” divisa in centinaia di centri, e frazionata  nei suoi poteri politici, è ancora percorsa da correnti di traffici ridotte  ma persistenti, e non ignora la continuità di ricche oasi di vita citta-  dina e mercantile. Però ove si eccettui l’Italia, le cui condizioni sto-  riche sono ben diverse da quelle delle altre regioni dell’Europa occi-  dentale, le città francesi e tedesche sono, per cosî dire, altrettante isole  all’interno di una società a struttura rurale che ha il suo centro nel  castello feudale e il suo fondamento nel sistema delle wvillae carolinge.   Ciò spiega il notevole regresso della cultura e l’inaridirsi della  vita intellettuale che continua a tramandare in forme sempre pid stan-  che ed esauste i modelli elaborati della riforma carolingia; e spiega,  altresi, perché il X secolo, nonostante la presenza di alcuni grandi  centri culturali e la continuità di talune esperienze letterarie non prive  di eleganza e misura classica, sia stato considerato come uno dei secoli  più infecondi e poveri della cultura europea. Eppure, anche nel colmo  dell'anarchia feudale e nel periodo di maggiore disgregazione poli-  tica è possibile intravedere la lenta evoluzione di nuove forze e condi- .  zioni storiche che permetteranno, a distanza di un secolo, un’ecce-  zionale ripresa economica e sociale. Le istituzioni feudali che si sosti-  tuiscono al vuoto creato dallo sfacelo dell’ordinamento carolingio rap-  presentano infatti un solido baluardo contro le rinnovate invasioni e  rendono possibile il costituirsi di un nuovo tipo di comunità produt-  tiva naturalmente volta a riallacciare stabili legami con i centri ur-  bani. Nelle città — che conservano almeno in parte gli ultimi resti  della loro autonomia tradizionale — l’autorità preminente del vescovo  permette che continui una tradizione scolastica affidata quasi sempre  alle scuole del clero, ma anche, come a Verona o a Pavia, alle scuo-  le “regie” dove si formano notai o giudici. Certo la cultura che si  tramanda in queste scuole di prevalente carattere ecclesiastico o giu-  ridico, risente profondamente le conseguenze della grave crisi politi-  ca e sociale, né è capace di produrre concezioni intellettuali degne di  particolare attenzione. Ma la continuità dell’insegnamento delle arti    7!    L'Alto Medioevo    liberali e della tradizione scolastica di origine carolingia è tuttavia un  carattere tipico della cultura del X secolo di cui occorre riconoscere la  indubbia funzione storica.   A questa società cosi “disgregata” e “particolaristica” non manca  del resto un’unità ideologica fondamentale che è rappresentata dalla  continuità e dalla nuova evoluzione storica dell’ideale teocratico caro-  lingio. Nonostante la dissoluzione dell’unità imperiale e la scomparsa  dello stretto vincolo politico che aveva unito sotto Carlo le regioni  centrali dell'Europa, l’ideale concezione della Christianitas raccolta sot-  to un'unica guida e un unico potere continua ad ispirare anche i chie-  rici del X secolo depositari della cultura e di ogni attività magistrale.  Ma alla figura dell’Imperatore sotto il cui dominio deve svolgersi an-  che la vita disciplinare della Chiesa, si sostituisce il potere sacrale del  Papa-re, cui spetta, per decisione divina, ogni autorità spirituale e  terrena e da cui dipende l’autorità dell’Imperatore e del re. La pro-  gressiva carenza del potere imperiale e le lunghe lotte di successione  che travagliano la monarchia carolingia fino alla sua definitiva depo-  sizione, spierano facilmente come il concetto della Christianitas si  trasformi nell’idea di un'assoluta teocrazia pontificia capace di disporre  di tutti i troni e di tutte le autorità. Ed è significativo che questa idea  si affermi proprio ad opera del primo pontefice, Giovanni VIII (872-  882), che decide di fatto dell’attribuzione della corona imperiale. La  definizione che Giovanni VIII diede della Chiesa come “quella che ha  autorità su tutti i popoli ed alla quale sono unite le nazioni di tutto  il mondo come ad una sola madre e ad una sola testa” è già elo-  quente testimonianza di un'assoluta supremazia che ha il suo fonda-  mento nel pieno monopolio della vita intellettuale e che rappresenta  l’unico saldo legame sopravvissuto al crollo dell’unità carolingia. La  aristocrazia ecclesiastica che governa le sedi cattedrali e abbaziali è in-  fatti la sola forza organica e organizzata che, pur nell’età della mas-  sima anarchia feudale, continui ad esercitare una funzione unitaria,  nonostante le crisi interne della vita ecclesiastica e la profonda de-  cadenza del pontificato presto dominato dalla nobiltà romana. Ma ap-  punto perché la fede cattolica, e la gerarchia che la difende e la  diffonde, costituisce l’elemento comune a tutte le classi e a tutti i  ceti della società feudale, è naturale che questo legame spirituale venga  transvalutato alla luce del concetto agostiniano della Civitas Dei e della  Respublica Christianorum. Il termine Christianitas che comincia cosi  frequentemente a ricorrere nella seconda metà del IX secolo, indica  appunto questa comunità di tutti i cristiani in quanto tali che ha    72    Il IX e il X secolo    una propria sostanza e struttura politica ed una finalità oltremonda-  na, ma agisce però anche sul piano mondano, nell’ambito della vita  civile. Ora, questa comunità — così come l’intende Giovanni VIII —  implica appunto un ordine politico e sociale pit vasto e superiore a  quello dell’Impero, nonché una gerarchia e un’autorità suprema di-  nanzi alla quale i poteri civili e la sovranità dei re o dell’Imperatore so-  no soltanto degli strumenti subordinati e inferiori. Sicché il pontefice  romano, che della Chiesa è il capo designato dal Cristo, è perciò stes-  so la suprema autorità della C4ristiaritas, l’unica legittima fonte di  qualsiasi potere legale. Il rovesciamento del rapporto tra l’autorità  imperiale e l’autorità pontificia non potrebbe essere più netto e radicale.  Se pure il papato, travagliato anch'esso per gran parte del X secolo  da una profonda decadenza, non farà ancora valere praticamente il  suo primato cosî teorizzato, sono già posti però i presupposti delle  dottrine teocratiche destinate a dominare le polemiche e le lotte politi-  che dell’età gresoriana. Ne offre un esempio assai chiaro Giona di  Orléans (780 + 842/43), il quale nella sua Admonitio a Pipino di Aqui-  tania (nota col titolo di De Institutione regia) afferma che il potere  regio è concesso da Dio solo perché il sovrano miri alla giustizia, al  benessere del popolo e, soprattutto, alla protezione della Chiesa. Ove  il re non adempia a questa missione il suo potere è illegittimo e “ti-  rannico.”   La supremazia e il completo monopolio intellettuale esercitati dal-  le gerarchie ecclesiastiche nel corso del X secolo, si riflettono natural-  mente sul carattere della cultura che accentua e rende definitiva la ti-  pica impronta ecclesiastica della riforma carolingia. Soprattutto in  Francia e in Inghilterra, travagliate da gravi crisi politiche, le scuole  episcopali sono infatti, insieme alle abbazie benedettine, gli unici cen-  tri attivi di cultura ove si continua l'insegnamento del “trivio” e tal-  volta anche del “quadrivio,” e dove si leggono e si commentano i  testi restituiti alla cultura occidentale dalla paziente attività dei mo-  naci britanni e irlandesi. Un dotto ecclesiastico come Servato Lupo di  Ferrières, che vive in Francia tra l’inizio del IX secolo e 1°862. è ap-  punto il maggiore esponente di questa cultura che si fonda sul gusto  elegante di una raffinata latinità, sull’ammirazione per la splendida  eloquenza ciceroniana, e sulla ricerca appassionata delle grandi testi-  monianze classiche, poste però al servizio di un tipo di insegnamento  che ha come proprio fine la formazione del perfetto uomo di chiesa.  Anche il suo contemporaneo Smaragde, abate di St. Michel sur Meuse  (n. 819), si rivela nel suo Liber in partibus Donati l’atteggiamento in-    73    L'Alto Medioevo    tellettuale dei maestri del suo tempo, spesso divisi tra l’ammirato amo-  re dei classici e l’ossequio alla pagina sacra, scritto in una lingua cosi  lontana dall’eleganza ciceroniana. Ed è pure alla fine del IX secolo  che risalgono probabilmente anche gli Exempla diversorum auctorum  di Micone di St. Riquier e l’attività di un certo Adoardo, prete e bi-  bliotecario di un ignoto monastero francese che, nonostante i suoi  dubbi e scrupoli teologici, conosceva ed usava gran parte degli scritti  ciceroniani di cui si serviva largamente nel compilare una sua raccolta  di esempi di autori classici.   Questa opera modesta e paziente di grammatici e di maestri, che  operano dispersi nei vari centri scolastici della CAristianitas, non si  limita però soltanto all’insegnamento letterario ed all’uso di un di-  screto latino di lontana impronta ciceroniana, ma travalica molto spes-  sc nell’ambito delle discipline filosofiche e teologiche. Già infatti nella  seconda metà del IX secolo Eirico di Auxerre(841-876), fondatore del-  l'omonima scuola benedettina e buon poeta e letterato, unisce all’insegna-  mento della grammatica anche quello della logica, commentando gli  scritti pseudoagostiniani Categoriae decem e De dialectica secondo le  discusse attribuzioni dello Hauréau, il De interpretatione di Aristotele  e l’Isagoge porfiriana. In tutte queste glosse dialettiche e, soprattutto,  nel commento alle Categoriae decem di più sicura attribuzion e, è evi-  dente la forte influenza dell’Eriugena che si rivela particolarmente  nell’uso del concetto di “natura” e nella definizione dell’“essere” iden-  tificato con ogni essenza semplice e immutabile direttamente creata  da Dio. Tuttavia Eirico non spinge il suo platonismo fino ad affermare  la realtà oggettiva delle specie e dei generi, ed afferma anzi che l’unica  realtà concreta è costituita dalle sostanze individuali e che, pertanto,  le idee di specie e di genere non hanno altro significato se non quello  d’indicare la natura comune ai singoli individui. Gli universali sono, in-  somma, come dei segni che servono alla ragione umana per orientarsi  nella “gran selva” degli individui e raccogliere ordinatamente entro idee  sempre più generali le caratteristiche che denotano la specie e poi il  genere, fino alla caratteristica dell'essere comune e fondamentale per  tutti gli individui.   La soluzione di Eirico — che è stata avvicinata, benché impro-  priamente, alla genuina nozione aristotelica dell’universale — è pro-  babilmente il risultato di un insegnamento dialettico ‘piuttosto ele-  mentare e legato strettamente all’analisi grammaticale del discorso.  Ma è certo significativo che proprio alla sua scuola si formasse una  delle maggiori personalità intellettuali del X secolo, il grammatico e    dialettico Remigio di Auxerre (841-908 ca.), autore di fortunati com-  menti alle grammaziche di Donato, di Prisciano, di Eutiche, conoscitore  di Persio, di Giovenale, di Macrobio e dell’Eriugena. Remigio non è pe-  rò soltanto un uomo di lettere e un abile maestro di grammatica, perché  l’analisi delle glosse alla Dialettica pseudoagostiniana attribuitegli recen-  temente dal Courcelle, mostra chiaramente una larga conoscenza delle  fonti patristiche e un notevole acume logico. Del resto, anche i suoi com-  menti a Marciano Capella, agli opuscoli teologici ed alla Consolazio  boeziana, offrono altri elementi per giudicare il carattere del suo pen-  siero che si distingue da quello del maestro, per una concezione netta-  mente realistica degli universali, considerati come pure essenze, immu-  tabili ed eternamente presenti nella mente divina. È questa la soluzione  che influenzerà largamente i dibattiti dialettici dell'XI secolo e che ri-  vela, però, fin da adesso, quale sia il reale significato metafisico della  discussione sull’essenza degli universali, svolta in un ambiente intellet-  tuale che aveva assimilato da tante fonti una costante direttiva platonica.  E naturalmente anche in questa dottrina è presente l’influsso dell’opera  dell’Eriugena di cui Remigio ha una precisa e diretta conoscenza.  Remigio di Auxerre mori probabilmente agli inizi del X secolo,  allorché la cultura carolingia cominciava la sua parabola discendente  e si inaridivano i migliori frutti della riforma di Alcuino. La crisi delle  istituzioni scolastiche e la loro decadenza è infatti testimoniata dalla  scarsità della documentazione, dalla povertà degli scritti elaborati in  questo secolo, nonché dalla generale decadenza delle attività intellet-  tuali e dei metodi di insegnamento. Eppure tra gli scrittori del X se-  colo non si possono dimenticare Raterio di Verona, Notkero Labeone di  S. Gallo (t 1022), autore di scritti sulla dialettica e Oddone di Clu-  ny, uno degli iniziatori del movimento riformatore che dominerà la  vita religiosa ed ecclesiastica del secolo successivo; o l’attività ma-  gistrale di Abbone, monaco di Cluny, che nella scuola claustrale di Fleu-  ry sur Loire organizzò un corso organico di studi fondato sulla lettura  sistematica dei Padri, ma anche sull’insegnamento della grammatica, del-  la dialettica e della retorica. Non abbiamo però elementi sufficienti per  stabilire se si debba proprio ad Abbone un breve trattato sui Sillogismi  categorici di notevole interesse storico, perché ci permette di stabilire  il punto cronologico della costituzione del corpus dei testi logici  usati nell’insegnamento scolastico. Ma chiunque sia l’autore dello scrit-  to, è certo che intorno alla metà del secolo non si usano più soltanto  i trattati di Aristotele, già noti nel IX secolo (Categoriae e De interpre-  tatione), ma anche i trattati di Boezio sugli Analytici priores e poste-    riores, che solo assai più tardi verranno sostituiti dagli scritti originali  di Aristotele. D'altra parte i commenti alla Consolatio di Bovo di Cor-  vey e di Adaboldo di Utrecht (t 1026) testimoniano la continuità della  tradizione boeziana che avrà tanta influenza sulla cultura dell’XI e  e del XII secolo.   Assai pid importante di Abbone è però la personalità di Gerberto di  Aurillac (t 1003), l’uomo pit dotto del suo tempo. Formatosi anch egli  nell'ambiente monastico di Cluny, soggiornò a lungo in Spagna dove en-  trò in contatto con la grande tradizione scientifica araba e, più tardi,  maestro a Reims, abate di Bobbio e arcivescovo di Reims e di Ravenna,  diffuse le sue cognizioni nelle scuole francesi e italiane. Asceso nel 999 al  soglio pontificio col nome di Silvestro II, egli esercitò una notevole  influenza sul giovane Imperatore Ottone III e sul suo singolare e sfor-  tunato tentativo di restaurazione imperiale romana; ma se l’attività di  Papa Silvestro II interessa la storia ecclesiastica e politica, lo studioso  della cultura medioevale considera piuttosto la sua figura di maestro,  conoscitore perfetto del “trivio” e del “quadrivio,” e di scienziato dotato  di discrete conoscenze matematiche, geometriche e astronomiche. Let-  tore degli antichi, i cui testi fece ricercare e raccogliere in tutto l’Oc-  cidente cristiano (e, anzi, si deve proprio alla sua iniziativa la conser-  vazione di un certo numero di orazioni ciceroniane), Gerberto era  infatti sicuramente convinto che l’eloquenza e l’esatto raziocinio non  contrastano affatto con la fede, e che anzi la formazione del buon chie-  rico non può prescindere dall’apprendimento organico e sistematico delle  arti liberali. Per questo, nella sua scuola s’insegnava la retorica sul-  l'esempio degli scrittori classici e si usavano correntemente, oltre ai soliti  testi aristotelici, anche tutti i commenti logici di Boezio e i Topica di  Cicerone. E quale fosse, del resto, la tendenza di Gerberto dinanzi ai  problemi dell’insegnamento logico risulta chiaramente dal suo libretto  De rationale et ratione uti, ove prendendo a pretesto il caso di una pro-  posizione in cui il predicato sembra meno universale del soggetto, egli  analizzava le funzioni e il significato logico dei vari termini della pro-  posizione. Tuttavia l’attività più costante ed originale di Gerberto fi: de-  dicata allo studio della geometria e dell’astronomia. E se la Geometria  che gli è attribuita è opera scientifica di non gran valore e i suoi scritti  sulla tecnica del calcolo rispondono piuttosto ad esigenze pratiche, il  Liber de astrolabio mostra già una notevole influenza della scienza  araba.   Questo risveglio di un discreto interesse scientifico ed enciclopedico,  questi primi rapporti con la tradizione scientifica araba sono però fat-    ti storici di notevole importanza, e rappresentano il primo segno di  una netta ripresa della vita intellettuale che comincia a delinearsi fino  dagli ultimi decenni del X secolo. Già, del resto, la cultura di tono  e di ispirazione classica non è più soltanto la caratteristica di poche scuo-  le umanistiche e dei maestri educati nella nuova temperie spirituale di  Cluny, ma tende anzi a informare strati sempre più vasti della gerar-  chia ecclesiastica quando non penetra addirittura anche negli ambienti  femminili delle corti e dei monasteri. È ben nota ad esempio, la figu-  ra della badessa Hrosvita, autrice di commedie edificanti e di poemi  latini, discepola di altre monache dotte come suor Rikkardis o l’ahba-  dessa Gerberga, ma i cronisti medioevali ricordano pure Edvige di Ba-  viera, una principessa che conosceva il latino e il greco e leggeva con  entusiasmo Orazio e Virgilio. Del resto, la costante ammirazione per  gli antichi e l’amore per le lettere non è certo solo la caratteristica della  cultura delle scuole francesi, germaniche o anglosassoni; anche l’Italia,  anzi particolarmente l’Italia, possiede importanti istituzioni scolastiche  dove si continua l’insegnamento della grammatica e della lingua lati-  na, anteponendolo addirittura a quello di tutte le altre discipline. E,  se è vera, è certo particolarmente significativa la storia di quel maestro  Vilgardo di Ravenna che sarebbe stato condotto dal suo entusiasmo di  grammatico a preferire i poeti antichi alla verità della Scrittura e che  avrebbe cosi iniziato un singolare movimento ereticale. È un racconto  questo che — come ha giustamente notato il Gilson — va accettato con  un largo beneficio d’inventario. Ma il solo fatto che si potesse diffon-  dere una storia di questo genere è già una testimonianza abbastanza  importante delle tendenze della cultura scolastica verso la fine del X    secolo.    77    Parte seconda    L’XI e sl XII secolo    Capitolo primo    La “rinascita” ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo    I. Le condizioni storiche    Il 2 febbraio del 962 Ottone I di Sassonia cingeva in Roma dalle  mani di Giovanni XII la corona imperiale. Con questa incoronazione che  concludeva la fortunata vicenda di un sovrano eccezionalmente abile e  risoluto, si chiudeva l’età pifi fosca dell’anarchia feudale e risorgeva,  quasi a distanza di due secoli, una salda unità politica comune a una  vasta parte dell’Europa occidentale. Erede della tradizione carolin-  gia, restauratore del potere imperiale ridotto ad un puro simbolo dalla  potenza della grande aristocrazia militare e fondiaria, Ottone si pre-  sentava all’Europa con lo stesso carattere carismatico che aveva as-  sunto il suo predecessore franco. Eppure, nonostante la finzione di una  continuità storica, la nuova costruzione politica ottoniana era profon-  damente diversa dall’Impero di Carlo, rispecchiava condizioni stori-  che affatto nuove, e costituiva, essa stessa, un ulteriore fattore di svi-  luppo della società europea e della progressiva trasformazione delle  sue basi economiche e politiche.   Questi caratteri storici peculiari del nuovo Impero ottoniano sono  del resto evidenti nella sua stessa struttura geografica e politica. Per  la prima volta nella storia dell'Europa, l’asse del potere politico tende  a spostarsi verso l’Europa nord-occidentale in una direzione diver-  sa da quella in cui si era orientata la struttura amministrativa del-  l’Impero carolingio; inoltre il Sacrum Romanum Imperium Teutonico-  rum ha adesso un ambito territoriale ben definito, limitato ai due  antichi regni di Germania e d’Italia, e rinunzia alla pretesa di esten-  dersi sull’intera cristianità e di coincidere con il corpo visibile della  Chiesa militante. Fondato saldamente sulla supremazia militare che Ot-  tone ha conquistato prima in Germania e poi in Italia, chiudendo la  via alle ultime invasioni e sconfiggendo la riottosa ostilità dei duchi  di stirpe e dei grandi feudatari, l’Impero mira a riassumere tutti i po-    teri e le prerogative che erano state assunte di fatto dalle grandi dinastie  feudali e dall’alto predominio spirituale della Chiesa romana. E proprio  per porre termine al periodo di disgregrazione sociale e politica se-  guito alla caduta delle istituzioni carolinge, la politica di Ottone deve  assumere un atteggiamento di rigida ostilità sia nei confronti della  feudalità che verso il papato accentuando tendenze, direttive e atteggia-  menti che nell’Impero carolingio erano stati assai meno radicali.   Con l’avvento di Ottone la feudalità laica si troverà cosî a fronteg-  giare la rinnovata supremazia del potere imperiale che comincia ad  avvalersi del prezioso ausilio di una vasta aristocrazia ecclesiastica,  completamente controllata dal sovrano che le attribuisce poteri e fun-  zioni feudali sempre più vasti. Anche la gerarchia ecclesiastica è però  sottoposta all’assoluta autorità dell’Imperatore che dispone, di fatto,  dell’elezione dei vescovi e della designazione del Pontefice. Il giura-  mento di fedeltà che Papa Giovanni XII è stata costretto a prestargli e  le rigide clausole del Privilegium Othonis permettono infatti all’Impe-  ratore germanico di esercitare sul pontefice romano un’autorità e un  potere che neppure Carlo Magno aveva mai posseduto, almeno in una  forma cosi totale ed esplicita. Ma come si preoccupa di controllare, in  tutti i suoi gradi più elevati, la élite dirigente della Chiesa, Ottone raf-  forza in Germania e in Italia le attribuzioni dei conti palatini, gettando  i presupposti di un rigido controllo dell’aristocrazia laica la cui lenta  decadenza economica e politica andrà progressivamente aggravandosi  nel corso dell’XI secolo, sotto la spinta di circostanze e di eventi in  gran parte impliciti nelle contraddizioni interne della società feudale.  In tal modo, mentre chiude ad Oriente la via tradizionale delle gran-  di invasioni, l’Imperatore sassone può adesso tentare di restituire al  potere imperiale una vera funzione dominante, e sostituire alla lunga  fase di anarchia feudale che si era aperta con la crisi della dinastia ca-  rolingia una nuova direttiva unitaria.   La rinascita di un più saldo potere politico centrale non è però,  nel corso del X secolo, un fenomeno tipico solo del mondo tedesco o ita-  lico; ma si verifica anche nelle altre terre di Europa ormai sottratte di  fatto alla teorica giurisdizione imperiale. In Francia, le lunghe lotte tra  1 discendenti carolingi e i capetingi e l’assenza di un’autorità dominante  rendono infatti estremamente precaria la ricostruzione di uno stabile or-  dinamento politico. In Inghilterra, le ripetute incursioni vichinghe e la  debolezza dei piccoli regni anglosassoni creano una confusa situazione di  crisi permanente di cui sapranno presto approfittare gli invasori norman-    82    La “rinascita” ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo    ni. Altrove, nelle regioni dell’Italia meridionale, estranee all’Impero, le  forze opposte dei bizantini, delle signorie longobarde, dei saraceni e dei  poteri feudali e cittadini locali, continuano a combattersi in una perenne  e confusa guerriglia. Tuttavia, già verso la metà dell'XI secolo, anche  la condizione politica della Francia e dell’Inghilterra comincia a su-  bire un mutamento di portata decisiva. E mentre l’Impero, minaccia-  to da una rinnovata crisi dinastica, attraversa un nuovo periodo di «eca-  d:nza la monarchia francese inizia quel suo lento ma costante raffor-  zamento, che permetterà più tardi a Luigi VI (1108-1137) di riaffermare  vigorosamente la supremazia regia, e l'Inghilterra, dominata e unifi-  cata dai normanni, assume sotto gli Angiò-Plantageneti una solida  struttura dinastica.   Un tale processo di profonda trasformazione delle istituzioni e  delle forze politiche dominanti è però soltanto l’espressione, al livello  politico, di un mutamento ancor più radicale che investe tutte le strut-  ture economiche e sociali dell'Europa feudale. Senza dubbio, non si  tratta di un’improvvisa esplosione di forze economiche prive di radici  nella storia passata; al contrario, è proprio la rapida maturazione di  energi: già esistenti in seno alla società feudale che imprime adessc  una svolta decisiva al processo storico. Il ritorno ad una condizione  di vita civile più pacifica e sicura e il ripristino di un’autorità centrale  capace di frenare le tendenze centrifughe dei poteri locali, rende poi  naturalmente più rapido e facile l'avviamento di nuove forme di or-  ganizzazione economica e di ordinamento politico. Se nei seccli pre-  cedenti il regime feudale aveva permesso la continuità della vita pro-  duttiva, difendendo cittadini e coloni dalle invasioni e dalle guerre, e  mantenendo in vita un filone pur esile di scambi e di attività urbane,  adesso l’ago dell'economia europea tend: a riportarsi nuovamente ver-  so le città che vedono incrementarsi i loro traffici, accrescersi l’attività  artigiana e aumentare costantemente il ritmo della vita civile. Ccssa  cosi quel lento, costante decrescere della popolazione soprattutto ur-  bana, che in certe zone d:ll’Europa centrale aveva raggiunto un pun-  to impressionante. Popolazioni, un tempo nomadi e pr:datrici, s’in-  stallano definitivamente in vaste contrade dell’Ori:nte europeo, dan-  do vita a nuovi organismi statali come la Bo:-mia, l'Ungheria e la  Polonia, ed entrano in stretti rapporti economici e sociali con i paesi  dell'Europa occidentale. Ma il fenomeno di ripresa demografica non  si limita solo a queste zone; ché, anzi, esso si manifesta principal-  mente nelle regioni dell’Europa mediterranea, nelle campagne come  nelle città, ove esso produrrà una serie di conseguenze economiche e    83    L'XI e il XII secolo    politiche di eccezionale rilevanza storica. Ecco infatti nelle zone ru-  rali i castelli che si trasformano in borghi, centri di attività artigiane e  mercantili; mentre nelle città, sotto l’autorità dei vescovi-conti, la  popolazione rapidamente accresciuta dà luogo a un tessuto sociale già  differenziato ed organico. Naturalmente, questo processo di ripresa  demografica si traduce, poi, ben presto, in un rapido incremento del-  l’attività produttiva. I boschi, abbandonati da secoli o sfruttati soltanto  nelle zone delle grandi abbazie benedettine, cedono il posto alla terra  coltivabile; nelle zone paludose vengono operati i primi tentativi di  bonifica; i pascoli diminuiscono di estensione trasformandosi anch'essi  in terreni produttivi. Anche le terre dell’Est, aperte alla colonizzazio-  ne germanica dalle vittorie di Ottone I, vengono adesso dissodate e  coltivate da larghe masse di popolazione rurale che si spingono pro-  fondamente nei territori abitati dagli slavi.   L’esigenza di un forte aumento dei mezzi di vita agisce, d’altra  parte, anche come incentivo all’acquisizione di conoscenze tecniche più  evolute ed alla scoperta ed all’uso di strumenti e di mezzi che contri-  buiscono, a loro volta, a modificare le condizioni economiche. Ma tra-  sformazioni ancor più decisive si verificano nell’ambito delle attività  commerciali, il cui sviluppo è continuo e costante, grazie anche alla  maggior sicurezza delle grandi vie di comunicazione ed alla crescen-  te intensità dei rapporti economici tra le varie regioni dell'Europa feu-  dale. In tal modo, le città, che pure erano sopravvissute anche ai pe-  riodi di pil grave stasi economica, riprendono rapidamente a svilup-  parsi; e divengono sedi di mercati o di fiere, centri di produzione ar-  tigiana, nell’ambito di un movimento economico caratterizzato da una  accresciuta circolazione monetaria e dalla tendenza a costituire una  fitta rete di scambi dalle terre dell'Est germanico al Mediterraneo, dal  Baltico alle regioni balcaniche ed alle terre bizantine. Il sorgere delle  nuove attività produttive specializzate causerà poi, nel corso del XII  secolo, un ulteriore imponente sviluppo dell’economia cittadina; e ne  risulteranno i primi lineamenti di una società nuova, dominata dal-  l’iniziativa delle classi mercantili ed artigiane, già capaci di porre le  prime basi della loro futura potenza finanziaria.   È quindi naturale che una trasformazione demografica ed econo-  mica incida profondamente anche sulle condizioni sociali ed econo-  miche delle varie classi che avevano costituito i quadri della società  feudale. Già infatti nel corso dell’XI secolo, la serviti della gleba  comincia ad essere sostituita da un tipo di organizzazione colonica  assai più libera, mentre precise norme giuridiche stabiliscono ora più    84    La “rinascita” ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo    esattamente i rapporti tra il proprietario, gli affittuari e i coloni. Ma  il mutamento è ancor pi decisivo nell’ambito cittadino, dove la no-  biltà di origine feudale deve cedere le sue posizioni dominanti alle  nuove classi produttrici che s’avviano rapidamente ad acquisire una  prima consapevolezza dei propri interessi e scopi economici e  poli-  tici.   In questa società, già in preda ad un profondo fermento inno-  vatore, continuano ancora a dominare gli ideali ideologici elaborati  nell’età carolingia e difesi dalla “restaurazione” ottoniana. Il mito uni-  tario dell’autorità assoluta e divina dell’unico Imperatore, pastore e  guida del popolo cristiano, è ancora un’idea attiva ed operante che  trova sostenitori e teorici tra i giuristi che illustrano i testi giusti-  nianei come tra i dotti ecclesiastici delle corti sassoni e francone. Certo,  la crisi che segue alla estinzione della monarchia sassone, il definitivo  rafforzamento della grande feudalità tedesca, e, d’altra parte, gli inizi  dei primi ordinamenti autonomi cittadini, sono altrettanti eventi che  mostrano la reale debolezza dell’autorità imperiale e la sua incapacità  a far fronte al nuovo corso storico. Ma il regno di Enrico III, che re-  staurerà la supremazia imperiale sulla Chiesa, sembrerà segnare il ri-  torno alla tradizione carolingia e ottoniana. Il legame tra il sovra-  no e le correnti di riforma ecclesiastica — testimoniato dalle radica-  li risoluzioni dei sinodi di Sutri e di Roma (1046) — rafforzerà nei nuo-  vi ceti popolari la fiducia nella funzione carismatica e sacrale dell’Im-  perium, custode della giustizia e dell’ordine cristiano.    2. Il movimento cluniacense e gli inizi della riforma gregoriana    Alla continuità e al rinnovato prestigio della tradizione imperiale  corrisponde però, da parte della Chiesa, un profondo processo di rin-  novamento e di riforma suscitato e guidato dall’ascetismo monastico,  ma che trova larga partecipazione e consenso proprio nell’ambiente  cittadino e tra le nuove forze sociali. La decadenza della disciplina e  del costume ecclesiastico divenuta gravissima e generale nell’età post-  carolingia suscita non solo l’indignata protesta di uomini votati alla  severa disciplina benedettina o dediti ad una vita di contemplazione  e di preghiera, ma anche la rivolta di quei ceti di varia origine e con-  dizione sociale sui quali pesava il dominio della feudalità ecclesia-  stica. Contro il papato romano, ormai ridotto a oggetto di contesa tra  le pif potenti famiglie romane, contro l’aristocrazia episcopale trasfor-    L'’XI e il XII secolo    mata in un vero e proprio corpo politico di elezione imperiale, si svol-  ge infatti l’aspra polemica dei riformatori che, con toni e parole apo-  calittiche, denunziano la carenza morale e intell:ttuale della gerarchia,  la sua cupidigia di potere mondano e di ricchezza, gli scandali della  simonia e del concubinato, il tradimento e il ripudio della parola evan-  gelica. Sono motivi, questi, che tornano con costante violenza nella  predicazione dei monaci come nelle invettive di cronisti popolari o  ecclesiastici, ugualmente schierati contro la potenza e l’oppressione ter-  rena esercitata da grossi potentati ecclesiastici; e dalla loro condanna  emerge un quadro profondamente pessimistico della vita ecclesiastica  del tempo, e l'immagine eloquente di una decadenza che sembra aver  raggiunto uno dei livelli più bassi e pericolosi di tutta la storia della  Chiesa.   La ribellione morale contro la corruzione della gerarchia e il fer-  mento antiecclesiastico che serpeggiavano tra le masse devote, furono pe-  rò presto organizzati e guidati dalla nuova élite intellettuale che si  era formata verso la fine del X secolo nell’ambiente “purificato” delle  abbazie riformate. Già nel 910 il duca Guglielmo di Aquitania aveva  fondato a Cluny un monastero ispirato al rispetto integrale della re-  gola benedettina, in netto contrasto con la rilassat:zza delle antiche  abbazie trasformate da tempo in ricche signorie feudali. Sotto la gui-  da di grandi abati, come Oddone e Ugo, Cluny si era trasformato  in un centro d’intensa vita spirituale e di alta esperienza mistica. Ma  l'ispirazione ascetica dei cluniacensi era subito passata sul terreno  della lotta riformatrice, con la sua recisa condanna dei costumi corrot-  ti del clero feudale e il ripudio di ogni forma di compromissione con i  poteri mondani. La predicazione dei cluniacensi, già particolarmente  diffusa verso la fine del X secolo, ebbe presto una grande influenza  in tutta l'Europa cristiana. In Francia, in Italia, in Germania, nume-  rose abbazie tornarono alla “regola”; altri monasteri, come quelli ita-  liani di Camaldoli (fondato nel 1012) e di Vallombrosa, originarono  nuovi ordini monastici affini all’esperienza cluniacense; infine, il nuo-  vo spirito riformatore penetrò in un vasto settore della stessa gerarchia  ecclesiastica, già da tempo preoccupato della decadenza delle istituzio-  ni. Il favore di alcuni vescovi e, soprattutto, dei Pontefici tedeschi elet-  ti dopo il concilio di Sutri, favori poi un ulteriore sviluppo della rifor-  ma cluniacense, che già nella seconda metà dell’XI secolo contava circa  duemila monasteri. Né la forza dei cluniacensi fu soltanto spirituale,  bensi anche politica; poiché la concessione papale della cosiddetta Com-  mendatio Sancti Petri, che rese immuni i loro monasteri dalla giuri-    86    La “rinascita” ottoniana e la ripresu intellettuale dell'XI secolo   PE  sdizione dei vescovi, ruppe a loro vantaggio il vincolo di dipendenza  gerarchica che aveva ormai assunto un carattere schiettamente feudale.  Ora, è chiaro che una tale prerogativa implicava non solo un profondo  mutamento nella struttura della Chiesa, ma la trasformazione della ri-  forma cluniacense in un potente strumento del rinnovamento ecclesiastico  e della restaurazione dell’autorità pontificia. Il che giova a compren-  dere perché il movimento di Cluny potesse assumere una parte deci-  siva nella lotta contro l’autorità mondana dei vescovi feudatari e nel-  l'avvento delle nuove direttive spirituali e pratiche che guidarono la  vita della Chiesa nell’età gregoriana.   Pi tardi anche Cluny perderà la sua originaria vocazione rifor-  matrice e subirà lo stesso processo di decadenza che aveva esaurito la  originaria tradizione benedettina. Ma il risveglio spirituale — che è  espressione delle nuove forze storiche maturate nel corso del X se-  colo — troverà ancora interpreti nell’ascetismo di altre regole monasti-  che, come i certosini e i cistercensi, e nella continuità di un moto ri-  formatore popolare e laico. Sotto l'impulso di queste correnti, l’ideale  della riforma si diffonderà e si estenderà penetrando profondamente  gli ambienti sociali più sensibili alle sue immediate implicazioni poli-  tiche e sociali. E, mentre si rinnovano in Europa eresie che forse si colle-  gano ad antiche tradizioni manichee, nell’Italia settentrionale sorge il  movimento dei Patari, campioni zelanti della lotta contro la corruttela  morale e disciplinare dell’alto clero. Nelle città, già centri attivi di vita  mercantile e di attività produttrici, il potere del vescovo-conte diviene  cosi sempre più precario e soggetto al minaccioso intervento delle for-  ze politiche organizzate nelle quali si specchiano gli interessi e le aspi-  razioni dei ceti mercantili e artigiani. I frequenti tumulti contro i  vescovi simoniaci, le ribellioni e i conflitti che dominano attorno alla  metà dell’XI secolo la vita delle città italiane, sono appunto la testimo-  nianza storica dello stretto legame che si è già stabilito tra le esigenze  religiose e le particolari aspirazioni politiche dei ceti sociali emersi dal-  l’incipiente crisi della feudalità.   Non è qui certo possibile seguire le fasi della progressiva riforma  delle istituzioni ecclesiastiche compiuta sotto l’ispirazione dei cluniacensi  e culminata con i decreti di Niccolò II e con i drastici provvedimenti di  Alessandro II contro l’influenza laica nelle cose ecclesiastiche. Ma non sa-  rebbe possibile intendere tanti aspetti della riflessione filosofica dell’XI  e XII secolo, senza ricordare che la riforma mossa da una profonda  esigenza di rinnovamento evangelico finî col concludersi nell’affermazio-  ne di un ideale teocratico fondato sul principio di un unico potere    L’XI e il XII secolo    supremo, quello papale, principio e fonte di ogni autorità e potestà tem-  porale e spirituale.   Questa dottrina, formulata con estremo rigore negli scritti di Gre-  gorio VII e soprattutto nel famoso Dictatus papae, implicava natural-  mente l’accentramento di tutta la vita della Chiesa nelle mani del Papa  e la sua piena potestas sopra ogni aspetto dell’organizzazione socia-  le e politica della Cristianità. Né Gregorio doveva esitare dinanzi al-  l'applicazione integrale di questo principio anche nei confronti della  autorità imperiale già direttamente colpita da un complesso di riforme  che abbattevano la sua supremazia sulla gerarchia ecclesiastica e le  toglievano praticamente ogni diritto di controllo sulla feudalità eccle-  siastica. La lunga lotta tra Gregorio ed Enrico IV, che divise gran  parte d’Europa in due campi avversi, fu quindi l’epilogo naturale di  un contrasto inconciliabile: che traeva origine dallo stesso carattere so-  ciale dell’Imperium e dalla sostanziale diarchia costituita dalla strut-  tura burocratico-ecclesiastica della società carolingia. Ma questa contesa  — che ebbe la sua espressione ideologica in una vasta letteratura contro-  versista — rappresentò anche una favorevole occasione per lo sviluppo  delle nuove forze sociali e politiche che proprio nel corso della guerra del-  le investiture acquistarono una precisa coscienza del loro peso e dei loro  interessi. Non a caso le origini delle istituzioni comunali sono spesso  strettamente intrecciate ai conflitti tra l'Impero e il papato che causaro-  no la rapida crisi della feudalità ecclesiastica; e, d’altro canto, è proprio  nel corso dell’XI secolo che si ricostituiscono e si rafforzano le monar-  chie nazionali destinate a svolgere una funzione politica decisiva per tut-  to il Basso Medioevo.    3. La ripresa intellettuale dell'XI secolo. Dialettica e antidialettica    È appunto entro questa prospettiva storica che occorre valutare  il rapido processo di ripresa intellettuale che s’inizia già alla fine del  X secolo in stretta connessione con la rinascita economica e sociale  dell'Europa occidentale. A tale ripresa contribuiscono infatti — sia  pure in grado e misura diversi — tanto la rinnovata prevalenza delle  istituzioni urbane e il tono più elevato e raffinato della vita civile, quan-  to l’impetuosa predicazione dei riformatori e l’esigenza di elaborare  nuovi “strumenti” intellettuali per le continue controversie tra il po-  tere ecclesiastico e quello civile o tra i diversi gradi della stessa gerar-  chia clericale. Ma vi contribuisce altresi — e in maniera spesso assai    rilevante — anche l’aprirsi delle civiltà europee a più stretti e continui  contatti con il mondo arabo e bizantino sia per l'incremento degli scam-  bi sia attraverso le guerre di riconquista in Sicilia e in Spagna e infine,  negli ultimi anni del secolo, l'iniziativa espansionistica della I Cro-  ciata.   Questi rapporti, la cui influenza sarà cosi forte già nella seconda  metà del XII secolo, non esercitano però ancora un influsso decisivo  sulla cultura dell’XI che continua a svolgersi prevalentemente sul-  la via tracciata dall’ordinamento scolastico carolingio. Però le an-  tiche scuole monastiche non sono più gli unici grandi centri di una  cultura di carattere letterario-ecclesiastico, ma cedono anzi lentamente  il passo a un largo processo di rinnovamento intellettuale esteso a  gran parte dell'Europa occidentale, indipendentemente dalle particolari  distinzioni di carattere nazionale. Da Parigi a Orléans, da Chartres a  Tours, è tutto un fiorire di scuole sorte spesso all’ombra delle cattedre  vescovili e dove le arti del “trivio” e del “quadrivio” vengono traman-  date alle nuove generazioni di chierici, mentre in Italia si assiste invece  al sorgere di scuole cittadine, dipendenti solo in parte dalle autorità eccle-  siastiche e dedicate principalmente agli studi di diritto, cosî necessari ad  una società fondata sulla pratica del commercio e sullo sviluppo delle  attività artigiane. Cosî, accanto alla tradizione teologica che si continua  nelle istituzioni scolastiche, monastiche e cattedrali, si affermano nuovi  campi di ricerca intellettuale; lo stesso apprendimento delle arti libe-  rali è condizionato a nuove finalità e interessi diversi, come mostra lo  stretto nesso tra lo studio approfondito della dialettica e il suo uso nella  pratica giuridica e forense.   Questo nuovo indirizzo di studi si manifestò dapprima in Italia,  soprattutto in quelle regioni meridionali o adriatiche dove il diritto  romano legato alla tradizione bizantina aveva sempre conservato la  sua influenza e dove erano stati sempre pit stretti i rapporti con Bi-  sanzio e col mondo arabo. Specialmente nella Calabria e nelle Puglie —  che fino all’XI secolo erano state parti integranti dell’Impero bizanti-  no, e dove la conquista normanna non eliminò il carattere ormai acqui-  sito della cultura cittadina e della stessa vita ecclesiastica — la con-  tinuità della tradizione giuridica romana non venne mai spezzata. Nel-  la Sicilia, riacquistata dai Normanni nella seconda metà del secolo, con-  tinuò invece a fiorire una ricca cultura d’impronta greca ed araba desti-  nata a costituire uno dei maggiori punti d’incontro tra la civiltà europea  e le tecniche e le dottrine assimilate dall'esperienza della scienza isla-  ‘mica. Ma l’interesse scientifico e i rapporti con la cultura greco-araba    furono particolarmente intensi nella scuola medica di Salerno, già attiva  nel corso del X secolo e rimasta sempre fedele ai dettami classici della  medicina greca. Cosi, quando nel 1056 Costantino Africano, un medico  cartaginese formatosi nella scuola araba, passò in Italia e costitui a  Montecassino un vero e proprio centro di traduzioni delle opere fonda-  mentali della cultura scientifica greca e mussulmana, la sua attività tro-  vò un terreno particolarmente fecondo. La ricca biblioteca di testi greci  ed arabi, che venne ad arricchire le conoscenze dei medici salernitani,  contribuî a sollevare un rinnovato interesse per la ricerca scientifica e far  conoscere i primi fecondi risultati di una civiltà tecnicamente più pro-  gredita come quella araba.   L’influenza che la scuola salernitana esercitò in tutta Europa, spin-  gendo numerosi dotti a coltivare insieme agli studi medici anche quelli  scientifici e filosofici, fu un fattore di notevole importanza per lo svi-  luppo di una cultura di carattere assai diverso da quella tramandata  dalle scuole monastiche, e già profondamente permeata di motivi filo-  sofici e scientifici propri della tradizione oreca ed araba. EA è certo  ben simnificativo che proprio un vescovo di Salerno, Alfano (1058-1085),  traducesse il De natura hominis di Nemesio, ove è chiaramente defi-  nita l’idea dell’uomo come “microcosmo,” sintesi di tutti i caratteri  e di tutte le forme dell’universo.   Un indirizzo prevalentemente giuridico ebbe invece la cultura del-  l’Italia settentrionale, pit legata alla rapida evoluzione politica dei  rapporti economici e sociali che richiedeva nuove istituzioni giuridiche  capaci di rispondere alle esigenze di una civiltà urbana e mercantile.  E poiché il diritto romano rappresentava la tradizione giuridica mag-  giormente affine al nuovo tipo di società e di organizzazione sociale, lo  studio del Corpus iuris attrasse le migliori energie intellettuali.   Lo sviluppo, prima della scuola ravennate e poi della grande scuo-  la bolornese da Pepo all’Accursio, non è certo arsomento che possa  interessare questo rapido schizzo della cultura filosofica medioevale.  Ma bisogna pur ricordare che lo studio e l’esposizione del Digesto o  del Codice richiedevano un solido corredo di nozioni srammaticali e  dialettiche; e che d'altra parte il largo incremento della pratica fo-  rense comportava uno studio ancora più accurato dell’arte retorica.   Il naturale interesse per le arti del “trivio” non fu però esclusivo  delle scuole giuridiche frequentate da laici e volte agli scopi mondani  della vita civile. Anche la cultura ecclesiastica, sia in Italia che in  Francia, conobbe infatti un’importante ripresa dello studio ‘della dialet-  tica, la cui fortuna è certo da porre in rapporto anche con l’evoluzione    parallela delle istituzioni giuridiche ecclesiastiche e con la formazione  di tipo giuridico propria anche di molti uomini di chiesa. Inoltre  la lunga contesa tra l’Impero e la Chiesa, e il fiorire di una vasta let-  teratura controversista, favori indubbiamente la tendenza all’uso si-  stematico degli strumenti dialettici forniti dall’insegnamento delle scho-  lae. Né meraviglia che l’impiego di metodi di discussione dialettica si  spostasse sempre più dal piano giuridico e dalle dispute su argomenti  di immediata incidenza ecclesiastico-politica alla stessa elaborazione  teologica.   Ecco perché le soluzioni dei probl:mi logici cui si dedicarono tan-  ti maestri di questo secolo, dettero luogo cosf spesso a gravi conse-  guenze metafisiche e teologiche dalle quali non furono esenti neppure  i temi più gelosi della tradizione ortodossa. Non solo; la maturazione  di una mentalità più critica, nutrita di studi profani e di solide cogni-  zioni dialettiche, ebbe certo una notevole influenza anche sull’evolu-  zione delle correnti riformatrici e, in generale, nell’atteggiamento in-  tellettuale dell’élize ecclesiastica.   Gli storici del pensiero medioevale sogliono sempre ricordare, a  questo proposito, le pagine veementi ed espressive che un tipico espo-  nente della riforma, come Pier Damiani, scrisse contro i chierici del  suo tempo più avvezzi a studiare i principi della dialettica aristotelica  o della retorica ciceroniana che non a meditare le Sacre Scritture. Ed  è anzi un luogo comune presentare la filosofia dell’XI secolo sotto il  segno della lotta tra i dialettici che miravano a spiegare con i loro sil-  logismi anche il dogma e le verità rivelate e i rigidi difensori del-  l’ortodossia che consideravano l’uso di argomenti razionali nell’ambito  teologico come una violazione delle verità di fede.   Tale contrasto è stato certo troppo esagerato da una storiografia  che non teneva forse nel dovuto conto il caratt:re comune della cul-  tura di cui partecipavano entrambi gli avversari e che spesso traspare  anche dietro la polemica più irruente. Ma ciò non toglie che l’inseri-”  mento dei metodi dialettici nel campo degli studi sacri segni una tap-  pa fondamentale nell’evoluzione della teologia cristiana, e che l’impor-  tante ripresa di studi logici dell’XI secolo prepari già l’ambiente storico  in cui maturerà la grande esperienza di Abelardo.   ‘Tra i maestri che diedero un notevole impulso allo sviluppo della  dialettica vanno quindi particolarmente ricordati Berengario di Tours  (t 1088) e Anselmo di Besate (n. 1000 ca.) detto il Peripatetico, entrambi  tipici esponenti delle nuove tendenze intellettuali. Discepolo di Ful-  berto di Chartres e organizzatore a sua volta della scuola cattedrale di    9I    L’XI e il XII secolo    Tours, Berengario spinse l’uso degli argomenti dialettici fino al tenta-  tivo di ridurre in puri termini razionali anche i principi di fede. Come  scrive nel De sacra coena — che è appunto un tentativo d’interpretazione  “dialettica” del dogma dell’eucarestia — egli ritiene infatti che la rinun-  zia all’esercizio della ragione significhi disprezzare uno dei pit alti doni  divini e rinunziare a quella nostra facoltà che ci rende maggiormente si-  mili alla natura di Dio. Perciò, alle autorità ed alla stessa tradizione dei  Padri, Berengario può opporre la superiorità della ricerca razionale il cui  campo di azione non deve arrestarsi neppure dinanzi ai misteri della  transustanziazione o della presenza reale.   Il modo in cui procede questa discussione dialettica del tema trini-  tario, è poi una testimonianza caratteristica della mentalità di Beren-  gario. In qualsiasi composto di materia e forma — egli argomenta —  è impossibile che permangano inalterati gli accidenti, se si verifica un  effettivo mutamento della sostanza. Sicché il fatto che anche dopo la  consacrazione permangono nel pane e nel vino i medesimi accidenti,  dimostra che non si è mai verificato l’annullamento della loro forma  e la trasformazione nel corpo e nel sangue di Cristo, ma che si è rea-  lizzata soltanto l’unione di queste forme con quelle preesistenti del pa-  ne e del vino.   Simili argomenti, che Berengario continuò a sostenere nonostante  l’abiura cui fu costretto nel 1050 dal sinodo di Vercelli, mostrano as-  sai bene quali fossero i possibili sviluppi della trattazione dialettica  della “materia” teologica. E si può ben comprendere perché molti dei  suoi contemporanei fossero concordi nel condannarlo e nel guardare  con forte diffidenza anche l’attività di Anselmo di Besate, che intorno  alla metà del secolo viaggiava instancabilmente tra le scuole d’Italia,  di Francia e di Germania, insegnando particolarmente l’uso delle ar-  gomentazioni contraddittorie. Certo, la sua RAetorimachia non è dav-  vero un gran monumento filosofico, né mostra l’intenzione di esten-  dere la sua rudimentale tecnica dialettica nell’ambito della teologia.  Ma il suo insegnamento doveva influenzare profondamente la menta-  lità dei giovani chierici con conseguenze forse non troppo diverse da  quelle indicate da Berengario, e costituiva comunque un pericoloso pre-  cedente per i sostenitori dell’integrale rispetto delle pure “norme di  fede.”   Ecco perché negli ambienti della ritorma cluniacense, e, più tardi,  della riforma cistercense e certosina, si delineò una cosî violenta rea-  zione contro la “puerilità” e l’“empietà” dei dialettici, e una condan-  na delle scienze profane considerate inutili se non addirittura temi-    bili per la salvezza del cristiano. Le dure parole con cui il vescovo Ge-  rardo di Czanard vieta l’uso delle argomentazioni filosofiche nell’am-  bito teologico, i rimproveri di Otloh di S. Emmeran contro gli “stol-  ti” e gli “ingenui” che credono di dover sottomettere la verità della  Scrittura all’autorità della dialettica, sono espressioni caratteristiche di  un atteggiamento che ha profonde radici nella temperie spirituale degli  erdini riformatori. E ad essi fa eco un tipico rappresentante dell’età  giegoriana, Manegoldo di Lautenbach (t 1103) il quale, polemizzando  contro Wolfemo di Colonia (noto come sostenitore della concordanza  tra le dottrine di Macrobio e la “verità” cristiana), ammette, st, l’utilità  della filosofia nei limiti delle scienze mondane, ma sottolinea il radicale  contrasto tra le spiegazioni filosofiche e la rivelazione, tra le falsità dei  pagani Platone ed Aristotele e l’unica verità cristiana.   Il teologo che spinge, fino alle sue estreme conseguenze la pole-  mica contro i dialettici e la filosofia, è però uno dei maggiori espo-  nenti della riforma, un monaco che prima di sottomettersi alla severa  regola monastica ha anch’egli insegnato dialettica nella scuola di Ra-  venna: Pier Damiani (1007-1072). Nei suoi scritti, cosi spesso cita-  ti come esempi del medioevale contemptus mundi, le più oscure de-  nunzie della miseria invincibile della natura umana si alternano al-  la condanna di ogni forma di sapere mondano e di ogni scienza o “ar-  te” che non abbia come fine la glorificazione dell’onnipotenza divina.  Ai chierici lettori di Cicerone e di Aristotele egli propone l’esercizio  esclusivo della contemplazione mistica, unico cibo degno di una mente  cristiana. La grammatica, la dialettica, le regole di Donato o i sillo-  gismi di Aristotele, sono invece altrettanti allettamenti demoniaci che  minacciano la purezza dottrinale del clero. E nella sua dura polemica  (che non a caso si giova però di tutti gli strumenti retorici e letterari  propri della cultura di un uomo di lettere) Pier Damiani giunge a  bandire la filosofia dallo scibile cristiano, o, almeno, a ridurla al rango  di una “schiava prigioniera” destinata a servire alla suprema verità  teologale.   Il rifiuto del sapere pagano, l’avversione per le “lettere” fomentatri-  ci di dubbi e di errori, non potrebbero essere più radicali e più netti.  Eppure Pier Damiani mostra di saper ben usare nei suoi scritti i metodi  di argomentazione dialettica che non esita ad applicare anche in quel-  l'opuscolo De divina omnipotentia, giustamente considerato come la  espressione più eloquente del suo puro fideismo. Lo scopo che egli vi  si propone è certo del tutto opposto a quello dei dialettici nel loro  tentativo di dare una veste argomentativa anche ai contenuti dogma-    93    L'XI e il XII secolo    tici; perché consiste nell’affermare l’assoluta incommensurabilità del  volere divino, che possiede il potere di far si che “ciò che è stato non  sia mai stato.” Dio, la cui potenza è totale e illimitata, è infatti al di là  di qualsiasi condizione o norma che possa apparire contraddittoria agli  occhi umani. E quindi per lui non costituisce alcun limite il fluire irre-  vocabile del tempo, cosi come la sua volontà non è affatto tenuta a ri-  spettare quei vincoli e quelle necessità cui è invece sottoposta la ra-  gione umana. Ora, è evidente che, se la volontà divina possiede una  tale prerogativa, anche tutti i tentativi di applicare nei suoi riguardi  dei ragionamenti umani sono perfettamente vani ed inadeguati. Di-  nanzi al mistero insondabile della natura di Dio, dinanzi all’infinità ed  al segreto del suo volere, non v’è altra via che la umile preghizra e la  adorazione.   È chiaro che, accentuando cosi nettamente il rifiuto delle norme  dei principi razionali, in nome della trascend:nza divina, Pier Da-  miani ha di mira molti chierici e maestri contemporanei, e che intende  estirpare radicalmente le “male piante” della dialettica cresciute inde-  bitamente nel “giardino” della teologia. Ma l’affermazione dell’onni-  potenza divina spinta fino alle sue estr:me conclusioni è anch’essa  foriera di gravi conseguenze; e la sua influenza maturerà nei secoli  seguenti fino a costituire una delle pi pericolose minacce p:r la teo-  logia delle scholae. L'uso che Guglielmo d’Ockham e i suoi seguaci  faranno del medesimo argomento per p:rvenire alla radicale negazione  del valore scientifico della teologia, è una testimonianza assai elo-  quente dell’esito di un atteggiamento polemico che era nato proprio  per restaurare la supremazia degli studia divinitatis. Né meraviglia che  la polemica antifilosofica di Pier Damiani o di Manegoldo di Lau-  tenbach preannunzi già temi e motivi che avranno più tardi tanto  peso nella crisi della cultura medioevale, contribuendo alla caduta  del tentativo tomista di una mediazione positiva tra la ricerca filosofica  e il “sacro” dominio della teologia.   La posizione teologica di Pier Damiani, cosi intransigente e radi-  cale si accorda, del resto, perfettamente con la sua mentalità di rifor-  matore gregoriano e di teorico della teocrazia. Nella Disceptatio sino-  dalis egli non solo afferma la supremazia dell’ordine spirituale su quel-  lo temporale (con argomenti del tutto simili a quelli adoperati per ce-  lebrare la supremazia della teologia dinanzi ad ogni altro tipo di sapere  “ancillare”) ma ne deduce anche l’assoluto primato del potere papale  su quello mondano e civile dell’Imperatore. L’idea che l’autorità im-  periale dipenda essenzialmente dall’approvazione papale e che il suo    94    La “rinasata” ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo    scopo debba consistere soltanto nel guidare il popolo cristiano verso i  fini voluti dalla legge divina e dalla gerarchia ecclesiastica diviene cosi  il punto di forza di una dottrina destinata a larghi sviluppi negli  scrittori “papalisti” del XII e XIII secolo. Anche se Pier Damiani rico-  nosce che l'Imperatore è stato delegato dall’autorità papale all’esercizio  dell’amministrazione temporale della cristianità, non per questo am-  mette che possa avere un fine diverso o distinto da quello della Chie-  sa o, tanto meno, che possa conservare legittimamente il suo potere  quando cessi d’operare secondo la guida o la volontà del Pontefic:. Co-  me l’unione della natura umana e di quella divina costituisce la realtà  vivente del Cristo, cosi l'unione del Papa e dell’Imperatore costituisce,  per una specie di divino mistero, la vivente unità della Christianitas.  Destinato a reggere il “corpo” e a guidare la vita mondana della so-  cietà cristiana l’Imperatore deve perciò sollecitare la guida del Pon-  tefice che è rex animarum e, pertanto, signore dell’“interiore” real-  tà spirituale. Per questo il dominio imperiale non può vantare una  propria giurisdizione particolare, se non in via del tutto subordinata e  sotto il controllo dell’autorità pontificia. In realtà, per Pier Damiani,  il popolo cristiano costituisce soprattutto e in primo luogo una pura  mistica unione sotto la sovranità spirituale del Papa, e da essa dipende  anche ogni forma di ordinamento temporale e mondano.   Il fatto che i cristiani vivano però anche nel tempo e siano sot-  toposti alla necessità di un potere e di una coercizione mondana, non  significa quindi che la loro società temporale si possa confondere con  nessuno degli stati esistenti o con qualsiasi corpo politico. I rapporti  che vigono nella Christianitas sono infatti puramente spirituali, le  sue finalità del tutto oltramondane; anche l’uso di mezzi temporali  da parte dell’autorità civile vale solo in quanto può servire per rag-  giungere dei fini spirituali o comunque indicati dalla gerarchia eccle-  siastica. Ecco perché, nella prospettiva teologica di Pier Damiani, l’Im-  pero è soltanto uno strumento della Chiesa, limitato nelle sue fun-  zioni e destinato esclusivamente alla difesa ed all'incremento della fe-  de e dell’ordine cristiano. Lungi dall’accettare la dottrina carolingia  che riconosceva nell’Imperatore l’advocatus Ecclesiae, capo tempora-  le di tutto l’orbe cristiano, egli lo considera infatti solo come uno dei  tanti principi (anche se il più potente) ai quali spetta il compito di rea-  lizzare neil’ordine mondano le supreme direttive del potere spirituale.  Il che implica, naturalmente, la sua più stretta e totale subordinazio-  ne ai dettami dell’autorità pontificia; subordinazione da cui dipende    la stessa legittimità del potere imperiale, sempre condizionata alla fi-  liale ubbidienza alla volontà del Papa.   Il rovesciamento della dottrina carolingia non potrebbe certo es-  sere più radicale, né pit decisa l’affermazione della suprema sovranità  della gerarchia ecclesiastica e monastica su ogni aspetto della vita civile.  Ma questa tesi — di cui è evidente lo stretto nesso con la polemica an-  tidialettica e la difesa dell’assoluto primato della fede — non è l’espres-  sione isolata di un grande spirito mistico, difensore della riforma e  del radicale rinnovamento della Chiesa. Le stesse idee animano infatti  anche un vivace polemista come Manegoldo di Lautenbach, deciso  assertore della concezione teocratica della Christiana respublica, i cui  scritti forniranno una precisa linea ideologica ai teorici della plezi-  tudo potestatis pontificia. E idee non dissimili, anzi sostanzialmen-  te identiche, ispirano il famoso Dictatus Papae, attribuito allo stesso Pa-  pa Gregorio, dove il riconoscimento al Pontefice di ogni potere e diritto  mondano, incluso quello di deporre gli imperatori e di sciogliere i sud-  diti dal giuramento di fedeltà, costituisce il fondamento dell’assoluta  monarchia pontificia.   Le dottrine teologiche e politiche di Pier Damiani rappresentano  senza dubbio la posizione più radicale ed estrema maturata negli am-  bienti della riforma ed esasperata dagli aspri conflitti ecclesiastici e po-  litici dell’età gregoriana. Ma sarebbe di grave omissione dimenticare  che, insieme a queste dottrine, si sviluppano nell’XI secolo anche altre  posizioni intellettuali assai più caute e moderate soprattutto nei con-  fronti dell’uso dei metodi dialettici e della loro possibile applicazione  nell’ambito dell’insegnamento teologico. La stessa necessità pratica di  formare degli uomini di chiesa, capaci di difendere l’ortodossia dal-  le minacce ereticali con l’uso di tecniche argomentative accettabili  anche da chi ignorasse le autorità dei Padri (e, d’altra parte, il timore  che le soluzioni radicalmente fideistiche conducessero a pericolose con-  seguenze sui temi della grazia e della predestinazione) induce proba-  bilmente molti maestri ad assumere un atteggiamento ugualmente di-  stante dalle audaci conclusioni teologiche di Berengario e dalla inso-  lenza polemica di Pier Damiani e di Manegoldo. E sebbene i teologi  ortodossi che accettano l’inserimento dello studio della filosofia nelle  “discipline clericali” distinguano nettamente l’uso lecito della dialet-  tica dalle sue degenerazioni, non per questo negano l’utilità e la im-  portanza di una solida preparazione filosofica e logica. Come sostie-  ne Lanfranco di Pavia, abate dell’abbazia bretone di Bec  e quindi arcivescovo di Canterbury, non è infatti lecito condannare il    96    La “rinascita” ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secoto    legittimo desiderio di confermare gli insegnamenti della fede con gli ar-  gomenti della ragione.   Avversario deciso di Berengario, di cui confutò le argomentazio-  ni “sofistiche,” Lanfranco crede che anche gli errori del maestro di  Tours non derivino dall’uso dei metodi di dialettica, bensi dal loro  abuso e dalle indebite deduzioni di conseguenze contrastanti con le  loro premesse. Appunto per questo, l'apprendimento di questi meto-  di di ragionamento potrebbe chiarire l’origine di quegli errori e con-  fermare i misteri divini la cui verità non contraddice affatto l’uso  moderato della ragione filosofica. Una dottrina filosofica conscia dei  propri limiti e fondata su di una buona conoscenza della dialettica  può anzi giovare alla causa della fede assai più di quanto non possa  nuocere la cattiva e falsa scienza di pochi “indotti.”   Simili idee attuate nella pratica quotidiana della scuola ebbero na-  turalmente un’influenza decisiva sullo sviluppo degli studi filosofici e  teologici e sulla legittima accettazione delle tecniche filosofiche nel-  l'ambito della cultura ecclesiastica. Ma il loro trionfo fu dovuto prin-  cipalmente all’opera di un discepolo di Lanfranco, Anselmo d’Aosta,  la più grande personalità filosofica del suo tempo e il vero iniziatore di  una nuova tradizione della teologia occidentale.    97    Capitolo secondo    Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo    I. 1 metodo teologico di Anselmo    Nato ad Aosta nel 1033, scolaro di Lanfranco nell’abbazia di Bec,  poi suo successore nella scuola abbaziale e quindi sulla cattedra ar-  civescovile di Canterbury, Anselmo fu la figura pit alta e sigpifica-  tiva della cultura dell’XI secolo. Ma i motivi fondamentali del suo  pensiero erano destinati ad esercitare un'influenza assai vasta e pro-  fonda su tutto il successivo svolgimento della riflessione filosofica e  teologica; ed anzi, superando la crisi della scolastica, avrebbero conti-  nuato ad agire anche su alcuni pensatori che consideriamo tra i rappre-  sentanti più cospicui della filosofia moderna. La ragione di questa ecce-  zionale influenza sta certo nel rigore e nella rara acutezza di questo  monaco che profondamente nutrito dalla riflessione agostiniana e gui-  dato da una conoscenza della dialettica, seppe accogliere in un sistema  organico di idee le tendenze più attive e vitali del suo tempo. E se la  sua posizione intellettuale e le sue dottrine furono spesso nei secoli  successivi oggetto di critica severa da parte di grandi maestri della sco-  lastica, è certo che Anselmo diede per primo un metodo razionale alla  disciplina teologica, sostituendo al costante richiamo dell’auctoritas una  via argomentativa basata unicamente sull’uso oculato e guardingo del  ragionamento dialettico.   Il fatto che Anselmo si sia occupato esclusivamente di temi teolo-  gici (dall’esistenza di Dio alla Trinità, dall’Incarnazione al peccato ori-  ginale) non toglie nulla alla novità del suo metodo che egli estese, del  resto, ad ogni aspetto del dogma. Però il fondamento della sua dot-  trina rimase sempre strettamente agostiniano; e da Agostino egli de-  rivò gran parte delle sue premesse sviluppate però secondo una lucida  tecnica dialettica e condotte a conclusioni che innovavano la dottrina  teologica dei suoi tempi.    98    Anselmo d'Aosti e la cultura teologica del suo tempo    La pid intensa attività filosofica di Anselmo si svolse in un pe-  riodo di tempo relativamente breve, dal .1070 al 1080, nell’ambiente del-  l'abbazia di Bec già predisposto dall’insegnamento di Lanfranco ad  accogliere una diversa impostazione degli studi teologici. Fu appun-  to in questi anni che Anselmo elaborò i suoi scritti fondamen-  tali, tutti dominati dalla certezza dell’intimo accordo tra i me-  todi di argomentazione razionale e i dati essenziali della fede;  per dir meglio, dalla necessità che i principi della rivelazione siano  illuminati dalla ragione e che, d’altra parte, la ricerca razionale si  muova sempre entro i limiti e presupposti della fede. Questa posizio-  ne, che Anselmo espresse nella formula credo ut intelligam, implica  naturalmente una concezione strumentale della ragione il cui compito  consiste nel meditare i dati della fede già accennati nella loro indiscu-  tibile verità. Perciò anche quando Anselmo applica i metodi dinlettici  anche ai contenuti più gelosi del dogma e fonda su di essi la dimostra-  zione dell’esistenza di Dio, egli è fermamente convinto che tali pro-  cedimenti valgono solo come chiarimento e delucidazione di una ve-  rità che la ragione umana può cercare di rendere più evidente, pur  riconoscendo i propri limiti e la sua radicale incapacità a penetrare in-  timamente nei misteri divini. Ecco perché nel -Mozologion — che è  appunto un’operetta scritta a richiesta dei suoi monaci come modello  di meditazione sull’esistenza e gli attributi di Dio — egli afferma di  voler procedere solo “per via di ragione,” senza ricorrere ai riferimenti  ed alle autorità scritturali o patristiche. Ma al tempo stesso, in polemi-  ca coi dialettici, Anselmo riafferma sempre l’assoluta superiorità della  fede, principio unico. ed essenziale donde procede lo stesso “intellet-   to.” La fede è, dunque, il fondamento e la ragione prima della cono-  scenza umana; giacché non “s'intende per credere” ma bensi “si cre-  de per intendere.” Eppure chi crede con certezza e fervore può usare  legittimamente anche i metodi della dialettica e i puri procedimenti  razionali che sono anch’essi un dono divino.   È chiaro che un simile atteggiamento presuppone una fiducia com-  pleta nella ragione come “strumento” che non arretra neppure dinanzi  al tentativo di spiegare con procedimenti analogici anche i “sacri mi-  steri.” Il modo in cui Anselmo affronta la tematica teologica tradizio-  nale, cercando di mostrare l’intima necessità razionale della trinità e  dell’incarnazione, ne è appunto una prova assai chiara. Ma, d’altra  parte, egli è ugualmente convinto che il potere illuminante dell’intel-  letto dinanzi agli “abissi della rivelazione” è ben limitato, perché la  verità della fede è cosi vasta e profonda che nessuna mente mortale    99    i L’RI e il XII secolo    potrà mai possederla compiutamente. Neppure lo sforzo concorde di  tutti i Santi e dei Padri e dei Dottori della Chiesa ha quindi potuto  penetrare 11 mistero della rivelazione. Ma, proprio per questo, niente è  più erroneo che opporre all’uso legittimo della ragione l’autorità esclu-  siva degli Apostou e dei Padri, dimenticandosi che anch'essi erano  uomini e conobbero la verità con mente umana e che Dio non ha mai  cessato e mai cesserà d’illuminare la Chiesa e di permettere ai fedeli  una comprensione sempre più profonda della sua parola. D'altra par-  te se è vero che la visione beatiticante della verità divina è esclusa da  questo stato mondano, ciò non signitica che la ragione umana non possa  ampliare la sua intelligenza della fede. Comprendere la propria fede  signitica appunto avvicinarsi alla visione di Dio, e rendersi piî degno  dei suoi aoni. Se è cosa empia pretendere di scoprire o di discutere  ciò che Dio ha celato nella protondità insindacabile del mistero, esi-  stono però problemi e temi teologici che non sono affatto incompren-  sibui ala ragione, ma che anzi essa deve speculare e chiarire. Dimostra-  re che Dio esiste è appunto uno di questi compiti che la ragione deve  perseguire con propri mezzi e senza aicun ricorso ad autorità o “fonda-  menu estranei a1 suoi poteri”; ed anzi dalla validità intrinseca di questa  dimostrazione dipende la possibilità di costruire una scienza dotata de-  gli stessi strumenti argomentativi propri delle altre “arti.”   La dimostrazione dell’esistenza di Dio rappresenta ovviamente  uno dei temi centrali del pensiero di Anselmo, destinato, peraltro,  a costituire un termine di confronto obbligato per tutte le correnti e  tendenze teologiche del Basso Medioevo. Ma le prove che egli presen-  ta, compenetrate di spirito agostiniano, sono formulate con un rigore  e una coerenza dialettica ancora estranea al pensiero di Agostino e se-  condo una direttiva metafisica di carattere squisitamente platonico. Ciò  è evidente soprattutto nelle pagine del Monologion ove tutta la dimo-  strazione poggia sul presupposto dell’ordine gerarchico di perfezione  presente nell’universo e sull’idea che tutto ciò che gode di un grado  maggiore o minore di perfezione deve partecipare necessariamente del-  la perfezione assoluta. Ora l’esperienza sensibile e la riflessione razio-  nale ci mostrano che esistono innumerevoli beni, più o meno perfetti,  e che tutto quanto esiste ha sempre una sua causa particolare. Ma la  serie delle perfezioni particolari e contingenti ci rinvia per necessità  ad una causa unica e prima, cosi com’è evidente che quanto è perfetto  in un grado minore o maggiore, lo è soltanto perché deriva da un su-  premo ed unico principio di perfezione. Naturalmente questo bene, del    100    Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo    quale partecipa tutto ciò che è bene. non può essere che il bene mas-  simo ed assoluto, superiore ad ogni altro bene e ad ogni altra perfe-  zione. Ma ciò significa che quanto è assolutamente buono è anche infi-  nitamente grande e che quindi esiste un rrimo essere superiore ad ogni  realtà esistente limitata, e questo essere è Dio.   Un tale argomento — di cui è inutile sottolineare l’intrinseco  carattere platonico-agostiniano — può essere ugualmente svolto muo-  vendo da quella perfezione dell’essere che tutte le cose hanno in  comune, sia pure in grado e misura diversi. Ogni ente esistente ha in-  fatti una propria causa; ma la moltevlicità delle canse particolari pre-  senti nell’universo può essere considerata come riducibile ad una cau-,  sa, oppure come fine a se stessa, o ancora come costituita da una serie  di cause che si causino reciprocamente. Se però esaminiamo la seconda  ipotesi, è subito evidente che le sinvole cause esistenti per se stesse  hanno almeno in comune questo “essere per sé” che costituisce il prin-  cinio della loro esistenza e quindi la loro unica causa comune. Né è  diversa la conclusione cui si giunce esaminando anche la terza ipotesi,  perché supporre che una cosa esista a cansa di ciò cui essa stessa dì  l’essere, è ipotesi assurda e contraddittoria. Non resta perciò valida che  la prima ipotesi: tutto ananto è, esiste per una causa unica éd assoluta,  necessariamente identificabile con Dio.   Ma non basta. L’ardine dell'universo è costitnito — come s'è cià  visto — da una gerarchia di esseri alcuni dei quali sono pii perfetti  ed altri meno perfetti. Ma una volta accettata questa verità inonnu-  gnabile è anche necessario ammettere o che questa gerarchia di perfe-  zione non abbia mai fine e quindi che ogni essere postuli sempre, al  di sopra di sé, un altro essere pit perfetto, onvnre che l’universo sia  ‘costituito da un numero definito di esseri. uno dei quali sunera tutti  gli altri per la sua assoluta perfezione. L'esclusione della prima ipo-  tesi che Anselmo ciudica assurda e irrazionale. conduce necessariamente  ad ammettere l’esistenza di un essere perfettissimo superiore a tutti  gli altri e a nessuno inferiore. Ed a chi obbietta che si potrebhero am-  mettere al sommo della gerarchia due enti forniti di uguale perfe-  zione, è facile rispondere che questi due esseri sono uguali o perché  la loro essenza è comune e quindi sono in realtà un solo essere, op-  pure perché partecipano entrambi ad un essere superiore che li tra-  scende tutti e due e che, pertanto, è l’unico essere perfettissimo. Dio  è dunque il termine unico e assoluto che conclude la serie finita de-  gli esseri; e ne è al tempo stesso il culmine, la ragione e la causa.    OI    L’XI e il XII secolo    Un simile tipo di argomentazione, cosi legato ad una visione  gerarchica della realtà di schietto senso platonico, si fonda evidente-  mente sul passaggio dialettico dal limitato all’assoluto e dall’essere  particolare al suo fondamento universale. Ed è chiaro che Anselmo  introduce in tal modo nella storia della teologia un metodo specu-  lativo che era già implicito nelle dottrine dell’Areopagita e nella sua  immagine di un universo ascendente di grado in grado, di perfezione  in perfezione verso il suptemo approdo dell’unica esistenza divina.  Anselmo però non si arresta a questò procedimento che, almeno in  apparenza, muove dall’esperienza e dalla realtà definita dei singoli  enti esistenti. Proprio perché vuol dare alla riflessione teologica una  base schiettamente speculativa, egli si sforza di portare altre prove  che s'impongano per pura evidenza logica, prescindendo dalla cor-  siderazione sensibile della realtà. Ma -coronando le prove precedenti  con l’argomento ontologico del Proslogion egli spinge alle estreme con-  clusioni il suo procedimento dialettico, e ripropone, per altra via, la  stessa considerazione di Dio e dell’essere che era già implicita nel    Monologion.    2. L'argomento del “Proslogion”    Certo, proprio all’inizio del Proslogion, Anselmo dichiarava di  voler muovere dal puro dato di fede, e cioè dall’idea di Dio che ci  è fornita dalla fede e dalla quale è però possibile trarre per evidenza  interna anche la necessità logica della sua esistenza reale. Noi cre-  diamo infatti che Dio esista e che sia l’essere di cui non è possibile  concepire niente di maggiore; ma anche l’insipiens che nega Dio,  comprende ciò che affermiamo con queste proposizioni, e deve quindi  ammettere che tale concetto possiede un'esistenza mentale, in quanto  è attualmente presente negli intelletti che lo pensano. Una cosa può  infatti esistere nell’intelletto senza che questo ne ammetta l’esistenza  esteriore: quando un pittore si rappresenta l’immagine che vuole di-  pingere, egli possiede in sé il quadro già esistente nel suo intelletto,  ma non ne conosce affatto l’esistenza esteriore perché non lo ha an-  cora dipinto. Ecco, dunque, che anche l’insipiens è costretto a rico-  noscere che almeno nel suo pensiero esiste l’essere perfettissimu di  cui è impossibile concepire niente di maggiore. Però una volta accet-  tata questa premessa non gli è più possibile negare che l’ente per-  fettissimo esiste anche nella realtà, poiché questa esistenza possiede    102    Anselmo d'Aosta e lu cultura teologica del suo tempo    un grado di perfezione superiore a quello dell’altra. Difatti se l’es-  sere di cui non è possibile concepire uno maggiore esistesse unica-  mente nell’intelletto, si potrebbe facilmente pensare anche un essere  dotato di tutte le sue perfezioni e, in pit, della perfezione che è data  dall’esistenza reale. Ma una tale conclusione è evidentemente contrad-  detta dalla stessa definizione iniziale dell’ens perfectissimum, e quindi  l’essere di cui non si può pensare uno maggiore deve esistere sia nel-  l'intelletto che nella realtà.   Non occorre un’analisi troppo approfondita per intendere come  questa argomentazione si fondi sulla certezza interiore della fede e  sulla opinione “platonica,” che esistere nel pensiero è già esistere nel-  la realtà e che quindi la nozione di Dio, data dalla fede, ha una realtà  di fatto indubitabile e assoluta. Anche qui, come già nelle prove del  Monologion, Anselmo muove dunque dalla certezza preliminare di  una realtà, di ordine e grado particolare, per concludere alla necessità  logica dell’esistenza reale dell’ens perfectissimum; ed anche qui, pur  nell’indubbia novità del suo metodo di argomentazione, il processo  anselmiano muove dall’idea gerarchica di un diverso grado di perfe-  zione ontologica che subordina l’essere “pensato” alla superiore perfe-  zione dell’essere reale. In tal modo il passaggio dal dato originario della  fede alla prova o conclusione razionale, è reso possibile proprio me-  diante il confronto tra l’esserte pensato e l’essere reale, tra l’idea di  Dio esistente nel pensiero e la certezza logica che questa esistenza  mentale, che è anche essa reale, sarebbe certamente impossibile se Dio  non esistesse anche nella realtà. Sicché la vera differenza tra le argo-  mentazioni del Monologion e quelle del Proslogion consiste solo nel  diverso punto di partenza, e nel carattere della realtà che è posta come  termine di paragone con la perfezione assoluta e necessaria del supre-  mo ente reale. Solo in Dio l’esistenza mentale e l’esistenza reale deb-  bono coincidere per intrinseca necessità logica; mentre, in ogni altro  caso, l’esistenza reale può essere verificata solo se l’Essere sommo,  principio e causa prima, l’ha effettivamente creata. Cosf Anselmo con-  duce fino alle sue logiche conseguenze quelle fondamentali caratte-  ristiche platoniche che erano già evidentissime nella dottrina agosti-  niana; e mentre si appella alla fede come primo fondamento di cer-  tezza, vuol trovare nel suo contenuto intellettivo quella ragione dialettica  che la rende perfettamente comprensibile anche all’intelletto. L’im-  piego cosi coerente del procedimento dial:ttico si risolve in un nuovo  metodo apologetico, o meglio, nella conferma del primato assoluto    della fede, i cui principi costituiscono in ogni caso il presupposto indi-  scutibile e necessario di qualsiasi prova o dimostrazione.   Non v’è quindi da meravigliarsi se già taluni dei contempora-  nei di Anselmo contestarono il valore e la fondatezza dell’argomento  del Proslogion che fu più tardi rifiutato dallo stesso Tommaso d’Aqui-  no. Ed è noto che, vivente ancora Anselmo, un monaco del monastero  di Marmontier, Gaunilone, scrisse un Liber pro insipiente che è una  acuta critica del procedimento anselmiano. Il punto su cui si fonda  l’obiezione di Gaunilone è l’impossibilità di concludere dall’esistenza  del pensiero all’esistenza esteriore, di fatto. Il pio monaco non vuol  certo difendere l’ateismo dell’insipiens; al contrario egli riafferma che  la certezza dell’esistenza di Dio è un principio di pura fede e che il  passaggio arbitrario dalla parola al concetto e dal concetto alla realtà,  compiuto da Anselmo, è non solo invalido, ma anche sofistico e peri-  coloso. Le parole che udiamo — argomenta infatti Gaunilone — pos-  sono avere o non avere un loro significato; ma se l’hanno è solo  perché sono connesse a certe esperienze o percezioni che esse richia-  mano alla nostra mente. Ora è proprio l’esperienza dei singoli indi-  vidui dotati di caratteri particolari che ci permette di formare dei  concetti di specie e di genere ben distinti per mezzo di parole corri-  spondenti; ma quando ciò non accade, quando le parole che pronun-  ciamo non hanno un nesso mentale corrispettivo, esse restano prive di  significato come se fossero scritte o pronunziate in una lingua ignota.  Difatti chi, non conoscendo il latino, sente pronunziare la parola  avis, non può connetterla a nessuna rappresentazione particolare o ge-  nerale, ma può soltanto percepirne il suono “fisico.” Ebbene: per  Gaunilone la stessa cosa accade anche quando sentiamo pronunziare  la parola “Dio” e la frase “l’essere di cui non si può pensarne uno  maggiore,” espressioni che non hanno nessun fondamento nell’espe-  rienza. Dio infatti non è pensabile in rapporto alle altre cose che ci  sono note attraverso i sensi; e poiché non è oggetto della nostra espe-  rienza non esiste neppure un concetto che stia in rapporto a Dio co-  me il concetto di uomo sta in rapporto con l’individuo Socrate. Per  questo udendo la parola “Dio” noi sentiamo solo dei suoni e non  riusciamo, per quanti sforzi facciamo, ad attribuirle un esatto signi-  ficato. Ed anche se vogliamo dire, con Anselmo, che il concetto di Dio  è presente nell’intelletto dell’insipiens dobbiamo però ammettere che  costui possiede nel suo intelletto solo delle parole incomprensibili e dei  nomi privi di significato.   Non solo: esistono anche errori e idee false che non hanno al.    104    Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo    cuna esistenza fuori del pensiero, immaginazioni e fantasie ben pre-  senti all’intelletto ma del tutto estranee alla realtà. Chi concepisce  l’idea delle isole Fortunate, sparse in una parte dell'Oceano, colme di  ricchezze e di beni, non può certo pretendere che queste isole, pur  concepite come le più perfette tra tutte esistano anche nella realtà.  Ma lo stesso argomento vale anche contro la prova di Anselmo che  compie lo stesso indebito passaggio dall’esistenza nel pensiero alla  esistenza nella realtà: “Come infatti si potrebbe dimostrare maggiore  di tutti, se io nego 0 dubito ancora che esso esiste anche nel pensiero?  Dovrei prima sapere che quell’ente esiste realmente da qualche parte;  e quindi trarrei dal fatto che è il maggiore di tutti la certezza che esiste  anche in realtà.”   A tali obiezioni, che si fondano su di una considerazione del-  l’idea e del suo rapporto con gli enti reali ben diversa da quella ac-  cettata da Anselmo, questi rispose ‘che il passaggio dell’esistenza nel  pensiero all’esistenza nella realtà è valido unicamente nel caso del-  l'ens perfectissimum la cui certezza è fondata sulla fede; e, in  secondo luogo, che questo concetto può essere dedotto dalla consi-  derazione della realtà finita che, in base agli argomenti del Mono-  logion, ci conduce a riconoscere l’esistenza di un essere assoluto supe-*  riore a tutti gli enti finiti. Il che implicava però il sionificativo ricono-  scimento di un fondamento fideistico del concetto di Dio, estraneo al  suo tentativo di pura deduzione concettuale.    3. Gli attributi divini e il rapporto di Dio con la realtà    La dimostrazione dell’esistenza di Dio non è però il solo tema  affrontato dalla teologia anselmiana; ché anzi, in tutti i suoi scritti,  sono discussi con particolare insistenza anche il prob'ema degli attri-  buti divini e quello del rapporto tra Dio e la realtà da lui creata.  A questo proposito Anselmo afferma — con un evidente richiamo  alla dottrina agostiniana — che solo Dio esiste di per se stesso e che  quindi solo in lui essenza ed esistenza s’identificano perfettamente,  cosî come la luce s’identifica con lo splendore che emana. Tutti gli  ‘altri esseri possiedono, invece, un’essenza che non implica necessaria-  mente l’esistenza, che può essere tratta ad esistere solo per opera di-  vina; il che significa che Dio è la materia costitutiva dell’universo o  ne è la causa produttrice. La prima ipotesi viene però subito respinta    per la sua evidente conseguenza panteistica; e quindi Anselmo accetta  il principio della creazione ex nikilo, come l’unica soluzione che sod-  disfi al tempo stesso l’esigenza della fede e della ragione. L'universo  viene, dunque, all’esistenza senza che esista alcuna materia preesistente  rappresentata da Dio o da qualsiasi altro principio; poiché il nulla  da cui il mondo proviene non è una realtà positiva, bensf  semplice-  mente l’assenza totale di realtà. Il passaggio dal non essere all’essere  è causato da un libero decreto della volontà divina, decreto che non  conosce nessun presupposto metafisico n ontologico. Con questo non  si deve però credere che Anselmo neghi ogni forma di esistenza o  di realtà precedente all’atto con cui Dio ha creato il mondo. Ripren-  dendo un motivo fondamentale della tradizione platonico-agostinia-  na, anche Anselmo ammette infatti l’esistenza di forme ideali della  realtà logicamente precedenti all'emergere della realtà dal nulla. Tali  idee presenti 25 aeterro nel pensiero divino e ad esse consustanziali  sono appunto “espresse” e “realizzate” dall’atto che modella sui loro  esemplari le singole cose create. Affermare che il mondo è stato creato  dal nulla significa quindi, semplicemente, che le cose non erano prima  ciò che sono attualmente, né esisteva, prima di esse, una qualsiasi mate-  ria da cui potessero essere formate. Ma considerate dal punto di vista del  sapere divino esse sono già tutte presenti nel pensiero eterno e ne escono  in virtà della Parola creatrice che non ha alcuna somiglianza col par-  lare umano, bensi rassomiglia alla nostra conoscenza dell’essenza uni-  versale ed alla parola interiore con cui le definiamo nel nostro più  segreto pensiero. Come la nostra parola interiore non conosce dif-  ferenza di tempo e di luogo, di povolo o di nazione, cosf la parola o  verbo che è nella mente divina è il puro prototipo immutabile delle  cose create e il mezzo con cui Dio crea e conosce attualmente, nella sua  identica perfezione, il mondo molteplice e transitorio degli enti.  Tutto ciò che è estraneo alla pura essenza divina è stato creato  dal Verbo che lo conserva e lo mantiene, permettendo cosf alle sin-  gole creature di permanere nel loro essere. Ma ciò significa che  Dio è presente dovunque e tuttavia eccede con la perfezione ogni  luogo determinato, che è ogni tempo e, insieme, al di là di tutto il  tempo, immanente nell’atto con cui dà vita a tutte le realtà, eppure  trascendente nella sua essenza infinita ed eterna. Nondimeno, se cer-  chiamo di esprimere da un punto di vista umano la realtà di un es-  sere che trascende tutto il Creato e non ha nulla in comune con le altre  cose, è necessario affermare di Dio tutti quegli attributi che designano  uno stato di perfezione positiva. E perché tali attributi siano vera-    106    Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo    mente legittimi occorre che gli siano riferiti in un senso assoluto e  che si predichino di lui solo quelle perfezioni che superano in valore  tutto il resto della realtà. Ecco perché non si può mai dire di Dio  che è corpo, bensi soltanto che è spirito, poiché lo spirito è superiore  e più perfetto del corpo; similmente, per attribuirgli tutte le perfe-  zioni che gli sono più vicine e più degne lo si dirà “vivente,” “sapien-  te,” “onnipotente,” “vero,” “giusto,” “beato,” ed “eterno,” pur com-  prendendo che anche questi attributi sono ben lungi dal cogliere l’in-  finita perfezione divina. D'altra parte, queste molteplici perfezioni  non significano affatto che in Dio esista realmente molteplicità o di-  stinzione né che la sua natura abbia dei caratteri essenziali insieme  ad altri caratteri accidentali, 0, tanto meno, che vi siano in lui cangia-  menti o “processi.” Al contrario la sua essenza, del tutto coinciden-  te con l’esistenza, è sempre assolutamente una, identica e immuta-  bile; né Dio, che è in tutti i luoghi e in tutti i tempi pur essendo  al di là di ogni luogo e di ogni tempo, può mai ammettere inizio  e fine. Anche il suo atto creatore non comporta infatti alcun muta-  riento nella sua essenza, cosîf come i decreti della sua volontà non  tollerano alcun limite estraneo. Cosf se Anselmo, moderando la tesi  radicale di Pier Damiani ritiene che la volontà divina non potrebbe  mai giungere a far si che ciò che è stato non sia stato, tuttavia insiste  sulla piena libertà del suo atto, incommensurabile ad ogni norma  umana.   Tra le creature che Dio ha creato e che sono state espresse dal  suo Verbo, l’uomo è poi quello che rispecchia in maggior misura  l’immagine e il segno della divinità. Capace di conoscere se stessa, di  ricordarsi di se stessa e di amare se stessa, l’anima umana rispecchia  infatti nella sua natura limitata l’ineffabile ed eterna trinità divina.  E tutta la sua conoscenza deriva appunto direttamente da Dio che  illumina costantemente l’anima rendendo cosf possibile la perfetta  cooperazione tra il senso e l’intelletto attraverso l’intermediario delle  eterne idee, divinamente irraggiate. Naturalmente, alla luce di questa  impostazione di schietto carattere agostiniano, non è neppure difficile  intendere perché Anselmo sia intransigente partigiano della realtà  ideale dei generi e delle specie e perché faccia di questa soluzione rea-  listica del problema degli universali un presupposto essenziale della  sua ontologia. Tanto più che non sarebbe possibile intendere comple-  tamente l’intimo meccanismo delle sue argomentazioni ontologiche se  non si pensasse che egli muove sempre dalla certezza della realtà delle  idee, dal principio che ogni determinazione particolare ha significato e    107    L’XI e il XII secolo    valore solo in quanto partecipa a un fondamento universale. Solo così  ogni perfezione individua trova la propria realtà nella partecipazione  alla perfezione assoluta; sicché l’identità necessaria tra l’esistenza pen-  sata dell'Ente perfettissimo e la sua esistenza reale può rendere possi-  bile l’argomentazione del Proslogion. In un caso come nell’altro il pro-  cedimento dialettico di Anselmo muove da un presupposto “realista” e  da una premessa speculativa schiettamente platonico-agostiniana.    4. La scuola di Laon; Roscellino    L’opera di Anselmo, tutta incentrata sui grandi temi teologici  che abbiamo esposto, segna una tappa d’importanza decisiva nella sto-  ria del pensiero medioevale e pone già in chiara luce le esigenze fonda-  mentali che guideranno poi per più di tre secoli lo svolgimento della  cultura scolastica. Fu infatti all'esempio di Anselmo che si richiama-  rono assai spesso i maestri del XII secolo ben decisi a far valere sul  piano della riflessione teologica — che non si distingweva ancora dalla  meditazione filosofica autonoma — i metodi della dialettica, oppure  a risolvere nell’ambito di grandiose concezioni cosmolociche gli stessi  temi capitali della tradizione agostiniana e boeziana. Ma il suo pen-  siero doveva ancora costituire per lungo tempo un necessario termine  di riferimento nella lunga discussione sul reciproco rapporto tra la  ragione e la fede, e stimolare, sia pure attraverso atteggiamenti e  tendenze di carattere assai diverso, la progressiva trasformazione del-  la teologia in una scienza speculativa dotata di metodi e strumenti  logici non diversi da quelli delle altre scienze.   Questa tendenza, che porterà ben presto ai primi tentativi di or-  ganizzare tutta la “materia” teologica in vaste sintesi sistematiche, è  del resto già ben visibile nell'opera di alcuni scrittori contemporanei  che cooperano a elaborare i “quadri” concettuali della scientia Dei.  I Libri Sententiarum attribuiti ad Anselmo di Laon (+ 1117) forniscono  già l’esempio di una raccolta organica dei testi dei Padri della Chiesa,  ordinati secondo i problemi e i temi teologici fondamentali, ed offrono  cosi un modello che sarà poi ripreso e sviluppato da Guglielmo di Cham-  peaux, Pietro Abelardo, Roberto di Melun e, con particolare fortuna, da  Pietro Lombardo. Ma l’importanza di questa raccolta, compilata allo sco-  po di fornire argomenti di prova nelle discussioni teologiche, non con-  siste soltanto nella preparazione di un cospicuo materiale selezionato  dalla gran selva della letteratura patristica, bensf nella cornice organica e    t08    Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo    ©ompiuta entro cui viene inserita la trattazione teologale. L'esistenza,  la natura, gli attributi di Dio, il significato e il modo della creazione,  l’esistenza e il destino dell'uomo dalla sua caduta alla redenzione, la  via di salute indicata dalla natura e dalla grazia, la funzione carisma-  tica della Chiesa e dei suoi sacramenti, divengono adesso gli oggetti  ben definiti della speculazione filosofica, i temi intorno ai quali si  dispiegherà la vigorosa analisi intellettuale dei grandi maesti scola-  stici. Ma questo quadro che raccoglie in sé tutri i principi ideologici  di una società in cui la Chiesa è l’unica produttrice di idee, questa  cornice stabile e definita entro cui deve procedere la riflessione filo-  sofica e la suprema conoscenza della realtà e dell’uomo, offrono ad  ogni passo problemi aperti e insolubili, temi suscettibili di discussioni  e di analisi che pur senza negare il primato della fede, lasciano libero  passo alla indagine della ragione.   Certo gli autori delle sentenze, e Anselmo di Laon per primo,  insistono sempre sui dati di fede e sulla gelosa custodia della pura  verità rivelata. Ma, in realtà, essi preparano un metodo di studio e di  riflessione teologica che impone un più ampio sviluppo della dialet-  tica e una capacità di critica razionale destinata a dar presto i suoi  frutti nella temperie storica del XII e del XIII secolo. La grande fio-  ritura dei Commenti alle Sentenze e lo sviluppo di una caratteristica  letteratura teologica sempre più raffinata e intellettualmente scaltrita,  sono la diretta conseguenza del nuovo corso impresso alla cultura sco-  lastica dell’XI secolo, da Anselmo di Aosta e dai suoi contemporanei.  E non a caso sarà proprio dalla lunga esperienza dei Libri Sententiarum  e dei loro commenti che nasceranno le grandi Summzae del XIII secolo.   Quale fosse però la funzione innovatrice esercitata dalla diffusione  degli studi dialettici nell’ambito della cultura teologica, e quali potes-  sero essere le sue conseguenze più estreme, è ben dimostrato dalla  personalità, ancora non molto nota, di Roscellino di Compiègne. Sui  suoi studi e la sua formazione non possediamo purtroppo testimonian-  ze sicure e precise, ma sappiamo che ebbe come maestro Giovanni  il Sofista, noto per la sua abilità di dialettico, e che, più tardi, mentre  era maestro e canonico a Compiègne, fu accusato formalmente di-  nanzi al concilio di Soissons d’insegnare che “vi sono tre dii.” Abiurò  e gli fu concesso di riprendere il suo insegnamento a Tours e a Lo-  ches, dove fu maestro di Abelardo, e a Besangon ove sembra morisse  intorno al 1120. La scarsità di notizie e di testimonianze non polemi-  che sul suo insegnamento, rendono certo molto difficile una valutazio-  ne della sua dottrina, probabilmente assai deformata dagli attacchi    109    L’XI e il XII secoto    dei suoi avversari. Ma ciò non toglie che Roscellino sia stato consi-  derato dai contemporanei e dai posteri come il principale sostenitore  di una concezione degli universali che identificava l’idea generale con  la parola che la definisce.   In aperta polemica con la soluzione realista che attribuisce una  realtà ai termini astratti del pensiero, Roscellino sembra negare qual-  siasi realtà che non sia strettamente individuale; e per questo affer-  ma che il termine uomo, come tutti gli altri che indicano una specie o  un genere, corrisponde soltanto o alla realtà fisica della parola “uomo”  (cioè a un flatus vocis, o emissione di suono) oppure a degli individui  particolari e concreti che quel termine può semplicemente “esprimere.”   Come si vede il rifiuto della dottrina realista, cosi connaturata  al fondo agostiniano-platonico della cultura filosofica dell’Alto Me-  dioevo, non potrebbe essere pi netto. Ma proprio perché era maestro  di “arte dialettica” e quindi di una scienza che si applica principal-  mente ai termini del discorso umano, Roscellino non solo negò il loro  fondamento reale, metafisico, ma sembra che estendesse la sua conclu-  sione dal piano della pura analisi dialettica alle sue conseguenze teo-  logiche. Certo, è probabile che Roscellino non intendesse affatto affer-  mare l’esistenza di tre distinte divinità; eppure, coerentemente al suo  assunto logico, egli sostenne che anche nella trinità le tre persone  hanno una loro distinta realtà individuale e che ognuno dei loro  nomi (Padre, Figlio, Spirito) indica indubbiamente “una cosa unica  e singola” In tal modo la trinità è costituita, per Roscellino, da tre  sostanze distinte che pure possiedono un’unica potenza ed una sola  volontà; perciò egli affermò, identificando il concetto teologico tra-  dizionale di persona con quello di sostanza, che soltanto a causa di  una particolare abitudine linguistica i teologi possono triplicare le  persone senza triplicare le sostanze.   Non v’è quindi da meravigliarsi se i teologi contemporanei con-  siderassero con estremo sospetto le sue dottrine fino ad accusarlo,  forzando il senso delle sue espressioni, di “triteismo.” La sua traspo  sizione dell'ipotesi nominalistica dal piano dialettico a quello teolo-  gico e l’uso. di una terminologia cosi insolita spiegano le preoccupa.  zioni e i timori di devoti teologi come Anselmo. Indubbiamente la  mentalità del “dialettico” Roscellino con la sua rigida coerenza tra  l’atteggiamento di logico e le sue conseguenze teologiche, è già il se-  gno di una profonda incidenza delle nuove tecniche logico-gramma-  ticali nell’ambito “sacrale” della scientia de divinis.    Capitolo terzo    Caratteri, tendenze ed ambiente storico della cultura  del XII secolo    I. Le condizioni storiche    Gli eventi storici dell’XI secolo e in particolare la lunga lotta  per le investiture e i violenti contrasti tra l’aristocrazia ecclesiastica  e laica e la feudalità maggiore e minore, accelerarono la crisi della  società feudale, favorendo il progressivo sviluppo delle forze econo-  miche e sociali che erano lentamente maturate. Nell’Italia settentrio-  nale e centrale, nelle Fiandre, ed anche nei maggiori centri urbani  della Francia e dell’Inghilterra, si assiste adesso a un impetuoso svi-  luppo di tutte le attività, e a un incremento delle forze produttive e  degli scambi commerciali assai maggiore di quello che si era già  delineato nel corso del secolo precedente. Nelle città che sono al cen-  tro del nuovo corso economico fondato sull'economia mercantile. ai  poteri feudali si sostituiscono gli ordinamenti comunali che assicurano  una sostanziale supremazia politica ai ceti della borghesia mercantile  e artigiana. Sulle coste mediterranee si vengono formando nuovi stati,  tra i quali eccelle per il carattere accentratore ed assolutistico, il re-  gno normanno di Sicilia destinato a svolgere la sua direttiva espan-  sionistica verso i territori dei Balcani e del Vicino Oriente. Allo sforzo  militare dei Normanni, corrisponde, su più vasta scala, l’attività delle  Repubbliche marinare che incrementano costantemente i loro traffici  raggiungendo l’effettivo controllo delle grandi vie di commercio che  congiungono il bacino mediterraneo ai lontani mercati asiatici. Infine,  negli ultimi anni del secolo, la rinascita economica e sociale dà luogo  ad un grande movimento di espansione armata verso i paesi del Me-  dio Oriente, che è insieme la conseguenza del profondo risveglio re-  ligioso operato dalla riforma gregoriana e patarina, e il risultato del-  l'alleanza tra le declinanti classi feudali spinte dalla necessità di con-  quistare nuove terre e la borghesia mercantile e marittima di Genova,  di Venezia, di Amalfi e di Pisa.    Le conquiste degli eserciti crociati guidati dalla predicazione dei  missionari riformatori, non furono però tanto importanti nei loro a-  spetti religiosi e politici, quanto piuttosto per gli effetti sulla vita eco-  nomica e intellettuale dell'Europa occidentale. Ché se l’innata debo-  lezza degli stati crociati fece fallire il tentativo di colonizzazione feu-  dale delle terre siriache e palestinesi, gli stabilimenti commerciali  creati dai genovesi e dai veneziani, sopravvissero anche alla caduta  del Regno di Gerusalemme, permettendo la formazione di stabili rap-  porti commerciali con i grandi mercati asiatici ed un'eccezionale ri-  presa dell’attività mercantile nel bacino mediterraneo. Ai rapporti eco-  nomici seguirono poi, naturalmente, anche più stretti rapporti intel-  lettuali con la civiltà islamica, molto piti avanzata dell’Europa occidentale nel campo degli studi scientifici e del progresso tecnico. Pro-  prio il diretto contatto con i maggiori centri culturali dell’Impero arabo  permise che circolassero rapidamente anche in Occidente, dottrine, idee  e conoscenze scientifiche e tecniche particolarmente necessarie per una  società a base urbana e mercantile.   All’acquisizione di questa cultura di carattere molto diverso da  quella che aveva dominato le scuole occidentali dall’epoca della rifor-  ma carolingia, contribuirono in larga misura sia la conquista norman-  na della Sicilia che pose a disposizione dei dotti occidentali un gran  numero di testi arabi, sia la reconquista cristiana dei territori mu-  sulmani di Spagna ove sorgevano fiorenti istituzioni culturali e si  era affermata una grande tradizione di studi filosofici e scientifici.  La presenza, a Palermo come a Toledo, di un ceto di dotti arabi ed  ebrei, rese più rapida e pit facile l’acquisizione da parte della cul-  tura occidentale di quei testi ai quali era affidata tanta parte della  tradizione filosofica greca e della scienza ellenistica ed araba. Ma, nello  stesso tempo, divennero anche pit stretti i rapporti con la tradizione  teologica e filosofica greco-bizantina, le cui opere e dottrine più signifi-  cative furono ripresentate nelle scuole occidentali dalle traduzioni di  Burgundio Pisano, di Leone Toscano, Ugo Eteriano, Giacomo da Vene-  zia, ecc., tutti presenti ed operanti in Costantinopoli.   Questo vigoroso sviluppo economico e intellettuale che è comu-  ne a gran parte dell'Europa occidentale, non fu naturalmente privo  di conseguenze anche nei confronti delle istituzioni politiche e reli-  giose. Già si è accennato alla nascita delle forme di organizzazione co-  munale ed alla ascesa di quei ceti commerciali e artigiani che dominano  adesso la vita dei centri urbani, ma con questa evoluzione politica  s’intreccia spesso lo svolgimento di nuovi movimenti e tendenze ri-    Caratteri, tendenze ed ambiente storico della cultura del XII secolo    formatrici, più radicali di quelle che avevano caratterizzato la vi-  ta religiosa dell’XI secolo. In una società che non conosceva altra  forma di espressione ideologica che non fosse quella religiosa, le esi-  genze e le polemiche riformatrici sottintendono infatti, assai spesso,  una prima, oscura coscienza di interessi squisitamente politici. E l’esi-  genza di un profondo rinnovamento delle istituzioni ecclesiastiche,  che la riforma gregoriana non è riuscita a realizzare compiutamente,  muove adesso nuove forze monastiche e laiche che esprimono ideali  e speranze non solo proprie di una limitata élite ecclesiastica, ma  di grandi masse di artigiani, mercanti e popolani. Cosî, la decadenza  dei monasteri cluniacensi, che a causa delle grandi ricchezze accumu-  late si distinguono ormai solo per la rilassatezza dei costumi e la po-  vertà della vita religiosa, provoca la reazione dei nuovi ordini rifor-  matori dei Certosini, dei Premonstratensi e dei Cistercensi, che richia-  mano monaci e fedeli al rigore della pratica ascetica, respingendo ogni  compromissione mondana per salvaguardare l’intimità e la segreta  purezza dell’esperienza mistica. Ma la riforma monastica, chiusa nei  limiti dell’ascetismo claustrale, non può più esprimere il moto di ri-  volta che matura negli ambienti cittadini, tra le continue lotte di  consorterie e di classi e attraverso la lotta contro gli ultimi residui  della feudalità ecclesiastica e laica. Ed ecco nascere movimenti reli-  giosi di schietto carattere cittadino e spesso popolare, i cui aderenti  sono quasi sempre mercanti, artigiani o addirittura contadini che  esprimono in forma religiosa e spirituale le loro esigenze politiche  ed economiche e tendono a configurare liberamente il loro rapporto  con la gerarchia e le istituzioni ecclesiastiche.   In un prossimo capitolo esamineremo in modo pit particolareg-  giato le dottrine ereticali che si diffusero nel corso dell’XI e XII se-  colo in tutte le regioni dell’Europa occidentale come espressione di  una profonda crisi politica e ideologica. Ma non sarebbe possibile in-  tendere compiutamente anche la grande fioritura filosofica e teologica  del XII secolo, se non si ricordasse che la presenza dei movimenti ere-  ticali (dalle comunità catare alla chiesa valdese ed altre correnti rifor-  matrici e ribelli) costituisce una componente storica di grande im-  portanza, i cui riflessi sono spesso facilmente avvertibili anche nella  più vasta letteratura teologale, e che costituisce, comunque, un co-  stante termine di riferimento per l’atteggiamento ufficiale della ge-  rarchia ecclesiastica di fronte alle varie correnti filosofiche e specu-  lative.    La trasformazione della’ cultura ecclesiastica e le scuole cattedrali.  Il carattere storico della “Rinascita” del XII secolo    Alla polemica ereticale la gerarchia ecclesiastica risponde infatti  con i mezzi coercitivi che le sono assicurati dalla sua stretta connes-  sione col potere civile ma, al tempo stesso, preparando nuove gene-  razioni di teologi e predicatori abituati ad un metodo di discussione  e di esposizione della dottrina ortodossa, ben più organico e sistema-  tico di quello in uso nelle scuole ecclesiastiche. I missionari che armati  delle prime summae percorrono le città e le campagne della Fran-  cia meridionale, centro dell’eresia catara e valdese; i maestri che nel-  l'ambito delle nuove istituzioni cittadine preparano gli strumenti lo-  gici e i testi necessari alla formazione di un clero pi colto e più  “dotto,” sono appunto i primi artefici di un imponente processo di  riforma della teologia. Ma la loro attività non si limita alla lotta  contro l’eresia, ma assai spesso è rivolta a controbattere le dottrine  politiche che i sostenitori delle monarchie nazionali e dell’Impero  contrappongono alle tesi teocratiche di Gregorio VII. Ciò implica na-  turalmente una sempre maggiore penetrazione di metodi e dottrine  filosofiche nell’ambito degli studi teologici, una costante attenzione  per i nuovi e vecchi strumenti della logica aristotelica di cui ora si  possiede, del resto, una conoscenza assai più ampia e precisa. Non  solo: insieme alla dialettica ed alla logica entra a far parte della  natura ecclesiastica anche una solida formazione giuridica, necessaria  per affrontare le polemiche teologico-politiche e per dare una definita  consistenza all'ordinamento interno della Chiesa minacciata dalla cre-  scente fioritura dei movimenti riformatori ed ereticali.   È chiaro che questa trasformazione della cultura ecclesiastica com-  porta però anche un mutamento sostanziale nelle istituzioni che fino  ad ora avevano provveduto alla formazione del clero e delle sue ge-  rarchie. Lo sviluppo della vita cittadina, e l’importanza acquisita dai  centri urbani dell’Italia e della Francia, aveva tolto alle scuole mona-  stiche il tradizionale monopolio dell’attività intellettuale, mentre si  era invece accresciuta l’influenza delle scuole vescovili e capitolari po-  ste quasi sempre nelle città e direttamente influenzate dal nuovo am-  biente sociale, politico e religioso. Già fin dal X secolo il clero dell*  cattedrali era stato infatti sottoposto a un regime di vita comune di  tipo monastico, soggetto ad una particolare regola o “canone” (donde  appunto il nome di “canonici”); più tardi sotto l’impulso delle cor-  renti riformatrici e della crisi della feudalità ecclesiastica, i “canonici” avevano ottenuto il diritto di eleggere i vescovi e di organizzarsi  in capitoli con gerarchie interne e con l’attribuzione di cariche ben  definite, come quella dello scholasticus incaricato di dirigere le scuole  annesse alle cattedrali. L'evoluzione del clero era poi continuata su  queste linee, ed alla metà dell’XI secolo i capitoli avevano ormai  l'aspetto di comunità monastiche, con caratteri distinti e differenziali  nei confronti degli ordini abbaziali, e una particolare specializzazione  di carattere giuridico e teologico. È quindi ben comprensibile che  l’accesso ai titoli canonicali venisse riservato ai chierici, dotti nel diritto  canonico e nelle scienze teologiche, che fossero capaci di coadiuvare  il vescovo nell’amministrazione delle diocesi, e nel corso delle fre-  quenti contese civili e religiose con le autorità laiche e la curia roma-  na, e nelle lotte contro la diffusione delle dottrine ereticali. La pre-  senza di questi elementi dotti — che spesso esercitavano al tempo stesso  funzioni curiali ed ecclesiastiche — favori poi la formazione nelle  maggiori sedi vescovili di veri e propri centri di vita intellettuale, do-  tati di grandi biblioteche, e di adeguati organismi scolastici. Ed è  appunto nell’ambiente delle scuole “cattedrali” che fiori una ricca cul-  tura filosofica e letteraria, caratterizzata insieme da un notevole svi-  luppo degli studi giuridici, da una lunga pratica delle “arti sermo-  cinali” (grammatica, dialettica e retorica), e da un grande impulso  alla riflessione teologica ed alla conoscenza filosofica e scientifica.   Lo sviluppo delle scuole cattedrali cittadine è un fenomeno che  interessa già buona parte dell’XI secolo, ma i suoi frutti matureranno  nel secolo successivo in concomitanza con una generale rinascita cul-  turale che non interessa però soltanto il campo degli studi filosofici  e teologici, bensi tutti gli aspetti della vita intellettuale, dalla lette-  ratura alla medicina, dal diritto alle scienze astronomiche e mediche.  Il cosiddetto “rinascimento del XII secolo” — che taluni storici hanno  voluto porre unilateralmente sotto il segno di un ambiguo umanesimo  di tono letterario e devoto — ebbe anzi all’inizio un carattere giuridico e  scientifico e diede comunque i suoi primi frutti nel campo di questi  studi e non in quello letterario o filosofico. Anche gli ambienti in  cui fu più fervido l’amore per le “lettere antiche” e più viva l’imi-  tazione e la venerazione dei poeti e dei filosofi classici, furono spesso   ervasi da un uguale entusiasmo per le nuove cognizioni scientifiche che  si diffondevano in Occidente attraverso il tramite prezioso degli inter-  preti arabi. Né si comprende, ad esempio, il significato e la funzione  storica dell’“umanesimo” di Chartres, se si dimentica che quei raffi-  nati maestri, cosî amanti degli studia litteraria e dei grandi miti platonici, sono acuti interpreti del Timeo “fisico,” lettori di Calcidio e di  Macrobio, e ricercano con grande curiosità e interesse i testi di carattere  astrologico, medico e addirittura magico.   Del resto, il notevole progresso compiuto, già alla fine dell'XI  secolo, dal sapere giuridico e medico-scientifico, è particolarmente vi-  sibile per chi studi l’ambiente intellettuale delle città italiane dove le  nascenti istituzioni comunali favoriscono naturalmente il costituirsi  di un tipo di scuola svincolato dall'ambito ecclesiastico e caratterizzato  dalla sua natura laicale. Proprio negli ultimi anni dell'XI secolo, Affla-  cio, Nicola e Bartolomeo di Salerno compongono i primi trattati di  anatomia e di terapia; mentre a Bologna, tra gli ultimi anni del  secolo e l’inizio del XII, sorgono quelle scuole di giurisprudenza che  avranno tanto peso anche sugli sviluppi della riflessione politica, e  contribuiranno, fin dalla loro origine, alla formazione di un nuovo  metodo di interpretazione e di analisi dei testi del Corpus juris. Que-  sti studi giuridici — i cui metodi influiranno non poco anche sul-  l'evoluzione parallela degli studi teologici e filosofici — ebbero in  primo luogo il grande merito storico di restaurare in Occidente una  tradizione giuridica, come quella romana, particolarmente consona al-  le nuove istituzioni sociali e politiche delle città comunali e delle na-  scenti monarchie nazionali. Però la loro metodologia e i principi cui  erano ispirati influenzarono profondamente anche l’ordinamento in-  terno della Chiesa, che proprio agli inizi del XII secolo — dopo i primi  tentativi di raccolte canoniche di Burchardo di Worms, Deusdedit e  Ivo di Chartres (t 1117) — definisce il proprio diritto autonomo, san-  cito nel 1139 dal cosiddetto Decretum di Graziano. La fioritura di una  vasta letteratura “canonistica” che riprende gli stessi metodi esegetici  delle scuole giuridiche laiche contribuisce poi, naturalmente, alla tra-  sformazione della cultura delle scuole ecclesiastiche, sempre più per-  meata da atteggiamenti e motivi “profani” e da nozioni “tecniche” di  squisito carattere grammaticale e logico. Adottando il metodo di espo-  sizione dialettica, tipico delle scuole giuridiche laiche, anche i canonisti  debbono acquistare e sviluppare una problematica concettuale, fondata  sui testi aristotelici, e, certo, ancor più avanzata di quella già affrontata  da Anselmo di Besate e dallo stesso Berengario.   Allo sviluppo degli studi giuridici e di quelli medici, sollecitati  dal crescente afflusso di testi greco-arabi, corrisponde quindi assai  presto anche la tendenza della speculazione teologica a organizzarsi  definitivamente secondo metodi espositivi e critici non molto lontani  da quelli invalsi nell’insegnamento giuridico e, quindi, un crescente    116    Caratteri, tendenze ed ambiente storico della cultura del XII secolo    uso delle tecniche razionali applicate, spesso, con una precisa consa-  pevolezza delle loro implicazioni speculative. Non solo; ma la discus-  sione dei più grandi temi teologici implica subito anche la trattazione  delle dottrine schiettamente filosofiche che hanno una stretta attinen-  za con tali argomenti, e, quindi, una più chiara coscienza dei gravi  problemi che sorgono dal rapporto tra teologia e filosofia, o, per me-  glio dire, tra l'accettazione di una serie di postulati dogmatici e una  analisi della realtà condotta sulla linea della filosofia classica, rappre-  sentata soprattutto dalle sue componenti platoniche.    La cultura delle più importanti scuole cattedrali — che sono i  centri principali della rinascita filosofica — è, non a caso, caratteriz-  zata da una larga familiarità con quei testi cui è affidata in Oc-  cidente la sopravvivenza della tradizione platonica e neoplatonica,  nonché dalla conoscenza sempre più vasta e approfondita dell’Orga-  non aristotelico. Ma accanto a questi documenti di schietto carattere  filosofico, gli “scolastici” di Chartres o di Parigi pongono anche le  grandi “reliquie” letterarie della civiltà romana, ammirano la castità  dei puri modelli ciceroniani e si sforzano di imitare quella forma di  eleganza e di stile che è fissata dalla tradizione retorica classica.   Lettori nostalgici di Virgilio e di Stazio, di Ovidio e di Lucano,  ammiratori di Seneca e di Cicerone, essi difendono contro i rigidi ri-  formatori certosini il valore di una formazione letteraria ed umanistica  che perfeziona e porta alla sua massima fioritura i caratteri più validi  della cultura di origine carolingia. Ma il loro amore per gli exempla  degli antichi, il loro entusiasmo per l’eloquentia, anzi il “miele soa-  vissimo,” che sgorga dalle pagine di Cicerone o di Seneca, o per la  poesia di Ovidio, è certo cosa ben più seria e profonda che la fredda  imitazione di modelli retorici o la ripetizione di vecchi moduli lette-  rari mai dimenticati dalla cultura scolastica occidentale.   I chierici del XII secolo che vivono nell’ambiente fecondo e vi-  tale della città, a contatto con il corso tumultuoso degli eventi politici,  delle passioni di parte e delle contese ecclesiastiche e sociali, ritrovano  infatti in quegli scrittori esempi e forme di “umanità” che sembrano  esattamente celate nelle vicende di una società e di una cultura pur  cosi lontana e diversa. Ecco perché uno “scolastico” — come Ber-  nardo di Chartres — può porre a fondamento di tutti gli studi la  lettura e lo studio devoto degli antichi che non minaccia o contamina  affatto la purezza della fede; ed ecco perché in tutti gli ambienti di  alta cultura, da Parigi a Chartres, da Orléans a Reims, la ricerca teo-    117    L’XI e il XII secolo    logica e filosofica si accompagna cosf spesso all’insistente richiamo  alla lezione dei classici, esaltata talvolta con accenti cosi eloquenti da  indurre taluni studiosi a supporre addirittura una ipotetica continuità  storica tra la cultura del XII secolo e l’umanesimo rinascimentale.   Non è questa l’occasione per discutere l’ipotesi filosofico-storio-  grafica di un’unica tradizione umanistica che dall’età carolingia e dal  “rinascimento” del XII secolo si spingerebbe fino all’umanesimo “cri-  stiano” del Quattrocento, interrotta, ma non spenta, da secoli di  “barbarie ritornata” e dalla deviazione scientifica e “arabizzante” del  XIII secolo. Né si può, tanto meno, illustrare le complesse componenti  ideologiche e confessionali che hanno ispirato questo atteggiamento  cosf poco rispettoso della verità oggettiva dei processi storici. Ma nep-  pure l’alto grado di gusto letterario e di spirito umanistico, che rico-  nosciamo nei versi di Ildeberto di Lavardin, o nella spregiudicata  coerenza etica delle lettere di Abelardo e di Eloisa, può ingannare  sull’effettivo carattere di una cultura che rimane pur sempre nell’am-  bito della vita e della tradizione medioevale; ed alla quale manca pro-  prio quella essenziale componente storica e critica che sarà tipica del-  l’umanesimo quattrocentesco.   Che i dotti del XII secolo conoscano perfettamente i grandi scrit-  tori latini e li leggano con assiduità ed amore; che uomini come Gu-  glielmo di Conches, Abelardo e Giovanni di Salisbury, abbiano inte-  ressi filosofici e atteggiamenti dottrinali di cui stupisce la libera spre-  giudicatezza, sono verità indubbie ormai ben accertate dalla comune  esperienza degli studiosi. E certamente, chi pensi alla eccezionale fio-  ritura letteraria del XII secolo, che ha in Francia la sua più alta  espressione, non può negare la presenza di una vocazione classica che  ispira tanto i Romans che i Fabliaux o i grandi poemi didascalici, quanto  le grandi cosmologie chartriane. Eppure, quando si approfondisce bene  il significato dello stretto rapporto che sembra unire taluni ambienti  o personalità di questa cultura alle loro “fonti” antiche e, in generale,  al mondo classico, non è difficile intendere che la “classicità” del XII  secolo è in sostanza un prolungamento o addirittura il raffinato esau-  rimento della civiltà antica. E il classicismo dei letterati o dei poeti  del XII secolo ci appare piuttosto come la nostalgia di un passato di  cui si avverte il fatale decadimento piuttosto che l’inizio di un nuovo  modo di sentire e di vivere.   Ciò non toglie, naturalmente, che la cultura di questo secolo  segni un grande e fecondo progresso nei confronti dei secoli prece-  denti, e rappresenti il frutto di una società in movimento, che muove    118    Caratteri, tendenze ed ambiente storico della cultura del XII secolo    verso una crescente espansione economica e civile. Questo carattere è  del resto confermato, forse, più che dalla rinascita letteraria e poetica  del secolo, dal forte interesse per tutte le nuove forme di sapere, cosi  vivo in tutti gli ambienti più avanzati intellettualmente. L'eleganza  letteraria, la formazione umanistica e la dottrina teologale non con-  trastano, in molti pensatori del tempo, con un vivace spirito natura-  listico che si nutre spesso degli apporti decisivi delle scienze greco-  arabe rientrate adesso nel circolo della cultura occidentale. I maestri  di Chartres, educati dal gusto raffinato di un insigne grammatico co-  me Bernardo, non esitano infatti a dare al loro platonismo un’im-  pronta schiettamente cosmologica e inserire nel loro contesto dottri-  nale le novità filosofiche che vengono dai centri della Spagna o della Si-  cilia ove si traducono i testi arabi. È certo significativo che numerosi te-  sti scientifici e filosofici tradotti in latino siano subito largamente usati  nelle scuole francesi più importanti e assorbiti nell’ambito di una cultu-  ra che si fonda tuttavia sulle costanti della tradizione platonica e  della riflessione agostiniana. La fortuna delle traduzioni di Adelardo  di Bath (che, venuto a contatto con la cultura araba attraverso l’Italia  meridionale e la Sicilia, fa conoscere in Occidente numerosi testi arabi  di astronomia, di ottica, di aritmetica e di trigonometria) e di Ermanno  il Dalmatico, autore tra l’altro della versione del Plarisfero di Tolo-  meo; la rapida diffusione delle versioni affrontate dalle scuole di To-  ledo negli ultimi decenni del secolo, offrono una precisa testimonianza  degli interessi e delle tendenze che cominciano già a profilarsi nell’am-  biente scolastico e del nuovo corso che viene assumendo lo svolgimento  del pensiero medioevale.    3. 1 centri della nuova vita intellettuale    L’importanza che ebbero le varie scuole e il loro rapporto con i  successivi sviluppi della cultura medioevale saranno esaminati parti-  colarmente nelle pagine seguenti. Ma, per meglio definire e limitare  il carattere della “rinascita” del XII secolo, sarà bene osservare che  essa ebbe il suo centro in un’area geografica ben delimitata che com-  prende principalmente le città dell’Italia settentrionale, le città del  centro e dell’ovest della Francia, alcune sedi episcopali inglesi e spa-  gnole e la corte normanna in Sicilia. Però, lo sviluppo della vita intel-  lettuale fu diverso secondo i vari ambienti; se la cultura delle città  italiane fu eminentemente giuridica e medica, le scuole cattedrali di    119    L'XI e il XII secolo    Chartres e di Orléans furono invece i centri della rinascita letteraria  e filosofica, Reims e Laon ebbero piuttosto una solida tradizione scien-  tifica, mentre le scuole parigine assunsero fin dall’inizio una precisa  caratterizzazione teologico-filosofica.   Alla testa di questo movimento sono poi (e con la sola eccezione  delle scuole giuridiche e mediche) ancora uomini di chiesa, formatisi  nelle scuole cattedrali e spesso, a loro volta, maestri e cancellieri di  queste stesse istituzioni. Non a caso, alcuni tra i più interessanti scrit-  tori del XII secolo sono dei vescovi, come Ildeberto di Lavardin (sco-  lastico di Tours), Gilberto de la Porrée (maestro a Poitiers), Pietro  Lombardo (uno degli iniziatori della tradizione scolastica parigina) e  Giovanni di Salisbury (vescovo della stessa sede di Chartres ove si  era formato), oppure dei canonisti come Ugo di Orléans, mentre altri  provengono direttamente dalle scuole cattedrali francesi come Roberto  di Melun, Guglielmo di Conches e Bernardo Silvestre. Né è diversa  la situazione in Inghilterra, ove le muove esperienze intellettuali si  svolgeranno appunto nella maggiore sede vescovile, a Canterbury. Qui  avrà la sua prima formazione uno squisito letterato e acuto filosofo  come Giovanni di Salisbury. Qui un gruppo di giuristi e canonisti di  origine italiana darà un impulso eccezionale agli studi giuridici. E  sempre a Canterbury Tomaso Becket, arcivescovo e cancelliere d’In-  ghilterra, curerà la formazione di una dotta élite ecclesiastica, pari-  menti educata alla dottrina teologica ed alla pratica delle arti liberali.   Ben presto anche le città spagnole riconquistate ai mussulmani,  vedranno sorgere e prosperare scuole cattedrali non dissimili da quelle  francesi e inglesi che, soprattutto a Barcellona c a Toledo, saranno il  tramite diretto tra la cultura latina dell'Occidente e la grande espe-  rienza della civiltà classica. Proprio il vescovo di Toledo, Raimondo,  provvederà infatti a istituire quel “collegio” di traduttori donde usci-  ranno tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo le fortunate versioni  di tanti testi arabi ed ebraici.   Queste scuole e istituzioni ecclesiastiche, di cui abbiamo parlato,  eserciteranno, dunque, una funzione dominante nella cosiddetta “rina-  scita” del XII secolo. Ma accanto ad esse, e spesso anzi in potenziale  concorrenza, si sviluppano altri centri di attività intellettualé posti  sotto il patrocinio di sovrani e di altre autorità laiche. Già abbiamo  accennato alle scuole giuridiche e mediche italiane di carattere lai-  co che. godono o della protezione dell’Imperatore, o dei Comuni, o  dei sovrani normanni di Sicilia. Anche le corti francese e anglonor-  manna, che tendono però già a trasformarsi in organismi politici e am-    120    C..ratteri, tendenze ed ambiente storico della cultura del XH secolo    ministrativi, attraggono spesso intellettuali ecclesiastici e laici, assurti  talvolta ad alte funzioni; e lo stesso accade anche nelle brillanti corti  della Francia meridionale, dei Pirenei francesi e dell’Aquitania, o  nella corte di Palermo, che gareggia con le scuole episcopali spagnole  nella rapida assimilazione della cultura araba e bizantina. Proprio a  Palermo, durante il felice regno di Ruggero II (1166-1189), l’incontro  tra gli influssi arabi e bizantini e i motivi tradizionali della cultura  filosofica occidentale e della tradizione medica meridionale sarà anzi  particolarmente fecondo. Scienziati arabi, come al-Idrisi, il maggiore  geografo mussulmano, vivono alla corte del sovrano normanno, in-  sieme a traduttori e studiosi di dottrine filosofiche come il vescovo  Enrico Aristippo di Catania (autore delle notissime traduzioni del Fe-  done e del Menone [t 1162]) e l'ammiraglio Eugenio di Palermo, o a  dotti medici e astrologhi attratti dalle munificenze del sovrano norman-  no. Alla fine del secolo, la cultura della corte siciliana sarà certo tra  le pifi avanzate e moderne di tutt'Europa; pochi decenni dopo, durante  il regno di Federico II, la magna curia palermitana costituirà un gran-  de centro di attrazione per i dotti di ogni parte di Europa, e avrà  parte notevolissima nella diffusione dell’opera di Averroè e di altri  grandi maestri mussulmani.   La crescente influenza di vari centri intellettuali ecclesiastici e  laici, la raffinatezza e la civile misura delle principali corti vescovili  o signorili, cosî contrastanti con la povertà e la rozzezza del X secolo  o della prima metà dell’XI, non costituiscono però un fenomeno iso-  lato o caratteristico soltanto di alcuni ambienti di particolare prestigio  religioso o civile. L'incremento costante dell’attività economica, la  minore incidenza delle antiche barriere geografiche e politiche sugli  scambi e sui rapporti umani, favoriscono infatti una più rapida cir-  colazione delle idee e più feconde relazioni tra le diverse regioni del-  l'Europa occidentale.   Lungo i grandi itinerari commerciali continuamente battuti dai  mercanti, lungo le strade percorse dai pellegrini che accorrono ai gran-  di santuari di Francia e di Spagna o a venerare la tomba di S. Pietro,  fluisce anche il rapido corso delle nuove dottrine che raggiunge spesso,  con impressionante rapidità, anche gli ambienti più lontani e diversi.  Come viaggiano mercanti e pellegrini, che riportano in patria l’am-  mirato ricordo delle città e delle scuole ove è più viva l’attività intel-  lettuale, cosî si muovono anche i maestri e gli uomini di cultura spesso  presenti, a breve distanza di tempo, nei maggiori centri scolastici della  Francia, dell’Inghilterra e dell’Italia; e con loro circolano i codici co-    121    L'X! e su XII secolo    piati da abili scrivani che giungono anche. nelle pit lontane con-  trade dell’Europa e si diffondono ovunque è vivo l’interesse per le  nuove esperienze intellettuali. Rompendo l’isolamento in cui era ca-  duta nel lungo periodo dell’anarchia feudale, la società medioevale si  avvia cosi a ricostruire un solido tessuto di istituzioni e organismi di  cultura, ancora dominato dall’egemonia della Chiesa, ma già aperto  a nuove prospettive filosofiche e scientifiche. Nel rapido fiorire della  civiltà comunale, mentre sorgono le grandi cattedrali romaniche di  Francia, delle Fiandre e d’Italia, i broletti cittadini e gli Studia, an-  che la vita intellettuale partecipa del nuovo corso storico e collabora ad  immettere nella rinascente civiltà europea forze ed energie rimaste fino-  ra soffocate dalle rigide strutture feudali.    La scuola di Chartres    I. Bernardo di Chartres e Gilberto de la Porrée    Tra i centri di studi filosofici, già fioriti nella prima metà dell’XI  secolo, il più interessante e fecondo fu indubbiamente la scuola catte-  drale di Chartres, vicina a Parigi.   La sua fama risaliva già al tempo del vescovo Fulberto che vi  aveva insegnato tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, e che non  solo aveva dato grande impulso allo studio delle arti del “trivio,” ma  anche alla pratica del “quadrivio” studiato sulla scorta delle tradu-  zioni di Costantino Africano. Più tardi, durante l’episcopato di Ivo,  il prestigio della scuola era stato accresciuto dall’autorità e dalla dot-  trina di questo vescovo; ma il predominio di Chartres nella cultura  teologica e filosofica della prima metà del secolo fu stabilito dall’ecce-  zionale personalità del bretone Bernardo, cancelliere della cattedrale,  che v'insegnò ininterrottamente dal 1114 al 1124. Il fatto che non  possediamo delle opere di sicura attribuzione rende certo difficile un  esatto apprezzamento dei suoi metodi pedagogici e della sua forma-  zione culturale; ma Giovanni di Salisbury che lo considerava “Ia pit  ricca fonte di cultura letteraria dei nostri tempi” ci ha lasciato una  descrizione quanto mai eloquente della personalità di Bernardo e del-  la sua particolare “professione” scolastica. Professore di retorica, ispi-  rato dalla tradizione di Cicerone e di Quintiliano, egli insegnava a  Chartres “le figure grammaticali,” i “colori retorici,” i “cavilli” dia-  lettici, e, insieme, esaltava le bellezze e l'ordine del discorso che deri-  vano o dalla “proprietà” (che si dà quando l’aggettivo o il verbu sono  uniti elegantemente al sostantivo) o dalle metafore per cui una parola  può essere traslata ad un altro significato. Questo insegnamento uma:  nistico e letterario non era però condotto da Bernardo in modo pe-  dante e frusto: ché anzi egli formava il gusto degli scolari presentando  l'esempio dei poeti e degli oratori classici; incitandoli a leggere e me-    ditare le pagine pit esemplari dell’antichità. Tuttavia la sua ammira-  zione per gli antichi non disconosceva neppure il valore dei “moderni”  che hanno il privilegio di conoscere “piu cose e pid lontane,” proprio  perché, come “nani assisi sulle spalle dei giganti,” possono valersi sia  delle loro nuove esperienze che dell’insegnamento degli antichi.  Platonico in filosofia — anche se è certo che conoscesse ben poco  della genuina tradizione platonica — Bernardo accettava i temi tradi- zionali del Timeo e del commento di Calcidio; e cosf distingueva  nettamente la materia (Ayle) dall'idea che considerava come coincidente  assolutamente con l’essere. La materia era quindi per lui un elemento  secondario, creato da-Dio per imprimervi il suggello delle proprie idee  eterne, e pertanto assolutamente non coevo all’eternità divina. Di  conseguenza Bernardo distingueva anche le idee presenti nella mente  di Dio come pure forme, dalle idee presenti nelle cose e immanenti  alla materia come riflesso e ombre della suprema verità. Queste idee  erano solo l’intermediario tra Dio e il mondo, tra la perfezione della  ragione eterna e la confusa molteplicità della natura contingente e  mortale. Il platonismo di Bernardo, probabilmente ancora assai som-  mario e generico, fondato su dottrine e idee già espresse con ben mag-  giore vigore dallo Scoto Eriugena, influenzò tutto lo svolgimento della  scuola che mantenne sempre nei suoi maggiori esponenti la linea umani-  stica e platonica. Ma nell’insegnamento di Bernardo questa posizione fi-  losofica era però connessa allo studio della dialettica e della grammatica,  due discipline che avevano in comune il problema del significato del  nome e del verbo e della natura della posizione. Ora sebbene fosse  lontano dal considerare la grammatica come un semplice ramo della  logica e s’ispirasse piuttosto alla distinzione posta da Quintiliano tra  grammatica e dialettica, Bernardo non esitava ad attribuire un signi-  ficato filosofico anche alle questioni grammaticali. Da buon lettore di  Macrobio e di Boezio aderiva ad una concezione strettamente plato-  nica dei termini di specie e di genere, considerati come pure idee,  mentre affermava che la natura degli individui non merita, neppure  grammaticalmente, di essere designata da nomi sostantivi. Perciò, nel  trattare, sulle tracce di Prisciano, il problema squisitamente gramma-  ticale della derivazione dei vari nomi da una radice comune, Bernardo  affermava che tutti i “derivati” significano in primo luogo ciò che  significa la loro radice, sia pure sotto relazioni e accidenti diversi.  Sicché il rapporto tra il nome primitivo e il derivato si risolveva in  una specie di partecipazione ideale sostanzialmente analoga a quella  posta dai platonici tra le idee e le loro determinazioni individuali,    La scuola di Chartres    Il maestro che continuò l'insegnamento di Bernardo succedendo-  gli nel cancellierato fu Gilberto de la Porrée (1076-1154) che, più tar-  di, passò alla scuola di Parigi influendo largamente sul suo sviluppo. Di-  fensore anch’egli dell'importanza formativa degli studi letterari, contro  la polemica dei riformatori certosini ostili alla diffusione del sapere pro-  fano, Gilberto fu uno dei suoi maggiori promotori della cultura filosofi-  ca della prima metà del secolo. E fu per suo merito che il platonismo an-  cora generico di Bernardo di Chartres si trasformò in una coerente dot-  trina gnoseologica e metafisica. La sua opera filosofica e teologica con-  siste principalmente in alcuni importanti commenti agli scritti teo-  logici di Boezio ma il suo nome fu legato per tutto il Medioevo al-  l’eccezionale fortuna di un breve commento delle Categorie di Aristo-  tele, il Lider sex principiorum, che fu iscritto nel programma della Fa-  coltà delle arti e studiato insieme ai testi di Aristotele, di Boezio e di  Porfirio. Questo scritto — che con ogni probabilità non è opera di  Gilberto — è comunque un documento tra i più interessanti del pen-  siero logico del XII secolo e, in particolare, delle tendenze platoniche  che esprime con notevole chiarezza. Muovendo dalla distinzione delle  categorie stabilite da Aristotele, l’autore del Liber le divide in due  gruppi, l’uno comprendente la sostanza e la qualità, la quantità e la  relazione che sono i suoi necessari attributi, e l’altro comprendente  invece le ultime sei categorie (luogo, tempo, situazione, possesso, azio-  ne, passione), e mentre attribuisce alle categorie del primo gruppo la  funzione di “forme inerenti” considera le altre come semplici “for-  me assistenti o accessorie.” Ora è chiaro che tale distinzione stabilisce  in realtà una vera e propria gerarchia metafisica delle categorie che  muovendo dal supremo “predicamento” della sostanza e dalle altre  categorie ad essa inerenti discende poi di grado in grado per conclu-  dersi con la categoria più intrinseca alla sostanza. Ma è appunto in  funzione di questo ordinamento che il Liber può risolvere in senso  perfettamente platonico e realistico la dottrina aristotelica delle cate-  gorie, concepite adesso non tanto come distinzioni logiche, natural-  mente distinte ma equivalenti in quanto termini della predicazione,  quanto piuttosto come entità metafisiche corrispondenti alla struttura  ideale dell’Essere.   Non deve quindi meravigliare che il platonismo del Liber avesse  delle dirette incidenze anche nell’ambito della riflessione teologica; ed  è stato giustamente rilevato che l’inclusione della categoria della “re-  lazione” tra le forme inerenti alimentò una lunga discussione sul si-    gnificato metafisico di questo concetto sempre connessa al problema  teologico del rapporto tra le persone trinitarie.   Se il Liber non è certamente opera di Gilberto, i suoi commenti  agli opuscoli teologici di Boezio bastano però ad assicurargli un posto  di primo piano tra i maestri di Chartres. In questi scritti Gilberto  pone infatti una netta distinzione tra la “sostanza” intesa come l’indi-  viduo esistente in atto con le sue qualità peculiari, e la “sussistenza”  che è invece la proprietà o essenza universale considerata in sé, indi-  pendentemente dagli accidenti; sicché ogni individuo risulta dall’unio-  ne della propria sussistenza, senza la quale non potrebbe mai essere  se stesso, con quegli accidenti che gli assicurano la propria determi-  nata concretezza. Mentre i generi e le specie sono pure “sussistenze,”  prive come tali di una realtà sostanziale e di determinazioni acciden-  tali, gli individui sono pertanto dei composti la cui sostanza deve  necessariamente sottostare (sub-stare) a un certo numero di accidenti.   Una tale concezione implica, naturalmente, che all’origine di ogni  realtà siano delle idee o forme sostanziali pure (substantiae sincerae),  archetipi la cui realtà è indipendente dall’esistenza delle singole co-  se materiali e sensibili. Però Gilberto chiarisce subito che queste pu-  re idee non si uniscono direttamente alla materia per creare gli in-  dividui, ma che da esse derivano delle forme distinte e separate le qua-  li sono semplicemente copie (exempla) delle idee divine. Tali forme  nativae  unendosi alla materia danno appuato luogo alle sostanze in-  dividuali; considerate in se stesse, nella loro conformità all’idea divina  sono invece principi universali e costituiscono il fondamento dell’uni-  tà delle specie e dei generi. Per questo la mente umana può giungere  a comprendere per astrazione quelle forme nazivae che sono presenti ed  unite intrinsecamente agli accidenti nei singoli individui; il movimento  del pensiero dal particolare all’universale consiste appunto nel consi-  derare la forma nell’individuo, nel confrontarla con le altre che le so-  no simili, nel raccoglierle in un unico gruppo o collectio e nel giun-  gere, cosi, alla comprensione delle pure “sussistenze” (le specie). Na-  turalmente questo processo compiuto all’interno della specie può es-  sere ripetuto per risalire dalle varie specie al genere comune e di qui  alla visione dei modelli ideali che esistono eternamente nella mente  divina.   Che una simile dottrina rappresenti il trionfo del pit classico  realismo platonico è cosa evidente. Ma Gilberto accentua ancor pit  questo carattere della sua filosofia quando affronta il problema del rap-  porto tra Dio e le creature che già lo stesso Boezio aveva definito in    La scuola di Chartres    un senso schiettamente platonico. Il maestro di Chartres respinge in-  fatti la spiegazione tradizionale che faceva direttamente dipendere da  Dio l’esistenza e la realtà di tutti gli esseri creati, per porre tra Dio e  le cose concrete e individuali gli intermediari metafisici delle forme  o essenze. Ciò per cui esiste ogni singolo individuo corporeo è l’essen-  za universale della corporeità, cosi come la ragione immediata d’esiste-  re di ogni uomo è data dalla sua comune Aumanitas: il che significa,  secondo i termini boeziani ripresi da Gilberto, che ogni realtà indivi-  duale è determinata ad essere ciò che è (14 quod est) da quel principio  universale (gwo est) per cui essa possizde la propria realtà.   La funzione determinante di questo principio nella costituzione  dell’essere è quindi tale che si può ben dire che il quo est è l’essere  (esse) stesso di ciò che esiste; ed anzi la verità di questa tesi è dimo-  strata dalla stessa natura dell’essere divino assolutamente semplice in  cui l’id quod est e il quo est coincidono necessariamente. Negli altri  individui composti ha luogo invece sempre la composizione dei due  termini e quindi in certo senso una imperfetta e limitata realizzazione  del principio universale. Cosi un individuo non è mai interamente  ciò che è, proprio perché il fatto di essere composto di un corpo e di  un’anima che è la forma, gli impedisce di identificarsi pienamente con  questa stessa forma universale che pure gli attribuisce il suo essere.   La natura radicalmente platonica di questa concezione non ha  certo bisogno di essere sottolineata. Né occorre notare che essa dà luo-  go a una dottrina dell’essere per cui Dio, realtà essenziale per eccel-  lenza (essentia), da cui trae la propria essenza ogni altro essere deter-  minato, diviene in effetti l’essere e la forma di tutte le creature. La sua  attività creatrice consiste quindi sostanzialmente nel produrre le forme  o esse delle cose particolari ad immagine e somiglianza delle Idee  divine eternamente presenti nella sua mente. E, quindi, questa forma  generica o essenza determina la connessione di una certa materia con  la sua forma particolare, generando cosi l’individualità concreta. In  tal modo l’essenza divina sembra comunicarsi di grado in grado alle  altre creature alle quali conferisce l’essere mediante la loro propria es-  senza generica; mentre d’altra parte, i singoli individui costituiti nel-  l’essere dall’essenza o forma che li fa esistere giungono tutti a parte-  cipare dell’essere (o generalissima subsistentia) attraverso una trama di  essenze e di forme (com: ad esempio la “corporeità” e “umanità”) il  cui fondamento riposa in ultima analisi sulla perfezione immutabile  dell’essere divino.   Questa meditazione sull’essere di schietta misura platonica ha poi    naturalmente dei riflessi immediati e diretti anche sulla dottrina teo-  logica di Gilberto. È vero che egli definisce Dio come una realtà es-  senziale assoluta, semplice e indistinguibile in cui la diviritas si iden-  tifica con l’essertia. Ma la fedeltà ai suoi presupposti dottrinali lo in-  duce a ripetere spesso che ciò che Dio è (id quod est Deus), è Dio a  causa del proprio quo est (la divinitas).   Ecco perché Gilberto fu cosi duramente attaccato da Bernardo di  Clairvaux e accusato di sostenere tesi pericolose ed erronee; ma di-  nanzi al concilio di Reims egli seppe abilmente difendere la sua dot-  trina, negando che la distinzione metafisica tra substantia e subsisten-  tia potesse valere anche sul piano teologico. Del resto, nonostante le  accuse e le polemiche i temi centrali della sua speculazione, derivati  per originale elaborazione da Boezio, Dionigi, e lo Scoto Eriugena si  ritroveranno in scrittori del XII secolo; si da formare una vera e pro-  pria scuola teologica che, sull’inizio del XIII, s’incontrerà poi facil-  mente con gli esiti platonici dell’avicennismo latino (Liber de diversitate  naturae et personae; Sententiae divinitatis, ecc.).    2. Teodorico di Chartres e Bernardo Silvestre   Se Gilberto Porrettano indirizza il platonismo di Chartres verso  uno sviluppo schiettamente speculativo e teologico, ‘Teodorico fratello  minore di Bernardo (t 1154 ca.) riprese invece dall’insegnamento del fra-  tello il culto degli studi letterari e l’interesse per le arti del “quadrivio.”  Il suo Heptateuchon, prezioso documento sull’insegnamento e la vita  culturale di Chartres, è un’illuminante testimonianza sulle conoscenze e  gli interessi di un intellettuale del XII secolo che divide la sua attenzio-  ne tra la lettura dei classici e lo studio delle scienze della natura con-  dotte non solo sulle fonti ormai tradizionali ma anche sui nuovi ma-  teriali greci e arabi. Cosi per l’insegnamento grammaticale Teodo-  rico si giova dei classici manuali di Donato e di Prisciano, per lo studio  della logica ricorre a Boezio ed ai testi aristotelici (ivi compresi i Primi  Analitici, i Topici e gli Elenchi sofistici) mentre svolge le sue lezioni di  retorica sulla scorta di Cicerone e di Marciano Capella. Ma più interes-  sante è l’elenco degli autori di cui si serve per l’insegnamento delle  arti del “quadrivio,” elenco che comprende i nomi di Boezio, di Marcia-  no Capella, di Isidoro, di Columella, di Gerberto di Aurillac e di Igi-  no, considerati gli autori più accreditati nei campi dell’aritmetica, del-  la geometria, dell’astronomia e della musica. E non basta; Teodorico    128    La scuola di Chartres    conosce già anche le traduzioni di alcuni testi astronomici greci ed ara-  bi, come prova, tra l’altro, la dedica a suo nome della versione del  Planispherum di Tolomeo, compiuta dal suo discepolo Ermanno il Dal-  mata.   Questi interessi scientifici, perfettamente accordati cogli ideali uma-  nisti dell'ambiente chartriano risultano ancor pit evidenti nell’altra ope-  ra maggiore di Teodorico l’Hexaemeron o De septem diebus et sex ope-  rum distinctione, un commento alla narrazione della Genesi con-  dotto principalmente sulla linea delle dottrine platoniche del Timeo,  ma con probabile riferimento anche ad altri testi di origine medioe-  vale come il De compositione mundi dello Pseudo-Beda. Qui, lascian-  do da parte l’interpretazione allegorica del testo biblico, Teodorico si  propone di svolgere un commento secundum physicam e ad litteram,  cioè d’interpretare in modo razionale e sulla base delle nozioni fisi-  che del suo tempo, “le cause da cui il mondo trae l'essere e l'ordine  dei tempi in cui fu creato e ordinato.” Perciò, convinto che l’universo  presenti un ordine perfettamente logico e struttura matematica, si sfor-  za di riconoscere un’intima necessità in tutti gli aspetti della “fabbri-  ca mondana” e di considerarli come le parti indispensabili di un gran-  de meccanismo formato con la massima perfezione.   Nell’ordine di produzione della realtà, egli riconosce una causa  efficiente che è Dio stesso, una causa formale (la saggezza divina) che  determina le essenze o le forme, una causa finale (la bontà divina) verso  cui tende tutta la creazione, e una causa materiale che è invece costi-  tuita dai quattro elementi tradizionali creati primamente da Dio. Ma  posti cosi questi principi, Teodorico tende però a spiegare la forma-  zione della natura e delle sue parti ricorrendo a considerazioni mate-  matiche ed all’analisi interna dei singoli movimenti che permettono il  rapido passaggio tra le particelle elementari. Tali particelle non sono  concepite come dotate di qualità fisse e neppure come poste in luoghi  fissi; ché anzi tutti gli elementi sono sottoposti ad una sorta di reci-  proca compenetrazione, si che la terra può passare, ad esempio, dallo  stato di solidità a quelli di liquefazione e di combustione. D’altra  parte, anche le qualità fondamentali come la durezza o la leggerezza  proprie dei singoli elementi sono soltanto il risultato del movimento  generale degli altri elementi che preme da ogni parte l’acqua e la ter-  ra. Quindi egli può spiegare la creazione biblica della terra e del cielo,  semplicemente come la produzione delle particelle elementari mobili, il  cui movimento richiede appunto l’esistenza di un centro immobile (la  terra) attorno al quale rotano le particelle dell’aria e del fuoco.    L'importanza storica di tale concezione fisica — che il Gilson, for-  zandone il significato, ha avvicinato addirittura alle dottrine dei fisici  parigini del XIV secolo — consiste principalmente nel tentativo di  spiegare le trasposizioni interne e le relazioni reciproche degli ele-  menti con un’analisi schiettamente fisica e meccanica che ha i suoi  fondamenti nel commento al Timeo di Calcidio. Ma questo atteggia-  mento (che è perfettamente coerente con la mentalità matematizzan-  te propria del platonismo chartriano) è ancor più interessante se si pen-  sa che Teodorico, ignorando la Fisica di Aristotele e le sue teorie del  movimento, avanza già la teoria dell’impetus, come spiegazione natu-  rale dei processi di moto e cosi adombra un'ipotesi fisica destinata a  lunghi sviluppi nella storia della tarda scolastica.   Sarebbe certo assai ‘interessante seguire Teodorico nello svolgi-  mento particolareggiato della sua cosmologia platonica. Ma più che la  lunga descrizione del modo in cui ha creato successivamente tutte le  forme e i momenti della natura (e, in particolare, l’armonia perfetta  degli astri e del firmamento) gioverà osservare che nell’Hexaemeron, an-  che l’esistenza di Dio e la sua relazione e distinzione dal mondo, vie-  ne dimostrata con un procedimento argomentativo di schietto impianto  matematico che implica a sua volta la credenza in un ordine “pitago-  rico” dell’universo. Come aveva già fatto Scoto Eriugena, anche Teo-  dorico afferma infatti che Dio è unità e che tale unità è la forma es-  sendi di tutto ciò che esiste. Sicché si può ben dire che tutte le cose  sono in Dio perché Egli ne è la forma essenziale e l’unico fonda-  mento.   Ciò non significa però che Dio sia presente nella materia di ogni  essere, ma bensi che la “presenza della divinità in tutte le creature è  il loro essere totale ed unico” si che “la stessa natura deve la sua esi-  stenza alla presenza della divinità» Ma se è vero che il mondo delle  creature si presenta all’esperienza umana come il regno della molte-  plicità e del divenire, laddove Dio è invece l’unità immobile e im-  mutabile, non sarà difficile comprendere che il molteplice e il muta-  bile presuppongono sempre l’unità e che, al di là di ogni distinzione o  mutamento, deve sempre esistere l’uno immutabile. Come la serie dei  numeri presuppone sempre l’unità da cui deriva, cosî l’universo trae  origine in ogni sua molteplice manifestazione dalla semplice unità di-  vina; e tutte le unità di cui è composto non sono che partecipazioni  alla vera unità, la cui esistenza è anzi determinata proprio dal grado  e dalla continuità di questa partecipazione. Per questo i teologi insi-  stono sempre sull’unità essenziale di Dio, pur distinguendo in que-    sta unità la diversità delle persone; e difatti lo st:sso termine “perso  na vuole appunto indicare che l’unità di Dio permane sempre iden-  tica sia nel generante (Padre) che nel g nerato (Verbo). Anche i filo-  sofi pagani, che definiscono Dio come Pensiero, Provvidenza o Sag-  gezza hanno sempre considerato questi caratteri come det.rminazioni  dell’Uno, sussistenti e presenti entro l’unità divina. Né sarebbe possi-  bile intendere o pensar: Dio prescindendo dal principio dell’unità che  ne costituisce il carattere dominante e consustanziale.   Ecco perché Teodorico, pur tenendo fermo alla distinzione cri-  stiana tra Dio e il mondo e sforzandosi anzi di evitare ogni accento  panteistico, accetta il principio neoplatonico della generazione della  unità dall’altra unità e lo applica anche in campo teologico secondo il  principio della processione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.  Non solo: il filosofo chartriano non esita ad identificare la terza per-  sona trinitaria con l’anima del mondo platonica, concepita come prin-  cipio formatore ed agente che dà ordine e disposizione alla materia  creata. .   L’influ:nza di queste dottrine filosofiche e teologiche, sostenute  da un notevole corredo di nozioni matematiche, fisiche ed astronomi-  che, è assai larga e duratura anche al di là dell'ambiente di Chartres  o delle correnti platoniche ancora dominanti nel XII secolo. Né si deve  dimenticare che la loro diffusione contribuisce a creare quel particolare  humus filosofico cui si deve la particolare fortuna del Liber de causis e  quindi il rifuire di alcuni dei più tipici motivi neoplatonici, nella cul-  tura filosofica dell’Occidente.   La tendenza ad accordare in un unico contesto intellettuale la tra-  ‘ dizione ntoplatonica e i nuovi interessi scientifici, lo studio dei clas-  sici e l’interpretazione filosofica del testo biblico, è propria anche di  Bernardo Silvestre, uno scrittore e poeta legato evidentemente all’am-  biente di Chartres. Nel suo poema De mundi universitate sive Mega-  cosmus et microcosmus ritroviamo la stessa influenza dominante del  Timeo platonico e del commento di Calcidio, la stessa presenza di mo-  tivi tratti da Macrobio e dall’Asclepius e insomma le stesse predile-  zioni l:tterarie e filosofiche proprie dei maestri chartriani. Composto  sul modello tradizionale del De consolatione boeziano, scritto in di-  stici elegiaci alternati a brevi passi di prosa, il De mundi universitate  si presenta come un lungo dialogo tra la Natura e la Provvidenza che  offre il pret:sto per narrare la formazione dell’universo e la sua costru-  zione secondo le norme e gli archetipi ideali della mente divina. Nel I  libro la Natura si lamenta con la Provvidenza per lo stato di caos e di    confusa mescolanza in cui si trova la materia prima, e la prega di dare  ordine all’universo e di ordinarlo secondo misura e bellezza. La Prov-  videnza acconsente éd inizia a distinguere la materia nei quattro ele-  menti e a disporli nell'ordine e nelle connessioni dovute. Dopo aver  eseguito questa prima opera la Provvidenza si rivolge alla Natura, le  celebra l’ordine e l'armonia che ha introdotto nelle cose, la perfezione  delle forme universali (libro II). Ma l’opera non è terminata; e di-  fatti la Provvidenza promette di formare l’uomo come coronamento  e culmine dell’ordine mondano. Alla promessa segue l’adempimento;  cosi l’uomo viene formato con quanto resta d:i quattro elementi e co-  stituito come sintesi (microcosmo) di tutta l’immane “fabbrica” del-  l'universo (macrocosmo) di cui ripete e raccoglie tutte le più alte per-  fezioni.   Questo tessuto poetico e dottrinale, in cui s'intrecciano i temi più  cari ai pensatori chartriani, le probabili reminiscenze di antichi motivi  ereticali e la diretta influenza degli scritti di Tolomeo e di Albumasar  (da poco noti agli occidentali) è però solo uno schema letterario parti-  colarmente adatto per svolgere in forma allegorica una vasta concezione  cosmogonica, il cui carattere è ben espresso dalla figura del vecchio de-  miurgo Pantomorfo che forma e modella le creature naturali secondo  i terreni esempi delle idee. Poiché se da Dio emana il Logos che con-  tiene in sé tutte le eterne forme delle cose, dal Logos procede a sua  volta l’Anima del mondo, principio plasmatore della materia monda-  na, alla quale imprime il suggello delle forme. Essa, agendo entro la  hyle informe, costituisce perennemente il cosmo nella sua armonia  razionale. Particolare e insieme universale, l’Anima mundi è il com-  plesso delle cause seminali sempre presenti dal momento in cui è stato  generato il mondo. Per essa ogni cosa creata ha il suo giusto stato e  per sua opera l’armonia regna sovrana nella natura.   Di fronte alla perfezione archetipa delle forme e dell’anima ordi-  natrice sta però, nel grande quadro cosmologico del De wuriversitate  mundi, una materia puramente informe (4yle), condizione fondamen-  tale dell’esistenza del cosmo. Questa informità primordiale, quest’or-  rida sylva caratterizzata dalla confusione e dal male, è concepita da  Bernardo con una singolare oscillazione che rivela, da un lato, l’esi-  genza di evitare una possibile conclusione dualistica, ma anche la per-  sistenza di suggestioni e reminiscenze di antica ascendenza stoica. La  insistenza sul carattere negativo della materia, sulla sua irriducibile  “malignità” è infatti un aspetto particolarmente significativo del poe-  ma di Bernardo, anche se non mancano accanto a passi di netto sa-    133    La scuola di Chastres    pore dualistico, altri testi che testimoniano lo sforzo di accordare l’idea  platonica di un “non essere” posto a fondamento dell’essere o l’im-  magine stoica del caos primordiale con Ja tradizionale nozione bi-  blica della creazione ex mnihilo. Sono questi, del resto, atteggiamenti  facilmente comprensibili nell’ambito di una composizione poetica che  non mira tanto ad una salda unità dottrinale quanto all’uso fantasioso  di un ricco materiale filosofico suscettibile delle più lontane e diverse  interpretazioni. In realtà, il merito storico pit importante dell’ope-  ra di Bernardo Silvestre sembra consistere nella diffusione di motivi  destinati, con alterna fortuna, a comparire spesso nella cultura filosofica  medioevale e a fornire argomenti per le interpretazioni più lontane ed  avverse. Per questo, mentre v’è stato chi ha voluto avvicinare la conce-  zione di Bernardo Silvestre a dottrine tipicamente dualistiche, come la  eresia amalriciana, altri, e particolarmente il Gilson, hanno invece for-  zato il significato del suo poema in un senso decisamente ortodosso. Né  stupisce che l’interpretazione degli storici sia spesso rimasta incerta  dinanzi all’aspetto bifronte di un poema che raccoglie nel suo ordito  vario e fantasioso i motivi e le idee più diffuse nella cultura filosofica  del suo tempo.   Per il resto, l’opera di Bernardo è un documento assai interessan-  te sulla diffusione di quelle dottrine astrologiche e geomantiche che gli  ambienti intellettuali dell'Occidente venivano rapidamente assimilan-  do dai testi arabi. Un’operetta come il Mathematicus, tutta impostata  su di un tipico topos della tradizione astrologica, e la traduzione del-  lo Experimentarius, trattatello g-omantico rielaborato da Bernardo, ba-  stano a mostrare la larga familiarità di questo poeta con i tempi più  caratteristici della tradizione magico-astrologica.    3. Guglielmo di Conches    L’opera di Bernardo Silvestre rappresenta certamente un singo-  lare tentativo di tradurre nel quadro allegorico di un mito cosmolo-  gico idee e dottrine che circolavano largamente nell’ambiente di Char-  tres. Ma chi dette a queste dottrine una formazione addirittura clas-  sica, destinata a influenzare durevolmente il pensiero del XII secolo,  fu il maestro Guglielmo di Conches (1080-1145), sulla cui filosofia gio-  va soffermarsi con particolare attenzione. Discepolo di Bernardo di  Chartres e quindi maestro egli stesso per circa vent'anni, Guglielmo  fu anche un grammatico, lettore dei classici, e difese contro i “cornificia-    ni” nemici delle l-ttere l'ideale chartriano di una cultura fondata sul co-  stante colloquio con gli antichi e la raffinata conoscenza di tutte le “ar-  ti” liberali. Autore tra l’altro di un Commento al Timeo di grande im-  portanza filosofica e storica, di glosse alla Consolazio, e di scritti mo-  rali ispirati a Cicerone ed a Seneca, le sue opere principali furono però  la Philosophia mundi, una vasta enciclopedia filosofica e scientifica, c  il Dragmaticon Philosophiae in forma di dialogo col duca di Norman-  dia, Goffredo Plantageneto, ove Guglielmo riespone soprattutto, svi-  luppandoli con grande ampiezza, i problemi fisici già discussi nella Phi-  losovhia alla luce di opere conosciute già vent'anni prima dai maestri  dell'Occidente.   Gli studi più recenti sulla scuola di Chartres e il platonismo me-  dioevale hanno giustamente attribuito un particolare valore a questi  scritti ed hanno posto in esatto rilievo la robusta e lucida ispirazione  scientifica e filosofica del loro autore che si fonda, naturalmente, sulla  tradizione del Timeo e del commento di Calcidio, ma mostra anche  una notevole conoscenza di altri filoni sp*culativi (ad esempio, la tra-  dizione ermetica) e una evidente familiarità con le nuove dottrine  scientifiche di origine araba. Come filosofo e scienziato anche Gu-  glielmo si sforza di perseguire l’accordo tra l’ispirazione platonica del  suo pensiero e il testo scritturale, e mira a rendere possibile una du-  plice coesistenza tra la rivelazione biblica e dottrine filosofiche e scien-  tifiche che gli. vengono da tradizioni assai lontane e diverse. Ma seb-  bene nella sua concezione dell’universo domini la figura del Dio cri-  stiano, la cui esistenza è proprio accertata dall’ordine e dalla perfetta  disposizione della natura, pure Guglielmo applica anche alla dottrina  della creazione, motivi dedotti sostanzialmente dal Timeo platoni-  co. Cosi mentr: afferma, da un lato, che l’atto creatore di Dio ha di-  rettamente prodotto la materia traendola dal nulla, le Idee, concepite  come causa formale dell’universo, rappr:sentano i modelli e gli arche-  tipi eterni sui quali sono plasmate le singole cose sensibili. L’“anima  del mondo,” che Guglielmo, nella PAslosophia, identifica anch’egli con  lo Spirito Santo, è quindi l’intermediario divino che traduce nella real-  tà l’ordine ideale, conducendo a perfezione l’opera mondana. Ma, a  diff:renza di Teodorico, Guglielmo non si limita solo a risolvere que-  sto tipico motivo platonico e stoico nella trattazione del dogma trini-  tario (ed anzi nel Dragmaticon questa identificazione è chiaramente  ripudiata); bensi la presenta come una forza infusa intrinsecamente alla  natura, o, per usare le sue stesse parole, come il principio vitale “che    dà l'essere alle piante, la vita alle erbe ed agli alberi, il sentire agli  animali e la ragione agli uomini.”   È vero che tale principio è anche “la divina disposizione degli  clementi”; ma il fatto che in Dio siano eternamente presenti l’ar-  chetipo della realtà e la precognizione di tutti gli eventi, non toglie  che nell’ordine mondano esista una disposizione o processo naturale  delle cose che se pur risponde all’eterno disegno divino, si svolge per  una intrinseca necessità razionale. Quest’ordine che coincide con l’opera  “industre” dell'anima del mondo ha anzi una struttura schiettamente  matematica. Ed è naturale che Guglielmo voglia spiegare la forma-  zione dell’universo ricorrendo a ipotesi matematiche e a procedimenti  meccanici e accettando, insieme alla teoria degli elementi primi, anche le  tesi atomistiche che erano state ripresentate in Occidente dalla tradu-  zione di Costantino africano e di Adelardo di Bath.   Questo atteggiamento si riflette anche sulla sua concezione della  natura che riprende e svolge motivi già parzialmente presenti anche  nel pensiero di Teodorico. Tra questi il più interessante è certo la  caratteristica distinzione tra il momento della creazio mundi e quello  del perfezionamento o exornazio della “fabbrica mondana” dovuto alle  tendenze intrinseche all’ordine naturale e ai principi immanenti alla  stessa natura. Perciò Guglielmo (i cui interessi scientifici sono testimo-  niati da una larga e significativa conoscenza delle principali opere e no-  zioni scientifiche note al suo tempo) dà particolare importanza alle arti  del “quadrivio” che indagano la struttura e i processi della natura e ne  rivelano i fondamenti matematici e la costituzione atomistica. Matema-  tica e geometria, astronomia e musica sono pertanto gli strumenti ne-  cessari “per le vere conoscenze della realtà» Ed è alle loro leggi che de-  ve ispirarsi anche la dottrina del filosofo e la sua indagine della “dispo-  sizione o ordine naturale delle cose.”   All’ambiente di Chartres, agli interessi ed alla cultura scientifica  di Guglielmo di Conches, può essere giustamente avvicinato anche il  singolare quadro della natura tracciato nel De imagine mundi da un  maestro della prima metà del XII secolo, Onorio di Autun, la cui per-  sonalità resta peraltro assai incerta ed enigmatica, ed al quale sono state  attribuite, con eccessiva liberalità, opere e dottrine troppo diverse e di-  scordi. Il De imagine — che non possiamo qui analizzare minutamente  — è certo un documento d’estremo interesse sulle cognizioni scientifi-  che del XII secolo; ma pit che le singole nozioni che costituiscono una  vera e propria enciclopedia della Natura (il De imagine tratta infatti del  cosmo fisico e della sua composizione elementare, delle terre poste al    L'XI e il XII secolo    centro del mondo, delle zone in cui esso si divide, della sua fauna e  flora, e quindi del cielo e degli astri, nonché della storia del mondo dal  tempo della creazione) l’attenzione dello studioso è attratta dall’evi-  dente familiarità di Onorio con un largo materiale attinto anche al di  fuori dei testi tradizionali di Beda e di Rabano, e, soprattutto, dal suo  largo interesse per la conoscenza della realtà naturale considerata nella  sua unità vivente e feconda. La scarsa originalità di Onorio e l’assenza  di una approfondita elaborazione filosofica non toglie che il De imagine  rappresenti, pur nella sua forma di enciclopedia volgarizzata, uno spec-  chio fedele di quella cultura in cui maturarono le opere dei maestri di  Chartres e la grande esperienza di Abelardo.   Comunque, anche la rapida analisi dei suoi principali maestri ba-  sta a mostrare che la scuola di Chartres fu un centro vitale di cultu-  ra, legato allo spirito umanistico, al gusto di un risorgente classicismo,  e alle controversie teologiche del tempo, ma profondamente interessa-  to a problemi filosofici e scientifici affrontati alla luce di un'ispirazione  plitonica che non ignorava però né la tecnica logica aristotelica né  i nuovi contributi: del sapere arabo. Scuola cattedrale, e come tale pre-  valentemente dedicata allo studio della teologia, essa fu però uno dei  più vivaci focolari di resistenza contro le polemiche di Bernardo di  Clairvaux e le correnti mistiche cistercensi che condannavano aspra-  mente lo sviluppo e l’incremento degli studi “liberali” e del sapere  naturale mondano. Né si deve dimenticare che furono proprio i mae-  stri di Chartres o uomini formatisi in quell’ambiente coloro che lot-  tarono contro le estreme degenerazioni della dialettica e il pericolo  che la grande ripresa degli studi del trivio e, in particolare, della dia-  lettica e delle retorica, si risolvesse in un vano giuoco di schermaglie  astratte o di eleganze formali.   Le pagine che lo stesso Guglielmo di Conches scrive contro l’inu-  tilità delle vane dispute o lo studio dell’eloquenza fine a se stessa, sono  tra le testimonianze più utili per chi vuole intendere il vero carattere  degli studi di Chartres. La sua polemica contro coloro che svuotando  il sapere di ogni contenuto spirituale lo riducono a un mero gioco ver-  bale, è infatti perfettamente situata nel quadro di una meditazione che  scorge tanto nella ricerca filosofico-scientifica che in quella teologica la  via diretta per elevarsi alla comprensione dei più alti misteri. Ecco per-  ché i filosofi di Chartres e il loro più geniale discepolo, Giovanni di  Salisbury, si opposero con irriducibile rigore ai sostenitori di un tipo  di cultura più elementare e pratica ridotta all’apprendimento delle so-  le cognizioni utili per le varie attività o professioni. Contro i “cornifi-    ciani” che cercavano il sapere e disprezzavano lo studio disinteressato  del “trivio” e del “quadrivio,” l’umanesimo chartriano difese ed esaltò  l'ideale di una formazione armoniosa e compiuta, ugualmente volta al.  mondo delle lettere ed alle ardite conoscenze dell’ordine naturale. Il suo  platonismo, in cui erano filtrati i motivi più fecondi della nuova espe-  rienza scientifica attinta alle fonti greco-arabe (rese note dalle versioni  contemporanee di Adelardo di Bath, e, quindi, di Gerardo da Cremo-  na, Ugo di Santalla, Platone di Tivoli, Ruggero di Hereford, ecc.) è la  espressione più compiuta del moto di rinnovamento che domina tutta    la cultura filosofica del XII secolo, preparando la grande fioritura della  riflessione duecentesca.    Capitolo quinto    Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro Abelardo    V. Caratteri e aspetti della logica abelurdiana    Il raffinato platonismo e il vivace spirito scientifico dell’ambiente  di Chartres, è però solo uno degli aspetti dominanti della rinascita fi-  losofica del XII secolo. Mentre a Chartres maturano le grandi cosmo-  gonie e le enciclopedie politiche, è infatti già in corso una profonda  trasformazione degli studi logici, destinata ad esercitare una vasta in-  fluenza nella storia della cultura filosofica medioevale. Già parlando  delle predilezioni intellettuali di Teodorico di Chartres, s'è visto qua-  le importanza aveva per lui l’insegnamento dialettico fondato sulle  opere di Boezio e sulla conoscenza quasi totale dell’Organon aristote-  lico. Ma le testimonianze contemporanee sono anche ricche di notizie  e di accenni polemici sugli sviluppi della scuola di Petit-Pont, nelle vi-  cinanze di Parigi, dove Adamo Parvipontano avrebbe stupito i suoi  scolari proponendo e discutendo delle quaestiones insolubiles, ossia  alcuni di quei problemi sofistici entrati da tempo nella pratica del-  l'insegnamento dialettico. La cavillosa ingenuità di molti dei problemi  riferiti da queste testimonianze, non deve però ingannarci, inducen-  doci a credere che gli studiosi medioevali non si rendessero conto della  loro futilità. Esercizi di scuola, adoperati dai maestri per affinare le  capacità dei loro allievi, simili discussioni valevano soprattutto a sti-  molare l’interesse per un tipo di analisi dialettica particolarmente utile  per gli studiosi di diritto e di teologia. E chi tien conto che l’insegna-  mento della dialettica era propedeutico a quello delle quattro arti  maggiori, non trova difficoltà a consid:rare anche questi esercizi come  una manifestazione del vivace interesse per la disciplina logica che sa-  rà presto un carattere peculiare della scuola parigina.   È appunto in questo ambiente, dove erano pen-trate anche le dot-  trine di Berengario e di Roscellino, che si formò la personalità più emi-  nente della prima metà del XII secolo, Pietro Abelardo. Nato a Pel-    let, vicino a Nantes nel 1079, egli si dedicò fin da giovanissimo allo  studio delle arti liberali e specialmente della dialettica di cui pare gli  fosse maestro lo stesso Roscellino. Piti tardi recatosi a Parigi, che era  il centro più vivace di studi dialettici, fu scolaro di un maestro come  Guglielmo di Champeaux (1070-1120) che godeva in quel momento  di larghissima fama. Ma neppure la dottrina di Guglielmo soddisfece  il giovane studioso, che iniziò fin da allora a combattere le dottrine  del maestro con estrema vivacità.   La ragione di tale polemica è, del resto, perfettamente chiara ed  evidente.Discepolo di Manegoldo di Lautenbach e poi di Anselmo di  Laon, amico di Bernardo di Clairvaux e fondatore della Abbazia di S.  Vittore, che sarà poi uno dei maggiori centri del pensiero mistico me-  dioevale, Guglielmo di Champeaux era un deciso sostenitore delle con-  cezioni agostiniane e platoniche. Cosf, a proposito del significato dei  concetti di genere e di specie, si atteneva alla soluzione realistica che ab-  biamo già visto affermata dallo Scoto Eriugena e da Anselmo da Aosta.  Secondo la testimonianza di Abelardo, egli avr-bbe infatti sostenuto “che  la medesima realtà è tutta presente essenzialmente nei singoli indivi-  dui, tra i quali non vi sarebbe alcuna diversità essenziale, ma bensi una  distinzione causata dalla molteplicità degli accidenti” Il che spiega  perché Guglielmo ritenesse che in tutti gli uomini numericamente di-  versi v'è sempre una identica sostanza umana, che si determina e si  concreta variamente ora in Socrate ed ora in Platone, secondo partico-  lari determinazioni accidentali.   Contro questa dottrina, che rispecchia fedelmente un atteggia-  mento metafisico platonicamente fondato sull’ordine gerarchico di es-  senze e categorie universali, Abelardo non tardò ad opporre argomen-  ti che gli venivano almeno in parte dall’esperienza nominalistica di  Roscellino. Convinto che la logica sia una pura ars sermocinalis, scien-  za e arte del discorso, totalmente distinta dalla metafisica o dalla teo-  logia, egli respinse recisamente il realismo delle essenze logiche, sotto  lincando che la stessa essenza, se sussistesse tutta nei singoli individui,  pur con forme e accidenti diversi, si troverebbe spesso a dover soste-  nere attributi e accidenti contraddittori. Inoltre, ammessa la realtà  delle essenze, le dieci categorie aristoteliche diverrebbero necessaria-  mente le dieci essenze reali più generali di tutte le cose; e ne segui-  rebbe che ogni categoria è essenza e che quindi tutte le sostanze sono,  in realtà, sostanza, tutte le qualità una sola qualità. Perciò, la sostanza  di Socrate sarebbe la stessa sostanza di Platone, e le qualità dell’uno  quelle dell’altro, ecc.; ma in tal modo la realtà individuale e distinta    di Platone e di Socrate sarebbero totalmente perdute perché i due in-  dividui sarebbero di fatto una sola unità indistinguibile.   Tali obiezioni — racconta Abelardo — avrebbero subito smantel-  lato la dottrina realistica di Guglielmo di Champeaux; e il maestro  parigino avrebbe ripiegato sulla tesi della “indifferenza” degli univer-  sali, sostenendo che la realtà dei generi e delle specie è identica nei  diversi individui, non quanto all’essenza ma bensi nell’*indifferenza,”  giacché, ad esempio, i singoli uomini, distinti di per sé gli uni dagli  altri, costituiscono pur sempre l’identica realtà umana e, quindi, non  differiscono nella loro comune natura. Abelardo criticò, però, con non  minore intransigenza, anche questa dottrina che non era sostanzial-  mente diversa da quella precedente, e dimostrò che se la sola indiffe-  renza positiva è quella che intercorre tra gli individui che possie-  dono una stessa natura, si ripresentano di nuovo le medesime difficoltà  già rilevate a proposito della concezione realistica.   Il successo riportato nella disputa con un maestro cosi famoso  non giovò ad Abelardo, che fu costretto dalle violente inimicizie dei  condiscepoli ad abbandonare Parigi e a rifugiarsi a Melun, dove  apri una sua scuola. Però ben presto si trasferi a Corbeil, più vicina  alla capitale, e di lîf a poco tornò nuovamente a Parigi per studiare  retorica, sempre alla scuola di Guglielmo. Non sembra però che i suoi  rapporti co] maestro migliorassero; anzi, proprio in questa occasione,  Guglielmo sarebbe stato costretto da Abelardo a riconoscere aperta-  mente la fondatezza e la superiorità delle sue critiche. Tuttavia Abe-  lardo, ormai padrone delle “arti sermocinali,” lasciò di nuovo la scuo-  la parigina per dedicarsi allo studio della teologia, sotto la guida di  Anselmo di Laon.   Polemico e innovatore come sempre, il filosofo bretone non restò  però a lungo neppure nella scuola di Laon; poco dopo, nel 1114, era  di nuovo a Parigi, ove tenne scuola di dialettica e di teologia, riscuo-  tendo un successo clamoroso. Studenti di ogni parte di Francia e di  Europa (e tra essi fu anche Arnaldo da Brescia, che nel 1155 sarebbe  stato arso in Roma, come capo di un movimento riformatore violen-  temente avverso al potere mondano della gerarchia ecclesiastica) accor-  sero a udire le sue lezioni, divulgarono la dottrina del Peripateticus  Palatinus in tutti gli ambienti colti del tempo; e intorno alla sua scuola  cominciò a costituirsi la futura università parigina, luogo di attrazione  per i teologi e i filosofi di tutta la Cristianità occidentale.   L'episodio del suo amore per Eloisa, donna eccezionalmente dotta  e partecipe degli stessi problemi teologici e morali, la vendetta del    canonico Fulberto, e la vergognosa mutilazione che costrinse Abelardo  ad abbandonare l’insegnamento parigino, sono episodi fin troppo noti  perché occorra ricordarli. Colpito nella sua dignità di clericus e di  maestro, Abelardo prese l’abito monastico e prese a vagare di mona-  stero in monastero, di abbazia in abbazia, portando dovunque la sua  umana inquietudine e la sua polemica filosofica, caldeggiando la for-  mazione di una comunità puramente speculativa dedicata al Paracleto.  La fortuna e l’efficacia del suo insegnamento non ne riusci però dimi-  nuita, se è vero che folle di studenti lo seguivano nei suoi spostamenti,  e che la sua fama continuava a diffondersi per tutta Europa. Del resto,  gli anni che vanno da quando abbandonò Parigi, e il 1142, quando  mori a Chalon-sur-Sagne, sono anni di grande operosità e di costante,  approfondita riflessione sui temi più ardui della logica, della metafi-  sica, della teologia e della morale. E pure in questo periodo si svolge  tra lui ed Eloisa quella mirabile relazione epistolare che è veramente  uno dei capolavori della letteratura mediocvale.   La lucidità e la spregiudicatezza di molte pagine dell’epistolario,  e soprattutto di quelle in cui Eloisa difende con estrema decisione la  nobiltà e la purezza della sua passione, hanno spesso indotto gli sto-  rici ad accentuare la “modernità” dell’atteggiamento morale dei due  celebri amanti. Ma non è certo un buon criterio storico giudicare tut-  ta la personalità e l’opera filosofica di Abelardo alla luce di questa ap-  passionata testimonianza umana, per tentare magari confronti arditi e  poco plausibili con la mentalità e il costume morale degli intellettuali  del Rinascimento. Anche il tono e il contenuto delle lettere di Abe-  lardo e di Eloisa sono infatti veramente comprensibili solo nell’ambito  di una vicenda che si svolse nell'ambiente scolastico della Parigi me-  dioevale, entro il chiuso mondo dei clercs, dominati dai propri pre-  giudizi etici e professionali, e tra due persone drammaticamente con-  sapevoli del conflitto tra la loro condizione e le idee e le norme pro-  prie della loro casta. D'altra parte non conviene all’intelligenza storica  dell’opera di Abelardo, presentarlo come un puro razionalista o, an-  cor peggio, come un precursore del “libero pensiero,” inteso a rove-  sciare il principio dell’“autorità” e ad instaurare contro il fideismo di  Bernardo di Clairvaux i sovrani diritti della ragione. Questa imma-  gine di Abzlardo, che pure piacque alla vecchia storiografia dell’età  romantica, è certo del tutto antistorica e deforma, fino a ridurli cari-  caturali, i veri caratteri del suo pensiero. Ma ciò non toglie che que-  sto filosofo cosi combattivo e polemico, questo dialettico rigoroso e  teologo spregiudicato, sia stato veramente l’interprete più originale    ed acuto della rinascita filosofica del XII secolo. Alieno dal costruire  un compiuto sistema cosmologico come quelli elaborati dai Maestri di  Chartres, egli fu infatti autore di opere di logica, di teologia e di mo-  rale che hanno avuto una influenza decisiva su molti aspetti della ri-  flessione del suo tempo, e che segnano un progresso decisivo nei con-  fronti delle concezioni filosofiche precedenti.   Già abbiamo visto, del resto, quale fosse stato il suo atteggia-  mento di fronte al realismo logico di Guglielmo di Champeaux; ma è  bene aggiungere che la sua polemica fu altreitanto rigorosa anche nei  riguardi di tutte le altre forme di realismo, iv comprese quelle che  identificavano l’universale con l’intera “collezione” degli individui cui  esso si riferisce. Per Abelardo l’universale è invece semplicem.nte un  dato del linguaggio, “un vocabolo trovato in modo che si possa pre-  dicare singolarmente di molti”; e quindi “il termine ‘uomo’ che usia-  mo tanto per indicare Socrate che Platone non differisce dal nome  proprio con cui indichiamo questo o quell'individuo se non perché è  atto a far da predicato di proposizioni che hanno per soggetto il nome  proprio di molti individui.” Una volta definito il significato “sermo-  cinale” del termine universale, Abelardo afferma poi rigorosamente  che i nomi universali non indicano affatto un’essenza o realtà comune  a vari individui, e che occorre quindi respingere l’idea che essi impli-  chino qualcosa di reale sia di per se stessi sia nella natura degli indi-  vidui. La conoscenza ha come punto di partenza l’individuale e il  sensibile, la cui caratteristica è data proprio dalla sua diversità e di-  stinzione nei confronti di ogni altra cosa individuale. Perciò il ter-  mine universale deve unicamente valere come un segno logico, neces-  sario per assolvere una particolare funzione nella costruzione dei di-  scorsi umani.   Dopo aver cosi definita la funzione del “termine” universale, Abe-  lardo cerca però di analizzarne anche le proprietà logiche. La consta-  tazione che i nomi universali non indicano delle essenze o entità co-  muni, potrebbe infatti indurre a concludere che essi non abbiano al-  cun riferimento effettivo con le cose e che non permettano di inten-  dere effettivamente nessuna realtà esistente e concreta. Ma Abelardo  è un logico troppo sottile per poter accettare semplicemente la dottrina  di Roscellino e ridurre cosî gli universali a puri e semplici flatus  vocis. Intanto, per prima cosa, egli osserva che sebb:ne i singoli indi-  vidui, ad esempio i vari uomini, differiscano tra loro in molti caratteri  ed attributi, hanno però qualcosa di comune e cioè il loro stazus e la  loro comune condizione di “essere uomini.” L'errore di chi attribuisce    142    Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro Abelardo    una realtà oggettiva agli universali indipendentemente dall’esistenza  individuale, consiste dunque nel confond.re un'ipotetica essenza del-  l'*uomo,” che non esiste, con l’“essere uomo” che è invece una condi-  zione reale particolare e concreta. Sicché, dire che questo o quell’in-  dividuo “convengono” nello status di uomo, cioè “nell’essere uomo,”  significa riconoscere che esiste una causa comune per cui s'impone ai  singoli individui il termine o nome universale di uomo. Questi stars  sono dunque “le cose stesse costituite in questa o quella natura”; e  dunque, per giungere alla formulazione del termine universale, ba-  sta raccogliere la somiglianza comune d.gli individui che sono effetti-  vamente nello stesso status e designarla con un nome.   Quale sia poi il contenuto che questi universali assumono nel no-  stro pensiero, è indicato chiaramente da Abelardo n:llo svolgimento  della sua teoria gnoseologica. All’origine dell’attività conoscitiva sta  infatti la percezione sensibile che ci permette di percepire questo o  quell’individuo particolare; ma l’intelletto è capace di formarsi una  immagine di ogni oggetto percepito che esiste ormai indipendente-  mente dall’oggetto stesso e persiste nella mente anche dopo la scom-  parsa dell’individuo che l’ha provocata. Queste immagini presenti nel-  la mente si distinguono però dalle immagini fittizie composte libera-  mente dalla fantasia senza alcun riferimento ad una realtà effettiva;  ma si distinguono altresi anche da quelle che si presentano all’intellet-  to quando pensiamo all’“uomo” o alla “torre” in generale. “L’intelli-  genza del nome universale”. scrive Abelardo in un testo particolar-  mente importante, “concepisce un'immagine comune e confusa di mol-  te cose, laddove l'intellezione prodotta dalla parola singolare com-  prende la forma di una sola cosa.” Il nome di Socrate o di Platone,  individui concreti e particolari, farà quindi sorg:re nella mente un’im-  magine che esprime la figura e la somiglianza di una determinata per-  sona; mentre invece il termine “uomo” potrà dar luogo soltanto ad  un’immagine scialba e relativamente ind:terminata, costituita soltanto  dai caratteri comuni degli individui da cui è tratta. L’universale è  dunque soltanto una parola che designa l’immagine confusa di una  collettività d’individui di natura simile, o, per usare le parole stesse di  Abelardo, che possiedono il medesimo status.   È chiaro che da queste premesse deriva subito un complesso di  conseguenze logiche e gnoseologiche di estrema importanza. Per pri-  ma cosa, le sole conoscenze chiare e connesse ad oggetti reali sono  quelle degli individui particolari, uniche realtà di cui si dia diretta  intellezione umana; mentre invece i termini universali ci permettono    semplicemente di acquistare un’opinione limitata sempre suscettibile  di mutamento. Tuttavia sarebbe erroneo credere che Abelardo non  riconosca il fondamento reale dell'immagine comune. Il fatto che,  considerando molti individui, la nostra mente fermi la sua attenzione  su ciò in cui convengono, sui loro aspetti simili o identici, è anzi per-  fettamente naturale; cosi com'è del tutto legittima la formazione del-  l'immagine comune, prodotta da un’attività dell’intelletto che separa  e distingue per via di riflessione ciò che è unito e coesiste ‘realmente  nell’identità inscindibile dell'individuo. A questa determinazione a-  stratta della forma o immagine comune, corrisponde poi naturalmente  una vox o termine che, di per se stesso, è cosa particolare del tutto  distinta dall’altra realtà che significa. Ma affinché questa significatio  sia legittima ed effettiva occorre che la vox venga strettamente con-  nessa all'immagine mentale e sia capace “per comune istituzione uma-  na” di farla subito sorgere nella mente di chi l’ascolta. Solo cosi  la vox può diventare un elemento del discorso umano, e può adem-  piere al suo compito logico che consiste soltanto nel rappresentare o  significare le diverse res.   Non credo occorra insistere più a lungo su di una dottrina di per  se stessa tanto chiara ed evidente. Ma prima di chiudere questa breve  trattazione della logica abelardiana, sarà utile ricordare che il “Pe-  ripatetico Palatino” può rispondere in modo profondamente nuovo  ed originale alle questioni poste da Porfirio. Cosî, alla domanda se i  generi e le specie designino cose realmente esistenti, o siano semplici  oggetti d’intellezione, egli risponde che essi esistono “nel solo intelletto  nudo e puro,” ma che però indicano sempre esseri reali che sono gli  stessi già afferrati dall’esperienza sensibile. Inoltre, questi “universali”  sono indubbiamente corporei in quanto sono delle voci pronunziate  con mezzi fisici; però la loro capacità di designare una pluralità d’indi-  vidui è invece incorporea. E se è vero che i generi e le specie sussistono  nella realtà sensibile in quanto designano forme e qualità proprie degli  individui, sono però al di là delle cose sensibili proprio perché le desi-  gnano per astrazione. Non solo; Abelardo afferma che questi termini  non potrebbero mai esistere senza gli oggetti da essi significati; il che  non toglie però che i loro significati possano sussistere anche se sono  legati semplicemente ad un'immagine mentale e non ad un oggetto  sensibile, come nel caso della proposizione “la rosa non esiste,” il cui  significato è pienamente legittimo.   Tali soluzioni, avanzate in una forma cosî rigorosa, rappresentano  indubbiamente una tappa fondamentale nella storia della logica e della    144    Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro Abelardo    riflessione filosofica medioevale. Da un lato, infatti, Abelardo tenta, per  primo, un’analisi dei problemi logici condotta in assoluta indipendenza  da ogni presupposto metafisico e teologico, come scienza autonoma dei  modi e delle forme del discorso umano. Ma, d’altra parte, la negazione di  ogni tipo di realismo logico e la polemica contro la persistente ispirazione  platonica dei suoi predecessori, lo pone già sulla via che sarà battuta dalle  tendenze più avanzate del pensiero scolastico, fino alla soluzione drastica  del nominalismo occamista. Tali posizioni sono ancora lontane dalle  intenzioni di Abelardo che, partecipe delle metafisiche platoniche del  suo tempo, non negava affatto la possibilità dell’esistenza nella mente  divina di eterne idee archetipe, modello e forma delle cose reali. Non-  dimeno, il valore preminente che egli attribuisce alla conoscenza del-  l’individuale, e la sua insistenza sulla funzione preliminare ed essenzia-  le dell’esperienza sensibile, sono altrettanti motivi di grande rilievo  storico, destinati a influire profondamente sulle dispute logiche e meta-    fisiche del XIII secolo.    2. La teologia di Abelardo    AI significato critico della dottrina logica di Abelardo corrisponde,  del resto, anche la novità e l’arditezza di talune tesi teologiche espo-  ste, oltre che nel Sic et Non, anche nel De wnitate et trinitate divina  (dopo il 1118), nella Theologia Christiana (dopo il 1123-24), nella Intro-  ductio in theologiam, nonché nel Dialogus inter Hebracum, Philoso-  phum et Christianum, composto intorno al 1141. Tra queste opere il Sic et  Non è certo particolarmente importante per il metodo con cui Abelardo  procede alla presentazione ed al vaglio delle auctoritates scritturali e pa-  tristiche, opponendo tra di loro quelle che appaiono contrastanti o con-  traddittorie. È vero — come è stato sottolineato anche recentemente —  che Abelardo non intende servirsi di questo metodo per scalzare il  principio dell’auctoritas, del cui valore egli è pienamente convinto. Ma,  sebbene dichiari spesso che il fondamento della verità e della salvezza  consiste nelle nude parole della Scrittura, e ribadisca che la dialettica  deve semplicemente servire all’intelligenza della Fede, è evidente che  Abelardo procede anche nella sua indagine teologica con il preciso  intento di chiarire le difficoltà e le aporie interne alle argomentazioni  tradizionali. D'altra parte, come dice egli stesso parlando del metodo  seguito nel De unitaze et trinitate divina, la spiegazione del teologo non  può procedere che per mezzo di analogie tratte dal ragionamento umano; e poiché questo procedimento analogico è usato da Abelardo an-  che per spiegare il rapporto trinitario delle persone divine, non mera-  viglia che, come i maestri di Chartres, egli si serva del motivo platoni-  co-stoico dell'anima mundi per illustrare analogicamente la terza per-  sona trinitaria. È vero che per Abelardo si tratta soltanto di un’ana-  logia incapace di spiegare fino in fondo la misteriosa verità d:1 dogma;  però egli non esita ad usare anche in altri casi dottrine filosofiche, so-  prattutto di origine platonica, per illuminare il contenuto della teolo-  gia cristiana, affermando implicitamente una continuità ed un accordo  sostanziale tra la riflessione classica e la dottrina cristiana.   Ecco perché Bernardo di Clairvaux, mistico cistercense ed intran-  sigente difensore del primato sovrarazionale della fede cristiana, fu  cosi avverso al Peripateticus Palatinus considerato come il più temibile  nemico della ortodossia teologica. In effetti, nella prospettiva teoriz-  zata da Abelardo, la teologia cristiana non solo è strettamente legata  alla ricerca della ragione, ma si può dire che la stessa rivelazione si  esprima anche nelle forme del ragionamento razionale, e che le verità  filosofiche degli antichi siano anticipazioni o premesse di una verità  più alta, ma non avversa alla ragione. Come Abelardo scrive nel Dia/o-  gus, il Cristianesimo è certamente la verità assoluta che accoglie e ri-  solve in sé tutte le altre verità parziali ed imperfette; però anche la di-  mostrazione dei suoi principi può procedere per via dimostrativo-ana-  litica; quindi il metodo razionale può essere applicato anche alla ricerca  teologica, senza temere di cadere per questo nell’empietà o nell’eresia.   La polemica di Bernardo e il severo giudizio del Concilio di Sens,  che nel 1141 condannò alcune sue proposizioni teologiche, non valsero  ad impedire che il metodo abelardiano influisse largamente anche sugli  sviluppi della riflessione teologica. Né stupisce che il suo tentativo di  elaborazione dialettica della “materia” teologica potesse contribuire in  maniera decisiva alla formazione di un vero metodo della scienza teolo-  gica, già chiaramente delineato nelle prime Summae o nel crescente suc-  cesso dei Libri sententiarum. Solo per restare nell’ambito della sua scuo-  la, opere come l’Epitome theologiae di Maestro Ermanno, le Sententiae  Parisienses, l'Ysagoge in Theologiam e le Sententiae di Rolando Bandi-  nelli (il futuro Alessandro III), sono eloquenti testimonianze del pro-  gresso compiuto nella prima metà del XII secolo dalla cultura scolastica  parigina.   Tra le dottrine di Abelardo condannate al concilio di Sens spiccano  anche talune tesi di morale definite nello Scito te ipsum. Avverso alle  concezioni ascetiche tradizionali che ponevano tra i peccati anche le    Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro Abelardo    inclinazioni più naturali dell’uomo, ostile ad una morale che defini-  sce rigidamente il ben: ed il male identificandoli con un certo modo  astratto di comportamento, Abelardo tende infatti a identificare il valore  dell’atto con l’abito interiore che lo accompagna. Cosi, egli distingue net-  tamente il “vizio dell'anima” dal “piccato”; e se il “vizio” che dipende  spesso dalla natura e dalla complessione fisica ci rende soltanto inclini ad  acconsentire all’illecito, il peccato consiste invece nel consenso volontario  al male, in una scelta lib:ra e consapevole. Certo, anche le inclinazio-  ni radicate profondamente nella natura particolare di ciascun individuo  possono spingere a desiderare ciò che è contrario alla legge divina; ma  tali inclinazioni, che non potrebbero mai esser: eliminate, non sono  di per sé male o peccato. Al contrario, Abelardo insiste sul fatto che  solo l'intenzione può costituire il vero contenuto del bene e del male,  indipendentemente dalla determinazione effettiva dell’azione. “L'in-  tenzione” — scrive infatti Ab:lardo in una pagina dello Scito te ipsum  di particolare rilevanza teorica  “è di per se stessa buona o cattiva; ma  l'azione è detta buona o cattiva non perché implichi in se stessa un  elemento di bontà o di malizia, ma perché deriva da un'intenzione  buona 0 cattiva.” La medesima azione può essere dunque positiva se  deriva da una buona intenzione, o cattiva se deriva da un’intenzione  malvagia; cosi Abelardo prende decisamente posizione contro le con-  cezioni etiche che fanno dipendere il valore morale dell’azione dalla  adesione astratta a uno schema costituito secondo una norma del tutto  estranea alla volontà.   Tale concezione  che è certo uno dei motivi più moderni e  originali del pensiero abelardiano — è poi spesso congiunta con una  insist-nie critica della considerazione meramente carismatica dei po-  teri sacerdotali, che egli vuole invece siano fondati sulla pratica at-  tiva ed esemplare delle virti. La successione apostolica vantata dai  sacerdoti e dai vescovi ha, per lui, significato e valore solo quando essa  si accompagni all’oss:rvanza dell’esempio religioso e morale degli  apostoli, e non quando si risolva semplicemente nella cerimonia del-  l'imposizione delle mani o nell’osservanza esteriore e farisaica delle  norme canoniche. Proprio pr questo sono cosi frequenti negli scritti  morali e teologici di Abelardo la denuncia della corruzione del clero,  la condanna dell’eccessiva potenza e ricchezza della gerarchia e la  ripulsa di un rigido, astratto legalismo morale © religioso che è del  tutto contrastante con il carattere della missione della Chiesa. Né  manca nella riflessione di Ab-lardo l’insistente richiamo a quei puri  valori di interiorità su cui dovrebbe fondarsi tutta la vita cristiana.    147    L'XI e il XII secolo    La vicinanza di alcuni dei suoi motivi polemici con le idee larga-  mente diffuse nei movimenti popolari di riforma o in talune sètte ere-  ticali, è stata quindi giustamente sottolineata dagli storici che hanno  posto in rilievo i rapporti tra Abelardo e Arnaldo da Brescia, teorico  del Comune popolare e avversario d:l potere pontificio. Ma più che  la ricerca di possibili filiazioni o influenze, interessa qui sottolineare  come sia sul piano teologico e morale, sia su quello logico e gnoseologi-  co, il pensiero di Abelardo è veramente l’espressione più matura di un  comune fermento critico che pervade tutti gli strati e gli ambienti del-  la società del suo tempo e che tende a corrodere i capisaldi d:Ila cultura  tradizionale. Altre posizioni logiche dell'età di Abelardo : Josselino di Soissons  e Adelardo di Bath    L’influenza di Abelardo fu veramente eccezionale. Dalla logica al-  la teologia, dalle discussioni puramente filosofiche alla casistica etica,  tutta la riflessione del suo tempo e dei decenni successivi reca il segno  della sua personalità e delle sue idee. Ma la superiorità teorica di molte  posizioni abelardiane, soprattutto nel campo della logica, non deve in-  durci a trascurare l’apporto degli altri logici contemporanei, ispirati a  concezioni e dottrine spesso diametralmente opposte. Già s'è detto di  Guglielmo di Champeaux e delle successive dottrine che egli avrebbe  avanzato discutendo il problema degli universali; ma dobbiamo qui  ugualmente ricordare Josselino di Soissons cui Giovanni di Salisbury  attribuisce nel Meealogicon una singolare dottrina che, pur rifiutando la  universalità agli individui considerati nella loro singolarità, la concedeva  però alla “condizione collettiva” della specie o del genere. Questa tesi,  che compare anche nel trattato anonimo De generibus et speciebus (già  attribuito dal Cousin ad Abelardo, ma che evidentemente non può es-  ser suo), deve aver avuto una discreta diffusione proprio per la sua ten-  denza a conciliare le opposte tesi dei “realisti” e dei “nominali.” Secon-  do la concezione di Josselino la specie si presenta infatti in ogni indivi-  duo come una sorta di materia comune la cui forma è costituita dalle  singole determinazioni particolari; e perciò nell’individuo Socrate coe-  siste l’“umanità” (materia comune) con la “socrateità” che ne è la forma,  e quindi Socrate possiede una sua umanità particolare distinta da quella  di Platone o di Aristotele. Il fatto che il termine “uomo” sia comune  ad un intero gruppo di individui non significa che l’umanità di So-    Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro Abelardo    crate o di Platone costituisca una realtà unica, identica e comune nei  vari individui. Al contrario, questo fondamento comune è profondamen-  te differenziato dai caratteri peculiari e dalla struttura propria di ogni  individuo.   Come si vede, la soluzione di Josselino può sembrare assai vicina  alla tesi abelardiana degli status; ma lo &tesso Abelardo ne sottolineò  nettamente la diversità quando obiettò che il “gruppo” è sempre po-  steriore agli individui che lo costituiscono, laddove invece la dottrina  della collectio sembra far precedere l’unità indifferenziata della “ma-  teria comune” dalla concreta esistenza dzi singoli.   La difesa della priorità dell'individuo anche nei confronti della  posizione moderata di Josselino ribadisce la radicale vocazione nomina-  listica della logica di Abelardo. Però il problema di rapporti tra r0-  men e res, tra la determinazione concettuale e la struttura reale de-  gli individui, doveva essere ulteriormente dibattuto nel trattato De  codem et de diverso di Adelardo di Bath. Questo maestro, formatosi  nell'ambiente teologico di Laon e di Tours, e quindi per molti anni  pellegrino in Italia, in Sicilia e nell’Asia Minore alla ricerca di testi  arabi e greci di cui fu uno dei primi traduttori, ha un posto di primo  piano nella storia della scienza medioevale. Nelle sue traduzioni dei  testi astronomici arabi e degli Elementa di Euclide e nelle sue Quae-  stiones naturales, ricche di temi della tradizione araba, egli si rivela  uno degli uomini più colti del suo tempo. Ma anche il De eodem et  de diverso mostra una mentalità dialettica rigorosa ed esatta, perfet-  tamente consapevole dei gravi problemi filosofici che si agitavano die-  tro le modeste apparenze del problema degli universali. Cosî egli ac-  cetta la definizione abelardiana degli universali come nomi delle cose  che contengono (rerum subiectorum nomina) e la dottrina aristotelica  che esclude ogni loro realtà al di fuori dell’esistenza individuale con-  creta. Però osserva “che i nomi del genere, della specie e dell’in-  dividuo vengono imposti alla stessa essenza sotto diversi rispetti? e  che se i filosofi, “quando vogliono parlare delle cose come si presen-  tano ai sensi le chiamarono individui,” definendole con il loro nome  proprio e particolare, tuttavia, quando le considerano “pid profonda-  mente,” le chiamano anche specie o generi, senza negare la loro real-  tà individuale, ma riferendosi a quei caratteri universali che vi sono  impliciti. Perciò i generi e le specie sono per Adelardo “le stesse cose  sensibili considerate in modo più acuto,” e queste sp:cie e generi nel-  la loro funzione di termini o modi universali vengono distinti per im-  maginazione dalla stessa realtà sensibile e considerati come forme astratte. Non v’è quindi da meravigliarsi se Adelardo, fedele a questa  dottrina, possa poi considerare sostanzialmente concordanti le dottrine  di Platone e di Aristotele, i quali hanno soltanto accentuato i due di-  versi aspetti del problema. E una dottrina non diversa viene pure attri-  buita al maestro parigino Gualtiero di Mortagne (t 1174), il quale, se-  condo la testimonianza di Giovanni di Salisbury, avrebbe insegnato che  Platone, secondo “status” diversi, è individuo, specie e genere subalterno  o supremo.   Certamente  e Adelardo insiste particolarmente su questo punto  — alwra è la conoscenza legata all’esperienza immediata e quasi co-  stretta dal “tumulto esteriore” dei sensi, ed altra la conoscenza intelli-  gibile estesa alle Cause supreme delle cose naturali e addirittura alla  previsione della realtà futura. Ma non per questo Adelardo respinge  quel sapere che la mente umana può raggiungere anche quando è  serrata nel “carcere” del corpo e si muove soltanto tra le forme sensi-  bili delle cose. Anche questo sapere, quando è capace di giungere agli  elementi permanenti, costitutivi della realtà, è valido e nec zo P z po    Bibliografia    . VanperPoL, Le droit de guerre d'après les théologiens et les canonistes    du moyen dge, Parigi, 1911.  Leiser, Name und Begriff der Synderesis in d. mittelalt. Scholastik,  “Philos. Jahrb.,” 1912.    . HocHstETTER, Die subjektiven Grundlagen der scholastischen Ethik, Ber-    lino, 1915.   JENKS, Law and politics in the Middle Ages, Londra, 1919.   M. Koenicer, Grundriss einer Geschichte der katholischen Kirchenrechts,  Colonia, 1919.   De WutF, Philosophy and civilisation in the middle ages, Princeton. 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I, Parigi, 1957.   IpeM, L'interdependence entre la science scholastique et les techniques uti-  litaires, XII, XIII et XIV siècles, Alengon, 1957.   A. C. CromBie, Augustine to Galileo. The History of Science. A. D. 450-  1650, Melbourne-Londra-Toronto, 1957.    514    Bibliografia    H. Ley, Studien z. Geschichte d. Materialismus im Mittelalter, Berlino, 1957.   J. Reap, Through Alchemy to Chemistry, New York, 1957.   Y. Simon, La science hébraique médiévale, in Histoire générale des Sciences,  vol. I, Parigi, 1957.   ]. Tufoporipìs, La science byzantine, in Histoire générale des Sciences,  vol. I, Parigi, 1957.   F. J. Carmony, The Arabic Corpus of Greek Astronomers and Mathema-  ticians, Bologna, 1958.   A. Maier, Zwischen Philosophie und Mechanik. Studien zur Naturphiloso-  phie der Spitscholastit, Roma, 1958.   ]. A. WrisHEIPL, The Development of physical Theory in the Middle Ages,  Londra-New York, 1959.   A. Marr, “Ergebnisse” der spitscholastischen Naturphilosophie, “Schol.,”  1460.   M. CLacett, The science of mechanics in the middle age, Madison, 1959.    515    Parte prima    Capitolo primo  Boezio    Opere: a) Opere scientifiche: De institutione arithmetica; De institutione  musica; uno scritto di astronomia perduto; uno scritto di geometria an-  ch'esso perduto.   b) Opere filosofiche: traduzione delle Categorie; Commento alle Cate-  gorie; traduzione del De interpretatione; primo Commento al De inter-  pretatione; secondo Commento al De interpretatione; traduzione degli  Analytici primi e secondi; traduzione dei Topici (non è certo, però, se  la traduzione che va oggi sotto il suo nome sia autentica); traduzione della  Isagoge di Porfirio; primo Commento all'Isagoge; secondo Commento alla  Isagoge; commento ai Topici di Cicerone; De syllogismo categorico; Intro-  ductio in syllogismos categoricos; De syllogismo hypotetico; De divisione;  De differeptiis topicis; Consolatio philosophiae. È discussa l’attribuzione  della versione degli Elenchi sofistici.   c) Opere teologiche: De Trinitate; Ad Iohannem diaconum utrum Pater  et Filius et Spiritus Sanctus de divinitate substantialiter praedicentur; Ad  cundem quomodo substantiae in co quod sint bonae sint, cum non sint  substantialia bona; Liber contra Eutychen et Nestorium. Non è invece auten-  tico il De fide catholica attribuito tradizionalmente a Boezio.    Edizioni: Le opere in P. L., 63-64, nel “Corpus” di Vienna 48 e 67.  I trattati teologici si vedano nell’ed. StewartT-RanD, Londra, 1918 (u.e. 1953),  la Consolatio nell’ed. BreLer, in “Corpus Christianorum” 94; del De inter-  pretatione cfr. l’ed. Meiser, Lipsia, 1877-1880. Delle traduzioni italiane della  Consolatio ricordiamo quelle del Moricca (Firenze, 1921, 1942) e del Cappa  (Milano, 1940). Gli Opuscola theologica sono stati tradotti dal RAPISARDA,  Catania, 1947; i Pensieri sulla musica (testo e trad.) dal Damermni, Firen-  ze, 1949.    Bibliografia: La bibl. generale in GEYER, pp. 669-670; De Barr, nn. 4393-  4443; De Wutr, I, pp. 127-128. V. inoltre tra le opere pit importanti e  recenti:   I. Brnez, Boèce et Porphyre, “Rev. Belge Philol. Hist.,” 1923.    516    Bibliografia    K. Bruprr, Die philosophischen Elemente in den Opuscula Sacra des  Boethius, Lipsia, 1928.   L. A. Cooper, A concordance of Boethius, Cambridge, 1928.   R. Bonnaup, L'éducation scientiphique de Boèce, “Spec.” 1929.   R. Carton, Le christianisme et l'augustinisme d e Boèce, “Revue Philos.,”  1930.   H. ]. BroscH, Der Seinbegriff bei Boethius, Innsbruck, 1931.   G. Capone Braca, La soluzione cristiana del problema del “summum  bonum,” in Philosophiae consolationis libri V di Boezio, “Arch. st.  filos.,” 1934.   A. Guzzo, L'Isagoge di Porfirio e i commenti di Boezio, in Concetto e  saggi di storia della filosofia, Firenze, 1940.   L. Atronsi, Problemi filosofici della “Consolatio” boeziana, “Riv. filos.  neosc.,” 1943.   F. SoLmsen, Boethius and the history of the Organon, “American Journ.   Philos.,” 1944.   Minio PaLueLLo, The sext of the Caiegoriae, the latin tradition, “Classi-   cal Quart.,” 1945.   ALronsi, L’umanesimo boeziano della “Consolatio,” “Solidalitas Erasmia-   pa,” 1950.   Diurr, The Propositional Logic of Boethius, Amsterdam, 1951.   V. Depeck-Hery, Boethius De consolatione philosophiae ‘by Jean de   Meun, “Med. Stud.,” 1952.   .Vann, The Wisdom of Boethius, Londra, 1952.   Rapisarpa, La crisi spirituale di Boezio, Catania, 1953.   REICHENVERGER, Untersuchungen zur liter. Stellung der “Consolatio phi-   losophiae,” Colonia, 1954.   PrLicersporFER, Zu Boethius “De interpretatione”” “Wiener Stud.,” 1953.   AcLronsi, Storia interiore e storia cosmica nella “Consolatio” boeziana,   “Convivium,” 1955.   KortLER, The vulgate tradition of the “Consolatio” in the 14*h century,   “Med. Stud.” 1955.   NéponceLLES, Le variations de Boèce sur la personne, “Rev. sc. relig.,”   1955.   . Scumipr, Gottheit und Trinitit. Nach dem Kommentar des Gilbert   Porreta zu Boethius, “De Trinitate” Basilea, 1956.   Rapisarna, Poetica e poesia di Boezio, “Orpheus,” 1956.   . ScHmIpT, Philosophisches und Medizinisches în der Consolatio des   Boethius, “Festschrift Bruno Snell,” Monaco, 1956.   S. SuLowski, Les sources du “De consolatione Philosophiae” de Boèce,   “Sophia,” 1956.   L. Mino PaLuetto, Les traductions et les commentaires aristotéliciens de  Boèce, “Studia patristica,” 1956.    mogsb s Z PU FO simo Pa LP Lr    517    Bibliografia    A. Viscarpi, Boezio e la conservazione e la trasmissione dell'eredità del  pensiero antico, in I Goti in Occidente, Spoleto, 1956, pp. 232-243.   J. SHiet, Boethius and Andronicus of Rhodes, “Vig. Christ.,” 1957.   E. GecenscHatz, Die Freiheit der Entscheidung in der Consolatio philoso-  phiae des Boethius, “Museum Helveticum,” 1958.   F. Von Lepet, Die antike Musik-theorie im Lichte des Boethius, Berlino,  1958.   J. SHiet, Boethius Commentaries on Aristotle, “Med. Renaiss. Stud.,” 1958.   G. F. Pacatto, Per un'edizione critica del “De hypotheticis syllogismis”  di Boezio, “Italia medioevale e umanistica,” 1958.   P. Hapor, Un fragment du commentaire perdu de Boèce sur les Catégories  d'Aristote dans le Codex bernensis 363, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,”  1959.    Cassiodoro  Opere: De anima; Institutiones.    Edizioni: Oltre l’ed. in P. L., 69-70 si vedano le Opera in “Corpus  Christianorum,” 97-98; le Institutiones nella fondamentale ed. R.A.B. My-  nors, Oxford, 1937.    Bibliografia: La bibl. generale in GeyER, pp. 671; De Brie, nn. 4383-4392;   De WuLr, I, p. 128.   Tra la produzione più importante e pit recente cfr.:   A. Van pe Vrver, Cassiodore et son ocuvre, “Spec.,” 1931.   H. TuÙiece, Cassiodor, seine Klostergriindung Vivarium und sein Nach-  wirken im Mittelalter, “Studien u. Mitt. z. Gesch. der Benedektineror-  dens,” Monaco, 1932.   E. K. Ranp, The new Cassiodorus, “Spec.” 1938.   A. Van pe Vrver, Les “Institutiones de Cassiodore et sa fondation à Viva-  rium, “Rev. Bénédict.,” 1941.   P. CourceLLE, Les lettres grecques en Occident, Parigi, 1943, pp. 313-388.   G. Barpyr, Cassiodor et la fin du mond ancien, “Année théol.,” 1945.   L. W. Jones, Cassiodorus senator, New York, 1946.   P. Lamma, Cultura e vita in Cassiodoro, “Studium,” 1947.   A. MomicLiano, Cassiodorus and Italian culture of his time, Oxford, 1958.    Isidoro di Siviglia  Opere: Etymologiae; De natura rerum; De ordine creaturarum; Diffe-  rentiarum libri duo.    Edizioni: in P. L., 81-84; le Etymologiae, a cura di W. M. Linpsar, Ox-  ford, 1911.    Bibliografia: La bibl. generale in GevER, pp. 671-72; De Brie, nn. 4493-  4518; De WutrFr, I, p. 129.    518    Bibliografia    In particolare cfr.:   B. ALraner, Der Stand der Isidorforschung, Roma, 1936.   J. Pérez pe UrBet, S. Isidor de Sevilla, Barcellona, 1940.   J. Mavoz, Contrastes y discrepancias entre el “Liber de variis quaestionibus”  y S. Isidor, “Est. eccl.,” 1950.   S. Montero Diaz, Etimologias de S. Isidor de Sevilla, Madrid, 1951 (vers.  spagnola con intr.).   J. Fontaine, Isidore de Séville et la culture classique dans l'Espagne wisi-  gothique, Parigi, 1959.   Pu. DeLHavye, Les idées morales de st. Isidore de Séville, “Rech. théol. anc.  méd.,” 1959.   F. EtLias pe TEJADA, Ideas politicas y juridicas de S. Isidoro de Sevilla,  Madrid, 1960.    Gregorio Magno    Opere: Homiliae in Evangelium; Homiliae in Ezechielem; Liber regulae  pastoralis; Moralia o Expositio in Job; Dialogorum libri IV; Epistolae.    Edizioni: in P. L., 75-79. Dei Dialoghi cfr. l’ed. crit. di U. Moricca, Roma,   1924.  Bibliografia: Tra le opere pi recenti e interessanti cfr.:   G. LiesLanc, Grundfragen der mystischen Theologie nach Gregors des Gros-  sen “Moralia und Ezechielhomilien,”” Friburgo i. B., 1934.   L. Weser, Haupifragen der Moraliheologie Gregors des Grossen, Friburgo,  1947.   R. WassELYNcK, La part des “Moralia de Job” de St. Grégor le Grand, “Mé-  langes sc. relig.,” 1953.   R. ManseLLI, L'escatologia di S. Gregorio Magno, “Ric. stor. relig.,” 1954.    Capitolo secondo  Sulla civiltà carolingia    G. BrunHES, La foi chrétienne et la philosophie au temps de la Renaissance  carolingienne, Parigi, 1903.   A. DopscHn, Wirischafiliche und soziale Grundlagen der europàischen Kul-  tureniwicklung aus der Zeit von Caesar bis auf Karl den Grossen, Vien-  na, 1918-1920.   U. BerLIÈRE, L'ordre monastique des origines au XII° siècle, Parigi, 1921  (trad. it., Bari 1923).   E. PatzeLT, Die Karolingische Renaissance, Vienna, 1924.   F. Lor, La fin du monde antique et la début du moyen dge, Parigi, 1927.    319    Bibliografia    E. K. Ranp, Founders of de middle ages, Cambridge (Mass.), 1928.   P. E. ScHramm, Kaiser, Rom und Renovatio, Lipsia, 1929.   M. L. W. LaistnEr, Thought and letters in Western Europe, A, D, 500-900,  Londra, 1931, 1957. i   E. Gitson, Les idées et les lettres (Humanisme médiéval et Renaissance),  Parigi, 1932.   P. Pourrat, Les origines de la théologie scolastique. Les précurseurs du IX°  au XI° siècle, “Rev. apologétique,” 1932.   A. KLerncLausz, Charlemagne, Parigi, 1934.   H. Prrenne, Mahomet et Charlemagne, Bruxelles-Parigi, 1937 (tu. it., ua  1939).   R. Bonnaun, L'idée de paix è l'époque carolingienne, Parigi, 1939.   R. S. Lopez, Muhammad and Charlemagne: a revision, “Spec.,” 1943.   J. CALMETTE, Charlemagne, sa vie, son oeuvre, Parigi, 1945, 19512.   L. HaLpHEn, Charlemagne et l'Empire carolingien, Parigi, 1947.   M. Lomsaro, Mahomet et Charlemagne. Le problème économique, “An-  nales,” 1948.   C. DennET, Pirenne und Muhammad, “Spec.,” 1948.   E. SaLIn, La civilisation mérovingienne, Parigi, 1950.   A. Ficutenau, Das Karolingische Imperium. Soziale und geistige Proble-  matik eines Grossreiches, Zurigo, 1949, trad. it.   Inem, Karl der Grosse und das Kaisertum, in “Mitt. d. Inst. f. Oest.  Gesch. forschung.,” 1953.    Sul monachesimo occidentale e la sua diffusione e influenza culturale:  Benedictus, Regula, Introd., testo, apparati, trad. e comm., a cura di G  Penco, Firenze, 1958.   Pu. ScHumiTtz, Histoire de l'Ordre de St. Bénoit, Maresdous, 1942 sgg.   ]. Ryan, Irish monasticism, Dublino, 1931.   U. BerLiÈrE, L'Ordine monastico dalle origini al sec. XII, tr. it., Bari, 1928.  G. ScHurer, Kirche und Kultur in Mittelalt., Paderborn, 1927-1929.   H. HitpiscH, Gesch. des Benedektinischen Minchtums in ihren Grundzigen   dargestellt, Friburgo, 1929.   L. HimxecLer, Vom Mònchtum des hl. Benedikt. Gedanken iiber bene   dektinische Wesenart, Geschichte und Kultur, Basilea, 1947.   Cfr. inoltre il “Bulletin d’histoire benédéctine” nella “Revue bénédictine.”    Beda il Venerabile    Opere: Historia ecclesiastica gentis Anglorum; De natura rerum; De  temporibus; De temporum ratione; Quaestiones super Genesim.    Edizioni: Le opere si vedano in P. L. 90-95, e in corso di pubbli  cazione in “Corpus Christianorum,” Turnholt, Parigi, 1955; l'Opera historica  nell’ed. L. E. Kinc, Londra, 1931; l'Opera de temporibus nell'ed. C.    520    Bibliografia    W. Jones, Cambridge (Mass.), 1943 e l’Expositio actuum apostolorum nel-  l’ed. M. L. W. LarstwEr, Cambridge (Mass.), 1935.  Bibliografia: La bibl. generale in GEyER, p. 672; De Brie, nn. 4532-4550;  De Wutr, I, p. 129. Tra le opere piti importanti e pi recenti si veda:  A. Hamirton THompson, Beda. His life, times and writings, Oxford, 1935.  H. M. Gite, St. Beda the Venerable, Londra, 1935.  B. CapeLL8 - M. IncuAnez - B. Tuum, St. Beda Venerable, “Studia Anselmia-  na,” .1936.  T. A. Carrot, The Ven. Beda; his spiritual Teachings, Washington, 1946.  C. H. Beeson, The manuscripts of Beda, “Classical Philol.” 1947.  J. Beumer, Das Kirchenbild in den Schriftkomment Bedas, “Schol.,” 1953.    Alcuino    Opere: Grammatica; De orthographia; Dialectica; Dialogus de rhetorica  et de virtutibus; De fide sanctae et individuae Trinitatis; De animae  ratione; De virtutibus et vitiis; Epistolae.    Edizioni: Le opere in P. L., 100-101. L’ed. crit. delle Epistolae in Episto-  lae Karolini aevi (M. G. H., II, pp. 18-481). Cfr. inoltre i Monumenta Alcui-  niana, Berlino, 1873.    Bibliografia: La bibl. generale in GryER, p. 691; De Base, nn. 5105-5109;  De Wutr, I, p. 129.    Tra gli studi pifi importanti e recenti cfr.:   P. MonceLLE, Alcuin, in DHGE, II   M. Rocer, L’enseignement des lettres classiques d'Ausone è Alcuin, Parigi,  1905.   E. M. WiLmont-Buxton, Alcuin, Londra, 1922.   S. H. Wicsur, The Retoric of Alcuin, Princeton, 1941.   P. Hapor, Marius Victorinus et Alcuin, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.,” 1954.   G. ELLarp, Master Alcuin Liturgist, New York, 1956.   L. WattacH, Alcuin and Charlemagne. Studies in Carolingian History of  Literature, Itaca - New York, 1959.    Fredegiso di Tours  Opere: De nihilo et de tenebris.  Edizioni: P.L., 105, 751-756.    Bibliografia: La bibl. generale in GevER, p. 691-692; DE Wutr, I, 158.  Tra gli studi più importanti e recenti cfr.:  M. Auner, F. von Tours, Lipsia, 1878 (con ed. crit. del De nihilo);  J. A. Enpres, Forschung z. Gesch. der friihmittclalt. Philos., Miinster i. W.,.  Germonar, I problemi del nulla e delle tenebre in Fredegiso di Tours, in  Saggi di filosofia neorazionalistica, Torino, 1953, pp. 101-111.    Agobardo    Opere: Le numerose opere teologiche, che non occorre qui enumerare  particolarmente in P.L., 104.    Bibliografia: Oltre alle opere indicate in GevER, pp. 691-692; cfr. par-  ticolarmente:  J. B. Martin, s.v. in DTHC, I, 613-615.  M. Bresson, s.v. in DHGE, I, 958-1001.    Rabano Mauro    Opere: De institutione clericorum; De rerum naturis; De computo; Gram-  matica.    Edizioni: in P.L., 107-112.    Bibliografia: La bibl. generale in GevER, p. 692; De Brie, n. 5110; De  Wutr, I, p. 129. In particolare cfr.:  J. ScHumipt, Rebanus Maurus, cin Zeit-und Lebensbild, “Der Katholik,” 1906.  J. B. HasitzeL, Rabanus Maurus und Claudius von Turin, “Hist. Jahrb.,”  1906, 1917.  B. BLumenKranz, Raban Maur et St. Augustin, “Rev. m. à. lat.,” 1951.    ‘Candido di Fulda   Opere: Il pensiero di Candido è espresso nei Dicta Candidi (ed. Hau-  réau, Parigi, 1872).   Bibliografia: Cfr. Gever, p. 692; DE Wutr, I, p. 129.    In particolare vedi:    F. Zimmermann, Candidus. Ein Beitrag zur Geschichte der Friihscholastik,  “Div. Th.” (F.), 1929.  A. KLeIncLausz, Eginhard, Parigi, 1942, pp. 165-168.    .Servato Lupo di Ferrières    Opere: Epistolae; Liber de tribus quaestionibus; Collectaneum.    Edizioni: Le opere nell’ed. BaLuze, Parigi, 1664 e 1710; in P.L., 119.  Per le Epistolae cfr. l’ed. L. LeviLLann, Parigi, 1927.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 692-693; De Brie, n. 5135; DE WuLF,  ‘p. 129.    522    Bibliografia    In particolare cfr.:   Sprotte, Biographie de Servatus Lupus, 1880.   U. BerLièrEe, Un bibliophile du IX siècle, Loup de Ferrières, Mons, 1912.  E. Amann, in DThC, IX, 963-967.    Pascasio Radberto    Opere: Tra le numerose opere teologiche, che qui non enumeriamo, ri-  cordiamo soprattutto il Liber de corpore et sanguine Christi (831).    Edizioni: le opere in P.L., 120.  Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 693; De Brie, n. 5136.    In particolare:   J. Ernst, Die Lehre des hl. Paschasius Radbertus von der Eucharistie, 1897.   J. Jacquin, Le De corpore et sanguine de Pascase Radbert, “Rev. sc. philos.  théol.,” 1914.   H. PeLtier, Pascase Radbert abbé de Corbie, Amiens, 1932.   IpeM, s.v., in DThC, XIII, 1628-1639.   C. GLiozzo, La dottrina della conversione eucaristica in Pascasio Radberto  e Ratramno, monaci di Corbia, Palermo, 1945.   H. WerisweiLEr, Paschasius Radbertus als Vermittler des Gedankengutes der  karolingischen Renaissance in der Matthiuskommentaren des Kreises  um Anselm von Laon, “Schol.,” 1960.    Ratramno di Corbie    Opere: Le numerose opere teologiche in P.L., 121; il De corpore et  sanguine domini nell’ed. crit. di J. BAKHUIZEN van DEN BrinK, Amsterdam,  1954.    Bibliografia: Cfr. GeyERr, p. 693; DE Wutr, I, pp. 165-166.    In particolare cfr.:   A. NaEcLe, Ratramnus und die hl. Eucharistie, 1903.   M. ManitIUs, Gesch. d. latein. Lit. des Mittelalters, I, Monaco, 1923, pp.  412-17.   A. Wiumart, L'opuscule inédit de Ratramne sur la nature de l'ime, “Rev.  bénédict.,” 1931.   C. GLiozzo, La dottrina della convers. eucarist. in Pasc. Radberto e R. mo-  naci di Corbia, Palermo, 1945.   J. De GHÙeLLINcK, Le mouvement théolog. au XII° s., Bruges, 1948?, p.  27 e passim.  Cfr. inoltre: J. JoLiver, Godescale d'Orbais et la Trinité. La méthode   de la théologie a l'époque carolingienne, Paris, 1958.    933    Bibliografia    Capitolo terzo  Il “Corpus” dello Pseudo-Dionigi. Massimo il Confessore    Edizioni: Per le edd. del Corpus cfr. P.G., 3-4. La raccolta delle tradu-  zioni latine dei testi dionisiani e la fonte delle citazioni in PH. CHEVALLIER,  Dionysiaca, Parigi, 1937-1950; e l’ed. crit. del De coelesti hierarchia, a cura  di R. Roques e G. Hait, con trad. fr. di M. De Ganpittac nelle “Sources  chrétiennes,” n. 58, Parigi, 1958. Si veda inoltre la trad. delle Oeuvres com-  plètes du Pseudo-Denys l'Aréopagite, a cura del De Ganpittac, Parigi, 1943.   Per le traduzioni italiane cfr. Le gerarchie celesti, Firenze, 1921; e, a cura  del Turotta, le Opere, Padova, 1956.    Bibliografia: Sulla vasta letteratura sul Corpus ci limitiamo, in questa  sede, ad indicare oltre gli scritti di J. Stic.marr (Feldkirch, 1895; “Hist.  Jahrbuch. d. Gérregesellschaft,” 1895; “Zeitsch. f. die kathol. Theologie,”  1899; “Schol.,” 1927, 1928) e alle indicazioni generali in GevER, pp. 667-  668; De Brie, nn. 4455-4481; De Wutr, I, p. 112, i seguenti studi:   G. Tufry, Scot Erigène traducteur de Denis, “Arch. latin. Med. Aev.,” 1931.   E. StePHANOU, Les derniers essais d’identification du pseudo-Denys, “Echos  d’Orient,” 1932.   G. Tufry, Études dionysiennes, Parigi, 1932, 1937.   M. BucHner, Die Areopagitica des Abtes Hilduin von St. Denys und ihr  Kirchenpolitischer Hintergrund, “Hist. Jahrb.,” 1938.   V. Lossky, La théologie négative dans la doctrine de Denis l’Aréopagite,  “Rev. sc. philos. théol.,” 1939.   E. Von IvAnka, Der Aufbau der Schrift “De divinis nominibus” des Pseudo-  Dionysius, “Schol.,” 1940.   G. DeLLa VoLpe, La dottrina dell’Arcopagita e i suoi presupposti neoplato-  nici, Roma, 1941 (e cfr. La mistica da Plotino a S. Agostino, Messina  1951). È   R. Roques, La notion de Hiérarchie selon le Ps--Denis, “Arch. Hist. doctr.  litt. m. A.,” 1950-1951.   H. F. Donpaine, Le Corpus dionysien de l'Université de Paris au XIII siè-  cle, Roma, 1953.   R. Roques, L'univers dionysien, Parigi, 1954.   E. Turotta, Introduzione a una lettura dello Ps. Dionigi, “Sophia,” 1956.   E. Von IvAnxka, Ps. Dionisius und Julian, “Wiener Stud.,” 1957.   R. Roques, Symbolisme et théologie négative chez le Ps. Dion., “Bull. Ass.  Budé.” Parigi, 1957.   W. VoeLxer, Kontemplation und Ekstase bei Ps. Dion., Wiesbaden, 1958.   P. Scazzoso, Note sulla tradizione manoscritta della “Theologia mystica”  dello Pseudo Dionigi, “Aevum,” 1958.   J. VANNESTE, Le mystère de Dieu. Essai sur la structure rationelle de la  doctrine mystique du Pseudo-Dénys l'Aréopagite, Parigi, 1959.    524    Bibliografia    E. Corsini, La questione arcopagitica. Conwibuto alla cronologia dello   Pseudo-Dionigi, “Atti Acc. Sc. Torino,” 1959.   E. Von IvAnka, Das “Corpus arcopagiticum” bei Gerhard von Csanad,   “Traditio,” 1959.   L. H. Gronpiys, Sur l2 terminologie dyonisienne, “Bull. Ass. G. Budé,” 1959.  Ipem, La terminologie metalogique dans la théol. dynisienne, in L'homme   et son destin, cit., pp. 335-346.   Per gli scritti di Massimo cfr. P.G., 90-91. Trad. it. La Mistagogia e  altri scritti a cura di R. CanrareLLA, Firenze, 1931; 12 libro ascetico, a cura  di M. Dat Pra, Milano, 1944.   Per gli studi cfr.:   J. DeaesEKE, Maximus Confessor und Johannes Scotus Erigena “Theol. Stud.   u. Kritiken,” 1911.   U. Von BaLtHasar, Kosmische Liturgie d. Max der Bekenner, Friburgo,   1941.   P. ScHerwooD, The carlier Ambigua of Maxim the Conf. and his refutation   of origenism, Roma, 1955.   G. MarHiev, Travaux préparatoires è une édition critique des oeuvres de   S. Maxime le Conf., Lovanio, 1957.   E. Von IvAnka, Der philosophische Ertrag der Auscinandersetzung Maximos  des Bekenners mit dem Origenismus, “Jahrb. oester. byzant Gesell.,”   1958.    Scoto Eriugena    Opere: De praedestinatione; Versio operum S. Dionyssi Arcopagitac;  Versio Ambiguorum S. Maximi; De divisione naturae; Expositiones super  Jerarchiam coelestem S. Dionysi; Commentarius in S. Evangelium secun-  dum Johannem; Homilia in prologum S. Evangelii secundum Johannem;  Carmina; Commentarius ad opuscola sacra Boethii; Annotationes in Marcia-  num.    Edizioni: in P.L., 122; per il De divisione naturae l’ed. C. B. Scunùrer,  Miinster, 1938; per il Commentarius ad opuscola Boethii l'ed. E. K. Ranp,  Monaco, 1906; gli Autographa a cura di E. K. Ranp, Monaco, 1912, e “Univ.  Calif. closs. philol.,” 1920; per le Annotationes in Marcianum cfr. C. E.  Lutz, Johannis Scottii Adnotationes in Marcianum, Cambridge (Mass.), 1939.    Bibliografia: La bibl. generale in GEvER, pp. 693-694; De Brie, nn. 5115-   5128; De Wutr, I, pp. 144-145. In particolare cfr.:   A. Scuneiper, Die Erkenntnislehre des Joh. Eriug. im Rahmen ihrer me-  taphysischen und anthropologischen Voraussetzungen nach den Quellen  dargestellt, Berlino, 1921-23.   H. Bert, Johannes Scot Er. A study in Medieval Philosophy, Cambridge,  1925.    525    Bibliografia    H. Doerries, Zur Geschichte der Mystik Eriugena und der Neuplatonismus,  Tubinga, 1925.  M. TecHert, Le plotinisme dans le systòme de Jean Scot Erigène, “Rev.  néosc. philos.,” 1927.  G. Tutrv, Scot Erigène, traducteur de Denys, “Arch. latin. Med. Aev.,” 1931;  e cfr. “N. Schol.,” 1933.  P. KLETTER, Johannes Eriugena. Eine Untersuchung iiber die Entstehung d.  mittelalterlichen Geistigkeit, Lipsia, 1931.  W. Seut, Die Gotteserkenntnis bei Joh. Skot. Er., Bonn, 1932.  M. Cappuyns, Jean Scot Érigène, sa vie, son oeuvre, sa pensée, Parigi - Lo-  vanio, 1933 (con ampia bibliografia).  F. MittosevicH, Giovanni Scoto Eriugena e il significato del suo pensiero,  “Sophia,” 1938, 1939.  E. Von ErxHarpT- SieBoLD, Cosmology in the Annotationes in Marcianum,  Baltimora, 1940.  Ipem, The Astronomy of John Scot Er., Baltimora, 1940.  M. Dac Pra, Scoto Eriugena e il neoplatonismo medioevale, Milano, 1941.  (nuova ed. rifatta, 1951).  G. BonarepE, Saggi sul pensiero di Scoto Eriugena, Palermo, 1950.  H. F. Donpame, Un inédit de Scot Érigène, “Rev. sc. philos. théol.,” 1950.  Inem, Les “Expositiones super Hierarchiam caelestem” de Jean Scot Ér.,  “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1951.  H. Silvestre, Le Commentaire inédit de Scot Ér. au mètre IX du livre III  de la “Consolatio philosophiae” de Boèce, “Rev. hist. ecclés.,” 1952.  G. MatHon, L'utilisation des textes de st. Augustin par ]. Scot Érigène dans  son De Predestinatione, in Augustin Magister (Atti del Congresso int.  agostiniano), ‘Parigi, 1955, pp. 419-428.  . Gross, Ur-und Erbsiinde in der “Physiologie” des Joh. Scotus Eriug.,  “Zeitschr. f. Kirchengesch.,” 1955.  . ScHEFrrezyK, Die Grundziige des Trinitàtslehre des ]. Scotus Er., “Misc.  Schmaus,” 1957.  . MAZZARELLA, Il pensiero di Giovanni Scoto Eriugena, Padova, 1957.  . Grecory, Sulla metafisica di Giovanni Scoto Eriugena, “Giorn. crit.  filos. ital.,” 1958.  G. MatHon, /. Scot Érigène, Calcidius et le problòme de l’îme universelle,  in L'homme et son destin, cit., pp. 361-375.  M.-D. CÙenu, Érigène a Clteaux. Experience intéricure et spiritualité objecti-  ve, in La philosophie et ses problèmes (MEI. Jolivet), Parigi, 1960.  T. Grecory, Mediazione e incarnazione nella filosofia dell'Eriugena, “Gior.  crit. filos. ital.,” 1960.    Inoltre: F. VerneT, in DThC, V, Smaragde    Su Smaragde e i primi grammatici medioevali cfr.: Ch. THurot, Noti-  ces et extraits de divers manuscripts latins pour servir è l'histoire des doctri-  nes grammaticales au moyen dge, Parigi, 1868.    Eirico di Auxerre    Opere: Commenti al De Interpretatione, alle Categoriae, all’ Isagoge,  e a testi boeziani. Ma è dubbio se questi Comment: gli si possano attribuire.    Bibliografia: Gever, pp. 694-695.    Remigio di Auxerre    Opere: Commenti all’Ars minor di Donato, agli Opuscola sacra di Boezio  e al De Consolatione philosophiae, a Prisciano e a Marciano Capella (e cfr.  M. Manitius, Gesch. d. lat. Lit. d. Mittalt., I, pp. 504-519).    Edizioni: in P.L., 131; In artem Donati, ed. W. Fox, Lipsia, 1902, in  Seduli opera (ed. ]. Huemer, Corpus Vienn., X, 1885), pp. 316-359; J. Bur-  nAM, Commentaire anonyme sur Prudence d'après le ms. 413 de Valencien-  nes, Parigi, 1910.    Bibliografia: La bibl. generale in GevERr, pp. 695; DE Wutr, I, pp. 158-  159. In particolare cfr.:  H. F. Stewart, A Commentary by Remigius Antissioderensis on the De  Consolatione philosophiae of Boethius, “Journal of Theol. Studies,” 1916.  M. Cappuyns, Le plus anciens commentaire des “Opuscula sacra” et son  origine, “Rech. théol. anc. méd.,” 1931.  C. E. Lutz, The Commentary of Remigius of Auxerre on Martianus Capella,  “Med. Stud.,” 1957.    Raterio di Verona    Opere: Tra le numerose opere, interessano particolarmente oltre alle  Epistolae i Praeloquiorum libri VI.    Edizioni: in P.L., 136 e le Epistolae nell’ed. F. WercLe M.G.H., Wei-  mar, 1949.  Bibliografia:  E. Amann, in DThC, XIII, 1679-1688.  G. MontICELLI, Reterio, vescovo di Verona, Milano, 1938.  F. WeicLE, Zur Geschichte des Bischofs Ratero von Verona, “Deutsch.  Arch.,” 1942.  G. Tampieri, I! doveri morali di ciascuno stato di vita secondo i “Praeloquia”  di Raterio da Verona, Bagnacavallo, 1943.    527    Bibliografia    Gerberto d’Aurillac (Silvestro II papa)  Opere: De rationali et ratione; Geometria; Liber de astrolabio.    Edizioni: in P.L., 139; a cura di A. OLLERIS, Clermont-Ferrand - Parigi,  1867; Epistolae a cura di J. Haver, Parigi, 1889; Opera Mathematica, a  cura di N. Busnov, Berlino, 1899.    Bibliografia: F. Picaver, Gerbert ou le pape philosophe, Parigi, 1897.  H. Brémonp, Gerbdert, Parigi, 1906.  F. DeLzancLES, Gerbert, Aurillac, 1932.  J. LEFLON, Gerbert, Parigi, 1946.    528    Parte seconda    Capitolo primo  Sui caratteri generali dell'età ottoniana    P. E. ScHramm, Kaiser, Rom und Renovatio, “Stud. Bibl. Warburg,” 1929.   A. CarteLLIERI, Die Westellung des deutsche Reiches, 911-1047, Monaco  Berlino, 1932.   R. Forz, Le souvenir et la légende de Charlemagne dans l'Empire germa-  nique médiéval, Parigi, 1951.  Su Cluny e la sua riforma:   L. M. SmitH, The early history of Cluny, Oxford, 1920.   J. Spor, Grundformen hochmittelalt. Geschichtanschauung, Monaco, 1935.   A. Brackmann, Die politische Wirkung der cluniazensischen Bewegung,  “Hist. Zeitschr.,” 1929.   P. Borssosape, Cluny et la papauté et la I grande Croisade internationale  contre les Sarrazins d’Espagne, “Rev. quest. hist.,” 1932.   G. De VaLons, Le monachisme cluniasien des origines au XV siècle (Archive  de la France monastique), Liguegé, 1935.   K. Harincer, Gorze-Cluny, Studien zu den monastischen Lebensformen  und Gegensitzen im Hochmittelalt., Roma, 1948.   A. Chagny, Cluny et son empire, Parigi, 19494.   J. LecLERCO, Les études universitaires dans l'ordre de Cluny, Saint-Waudrille,  1947.   Spiritualità cluniacense (Convegni del centro di studi sulla spiritualità me-  dioevale, II), Todi, 1960.    Costantino Africano    Opere: il Wiistenfeld gli attribuisce le seguenti traduzioni: Liber com-  pletus artis medicinae qui dicitur regalis dispositio o Pantegni, di Ali Ibn  ‘Abbas; Viazicum, di Abù ba ‘far Ahmad Ibn al-Gazzar; Liber divisionum  e Liber experimentorum dell’arabo ar-Rari; Liber dietarum universalium es  particuliarium, Liber urinarum, Liber febrium, Liber de gradibus, di Ishiq  al-Isra'ili. Tradusse inoltre opere di Ippocrate e di Galeno.    529    Bibliografia    Bibliografia: cfr. Gever, pp. 703-704. In particolare v.:   M. SreEInscHNEMDER, C. A. und seine arabischen Quellen, “Archiv. f. pathol.  Anatomie u. Phisiol.,” 37 (1866), pp. 351-410.   F. M. WisrenreLD, Die Ubersetzungen arabischer Werke ins Lateinische  seit dem II Jahrh., in Abhand!, d. K. Gesellsch. d. Wiss. 2. Gòttingen,  22 (1877), pp. 10-20.   M. CLervaL, Les écoles de Chartres au moyen dge du V° au XVI? siècle,  Parigi, 1895.   L. THornpIiKE, A history of magic and experimental science, cit., I, pp.  742-759.    Alfano di Salerno e l'ambiente salernitano    Opere: Vita et passio s. Christinae; Sermone; De unione Verbi Dei et  hominis (smarrito); Vita di s. Sabina (si ritiene perduto.); traduzione del  trattato di Nemesio: Sulla natura dell'uomo; Prologus alla suddetta tra-  duzione; Tractatus de pulsibus; De quattuor humoribus corporis humani  (framm.).    Bibliografia:   in particolare v.:   M. ScHIPA, Alfano 1., arciv. di Salerno, Salerno, 1880.   Inem, Storia del Principato longobardo di Salerno, “Arch. Stor. per le  provincie napoletane,” 12 (1887), passim.   U. Ronca, Cultura medievale e Poesia Latina in Italia nei sec. XI e XII, II,  Roma, 1892, pp. 14-20.   A. AmetLI, La basilica di Montecassino e la Lateranense nel sec. XI, “Misc.  Cassinese,” I (1897), pp. 16-20.   G. FaLco, Un Vescovo poeta ‘nel sec. XI, Alfano di Salerno, “Arch.  Soc. Romana di Storia Patria,” 35 (1912), pp. 439-82.   B. ALsers, Verse des Erzbischofs Alfanus von Salerno fiir Monte Cassino,  “N. Arch.,” 39 (1913), pp. 667-669.   M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, II, cit.,  pp. 618-37.   P. O. KrisreLLer, The school of Salerno, “Bull. Hist. of Med.,” 1945.   Inem, Nuove fonti per la medicina salernitana, “Rass. stor. salernitana,” 1957.    Pier Damiani    Opere: Gratissimus; Gomorrhianus; Disceptatio Synodalis; De Gallica  profectione; Vitae Sanctorum; Carmina et Preces; Sermones (l'attribuzione  di molti dei quali è assai discussa).    Edizioni: P.L. 144-45 (è la ristampa dell’ed. di C. GaeranI del 1606 con  l'aggiunta di vari opuscoli scoperti da AnceLo Mar e apparsi in “Scriptorum    530    Bibliografia    veterum nova collectio,” VI, Roma, 1832, pp. 193-244); manca una edizione  critica completa, esistono solo edizioni parziali; tra le più recenti citiamo:  L. De HeineMmann, in MGH, Libelli, 1, Hannover, 1891; G. Warrz, ibidem,  Scriptores, IV.; P. Brezzi - B. Narpi, S. Pier Damiani, De Divina omnipoten-  tia, ed altri opuscoli (con trad. it.), Firenze, 1943; A. KoLprnc, Petrus D. Das  Biichlein vom Dominus Vobiscum, Diisseldorf, 1949.    Bibliografia: cfr. GevER, pp. 696-697; De Brie, n. 5160; in particolare v.:   J. A. Enpres, P. Damiani und die weliliche Wissenschaft (“Beitrage,” VIII,  3), Miinster, 1910.   L. KùHN, Petrus Damianus und scine Anschauungen iiber Staat und Kirche,  Karlsruhe, 1913.   J. A. Enpres, Forschungen zur Gesch. der friihmittelalterl. Philosophie,  (“Beitrige,” XVII, 2-3), Miinster, 1915.   ]. Rmère, S. Pierre Damien et les droits politiques du Pape, “Bull. litt.  eccl.,” 1923.   M. Losacco, Dialettici e antidialettici nei secc. IX, X, XI, “Sophia,” 1933,  pp. 525-29.   V. Poretti, Il vero atteggiamento antidialettico di S. P. Damiani, Faenza,  1953.   F. DriessLEr, P. Damiani, Roma 1954.   J. GonsetTE, P. Damien et la culture profane, Lovanio, 1956.    Berengario di Tour  Opere: De sacra coena.    Edizioni: P.L., 150; B. T. De sacra coena adversus Lanfraneum,  ed. A. F. e F. T. ViscHER, Berlino, 1834; una nuova ed., di W. H. BeEKEN-  rAMp, L’Aja, 1941; G. Morin, Lettre inédite de B. de T. à Parchev. Joscelin  de Bordeaux, “Rev. Bénédict.,” 1932, pp. 220-26.    Bibliografia: Cfr. GevER, pp. 696; De Brie, n. 5146; DE Wutr, I, pp. 166;   in particolare v.:   C. PrantI, II, pp. 73-76.   I. ScHmITzER, B. v. Tours und seine Lehre, 1890.   T. Herrz, Essai historique sur les rapports entre la philosophie et la foi de  Bérenger de Tours è st. Thomas d'Aquin, Parigi, 1909.   A. J. Macponacp, Berengar and the reform of sacramental doctrine, Landra,  1930.   G. Mor, Bérenger contre Bérenger, “Rech. théol. anc. méd.,” 1932,  pp. 109-33;   M. Marronota, Un testo inedito di Berengario di Tours e il Concilio ro  mano del 1079, Milano, 1936.    531    Bibliografia    L. C. Ramirez, La controversia eucaristica del siglo XI: B. de T. a la luz    de sus contemporéneos, Bogotà, 1940.  F. Verne, in DThC, II, 722-42.  M. Cappuvns, in DHGE, VIII, 385-407.    Anselmo di Besate    Opere: Rhetorimachia.    Edizioni: cfr. E. DimMEER in dibdl. e l’ed. crit. di K. ManItIUs, in M.G.H.  Quellen zu Geistesgeschichte des Mittelalters, 2, Weimar, 1958.    Bibliografia: cfr. GevER, p. 696.   E. DummLeER, A. d. Peripatetiker, Halle, 1872.   J. A. Enpres, Die Dialektiker und ihre Gegner in 11 Jahrhundert, “Philos.  Jahrb.,” 1906, pp. 23-24; 1913, pp. 85-93.    Manegoldo di Lautenbach    Opere: Liber ad Gebehardum; Opusculum contra Wolfelmum Colonien-  sem.    Edizioni: P.L., 155; il Liber in M.G.H., Libelli, I (1891), pp. 308-490.  Bibliografia: cfr. Gever, pp. 166; De Wutr, I, pp. 166;    in particolare v.:   J. A. Enpres, Die Dialektiker und ihre Gegner im 11 Jahrhundert, cit,  pp. 25-27; 1913, pp. 160-69.   Ipem, Manegold von Lautenbach, “Hist. Pol. Blitter,” 1901.   Inem, Manegold von Lautenbach, “Modernarum magister magistrorum,”  Hist. Jahrb.,” 1904.   M. T. Streap, Manegold of Lautenbach, “Engl. Hist. Rev.,” 1914.   E. Woosen, Papauté et pouvoir civil à l'époque de Grégoire VII, Lovanio,  1927.   E. Garin, Contributi alla storia del platonismo medievale, cit. (ora, con  aggiornata bibliografia, in Studi sul platonismo medievale, cit.).    Lanfranco di Pavia  Opere: De corpore et sanguine Domini.  Edizioni: P. L., 150.    Bibliografia: cfr. Gever, pp. 697-698; DE WuLF, I, p. 166; in particolare  v.:    A. J. MacponaLp, Lranfranc. A Study of his life, works and writings, Oxford,  1926, Londra, 19442.    532    Bibliografia  Capitolo secondo  Anselmo d'Aosta    Opere: Monologion o Exemplum meditandi de ratione fidei (1076);  Proslogion o Fides quacrens intellectum (1077-1078); De grammatico; De  veritate; De libertate arbitri (cadono tutte e tre tra il 1080 e il 1085); De  casu diaboli (1085-1090); Epistola de incarnatione Verbi (1 red. 1092, I red.  1094) o De mysterio Trinitatis; Cur Deus homo (1098); De conceptu virgi-  rali (1099-1100); De processione Spiritus Sancti (1102); Epistola de sacrificio  azymi; Epistola de sacramentis Ecclesiae (entrambe tra il 1106 e il 1107);  De concordia praescientiae et praedestinatione et gratiae Dei cum libero  arbitrio (1108); Epistolae; Orationes sive meditationes (1070-1104).    Edizioni: in P.L., 158-159; ma si veda l’ed. crit. a cura di F. S. ScHMITT,  Leckau-Roma, 1938, Lipsia-Roma, I, 194 (i primi due voll.), Edimburgo-  Londra, 1943-1951 (i restanti tre voll.) e, inoltre, il Monologion e.il Proslo-  gion, Padova, 1951, con un testo che riproduce l’ed. ScHMitT, e del Cur  Deus homo l'ed. fotomecc. (Schmitt) con trad. ted., Darmstadt, 1958. Delle  trad. italiane ricordiamo le Opere filosofiche a cura di C. Orraviano (escluso  il Monologior), Lanciano, 1928; per il Monologion, quella sempre .a. cura  dell’Ortaviano, Palermo, 1932; di A. Beccari, Torino, 1930; di A. LANTRUA,  Firenze, 1934. Cfr. inoltre: S. AnseLMo d'Aosta, /! Proslogion, le Orazioni,  e le meditazioni, testo lat. (Schmitt), trad. intr. a cura di G. Sanpri, Padova,  1959.    Bibliografia: La bibl. generale in GeveRr, pp. 698-700; De Brie, nn. 5161-   5205; De Wutr, I, pp. 174-176. Tra le opere più interessanti e più recenti cfr.:  a) Sull'ordinamento delle opere e sul pensiero in generale:   A. Koyré, L'idée de Dieu dans la philosophie de St. Anselme, Parigi, 1923.   H. OstLENDER, Anselm von Canterbury, der Vater der Scholastik, Diissel-  dorf, 1927.   A. Levasti, S. Anselmo, vita e pensiero, Bari, 1929.   A. M. Jacquin, Les “rationes necessariae” de St. Ansélme, “Mél. Man-  donnet,” II, Parigi, 1930.  K. BartH, Fides quaerens intellectum. Anselms Beweis der Existenz Gottes  im Zusammenhang seines theolog. Programms, Monaco, 1931, 1958.  W. BerzenpòRFER, Giauben und Wissen bei den grossen Denkern des Mit  telalters, Gotha, 1931.   A. Wimart, Le premier ouvrage de St. Anselme contre le trittisme de  Roscelin, “Rech. théol. anc. méd.,” 1931.   F. S. ScHMITT, Zur Ueberlieferung der Korrespondenz Anselms von Can-  terbury, “Rev. Bénédict.,” 1931.   IpeMm, Zur Chronologie der werke des hl. Anselm, “Rev. Bénédict.,” 1932.   C. Orraviano, Le “rationes necessariae” in S. Anselmo, “Sophia,” 1933.    533    Bibliografia    E. Giuson, Sens et nature de Pargument de St. Anselme, “Arch. Hist. doctr.  litt. m. à.,” 1934.  R. ALcers, Anselm von Canterbury. Leben, Lehre, Werk... Vienna, 1936.  F. S. ScHMITT, Eine neues unvollendetes Werk des Hl. Anselme von Can-  terbury. De potestate et impotentia, necessitate et libertate, (“Beitrige,”  XXXIII, 3), Miinster, 1936.  A. StoLz, Anselm von Canterbury. Sein Leben, seine Bedeutung, seine Haupt-  werke, Monaco, 1937.  L. Baupry, La préscience divine chez St. Anselme, “Arch. Hist. doctr. litt.  m. &.” 1940-42.  G. Ceriani, S. Anselmo, Brescia, 1947.  S. Vanni-RovicHi, S. Anselmo e la filos. del secolo XI, Milano, 1949.  T. Moretti-Costanzi, L'ascesi di coscienza e l'argomento di S. Anselmo,  Roma, 1951.  H. G.. Wourz, The Empirical Basis of Anselms Arguments, “Philos. Rev.,”  1951.  S. A. Grave, The ontological Argument of St. Anselm, “Philos.,” 1952.  R, Perino, La dottrina trinitaria di S. Anselmo, Roma, 1952.  J. Kopper, Der Ontologiche Gottesbeweis Anselmus und der moralische  Gottesbeweis Kants, “Ann. Univ. Saraviensis, Philos. Lett.,” 1953.  F. S. ScHMmITT, Die Chronologie des Briefe des Anselm von Canterbury, “Rev.  Bénédict.,” 1954.  R. G. Mitcer, The ontological argument in St. Anselm and Descartes,  “Mod. School.,” 1955.  F. S. ScHMitT, Die echten und unechten Stiicke der Korrespondenz des  hl. Anselm von Canterbury, “Rev. Bénédict.,” 1955.  M. Garripo, E! supuesto racionalismo de S. Anselmo, “Verdad y vita,” 1955.  H. Ort, Anselms Vorsbhungslehre, “Theol. Zeitschr.,” 1957.  G. H. Wixiams, The sacramental presuppositions of Anselm’s “Cur Deus  homo,” “Church Hist.,” 1957.  J. Mac Inrrre, St. Anselm and his critics. A re-interpretation of the “Cur  Deus homo,” New York, 1958.  . Rousseau, Notes sur la connaissance de Dieu selon St. Anselme, in  De la connaissance de Dieu (vol. misc.), Parigi-Bruges, 1959.  S. Scumitt, Intorno alla “Opera omnia” di S. Anselmo d'Aosta, “Sophia,”  1959.  . Henry, The scope of the logic of st. Anselm, in L'homme et son  destin, cit., pp. 373-383.  . R. FarrwEaTHER, Truth, justice and moral responsibility in the thought  of St. Anselm, ibidem, pp. 385-391.  3) Sul Monologion:  P. Vicnaux, Structure et sens du Monologio, “Rev. sc. philos. théol.,” 1947.  c) Sul Proslogion:    MO v n    534    Bibliografia    K. BartH, Fides quarens intellectum, Monaco, 1931.   A. Stotz, Zur Theologie Anselms in Proslogion, “Catholica,” 1933.   Ipem, “Vere esse” im Proslogion des hl. Anselm, “Schol.,” 1934.   IpeM, Das Proslogion des hl. Anselm, “Rev. Bénédict,” 1935.   M. Cappurns, L'argument de st. Anselme, “Rech. théol. anc. méd.,” 1934.   A. Kotpinc, Anselms Proslogion-Beweis des Existenz Gottes, Bonn, 1939.   F. BeRcENTHAL, Ist der ontologische Gottesbeweis Anselms von Canterbury  cin Trugschluss?, “Philos. Jahrb.,” 1948.   Tu. A. AupeT, Une source augustinienne de l'argument de St. Anselme, in  “E. Gilson philosophe de la Chrétienté,” Parigi, 1949.   M. T. AntoneLLI, Il significato del Proslogion di Anselmo d'Aosta, “Riv.  rosminiana,” 1951.   H. HocHserc, St. Anselm ’s ontological argument and Russel’s theory of  description, “N. Schol.,” 1959.    Anselmo di Lzon    Opere: I molti scritti che furono opera della scuola di Anselmo si con-  fusero con quelli della scuola di Guglielmo di Champeaux, allievo di  Anselmo, per cui resta difficile farne una sicura distinzione; ad Anselmo  vengono attribuite: Sentenziae Anselmi, Sententiae divinae paginae, Glossa  interlinearis; ma le attribuzioni non sono del tutto sicure.    Edizioni e bibliografia: cfr. Gever, pp. 700; De Brie, 5299-5314; De   Wuctr, I, pp. 250-251; in particolare v.:   J. De GHELLINCK, The Sentences of Anselm of Laon and their place in the  codification of theology during the XIII century, “Irish theol. Quart.,”  1911.   F. BLIEMETZRIEDER, Anselm von Laons systematische Sentenzen... I, Texte  (Beitrige, XVIII, 2-3), Miinster, 1919.   Ip., L'ocuvre d'Anselme de Laon et la littérature théologique contemporaine,  “Rech. Théol. anc. méd.,” 1933, 1934, 1935.   H. WriswriLeR, Das Schriftum der Schule A. von Laon und Wilhems vom  Champeaux in deutschen Biblioteken, (“Beitrige,” XXXIII, 1-2), Miinster,  1936.   A. Lanperar, Werke aus dem Bereich der Summa Sententiarum und Anselm  von Laon, “Div. Th.” (F.), 1936.   O. Lortin, Aux ornigines de l'école d'A. de Laon, “Rech. théol. anc. méd.,”  1938, pp. 101-22.   IpeM, Nouveaux fragments théologiques de Pécole d'A. de Laon, ibidem, 1939,  pp. 252-59, 309-23; 1940, pp. 53-77; 1946, pp. 185-221, 162-81; 1947, pp.  8-31 e bibl. 165-70.   Ipem, Psychol. et morale au XII* e XIII* siècles, cit., 1, pp. 15-18; II, pp. 71-72,  105-106, 422; VI, pp. 445-477.    535    Bibliografia    F. Cavarcera, D'Anselme de Laon è Pierre Lombard, “Bull. litt. ecclés.,”  1940.   B. Smatrey, The study of the Bible in the Middle Ages, Oxford, 1941, pp.  33-35, 40-43, 45-46.   H. WrisweILER, Die dltesten scholastischen Gesamt-Darstellungen der Theo-  logie. Ein Beitrag zur chronologie der Sentenzen werke der Schule  Anselm von Laon und Wilhelms von Champeaux, “Schol.,” 1941.   O. Lortm, La doctrine d'Anselme de Laon sur les dons du Saint-Esprit et  son influence, “Rech. théol. anc. méd.,” 1957.   H. WerrsweiLER, Die Arbeitweise der sogenanten Sententiae Anselmi. Ein  Beitrag zum Entstehen der systematischen Werke der Theologie, “Schol.,”  1959.   Y. Lerèvre, Le “De conditione angelica et humana” et les “Sententiae  Anselmi” (con testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,7 1959.   O. Lorin, A propos de la date de deux florilèges concernant Anselme de  Laon, “Rech. théol. ‘anc. méd.,” 1959.    Roscellino    Opere: si veda di Roscellino la Lettera ad Abelardo, in P.L., 178, e in J.  Remers, Der Nominalismus in der Friihscholastik (“Beitrige,” VIII, 5).  Miinster, 1907.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 701; De Wutr, I, 159.  In particolare v.:   E. Buonaruti, Un filosofo della contingenza nel sec. XI: Roscellino da  Compiègne, “Riv. stor. crit. scien. rel.,” 1908.   F. Picaver, Roscellin, philosophe et théologien d'après la légende et d'après  l’histoire, Parigi, 1911? (con testi e documenti in app.).   M. Gorce, in DThC, XIII, 2911-2915.    Capitolo terzo  Sulla cultura del XII secolo e il suo “rinascimento”    A. CLervar, Les écoles de Chartres au Moyen Age du V au XVI siècle,  Parigi, 1895.   M. GraBMann, Die Geschichte d. scholast. Methode, Monaco, 1911.   Cu. H. Haskins, The Renaissance of the 12*% century, Cambridge (Mass.),  1927.   G. Paré - A. Bruner - P. TremsLay, La Renaissance du XII* siècle, Parigi-  Ottawa, 1933.    536    Bibliografia    M. De Wutr, Le panthéisme Chartruin, in Aus der Geisteswelt des mittel-  alters (“Beitrige,” suppl. III), Miinster, 1935.   J. M. Parent, La doctrine de la création dans l'’école de Chastres, Parigi-  Ottawa, 1938.   J. De GHELLINCK, L'essor de la littérature latine au XII° siècle, Bruxelles,  1946, 1954?.   Pu. DeLHAyE, L'organisation scolaire au XII' siècle, “Tradiwio” 1947.   G. Paré, Les idées et les lettres au XII° siècle. Le Roman de la Rose, Mon-  tréal, 1947.   E. R. Curtius, Ewropdische Literatur und lateinisches Mittelalter, cit.   J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique au XII° siècle, cit.   T. Grecory, L'idea della natura nella scuola di Chartres, “Gior. crit. filos.  ital,” 1952.   Ipem, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola  di Chartres, Firenze, 1955.   M.-D. CHÒenu, La théologie au douzième siècle, Parigi, 1957.   E. Garin, Di alcuni aspetti del Platonismo medievale, in particolare nel XII  secolo, in Studi sul Platonismo medievale, cit.    Cfr. inoltre, riguardo all’organizzazione degli studi, specialmente in   Francia:   E. Lesne, Les écoles de la fin du VIII* siècle è la fin du XII° siècle, +. V  della Histoire de la propriété ecclésiastique en France, Lilla, 1940.   U. Guatazzini, Ricerche sulle scuole preuniversitarie del Medioevo. Con-  tributo di indagini sul sorgere delle Università, Milano, 1943.   H. I. Marrou, Histoire de l'éducation dans l’antiquité, Parigi, 1948, pp.  416-461.   Pu. DeLHAYE, L'enseignement de la philosophie morale au XII° siècle,  “Med. Stud.,” 1947, 1949.   A. L. Gasriet, English Masters and Students in Paris during the XII!  Century, “Anal. Praemonstr.,” 25, 1949.   P. S. Boskorr, Quintilian in the Latin Middle Ages, “Spec.” 1952.    Capitolo quarto  Scuola di Chartres  Bibliografia:  A. Cerva, Les écoles de Chartres au Moyen Age... cit.  R. L. PooLe, The Master of the Schools of Paris and Chartres, in John of    Salisbury's time, “Engl. Hist. Rev.,” 1920.  J. M. Parent, La doctrine de la Création dans l'École de Chartres, cit.    537    Bibliografia    S. Vanni-RovicHi, La prima scolastica, “Grande Antologia Filosofica,” IV,  Milano, 1954.   T. Grecory, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola  di Chartres, cit.   E. Garin, Studi sul platonismo medioevale, cit., pp. 13-87.    .Fulberto    Opere: Sermoni, poesie, agiografie e lettere in P.L., 141.    Bibliografia: C. Prister, De Fulberti Carnotensis episcopi vita et operibus,  Nancy, 1885; s.v. in DThC, VI, 964-967.    .Bernardo    Opere: Fonti e frammenti in P.L., 199, 666 e 938; e cfr. P. TrHomas, in  “Mel. Graux,” Parigi, 1884, dove pubblica alcuni estratti del De invenzione  .rhetorica.    Gilberto de la Porrée    Opere: Commenti agli Opuscola sacra di Boezio; scritti esegetici tra i  quali particolarmente importanti i Commenti ai salmi ed all’Epistola at  «Romani.    Edizioni: I Commenti a Boezio insieme agli stessi Opuscola sacra, in  P.L., 64 (ma cfr. R. SrLvann, Le texte des Commentaires sur Boèce de Gilbert  -de la Porrée, “Arch. Hist. doctr. m. à.,” 1946); ed. crit. dei Commenti: al  De Hebdomadibus, “Traditio,” 1953, ai. due Opuscoli sulla Trinità, “Studies  and Textes,” I, Toronto, 1955; al Contra Eutychen et Nestorium (De duabus  naturis), “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1954. Le opere esegetiche bibliche  «sono ancora inedite, salvo una parte del Commento ai Salmi. Per il Liber  «de sex principiis, che non è probabilmente di Gilberto, cfr. P.L., 188, 1255-  1270; ed. crit. A. Hevsse, Miinster, 19532.    Bibliografia: La bibl. generale in Grever, pp. 704-705; De Brie, nn.   ‘5208-5211; De Wutr, I, pp. 213-214. In particolare cfr.:   A. Lanpcrar, Untersuch. zu den Eigenlehren Gilberts de la Porrée, “Zeitschr.  Kathol. Theol.,” 1930.   Ipem, Mitteil. 2. Schule Gilbert Porreta-s, “Collect. franc.,” 1933.   A. Forest, Le réalisme de Gilbert de la Porrée dans les commentaire du  “De hebdomadibus}” “Rev. néosc. philos.,” 1934.   Ipem, Gilbert de la Porrée et les écoles du XII° siècle, “Rev. cours et confér.,”  1934.   .A. Haven, Le concile de Reims et l'erreur théologique de Gilbert de la Porrée,  “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1935-1936.    Bibliografia    M. H. Vicarre, Les Porretains et l'avicennisme avant 1215, “Rev. sc. philos.  théol.,” 1937.   M. Harinc, The case of Gilbert de la Porrée, “Med. Stud.,” 1951.   E. Wicciams, The Teaching of Gilbert Porretta on the Trinity, Roma,  1951.   Miano, Il commento alle Lettere di S. Paolo di Gilberto Porrettano, in  Scholastica ratione hist-crit. instauranda, Roma, 1951, pp. 171-199.   M. Harinc, The Commentary of Gilbert bishop of Poitiers on Boethius  “Contra Euthychen et Nestorium” (con testo), “Arch. Hist. doctr. litt.  m. à.,” 1954.   A. M. Lanperar, Zur Lehre des Gilbert Porretta, “Zeitschr. f. kathol. Theol.,”  1955.   Vanni-RovicHI, La filosofia di Gilberto Porrettano, “Misc. del centro  di studi med. dell’Univ. catt. di Milano,” Milano, 1956.   M. Harinc, Sprachlogische und philosophische Voraussetzungen zum  Verstindnis der Christologie Gilberts von Poitiers, “Schol.,” 1957.  Simon, La glose è l'épftre aux Romains de Gilbert de la Porrée, “Rev.  Hist. ecclés.,” 1957.   J. WestLEY, A philosophy of the concreted and the concrete. The con-  stitution of creature according to Gilbert de la Porrée, “Schol.,” 1959-1960.    Z_S RZ    DO zz    Teodorico di Chartres    Opere: De sex dierum operibus; Heptateucon; Commento al De Trini-  tate di Boezio (Librum hunc).    Edizioni: De sex dierum operibus in Haurfau, Notices et extraits...,  1893, pp. 52 sgg. e in W. Jansen, Der Kommentar d. Clarembaldus v. Arras  zu Boethius De Trinitate, Breslavia, 1926; Heptateucon, scoperto e presentato  da A. CLervar in “Congrès scient. int. d. Cathol.,” II, Parigi, 1889, pp. 277  sgg., ed. del prologo a cura dello JeaunEAU in “Méd. Stud.,” 1954; Librum  hunc in JAnSEN, op. cit., e cfr. N. M. Harinc, A Commentary on Boethius  “De Trinitate” by Thierry of Chartres, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.”  1956.   La bibl. generale in Gever, p. 704; De Bue, n. 5352; DE Wutr, I,  pp. 192-193.    Bibliografia: P. DuneM, Le système du monde, cit., III, pp. 184-193;   J. M. Parent, La doctrine de la création dans l'école de Chartres, cit.   E. JEaunEAU, Quelques aspects du platonisme de Thierry de Chartres, “Con-  grès de Tours et Poitiers,” 1954.   Ipem, Un représentant du platonisme au XII° siècle: Thierry de Chartres,  “Mém. Soc. archéol. d’Eure-et-Loire,” 1954.   Ipem, Simples notes sur la cosmogonie de Thierry de Chartres, “Sophia,”  1955    539    Bibliografia    N. M. Harinc, A short treatise on the Trinity from the School of Thierry  of Chartres, “Med. Stud.,” 1957.   Inem, The lectures of Thierry of Chartres on Boethius “De Trinitate”  “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1958.   IpeMm, Two Commentaries on Boethius (“De Trinitate” and “De Hebdo-  madibus”) by Thierry of Chartres, ibidem, 1960.    Guglielmo di Conches    Opere: Philosophia mundi (in varie red.); Dragmaticon philosophiae;  Glosse alla Consolatio boeziana; Glosse al Timeo di Platone. Assai probabile  anche l’attribuzione del Moralium dogma philosophorum, opera eccezional-  mente fortunata.    Edizioni: La Philosophia mundi, in P.L., 90 (tra le opere di Beda) e  172 (tra le opere di Onorio di Autun); il Dragmation, ed. C. Parra, Parigi,  1943; frammenti della Secunda e Tertia Philosophia in V. Cousin, Ouvrages  inédits d’Abélard, Parigi, 1936, pp. 669-677, ove si trovano pure alcuni fram-  menti del Commento al Timeo, pp. 648-657. Per la Glosse aBoezio e al  Timeo cfr. CH. Journary, Notices et extraits..., XX, 2, Parigi, 1862, e, par-  ticolarmente T. Grecory, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches  e la scuola di Chartres, Firenze, 1955, ed E. Garin, Studi sul platonismo  medievale, Firenze, 1958. Per il Moralium dogma philosophorum cfr. l’ed.  J. HoLmserc, Upsala, 1929.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 704; De Brie, nn. 5245-5248, 5352; DE  Wutr, I, pp. 192-193.    In parti colare cfr.:   H. FLATTEN, Die philosophie des Wilhelm von Conches, Coblenza, 1929.   C. Ortaviano, Willelmi a Conchis philosophia seu Summa philosophiae,  “Arch. st. filos.,” 1932, n. 2; 1933, n. 1.   IpeM, Un brano inedito della Philosophia di Guglielmo di Conches, Napoli,  1935.   J. M. Parent, La doctrine de la création dans l'école de Chartres, cit.  (con brani delle glosse a Boezio e al Timeo).   Pu. DeLHave, Une adaptation du “De Officiis” au XII° siècle, le “Moralium  dogma philosophorum, “Rech. théol. anc. méd.,” 1949.   T. Grecory, Sull'attribuzione a Guglielmo di Conches di un rimaneggiamen-  to della “Philosophia mundi) “Gior. crit. filos. ital.” 1951.   Ipem, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di  Chartres, cit.   E. Garin, Studi sul platonismo medioevale, cit.   B. OprrerNAM, L'usage de la notion d'“Integumentum”    à travers les gloses  de Guillaume de Conches, “Arch. Hist. doctr. litt. m. £.    7 19597.    540    Bibliografia    J. Hanticnars, Points de vue sur la volonté et le jugement dans l'ocuvre  d'un humaniste chartrain, in L'homme et son destin, cit., pp. 417-429.   E. JeaunEAU, Gloses de Guillaume de Conches sur Macrobe. Notes sur  les manuscrits, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 2.,” 1960.   Ipem, Deux rédactions des gloses de Guillaume de Conches sur Priscien,  “Rech. théol. anc. méd.,” 1960.    Bernardo Silvestre    Opere: De mundi universitate sive Megacosmus et Microcosmus; Com-  mentum in VI Aeneidos Libros; Mathematicus; De gemellis; De paupere  ingrato; Experimentarius.    Edizioni: Vari frammenti ed estratti delle opere in V. Cousin, Ouvrages  inédits d'Abélard, Parigi, 1836 e 1855; per il De mundi universitate, cfr.  l'ed. S. BaracH - J. WrosEt, Innsbruck, 1876; per il Commentum l’ed. RiepEL,  Gryphisvaldae, 1924; per il Mazhematicus vedi P.L., 171 dove si trova l’ed.  J. Bourassé, tra le opere di Ildeberto di Lavardin; per l'Experimentarius  cfr. M. Brini-SavoreLLI, Un manuale di geomanzia presentato da Bernardo  Silvestre di Tours (XII secolo): L’“Experimentarius” “Riv. crit. st. filos.,”   1959.    Bibliografia: La bibl. generale inGeyeR, p. 704; De Wutr, I, p. 192.   In particolare cfr.:   E. Girson, La cosmogonie de Bernard de Sylvestris, “Arch. Hist. doctr.  litt. m. 4.7 1928.   L. THornpIKE, An History of magic and experimental science, II, New  York, 1929, c. 39.   Tu. Silverste, The fabulous Cosmogony of Bernard Silvestris, “Modern  Philol.,” 1948.    Capitolo quinto  Pietro Abelardo    Opere: a) logica: 1) Glosse letterali: Editio super Porphyrium; Glossae  in Categorias; Editio super Aristotelem de interpretatione; De divisionibus;  2) Logica “Ingredientibus”; 3) Logica “Nostrorum petitioni sociorum” (Glos-  se a Porfirio); 4) Dialectica (pit volte rimaneggiata tra il 1118 e il 1137).   6) teologia: 1) De wnitate et trinitate divina (1118-1121); 2) TAeologia  christiana (1123-1124); 3) Theologia (1125-1138); 4) Sic et Non (1121-1123?);  5) Commenti esegetici ai testi biblici (dopo il 1125); 6) Sermones; 7) Dia-  logus inter iudacum, philosophum et christianum.   c) etica: Ethica, seu liber Scito te ipsum.    541    Bibliografia    Inoltre le Epistole (tra le quali particolarmente importanti il carteggio  con Eloisa e la Historia calamitatum).    Edizioni: Tutte le opere, escluse quelle logiche, in P.L., 178; gli scritti  fino ad allora inediti di Abelardo furono editi da V. Cousin, Ouvrages iné-  dits d'Abélard, Parigi, 1836, che fece poi seguire la nuova edizione delle  opere già edite: Petri Abaclardi opera hactenus scorsin edita, a cura di  V. Cousin e Cu. Journain, Parigi, 1849-1859.   Altre ed. che completano il Corpus abelardiano: P. AsaELARDI, De uni-  tate et trinitate divina, ed. R. SròLzLE, Friburgo, 1891; Peter Abaclards Philo-  sophische Schriften (1. Die Logica “Ingredientibus” 1; Die Glossen zu Porphy-  rius; Die Logica “Ingredientibus” 2; Die Glossen zu den Kategorien; Die  Logica “Nostrorum petitioni sociorum”; Die Glossen zu Porphyrius), a cura  di B. GEvER, in “Beitrige,” XXI, 1, 1919; XXI, 2, 1921; XXI, 3, 1927; XXI, 4,  1933; Peter Abaelards Theologia “Summi Boni” zum ersten Male volistindig  herausgegeben (“Beitrige,” XXV), Miinster, 1939; Abaelard's Letter of Con-  solation to a Friend (Historia calamitatum), a cura di J. T. MuckLeE, “Med.  Stud.,” Toronto, 1950, ed ora nell’ed. crit. d i J. Monratn: ABfLarp, Historia  calamitatum, Parigi, 1959; Pretro ABELARDO, Scritti filosofici (Editio super  Porphyrium, Glossae in Categorias, Super Aristotelem de Interpretatione,  De divisionibus, Super Topica glossae), editi per la prima volta da M. Dar  Pra, Milano-Roma, 1954; Twelfth century logic. Texts and Studies, a cura di  L. Minio-ParueLLo, Roma, 1956-1958 (vi sono alcuni testi di Abelardo);  P. AsaeLarpus, Diglectica, First complete edition of the Parisian manuscript,  a cura di L. M. De Rijx, Assen, 1956, Utile l'antologia a cura di M. De Gan-  piLLac, Ocuvres Choisies d' Abélard, Parigi, 1945. Il Conosci te stesso è stato  tradotto in italiano da M. Dar Pra, Vicenza, 1941, l’Epistolario da C. Or-  Taviano, Palermo, 1934.    Bibliografia: La bibl. generale in Gever, pp. 702-703; De Brie, nn.   5212-5244; De Wutr, I, pp. 208-209.   CH. De Rémusar, Abélard. Sa vie, sa pensée, sa théologie, Parigi, 1845; 2.  ed. 1855.   L. Tosti, Storia di Abelardo e dei suoi tempi, Napoli, 1851; Roma, 1887.   E. Kaiser, Pierre Abélard critique, Friburgo, 1901.   J. Mc Case, Peter Abelard, New York, 1901.   J. Reiners, Der Nominalismus in der Frihscholastik (“Beitràge,” VIII, 5),  Miinster, 1910.   B. GevER, Die Stellung Abàlards in der Universalienfrage... (“Beitràge,” suppl.  I), Miinster, 1913.   H. OsrLenper, P. Abelards Theologia und die Sentenzenbiicher seiner  Schule, Breslavia, 1926.   C. Ottaviano, Pietro Abelardo, La vita, le opere, il pensiero, Roma, 1931.   J. Cortiaux, La conception de la théologie chez Abélard, “Rev. hist. ec-  clés.,” 1932.    542    Bibliografia    J. G. Sikes, Peter Abaelard, Cambridge, 1932.   Cu. CHarrier, Héloise dans l'histoire et dans la légende, Parigi, 1933.   ]. Rivière, Les “capitula” d’Abélard condamnés au concile de Sens, “Rech..  théol. anc. méd.,” 1933.   H. OstLenper, Die Theologia “Scholarium” des Peter Abaelard, in Aus  der Geisteswelt des Mittelalters (“Beitràge,” Suppl. III), Miinster, 1935.   Pu. S. Moore, Reason in the Theology of Peter Abelard, “Proceed. Cathol.  Philos. Ass.,” 1937.   R. J. TrÒompson, The role of dialectical Reason in the Ethics of Abelard,  “Proceed. Cathol. Philos. Ass.” 1937.   E. Girson, Héloise et Abélard, Parigi, 1938, 1948? (trad. it., Torino, 1950).   J. RoHMERr, La finalité morale chez les théologiens de S. Augustin è Duns  Scot; Parigi, 1939.   H. Wappett, Peter Abelard, Londra, 1939.   L. Nicorau DOLMmEr, Sur la date de la Dialectica d'Abélard, “Rev. m.  a. lat.,” 1945.   R. LLoyp, Peter Abelard: the Orthodox Rebel, Londra, 1947.   J. R. Mc Catcum, Abelard's Christian Theology, Londra, 1948.   M. Dar Pra, Idee morali nelle lettere di Eloisa, “Riv. st. filos.,” 1948.   Inem, Motivi dello “Scito te ipsum” di Abelardo, “Acme,” 1948.   J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique du XII° siècle, cit.   E. ArnoLp, Z. Geschichte der Suppositionstheorie, “Symposion,” 1952.   L. Minio PaLvetto, Twelfth century Logic, cit.   J. T. MuckLe, The letter of Heloise on religious life and Abelard's first  reply, “Med. Stud.,” 1955.   N. M. Harinc, A third manuscript of Peter Abelard's “Theologia summi  boni,” “Med. Stud.,” 1956.   T. P. LaucHLin, Abelard's Rule for religious women, “Med. Stud.,” 1956.   R. BLomme, A propos de la définition du péché chez Pierre Abélard,  “Ephem. theol. Lovan.,” 1957.   B. Smaccey, Prima. clavis sapientiae: Augustin and Abelard, in F. Saxl  memorial Essays, Londra, 1957, pp. 93-100.   C. MazzantinI, “Cosmo turbato” e “pluralità di mondo” nell’etica di Abe-  lardo, “Atti Acc. Sc. di Torino,” 1957-58.   N. A. Siropova, Abélard et son epoque, “Cahiers d’hist. mond.” 1958.   A. Borst, Abélard und Bernhard, “Hist. Zeitschr.,” 1958.   M. T. Fumacatti, Note sulla logica di Abelardo, “Riv. crit. st. filos.,” 1958,  1960   E. BertoLa, Le critiche di Abelardo ad Anselmo di Laon e a Guglielmo  di Conches, “Riv. filos. neosc.,” 1960.    La questione degli Universali    J. H. Loewe, Der Kampf zwischen Realismus und Nominalismus im Mittel.,.  Praga, 1876.    543    Bibliografia    M. De Wutr, Le problème des universaux dans son évolution historique  du IX? au XIII* siècle, “Archiv. fiir Gesch. der Philos.,” 1896.   J. ReinErs, Der aristotelische Realismus in der Friihscholastik (“Beitrige,”  VIII, 5), Miinster, 1910.   R. L. PootLe, The Masters of the Schools at Paris and Chartres in John of  Salisbury's Time, “Engl. Hist. Rev.,” 1920.   ]. PauLus, Sur les origines du nominalisme, “Rev. Philos.,” 1937.   L. Mino PaLuecto, The “Ars disserendi of Adam of Belsham Parvipon-  tanus” “Med. Ren. Stud.,” 1954.    Guglielmo di Champeaux    Opere: Le Opere (frammenti) di Guglielmo di Champeaux, in P.L.,  163; le Sententiae vel quaestiones XLVII, a cura di G. Lerèvre, Lilla, 1898;  De generibus et speciebus, a cura di V. Cousin, in Oeuvres inédites d' Abé-  lard, 1836.    Bibliografia: G. Lerèvre, Les variations de Guillaume de Champeaux  sur la question des universaux. Etude suivie de documents originaux, Lilla,  1898.   E. MicHaup, G. de Champeaux et les écoles de Paris au XII* siècle, Pa-  rigi, 1867.   G. Lerèvre, Les variations de G. d. Champ. et la question des universauz,  Lilla, 1898.   F. Picavet, Note sur l’enseignement de Guill. de Champeaux d'après  l'‘Historia calamitatum’ d'Abélard, “Rev. intern. de l’enseignement,”  1910.   P. Gopet, Guillaume de Champeaux, in DThC.   H. WrisweILER, Die Schriften der Schule Anselms von Laon und W. von  Champeaux, “Deutsch. Bibl.” 1936.   La bibl. generale in GeyER, pp. 701-702; De Brie, nn. 5299, 5306, 5313;  De WuLr, I, p. 178.   Per Adelardo di Bath cfr. la relativa bibl. al capitolo I della P. IV.   Sugli sviluppi della scuola abelardiana nella sua componente teologica  «fr. particolarmente A. Lanpcrar, Finfishrung in die Geschichte der theolo-  gischen Literatur der Friihscholastik, Regensburg, 1948; e dello stesso: Écrits  théologiques de l'École d’Abélard, Textes inédits (Sententiae parisienses  e Ysagoge in theologiam), Lovanio, 1934.    544    Bibliografia    Capitolo sesto    Pietro Lombardo    Opere: Commenti scritturali; Sermones; Libri IV Sententiarum.    Edizioni: Le Opere in P.L., 191-192; i Libri quattuor sententiarum, nel-  l'edizione critica dei Francescani di Quaracchi, Quaracchi (Firenze), 1916.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 710-711; De Brie, nn. 5369-5378; De WuLF,   I, pp. 250-251.   J. EspensERGER, Die Philosophie des Petrus Lombardus (“Beitrige,” III, 5),  Miinster, 1901.   F. Cavarcera, S. Augustin et le Livre des sentences de Pierre Lombard,  “Arch. Philos.,” 1930.   J. De GHeELLINCK, Pierre Lombard, in DThC, XII, 1941-2019.   H. Weriswerer, La “Summa sententiarum,” source de Pierre Lombard,  “Rech. théol. anc. méd.,” 1934.   Pietro Lombardo, Novara, 1953 (con la bibl. lombardiana di J. de Ghellinck,  pp. 24-25).   S. Vanni-RovicHi, Pier Lombardo e la filosofia medievale, “Sapienza,” 1954.   Miscellanea Lombardiana (in occasione delle celebrazioni organizzate in  Novara per onorare Pietro Lombardo), Novara, 1957.  Sul movimento che ha portato all'elaborazione dei Libri Sententiarum e  delle Summe cfr.: sopratutto M. GrasMmann, Geschichte der Katolischen  Theologie, Friburgo (Br), 1933, pp. 286-9; F. StecmùLLER, Repertorium  comment. in Sent. Petri Lombardi, Wiirzburg, 1947, con le aggiunte di  M. Gotoszewska, J}. B. Kororec, A. PoLtAWwSKI, Z. K. SIEMIATKOWSKA,  J. Tarnowska, Z. WLopEk, in “Miscellanea philosophica Polonorum,”  Varsavia, 1958.  Vedi inoltre:   J. Stmer, Des Sommes de théol., Parigi, 1871.   M. Grasmann, Gesch. d. schol. Meth., cit., II, cit., pp. 3-25, 476-563.   G. Paré, A. Brunet, P. TreMBLAY, La renaissance du XII s. Les écoles  et l'enscignement, cit.   G. EncLHarpr, Die Entwicklung der dogmatischen Glaubenpsychologie vom  Abaelardstreit bis Philipp den Kanzler, (“Beitrige,” XIII), 1933.   P. GLorieux, Sommes théologiques, in DThC, XIV, 2341-64.   J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique du XII s., cit., passim.   M.-D. ChÒenu, La théologie au douzième siècle, Parigi, 1957, passim.   O. LortIn, Psychologie et morale..., cit., VI, pp. 9-18, 119-124, 137-148.    Giovanni di Salisbury    Opere: Entheticus, sive de dogmate philosophorum; Polycraticus, sive    545    Bibliografia    de nugis curialium et vestigiis philosophorum; Metalogicon; Historia pon-  tificalis.    Edizioni: Le Opere in P.L., 199. Il Polycraticus è edito a cura di C. C.  J. Wes8, Oxford, 1909; il Metalogicon sempre a cura del Wes, Oxford,  1929; la Historia pontificalis a cura di R. L. Poote, Oxford, 1927; a cura  dello stesso anche le Epistolae.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 705; De Brig, nn. 5384-5390; De WuLF,   I, p. 234.   In particolare v.:   C. C. J. WeB8, John of Salisbury, Londra, 1932.   J. Huizinca, Een proegothieke geest, Johannes van Salisbury, “Tijdschrift  voor geschiedenis,” 1933, ed ora in Verzamelde Werken, IV, Haarlem,  1949.   C. C. J. Wess, Joannis Sarisberiensis Metalogicon. Addenda et corrigenda,  “Med. Ren. Stud.,” 1941-43.   L. Denis, Un humaniste au moyen dge: Jean de Salisbury, 1120?-  -1180, “Nova et Vetera,” 1940, 1941.   H. LiesescHirz, Mediaeval Humanism in the life and writings of John  of Salisbury, Londra, 1950.   M. Dar Pra, Giovanni di Salisbury, Milano, 1951.   D. D. Mc Garry, The Metalogicon of John of Salisbury: A Twelfth Cen-  tury Defense of the Verbal and Logical Arts of the Trivium, Berkeley-  Los Angeles, 1955.   G. AspeLIN, John of Salisbury"s Metalogicon, “Bibl. Soc. Royal des Lettres  de Lund,” 1951-1952.   B. HetsLinc-GLoor, Natur und Aberglaube im “Policraticus” des Johann  von Salisbury, Zurigo, 1956.   H. HoHENLEUTNER, Johannes von Salisbury in der Literatur der letzen zehn  Jahre, “Hist. Jahrb.,” 1958.   M. A. Brown, John of Salisbury, “Franc. Stud.” 1959.    Alano di Lilla    Opere: Regulae de Sacra theologia; Summa quoniam homines; Tracta-  tus de virtutibus, de vitiis et de donis Spiritus Sancti; De Planctu Naturac;  Anticlaudianus; Ars Praedicandi; Summa quot modis; Contra Haereticos;  Liber Paenitentialis; Rythmus.    Edizioni: In P.L., 210, ad eccezione della Summa quoniam homines e  del Liber de virtutibus per i quali v.: O. LortIN, Le traité d'Alein de Lille  sur les virtus, les vices et les dons du Saint Esprit, “Med. Stud.,” 1950 ed  ora in Psychologie et morale... cit., VI; Summa quoniam homines, a cura  di P. GLorreux, “Arch. Hist. litt. doctr. m. à.,” 1954; Anticlaudianus, testo  critico e introd., a cura di R. Bossuar, Parigi, 1955.    546    Bibliografia    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 706; De Brie, n. 5352; De Wutr, I, p. 228.   In particolare v.:   M. BaumcartneR, Die Philosophie des Alanus de Insulis, (“Beitrage,” II, 4),  Miinster, 1896.   J. Huizinca, Veber die Verkniipfung des poetischen mit dem Theologischen  bei Alanus de Insulis, “Mededeel d.k. Akad. Afd. Letterkunde,” LXXVI,  B, 6, Amsterdam, 1924 (con in app. un’altra red. del De virtutibus) [ed  ora in Verzamelde Werken, IV, Haarlem, 1949, pp. 3-84].   M.-D. ChÙenu, Un essai de méthode théologique au XII* siècle, “Rev. sc.  philos. théol,” 1935.   J. M. Parent, Un nouveau témoin de la théologie dionysienne au XII° siècle,  in Aus der Geisteswelt des Mittelalters (“Beitrige,” Suppl. III), Miinster,  1935.   P. GLorieux, L'iauteur de la Somme “Quoniam homines” “Rech. théol.  anc. méd.,” 1950.,   G. Rarmaup pe Lace, Alain de Lille, poète du XII° siècle, Parigi, 1951.   R. H. Green, Alan of Lille's “De planctu naturae” “Spec.,” 1956.   V. CienTo, Alano di Lilla poeta e teologo del sec. XII, Napoli, 1958.   M.-D. CHenu, Une théologie axiomatique au XII° siècle. Alain de Lille,  “Cîteaux Nederl.,” 1958.   A. Ciorti, Alano e Dente “Convivium,” 1960.   O. Lortin, Alein de Lille une des sources des “Disputationes” di Simon de  Tournai, in Psychologie et morale..., cit., VI, pp. 93-106.   C. VasoLi, Due studi per Alano di Lilla, “Bull. Ist. st. it. m. e.,” 1961.   Ipem, La teologia “apothetica” di Alano di Lilla, “Riv. crit. st. filos.,” 1961.   Ipem, Le idee filosofiche di Alano di Lilla nel “De Planctu” e nell“Anti-  claudianus” “Gior. crit. filos. ital.” 1961.    Nicola di Amiens  Opere: De aste catholicae fidei    Edizioni: In P.L., 210, sotto il nome di Alano di Lilla.  Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 706; DE Wutr, I, p. 250.    Clarembaldo di Arras  Opere: Commento al De Trinitate di Boezio.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 704; DE Wutr, I, pp. 192-193.  W. Jansen, Der Kommentar des Cl. v. Arras 2. Boethius De Trinitate,  Breslavia, 1926.    547    Bibliografia  Capitolo settimo    Sulle eresie cfr. in generale:   F. Tocco, L'eresia nel medioevo, Firenze, 1884 (cfr. anche Albori della vita  italiana, Milano, 1913).   G. Vorpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italia.  na: sec. XI-XIV, Firenze, 1926, 19612.   H. Grunpmann, Religiose Bewegungen im Mittelalter, Berlino, 1935.   A. De Srerano, Riformatori ed eretici nel medioevo, Palermo, 1938.   R. MansELLI, Profilo dell'eresia medioevale, “Humanitas,” 1950.   R. MorcHEN, Medioevo Cristiano, Bari, 1951 (L'eresia del medioevo).   A. Donparne, L'origine de l'hérésie médiévale, “Riv. st. d. Chiesa in Ital.,”  1952.   L. Sommariva, Studi recenti sulle eresie medioevali (1939-1952), “Riv. st.  ital.” 1952.   A. Borst, Die Katharer, Stoccarda, 1953.   R. ManseLLI, Studi sulle eresie del sec. XII, Roma, 1993.  Per il Francescanesimo rinviamo alla voce Ordini Mendicanti del capitolo  2 della Parte IV.    Gioacchino da Fiore    ‘Opere: Concordia veteris et novi Testamenti; Tractatus super IV _Evan-  gelia; Expositio in Apocalypsim; Psalterium decem chordarum; Adversus  ludaeos; De articulis fidei.    Edizioni: Concordia, Venezia, 1519; Expositio, ivi, 1627; Psalterium,  Venezia, 1957.    Edizioni recenti: Joachim de Fiore. Tractatus super quatuor Evangelia,  a cura di E. Buonaruti, Roma, 1930; Joachimi Albertis Liber contra Lombar-  dum (Scuola di Gioacchino da Fiore), a cura di C. OrrAviano, Roma, 1934;  Joachim de Flore. Scritti minori. De articulis fidei, a cura di E. BuonaIUTI,  Roma, 1936. Si cfr. anche L. TonpeLLI, Il libro delle figure di Gioacchino  da Fiore, Torino, 1939-1940.    Bibliografia: Ci limitiamo ad opere di carattere generale:  E. Buonaruti, G. da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio, Roma, 1931.  E. Benz, Joechim-Studien, “Zeitschr. f. Kirchengesch.,” 1931, 1932, 1934.  J. Ca. Huck, Joachim von Floris und die joachitische Literatur, Friburgo,  1938.  F. Foserti, Gioaecch. da Fiore e il Giovacchinismo antico e moderno, Pa-  dova, 1942.  M. Reeves, The “Liber figurarum” of |. of Fiore, “Med. Ren. Stud., 1950.  H. Grunpmann, Neue Forschungen iiber ]. von Flora, Marburgo, 1950.  F. Russo, Bibliografia gioachinita, Firenze, 1954.    548    Bibliografia    A. Crocco, La teologia triniteria di Gioachino da Fiore, “Sophia;” 1957.   M. W. BLoomriEL©, Joachin von Flora. A critical survey of his canon,  teachings, sources, biography and influence, “Traditio,” 1957.   E. Mrxxer, Neuere Literatur siber Joachin von Fiore, “Cîteaux Nederl.,”  1958.    Bernardo di Clairvaux    Opere: Epistolae, in P.L., 182; Sermones LKXXVI, in P.L., 183 (nuova  ed. a cura di B. GseLL-L. JANAUSCHEK, Xenia bernardina, Vienna, 1891);  Tractatus: 1) ascetico-mistici, in P.L., 182; 2) monastici, in P.L., 182; 3)  liturgici, in P.L., 182-183; 4) dogmatici ed apologetici, in P.L., 182; 5) agio-  grafici, in P.L., 182. L’ed. critica delle opere, a cura di J. LecLERO, C. H.  TaLBor, H. M. RocHars, è in corso a Roma, 1957 sgg. Cfr. inoltre:  Sr. Bernarp, Oeuvres (voll. 2) a cura di M. M. Davr, Parigi, 1945 e l’ed.  spagnola in corso a Madrid, 1953 sgg.    Bibliografia: Cfr. GevEr, pp. 707-708; De Brie, nn. 5263-5284; De WuLF,   I, pp. 255-256.   Per la bibl. generale completa fino al 1891 cfr. G. Hurrer, Die Wunder des   Al. Bernard, “Hist. Jahrb.,” 1889 e in L. JAanAUSCHEK, Xenia bernardina,   Vienna, 1891, rist anast., Hildersheim, 1959; C. H. TaLsor, Bibliografia   di S. Bernardo, “Riv. st. d. Chiesa in Ital.,” 1954; J. DE LA Crorx Bourton,   Biblioeraphie bernardinienne, Parigi, 1958.  Tra gli studi generali e i più recenti v.:   E. Vacanparp, Vie de S. Bernard abbé de Clairvauz, Parigi, 1910.   J. Bernuart, Eckhartistische und bernhardische Mystik in ihren Beziehun-  gen und Gegensitzen, Kempten, 1912.   S. Bernard et son temps, Dijon, 1928.   P. LasERRE, Un conflit religieux politique au XII° siècle: S. Bernard et Abé-  lerd, Parigi, 1930.   P. MirERRE, St. Bernard. Un moine arbitre de l'Europe au XII° siècle, Gen-  val, 1929.   Ipem, La doctrine de S. Bernard, Bruxelles, 1932.   A. FescHNER, Die Politische Theorie des Abbas Bernards von Clairvaux in  seinen Briefen, Bonn, 1933.   E. Gitson, La :héologie mystique de S. Bernard, Parigi, 1934, 19472.   W. Wicciams, St. Bernard of Clairvaux, Manchester, 1936.   O. Castren, Bernhard von Clairvaux. Zur Typologie des mittelalterlischen  Menschen, Lund, 1938.   J. Baupry, Saint Bernard, Parigi, 1946.   J. LecLERco, St. Bernard mystique, Bruges, 1948, Parigi, 1958.   E. Gitson, S. Bernard. Textes choisies et présentées, Parigi, 1949.   C. Despinay, L'ime embrasée de St. Bernard, Parigi, 1950.   Ipem, Textes sur St. Bernard et Gilbert de la Porrée, “Med. Stud.,” 1952.    549    Bibliografia    P. DoumontIgr, St. Bernard et la Bible, Bruges, 1953.   M. T. AntonELLI, Bernardo di Chiaravalle, Milano, 1953.   J. LecLerco, Études sur S. Bernard et le texte de ses écrits, Roma, 1953.   S. Vanni-RovicHI, S. Bernardo e la filosofia, “Riv. filos. neosc.,” 1954.   L. Sartori, Natura e grazia nella dottrina di S. Bernardo, “Studia pata-  vina,” 1954.   Saint Bernard théologien, Actes du congrès de Dijon, 1953, Roma, 1955.   Bernhard von Clairvaux, Monch und Mystiker, Int. Bernhard-Kongress,  Magonza - Wiesbaden, 1955.   J. LecLerco, Recherches sur les “Sermons sur les Cantiques” de St. Bernard,  “Rev. Bénédict.,” 1955, 1959, 1960.   E. KLEInEIDAM, Wissen, Wissenschaft, Theologie bei Bernhard von Clairvaux,  Lipsia, 1955.   J. LecLerco, L'archétype clairvallien des traités de St. Bernard, “Scriptorium,”  1956.   Z. ALszecny, Contributo alla teologia bernardiana, “Greg.,” 1957,   Pu. DeLHave, Le problème de la conscience morale chez S. Bernard, Namur,  1957.   Bruno of Sr. James, Saint Bernard of Clairvaux: An Essay in Biography,  Nuova York, 1957.   A. Van DEN BoscH, L'intelligence de la foi chez St. Bernard, “Cîteaux  Nederl.,” 1957.   IneM, The christology of St. Bernard: a review of recent works, ibidem,  1957.   Inem, Presupposé è la christologie bernardine, “Cîteaux Nederl.,” 1958.   R. Assunto, Sulle idee estetiche di Bernardo da Chiaravalle, “Riv. estet.,”  1959.   E. Borssazp, St. Bernard et le Pseudo-Aréopagite, “Rech. théol. anc. méd.,”  1959.   A. Van DEN BoscH, Le mystère de l'incarnation chez St. Bernard, “Cîteaux,”  1959.   W. ULLMANN, St. Bernard and the nascent international low, ibidem, 1959.   A. Fiske, Sf. Bernard of Clairvaux and friendship, ibidem, 1960.    Guglielmo di St. Thierry    Opere principali: Epistola ad Fratres de monte Dei; De contemplando  Deo; De natura et dignitate amoris; Adversus Abaclardum; Speculum fidei;  Aenigma fidei; De natura corporis et animae, ecc.    Edizioni: Le Opere in P.L., 180; le Meditativae orationes a cura di  M. M. Davv, Parigi, 1934; L’Epistola ad Fratres de Monte Dei, ed. crit.  e tr. a cura di M. M. Davy, Parigi, 1940; il Commentario al Cantico dei  cantici sempre a cura di M. M. Davy, Parigi, 1958; lo Speculum e l’Aenigma,    550    Bibliografia    sempre ed. Davy, Parigi, 1959; il De contemplando Deo, ed J. HourLieR,  Parigi, 1959; cfr. anche Oeuvres choisies (ed. J. M. DecHanET) Parigi, 1944.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 708; De Brie, nn. 5250-5262; De Wutr,   I, pp. 255-256.  In particolare si veda:   A. Apam, Guillaume de S. Thierry, sa vie et ses oeuvres, Bourg-en-Bresse,  1923.   L. Matevez, La doctrine de lime et de la connaissance mystique chez  G. de S-Thierry, “Rech. sc. relig.,” 1932.   M. M. Davy, La connaissance de Dieu d'après Guill. de St. Th., “Rech.  sc. relig.,” 1938.   J. M. DécHanet, Guill. d. St. Thierry. L’homme et son oeuvre, Bruges-  Parigi, 1942.   Ipem, La doctrine de l'amour-intellection chez G. de St. TÀ., e Guill. d. St.  Thierry et Plotin, “Rev. m. à lat.,” 1945, 1946.   E. Girson, Notes sur Guillaume de St. Thierry, in La théologie mystique de  S. Bernard, cit., pp. 216-232.   L. DE Simone, Gugl. di S. Thierry, “Sapienza,” 1949.   M. M. Davy, Théologie et mystique de Guill. de St. Thierry, I, La con-  naissance de Dieu, Parigi, 1954.   L. DE Simone, Gli aspetti filosofici della mistica di Guglielmo di St. Thierry,  “Doctor communis,” 1957.   R. De Gancx, Petits travaux sur Guillaume de St. Thierry, “Cîteaux  Nederl.,” 1958.   E. Garin, Guglielmo di Conches e Guglielmo di Saint-Thierry, in Studi sul  Platonismo medievale, cit., pp. 62-68.   O. Brooke, The trinitarian aspect of the ascent of the soul to God in the  theology of William of St. Thierry, “Rech. théol. anc. méd.,” 1959.  IpeM, The speculative development of the trinitarian theology of William   of St. Thierry, ibidem, 1960.  Isacco di Stella  Opere: Sermones; Epistola de anima ad Alcherum  Edizioni: Opera, in P.L., 194.  Bibliografia: F. BLieMETZRIEDER, Isaac de Stella. Sa spéculation théolo-  gique, “Rech. théol. anc. méd.,” 1932.  W. Meuser, Die Erkenninislehre d. Isaac v. Stella, Bottropp i. w., 1934.  M. A. FracHeBouD, Le Pseudo-Denys l'Aréopagite parmi les sources du  cistercien Isaac de l’Etoile, “Collect. Ord. Cister.,” 1947.  IpeM, L'inffuence de St. Augustin sur le cistercens Isaac de l’Etoile, “Coll.  Ord. Cister.,” 1949,    E. BertoLA, La dottrina psicologica di Isacco di Stella, “Riv. filos. neosc.,”  1953.    55!    Bibliografia    La bibl. generale in Gerer, p. 708; De Brie, n. 5480; De Wutr, I,  p. 228.    Alchero di Clairvaux    Opera: Liber de spiritu et anima  Edizioni: in P.L., 40, 773-832 sotto il nome di Agostino.    Bibliografia: G. Tuery, L'authenticité du “De spiritu et anima” dans  St. Thomas et Albert le Grand, “Rev. sc. philos. théol.,” 1921.  P. FourNIER, s.v., in DHGE, II, 14-15.    Ugo di S. Vittore    Opere: Filosofiche: Didascalion; Epitome in Philosophiam; De unione  corporis et spiritus; Mistiche: De arca Noe morali; De arca Noe mystica;  Soliloguium de arrha animac; Commentarium in Hierarchiam caelestem  S. Dionysii, l. X., ecc.    Edizioni: Le Opere in P.L., 175-177. Cfr. inoltre: Epitome in philoso-  phiam, ed. Haurfau, in H. de St. Victor. Nouvel examen de ses ocuvres,  Parigi 1859; Hugonis a S. Victore Didascalion. De Studio legendi, ed. cri-  tica a cura di C. H. Burrimer, Washington, 1939; Hugues de St. Victor,  La contemplation et ses espèces (testo e intr.) ed. R. Baron, Parigi, 1958.  Si cfr. J. De GHeLLINcK, La tables de matières de la première édition des  ocuvres de Hugues de St. Victor, “Rech. sc. relig.,” 1910; e Un catalogue  des oeuvres de H. de S. V., “Rev. néoscol. philos.,” 1913.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 709; De Brig, nn. 5287-5295; De WutLr,   I, pp. 221-222. In particolare v.:   A. Mignon, Les origines de la scolastique et Hugues de S. Victor, Parigi,  1895.   F. VERNET, Hugues de S. V., in DThC, V, 240-308.   W. A. ScHNEMER, Geschichte und Geschichtsphilosophie bei Hugo von St.  Victor, “Miinsterische Beitrige zur Geschichtsforschung,” 3, Miinster,  1933.   B. BiscHorr, Aus der Schule H. v. St. V., in Aus der Geisteswelt des Mittel  alters, (“Beitrige,” suppl. III), Miinster, 1935.   F. E. Crorpon, Notes on the Life of Hugh de S. Victor, “Journ. theol.  Stud.,” 1939.   ). LecLERco, Le De Grammatica de Hugues de S. Victor, “Arch. Hist. doctr.  litt. m. d.,” 1943-1945.   J. KLEInz, The theory of knowledge of Hugh of S. V., Washington, 1944.   H. WerswetLER, Die Arbeitsmethode Hugos v. S. Victor “Schol.,” 1949.   Ipem, Zur Einflussphaere der “Vorlesungen” H.s von St. Viktor, in “Mél.  J. De Ghellink,” Gembloux, 1951.    552    Bibliografia    J. CrÒatiLLon, De Guillaume de Champeaur è Thomas Gallus. Chronique  d'histoire littéraire et doctrinale de l'école de Saint-Victor, “Rev. m. È.  lat.,” 1952.   R. Baron, L'influence de Hughes de Saint-Victor, “Rech. théol. anc. méd.,”  1955 {   Ipem, É:ude sur l'authenticité de l'ocuvre de Hugues de St. Victor..., “Scrip  torium,” 1956.   Ipem, Science et sagesse chez Hugues de Saint-Victor, Parigi, 1957.   D. Van pEN EynpE, Les Commentaires sur Joèl, Abdias et Nahum attribués  à Hugues de St. Victor, “Franc. Stud.,” 1957.   H. WeriswetLer, Sacramentum fidei, Augustinische und Pseudodionysische  Gedanken in der Glaubensauffassung Hugos von St. Viktor, “Misc.  Schmaus,” 1957.   L. CaLoncuHI, Le scienze e la classificazione delle scienze in Ugo di S. Vit-  tore, Torino, 1956.   F. W. Wirre, Die Staats-und Rechtsphilosophie des Hugo von St. Viktor,  “Arch. Recht-Sozialphilosophie,” 1957.   R. Roques, Connaissance de Dieu et théologie symbolique d'après l“In  Hierarchiam coelestem” de Hugues de St. Victor, in De la connaissance  de Dieu, cit., pp. 187-266.   H. R. ScHLeTTE, Die Eucharistielehre Hugos von St. Viktor. “Z. kathol.  Theol.,” 1959.   R. Baron, Un point de philosophie et de mystique comparée, “Rev. hist.  philos. relig.,” 1959.   E. BertoLa, Di alcuni trattati psicologici attribuiti a Ugo di S. Vittore,  “Riv. filos. neoscol.,” 1959.   J. A. RosiLLIARD, Hugues de Saint-Victor a-t-il écrit le “De contemplatione  et cius speciebus”? “Rev. sc. philos. théol.,” 1959.   R. Baron, Hugues de St. Victor: contribution è un nouvel examen de son  oeuvre, “Traditio”” 1959.   InpeMm, Rapports entre St. Augustin et Hugues de St. Victor, trois opuscules  de Hugues de St. Victor, “Rev. Etud. Aug.,” 1959.   D. Van pEN Evnpe, Deux traités faussement attributs è Hugues de St.  Viktor, “Franc. Stud.,” 1959.   O. Lortin, Questions inédites de Hugues de St. Victor, “Rech. théol. anc.  méd.,” 1959-1960.   R. JaveLET, Les origines de Hugues de St. Victor, “Rev. sc. relig.;” 1960.   D. Van pEN Evnpe, Les notules in Genesim de Hugues de St. Victor, source  litteraire de la “Summa Sententiarum,” “Ant.,” 1960.   Inem, Essai sur la succesion et la date des écrits de Hugues de St. Victor,  Roma, 1960.    553    Riccardo di S. Vittore    Opere: Tractatus de gradibus charitatis; Beniamin minor; Beniamin ma-  ior; De Trinitate; Quomodo Spiritus Sanctus est amor Patris et Filii;  Liber exceptionum; Epistolae.    Edizioni: I testi in P.L., 196; 177 coll. 193 sgg. Cfr. inoltre: Richard de  S. V. Les quatre degrés, testo critico, trad. e note, a cura di G. DUuMEIGE,  Parigi, 1955; De Trinitate, ed. e note di J. RisarLLier, Parigi, 1958; Liber  exceptionum ed. e note di J. CratiLLON, Parigi, 1958, e ancora il De Trinitate  con trad. franc. a cura di G. SaLET, Parigi, 1960 e R. de St. Victor, Sermons  et opuscules inédits tr. fr. Pragi, 1951.  Bibliografia: Cfr. Gever, p. 710; DE Bn, nn. 5496, 5550; De WuLr,  I, p. 222.  In particolare:  C. Ortaviano, Riccardo di S. Vittore. La vita, le opere, il pensiero, “Mem.  R. Accad., Naz. Lincei,” 1933.  A. M. EtHIER, Le “ De Trinitate” de Rich. de S. Victor, Parigi-Ottawa, 1939.  J. A. Rosi.LIARD, Les six genres de contemplation chez Rich. d. S. Victor et  leur origine platonicienne, “Rev. sc. philos. théol.,” 1939.  I. Guimet, “Caritas ordinata” et “amor discretus” dans la théologie trini-  taire de R. de S. V., “Rev. m. 8. lat.” 1948.  G. DumeIGe, Richard de Saint Victor et l'idée chrétienne de l'amour, Parigi,  1952.  J. BeaUMER, R. v. S. Viktor Theologe und Mystiker, “Schol.,” 1956.  R. Baron, Richard de St. Victor est-il l'auteur des Commentaires de Nahum,  Joél, Abdias?, “Rev. bénédict.,” 1958.    Goffredo di S. Vittore    Opere: In P. L., 196. Cfr. inoltre: Godefroy de Saint Victor. Fons  Philosophiae, a cura di A. CHarma, Caen, 1869; Godefroy de Saint-Victor.  Microcosmus, ediz. a cura di PH. DeLHAYE, Lilla-Gembloux, 1951; Godefroy  de Saint Victor. Fons Philosophiae, ed. a cura di P. MicHaup-Quantin,  Namur-Lovanio, 1956.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 710; De WuLF, I, p. 222.  In particolare:    Pu. DeLHave, Nature et grice chez Geoffroy de S.Victor, “Rev. m. &.  lat.,” 1947.   IpeM, Le “Microcosmus” de Godefroy de Saint-Victor. Étude théologique,  Lilla-Gembloux, 1951.    Ildegarda di Bingen    Opera: Scivias, Liber divinorum operum simplicis hominis, ecc.    554    Bibliografia    Edizioni: in P.L., 197, 145-1038; in J. B. Prrra, Analecta sacra spicilegio  Solesmensi parata, VIII, Montecassino, 1882; in A. Damorseau, Novae edit.  opp. omn. S. Hildegardis experimentum, Sampierdarena, 1893-1899.    Bibliografia: cfr. De Wutr, I, p. 255.  In particolare:    CH. Sincer, The scientific views and visions of S. Hildegard, in Studies  in the history and methods of science, I, Oxford, 1917.   H. Fiscrer, Die Al. Hildegard, die erste deutsche Naturforscherin und  Aerz®n, Monaco, 1927.   H. LiesescHurz, Das allegorische Weltbild der hl. Hildegard von Bingen,  Lipsia, 1930.   M. Uncrunp, Die metaphysische Anthropologie der hl. Hildegard von Bingen,  Miinster, 1938.    D. Baumcarpr, The concept of mysticism, “Rev. of. relig.,” 1948.  Capitolo ottavo   Per la bibliografia relativa al pensiero politico ed alle controversie teo-  logico-politiche del XII secolo, rinviamo direttamente alla ricca bibliografia    di L. Firpo, in app. alla tr. ital. di R. W. e A. J. CaruxLe, Il pensiero  politico medioevale, vol. II, Bari, 1959, pp. 607-681.    555    Parte terza    Capitolo primo    Tra la vastissima bibliografia sulla filosofia araba (e cfr. GEvER, pp: 716-  720; De Brie, nn. 21819-21923) citiamo soltanto i seguenti studi di carat-  tere generale.    Bibliografia:   V. CHÙauvin, Bibliographie des ouvrages arabes ou relatifs aux Arabes pu-  bliés dans l'Europe chrétienne de 1810 à 1885, Liegi, 1892-1922.   D. PranmuLcer, Handbuch der Islam-Literatur, Berlino, 1923.   E. Carverev, A brief bibliography of arabic philosophy, “The Moslen  World,” 1942. °   ]. Sauvacet, Introduction è l'histoire de l’Orient musulman: éléments de  bibliographie, 1943; Corrections et suppléments, 1946.   P. J. De Menasce, Arabische Philosophie, fasc. 6 di “Bibliographische Ein-  fihrungen in das Studium der Philosophie,” Berna, 1948.   G. C. Anzwart; Le Philosophie en Islam au Moyen-Age, in Philosophy in  the Mid-Century, a cura di R. KLisansKy, vol. IV, Firenze, 1959.    Index Isiamicus, 1906-1955, Cambridge, 1958.  Opere generali:   S. Munx, Mélanges de philosophie juive et arabe, Parigi, 1859, 19272.   T. J. DE Borr, Geschichte der Philosophie im Islam, Stoccarda, 1901.   B. Carra DE Vaux, Les penseurs de l'Islam, Parigi, 1921, 1926.   E. De Lacy O’Leary, Arabic thought and his place in history, Londra, 1922,  19572.   L. GaurtHIER, Introduction è l'étude de la philosophie musulmane, Parigi,  1923.   M. Horten, Die Philosophie des Islams, in KAFKA, Geschichte der Philos.  in Einzeldarstellungen, Monaco, 1923.   E. Girson, L’étude des philosophes arabes et son réle dans linterprétation  de la scolastigue, “Proceed. of the sixth internat. Congress of Philos.,”  1927.   M. Horten, /Islamische Philosophie (Die Religion in Geschichte und Gegen-  wart, t. III, 2° ed.), Tubinga, 1930.    556    Bibliografia .    G. Quapri, La filosofia degli Arabi nel suo fiore, Firenze, 1939.  G. FurLaniI, La filosofia araba, “Conferenze Centro Studi Vicino Oriente,”  Roma 1943.   G. E. V. GruneBaUM, Medieval Islam, Chicago, 1946.   A. S. Trirton, Muslim Theology, Londra, 1947.   J. W. SweEETMAN, Zslam and Christian theology, a study of interpretation of   theological ideas in the two religions, Londra, 1945-1948.   Garpet-M. M. ANAWATI, Introduction à la théologie musulmane, Parigi,  1948.   GarpeT, La Cité musulmane, Parigi, 1954.   Anprae, Les origines de l'Islam et le christianisme, Parigi, 1955.   I. J. RosenTtHAL, Political Thought in medieval Islam: an introductory   outrline, New York, 1958.   . C. AnawAtI, Philosophie médiévale en terre d'Islam, “Mél. Inst. domi-  nicain Etud. Orient.,” 1958.    o mar r    Leonardo Fibonacci    Opere: Liber abbaci (1202); Flos; Practica Geometriae (1220); Liber  quadratorum (1225).   Edizioni: Scritti di Leonardo Pisano, a cura di B. Boncompagni, Roma,  1857-1872.    Bibliografia: Cfr. E. BortoLotTI, Storia della matematica elementare,  in Enciclopedia della matematica elementare, Milano, 1950.    al-Kindi    Opere: De intellectu; De somno et visione; De somno et vigilia; De  quinque essentiis; Liber introductorius in artem logicae demonstrationis;  Epistola sull'acquisto della filosofia solo mediante le matematiche; Trattato  circa il numero dei libri di Aristotele e circa ciò che è necessario per rag-  giungere la filosofia; Sull'anima; Epistola intorno all'arte di allontanare la  tristezza. Inoltre un famoso trattato di Ortica, tradotto da Gerardo da Cre-  mona e diffusissimo nel XIII e XIV sec.   Edizioni: Numerosi scritti sono stati pubblicati da ‘Abd al-Hadi Abi  Ridah, sotto il titolo Rasa'il al-Kindi alfalasafiyyah, il Cairo, 1950. Cfr.  inoltre Una risalah di al-Kindi sull'anima, a cura di G. Furtani, “Riv.  trimestr. di studi fil. e relig.,” 1922.    Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 726; De Brie, nn. 21931-21932a; DE WuLF,  I, p. 305.    In particolare vedi:  A. Nacy, Die philosophischen Abhandlungen des Ja qub ben Ishaq al-Kin-  di (“Beitrige,” II, 5), Miinster, 1897.    557    Bibliografia    G. FLucer, Al-Kindi genannt der “Philosoph der Araber” “Abhdig. f. d.  Kunde Morgenlandes,” 1854.   H. Matter, Al-Kindi, “Hebrew Union College Annual,” Cincinnati, 1904.   G. Furtani, Una riszlah di al-Kindi sull'anima, cit.   M. Gui: - R. Warzer, Studi su Al-Kindi: I. Uno studio introduttivo allo  studio su Aristotele; II. Uno scritto morale inedito di Al-Kindi (Temistio  “peri aliplas”), “Mem. Acc. Lincei.,” serie 7, v. 4, 1938, serie 7, v. 8, 1940.   F. RosentHAL, Al-Kindi als Literat, “Orientalia,” 1942.   A. Cortazarrfa, La obras y las doctrinas del filosofo Al Kindi en los escritos  de S. Alberto Magno, “Estud. filos.,” 1951-1952 (e cfr. anche “Ciencia  tomista, 1952).    al-Farabi  Opere principali: De intellectu; De scientiis; De ortu scientiarum; De    Platonis Philosophia; Compendium legum Platonis; Idee degli abitanti  della città virtuosa; Liber exercitationis ad viam felicitatis.    Edizioni: Alfarabis Philosophische Abhandlungen (testo arabo), a cura  di F. Diererici, Leida, 1890 (trad. ted., Leida, 1892); Der Musterstaat  von Alfarabi, a cura di F. Drererici, Leida, 1895 (trad. ted., Leida, 1904);  Die Staatsleitung von Alfarabi, trad. ted. a cura di F. Dreterici, Leida,  1904; Das Buch der Ringsteine Farabis mit dem Kommentar des Emir Ismail  el Hoscini el Farani, trad. ted. a cura di M. Horten, Miinster, 1906; A/fa-  rabi. De Intellectu et intellectus, trad. ‘lat. medievale, a cura di E. Gitson,  “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1929-1930; Alfarabius, De Arte Poetica,  ediz. e trad. inglese a cura di A. J. Arserry, “Riv. stud. orient.,” 1930;  Alfarabius, Catélogo de las ciencias, ediz. a cura di A. GonzaLes PALENCIA,  Madrid, 1932; Alfarabius, De Platonis philosophia, a cura di F. RosENTHAL-  R. Watzer, Londra, 1943; Alfarabius, Compendium Legum Platonis, testo  arabo e trad. lat. a cura di F. GagriELI (Corpus platonicum medii aevi),  Londra, 1952; Al Farabi's Arabic-Latin Writings on Music... “De scientiis”  and “De ortu scientiarum,” testo tr. ingl. a cura di H. Harmer, Glasgow,  1934; Idées des habitants de la cité vertueuse, tr. fr., Il Cairo, 1949.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 720 sgg.; De Brie, nn. 21938-21943b; DE  Wutr, Ì, p. 305.    In particolare vedi:   R. Hamui, La filosofia di Alfarabi, “Riv. filos. neoscol.,” 1928.   E. Girson, Les sources greco-arabes de l'augustinisme avicennisant, “ Arch.  Hist. doctr. litt. m. 4.,” 1930.   I. Mapkour, Le place d'al Farabi dans l'école philosophique musulmane,  Parigi, 1934.    558    Bibliografia    Strauss, Quelques remarques sur la science politique de Maimonide   et de Farabi, “Rev. étud. juives,” 1936.   J. ArserrY, Farabis Canons of Poetry, “Riv. stud. orient.” 1937.   Karam, “La Ciudad virtuosa” de Alfarabi, “Ciencia tomista,” 1939.   BéporeT, Les premières traductions tolédanes de philosophie. Oeuvres   d'Alfarabi, “Rev. néosc. philos.,” 1938.   H. Sarman, Le “Liber exescitationis ad viam felicitatis” d’Alfarabi,   “Rech. théol. anc. méd.,” 1940.   H. SaLman, The Mediaeval Latin Translations of Alfarabi's Works,   “N. Schol.,” 1939.   Strauss, Farabi's Plato, “L. Ginzeberg Jubilee Volume,” New York,   1945 pp. 257-294.   Corrasarria, Las obras y la filoséfia de Alfarabi en los escritos de Alberto   Magno, “Ciencia tomista,” 1951.   IneM, Doctrinas psicologicas de Alfarabi en los escritos de Alberto Magno,  ibidem, 1952.   Ipem, Tabla general de las citas de Alkindi y de Alfarabi en las obras de  Alberto Magno, “Est. filos.,” 1953.   D. CasaneLAas, Alfarabi y su “Libro de la concordancia” entre Platon y   Aristoteles, “Verdad y Vita,” 1950.    p_TODO SD Ta F    F. Rassmann, L'“Intellectus acquisitus” in Alfarabi, “Gior. crit. filos. ital.,”  1953.   E. BertoLa, Commento al “Dell'essenza dell'anima” di al-Farabi, “Misc.  Centro di studi mediev. dell’Un. catt. di Milano,” Milano, 1956.   R. Waczer, al-Farabi's theory of profecy and divination, “Jour. hellen.  Stud.,” 1957.   L. Strauss, How Farabi read Plato's Laws, “Mél. L. Massignon,” 1959.   Avicenna    Opere: Della vastissima produzione (la bibl. critica di Mahdavi cita  131 opere autentiche e 110 dubbie, e il P. Anawati 276 di cui parecchie  dubbie ed apocrife) citiamo soltanto oltre al celebre Canone della medicina  (al-Oanuùn fi-t-tibb) i seguenti scritti di carattere propriamente filosofico:  il Kitàb ash-Shifa (Libro della guarigione); il Kitab-an-Nagiah [Libro della  salvezza (dall'errore)], estratto dello Skifz; il perduto Libro del giudizio  imparziale tra occidentali e orientali (Kitàb-al-'Jus3f); una ventina di Opw-  scoli filosofici; alcuni frammenti pubblicati da A. BapHawi; il Kit20 al'-Isharat  wa't-tanbihat [Libro delle direttive e annotazioni]; il Daneshnameh i-Alè'i  [Libro della sapienza per ’Aal); una parte della Logica della sua Filosofia  orientale nota sotto il nome di al-Hikmah al-mashrigiyyah; inoltre la Epistola  sull'amore (Risala f''l-Isq).    Edizioni: il Canone, pit volte stampato in Occidente, è stato adattato e  riassunto in ingl. da O. A. Cameron GruNER, A Treatise on she Canon of    559    Bibliografia    Medicine of Avicenna. Incorporating a Translation of the First Book, Londra,  1930; le parti della 4/-Sifa tradotte nel Medioevo furono pubblicate a Ve-  nezia nel 1495 (rist. anast., Heverlee-Lovanio, 1960) e 1508; tr. ted.  «della Metafisica, M. Horten, Die Metaphysik Avicenna's: das Buch der  Genesung der Seele, Lentiis”  and “De ortu scientiarum,” testo tr. ingl. a cura di H. Harmer, Glasgow,  1934; Idées des habitants de la cité vertueuse, tr. fr., Il Cairo, 1949.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 720 sgg.; De Brie, nn. 21938-21943b; DE  Wutr, Ì, p. 305.    In particolare vedi:   R. Hamui, La filosofia di Alfarabi, “Riv. filos. neoscol.,” 1928.   E. Girson, Les sources greco-arabes de l'augustinisme avicennisant, “ Arch.  Hist. doctr. litt. m. 4.,” 1930.   I. Mapkour, Le place d'al Farabi dans l'école philosophique musulmane,  Parigi, 1934.    558    Bibliografia    Strauss, Quelques remarques sur la science politique de Maimonide   et de Farabi, “Rev. étud. juives,” 1936.   J. ArserrY, Farabis Canons of Poetry, “Riv. stud. orient.” 1937.   Karam, “La Ciudad virtuosa” de Alfarabi, “Ciencia tomista,” 1939.   BéporeT, Les premières traductions tolédanes de philosophie. Oeuvres   d'Alfarabi, “Rev. néosc. philos.,” 1938.   H. Sarman, Le “Liber exescitationis ad viam felicitatis” d’Alfarabi,   “Rech. théol. anc. méd.,” 1940.   H. SaLman, The Mediaeval Latin Translations of Alfarabi's Works,   “N. Schol.,” 1939.   Strauss, Farabi's Plato, “L. Ginzeberg Jubilee Volume,” New York,   1945 pp. 257-294.   Corrasarria, Las obras y la filoséfia de Alfarabi en los escritos de Alberto   Magno, “Ciencia tomista,” 1951.   IneM, Doctrinas psicologicas de Alfarabi en los escritos de Alberto Magno,  ibidem, 1952.   Ipem, Tabla general de las citas de Alkindi y de Alfarabi en las obras de  Alberto Magno, “Est. filos.,” 1953.   D. CasaneLAas, Alfarabi y su “Libro de la concordancia” entre Platon y   Aristoteles, “Verdad y Vita,” 1950.    p_TODO SD Ta F    F. Rassmann, L'“Intellectus acquisitus” in Alfarabi, “Gior. crit. filos. ital.,”  1953.   E. BertoLa, Commento al “Dell'essenza dell'anima” di al-Farabi, “Misc.  Centro di studi mediev. dell’Un. catt. di Milano,” Milano, 1956.   R. Waczer, al-Farabi's theory of profecy and divination, “Jour. hellen.  Stud.,” 1957.   L. Strauss, How Farabi read Plato's Laws, “Mél. L. Massignon,” 1959.   Avicenna    Opere: Della vastissima produzione (la bibl. critica di Mahdavi cita  131 opere autentiche e 110 dubbie, e il P. Anawati 276 di cui parecchie  dubbie ed apocrife) citiamo soltanto oltre al celebre Canone della medicina  (al-Oanuùn fi-t-tibb) i seguenti scritti di carattere propriamente filosofico:  il Kitàb ash-Shifa (Libro della guarigione); il Kitab-an-Nagiah [Libro della  salvezza (dall'errore)], estratto dello Skifz; il perduto Libro del giudizio  imparziale tra occidentali e orientali (Kitàb-al-'Jus3f); una ventina di Opw-  scoli filosofici; alcuni frammenti pubblicati da A. BapHawi; il Kit20 al'-Isharat  wa't-tanbihat [Libro delle direttive e annotazioni]; il Daneshnameh i-Alè'i  [Libro della sapienza per ’Aal); una parte della Logica della sua Filosofia  orientale nota sotto il nome di al-Hikmah al-mashrigiyyah; inoltre la Epistola  sull'amore (Risala f''l-Isq).    Edizioni: il Canone, pit volte stampato in Occidente, è stato adattato e  riassunto in ingl. da O. A. Cameron GruNER, A Treatise on she Canon of    559    Bibliografia    Medicine of Avicenna. Incorporating a Translation of the First Book, Londra,  1930; le parti della 4/-Sifa tradotte nel Medioevo furono pubblicate a Ve-  nezia nel 1495 (rist. anast., Heverlee-Lovanio, 1960) e 1508; tr. ted.  «della Metafisica, M. Horten, Die Metaphysik Avicenna's: das Buch der  Genesung der Seele, Lipsia, 1913; tr. lat. della Metafisica del Nagat:  A. Carame, Avicennae Metaphysicae compendium, Roma, 1926; ed. crit.  dell'originale: ash-Shifa, I, a cura di I. Mapkour, M. EL KHoprirr, G. C.  Anawati, F. eL-AÒw£nI, 1952; il De Anima (la parte psicologica delle  Kitab-al-Shifa) nell’ed. F. Ranman, Londra, 1959. Gli scritti mistici (Trastés  mystiques) in tr. fr. a cura di M. A. MEHREN, Leida, 1889-1899; La Logica  orientale, ed. sotto il titolo Mantig al-mashrigiyyah, Il Cairo, 1910; Cfr. inol-  tre: Introduction è Avicenne, son Epitre des définitions, tr. con note di A.  M. GorcHon, Parigi, 1933; I. Mapkour, L'Organon d'Aristote dans le monde  arabe... quelques pensées à un commentaire inédi di'Ibn Sina, Parigi, 1934;  Livre des Directives et Remarques, tr. con intr. e note di A. M. GorcHon,  Beyrut-Parigi, 1951; Le livre de Science (Dane3nameh) tr. fr. di H. Massé e  M. AcHENA, Parigi, 1955-1958; Poème de la médecine, a cura di A. JAHIER e  A. NovrEDDINE, Parigi, 1956. Inoltre tutte le opere persiane di Avicenna sono  state edite a Teheran in occasione del millenario (cfr. E. Rossi, 12 millenario  di Avicenna a Teheran e Hamadan, in “Oriente moderno,” 1954). Per i testi  di Avicenna che correvano nel medioevo cfr. oltre alle citate ed. della Me-  taphysica: Opera omnia, Venezia, 1495, 1508 (rist. anast. Heverlee-Lovanio,  1960); 1546; De Anima, Pavia, 1485, 1493; De animalibus, Venezia, 1500;  Canon, Strasburgo, 1473.    Bibliografia avicennista:    C. A. NaLLINO, s.v., in “Enc. Ital,” V, 638-639.   T. J. De Borr, /bn Sinz, “Encycl. de l'Islam,” II, 446.   O. Ercin, /brni Sinami eserleri, “Biiyik tirk filosof.,” 1937.   G. C. Anawati, Mw’ allafat Ibn Sinà, Il Cairo, 1950, riass. fr. in “Rev.  Thom.,” 1951.   A. A. HekMmaT, Les oeuvres persanes d'Avicenne, “Congrès de Bagdad,”  1952, pp. 84-97.   Sa‘tn Naricy, Bibliographie des principaux travaux européens sur Avicenne,  Teheran, 1953.   Inem, Pare Sina (Avicenne, his Life, Works, Thought and Time), Teheran,  1954.   YauHyva Maunpavi, Bibliographie d'Ibn Sina, Teheran, 1954.   O. Ercin, /bin Sina bibliografyasi, Instanbul, 1956.   G. C. Anawati, Chronique Avicénienne 1951-1960, “Rev. thom.,” 1960.    Volumi commemorativi: Millénaire d'Avicenne, “Rev. du Caire,” giugno  1951; Millénaire d'Avicenne (Congrès de Bagdad), Il Cairo, 1952; Mémorial  d'Avicenne, Il Cairo, 1952 sgg.; Avicenne, Scientist and Philosopher, a    560    Bibliografia    Millenary Symposium, Londra, 1952; Z. Sara, Le livre du Millénaire d'Avi-   cenne, Teheran, 1954; “Rev. Thom.,” 1951, n. 2.  Cfr. inoltre Gever, pp. 721-722; De Brie, nn. 21945-21965b; De Wutr,   I, pp. 305-306.  Tra gli studi più recenti e significativi, ci limitiamo a indicare:   B. Carra pe Vaux, Avicenne, Parigi, 1900.   G. GagrieLI, Avicenna, “Arch. st. scien.,” 1923.   D. Sacisa, Études sur la métaphysique d'Avicenne, Parigi, 1926.   E. Gitson, Pourquoi St. Thomas a critiqué St. Augustin, “Arch. Hist. doctr.  litt. m. 8.” 1926.   Ipem, Avicenne et le point de départ de Duns Scoto, Ibidem, 1927.   G. FurLani, Avicenna e il “Cogito ergo sum” di Cartesio, “Islamica,” 1927.   IpeMm, Avicenna, Barhebreo, Cartesio, “Riv. stud. orient.,” 1933.   E. Gitson, Les sources gréco-arabes de l'augustinisme avicennisant, “Arch.  Hist. doctr. litt. m. 8.,” 1929.   M. D. RoLanp-GosseLin, Sur les relations de l'ime et du corp d’après  Avicenne, “Mél. Mandonnet,” II, 1930.   A. M. GorcHon, Introduction è Avicenne..., Parigi, 1933.   C. Fasro, Avicenna e la conoscenza divina dei particolari, “Bull. filos.,”  1935.   A. Sougziran, Avicenne, Parigi, 1935.   A. M. GoicHon, La distinction de l'essence et de l'existence d'après Ibn  Sinà, Parigi, 1937.   Ipem, Lexique de la langue philosophique d'Ibn Sina, Parigi, 1939.   Ipem, Vocabulaire comparé d'Aristote e d’Ibn Sina, Parigi, 1939.   IpeM, La philosophie d'Avicenne et son influence en Europe médiévale,  Parigi, 1944, 195122   M. Cruz HernAnpez, La metafisica de Avicenna, Granada, 1949.   L. GarpeT, La pensée religieuse d’Avicenne, Parigi, 1951.   Avicenna: Scientist and Philosopher. Millenary Symposium, a cura di G.  M. Wickens, Londra, 1952.   E. BLocH, Avicenna und die aristotelische Linke, Berlino, 1952.   L. Garper, La connaissance mystique chez Ibn Sinà, et ses présupposés phi-  losophiques, Il Cairo, 1952.   Moxammap Yusur Musa, La sociologie et la politique dans la philosophie  d'Avicenne, Il Cairo, 1952.   F. Ranman, Avicenna's Psychologie, Oxford, 1952.   P. Mesnarp, Le millénaire d'Avicenne et ses répercussions sur l’histoire  de la philosophie, “Ann. Inst. Etud. orien. Alger,” 1953.   M. Cruz HernAnpez, La distincion aviceniana de la esencia y la existencia  y su interpretacion en la filosofia occidental, “Misc. Millés-Vallicrosa,”  1954.    s61    Bibliografia    H. A. Wotrson, Avicenna, Algazali and Averroes on divine attributes,  ibidem.   Avicenna nella storia della cultura medioevale, Acc. Naz. Lincei, anno  CCCLIV, 1957, Q.40, Roma, 1957.   S. M. Arnan, Avicenna, his life and works, Londra-New York, 1958.   J. CHaix-Ruv, La sagesse orientale d'Avicenne et les mythes platoniciens,  “Rev. d. la Mediterr.,” 1958.   M. Atonso, La “Alanniyya” de Avicenna y el problema de la esencia y  existencia, “Pens.,” 1958.   I. Mapkour, Le traité des categories du Shifa, “Mél. Inst. dominicain Etud.  orient.,” 1958.   F. RAHMAN, Essence and Existence in Avicenna, “Med. Renaiss. Stud.,” 1959.   E. BertoLa, Studi e problemi di filosofia avicenniana, “Sophia,” 1959.   P. M. De Conrenson, Avicennisme latin et vision de Dieu au début du  XIII siècle, “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1959.   ). CÙranx-Ruy, Du pythagorisme d’Avicenne au soufisme d'al-Ghazali, “Rev.  d. la Mediterr.,” 1959.   M. Cruz HernAnpez, La nocion de “ser” en Avicenna, “Pens.,” 1959.   G. C. Anawati, La destinée de l'homme dans la philosophie d’ Avicenne,  in L'homme et son destin, cit., pp. 257-266.   ). Craix-Ruv, L’homme selon Avicenne, ibidem, pp. 243-255.   A. M. GoicHon, Selon Avicenne l'ame humaine est-elle créatrice de son  corps?, ibidem, pp. 267-276.   G. JaLsErT, Le nécessaire et le possible dans la philosophie d'Avicenne, “Rev.  de l’Univ. d’Ottawa,” 1960.   M. E. Marmura, Avicenna and the Problem of the Infinite Number of  Souls, “Med. Stud.,” 1960.  Sull’influenza di Avicenna in Occidente:   G. Sarton, Introduction to the History of Science, Baltimora, 1927-1950,  sub ind.   M. De Wutr, L'augustinisme avicennisant, “Rev. néosc. philos.,” 1931.   R. De Vaux, Notes et textes sur l'avicennisme latin aux confins des XII-  XII siècles, Parigi, 1934.   ]J. TeicHER, Gundissalino e l'agostinismo avicennizzante, “Riv. filos. neosc.,”  1934.   A. M. GoicHon, La philosophie d'Avicenne et son influence en Europe mÉ  diévale, Parigi, 1944 e 19512.   Ipem, in “Encycl. mensuelle d'Outre-mer,” 1952.   A. C. CromBie, Avicenna's influence on the Medieval Scientific Tradition,  in Avicenna Scientist... cit.   M. T. D'ALverny, L'introduction d’Avicenne en Occident, “Rev. du Caire,”  1951.   Ipem, Notes sur les traductions médiévales d'Avicenne, “Arch. Hist. doar.  litt. m. 4.,” 1952.    562    Bibliografia    al-Gazzali    Opere principali: Vivificazione delle scienze della religione (Ihyd' ‘ulam  ad-din); Destructio philosophorum (Tahafut al-falasifah); Il salvante dall'er-  rore (al-Mungidh min ad-dalal); La moderazione nella credenza.    Edizioni: Logica et philosophia, Venezia, 1506; Tendentiae philosopho-  rum, Leida, 1888; Destructio philosophorum, Il Cairo, 1888; Algazel's Me-  taphysic. A mediaeval translation, a cura di J. T. Mucxkte, Toronto, 1933;  Al-Ghazali, O disciple!, trad. di G. H. ScHeRER, Beirut, 1951; 1ky2' ‘ulam  ad-din, ou Vivifications des sciences de la foi, ed. trad. G. H. Bouscuer,  Parigi, 1955; d/-Munquid min adalal, testo arabo e trad. di C. M. Farm  JaBre, Beirut, 1959.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 722; De Brie, nn. 21968-21991a; De Wutr,  I, p. 305.    In particolare v.:    M. Asfn Patacios, Algazel: dogmdtica, moral, ascética, Saragozza, 1901.   B. Carra pe Vaux, Gazali, Parigi, 1902.   H. Bauer, Die dogmatik al-Gazzalis, Halle, 1912.   Inem, Uber Intention, reine Absicht und Wahrhaftigkeit, Halle, 1916.   IpeM, Von der Ehe, Halle, 1917.   J. Osermann, Der philosophische und religiose Subjektivismus Ghazalis,  Vienna-Lipsia, 1921.   M Bouuyces, Algazeliana, “Mél. Fac. Orient.,” 1922.   H. Bauer, Erlaubtes und verbotenes Gut, Halle, 1922.   M. Asfn Patacios, Un compendio musulmano de pedagogia, el libre de la  introducion a las ciencias de al-Gazali, Saragozza, 1924.   Ipem, La espiritualidad de Algazel y su sentido cristiano, Madrid-Granada,  1934-1941.   D. H. SaLman, Algazel et les Latins, “Arch. Hist. doctr. Hitt. m. 4.,” 1936.   A. J. Wensinck, La pensée de Ghazali, Parigi, 1940.   A. WeEHR, Al-Gazzalis Buch vom Gottvertrauen, Halle, 1940.   M. SmitH, Al Gazali, the Mystic, Londra, 1944.   W. M. Warr, The Authenticity of the Works Attributed to al-Gazali,  “Jour. R. Asiatic Soc.,” 1952.   Ipem, The Faith and Practice of al-Gazali, Londra, 1953.   C. M. Farip Jagre, Biographie et Oecuvres de Ghazali, “Mél. Ideo,” 1954.   V. CÒÙistHor, Al-Oistas al Mustagim et connaissance rationelle chea Gazali,  “Bull. Etud. orient.,” 1955-1957.   C. M. Farip JaBrE, La certitude de Ghazali dans ses origines et son histoire,  Parigi, 1956.   S. De Braurecuen-G. C. Anawati, Une preuve de lexistence de Dieu  chez Ghazzali et St. Thomas, “Mél. Inst. dominicain Etud. orient.”  1956.    563    Bibliografia    C. M. Faxip Jasre, La notion de certitude selon Ghazali dans ses origines  psychologiques et historiques, Parigi, 1958.   M. Aronso, Influencia de Algazel en el mundo latino, “al-Andalus,” 1958.   G. F. Hourani, The dialogue between al-Ghazzali and the philosophers on  the origin of the world, “The Muslim World,” 1958.    Avempace    Opere: Della sua vasta produzione sono pervenuti una Epistola expedi-  tionis (Lettera d'addio); il riassunto ebraico della sua opera principale Il  regime del solitario (Tadbir al-mutawahkid); un trattato De anima e un  trattatello: Continuatio o Copulatio intellectus cum homine, entrambi il-  lustrati da Averroè; un De plantis.   Edizioni: I testi arabi, con tr. sp. del De plantis, della Continuatio,  del Regime e dell’Epistola in “al-Andalus,” 1940, 1942 1943, a cura di M.  Asîn Patacios. Il testo e tr. del Regime, sempre a cura di Asin PaLacios,  Madrid, 1948.    Bibliografia: cfr. Gevea, p. 722; De Brie, nn. 22010a-22011e; De WuLF,   II, p. 305.  In particolare cfr.:   M. Asîn Patacios, E! filbsofo zaragozano Avempace, “Rev. de Aragon,”  1900-1901.   Inem, Un texto de Al-Farabi atribuido a Avempace por Moisés de Narbona,  ibidem, 1942.   U. A. FarrukH, [bn Bajja (Avempace) and the philosophy in the Moslem  West, Beirut, 1945.   D. M. Duntop, Ibn Bajjah's “Tadbir'! Mutawahhid” (Rule of Solitary),  “Jour. R. Asiatic Soc.,” 1945.   S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, cit., pp. 386-410.    Aba Bekr Ibn Tufal    Opere: Ci rimane soltanto il trattatello filosofico Hayy ibn Yagzan  (dal nome del protagonista).    Edizioni: Ed. e tr. fr. di L. GaurHieR, Beirut, 1936; tr. ingl. di S.  Orcey, Il Cairo, 1905; di P. BrénnLE, Londra, 1904; tr. sp. di F. Pons  Borcnes, Saragozza, 1900; di A. GonziLes Parencia, Madrid, 1934, 19482.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 722; De Brie, nn. 21993-21994.  M. Asîn Patacios, E! filosofo autodidacto, “Rev. de Aragon,” 1901.  L. GautHIER, [bn Tufail. Sa vie, ses oeuvres, Parigi, 1909.  C. A. Naztino, Filosofia “orientale” od “illuminativa” di Avicenna?,    564    Bibliografia    “Riv. stud. orient.” 1925., ora in: Raccolta di scritti editi e inediti, VI,  Roma, 1948, pp. 218-256.   F. Garcia G6mez, Un cuento drabe fuente comin de Aben Tofail y de  Gracidn, “Rev. Arch. Bibl. y Museos,” 1926 .   Ipem, Una Oasida politica inédita de Ibn Tufail, “Rev. Inst. Egipcio  de Est. islamicos,” 1953.    Averroè    Opere: L'elenco particolareggiato degli scritti in M. Bouvees, Notes sur  les philosophes arabes connus des Latins au Moyen Age. V. Inventaires des  textes arabes d'Averroès, “Mél. de l’Univ. St. Joseph,” Beirut, 1922-1923.  Tra le opere scientifiche ricordiamo principalmente il Kulliyyat al-tibb [Prin-  cipî generali di medicina]. Per gli scritti di filosofia distinguiamo:   a) Trattati e scritti separati: 1) Fals al-magal watagrir ma bayna al-  shasî wa al-higma min al-'ittisal [Sentenza risolutiva dichiarante il modo in  cui -la filosofia è unita alla religione]; 2) al-Kashfan manahig aladillah  fi‘aqaid al-milla wa ta'arif ma waqa'a fiha bishasb al-ta'wil min al-shubah wa  al bida' al-mudhila [Svelamento del metodo di argomentare sui principî della  religione e indicazione sull'ambiguità ed errori eretici dovuti all'interpreta-  zione del testo sacro); 3) Damimat al mas'alat al-il algadim [Aggiunta al  problema della conoscenza eternal; 4) Tahafut al Tahafut [L'incoerenza  dell'incoerenza, confutazione di Algazali]; 5) Sulla possibilità della congiun-  zione fra l'intelletto materiale e l'intelletto separato, conosciuto solo nella  vers. ebraica medievale; 6) Soluzione del problema: eternità o creazione del  mondo, conosciuto solo nella versione ebraica medioevale;   b) Commenti aristotelici: 1) Commento Grande (shark o tasfir); 2)  Commento media (talkhis); 3: Compendi o perifrasi (gavami' o mukhtasar)  (Commenti a tutte le opere aristoteliche, eccettuata la Politica sostituita dalla  Repubblica di Platone).   c) Opere spurie: Tractatus de animae beatitudine, la cui prima parte  esiste anche separatamente col titolo: Libellus seu epistola de connexione  intellectus abstracti cum homine (e cfr. |. TeicHer, L'origine del “Tracta-  tus De animae beatitudine” “Atti del XIX Cong. int. degli Orientalisti,”  Roma).    Edizioni: Ed. di a 1, 2, 3 a cura di M. J. Miner, Monaco, 1858 (e  quindi le edd. Il Cairo, 1895-1896, 1910); ed. di 4 1, 3 con tr. fr. a cura di  L. GaurHieR, Ibn Rochd (Averroès, Traité décisif [Fagl el-magal) sur lac  cord de la religion et de la philosophie, suivi de l'Appendice [Dhamina],  Algeri, 19483); ed. di a 3 con la tr. lat. di Raimondo Martin (sec. XIII) a  cura di M. Asfn Patacios, in “Homenaje a Codera,” Saragozza, 1904; tr.  integrali di 4 1, 2, 3: ted. di M. J. MùtLER, Philosophie und Theologie  von Averroés (“Monumenta Saecularia” Bayer Akad. d. Wiss.), Minaco,  1875, ingl. di M. Jama-ur-REHMAN, The philosophy and theology of Averroes,    565    Bibliografia    Baroda, 1921, sp. di M. ALonso, Teologia de Averroes, Madrid-Granada,  1947; Ed. crit. di a 4 di M. Bouxces in “Bibl. arab. Scholasticorum,” S.  Arabe, III, Beirut, 1930; tr. ingl. di S. Van pen BercH, Londra, 1954;  tr. spagn. parziale di C. Qurés, in “Pens.,” 1960; ed. di a 5 parziale con  tr. ted. in'L. Hannes, Des Averroés Abhandlung: “Ueber die Mòoglichkeit  der Conjunktion,” Halle, 1892; ed. di 4 6 in app. a M. Worms, Die Lehre  von der Anfangslosigkeit der Welt bei den mittelalterlichen arabischen  Philosophen (“Beitrige,” III, 4), Miinster, 1900.   Ed. di et 1: Commento alla Metaphysica ed. crit. testo arabo, Tafsil  ma ba'ad at-tabi'at di M. Bouxrces, in “Bibl. arab. Scholasticorum,” S.  Araba, V-VII, Beirut, 1938-1948; De anima, ed. crit. tr. lat. medioevale,  Commentarium magnum in “De anima” di F. Stuart Crawrorp; “Corpus  Commentariorum Averrois in Aristotelem” della Mediaeval Academy of  America, Vers. lat., VI, 1, Cambridge (Mass.), 1953.   Ed. di © 2 Commento alle Categoriae, ed. crit. testo arabo, Talkhis kitab  al-maqulat di M. Bouyces, in “Bibl. Arab. Scholasticorum,” S. Araba, III,  Beirut, 1932; alla RAetorica, testo arabo a cura di F. Lasinio, Il Commento  medio della Retorica di Aristotele, Firenze, 1875-1878 (incompiuta); alla  Poetica, testo arabo a cura di F. Lasinio, Pisa, 1872 e ripubbl. da ’Aspuz-  RAHAMAN BapHawi, Aristoteles, De Poetica, Il Cairo, 1953; al De generatione  et corruptione, trad. dall’or. arabo e dal testo ebreo e versioni latine di  S. KueLanp (“Corpus Comm. Averrois in Aristotelem,” Vers. anglica, IV,  1-2), Cambridge (Mass.), 1958; l’ed. del testo ebraico, sempre a cura del  Kurtanp (“Corpus Comm. Averrois in Aristotelem,” Vers hebraic., N. 1-2),  ibid., 1958. i   . Ed. di 5 3: compendio di Physica, De caelo; De generatione, Meteorologi-  ca, De anima, Metafisica nel testo arabo sotto il titolo: Rasa'il Ibn Rushd,  Haiderabad, 1947; De anima (solo) in A. Faup AHwani, Talkhis, kitàb al-  nafs, Il Cairo, 1950; Metafisica (soltanto) in M. aL-Qassani, Fiil tigat al-  aquwail..., Il Cairo, 1903-1907 e con tr. sp. da C. Quiroz RopricuEz, AvERr-  roes, Compendio de Metafisica, Madrid, 1919; tr. ted. di S. Van DEN BERGH,  Leida, 1924; De sensu, testo arabo in A. BapHawt, Aristutalis fi al-nafs, Il  Cairo, 1954, pp. 191-239; Parva naturalia, ed. crit. trad. lat. med. di A.  L. SHieps (“Corpus Comm. Averrois in Aristotelem,” Vers. lat., VII),  Cambridge (Mass.), 1949; ed. crit. tr. ebraica di H. BLumBerc (ibidem, Vers.  hebraic., VII), ivi, 1954; Repubblica di Platone, ed crit. tr. ebr. med. di  E. T. J. RosentHAL, Cambridge (Mass.), 1956; commpendio del De gencra-  tione et corruptione in trad. ingl. insieme alla versione del “Commento me-  dio,” cit.   Ed. di c: la versione ebraica con tr. ted. in J. Hercz, Drei Abhandlun-  gen tiber die Conjunktion des separaten Intellekts mit dem Menschen von  Auverroés, Berlino, 1869.   ‘Il Kelliyyat al-tib5 è stato pubblicato sotto il titolo Quitab e? Culliat,  Larache, 1939.    566    Bibliografia    Per le ed. medioevali latine dei commenti e delle opere filosofiche cfr.  l’editio princeps delle Opera di Aristotele con i Commenti di Averroè:  Aristotelis opera omnia, Averrois in ca opera commentarii, Padova, 1472,  1473, 1474, e in seguito le varie edd. cinquecentesche tra le quali le più  complete sono quelle di Venezia, 1552 e quindi 1560 in 11 volumi.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 722-723; De Brie, nn. 21995-22009a; DE   Wutr, l, pp. 306-307.   In particolare si veda:   E. RENAN, Averroès et l’averroisme, Parigi, 1852, 18612.   F. Lasinio, Studi sopra Averroè, “Ann. Soc. ital. per gli Studi Orient.,”  1873, 1874; “Gior. Soc. Asiatica italiana,” 1897-1898, 1899.   L. GauTHIER, La théorie d'Ibn Rochd (Averroès) sur les rapports de la reli-  gion et de la philosophie, Parigi, 1909.   P. Doncoeur, La religion et les maftres de l’Averroisme, “Rev. sc. philos.  théol.,” 1911.   P. S. Curist, The psychology of the active intellect of Averroes, Filadelfia,  1926.   H. A. WotLrson, Plan of a Corpus Commentariorum Averrois in Aristotelem,  “Speculum,” 1931.   A. Mansion, La théorie aristotélicienne du temps chez les peripatéticiens  médiévaux, Averroès, Albert, Thomas, “Rev. néosc. phil.,” 1934.   J. TercHEr, Alberto Magno e il commento medio di Averroè sulla “Metafi-  sica” “Studi ital. filol. class.,” 1934.   M. Atonso, La cronologia en las obras de Averroes, “Misc. Comillas,” 1943.   S. C. Tornay, Averroe's doctrine of the mind, “Philos. Rev.,” 1943.   M. Atonso, Teologia de Averroes, Madrid-Granata, 1947.   L. GautHIER, Ibn Rochd, Parigi, 1948.   B. H. ZepLer, Averroes and immortality, “N. Schol.,” 1954.   T. AtLarp, Le rationalisme d'Averroès d’après une étude sur la création,  Parigi, 1955.   R. Arnacpez, La pensée religieuse d’Averroès, “Stud. Islam.,” 1956-1957.   R. AnceLIsanTI, Problema Dei existentiae in systemate Ibn Rusd, Gerusa-  lemme, 1956.   J. J. Housen, Ibn Rushd (Averroes) as a muslim philosopher, “Bijdragen,”  1958.   C. J. DE Vocet, Averroés als verklaarder van Aristoteles en zijn invloed op  het West-Europese denken, “Alg. Nederl. Tijdschr. Wissh. PsychoL,”  1957-1958.   N. RescHER, Three commentaries of Averroes, “Rev. met.,” 1958-1959.   S. Gomez Nocates, La immortalidad del alma a la luz de la noética de  Averroes, “Pens.,” 1959. È   Inem, El destino del hombre a la luz de la noética de Averroes, in L'homme  et son destin, cit., pp. 285-304.    567    Bibliografia    M. Cruz Hfrnannez, La libertad y la naturaleza social del hombre segùn  Averroes, Ibidem, pp. 277-283.   PH. MERLAN, Averroes iiber die Unsterblichkeit des Menschengeschlechtes,  ibidem, pp. 305-311.  Su Averroè scienziato cfr.:   L. GaurtHiEr, Une réforme du système astronomique de Ptolomée, tentée  par les philosophes arabes du XII siècle, “Jour. Asiatique,” 1909.   G. GaBrIELI, Averroè come scienziato, “Arch. stor. sc.,” 1924.   G. Sarton, Introduction to the History of Sciences, II, Baltimora, 1931, pp.  355-361.   L. GaurHnIER, Antécédents gréco-arabes de la psycho-physique, Beirut, 1938.   M. Atonso, Averroes observador de la naturaleza, “al-Andalus,” 1940.    Capitolo secondo  Filosofia ebraica    Tra l'ampia bibliografia sull'argomento (cfr. Gerer, pp. 723-725; DE  Brie, nn. 21613-21694; De Wutr, I, p. 307) citiamo solo i seguenti studi  di carattere generale:   D. NEUMAREK, Geschichte der jiidischen Philosophie des Mittelalters, Berlino,   1907-1928.   I. Husrk, A History of Medieval Jewish Philosophy, Filadelfia, 1916, u. e.   1958.   J. GurtMann, Die Philosophie des Judentums, Monaco, 1933.   E. MitLer, History of Jewish Mysticism, Londra, 1946.   E. BertoLA, La filosofia ebraica, Milano, 1947.   G. Vagpa, Introduction è la pensée juive du moyen dge, Parigi, 1947.   G. ScHoLEeM, Les grands courants de la mystique juive, tr. da l’ebr., Parigi,   1950.   E. FLec, Anthologie juive, Parigi, 1953.   T. Bomann, Das Hebraische Denken im Vergleich mit dem Griechischen,  Gottinga, 19542.   J. ApLer, Philosophy of Judaism, New York, 1960.   Cfr. inoltre:   S. Siunami, Bibliography of Jewish Bibliographies, Gerusalemme, 1936.  G. Vaypa, Jidische Philosophie, fasc. 19, “Bibliographische Einfùhrungen  in das Studium der Philos.,” Berna, 1950.    Isacco Giudeo    Opere: Si conservano nella tr. ebraica e latina il Liber definitionum  (Sefer ha-Yèsod5t); il Liber Elementorum (Sefer ha-Hibbar) i trattati di    568    Bibliografia    medicina; un Commento al Sefer Yèsiràh; due frammenti d’interpretazione  biblica e un frammento del testo arabo del Liber definitionis.    Edizioni: La versione latina in Opera Omnia Ysaac, Lione, 1515; ed.  crit. a cura di J. T. Mucxte, in “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1937-1938;  la versione ebraica del Sefer ha-Hibbar, a cura di H. HirscHreeLD, in “Fest-  gabe Steinschneider,” Lipsia, 1894; del Sefer ha-Yèsodat, a cura di S. FrieD,  Drohobycz, 1900; il frammento arabo nell’ed. H. HrrscHreLp, in “Jewish  Quart. Rev.,” 1903. Inoltre la trad. inglese delle opere a cura di A. ALTMANN  e S. M. STERN, in Zsaac Israeli a neoplatonic philosopher of carly Xth cent.,  Fair Lawn (N. J.) - Londra, 1958.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 725; De Brie, nn. 21698-21699.   J. Gurrtmann, Die philosophischen Lehren des Isaak ben Salomon Isracli,  Miinster, 1911.   G. Sarton, Introduction to the History of Science, I, Baltimora, 1927, pp.  639-640 (ampia bibl.).   H. A. Wotrson, Isaac Israeli on the Internal Senses, in Jewish studies in  Memory of. G. Kohut, New York, 1935, pp. 583-598.    Sa'adyah ben Yosef   Opere: Kitab al’Amanat Wa'll'tigadat (Libro delle credenze religiose  e dei dogmi); Commento al Sefer Yesiràh; Sefer ha-Émunot wè ha-Dot  [Libro della credenza e delle opinioni], scritto in arabo.    Edizioni: Les oeuvres complètes de Saadia, a cura di J. DERENBOURG,  6 voll. Parigi, 1893-1896; Commento al Sefer Yèsiràh, testo e tr. fr. di M.  LAMBERT, Parigi, 1891; Sefer ha-Emzanot, testo arabo a cura di S. LaNDAUER,  Leida, 1880; testo ebraico, ed. D. SLucki, Lipsia, 1864; tr. ingl. di R. Ro-  SENBLATT, New Haven, 1948.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 725-726; De Brie, nn. 21700-21705; DE   Wutr, I, p. 307.   H. MALTER, Saadia Gaon. His life and Works, Filadelfia, 1921 (con bibl.  fina al 1920).   D. Neumark, Saadia's Philosophy. Sources Characters, in Essays in Jewisk  Philosophy, 1929.   M. Ventura, La philosophie de Saadia Gaon, Parigi, 1934.   A. FreImann, Saadia's Bibliography, New York, 1943.   A. Neuman-S. ZerrLin, Saadia Studies, Filadelfia, 1943.   H. A. Wotrson, in “Jewish Quart. Rev.,” 1946-1947.    Avicebron    Opere: Anaq (Collana), poema quasi totalmente perduto: Zsl44 al Aklaq  (Miglioramento dei caratteri morali); Mutkhar al-Giawahir (Scelta di perle,  raccolta di sentenze di autori antichi); AzarotA (Prescrizioni, 613 norme    Bibliografia    riguardanti il codice biblico); Mégor Hayyim (Fonte della vita, secondo il  titolo della tr. ebraica); Poesie. Si ricordano inoltre un Tractatus de esse e  un Tractatus de scientia voluntatis, perduti, e il Keter Malkat (Corona re-  gale), poema filosofico particolarmente importante. Non sicura l'autenticità  di un De anima (solo in tr. lat.).    Edizioni: Fons vitae: parafrasi ebraica in S. Munx, Mélanges de philos.  juive et arabe, nuova ed., Parigi, 1955; tr. lat. in CL. BAEUMKER, Avencem-  brolis Fons vitae (“Beitrige,” I, 24); Miinster, 1892-1895; Isleh: testo arabo  e tr. ingl. a cura di S. Wise, New York, 1901; Scelta di perle, tr. ingl. di  A. CoÙen, ivi, 1925; Poesie, la raccolta più completa a cura di Ch.  N. Bratik-J. Ch. Rawnrrzkr, 3 voll., Berlino-Tel Aviv, 1924-1929; nuova  ed. int. di cui è uscito solo il I vol.: H. ScHmmann, Sirim nibhrim S. |.  Gaon, Tel Aviv, 1944; antologia con tr. ingl. in J. Davipson, Selected Re-  ligious Poems of S. I. Gebirol, Filadelfia, 1923; nuova ed., 1944; Corona reale,  in Davipson, cit., e testo e intr. a cura di A. CHouraou, in “Rev. thom.,”  1952; tr. fr. di P. Vuirtaro, Parigi, 1953; De anima in A. LoEWENTHAL,  Pscudo-Aristoteles îiber die Scele. Ein psichol. Schrift d. XI ]ahrh. u. ihre  Beziechung zu S. i. Gebirol, Berlino, 1891.    Bibliografia: Cfr. Gerer, p. 726; DE Brie, nn. 21708; DE WutrF, I,  p. 307.   J. GurtMann, Die philosophie des S. I. Gebirol, Gottinga, 1889.   D. Rosin, The Ethics of S. I. Gebirol, “Jewish Quart. Rev.,” 1891.   D. KaurMmann, Studien iiber S. I. Gebirol, Budapest, 1899.   S. Horowirz, Die Psychologie I. Gebirols, “Jah.ber. des Jiid. in Theol.  Seminars,” Breslavia, 1900.   M. Wirrmann, Die Stellung d. hl. Thomas von Aquin zu Avencebrol, (“Bci-  trige,” III, 3), Miinster, 1900.   Ipem, Zur Stellung Avencebrols (Ib Gebirols) im Entwicklungsgang der  arabischen Philosophie (“Beitrige,” V, 1), Miinster, 1905.   K. DrevEr, Die religiose Gedankenwelt des Salomo ibn Gabirol, Berlino,  1930.   M. BieLEr, Der gotiliche Wille bei Gabirol, Wiirzburg, 1933.   A. HerscHet, Der Begriff der Einheit in der Philosophie Gabirols, “Monat-  schrift f. Gesch. u. Wiss. des Judentums,” 1938.   J. M. MitLàs Vatticrosa, Selomo ibn Gabirol como poeta y filésofo, Madrid-  Barcellona, 1945.   E. BertoLa, Il Keter Malkut di S. i. Gebirol, in Saggi e studi di filosofia  medioevale, Padova, 1951, pp. 107-117.   Ipem, S. i. Gebirol (Avicebron). Vita, opere e pensiero, Padova, 1953.   F. Brunner, Str l'Aylémorphisme d'Ibn Gebirol, “Étud. philos.,” 1953.   H. Simon, Das Weltbild Gabirols. Seine Bedeutung fiir die Geschichte der  Philosophie, “Zeitschr. Humboldt Univ. z. Berlin,” 1956-1957.    570    Bibliografia    Maimonide    Opere: Tra le numerose opere religiose, giuridiche, scientifiche ricordia-  mo: un Trattato di terminologia logica; una Parafrasi del Talmud; un  Trattato sul calendario ebraico; la Lettera di consolazione agli Ebrei lapsi,  vari scritti di medicina. Ma gli scritti pil interessanti dal punto di vista  filosofico sono: il Maor (Luce, commento alla Mishnah, scritto in arabo nel  1168; Mishneh Torah (La tradizione della Legge); un Codice di prescri-  zioni, scritto intorno al 1180 e il Morzh Nèbzkim (La guida dei dubbiosi),  scritto in arabo nel 1170.    Edizioni: Morzh nèbakim, ed. di S. Munk (testo arabo in caratteri  ebraici), Le guide des égarés (con tr. fr. e note), Parigi, 1865-1866, nuova  ed., Gerusalemme, 1931; tr. it. di D. J. Maroni, Livorno, 1871 (incompiuta);  tr. ingl. di M. FriepLANDER, Londra, 1881-1885, 2. ed., New York, 1925 e  di J. GurTMANN, ivi, 1952; trad. ted. di A. WrIss, Lipsia, 1923-1924; trad.  sp. di J. Suarez, Madrid, 1935. Per le altre tr. e edd. cfr. U. Cassuto, s.v.,  in “Enc. Ital.,” XXI, 951-952. Ricordiamo inoltre la tr. fr. della Terminologia  logica, Parigi, 1935; e quella ingl. del Codice, New Haven, 1951 sgg.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 727-728; De Brie, nn. 21713-21807; Ds   Wutr, I, pp. 307-308.   D. YeLcin - I. AsraHams, Maimonides, Londra, 1903, rist. 1935, tr. it.  Firenze, 1923.   W. BacHeEr, M. Brann, D. Simonsen, Moses ben Maimon, Francoforte, 1908-  1914.   L. G. Levy, Maimonide, Parigi, 1911, rist., 1931.   J. Minz, Moses ben Maimon (Maimonides). Sein Leben und seine Werke,  Francoforte s. M., 1912. .   M. T. Penipo, Les attributs de Dieu d'aprèòs Maimonide, “Rev. néosc.  philos.,” 1924.   L. GutkowrrscH, Das Wesen des maimonichschen Lehre, Tartu, 1935.   A. HescHeL, Maimonides. Eine Biographie, Berlino, 1935.   L. Strauss, Philosophie und Gesetz. Beitràge zum Verstindnis Maimunis  und seiner Vorliufer, Berlino, 1935.   F. Bamgercer, Das System des Maimonides..., Berlino, 1935.   L. Rota, The Guide for the perplexed. Moses Maimonide, Londra, 1948.   H. Sfrouya, Maimonide. Sa vie, son ocuvre, avec un exposé de sa philoso-  phie, Parigi, 1951.   IpeM, La obra filosbfica de Maimonides, “Rev. filos.,” 1956.   A. ALTMANN, Essence and existence in Maimonides, “Bull. J. Rylands Libr.,”  1953.   M. FakHry, The “Antinomy” of the Eternity of World in Averroes, Maimo-  nides und Aquinas, “Muséon,” 1953.   W. KLuxEn, Literargesch. zum lat. M. Maimonide, “Rech. théol. anc. méd.,”  1954.    57!    Bibliografia    Inem, Maimonides und die Hochscholastik, “Philos. Jahrb.,” 1954.   L. Baeck, Maimonides, Diisseldorf, 1954.   S. Zerrin, Maimonides, New York, 19552,   L. H. KenpziersKI, Maimonides Interpretation of the VIII Book of Ari-  stotle's “Physics” “N. Schol.,” 1956.   J. S. Munkin, World of Moses Maimonides, New York, 1957.   A. Zaovi, Maimonide: Le livre de la Connaissance, (Frammenti tradotti e  commentati), “Mé€I. philos. litt. juives,” I-II, 1957.   C. KLEIN, The Credo of Maimonides, New York, 1958.   Sugli aspetti più spiccatamente teologici cfr. inoltre:   H. A. WoLrson, in “Essays and Studies in Mem. of L. R. Miller, New York,  1938, pp. 201-234; “Harvard Theol. Rev.,” 1938; “L. Giurberg Jubilee  Volume Engl. Sect.,” New York, 1945, pp. 411-446.   Una bibliografia completa in lingua inglese in:    I. EpstEIN, Moses Maimonides, in VIII Centenary Memorial Volume, Lon-  dra, 1935.    Sulla Cabbala    Oltre alle numerose indicazioni contenute nei volumi già cit. dello  ScHoLem e del Vagpa si veda:    E. Zoni, Profetismo e misticismo, nel vol. Israele, Udine, 1935.  F. WarRraIN, La théodicée de la Kabbale, Parigi, 1952.   R. B. Z. Bosker, From the World of the Cabbalah, New York, 1954.  F. Barpon, Der Schiissel zur wahren Quabbalah. Der Quabbalist als voll  Kommener Herrscher in Mikro- und Makrokosmos, Friburgo, 1957.   A. Sarran, La Cabale, Parigi, 1960.    572    Parte quarta    Capitolo primo    Sulle versioni latine delle opere greche, arabe ed ebraiche cfr. in gene-   rale: De Wutr, I, pp. 81-83; II, pp. 55-60.   In particolare cfr.:   A. Jourpain, Recherches critiques sur l'dge et l'origine des traductions latines  d' Aristote, Parigi, 1819, n. ed. ibidem, 1843.   V. Rose, Die Liicke im Diogenes Laertius und der alte Uebersetzer, “Her-  mes,” 1866.   Ipem, Ptolomacus und die Schule von Toledo, Ibidem, 1874.   F. WisrenFELD, Die Uebersetzungen Arab. Werke in das Lateinische seit  die XI Jahrb., “*Abhandl. Kgl. Gesellschaft d. Wissenschaften zu Got  tingen,” Bd. 22, Gottinga, 1877.   M. Sreinscunemer, Die hebraischen Uebersetzungen d. Mittelalters und  die ]uden als Dolmetscher, Berlino, 1893.   IpeMm, Die arabischen Uebersetzungen aus d. Griechischen, “Zentralblatt  fir Bibliothekswesen,” Beiheft V, 2; XII, Lipsia 1889, 1893.   Ipem, Die europiischen Uebers. aus d. arabischen bis mitte d. XVII Jahrk.  “Sitzber. K. Akad. d. Wissen. Philos.-hist. K1.,” Vienna, 1905-1906.  M. Grasmann, Forschungen tiber die lat. Aristoteles-ibersetzungen d. XIII   Jahrh., (“Beitrige, XVII, 5-6), Miinster, 1916.   S. D. Wincate, The Medioeval Latin Versions of the Aristotelian Scientific  Corpus, with special reference to the biological Works, Londra, 1931.  H. BéporeT, Les premiòres traductions tolédanes de philosophie, “Rev. néosc.   philos.,” 1938.   G. TuÙry, Tolède, ville de la renaissance médiévale, point de jonction entre  la philosophie musulmane et la pensée chrétienne, Orano, 1944.   U. MonnerET DE ViLLaro, Lo studio dell'Islam in Europa nel XII e XIII  secolo, Città del Vaticano, 1944.   J. T. MucxLEe, Greek Works translated direcily into Latin before 1350,  “Med. Stud.,” 1943,   R. Waxzer, Arabic transmission of greek thought to mediacval Europa,  “Bull. of the John Rylands Library,” 1945.    573    Bibliografia    F. PeLsrer, Neuere Forschungen iber die Aristotelesiibersetzungen des XII  und XIII Jahrh., kritische Uebersicht, “Greg.” 1949.   G. TuHéry, Notes indicatrices pour s'orienter dans l'étude des traductions  médiévales, “Mél. Maréchal,” II, 1950.    Sugli inizi della fortuna dell’“ Aristotele latino”:    A. PeLzer, Les versions latines des ouvrages de morale conservées sous le  nom d'Aristote en usage au XIII siècle, “Rev. néosc. philos.,” 1921.  A. BirKENMAJER, Le réle joué par les médicins et les naturalistes dans la  réception d'Aristote aux XII et XIII siècles, in La Pologne au VI Congrès  international des sciences historiques, Varsavia, 1930.   IpeM, Project de l'Académie polonaise des sciences et lettres pour la publi-  cation d'un Corpus philosophorum medii aevi, Bruxelles, 1930.   Ipem, Classement des ouvrages attributs à Aristote par le moyen dge latin,  (Prolegomena in Aristotelem latinum, I), Cracovia, 1932.   E. FrancescHINI, Aristotele nel medioevo latino, in Atti del IX Congresso  naz. di filos., Padova, 1935.   M. Mansion, Les prémices de l’Aristoteles latinus, “Rev. philos. Louvain,”  1946. tapal   M. Grasmann, Aristoteles im zwéòlften Jahrh., “Med. Stud.,” 1950.   L. Minio-PaLueLto, Note sull’ Aristotele latino medioevale, “Riv. filos. neosc.,”  1950, 1951, 1954, 1958, 1960.   A. Mansion, Disparition graduelle des mots grecs dans les traductions  médiévales d'Aristote. “ME. J. De Ghellinck,” II, 1951.    "I    Adelardo di Bath  Opere: Perdifficiles quaestiones naturales; De codem et diverso (ed. H.  Wiccner, in “Beitrige,y” IV, I, Miinster, 1903); traduzioni dall'arabo (Eu-  clide, a-Khuwarizmi).  Bibliografia:  M. Mutter, Die “Quaestiones” des A. v. Bath (“Beitrigey” XXI, 1), Miin-  ster, 1934.  F. BLIEMETZRIEDER, A. v. Bath, Monaco, 1935.    M. CLacett, The mediev. lat. transl. from the arabic». with special emphasis  on the versions of A. of Bath, “Isis,” 1953.    Domenico Gundissalvi    Opere: De anima; De Unitate; De processione mundi; De divisione phi-  losophiae. Gli è attribuito anche un De immortalitate animae.    Traduzioni: La Kitàb ash-Sifa di Avicenna; le Intenzioni dei filosofi di  aL-GAzzaLI; il De ortu scientiarum di A-raraBi; il Fons vitae di AviceBRON.    574    Bibliografia    Fdizioni: De anima (parziale) a cura di A. LoewentHAL, Kònigsberg,  Berlino, 1890, e in Pseudo-Aristoteles iber die Seele, cine psychologische  Schrift d. XII Jahrh. u. ihre Beziehungen 2. Salomon ibn Gebirol, Berlino,  1891; il De divisione philosophiae, a cura di L. Baur (“Beitrige,” IV, 2-3),  Miinster, 1903; il De divisione scientiarum, a cura di S. H. THomson,  “Schol.,” 1933; ed. A. ALonso, Madrid-Granada, 1954; il De unitate, a cura di  P. Correns, (“Beitrige,” I, 1), Miinster, 1891, rist. in A. BoniLLa y San MaR-  tIN, Hist. de la filos. espatiola, I, pp. 450-456; il De processione mundi, ed.  MenenpEz y Petavo, in Hist. de los heterodoxos espafioles, I, Madrid, 1880  pp. 691-711 e a cura di G. BiiLow (“Beitrige,” II, 3), Miinster, 1897.    Bibliografia: cfr. Gerer, pp. 729-730; De Brie, nn. 5472-5476; De WutF,   II, p. 74.   CL. BAEUMKER, Les éerits philosophiques de D. Gundissalinus, “Rev. thom.,”  1897.   Inem, D. Gundissal. als philosophischer Schriftsteller, Friburgo 1898 e  Miinster 1899,   A. Levi, La partizione della filosofia pratica in un trattato medioevale, “Atti  R. Ist. Veneto,” t. LXVII, P. II, 1908.   L. Garcia Favos, E! Colegio de traductores de Tolego y Domingo Gun-  disaluo, “Rev. de la Biblioteca... de Madrid,” 1932.   ). TercHER, Gundissalino e l'agostinismo avicennizzante, “Riv. filos. neosc.,”  1934.   H. Béporer, Les premières versions tolédanes de philos., “Rev. néosc. philos.,”  1938.   D. A. Catcus, Gundissalinus “De Anima” and the problem of substantial  form, “N. Schol.,” 1939.   J. T. Muckte, The Treatise “De anima” of D. Gundiss., “Med. Stud.,”  1940.   M. Atonso, Notas sobre los traductores toledanos. D. Gundiss. y Juan Hi-  spano, “al-Andalus,” 1943.   IpeM, Las fuentes litérarias de D. Gundiss., ibidem, 1946.   IpeMm, Traducciones del arcediano D. Gundiss., ibidem, 1947.   Ipem, Domingo Gundissalvi y el “De causis primis et secundis” “Est. Eccl.,”  1947.   Inpem, Gundissalvo y el Tractatus de anima, “Pensam.,” 1948.   A. H. CHroust, The Definitions of Philosophy in the “De divisione phi-  losophiae” of Dominicus Gundissalinus, “N. Schol.,” 1951.    Alfredo di Sareshel    Opere: De motu cordis; traduzione del De vegetalibus (falsamente  attribuito ad Aristotele), e del Liber de congelatis di Avicenna.    Bibliografia: Cfr. GevER, p. 731; De Brie, n. 5467; DE Wutr, II, p. 74.    Bibliografia    In particolare v.:   A. PeLzER, Une source inconnue de Roger Bacon, A. de Sareshel commen-  tateur des Méttorologiques d'Aristote, “Arch. franc. hist.,” 1919, pp. 44-67.   CL. BaeuMKER, Die Stellung des A. von Sareshel und seiner Schrift “De  motu cordis” in der Wissenschaft des beginnenden XIll ]ahrh., “Sitzber.  Bayer Akad. Philos. Hist. Kl.,” 1913.   Ipem, Des A. von Sareshel (Alfredus Anglicus) Schrift “De motu cordis,”  (“Beitrige,” XXIII, 1-2), Miinster, 1923 (con ed.)   G. LacomBe, A. Anglicus in Metheora, in Aus der Geisteswelt des Mittel-  alters, Miinster, 1935, pp. 463-71.    Giovanni Ibn Dahut (di Spagna).    Traduzioni: Fons vitae di AviceBRoN; De anima di Avicenna; De dif-  ferentia animae di Qusta IBN Luca (la prima in coll. con il Gundissalvi).  Bibliografia: cfr Gever, p. 724; De Brie, n. 5481; De Wutr, II, p. 59.   M. SreiscHNEMER, Die hebriischen Ubersetzungen, cit.   M. Atonso, Notas sobre los traductores toledanos..., cit.   J. M. MîfLLas Vatticrosa, Una obra astronémica disconocida de Johannes  Avendaut Hispanus, in Estudios sobre la historia de la ciencia espafiola,  Barcellona, 1949, pp. 263-288.   M. Atonso, Traducciones del drabe al latin por Juan Hispano (Ibn Dawînd),  “al-Andalus,” 1952.   M. T. p'ALverny, Avendauth, “Misc. Millis Vallicrosa” Barcellona, 1954.    Gerardo da Cremona    Traduzioni: Da AristotELE: la Fisica, Secondi Analitici col Commento  di Temistio, De Caelo et mundo; Metcor. I-III; De generatione et corruptio-  ne; Testi pseudarist.: Liber de causis, De intellectu, De quinque essentiis.  Opere di ALEssanDRO DI Arropisia, aL-FARABI, Isacco Giupeo. Tradusse inol-  tre numerosi scritti scientifici: Canone di Avicenna; Elementi di EucLIDE;  Almagesto di Tolomeo, ecc.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 728; De Brie, n. 5478; DE WutF, II, p. 56.    In particolare cfr.:   A. BrrkenMmaJer, Eine wiedergefundene Ucbersetzung Gerhards von Cre-  mona, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters, cit..   H. Béporet, Les premières versions tolédanes, cit.   Inem, L'auteur et le traducteur du Liber de causis, “Rev. néosc. philos.,”  1938   E. FrancescHINI, /) contributo dell'Italia alla trasmissione del pensiero  greco in Occidente nei secc. XII e XIII e la questione di Giacomo Chie-  rico da Venezia, “Atti Soc. ital. progr. sc.,” Roma, 1938.    576    Bibliografia    Themistius parafrasis of the Posterior Analytics in Gerardo of Cremona's  translation, ed. ]}. R. O°DonnEL, “Med. Stud.,” 1958. O   Sull’attività scientifica di Gerardo cfr. inoltre: B. Boncompacni, Della  vita e delle opere di Gerardo cremonese, Roma, 1851; U. T. HoLmEs, G.  the naturalist, “Spec.,” 1936.    Michele Scoto    Traduzioni: De Sphaera di ALpetRAcio (Bologna, 1495, Venezia, 1631);  i XIX libri De animalibus di AristorELE; De caelo et mundo; De anima e,  probabilmente, anche la PAysica e la Metaphysica con i commenti di AverRoÈ  che egli fece conoscere per primo in Occidente (ed. Venezia, 1550-1552).    Opere: a) filosofiche: Divisio philosophiae (frammenti); Quaestiones  Nicolai peripatetici.   6) astrologiche: Liber introductorius; Liber de particularibus; Physio-  nomta (in Scriptores Physiognomici, I, Lipsia, 1893).    Bibliografia: cfr. Gever, p. 731; De Wutr, II, p. 56.   W. J. Brown, An Enquire into the Life and Legend of M. Scottus, Edim-  burgo, 1897.   R. Rupserc, Textstudien zur Tiergeschichte d. Aristoteles, Upsala, 1908.   Ipem, Kleinere Aristoteles Fragen, “Eranos,” 1908, 1909, 1912.   P. DuHEM, Le système du monde, cit., III, pp. 241-249, 344-347.   Cu. H. Haskins, Studies in the History of Medievale Science, Cambridge  (Mass.), 19272, pp. 272-298.   L. THornpiKE, A History of magic and experimental science, II, cit., pp.  307-337. i   R. pe Vaux, La première entrée d’Averroès chez les latins, “Rev. sc. philos.  théol.,” 1933.   M. KurpziaLeK, Quaestiones Nicolai peripatetici, “Maed. Philos. Polonorum”  (Varsavia), 1958.    Enrico Aristippo    Traduzioni: Tutte le Opere di Gregorio NazianzeNO; DiocENE, LAERZIO;  il IV dei Meteorol. e forse anche il De generatione et corruptione e gli Ana-  lytici secondi; il Menone e il Fedone di PLatone. Tradusse inoltre la Sin-  tassi matematica e, con l’aiuto di Eugenio di Palermo, l’Almagesto. Edd.:  V. KorpentER-C. Lasowsky, Meno interprete Henrico Aristippo, Londra,  1940; L. Minto-PaLueLLo-H. J. Drossaart LuLors, Phaedro interprete  Henrico Aristippo, Londra, 1950.    Bibliografia: De Wutr, II, pp. 58.    Cu. H. Haskins, Studies in the History of Medieval Science, cit. pp. 87-123.  M. T. Manpatari, Enrico Aristippo Arcidiacono di Catania nella vita cultu-  rale e politica del XII sec., “Bull. stor. catanese,” 1939.    577    Bibliografia    L. Minio-PaLuetto, Henry Aristippo, Guillaume de Moerbeke et les tra-  ductions latines médiévales de “Méséréologiques” et du “De generatione  et corruptione,” “Rev. philos. Louvain,” 1947.   Ipem, Les “trois redactions” de la traduction médievale greco-latine du “De  Generatione et corruptione” d'Aristote, “Rev. philos. Louvain,” 1950.    Amalrico di Bène e David di Dinant    Bibliografia: cfr. Gever, pp. 706-707; De Wutr, I, p. 242.   V. P. DuHEM, Le système du monde, cit., V, pp. 244-249.   G. THiéry, Essai sur David de Dinant d'après Albert le Grand et St. Thomas,  “ME. thom.,” 1923.   Ipem, Autour du décret de 1210: I. David de Dinant. Étude sur son  panthéisme maiérialiste, Parigi, 1925.   G. C. CaretLe, Autour du décret de 1210; III. Amaury de Bène. Étude sur.  son panthéisme formel, Parigi, 1932.   CL. BAEUMKER, Contra Amaurianos (“Beitrige,” XXIV, 5-6) Miinster, 1926.   A. BirRKENMAJER, Découverte de fragments mss. de David de Dinant, “Rev.  néosc. philos.,” 1933.   R. Arnou, Quelques idées néoplatoniciennes de David de Dinant, in “Festgabe  J. Geyser,” 1930.   M. Dar Pra, Amalrico di Bène, Milano, 1951.   M. T. p'ALverny, Un fragment du procès des Amauriciens, “Arch. Hist.  doctr. litt. m. à.,” 1953.   M. KurpziaLEK, Fragments des “Quaestiones naturales” de David de Dinant,  “Mediaevalia Philosophica Polonorum” (Varsavia), 1958.    Sulla reazione all’entrata dei testi aristotelici ed arabi cfr.:    M. GRABMANN, / divieti ecclesiastici di Aristotele sotto Innocenzo III e Gre-  gorio IX (“Miscell. hist. pontif.,” V, 7) Roma, 1941.    Guglielmo di Moerbecke    Traduzioni: dal greco: De coelo et mundo (Il. III-IV, 1260); Meseoro-  logica (Il. I-III, 1260 ca.); Mesaphysica (1. XI); Politica (Il. III-VIII, forse  1260); R&etorica; De animalibus (21 1l.); Poetica (1278). Tradusse inoltre  i sottoelencati commenti ad Aristotele coi relativi testi aristotelici; Periherme-  neias (Ammonio, 1268); Praedicamenta (Simplicio, 1266); De caelo et mundo  (Simplicio, 1271); De sensu er sensato (Alessandro di Afrodisia, 1269); Meta-  physica (Alessandro, 1260); De anima (Temistio, 1268); L. III De anima (Gio-  vanni Filopono). Rivide inoltre molte tradd. già esistenti di testi aristotelici:  De anima (prima del 1268); De memoria et reminiscentia; Physica (1260-  1270); IV Metseorol.; Metaphysica (eccetto il 1. XI tradotto da lui per la  prima volta); Ezhica Nic. (1260 ca.); I-II Politicorum; Analytica posteriora;    578    Bibliografia    Elenchi sophystici; probabilmente anche il De generazione et corruptione € i  Parva naturalia. Tradusse inoltre l’Elementatio theologica e altri opuscoli di  ProcLo.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 728; De Brie, nn. 2453, 3601, 4986, 4988,   5005, 57135; DE Wute, II, p. 290.   E. FrancESscHINI, Aristotele nel M. E. latino, cit.   G. Lacomse, in “Corpus philosophorum Medii Aevi. Aristoteles latinus,”  Roma, 1939.   M. GraBMann, Guglielmo di Moerbecke, il traduttore delle opere di Aristo-  tele, (“Miscell. hist. pontif.,” XI, 20), Roma, 1546 (con bibl.).   L. Minio PaLuvetto, Guglielmo di Moerbecke, traduttore della Poetica di  Aristotele, “Riv. filos. neosc.,” 1947.   IpeMm, Note sull’Aristotele latino medioevale cit., ibidem, 1952.   CL. VANSTEENKISTE, Procli elementatio theologica translata a G. de Moer-  becke (con testo), “Tijdschr. Philos.,” 1951, 1952.   G. VERBEKE, G. de Moerbecke traducteur de Jean Philoponus, “Rev. philos  Louvain,” 1951.   Ipem, G. de Moerbecke traducteur de Proclus, “Rev. philos. Louvain,” 1953.    Capitolo secondo    Sulle Università    H. DenirLEe, Die Entstehung der Universitàten des Mittelalters bis 1400,  Berlino, 1885; rist., 1956.   Ipem, Die Universitàten des Mittelalters, Berlino, 1885.   Ipem, Les Universités frangaises au moyen dge, Parigi, 1892.   H. DenieLE - A. CHATELAIN, Charsiularium Universitatis parisiensis, Parigi,  1889-1897.   Actuarium Chartularii Universitatis parisiensis, voll. I e II a cura di De-  NIFLE © CHATELAIN, Parigi, 1894-1897; voli. IV e V a cura di CH. Sa-  MARAN e E. A. Van Moè, Parigi, 1935-1942.   A. CLERVAL, Les écoles de Chartres au moyen-dge, cit.   H. RasHparc, The universities of Europe in the middle ages, Oxford, 1895,  1936 (ediz. a cura di F. M. Powicke e A. B. Enpen).   M. GruBMann, Geschichte der scholastischen Methode, cit., passim.   L. I. Paetow, The Arts course of mediaeval Universities, with special  references to Grammar and Retoric, Univ. of Illinois Bull., 1910.   R. S. RaiT, Life in the mediaeval university, Cambridge, 1912.   A. F. LeacH, The Schools of mediaeval England, Oxford, 1916.   A. Dempr, Die Haupiform mittelalterlichen Weltanschauung, Monaco, 1925.    P. Giorieux, La litiérature quodlibétique de 1260 è 1320, “Bibl. thom.,”  1925, 1935.    574)    Bibliografia    R. M. MARTIN, Arts libéraux, in D.H.G.E., IV, 1930.   L. HaLpHÙien, Les universités au XIII siècle, “Rev. hist.,” 1930, 1931.   Statuta antiqua Universitatis Oxoniensis (ed. S. Gibson), Oxford, 1931.   F. ExrLE, / più antichi statuti della facoltà teologica dell'università di  Bologna, Bologna, 1932.   P. GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIII* siècle, cit.  Parigi, 1933-34.   S. D’Irsao, Histoire des Universités frangaises et étrangères, Parigi, 1933-1935.   A. G. LirtLe-F. PeLstER, Oxford theology and theologians A. D. 1282-1302,  Oxford, 1934.   N. ScHacHnEr, The mediaeval Universities, New York, 1938.   P. Kisre, The Nations in the Mediaeval Universities, Cambridge, 1948.   F. van STEENBERGHEN, L'organisation des études au Moyen Age et ses réper-  cussions sur le mouvement philosophique, “Rev. philos. Louvain,” 1954.   A. MaIER, Internationale Bezichungen an spitmittelal. Universitàten, “Bei-  trage 2. auslandischen Recht u. Vélkerrecht,” Colonia-Berlino, 1954, H. 29.    Sugli Ordini mendicanti e la loro organizzazione scolastica    a) Francescani    A. G. LirtLe, The Grey Friars in Oxford, Oxford, 1892.   H. FeLper, Geschichte der Wissenschaft. Studien im Franziskanerorden bis  um die mitte des XIII ]ahrh., Friburgo, 1904.   A. G. LittLE, The franciscan school at Oxford, “Arch. Franc. hist.,” 1926.   E. Gitson, La philosophie franciscaine, in St. Frangois d'Assise, Parigi, 1927.   D. E. SHarp, Franciscan philosophy at Oxford in the Thirteenth century,  Oxford, 1930. -   F. pe SESSEVALE, Histoire générale de l'Urdre de S. Frangois, I. Le moyen  dge, Parigi, 1935.   V. Doucet, Mattres franciscains de Paris, Quaracchi (Firenze), 1935.   Pu. BoHNER, The history of franciscan school, New York, 1945-1946.   Expositio quatuor magistrum, a cura di L. OLicer, Roma, 1950.   F. Bertoni, Lo spunto della filosofia francescana, “Stud. franc.,” 1957.    b) Domenicani    P. Manponnet, Frères Précheurs. La théologie dans l'ordre des Frères Pre.,   in DThC., IV, 863-924.   P. Mormier, Histoire des maftres généraux de l'ordre des Frères Précheurs,   Parigi, 1903-1911.   P. ManponneT, S. Dominique. L'idée, l'homme et l'oeuvre, Gand, 1921, Pa-   rigi, 19382.   P. ExrLE, S. Domenico, le origini del primo Studio generale, “Miscell.  domenicana,” Roma, 1923.   A. Watz, Studi domenicani, Roma, 1939.   M. H. Vicarre, S. Dominique de Calarnega, Parigi, 1955.    580    Bibliografia    Su tutto il movimento scolastico del XIII sec.    M. D. CÒÙenu, La théologie comme science au XIII siècle, Parigi, 1957}.   A. Forest, F. van STEENBERGHEN, M. DE GanpiLLac, Le mouvement doctri-  nal du IX au XIV siècle, vol. XIII dell’Histoire de l'Église, di A. FLicHE,  e E. Jarry, Parigi, 1951.    Cfr. inoltre, in generale, la documentazione raccolta in:    P. GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIII‘ siècle,  cit.    Capitolo terzo  Pietro di Poitiers    Opere: Libri quinque Sententiarum    Edizioni: P.L. 211; PH. S. Moore, J. N. Garin, M. DuLonc, Sententiae  Petri Pictaviensis ll. I et II, “Pubblications in Med. Stud.,” 7 e 11, Notre  Dame (Ind.), 1943-50; Allegoriae super tabernaculum Moysi, ibidem, 1938.    Bibliografia: Cfr. GevER, pp. 711-712; De Brie, nn. 5488-5492; De WuLP,  I. pp 250-251.    in particolare v.:  M. GrABMANN, Gesch. d. schol. Methode, cit., I e II.  P. GiLorieux, Répertoire des maîtres en théol. de Paris au XIII siècle, cit.  N. June, in DThC, XII, 2038-40.  PH. S. Moore, The Works of P. of Poitiers, Washington, 1936.  A. Lanperar, P. v. Poitiers und die Quaestionenliteratur des 12 Jahrh.,  “Philos. Jahrb., 1939, pp. 202-22, 348-58.  °    Guglielmo di Auxerre    Opere: Summa theologica: incerta l'attribuzione di un commento al-  l’Anticlaudianus di Alano di Lilla. Edd.: Parigi, 1500, 1518, Venezia 1591.    Bibliografia: cfr. Gever, pp. 730-731; De Brie, nn. 5519-5521, 5574; DE  Wutr, II, pp. 78-79.    In particolare v.:   A. Lanpcrar, Beobachtungen zur Einflusssphire Wilhelms von Auxerre,  “Zeitsch. f. ath. Theol.,” 1928.   G. Ottaviano, Guglielmo d'Auzxerre. La vita, le opere, il pensiero, Roma,  1929 (con bibl.).   P. Grorieux, Répertoire des maftres en théologie de Paris au XIII“ siècle, cit.    581    Bibliografia    P. Lackas, Die Ethik des W. v. Auxerre. Beitrige zu ihrer Wiirdigung,  Ahrweiler, 1939.   N. Fries, Urgerechtigkeit, Fall und Erbsunde nach Pripositin von Cremona  und Wilhelm von Auxerre, Friburgo, 1940.   O. LottIn, Psychologie et morale aux XII et XIII° siècles, cit., I, pp. 63-69.   A. Masnovo, Da Guglielmo d'Auvergne a s. Tommaso d'Aquino, I, Milano,  19452, c. 2.   J. VanwiysnBERGHE, De biechtleer van Wilhelm van Auxerre in het licht  der vroegscholastiek, “Stud. Cath.,” 1952.    Guglielmo di Alvernia    Opere: Magisterium divinale; De immortalitate animae; De bono et malo  e altri piccoli trattati.   Edizioni: Opera omnia, Norimberga, 1496, Venezia 1591, ed. B. LeFERON,  ? voll., Orleans, 1674-75; De immortalitate animae. ed. G. BiLow (“Beitrige,”  "I. 3, append.), Miinster, 1897, 19252, Tractatus de bono et malo, ed. J. R.  O'DonneL, “Med. Stud.” 1946, pp. 245-99; Tractatus secundus de bono et  malo (ed. O'DonneL, ibidem, 1954, pp. 219-271.    Biblioerafia: cfr. Gever, pp. 730-731; De Brie, nn. 5459-4563; De WuLE,   II, pp. 87-88.   In particolare v.:   N. Vators, G. d'Auvergne. Sa vie et ses oeuvres, Parigi, 1880.   M. Baumcartner, Die Erkenntnislehre des W. v. A. (“Beitrige,” II, 1),  Miinster, 1893.   S. ScHINDELE, Beitrige zur Metaphysik des W. v. A., Monaco, 1900.   P. Duxem. Le svstème du monde, cit., III, pp. 249-250: V, pp. 262-264,  266-285. 337-340; VII, pp. 576-577; IX, pp. 7-13, 15-18, 109-110; X,  pp. 27, 186.   T. Kramp, Des W. von Auvergne Magisterium divinale, “Greg.” 1920, 1921.   E. Loneprt, G. d’Auvergne et l'école franciscaine de Paris, “France franc.,”  1922.   E. Girson, Pourquoi st. Thomas a critiqué st. Augustin, “Arch. Hist. doct.  litt. m. 4.,” 1946.   B. Lanpry, L'originalité de G. d'Auvergne, “Rev. hist. philos.,” 1929.   A. Masnovo, Da Guglielmo d'Auxerre a s. Tommaso d'Aquino, Milano,  1930-46.   E. Girson, La notion d'existence chez G. d'Auvergne, “Arch. Hist. doctr.  litt. m. &.,” 1946.   Ipem, “Magisterium divinale” de G. d'Auvergne, “Rev. m. &. lat.,” 1947.   P. Grorieux, Le Tractatus novus de Poenitentia de G. d'Auvergne, “Misc.  Moralia Janssen,” 1949.   A. Forest, G. d’A. critique d'Aristote, “Étud. méd. offertes è A. Fliche,”  Parigi, 1952, pp. 67-79.    582    Bartolomeo da Bologna    Opere: Tractatus de Luce, numerosi sermoni e questioni disputate.  Bibliografia: Cfr. Gever, p. 732; De Brie, nn. 5459-4463; DE WuLF,   Il, p. 269.  In particolare:   E. Loncpré, Bartolomeo da Bologna, un maestro francescano del sec. XIII,  “Stud. franc.” 1923, pp. 365-84.   1. Souaprani, Tractatus de Luce fr. B. da B., “Ant.,” 1932, pp. 201-38,  337-76, 465-94 (ed.).   M. Micxsorr, “Quaestiones disputatae de Fide” de Bartolomeo v. Bologna,  O, F. M. (“Beitrige,” XXIV, 4), Miinster, 1940 (ed.).    Alessandro di Hales    Opere: Exoticon, alcuni Sermones, Glossa in quatuor libros Sententia-  rum, Quaestiones et quodlibeta, alle quali vanno aggiunte le seguenti opere  scritte in collaborazione: Expositio regulae, e Summa.    Edizioni: oltre le ediz. di Venezia (1576) e di Colonia (1622), cfr. della  Summa Theologica l'ediz. critica, a cura dei Francescani di Quaracchi, in  4 voll., Quaracchi (Firenze), 1924-1948; Alexander de Hales, Quaestio de  Fato, a cura di J. Goercen, “Franz. Stud.,” 1932; Alexandri de Hales  Glossa în quattuor libros sententiarum Petri Lombardi, Quaracchi (Firenze),  1951-1954; Alerandri de Hales Quaestiones disputatae “antequam esset frater)”  Quaracchi (Firenze), 1960.    Bibliografia: per la vita:  Prolegomena alla Glossa in quatuor libros sententiarum, I, Quaracchi,  1951, pp. 7-75.  Quanto agli ultimi risultati della critica sugli scritti cfr.:  V. Doucer, s.v., in “Enciclopedia Cattolica,” I, 784-787.  Per altre notizie:  A. Vacant, in DThC, I, 772-84.  W. Lampen, in “Lexicon fiir Theol. u. Kirche,” I, 249-50.    Bibliografia generale in GeveRr, pp. 734-735; De Brie, nn. 5421-5435; DE   Woutr, II, pp. 117-120.   Per il pensiero filosofico:   P. Dunem, Le système du monde, cit., III, pp. 399-407, 316-41; V, pp.  317-319, 322-332, 334-341; VIII, pp. 350-352.   P. Mrxces, Philosophiegeschichtliche Bemerkungen iber die dem Al. ».  Hal. zugeschriebene Summa de virtutibus, (“Beitrige,” suppl. I), Miinster,  1913 (vedi anche in “Franz. Stud.” 1914, 1915, 1916; in “Theol.  Quart.,” 1915; in “Riv. filos. neosc.,” 1915).    583    Bibliografia    ]. RoHMER, La théorie de labstraction dans l'école franciscaine d'Al. de  Hales à Jean Peckam, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1928.   B. Geyer, Zur Frage nach der Echtheit der “Summa” des Alex. Hal., “Franz.  Stud.,” 1929.   O. Lortin, Alex. de Hales et la “Summa de vitiis” de Jean de la Rochelle, e  Al. d. Hal. et la “Summa de anima” de Jean de la Roch., “Rech.  théol. anc. méd.,” 1929, 1930.   J. FucHs, Die Proprietiten des Seins bei Alexander von Hales, Monaco, 1930.   ]. Brsson, Die Willensfreiheit bei A. v. Hales, Fulda, 1931.   M. Gorce, La Somme théol. d'Alex. est-elle authentique?, “N. Schol.,"  1931.   F. PeLster, Zum Problem der ‘Summa’ des Alex. v. Hales, “Greg.,” 1931.   Inem, Intorno all'origine e all'autenticità della ‘Summa’ di A. di Hales,  “Civ. Catt.” 1930-1931, -   Ipem, Die Quaestionen des Al. von Hales, “Greg.,” 1933.   P. GLorieux, D'Alex. de Hales à Pierre Auriol, “Arch. franc. hist.,” 1933.   I. GorLani, La conoscenza naturale di Dio secondo la “Somma teologica”  di Aless. di Hales, Milano, 1933.   B. Pergamo, De quaestionibus ineditis Fr. Odonis Rigaldi, Fr. G. de Meli-  tona et cod. vat. lat. 782 circa naturam theologiae deque carum relatione  ad Summam theol. Fr. Alex. d. Hales, “Arch. franc. hist.,” 1936.   F. M. HenquineT, Autour des écrits de Alex. de Halès et de Richard Rufus,  “Ant.,” 1936 (e cfr. anche “Rech. théol. anc. méd.,” 1938; “Ant.,” 1938;  “Franz. Stud.,” 1939; “Arch. francisc. hist.,” 1940).   E. ScHLenKER, Die Lehre von den gottlichen Namen in der Summe Alex.  von Hales, Friburgo, 1938.   Pu. BòHnEr, The System of Metaphysics of Al. of Hal., “Franc. Stud.,”  1945-1946.   J. HerscHer, A Bibliography of Al. of Hales, “Franc. Stud.,” 1945-1946,   F. M. HenquineT, Le commentaire d'Alex. de Halès sur les Sentences enfin  retrouvé, “Misc. Mercati,” II, 1946.   V. Doucet, The History of the Problem of the Authenticity of the Summa  Fratris Alexandri, “Franc. Stud.,” 1947 (e cfr. anche “Riv. filos. néosc.,”  1948; “Arch. francisc. hist.,” 1950).   L. Di Fonzo, less. di Hales e il ritrovato suo commento alle Sentenze del  Lombardo, “Misc. franc.,” 1947.   F. Brapy, Law in the Summa fratris Alexandri, “Proceed. of the Amer.  Cath. Philos. Assoc.,” 1950.   B. WincenreLD, Die Verbindung von Leib und Seele in ihren Bedeutung  fiir den sittlichen Akt nach der Lehre des Al. v on Hales, in Aus  Theologie u. Philos. Festschrift F. Tillmann, Diisseldorf, 1950.   E. Bertoni, Il problema filosofico della conoscibilità di Dio nella scuola  francescana, Padova, 1950.   U. Berti, Pro edit. cri. quaestionum A. Halensis, “Ant.,” 1951, pp. 83-98.    584    Bibliografia    A. Pompei, A. Alensis e le dottrine creazionistiche nel medioevo, “Misc.  franc.,” 1953, pp. 289-350.   E. BertoLA, La dottrina dello “spirito” in A. di Hales, in “Sophia,” 1955,  pp. 84-91.   K. LvncH, The Quaestio de sacramentis in genere attributed to Alexandre  of Hales, “Franc. Stud.” 1951.   Ipem, Texts from the “Quaestiones antequam esset frater” attributed to  Alexander of Hales, “Franc. Stud.,” 1951.   W. E. Goessmann, Die Methode der Trinitatslehre in der Summa Halensis,  “Miinch theol. Zeitschr.,” 1955.   K. Lyncn, The doctrine of Alex. of Hales on the nature of sacramental  grace, “Franc. Stud.” 1959,    Giovanni della Rochelle    Opere: Le sue idee si trovano probabilmente esposte nella Summa fratris  Alexandri. Le sue opere a carattere prevalentemente filosofico comnrendono:  Tractatus de multiplici divisione potentiarum animae, Summa de anima,  De cognitione animae separatae, De immortalitate animae sensibilis, si sa  inoltre che scrisse un Commento sopra le Sentenze, finora però non è stato  ritrovato. Edd.: La Summa de anima di Fr. Giovanni della Rochelle (ed.  T. DomenicHELLI - M. Da Civezza). Prato, 1882.   Bibliografia: cfr. Gever, p. 735; De Brie, nn. 5432, 7407-7408; DE  Wutr, II, p. 120.    In particolare v.:   G. Manser, Johann von Rupella, “Jahrb. Philos. u. spek. Theol.,” 1912.   P. Mrnces, De scriptis quibusdam fr. loannis de Ruvella, “Arch. franc. Hist.,”  1913, pp. 597-622 (e cfr. anche “Phil. Jahrb.,” 1914).   IpeM, Zur Erkenntnislehre des Franz. ]. de Ruvella, “Philos. Jahrb.,” 1914.   P. GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIII* siècle,   cit.   Lortin, Les traités sur l'îme et les vertus de ]. de R.. “Rev. néosc.   philos.,” 1930.   Fagro, La distinzione tra “quod est” e “quo est” nella “Summa de   anima” di Giovanni della Rochelle “Div. Th.” (P), 1938, pp. 208-52.   BucceLLato, De quaestionibus quibusdam ad “Summam de anima”   Ioannis de Rupella pertinentibus, “Sophia,” 1940.   M. HenquineT, Fr. Considérans, l'un des auteurs jumeaux de la “Summa   fratri Alexandrî? primitive, “Rech. théol. anc. méd.,” 1948. pn. 76-96.   Doucet, Prolegomena in Librum II necnon in Libros l et Il Summae fra-   tris Alexandri, Quaracchi, 1948, pp. cexi-cexxvwn.   MrcHaun-Quantin, Les puissances de l'îme chez Jean de la R., “Ant.”   1949, pp. 489-505.   LottIN, A propos de Jean de la Rochelle, in Psychologie et morale...,   cit., VI, pp. 181-223.    mM zo o    o 3    585    Bibkogrefia    Bonaventura da Bagnorea    Opere: Tra gli scritti d'importanza filosofica ricordiamo:  Commentarii in IV libros Sententiarum Petri Lombardi (1250-1254): Bre-  viloquium (1257 ca.); Itinerarium mentis in Deum (1259); De reductione  artium ad theologiam; De donis Spiritus Sancti (1268); De scientia Christi;  In Hexaemeron. Cai    Edd.: Tutti gli scritti di San Bonaventura sono raccolti nell'ottima  ediz. critica a cura dei padri francescani di Quaracchi: Osera omnia, 10  voll, Quaracchi (Firenze), 1882-1902. Si veda inoltre: De Aumanae coeni-  tionis ratione Anecdota qauaedam Seravhici Doctoris S. Bonav. et nonnullorum  ipsius discibulorum, Quaracchi, 1883; S. Bon. Seravh. Doctoris tria obuscola:  Breviviloauium, Itinerarium mentis in Deum et De reductione artium ad  Theolociam, notis illustrata, Quaracchi. 1911, 19385; S. B. Collationes in He-  xaémeron et Bonaventuriana quaedam selecta, a cura di F. M. DELORME,  Quaracchi, 1934; S. B. opera thenlocica selecta. Editio minor (1. Liber 1  sententiarum; II. Liber II sent.; INI. Liber Il sent.; IV. Liber II sent.; V.  Liber IV sent.\. Quaracchi, 1934-1949: Questions disvuttes “De caritate. De  novissimis” ediz. crit.. a cura di P. Girorievx. Parigi. 1950. Cfr. inoltre  l'antologia: Philosovhia S. Bonaventurae textibus ex eius operibus selectis  illustrata, a cura di B. RosenMoELLER, Miinster, 1933. Utile ancora ooci il  Lexicon bonaventurianum di Toz4nnes A Ruino E Antonius Marta A Vice-  tia, Venezia, 1880. In tr. it. si veda: Riduzione delle arti, a cura di A. Her-  MET, Lanciano, 1923 (insieme alla tr. dell’Itinerario\: Vita di S. Francesco, a  cura di G. BatteLLI. S. Casciano Val di Pesa, 1926: Il Brevilonuio, a cura di  G. Piccioni. Siena, 1931: di T. M. BarsaLiscra. Pomnei. 1934: Itinerario della  mente a Dio, a cura di A. HermeT, Firenze. 1919: di G. Dar Monte. Boloona,  1926; di C. Ottaviano. Palermo. 1933; di G. Sanvinno. Roma. 1942; di D.  Scaramtizzi, Padova. 1943: di F. Macconn Torino, 1947: di G. BonarepE,  Roma, 1951; I) principio della conoscenza (De humanae cognitionis suprema  ratione), a cura di G. Marino, Milano, 1925.    Bibliografia: La bibl. generale in Gever, pp. 735-738; De Brie, nn. 5720-  5811; De Wutr, II, pp. 133-137.    Una ricca biblioorafia in L. VeurHEY, S. Bonaventurae philosophia chri-  stiana, Roma, 1943.    In particolare, tra la vastissima bibliografia, si veda:   K. ZiescHf. Die Lehre von Materie und Form; Die Naturlehre Bonaven-  turas, “Philos. Jahrb.,” 1900, 1908.   E. Lutz. Die Psychologie Bonaventuras nach den Quellen dargestellt,  Miinster, 1909.   P. DuHeMm, Le système du monde, cit., III, pp. 497-511; VI, pp. 82-88,  102-106; VII, pp. 198-199; X, pp. 33-34.    586    Bibliogrefia    B. A. Luvcxx, Die Erkenntnislehre Bonaventuras (“Beitrige,” XXIII, 3-4).  Miinster, 1923.   A. Stonr, Die Trinititslehre des hl. Bonaventura, Miinster, 1923.   E. Gitson, La philosophie de St. Bonaventure, Parigi, 1924, 19533 (con  ottima bibliografia).   P. Grorreux, Essai sur la chronologie de S. Bon., “Arch. franc. hist.,” 1926.   F. ScHwenpincer, Die Erkenntnis in den ewicen Ideen nach der Lehre des  hl. Bonaventura, “Franz. Stud.,” 1928, 192%   . J. M. Brssen, L'exemplarisme divin selon S. Bon., Parigi, 1929.   J. F. Bonxrroy. Le Saint Esprit et ses dons selon S. Bon., Parivi, 1929.   B. Trimocre, Deutune und Bedeutune der Schrift des hl. Bonav. “De re.  ductione artium ad theologiam,” Werl, 1930.   C. J. O’'Lrary, The substantial composition of man according to S. Bonav.,  Washington, 1931.   O. RicH, Il pensiero e l'opera di S. Bonaventura, Firenze, 1932.   S. Griinewacp, Franzishanische Mystik. Versuch zu einer Darstellung mit  besonderer Beriichsichticune des hl. Bonaventura, Monaco, 1931.   Ioenr. Zur Mystik des hl. Bonaventura, “Zeitschr. f. Askese und Mystik”,  1934.   L. STEFANINI, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura, Torino. 1934.   A. DrerersHacen, Von der Philosophie des hl. Bonav., “Wissen. Weish..”  1934.   Tu. Sorron, Vom Geist der Theologie Bonaventuras, “Wissen. u. Weish.,”  1934.   F. Harnett. Doctrina S. Bonaventurae de deiformitate, Mundelein. 1936.   P. Ronert. Hvylémornhisme et devenir chez S. Bonaventure, Montréal. 1936   S. Vanni-Rovieni, L'immortalità dell'anima nei maestri francescani del   sec. XIII, Milano. 1936, passim.   Rowarepe, Il problema dell’illuminazione in S. Bonaventura, “Sophia,”   1936.   T. Lecowrez, Essai sur la philosophie sociale du Docteur Sérafique, Fri-   burgo, 1937.   ODowyrL, The Psychology of St. Bonaventure and St. Thomas Aquinas,   Washington, 1937.   Saver. Die religiose Wertung der Welt in Bonaventuras Itinerarium,   Werl, 1937.   Bonn. La signification historico-doctrinale de St. Bonaventure, “France   franc.,” 1937.   R. Dapy, The theory of knowledge of St. Bonaventure, Washington. 1939.   BrancHI, Doctrina S. Bonaventurae de analogia universali, Zara, 1940.   De Simone, Linee fondamentali del pensiero di S. Bonaventura nella   storia del pensiero medioevale, Napoli, 1941.   V. Bretox, St. Bonaventure, Parigi, 1943.    pua 6 M o mo    587    E.    Ip:    Bibliografia    Bertoni, Le dottrina bonaventuriana della illuminazione intellettuale,  “Riv. filos. neosc.,” 1944.  EM, S. Bonaventura, Brescia, ArszecHy, Grundformen der Liebe. Die Theorie der Gottesliebe bei dem    hl. Bonav., Roma, 1946 (e cfr. anche “Greg.,” 1947, 1948).    M. M. De BenepictIis, The Social Thought of Saint Bonaventure, Wa-    DOM O O pporwr    Oc. >    shington, 1946.    . VeurHner, Spirito bonaventuriano, “Miscell. franc.” 1946.  . Lazzarini, S. Bonaventura, filosofo e ministro del Cristianesimo, Mila-    no, 1946.    . SEPINSKI, La psychologie du Christ chez S. Bonaventure, Parigi, 1948.    Da Vinca, L'aspetto dell'aristotelismo di San Bonaventura, “Collect.  franc.,” 1949.  Azate, Per la storia e la cronologia di S. Bonaventura, “Misc. franc.,”    1949, 1950.    . BonareDE, Il “De Scientia Christi” ossia il problema delle idee in S.    Bonaventura, Palermo, 1949.    . Bertoni, Il problema della conoscibilità di Dio nella scuola francescana,    Padova, 1950.    . P. PrENTICE, The Psychology of Love according to St. Bonaventure, Saint    Bonaventure (New York), 1951, 19572,   C. Pecrs, St. Bonaventure, St. Francis and Philosophy, “Med. Stud.,”  1953.   J. M. Sparco, The Category of the Aesthetic in the Philosophy of St.  Bonaventure, New York, 1953.   H. Tavarp, Transciency and permanence. The nature of theoloey accor-  ding to St. Bonav., Saint Bonaventure (New York) - Lovanio-Paderborn,  1954.    . Zicrossi, Saggio sul neoplatonismo di San Bonaventura, Firenze, 1954.  . Szasò, De SS. Trinitate in creaturis refulgente doctr. S. Bonaventurae,    Roma, 1955.    . W. MutLican, Portio Superior and Portio inferior Rationis in the Wri-    tings of St. Bonaventure, “Franc. Stud.,” 1955.    . ScIAMANNINI, La cointuizione bonaventuriana, Firenze, 1957.    A  T  R  R  G.  G  P  C  L    SaLa, Il concetto di sinderesi in S. Bonaventura, “Stud. franc.,” 1957.    . TercraTtwEIER, Die aszetisch-mystische Methode in Itinerarium... des    Bonaventura, “Theol. Quart.,” 1956.    . JEAN pe Dieu, Intuition sens concept, expérience religieuse et formation    du concept, “Etud. franc.,” 1958.    . Bici, Concezione bonaventuriana della sostanza e concezione aristotelica,    “Stud. franc.,” 1958.  homme et son destin..., cit., pp. 473-519 (saggi di J. RarzinceR, CH.  WeNIN, J. P. MiLLer, M. ScHMAUS).    588    Bibliografia    PH. Bonner, Eramination of conscience according to St. Bonaventure, St  Bonaventure (N. Y.), 1959.  S. CLasen, Zur Geschichtstheologie Bonaventuras, “Wiss. Weis.,” 1960.    Capitolo quarto    Per la bibl. relativa alla scuola domenicana cfr. sotto la voce Domeni-  cani.    Alberto Magno    Opere: a) “Philosophia rationalis” o “Logica”: De praedicabilibus  (Super Isagogen Porphyrii); De Praedicamentis (In categorias Aristotelis):  De sex frincipiis (commento al testo pseudoporrettiano); Zn Boétii de di-  visione; In duos Peri hermeneias; In Boétii de syllogismis categoricis; In  duos Priorum Analyticorum; In Boétii de syllogismis hypoteticis (inedito);  In duos Posteriorum analyticorum; In octo Topicorum; In duos Elenchorum.   b) “Philosophia realis”:   1) “Physica sive naturalis”: De audito physico (In octo libros Physycorum);  In duos libros de generatione et corruptione; In quattuor libros de caelo et  mundo; De natura locorum; De causis proprietatum elementorum; In quat-  tuor libros Metereorum; De mineralibus; In tres libros de anima; De nutri-  mento; De sensu et sensato; De memoria et reminiscentia; De intellectu  et intelligibili; De natura et origine animae (De natura intellectualis animae  et contemplatione); De quindecim problematibus; De unitate intellectus  contra averroistas; De somno et vigilia; De spiritu et respiratione; De mo-  tibus progressivis (De principiis motus progressivi); De aetate (De iuventute  et seneciute); De morte et vita; De animalibus libri XXVI; Quaestiones  super libros de animalibus; De vegetalibus et plantis libri VII; Sul De fato (De  sensu communi) cfr.: G. MEERSEMANN, /ntroductio in Opera omnia, citata  più oltre, p. 138. La Summa naturalium o philosophia pauperum già attri-  buita ad Alberto Magno dal Birkenmayer, dal Pelster, dal Mandonnet, è  adesso attribuita ad Alberto di Orlamiinde, un discepolo di Alberto Magno  che la compose ispirandosi pienamente al maestro. Tale Summa naturalium  fu compendiata da Pietro di Dresda nel Parvus philosophiae naturalis, che  circolò a lungo nelle scuole sotto il nome di Alberto Magno (cfr. M. Gras-  MANN, Die Philosophia pauperum und ihr Verfasser Albert von Orlamiinde,  (*Beitràge," XX, 2), Miinster, 1918; P. ManponneT, Sr. Albert le Grand et  la philosophia pauperum, “Rev. néosc. Philos.,” 1934; B. GevERr, Die Albert  d. Grossen zugeschribene Summa naturalium (“Beitrige,” XXV, 1), Munster,  1938).    589    Bibliografia    2) “Mathematica”: Super geometriam Euclidis.   3) “Metaphysica”: Metaphysicorum libri XIII; De causis et processu uni-  versitatis (In librum de causis); De natura deorum (perduto).   c) “Phulosophia moralis”: In decem libros Ethicorum; In octo libros Poli-  ticorum; Scripium super Ethicam Nicomacheam (inedito).   d) “Exegesis”: Super Job; Super Psalmos; In ca. XI Proverbiorum; In Je-  remiam; In Threnos Jeremiae; In Baruch; In duodecim Prophetas minores;  in Mattheum; In Marcum; In Lucam; In Joannem (non si conosce la trad.  manoscritta di: /n Canticum Canticorum; In Isaiam; In Ezechielem; In  epistutas S. Pauli).   e) “Theologia systematica”: In Dionysii De divinis nominibus (ined.);  In Dionysii Le cactesti hierarchia; In Dionysii de ecclesiastica hierarchia;  In Dionysii De mystica theotogia; In Dionysu undecim Epistulas; Scriptum  super quattuor libros Sententiarum; Summa theologica (pror.): 1) De crea-  tone et creatura; 2) De bono et virtutibus (Summa de bono et virtutibus,  ined.); De resurretione (ined.); Tractatus de natura boni (ined.); Summa  theotogica (altera); De sacrificio missae; De eucharistiae sacramento; Sermo-  nes XXAII de sacramento Eucharisttae; Marsale, sive quaestiones super:  Missus est.   f) “Parenetica”: De forma orandi (Pater Noster); Sermones LXXVIII  de tempore; Sermones LIX de sanctis; Homilia in Luc. XI, 27; Sermones  lingua theutonica habiti; Orationes LIII super evangelia dominicalia totius  anni; Orationes super Sententias.    Edizioni: L'Opera omnia di Alberto, comprendente tutti i testi allora  conosciuti, fu pubblicata da P. JamMy a Lione, 1651; da A. Borcnet, Parigi,  1890-1899; inoltre si vedano le seguenti altre edizioni di testi compresi o  non compresi nelle Opera omnia: De vegetalibus, a cura di C. JessEN, Ber-  lino, 186/; il De guindecim problematibus, in MANDONNET, Siger de Brabant,  II, (1908); Commentarii in librum Boethii de Divisione, a cura di P. DE Loé,  Bonn, 1913; De animalibus libri XXVI, a cura di SrapLer (“Beitrige,”  XV-XVI), Miinster, 1916-1920. Si veda inoltre la Philosophia pauperum, a cura  del GRABMANN, cit; Summa de creaturis, a cura del GraBMANN, “Quellen  Gesch. Dominik.” Lipsia, 1919; il De antecedentibus ad logicam a cura  di J. BLarer, “Teoresi,” 1954; Albertus Magnus, Liber sex principiorum,  a cura di S. SuLzsacHer, Vienna, 1955; Il De occultis naturac, ed. P. KiBRE,  “Osiris,” 1958 (trattato alchimistico di assai dubbia attrbuzione).    Ad un'ed. critica completa di tutte le opere di Alberto lavorano da pa-  recchi anni appositi Istituti domenicani a Colonia ed a Roma. Dei 40 volu-  mi previsti dal piano di ed. sono usciti: XXVIII, De Bono; XII, Liber de  natura et origine animae; Liber de principiis motus processivi; Quaestiones  de animalibus; XIX, Postilla supra Isaiam, Postillae super Ezechielem frag-  menta; XXVI, De Sacramentis, De Incarnatione, De Resurrectione; XVI,  Metaphysica, ll. I-V, Miinster, 1951 sgg. Cfr. inoltre l’ed. dell’Ausographum    590    Bibliografia    upsalense (Ii Sent. d. 3. a 6. - d. 4 a 1) a cura di F. StecmiùLLER, Uppsala,   1953.   Per il catalogo generale degli scritti cfr. C. H. ScHEEBEN, Les écrits  d'Albert le Grand d'après les catalogues, in Maître Albert, n. spec. della  “Rev. thom.,” 1931, pp. 36-38; G. MEERSEMANN, Introductio in Opera omnia  B. Alberti Magni, Bruges, 1931.   Bibliografia: Per la bibl. generale e speciale cfr.: M.-H. LaureNT, M.  Y. Concar, Essai de bibliographie albertienne, in Maitre Albert, cit., pp. 422-  468; A. Watz - A. Perzer, Bibliografia S. Alberti Magni indagatoris re-  rum naturalium, n. unic. di “Ang.” 1944, pp. 13-40. Ma vedi anche: P.  CasrtacnoLI, La vita e gli scritti di S. Alberto Magno, Piacenza, 1934; F.  VAN STEENBERGHEN, La littérature albertino-thomiste (1930-1931), in “Rev.  néosc. philos.,” 1938; M. ScHoovans, Bibliographie philosophique de St. Albert  le Grand (1931-1960), San Paolo, 1961. Inoltre: GEvER, pp. 739-742; De BRIE,  nn. 5612-5618, 3601, 3663, 4607, 5619-5687, 6197, 6198; De Wute, Il, pp.  157-162.   / Tra la vasta e, più recente, bibliografia si indicano:   P. DuHEM, Le système du monde, cit., III, pp. 243-245, 248-252, 327-352,  482-484; IV, pp. 330-333; V, pp. 411-473, 573-576; VI, pp. 13-19; VII,  pp. 168-174, 208-209; VIII, pp. 17-18, 130-133, 243-245, 352-355, 416-418;  IX, pp. 13-19, 21-22, 113-122, 135-136, 194-196, 257-262, 271-279,  281-284, 290-294, 370-371, 414-415.   F. PeLster, Kristische Studien zum Leben und zu Schriften Albert der  Grosse, Friburgo, 1920.   H. CH. ScHEEBEN, Der Hl. Albert der Grosse, Monaco, 1930.   H. WiLms, Albert der Gr., Monaco, 1930, tr. it. Bologna, 1931.   M. GraBMann, L'influsso di Alberto Magno sulla vita intellettuale del me-  dioevo, Roma, 1931.?   H. Cu. ScHeEBEN, Les écrits d'Albert le Grand d'après les catalogues, “Rev.  thom.,” 1931.   IpeM, Albert der Gr. Zur Chronologie seines Leben, Vechta, 193I (ma cfr.  anche “Div. Th.” (F.), 1932).   Alberto Magno, Atti della settimana albertina, Roma, 1931.   A. Garreau, St. Albert le Grand, Parigi, 1932.   H. Cu. ScHeeBEN, Albertus Magnus, Bonn, 1932.   D. SrepLER, Intellektualismus und Volontarismus bei Albertus Magnus  (*Beitrage," XXXVI, 2), Miinster, 1941.   B. Narpi, Alberto Magno e S. Tommaso, “Gior. crit. filos. ital.” 1941.   L. DE Simone, Introduzione alla vita e al pensiero di Alberto Magno, Na-  poli, 1942.   S. Dezani, Alberto Magno, Brescia, 1947.   B. Narpi, “Note per una storia dell’averroismo latino”: La posizione di  Alberto Magno di fronte all’averroismo, “Riv. stor. filos.,” 1947.   H. C. ScHeEBEN, Albertus Magnus, Colonia, 19552.    59!    Bibliografia    Tra gli scritti su problemi particolari citiamo tra i più recenti:   H. Barss, Albert M. als Biolog, Stoccarda, 1947.   MAZZARELLA, Îl “De unitate” di Alberto Magno e di Tommaso d'Aquino   in rapporto alla teoria averroistica, Napoli, 1949,   Wacz, L'opera scientifica di Al. Magno secondo le indagini recenti, “Sa-   pienza,” 1952.   Z. Lauer, St. Albert und the theory of abstraction, “Thomist,” 1954.   CortaBarrfa, Las obras y la doctrina de Alfarabi en los escritos de San   Alberto Magno, “Ciencia tom.,” 1952, (e cfr. “Estud. filos.,” 1951-1953).   . MicHaup - QuantIn, Les “Platonici” chez Albert le Grand, “Rech. théol.   anc. méd.,” 1956.   . RueLLo, Le commentaire inédit de S. Albert le Grand sur les Noms Divins.   Présentation et apergus de théologie trinitaire, “Traditio,” 1956.   . DucHARME, “Esse” chez St. Albert le Grand. Introduction è la métaphy-   sique des ses premiérs écrits, “Rev. Univ. Ottawa,” 1957.   GrIER, Die mathematischen Schriften des Albertus Magnus, “Ang.,” 1957.   A. WeisHEIPL, Albertus Magnus and the Oxford Platonists, “Proceed.   Amer. Cathol. Ass.,” 1958.   D. Wickorr, Albertus Magnus on ore deposits, “Isis,” 1958.   L. A. KennEDy, The Nature of the human intellect according St. Albert the  Great, “Mod. School.,” 1959-1960.   B. Barisan, Natura e grazia secondo S. Alberto Magno, “Stud. Patavina,”  1959. NI   IpeM, La giustizia originale secondo S. Alberto Magno, ibidem, 1959.   D. A. CacLus, Une oeuvre récenment decouverte de St. Albert le Grand:  De XLIII problematibus ad Magistrum Ordinis (1271), “Rev. sc. philos.  théol.,” 1960.   F. J. Catania, Divine Infinity in Albert the Great's Commentary on the  ‘Sentences’ of Peter Lombard, “Med. Stud.,” 1960.   O. LortIn, in Psychologie et morale, cit., VI, pp. 237-331.   B. Narpi, Studi di filosofia medioevale, Roma, 1960, pp. 69-150.   J. A. WrisHeIPL, The Problemata determinata XLIII ascribed to Albertus  Magnus, “Med. Stud.,” 1960.    Sulla scuola di Alberto cfr.:  G. MEERSEMANN, Geschichte des Albertismus, Roma, 1933-1935.    PX_P_NS    si pini    Ugo Ripelin di Strasburgo    Opere: Compendium theologicae veritatis; incerta è l’attribuzione di un  Commentarium in IV libros Sententiarum e di alcuni Quodlibeta e Quae-  stiones.    Bibliografia: cfr. GevER, pp. 742-743; De Brie, n. 7404; DE WuLr, II,  p. 162.    Bibliografia    In particolare v.:   M. Grasmann, Mittelalterl. geistesleben, Ì, cit., pp. 147 sgg., 174-85.   K. Scumitt, Die Gotteslehre des “Compendium theologicae veritatis” des  Hugo Ripelin von Strassburg, Miinster - Regensburg, 1940.    Ulrico Engelbrech di Strasburgo    Opere: Gli vengono attribuiti comment ad Aristotele (Meteorologica,  De anima) e un Commento alle Sentenze, opere perdute.    È rimasta la Summa de bono. Ed.: 1. Il (par.) a cura di M. GrABMANN,  in “Sitz. ber. Bayer. Akad. d. Wissens. Philos. Hist. KI.” Monaco, 1928;  I. I a cura di J. Dacuiton, Parigi, 1930.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 743; De Brie, nn. 7485-7487; DE Wutr,  II, p. 162.    In particolare v.:    M. Grasmann, Studien tiber Ulrich von Strassburg, in Mittelalterliches  Geistesleben, cit. I, pp. 147-221.,   P. GLorievx, in DThC, XV, 2058-61.   A. Stonr, Die Trinitàtslehre Ulrichs von Strassburg, Miinster, 1928.   J. KocxH, Neue Literatur tiber Ulrich von Strassburg, “Theol. Rev.,” 1930.   H. WeriswriLer, Eine neue Ueberlieferung aus der “Summa de bono”  Ulrichs von Strassburg, “Zeitschr. f. kathol. Theol.,” 1935.   A. Fries, Die Abhandlung “De anima” des Ulrich Engelbersi O. P.,  “Rech. théol. anc. méd.,” 1950, pp. 328-3I.   IpeM, Johannes von Freiburg, Schiiler Ulrichs von Strassburg, ibidem, 1951,  pp. 332-40.   L. THomas, U. of Strassbourg: his Doctrine of the Divine Ideas, “Mod.  School.,” 1952-53.   P. DuHEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 29-43, 537-539; VIII, pp. 17-18.    Teodorico di Vriberg    Opere: Fra i suoi trattati scientifici si ricordano: De iride et radialibus  impressionibus, De tempore, De mensura durationis, De coloribus; tra le  sue opere a carattere filosofico vanno particolarmente ricordate: De intellectu  et intelligibili, De habitibus, De esse et essentia, De intelligentiis et motibus  coelorum. De universitate entium, De causis, De efficientia Dei, De theo-  logia.   Bibliografia: cfr. GevER, p. 778; De Brie, n. 6881; De WutF, II, p. 162.  In particolare v.:   M. De Wutr, Un scolastique inconnue de la fin du XIII° siècle (Thierry   de Fribourg), “Rev. néosc. philos.,” 1906, pp. 43441.   E. Kress, Meister Dietrich, sein Leben, seine Werke, seine Wissenschaft    593    Bibliografia    (“Beitrige,” V, 5-6), Miinster, 1906 (con ed. del Tractatus de intellectu,  e del de habitibus),  C. GaurHIER, Un psychologue de la fin du XIII° siècle: Thierry de Fri-  bourg, “Rev. august.,” 1909-10.  . Kress, Le traité “De esse et essentia” de Thierry de Fribourg, “Rev.  néosc. philos.,” 1911, pp. 516-36 (con ed.).  J. WuùrscHMIDT, Dietrich von F.: De iride et radialibus impressionibus  (“Beitrige,” XII, 5-6), Miinster, 1914 (con ed.)  A. Drrorr, Uber Heinrich und Dietrich von F., “Philos. Jahrb.,” 1915,  pp. 55-63.  P. DuHEM, Le système du monde, cit., III, pp. 382-396; VI, pp. 188-203.  A. BirkenMaJER, Drei neue Handschriften der Werke Meisters Dietrich  (“Beitràge,” XX, 5), Miinster, 1922.  F. SrecmuùLLer, Meister Dietrich von F.: tiber die Zeit und das Sein,  “Arch. Hist. doct. litt. m. à.,” 1940-42.  IpeM, Meister Dietrich von Freiberg tiber den Ursprung der Kategorie    A    (con testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1957.    um    Bertoldo di Mosburg    Opere: Expositio in Elementationem theologicam Procli, Commenti sui  Meteorologici di Aristotele.    Bibliografia: cfr. Gever, pp. 778-779; De Wutr, II, p. 350.    In particolare v.:   M. Grasmann, Der Neuplatonismus in der deutschen Hochscholastik,  “Philos. Jahrb.,” 1910, pp. 53-54.   IpeM, Mittelalterliches Geistesleben, cit. II, pp. 312, 366, 384, 390, 421-22.   W. EckErt, Berthold von Moosburg O. P. Ein Vertreter der Einheitsmeta-  physik im Spétmittelalter, “Philos. Jahrb.,” 1956.    Capitolo quinto  Tommaso d'Aquino    Opere: a) commenti aristotelici: /n Perihermeneiam (fino a II, 2 com.);  In posteriores Analyticorum; In VIII libros Physicorum; In III libros de  Caelo et mundo (fino a III, 8); In II libros de Generatione et Corruptione  (fino a I, 17); Zn IV libros Meteorum (fino a II, 10); In III libros de anima;  In librum de sensu et de sensato; In librum de memoria et reminiscentia;  . In XII libros Metaphysicorum; In X libros Ethicorum; In libros Politico  rum (fino a III, 6).    594    Bibliografia    è) altri commenti: In librum de Causis; al De Hebdomadibus di Boe-  zio; agli scritti dello Pseudo-Dionigi.   c) commenti biblici: Expositio super Isaiam; Expositio super Jeremiam;  Lectura super psalmos; Expositio super Job; Lectura super S. ]Johannem;  Lectura super S. Matheum; Super kpistolas S. Pauli; Catena aurea, sive  Expositio continua.   d) opere teologiche: Super IV libros Sententiarum; Commento al De  Trinitate di Boezio; Quaestiones disputatae: 1) De veritate; 2) De potentia;  3) De malo; 4) De spiritualibus creaturis; 5) De anima; 6) De virtutibus;  7) De unione verbi incarnati; Quodlibeta XII; Summa contra gentes; Summa  Theologica.   e) opuscoli: De principiss naturae; De ente et essentia; De operationibus  occultis naturae; De mixtione elementorum; De motu cordis; De unitate  intellectus; De aeternitate mundi; De regno (De regimine principum); De  regimine Judacorum; Compendium theologiae; Declaratio XXXVI quae  suonum ad lectorem Venetum; Declaratto XLII quaestionum ad magistrum  Ordinis; Declaratio CVIII dubiorum; Declaratio VI quaestionum ad lecto-  rem Bisuntinum; Contra impugnantes Dei cultum et religionem; De  perfectione vitae spiritualis; Contra doctrinam retrahentium a religione;  Conwa errores Graecorum; De articulis fidei et sacramentis Ecclesiae; De  rationibus fidei; Responsio super materiam venditionis; Responsio ad Ber-  nardum abbatem Casinensem; De forma absolutionis paenitentiae sacra-  mentalis; De sortibus; In quibus potest homo licite uti judicio astrorum;  Expositio super secundam decretalem; Expositio circa primam decretalem;  Collatsones de Credo in Deum; Collatione de Pater Noster; Collationes de  Ave Marta; Collationes de decem praeceptis; Ufficium corporis Christi; Sermo  de festo corporis Christi; Duo principia de commendatione sacrae scripturae;  De secreto; De propositionibus modalibus; De fallaciis; Epistola de modo  studendi; Piae preces; De differentia verbi divini et humani; De demonstra-  tione; De instantibus; De natura verbi intellectus; De principio individua-  tionis; De natura generis; De natura accidentis; De natura materiae; De  quattuor oppositis.   Sull’autenticità dei vari scritti tomisti cfr. P. MANDoNNET, Des écrits  authentiques de S. Thomas, Friburgo, 1910? e M. GraBmann, Die Werke  des hl. Thomas von Aquino (“Beitrige)” XXII, 1-2), Miinster, 1931.    Edizioni: Piana, ordinata da Pio V, Roma, 1570-71; PaRMENSIS, 25 voll.,  Fiaccadori, Parma, 1852-73; rist. fotolitogr. a cura di V. J. Bourke, New  York, 1948; Vivès, 34 voll., Parigi, 1871-80; 2 ed., ivi, 1889-90; LEoNINA,  ordinata da Leone XIII, finora 16 voll., Roma, 1882 sgg. (voli. 1V-X1I: Sum.  theol.; XII-XV: C. Gent.; XVI: Indices); la recensione leonina della Sum.  theol. nella n. ed. MARIETTI; della C. Gent. e degli indici esiste l’ed. LEONINA  ManuaLe, 1934, 1948; TaurINENSIS, (manuale) finora 37 voll., Marietti, To-  rino, 1845 sgg.; n. ed., 1946 sgg.; ParisiensIs (manuale), Lethielleux, Parigi,  1925 sgg. (con intr. del ManponnET). Opere singole: Commento alle Senten-    595    Bibliografia    ze ed. P. Manponner e F. Moos, n. ed., 4 voll., Parigi, 1929-47; rist., tomo III,  vol. I-II, ivi, 1956; De ente et essentia, ed. M. D. RoLanp-GossELIN, Parigi,  1926; ed. L. Baur, Miinster, 1926; ed. CH. Bover (“Textus et documenta”),  Roma, 1933; 3 ed., 1950; De spiritualibus creaturis, ed. KEELER, ivi,  1938; rist. 1946; De unitate intellectus contra averroistas, ed. L. W. KEELER,  ivi, 1946; 2 ed. 1957; De principio naturae, ed. L. Pauson, Friburgo-Lovanio,  1950; De natura materiae, ed. J. M. Wyss, ivi, 1953; Contra errores Graeco-  rum ed. P. GLorieux, Tournai, 1957; Expositio super librum Boéthii De  unitate, ed. B. Decker, Leida 1959.    Traduzioni: a) della Summa theologiae: fr., a cura dei Domenicani,  Parigi-Tournai, 1925 sgg; ted., a cura dei Domenicani austriaci e tedeschi,  36 voll., Salisburgo-Heidelberg, 1934-41; ingl, a cura dei Domenicani, 22  voll, 2 ed., Londra, 1912-36; in 25 voll., Londra-New York, 1912-36; a  cura dei Domenicani d’America, 3 voll, New York, 1947-48; it., con  testo latino della Leorina, a cura dei Domenicani, Firenze, 1949 sgg.; sp.,  a cura di CastELLANI-QuILER, Buenos-Aires, 1940 sgg.; a cura dei Domenicani,  Madrid, 1947 sgg.; portoghese, a cura di A. CorreIra, 4 voll., San Paolo,  1934-37; 2 ed., ivi, 1946; olandese, 21 voll., Anversa, 1927-43; greca, a cura  di I. N. KamirEs, Atene, 1935; araba, a cura di P. Awarp, 4 voll., Beyruth,  1887-98; 5) della Summa contra Gentiles: it., a cura di A. PuccetTI, 2 voll.,  Torino, 1930; ingl., a cura dei Domenicani, 5 voll., Londra, 1928-29; tr. A. C.  Peeis, New York, 1955 sgg.; ted., a cura di H. NacHoo-P. STERN, 3 voll.,  Lipsia, 1935-37; araba, Djounich (Libano), 1931; c) del De ente et essentia:  fr., a cura di E. BrurENAU, Parigi, 1914; ingl., a cura di C. C. Riepi, Toronto,  1934, 19493; it., a cura di V. Miano, Torino, 1952; d) del De unitate in-  tellectus contra averroistas: it., di B. Narpi, Firenze, 1938; e) del De magi-  stro (Quaestio disputata XI): it., di M. Casorti, Brescia, 1948; di T. GREGORY,  in Il Pensiero Pedagogico del Medio Evo, a cura di B. Narpi, Firenze, 1956.    Bibliografia: Repertori bibliografici:  . Manponner - J. DestrEz, Bibliographie thomiste (Bibliothèque thomiste,  I), Kain, 1921; 2 ed. completata da M.-D. CÙenu, Parigi, 1960.  . DE RAEYMAEKER, Introductio generalis ad philosophiam et ad thomismum,  Lovanio, 1934.  . VAN STEENBERGHEN, La littérature thomiste récente, “Rev. néosc. philos.,”  1939.   Giacon, Il pensiero cristiano con particolare riguardo alla Scolastica  medioevale, “Guide Bibliografiche,y” Univ. Cattolica, Milano, 1943.  J. 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Stud.,” 1952.  1952. ; : pi   J. FerreIRA, As “Stmulas logicas” de Pedro Hispano e os seus comenta-  tores, “Colectanea de Estudos” (Braga), 1953.   Inem, Introd. ao estudo do “Liber de anima” de Pedro Hispano, “Riv.  Filos6fica” (Coimbra), 1953.   Ipem, Os estudos de Pedro Hispano, “Colect. de Estudos,” 1954. .   IpeM, Presenga do augustinismo avicenizante na teoria dos intellectos de  Pedro Hispano, “Itinerarium,” 1959.   Per la bibliografia relativa’ allo sviluppo delle scienze cfr. le opere ge-   nerali elencate a pp. 505-506.   Per la bibliografia relativa a Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone,   Giovanni Peckam, Pietro d’Abano; cfr. rispettivamente la bibl. relativa ai   capitoli 8 di questa parte e 5 della V Parte.    Witelio  ‘Opere: Perspectiva o Optica; De natura demonum; De prima causa  paenitentiae.    Edizioni: Perspectiva, Norimberga, 1535, 1555; Basilea, 1572; e vedi  ora numerosi estratti in CL. Baeumxer, Witelo ein Philosoph und Natur-  forscher des XIII Jah.” (“Beitrige,” III, 8), Miinster, 1908.   Bibliografia: Cfr. Gever, p. 761; DE Wutr, II, p. 290.    P. Dunem, Le systome du monde, cit., III, pp. 508-511, 514-516; V, pp.  369-373.    608    Bibliografia    A. BrrgenmaJer, Études sur Wit., “Bill. intern. Acad. Polon. Cl. des se.  et des lettres, 1920.   Ipem, Witelo e lo Studio di Padova, in “Omaggio dell’Acc. polacca all’Univ.  di Padova,” Cracovia, 1922.   C. BaeuMKER, Zur Frage nach Abfassungszeit u. Verfasser des irrttiml.  Witelo zugeschr. Liber de intelligentiis, “Misc. F. Ehrle,” I, 1924.   A. BEDNARSKI, Die anatom. Augenbilder in den Handschriften des R. Ba-  con, J. Peckham und Wit., “Arch. f. Gesch. d. Medizin,” 1931.   L. THornpIiKE, A History of magic and exper. science, cit., II, pp. 454-456.   A. C. CromBie, R. Grosseteste and the Origin of Exper. science, Oxford,  1953, pp. 213-232.    Pietro di Maricouri    Opera: Epistola de magnete; Nova compositio astrolabii particularis.    Edizioni: Epistola de magnete, in G. Hermann, Neudrucke von  Schriften tiber Meteorologie und Erdmagnetismus, 10: Rara magnetica 1269-  1599, Berlino, 1898; cfr. E. ScHLunD, Petrus Peregrinus..., cit. sotto.   Bibliografia: Cfr. Gever, p. 760; De WutF, pp. 301-302. Inoltre in:  E. ScHLunp, Petrus Peregrinus von Maricourt, Sein Leben und seine Schrif-  ten, “Arch. franc. hist.,” 1911-1912.   Tra gli studi particolari v.: F. Picavet, Le maftre des expériences,  Pierre de Maricourt, l'exégète et le théologien vanté par R. Bacon, in Essais  sur l’histoire générale et comparée des théologies et des philosophies mé-  diévales, Parigi, 1913, pp. 232-254.   P. DuHem, Le système du monde, cit., III, pp. 237, 238, 266, 440-41.  L. THornpike, A History of magic and experimental science, cit., II,   p. 791 sgg.   Sugli sviluppi della geologia cfr. le opere generali sulla scienza me-  dioevale. Per Alberto Magno la bibl. relativa al c. IV.    Bartolomeo Anglico    Opere: De proprietatibus rerum.  Edizioni: Basilea, 1470 ca.; Francoforte, 1601, ecc.    Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 732-733; De Brie, nn. 7342-7343; DE   Wutr, II, p. 104. In particolare v.:   J. Gorens, in DHGE, VI, 975-977.   A. ScHnemER, Metaphysische Begriffe des Bartholomaeus Anglicus (“Bei-  trige,” Suppl. I), Miinster, 1913.   T. PLassmann, Barthol. Anglicus, “Arch. franc. hist.,” 1919.   G. E. S. Boyarp, Barth. Anglicus and his Encyclopaedia, “The Journ. English  and Germanic Philol.,” 1920.    Bibliografia    H. Lùssinc, Zur Biography des B. Anglicus, “Franz. Stud.,” 1925.   J. G. Mirne-J. Sweetino, Marginalia in a Copy of Bartholomaeus Anglicu's  “De proprietatibus rerum.” A new Version of the Nine Worthies, “The  Modern Language Rev.,” 1945.   Ipem, Further Marginalia from a copy of Bartholomacus Anglicus, ibidem,  1945.    Vincenzo di Beauvais    Opere: De eruditione filiorum regalium (1248-1250); De morali principis  institutione (1260-1263); Speculum quadruplex.   Edizioni: Il De eruditione nell’ed. A. Steiner, Cambridge (Mass.), 1938;  lo Speculum nell’ed. di Duai, 1624.   Bibliografia: Cfr. Gever, p. 733; De Brie, n. 5464; De Wutr, II,  p. 236.    In particolare v.:   P. Minces, Exzerpte aus Ales. von Hales bei Vincenz von Beauvais, “Franz.  Stud.,” 1914,   L. Lieser, V. von Beauwais als Kompilator und Philosoph. Eine Untersu-  chung seiner Scelenlehre in “Speculum maius,” “Forsch. z. Gesch. d.  Philos u. Paedag.,” III, 1, Lipsia, 1928.   L. THornpige, A History of magic and experimental science, II, cit.,  pp. 1457-76.   H. Pettier, in DThC, XV, 3026-3033.   Pu. DeLHave, Un dictionnaire d'éthique attribué à Vincent de Beauwais  dans le ms. Béle B XI 3, “Mélang. sc. rélig.,” 1951.   A. L. GasrieL, The educational ideas of Vincent of Beauvais, Notre-Dame  (In.), 1950.    Alessandro Neckam: v. Bibliografia del capitolo VI.    Tommaso di Cantimpré    Opere: Bonum universale de apibus; De rerum naturis o Liber de na-  tura rerum.  Edizioni: Il Bonum universale de apibus, L’Aja, 1902. Il De rerum è  ancora inedito.  Bibliografia: Gever, p. 732; DE WutF, II, p. 140.  H. SrapLer, Albertus Magnus, Thomas von Cantimpré und Vincenz von  Beauvais, *Natur und Kultur,” 1906.‘  L. TÒÙornpikE, A History of magic and experimental science, Il, cit., pp.  372-398.  G. MEERSEMANN, Intr. in Opera Omnia b. Alberti Magni, Bruges, 1931, p. 144.  Per lo sviluppo delle scienze nel XIII sec. cfr. gli studi generali già  citati a pp. 513-515.    610    P7 bliografia    Capitolo settimo  Averroismo latino    Sulla vasta letteratura relativa a questo soggetto cfr. l’accurata biblio-  grafia di M. Gorce, L'essor de la pensée au moyen age, Parigi, 1933 e  IpeMm, in DHGE, V, 1032-1092. Cfr. inoltre De Wutr, II, pp. 218-222;  III, pp. 152, 175-176.   In particolare vedi:   K. Werner, Der Averroismus in der christl. - peripatet. Psychol. d. spit.  Mittelalt., in “Sitz.ber. Wien. Akad. d. Wissensch.,” 1891.   P. ManponneT, Siger de Brabant et l'averroisme latin au XIII siècle, 1 ed.,  Friburgo, 1899; 2 ed., Lovanio, 1908-1911 (“Les philosophes belges,”  VI, VII)   M. Grasmann, in Maitterlalterliches Gesstesleben, II, cit, pp. 103-197.   IpeM, Der lateinische Averroismus des XIII Jahrts. und seine Stellung zur  christliche Weltanschauung, Monaco, 1931.   R. De Vaux, La première entrée d'Averroès chez les Latin, “Rev. sc.  philos. théol.,” 1933.   M. Grapmann, L'averroismo-italiano al tempo di Dante con particolare  riguardo all’Università di Bologna, “Riv. filos. neosc.,” 1946.   Tx. GreENwooD, L’humanisme averroiste en France et les sources du ratio-   .  malisme, “Rev. Univ. Ottawa,” 1946.   B. NarpI, Note per una storia dell'averroismo latino, “Riv. Stor. Filos.,”  1947, 1948, 1949.   F. ALessio, Aspetti moderni nel pensiero degli averroisti latini del XIII  sec., “Rend. Ist. Lomb. Sc. Lett.,” 1953.   Sui rapporti tra la scuola francescana e l’averroismo cfr.:   C. Krzanic, La scuola francescana e l'averroismo, “Riv. filos. neosc.,” 1929.   IpeM, Grandi lottatori contro l'averroismo, ibidem, 1930.    Sigieri di Brabante    Opere: a) autentiche: 1) Quaestio utrum haec sit vera: homo est ani-  mal, nullo homine existente (1268 ca.): 2) Sophisma: omnis homo de neces-  sitate est animal (1268); 3) Compendium super librum de generatione et  corruptione (1268 ca.); 4) Quaestiones in librum tertium de anima (1268  ca.); 5) Quaestiones logicales (dopo 1268); 6) Quaestiones supra secundum  Phisicae (1270); 7) Impossibilia (1271-1272); 8) Quaestiones naturales (Ms.  Parigi Naz. lat. 16.133 (1271); 9) De aerernitate mundi (1271); 10) Tractatus  de anima intellectiva (1272-1273); 11) De necessitate et contingentia causarum  (1272 ca.); 12) Quaestiones naturales (Ms. Lisbona, Fondo general 2299) (1273  ca.); 13) Quaestiones super II-VII Metaphysicorum (1272-1274); 14) Quaestio-  nes morales (dopo 1273).    6II    Bibliografia    b) attribuite: 1) Quaestiones in libros I, II, III, IV, physicorum; 2)  Quaestiones in librum 1, II, Il, IV et VII physicorum; 3) De  I, II, III, IV physicorum; 4) De VIII physicorum; 5) Commenium in  I physicorum; 6) De libro IV physicorum; 7) Quaestiones in librum I, II et IV  meteororum; 8) Quaestiones in libros de generatione et corruptione; 9) Quae-  stiones in librum de somno et vigilia; 10) Quaestiones in librum de iuven-  tute; 11) Quaestiones in libros tres de anima; 12) De V metaphysicae.   c) perdute: 1) Tractatus de intellectu; 2) Liber de felicitate; 3) De mo-  tore primo; 4) Rescriptum: significatum est; 5) Super politica Aristotelis;  6) Utrum principia prima sint nobis ignota; 7) De caelo et mundo I et Il;  8) Posteriorum analiticorum I.    Edizioni: a) 1) in MAnDONNET, Sigier.., cit., 1 ed., pp. 47-54; 2 ed,  pp. 65-70; 2) inedito, riassunto da Van STEENBERGHEN, in Siger de Brabant  d’après ses oeuvres inédites, “Le Philosophes Belges,” XII-XIII, Lovanio,  1931-1942, pp. 333-334; 3) Inedito, riassunto da VAN STEENBERGHEN, ibidem,  pp. 291-294; 4) Inedito, riassunto da VAN STEENBERGHEN, ibidem, pp. 164-177;  5) ed. MANDONNET, op. cit., 1 ed., pp. 37-45; 2 ed., pp. 55-61; 6) Inedito;  estratti in A. Maier, Nouvelles questions de Siger de ‘Brabant sur la physi-  que d’ Aristote, in “Riv. Philos. Louvain,” 1946 e in J. J. Dun, La Doctrine  de la Providence dans les écrits de Siger de Brabant, “Les philosophes mé-  diévaux,” III, Lovanio, 1954, pp. 60-62; 7) ed. in CL. BaEUMKER, Die “im-  possibilia” des Siger von Brabant, (“Beitrige,” II, 6), Miinster, 1898; Man-  DONNET, op. cit., 2 ed., pp. 73-94; 8) ed. MAnDONNET, ibidem, 1 cd., pp. 57-67;  2 ed., pp. 97-107; 9) Le edizioni con i confronti tra i vari cocci in Man-  DONNET, op. cit., 1 ed., pp. 71-83, 2 ed., pp. 131-142; R. Barsori, S. de  Brabante de aeternitate mundi, Miinster, 1933; J. Dwyer, L'opuscule de  Siger de Brabant “De aeternitate mundi,” Lovanio, 1937; 10) ed ManpoNNET,  op. cit., 1 ed., pp. 87-115, 2 ed., pp. 145-172; 11) ed. ManpoNNET, op. cit.,  2 ed., pp. 111-128; Dun, op. cit, pp. 14-50; 12) ed. F. SrEGMULLER, in  “Rech. Théol. anc. méd.,” 1931, pp. 177-182; 13) ed. C. A. GrAIFF, S. d. B.  Questions sur la Métaphysique, “Les Philosophes médiévaux,” I, Lovanio,  1948; alcuni passi da altri mss. a cura di A. MaurER, in “Med. Stud.,”  1949, 1950. Altre qq. sono state pubblicate dal Duin, op. cit., pp. 71-111;  14) ed. STEGMULLER, op. cit., pp. 172-177.   6) Per la attribuzione sono il DeLHAYE, il GRarrr, il DE Wutr, il LorTIN,  il PeLsTER, il Dun, contro GiLson e Narpi. 1) ed. parziale del Dun, op.  cit., pp. 51-57; 2) ed. Pu. DeLHave in “Les philosophes belges,” Lovanio,  1941; 3) ed. parziale Dun, op. cit., pp. 63-67; 4) ed. parziale Duin, pp.  67-71; 5) inedito; 6) inedito; 7) riassunto da Van STEENBERGHEN, op. cif.,  pp. 233-263; ed. parziale Dun, op. cit., pp. 111-118; 8) riassunto da Van  STEENBERGHEN, Op. cit., pp. 268-291; 9) riassunto da VAN STEENBERCHEN,  op. cit., pp. 223-233; 10) riassunto da Van STEENBERGHEN, 0). cif., pp.  263-267; 11) ed. Van SreENBERGHEN, in “Les philosophes belges,” XII,  pp. 21-160; 12) cfr. Dun, op. cit., pp. 235-241.    612    Bibliografia    Bibliografia: Oltre le opere fondamentali del ManpoNNET, del VAN STEEN-    BERGHEN, del Dun, cfr.:    CL. BaEuMKER, Zur Beurteilung Sigers von Brabant, “Philos. Jahrb., 1911.  IpeMm, Um Siger von Brabant, ibidem.    M.    F.    F.    G.    L.    = PI    [ec]    A  A.  B    A.    Grasmann, Neu aufgefundene Werke des S. von Brabant und Boetius  von Dacien, “Sitz.ber. Bayer. Akad. d. Wissensch. Philos.-Hist. K1.,” 1924.  Sassen, Um Siger de Brabant et la double vérité, “Rev. néosc. philos.,”  1931.   Van STEENBERGHEN, Siger de Brabant d’après ses oeuvres inédites, ibidem,  1930.   BuswetLI, L'accordo di Sig. di Brab. e Tommaso d'Aquino, “Civ.  Catt.” 1932.   Perucini, Il tomismo di Sigieri di Brab. e l'elogio dantesco, “Giorn.  dantesco,” 1933.    . Narpi, Il preteso tomismo di Sigieri di Brab., “Giorn. crit. filos. ital.”    1936, 1937.  Gison, Dante et la Philosophie, Parigi, 1939, passim.    . GraBMAnN, Sigier von Brabant und Dante, “Deutsches Dante Jahrb.,”    1939.    . Vanni-RovicHi, Sigieri di Brabante nella storia dell'aristotelismo, “Riv.    filos. neoscol.,” 1944.    . Narpi, Sigieri di Brabante nel pensiero del Rinascimento italiano, Roma,    1945.    . Marer, Nouvelles Questions de Siger de Brabant sur la Physique d' Aris-    tote, “Rev. Philos. Louvain,” 1945.  MaureER, “Esse” and “Essentia” in the Methaphysics of Siger of Brabant,  “Med. Stud.,” 1946.    . Narpi, Individualità e immortalità nell’averroismo e nel tomismo, “Arch.    filos.,” 1946.    Maier, Les commentaires sur la Physique d'Aristote attribués à Siger  de Brabant, “Rev. philos. Louvain,” 1949.    Ipem, Die Vorlàufer Galileis..., cit, pp. 184 sgg., 237 sgg.    A.    Op pu    MauRER, Siger of Brab. and an Averroistic Commentary on the Metaphy-  sics, in Cambridge Peterhouse ms. 152, “Med. Stud.,” 1950.   Narpi, L'anima umana secondo Sigieri, “Giorn. crit. filos. ital.” 1950.  Van SrEENBERGHEN, Siger of Brabant, “Mod. School.,” 1951-1952.    . Maurer, Siger of Brabant's “De necessitate et contingentia causarum”    and Ms. Peterhouse 152, “Med. Stud.,” 1952.    . MaIER, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 97 sgg., 159 sgg.    De Parma, La dottrina dell'unità dell'intelletto in Sigieri di Brabante,  Padova, 1954.    IpeM, L'immaterialità dell'anima intellettiva in Sigieri di Brabante, “Collect.    franc.,” 1954,    613    Bibliografia    0. DuneM, Le système du monde, cit., V, pp. 574-577; VI, pp. 13-15,  394-395.   S. Mac CLInTOcK, Heresy and Epithet. An Approach to the Problem of   Latin Averroism, “Rev. Metaph.,” 1954, 1955.   MAauRER, Between reason and faith: Siger of Brabant and Pomponazzi   on the magic arts, “Med. Stud.,” 1956.   van STEENBERGHEN, Nouvelles recherches sur Siger de Brabant et son  école, “Rev. philos. Louvain,” 1956.   . Zimmermann, Die Questionen der Siger von Brabant zur Physik des   Aristoteles, Colonia, 1956.   . De Parma, La conoscenza intellettuale del singolare corporeo secondo   Sigieri di Brabante, “Sophia,” 1958.   . Narpi, L'anima umana secondo Sigieri, in Studi di filosofia medioevale,  cit., pp. 151-161.    Cfr. inoltre le indicazioni bibl. generali in GeyER, pp. 757-758; DE Brie,  nn. 6798-6818; De Wutr, II, pp. 220-222.    DUO on >    Boezio di Dacia    Opere: Commenti alle opere aristoteliche; De modis significandi; De  summo bono; De somno et vigilia; De mundi aeternitate.    Edizioni: Die “Op. De summo bono sive De vita philosophi” und “De  sompniis” des Boetius von Dacien, a cura di M. GraBmann, “Arch. hist.  doctr. litt. m.-à.,” 1932; 2 ed. in Mittelalterliches Geistesleben, Il, cit., pp.  200-224; G. Sayo, Un traité récemment découvert de Boèce de Dacie “De  mundi acternitate” Texte inédite, avec une introduction critique et en  appendice un texte inédit de Siger de Brabant: “Super VI Metaphysicaey”  Budapest, GeyER, p. 758; De Brie; nn. 3601, 4831, 7352, 7415;  De Wutr, Il, pp. 221-222.    In particolare v.:   P. Doncoeur, Notes sur les averroistes latins: Boèce de Dace, “Rev. scien.  philos. théol.,” 1910.   M. Grapmann, Neu aufgefundene Werke des S. v. Br. und Boetius v.  Dacien, “Sitz.ber. Bayer. Akad. d. Wissens. Philos-Hist. KI.,” II, 1924.   P. ManponnetT, Note complémentaire sur Boèce de Dace, “Rev. sc. philos.  théol.,” 1933.   F. Van STEENBERGHEN, in DHGE, IX, 381-389.   M. Grasmann, Textes des Martinus von Dacien und Boetius von Dacien  zur Frage nach dem Unterschied von essentia und existentia, “Miscell.  Gredt,” 1938.   A. Maurer, Boetius of Dacia and the Double Truth, “Med. Stud.,” 1955,    014    Bibliografia    F. Sassen, Boéthius van Dacie en de theorie van de dubbele Waarheid,  “Stud. cath.,” 1955.   A. Hurnacet, Zum Lehre von der doppelten Wahrheit, “Theol. Quart.,”  1956.    Capitolo ottavo    Roberto Grossatesta    Opere: a) propedeutiche: De arzibus liberalibus; De generatione sono  rum; b) astronomiche: De sphaera; De generatione stellarum; De cometis;  c) cosmologiche: De luce seu de incoatione formarum; Quod homo sit mi-  nor mundo; d) ottiche: De lineis angulis et figuris, seu de fractionibus et  reflexionibus radiorum; De natura locorum; De iride; De colore; e) fisiche:  De calore solis; De differentiis localibus; De impressione elementorum; De  motu corporali; De motu supercaelestium; De finitate motus et temporis;  De impressionibus aèris, seu de prognosticatione; f) metafisiche: De unica  forma omnium; De intelligentiis; De statu causarum; De potentia et actu;  De veritate; De veritate et propositionibus; De scientia Dei; De ordine enu-  cleandi causatorum a Deo; g) psicologiche: De libero arbitrio.   Opere dubbie: De anima.   Opere non autentiche: Summa philosophiae; Commento alla Consolatio  boeziana.   Commenti autentici: agli Analytici posteriori; alla Physica di ArisTOTELE;  agli Elenchi sofistici; In Hexaemeron.   Traduzioni: Ethica Nicomachea, con i commenti di Eustrazio per il Il. I  e VI, di anonimo per i Il. II, V, VII, di Michele di Efeso per i Il. V, IX,  X e di Aspasio per il l. VIII; De virtute et vitiis; De lineis indivisibilibus;  De coelo et mundo (solo un terzo del c. 1 del 1. III); De passionibus dello  Pseupo Anpronico; le Opere dello Pseupo Dionici € di Giovanni Dama-  sceno (con il Commento al De Mystica theologia).   Edizioni: L. Baur, Die philosophischen Werke des Robert Grosseteste,  (£“Beitrage,” IX), Miinster, 1912; il Commento agli Analityci nell’ed. di Ve-  nezia, 1514, quello al De Mystica theologia, a cura di U. GamBa, Milano,  1942; per quello all’Hexaemeron v. J. T. MuckLe, The Hexaemeron of  R. G., in “Med. Stud.,” 1944; le Epistolae, ed. H. R. Luarp, Londra, 1861. V.  inoltre: S. H. THomson, The Notule of Grosseteste on the Nichomachean  Ethics, Londra, 1934; D. A. CaLLus, The Summa theologiae 0} Robert  Grosseteste, “Studies in med. History presented to F. M. Powicke,” Ox-  ford, 1948. Tr. del De luce a cura di C. C. RiepL, Robert Grosseteste on  the Light, Milwaukee, 1942,   Bibliografia: La bibl. generale in GEvER, pp. 731-732; De Brie, nn. 5436-  5450; De Wutr, II, pp. 102-103,    615    Bibliografia    In particolare cfr.:   F. S. Stevenson, Robert Grosseteste Bishop of Lincoln, Londra, 1899.   P. Dunem, Le svstème du monde, cit., II, pp. 277-288; 410-413; IV, pp.  13-15, 49-52; V, pp. 295-297, 340-345, 348-359; VI, pp. 112-119; VII, pp.  176-177, VIII, pp. 67-68, 257-258; IX, pp. 31-36.   L. Baur, Die Philosophie des Robert Grosseteste (“Beitrige,” XVIII, 4-6),  Munster, 1917.   F. Perster, Zwei unbekannte Traktate des Robert Grosseteste, “Schol.,”  1926.   S. H. TuÙomson, The “De anima” of Robert Grosseteste, “N. Schol.,” 1933.   IpeM, The Text of Grosseteste's de cometis, “Isis” 1933.   Ipem, The Summa in VIII libros Physicorum of Grosseteste, Ibidem, 1934.   E. FrancescHINI, /ntorno ad alcune opere di Roberto Grossatesta, vescovo  di Lincoln, “Aevum,” 1934.   S. H. Tuomson, The Writings of Robert Grosseteste, Bishop of Lincoln,  Cambridge, 1940.   L. E. LyxcH, The doctrine of Divine Ideas and Illumination in Robert  Grosseteste, “Med. Stud.” 1941.   D. A. CaLcus, Philip the Chancelor and the “De anima” ascribed to Robert  Grosseteste, “Med. Stud.,” 1941-43.   IpeM, The Summa Duacensis and the Pseudo Grosseteste's “De Anima,”  “Rech. théol. anc. méd.,” 1946.   lInoeMm, The Oxford Career of Robert Grosseteste, “Oxoniensia,” 1949.   ). C. Russet, Phases of Grosseteste’s intellectual life, “The Harvard Theol.  Rev.,” 1950.   Ipem, Some Notes upon the Career of Robert Grosseteste, ibidem, 1955.   E. FrancescHINI, Un inedito di Roberto Grossatesta: la “Quaestio de accessu  et recessu maris,” “Riv. filos. neosc.,” 1952.   Ipem, Sulla presunta datazione del “De impressionibus aèris” di Roberto  Grossatesta, ibidem, 1952.   V. Miano, La teoria della conoscenza in Roberto Grossatesta, “Gior. Met.,”  1954.   S. Girsen, Le potenze naturali dell'anima secondo alcuni testi inediti di  Roberto Grossatesta, in L'homme et son destin... cit., pp. 437-443.   Cfr. inoltre nella sua attività di traduttore:   F. M. PowickE, Robert Grosseteste and Nicomachean Ethics, “The Proceed.  of Arist. Acad.,” 1930.   S. H. THÒomson, A note on Grosseteste's Work of Translation, “Jour. of  theol. Stud.,” 1933.   E. FrancescHINI, Grosseteste's Translation of the “Prologus” and the “Scho-  lia” of Maximus to the Writings of the Pseudo-Dionysius Arcopagita,  “Jour. theol. stud.,” 1933.   Ipem, Roberto Grossatesta vescovo di Lincoln e le sue traduzioni latine,  “Atti Ist. Ven.,” 1933-1934,    616    Bibliografia    Ipem, Una nuova testimonianza su Roberto Grossatesta traduttore dell’Eti-  ca Nicomachea, “Aevum,” 1953.    Sul pensiero e sull’attività scientifica:    L. THornpike, 4 History of magic and experimental Science, Il, cit., pp.  436-353.  D. E. SHiarp, Franciscan philosophy at Oxford in XIII th. Century, Oxford,  1930. i al  A. C. CromBie, Robert Grosseteste and the Origins of Experimental Science.  Oxford, 1953.  F. M. PowicxkE, Robert Grosseteste, “Bull. J. Rylands Libr.,” 1953.  D. A. Catrus, Robert Grosseteste's Place in the History of Philoscphy,  “Actes du XI Congrès int. d. Philos.,” XII, Amsterdam-Lovanio, 1953.  P. MicHauD-QuantIN, La rnotion de loi naturelle chez Robert Grosse-  teste, ibidem.  A. C. CromBie, Robert Grosseteste on the Logic of Science, ibidem.  Robert Grosseteste Scholar and Bishop. Essays in Commemoration of the  Seventh Century of his Death, ed. D. A. Callus - F. M. Powicke,  Oxford. 1955.  F. Atessio, Studi e richerche su Roberto di Lincoln (Grossatesta), “Riv.  crit. stor. filos.,” 1957.  IpeM, Storia e teoria nel pensiero scientifico di Roberto Grossatesta, “Riv.  crit. stor. filos.,” 1957.  S. H. THomson, Grosseteste's “Quaestio de calore” “De cometis” and “De  operacionibus Solis,” “Medievalia et Humanistica,” 1957.  R. C. Daces, Robert Grosseteste's “Commentarius in Octo libros Physicorum  Aristotelis” ibidem, 1957.  C. M. TuRBAYNE, Grosseteste and an ancient optical principle, “Isis” 1959.    Adamo di Marsh    Opere: Numerose composizioni di carattere teologico ed esegetico an-  cora inedite: Le Epistolae (247) in Monumenta franciscana historica, I, Lon-  dra, 1858, pp. 77-489 (ed. J. S. BrEWER).    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 738; De Brie, n. 3633; DE WuLF, II,  p. 103.    Cfr. inoltre:   A. De SéRENT, in DHGE, I, 482 sgg.   H. Fetper, Storia degli studi scientifici nell'Ordine francescano (tr. it.),  Siena, 1911, pp. 285-31I.   G. Contini, Adamus de Marsico O.F.M. auctor spiritualis, “Ant.,” 1948.   R. W. Hunt, Chapter headings of Augustine “De Trinitate” ascribed to  Adam Marsh, “The Bodleian Library Record,” 1957.    617    Bibliografia    Riccardo di Cornovaglia    Bibliografia: Cfr. GevEr, p. 733; De Brie, nn. 5425, 7333, 7458-7462;   De Wucr, II, pp. 103-104.   In particclare cfr.:   A. G. LirtLe, Franciscan School at Oxford, “Arch. franc. hist.,” 1926.   F. Pelster, Neue Schriften des englischen Franziskaners Richardus Rufus  von Cornwal, “Schol.,” 1933, 1934.   F. M. HenquineT, Autour des écrits d’Alexandre de Halès et de Richard  Rufus, “Ant.,” 1936.   F. PerstEr, Die dlteste Abkiirzung u. Kritik vom Sentenzenkommentar des  hl. Bonaventura im Werk des Ricardo Rufus de Cornubia, “Greg.,” 1936.   D. A. CaLLus, Two Early Oxford Master on the Problem of Plurality of  Forms Adam of Buckfield, Richard Rufus of Cornwall, “Rev. néosc.  philos.,” 1939.   F. Pelster, Richardus Rufus Anglicus, cin Vorliufer des Duns Skotus in  der Lehre von der Wirkung der priesterlichen Lossprechung, “Schol.,”  1950.   G. Gar, Comment. in Metaphys. Aristotelis cod. Vat. lat. 4538 fons doctri-  nae Richardi Rufi, “Arch. franc. hist.,” 1950.   Ipem, Viae ad existentiam Dei probandam in doctrina Richardi Rufi, “Franz.  Stud.,” 1956.    Tomaso di York    Opere: Manus quae contra Omnipotentem tenditur; Sapientiale; Com-  paratio sensibilium. Alcune pagine del Sapientiale sono state edite da E.  Loncpré in “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1926.    Bibliografia: M. Grasmann, Die metaphysik des Thomas von York   (“Beitrige,” Suppl. I), Miinster, 1913.   F. PeLstEer, Thomas von York o.f.m. als Verfasser des Traktats “Manus...,”  “Arch. franc. hist.,” 1922.   E. Loncpré, Fr. T. d'York. La première somme métaphysique du XIII° s.,  ibidem, 1926.   Ipem, Thomas d’York et Matthieu d'Acquasparta (Textes inédits sur le pro-  blème de la Création) “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.” 1926.   F. Treserra, Entorn del Sapientiale de Thomas de York, “Criterion,” 1929.   IpeM, De doctrinis metaphysicis fr. Thomae de Eboraco, “Anal. Sacra  Tarrac.,” 1929.   D. E. SWÙiarp, Franciscan philosophy at Oxford, Oxford, 1930, pp. 49-112.   E. Amann, in DThC, XV, 781-787.   G. BonarepE, Il pensiero francescano nel sec. XIII, Palermo, 1952.   J. P. ReiLLy, Thomas de York on the efficacy of secondary causes, “Med.  Stud.,” 1953.  La bibliografia generale in GevEr, p. 738; DE Wutr, II, p. 104,    618    Bibliografia    Ruggero Bacone    Opere: Opus Maius; Opus minus; Opus tertium; Compendium studii  philosophiae; De secretis operibus artis et naturac et de nullitate magiae;  Compendium studii theologiae; Moralis philosophia; inoltre un cospicuo  numero di opere minori, commenti aristotelici, opuscoli, ecc., tra i quali  ricordiamo particolarmente i Communia mathematica e il Liber commu-  nium naturalium.    Edizioni: Opus Majus, ed. S. JeBB, Londra, 1733 (rist. Venezia, 1750);  ed. J. H. Bripces, Oxford, 1897-1900; tr. ingl. di R. B. Burke, Filadelfia,  1928; Opus minus et Opus tertium, a cura di J. S. BreweR (R. Bacon, “opera  quaedam hactenus inedita” Rerum Britannicarum M. A. Scriptores). Lon-  dra, 1859. (Nuovi frammenti dell'Opus Tertium sono editi da P. DuneM,  Un frag. inédit de l'opus tertium de R. B., Firenze, 1909; e da A. G.  LirtLE, Part of the Opus Tertium of R. B. including a fragment, Aberdeen,  1912); la lettera di dedica dell'Opus maius a cura di F. A. Gasquer, An  unpublished fragment of a Work of Roger Bacon, “Engl. Hist. Rev.”  1897; Compendium studii philosophiae e De Secretis operibus artis et na-  turae et de nullitate magiae, in ediz. BrewER (cit.). (Il De Secretis ecc.,  è tradotto in italiano, a cura di G. DEE, collez. “I tesw classici dell’esoterismo  tradizionale e del simbolismo religioso,” Milano, 1945); The Greek Gram-  mar of R. B. and a Fragment of his Hebrew Grammar, a cura di E. No-  Lan e S. HirscH, Cambridge, 1902; Compendium studii theologiae, a cura  di H. RasHpatt, Aberdeen, 1911. '   Le opere già inedite in:   Opera hactenus inedita R. Baconi, a cura di LirtLE e R. STEELE, Oxford,  1905 sgg.; Rog. Baconi Moralis Philosophia, a cura di F. M. DeLorME-E.  Massa, Zurigo-Verona, 1953.    Bibliografia: La bibl. generale in GeveR, pp. 760-761; De Brie, nn. 4622,  4971, 5688-5709, 7388; De Wutr, II, pp. 302-304.    Come indicazioni bibliografiche sommarie ‘cfr.:   E. CÙartes, Rog. Baon, sa vie, ses oeuvres, ses doctrines, Parigi, 1861.   H. HorrMmans, La synthèse doctrinale de Rog. Bac., “Archiv. f. Gesch.  d. Phil.,” 1907 (vedi anche in “Rev. néosc. philos.,” 1906, 1908, 1909).   P. ManponneT, Rog. Bac. et le “Speculum astronomiae” e Rog. Bac. et la  composition des trois “Opus,}” “Rev. néosc. philos.,” 1910, 1913.   H. Héover, Rog. Bacons Hylomorphismus als Grundlage seiner philosophi-  schen Anschauung, “)ahrb. Philos. u. spek. Theol.,” 1911.   A. G. LirtLEe, Roger Bacon. Essays contributed by various Writers, Oxford,  1914.   P. Dunem, Le système du monde, cit., III, p. 237-239, 397-400, 410-442,  446-455, 461-464, 471-477, 499-519; V, 375-380, 384-402, 404-415; VI, pp.    619    Bibliografia    106-111, 270-272, 394-397; VII, 20-21, 56-58, 163-168, 193-197, 577-579;  VIII, pp. 22-25, 31-34, 64-75, 133-149, 158-160, 176-181, 226-229, 239-240,  245-CL. BaeuMKER, Rog. Bac. Naturphilosophie, “Franz. Stud.,” 1916.   R. Carton, L'expérience physique chez Rog. Bac. Contribution è l'étude de  la méthode et de la science expérimentale au XIII° siècle, Parigi, 1924.   IpeM, L'expérience mystique de l'illumination intérieure chez Rog. Bacon,  Parigi, 1924.   IpEM, La synthèse doctrinale de Rog. Bac., Parigi, 1924.   R. Wacz, Das Verhiltnis von Glauben und Wissen bei Roger Bac., Fri-  burgo, 1928.   CH. VanpervaLLe, Rog. Bacon dans l'histoire de la philologie, Parigi, 1929.   F. PeLstER, Rog. Bacons Compendium studii theologiae und der Senten-  zenkommentar des Richard Rufus, “Schol.,” 1929.   H. LiesescHUTz, Der Sinn des Wissens bei Rog. Bac., “Bibl. Warburg,”  1930-1931.   W. Sincer. Alchemical Writings of Rog. Bacon, “Spec.,” 1932.   S. Vanni-RovicHI, L'immortalità dell'anima nei maestri francescani del se-   colo XIII, Milano, 1936.   . W. Wooprurr, Rog. Bacon. A Biography, Londra, 1936.   . Loncpré, La Summula Dialectica de Roger Bacon, “Arch. franc. hist.,”   1938.   . WuxitscH, Roger Bacon, an Educator, Washington, 1945.   . CrowLEYv, Roger Bacon's Aristotelian and Pseudoaristotelian Commen-   taries and the Problem of the Soul in the XIII'h Century, Lovanio, 1950.   IpeM, Roger Bacon: the problem of universals in his philosophical com-  mentaries, “Bull. I. Rylands Library,” 1952.   Ipem, Roger Bacon and Avicenna, “Philos. Stud.;” 1952.   S. C. Easton, Roger Bacon and his Search for a Universal Science, New  York, 1952.   E. Wesracort, Roger Bacon in Life and Legend, New York, 1953.   E. Massa, Ruggero Bacone e la poetica di Aristotele, “Gior. crit. filos. ital.,”  1953.   Ipem, Ruggero Bacone, etica e poetica nella storia dell'Opus maius, Ro-  ma, 1955. 4   C. Vasoti, Il programma riformatore di Ruggero Bacone, “Riv. Filos.,”  1956.   F. ALessto, Mito e scienza in Ruggero Bacone, Milano, 1957.   E. Heck, Roger Bacon. Ein mittelal. Versuch e. histor. u. systemat. Reli-  gionswissens., Bonn, 1957.    HM tia    620    Bibliografia    Riccardo Fishacre    Opere: Commento alle Sentenze (prima del 1245).  Bibliografia: Cfr. Gever, p. 739; De Wutr, II, p. 140.    In particolare:   F. PeLsTER, Das Leben u. die Schriften des Oxforder Dominikaners Ri-  chard Fishacre, “Zeitschr. kath. Theol.,” 1930.   D. Skarp, The Philosophy of Richard Fishacre, “N. Schol.,” 1933.   M. Grasmann, Die theologische Erkenntnis und Einleitungslehre des hl.  Thomas von Aquin, Friburgo, 1948, pp. 205-15; 217 sgg.; 220 sgg.   L. Sweeney - C. ]. ErmantINcER, Divine infinity according to Richard Fi-  shacre, “Mod. School.,” 1957-1958.    Roberto Kilwardby    Opere: a) commenti: all’'Isagoge; a vari testi dell’Organon, alla Physica,  al De coelo et mundo; al De generatione et corruptione; ai Matercologica;  al De anima; alla Metaphysica, e ad alcuni testi boeziani;    b) trattati: Commento alle Sentenze; De unitate formarum; De ortu et  divisione scientiarum; De tempore; De conscientia; De spiritu imaginativo.    Edizioni: Estratti dal De orsu et divisione philosophiae, in B. Haurfau,  Notices et extraits, V; la lettera a Pietro di Conflans in E. Enrte, Der  Augustinismus und der Avristotelismus in der Scholastik gegen Ende des  13 Jhts., “Arch. f. Lett. u. Kirchengesch. d. Mittelalt.,” 1889. Il prologo del  Commento: De natura Theologiae, ed. F. StecmuLLER, in “Opuscula et  textus,” S. schol., 17, Miinster, 1935; il De Imagine et vestigio Trinitatis, in    “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1935-36; Tabulae super originalia Patrum  (ed. D. A. CaLLus), Bruges, 1948.    Bibliografia: Cfr. Gevyer, p. 764; De Brie, nn. 7463-7474; De WuLFe,  II, pp. 237-238.    In particolare:   A. BirkENMAJER, Der Brief R. Kilwardby's an Peter von Konflans und die  Streitschrift des Aegidius von Lessines (“Beitràge,” XX, 5), Miinster, 1922.   M. D. CÙenu, Le “De spiritu imaginativo” de Robert Kilwardby, “Rev.  sc. philos. théol.,” 1926.   IpeM, Le “De coscientia” de Robert Kilwardby, ibidem, 1927.   IpeM, Les réponses de St. Thomas et de Kilwardby è la consultation de  Jean de Verceil, 1271, “Mél. Mandonnet,” 1930.   Ipem, Le traité “De tempore” de Robert Kilwardby, in Aus der Geisteswelt  des Mittelalters, cit.   F. StEGMULLER, Robert Kilwardby O. P. Ueber die Mòglichkeit der natiirli-  chen Gottesliebe, “Div. Th.,” (F), 1935.    621    Bibliograjii    D. E. SHarp, The “De ortu scientiarum” of Robert Kilwardby, “N. Schol.,*  1934.   IpeM, The 1277 condemnation by Kilwardby, Ibidem, 1934.   IpeM, Further philosophical Doctrines of Kilwardby, ibidem, 1935.   A. Donpamne, Le “De tempore” de Robert Kilwardby, “Rech. théol. anc.  méd.,” 1936.   E. M. F. Sommer-SEcKENDORFF, Studies in the Life of Robert Kilwardby,  Roma, 1937.   IpeM, Robert Kilwardby und seine philosophische Einleitung “De ortu  scientiarum,” “Hist. Jahrb.,” 1935.   L. B. Gitton, L'amour naturel de Dieu d'après Robert Kilwardby, “Ang.”  1952.   G. Gar, Robert Kilwarby's questions on the Metaphysics and Physics of  Aristotele, “Franc. Stud.,” 1953.    Giovanni Peckam    Opere: Tra le numerose opere teologiche, filosofiche scientifiche ricor-  diamo particolarmente: Quaestiones tractantes de anima; Summa de esse  et essentia; Quodlibet romanum; Tractatus de anima; Perspectiva communis;  Tractatus sphaerae; Teorica planetarum; Mathematicae rudimenta.    Edizioni: Registrum epistularum f. ]. Peckam, ed. C. T. MartIn, Lon-  dra, 1882-1885. Quaestiones de anima, ed. H. SpettMANN (“Beitrige,” XIX,  5-6), Miinster, 1918; Summa de esse et essentia, ed. F. M. DeLORME, Firenze,  1928; Quodlibet romanum, ed. F. M. DeLORME, Roma, 1938; Tractatus de  anima, ed. G. Mrtani, Firenze, 1948; Canticum pauperis, ed. G. MELANI,  Quaracchi, 1949.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 762; De Brie, nn. 5710-5712; De Wutr,  II, pp. 268-269.    In particolare cfr.:   F. Exrte, /. Peckam, tiber den Kampf des Augustinismus u. Aristotelismus,  “ Zeitschr. f. kathol. Theol.,” 1889.   IpeM, L'agostinismo e l'aristotelismo nella Scolastica del sec. XIII, Ro-  ma, 1925.   H. SpettMan, Quellenkritisches zur Biographie des ]. Peckam, “Franz.  Stud.,” 1915,   Ipem, Die Psychologie des ]. Peckam (“Beitrige,” XX, 6), Miinster, 1919.   IpeM, Der Ethikkommentar des ]. Peckam (“Beitràgey” Suppl., II), Miinster,  1923.   IpeM, Der Sentenzenkommentar des Franz. Erzbischrofs ]. Peckam, “Div.  Th. (F.);” 1927.   A. CacceBaut, /. Peckam et l'augustinisme, “Arch. franc. hist.,” 1925.   A. TeeraerT, in DThC, XIII, 100-140.    622    Biblogra fia    V. Doucet, Notulae bibliographicae de quibusdam operibus fr. ]. Peckash,  “Ant.,” 1933.   J. H. SmirH, The Attitude of ]. Peckam toward Monastic Houses under  his jurisdiction, Washington, 1949.   F. PeLster, Neue Textausgaben von Werken des St. Thomas, des |. Pec-  kam, und Vitalis de Furno, “Greg.” 1950.   T. CrowLey, /. Peckam, archbishop of Canterbury, versus the new Aristo-  telianism, “Bull. John Rylands Libr.,” 1951.   L. THoRNDIKE, A. }. Peckam's Manuscript, “Arch. franc. hist.,” 1952.   G. BonarEpe, Il pensiero francescano nel sec. XIII, cit.    D. L. Dowie, Archbishop Peckam, Oxford, 1952.    Capitolo nono  Ubertino da Casale    Opere: Arbor vitae crucifixae Jesu; scritti in difesa dell’Olieu e della  povertà francescana. :   Edizioni: Arbor..., Venezia, 1485; le opere di polemica francescana edite  da F. Ente, in “Arch. Lit. u. Kirchengesch. d. Mittelalt.” Berlino,  1886, 1887; e da A. Heysse, in “Arch. franc. hist.,” 1917. Inoltre cfr. la  Responsio f. Ubertini circa quaestionem de paupertate Christi nella Miscel-  lanea sacra di E. BaLuze-M.Mansi, Lucca, 1761; il Frazicelli cuiusdam  decalogus evangelicae paupertatis, ed. M. Bir, “Arch. franc. hist.,” 1939  ed F. M. DeLorME, Notice ei extraits d'un manuscrit franciscain..., “Collect.  franc.,” 1945,    Bibliografia:    J. CH. Hucx, Ubertin von Casale und dessen Ideenkreis, Friburgo, 1903.   F. CaLLary, L'idéalisme franciscain spirituel au XIV* siècle... Lovanio, 1911.   IpeM, L'influence et la diffusion de “Arbor vitae crucifixae” de Ubertino,  “Rev. hist. éccl.,” 1921.   P. Goperroy, in DThC, XV, 2121-2134.    Eustachio di Arras    Opere: Quaestiones disputatae; Quaestiones quodlibetales; Sermoni.    Edizioni: Cfr. De humanae cognitionis ratione anedocta quaedam, Qua-  racchi, 1883.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 762; De Brie, n. 6694; De Wutr, II,  p. 268.    P. Grorieux, Fr. E. d’Arras, “France franc.,” 1930.    Bibliografia    A. Lanoorar, Zum Schriften des Frater E. von Arras, “Collect. franc.”  1931. ri   V. Doucet, Quaestiones centum ad scholam franciscanam spectantes, “Arch.  franc. hist.,” 1933.   G. Bonarepe, /l pensiero francescano, cit.    Gualtiero di Bruges  Opere: Quaestiones disputatae; Commento alle Sentenze.    Edizioni: Le Quaestiones, ed. E. Loncpré, Lovanio, 1928; del Commen-  to, saggi del Loncpré in “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1933. x    Bibliografia: cfr. Gever, p. 762; De Brie, 6694; De Wute, Il, p. 268.   E. Loncpré, Gauthier de Bruges, O.F.M. et l'augustinisme franciscain au  XII siècle, “Miscell. Ehrle,” I, Roma, 1924.   IpeM, Le commentaire sur les Sentences du B. Gauthier de Bruges, “Pubbl.  Inst. étud. méd. d’Ottawa,” 1932.   A. PeLzer, Le Commentaire de Gauthier de Bruges sur le IV L. des. Sen-  tences, “Rech. théol. anc méd.,” 1930.   S. BeLmonp, La preuve de l'existence en théodicée d'après Gauthier de Bru  ges, “Riv. filos. neosc.,” 1933.   O. Lottin, La liberté selon Gauthier, “Rech. théol. anc. méd.,” 1935.   R. Hormann, Die Gewissenslehre des Walters v. Briigge und die Entwic-  Klung der Gewissenslehre in der Hochscholastik (“Beitrige,” XXXVI,  5-6), Miinster, 1941.   G. Bonarepe, Il pensiero francescano, cit.   J. BeumER, Die vier Ursachen der Theologie nach dem unedierten Senten-  zenkommentar des Walter von Briigge, “Franz. Stud.,” 1958.    Matteo d'Acquasparta    Opere: Tra la numerosa produzione teologica e filosofica dell’Acqua-  sparta (cfr. Enc. Catt., s.v.) ricordiamo particolarmente le Quaestiones dispu-  tatac.    Edizioni: Antologia in De humanae cognitionis ratione, Quaracchi, 1883;  Quaestiones disputatae selectae, 2 voll., ibidem, 1903-1914, 19572; Quaestiones  disputatae de gratia con intr. e note di V. Doucer, ibid., 1935. De pro-  ductione rerum et de providentia, a cura di G. Gar, ibidem, 1956; Quae-  stibnes disputatae de anima separata, de anima beata, de icunio et de le-  gibus, Quaracchi, 1959. Estratti dal Comm. alle Sentenze a cura di A. Da-  nieLs, in (“Beitrige,” VIII, 1-2), Miinster, 1909; in E. Loncpré, Thomas  d'York et M. d'Acquasparta. Textes inédits sur le problème de la création,  “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1926-1927, e da S. Vanni-RovicHI, R. Za-  VALLONI, cfr. bibl.    624    Bibliografia    Bibliografia: cfr. GeveR, pp. 761-762; De Brie, nn. 6794-6797; DE WuLF,  II, p. 269.  E. Loncpré, in DThC, X, 375-389.  M. Grasmann, Die philos. und theol. Erkenntnislehre des Kard. M. v.  Acquasparta, Vienna, 1906.  . Vanni-RovicHi, L'immortalità dell'anima nei maestri francescani del  sec. XIII, Milano, 1936.  . Doucet, L'enseignement parisien de Mathieu d’Acquasparta (1278-1275),  “Arch. franc. hist.,” 1935.  . CHioccHETTI, La cognizione dell'individuale. Matteo d'Acquasparta e  Duns Scoto, “Riv. filos. neoscol.,” 1940,  . BonarepE, I! problema del “lumen” nel pensiero di Matteo d'Acqua-  sparta, “Riv. rosminiana,” 1937.  . Bertoni, Rapporti dottrinali tra Matteo d'Acquasparta e Duns Scoto,  “Stud. franc.,” 1943.  . Prezioso, L'attività del soggetto pensante nella gnoseologia di Matteo  d'Acquasparta e di Ruggero Marston, “Ant.,” 1950.  . Zavatroni, Richard de Mediavilla et la controverse sur la pluralité des  formes. Textes inédits et étude critique, Lovanio, 1951.  . C. Pecis, M. of Acquasparta and the cognition of Non-Being, “Schol.,”  1951.  . BonarFEDE, Il pensiero francescano, cit.  IpeM, Matteo d'Acquasparta, “Italia franc.” 1952.  A. J. Gonpras, Les “Quaestiones de anima VI,” manuscrit de le Bibl. com.  d'Assise n. 159 attributes è M. d’Acquasparta, (con testo), “Arch. Hist.  doctr. litt. m. à.,” 1957.    (92)    O pP_pO_OTI HU OoOO0{, Hi     643    Bibliografia    G. De Lacarpe, Marsile de Padoue ou le premier théoricien de l'état laique,  Saint-Paul-Trois Chateaux, 1934; Parigi, 19422.   Inem, Marsile de Padoue et Guillaume d’Ockham, “Rev. sc. relig.,” 1937.   H. KuscH. Friede als Ausgangspunkt der Staatstheorie des M. von Padua  zu Arsstotelesreception im Mittelalter., “Das Altertum,” 1955.   Marsilio da Padova. Studi raccolti nel VI centenario della morte, a cura di  A. Ceccuini e N. Bossio, Padova, 1942.   G. Mico, Questioni marsiliane, “Riv. filos. neosc.,” 1946.   H. Otto, Marsilius von Padua und der “Defensor Pacis,” “Hist. Jahrb.,”  1925.   A. Passerin D'Entaèves, The Medieval Contribution to the political Thought,  Oxford, 1930, pp. 44-87.   Inem, Rileggendo il Defensor Pacis, “Riv. stor. ital.” 1934.   G. Pirovano, Il “Defensor Pacis” di Marsilio Patavino, “La Scuola catt.,”  1922.   C. W. Previté-Orton, Marsilius of Padua, Doctrines, “Engl. Hist. Rev.,”  1923.   Inpem, Marsilius of Padua, “Proceed. of Brit. Acad.,” 1935.   J. Rivière, Marsile de Padoue, in DThC, X, 153-177.   R. Scmorz, Marsilius von Padua und die Idee der Demoksatie, “Zeitschr.  f. Politik,” 1907.   Inem, Unbekannte Kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs  des Bayern, Roma, 1911-1914.   Inem, Zur Datierung und Uberlieferung des “Defensor Pacis)” “N. Arch.  Gesell. f. alt. deutsch. Geschichtskunden,” 1927.   IneMm, Marsilius of Padua und Genesis des modernen Staatsbewusstsein,  “Hist. Zeitschr.,” 1936.   H. Secar, Der Defensor Pacis des Marsilius von Padua. Grundfragen und  Interpretation, Wisbaden, 1959 (con bibl.).   J. SuLcivan, Marsilio of Padua and William of Ockham, “American Hist.  Rev.,” 1896-1897,   P. Viruari, Marsilio da Padova e il “Defensor Pacis)” in Storia, politica e  istruzione, Milano, 1914, pp. 3 sgg.   P. Zampetti, Considerazioni sul concetto di giuridicità nel “Defensor Pacis,”  “Riv. ital. filos. dir.,” 1954.    Avversari di Dante e di Marsilio  Bibliografia:   N. Junc, Un franciscain théologien du pouvoir pontifical au XIV siècle,  Alvaro Pelayo, évéque et pénitencier de Jean XXII, Paris, 1931.   U. Martani, Un avversario di Marsilio da Padova: Guglielmo Amidani da    Cremona, “Giornale Dantesco,” 1935.  N. IsacH, Leben und Schriften des Konrad von Megenburg, Berlino, 1938.    644    Bibliografia    N. MATTEI, /) più antico compositore politico di Dante: Guido Vernani da  Rimini. Testo critico del “De reprobatione Monarchiae,” Padova, 1958.  Sulla crisi storica tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo cfr. inoltre in   particolare gli studi di G. De Lacarpe, La naissance de Pesprit laique au   déclin du M.À,, cit.  Sugli “Spirituali” cfr. soprattutto:   F. Exte, Die Spiritualen, ihr Verhiltnis zum Franziskevenorden und zu den  Fraticellen, in “Arch. f. Litt. u. Kirchengeschichte,” 1886.   F. Caccary, L'idéalisme franciscain spirituel du XIV siècle, cit.   K. BattHasar, Geschichte des Armutsstreites in Franziskanenorden bis zum  Konzil von Vienne, Miinster, 1911.    Capitolo secondo    Giovanni Duns Scoto    Opere: L'elenco definitivo delle opere autentiche sarà possibile stenderlo  solo quando sarà compiuta l’ed. critica in preparazione e di cui sono ap-  parsi solo i primi volumi (Opera omnia, studio et cura Commissionis  scotisticae ad fidem codicum edita, Città del Vaticano, 1950 sgg.) che reca  .nel I vol. una Disquisitio critica di particolare valore. Tra le opere già  contenute nell’ed. Vivès si possono però considerare autentiche sicuramente  le seguenti: Quaestiones super universalia; Super praedicamenta; Super Ì.  I Periermencias, In Il librum Periermencias; Secundi operis Periermeneias;  Super libros Elenchorum Aristotelis; Super l. I Priorum; Super l. II Prio-  rum; Super l I Posteriorum; Super l. Il Posteriorum; Quaestiones in  libros Aristotelis de anima; De primo principio; Collationes Oxonienses;  Collationes parisienses; Quaestiones subtilissimae in Metaphysicam Aristo-  telis; Opus Oxoniense (Ordinatio o Liber Scoti); Reportata Parisiensia;  Quaestiones quodlibetales XXI. È in discussione l'autenticità del Tracsazus  imperfectus de cognitione Dei, del De perfectione statuum e dei Theoremata.  Sono stati inoltre scoperti recentemente altri scritti contenenti ampi resoconti  dei corsi scolastici tenuti dallo Scoto a Oxford, a Cambridge e a Parigi;  i più importanti sono noti col nome di Lectura Oxroniensis o Lectura prima  e di Reportatio magna.    Edizioni: Opera omnia, a cura di L. Wapprnc, 12 voll., Lione, 1639;  Opera omnia, a cura di Vivès, 26 voll., Parigi, 1891-1895; Opera omnia,  a cura della Commissione scotista, presieduta dal P. C. BaLiz, Roma, 1950  segg. (e cfr. del Bari&, Zur Kritische Edition der Werke ]. Duns Skotus,  “Scriptorium,” 1954, e Au sujet de l'édition critique des oeuvres de ]. Duns  Scot, in L'homme et son destin... cit., pp. 229-239). Opus Oxoniense, a cura di  M. FernAnpez Garcfa, Quaracchi (Firenze), 1912, 1914; I. D. Scoti doctrina    645    Bibliografia    philosophica et theologica quo ad res praecipuas, Quaracchi, 1908, 1930?;  Quaestiones et Collationes, inediti, a cura di C. R. S. Harris, 1927; Tractatus  de primo principio, a cura di M. MitLER, Friburgo, 1941 (ed. crit.); DEODAT  De Basty, Capitalia opera collecta (I. Praeparatio philosophica; I. Synthesis  theologica), Le Havre, 1908-1911 (vedi anche Scozus docens, Le Havre, 1934).  È in corso (Madrid, 1960 sgg.) un'edizione bilingue spagnola. Si cfr.  anche con trad. it. a fronte, l'antologia a cura di P. D. Scaramuzzi: Duns  Scoro, Summula (scelta di scritto coordinati in dottrina). Firenze, 1932  e l'antologia a cura di P. Minces, Joh. Duns Scoti doctrina philosophica et  theologica quoad res praecipuas proposita et exposita, Quaracchi (Firenze).    Bibliografia: Per la bibl. generale cfr. P. Minces, Die skotische Lite-   ratur des 20 Jhts, “Franz. Stud.,” 1917.   A. PeLzer, 4 propos de Jean Duns Scot et des études scotistes, “Rev. néoscol.  philos.,” 1923.   S. Stmonis, De vita et operibus B. Duns Scoti iuxta litteraturam ultimi de-  cennii, “Ant.,” 1928.   V. Comte-Lime, Bibliographie scotiste de langue frangaise (1900-1934) “Cong.  des lecteurs francisc.,” Lione, 1934.   M. Grayewsxi, Skotistic Bibliography of the Last Decade (1929-1939), “Franc.  Stud.,” 1941.   U. Smetts, Lineamenta bibliogr. Scotisticae, Roma, 1942.   E. Bertoni, Vent'anni di studi scotistici (1920-1940), Milano, 1943.   O. ScHaErER, Bibl. de vita, operibus et doctrina ]. Duns Scoti... saec. XIX-  XX, Roma, 1954.   C. O. HuattacHam, On recent Studies of the Opening Question in Ss  “Ordinatio” “Franc. Stud.,” 1955.  Per il lessico scotista cfr. F. FERNANDEZ Garcfa, Lexicon scholasticum   philosophico-theologicum, in quo termini... philosophiam... spectantes a B. |.   Duns Scoto exponuntur, Quaracchi, 1910.    Tra gli studi generali e tra i pid recenti ci limitiamo a segnalare:   P. Minces, Der Gottesbegriff des Duns Skotus, Vienna, 1906.   Ipem, Verhélinis von Glauben und Wissen..., nach D. Skotus, Paderborn,  1913,   J. KLEIN, Der Gottesbegriff des J. Duns Scotus, Paderborn, 1913.   M. Hreccer, Kasegorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus, Tubinga,  1916.   A. Bertoni, Le B. Duns Scosr. Sa vie, sa doctrine et ses disciples, Levanto,  1917.   B. Lanpry, La philosophie de Duns Scot, Parigi, 1922.   J. Carreras y ArtAU, Ensayo sobre el voluntarismo de ]. Duns S., Gerona,  1923.   E. Loncpré, La philosophie du B. Duns Scot, Parigi, 1924.   A. Pezer, Reportata parisiensia, “Ann. Inst. philos.,” Lovanio, 1924.    646    Bibliografia    C. BaLiz, Les commentaires de Jean Duns Scot sur les 4 Ul. des Sentences,  Lovanio, 1927 (e cfr. dello stesso A., gli articoli in “Rech. théol. anc.  méd.,” 1930, 1931, 1935, 1937).   E. Girson, Avicienne et le point de départ de D. S., “Arch. Hist. doct. litt.  m. à.,” 1927.   C. R. S. Harris, Duns Scotus, Oxford, 1927; New York, 1959.   S. Vanni-Rovicuni, L'immortalità dell'anima nel pensiero di Giovanni Duns  Scoto, “Riv. filos. neosc.,” 1931.   J. CarrERAS Y ARTAU, La doctrina de los universales en ]. Duns Scotus. Una  contribucion a la historia de la logica en el siglo XIII, “Arch. Ibero-  Americano,” 1931,   G. SwiezansKI, Les intentions premières et les intentions secondes chez  D. S., “Arch. Hist. doctr. litt. m.-4.,” 1934. d   Deopar pe Basty, Scosus docens..., Parigi, 1934.   P. Vicnaux, Humanisme et théologie de J. Duns Scot, “France franc.,” 1936.   S. BeLmonp, Essai sur la théorie de la connaissance d'après Jean Duns Scot,  “France franc.,” 1935.   F. Honmann, Ist Duns Skotus Augustinist oder AristotelikerP “Wiss. u.  Weis.,” 1937.   A. AntweILER, Der Glaube nach ]. Duns Skotus, “Wiss. Weis.,” 1937.   L. VevTHEy, L’intuition scotiste et le sens du concrète, “Etud. franc.,” 1937.   J, RoHMER, La finalité morale chez les théologiens de S. Augustin è D. S.,  Parigi, 1938,   C. BaLiz, La questione scotista, “Riv. filos. neosc.,” 1938.   T. BartH, De fundamento univocationis apud ]. D. Scotum, “Ant.” 1939.   E. BETTONI, Il processo astrattivo secondo Duns Scoto, “Stud. franc.,” 1941.   Ipem, Dalla dottrina degli universali alla teoria della conoscenza in Duns  Scoto, ibidem, 1941.   InpeM, Duns Scoto e l'argomento del moto, “Riv. filos. neosc.,” 1941.   Ipem, L'ascesa a Dio in Duns Scoto, Milano, 1943.   R. Messner, Intuition et conception chez D. S., Friburgo, 1942.   A. B. WoLtEr, The Trascendental and their Function in the metaphysics  of Duns Scotus, S. Bonaventure (New York), 1946.   E. BertonI, Duns Scoto, Brescia, 1946.   E. Girson, L'objet de la métaphysique selon D. S., “Med. Stud.,” 1948.   B. pe Sarnt-MaurICE, Existential import in the philosophy of D. S. “Franc.  Stud.,” 1949.   Ipem, Jean D. Scot, Docteur des temps nouveaux, Monteréal-Parigi, 1950,    G. StratEeNwERTH, Die Naturrechtslehre des Johannes Duns Scotus, Got-  tinga, 1951.   S. BeLMonp, Analogie et univocité d'’après ]. Duns Scot, “Etud. franc.” 1951.   A. Soro, The Structure of Society according to Duns Scotus, “Franc. Stud.,”  1951.    647    Bibliografia    E. Girson, Jean Duns Scoto. Introduction è ses positions fondamentales,  Parigi, 1952.   C. Baci&, Circa positiones fundamentales ]. Duns Scoti, “Ant.” 1953.   G. Carota, Studi su Duns Scoto, in Scritti, cit. pp. 160-256.   A. Haven, Deux théologiens: ]. Duns Scot et Th. d'Aquin, “Rev. philos.  Louvain,” 1953.   E. Bertoni, De argumentatione Doctoris subtilis quoad existentiam Dei,  “Ant.,” 1953.   N. Mickten, Reason and Revelation: a Question from Duns Scotus, Londra,  1953.   T. BartH, Individualitàt und Allgemeinheit bei Duns Skotus, “Wiss. Weish.,”  1953-1957.   J. Owens, The special characteristic of the scotistic proof that God exists,  in Studi filosofici intorno all'esistenza di Dio, Roma, 1954.   W. DertLoFF, Die Lehre von der acceptatio divina bei Johannes Duns Sco-  tus mit besonderer Beriicksichtigung der Rechtfertigungslehre, Werl, 1954.   H. Mùnien, Sein und Person nach Johannes Duns Scotus, Werl/Westf.,  1954.   W. PannenBERG, Die Pridestinationslehre des Duns Skotus im Zusammen-  hang der scholastischen Lehrentwicklung, Gottinga, 1954.   P. SteLLA, L'ilemorfismo di Duns Scoto, Torino, 1955.   C. Bai&, J. Duns Scotus et historia Immaculatae conceptionis, “Ant.” 1955.   M. ScHmaus, Zur Diskussion tiber das Problem des Univozitàt im Umkreis  des |. Duns Skotus, “Sitz.ber. d. Bayer. Akad. d. Wiss.,” Philos. hist. KI.,  1957.   T. BartH, Zur “univocatio entis” bei ]. Duns Skotus, “Wiss. Weish.,” 1958.   Ipem, Das weltliche Sein u. seine inneren Griinde bei Thomas von Aquin u.  I. Duns Skotus. Vergleich u. Versuch ciner neuen Synthese, “Wiss.  Weish.,” 1958.   S. Y. Watson, Univocity and analogy of being in the philosophy of Duns  Scotus, “Proc. Amer. cathol. philos. Ass.,” 1958.   M. Oromîf, Duns Escoto y el objeto de la metafisica, “Rev. Filos.,” 1958.   A. De Postioma, I) volontarismo in G. Duns Scoto, “Stud. Patavina,” 1958.   T. BartTH, Duns Scotus und die Notwendigkeit ciner tibernatitrlichen Offen-  barung, “Franz. Stud.,” 1958-1960.   M. Frertas, A causalidade do conhecimiento em Duns Escoto, “Itinerarium,”  1958.   T. BartH, Der Hylemorphismus des ]. Duns Scotus, “Wiss. Weish.,” 1959.   F. ALLuntIs, El “Tratado del primier principio” de Escoto “Verdad y Vita,”  1960.   Inem, Del Ser de Dios y de su unidad, ibidem.   M. Oromi, E! gran “Prélogo” de Duns Escoto, ibidem.   I De Guerra, De la persona y producciones en Dios, ibidem.   P. MicHeL, The primum cognitum of Duns Scotus, “Duns Scotus,” 1960.    648    Bibliografia    J. FinkenzeLLER, Offenbarung und Theologie nach der Lehre des ]. Duns  Skotus. Eine Historische und systematische Untersuchung, (“Bceitrige,”  XXXVIII, 5), Miinster, 1961.    Sugli influssi di Duns Scoto sul pensiero scientifico cfr. soprattutto:   P. DuHEMm, Le système du monde, cit., INI, pp. 491-498; VII, pp. 20-24, 58-59,  108-109, 119-120, 207-213, 224-233, 235-236, 244-245, 249-250, 252-254,  256-260, 273-274, 303-304, 307-308, 313-314, 329-331, 363-368, 405-406,  445-446, 451-452, 454, 455, 505-506, 527-528; VIII, pp. 45-48, 77-85, 88-90,  99-100, 432-434; IX, pp. 36-39, 73-76; X, pp. 27-28, 47-52, 63-64, 72-73,  97-99, 101-102, 105-106, 190-191.   A. Marr, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 30 sgg., 50 sgg., 61 sgg.   Ipem, An der Grenze von Scholastik, cit., pp. 105 sgg., 164 sgg., 229 sgg.  Cfr. inoltre: C. BaLiè, Giovanni Duns Scoto, in Grande Antologia Fi-   losofica, IV, pp. 1335-54 (testi in tr. it. pp. 1355-1409) e O. ScHaEFER, John.   D. Scot, fasc. 22 dei “Bibliographische Einfiihrungen in das Studium der   Philosophie,” Berna, 1953. E v. GEyER, p. 765-768; DE Brie, nn. 438, 2648,   2649, 3652, 4622, 5527, 7104-7246, 7496; De Wutr, II, pp. 371-377.  Sulla scuola scotista in generale:   P. De Marticne, La Scolastique et les traditions franciscaines, Parigi, 1888.   F. GranninI, Studi sulla scuola francescana, Siena, 1895.   A. Bertoni, Le B. Jean Duns Scot. Sa vie, sa doctrine, ses disciples, cit.   D. ScaraMUZZI, Il pensiero di Giovanni Duns Scoto nel Mezzogiorno d'Italia,  Roma, 1927.   E. Girson, Jean Duns Scot, cit.    Francesco di Meyronnes    Opere: tra le principali: Esposizione sulle Categorie di Aristotele, Com-  ment. in Physic., Commentario alle Sentenze, Quodlibeta: De primo princi  pio, De univocatione entis, De esse essentiae et existentiae, Explanationes  divinorum terminorum. Infondata l'attribuzione di un Tractatus de for-  malitatibus.    Edizioni: Una collezione pubblicata a Venezia nel 1517 contiene: le  Sentenze, i Quodlibeta, De primo principio, Explanationes divinorum ter-  minorum, Tractatus de formalitatibus.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 787; De Brie, nn. 7359, 7363; DE WuLE,  II, p.9l.    In particolare v.:   W. Lampen, F. de Meyronnes, “France francisc.,” 1926, pp. 215 sgg.   E. D'ALENgon, DThC, X, coll. 1634-45.   CH. V. LancLo1s, Fr. de Meyronnes, frère mineur, in Histoire litiér. de la  France, 36, Parigi 1927, pp. 305-42.    Bibliografia x    B. RorH, Franz von Meyronnes und der Augustinismus seiner Zeit, “Franz.  Stud.,” 1935, pp. 44-75.   IneMm, Franz von Meyronnes: sein Leben, seine Werke, seine Lehre vom  Formalunterschied in Gott, Werl i. W., 1936.   P. DE LAPPARENT, L'oeuvre politique de F. de Meyronnes, ses rapports avec  celle de Dante, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1942.   J. Barset, Le prologue du commentaire dionysien de Frangois de Mayronnes  (con testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.,” 1954.   P. DuneM, Le système du monde, cit., VI, pp. 451-474, VII, pp. 113-116,  120-122, 290-294, 314-315, 318-319, 42042], 451-452, 512-517; VIII, pp.  88-89, 197-199; IX, pp. 148-149, 327-328.    Giovanni di Bassoles    Opere: Commentario alle Sentenze (1313).  Edizioni: a cura di F. RernauLt-J. F. FreLLON, Parigi, 1516-1517.  Bibliografia: Cfr. GevEr, p. 787; De Brie, n. 7655; De Wutr, III, p. 91.    In particolare v.:   P. Dunem, Études sur Léonard de Vinci, II, Parigi, 1909, pp. 373-78;  416-417; III, ivi, 1913, passim.   IpEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 438-450; VII, pp. 108-109, 116-120,  131-132, 233-235, 311-315; IX, pp. 384-385.   CH. V. LancLo1s, in Mist. litt. de la France, 36, Parigi, 1924-27, pp. 349-355.   E. D’ALENGON, in DThC, II, 475.   V. HerNnck, Die Reuelehre des Skotusschiilers ]. de Bassoles, “Franz. Stud.,”  1941.   N. PasieczNIK, John de Bassoles, “Franc. Stud.,” 1953, 1954.    Ugo di Novo Castro  Opere: Commentario alle Sentenze (prima del 1323). Inedito.    Bibliografia: Cfr. GevER, p. 787; De Brie, n. 7403; DE Wutr, III, p. 90.   K. MickaLsKI, Le criticisme et le scepticisme dans la philosophie du  XIV° siècle, “Bull. Acad. polonaise sc. lett.” 1925.   Cu. V. LancLors, in Hist. litt. de la France, 36, cit.   L. Amorés, Hugo von Novo Castro, O.FM., und sein Kommentar zum  ersten Buch der Sentenzen, “Franz. Stud.,” 1933.   E. AuwriLer, De codice Commentarii in IV librum Sententiarum Fr.  Hugonis de Novo Castro, O.FM., Washingtonii servato, “Arch. franc.  hist.,” 1935.   O. Lornn, Les vertus morales infuses dans l'école franciscaine au début  du XIV siècle, “Rech. théol. anc. méd.,” 1951.    650    Bibliografia    Francesco De Marchia    Opere: Commentario alle Sentenze; Quaestiones super I et II librum  Metaphysicae (Inedite).  Bibliografia: Cfr. GeveR, p. 787; De Wutr, III, p. 91.  . EnrLE, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia... (“Franz. Stud.  Beihefte”), Miinster, 1925, pp. 253-260.  Lanc, Die Wege der Glaubensbegriindung bei den Scholastikern des  XIV Jahrhunderts (“Beitrige,” XXX, 1-2), Miinster, 1931.  . TEETAERT, Pignano (Frangois de); in DThC, XII, 2104-2109.  . De SoLano AcuirrE, Fray Francisco de la Marca y la contribucibn fran-  ciscano-medieval al progreso de la ciencias, “Etud. Franc.,” 1950.  A. Mater, Die Volaufer Galileis..., cit., pp. 133 sgg., 241 sgg.  Ipem, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 158 sgg.  Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 82 sgg.  P. DuHEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 387-389, VII, pp. 227-229,  453-464, 500-501, 517-520; VIII, pp. 325-328.    mp    Guglielmo di Alnwick Da    Opere: Commento alle Sentenze; Quodlibeta; Quaestiones de esse in-  telligibili.   Edizioni: Quaestiones disputatae de esse intelligibili et de quolibet, a  cura di A. Lepoux (con pref. bibliografica), Quaracchi, 1937.    Bibliografia:  Cfr. GeveR, p. 787; DE Wutr, III, p. 90.    In particolare cfr.:   M. Brin, in DHGE, II, 662.   M. ScHmaus, Guillelmi de Alnwich doctrina de medio quo Deus cogno-  scit futura contingentia (con ed. di una quaestio), “Bogoslavni Vestnik,”  1932.   A. Marer, Wilhelm von Alnwick Bologneser quaestionem gegen den Aver-  roismus, “Greg.” 1949.    Giovanni da Ripatransone    Opere: Commento al I delle Sentenze; Determinationes; Conclusiones.  Edizioni: Determinationes e Conclusiones, ed. A. ComBESs, Parigi, 1957.    Bibliografia: cfr. GevERr, p. 783; De Brie, nn. 5170-7653; DE Wutr, III,  p. 91.   F. EunrLe, Sentenzkommentar Peters von Candia, cit., pp. 268-277.   H. ScHwamm, Magistri Joannis de Ripa, O.FM., doctrina de praescientia  divina, Inquisitio historica, Roma, A. Comes, Jean de Vippa, Jean de Rupa, ou Jean de Ripa?, “Arch. Hist.  doctr. litt. m. 4.,” 1939.   Inem, Jean Gerson commentateur dionysien, Parigi, 1940, pp. 608-687.   Inem, Un inédit de St. Anselme? Le traité “De unitate divinae essentiae et  pluralitate creaturarum” d’après Jean de Ripa, Parigi, 1944.   Inem, Présentation de Jean de Ripa, “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1956.   InpeM, Les références de Jean de Ripa aux livres perdus (II, III, IV) de son  Commentaire des Sentences, ibidem, 1958.    Ugolino d'Orvieto    Opere: Commentaria in IV libros Sententiarum (1348); Sermones de tem-  pore; Sermones de Sanctis; De Deo uno et trino (1372).    Edizioni: A. Zumxercer ha pubblicato il Prologo del Commentario  in Hugolinus von Orvieto und seine. theologische Erkenninislehre, Wiirz-  burg, 1941, pp. 267-391; F. Corvino, una quaestio del L. I. in 7 “De perfec-  tione specierum” di Ugolino d’Orvieto, in “Acme,” 1954, pp. 73-105; 1955,  pp. 119-204; ed. F. SrecmùLLer il De Deo..., in “Annali della Bibl. gov. e  libr. civ. di Cremona,” 1954.    Bibliografia: cfr. De Brie, n. 7651; De Wutr, III, p. 102.    In particolare:   J. Rousset, H. d’Orvieto. Une controverse à la faculté de théologie de Bo-  logne au XIV® siècle, “Mél. d’arch. et hist. de l’École frang. de Rome,”  1930. |   A. Zum€etter, Hugolin von Orvieto und seine theologische Erkenntnis-  lehre, cit..   Ipem, H. von Orvieto tiber Urstand und Erbstinde, “Augustiniana,” 1953.   IpeM, Hugolinus von Orvieto tiber Pridestination, Rechtfertigung und Ver-  dienst, ibidem, 1954-1955.    Capitolo terzo  Jacopo di Metz    Opere: Commento alle Sentenze (due red.: 1295, 1302).  Bibliografia: cfr. Gever, p. 768; De Wutr, III, p. 28.  In particolare v.: ‘  M. Grasmann, Mittelalterliches Geistesleben, 1, Monaco, 1926, pp. 404-410.    J. Kocx, /. von Metz, O. P., “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1929.  P. Fournier, Jacques de Metz, in Hist. litt., de la France, 37, Parigi, 1938.    652    Bibliografia    Herveo di Nédellec    Opere: 1) Quaestiones super Sententias; 2) Quodlibeta I-IV (discussa  l'autenticità di V-X); 3) Quaestiones disputatae; 4) Commento In librum  periermencias; 5) Quaestiones de praedicamentis; 6) De cognitione primi prin-  cipii; 7) De secundis intentionibus; 8) Scritti polemici contro Jacopo di Metz,  Durando di St. Pourgain, Enrico di Gand.   Edizioni: 1) Venezia, 1505; Parigi, 1647; 2) Venezia, 1486; 3) Venezia,  1513; 4, 5, 6, 7,) Parigi, 1489; Venezia, 1513; cfr. inoltre J. G. Sikes, Hervaci  Natalis liber de paupertate Christi et Apostolorum, “Arch. Hist. doctr. litt.  m. à.,” 1938 e L. Hou, Die “Quodlibeta minora” des H. Natalis, “Miinch.  theol. Zeitschr.,” 1955,    Bibliografia: cfr. Gever, p. 771; DE Brie, nn. 7400-7402; De Wutr, III,   p. 69. In particolare v.:   C. JELLouscHEK, Verteitigung der Moglichkeit einer anfangslosen Weltschòp-  fung bei E. Nédellec, “Jahrb. Philos. spek. Theol.,” 1912.   E. Kress, Theol. und Wissensch.... an der Hand der Defensa doctrinae D.  Thomae des H. Nédellec, (“Beitrage,” XI, 3-4), Miinster, 1912.   W. ScHoeLLcen, Das Problem des Willensfreiheit b. H. von Gent und H.  Nédellec, Diisse!dorf, 1927.   J. SanteLER, Der Kausale Gottesbeweis b. H. Nédellec..., Innsbruck, 1930.   A. Fries, Quaest. super IV libros Sententiarum H. Nédellec vindicatae,  “Aug.” 1936. .   A. De GuimarAes, H. Noel. Étude biographique, “Arch. frat. praed.,” 1938.   E. B. ALLen, H. Natalis, an early “thomist” on the notion of being, “Med.  Stud.,” 1960.    Durando di St. Pourgain    Opere: 1) Commento alle Sentenze (in we red.; 1303-1312, 1317, 1327);   2) Quaestiones disputatac; 3) Quaestiones quodlibetales; 4) Tractatus de ha-   ditibus; 5) Quaestiones de libero arbitrio; 6) Additiones al I delle Sentenze.  Edizioni: 1) numerose edd. della III red. dal 1508 in poi; 2) la Quae-   stio de natura cognitionis, ed. J. KocH, in “Op. et Tex.,” VI, Miinster, 1929,   1935; 4) (Quaestio IV) ibidem, VIII, Miinster, 1930.   Bibliografia: cfr. Gever, pp. 768-769; De Brie, nn. 7247-7248; DE WutF,   III, p. 28.   In particolare vedi:   J. KocH, D. de S. Porciano, O. P., Forschungen zur Streit um Thomas von  Aquin zu Beginn des 14 Jahrh. 1: Literargeschichtliche Grundlegung,  (*Beitrige,” XXVI, 1), Miinster, 1927.   3. SturLEr, Bemerkungen zur Konkurslehre des Durand von St. Pourgain,  Aus des Geisteswelt des Mittelalters, cit.    653    Bibliografia    P. Fournier, Durand de St. Purcain, in Hist. litt. de la France, 37, Parigi,  1938, pp. 1-38.   J. MùLLER, Quaestionen der ersten Redaktion von I und Il Sent. des Durand  de S. Porciano în einer Hs. der Bibl. Antoniana in Padua, “Div. Th.”  (F.), 1941.   J. KocH, Zur der Durandus - Hs. der Bibl. Antoniana von Padua, ibidem,  1942.   A. Mar, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 70 sgg.   Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 186 sgg.   P. DunHEMm, Le système du monde, cit., VII, pp. 27-30, 107-108, 492-493,  498-500; VIII, pp. 265-266.    Pietro Aureolo    Opere: Tractatus de principiis naturae; Commento alle Sentenze in due  red.; XVI Quaestiones quodlibetales.    Edizioni: Commento (II red.) e Quodlibeta, Roma, 1596, 1605.    Bibliografia: cfr. GevER, p. 769; DE Brie, nn. 7429-7430, 7496; De WutF,  III, pp. 28-29. In particolare v.:    R. Drerino, Konzeptualismus in der Universalienlehre des Franziskanererz-  bischofs Petrus Aureulus (“Beitrige,” XI, 6), Miinster, 1913.   B. Lannry, Pierre d’Auréole. Sa doctrine et son réle, “Rev. Hist. Philos.,”  1928.   P. Vicnaux, Justification et prédestination au XIV® siècle, Parigi, 1934, pp.  43-95.   IpeM, Notes sur la rélation de Pierre d'Auréole à la theologie trinitaire,  “Ann. École prat. hautes étud. Sc. relig.,” 1935.   A. Teeraert, in DThC, XII, 1018-1081.   R. ScHMUcKER, Propositio per se nota. Gottesbeweis und ihr Verhaltnis nach  P. Aureulus (“Franz. Forsch.,”) Werl i. W., 1941.   A. Mater, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 202, 207, 211, 262, 267.   Inem, Zwei Grundprobleme..., cit., 55 sgg., 62 sgg., 165 sgg.   Inpem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 70 sgg.   P. Dunem, Le système du monde, cit., VI, pp. 390-425, 444-446; VII,  pp. 99-101, 224-226, 315-317, 327-331, 368-374, 509-512.   S. Vanm RovicHi, L'intenzionalità della coscienza secondo Pietro Aureolo,  in L'homme et son destin..., cit., pp. 673-680.    Enrico di Harclay  Opere: Commento alle Sentenze; Quaestiones disputatae.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 769; De WutF, III, p. 167.    Bibliografia    In particolare vedi:   F. PeLster, Heinrich v. Harclay, Kanzler von Oxford und seine Quaestio-  nen, “Misc. Ehrle,” I, Roma, 1924, pp. 307-355.   J. Kraus, Die Universalienlehre des Oxforders Kanzler Heinrich von Har-  clay in ihrer Mittelstellung zwischen skotistischem und ockamistischem  Nominalismus, “Div. Th.” (F.), 1932, 1933.   A. Ma:er, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 161 sgg., 201 sgg.   F. PeLster, Theologisch-philos. bedeutsame Quaestionen des W. von Mac-  clesfield, H. von Harclay, und anonymer Autoren der englischen Hoch-  scholastik, cod. 501 Troyes, “Schol.,” 1953.   A. Maurer, H. of Harclay's Questions on immortality, “Med. Stud.” 1957.    Gerardo da Bologna    Opere: Commento alle sentenze; Quodlibeta; Quaestiones ordinariae;  Summa theologica (incompleta).   Edizioni: Commento, Venezia, 1622; Summa, le prime 12 quaest. in  P. De VoocHt, Les sources de la doctrine chrétienne d’après la théologie  du XIV siècle, Bruges-Parigi, 1954.   Bibliografia: cfr. GevER, p. 775; P. Fournier, in DThC, VI, 1289 sgg.   In particolare v.:   B. Xiserta, De “Summa theologiae” magistri Gerardi Bononiensis O. Carm.  “Anal. O. Carm.,” 1923.   Ipem, De scriptoribus scholasticis saec. XIV ex Ord. carmelitarum, Lovanio,  1931.   A. Maier, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 161 sgg., 168 sg., 201 sgg.   B. Xiserra, Mag. Gerardus Bononiensis. Quaestio de Dei cognoscibilitate  (Sum. theol. q. 13), in Medioevo e Rinascimento (Studi Nardi) Firenze,  1955, pp. 829-870.   B. Smattey, Ger. of Bononia and Henry of Ghent, “Rech. théol. anc.  méd.,” 1955.    Guido Terrena    Opera: Commento alle Sentenze (framm.); Quodlibeta; Quaestiones  ordinariae; Quaestiones disputatae; Commenti al De anima, Metaphysica,  Physica, Ethica.   Bibliografia: cfr. Geyer, p. 775; P. FourMER, in Hist. litt. de la France,  36, Parigi, 1927.   B. XisertA, De mag. Guidone Terreni, “Anal. O. Carm.,” 1924.  Ipem, De doctrinis theologicis mag. Guidonis Terreni, “Anal. O. Carm.,”   1925. %   Ipem, Guiu Terrana carmelita de Perpinyà, Barcellona, 1932.    655    Bibliografia  Capitolo quarto  Guglielmo d'Occam    Opere: a) filosofiche e teologiche: 1) Commentarii (sive Quaestiones)  in IV sententiarum libros; 2) De sacramento altaris; 3) Quodlibeta VII; 4)  Tractatus de praedestinatione et praescientia Dei; 5) Expositio aurea super  «eriem veterem; 6) Summa totius logicae; 7) Summulae in libros physicales;  8) Tractatus super libros elenchorum; 9) De relatione; 10) Quaestiones in  libros physicorum; 11) De quantitate.   b) teologico- politiche: 1) Allegaziones religiosorum virorum; 2) Opus  nonaginta dierum; 3) Dialogus inter magistrum et discipulum de potestate  papae et imperatoris; 4) Epistula ad fratres minores in capitulo apud Assi-  sium congregatos; 5) De dogmatibus ]ohannis XXII papae; 6) Tractatus  contra Johannem XXII; 7) Tractatus contra Benedictum XII; 8) Com  pendium errorum papae Johannis XXII; 9) Allegationes de potestate im-  periali; 10) An rex Angliae; 11) Brevilogium de principatu tyrannico (dub-  bio); 12) Octo quaestiones; 13) Tractatus de jurisdictione imperatoris in  causis matrimonialibus; 14) De imperatoris et pontificum potestate; 15) De  clectione Caroli IV.   c) attribuito “di scuola”: 1) Cenziloqguium theologicum (molto dubbio);  2) Tractatus de successivis; 3) De puncto et negatione; 4) De principiis theo-  logiae; 5) Compendium logicae; 6) Quaestio de universali; 7) Quaestio de  selatione; 8) Breviloquium de potestate papae.    Edizioni: critiche: a, 1): Quaestio I principalis; ed. PH. BoHNER, Pader-  born, 1939 e I dist. II, 8 in “The new Schol.,” 1942; I dist. III, 9, 14-15,  in “Traditio,” 1943; «, 2) a cura di B. BrrcH, Burlington (Iowa), 1930; 2, 4)  «ed. PH. BòHNER, S. Bonaventure (N. Y.), 1945; 4, 5) PH. BOHNER, Periher-  geneias, in “Traditio,” 1946; «, 6) a cura di PH. B6HNER, S. Bonaventure  (New York), 1951-1954 (I vol. rist. 1957); è, 2) ed. E. R. BENNET e J. G. SikEs,  in GuiLeLmi De OckHam, Opera politica, I, Manchester, 1940 (cc. I-VI);  5, 4) ed. L. Baupry, in “Rev. hist. francis,” 1926; ed. C. K. BrampPtoNn,  Oxford, 1929; ed. H. S. OrrLER, in Opera politica, III, Manchester, 1956;  5, 6), ed. H. S. OrrLER, in Opera politica, III, cit. (estratti e analisi in R.  ScHoLz, Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs  des Bayern, Roma, 1914, pp. 403-417); è, 7) ed. H. S. OrrLER, in Opera po-  ditica, III, cit. (analisi ed estratti in R. ScHotz, op. cit., pp. 403-417; è, 9)  (estratti in R. ScHoLz, op. cit., pp. 417-431); 5, 10) ed. H. S. OFFLER, in Opera  politica, I, cit. (estratti in R. ScHoLz, op. cit., pp. 432-453); 5, 11), ed R.  ScHotz, Lipsia, 1944; è, 12) ed. J. Sikes, in Opera politica, I, cit.; è, 13) ed.  H. S. OrrLER, in Opera politica, I, cit.; è, 14) R. ScHoLz, op. cit., pp. 453-  480; ed. C. K. Brampron, Oxford, 1027; ed. W. Mutper, in “Arch.  franc. Hist.,” XVI-XVII; 5, 15) ed. K. MiLLer, Traktat gegen Unterwer-    656    Bibliografia    fungsformel..., Giessen, 1888; R. ScHoLz, Conradus de Megenberg. Trak-  tatus contra Wilhelmum Occam, in op. cit., 11, pp. 347-363; c, 2) ed. Pu.  BoHNER, S. Bonaventure (N. Y.), 1944; c, 4) L. Baupry, Le “Tractatus de  principiis theologiae” attribut è Guillaume d'Ockham, Parigi, 1936; c, 6) M.  GraBMANN, Quaestio de universali secundum viam et docirinam Guillelmi  de Ockam (“Op. et Tex.,” X) Miinster, 1930; c, 7) G. E. MoHan, The  Quaestio de relatione attributed to William Ockam, in “Franc. Stud.,” 1951;  c, 8) L. Baupry, Parigi, 1937. Inoltre F. Corvino ha pubblicato: Sette que-  stioni inedite di Ockham sul concetto, in “Riv. crit. st. filos.,” 1955; Questioni  di Ockham sul tempo, ibidem, 1956; Questioni inedite sul continuo, ibidem,  1958.    Altre edizioni: a, 1) Lione, 1495; a, 2) Parigi s.d., Parigi s.d., Parigi,  1490, Strasburgo, 1491, Venezia, 1504, 1516; a, 3) Parigi, 1487, Oudendlich,  s.d., Parigi s.d., Parigi 1488; Strasburgo, 1491 (rist. anast. Lovanio, 1961); 4, 4)  Bologna, 1496 (insieme ad @, 5) Bologna 1946; «, 6) Parigi, 1488, Bologna,  1498, Venezia, 1508, 1522, 1591, Oxford, 1665; «, 7) Bologna, 1494, Venezia,  1506, Roma, 1637; è, 1) BaLuze-Mansi, Miscellanea, III, pp. 315-325; EuBEL,  Bullarium franciscanum, V, pp. 388-396; è, 2) Lovanio, 1481, Lione, 1495,  in M. Gotpast, Monarchia Romani imperii, Amsterdam, 1631, Il, Fran-  coforte, 1668, III; è, 3) Parigi, 1476, Lione, 1494, in GoLpast, op. cit.; in  R. ScHoLz, op. cit., la parte finale assente nel Goldast (l’ed. GoLpast è  ora stata ristampata fotostaticamente a cura di L. Firpo, Torino, 1959);  6, 5) Parigi, 1476, Lione, 1495; GoLpast, op. cit.; b, 8) Parigi, 1476, Lo-  vanio, 1481, Lione, 1495; GoLpast, op. cit.; è, 12) Lione, 1496; Gopast,  op. cit.; b, 13) in M. FrEHER, /mperatoris Ludowici III... sententia dispen-  sationis, Heidelberg, 1598; GoLpast, op. cit.; c, 1) Lione, 1495 (insieme  al Commento alle Sentenze). Utile l'antologia a cura di PH. BoHNER (Oc-  kham, Philosophical Writings, a selection edited and translated by Pu.  Bonner), Edimburgo, 1957.    Bibliografia: Ricche bibliografie generali in V. HevncH, in “Franz.  Stud.,” 1950, pp. 164-183; L. Baupry, Guillaume d’Ockham, Parigi, 1950,  pp. 273-294. Per il lessico occamista v.: L. Baupry, Lerigue philosophique  de Guillaume d'Ockham. Etude des notions fondamentales, Parigi, 1958.  Cfr. inoltre Gever, pp. 781-782; De Brie, nn. 7237, 7290-7330, 7496, 7507,  7542, 7566; De Wutr, III, pp. 4951.    In particolare vedi:   F. BruckMmùLLER, Die Gotteslehre W. v. Ockham, Monaco, 1911.   J. Horer, Biographische Studien iiber W. von Ockham, “Arch. franc. hist.,”  1913.   L. Kuccer, Der Begriff der Erkenninis bei W. von Ockham, Breslau, 1913.   P. Doncoeur, Le nominalisme de G. d'Oc. La théorie de la relation in “Rev.  néos. philos.,” 1921 e Le mouvement, temps et lieux d'après Oc., “Rev.  philos.,” A. Perzer, Les 51 articles de G. Oc. censurés en Avignon en 1326, “Rev.  hist. ecclés.,” 1922.   F. FepERHOFER, Fin Beitrag zur Bibliographie und Biographie des W. von  Ockham, “Philos. Jahrb.,” 1925.   Inem, Die philosophie des W. von Oc. in Rahmen seiner Zeit, “Franz.  Stud.,” 1925.   Ipem, Die Psychologie und die psychologischen Grundlagen der Erkenntnis-  lehre des W. Oc., “Philos. Jour.,” 1926.   E. HocusrettEr, Studien zur Metaphysik und Erkenntnislehre des W. v.  Oc., Berlino, 1927.   J. MarfcHat, Le point de départ de la métaphysique, I, Lovanio, 1927?,  Bruxelles, 19443.   N. 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Garcia, Alvaro Pelayo y G. de Ockam y la teorfa de los poderes, “Crisis,”  1955.  . IserLoH, Gnade und Eucharistie in der philosoph. Theologie des Wil. v.  Ockam, Wiesbaden, 1956.  . Corvino, Le “Quaestiones in libros physicorum” nella formazione del  pensiero di Guglielmo d’Occam, “Riv. crit. st. filos.,” 1957.  H. SÒÙapiro, Motion, Time and Place according to Will. Ockam, St. Bo  naventure (New York), 1957.   H. KLockrr, Okhkam und the cognoscibility of God, “Med. Stud.,” 1957-1958.   Pu. BoHNER, Collected articles on Ockam, a cura di E. M. BuyrtAERT,  St. Bonaventure (New York), 1958.   A. Maurer, Ockam's Conception of the Unity of Science, “Med. Stud.,”  1958.   L. VereEckE, L'obligation morale selon G. d’Ockham, “Suppl. de la Vie  Spirituelle,” 1958.   D. Duncan, Occam'’s razor, 1958.   J. M. Rusert y Canpau, Los principios bésicos de la etica en el ockamismo  y en la via moderna de los siglos XIV y XV, “Verdad y Vita,” 1960.   H. KLocHer, Ockham and efficient causality, “Thomist,” 1960.   P. Chojnack1, Les facteurs et les limites de la connaissance humaine d’après  la critique d'Occam et de Nicolas d'Autrecouri, in L'homme et son  destin..., cit, pp. 681-687.    nmo_Om pi    659    Bibliografia    C. K. Brampron, Ockham and his alledged authorship of the tract “Quia  saepe iuris,” “Arch. franc. hist.,” 1960.  IpeM, Traditions relating to the death of W. of Ockham, ibidem, 1960.    Gualtiero Chatton    Opere: Commento alle Sentenze; Adversus Astrologos; Resolutiones  questionum; De indivisibilibus (perduto).   Bibliografia:   Cfr. Gever, p. 783; De WuLr, III, p. 91.    In particolare vedi:   E. Loncpré, Gualtiero di Chatton, un maestro francescano di Oxford,  “Studi franc.,” 1923.   L. Baupry, G. de Chatton et son Commentaire des Sentences, “Arch. Hist.  doctr. litt. m. &.,” 1943-1945.    Gualtiero Burleigh    Opere: 1) De vita et moribus philosophorum; 2) De materia et forma;  3) Commenti ad Aristotele (Etica, Logica, Fsica); 4) Summa totius logi-  tae; 5) Questiones metaphysicales et defensiones Thomae Aquinatis; 6) In  Isagogen Porphyrii; 7) De intentione et remissione formarum; 8) Super  libros politicorum; 9) De substantia orbis; 10) De intellectu agente; 11) In  Sent. ll. IV; 12) De Caelo et mundo; 13) In Aristotelem de Anima; 14) De  puritate artis logicae.    Edizioni: 1) Colonia, 1472; ed. crit., Tubinga, 1886; 2) Oxford, 1500;  4) Venezia, 1508; 5) Venezia, 1494; 6) Venezia, 1481; 7) Venezia, 1496;  14) ed. Pu. BéHnER, S. Bonaventure (New York), 1951.    Bibliografia:  Cfr. Gever, p. 788; De Wutr, III, p. 168.  In particolare v.:   P. Dunem, Études sur Léonard de Vinci, Parigi, 1906-1913, II, pp. 414 sgg.   K. MicÙarski, Les courants philosophique è Oxford et à Paris pendant  le XIV siecle, “Bull. Acad. Polonaise Sc. Lett.,” 1920.   IpeM, Les courants critiques et sceptiques dans la philosophie du XIV°  siècle (“Bull. Acad. Polonaise Sc. Lett.,” Cracovia, 1927).   IpeMm, La physique nouvelle et les différents courants philosophiques au  XIV* siècle, ibidem, 1928.   L. Baupry, Les rapports de Guillaume d'Ockham et Walter Burleigh, “Riv.  bist. francis.” 1934.   A. Marer, Zu W. Burleighs Politik-Kommentar, “Rech. théol. anc. méd.,”  1947.    660    Bibliografia    Inpem, Die Vorlàufer Galileis..., cit., pp. 98 sg., 257 sg.   Ipem, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 66 sgg., 232 sgg.   Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 113 sgg., 196 sgg., 202 sgg.,  242 sgg.   S. H. TuÒomson, Unnoticed Questiones of Walter Burley on the Physics,  “Mitt. Inst. oesterreich. Geschichtforsch.,” 1954.   P. DuHem, Le systòme du monde, cit., VI, pp. 620-622, 671-686; VII, pp.  29-30, 58-59, 90-91, 214-215, 249-259, 287-289, 395-398, 402-403, 499-532;  VIII, pp. 50-54, 98-99, 104-106, 188-189, 266-272, 278-279; IX, pp. 187-188;  X, pp. 398-404.   J. O. SricaLr, The manuscript tradition of “De vita et moribus philoso  phorum® of Walter Burley, “Medievalia et Humanistica,” 1957.   È PERO i   Adamo Woodham (o Goddam)    Opere: Commento alle Sentenze; Quaestiones; Commenti ad Aristotele.    Edizioni: Il Commento, abbreviato “per magistrum Henricum de Hoyta,”  Parigi, 1512.    Bibliografia: Cfr. GeveRr, pp. 782-783; DE Wutr, III, p. 91.    G. LirtLe, Tra Grey Friars in Oxford, Oxford, 1892, pp. 172 sgg.   F. EÒÙrte, Das Sentenzenkommentar Peters von Candia..., cit., pp. 96-103.   K. MicHaLSsKI, Le criticisme et le scepticisme dans la philosophie du XIV*  siècle, cit. ii    Roberto Holkot    Opere: Quaestiones super IV libros Sententiarum; Quodlibeta; Commenti  scritturali.    Edizioni: Quaestiones super IV ll. Sent., Lione, 1947, 1505, 1518; Utrum  theologia sit scientia a quodlibet question, ed. J. T. Mucxie, “Med. Stud.,”  1958.    Bibliografia: Cfr. GevER, p. 783.    In particolare: P. Dunem, Études sur Léonard de Vinci, cit., II, pp.   399-403.   K. MickÒats€i, Les courants philosophiques è Oxford et è Paris pendant  le XIV? siècle, cit.   Inem, La physique nouvelle et les différents courants philosophiques en  XIV° siècle, cit.   Ipem, Le problème de la volonté è Oxford et à Paris au XIV® siècle, in  Commentariorum Societatis philos. Polon. t. II, pp. 233-265, Leopoli,  1937.    661    Bibliografia    P. GLomeux, La litterature quodlibétique, cit, II, pp. 258-261.   A. Meissner, Gotteserkenntnis und Gotteslehre nach dem englischen Do-  minikanertheologen R. Holkot, Limburgo-Lahn, 1953.   P. DuHEM, Le système du monde, cit., VII, pp. 121-124, 530-532; VIII,  pp- 49-50; IX, pp. 389-394.   L. THorwnpike, A new Work by R. Holkot, “Arch. int. Hist. sc.” 1957.    Tommaso Buckingham    Opere: Quaestiones sulle Sentenze; Quaestiones disputatae; Tractatus  de infinito.    Bibliografia:   K. MicHaLski, Les courants philosophiques è Oxford et è Paris pendant  le XIV siècle, cit.   Inem, Le problème de la volonté è Oxford et è Paris au XIV® siècle, cit.   M.-D. CHenu, Les “Quaestiones” de Thomas de Buchingam, “Stud. med.  in honorem R. I. Martin,” Bruges, 1948.    Tommaso Bradwardine    Opere: 1) De causa Dei contra Pelagium et de virtute causarum; 2)  Arithmetica speculativa; 3) Geometria speculativa; 4) Tractatus de pro-  portione motuum; Incerta l’esistenza di un Commento alle Sentenze.    Edizioni: 1) ed. E. Savire, Londra, 1618; 2) Parigi, 1495, 1530; 3) Parigi,  1495, 1516; 4) Parigi, 1495, Venezia, 1505, Vienna, 1505; e in H. L. Crosry,  'Th. of Bradwardine. His tractatus de proportionibus. Its significance for  the development of mathematical physics, University of Wisconsin, 1955.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 788; De Brie, n. 7252-7253; De Wutr, III,   p. 168.  In particolare v.:   S. Haxn, TA. Bradwardinus und seine Lehre von der menschlichen Wil-  lensfreiheit (*Beitrige,” V, 2), Miinster, 1905.   P. DuHem, Études sur Léonard de Vinci, cit., III, pp. 296-300.   K. MicHats€i, Les courants philosophiques è Oxford et è Paris..., cit.   Inpem, Le problème de la volonté è Oxford et è Paris au XIV® siècle, cit.   F. Laun, TA. von Bradwardin, der Schiiler Augustins und Lehrer Wiclifs,  “Zeitschr. f. Kirchengesch.,” 1928.   Inpem, Recherches sur Th. Bradwardine, précurseur de Wicliff, “Rev. hist.  philos. relig.,” 1929.   Inem, Die Praedestination bei Wicliff und Bradwardine, in Imago Dei,  Giessen, 1932.   B. M. Xiserta, Fragments d'una qiiestio inédita de T. Bradwardine, in Aus  der Geisteswelt des Mittelalters, cit., pp. 1169-1180.    662    Bibliografia    E. Sramm, Tractatus de continuo von Th. Bradwardine, “Isis” 1936.   A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 88 sgg.   InpeM, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 185 sgg., 240 sgg., 284 sgg.   P. Dunem, Le système du monde, cit., VII, pp. 467-472, 474-475; IX, pp.  74-75, 164-165.   G. Lerr, TA. Bradwardine's “De causa Dei)” “Jour. eccl. hist.,” 1956.   H. A. Osermann, Archbishop Th. Bradwardine. A fourtheenth Century  augustinian. A study of his theology in its historical context, Utrecht,  1957.   H. A. Osermann]. A. WeISHEIPL, The “Sermo epicinus” ascribed to Th.  Bradwardine (con testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4,” 1958.    Gregorio da Rimini    Opere: Commento alle Sentenze; De usuris, ed altri numerosi scritti  inediti,   Edizioni: Commento, Parigi, 1482, 1487, 1494, 1647, Venezia, 1532;  (rist. St. Bonaventure, Lovanio, Paderborn, 1955); De wswuris, Rimini, 1622.    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 783; De Brie, nn. 7379, 7496; DE WuLF,   III, p. 102.  In particolare v.:   J. WirsoòrrEr, Erkennen und Wissen nach G. von Rimini (“Beitrige,”  XX, 1), Miinster, 1917.   P. Dunem, Études sur Lfonard de Vinci, cit., 1I, pp. 385-390.   P. Vicnaux, Justification et prédestinamon au XIV® siècle, Parigi, 1934.   M. ScuùLer, Pridestination, Stinde und Freiheit bei Gregor von Rimini,  “Forsch. z. Geistesgesch.,” III, Stoccarda, 1934.   H. ELie, Le “complexe significabile” Parigi, 1937.   A. Mar, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 172 sgg., 176 sgg., 210-214.   Inem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 112 sgg.   P. DuHEem, Le système du monde, cit., VII, pp. 21-22, 30-34, 62-63, 65-67,  121-122, 124-126, 131-144, 146-148, 150-152, 155-157, 330-338; VIII, pp.  111-112, 276-278; X, pp. 71-73, 175-179.    Giovanni di Mirecourt    Opere: Comment. alle Sentenze; due Apologiac; Quaesiones.    Edizioni: Cfr. C. Du PLEssIS D'ARGENTRE, Collectio iudiciorum, 1,  Parigi, 1724, pp. 343-345; H. DenirLe, Chartularium Universitatis Pari  siensis, II, Parigi, 1891, pp. 610-614 (con il testo delle proposizioni con-  dannate nel 1347); Apologiae, ed. F. SrecmùLLER, in “Rech. théol. anc.  méd.,” 1933; Giovanni di Mirecourt, Questioni inedite sulla conoscenza,  a cura di A. FranzineLLI, “Riv. crit. st. filos.,” 1958.    663    Bibliografia    Bibliografia: Cfr. Gever, p. 783; De Wutr, III, p. 117.  In particolare v.:   S. Haun, TA. Bradwardinus und seine Lehre von der menschlichen Wil-  lensfreiheit, cit., pp. 50 sgg.   A. Birkenmayer, Ein Rechifertigungsschreiben ]. von Mirecourt (“Bei-  trige,” XX, 5), Miinster, 1922.   J. Horer, Biographische Studien iiber Wilhelm von Ockham, cit., pp.  230 sgg.   K. MichHatski, Les cowrants philosophiques è Oxford et è Paris... cit.,  pp. 78-81.   IpeM, Les sources du criticisme et du scepticisme dans la philosophie du  XIV® siècle, in La Pologne au Congrès int. de Bruxelles, Cracovia, 1924.   Ipem, Le criticisme et le scepticisme..., cit.   IpeM, Le problème de la volonté..., cit.   F. Ere, Der Sentenzekommentar Peters von Candia, cit., pp. 103-106,  273.  Su Pietro di Ceffons cfr.: D. Trapp, Peter Ceffons of Clairvaux, “Rech.   théol. anc. méd.,” 1957.    Nicola d'Autrecouri    Opere: Commento al I delle Sentenze; Commento alla Politica; Epi-   stole a Bernardo d'Arezzo; Exigit ordo executionis.  Edizioni: Epistole in J. Lappe, N. von Autrecourt... (cfr. bibl.); Exigit   ordo executionis, in }. R. O°DonneL, Nicholas oj Autrecourt... (cfr. bibl.).  Bibliografia: Atti del processo in DENIFLE, Chartularium, cit., II, pp.   756-787.   J. Lappe, N. von Autrecourt. Sein Leben, seine Philosophie, seine Schrif-  ten (“Beitrage,” VI, 1), Miinster, 1908.   H. Rasupatt, N. de Ultricuria, a mediaeval Hume, “Proceed. of the Aristo-  telian Soc.,” N. S., VIII, 1907.   G. Manser, Drei Zweifler am Kausalprinzip im XIV Jahrh., “Jahrb. f.  Philos. spekul. Theol.,” 1912.   K. MicHatsri, Les courants philosophiques è Oxford et è Paris, cit.   P: Vicwaux, in DThC, XI, 561-587.   H. ELie, Le complexe significabile, Parigi, 1937.   J. R. O°DonneL, Nicholas of Autrecourt, in “Med. Stud.,” 1939.   IneMm, The Philosophy of N. of Autrecout and his Appraisal of Aalualio  ibidem, 1942.   R. J. Wernserc, N. of Autrecourt, Princeton, 1948.   A. Marer, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 163 sgg., 178 sgg.   M. Dac Pra, Nicola di Autrecourt, Milano, 1951.   Ipem, La fondazione dell'empirismo e le sue aporie nel pensiero di Nicola  di Autrecourt, “Riv. crit. st. filos.;”? 1952.    664    Bibliografia    E. Maccacnoro, Metafisica e gnoseologia in Nicola di Autrecourt, “Riv.  filos. neosc.,” 1953.   P. DuHEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 655-670, 713-715; VII,  pp. 20-23.  La bibl. generale in GeyER, p. 783; De Brie, nn. 7660-7661; De Wutr,   III, p. 154,    Giovanni Buridano    Opere: 1) Summulae o Compendium Logicae; 2) Quaestiones in libros  Politicorum Aristotelis; 3) Quaestiones super octo physicorum libros; 4)  Quaestiones in libros Politicorum Aristotelis; 5) Quaestiones in libros de  gnima; 6) In metaphysicam Aristotelis quaestiones; 7) In Ethicum quae  stiones.   Edizioni: 1) Parigi, 1487; 2) Parigi, 1500; 3) Parigi, 1509; 4) Parigi,  1516; 5) Parigi, 1518; il Tractatus de suppositionibus a cura di M. E. Reina,  in “ Riv. crit. st. filos.,” 1957.   Bibliografia: cfr. Gever, pp. 783-784; De Brie, n. 7640; De Wutr,  III, p. 152.   P. DuHEm, Ézudes sur Léonard de Vinci, cit., II, pp. 379-384, 420-423; III,  pp. 1-259, 279-286; 350-360.   IpeM, Le système du monde, cit., IV, pp. 124-142, 151-153, 163-165; VI,  pp. 697-729; VIII, pp. 54-56, 99-104, 108-112, 126-127, 200-218, 224-225,  278-288, 290-293, 307-309, 313-314, 318-342; IX, pp. 56-71, 76-77, 188-199,  201-205, 209-210, 218-219, 225-226, 230-231, 293-300, 305-309, 311-314,  320-323, 349-356, 394-395, 420-421; X, K. MicHaLsKi, Les courants philosophiques..., cit.   IpeM, Le criticisme et le scepticisme..., cit.   E. A. Moopy, John Buridan on the habitability of the Earth, “Spec.” 1941.   Ipem, /. Buridan, Quaestiones super libros IV de coelo et mundo, Cam-  bridge (Mass.), 1942.   E. Fara, /. Buridan, notes sur les manuscrits, les éditions te le contenu de  ses ocuvres, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.” 1946.   Ipem, Jean Buridan, in Histoire litt. de la France, 28, 1949, pp. 462-605.   A. Marer, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 19 sgg., 99-104, 135-137.   IpeM, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 201-239.   IpeM, An der Grenze von Scholastik..., cit, pp. 118-128, 199-203, 235-240.   M. E. Reina, // problema del linguaggio in Buridano, “Riv. crit. st. filos.,”  1959-1960.   Ipem, Note sulla psicologia di Buridano, Milano, 1959.   L. N. Roserts, A chimera is a chimera, a medieval tautology, “Journ. Hist.  Ideas,” 1960.    665    Bibliografia    Gerardo di Odone    Opere: varie Quaestiones in logicam, un Commentario în libros decem  Ethicorum, e un Commento alle Sentenze.  Edizioni: Il Commentario all’Ethica, Venezia, 1500.  Bibliografia:  L. BartoLoMÉ, Fr. Ger. de Odon, Murcia, 1928.  P. DuHem, Le système du monde, cit., VI, pp. 479, 667; VII, pp. 403-407;  VIII, pp. 89, 107; X, pp. 272-273.  A. Marer, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 161 sgg., 166.  IpeM, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 69 sgg.    Giovanni Marbres    Opere: Quaestiones sulla Fisica (1329-1342).  Edizioni: Padova, 1475; Venezia, 1492, 1516, 1520.  Bibliografia:   L. Baupry, En lisant Jean le Chanosne, “Arch. hist. doctr. litt. m. 4.” 1934.   A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 23, 135, 163, 166, 187, 214, 245.   IpeMm, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 69 sgg., 199 sgg.   lpem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 86 sgg., 109.   P. DuHem, Le système du monde, cit., VI, pp. 386-390, 400-402, 427-429;  VII, pp. 200-201, 225-229, 231-234, 239-240, 251-254, 290-291, 317-323,  327-328, 334-335, 350-351, 395-396, 404-405, 414-415; VIII, pp. 157-158,  199-200; X, pp. 205-206.    Nicola Bonet    Opere: Commenti alla Metafisica, alla Fisica, alle Categorie, una Theo-  logia naturalis, Formalitates in via Scoti.   Edizioni: Venezia, 1485, 1505, 1515.   Bibliografia:   M. De BarceLonE, N. Bonet Tourangeau, doctor proficuus, “Etud. Franc.,”  1925.   F. O'Brian, in DHGE, IX, 849-852.   V. Doucer, in “Arch. franc. hist.,” 1933-1934.   A. Maier, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 177 sgg., 207 sgg.   IpeMm, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 198 sgg.   P. Dunem, Le système du monde, cit., VI, pp. 474-509, 645-655; VII, pp.  126-130, 259-268, 293-297, 308-311, 403-436, 438-440, 452-453, 456-457;  VIII, pp. 89-92, 129-130, 198-199, 275-279; IX, pp. 174-178, 194-216;  X, pp. 240, 373, 388.    666    Bibliografia    Capitolo quinto  Riccardo Fitz Ralph    Opere: Commento alle Sentenze; Sermones; Summa contra Armenos.    Bibliografia: Cfr. De Wutr, III, p. 168.   K. MicHALSRI, Le criticisme et le scepticisme..., cit.   Ipem, Le problème de la volonté..., cit.   A. Gwwnn, Richard Fitz Ralph, Archbishop of Armagh, “Studies,” 1933,  1934, 1935, 1936, 1937.   A. Maier, Die Vorldufer Galileis..., cit., pp. 174 sgg.    Giovanni Baconthorpe    Opere: Commento alle Sentenze; vari Commenti scritturali; Commenti  al De anima, alla Metaphysica, all'Ethica di AristorELE; Commenti al  De trinitate e al De civitate Dei di Acostino; Commento agli scritti di  Anselmo di Aosta; Quodlibeta; Sermoni spirituali.    Edizioni: Il Commento alle Sentenze nelle edizioni di Lione, 1484; Pa-  rigi 1484-1485; Milano, 1520; Venezia, 1525-1527; Cremona, 1618; Madrid,  1754. I Quodlibeta nell'ed. di Cremona t. 2 inf. e Venezia, 1527.    Bibliografia: cfr. GEvER, p. 787.  In particolare:   B. Xiserta, De magistro |. Baconthorpe, “Anal. Ord. Carm.,” 1927.   Ipem, Joan Baconthorpe Averroista?, “Criterion,” 1927.   Ipem, De scriptoribus scholasticis s. XIV ex Ordine Carmelitarum, Lovanio,  1931, pp. 167-240.   Crisocone du Saint-SacraMENT, Maftre Jean Baconthorpe, “Rev. néosc.  philos.,” 1932.   K. LyncHn, De distinctione intentionali apud |. Baconthorpe, “Anal. Ord.  Carm.,” 1932.   Nico di S. Brocarpo, I! profilo storico di Giovanni Baconthorpe, “Epheme-  rides Carmeliticae,” 1948.   A. Marer, Zwei Grundprobleme.., cit., pp. 57 sgg., 191 sgg.   Anastasio di S. Paoro, in DHGE, VI, 87-90.   B. Smattey, /. Baconthorpe's postill on St. Matthew, “Med. Ren. Stud.,”  1958.    Giovanni di ]andun    Opere: De laudibus Parisius; Commento all'Expositio problematum  Aristotelis di Pietro d’Abano; Commentari al De anima, De coelo et mundo,  Physica, Metaphysica di Aristotele e al De substantia orbis di Averroà.  Avrebbe inoltre scritto le seguenti opere di cui non è rimasta traccia:    667    Bibliografia    Quaestiones de formatione foetus; Quaestiones de gradibus et pluralitate  formarum; Tractatus de specie intelligibili; Duo tractatus de sensu agente.    Edizioni: De anima, Venezia, 1473; Physica, ivi, 1488; De Caelo et  mundo, ivi, 1501; Parva naturalia, ivi, 1505; Metaphysica, ivi, 1525; tutte  più volte ristampate; De substantia orbis, ivi, 1481; De laudibus Parisius,  ed. Le Roux pe Lincy e TissERanT, in Paris et ses historiens au XIV® et  XV* siècles, Parigi, 1868, pp. 1-79.   Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 786; De Wutr, III, p. 152.   In particolare v.:   N. Vators, Jean de ]Jandun, in Histoire litt. de France, 33, Parigi, 1906,   pp. 528-623.   P. Dunem, Le système du monde, cit., IV, pp. 96-104; V, pp. 571-580;   VI, pp. 534-536, 543-575.   E. Girson, É:udes de philosophie médiévale, Parigi, 1921, pp. 51-75.   J. Rivière, in DThC, VIII, 764-765.   M. Grasmann, Mittelalterliches Geistesleben, cit., II.   A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 185 sgg.   Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 42 sgg.   . Dunem, Le système du monde, cit., VIII, pp. 93-99, 104-106, 155-157,  263-265; IX, pp. 173-177, 387-389, 395-396; X, pp. 391-392.   . Maurer, John of Jandun and the Divine Causality, “Med. Stud.,” 1955.   . THornpIKE, Jean de Jandun on Gravitation, “Jour. Hist. Ideas,” 1958.   . GricnascHI, Il pensiero politico e religioso di Giovanni di ]andun,  “Bull. Ist. stor. ital. m. e.,” 1958.   + PaccHi, Note sul Commento al “De anima” di Giovanni di ]andun,  “Riv. crit. st. filos.,” 1958-1959.    lac]    > zrp    Taddeo da Parma    Opere: Commento al De anima; due Quaestiones disputatae; Quaestio  de augmento; Quaestio de elementis; Expositio sulla Theorica planetarum  di Gerardo da Cremona.    Edizioni: Le “Quaestiones de anima” di Taddeo da Parma, a cura di  S. Vanni-RovicHi, Milano, 1951.    Bibliografia: De Brie, n. 7672; De Wutr, III, p. 175.    In particolare v.:    M. Grasmann, Mittelalt. Geistesleben, cit., II, pp. 239-60.   S. Vanni-RovicHi, La psicologia averroistica di T. da P., “Riv. filos. neoscol.,”  1931,   A. Marr, Ein Beitrag zur Gesch. des italienischen Averroismus im XIV.,  Jahrh., “Quellen und Forsch. aus ital. Arch. u. Bibl.,” 1944, pp. 141  e 145.    668    Bibliografia    Ipem, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 259-269.  Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 103 sgg.    Angelo d'Arezzo    Opere: Commento all'Isagoge; Commento alle Categorie (inediti).  Bibliografia:  M. Grasmann, Mittelalt. Geistesleben, cit., II, pp. 261-271.    Matteo da Gubbio    Opere: Quaestiones; Commento alle Meteore; Quaestiones de anima?  (inedite).  Bibliografia:  C. Piana, Contributo allo studio delle correnti dottrinali nell'Univ. di Bo-  logna nel sec. XIV, “Ant.” 1948.  A. Marr, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 257 sgg.    Urbano da Bologna    Opere: Trattato sui Commenti averroistici alla Physica.  Edizioni: Venezia, 1492, con prefazione di Nicoletto Vernia.  Bibliografia:   De Wutr, III, p. 172.   A. SorsetLI, Storia dell'Università di Bologna, 1, Bologna, 1940, p. 143.    Pietro d’' Abano    Opere: Conciliator differentiarum phylosophorum et praecipue medi-  corum; Liber compilationis physonomiae; Expositio problematum Aristo-  telis; Lucidator astronomiae, ed altre inedite.   Edizioni: Conciliator, Venezia, 1476; Liber.., ivi, 1482; Expositio, Padova.  1482; Lucidator, frammenti in P. DuHEM, Le système du monde, IV, Pa-  rigi, 1913, pp. 229-263.   Bibliografia: cfr. Gever, p. 786; De Brie, nn. 6882-6883; De WuLF,  III, p. 175.   S. FerrarI, / tempi, la vita, le dottrine di Pietro d’Abano, Genova, 1900.  Ipem, Per la biografia e per gli scritti di Pietro d'Abano, “Mem. R. Accad.   dei Lincei,” S. V, v. XV, 8, 1918.   B. Narpi, La teoria dell'anima e la generazione delle forme secondo Pietro   d'Abano, “Riv. filos. neosc.,” 1912.   P. DuHem, Le système du monde, cit., IV, pp. 229-263; VIII, pp. 164-166;   IX, pp. 29-30, 150-155, 283-290; X, pp. 327-329.   B. Narpi, Intorno alle dottrine filosofiche di Pietro d’Abano, “N. Riv. stor.”   1920-1921.    669    Bibliografia    Ipem, Dante e Pietro d'Abano, in Saggi di filosofia dantesca, cit., pp. 43-65.   L. THÒornpikE, A History of magic and experimental Science, cit., Il, pp.  874-947 (con Bibl. completa degli scritti).   C. Gucon, Pietro d'Abano e l'averroismo padovano, “Atti XXVI riunione  Soc. ital. progr. sc.” Roma, 1938, pp. 334-339.   E. Troito, Averroismo e aristotelismo padovano, Padova, 1939.   Inem, Per l'averroismo padovano o veneto, “Atti R..Ist. Veneto,” 1939-1940.   B. Narpi, Studi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze,  1958, pp. 1-74 (i due primi saggi, rivisti e rielaborati).    Cecco d'Ascoli    Opere: L’Acerba; De principiis astrologiae; De eccentricis et de epyciclis;  Tractatus in sphaeram.   Edizioni: L’Acerba, a cura di P. Rosario, Lanciano, 1913; di A. Crespi,  Ascoli Piceno, 1927; De principiis..., ed. G. Borriro, Firenze, 1905; De  eccentricis..., ed. BorFITO, ibid., 1905.   Bibliografia:   C. Casretti, La vita e le opere di Cecco d'Ascoli, Bologna, 1892.  V. PaoLETTI, Cecco d’Ascoli, Bologna, 1905.  A. Beccaria, / biografi di Cecco d'Ascoli e le fonti per la sua storia e la   sua leggenda, “Mem. Acc. sc. di Torino,” S. II, 1915.    Capitolo sesto  Maestro Eckhart    Opere: "Tra le mumerose opere in latino e in volgare citiamo: Reden der  Unterscheidung; Collatio in librum Sententiarum; Tractatus super Oratione  dominica (tutti intorno al 1298); Quaestiones: Utrum in Deo, Utrum intel-  ligere Angeli; Utrum laus Dei (1302-1304); Quaestiones: Aliquem motum,  Utrum in corpore Christi (1311-1314); Buch der gottlichen Trostung; Ser-  mone vom dem edlen Menschen (1310-1313); Opus tripartitum; Opus expositionum (Prologi, In Genesim 1) (I forma); In Exodum  (I forma); In Eccl. c. XXIV, In Sapientiam, In Genesim I (II forma);  In Exodum (Il forma); In Genesim Il; Liber parabolarum Genesis, In  Johannem; Sermoni lat. e ted.    Edizioni: Le Opere latine a cura del DenirLE in “Arch. f. Liter. und  Kirchengesch. d. Mittelalters,” II, 1886; le Opere tedesche, già edite a cura  di F. PreiFrFer (in Deutsche Mystiker des-XIV Jahrh., II, Gottinga, 1857),  sono ora edite insieme alle latine da W. KoHLHAMMER, a cura di K. Werss,  J. Kock, K. Christ, E. Benz, J. Quint, Stoccarda-Berlino, 1936 sgg. Un’al-    670    Bibliografia    tra ed. delle op. latine a cura di G. THfry e di R. KLIBANSKI, Lipsia, 1934-  1936 si è fermata al f. III. Tra le tradd. it. ricordiamo: Prediche e trattati,  a cura di G. C. con intr. di E. Buonaruti, Bologna, 1928 e l’ant. La nascita  eterna (con testi a fronte) a cura di G. Faccin, Firenze, 1953.    Per altre edizioni particolari di testi e documenti cfr.:   G. Tufry, Édition critique des pièces relatives au procès d'Eckhart, “Arch.  Hist. doctr. litt. m. à.,” 1926-1927; Le Commentaire de M. E. sur le livre  de la Sagesse, ibidem, 1928-1929.   E. Loncpré, Questions inédites de M. E., “Rev. Néoscol. Philos.,” 1927.   Neuaufgefundene Pariser Questionen M. E. und ihre Stellung in seinem  geistigen Entwicklungsgange, a cura di E. LoncpPré e di M. GRABMANN,  “Abhandl. Bayer. Akad. Philos. Kl.,” XXXII, 7, Monaco, 1927.   B. GevER, Quaestiones et sermo parisienses, Bonn, 1931.    Bibliografia: Per l’amplissima bibl. cfr. Gever, pp. 779-780; De BRIE,  nn. 3661, 6885-6987, 7406, 7553, 9477, 22216; De Wutr, II, pp. 350-352.  Cfr. anche G. Faccin, M. E. e la mistica preprotestante, Milano, 1946. Ci  limitiamo qui a citare:   F. Jostes, M. Eckhart und seine Jiinger, Lipsia, 1915.  X. De Hornsrein, Les grands mystiques allemands du XIV siècle, Lucer-   na, 1922.   V. LeHMmann, Meist. Eckhart, Jena, 1919.  O. Karrer, Meist. Eckhart, Monaco, 1926.  G. DeLta Votpe, Il misticismo speculativo di Maestro Eckhart nei suoî   rapporti storici, Bologna, 1930.   E. Seeserc, Meister Eckhart, Tubinga, 1934.   K. OLtManns, M. Eckhart, Francoforte, 1935.   B. Peters, Gottesbegriff M. Eckharts, Amburgo, 1936.   A. Dempe, Meist. Eckhart. Eine Einfiihrung in sein Werk, Lipsia, 1934,   n. e. Friburgo, 1960.   M. H. Laurent, Autour du procès de Maître Eckhart. Les documents des   Archives Vaticanes, “Div. Th." (P.), 1936.   O. BoLza, Meister Eckhart als Mystiker, Monaco, 1938.  M. DaLcmann, Die Anthropologie Meister Eckharts, Tubinga, 1938.  B. J. MiLLer-THyn, On the University of Being in Meister Eckhart, New   York, 1939.   H. EseLinc, Meister Eckharts Mystik. Studien zu der Geisterkampfen um   die Wende des 13 Jahrh., Stoccarda, 1941.   J. M. CLark, The Great German Mystics, Eckhart, Tauler, Suso, Oxford,   1949,   O. Spann, M. Eckharts mystische Philosophie, Vienna, 1949.  M. A. Licxer, M. Eckhart und die “Devotio Moderna," Leida, 1950.  H. DenirtLe, Die deutschen mystiker des 14. Jahrhunderts. Beitrige zur   Deutung ihrer Lehre, nuova ediz. a cura di O. Spiess, Friburgo, 1951.    671    Bibliografia    G. Detta Votpe, Eckhart o della filosofia mistica, Roma, 1952.  H. Hor, Scintilla animae. Eine Studie zu einem Grundbegriff in Meister  Eckharss Philosophie..., Lund-Bonn, 1952.  Tu. StemBucHEL, Mensch und Gott in Frimmigheit und Ethos der deutschen  mistik, Diisseldorf, 1952.  M. BinpsHepLERr, Meister Eckharts Lehre von der Gerechtigheit, “Stud.  Philos.,” 1953.  B. ScHmoLpt, Die deutsche Begriffssprache Meister Eckharts Studien zur  philos. Terminologie des Mittelhochdeutschen, Heidelberg, 1954.  G. SrePHENSON, Gortheit und Gott in der speculativen Mystik Meister  Eckharts, Bonn, 1954.  . Kopper, Die Metaphysik Meister Eckharts, Saarbriicken, 1955.  . AnceLET-HusracHe, Maftre Eckhart et la mystique rhénane, Parigi, 1956.  . LueseNn, Die Geburt des Geistes. Dus Zeugnis M. Eckharts, Berlino  Wilmersdorf, 1956.  K. Or.rmanns, M. Eckhart, Francoforte sul Meno, 1957.  . KeLLec, M. Eckharts doctrine of divine subjectivity, “Downs. Rev.,”  1958.  . G. Kertz, M. Eckhart's teaching on the birth of the divine Word in  the soul, “Traditio,” 1959.  . FiscHEr, Die theologischen Werke M. Eckharts, “Schol.,” 1960.  . Benz, Mystik als Seinserfiillung bei M. Eckharts in Sinn und Sein, cin  philos. Symposion F. S. von Rintelen gewidmet, Tubinga, 1960.  . Lossxy, TAéologie négative et connaissance de Dieu chez M. Eckhart,  Parigi, 1960.  . Eckhart der Prediger. Festschrift 2. Eckhart-Gedenkjahr. Hrsg. von  M. Nix u. R. OecxHstin, Friburgo, Basilea, Vienna, Héoi, Metaphysik u. Mistik im Denken des M. Eckhart, “Zeitschr. f.  kathol. Theol.,” 1960.    J   J   G  P  K  H  E  V.  M    Giovanni Tauler    Opere: Sermoni: edd.: Lipsia, 1498; Augusta, 1508; Basilea, 1521, 1522;  Colonia, 1543; in ted. moderno, Francoforte s. M., 1833, 1864; trad. lat.:  Colonia, 1548.    Trad. it.: Sermoni, a cura di R. Spaini Pisaneschi, Firenze, 1929;  Prediche, Milano, 1942. Trad. franc.: Parigi, 1927-1935.    Bibliografia: cfr. Gever, pp. 789-790; De Brie, nn. 7274-7276, 7553.   In particolare:   L. Naumann, Untersuchungen zu ]. Taulers deutschen Predigten, Halle,  1911.   A. V. MùtLer, Luther und Tauler auf ihren Zusammenhang untersucht,  Berna, 1918.    672    Bibliografia    E. Hucueny, Le doctrine mystique de Tauler, “Rev. sc. philos. théol.,”  1921.   G. THéry, Esquisse d’une vie de Tauler, “Suppl. de la Vie Spirituelle,” 1927.   F. W. WentzLarr-EccesErT, Studien zur Lebenslehre Taulers, Berlino, 1940.   P. PourraTt, Le spiritualité Chrétienne, II, Parigi, 1947.   Ipem, in DThC, XV, 66-79.   C. J. LieFrrInck, De middelnederlandsche Taulerhandschriften, Groninga,  1936.   M. De Ganpitac, De Johann Tauler à Heinrich Seuse. Leur doctrine spiri-  tuelle, “Étud. Germaniques,” 1950.   Inpem, Valeur du temps dans la pédagogie spirituelle de Jean Tauler, “Con-  férence Albert le Grand,” Montréal, 1956.   G. TERMENÉN SoLfs, Trascendencia del conoscimiento racionale en Tauler,  in L'homme et son destin... cit., pp. 689-698.    Enrico Scuse    Opere: Btichlein der Wahrheit (1327 ca.); Biichlein der ewigen Weisheit  (1328-1330 ca.); Leztere; Epistole; L'Exemplar (correzione delle copie ine-  satte dei suoi scritti); Horologium Sapientiae.    Edizioni: Opera ed. crit. di K. BreHLMEyER, Stoccarda, 1907; dell’Exem-  plar in ted. mod. a cura di H. DenirLe, Monaco, 1880; nuova ed. dello  Horologium, Torino, 1929; tr. fr. Oeuvres mystiques du b. Henri Suse,  di G. THirioT, Parigi, 1899; tr. it. Diglogo della Verità, a cura di A. LEvASTI,  Lanciano, 1923; Scritti scelti, a cura di R. Sparni-PisanEscHI, Torino, 1936;  Il libro della saggezza eterna, Milano, -1942. Cfr. inoltre: D. Pranzer, Der  Textgeschichte und Textkritik des Horologium Sapientiae des sel. Heinrich  Seuse, “Div. Th.” (F.), 1934.    Bibliografia: cfr. G. Faccin, Meister Eckhart e la mistica tedesca prepro-  testante, cit., pp. 386-389. E cfr. Geyer, p. 790; De Brie, nn. 7284-7289;  De Wutr, Til, p. 196.   In particolare:   S. HaHn, H. Susos Bedeutung als Philosoph, “Beitrige, Suppl. 1,” Miinster,   1913.   X. De Hornstern, Les grands mystiques allemands..., cit.   Ipem, Le b. Henri Suse, “Rev. tom.,” 1922.   E. Levasti, Enrico Seuse, “Riv. filos. neosc.,” 1923.   R. ScHwarz, Das Christusbild des deutsch. mystikers H. Suso, Bamberga,   1934.   U. Wermann, Die Seusesche Mystik und ihre Wirkung auf die bildende   Kunst, Berlino, 1938.   C. Gròser, Der Mystiker Hein. Seuse, Friburgo, 1941.  J. AnceLET-HusracHe, Le 5. H. Suse, Parigi, 1943.  J. A. Bizet, Henry Suso et le déclin de la Scholastique, Parigi, 1946.    673    43.    Bibliografia    M. De Ganpittac, De Johann Tauler è Heinrich Sceuse..., cit., “Étud.  Germaniques,” 1950.  Cfr. inoltre: J. H. NicoLas, Études sur Susé, “Rev. thom.,” 1949.    Giovanni Ruysbroeck    Opere: Trattati in dialetto fiammingo tra i quali particolarmente impor-  tanti: // regno degli amanti di Dio; Le nozze spirituali; Lo specchio della  salute eterna; Il libro della più alta verità; Il libro dei dodici beghini.    Edizioni: Werken, ed. compl., Anversa, 1944-1948?; tr. it. Lo specchio  dell'eterna salute, in F. Fori, Vita e dottrina del b. Giovanni Ruysbroeck,  Roma, 1909; L'ornamento delle nozze spirituali, tr. D. GruLiorti, Lanciano,  1916; Pagine scelte, tr. di G. Mariani, Milano, 1929; Gradi dell'amore spi-  rituale (col titolo Vita e dottrina del b. G. Ruisbrochio), tr. F. N., To  rino, 1930; tr. franc.: Oeuvres de Ruysbroeck l’Admirable, Bruxelles, 1915-  1938.    Bibliografia: La bibl. completa fino al 1931 in:   Jan van Ruysbroeck. Leven, Werken, Malines-Amsterdam, 1931; cfr. GEYER,  pp. 790-791; Dr Brie, nn. 7277-7283; De Wutr, III p. 196.  Cfr. inoltre:   G. DoLezicH, Die Mystik J. v. Ruysbroeck de: Wunderbaren, “Breslauer  Stud. z. hist. Theol.,” 1926.   V. Van De Voorne, Ruusbroec en de geest der mystick, Anversa, 1934.   L. Bricuf, in DHhC, XIV, 408-420.   A. Comes, Essai sur la critique de Ruysbroeck par Gerson, Parigi, 1945-  1948.   A. Ampe, Kernproblemen uit de leer van Ruysbroeck, Tielt, 1950-52.   P. Henry, La mistique trinitaire du Bienheureux Jean Ruusbroec, “Rech.  sc. relig.,” 1952.    Per Gerardo di Groot vedasi: Gerardi Magni Epistolae, a cura di W.  MurLper, Anversa, 1933; Chronica Montis Sanctae Agnesis, a cura di M. J.  Pont, Opere di Tommaso da Kempis, VII, Friburgo, 1922; R. D. Post,   De Moderne Devotie, Geert Groote en zijne stithtingen, Amsterdam,   1940.    Per il Francofortese o Deutsche Theologie cfr. l’ed. Un, Berlino, 1926  (tr. ital. a cura di G. Prezzolini). La bibl., in Faccin, Giovanni Eckhart  e la mistica preprotestante..., cit; e cfr. C. VasoLi, La “Teologia tedesca”  in “Riv. crit. st. filos,” 1953.    674    Bibliografia  Capitolo settimo  Giovanni Wycliff d    Opere: De ideis; Tractatus de logica; Summa de ente (tutti prima del  1374); De dominio divino (1375); De civili dominio (1376); De veritate Scrip-  turae; De Ecclesia; De officio regis (tutte intorno al 1378); De potestate Papae;  De ordine christiano; De apostasia; De eucharestia (1379); Trialogus (1382),  ed altri scritti minori filosofici e teologico-politici.    Edizioni: La Opera a cura della “Wycliff Society” di Londra in 36 voll.,  1883 sgg.; il Trialogus anche nell’ed. LecHLER, Oxford, 1869; la Summa de  ente (L. 1, tr. 1-2), Londra, Sul significato e l’opera storica di W. cfr. soprattutto B. L.  Mannino, in Cambridge medieval History, VII, Cambridge, 1932, c. 16 e  ampia bibl. a pp. 900-907. Inoltre cfr.:   R. L. Poore, Wicliff and the movements for Reform, Londra, 1889.  J. GarronER, Lollardy and the Reformation in England, Londra, 1908.  J. LosertH, Wiclif und der Wiclifismus, “Realencycl. f. prot. Theol. u.   Kirche,” XXI, 225-244 (con ampia bibl.).   H. B. Workman, /. Wiclif. A Study of the English medieval Church,   Oxford, 1926.   S. H. TÒÙomson, A /ost chapter of Wiclif “Summa de ente” Cambridge,   1929.   Inpem, The philosophical basis of Wiclif theology, “Jour. of relig.,” 1931.   I. H. STEIN, Another “lost” chapter of Wiclif “Summa de ente” Spec.” 1933.   L. Baupry, A propos de Guillaume d'Ockham et de Wiclif, “Arch. Hist.  doctr. litt. m.-.,” 1939.   L. Cristiani, in DThC, XV, 3585-614.   W. Lanc, Glauben und Wissen bei Pecok und Wicliff, Diesdorf, 1940.   J. B. Mc Fartane, Wiclif and the Beginnings of English nonconformity,  Londra, 1952.    Giovanni Huss    Opere: Cfr. l'Opera Omnia, ed. V. FLAsJHANS - M. KominskovA, Praga,  1903-1908; v. anche: /. Hus et Hieronimi Pragensis martyrum Christi historia  et monumenta, a cura di FLacio ILLiRIco, Norimberga, 1589.    L. KruMmmEL, Geschichte der bbemischer Reformation, Gotha, 1866.   J. LoserTH, Hus und Wicliff zur Genesis des husitisch. Lehre, Praga, 1884,  Monaco, 1952.?   G. LecHier, Johannes Huss, Halle, 1890.    675    Bibliografia    F. Lirzow, Life and times of master J. Huss, 1909.   D. S. ScHarr, /. Huss. His Life, Teaching and Death after five hundred  years, New York, 1915.   A. Haucx, Srudien zu J. Huss, Lipsia, 1916.   F. EurLE, Der Sentenzekommentar Peters von Candia, cit., pp. 20, 146, 182.   P. MoncetLe, in DThC, VII, 333-346.   F. Srrunz, /. Hus, sein leben und sein Werk, Monaco, 1927.   H. ZarscHEK, Studien z. Gesch. der Prager Universitàt, “Mitt. des Vereins  f. Gesch. deutsch. Sudetenlinders,” 1940.   D. Trapp, Clem. 27034. Unchiristened Nominalism and Wycliffite realism at  Prague um 1381, “Rech. théol. anc. méd.,” 1957.    Capitolo ottavo    Nicola Oresme    Opere: 1) Commento alle Sentenze (perduto, tranne il De communica-  tione idiomatum (Il. III); 2) Quaestiones su Euclide; 3) Tractatus de configu-  rationibus formarum; 4) Parafrasi francesi di Politica, Economica, Etica di  AristotELE; 5) Livre du ciel et du monde; 6) Traicté de la prémière in-  vention de la monnaie; 7) Traicté de la sphère; 8) Commentaire aux livres  du ciel et du monde; 8) Commenti alla Physica ed ai Metereologica.    Edizioni: 4) Parigi 1486 (Politica ed Economica), Parigi, 1488 (Etica);  della parafrasi all’Etica cfr. ed. A. D. MenuT, New York, 1940 e dell’Econo-  mica l’ed. A. D. MEnUT, Filadelfia, 1957; 5) ed. A. D. MenUT - A. J. DenoMy,  in “Med. Stud.,” IIL-V, 1941-43; 6) ed. L. Wotowsxi, Parigi, 1864; ed.  C. Jonnson, Edimburgo, 1956; 7) Parigi, 1508.    Bibliografia: La bibl. generale in GEveR, p. 784; De Brie, nn. 7558-7563;  De Wuctr, III, pp. 152-153. In particolare v.:    E. Bripey, N. Oresme. La théorie de la monnaie au XIV siècle, Parigi, 1906.   P. Dunem, Études sur Léonard, cit., III, pp. 346-405; 481-492.   Inem, Le système du monde, cit. IV, pp. 157-164; VI, pp. 698-729; VII,  pp. 86-87, 152-154, 297-301, 534-569, 583-586, 600-602, 614-615, 624-626,  637-640; VII, pp. 215-216, 219-220, 299-305, 318-319, 341-345, 448-454,   ° 461-484, 489-491, 499.500; IX, pp. 202-205, 209-210, 306-309, 326-327,  341-345, 350-356, 359-408; X, pp. 44-45, 93-95, 111-112, 319-323, 333-337.   H. WiecertNnEr, N. Oresme und die graphische Darstellung der Spàtscho-  lastik, “Natur u. Kultur,” 1916-1917.   H. DincLer, Ueber die Stellung von N.s Oresme in der Geschichte der  Wissenschaften, “Philos. Jahrb.,” 1932.    THorNDIKE, History of magic and experimental Science, III, New York,  1934, pp. 398-471.  . BorcHerRT, Die Lehre von der Bewegung bei N. Oresme (“Beitrige,”  XXXI, 3), Miinster, 1934.  . THoRrNDIKE, Celestinus, Summary of Nicols Oresme, “Osiris,” 1936.  . G. Kaiser, Before Copernicus, Nicolaus of Oresme, “America,” t. 69, n. 7.  . BocHERT, in (“Beitrige,y” XXXV, 4-5), Miinster, 1940 (con led. del De  communicatione idiomatum).  A. Mar, Die Vorliufer Galileis..., cit, pp. 21-24, 101-103, 123-131.  IneMm, Zwei Grundprobleme.., cit., pp. 81-87, 89-109, 236-258, 264-276.  Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit, pp. 122-125, 129-IpeM, Metaphys. Hintergriinde der spatscholastischen Naturphilosophie, Ro-  ma, }955, pp. 27 sgg.  L. THoRrNpIKE, Oresme and XIV Century commentaries on “Metereologica,”  “Isis,” 1954.  O. PepersEN, Nicole Oresme og hans naturfilosofiste system, Copenhagen,  1956.  R. MarzHIEU, dd la recherche du “De Anima” de Nic. Oresme, “Arch. Hist.  doct. litt. m. à.,”° 1956.  V. Zousov, Sur un écrit faussement attribué a N. Oresme, [De instan-  tibus)ì, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,° 1958.  Ipem, L'“inter omnes impressiones” de Nicole d'Oresme, (con testo) “Arch.  Hist. doct. litt. m. d.,” 1959.    ore mm ce    Alberto di Sassonia    Opere: Tractatus logicace; Quaestiones in logicam Guill. Occam; So-  phismata; Tractatus proportionum; Tractatus de quadratura circuli; Quaestio  de proportione diametri quadrati ad costam ciusdem; Post. Analyticos;  Quaestiones super octo ll. Physicorum; In libros de coelo et mundo; De  generatione et corruptione; Ezxpositio super decem ll. Ethicorum Aristotelis;  De sensu et de sensato. Edd. v. GEvER, p. 596.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 784; De Wutr, III, p. 153.  Vedi in particolare:   M. JuLLian, Un scolastique de la décadence, Albert de Sore, “Rev. August,”  1910.   P. Dunem, Ezudes sur Léonard, cit., pp. 334-338, 341-344; II e III, passim.   Ipem, Le système du monde, cit., IV, -pp. 151-157, 167-171, 284-286; VII,  pp. 80-88, 148-152, 155-157, 279-290, 356-362, 399-403, 474-488, 531-532,  550-552, 565-569, 580-581; VIII, pp. 56-57, 102-110, 158-160, 215-225,  287-299, 308-309, 313-314, 318-319, 341-342; IX, pp. 205-223, 233-234,  309-314, 325-327, 355-362, 394-399, 426-430; X, pp. 67-73, 77-81, 85-89,  103-105, 111-112, 206-209, 228-229, 395-399, 434-438.    677    Bibliografia    G. Hripinesrerper, Albert von S.; ein Lebensgang und sein Kommentar  z. Nikom. Ethik Aristot. (“Beitrige,” XXII, 3-4), Miinster, 1921 2 ed., 1927.   K. MicHatski, Le criticisme et le scepticisme dans la philosophie du XIV°  stècle, cit.   IneM, La physique nouvelle et les différents courants philosophiques.., cit.   A. Mar, Die Vorlaufer Galileis..., cit., passim.   Inem, Zwei Grundprobleme..., cit., passim.   Inem, An der Grenze von Scholastik..., cit., passim.  Per gli scritti matematici:   B. Boncompacni, Intorno al “Tractatus proportionum” di Alberto di Sas-  sonia, “Bull. di bibl. stor. scienze nat. fis.,” 1871.   H. Sutez, Der “Tractatus de quadratura circuli” des Albert d. S., “Zeitschr.  f. Mathem. u. Phys.” 1884.   IneMm, Die Quaestio de proportione diametri quadrati ad costam eiusdem,  ibidem, 1887.    Marsilio di Inghen    Opere: 1) Textus dialectices de suppositionibus; 2) Expositio super Analyt.  post.; 3) Abbreviationes libri Physicorum Aristotelis; 4) Quaestiones subti-  lissimae super VIII libros physicorum secundum nominalium viam; 5)  Quaestiones de gencratione et corruptione; 6) Quaestiones super IV. Il.  Sententiarum.    Edizioni: 1) Vienna, 1512, 1516; 2) Venezia, 1516; 3) s. l., 1490 ca.;   4) Lione, 1518; Venezia, 1617 (sotto il nome di Duns Scoto, c quindi   inserite, nel 1639 nella ed. delle sue opere); 5) Venezia, 1518; Strasbur-   go, 1501:   Bibliografia: cfr. Gever, p. 785; De BRIE, n. 7647.   P. Dunem, Érudes sur Léonard, cit., II, pp. 403-405.   Ipem, Le système du monde, cit., IV, pp. 164-168; VII, pp. 40-41, 87-88,  154-157, 285-290, 361-362, 400-401, 565-569; VIII, pp. 56-57, 83-84,  102-104, 126-129, 155-156, 215-216, 220-225, 307-316; IX, pp. 223-227;  X, pp. 104-105, 136-137, 142-147, 215-216.   K. MicHasri, Les courants philosophiques..., cit.   Inem, Le criticisme et le scepticisme..., cit.   F. EHnLE, Der Sentenzentommentar Peters von Candia, cit., passim.   G. Ritter, Studien 2. Spétscholastik, I. M. von Inghen und die Okkam  Schule in Deutschland, Vienna, 1940.   A. Ma:ER, Die Vorlàufer Galileis..., cit., passim.   Iper, Zwei Grundprobleme..., cit., p. 275 sgg.   Iprm, An der Grenze von Scholastik..., cit., passim.    678    Bibliografia    Enrico di Hainbuch    Opere: Fil. teol: De reductione effectuum; De habitudine causarum;  Contra astrologos; Commento alle Sentenze; Commentario alla Genesi. Ca-  nonistiche: Tractatus de contractibus emptionis et venditionis; Epistula  de contractibus emptionis et venditionis ad consules viennenses. Politico  religiose: Epistula pacis; Consilium pacis. Ascetiche: Speculum animae; De  contempu mundi. Edd., trad. v. GEYER, p. 604.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 785; DE Wes, III, p. 188.  In particolare v.:    O. Harrwic, Leben und Schriften des H. von Langestein, 1858.   J. AscHsacH, Geschichte der Wiener Universitàt, Vienna, 1865, pp. 366-402.   F. W. Rorx, Zur Bibliographie des H. Hainbuch de Hassia dictus de  Langestein, “Beihefte zum Zentralblatt fiir Bibliothekswesen,” I, 1888-  1889.   H. Pruckner, Studien zu den astrologischen Schriften des H. von Lang-  estein, Lipsia, 1933.   A. Maier, Zwei Gundprobleme..., cit., pp. 288 sgg.   P. Dunem, Le système du monde, cit., VII, pp. 569-575, 585-599; VIII, pp.  160-161, 223-224, 489-491; X, pp. 138-141, 352-353.    Enrico Totting di Oyta    Opere: 1) Commentario alle Sentenze; 2) Tractatus moralis de contrac-  tibus reddituum annuorum; 3) Quaestiones logicae super Porphyrium; Tres  libri philosophici de anima, o Magistrales tractatus de anima et potentiis eius.    Edizioni: 2) Parigi, 1506; la Quaestio de Sacra Scriptura nell’ed. crit. di  A. Lanc, Miinster, 1953.    Bibliografia:  J. AscHsacH, Geschichte d. Wiener Universitàt, cit., pp. 402-407.  G. SoMMERFELDT, in “Mitt. d. Institut f. Gsterreis. Geschichtsforsch.,” 1904,  pp. 376-604.  P. Dunem, Le système du monde, cit., IV, pp. 132-133; X, pp. 134, 139, 141.  K. MicHar.sKi, Le criticisme et le scepticisme..., cit.  . EnrLE, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia, cit.,  . Lane, H. Totting von Oyta, (“Beitrige,” XXXIII, 4-5), Miinster, 1937.  . Rucker, Zum Problematik der Spatscholastik, “Theol. Rev.,” 1938.  . Decker, Ein fundamentaltheologischer Traktat des mittelalters CH.  Totting v. Oyta, “Quaestiones super libros Sententiarum”], “Wiss.  Weish,” 1955.    La bibl. generale, in GevER, p. 786; De Brie, nn. 7527, 7649.    Dv»    679    Bibliografia    Guglielmo Heytesbury    Opere: Le sue numerose opere di logica sono pubblicate sotto il titolo:  Tractatus Guillelmi Heutisberi de sensu, composito et diviso; Regulae  ciusdem cum sophismatibus (con una Declaratio e Expositio litteralis di  Gaetano da Tiene); Tractatus Heutisberi de veritate et falsitate proposi-  tionis, Venezia, 1494,   Bibliografia:   C. PrantL, Gesch. d. Logik., cit., IV, pp. 83-93.   P. DuHem, Études sur Léonard, III, pp. 406-408; 468-471.   A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 4, 75, 96, 114, 192.   Inpem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 265 sgg., 286 sgg.   C. Wison, W. Heitesbury..., Madison, 1956.   P. DuHEMm, Le système du monde, cit., VII, pp. 84-87, 602-604, 614-615,   620-645.    Riccardo Swineshead i    Opere: Commento alle Sentenze; De insolubilibus; Obligationes; De  motibus naturalibus; Calculationes.    Edizioni: Calculationes, Padova, 1480, ecc.    Bibliografia:   P. DuHem, Études sur Léonard, cit., III, pp. 406-408, 413-420, 468-474.   K. MicHaLsxki, Le criticisme et le scepticisme.., cit.   A. Maier, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 49 sgg., 99 sgg.   IneMm, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 234 sgg.   InpeM, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 268 sgg., 281 sgg.   M. CLacett, R. Swineshead and late medieval physic, “Osiris,” 1951.   P. DuHEm, Le système du monde, cit., VII, pp. 76-80, 608-615, 621-622,  627-631, 643-645.    Sui Calculatores di Merton College cfr. inoltre sotto la bibl. generale  alla voce “Scienze,” in particolare il testo di A. C. CromBIE, Augustine t0  Galileo, cit. pp. ed. L. THornpikE, A History of magic and experimental  science, cit., III, pp. 370-385.    Biagio Pelacani    Opere: Quaestiones de latitudinibus formarum; Quaestio de tactu cor-  porum durorum; Quaestiones sull’ottica.    Edizioni: Padova 1482, 1486, Venezia 1505 insieme alla Quaestio de  modalibus di Bassano Potito; in F. Amopro, Riproduzione delle Quaestio-  nes de latitudinibus formarum, in “Annali Ist. tecn. G. B. Della Porta,”    680    Bibliografia    1907, Napoli, 1909. Per le Quaestiones sull’ottica v.: Questioni inedite di  ottica di Biagio Pelacani a cura di F. ALessio, “Riv. crit. st. filos.,” 1961.    Bibliografia:   F. Amopro, Appunti su Biagio Pelacani da Parma, in “Atti del IV Congr.  dei Matematici,” III, Roma, 1909.   L. THorNDIKE, A History of magic and experimental science, cit., IV, pp.  65 sgg.   P. DuHem, Le système du monde, cit., IV, pp. 278-280, 289-290; VIII, p.  213; IX, p. 185; X, p. 200.   A. Mater, Die Vorliufer Galileis..., cit, pp. 5, 75, 104 sgg., 176, 279 sgg.   Ipem, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 270 sgg.   Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 263, 275 sgg., 383.   E. A. Moopy-M. CLacett, The mediaeval science of weights (Scientia de  ponderibusì..., cit.   M. CLacett, The science of mechanics in the middle age, cit.   G. Feperici-VescoviNI, Problemi di fisica aristotelica in un maestro del sec.  XIV: Biagio Pelacani da Parma “Riv. filos.,” 1960.    Conclusione    Pietro d' Ailly    Opere: Scrisse 174 opere solo in parte edite. Alcune tra le minori sono  state pubblicate da L. DupPin nell’ed. delle Opera di Giovanni Gerson, e  talune addirittura attribuite allo stesso Gerson (Opera, voll. 5, Anversa,  1705); altre opere minori sono state pubblicate da L. SaLeMBIER in “Rev. des  Scien. ecclés.,” 1889. Delle opere scientifiche, filosofiche e religiose del  d’Ailly alcune hanno avuto numerose edd. nei secc. XV e XVI (cfr. L.  SaLEMBIER, Bibliographie des Oeuvres du cardinal P. d'Ailly, évéque de  Cambrai (1350-1420), Compiègne, 1909 e Les oeuvres francaises du card.  Pierre d’Ailly, Arras, 1908. L’opera filosofica più importante è costituita dal-  le Quaestiones super I, IIl, IV Sententiarum, Bruxelles, 1474, 1500. Altri  scritti di notevole interesse filosofico: De anima, De legibus et sectis  contra superstitiosos astronomos (in Gerson, Opera, ed. cit., 1); Viginti-  loquium de concordia astronomiae cum theologia (Venezia, 14%); e l’Imago  mundi (ed. E. Buron, Gembloux-Parigi, 1930).    ‘ Bibliografia: cfr. GeyER, pp. 184-185; De Brie, nn. 7582-7583; DE WuLF,  HI, p. 154. :    681    Bibliografia    In particolare vedi:   L. SaLEMBIER, Le Card. Pierre d'Ailly, Mons-en-Barouel, 1932.   Ipem, in DThC, I, 642-654.   Ioem, in DHGE, I, 1154-1165.   M. De Ganpittac, Usage et valeurs des arguments probables chez Pierre  d'Ailly, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.” 1933.   A. E. Roserts, The theories of Pierre d'Ailly concerning forms of govern-  ment in Church and State, “Bull. Inst. hist. research,” 1932.   Ipem, Pierre d’Ailly and the Council of Constance: A study in “Ockamiste  theory and practice” “Trans. R. Hist. Soc.,” 1935.   ]. P. Mc Gowan, Pierre d'Ailly and the council of Constance, Washington,  1936.   P. DuHEM, Le système du monde, cit., pp. 168-183; VII, pp. 197-202; VIII,  pp. 454-455, 493-495; IX, pp. 76-78, 231-234, 357-359; X, pp. 7-8, 27-30,  39-40, 49-50, 87-90, 349-350.    Pietro Di Candia    Opera: Commento alle Sentenze (inedito).  Bibliografia:   F. Exte, Der Sentenzkommentar Peters von Candia, des Pisaner Papstes  Alexander V, “Franz. Stud.,” Beiheft IX, 1925.   A. Maier, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 209 sgg.   P. Dunem, Le système du monde, cit., VIII, pp. 113-120.    Giovanni Gerson    Opere: Tra le sue numerose opere ricordiamo qui particolarmente:  Centiloquium de conceptibus; Centiloquium de causa finali; De concor-  dantia metaphysicae cum logica (1426); De modis significandis; De parvulis  ad Christum trahendis; Lectiones duae contra vanam curiositatem; Super  canticum canticorum; Commento alle Sentenze (ancora inedito).    Edizioni: Opera omnia, ed. E..Dupin, voll. 5, Anversa, 1706, rist. L’Aja,  1727; le Notulae super quaedam verba Dionysi, in A. ComBes, ]. Gerson  Commentateur dionysien, Parigi, 1940. È ora in corso l’ed. crit. dell'Opera  Omnia a cura di P. GLorieux, Parigi, 1961 sgg. Cfr. inoltre l’ed. del De  Mystica Theologia, sempre a cura del Comes, nel “Tesaurus mundi,” 1958.    Bibliografia: cfr. Gever, p. 791; De Brie, nn. 7589-7601; DE WuLr,  III, p. 154.  In particolare si veda:    J. B. ScHwag, Johannes Gerson, Wiirzburg, 1858.  A. J. Masson, /. Gerson, sa vie, son temps, ses ocuvres, Lione, 1894.  J. STELZENBERGER, Die mystik des J. Gerson, Breslavia, 1928.    682    Bibliografia    L. SaLemBier, in DHhC, VI, 1313-1330.   J. L. Connoiy, John Gerson, Reformator and Mystic, Lovanio, 1928 (con  ricca bibl.).   W. Dress, De theologia Gersoni, Giitersloh, 1931.   C. ScHnàrer, Die Staatslehre, de Jean Gerson, Colonia, 1935.   A. Comes, Études Gersoniennes, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.,” 1939,  1943-45 (con particolare riferimento al Commento alle sentenze).   J. ScHnEMER, Die Verpflichtung des menschliches Gesetzes nach ]. Gerson,  “Zeitschr. f. kathol. Theol.,” 1953.   L. VerEECKE, Droit et morale chez Jean Gerson, “Rev. hist. droit. frane. et  étran.,” 1954.   P. GLorieux, Autour de la liste des ocuvres de Gerson, “Rech. théol. anc.  méd.,” 1955.   P. DuHem, Le système du monde, cit., VI, pp. 225-227; VII, pp. 495-500;  X, pp. 11-12, 33-41, 178-179.    Sulla crisi della cultura medioevale alla fine del XIV secolo cfr. inoltre    particolarmente: E. Garin, La crisi del pensiero medioevale, in Medioevo e  Rinascimento. Studi e ricerche, Bari, 1954, pp. 13-47.    683    Indice delle sigle delle riviste maggiormente citate    Ang. = Angelicum   Ant. = Antonianum   Arch. fratr. praed. = Archivum Fratrum Praedicatorum   Arch. Hist. doctr. litt. m. à. = Archives d’Histoire doctrinale et lit-    téraire du moyen fge.  Arch. st. filo... = Archivio di storia della filosofia.    Aug. = Augustiniana.   Cîteaux Nederl. = Cîteaux in de Nederlanden  Collect. franc. = Collectanea franciscana   Div. Th. (F... = Divus Thomas (Friburgo)   Div. Th. (P.) = Divus Thomas (Piacenza)   Engl. Hist. Rev. = English Historical Review   Est. eccles. = Estudios ecclesiasticos   France franc. = France franciscaine   Franc. stud. = Franciscan Studies   Franz. stud. = Franziskanische Studien   Gior. crit. filos. ital = Giornale critico della filosofia italiana  Greg. = Gregorianum   Hist. Jahrb. = Historisches Jahrbuch   Jour. theol. stud. = Journal of theological Studies  Italia franc. = Italia francescana   Med. ren. stud. = Mediaeval and Renaissance Studies  Med. stud. = ediaeval Studies   Misc. franc. = Miscellanea francescana   Mod. school. = The Modern Schoolman    685    Indice delle sigle delle riviste maggiormente citate    N. Arch. = Neues Archiv   N. Scholl. = The new Scholasticism   Philos. Jahrb. = The Philosophical Review   Rech. théol. anc. méd. = Recherches de théologie ancienne et médiévale.  Rech. sc. relig. = Recherches de sciences réligieuses   Rev. august. = Revue augustinienne   Rev. bénédict. = Revue bénédictine    Rev. hist. ecclés.  Rev. hist. Philos.    Revue d’histoire ecclésiastique  Revue d’histoire de la philosophie    Rev. metaph. = Revue de metaphysique  Rev. m. à. lat. = Revue du moyen fge latin  Rev. néosc. philos. = Revue néoscolastique de philosophie    Rev. philos. Louvain = Revue philosophique de Louvain   Rev. sc. philos. théol. = Revue des sciences philosophiques et théologiques  Rev. thom. = Revue thomiste   Riv. crit. st. filos. = Rivista critica di storia della filosofia   Riv. filos. = Rivista di filosofia   Riv. filos. neosc. = Rivista di filosofia neoscolastica   Riv. st. ita. = Rivista storica italiana   Riv. stud. orient. = Rivista di studi orientali    Schol. = Scholastik  Spec. = Speculum  Stud. franc. = Studi francescani    Theol. Quart. = The theological Quarterly  Theol. Rev. = The theological Review  Theol. Zeitschr. = Theologische Zeitschrift    Wiss. Weiss = Wissenschaft und Weisheit    Zeitschr. f. kathol. Theol. = Zeitschrift fir katholische Theologie  Zeitsch. f. Kirchengesch. = Zeitschrift fir Kirchengeschichte    Cesare Vasoli. Vasoli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vasoli,” pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Vasoli.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – l’implictaura conversazionale della setta di Crotone -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE, who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Luigi Speranza: Grice e Vattimo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’implicatvm o impiegato come comunicatvm debole – la scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Essential Italian philosopher. Grice: “It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima della forza conversazionale” – Filosofo italiano. -- not one that provinicial Beaney would include in his handbooks and dictionaries. Vattimo’s philosophy shares quite a bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and Grice may testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and one of his essays is on the subject and the maskanother on reality. There is a volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente. Laurea in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra i massimi esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia debole. Il padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno e mezzo. La madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e ritornando a Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante, influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos, portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico, l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi) assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino, nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica, membro di comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice. Per i suoi saggi riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività politica in diverse formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti Italiani. Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione intellettuale che affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo turno. Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste dell'Italia dei Valori di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al Partito Comunista.  Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale anti-dogmatico di comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild. Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele  «bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo. Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società, la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani (dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi come “Credere di credere”  rivendica alla proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la postmodernità.  Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale, così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON  e Quinzio, però, non condivide la visione religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett. svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana.  Le posizioni di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di "molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un "Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una prospettiva politica concreta.  V. ha anche espresso posizioni ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro, contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva, porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.  Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso V.  Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di attualità, politica e cultura.  Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele” (Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino); “Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia, Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano); “Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli, Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza, Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente” (Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo” (Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala, Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio. Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio Brancati.  V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo", Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V.. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V.. Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V.. L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli, Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa  L'apertura del presente. Sull'ontologia ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez, Leiro, Rivera.  Fondazione verano centini/images/ allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su movi100.azione  Gallo, V. Interview, su public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus, Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno.   'Shoot those bastard Zionists': Italian scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.: «Per fargli male doveva sparare»  Il Giornale,  In questo senso Cfr, tra molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro, libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo.  Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali, Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere.   «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  V. su europarl. europa.eu, Parlamento europeo.  Registrazioni su Radio Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento: dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Vattimo.

 

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