Luigi Speranza -- Grice e Vacca: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ala del silenzio – scuola
di Bari – filosofia pugliese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bari). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari, Puglia. Essential
Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo”
-- great title, from Alighieri about litotes and understatement. Deputato della Repubblica Italiana Legislature.
Gruppo parlamentare Collegio Bari Partito Comunista Italiano, Partito
Democratico della Sinistra, Partito Democratico Laurea in giurisprudenza e
filosofia del diritto. Docente universitario. Si laurea in filosofia del
diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di CROCE. Svolge
una intensa attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno
dedicato alla casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito
Comunista Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della
Sinistra. Libero docente in storia delle dottrine politiche, vince la cattedra
di tale disciplina a Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione
della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione
elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a
sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato
sconfitto da Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in Puglia e a livello
nazionale. Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo
contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, diventandone poi
Presidente. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana presiede la
Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di GRAMSCI. Professore di
Storia delle dottrine politiche a Bari, si è occupato in particolare
dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda metà del
XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in
Italia. Saggi: “Politica e filosofia in SPAVENTA” (Bari, Laterza); Lukàcs
o Korsch? (Bari, Donato); Marxismo e analisi sociale (Bari, Donato); Scienza,
Stato e critica di classe. VOLPE (vedi) e il marxismo (Bari, Donato); Politica
e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, Donato); PCI,
Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, curatela (Bari,
De Donato); Saggio su TOGLIATTI e la tradizione comunista (Bari, Donato); Osservatorio
meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato); Quale democrazia.
Problemi della democrazia di transizione (Bari, Donato); Criticità e
trasformazione. Korsch teorico e politico (Bari, Dedalo); Gl’intellettuali di
sinistra e la crisi, curatela, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e
democrazia, curatela, Roma, Editori Riuniti, L'informazione Roma, Editori
Riuniti, Il marxismo e gl’intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni
del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica
del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori
Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa (Milano,
Angeli); “Gramsci e Togliatti” (Roma, Editori Riuniti); Dal PCI al PDS.
Intervista (Bari, Delphos); Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il
mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova
Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra
mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della
politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con GRAMSCI:
Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci, GRAMSCI (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee
per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo
vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari,
Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo,
sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Masella, Lecce. Martano,
L'unità dell'Europa. Rapporto sull'integrazione europea, curatela, Bari,
Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Il dilemma euroatlantico. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, curatela, Roma, Nuova
iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto della
Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,
I dilemmi dell'integrazione. Il futuro
del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi (Bologna,
Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide
future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra MUSSOLINI e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci,
Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi
gramsciani nel mondo. e con Schirru,
Bologna, Il mulino, Perché l'Europa?
Rapporto sull'integrazione europea, e con Sausi, Bologna, Il mulino, Studi
gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Capuzzo e Schirru (Bologna, Il
mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni (vedi), e con Montanari
e Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi,
e con Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Studi gramsciani nel
mondo. Gramsci in America, e con Kanoussi e Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e
pensieri di Gramsci. Collana Storia,
Torino, Einaudi, Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo demo-cristiani? La
questione cattolica nella ri-costruzione della repubblica, Roma, Salerno); “Il
FASCISMO in tempo reale: studi e ricerche di Tasca sulla genesi e l'evoluzione
del REGIME FASCISTA, con Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci. Raffronti,
Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di Gramsci,
Torino, Einaudi, Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione, Scritti e
discorsi, V. con Ciliberto, Bompiani, Milano
Quel che resta di Marx, Salerno Editore, Roma, L'Italia contesa. Comunisti e democristiani nel
lungo dopoguerra, Marsilio, Venezia. V.,
su storia.camera, Camera dei deputati. Vacca. Keywords: solidarietà
conversazionale, fascismo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. Vacca.
Luigi Speranza -- Grice e Vacca: il deutero-esperanto – By Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice,
il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si
veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto
externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI
(vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua
internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que
evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI,
BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto,
tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo,
come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua
internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali,
e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo
opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale.
Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune
ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es
systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale
compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi principi
di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de maximo
facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad
praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for
the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in
isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica
che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo
internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì
avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i
popoli.
Luigi Speranza -- Grice e Vaccarino: all’isola
-- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’errore del
filosofo – scuola di Pace del Mela – filosofia siciliana -- filosofia italiana
– By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Pace del Mela). Filosofo siciliano. Filosofo italiano.
Pace del Mela, Messina, Sicilia. Essential Italian philosopher. Grice: “I appreciate his
metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la ‘chimica del pensiero,’and the idea
that philosophers commit only ONE mistake (“l’errore dei filosofi”)!” Flosofo Figlio del titolare di un importante
saponificio. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma. Fonda
“Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa
prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli
sulla rivista Archimede su invito di GEYMONAT. Abilitato alla libera docenza in
filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si
dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di storia della
filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di filosofia della
scienza. Nominato professore associato di filosofia della scienza, ma non
ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di
Amsterdam ha l'occasione di conoscere Bochenski e incaricarlo di dirigere la
sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme
con CECCATO (vedi), SOMENZI (vedi), e LANDI (vedi), con i quali era in stretti
rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia
nata per iniziativa della Società di cultura metodologica operativa a Milano,
presieduta da Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti,
ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla
tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo
scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa
in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza",
in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza.
Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente
scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi
sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e
riconducendoli alle operazioni da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i
suoi interessi si incontrarono con quelli di CECCATO e della scuola opperativa.
Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve
puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece
sostene CECCATO. Però accetta e condivide il concetto che bisogna
occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i
significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia
analitica, che riconducendo il SIGNIFICATO semplicemente all’USO che se ne fa
parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in
quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo
alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue
ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla
definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente.
La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti
ripensamenti e revisioni. Pubblica “La chimica della mente” (Carbone,
Messina), in cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il
premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta
ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei significati” (Armando,
Roma). Pubblica “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria
Universitaria del Politecnico, Milano) dedicato a una critica di correnti
vedute professate da filosofi della scienza. I suoi interessi si rivolgeno
anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i
criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento
alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione
della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata in “Dalle
operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini). Nella prefazione al volume
Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, si lo considera
l'ultimo dei grandi illuministi. Altri saggi: “L'errore dei filosofi” (D'Anna,
Messina); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e
semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni”, “Lo sporco. Il pulito, duepunti
edizioni. Repubblica Semantica Filosofia
della scienza Centro Internazionale Di
Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. Vaccarino.
Keywords: construzione prammatica. Per il H. P. Grice’s Play-Group, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Vaccaro: all’isola --
la ragione conversazionale e l’implicatura come eteropia – la scuola di Palermo
– filosofia siciliana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Palermo). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo,
Sicilia. Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is
‘eteropie,’ a pun on homotopos.” Si laurea a Palermo, inizia l'attività di
docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a contratto, poi come
ricercatore e come professore associato. Titolare del corso di filosofia
politica e supplente di scienza politica nella facoltà di scienze della
formazione dell'ateneo palermitano. -- è pro-rettore a Palermo per la
politiche di solidarietà sociale e di co-operazione per lo sviluppo. Inoltre è
condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano, membro
fondatore della Società italiana di filosofia politica” e del Centro
interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a
Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale
Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica
(soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla
decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze)
dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della
globalizzazione, della governance e dei diritti umani. Saggi: “Decostruzione
di una realtà macchinica”, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma);
“Il capitalismo regolato statualmente”, curatela con Riccio e Caruso (Milano,
Angeli); “Oltre la pace” -- saggi di critica al complesso politico militare,
curatela con Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione
disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra);
“Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano,
Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari”
(Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano,
Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di
Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro.
Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di co-operazione
per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo. Mimesis Edizioni: collane. Archiviato Palermo:
scheda docente., su scienze formazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze:
catalogo autore., su opac. bncf.firenze..
Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. Vaccaro.
Keywords: congiunzione e disgiunzione. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza. Vaccaro.
Luigi Speranza -- Grice e Vailati: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della semantica filosofica di
Peano– la scuola di Crema – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Crema). Filosofo
lombardo. Filosofo italiano. Crema, Cremona, Lombardia. Essential Italian
philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced
by PEANO, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Si laurea a Torino. Insegna a Torino, dopo aver
lavorato come assistente di PEANO e VOLTERRA. Lascia il suo posto universitario
e così puo proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da
vivere insegnando matematica. Scrive saggi e recensioni che toccano un'ampia
gamma di discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia è che essa
fornisse una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa
ragione, e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni,
concezioni, e strutture teoriche, il filosofo evita l'uso di un linguaggio
tecnico specialistico, ma usa il linguaggio che la filosofia adotta in quelle
aree in cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto
accettare qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario
potrebbe essere problematico, ma la sua carenza e corretta piuttosto che
sostituite con qualche nuovo termine tecnico. La suo filosofia sulla
verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con
cautela, distinse fra SIGNIFICATO e verità. La questione di determinare che
cosa vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una
questione affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia,
dopo aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso
è cruciale. V. ha una filosofia positivista moderata. La tattica adottata dai
pragmatisti in questa loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle
unificazioni consiste nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche si
esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in grado di indicare quali
siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui,
succedere o esser successi, e in che cosa essi differiscano dagli altri fatti
che, secondo lui, dovrebbero succedere o essere successi, nel caso che la tesi
non fosse vera. Le influenze e i contatti di V. sono molti e vari, e spesso e etichettato
come "l'italiano pragmatista". Deve molto a Peirce e James – V. è uno
dei primi a distinguere i loro pensieri --, ma subì anche l'influenza di
Platone e Berkeley -- che egli vide come precursori importanti del pragmatism
-- Leibniz, V. Welby-Gregory, Moore, Russell, PEANO e Brentano. V. corrispose
con molti dei suoi contemporanei. La prima parte della sua filosofia comprende
scritti sulla logica matematica. In questi saggi, focalizza l'attenzione sul
suo ruolo in filosofia e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia.
La dottrina recente pone V. e il suo allievo CALDERONI (vedi) nella categoria
storiografica del pragmatismo analitico italiano. I suoi principali
interessi storici riguardarono la meccanica, la logica e la geometria. Egli da
un importante contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica
post-aristotelica, dei predecessori di GALILEI (vedi), della nozione di
definizione e del suo ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze
matematiche sulla logica e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea
di SACCHERI. S’interessa particolarmente
ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi
problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di
storico della scienza e strettamente connesso con quello filosofico. Per le due
attività, infatti, utilizza gli stessi pensieri e metodologie di fondo. Vede lo
studio storico e lo studio filosofico come differenti nell'approccio ma non
nell'argomento. Crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione fra filosofi e
scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene anche che una
storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il background sociale
pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie a nuovi risultati,
non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per
il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare
mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La posizione di V. sulla
storia della scienza ricalca quella di una serrata critica al positivismo, in
un contesto teorico dove il pragmatismo ammette nuovi strumenti di comprensione
e anche di valutazione della scienza, come mostrano anche le vicende di CALDERONI
(Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Calderoni, Roma, IF Press) e di PEANO,
il quale vanta certe affinità con il pensiero filosofico del periodo (Rinzivillo,
V., Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma,
Nuova Cultura, e PEANO, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia,
Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); PEANO, In
Memoriam, Bolletino di matematica, Pozzoni, Cent'anni di V.” (Liminamentis,
Villasanta); Zan, “La formazione di V.” (Congedo, Galatina); Sava, La
psicologia tra V. e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giordano, V., filosofo
della scienza (Firenze, Le Lettere); Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano
di V., Liminamentis Editore, Villasanta,
Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti
filosofici. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana;
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net.
Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Couturat e Leau, Histoire de
la langue universelle
Paris, Hachette. Rivista Filosofica.
Non è solo pel fatto di contenere un’esposizione accurata e particolareggiata
dei numerosi progetti di lingua
universale che si sono succeduti a cominciare dai primi di cui si ha notizia
(Urchard, Dalgarno, Wilkins) fino a H. P. Grice che la storia di Couturat e
Leau ha il diritto d’intitolarsi una ‘storia’
della questione della lingua internazionale. Il saggio merita tale titolo anche
in un altro e più importante senso, in
quanto i suoi autori riescono con esso a provare che la serie di tentativi d’essi presi
in considerazione, lungi dal presentare l’aspetto d’una successione di sforzi indipendenti e incoerenti, lascia trasparire le traccie d’una
graduale evoluzione verso
uno schema il
cui carattere generale
è già fin d’ora suscettibile di
un’approssimata determinazione, e
le cui
linee fondamentali vengono in
certo modo a sovrapporsi
a quelle segnate dal processo spontaneo che porta
irresistibilmente, per
quanto lentamente, le
nazioni civili ad
aumentare sempre più
il patrimonio di vocaboli
e di espressioni che
possiedono in comune e
persone, anche colte,
che non hanno
avuto occasione di
riflettere sull’argomento
non si
fanno facilmente un’idea
esatta della quantità di
parole « inter-naziona1 »
che esse
adoperano, e della parte
sempre crescente che
queste vengono ad occupare,
non dico nei
dizionari compilati dai
letterati o dai puristi
ma nel dizionario
reale ed effettivo
dell’uso corrente – “the little Oxford dictionary,” nelle parole di
Austin rapportate da Grice --,
nella lista cioè dei vocaboli del CUI significato si
esige e si presuppone la
conoscenza anche in
chi non conosca
altra lingua che
la propria. Così, per esempio, nessun italiano può addurre la
sua ignoranza del
francese o del tedesco,
come giustificazione del
suo non conoscere il SIGNIFICATO
(O senso) di parole come
le seguenti: òuffet, bureau,
chèque, club, hotel,
itufiresario, meeting, menu,
restaurant, rdclame, record,
reporter revolver, sport
toilette, traimvay, tunnel,
etc. Il che vuol
dire che, se si
prende come criterio
dell’“italianità” di una parola
il fatto che
essa è usata
e intesa agl’italiani – cf. H. P.
Grice, “native speaker of English,” William James Lecture V -- (e non
si vede quale
altro criterio si puo
prendere, da chi a
meno non
sia disposto a negare
che siano ITALIANE
anche le parole
alcool, ze- 7itth,
ovest, gas pel
fatto che esse
ci provienneno dall’arabo
o dall’olandese), i vocaboli
sopra riportati hanno
ben più diritto
a essere qualificati come ITALIANI di quanto
ne abbiano tanti
altri che i dizionari
registrano solo perchè
usati da scrittori
di qualche secolo
fa : come, per
esempio, “allotta,” “arrogi »,
< gtta- gnele », «
millanta », etc.
Ne al fatto
che alcune delle
suddette parole contengono
lettere o sillabe aventi
valore fonetico diverso
da quello che
loro spetterebbe nella
nostra « ortografia » può essere
ormai attribuita molta
importanza dal momento
che tale circostanza
non è più considerata
come un ostacolo
alla trascrizione esatta
dei nomi proprii
stranieri di luogo
e di persona. Le esigenze
pratiche s’alleano ora
al senso estetico
per trattenerci dallo
scrivere “Stoccarda” o
Conisberga invece di
Stuttgart e di Konigsberg.
E se a molti
non ripugna ancora
lo scrivere “Volfango” invece di
Wolfgang, a nessuno verrebbe
certo ora in
mente di imitare
VICO (si veda) citando Descartes
sotto il nome
di Renato delle
Carte. Un esempio
caratteristico di creazione
di nuove parole
internazionali mediante un
espresso accordo tra gl’interessati ci è
fornito dal sistema
di unita C.
G. S. adottato
e promulgato dal congresso
internazionale degli elettricisti,
tenuto a Parigi, e le
cui denominazioni sotto
forma invariabile (volt,
ampire, ohm, etc.)
sono ora adoperate
dagli scienziati e dagl’elettrotecnici di
ogni nazione. La
gran maggioranza tuttavia
delle parole che
possono praticamente essere
riguardate come già
in effetto internazionali non è
costituita da quelle
che figurano nelle varie
lingue sotto forma
assolutamente identica, ma
bensì da quelle
che vi si
trovano leggermente modificate,
sopratutto nella desinenza, a seconda dell’indole
dei rispettivi linguaggi,
come avviene ad
esempio per le
parole: caffè, cioccolata,
tabacco, garanzia, posta,
vagone, consolato, oasi, concerto,
etc. E in questa
categoria che rientrano
i numerosi termini tecnici
(di scienze, di
arti, di sostanze
chimiche, di strumenti,
di malattie, etc.)
derivati dal greco,
come chirurgo, estetica, ossigeno,
fonografo, emicrania, etc.
A projiosito dei quali
giova notare come
parecchie radici o prefissi
greci (come —logo,
—grafo, z=.geno, fono—,
termozzz, baro=, archi—,
end—, anti—, i^o —, filo —, geo—, etc.)
pure non figurando,
sotto qualsiasi forma,
come parole isolate, nel
dizionario di alcuna lingua
moderna, tuttavia per
il solo fatto
di trovarsi ripetutamente
adoperati, e con un
senso ben determinato,
nella composizione di parole
appartenenti a ogni linguaggio
civile, finiscono per
essere correttamente
interpretate anche da chi si
trovi sprovvisto di
qualsiasi conoscenza della
lingua dalla quale
provengono. La stessa osservazione
si può ripetere
per quei VOCABOLI LATINI che, pure
non potendo essere
qualificati come internazionali nel
senso che essi
appartengano ad altre lingue
oltre che alle
neo-latine, lo sono
tuttavia nel senso
che le lingue
neo-latine non sono
le sole nelle
quali esse figurano
come elementi di
parole composte. Cosi per
esempio le parole
latine : navts, oculus,
currere, secretum, ovum,
pubblicus, annus, etc.
non possono essere
riguardate come del
tutto estranee all’inglese
e al tedesco dal
momento che a queste
lingue appartengono le
parole oculist, concurrence, secretary,
ovai, Publizist, Annalen,
etc. E specialmente in
virtù di questa
circostanza che i più
recenti progetti di lingua universale,
quanto più deliberatamente si
propongono di costruire
il dizionario in
base al criterio
pratico della massima
effettività internazionale delle
singole parole o radici
(criterio che viene
a essere naturalmente imposto
dalla necessità di
ridurre al minimo
gli sforzi richiesti
dall’apprendimento di parole
interamente nuove da
parte di chi
conosca già qualcuna
delle lingue civib''europee, e dalla
convenienza di rendere
il dizionario della
lingua internazionale quanto
più è possibile utile
per facilitare l'eventuale
apprendimento delle lingue
civili europee da
parte di chi
non ne conosca
alcuna), tanto più
si trovano condotti ad
attribuire una parte
preponderante all’elemento LATINO.
La maggior parte
di tali progetti
finiscono anzi per
differire tra loro
assai meno di
quanto possano differire
due dialetti di
una stessa lingua,
e per avvicinarsi anche senza
volerlo, per ciò
almeno che riguarda
il dizionario, ai
progetti avanzad dai fautori
di un ritorno
all’uso internazionale del LATINO, in
quanto anche questi
sono costretti ad
ammettere i neo-logismi indispensabili per
esprimere cose e concetti moderni,
e a rinunciare quindi a qualunque
pretesa puristica e
letteraria. Come è naturale,
il latino più
ricco d’elementi internazionali non è
quello classico di CICERONE
(si veda) o di TACITO (si veda), ma
quello usato dagli
scolastici e dagli scienziati del medio
evo; non quello, per
esempio, in cui
il Ministero della
pubblica istruzione sarebbe
chiamato Summus moderator
shidiortcm, ma quello
in cui verrebbe semplicemente indicato
come Minister pttMicae
instructionis o, anche
meglio, de puèlica instricctioìie. Ma a
rendere difficile un
completo accordo tra i
fautori di un
latino comunque modernizzato e semplificato, e quelli
che propongono la
costruzione d una lingua
affatto artificiale, per
quanto costruita con
materiali tolti in
gran parte dal
latino, si presentano
le questioni relative
alla grammatica o SINTATTICA. Benché
gl’uni e gl’altri si
trovino d’accordo nel
riconoscere che le
difficoltà inerenti all’adozione
del latino come
lingua internazionale puo venir
notevolmente diminuite
coll’introdurre nella sua
grammatica delle modificazioni
semplificatrici d’indole analoga
a quelle che si
sono spontaneamente prodotte
ne le lingue
neo-latine, pure essi
non cessano per
ciò di differire
grandemente nell apprezzamento
dei criteri da
seguire in tale
semplificazione. Vi è chi
si contenterebbe di
regolarizzare le declinazioni
o le coniugazioni, togliendo
la loro inutile
molteplicità e permettendo, per
esempio, che si
dicesse ati t o e legebo
come si dice
amabo e monebo, o loqtiivi,
currivi invece di
locutus S2tm e di
czicurn. Altri abolirebbero
senz’altro ogni declinazione
dei nomi indicando invece i vari
casi colle preposizioni
come fanno le
lingue neo-latine 1 armenti
sopprimerebbero le varie
flessioni dei verbi
corrispondenti alle persone,
bastando, per distinguere
queste, l’impiego dei
pronomi. Anche per
indicare i diversi tempi
dei verbi v’è
chi propone si
abbandoni l’impiego di speciali
desinenze o modificazioni adottando
invece l’artificio dei
verbi ausiliari (anche
per il futuro).
Un passo piu
avanti è fatto da
quelli che propongono
si abolisca la
distinzione tra i generi dei
nomi e tutte le
regole di concordanza
ad essa relative, indicando solo,
quando occorra, il
sesso con uno
speciale prefisso come
si fa in
inglese (he-goat, she-goat).
Ne qui SI
arrestano le proposte
di semplificazioni, tra
le quali la
più radicale è rappresentata dal «
Latino sine flexione
» di PEANO (si veda),
riattaccantesi a un ordine
di ricerche il
cui primo impulso
risale a Leibniz. Già
questi ha osservato
che, allo stesso
modo come l’uso
delle proposizioni rende inutili,
pei nomi, le
flessioni corrispondenti ai
differenti casi, così
anche l’uso delle
congiunzioni potrebbe sostituire,
per i verbi, le
flessioni indicanti i differenti modi.
Così, per esempio,
la differenza di SIGNIFICATO
(O SENSO) tra l’ indicativo
e il soggiuntivo è già sufficientemente espressa
dalla sola presenza,
per il secondo,
delle congiunzioni: ut, quod, “si,”
(if) – cf. H. P. Grice, “Indicative Conditionals” --, etc.
Non occorre quasi
notare che anche
il modo imperativo
non ha affatto
bisogno di venire indicato
da alcuna modificazione
del verbo, bastando
a ciò premettere (o far
seguire) a questo l’indicazione
del comando o del
desiderio (opto, peto,
quaeso, etc.) come
già del resto
si pratica in
più d’una lingua
(PLEASE – R. M. Hare: “The door is closed, please” --, bitte,
s’il vous plait,
etc.). Un’ idea
più ardita, suggerita
pure da Leibniz a PEANO (si veda), è quella
dell’ inutilità di qualsiasi
flessione per indicare
il plurale dei
nomi {videtnr pluralis
inutilis in lingtia
rationali). La distinzione tra
singolare e plurale sembra
a PEANO (si veda) puo essere sufficientemente espressa
dal semplice premettere
al nome, quando
occorra, un aggettivo
numerale, U7tus, aliqtds,
omnis, plurcs, duo,
diversi, etc.). A questa stessa conclusione
è pure antecedentemente venuto
anche un altro filosofo che
si occupa molto
a fondo delle questioni
relative alla grammatica razionale, BELLAVITIS, di Padova,
di cui l’importante saggio, portante
il titolo “Pensieri sopra
ima lingua universale
e su alcuni argomcnli
analoghi,” Memorie dell’I. R.
Istituto Veneto, è sfuggito all’attenzione di Couturat. Tra l’altre
proposte originali e suggestive che il saggio
di BELLAVITIS (si veda) contiene è da notare quella relativa
all’adozione di una speciale preposizione anche per distinguere
il soggetto (“Fido”) dal
predicato (“is shaggy” – Grice) di
una proposizione, da adoperare, s’intende, solo quando ve ne è bisogno. Tale è il caso, per esempio, quando si
tratti di una
proposizione il cui
soggetto (“Fido”) o
attributo (“shaggy”) è rappresentato
da un
pronome relativo, il
quale, per ragione
di chiarezza [Grice, DESIDERATUM
OF CONVERSATIONAL CLARITY: “Be perspicuous [sic]”. -- non può venire troppo
allontanato dal precedente nome cui si riferisce, e non può quindi
indicare, per mezzo della
sua posizione rispetto
al verbo, se dove essere
inteso come il
suo soggetto o il
suo predicato. Quest’osservazione di BELLAVITIS (si veda) non è priva
anche di una
certa importanza filosofica in
quanto costituisce in
sostanza una critica
della distinzione tra
verbi transitivi e intransitivi e di
quella tra verbi
attivi e passivi. Essa
mira infatti a sottoporre
non solo l’accusativo
(o CAUSATIVO, strettamente -- come
già avviene in
alcune lingue, p. e.
nella spaglinola), ma
anche il nominativo
a norme analoghe a quelle
che reggono gl’altri
casi, sopprimendo l’inutile
complicazione della costruzione
[Atti della R.
Accademia di Scienze
di Torino; Leibniz [citato da
Grice – “one of the greats”].
Opusculcs el Fragnicnt
inédils publiés par
Couturat. BELLAVITIS (si veda) ha
su questo punto
dei precursori fra
gli scolastici, in
Occam [cf. il sermone mentale – discusso da Geach e Grice e Leibniz –
PARIDE AMA ELENA -- e Alberto di
Sassonia. L’apprezzamento
espresso su quest’ultimo
da Prantl – lesso da LAMENTANI (si veda) nella sua “Storia della Logica,”
precisamente a questo proposito,
è da deplorare come erroneo e ingiusto. COUTURAT E L.
LEAU, HISTOIRE DE
LA LANGUE UNIVEKSELLE] passiva – Strawson, “The
exhibition was visited by the King of France” --, ed
emancipando nello stesso
tempo la frase
d’ogni restrizione relativa
alla collocazione delle
sue varie parti rispetto
al verbo. Anche sull’uso dell’articoli
e delle particelle dimostrative
le osservazioni di BELLAVITIS (si veda) apportano un
contributo prezioso alla
soluzione delle controversie
che ancora si
dibattono tra gl’autori
di vari progetti
di GRAMMATICA RAZIONALE. Un concetto
dominante sul quale
egli ritorna frequentemente è questo
che l’adozione di date
preposizioni o congiunzioni o articoli
-- “voci grammaticali,” come egli
le chiama -- per indicare
date relazioni tra le parti
d’una frase non implica
che tali voci
devono essere sempre adoperate
per esprimerle. Esse possono e devono invece
essere omesse ogni qualvolta la
loro assenza non
produce ambiguità – cf. Grice, “Avoid ambiguity” – Blake, “Love that
never told can be”. 'lutte queste semplificazioni, le
quali, del resto,
potrebbero applicarsi, come
al LATINO, anche
a qualsiasi altra lingua,
finisceno, come si
vede, per far
capo al concetto
d’un linguaggio suscettibile
di venir compreso
e adoperato
indipendentemente dalla conoscenza
di qualsiasi regola
grammaticale. E in fondo
l’ideale che si
presenta già alla
mente di CARTESIO [vide Grice,
“Descartes on Clear and Distinct Perception”]
in quella sua
lettera a Mersenne nella quale,
discutendo un progetto
d’ignoto filosofo che
ritiene aver costruito
un linguaggio (“Deutero-Esperanto”) atto a essere interpretato e scritto
col solo aiuto
di un dizionario – Grice: “The Little Oxford
Dictionary? Austin
hated it! -- conclude che
ce n’est pas mcrvetlle
que les esprits
vulgaires apprennent *en
moins de six
heures* à composer en
cette langue. Cartesio, Opere, edit.
Tannery e Adam). Ed
e questa stessa idea d’una lingua ARTIFICIALE [Deutero-Esperanto], costruita,
per quanto riguarda il
dizionario, con materiali
tolti alle lingue
viventi e sottoposta invece,
per quanto riguarda
la grammatica – strettamente,
SINTASSI --, alla massima
semplificazione razionale – cf.
RULES OF FORMATION OF SYSTEM G-HP di MYRO],
che Rcnouvler sembra
avere in vista
in quella frase,
quasi profetica, che
appunto Couturat riporta
a questo proposito. La langue
universelle doti ciré empiriquc par
son vocabulairc o LEXICON,
et PHILOSOPHIQUE PAR SA SINTASSIS, ou grammaire.
(ReNOUVlER, De
la question de la langue universelle, Revue. Non voglio
chiudere il presente
cenno senza richiamare
l’attenzione su un
altro saggio italiano sul
soggetto della lingua
universale, del quale
pure non è
fatta menzione nel
volume di cui
parliamo. Esso è pubblicato
a Roma col titolo, “Riflessioni intorno
all’istituzione d’una lingua universale,” -- lettera di
Glice Ceresiano a Giotto fllo
Eugenio. L’autore ne è il
filosofo SOAVE (si veda), il quale
si propone in
esso di esaminare un
progetto di lingua
universale da Kalmar. Questo è tutto
ciò che mi ò
riuscito di sapere
sul contenuto del
detto opuscolo, che finora
non sono stato
in grado di
rintracciare e che conosco
solo dalla menzione
che ne è fatta
in un’altra opera
italiana, pure ignorata
da Couturat -- FERRARI (si veda), Monoglottica, Modena. Di
quest’ultima V. ha conoscenza
per mezzo di MERIGGI (si veda), appassionato
cultore di questi
studi e autore lui
pure di un
progetto di cui
sono segnate le
traccio in un
volumetto pubblicato a Pavia, Frat. Fusi. Como.
Grice: “My favourite Vailati is an essay cited by Peano (I wouldn’t have heard
of it otherwise). It is concerned with the Italian counterparts to “non,” and
the ‘congiunctioni’: “e”, “o”, and “se”. La Grammatica dell
Algebra. iRivisla di
Psicologia Applicata, A Parlare
dell’algebra come d’un linguaggio. Sommario:
In che senso
^ f Quali sentii corrispondmio
tn al~ e di
una sua speciale
J. Come si
presenti in algebra
la distin- gcbra
ai verbi. Loro
carcittere r . V- l'altra,
ad ussa corrispondente, tra
ìionè tra verbi
transiti e verbi Dei
verbi molteplice- nomi
(o aggettivi) relativi,
e gH^izioni Carattere
grammaticale dei segni mente transitivi,
e dell / caratteristiche dei
segni di uguaglianza j • fiirtincri e oarlando d’essa come
di uno spe-
LParlando d’algebra a dei
attribuire, alla pa- ciale
linguaggio, devo pregarli d, P ^ essi le
attribuì- rola . linguaggio >.
astrazione da un scono ordinariamente. di studiano
— i quali tutti hanno
per loro carattere
comune ai ^^ttendomi d’applicare
lo stesso nome
anche elementi delle
«parole » P^^ rivolgono
ad altri sensi che non
sono ad altri SISTEMI DI SEGNI eh, f„n7inni dei linguaggi propriamente detti, radilo,
adempiono wttavia alle
tCTfpo^J^ e„ „r„SS'e
^.-—nLròne, piò pir"arhVL“rr^ « UpÓ . Ideo^radoo
nel,uall le ooae [11
.ommario e le pari., che,u
„„p„ve ..ella Xmsh
*' «to- parentesi
quadre, non sono mclus carte
di V., che a lu.
serve pella comunicazione da lu p •
grammalicali e SINTATTICI del lingnaggto
delle Scienze (Firenze)
sotto il ti .
Rivista di Scienza
algebrico, e che in parte è riprodotto in
una i^Algèbre ati
point de vue Hngui-
., intitolata: PiiLr it^de de l’Algebre ? ^ stiquei\
ai cui si
voleva comunicare Jos^'dvano
il nome nel
Un- scura alcun
riferimento ai gruppi
d, suoni che ne
guaggio parlato. rappresentati, di
quei rapporti Per indicare il
sussistere, tra g i ogg
proposizioni, le scrit- che
dai linguaggi parlati sono espressi in principio ad espe-
ture di questa seconda specie
dovetter affatto dienti
(alterazioni nella forma,
nell ordine g > preposizioni, analogo a quello
che, nelle lingue parlate
etc. ai segni
di PREDICAZIONE (“... is shaggy”
– GRICE), d ;Jggiare interesse per quei sistemi di
L’esame di tali espedienti presenta panico ^ „,,iea.
ve- notazioni ideografiche che,
come cs- g ordinaria,
subiscono in certo nendo
impiegati contemporaneamente alla ^ avrebbero finito per
soc .nodo la cencorreusa
di questa, p.eferibill
per 1 partico- combere se qualche
speciale carattere no lari
uffici ai quali sono applicati – cf. Grice, ONTOLOGICAL MARXISM:
If they work, they existd.. dell’algebra, la
ragione di Dire che, nel caso
che ora c,
Jgg,or brevità e pre- tale
preteribilltà stia nclPattltudlne sua a
j ancora rlsob cislone le proposizioni relative a. numer
determinare da quali vere la
questione. 04 che
Importa dipendano: Uno a che circostanze
le suddette proprietà
del >”^8, geografiche al posto delle punto cioè esse
si riconnettano f ‘j; ‘7^'®°„gÌ„o .“orso,
fatto dall’algebra, ;role. e per
nurdrpontTltguaggio parlato, per
dare senso alle Afferenti combinazioni
dei esempio caratteristico sto.
non certo nel fatto che le
cifre sia P ^,e„e
attribuita
^alrmrrrsrrg^Sa"^ della
posizione che esse occupano in hT
prop™^^ f rrti soprattutto d’attribuire i strumento
di ricerca e di
dimostra- che come mezzo
di ^a avere
indotto uno dei piu
grandi zione. Tali vantaggi
sono rivolgere modestamente
a sè stesso una
^a^ cbe è rivolta
da Schiller a un poeta
presuntuoso, in quei noti versi .
pi confronto tra i “cTriuogo'*!’ impiego dei segni derivano dall’impiego delle
. q un’altra distinzione
importante dell'algebra, si P""“ ehe occorre
fare tra i sistemi di notazione ^;:.'lomTa;;unT:df’e de, .'aritmetica, o le note
musleaii [AND GRICE WOULD PLAY THE PIANO AT CLIFTON – la notation della
pavanne de Ravel – MEISTERSINGER is for children – He loved MAHLER, Song of the
Earth --, hanno solo I
uf- LA
grammatica DELL’ALGEBRA mnorre
nei loro elementi,
dati gruppi di sensazioni fido
di descrivere, e di
decom ^ ^pp^nto il 0
di azioni complesse,
e queg,, chimica — si
presentano come capaci caso
dell’algebra o '5'“' ^, in
parole e frasi del definirla o
caratterizzarla m modo f perrtlirco'nicio chiunque abbia
coll’algebra una sufficiente -f;:Ìadiffierenzachesiba-- à^e
potr^rcorr — 'linana, le
proposizioni relative ai
numeri e alle loro proprietà.
differenza equivale ad
ammettere implicitamente che Il
riconoscere una tale
differenz espressione e come
strumento la speciale efficacia
^°^t^ibuire, non tanto
all’impiego che in essa di ricerca e di
'"arposto^ parole del linguaggio
or- dintio! q^a^P^uttostra delle
particolarità d’indole SINTATTICA. meren
i "Esamffiar'e iTche
cosa guaggio algebrico, ricercare
e propriamente dette: que-
riscontrano, in maggiore
o minor grad J . sembrano
bene degne di Tra
le distinzioni, che
si trovano ‘“‘I,elle che
si riferiscono rittcair;‘:.rc:ot^Una frase
spesso ripetuta dai linguisti, colla quale essi tentano di precide ciò che costituisce il tratto caratteristico
d’un vero linguaio -- cf.
COMPOSITIONALITY AND THE ESSENCE OF LANGUAGE – H. P. Grice, “Meaning Revisited”
– open-endeness, finite means, potentially infinite utterances>, hi
opposizione alle forme meno perfette
d’ESPRESSIONE ISTINTIVA [natural groan – Grice] di stati
d amm . qualf
si riscontrano anche negli
stadi inferiori di sviluppo della vita animale. ' la
«pcriiente • « il linguaggio comincia dove l’interiezioni (GROANS
AND FROWNS, MOANING AND MEANING) finiscono. Se noi ci domandiamo, alla nostra
volta, in che cosa differiscano
effettivamente l’interiezioni – Grice’s GROAN -- da quelle
che i grammatici chiamano
le altre parti del
discorso, ci accorgiamo subito
che esso sono le sole parole che, anche
enun- flTLàtalnte, bastano, per sé stesse, a esprimere
-^^Ye Qualche opinione,
di chi le pronuncia,
mentre le altre
specie d . i nomi
eli aggettivi, i verbi,
etc., non possono,
d’ordinario, servire a a e p
se non comparendo
raggruppate [TERZA ARTICOLAZIONE] l’une insieme all’altre,
in modo da dar luogo
a una frase o a una proposizione – GRICE: UTTERER’S MEANING,
SENTENCE MEANING, WORD MEANING]. Quando
emettiamo [UTTER – GRICE],
per esempio, il
suono brr, o il
suono " • ^ abiamo bisogno d’aggiungere altre parole per
fare intendere a
^Ze che
"sentiamo""del freddo, o
che desideriamo che egli non faccia nimore. SeTnvece
pronunciamo, per esempio,
il nome di
un oggetto --a
accompagnarlo con qualche parola
(o GESTO), che indica cosa vogliamo dire di
esso - fhe
diefiii cioè: se
vogliamo dire che lo vediamo,
o che lo desideriamo,
o fotmilmo, ; che ne
aspettiamo la comparsa
etc. aifatto alcuna nostra opinione, o disposizione d’animo,
ma al piu
segnaliamo -- SIGNIFICAMO,
SEGNALARE -- che stiamo pensando a quell’oggetto, senza dire
nulla di ciò
che ne pen segue
che l’interiezioni possono qualificarsi come
quelle, tra le parole del nostro
linguaggio, che hanno PIÙ SIGNIFICATO (“more meaning”) di tutte le
akre, e in certo
modo, come le sole che
ne abbiano, quando
sono prese a se.
mentre altre sono soltanto capaci
d’acquistarne, nel caso che
siano assunte a far
parte una frase
che ne abbia.
L’affermazione riferita sopra
equivale, dunque, a dire
che il “vero linguaggio” comincia con
la prima introduzione
di parole che, prese per se
stesse NON hanno alcun SIGNIFICATO,
e che di tanto
un linguaggio e °
più rilievo hanno
in esso le parole
che si trovano
in questo caso,
di front litro
che, anche enunciate isolatamente, esprimono
qualche opinione d’animo, di
chi le PRO-NUNCIA. Si ha una
conferma di ciò nel
fatto che le
parole che hanno MENO SENSO delle altre
- quelle cioè alle
quali è necessario aggiungere un piu grande
numero d’altre parole
per ottenere una
frase che voglia
sono apppunto quelle
che compaiono piu
tardi, tanto nello
sviluppo storico dei
linguaggi, quanto nel
processo individuale del
loro apprendimento. Tra
tali parole sono
da porre, in
primo luogo, le pre-posizioni, in
quanto esse hanno
l’ufficio di indicare
le varie specie di
relazioni che possono
sussi- fi) La
trovo citata tra
gli altri da ZOPPI
(si veda), nel suo
volume sulla Filosofìa
della Grammatica (Veron),
che ho trovato
pieno di osservazioni
suggestive sull’argomento qui
trato.] stere tra gl’oggetti
di cui si
parla. Esse infatti, appunto
per questa ragione,
non indicano assolutamente
nulla se non
sono accompagnate dalle
parole che denotano
gl’oggetti tra i quali
si asserisce aver
luogo la relazione
che ad esse
corrisponde. Così, quando pronunciamo,
per esempio, le
parole: “accanto”, “sopra », «
dopo »,
etc., -- cf. Grice, ‘betwen’, not
aequivocal -- senza indicare quali
siano le cose
di cui intendiamo
affermare che runa è
accanto all’altra, sopra l’altra, etc.,
noi non comunichiamo
a chi ci ascolta
alcuna determinata INFORMAZIONE (si veda FLORIDI) sulle cose
di cui parliamo.
A considerazioni analoghe si presta
il confronto delle
varie specie di
verbi e, in
particolare, la distinzione
espressa comunemente con
l’opporre i verbi « transitivi
» ai verbi « intransitivi »,
col porre in
contrasto, cioè, i verbi
che, come per
esempio: « desidero », « respingo
», « nascondo », «
indico », etc.,
richiedono che alla
loro enunciazione segua
l’indicazione di qualche
« oggetto» al quale
si riferiscono, coi
verbi che invece,
come per esempio:
« dormo » « cresco
», « rido », «
muoio »,
etc., non hanno
bisogno di alcuna
ulteriore determinazione o specificazione di
tal genere (^).
Qui è tuttavia da
osservare che la suddetta distinzione,
in quanto è stabilita dai grammatici
in base al
criterio puramente formale consistente in
ciò che il
verbo esiga, o non
esiga, ciò che
essi chiamano un «
complemento diretto » —, non
coincide esattamente con
quella che, per
il nostro scopo,
è opportuno è posta
in rilievo. A nessuno
certo può venire in
mente di dar
torto ai grammatici quando essi
si preoccupano di
distinguere i casi nei quali
l’indicazione dell oggetto,
a cui si
riferisce l’azione espressa
da un verbo,
avviene per mezzo
della semplice aggiunta
del nome di
tale oggetto — come
quando si dice
per esempio: « desidero la tal
cosa » — dai casi
nei quali invece
è necessario che, tra il verbo
e il nome, sia
interposta una preposizione
— come quando si
dice per esempio:,
di certi nomi
come quelli che
abbia'mo sopra citati,
è ordinariamente indicato col
qualificarli come nomi «
relativi ». Della connessione
tra i nomi « relativi
» e i verbi transitivi si
ha una chiara
manifestazione anche nella
possibilità, frequentissima, di
tradurre frasi, in
cui a un dato
oggetto, o persona, è applicato
un nome esprimente
una relazione, in altre
^si, equivalenti, nelle
quali figura invece
un verbo transitivo.
Non vi è,
per esempio, differenza
tra il SIGNIFICATO (O SENSO) delle
frasi : « il tale è
nemico del tale
altro », o « il
tale oggetto c più
alto del tale
altro », e le
altre : « a tal
persona odia la
tal altra », o «
il tale
oggetto supera, o sopramnza,
il tale altro
», etc. Il
matematico e filosofo americano
Peirce [su cui Grice insegna a Oxford],
che più d’ogni
altro si è occupato
dell’analisi e della classificazione delle
varie specie di «
relazioni », è stato
portato dalle sue
ricerche a stabilire una
distinzione tra i verbi
(o nomi ed
aggettivi) transitivi, a seconda
che essi esigano
l’aggiunta di un
solo o di più nomi per
acquistare un SIGNIFICATO (O SENSO) determinato,
per diventare cioè
capaci di affermare
qualche cosa degl’oggetti
e delle persone a cui
vengono ap- Sono,
per esempio, verbi
« doppiamente transitivi » (o
bivalenti, come si
potrebbero chiamare con
una opportuna immagine
tolta dal linguaggio
della chimica), comportanti
cioè l’ aggiunta di
due nomi, i verbi
seguenti : « insegnare » (qualche cosa a
qualche persona), « dare
» ( qualche cosa a qualche
persona), e i corrispondenti nomi:
« maestro » (di qualche
cosa a qualcheduno) « donatore
» (di qualche cosa a
qualcheduno), etc. Sarebbe
forse più proprio
chiamarli « tri-valenti »,
in quanto anche
il soggetto rappresenta
una « valenza ».
Sarebbero allora « bi-valenti
» i verbi semplicemente transitivi,
« uni-valenti » i verbi intransitivi,
e « nulli-valenti » (o privi
di « valenza »)
gli impersonali come «
piove, » « nevica ». etc. – “As Srawson once asked me, “it is raining –
what is ‘it’?” – Grice. Gli impersonali
latini come « pudet
me ». « piget
me » « mihx tur »
etc. sono « bi-valenti
» come i verbi transitivi.
Come esempio di
verbi a quattro « valenze
» si potrebbe citare
il verbo « scambiare
» nel senso commerciale
(« il tale
scambia con la
tal persona, la
tal cosa con la tal
altra », o più
semplicemente « le tali
due persone si
scambiano fra loro
le tali due
cose »)]. Esempi
di verbi « tri-valenti
» capaci cioè, o esigenti,
di venire . o «
comperare > («
vendo un oggetto
A a una persona B,
per un prezzo
C », « compro un
oggetto A da una persona
B, per un
prezzo C »). Nel
caso di questi
verbi « pluri-valenti », o
molteplicemente transitivi, si
scorge chiaramente quale
sia l’ufficio che
hanno le preposizioni,
in quanto servono quasi
da organi connettivi,
per applicare a ciascun
verbo ordinatamente i rispettivi
« complementi ». Quanto
più cresce il
numero delle « valenze
» tanto più cresce
naturalmente il bisogno
di speciali segni
o particelle destinate ad
evitare le ambiguità
nell’assegnazione di diversi
complementi a uno stesso
verbo. Servono a tale
scopo, nel linguaggio
ordinario, le preposizioni
(o le flessioni)
corrispondenti ai diversi
« casi » dei nomi.
Finché il verbo,
pur essendo a più
« valenze », è tale
che, come avviene
per esempio in
quelli sopra citati,
i diversi nomi richiesti
per completarne il SIGNIFICATO
(O SENSO) appartengono a categorie cosi
distinte da rendere
impossibile qualsiasi equivoco
o confusione tra loro —
quando, per esempio,
come nel caso
del verbo « dare
», l’un complemento
deve indicare una
persona, e l’altro un
oggetto, può parere
sempre superfluo l’impiego
di qualsiasi preposizione.
Si tende infatti
ad abolire queste
in tutti quei
casi in cui
si haparticolare interesse
a fare ECONOMIA [principle of
economy of rational effort – GRICE] di
parole, come per
esempio nei telegrammi,
negl’indirizzi, negli avvisi economici delle
quarte pagine dei
giornali. Se si
telegrafa, per esempio
« spedite plico segretario
» nessun dubbio può
nascere che il
plico è la cosa
spedita e il segretario
la persona « a cui
» la spedizione è fatta,
e non viceversa]. – cf. PECCAVI – Grice. Ma
quando, invece, i diversi
complementi di un
verbo appartengono tutti
a una medesima classe
— quando sono, per
esempio, tutti nomi
di persone, come
per esempio nelle
frasi : « dico male
di Tizio a Caio
», « dico male a
Caio di
Tizio » —, l’omettere le
preposizioni equivarrebbe a togliere
ogni mezzo a chi
ascolta di distinguere
le diverse relazioni
in cui i diversi
nomi stanno col
verbo, e a esporsi quindi
a esser capiti a rovescio. Se, tenendo
presenti le considerazioni svolte
sopra, ci proponiamo
di determinare quali siano
gli speciali caratteri
grammaticali e SINTATTICI per i quali
il linguaggio algebrico
si distingue da
quello ORDINARIO, un
primo fatto notevole che
ci si presenta
è l’assenza, nel linguaggio
algebrico, di qualsiasi
specie di verbi
(cioè l’eguaglianza e e oro
aree), resta, per
ciò solo, precluso
il suo simultaneo
impiego per esprimere
qualsiasi altra relazione
tra figure, come
per esempio, quella
d’ “egua- g lanza” propriamente detta
(o sovrapponibilità), quella
di similitudine, etc.
1 inconvenienti ai quali,
in casi di
questo genere, potrebbe
dare occasione 1 impiego di
uno stesso segno,
per indicare relazioni
affatto diverse puo essere
evitati in algebra
ricorrendo (come, infatti,
qualche volta si fa) all
introduzione di nuovi
segni che, accanto
a quelli di eguaglianza
e di diseguaghanza, assumessero
l’ufficio che, nel LINGUAGGIO
ORDINARIO, spetta alle
di- verse specie di
verbi transitivi (, «il tale
edificio è eguale all’altro
in altezza ^ \ i tali
due cliL si
equivalgono per salubrità
», etc. ner T
Preposizìone è, per
così dire, accidentale; in greco,
cusatir^Tn questione, posto
All’accusativo, in LATINO si
adopera l’ABLATIVO. Ma
vi è anche un
altra forma che
possono assumere le
proposizioni del tipo
suddetto, ed e quella
che si presenta
nelle frasi: « la
statura della tal
persona eguale a quella della
tale altra », «
l’altezza del tale
edificio ^ e.u^le a 0
Sull opportunità di
ricorrere a questo espediente,
nel caso delle
relazioni tra gl’enti
geometrici considerati nel
calcolo vettoriale, si è
molto discusso recentemente
(al Congresso»,. tenuto
a Roma a proposito della
relazione presentata su
tale soggetto da FORTI (si veda), dell 'Accademia Militare
di Torino, e LONGO, di Messina. i ormo;
e aiarcoqtiella del tale
altro, la salubrità del
tale clima à eguale
a q^lella del tale
altro, etc. Queste espressioni, nelle quali figurano al posto del soggetto e del predicato, i
nomi, non più degl’oggetti [GRICE, obble] di cui si
parla, ma delle qualità [GRICE, SHAGGY] d’essi, e dei caratteri rispetto ai
quali essi sono posti a confronto,
corrispondono precisamente all’espressioni che compaiono nel linguaggio
algebrico o ARIMMETICO o matematico o FORMALE quando, per esprimere, per
esempio, che due angoli, a e b, hanno
uno stesso seno, si scrive, “sen a = sen
b, o quando, per indicare o significare che i triangoli
ABC e DEF hanno una stessa area,
si scrive: “area ABC = area DEF.” I due
esempi citati, quello del
seno e quello dell’area, possono servire a mettere in luce una differenza che
è importante segnalare. Mentre dell’affermazione che un angolo ha un dato seno si può definire
perfettamente il SIGNIFICATO (o SENSO) anche senza considerare alcun altro
angolo oltre quello di cui si parla, per
il caso, invece, dell’AREA, il SIGNIFICATO
(O SENSO) della frase o proposizione, ‘La tal
figura ha una
data area,’ non può
venire determinato se non ricorrendo,
o riferendosi, direttamente o
indirettamente, a quell’operazioni di
confronto tra l’AREA
di una figura
e l’area di un’altra
-- la quale altra
può anche essere,
per esempio, quella
che si è scelta
per unità di
misura delle aree
-- che sono richieste
per riconoscere se
due date figure
hanno, o non hanno,
una stessa area.
In altre parole, mentre nel caso del SENO d’un angolo si può prima
dichiarare o definire che cosa esso
sia, e poi passare
a riconoscere se il seno di un
dato angolo sia
eguale, o maggiore, o minore
del seno di
un altro, nel
caso dell’AREA, invece, tali
due procedimenti sono
inseparabili, e non possono
neppure essere concepiti
indipendentemente l’uno dall’altro.
II modo ordinariamente impiegato
per distinguere i casi
dell’una specie dai
casi dell’altra consiste
nel dire che, mentre,
nei casi analoghi
a quello del SENO,
si definisce *ESPLICITAMENTE* un nuovo SEGNO
di FUNZIONE. Nei casi
invece analoghi a quello dell’AREA,
il SIGNIFICATO (O SENSO) del nuovo
nome introdotto è determinato
soltanto, non esplicitamente, ma IMPLICITAMENTE, o, come
anche si dice,
per mezzo d’una definizione per astrazione.
Il più antico
esempio che di definizione
per astrazione ci
presenta la storia
del linguaggio matematico è la definizione
della parola RAPPORTO (logos), che si
trova posta a base
della trattazione sulla PROPORZIONE
a:b::c:d nell’Elementi d’Euclide. Questa definizione,
che la tradizione
fa risalire ad Eudosso, consiste infatti soltanto nel
determinare esattamente sotto una forma applicabile anche al caso delle
quantità incommensurabili il SIGNIFICATO (O SENSO) della
frase o proposizione, ‘Le tali due grandezze hanno lo stesso RAPPORTO
(logos) delle tali altre
due.’ Oppure: il RAPPORTO (logos)
tra tali due quantità è eguale a (=) (o
maggiore (a>b), o minore (a<b) di)
quello tra le tali altre due quantità. Per mezzo d’un tale procedimento,
una relazione tra quattro grandezze
— la relazione
cioè che si
esprime dicendo che
esse formano la PROPORZIONE
a:b::c:d — viene a poter
essere espressa sotto forma d’una
eguaglianza fra due
termini, in ciascuno dei
quali figura uno STESSO nome,
o SEGNO, di FUNZIONE (tra
due VARIABILI). Mentre della
parola ‘RAPPORTO’ (logos)
non è data, e non
occorre c e s, altra definizione oltre quella che consiste nell’attribuire un determinato alle frasi
in cui si
parla di eguaglianza
o di diseguaglianza tra
rappor quantità. Sui numerosi
esempi che del
suddetto genere di
definizioni ci presentano
! diversi rami della matematica
e le varie scienze
nelle quali essi
trovano apph- C3^ion0 non c
oni il
Cciso di fcrnicirsi.
« . • i Si presenta opportuno invece il domandarsi quali siano le
condizioni da cui dipende l'applicabilità del procedimento descritto sopra; il
domandarsi, cioè, in quali circostanze
una definizione per astrazione è
possibile, e in qua
casi è lecito,
o conveniente, introdurre un nuovo SEGNO DI FUNZIONE per mezzo
di 6SS6 j. Ciò equivale a domandarsi quali sono
le proprietà di cui
deve essere dotata una
relazione (o una corrispondenza) tra oggetti
di una data
classe perche il suo sussistere,
tra due oggetti « e à di
tale classe, può
venire espresso per
mezzo di eguaglianze
del tipo:/«=:/^. ove
del SEGNO – o dispositivo formale
-- / non
e finizione oltre
quella che risulta
dal SIGNIFICATO (O SENSO) che si
attribuisce alla forra condizione indispensabile pell’applicazione di untale procedimento
è, anzitutto, questa:
che la relazione di
cui si tratta
ha in comune
colla relazione di « eguaglianza
> la proprietà che,
per il caso di quest’ultima,
viene espressa d’un ASSIOMA. Se a
è uguale a e -5 è uguale
a r, anche a e ugna
e a c. Se infatti questa
condizione non si verifica — se, cioè, la relazione
in questione è tale
che, dal suo
sussistere tra due
oggetti a e -5, e tra
due altri, ^ e et non
derivas senz’altro il suo
sussistere tra a e r -,
il servirsi d’una
espressione del tipo ;
fa—fb, per indicare il fatto che essa
si verifica tra
due oggetti a e b,
porta alla conseguenza
assurda -- o, ad
ogni modo, incompatibile con una
proprietà, fondamentale, del
segno di eguaglianza, usato da Peano e Grice (x=y) che,
^lle eguaglianze : fa±ifb, e fb—fc.
non si può
dedurre l’altra. Per una ragione analoga, la relazione di cui si parla
dove anche godere di un’*altra* proprietà.
Essa dove cioè
essere tale, che,
dal suo sussistere
tra due oggetti
« e à, si può
sempre concludere che
essa sussiste pure,
all’inverso, tra b ed a.
Altrimenti si dove
ammettere che, dalla
formula fa =/à,
non si può passare all’altra fb—fa, contrariamente a un’altra delle proprietà
caratteristiche dell’eguaglianza. Soddisfano a questa
condizione, per esempio,
le relazioni di
perpendicolarità e di
parallelismo, mentre non
vi soddisfa, per
esempio, la relazione
di divisibilità. Dall’essere un
numero n1 divisibile per
un altro n2 non
deriva certamente che il
secondo n2 sia divisibile
per il primo n1. Il
nome di definizioni
per astrazione è stato introdotto da
PEANO – e usata da Grice nel suo metodo di psicologia razionale alla
Ramsey. Il riconoscimento
dell’importanza del procedimento
che conduce ad
esse, risale a Grassmann, AUSDEHNUNGslehre. Un notevole contributo alla loro analisi è
apportato da PADOA (si veda), Atti del
sfi Congresso della SOCIETÀ ITALIANA DI FILOSOFIA, Parma. Le
relazioni che, pur soddisfacendo alla prima delle due condizioni sopraccennate
– cioè, a quella che chiamo ‘TRANSITIVITÀ sillogistica’, non soddisfacciano alla
seconda, possono, per ciò solo, venir
rappresentate d’uno qualunque dei
due segni di DIS-UGUAGLIANZA (a>b e a<b), poiché
tanto per l’uno
come per l’altro
d’essi si verifica
appunto la prima,
e non la seconda
delle due condizioni
suddette. Le due
condizioni enunciate sopra,
oltre che necessarie,
sono anche sufficienti perchè è
lecito il ricorso a una definizione per astrazione, e all’introduzione, per tal
via, di un
nuovo nome o di
un nuovo SEGNO DI FUNZIONE. La sola
obiezione che qui può
presentarsi è quella che
consiste nel dire che,
venendo il SEGNO DI FUNZIONE così introdotto
a essere definito solamente
in quanto figura
in espressioni d’una data
forma -- cioè, in
espressioni del tipo
fa—fb --, esso rimane
privo di ogni
significato in tutti
i casi in cui
si voglia adoperarlo isolatamente,
o combinato diversamente con
altri segni della
stessa o diversa di
specie. A questa obiezione si
può rispondere osservando
che, allo stesso
modo come si è
attribuito un SIGNIFICATO (O SENSO) all’espressioni del
tipo fa —fb,
così nulla vieta
di determinare ulteriormente
anche il SIGNIFICATO (O SENSO) d’altr’espressioni nelle
quali, d’un lato,
o d’ambedue i lati, di
un SEGNO D’UGAGLIANZA (Grice: x =
y), figurano, non
già dei termini
isolati, come fa o
fb, maf dei determinati
aggruppamenti d’essi (come
per esempio f a ^ /^),
composti interponendo determinati
segni di operazione. Perchè ciò può
farsi occorre, naturalmente, che la
relazione di cui
si tratta soddisfisce a un certo
numero d’altre condizioni,
in aggiunta a quelle
che, come si è
visto, sono richieste
perchè il fatto
che essa sussiste
tra due oggetti
a e b può venire espresso d’una
formula del tì^o :
f a f b. Quali sono queste condizioni
risulta in ogni caso
dall’esame delle proprietà che
caratterizzano le diverse
operazioni i cui segni
figurano nelle formule
da definire. Il caso
che si presenta
più frequentemente è quello
di relazioni tali che, mediante esse, si può attribuire un SIGNIFICATO
(O SENSO), oltre che
alle formule del
tipo • yo! —
fb, anche a quelle
del tipo : fa
fh + f c, e per
conseguenza anche a
quelle del tipo;
fa—fb — fc, nonché
a quelle del tipo;
fa — kfb, ove “k”
rappresenta un numero – cf. il sufisso di H. P. Grice,
“VACUOUS NAMES”. Si ha
un esempio di
una relazione appartenente
a questa categoria, nel
linguaggio tecnico della FISICA, in
quella relazione che si esprime
dicendo, di due
dati corpi, che
essi hanno una
stessa massa (‘m’),
o due masse che
stanno fra loro
in un dato
rapporto – cf. Ramsey, Bridgman, The language of physics. Un altro
esempio ci è fornito
da tutto un
altro ordine di
rapporti, da quelli,
cioè, riferentisi al
valore di scambio
delle merci. Mentre
infatti gl’econo- [Posso
rimandare il lettore,
che desidera maggiori
schiarimenti, a un saggio
che recentemente pubblicato su
questo soggetto, nel
Nuovo Cimento, ‘Sul miglior modo
di DEFINIRE la MASSA nella meccanica
– in “Opere” Sul miglior modo
di definire la
Massa in una
tratta- zione elementare della
meccanica. (Nuovo Cùnento,
voi XIV, luglio-agosto-settembre, 1907)-
La via comunemente
seguita, nei testi
di Fisica in
uso presso le
nostre scuole secondarie,
per arrivare al
concetto di « massa
» è, com’è noto,
la se- guente :
Enunciata la legge
d’ inerzia, e definite le
forze come le
cause che tendono
a modificare lo stato
di moto o di
quiete di un
corpo, si accenna
anzitutto al modo
di confrontarne e misurarne
l’ intensità per mezzo
dei loro effetti
statici. vSi passa
poi ad enunciare,
come . ^®®®lerazione
volte più Come
un fatto sperimentalmente constatahiio
.i- chio, il
Mach indica poi
anche questombelf ‘'‘PP-®-
c se, a un corpo
di massa ;«
rispetto (*) (*) £>te
Mechanik in ihrer
Enlwìcke lituo- hi et ■,, 5«
ediz., pag. 268.
risc/i.krtlisch dargeslelU. Leipzig,
Brockliaus, SUL MIGLIOR
MODO DI DEFINIRE
LA MASSA 8oi
a un dato corpo,
se ne aggiunge
un altro di
massa /«', essi,
presi insieme, si
comportano come un
corpo di massa
m + nC . Per ben
chiarire la distinzione
tra peso e massa,
il Mach consiglia
poi di ricorrere
direttamente alla considerazione delle
diverse resistenze che
oppon- gono, al cambiamento
del loro stato
di moto o di
quiete, apparecchi nei
quali, come, ad
esempio, un volante,
o una carrucola da
cui pendano eguali
pesi dalle due
parti, i vari pesi
che si muovono
siano disposti in
modo da controbilan-
ciare i propri effetti. Le
differenze sostanziali tra
la via seguita
dal Mach (Leitfaden
der Phy- sik,
pag. 28) per
stabilire il concetto
di massa, e quella
che, con qualche
dif- ferenza di dettaglio,
è seguita in pressoché
tutte le ordinarie
trattazioni della meccanica
per le scuole
secondarie (*), possono
quindi ridursi alle
due seguenti ;
1“ Invece di
definire la « massa
di tm corpo
», il Mach
definisce il « rap-
porto della massa di due corpi
» ; si limita cioè a
precisare il senso
delle frasi : «
Il tal
corpo ha massa
doppia, tripla, etc.,
di un altro
». 2° Tale
definizione è da lui
effettuata ricorrendo ad
un’esperienza nella quale
i due corpi in
questione sono fatti
agire l’uno sull’altro
; nella quale cioè
le forze uguali,
che sono constatate
imprimere ad essi
accelerazioni diverse, sono
rappresentate dalla tensione
di un filo
che li congiuiige
l’uno all’altro. E da
notare che questi
due caratteri della
trattazione del Mach
sono affatto indipendenti
l’uno dall’altro, nel
senso che si
potrebbero immaginare altre
trat- tazioni le quali
avessero con essa
comune il primo
carattere e non il
secondo. Ciò è tanto
più interessante a rilevare
in quanto, tra
gli inconvenienti che
presenta il metodo
ora ordinariamente impiegato,
parecchi, e non dei
meno gravi dal
punto di vista
didattico, dipendono unicamente
dal fatto che
in que- sto, a differenza di
quanto si fa
dal Mach, si
ricorre, per la
prima determinazione del
concetto di massa,
al confronto delle
diverse velocità, o accelerazioni, che
un dato corpo
assume col variare
delle forze di
cui subisce l’azione,
invece di ricorrere
al confronto tra
le diverse velocità,
o accelerazioni, che diversi
corpi sono capaci
di assumere sotto
l’azione di una
data forza. Ora è
fuori di
dubbio, come è stato
osservato nel corso
della discussione dal
prof. F. Bonetti,
che sono i fatti
e le esperienze di
questa seconda specie,
e non quelle della
prima, che sono
particolarmente atte a dare
un contenuto concreto
al concetto che
si vuol fare
acquistare daH’alunno. Che
una spinta, data a
una barca scarica,
la faccia muovere
con più velo-
cita, o la fermi con
più facilità, che
non la stessa
spinta data alla
stessa barca quando
sia carica ; che,
in generale, — per
citare letteralmente la
proposizione come si
trova già enunciata
nel Libro VII,
c. 5 della Fisica
di Aristotele —
una data forza
sia capace di
fare acquistare, alla
metà di un
corpo, una velo-
cita doppia di quella
che, a parità di condizioni, farebbe
acquistare al corpo
(M Non mancano
però eccezioni. Il
procedimento seguito, ad
esempio, nel testo
del Pitoni, almeno
nelle ultime sue
edizioni, s’avvicina molto
a quello che più
innanzi propongo. 51
S02 GIOVANNI VAILATI
intero (') ; — queste
e le altre analoghe
esperienze costituiscono la
prima sorgente, o il
primo nucleo, attorno
al quale il
concetto più preciso
e rigoroso di massa
può gradatamente formarsi
e organizzarsi nella mente
dell’alunno, come si è
gra- datamente formato e organizzato
nella storia della
scienza. Per convincersi
della scarsa connessione
che sussiste, invece,
tra le espe-
rienze relative al diverso
modo di comportarsi
di uno stesso
corpo, sotto l’azione
di forze differenti,
e il concetto di,
basta semplicemente pensare
che questo ultimo
conserverebbe tutta la sua importanza
teorica e pratica anche
in un universo
per il quale
la legge di
proporzionalità tra le
forze, staticamente misurate,
e le accelerazioni da
esse rispettivamente impresse
a un dato corpo,
cessasse affatto di
aver vigore, purché,
in tale universo,
i rapporti tra le
acce- lerazioni, che le
varie forze, agendo
per un dato
tempo, impritnono rispettiva-
mente ai vari corpi,
restassero fìssi (indipendenti
cioè, per esempio,
dalla dire- zione e intensità delle
forze, dalle posizioni
presentemente e
antecedentemente occupate dai
corpi, dal tempo
per il quale
questi sono stati
tenuti in riposo,
dalle velocità loro,
dalle forze che
su essi contemporaneamente agiscono,
etc.). Come giustamente
è stato osservato (Clifford,
The Commo7i Sense
of thè cxact
Sciences, London, 1907,
pag. 270), ciò
che dà importanza
alla nostra cono-
scenza della 7nassa dei
corpi è semplicemente questo
: che, da essa,
noi siamo messi
in grado di
applicare la nostra
eventuale conoscenza degli
effetti che date
circostanze (tensioni, urti,
pressioni, etc.) producono
sul modo di
muoversi anche di
un solo corpo,
per determinare gli
effetti che le
stesse circostanze produr-
rebbero sul movimento di
q7ialu7ique altro corpo
(®). Ma se,
per il primo
dei sopraindicati due
caratteri, la forma
di esposizione proposta
dal Mach si
presenta, a mio parere,
come preferibile a quella
seguita nella trattazione
ordinaria della massa
nei testi per
le scuole secondarie,
ben diverso mi
sembra il caso
per l’altro carattere
che resta da
considerare, quello cioè
che concerne la
scelta degli apparecchi
e delle esperienze su
cui basare la
prÌ77ia co7istatazio7ie del
diverso modo di
accelerarsi di corpi
diversi sotto l’azione
di forze uguali.
Il ricorrere, per
questo scopo, ad
esperienze in cui
le forze uguali
conside- rate sono rappresentate
dalle azioni che
due corpi esercitano
l’uno sull’altro —
sia che queste
vengano provocate per
mezzo dell’apparato a forza
centrifuga descritto sopra
(^), sia con
altre disposizioni (per
esempio, come propone
il Love, (* *)
Si ritrova questa
stessa proposizione, e sotto
questa stessa forma,
anche nei manoscritti
di Leonardo da
Vinci (Cfr. l’edizione
del Ravaisson-Mollien. Paris,
1889, fol. 26
recto). (*) Cioè,
per servirmi di
una locuzione, opportunamente introdotta
dall’ Enriques (Pro-
blemi della Scienza, Bologna,
1906, pag. 406),
1’ importanza del
concetto di massa
non sta solo
nel suo designare
una data specie
di « sosliluibililà », o «
equivalenza », dei
corpi, ma nel
fatto di indicare
come differisca il
comportarsi (rispetto alle
forze che su
essi agiscano) di
due corpi meccanicamente noti
sostituibili. (*) Come
il Mach gentilmente
m’ informa, egli stesso
non è perfettamente soddisfatto
di questa parte
del suo procedimento.
A ricorrere alle esperienze
con quell’apparato a forza
cen- SUL MIGLIOR
MODO DI DEFINIRE
LA MASSA 803
facendo urtare tra
loro due corpi
elastici appesi a due
fili, e confrontando le
altezze da cui
si sono lasciati
cadere con quelle
a cui risalgono dopo
l’urto) — sembra
a me presentare dal
lato didattico dei
gravi inconvenienti. Le
esperienze, alle quali
in tal modo
si viene a fare
appello, esigono, per
essere interpretate e riconosciute adeguate
allo scopo a cui
sono rivolte,' una
quantità di ipotesi
e di cognizioni preesistenti,
la cui considerazione, anche
se non offre
speciali difficoltà, tende
però a distrarre l’attenzione
dell’alunno, e a rendergli
più difficile il
chiaro apprendimento del
principio che si
tratta di il-
lustrare e di provare. Il
condensare e il far
quasi coincidere, come
vorrebbe il Mach,
in un solo
enunciato, da provare
e verificare con una
stessa serie di
esperienze, due prin-
cipii così diversi,
a primo aspetto, come,
da una parte,
quello dell’uguaglianza dell’azione
alla reazione, e,
dall’altra parte, quello
della costanza del
rapporto tra le
accelerazioni prodotte da
una stessa forza
su corpi di
diversa massa, se
corrisponde a un’ ideale
altamente apprezzabile di
trattazione teorica, non
mi sembra affatto
raccomandabile come espediente
didattico. Ciò di cui ha
soprattutto bisogno l’alunno,
nella prima fase
di studio della
meccanica, è di avere
a propria portata dei
tipi di esperienze
che, anche senza
prestarsi a verifiche quantitative
rigorose, gli offrono
delle illustrazioni imme-
diate e dirette delle singole
proposizioni su cui la trattazione
si basa. E,
per quanto riguarda
la massa, sembra
a me che le
esperienze che me-
glio soddisfano a questa condizione
siano : in
primo luogo, quelle
in cui si
confrontano le velocità
che assumono dei
corpi mobili (per
es. carrelli su
guide, galleggianti, etc.)
in un piano
orizzontale (naturalmente in
condizioni da eliminare
più che sia
possibile l’attrito) sotto
l’azione di date
spinte o trazioni, rappresentate
da dati urti,
o pesi ; in
secondo luogo, quelle
in cui le
velocità che si
confrontano sono quelle
che assumono, su
due piani diversamente
inclinati, due gravi
i cui pesi siano
prima stati constatati esser
tali da produrre
una stessa tensione
su due fili
pa- ralleli ai rispettivi
piani, da cui
essi prima pendevano
; in terzo
luogo, le esperienze
colla macchina di
Atwood (*), o con
altri analoghi apparati
in cui, per
esempio, i due gravi,
pendenti dalle due
parti della carrucola,
possano esser fatti
muovere lungo piani
diversamente inclinati, etc.
Della difficoltà, o impossibilità, di
rimuovere l’influenza perturbatrice
degli attriti, non
si dovrebbe qui
preoccuparsi più di
quanto si faccia,
per esempio, nelle
prime esperienze relative
alle condizioni di
equilibrio delle macchine
sem- plici. essere
stato indotto dalle
obbiezioni che, al suo modo
di far dipendere
il con- cetto
CI mas.sa da
quello di azione
reciproca tra due
corpi, erano state
mosse da alcuni
suoi eg I tra
gli altri Boltzmann
— i quali asserivano che il definire
la massa in
tal modo implicava
la considerazione di
azioni a distanza. dell’
^ inconvenienti didattici, notati
nel corso della
discussione dal prof.
M. Ascoli, zamend*^'^^”
Prematuro della macchina
d’Atwood sono interessanti
le osservazioni e gli
apprez- «w/ "i" rapporto
sull’ insegnamento della
meccanica elementare, negli
Atti del Jirtixsh
Association Meeting (Johannesburg, 1905).
8o4 GIOVANNI VAILATI
Solo in seguito,
quando l’alunno abbia
bene afferrato il
significato dei prin- cipii
fondamentali, potrà esser
conveniente guidarlo, per
successive approssima- zioni, a tener conto
dei vari ordini
di cause perturbatrici, e ad
apprezzarne anche quantitativamente l’influenza.
Tenendo presente quest’ultima
osservazione si potrebbe
anche procedere ad
un altro ordine
di esperienze: quelle
cioè che si
riferiscono alla caduta
dei corpi in
liquidi di diversa
densità. Porre l’alunno
davanti a un apparecchio
in cui figurino,
pendenti dalle due
parti di una
carrucola, due corpi
di ugual forma,
i cui diversi pesi
siano scelti in
modo da equilibra/
1 quando l’uno e l’altro
dei detti corpi
vengano rispettivamente immersi
in^^itic dati liquidi
di diversa densità,
e invitarlo a pre- vedere quale
dei due corpi
scenderebbe con maggior
velocità se ciascuno
fosse lasciato libero
nel rispettivo liquido,
e a rendersi ragione del
fatto che il
più pesante scenderebbe,
in tal caso,
più lentamente del
più leggero, pare a
me costituisca un
ottimo mezzo per
indurlo a riflettere sul
significato e sulla por-
tata della distinzione tra
peso e massa. E da
notare che è appunto
per questa via, e
attraverso considerazioni di
questa specie (relative
cioè a campi di
forze in cui
gravi si muovono
sotto l’a- zione di
una parte soltanto
della forza rappresentata
dal loro peso),
che, nella storia
della meccanica moderna,
il concetto di massa si è
svolto ed elaborato
come distinto da
quello di peso.
É molto interessante a questo
proposito il seguente
brano che trascrivo
dalla prefazione del
Baliani alla sua
opera De motu
gravitivi (1638), nel
quale la suddetta
distinzione si trova
esplicitamente formulata, e applicata
al caso della
libera caduta dei
gravi, con parole
poco diverse da
quelle che furono,
più tardi, adoperate
dal Newton, spesso
erroneamente citato, a tale
riguardo, come il
primo cui si
debba un’espressa definizione
del concetto di
‘massa : « ....
E fui condotto a pensare
che, mentre il «
peso » (gravitas) si
com- « porta come
un « agente »,
la « materia » si
comporta invece come
un « /a- « zietite
», e che quindi
i gravi si muovono
secondo la proporzione
dei loro pesi «
alla loro « materia
», onde se
cadono senza impedimento
verticalmente, si « devono
muovere tutti colla
stessa velocità, poiché
quelli che hanno
più « peso » «
hanno anche più
materia o « quantità, di
materia » [plus materiae,
seti mate- « rialis
quantitatis). Quando invece
vi sia qualche
impedimento o resistenza, il «
moto si
regolerà secondo l’eccesso
della « virtù che
agisce » sulle resistenze
« e sugli impedimenti al
moto » (« secundum
excessum virtutis agentis
super resi- stentiam
passi, seti impedientia
motum » ; in altre
parole, secondo il
valore di quella
parte, o componente, del
loro peso che
può effettivamente agire,
e che è rappresentata dallo
sforzo che si
dovrebbe esercitare, in
direzione contraria al
moto, per trattenere
il grave dal
cadere).]. economisti utilitarii
– futilitarii citati da Grice -- possono,
e devono, determinare e definire
esattamente il SIGNIFICATO (O SENSO) di frasi
come le seguenti. IL VALORE della
tal merce è UGUALE al
valore della tale
altra. IL VALORE MONETARY
della tal merce
è UGUALE alla SOMMA dei
valori delle tali
due altre. Etc. Essi non
hanno alcun bisogno, e
neppure alcuna possibilità,
a meno di cadere in
tautologie, di definire isolatamente
la parola “VALORE.” E tale impossibilità non dà luogo,
nè qui, nè negli altri
casi analoghi, ad alcun inconveniente o ambiguità. Precisamente,
come nessun inconveniente
deriva nel LINGUAGGIO ORDINARIO
(GRICE, ORDINARY LANGUAGE PHILOSOPHY) dal fatto che noi NON siamo in grado di
dire che cosa significhino [SIGNIFICA] isolatamente le
parole “stregua,” “solluchero,” “josa,” “zonzo,” “acchito,” “chetichella,”
“vanvera,” etc., bastandoci del tutto
conoscere il SIGIFICATO (O SENSO) di tutte le frasi in cui tali parole
compaiono – cioè, delle FRASI: “giudicare a una data STREGUA,” “andare in SOLLUCHERO,”
“averne a JOSA,” “andare a ZONZO,” “di
primo ACCHITO,” etc. –
CHETICHELLA. VANVERA. STREGUA – GIUDICARE A UNA DATA STREGUA – SOLLUCHER
–ANDARE IN SOLLUCHERO – JOSA – AVERNE A JOSA – ZONZO – ANDARE A ZONZO – ACCHITO
– DI PRIMO ACCHITO – CHETICHELLA – VANVERA -- [to judge by a given standard, to
go delighted, to have joy, to go for a round, at first glance. -- Il frequente
impiegò che è fatto, nei vari rami
della matematica, di
locuzioni, o segni di funzione,
il cui SIGNIFICATO (O SENSO) è determinato solo
per mezzo di definizioni
per astrazione, viene
a confermare ciò che
già è stato asserito
indietro, quando si
assegna come uno
dei tratti caratteristici del
linguaggio algebrico, di
fronte al LINGUAGGIO ORDINARIO [informalists di Grice], il
maggior rilievo e la
maggiore importanza che
assumono in esso i
segni i quali, non
avendo, quando siano
considerati isolatamente,
alcun SIGNIFICATO (O SENSO) separatamente enunciabile,
sono capaci di
venire definiti solo
in modo IMPLICITO – cioè, solo coll’ indicare il SIGNIFICATO
(O SENSO) d’intere espressioni -- o
formule -- in cui il
segno da definire
compaia associato con
altri segni. Il riconoscere
come affatto legittimo
l’impiego di segni
o parole, che si
trovano in questo
caso, e come affatto
irragionevole l’esigenza,
per essi, d’una definizione ESPLICITA, non è
privo d'importanza, teorica
o pratica, anche fuori
del campo delle
scienze matematiche. Basta dare
uno sguardo alle
prime pagine degl’usuali
libri di testo,
o ai manuali elementari
di qualsiasi ramo
d’insegnamento — dalla grammatica
al diritto costituzionale, dalla
elettrotecnica alla musica
—, per convincersi
del grave danno
che deriva alla
chiarezza e alla intelligibilità (e
nello stesso tempo
anche alla precisione
e al rigore) della
esposizione dalla tendenza
dei trattatisti a riguardare come
unico mezzo, per
la determinazione del SIGNIFICATO
(O SENSO) dei termini tecnici,
il ricorso alle DEFINIZIONE
*propriamente dette*. Che
il procedimento ordinario
di definizione — quello
cioè secondo il
quale, prendendo in
considerazione la nozione
da definire, isolatamente
e indipendentemente dalle
frasi nelle quali
essa dove poi essere
adoperata per dire
qualche cosa, si mira a
decomporla nei suoi
elementi, facendola comparire,
in certo modo,
come il risultato della
intersezione d’altre nozioni
più generali — [il fratendimento di Mrs. Jack sul
reduzionismo di H. P. Grice, “to mean” “to intend”, asymmetricalista -- può essere,
in dati casi,
utile e anche necessario,
non è da porre
in dubbio. Ma,
anche senza tener conto del fatto che,
anche seguendo tale
procedimento, si dove pure
arrivare, presto o tardi,
a nozioni che non
possono essere in
tal modo ricondotte
ad altre più
generali – il punto essato di Grice quando preferisce dare una
definizione IMPLICITA di ‘willing’ --,
anche senza tener
conto, dico, di
questa circostanza, chi
espone gl’elementi di
qualunque scienza o rama della
filosofia non dove mai trascurare
di domandarsi, ogni
volta che si
tratti d’introdurre un
nuovo segno, e di
spiegarne il SIGNIFICATO (O SENSO), se,
tra i due modi,
visti sopra, di procedere alla
determinazione di questo
- tra quello, cioè,
che consiste nel darne una
definizione propriamente detta,
e l’altro invece che
consiste nel precisare
semplicemente il senso
di determinate frasi
nelle quali il
termine da definire
figura -, sia
più conveniente il
primo o il secondo. Se,
per esempio – cf. Grice on
psychological laws --, quei concetti (più
generali di quello
che si vuol
definire), ai quali
deve essere fatto
ap- pello quando si
proceda nel primo
modo, siano poi
veramente più chiari
e piu facilmente apprendibili,
dagli alunni o dai
lettori, di quanto
non sia il
concetto stesso che
si vuol definire,
e se, ad ogni
modo, quest’ ultimo
non possa essere
più facilmente da
essi acquistato mediante
la diretta osservazione
dei fatti e
delle relazioni che
esso dovrà poi
servire ad esprimere.
Le discussioni interminabili
sul tempo, sullo
spazio, sulla sostanza,
suU’in- finito, etc„
che occupano tanta
parte in ' certe
trattazioni filosofiche, forniscono
numerosi e caratteristici esempi
delle varie specie
di questioni fittizie alle quali
può dar luogo
la pretesa di
dare, o di ricevere,
definizioni propriamente dette,
in quei casi
in cui le
parole o nozioni delle
quali si tratta
di determinare il SIGNIFICATO (O SENSO) O ANALYSANS sono
di tal natura
da non poter
essere definite se non ricorrendo a procedimenti analoghi
a quelli rappresentati, in
algebra, dalle « defini-
zioni per astrazione ». [Si è
parlato fin qui
dei mezzi che
l’algebra ha a disposizione per
esprimere proposizioni isolate.
Ma quando si
discute, o si cerca,
o si dimostra, si
ha altresì bisogno
di poter collegare
le proposizioni le
une con le
altre. Si ha cioè
bisogno di mezzi
per esprimere i rapporti
di dipendenza o di
indipendenza che sussistono,
o che si vogliono
stabilire, tra esse.
A tale scopo servono,
nel LINGUAGGIO ORDINARIO, quelle
particelle che i grammatici distinguono col
nome di “congiunzioni”. E piu facile spiegare ‘p v q’ che il SENSO di
‘o’ – in fatto, suona straneo di questionare per il SIGNIFICATO O SENSO di “o”
o “a” (to) – Grice. L’ufficio di
queste, rispetto alle
pro-posizioni, si può
paragonare a quello che
adempiono le pre-posizioni – il ‘to’ di Grice --
rispetto ai nomi..
Allo stesso modo
come una pre-posizione, posta
tra due nomi,
dà luogo a
una locuzione atta a
esercitare l’ufficio di
un nuovo nome – “Jones e tra Williams e Smith” – CHE
SENSO? FISICO, MORALE? --, così anche
una congiunzione – il ‘o’ di
Grice --, posta tra due
asserzioni, da luogo
a una nuova asserzione,
la cui verità o falsità può
anche essere indipendente
dalla verità o falsità
di ciascuna di
esse. Per una
scienza a tipo deduttivo,
come e appunto 1 algebra,
le piu impor-
tanti congiunzioni sono naturalmente
quelle che servono
a indicare che, di
due date asserzioni,
l’una è conseguenza dell’altra.
Al posto delle
molteplici particelle, o perifrasi,
che sono adoperate
a tale scopo nel
linguaggio ordinario -- “dunque”,
“quindi,” “perciò,” “donde,” “di
qui,” “per cui,” “se,” (Grice,
if); “quando,” “in caso che...,”
“ne deriva,” “ne consegue,” “ne risulta,” etc. -- non si ha bisogno
in algebra che
di avere a disposizione un
solo segno. Altre
congiuzioni assolutamente indispensabili in
qualsiasi trattazione algebrica, che non è
una semplice raccolta
di formule, sono
le seguenti. Una per
indicare che una
proposizione enunciata non è
vera (un
segno cioè corrispondente al “non”
del linguaggio ordinario – cf. Grice, “Negation and
privation” – “We may do without ‘not’ but we would need to introduce one of the
strokes, making our conversational moves go against the maxims”). Altre
due, corrispondenti, rispettivamente, all’ “e”
e all’”o” del linguaggio
ordinario, per indicare
che due date
proposizioni sono simultaneamente vere,
o che di esse
una, e una sola
può essere vera.
L’avere introdotto quattro
speciali segni per
indicare i suddetti quattro
rapporti tra le
proposizioni, e l’aver riconosciute
le curiose analogie
che sussistono tra le
proprietà di tali
segni e quelle degli
altri segni già
adoperati in algebra,
e merito di Leibniz
e dei fondatori della
cosiddetta, scelti e costruiti deliberatamente in
vista degli scopi
ai quali devono
servire, e il cui
sviluppo non è soggetto
a leggi o uniformità del
genere di quelle
che lo studio
comparato permette di
riconoscere e di formulare
per i linguaggi “naturali,” non mi
pare ha gran peso.
Alla distinzione stessa
tra lingue “naturali” e lingue “artificiali” – formale – formalisti di Grice
-- mi sembra difficile
che dagli stessi
glottologi può venire
attribuito alcun senso
preciso e scientifico, quando
essi ammettono che
nella formazione e nello
sviluppo di qualsiasi linguaggio,
per quanto “naturale” (lay) e non colto (learned), una
parte non trascurabile
è pur sempre da
attribuire ai fattori
volontari e individuali che
ne determinarono i successivi
adattamenti alla sua
funzione di strumento
per esprimere e comunicare
determinati sentimenti o idee – Austin. Grice to Warnock: How clever
language is! For it had done for us distinctions we needed. And who needs ‘visa’? È strano del
resto che mentre
l’obiezione della ARTIFICIALITÀ
NON è considerata valida
per escludere dal
campo della glottologia
e della SEMASIOLOGIA lo
studio dei gerghi propri delle
classi più infime della società,
essa dove aver
vigore soltanto per il caso
di quelli che,
nella peggiore ipotesi,
ci contenteremmo di
veder classificati come
dei gerghi ideografici – le parole sonodi CROCE (si
veda), propri ai
cultori delle più
progredite tra le
scienze]. [Accenno infine
a una considerazione, d’indole
tutto aflfatto pratica
e attuale, che
mi ha fatto
parere tanto più
opportuno richiamare l’attenzione
dei filologi sui
caratteri, per così
dire, linguistici dell’algebra. Va
diventando sempre più un luogo
comune, nelle discussioni
sull’ordinamento degli studi nelle
nostre scuole secondarie,
il lamento sui
danni derivanti, allo
studio delle lingue
antiche o moderne, dall’impiego
di metodi troppo “grammaticali” o “filologici”, -- Grice insegna greco a Rossall per un
periodo -- dalla troppa parte,
cioè, che è fatta
ordinariamente, nei primi stadi
dell’insegnamento,
all’enumerazione delle regole grammaticali, in confronto
allo scarso tempo
e alla minor cura
dati invece agl’esercizi
di interpretazione e di
conversazione. A questo che si
ritiene comunemente essere
un difetto particolare
dell’insegnamento delle
lingue, fanno riscontro,
a mio parere, dei
difetti, non solo
analoghi, ma addirittura
identici in quella
parte dell’insegnamento scientifico
che ha per
scopo di fare
acquistare agl’alunni la
capacità di servirsi
delle notazioni dell’algebra. Promuovere un
chiaro riconoscimento di
questa specie di
solidarietà tra due
rami d’insegnamento che
la tradizionale distinzione
delle “materie” in letterarie
e scientifiche tende a far
riguardare come eterogenei
e privi di qualsiasi rapporto tra
loro equivale a render
possibile, tra i cultori
dei due ordini
di disciplina, uno
scambio d’idee che
non mancherebbe di
riuscir fecondo di
eguali vantaggi per
ambedue le parti]. Giovanni Vailati, Vailati. Keywords:
Peano. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Vailati.
Luigi Speranza --
Grice e Valdarnini – scuola di Castiglion Fiorentino – filosofia toscana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Castiglion
Fiorentino). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Castiglion Fiorentino,
Toscana. Profesore di filosofia, Bologna. V. di Castiglioni, professore
in Bologna di Alpini PERCORSO: Fatti, personaggi, documenti ed
oggetti testimoni di vita e di storia > questa pagina Alpini ringrazia
il geometra Rossano Gallorini che l’offre la possibilità, tramite due lettere
del suo archivio personale, di approfondire un ulteriore aspetto della famiglia
di V. per anni docente di filosofia teoretica a Bologna. V. proviene d’una
modesta famiglia di lavoratori della terra, ma, nonostante ciò riusce a
studiare prima presso gli Scolopi in Castiglion Fiorentino, poi a Pisa dove
consegue la laurea. Dopo aver insegnato in vari licei vince la cattedra
presso la prestigiosa Bologna ove insegna
Carducci e successivamente Pascoli. V. è un tenace assertore
dell'esistenza obiettiva d’una realtà assoluta e infinita, dell'anima e di Dio.
Il confronto con il positivismo lo condusse ad affermare la supremazia della
metafisica sulla scienza, anche se, secondo V., la metafisica dove essere
critica e positiva ravvivata dal progresso delle scienze sperimentali e dalle
altre discipline. V. ricordato a Castiglion Fiorentino, dall'associazione
Spazio aperto", con l'evento, Il percorso umano e culturale di V:
dall'amata Castiglioni alla dotta Bologna. Narrazione e mostra documentaria” V.
partecipa attivamente alla vita politica della sua città natale e ne è sindaco
nelle file del partito veramente monarchico e veramente democratico. Nel primo
dopoguerra fonda, sulla scia di PASCOLI (si veda) e CORRADINI (si veda), a
Castiglion Fiorentino l'Associazione Nazionale, ma quando questa, si fuse con
il Fascismo troviamo V. segretario del fascio locale. Dal matrimonio con
Vittoria Tocci erano nati ben sette figli. I due maschi, Corrado e Virgilio, muoroo
in modo prematuro. Le figlie: Valeria, Virginia, Clara, Ida e Giorgina ereditano
dal padre un cospicuo patrimonio composto da diversi poderi, due case in
Castiglion Fiorentino ed una villa a Cegliolo in comune di Cortona e titoli
bancari. Valeria, la più grande, vive a Modena ed sposa un Tavernari. Le altre
sorelle viveno a Castiglion Fiorentino. Ida che sposa un Ferrari è nominalmente
la responsabile delle sorelle V. delle quali una aveva forti problemi di
salute. Nel dopoguerra le condizioni economiche sono peggiorate e non
navigano in buone acque, ma, nonostante ciò le sorelle cercano di mantener fede
ai desideri del padre che ha espresso questo desiderio nel suo testamento di
rimanere unite. Probabilmente la sorella che vive a Modena è quella che se la
passa meglio e quindi speravano in un suo aiuto concreto. Valeria ospita
per circa un mese alcune sorelle, ma non poteva lesinava aiuti concreti. Di ciò
se ne duole Ida in una lettera che non abbiamo. Nella risposta che abbiamo a
questa missiva appaiono chiaramente le prime crepe ed i primi
dissapori. Anche il nipote Vittorio che, probabilmente ha un buon
stipendio in quanto dipendente di una Compagnia di Navigazione, nell'inviare
dei soldi, fa pesare il sacrificio che gli costa il farlo e esterna i sacrifici
che deve fare stando lontano da casa per mesi. Oggi vivono a Castiglion
Fiorentino solo parenti lontani che hanno partecipato attivamente al ricordo
che l'Associazione Culturale "Spazio Aperto" ha organizzato con il
titolo "V.: dall'amata Castiglioni alla dotta Bologna. Narrazione e mostra
documentaria". Nell’Istituto Superiore di Magistero ^kmmiwilp: in
jlox* FIRENZE COI TIPI DI M. CULLIMI E C. alla
Galileiana Oli esemplari di questo libro non muniti della firma
originale dell’Amore si riterranno falsili a 0 i n lore procederà contro
I ralsiflcnlnn. FILOSOFIA. SULLA TEORICA DELLA DIANA
CONOSCENZA E DELLA MORALE IN RELAZIONE COLLE DOTTRINE
DI E. KANT. Argomento o sua opportunità. Nozione del Vero e del Bene. Loro
fondamento reale. Principali facoltà conoscitive o morali del¬
l'uomo. Leggi razionali e legge morale. Loro fondamento c valore. Senso,
intelletto e ragione pura speculativa secondo, il Kant, ed ufficio
loro. Valore c limiti della ragione para speculativa. Tre ordini di
cognizioni umane. Differenza tra la Ma¬ tematica, la Fisica e la
Metafisica, secondo il Kant. Distinzione kantiana del fenomeno dal
nou¬ meno. In qual senso vero può ammettorsi tal distin¬ tone.
Teorica della relatività della conoscenza umana. Conno sul Neokantismo.
Cenno sul nuovo Criticismo o Realismo tedesco ed inglese. L’
inconoscibile di Spencer. In qual senso c dentro quali confini la
conoscenza umana si può e si deve ammettere come relativa, -r- Obbietto o
va¬ lore della ragiono pratica o morale, secondo il Kant. Vi li a
contraddizione fra la Critica della ragione pui a eia Critica della
ragione pratica? Giudizj opposti di varj filosofi. Due criterj, secondo noi,
per risolvere il quesito. Criterio soggettivo : Secondo 1 in¬
tendimento del Kant vi è contraddizione fra quello due Critiche? Breve
raffronto delle tro Critiche di lui. Criterio oggettivo: Le ideo morali
sono asso¬ lute ed oggettive anche pel Kant, oppure sono relative e
soggettive? La ragione umana può scindersi in duo facoltà, in ragione
speculativa e in ragione mo¬ rale, opposte fra loro? L’intoresse teorico
può egli separarsi dall'interesse pratico della ragione? Le dot¬
trine di Kant sulla conoscenza umana o sulla Morale, considerate
oggettivamente, non isfuggono alla con¬ traddizione. La relatività della
conoscenza umana e dolla scienza, nell'odierno significato, impli¬
ca logicamente una Morale affatto relativa. Nostra dottrina sulle
relazioni oggettive, necessario o natu¬ rali fra il conoscere o l'operare
umano, o però tra il Vero ed il Bene. Tre fatti notabili ed
importanti nell’ordine filo¬ sofico e scientifico e nell’ordine morale mi
paro do¬ vrebbero fermare oggidì l’attenzione dello studioso e del
pensatore. Questi fatti sono: La moderna teoria della relatività della
conoscenza umana-, il ritorno di parecchie menti, specie in Germania,
alla filosofia speculativa e pratica del Kant; una ten¬ denza quasi
generale presso gli odierni scienziati c filosofi a porre in discussione
la Morale ed a cercarne nuovi fondamenti, considerandola alcuni come
re¬ iva instabile ed evolutiva, altri come assoluta oggettiva,
universale ed iucrolkbil» • sistemi scientifici e filosofici. Di quei tre
fatti mi propongo d’esaminare con brevità nel presente lavoro i
primi due segnatamente, e di vedere così qual relazione logica c naturale
corra fra il sapere o il conoscere e l’operare umano, e se il Kant
cadesse o no in contraddizione co’suoi principj teoretici di¬ versi
da quelli morali. Determinato così il campo di queste indagini, non debbo
nè voglio qui esa¬ minare i varj sistemi morali antichi e moderni:
i quali ultimi, come accennai in altro mio lavoro (Studj critici di
Filosofia morale e sociale, Firenze), possono ridursi principalmente alla
Morale razionali¬ sta ed assoluta, alla Morale indipendente, alla
Mo¬ rale dei Positivisti e alla Morale evoluzionista; men¬ tre la
Morale spiritualista e la teologica son comuni sì all’evo antico e sì al
moderno. Il Vero ed il Bene sono concettiuniversali. Uni¬ versali,
perchè gli uomini tutti, anche i meno civili e colti, hanno un certo
sentimento ed una certa nozione della Verità e del Bene, come si
ravvisa- altresì nei loro discorsi e giudizj e nell'azioni loro.
Universale il concetto di Vero, perchè la mente nostra l’applica agli
esseri tutti che vengano in qual¬ che modo in attinenza con lei ; anzi
l’applica alle stesse operazioni dello spirito, e quindi
a’sentimenti, a’pensieri, alle cognizioni, a’giudizj, ai ragionamenti,
alla scienza, all’arte, agli stessi atti della libera vo¬ lontà. Dunque
così al gran mare dell’essere come a tutto l’ordine del conoscere e, sotto
un certo ri¬ spetto, all’ordine dell'operare si estende il concetto
di Vero. Universale il concetto di Bene, perchè la mente nostra riconosce
c giudica buone le cose tutte, che siano quello che debbono essere por
natura loro, che sieno amabili o per intrinseche perfezioni, o per
Tatile e pel diletto che ci procurano ; e perche a tutti gli atti umani,
in quanto procedono dalla ragione c dalla volontà libera, e sono conformi
alla legge inorale, si applica dalla mente il concetto di Buono.-Se
pertanto il Vero ed il Buono hanno il carattere dell’universalità, in che
troveranno il loro fondamento? Non possono averlo, quali concetti,
nello spiritò umano, anzi in veruna mente finita, perchè le menti
finite sono contingenti e individuali, non necessario ed universali, c
perchè non possono fave a meno di usare, fra gli altri, quei due concetti.
Non possono averlo in alcuna delle cose mondiali, perche l’individuale e
il particolare non può mai scambiarsi coll’universale. Il vero fondamento
del Uro e del Beno non può ravvisarsi che nella na¬ tura medesima
degli enti in universale -, e però il ero ct i,i Bene hanno il carattere
dcll’obbiettività. »2"T iemm » « i. nota ad altro
* r* ° l0tlavÌ!l 'l ue3t l esser quindi giudicarla ver, o fll |,,
duna . 0Ma > 0 intanto, la cosa in .a * 3 '’ uona 0 catt ' va 1
ma, v»a o no» vi“1"““'’ T"° C ',e a !"*» ’ bU0 ” a 0
”™ ^ona, indipcnden- dell’umana conoscenza e della modale 7 temente
dal giudizio è dal volere delle menti finite. V'ha pertanto il Vero
oggettivo universale, come il Bene oggettivo universale, fondati sulla
stessa natura degli enti. Anzi il concetto universale che noi ab¬
biamo del Vero e del Bene conserva questo carattere di universalità,
perchè fondato in una necessità non formale, nè soggettiva, si materiale
od ontologica ed oggettiva. D’altra parte', il Vero ed il Bene oggettivi
pos¬ sono stare disgiunti da ogni intelligenza e da ogni volontà?
No, perchè' il Vero suppone una mente che lo' conosca, e il Bone suppone
una volontà che l ami e che lo voglia conseguire. Le cose tutte,
vere od intelligibili, o buone od amabili, richiedono per¬ tanto
una relazione naturale coll’Intelligenza e colla Volontà. Inoltre, gli
esseri finiti corno avrebbero in sè stessi, e specie gli enti
irragionevoli, il carattere della verità e della bontà, senza una Monte
ed una Volontà infinita che li abbia appunto creati e veri e buoni?
E questa Mente e Volontà assoluta non potrebbesi concepire se non come
essenzialmente vera e buona in sè stessa. Il Vero ed il Bene, benché
fondati sulla natura degli esseri, hanno dunque attinenza natu¬
rale e necessaria coll’Intelletto e colla Volontà. Ora, nell’uomo
esistono diverse facoltà deputate a cono¬ scere il Vero, ad amare ed
operare il Bene. Ogni entità, come ha natura e leggi sue proprie, così
ha un fine speciale ; ogni funzione ed atto ha un termine proprio :
e io : e però termine, fine, oggetto immediato- della
Intelligenza è il Vero ; termine, fine, oggetto immediato della Volontà
il Bene. Qui non mi fermo- a dimostrare le intime relazioni da una parte
fra il Vero ed il Buono, dall’altra fra il concetto di fine
e il concetto di Bene, avendone discorso a lungo ne’ miei Elementi
scientifici di Etica c Diritto (Roma). Diconsi in¬ tellettuali,
conoscitive, razionali tutte quelle facoltà onde l’uomo intende, conosce
o scuopre il Vero; diconsi morali quelle facoltà ond’egli ama, vuole
c pratica il Bene. Quattro sono le facoltà principali dello spirito
umano : il Senso, l’Intelletto, la Ragione e la Volontà. Le prime tre
appartengono all’ordine della conoscenza, l’ultima all’ordine
della moralità. Il Senso ha immediata relazione con
gliobbiettisensibili e porge all’intelligenza la materia del
conoscimento. L Intelletto apprende le cose sensibili ed
intp.llio-i'hn; dell’umana conoscenza e della morale !) ha . leggi
suo proprio. Ciò. posto, quali sono le leggi dell’Intelligenza e della
Volontà umana, e qual fon¬ damento e valore hanno esse? Poiché
l'Intelligenza e la Volontà sono due facoltà diverse, come diverso
è l’obbictto loro, cioè il Vero ed il Bene, anco le rispettive leggi
dovranno essere differenti. Queste due facoltà umane non potrebbero
varcare dalla potenza all’atto e conseguire il fine loro, senza una
regola, una norma, una legge che le indirizzasse alla vespettiva mèta.
Ora, le leggi che governano la Intelligenza nel conoscimento e nel
possesso del Vero diconsi razionali, c ne tratta di proposito la Logica
; la legge che governa la Volontà nella pratica del Bene dicesi
morale, c ne parla espressamente l’Etica. In queste leggi dello spirito
umano c segnatamente nelle razionali, va distinto l’elemento formale
dal¬ l’elemento materiale . L’elemento formale risguarda più
direttamente l’intelligenza, forma del conosci¬ mento ; l’elemento
materiale risguarda più diretta- mente Soggetto, la materia del
conoscimento. Dico più direttamente, non esclusivamente, perchè
ogni conoscenza suppone due termini distinti ma inse¬ parabili,
cioè un soggetto intelligente ed un obbietto inteso in atto o capace di
essere inteso. E quindi non può darsi una Logica puramente formale,
come non può darsi una Logica puramente materiale. Imperocché le
nozioni, i concetti, i giudizj, iraziocinj sono atti ed operazioni della
mente ; la forma nel giudizio, nel raziocinio ed' in ogni ragionamento
è posta dalla mente nostra ; i giudizj, i raziocini son governati da
leggi proprie : ma intanto, lo no¬ stre idee, le nozioni, i concetti sono
vuoti d'ogni contenuto, non sono oggettivi, non hanno cioè alcuna
rispondenza colla natura degli obbietti? L’csperien- za e la ragiono
dimostrano che vi ha naturale ri¬ spondenza ed armonia fra i concetti
nostri, le idee c gli obbietti. Ove non esistesse questa relazione,
potrebbesi domandare: Come c donde la mente nos¬ tra formerebbe le idee,
i concetti, .le cognizioni tutte? Ogni giudizio, poi, ed ogni raziocinio
ha la rispettiva materia, oltre la forma; c la varietà dei nostri
giud'izj e raziocini dipende non tanto dalla mente unica clic li
forma, quanto dalladiversità della materia onde risu.l ; tano. Lo
leggi logicali ed i priucipj della ragione hai), no, pertanto, un
fondamento reale ed un valore ogget¬ tivo, perchè fondati sulla reale
attinenza fra la mente nostra e le cose intelligibili, è perchè mostrammo
già che .1 Vero e oggettivo ed universale. Può cHi darsi- JW
‘T' C,1,! SÌS ° Mri U " senza la' Z “ lT" eS “ dmi una
qua-, PC “v 60s,anza ? »«. poo formo : .>C d ir caosaiì,a • «• ~
-» D’altra parte Finteli cd apoditticamente, la C
ausr;“ tt0 PU C ° nCC P Ìrc »tto senza È logicamente imponibile .\ S °
3tan “’ e vicCT ersa? Je ggi razionali hanno un fi» i^® 1 P r,nci PJ «
le ore oggettivo, C però u„. nda “ 5ato rca le, un va-
Se questa ò la nnt .. * CCI tezza assoluta. !eggi razionai;
che diw taLT* 10 et U Valore de,lc della legge morale ?
Come le leggi razion ali non sono fondate esclusivamente sulla
forma della conoscenza o sulla mente nostra, ma principalmente
sull’essenza degli obbietti intel¬ ligibili, e però sul Vero oggettivo ;
così la legge mo¬ rale non ha il suo fondamento sulla volontà umana,
ma sulla natura stessa degli enti amabili e rispetta¬ bili, c però sul
Bene oggettivo. E come la natura delle cose intelligibili e il Vero
oggettivo servono all’uomo di criterio c di norma nelle sue
cognizioni e ne’suoi giudizj ; così la natura degli enti amabili e
rispettabili c il Bene oggettivo gli sono di criterio e di norma nelle
sue libere azioni. Può l’uomo di¬ sconoscere il Vero c non seguire le
leggi naturali del pensiero nell'ordine della conoscenza ; può
ribellarsi alla legge morale, non praticare il Bene e giudicare non
rettamente le sue azioni e quelle degli altri : ma restano sempre il Vero
ed il Bene oggettivi, ma non si distruggono per questo le leggi eterne ed
immutabili del pensiero e della volontà. E come gli errori di alcu¬
ni uomini, i sofismi e lo scetticismo di altri uonlianno alterate, non
che distrutte, le leggi del pensiero lima¬ no, nè abbattuta la Verità
oggettiva ; così le prave azioni di alcuni e le false dottrine morali di
altri non hanno cambiata la legge morale assoluta, non hanno
abbattuto il Bene oggettivo, nèsradicata dal mondo la moralità. Tuttavia
l’errore torna sempre funesto nella speculazione e nella pratica, e
conviene quindi ado¬ perarsi a tutt’uomo a fuggirlo ed a combatterlo.
Fermate tali verità, passo ad esaminare breve¬ mente le dottrine
speculative e morali del Kant in |SULLA
TEORICA relazione colle teorie moderne delle relativi* delle
conoscenza umane, 1» quel teorie mene log,cernente ad una Morale
soggettiva e relativa. \r Il Kant è generalmente
considerato non solo qual fondatore del Criticismo filosofico, sì anche
quale autore della moderna teoria della relatività della conoscenza
umana. E ciò nondimeno, tutti ricono¬ scono che non v’ha sistema
filosofico morale più ri¬ gido ed assoluto di quello dol Kant ! Come si
spie¬ ga questo fatto? Il Kant non ammise relativa, nel¬ l’odierno
significato, la conoscenza umana, oppure nella Morale si contraddisse
fondandola su principi assoluti ed oggettivi ? Ecco il quesito che
dobbia¬ mo esaminare, gettando un rapido sguardo sulla filosofia
kantiana. So negli scritti del filosofo di Ivo— nigsberga la chiarezza
della forma e la coerenza logica, in senso formale o materiale,
fossero pari alh novità dei concetti, alla profondità e all'
acutezz; dell ingegno critico c speculativo di cui dette provi
l’autore segnatamente nelle tre Critiche, io pensi che nessun filosofo
antico o moderno potrebbe ugua ! “ Kimt Ma “mnquo vogliasi
giudicaro on può negarsi che la filosofia c la scienza in gc
2“™ Smunte del nuov K il fT,'* 6 *«*»» s P ccu lczione
4 stata considerata unallndc rl*^ P '" &iandc Introduzione
alla Filosofia pura ed alla Scienza in generale, come dissi altrove
(Principio, intendimento c storia della classi¬ ficazione delle umane
conoscenze secondo Francesco Bacone. Parte terza, capo XI, 2 a edizione,
Firenze, 1880). Come gli antichi supponevano che il sole e gli
astri girassero intorno alla terra, così il Kant nella Critica della
Ragionpura volle far girare gli obbietti intorno allo spirito umano per
ricercare e determinare le leggi dell’umana conoscenza. Ma se in
Àstronorniail sistema Tolemaico fu abbattuto, perchè falso, da
quello di Copernico, potrebbe avere ugual sorte nella Filo¬ sofia
speculativa il sistema del Kant? Crediamo di no, benché questo sistema
non possa accettarsi, per gli errori, ond'ò viziato, qual canone certo,
incon¬ cusso e definitivo della mente, e quale sulstratum della
Filosofia e della Scienza. Che posso io conoscere e sapere ? Che
devo io fare? Che posso io sperare? Ecco le tre domande che il Kant
rivolse a sè stesso nella Critica della Ragion pura, e nelle quali sta il
germe di tutta, la Filosofia speculativa e pratica di lui. Alla prima
domanda non si poteva rispondere senza esaminare 1 origine e il
valore delle nostre cognizioni, c le attinenze loro con le facoltà del
nostro spirito e con gli obbietti. Nelle nostre cognizioni ravvisa il
Kant due elementi : uno formale, soggettivo, a priori, puro, necessario,
permanente; l'altro materiale, oggettivo, a posteriori, contingente,
mutabile. Il primo elemento è fornito dallo spirito, il secondo dagli
obbietti distinti da noi e fuori di noi. Il tempo o lo spazio, le
rapprosentazioni o intuizioni, i concetti puri o le categoria sono gli
elementi a priori, formali, necessarj, uni¬ versali, della nostra
conoscenza. Ma da chi e in qual modo si conoscono gli obbietti ? Tre sono
pel Kant le principali facoltà umane conoscitive: Senso, Intelletto
e Ragione. Dico principali, perchè egli, dopo aver distinto recisamente
il Senso dalla Intel¬ ligenza, suddivide quest’ultima in Intelletto,
Giudizio c Ragione. Il Senso porge all'Intelligenza l'elemento
materiale, molteplice c variabile delle cognizioni sperimentali.
L'Intelletto è la facoltà dei concetti puri, apriori, o categorie, che
non hanno per sè alcun . \alore nè reale nè oggettivo, nelle quali però
con¬ siste 1 elemento formale, necessario ed universale della
conoscenza. L Intelletto prende i suoi materiali dal Senso e li ordina
secondo alcuni de'suoi con¬ cetti puri che costituiscono la forma di
tutti i giu- d.zj Dcdici, com'è noto, sono i concetti puri, a
pluralità! ! ? atCS ° nc clementar i e sono: unità, L* 11 ’ re>lli
' . ne 8. MÌ0M > ‘imito; sostanza, Quest'’T'r a ’ possiljlllt à,
esistenza, necessità. «sto trm puri ° c * tcsoHc cic -
categoric comnles alle c l uattr o grandi *««® c di modaiS. r
nt ; tà> di quaiità; di rcia_ dall’esperienza m ° a e ^ or * e non derivano qual modo ?
sotto nonlT 0 ! re ? dono Possibile. In 1 fenomeni alle cate e chepcrò
tra- gettivo, non ci dà un v Spazi0 ’ non ha valore og- dl cui
parla non li pos J° Sapere ) lacchè gli obbietti fotal b le colonne d’K
rc ^ m °i U “ in essenziali ed uccido t v m Generatesi
distinguono L o Valiti. essenziali foriti’“““ ° “ c01 ' ;1 " 1
' io forme o leggi del * ° T® Ìn S ° lo cate S oric > applicare ai
fenomeni nSlCr ° ^ blS0 ° na solamente Occorre appena osservare
el,o 1 >c che la prova diretta dell’umana
conoscenza e della MODALE rJ della relatività della conoscenza sarebbe
valida sola¬ mente quando fosse dimostrato vero e fondato il Cri¬
ticismo, clic tutta la realtà vuol ridurre ad un mero fenomeno, ed i
nostri concetti e le leggi del pensiero a mere forme dello spirito, vuote
d’ogni valore ogget¬ tivo e reale. La prova indiretta, poi, risguarda il
me¬ todo seguito dal Kant e le conclusioni a cui egli giunse nella
Critica della ragion pura, allorché tolse in esame le tre massime idee
della ragione e tento di conoscere la essenza intima dell’/o, dell
Universo e di Dio, applicandovi le sue categorie ! I noumeni,
le cose in sò medesime, sono adun¬ que inconoscibili ; e quindi la
scienza degl intel¬ ligibili o Metafisica non ha un valore oggettivo,
anzi non è possibile. E tuttavia il Kant colle sue di¬ stinzioni
tra il fenomeno e il noumeno, fra la intui¬ zione sensibile c la
intuizione intellettuale, fi a le puve idee, le cose di fatto e le coso
di coscienza, fra il sapere teorico e il sapere pratico, e quindi
avendo ammesso come fatto certo e primitivo la legge morale, non
rannicchiava tutta la coscenza umana nel puro sensibile, nel fenomeno ; o
almeno, lasciava aperto qualche sentiero alla ragione pei pe¬ netrare
nel mondo intelligibile e delle cose in sè. Beu diversa, e sotto alcuni
aspetti assai più ristretta, è la teorica della relatività della
conoscenza nei princi¬ pali rappresentanti del nuovo Criticismo e
Realismo tedesco ed inglese. Dico sotto alcuni aspetti, perchè il
nuovo Criticismo e Realismo ha dato al fenomeno un valore diverso da
quello kantiano, ma per altri riguardi, e nulla tuona della conoscenza e
soprattutto nella Morale, ò rimastodi gran lunga inferiore al
Kant. IX. Gl’immediati successori del Kant,
movendo dalla pura intuizione intellettiva o trascendentale che
permetteva di cogliere il nuomeno e l’assoluto, cercarono di penetrare
l'essenza intima delle cose e di ricostruire così tutta la Metafisica,
oltre dare un valore oggettivo alla Morale ed ai tre postulati
kantiani. Ma il Comte in Francia e l’FTamilton in Ingkiltera si opposero
recisamente all’ Idealismo trascendentale e ad ogni Metafisica,
dichiarando vana la ricerca delle cause prime e finali, e pro¬
pugnando la relatività della conoscenza. Visto bensì che il mero
Positivismo non dava ragione di tutti gli elementi della conoscenza, nè
valeva a spiegare * datamente l'origine e la natura de' varj ordini
e di* S C r L C Vedut0 COme,e dottri ne di Ilerbart travano molta
Caduto ^egelianismo, incon- e scienziati 1 avore 5 in Smania alcuni
filosofi elative del GH ' alle dottrine S P 0 '
cerearono negli C ° me 1,HeImholtz ' della raoio* - k ntlam
anteriori alla Critica ' 80fi -CCall% fil .r fia n ^;edifilo-
ch lari re e consolidare W ra 9 ion P ura P er ela fi losofia
critica. VvÌ ttnna della conoscenza tengono conto dei nr e °l vantia ni
da una parte wi -^p;cr:^,rr“ sperimOT - uct0 sapere
umano deriva dal pensiero, non potendosi concepire il mondo senza il
pensiero. Principali rappresentanti del Neokantismo filo¬
sofico in Germania sono il LaDge, il Liebmann e lo Schultze (1). Secondo
il Lange, la coscienza e la sensazione sono il limite d’ogni cognizione;
il mondo non c che una nostra idea. Difatti, la realtà o la cosa ò
un gruppo di fenomeni che noi concepiamo uniti per astrazione di
ulteriori nessi e di muta¬ menti interni ; la forza è quella proprietà
della cosa clic abbiamo conosciuto per determinati effetti su altre
cose ; la materia ò ciò che, in una cosa, poniamo come base dello forze
conosciute e che indi non possiamo sciogliere in altre forze (2).
Dunque materia e forza, egli conclude coU’Helmholtz, sono
astrazioni nostre dal reale. Ma esiste questo reale, ed abbiamo noi conoscenza
della cosa insè? Il fenomeno ci mena per fermo al concetto d’un che
problematico c che dobbiamo ammettere come causa del fenome¬ no. Ma
intanto la cosa in se, il noumeno, è una mera creazione della nostra
mente, ed ignoriamo se abbia (1) Lange, Gcschichte des
Materialismus, 18 74 - Liebmann, Kantvnd die Ejpigonen, 1865. Zar Analysis der
Wirhlichlceit, ISSO. - Schultze, Kant und Darwin, 1S75. Philosophie der Natunoissenschafl, 1881-S2.
(2) Vedi G. Cesca, Storia e dottrina del Criticismo, 1884. - Vedi
pure duo pregevoli scritti di G. Barzel- lotti : La nuova Scuola del Kant
e la Filosofia scientifica contemporanca in Germania, 1880-, o Le
condizioni presentì della Filosofia c il problema della Morale, un
significato fuori della nostra esperienza ! - Alle medesime conclusioni e
venuto il Liebmann. I pi in* cipj a priori, leggi della ragione, son
necessarj (egli dice) per osservare, sperimentare c pensare. Bensì
tutto il nostro mondo è un fenomeno ; più, tutta la realtà è fenomenica
od empirica, dacché noi non possiamo uscire dalla sfera sensibile delle
no¬ stre rappresentazioni. Tempo, spazio, moto, causa¬ lità, per
noi sono concetti puramente soggettivi. E però il Liebmann ammette solo
una realtà empirica, non riconosce alcuna realtà assoluta e nega ogni
valore alla cosa in sé. — Anche lo Schultze concorda in sostanza col Kant
e arriva alle stesse conclusioni del Lange c del Liebmann. Salvochò lo
Schultze nsguarda il tempo e lo spazio non quali ' concetti ma
quali intuizioni a priori, ed ammetto la causa¬ lità quale unica
categoria. Ciò posto, tutte le nostre rappresentazioni, egli dice, hanno
un carattere sog- Sciti™, l lerellè " m Vha rappresentazione
senza coscienza, ne questa senza quella. E però noi,ttal * in 86 ’ raa,]
" alc carico e e.seil„zl:: h ;~ Ì0 “;- H °" a °
ouali fon,..., • r, 1 uca son P 01 la stessa cosa, Idi che?
della cosa h, ”oe possiamo noTreTcsiT™ 0 la . natara ’ ma di
cui rebbo la base dM ì 1S enza ' altrimenti mauebe-
Vicn d ^que ammem dallo Scrk 00 ' La ^ ** rispetto alla
nostro, Schultzo come ipotetica, alo,,. ... * D0Stra c °Sn.zione. E però
egli non dà alcUD valore oggettivo* ^otafisica ed ai
tre dell’umana conoscenza e della morale 33
massimi concetti di Dio, dell’Anima e della Materia, perchè non sono
obbietti della nostra intuizione, ma nostri meri concetti.
Dal fenomenalismo de'più recenti Kantiani in Germania diversifica
il nuovo Criticismo tedesco ed inglese, il quale pone e riconosce alcun
che di reale nelle nostre cognizioni. Diamo un cenno, a questo proposito,
delle teoriche di Helmholtz, Wundt, Goring e Riehl, di Spencer e Lewes
(1). L'Helmholtz ammette la causalità come una leg¬ ge a
priori ; ma all’intuizione dello spazio dà un'ori¬ gine sperimentale,
come pure agli assiomi di Geo¬ metria. Quanto alla sensazione e alla
percezione, vi distinguo l’elemento soggettivo dall’oggettivo. La
sensazione, nell’aspetto fisico, è un effetto della qualità esterna sopra
uno speciale apparato nervoso ; c riguardo alla nostra rappresentazione,
ella fe un segno di riconoscimento della qualità oggettiva. Le
nostre intuizioni o rappresentazioni, poi, sono l'effetto che gli
obbietti percepiti o rappresentati han cagio¬ nato sul nostro sistema
nervoso e sulla nostra co¬ scienza, e però sono segni o simboli delle
cose. - Il (1) IlroLiinOLTZ, Pkysiologischc Optile, 18G7.
Die Tkatsachen in dcr Walirnchmung, 1879. —- Wundt, Dogi!:, ISSO.
Grundxiigc dcr physiologische Psychologie, 1881. — GoRING, Sistcm
dcrkritUche Pkilosophic, 1874-75. — IIieul, Derphilosopische Krilictsmus,
1876-79. — Spencer, First Principici, 1862. Principici of Psychology,
1S55. — Lkwes, Problema of life and Mind, 1875. Gcschichtc der neucrcn Philosopkie (trad. tcd.).
Wandt non mena buono al Kant che spazio e tempo siano forme a priori
della sensibilità. Lo spazio,, per lui, oltre non essere a priori,
sarebbe un con¬ cetto e non già una intuizione. Vero ed unico prin¬
cipio a priori è il pensiero logico co’suoi caratteri di spontaneità
evidenza ed universalità. Il pensiero logico, postulato d’ogni nostra
esperienza, segue, operando, alcune leggi che derivano dalla sua
stessa natura, quali sono gli assiomi d’identità, di contrad¬
dizione, di ragion sufficiente. Da queste leggi del pensiero provengono
lo categorie di sostanza, db causa e di fine. Le categorie, per la stessa
origine loro, hanno un valore non assoluto ma relativo, per¬ chè si
applicano entro i limiti della nostra espe¬ rienza. Così, il concetto di
forza c la causalità sup¬ posta inerente alla materia; il concetto di
materia- ha un carattere ipotetico; il concetto di spirito
do¬ ma da una nostra illusione' TI n- • i a differenza dei ..
TT, 11 Ge gnoseologica.,5* ZZng*** V ual ° ci PJ pari a priori JclK
' “8"’™"°-1 P"«- essere scoperti dallo cenza non
potendo dogmaticamente quali n' M ’ bÌS ° Sna ammetterli
tenta di mostrl-e c ' 11 Rio H invece, Kant s’asconde il rca
i- 10 10, 11 fonora cnalismo del cognizione oggettiva C .'° ren“ ooe
- II tempo ò la, V, 1 tcm P° 0 lo spazio- coscienza- lo ^ a ^ re *
az ‘ on i colla nostra esterne colli m!/ 210 ° ' a coes ' ste nza delle
relazioni dotto delle nostre^ n ° Stra ’ Dicesi materia 51 F 0 '
o consisto esistenti che oppongono resi-
dell' umana conoscenza e della morale 37 stenza ed occupano lo
spazio. Dai concetti di ma¬ teria, di spazio e di tempo non può andar
separato il moto, il quale è una sintesi dall’esperienze di forza,
di tensione muscolare e cambia continuamente di po¬ sizione. Ora si
domanda: Questi concetti e fenomeni, realtà, tempo, spazio, materia,
moto, hanno essi un valore puramente soggettivo, od anche un valore
oggettivo? Sono essi realtà unicamente per noi, o sono realtà in se
medesimi? Questi fenomeni, non essendo un mero prodotto della nostra
coscienza, hanno anche per Spencer una realtà oggettiva. E tuttavia
egli tiene fermo più che mai sulla relati¬ vità della conoscenza.
Imperocché se Spencer am¬ mette una causa reale assoluta di tutti questi
reali relativi, cioè una realtà, un tempo, uno spazio, una materia,
un moto ed una forza assoluti, compresi tutti nella formula dell’Assoluto
inconoscibile; egli però conclude che le nostre cognizioni non
hanno alcuna attinenza con l’Assoluto inconoscibile, e che indi
questa Realtà assoluta è ignota ed inconosci¬ bile alla mente umana.
Segni o manifestazioni di questa medesima Realtà ignota ed
inconoscibile sono pure la Materia e lo Spirito. - Accennata così
la dottrina di SpcDcer, potremmo, fra molte altre obbiezioni, rivolgergli
questa : Se tutto le nostre conoscenze sono relative, conforme voi
ammettete, con qual diritto asserite che in noi e fuori di noi ci
sono certe relazioni assolute? Il realismo di Spencer, fondato sui
segni o simboli delle cose sentite e percepite, e che cerca
gg SULLA TEORICA di comporre il dissidio tra realisti e
idealisti, è un realismo trasfigurato. Il Lewes non va pienamente
d'accordo con lo Spencer e fonda il realismo ra¬ gionato (nasonaded Roalistnus).
Perche realismo ragionato? Perchè afferma la realtà di ciò che vien
dato in ogni fatto o negli stati di coscienza, e per¬ chè giustifica
quest’affermazione. Il Lewes, pertanto, muove dalla coscienza, che ci
rende certi di due fatti, cioè del me e del non-ms, uniti fra loro.
Di- fatti, non possiamo negare la sensazione e l’esistenza del
mondo esterno. La psicogenia mostra che l’ordine esterno determina
l’interno, e non viceversa. Gli idealisti, per negare la realtà
dell’oggetto, son co¬ stretti a dividere colla riflessione il soggetto
dal- 1 oggetto •, la qual divisione non accade nò può farsi nel|a
sensazione. Ma la distinzione fra il soggetto e 1 oggetto comincia nella
percezione. Questa, pel Lewes, non è un simbolo dell’azione esterna,
ma una gitante che non altera il reale: il simbolo cS™ ri4 “-
La dell» per¬ si 6,7 “ un * «pM°a ma il ;r os T wtra ' ^ «w™.
0 b °uo, r cose come nosco la realtà ■ ■ meutre d Lewes
rico- fisima della Combatte uomeno e noum Pnn 1 .’ La
dlst,nzi one tra fe- e Può ammettersi so^am^'t ^ ha valore
oggettivo, nazione: i n ta l caso •. “ 6 Come art ificio di clas-
in rel azio ne colla mc'nt» . ’ 1 l>uvo fenomeno.
Errano giqdealist° Ve SÌ, fermin0 al e PWa idea non possi™ W Wtl ’
perche dalla sola Posino varcare alla realtà, o perchè
dell'umana CONOSCENZA E DELLA .MUIIALE 43 la
scienza non può fondarsi a priori. Errano i Sog¬ gettivisti, perchè i
concetti e le idee hanno attinenza non pure col soggetto intelligente, si
anche e in modo principale con gli obbietti ch'esse ci
rappresentano. Errano quindi i seguaci del puro fenomalismo, perchè
il fenomeno stesso, vuoi interno (stato della coscienza) vuoi esterno, è
una realtà, perchè il fenomeno implica l'esistenza e la natura della cosa
in cui esso appare, l’esistenza e la natura del soggetto senziente ed
intel¬ lettivo al quale appare. E che tutto non sia fenomeno venne
già dimostrato dallo scienze sperimentali e segnatamente dalla Geologia,
la quale dimostra che un tempo gli esseri sensitivi ed i ragionevoli,
cioè i bruti c l’uomo, non esistevano sulla Terra, eppure questa
già esisteva con le sue qualità, con le sue forze e le sue leggi ! Errano
i nuovi Realisti, perchè, esa¬ gerando la parte soggettiva nella
sensazione o nel¬ la percezione, o togliendo il suo reale
fondamento all’ astrazione, alcuni riducono a mero simbolo il
sentire, il percepire e il concepire, altri dicono non potersi mai e in
vcrun modo conoscere le cose in sè stesse, cioè le naturali e vere loro
qualità. La diversità delle nostre percezioni c sensazioni, dei
nostri stati di coscienza, non che la varietà dei nostri concetti e delle
nostre idee, implica la diversità natu¬ rale dogli obbietti sensibili e
intelligibili da noi per¬ cepiti, sentiti e intesi, c distinti da noi.
Certo, la facoltà di sentire o di percepire è nostra, come nostre
sono le sensazioni e le percezioni ; certo, chi pone forma nei nostri
giudizi e la mente nostia . ma, d’altra parte, le nostre sensazioni e
percezioni, i nostri giudizi mutano col mutarsi degli obbietti, o
dei modi in clic gli obbietti a noi si palesano. E che il Senso e
l’Intelligenza non s’ingannino, nè clic si fog¬ gino a loro talento le
cose, ne abbiamo una conferma luminosa e certa, quando l’esperienza ci
mostra (per cagiond’esempio)che le coso reali,gii percepite, cono¬
sciute c giudicate da noi, se poi misurate c pesate, decomposte ed
analizzate, corrispondono ora esatta¬ mente, ora approssimativamente ai
nostri modi di percepire e sentire, di conoscere c giudicare.
Dunque, materia, spirito, realtà assoluta, sostanza, cause, forze,
leggi, c va dicendo, non sono meri fenomeni, nè mere nostre astrazioni,
ma sono realità in sè stesse e rela¬ zioni oggettive d’esse realità colla
natura e con le leggi dello Spirito nostro. Ma dunque, mi
sichiederà, la conoscenza umana è relativa od assoluta? Relativa,
rispondo io. Relativa c non assoluta, perchè limitata, imperfetta,
relativa è men f nostra ’ la 1 uale non avendo create le
cose, p o conoscerle in modo perfetto ed assolato, come
“il" * T‘° ‘ nfìllìU 0 Piattissima. Relativa, t Attiva o
natalo 't,“r T 8 1““* k* oggettiva. ^^^°rt“ oi r,igìfai
' : ^ rohè fattive dell? mi X f lM1 T 00110 ss, «lai «mo 50
im Mlo ‘ “°™ ««^ien- assorge alla scienza e dii • daUarte
spontanea a pratica, in armonia
io dell’umana conoscenza e della morale collo spirito
e colla natura! Relativa, perchè la forma e la materia del conoscere
hanno intima relazione fra loro. Relativa, infine, perchè ha persilo
immediato fondamento la coscienza nostra, non solitaria, ma con
tutte, le sue relazioni, con sò stessa, con gli enti ragio¬ nevoli,
coll’universo sensibile e con Dio : relazioni che bisogna riconoscere
talquali, perchè poste da natu¬ ra ed inseparabili. Fermato ciò,
sensazioni, perce¬ zioni, idee, giudizi,ragionamenti, verità, scienza
han¬ no valore oggettivo e reale; materia, anima ed assoluto non
sono mere astrazioni ; e la mente umana può cogliere, entro certi
confini, la natura delle cose va¬ lendosi dcH’csperienza e della ragione:
quindi è pos¬ sibile una scienza degl’intelligibili, la vera
Metafisica. XI. Dalla ragione pura speculativa il Kant
distingue la ragione pratica o morale. È noto che nella Critica
della ragione pura egli esaminò le condizioni ed i limiti della ragiono
teoretica, por rispondere alla sua dimanda : (Rie posso io sapore? Invece
nella Critica della ragion pratica e nei Fondamenti della Morale
esamina l’obbietto e il valore della ragione pratica, per rispondere alle
altre due dimande : Che devo io fare ? Che posso io sperare ? Ufficio
della ra¬ gione pratica non ò veramente lo speculare, ma l’operare,
ed ha per obbietto suo il Bene, l’attuazio¬ ne del dovere colla virtù. Il
Kant aveva già distinto profondamente il mondo della Natura dal.
mondo della Libertà inorale, per riservare quest’ ultimo
alla ragione pratica ed assegnarle un primato sullaragionc
speculativa. Esiste la legge morale, come fatto primi¬ tivo, certo ed
universale:ecco il punto dal quale muove tlVO, Certo eU UU1
Versali;.UUUU II («uiu uu-i mnui c il Kant. La legge morale comanda
e obbliga assoluta- mente, è un imperativo categorico (Katcgorisches
Im¬ perati?). Ma a chi comanda essa? Comanda agli enti ragionevoli
che sono fine in sè stessi ccl a sè medesimi. Chi l’effettua ? II Volere
buono, che ha un valore asso¬ luto e supremo. Questo Volcresi determina
da sè e per sè, è autonomo e libero essenzialmcnte.Macomelibero
essenzialmente e come autonomo, e che indi opera solo pel rispetto alla
legge o non per altri motivi, il Vo¬ lere buono e libero appartiene al
mondo sovrasscnsi- bile, non a quello sensibile o fenomenico. E cosi
Ra¬ gionepratica pura, Volontà pura, Legge morale sono inseparabili
nel regno dei noumeni c dei fini. Ma uomo aqnal mondo egli appartiene’Pcl
ICant, l’uomo appartiene al mondo sensibile, come fenomeno, e al
mondo intelligibile, come noumeno. Adunque l’uomo nel pnmo rispetto nou è
libero, perehò sottoposto allo •oggi e alla causalità della Natura
sensibile ; nel se- nd„ r, sp0tto 6 libero . Pe r divenire buono ed
acqui- doveritLT ^ a " Ch ' I ’“° m0 «"»PÌ°ro il
lc.ge morale “ pratloare 11 kt " s por la stima della A PW “
llri Ma intanto l’uomo, modo conseguirla? V^^ falioità ’ In I ™
1 disinteressalo alla ?| 0Ì! Co1 ris P olt!> do moralmente
sè si ’ 0 ln d I porfezionan- La Boralo cosi con “ al Bene
sommo. 51 “"«P’ta, affinché abbia iU„ 0 pieno dell’
umana conoscenza e della morale 47 e vero compimento, esige tre postulati
: la libertà, Y immortalità dell’anima e l'esistenza di Dio. Senza
libertà, come il volere potrebbe uniformarsi alla leg¬ go morale ? Ove lo
spirito non fosse immortale, come attuare il sommo Bene e conseguire
nella vita pre¬ sente la santità o la massima perfezione morale ?
Senza Dio, creatore e Legislatore morale del mondo' e giusto Giudice,
come attuare il Bene sommo e quin¬ di armonizzare la felicità vera colla
virtù ? È chiaro che la Ragiono pratica ha un valore assoluto
anche pel Kant, perchè ella non si contenta del fenomeno, ma parte dal
noumeno, cioè dalla Leg¬ ge morale assoluta ed universale ; cd esige,
qual suo termine e compimento, il noumeno, cioèitrc postulati
morali. “ In questi postulati la Ragione pratica, vin¬ cendo tutti gli
ostacoli, ci porge dello affermazioni, alle quali la Ragione teoretica
non poteva autoriz¬ zarci; ed infatti coll’asseverare l’immortalità
dell’ani¬ ma scioglie un problema nel quale laRagiono teoretica non
trovava che paralogismi; coll’ammettere la libertà e il mondo
intelligibile al quale noi, come soggetti liberi, apparteniamo,
stabilisce un principio in cui la Ragione teoretica non trovava che
antinomie; c final¬ mente col porre nc\\’ Ideale della Ragiono (in Dio)
la condizione dclsommoBcne, riesce per suo proprio uso a
determinarlo quanto basta, mentre la Ragion pura lo doveva lasciare
affatto indeterminato n (Cantoni, E. Kant, voi. II, p. 191).
E qui sorge un quesito tanto grave quanto dif¬ ficile : Vi ha non
dubbia contraddizione fra la dottrina speculativa c la dottrina morale del
Kant, fra la Critica della ragion pura e la Critica della ra¬ gion
pratica? I giudizj d'uomini insigni non sono concordi su questo punto,
anzi gli uni opposti agli altri. I più ammettono che vi sia contraddizione
; pochi altri affermano il contrario. Per esempio, Cou- sin, B.
Saint-Hilaire, Renouvier, Barni, Conti, Fouil- lée direttamente, e il
Rosmini indirettamente vi rav¬ visano contraddizione ; il Cantoni e il
Fiorentino (1) vi riscontrano anzi conciliazione ed armonia. Pre¬
feriamo di accennare la difesa e poi diremo l’animo nostro. Il Cantoni
più volte nega vi sia contraddizione ed osserva: u Kant avverte nel modo
più esplicito e risolato che i principj e i concetti morali,
riguardanti nella Ragione pratica il mondo nouraenico, non hanno e
non possono avere nessun valore perla Ragione teo¬ retica, e non valgono
in nessun modo ad allargare il **'!■ ™>; ni, r.403).
sto nlnnun 11 • * *' raon ^° intelligibile, rima- “ r “ s,0M
Eretica, s ; dischiude alla «toliic, 185G. - R>’vr\irTr, ; ' e /
a 'U>ne alla Morale d’Ari- 1859. -Barxi, Examen, rfc ^ ri tique
générale, 18M - ■t'OSTl; Storia della Pi rUl bene su-
l’uomo si pronono n c con dizionc soggettiva onde- filale consiste
il bene mmo è la ^cità, nella «“'e fdicitìi dipoiT m ° «.«io-
dsli'armooia dollVono c„n °®f CÌ ° 6,a v ‘rtù. Ora nu cstp 1 eg S c
borale mediante 1 Kt ° dM “Risicai, necessarie por dell’umana
conoscenza e della modale ò 3 conseguire il fine ultimo prescritto dalla
legge mora¬ le, non le vediamo unite c armonizzate dalle cause
della natura : dunque per la libertà si richiede un’al¬ tra causa, Dio,
affinchè la Morale abbia il suo com¬ pimento. Quest’armonia esiste,
dunque Dio esiste ne¬ cessariamente. Ecco il nesso, da una parte, fra
la Critica del giudizio e la Critica della ragion pratica e,
dall’altra, fra la Morale, la Teologia morale o la Religione ; sebbene il
Kant si adoperasse di continuo a voler mantenere autonoma la Morale, cioè
indi¬ pendente non pure dalla Religione, sì anche dalla Teologia
razionale. XIII. Ora lasciamo i criterj soggettivi del
Kant, gl’in- •tcndimenti suoi, per fermo retti e nobili, e conside¬
riamo oggettivamentele sue dottrine speculative e mo¬ rali. Ecco, secondo
me, il vero criterio per risolvere il quesito posto qua sopra.
1 ® I concetti puri dell’ intelletto vedemmo es¬ ser privi, pel
Kant, d'ogni valore oggettivo e reale, ed acquistarlo soltanto applicati,
nelle intuizioni sensi¬ bili, non alle cose in sè, ma ai fenomeni : le
tre mas¬ sime ideo della ragione, l’Io, il Mondo, Dio, non avere
alcun valore oggettivo, ma essere solo principj rego¬ lativi non
costitutivi della ragione nelle sue specula¬ zioni. Dunque i concetti e
le idee non hanno pel Kant valore oggettivo ; o se pure, ne acquistano
uno ri¬ stretto e relativo, applicati al mondo fenomenico. Ciò
posto, le idee morali come le risguarda il Kant? Che
SULLA TEORICA valore assegna loro ? Alla legge morale,
ammessa anco da lui come certa, dà un valore oggettivo, assoluto e
universale. Dunque l’idea della legge morale non c un puro concetto, una
categoria deH’intelletto nostro, c ancor meno una forma della.sensibilità
; e quindi è un’idea oggettiva, assoluta, necessaria anco pel
Ivant. L’idea della legge morale implica le altre di volere puro
buono, di sommo bene, e quelle di libertà, di Dio, d’immortalità, per
avere il suo compimento c la sua efficacia. Ora tutte queste idee morali
non sono relative e soggettive, ma hanno caratteriopposti, non
dipendenti dalla nostra intelligenza. 2° Legge morale, libertà
pura, fine, Bene, e va dicendo, sono anche pel Kant noumeni o
fenomeni? Sono cose in se, noumeni, non fenomeni. Ma se la Ragione
speculativa non può trascendere il mondo sensibile e fenomenico, poteva
il Kant entrare colla sua ragione nel mondo intelligibile, dei noumeni,
al- meno p er aver l’idea di Legge morale, del dovere
categorico ed assoluto ? calativi"^ V “ l8 ' 111 ' Iisli ”
2Ì0n0 fra la legione spe- P à „ i S T r‘“ : '» —« Ragione *.
T m suiie Terit “ moraii - Tanto i voto elio i| Kan, ” Mrl
teorici. speculativa e sì l a • ‘‘ ama pura s * la Ragione
distingue la Filosofia C?- 81 ?' I ^ oltrG . c gli stesso ™ro(i moral ° s
“P e ‘ Morale, Critica della P • ^ meta Mù della corale
elementare 0 a '^ l0n P rat ^ ca ) e in Dottrina e - Oia la scienza
morale non va eoo- Òl> fusa coll’aWe, colla pratica della
moralità. Quindi il Rosmini osservava giustamente: u La filosofia è
una specie di dottrina, non è azione. Quando si dice filo¬ sofia
pratica, non vuole intendersi che la filosofia sia attiva ; ma solo, clic
quella parte di dottrina c ordi¬ nata a dirigere l’azione della vita
.,. 4° Del rimanente, si accetti pure la distin¬ zione: ma va
notato elio altro è distinguere, altro se¬ parare e contrapporre. Kant
non si restringe a distin¬ guere la Ragione speculativa dalla pratica, ma
con¬ trappone l’una all’altra: imperocché, mentre la prima si ferma
al fenomeno, nulla sa di certo intorno al noumeno e però intorno alla
legge morale, alla libertà, all’anima, all’universo, a Dio ; la seconda,
invece, ammette come certa la legge morale, ed esige il valore
oggettivo e reale, sia pure nell’interesse pratico, dcl- l’idce di
libertà, della vita oltremondana e di Dio. Qui, adunque, non v’ò più.
mera distinzione o subordi- nazioue, ma vera contrapposizione di due
facoltà, che sostanzialmente sono identiche formando nell’uomo la
stessa e unica Ragione 1 5° Similmente, non può ammettersi la
sepa¬ razione del fine o interesse teorico da quello pratico dacché
questo supponga quello e anzi ne dipenda, secondo l’aforisrao: Nil
volitum qninpraecognitum. E il Ivant stesso diceva, che ogni interesse
della ragiono é finalmente pratico. Nou vale pertanto distinguere
il sapere teorico da quello pratico, dacché la pratica o l’arte riflessa
richieda per necessità la teorica •, c 2 'Jg
perchè, ad ogni modo, il sapere pratico non deve mai trovarsi in
opposizione col sapere teorico. Esaminato così il quesito nei suoi
veri aspetti e però con criterj oggettivi, non si può negare che
fra le dottrine speculative del Kant e quelle morali, come risulta
dall'esame comprensivo della Critica della Ra¬ gion pura e della Critica
della Ragion gnat ica, non siavi contraddizione. XIV.
Poiché il sapere pratico suppone lo speculativo, e la pratica
viene preceduta o illuminata dalla teorica, il principio della relatività
della conoscenza umana, nell odierno significato, implica per necessità
una Mo¬ lale soggettiva o relativa. Ogni nostra cognizione, la
verità, la scienza sono relative ? Or bene, le idee e le
venta morali c la scienza morale saranno parimente ic ative pei la mente
nostra, per la mente di ciascun omo. e i elativa è la conoscenza, se
questa non può ma. coglier» la natura dell» coso, vice a mncar0 il
or, «rio assduto, oggettivo, nulvctsaledd Vero. Ma non La' e
" 0 °86 ctli ™, assoluto del Vero, Mt™ assT!”?,n PPm a otitoi
° «turale, og- bruivo, assoluto del Bene F ■,, . illuminata e
preceduta dall ^ ? * V ° l0ntà °P era =»"«tti, principj »
V*» ■relative non mro • - J teoricl rel ativi saranno 1 «MfcJ
SU cu** “T m0ra,i «uomo, si anello *“ Potranno non aow"''ii° 8
'‘ prItlei P.i morali re 11 cara ttere della relatività
:ì7 dell’ umana conoscenza e della morale •e
quindi un carattere soggettivo, contingento c mu¬ tabile. Nè si opponga,
per avventura, che i concetti •ed i principj morali costituiscono il
sapere pratico c sono indipendenti dalle speculazioni della mente e
dalle opinioni scientifiche, perchè abbiamo visto qua sopra non potersi
ammettere questa separazione. E volendo anche far tale concessione,
volendo per esem¬ pio ammettere col Kant clic l’uomo sia certo a
priori, naturalmente, della legge morale e dei suoi caratteri,
resterebbe sempre la difficoltà di sapere scegliere tra beni e beni
conosciuti, di attenersi a un partito anzi¬ ché a un altro, di confrontar
bene l’azioni colla legge morale e però di giudicarle rettamente.
Inbuonalogica, la relatività della conoscenza mena dritto dritto
alla relatività della Morale. E difatti, Erberto Spencer nei Dati
della Morale non discorre egli d’una morale relativa e di una morale
assoluta? La morale relativa governa la condotta delle presenti società
umane, imperfetto nell’esser loro, e che hanno cognizioni rela¬
tive ; la morale assoluta potrà effettuarsi, egli dice, •quando l’uomo e
la società avrauno conseguita, pei legge di evoluzione, la loro
perfezione vera : allora l’Etica assoluta formulerà la condotta ideale
dell’uomo e della società. Ma che significato e valore attribuisce
Spencer alla morale assoluta ? La morale assoluta per lui consiste
nell’ideale della condotta che, sotto le condizioni derivate dall’unione
sociale, dev’essere at¬ tuata per assicurare a ciascun uomo ed a tutto
il • consorzio civile la massima felicità. Dunque 1 assoluto (dice
il Guyau stesso nella Morale inglese contemporetnea), vagheggiato dall’Etica
evolutiva eli Spencer/ è semplicemente il limite a cui tende l’evoluzione
della vita. Altra conferma l’abbiamo in Kant stesso. Egli ammise la
Morale assoluta, necessaria,universale, non particolare, contingente c
relativa: bensì per fondare questa Morale, non si attenne più
a’suoiprincipj spe¬ culativi, alla relatività della conoscenza e al
fenome¬ no, ma partì da un principio morale certo ed uni¬ versale,
penetrò e rimase nel mondo intelligibile o dei noumeni. Questa
contraddizione logica e metafisica nel sistema del Kant gli salvò la sua
Morale, formalistica o astratta se vuoisi, ma nobile, pura, elevata.
Spencer, invece, propugna una Morale evoluzionista, con-
■orme alla relatività della conoscenza umana : ma egli pure non
evita ogni contraddizione, quando nel- l^meny le dimenila affatto la EeaL
assohUcl Z"«‘ mmCSa Pt!TO P 01 ' meta Usi¬ le qua,,
che, osserva giustamente il Fouiilée (li- nan Z1 al concetto d’uoa
Tto„n-, uce, ai nere indifferente il monisti ! P ° tCSS °
al quesito su\wiócc'° l j ‘,l | r ’ l0S 'j fo ° '° SM " zia '
gnisioni, e però il divento modellT' * T"* °°' l'crso^'UomoeDio
haun'effi ° 0MeI,irc rUn! - neHascienza rnotai,, 0
nella^““«lutareopemiciosa La dottrina sulla cono^ * a pnvata e pubblica.
garsi dai Principj morali ^ Umana Q on può segre¬ go c dentro quali ' ’
Abblam ° Mostrato in qual a conoscenza umana r ’ ^ ° relaliva anche per
noi ““«^iuoènni iirr’ 50 ‘ "*»; U con- * ° l'altro di
rda- oO siona, perchè l’ordine sta nell’armonia di relazioni.
Queste relazioni sono reali e ideali, onde gli enti sono ordinati fra
loro, e questi hanno relazione colla nostra coscienza e colla mente
nostra mercè le idee che li rappresentano. La coscienza non è mero
fenomeno, ma realtà sostanziale ; non vive solitaria, ma in at¬
tinenza col mondo c con Dio. Il Vero e il Bene sono oggettivi perchè
fondati sulla natura e sul fine degli enti : le leggi del pensiero e la
legge morale hanno un valore oggettivo, non sono mero creazioni
della mente, pure nostre astrazioni. Fra il senso, l’intellet¬ to e
gli obbietti sensibili ed intelligibili passano natu¬ rali e necessarie
relazioni, come pure fra la volontà e la legge morale assoluta. Come
dalle particolari no¬ zioni e da’giudizj dell’uomo va distinta la verità
og¬ gettiva, universale; una; cosila legge morale c il Bene
oggettivo ed assoluto vanno distinti da’liberi atti e da’giudizj morali
degli uomini. Negato il valore og¬ gettivo alla Verità c al Bene, tolte
le reali e neces¬ sarie attinenze tra le facoltà dello spirito nostro
e gli esseri ; la cognizione, la verità, la scienza, la mo¬ ralità,
la coscienza, l’universo, Dio, ci parrebbero illu¬ sioni o meri fenoneni
: sicché avrebbe avuto ragione il Leopardi quando cantava l ’infinita
vanita del tutto ! Ogni linguaggio veramente umano, clic sia capace
di esprimere un certo grado d’incivilimento d’un popolo intero, ha
vocaboli proprj e distinti per signifare oggetti non pii materiali, come Anima,
Spirito, -f, Zo Cesctenca, Pensiero, Dio. E questi vocaboli,
pefatonars, dei linguaggi e eoi progredire deliri ■ornila non 81
cancellano nò dal volgo né dal dotti óTsSr,:; dclla sc!enM
™.r«;r:r i, ' mMiodivCT “-” ra P iic,e - P°to. m mono oerto è
querfXf°tt b °°“ ^ T ^ le cose più car e l v ‘ 10 fatto universale,
clic avvi una parte • enerato del genere umano sparisco
al senso ^ ^T 81 ’ C, ' e n ° n ® cor P° e non J a coscienza l'iò ;i C
pur esiste e si sente, vi llere umano ha semnro ^ ° Sp,rito - E come il
ge- gando altari e terjp qUalche divinità, eri- “ ik
“-liver:itai'r tMnd0 "» • bigioni, u 'o: abbia mo infatti la Rei '
CI ” P ® v mirabili pro- coltào, se vuoisi,^stTfatt POtUt ° T
’ subentrano due altre seienzeTp t UmanÌ ' AU ° rft fisica,
per ricerca™, ? Psicolo G ia e la Meta- di ciò che dimandai !|
rminare n ° n ° he la natura i! fine della Materia ^ raSÌOne stcssa
ed 13 lnor e an ma ed organata. E così GO
dalla nozione scientifica della Materia passiamo alla ricerca
della nozione scientifica dell’Àniina umana. IV. Como
si è rinnovata profondamente la Fisica, non può non rinnovarsi la vecchia
Psicologia o l’an¬ tica Metafisica, perchè nell’uomo corpo e spirito
sono congiunti, perchè nell’universo ci sono esseri matcrn-vli,
sensitivi o ragionevoli, e perchè le scienze tutto han¬ no parentela più
o meno stretta fra di loro. Abbiamo già detto in che consisteva l’antico
e il moderno Spi¬ ritualismo. Conviene ora esaminare la nuova
dottrina scientifica intorno all’Anima umana. La scienza
positiva contemporanea ha un meto¬ do suo proprio, il metodo
d’osservazione, analatico ed oggettivo, opposto al metodo deduttivo,
psicologico e soggettivo, tanto caro allaMctafisica ed alla
Psicologia tradizionale. E non si contenta l’odierna Scienza posi¬
tiva di osservare ed analizzare il mondo corporeo, ma vuol descriver
fondo a tutti gli esseri mondiali, spie¬ gare le cause, le leggi, lo
attinenze, l’ordine, l’essenza, l’origine ed il fine delle cose tutto ^
insomma, vuo¬ le surrogarsi alla vecchia Metafisica, che ritiene
orinai non solo spodestata, si anche morta c seppellita! In qual
maniera studia essa latto l'uomo? Lo studia valendosi dell'osservazione
esterna, dell’esperienza sensibile, c dell’analisi fisica e fisiologica :
quasi che nell’uomo non ci sia altro che una massa di materia
organata, un sistema di forze meccaniche c fisiolo¬ giche. di moti
meccanici e vitali, di organi c fanzioni, da sottoporsi direttamente o ai sensi
esterni,. o ai nuovi e mirabili strumenti dell'osservazione c
dell’analisi sperimentale, come il dinamometro, il micro¬ scopio,
la bilancia chimica, il termometro, il coltello anatomico, e somiglianti
!La nuova Psicologia scienti¬ fica o sperimentale crede di spiegar tutti
i fatti del¬ l’uomo, i sensitivi, gl’intellettuali ed i morali,
mercè l’osservazione esterna c l’analisi fisiologica, facendoli
tutti generare dal puro nostro organismo. Vediamolo brevemente.
Noi siamo capaci, come gli animali bruti, di sensazioni e di moto ;
ed infatti il corpo nostro ha distinti organi per sentire e per muoversi.
Che anzi, recenti esperienze hanno scoperto organi della per¬
cezione esterna distinti da quelli della sensazione. Così, tagliando i
lobi cerebrali, si perde subito la facoltà di \edeie, mentre il nervo
ottico ò ancora- eccitabile, sensibile la rètina, mobilissima l’iride.
Non solamente alla facoltà di percepire e dì sentire, si an- ff a
" e allr .° «Mollo Ol¬ le avrebbero per sede • ° 801150 0 1
istinto anima¬ li cervelletto i cem- CGri l 1 ' 1 mediani clic
riuniscono ’ ° Mf i *.a« 0 va dicendo ili sansa
lì La Vita sociale 71 spirituale,
l’immaginazione, il pensiero, la volontà e quindi tutti i sentimenti
morali, tutti gli atti razio¬ nali e volitivi, risederebbero nei centri
superiori o nei lobi cerebrali. Quanto alla coscienza, la
Fisiologia non è giunta a scoprirne la causa vera ed efficiente, ma ne
può determinare l’organo e la condizione. Secondo l’Her- tzen,
l’attività mentale, di cui è tipo la coscienza, seguo i cambiamenti della
forza nervosa \ cresce o decresce conformo i cambiamenti d'innervazione
o d’enervazione che subisce la temperatura vitale. La integrazione
della forza nervosaòcondizione organica della coscienza. E già Claudio
Bernard aveva dimo¬ strato che ogni fenomeno della vita, dalla più
semplice funzione vitale sino ai fatti più elevati dell’iutelU—
genza e della volontà, ha per causa un lavorìo d’organamento, e per effetto un
lavorìo disgregativo d’ele¬ menti fisici e chimici. I
progressi ed irisultamenti analitici della Fisio¬ logia c della
Psicologia sperimentale hanno certo gio¬ vato a rischiarare le tenebre da
cui era avvolta la vecchia e tradizionale Psicologia, quando presu¬
meva di spiegare l’unione fra l’anima ed il corpo, e di stabilire le
attinenze fra il morale ed il fisico della vita umana. Ma la
nuova Psicologia è riuscita, almeno finora, a spiegare la natura
dell’uomo, le cause tutte e le leggi del senso, della intelligenza e
della volontà? Ha potuto essa fornirci co’suoi metodi una nozione
esatta e scientifica della coscienza e dello spirito? No, dacché il
filosofo e la comune degli uomini non possono certo appagarsi di queste
definizioni : Il pensiero è un moto o una trasformazione della sostanza
cerebrale ; lo spi¬ rito è un polipaio d'imagini; la virtù ed il vizio
sono meri prodotti come il vetriolo ; il genio è il predomi¬ nio
d'una facolta organica sulle altre; l’attività dell’in¬ telligenza è una
danza continua delle cellule cerebrali; il me o la coscienza è un gruppo
di fatti organici. A dimostrare false scientificamente queste
defi¬ nizioni valga esaminare un sol fatto dello Spirito. Se il
pensiero fosse un moto cerebrale, e quindi se fosse materia per le sue
rispettive proprietà, noi saremmo incapaci di fare qualunque giudizio, e
di poterlo ana¬ lizzare e spiegare, dacché il confronto di due idee
(soggetto e predicato) c il giudizio ricavatone, sono attributi del
pensiero che ripugnano assolutamente con a impcnctiabilità, 1 estensione
e la divisibilità e a materia c con le prerogative del moto. Rife-
mm„ gl. argomenti addotti dalli cigno modico 0 no- 2,? «T° fa '
ini fan» con notrèbb r “ I>1 "' K0 ",ati ™ «idea
!>, perché Parimente il moto |,llla ' lca percezione ?
4d giudizio, si polrobbo PMt,0e !l ra W >rescntativ0 4ai moti
dolio pai-ticoilo A '°7 re,ldor re e dimostrate delle scienze
positive, ha rimesso in onore l’osservazione interna ed ha rinnovato il
meto¬ do psicologico e metafisico. In ogni epoca i grandi pensatori
hanno distinto il scuso intimo dai sensi esterni, l’esperienza sensibile
dall'ospericnza interio¬ re, il metodo induttivo psicologico c storico,
dal me¬ todo induttivo lisico. Per quali ragioni ? Perchè due sono
gli ordini dei fatti che a noi si manifestano, i fatti del mondo
esteriore c del corpo nostro, ed i fatti della coscienza o dello spirito,
i quali ultimi non pos¬ sono essere spiegati dalla mera osservazione
esterna -, perchè due sono gli ordini delle realità mondiali, la
realtà fìsica e la realtà dell’io negli esseri pensanti-, e infine,
perchè nelle cose tutto bisogna distinguere l’elemento sensibile
dall’elemento intelligibile o, pa¬ usare il linguaggio della scuola del
Kant, il fenomeno dal noumeno. L’esperienza interna o la coscienza
non pure sente e indaga gli atti spirituali, ma ne spiega le cause,
lo facoltà e le leggi, distinguendo ciò che spetta all’organismo da ciò
che spetta alito, allo spi¬ rito, e coglie finalmente la realtà stessa
dell io. Se pci- tanto ha un gran valore l’esperienza clic indaga i
fatti dell’universo materiale, compresivi quelli del corpo nostro, non ha
minor valore positivo lossena- zione interna che ci fa conoscere quest
altro ordino di fatti c ci rivela l’essenza eia realtà dell io. Che
anzi, l’osservazione interiore illumina c perfeziona l’esperienza
esterna, applicando i principj universali di causalità e di finalità ai
fenemeni del mondo sen¬ sibile e materiale. Affermando ciò non intendo
ammettere con qualche filosofo esagerato che tutto nel mondo sia spirito
: come falso o il materialismo uni¬ versale, così falso è l’idealismo e
lo spiritualismo uni¬ versale. In ogni nostra cognizione vi è l’idea,
fatto dell'intelligenza, ma vi ha la sua parte anche il sen¬ so ;
nell'universo esiste la materia sotto mille forme, ma v’è anche lo
spirito, che si palesa in noi ed a noi come senso, come pensiero, come
volontà, come amo¬ re, come coscienza. Impcrtanto il nuovo
Spirituali¬ smo scientifico, valendosi dei risultamenti e progressi
delle discipline positive, e rimettendo in uso ed onore il microscopio
della coscienza, fa della Psicologia una scienza veramente induttiva e si
travaglia nella so¬ luzione dei grandi problemi metafisici, riponendo
nel- 1 esperienza interiore, come già praticarono Aristotile, san
Tommaso, i più insigni e migliori Cartesiani, il oibnitz cd altri, il
principio fondamentale ed il me- concCn- COmPÌUt0 de " C SUC
Ì,UlaSÌ,1Ì 6 dcll ° SU ° unioni* è ^ ; neI1 ’ uomo vi « mei
tà. Ecco i risulf 6 1 S ° StaUZe ’ ma vera e propria un Positiva
modem^Ifatr ^ C ° nclusÌ0ni dclla Scienz fenomeni del covn * ' S P
Illtuad ‘ son o congiunti ; dirsi, a tutto rie-nr •* le * azi onc.
E se non pi dell’anima hanno i Tìm^-’ ^ h SÌnsolc faco11
esempio che alla facoltà d r/sni CerQhrali > 1 5( 1 onda
esattamente que la data parte del cervello, alla facoltà B il
cervel¬ letto, alla facoltà C i lobi cerebrali, alla facoltà D i
corpi striati} il fatto si c che da un lato .varie sono le potenze
dell’anima, c dall’altro vediamo nel corpo no¬ stro organi diversi, e che
ogni fatto spirituale viene accompagnato da un fatto fisiologico. Vero ò
che la Psicologia scientifica sperimentale non ammetto nel¬ l’uomo
facoltà distinte, quali il senso, la intelligenza, la volontà ; riconosce
solamente i fenomeni psichici, vale a dire le sensazioni, i pensieri, le
volizioni. E lo stesso Hcrbart impugnava la vecchia distinzione e
pluralità di potenze originarie nell’ anima nostra. Eccettoehò si
potrebbe osservare che una è certa¬ mente l’essenziale energia dello
spirito umano 5 ma la varietà irriducibile de’suoi atti implica la
varietà delle sue potenze, pur non cessando d’essere una nel fondo
suo. Comunque sia, queste correlazioni tra i fatti della coscienza ed i
fenomeni del corpo, questa rispondenza fra lo attività dello spirito c la
struttura del corpo e segnatamente del cervello, questa mede¬ sima unità
della vita umana, portano forse scientifi¬ camente e logicamente a
concludere che materia or¬ ganata ed Ànima sono in fondo cosa identica, c
che però gli organi cerebrali generano le facoltà dette spirituali
0, se vuoisi, che i fatti psichici non diver¬ sificano sostanzialmente
dai fenomeni fisiologici ed hanno in questi la loro causa vera, unica cd
efficien¬ te ? Ecco quello che, stando pure alla scienza nei
confini dell’osservazione, non può menar buono nean¬ che lo Spiritualismo
scientifico moderno. Il fisiologo osserva le funzioni del corpo vivente e
distingue gli organi rispettivi ; analizza gli clementi della vita,
procede man inano dal semplice al complesso, dalla vita locale alla
centrale, dalla varietà dei fenomeni vitali all’unità apparente delle
cause della vita stessa. Ora, il metodo puramente fisiologico vale come
ana¬ lisi sperimentalo, ma non può valere come sintesi ove presuma
di ricercare e stabilire la causa vera, il prin¬ cipio di tutti i fatti
della coscienza. E, a buon conto, la sintesi fisiologica vi darà sempre
un’unità fìsica, cioè un’unità apparente, non reale, non vera, ma
sem¬ pre composta c molteplice, perchè materiale ; vi darà insorama
la risultante di più funzioni organiche e nicnt altro. Con questi metodi
non si può dunque analizzare i fatti veri dello spirito, quali sono le
idee, i pensieri, i sentimenti, gli affetti, le volizioni, e ancor
meno si può i icci'carc c stabilire il principio unifi- utoie di tutti
quei fatti, perchè la coscienza ci atte¬ sta la semplicità, l’unità,
l’identità, l’attività e la berta delh o.U q Uestc sono vane par0, 0
destituite ogm valore oggettivo, ma sono fatti reali, incon¬
cussi, quantunque siano fatti rio . •coi sensi esterni d potcrsi P
ei ’ ce P irc io i temi; Rechiamone alcune prove. |loÌa
hanT StarC . Ch ° nè ]a Flsica > ^ la Fi- ^ della inteUigLta
cldl trar ? he ^ ^ M 8 ° n “ effetto di causo o v r ° a Volonta sono un
mero che, non può rev ^ ^,Ucccanicllc e fisiologi- ?SÌchic o,
8e ^aziontTensie n ro dUb r°- ^ ^ ^ veQ ga e sia da noi aJL ' V °
llz,one > Perchè av¬ vento spiegato, esige non solamente
la condizione organica, ma un soggetto uno q indivisibile, non materiale,
che senta, pensi, voglia, ed abbia coscienzadei rispettivi sentimenti e
pensieri e delle sue volizioni. Ora, questa unità reale e indi¬
visibile, sensitiva, intelligente e volitiva, consapevole di se e degli
atti suoi, e quindi personale, domandasi appunto me, io } spirito. Altri
la chiami pure Causa o Forza, ma è sempre una Forza vivente e reale,
non astratta c però inerente ad un soggetto \ una Forza spirituale,
cioè sensitiva, intelligente e volitiva, non meccanica nè fisiologica
come le altre forze della Na¬ tura o del corpo nostro. 2°
Mentre nel corpo vivente non si dà vera uni¬ tà, ma unione soltanto, ed i
fatti fisiologici non pos¬ sono tutti ridursi ad un solo principio ;
invece il me unifica, nel senso stretto della parola, tutti i fatti
del sentire, del conoscere e del volere. Il che dimostra che 1-Jo è
davvero uno e impartibile nell’csser suo, e che si mantiene identico a se
stesso in mezzo a tanta varietà di fatti clic genera ed unisce, c dei
quali ha coscienza. 3° Crii atti più elevati e cospicui
dell’animo no¬ stro oltrepassano evidentemente nell’obbietto,
nella durata, nel fine, nel valore, ogni fatto del corpo vi -
vento. Certi affetti, certi sentimenti spirituali, certo idee, certe
volizioni possono,.attuate, cambiare la vita d’un uomo, decidere le sorti
d’una nazione, dare im¬ pulso ad una nuova civiltà. Il principio, la
causa vera di essi fatti, non può dunque trovarsi nel corpo no¬
stro e negli obbietti sensibili, ma nel pensiero, nella volontà, nella
coscienza. E di fatti, Keplero, Newton e Faraday non confessarono d’aver
dovuto ad una rivelazione interiore lo loro più mirabili scoperte
scientifiche ? Nò va dimenticato ciò che scrisse Co¬ lombo uc’suoi
Bicordi: u Quand’io stava a meditare solitario lungo il mare, la voce
delle onde accorda- vasi alla segreta voce dell’anima mia per parlarmi
di questa nuova terra 4° Il principio di causalità domina
tutti gli es¬ seri materiali e sensitivi: nel mondo corporeo signo¬
reggia il determinismo. Anche gli atti del pensiero e della volontà umana
hanno le rispettive cause e leggi. ma con questa differenza, che ogni
essere della natura obbedisce o ciecamente o istintivamente alle
cause ed alle leggi prefisse e costanti dell’universo ; mentre la ragione
e la volontà dell’uomo ora trasgre¬ discono, almeno in parte, queste leggi;
ora pongo¬ no da se certi motivi diversi da quelli della materia el
senso, e si propongono altri fini nei loro atti ; a».r,loUau°al S
e„so ed * mater!, „ sm 1 evento. Ad„„ que il «, ollre aTW oirasc
„, ZZ rrr*,iWo 0 «“onomo,almenoentro 5,j “ a malcna
inorganica ed organata, le cause fin ^ ° i’ lnto ' oomc 'diligenza,
comprende perfezionando sé rii n UmvcmIe del Bene, ignorando
e tra’sfor m a T eSSen Umani P ensanti> sensibile che 1 Dd ° in
Parte lo stesso mondo ossi, insieme con gli *- - utto
armonioso e perfettibile in sommo grado. Ecco quello che
riconosce ed ammette lo Spiri¬ tualismo scientifico moderno. La scienza
positiva con¬ temporanea non può negare queste verità, che diver¬
samente invaliderebbe i suoi principj fondamentali e, oso dire, il metodo
e la maggior parte delle sue con¬ clusioni. Il nuovo Realismo scientifico
ammette le cose in sè, oltre i fenomeni. L’esperienza testimonia
che ogni realtà è una nella sua varietà, molteplice nell’uni¬ tà
sua. La scienza positiva ammette il processo evo¬ lutivo, insenso di
perfezionamento, delle cose tutte mon¬ diali, crede non
perituralamateria, ma solo trasforma¬ bile. Or bene, lo Spiritualismo
scientifico moderno, facendo tesoro della stessa scienza positiva,
riconosce lanaturaela realtà deH’io, oltre distinguere i fatti
dello spirito da quelli del corpo vivente ; mantiene l’unità
dell’io pur ammettendo la varietà de’suoi atti; proclama l’anima umana
perfettibile indefinitamente ; non la separa dal corpo e dal mondo, ma le
riconosce pro¬ prietà e leggi sue particolari ; la considera come
una forza ed una causa, ma qual forza e causa personale. E seia
materia, come realtà e forza, ò indistruttibile, non avrà diritto anche
lo Spiritualismo scientifico mo— derno, ch’è un progresso della Filosofia
perenne, di credere indistruttibile ed immortale, perchè consape •
vole di sè, quest’altra forza e realtà dell’universo, l ’anima umana
? Il vero Spiritualismo scientifico moderno non può adunque
consentire, in nome della stessa scienza positi¬ va, con certi insigni
cultori dellaPsicologia fisiologica, quali il Taine ed il Ferrière, che
l’anima umana sia una. pura individualità vitale, una risultante di
forze organiche; che l’istinto e la volontà siano il risultato
dell’azione riHessa dei nervi ; che la volontà ecl il pcusicro umano
vengano sottoposti alle cause ed alle leggi fatali, costanti, generali
del mondo corporeo; che non esistano le cause finali nell’Universo ; che
Dio sia la pura legge di tutte le forze cosmiche onde si genera
l’armonia universale. Ammessi questi princi¬ pi) natura umana c
l’universo intero sono inespli¬ cabili, quando si voglia proprio indagare
il midollo c non la sola corteccia delle cose, quando si voglia ri¬
cercare c stabilire le cause, le ragioni, le leggi, l’ordine supremo di
tutto il reale. Vi. ila il nuovo Spiritualismo, oltre
essere in ar-, ”',odo 6 Wwi certi c positivi dell) STt'. 1 * dÌ fa
“° ° civili e po- La differenzatrarr... uu i tì C1 010410 S0(:i età
animali a o* «indo, essenziale, fra la vera soci et; umana, capace
di progresso indefinito, e le parziali ed imperfette associazioni di
alcune specie di ani¬ mali, ci fanno subito arguire una radicale
differenza tra l’uomo ed i bruti. Nò si opponga che questo di¬
vario trova la sua ragione, nell’essere l'uomo il più perfetto degli
animali. Sì, l’uomo è il più perfetto dogli animali, ma non tanto per il
suo organismo e per il senso, quanto per la sua intelligenza e per
la sua volontà, che lo fanno consapevole di se, che lo
costituiscono persona, che lo sottraggono in parte alle cause e leggi
fatali dell’universo materiale, che forma¬ no insomma il suo spirito. La
vita umana sociale può dirsi non abbia confini, perchè dalla famiglia si
esten¬ de a tutta l’umanità consociata, e perchè le presenti
società civili sono figlio delle generazioni e società umane ora spente,
come noi prepariamo le future società civili. La perfezione graduata
della vita socia¬ le consta di più o diversi clementi, quali sono:
verità e scienza, linguaggio e letteratura, economia privata •e
politica, moralità, doveri e diritti sociali, consuetudini morali e
giuridiche, istituzioni civili e religiose, arti manuali cd arti belle, e
per ultimo lo Stato. Questi ed altri elementi della vita sociale non sono
dati dal puro organismo e dal senso dell’uomo, ma sono effetto
principalmente della nostra intelligenza e volontà, sono prodotti dello
spirito umano. Il corpo nostro perisce, ma le opere dello spirito sono
immortali ; tramontano le generazioni umane, ma sopravvive sotto
mille forme la loro civiltà; cade la potenza materiale delle nazioni, ma
restano in piedi le sane loro istituzioni civili. Così, la Grecia fa domata
eolie anni dar Romaui; ma la Filosofia, la Letteratura, le Ai ti
Belle, produzioni dello spirito greco, dominarono poi le menti
romano. Che resta oggi del Partenone e dell’Acropoli di Atene ? Poche
rovino ; ma la Scienza, la Poesia e l’Arte greca hanno trionfato sulla
matcriae sul tempo. L’impero romano, opera segnatamente delle armi
con¬ quistatrici, non c più da secoli ; ma il Diritto civi¬ le
romano vive c vivrà perpetuo. La vita sociale uma¬ na è dunque armonia di
varj elementi, come armonia di elementi varj è la civiltà che ne
deriva. Questi elementi non possono affatto segregarsi dal
corpo e dal senso, nè possono recarsi ad atto senza l’aiuto del corpo
vivente; ma intanto sono vera opera dellaniraaraziooale,non delcorponèdel
scuso. Inoltre, la eh iltà ed il piogresso umano tengono arcanamente
unite le presenti generazioni colle passate, non tanto per le memorie,
gli affetti, le tradizioni dei nostri cari, quanto per la scienza, la
letteratura, le arti liberali, le istituzioni civili, politiche e
religiose, cose tutte che costituiscono .1 fondo o la parto essenziale
della mila presente. Aneto il mondo raa(erÌ!ll mantiene salde
CCCì M S!0V “ ri00rin0 ’ cI ’ e 0 segnatamene 1 °r> ' ‘
UlCCu le Scienze Naturali enctemente k B„ta nicia ^ (0
Orni, ptrij., v, l, c Iv 8 nuove piante, precorse Linneo ed altri insigni
bota¬ nici moderni in una sistematica e razionale cassa¬ zione dei
vegetabili, divinò per esperienza e per ragionamento la grande
circolazione del sangue ; e quindi precorse l’ITarvcy, come in Fisica ed
Astro¬ nomia Copernico aveva preceduto Galilei, come questi
precorse il Newton, e come nei principii del Diritto internazionale
applicati alla guerra ed alla pace un altro grande Italiano,
contemporanco del Cesalpino, vo’dirc Alberico Gentile, col suo trattato
Dejure belli aveva preceduto Ugonc Grozio. Ma questa, per or¬
dinario, c la sorte dell’ingegno italiano, novatore per eccellenza ; il
quale o resta dimenticato per alcuni secoli, come avvenne a G. B. Vico, o
gli stranieri no usurpano e gli contendono le sue vere scoperte.
Ba¬ stona, infatti, c’inscgnachepiù volte gl’italiani hanno-
seminato i più peregrini e fecondi prodotti dell'in¬ gegno ; ed i
forestieri li hanno poi mietuti, vagliati c spacciati come propri !
In secondo luogo, il Cesalpino non fu un gretto commentatore di
Aristotile ed un seguace servile del- Peripato, ma riusci egli pure
novatore nelle Scienze Naturali, senza l’aiuto del microscopio, inventato
17 anni dopo la sua morte, e privo di tutti quei mirabili ed
efficaci strumenti de’quali dispongono gli scenziati dei tempi nostri ; e
tuttavolta in più rami dello sci¬ bile sgombrò la via a’suoi successori,
quali furono Marcello Malpighi, Harvey, Grcw, Tournefort, Linneo,
Pristlcy, Morgagni ed altri. Continuando l’indirizzo positivo che
Leonardo- '.ili Ali da Vinci aveva
salpino facevasi •a dato alle Scieuzc sperimentali, il
Ce- isi forte dell’autorità di Aristotile nel metodo
induttivo, ma spesso ne abbandonava le orme dove non poteva seguirlo,
come nella Fisica •, e però coglieva il meglio dei libri logici dello
Stagirita ed attingeva largamente alla Storia dagli animali, lo¬
data assai dal Buffon c dal Cuvier. Non intendo dire con questo che al
nostro fflosofo naturalista non deb- .basi imputare alcun errore nello
studio della Natura inorganica ed organata, e che rispetto al metodo
spe¬ rimentale Francesco Bacone c il Galilei non facessero .clic
perfezionare il metodo seguito dal Cesalpino. In¬ tendo solo dire ch’egli
cooperò moltissimo a rimettere in onore l’osservazione e l’esperienza,
soffocate dalle ascetiche idealità del Medio Evo, dalle minute di¬
stinzioni e dai sillogismi della Scolastica \ e quindi richiamò le
Scieuze sperimentali al retto loro' sen- tieio. Il senso e 1 esperienza
non debbono essere di- gel, il più ardito metafisico del secol nostro,
seguen¬ do le dottrine fisiche di Platone affermava, verso la fine
dell’agosto 1801, dovervi essere una lacuna tra Marte e Giove : mentre il
nostro Piazzi circa otto mesi prima aveva scoperto Cerere !
Adunque il Cesalpino, non solo per le sue mira¬ bili scoperte nella
Mineralogia, nella Chimica, nella Botanica e nella Fisiologia, ma ancora
pel metodo sperimentale da lui seguito, per l’uso razionale del¬
l’autorità scientifica e per taluni concetti nuovi, come dimostreremo più
avanti, segua il principio dell’età moderna. Onde scrisse il Mamiani nel
Rinnovamento dell'antica Filosofia italiana : l£ Se faremo studio
profondo nel Cesalpino...., vedremo quanta sapienza riluce dentro quel
senno, e come la Filosofia odierna sperimentale in Italia si appicca al
filo delle opinioni che aristoteliche si addimandarono. „
II. Il Cesalpino lo chiainamrnoqua sopra novatore e
filosofo. È novatore non solo per le sue stupendo e utili scoperte
scientifiche già note, sì anche pel metodo onde vi giunse : e questa
novità di dottrine e di me¬ todi la sente egli stesso e ne discorre
apertamente. Come il Machiavelli nel proemio a’suoi Discorsi
immortali dice d’essereentrato pcruna vianou ancora battuta da alcuno
rispetto alla Scienza politica; come Alberico Gentile fin dal principio
del suo famoso trat¬ tato Dejure belli dichiara d’intraprendere
un'opera ra e difficile, quella cioè (li stabilire le leggi alla
... t • _,11 miftefA mnn fi n nuova -- ww
disumana di questo mondo, alla guerra ; così il Cesalpino nella
dedica o prefazione* delle principali sue opere accenna d’essere novatore
e filosofo.-Non panni cosa sterileillibrochesonoperpub- blicare,
dopo avere studiato Filosofia per molti anni, dim in philosophice studiis
versor multosjam annos, egli premette alle Questioni peripatetiche. Ài
nostri tempi, scrive nella prefazione alle Questioni mediche, sono
stati ritrovati rimedj nuovi ed ottimi ( nova qui- dem remedia atque
optima ) ignoti agli antichi. Per essere utile agli studiosi, aggiunge
nel proemio al trattato sulle Piante, mi sono ingolfato in un vasto
mare : ingrcssus autem sum gurgitem vastum. Ed ivi prosegue nel chiarire
il fine ed il metododella sua nuova classazione delle piante, cassazione
conforme non pure ai dettamidellasanalogica,sìanchealle qua¬ lità
essenziali deivegetabili.“ Ogni scienza, egli dice, consistendo
nell’unire lo cose somiglianti e nel distin¬ guere le dissimili tra loro,
mi sono studiato di fare nella storia universale delle piante una
distribuzione di esse per generi e per classi o specie, secondo lo
differenze desunte dalla natura stessa 5 sccundim uxgerentias rei
naturavi indicantes. „ Bensì alla partizione universale delle
piante era egb armato mercè l’induzione, ebe ha da precedere a
divisione. Tre, pel filosofo Aretino, sono ! processi peir I ' i “
ellcll ° toccare la divisione P 1 P 1 °gressu.„.
perfectionem ANDREA CESALPINO FILOSOFO
97 attìngimus : inductione scilicet, divisione, definii ione.
Colla induzione vediamo la somiglianza e la con¬ venienza ; colla
divisione, la dissomiglianza e la dif¬ ferenza ; colla definizione, la
sostanza propria di ciascuna cosa. L’induzione va dal singolare
all’uni¬ versale e porge alla mente ogni materia intelligibile; la
divisione trova la differenza degli universali ten¬ dendo a quegli enti
che nella specie sono individui; la definizione poi risolve le specie nei
loro principii fino agli elementi, cominciando dal singolare.
Imperocché siapiù facile, a mo’d’csempio, definire l’uomo che
l’ani¬ male. E quindi Aristotile insegnò doversi ascendere dal
singolare all’universale (1) ; e dove non arrivano i sensi vi supplisca
l’analogia (2). Nè diversamente aveva PÀlighicri concepito l’induzione,
quando sta¬ biliva che la natura delle cose e delle potenze loro
non può conoscersi che per gli effetti : Ogni forma 9ustanzial, che
scita È da materia, ed è con lei unita, Specifica virtude ha
in sò colletta, La qual senza operar non è sentita, Nè
si dimostra ina’chc per effetto, Come per verdi frondo in pianta
vita (3). Ed eccoci entrati nel campo vero della Filo¬ sofia
speculativa del Ccsalpino. (1) Qincst. pcrip., 1, 1.
(2) Appendìx ad Quccst. perip., c. V. (3) Purgatorio
in. S’illuderebbe chi nelle opere del Cesalpino vo¬ lesse
ritrovare un sistema rigoroso e compiuto di Filosofia razionale. Come le
regole logicali del Galilei vannno desunte dai varj suoi scritti c
specialmente dal Saggiatore ; così lo dottrine filosofiche del
Cesal- pino bisogna ricercarle soprattutto nello Questioni
peripatetiche e ne\Y Appendice allo medesime, pub¬ blicata l’anno stesso
della sua morte 1603 e nou facile a trovarsi dovunque. Il
metodo, la filosofia prima e la scienza, gli universali, Dio e le sue
relazioni col mondo, l'uomo e le sue facoltà, non che l’ultima sua
destinazione, formano anche pel Cesalpino il subbietto della Filo¬
sofia ; le quali materie mi accingo ad esporre e ad esaminare brevemente.
Stabilito cheilsensoel’intclletto sono le due facoltà necessarie
alla conoscenza umana, e che il corpo non è necessario alle operazioni
del senso e dell’intelletto, perchè le cose sensibili ed intelligibili
ricevonsi nel¬ l’anima senza la materia, quantunque gli organi del
senso non possano stare senza materia (1) ; egli fissa \ Chej SeC °
ndo 1 P recetti di Aristotile negli 1, a . 1C1 P os ^ et ù°ri, deve
usare la mento umana e a ricerca del vero e nella formazione della
scienza. •He 0086 Daturali dobbiamo elevarci al soprassensi.
Perip-, c. IV. (1) Appendix ad Quceet. bile per via naturale
(via naturali), che consiste nel muovere eia quello che a noi è più noto,
per quanto all’uomo è dato di sapere. E quali cose a noi sono più
note ? Le cose individuali e sensibili ; queste poi si rendono
intelligibili, astratte le condi¬ zioni della materia ; e così abbiamo
l'universale che forma l’obbietto della intelligenza : unde universale
consurgit. quod est obiectum intellectus (l).L’operazio- ne
dell’intelletto, poi, non è quiete, ma un certo moto. La Filosofia
Prima è scienza universale : quod prima philosophia universali sit
scienlia (2). La Filosofia Prima, fondamento di tutte le altre
scienze, non si vale della dimostrazione, nè della definizione:
primam philosophiam ncque demonstradone, ncque definitine uti (3). Per
qual ragione ? Perchè si fonda su’prirai principii o questi sono
superiori all’intel¬ letto umano e da esso indipendenti '.prima
principia non in nostra sunl potestate. La Filosofia Prima tratta
del primo genere della sostanza *, dovecchè l’Astro- logia tratta del
corpo sensibile ed eterno : de corpore sensibili et (eterno agii; le
Matematiche hanno per ob- bietto le sostanze incorruttibili ; le Scienze
Naturali riguardano le sostanzo corruttibili (4). E manifesto che
il Cesalpino distingueva le scienze secondo i gene- (1) Appendi®
ad Quasi, perip., c. II. (2) Quoeat. pcrip., I, 4. (3)
Ivi, I, 3. 14) Ivi, I, 4. ri della sostanza, e però mirava ad
una classifica¬ zione obbiettiva del sapere umano ; come nell’ap¬
pendice alle Questioni peripatetiche ammetteva le idee in senso oggettivo
ed universale, aventi cioè un es¬ sere proprio [smini esse habent in se)
e quali note od ioiagini delle cose che rappresentano tutti gii
obbietti della stessa natura. E così evitava gli errori del sog¬
gettivismo, che mena facilmente allo scetticismo ne¬ gando la naturale
relazione fra l’intelletto nostro e le cose intelligibili mercè l’idea,
fra la mente e lo cose. Infine, ogni scienza dipende da principii
notissimi, tali sarebbero quelli di sostanza e di causalità, appro¬
vati dall'universale consentimento: oranis enim scien- tia pendet ex
principia notissimis omnium consensu approbalis (1). Se la
sostanza è un principio, e se la Filosofia Prima tratta del primo genere
della sostanza, che in¬ tendeva mai per questa il filosofo Aretino ?
Sostanza c ciò che sussiste per sè, c non aderisce ad altra cosa:
Substantia dicitur qua per se subsistit, non enim inest alteri(2). Or qui
vuoisi notare che le definizioni della sostanza date posteriormente
da Cartesio e da Spi¬ noza non differiscono da quella del Cesalpino,
salvo- e a cu ma, diversa e meno chiara, tale insomma da
ingenerare il sospetto di Panteismo reale. Giusta i pi’incipii del nostro
filosofo, la sostanza si spiega per quello che sia e indi risguarda
l'essenza ; mentre gli accidenti, che non esistono fuori della
sostanza, si riferiscono alla quantità, alla qualità, insomma si riferiscono
alle altre nove categorie o predico menti, secondo ladottrina
Aristotelica. Inoltre, la sostanza non riceve il più ed il meno, perchè
è indivisibile ed immateriale : quea sine, maleria est. La sostanza
prende anche il nome di forma, a cui si contrappone la materia. La forma,
secondo Ari¬ stotile, veniva prima della materia, perchè l’atto
sem¬ plice è prima della potenza: onde l’atto puro ammet- tevasi
come principio di tutte le cose e costituiva la sostanza. La materia poi
non era sostanza per sè, ma in virtù dell’atto § della forma (1).
Movendo da questa teorica il Cesalpino considerava pur la sostanza
come fine c come perfezione degli esseri : finis cnim et perfectio
substantia est ; ed aggiungeva sapientemente che il fino di ciascun ente
si conosce dallo sue operazioni (2), come dall’effetto si argui¬
sce la causa. Dalla sostanza o forma indivisibile, immate¬
riale, una, dipendono le sostanze finite o, com’ci le chiama, le forme
naturali, che sono certe partecipa¬ zioni del sommo Bene, o come tali non
sono divisibili la definì : per subslanliam intellign id, qnod in
se est et per se concìpitur. (1) Appendi.* ad Qucest.
perip., c. II. (2) Ivi, c. III. I
nò materiali ; ma si dividono accidentalmente, in quanto cioè sono
ricevute nella materia, per cui la natura corporea ad esse tutte si rende
necessaiia . solum natura corporea omnibus necessaria est. Adun¬
que, le forme naturali o sostanze finite vanno a in¬ dividuarsi, per così
dire, nella materia ; ma questa alla sua volta non può del tutto
separarsi dalla forma : quia omnino Materia separari nequit a
Forma. E qui non ti sembra di ravvisare nel Cesalpi- no il
precursore di Spinoza? Io sono propenso a crederlo ; ma con questo
divario : che il filosofo olan¬ dese, oltre non aver distinto la sostanza
infinita dalle sostanze finite, e quindi non far cenno aperto della
creazione sostanzialo, libera, ad extra, perchè tutti gli esseri
mondiali, così estesi come pensanti, non erano che modi di due
attributi infiniti, dell’estensione e del pensiero divini : in quel
cambio il filosofo di Arezzo non pure distingue la sostanza o forma
dalla materia, e però la sostanza infinita da quelle finite, ma
distingue chiaramente l'Intelletto divino dal- 1 umana intelligenza, che
si moltiplica secondo la mol- ìtudine degli uomini ; oltre il pensiero
ammette an- « • aiurnubbu i che il senso non
dorìva+A/Un» • i. ., (l) Avpendix Qmst. per i p., c .
L seri tutti, e quindi anche la materia, in quanto le cose tutte scorrono
da Lui (1) 5 ed ora sembra che si avvicini aU'Emanatismo spirituale, come
quando afferma che ogni anima ripete la sua prima origine dal
cielo, c che il lume, interiore, cioè l’intelletto onde l’uomo conosce le
cose, gli viene partecipato dalla sostanza immateriale che sola genera la
scien¬ za (2) \ ed ora pare si accosti al Dualismo aristote¬ lico,
ammettendo da una parto Dio, intelletto infinito ed eterno, e dall’altra
la Materia prima, non generabile e indeterminata ( 3 ); non bisogna al tempo
stesso di¬ menticare che nella prima del quinto delle Questioni
peripatetiche aveva distinto la successione degli es¬ seri nel tempo per
leggi c cause naturali dalla prima creazione di tutti gli animali c degli
altri esseri per efficienza dcH’Entc primo : cum alia sit prima om¬
nium animalium et cceterorum entium creatio, guce a primo Ente in
principio ejjluxit ; alia eorundem successio. Ed altrove accenna alla
conservazione e provvidenza del mondo per opera dell’Ente uno e su¬
premo : ab Uno igitur sunt omnia et conservantur (4). D'altra
parte, il Cesalpino dmmise la genera¬ zione spontanea degli esseri
organati, in vii tù del (1) Appendix ad Quaist. perip., c.
V. (2) Ivi, c. V. (3) u Nos igitur dicimua primain
Materiata ultiranm esse Bubiectumin quod resolvuntur trasmutabilm
quatenus trasmutabilia sunt-, neque componi amplius actu
otpotentia, esset enim generabili n. Qucest. perip., IV., V.
(4) Appendix ad Quasi, perip., c. I. calore e dell’azione del sole ;
disse che ogni genera¬ zione si eflettua nel tempo j che bisogna pai tiie
da ciò ch’ò meno perfetto per avere ciò cli’è più per¬ fetto, anche
secondo Aristotile ; che la prima gene¬ razione degli animali perfetti
procede dal verme ; e. da ultimo, asserì non potersi dare altre
sostanze fuorché le animate e le parti degli esseri animati. Laonde
a taluni è parso di ravvisare nel Cesalpino il precursore di Lamarck e di
Darwin rispetto alla dot¬ trina dell’Evoluzione o del trasformismo delle
specie. Non può negarsi una certa analogia fra queste
proposizioni dell’insigne nostro Naturalista ed alcuni punti fondamentali
della teorica Darwiniana. Ma, dopo le cose da noi esposte, come sarebbe
non con¬ forme a verità cd a giustizia accusare il Cesalpino d aver
negato assolutamente la creazione dell' Univer¬ so, ed accusarlo anche
d’ateismo e d’empietà, come piacque al Taurel (1) cd al Parker (2), e non
dargli tutto ciò che gli spetta qual fisiologo e filosofo na¬
turalista, nel che sbagliò lo stesso Puccinotti; così ra¬ to n vuole che
non si possa a tutto rigore considerare qua e antesignano dell'odierna
teorica dell’EvoIu- zione, perche il Cesalpino nelle Questioni
perita- “ m,so "»» s «'» videniia divina. e le forme
naturali non si fanno nò si corrompono: spe- cies autem et forma neque
fit neque corrumpitur (1); e quindi affermò lespecie essere eterne, e
solo corrompersi in qualche tempo gl’individui (2). E nella prefazione
al trattato sulle Piante aggiunse che la natura non pro¬ duce nuove
forme, nò dà vita a nuove bellezze delle cose : non quod natura novas
edat formas, aut novas rerum pulchritudines ejjingat. Il qual
pronunciato senza dubbio pecca di esagerazione ; ma intanto ò
chiaro che si oppone all’odierno trasformismo. Piuttosto conviene
ammettere che il Cesalpino, medico insigne e filosofo ad un tempo,
accennasse qua e là meglio di tutti i suoi predecessori e contempo¬
ranei la stretta relazione tra il corpo vivente, il senso, l’intelletto e
il mondo esteriore, e quindi precorresse l’odierna Psicologia
sperimentale, senza però con¬ fondere una cosa coll’altra, e senza cadere
nel mate¬ rialismo e nel sensismo. Imperocché s'egli errava nel-
l’insegnare che tutta l’anima sensitiva risieda nel cuore, peraltro
distingueva gli organi corporali dal senso, dimostrava tutte le
sensazioni esser provate ed unificate dall’anima ; la ragione essere
differente dal senso ed a questo superiore ; l’anima umana es¬ sere
immortale. Quanto alla conoscenza, distingueva le sensazioni dalle idee
che sono oggettive, ammet- (1) Quasst. perip., IV, 8. •
(2) c °me Carlo Alberto, Maz- Gioberti, M a miani t0 M O a
EUlanUele, ManZOnÌ ’ •«co, nè filosofo della storia* 011 ^ ^ St
°” P^ò i diritti del futuro pi *’ ® anC ° r men ° USUr ' del
nostro politico e mn, ® dd futur0 0mei '° •di Terenzio Mamiani ** *
® d 1 menti filosoficl Questo nome suona caro e venerato all’animo
nostro. Rari in ogni tempo e presso qualunque na¬ zione sono stati gli
uomini che coll’ingegno, coll’ani- mo, coll’operosità, col carattere,
coll’esempio, abbiano saputo e voluto nobilitare l’uomo, il cittadino, la
pa¬ tria, il mondo delle nazioni, la scienza, la filosofia, la
civiltà umana. Il più grande fra tutti gli elogj d un uomo preclaro è
sempre la verità : ed io pure mi at¬ terrò al vero, sicuro che al Mamiani
non potrà venirne danno nè macchia, a lui che del vero fu sempre
amante passionato, e ricercatore acuto e indefesso. IL
L’ingegno, l’animo e la vita del Mamiani furono sempre dominati o
ispirati da due nobili sentimenti, da duo eccelsi ideali, cioè dalla
patria nostra diletta c dalla filosofia. Egli vagheggiava un modello
perfet¬ tissimo del cittadino e del sapiente ; onde ricordava con
ammirazione Socrate e Platone, Varrone, Maico Tullio e Boezio, Dante,
Michelangelo e Campanella, c l’antico popolo di Reggio e di Metaponto,
popolo di filosofi, morti por la libertà e per la sapienza.
Miserande erano le condizioni politiche e civili d’Italia, e non
liete nè prospere le sorti della Filoso¬ fia nazionale nel primo quarto
del secol nostro. La Patria serva e divisa 5 la Religione cristiana
fr&ntesa da molti, che pareva la volessero nemica di libertà -,
laFilosofia speculativa imbevuta del sensismo di Con- diUac. Ora, la potenza
0 la grandezza dell’antica Roma signora di sè ] gli splendori e la
libertà dei nostri Comuni ; l’antica purezza e 1 efficacia moiale
del Cristianesimo, religione divina in se ma essen¬ zialmente umana e
civile ne’suoi effetti ; le glorie della Filosofia italiana dalla scuola
Pitagorica fino a G. B. Vico, e quindi il primato civile e
intellettuale d'Italia già venuto meno : queste rimembranze, al
cospetto delle miserie ed umiliazioni italiane dopo i nefandi trattati
del 1815o dopo i moti infelici del 21, dovevano straziare l'animo del
giovine Mamiani, nato a cose grandi. Ma egli non disperò : la Storia
gl’in- segnava che il popolo italiano cadde più volte, ma non perì
mai e risorso più tardi con forze nuovo e gagliarde. E però una fede
invitta e perseverante nei futuri destini della Patria animava l'ingegno
c il cuore del nostro giovine patriota, poeta, letterato,
pensatore, filosofo. L Italia è sacra e starà eterna! Ecco il
motto fati¬ dico che ripeteva sovente il Mamiani agli oppressori e
agli oppressi, nella patria sua e fuori durante il lungo esilio. La
suamente, robusta e moltiforme per natura, nudrìtadi studj svariatissimi
e profondi, vagheggiava unaquintaenuovaepocadiciviltà
italiana,chetornasso a splendore c profitto dclfuniverso mondo civile.
La nuo\a foima della nostra civiltà doveva soprattutto essere
incarnai ndJa indipendenza e libertà d’Italia; ne a distinzione
dell'Autorità spirituale dalla Potestà i e e P°^| ca * a Loma stessa.Fin
dalla sua gioventù, T ani ? a men ^ cet Ll cuore, il pensiero e il
senti- en o, apoesiaekscienza, il cittadino eilfilosofo cooi-
onevano una stupenda armonia ed unità. E queste doti e qualità diverse
sono appunto necessario a con¬ cepire un alto ideale, ad avvisarne i
mezzi per at¬ tuarlo, a porsi davvero all’opera per dagli almeno le
prime fattezze, lasciando ad altri, fossero pure gli avvenire, il
compimento q la perfezione dell’opera grande. Napoleone I
disse che nel mondo sociale vi sono due forze poderoso ed efficaci, la
spada e lo spirito ; ma soggiunse che lo spirito vince finalmente la
spada. Al risorgimento politico, intellettuale e morale Italia, e
però ad iniziare la nuova epoca di nostra civiltà, il Mamiani reputava
esser necessarie quelle due grandi forze, la spada e lo spirito, le armi
o il pensiero. E della necessità di contcmperarc alle armi gli studj
abbiamo esempj antichissimi in casa nostra, nelle città fa¬ mose di
Metaponto, Crotcme, Taranto, Locri eReggio, famiglie e collegj di
filosofi e di guerrieri. Ma lo spi¬ rito, vale a dire la intelligenza e
l’animo, la lettera¬ tura, l’arte, la scienza, la filosofia, insomma la
rige¬ nerazione intellettuale e morale degl’italiani dove¬ vano,
secondo lui, precedere edaccompagnare le armi, perchè bene apparecchiata,
illuminata, compiuta e durevole fosse la vittoria di queste, e indi
perchè alle imprese guerresche potesse e dovesse soprastare la
opera feconda della civiltà vera. E qui appare tutta la nobiltà del conte
Mamiani, come patriota, citta¬ dino e uomo di Stato. Già fino
dal 1838, assai prima di Cavour, l’esule Mamiani inculcava ne’suoi
scritti doversi abituare « le menti, e sopratutto le giovanili, a
scorgere ed a riverire nell’eccelsa Roma la sola e legittima città
capitale d’Italia E sul cadere del 47 vaticinava prossima e solennemente
giurava la salvezza del¬ l'Italia intera. M Cademmo per le discordie e la
cor¬ ruttela (egli diceva ai Perugini), e per li soli con- trarj
loro noi potremo risorgere. Inebriamoci, a così dire, della carità cittadina,
e un qualche tempo al¬ meno viviamo dimentichi di noi stessi e
ricordevoli unicamente della patria comune : cd io vel giuro per
gli spiriti sacri e immortali dei martiri della li¬ bertà, noi salveremo
l’Italia, e tutta la salveremo o per sempre „. E ancor dopo le italiche
vittorie e le sconfitte del 48 e 49, gloriose le une, non umilianti
le altre ; dopo la caduta di Roma e di Venezia c la sconfitta di Novara,
egli non disperò delle sorti d’Ita¬ lia, e ripeteva in Genova sopra la
fredda e venerata spoglia di Carlo Alberto : L’Italia farà da sè.
HI. Ma quali furono gli atti più cospicui del Mamia- m
come patriota e statista, e quali mezzi ravvisava eg cconcj ed opportuni
a rigenerare politicamente «ralente l'Italia ? Nato a Pesaro il !0
settembre Eom ''7' “ nlara a K> e " a 22 anni ed era
studente a ^ -do avvennero ipr ìmi ffioti UboraU nol _
mtramonr° r n ‘ ltttori Principali » fileno » fa-
tatti d'aver 1 -a ^ pr ' s ‘ oni delio Spielbergo, rei Sol i
no tr! Cra ‘° k Ub “ a dd 'a patria In nostro giovine patrizio non solo
attendeva a larghi studj letterarj, filosofici e storici, ma
s’ispirava insieme alle glorie passate di Roma e d’Italia; e non
tardò guari ad esprimere, in una certa sua poesia, concetti e sentimenti
liberali. Onde il padre suo, conte della Rovere, lo richiamò a Pesaro,
dove fioriva in allora la scuola classica marchigiana del
Pcrticari, del Leopardi, del Cassi e di altri minori, e che fu
anche patria del principe dei musicisti italiani, del¬ l’immortale
Rossini. Chi non percorre la nostra bella Italia non può
conoscerla nò amarla degnamente ; clic quanto più si conosce c si pregia
una cosa, e tanto più si ama. Dal 1826 al 30 il Mamiani percorre l’Italia
media e la superiore, e ritorna più volte alla nativa Pesaro. Nel
26 conobbe in Firenze i principali scrittori dcl- l'Antologia fondata dal
Vieusscux, quali erano Gr. Capponi, Tommaseo, Niccolini, Giordani,
Poerio, Col¬ lctta : ingegni tutti liberali, robusti ed eletti, che
non potendo in allora e da soli bandire e combattere una guerra di
nazionale indipendenza intendevano col pensiero c colla penna a
rigenerare la Penisola serva e divisa. Più tardi lo vediamo a Torino,
dove in¬ segna per due anni le patrie lettere nell’Accademia
militare. Ma il primo periodo d'intellettuale e civile preparazione pel
giovine patriota ò oramai finito. Mentre il Mamiani attende in
Pesaro a dar compimento, degna e classica forma a’suoi Inni sacri
perchè meglio ritraggano i suoi nuovi ideali civili, politici e
religiosi, ne viene distolto dai moti liberali del 31 nelle Romagnc c
nell’Italia media. Risponde lieto c volenteroso all’appello della patria ;
eletto a deputato di Pesaro, siede poi a Bologna ministro del¬ l’Interno
c però membro del Governo 'provvisorio ilelle provincia unita italiane.
M’avvicinarsi delle truppe austriache, solo il Mamiaui corre animoso
dal generale Zucchi scongiurandolo a resistere colle po¬ che
milizie cittadine. Ma prevalse londa straniera invadente e il Governo provvisorio
dovè trasferirsi ad Ancona. Dopo il fatto d’ariuc, non inglorioso,
di Rimini, disperando oramai di potere più a lungo tener fronte
alle agguerrite e soverchiane forze stra¬ niere, il Governo provvisorio
venne a patti col cardi¬ nale Benvenuti, stabilendo di concedere amnistia
ge¬ nerale agli insorti, c di restaurare il Governo ponti¬ ficio.
Ma al giovine o delicato Mamiani non parve dignitoso quell’atto c rifiutò
sdcgnoeamcntc di fir¬ marlo, anteponendo l’esilio volontario all’amnistia
1 Sul ponte del vascello che portava lui con altri pri- gonicu
italiani a Venezia, il cugino del Leopardi, pieno di fede nei destini
d'Italia, nonostante i fatti dolorosi e la realtà del presente, concepì
l’inno stupendo ai Patriarchi. Dalla prisca civiltà, dalla storia
del popolo italiano sempre risorgente c dall’eccelsa natu- a c uomo
Egli traeva gli auspicj perle sorti non 1 e o piogressive del genere
umano e segnata- nente della stirpe latina: XItalia è sacra c
starà eterna ! Ma ogni fede, c però anche la fede del
cittadino ta c snrrptt^T’if ' ana ’ c l uan ^° non sia
accompagna¬ la c sorretta dalle onpm T,’’ • . . . P c. L il
Mamiani si accinse subito a corroborare la sua fedo di patriota ed a colo¬
rire il suo ideale col pensiero, colla penna, coll'esempio, coll'azione,
colla vita intera. Da Venezia fu condot¬ to a Marsiglia, dove gli fu
comunicata la sua con¬ danna all'esilio perpetuo. Dal 31 al 47 visse
dignito¬ samente a Parigi, dedicandosi tutto all'avvenire della
patria, al culto delle lettere, al rinnovamento della filosofia in
Italia. Considerando tutte le reali condi¬ zioni della nostra penisola e
d’Europa non gli sem¬ brava guari fattibile il disegno ardito c vasto
di Giuseppe Mazzini, esule egli pure fino dal 31. E però dopo un
breve carteggio col fervido ed eloquente apo¬ stolo dell’italica
democrazia, il Mamiani, pur con¬ corde con lui nel fine supremo, di far
cioè libera e indipendente l’Italia, opinava si dovesse battere
altra via. E così di fronte alla Giovine Italia si costi¬ tuì un
Comitato nazionale presieduto in Parigi dal Mamiani. Pensiero ed azione;
Dio e popolo : ecco il motto assennato e pratico dell’apostolo civile
ge¬ novese. Pensiero, concordia ed azione ; rigenerazione
intellettuale e morale degli Italiani; miglioramento economico del popol
minuto, osservanza e fiducia nel medesimo per liberare l’Italia : ecco le
massime fon¬ damentali che dal canto suo predicava e inculcava il
Mamiani. E poiché l’azione dev’essere preceduta e illumi¬
nata dal pensiero, così la letteratura, la poesia, la storia, la
filosofia sono principalmente rivolte dal¬ l’esule Pesarese a rivendicare
la libertà c indipen¬ denza della patria. Compone \'Ausonio, c vi canta patrii
e civili sentimenti. Scrive il Rinnovamento dell’antica Filosofia
italiana, e (oltre dedicarlo alla sua città natale) vi pone in maggiore
evidenza il pensiero speculativo e insieme pratico degl Italiani j
con esso libro richiama alla mente de’ suoi conna¬ zionali e fa meglio
conoscere agli stranieri il nome, le dottrine, il metodo scientifico
d’ingegni nostrani, quali furono il Pomponaccio, il Cremonini, lo
Zaba- rella, il Cardano, il Eizolio, il Telesio, il Della Porta, il
Valla, il Bruno, il Campanella, e Andrea Cesal- pino, ingegno sommo,
inventivo e acutissimo non pure nelle fisiche ma eziandio nelle
metafisiche di¬ scipline. E così il Mamiani accennava ad altri la
via per fare nuove ed impensate ricerche. Ma non contento di questo,
chiude il suo libro col vivo de¬ siderio ed augurio che sorga presto
nella nostra patria una scaola novella da cui si pigli ad ereditare
con franco animo l’antica sapienza speculativa e le antiche arti
metodiche. In progresso medita i Dia¬ loghi dx Scienza prima, ove distilla
il succo nutritivo oave della sua mente profonda, e vi raccomanda,
speme per l’Italia, una filosofia alta e piena di vita, Um / aCC -
lUd M let ? raassime Perfezioni dell’essere 0106 ll - pens, ’ ero s
ùnte, la fede incrollabile . t ZI 6 li offre nel 46 al Popolo
TÌZT maiPerÌtUr °’ ÌQ 8 e S Q0 d ’ a *ore immenso e ui sublime
speranza. • tesse avvenire^ ^ nsor81mento politico italiano
po- aal a Q escogitarne i mezzi pratici e morali. Come Dante per
ritornare a civile grandezza l’Italia, già donna di provinole,
mirava prima col suo divino poema a rigenerare moralmente l'uomo e
la società civile e religiosa ; cosi il Mamiani credeva necessaria la
rigenerazione delle menti e degli animi italiani perchè indi risorgessero
politi¬ camente. Di qui il suo concetto dell’educazione mo¬ rale e
intellettuale del popolo, dei modi per attuarla, dei doveri e diritti
delle moltitudini: cose tutte esposte è determinate magistralmente nei
Documenti pratici, che seguono al Parere dello stesso Mamiani sulle
cose italiane, e che meritano d’essere anche ai nostri giorni
attentamente considerate. Dalla pub¬ blicazione di quei pratici Documenti
alla proclama¬ zione delle varie Costituzioni italiane nel 48 corse
appena un decennio ! Il pensiero e gli studj prece¬ devano dunque le
riforme civili e le armi, e ne as¬ sicuravano le prime vittorie.
Anche le solenni riunioni dei dotti italiani nelle più colte e
principali città della Penisola giovarono assai a maturare il
risorgimento politico della Na¬ zione. Ora vuoisi notare che la prima
idea dei nostri congressi scientifici si deve al Mamiani, avendone
egli accennata la utilità e convenienza ne’ suoi Do¬ cumenti pratici. Del
primo congresso di Pisa nel 39 non potè il nostro esule partecipare ; ma
nel 73 con¬ vocò sul Campidoglio la XI di queste riunioni e potè
bandire al mondo civile che oramai u libero il pen¬ siero, una la patria,
il congresso degli scenziati ita¬ liani scioglieva in Roma l’antico voto
n . Ma riprendiamo o seguiamo rapidamente gli eventi. Per opera di
Carlo Alberto, il Mamiani ave¬ va nel 47 rimesso piede in Italia,
ospitato prima a Torino, poi a Genova. Ma ne a Pc3aro, nè a Roma
volle far ritorno se non dopo la promulgazione dello Statuto pontificio,
avendo giurato che sarebbe rien¬ trato in patria solo pa' la povta
dell’onora ! A Ge¬ nova fonda il giornale politico la Lega italiana,
il cui vasto e nobile programma, mentre era una con¬ ferma delle
sue idee intorno alla rigenerazione in¬ tellettuale e morale degl’italiani,
rivelava le doti emi¬ nenti del pubblicista ed i sani principi sulla
vera missione della stampa, detta oggidì il quarto potere dello
Stato ; come pure faceva palese le nobili aspi¬ razioni del cittadino c
del filosofo a ricollocare nel primo seggio la sapienza civile
degl’italiani. E sotto questo ì ispetto 1 opera del Mamiani si riannodava
alle idee dell’autore del Primato o del Rinnovamento civi e d
Italia. Eletto a deputato di Pesaro e poi no¬ minato Ministro
dell'Interno, propone all’Assemblea romana liberali e savie riformo d’ordine
politico ed amministrativo ; parla nobile c franco a Pio IX, mira 6
empre, come deputato e ministro, col pensiero, colla esilV:f 1 :,
att, ',H 1,UnÌV - a ltalia > e s P osa a ^ e reali della civili
et P ° ^ et * tl 1 ficozza e pre- IbnTdf *T r “ "" KC °
vera .iniani Non 1 6 ancora si s P in S e il Ma- Non solo
ammetto la > reaRj^obbietUva u _^lle j- AtX idee, ma pare
voglia conciliare l’esperienza interna ed esterna con {'intuito delle idea,
intuizione che non è più sentimento nè percezione. E dopo aver pro¬
pugnato che ogni idea universale è ante rem, mentre ogni nostra
cognizione è post rem, conclude reciso : “ O credete all’idee, ovvero
disperate di mai salire a certezza c universalità di scienza „.
Ne’ Dialoghi di Scienza prima scrisse che Dio era conosciuto dalla
mente nostra non quale oggetto immediato d'intuito, ma sotto la relazione
comune dell’essere. Invece nei Principj d’Ontologia non pure fa
consistere l a pietra angolare di tutta la scienza n el reale sussistere
dell'Assolu to, ma propugna che la mente umana intuisce l’Assoluto, cioè
il Vero, il Bello, il Buono, il Santo. Onde quel contatto marginale
della nostra mente coll’ Assoluto e la famosa teorica degl’m-
flitssi divini, che vogliamo compendiare colle stesse parole del Mamiani:
“ L’a zione occ ulta dell’Assoluto sull’animo nostro ha cinque forme
originali e diverse, e cioè la creativa, la in telle ttiva, la estetica,
la mo¬ rale c la re ligio sa. Per la prima aziono l’uomo esiste,
per la seconda egli afferma, per la terza ammira, perla quarta ap prov a,
per l’ultima adora „. — Certo,queste dottrine filosofiche sono ardite ed
esagerate. Ma chi potrebbe dire che non abbiano alcun fondamento,
clic siano false tutte c di sana pianta, ove si consideri tutti gli
elementi neccssarj a formare la conoscenza uma¬ na, ove scrutiamo a fondo
Tesser nostro in sè e nelle suo relazioni, ne’suoi concetti più elevati e
senti¬ menti più nobili, ove infine si badi alla natura purissima della
scienza clic rispecchia nella mente nostra finita ed imperfetta, la
realtà, la grandezza e la per¬ fezione dell’universo? Del rimanente, ogni
gran pen¬ satore e novatore ha sempre qualcosa di manche¬ vole e di
erroneo accanto ai suoi peregrini concetti ed alle sue verità. Por
esempio, al Vico, creatore della Filosofia della Storia, fu contestata la
teoria dei corsi storici ; al Leibnitz, autore del famoso trattato
sulle Monadi e che avea chiarito da pari suo ed applicato universalmente
il concetto di forza, venne a buon conto rimproverata l’armonia
presta¬ bilita. Ma l'ingegno filosofico del Mamiani spicca
alto c sicuro il volo nei Principj di Cosmologia, là ove
segnatamente discorre della vita e del fine nell’Uni¬ verso, e dove
stabilisce e compie la nuova teorica del Progresso. Tesoreggiando la
parte inventiva, sana e vera delle dottrine del Leibnitz circa
l’ori¬ gine, la natura e l’ordinamento dell’Universo, o giovandosi
dei mirabili progressi delle scienze spe¬ rimentali, due grandi nostri
filosofi hanno scrutato a fondo c con novità di concetti l’essenza
intima, la prima origino, le correlazioni supreme, l'armonia e
l’ordine, nonché il fine ultimo dello cose tutte: >1 Mamiani nei detti
Principj di Cosmologia, e più taici il Conti nell Armonia della cose. Io
penso che mora nessuno li abbia superati su questo subbietto capita
issirno della Filosofia, trattato da essi con acume e larghezza di
vedute, con sapere consuma¬ ssimo e, specie del Mamiani, con analisi fine
perciò che risguarda i principj causali c formativi, le relazioni supreme
e finali così della vita vegetativa ed animale, come della vita umana e
razionale. La teorica dell'umano progresso non è nuova; si
deve segnatamente al Turgot, al Condorcet, al- l’Herder, al Kant e al
Fichte. Ma il nostro Mamiani ha dimostrato con novità di prove razionali
c spe¬ rimentali la necessità del progresso indefinito non sulla
Terra unicamente, ma nell’Universo intero mercè la vita razionalo c
morale degli esseri .intel¬ ligenti e liberi. E quanto al progresso umano
sociale, questo dovrà alla perfine condurre alla massima ci¬ viltà,
armonizzando le forme parziali di progresso e d’incivilimento dei varj
popoli, che tutte possono ridursi a sei, cioè l’attività, la scienza, la
libertà, l'arte, lo Stato e la moralità. E poiché il risultamento-
finale e durevole del progresso e perfezionamento di molte nazioni non
può esser mai l’opera esclusiva di ciascuna di esse, come la Storia
dimostra ; esso vuol essere attribuito a certo organismo occulto di
tutte, che si svolge e si perfeziona per disegno e lavoro ma-
raviglioso della natura. E così il Mamiani rinnovava e compivalaTeorica
del Progresso, e stabiliva l’Unità organica del mondo delle
nazioni. Questa cd altre dottrine del Mamiani, come la sua
teorica della Percezione, hanno davvero fattezze native e indole
schiettamente nazionale, e bastereb¬ bero da sole a far glorioso il nome
d'un uomo e a dar vita ad una Scuola filosofica italiana, teista
spiritua¬ lista civile e liberale ad un tempo. Il Mamiani credo
Valdarninì 9 ]30 TERENZIO ATAMANI
nc fosse internamente persuaso; onde vi tornava so¬ pra più volte c
sotto diversi aspetti nelle «altre sue opere, c segnatamente nella
Rivista di Filosofia delle scuole Udirne da Ini fondata e diretta per 15
anni. V. Ma la filosofia del Mamiani fu non meno
spe¬ culativa e profonda, elio pratica c civile : a nessuno dei più
gravi problemi sociali del nostro secolo ri¬ mase straniera. Tutte le
questioni sociali si possono in fondo ridurre a quattro : religiosa,
morale, eco¬ nomica (l), politica. ÀI Mamiani parve ornai risoluto
presso di noi il problema politico, ritenendo egli suf¬ ficienti c sicure
le nostre guarentigie costituzionali, e stimandola libertà più c meglio
che un diritto, un dovere. Al problema religioso rivolse egli la
mente «no dalla sua gioventù, mirando ad una religione pu¬ ra,
ottima, universale, conforme alla natura razionale O religiosa dell'uomo,
o olio fosso ad un tempo emi¬ nentemente civile o morale. A questo idealo
egli mirò »« vai;, suo, scritti,dagl'/,,,,; sacri „ W|, r
1" ^•"‘l’oMvae^tua id D 0 .° n ^ cm P 0 > lordine
morale, l’ordine giuiùdico e or me economico ? L’ingegno umano e la
scienza, ani ™ ancora ns P 03t ° a questa formidabile do- * . SC . P Urc
Un Scorno arriveranno il pensa¬ sti nrp* ^ SC ‘ enZa . ad
armonizzare quei tre ordini fiJLT 6 r dÌVCrSÌ elementi sociali,
dubitiamo V aVUa prati0a 8i «"* -empre e do- daiia
mmie acuta»! ‘ h “ "r7- KMt ’ cne * ra * e arti
umane due sono le più difficili : l’arte d'educare e quella di
governare, gli uomini. Quindi ogni secolo ha avuto gravi
problemi so¬ ciali da risolvere. Di questi problemi alcuni sono di
indole generale perchè riguardano il mondo delle nazioni o l’umanità
consociata, tal sarebbe il ricono¬ scimento pratico e giuridico
de’diritti naturali degli uomini ; altri sono particolari, riguardanti
cioè una sola nazione, tal sarebbe il modo di conciliare l'unità c
la integrità dell’impero Austro-Ungarico col prin¬ cipio d’autonomia e di
libertà delle varie schiatte e popolazioni che oggi formano
quell’impero. A quattro possiamo ridurre le principali que¬
stioni sociali dei tempi nostri e sono le infrascritte. 1° La
questione morale, non tanto per la varietà e moltiplicità dei sistemi
scientifici morali che oggi più che mai si contendono il campo, quanto
per lo scadimento pressoché universale del senso etico. Quindi
convien ricercare le cagioni tutte di questo fatto, ravvivare e rinvigorire
negli uomini il senti¬ mento morale, e praticare nelle relazioni vuoi
private vuoi pubbliche i sommi principj di moralità e onestà e di
equità naturale. 2° La questione religiosa, non solo pei
doveri dell’uomo verso Dio e nell’interesse della sua desti¬
nazione oltremondana, ma per istabilire e mante¬ nere in modo più sicuro
l’unità morale fra gli uomini tutti. Ai nostri tempi, invece, non solo
permane la diversità delle religioni positive che possono dar ésca
a divisioni di popoli e fomentare guerre sterminatrici e da barbari, ma sempre
più vivo si palesa il conflitto fra la ragione e la fede,, tra il domina
e l’esperienza illuminata, fra la scienza c la religione. In qual
modo comporre il dissidio tra i principj della scienza e i diritti della
ragione da un lato, fra le verità di senso comune e le aspirazioni
dell'anima umana dall’altro, essendo l’uomo costituito dalla na¬
tura animalo religioso ? 8° La questione politica, la quale
risguarda non tanto la forma di Governo, lo più sicure ed ampie
guarentigie costituzionali, quanto e meglio la libertà civile e politica,
che le democrazie moderne vor¬ rebbero portare col fatto all’ultima sua
espressione. Oia ognun vede che siffatto problema presenta gra¬
vissimo difficoltà, ove specialmente si riconosca cs- • sere la libertà
per gli uomini particolari e per le nazioni, pei governati e per gli
stessi governanti, non solo un diritto ma un dovere. 4° La
questione economica, vale a dire la ric¬ chezza d, pochi e la quasi indigenza
dei proletari che cosi,tu,senno i quattro quinti del genere umano!
Il rim to d, proprietà individuale e le condizioni miser-
r k > Ìl Capi ‘ ale e U “"0 «peeial- fii T„ ",
”T° ' 1Uasi in aperto co,, - „ lìr r r p0n '° “«evolute «
™io. alla nel’ itt0 ' d,e tla U«"i » spinto «no
Può il°.e 0 ', 0 ' ° dlntt0 1,1 Possedere c di testare? pili
"° S . lro -P'-omettar.i di risolvere il Ln Z) m (00me
il 0 nella »™‘'“»‘a Ma sorbir M salario e quindi nella reale a
compita emancipa¬ zione del quarto stato ? Lo quattro grandi
questioni sociali si riducono in sostanza a due : al problema morale cd a
quello economico sociale, che hanno carattere di universa¬ lità
vera e propria, riguardando essi il genere umano nell’ampio giro del
tempo o dello spazio sulla Terra. Noi ci occupiamo qui della sola
questione economica sociale e del modo di risolverla praticamente in
Italia, secondo le dottrine c gli espedienti del Mamiani, de¬
sumendo lo une c gli altri dai varj scritti di lui. Ma prima diamo un cenno
storico della questione medesima. II. La
questione economica non c nuova nè mo¬ derna, ma può dirsi rimonti alle
prime società civili. Ogni epoca e ogni grande Istituzione sociale,
come lo Stato c la Chiesa, han tentato di risolvere o a modo loro o
in conformità dei tempi l’arduo c com¬ plicato problema. Ma è stata
sempre una soluzione parziale e provvisoria, mai totale, generale o
defi¬ nitiva, sia per la natura dei mezzi adottati, sia per la
stessa nativa diseguaglianza degli uomini c per le nuove esigenze della
civiltà progrediente. La istituzione delle caste nell’antico Oriente, la
di¬ visione legale fra i liberi e gli schiavi nella Grecia c nel
mondo romano, le corporazioni religiose isti¬ tuite dalla Chiesa, il
sistema feudale nel medio evo. le stesse corporazioni d’arti e mestieri
appo i nostri Comuni c le nostre Repubbliche, si credettero spc-
dieuti efficaci a risolvere la questione economica so- cialc, e quindi
furono adottati per Scongiurare il pericolo. Ma nè il Paganesimo che
negava agli schia¬ vi ed ai servila personalità morale e giuridica, nè
il Cristianesimo che riconosceva nei volghi servili la personalità
umana c l’eguaglianza morale, e pre¬ dicava ai ricchi la carità, ai
poveri la rassegnazione, nè le istituzioni sociali del medio evo in
Italia ed altrove, riuscirono a risolvere la questione economica,
ma ol’aggiornarono semplicemente, o la indirizzarono per una nuova
strada. I nuovi principj del Cristianesimo neppure nel medio
evo valsero ad appagare sempre lo plebi, a distoglierle dai beni presenti
esortandole a restar povere e tranquille. u I pensieri c gli affètti
dell'uomo staccati a forza dalla vita presente, nondimeno di tratto
in tratto vi tornavano, c il sentimento della vita irrompeva fortemente e
violentemente. È questo senti¬ mento che in Italia nel 1035, al tempo
della lega dei valvassori minori contro i maggiori, faceva
cospirare anc ie gli uomini di servii condizione contro ipadroni, e
darsi giudici, ragioni e leggi. Parimente nel 1387 vediamo nel Canavcsc,
Vercellese e Vallese, nella mna e Tarantasia e in altre parti, il
popolo i nnViT 10 a^ 6 t0lrc 0 ca «)pagna sollevarsi contro
mm-P ì tl * vast ‘ mot i dei contadini misero a ru- di li fn eBta “ Ìa
- la ricchezza c la povertà. Col sistema dello p.ccolc industrie,
l’operaio poteva sce- :r c tra ; d,vcrsi P adl '°"i quello che
gli faceva mi- ST COnd ' Z10 "' ; 11 Ch0 «« “'-va di stimolo a
rcn- *«*“» “1 ambita Papera m Si voro V),. 0,- e ’i " n
C ° rt ° ei l ailibrio tr a capitalo e 1»- AtomtVoll b ° n °| ZJ n
°" Si 1WSSOno P iil avcr0 001 « s“ V-'; ° Ì,,dUSl, ' !a - » *
'intedia co- -i caoitalist' asolanti, PCi-cU alla lega di questi
P'tabst, possono contrapporre la propria eoa piti HI sicura e
pronta efficacia. Venendo meno le piccole- industrie e scomparendo
gradatamente il ceto medio, alla perfine il cajiitale e il lavoro si
troveranno l’uno di fronte all altro. JE già il conflitto è
cominciato qua e la in più luoghi e sotto aspetti diversi : vi è un
cumulo di odii mal repressi che anelano la ven¬ detta o almouo la
rivincita. Tantoché, ove non si pensi in tempo ai firnedj, vi è da temere
uno scon¬ volgimento sociale nell’ordine politico ed economico. Ma
quali rimedj adottare e come prevenire un ri¬ volgimento sociale, clic potrebbe
essere il più ter¬ ribile nella storia del genere umano ? Ecco
l’arduo- problema economico sociale, ecco la sfinge moderna, che
preoccupa la mente del filosofo, del filantropo,, dell’economista e
dell’uomo di Stato. III. Alla pratica soluzione di
questo formidabile pro¬ blema in Italia il nostro compianto Mamiani
involse per oltre quarant’anni (1S3S-.1SS2) la mente, il cuore, gli
studj suoi ampj e consumati. “ Quella comunanza di uomini (egli scriveva
fino dal 1838) elio non sa- trovar modo, o non vuole, di schermire dalle
neces¬ sità estreme della vita gl’indigenti onesti e d’ogni fatica
volonterosi, non può dirsi con proprietà sa- piente e civile, ma sotto
apparenze molto contrarie è- barbara e insipiente tuttavia. Le genti
educate ed agiate sono dalla natura e da Dio costituite madri e
tutrici delle infime plebi, e di queste hanno a. render conto molto
severo sì innanzi alle società urnane e sì innanzi a Dio padre dei poveri „
(1). Fer¬ mato ciò, il Mamiani rigettando le strambe utopie dei
Comunisti e dei Socialisti moderni perchè ingiuste e non attuabili, e
scegliendo quelle riforme e quei miglioramenti sociali che erano o che
gli parevano possibili e praticabili in Italia, esule a Parigi
segnò ne’ suoi Documenti pratici intorno alla rigenerazione morale
intellettuale ed economica degli Italiani, al¬ cune linee di quel vasto
disegno onde il secol nostro intendeva e intende a migliorare le
condizioni del popol minuto. I mezzi da lui proposti per soddisfare
ai diritti che riguardano la sussistenza sono gl’in¬ frascritti.
1° Abolire i dazj c le imposte d'ogni natura che gravano più
propriamente sull’infimo popolo. 2° Francarlo dalle viete tasse
parrocchiali as¬ segnato all’ adempimento di certi atti solenni,
civili e religiosi. •j° Moltiplicare e perfezionare gli
ospedali, i ìicovcri, i monti di pietà c simili altri istituti di
pubblica beneficenza. 4 Propagare il più che si può tali istituti
anche per i villaggj e le campagne, c imitare da per tutto esempio
d alcuni Comuni rurali, che a loro spese provvedono i contadini di medico
e medicine. ò Rifornì are ed ampliare le leggi e i regola¬
menti circa ai patti e alle mutue relazioni tra i fab- (1) Scritti
politici, edizione renze, Le Monnicr, I853. ordinata
dall’autore. - Fi e la questione economico- soci a Lu¬ bricanti,
capomastri e bottegai da un lato, e gli ope¬ rai, giornalieri, manuali e
apprendisti dall.’altro, porgendo a tutti i secondi guarentigia e
soccorso nei termini dell equità, e contro l'egoismo e la durezza
dei primi. G° Istituire in ogni città, dove gli operai so¬
vrabbondino, due sorte di lavorerìe pubbliche per¬ manenti : 1 una pei
rozzi braccianti, l'altra per gli operai delle arti comuni.
7° Tali istituti ordineranno per guisa i rego- menti c le
discipline proprie, c con si fatta misura proporzioneranno le loro
mercedi, da non sopraffare in nulla le industrie de’privati; mentre
toglieranno a queste l’arbitrio di soverchiare gli operai in nes¬
suna cosa. • 8° In tali lavorerìe ed officine pubbliche non
debbono gli operai nè esser costretti a vivere rin¬ chiusi, nè perdere
alcuna porzione di quella indi¬ pendenza, di atti c pensieri che la
civile libertà con¬ cede ad ogni uomo onesto. I lavori, poi, scelti
e ordinati in quelle saranno volti con provvidenza ed accorgimento
alla pubblica utilità, e segnatamente a quella del popol minuto.
9° L’ammissione a tali opificj sarà concessa ad ogni operaio il
quale darà prova di aver offerto in¬ vano l’opera sua nelle officino
privato. E il pericolo della soverchia c non strettamente necessaria
fre¬ quenza degli operai in quelle lavorerìe sarà evitato, con fare
strette più dell’uso ordinario le discipline, le quali poi debbono esser
pensate c trovate con ingegnò SÌ fatto da convertirle in buoni e
quotidiani metodi educativi. IO 0 - Tutto ciò richiede che il
tesoro arricchisca abbondevolmente per altre vie. Nuova fonte di
ric¬ chezza pubblica può divenire la tassa detta progres¬ siva, ed
una sull’eredità trasversali proporzionata al grado più o meno stretto di
parentela, e il rendere mobili e circolanti i beni immobili c camerali, o
per ultimo il fare sparmio di tutta l’immensa moneta che
inghiottono e scialacquano i grossi eserciti stan¬ ziali, i gran favoriti
di corte, i doganieri, e mille altre specie di ufficiali e di salariati o
perniciosi o superflui. 11° Con molto valsente tenuto in.
riserbo, si ovvierà a quegli accidenti imprevisti che turbano a un
tratto 1 economie delle industrie e del lavoro quotidiano. Così
gl’italiani, antichi fondatori delle Case di lavoro, perfezioneranno
conforme ai bisogni dell età nostra il pietoso trovato degli avi
loro. 12 Riguardo alle campagne, bisogna in primo luogo
riformare ed ampliare il codice forese od agra¬ rio, perchè si tutelino
con più efficacia i patti e le relazioni giornaliere fra i possidenti e i
coloni, mi¬ gliorando le condizioni di questi ultimi, e mallevat¬
ole contro ogni ingiustizia e sopruso. 13 In secondo luogo, bisogna
istituire in ogni P noia compagnie di assicurazione (sovvenute dal
mune) contro i danni delle gragnuole, delle carestie, jpizoozie ed
inondazioni, affinchè i contadini si veg- accertato ogni anno il
frutto del loro sudore. E quando il raccolto sarà favorevole ed
abbondante, i contadini concorreranno per la lor quota al pa¬
gamento della tassa di assicurazione. 14° Un Consiglio superiore,
aiutato dai suc¬ cursali delle provincie, prenda in cura speciale
lo studio e la vigilanza degl’interessi del popol minuto. A questo
Consiglio saranno ascritti molti uomini pratici e versati in dottrine
particolari relative ai fini proposti, e tutti splenderanno di specchiata
pro¬ bità o di zelo grande verso i poveri. 15° Una parte del Consiglio
medesimo prov- vederà specialmente alla vita sana del popolo, pro¬
movendo le società di temperenza felicemente ini¬ ziate in America e in
Inghilterra, ed esaminando l’interno delle officine, la materia e la
qualità dei lavori, i cibi quotidiani, gli alloggj, le vesti e simili
obbietti. E sarà bene imitare Leopoldo I di Toscana, il quale a spese
dell’erario fece murare in luogo ario¬ so gran numero di casette decenti
ed acconce per l’in¬ fimo popolo. Questi pagherebbe una modica
pigione. 16° L’altra parte del Consiglio veglierà gli an¬
damenti del popolo, la qualità delle sue industrie e de’suoi negozj.
Vedrà pure ilConsiglio quel che sia da ristorare degli antichi Statuti
delle arti e quello che sia da aggiungervi : ad ogni modo, promoverà le
con¬ gregazioni e consorterie legali degli operai, dei ca- pomastri
e d'ogni specie di artieri, con l’intento di accrescere ad ognuno i mezzi
di produzione, e se- gnatamentelo spirito di fratellanza e disciplina.
Si¬ milmente, il Consiglio promoverà con zelo perseverante le anioni e
consorterie dei piccoli proprietarj e dei fittajoli, compensando per tal
guisa i danni e gl’inconvenienti dei poderi troppo angusti.
Veglierà, infine, sulle pubbliche mostre, sui comizj agrarj, su¬
gl’incoraggiamenti e sui premj da assegnare ; stu¬ dierà il valore de’
nuovi ritrovati e degli ultimi per¬ fezionamenti, ed agevolerà ai poveri
artieri lo smal¬ timento de’ rispettivi lavori, contro il monopolio
dei troppo ricchi, cd a freno degl’ incettatori e riven¬
ditori. 17° Il Consiglio procaccerà di mettere in buono
accordo fra loro gl’ istituti di carità e beneficenza, facendo che si
accostino tutti a certa unità di mas¬ sime direttrici, e che l'opera
dell’ uno v P rcndo a chiarire e ad inculcar! cono circa la questione
sociale. Mentre il essa Lettera esaminava il Mamiani se la nuova
Ke- pubblica francese potesse fornir lavoro quotidiano agli operai
che ne mancassero, tornava a racco¬ mandare la istituzione di lavorerìe
pubbliche, ma con lo infrascritte cautele affinchè non divenissero
perniciose allo Stato c non turbassero 1’ operosità economica dei
privati. 1° Lo pubbliche officine debbono istituirsi uni¬
versalmente c poco meno che in qualunque grosso Comune, per evitare una
soverchia accumulazione di popolo in quelle sole città dove fossero
pubbliche la¬ vorone. Converrà, inoltre, cercar compensi nuovi e
gagliardi, noll’istituiro officine in tutto lo Stato a fa¬ vore
dell'agricoltura, affinchè i contadini non siano indotti a lasciar la
villa e ricoverarsi nelle città. 2° Bisogna decretare che nello
officine dello Stato sicno raccolti solamente quegli operai a’quali
nessuna privata industria ha potuto fornir lavoro. Imperocché le
lavorerìo pubbliche sono costituite per supplire e riparare alla
insufficenza delle industrie private, dalle quali ricevono limitazione e
misura. 3° Il Governo procaccerà, per non rovinare molte
industrie private, elio i lavori molteplici e sva¬ riati da lui condotti
siano di qualità da non potersi dai privati cittadini imprendere con
profitto. Il che importa che le manifatture pubbliche quanto più
cre¬ scono, e tanto più costino e siano a maggiore scapito del
tesoro. 4° Avviata la generale istituzione degli opificj
•comuni, il prezzo della mano d’opera non potrà sminuire tanto e sì presto,
quanto si vede ne’paesi dove il numero delle braccia soverchia il
bisogno. Però, tutte quelle industrie le quali competono con gli
stra¬ nieri, mercè del buon mercato e del potere scemare' fino
all’ultimo estremo i salarj, cesseranno e si an¬ nulleranno.
Y. Dalla teoria conviene a suo tempo scendere al¬
l’applicazione. E così fece il Mamiani. Divenuto Mi¬ nistro
costituzionale sotto Pio IX, nel giugno 1848- il Mamiani compilò e
sottopose all’Assemblea roma¬ na una proposta di legge per la istituzione
di un .Mi¬ nistero speciale di pubblica beneficenza . È pregio del¬
l’opera riferire, tralasciando le funzioni speciali e straordinarie del
nuovo Ministero, le sue funzioni generali non tanto per far conoscere la
natura e la. missione di esso Ministero, quanto perchè ci sembra,
che quelle funzioni ed attribuzioni generali possano anche oggidì servir
di lume per la riforma e il rior¬ dinamento dello nostre Opere pie.
1 II Ministro di pubblica beneficenza procura in genere la
riforma, il perfezionamento e la molti¬ plicazione degl’ istituti e delle
opere di beneficenza c ie sono in atto, e la fondaz ione e 1’avviamento
detuzionc cd ogni opera rivolta all’educazione morale e intellettuale
delle infime classi. 2° Procura con mezzi mediati o immediati
di approssimare le opere tutto di beneficenza a certa unità e
collegamento, affinchè se ne aumenti da ogni lato l'efficacia, e non ne
siano gli effetti o troppo par¬ ziali o manchevoli. 3°
Promuove presso i Consigli deliberanti le leggi c gli ordinamenti
giovevoli alle classi indi¬ genti c al popolo minuto. 4°
Sopraintende agl’istituti laicali di beneficenza da lui fondati o dal
Governo posseduti, e a qualun¬ que disegno e impresa *da lui o dal
Governo attuata, e la quale intende al sollievo e all’educazione
delle classi inferiori. 5° Sopraintende similmente a quegli
istituti e opere laicali di beneficenza e di educazione popo¬ lare,
le quali sono posto dai fondatori sotto il riguar- damento e la cura
immediata di chi governa. G° S’ingerisce, d’accordo coi Municipj o
coi Ret¬ tori privati, nel regolamento di quegli istituti ed opere
coraunitativc o private, alle quali viene in soccorso il Governo con il
denaro pubblico, o con altra maniera efficace e ragguardevole di
ajuto. 7° Quanto alle fondazioni e congregazioni, o
similmente a qualunque specie ed atto di pubblica beneficenza, dipendenti
al tutto dai Municipj o dalla carità di privati, c che si rimangono
esclusi dalle tre dette categorie, il Ministro ne piglia cognizione
esatta e particolareggiata, ed esige copia autentica degli statuti c dei
regolamenti. Invigila clic non con¬ travvengano in nulla alle leggi
universali dello Stato. Promove e propone in seno de Consessi legislativi
quei provvedimenti c quelle cautele che impediscono alle beneficenze
d’istituto municipale o privato di fuorvia.e c corrompersi. Risponde ai
consigli richie¬ sti, e invita per via officiosa a modificare,
migliorare, propagare e in ogni guisa perfezionare l’opera della
beneficenza. Similmente invita e procura la colle¬ ganza e reciprocazione
degli ufficj ed aiuti fra l'uno istituto e l’altro, o in genero favorisce
e caldeggia per ogni modo l'azione loro. Occorre appena far
notarle che il Mamiani, met¬ tendo così in pratica le sue nuove dottrine
sociali, tentava di dare all’opera del Governo quell’ampiezza e
quell efficacia che si accorda generalmente con le libei tà co privati, e
con ogni trasformazione c pro¬ gresso nello spirito di associazione e di
civile con¬ sorzio. Sulla quale Istituzione egli ritornò più. tardi
nei Saggi di Filosofia civile. Ma è noto che il Mini¬ stero di pubblica
beneficenza non ebbe fortuna negli Stati Romani, mentre alle idee del
Mamiani si fece m sostanza buon viso in Toscana, dove al Ministero
ella Istruzione pubblica fu aggiunto l’ufficio di tu¬ bare c dirigere la
pubblica beneficenza. VI. lennpir/ il Mamiani fece a
tutti manifesto so sociali D i eC0 6U ° P on ^ crato volume sulle
Qucstion ’ ° ° ln mczzo a tante vicende politiche italiane ed europee dal
48 in poi, in mezzo a’ suoi profondi studj filosofici cd alle sue
occupazioni di statista, non aveva perduto d’occhio i progressi
teo¬ rici e le fasi pratiche della questione economica so¬ ciale
nelle diverse parti d’Europa. Girando l’occhio della mente nell’essenza
profonda e nelle attinenze della questione sociale, c pur tenendo conto
dei sug¬ gerimenti dell'esperienza e della riflessione por oltre
quarantanni, nella suddetta opera Egli esaminò acu¬ tamente i due massimi
problemi dell’età nostra, fra loro distinti ina non separati, cioè il
problema ino¬ rale c quello economico. Intorno al secondo problema,
ecco in breve le dottrine o le proposte che il Mamiaui professava e additava
per risolvere in Europa e se¬ gnatamente in Italia la questione
sociale. L’autore delle Questioni sociali ammette le¬ gittimo
il diritto della proprietà individuale ; affer- * ma, contro certi
Economisti, che il lavoro non crea, ma presuppone la proprietà ; rigetta
le strambe teo¬ riche di Proudhon e le altre nò giuste nò pratica¬
bili dei moderni Comunisti c dei Socialisti esagerati; reputa non
assoluto il diritto al lavoro. Ma, d’altra parte, egli deplora gli
effetti della libera concorrenza che ritiene sia causa dell’ anarchia
economica ; è seriamente preoccupato dal fatto che i quattro quinti
del genere umano formano la classe intera dei pro- letarj : e quindi
pensa e propone un sistema di ri¬ forme rivolte ad armonizzare la
produzione e il capitale, gl’interessi e le sorti del proletario,
si¬ stema che si compendia nelle seguenti proposte : Istituire un
magistrato speciale col nome di Tribuni del popolo, eletto dal corpo
intero dei lavoranti, il quale tuteli ed invigili i diritti e
gl’in¬ teressi del proletario. 3° Abolizione del dazio
consumo. 2° Fondazione di colonie per riparare all’ ec¬
cedenza annua della popolazione, secondo la teo¬ rica di Malthus.
4° Favorire e proteggere 1’ emigrazioni volon¬ tarie, quando pure
al Governo apparisse nè difficile nò dispendioso il tragittare i nostri
emigranti da una provincia interna ad un' altra, per esempio in
Sardegna, nelle campagne romane, in più parti di¬ sabitate ed incolte
della Sicilia c della Puglia. 5° Proteggere ed allargare le Società
coope¬ rative, nelle quali il lavorante, oltre alla sua mer¬ cede,
divida coi socj il modesto lucro ricavato dalle pioduzioni, e pelò sia
nel tempo stesso comproprie- taiio. Quanto si dilateranno questo società,
tanto più effettuabile apparirà la Cassa di pensioni per i 1600 i e
gl invalidi, alimentata da quoto versatevi a ogni libera corporazione di
artigiani, e da elar¬ gizioni del Governo in proporziono delle somme
ri¬ sparmiate o dai singoli membri o da una intera • norT A 1
i rtÌerÌ ’ C CU ‘ amm i Q istrazione però °" “ ai i» mano del
Governo. del l a T? com P r °P r ^ario anche il lavoratore
del fondo da lui coltivato. oc ni Gn | are 1° imposte ai contadini
proprietari. on are Scuole governative professionali, lo3 cioè di arti e mestieri, in
unione con le Provincie ed i Comuni quanto alle spese ; nelle quali
scuole sarebbero accolti i figli dei lavoranti, compiuta 1'
istruzione elementare. 9° Riformare le Scuole tecniche,
adattandole ai mestieri ordinarj ; e quanto alle grosse borgate c
alla campagna, ammaestrarvi i contadini subur¬ bani negli clemeuti di
agricoltura e di pastorizia. 10° Provvedere ad un Manuale popolare
di agraria. 11° Dove manchi l'insegnamento elementare,
supplirvi con le scuole dette ambulanti. 12° Prestazioni al buon
colono per ajutarlo a divenire comproprietario ; e dono degli utensili
al giovine proletario, ghà prestatigli quando entrò nelle officine
urbane e noi fondi rustici in possesso ed uso dello Stato.
Dall’ attuazione di queste riforme e proposte il Mamiani si
riprometteva la graduata cessazione della servitù del salario e quindi la
emancipazione reale a compita del quarto stato. Ma in qual
modo lo Stato avrebbe provveduto a quello nuove ed incessanti spese ? Con
le infra¬ scritte riforme, secondo il Mamiani, oltre al pro¬ vento
delle consuete imposte. 1° Cancellazione dell’ esercito
stanziale. 2° Imposta prediale e mobiliare temperatamente
progressiva. 3° Incameramento dell’ eredità trasversali dal
terzo grado in giù. Sbassamento della rendita pubblica dal quat¬
tro al tre e al due e mezzo, secondo luoghi e tempi. 5°
Amministrazione disimplicata e scemamente di ufficiali e di paghe.
6° Ogni legatario pagherà una volta soltanto il decimo del valsente
legatogli.. 7° Monopolio delle miniere. VII.
Non tutte le riforme c le proposte sociali messe innanzi dal
Mamiani sono guari praticabili, nè tutte collimano con la inviolabilità
del diritto na¬ turale di proprietà individuale, oltre accordare un
soverchio ingerimento allo Stato moderno nelle ma¬ terie economiche. Noi
non potremmo quindi accet¬ tare senz’ alcuna restrizione e temperamento
tutte e singole le dottrine economiche e sociali del Ma¬ miani, nè
crediamo che si possa mai giungere a pienamente e stabilmente risolvere
il problema conomico sociale, come ci studiammo dimostrare a suo
uogo in due nostri libri, negli Elementi scien¬ tifici di Etica e Diritto
o nella Filosofia morale e sociale (1). Ma intanto, nobile, alto,
eminente- ” e -i°iT,le • Gd . Umanitario « il fine a cui
rivol- rifnrm anai ^ n * 1° su La disciplina o
educazione ci fa passare dallo stato di animale a quello d’uomo. Un
animale è pel suo istinto medesimo tutto ciò che può essere ; una
ragione a lui superiore ha preso anticipatamente per esso tutte lo cure
necessarie. Ma l’uomo ha bisogno della sua propria ragione. Costui non ha
istinto, c conviene che formi da so stesso il disegno della sua
condotta. Ma, siccome non ne possiede la immediata capacitò, e viene al
mondo nello stato selvaggio, ha bisogno dell’aiuto altrui. La
specie umana c obbligata a cavare a grado a grado da sò stessa colie
proprie sue forze tutte le qualità naturali che appartengono all’umanità.
Una generazione educa l'altra. Se ne può cercare il primo principio
in uno stato selvaggio o in uno stato per¬ fetto di civiltà -, ma, nel
secondo caso, bisogna pure ammettere che l’uomo sia poi ricaduto nello
stato selvaggio c nella barbane. 9 _ La disciplina
impedisce all’uomo di lasciarsi deviare dal suo destino,
dall'umanità, pur Io sue inclinazioni animali. Occorro, por esempio, oh
essa lo moderi, perché egli non si gotti noi porle» o corno no
animalo feroce, 0 come uno stordito^ a dina è puramente negativa, perche
si resinose soovliarc l'uomo della sua selvatichezza; 1 istruzione,
^ ° -nèh parte positiva dell’educazione. “ir ™ ioho- coiste nell'
indipondeoza da,, • T a disciplina sottomette 1’ uomo alle r
Lvfmou» e lincia a fargli sentirò la E, l'autorità dolio leggi stesse. Ma
ciò dovesse. Valdarnini 226 la pedagogia
di e. kant fatto per tempo. Così, maudansi per tempo i bam¬
bini alla scuola, non perchè vi apprendano qualcosa, ma perchè vi si
avvezzino a restare tranquillamente seduti e ad osservare puntualmente
ciò che loro vien comandato, affinchè in progresso di tempo
sappiano cavar subito buon partito da tutte le idee che ver¬ ranno
loro in mente. Ma l'uomo è così portato naturalmente alla
libertà che, quando vi abbia preso una lunga abitu¬ dine, le sacrifica
tutto. Ora questa è la precisa ra¬ gione onde conviene per tempo
ricorrere alla disci¬ plina ; chè altrimenti sarebbe troppo difficile
di cambiar poi il carattere di lui, e seguirà allora tutti i suoi
capriccj. Parimente, si vede che i selvaggj non si abituano mai a vivere
come gli Europei, quantunque restino per lungo tempo ai servigj
loro. Il che non deriva già in essi, come opinano Rous¬ seau ed
altri, da una nobile tendenza alla libertà, ma da una certa rozzezza,
perchè l'uomo appo essi non si è ancora spogliato in qualche maniera
della na¬ tura animale. E però dobbiamo avvezzarci per tempo a
sottometterci ai precetti della ragione. Quando all uomo si è lasciato
seguire la piena sua volontà pei tutta la gioventù c non gli si è mai resistito
in nulla, ci conserva una certa selvatichezza per tutta la vita. Rè
alcuna utilità reca ai giovani un affetto materno esagerato, dacché più
tardi si pareranno loro dinanzi ostacoli da tutte le parti, c troveranno
do¬ vunque contrarietà quando piglieranno parte agli affari del
mondo. Un vizio, nel quale ordinariamente si cade ncl- 1’ educazione
dei grandi, e quello di non opporre loro alcuna resistenza nella loro
gioventù, perché son destinati a comandare. Nell’ uomo la tondenza
alla libertà richiedo ch’egli deponga la sua rozzez¬ za : nell’animale
bruto, al contrario, questo non e necessario per l’istinto di lui.
L’uomo ha bisogno di sorveglianza e di cul¬ tura. La cultura
abbraccia la disciplina e l'istru¬ zione. Nessun animale, che noi
sappiamo, ha bisogno di quest’ultima ; imperocché veruno di essi
apprendo alcun che da’ suoi antenati, salvo quegli uccelli clic
imparano a cantare. Infatti, gli uccelli sono am¬ maestrati nel canto dai
loro genitori ; ed è mirabil cosa il vedere, come in una scuola, i
genitori can¬ tare con tutte le proprie forze davanti ai loro nati
e questi'adoperarsi a cavare gli stessi suoni dalle loro tenere gole. Se
taluno volesse convincersi che gli uccelli non cantano per istinto, ma
clic imparano a cantare, basta ne faccia la prova ed è questa :
levi ai canarini la metà delle uova loro e vi sosti¬ tuisca uova di
passero ; ed ancora coi piccoli ca¬ narini mescoli insieme passeri
giovanissimi. Li metta in una gabbia donde non possano udire i passeri
di fuori ; essi impareranno il canto dai canarini e così avremo passeri
cantanti. Nò meno stupendo e il fatto, che ogni specie d’uccelli conserva
m tut e le generazioni un certo canto principale; cosi la
tradizione del canto è la più fedele nel mondo L’ uomo non può
diventare vero uomo che per 228 la
pedagogia di e. kant educazione ; egli e ciò eh essa, lo fu. \
uolsi notai e eh’ egli può riceverò questa educazione soltanto da
altri uomini, che l’abbiano egualmente ricevuta dagli altri. Quindi la
mancanza di disciplina e d’ istru¬ zione in certi uomini li rende assai
cattivi innesti i dei loro allievi. Se un essere di natura
superiore si prendesse cura della nostra educazione, vedrebbesi
allora ciò che noi possiamo divenire. Ma siccome l’educazione, da una
parte, insegna qualcosa agli uomini, e, dall’altra, non fa che svolgere
in loro certe qualità, non si può sapere fin dove portino le nostre
disposizioni naturali. Se almeno si facesse una esperienza coll’ aiuto
dèi grandi e col riunire le forze di molti, ciò ne illuminerebbe sulla
que¬ stione di sapere fin dove l’uomo può arrivare per questa via.
Ma una cosa tanto degna di osserva¬ zione per una mente speculativa
quanto triste per un amico dell’ umanità si è il vedere, clic la
più parte dei grandi non pensano che a se stessi e non pigliano
alcuna parte alle interessanti esperienze sulla educazione, per fare
avanzare di qualche altro passo verso la perfezione la natura
umana. 3. - Non vi ha alcuno clic, essendo stato trascura¬ to
nella sua gioventù, siaincapaco di ravvisare nell’età matura in elio
venne trascurato, vuoi nella disciplina, vuoi nella cultura (poiché si
può chiamar cosi la istru¬ zione).Chi non possicdecultura di sorta e bruto
pollinoli Ita disciplina o educazione e selvaggio. La mancanza di
disciplina è un male peggioro della mancanza di cultura, perche a questa
si può ancora rimediare più tardi, mentre non si può più mandar via la
selvati¬ chezza e correggere un difetto di disciplina. Forse l’educazione
diverrà sempre migliore, e ciascuna del¬ le generazioni venture farà un
passo di più verso il perfezionamento dell’ umanità ; imperocché il
gran segreto della perfezione della natura umana dimora nel
problema stesso dell’educazione. Si può cammi¬ nare oramai per questa via
; difatti, oggidì si prin¬ cipia a giudicare esattamente e a vedere in
modo chiaro in clic proprio consiste unabuoua educazione. E
reca dolce conforto il pensare che la natura umana sarà sempre più e
meglio dispiegata e migliorata dal¬ l’educazione, e che si può arrivare a
darle quella tor¬ ma che veramente le conviene. In ciò consiste la
pro¬ spettiva della felicità avvenire della specie umana.
L’abbozzo d'una teorica dell’educazione è un ideale nobilissimo, c
che non tornerebbe punto noci¬ vo, quando anche non fossimo in grado di
effettuarlo. Non bisogna considerare un’idea come vana e rite¬
nerla come un bel sogno, perchè certi ostacoli ne im¬ pediscono
l’effettuazione. Un ideale altro non è ohe il concetto d una
per- lezione che non si ò riscontrato ancora noU'esporicn- za : tal
sarebbe, per esempio, l'idea 4 una repubblica perfetta, governata secondo
le regole dell» g.nst.z.a. Si dirà dunque impossibile? Basta,,u pruno
nego, Che la nostra idea non sia falsa; in seconde lungo, ohe non
sia impossibile assolutamente d, vincere luti, „u ostacoli per tradurla
in atto. Se, poniamo ca¬ scano mentisse, la veracità sarebbe per questo
una chimera ? L’idea eli una educazione clic dispieghi nell'uomo
tutte le sue disposizioni naturali è vera as¬ solutamente.
Con l’educazione presente l'uomo non consegue appieno il fine della
sua esistenza. Imperocché quan¬ ta diversità non corre tra gli uomini nel
loro modo di vivere ! Ne tra loro può essere uniformità di vita se
non in quanto essi operino secondo gli stessi prin- cipj e questi
principj divengano per loro come una seconda natura. Noi possiamo almeno
lavorare intor¬ no al disegno d’una educazione conforme all’intento
che dobbiamo proporci, e lasciare istruzioni agli av¬ venire che potranno
a grado a grado metterle in pratica. Osservate, per esempio, i fiori
detti orecchi di orso: quando li tiriamo dallo radici, hanno tutti
il medesimo colore •, quando invece se no pianta il seme, otteniamo
colori tutti differenti e svariatissimi. La natura ha dunque riposto in
loro certi germi del colore, e basta, per isvilupparvcli, seminare e
pian¬ tare convenientemente questi fiori. Il somigliante accade nell’uomo
! Vi sono molti germi nell'umanità, e spetta a noi svolgere
con debita proporzione le nostre disposizioni naturali, dare all’umanità
tutto il suo dispiegamento, e adoperarci a conseguire la nostra
destinazione. Gli animali compiono il loro destino spontaneamente e
senza conoscerlo. L’uomo, al contrario, e obbligato a cercar di
conseguire il fine suo ; il che non può egli fare se prima non ne ha
un’idea. L’individuo umano non può compiere da se questa
destinazione. Se ainmettesi una prima coppia del genere umano
realmente educata, bisogna sapere altresì com’essa ha educato i suoi
figli- I primi genitori danno ai loro figli un primo esempio ; questi lo
imitano, e così dispiegansi alcune disposizioni naturali. Ma tutti
non possono esser educati a questo modo, giacché ordinariamente gli
esernpj si offrono ai bambini se¬ condo l’occasione. In altri tempi gli
uomini non ave¬ vano alcuna idea della perfezione onde la natura
umana è capace ; noi stessi non l’abbiamo ancora in tutta la sua purezza.
È corto del pari che tutti gli sforzi individuali, clic hanno per fine la
cultura dei nostri allievi, non potranno mai far sì che costoro
giungano a conseguire la loro destinazione. Questo fine non può esser
dunque conseguito dall’uomo sin¬ golo, ma unicamente dalla specie
umana. 4. - L’educazione c un’arte, la cui pratica ha bi-
sogno d’essere perfezionata ila più generazioni. Cia¬ scuna generazione,
provvedala delle conoscenze dello precedenti generazioni, è sempre pii in
grado di ar¬ rivare a una educazione che in una giusta piopoi-
zionc c in conformità Sol loro fine svolga tutte le nostre disposizioni
naturali e cosi guidi tutta la spc- eie umana alla sua destiuazionc. - La
Provvidenza ha voluto ohe l'uomo fosse obbligato a cava™ da se
stesso il bene, 0 in qualche modo gli dice Edia nel mondo. Io ho mosso in
te ogni speco d. alt tudin. porilbcno. Ora a te
solospcttasvilupparlcpcr,1 bene; e quindi la tua felicità 0 la tua
infelicità dipende da te ., Cosi il Creatore potrebbe parlare agli nomini
! L'uomo deve innanzi tutto svolgere le sue attitudini per il bene ;
la Provvidenza non lo ha messe in lui bcll’e formate, ma come semplici
dispo¬ sizioni, c però non vi è ancora distinzione di mo¬ ralità.
Render se stesso migliore, educare se me¬ desimo, e, s’egli è cattivo,
svolgere in sè la mora¬ lità, ecco il dovere dell'uomo. Quando vi si
riflet¬ ta consideratamente, si vedo quanto ciò sia difficile.
L'educazione, pertanto, c il più grande e il più ar¬ duo problema che ci
possa esser proposto. Di fatti le cognizioni dipendono dall’educazione, e
questa di¬ pende alla sua volta da quelle. Onde non potrebbe
l'educazione progredire elio di mano in mano ; e noi possiamo arrivare a
farcene un’idea esatta solo in quanto ciascuna generazione trasmette le
sue spe- rienze e le sue cognizioni alla generazione posteriore
clic vi aggiunge qualcòsa di suo c le tramanda così aumentate
aqucllachele succede. Qual cultura e qua¬ le sperienza dunque non suppone
questa idea? E però essa non poteva sorgere che tardi, e noi stessi
non 1 abbiamo ancora innalzata al suo più alto grado di purezza. Si
tratta di sapere se l’cducazionc nel¬ l’uomo singolo debba imitare la
cultura che l’uma¬ nità in gcnciale ricevo dalle suo diverse
genera¬ zioni. -Lia le umane scoperte ve ne ha duo
difficilis¬ sime, e sono l’arte di governare gli uomini e l’arto di
educarli ; c però si disputa ancora su queste idee. Ora, donde
principieremo a svolgere le naturali disposizioni dell’uomo ? Bisogna
muovere dallo stato barbaro o da auo stato già culto ? Non è agevol
cosa il concepire uno svolgimento partendo dalla barbarie (per la
difficoltà somma di farci un’idea del primo uomo) ; e noi vediamo che,
ogni qualvolta si sono prese le mosse da questo stato, 1 uomo è
ricaduto nella selvatichezza, e che però sono stati sempre necessari
nuovi sforzi per uscirne. Anche nei popoli assai civili ritroviamo un
avanzo di barbarie, attestato dai più antichi monumenti scritti a
noi tramandati ; e qual grado di cultura non suppone già la
scrittura stessa ? E da questo punto, cioè dalla invenzione della
scrittura, si potrebbe anzi far co¬ minciare il mondo, rispetto alla
civiltà. Poiché le nostre disposizioni naturali non si
svolgono da sè stesse, ogni educazione è un’arte. - La natura non ci ha
dato per questo hnc alcun istinto. - L’origine, come il suo
relativo progresso, dell’arte educativa, è o meccanica, senza
disegno sottoposta a date circostanze, o ragiona « L«to
•d’educare non risulta meccanicamente dalle caco . stanze in che
apprendiamo per esperienza se una data cosa ci è dannosa od utile.
Ogni arte di questo -onere clic sarebbe puramente meccanica, con i
s „ 1-ioune perche non seguirebbe f b0 m0lt ' Cn oln-c “ia’nto Che
l’arte delMn- alcnna norma. 0 1 W caziono 0 1» P f*°”
io „,J, or,„odo d» con- nata ” 0 d « linnzion m I genitori, ebe
hanno sognuo I. educazione, sono gin 3i
rcgoinnoirr,i.Mn ..or rendere 23 i LA
PEDAGOGIA DI E. KANT questi migliori, è necessario di fare uno studio
della Pedagogia ; diversamente nulla se ne può sperare, e
l’educazione viene affidata ad uomini educati non bene. Al meccanismo
nell’arte educativa bisogna so¬ stituire la scienza, altrimenti ella non
sarà clic uno sforzo continuo, cd una generazionepotrebbe distrug¬
gere quanto un’altra avesse edificato. 6. - Un principio di
Pedagogia, al quale dovreb¬ bero mirare segnatamente gli uomini che
propongono norme di arte educativa, ò questo : Che non devc- si
educare i fanciulli secondo lo stato presente della specie umana, ma secondo
uno stato migliore, pos¬ sibile nell’avvenire, cioè secondo l'idea
dell’umanità o della sua intera destinazione. Questo principio 6
d’una importanza tragrande. I genitori educano per 10 più i loro
figli per la società presente, sia puro corrotta. Dovrebbero, al
contrario, dar loro una edu¬ cazione migliore, perche un miglioro stato
ne possa venir fuori nell’avvenire. Ma qui si parano dinanzi due
ostacoli : 1° I genitori non si curano per ordi¬ nario che di una cosa
sola, ed è che i figli loro fac¬ ciano buona figura nel mondo ; 2° I
principi ri- sguaidano i proprj sudditi oomc strumenti dei
loro disegni. I genitori pensano alla casa, i principi allo
Stato, fxli uni e gli altri non si propongono per fine ultimo
11 bene generale e la perfezione a cui è destinata 1 umanità. Le
basi fondamentali d’uu disegno d’edu¬ cazione fa d uopo che abbiano un
carattere mondiale. Ma il bene generale è un’idea che possa tornar
dannosa al nostro bene particolare? Niente affatto ! Imperocché, quantunque
sembri che gli si debba sacrificare qualcosa, veniamo cosi a lavorar
meglio pel bene del nostro stato presente. E allora quante nobili
conseguenze ! Una buona educazione è proprio la sorgente d’ogni bene nel
mondo. I germi che sono riposti nell’uomo debbono svilupparsi ognor di
vantag¬ gio ; imperocché nelle disposizioni naturali dell uomo non
v’ha principio di male. La sola causa del male sta nel non sottoporre a
norme la natura. Nell uomo non vi sono che i germi per il bene.
Da chi dee provenire il miglioramento dello stato sociale? Dai
principi o dai sudditi? Conviene clic questi si migliorino prima da sé
stessi, 0 fac¬ ciano la metà di strada per andare incontro a go
verni buoni ? Se, invece, devo partire dai principi questo miglioramento,
si cominci dunque a rifor¬ mare la loro educazione; poiché si é commesso
per lungo tempo questo grave sbaglio, di non resistere „vii stessi
principi nella loro gioventù. Un albero°cho rosta isolato in mozzo ad un
campo pei de la sua dirittura nel crescere c stendo lungi . suo.
rami ' al contrario, quello elio cresco nel mezzo una foresta si mantiene
diritto, per la reste» a ohe «li oppongono gli alberi vicini, e cerea al
di- olio 0 i opp j A vviene lo stesso nei ffirn- ^-“rnvale a
Meglio siano educati da qua,- ouno dei tafsudditi che dai loro pari. Non
si può attendere il bene doli-alto so prima non vi sava migliorata
l’edncazionel Qui bisogna dunque con- 23G la pedagogia,
di i:. kant tare più sugli sforzi dei privati che sul concorso
dei principi, come hanno giudicato Basedow ed altri ; dacché l’esperienza
c’insegna che i principi nell’educazione badano meno al bene del mondo
che a quello del loro Stato, c vi scorgono solo un mezzo per
giungere ai loro fini. Se col denaro soccorrono la educazione, si
riservano il diritto di stabilire le norme che loro convengano. Lo stesso
va detto per tutto ciò che risguarda la cultura dello spirito umano
c l’incremento dello umane conoscenze. Questi due risultamenti non sono
procurati dal potere c dal •denaro, ma solo facilitati ; bensì potrebbero
procu¬ rarli ove lo Stato non prelevasse le imposto uni¬ camente
nell’interesse del suo erario. Ncppur le Ac¬ cademie li hanno dati
finora, ed oggi più che mai non si scorge alcun segno ch’esse comincino a
darli. 7. - La direzione delle scuole dovrebbe per¬ tanto
dipendere dal senno di persone competenti ed illustri. Ogni cultura
comincia dai privati e da questi poi si diffonde. La natura umana non
può avvicinarsi di mano in mano al suo fine che per gli sforzi di
persone dotate di generosi e grandi sentimenti, le quali s’interessano al
bene del mondo sociale e sono in grado di concepire uno stato mi¬
gliore, come possibile, nell’avvenire. Intanto alcuni potenti riguardano
il loro popolo come, in certa guisa, una parte del regno animale, e
mirano sola¬ mente alla propagazione. Al più desiderano ch’esso
abbia una certa abilità, ma solo a fine di potersi giovare dei proprj
sudditi come di strumenti più acconcj ai loro disegni. I privati devono
certamente badare al fine della natura fisica, ma devono so¬
prattutto curare lo svolgimento della umanità, e far sì ch’ella diventi
non solo più abile, ma an¬ cora più inorale \ da ultimo, cosa molto più
difficile, adoperarsi a elio i posteri arrivino ad un più alto
grado di perfezione. 8 . - L’educazione, pertanto, deve
: 1° Disciplinare gli uomini. Disciplinarli vuol dire cercar
d’impedire clic la parte animale non soffochi la parte veramente umana,
così nell’umano individuo come nella società. Dunque la disciplina
consiste semplicemente nello spogliar l’uomo dc.la. sua
selvatichezza. 90 D evc coltivarli La cultura abbraccia la
istruzione ed i varj insegnamenti &sa fornisce labilità : 0 questa è
il possesso d un attitud,ne suf¬ ficiente a tutti i lini elio possiamo
proporci. Lss. dunque non determina da sé alcun tino ma
lascia dunque • . costjinzC . Alcune arti sono utili questa
cura comc sarebbero le arti in ogni cinp ^ nitro non sono buone
elio di loggoi l’arte della musica, elio in riSpCt, °
v,H J itTfe possiede. L'abilità 6 in rende M** ° M molti fini elio
certo modo infinita, et Jovn
altresì enrarc che l'uomo divenga „ crrt autorità. Questa
dicesi propriamente civiltà. Essa richiede certi modi cortesi,
gentilezza c quella pru¬ denza onde possiamo giovarci degli altri uomini
pei nostri fini ; e si regola secondo il gusto mutabile di ogni
secolo. Così amiamo ancora, dopo alcuni anni, le cerimonie in
società. 4° Deve, finalmente, curare nell’uomo la mo¬ ralità.
Ed invero, non basta che l’uomo sia capace di ogni sorta di fini ;
occorre altresì clx’ ci sappia farsi una massima di scegliere tra quelli
soltanto i buoni. Diconsi buoni que’ fini clic sono necessa¬
riamente approvati da ognuno e che pouno essere al tempo stesso i fini di
ciascuno. 9. - L’uomo può essere guidato, disciplinato,
istruito in modo affatto meccanico, ed illuminato •veramente. Si guidano
i cavalli, i cani, e si può guidare anche gli uomini. Ma non
basta guidare i fanciulli ; preme so¬ prattutto eli’ essi imparino a
pausare. Occorre ba¬ dare ai principj dai quali derivano tutte le
azioni. È dunque manifesto quante cose richiede una vera
educazione! Ma ncH’educazionc privata la quarta condizione, che è la più
importante, viene per lo più assai trascurata; poiché insegnasi ai
fanciulli ciò che stimiamo essenziale, e intanto si lascia la
morale al predicatore. Ma non ò forse importante d’inse¬ gnare ai
fanciulli a odiare il vizio, non per la sem¬ plice ìagione che Dio l’ha
proibito, ma perchè di natura sua è spregevole ! Altrimenti e’ si
lasciauo indurre nel vizio, pensando che il male potrebbe esser
lecito se Dio non l’avcsse vietato, c clic si può far benissimo una
eccezione a favor loro. Dio, ch'e l’essere sovranamente santo, non vuole
se non ciò cb’ò buono. Egli vuole che noi pratichiamo la virtù per
il suo valore intrinseco e non perchè Ei lo esiga. Noi
viviamo in un’epoca di disciplina, di cul¬ tura e di civiltà, ma che non
è ancora quella della moralità vera. Nelle presenti condizioni si può
dire che la felicità degli Stati cresce di pari grado colla
infelicità degli uomini. E non si tratta ancora di sapere se noi saremmo
piu felici nello stato di bai- barie, dove non esiste tutta questa nostra
cultura, che nello stato presente. Come si può, difatti, render
felici gli uomini, se non li rendiamo morali e savj ? La quantità del
male appo essi non verrà così diminuita. Bisogna fondare scuole sperimentali
prima di poter creare quelle normali. L’educazione e l’istru¬ zione
non debbono essere puramente meccaniche, ma riposare su principj.
Tuttavia non hanno da fondarsi sul puro ragionamento, ma in un certo
senso anche sul meccanismo. L’Austria non ha guari che scuole
normali, istituite giusta un disegno contro il quale si sono a buon
diritto sollevate molte ob¬ biezioni, ed al quale si poteva rimproverare
un cieco meccanismo. Tutte le altre scuole dovevano regolarsi su
quelle, e si negava altresì un ufficio pubblico a chi non avesse frequentato
quelle scuole Tali prescrizioni dimostrano quale e quanta parte
abbia in certe cose il Governo ; e non e possie di arrivare a qualcosa di
buono con sbatti ordinamenti. Si crede da’ piu che non sia necessario di
fare spcricnzc in materia di educazione, e che si può giudicare con
la sola ragione se una cosa sara buona o cattiva, ila qui sta un grave
errore, c l’esperienza ne insegna clic i nostri tentativi hanno spesso
dato risultamcnti opposti affatto a quelli che ci attende¬ vamo. È
dunque chiaro clic, sondo qui necessaria l'esperienza, nessuna
generazione d uomini può fare un disegno compiuto d’educazione. La sola
scuola sperimentale clic abbia finora incominciato in qual¬ che
modo a battere questa via c stato l’Istituto di Dessau. Nonostante
parecchi difetti che gli potremmo rimproverare, ma che del rimanente si
riscontrano in tutti i primi sperimenti, bisogna concedergli questa
gloria, ch’esso non ha cessato di spronare a nuovi ten¬ tativi. In un
certo modo esso è stato l’unica scuola do¬ ve i maestri avessero libertà
di lavorare secondo i prò* prj metodi c disegni, e dove fossero uniti fra
loro c si mantenessero in relazione con tutti i dotti della
Germania. 10. - L’educazione comprende le cura necessarie ai
bambini c la cultura. La cultura c: 1° negativa, come disciplina
clic si restringe ad impedire le colpe ; 2° c positiva, co¬ me
istruzione c direziono ( Anfilhrung ), c sotto questo rispetto merita il
nome di cultura. La dire¬ ziona serve di guida nella pratica di ciò clic
si vuole apprendere. Di qui la differenza tra il precettore, che è
semplicemente un maestro, e il governatore [Hofmeister), che è un
direttore. Il primo dà soltnnto l’educazione della scuola; il secondo, quella
della vita. II primo periodo dell’ educazione è quello
in cui l’allievo deve mostrare soggezione ed obbedienza passiva ;
il secondo, quello in cui gli si permette far uso della sua riflessione e
della sua libertà, ma pur¬ ché sottometta l’una e l’altra a certe leggi.
Nel primo periodo il costringimento è meccanico, nel secondo è
morale. 11 . - L'educazione b privata o pubblica. Que¬ st’
ultima si riferisce all' insegnamento che può sem¬ pre rimaner pubblico.
La pratica dei precetti si lascia all’educazione privata. Un’educazione
pub - blica compiuta è quella che riunisce ad un tempo la
istruzione c la cultura morale. Il suo line con¬ siste nel promuovere una
buona educazione privata. Una scuola dove si pratichi questo si chiama
un Istituto di educazione. Di somiglianti Istituti non può
esservi gran copia, né potrebbero essi ammet¬ tere un gran numero di
allievi ; imperocché sono costosissimi, e la semplice istituzione di
questi Col¬ legi richiede molte spese. Lo stesso va detto degli ospedali.
Gli edifizj loro necessarj, il trattamento dei direttori, dei
sorveglianti o dei domestici assorbiscono la metà decentrate : ed è
oramai provato che se si distribuisse questo denaro ai poveri nelle
ispettive loro case, e’sarebbero curati assai meglio. - ^difficile
ancora di ottenere che i ricchi mandino i loro figliuoli
negl’istituti educativi. Fine di questi Istituti pubblici e il
perfezio¬ namento dell’educazione domestica. Se i genitori o quelli
che li assistono nell’educare i loro figli aves¬ sero ricevuto una buona
educazione, la spesa degli Istituti pubblici potrebbe non esser più
necessaria. Quindi bisogna farvi delle prove e formarvi persone
adatte, affinchè ci possano dare in progresso una buona educazione
domestica. L’educazione privata è data dai genitori stessi,
o, se per caso non ne abbiano il tempo, la capacità o il gusto, da altre
persone che li aiutano in ciò, me¬ diante una ricompensa. Ma questa
educazione data così da persone ausiliarie ha il gravissimo difetto di
dividere l’autorità fra i genitori ed il precettore. Il fanciullo deve
regolarsi secondo i precetti dei suoi maestri, e deve in pari tempo
seguire i capricci de’suoi genitori. E necessario che in questo
genere di educazione i genitori depougano tutta la loro au¬ torità
in mano dei maestri. Ma fin dove l’educazione privata è
preferibile alla educazione pubblica, o questa a quella ? L’ edu¬
cazione pubblica, in generale, sembra più vantag¬ giosa dell educazione
domestica, non solamente in rispetto all abilità, si anche in rispetto al
vero carat¬ tere di cittadino. L’educazione domestica, oltre non
correggere i difetti appresi in famiglia, li aumenta. 12 . - Quanto
tempo deve durare l’educazione ? Fino a che la natura ha voluto che
l’uomo si governi da se stesso, fino a che si svilpppi in lui
l’istinto del sesso, fino a che egli può divenire padre cd es¬ ser
tenuto di educare alla sua volta, ossia fino al- . 1 età di circa 1G
anni. Decorsa quest’età, si può ricoiiere a maestri clic proseguano a
coltivarlo, e sottoporlo ad uua celata disciplina, ma la sua edu¬
cazione regolare é finita. 13. - La soggezione dell’allievo è
positiva o ne¬ gativa. Positiva, in quanto ei deve fare ciò che gli
viene comandato, non potendo ancora giudicare da se c non avendo ancora
appreso l’arte d’imitare. Negativa, in quanto l’allievo dee faro ciò che
de¬ siderano gli altri, se vuole ch’essi dal canto loro facciano
qualcosa che gli torni piacevole. Nel primo caso egli è esposto ad essere
punito; nel secondo, a non ottenere ciò elio desidera : o qui,
benché possa oramai riflettere, ei dipende dal suo piacere.
14. - Uno dei più grandi problemi dell’educa¬ zione si ò di
poter conciliare la sommissione all au¬ torità legittima coll’uso della
libertà, Imperocché l'autorità é necessaria! àia in qual modo
coltivare la libertà per mezzo dell’àutorità ? Bisogna che io
avvezzi il mio allievo a soffrire che la sua libertà venga sottoposta
all’autorità altrui, c che in pati tempo io gl’insegni a far retto uso della
sua libertà. Senza questa condizione, in lui non vi sarebbe che
puro meccanismo ; l’uomo sfornito di vera educa¬ zione non sa far uso
della sua libertà. Fa duopo ch’egli senta per tempo la resistenza
inevitabile della società, perché impari a conoscere quanto o difficile
di bastare a sé stesso, di tollerare le pri¬ vazioni c di acquistare
quanto basti a rendersi in¬ dipendente. \, Cui devesi por
mente alle infrascritte regole. 1» Bisogna lasciar libero il
fanciullo fino dalla sua prima età c in tutti i suoi movimenti (salvo in
quelle occasioni in cui può farsi del male come, per esempio, se
prendesse in mano uno strumento tagliente), a patto bensì di non impedire
la libertà altrui, come quando grida, o manifesta il suo brio in modo
trop¬ po l’umoroso e da recar disturbo agli altri. 2 11 Gli si deve
mostrare ch’ei può conseguire i suoi lini, a patto bensì ch’egli permetta
agli altri di conseguire i loro proprj •, ad esempio, non si farà niente
di piacevole per lui s’ei non fa ciò clic desideriamo, come d’im¬
parare ciò che gli viene insegnato e via dicendo. 3° Bisogna provargli
che l’autorità, il costringimento a cui si sottopone, ha per fine
disegnargli ad usar bene della sua libertà, che lo educhiamo ed istru¬
iamo affinchè possa un giorno esser libero, cioè fare a meno del soccorso
altrui. Questo pensiero sorge assai tardi nella mente dei fanciulli,
poiché non riflet¬ tono nei primi anni che dovranno un giorno prov¬
vedere da se stessi al loro mantenimento. Credono che la cosa andrà
sempre come nella casa paterna, cioè ch’essi avranno da mangiare e da
bere senza darsene alcun pensiero. Ora senza questa idea, i
fanciulli, segnatamente quelli dei ricchi ed i figli dei principi,
restano per tutta la vita, come gli abi¬ tanti di Otahiti. L’educazione
pubblica ha qui ma¬ nifestamente i più grandi vantaggj : vi s’impara
a conoscere la misura delle proprie forze ed i limiti che c impone
il diritto altrui. Non vn si gode alcun privilegio,poiché vi sentiamo
dovunque la resistenza, e ci eleviamo sopra gli altri solo per merito
proprio. Questa educazione pubblica e la migliore immagine della
vita del cittadino. Resta ancora una difficoltà clic non vuol
essere qui dimenticata, e riguarda la cognizione anticipata del
sesso, .a fine di preservare i giovinetti dal vizio prima dcll’elà
matura. Vi ritorneremo sopra più innanzi. La Pedagogia, o scienza
dell’educazione, si’ distingue in fisica e in pratica. L'educazione
fisica c- quella che l'uomo ha comune con gli animali, c ri-
sguarda le cure della vita corporea. L’educaziom pratica o morale (si
chiama pratico tutto quello che si riferisce alla libertà) c quella che
risguarda la cultura dell’uomo, perche costui possa vivere come
ente libero. Quest’ultiraa è l’educazione della per¬ sona, 1 educazione
d’un ente libero, che può bastare- a sè stesso e tenere il suo vero posto
in società, ma. che altresì è capace d’avere per sè un valore in¬
trinseco. % Quindi 1 educazione consiste: 1° nella cultura
scolastica o meccanica, che risguarda l’abilità ; essa pertanto è
didattica (e sta nell’opera del maestro) ' r “° ne ^ a ^ura prammatica,
che si riferisce alla prudenza (e sta nell’opera del governatore) ; 3°
nella cultura morale, e si riferisco alla moralità. L uomo ha
bisogno della cultura scolastica o ella istruzione, per mettersi in grado
di conseguire tutti i suoi fini. Essa gli dà un valore come in— re
che La disciplina non tratti i fanciulli come schiavi,, e far sì
ch’e’sentano sempre la loro libertà, ma in guisa tale da non ledere
quella degli altri: ne segue pertanto che conviene abituarli alla
resistenza. Parecchi geni¬ tori ricusano tutto a’ioro figliuoli per
esercitare così la loro pazienza, esigendo da questi più che da se
stessi. Ma è una crudeltà. Dato al bambino quanto gli abbisogna, e poi
ditegli : Tu nc hai abbastanza. Ma è assolutamente necessario che questa
sentenza sia irrevocabile. Non fato alcuna attenzione alle grida
dei bambini e non credete loro, quando credano di ottenere qualcosa per
questa via; ma se lo dimandano con dolcezza, date ai medesimi ciò che
loro torna utile. Si avvezzcranno'così ad essere sinceri; e, come
non importuneranno alcuno colle grida, ciascuno sarà, in compenso,
benevolo]con essi. La Provvidenza pare veramente abbia dato ai fanciulli
un aspetto piace¬ vole per incantare lo persone adulte. Nulla v’ha
di più funesto per essi che una disciplina ostinata e ser¬ vile,
intesa a piegare la loro volontà. Per ordinario si grida ai
medesimi: Eh via! non ti vergogni, questa cosa c indecente ! e
somi¬ glianti espressioni, le quali non dovrebbero mai ado¬ perarsi
nella prima educazione. Il bambino non ha ancora idea alcuna di vergogna
e di convenienza ; non ha di che arrossire, non deve arrossire ; e
di¬ venterà solamente più timido. Si troverà impacciato dinanzi
agli altri, e fuggirà volentieri la loro presenza. Quindi nasce in lui
una riservatezza male intesa cd una molesta dissimulazione. Non osa più
dimandar dell’educazione fisica 261
nulla, mentre dovrebbe poter dimandar tutto;nascon¬ de i proprj
sentimenti, e si mostra sempre diverso da quello che è, mentre dovrebbe
poter dire tutto francamente. Invece di star sempre appo i suoi ge¬
nitori, li evita c si getta nello braccia dei domestici più
compiacenti. Nè meglio di questa educazione irritante gio¬
vano la burla c le continue carezze, d ulto ciò rende tenace il fanciullo
nella sua volontà, lo rende fìnto, •e, manifestandogli una debolezza ne
suoi genitoii, gli toglie il rispetto dovuto ai medesimi. Ma, se
viene educato in modo clic nulla possa ottenere con le grida, egli
diverrà libero senza essere sfacciato, o modesto senza essere timido. Non
si può tollerare un insolente. Certi uomini hanno un aspetto così insolente
da far sempre temere qualche villania ; ve n’ha degli altri,
.all’opposto, che al solo vederli si giudica suino inca¬ paci di dire una
villania a qualcuno. Possiamo sempre mostrarci aperti e franchi, purché
vi si unisca una •certa bontà. Si sente dire spesso che i grandi
hanno un aspetto veramente regale; ma questo m essi al ro non 6 die
un certo sguardo insolente, a cu. s, abl- -tuarono da giovani, non avendo
trovato alcuna ics, 5t °° Tutto ciò riguarda solamente Mutazione
ne¬ gativa. Difatti, molte debolezze delfuomo non prò- vengono da
quanto non gli insegna, ma » q«c tanto che gli comunicane le false «F-, W
d'esempio, lo jmbùoi parlando dei ragni, dei rospi, bambini
potrebbero certamente prendere i ragni,, come pigliano le altre cose. Ma,
siccome le nutrici, veduto un ragno, palesano nella faccia il loro
spa¬ vento, questo si comunica al bambino con una certa simpatia.
Molti lo conservano per tutta la vita e, sotto questo rispetto, rimangono
sempre fanciulli. Imperocché i ragni sono certamente dannosi allo
mosche, e il loro morso è per esse velenoso, ma l’uomo non ha di che
temerne. In quanto al rospo, è un animale innocuo al pari di una rana
verde- o di qualunque altro animale. 32. - La parte positiva
dell’educazione fisica è la cultura ; per questa l’uomo si distingue dal
bruto. La cultura consiste principalmente nell’esercizio delle
facoltà dello spirito. Quindi i genitori debbono por¬ gerne ai figli
occasioni favorevoli. La prima cd es¬ senziale regola è di fare a meno,
per quanto e possibile, d’ogni strumento. Bisogna dunque abolire 1
uso delle dande e delle girelle, lasciando che il bambino si trascini per
terra finché impari a cam¬ minare da sé, giacché a questo modo
camminerà più sicuramente. Gli strumenti riescono dannosi alla
abilità naturale. Così, ci serviamo d’una corda per misurare una certa
estensione, ma si può fare ugual¬ mente colla semplice vista ; ricorriamo
ad un oriolo pei determinare il tempo, ma basterebbe guardare la
posizione del sole ; ci serviamo d'un compasso per conoscere in qual
regione é situata una foresta, ma si può anche sapere osservando il sole
se di giorno e le stelle se di notte. Aggiungiamo che--
dell’educazione fisica 263 invece di servirci di una
barca per passare nel¬ l'acqua, si può nuotare. Il celebre Franklin si
ma¬ ravigliava che l’esercizio del nuoto, cosi piacevole ed utile,
non fosse appreso da ognuno : e ne indi¬ cava così il modo facile per
apprenderlo. Si lasci cadere un uovo in un fiume dove, stando tu
ritto e toccando co’ piedi il fondo, la testa almeno ti ri¬ manga
fuori dell’acqua. Cerca allora quell uovo. Nell’abbassarti, fa risalire i
piedi in alto, e, perche l’acqua non ti entri in bocca, solleva la testa
sulla nuca, ed avrai così la giusta posizione necessaria a nuotare.
Allora basta mettere in moto le mani, e si nuota. — L’essenziale sta nel
coltivare 1 abilita natu¬ rale. Il più delle volte basta una semplice
indica¬ zione; spesso il fanciullo stesso è fecondo d’invenzio¬ ni,
e si crea da se gli strumenti. 33 - Ciò che bisogna osservare
nell’educazione fisica, e però in quella del corpo, si riferisce o
al¬ l’uso del moto volontario, o all’uso degli organi e senso. Nel
primo caso il fanciullo deve semprei am- tarai ila sè. Quindi ha bisogno
di fora», d, ab.», di colorita, di sicurezza. Egli devo. P«' e J •
poter traversare luoghi stretti, sabre su altezze a piceo, donde si
scorge l'abisso dinanzi c no, ca^ r ; i, . «:ii„Tifi Se un uomo non
può minare su palchi vac.llan . cte far tutto questo,
egli aoi . T) es . potrebbe essere. Pache ['Istituto Mantrop
«* sau ne ha dato l'esempio. imi.b siicu stìtati .
genere sono stati fatti co, fa-°" ndo 00me gli Restiamo assai
meravigliati m ie a Svizzeri sino dall’infanzia si avvezzino a salire
sulle montagne e fin dove li spinga la propria agilità, con. quanta
sicurezza traversino i luoghi più stretti e saltino al di là dei
precipizj, dopo aver giudicato con un’occhiata di potervi riuscire senza
pericolo. Sia la più parte degli uomini han paura d’una cadu- tapresentata
loro dalla immaginazione; e questa paura ne paralizza talmente le membra
che por essi ci sarebbe davvero pericolo disaltare oltre. Questa
paura cresce ordinariamente coll’età, c si riscontra in specie
negli uomini che hanno molte occupazioni mentali. Simili sperimenti
nei fanciulli in realtà non sono i più pericolosi. Per l’età loro, il
corpo è meno pesante del nostro, cnon cadono tanto gravemente.Di più,
non hanno le ossa nè cosi fragili, nò cosi dure come sono quelle
degli adulti. I fanciulli sperimentano da se stessi le loro forze. Ad
esempio, li vediamo spesso arrampicarsi senza un fino determinato. La
corsa è un moto salutare c clic fortifica il corpo. Saltare, alzar
pesi, tirare, lanciare, gettar sassi verso una mira, lottare, correre, e
tutti gli escrcizj di questo genere sono eccellenti. La danza regolare
non pare convenga ancora ai fanciulli. Il tiro a segno, vuoi
per la distanza vuoi per colpii e il bersaglio, esercita pure i sensi e
parti¬ colarmente la vista. Il giuoco della palla è uno dei
migliori pei fanciulli, perchè richiede una corsa salu¬ tare. In generale
i migliori giuochi sono quelli che, oltio s\ilupparc labilità, sono
ancora esercitazioni pei sensi; ad esempio, quelli clic esercitano la
vista nel giudicare esattamente la distanza, la grandezza e la
proporzione, nel trovare la posizione dei luoghi secondo le regioni, il
che si può fare coll'aiuto del sole, e via dicendo. Tutti questi esercizj
sono ec¬ cellenti. Assai, vantaggiosa ò pure la immaginazione
locale, ossia l’abilità di rappresentarci tutte le cose nei rispettivi
luoghi dove si sono vedute j ossa da, per esempio, la soddisfazione di
ritrovarci in una foresta, osservando gli alberi vicino ai quali
siamo prima passati. Dicasi lo stesso della memoria locale, onde
sappiamo non solamente in qual libro si è letta una cosa, ma altresì in
qual parte del libro stesso. Così, il musico ha il tasto in mente, onde
non ha più bisogno di cercarlo. È del pari utilissimo di coltivare
l’orecchio dei fanciulli, e d’insegnar loro a discernere se una cosa c
lontana o vicina ed in qual direzione. Il giuoco alla
mosca cicco elei fanciulli era già noto appo 1 Greci. In generale, i
giuochi dei fanciulli seno pressoché universali. Quelli noti o praticati
m Germania ritrovansi anche in Inghilterra, in Francia ed altrove.
Hanno lo propria origino da una corto naturaleinclinaaionc dei fanciulli!
ilgiu.coal .mosco cicca, per esemplo, nasce in css, dal i
sapore corno potrebbero aiutarsi so fossero pm.d un senso. La
trottola é nn giuoco particolare ma -,u- sorte di giacchi da
bambini foro, seon g— argomento di riflessimi 1 ultcriouj,so^ ^
esmpilJj casiono d'importanti scopei °, questo scrisse
una dissertazione sulla t.otio, i poi fornì ad un capitano di vascello
inglese 1 ’ oc¬ casione d’inventare uno specchio, col quale si può
mi¬ surare sopra un vascello l’altezza delle stelle. I
fanciulli amano gli strumenti rumorosi, come le piccole trombette, i
piccoli tamburi, e cose simili. Ma questi strumenti non hanno alcun
valore, perchè i bambini stessi li rendono disadatti. Meglio
sarebbe che imparassero da sè medesimi a tagliare una canna, dove
potrebbero soffiare. Anche l'altalena è un buon esercizio ; può gio¬
vare alla salute dei fanciulli e anco delle persone adulte ; ma i
fanciulli han qui bisogno d’essere sor¬ vegliati, perchè il moto che vi
cercano può essere molto rapido. L’aquilone è un giuoco innocentissimo
5 serve a coltivare la destrezza del corpo, stantecliè il sollevarsi
in aria dell’aquilone dipende da una certa posizione riguardo al
vento. Pigliando interesse a questi giuochi il fanciullo
rinunzia ad altri bisogni, e così a grado a grado si avvezza a privarsi
di altro cose di maggiore impor¬ tanza. Di più, acquista l’abito a star
sempre occupato, ma i suoi giuochi debbono avere anche un fine. Im¬
perocché, più il suo corpo si fortifica e s’indurisce in questa guisa,
più e’ divien sicuro contro le conse¬ guenze corruttive della mollezza.
La ginnastica stessa deve ristringersi a guidar la natura; non deve
procurare grazie forzate. Alla disciplina, e non alla istruzione, spetta
il primo passo. Educando il corpo deifanciulli, non va però dimenticato
che li formiamo per la società. Rousseau dice : u Non arriverete
mai a formare dei savj, se prima non fate dei monelli „. Ma da un
fanciullo svegliato si caverà piuttosto un uomo dabbene, che da un
impertinente un cameriere- discreto. Il fanciullo non ha da essere importuno
in società, ma non deve mostrarsi neppure insinuante. Verso quanti
lo chiamano a se, deve mostrarsi fami¬ liare, senza importunità; franco,
senza impertinenza. Per ottenere questo da lui, bisogna non guastarlo
in niente, non ispirargli idee di decoro, che varranno solo a
renderlo timido e selvaggio, o che, d’altra parte, gli suggeriranno il
desiderio di farsi valere. In un fanciullo niente v’ha di più ridicolo
che una pru¬ denza senile, od una sciocca presunzione. Nel secondo
caso è nostro dovere di far maggiormente sentire al fanciullo i suoi
difetti, ma procurando insieme di non fargli troppo sentire la nostra
superiorità ed autorità, perchè egli si formi da so stesso, come un uomo
che- dee vivere in società ; perocché se il mondo è abba¬ stanza
grande per lui, dev’essere non meno grande anche per gli altri.
_^ Toby, nel Tnstram Shandy, dice a una mosca] oh»
l’avo™ molestato per tango tempo o oh. lasca soapparc dalla finestra: «
Va’, catt.vo ammalo .1- mondo h abbastanza grande per me e pe. e. „
Ciasouno potrebbe pigliare questo detto per dms . Non dobbiamo renderei
importa», gl. um «gb il mondo è abbastanza glande P ei *, .
34,-SiamoeosU^ta.U^Unrm. tl «a dalla Liberti,. Altra eosa
b dar leggi alla libertà, ed altra coltivar la natura. La natura del
corpo e quella dell’anima si accordano in questo : coltivandole devcsi
cercare d'impedir loro che si guastino, e l’arte aggiunge ancora qualcosa
alla natura del corpo ed a quella dell'anima. Si può dun¬ que, in
un certo senso, dimandar fisica la cultura dell’anima quanto quella del
corpo. Ma questa cultura fisica dell’anima si distinguo dalla
cultura morale, poiché 1’ una si riferisce alla ^Natura, l’altra alla
Libertà. Un uomo può essere col¬ tissimo fisicamente; può avere
ornatissimo lo spirito, ma esser privo di cultura morale, ed essere un
cat¬ tivo uomo. Bisogna distinguere la cultura jisica dalla
cul¬ tura pratica, che è prammatica o morale. Quest’ul- tima si
propone di render l’uomo più morale clic colto. Divideremo la
cultura Jisica dello spirito in cul- tuia libera e in scolastica. La
cultura liberà si ri¬ duce, sto per dire, ad uno svago; mentre la
cultura scolastica è cosa seria. La prima è quella che ha luogo
naturalmente nell’allievo; nella seconda, egli può essere considerato
come soggetto ad un obbligo. Anche nel giuoco possiamo essere occupati,
il clic si chiama occupare i nostri ozj ; ma possiamo essere
obbligati ad occuparci, e questo dicesi lavorare. La cultura scolastica
sarà dunque un lavoro pel fanciullo, c la cultura libera uno svago.
- Sono stati proposti varj sistemi di educa¬ zione per cercare,
cosa davvero lodevolissima, il mi- dell’educazione fisica
2G!) glior metodo educativo. Si è pensato, fra gli altri, di
lasciare clic i fanciulli apprendano tutto come un divertimento.
Lichtenberg, in una puntata del Ma¬ gazzino di Gottinga, deride
l’opinione di quanti vo¬ gliono che si tenti di lasciar fare ogni cosa ai
fanciulli come un divertimento, mentre dovrebbero essere abi¬
tuati per tempo a serie occupazioni, dovendo essi entrare un
giorno nella vita scria del mondo. Quel metodo produce un effetto
detestabile. Il fanciullo devo giuncare, aver le sue ore di ricreazione,
ma deve anche apprendere a lavorare. È bene certamente di esercitare
la sua abilità e di coltivare il suo spirito,, ma a queste due sorte di
cultura vogliono esser de¬ dicate ore diverse. La tendenza alia
infingaida 00 ine costituisce per l’uomo una grande infelicità; e
piu egli è abbandonato a questa tendenza, più gli torna poi difficile
di mettersi al lavoro. Nel lavoro l’occupazione non è piacevole
per se stessa, mas’ intraprende per un altio fine. L°c cupazione
nello svago è piacevole in se, nò qumc c’c bisogno di proporsi alcun
fine. Se vogliamo pas¬ seggiare, la passeggiata stessa ò fine, c quinci
p lunga è la strada fatta, più ci « Le distrazioni non devono
osser mai tollerato, almeno nella senola, porctó finiscono per
degenerare in una certa tendenza, in una corta abitudine. An che le
più bolle qualità dell'ingegno si perdono in un uomo so-ctto alla
distrazione. Quantunque . fan- ossi non i— metà,
rispondono in senso contrario, non sanno quei che leggono, c somiglianti.
La memoria devesi coltivare per tempo, procu¬ rando bensì di coltivare
insieme anche la intelligenza. Si coltiva la memoria : 1° facendole
ritenere i nomi che trovansi nelle narrazioni ; 2° merce la let¬
tura e la scritt ura, esercitando i fanciulli a leggere- attentamente e
senza bisogno di compitare ; 3° con¬ io studio delle Lingue, che i fanciulli
debbono capire, avauti di passare a leggerne qualcosa. Quello clic
di- cesi il mondo dipinto (’orbis pictus), quando sia de¬ scritto
convenientemente, rende i più grandi scrvigj, e possiamo incominciarlo
dalla Botanica, dalla Mi¬ neralogia e dall a Fisica generale. Per
descriverne gli obbietti, fa mestieri d’imparare a disegnare e a
mo¬ dellare, e quindi vi abbisognano le Matematiche. Lo prime
cognizio ni scientifiche debbono soprattutto aver per obbietto la
Geografia così matematica come fisica. I racconti di viaggj, spiegati per
via d’incisioni e di carte, condurranno poi alla Geografia politica.
Dallo- stato presente della superficie della terra si risalirà, al
suo stato primitivo, e si arriverà alla Geografia antica, alla Storia
antica, e via dicendo. Leli istruzione del fanciullo bisogna
cercare di •anirc a grado a grado il sapere e il potere. Fra tutte
le scienze la Matematica pare sia la più adatta a far conseguile questo
fine. Inoltre, bisogna unire la- scienza e la parola (la facilità del
dire, l’eleganza eloquenza). Ma occorre altresì che il fanciullo
im¬ pari a distinguere perfettamente la scienza dalla mp ice
opinione e dalla credenza. A questo modo ouncià in lui una mente retta, e
un gusto giusto dell’educazione fisica 275
se non /ne o delicato. Il gusto da coltivarsi sarà prima quello dei
sensi, degli ocelli specialmente, e infine quello delle idee.
Vi debbono essere norme per tutto ciò che pu^ coltivare
l’intelletto. È anche utilissimo di astrarle, affinchè l’intelletto non
proceda in modo puramente meccanico, ma abbia coscienza della regola che
segue. Riesce ancora di grande utilità l’esprimere le norme
con una certa formula c tramandarle così alla memoria. Se abbiamo in
mente la regola e ne di¬ mentichiamo l’uso, non si pena molto a
ritrovarla. E qui si domanda : Convicn principiare dallo studio
delle regole astratte, o le si devono apprendere dopo averne fatto uso,
oppure conviene far procedere i pad passo lo regole e il rispettive uso?
Quest ul¬ timo è il solo partito conveniente : nell alito caso
l’uso rimane incertissimo finché non stame arrivai, alle regole. Occorre
altresì, ove s, presenti 1 occa¬ sione, ordinare per classi le regole; e
necessarieHuano unite fra loro. Dunque, sotto questo diversa
dalla cultura P^^'^^gna alcun che rxtrsrr--— dello
spirito. Essa e fisica ^ m ^ S a) Nella cultura/ ^ fano gll 0 non
ha bisogno tica c dalla disciplina c ‘ di conoscere alcuna massima.
È cultura passiva pel discepolo, che deve.seguire l’altrui direzione.
Altri pensano per lui. b) La cultura morali si fonda sulle
massime, e non sulla disciplina. Tutto e perduto, quando la si
voglia fondare sull'esempio, sulle minacce, sulla punizione, e via dicendo.
Sarebbe allora una pura disciplina. Bisogna fare in modo che l’allievo
operi bene secondo le proprie sue massime e non p#r abi¬ tudine, e
che non faccia solamente il bene, ma che lo faccia perchè è bene in sè.
Imperocché tutto il valore morale delle azioni risiede nelle massime
del bene. Tra l’educazione fisica e l’educazione morale corre
questo divario : la prima è passiva per 1 al¬ lievo, mentre la seconda è
attiva. Fa d’uopo ch’egli veda sempre il principio fondamentale dell’
azione e il vincolo che la rannoda all’ idea del dovere. 2°
Cxiltura particolare dello facoltà dello spirito. Questa cultura
risguarda l’intelligenza, i sensi, la imaginazione, la memoria,
l’attenzione e lo spirito (Witz) come qualità peculiare. Abbiamo già
parlato della cultura dei sensi, per esempio della vista. I 11
quanto alla immaginazione, devesinotare una cosa ed è, che i fanciulli
son dotati di una immaginazione potentissima, e però non ha bisogno d’
essere svilup¬ pata ed estesa con favole e novelle. Piuttosto
dev'es¬ sere frenata e sottoposta a regole, senza lasciarla però
disoccupata del tutto. Le carte geografiche sono una grande
attrattiva per tutti i fanciulli, anche pei bambini. Benché stan-
dell’educazione fisica 217 chi d’ogni altro
stadio, essi imparano ancora qual¬ cosa per mezzo delle carte. Questa pei
fanciulli è una distrazione eccellente, dove la immaginazione,
senza divagar troppo, trova da fermarsi su certe ligure. Onde si potrebbe
far loro incominciare gli stu- dj dalla Geografia, cui sarebbero unite
figure di ani¬ mali, di piante, eccetera, destinate a vivificare la
Geo¬ grafia stessa. La Storia dovrebbe venire più tardi.
Riguardo all’attenzione, vuoisi notare ch’essaba bisogno et d’essere
fortificata in generale. Unire forte¬ mente i nostri pensieri ad un
oggetto meglio che una prerogativa è una debolezza del nostro senso
interiore, il quale si mostra indocile in questo caso e non si lascia
applicare dove noi vogliamo. Nemica d'ogni educazione si c appunto la
distrazione. La me¬ moria suppone l’attenzione. 2S. - Ora
passiamo alla cultura delle facoltà su¬ periori dello spirito, che sono
l’intelletto, il giu mio « 1» ragione. Si può cominciare dal formare in
quaò- chemodo passivameli tel’iiitollotto, chiedendogli
esernpj che si applichino all. regola, o al centrano I.
dinon "P 8tel °“°“ oltane certe cose che por am¬ mencì senea
capirle! E fi — ‘ PriMÌPÌÌ - bisogna por
lente ohe 9 «i si tratta d’una ragione non ancora diretta o educata. Essa
pei tanto non deve sempre voler ragionare, ma badare di non
ragionar troppo su quanto è superiore alle nostre idee. Qui non si
parla ancora della ragione speculativa, ma della riflessione su ciò che
avviene secondo la legge degli effetti e delle cause. V’ha una ragione
pratica sottoposta al suo impero ed alla sua direzione. Il
miglior modo di coltivare le facoltà dello spiri¬ to consiste nel far da
se tutto quello che si vuol fare; per esempio, mettere in pratica la
regola gram¬ maticale che abbiamo imparata. Si capisce segnata-
mente una carta geografica, quando possiamo ese¬ guirla da noi. Il
miglior mezzo di comprendere è quello di fare. Quello che s’impara e si
ritiene più stabilmente e meglio è appunto ciò che s’impara in
qualche maniera da noi stessi. Ma pochi sono gli uomini che siano in
grado di far da maestri a se medesimi. Questi chiamansi grecamente
autodida- scali (a, j~c5'.5icx“oi). Isella cultura della
ragione bisogna praticare il metodo di Socrate. Costui infatti, che
chiamava so stesso 1 ostetricante della intelligenza de’suoi
uditori, ne suoi dialoghi, conservatici in qualche maniera da
Platone, ci dà esempj del come si può guidare anco le persone d’età
matura a tirar fuori certe idee dalla loro propria ragione. Su molti
punti non ò necessario che i fanciulli esercitino la mente loro. Non
devono ragionare su tutto. Non hanno bisogno di conoscere le
ragioni di quanto può conferire alla loro educa¬ zione ; ma quando si
tratta del dovere, necessita dell’educazione fisica
farne loro conoscere i principj. Tuttavia si deve in generale fare
in modo da cavar da loro stessi le cognizioni razionali, piuttosto che
d’introdurvcle. Il metodo socratico dovrebbe servir di norma al me¬
todo catechetico. Esso è certamente un po'lungo ; e torna difficile il
condurlo in maniera tale da fare imparare agli altri qualcosa, mentre si
cavano le •cognizioni dalla mente d’uno. Il metodo meccani¬ camente
catechetico giova pure in molte scienze, come nell’insegnamento della
religione rivelata. Nella re¬ ligione universale, al contrario, devesi
praticale il metodo socratico. Ma per tutto ciò che dev essere
insegnato storicamente, si raccomanda il metodo mec¬ canicamente
catechetico. 39. - Dobbiamo qui trattare anche la cultura
del sentimento del piacere o del castigo. Dev essere negativa; il
sentimento non dev’essere effeminato. La inclinazione alla effeminatezza
c pei 1 uomo il più funesto di tutti i mali della vita. Dunque
preme sommamente d’avvezzare per tempo i gio\ani a
punto all’ altro, per cada loro qualcosa di sinistro. Il padre,
invece, che li sgrida, che li picchia quando non sieno stati buoni,
li conduce talvolta in campagna, e quivi li lascia, correre, giuocare c
divertirsi a loro posta, conforme alla loro età. Si crede di
esercitare la pazienza de’giovinetti facendo loro attendere una cosa per
lungo tempo. Il che non dovrebbe essere punto necessario. Ma
essi hanbisognodipazienza nellemalattio einaltre contin¬ genze
della vita. Di due sorta è la pazienza: consiste o nel rinunziare ad ogni
speranza, o nel prendere nuo¬ vo coraggio. La prima non c necessaria,
quando si desideri unicamente il possibile; e si può aver sem¬ pre
la seconda, quando non altro si desideri che il giusto. Ma tanto funesto
è il perdere la speranza nelle malattie, quanto è favorevole il coraggio
al ristabilirsi della salute. Chi ò capace di mostrarne ancora nel
suo stato fisico o morale, non rinuncia alla speranza. Non
bisogna render più timidi i fanciulli. Que- sto accade principalmente
quando ci rivolgiamo ad essi con parole ingiuriose e quando si umiliano
spes¬ so. Conviene pertanto biasimare quelle parole che molti
genitori indirizzano ai loro figli : Eh, non ti vergogni ! Non vedesi di
che i fanciulli potrebbero vergognarsi, quando, per esempio, mettono in
bocca il loro dito. Si può dir loro che ciò non sta bene, questo
non essendo l’uso: ma dobbiamo dir lo*' 0 che si vergognino solamente
quando mentono. La natura ha dato all’ uomo il rossore della vergogna, perchè
si palesi quand'egli mente. Se dunque i ge¬ nitori parlassero di vergogna
ai loro figli solamente quando mentono, essi conserverebbero fino alla
morte questo rossore per la menzogna. Ma se li facciamo arrossire
di continuo, si darà loro una timidezza che non li abbandonerà più.
Come abbiamo detto qua sopra, non devesi pie¬ gare la volontà dei
fanciulli, ma dirigerla per modo- che ella sappia cedere agli ostacoli
naturali. Sulle prime il fanciullo deve obbedire ciecamente. Non è
conforme a natura eh’ egli comandi con le sue grida, e che il forte
obbedisca al debole. Dunque non va mai ceduto alle grida dei fanciulli c
dei bambini stessi, perchè ottengano così ciò che vo¬ gliono. Qui i
genitori per lo più &’ ingannano, e cre¬ dono di poter rimediare al
male più tardi ricusando ai loro figli quanto dimandano. Ma e assuido
i negar loro senza ragiope quello eh’ essi' attenti on dalla bontà
dei genitori, coll’unico intento vogip ie du r T
ii"Tr::r la loro volontà ed i un trastullo
ordinariamente sino « o do Jn cui co _ pei genitori segna et ind
J enZ a reca loro minciano a parlare. L’opposizione
ai conoscere come debbono governarsi. — Importante la regola da
praticarsi coi bambini è questa : andare a soccorrerli quando gridano e
si teme che non accada loro qualche male, ma lasciarli gridare
quando lo fanno per cattivo umore. E una somigliante con¬ dotta
bisogna costantemente tenere più tardi. La resistenza che in questo caso
trova il bambino è affatto naturale e propriamente negativa poiché
ri¬ fiuta semplicemente di cedere a lui. Molti figliuoli, invece,
ottengono dai loro genitori quello che desi¬ derano, mercé le preghiere.
Ove si lasci ottenere loro ogni cosa con le grida, essi divengono cattivi
; ma se ottengono tutto con le preghiere, diventano dolci. Bisogna
dunque cedere alla preghiera del fan¬ ciullo, salvo che non ci sia
qualche potente ragione in conti ario. Ma quando ci siano queste ragioni
per non cedere, non bisogna lasciarsi più commuovere da molte preghiere.
Ogni rifiuto dev’essere irrevo¬ cabile. Ecco un mezzo certo per non
ripetere così di frequente il rifiuto. Supponete che vi sia
nel fanciullo (cosa da po¬ tei si ammettere assai di rado) una tendenza
naturale alla indocilità; il miglior partito si è, quando egli non
faccia niente per rendersi a noi piacevole, di non fai niente per lui. —
Piegando la sua volontà, t, ispiriamo sentimenti servili ; la resistenza
natu¬ rale, al contrario, genera la docilità. 40. La cultuì a
morale vuoisi fondare su certe massime, non sulla disciplina. Questa
impedisce i - 5 1 ucllc formano la maniera di pensare. Bisogna fare
in modo che il fanciullo si avvezzi ad operare secondo le massime, e non
secondo certi motivi. La disciplina non genera che gli abiti, i
quali svaniscono con gli anni. Necessita che il fan¬ ciullo impari ad
operare secondo certe massime, di cui veda egli stesso la convenienza.
Non occorre dimostrare come sia difficile di ottenere questo dai
bambini, e come la cultura morale richieda molte cognizioni da parte dei
genitori e dei maestri. Quando un fanciullo mente, per esempio,
non si deve punire, ma trattarlo con disprezzo, dirgli che in
avvenire non gli crederemo più, e somi glianti. Ma se lo castighiamo
quando fa male, e Io ricompensiamo quando fa bene, egli a b° ia a *
bene per essere ben trattato ; e quanc o piu a entrerà nel mondo dove le
cose procedono altnmcn >, dove cioè egli può fare il bene ed il male
senza riceverne ricompensa o castigo, non penserà mezzi per
conseguire il suo fine, e sarà buono o cat¬ tivo secondo 1’ utile
proprio. Le massime della coadotta amaca vanno "te¬
sante dall' nomo stesso. Dcvcsi ceicaic p d'inculcare ai fanciulli,
mediante 1.• l'idea di ciò che ò bene o male. S.^-^
dare la moralità, non bisogna punire. ^ ' è qualcosa di così
santo c sn ^appari colla abbassare a questo P»"‘° ° |M „1 C
deb- disciplina. I primi sfora' ., qualo consiste buco
tendere a fermare .1^ • ’ imc . Queste nell’abito d’operare secondo
cerio dapprima sono le massime della scuola e poi quelle dell'
umanità. Sul principio il fanciullo obbedisce a certe leggi. Anche le
massime sono leggi, ma per¬ sonali o soggettive, perchè derivano dall’
intelligenza stessa dell’uomo. Niuna trasgressione alla legge della
scuola deve restare impunita, ma la pena vuol es¬ sere sempre
proporzionata alla colpa. Quando si vuol formare il carattere dei
fanciulli preme assai di mostrar loro in tutte le cose un certo
disegno, certe leggi, che essi ponno seguire fedelmen¬ te. Quindi, a ino’
d’esempio, si stabilisce loro un tempo per dormire, per lavorare, per
ricrearsi; questo tempo, stabilito che sia, non devesi più nè
allungare nè abbreviare. Nelle cose indifferenti si può lasciare l’elezione
ai fanciulli, a patto bensì che poi osservino sempre la legge che han
fatto a sè stessi. — Non bi¬ sogna tentare, per altro, di dare a un
fanciullo il ca- ìatteie di un cittadino, ma-quello di un
fanciullo. Gli uomini che non si sono proposti certe regole
non potrebbero inspirare molta fiducia; spesso ci ac¬ cade di non poterli
comprendere, nè mai sappiamo da qual verso conviene pigliarli. Vero è che
non di rado si biasima la gente che opera sempre secondo certe i
e^olc, come un tale che ha sempre un'ora cd un tempo stabilito per ogni
azione ; ma sovente questo biasimo è ingiusto, e quella regolarità è una
favore¬ vole disposizione al carattere, benché sembri una
tortura. Elemento essenziale del carattere d’un fanciullo, e
segnatamente d'uno scolare, è soprattutto l'obbe-
dell’educazione fisica 285 dienza. Questa è di due sorte: prima,
un’obbedienza alla volontà assoluta di cbi dirige -, seconda,
un’obbe¬ dienza ad una volontà riguardata coma ragionevole c buona.
L’obbedienza può venire dal costringimento, dall'autorità, e allora è
assoluta ; o dalla fiducia, c in questo caso è volontaria.
Importantissima è la secon¬ da-, ma anche la prima è assolutamente
necessaria, perchè questa prepara il fanciullo al rispetto delle
leggi che dovrà più tardi osservare come cittadino, quand’anche non gli
andassero a genio. Si deve dunque sottoporre i fanciulli ad
una certa legge di necessità. Ma questa legge, dev’essere
universale, e bisogna averla sempre dinanzi al a mente nello scuole. Il
maestro non devo mostrare al¬ cuna predilezione, alcuna preferenza pei un
a ° cl tra molti : chè diversamente la legge cessele
universale. Quando il tannilo vedo> d». tu», gli alivi non sono
sottoposti alla medesima legge nomo lui, diviene ostinato. presentata
in Si dico sempre che ogni cosa P . clin£lzion e. modo tale
ai fanciulli che la faccl ‘™ P ma pareC chic Il che in molti casi è c J 0
dove ri. E ciò cose vogliono esser loio p . tutta la vita,
in progresso tornerà loro ^ funz ioni unite Imperocché nei
servizj p u > ^ solo pu ò alle cariche, ed in molti a Ove
supponessimo guidarci c non la indinone. ^ sare bbe che
il fanciullo non compien . c d ’ a ltra parte sempre meglio di
forniig ienC f - u ii 0 quantunque egli sa che ha doveri come veda
più difficilmente d’averne come uomo. Se com¬ prendesse ancor questo, il
che solo con gli anni è possibile, l'obbedienza sarebbe ancor più
perfetta. Ogni violazione d’un ordine pel fanciullo è un mancare
di obbedienza, che porta seco una puni¬ zione. Ma non è inutile di punire
anche una semplice negligenza. La pena è fisica o morale. La
pena è morale quando si attutisce la nostra inclinazione ad essere
onorati cd amati, due aiuti, della moralità, come quando si umilia, o si
accoglie freddamente il fanciullo. Tale inclinazione dev’essere,
finche si può, conservata. Ora questa sorta di pena è la migliore, perchè
aiuta la moralità; per esempio, se un fanciullo ménte, castigo
sufficiente ed il migliore per lui è un’occhiata di disprezzo.
La pena fisica consiste o nel ricusai’e al fan¬ ciullo ciò che
desidera, o nell’infliggergli una certa punizione. La prima sorta di pena
si avvicina a quella morale, ed è negativa. Le altre pene vanno
adoperate con precauzione, affinchè non generino di¬ sposizioni servili
(indoles servilis). Non conviene dar ricompense ai fanciulli, perchè ciò
li rende in¬ tei essati e genera in essi disposizioni mercenarie
(indoles mercenaria). Inoltre. 1 obbedienza risguarda ora il
fanciullo, 01 a il giovinetto. Il mancare d’obbedienza deve sempio
avere la sua pena. Questa punizione, che si merita l’uomo per la sua
condotta, o è affatto naturale, come sarebbe la malattia che si
procura il fanciullo quando mangia troppo ; e questa specie
dall’educazione fisica 287 di pena è la migliore, perchè
l’uomo la subisce non solamente nella infanzia, ma per tutta la vita.
0 la pena è artificiale. Il bisogno di essere stimati ed amati è un
espediente sicuro per rendere i castighi durabili. Le pone fisiche vanno
adoperate solo come rimedio alla insufficienza delle pene morali.
Quando il castigo morale non ha più efficacia e si ricorre alla
pena fisica, bisogna rinunziare per sempre a formare con questo mezzo un
buon carattere. Ma sulle prime la pena fisica serve a riparare la
man¬ canza di riflessione nel fanciullo. Non approdano
i castighi inflitti con segni ma¬ nifesti di collera. I fanciulli non vi
scorgono allora che gli effetti della passione altrui, e
considerano sè stessi come vittime di questa passione. In o ene
rale, bisogna fare in modo che i fanciulli stessi ve dano come il fine
vero e ultimo delle pepe inflitte sia il loro miglioramento. È assurdo
pietendere c e : fanciullo da voi punito vi renda grazie, ^i ac
mani, e via dicendo -, sarebbe un volerne ai schiavo. Quando le pene
fisiche sono c i lC fl ripetute, formano caratteri ‘“Egoismo
quando i genitori puniscono 1 fig P . „ Lo, non fanno
cberonderlUncorapmcgo ^«n sono sempre i pm cattivi qrxo
facilmcntc intrattabili, ma questi spesso * con le
buone maniere. i nuella L'obbodionna de, giovinetto o -ve-
del fanciullo, e sta nel sottomette- », v dovere, l'aro una
eosa per dovere eqn.vale bedirc la ragione. Parlar di dovere ai fanciulli
è fiato sprecato; essi alla fin fine concepiscono il dovere come
una cosa da farsi sotto pena di essere fiustati. Unicamente dai suoi
istinti potrebbe esser guidato il fanciullo ; ma, quando cresce, gli
necessita 1 idea del dovere. Parimente, non dcvesi cercare di
mettere innanzi ai fanciulli il sentimento della vergogua, ma
riserbarlo alla età giovanile. .Difatti non può aversi tal sentimento se
prima non siasi radicata la no¬ zione dell’onore. Una seconda
qualità, cui bisogna soprattutto mi¬ rare nella formazione del carattere del
fanciullo, è la veracità. Questo infatti è il tratto principale e
l’attributo essenziale del carattere. Un uomo che món¬ te non ha
carattere, c 6e v’ha in lui qualcosa di buo¬ no lo deve al suo
temperamento. Molti fanciulli hanno una tendenza alla menzogna, che
spesso deriva uni¬ camente da una talquale vivacità d’immaginazione.
Ù dovere dei padri segnatamente di badare che i figli non
contraggano questo abito, poiché le madri non vi annettono per ordinario
che niuna o poca impor¬ tanza ; se pure esse non vi trovino una prova
lusin¬ ghiera delle attitudini e dello capacità superiori dei loro
figli. Qui torna opportuno di ricorrere al senti¬ mento della vergogna,
poiché il fanciullo in questo caso lo comprende benissimo. In noi si
manifesta il rossore della vergogna quando mentiamo, ma que¬ sta
non ò sempre una prova di aver mentito o di mentire. Sovente arrossiamo
della impudenza onde altri ci accusa d’una colpa. Non devesi cercare a
ve- mn costo di trai’ di bocca ai fanciulli la verità per via di
punizioni, avesse pure a cagionare qualche danno la loro menzogna :
e’saranno allora puniti per questo danno. La sola pena che ai mendaci
convenga è la perdita della stima. Possiamo dividere le pene
ancora in negative o in positive. Le negative si applicherebbero alla infin-
gardia, o alla mancanza di moralità o almeno di gen¬ tilezza, come la
menzogna, il dispetto di cortesia, la insocialità. Le pene positive sono
riservate alla mal¬ vagità. Preme sommamente di non tener rancoio
verso i fanciulli. Una terza qualità del carattere del fanciullo
c la socialità. Egli deve pur conservare con gli altri relazioni di
amicizia, e non vivere sempre c tutto per sè. Parecchi
maestri, c vero, sono contrarj a questa idea; ma è ingiustissimo. I
fanciulli debbono cosi prepararsi al più dolce di tutti i piaceri della
vita. 2 dovesse oggi
pagare il suo creditore, « T\ Itf “suo creditore, farebbe cosa
gia- occorre sia libeio eia 0 meritoria ■ ma pa-
correndo un povero foJ. mi0 . Si domando- “n'oTtro se l’a
necessiti. ' pud giustificare la tÌloX 'Sdì certo I non si potrebbe
concep.re un solo caso in cui potesse ciò scusarsi, almeno davanti
ai fanciulli; clic altrimenti essi piglierebbero la più lieve cosa por
una necessità e si permetterebbero spesso di mentire. Se ci fosso un
libro di questo ge¬ nere, gli si potrebbe consacrare con grande
utilità un’ora ogni di, per insegnare ai fanciulli a conoscere ed a
pigliare a cuore i diritti degli uomini, che sono ' eccitamento posto da
Dio sulla terra. In rispetto all’obbligo di essere benefici, questo
ò un dovere imperfetto. Occorre meno affievolire che eccitare
l’animo dei fanciulli per renderlo sensibile alle sventure altrui. Che il
fanciullo sia tutto pene¬ trato non dal sentimento, ma dall’idea del
dovere! Molte persone son divenute realmente dure di cuore perchè,
altre volte essendosi mostrate compassione- voli, furono di sovente
tratto in inganno. E inutile di voler far sentire a un fanciullo il lato
meritorio delle azioni. I preti commettono assai volte l’errore di
pre¬ sentare gli atti di beneficenza come qualcosa di meritorio.
Anche senza riflettere che, agli occhi di Dio, non possiamo far mai che
il nostro dovere, si può dire che adempiamo semplicemente 1’
obbligo nostro beneficando i poveri. Difatti, la disuguaglianza del
benessere tra gli uomini deriva da mere condi¬ zioni accidentali. Dunque,
se posseggo beni di for¬ tuna li debbo a quelle circostanze che han
favorito me o chi mi ha preceduto, c però devo pensaro anco alla
società di cui sono membro. Si eccita l’invidia in un fanciullo
avvezzandolo a stimare sè stesso giusta il valore degli altri.
Deve, al contrario, stimar se giusta le ideo della sua ra¬ giono.
Cosi l’umiltà vera e propria è un confronto del nostro valore colla perfezione
morale, La reli¬ gione cristiana, per esempio, comandando agli
uomini di paragonar sò medesimi al modello sovrano della
perfezione, li rendo umili piuttosto che insegnar loro la umiltà. Far
consistere l'umiltà nello stimar se meno degli altri c assurdo. — Vedi
come questo o quel fan¬ ciullo si porta bene! e somiglianti espressioni.
Parlar così ai fanciulli non c certo il modo d’inspirar loro nobili
sentimenti. Quando l’uomo stima sè, giusta il valore degli altri, cerca o
di elevarsi sopra loro, o di abbassarli. Il secondo caso c proprio dell'
invidia. Allora non si pensa che a trovar difetti negli altri-,
solo a questa condizione si reggo al confronto, c si riesce superiori. Lo
spirito di emulazione applicato non bene produce l’invidia. Quando
volessimo per¬ suadere alcuno che una cosa 6 fattibile, qui l’emu¬
lazione potrebbe giovare : come, puta caso, quan o esigo da un fanciullo
un certo compito e gli mostro che altri han potuto farlo.
A un fanciullo non va permesso di umiliare gli nitri in
qualsiasi modo. Conviene ndoprarsi a sof¬ focare ogni superbia fondata
sui vantaggi na. Ma bisogno fondare m pari tempo a ^ cioè una
modesta fiducia in tó “f*'” 0 . r",:^rro g auro,obestane, non
curarsi affatto dc’giudizj altrui. Tatti i desiderj umani sono o
formali (libertà c potere), o materiali (relativi ad un oggetto,)
cioè desiderj d’opinione o di piacere -, o, lilialmente, ri¬
guardano la semplice durata di queste due cose, come clementi della
felicita. Son desiderj della prima specie quelli degli onori,
del potere e delle ricchezze. Appartengono alla se¬ conda specie i
desiderj del piacere sessuale (voluttà), delle cose (benessere materiale)
c della società (con¬ versazione). Sono, infine, desiderj della terza
specie l’amore della vita, della salute, delle comodità (il
desiderio d’essere scevro di cure nell’avvenire). I vizj sono
quelli o di malignità, o di bassez¬ za, o di grettezza d’animo. Alla
prima specie ap¬ partengono la invidia, la ingratitudine e la gioia
per la sventura altrui -, alla seconda, la ingiustizia, la
infedeltà (falsità), il disordine, vuoi nel dissipare le proprie
sostanze, vuoi nel rovinarsi la salute (in¬ temperanza) e la propria
reputazione ; alla terza specie, la durezza di cuore, l'avarizia c la
infingardi (effeminatezza). Le virtù sono o di puro merito, o
di obbligò' sione stretta, o d 'innocenza. La prima classe com¬
prende la magnanimità (che consiste nel domare se stesso, vuoi nella
collera, vuoi nell’amore del benes¬ sere materiale e delle ricchezze), la
beneficenza, il dominio sopra sè stesso. Spettauo alla seconda
classe l’onestà, la decenza e la dolcezza’, alla terza infino, la
buona fede, la modestia e la temperanza. Si domanda : l’uomo è
moralmente buono o cattivo per sua natura ? Io rispondo : egli non è mo¬
ralmente buono nò cattivo, perchè non ò un essere morale per natura ;
©'diviene morale quando innalza la sua ragione fino alle idee del dovere
e della legge. Si può dir tuttavia che l’uomo racchiudo in sè
tendenze originario per tutti i vizj, avendo inclinazioni ed
istinti che lo spingono da una parte, mentre la sua ragione l’attira
dalla parte opposta. Egli dunque potrebbe divenire moralmente buono solo
in grazia della virtù, ossia d’una forza esercitata sopra se
stesso, quantunque possa rimanere innocente finche non si destano
le suo passioni. La maggio.' parte dei vizj dorivano dallo
stato di civiltà quando fa violenza alla natura; c c.ò nond.- meno
la nostra destinazione corno uomini « 4. usci dal puro stato di natura
dove non cor» d.fle.on» tra noi o gli animali bruti. L'arto perfetta
..teina alla natura., „„„ „„„ p .i Nell’ educazione
tutto dipendo, a . ‘ g[ ò: si stabiliscano dovunque buoni P ri “
W facciano comprender bene od Questi debbono imparare a sos .
uue U d.o 1 ..cedi tutto surdo ; il timore dclh P P
stima di sò degli «“ ini istori.™ JPepini». *«™i;
medesimi o la le c la condotta a. il pregio ìntrinseo a,
sentimento ; una moti del cuore, l inre “ *» devozione mesta,
pietà serena odi animo boto a una de cupa e selvaggia- Ma
bisogna anzitutto preservare i giovani dal pericolo di stimar troppo i
meriti della fortuna ( me¬ rita fortunaà). 43. - Se togliamo
ad esame l’educazione dei fanciulli nella sua attinenza colla Religione,
la prima questione da risolvere c questa : Si può inculcare per
tempo ai fanciulli idee religioso? Ecco un punto di Pedagogia sul quale
si è molto disputato. Le idee religiose suppongono sempre qualche Teologia.
Ora, come insegnare una Teologia alla prima gioventù, che non
conosce ancora il mondo, c neppure se stes¬ sa ? I fanciulli, che non
hanno ancora la nozione del dovere, come potrebbero capire un dovere
im¬ mediato verso Lio ? Ciò che v’ ha di certo si è, che se potesse
avvenire che i fanciulli non fossero mai presenti ad alcun atto di
venerazione verso 1 Ente supremo, e non udissero mai pronunziare il
nome di Dio, sarebbe allora conforme all’ ordine delle cose d attirare
prima la loro attenzione sulle cause finali e su quanto si addice all’
uomo, di esercitarvi il loro giudizio, d’istruirli sull’ordine e
sulla bellezza de’ fini della natura, di aggiungervi poi una cognizione
più estesa e perfetta del sistema dell universo, e di venir così alla
idea d’ un Ente upiemo, d un Legislatore. Ma siccome ciò non e
possibile nello stato presente della società, come non 1 o \ietaisi che i
fanciulli non odano pronunziare i nome di Dio e non siano presenti ad
atti di de- ìonc veiso di Imi, se volessimo attendere per insegnar
loro qualcosa intorno a Dio, ne deriverebbe
dell’educazione PRATICA 303 nel loro animo o una grande
indifferenza per la divinità, o una idea falsa, come il timore della
po¬ tenza divina. Ora, poiché bisogna evitare che questa idea metta
radice nella immaginazione dei fanciulli, devesi cercare per tempo
d’inculcar loro idee reli¬ giose. Il che, per altro, non vuol essere un
mero esercizio di memoria, nè una pura imitazione affet¬ tata, ma
devesi al contrario seguir sempre a via naturale. I fanciulli, pur non
avendo ancora 1 idea astratta del dovevo, dcll'obbligazione, della
condotta buona o cattiva, capiranno esservi una leggo del
dovere, o ch'cssa non consisto noi piacere, nell ut.le o in
altri simili considerazioni elle la ma in qualcosa di generalo che non s.
fonda sm • capriccj umani. Bensì il maestro medesimo d toi p
q r;sit;e tutto riferire a Dio nella indura, e attribuire ancor questa a
Lui. lei ]a mostrerà in primo por Lequilibrio loro, ma
ind^rcttameute^ancbe^per 1’ uomo affinchè possa ren¬ dersi felice.
fin a* principio un’idea La miglior via pe m .. a o- 0 nare per
ana- chiara di Dio sarcb c que^ ^ m paJre 0, ie logia
il concetto di . cosi fclieemento abbia cura di no,1““^ onere
nn,ano corno nna a concepire 1 unita sola famiglia.,
Tfeliffione ? La re- ° b °’ aÌ "T;Sr^2ei, inquanto
ligione è la legge che risied riceve da un legislatore c da un
giudice l'autorità che ha su noi ; è la morale applicata alla
cognizione di Dio. Se la religione non si unisce alla inorale, essa
altro non è che una maniera di sollecitare il favore celeste. 1 cantici,
lo preghiere, il frequentare lo chiese, tutto ciò deve servire unicamente
a dare all' uomo nuove forze ed un nuovo coraggio per di¬ ventare
migliore ; altro non deve essere che la pura espressione di un cuore
animato dall’ idea del do¬ vere ; tutto ciò c preparazione al bene, ina
non co¬ stituisce il bene in se. Non possiamo piacere all’Ente
supremo se non diventando migliori. Ai fanciulli conviene anzitutto
insegnare la legge che hanno entro di loro. L’uomo ò dispregevole
agli stessi occhi suoi quando cade nel vizio. Questo disprezzo ha la sua
ragione in sò, e non già nella considerazione che Dio ha proibito il male
] impe¬ rocché non è necessario che ogni legislatore sia nel tempo
stesso autore della legge. Così un principe può vietare il furto ne’ suoi
Stati, e nondimeno egli potrebbe non essere 1’ autore della proibizione
del furto. Quindi 1 uomo riconosce che la sua buona condotta può
solo renderlo degno della felicità. La legge divina deve nel tempo stesso
apparire come una legge naturale, poiché non c arbitraria. La re¬
ligione rientra dunque nella moralità. Ha non bisogna cominciare
dalla Teologia. La religione elio sia fondata semplicemente sulla
Teolo¬ gia, non può contenere alcun che di morale. Essa non
ispirerà altri sentimenti clic il timore da una
dell’educazione pratica 30S parto e la speranza del premio
dall'altra ; e quin¬ di produrrà un culto superstizioso. La Morale
de¬ ve pertanto venir prima della Teologia. E così ab¬ biamo la
Religione. Dimandasi coscienza la legge considerata in noi.
La coscienza è veramente 1’ applicazione dello nostre azioni a questa
legge. I rimorsi della coscienza resteranno inefficaci, ove non li
consideriamo come rap¬ presentanti di Dio, il cui trono sublime è fuori
c sopra di noi, ma che ha pure stabilito in noi un tii- bunale. D’
altra parte, quando la religione non è accompagnata dalla coscienza
morale resta inefficace. La religione senza la coscienza morale, come
ab¬ biamo detto, è un culto superstizioso. Si pretende servire Dio
con lodarlo, per esempio, col celebrarne la potenza e la sapienza, senza
curarsi di osservare lo leggi divine, senza neppur conoscere e studiare
a sapienza e potenza di Lui. Taluni cercano in quelle lodi una
sorta di narcotico per la loro coscienza, o una sorta di cuscino
sul quale sperano riposare tran- non * i» g-* «.-*» lo idee
religiose, me posiamo tuttavia loro alcune ; queste bensì debbono essere
piuttosto negative efaL positive. È inutile d. ar re tare ^ mole ai
fanciulli 1 questo non pub dar loro eh u idea falsa della pietà. La
vera sta nell'opera,-e secondo 1» volontà d Ln. . e massimale
si devo i^— terossc loro ed anche nosti, I ^ nome di Dio non
sia profanato così spesso. Invocarlo nei desiderj e negli augurj, sia
pure con intendi¬ mento pietoso, è una vera profanazione. Ogni
qual¬ volta gli uomini pronunziano il nome Dio, e’ dovreb¬ bero
essere tutti compresi di rispetto ; dovrebbero pertanto farne uso di rado
e mai leggermente. Il fanciullo deve imparare a riverire Dio, prima
come signore della sua vita e dell'universo, poi come pro¬ tettore
o provvidente deH’uomo, e finalmente come suo giudice. Dicesi che Newton
si raccogliesse uu mo¬ mento ogni qualvolta pronunziava il nomo di
Dio. Unendo e rendendo ciliare nella mente del fanciullo ad
un tempo le nozioni di Dio c del do¬ vere, gl’insegniamo a rispettar
meglio le cure prov¬ videnziali di Dio verso le sue creature, e lo
pre¬ serviamo dalla tendenza alla distruzione ed alla cru¬ deltà,
che in tanti modi si compiace di tormentare i piccoli animali. Si
dovrebbe nello stesso tempo istruire la gioventù a scoprire il bene nel
male, mostrandole, per esempio, modelli di nettezza e di operosità
negli animali di rapina e negli insetti. Essi fan ricordare agli uomini
cattivi il rispetto della legge. Gli uccelli che danno la caccia ai
vermi, sono i difensori de’giardini ; c così prosegui.
Bisogna pertanto inculcare ai fanciulli certe nozioni intorno
all’Ente supremo, affinchè quand/cssi vedono gli altri pregare, sappiano
a chi o perchè si fanno quelle preghiere. Ma poche hanno da essere
tali nozioni e, come dicemmo qui sopra, puramente negative. Devesi
cominciare ad imprimerle fin dalla dell’educazione pratica
301 prima età neH’animo dei fanciulli, ma insieme badare
ch’essi non istimino gli uomini secondo la pratica della rispettiva
religione ; imperocché, nonostante la diversità dei culti religiosi,
trovasi dovunque unità di Religione. 44. - Aggiungeremo, per
concludere, alcune osservazioni, rivolte particolarmente ai fanciulli
che entrano nellagiovinezza.Aquest’età il giovinetto prin¬ cipia a
fare certe distinzioni che non faceva prima. Viene ili luogo la
differenza dei sessi. La natura ha in qualche modo gettato là sopra
il velo del segreto, come se la ci fosse qualcosa di meno
decente per l’uomo e che per lui fosse un mero bisogno della vita
animale. Essa ha cercato d unirlo con ogni sorta di moralità possibile.
Gli stessi popoli selvaggi conservano su questo punto una specie di
pudore e di ritegno. I fanciulli curiosi fanno talvolta certe di¬
mando su questa materia alle porsone adulte, per esempio : Donde nascono
i bambini ? Ma possiamo con¬ tentarli facilmente o dando risposte
insignificanti, o dicendo loro che ia dimanda è propi io da barn
ini Meccanico è lo svolgimento di questo tendenze nel giovinetto;
e, come in tutti gl'istinti che si dispie¬ gano in lui, non ha bisoguo di
conoscerne prime^ og¬ getto- È dunque impossibile di mantener qui, g
pa¬ netto nella ignoranza e nella innocenza o i compagna. Il
silenzio non fa che aggravalo li male; Dna prova ci è
fomitadall'edncaz.ono dei noeta “ 0 nati. Secondo l'educazione dell'età
nostra* giustamente che di queste cose bisogna pollare «, vinetto
senz’ambagi, in modo chiaro o preciso. Per fermo si tocca un tasto
delicato, poiché non so ne fa volentieri soggetto di conversazione pubblica.
Ma tutto sarà ben fatto se gli parliamo di ciò in modo serio e
conveniente, e se penetriamo nelle sue incli¬ nazioni. L’età
dei 13 o dei 14 anni è e quella ordina¬ riamente in cui la tendenza per
il sesso dispiegasi ne' giovinetti (se avviene prima, vuol dire che
i fanciulli sono stati corrotti e perduti da cattivi escm- pj). A
quell’età il giudizio loro si ò già formato, c la natura l’ba
provvidamente preparato affinchè pos¬ siamo allora discorrere di tal
oggetto con essi. Non v’ò cosa che tanto fiacchi lo spirito e il
cor¬ po quanto la specie di voluttà che l’uomo consuma sopra sè
stesso ; non occorre diro ch'essa è contraria alla natura umana. E quindi
non si deve più tener celata al giovinetto. Bisogna mostrargliela in
tutto l’orrore suo, e dirgli elio si rende cosi disadatto alla
propagazione della specie, che rovina le sue forze fisiche, che si
prepara una vecchiaia precoce, che con - suma il suo spirito, e va
dicendo. Per fuggire le tentazioni di questo genere bi¬ sogna
stare occupati sempre e non concedere al letto ed al sonno altre ore che
le necessarie. A questo modo il giovinetto caccerà via dalla mente i
pensieri cattivi 5 poiché, sebbene l'oggetto esista nella pura
immagina¬ zione, egli usa ancora la forza vitale. Quando la incli¬
nazione si porta sull’altro sesso, almeno s’incontra sempre qualche
resistenza; ma quando è rivolta sopra DELL’EDUCAZIONE
l'UATlCA 309 l’individuo stesso, può ad ogui momento essere
ap¬ pagata. Rovinoso ò l’effetto fisico’, ma le conseguenze morali
sono ancor più funeste. Qui si varcano i con¬ fini della natura, e la
tendenza non è mai sazia, perchè non trova mai alcuna soddisfazione
reale. Ri¬ spetto ai giovani, alcuni precettori han posto la qui-
stione : Può ad un giovane permettersi di formare unione con una persona
di sesso diverso? Sebisognasse scegliere uno di questi duo partiti, il
secondo sarebbe certamente migliore. Nel primo caso il giovane
opere- rebbe contro natura -, ma nel secondo, no. La natura ia
destinato a diventare uomo, e quindi anche a pro¬ pagare la specie umana,
appena è in grado di proteg gere sè stesso; ma i bisogni, a’quali deve
neces¬ sariamente sottostare l’uomo nella società civile non gli
consentono di poter ancor» allevare .suor SgU. Qui pertanto egli va contro
l'ordine ernie. U n,^' partito pel giovane, e questo k per In. «ohe
u vere, sta nell'attenderc ohe sia in grado d uni... regolarmente
in matrimonio. P“ ra “ 0 ^ btl on mostrerà non solo uomo dabbene,
s. cittadino. tempo a dimostrare alla Il giovine
apprenda pe. ^mp ^ mMÌlMn0 donna tutto il rispetto c 0 ^ j,
epararsi così la stima con lodevole operosità, ed a piepa
all'onore d’nna ““ il gi»™* 110 ’ La seconda diff corainc ia
a porre e oramai ad entrare nel dei ceti e ladisu-
quella che risguarda la fanciullo, non guaglianza degli
uomini. Finche bisogna fargli notare questa differenza. Non gli si
deve permettere di comandare ai domestici. S’egli osserva che i suoi
genitori comandano ai domestici, gli si può sempre dire : Noi li
manteniamo, e però essi ci obbediscono. I fanciulli ignorano del tutto
que¬ sta differenza, se i genitori non ne porgono loro l’idea.
Convien dimostrare al giovinetto come la disugua¬ glianza degli uomini
sia un ordine di cose derivato dai vantaggj onde certi uomini hanno
cercato di di¬ stinguersi dagli altri. La coscienza
dell’eguaglianza degli uomini, nonostante la disuguaglianza civile,
può essergli inspirata a poco a poco. 45. - Fa mestieri di
avvezzare il giovine a sti¬ mar se giusta il proprio valore, c non
secondo il va¬ lore altrui. La stima degli altri, in tutto ciò clic
non costituisce affatto il valore dell’uomo, è vanità. Bi¬ sogna,
inoltre, insegnare al giovine a fare ogni cosa coscenziosamente, ed a
porre ogni cura non tanto di parere, quanto di essere. Avvezzatelo a far
sì che in ogni contingenza della vita, presa ch’egli abbia la sua
risoluzione, questa non resti vana ; meglio sarebbe di non venire in
alcuna deliberazione, e di lasciar sospesa la cosa. Insegnategli la
moderazione ne’suoi rapporti col mondo e la pazienza nel lavoro :
Sustine et abetine ; insegnategli la temperanza nc’ piaceri. Quando
l’uomo non desidera unicamente i piaceri, ma sa ancora essere paziente
nel lavoro, di¬ viene un membro utile alla società e si preserva
dalla noia. Conviono pure istruire il giovine a mostrarsi
DELL'EDUCAZIONE 1MIAT1CA 311 festevole e
di buon umore. La serenità dcH’anirao deriva naturalmente dalla coscienza
tranquilla. Rac¬ comandatogli pertanto di conservare lo stesso tem¬
peramento. Con l’esercizio egli può arrivare amo- ■ strarsi sempre di
buon umore in società. Abituatelo a considerare molto cose come
do¬ veri. Un’azione dev'essere pregevole, non perche si accorda
colla mia inclinazione, ma perche nel farla io compio il mio
dovere. Bisogna educare il giovine all’amore verso gh altri c
poi a tutti i sentimenti verso l’umanità. Nel¬ l’animo nostro v’ha
qualcosa che vuole c'interessiamo di noi stessi, di coloro coi quali
siamo cresciuti non dio educati, o del bene universale. Va rose
fam.liaro questo interesse ai fanciulli perchè riscaldi le anime
loro. Essi debbono gioire del bene universale, quando anche non torni a
vantaggio della patria o d, ‘“ 0d Conviene abituarli ad nneordare
una mediocre stima al godimento de'piaoen ndln vi• •
nirè i, timore puerile Eseguire strare ai giovani che il P
ia ciò ohe promette. loro atten2 ;„ne Bisogna, per
ultime, torma a „ U a ii -i* ri! rpndorsi conto 0 o m o
sulla necessita di rende ine de n a vita pos- propria
condotta, perdi • * acq ùistato. sano stimare debitamen Chi
esaminasse con occhio diligente, acuto od imparziale tutte le cagioni e
tutti gli umani indivi¬ dui che in un modo o nell'altro concorrono al
pro¬ gresso ed al perfezionamento della specie umana, vedrebbe che
alla donna spetta non picciola parte di gloria in questo progresso
indefinito. Anzi tutte, come osservò uno storico nostro contemporaneo,
se 1 uomo incontra spesso la morte per la salvezza della patria, la
donna corre pericolo della vita ogni qual¬ volta mette alla luce una
creatura umana. Onde il Leopardi (Canto notturno di un pastore errante
del' l'Asia ) scriveva : Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento. Dalla cuna alla tomba,
dalle più modeste cure della famiglia a'più alti e gloriosi ufficj dello
Stato, dai primi rudimenti del sapere e del viver civile alle più
nobili manifestazioni del pensiero ed al più squi¬ sito incivilimento cui
sieno pervenuti gli umani consorzj, nella prospera e nell’avversa fortuna, in
pace ccl in guerra, nelle arti, nelle scienze e nelle lettere, in
ogni tempo e presso le nazioni tutte, per via più o meno diretta, in modo
ora occulto ora palese, vi scorgi sempre l’opera e l’efficacia della
donna ne vaij- suoi ufficj di sorella, di figlia, di amante, di
sposa, di madre, di cittadina, di cultrice d’ogni arte li¬ berale
od ispiratrice de’più nobili sentimenti, d’eroina del
dovcree,seoccorre,di martire del sacrifizio. Senza la donna, oltre non
potersi' conservare o perpetuare il genere umano, l’opera divina della
creazione non sarebbe stata compiuta, non avi ebbe avuto i più
bello e vero coronamento. IL Sollevata dal Creatore ad
un grado sì nobile, destinata a sì alto ufficio, la donna non fu m
» tempo c debitamente pregiata dagli uomini, n ellastessa o
non volle sempre corrispondere al a sua missione. Nel paganesimo essa o
fu tenu a s • j o fu considerata del tutto inferiore all’uomo e
qual mero strumento di voluttà. Pei atio un 8V0 iaero basso e
misero stato, se ufficio, tutte le sue facolta e compì umana
non mancò affatto nel progresso della -v ^ l’opera di lei,
giacché la natuia s . res trin- di quando in quando i calpes a i
invano prò- le donne si volevano appa ^ Qultara
in^ cacciavasi loro una buon tellettualc, chi nei più aspri
pericoli della patria, nelle arti e nelle lettere faccvasi tuttavia
sentire l’impulso animatore della donna greca. Infatti; dii non
ricorda come la giovinetta, la sposa e la madre inspi¬ rassero animo
forte alla greca gioventù, che prima della battaglia acconciavasi la
bella persona, quasi .traesse a convito e alla danza? Chi non ricorda
come Socrate rassomigliasse il suo modo di filosofare al¬ l’arte
della madre sua Fenarete ? Chi non ricorda le ispirazioni di un'Aspasia,
c il valore poetio dell’in¬ felice Saffo, molti versi della quale possono
reggerò al confronto di quelli più affettuosi d’Anacreonte? E
questi non imitò poi la fanciulla di Lesbo ? - Invano l’antica lloma
negava alla donna ogni personalità giu- 'ridica, che ivi pure non
mancavano stupendi esempi di amor patrio c di senno. Chi non ricorda
infatti la pacò fra i Romani ed i Sabini, stipulata (checche ne
pensi la critica moderna) per int.crcessiono delle rispettive donne? E,
per tacere dello influsso della ninfa Egeria su Nuraa Pompilio, la storia
non ha essa glorificato l'eroismo di Clelia ; le preghiere,
ispirate da vivo amor patrio, della madre e della sposa di Coriolano ; il
sacrifizio di Virginia ; la rettitu¬ dine e l’anuegazione delle madri dei
Gracchi e degli Scipioui, esempio rinnovato ai nostri giorni
dall’eroica madre dei fratelli Cairoli ? L’opera della donna non fu
adunque del tutto manchevole od impotente nella civiltà pagana, e presso
le schiatte che abitavano al mezzodì c all’occidente del mondo
antico. Rinobilitata dal Cristianesimo e tenuta in.maggiorc stima
appo i vigorósi popoli del settentrione, La clonna ; ritornò man
mano signora di sò, fu pro¬ clamata degna o ■ inseparabile compagna
dcH’uomo. Èssa allora comprese tutta la nobiltà della sua natura,
andò via via perfezionandosi, e cooperò efficacemente a rialzare la
stessa dignità umana, e a far progredire la civiltà. Lasciati gli Dèi
falsi c bugiardi, abbrac¬ ciata la religione di Cristo, la donna se uc fa
la più valida sostenitrice c propagatine©, come ci,testi¬ monia la
madre di Agostino il santo, la imperatrice Eletta madre di Costantino;
Teodolinda regina dei Longobardi, c' molte altre rioordate dall’istoria.
Nel medio evo i più intrepidi c cortesi cavalieri cingono la
spada-in difesa della donna e della fede; un Abe¬ lardo,'famoso
disputatore nelle più aride c nelle pm alte questioni di filosofia e
teologia in Paii D i ne colo XH, ò attratto dalla bellezza c dall’ingegno
d'Eloisa, nobile creatura (dico il Cousin) che amo come santa
Teresa e scrisse talvolta come eneca " . donna ispira il canto dei
trovatori, e porgo ra alle’ lingue romanze ; Beàtnce si 6 che sia stare
l’ingegno più universal l . a]la vissuto nei tempi di mezzo
al Ugnato Papato, lo richiama a a
316 LA .MISSIONE DELLA DONNA suo vero ufficio. Instigatrice a
nobili imprese, la don¬ na piglia non di rado la lira, ne trae suoni
armoniosi e delicati, come Gaspara Stampa, Veronica Gambara e
Vittoria Colonna. Altre maneggiano con onore il* pennello, come
SofonisbaAnqùisciola, Barbara Longhi e Teodora Danti, pittrice c
matematica insigne; e ta¬ lune maneggiano perfinolo scalpello, come a'dì
nostri la ' egregia e valenteAmaliaDuprè. Moltissime poiriesco- no
eccellenti nella musica. Una Margherita illuminae rende civile la Scozia
; più tardi Maria Teresa c Caterina II a governano sapientemente due più
te¬ muti Imperi d’Europa. In tempi a noi più vicini la signora di
Stiicl predicava la Comunione intel¬ lettuale dei popoli;
Albertina-Necker scriveva di Pedagogia, ed in molte osservazioni sullo
sviluppo della intelligenza e degli affetti del bambino fu più
acuta di Emanuele Kant. La signora Swetchino, oriunda della Russia,
onorava gli uomini più illustri della Francia contemporanea e alla sua
volta era da essi meritamente onorata. In Ginevra tenne cat¬ tedra
di lettere italiane la nostra Caterina Ferrucci, e poi scriveva un
insigne trattato smW Educazione morale della donna italiana. Taccio poi
gl’illustri nomi dello signore De Spuches Galati, Milli, Fuii
Fusinato, Alinda Brunamonti ed altre, per ricor¬ dare quello della
perugina marchesa Florenzi, che a nostri giorni coltivò con onorato
successo una delle più difficili e la più universale delle discipline
ra¬ zionali, vo dire la Filosofia. Ecco ricordati, in questi pochi
csempj, i meriti insigni del gentil sesso.
NELLA SOCIETÀ ODIERNA ni III. A
questi meriti la donna moderna può e deve aggiungerne degli altri,
adempiendo sempre il suo nobile mandato, perfezionando sè stessa, e
coope¬ rando efficacemente ai multiformi aspetti della civiltà e
dell’umano progresso. Poiché la uatura della donna non cambia, e poiché
dal Cristianesimo é stata sol¬ levata al suo più alto c vero grado, ella
ha sempre c dovunque il medesimo fine da conseguire. Ma m gran
parte variano i modi per adempiere sì alta missione, secondo che mutano
le condizioni politiche, intellettuali e morali della società in mezzo
alla quale, vive la donna. Questa, inoltre, si é perfettibile e non
perfetta, né può sottrarsi, in mezzo agli sp e della civiltà nostra, alle
leggi che governano il gra¬ duato avanzamento del genere umano, osi,
po in oggi la donna ispirare animo al guerr.ero pei la stessa idea
e per le stesse cagioni onde Io ispira tempi di meco ? E le sole doti
mota!., da Ima conveniente cattura intellettuale sainbb no oggidì
sufficienti a .cadere, non diri. spettata la donna,
“‘.^““notanefieo o potente congiunture della vita tatto
influsso negli nomini «1» consistere il Vediamo, portante,
>n ‘ ^ nelIa 80 „ietà vero e compiuto ufficio d ^ ^ cavat teri
odierna, tenendo fermi da ™ giuste o essenziali, e dall’ altro
tenendo con razionali esigenze dei nostii temp Nel suo librò La
dolina e là scienza -1' onorevole SalvatdreMorelliassegnavaun triplice
scopo alla donna, cioè di partorire 1’ uomo, di educarlo, di muoverlo
o dirigerlo al bene. E per l’illustre professore gine¬ vrino,
Ernesto Naville, il véro ufficio della donna consiste in opere di
educazione, di pietà e di mise¬ ricordia (Il Dovere: discorso alle
signore di Ginevra c di Losanna). E sta bene: ma noi'vogliaiio
consi¬ derare la donna in modo più esplicito c sotto qualche altro
aspetto, vale a dire in tutte le sue più affet- tuose e più solenni
manifestazioni. Cominciamo a riguardare la donna come sorella.
Dopo il rispetto che il figlio deve ai genitori, viene quello verso
la sorella. Ah ! chi può mai com¬ prendere tutta la dolcezza e la soavità
di questo meno ? I più gentili e nobili sentimenti clic poi fanno
caro e degno di stima 1-' uomo in società, egli deve apprenderli ed
esercitarli in famiglia e specie con le sorelle. Queste, per ordinario
pazienti, soavi, gra¬ ziose, capaci di profondo c puro affetto
fraterno, destano rispetto ed amore, raddolciscono l’animo, fanno
più miti le correzioni dei genitori, formano a piu bella e fida compagnia
del fratello. Quando esse lasciano la casa c il nome del padre per
assii- meie quello d un altro uomo, o quando inesorabile morte le
rapisco anzi tempo, la casa paterna pare cnenga un deserto. È la sorella
Paolina che, nel primo caso, inspira al Leopardi uno dei più belli
suoi canti. È la buona Manétta Pellico che rinunzia alle gioie torrone,
si ritira in un chiostro e prega pel fratello Silvio prigioniero allo
Spielbergo; e quel- 1' atto magnanimo ispira versi affettuosi all’
amico di lui, all’intrepido Maroncelli ! “ La sorella è al¬ l’uomo
la prima compagna, la prima amica, quella che all’ uomo fa presentire le
dolcezze innocenti del- 1’ amore di donna. L'ineguaglianza degli anni e
la severità de’ modi pone tra genitori e figliuoli certa distanza
che accresce 1 affetto vero rinforzandolo co rispetto, ma clic richiede
come a ristoro altri eser- cizj del cuore. Col fratello ogni cosa comune:
la me¬ moria, le gioie, i patimenti, i piccoli enoii.... n luoghi
di pochi e poveri e sovente divisi, abitanti la famiglia è patria e
universo. La sorella in que ire tenaci infonde qualche parola di amoie
. lo sguardo, le lagrime di donna ritemprano, per fiera che sia, la
virile durezza, e a generosi a spengono. Onde sorella è dolce e poetico
nomerò di questo nome si rapilo nel 1874 all'Italia,
alle lettere, alla V. a „ annsa la donna ha un Se
poi diviene amante P > opGr0 sità. più vasto campo dove eterei
ai ^ . zi È il- forte adopra o pensa. E voi specialmente,
donne italiane, abbiatevi: pure questo vanto, o sappiate ognor più
meritarvelo : a vostro senno molte fiate pensa ed opera il
letterato, l’artista, l’uomo di scienza, e talvolta anche l’uomo di
Stato ! Per citarvi un solo esempio, senza l’im¬ pulso, il conforto e
l’approvazione di due egregie- donne, la contessa Balbo e la siguora
Pellico madre di Silvio, questi avrebbe egli scritto e reso di pub¬
blica ragiono Le mie Prigioni, libro che ha fatto palpitare tanti cuori,
che noi da giovinetti leggevamo piangendo e fremendo, e che ha cooperato,
più di molte battaglie, alla libertà e indipendenza d'Italia?'
Sicché la donna, oltre poter da so coltivare non senza gloria lo lettere
ed alcune razionali discipline, e divenire eccellente nelle arti
liberali, può c deve inspirare il letterato c l'artista, animare lo
scien¬ ziato, c può altresì correggerlo quando certe suo- teorie
pugnino con i più nobili sentimenti del¬ l’animo e col senso comune, che
il più delle volte lasciando parlar la natura, diceva il Mamiani,
fa- la spia della verità. Infatti, se il Rousseau avesse pensato a
sua madre o se avesse potuto interro¬ garla, avrebbe egli scritto quel
terribile voto, che i figli non dovessero mai conoscere i loro parenti
?' E se alcuni oggidì, oltre dover meglio badare alla prova certa e
compiuta dei fatti e alle sane regole «ella logica, pensassero alla
nobiltà dell’uomo e in¬ terrogassero il cuore profetico della donna,
verrebbero essi a certe conclusioni c teorie che procla¬ mano non punto
dissimilo da quella dei bruti la discendenza di nostra progenie ? Quanto
alle lettere, tanta c l’efficacia della don¬ na, che se ad una
letteratura moderna rimangono estranee le donna, e’vuol dire eh’essa non
ha vita. l>en è vero che la donna, soggiungo quel dottissimo ed
acuto ingegno del Bonghi, devo entrare in una letteratura più come
direttrice clic come operaia 5 allora col suo criterio lino c giusto, con
quella sua delicata spontaneità di sentire, con quella sua
at¬ titudine a scovrire le pieghe del cuore,.... con quel suo
vivere nel presente, colla sua inclinazione a non accontentarsi, secondo
l’indole, se non o d un pensiero ben circoscritto 0 d’un affetto infinito
0 col potere tutto suo di sancire col sorriso e colla grazia il
giudizio ch’esprime, ha un influsso po¬ tente ed utile nella letteratura
d’un popolo mo¬ derno. Oltre di clic, per il suo posto nella fami
glia e nella società, la donna è lo -strnmen 0 pm adatto e più sicuro
della diffusione della^ coltuia 0 por la natura dolio suo ocoupao.cn,
P°^bbe fcr niro il maggior numero do’lcttcr. d'un l.bro (R. Boa 6K
iwS lu Matura italiana non *.***.• in Italia. Lotterà prima). donna
Dieeva egregia^ diretammt0 dello scoraggiamento. Infelice
quell'uomo che, tutto assorto nelle questioni politiche, non ha poi un
con¬ forto nel seno della famiglia ! E quanto l’aspre e continue
battaglie della politica .snervino l’uomo, noi già lo vedemmo negli
ultimi anni e nella fine del compianto deputato Civinini: l’amorevoli
curo della madre c il pensiero dei figli non furono più capaci a
salvarlo da morte immatura! Non vi dirò poi come gli affetti domestici e
la soavità della donna pos¬ sano informare a pacatezza ed a maggiore
equità l’animo del legislatore e dell'uomo di Stato, poiché la vita
umana dev’essere, tutta un’armonia. Così una saggia economia domestica
ottenuta per cura della donna, può servire di norma, fatte le debite
pro- . P orz ‘oni, a chi deve amministrare il tesoro del Co¬ mune,
della Provincia, dello Stato. IX. Ove poi consideriamo
la donna come prima educati ice de figli, essa deve infondere per
tempo nell'animo del giovinetto non solo i precetti morali, ma può
eziandio, secondo l’opportunità, fargli co¬ noscere alcuno massime di
prudenza e di saviezza politica. E non si creda che sia questo un mero
sogno, un vano parto della mia fantasia. No, era il Tom¬ maseo
stesso che raccomandava d’iniziare per tempo, ilici cò 1 educazione, i
giovinetti alla conoscenza c ‘ a pratica di quelle norme che si
riferiscono al viver civile e politico. Mi sia concesso, pertanto,
di riferire 1’ autorevoli parole di quell’ uomo illustre, clic non
fa alieno dalla vita politica, ma che anzi ebbe tanta parte nel
risorgimento della nostra na¬ zione. u Ed io tengo per vero (scriveva
egli nel trattato sulla Donna) che la politica nostra sia cosi
piena di miserie c di passioni e di pericoli, appunto porche troppo tarda
disciplina è a’figliuoli nostri; appunto perchè primi maestri di politica
sono ad essi le tragedie dell’Alfieri e i giornali di Francia ;
appunto perchè il nome di patria suona loro nella mente innanzi che nel
cuore, o suona come figura vettorica Sicché la donna può e
deve giovare all uomo in tutto, non pure nella scienza come abbiamo
ac¬ cennato, ma talvolta anco nelle dispute filosofiche e
religiose. Narra inflitti S. Agostino che la madie, i lui entrò
nella stanza dov’egli con un amico ragio¬ nava di filosofia, c i dialoghi
si scrivevano di mano in mano : si scrissero anche lo d, lo. ; al
le Monica mostrando di mcrav.gliarsi, disse j ? esser olla
sapiente: « E peschi, non saro o, * jL italiane oggi non manca,
salvo pocio ®° modo di apprendere siffatta.educazionee^ ^ ^
Nò voglio dire con c i ueS \ ‘ Uo occupazioni rinunziare, per lo
studio, a fi ^ c j ob proprie della sua indole, de ^Jdrc’di
famiglia; s’addicono alla donna di ca, ‘ d bban fare un nè presumo
che le donne m K alunn i di corso di studj, come viene pi
dell’Università: u» Liceo, „ donna in che allora tanto
vaueb scenziato, in ingegnere, in avvocato, in medico,
letterato di professione. È noto che il Boccaccio fu tra i primi col
suo libro De clarìs mulieribus ad illustrare 1’ ingegno femminile.
Più tardi, uno scrittore del Quattrocento volle dimostrare la preminenza
della donna in tutte le facoltà e in tutte le doti, nell’intelletto,
nella bel¬ lezza, nella nobiltà, nel conversare (Vedi E. Magliani,
Storia letteraria delle Donne italiane). Altri hanno sentenziato, come
Francesco Coccio nel libro sulla Nobiltà della Donna, aver la donna
sortito da na¬ tura, al pari dell’uomo, forte ragione, mente c
favella, e tendere ad uno stesso fine. Invece il Lamennais, il
Cousin ed altri negarono alla donna prerogati¬ ve intellettuali. Noi
certamente non siamo dello stesso parere •, anzi manteniamo elio se
qualcuna di esse, fornita di non comune ingegno, avrà tem¬ po agio
e voglia di attendere a studj speciali o di coltivare qualche parte
nobilissima dell’umano sapere, ciò non le sarà nè dovrebbe esserle
vietato dagli uomini e dalla società, vuoi per intolleranza, vuoi
per invidia. E ne abbiamo prove luminose nei due recenti Istituti
superiori di Magistero femminile in Roma e Firenze, dove si dà una
istruzione quasi universitaria alla donna e dove parecchie alunne
hanno conseguito con felice successo il diploma supc¬ riore nelle
discipline letterarie, storiche, morali e pedagogiche. Ma io intendeva
parlare di quella soda e retta cultura intellettuale e morale, di cui
oggi piu che mai abbisogna non pure la giovinetta delle classi
piivilegiatc dalla fortuna o di nobile linguag¬ gio, sì anche la donna
del ceto medio o della bor- NELLA SOCIETÀ ODIERNA 333
gbesia, salvo le debite differenze. E per conseguire questo
intento, basta che da un lato si riordini le nostre scuole femminili,
segnatamente le Scuole nor¬ mali, che per cultura e nel fine pedagogico
sono infe¬ riori a quelle tedesche; dall’altro, chela donna com¬
prenda meglio il suo ufficio, e quindi sprechi meno tempo e danari nelle
mode ricercate, nel lusso c in certe frivolezze che la fanno apparire
più/unwwioc ìe donna. In quanto all’istruzione media femminile, in¬
vece di fare apprendere alle nostre giovinetteuu po di grammatica c di
far loro pronunziarealla meglio qual- che centinaio di vocaboli francesi
ed inglesi, tanto per mostrarsi dotte o brioso in alcune società, non
sarebbe più utile insegnare prima alle medesimo a parlare c scrivere
convenientemente Inaiano? invece di tenerle per lungo tempo rinchiuse
fra quattro mura d'un monastero o d'un Istitutoi no, sempre arioso
ed igienico e tenerlo occ*to per molto ore al pianoforte, ai ricami e a a
11 femminili, non sarebbe più vantaggioso cond I • respirare le
pure auro dell'aperta campagna del giardino, e cogliere il destro d'
insegnar 1™ ^giene menti di scienze fisiche d, stoua^na^^ Ma
domestica, e somiglian M dell’Istoria ritrarrebbe la donna
dal P ^jjjg, ariosamente antica e moderna, piuttos mani? di
leggere ogni — ignoro Io non nego la beata ‘ cs, ere coltivata;
ma che l’immaginazione pu p rome ssi Sposi, i buoni
romanzi, a comiuci si contano sulle dita, e l’immaginazione dev'
essere governata dalla ragione, come il cuore dev’essere il¬
luminato dall’ intelletto. Or bene, dirò io alle donne italiane :
Siete voi disposte a rinunziare ad ogni frivolezza che vi renda
meno perfette o meno degne di stima ? Siete voi di¬ sposte ad arricchire,
anche a patto di qualche an- negazione, il vostro intelletto di sode ed
utili cognU zioni? In caso affermativo, come ne ho fiducia piena,
voi mostrerete di comprendere l’alto ufficio che vi spetta nella società
odierna, potrete compierlo de¬ gnamente, c sarete stimate dagli uomini
probi ed .assennati 5 diversamente, oltre venir meno alla vostra
missione, voi non otterrete che il plauso dell’uomo fiivolo 0 dell
idiota, e troverete chi v’aduli, non mai chi vi stimi e vi ami d’un
affetto sincero e dura¬ turo. L qui voi potreste accusarmi di troppa
fran¬ chezza, non mai (lo spero) di poca lealtà e di poco rispetto
e interesse per la vostra dignità e pel vostro avvenne. Ma questa è la
sola ricompensa ch’io at- -tendo dalle gentili mie legatrici c dal
cortese lettore. XI. Un altro dovere incombe oggi alla
donna, se uo tutelare la propria dignità, se vuol meglio ga¬
rantire la sua indipendenza entro i confini del con¬ venevole, se ama di
aver qualche parte nella pub¬ ica vita 0 di concorrere, al pari
dell’uomo, ad a ^ CLlnc ^ unz i°ni ' per esempio quelle del 1
ico insegnamento, ed altre simili più confacenti alla natura di essa. Alla
donna insomma, a qualunque ceto appartenga, occorre una professione. Ed
invero, si trova ella in una condizione non pnnto o non molto
agiata ? E ragion vuole che provveda one¬ stamente alla propria
sussistenza. La fortuna le concesse un avito censo ? Ma chi prevede tutti
i casi della vita ? E quindi è prudente consiglio apparec¬ chiarsi
per tempo*, onde la comune sentenza: Impara l'arte a mettila da piarle.
Nè alla donna agiata e di non oscuro liguaggio mancheranno vie, secondo
le sue naturali tendenze, dove spiegare la sua attività :
come le lingue, la musica, le lettere, la pittura, 1 piu delicati c
squisiti lavori femminili ; non occorre poi dire che ogni specie di
lavoro onesto ha la sua no biltà, o almeno il suo pregio. •
Quanto al proprio stato, la donna s amaca a- ruomo par formare la
famiglia? E m tal caso eli davo concorrerà colla sua abilità, mossone
quand, abbia suadenti beni di fortuna, « rendere mano non
gravi residenze del matrimonio. 0 la donna, sia pei
elezione ^ non vuole o non può 1. divenire sp0 sa
assumere quello d'un altro uomo 0 “™“ ?„ il 0 madre? E allora
si fa “ >“ fa su» bisogno di provvedere on ' s ‘““°“ slrel, a da
necessitò sussistenza. 0, senza css i n _ economiche,
desidera di dipendente dall'uomo, e 1 P* ^ ? £, ori d on to
clic modo agli uffici dc ”“ moltOT i in grado di oc- in tal
caso la donna, cuparo degnamente quei tali uffici e però di
ap- parecchiarvisi con sufficiente istruzione, deve pur anco esser
capace di esercitarli con tutte quelle virtù che sono richieste dalla
vita civile e dalla natura stessa di quel dato ufficio. E qui pure giova
ri¬ cordare la grave autorità del Tommaseo, il quale, dopo aver
raccomandato che tutte le donne abbiano alle mani una professione che,
occorrendo, possa loro campare la vita, scrive queste formali parole : lt
A taluno dei più facili esercizj civili si addestrino ; e
affrettino il tempo quando la donna potrà vivere la vita indipendente
daU’uomo, potrà seco trattare da pari a pari, e per amore e per ragione e
per dove¬ re gli cederà, non per legge iniqua o per necessità
ferrea 5 quando in molte funzioni della privata e della pubblica vita la
donna potrà tenere le veci dell’uomo, ed essergli aiutatrice ed amica nel
pieno significato del nobilissimo nome ; quando il tempo di fare il
bene le mancherà, non le vie {La Donna). „ XII. E sia
questa e non altra, 0 Donne italiane, la vostra più alta e vera
emancqyazìona. Chi di voi andasse in cerca di altri privilegj, od
agognasse uno stato ben diverso da quello destinatovi dalla natura
e nobilitato dal Cristianesimo, e volesse di donna convertirsi in uomo,
verrebbe meno alla sua missione, snaturerebbe se stessa e
compromette¬ rebbe la sua dignità. E quei pochi tra gli uomini che
van predicando 1’ assoluta vostra emancipazione o la vostra eguaglianza in
tutto e per tutto coll' uo¬ mo, o essi non hanno un giusto concetto
della donna, o non sta loro a cuore la dignità e il vero
perfezionamento di lei. Quella donna, infatti, che presumesse tener le
veci dell uomo in ogni disci¬ plina razionale, in tutta l’interminabile
scala degli ufficj civili e politici, e in ogni pubblica rappre¬
sentanza, dovrebbe innanzi tutto abbandonare le pacate care della
famiglio, rinunziare ai più dolo, affetti di madre, e quindi sottoporsi a
lunghi e se¬ veri studj, temprare l'animo ed il gracile corpo a
duro fatiche, allo quotidiane ed aspro battaglie della pubblica vita. Oh!
se sapeste quanto ma, costone cari agli uomini-certi onori, certi elog),
«rie glorie non sempre durature; oc sapeste quanta prudenze
quanto sapere, quanti sacrifici, quanti trav gli t chiedono certe
incombenze onorevoli e - A » «J* della pubblica vita, e qual cumulo
1 P, >1 .. nitro chi disconosca od ignori seco ! Non v a, P c ’
yogtra immaginazione quanto possauo esalta, titoli, come certi gradi sociali,
alcune igm £ su premo, di Prefetto, di Magistrato>, d i P
di Deputato, di Sen f*°”' to \ Q difficoltà di ben go- Ma avete ma.
°°“ 81 un tumulto, di pre¬ vernare un popolo, innocue tutte
" ^ -Si 0 :—^' ti ° politici P Avete le conseguenze deg
agitazioni della di- mai considerato la g» plomazia, le
controv - pu bblica stampa, le d’ una critica smoda a go
Vàldarn%n\ » 338 la
missione della donna ire dei partiti politici, le difficoltà della
tribuna, gli odj segreti, le basse invidie, la guerra sovente
implacabile c sleale di chi vuole occupare quel po¬ sto eminente o
lucroso ? E, al postutto, clic mai significa donna eman¬
cipata ? Significa donna francata da ogni giogo, che ha x'igettata
l’obbedienza di figlia, la dolcezza di amante, la dipendenza di sposa, la
nobile servitù di madre •, in una parola l’onore stupendo del sa¬
crifizio ! Una donna che oltre ripetere uguaglianza di diritti.coll’uomo,
vuol con esso comunanza di ufficj ; una donna insomma che nelle pagine
inal¬ terabili dell’ indole sua, che nelja storia della sua
gentilezza, che nello specchio del suo cuore, che nei decreti
dell’Archetipo eterno legge assolutamente a rovescio di quel che sta
scritto sulla missione di di lei (A. Alfani : La Donna). Ora,
non è questa l’emancipazione che deve cercare la vera donna, cioè la
donna, onesta ed as¬ sennata. Noi pure vogliamo l’emancipazione di
lei; vogliamo ch’ella si emancipi dall’ignoranza, da certi pregiudizj
religiosi e sociali, da ogni frivolezza, dal- l’imitare certe mode o
corrompitrici del buon costume o rovinatrici d’ogni patrimonio, dal
ripetere c spesso praticare quella sciocca e superba sentenza: Oggi
si fa cosi! Per amor del cielo, griderò io pure con Paolo Ferrari,
non emancipatevi, gentili Signore! Appena emancipate cessereste di essere
così utili apostoli delle nobili e caritatevoli imprese; perchè
appena emancipate cessereste di comandare. Senza crnan.- cipazione,
noi uomini crediamo di comandare noi ! E voi nel segreto confidente
de’vostri amabili ci- caleggj, ridete pianino pianino della nostra
maschia e gloriosa dabbenaggine, per la quale crediamo di
comandare, c si obbedisce ! La vostra potenza mo¬ rale c fisiologica sta
ncH’osscre donne: se diven¬ taste uomini (s’intende per quella finzione
giuridica che chiamano emancipazione), ogni prestigio vostro
svanirebbe. Ma finche siete e volete esser donno e vi consacrato
all’esercizio delle vostre qualità carat¬ teristiche, la grazia, l’amore,
la carità, chi governa il mondo siete voi. Noi andiamo solennemente a
de¬ porro i nostri voti in un'urna; ci accogliamo c deliberiamo
intorno ai destini della patria ; ordi¬ niamo una guerra, una pace,
un'alleanza, o petto¬ ruti decantiamo l’energia maschile, l’attività del
sen¬ no dell’uomo! No ; dentro di noi in ognuno di quei supremi
momenti fremeva un pensiero i o un pensiero di amante, di sposa di figha
d «wj* «Ita. .a gio, nel sottoscrivere quel trattato
( conferenze pel Collegio di Amsu Milano, 187o). XIII-
• della donna deve pertanto La vera 61 ° Q iorr n£ n te
rispettare ed amare consistere nel farsi m oa te dentro i
con- dall'uomo, nel fa '*di sopra, fini e noi modo che » >
> 0j se occorro, al reale progresso ° . lft aocietà civile,
che a salvare o almeno raddrizzare li a il suo
principio e fondamento nella famiglia, di- cui Ja donua è guida e
conforto. Solo per questa via e mediante l’istruzione e l’educazione,
ripeterò col brioso ed arguto scrittore G. Hamilton Caval¬ letti,
le donne potranno rimettersi sul capo la loro corona di regine, attirando
intorno a se il genio, il talento, l’onestà e il coraggio. Sia la loro
amicizia il premio di .ogni nobile sentimento, sia la loro sti¬ ma
il guiderdone di ogni nobile fatto, sia la loro intimità il compenso di
ogni nobile fatica. Non è adunque sognando emancipazioni assurde dove
non esiste mancipio, non è aspirando alle naturali pre¬ minenze
dell’uomo, non è coll'addottorarsi nelle scien¬ ze giuridiche,
filosofiche o naturali, che le donne rialzeranno il vero loro stato
sociale ; sì, al con¬ trario, coll’ aumentare il loro valore, col
forzarci .ad amarle e stimarle di più, col rendersi ognor più degne
del caro nome di spose, del santo nome di madri. Ma (prosegue il
Cavalletti) finche al pen¬ satore esse preferiranno un uomo che non ha
altro merito che di avere un bravo cavallo da corsa, ed è spesso un
mediocrissimo cavaliere; finche al poeta esse anteporranno l'uomo clic sa
farsi meglio il nodo della cravatta; finche allontaneranno dalla
loro società un uomo che ha il torto di anteporre una forma di
cappello ad un’altra ; finche all’uomo sin¬ cero, leale, integro
preferiranno un uomo che sap¬ pia fare i daddoli e le moine ; finché i
sentimenti piaceranno loro sulla bocca dell’uomo c non cure¬ ranno
quelli del cuore ; finchc un uomo volgare con il nnczzo
milione di patrimonio sarà più certo di ot¬ tenere le loro grazie che un
cuore nobile, un animo •elevato con cinquantamila lire; finché un
babbuino sentimentale riceverà il dolce deposito dello loro
confidenze, ed uno schietto galantuomo avrà appena un cenno di saluto ;
finché esse saranno una lot¬ teria nella quale troppo spesso i vincitori
sono gl im¬ becilli... ; lo stato morale e sociale della donna non
si eleverà certamente: la società si avvierà al de¬ cadimento ; le donne
pian piano più non saranno che femmine. XIV.
Ed ora mi pare utile di far l'epilogo delle cose •dette fin qui.
Abbiamo accennato dapprima la na- tura e 1’ ufficio della donna, senza la
qua P klh creazione non sarebbe stata compiuta, ne po- trebbesi
conservare e FPOt«il^ Poi, esaminando in ° volgarc, abbiamo
donna presso i P a S ani c ^ dlC la donna, provato colla .tona a
anche quando, esercito in gran pa • s, cbbe in coato 7 C r Pa
"tedila voluttà; afi¬ di schiava o quale quan t a parte
biamo veduto, l’umano progresso ed in- abbia preso a do . dal
Cl . ls tianesimo richiamata civilimcnto, dopoché ftlt0 ufficio- E
quan- cd elevata al suo ' cl ° c^ sia ] a stessa na-
tunque in lei 8 « n P r ° ® abbiana0 detto che i mezzi itura.e lo
stesso fino» P per compiere la sua missione doveauo mutare se¬ condo la
civiltà, secondo le condizioni politiche, intellettuali, religiose e
morali. E però, accennato- l’ufficio che le assegnano il Morelli e il
Naville, noi abbiamo considerato la donna in tutte le sue
principali attinenze e nelle sue più nobili manife¬ stazioni, vale a dire
come sorella, come amante e sposa, come madre, come educatrice ed institutricc,
come cittadina, come ispiratrice d’ogni- nobile sen¬ timento all'
artista, all* uomo di scienza o di lettere, non che all’uomo di Stato.
Abbiamo poi dimostrato la necessità d’ una conveniente cultura nella
donna ai tempi nostri, affinchè possa meglio compiere quell’uf¬
ficio tanto nobile e così complesso; ed abbiamo dimo¬ strato eziandio la
necessità o la convenienza nella donna di apprendere in oggi una
professione sì per soddisfare meglio ed in ogni congiuntura all’
esi¬ genze della vita, si per incominciare la sua più razionale o
giusta emancipazione c rendersi, dentro certi confini, indipendente
dall'uomo. Abbiamo com¬ battuto, per altro, l’assoluta e falsa
emancipazione della donna, perchè contraria alla natura e al no¬
bilissimo fine di lei, non che al bene della società ed al progresso del
genere umano. Tanta e 1 efficacia delle donne, che da esse
ven¬ nero sovente grandi ajuti, o grandi impedimenti non solo alla
libertà d’un popolo, sì anche al bene- od al male dell' uomo singolo,
delle famiglie e dello Stato. La donna è per sua natura la ispiratrice,
o, se vuoisi, la regina dell’uomo e della società. Ma. ili suo
regno, piuttosto che sconfinato ed assolato, vuole essere un regno di
pace, d’ispirazione, di nobili sentimenti; insomma Indonna (siami
permessa questa similitudine) a guisa de’principi costituzionali,
deve regnare e non governare. — Ma Voi, donne italiane, vorrete
appunto regnare, non governare ; Voi, come ' foste di grande ajuto al
nostro risorgimento politico, sarete altresì di grande stimolo ed ajuto
al nostro risorgimento •intellettuale e morale, che dipende in
parte da Voi. In .peata grata Mieta, non saprò, scegliere più acconce od
autorevoli parole cito qttd c dell'illustre Tommaseo, per chiudere il P
10S0 “ discorso. La donna italiana, d' sapiente dell'ubbidire, 80
P'“" 1 ® ^ “ d desfas . occorra, c guarentigia a noi di men La
creazione di due Istituti superiori di Magi¬ stero femminile inltalia,
uno a Roma e l’altro a Firenze, in virtù della legge 25 giugno 1882, e
l’ordinamento delle discipline scientifiche e letterario che vi sono
e vi debbono essere insegnate, secondo il Regolamento organico 19
novembre 1882, ci porgerebbero materia a molte e svariate considerazioni
non prive d’inte¬ resse speculativo e pratico. Qui non intendiamo
di enumeiarle e di svolgerle tutte, ma non possiamo astenerci
dall'acccnnarne le più rilevanti e dal pi¬ gliare in esame particolare il
come nei due nuovi Istituti letterarj e scientifici femminili debbono
esseie insegnate alcune materie importantissime, quali sono appunto la
Filosofia teoretica, la Morale e la Pedagogia. I.
E prima di tutto dimandiamo : Era necessaria in Italia la creazione
di due Istituti superiori di Magistero femminile, mentre abbiamo non pure
le Scuole normali femminili, ma alle donne stesse non, è vietato
dalla legge Casati sull’istruzione pubblica di frequentare i Ginnasj, i
Licei, le Università, e di addottorarsi in qualunque disciplina ? Posto
così il quesito, non sarebbe giustificata la creazione di quei due
Istituti superiori femminili. Ove però si consi¬ deri che la missione
della donna nella famiglia e nella civile società si palesa chiaramente
ben diversa, da quella dell’uomo ; che gli studj femminili debbono esser
rivolti essenzialmente alla cultura della donna come madre di famiglia,
com’cducatrice ed istitutrice, e non all’esercizio di elevate e gravi
professioni sociali, come quelle di avvocato, di medico, d’ingegnere,
di capitano, c va discorrendo; che quasi tutto 1 insegna¬ mento
nelle Scuole normali femminili ora viene xm^ tito dagli uomini; ed
infine, cheidue nuovi Istitutimon sono equiparati interamente alle prime
Universitari Regno: la fondazione'loro apparisce »noo«^
tamonte necessaria, certo conveniente ed joituna. Vero è che
alcuno j^dìritti^degli uomini m parte, si viene a lede e ^ # pcdag0
_ laureati in Lett ° rc . C e d 16 hanno scelto la car-
già, o in altre disciph, _ . u dotto ri piu riera lucrosa
dell'insegna p0sto nelle difficilmente d'ora i^ anzl fcmmin ili,
avendo per Scuole normali e secondario ^ ^ Istltutl
competitrici le donne a ‘‘ ^ italian e, della Storia all’
insegnamento delle Uet Lingue e Geografia, della Pedagogia o ^
tcdesca . E moderne straniere, franooso, m B un’osservazione eli
questo genere non sarebbe de¬ stituita di fondamencnto ; ma starebbe
sempre il fatto clic l’uomo, laureato in qualcuna di esse
discipline, ha una più larga ed elevata carriera dinanzi a se. E
poi, come negare alla donna questo diritto in una società liberale e
civile, che non pure vuol rialzata la condizione intellettuale e
migliorata la condizione economica della donna, ma che tende ogni giorno
a dilatare una certa eguaglianza civile e giuridica della donna
stessa ? Altri, invece, potrebbe osservare che le donne in generale o non
sono portate a lunghi e severi studj, o che esse non hanno capacità
mentale ed attitudine didattica pari a quelle dell’uomo. La quale
obbiezione certo non reggerebbe dinanzi a fatti storici e ad esetnpj
particolari, e dinanzi al fine stesso di quei due Istituti, il quale
consiste nel compiere e rinvigorire l’istruzione secondaria della
donna, e nel formare abili insegnanti in alcune materie (qui sopra ricordate)
per le Scuole nor¬ mali e secondarie femminili. Ad ogni modo, la
più elementare prudenza consiglierebbe di atten¬ dere nuove prove e
nuoA'i risultainenti di questa prima istituzione italiana. E diciamo
nuove prove e nuovi risultamene, perchè quelli già dati in questi
tre anni da ambedue gl’istituti sono favorevolissimi e confortanti. Le
allieve che vi studiarono e vi ottennero il diploma, ora sono direttrici
abili di Edu¬ candati e Istituti femminili, o insegnano con valore
nelle Scuole normali femminili, inferiori e superiori. Alcune di esse
alunne mostrarono attitudine anche ai gravi studj filosofici e pedagogici,
c si segnalarono, in specie all’Istituto superiore di Roma, negli
esami di Stato pel diploma in Lettere italiane, m Pedago¬ gia e
Morale, e in Storia. In quanto a noi, che abbiamo sempre avuto
un alto concetto della donna c della sua nobile missione sociale,
noi vogliamo anzi riguardare la.fondazione di questi due Istituti
superiori femminili non solo come opportuna c conveniente pei le accennai
- gioni, ma altresì come uno dei tanti mezzi ondo avviarci alla
pratica colazione della »«“*: che da ogni parto minaccia
d’irrompere fimo»",d. sommergere quanto le si pari dinanz,. Imporoe
* noi siamo d’avviso cho la quest,ono somalo va con sidorata sotto
vario forme o sotto ir™» ’ Additiamo di volo ipriaeipali. sono
probi tive famiglie onde si compone la nazione P e
morigerati, oppure si fanno s ° ostu ™ ‘ ]o ha viva to morale della
questione sociale Un P P c giusto, e quindi amme °° vit j O
itrcmonda- una giustizia soprannatura e mate ria e del
na; oppure non va piu. ia ^ ^ caIc0 l 0 e all’utile senso, tutto
per lui si J e y a questione- bone inteso ? È l'aspo»» g oye rao
ch’è adat- sociale. Scelta quella forma e morali, ta
alle sue condizioni civi i, ^ forma, esercita una data nazione si
contenta senza ne . saviamente la libertà e 1 V ^ ^ |£ e parlavo
de gare i suoi doveri ; opp ul 348
sull’ordinamento degl’ istituti superiori suoi diritti, vorrebbe la
libertà spinta all’eccesso, è desiderosa di novità rendendo instabile
ogni reggi¬ mento politico e tutte le altre istituzioni clic ne di¬
pendono ? E l’aspetto politico della questione sociale. In quella stessa
nazione, mantenendosi l'armonia fra i diversi ordini della cittadinanza e
vivo il rispetto del diritto di proprietà individuale e collettiva,
si stabilisce un’equa proporzione di mercede e d'utilità fra 1'
operaio e il capitalista ; e nelle famiglie si •consuma e si spende in
proporzione almeno dell’en¬ trata e del guadagno : oppure, inimicatesi
fra loro le diverse classi sociali, il capitalista non si cura di
far lavorare o non ricompensa equamente il lavoro, svo¬ gliato è
l’operaio, vede nel proprietario il suo mor¬ tale nemico e ritiene essere
una ingiustizia, anzi un furto la proprietà individuale? E nelle famiglie
non abbienti o poco agiate l'entrata è minore dell’uscita, o non si
pensa coi modesti risparinj al dimani ? Ecco l’aspetto economico della
quistione sociale. In tale stato di cose, la donna colla sua spedalo
missione nella famiglia e nella civile società, c come
esempio vivente di pace e di rassegnazione, o come educatrice ed
istitutrice, e come massaja e, nel caso nostro, come professionista, può
efficacemente con- tiibuire o a risolvere in parte l’ardua c
complicata quistione sociale, o ad attenuarne gli effetti, quando a
lei non fosse dato nè di risolverla parzialmente, nò di ritardarla o di
arrestarla. Ma perchè la donna sia capace di quest'opera altamente morale
civile -ed utilissima, in lei che cosa si richiede ? Nella
vera donna, di cui intendiamo parlare, si richiede mora¬ lità a
tutta prova ed in tutta l’estensione del termi¬ ne, non disgiunta da un
puro ed elevato sentimento religioso; si richiede una soda cultura, in
cui entrino anche lo nozioni elementari circa lo Stato e l’eco¬
nomia; si richiede un’attitudine speciale, studio molto e singoiar valore
nell’insegnamento, quando voglia o debba esercitare questo nobile ufficio
; si riduce e, infine, costante dignità o modestia, condito di
soavità c di grazia, evitando così ogni frivolezza nel dire, nel
fare e nel vestire, come ogni presunzione e verso l’uomo o verso lo
altro donne forse lei mn non per questo meno degno d. stima.Tut¬
elò supera le forse naturali della donna inette da sana 0 vigorosa
educamene ed tstrumone da un sentimento c da un elevato conre 0^ ^ dimand
ar sioue sulla terra ai „ e au „„ esiger troppo troppo
alla donna. Ano i vodia, e da lei, purché essa V0 ^,a ^ tC "
aCe a ” te del ]’ a o.no in senza ch’ella presuma di * 1 ^ alcune
società e di emanciparsi, tota ’ ÌMm egua- donno vorrebbero
bramando ali ' 1Um » glianza di diritti, non badando esse « “o,
dei diritti implica l’eguagbansa Jet do^ ^ ^ Premesse c
chiarite queste co » Magistero dinamento dei due Istituti sU P
conducente al' femminile sia in tutto c pei fine da noi vagheggi^
0. IL la uno Stato libero e civile come il nostro, ogni
Istituto educativo e d’istruzione secondaria, sia tec¬ nica sia classica,
deve mirare (secondo me) a tre principalissimi fini inseparabili tra
loro, a voler eh’ esso riesca utile davvero e sia bene ordinato.
l°Deve impartire agli alunni, destinati a diventare .liberi cittadini,
una buona cultura generale, sia pu¬ re elementare, tanto letteraria
quanto scientifica. 2° Deve preparare convenientemente agli studj
su- riori. 3° Deve poter avviare alle professioni manuali cd agli
impieghi minori quegli alunni che non potessero o non volessero proseguire
gli studj. A questo triplice fine dovrebbero pertanto mirare non
solo gl’ Istituti tecnici, i Licci, e le Scuole normali maschili e
femminili, ma la stessa Scuola tecnica. Le Università e gli altri
Istituti superiori in generale hanno, invece, o debbono avere per fine specula¬
tivo .la ricerca del vero e il progresso della scienza, e per fine
pratico le professioni liberali e le car¬ riere superiori negli ufficj
dello Stato. I due Istituti superiori di Magistero femminile,
non essendo equiparati in tutto e per tutto ailc Uni¬ versità, ed essendo
destinati alle donno esclusiva¬ mente, dovrebbero mirare direttamente a
compiere c rinvigorire la cultura letteraria o scientifica della
•donna, e a x-enderla capace d’insegnare nelle Scuole normali e
secondarie femminili. E questo, invero, •c stato il duplice fine che ha
guidato la mente del legislatore nel coordinare la quantità e la qualità
delle materie di studio nei due Istituti superiori femminili. A tutte le
alunne, pertanto, corre ob¬ bligo di apprendervi Lettere italiane,
Geografia e Storia generale, Storia d’Italia, antica medievale e
moderna, Elementi di Logica e Psicologia, Morale e Pedagogia, Istituzioni
d’igiene, Matematica, Ele¬ menti di Fisica e di Chimica, Storia Naturale
e Geografia fisica, Lingua e letteratura francese, in¬ glese e
tedesca, Disegno e Lavori femminili. Ciò per la cultura superiore della
douna. le quanto alla professione loro di maestre, le future insegnasi!
han¬ no facoltà di scegliere ed approfondire nel secondo biennio
quegli studj che debbono metterle in grado di conseguire il diploma
d-insegnamento o nello Letttere italiane, o nella Storia e Geografi*ella
Pedagogia e Morale, 0 nelle Lingue mo niere e sono francese, inglese c te,,
Non possiamo ohe lodare . legislatore da.ve, mantenuti
obbligatorj 1 Uvon faccia questi Istituti superiori,
pur la maestra, non ces P . uj a i] a donna guida principale
delta pressoché quo- occorre speciale abilita Digean0 poi, si
rende tidiano in siffatti iavon.• don ° neschi pi ù squisiti
necessario per gli > stessl vido consiglio di met- e
delicati-, e pero e s a p jf c il 0 studio delle terlo fra le
materie obbh ° ‘ to anche alle isti- Scienze sperimentali sl, e oeuza di
questa di¬ luzioni d’igiene, perche la cono
3o2 sull’ordinamento degl’istituti superiori sciplina nella
sua applicazione risguarcla tutti, e segnatamente chi deve attendere alla
famiglia ed alle cure domestiche, e chi deve educare la prima
gioventù, come appunto è la donna; che anzi, l’Igiene fa parte
dell’educazione fisica, quantunque Ales¬ sandro Bain opini il contrario.
La Matematica, gli Elementi di Fisica c di Chimica, la Storia Natu¬
rale, gli Elementi di Logica e la Psicologia, par¬ rebbe dovessero alla
donna servire di mera cultura superiore, o di sussidio e di complemento
allo studio di certe altre materie. Imperocché, secondo il Re¬
golamento organico di quei due Istituti, non può l'alunna essere
abilitata legalmente ad insegnare Matematiche, Fisica, Chimica e Storia
naturale. Clic alla donna siasi negato il diploma di ma¬
gistero in Matematica e nelle Scienze spcrimeutali, la cosa spiegasi
facilmente perchè nei due nuovi Istituti non si dà ora un corso compiuto
e supe¬ riore di quelle scienze, e porche nelle Scuole nor¬ mali o
in quelle superiori femminili l’insegnamento delle Scienze fisiche e
naturali tiene un posto se¬ condario o dcv'esscrvi impartito in modo
elemen¬ tarissimo. Inoltre, quelle Scienze non riguardano
direttamente la prima e vera missione educatrice della donna, nè sono le
più confacenti alle naturali inclinazioni della donna in generale,
segnatamente la Matematica e la Chimica. Ma qui pure abbiamo
notevoli eccezioni, per¬ chè talune allieve hanno mostrato singolare
attitu - dine allo studio delle Matematiche e delle Scienze fisiche. Il
Governo, poi, suole affidare l’insegnamento elementare anche di queste
materie nello Scuole pre¬ paratorie o inferiori normali alle giovani che
in uno de’due Istituti superiori conseguirono il Diploma o in
Lettere, o in Storia, o in Pedagogia! Non sa¬ rebbe adunque più logico ed
opportuno concedere addirittura il diploma nelle Scienze fisiche e
ila- tematiche, ed ampliarne il relativo insegnamento ?
ni. Ci resta da esaminare il modo in che l’inse¬ gnamento
delle materie filosofiche propriamente dette e della Pedagogia viene
ordinato cd affidato nei due nuovi Istituti. A tutte le alunno è fatto
obbligo di studiare per un anno nel primo biennio gli elementi di
Logica e di Psicologia, e la Morale nel 2‘ biennio. Più, nel secondo
biennio tutte debbono seguire un corso di Pedagogia. Finalmente, le S*™..
dm amano d'cssorc abilitato « 11 -iosegn.mento. tirila P* dagogia
teorica c pratica debbono stod,a,c pe. 00 T°ti P dftdt F
int°rodòt.a anche negl. dell' intelletto. Ma non s »PP‘ a
filosofiche, ossia le ragioni per cui tutte e a Pcdago gia deb-
Logica, Psicologia e Mora e gsbre! q uì l'onorc- bono essere
affidate ad un s Q poteva e può volo Ministro Baccelli, al qua e
Oberali e buona negare elevato ingegno, 8 ® atl “ rQZ i 0 ne in
Italia, volontà di migliorare la pubblica ist ^non fu ben
corrisposto da chi ebbe il mandato di fare nuo schema di Regolamento
organicopercoordinarvi anche le materie filosofiche e pedagogiche, c di
sta¬ bilire il modo in che l’insegnamento di queste di¬ scipline
doveva essere affidato c distribuito. E lo dimostriamo brevemente.
Il professore di Filosofia c di Pedagogia sarebbe tenuto a fare non
meno di undici lezioni per set¬ timana nei respettivi corsi ! E noto che
i professori •di Filosofia ne’Licei fanno da sei ad otto lezioni la
settimana, e tre lezioni i professori di Università. Come presumere
seriamente clic un Professore dia con zelo ed efficacia non meno di
dodici lezioni per settimana in materie difficili, disparate c
soltanto affini tra loro? Diciamo in materie dispaiale, poiché la
Logica e la Psicologia sono ben differenti dalla Morale e più ancora
dalla Pedagogia. Nè si dica, per avventura, che ivi trattasi di dar
nozioni ele¬ mentari sii quelle scienze ; imperocché, oltre restare
il fatto che le son materie ben diverse, la istituzione elementare
risguarda soltanto la Logica. materia nuova per lo alunne, ma non
risguarda la Psicologia e ancor meno la Pedagogia e la Morale, già studiate
elementarmente dalle giovani o nelle Scuole normali o nelle Scuole
secondarie e preparatorie all’ Istituto superiore femminile. Chi vuole
ottenere il diploma in Pedagogia, deve seguire un corso speciale di
Psicologia : ma ognun sa che questa ultima scienza ai nostri giorni ha
fatto progressi notevoli, nè può essere affatto separata dallo studio
delle scienze sperimentali, come per esempio la Fisiologia. Che
anzi, noi troviamo un altro difetto nell’ordine delle materie
obbligatorie per conseguire il diploma in Pedagogia. Ivi ò detto che 1’
alunna potrà scegliere un corso di Matematica, o di Fisica, o di
Storia Naturale. Non sarebbe stato più razionalo di pre¬ scriverle
addirittura il corso speciale di Storia Na¬ turale, in mancanza d’ uno
studio a parte su la Biologia e la Fisiologia ?
Ritornando alla Morale ed alla Pedagogia, que¬ ste due scienze, fra
loro assai differenti, non possono nò debbono essere insegnate in modo
elementare nei due Istituti femminili superiori. La Morale pura e
applicata, individuale e sociale, e c c 8U PP 0 "® cognizione di
altre scienze affini, quali sono le di¬ scipline giuridiche e sociali,
ò molto vasta e complicata, fi i> ità d’ un solo
docente. L inse ° n qecon dario, non può servire.di meio aj ^
cittadino si i Doveri .;i ^“ormali secondarie, perni»
studiano già nelle oc obbligate a le alunne de’due Istituti
supei‘ 0 ro hò infine studiar l’Etica nel secon o » anche ]a
Scieu- il diploma di Pedagogia compren za Morale. i a
Morale come So poi si volesse eonsidciare s „ p8 .
deile materie di P uia ragione del- una riore,
allora non ragione de,- 336 sull'ordixajiento
degl'istituti superiori l’assoluta dimenticanza d’ogni più elementare
isti¬ tuzione di Economia sociale e di Diritto. Come ! in un
Istituto superiore d’ educazione e d’istruzione femminile si
prescrive’l’insegnamento dell’Igiene e della Chimica, e non si fa parola
de’ primi rudi¬ menti d’Economia e di Diritto positivo, mentre in
uno Stato libero, coni’ e il nostro, si affida legal¬ mente alla donna il
nobile mandato di fornire la prima educazione ed istruzione ai futuri
cittadini d’Italia, di educare ed istruire le future maestre e
madri di famiglia, oltre la missione propria di cia¬ scuna donna, cioè di
farsi ella stessa educatrice dei proprj figli e savia amministratrice
dell’ azienda domestica? Anzi, ritornando al nostro concetto (espo¬
sto qua sopra) intorno al giovamento grande clic può la donna fornire
nella soluzione pratica della complicata e formidabile quistione sociale,
anche nell’aspetto fioUtico ed economico, a noi parrebbe necessario
clic nei duo Istituti superiori femmi¬ nili dovesse pur trovar luogo
l’insegnamento co¬ mune delle prime nozioni di Economia sociale e
di Diritto, segnatamente del Diritto civile e privato e del Diritto
costituzionale. Veniamo alla Pedagogia. Le giovani tutte, che
amino dedicarsi all’ insegnamento privato o pub¬ blico, hanno da
apprender bene l’arte difficilissima di educare e d’istruire; e molto più
devono attendere a questa scienza ed a quest’arte le alunne clic
vo¬ gliono abilitarsi all’ insegnamento della Pedagogia stessa.
Ora, è noto che secondo i più recenti prògramini governativi. i maestri c le
maestre per conseguire la patente elementare di grado supcriore, i
maestri per essere dichiarati idonei all Ispettorato scolastico, son
obbligati a sostenere, fra le altic prove, un esame di Pedagogia storica,
teoretica ed applicata. E questo largo, elevato e compiuto
insegnamento della Scienza pedagogica, teoretica, pratica c
storica, viene oggidì propugnato anche in Italia da valorosi c
dotti pedagogisti ; i quali pensano clic la Pedago¬ gia teoretica, so
vuole uscire dal campo delle gene¬ ralità e cessare di ridursi ad una
metodica astra ta o formalo, non possa fare « mono d. mollc scienze
affini, quali sono la Biologia» fisica, In Psicologia o la Logica, la
Morale h Sociologia c la Filosofia politica. Ma sottoponili
US a^u» tara considerevole questa smnma ; scienze «ffini
troppo elevala, o nducendo 1 ms» mento pedagogico nei fino
entro più modesti limiti, P » ^,„ torario o monto elio deve “ 8S
™“| 0 d Minano pur seni- filosofici,e università, tale
insomma pre una sci^ tutto il sapere o tutta da richiedere
tutto i "‘o o l’operosità d’ un solo piofcssoi convcl . 1 . e
bbc divi- Pcr queste principali ragi » sup6 rio- doro, anello «O »^
"^„o delle tre re, l'insog, lamento della. » posologia, Logica
e disciplino pura, non o 1 aUr0 „ duo professori.
Morale, affidando 1 una e 3o8 sull’ordinamento
degl’ istituti superiori E allora si potrebbe anco estendere a tre anni
l’in¬ segnamento teorico e pratico della Pedagogia per le alunne
che amassero di prendervi il diploma : ove tale insegnamento si volesse
mantenere per soli due anni, il professore di Pedagogia dovrebbe
insegnare anche la Psicologia applicata alla Scienza pedagogica.
IV. Gli studj superiori di Lettere italiane, di Storia,
di Filosofia, di Pedagogia e della stessa Botanica, a voler che riescano
scrj e fecondi, richiedono la cono¬ scenza della lingua e letteratura
latina. E però ame¬ remmo clic presso i due Istituti superiori
femminili fosse istituita una cattedra di Lettere latine, come pare
no abbia intendimento 1’ on. ministro Coppino. Ma altre innovazioni
bisognerebbe fare nei due Isti¬ tuti, fissando e ripartendo
nell’infrascritto modo le discipline sia per la cultura generale, sia per
gli studj speciali in attinenza co’ varj diplomi di abilita¬
zione. Discipline comuni da studiarsi nel primo bien¬ nio :
Lettere italiane, Storia generale, Psicologia e Logica, Fisica e Chimica,
Storia naturale e Geo¬ grafia fisica,Matematiche, Lingua latina, Lingue
mo¬ derne straniere, Disegno, Istituzioni d'igiene, Lavori
femminili. I diplomi speciali dovrebbero essere cinque : 1°
Diploma di Lettere italiane 5 2° di Storia c Geo¬ grafia; 3° di Pedagogia
e Morale; 4° di Lingue stra- DI .MAGISTERO FEMMINILE
359 nicrc, francese, inglese e tedesco ; 5° di Scienze
fisiche e Matematiche. GT insegnamenti speciali per otteuere
ciascuno di questi Diplomi di abilitazione sarebbero ripartiti nel
seguente modo : Pel diploma in Lettera italiane: Lettere italiane,
Letteratura greca e latina comparata coll’italiana; Storia d’Italia,
antica, mediocvale e moderna -, Mo¬ rale; Pedagogia; Lingua c letteratura
latina; Due lingue e letterature straniere moderne a scelta de -
l’alunna. ... Pel diploma in Storia a Geografia : Le
disci¬ pline identiche a quelle pel diploma in Lettere ita¬ liane,
ad eccezione della Letteratura greca c latina comparata coll’ italiana,
alla quale sarebbero sosti¬ tuite la Fisica terrestre e la
Etnografia. Pel diploma in Pedagogia e Morale: Pedago
teoretica e pratica; Filosofia morate-. Ps.colog ; Fisiologia
umana; Igiene aPP 1 ^ 3, “ nt *J e mo der- Lcttere italiane; Storia
i « ‘ > j; n °„j ese e tedesca Le italiane; Let, età,una
“„^i» ««- contpanateoon.aLe»».^-^. iia, antica e
moderna, = „ Pel diploma m j Cosmo grafia ; Fisica;
Chimica; Geometria c Trigonome- Storia Naturale; Al D eb
360 sull’ordlnauento degl'istituti superiori ecg.
(ria; Igiene e Chimica fisiologica; Disegno; Conta¬ bilità
domestica; Lettere italiane; Pedagogia; Mo¬ rale ; Lingua latina.
Non occorro dimostrare che l’attuazione di que¬ sto largo disegno
di studj femminili superiori esige¬ rebbe la riforma parziale delle
nostre Scuole normali femminili. Come son ordinate presentemente,
massi¬ me per ciò che si attiene all’insegnamento letterario,
morale e didattico, le nostre Scuole normali, oltre non essere coordinate
bene con i due Istituti superiori femminili, non corrispondono
adeguatamente al fine loro speciale, c si rimangono inferiori alla
Scuola normale tedesca (Das Lehrerseminar) dove si pre¬ parano i
veri educatori del popolo. Koi siamo fermamente persuasi che una
riforma e un riordinamento, di studj, come abbiamo a larghi tratti
delineato qui sopra, tornerebbe di grande utilità e decoro al fine
speculativo c pratico dei due Istituti superiori di Magistero femminile,
creazione ancor questa dell’Italia nuova che molto si ripro¬ mette
dall opera salutare e benefica della donna. So**»»». - I. E.gta- rf
to. — Ginnasio c Liceo ; buio la teem leoni». Loro somiglianze
e rione secondarie classica e Iconica in 111 >’ J" 6
ìin /ìniii. «àcuolc secondarie in Geimanit • nata con quella delle
- ^ 8trat ‘ v0 Distratti da questioni P ‘ deraro i
problemi finanziarie, non avvezzi a co pedagogici e gli ordinamenti
delle scuole sott’ogni loro aspetto, morale intellettuale ed economico,
gl’ita¬ liani in generale poco o punto badano al modo in clic viene
ordinata c impartita la pubblica istru¬ zione. Lo stesso Parlamento non
crede necessario di spendere molto tempo e cure speciali in questo
ra¬ mo di pubblica amministrazione ; bensì il Ministro
dell’Istruzione pubblica va soggetto egli pure alle vicende politiche,
alle crisi parlamentari e mini¬ steriali ; e non di rado la politica
invado anche il tempio pacifico di Minerva, e fa sentire i suoi
influssi al personale insegnante. Eppure si tratta di formare gl
Italiani stessi \ trattasi del modo in che debba essere educata ed
istruita la crescente generazione ; si tratta del come e quando i novelli
cittadini ed i futuri governanti d’Italia debbano compiere i loro
studj ; si tratta di stabilire quanti anni debbano consumarvi e quanta
spesa vi occorra ! La sarebbe dunque una questione di alto interesso
morale ed economico, teorico e pratico, privato c pubblico. Il
Paese, invece, poco opunto vi bada: ed ceco una dello principali cagioni
per cui l’istruzione pubblica ince¬ ndale, e segnatamente l’istruzione
secondaria classica e tecnica, letteraria e scientifica, non ha avuto
ancora presso di noi un ordinamento stabile e razionale. E
poiché ogni Ministro che sale al potere, come ci ammaestra 1 esperienza
di questi ultimi anni, fa o pi omette innovazioni nel pubblico
insegnamento se¬ condario ; c poiché i lamenti nel pubblico non
sono cessati, e gli esami di licenza tecnica c liceale
(ma soprattutto liceale) non sempre corrispondono alla viva
espettazione del Governo e del Paese ; stimo esser cosa utile ed
opportuna il ripigliare qucst’ardua questione di vivo e grande interesse
nazionale,dibat¬ tuta più volto, sebbene per altri fini e rispetti, in
pre¬ giati periodici e specialmente nella Nuova Antologia, da
uomini insigni quali sono il Villari, il Luzzatti, il Ferri, il Gabelli,
il Barzcllotti, ed altri. Come inse¬ gnante, io non parlerò qui della
capacità intellettuale, letteraria scientifica o didattica, dei nostri
profes¬ sori nelle scuole secondarie, delle norme e cr.terj nelle
nomine e promozioni del corpo delle condizioni economiche fette da o -
> Provincie e dai Comuni ni professor, anched f ut egli
nitri pubblici ufficiali ; ne istituita gu paragone tra i nostri
insegnanti e M-tdolla Gc nanfa, dell' Impero Anstro-Unganeo, do a I
...» o di altre nazioni. Ma facendo tesoro;«£££. lunquc siasi
esperienza da me acqui, gnamento liceale, tecnico o «“P'™. ' onte ordina-
sè Btesso e nei suoi effetti socia i letteraria mento della
nostra istruzione sei} manEcne re tal c scientifica, per vedere so ‘
Q quale, ovvero se debba essere mod n. • s’
rltslln. le"ge Casati 13 uo È notorio che in vir u 0 secon daria
in vcmbre 1859, la istruzione ; n Massica e in . Italia
si distingue indue g iaI ^ nuindi abbiamo tecnica o industriale e
professici quattro sorte d’istituti: GINNASIO E LICEO, Scuola tecnica c
Istituto tecnico, aventi ciascuno un essere pro¬ prio, e dai quali
istituti gli alunni escono forniti d’una licenza o diploma. Bensì il
Ginnasio serve nel tempo stesso di fondamento e di preparazione al
Liceo, •come la Scuola tecnica agl’istituti tecnici profes¬ sionali
c industriali. Difatti, nel Ginnasio s’insogna oggigiorno italiano,
latino e greco, storia antica, geografia, matematica, storia naturale c
disegno ; nel Liceo poi lettere italiane, latine c greche, storia e
geografia, matematica, filosofia, storia na¬ turale, fisica e le prime
nozioni di chimica. Ideila Scuola tecnica gli alunni sono ammaestrati in
ita¬ liano, storia c geografia, matematiche c contabilità,
calligrafia c disegno, francese, elementi di fisica c di storia naturale,
doveri c diritti del cittadino. Dell’Istituto tecnico, secondo 1’art. 275
della legge Casati, s insegnavano : letteratura italiana, storia c
geogiafia, lingua inglese c tedesca, istituzioni di diiitto
amministrativo c di diritto commerciale, eco¬ nomia pubblica, materia
commerciale, aritmetica sociale, chimica, fisica c meccanica elementare,
al¬ gebra, geometria piana e solida, c trigonometria rettilinea,
disegno ed elementi di geometria descrit¬ tiva, agronomia e storia
naturale. E con 1’ ultimo Decreto del 5 giugno 1885 furono stabilite le
in¬ frascritte materie, suddivise nelle rispettive cinque sezioni
dell' Istituto : Agraria, Calligrafia, Chimica, Computisteria,
Costruzioni, Diritto civile, commer¬ ciale ed amministrativo, Disegno, ELEMENTI
DI LOGICA E DI ETICA, Economia, Estimo, Fisica, Geografia, Lettere italiane,
Lingua francese, inglese e tedesca, Legislazione rurale, Matematica,
Merciologia, Ragioneria, Storia civile, Storia naturale, Statistica e
Scienza finanziaria, Topografia. Ognun vede qual notevole
differenza corre fra gl’istituti classici o letterari e gl’istituti
tecnici o- professionali : in questi prevalgono le scienze positive, in
quelli le lettere. I primi servono, in modo speciale, di gradino
nll'Cniversitlt; i secondi avviano 'alle professioni ed agli uiliej
minoiine o . ta o mitre, lo Scuole classiche e le Scuole tecniche
hanno questo di comune: Che sì lo uno corno le altre danno ài
giovani una cultura generale, fondamento degna altro studio, e corrodo
necessario ad ogm vern o. tadino che sia degno di tal nome, che e.o
togli» rendersi conto dei propri doveri socia i et bene i suoi
diritti civili e politici. ni. per quello clic si
rifcriacea fonnQ ^ g,. 8tu dj. e al modo in che s’insegna uberalo
vorrebbe Fortunatamente, nessun > • ‘ ^ naz ^ on alità e
imitare il sistema tedesco m ‘ r j amc ntari, quale di
franchigie costituziona i e p ^ ^ Bismarck. viene inteso e
praticato e a ^ ^ ^ quintessenza dei Ma quanto agli studj, P
aie metodi educativi e didattici e del sapere umano si ritrovi in
Germania, e solo in Prussia la si possa ap¬ prendere : il cervello del
mondo prima era Parigi, oggi è Berlino! Confrontiamo adunque
l’istruzione secondaria tedesca con la nostra, che già conosciamo.
In Prussia l’insegnamento secondario viene im¬ partito in tre
specie d’istituti nazionali: ne’Ginnasj, corrispondenti al nostro
Ginnasio e al nostro Liceo riuniti, onde in alcune parti della Germania
il Gin¬ nasio è detto anche Liceo •, nelle Scuole Reali ( Beai-
schulen ) di moderna istituzione, le quali hanno una certa somiglianza
colla nostra Scuola tecnica ed Isti¬ tuto tecnico uniti*, nei Proginnasj
e nelle Scuole bor¬ ghesi ( Biirgerschulen ), che servono di
preparazione quelli al Ginnasio, queste alla Scuola Reale, o sono
strettamente coordinati gli uni a’Ginnasj superiori, le altre alle Scuole
Reali superiori. Le Scuole bor¬ ghesi della Germania (una specie delle
nostre Scuole tecniche) hanno per fine, considerate in sò stesse,
più una cultura generale inferiore, che un insegnamento pratico o professionale.
Vi si compie general¬ mente il corso intero in 6ei anni, e in qualcuna
s’in¬ segna anche il latino. Ma le discipline comuni a tutte le
Scuole borghesi tedesche sono le infrascritte: Religione, tedesco,
francese, inglese, geografia, sto¬ ria, matematiche, fisica, storia
naturale, disegno c •calligrafia. Ora, qual fine educativo e
scientifico si pro¬ pongono i Ginnasj tedeschi e le Scuole Reali, c
quali materie vi sono insegnate? u Fine diretto del GINNASIO G(dice Pullè
nella sua erudita relazione sulla Istruzione secon¬ daria in Germania) c
quello di preparare per lo studio scientifico delle Università.
L’istruzione clic vi viene impartita però, nel suo contenuto c nella
sua forma, c ordinata in modo da rendere la monte atta e fornita
dei mezzi necessari per raggiungere qualun¬ que grado e specie di coltura
intellettuale. Il centi o di gravità degli studj ginnasiali c
l’insegnamento lin¬ guistico, e si fonda pei Ginnasj tedeschi sulle tre
lingue letterarie che rappresentano la vita delle tre più grandi famiglie
umane, attrici della storia c della civiltà europea : la greca, la latina
e la tedesca. “ Il concetto informatore del programma deg 1
studi ginnasiali si ò : nella conoscenza dello lingue, aprire al pensiero
lo spirito dell’antmhità e le forme dell’espressione ; abbracciare nella
stona 1 con ■ dell’umanità e del progresso civile e nel a s o
tararia formare l'idea nazionale. Nella geogr ^ storia, naturale,
nella fisica e nella «nata» ^ prender le relazioni dell'uomo eolia naturi
^ di quello colle forze di questa : • ' amca to all’esattezza
del ealcoloedeig.^^“ dei mezzi pratici e delle necessda posavo. _ ^
a contemplare dalla elevatezza . iuoven( j 0 da un comprendendoli
nel loro spiri ° ^ dcl]c CO sc. Colle ■criterio morale, P roCoa ° V ®',
ivor8e materie, messe in cognizioni acquistate 0 ' da]la disciplina
sco- contatto c collegate dal consapevolmente . letica,
l'intelletto giovanile s, v. abituando e si conquista questo liberalissimo
modo di pensare, che poi applicherà o ai suoi studj futuri o alla
pratica della vita. “ Lo Scuole Reali invece, conforme alla loro
ori¬ gine, hanno un fine più limitato c più direttamente pratico.
Esse sono destinate a fornire una generale coltura scientifica, come
preparazione a quelle pro¬ fessioni, per le quali gli studj universitari
non sono richiesti. La loro principale differenza dai Ginnasj
consiste in ciò, clic l’insegnamento classico scema, e di altrettanto
cresce in suo luogo quello delle materie scientifiche. Il latino vi c
mantenuto, ma ridotto a due terzi dell’orario settimanale nelle classi
inferiori, alla metà incirca in quello superiori. Il greco n’ò
escluso del tutto : invece si dà un posto maggiore alle lingue
moderne; il tedesco c il francese hanno un orario più ricco clic non nei
Ginnasj; vi s’insegna l’inglese nello treclassisuperiori, ed in alcuni
casi, facoltativamente, lo spagnolo o l'italiano. Questo ricco apparato
lin¬ guistico però non viene trattato, come nei Ginnasj, da un
punto di vista scientifico, ma solamente da quello pratico, per l’uso
moderno e del commercio. ., E però nel Ginnasio tedesco s’insegna:
Religione, tedesco, latino, greco, storia e geografia, matematiche,
storia naturale, fisica ; e in alcuni Ginnasj superiori della Prussia,
come nel Ginnasio Federico Guglielmo, si aggiunge l’insegnamento del
disegno, del francese c dell’inglese. Le stesse materie s’insegnano
nella Scuola Reale, fuorché il greco che viene sostituito dal
francese, inglese o spagnolo. Ecco pertanto gl’inscgiramenti che si danno nel
Ginnasio e nella Scuola Reale superiori, uniti insieme : Religione,
tedesco, latino, greco, francese, inglese, ebraico, storia c geo¬
grafia, aritmetica e matematica, storia naturale, fisica e chimica,
disegno c calligrafia. Più tardi, in alcune città della Germania sorsero
scuole industriali per soddisfare a certi bisogni e tendenze locali 5
coinè tra noi, per cagione d'esempio, e sorta la Scuola in¬
dustriale e professionale di Vicenza che ha surrogato quell’istituto
tecnico, perchè più vantaggiosa a coloro che, a poca distanza, a Schio
lavorano nel grandioso e prospero stabilimento industriale del
benemerito seuatorc A. Rossi. Presso la Scuola industriale nel
centro di Berlino s'insegna: Religione, tedesco, fran¬ cese, inglese,
storia e geografia, aritmetica, materna- tica pura ad applicata, fisica c
chimica, chimica pratica nel laboratorio, storia naturale, calhgia .,
disegno a mano libera c disegno geometrico. Il Ginnasio superiore
tedesco, con 1 esame b sturila o di licenza, schiude le Porte
dol^ versità; c le Scuole Reali di l u ‘ m01 J degl’inge-
loro licenziati di passare ai IL/ W” *- . . *V
gneri, di essere ammessi ^^o'di’volontariato, di tare e a godere i
benefi ‘ nci Ministeri. E qui gio- aspirare alla carriera u ‘ .
licenziati dai nostri va ricordare che anche a * ;1 benefizio
del Licei ed Istituti Aitare, sono am- volontariato
quanto _, i;ce{iU) e a n a facolta di messi all’Università (t sezione fi
s i c0 -ma- matematiebe quelli (tecni .) tematica ; inoltre possono
tutti aspirare ai pubblici uffizj minori, come nelle Poste, nelle strade
ferrate, nelle Prefetture, nelle Intendenze di finanza e nei
Ministeri. . Ed orapotrebbesi domandare: Perchè nei
Gin¬ nasi tedeschi non è compresa la filosofia, e nelle Scuole
Reali non s’insegna economica politica, sta¬ tistica, diritto positivo,
computisteria c ragioneria, estimo ed agraria, che troviamo invece presso
i nostri Istituti tecnici, ne’quali bensì manca il latino ? Nei
Ginnasj tedeschi (eccettuati alcuni pochi dove si studia la logica
formalo, o la propedeutica filosofica) non avvi l’insegnamento della
filosofia per due ra¬ gioni: 1° perchè, a differenza d’Italia per il
con¬ trasto e la separazione fra la Chiesa e lo Stato, là si
mantiene vigoroso l’insegnamento della religione, sia cattolica sia
protestante, secondo la confessione reli¬ giosa degli alunni ; 2° perchè
i giovani, oramai bene apparecchiati c riflessivi, apprendono la
filosofia nelle Università ordinate diversamente dalle nostre: di
fat¬ ti nelle Università tedesche la facoltà filosofica com¬ prende
altresì quella filologica e storica, quella fisi¬ co-matematica e di
storia naturale. Per altro, se ai nostri Istituti tecnici manca il
latino, onde i giovani licenziati (eccetto quelli della sezione
matematica) non sono ammessi all’Università, e in fatto di cultu¬
ra letteraria sono generalmente inferiori ai licenziati dal Liceo; le
Scuole Reali tedesche, paragonateagl’Isti- tuti tecnici italiani, hanno
il capitale difetto di non apparecchiare direttamente gli animi alle
lotte nobilia feconde della vita pratica sociale ed agli ufficj
amministrativi, perchè non vi si danno le principali nozioni di scienze
morali o sociali, come la morale, l’economia politica, la statistica, il
diritto, la compu¬ tisteria, e somiglianti. IY.
I nostri G-innasj e Licei non hanno subito no¬ tevoli e sostanziali
cambiamenti, almeno in ciò che riguarda la natura e il numero delle
materie d’inse¬ gnamento. Non così gl’istituti tecnici, dalla loro
crea¬ zione fino al 1885 : e però giova esaminare i prin¬ cipali
mutamenti introdotti in essi coi programmi del 1871, del 1876 e del
1885. Nei programmi del 1865 non si provvedeva
sufficientemente alla cultura letteraria e morale de giovani ; non si
distingueva un doppio orine 4. stadi negl'istituti, studj penerai,
c teorie, da un, V Mi . pratici dall'altro ; infine la temone
fis,=o-ma, ematici era unita a quella industnalo A que* inconvenienti si
procuri di rimodare dal Mistero d’agricoltura industria e commercio
( pendevano allora “Mastico 1871-72, grammi al
principio d de p a circolare precedati dalle relative is ruz ^
sanzionat ; con ministeriale del 17 otto re ’ l’onorevole R.
Decreto del 30 marZ °,? 8 '^ iglio superiore per Domenico Berti, a nome ^
^ Qtta relazione al l’istruzione tecnica nella ™ r neva ques te
savie Ministro riforme: P Ripartizione della sezione di meccanica c
costruzioni in sczìodc fisico—matematica, c in sezione industriale; 2 a
Prolungamento del corso delle sezioni negl’istituti; 3 a Ampliamento o
mi¬ glior distribuzione della cultura generale c scien¬ tifica, c
della cultura speciale ; 4 a Riordinamento dei programmi d’insegnamento;
5 a Connessione de¬ gl’ Istituti tecnici con le Scuole superiori, c
nonno per l’attuazione del riordinamento degl’istituti. In
ordine a tali riforme, il corso degli studj tecnici da tre fu portato a
quattro anni : gli studj del primo anno comuni a tutte le sezioni, giusta
il Regolamento del 18G5, furono estesi a tutto il pri¬ mo biennio
in comune e determinati nelle seguenti materie : Lettere italiane, storia
c geografia, lingua francese, inglese o tedesca, matematiche
elementari, storia naturale, fisica, nozioni generali di chimica, c
disegno ornamentale. Clic anzi, per rinforzare la cultura letteraria e
morale, alcuni insegnamenti di cultura generale, come l’italiano, la
storia c la geo¬ grafia, vennero protratti nelle varie sezioni per
tutta¬ la durala del corso tecnico ; agli studj lettcrarj si volle
aggiunto ed unito lo studio della Psicologia c delle principali nozioni
ed applicazioni della Logica, restringendo ilprimoalle facoltà essenziali
dell'anima, alloro svolgimento e al destino immortale di essa, il
secondo alla teorica del giudizio e del raziocinio, e alle norme
fondamentali dell’ arte critica. Impe¬ rocché il Consiglio superiore di
istruzione tecnica é d’avviso (diceva 1’ esimio relatore Berti) u
clic nulla tanto giovi a restaurare gli studj letterari e all’
incremento della cultura generale quanto i buoni studj filosofici.
Speriamo clic il tempo ci con¬ cederà d’introdurre noi nostri Istituti un
vigoroso insegnamento di morale, che, oltre al servire di preparazione
o di aiuto alle diverse discipline giu¬ ridiche ed economiche, tornerà
eziandio di vantag¬ gio all’educazione dell’animo, alla quale si
deve mirare negli Istituti tecnici non meno operosamente clic nelle
altro scuole Finalmente, le sezioni degl' Istituti furono divise in
cinque : seziono fismo- matcmctica, industriale, agronomica,
commerciale, c quella di ragioneria ; lo prime quattro da com¬
piersi ciascuna in quattro anni, 1 ultima in un . dopo aver conseguita la
licenza nella sezione coin mordale., Ma pii. notevoli c piofonde
mno^.on sul» ■Menzioni sai piograni™ bcllcmc,iti delle
Commissione «I ^ jc larevisione scienze sperimenta, g j u dj
Z io e al- dei programmi stessi ’ ”,priore distriuione V
approvamene del C°™=> ctl n »ovi programmi, tecnica le opportune n
j> Decreto u n0 ~ gVIs,itati farete ai «se riforme,
vembre 187G. Ilcco 1 l . paragonate con quelle c c Fu
ristretta al solo primo anno la cultura generale, comune a tutte le
Sezioni, facendo pre¬ valere nei tre anni successivi la cultura
speciale- tecnica. 2° A chigavesse ottenuto la licenza
ginnasiale o di scuola tecnica, fu data facoltà di iscriversi al.
secondo anno d’istituto, purché avesse prima supe¬ rato l'esame nelle
materie del primo. 3° Fu ristretto rinsegnamento delle matema¬
tiche per la sezione fisico-matematica 5 ma vi fa¬ aggiunta la
trigonometria sferica, che non s’insegna nelle Università^cui debbono
presentarsi gli alunni dell’Istituto col diploma di licenza, anche senza
lo studio del latino, prima di essere ammessi alle Scuole di
applicazione. 4° La sezione agronomica fu distinta in due,
con nuova distribuzione di materie c con indirizzo- più pratico : in
sezione di agronomia, destinata a formare gli amministratori rurali c i
direttori di p aziende agrarie ; in sezione di agrimensura, per co¬
lmo clic si danno alla professione di periti stimatori di
fabbriche, e di periti misuratori di campi. 5° Alla sezione
commerciale fu riunita quella di ragioneria, da compiersi in quattro anni
perchè 1 esperienza fatta in alcuni Istituti aveva già dati buoni
risultamenti. G° In quest’ultima seziono la statistica fu
unita all economia politica ajiplicata, avendo sempre cura di far
prevalere nell’Istituto la parte applicata alla teoretica. Bensì mentre
nei programmi del 1871 il diritto amministrativo era obbligatorio nella
sezione di ragioneria, in quelli del 1816 non se ne parla affatto
! 7° L’economia politica teoretica, qual parte della cultura
generale scientifica, fa estesa a tutte le sezioni. 8 °
Infine, s’introdusse un nuovo insegnamento comune a tutte le sezioni, e
che nell’anno scolastico 1S77-7S fu reso obbligatorio in tutti
gl'istituti tecnici del Regno, cioò gli Elementi scientifici di Etica ci¬
vile c Diritto, con doppio intendimento : di prepa- rare lo menti allo
stadio del Dirittoposavo e del- l'economia politica, o di temperare .1
cara, o de giovani formando non solo « abita profe^—,, ma cittadini
degni per virtù moral. e emù E - il nobile desiderio acconnato lino
da presidente del Consiglio snpenore ca, onorevole Berti, venne urc
dal il ministro Calatabiano irebbe lodo P Consiglio
stesso e dai P 1 ’ 0 ^^ ^alfeta grande- gli uomini imparziali . della
crescen te mente a cuore l’cducazion generazione. . v i
1077, ecco per- Secondo i nuovi program*speciali, tanto la
distribuzione delle male ^ Lettere Insegnamenti comuni a a
o-QQtrrafiii., matemati- italianc, lingua francese, sitera, b ° natur ale
; che, disegno, fisica, chinu ca » ^^ cnt - scientifici. di
economia politica teoietic., dalle nozioni di etica civile e di
diritto, P lC 370 sulla riforma de’ licei
psicologia c di logica. Seguono le materie speciali delle cinque
sezioni (oltre le materie in comune) nel- •J’ordine infrascritto :
Sezione fisico-matematica : Lingua inglese e tedesca.
Sezione di agrimensura: Costruzioni, geometria pratica, agraria,
estimo, diritto privato positivo. Sezione agronomica : Costruzioni,
geometria pratica, diritto privato positivo, agraria, estimo, chi¬
mica applicata all’agricoltura. Sezione di commercio c di
ragioneria : Diritto privato positivo, teoria della statistica ed
ccouomia politica applicata, computisteria c ragioneria. Sezione
industriale : Teoria della statistica ed economia politica applicata.
V. Ritornati gl’ Istituti tecnici sotto la dipendenza
del Ministero dell’Istruzione pubblica pel Decreto leale del 26 dicembre
1S77, si pensò j)iù volte in questi ultimi anni a riordinare la
istruzione tecnica di primo c di secondo grado. Il Ministro
Baccelli aveva nominata una Commissione per la riforma della Scuola
tecnica c dell’ Istituto tecnico. L’ on. Ministro Ceppino ha fatto tesoro
delle proposte di netta Commissione ] c quindi abbiamo la recente
riforma degli studj tecnici, approvata con Decreto reale del 21 giugno
1SS5. Alla Scuola tecnica si è conservato il suo du¬ plice
line teorico e pratico, cioè di preparare i giovani all’Istituto e di fornire “
una certa istruzione reale e pratica ai giovani che volessero darsi
al piccolo traffico, agli umili ufficj pubblici ed alla mi¬ lizia E
però nel terzo ed ultimo anno gli alunni si dividono in due sezioni, con
diverso programma di studj e con metodi di csercizj convenienti e prò-
prj, sccondochè intendono di passare all’Istituto, o di
sottoporsi all'esame di licenza per entrare nella vita pratica del lavoro
utile. Per 1’ ammissione al- V Istituto tecnico si richiede l’esame m
queste ma¬ terie : Calligrafia, Disegno, Geografia, Lingua fran¬
cese, Lingua italiana, Matematica (Aritmetica ra¬ zionale e Geometria),
Storia antica, orientalo e gioca, Storia d'Italia, Dovari a Diritti
dal rioni di Storia naturala. Por ffr* 1» ““ tannica si
richiede olirà lo’ io ‘ 8 teria- (salvo la Storia antica), 1 esame
1, t i Un Escrcizj di Lingua franaata, no. . di
Aritmetica, nelle Lozioni di Mineralogia. . on o conservate
Riguardo all’Istituto toc» co, s “° la sc . le cinque vecchie
sezioni, sue l '* . Commcrc io c zione industriale in due lami, „-.
n0c Ragioneria Ragioneria privata, diAmniinis sezione
pubblica. Gli studj dal . tutti gli Fisico-matematica si sono
1 s tadj speciali alunni dell’Istituto, de terni nn q . 0 ^ cr ciascuna
tecnici e pratici ncl^ sCC ° UC . 1 ° in( | 0 i e s ua particolare,
sezione, secondo il fi nc e . vo n’cbbc a for- Ondo la soriana
Fisino-matamatic marcii Liceo scientifico moderno, e le altre
Sezioni altrettante Scuole professionali. Ecco, pertanto, le
materie comuni a tutte lo sezioni : Chimica generale ed clementi di
Chimica organica ; Disegno ornamentale geometrico c a mano libera;
Fisica elementare; Geografia Lettere; ita¬ liane; Lingua francese;
Matematica (Algebra e Geometria) ; Storia generale ; Storia naturale. Materie
speciali per le rispettive Sezioni. Sezione Fisico-matematica :
Chimica (esercitazioni) ; Disegno di applicazioni ornamentali c di
architettura ; Elementi di Logica e di Etica ; Fi¬ sica complementare ;
Lettere italiane ; Lingua in¬ glese o tedesca ; Matematica (complementi c
Trigonometria) ; Storia complementare. Sezione di Agri¬ mensura :
Agronomia, Agricoltura ed Economia rurale ; Chimica (esercitazioni) ;
Costruzioni e Di¬ segno relativo ; Estimo ; Fisica (Meccanica e
Idrau¬ lica) ; Legislazione rurale ; Lettere italiano ; Mate¬
matica (Trigonometria ed esercitazioui, Geometria descrittiva c Disegno
relativo) ; Topografia e Di¬ segno relativo. Sezione di Agronomia :
Agronomia, Agricoltura ed Economia rurale ; Tecnologia rurale e
Zootecnia ; Chimica agraria ed esercitazioni ; Ele¬ menti di Topografia e
di Costruzioni, e Disegni re¬ lativi; Fisica (Meccanica, Idraulica o
Meteorologia) ; Legislazione rurale ; Lettere italiane; Storia
natu¬ rale applicata all’Agricoltura. Sezione di Commercio e
Ragioneria: Calligrafia ; Computisteria e Ragio¬ neria (parte generale e
speciale); Scienza economica, e degl’istituti
TECNICI IN ITALIA 37S> Economia applicata, Statistica e Scienza
finanziaria; Elementi di Diritto civile, commerciale ed ammini¬
strativo ; Merciologia ed esercitazioni ; Lettere ita¬ liane; Lingua
francese, inglese o tedesca;Storia com¬ plementare (delle colonie o delle
industrie c dei com- merej). Sezione Industriale : Chimica; Disegno 01
- namentale ; Fisica elementare ; Geografia ; Lettele italiane ;
Lingua francese; Matematica; Storia ge¬ nerale ; Storia naturale.
Questa riforma segna certamente un notevole progresso
nell’ordinamento generale dei nostri s u ] Liei di primo e' di secondo
grado. *£» ^ ohe sia una riforma compiuta c e ' pare davvero
: ansi nella Beiamone al He si fa co ^ prendere che dallo stesso
Ministero «sente_ desiderio di ulteriori modificamo»! e '‘"Jf
della nefica intorno all’assetto “'S 1 * 01 ® °. n p attuale
istruzione tecnica secondaria. > te0 _ Scuola tecnica e bene
Cù0Vcl |^ a S cu|Ìc pre¬ nci alle Scuole di arti 6 “ Cb ’ iftndi?
La seziono fessionali inferiori, per „i e or dinaria-
Fisico-matematica dell'f 8tlt ^ j vcrH ità, come può mente prepara
i 8 * ova ?'^ moderno, so non vi si dirsi un vero Liceo scic ^ ^
noto c he in Ger- studia affatto la lingua latina. gQ ]ft Scuo i a
mania il latino si studia ano ^ ^ i#| e re- Rcalc. Perchè abolire
le no della Logica e stringere l’insegnamento e ^. o _ roa t e
matica? Dcl- dell’Etica alla sola sezione i alcan bisogno
la Logica e delia Morale no» ha»»gli scolari delle altre quattro sezioni,
i quali poi la¬ sciamo affatto gli studj ? Infine, perché abolire
gli elementi scientifici del Diritto razionale, mentre que¬ sto è
fondamento del Diritto positivo c della stessa Economia sociale ? Il
presente ordinamento della Scuola c dell’ Istituto tecnico non ha dunque
rag¬ giunto il suo ideale. VI. Ma dall’altro
lato, si può egli diro che l’istruzione classica da noi sia perfetta
sott’ogni rispetto? I nostri Ginnasj e Licei sono in piena armonia
coll’esigenzc de’buoni metodi, coll’avanzamento delle lettere c
dello scienze, coi bisogni e collo nuove condizioni della so¬ cietà
odierna? E tutte lo nostre Scuole secondarie mi¬ rano esse ad un fine
principale, ad infondere nell’ani¬ mo della gioventù una sana o vigorosa
educazione morale c civile? Ognuno si troverebbe fortemente im¬
pacciato a rispondere a queste domande : il che si¬ gnifica, clic molto
ci rosta ancora da fare per le nostre Scuole secondarie, classiche c
tecniche. Vero è che un compiuto c razionale ordinamento
della istruzione secondaria presenta non poche c serie difficolta per
natura sua ; e difficilmente presso qua¬ lunque nazione può essere opera
d’un solo periodo di tempo c d un legislatore solo. Quindi non deve
recar meiaviglia so nell’Italia nuova, tenendo conto ancora delle
sue condizioni politiche, intellettuali c morali, il giavissimo problema
d’un compiuto c stabile assetto delle Scuole secondarie non ha avuto fin
qui la migliore ed ultima soluzione. Quattro, secondo me, sono i
principali quesiti a cui deve rispondere un razionale fecondo e stabile
ordinamento dei nostri Istituti se- condarj vuoi lotterarj o classici,
vuoi tecnici o pro¬ fessionali : a) Cultura generale degli
alunni. I) Metodi in armonia con lo svolgimento gra¬ duato
delle facoltà umane, e in pari tempo con 1 pro¬ gressi e fini della
scienza. _ • a) Relazioni fra i Ginnasj, i Licei c le Univer¬
si,, fra lo Scuole tecniche, gl'Mtutì e la Un,ver- sitò, i Politecnici od
altro scuole saperlo,,. d) Attinenze dello nostre scuole s“™ d ”'
c0 ° ' la vita pratica c con gli uffici minor. «1 “ Statm^ Ed
ora esaminiamo brevemente 1 qua ^ per vedere poi quali rimedj principali
oceor.aco . nostre scuole. VII. a; Quali materie
si dovranno tn*&* ciascun istituto secondai io P‘^ ss
nell’Istituto? nasio e nel Liceo, nella Scuo a ec ” . ò e3S3r
c La scelta eia quantità di osso matouc,^^ arbitraria,
oppure deve cs.cic ^ ^ v ; debbon me, a criterj ben definiti . ^
definiti, i q uab essere certe norme, anzi cn ^ gtcss0 c he si
pro¬ si desumono principalmente a ^ ^ogni sociali pone il
legislatore, vero interpre ^ ^Hoscuole, nell’istituire o nel
riordinare cia finc immediato Ogni istituto ha due fini
esscn cioè di provvedere alla cultura generale della cre¬ scente
gioventù studiosa e dei futuri cittadini ; un fine mediato, che sta ora
allappateceliiare le menti a studj superiori, ora nell’abilitare a certe
profes¬ sioni, o a certi ufficj minori nello Stato, e all’am¬
ministrazione delle proprie sostanze. La cultura generale cambia
secondo i pro¬ gressi dello scibile umano e secondo le peculiari
condizioni della società civile. Trent’ anni fa, per esempio, dalla
classe più numerosa dei veri cittadini, dalla borghesia, in Italia non si
sentiva il bisogno di apprendere certe cognizioni politiche e
scientifi¬ che, perchè allora la borghesia aveva minore im¬
portanza sociale di fronte al clero e all’ aristocrazia, e perchè
mancavano al paese istituzioni liberali, che portan seco nuovi diritti c
doveri. A voler com¬ piere ed esercitar bene questi doveri e diritti
so¬ ciali, richieggonsi opportune cognizioni c un più alto grado di
cultura intellettualo. Come pure dalle nuove condizioni sociali è sorta
la convenienza di rendere più colta ed istruita la donna, senza
cadere per questo nell’opposto eccesso. Ma la vera c soda cultura
d’un popolo non deve consistere soltanto nell istruzione della mente, si
anche e principalmente nella retta educazione dell’ animo, come
richiedono la natura e il fine dell’ uomo considerato e in sè
stesso, e in relazione colla famiglia e colla società, senza qui entrare
nel campo religioso. L’istruzione non è fine a sè stessa e all’ umana
società, ma piut¬ tosto e mezzo all’ educazione morale e civile.
La prima ha per fine diretto la conoscenza del vero -, la seconda
mira alla pratica del bene. Ciò posto, se le materie clic oggidì
s’insegnano nelle nostre scuole secondarie soddisfano in generale
ai bisogni della mente e alle nuove condizioni sociali, per ciò che
attiene al sapere, non sono pero le piu adatte, considerate fra loro c da
sole, ad invigorire il scuso morale, a prodarre mia 0 ““
educazione, che torni vantangiosa alle singole fami¬ glie o all'
intero consorzio civile. He. da°*ogici e scientifici, in buona parte
della stampa a “liberalo, nel Parlamento e ne. paese pressai
generali o frequenti sono le "ri « sècot rizzo educativo
delle nostro scucem» darle. AU’ insegnamento. re ìgm mim care
c razionalmente impaitito, tare come in nessun grado delUi—
9Ì ‘ giudicano molti uomini i us ii secondarie voluto o
saputo contrapporre mo ingegnamen to in generale un vigoroso stadj CODS
iderati morale, coordinandovi pu» | . q molta parte della
nell’aspetto educativo. d eleva to sentimento nostra gioventù manca
1 P, no bili, l’affetto del bene, l’entusiasmo pei e c s j t i retti, il
ca- disinteressato, la fermezza n rattere morale.
Vili. n0 arduo ed importante b) Altro quesito non m ^
sapcre inse¬ di è quello del metodo, non gnaro quanto nel
coordinare le materie di studio: quesito che non si può risolvere
convenientemente, ove non si badi al graduato e armonico
svolgimento delle facoltà umane. Con qual ordine si svolgono le
facoltà dell’uomo ? Prima il senso, la fantasia c la mo- moria ; poi la
immaginazioncintellettiva e la ragione, colle sue varie operazioni o
facoltà secondarie, come l’attenzione, la riflessione, l’astrazione,
l’analisiclasin- tesi, la comparazione ; per ultimo, la volontà
libera. Ora, queste facoltà non sono l’una dall’altra se¬
parato, come l'esperienza o la ragione ci attcstano ; ma sono invece
strettamente congiunto, perchè tutte dipendono dallo stesso ed unico principio
che in noi sente, intende e vuole. Bensì 1’ una prevale sull’altre
nelle diverse età dell’uomo, e secondo la natura degli obbietti a cui son
rivolte le operazioni intellettive e morali di lui. A questo naturale c
graduato di- spiegarsi delle facoltà umane, a quest’ armonia loro
meravigliosa, deve sempre corrispondere l'ordina¬ mento degli studj e un
acconcio metodo d’insegna¬ mento nelle nostre scuole, dalle prime classi
elemen¬ tari all’ Università. Per chiarire meglio le nostre ideo,
gioverà qui fare un’osservazione’ pratica. In virtù del R. Decreto
22 settembre 187G, la filosofia s’insegnava in tutti e tre i corsi
liceali ; mentre prima cominciavasi a studiare nel second’anno di Liceo.
E nella Rela¬ zione che precedeva quel R. Decreto diccvasi che nel
prira’anno liceale l’insegnamento della filosofia dovesse consistere
segnatamente nella lettura e nello studio di luoghi filosofici Latini, e
nella spiegazione della nomenclatura filosofica, di cui tanta parte
si chiarisce colla lingua greca. — Senza disconoscere le intenzioni
più che rette del legislatore, a noi pare (confortati in ciò
dall’esperienza) che sarebbe stato miglior partito ritornare alle vecchie
disposizioni, cioè principiare lo studio della filosofia nel
secondo anno di Liceo, perchè le menti de giovani sono allora più
riflessive e mature, ed hanno acquistato nuove e più sode cognizioni di
letteratura, di sto¬ ria e di matematica nel primo anno liceale,
dalle quali trarranno poi giovamento nello studio della filosofia
stessa. Vediamo infatti che in Austria s in¬ segna la propedeutica
filosofica solo nella classe Vili, od ultimo anno del Ginnasio-liceo ;, e
no Gmnasj di Boltzen o di Klangcnfilrt la logica /orma studia nello
ultimo duo classi, comspondentmdfe¬ condo e terzo anno del nostro Liceo
In Trace . poi, ««ero corso di l'ultimo anno d. Liceo ' ; l
nostri otto ore d'insegnamento P« “ ^ ^ ge . alunni,
appena usciti a un ver o insc- ncralmente ben prepara liceale, sia
per gnamento di filosofia sa perficiali la tonerà età,
sia pei aWtuatialla n- cognizioni, sia per no poteva giovare
flessione e al ragionamen o - - m0 co rso liceale gran, fatto
spendere tutte » 1 p. oso fica, che si nell’ insegnar loro la nom p
0 studio delle può di mane in mano apprendere singolo parti
della filosofia elementare 5 e ancor meno avrebbe giovato spenderlo per
intiero nella lettura o nello studio di luoghi filosofici latini,
por esempio nel De OJJiciis e nel Da Leyibus di Cice¬ rone, perchè
tali studj c letture presuppongono un corso ordinato, già compiuto, di
filosofia razionale e morale. Più tardi l’insegnamento liceale
filosofico si restrinse a soli due anni, cominciando lo studio
della Psicologia e della Logica nel secondo, e ri¬ servando al terzo la
Morale. Ma con P. Decreto del 23 ottobre 1884 l’insegnamento filosofico è
stato di nuovo esteso a tutti e tre i corsi liceali, asse¬ gnando
al primo lo studio della parte più generale della Logica. - Per le
ragioni suddette, converrebbe tornare al vecchio sistema, cioè
principiai’e addi¬ rittura lo studio della filosofia elementare nel
secondo corso liceale, e compierlo in due soli anni. Siffatto
ordinamento c siffatto metodo converrà poi che nelle scuole secondarie si
trovi in armonia perfetta con i progressi della scienza o con i
fini dell’ insegnamento. Lo studio della Filosofia e dello •Scienze
naturali, a cagion d’ esempio, deve esser fatto in modo ben diverso da
quello in che facevasi venti anni addietro : e qui siamo già incamminati
per la retta via. La Storia greca e romana dovrà essere insegnata nel
Ginnasio e nell’Istituto tecnico in modo differente, per la diversità del
fine di esso studio nei due Istituti ; all’ insegnamento della Chi¬
mica non potrà darsi nel Liceo quell’ estensione o profondidà che deve
avere presso l’Istituto tecnico. Governo e professori debbono pertanto
aver di mira questi quattro punti essenzialissimi : 1° Lo svolgi¬
mento armonico di tutte le facoltà umane; 2* La •cultura generale degli
alunni; 3° Il progresso dello scibile ; 4° Il fine pratico della
scuola. IX. c) Come le scuole inferiori od elementari,
oltre avere un fine proprio, debbono servire di fondamento e di
preparazione agl’istituti secondarj, così questi vogliono essere
coordinati razionalmente allo scuole superiori e di perfezionamento. E
però i nostri Licei ed Istituti tecnici, specialmente in alcune
seziom, come in quella fisico-matematica e di a S ron0 “ ia ’debbono
avere stretta relazione col or inam .degli studi nelle Universi.!.,
«M*-*** Scuole superiori di per la stessa ragione, i G.
J ^ tcomcho ag Ii legati strettamente a U, 1 ha m flM
Istituti professionali, be U rog i on di più speculativo che
pratico, S ® . P ge ins ° mm a à mezzo die di fine, a ' 0S ^ip er il
Liceo, parrebbe destinato a preparale g j s6 avere un fine
che anche la Scuola tecnic re p arar e le più speculativo ch
® ^Jistìtuto tecnico, anziché menti a studj super io fes9 i 0 ni,
per quanto presumere di abilitare a ^, ione precoce super¬
umili sieno, e di dare un * s ^ dimostrato non Sciale inefficace,
che 1 es P erI v uon0 risultamento. .condurre da sola a verna
pratico e Ma se la Scuola tecnica, com’era prima ordi¬ nata, non
corrispondeva nè al suo fine speculativo, cioè di dare una conveniente cultura
generale, o di. preparar bene gli alunni all’Istituto, nè al fine
pratico, ossia di abilitare a’più modesti ufiicj nella vita pri¬
vata e pubblica; anche il Ginnasio, il Liceo e l’Isti¬ tuto, nelle
attinenze loro cogli studj superiori, hanno i loro difetti. Così, nel
Ginnasio si dovrebbe inse¬ gnare la lingua francese, materia non solo di
cultura generale, ma eziandio necessaria agli studj succes¬ sivi
nel Liceo e nelle Scuole superiori ; c lasciar da parte la Storia
Naturale, che viene ripresa nel Liceo in modo più esteso e profondo.
Inoltre, come studiar bene le Scienze naturali senz’aver prima
studiato¬ la Fisica ? Nel LiRco, poi, hanno troppa estensione
alcune materie, come la matematica, le scienze fisico¬ chimiche ed il
greco, dacché queste materie, spinta oltre i debiti confini, non sono
d'interesse generale,, non danno per se un risultamcnto pratico, si
ripren¬ dono quasi daccapo nelle rispettive Facoltà univer¬ sità)
ic, richiedono molto tempo nel corso liceale con grave scapito delle
altre materie. Tale inconveniente non ha luogo negl’istituti
classici della Germania. Ecco quello che scriveva in proposito l’egregio
professor Pullè nella citata sua i dazione: “La parte più importante ve
l’hanno l'arit¬ metica e la matematica ( elementare, come si vede
dai piogrammi) per far vero il principio, che le lingue, classiche
e la matematica sono il centro dello studio ginnasiale. Yicn dopo lamica,
quindi la storia natuvale. La chimica e per sè, o perchè ancora troppo
poco è venuta a scientifiche conclusioni, ed è tuttavia da riguardarsi
come in via di sviluppo, non viene, nei Ginnasj almeno, accettata come
materia obbli¬ gatoria. Così anche alla storia naturale non si dà
una sostanziale importanza : anzi per regola, dove manchi un buon maestro
per questo insegnamento, nella classo IV c V le due ore vanno impiegate
per l'aritmetica eia geografia. A questo punto va fatta un’
osservazione importante. L’insegnamento delle scienze positive nei
Ginnasj o Licei c ordinato non tanto ad un fine pedagogico, quanto
acciò che il .gio¬ vane, che vi compio la sua educazione, ne esca
con una generale coltura, sappia qual posto occupa cia¬ scuna
scienza nell’ insieme dello scibile e si avvezzi a liberamente pensare.
Per questo vai tanto m e- gnamento realistico per coloro che -n d Una ti
a professioni giuridiche, alle V ÌnSCSnan,e ^° m“
peTqueste ultime, quel tanto che scienze esatte Ma per q ^ ^ do,
tutt0 se ne apprende nel L la fisica, lachi-
insuffieientc, poiché al rfetfa mat6 . mica, la storia
naturale, e &U ? a n ^ llcipio e ripetute matica, vengon
riprese quasi calzallte è quello quasi alla lettera. L’ esempio P ^
anni ne l della fisica generale, che appi ‘ ^ bienna le al-
Liceo, viene ripresa pei un a, ti tem po eia l'Università.
Or» per Ucw, o lo fatica sono irrornss, talmente p» sono all’
Università. Ad ogni modo, chi volesse approfondirsi nelle matematiche
elementari e nel greco, per indi pro¬ seguire i medesimi studj nelle
Facoltà di scienze fisico-matematiche e di lettere, potrebbe
frequentare alcune lezioni facoltative da stabilirsi nell’ ultimo
anno dei nostri corsi liceali. Nell’ Istituto tecnico, poi, converrebbe
insegnare la lingua latina nella se¬ zione fisico-matematica, essendo
questa direttamente coordinata all’Università. X.
d) Finalmente, un compiuto e razionale ordi¬ namento degli studj
liceali e tecnici deve provve¬ dere non solo alla cultura generale degli
alunni e ad apparecchiare le giovani menti e studj superiori,
quando esse vogliano e possano dedicarvisi, ma deve altresì avere un fine
pratico, abilitando i giovani a certi ufficj minori presso le società
private o presso 10 Stato, e fornire tutte quelle cognizioni che
fanno 11 buon cittadino. Non tutti i giovani ch’escono
dai nostri Licei sono in grado, per le condizioni economiche della
famiglia o per altri motivi, di proseguire i loro studj nell’Università e
negl’istituti superiori. Essi pertanto cercano un’occupazione negli
Ufficj postali, comu¬ nali e provinciali, nelle Prefetture, nelle
Intendenze di finanza, nei Ministeri, nelle Strade ferrate, nelle
Biblioteche, c via dicendo. Coloro poi che frequentano gl Istituti
tecnici si dànno tutti, meno quelli della sezione fisico-matematica ed
altri pochi fortunati acl una professione libera, come i periti
agrimensori; o ad un impiego presso le Amministrazioni private o
pubbliche, secondo i lori studj e la capacità. Inoltre, il diploma di
licenza tecnica o liceale, confe¬ risce loro certi diritti pubblici, non
solo il diritto al voto politico, sì anche 1 altro di essere giurati
(a 25 anni) presso la Corte d’Assise. Or bene, come potranno
adempiere convenienteinentesì gravi doveri ed esercitar bene sì nobili
diritti quei giovani, che, secondo l’attuale ordinamento dei nostri
Licei, non vi hanno apprese nè vi apprendono le nozioni piu
•elementari del diritto pubblico interno, e che (po¬ tendo anche sedere
nei Consigli amministrativi del Comune e della Provincia) non. sanno
mente d. Economia politica c d’Amministraz.on= ? So pò. ca¬ cano un
modesto collocamento nello Poa *®> letture, nelle Intenderne di
finanza, nelleStradefer rate, nei Ministeri, come potranno sostenere, gl,
am, j; „nn avendo appreso nel Uinnasiu senza nuovi studj 1 ^ n *u
contabilità c la enei Liceo ne ^ itiv0 ? E quindi, o
computisteria, 1 dovran no sostenere questi nuove spese o
fatiche ^ classiclie> od avremo giovani licenziati . f Quanto ag u
alunni dei- in società altri sjjos • _ diritto amministra- l’Istituto
tecnico, le sezioni* 1 come nel 1877 tivo vanno estese aim ento, a
tutte le se- furono estesi, con savi I economia teoretica,
ziom dell fstitnto g ^ di etica civile e dii ut
392 SULLA RIFORMA DE’ 1ICEI
Conclusione. Ed ora concludiamo. Quali pronti cd efficaci
riraedj vanno recati ai nostri Istituti secoudarj clas¬ sici e tecnici? A
mio parere, eccoli brevemente : 1° Si metta obbligatorio lo studio del
francese nel Ginnasio, e si tolga la storia naturale. 2° Si
restrin¬ ga il programma di matematica, di fisica e chimica, e del
greco nel Liceo per quegli alunni, che non si danno poi nell’Università
alle matematiche, alle let¬ tere ed alla filosofia. 3° Nella terza classe
liceale si* stabiliscano corsi superiori facoltativi di matema¬
tica e di greco pecchi ha interesse di approfittar¬ ne. 4° Vi si
insegnino pure le nozioni elementari di economia politica e di diritto
amministrativo. Quanto agli studj tecnici : 1° Si coordini
net¬ tamente e definitivamente la Scuola tecnica all'Isti¬ tuto
tecnico nel terzo anno. 2° Si renda più. pratica la Scuola tecnica per i
licenziandi, collegandola al¬ tresì alle Scuole professionali inferiori o
di arti e mestieri. 3 Si metta obbligatorio il latino per con¬
seguile la licenza nella sezione Fisico-matematica dell Istituto. 4° Si
estendano a tutte le sezioni del¬ l’Istituto gli Elementi di Logica c di
Etica. 5° Si icnda obbligatorio lo studio dell’Economia teoretica
sociale a tutte le Sezioni, eccetto a quella Fisico-ma- tematica. G° Si
ristabilisca il corso elementare di Diritto razionale. 7° Si porti a
cinque anni il corso compiuto dell Istituto, quando non si credesse
meglio di stabilirò in quattro anni il corso teorico o pratico della
Scuola tecnica. A questo modo, mi pare che i nostri Licei ed
Istituti tecnici possano davvero rispondere al fine loro speculativo e
pratico, alla ragione dei tempi e alle condizioni del nostro paese, e
riuscire superiori o migliori dei Ginnasj tedeschi, e delle Scuole
reali e borghesi della Germania. Comunque sia, in ogni riforma
de’nostri Istituti mezzani e superiori, classici e tecnici, non
dimentichiamo la massima che fino dal 1S38 inculcava il Mamiani ne'suoi
Documenti pratici intorno alla rigenerazione intellettuale e mo¬
rale degl’italiani : u Gli studj che mirano a poco alto fine e versano
sopra materie futili ne emano di nudrirsi di scienza profonda,
snervano 1 intelletto e l’animo. GENTILE E IL DIRITTO INTERNAZIONALE. Allicricus
ilio fuit, qucra non Brilannia modo, seti et tota Europa pracccplorom in
Jure suum eolil et agnoscit »• Jl. PrecuiD, Elogio di
Scipione Ganlue. I. Fra tante e nobili glorie italiane
fin qui di¬ menticate v’era il nome di un insigne Marchigiano, che.
più d'ogni altro meriterebbe di far parte quella storia, « magnifica e peenhare
de,U Ita liani fuori d'Italia, che Cesare Balbo m fine gin
nani jwn* « » . connazl0 nali. vissinri «itti nato a San- Questa
gloria italiana m0 rto ginesio (provincia di Macerata) nel UM
esule in Inghilterra a 19 e t “"j” a metà del Visse dunque
ABonc» e la se» secolo XVI, che fu una dell epoc P ^
religiosa. E questo Q Bran0 e di Cam- Francesco Bacone, i
Elisa betta : epoca famosa, panella, di Filippo II e di JM per
grandi avvenimenti politici e religiosi, per in¬ gegni preclari e
fortissimi caratteri. Matteo Gentile, valente medico, venuto in
so¬ spetto d’avere abbracciato la riforma religiosa, esulò dalla
patria conducendo seco il giovine Alberico e l’altro figlio minore
Scipione. Alberico, ebe avea già studiato la scienza del diritto
nell’Università di Perugia ed avea tenuto l’ufficio di magistrato
in Ascoli Piceno, non poteva non essere amato e pre¬ giato nella
culta Germania, dov’erasi rifugiato col fratello e col padre, che fu
protomedico in Carniola. Il duca di Wiirtemberg, l’Elettore Palatino e
tutte le Università dei loro Stati tennero in alto pregio il nostro
Alberico per il suo ingegno e per la molta sua dottrina. Più tardi,
Matteo ed Alberico si recarono nella dotta ed ospitale Inghilterra,
mentre Scipione rimase in Germania ; e, stimato egli pure e di
forte ingegno, divenne successivamente professore di Diritto nelle
Università di Heidelberga, di Altorf e di Norimberga, dove morì a 53 anni
nel 1016. Matteo fu archiatro della regina Elisabetta, e morì a
Londra nel 1602. In grazia d’un suo eloquente discorso che
salvò da morte l’ambasciatore spagnolo nella corte di Elisa- betta,
Alberico Gentile fu eletto dal re di Spagna ad avvocato della Corona e
dei connazionali di¬ moranti in Inghilterra. Fu inoltre professore al
Col¬ legio di San Giovanni Battista in Oxford, l’Atene
d’Inghilterra, e in appresso fu lettore primario di Giurisprudenza in
quella celebre Università, che in occasione della festa anniversaria
fu visitata, com’è noto, da un altro insigne italiano, da Giordano
Bruno. Onde a vcrun altro, meglio che ai tre Gentili, ma soprattutto ad
Alberico s’at¬ tagliano quelle splendide parole clic C. Balbo lasciò
scritte nel Sommario delle cose d’Italia : “ Mira¬ bile ingegno italiano
che, chiusagli una via, ne trova altre ed altre infinite ; che, chiusagli
la patria ad operare, opera fuori, corca, trova campi in tutti i
paesi, in tutte lo colture ! „ IL Se non che, somma ed
universale gloria si ac- smistò Alberico Gentileper le sue opere e
spcoialmen- te pel suo famoso trattato Dejwre belli. Non meno d.
quaranta sono gli scritti fin qui conosciuti deU illu- stre Marchigiano.
Primeggiano su tutti le ha oji lutato universalmen ditfeoGrozio, autore
Mica dirilto, e quale P" ccurù /pradier-Fodóró ael De
jvre Belli et scrisse che (Grotius et son temjps), a ^ . mcgnasse u
leggi Gentile fu ^ P quello ohe dice su della pace e della
guerra . Ecco q tal proposito Eraerico Amari nella Critica di una scienza
delle Legislazioni comparate (cap. IV, art. ir, in nota), opera non
conosciuta degnamente, come avviene spesso di altri libri italiani : lt
Sebi bene il titolo dell’opera di Gentili sia solamente De jure
belli, pure io dico avere fondato la scienza del diritto della guerra e
della pace, sì perchè il libro III di quello tratta interamente delle
paci, come perchè in altri due trattati, l’uno De Legationibus e
l’altro De armis Eomanis in due libri, nel primo dei quali tratta delle
guerre ingiuste, c nel secondo delle giuste dei Komani, copiosamente
parla del gius delle genti della pace ; laonde in queste tre opere
tutto il diritto internazionale è compreso. Lo stesso Grazio, quantunque
per debolezza d’amor proprio d’autore ne abbassi il merito, pure per
candore di scienziato confessa essersene non raramente giovato; e
chi confronti le opere di questi due grandi uo¬ mini, vedrà che Grazio
non esagerò gli obblighi suoi col nostro Gentili Che altri
ingegni italiani avessero trattato della Guerra e qualcuno di loro avesse
per avventura tentato di applicare la scienza delle leggi all’uso
della guerra prima di Alberico Gentile, ciò non viene impugnato dallo
stesso autore del De jure belli o dal Grazio, e lo attestano il
Tiraboschi, £. Amari e P. S. Mancini. Ma prima di Alberico nessuno
e rasi elevato sì alto ; ond’egli stesso rivendica a sè questo primato
fin dal principio del suo trattato famoso : Magnam atque difficilem rem
aggredior. Non baleni libri illi de hoc jure, non olii vili, qui cxtcnt.
Non ti sembra egli che quelle prime parole trovino un degno raffronto in
queste altre, onde il Machiavelli, restauratore della scienza politica
in Italia, palesa c attesta la novità del suo metodo e dell'opera
sua ? lt Ho deliberato entrare per una via la quale, non essendo stata
per ancora da alcuno pesta se la mi arrecherà fastidio c difficulta, mi
poti eb¬ be ancora arrecare premio, mediante quelli che umanamente
di queste mie fatiche considerassero {Discorsi, I) „• Agl’intelletti
novatori non può man- care la consapevolezza dell’opera loro, come
non mancava al grande contemporaneo del nostro Gen¬ tile,
all’autore del Nuovo Organo, il quale sapeva di additare alle scienze
sperimentali un metodo veto, ma nuovo e non ancora praticato fuor, d
Italia : • quac via vera est, sed intentata. Mirabile
potenza dell’ingegno italiano, nevato e speculativo e pitico ad un
tempo! Cocce .. m PÌ ^ÌTn7^:r S rMe “cono 1 Fimi. P"
alla mente enciclopedica. dj^ ^ di rÌ3 a- taneo del Gen * lle
’ D ° albeggi delle leggi (leges lire alle fonti del 111 ’ trattat ° S
Tilla Giustizia um- legum) e di scrivere ^ ^ dovea C om-
versale. Ma delle cinq tratt ò c he della prima, porsi l’opera sua,
per aforismi, che risguarcla la certezza delle leggi nella loro
intimazione (1). ni. Ma veniamo senz’altro a dare un
cenno dell ope¬ ra insigne di Alberico, Dejure belli. Questo
trattato, che fu dall’autore dedicato a Roberto conto d’Es- sex, è
diviso in tre libri. Rei primo, data la no¬ zione della Guerra, si
esamina in chi risiede l'au¬ torità di muover guerra, e per qual fine
s’intraprende ; poi si dice quando la difesa è necessaria, quando
utile c quando onesta; infine si esamina le cause che spingono alla guerra,
che vicn fatta ora per necessità, ora per utilità, ora per cause naturali
ed umane-, e si conclude che, dovendosi anteporre l’onesto
all’utile (III, c. 12), la guerra vuol esser fatta per una causa onesta.
Il secondo libro tratta del come e quando si dichiari la guerra,
dell’inganno e degli strattagemmi ; e qui l'autore detto clic “
fondamento della giustizia è la fede vuole con Marco Tullio che il
giuramento e la fede sicno rispettati anello dai combattenti: tueri inter
bella fiderà. In progresso tratta delle regole che vanno osservate verso
i bel¬ ligeranti, verso i parlamentarj, verso i prigionieri, verso
quelli che hanno deposto le armi \ e infine (1) Vedi i nostri due
libri: F. Bacone e la Classifi¬ cazione delle scienze. Firenze. Elementi
scientifici di Etica c Diritto, Roma] parla degli assedj, del come vogliono
essere trat¬ tati i non combattenti, del rispetto cioè verso i sup¬
plichevoli, le donne e i fanciulli, della facoltà di dar sepoltura ai
morti in battaglia, la violazione del qual diritto da parte dei nemici
sarebbe im¬ proba ed empia. E termina questa seconda parte •con
fervide parole a Dio, perchè si rimuova dalle guerre la barbarie, la
crudeltà, l’odio inestinguibile; e perchè non le genti cristiane dai
barbari, ma questi da quelle apprendano le leggi ed i modi più equi
ed umani di guerreggiare. Il terzo libro c •tutto consacrato al fine vero
ed ultimo delle guerra, vo'dire alla pace, ai modi più equi nel
ristabilirla, All’amicizia ed alleanza tra Stato e Stato. .
Questo breve cenno mi pare sia sufficiente a dimostrare la grave
importanza di tale r,Opera : onde ai spiega facilmente perchè tutti i P m
insigni trat¬ tatisti moderni del pubblico diritto ricordino con
molte lodi il nome e la dottrina di Gentile. CI se iù quel suo trattato
egli non sempre indaga, ? * metodo rigorosamente scientifico, le a
fondo, e co eminenti del giure ragioni supreme e le le OD 1 ^
^ universale di gu*»» ^ esemp j 0 con mirabile erudizi,^
. occorre tener autorevoli e n vivesse il nostro Gentile, e
-"In prto» ad « ltore ^ *°. de “ 0 ° fcui ^mirava,
questo il concetto -fine altissimo a cui e nobilissimo pei’ cui il nome
di Alberico va associato ai nostri tempi e vivrà immortale. Non pago di
u^ eie stabilite e di volere applicate le leggi alluso della
guerra, non pago di aver raccomandato clic la guer¬ ra sia fatta sempre
per cause oneste e giuste, quel forte e magnanimo intelletto invoca dal
Padre del— l’eterna giustizia, clic voglia rimuovere ogni motivo di
contrasto fra i popoli, che cessi ogni guerra, sia pur mossa da cause
giuste :Tu pater justitiae, Deus „ eliam has lolle causas nobis, tolle
bellum omne : eia, Domine, paceni in diabus nostris, da •pacava (I,
e. 25). Nò si creda che Alberico, esule della patria, e che viveva
in un secolo pieno di persecuzioni e tri¬ stamente famoso per tante
guerre politiche e religiose, abbia invocato una pace transitoria, la
pace solo per l’età sua e per i suoi contemporanei !No ; egli, am¬
maestrato dalle discordie e dai gravissimi danni di molto e diverse
guerre, dai mali che esso arrecano •all'umanità, dal ritardo e dagli
ostacoli clic ne pro¬ vengono alla civiltà ed al progresso dell’umana
fami¬ glia, invocava, precorrendo ai magnanimi tentativi del
Leibnitz e del Kant {Disegno di paca perpetua fra le nazioni) ed allo
aspirazioni di molte anime generose del secolo XIX, la pace perpetua ed
uni¬ versale, con quelle memorande parole onde chiudeva il suo
trattato : u Deus autem optimus maximus faciat, principes imponeva bellis
omnem Jìnem, et jura pacis ac foederum colera sanctc. . . . JEtiaiU
Deus, etiam impone tu bellis finem : tu nobis pa- cem effi.ee n . e
ir. Diurno internazionale Chi può, adunque, negare la importanza
tra¬ grande di quest’ Opera e la sua opportunità ? Sono ornai
decorsi circa tre secoli da che fu scritto il Da jurahdli, ma le crudeltà
della guerra non sono affatto cessate, ed anche a’nostri giorni ne
abbiamo avuto tristi esempi in conflitti memorabili ; nè ancora
tutta Europa sembra disposta a custodire santamente i diritti della
pace e dei popoli. Bensì il Diritto in¬ ternazionale, che può dirsi
fondato dal grandeMarchi- giano, ha progredito non poco, e gli ultimi
congressi europei ne sono stati la più solenne testimonianza, e, se
non compiuta, certo la più retta ed umana applicazione. Quanto all’epoca
d’una pace universale e perpetua, clic sì ardentemente invocava il
nostro Alberico, se per ora appare assai lontana, giova per altro
ricordare lo splendido e solenne trionfo che nel 1872 riportò in Ginevra
il principio delUròifrafo Muterà la sua indi- omaI,
‘Coiaio, u proclamatasi «tomento pondon» od unita- * olto3tM .u
dinaosi al di ordine 4. cavdt ^, cbi primo formuli,
mondo mteiolas.it 0 „ acrra c d invocò il diritto dolio
g0"*> la pace universale. Il Romagnosi fu il primo a dire- che
l’Italia doveva rendere ad Alberico la debita giustizia. Questo voto fu
accolto dall’illustre professore P. S. Mancini e dal Municipio di
Sanginesio, quando seppe clic Tommaso Erslcine Holland, pio-
fossore di Diritto internazionale nella celebre Oxford, aveva in un pubblico
discorso- rivendicato gl’insigni meriti del suo immortale pre¬
cessore, Alberico Gentile. Ma la gloria d’aver dato corpo e vita, per
così dire, a questo nobile desiderio, spetta all’operoso e fervido
pubblicista Pietro Sbar¬ baro, mentre insegnava Filosofia del Diritto
nel¬ l’Ateneo di Macerata. Di fatto, il Consiglio accademico di quella
Università, convocato in adunanza straordinaria il 27 marzo 1875, udita
una bella relazione dello stesso prof. Sbarbaro, unanime de¬
liberava di esprimere pubblicamente il voto che si costituisse, sotto la
presidenza dell’ insigne giure¬ consulto P. S. Mancini, un Comitato
internazionale per erigere in Italia un monumento a Gentile.
Questa nobile iniziativa fu encomiata universalmente. Osiamo dire che
forse mai somiglianti proposte ebbero un successo più splendido. Tutti i
più autorevoli periodici d’Italia vi fecero plauso, o la proposta
fu bene accolta anche dalla stampa estera, specialmente in Inghilterra,
Germania, Francia e Belgio. Parecchie Università e le principali
Accademie scientifiche c letterarie del Jlcgno aderirono alla proposta
dell’Ateneo maceratese. I più insigni uomini (l’Italia in ogni ramo del
sapere, illustri statisti e scienziati stranieri, tra’ quali vanno
qui ricordati Bismarck e Gladstone, Holtzendorff, Er- skine
Holland. Laurent e il compianto Laboulaye, o accettarono di far parte del
Comitato Merita d’essere riferita per intiero la seguente lettera, che in
quciroccasiono scrisse al prof. Sbarbaro, segretario del Comitato
internazionale, l’eminente giureconsulto, storico c pubblicista E.
Luboulayc. Mon elici- Profcsseur, a Versailles. L’ idée d' honorcr la
mdmoiro à'Alberico Gonidi est oxcellcntc; jc m* y associerai bica
volonticrs. Alberico a ctd
le précurseur do Grotius, et à ec t.tre .1 ménte qu o lo tiro de T ombre
où on 1’ a laissd trop longtemps .i 1 on pouvait donnei: un. boa».
ddi.lo» d. »» Jur, MU «J rdunir dea documenta sur sa vie, et des lett c,
esiste, on lui roudrait lo plus parfait Uommago que puu^ désiror uu bomme
de lettrcs apres sa tcmps dori vaine, qui sommes ravement pensée s
dcrèto et cn notre pays,, '°^ av0 " s 01 | ;P ] U3) n os iddes
sewi- qu’un jour, quand nous n j rumnn itd. C’est eetto
rout la cftUSe d ° 1 ’faìt dddftìgncr la fortune, Ics placcs et
illusion qui nous fait dd 6 C3 tdans l’aventi-. tout co que lnfoule
cn ' ic ’^ sa tom bc, ne sernit-il paa Gcr Si Gentili pouvnit sortii: do
cc ^ a to «td pour de penso.- qu’on se aei-ico Ma-
gistero f0 “ ” aegii ìstitaH Tecnici Sulla riforma de Licei o
b . in Italia.. Gentile
c A.pp© udicC- il Diritto internazionale. DELLO STESSO
AUTORE. Elementi scientifici di Etica e di Diritto. Filosofia Morale e Sociale.
La Teodicea di A. De Margerie, con una Prefazione di Conti. Principio,
intendimento e storia della classificazione dell’umane conoscenze secondo
Bacone. Dottrina dell’Evoluzione e sue conseguenze teoriche e pratiche.
Discorso Accademico. Elogio funebre di Ile Vittorio Emanuele II. Opuscolo. Esposizione
critica del sistema filosofico di Wahltuch. Opuscolo. Critiche varie. In
corso di pubblicazione: Elementi scientifici di Psicologia e di Logica. Valdarnini.
Keywords: semantica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valdarnini,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valdarnini.
Luigi Speranza -- Grice e Valent: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della forma della
lingua – la scuola di Treviso – filosofia veneta -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Treviso). Filosofo veneto.
Filosofo italiano. Treviso, Veneto. “Some like Vitters, but Valent’s my
man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s
thought!” Essential Italian
philosopher. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di
ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi
categorie della filosofia. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sulla
filosofia e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare
attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla
base di tali premesse, che orientano verso una rilettura dei canoni e dei
presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ri-disegnare, insieme
con un gruppo di psichiatri e psicologi del centro psico-sociale di Orzi nuovi
cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da BASAGLIA, un modello
della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale,
dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora
con il gruppo teatrale Scena Sintetica nella messa in scena di testi
filosoficamente rilevanti (VELIA, VELINO, Eraclito, Melville, SEVERINO, GALIMBERTI).
Presso Moretti l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da
un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di SEVERINO
(vedi), alla tradizione neo-idealistica italiana (GENTILE) ma anche neo-scolastica
(BONTADINI), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del
negativo. Descrivendo la sua formazione si define resciuto a una scuola filosofica
di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata
dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e
pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e
rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella “Scienza della logica” di
Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come
esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una
filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della
negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale
nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla
novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato
investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto
destinale della filosofia della necessità di SEVERINO, esplora la categoria
modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione
frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del
reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per V.,
che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il
plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo
dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria
della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di
contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia
intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che
non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità
di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia
anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile,
dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella
capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva
sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come
principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione
inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto
al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità
assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua
imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e
dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di
totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton,
ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile
relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo
differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande,
forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e
malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti
manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Saggi:
“Verità e prassi” (Vannini, Brescia); “La forma del linguaggio: studio sul Tractatus
logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme, Padova), Invito a Wittgenstein,
Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande
Utopia", Milano; Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda,
Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo);
“Asymmetron: micro-ontologie della relazione. Scritti teorici in Opere di V., a
c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici
su follia e cura, in Opere di V., a c. di Tagliapietra, Moretti e Vitali,
Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus
logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a.
c. di Valent, con un saggio di Tagliapietra, Moretti e Vitali, Bergamo. Opere. La
filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In
ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici,
Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent.
Keywords: la forma del linguaggio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The
Swimming-Pool Library. Valent.
Luigi Speranza
--- Grice e Valentino: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura
conversazionale di Romolo divino -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He moves from elsewhere to Rome
where he created a sect called ‘The Valentinians’, who Valentino described as
being the only ones who would save themselves. Ippolito di Roma did not like
him. Valentino. Keywords: Roma antica, Ippolito. Per H. P. Grice’s Play-Group,
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Valeri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dello spazio tra sè e sè – l’antropologia filosofica come
ricerca dell’inter-soggetivo – la scuola di Somma Lombardo – filosofia lombarda
-- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library (Somma Lombardo). Filosofo
lombardo. Filosofo italiano. Somma Lombardo, Varese, Lombardia. Essential
Italian philosopher. Grice: “I
especially like his idea of anthropology, alla Kant, as the search for the
subject.” “Tra se e se.” Si laurea in filosofia a Pisa, quale allievo pure della
scuola normale superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con
relatore BARONE (vedi), si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un
dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra
cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come
l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi
dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro
Lévi-Strauss. Gl’è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di
antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze
sociali. Fra i molti suoi saggi, cura pure diverse voci antropologiche
per l'Enciclopedia Einaudi. Tra le sue molte saggi, il saggio “Uno spazio
tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” (Roma) può considerarsi
una sua autobiografia intellettuale. Ghiaroni, "Società, soggetto,
sacrificio. La teoria del sacrificio di V.", in Studi e materiali di
storia delle religioni, Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio. La teoria del
sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e materiali di
storia delle religioni. Natura e cultura: introduzione alla teoria dello
scambio e della parentela di Levi-Strauss, Pisa. Per notizie biografiche più
esaustive, riferirsi alle xxvii-xix
dell'opera: in merito alla rilevanza di V. come studioso e ricercatore; Valerio
Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri”
per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Valeriis: implicatura – By Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library(Venezia). L'immagine dell'albero
delle scienze – e della filosofia come regina scientiarum, nelle parole di H.
P. Grice, non a caso ripresa da Bacone e da Cartesio, è particolarmente
fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel pensiero europeo l'aspirazione
verso un corpus organico e unitario del sapere, verso una sistematica
classificazione degli elementi della realtà. Non mancheranno certo
suggestioni derivanti d’altre fonti e da altri ambienti di cultura, ma Lefèvre
d’Etaples e Bovillus, Gregoire e V., Alsted e Leibniz faranno preciso
riferimento, affrontando questi problemi, ai testi di Lullo e a quelli del
lullismo. A conclusioni griceane giunge il patrizio veneto V. che nell’“Opus
aureum” riprende, modificandolo e integrandolo, il progetto dell'arbor
scientiarum. Nel testo di V. il problema dell'albero delle scienze viene
presentato come strettamente connesso con quello della formulazione delle
regole della combinatoria. V. tratta la cognizione necessaria al raggiungimento
della conoscenza degl’alberi. Sono gl’alberi dalla cui conoscenza dipende
l'intera conoscenza degl’enti e che V. illustra con esempi. L’arte generale
vada ridotta a questa impresa d’insegnare a moltiplicare i concetti e gl’argomenti
all'infinito, mescolando le radici con le radici, le radici con le forme, gl’alberi
con gl’alberi, e le regole con tutti questi e molti altri modi. L'interpretazione
che vienne data delle figure dell'arte appare fortemente influenzata dal
commento di Agrippa e anche dalle tesi di BRUNO (si veda) nei suoi saggi mnemotecnici.
Più che ad Agrippa e a BRUNO (si veda), V. si richiama tuttavia più volte a
Scoto e allo scotismo (de aliorum dictis non curamus, Scotum praeceptorem
sequimur) introducendo una dottrina dei PREDICATI (Grice: ‘shaggy’) assoluti e RELATIVI
(Grice: “want”). L'esigenza di un'arte aurea nasce in ogni modo, anche in
questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e caotico
dell'orbe intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno
d’un singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile
rendersi conto dell'ordine del cosmo al di là di una caoticità
apparente e dar luogo ad una situazione nella quale gl’uomini, dopo
infinite fatiche, potessero riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra
degli alberi della scienza (Nec sine maximis incommoditatibus et multis
vigiliis id perfecimus ut philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis
ambagibus liberare et viri in scientiis consumati post infinitos labores
peracti possint sub felici harum arborum umbra perpetuo et secure
quiescere). Anche per V. le radici degl’alberi coincidevano con i principi
dell'arte, mentre lo stesso ordine di successione dei vari principi vienne
presentato come dipendente dalla natura. Magnitudo vero, quae est secunda
radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae consilio. È proprio la
scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far ricorso nella difficile
applicazione delle radici o principi dell'Arte ai subiecta. Nell''uniforme
applicazione di queste radici ai sudiecta è da impiegare la più grande
diligenza bisogna osservare la scala della natura e tutto ciò che, nel
grado inferiore, denota una perfezione priva di imperfezione, dev'essere
attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita alla PIETRA, che occupa
il gradino infimo, dev'essere attribuita anche ai vegetali che occupano il
secondo grado della scala naturale. Ciò che comporta una imperfezione, se
conviene all'inferiore, non è da attribuire ad ogni superiore. Ne deriva che la
contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche se
convengono alle cose inferiori. Il divino ordina secondo nove soggetti ed alberi
la scala della natura. Colui che desidera sapere molte cose in ogni discilina
si formi questa scala. Sul V. cfr. CarrERAS y ARTAU, La filos. cristiana. Per
la prima edizione dell'opera si veda RocenT Duran, Biblio-grafia. La citazione
riportata nel testo dall'Opus aureun: in quo omnia breviter explicantur quac R.
Lullus tam in scientiaruni arbore quam arte generali tradit è ricavata dalla
edizione ZETZNER. Orbum aerum. AUREUM SANE
OPUS, IN QUO EA OMNIA BREUITER EXPLICANTUR, QUAE
SCIENTIARUM... Valerio Valier Ex Bibliolhcca majori Coll. Rom.
Socict. Jesu AVREVM SANE OPVS, IN QVO EA OMNIA BREVITER
EXPUCANTVR. QVffi fcicnti*arumommuinParcii«,RAYMVN# •DVsLvLLVs, cam m
fcicntiarum Arborc,cp artc Krali AVTORE V. M, D, AVGVSTA
VINDELICO- rum imprimebat Miclutcl ^ Mangcr» Coffl
gratia et Priuilcgio S^CseCMay* ILLVSTRI ET
CieN&KOSO B ARONl DOMINO Antonio Fuggcro» Domino
Kirchbergx di VVnnTenhoTni, Autorpcri pecuarobfrruaiuix er»
g6 de dicai, 7: L.LVSTR . ET GENB- rofc vir,
Mccognas perpetuo Iionore colcndc; quod tempua cranscgi Augufta
> libcraliori' bus Citrrcuacionibus dandum cxi(limaui: quod
piicarcm cflc curpifsimum ; G, quac c!a- baturcommendandi occafioi amc
ncgligc^ rccun Ergo Ray mundi Lulli craditioncs ad- huc SchoIii$
brcvibus illuftravi : racus quip- pc, quod rcs, dignifsimam cflc
ciufccmodi lcicquz digna efc cof^nicione fui. i Vaferif. Eu^anex
dulcilsimagtona gencis. Prllege.quod fummz e(l dexcericacis,oput.
Ha6Venus in cjrca iacuic caligine Lullus. in Uicem reuncacquem
labor hi(cc novut* Hunc npc|legeris my Reria magna videbit,
Quar nunquamdo^itvifa fucre prius« Addr quod tngenuas gremio
comple(5licur artCi^ i Arcuquz verenomenhaberequeunt» Aucori
mericas igicur perfolvico graces: £(rc Dcimunusnemonegarepocert«
i (lNpiLVLLANy£ AR. * tiS R ARx^ EXPLICA-
tioncm Valcri) dc Valc lijs VcninV M^xfma pirs iuhUit* nuva
cm»fcifnt?a Lulli Raymfidi rxf.^^ac: pars quocp magna ncga^
Eccittcfrra ndfsfR, tradido^martt vlum; V jt Mcndacis ficriDzmonts
arrf frtufir* '* Spiritus hos agirat cundlos c rroris aman';
Qut lovar cf mnunt optima dona facri« Pauca olim LuUus nobis pnrcf
pta rcliquirs Volvlf quarafsidu^do^a catcrva manu: Hancctiam docuit
Bruno lordanusad Albim ^ Irriguum, gratusquimibi doAorfrat» Tradidit
at mctius, mihi crcdc, ValcriusiHc: Itala qucm gcnuit> Tcutona,
tcrra. favcr« Maximushimc vfutdocurtcommittcrcprarfot Quar prodf
quf nnc iam tibi doS» cohort*. Artc ncc c(l vfus Rc gts phlcgcthont is dC
aftu ; AuAornon Darmon, (cd Drutarcitcric» £t liCiC f minf ac
nuHut fplf ndor^ dccus^ Rcs tamcn c(l vcrbit antcfcrcnda bonit*
Ert^o non duhica.quinccrca (cicnria rradi Raymundi pofsic: quaro
capc, volvc>IC(;C Lf^(o lcAa placcc, lc ^am rraduciro adv fum*
^dgrauc ptinciphim; fru^hit amicusciib (> • -
1 AD LECTOREM. NOuiquidem, amice Lecflor.intereot
quofdam eflTc qui fe fapientes cxiftimat, qui verborum potiu$,eIe^
•\tjam, quam al- Cifsimos fenfus curant« f^uni verb res ipfae
ponderandse potius quam verba fuere* Mo- re etenim fcholafticorum quod
vnico verbo cxplicare potui libentifsime feci^nec verbo' rum
concinnitatem curauu Non fuit ociuoi crrata corrigendi. Candida igitur
meor cc ipfe corrige, ac impreiroht currenti manui Hmul
igQofcc^Valc» .M3;iOrD3JUA 1.lii ccl .
-TJTrn m^: .. .. h INTENTIO AVTORIS EXPLICATVR, IXIT
ANNIS ABHINC Raym»„. circiter irtccntii tnpgnii quidam Vir fummx e-
Lullus uditionkdc fapientije,nccmi/iorii (Brfdn) fdn- fepp^
6htdtis. nomine Raymundui tuUws, qui maxi^ ecqualisfu \ndm difficulatem
in fcientijs quihuscunc^, confti* crit. ^tutam admirdns, dc edrundem
inter fe uarietd^ ♦Duos l\. temcontempldnsyhominis
miferidmdef>lorauit,quod longo tempo bros Lull»
rislhdtioperdeuidfcientiarumerrdndo, uixtandem oh immenfum *c'^'pfif.ad
laboremi non mmus confujdm quam exiguam rerum cognitionem aj- .,
fequnetur: Cupiensq; Uterarum cultores db ooc feruitutls wg) /i» paradas.
berdre^ dc breui temporis curriculo in fummdm omnium fcientiarum Qija re
pau noticiam deducere : nefcio quo diuino dfflatui furorcy inter cxtctd
ci ad noti- 9duos Ubros ddomncs fcientias djjequenddf confcripfit :
quoruunum ciam artiu breucmdrtcm, dlterumucrbgcnerakmdppcUdt, cx quo
poileriori "V*^**. priorcm coUcgit.Veriim ob lon^m cxpcricntiam
deindc cognofccns jjjyg^jJJJj* pdUcosddiUdrum cognitiottem deucnirt, tnm
propter fin^Urc dc ^ arboa ddmirabilcdrtificium, quoda>ntincnt ; tiim
ctim ob prxceptorum rcm rcien? pducitdtem,quibuiimmenfum fcientiarum
chaos impUcatur, uoUiit tiaruiti clas mclariwi fentcntidm fuam cxpUcare;
tdU amcn modo nc fdCra dpro- rui s _ L u 1 1 i phdnif contdmindripoffent,
cr non nifi fummdlnffniddrcanorum •'■'^'ctu cx penetrdUddeguitdrcnc. Ad
quod pcrdgendum Librum cdidit, quem nominarc uoUtit thrborcm fcientidrum,
nec immcrito : quoniam ea cnciaru no omnid»qu4e db omnibui fcientijs
unipoffuntcoprxhcdi, LihcriUe imeriro ra. qudtuordccim tintum arboribws di^inShts
miro modo confiderat. lis dicicur.
Q£icumddmdnusnofiriudeuencrit,curduimui mdiori, quam fieri Intetio Au
poterdtffdciUtAtCteimUbrifenfumdperirc^a-circahoc unumton «hoiis clr^
noflrd mtctttioHcrfdtur. Qu^ddm cnim inutilid fubtrdximut i aU- ci^^od
> qud ucrb uddcncccjfdrU ddiidunut;[lcutilpdrjim m toto
opcre tcr» QuxprjB^ mpoteflyCt potijiimu in primaetquartx
pttrtCy'mquaruprimi,pir^' cipuein pri ter animJtducrllonesin
totoLuRiartificio siimc nccijjaridis fabricd' mx ct quar ^j-^j^ Catc^rias,ucL,ut uulg» intcUi^t prddicamcn
qu£ cnti* AiK*-'fiiu coucnirc pofjunt, quxcuq-fint iflj fiucrcali4,fiueab
iih- addira. tcUcCht fibricata.fluecrcatd ucl incrcatd.*Adiccimu^
mfupcr in fc Qnibusca- cunda parte arboriunicuic^proprixs formaSy ea
omnia brcuitcrcx* regorixno pUcando^qux ad arborcmquamcunc^
rcducipotcrant. Intcrtiaut* ftrx conue j-o p^rte cr quarta proprio
lAartemulta dcfumpfimuiy «t i«grnw/2 . cognofcere potcrunt: NecfJne
maximis incommoditatibm cTmultis funHn*ia^ wgrZ/yj id pcrfecimus. ut
VUlofophit imbuti ualcant fe aliquando ab nteaddira*. infinitis ambagibus
libcrareya' Viriin fcicntijs confumati pofl infi* Quarchoc nitoslaborcs
pcrxBcs pofsint fubfclictharumarBorum umbra per» opus Aut: petub CT
fccure quicfccre. Isonrcprthcndant nosEloqucnti£ culto* cdcrcvolu
resfirudi Mincrua in fcribcndo ufi fumuty quoniam fatis trit (ut ar»
"j^*, bitramur) fi fub rudi cortice DoA Eloqucntcs fua ^loqucntid
tie* Bonreprx* crgM^?4rf poftrint. Hi>«r ^Morww prxcognitio neccffaria
c/? ad confequendam In fccuda, ftrbortmcognitioncm.
infccundapartequatuordtcim arborum n4« turam icclarabimuSy ex quarum
notitia tota entium cognttio depen» In tertia, dct^ I n tcrtia exemplis
iUvftrabimus qu£ tum in prima quam in fet In 4ta.quf cuniapdrtetraduntur*
In quirta uerb ct ultima moiumo^endt^ doccaniur p,^,^^ fpf^ gencralis ars
Kaymundi adhoc opus fit rcduecndai cgrcgu, iQcdidoulteriiis multiplicare
fcrme m infinitum conceptui» rfrgir* mnU utt cuiuscunq;
dUctiut gentrk cmf>Uxd tim pro piYtc un4
quimfalpitmifceniordiiccscumridicibui, ndiccs cunformift dr^ bores cum
arboribut CT rcgulM cum hii omtnbus^ CdUjsmuUiS De primaepartis
divifione» PRtm4 pirs in quinq; partcs fubdiuiditur, in quarum
primdrd* Principall». dicum ndturd arborts cuiuscunq; oflcnditur,
Infecundd arbo ^^P^ ^jj rumfDLidnumerdntur,dcdccldrdntur, In tcrtid
fvrmdrumcf [tntid expUcdtur^ In qudrtd qudJUonum uel reguUrum quidiitdi
dc et * numcrui (locetuK. In quinta ucro cr uUimd animaduerfionesqud* ^t*
ptc tuor prxccdentium.pdrtium ponuntur,qu4rumnoticidddLuUio
mniu fecretiord intcUigenda c{t neccOfaridf ' "
ponuncau ^ lecrcraLul
DE R ADICIB VS in Communi» liinucaiga da.
LOquuturi de principijs iUk uniuerfdUoribus qu£ quodUbct cn ti/s
gemps circunda nt dtq; infcnfibilitcr pcnctrant, ncmpe dc Bo^ Enum erai
nitdtc,Mdgnitudine, Duratiofie,Fotc(tdtc, Sdpientid uel
cognitione.VoluntdteuiU^petitu, VirtUtCy Veritdtc» G/orw, D»^-* 5^,^-
rcntidyConcorddntid^Contrdrietdtc, Principioy McH/o, Fwe, Miff^emid^
Concorddntid dc ContrdrietAtc» cum tribus pnmk rd- iicibm dbfolutis
concordet : quid ficuti BonitM notdt effenlidmy Md" gnituio
perjeBionem rei efjentidlem, cr Durdtio tiusitm rti fxi- S^entidmuel
fubft^entidm, ficper Concoridntidm cr Diffrrtntidm habeturiettrminans cr
ieterminjbilt tx quibu* unAconiunfbsrti cxifientidpeniet dc perfcCho.
Cwttrdrietsiutro Durdtioni reffton» det, quonidm res extrd caufdm fudm
exi^entcs Udrijs paj^ionibui af' ficiuntur,qudrum ratione uarijs quoq;
oppofltionibm funt futie^^*. Stcuniuitriingulws qiti e{lie Principio,
Meiio dc Fiiit cum tribu$ pofttrioribus rdiicibM optime conutmt, quid
poffe operari quoi Foteftdtidifcribitur. Principiumrequirit^
quodeftauthor operdti- onfs. Cum Medio fsmbolum habet mdximum Sdpientid
uel cognitio» O* t conutrfo, quid utluti Mtdium intcr duos limitts
conftitutum tft, itd cr Sapicntid, inttr potentidm cognofctnttm cr
cogmtuw obie» Oummeiiat.Tinlsutrodpprimi Appttitui ucl Voluntdti
propor* tionatur. quia nihiiiefiieraturnifxob aliquem finem. Tertius cr
ul. timus tridn^lu4 ie Sidioritdtt, Atqualitdte cr lAinoritdtt
opti' mdmhabttSymmetridm,cumultimis tnbus raiictbus priork arii*
nis. qudmfic ofieniitnui : Cum Virtute S\diorit4x mdximi conuenire
iicitur.quid Virtuf eit fons ^ ortgomultirumoperdtionum.qu£ iuo
maioritatem qudnidm infinudnt: Vcritati Atqualitds ti^iunfbl cum
VeritMfitditqudtioquxidm uclsqudUtMeffentit di fuam i» iedm.
Etdeniq;Gloridueldeleditiocumab ommbu4 non ^qualiter ftt pdrticipdtd,fed
d quibufddm m mdiorigrddu (fifds tftfic bquiy Vdk
cr ab alijs in minori, ah aUquihm proptic CT e&iuisjicuti cr uicifum
iUa dc bonitate ^ ^*' (imo quodUbet dc quolibet cr de omnibut prxdicari
dicitur) ideo efl iUis ratio cur bona. uocentur cr quatenui talia
bonum producere pof* fint, Omnes igitur arbores acearum partes qu£cunq; d
Bonitate ge- neraltbonjc dicuntur^a-ficutibonitas ffneralifefi fui ipfiut
picnA^ cr cttenrum partium : (ic BonitM particulark datur. qut fui
ipfi* B oniras q '/^ P^^' ^ aliarum partium, Tunc ^nerilis Bonitdt cfi
fuiipfiut modo fit plcns, protit concernit bonificatiuum, bonipcare,
crbonificabile^ plena fuii- Tunc uero diiirum partium pleuA exiflit,
quanio per mgnituii* pfius. nem r magnA, per Durationem durans, atq; per
cxterat radices td^ Bonitasqii Hf^i^ffndicaturdcBonitateinparticulari^s.
Trunci, Brancharum aijar u m -^yy^ arborum partium. ConfimiUter quoq; dc
unaquaq} radi* liulicplea. ^j^^^ j^ncenimfuiipfiuiplena erit, quando
potcntiam proximant p proximm
iffndi, a^m dc corrcUtmm connotihit» fcd exterarum partium, quinio
46 dijs earum limdituiinem fufcipiet^ JEjJent ipfi* ui Boniatis
qudmpLurtm^ proprieaxtes defcribenix.quM Pythd^* rj(y Arijio :
t^umeniusPUtonicuf, MercuriusTrime^ftMi P^' Dialo: fo> cr pUto
enumerant, mter qu4s tlercu : Trim : ai Tatium loquens^ nouem
dj^ignAt, quonidm txlium proprietdtum notio plurimum proi deji pro
txornAniis conceptibus dcmeiijsdrgumentorum muenien* iiSy iequibu/idlidsuerbdfdciemws.VdriM
uerb Boniatis iiuifiones tu ipfe ooUigito ex iiuajd drborum
iiflm^one : ii^ poterk obfer* UdreicdUjsrdiicibus» De
Magnftudinc» MAgnituio efl ens rdtione cuius omnes rdiices funt mkgnt
dc q^\^ (Jj c£terd entid. Cuiui iefinitionis pdrtes confwiili moiofunt
Mzgnhii» explicdnixyjicuti m Bomafff iefinitione explicdtx funt.
do. t(.cf}dt tintum ofleniere plures mdgnituiinls dcceptiones,quje tres
Variz ma- funt nempCy uirtutky moliSyVoperdtiomim, qud^ LuUm optbneco
gnitudinis gnouitium lnquit» Mdgnituio cfl ambiens omnes extremiates ef.
^cccpiio- ftnii, pcr qux ucrbd inmit triplex effe^f effcntit cr
fpiritudle^ cui conuenit primum mdgnitudinis grnw icquoabunic dicctur m
Cdte* ^rid QUdntititis : aliuiefl efje ccrporeumy cuimagmtuio molis
ac uirtutiscompetit. Tertiumefieffcm d6kperoperdtioncm, cui re*
lj)onietoperdtionummdgnituio. Et h£c ultimd magnitudo multif moiis
uariatur, flcuti cr udrix funtoperdtionum jf>ccics, rcalcs, in Va rix ope^
tentionAles j immanenteSy trdnfeuntes : ndturdlcs^ dcciicntalcs :
rationum proprit, dppropridt£ : re^it, refiexjc : fj>irituales,
corporalcs % ^P^cics, necclfdri£y contmffntes : inftdntdnex, cr in
tempore faiit i fj mlt£ diix qut Philofophis cr Thcologts funt nott,
DeDuratlone, c l^urdtio
Daratioqd T^Vrj^io eftensy per quoi rddices
cmnesdcrdiquientUda* (i u I J rdnt: V multiplex efi. Qu^eddm enim uocdtur
timput conttp Multiplex nuum, qud res fuccefiiu^e dimcfurdntur^
utmotui omnes.Mid duratio» jfQcafur Aeuum, qud fj>iritudles fubftdntix
finita nec non corpore£, absc^ udridtione fuccefiiud conJiderdt£
mefurdntur. Vltimd uerb Ae* ternitds dppeUdtur, qut foU Deo compctit, nec
fucce^ionem dlU qudmuclmutxtioncmflgnificdt. liec eft cenfendum Deum
menfurd- f.li:sntiar. ridurdtionedliqudycummenfurd menfurdtoflt prior
digniate uel i.q.dift: 9- HAturd :atq; finitis folum conueniens ut mquit
Cdpreolus^Et Ucet dim Quomodo
cdtur,€ternitdtemT:>eieffemenfuram,ficdicituryquid Deusa nobk ^ternitas^
4pprffc««eciefu4 titu aftiuo conferudndd. Ex quibus uerbis pdtet
eum mtcUigerc dc ddiuoi intelligai. quem omnid entidhdbent,quidindliqucm
finemtendunt. £t ndtU' rdUs cft, qui ndturdlcm pr/fupponit
cognitionemy qut longe melius Cognitio Dirigentis cognitio potcft
nomindriDci f benediBi omnid, in fuos Dirigctis. p^^^ perduccntk. Sic
homo. m fuum finem tendens^ ndturdUm hdbet dppetitum,
idemdcbrutisdicds, licctddutilidprofcquendd, crno- ciuduitdndd in
hominedcbrutodUus dppetitus uigcdt didusq; fen* In h oiet ret ^n^s cum
his, qui Voluntdjs dicitur eft in eodem homine, quo •ppctitui. ^^p^^
.^p,^ j^^^^ utendK, cr Htitur f-utndis^ Dc Virtute*
13 Vlrtusellori^unionkridicumomnium. Et orituruirtwthjtc Qu\d
Virt» A rciunitxteyqudtcnut dClum proprium rcs cAdemuirtuose ^ ^ndc
o- producit.EtutprobcinteUi^s. tiibiLaliudejl uirtus (qum
intcUismui)qudmfacultdfilld innAtxrei,qu4 eliciuntur operatiof yj^j,^ nes
conformes. Et dilHnguiturdPotejldte optrdtiomm, de qud fuf j^u^j^ ^jj
prdloquutifumuiyquidPotefldsantumdicit non rcpugnjjitidm ai ftinguicur.
operdndum : Virtus uero toUit utiq; rcpugndntidm, cr prxtercd co. notitm
opcrdntehdbiliatemuelproprieatem qudnddm fccundum qudm conjimiUs operdtio
producitur. Nim^J prolixui clfemlimultas tiirtutkJpeciesdcfcriberem.Tuipfcdifcurre
per drbores omnes dc per omnium drborum pdrtes, v^cudrids diftm^bones.dc
mfinitum mmerum proprieatum hdrum^ uel uirtutum inuenies. Difcrimen
timenfdcito mterinnAtds uirtutesdcquifitM, cr infufds^ Dc Vcritate*
VEritd/Sy efl id quoduerum e{l de rddicibuff cr de omnibus enti» Qutd
Vcri. bws. Qtt£ueritdi uclref^icitreiexiftentidm, uel eiusdem ef^
tai. fentidm. Siextjlemidmy tunchdbetur ueritds cont'mffns:cr Veritas
qe- iftomodo propolifiones de fecundo ddidcente fintuerje cr etidm de
>£»ltciiiiam tertio ddiacente in contivffnti mdterid : fi ii notit
propofttio quod d p p ^ j j, pdrtereifuit ueleft. Si dutcm effentiam
ueritds rejficit, tuncneceffd- ^^^^ xiAeftcumeffcntis ed notet, qux
tjliterfuntuniti.quoiunumline cundo et glio cjfe nonpo^it, V unum eftdceffentiddlterimcrdmbounum
tcnio vcr£* tertium conftituunU Dc Gloria vel
Dckflatione* Lorid eft ipfd deleSkLtioy in qua rddices omnes cr
cxterd en- ^.^V* tid duiefcunt, Notxre oportet, quoddc rdtiont Gloric duo S
-* funtJciUcctquodquiefcdt,cr delea&tmem prxbedt, quo»
^tio^gio. nmdUcrumfiremoutbisGlori^mnoncognofcef.lidm Lapif fur fj,
coSdd. C > fmn und^ G fum detentuf
((uiefcit cettejei non dcle^tur. Hkceli^ quod fton efi gloriofut* Homines
quoe^ muninnif deUdantur^quU tnmeneorum Cloria im - appetitut non efi
fitUTy iieo glorioji non funt^ Clorid boc m looo Droprieco
proprieconliierdturyfcilicct pro qudcunt^ completa, dcle^tiont, hdctzi
hic rciconueniente, feicum quictej quAomnidfruuntur. VropriA autem Gloria
pro Gbrid duplex c/?, qutediam »«cre4ta, qua Deui bedtuicj} fruenio fem
pria cft du- jrfircri uerb crwt» dicitur^ qudtenwt m cretturd recipitur,
«b P wcrcdto tmen Dfo, prmcipdliter in uolunntem proiuih» cr
a>/w EpUog* cs r^^*^'^^^ totim dnima rffentidm rdtiomiH
credtura. Ef fic hd' orum qux
besnouemdbfolut44rdiices,qu4rumprimatresdrboribufCTedrum diCtk (Unt.
pdrtibuf tribuunt cffentidm, perfe&ionem efjentix, CT Durdtionem Utl
e%ifltntidm,Tres uerohdx immeiidte fequentes, potentidm ope»
rdniiyiuplicioperdniimodoqudUficdam fignificint, uiieUcet ru^ turdli,
quiper Cogtutionem inteUi^tur, c^Libero, qui per dppeti- tuM expiicdtur.
Per ultimds dutemy Gloridm, f cr que edm prace*. iunt, inteUigefinemt
Seidirejpe£hud(rdiices efl ieuemenium,qu£ Arboribm extrirtfecum effe
Ur^untur, z^multum fdciuiH di cognot'^ ftenidm Mturm cuiuscunq;
rei, De Differcntia* Quid DiU
T^TCplicdtkdcdteUrdlkdbfohitkrdiicibuf^refidt ul idrtjffe*. fercntia.
f^jSiudrum iecUrdtionem ieuenidmut. ?riu* amen quaidn prrmittere uolumat
qut fumme fluiiofi obfcrudre iebent. \Ha Kota, ter omnid hoc prtcipuum
efl^ ne rdiices iflx fumdntur pro dbfolHtB edrum effe^ dlids mdximd
fidtim oriretur confufio, mter prioret CT
hMrdiices,qu£Confuflocdufdr€tur, quoineq; reindturdexplicdri poffet,
necminut m probdnio, iocenio, uel confuttnio iuuenk fuum Qualitcr
confequereturpropofitum. Confidereturigitiir Diffvrentidnonpf Diffcretia
dbfolutoiUo,quo abfoluaresdbdliddiffrrt,fiuehoc Jf>e&tddiiffi^ fit
confidc- rentidmcommunem, propridmyCrjpecificdm ifedpro reUtione iU
"^**** U, qu£ m bkfuni4t«r, cr ii(m inteii^tur dt Concorddntid,
Coit* tftm* m ff
trdrieate icatijs. Ex quibui pdtim errormdttiftfiaidppdutliettri-
Ettot €iComelij Agnpp£,quirddicesiUdiUtlpr'mci{>id,fubdbfolutoelfe
g''PP»» confiderdt.Vir ijle do^j^imut.qudndo de Mdgnitudine
loquitur,qu€ ^eopdriterwmittAtur dbfolutum principium iUdm difiinguit,
in uirtudlemy m corp&redm ; qu£ dicitur Mdgnitudo molky cr m
iUdm qujt m opcrdtionibui rcperitur.VirtudUs Mdgnitudoiex D.Augufli li.'^.dcTifc
nifententid i nobis m cdp : dt Magnitudine dUe^a^nibildUud eji,q ♦
perfeBio fffentit^ qud perfrBione dliquod unum db dlioejfentiiUter
diffrtt qu£ dUo nomine fi>ecificd uel DifjircHtid magis proprid, uo*
cdtur, qudm idemmet Agrippd mcdpide Difftrentid fub rdtionet' ddem
quoq;confid(rdt.dum diuidit Dijfrrentidm incommunem,pro* pridm» cr magls
propridm:quod fuperfluum efl CT uitium^cum prx» dicdtihxccr
priordhdbedntoppoflamnuturdmy V eonfequenter oppofltum conftderdndi
modum» hoc etidm contrdintentionem ^^^^^^ y^. huUi omnino uidetttr, qui
dumdeflnitDiffrrentuim, inquit,Diffr» grippx, eft retidefiid,
rdtioecuiHfBomtM,Mdgnitudoetc;funtrdtiones incon^ contraLui fuf£. SiinteUigeret
ipfenonde reldtione,fed de re dbfobtd,no diceret: lum. Bifjrretid efl
idyrdtioecuiusBonitd/t etc:funtrdtionesincdfuf£f AnU Animad- mdduertendus
quo^ efi ordo fuprddfiigndtusycuius cognitionon pd. Tum efl utilfs
ddfoluendum drgumentit Kec minus principid hxcy o* mnibut tX quibufcun^
entibus conueniunt, qudm dbfolua» li£ccuM dignd fcitu dc necefftrid
effedrbitnremur, omittere nokimu^, ne i- gnordntit uelnegUffnti^e ttotd
reSnrdtione nos fludiofl crimindri foflent, Modo expUcemus Diffcrentidw,
Diffrrentid efl idy rdtiont DifferelU cuius rddices omnes cr cxterd entid
funt inconfufd CT diflindi.Quid quid! fddix ifld efl fummte utilitdtis
utter entid omnid^ i qud omnk ornd* tusdcpulchritudo mdximd, dtpendet:
nonpiffbit eius Utifiimdm nd* turdm oflendere, ut difcrimen omne uel
diuerfltdtem inter res omnes ^dre cr perff>icue cognofcdtur. Totd
DiffvrentiiC ndturd dd h£c cd» DtfTeretrx pitd reducitur ^f dd
DiMi/io/iew, DiflinHioncm cr No« identitdtem* ^ ca pica»
Etifidtridflcddinuicmfunt ordindtdy quod fecundumefl fuperiui ^rdo.
it Quare di- y?{„(ffoy ab aUjs duabus pcrfonts, crtamennon
elidiuifusabiUis; uiliono fit quiidiuijiofempcro' in quocunq; reperiatur,
notat imperjiBio* in diuinis. ^cctidm in corporcis tantum inucnitur
cuiufmodinon efl Deus^ difiindiouerojiperji^ionemdUqudmnon lignificdt
neq; imptrfe^ Noniden aionem^l\omdentitisuerb,efidddifiin(iioncmfuperior,
quid qus liutis rta funtinttrfedijUnihyparittrfunt^ noneadem:nontamcn
ftquitur: tura& in q f^qu£funtnoneddem,effediflin{bi,qHoniam
KonidentitM repcri* b»inueu£. ^^^ pojitiud,uehfjirmdtiud,dutucrdentid,
fcde- tim hdbct locum inttrentia, quorum unum tjlajjlirmdtiuum CT
aU* ud nt^tiuum, ut intcr tffe c non cffe : unum pojitiuum cr aliud
pri' udtiuum, ueluti inter uifum CT cxcitdtem ; unum ucrum cr dliud
fi» {btium, jicuti inttrPetrumcChimxrdmiCretim mtercd, quo* rum
unum dChiaUter txijlit, aUerum dutem nequdquam, qucmdd* modum mtcr
Pctrum, quinunc efi, cr Antichriflum creandum, fei D*ninaio hkreperitur, quorum quodlibet pofitiuum efi,
utputd ubi fic. i^'»* ^ftrum tT Paulum. Ef Ucet pro ne^tio noflro, tam
diuifio quam dijiindio, fy nonidentitdf fint neceffdrid : dttdmen
dijimdio mdiorcm exhibet oommodititem, quid de rdroentidne^tiua,
imt poj^ibtUd dd exifiere, cr priudtiud ueniunt confidcrdndd,qut
ptr nonidentitdtem poffunt feiunp, ideode Difimdione cr eiu4
Jpeciea bus loqudmur. Si tamen dUjs partibus uti erit opiis, earum naturd
4C OCto difli- '/^'"^'^«'^cb/f qu£di(kifunt manijrfij reUnquitur.
Ododiftinaio* ftionu ge- numffnerj,crtotidemidentitdtum,ATheolo^rum
omnium Vrm» nera. cipe fubtiUj^imo Scoto funt exco^tatd: quorum ufus m
fcientijs quii bufcunqx tft udlie necrffnrius pro ueritate inds^nid
CTfdlfitdte co$ gnofcendd. Dediftindiombus ftjtim erit fermo fed de
identitatibuf, Primu ge», in fequentibus, ubitrdMitur dc Concorddntid.
Vrimm Diftinfiio» nhffnus t7 tiUffnm
uocdtur diHm^ordtionkiqut irdtmAli pottntUori^* ntm ducit, m quantum
tandem rtm ab ilUmet di'iinguity ftcunduni gUum er dlium
conftdtrdndimodum. Ctrtum tft» quod bomo m pro^ pofltiont dUqud
confidtrdtus ut fubijciturt ut prttdicdtur.dfei^ pfodiflm^itur,
qutmddmodumcrpricdicdtumJifuhit^h i non rtt
gUdi/lm&ionttquididemAftipfo rtalittr diuidi non pottfl, i^tur
fdtiondUy quonidm tsUf di/lmfbo folum rdtionH bcntfcio tfi mutn*
m^Stcundumffnuttlly diftm(ho txnAturdrei:queinttriUdmuf •
mtur,dtquU>us contrddiBorii pr^dicaa utri prxdicdntur,uel ndti
funtpradicdri^nuUomttUt^concurrcnte, qbtorum tiltm n^tu*
rdm,Pcutipottfldici(inquiuntScDtift4tcbtntydt InttUt^ Dti, crVoUintxtt*
inttUt^UiStnimDticumtfftntiddiuinAdd ¥iUj ^nt* IntcIIc£luf rdtiontm
concurrit, cr non uoluntM : cr concurrcrt» cr non wncur* ^9.* rtrt funt
contrddidorid : inttr inttUe^m igitur cr uoluntdtem, di ^^[J,* pinHio tx
ttAturd reioonfurgit. \dtm dicunt dt ffftntid diuinA cr r« Essetifbci
Utionibui perfonAUbut ; quiddutinA tjjentid tribut diuinis ptrfonk 4
rcUtioiii- tommunit txiftit^ non duttm rtUtionts ptrfonAUs, erg) tx rti
UAtu- but diftiiu. rd iUd db his dtftinguitur.Ntedtfunt incrtdtk infinitd
txtmpU. qu£ ^^0* trtuitdtis gratuomittimut. Ttrtium grnwcft, diftinSho
/ormaUs : 3™' S^" • CinteriUdeft^quorumunumdliudnonincUidit in primo
modo di» ctndi ptr ft, cr hocmodo fuptrius
quodUbttibinfrrioritftdiftinm ibimiCnoni contrd j utl iUa, qut habtne
diutrfxf dtfin> tiones, dt- . fcriptionts, uel uarios conctptus k
parte reiy hac difiin^bont funt dif ftin^.ftcutihomo O"
fuarifibiUtis. Quartum gf/J«4c/^, dtftindio 4111 gen%
modaliSyqu£oriturinttrtlJentUmrtiaUcuiui,Gr fuummodum in* irinftcum:
quxdcfaciU pottft inueniri inter aWedinis cffcntimt CT 'grddus eiuidtm ptrfiSbonaUs:
utlinter effentUm caUditatls,CT fuos grddus : utl inter Dti effentiam cr
infinitatem (fcoc uerum prdfup» ponendo.quodinfinitds fit modm intrinfecw
in Dro, ut omnts fire Scotifiit parioonftnfu affirmdnt) utl inter unum
modum intrinfccum cr dUum, uti inutnitur inttr grddut dWtdinis CT tiut
txifttntiam» Cmintumffnuitft dijlinibo rcdUSfqujcconfurgittxrt cr rt. Rts
^m.gen*. D in proi tt m propoPto
dccipitur pro eo omm, quod poteft corrumpi cr defiru^ alio remancnte cr
ccontrd, ut dlbedot qu£ potefl deflrui fubie^
mdnente,reaUterifubie£hdif}in^itury idem dtcatur de nigredin»
tyalijsaccidentibuiy cr deomnibus fubflantijs primit. lUa quoc^ res
nominantury quorum unum cft ffnerans,cr aliud genitum^ cr hoc li :
prim 0 "» tiocdtW.fedinahliritShyUt nifjvrentU ultimd Vttri»
eli VetreitM, if{£ dijlindiones omne genut entis circundgnt, omnesq;
prtter penuUimdm conueniunt (fuo modo) entibut d ratione fabri ^^^^ ecies
confiituit, fgntiz fpci quarum priorrepe^itur intcr fenfudle cr fcnfudle,
quemddmodum LuWo afi> inter Uominem cr Afinum. Secundam confittuit
inter fenfuale cr w« ngn»cH expUcdt£ continentur, qufrftt- tuendum.
Optimatdmeneflintcr 'tnteUc(fuale cr inteUeftudle con* corddntid, ueluti
dc intcUe^bt cr uoUintdte poteft cognofci, qu£ cb eorum lf>iritudlem
nAturam nontdntum in cffcntid conueniunt.fedf tidm in operdtionibu/ty
quid quod uoUintas acceptdtvel refutat, idtm inteUeduscognouit. Hoc
femper animdduertendo : quod frnfudledC» cipitur pro iUd re.qMC fenfu
priM cognofcitur, cr inteU edti pojieri* us : fed per inteUeii Udle id
tdntum conpderatur : quod ab inteUedu ^uocUnq; modo cognofcitur. Adhas
concorddnridx uel fccundum Lul - lum dPignAtdSy uelfecundum Scotifldrum
fubtiUtdtes, concordanti^ f. omnes proculdubio reducuntur : uerum fi
numerum infinitum hdrum ?rkadiin'/
identHdtumtibicompdrdreuolueris,poterhhoc utH medio', difcur^ finitasidci
rendo uideticet per quvnq; prxdicdbiUdy per decem prtdicdmentd^ dtates«
pcr oMecim prfdicdtd uel rddices Lwlli, cr demum per formds : i«
iemobferudrepoterii dd muUipUcdndum quoicunq; prtdicdtam^
tamdbfolutumqttdmrejpe^liuumyrecurrendoetidm dd nouem fub* ie^ cr
reguUs uel quxftiones, DcContrarictate vcl Oppofitionc^
NOn efl oput muUd expendere in iecldranio quiifit oppofltioi cum A
Difjvrentid uel Di{iin(iione, ic qud fuprd locutifumws,
nonmuUumfltiiucrfd^nonmUdtdmcn diiucemus ut huiui Contrarie- ^i^
'^^^i fi^^' ^ontrdrietd* fk
iefinitun Us quid ? Zontrsrietd/i f quorunidm mutua reflflentid. Pro
cuius iefimtiontt expUcdtione fcirc opottet : hic non lo^ui nos ie
contrdrietdte iUd, proprid^ 1 »3
pTopriiy qu£intcr qudtuor primM qualitdtts inucnitur : quoniamin de (^ua
co- ommbas cnt^us, nmpc rdtiondlibui dc rcdlibuflocumhdhcrcnon
tf*iictate potc{t,nc(^ de cd inuUigcndum ciitdc qu^Antoniut Andredt
loqui* Ij!^ tur:cuifcxproprictdtesconucnirctcit4tur,qudmq;ftridjim
oppo^ taph?* Q 6 fitioncm ucl contrdrictdttm uocdt* Scdbic Contrdrictdf
confidcrdn^ • *i* • dd pro qudcunqi oppofitionc, qudtenus unum
dlteri opponitur ; fiuc mcdidtc ucLimmcdidtc : compLcxc uel
incomplcxc^ ticc imdgind* ridcbes tdndcm cffercmcum Dtffcrcntid:
quid Diffirtntim confi- "nttio r r ^ n contrarics
dcrdmi'4yUtpcr cdm enttd inconiu^ rcmdncant ; Oppofitioncm jjjj, ^
^jj^; autcmutnonfolum rcs dijlingiidntur» fcd ctidm intcr fc
qudnddm fcrcntia» pugndm hdbcdnt, Secus ctenim rdtiondlUdif
confidcrdtur ; pro ut db irrdtiondlitdtc diiiinffiitur ; CT qudtcnm
irrdtionalitdti opponitur, quid oppofitio rcpugndntiam dicit, cr
nc^t, id pojje ficri,quod eS' dem rcs fccundum idcm cr fimul
oppofitd in fc habeat ; diilin^io ttc-
rbineodemacjlmulinucniripoteit.lnfuperoppolitio ucra interea
cjfe dicitur^ qu Ex multorum dccidentim com» Inultrq.Ii: munimcognitioncuirtutcintcMuidifcurrentiiydeuenitur
in cot i. PoHc ^nitionm alicuim proprij, quodq; m fu£ caufe notitidm
ducit, dtf» fircntue uidelicet effcntialis, eciem reptjefentdtum,
cum tddem potentid conneBit, Medium dUud dicitur menfurt, de quo
R4>: hxcponit exempld, mquiens: Sicut centrum. quod eft m me» dio loco
circuU; cr cdUftcere., quod eii in medio calefdcientis CT cc* E X
citi xt uesdiciturTink nt^tionk : quo iUd tfu^percorruptionem
quomm docunq; confideratdm fuum ejje ptrdunt, finiutttur. Tertia CT
uUit Wd nomindtury priuattonkt quid priudtiofub ratione finis
termtndt» Zthocmododdc£ciatemuifuitermindtur^ Cr dd furditdtem
dudi» twtt Hkq; tribut /peciebuf Fink» uel und dut dudbui^ tntid omnid
tetm mindntur, ut difcurrenti per arbores omnes dc tdrumpdrtesfdtk
poteflpdtert. DeMaioritate, VdmuU dUquod
unum ens dlio mdiwt dici pofiit^ rdtiont dlh quot prxdicdtorum
abfolutorum^ uclrrfpeiliuorum,dut forp 'marumy ueldeniq^ultimi fubie^ii,
fub quo nouem dccidentif prxdicdmentd continentury tres tdmen Mdioritatk
J)>ecies dfignarc tres Maio- poffumus, ddquas omnes dUjereduci
poffunt. Maioritas quxdam in»' nutisrpes. uenitur mter
fubfiantidmdcfubftantiam.quxdttenditur penes wi- iorem cr minorem
effcntix perfidionem : ty fic Homo t{t Afino mdior. Pdid
interfubftdntidmtjdccidens i quemadmodum ejl intet Hominem dc eiut
qudntitdtem. Et qu^dam dlid inter dccidens cr 4C# cidens ddtur,
ficutitxempUficaripoteft de omniquaUtatt per com» pdrdtionem dd
qudntitdtem, cr de omni dccidente /piritudU refpedm MaToritat corporei.
^iecdUudeji Mdioritdt, qulm ratiOy qud dUquo di&crum quid ? modorum
unum ejl aUo maiwt^ ucl pluribm. Et hoc in loco fubflanti4 dccipiturnon
tdntum pro corporea, fed ttidm ^iritudUdc infinits» DeJEqualitate»
*ICQttdUtdfin hoc toco dccipitur^ non ut tfl pafiio qujntitdtk
prxdicdmetttdlk, fedqudtenus cum ente conucrtitur trdnfcen» dtntifiimo:
cr in hoc diffirt x Concorddntid : quid A equdUtds efl eiu4 ^qualitaj
finis. AequdUtat inuenitur inter fubflantiam cr fubflantiam ; ficuti auuir""*'*
'«^«•'«4iwe^uis rddicibui omnes entium f^ecies cir» €uit. In diuinis amen
nec Mdioritdi nec^ Minoritds bcum bdbet,qui4 iftorum uter^ imperfifhonem
mdximdm pgnificdt, Hxc dc rddici^ bus tm dbfoUitis qum rejpe^uis dida fint,
DE NOVEM CATEGORIIS Tranfcendencibus* D^^cUrdtis
principijs dbfolutk cr reJpeHiuky qu£ m uha qudq^ drbcMre pro rddicibui
funt prmda^ reftdt ut fecundo U>* co de folijSy qux omnibui drboribuf
pro fiuQuum conferudti* cnty dc totiui arboris oruAmento funt communidy
pertrddnnus. Et ^?.^^^J^ Ucet dUqudntulum d trdmitcLuUidecUnauerimus itt
modo trddendo, ciinau quotmcredtis quAm diuinis drboribus htc omnia.
filid oonuenire popint: qu4C dpud Peripdteticos nouem dccidentis
prttdicdment» ho« €Mtur : ignofcdnt t^men nobis LuUimatoreSj quidii
obftrudre «0* Qnire Aii- luimui,ut conceptuum
dr^imentOYumlonglor ftticfUi qudcUn^ thora Lul ntdtcridhabcretur.
Hjecetcnim trdnfcendentifiimd confiderarc n*. lo dcclincc ^^jp, . p^^^
realiquolibet Ente CT rdtiondU prxdicdri co^dcrari^ poj^wf. qutre/pe^h
Entis trdnfcendentipimi mfrriordfunt; fed dt dcbcat iftx principijsquoq;
tdmabfolutis qudmrefpediuls, qux cum Ente iHo CJitcgo rix. conuertuntury
CT dequibut fstis fuprd egimm. Quibut prdmi^^, di unmcuiuAq^
contempUtioncm ueniendum efl. De Quantitatetranfccnclcntiffima*
Quantita- Vdntitecies ponimus, quarum primd continud nomindturt
tjnuactd^i- dUerd difcrea^ Contimd quidem efl in quintum perfiHio copuUt
«• fcreta. napotentidm proximam, aShimy correUtiuum ;utifl quis homi-
Continaa nis cfJentUlem perfeftionem contempletury de qud efl pr^fens
nodrd quid Gc. conflderdtioyfl fldtim ddaiium reducdtur, potentUm
proximdm uo- eamui, eddem ucro proximd potentU in ddum dedu^bi» dum efl
m uiiddbominis produiiionem, diius uocdtur^ cr ipfum produdutn
dppeUdre debemui terminum potentitt» uel producentis correUti- uum. Qtit
trU 4 LkDo iccipiunturmiUe in locis pro 1 VO, ARE CT Quid fcet BILE ;
quorum primum refpondet potentix proximxj fecundum ds luu, Afc,6c fiui.
cr tertium correUtiuo. Difcretx auttm Quantit^ nafcitur d
difftrentUyquteflinterperfrdionemuniusentiscr dUeritn. Cuius n^^^nStll^
rei ddbimut excmpUimt m his, quibut hiccqudntitss repugnare uide qn]^
(^^. tury ut LuUifbidiofws tuto pof^U unicuiq; enti appUcare. Diuinuit
i»* Exemplu teUe^uiCTUoUtntdS tiUs funtnaturx, quod
fldefiniripofftnt^alUm de difcrct* fhrmilem inteUe^atrationemhabtrct, cr
aUdmuoLuntM : fcd quU Quatitaia definitione nequcunt d nobU intcUigiy
eorum tamen d£tus neceffarij aUud fatii decUrdnt cr mdnifefldnt ; quorum
unu^ tfl Filij generatio, £ 4 quim* duarein-
quimttUefiulconuenitidUtruerh, Spirimfdniii fpintio, qul tcllea* Dei
yi„^uolunntidttribuitur : quitmtniiiutlicproprid determindn^ no ficprin-
py^„cipid cum effentid requirunty ut «nw, nempe, generdre, k di
&uSlG^ uoluntdtc,Grdlter fc:fpirdre, dbinteUeaunonpojiit ejjc. Nec
dli' taigeiicra- dmrdtioncminuenircquispotcrit, niPquiddiuiniintclle{iut
cr tto- di. luntAtisdlid^dlideflrdtiotcrtn
hdcdiftindioncdifcretdqudntitM Quantitas confiftit. \dem dc
tribwidiuinu pcrfonis cenlcd^^qux Ucet cd ratto^ diicrcta in
ffg^qu^incffentidconucniuntynonftntdifcrct^ : tdmen in qudntum
dTuinas"" pernotiondlefpropricatesdiftinguuntur.difcrctd qudntitdx
cisco* pericur. P'^*^ • P^**
continuidiuifionemcdufdturyjicutipr^dicdmcn- Latittlao
tdUsJedunumquodq; ensndturdlittrfequitur. Ethactfttdntxld* quatiuiis.
titudinis, ut cr qudntitdti ipft prxdicdmcntdU conucnire dicdtur:
fed pr£dicdmentdlis,finitis tdntum a^Umitdtis rebmy de qud
kri&l uidcinprxdicdmentis, De Qualitate»
POftQudntitdtisconfidehitionem fequitur QUdUtdtis conteMi
pldtio.quam ftc dcfcribcrc pldcet^ Qu^Utdfcft uniuscuiusi^ "
entislecunddridperfraio,fiu€ proprU, fiuc dpproprUtd. U quid huiwi
defcriptionitpdrtesdecldrdtioneeffnt, id fdcercnon pU pbit, Dicitur perfcd.io
fecunddrid^ ut Qudlitdtis CT QUdntitdtit difcrimencognofcdtur
Sdtisemmexdidisin cdpite dc Qudntitdte pdtetj ibi efftntidlm perfrdionem
confiderdH : hic dutem iUdmyqux Diam* inco, fcd pnite crcdttt, drborum
rd^ dicibws,ut rddiccs funt itruncis uero ut potcntid funt brdnch£,
rd» mi, foUd, fiores v fiuilus^ Sed dd Keldtionem fermonem rftr/^m
w. R Dc Rclatione^
l£ldtionumcognitiofdtkdifficiUscli\quidoh cdrum debilcm DeRclatTo
cffentiamfunddmenturcquirut,dquohdbentxffciet terminu, f^^nda-
quofuumcomplctum cfjewnfequuntur, quitcrminusinfub "^cco&tcr
f Jldntijs 34 jiintijs cr abfolutk non ejl
cotrtUtiuumy fcd abfolufumy In quo cor* rcUtiui reUtio funddtwr : qu£
dcfdciU non a>gnofcumur, cr ipfnm ReUcionis yeUtionemqualiobfcurdnt.
Scd iaiReUtioadqujtiCunq;reUtioncs dcfiniuo. communii dejinitur^ ReUtio
eftratio, qua unum ad aliud refertur, ut de paternitdteo' fiUationc
oftenditur :hje etenim dux reUtiones faciunty quodfuppojitum uel perfona
um. aliam rej^iciat^ \t abfo* DiuiHo re- pa i ls iJJiud filij per
paternitatemy cr fiUj abfoUitum reiie piratio Patri cr Ftlio in
tffeconfii^ tutis (quajiyaducHiens, c:rji>iratiopaj?iua qua Spiritus
fanQus i» effeperfonAUconjiituitur, jujlinendocum D. ihoma Franc*
Mayi Scoto, pcrfonof diuinas reUtiua ZT non abfoUta proprietate in
idaS in*^' ^lJ^P^f''*^ Siih reaU quoq; reUtionc conjidxrantur re>
concincli^ idftoncfiH^, quadogici conjiderant atq; dijiingiiunt m
reUtiones p h -^ca ^^c ^* ^'^^ membrum primx diuijionfs
Adaiiqd. iccipiatur, quddam pariter in Deo repcriuntur, dc quibut
fuprx Quare rela memionemjvcimu4, incapitedc Quantitatc ;qux ideo non
dicuntur tiones rois ReUtionesrationif,quiaab mteU€^fabricantur: fcd quia
non o- inDconnt mnes conditiones eis conueniunt, qux ad realem funt
requijitx^ Dc Kclaiion ^"^* matcria,jicupls arcanA cognofarcy Scotijiaf
confulc. Qjjxdam creac«, ^'^^ f**^ creats, qu£ ab inteUc&isa^bi
dcpendcnc, ut identitas imdem adfcipfum ; cr dijlin^o eiusdem
afeipjo, prout idcm in pro* pofitionc Apartc fubieSU vprxiicdti
concipitur at^ prxiicatunt Relationii a fubicSh cfl
dijiinChimtBtharumreUtionum cognitio cfl ualde «r# ncfclT^*^ c^fi/rfrWj
quia meriiante KeUtione cr habitudine (quam r^ices cu» itttcunq; arbork
habentadtruncum^crtrunciadbranchai, crbran- ch£ ad ramos ; cr/?c dc
ommbus arborum partibw) carundem cjjen» lU cognofcitur, Df
A&oiu^ l i1 De
Adionc^ VT didiuin^A crhumdndx optrationtt, immdnentes ucl trdns-
euntes confcendcre pof^k: banc breuem ipfiws aBionis notato
defcriptionem, aHio efi refpeCks operantis di operitum: \Ci\oU de-
nondicimui dffmis 4d pdffum.ite Utijiimui aShonis ^nsin riuulum fcriptio
o- tuaiat. Affns emm cum pafjum rcjj>iciatt cf tn DtonuUumjit paf
pJim** fum, cum imperfvdiotum arguat^ ncc a^ntis ai paffum rejpe^ks
'tffe potefi : cr tamen funt ibi operationes ac produSbones : operati'
'ones quiiemy prout Deus effentiam inteUi^t, cr taniem fumme d* Ptdt :
proiu&iones uero in quantum iiem Dews, ut fuppofitum notat,
tdlesoperationesproiucit: quxficproiu^l£,aLtera uocatur filiuSy cr dlterd
fi>iritw! fandus. Proiucit quoq; Deu6 ab eeterno credturax ^^^^ ^ in
effe cognito et uoUto, nec tdmen ptffum poffum dici, cum idem fint tg ^ n o p
ro* redliterquodDeus, Etut latiorem differendi campum habeas, non
ducitcrca- tdntum relpcBiueipfam aRionem confidcrare pottris : fed etim
ab- turas. folute,ficuti crnosconfiierauimus, ium ie proiu^lionibus cr
ope* rationibui uerba faceremus^ diflingiicndo de adione immanente
cr iranfeunte tXm in diuinis quam creatis : iUo tamen fublato in
buiwt» tnodidHionibut. ut Deo dttribuuntur, quod imperfvdionm notat
: dependentti uideUcet, d^ntis ad aihm cr e contra ; CT fi quid
dUui ejl quod imperfr^ionem notet* Necdiuerfd ddionum ^ncra notabi'
mus,utlo^cicrphyficipdndunt : fed tdntum iUui dnimaiuetten' 4um putduimus
: nuUum iari etts,cui ddio dUqud non conutnidt. Nullu da{ l\dteri£ emm
prims ddio conuenit, cr aU/s boc ente iebiUortbus.fi ^(k\o nonrealis,
faUem intentionAlis, prout obiciii rationcm hdbet. Et "^? quintum
profit huiui tranfcenientis cognitio breuibus expUcari poffe haui
puto,cum d latif^imk iUis raiicibui, de quibus fupra cm
Hionismcdio,pcromnespartescuiuscttnq;arboris dijfufje, inde ai^
mirabiUsjruihtSj tam creati, quam incrcati, puUuUnt, DePafsionc»
N: ' On erit Uhoriofum, per ed» ^U£ ie A^iont
fiint expUcdtd, CT ruturam pa^ionis mamfrfljire ; cum mutuo a^io cr
pajiio fe refpiciant^ de qua non multa dtihri, fic eam defcribimUs,
Pafiionis Va^io elirejpcihis opcrantls adoperatum ; cr pafiio htc» fifiu efi,
defcripuo. ut pdjiio nomincturydiuinis nonrepugnAt : quia produ^x perfon^
Pafsio p'*f prodMcentemuelproducentesrefpiciuntjUt fatis notum cfl : fine
td^ uinisno fnendependentiaaliqui. ApudLuRumadio pcr Aif^E notatur, CT ^ " A^^fo
&C ^ Bl LE, per bontficare» botutatis adio habetur^ CT pet bot.
Dafiio a- nificabile magnitudinis^ duritionisueLaUcuiu^aUeriu^radicis
habc pud Lullu. magnitudinis cr durationls pa^io* Uec minoris ejl
utilitatis paf» fionis cognitiot quamadionis, cum per iUam^ res uario modo
deter* ninAtas, uel quafi quaUficataSy cognofcere pof^imus : cr inde
muUos conceptut fabricare* QU£ de adione didn funt CT de pafiione
pro» portione quadam poffunt dicitjic crgp tot erunt jpecics ucl
pafiiooii f^nerd, quot ddionis^ De Habim*
V^lutireUqud prjedicamentd dd omnidcommunij^imd conjide^
rauimuiiitdcr habitum conjiderare oportet, Habituser^ non efl habitus ad
habituatum rejpe^lus, ut in Cdte^rijs tn» Habit^qd ? quiunt Logici ;fed
uniuicuiusq; rei proprietas.qua habituatum ordi- ^uk^tAi'^^ n dnffLo CT
homini conueniunt : quonidm uoUtntdx in dffn»
dointeUe^mprtffuppomtyquidmLuoHtumnilicdgnUumy cr mc morid 'mteUe6hmcr
uoluntdtem ; mteUe^my ut potentidm pro* dudiudm» fed uoLuntdtem ut
pdrentem cum prolc copuLdre po^it. 1/1 crtdtis quoq; corporets,mdterid
form^prafupponitury quum nd* Sit» in crc^ turd fdtem priui eft perjrBibUe
ipfo perficiente, tT in C£teris cor^ atisr pore exptrtibut : compofltis
tdmen ex dChi cr potentia, ueL ex grnc* re V differentid^ueLex pofitiuo
et priudtiuo,fituf cr ordoreperitur: W confufto, qudm Hdturd pdti nequity
ddmittdtur, Hmc Kijmundo A ni mad-
deuotioptimednimdduertdntyttecumconfullonequdddmy prmcipid, uctfio» uel
radices rtbui applicent j quonidm,ficuti ab t tr ddmirdbiii ordinc funt
defcriptdy ut uLtimum primum pr^efuppondty qudmais unum cum dLio dUquo
modo conuertdtur :itd V ipfl cuftodidnty w quodU* Ut prmcipium fluc dd
^robdndum fiue dd improbdndum, in- ^ F j dijfhtiuer
5« dtfjrrcnttTdffumdnt.QUdlkdtttcmllt intcr principid iUd
ordo, tx hi/f qu£ ic rddicibws dida funt, fdtis confiAty dtq; in
commcntarijs nofhU m nrtcm brcucm Idtiut dccUrdbimu*. Nec multoi ordinis
mO' doicxplicdrcmodooportcty quii in cnumcrdndis formis, omnibm
tntibus communifiimis, intcr quds ordo numcrdturt idfictt.
H DcTempore» » 'i On potefl fdhc djiignAri
tcmput rcdlc quibitscunq; entibtH conucmcns, cum eorum tdntum fxtmcnfurd,
quacontinue in^, P ftdbilitdti funt fubic^y dc corruptioni obnoxid : intcr
qu^ o rcpucnat dnnumcrdri
uerc potcfl, mli didboUca mrnj, ip/?j?i* mo Didbolo nequiory id non minus
impie,qudm irrdtiondbiUtcr dc ftuUecogitdret, cm CT crcdtur^ qtt^ddm in
entium ordtne repcri» antur, qu£ tempordncx mutdtioni mimmc fubiaccnt.
AnffU uiitU» cct ac rationalcs animx i corporibus proprijs exutsc,
Quomodo n*- ^ affcqui potcrimui intcntum nofirum^ quiuoluunus ommbus
enti* bus hdf nojirM latifiimds catc^rias conuenire i DicimuSy ipfa
expe^ Tcp*omni rientidnobisinjinudnte,fecundummodumnoflrum cognofcendi,
dd» b' couenit ritempwsquoddamommbusentibu* indifjrrens. Et ne
impofiibiUd fecundum uii(amu/t affcrere, de Dco differendo tcmpuA noflrum
conuenirc fic m od u n o oHendimus, Certum efi diijvrentes operationes ad
intrd rffcv dtcr» flru m coO- ^j^^j ^^^^^ ji cathoUcus expUcare
contendit. fub ratione prxte» derandu ^.^^y^^ p^^^ffj f^^m tempofis,
expUcabit ; inquiendo, Dc* ut Dcum^nuitcrffnerdbit. Deus Antichrillum ab
dterno cogno' vit4 Et undc hoc i propter inteUeihs noflri imbeciUitatemy
qui ma« dofuoresdiuittdscognofcityCrnonftcutifunt, Tempus
igiturquoi fccundum modum nofirum concipichdi res (quafi) menfurat : in
nu* merum trdnjcendcntiumponimus^ DeLoco»
Kottejl 39 NOri efl ddinoium difficile
oftendcrCf non tdntum credturdi corporcM in loco fjfe, uerum etidm
Jj>iritudlcs fubfldntids tdmfinitdff qudm
infinitd/sJicetdiuerfomodozTUdldetequi- uoce. \mpofiibUe dutem fire
putOydUqudm loci defcriptionem dfiig Qu-^g fQ.» ndre,propterudriosmodos(\Jendi\li:
dt quibwin j\.,Vhyf: Arifl. dcfcribino trdBitfV propter oppofitu modum
ejfendi in locojDeo cr crcdturt pofiiu conueniens ; quum credturd fit in
loco^ ut contineturJi loco. Deut du* tem ut locum continenSfCy
conferudns. Sed fdt erit cognofcerecor^ Corpora^
pordeffcinbcoperfeyUeldimenfurdlitery circumfcriptiue, occupd ^*"^
tiucy cr repletiue ; qujc omnid idem fignificdnty pdrtesq; eorum inte- °
grdntesy cr dccidentid^ per dccidens : pdrtes autem effentidles
dumfunt^a^potentidtdntum funt pjtrteSy dicuntur e(fe per fe in lo» co. EthocdiciturobdnimdminteUeftudmpdrtem
hominis cffentid' lem,qu£cumccorporemigrdty'dtq;tdntumpotenti4Us pdrs
effich tur^ tunc inloco efi, cr eo modo quo Angeli, quifunt in
locOydefini* Angeli sut tiue.Eteffeinlocotdlipd^hefteffcinloco^O'
nonoccupdre /oc«w, inloco dc^ in uno nuncy quod
nonindliotnifidliterdiuinduirtut dijj>enfa- Anitiue. ret : nec locus
femper compdrdtione dd Angelum pro fuperficie fu- mitury cum cr in pun^
pofiit definitiuc exifiere. Deus uero immens o.
liueinomnilocoefi.dtqiomncmlocumv locdtd confcrudt. Sdcrd^ ^° * * tifiimum
dutcm Chrifti fdludtoris noftri corpus cft inhoftidfdcrd' chriflicor
inentdUttr, crfichdbesdiuerfosmoioscffcndiin loco, conuenientes p^quomo-
exiftintibus uelfubfiftenttbus. hd uerd qu£ tdntum rffe effentit uel do (it in
lo5 cognitum hdbenty proprtc non funt in loco : poffunt tdmen dui in
ios co,prout ihdnimdconferudnturyfi funtJffecicsinteUi^biles, dCks
'^? inteUigendi uclhdbitus : p uero uniuerfdUd inteUe{ks
operdtionem a^determindntidydicdXCdiffeininteUe^hobieBiuCy dt inconcduo
tf,^ quomo orbisLun£obcoruminflMitdtcmtdnqumin loco, ubi cr flulto* do
fint in rum cogitdtiones qi^iefitint. Hxc funt qu£ de Cdte^rijs trdnfcent
loco, dentifiimis proponereuoluimuSyUt dptior ftudiofus fteret in
dppli- cdtione cuiuscunq^ dd quoicunc^ : qu£ fi optime
contemplabitur, non exigiidm utiUtdtcm confequetur, F 4
Drcii' 4» D tor forma»
husentibusconuenirepoffunt : nec inconfuUo id obferuduimwSy ne^ td, qutfud
nAturd fum trdnfcendentijiimd,fierentminws ^nerdUd ; *^P^* unicate»
tdte^udet: qut nomin&ripotefi identitdtis unitdi, quid per ipfdm
dttribua omnid, ncc non cr proprictita omnes in dmnAm trdnfeA unt
efjentidnu Dc Pluralitatr», EXft/f qus diSti funt de
unitnte facile erit diiudicdre de ippt plurdUtdte: unumtxntum idobferudre
prxcipimu/s, quodplup YdUtds trdnfcendcns i» rddicibw cr pdrtibus drborum
efi femi*- mti, m qudntum efi fuiipfiui plend^.f cum proximd potentid dd
d* ^him fibicomenientem, cumd^ cr fuo correlatiuo : qut nomindn^
turplurificdtiuum,plurificdre cr plurificdbile, Quot enumerdui* Qug
pliira- mmunitdtismodos.tot funtplutdUtdtis. inDeouero efi pUtraUtds
Jitas in Dc- pnfondrum, dc etiam dttributorum^ qutexnatura rti funt dtfiinih. ut
optim (UiHcmt Scotifit, 3. D( Sim 5,
DcSimplicitace. j PKout quMet drbor inuifibilm fubjldntidm Ji
radicibuf flmt plicibui\recipit,flmplcxnomiudtury crfecundum fc toam
*^£)gqua fitn qudmlibet fuipdrtem : necioquiintendimwsdeedpmplicitdtet
pijcicatc qux opponitur plurdliati, quid titem plurdliatem hic immedidte
^[QiQf^^jj^f^ fuprd concefiimut :fed de iUd qu£ non pdtitur compofltioncm
exdli* quo potentidU cr x^dli : dlittrfvrmd hxc drbori diuittdli non
con- uenirety qut nuUdm prorfut hdbet compofltionem. Exquo
fequitur^ qu6dcompofltio,qujt pLurium tintum pofltionem nont^ potefl
mter formds hdAce locum hdberc. \n dlijsuero drboributy qu£ pro
crcdtk rebus funt condituttj compofltio ex ddu cr potentid etid
reperitur* 4^ Dc Forma* FCtmno ut perficiens.fedut kt
efjerc tdntumconflituityin qud' pQr,„jo,„. cunq^drborepotejlinueniri, quid
nec diuinx effentis ^«"pM^* nib**arbori ndt, qu£ cum diftindis
proprietitibus reUtiuis, perfonds dif bus conuc- ^finfhs conflitvit.
Mdteridm dutem omnino remouemuxj quid m dr niens fir. bore diuindli
inumri non potefl,licet Henrico non uidedturinconuet M^feria k nien
s,Effentidm diuindm cffe qujfl materidm in diuinis produBioni* ^^' hws,
ut fubtilifiimus Scotus recitdt in fecundd q diit : ^.primifen
Suh:\[[ril' Untidrum, m' Scoruf. ' DeAbftracflo*
Iii qudlibet drbore funt dbftrd^, f rjdices : Verum cum ipfje
^^^jj^gj fubftdntidm fudm tribudnt quibuflibet drboris pdrtibas., dtq;
fujuabftra- njturdm iUdrum indudnt: nec dmpUm bonitds uH mdgnitudo flm
{i^^ qj^i,„^> pUciterdicuntur, fedcumddditione. Vtfuntin trunco,
nomindntur ionitdfuelmdgnitudotrunci,cridem dicdtur ut funt in
brdnchis, rdmifj/olijSyfloribuscrfi-uihbuii . G 2
^.DeCott. 44 6^ DcConcrcto,
Q: VU ut di^.um cft fuprd, dum de plurdUtdte dgtbdmut*
wuf qu£q; Tddix in qudmcunq; drboris pdrtm defcendity ut ejl m
proxtmd potentid dd diium^ cum ddu v ]uo correUtiuo, quorum primum cr
ultimuminconcreto fumuntur .f. pro IVO CT . BILE, ideo tdUd concretd per
omtusdrborei funt diJPerfd dc femis c6creta^^n "^"''»
dumddexercitumddum uenimutMcendo : omnib*ar Tntncus e{l bonus,mdgnus CTc;
Brdnchtt funt boiue, mdgnx CTc: borib^ pa^ frudus funt bonijmdgni (jc:
fic demedijsdrboris pdrtibus difcut' exerci rendof tum.
7* DcGcncratione» Qwariterge Enerdtiofeiun^dmutdtione lic
conftderdtury qu£ Tddici* neratio co ^J"f>Mf omnibus dttribuitur,
ut undconuentdnt dd uniuSt uei pUt* Bderctur. ^-^^^ produikonem: eo modo,
quo produccre poffunti c hoc Suppofitii pUcuit dicere, quid tdntum
fuppofitk produiho proprie conuenit : tm produ?,, ., / ri i • r
(Xio coueit* ^""'^ dutcm ueL qu£ dd moium formdrum [e hdbenty m
tdttone folu principij formdUs iobbdnc foUm cdufdm Thcologi non
dffirmdre notadedi' dudent^dttiindmeffcntidm generare ucl Jpirdrej
ncq^ gencrari uel uinaefsen-
J^trdri^crqu^efintrdtiones.uidedpudSootuin i,q, ^,di^:primi. tta*
Dc Plcnitudinc* \Lenitudo,utmquitLuUus,el!generdU principium
m drbort qudcunq; femindtumy cr dcriudtur drddictbuSt non tdntumut
rddixundcitfctpfdplend,fcdetidm ut fimiUtudo dUdrum rd» Forma
h dicum pdrtictpdt icrdebis pUnitudinibus totd drbor c/i plend. Sec
kphi ralira^ formd htc efi eddem cum plurdUtdte, quid effentiales pdrtes
pUrdU» le dift ing u i f ^ tjntum re/picit ucl integrdntes : hxc uerd cr
iUdf, cr dlurum mmumfimiluudinemt uddUqudrum^ p;
1 9^ DeTotalitatc* TOtsiliUi hic conlidtrdtur, in
qudtttum drboret totdm fudm ndturdm i ffnerdU omnium radicum infiuxu
confequuntur, qudm quidem totsiUtxtem trunci brdnchtSt brdnchx rdmk,
CT rdmi/oLifS, floribw cr fruBibut communicdnt. huius rei txempUim
m quaUbet drbore defdcUi potefl muemri : de drbore txmen diuinds
UexempUficabimufyCuiminus totiUtdx conuenire uidttur. Kddices Excplu de
mbdcarbore funtbonitM» mdgnitudo arc: contrdrietxte excepa, totalicatep C
aU£quximptrJr8ionemarguHnt,qu£ m totnmtruncittAturdm arbore di-
Deifcifubfldntiam mfluuntyproutfuntfub mfiniti rationt dc ptr-
"^^*^*» frHione.confidtrdts: non quod rddicts fint ipfo trunco
priortSy dc d^ UquU mrdtioneprincipij m Deiefftntiaminfludnty cum rddicts
i- Radices in ft^tquxmDtojunt perfiSionts, d diuimx puUultnt tffcntid :
ftd Oiuina ar- quid mttUtiiwsnofltrcognofcitDeum cr creaturdm cotmenire m
borcqmo- tranfcendentiyratione bonititis ^mdgnitudinis^ durxtionfs,
potefld- y°'^jJJ"*^* tiSy CT dUjs tranfiendentibusj qut conuenientid
uel confhrmitdi non poteflefje ddaUquod mfrriws, quid dd
mfrriordefidiffrrentiaier^ maUquofuperioriytyfuptriu^ femper infiuentiam
babet dUquam,, ddmfvriora : fi cfl fuptriuf m tfjindoy babet mfiuentidm
realem : fi gj^^jQgjjJJ ht pnedicdndo^rationxlemfc: ptrmodum prjtdicandi.
Truncufutro pjj(jicado. branchis fuam totxUtxtem coinmunicdt, cr brdncbx
rdmis, per iden- titdtem fdUem. Ex diSis pdtet non ejje confiderationem
de totxUta,- tt, ut efl rdtio, qud aUquid proprie totum dicatur, fei
improprii^ to» DePartialitate*. VAiicit^ Obicdum uero
extra di' citur,quoddBiudpotentidnonrelpicittdnqudm correUtiuum
pro» prium, fedextrdneumy utmdgnitudo, duratio CTc: qu£ d potentid
Obie^lu ex dHiud bonitdtk tdntum extrinflce afpiciuntur. Verum tdmen efi
quoi tra (itiira. obie^um extru^fitobie^umddintrd, quando uirtute
potentijt a&i* U£ iUud inproprUm fui naturdm conuertit dgens,
ut in motu gene* Tdtionis cr dugmcnti mdnifcite dppdret,
ip Df A^». 49
ACtusdupUcirdtioneconlidcr4tur:primomodo pro operati' ^Q^^, ^ one,
qux i potentia aShud procedit, qui m omnibus arbori ^^^^^ bui locum habet
: fed dlio modo pro aih.quo res prius in po* tentii exiftenSj fit m 4c7a,
qui entibws iUis conuenit tantum, qux muationidlicuifubidcent.Perd^impriorem
radicum mfluxuf, d* lidrumqidrborum pdrtium cogiofcuntur : dt per
fecundum formdm Yei uel ejjentidm in credtis inteUi^mus» "
io^ DePriontate» QVidinteromnesformdfVrioritdscrPollerioritds
funt prt-^ poncriorfJ cipux,cumdb ipfis totusrerum ordo pendeat, mdiori
egtiu ras.funtp^ mquiptioneMeoplurcsmodos prioriatk dfiigttAbimus, ut
cipux. probccognofcdmfludiofi^quomodo indpplicatione huius formx fe Nora
ufq; debednt ^bernAre; ne impofiibilid Deo dUqudndo dttribudnt, cr
^J^^^' qu£diuinfsconuemunt,repugttAreopinentur, Quinq;modosprioi
di^^?' rititis Scotiflx in fuis firmdUatibus afiigttAnt,quorum prior eft
pri Prfmus"*' oritdf perfr^onis^ zrfic in quoUbet gpncre entium
ddtur unum pri- mum, quod rdtionem mcnfurx habet, inteUis^ndo de menfurd
perfvt. ihonif, Vt in genere fubfldntix pro menfurd extrinfeca Deus afig^
Dc' eft m ci mtur:fedpro intrinfecd oonuenientcr dj^ignxre poffcmus
Luci(et exaiii rumyquo ddfudndturdUd.quid in perfiSboneyquamcunqi creatu*
'p liquidcommumcatur^utaliquidpariterretribuaty quodcunq-, fit iU
lud, Et ab his nAturalibui conditionibui exeuntartificiales, quibm t»
mentes C ueadentes, ac cxtcri quotidie utuntur, 2$*
Delntentione* Ibltentio rdtio c/?, per qudm res operantur ob finem
aliquem, ]gt Intetio ^d? nk dando acri fuam caliditatem^ hdc mtentione
ducitur, ut bonu/t cognofcatur, quia fe ipfum diffundit, Volendo aittcm
deftruere aquam, quic imer aerem terrammediatyhocideo factt, ut
maio' rem cum terrx habeat concordantiam ad recipiendum ipfim ficcita-
- f rw, quod non fatk commode fieri potej}, proptcr aqux fripditd*
tem^ impedientem. QU£ intentio dupUx efl : primd fc: C7 fecunda.
^"^^^* Vrimd eft finis ultimui rei: Secunda uero, efl finisfub fine,
'Et exrur-^ ^^* turaUbus intentionibMy artipcialesoriuntur,
29. De Ordinatione* P^ErordinAtionemresfuntinconfuf^cr
diflindie, qux ordita Perordlna tionontdntumrequiritur
interdrborumpartes,fed etiam m- tioncm ter rddices, tTnon folum in
effendo, fed m operdndo quoq; . Ex ? ndturdlibut ordindtionibus homines
dcceperunt drtificidles,qu£ mo" tes, operdtioncs cr tdlid ordinant,
Plures funtmodi ordmis, qui fub ttomine prioritdtis fuprd funt
expUcdtit. 3 o. De Operatione» EN/w cum nonfint ociofa,
ttdturales fuds hdbent operdtionef, quibm Udrios producunt ejfiCks. Ncc
dluui enti dene^tur o- ptrdtio dUqudfUel reaKs uel mtentiondlis^l
Intetiodu- p 5J»
Dclnnucntia» lcrinftuentidm res jlmilituiinemfum
rebufdlijscommttmcdttt^ Vnde rddices in Truncum infiuunty cr Truncu* in
Brdncbdt: flc inducendouiq;ddindmiduainclullue,(lU£in dlid infiuunt,
ut direfie feipfd.uel indireae confcruetu^ ^x.
DcRcfluentiaf HAccformdAConditionedifJvrt, Per conditionem,ut
diximut^ dliquid fuo communicdntiy iUe cui fit communiedtio,
""l *yrJ"^ reddit \flue iUudfuidemcum co, quod communicdns
trddi». acoditioc. ^f pf^cnonl fedRefiutntUrell^icitin correUtiiio fuum
reUtiuum, Qdrcrpict ftcundum edm fbrmdm. qudm correldtiuum d reUtiuo
dccepit, C«u« au m exemplum trddere non efl oput, cum hdnc KefiuetUidm
quotidic in his perJpicidmM, qui ntdlum pro mdlo redduntJ;oniiq;
pro bono^ 33. DcProdudiione^ Vid perOpcrdtionem
nonrequiritur, ut dliquod tertium re» fultet,utpdtetdeimmdnente,fedin
produ^onc requiritur, 'ideointer fe du£ iflx /ormx funt difiin^tx,
tdnqudm mdgis cr Diffcrentis
minuicommunes.Diffvrtquo(i;h£cf6rmdAffnerdtione, de qud di* inrcr Pro
ximut, quU efl opuf ndturs, ?roiu£ho dutem eflUtior. Dicimus es duaioncm
sptnV«T« f^n^um produci, non tdmen ^nerdri. Diffvrentidm ct gcneutis j^n^
ddmodum notdre oportet, ne wu confunddntur^ ^"^"^* cr
edrum ndturd ignoretur, Vonit Kdyl LuUui duju formds, fc, Ori' De oricinc
^nemcrExHum,qu£cumpojiiHtdefdciUconfufioncmcjufdre wd- et cxitu. ximdm in
litc9u cuimcuuq;,ob conuementidm qudm hdbent cum his uiielicet
Generdtione, Augmctitdtione, Conditione^ Operdtione, Itifiuentidy
t^efluetitU, VroduiHonecrdlijs, ideo ei^ omittimus* Sei fi fubtdis
uolucrit hds quoq; cognofcere, h£c pducd, fi' Orico qd? bi fufficiint.
Ori^ ponitur pro operdtione iUd, qud fuhU^m E itusad? quodltbet
proprUmpdfiionemproducit. ExitM uerb d{hii dccom» ' moidttir ; qui ib
d^ud potentU efl, non compdrdnio ipfum dd term.
mituim^ q; 5r
mmmy^luUtunctlfctutlffturdtio, uclproiuiHo, utl tUi^ud aUs
opcrAtiot 34, DeSeparabilitace* Llcct uidcmr, quod ifld
formd flt adcm cum cxterioritdte^udU j^. ^^y^^ jj j detdmcndifjvrunty
quiacxtcrioritdf cfiinteriUd, qu£ aliquo ^^^^ modo intcr fefunt dijlinddy
fepirabilitdf ucro tdntum in hH repcritur, qux fecundum exiftentiam funt
dif\in6h^ ut, Pdter, FUi* ut, tirborcrfru^s.quinoneflindrbore. Et quid
flc hdnc fort Hxcforma mdm confidcrdndo nonomnibM entibu4 potcfl
conucnire, quid tdli ^ difiinBioneentu omnid nonfunt diftiniai,ideo
pofjumwdicere, ed tib»conue- cffcf(pardtd,quorum unum cognitum eflr,
aliud non. In homine nircpofsiu quidcmcflbonitdia' mdgnitudo, quem fl
conflderauero ut bonut tdntum, tunc in eo bonitj^ cr magmtudo crunt
fcpdrdts», 3^» De Infeparabilitate* ^p\Er cd, qu£ de fuperiori
immedidtd formddiSh funt^ huim fatif erit notd efjcntid, oppofltum
meditdndo^ Et ueluti eam duplicimodo confldcrauimut, realiter fc: CT
rdtiondUtcrx itd^yhancijsdcmmodii contemplar! dcbcmut, \flx dux firmx
in homine funt idcm rcaUtcr fc: Bo/»>quxinmUoent€inuemturjCum ndturam deftrtut^
prd* ter qu4m in chim^rdi q^m ima^ndtio noftrd ex impofibiltbut
ftbricat. Hxc omnia funt impojitbiUdy uidcUcet : Bonitdt non eft md» gnd
: Bonitds non eft in Deo : Bonitds non eft in credturd, Et per o» mnes
drbores eft ne^tiuc dijperfd* 38» DcSimilitudinc. SEcundum
Teripdteticorum fententidm, propric ftmiUtudo in qudUtdte funddtur, non
eft tdmen inconueniens, ut Urge pmiUtudinem dccipicndo cr in qudntitdte
dc fubftdntid fit ; quid cr identitdx uel diuerfttOitt qux in fubftdntid
proprie lib:io.Me funddtur,interentidq.
*cunq;inueniturJefteArift,quiinquit^ taph : tcx.
mneensomnienticpmpdrdtum, eftidemuel diuerfum. Q|f4fc»Mecietin ffnere
conueni» tntid funt dc flmiUd» V qu^e numero difjvruntyin fj^ecie
dj^imiUntur» 39. DcDirsimilitudinc. REsomnes, qu£ diflinSbishdbent
ndturdx^ inter fe dif?imiles nuncupdntur. Ethsc difimiUtudo dttenditur
penes quam- cunq^ diffrrentidm, quemddmodum a" fimiUtudo pcnes
omnc conuenientUm uel identitd tem» 40» DcNatura.
NAturd in omni drbore eft neceffxrU, propter Udridt ^nerdti* ones
uel produStiones in iUit repertdx, qu£ fieri minime pof» funt dbsq^
ndtur^beneficio, quid principium eftdUcuius fir* }n£dbfoUtt£»
4 Dc Pundualitatc» NOriw»««f metipljorUehocin loco
dcerpntuf pun^dUtjt, quimlonfttudo. Utitudo CT profunditds, dc quibus
fuprd didumejl. Vimc efitquodpunChdlitM efl d^s, fub rdtionf
'mdiuifibiUoittt confldcritut, quimedidtmterrelatiuum dliquod CT
correUtiuum fuum, ucluti bonilicdrey quod mediurc uidcmut inter
bonificdntem cr bonificdbile^ • 4z. Delnftrumcntalitatc*
QVdmuk h£c formd \n unA qudq; drborelocum hdhedt pecuU' drem,
utuidcbimut : ftincrt nccfibirepugn&t, ut etim dlijt drborum pjrtibui
fe communicet, quid nihil dliud efl^ q^m potenttj
(ubdShiopcrdndiacccpti;qu£ddinftar 'Ml}ramenti drti»
fcidlitpropinquioreftfuofflT^hti^quim^etredd effvShtm ordinX' tx . Cuiui
reifl exemplum dcfldcrdty fume pottntum uifludm fubdCh fuo, qu£
mflrumcntum dppelUtur uiflonis, 4j» DcNccefsitate» NOn
efftt htc formd omnibui rebuicit operationemM Diffirt ^oq^ d potentiaa^ua, quia
h£c af> iUa fupponitur, nec efl idem cum Virtute de qua fupra loquutum
efl, ^uia ibi uirtws m effe quieto confideratur, hic autem fub adu. Q»
Utijiimdm iUdi rum ttAturdm und alijs omnibui eommunis r/?, quemadmodum
de ri* dicibui fuprd diximMi quodLuUidrtipciu generdUhoc txpojluUtk
p: Dc Qua!ftionc VTRVM. I Er hdnc
(jutftionem de rei cffe quxritur, fccundum omnes f f w pork difftrentids
; cr regidjLtur pcr pof^ibilitatem. Eiut fpeciei tresfuntjejle LuUo^ in
prlncipio quartr pdrtis principalit HzC qu«s Artis fu£ generaliSy
uidelicet DubitdtiOy JKffirmatio CT Nfgafw; flio tres ha
qudrumpriorrcjpe^ueorum ef},qu£ ddutrumltbct dicuntur,ucl qu£ becfpecies*
contingeatU funt. Secunda ucro de his quxrit, qujt neceffarid cognom
fcuntur. Tertii dutem efl de impoj^tbdibus: dd quas rejpondendunt efl per
dffirmdtionem uel ne^tionem^ dut per po^ibilitdtem, contin^ gentidmy
impofiibilitdtem uel neccfitdtem.flcuti mdgis expediens €# Noca« rit: id
tdmen obferudndo, ne per rejponfionem principid deffruantur^ ideligendo
quodrdtionon difbit^ Si enim fidt quxfiioy Nmm knti» chriflus flt credndM
i fldtim per priticipid uel rddices tdm db^olutdi, quim refpeEhuis
difcurrere neceffdrium efi, c id concedere quod tnagis Bonitdti, Mdgnitudini,
Diffvrentije, Concordantix CT dlijt rddicibusconfonat.
Toterisquoq^arbores uel fubic^ contempUrif
quibusflnonrepugnabityfubfeidcontineredequo motd eflqutfiiot tunc
eligendum crit, Quid f rg) non inconuenit honitdti dc dlijs rddi* €ibu4
ddbominem conflituendumy ut unidntur fimul, ideo Anticbri» flw homo,
crednduA efi. Diuinx quoq; ^onitdti, hldgnitudini cr Po*
tefidtinondduerfdtur Antichriftum credre, ut fatis pdteie potefK Ncqf;
ArborihumdndUrepugndt hunc fufium producere, cum ndtu» tdfu4bonusPt,UcetprdU4UoUtntdte
fceUJlipimus : ob\id dUqudnda trit.Si trit.
Siuero decie:necminu*perregiiUsueLqu£ftiones dtfcur^ fendOjdUqudpolJunt
mueniri,pcrqu£ Chimtrje dtfinitio oftcndd- tur.Perbdncrepildmdefinitio mdi^rinonpotellt
cum de rci efjfe Quarc pet ^U£r4t^ quod m definitione (juacunq;
fupponitur. y^^^U 'd^e' DcQuxRioncQyiD. ^(1^'"'
QV^^io hfCf qu£ per Quidditntem, ^ffentidmt Ndturim dc B^edlitdtem
reguldtur^ qudtuor hdbet j^ecies prmcipdles, fub quibuA plures dlue
cotitineri poffunt» Primd Jpecies eft de defi' Prima fpe^ nitione cr
dcfintto, quomodocunq; fumdturdefinUio,fiue fit quiddit> cics»
titiudcrpcr mtrmfecdffiuequietdtiud cr per extrmfecd muentd, dummodo cum
fuo definito aonuertxtur : CT huiusmodi definitiones poterk multiplicdre,
recurrendo dd Topicdm Arifto: Secundum hdnc primdm fpeciem fumuntur
definitiooes rddicum, dum dicimus, Boni» tM eft rdtio qud Mdgnitudo^
Durdtio dc cxtene rddices bonx funt, uel Bcnitds eft, cui competit bonificdrexfuo
modo de quibufcunc^ ent tibu/sdicendumeft. Kecdtfinitionesiftt ineptx
funt, ut inepti qui» ddm opituntur^ quid multx funt,qu£ ffnere cr
diffcrentid cdrent, ex quibui dcftnitia confidtun ueluti funt
trdnfcendentid omnid dc gcnet rdUfimd generd^ qux fi definire uoUteris^
bdc meUorem nunqudm in- uenieSyqudmLuUus docet. Secunddfpecieseft, qudndo
de re Secudatfpt quxritur, quid hdbedt in fe nAturdUter dc effentidUter :
cr rcfpon- Cici» dendum eft per edyfine quibut res effe non potefty ut
puti per IVVM, ARE, cr BILE. crfic Bonitdx CT dUtrddiceshdbent plurd
coeffen» tidUd uelconnAturdUd. Etmodus ifte definiendi eft Udlde tutMf
cum per mtimd reidf^ignetur^ udletq; dd confbruend^is dcmonftrdtiones
ic tdtiones neceffdrinf, InteUiff timen per I VVM, ARE, cr BILE non
l l qudtenm quitenwiiiUidwtt, quU hoc efl per Accidenf
t ]cd uthrc trii indifjvrenter fe habent dd omnid, cr hoc ijfentiale
cfi». Vluribwtdlijs modisaUquid mfeaUud hdbere dicitur, quos
rcciart nonexpedit, acfi^Uitim lUorum unumquemcj; defcrtbere j hoc
cxnt tum tibi fatHflt cogMfeerty entid m feaUquid babere,altquo
tfiorum modorumueLpluributtUideUceteminenttr. uirtualitcr m ejje
reaU, Plures mo uirtuaUter m efje cognito, potentiaUter, aduaUter,
identice» uniti' di habcdi. immenjiue, per domimum, per mjiuxum,
per mixtionem,per mot dum U>ci tim communif quam proprijy uel ptr
modum pcrficientk^ fiue fubflantiaUtcr flue dcctdentaUter, uel aU/s modit
de quibui ubit^ Arif}o:dif[erity quosq; defaciU mucntre pottrif,dtfcurrendo
per Rtf # Tertii fpc; dices, Arbores, partesq; lUarum. Per tertiam
jfpeaem qu^ritUTf Qvidfit res in alio { Et uarijs modis ad hanc quxjUonem
rej^ondat» dumefiyquiavdiuerfimodcunacr^adem res potefi cffe m
aUquo uel m pluribwt. Bonitas entm uel i>\agnttudo dtcuntur tn aUquo
effe^ quatenus iUud efl habituatum, ut fecundum BonitAtem ud
Magnitun dinem a^t uel patiatur. Hanc Jpeciem poterls muUtpUcare eo
modo, quofecunda f^tciesmuUipUcaa efl, difcurrcndo ettam per
fubteibk omnia, radices, acregulM. OuaUteruerb definuiones fumend^
fint, n «rta r unicoexemplomanifrfiabitur.cumdereetilis omnibm
tradatum e» ^ rit. Ouarti fpecies efi^qua quxritur, Quidres in
jUohaheatjf cuirc* Jpondendum efi per ea, qut aBionem uel pafiionem
flgmftcant ; ut wteUe^ts m obieBc c/?, tUud mteUigendo,atq; in jpecie
inteUigibUi^ quia eam recipiendo patitur Deu^ in tredtis ommbiu ptr
faptenti- am^potentiamcT effentim i^reatA uero in co reperiuntur,
quis eonferuantur tj diriguntur. H
DcQua?flione DE QVO* Af c qu£flio,per materialem rationem in
rehuA impUcatm rc ^Latur, quoniamdehis qutrit, qutad rem aUquam
confli' tiundtimfuntncceffxriA/flueiUa mtranufint ucl extrancA:
jCriibetdrtsffecies. Vrimdpetit unie ueUCTregnuntKegiS4 Huius
fj^eciei quxftiones pof* Hxc qnio (unt muLtipUcari, difcurrendo per
omnia, qut refbedum aLiquem q"o»podo DeQuxftioneaVARB» ^
Hkecqu£ftiOy interro^tderei ejjentia, quatemts ad exiHere uel
operari ordinatur: iieo huiuf qu£fiti du£ funt fpecies» Per exiftere
nonmteUi^mut (ffeextra caufam fuam, aliter pcr cxiftcv dd entia omnia
qu^ftio h£c non effet uniuerfalk, fedmdifjvrenterac' rc quid in>.
dpitur pro quocun^ effe,fiue reaU.fiue cognito, Sipcr primam ft[>e$
iclligatui» tiemieinteUe(luqu£ratur^quareexiftati reff>ondendum eft,
quia »'Q>ccics«. hoc i, proprid pLenitudine habet, nempe ab
inteUefhuo^ inteUigere cr intcUi^bili, tum quia ptrBonitxtemy
Magnitudinem ac c£terM radices^ fuum effe confcquutus e{i. Per
operationem uer6eH,utin* ». fpecicf* teUi^t cr cognofcdt fuum finem^
aliorumqi entium naturam, CT ut per eam,homines uarios fcientiarum
habituf acquirant, Dc Qu2cflionc> cufus rcgula eil
QVANTITAS. SEcundumtuUumihmus qu^flionk iu£ funt fhecics
gentralet^ P°*, Af* I 4 wMat, fccundum hanc qut-
rendi furmulam^nequdquam quxrere uel dubitiire poffemus 'Xonjidc q qo jj,
retur erg) hic temporalitMjpro duratione quacunq;,uel eo modo,quo j „
tepora» d nobk in Cate^rijsdeclaratum eft j cr tothabet /pecieSy quot fc
lica» hicco cunda, tertidt >w«a, cr decima quxftiones habent. Sub ijs
uerb j^eci*^ lidcrctur. tbui diuijiones fumere poterfs, diuidendo
durationes per /ignd uel m* ftantidy fl aliam diuijlonem nequiuerint
admittere, quemadmodum Aetemitas cr Aeuum, facilefatifeft,peraliarum
quxftionum ft>eci' ts.huiutqutftionis ^eciesquoq; inda^re : exemplum
tamen dabi' mus quomodo ftnt petendx d fecundo quxfltOyUt promptiorftt
ftudi' _ '^|^ j ofusadreliqua mquirenda^Si quxratur per primam
ft>ecicm iUius fpccfcbui! quxflti. Qttando eft homo f tunc effe debemm
fateriy quando iUius ef* fentia fubfiftit^ Per fecundam Jpeciemitunc eft
homoy quando fuan partes effentiales habet. ?er tertiam . f quid ftt In
alio ecies,quotaj^ignAuimui,fed mdiffirentcr cr omnit do loc* (ii
busiUismod(t,quihusresunAmaliapoteftef[e,flue fecundum deter cofidcrad*
minAtum quoddam ffnm ucl j^edem» aut fecundum tranfcendens ali» i K
quoi^ Exc U fc exmpUy
qudittr perfpeciei aUqu^tyhiteUei^ cundu ua- ^^^fit ln locoy
utlociefjentu magk cognolcatur, qux defcrtbcreuo- liat fpccici luimus,
Pcrprimam Jpecicm fccundLe qtuej}iontfyinteUe{ks efl inubi jiue loco,
quia ejl m fud effentia.* Pcr fecundam ejl in feipfo, JicuH partcs m fuo
toto. Per tcrtiam eji m alio, quia in anima Jiue homU nc. Per quartameft
in ilLa uirtutCyfecundum qium habethabitumfci»^ endi. Per primam Ipeciem
terti biliSyfed per 'mteUie^im cognofcibiUs folum* Perfecundam, fua
fifft» ra uijibilif O" imaginxbiUs cft, non q^o ad effemiam. Per
tertiam lo» CMe{lcoUocatipa}^idcntislocum,licut caUfaChim poj?id(t
caUdit%^ ttm, ipjo habituato caUdLnte Et fubiun^t LuUus^ quod^pcrhas
tres- ^ecies attin^tur ejfendaloci per mteUiftre tanium i ita
quodlocm- particularis m fubie^ fuftentato eft diffufus, cr dcriuatur a
loca uniuerfaU in fubieSh uniuerfaU fuftentato» Quilocu4 uaiuerjaUs
Iop cat omnia locata^ftcut omnLi caUda funt caUda, ptr uniuerfalem
c^ Uditatem* Per primam Jpeciem nont quxftionis,loci nAtura cogno»
fciturinAmptrhocquodparseft in parte,ftcutignis 'm acre,tttpa^ tet in
elementato, Jorma m materia C7 amnes partes mfuo toto^ ^ e conuerfo, fic
unus locus ed in aUo per accidens, ty omnia loca par^ Ucularia mloco
uniuerfaU. Locus ulteriut a)g*iofcitur per fecundam ln' 4. par:
Jpeciemiquiaeft iiiftrumentttmfhbftdntix,quolocdtpartem in par^
principali. ^ j^^^^^ j^^^ Vbitradit LuUus, in Arte fuaffneraUi Dc
Qujcftionc OyO MODO» cuius icguiacn MODALLTAS.
huii*"''ft"* A ^) innumer£ tmett nis ifit fpc-
jfj^P^IP*"^ 'B^-> T^^^i^fs omnest dc prddicamenta omnid acm ClQ9^
cidentaUd cum fuis ffneribut, Jpeciebm^ dc proprietatibuf
confideratdfUnamquami^ rcpt faUm crcdtdm poffunt modificdrt^
^7 ^teicumeUte m^dificdtioiik, fjfccies huius qujejiti
confurgunt* Sed quxPntiUtquituorJpeciesquMRjjy^tndit* rejlit
uiiere. Pnwrf I. fpccttf» eih, quando de re aUqus qutritur, Quomodo
jit in fe f qut [i appU» ledu qu^rituryCXaofff^^^^o fit in
aUoyU- iUud idem in ipfof cui hoc modo fatisfAciendum efl.f
intcUe^um in uoUtntatehabere fuum effe, ipfac^ in eo
exiflere^quatcnus cum memoria animam rationAlem con» ftituunt,
Tcrtia petit» Quomodo intcUe^lus rft in partibus fuiSy par* j>
tesq;iniUof adquamrcjjfondcrepoteriSyhocideo effcy quia per e-
dndcmmetnaturamquaipfcconflatex proprio inteUcBiuo^ inteUi gt
biU, cr intcUi^e, fic cr hrc trid eius partes dicuntur, Qtfarta au- 4, tem
inquirit. Qjtomodo inteUe^us fuam fimiUtudincm ad extrd
tranfmitterr pofiU f Et huic dubitationi brcutbus fatkfacerc quis
po» tcrU, fi eundcm inteUe^lum aUquo habitu infDrmatum confidi
rauerit gxtranea inteUiffre, Dc Quxftione C VM QV O,
cuiiis Rc gidAcft lNSTRVMENTALITAS. HAecqu^eflioqutrUdcinflrumcntPs
CT medijSy quibus res in Notioptlf fulsoperationibusutunturyfiueiUa
effentiaUa fint. quemad*^^* modum anima rationalis infirumcntum c^t, quo
homo ii:tctti' git, uuU cr memoratur ; fiuc paj^iones uel proprictatcs,
/icutiin jir' roe{i grauit4f, cr in igne lcuitas ;aut fint accidentia
communiay fe» tundum qujt fubflantije operantur, uclutifunt noucm
acciicntis prtt. Mcamenta ; cr deniq; qutflio hxc petit de omnibus
accidentibus mo' raUbuSyft^quibusuirtutcsomncsacuitia contincntur, ac
etijm de iUis corporibus quibus lAccanici in diuerfis eorum artibus
utuntur, B.ay'.autcmquatuor J}>eciesiUlsbaudabfimUts,enum(rat qu£
im^ mcdiateprioriqu£fitofuntappUcat£, ?er primam quxritur. Cum f.
fpccies ^uo inteUcdus c anims^ars t Et rej^onderi dcbet, quod cum
Boni K i tMte^ tatCy TiiffircntU^ ConcorddniU dc
omnihus radicihuty contrarieUfe txcepta. perfecundam^ Cum quo inteUtilus
alia a fe inttUi^tf Di- CAtur, quodinteUi^one. pertertism. Cum quo
inteUedus cil uni* niuerfaLis ud particuUris { R ejpondeatur, quod
ratione Ipecttrum, quicji uaiuetlalium funt^ uniutrlalis fit, Ji
particuUrium^ particw Urif, Per quartam, Cum quo inteUc^us extra fe, fuam
mittit fimiU" tudmemt Potellrejponderi,quodcum proprio inteUe^iuo,
inteUi» gibtU,acinteUiffre,cumquibusfacitJpecicscUe inteUe^inSy CT
prr j^^^^ nemoriam recoUbiLesacetijm peruoluntatcm amatiles* Et e£
quf fiiones omnes, intcr fe non funt tam diucrjx ac dijparatJty quod
uns deijs,qu£ad omncs aUas rejponfum fft, quarcre ucL dubitare non
pofiit; imo oh earum maximam ^neralitatem funt tam connex£^ quod de una
quaq; datd rtjponjione, fccundum omnes, homo potefi ueritdtem
inuejli^rc. Modusfumendi Dcfinitionescx
QuxHionibus* ^^omiflmus exemplis odendcre, qualiterrei
uniuscuiusq; deftm nitiones quamplurimx, ualeanrfabricariex
qux/}ionibus,quo(i Jlatim obferuarecurabimus, de AngeLo id manijcjlandot
Dixi» ■,Definit|o^ mus,primam quiejlionem non ejje ad propojitum huius ne^tij,
quo» b^'fh ^dl' '*^'*"'*PA^''" 'J(7^?"'"^» ^*^^'^
dcfinttiontbus fupponitur; ptr lumprz. ' TcliquM igitur intcmum noflrum
explicabimus : Ptr primam Jpeci» £x fcc u da. fecundx qurJ}ionis AngeLus
definiri potejl, AngcUs eit tUd creA" turdy qute magis r DeoJimiLis.
Per fecundam. AngeLus e{i, quihd' bet partes fuds effentUleSj tanqudm
conjiitucntes eius tjfe, per tertii dm. quodddfbonem^ AngeUis eit, qui id
agit, quod fud uoluntM uulttinteUcdus inteUigit, acmemorU memordttir, cr
hoc jine fuc- cefiionc crfantdfmdte ddiuuante. Quo adpafionem AngcLus
bonat cft » qui A Deo recipit immediate infiuentiM. Angelus uero mdLus
iUe f ft, quidh extrd recipit pdjiiones, qudndonequit homines ad
peccdtt' dmindnctrtfUelquidDcoptT grdtidm dbeJi,fuo fine
Jrujlrdtus^ Per^uurtiiMU F
Terqudrtimy Bonuihabctm Deoglorimy in tnferionSui pott* Ex\»
ftutem, MdlM ucro panam^Fer primam fpcciem tertijequx/l. An- gf/w eft A
Dto creatuSy non dcmateria aUqua*. Pcr fccundam,eft de omnibuf radicibui
uet prmcipijs^m ejje /piritualiac compLeto confti» tutui. Pertertiam.,
tftDei creatura cum bcnedi£bone cr gloria, fl bonui tft iftmaluieft^
utiq; Deicreatura dicitur, cum eonlradi£ho' neydoloreacpariA Per
primamjpeciemquartx qujrftionky eodem 5x4. nodo dcbet definirit ficuti
deftnitus ed in fecunda jpecie tertix qu^t' ftionit.Perfecundamucro idco
efty ut Deum mteUi&t ac dili^t, prxbendo obfequia hominibut, Per
quinam qux{iionem,Anffluf «n. Ex f ♦ tui efty quant^funt eius partes
tffentiales,fiue dtfcretx jint, uel con* tinux. Perfextam qutftionem^
quoadqualitates proprias. An^lui Ex tit.cuiui mteUiffrecrueUe efh
efjicacijiimum, uel qui m tcmpore impcrceptibilimaximum tranfxt
fpaciumyUclquinoneft nAtwi uniri corpori. Secundum uerb appropriitax
qualitateSy An^lui eft fecun- diim diuer/os habitui in inteUeiht uel
uoluntate fubiedatoSy logicuty grammaticuiyUel philofophwf iaut fapiens.,
prudenSy bonuif humi' lis,fideUi,mitiiy patienSy cr uerax.ft bonus r/f,
fl uero maUUy quo ai ta qu£ ad uoluntatem fpeibt, oppofitum conjiderd*.
Per feptimam Ex/» qu£ftionemyqu£ eft de tempore, AageUa e{l, cuius effe
in xuiternita* te exifttt. perhuiui qu£{iionis jjfecies difcurrere
poterk* Ver oAl- Ex8. uam quxfiionemy AngeLui eft UAtura completa, in
loco exiftens, non tamenlocum occupans» Perprimam fpeciem nonx
qurftionts» An Ex 9, geluieftfubiiamiaqutdamfpiritualif^cuiuitffeeft per
fcy cr non cum aUqua re coniunCium. Per fecundam, Angelwi eft in CaloyUt
mo* tor, calumq^ in eo ratione poteSiatis. Per tertiamy Angelui eft in
fuk partibui efJentiaUbut.per propriam naturam utl tfjentiam, partes^
w eo reperiuntury eadem de eaufa^ per quartamyAngeluseit^ qui uoluntate
fua ac potentia exequutiua, uarijs modis operatur. Per
primamfpeciemqu^ftionisdecimg^ Angeltti eiiyquicum^Bonitateac Ex 10»
dUjsradicibu4 exidityContrarietate excUtfa. Perfecundamy AngeUts t&,
cum fuk prmipijs innatis cr naturaUbuft aUx funt buiut qu£* K 5
fliotik dionli fPecicSy de tjuibut exmpU tion ddducufUur,
C[U£ tdmcn quiWt bctinuemredcfdcilipotcrityli optimc JpccuUbitur, Poffunt
quot^; res definiripcr rddiccs omnes, ac udrijs alijs modiSy quos
aliqudnio ttuimcrabimus (Deo concedente) fcd pro nunc contentut
eflo» ANlMADVERSIONES pro - Radkibus.
PKincipdlis prims partk hjec pars quintd critUimd, pdued qui^ dcm
continett fcd admodum neceffdrU fcitUy quonUm in hac explicdmur qu£ db
drte LuUi omnem ambi^titdtcm toUurit, Ani mad- ^ rdiicibm igitur
dujpicaturi, hxc crit primd dnimdduerjio, non rd » uerdo t* dicibwt folum
accommoddndd, fcdetidm Cdte^rijs dcTormls Quod liccth^comnid natura fud
fint trdnfcendcntifiimd, tdmcn qudndo fubfldntijs
pdrticuUribuidppUcdntin-per prxdicdtionem, ucl acci* dcntibws, tunc
pdrticuUrU fiuiU; nec dmpUus cdndcm obtinent fa*
cuUdtem,qudtrdnfcendentifiitncconfidcrdtd,ndtd funt frui; ncmpt ut rddix
mid ucl dUquid tdU,dc dUerd in dbftrach prjcdicdri pofiit^ Vndc
propofitiones ifitfdifs funt, donitd^ petriy eft Mdgnitudo Pc- tri»
Mdgnitudo Pctri, efi Durdtio Petri; quid dbihdikm de dbdri^
£kncquxqudmpr£dicdripotefi,nijiqudndodmbofunt infinitd poi fitiue uel
permij^iue, ucl fxUcm dUcrum iUorum ; quod de prxdicatk iUis
ucrificdrinonpotcfl ad Petrum compdrdtis;fecui erit fi incom creto
fumdtuur. De hdc mdtcrid pUrimd omittOy qux pofjunt uidcri In dirt
apudiUumindtum MayMijectdmcnpropofitiouerdeR. Bonitd/sPe» fui Coflat'
tri, eih Mdgtiitudo, uel Mdgnitudo Petri, fft Durdtio ; quid prtedi-
tdtum non fumitttr UmUdtc, fed trdnfcendentifiimc ; CT fecutidum
buncmodumoptimedcUmitdtofubieSh prjcdicdri potefi ; quia Ucct pofitiue
formalUer noninfitiitum fit,tdmen pcrmif^iuc, quonidtn
DeopotefidppUcdri>quiJormdUterefiinfinitus4 Nec /r«/?rub
^>fcrimtnintcrriiiias4crtU,iu,i,^r,, rm(M Aai/i;,,. "
"i^n». ?«« w i, Diffi. 7.
^""iriridicumnituritHrrru^«A, /• ''^oppofl.ofuonon.pp^Zur
l^t ' L" ANIMADVERSIONESpro uiickctt
71 itiideliathit Cdte^oriit /^tcimtrddererddicibus dc firmff,
ftcun- dm qudt pojjunt ales nomindri. BonitAS etenimf Vnitd/s uel
2lurd* UtMylicetfpeciemqudnddmrecipiantAfubiedis iUis quibws dppli*
cdnturf ddbuc tAmennefciturquii determinAte fint, nifi dd Cdtc- goriM
tecurrdtur. Scio quidem undm C edndcm rem plures hdbere Ydtiottes,
fecundum quM diflMe concipipotefl ; quam fi confidcrd* uero bondm ucl
mugn^m, qudteniu eft homo uel bpis, nec ddkuc o» ptimdm iUius boniatis
uel mdgnitudinis noticidm habtbo ; prout
tBonitdsconuenireadxqudtedicituriUirei* Si ucro rm edndem fc' cundum
Cdte^riM ordinduero^ tunc per dpplicationcm rjdicum uel formdrum, in hdnc
deuenidmcognitionemfciUcet.dlidmejfe homi- nis uel Upidis effentidlem
boniatem, dliam fecundum qudlitntcm proprixmuel dppropridtim, CT dlidm
fecundum Cdtcgorids reli» quds, diuidendo dc fubdiuideiJo ommbui modis
pofibilibus. Ntc ncs '^muihxc pariter drddicibu^ uelfhrmif
jf>ecificiri, quii dque funi trdnfcendentifiimd. Vicifiim igitur J^ecificdntur,
fcd ab ijs omnibus, drboresKTfubicOn^
Admirdbilemutilitdtemconfequeris^fihtcpridicdmentd dij^o* u fucrfs
eo modo, quo rddices dijponumur,• cd dliqudndo confiderdndo A d m i rabi*
dbfolute,dliqudndorefpeitiue, cr ex iUis quatuor figiirds confiitu- ^**
utiHus. €ndo4 Vrimdm, qud omnid hic dbfolute confiderentur, cr unum dc
Noca» 4iUopr£dicetur,imoomniddc uno, Secunidm, m qud Qbdntitxs^
Q^dlitdSyCTHdbitu^ordincnturproprimo tridngulo. A^Ho, Re« IdtiOyCr Pdfiio
pro fecundo. VbiQudndocTSitus pro tertio, mif»- cendounum tridngulum uel
dngulum cum dlio, rc^c, obtiquc, CT irdnfuerfaliter. Tertid fi^rd, unJi
hds duM fiourds connedct, camc» Tds trigmtd fexconfiituendo i c
fecundumundm qujmq; cdmtram duodecim propojitiones elicies dc uiginti
qudtuor qujefiiones, uti LuUus hoc de rddicibuspoffefieridocuit* Inqudrti
uer6, poterft primdm,fecunddm CT tertidm figunt comun^re, dtq;
mjximdm tdbuldmoonftruere.qud infinitdsrdtiones ucl dr^menix
conficiet» Qu« onmA itt qmu pdrteprincipdU cUriora fient, per ed quje
de L qudtu&t n qujtuorp.gurk
iLuUo hmnlU eicplicAhttntur. jlt dupUcdtm b4ftbi6 LuUiartem. Bxc
proCati^riJs tibt fufficiAnt. ANIMADVERSIONES pro
Formis. i.Anknad Q^Olita fudiitffnij per/f^icdcitate LuUus
/Drmas inuenityUt e^runt uerllo. ^^mediomagis atqimagis m rei cognitionem
inttUe^s deuenire pojbit i cx cteninty cum nibU aUudfint quan rerum
proprietatef^ quieareidtffrrehtia uel modo intrinftco emanAntt ipjis
cognitis^ V Tci (jjentid cognofcitur j cr hunc modum cognofcendi ubiq;
mon» In li: pofl Ar. CiModaufcmfcoc/itwcrMm, ttmco exmplo uideamui.
Ar#. Metaph: 7 in Ubris pbificorum^ fubie^ totiui nAturalis
phdofopbiirilualt ueUtm Drttw de 'cnbtrty hxc utiq^ dtfcriptio inanls
efjtt, quia An* ^loo" dinmjcrationaUac Jpccicbut inttUigibiUbut
competere pom tefl. Siuerodicam* Dm cfl
necrffariuiomninoimmobilifabomniq^ compofitione fcgrc^tusi htc utiq;
defcriptio bona. exiftimabUuK Dicet aUquis, I Ua fanc defcriptio bona
eft, fed unde habeatuTy nefci^^ ^ ^ Nofti optime qu£ fequuntkry^fcies.
Quando aUcuiws reiignoran' Adhabeda tur paj^iones proprix, ftatim ad
iUiui oppofiti naturam recurren* pafsi^oriu m ' ^*""* P-
poliefiorutn in Uli fcdU indi^re pipionis, et qudf^u^
ccgnitione, tiwi de quo cupis, pcrrejpedus unrios, pdfiionesco^nolies.
Qudrt* do Deum defcripfhficmifuprd pstet, credtunm contempUtut fum,
quje m rdtione diuiiionis entif Deo opponitur, cuiu^ pafliones prx'
xipu£, cum fintcontinffntid, mobilitd^ cr compojitioy oppojivm
Heoconutnireconjidcrduiytdeooptimedefcripji. Plurd pojfem di» tere,fed
fubtiles fubtilid qu^erdut. ANlMADVERSIONES pro
Quxnionibut. EKijsqu£ieQU£j}ionibws di6k funtyfdtk edrum
dnimdduer»i, Animad fionesfuntnotx:nonnuUdtdmenmdnijrlldre non piffbit,
dt ucrCo. cum breuioite. frimumdnimdduerteredcbes* QJidndodered'
liqud quxjitum erit ; licet perpropridm quxjlionem rej^onjio fujji»
cienselicietur^huic txmen comunffre potertt rejponjionemy qudm iUd
qujeflio expofiuldt, qutdb hdc originem ducit: mutuo enim fe iebent
ddiuudre, ut ref^onjio cUriorjit, Secundum ejl, utcdueds m j^; .
dcfinitionibut d quecict ^ oes inteUigibiUs.uThabit* etiu reaUu; de
hoc quoq; in Arbore huanaU tradit ((Kdtione originis temporalisi
crftc habetur Arbor (Credto comjtAdternalis.ubideCloriofiftimdVir^nt
Mdridsa |lfl» l iunikm ^bundediffeiitur, [^^^'J
[^dtionehypoftatici cffeide quo miro modo traSkt ) inarborc
Chriftianalif diuivaU tt humanjU ftmuU
[IncrtdtumtAmuidequgArhoTuUim diuinalis lateo' digitsem^
7» NOnttcoiilutUt mict tfbis mdnifvfti fi- unt pcr
formis, dc quibm m primd pdrtc di^m cfi, dcctidmdiCcfur.cumHcmcntaUs
drbor cxpUcdbi0 ^cgctdntis J turyplurcs numcrdndo j ucrius amcn
pergenerdti^ ctrboris pdr 1 onem, corruptionem^ priudtioncm cr
rcnoudtio^ US, ncm, quim per reUquds firmdf, FoUd funt mucm
dccidentis prtdicdmcntd, Florcshuiusdrborfsfunt mjlrumcntx qutddm,
qutex tribusfuntcon(}itut%.fcx potcntidy obic^ cr OuyUt
fruCbtmgencrdtioncmucl tffe gcnitu, rcj^i0 ciunt, Tru^s funt
uegctintid omnid pdrticuldridy qu£ di qudtuor cldffes poffunt reduci,
ficuti cr qudtuoY funt elcmentd qux in ipfis hdbcnt doniimm^ iuxti
fhccicrum udrictdtcm^ DB I DE ARBORE
SENSVALI QV^ecunq; in hdc drhore conflderantury priws ca rdtione
quA fenfudlid funty conftderdri dtbent^ cr demde qudtenm dud* rum
prxcedentium drborum ndturdmpdrticipdnt. 'Kddiccs, e£dem penitm
funt, qut \n prioribuf drhori» bmfuntconftitut£, TruncwSyC^
uniuerfdlechdos, omnid fenfudlid conti» nens. Brdnchx, funt
fex fenfut exteriores .f uifu/S, duditws» td^Sj giiftuiy odordtws C7
dffutu^t. Arhork Rdmi,funtfenfualismembrd interiord CT exteriord;
fenfudif ^ interiora, ut cor, epar, f^len, cr pulmo ; exteriors partes
funt uero, caput, pedes, crura cc. ¥oUa,funt eadem» dequibm
inprioribus diihm eft, fuh triplicitamen ratione confiderda,
F/orcj, funt operationes fenfudlis corporh, ficuti uidc» re,
dudire, ^ftdre CTC. ?Tu6hiS. funt omnid dnimdntia. qudtenuf fenfuaUd^
we- fftxntiatO^elcmentAtifunt. DE ARBORE IMAGINALI. IK hac
arbore fimiUtudines cr idola eorum omnium qux in drbori» bwi
fenfuaU,uefftiU ZT elementaU cotttinentur, coiifiitrandd ft
offrrunt.Etptrimaginatiuam,noneamuntum potentiam dcci* pere debemu«,qu£
fenfuscommunk/pecics confiruat, fcd potentiat omnes interiores ;
nempefenfum communem, ima^nAtiuam, xftima- tiuamyUelcogitdtiudmy
phantaflam ac fenfualem memoriami qu£ firte,TAtione diucrfdrum
operatioimm dtfiinguuntur, cr non in ef. fentid* M
ArboT^ \ r» 'RaiiccSyfuiU
e£dem,qux In trihat drhoribm funtcan* pdcrutje, pro ut potentix alicui
mtcriori uel omni» I bui,per Jpeciem reptjefentantem funt prxfentef,,
Truncut^ eftllmilitudo trucicuiutlibet arborls priori^, I alicui potentix
mteriori obbta, Mbork I'
\Branch£,funtpmilitudinesbranchdrumdrborumpri* ma^nAlis { oru,i*
ritualtm, ia c pars quxUbet arboris fjwitw, fecunium hanc dupUcem nxturam
confiierania efli corporea dutem quairu*
pUciierationeexaminAnidreimquitury^f quatenws efl elemetalif,
uefftdnSyfenfualiscrimdginAlis* Ex quibuicoUigitur,quaUbet huius arboris
partem, quinqi moiis efjeconpicrdniam, fRdiices iUxmet funt, ie
quibu^ fuprd» quinq; moifs conflicrdtie,
TruncuSyefl^ecieshuntdnAuelchdos, m quahomine$ omnes funt
contenti, Erdnchx huiui drborls corporex funt cr prjtcipuc arboris
Ima^nAlis^ folia,funt uouem dccidentid» ex quibus uirtutes funt
orndtjc. FloreSy funtuirtutum mcritHy crmtdtipUcdntur
dduir- tutum multiplicationem. Fr«(ff««. funt mtritorum
mercedes^crnt Deui honorc* tur uirtuose^dc eiferuiitut, M 2
Artor Arhork mordlls uU tes lunt.
Arbor Vitiorum» 'Kd^ttm hdcarbore^qu^ddm funt
principilioret, qutdd uero minui prmcipdUs ; prmcipdliores funt,
^\dlitidyStultitid,Fdlfitdi,a' Priudtto finis ; qui" hws ex minus
principdUs funt connex^, uidelicet Udgnitudo, DurdtiOy ?ote(id^,
Voluntd^y DeUih^ tio, DiffirentidfConcorddntidy ContrdrietdSyVrm*
cipium^ Uiedium, Mdioritds^ Aequdlitds dc Mi/w* ritd4» '
Truncu^yefl confufio ffnerdlis, in qud funt omniJpdrti^ culdrid
uitid contentd* Brdnch£dlijefuntprincipdUs,dli£dbijs originem
fu*' dm trdhentes ; principdUs funt Guld, Audritid, L«-
xurid,SuperbiayAccidid, Inuidid C7 Ird j reliqu^ dutem funt Iniuridy
Indiffretio, Debilitds cordis, lft# temperdntid^ InfideUt^, Dejj^erdtio,
Crudelitds, Trdditio, Homicidium, l^trocinium, Mendacium^ MdUdidio,
Impdtientid, inconfldntid, Immundici^t^ fdlfitds, Vigritid, incuridlitds
cr Inobcdientidt \ Rdmid Brdnchk oriridicuntur, c funt iUd quibus
uiti» orum hdbitus ffnerdnttsr, cr oppojitx uirtutet re»
ifciuntur* FoUd,funtdccidentidnouem,quibus uitid funt qudUft*
Cdtd» lloreSi funt culpt iuitijs mdndnteu
JeruduSffuntpocn^, oh mtia peccitoribm hfHdf^ DE ARBORE IMPERIALl
•f IKhdcdrboreeaomnUconliderdntur, qutdd
regimen unmerfUc Ipe^redicuntur» qudtenwt
tileregimenejltempordleuelfeculd* re. Nfc hoc in Locoyimperatorid
MaieftiU txntum ejl confideritnddy fedetidm cuiuiuis dlteriui
perfonjedominium, inqudntum legibu4 im* perdtorijsfuUiturdc refpedum
hdbet dd Impcrdtorem. Et htc drbor m duM pdrtes diuiditur^ primd quarum
rejpondct prioriparti drbo» ris moraliSy cr fecunda fecundic i hinc eji
quodiRdrum duarum pdrti--^ um debet fieri m omnibm huic drbori
dpplicdtio, fecundum uirtuo^ fum effe aut mtiofum,lmptrdtoris^
'Kddices,funtiU£,qu£inprioribufdrboribus funt con-
jidtrdtsc. Truncu«,eft commune regimen
f£culdre,quodlignificdt communem perfondm imperdtoris^
Brdnchjtyfuntdecem .f Bdrones, MiliteSy Burffnfer^
ConfiliarifjProcurdtoreSyludices, Aduocdti, Nwi- cijyZonfejfariwi
zilnquifitores^ Arbork\m palts par- ^Kami,funtijdem
quilttmoraliarbore funt conlideratt, tes funt cr pr£ter hos, feptem quoq;
dj^ignAntur f luftitia^ Amor^ Timor, SapientUf Poteflasy Honor ac
JLi» bertax, ¥olia, funt nouem accidentia, de quibus
fupra^ Tlores, funt Imperatork iudicia ac fuorunt miniflroru.
TruChsy efl pax ffntium, ut ht pace Deum dili^re poft l fint.
n $ DEAR* DE ARBORE APOSTOLICALl EA omnid qutt
hominem di Datm ordindnt, hdc m drbore confl* dcrdmur, ty Ufrfxtur
circaperfonds cr res eccUfidfticdx Qu * dd Truncum cr BranchM,potrfi
conjiierari ommbut moin qui hut drbores prxceitntes funt conjiierdtjey prster
Imperidlemy qu£ pdriterpriores omnes continet,fdUem,quo di Truncum
cBrdncbdf^ 'B.diices,funt Virtutes Theologics CT CdriindleSy
qud* tenuf d rdiicibui uniucrfalioribus funt w/ormdtx^
Truncuf.efi perfonA ^neralk, qut iicitur fummw Po« tifrx, fuccrffor
Pe^hnt dd GLORIOSISSIMAM CT SANCTISSLMAM DEI HOMI» NlSqi MATREM,
ViRGINEM MARIAM, qu£ Mund0 feperit h^undi Sdludtorem,
fRddices, funt pnes hominum recredtorumy qudtenui l gencrdlioribuf
principijs [unt injvrmdta dc orndt^, Truncutt eft hdbitut quiddm
generdlPSy rdtionc cuiui VIRGO M ARI A dicitur refugium efje
peccdtorii, Brdnch^y funt dux uAturx, uidelicet diuind
arhumdnd, ArhorUmd qu^iUud diuinum fuppofltum conflitucrunt^ cuiut
terndtkpdr « VtRGO mdterfuit, Virgine permdnentct Uifutit
Kdmiy funt SpatFietdS^dHocdtiotUumibtdScryirf ginitM^
FlorcSy funt dignitdtum M ATRIS DEI.
TruChsyeflmvscH¥dSTVS,ciiiutcruore, 4' tnortt ^ Uber^tifmmi
DEAIU DE ARBORE CHRISTIANALI.
Il^illd.drboreeA conflderdri debcnt, qux dd vncdrndtum diuinum
Vcrbum jpe^bint : cuim drbork du£ fitnt partes prkicipdliores .f. Diuind
cr huntdnd, ficuti cr m Chrifto du£ funt natur£; cr fecurt' dum utrdmq;
eft cxdimittAndd i rdtione bumdniatiSt pdrtes omncs ar» boris
funtytlementtilcst Vcfftdntcs^ Scnfitiux, Imdgindtiut ^dtin onales
irdticncuero DeitdtiSf pdrtes proportione qudddm funtfn* mendjc»
fRddices, funtgenerdlii principid diuindchumdnSt I
J Truncus, eftlESVS CUKlSTVS ; qui truncws unitt tfi j rdtione
bypoftdfls, fcd duplex rdtione ndturdrum^ hrdncb£, funt du£,
uidclicet ndturd diuind. cr humdnA. Krboris Rrfwt, funt rcfpe^ks,
quos ift£ du£ ndtur£ hdbcnt, »»- Chriftiddlis ecificdri CT
determindri;ideo qudndo confidcrdntur drbori* "f-Qj^^j^ bus trddcre
cffe, neceffmum ejl iUjK confidcrdre dformis prius udrio modo informdtdt
CTptrfr^s : ex qudrum pcrfiBione drborum pdr- tibus inefl quoq-, pcrfe^o.
Berddicibuspducd ddmodum infequenti* bus dicemus, quid proUxitdlem CT
inutiles eiusdcm rei repetitionet uitire intendimus. H/c igitur qu£ de
ijsdiximusobfcrud^C pur^ mente contempUrc» N 3 Dr
Truncou J»4 DE TRVNCO. V, . nr^R««cwfr
dutem dcbedt inteUi^y in mixto eUmeutd ejfe ; unicuianriai mumm terminum
; cr h£c duplex eft f pcrmancnscr fuccefiua ; ^^J,'^"' ^
permdncnsycuius psrtes quxshabet funtjimuli fucccj^iud autem, cu»
fucceUiu» ius pirtes non funtftmul ; quod dcbet in utrdq; qudniitatfs
dcfimtiot qu id. ne intcUigi.noude pjrtibus effentUUb'J4, fed tdntum
mltgnnti. fcw orqudnrititiuts Difcreta cft, cuiui pjirles un.i pcr
tirmintm dU 'crefa quem communem nonconiunguntur, QUic ut
cdptafdaUordftnt, \n ^u*'^^»^**» m9dm drborh dij^ofuimut^
Qudntitdi4 * U4 ^q6 'Lined
fjutefl logitudotdnm tmn, Superfiaes, qu^pr^terlon^
^Venmnens^ gitudmem habet Utitudmc^ I Corpui. quoiefllongumM' [
tum, profunduwq;. (Continud l f lAotut,cT cjl aOtis etif,qu4>
I tenui in pjtetnid. I \Juccepiud ^TempufyCreflnumeruimoA
tm jecundum prius cr pot fteriut* fOrdtio, (juatenut
eiui fyUabx menfurdn» j tur breuitate uel longitudme» iw pro*
Difcretd i mnctando. I (Effentidlit.utdigitui drticu»
(V^ejpefhu^.utpdr^ Accide-i pdnter pdr, pdri' tdlis \
tertmpar^c. \^QSdlitdtiumcrefi tUe quiimportdt pguriyUt
affcret^ fbbi.pararelli.pt' des crc. Pf op rlu m
Qniiuitdtk efl proprium.ut fecundm ipfam res £qudLes uel mxqud^
Omnls oualitas ry^rqudlitdtemresqudlesdicunturiut per
iuflitidm homini m# nat fubie
Xr^'''^'"'''"»^'''"^'"^"*'^"^^*'»^'*"'*'^''''"''"''^"*
Hccqud- du. ct qiia^ ^^"^ denomindtfubiedum m quo efl, mp in eo fit
utenfd; !ۥ . blttcefi DE dVALITATE.
r t4tisfuntqua\ tHor \
tol hmcefl(juoidqudtepidjne(li edUdd neq; frigidi poteft
flmpliciter nomuun i retiuiri^ur quoicidnt,*uelquodddc6* Propria rc
uertentUm de feip/is prxdicentunquod jint flmui naturd ^i. na- latiuoru,
turali inteUigentid j CT quod uno pofito, dlttrum ponatur» cr
*f*>gnani, deflru^, deflruatur^ Non mc Idtet, mdteriam hdnc effeddmodm
dtfficilem, plurai^ expoflulare j hxc tdmen procompendio fufjiciat^
DE ACTIONE ACfio non dcbet confiderdri pro formd dih, uel
mdteridUter, .. fcdfvrmaliter CT pro rej^eOu ; cr mhil dliud efl quxm
refpe. fi u5- {ks quidam, quo dgens reftrtur ddpdffum.^ropriumefid' fidcrandal
(tionif, ut jit rdtio qu4 pdjiio iiifirdtur. DE PASSIONE
EX diihs hic immcdidte fuprd> fatis crit paj^ionls ndturd
manifr^ fid } dejinitur tamenjic, Paj?io ejl rejpe^ius pdtientis
ddagens^ Proprim c{h huiusy ut injirdturdb dSHone^
DEPOSlTIONEudSlTV. POjitiOy efl ordo pdrtium dlicuiustotius
ddipfumtotuniy CTdd ^oCulo ab locum-y cr w hoc
po(itiodbubidiffhrt,quidubijigndttdntum "^i^ii^cru rej^eiium
ddlocum, pofuio dutem prxtcr hunc^ dlium denotdt, utpdtet» DE
HABITV. HAbitus hoc in /oto, non dccipitur jicuti inprimo
qudlitdtit moio dccipicbatur ; fed pro rejpedu rei dlicuius^ db
extrinfe- co dltcrirciddidcens^ pcrmodum orndtus uel deorndtus:
fiu$ totum uel pdrtcs multas rejpicidt iutrejpe^usintcrulxddeumqui
td ejl indutus i fiue minimam pdrtem ; ut anuU re^eiiusdddigiM.
tum, DE VBI ucl LOCO* VBi, tj} rejpeaus lo€'
citfdjiigndt P(trus hy^dnus, qu£ nuUius funt momenti^ O 4
JDEQt^do^ > ^ DE QVANDO»
QVdndo^ellrefpeCknemporkddrmtempordUm j ut rtjf>i$ L%s huiu4
bor^j dd rem tali tempore exHlentem, cuiui operd' tiouelmotui menfuratur.
Duplex quoqipotefttlfe.aaiuutfi Uideliceta-pdj^iuum^licutcrubi, \demde
bdbitu dia poffet. Huiuf dccidcntistresaj^ignAnturproprietdtet, quarum
cognitto cum non ddmodm im6 parum uel fvrfan nihil profit, fcribere non
curauimw^ Hjtc de fvlijs omuibw! corporek rebus conuenienttbM, dida
\ufj\ci*^ 4tvt Q^ndo igiturdere aUqud materiaU traihbitur, poterit
luUi Pndtofuipnhtc accidentid edm fdtit ornare, poteritq; Cate^riat
nofirM non folum reijppUcdrcfedetiam cuicunq; horum dccidentui. DE
FLORIBVS. AJ^dmis foUd generantur v fiorts ;de /vlijs di&in
efljed dt fionbm aqmbw frudusdcpendenty rcfiatut nonnuUa uidea*
mwi4 F los hic dccipitur pro re iUd qut fruOui uel efjviiui e(l Flos
quali p^^^i„i^^. mfhrumentum dicitur quo res dcquirit tffe. ?ere4 rcr
accipu ^^^^^ ^.^ ^^^^^^ ^^^^^ defaciUdignolci,quidperi>\f\ru*
Dubia Lul mentumuelfiosueUt;uidcturetenimquodpro mfhumtnto optratij
li fenteru onmdccipiat,^ tamenremabaUomotamquandoq;proeodem ca»
defloribusy|4(|.4f. t« uero brcuiter nobtfcum poterii afjirmare;
principaUus Opcratio e ^Hfumentum operationem cjfe, quia fruCkiuatdeeit
proxima: ftcUM. ^^^^*^^^^^^ tipdtetdifciirrenttperomnet motuf
ff>eciesi remotum ucro iUui mcntum. ^^.^^ ^^^^ difpontt, ut
mdefequaturfi-u^hisificuti ignifcahr» quid calore combufiibtU uel
caUfj^bile dt)j>onnur» ut formam ignis fufcipiat : dUud remotijiimum
datur, quod motum ab dUo recipit : CT duplex f f nAturale CT drtificidle
; ndturale ut minui. pesO-c: dr- uficiAeut funttUd qutbus tAechanici CT
aUj utuntur.Et omntbuf ijt tnodis mjirumentHm uelfiospotej} accipi, ftd
jecundum LunHnten» tum (ut m fequentib^4A patebit) uerius optrationef
fiorts uel infiru» mtntd dicuntur, quJim cttera quxnmirauimM. Hoc quoq;
fidcmfd. cit,qui4 tit,quU in(hmenU duobut uUimk
modk conjldcrdtA, dut funt qud» litdtes dijj>onenteSy qux cum
elementit cor^iderantHr iUel fuiH tl^ menatA^ qu£ pro jruShbui
dccipiuntur, > DE FRVCTIBVS» Flnts cr compUmentum
rddicumy Brdncdrumy rdmorvmy foUo- rum cr deniq; florum,frui^s funt ; qui
per eminentiam quant flu^^i^^*^^ damomnesarbbrk pdrtes continenc^nec
unquam partes arbo' ° rlf quiete fruuntur, mji quando fru^is
fuumcffeconfequutifunt» pK«(f?wy huiiuarboris funttUmentiL
omnid(feclufiseUmentis com^ pofitiSy qux pro rais funt accepn) quxcuq;
fint iUayfiue perfiet&^ fiue imperfida, de quibu^ in quatuorUbris
Meteororum d^U Philofo' phut. tion eflprxfentis ne^^tij de ifs
traShreyfedqujc finc numtrd* bimui faUemy cr nonnuUd forfan deiUis
diccmus. D«o funtmixtorum generayquorum primumimperfe^rum dtcitun quoniam
tefte Ari- flo: in primo Meteororum, fecundum naturam minus ordinationm
Duo mix- fiuntyquJim reUqud corpord ; uel quia fubito mifcenturac
ffnerantur, " gcnc- Etfubhoc mixtorum ffnere meteorica omnis
imprrj?io contmetury " 9"«fint UtUquetuidereex fcquentiarbore.
AUcrum mixtorumpnut perfit ^4"*^» {htm efiyfub quo lUa omnia
comprxhenduntur, qux in terrx uifctri- hut generantunqux fnnt difjicilis
mixtionis, ffnerationis, ac ccrru^ ptionis i de quibtu Ar: traibAt m 4 Ub
Mettororum, cr funt Upi^ deSy metxUayfales cr fimiUa. Ab imperftEhs
aujpicaturi ; qu£ cr uu ffnerationis perjvdiora prxceduntyhanc
tmprcj^ionum omniumad' uotduimus diuifionm j utfdciUus qux fittt,
cognofca tur, y P Omnfc OmnkMtte oricd
imprcft fo cdufatur utl
flno^UiLSphxrd.utGaUxi^ Sine upore, vfubit^tuf { \n acre, cr tx
radiorum folk refie^ aut [^xiom fiti ut Hnlo, Irif, Pdnhelif^
(Comdt4 fSteUd i Bdrbdti I Colu^ [cduidti In fupremd
dtrlt j nxpyrmidAles» *Sicco cdli' do CT m-*
fldmmdto Vdpore 'Simplici^
I regione,ut fune « lii medid^ ut
inmfima,ut CdndeU drdctes Lance£ ardetes,
Titioyquidicituf Afub» 'Cdprt fdltdntes ec'iem ^rit
lapidfs vellutidccodi: qui defcendendocorponquantumuis durd
pcrcutit ac eucrtit. Si uipor cleuatus efl mixtu* fulphtire uelargento
uiuo ; tunc ex dccodione v infiuxu coclefti, -quaodoq;
infiuftumfcrriucl chalibls conuertitur. Venti turbink ong) abaqueanuht;
(fl,quite' Deuenio nus contincttcrreflrcm uaporcm i ex nubis fradione
vaporiUc tcn* ^urbinii. dit maximo cum impetu terram uerfus, crd tcrra
repercvlfus^ fecum trahit quxinuenit, DeimprcfsionAus gcmtis
no cx iiaporibus, fed ex reBsxione folis uel Lunxauc
ScelUrum. DVm dcr uentorum impetu non molcflelur, folct aliquando
ap^ og Halo- pirere circultu albu4, circd folem aut lunam ud fteUam ; qui
ne, Lorond Ldiinc, cr Udlo grxcc iiomindtur ; crgencniurflc^
Quando I fi4 Qudndo
hmni£ui ttdparfurfum dcudtof cjl, nec tmtn attigitmtd^' Amaeris regioitm^
ritionerdritatis fuxoptimcluminis (fi fufctptu- mt» GT migii in medio
quim in cxtrcmitatibus,* quii co m loco tft intcnfion corpuiq;
lucidumuaporH ccntrum diamctralitcrradifsfuig
iUuminatiSyhumidiat*mdeftruiti qiut ciccntro rtccdcns ai pcriphf rit
partcs conftkgit, cr bocpu^ fit circuhu j qui cum tUuminetuTt nobis albut
apparett quia ntc adhuc uapor m nubtm denfam cft con» DeTride. ucrfas.
\ris gmcratur cx reftexionc radiorum foLarium uclalicuittt dlttriui
ttflny m dupliciroratione cr nube detifay tx oppoftto foOiS dut altcrim
aftri conftitutis ; pcr duplicem rorationcm mtcUigc im* brcm dupliccm^
fubtiltorcm ./*♦ cr crafsiorcm, Quando nubcs denfd cr aquofa cum duplici
iUd roratione Soli ucl altcri aftro e regione opponitur>adeo ut radij
oblique incidant itt camt nec petietrare ua- Uantt tunc fitradiorum
refttxio^ m qua rtftxxioncy carporisluminoll ima^ (^fedimpcrfrilc)
reprcfcntatur: cr quia talif rcprefcntatio fit fecundum arcuaUm
ftgiiram»ideo iris nominAtur^ Colores in Iri- de
caufanturuirij^exuarictxte fubic(ht m quo fubic^bitur. Tcrru
prlsenimuapor uel nubes denftfsima, nigrum colorcm prxbet ifT quanto
magis accedit ad terreftreitatcm cr denfitatem ucLrecedit» tanto magk
colot adnigredinem uel albcdinem dccedcns cdufatut^ Multa effcnt dicendd
tam dc pluralitate Iridis quim cius figurddrcn^ Ofc P:iahe
alicrcoloribus, qux omittimuscaufabrcuititis* ParabcUj, funt Sa« ^i**-
lis jimiUtndims, quicaufantutex rtftexione radiorum folis in nube dquofa
ualdc denfa dc rotunda AUtere foUs txiftcme ifi plurcs con» jimilcs nubes
aUtere folis mueninntur» CT plures parabclij caufdtu tur. Ex tranfitu
radioruw Solis in tiube non continud fcd pcrforatdt udin.aUqiubiM
partibtts rarior^ ftib foU tamtn pcrpcndicularitcr rxU [icnte, folent
nobis apparcrc cordt virg^^ diucrfls coloribtM-or» Calaxiaq nat£; cr ij
colorcs ex tranfituradiorum pcr nubem caufantur* Efl modo ge aUerd
impref^io qud-tiecm uaporibut fubiefkitur, neq; ex uapori' ncrctur.
conftat, cr eft GaUxia, qurfic caufatur, 1« o^ua Sph^ra md^ tte funt
PeUs^ aUqux uifu notabtUs, cr aUqute non i qud cwn Uicid^
flnt . Tiiios emittuitty fcd ex minhnd dd inuicm litUdrum iUdYum
di* ftdntix rjdi/rcfnnguntur^circulMq^fummealbuicaufatur, quird*
tione t^ntx glbcdinis ladcus dicitur. Hunccirculum Vulgwt appeUdt uittm
fin9i Ucobi^ qud mortuorum dnim£ priusqudmcoclumcoti- fcendjnt, iUuc
perueniunt, Dc MenUis cr reliquiSt ^U£ in terrd uel
Urrxuifceribuigenerantur, mt fumus di^ri, ut Alcbimiflis
[obiidiud^ dd firmdfciicntdcni»
fd^dU. potentiaU, dd£qudtum.
mddtqudtum^ fixmdU. prxmdrivofu
ftcunddrium* [InffiUre* uniuerfiU^
Itntitdtiuui, qwus txtUcdufmfum ttiHii^ txt
fperji^onk, I originif, topriotitds ^ndtur€»
dignitAtk» ordink, Stcundarioritmi TertioritM» f
pcr iuxtipojitioncm illc dugetur iofl^ tio 1 f
Vroprie tdS t,6Vropor> tio
17 Coditio s8 mttntio I propriiy cr
repcritur (KdtionaliSy C tH interiUd qu£ und comuni inttr qudniUdtcsi
menfurd mcnfurdntur^utbicubitum uel tri* cubitum, qu£ cubito mtnfurantur^
CTina- fn&turdlk» ritbmeticis numeri omnts^ quid comunimc'
^ furd >f unitdtc dimcntiuntur* [drtijicidlif,
[irrdtionAlis^c^f^ft intcriUd, qut und co^ nunimcnfurd ncqudqudm
pojfunt mcnftu 'primdrU, rari, mlt^ funt tdm rdtiondiis qulm ir^
rationaHsqudntitttif JpccicSt qu£ dpui fecmddrid» UUtbemdticos
pojjuiu uidcri. ip Ordiua^ tlf I
tcmporis» Ordinxtio\originiS0 \jxcrcitM»
(morditer, (bona^ 3 o Opndtio ^ [entitdtiur» I f
mordliur* [mdld^ [cntitdtiua fbonl^ f rtdUSf
eciesdptitudine :fT gicu cc phi \ Jduplex eft, phificum c logicum j
phiflco ffntrt ^udent que* lic u «^uid ? cunq; ex §aiem mdteria funt
conftitutx, ut corporalia omni^ fic ^ruplex corrupttbilid.
Genuslogiciimduplexeft.f generalifiimum cr fubal» logtcum» ffYtium
;generalij?imum fkpra quod aliudgenui non daturylicet tran^ fcendcns
po^it ddri:fubalternum, quod rcfpeShi fuperiorum eft Jjfti Quare ge^
des,injtriormiter6 genw. Genut logicum eflunumdequinq-pre^ C^^inu^de
^''" quatcnus de pluribus dijfrrentibut ft>ecie ac numer» bnq-
^5di prtdicatunfedobbdnc C4ufdm, cr prtterta, quid tdntum parten^
CAblliblll. s
^cnti4ef}>ecichuicotmunicdt:& i /^cie difftirt, ^nU hdc iotm
ScotizjU rJJentUm mdiuiiuis Urgitur^ 4. DeSpccie»
' Pecies eft qu£ Jub fe plurd mdiuidud tdntum continet, ucl ttAtd
efi contincre. HMabsci; conliderdtione pofuimus in hacff^ecicidcfia,
Notl» nitione hM p^icaiix, uil wt(a eft contincft, quidfumquxddm
JPecies,cChimi prior m iUk corporibui rcperi* turyquitndjx
funtaeterkcorporibuiUuioribus fupereminere^ pcundd ucro m iUk qu£
grduioribut utroq^ modo, 13» DcPondcrofitatc uel grauitatc.
GKduitdt cfl rdtia, qud corpord ndtd funt dcorfum tendere j
qutdupUx cfiy jimpUcitcr cr per rcjpe^umi primo modo corpord iUd fum
grduid» qux infimum omnium locum ndt4 funt occupdre^ fccundo dutcm modo
qu£ fuprd hxc tdntum Locumjibi uendicdnt. i4^DeMotii»
VThreuibui Idnc/Drmdmdcfiniendomeexpedidm, motum td' tioncm tffc
dico, qud crcdtd cundn mouentur. Ldrge motum Accipiendogaitrdtioui cr
corruptioniconuenit, dc quihm /»- &. 5 quuti
quuiifumut ; hic tdmen firi^ie oDn/lderArevoUimui^ Motui (^eclet
muUgfuntfUtftdtimtibidemonflrabuur. j Augmentdtio^ O" efi augmentum
qudntitatk» 2 Dimtnutio,creJldecrementumquantitattf, ) Altetdtio,
cr efi mutatio de und qudlitite in dUdm, 4 Loci mutntiOf CT ofitk
tribuit, nepUtribut m rdtio* ne fuperiork fc communictnt. AfsignAntnr
diuerfa indiuidu» Qrum f l ' WMgtntrd iitempe, flgtutUm iniiuiiuum^
ex demoftftrdtiotie, ud* gKf», cr tx hypotbeji. Qtiod horum jit
difcrimetiy Logid trddunt^ ji» Dc
Attrafpeciesobiedcrufuorum4ttrahut, 3 2* De Contingentia»
OMne id quod i cdfuueljortundeuenitthocmodocontingent efl, Sihomo
templum uolensddire, d iapide deorfum cadente ' in capitc Udatur»
contingens efl, Si tripoix cadens e fupremo \ locojfiat aptx fcdcs,
contingensefl. Behaccontingentia fub nomine in 2« phi0» cdfut
dutjhrtunx mteUiffttda, pr^eclara Mo: tradit. 3 3, Dc Imperfeflionc»
Ih^iperfr^o pcrfr^Honk ef} oppofitum, ideo quot perjrBionU Jj>f«
ciesexplicanturuclexpUcaripoffuntttot cr imperfiihonk* Iw* pcrfeBio e/?
rattOy qua aUqtdd non habet effe completum. Sic ho9 mo A ndtiuitdte
caccus aut furiws ucimancuf, imperje^s efi, 34. DeColore*
r ^dndis cft colortm uis, quonidm eorum medio m cognitionem [
qudmplurimarum rerum dcucnitur. Plura etenim corpora re» I
periuntur colore uel lumine affc^y quitn aUjs quaUtatibus ut f
fatis notum reUnquitur de coelo. Cobr igitureflratio,qua mixta funt
colorata ; nota wtxf», quomam elementi quaUtdtibus fecundis carct,
3^,DeSono» SOnui efl tmiucrfale quoddam ad otnnes fonos^Moc
Ln loco fotuim izcipe et quatcus icorponbus fottatibui proccdit,et ct ut
efi qu4- S i Uidii «3« Utds qu£ddm
vn derm imprrlJj, ipfumci: ptrcutiens, ie quo eonllde^ Ydtur et^Um m
dtbore fenjudUjed per dccidcns.ubi dc pottntijsfenji» tiuis exterioribut
obie£hstrdditur notitid, FVmdUs eudpordtionts i corporibus
odorifiris excuntes^ dcrc^ mouenteseumdUcrdndoyddor^num olfdCks
dtueniuntyquoi in dudbut nirium cdrunculis conjifiity crjlc
ptrcipiunturodo» tes* iUcuit breuitcr oRendtre olfdciendi modum i tu
dutem in fe odo» resconflderdf cr ([Udtenus dd potentidm
ordindntur^ 37.DcSaporc» _ . 1"^^ Sdpore muUd
effent diccnddt brcuitdte tdmen ^udenteSy macen^^" 1 J tangrmus. Saporis mdterid fubU^h, tjl
bumidum^ cui ddmixtum efi flccum terre/lrc i humidd enim tdntum^
non _ . funt fdpiddt quid nimfs fubtiUd ; neq; flccd tdntum, ut dc
finiUo ' * '^"^** ^ bMtM4W0({i fdtif dppdrct. Hocmodoftpor potefl
definirL Sdpor efl humidi pdflio iJUtd iflcco tcmftri, quod a cdUdo
pdtitur i unde perhumidum,receptiuum faporis txpUcdtur ;ptrflccum
ttrre» arepalJum, efficiens propinquum ; pcrcdidum m ficcum dgenSt
tffi» ciensremotum. Sdporlt muUxfunt J^ecies. 1 Dulck,
confldt ex cdUditdte cr humiditdte mgroffd fubfldntidi medidtq; eius
compUxio intercdUditdtem G" fiigidudtem^ 2 Suduky ex
cdUditdtedchumidUdtemfubtiUfubfldntid; eiutq; com^ plexio efl
medid*. 3 Pinguist ex cdUiUdte dc humiiitdte in fubfldntid mediocri
;eflmf dixcompUxioniSt 4lnflpiduf, exfrigUitdte ; eU quoq;
meiix compUxionkt^ f
Sdlfus,excdliditdtevflccUdteinfubfldntidmediocri; compUxi^
tdcdUidt 6 Amdrus» txcdUiitdte cficcitdtc in^xoff^i i
compUxi^ efi tdiem eumprdceienti. 7 AcutMy ex
cdlidiute CT ficcitite In fubtili s complexio efi eddem, t A cetofwsy ex
frigiditate cr jiccitite m fubftamia fubtili ffnetdtur t tomplexio efi
frigidd. 5> Stipticui, exfrigidintecrflccitite «t mediocriiedde
eflcopUxio^ 1 o Ponticuty exfrigidiate c^liccitdteingroljd j crefteundem
co' plexionls cum Stiptico Acetofoq;, Korum fdporum multdt
poffcm ajiignAre operdtioncsccdufu opc^ rdtionumf ^udx conJiderundM
rclin^uimut Medick» jS^DeScnfu» HAncformdm uult huUui
fub fe ^flum bL^muc contincre, fiy Recitantut
cutiexeiuiuerbiscoUigiLlnquitcnim^SenfuteflfemittAtusm Lulli vec- drbore
elementdli^ qui diJf>ofitui cfl rdtionc fenfUiux mfert£ ba. in
elementdtiud ej ue^tdtiud^ quod ex tUod^s nMurdle dnimdtunt
htd{hmdeducdtperfentire,cdloremdUtfrigiditdtem,fdmem v fi* tim dc tuihtm»
Non effet tamen mconutnientf hdnc fotmdm dccipert fudtenut cuilibet
fenfui efl dpplicdbilis. 3 9. Dc Conceptionc» *
PErhdncformdm mteUigendx funt conceptioaesndturdtefy qu£ Concepti*
ddffnerdtioncmfenfitiuiucL uegetdtiui ordinAntur. Ali^lunt ones naies
etidmconceptiones.f mentdlcs, quarum pdrtui func cxplicdti eimetales*
9ncs qux fcripturd» nutibut dut uerbis fiune. 40.
DcDormitionc4. DOrmitio uel fomnut efi dnimdUs perfeib uel
impcrfeBi pdf^io; ficuti ey uigilis^ hhic efl quodcd qu£ fenlibiit
cdrent, ijs quoq; cdrere ncccfje efl. Somnusdtiimdntibudnccefptriut efi
dupUdS on* quk" decdufdi primo ut uirtutes nAturdUs quibut uti
nequdquam pofju^ reaniman- mutfineiUdrumfdti^tionCyinterdumquiefcdnti
fecundo ob uirtu^ ccffariui"* tcs ue^tdtiudty qu£ continuo motu k
fuis operdtionibut impediun* turiCT hocuerum efje ex efftibbut cernitur ;
exptrimurenim bomi- ms JludiofoStmultum^ fenfibus utcntes non admodum
efje pinguer, S> ) obmA*- 1
M4 ob ntdldm nutritionem (jux m t:h ft i ex oppojlto ucro
quidm kuH uiuntur ignuuit^ ocio, fomnodediti^quitdmpinguesfunt^quoi
Somni gc nilfuprd.Generdturautemfomnutbocmodo. Obciborumdecodio- neratio*
nemyd corde uapores eleudntur, cerebrumq^ petunt, qui Ji nimid ctre*
brijri^ditdtecondenfantury replentq^ uenM dcmedtun, quibui d cem
rebroor^nii uirtutfenfitiud communicatur j C2r fic ItQ^ntur orQind uel
impediuntur ne pofiint fenjationcs fudf exerctret 4J* De
Vjgilia. DE uigilid oppofitum eiuf quod de fomni ndturd di(km efl,
con» jiderandum reimquitun conuenit pariter uigilid dnimdntibun cr
nihil dliud efi, qum folutio fcnfuum ad exteriores d^is, per cdlork
ndturdlis reiicrjlonem ab mterioribuf dd extiriord,
42*DeSomnio* Definitar T) txplicdturi quid fomnium fit,
dicimm effe dppdritiom fomnium. J^nem quanddm exrecurfulimuUchrorum
a phdr^tjfldyptr com* pofittonem ucl diuifionem uario modoconfiitutamy ad
jenfum communem j quibu^ phantafmatibiu homini dormimific effe ad
ex* trd uideturut ipfa mouent, nu Uo cxtrinfeco agente in ftn [unu per
re* prxfentdntk modum : non jine caufa pofuimui hdt pdrticula^ (per
reprxfentantif modum) quonim per modum excUantk exirinfecs qu^dam ad
fomniorum caufationem rcquiruntur. Corpora enim cae» leftta concurrunt
adhoc; cum pbanthajid dccttert mteriorts pote*
ti£materialesfint,dcmdtcrijles obit6hrum ff>ecies retincdnt^ qu4t
Coeli &E_ mfiuxuf ccelcflk funt rcccptiute» Elcmentorum quoq; qualitates
di lcmentoru fonmiumefjliciendumopcranturdc conducunt; ndm corpork
pdrtes. ad ro'nii*iri "''^'P^^^W"'^ pariter afficiunt
quali» concurrut, ^''^'^'^ '^^> hinceH quodfidormicntii manw uel pcdes
m aqium fri* Nota. gidam ponatur, ftjtim fe in dqufedere fomnidbit. Mult£
funt fom* fiiorumfj^eciesqud/srcUnquimmt,
43,DeGaudio» GAuiium fink tft potcnturum fire omnium :
dppetit dnimalt timtt, irdfcitur, proftquituraliquid, CTdliuiuitdttob
dcUdi» tioncm CT ^uiium, qudtenut did^s tttles iire^ie uel indire'
Ae fequitur^ucloppolitumeiusuitatur. Efl^tiiium rdtio qud 4nu tudl ic
bono ddepto uel ddipifcendo, dut mdlofugiendo Utdtur»
44^Delra# IKdex concupifccntid oritur, dt4*, 41
Hrfcrogcnritaf. 42 Ingroffdtio, 4 3 liltgMdlrt/ffif.
44 IncoAo. 4 f Imprepibilitdit 4d IncodguLi t(0.
47lffii' 4 7 uil^h^ €p Penetrdth» 4.8
mjiammitio^ 7 o Kemifiio» 4p inquiMtio, 7 r Rtjpiratio»
5 o InfclubilitM» 7 2 RctfflMaf 5 i U d Putrtdo^ 8 8
VniuerfalitdS, 67 Putrcfd Hio» S ^ VioUnidtio, 6 8
PorrofltdS, p o VflibilitdS» Tlures formdt fdbricire poterts m
undqudq; drbore, fl pjrtes omnes 4rboris conflderduerk dc indd^ucris
edrum partium proprietdtes, ^udtlocoformdrumpoterkhAberei quid Mt dixi
dliqudndo, form^ iooo proprietdtumafiignAntur, qut meliusm reicognitionem
ducunt qudm cetetd txtrinfeci prxdicdOi* Dedimus modum fMcdndimul
tis formdSt Sdt uolmm de /ormis dixiffe, dc de primd drborc.
T DEAR. R ^> f ^ 8
DE ARBORE VEGETALL ris demc^
contempUtiodrbor(sutffalifyquonum fccundum nttur^ or» talis ad ve- dinempoftlimpUxclfcquoirebwtconuenit.fcquituruiucrt.quo
getancem. melfcncbiUonconftituunturinec altiorcm gndum poffunt corpo» rea
cntii unqu4m coafequi, nifi ue^tans uitj prxfupponatur. Inh^c
drborcomnufumconliderandafub dupUci rationcy uideUcet qudte* nwi habent
effetf^enhxtiuum CT uegctitiuum, boc ettnim lUud prr» fupponit»
DE RADICIBVS. AdiceshuiMarborkeiedem penitns funt, qute pro
etementsU arborc funt firiitatXi aquibus omnes arbork Jpartes fuum
effe dccipiunt : nec aUquidradicibtM oonuenity qum arborum par*
tibut fccundario conucnidt. DE TRVNCO, TKuncu/s efi
qttoddm uninerfale corpWy m quo potentiaUttr
particularestrunciwntinenturdcreliqua omnia, qu£ iruncu fequuntur. Nam
uirtutenAturaUumaffntium qu£ m eo jun^ potenttaUterada^mdeducuntur*
DB BRANCHIS. BKancl£ funt quatuory fciUcet
potentidappetitiudydigejUHd^ retcntiudy cr expulfiud. Per
appetitiudmquodconueniense^ pctitiua uefftantibwfy defideratur, dc beneficio
nAtur£ fruitur^ ?rouid4 uelatcia£li HAturd diuerfls diMerfat trddidit
uirtutes, quibwt conuenientiddttr^ bunturut m effe conferuentur, Quoniam
uero quod dttrd^m e/J, ad attrahentis membra roboranday qu£ nAturalH
calorls ui ac MrtM- te debiUoitA fuere, nunquam efl aptum, nift membrk
nutriendls flmile fiat; ob id opm efl difffiiua^ qua alimentum
concoquaturyac digem. rantnr ea qu£ f^eciem cr formam membrornfufcipere
noo apta funt^ £tioc TEt Idcalimcntum tfuodih
extrinfeco ucnit, quii m tcmpdrc impcr* ^ ccptibilinonpotcjltranfmutdri
ac conucrti in aliti fubfldntiiMyoh mbcciUcmtr>insmutantif
aibonemcicpafircfiflcntiam: idco ncccft farid cfl quicdam
rctcntiuafacultast qua nutrimcntum tamdiii rctinc' Reteatiui^ dtury
quoaduiq; nutritio fiat, At propter impuritatcs abifcicndas, qu£mrtutc digcfliux
pottntix, d purioribusfubtilioribwsucfuntfc- g«gifno ; qutdam inquiunt,
effe cor, aOj controuer- neruum^nonnuUic^rne ;cum omnibus idem pottris
afferereiinteUii notadui* 'jgendo cor effe radicale orginum, non ta^us
folum fcd aliarum etiam * potentiarum ; neruus uerb efl or^nnm defirens
ff>ecies j caro fufcipi* ens per tnflrumenti moium i caro deniqi
ncruofa eft totale or^num^ Veeius quoqiUniateuelmultiplicititemultx funt
lites, qud/t fic po Oeunitate .Uris fedare. Plnres funt uSus non raiione
diuerfarum formarum et plurali* fubftanlialiumy fedrjtione diuerforum
contemperamentorum quali^ tateta£tus« tatum ; aliud enim eil
contemperamentum faciens ad percipiendam ealiditxtemcr frigiditatem,
aliudreffyedu humiditatis cr ficcitxtit, Affatus (mquit LuUus) eftiUe
fenfus, per quem mMifeftatio fit t» Dc Affatu»
fermone,quieftintraconceptmtCrd4texempU» Sicut homoquilo'
quituriUudquodcogitat, CT 4ttw flmiUter i ficut ttiam ^Uinaqus
tUmatxdfiUosfuos^ DE RAMIS 4 RAmihuius drboris triplicis funt
natur^, ut fupra oftenfiim e^ de qudUbet huius arboris parte ;crfutu
membra unimaUum tam mteriora qulm exteriora, m quibus Ht renouatio perut*,
getatiuam potentUm, compofitit per elementaiem ndturum, com municitio
uero idfenfus omesper fenfitiuam uirtutem^ ^ ' T 4 DEIO DE FOLIIS,
FOlid funt ediem dccidentU qu^CTin prioribus drhorihus rept* riuntur, fub
triplici tdmtn rjitmeconfiierdtdicrhocrjttioni fubicdi A quo
icnomindtionem dliqudm recipiunt i cum igitvr •
gnimdliatriplicis[intitAturx,Pc&dcciientidiniUk fubie(htdcon^ Jimilif
nxtura fiunt. Non ignormus hdnceontemplttioncmfatis effc impropridm, fei
fcquimur Frxceptorem^ DE FLORIBV8» OVerdtiones omnes
qu£ db dnimdliprouenirepolfunt^qudte' nus hdbct fffe,uiutre vfcntire
extrinfccumy flores iicuntur» Nfc plura ii^bit rdtio ut ie ijs iicamus,
can in qudcunq^ /fre 4rbore,optrdtion€sloco florum hdbcdntur.
DE FRVCTIBVS Quituora Tn»ai«ffttf funt dnimdntid omnid fuh
qudirupliciratione conflit* nimalium h^r^fi, quorumqutidm funt igned quid
inigneuiuunt^ dliquddk'» rpccics, red^quonism tdUlocofruuntuT^nonnuUd
ttrrcflrid.vqudijm 4qued;ii(iinguunturigiturinqudtuorcUlfef. No«
eltprafcntitne* gocij dnimdUumfpeciesnumerdredc eoruniem proprietdtcs
oflen» dere,Q^iieijsmuUdcognofcerecupit,le^t Ariftot inUbris ie
porid, ie pdrtibus^ CT ie generdtione dnimdUum, DE FORMIS.
ItHter formdx dnimantibus conuenientes ifl£ qud^modoielinidhh
muslocumhdbent,qudrumcognitiononpdrum utilis erit*. Bt ne iiipLex fit
Ubor nofler, formds unJi coniungere uvlumus, qu£ ^nimdUconueniunt,
qudtenus e(t exterioribus fenfibus dc intcrmi» bus fenjitiuum*
l Apprxhenfio. ' /^AflutU, 1 n ppetitus fenjltiuus, ^
Auidcid. 5 Alfenfus, 6Affmsd^Ut, 7 AeflimA*
Hf tf Atdiittdtios 28
Intdgindri, S Auditiu diiut» 2p inffnium.
9 0 lrecies in fenfucommuni recipiuntur Uuiut fenfus
ncccjiitM efly ut de fcn fmm exttriorum fft^ ciebui iudicium fucidtiUndm
ab dlid diftinguendo^ dtq; ut fit dUqus potentid que cognofcdtuifum
uiderCt duditum dudire, cr fic de reU^ quiffenlibui;ipftenim ob eorum
mdteridUtdtem nequeunt fuprd fc ipfos uel proprias optrdtiones d^m habere
rrflexiuum ; qui tdmin De im.igii= fcnfuicommuninonrepugtuLt. Imd^nAtiud
ftnfum communem ftdtitn ^^^offi^io^ /f ^ Mi>«r, cMiwi pro^nnm f/? cj«
db eodim jenfureceptdsconfcr» ^ * uirezrretinereinAm fenfusconmuntis
t^ntwn retinet ^ecies exti4 riorum fenfuum dum m obieiU tendune,
inimdgindtiuddutemdM conferudntur^ Aeliimdtiud hoc hdbet priuilevium ut
imdsinAtiudtn ClUlUelCOf^ r r ^ n t • • r gitatiua e
P^q^ ^ttiiiinonidrtturtirumj^tcierutn conferudtricem^qux dh
tfiimd* tXHd uel phdntafid funt fabricdtx» ideodlid potentid ddri
necej[drium eji, qu£ dppcUdri pottfi Mtmorid fenfitiud ; qu£ non
ejl eddtm cum De Memo- inieUediud utquiddm fdtk inefjicdcittr
probdnt^ dc txiftimdnt. Et 'ia fcnfici- flccompletus
eflordoudldcddmirdbiUfinttrhdfcepotentidf. Dcrc' minifctntidynihil
omnino dicere uolumm»cum dmemorid non diffvrdtt nifi in qudntum
memorit funt proprix jpecies^ rtminifctnti£ utro dUtn£. Stcundum
hdt pottntids td qux in pritcedentibu* drboribut eontintntUTj
confidtrdri pottrunt^ DB RADICIBVS.
Slmilitudintsrddicumrtdlium drborum pr£ctdtntiumthuiui drt horis
funt rjidices, ut tdlesfimilitudines fbrmdliter ueluirtudlitcr u°?
interioribuf potentijs obie{h ofleniuntt J^diere hds pirticuldf
U|*tuau"cc ntceffariumfuit,f. fvrmdlittr utl uirtudliter, qutd non
omnes rddicts^ jcn cat, propridfbdbtntJpecieseMreprxfentdnttSjfcd uirtutt
dlidrum notx fiunt ; ut pofjumus dt bonitdtty ucritdtt, cr dlijs dicere.
Hoc idem de Rclati oncf quibufddm dlijs inttUiffrepottrlty ntmpt dt
reldtiotiibut tdm intrin- qaom od o fecui dduenientibui qum txtrinfecm i
qu£ rdtiont funddmtntorum^^^^^^^^' titftum cognofcuntur. DE
TRVNCO- A^borlsimsgindistruncufexfuif rdiicibus confiat ; dtq;
tfl fimilitiido coiifufd truncorum reliquarum drbortm ic quibut
trdd^iuimas : in quo funtjimilitudines truncorum pjtrticuU*
rium.Quifintilii trunci ptrhuncrcprxftntdtinon efioput rep^erc^ atm fupn
bis falttm hoc minififldium fit. DB BRANCHIS. R dnchx ifiiM
drboris funt fimilitudines brdnchdrum drhorUm, ie quibu^ fuprd Ohonim
ucro nyn omnes iU t brdnchje fuam poffunt ciufdrclimtUtuiintm, ut p^ttt
de potenti^ uiflui, audi- V 2 tiudM
B 14^ tiud» guftdtiud» trd^ud^ cr dlijs in drhort fcnfudli
nttmerdtts cr dt0 cUratift dc etidtn de brdncbis uefftdntisi quid
interiores potenti^ obie^ potentidrum exteriorum cognofcunt, non dutem
ipf^s pottn*. tMU,nili per opentiones CT
dCiusiiieodddiiusMlddtdUdiritudUm fecundum ordinem fupe* riui
obferudtum mdnifrlldbimut, oficndendo quds pdrtes flbi conuc*
nianf. DE RADICIBVS» HViws
ndtunerddices/ffiritudles funty cumcripfx/lt J}>iritud- Inter hui* Lis
; intcr quM txmen non efi dnnumerandd ContrartctM, pro* *f borislra-
priecontrdrict%tcmdccipicndoy quid m cdnec qudUoLtesrc* c5crar?crat
periuntur, in quibut funidtunSiuero contrdrietds confideretur pro ouiic^
repugndntid dliquorum iuorum aiiquoi tertium diuidentium, ibi uti^ ^
repentur, dc m omnibus qu£ fub ente continentur ; cr ueritu in ijs
qu£rdtionc difjrrcntidrum V nonmoiorum intrinfecorum ai Wio* cem
pugndnt, DE TRVNCO. TKuncuiefl qu^ddm fubfldntid gencralis CTconfufdy
qux plu* ParticuT» rimat fubHantiat parttcularcs ac Jpirituales, fed corponbus
explicaict ndtasconiun^ ln ratione /vrmx in^rmantiSyiiciturpotentid*
definitio- luer continerc. tion absq; ratione m hdc definitione plures
particuU ncm» €XpUcdtiu£ funt pofitx, ut magis buius trunci adtun
cognofcatur, ac difaimen buiits dtrunco drboris dngeUcalis. DB
BRANCHIS. N^turdh^c ff>iritualls tribus brdnchis confidt, qudrum
prior int(Ue^tseft,poftecie inteUigibili. R huUus dehk tnbus
branchis differendo ek applicat formas conuenientes^ quam
proUxitatemuitamuSyCum modum appUcanii formas entibus omnibusttm
pcranimaduerfiones tum per expUcationem traiiit' rimus. DE
RAMIS. RAmi iy?iKf natur£ funt concreta effentiaUa brdncharum . f
in- Ra m i cn teUediuumy inteUigerCy cr inteUigibtlc ipfius inteUe^us ;
uot meraQCur, Utiuum uelnoUtiuum, ueUeuelnoUc^
uoUibUeuelnoUibile,uo» tuntdtts; memarue uero memoratiuum, memorariy
memorabile, Su6 iflif expUcatdrum poteniiarum concrctk effentiaUbuSj
omnid entid continentury in rationt obiedcrum, a&u^ potentid
propinqitdy CT remotd, i pprxbenfibiUum. DE FOLIIS.
SVomoiondturtiftifoUd, €onueniunt,qu4e fuptd dlifs drboribus
conuenire iocuimus ; uerum tamen eft, quoi absq; labore uUo o" t
meUus cathc^rix a nobis traiitx potcrunt appUcdri^ Siper c4» the^rias
Ariftotelis ie JpirituaU ndtura finitd cr Umitdtd iifferert
volueri/s^qudntitdtem tibi fume difcretam, quaUtxtem innatam uel
dcquifitam^ reldtionem dd principium eius produibuum dut con» feruatiuum
uel etidm dd operationes diutrfdf qudm operdtur, dHioi nem pcrmouentis
vinformdntk modum, dutmouentk tdntum; pdf* fhnem qudtenus primi principif
recipit inteUe8ionem ; cr fic dt dUjsfuomodo. Siuero peromnes iUds
cdthe^rids nequdqudm pott* rk difcurrere dd propriM confugito, Kdy: LuUus
hdnc drborem ex^ ninando per cdte^rids omnes, ubi de babitu differit
artes mecbdni* CM dcfcientidf enumera^t i cr rdtioqux mouitipfum dd
pertrdfkw dum de ijs hoc in loco, ej non in cate^ria de quaUtattf r/?,
quia fa» V 4 cultdtes o Artes ct U', fuluta iftje qu4s
ftib brcuitdte tdrtffmns in finchuius opnts, plum cuitaKS o.
AdiUiigtndo,quiif Pigrippdinlib. dcVdnitdttfcientiarum cnumerdt, mnci Ju
:.i i^tiruiiuntdrtificidles^quiA ndturaUbus cmdndnt. Holo difcutere pitc
!li 1 ^^^^ ^^^^ fiiij}fn(Yit uel mdle f cr dn eius rdtio udlcdtf
ficaisignlt Secundum udrict4tem hdrum fdcultdtum uel habituum edruiidemip
^prii ob- proprictdtummultse fDrmxpoterunthuicdrboridfiigndri, qudtcnus
iccia^ jiu furd corpordli dclpirituali confldt. Hdbitus iflifire omnes,
homi- ni conuetiiunt non rdtione dnim£ tdntum, fcd coniun^i^ DE
FLORIBVS4 Verdtionesdb dnimd rdtionaliprodeuntesflbiqi peculidres
fT \nonconin^ijfunthMUS4rboTisfiores quodddlterjm pdrtcrn
cotifiderdtx* At operdtiotics qus dmmdconcurrentedccon porcy funt fiorcs
drboris humdndlis ex corpored iyf}>iritudlindturd €onftitut£, DE
FRVCTIBVS. NHcefJe efi hicfiuChisconfiderdre,utdb drbore
hdcexutrd^ ndturd confiitutd proueniuntj quonidm rdtionefj>iritUdlis
nd* ma anima turtfiv^lus nuUi ddri pofjunt in effe fimpliciter
produSlu non gcnc- qni^^tiimddtimdmtiongenerdtnec producit, ob
immdteridUtdtem '^^* qud feperpetuo confcrudre polefi m mdiuiduo, Tiunt
etenim m cor# ruptibiUbui generdtiones ut tdUd in tcuum
confiruentUTyfaUem \n 'ff>ede. Generdt tdmcn dnimd fccundum quid,
qudtcnus obit^lum quodpotcntiderdtinteUigibile, diUgibile CT recoUbile,
fit ddu tdle uirtute inteUc^ius, tioluntd tlSy ucl memoride, qudrum
uirtiulem fdUi m imginem gerit, dd mfitr fiuiim refj^edu fut cduft uel
drborls. ¥ru* t Luiii* €endd/fiproUxiatemnonuirxrtmus^ hoctimen
fcire decety eleSHo* nem tintummodo ex oonfequenti prudenti£ conuenirey
mqudntum iUHiontm ptr conliUum diri^t. Oihfunt pdrtes prudentidm 'mtt'
Oflo^^tcf grdntes,qudruvtquinq;fibiconueniuntutell cognofcitiud .f memo.
prudctiac f M, rdtioy inteUe(lu4y dociUtM dc folertid^ tres uero ut
prtcipit .f prouidentid» circumJpeBio^vcautio, dequibu/s trdfkt D. 'ShomM
^^J,/^ m fecundd fecundx, TortitudofectmdumLuUumeflhdbitu^a'
uirtufy per qudm ho» OeFoititO mines funt fortes contrd uitid, cr
nituntur dd Uicrdndum uirtutes» dinc» Hi/ic definitioni dUudit TuUj
defcriptiojnquientir^ Tortitudo efl con» fiderdtd periculorum
fufceptio,KJ Uborum perpefiioMiCc uirtus md^ gts d potefldte perficitur
qudm ab dlijs radicibus, quii prmcipdUor eiwtd^isellimmobiUterjiftere m
pericuUt,quod poteftdtem mdxit ndm dicityunde CT Arifto. uuU quod in
fuftmendo triftid mdximd,ll 3. Ethl. aUquifortcsdicdntur fedminus
prmcipdUter; tion omnk firtitudo tftcardinAlHuirtm.quidfipro fortitudine
dccipidtur firmitdx quX' dim dnimi^ tunc conditio eft qutedam omnium
uirtutum qudrum pro» j jg, q, prium eft firmittr ty immobiUter operdriut
inquit D. Tho: 1 2 j, ai: i^. Ver tmperjntidm repriinuntur
conatpifcenti^cTdele^tionef, pcTepcri- non qu£ funt fecundum rationem,
fed qu£ rdtioni dduerfantur, CT qudtenu^taUsdeUfbitionesfuntcdrnAleSyUndelfidorufdity
Tempe Hb. Etym. rantid eft qudUbido concupifcentidfi;refiendtur, cr Ar:
uuU tempet 3» Ethi* Tdntiam tjje delc6htionem a{his moderdtiudm^ Nw ed
qu£ JtD. AHgM. dicunturhis refia^ntur, quando ait. Temperdntideflmcoer^
j^qj! g^^j. cendisifsqu£nosduertuntdU?tDei,quonidmibi loquitur de tem*
ca. ij^» perdntid, qut cfl ftnerdlis uirtus cr non JpecUlis. Certum
ndmeCiueorumqua eiui capacitdtem excedun^ ddquietdmenordtHAturi quddam ei
quoq; debent conuenire, quibui Humana ilU pofiit dttinffre» Qjtx humandm
excedunt fdcultdtemeft ipjeDem facultate,^ acbedtitudoy wteUeik cr
uoluntdte dttingibtLid,quatenut inteUe» excedecia. ^utperfidem
iv/ormdtur, ut ed qu^e lumine nAturdli percipi ne^ queuntyUerd effe
creddt, CT uoluntdf per Jpem m Deum mouedtur, dc Virtutes
percbdritatemeofiudtur. Hdc dicere uoluimus ad oftendendam «ir* •^* od^o
Te theologicdUum fufficientidm,fed quid qudUbetfit modo oftenm excedat 6c
'^^'^*'* ^^deSyJpes v charitas ideo theologic£ uirtutes dicuntur, quom,
non* theologicum obie^m re/piciunt, nempe Deum fuper omnid be* nedi^umy C
hi hoc tmUdm hter fe hdbent maioritdtem uel minori* tdtem,Uceted ratione
qud und propinqutoreftDeodlid, fecufoplM^ 4undum fit;ndm chdritdf qux
dmdto dmans coniun^t, fidedcjpe perfi8ior eft,cum ift£ quandam diftantiam
figntficent, iUd uero con». iun(bonem, propter quod deipfd dicitur. Qui
mdnet m chdritdte, m i, loan. 4« mdnety cr Deut m ro» LulUi6
n 6 fidcs,ut ait LuUuty eft uirtut qut compeUit inteUedum dd dffir^
tccipicfide mandum ud ne^ndum pofitUte lUd qu£ uerdfunt. HicLuUuinon
pcoprie. confiderdt fidem theologicam, fed indiffcrentem dd acquifttam cr
fttfam i quonidm de omnibw quje uera funt non eft fides mfufdy fcd
dc Deo tdntum, tanquam de obtedo formdU. CT de trdditk m fdcra
fcri» pturd Mt de obiedo mdteridli^ Fidcm igitur U€rdm CT mfufam
optimc D. P4lf« i>. Pdulitfdepnit qudndo
hquit, Tiics efi fublldntia ff>erdnddrum AdHeb. f f rerumy ar^imentum
non dpparentium ; ndm ut dit D.ThoXum ddwt »x.q.4»
fideifitcreiereexuoiuntdtisimpcrioy debet fignificdre ordinem dd obieiium
InteUe^ui cr uoluntdtk ; obiedum uoluntdtk efi res ff>erd* tdyfidei
ucro non uifx: qu£ duo obie&a, explicanturycum dicitur: Sub» fidntid
.1. primd Inchodtio rerum fperdnddrum in nobls per afjenfum fideii cr
drgumentum non dpparentium . i, eorum quibiis firmiter af- fentiendo
ddhtremw. Quid uerb ex frequentdtk ddibui credendiy Fides.rpcf,
/}>erdhdidcdUiff-ndiDeum»hdbitu5'iUis ddibus confvrmes generdn
ficcharitai tur.ideoprjeterinfufMhdfceuirtuteSjdcquifitdsquoq^ in
homineeffc *cquifii«. affirmaredebemits* SpescumexfententidD,
Augufi^fltfoUusboniardninondddlium Enchir. fed aife pertinentH, ideo ad
uoluntdtem pertinet, cuius proprium ^/^ ^?* ? ' in ente fub ratione bonifcrri
; cr non in quocunq^ ente bonoy fed in ^** iUo quoi omnem habet bonitatem
cr perfe^ij^imo modo.hince^ Spcs quj^j quod LuUu^ fpem definitns, dit.
Spes eff uirtu^ qut ait Aut alterius ': quoi perhoc uelit inteUigere in
ratione p nts, fed in ratione excitdntfs, cii- iusmodifunt
dnfflicufloies, cr boni homines^iuelprafupponentfs,
quidfiiesprarequiriturfperdntiiundea' ClolfafuperiUud Math^ j .
Abraham^nuitlfaac: inquit.i. Fidesfpem. EtquodRay. loqud' D. Tho, la
tur{dcuerdJpe,patet,quandodit,Adquemuenirecreditplusper po- »/•
iefldtem crc« quam fuam. 7» Chdritat di uoluntxtem quoq- pertinet,
cum eius obiedum flt De* q y^^^ us fub ratione diligibilitdtlSy uel
proximum ut in Deo. Kdnddtum hd* tatc tfcmus i DtoydTt lodn, qui
diligitBeum, dili^t fratrem fuum. Per hanc enim uirtutem utfupra
diximus, homo Deo coniungitUTy c ob
iduirtutumomr^iumeflexceUentiflimdy ut ttidmD^ Vdulus teftdtur |,
Qqj tiki inquit, mior horm efl chdtitM, Nfc dUqud uirtus
fimpliciter * ' X 4 ueri too Mrru
flne chdritdte tlfcpoteli, ut iicm fdtduteoiem loco dit. U l^t connt-
Ihibuerofyf^CbdritcLtemvc. nihUmilnprodcft.Rdy: LuUus con$ xione vir-
neiiit qudmltbet uirtutem cdrdinAlem cumqualibet cdrdinali dc tht* tutum
srh ologicdy qudtenucunddUdm infDrmdtiquodutmeliuscognofcj^jexc' Lullu
vidc quxdam fubijcerepldcuit. DeluftitidO' Prudentid dit. Frudem excmp 4.
^.^ iijponit iuftitix obiedd fud,in qudntum inquirit licitd cr iUicitd»
quideftoperdtiointeUe£lus,quiiUdinteUigit* De Tortitudine c lu*
fiitid.Fortituioiuftitidmfortificdtcontrd iniuridm tunccum bomi" nes
fvrtitudine utuntur. Sicut iudex cum tentdtur ut ob pecunidm det fdfum
iudicium, ipfeconfiderdtfDrtituduiem multipUcdtdm ex boni^
tdte,mdgnitudine,fdpientidyUoluntdte, uirtute,ueritdt€ CT gloridB qu£
meliord funt qudm pecunix, cr tunc contrddicit iniurix cr fortts
remdnetijifuoiudicio. De\u(litid(jlide. Vult iuftitidquodinteUe» Hus feip
fum in crcdendo utrd cr dltd cdptiuet, licet ed non wfcD/gtf * D«
luftitid cr fpe. Uftitid prxparat ffiei fud obie3tk,in quantum iu* flum
e{i,quod homines mdtorem Jjjcm bibcdnt in poteftdte Det,cr in eius
bonitdte,mdgnitudine,a' uoluntdte, quim in poteftdte credtd». Fer horum
cognitionem tu ipfe poterk per omnes uirtutes difcurrert conneikndo
qudmlibet cum omnibus. Trdiiat LuUus de quibusddM alijs uirtutibus
mordUbus qut numero funt 1 6 cr dprioribus depetu dent, de quibus
breuijlimis uerbls dUqud dicemus, 1 Sdn^itdf eft iUduirtus, per qudm
fdn^i funt innocentes CT 4 ptc» cdtis mundi» . z ?dtientid eft
uirtuSy perqudm homo pdtienteromnid fuftinet^ 5 fibftinentid eft, per
quam homo db lUicitk cibH fe dbftinet* 4 WumiUtM eft, perquam homo
propter Deum fc nihil effe reputdt.. 5 ?ietdf eft uirtuSyqud cordlt
bona afjv^io fe extenditdd parentes CT patriam, cuUum eis exhibendo.
6 Caftitds eft uirtuSy per quam concupifcentid 4 rdtione cdfti^tur»
• 7 Ldrgitds uel UberdUtds eft uirtus, qut confiftit in medietdte
qudda^ circd pecunids uel diuitids. 8 Le^Utdx uel jideUtdiS
eft uirtus, qu£ id obferudre fdcit quoi pro • miffum rft« p Prr
cotu y Ver conftdntUm.homo pttfcuctit in hom
pVopofttol I o pcr dUi^ntimt ju^ chariatis funt homines qu^ruiU ae
pigrU tim peUunt, I I SumtMhominesti^tchdritAtkumcuto, ut
pdtientidm cr hu* miliatem dmple^tiinturt. 1 z ConfcientUt,
ntione timork ii cdufttf ut homines hnum fdciint milumq; uitent*
I 3 Timoriifljicit,neDeum dut diipsuoriinAtdlomines ofjvnidt». 1 4
Conlritio ejl iolor perfeChs ie peccdtk commifis, cum propoJU to non
peccdniidmplimt. 1 5 Vcrecuniidy licet non fit proprie uirtuf, tnmen ejl
pdfio qujtidm Iduidbilis, qud homo turpituiinem timet, 1 6
Obeiicntid eftuirtus, qud homo liberfe dlietim uoluntitifubijcit
propterDeum, DE RAMIS. PEr Tdmos dUdrum drborum potefi
hdberi cognitio rdmorum huiuf drboris, fei potij^imum per rdmos drboris
imdginAlis^ QuosjiiijlinBiuscognofcere cupls, hdbeds
potentidtuirtuti* hustnformdtdf, d quibus conftrmes prouenidnt
operdtioneSytcrmf nenturq; di obieih qu£idm ; crjic habchis uirtuoft
drboris rdmos, qui di uirtutum muUipUcdtionem pdriter multipUcdri
iebent^ DE FOLIIS. FOlidyfuntdeciientidiequibus fuprd
muUotics loqiiuti fumutp conformiter uirtutibus dppUcdtd. Non icbes
imagijuLri uirtu» tcm pofitionem locumq; hdbere propric, cumfit
Jpirittidle quoi* ddm dcciicns ih£c tdmen hdbet eomoio quo in Cdte^rijs
trdttft cendentij^imis expUcdtum efi, DE FLORIBVS»
FLoresuirtutum funt meritddcquifltd;crdiuirtutum iillin^» oncm
fequiturmeritorum Helfiorum ii(lin^iO ; imo rdtione rdt X dicum.
t4» dicum, qu£ udrib modo uirt)tl^s pnpciuHt, flous
diutrp pofjuni coUi^idb urtAcadmqi uirtutc puUuUntcs. DE
FRVCTIBVS. DVogenera funt fruCkum huiut arborls, frimum efl
merctt mentorum, qu£ uariatur ad uariationcm uirtutum, fecun» dum
eft feruitui ac honor Deo exhibitus uirtuosc. ARBOR VITIORVM. Itihacarboreconftderantur
uitia utrtutiBu^ oppofita priuatLUe; quorum cognitiononparum proderit ad
uirtutes cognofcendast^ dequibu^aCbmefi: nam oppofuum
inoppojiticognitionemaU» ^uam»deducitf DE RADICIBVS.
HVitw arborts radices prmcipaliores quatuor funt, uiielicet malitia
qut bonitati opponitur, ftultitia lapientue, faljitas
ueritatiypriuatiofiniSifinipoJitiuo; qu£ tamen ab alijsrd' iicibm exceptk
bonitatCi fapientia, ueritatCy cr fine mfbrmantury ac tas mformant unde
non minus uerum eft dicerc. Stultitia magna>du»
rans,appetibil{s,cognofcibtlis,fyc: quam magnitudo {^ulta,falfki
nia[a,acfinepriuata:di(currcndo per radices omnes tamablolutoi quam
ref^eChuax,huic arbori conutnientes^. DE TRVNCO. TRuncus
ex radicibus fuis conftat,qui diciturmos confufu/icT generalis fed
prauus, m quo particularia uitia funt potentiali* ter contenta, qu£
perlibtrum affns ad aChim reducuntur, pro Ut tfoluntas inordinAta id quod
deberet refutare» eligit^ DE BR/VNCHIS. PFr ea qu£ de
branchk arboris uirtuofe di^ funt.habetittum dentiam fatis cUram, qux de
hHiui arboris brmhis pojjunt di* ci^curm. ti,
cum oppofito moio fint eonfiderdnii. Septem prmipdiores bri» chx
dfiign^ntur, uidelicet GuU.cuiabjlinentix opponitur ikudritii Numerai
cuiLiberalitM uelUrgitas aduerfatur ; Luxuria qujt ptr continentiam ^
toUttur j Superbid pcr humiUtatem deflruitur ; Accidia per diUgenti gj'-^
oppo- «wi ; inuidia percharitatem ; CTlr^ per manfuetudinem uel
fuauitdt tem ; de quibwt omnibui poterk difcurrere conne6kndo quodUbet
ui* tium cum quoUbety quemadmodum de uirtutibm di^him efl. Ab bis
puUulant ac emanant uitia aliay qu£ nominare placetcum fuif oppO' fltkt
Iniuria eficontra iuflitiamy mdifcretio contri prudentiam^ de* biUtix
cordi^ contra fortitudinem, intemperantiacontratemperam iidmt mfideUtaf
fideUtatiopponitur, dej^eratiofj^ei^crudeUtan chd* titatiytraditio
defrnlioniyhomicidium diUBioni proximi, Utrocini' m UberaUtdti uel
temperantijey quia per guUm ut plurimum tatrocinium committitur,
mendacium ueritati, maUdiBio charitati^ impatientU patientix, mconflantU
prudentix cr /Drtitudini, im^ tmindicid fxn^litati, pigritU diUgentije,
cr mobcdientU obedientie* DE RAMIS, RAmitfunteffentLiUd
correUtiud uitiorumy quibut uitid gentc rantur iflcuti^iU rdmi, funt
adiuus mordinAtm appetitu/s comedendi, d^uiy cr correUtiuum ific crde
reUquisuUijs fenticndum efl, DE FOLIIS. FOlU funt
nouemdccidentUyUitijs coouenienter dppUcata ; quo' rumnonnuUd cr uitij
naturdm foUnt dUffre dtq;mutare^t reum ante iudicem uocarty ac etiam
punire, iuxa iudicl/s uel \n:pera0 torts decretum. Tnquifltores ut
inquirantt an a miniftrts utl alijs bferui» d£ conftitutiones^t poftea
tim ex parte uendetis qum cmcntis snmd prxcij pro quatit4te;pro
qualitMe^bonitat rtiucdit£ dtq; pecumarUi . • Y j proreldA
pro reUtione mplor C ueniitory ftc de dlljs lolijf cohpicrdniA^
DeFlorib' flores funtiudicixlmperdtoris fuorumq^minijiroruny omnesq; \ms
perdLtoris ddiones dc operdtiones reUt£dd fuipopuU utilintem^ uet regimentjiores
quoq; pojfunt dici, idem cenfedtur deceptio»
Diffdmdtio, Turtum*. iMxurid*.
Proditiot Vomicidium, Blafphemid*
Inobcdientid* Menddciumt. Indiffntid,
fortunA. Voluntdrium, Ignordntidt^
Obliuio» Libertdt* Seruitut,
Vrtefumptio^ DE ARBORE APOSTOLICALI. QVs indrborei/lu
fintconlidcrandd, mdnifrlla reUnquuntur cx bis i qux in typo arborum
ntdmfiftdta funt, DE RADICIB VS, Trunco, et Ramis» RAdices
funtCdrdinAlesuirtutes dc TheologicXt infimtdtxi rddicibuiunius,bonicxte,f
mdgnitudincy CT dlijs omnibut. Supra mdnifrftdtum eft quod eodem modo
rddices non funt omnibufdrboribufdpplicdndtfcd fecundum exigentidm
ed* rumaieo non eft opws repetere. TKVSCVS eft perfond generdlis,
Tdtione /piritudlis poteftdtiSy cr eft fummus Vontijixy ?etri j/wccf jjor
C lefu Cbrifti Vicdrius j wt quo cxttrx dignitdtes eccleftdftict conti-
Hentur potentidUtcryreducunturq; dd d^bim per optimum rddicum
ufumfummiPontificlf. Hic truncus potcft confiderdri qudtenus eft bonus
uel mdUu, cui CT conformes rddices funt appUcandx; non quoi ttdturd
fuiunqudm pofiinteflemjlje,fedrdtione prduiufus.^KAii* CHAE funt
CdrdiiidleSy Pdtridrchx, Archiepifcopi, Epifcopi, Ab» bdteSy PrioreSt
Miniftri. CT dlit perfonx communes eccUfidfticx^ quorum officium eft,
curdm torm ffrere qui fibi creditifunt, E/i optimd brancdrum cr
trunciconcorddntid, qua medidnte, inter bxc duo confur^t pcrfi6ho
reUqujrum rddicum^ contrdrietdte exceptj»
hocfuppofitoquodconcorddntidfitbond. RAMI funt qudmplurimi, inter quos
etidm funt iUifeptem quos in drbore imperidU expUcaui* musy proprij uero
funt decem prxctptJi decdhgi .f Vnum DeHmco- Prxcepra lere^Sdbbdtum
fdnibficare, Komen Deimuanumnon dffumere» Va dccalogu rentes
uenerdri^Teftimoniumfjlfun non perhiberetNonfurdri,tion occidert.Kon
luxurijrit Non dcfiderdre dUeriwt uxoremy Neq; rent proximi, Worum
prxceptorum fufficientidm optime mdnififtdt Ec ]i. ^.sntiar* cUjix doBcr
cr CdrdinaliA D. Jionduenturd Nrfm cum prxceptd (fu ^ ift ^ 7. q. 1 pUcid
fint uidelicet primx tabulx cr fecundx tabulx i. quxdam re
^"fiiciecia fi>e(lu Dci, CT nonnuUa rej^eik bominumi omnia adu
perficiuntur; j^^i^ Y 4 quid^ui t6t
quiA^sfi er^lifmelltunedHutdicifuroptfk uet orls dut eof^
dls;lioperishdb(!turddordtionispr£ctptum,llork, iUui quo pro* libetur
Dciudnd vmocdtioifidutc cordis, dliui bdbctur ic Sdbbdthi fan(hficdtione.
Siuero tdlis dftus efl f rga homines, dUt tft fecundum inuocentiam dut
bcneficid cxhibcnid,fihocmodoypr£ccptum dc\pd» rcntum reuerentia
hAbetunft primo moio, uel eft fecundum diium cordiSy oris dut opcrisifi
tcrtio modo,dut cft pro confcrudtionc pro* ximi» cr tunc habcturpraccptum
de non occidendo, ucl fpccici, ejflc prohibctur luxurid, ucl dcniq;
opcris priccptum eft de bonorum co» fcrudtione dc polfefiionc, ut eft
iUud No« fiirdri } fi oris eft^ iUud habctur, Konfalfum tcftimonium
perhibcbis,* ji iuxtdcordit De prxcep
^^iinuclcftdenonconcupifccndddltcriitfuxoreyuclre, Etflccftcx* tis
uctctis plctu*numcrusdcnariuspr£ceptorum4Aliter Kdy, trddit pr^ccpm lcgif
♦ torumfufficicntiam quam pro nunc omittimus. In uetcrilegc fucrunt
ccremonialid cr iuiitialid prxcepta, qutcpoft Chrifti pafiionent fuc»
runt cuacuata, diucrdmoie tamcn : priord flc,quoinonfolumfunt mortud, fci
ctidm obfcrudntibus mortiftrd, fed poftcriord utiq; mor*
tudfuntnontdmcnmortifird,niflfubditiiulfu Principis iUd obfcrf uarcnt
tdnqudm hdbentid uim obfcrudtionis ex uctcris lcgls inftituth oncy quid
tunc etidm mortifird tffent^ In uetcri quoq; teftdmcnto multd funtfcriptd
cr trdiita prxceptd, qu^mordlid uocdntur, qus Deut: 18,
adcddccdlo^rcducunturyflcutiliquetuidcrc in pluribus fcripturs 34^ !
/.12. i^^jg^ ^j^^ funtobferudnda non cxui inftitutionis,ficuti iudicidUd
CT 19?! 8.25* ^ M ^uid hdbcnt
cfficdcidm ex diOA» Exo. 2*3. ' ^in^i^^^^dlisrdtionvs*
DE FOLIIS. HVius drhoris folid qu£iam funt proprid crqurddm
eommu* nid } proprid funt feptem EccUfix fxcrdmentd cr regtiU omncs
in iure cdnonico fcript£, communid ucro eadcm funt de quibui in dlijs
drboribus diiium cfi, Uon concediturut diutius Augu». p£
mdne* Ildmdncm,pr6pterimpedimentiqu£d4m quibtu fum agCks iter
Quare aa-* umperc* Dico i^tur quodpropterbteccoaCiusfumbrcuibuf boc o-
torin fe- puis dbfoLuerc, atq; propru uoUtnati morem nongcrere, Si boc
aon ^ "cntibus effcty de Sdcramentn muLn cr quidem digna, tradcrcm,
ZT m reUqUH J^jj^
fcntentiamLulLifufiu^explicarem} diutna tamen adiuuante grdtia,
brcui tempore Uiorumdcjideriomeoq; fatHfactamy ubi artem
brcucmcxpUcauero, Ecclefix Idcramenta funt fcptem, qu^ tantum ^
ffominabot v dd quid jint ittjlituOL ojicndma, Bdptifmu6 ordt^ *'1 MtM
efl ad toUendum pcccatum originale^ Confirmdtio in remcdium 5. a m .
ifUbiUatk fj^iritualis.hucbanfliacontra faciUtitcm ad pcccandum^ De
Sacra- xPanitentiacontrapeccatumA^hiale. Extrcma un^o contra peeca»
mencii* Jtorum rcUquiaSi Ordo contra dijfoUitionem muUitudinifi p"
l\Atri* momum contra carnaUm conwptfccntiam*
DEFLORIBVS&Fruiflu. jT^Lorcs^ funt quatuordceim
articklinoflr^e fxdei^ m Symbclodpof Quatuor- jH^JloLorum
explicati, quorum feptem pcrtincnt ad duanitatem, CT dccim arti ^
feptem ad mcarnationts myficrium, Priora funt btc ♦/ de unitx- culi fidei*
tt Df I, de pcrfonarum trinitatCt tribut articulls expUcata, de creatit
pneydcfan^bficatione^ de refurreihone CT ^teruA uia Poficriord
uero funt de Lhrifii conccptione,natiuitate, pajiionCy morte,
fepul» tura, de defcenfu ad mftroSy derefurrcBioneydeafcenjlone CT
de adt uentu ad iudicium, Sub uniatecT omnipotcntia omnia dudnd
attrit huta contUtentur. Nr c iticonueniens eji, ut quampLurima
naturali ra* tione cognofcantttr, nt de fapientia, bonitate cr
ali/s notum eft, f^onitd(, Mdgnituda, CT c£ttr*t ContrAtie» «f» TXCfpti,
quoniam catcfiid aorpoYd dlicuiw qudititd con
'ifUptitt£nonfuntfufceptifnUd.Tr«ncmrftqaoddm corput commu^ ni : o ff T
.1 > ndtum dd motum cirenlirm ac ptrpxtuumyntqudqudm corrupth jp
.idci(r2^ hordrumy quo motuc^teriorbes mouentur. Cfcrjr* Firmame
M^^^^ ratione perf^icuitdtk dc trdnfpartnti£ flc dicitur, quci tum.
f^Yirmdmentum uero fieUk fixk CT mnumerk abuodati .
quodAflronomiprimummobileuocdnt^ BRANCH^ . IMdgindti
funt Afironomt m coelefii Jf>hardy pr^ter multipUcn circulos edm
itqudiiter uct in^qudUter diuidentes, circulum efje Zudiaci»
qucnddmedndtm in pdrtes ^quales diuidentemy obUqwe tdmen^ cuifolum
Idtitudo adfcribifur. Duodtcim efi gru duum, quorum fex ti Delineae.
reUquk difiingtiuntur perUnem qudnddm, qu* ^cUpttcd uocdtwtti clyptica.
quix foie cr Iwid per hdnc moucntibus etUpfis cdufdtur ; uocdtur eti»
muid folk^quonidm nuUut planetdrum i fole, potefl totum fuum motm W
hdcUntdperficere. }flf iiem cinidns lcngitHdinem bdkct
iuoictimlignorum^quorum quodUhet tri^ntd gfiduunt hngituii^ ^*^^
mmpojitict. titc ligm^ nomim fumpftr^ qHorunlim animantium, ctflteUarum
muLtarwi uxrim di/politionem.qu^diMltdriUorum ^q^^^\^9 gnimdUum funt m
cocLo Appdrentu ; dut rjtione iiutrfarum quaiitd^ nommcn£ tum, quM mhsc
mfhiord mjiumt, qujeconlpiciunturbjbcredU' quoi m
buimmodidnimintibwtdjminium Horum fignorum nomirtA slUnimut i qut uero
numerum flellarum ex qmbu4 mtcgrdntur, cw fUcognofcerc^dcproprietdtes,
mfluxui, cr fimiUd; confuldtbuiu4 m perttos. Anrr, Tdurm, Gmini, Cdncer,
Lro, Virgp, drticd fimt, ^ntun ^uid contigud fitnt fiolo drtico. Librd^
ScorpiiM, Sdgittdruu» Cdpri- cornut, Aqudriws, cr Pt/ccf, dntdrticd func,
« pob dntdrtico fic U» GtL Q»r omnU jignd bww drboris fwubrdncb*» k
trunco origincm trdbentet. ^ De R AMIS, FoliK floribus
R friK^^ibus. RAmi funt ftptcm piinetx, qui ntione motws quem
mllgnk Dc Satuf- Zoiiaciperficiunty db ilHi tdnquam Jt brdnchk depenieht*
"o» Vrimws omnium efi Sdturnui, qui ndturd fud mdleuolui eft,
dc wciuus, cum ficct dc jrigiitpt compUxionis, m quibu4 uitt priud-
j tio con(iitua. efl, Huic fucceiit lupiter totw heneuolws,
cuidifcri* ^unturcdUiitdi cr bumiditis, uit£ conferudtrices, l/?t uerb
proximus j^ajtj tfi Mjrj, quiUcetnoxiws fitrdtione ficcitdtii, cdUiicxte
tdmendU iqudntuLum malitidm fuam tempcrjt. inter quos Ifummo opifice «
. diwconfiitvtweft \upuer.,utria^c^; mdUtium temperdns. Mdrti S6l °
^ fucceiit, dquotaim fupcriin-csqudmmfirtorespLdnetx fuum hjbent
yencrc Umen ihuic cilor uitdli^tZy^ re^c quiiem,dttribmtur. Veneri
uero qux folem fiucoriente fiue occidente, fempcr comitdtur,
conufnire 4icitur humor uitdllt, in quibui duobus viid conjiflit ; hinc
efl quod in Jfoetdrumfdbulnhdbetur.,SoUm yeneremq; mdijfMiU
mdtrimo* nio Deum coniunxiffe.^x quibui proLcs innuml l\ercuriiU
niturd fud nes arborit fchemdtcdiximutyconfiderdrt memnria, I
oportct,duodbrdnchxinhdcruturddicuntur tfje pcrjhicdcio» oC voluufl
p .,. . rct audm m hominibttf i duas compdrare poterit ad Deum,
ncl funt bran quantitdtem difcretdm dc contmtu hunianali. am
cum c^teris prxdicdmetUis confidcrabis, Operdtiones utra i brdnchif
exeuateSy uel qudtenits txUs,U£Lpro ut rddicibm pcrficiun*
tur.tibifiorestrddunt. i^eUqua mfchcmdte confiderd, Dcdinius moa. dum
formds conficiendi, iUum obfcrua cr multas inuenies». DE ARBORE
^VITBRNALL Bde hk^ qu£ m huiuf drborft breui dercriptione diximui,
me^ ritA dcquifitd uel demerita, per humdnatis drboris brdncas mo*
ralit cr dn^Ucalls ^numerum radicum complercy ex quibm
tTuncuiconfurgit,qtacft meritorum uel demeritorum duratio pet* petud, qu£
udriarinon poteft, cum nonampiiut deturpanitendif^d-
cium.Depdrddifodtq;HifhnonuUutambigit, cum Deus fit ipfdiu* ftitidy qu£
pro iuftis prxmium uutt, pro irtiuftis poenam ac tormentd. A bruncd
pdudiji tres rdmi exennt, ^uorum prior iufiitue rdm ut r/l,
qui4 ^id Dfi« bonum probono opetdtortddit j cT i^ujtenui mttitu bo,
A branct 'mm reiditqudmcxpofcantmeritAjfecunduibabctMr,quigf^ijc di*
P^f^diH q iitun tertiui improprie pafiionum dicitwTy quu abagentc Deo,ik^
'^*'?' dondconfvrunturyquibmreUtionemhabetddaffns- AbrancamRr* - m
rdmuiiufhti£exit,icpd)itonum ; crproprie hocm toco accipitwr fgjjjj quj^
pdjhoyUidxLicet pro dobre in eorpore pofi iudicij diem,cr tn animtl
iriflUia.QupniAbedtoruma^s er^Deum funtgloria vUMipo^ tentijs mteUe^halibus
cxeuntesy fecundum aibts ucL operdtiones bo» ndrum rddicum; ideo fiores
xuiterndlis bontt arboris funt; rejpe^lu malorum,oppol{tumdic, Frudui qui
afiore procedit, 'm bedtis[efi quies fumma potentUrum ac radicum ; nam
ficuti m fummo inteUigi^ hili, dtUgibiUacrecolibiUyquie[cuntmemoria,uoluntd«
CTinteUeiius; ficmfummqbonificdbiUymdgnificdbiUq^iefcunt bonitat CT
magnitudo; per reUqu^tt rddices difcurre, Oppojitumconfiderddefruilu
iamnatorum : qui proprio fiiu ob maUtUm CT reliquM prduds radi^ ces fruflrati,finem
dUum ddeptifunt^quo cod^c perpetuo debentfrui DE ARBORE MATERNALI.
POf} primi pdrentis Upfum, mxti diuin£UoUintdtis xternum de»
cretumy¥iUj Dei incarnatio bominum faUtandorum finis fuit, Cum uero buius
fdcratijlimx mcarndtionls medium fuerU G/ori» ofd Virgp suridy ipfd quoc^
eorundem fink cenfenda efi^ quitdkeh priori fubordindtur. hic finis licet
m fe unicui fit^ amen rdtione eo* rm qui hunc finem intuentuTymuUipUx
efl, quem fidtuo m bdc drbo* ft pro radicibM, quatenuA kbonitatemagnitudine
acalijsmformd* tur. Dt TruncD hi fcbemate fttts habes* hrtuichx^f diuiiia
cr humd* na natura hoc m lococonfiderantury quatenus in uno fuppofito
funt, tui natiuitsx attribuitur ; ndturis enim ndfcinon competit. SpeSy
Pic- AduocdtiOyrdmifuntyfiuein Gbriof(tVirgutecottcipUntur,fiu€ ht
peccdtoribusy quatenm ad edfn confugiunt. HumiUtas uero cr «ir» ginitdt
in Virgine Mdrid rdmifunt; in rdtione exempli. \n fchemdte
nrboTUbumnonfuntpofitd folU (nefcio cuiux mcurU) qtke eaden Z 5
ejfecom- •m tffi conpieTdhlfy ([U£ slijt
iriorihm fttnt dtifihtttd. A^lr omneS fd*
dicumAcuUqudrumdtgnitatumdGUriofd Virgine exeunteSy qu^* ttnm Mjtcr efi
Dd» lunt hum drbork floret. DE ARBORE CHRlSTiANALL Atione
humdn£ naturt didfunt Chriffo dttribuenid, VT dlis rdtione diuimetdiuerflmode
quo(^ tonflderdtd Secundum f nV orem confiderdtionem Chriflo omnid
conueniunt, eibt et quxda bedtitudinii dnim^e conuenientis, Ucct dUter
fit quo dd /}>em de cor« alix ^^^^^_- forisglorificdtione. Timor quoq;
qudtenusignordntiam prdfuppo» D'\utc!lii\ ^^^* ^ CbW/?o remouetur, dc
etiam Contritio. Kdtione ^ui ne ndturA td omnid Chriflo conueniunt, qur
in arborts diuiniUs fchemdte diStk fant. Br4«rhe^sdiuinx
naturjeyddhumdnaminChrifioyfy humdU£ dd diui^ tuimi fecundum omnes
potentiof dc uires in humdnd ; cr in diuind quo etdinteUigere uejle,prxdi
diflia* mire ad Spiritum fan£lum : cr intcUigimus de termino ad^quatofj
S"*^^"** monfomaU i quoniam utriusq^ proiuihonit formalis
ttrminus eft 4km,tfftntiauidelicetdiuind. Dealicrum diihs non curamus,
Seo* ium ptxccptorem fcquimur. Tolia funt nt^tiones catr^riarum Af
mftotclis, uelnoftrarum afjirmationes* Floresptnt probationesdiu^- Mdrum
produShonum, dtfumptdt aradicibus, Bonitof enimdiuina ff fUfidum
inteUciium CT uoluntatem fe ad itttra communicat: Sic fk eommunicare eft
magnum ; v cum ab £tecies efl, CT ffnuf eius ignorofi uelad Jpeciem.fi
indiuiduum efi; nec erit impojii*
bUebocobferuarerecurrendoadarbores,uelper enth omnem dmi*
lionemulq;ddgenufproximumuel fpeciem defcendendo; fl /f>eciem non
cognouerity recurre ad propriat paj^iones ueladnaturaletrei dOus, qu£ cum
a diffcrentia magts proprid emanenty te w j}>eciei c(h
^tionemdeducent,qu£exffnerecrdiffvrentia magis propria im tegratur;deindeuer6priorcsnouemradtces
.f, abfoUta prmcipid^ fum,equxcumrei effentiam notem, uel qu£ immediatc
eam confe* ^ntur, priw rei conueniunt; ey per omnia iUaprincipia
difcurreru do uariM dcftnitiones fumes,iuxta. prdcepa in prima parte
knoblt obferudta;dum definiebamus rddices;boc tamen obferuando,
netrafm ^edidris naturam generls uel fpeciei, ad qux
fubkihmreduciturt ^uodoptimc poteris obferuare^ quiaut dixmus in traSkitu
de radU tibm ; perbonitatem CT cxtera prtncipia inteUiqit LuUm rei
mtrit^ ftcdy quje non femper eddem funt^fed dd uariattonem fubiefh
ipfk quoq; udridntur. Pofied quodUbet principiumabfolutum,cum quoU^
het abfoWto et refpeihuo, cu quaUbet formd.dc f^ecie quefiionis cu*
iusUbet definiendum efi, quod cr obfcruari dcbet m definitiont etiam
fkbieSifUel rrjpedini prmcipij, aut formje uel quxflionis alicuittt» Inde
recurre ad refpcibua, deinde ad formaSy pofiea ad accidentia.cf dtwicfi
adqurfiiones CT qiuefiionum ff>ecies. Simagis conceptus muU tipUcare
uoUteris, refolutre poterls rc in principid fua, cr ^ibct rt»
Uuipirmcipiumut iUius cfiJefinire;peromna radius.formas, acei» dcntia V
quxfiioes difcurrcd; ucl rcfolucre poteris in ea omuia,qit€ * - de
ipf4 1 dc ipfa pYddicdtttur, qudtenut futk iim fuhie^, cr quodUBet
iUorii omnibM diais modts muUipUcare. mUipUcabis oonccptus m
infini^ tum^flpdrsaUcuiut arbork omnibui arboribut comparabk,
educe/u doconcordantiMUcldiffrrcntiai, aut maioritAtcs, uel
minoriatett dutomnidflmuLH£cfiobfcrudutrif/mfinitosdcundquaq;re
babt^ bit conceptut. Obfcrud mfupcr dnimaduerflonet noftrat, cr uti diU.
ffntU in continud appUcatione, cr cognofcts td praxk prdfiare, ^£
nobis.impofiibiUa uidcntur. OtAtuUi generalis ars conflftit in quatuor
figurlt, nouem fuh^ leas, ac eorum cognitione. Primam figuram ex noucm
prmci» pt/sdbfoUitlsfabricatyqudfuntpriores nouemradiccs. Swm- dam
conftituit ex nouem rcfl>cault, qu^funtpoftcrioresradiccs^ Tcrtiam a
prima crfccunda dcducit, cr quarcxm ex prima» fccundd»
a-tcrtUclicit.UabcsfigurMcx radicibus. Habcbis fubic^d nouct£ P
confldcrabk ea qu£ m drboremoraU,impcrUU,apoftoUcaU,cr mdternaU, ut
taUsfunt; cffc accidcntU qu£dam, ncmpc rcUtioncsfu»
pcrioritatkydignititis,crhonorls,qu£ ad mftrumcnt^tiuam rcdum cuntur;
ucldi homincm; quatenut h£c omnU circahomincm fiunt. AeuitcrnaUt
quoq;arhor adhomincmy ucl ad anfflumrcducitur: o* C hriftUnalit adDeum,
qui cft primumfubieCkm i LuUo ordindtum^ Hk notxtity de figiirit nonnuUa
diccre pUcct. Vrima figiira qu£ abfolutorum eft, noucm hahet
cJimcrat : cr cft circuUris, quU quodUbct abfoUuum rcf^eChi cuimUhct,
habct ratioM. nem fubicm cr pr^dicati. Necfolum huiut figurt prmcipU de
fcipfls pr£dicantur, fcd dc omnibut quo^ txtrdneis,qu£cuttq; flnt iUd
dum- modo non flnt horum oppofltd. * Secunda rejpeaiuorum
eli, cr totidcm hahet camerat, eodcm mo» do dijj^ofltas.quo primaicuiomnU
coueniHt qux de priori diOnfunt. TertU cx duabm dfiignatit conftat,
cr habct oOuaginta crundm cdmerdXyquarumqu£UbetduatUterdtcontinet, qu£
notxm prmci* piorum abfoLutorum ac rc/peaiuorum naturam, per Uterdi
flgnificd* tiinotantq; uUcriut qu£ftiones UtcrH rc}j?ondcntes, Caufttur
cx A4 rcuol»$
L. 9tuolutianecdmerjLrumpfim£p^rf,ful>und fccnndr, fr
mnium fccuniUfubunaprimje. LuUui Umcn tantum trigintd fcx cmcxdx
dcccptAt^ut uiiebk in fcquenti fchcmdte iquoniam propofitiones nt e^uibm
idem de feipfo pr^cdicatur, non faciunt ad nc^cium pro de»
monflrationibM, m quihut debent tffe tres tcrmini diuerft, quod nott
poteft effc,P idem ucL Inmaioriuelmminoridefeipfoprtdicetur:
hQcautemaccideretifi omncs camerof acceptaret. Etut cognofcat quibu4
literis jignentur prmcipia uel quicftioneSt^ fequcns fchemd
confiderd» Scheaabrolucoiu. Schea refpediuoru* Schema
qusftionu» C Magnituinj. D Duratiot EPoteftof, F
Sapientid^ GVoluntaxt KQlorid^ BDifjirentia^
C Concordantid. D Oppofitio, E Frmcipium^ F VLedium^
Gfink^ H Maioritdi. I Aequalitas,. KUi inoritM, Figuia
cerCia* B V^rKW. C Quid^ D De quo^ E
Quare. fQuantum. CcXEale* KQuando» ivbi^ K
Qjiomodo etCuft^,. he be ci ce hh ch hi
ci hk ck de dZ dh di
dk eh et ek h fh fi hi hk i%
Ex qualibet cdmera duodecim eliciuntur propofitiones, cr uiginth
quatuorquicfiiones. fropofitiones ftcbabentur. Accipe primam c4* merm *f
b crfiic e, 4eb, pncdicetHrquo 4d fua fignificata cr eeontr^:
175» e contrd.cr <juodetidm .h. de feipfo,fccunium
dliui Pgnificdtum^dh iSo pro quo ejl fubiedum.c; jic tres propofitiones
hdbebif ; quid ucc fo UterdquxUbctduohabet Hgnificdtd . f . dbfolutum cr
rejpeSUuu^ er du£ funt Uterx, rrg) qudtuor erut pgnificdU-y qut fi
tripUcctuff. refuLtdt numerm duodendriut. CuiUbet uero propofitioni ji
dfiigrtM' uerif qusfliones, per iUiwi cdmer/e Uterat fignificdtdSy
hdbebis 2 4. Qudrtd figurd ex tribm dfiigndtis
con/idt,qu4ecummdximdm tdbuidm producdty dtq; difficilis fdtisfit,crlon^
effdtdecUrdtione^ dt ed uerbd fdciemus m expofttionedrtlsbreuis LuUiiibi^
dd pleimm mnijeftdbimus, qux hic tdntum tetigimut, De
fcicnciarum arcrum^obic6!i'f. NOnpermittitdnffi^idtcmporkyUtfitftus
de fcientidrum o5. iedis txdihmus, dc eorum numero;ideo htc
pducdnotdnd^ proponimufAnreUquis uideHenricum CorneUum AgrippS^ in
eo Ubro, qui de udnitdte fcitntidrum intituUtur. Crdmmdticxobiedumyeft
ens rdtionitf quod m ordtiwte pinddttt, qudtenus congrud eft
uelincongrud^ (datum^ B^ethoricx,ens pdriterrdtionis,inordtioneomdtdUel
inorndtd funt^ Vogic£,SyUogifmuiunwerldUterdcceptntt fecundum
Scotuminft* cundd q. uniuerfdUum* philofophix ndturdUSy forpm
ndturdU* Kietdphiftc^Ci ens qudtenus ens*. Theobgije, Deui
fub rdtione deitdtk» „^ — Ceometrixt CXUdntitdi continudi mdterid
dhftr^Stu . . V iirtthmetKt,Uumerux a mdterid legreQitm, ^'^^^ ^lgLW-^^S
^^ KuficeSy Kumerus fonoruA, AftrohgLf, qudntitds cotitinud,
qudtenus mobdisi Ipo PANDIMIGLIO
AFR. c t 4 V. Valerio de Valeriis. Valeriis.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeriis,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice
e Valerio: la ragione conversazionale a Roma e l’implicatura conversazionale
della morale togata – il gentiluomo romano-- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. A
philosopher of little originality, and a notorious flatterer of TIBERIO (vedi).
He is best known for producing his IX books of memorable doings and sayings –
the work is designed primarily as a resource for moral education by means of
examples – showing how virtue is rewarded and vice punished. It preserves many
otherwise lost snippets taken from a variety of sources – including newspapers.
His ‘saggi’ are not much regarded today, but they were bestsellers throughout
the dark ages and the Italian renaissance, “and I do find them incredibly
amusing on a lazy after-noon,” – Grice. Morale pretesto. Ed Shackleton, Loeb. Skidmore,
“Practical ethics for Roman Gentlemen”. Valerio Massimo.
Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library,
Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice
e Valerio: la ragione conversazionale alla villa di Roma – filosofia italiana –
By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Roma). Filosofo
italiano. He has a statue erected in his honour in his own villa (‘Ain’t that
cute?’). Publio Avianio Valerio. Keywords: Roma antica. Per
il H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Valla: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della volutta – la scuola di Roma – filosofia
lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano.
Filosofo lazio. Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Nato da genitori di origini piacentine -- il
padre era l'avvocato Luca della Valle -- riceve la sua prima educazione a Roma
e Firenze, imparando il greco da Aurispa e Aretino. Lo guida lo zio Scribani,
un giurista funzionario in Curia. Il suo primo saggio e il “De comparatione CICERONIS
Quintilianique” in cui elogia Quintiliano a scapito di CICERONE (vedi), andando
contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo saggio il suo gusto
per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella
Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari Loschi e Bracciolini, ferventi
ammiratori di CICERONE, si opponeno all'assunzione. Grazie all'aiuto di
Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia,
succedendo al maestro bergamasco BARZIZZA. Questi anni furono fondamentali per
lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e puo
approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del
procedimento di analisi critica dei testi, che lo studio pavese applicava con
rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel
quale si oppone fermamente alla morale del Portico e all'ascetismo, sostenendo
la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con
l'edonismo dei filosofi dell’orto, recuperando così il senso della filosofia di
LUCREZIO (vedi), che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia
fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istinto, ma come calcolo
dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del “Della
volutta”, sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca
spirituale. Si tratta di un saggio considerevole. Per la prima volta, una
tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia
romana classica e ri-valutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione
del “Della volutta”, gli costringe a lasciare Pavia. Da allora passa da
un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse
città. Fa la conoscenza d’Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo
segretario, lo difende dagl’attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire
una scuola a Napoli. Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla
falsa donazione di COSTANTINO, “De falso credita et ementita Constantini
donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra
la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale i
cattolici giustificano la propria aspirazione al potere temporale. Secondo
questo documento, infatti, e lo stesso COSTANTINO, trasferendo la sede
dell'impero a COSANTINO-POLI, a lasciare al pontifice massimo di ROMA il
restante territorio del principato. La dimostrazione di V. è accettata e lo
scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. “Quid, quod multo est absurdius,
capit ne rerum natura, ut quis de CONSTANTINOPOLI loqueretur tanquam una
patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs
nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata?” “Quippe privilegium
concessum est triduo, quam CONSTANTINUS esset effectus christianus, cum
Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis.” V. dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita
a Gesù e un falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri
e ponendo in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce
anche l'ipocrisia nel “De professione religiosorum” suscita l'ira delle alte
gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al
tribunale dell'inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie
all'intervento del re. Visita Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e
potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli.
Vengono divulgati gli “Elegantiarum libri sex”. Il saggio raccoglie una serie straordinaria di
passi desunti dai più celebri scrittori latini – CICERONE, LIVIO, VIRGILIO -- dallo
studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici
della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento
umanista impegnato a riformare il latino sullo stile di CICERONE. In le
"Emendationes sex librorum Titi LIVII" discute, col suo modo di
scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri di LIVIO in opposizione ad
altri due intellettuali della corte napoletana Panormita e Facio che non
avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua
fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò
V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde
nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo
confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore di GIROLAMO
(vedi) e DONATO e giudica spuria la corrispondenza tra SENECA e Paolo. Sotto
Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario
apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e
di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in
contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di
testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e
irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante
umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta
polemica sul potere temporale dei cattolici. -- è un personaggio di
eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo.
Con le sue spietate critiche ai cattolici e un precursore di LUTERO contro VIO,
ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi. La sua filosofia si basa
su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse
stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del
linguaggio ambiguo di molti filosofi. V. e convinto che lo studio accurato e
l'uso corretto della lingua e l'unico mezzo di acculturazione feconda e
comunicazione efficace. La grammatica e un appropriato modo di esprimersi sono
a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa
formulazione intellettuale. Da questo punto di vista, la sua filosofia e tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle
parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e
sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il
profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due
filoni, quello filologico e quello critico. Sebbene sa mostrare eccezionali
doti di storico negli saggi critici, questa capacità non è però riscontrabile
nell'unico saggio definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando
d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti. Il principato romano
inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze
politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e
soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e
l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un
lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno
eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone
la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono
i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per
svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia
ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il
posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.
Gl’effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle
traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di
demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo
dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione,
decidendo che un cambiamento oltre tale limite e già parte del processo di
sviluppo. In questo modo, riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano,
ma pone anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal
romano. Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il
suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua
annosa avversione alla cultura scolastica. È indicativa ad esempio la sua
tesi in “Della volutta” sugli errori de PORTICO praticato dagli asceti che non
avrebbero preso in debita considerazione la legge naturale. La morale
consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non
precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso.
Analogamente, nelle “DIALECTICAE DISPUTATIONES”, confuta il dogmatismo di
Aristotele e del LIZIO e la sua arida logica che non offre insegnamenti o
consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro significato
nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra nelle “Adnotationes in Novum
Testamentum” quando usa la sua profonda padronanza del latino per provare che
sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a
causare incomprensioni ed eresie. È a lui dedicata una fondazione che in
collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono
proposte edizioni critiche di testi classici. L'arte della grammatica,
Casciano (Milano, Mondadori); “La falsa donazione del principe Costantino”, Pepe,
Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, Radetti, Firenze,
Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio dialectice et
philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia, Il Contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia) ; Garin, "La letteratura degl’umanisti",
in Cecchi-Sapegno Letteratura italiana (Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN
GIOVANNI IN LATERANO, su Vatican. Pubblicate per la prima volta da Erasmo da
Rotterdam. Antonazzi, “V. e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); Camporeale,
Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento, Fink, Laffranchi, “Dialettica e filosofia in V.” (Milano, Vita e
Pensiero); Mancini, “Vita di V.”, Firenze, Sansoni; Regoliosi, “V.. La riforma
della lingua e della logica” (Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato);
Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla
storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La
falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su Penelope uchicago,
Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: Cicerone, Virgilio,
Quintiliano, Livio, rinascimento, grammatica, dialettica e rettorica. Refs.:
Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Valla.
Luigi Speranza -- Grice e Vallauri:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretazione
giuridica – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia
italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Flosofo lazio. Filosofo italiano. Essential
Italian philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so
this is Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the
Vallauri, that’s what he’ll go with by!” Grice: “He favours animal rights, as I
do.” Professore
universitario italiano. È
stato Professore di filosofia del diritto a Milano e Firenze. Insegna
all'Università degli Studi dell'Insubria e all'Università degli Studi di
Sassari, dalla quale è stato chiamato per chiara fama. Nipote del
predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del direttore della Sala stampa
vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio Lombardi, si avvia alla
formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Si laurea in giurisprudenza col
massimo dei voti a Roma, suo maestro è stato BETTI. Dopo la laurea perfeziona
gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso per la libera
docenza. Diviene professore in filosofia del diritto a Firenze, dove ha
insegnato anche argomentazione giuridica e filosofia del diritto. Ottiene la
cattedra in filosofia del diritto a Milano. Dopo il collocamento a riposo
insegna presso le Como e Sassari. Massimo esperto di teoria
dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la
documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di
filosofia giuridica e politica -- è autore di saggi filosofico-giuridici. Con
il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto
un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e
della spiritualità. Al saggio Nera Luce, V. ha consegnato la sua critica
serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi
recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degl’animali. È
vegano. Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le
possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo
libro traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto
dall'autore per Radio Tre Rai, propone una mistica laica, ossia una mistica che
prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico
occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie
orientali. Allontanamento dall'Università Cattolica. Insegna filosofia
del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza
a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso
l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su
una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra». Sospeso
dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso
rispetto alla dottrina della chiesa cattolica. Fra i punti problematici
secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di V. sul dogma dell'inferno,
da lui definito: incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave
può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del
diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena
che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il
professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno
cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed
io ho detto. Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito
negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla corte europea dei
diritti dell'uomo. La corte si è pronunciata a favore del ricorrente,
ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione
(per il provvedimento adottato dalla cattolica senza contraddittorio) e a un
equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagl’organi
giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli
articoli della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali. Nei suoi corsi e libri V. si è occupato di
varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia
della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli
animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente
formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] +
(I.P.)] La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico. L’essere
è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di
due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo
tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria
baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del
dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo
sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio
angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del
soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del
processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione
di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene
occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni
sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta
filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue
pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente. Saggi:
“Saggio sul diritto giurisprudenziale” (Milano); “Amicizia, carità e diritto” (Milano);
Corso di filosofia del diritt (Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e
diritto moderno (Milano) Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra
dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos
della norma, Bari, Nera luce (Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di
filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Bio-diritto. La questione
animale, Milano, Meditare in Occidente.
Corso di mistica laica, Firenze, Scritti
animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, Gesualdo, Note. Magister, L'inferno? Una vergogna,
L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi
universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo,
Guadagnucci); Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo
scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente. V., Neuroni, mente, anima,
algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società
italiana di neuroscienze, Guadagnucci,
Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di
giustizia, Milano, Terre di mezzo, Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo
di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai. Meditare in occidente Corso di
mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in
occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radio-foniche su Radio3
Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Non-violenza e Animali: un
tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato
da Progetto Vivere Vegan, Interviste Sì agli interventi che aiutano i
nascituri, intervista di Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul
"Caso V." I Nuovi Inquisitori, di Pace, a Repubblica, A dialogo con
V., di Pollastri, Phronesis, Note, di Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi
Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The
Swimming-Pool Library. Vallauri.
Luigi Speranza -- Grice e Valletta:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei liberali,
libertari e libertinisti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana –
filosofia campanese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano.
Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Eessential Italian
philosopher. Grice:
“He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Studia
dapprima letteratura presso i gesuiti per poi dedicarsi al diritto. Insieme a
Andrea, e fra i fondatori degl’investiganti, che da impulso al grande
rinnovamento culturale che prende grande avvio. Nelle accese polemiche
filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, insieme a CORNELIO, ANDREA,
CAPUA e agl’altri investiganti appoggia attivamente i progressisti. Istituì a sue spese la cattedra di lingua
greca a Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico MESSERE
(vedi, illustre filosofo. Cura l'edizione napoletana delle opere e del Bacco in
Toscana dello scienziato toscano REDI. Grande appassionato e conoscitore di
libri, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie
all'interessamento di VICO, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei
Girolamini. Saggi: “Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori
di essa”, “Historia filosofica”. Lombardi, Storia della letteratura italiana, Tipografia
camerale. Nicolini, V., in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Gl’Investiganti Andrea, Redi, V.,, nipote di V. Breve scheda
biografica, Redi. Scienziato e poeta alla corte dei Medici. Lettera
di V., napoletano fn difetta della moderna
Filofòfia, e de' coltivatori di eflà, INDIRIZZATA ALLA
SANTITÀ’ DI CLEMENTE XLAggiuntavi in fine un'ojf umazioni fopra
' la medefima. IN ROVERETO Nella Stamperia di Pierantonio
Berno Libr. ALL’ XLWSTRISS. SIC. AB. ’f FRANCESCO PARTINI *
è ;DE N AJOF, • f + • - Nobile Provinciale
del Tirolo, ec.ec,, l Olto tempo è, Jlluflriffmo
Signor Abate, che per darvi qualche piccio- lo contraffegno della
divo - Zioa mia verfo di voi, io vado tra me ftejjo meditando, qual
co/ a, non del tut- to di] pregevole, e di . voi indegna, do -
vejft offerirvi . Ed ora ufcendo da’ miei * 5 tor- - .4 . p t
* •# /« •. è .. - j» % ■ T“ » 'f '' i*' *'* * -ì r
.! *orri &; la prima volta una dotta * ed erudita Opera
del Sig. Giufeppe V., la quale manofcritta lungamen- te era andata per le
mani de* virtuofi; quefta appunto ho . difegnato d' indiriz- zare a
voi, sì 5 per darvi un picciolo faggio del de fiderio ardentìjfimo >
eh' io bo d' incontrare con e fio voi ferviti, sì ancora per fare
un pubblico attediato al mondo della /lima grande, ch'io con- fervo
della voftra ragguardevole Perfo- ra . E nel vero fé, com * a tutt'
altri è in ufo di fare, io voleffi raccoglier qui le glorie de *
trapaffati, teffendo un lunoo catalogo di tanti e tanti glorio fi
Antenati della vofira nobile Famiglia, i quali e nell' armi, e nelle .
lettere rif- plendendo, non meno il vofiro Ceppo, che tutta cotejìa
Patria ili ufi r areno ; certo de non; uno > ma ben mille moti-
osi io avrei per indurmi a ciò fare. Concioffiachè allora egli . mi fi
farebbe . tofto innanzi la fingolar perizia nell' ar- mi di PIETRO,
illu (Ire, e .antico ger- irne della vofira onorati fiima Prof apia,
* il Digitized by Google il quale da Galeazzo
Vìfconte Duca di Milano meritò d* ejsere fatto Condot tiere delle
fue. armi > Mi . fi prefent crebbe fitto gli occhi il valore di quell*
altro PIET RO d' età ma ? non di merito inferiore, a cui i
eccellenza nel mefiier te ftmil mente della guerra, acqutfiò l*
uffizio d) Capitano dell*. Imperador Maj • fimifiano J. i, e di
ALESSANDRO altresì, che in qualità pur di Capita • no fi morì in
Ungheria . Ma molti, e molti ì anche fiudiof amente, trapalan- do y
come potrebbe . poi .fuggirmi dalla vijìa la, decantata dottrina .,
fingolar- mente nell* arte Medica > e la probità 9 e integrità
de' cofiumi di FRANCESCO PARTINI, il quale in quel feli- ce fecola del
cinquecento cotanto s* avan- zò > e ft difiinfe, che meritò le lodi,
e gli applaufi d'uno de' maggiori letterati di quell'età, che fu
Mattioli > (i) • e d'ef- (i) Nell* Epiftola
dedicatoria de 1 Di/cor fi /opra Diofcoride al Principe Ferdinando d* A u
Aria . Ve- nezia 1668. E negli fte/fi Difcorfi /opra il libro 4- di
Diofcoride. e d' e ([ere fatto Prot omedico dì due Ce- fali, cioè
Ferdinando I ., e - Maffimilia- no li.'? Cèrto che i pregi di co fiat,
i quali di molto accrebbero lo fplendore del- la vofira Stirpe -,
io non potrei per mo- do alcuno non Jommamente celebrare: e tanto
meno que' di MELCHIORE fuo figlio i il quale dalla matura pru-
denza pur di Maffimiliano li. Impera - dorè » di cui era ' Configliero,
> fu' (celta a far efeguire ^Imperiai comandamento di por giù /’
armi, fattola'- judditì del Finale in Italia '.(*) Ma io non ne
verrei sì toflo a' capo, : quando 'a’ me- riti degli Avi'-vojìrì i.'com'
-bó det- to piuttofiò chea voi mede fimo va- le jft riguardare . I
pregj degli ante- nati' apportano più (limolo >3 -che lode a'
(uccefiori \, ed è molto ' mifer, abile la condizione di colui -, ' il
quale noti po((a in altro . mod o diftinguerft, che col! aprire i
(epolcri de’ fuoi maggio- ri » . \ • r t • r i
n* •* a (2) Mambrino Rofeo Storie del Mondo libro II. a
io4« ri, e temendo nn lungo panegirico del- le loro gloriofe
azioni, far fi corona al capo di meriti non fuoi.Per la qual cofa,
ponendo da /’ • un de' lati quelle lodi, le quali non fono sì pro-
prie dì voi, che comuni non fieno an- cora a tutta la Famìglia, ed alle
fole voftre t in cui gli altri non v* hanno parte alcuna
rifiringendomi ; dico > che quello, che principalmente rn ha
invogliato a procacciarmi luogo nel no- vero de' vofìri fervidori t e che
non pojfo fe non grandemente ammirare, fi è quella incredibile gentilezza,
e foavità di coftumi.y e di maniere, per mezzo della quale ben fate
chia- ramente apparire da qual . forgente traete t origine, e i
natali . h non fo per cagion di quefla con qual fronte poffano
riguardare in voi cer- te anime t le quali non riflettendo > che
• /’ e (fere nate nobili è fiato un accidente, cui altro loro non
appor- ta, che impegno di ben imitare gli antecejfori ; di
tanta rufiicìtà, e fai - ... V3&7'
falvatkhe^za ripiene comparirono folamente nell * afpre, ed altiere
fembr ano .avere ripofia la loro gloria . Poi fiete certamente di
un amaro rim- provero a tutti cofioro % e C umanità vofìra, quando
attentamente vi riguar- da Q ero, non potrebbe che riufcir loro di
jomma vergogna, e confo fione . Ma fic- come y nè alterigia, o di /
prezzo altrùi la nobiltà della Famìglia, per chiara, eh' ella fi fa,
è fiata giammai baftan- te ad infpirarvi, . Così nè al fafio y o
al- la. libertà le •comodità » e gli agj > che dalla fortuna
avete : nè .alla vanaglo- ria * o alla prefunzione le nobili quali-
tà. dell’ animo voflro, hanno giammai potuto aprirvi la firada, Tanti
rari pregi- finalmente, tutti infieme uniti, non fono -fiati
valevoli a feemar punto di quella vofira naturale affabilità, e
dolcezza di tratto, la quale quanto in altri è più rara > altrettanto
in voi ab- bondantemente appari fee t e campeggia . Qttefta vi
eccita la maraviglia di tut- ti coloro, che di voi hanno alcuna co.
no- • >. . / * 't d
- 'V. •4
ami. difienpì guefia concilia ì* amore, e ^uCfi^nera^iòni
de- vojìri Concito adì* . niy^ 0?quefia finalmente induce,
an- zi con una dolce violenta quaft rapi* ffce, e sforzai
cìafcbeduno a farvi un volontario tributo de* fuoi affetti, e del
fuo cuore . Ma che dirò di quel - i* bontà j ingoiare, con cui
prendete a protteggere qualche perfona ingiù • fiamente oppreffa, e
oltraggiata > fa- cendo vedere, non altrimenti effervi
fenfibili- i torti > che fi fanno alla ragione, e alla gtufiìzia, che
fe a voi me de fimo f off ero fatti ? Voi con quel rincrefcimento
fiete folito fentìre i colpi t che la fortuna vibra con - tra /’
onefie infelici perfine > col qua- le gli fentirefie, fi contra voi
me- ' de (imo foffero fcagltati ; e con queir occhio riguardate gl
* infortuni » e mi- ferie altrui, con cui riguarderefie quel- le
de* vojìri più cari congiunti . Di qui è y che e col configlio, e
con /’ opera non mai vi mofìrate fianco di fivvenire > e
beneficare coloro > i qua- Digitized by
Google * quali per la loro innocenza fi ren- dono meritevoli
della vofira protezio- ne ; ; ed avendo avvertito, che il ve- ro
carattere degli animi nobili, an- zi quello, che piu .all' Al tifiimo
ld- dio viene ad accodarci, è * il f al- levamento delle per fine
\o dalla ma- lignità degli uomini, >o dall' .avver- ata della
fortuna inìquamente fir ac-' date ; voi perciò, avete creduto im -
prefa degna di voi lo fendere a que- > fie benignamente il braccio,
acciò la Patria vofira potefse andare altiera ; e dar fi vanto -,
d'. avere d mercè di voi maifempre aperto un a filo all ' innocenza,
re .fempremai pronta una fpada cantra la malvagità, e la co* lunnia
. Con tal- mezzo voi rifiorate - i danni, che la me de [una '.per /’ im.
matura morte dì MELCHIOR PAR- TINI vofiro . degnifsìmo, Fratello ha
que fi* anni addietro, fifferti # e quello ~ fplendore le ritornate,%che
allora per efser ella refiata priva -d'-uno de'-fuoi più cofpicui,
e qualificati Cittadini, ave- aveva pèrduto l ; A che fero
molto t molto contriluifcono ancora gli altri due vofìri meritevoli
(fimi Fratelli, di - co GIOVA M BA TJS T A 'PA RTI- NI > Abate
della Reai Badìa di San Pietro di Loreto nell ’ Abruz- zo, e il
Padre CARLO PARTINI, Definitor Perpetuo Carmelita- no t la prudenza, e
pietà di cui è così nota, e pale/e in quefìa Cit- tà. .y che. inut
il cofa farebbe il farne per me qui parole . Ma troppo chiaro io
m’aveggio d* avere già foverchiamen- te la modejìia vofira offefa, non
ri- flettendo f che una delle maggiori lo- di > che vi fi
debbono, è appunto il franco rifiuto, anzi difpregio, che voi fate
delle medefime, Solo mi re- fia adunque di fupplicare il generofo
animo voflro a ricevere in buon grado ia piccolezza del dono, che umilmen-
te vi offro, non alla qualità di ejfo, ma al de fiderio dei donatore
riguardan- do \ e pregandovi in fine a non difdir- mi la fofpirata
grazia d’effere anch' io al- A
allogato tra i voflri ~ fso v • y i,,,
• Di V.S . f . i l Rovereto;
V *'> 1 ^ «a ^ V . o V ^
/ «' • 1 t i » ‘ t
• V « • 1 J VmìUfs. Devotìfs.
ObbUgatìfs. Servo Pierantonio Berno. lo
Digitized by Google LO STAMPATORE A CHI LEGGE. NON
poco tempo e (Tendo, che va per le mani degli ftudiofi una Lee*
tera manoferitta di V., Letterato Napoletano in difefa della Filofofia moderna,
e d’ alquan- ti Tuoi concittadini profeflori della medefi» ma,
.fino dal 1700. dirtela : ed avendo rav. v ifato, com’ ella è molto
avidamente ricer. cata, e letta dagl’intendenti ; ho (limato di far
colà grata al pubblico, ed alle per* Ione letterate, dandola fuori per
mezzo delle (lampe, sì per renderla più comune, e sì ancora per
levare la briga a chi deli* dera averla, di farla tralcrivere.* (concia
co*, là parendomi, che un così utile lavoro ve* nirte tuttavia
contaminato, e guado dalla trafeuraggine, e fonnolenza de’copifti. Io
a» vrei per verità molto caro avuto di abbatter* mi (e non all’
Originai medelimo dell’ Auto- re, almeno a qualche copia elàtta, e
fedele; il che per diligenza ufata non m* è venuta pienamente fatto
di conlèguire. Spero però,' che mercè 1’ afliftenza da perlbne delle
buo- ne lettere amanti predatami > le quali lì fono
validamente adoperate in correggerla, rive- dendo poco men che tutti i
palli nel proprio fonte, e togliendovi que* moiri, e quali in-
finiti errori incorfivi nelle copie ; il cottele Lettore non avrà molto
che deliberare . V* ho in fine aggiunta un’Offervazione fopra la
medefi ma, affai tortele mente dal Sig. Gir ola- 7 ino Tartarotti
Róveretano comunicatami, la quale fono più che certo, o Lettore,
che non t’ increfcerà d’aver Ietta. Vivi felice, e - favorirci col
tuo aggradimento la buona incli- nazione,- ch’io ho d* adoperarmi a tuo
van- taggio . La fegùente notizia, polla per più contezza dell*
Autore dell’Opera, è tratta dal Leffico degli Eruditi del Sig. Burcardo
Men. thenio . Giureconfulto Italiano, na. Io in Napoli a* 6 . d'
Ottobre V anno 1 666. fece la pratica nella fua Patria, e ranno una
copio, ftffimd libreria, injìeme con un gabinetto prezio fo di
monete antiche, in frizioni ecì Corrifponde . va co ’ più infigni
Letterati d’ Europa . Traduf- fe alcuni libri dall ’ Inglefe in Italiano
. Scriffe un libro della necejjìtà della [olita pratica in ma-
teria di religione, come pure un ’ opera toccante V impresone di monete
move. ' BEAT1SSIMO PADR E. f * » **• » « 4
%# * • * t • • • f f • f l,i * ; r r* « *
I. s. »4 I Ntichìflìmo
coftumefu Beatissimo Pad re,o dir il vogliamo naturai genio,
ovvero inclina- zione, o qual egli fi .fia avvenimento degli
uomini, i quali a’pofteri hanno avuto in penfiero di lafciar qualche
me- moria per mezzo delle lettere, di muo- A * verfi a tal
opra da picciola e lieve oc- cafione, ed. alle voi ce incominciare
da balle, e aHai deboli fondamenta, ed indi poi pian piano p a dare
più olcre fin- ché al defiato fine fi aggiunga ; e quali Tempre
digiuni, e non mai fazj di di- vorare fulle carte il tempo, e
l’ore. Quindi è, che veggiamo, che una fa- - tica, la quale fui
principio fu ftimara opra di pochi fogli, tratto tratto li avanzi »
e fi accresca in tanta gran- dezza, e mole, che a gran pena fe
ftelfa comprenda . Lo ftelfo eflere av- ' venuto a me io già divido; ma
non fo com’egli avvenuto fia . Perocché aven- do già per foddisfare
al gènio de* Depu- tati » incominciato a fcrivere una lette- ra
indirizzata alla Santità' Vostr a intorno al procedimento del Santo
Uf- fìzio nella noftra città di Napoli ; cer- to è, che io non ebbi
altra intenzione^ che di raccorre breve e femplicemente le ragioni)
ch’ella ne tiene. ..Indi po>i crefcendo da giorno in giorno, o
ciò folfe per l’ampiezza della materia > o per la
moltitudine delle ragioni, e va» rietà degli argumenti, e delle
autorità che fi recavano in prova; s’ è tant’ol- . tre la fcrittura
avanzata., eh* è -per comporre un volume intero .. Così io mentre
penfava di avere già compita tutta la fatica, volli ancora
inveftiga- r e la cagione, el’ origine de* movimen- ti > e
tumulti della noftra città, acca» » duti per tal procedimento
nel tribunale del Santo Uffizio ; quand’ecco che io conobbi-, Ae
vidi chiaramente, che la cagione-di tai tumulti altro non fia fra-
ta c che una tal gelofia, per così dire, di Scuole coll* occafione d' una
. cer* ta Filofpfia, nomata- comunemente Moderna, avvegnaché dia
fia anct» chiffima, e profetata dagli uomini mi- gliori, e più fa
vj della noli r a città. £ perchè la cofa o non è pur ben intefa,
ovvero fe intefa, per ambizione, por aftio, o per altra cofa, è
contrafiata a campo aperto, fono forzato, come av« vifai nella
fuddetta altra fcrittura > con quell* altra lettera, indirizzata
pari- A 2 racn- f i
Digitized by Google mente alla Santità* Vostra, dimoi Ararne
apertiflinumente la verità. ( per ordine ancora datomi da’ medefimi
De- putati ) acciocché niente li taccia per quello, che
convenevolmente appar- tiene alla difefa così della vita » come
della fama de’ noftri cittadini ; e difen- dere un lungo ragionamento
> per far palefe una volta > e più chiara teliimo- nianzaal
mondo dell* empietà della Fi- iofolia Ariftotelica * « dell*
innocenza di quell* altra che chiaman Moderna; al di cui
manifeflamento ben poteano dare opera gli altri, e non ftarfene sì
lentamente a ripofo in una caufa pub- blica, e di tanta, importanza,•
perla quale ne lìamo malignamente tacciati, echi per Eretico» e chi
per Ateo» fe- condo il livore» e l’ignoranza di quelli banditori
del Periparo; mentre vene fono pur molti intendentilììmi di que-
lla novella Filofofta, che meglio di me» e più profondamente
l’appararono» il che loro eforco a fare ugualmente, per non cadere
almeno nel bialìmo» che Ci- .cerone diede a coloro, che appretto
di fefolirengon na 'corti i tefori delle let- tere!,, fenza farne
partecipi gli altri ; così dicendo nell’orazione a favore di Archia
. Pudeat, ft qui ita fe litteris abdiderunt, ut nibil po fjìnt ex bis, ne
- que ad communem adferre fruSìum, ncque in : adfpeSìum, lucemque
proferì re . Ma non con animo, che pubbli- candoli quella fcrittura
» vi lìa taluno, che fcrivcndo full’ifteffa materia, del- le
medelìme co fe li avvagha, facen- done un’ altro edificio, in cui non
vi ila di nuovo che una deferente figu- ra, e dimenfione. . .
Laonde tralafciando la parte difpu- tabile, dalla quale fempremai
la veri- tà fugge, e ne va lontana, opponen- doli ragioni a ragioni,
. argomenti ad argomenri, e fpette volte iofifmi co* fofifini
pugnando » con aliai delibera- to conliglio ho, fcelta la-parte
idonea, in qua ponete, argumenta licei, non argument ari ., La
quale ettendo màe- fira della vita, e de’ tempi, e de’co- A 3
ftu- fiumi allo ferì vere di Cicerone fteflò j potrà
affai bene acconciamente com- parire più fchietta, e più
finceramen- te difenderli avanti la Santità* Vo- stra la caufa
oneftilfima, e il diritto di quella Filofofia iniquilfimamente
oltraggiata dalla turba de’ Peripatetici . Così furon degni di grandiffima
lo- da tanti fcrittori, e Greci, e Latini ; i- quali all* i fioria
fi appigliarono, po- nendo perpetuo filenzio alle difpute, tormento
degl* ingegni delle Scuole li- cenziofiflime delle feienze : così
anco- ra fu degnilfimamente commendato an- che dagli eretici fiefii
il dottilfimoCar- dinal Baronio, il quale dovendo fcri- vere delle
colè appartenenti alla noftra Chiefa cattolica » lafciando a’
chioftri le controverfie, e le quefiioni, elefie con affai maturo,
e più fano avvedi- mento la parte ifiorica > per trarne le
confeguenze- più vere, e reali . Plus enim Annate s Baranti > quam
Contro - verfue Bellàrmini bar etici s necuerunt . • .£ qui io
avrei già finito, nè bifb. gnerebbe più dilungarmi : ma perchè
1* origine di tutto ciò è. d’ uopo che Ha palefe, prima di paflare
più oltre, e affine,,-cbe niente fi taccia per quello, che
appartiene alla difeia, così della vita, come della fama de’noftri
citta- dini; egli è neceflario far noto ancora alla Santità'
Vostra, che 1 * origine di quelli nuovi rigori dell' Inquifizio- ne
ella è data, che vedendoli pur trop- po fuora de’chioftri dilattate le
lette-, re, e propagata nella noQra patria la Filofofia, la quale o
fia. propria fata- lità / portando fempremai feco defla difagj, e
fyenture, come dice Boe- zio, Atque boe ipfo affine s fuiffe vtde-
mur maleficio, quod tua imbuti dìfcU pìtnis o Pbìlofopbia :o-fia per
propria- gelosìa delle fcuole degli altri Filofo-, fanti ; perchè
Nibil volunt inter borni' nes credi jmlius, quam quod ipfi te w,
nent / ha cagionato a’ medefimi fai movimenti,. che fi fon lafciati a
dire, .che quella fpffe di pregiudizio aliano* Ara fede, perchè da’
principi d’ A-ri-, A4. fio- . /•» »
Itotele lontana fia, come per la tanta autorità data ad Arinotele,
diede mo* tivo a taluno di dire fcherzando: Se»* %a Ariftotele noi
mancavamo di molti articoli dì fede : come fe quelli fof- fero
(tati cavati dalla dottrina d' Ari- notele, e non dalla facra Scrittura,
e da altro ; che tanto dir non fi po- trebbe di S. Paolo, quanto alcuni
han detto d’ un autore gentile, quando, come fcrifle un altro
autore, e con fenno : Sanila fanliorum non babet _ bete Pbilofopbia
. Ma prima di venire allo fcioglinaen- to di quelle vaniflìme
oppofizioni, egli è di bifogno ricordare alla Santità* Vostra,
quanto fia (tata commenda, ta la Filofofia non meno da' Gentili,
che da* fanti Padri medefimi . Ecco quel > che se diffe Tullio .
Pbilofopbia am vita parentem, et hoc parricidio fe ( quifquam )
inquinare audet y et tam impie ingratus effe, ut e am accufct, quam
vereri de ber et etiamfi minus per - cipere potuijfet ? S. Giuftino così
: Pbi- lo m I ! 9 lofopbìa
efl revfrà maximum lonutn t et poffeffio i et apud Deum verter abili
fi qua" ducit ad eum > et fi flit fola > et fanti i, beatique Htì, qui mentem et do-
nane. E più oltre: Nemo fine Pbilofo- pbia reti am rationem intelligit ;
quare omnes homines pbilofopbari % et barre pracipuam fanti ione m
ducere (de. San Clemente 1* Aleflandrino n* avvifa lo fteflò, e
Sant* Agortino parimente co- sì : Qui Pbilofopbiam fugiendam putat
% nibil vult aliud, quarti noi non
amara fapientiam . E 1’ A portolo quando dif» fe, Videte ne quii
vos decipìat per Pbi- lofopbiam t egli intefe di quella Filofo- fia,
la quale con folli argomenti da Sofirti > e fecondo lemalfime del
mon- do 6 produce ; il che chiarirtimo fi feor- ge dalle parole che
feguono, a ut ina • nem fallati am % fecundum traditionem bomìnum,
fecundum dementa mundi . 11 che vien dichiarato da Sant’Agoftk no
medefimo, detto luogo fpiegando: Et quia ipfum nomen Pbiiofopbia ft
con- fiderete rem magnam, totoque animo appetendam ffgnifieat (
fiquìdem Pbiìoì fophia e fi amof yfiudìumque f apienti* ), .
cautifftme Apcfialus h ne ab amore fapie a*, ti* deterrere videretur,
fubjeeit fecun - d*m dementa bujus mundi . . Egli è dunque
affai ben chiaro, che nè Satv Paolo, nè Sant* Agoftino, o niun
altro fanto Padre, Greco, o La- tino, abbia giammai pretefo, che
quel» la apparare non fi doveffe ; anzi che leggiamo tutto il
contrario, come s’è detto. Al che aggiugner u può - l’av-
vertimento di S. Clemente l’ Aleffan- drino fopral lodato; Pbilofopbiam
ante Domini adventùm, Crucis ad jufiitiam fui (fé neeeffariami nunc
autem ad pei caltum t et pietatem utilem effe (*j La m* * » i
j C|tt3e l • ...(*) Quello non fi vuol in terpefrar In modo, che S*
Clemente Aimafle, che I Greci fi giufti6catfe- ro per mezzo della
Filofofia .» Egli credeva, che la Filofofia remotamente gli difndnetfe
alla cogni- zione di Crifio, dando lor notizia del vero Dio, c
fomminiftrando loro i mezzi per isfuggire gli er- rori . Per altro fenza
la Divina grazia, la fede, la carità &c. non credette, che uom fi
giuftificaf- • fe. Vedi Naral Alefiàndro Dijfert. Vllh in Hijior .,
E cc kf. f*c. IL Digltlzed by Google qual co fa
ugualmente avverti il Cardi* nal Palla vicino : La Fibfofia nelle
dot- trine Teologiche è utile come i foldati frante ri negli
eferciti; cioè in maniera che fervano > ma non comandino . Im-
perocché a tutti fi permette la liber- tà di fìlofofare. Bona mene ( dice
Se- neca ) omnibat patet, omnes admittit, omnes ad hoc fumus nobile
r, nec rejicit quemquam Pbilofopbia, nec digit > omni- bus lue
et . Tanto maggiormente che la natuta invidiofà per così dire a li-
vellare i fuoi Segreti avarifiimaraen- te permette, che ora una cola,
ora un* altra fi fveli, come s’ è finora fperimentato per tante
ofiervazioni fatte e che fi fanno in molte cele- bri Accademie
dell* Europa, (copren- doli fempremai novelli arcani » non che
nuove, e plausibili opinioni nel- le Filosofie . Jn Pbilofopbia ( lafciò
fcritto Seneca fcefio ) re maxima, et involai iffima, cum etìam multum atìum
fuerit, omnis tamen atas, quod agat, inveniet . Quindi Atenagora, che
det- tò k* tè un’ Apologia . a prò de’Criftiani
agl* Imperatori Antonino, e Commodo ambeduo filofofi, dille :
Nulìum in Pbilofopbia rcdundat Crimea .. £ più oltre così : Profeto
autem bac crimine vacat . Tutto ciò però intender fi dee per la
cognizione di quelle cole > che dipendono da caufe naturali, non
al* tri menti foprannaturali. Il che fu con- fiderà to dal medefimo
Seneca, ancorch* ei fofle gentile . Perfeveras ire ad bo~ nam
mentem, quam fiultum ejì opta - re, cum pojfis a te impetrare. Non
fune ad Ccelum eleva» da marnisi &c. £ pri- ma di lui avvisò
Simplicio, Eos folum de cauffis naturalihus pbilofopbari fiata «
ifie: nequaquam autem de Ut ^ qua fa « fra naturam exifiebant . r :
Ora fia lecito d* efaminare più efpref- famente, fela Filofofia, che
chiama» Moderna fia d* alcun pregiudicio alla noftra fede cattolica
. . Primieramente è neceflario, ch'io rinnovi alla mente
della Santità* Vo- stra quei tempi più frefchi, in cui sì
felicemente apparò le feienze tut- te, e con ciò : io rinnovèlli, e
rallegri infìeme . 1* idee della prima fua età ; perchè non v'è co
fa (come ditte il Cardinal Bentivoglio ) che maggior- mente I’
animo ricrei, che la memo- ria degli anni fcolarefchi, perchè ciò
egli non è altro, che un tornare a vi- vere quella vita innocente, e
piò lieta dell’ uomo. Si ricorderà dunque Vostra Santità», che
malamente quefta Filofofìa fia nomata moder- na, perocch* ella è
più antica, anzi la primiera d’ Bardefane, ed altri difenfori della
Religione, furono tutti Platonici • Ed a chi non è palefe l’A-
leffandrina fcuola in Oriente, ripiena di tanti fanti Padri, e tutti
Platonici? Origene, Clemente, Cirillo, Eraclio, Dionifio, Atanafio,
ed altri, io modo che Aleflandria, non meno per lofplen» dorè della
difciplina Ecclefiaftica, che della domina, fu dimata un’altra Ro-
i ma, e la feconda fedia Patriarcale do» po quella di S. Pietro .
Sant’Agoftino nel libro delle Confefttoni di fe fteffo, e \ d*
altri rettifica eflere flati Platonici, quando e’ narra la vilìta,
che fece a Si m> pliciano > maeftro dì Sant’ Ambrogio,
raccontandogli i libri eh' egli aveva letto de’ Platonici, da' Vittorino
Ora- tore Romano tradotti in Latino, che morì poco dopo d’elferfi
fatto Criftia- no . Sopra la qual cofa fè palefe anco- ra il
piacere, che ricevette Simplicia- no in fentire, che non era caduto
nel- la lezione d'altri libri di Filofofia, pie- ni di menzogne, e
d* inganni; ma lo- lamente in quei de' Platonici, che in* fegnavàno
la conofcenza di 'Dìo, e del Verbo Divino, le di cui parole fono qu
ette: Gratulatiti eft ntìbi, quod non in aliorum Pbilofopborum f cripta
incidi f- fem, piena faltaciarum, et deceptionum, fecundum dementa
bujus mundi : in illh autem omnibus in ftn aari Deum ' % et ejus
Verbum . Indi Agostino ileflo poi gli 1 chiamò i Filofofi di Dìo amatori
; ed Eufebio nel libro XI. della Demolirà- zione Evangelica, narra,
commendan- do tanto le contemplazioui di Plato- ne, averle tratte
da’facri libri degli Ebrei, cioè dell’Ente primiero ndelPI- dee, deli*,
immortalità dell’ Anima, della produzione dell’ Univerfo,;del
bruciamento del Mondo, del R i forgi - mento de’ morti, della Terra cele
(le* e del Giudicio'. ultimo : il cbe vieti ri- portato ancora da
Teofilo Galeo in di- fefa della Filofofia Platonica; ed Eu- febio.
(lefib la difugualianza tra la Fi- lofofia Platonica,.e T Ariftotelica
in quella maniera divisò : Mofes, Hebra't- que Pro.pheta beate
Divendi finem tn P r ih mòdo • che fecondo la jua dottrina il Mondo
* non è già - una monarchia, ma poliarchia y o piuttòflo anarchia
p. ciò che -San 'Gregorio Na%i. anzeno ha' affai ben condannato . *
II, Platone chiama 'Dio nofìro fovra - no Padre:' Arinotele non
conofce ver fin Dio' per padre . 1 * «4 u«>v > -.-v. ->
III. Platone nel primo- libro della fua Repubblica affìcura,
- che Dio fia > una fo fianca (empiici fftma : • Arinotele ah
duo- decimo della fua 'Me taf (tea, lo pone nelC ordine degli
animali > e dell' effe n^e compone. B 3 IV- il
Platone nel [e fio della fua Re- pubblica, che Dio fta nofro fommo
be- ne : Arinotele al duodecimo, della fua Metafiftca, che' Dio fta
un bene, che conviene folamente al primo Cielo > del quale egli
è Motore. >, Platone nel quinto della ' fua Repub- blica y che
Dìo fta la fovraha Sapienza: . Arinotele y che. fta un' intelligenza,
che conofcendo le cofe un he rf ali » non, f appi a le. particolari
. • •**..« VI. Platone nel Timeo y che Dio fta
onnipotente,: Ari fot eie nell Opere fue, che, non abbia ' altra
potenza. > che di far muovere il Cielo.,Platone nel.Filebo,, nel
Soffia* e nel Parmenide % thè . Dio abbia crea- to le foftanze
incorporee: Ari fatele che tati . ? X; Piatone, che il
Mondo offendo' un corpo, abbia . una potenza finita: Ari-, (tot eie,
che il Cielo, e il Mondo abbia- no una potenza infinita dì muover fi
. XI. Platone y che il Cielo, e il Mon- do^ come corporei
ftano corruttìbili • A* tintotele incorruttibili « - = XII.
Platone, che- Dìo [taf opra ogn\ e fiere, J opra ogni foftaitzai
Arifioteic-y. cbe’fìa falò foftanza . ^ X /. . Platone che
hi fogna pregare D.io .a fiacche ci ' faccia buoni.: Anfiote
- le,, che Dio. -non .poffa- fentire, le no fi re preghiere, non
conofcendo le cofe parti» eoi ari . XXllvPlaton* i/ebe p uomo
di buo- na vita. i:. fta gradevole' a Dio: Art fia- te le, che non
.io gradifc4-\ t % 'non cono» fcendolò\ «'Vi (. ^ viv, Platone, che dopo
morte, 7* ani- «* *5
anime de * malfattori fatto gafligate : ' A- ri flot eie-, ube /’
anime e fendo corrotte Col corpo i non -patif canti- più altro . XX^fV.-
Piatone y^ thè, i' morti rifer- gerantio' 1 Arijìotele, che dalla
privanti* otte all'abito non vi fia "rif òr pimento . Piatone, che V
anirne derub- ili faratino collocate in luogo y dove fa- ranno
molto' felici i' Arinotele non cono- fce alcun- luogo di quefia fori a .
Quindi il Sidonio-difle, Explicatut Plato, ìmpiicat ut Ari fot elei, 'e
il Pei trarca del difcorfo dell* ignoranza di fe ftefloy e d’altri,
attéfta, che Pia* toner» Divinum, Ari fot e lem Damo» iuta Grati
nuncupabant ; e però nel Trioni» fo della Fama, così di lui.
degnamene te canto: A • • t I n it . V'olfimi dà man
manca, e vidi . Plato, Cfo n quella fcbiera andò più prefr, . fo al
fegno, . s «* 4 / ?«*/ aggiunge, a chi dal cielo ...... ^ dat o •
.. E fi- *, £ finalmente tutti concordano, che la
Filofofia di Platone fia fiata la più favorevole > ed acconcia, e
quella d* «Ariftotele la più contraria, e pregiu- diciale alla
dottrina della nofira Chie- fa cattolica, E Sant* Agoftino attefla.
Platonica f amili* Pbilofopbos facillìme omnium, paucifque mutatiti r
fieri poffe Cbrifiianos, Anzi un Autore, che fé* ce una
Diftertazione del modo di ftu- « \ 1 diare la Teologia,
impreca coll’altre di Ugone Grozio De Jìudiis inflit uendis,
vituperando aifatto la Filofofia Ari» fio te lica, e ragionando egli
degli anti- chi Filofofi Crifiiani, così dice \ \Qm quis effet
Arifiot elicti s, eo minus • Còri- flianum fuiffe E, de’ Padri foggiunge
: Olir» multi viri pii, (S doElì % Origene: t Clemens Alexandrinut,
Jufiinus, Augu - jlinu !, et alit y ex Plafoni s fcbola ad £c-
clefiam Cbriftianamtranfierunt : f ed nul- li y aut certe pattei ex
fcbola Ariftotelis, qui metaphyftcis ejus fpeculationibtn, et arguti is inferii erant . E il medefimo
Autore dice f che Pietro £amo era -fi d’opi* Digitized by
Google d’ opinione, che fi dovefle bandire da T tutte le
Scuole, ed Accademie la Me-t tafifica d’ Ariftoteleu Petrus Ramasi
I ( fono parole dello fleflò Autore ) stiri do fi us,
et perfpicacis in Philofopbia ju- dici't ( luet Ariftotelici contra
fentiant ) Tbeologiam illam, quam ? Arinotele s in Metapbyjica
docet » impietatem omnium impie tatum maxime execrabìlem, et de->
tefiabilem effe confirmat, adeoque ex A- cadem'ùs exterminanàam, ut a
multi s fa- flit atum efi . Avendo egli ancora propo- fto>
fecondò l'ufo dell’ Uni ver (Ita di Pa* rigi, primach’ ei fofle creato
Maeftro, e primachè caduto fofle nell’erefla, pub* bliche
Conclufioni,per le quali foftenne, Qutecumque ab Ari jlot eie dì fi a
funt^falfa 4 et commentiti a effer, e perciò ifuoi fcrit- ti in
Francia in grandiflimo pregio fono tenuti . £ di Guftavolte di Svezia
rap* porta il medeflmo Autore > che Omnes Metapbyficas a regno
fuo expulit t et exfu- Idrejuffit . Come primamente Antonino
Caracalla, conofcendo ancor egli quefra verità, vietò affatto l’
Accademie de’Peripatetici, 'facendo bruciare ancora tutti i Iibrrd’
Arinotele . E Pietro Poi- ret nel libro de Deo, le diede più. che
bando dalle fcuole con quella ’ defini- zione: Pbilofopbia e fi
contemplatiti, vel cotnpages nugarum Scbolafìicarum ) Ari -
fiotelicarutii t vel fimiVtum, ad oblivi] ce n- dum Dettm, mentemque
tumidi s tenebri! t et inquieta - pet ulani ta implendam ; In modo
che da’ mèdefimi Eretici fi con- feda edere la Filosofia Ariftotelica
dan- nofilfima al Criftianefitrio. : £ chi potrà giammai
dubitare, che la Fftofofia Ariftotelica- fia Hata l’uni- ca e fola
cagione, anzi l’origine ftefta di tutte 1* creile, eflendo ciò mani
fe- llo per l’autorità di tutti gl’lftorici, e di tutti i fanti
Padri, ' che in quei tempi fiorirono, i quali erano preden- ti alle
difpute, e ne’ Concili ftefti per confutarle ? Aezio Vefcovo d*
Antio- chia ne’ primi tempi appunto della no- ftra Chiefa, non fu
egli Eretico, e poi foprannomato Ateo: Astìus Atbe- usì non
peraltro, fe non perchè troppo addetto alle Categorie d* Arinote- le egli
era, come nota Svida; ed Epi- fanio, e Gregorio Nifi'eno lo ftefio
afr fermano.. De Chrijìo magis Academico t quant Eccleftaftico more
f ape differebat . E fattoli pertai fofifmi Eretico, e poi Ateo,
coro’ è detto,; fu. privato della Chiefa, e la fua fetta,,ch’è la
ftefla, che l’Eunomiana, detta da Eunomio fuo, difcepolo, e
compagno nell’erefia; fu fino alla morte perieguitata dagl*
Imperadori Onorio „ è Arcadio ; e Te- miftio Ariftotelico, come nota
Svida ftefio, chefcriffe fopra il trattato del- la Fifica ». dell*.
Animai» e d’altri libri d’ Arinotele, fu Eretico, come Gio- vanni
Filopono. ; N ice foro così d’eflb loro dicendo : Johannes ifte Philopone
- us Alexandrìnus, . ita ut diximus T rithei- tarum i hdereticorum
pr afe Bus fuit, prò- inde atque olim Tbemiftius Pbilofopbut jub
.Valènte Agnoetarum feft et, qua conventi» lucis ad Be- Hai? £ S.
Gregorio Nazianzeno ugual- mente ne fa molta doglianza, dicendo :
In Ecclefiam irrepftffe captiones fopbiflicas, ac pravum art if cium
Arinotele# artìs, et bujus generis alia, veìut ALgyptiacas quafdam
piagar . E altrove così . Abjice Ariflotelis minutiloquium, Jagacitatem,
et art ifi cium: abjice mortale s illos fuper Anima fermones,& human
a illa dogmata. Ed in altro luogo deteftando in tutto e per tutto
Ariftotele il chiama Struggit »• re della provi de n^a Divina . Ireneo
in in quefto modo ne parla: Minutiloquium, et fubtilitatem circa
quajìiones, cum ftt Ariflotelicum, fidei inferre conantur :
Lattanzio così ; Arijlotelem de Deo ìpfum fecum dtfftdere, et repugnantia
di- cere t et Jentire immo Deum nec colu- ti, % nec curavit « San
Girolamo ad Eu- ftochio feri vendo : Attende et tu fa - tuorum
fapientum princeps Ariftoteles . In altro luogo . Omnium b*reticorum
do- ppiata fedem fthi et requiem inter Art - fiotelif, 0 Cbryfippi
[pineta reponunt, et Ut fub diem cunfia concludam fer mo- ne, de
illis fontibus univerfa dogmata argumentationum fuarum rivulis . trabunt
. E femprcmai.con aperto vocabolo Gi- rolamo fteflb verfutiet
chiama gli ar- gomenti di lui. Origene ne* libri ch’ha fatto contro
Celfo, grida in più luo- ghi contro d’ A ri Itotele come nocivo al
Criftianefimo > e la maggior parte degli altri fanti Padri fono del
mede- limo fentimento, come Sàn Giuftino nel Dialogo per la verità
della religio- ne Criftiana- con Trifone Giudeo : S. Clemente
PAleflandrino nelfuo avver- timento, . che fa a’ Gentili ; Eufebio
in più luoghi delle fue Opere: Sant’Ata- nalio contra Macedonia no
: San Gre- Digitized by Google gorio Ni fieno eontra
Cunomio : San Gregorio Nazianzeno più voice nelle fue Orazioni ;
Sant* Epifanio ne* libri contro l’ercfie : Sant’Ambrogio di nuo- vo
ne* libri degli Uffizi : S Gio. Grifo- ftomo fall* Epistola a* Romani ; e
fo- pra tutto, quel» che ne feri fie Tertul» liano in più d’un
luogo nel libro delle Prefcrìzioni, e dichiarando egli quel di San
Paolo, Ne quii tot decipiat per Pbilofopbiam, intende egli quella
d’A« riftorele vana, e fallace per fentenza di tutti. Quindi
Cirillo l’ A leflandrU no gridava.* Heeretici- nìbil aìiud, quarti
Arifiotelem ruSlant . E Sant’ Ambrogio con ugual fentimento, e colle
lagrime agli occhi dicea, Reliquerunt Apofiolunt » fequuntur
Arifiotelem . E fra Moderni Melchior Cano così ; Habent Arifiote-
lem prò Cbrtfto, Averroem prò Retro, et Alexandrum prò Paulo . E tant'
ab tri, i quali l'hanno riprovato, e con* futato, foto per timore,
che non s’irn- primefle al Criftiano un carattere deb fa fua
dialettica » per efler tutta con» *• C tra- traria
alla femplicità della fede > la qua» le altro non richiede, che una
umile fommiffione» e totale credenza, fenza veruno ragionamento, e
difcorfo uma- no . E finalmente lafciar non fi dee ciò, che ne
fcrifle S. Vincenzo Ferre-- rio » che fremeva contro un tanto abu-
fo nelle Scuole . Quel Predicatore io dico tanto zelante, che introduce
la vigilanza dell’ Inquifizione .per man- tenere la purità della
fede, non appel- la egli queft-a dottrina d’ Arinotele, e quella d‘
Averroe fuo feguace, Pbia ìas ir che nell’ anno MCCIV. fotto
Filip- po ;1* Augufto, per pubblico confi- gli©,' come dannevoli
alla noftra fe- de i libri della Metafilica, che al- lora folamente
veduti s’erano, e tut- ti gli altri ancorché, non veduti, e foflcro
per ^comparire, fu ordinato > che fi ì mandafiero alle fiamme .
Ec- co le : parole ., dell’ Iflorico riporta- .te dal medefimo
Padre Petavio > in diebus .uillis .legebantur, Parifiis. li-
belli quidam ab Arinotele > ut dice ? » C i ban- bamur,
compo fiti t luì aocebdnt Meta - pbyftcatn, éf 4 Graco in
Latinum translati; qui quoniam non folum pre- dilla bareft
fententiis (ubtitibus occafto * **0» prabebant, ò»/»o 6 * 4/»/
sondane investii pr abere poter ant, jufi funt 0- mnes comburi t et
fub paena excommuni- eationis cautum eft in eodem Concilio, ne quìi
de cetero eoi fcribere, legere fra fumerete vel quocumque modo b abe-
re. Esfei anni dopo che fu condanna- ta ia Metafilica dei medeiimo, il
Car- dinal di S. Stefano mandato in Fran- cia da Innocenzio III. in
qualità di Le- gato, proibì a* Profeffori dell* Oniver- fità di
Parigi d’ infegnare più la Fifica del medefimo Arifrotele, il che fu
con- fermato poi per una Bolla di Gregorio IX. come ancor prima per
lo Concilio •Tu rose fe fotto Aleflandro IIL fu pa- rimente vietato
leggerli più la Fifica a’Religiofi ; quindi dall* Università del-
la Facultà Teologica di Parigi, c da Francefco primo fu fcabilito >
Che s* r Digitized 37
infognale la f 'anta Scrittura, i fanti Canoni > i fanti Padri,
la Teologia an- tica con tutta la purità e femplicità pofjtbile, e
che fe ne sbandi (fero tutte le vane fattigliele, come riferifce
coll* autorità di molti, M. Baillet . Alma* rico ( narra il
medefimo Ifrorico, ri* portato dal P. Petavio (tetto ) non fu egli
eretico, come feguace de* princi* pj d* Arifrotele? Simone de Turne
ce* iebre Profettòre di Teologia della me- defima Univerfità di
Parigi, e David Dedinant, poco tempo dopo, non fu- rono acculati
per eretici, come trop- po attaccati, a* fentimcnti d* Arinote- le
? Gli Abailardi t i Lombardi, i Poi- * tierfi, i Porretatii» come
Iettatori del medefimo, non furon eglino eretici ? Quefte fono le
parole del prologo del libro contro le fentenze de* medefimi
condannate « Quii quii hoc legerit, non dubitabit quatuor labyrintbos
Francia, id efl Abaelardum, et Lombardata, Pe- trum PìEìavìnum, et Cilbertum
Porre* tanum uno fpiritu Arijìotelico affiatos, C j dum
3 * . dum ineffabtìia Trmitatis, et Incarna-
tionìs fcholaflica levitate t raffi arcnt, multai barefet olim
vomuiffe, et adbuc errore s pullulare. I Luteri, i Calvini,
iMelantoni, i Buceri, i Zuinglj, e ' gli altri loro feguaci, ancorché
apparen- temente fi dimoftraflfero nemici. d’Ari- ftotele,
gettarono, e coltivarono i loro velenofi Temi, non con altri ^principi
fe non 'con quelli d’Ariftotele ftefio . I Pomponazj, i Porzj, ed
altri traligna- rono da’ veri fentimenti deirimmorta- lità
dell’anima, non con altro errore, fe non con quello d* Ariftotele
medefi- mo . I Serveti, i Socini, i Poftelli, non con altra
direzione che di lui ftefio divulgarono que’ loro pefiimi ritrovati
; e fceleratifiìme innovazioni alla noftra Religione . 11
Macchiavellifmo, ch’è lo ftefio che l’Ateifmo Exiit ( dice il
Campanella, col fentimento ancora di Melchior Cano, dottifiimo
Spagnuolo, ed uno de’ più facondi Scola dici del Tuo tempo, ed il
maggior ornamento della famiglia Domenicana, degnifiimo Vescovo nell*
Ifole Canariè, e fu eziandio uno de'Padri, che intervennero ahCon-
cilio di Trento) exiìt t torno a dire,, ex Pcripateticifmo - Il
quale aggiunge anco- ra : Ex Arinotele nata funt in Italia pe*
fiifera illa dogmata de mori alitate animi, et divina circa res bumanat
improvi dea- tia. £ Seneca ancorché Stoico, perchè la Filofofia
Stoica alla Criftiana li ag- guaglia,' come dice Girolamo il Santo
nelle Aie Epiftole » non fu valevole ar cancellare dal cuore di Nerone
Aio di- fcepolo que* peftilènriflìmi. fentimenti, che
imprefli. gli *avea. Alèflandro d\E- gea Aio primiero maeftra f efilofófo
Pe- ripatetico. Come Peripatetico fu ancor ' Sergio, il
maeftrcnperfidilfimodi Mau- mety il che* vien -riferitò da Pico
della Mirandola ; avendo ancoi egli ( Arido* tele io dico) d’ una
maniera- infegnato la fua Fitofofìa ad Alèflandro, e d’ um al- tra
in Atene, quafi che varia, ediver- fà la.lnat ural Filofofìa infegnar fi
dovef» fe ad un Principe ciré al popolo ; del che molto-de me.
querelò «Alèflandro • cor» 4 ® . Arinotele fteflb, il quale fu
atnbiziofó nel dominio delle lettere, come fa di più mondi .
£ il Carpentario, an- corché eretico, nel principio del libro
della fua JFilofofìa libera, non dice li- • \
bera mente così tjQuis enim ita ferver fi genti e fi, qui mecum
nitro non fatea* tur., Pbilofophorum Principi ( d* Arino- tele ei
parla )) ut bomini multa falja » et erronea ; : ut etbnico, et pagano
mul* ta impia, et profana ; ut primo in* fìauratori multa . manca,
et $mperfe * fi a excictife». £ il Padre Petavio ftef- fo, torno a
dire, il genio veramente della Teologia * e delle feienze, il qua-
le degnamente appellare fi dee il fior degl’ ingegni, e ’1 primiero
letterato tra i Padri Gefui ti, allegando l’auto* rità. d’Anaftafio
Sinai ra, non dice egli così ?, Anaftaftus Sinaita . in eo libro
quem Via: Ducem nominavif, tefiit e fi, ha* reticos omnet, qui vel
contra Incarna* tionit dogma nefarium movere belìum, ex ilio Ari
fìat elico fonte fuxiffe . Indi egli è, che 1\ Autore fiefib della
Filo- Digitized by Google 4 * . fofia
volgare re fatata ; così contro i fetrarj del medefimo grida : Et
adbuà Arifiotelem leghi s t interpretamini, de- fenditi !, et exornatis.
Quindi egli è, che da’fan ti filmi Pa- dri medefnni, e da molti
favillimi, e dotti (fimi Autori è (lato ancora nota- to di
gravifiimi errori . S Giuftino fcrif- fe tutto un Trattato contro i dogmi
a e le fentcnze d* Arifiotele, nel princi- pio del quale così
ragiona : It nibil dà rebus, quas definiendas ftbi commenta -
tionibus fui f ftatuit . San Cirillo nel li- bro contro a Giuliano fra i
Filofofi » eh’ hanno errato, principalmente ri- pone Arinotele . E'
perciò molto deri- fo da Bafilio, e particolarmente per quello, eh’
egliafierì intorno alla Ma- teria prima, e che la materia abbia una
limpatia naturale d* unirli i e per- fezionarti colla forma - Eufebio nel
li- ti ro della Preparazione dell’ Evangelio* e in quello contro i
Filofofi detefia non (blamente la vita» i cofiumi, la Filo- fofia
morale > e naturale ; ma la fua Me- 4
** Metafifica, come una pelle delle Re- pubbliche. Lattanzio
Firmiano il dan- na come Sofilla ., ed a fe fteflo contra- rio .
Ambrolio ugualmente come va- rio, e incollante.- Come menzognero,
efavolofoil riprendono Ago (lino, Teo-, doreto, S. Bernardo, e il .Beato
Sera- fino da Fermo . San Tommafo allegane do Agoftino medefimo
coll’autorità del Gcllio, prova, che fia un impoflore > come
rapporta il Campanella.. Scoio, e Francefco Mairone, come un igno-
rante affatto della Metafifica, e che le cofe tra effo loro repugnanti
a-yefle ap- provato . Gio. Pico della 'Mirandola, e Francefco
Patrizio il riprendono nel- la Geografia, e nell’ Agronomia, nel-
le Meteore, nejl’jftorie degl’ animali; e eh* egli abbia ! malamente
creduto, che la terra fia più elevata verfo il Settentrione, che
altrove.* che’l Da- nubio prenda l’origine da’ Pirenei . Pie- tro
Gaflcndp lo biafima nell’errore in- torno alla Galaflìa, all’ origine'
delle Vene, c jje* nervi del cuore t c in mol- . . •> te
s V N
te altre fimili cofe . Telefio, Duran- do, Baccone, Baffone,. l’
Harveo >• Cherneo, Galilei, Maurneo, e Pie- tro Alliacenfe, e
Niccola di Cufa Car-, dinali, ed ultimamente il P. Valeria- no
Magno, piiffimo, e dottiamo au- tore Cappuccino, che fu Miffionario
al Nord, il confutano» l’ acculano, e lo tacciano di molte altre limili
fcioc- chezze . La fomma, e la foffanza fia, dice il medefimo
Gaffendo,che non v’è per fona, che fenza roffore diffen- der lo
poffa, nè fenza tema, e nota ef- preffa d’infamia, e di vituperio,
che l'eguire lo voglia nell’ impoffibilità del- la creazione per lo
ftabilimento del fuo principio, che noii fi faccia niente dal
niente: che il Mondo fia eterno» e l’a- nima mortale : che la previdenza
di Dio fia talmente limitata nelle cofe ce- letti, che non fi
eftenda più di queir lo, ch’è fopra la Luna, negando an- corai’
idee, e confeguentemente il Ver- bo di Dio, non che Dio fteffo
auto- re di tutte le cofe : l’efiftenza degl’Angeli, de* Diavoli!,
l’Inferno, eia gloria beata,, e con ciò le pene adat- tivi, e i
premj a ’ buoni . Inferni, et Supere s,
effe fabulas Legislatori! e' dif- fe nel libro II. e XII. della fua
Meta- filica. £ tutto ciò o fia propria difav- vedutezza, o fi a
perchè fi ano fiate trafilate, e guade le fue opere, co- llie
vogliono alcuni, perocché egli fa uno de’ maggiori Filofofi della
Grecia» di cui molto n* hanno celebrata la fa- ma, e la dottrina,
come dice Macro- bio : Nibil tantus vir ignorare potuit * Certo
egli è nondimeno, che leggia- mo predo Diogene Laerzio, antichif-
fimo autore, che Cleante Stoico fin da’fuoi tempi dir folea,
Peripateticit idem uccidere, quod litteris, qua cum bene fonent, fé
ipfas tamen non nudi*- unt * £ che il medefimo Arifiotele fof. fe
fiato chiamato in giudicio a pena capitale dagli Ateniefi, per non
poter (offrire anche nella loro politica, e falfa religione quei
bugiardi, e corrot- ti principi d’ Arifiotele, diruttori per
così Digitized by Google così dire dell* uomo,
e di Dio freffo } la qual pena egli fchifò colla fuga . Per la qual
cofa in quella maniera fcla- mò il Campanella di fdpra lodato; Et
nos Cbrtfiiarìt retinebimus tanquam ma - gijlrum, ne àum tontra Patres
> et Con- cilia / aera jubentia, quod jubebant A *>
tbenienfes ; et quod jus : naturar damnat in illis, fciolonm au£lori%abit
in nobisì Abfit Cosi il fuo difeorfo conchiu* dendo. O Ecelefia
prudente r paftores, et o prudente s priucipes, vefirum eft banc
domenicani perni eiem agnofeert » et prodigate . : i . £ quel,
che maggiormente reca maraviglia egli è, che quei medefimi, che 1*
hanno comentato, difendono Platone, dove Aratotele lo danna, e quei
> che 1* hanno feguifato in molte cofe, non folamente 1* hanno
contrad* detto y ma 1* hanno quali infamato . Alberto Magno
l’arguifce, Quod ani- mai Coeli mot or e m facit . San Tomma* fo lo
beffa, Quod bine Mundi eterni- tatem adferuit > illine animarum immor
• 4 « . . t alitatevi fili contradixerit . Scoto il
fot- tiliffimo Io. fchernifce, Quod tam in - conflanter de
anima fenferit . E quel, che fommamente notar fi dee egli è, che il
mentovato Alberto Magno, tan- to feguace d’ A ri (lo te le, per lo
dubbio, ch’egli aveva» fe bene, o male avef- fe ragionato, in
quello modo prote- •ftandofi ne’ Tuoi comentarj, conchiu- fe : In
bis nibil.dixi fecundum opimo- nem me am propriam ; fed juxta pofitio
- nes Peripateticorum ; et ideo illos l.au- det, vel reprebendat,
non me . Quindi S. Tommafo fteflò, difcepo- lo d’Alberto Magno,
fi avvalfe nella fua Teologia di quella Filofofìa, e di .quella
morale d’ Ariftotele, che più. purgatamente fu difcefa in compendio
! da S- Gio. Damafceno, avendo da ef- • et * % «, v - ^ *
W fo prefo un modo, più particolare, e (incero ; e il
Campanella afferma, che S. Tommafo . Nullo palio putandum efl
Ariftotelizaffe ; fed tantum Arifìote- lem expofuiffe, ut occurreret
malis per I Arifìotelem illatis. E S. Tommafo me- Digltized
by Google 47 defìmé^iì lamentò molto con altri
Fi- lofofi più giudiciofi del fuo tempo, che gli Arabi, e i
Mori colà nell' Àfri- ca avevan contaminata laFilofofia, e T Opere
tutte d’ Ariftotele, per non faper eglino molto bene di Greco; per
la quai cofa Giovanni Lomejero nel fuo libro della Biblioteca n* avvisò
; Qtiod fi Graca exemplaria corrupta fue - runt, quid de bis
putandum e fi, qua in Lattnum.converfa funt ? Sed melius cum eo a
Slum efi, qtsam cum aliis, . quo* rum opera funditus perierunt, et ipfe
c auffa cxtitit cur multa per irent, qui aliar um gloriam adfetraxit ..
Indi Monfignor Ciampoli chiamolla Filo- fofia Morefca t Monfignor
Minturno Barbarica, e tutti Pagana-. E ben- ché in «tempo poi dello
/cadimento dell* Imperio, e dell; Imperatore Pa- leologo >
venuti alla noftra Italia i Greci filosofanti, e, fcienziati, forte
ri- fiorita; la nobiltà dell’ idioma Greco 9 delle filofofie, e
delhaltrd Scienze, ap- prettano! già eStinte* e tamraerfc coll*
♦* innondatone de* Barberi ; eglino parò fi
manifeftarono gagliardi difenfori del* la Filosofia Platonica » e
particolar. mente il Cardinal BeiTarione Arcivef* covo di Nicea, e
il più dotto tra elfi fai merito di cui tolfe il Papato laru*
fiicità dell* Arcivefcovo Perotti Tuo fa* migliare » e concia viftaj
dicendo in pri* mo luogo contro i Peripatetici, eh* e* glino
.malamente . Conantur Ariftote • lem ex gentili) et infitteli Apoflolum
f& sere . Quoniamfides nojlr * Religionis cum Feripatcticorum
dottrina no» convenite Ne formò molte E pi (loie ; il quale fu poi
feguitato da' maggiori ingegni Italiani» cioè da Marfilio Ficino,
Gio. Pico della Mirandola, e da altri cat- tolici, e
particolarmente da Niccola di Cufa, e da Pietro Bembo ambe* due
Cardinali ; il quale contro d* Ari* itatele così fclamò: Fovemus
ferpentem inter vifeera noftra . Di maniera che vedeli per lo più
Tempre ofiervata là Platonica t la Democritica, e 1' Epi- curea
Filofofia « e (fendo che fono tut-
te uniformi in concedendo, che gli Ato- mi foflero i primi
principi di tutte le co fé corporee, e che il fovrano bene del
piacere non confìtta ne’ diletti in- degni, e brutali ; ma (blamente
nell» animo, e nella vitaonetta, e tranquil- la della virtù : non
come altrimenti voleva Arittotele, conti* è detto . .Fu notato
bensì Epicuro per così dire pla- giario > avendo pubblicati per fuoi i
li- bri degli Atomi di Democrito, «dan- nata in lui l' opinione
della mortalità dell’anima . Gii altri fuoi fentimenti, per la fua
moderazione, e moralità, fembrarono così giutti, e ragionevoli a
Girolamo il Santo, che propofe a* Crittiani di fuo tempo la lezione
de* fuoi libri ; e da molti fanti Padri eì fu commendato . E San
Gregorio Naziao- zeno, così ne ragiona: jQuis crederete Mode rat us,
et cafìus dum vixit fuìt fi- le, dogma moribui probans. E Sant’Am-.
brogio ancorché più fevero d'ognaltro fanto Padre, e nelle Filofofie più
ri- gido» pur egli ftimò effere più cpmpatìbili gli orti d’Epicuro, che
d’ Arinotele i portici, come affatto danne- voli non che pericolofì ;
perocché ne* libri degli uffizj al Cri diano apparte- nenti » così
n’ avvisò ; Epicuri Hortot tolcrabiliorcs effe Lyceo Arinoteli; .
Il che rien confettato ancora da Lattan- zio » e da Origene contra
Cello . Ari* Jlotelem effe deteriorerà Epicurei / . Que- lla
Filofofia adunque d’ Epicuro, o fe altrimenti chiamar fi voglia
Democri. tica » vien molto largamente di vi fata, e comprovata
dall* incomparabile Pier Gattendi > Canonico, e poi Propoflo
nella Chiefa di Digne fua patria, Teo- logo, e profeffore delle
Matematiche feienze in Parigi» il quale fu di pura* e cadiflìma
vita, e uno de* più illuftri ornamenti della Francia» o quali
l’ora- colo detto delle lettere del fecol no- Uro» di cui
giudamente dir li potreb- be, eh* egli intorno alle cofe filofofi-
che » e feienze Matematiche ne diede il giudicio cóme Pittagora, e
fpiegol- le come Platone . Indi il volere qui ri- pe.
5 1 petere, anche in menoma parte quel* 10, eh* egli
medefimo n’ ha fcritto, farebbe un ridire miferamente ciò » eh’
egli felicemente ne diffe ; e tanto mag- giormente, quantochè noi
richiede la prefente fcrittura, per edere il tutto notiflìmo alla
Santità' Vostra. An- zi in qualunque altra occalione che fofle,
farebbe un cimentar la propria ftima, ed acquetarli certamente la
rota di temerario, e d’arrogante. Ma da lecito farne qualche parola, e
dir folo > che il Galìendi avendo apprefo nelle, fcuole la
Filofofia d’ Ariftotcle, e da eflo poi tutti i varj fiftemi degli
antichi Filofofanti, per quanto gli fu permeilo dalla condizione umana »
e dal fuo proprio intendimento » e abi- lità ; volle dopo feguitare,
e perfe- zionare quella d’ Epicuro, come piti acconcia, e
proporzionata Filofofia d’ ognaltra, ammettendo gli Atomi principi
di tutte le cole corporee ; come fende di fe Giacomo) Colonna
11 Vefcovo al Petrarca: Da Se 5
* Se le parti del corpo mio diflrutte, E ritornate in atomi
> e faville . Softenendo però, che Dio gli abbia creati, e
che Dio averte lor dato il movimento) e il dirtendimeato, e la
figura. E che il corpo umano, fia di minu- ti ffime
particelle coni porto, leggefine* libri del diritto Civile, e
propriamen- te nel Titolo de judiciis, nella Lege ' Proponebatur,
così dicendo A 1 fono Var- rò, gran Filofofo, e gran Giurcconful-
to, e Confole di Roma, Quod fi quis pittar et, partibut commutati s,
aliam rem feri: f ore, ut ex ejus ratione nos ipfi non idem eflemus,
qui abbine anno fuiffemur, fropterea quod, ut pbilofopbi dicerent,
ex quibus particul'ti mìnimts confliteremus, bue quoti die ex
noflro corpore dee e dere nt, aliaque extrinfecus in earum locum
acce* derent. Ouapropter, cujus rei Jpecies e a- dem confifieret,
rem quoque eandem ef- fe exifìimari &c. Quelta Filofofia
è (lata feguitata / v in io molte i e quali
innumerabili carte- dre dell’ Europa, e ballerebbe fol di- re, eh*
ella non è altrimenti proibita da verun Pontefice voftro predeceflb-
; re; anziché quali in tutti i luoghi cat- tolici pubblicamente s’infegna,
ù. ap- para, e li profèta . Sia ancor lecito aggiungere a tante
dottrine che li ad- ducono dal mede fimo G a flcndi, e da altri,
per corroboramento di tal Filo-: fofia, un’ altra autorità di S.
Grego.: rio Vefcovo di Nilfa, la primiera «fé-: dia della Cappadocia,
il quale viveva nel quarto fecolo, fecondiamo di tan- ti e tanti
fanti Padri, e Dottori della noftra Chiefa, fratello di S. Balilio
il grande, e di S» Pietro Vefcovo di Se perocché egli diffe: Fuit
fuhita, urgebat, nova rei fui fa - bat aures . £ finalmente
foggiunfe, Che Veritas placet, et vincit . Carte - fius bene
intelleflut, nibsl cont'met ma- li . Onde ravvedutili gli altri, fi
di- chiararono ugualmente Cartefiani . ^Soggiungendo ancora
altriTeologi, che fentimenti di Renato intorno all’efi» ftenza di
Dio fi conformavano con quei medefimi di Sant* Agostino, diftefi
nel librò X. della Trinità > e -propriamente nel capitolo X. Ed un dotti
f- fiimo Padre, di cui ne lafcia il no- me lo fcrittore della vita
di Rena- to, vi aggiunfe molte altre limili dot- trine > eh’
egli aveva ritrovato in pro- va delle opinioni di Renato ; in mo-
do che ciò fu di gran gioja.a Rena- to fteflò, in fentire, che i fuoi
penile- ri erano uniformi con quei di Sant’Agoftino, e di Sant'Anfelmo
nel libro, detto Profologio, e d’altri fanti Padri. E per li
fentimenti dell' anima io vi aggiungo Glaudiano Mamerto, uno de’
più celebri fonti Padri, . che fiori nel quarto fecolo ftefiò della noli
ra Chiefa, che compofc un divinilfimo Trattato dell’anima t in
confutando quell’ enormilfimo errore di Faufto, Ve f covo di Rems
nella Francia, che tenea quella falfiffima opinione >xhe nelle
creature non vi fia niente d’ in- corporeo; ma Solamente in Dio . Quello
Trattato fu dedicato. a Sidonio Apollinare, amiciflimo di Mamerto;
.ed egli è molto elegantemente, e con foni- fommo
giudicio, e finimmo • ingegno dirtelo, in cui trattanfi le
queftioni metafifi che con ogni chiarezza, e fa- cilità poflibile
in prova dell’immorta- lità dell’ anima in modo che non vi è fiato
chi migliore, di lui ciò abbia comprovato . Fondando egli con ro«
bufiifiitne ragioni, che l’anima operi tutta intera ne’ Tuoi movimenti:
che non fi mova nè verfo l’alto, .-nè ver- fo il baffo, o altrove ;
eh* ella non fia nè lunga» nè, larga, nè più alta r eh’ ella non
abbia parti interne, nè efierne ; e eh* ella penfi, ella fenta,
ella immagini, e penetri tutta in tutte le fofianze : eh* ella fia
tutta intendimento, tutta fentimento, tut- ta immaginazione, tutta
di. qualità» e non altrimenti di quantità; e final- mente, che fia
immagine di Dio » e confeguentemente incorporea, e im- mortale. Et
quia imago Dei efi, non e fi corpus . E che però cerchi Tempre Dio,
e defideri conofcerlo, non con al- tra immagine di Divinità, chedelia
/ua 6o propria ; e che fola mente il corpo fi
tnifuri per lo fuo di (tendi mento in lunghezza» larghezza, e profondità,
e con altri fomiglianti principi, de* quali fe la maggior parte fi
veggono nelle Meditazioni, e negli altri libri di Renato » dir fi
potrebbe, o che Renato gli abbia stolti da Mamerto, ò ch’egli abbia
avuto un ingegno geo» metrico » giudo » e uguale a quello di
Mamerto . Da tutto ciò adunque fi vede » che quelli principi di
Rena» to fiano gl’ ideili d* un Tanto Padre, che fu Mamerto » gran
Filofofo, e gr.and* Oratore, il quale fu giudicato uno de’migliori,
e favillimi Padri del- la Chiefa: che meritò la dima d’ effere tenuto
dotto, quanto Girolamo; dedruttore degli errori, quanto Lat- tanzio
; provatore della verità » quan- to Agodino; e che fia levato in alto
t quanto Uario ; che abbia ancora fa- vellato, come Grifodomo ;
riprefo, come Bafilio ; confortato» come Gre- gorio/ e che fia dato
fertile » come Orofio; robufto, come Ruffino; nar- ratore, come
Eufebio; dettatore, co* me Eucherio ; declamatore, come Paolino ; e
foavitfimo, come Ambro- gio . Quella adunque nuova Filofofia,
o rinnovellata per dir meglio Filofofia di Renato, è fiata
feguitata, e dife- fa dalle migliori Uniycrfità, e proviti- eie
dell'Europa, ed infegnata pubbli- camente nelle cattedre più
rinomate del Mondo ; e i cattolici fieffi ne fo- no difenfori, non
che gli autori, e fer- rar] ancora, così attefiando il dottif- fimo
Sorel ne’ Tuoi libri della Scienza universale . La dottrina di Momìt
Defi cartes oggigiorno è feguitata in molte, Accademie, e conferenze . V*
ha de* Prof e (fori di Filofofia, che /* infegnano. Molti fe ri
appagano piu, che del - la Filofofia antica . La quale vien con-
fermata con pubbliche (lampe da mol- ti Religiofi, che n’han divifato
tanti e tanti libri che nulla più, approvati da’ loro Superiori, e
fpeciali/fimamen- te Digitized by Google
te ne fono Seguaci nelle cofe più prin- cipali i dottiifimi Padri
Merfenni, e Detei, e Niceron Minimi . IIP. Mai- gnani, e il P.
Barde : T incomparabi- le P. Nicolle, e il P. Malebranche, che nel
fuo libro de inquirenda Verità - te vi pofe tutti i principi, e tutti
le parti della fua Filofofia Opera, che fi potrebbe appellare ' 1’
ultimo sforzo dell’ ingegno umano ; ed altri Padri dell* Oratorio
di Parigi, i quali furo- no ancora amiciffimi di Renato, e fo- pra
ognaltro affezionati (fimo, e mol- to famigliare di lui, e della fua
JFilo- _ rf * fofa feguace, A ntonio Arnaldo uno de» maggiori
Teologi della Sorbona, e che M per la fublimità del fuo ingegno, ed
eccellenza della fua dottrina, fi può - £ /giustamente chiamare l’Aquila
degl* ingegni, lo Splendore dell’età noftra, e il più gagliardo
foftenitore della fe- ‘uWw^r^de Contro il Calvinifmo ; il quale
col fuo libro della perpetuità della fede, in cui con robufte ragioni,
e con eloquen- za veramente Grifciana ha fondata 1*
eli* J e fi (lenza reale di Cri (lo
nella fantini** ma Eucaristia, e poi con altri volu- mi,
autorizzando colle fentenze de* fanti Padri e Greci, e Latini di
feco- lo in fecolo, e della Chiefa Orientale ancora, che fervirono
di ri fpofta al li- bro di Monsù Claudio, Minirtro di Charenton,
approvati da tutti gli Ar- ci vefcovi, Vefcovi * e Curati della
Francia > e da altri Teologi, e Dotto- ri della Sorbona ; ha dato tal
confu- sone a'Calvinirti, colla lezione di quel* lo, che molti
d’elfi illuminati, fi fo- no uniti alla nortra Chiefa, come il
Vefcovo della Roccella, uno degli ap- provatoti fuddetti l’attefta: e per
tan- ti altri libri, che quali ogn’ anno di fua vita ha dato alle
(lampe, fe ne va carco di gloria, e d* anni con quella folitudine,
propria d* un let- terato in Olanda, dove gran tem- po menò la fua
vita ugualmente Renato, con rifiuto magnanimo delle cofe del Mondo
. Parimen- te furono di Renato amorevoli il Cardinal de Bagne, e il
Cardinal di Ecrè, e il Cardinal Berul, e il Car- dinal Barberino*
quando ei fu Lega» to alla Francia * il quale tanto fu a-
mantiflìmo delle cofe dell’anima > che non per altro . pare * eh* egli
avelie trasportato dall’ idioma Greco al no* Uro Italiano la vita
di Marco Aure* lio Antonino Imperadore, eh* ei def* crifle di fe
fteflb a fa fteffo * fé non per dedicarlo all’ anima fua, come
Specchio veramente, e dottrina, quel libro* delle cofe morali * che
ponde- rar fi debbono dall* uomo ; perciocché tutte le cofe di
quaggiù, anche in ai- tiamo grado confiderate * fvampano in nulla .
Fu protetta » e difefa anco* ra quefta Filofofia da tutti i
Principi* e potentati ftelfi d* Europa } e partico- larmente dal Re
di Francia* che grati- ficò di due penfioni Renato* e dalla Re-
gina di Svezia * in cafa di cui egli mo- ri * ed ella in grembo della
Chiefa ; coftà venuta, e fatta cattolica per o- pera fola d’un folo
Renato * com’ ella fteffa afferma in fua lettera, che fi legge nella vira
del medefimo; l’auto- re della quale narra ancora, che la iua
maniera di parlare della Religio- ne fece convertire alla noftra.
Chiefa il Marefciallo di Torrena, un Ateo, e due Proiettanti; e
dalla Principcfla Ehfabetta r fu nomato il refugio de’ cattolici di
Olanda, ed al medefimo furono celebrati i funerali con aflìften- za
di molti Prelati, e delì’Ambafcia. tore di Francia -, e d* altri
perfonaggi illuftri t ed Ecclefiattici, e fu compian- to con
funeftiffime Orazioni, e lugu- bri apparati dalle migliori
Accademie, a cui ugualmente furono rizzati più e. pitafj e
maufolei, ed impreffe medaglie in memoria della fua pietà, e dottrina
. - Ed ancorché i Padri Gefuiti, i quali poffono dar norma, ed
efemplo per la loro dottrina, e - fantità di coftumi, abbiano,
particolare infti- tuto, e regola di feguitare affolu- tamente .la
. Filofofia d’ Ariftotele ; il che vien riferito ancora da uno
E fcrit- 66 fcrittore, così dicendo : Apud
Jefuitas ie gibus fauci curii e fi, neminem in Pbilo - fopbia
prater Ariftotehm [equi, qua caufja e(ì, cur rnjtltt Ortbodoxi non
alia de c auffa Pbilofopbiam rimentur, quam qmd abfque ea non poffe
cum Jefuitis rette difputari ; nulladimeno vedefi, che molti d’
elfi di celebre .fama, e d’ una vita efemplare, non fedamente la
FUofofia.Ariftotelica hanno trala. fciata, ma quella novella forma
difi- lofofare hanno abbracciata, come fo- no il P. Fabbri, • il P.
Cafati, ' il P. Grimaldi, il P Lana, il P. Pardies » e il P.
Bartoli . La qual cofa li olTer- va per lo modo di filofofare,
fpiegan- do gli effetti della natura per mezzo delle particelle,
eh’ eglino -han tenu- to ne’ loro libri già pubblicati alle (lam-
pe, le quali non altrimenti permettonli fe non coll’ approvazioni d’altri
Padri,, a ciò deflinati dal medefitno lor P. Generale, o
Provinciale . Il P. Char- let, ugualmente Gefuita, che fu affi-
ttente Francefe del P. Generale della Compagnia, e milfionario
nell’Attjefi* ca, non fu egli amico, protettoref^é direttore di
Renato? 1} rJ*>j Giacomo* Dinet ^Provinciale nella Francia,:^*
conf flore di Lodovico XIII. e di Lodovico XI V. non fu affezionato di
Re-- nato raedefimo ? Ilr:P.:Braudin firnil-j mente Gefuita, benché
una volta, gli? avelie contraddetto » e riprovate lo, Meditazioni,
non fu egli medefimo £> che ravvedutoli, fi riconciliò con Re»
nato IfelTo per mezzo del medefimo P.; Dinet ? Il P. Atanafio Kircher
preoc-' cupato una volta dall’odio contro Re-» nato, non procacciò
poi la fua amici» zia, e corrifpondenza èri! P. Miland ugualmente
Gefuita, non fu feguace della Filofofia. di Renato, riducendo; in
compendio le di lui Meditazioni, ed in metodo Scolallico per infegnarle
a’ fuoi difcepoli ? Anzi quello medefimo Padre prima di partire per
1* America, volle oflequiofamente, e con particó* lar fentimento
dar. 1* ultimo addio: a Renato fuo amiciflìmc, quali che in £
2 tal 68 ' tal dipartenza non fendile altro cor-
doglio, che di lafciar Renato, non già i Tuoi compagni, i parenti, e
la patria fteffa. Il P. Stefano' Noe! non fu egli parziali (fimo di
Renato, e fat- to Rettore del Collegio di Chiaramon-' te a Parigi,
non dedicò i due fuoi li- bri di Filìca a Renato, conformandoli co’
fentimenti del medefimo ? Pren- dendo ancor egli la difefa contro
Paf- cale per l’opinione toccante il Vacuo. IlP.Vatier, parimente
Gefuita, non fu egli fettario di Renato, ed appro- vante delle
maniere di fpiegare il fa- crofanto mifterio della Santilfima Eu-
cariftia, fecondo i fuoi principi, e ra- gioni? Il P.Grandamy gli fu
finalmen- te amiciflirao i II P. Francò, il P# Fournier furono
tanto amici di lui, che gli dedicarono i loro libri-. Il P.
Fonfeca, benché Portoghefe, e il P. Ciermans Fiamingo, ma
ugualmente Gefuiti, fecero un elogio alla Metafi- lica del medefimo
. In fomma tutti i ' Padri-Gefuiti de’Collegi della Francia
furonoapprovatori, e fettatori della filofòfia di Renato, co’ quali egli
ebbe una continua corrifpondenza, e vicen- devoi commercio di
lettere ; e della Tua vita ne' due libri ultimamente pubbli- cati.
Ed ancorché pochi anni fono ilP. Rapini, Umilmente Gefuita fi fia
al- quanto allontanato da’fentimenti di Renato, dicendo egli molte cofe
contra lui, ie quali quanto fian meritevoli di rifpo- ila lo dican
gli altri, noi comportando la prefente Scrittura ; nulladimeno il
xnedefimoP Rapini, parlando egli pri- 3 fiieramente del Cavalier
Digby,eflerfi egli tròppo attratto nel fuo Trattato dell*
immortalità dell'anima, così di Renato favella : Le Meditazioni Meta
« .fifiche del Defcartes hanno avuto della re. f> ut azione j
perch'egli s'interna più che al - .trinci midollo di quefte materie.
Soggiun- gendo a quefte parole l’autor della vita di Renato . Senza
eccettuarne t Gefuiti Suarez, e Fonfeca, de* quali prima egli aveva
parlato, e che p affano per i migliori, e più profondi Met affici delle
Scuole . E 3 Ag- Aggiungendoli ancora, che-veden* do le
Univerlìtà Protettami di Bafilea e d* Olanda effer pur troppo pregi
udi- ziale la Filofofia di Renato al Calvi* nifmo, Il concitarono
tanto contro Re* . nato, che non contenti di fori vere con-
tro la fua dottrinargli ordirono anco- ra contro la per fona molte
calunnie, in modo che GisbertoVoezio Miniftro d* Utrecht, per
avergli oppofto con malignità il Ir
r» V t t ì t .ì r tìamo le vivande fenza penfarci, dice
il dottiffimo Boezio, noi refpiriamo dormendo fenza ciò considerare, e
tan- to meno faper fi, pofTono 1* altre cofe naturali, e celefti .
Jacent ( ne laSciò fcritto Cicerone ) ita omnia crajjts oc» calta,
et circumfufa tenebris, ut nul- la acies bumani ingenti tanta fit,
qua penetrare . in coelum, et terram intrare pofjit i Corpora
noftra non novimus, qui fit fitus partium, quam vim unaquaque pars,
babeat ignoramus . L’Angelo del- le Scuole manifestandone la
ragione nella fua Somma, così favella : Quia ratio bumana in rebus
bumani s ejl multum defciens, cujus fignum ejl, quia Pbilo/o- pbi de
rebus bumanis naturali invejìi- gatione perfcrutantes in multis errave
• runt, et / ibi ipftt contraria \fenferunt .. Il che Similmente
avea detto Crifo. Homo ; Hi ipji, qui ad omnem pom- pam de
Pbilofopbia gloriantur, multos, et plurimos de eifdem cauffts
fcribentes libros, non modo fimpliciter difcepta- rmt t fed ttiam
ftbi contraria pleraque ' di » X 1S
dixerunt . Quindi Sant’ Agoflino fteflb, delle cole Metafifiche
ragionando, con* figliò : Noli qu^rere quid fit Veritas % fiatim
entra fé' oppone nt calìgine! imagi • num corporalium, et " nubila
pban t af- ta at a, et pertutbabunt ferenitatem t qua primo iftu
diluxit tìbi, ut dìce- rem Veritas . • Non perchè quella non vi lìa
; ma perchè di quella capaci non fu- mo, dille il medelimo ! Cicerone .
Ve- ri effe al'tquìd non negamut, pertipi pof- fe negamus : E
altrove : Non enim fu- mar ii, quibus nihil verum effe videtur ;
fed qui omnibus veris fai fa quidam a- djunSla effe dicamus tanta
fimilitudi - ne y ut nulla inftt certa judicandi, et difcernendi nota . £ quella è la cagio-
ne, per ria- quale tanto fi lamentava A gofiinò medelimo dell* ignoranza
u- •mana. QUomodo hoc fcio, quando quid fit tempus nefcioì-An forte
ne feto que- madmodum- die am quod fcio ? Hei mi- bi, qui nefcio
faltem '-quod nefeiam ! Come Plinio parimente compaifionan* do
tutto l’uomo, ftimollo in ciò piò mi*
L 9 f
» ' 1 $ i an incredibili celeritate vol- vatur :
quanta fit terra crajjitudo, aut qtitbus fundamentis librata > et (
ufpen - fit . £' volere ciò difputare, e con- ghietturare Lattanzio
il medefimo dice, non e (Ter altro, che difeorrere, e giudicare di cofe
fatte in remotifiime parti non mai da noi vedute, o fapu- te .
Quindi il medefimo Lattanzio-, così ragionando, il fuo difcorfo
con- chiude : Si nobis in ea re feientiam vendicemus, qua non
potejl feirì, non- ne infanire videamur, qui id affirmare audeamus,
*» quo revinci po/Jimus ? Quanto, magis, qui natura Ha, qua jet* ri
ab bomine non poQunt, /city />«-, furìofi, dementefque funt ju di-
cati di ? £ A rnobio così ; X?*»*/ incerta r fuf- penfa ; magìfque
omnia verifimilia, quam vera, Minuzio Felice dille, Indi il Poeta
.j Incerta bac ft tu poflules Battone certa facere nihilo plus 1 agas
> Quam ft des operata, ut cum ra- • tione infantai .
£d in confermamento di ciò, fs noi riguardar vogliamo a quel, che
n’han giudicato i medelimi, e i primi fetta- tori delle Filofofie,
ritroveremo, eh’ eglino fteffi han detto > aver fondato il
filofofare fu i principi dell’ ignoran- za medefima, comen’avvifà
Arnobio fteflo . Ipft denique principe t et feti a- rum patres,
nonne ipfa e a, qua dicunt, fuit eredita fufpicionibus dicunt*
Zeno- ne, e tutti gli Stoici negarono 1’ opi- nazioni ftefle .•
Opinar i entra, te feire, quod nefeias, non ejl fapientis, fed te-
mer a rii potius, ac fluiti . Socrate, Quod neque feiri quicquam poteft,
nec opinati oportet. Adunque Tota Pbilo- fophia fublata efl, difle
Lattanzio. Ariftotele fteffo ne’ libri della Metafi- sica così ; De
bis- enìm omnibus non modo invenire veritatem difficile ejl, verune ncque
bene ratione dubitare facile ejl . Gli Accademici contro a’ Filici,
Nul- la m effe fcientiam, ed ogni cola probabile . Democrito, che la
verità delle fcienze ftia nell’- abiflò nafcolta . Arce- fila (
narra Epifanio ) nomato il mae- ftro dell’ignoranza da Lattanzio
ftef- fo, niente doverli affermare di certo, negando all’ uomo la
fcienza, riponen- dola lolo in Dio, e Dio ftelfo Non nifi ignorando
fcire pojftmus Là onde Cice- rone così tutto il fuo detto fiabililce
: Arcefilas ftbì otnne certamen inftituit, non pertinacia, aut
fludìo vincendi, ut mihì quidem videtur, fed earum tettine
ohfcuritate, qtu ad confejjionem ignora- tionif adduxerant Socra tem, et velutì
a- mantes Socratem, Democrìtum, Anaxa- goram, Empedoclem, orane s
pane vele- rei ; qui nìbil cognofci, nihil per dpi, ni- hil fciri
pofje dixerunt : angttjlos fenfus, imbecillos animoiy brevia curricula
vita t et y ut Democritus, in profundo verita- tem effe demerfam;
opinicnibus, et injìitutìs ornata teneri : . nìhil ventati reità* qui :
deinceps omnia tenebri! circttmf ti- fa effe dixerunt . £ della varietà
di tan- te opinioni, dell* incertezza delle faenze y e della moltitudine
di tanti Fi- losofi giudiciofiffi ma pirico così ne ragiona : Ita
etiam in' hunc mundum, velati in quamdamma - i gnam domum, accefjìt
multitudo Pbi - lofophorum t ad quarendam veritatem, quam qui
acceperit e fi veriftmile e am non credere, quod reEìe conjecerit .
li quidem certe non dicit ejse \aliquid, quod judicetur verità!,
propterea quod 4 in eorum,r qua funt natura, nìhil pef- ftt
comprebendi . Il che vien confermato ancora da Galeno, così dicendo:
Scien- tiam neque apud Pbilofophoi, prafertim dum rerum naturam
perfcrutantur, in- ventai . Ammonio tanto fettario d’ A- riftotele
fteffo n’allega la ragione: Quia diverfitate opinionum, diverfo modo rei
ef- fe verni velf alfa! : quoniam autem opinio- ne ihominum varine
funt,& incerta, ideo fcientiat quoque e] se variai, et incerta!,
ac F l prò - 86 proinde nuìlam effe rerum
eertam f, eie ». tiam, et veritatem. Avendo ciafcuno il fuo fenfo,
e la fua fantafia a parte, perchè, come fi dice, quanti uomini,
tanti pareri: m Mille homìnum fpecies, et rerum
difcolor ufus. Per la qual cofa è egli moltd virifimi- le,
che ognuno dipenda dalle fue fan- tafìe, ed opinioni, Cum fit ftngulis
o- pinio affluxus diffe Empirico fletto; di qui viene, che Eraclito
nominava O- pìnìonem facrum morbum . Quella è quella, dalla quale
fìam tocchi, e non dalle co fe medefìme, la quale di. - pende dalle
prevenzioni, ed anticipa- zioni della mente, Sua cuique cum (tt
animi cogitatio, colorque prior . Come ancora per la flima fuperiore al
meri- to, eh’ ognuno fa di fe flefTo * cagio- natagli dall’ amor
proprio, eh’ è il più cieco, ed il più violento d’ognalero,, a
niuno ceder volendo : Pbilautia enim ejl omnium amorum violentiffìmus,
cete- ToJ- i
*7 rofque fuperat ; vien fempremai a darli cieco, ed
imperfetto il giudicio. Amor, ftcut odium, ventati! judicium nefcit,
ditte Bernardo il Santo. E 1* uomo non ha altro di proprio, che il
mentire, e *1 peccare . Nemo enìmba v
het de fuo y nifi mendacium, et pecca - tum . Per la
qual cola, torno a dire con Lattanzio fteffo: dov’eglièla Fi-
lofofia? O coll'autore de’ cinque Dialoghi, della Filofofia fletta parlando
: Non e fi enìm de terminisi fed de tota profefftone coment io .
Cioè, che non vi fia affatto certa, e determinata Filo- fotta,
anche Propter natuv alerti borni - num ad difjentiendum facilitatem .
Re- nato medefimo per primo principio nelle fue Meditazioni non
pone egli 1’ averli Tempre a dubitare nelle cofe filofofiche? In modo eh’
e’ con mo* deftiflima protefiazione la Tua Filo- fotta dirtele,
confettando egli . dì fe fletto nella IV. Meditazione così . Cum
enìm jam feiam naturam me am effe vai - di tnfirmam, et limitatam . Ed
etten* F 4 do- 88 dogli (lato una volta
afpra, ed acerba- mente jfcritto contro da un Padre Ge- fuita, di
cui virtuofameate non volle palefare il nome alle (lampe, fé ne la-
mentò benignamente in una lettera, che fcriffe al P. Dinet Tuo amico,
ri- chiedendogli, ch’ei tro valle il modo, acciò gli fi
notificaflero gli errori, per emendargli, così dicendo-; Nibil enim
inibì cptatius efl, cjuam vel opinionum mearum certitudinem experiri, fi
forte a magni! viris ex aminata nulla ex parte falfa rsperiantur,
vel faltem errorum admoneri, ut ìpfos emendem . Come di (e (teffo
Agoftioo il Santo : Si ahquid vel incautius, vel tndoSìius a me pofitum,
ab aliis merito reprebenderetur, necm't- randum e fi, nec dolendum ; fed
pottus ì- gnofcendum, atque gratulandum, non quia errai um eft ;
fed quia improbatum. E pure quello Padre non aveva lette, nè vedute
l’opere di Renato ; così egli fcrivendo nella medefi ma lettera:
Etfi enim mibi valde indignum videretur, hominem Rtligìofum, cum
quo nulla n mibt unquam inìmìcitia, nee quidem
notitia intercejjerat, tam . publice t tam aperte, tam infolenter de me
ma • le dixìfje, nibilque aìiud balere excu « f atlanti, . quota
quod diceret, fe Dif* fertationem meam de Metbodo non le*
gip-- \ • £ tutto quello perchè ben Sapeva non eflervi
certo filtema di Filofofia, che l’uomo Scuramente Seguitar do* vede
; elfendo ella in tante fette di- vifa j che Varrone fin da* Suoi tem-
pi ducento ottantotto ne conta, e Temiftio trecento: onde
Sant’Ambro- gio gridò: lnter bas diffenfiones, qu& veri potejl
effe affina t io ? £ Lattanzio ugualmente così : In qua ponimus ve*
ritatem ? In omnibus certe non potejl Or che direbbero Ambrogio, e
Lat- tanzio Hello fe foffero a* tempi no- ftri, ; vedendoli in
maggior numero Sopraggiunte, ecrelciute ? E quella fra Religiofi
(ledi, dalla Chiefa non con- traddetta, quella io dico sì fiera, e
da non mai rappattumarli, e quietarli tra AQUINIO AQUINISTI e
Scotifti, Nominali, Re- alifti, ed altri, e tutti Ariftotelici, a
fembianza degli Arabi, de* Greci, e Latini, i quali eran difcordi in
fegui- re, ed interpetrare 1’ opinioni del me> delimo Arinotele,
come rapporta Pi- to della Mirandola . Per la qual .cola Teodoreto
fin da* Tuoi tempi fciamò : In litibus omne fiuditim, ornai s
nibiì denique de quo univerfi una men- te, ac voce confentiant . £
San Bafilio di quei, che furon tenuti i primi Savj della Grecia,
dice non efiervi nè an- che una fola ragione ferma, e collan- te .
Nee fola quidem ratio, apud Gr ita ut eos refel- lere nibil fit negotii,
cum illi propria dogmatibus evertendo fujficiant. E Teo- >
doreto (ledo in quella maniera favel» la : Et Ht fiorici, et Pbilofopbi,
et Po~ età tum de anima, tum de corpore, tum de bominis genitura,
et confiit ut io- ne inter fe litem exercent, dum olii qttidem bac
» alti vero illa pr a ferunt, alti rurfus et bis et - illis contrariam
o- pinionem adducunt, neque enim verità- tìs dicentes fiudio, et defiderio
teneban- tur ; fed inani gloriola » et ambitioni fervientes, ex quo
fané faBum efi, ut in errores multo: inciderint . Per la qual cofa
in quella maniera n’avvisò Minu- zzo Felice : Itaque indignandum
omni- bus y indolofcendumque efi, audere quof- dam certum aliquid
de fumma rerum, ac majeftate decernere » de qua ab o- mnibus
faculis feftarum plurimarum uf- que adbuc ipfa Pbilofopbia deliberat
* Ed i t Ed allora » che le Filofofie
de’Greci in* cominciarono a comparire al cielo Romano, i Romani ftelfi
non s’appiglia* rono a veruna d’cfle, foggi ungendo Ci- cerone,
perchè non eran sì balli gl’ in- gegni Romani, che avelfero a
foggia* cere alle altrui difcipline ; perocché Ro- ma t che aveva
trionfato nell* armi, non comportava farli fervile alle lette* re :
anzi i Romani ftelfi non fi manife* fìarono giammai fettatori d* alcuna
Fi- losofia, ed i Nobili li guardavano, co* me da una pelle, di non
efl'er tenuti tali ; perchè certi, che avevano prò* felfato la
fetta Stoica, come Bruto, e Caffio ; Aruleno, e Sorano ; Sene* ca,
e Trafea, ed altri erano tutti mal capitati, come macchinatori di
congiu- re > quantunque Seneca flelTo avelie altrimente prote
flato in una delle fue .Epi Itole, dicendo : Non me cu'tquam
mancipavi, nttllius nomen fero, multum magnorum ingenio virorum tribuo,
ali - quid et fi meo vindico . Onde lubito che alcuno attendeva
alla Filofofia, cadeva nell* ifteflo fofpetto, come di (Te Tacito
di Agricola fuo focero . E a 'tem- pi notòri dal Re di Francia con un
fuo arrefio delli d’Ottobre 1668. fu proibito a tutti i fuoi
fudditi di chia- marli l’un l’ altro fettario > e fpecial* mente
Gianfenitòa. I fanti Padri me- defimi avvertirono non dover elfere
fettario 1 * uomo, e fra gli altri Cle- mente 1’ Aleffandrino > così
dicendo : Praterea non particularìs fefia efi eli- genda, [ed
quidquìd omnes reile dixe - runt Stoici, Platonici, Epicurei >
Ariflo- telici . Hoc totum [eie Slum dico Pbilofo- pbiam. E
Sant’Agoftino nel libro deh le Confezioni, diffe, Non iftam, a ut
illam feti am, [ed ipfam, quacumque ef- jet, fapientiam diligebam > q
vare barn, et ampie Sì ebar, Quindi San Tommalo ne’ fuoi Opufcoli
infegnò con Agotòino medefimo, Non effe adfentiendum alieni
Pbilofopbo in fcbola Cbriftiana, [ed ex omnibus decerpendum^quodreiìe
dixerint. E fra moderni filofofanti Pietro Petito afferma nelle
Differtazioni, che fa incorno alla Filofofia ftelfa di Cartellò, doverli
notare d’arroganza colui, che* preflumcr voglia d’ alfentire più ad
u- na fetta, che ad un’altra, la ragione egli rendendo : Ne uni
precipue inba- rentes, in alias fotte me Hot e s, iniqui, et contumeliofi
viderentur . Ed ancora quell’ altra» perchè non puote perfo- na
veruna, benché a tutt’ uomo vi s* applicale, apparare, e farli
capace di tutte; conciolfiecofachè non potreb- be darne retto
giudicio, lodando più una, che un’ altra Filofofia . Omnium ( die’
egli ) fetta rum fieri perfette pe- ritum, humanum piane captum
exce- dit . E a fen lenza d’ Euripide .* Unus non omnia vìdet . E
Galeno così : Dif- ficile effe, ut qui homo fit, non in multis
peccet, quadam videlìcet peni- tus ignorando, quadam vero male in-
dicando, et quadam tandem negligen- tius fcriptis tradendo . E quando
vo- glia alcuno vantarli di fapere, appet- to di quel, che non fa,
egli è nul- la, dille Temiltio . Ea, qua novimuty portione minima
contìnentur, fi .colla* ta, et comparata bis fuerint, qua igne*
ramus. E Paganino Gaudenzio Teolo- go, e Protonotario A poftolico nel
Li- bro degli errori delle Sette, parlando egli delle Scuole di
Zenone) di Platone, di Democrito, e d’ Arinotele, così n* avvisò : Illusi
quoque colligendum, in iis, in quibus nobis Cbnfiianis diffi- derà
licet > non effe exploratam verità * tem. Magna nobis fas e fi uti
liberiate extra illa, qua arcem Re ligio ni s non refpidunt, ut
defendamus, quod nobis probabilius videretur., Ora egli è vero, com’ è
verini- mo, che quei medefimi tanto fegua- ci d’ Arinotele fono gli
autori, oppu- re gli approvatoti neflì dell* opinione probabile
nelle cofe Morali, ammet- tendola per lo parere di due, ed an- che
alle volte d’un folo Teologo, dot- to, e dabbene ; perchè nella
Èilofofia non ammettono ugualmente la proba- bilità per tanti, e
tanti gravifiimi au- - tori, e Teologi, e fanti Padri medesimi, dove
ancora vi è la libertà di file* fofare, fecondo Ariftotele fteffo ?
Per- chè concedere la probabilità nelle co- fe Morali, e poi nelle
Fifiche negarla? Perchè amettere la probabilità in quel- le co fe,
che riguardano i precetti del Decalogo, e di Cri Ilo, e poi
contrad- dirla nelle Filofofie, così incerte, e dubbiofe? Perchè
approvar, per co- sì dire, la libertà di teologare, e poi oppugnare
la libertà nel filofofare ? In- trodurre il probabile nelle cofe
fpiri- tuali, l’improbabile nelle feienze uma- ne : magnifiche
opinioni nel mefiiere dell’ anima, Gretti cancelli nell* ope-
razioni dell’intelletto, argomenti nel- la Morale, freno agl’ingegni :
fetenza nelle confcienze, confidenza nelle fet- enze : ed in un
motto, Accademici nella ^Teologia, Dogmatici nelle Filo- fofie :
Filofofi nella Teologia, e nella Filosofia Teologi? Di qui
neceffariamente nefegueper forza de’ loro argomenti medefimi, o che
neghino affatto la probabilità nelle co fé Morali, o feguitandola, la
con- fe(fino .lunga certamente s’ in- gannerebbe, perocché
eflendo.fi dopo tante fette fcòvérro, -nuove' delle, nuo- vi
pianeti, ed altri fenomeni,: e tane* altre cofe, e quali :un nuovo Mondo
* par eh’ egli era d’uopo di nuova Filo- fofia per inveli igarle,
non badando 1* antiche, per le quali torno 3 dire con Seneca dedo,
Multum adhuc re fìat 0- - perii, multumque refìabit ; nec ulti
noi to pofl mille facula pracludetur oc c a fio aliquid adbuc
adjiciendi . E altrove c Veniet tempus i quo po/leri nojìri tam a+
perta noi nefcìffe mirentur . Plotino predo Teodoreto così : Multa,
qua nobis 'ohm latebant, ipfa die i invenie tJ Ed il
Poeta: • v . Multa dies 9 tabilii avi
f 4 k • • Rettulit in melius * # « * • 0 t * » t E
noi fopravanzando in due mila anni d’ efperienza, fiam piuttofto
fuperio- ri . . Indi Cicerone tteflò fin da* Tuoi tempi vantava d*
efferfi la fua etàl.u- gualmente fatta fuperiore nell’ arti, e
nelle» feienze, perchè più finamente refe migliori, e perfette, come
ugual- mente de’fuoi tempi affermò Tacito .• Nec omnia apud priores
meliora, fed nojira quoque atas multa laudit > . et art tu m imìtanda pofleris . £ che i Mo-
derni abbiano trapaflato, e fopraftat- to gli Antichi > egli è chiaro
per tanti G 3 fpe- variufque lai or ma- I
sperimenti, e. nuovi inftrumenti per elfi fatti nelle celebri
Accademie di Firenze, della Fraocia, della Germa- nia,
dell’Inghilterra, di Lipfia, ed al- trove ; come ancora per molti
libri ciò fi comprova,• e particolarmente per quelli delPerhault
nel paragone tragli Antichi, e i Moderni; e del.P. Rapi- ni nella
comparazione de’ medefimi %, i « V * dottilfimi in vero, ed eloquenti Ili
mi fcrittori . Quelle fono le parole del me* defimo P’ Malebranche
: Si quis Ari- jìoteiem, et Platonem taf allibite s fui ([e
crederet, tum ih folis dumtaxat intei « ligendis merito • forte
incumberet, [ed quii id credat, cui faltem mens jana fuerit ? quin
ratio noe monet ìpfos no- vi s Pbilofopbis inferiore s effe, quippe
bis mille annorum, quo tempori s fpatio silos Pbilofophos fuperamus,
experien- ti a nos efficere debuit pe/tticres . E più nobilmente da
Renato {ledo in quella maniera : Non eft quod anti- quis multum.
tribuamus propter antiqui- tatem, (ed nos
potius jis antìquiores dicendi ; jam en'rn fenior e fi mundus t
quatti tutte » major emque babemus rerum experientiam . Il che fu detto
fi foll- mente prima dal P. Antonio Pofle- vini dottillimo, ed
eruditismo Gefuita - \Quamobrem fi diutius vtxijjet Anftotekt, vel fi jam
revwifceret pofl tot fxcttla » quibtts ali £ res innumera t ac
propemodum alter orbis emerfit, mul- ta effet correSìurus, quia contraria
not experimur . Ed anche fulle feene dal latiniStno Comico . •
r- I Res y tetas, ufus » aliqtiid adpor- '
; tet novi y Aliquid admoneat, ut qu quos varia de parte
Ventai éff anditi- non cernant, propte>ea quod uni fefe Arinoteli non
dediderunt fnodo y fed adeo devoverunt, ut fi fue - rit opus, prò
dogmatibus ejus tuendit in fierrum, fiammamque ruaUt;' in cu - jus
Pbilofopbia fi quafdam opinione s pra- va! conce perù ut $ ut iffum, fi
furgeret e a defiomacbaturum putem &c. -E vicn confermato
ancora dal medesimo So- rel, così dicendo .* Noi ci' prete jìia- mo
di voler men male ad Arinote- le, che agli 'Arifiot elici . ; JZjfi
fono guelfi, che ofiinatamente #* oppongono a cofe > ch’egli, fe
vive (fé riceverebbe con piacere, per far profitto de' nuovi
lumi, che ai .Mondo comparir vedreb- be. Lamentandoli ancora il
medefimo P. Malebranche, che li ut piar imam, qui adverfus quafdam
Pbilofopbia veri - ’tates : ree e ns ‘ compertas pertinacia s ob-
firepunt, quibufdam innovatìonibus in Tbeologia detefiandis, pertinacia!
a db at- tere 1 et indulgere videntur-. Quando i fe-
Digltized by Google iò 5 i feguaci fteflì d”
Ariftotel®, Ammo- nio dico» e Simplicio» : antichilfimi au- tori,
avvertirono non dover effere gl» Interpetri ^cogì attaccati
a’fentimenti delmedefimò» cornei ex tripode pro- nunziati, e tanto
meno, come fetta- rj fcguirgti . Ammonio così: Horum . vero
explanatcr debet ; neque per bene - volentiam afiruere conari ea, qua per
- per am funt ditta, ac velati a tripode ea recipere t fed fuum
ìpftus adferre dicium . Simplicio in quell’ altra ma- niera :
Dignum autem Ariftotelicorum fcriptorum expofetorem oportet, non
ef- fe vacuum undequaque magnitudine il- lius mentis . Oportet
quoque judicium babere fwcerum^ jut neque ea, que re- tte ditta
funt, malo more fufcipiendo, invalida ofiendat, neque ft quid ani-
madverftone indigeat, omni contentane inculpabilia moneret, velati in
Pbilofo- pbi fettam fe fe infcripfe/tt • Anzi infra i
Giureconfulti ancora, i quali a guifa di Filofofanti fi divife- ro
ugualmente in fette, chiamandole Tul- v
ioS Tullio Famtlias diffentìentet ; legge fi, ch’eglino non
erano cosi pertinaci in feguire le loro fette, che liberamen- te
non dicefiero i loro proprj lenti- menti, ed alle volte a quei della
con- traria fcuola non aderifiero, come fi vede praticato tra
Capitone, e La- beone > i quali furono i primi fetta- tori
affatto contrari fotto Auguflo,* e fotto Vefpafiano, ancorché vi
folle quella de' Proculejani, e Pegafiani, e l’altra de’Sabiniani,
e Caffiani, af- fai più contrarie fra efiò loro, perchè quei 1’
Aritmetica proporzione, e quc- fti la Geometrica feguitavano, gli
uni Stoici, e gli altri Accademici elfendo; nulladimeno fu
riguardevole la loro modeflia in non aderire tanto fervil- jnente
alle loro famiglie, che volle la loro modejflia avellerò apportato
freno alla libertà delle loro opinioni. Matiifejia futi, et confpicua
vtterum Jurifconfultorum mode fi a y quod non ita nec certa
alicujus feSìa opinionibus, nec futi quoque peculiaribus fententiis
inh il quale ragionando di Cello; contrario alla fetta di
Jabo* leno, fotto Adriano > e Antonino Pio f così loggiunge : Et
fané videtur bh Celfus non adeo partium fiudiis addiSlut fuiffe ; •
quintino Uberrima voluntate in utraque verfatut barefi, et qua ( ibi
ad palatum fuere, nullo babito feSìa fua refpetlu [elegiffe . E in
ritornando al medefimo Arinotele, leggeli nell’ O- pere di effo
lui, ch’egli non prelume- va tanto di fe, che altri onninamen-
tefeguitar lo doveffe. Nec alìud ( dif- fe un autore ) noi docet
Arìftoteles * quam quod etiam docuerat Plato : ni» mirum fe ipfum
refutare. Dicendo dife quello medelimo autore. Omne equidem genus
Pbilofopbia peragravi, nulli acqui e f- co, et quamvis ex pr : mis
fludkrum rudimen- ti!, Peripatetici, Stoici, aut Ac aderitici
audivimus, pofiremotamen fapientijjimum quem-
IO? f uemque Scepticam faSlum, tanquam ffanum aliquem in
fetenti* campii in - gredientem video . E chi fece la nota al libro
del fuddetto autore, foggiun- fe : Plato docuit Veritatem omnibus
re* bus effe anteponendam . Male ergo fibi confulunt, qui veterum,
a ut Arijlote - ìis placitis ita ob finate inbarent, ut tnalint cum
illis . Uro Lionardo da Capua ne’ Tuoi Pare * r», e nelle Mofetc, e
di Francesco Re- di . Il nobilissimo ritrovamento dell* argento
vivo ne* cannelli per la prova del vuoto del Torricelli, efaminata
alla lunga dal P. Bartoli Gefuita : de* Vortici del gran Renato ; e di
tanti, e tant* altri ritrovati del Verulamio, del Sorelli, del
Keplero, del Gil- berto, dello Steiliola, del Campanel- la, del
Digby, del GaSTendi, del Boy- le, ed’ altri. Neil’ Algebra il
Cardi- nal Slulio, che non ha rinvenuto col fuo libro Mefolabium, e
il Cardinal Ricci in quello De maximis, et mini- mii ? Nell’
Agronomia che non hanno fcoverto i moderni ? dimostrando i Cieli
edere fluidi, e non più orbi So- lidi, come vollero gli antichi : i
pia- neti Stimati prima fare i loro giri in- ili
>» torno alla terra, muoverli intorno al Sole;
Venere mutar le lue fall, o figure a gutfa di Luna : Mercurio, e
Marte ancora far lo' Hello : Giove « t edere circondato da
quattro delle, chiamate Medicee, e Saturno da cin- que altre, come
ditte il Cattini .* ef- fer la Lunà un corpo di fùperficie di-
fuguale, e montuofa : ritrovarli nel-- la faccia del Sole molte macchie
di' difuguale grandezza, e di varia dura* zione, agli antichi
affatto ignote; eia qualità, e difpolizione delle Comete» e d’altri
corpi celelti non intefe da A- riftotele, ed ; inveftigàte da Ticone
; e dal" Galilei : la Zòna torrida ere- duta inabitabile,
etter abitabile, Antì- pode!, qui imaginarìì dicelantur, nunc rt-
vera effe t et alia f excent a, ditte il noftro Luca Tozzi nella fua
Lezione: e final- mente l’agghiacciamento de* liquori non etter
condenfazione.ma rarefazione contra Ariftotele:ne’gravi cadenti
accelerar- fi il moto fecondo i numeri fpari, ed ef- fer il tempo
radice quadrata dello fpazio de- r
I « ì * Jt # Ir I
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ij V I 1:i r 11.
' avverandófi quello, che dagli antichi (ledi fu pre- detto,
e fi confeda da Cicerone anc'o^ ra : O pintori um commenta delet dies
't natura judicia confrmat . E però egli è vero, che quella
Filofofia d’ Ari- notele dagli Àriftotelici (ledi non è altrimenti
commendata, così dicendo 1 il ; medefimo P. • Podevini i' Deiride
monjìrandum ( id quod etiam tritura ejì apud omnet Ariflotelicos )
nidiata- e!}e in Arifìotelis libris fcientificam de- fnonftrationem
qua ' perfedìiffma fit y et omnibus
numeris abfoluta' it agite nàti effe ipfius doSlrinam inconcuffam .
La quale ha avuto- tanta varietà, ed incodanza di fortuna, óra 5
abbrac- ciandofi, ora rifiutandoli > che nul- la più, dome fi
può- leggere Irt quel libro di Giovanni Launoi ^ quin- di in fimil
calo ebbe a dire un au- tore Francefe : In effetto fi vede 1 ';
che la fortuna ugualmente efercita il fuo capricciofo impero .
fopra 1‘ opinio- ni, che jopr a /’ altre coje umane ; . H
ma ma. non già fopra ìe mentì purìffime, e tétte de’ Tanti
Padri, da* quali lem* pre è (lata bìafi mata, come nociva al* la
noftra religione, e proibita da’ Sommi Pontefici, e da* Concili
ltefli, com* è detto, e da quello Lateran eTe nella Seflìone ottava
affatto vietato da infegnarfi piu nelle Scuole, come rap- porta il
Campanella, e Neri nel libro, detto Setta Pbilo - fopbica, dicendo quefti
; Pracepit Con- ciliarti Scbolajiìcìs in Pbilojopbia drijlo- telila
non immorari, quoniam babet ra- dica infetta!. ' J i .,
Ma Te, come poco dianzi io dilli, fra tanti Filofofì, i prìncipi di
Rena* to fono piìi conformi alla nollra reli- gione, chi non dirà,
che colf ui, più che Ariftoteie .feguìr li debba ? Perocché
chiunque hlofofar voleffe fra noi Cri- lliani co* medelimi principi di
Renato, li uniformerebbe Co’ fentimenti d’A- goftino il. Santo, da
cui o avvertito Renato, o Renato col proprio fpirito Criftiano, e
filofofico meditandogli, US gli ha pubblicati, e dirteli.
Parole del Santo, nella Città di Dio, fecondo i documenti -del
quale compofe il fuo Cftema Renato : Quìcumque igitur Pbi- lofophi
de -Dea fummo > et vero ifìa jen- jerunt y quod et rerum creatarum
fit ejfefior y et lumen cognofcendarum, et borni m agendarum » quod ab ilio nobis
ftt et princtpium'- natura meritar doZìrin# * et felicita s vitee,
five Pla- tonici accomoda tius numupentur ? fi ve quodlibet aliud
fu a feti a. nomea impo * nani ; five itant ammodo J onici
generiti- qui in eit precipui -fuerunt, ifìa jenfe - rinty ficut
idem Plato, et qui eum be- ne intellexerunt : five etiam Italici
prò- pter Pytbagoram, &• Pytbagoreos, et fi qui -forte alii:
ejufdem Pententi# in ìd idem fuerunt : -.five -. aliar um quoque
gen- tium, qui f apiente t y vel Pbilojopbi ba li, Hi f pani.,
alìique reperiuntur, qui boQ viderint., ac docuerint ; eos amnes.
ceterii' anteponimi •;» eofque nobis . prò -tV* H 2 fin - x
1 6 pìnquiores fatemsir . Chi filofofa f vo- lt fle
co’principj diRenatofi unifor- merebbe con S. Gregorio Nifleno, di-
cendo egli nella narrazione della vira di Moisè : Si immortalerà effe
animarti Pbilofopbus perbibet tic, et Deum effe non negat, -
creatoremque omnium, d quo curiti a depende nt, et vere adfeve -
rat, ac rationibus quantum fieri potè fi, demonftrat ; propìtius nobis
Dei angelus fiet. Quella adunque è la Filofofia ve- ramente
Criftiana, e non altrimente Pagana, come quella d’ .Arinotele
Quella è la '. Filofofia veramente cat- ' tolica, fecondo gli
avvertimenti de’ fanti Padri-.»..... . Quella è quella
Filofofia di Rena- to, il quale fdegnando di vedere piò- involte, e
deturpate le fcuole Criftia- ne nelle Filofofiede’ gentili, meditò,
e diltefe una Filofofia affatto lontana dal Paganefimo, conformandola,
alla, noffra fanta religione, alla quale pa- reagli, che folo
mancafle,* per laper • egli molto bene, che Definitisi! erat -
- i Pia - » r «7 Plato
J et Arinotele }, po/l mortem Cbri - fii, et eo rum I afte atta in
Ecclefta pro> nibilo' babetur, come il dottiflìmo Re- my
l’Arcirefcovo di Lione, re l’ avea infegnato colla fentenza fuddetta;
de- liri dimando le Filosofie d’ ambedue il piiflimo. Prudenzio, in
quella ma-: niera dicendo .,t Confale barbati delir amenta
Pia - >tonis .« Confale » et birce fot Cynicos >
quos • fomniat, Ó* quos
Texit Arijloteles torta vertigine, -nv- nervotv • Quella .è
quella Filofofìa di Re- nato il quale confederando, che tutta
la Filofofìa Agoflino il Santo diftinfe in due foli principi, che
fo- no 1* immortalità dell’anima, accioc- ché noi ftelfi
riconofciamo ; e 1’ efi- lienza diDio» acciocché riconofciamo la
noftra origine . Pbilojopbi# duplex guaflio e fi, una de Anima >
altera de Deo . Prima ejficit y ut'nofmet ipfot nove rimas : altera
originerà noflram ; H 3 fon- ri8 fondò i
principi dei fuo fi'lofo/are fu quefte eterne,. ed infallibili verità., v
; .Quella è; quella Filofofia di Rena*, to, la quale non folo,
come didi, fu > lodata da tanti e tanti Relig'tofi, ed uomini di
fantiffima vira,. -ma fpecial- mente dal P. Merfcnni,
intendentifli- xno delle Matematiche, e 'Teologiche fcienze, così
dicendo in un' Epiflola : Son refiato forprefo, che .un -uomo, il
quale non ha fluitato in Teologia, ab - ha rifpofio sì fondatamente /
opra punti import antijfimi della noftra religione . lo l'ho
trovato così uniforme- collo, fpirito, e dottrina dì Sant' Ago fino.,
che. offerì vo quaft le cofe.. medeftme negli .ferii ti dell'uno, e
dell altro . E più oltre così : Lo . fpirito di Monsu Defcartes
infptra Soavemente l' amor di Dio, di modo che non pojfo perfuadermi,
che la Filofofia di lui non fta, per Aornare in bene, e in
ornamento dell a.. ver a re - ligione . Ed in un’ altra Lettera.,
che fi legge registrata nel primo Tomo della Geometria . del
medefimo P. Mer- Merferini, cosi feri ve à Retiatd
fteffiò:' Quibus omnibus, cum a udì am Pbyfii cam illam 'ab
eruditi: viri: adeo exo- ptatam, prope dieta edìturum, qud longe
perfeSfius cum dofir# fdei myftfr riis conveniat > omnium
catbolicoriim nomine iibì maxima:,qua: poffum, gratids b’abtó >
qui non folum Pbilofp- pbicis » fed' edam Tbeologicìf verltatV bus
tam feliciter patrocinarli V ’ ', . Quella è quella Fflofófia di
Ruba- to, alla quale diedeiJtìtolo Moiìsù Parlier Antiqua' fide:,
Tbeologia no? va perchè Vincenzo Lirinefe dicea, Ecclefiam non
dovere nova, fed nove \ Sòltenendó egli, che i principi di Re- nato
fono più acconci > ed oppdrtuni di quelli, onde fi fervono'
volgarmén- te gli altri, in ifpiegando ì mifteij della nolfra
religióne -, ‘ e :che non "vi fia cofa nella fua Filófofià
> che non s’accord» co* principi della hofira Chie- fa cattolica,
così il detto Parlier at- teftando ; Ma egli ba fatto altresì ve-
dere t non avervi altra Filo fifa,~che d H 4 me- 1
t V !, .1 b* ‘H*’ •h
»• .t no meglio della fu a j*
accordi co’.prinìcpj della fede della Cbiefa . : .. ...
Quella è quella Filofofia di Rena* to, della quale il profondo, ed
acu- tilfimo ingegno 4* Monfignor Caramu* .cle ne diede il giudizio
., e prefagio infieme, dicendo., che 1' opinioni di Renato faranno
un giorno comuni . ed univerfalmente ricevuta, toltene però alcune
pochiflìme cofe, copie ri* ferifle llaut I pj;e G della vita del
medefi- mo . • Monfignor \ Caramuele ba predetto, che l opinioni
del • DejcarW,. diverrei * ** » « Li V. • • » »* A'i .
botto un.', giorno affatto comuni t e fareb» fono univer/aìmente
ricevute ., rr»r alcune poche . E con ciò verifican- doli 1* altro
prefagio d’Alefiandro Taf- fone, intorno ad Arinotele Iteflò, di-
cendo cosi; i L‘ opinioni d* ziri fot ile, le quali innanzi (e vittorie
di Siila non erano introdotte, nè conofciute in Italia, potrebbe
venir tempo, che non oftante /’ ofiin anione degl ’ idolatri di quel
Filofofo, fi vedranno f cartate, * . / r Quella è quella
Filofofia di Renatola * V ' Cattolica religioni*
profefftone perfeverans y me prafente, et exbortante, mortem cum vita commu- tanti,
Cbrifti Salvator» redemtionem petit ur us . In ipforum fidem coram
Dee tejìimonium perbibens, prafentem Aflum fubftgnavi in Conventu
SanEìi Augufli - ni de Urbe r Rom* t die nona Ma ìì 1667.
Que- o pur per geiofia di gloria» da cui vien tócca,
e facilmente turbata la Repubblica de’ Letterati . E fe in alcune
cofc la Tan- ta .Sede-ha voluto, che refii donec cpYrigatur,
potrebbe alla fine la San- tità' Vostra purgandola, fedare tan- te
liti, e difpute, ancorché il contra-, rio malamente pretenda, e con
danna- bile temerità la famiglia d’ alcuni Re. ligiofi, Solo per
mantenere odi nata- mente le loro opinioni nelle loro Filo- fofie,
come vien riferito dal P. Gre- gorio di Valenza, dal Vefcovo Fra
Melchior Cano, e da altri . . Ma refiino pur nelle, fcuole
que- lli, e sì fatti argomenti, e ragioni intorno alla varietà
delle Filofofie, e Vostra Santità* a cui s’appartie- ne di
fiabilirne la verità./ perocché non **$
non ceffan mai tali contefe ; concor. dandoci piuttofto, come
Seneca ditte» la divertirà degli orologi ne’ momenti» che
de’filofofànti le fcuole,e partico- larmente tanto più fiere,
quantochè fono d’ ingegno ; ond’ ebbe a dire uni certo autore:
Citiut in gratiam, pojt mutuai cladei ingerita redeunt 'regei- »'
quam partium fìudio infiammati pkilo- fopbi . Vnaqueque enim feda (
Lat-' tanzio ditte-) omnei aitai- evertit, ut fe j fitaque confrmet,
nec ulti - alteri fapere conce dit, ne fe dèfipere fatea - tur .
Ita ut ( foggiunfe Eufebio non lingua, et calamo foltim, verum
etiam manibui pralium -geratur . E sì fiottili ? e facili in
rifutando beifando 1* una 1’ altra, com’; egli’ è più agevole il
riprendere, .che 1* insegnare; il convincere la bugia, che
ritrovare la verità E. in ve-- ro che ha che fare la Filofofia u—
mana colla - ' celefte, eh’ è • la reli- gione, così appellandola Crifnftomo
in più luoghi ? Religio Cbrijìiana ve- Digitized by
Google I.i6 9 0 • vera » et caelejlìs
Pbilofopbia eft . Che hi che fare la Filofofia umana > o fia
l’an- tica, o fia la moderna colla fede, quan- do non v,’è altra
Filofofia più vera, che la dottrina della Chiefa ?• Hanc ipfam
folata comperi efse ver am, atque utilem Pbilofopbiam .» di/Te Giudino .
C fe al- cuna cofa di vero avellerò detto i Fi- Iqfofi, come
ingiudi pofleflòri di quel- la-rgli riprende Agodino . Si qua Pbi-
lofopbi vera dix/rqnt, ab eis effe tan- quam injufiis poffefforibus
vindicanda . E però 1* Apodolo delle genti, fopra ognaltra cofa
efprelfamente comandò: Captare intelleRum in obfequium jidei noe
debere qua rat ione demon - firari nequeunt . Conciolfiecofachè
la nodra fede derivi da principi altiflìmi, e fopraqnaturali . Che
ha che fare la ragione umana colla Teologia ftelfa ? Qjtemadmodum
enim ( dice il Ver u la- mio ) Tbeologiam in Pbilofopbia qua* rere
per inde e fi, ac fi viver quarat inter mortuos, ita contra
Pbilofopbiam in Tbeologia quarert aliud non e fi V quarti mortuos
quarere inter v'tvos . Ol- treché la Filofofia egli è ancella, e
ferva della Teologia medefìma la quale, come regina, delle fcienze,
tragge dietro di fe incatenate tutte 1* altre facoltà > e difcipline
umane ; la. qual cofa in piìi luoghi vien detta da S. Gio Grifo
domo. Ex Pbilofopbia res divinar intelligere velie, e fi candent.
ferrant i, non forcipe yf ed digito contee Slare . Lo fteffo in quelF
altro modo .* Nibil commune babet bumana ratio collata in divinis ;
ideoque * blafpbemia I 1 ' 4 *#
fu' condannata per comune parere de’ mede li mi Arillotelici, • a
tellimonianza del, !*. PolTevini di fopra lodato ; ardirono di dire
quella eflere la vera -, quella elTere la più certa, quando mon
effer- vi niente di vero, e di certo nelle Fi* lofofie, Porfirio
dilTe : Nulium effe in Pbilofopbia locum non dubitabìlem . Lo Hello
altrove : De rebus Pbilofopbia multa diSla effe a Gradi, veruni ex
conjeSìura . Quindi è, che.Adexerci- t attorie m ingenti Pbilofopbias
> effe inven- tar,-Seneca manifellò . £d altrove co- sì :
Pbilofopbias ft elegantias, et argu- tias dixero, reSìe cenfeam appella
fj e . Anzi dalle ciance, e favole de’ Poeti } efler quelle
originate arrelìa PlutarcOi Omnes videlicet P biìofopborum feSlas
ab fìomero originerà fumfiffe . lpfeque Art - fioteles fatetur
Pbilefopbos natura Pbi - lotnytbos, hoc efi fabularum
fludtojos '/•
.--J Digltized by Google li* effe. De’
quali per li loro fogni, e fe- gni dati alle delle, diffe Manilio
Fit totum fabula Coslum — • '• . Vuole però Macrobio-» che
Nec omni- bus f abititi Pb lo jopbia repugnai, nec o- mnibus
acquìi'fcit . E San r ’ Epifanio fpezialmenre chiamò' la Filofofia
d’A- ri Itocele quoddam fabulamentum . Leg- gendoli preìfo Varrone'
ancora : Porre- mo nemo agrotus quidquam (orrtniat tam ìnfandum,
quod non alìquis dìcat Pbi - Jofopbus . E predo Cicerone lo (ledo:
Nefcto quomedo nibil tam abfurdi dici potelì, quod non dicatur ab aliquo
Pbi - lofopbo . E parlando della barbarica Filofofìa Clemente 1’
Aledandrino cosi ne lafciò fcrirto: Quod hi novi Pbilo • fopbi apud
Gr fecondo il Paflavanti, diconfot- tigliezze, e noviradi, e varie
Filofo- fie con parole miftiche, e figurate, che nulla conchiudono,
come di Por. firio l’Ariftotelico, tanto nemico de* Crittiani, e
della Criftiana dottrina cantò il Petrarca: Pot firio y .cbe
d'acuti, fillogifmi Empiè la dialettica faretra, Facendo contea s /
vero arme i fo- fifmi . Dicendo fimilmente il Petito, eh’
e- glino (ledi non intendono quello, che dicono, e tantomeno gli
uditori. Non ìntellìgunt neque, qua loquuntur,
ne- que de quibus affirmant . Il,he fece dire al
Verularmo : Habet hoc ìnge - nìum bumanum, ut cum ad folida
non fuffeccrìt, in futihbus atteratur . Po- co o nulla badando,
quando fentono altrimeore parlare nella Teologia dell' Evangelio,
de’ Padri, de’ Concilj Aedi, come n’avvifa il P. Malebran- che .
Nejcio tamen qua mentis per- turbatione nonnulli eferantur, fi ali-
ter quam Arijìoteles, pbilofopbari a si- de as, dum parum curant, an in
re- bus T beolcgicis ab Evangelio Patribus t et Concilìis non
difeedas . Il che fu detto primamente da Monlignor Ciam- poli,
chiamandogli in primo luogo ambizioni di parere più Peripateti- ci,
che Cattolici, poi fclamò; Che perversione di gìudicio è quefia,
volere f ...Il f
f ! i fk •,j t| Sì
Ir 134 introdurre una religione più fedele ad
Arijlotele, che a Dio ? E quel eh’ è di maraviglia, proccurano coltoro
('dice l’autore de’ cinque Dialoghi ) Di jof- fogare tutte l' altre
fette nella maniera dagli Ottomani ujata, i quali non la- j ciano
vivere alcuno de’ fuoi fratelli, per ijlabilire sì magi fralmente i loro
do- gmi in tutte le fctiole Crìfiane . Come riferifee d’ Arinotele
fteflo il Verula- mio. Arifìoteles more Otbomanorum re- gnare
jebaud tutopoffe putaret, nifi fra - tres fuos omnes trucidaret .
Credendo ancora di ritrovar in quello loro mae* Aro la falute, e di
Ilare con elfo lui sì llrettamente attaccati, come ad un fallo, ad
uno fccglio, qualìchè foffe- ro buttati da una tempella per fuggi,
re il naufragio . E così appiccati, ed ubbidienti, dice un altro autore
alla Filofofia del medefimo, che fembra lor commettere un delitto
di fellonia il partirli un menomo punto da lui, in modo che non
dicefi Peripatetico chiunque in tutto non s’ abbandona a’
fen. Digitized by Google H5 feriti
menti del medefimo. Eaàem men- te ( dice il medefimo P. Malebranche
in un altro luogo ) Pbilofopbia ifta di- scenda eji, qua leguntur bì
fiori* ; fi enìm eo licentia deveniat ut ratióne et mente tua Utaris > ..nonefi quoà fpe-
res te evafurum effe in magnum Philo- fopbum : oportet enim difcipulum
ere. dere > £ il giudiciofiflìmo Sorel di fo- pra lodato, in
quell’ altra maniera .* Jntantb quefii ciechi volontari ar di) co-
no di pubblicare, che non bi fogna Sof- frire alcuna innovazione nè'
riformazione nelle .fetenze ; benché quefio fi a il. filo piezzo
per. renderle perfette . • Ma. a chi creder affi; piuttofio, a degli f
chiavi, e mercenari* che non. fanno jemplicemente, che. difiribuire
per gli feriti i t e per le loro lezioni la dottrina, ch'eglino hanno
tro- fvata negli,.fcr itti degli altri} E pi fi oltre il medefimo
Sorel così : Ci fino delle perfine così f empiici, che credono, che
non fi debba ; rivocar pili in dubbio quello, eh' è in Arjfiotele, che
quello » eh' è nell' Evangelio. Non mancandovi ancora degli altri,
ì quali per difendere cotefta lor Filo-, fofia fi danno alle maldicenze,
ed alle fatire, poco avvertendo non ef- fervi fatira maggiore >
che quella della ragione llefla, la quale rende bugiardo, ed
ignorante colui, che vien convinto da fbrtifiimi argomenti, facendo
ingiuria ancora a tanti uomi- ni dabbene, e a tanti Religiofi, co-
me fono i Padri de’ Minimi, e i Padri dell’ Oratorio, ed i migliori
Gefuiti, eh han feguitato la Filo- fofia moderna, e foraftieri, e
Ita- liani, e in Bologna particolarmente, dov* è Campata la
Filofofia moder- na, fotto nome Burgundi a, infegna- ta
pubblicamente a tempo, che Vostra Santità’ era ivi Legaro . E
perciò coftui in quella maniera vien riprefo da Sant* Agoftino : Illius
[cri- pta fumma funt, et au fioritale dignif- ftma, qui nuìlum
verbum, quod revo- care deber et omifit . Hoc quifquis non efi
adjequutus fecundas babeat partes *37 modeftU, quia
primas non potuti ba- lere Capti nti et catbedrar primas ambiente s
; in quello modo con in- crepazione favella : A deo nimirum
altercando • non modo verità f arnitti- tur, jed caritas
exjìinguitur, et dif- pntandi modum majorum exemplo tan- tum
agreffos, nulla modeftia repagu- la cohibent ; ; Onde Luca
Holftenio eruditilfimo Bibliotecario, -dolendoli della difunione
della Chiefa Orien- tale, ed Occidentale ebbe a- di- re : LuEluofum
fcbtfma Orienti!, et Occidenti s
Ecclefias divìdens induxit dijput aridi pruritus, omnia in quafito-
nem, et controverfiam > • poftb abita cantate, adducens ; nulla venta
» ' tis cura, fed uno vincendi ftudio ; .e a confuet udine,
vel opinione aliis legern fr^jcribens » et quod • mife-
ra, * 3 $ ra j ó* afflìtta fortuna duri (firn atto
ha- hjet, é? iniquijfmum efi, qttod ir, fugati- ti um ludibriis
impune pateat -, Dicendo un altro autore : Jd nec Pbìkfophum, multo
minus Cbrijlianum decuiffe videtur. Nè qui termina la loro baldanza,
ar- rogandoli, ]a medelìma poteftà della SENTITA'- Vostra in
condannare quel- lo., che non mai ha condannato nè Vostra Santità’,
nè altro Pontefi- ce, dico, 1’, opinare nelle Filofofie, for- zando
gl’ ingegni umani a feguir folo ifentimenti d’un gentile.
Peripatetico, e con noyp giogo privarli di quella li- bertà,
ch’.abbiamo per diritto di na- tura, e per legge d’ Iddio, che ci
ha Jafciato il liberamente penfarc e medi- tare :> il che è
quali l’ unica, e fola ra. gione, colla quale provali, che l’uo- mo
lia ragionevole, e l’anima immor- tale . Quindi è, che prefe giufta
oc- cafione Tommafo Moro ( alle di cui lodi ogni penna è ..vile per
elTer egli chiari (fimo non meno nelle lettere, che nella pietà
Criftiana, per la quale *39 facrifìcò fa vita, c i
beni, e la fami- glia della ) di formare appodatamen- te una
DilTertazione intorno a que* Teologi di fuo tempo » dandole que-
llo titolo : Differtatio Epiftolica de a- lìquot fui tempori s
Tbeologaftrorum ine • pt'jis ; non per altro, fe non perchè quedi
co* principi d’ Aridotele difen- dere voleano, o piuttodo offen-
dere la Teologia, • in quella ma- niera fgridandogli : Quamobrem
piane non video qu qui in fuo fterquilinio fuperbit > ac.
extra illa fepta fi panilo producatur longius » illico ignota rerum
omnium facies, tene- bras > ac vertiginem offundit . E più ol-
tre il fuo dilcorfo feguendo : Et mi- rum in modum verfa rerum vice
contin- gity ut qui prius omnes fapie ntia numeros in argumentoja
loquacitate pofuerat > jam I
fenex infantijfimus omnibus rifui foret ~ nifi fluititi^ fu*
fuperciliofum fuentium t fapientia loco pratexeret ; imo potute hoc
ipfo ridìculus, quod qui fuerat Stentore 'damo fior, taciturnior
pj[ce reddatur, et inter loquentes fedeat, v" * '
% Per fon* muta > truncoque ftmìlli- tnus
Herma. E Umilmente Gio. Gerfone il gran Cancelliere della Chiefa, e
dell’U* niverfità di Parigi, non potè atte- nerli di non-
querelarli ancor egli de* Teologi di fuo tempo, in que- lla maniera
dicendo : Cur appellati- tur Tbeologi nofìri tempori s fopbifl*, ut
verbofi, imo et pbantafiici, nifi quia r elidi is utilibus,
intelligibilibus prò auditorum qualìtate > transferunt fe ad
nudam Logicam, vel Metaphy • ficam, etz/nw Mathematica™ > ubi t
et, quando non oportet, i». ten fionc formarum, nunc de
div'tfione continui, nunc detegendo fopbifmata The- ologicis
termini s adumbrata, pri- ori- Digltized
oritates quafdam.in Divini!, menfuraf % ' durationes, injìantias » ftgna
natura, éf ftmilia in medium adducentes, vera r et foli da
effent, ficut non funt, ad fubverfiotiem tamen magie . audientium •,
vel irriftonem, quam re Sì am fidei adipe ationem proficiunt. Come
eziandio de’ filofofanti diiuO tempo il giudiciofiflimo Niccola Leonico,
{limato il più dotto delia fua età, nel Dialogo, a cui diede il
titolo di Peripatetico, così lafciò fcritto : An non ego decem integro
s annos, borum auditori a, ne die am ìufira, ad fidu a
contrivi opera ? om - nefque illorum ineptiat, . et futile s co-
ptionum tricas, ficcis, ut ajunt, an* ribus ebibi ? anxie femper
quteritans fi quid inde excerpere poffem, ne va- cui s, quod dicunt,
manibus et ofei- tans domum rtdirem . Verum, Dii immortale s, quam
rerum inanità - tem apud silos, quantam ? u ? r I
y i r4.it: mìb't magis fapere
vifus fum, f »» quod cum Ulti de fi pere aliquando de (li- ti ;
» così egli' ragiona ? Quofdàm pbilofopbantium avibus fimiles
vide ri, qui levitate quadam, et ambi- tione ingenti e lati, alta petunt,
et Phiftca fcrutantur tantum : aliot
cani- bit t, qui laniare, et vellicare avidi * foli Logica
adbarefcunt ut pelli, et in ea rixantur, et mentem ad ulteriora non
mittunt. Indi leggiamo predo Laerzio, che da Euclide fofle fiata no- mata
la Logica Rabiem difputandi : e leggiamo ancora che Arifione
antichif- firno Filofofò quelli tali Cum iis compa - rabat,
quicancros comedunt . Nam prò- pter
exiguum alimentum circa crujìas, et teftat diu occupantur. Quindi
Mario Nizolio, che fece un Trattato de' veri principi, e del vero
modo di filofofare, fi lamentò non po- co di Leonico parimente, e di Pico,
com’ eglino s’aveflero folamente rifen- tiro degl’ Intepetri e non
d' Arino- tele, origine, e caufadi tutti. i mali* così dicendo: Hac
quoque Jo Pieus Mi- randola co» tra barbato* Ariflotelis Inter-
prete conqueritur, et vere Me quidem t Jed quemadmodum Leonicus, non
cami- no jujìe, quia pratermittit eum, qui tan- forum illis
errorym. c auffa fuerat, boa eji Arijìo telem . Sed o Bice non re Sì
e faci*, cum de foli s Ini erpretibus Arifto- teli $ quereris,
ipfum autem Ariflotelem, qui omnium malorum cauffq, et origo f it-
iti. » omittis ; dìcen* te perdidiffe meliores anno*, tantafque vigilia
apud Interprete Arinoteli, et nollens illud dicere quod erat verius,
eadem illa omnia te multo ante perdidiffe apud Ariftot.elem ; Per
la qual cofa pareagli, che miglio- re d’ ognaltro avefle fatto il Valla,
che lafciando gl’ Interpetri fi prele la briga in dar la colpa ad
Ariftotele, co- me vero autore, e primo fonte di tan- ti errori, e
fallita, riprendendolo a- pertilfimamente dov* egli andò
errato. Maravigliandoli grandemente il mede- fimo Nizolio
ancora della barbarie del, lor favellare, Qui 5 e fi enim in
fcbolit ijiorum pbilofopbaflrorum tam parum ver* fatti s, qui non
centies audierit, potentia - Ut atei, quidditates . entitates, ecceitates,
univerfalitates, formalitates, materiali - tates, et alia Jexcenta
hujufmodi verbo - rum monfira, qua qui pattilo frequentiut ufurpant,
ufquc adeo l^duntur, et per • vert untar, ut neceffe ftt eos, non
folum valde falli, et errare in pbilojophando, fed etiam in
loquendo, et fcrìbendo ve - hementer fadari, et confpurcari . Come
ugualmente molto fé ne querelò Apulejo per alcune novità di parole
a fuo tempo introdotte, le quali difle egli non fervire che
all’ofcurità delle cole. Datar venia novitati ve ri or um, rerum
obfcuritatibus fervientibm . E fi- nalmente cosi il medefimo
Nizolio tutto il fuo difcorfo conchiufe: Quibus ita monftratìs, ut tandem
aliquando et Caput hoc pofìremum, et totum bttnc Librum abfolvamus,
ita concludi - K mus, X4$ tnuf, ut
reììnquamus duo memoria man» danda, et adfidtte diligenter cogitanda
omnibus, r^iìte pbilofopbari cupiunt, quorum unum e fi, Ubicumque, et quot»
Cumque Dialettici, Metaphyscique funt, ibidem, et totidem effe capitales
. veri i latti bofìes : alterum vero Quandiu in fcboiii
pbilofopborum regnabit, Ari fio - rrtex 7/te Dialetticus, Ó*
Metapbyftcus, fonditi in eis et falfitatem et barbari - fi» „ fi
non lingua et orit, at perocché la Pitagorica > nomavafi
Italiana } ila Platonica per efler egualmente Pitta* gorica non
potea (limarli, anzi piut- tolto dottrina, e Capienza > tche
•Filo* fofia, come dipendente da quella de* gli Ebrei. La Stoica
poi, Epicurea, o (ìa Democritica riguarda più la Mo* tale, e il
regolamento de’coltumi .che altro. E quella d* Arinotele io 'fon
per dire edere la medeiima con quella d* A ree fila, (limata la più
enorme ; per- chè quelli malamente (i ferviva della Platonica,
infegnatagli da Crantore Platonico t imbrattandola co* (odimi di
Diodorot (ottilifiuno dialettico, e col mutabile» e fuggitivo di Pirrone
acutiflìmo fillogilta. Indi egli è » che dicealì di lui » come narra
Plato > 'ex pojìerioribus Pyrrbo * ex mediti Diodo • rui ; E
(eguitando Eufebio (ledo » cosi parla di lui : H/c autem fubtìlìtch
tibus-. Diodori, qui actttui dìalefttcus erat, . et Pirrbonis ratiocinationibus
Pia* tonte am eloquentiam feedavit, et modo K a toc y «I * qua ! pria ! aflruxerat,
confutare . Erat igitur Hydra capita fap proprio enfe amputanti nec
aliquìd habem utile », nifi quod libenter > et audiretur, et videretur . E dell’ of-
curità, e ftrepiro di parole, di cui fon pieni i libri d’ Arinotele con
ter- mini vaghi, e generali, in modo che appena rinvenire fi poflan
due, an- corché fuoi feguaci, e Tettar j, che convenir fappiano in
un medefimo fen- Digltized by Google
fentimento ; ecco il P. Malebranche come ne fa chiari/lima
testimonianza: Quamvii cairn Pbilofopbiipftus do Sì ria am fc
docere adfeverent et autument, vìx tamen duo reperientur, qui circa
ejat fententiam inter fe conjentiant ; quanti, am revera
/iriflotelis libri adeo objcurl funt, totque fcatent termini t vagit et generalibui, ut eorum opinione s, qunC
ipft maxime adverfantut non fine verift- milìtudine pojfìnt ipft trtbuì .
In non- nulla illìus operibus quidlibet ipft adfcri- bere lìcet,
quia in ijs ntbil pene dicìt t quamvts multa magno (Irepitu
deblate- ret : quemadmodum pueri campwnas fo- ndu fuo quidlibet
dicere fingunt, quia campana ingentem edunt fonum, nec quicquam
dicunt . ' \ Quindi non fenza roSTóre de’ me- desimi
Ariftotelici Gio. Sculero nell’Orazione per cosi dire inaugurale, eh’ ei
fece intorno al riftauramer- to della Filofofia con quel princi-’
pio-: . ‘ i diffe : Quid magli noxiura
Cbrijlìanre }uventuti Cógitarì fot e fi, a tenerti audire ?
Quid periculoftus quarti tene* riniti eofum animiti > qui ad majo
» ra defìinantut, et qu bui > juo tempo • re > fine
ReìpubVtca » fitte Eoclefue ad L tninìfiratio committenda, talia, in fi
ahi» lire, aperte Tbeologis Cbriftian qui ex prafcripto propri t
inftitu- tì \ five ex adfeSlu erga praceptores. certi! opinionibui
adharent, omnia fe- cundum illos dtjudicanl, quacumque auEìor ìtale
y et demonflratione po fi b abi- ta, ad eafdem trahentes quidqutd
au- diunt i qmdquid ìegunt . Il che fo al- mamente difpiacque
ancora a Rodol- fo Agricola, uno de’ primi - letterati del fecolo
pattato, (*) che di tanti FU lofofi 'dell’ antica età era folamente
4 ri- m 1, -»«,Cioè del fecolo fedicefimo, mentre il Signor
Valletta { criflfe la fua Lettera nel 1700. in pun- tò : ma veramente Agricola
non toccò plinto il decin*ofefto fecolo, pbiché nacque Tan- no *44
x.e mori l’anno 1485, come notò il Trite- mio • * v
Ci u ir tì ì 1 f
y v» A' r ’i
I t I
'I Jil f :n ; -ib, pra
coftui muore T ultimo Audio de*, vecchi . ... Ecco le Aie parole ?
Quid de Ari ftotele die am ? hic gnìm prope* modum [ohi omnium
prife a alati! Pbi- ìojopborum permanfit in manibui : hunc [ohm, -,
qui \ Pbilojopbite, defìinantur, attìngunt : hunc .primum pueri
difeunt buie ultimum jenum jl uditi m immori - tur : hunc artet
omnei, omnia fiu* diorum genera terunt, trahunt,, dif* cerptmt . Ma
non già dopo che il Cartello aprì, il vero fentiero al mi- gliore,
e più certo modo di filofo* fare;, che ad un Criftiano convenga*.
Come ugualmente tutto ciò fu con» fiderato dal dottilfimo
Vanhelmon- zio, dicendo ; Jndignor et merito » quod ScboU ••
Pbilofopbia ethnica ado » lefcentet male ìmbuant . Lamentan- doli
egli fra 1* altre cofe, non ben convenire la definizione pi che Ari*
Itotele diede all* uomo chiamando- lo Animai ' Rat tonale ; non
avendo egli conofciuto la Tua creazione > nè T effetto d’ ella ;
e perciò 1, dice il fud« detto autore malamente fervirfène
le fcuole Criftiane Vituperai am ìtaqttc definitìonem exìfiimo
t qua homo Ani * mal rat tonale, vel e a effenti ee defcrì- ptione
depìngitur . Siquidem ex ulti • mato fine dejìinationum .
proprietatibus in creando - dejiniendut erat, fi .finii fit
cauffarum prima ex Arinotele . Qua- propter nec hominii de fini fio e
fonte Pagani f mi mendicanda erat ì qui ere* ationem, ejufque fines
piane ignora* vit, Così egli defìniendolo ; Homo ergo eft creatura
vivent in corpore • per. a rum am immortalem oh honorem Dei *
fecundum lumen » &: ad tmaginem Ver- bi . Quando Arinotele -diede
una definizione all* uomo che nulla va-» le » - non 'Vedendoli in
quella nè crea* tura di Dio, nè immortalità dell* anima, da ‘ effo
lui affatto negata * Digitized by Google *54
come Cerna verun dubbio l’ affettano Ciucino nella Parerteli,
Teodoreto nel Libro della natura dell* uomo, Gregorio Nifleno nel
Libro dell* Ani- ma Origene in più luoghi delle Tue Opere, Gregorio
Nazianzeno nella dif- puta contro Eunomio, il Cardinal Gaetano nel
Trattato deli’ Anima, Plutarco y Galeno, ed infiniti altri
fcrittori profani . Per lo che non fen* za ragione chia mai Io
Tertu]]iano«?//é- to f dicendo nel Libro delle Ptefcrizio- ni
Miferum Arijlotelem ; foggiung; ndo, J Qui illis Diale Che am inHituit,
artifi - eem (Intendi, et defiruendi verfipellem t in fententiìs co
a Cium, in conjeCìurit nec t allietate Panos -, oec ar*
tibusGracos, nec denique hoc ipfo bu - jus' sentii, et terra domenica
> . nativo • que - fenftt Jtalos iffoi > et Latìnot $ fed
pktate, ac religione, atque naiionel ’• que [uperavìmus . ••
’• • :i E finalmente eonofeendofi ancora dagli Ebrei,
la Filofofia d’ Arinotele ef- li •* *
è 1 f r f
Ì-1 h È i l -
i Ir À, • I
f .» t •1 a #
• i li I t5* eflere in pregiu diciò della
religione, fa. pubblicato decreto nel Sinedrio de- gli Afrnonei (
come fi legge nell* irto- ria de’ loro tempi ) così dicendo .• Ma-
le diti us qui docet filium fuum Pbtlofo- pbiam G rac am . : Il che vien
riferito ancora da Arrigo Enefiio nel fuo Li- bro Vir fapiens .
Quindi, non fia ma- raviglia, quando leggiamo preffoCle- mente 1’
Aleflandrino, Grata itaque • Pbilofopbia, ut alti volunt, a Diabo-
lo mota e fi i Anzi i Giudei dopo la venuta del noftro Salvatore,
ancorché * empj, pur dannarono la Filofofìa d’A- riftotele ;
perocché avendo pubblicato il Re Moisè un Libro» a cui diede il
titolo 1 Mereh Nevekim, fu acculato, dagli altri Dottori d’aver corrotta
la loro religione » per aver in effo pur troppo mefcolata la
Metafilica d’ Ari- flotele, come narra il P. Si mone nel
fupplemcnto al Libro delle cerimonie/ e de’coftumi de’ Giudei di Leone
Mo- dena .. Ed io in finendo dirò di lui con il gran Pico della
Mirandola ; Mali prtnctpiì finis masut . Da
turco ciò, che fi è fin qui rap* portato, potrà la Santità 1 V
ostra pienamente avvifare quànto fian da ri- prenderti co fi oro, ì
quali ardi (cono di biafimare quefta Filofofia, che mala- mente
chiaman moderna, e nuova, e dannarla come fcandalofa, e mala - r
quando finora nè la Santità’ Vostra* nè gli altri fantiflìmi Pontefici
antecefi» fori * hannola giammai penfiata con- dannare . Anzi il
contrario leggiamo riabilito dalla Santità d’Innocenzio XI» in una
Bolla ; ciò egli è * . che niuna. cola tra filofofanti, ed altri, che
fico- lafiicamente fi contende, giammai fi' danni o in difiputando*
o fcrivendo, o in pubblicando, che pria dalla Santa Romana Chiefia
condannata non fia ; Ma quando anche ciò non fofie, qual furore, o
fpinto dii zelo ijpinge tant* oltre, cofioro ad incagionar coma- rea
* e mala una Filofofia * che ha per au- tori uomini cattolici, •
dabbene, e di integrifiìma vita ; avendo per lo con*
x$8 trario la lor Filofofia per autori fio. mini gentili, e
tra gentili i più per- vertì, e federati ? Qual ila (iato già il
lor Padre Arinotele, e di che coftumi l’iftorie de* Greci, e de’. Latini
ne fan piena, ed affai- ampia tedimonianza ; Quai fentimenti, e
quanto perniziofi sì alle Repubbliche, sì alla j religione, che a*
Tuoi tempi lì tenea tra Greci, egli lanciato abbia a’ poderi la
San- tità' Vostra, rivolgendo l’occhio a quello, che per 1*
autorità d’ infiniti fanti Padri, e di molti altri autori pro- fani
fi è riportato, porrà benignamen- te giudicarlo., Non evvi Tanto
Padre, che per otto e più - fecoli riprefo -, e biafimato non
l’abbia, nè mai leggia- mo, che alcuno l’abbia feguito, o fia dato
così dettamente legato alla di lui dottrina, come tuttavia fon
codo- ro. Dottrina veramente tre volte per- niziofiflìma, madre, e
fonte di tante e tante erefie + che per tanto tempo didurbarono. ed
affliflero la Chiefa, e di Crido la vede lacerarono . E fe .. :
rifor- 159 riforgefle il gran Bafilio, quanti
equa-' li de’ noftri tempi riprenderebbe più fortemente, che non
fece ad Eunomio^ ed agli Eunomiani- de* Tuoi tempi j t - quali
giuravano Tulle parole d* Arino- tele, come full* Evangelo > e pofero
in ifcompigtio la Chiefa d’ Oriente? Che diremo degli Atanasj, e
degli A leffa n* dri Vefcovi d\ Aleffandria ? . Quanti Crilìiani taccierebbono
d’ Arianifmo, yeggendogli così attaccati ad Arinotele, onde Tempio
Ario prefe Tarmi, e le faettc contro del Verbo ? Non farei per mai
finirla, fe voleffi addurre par* titamente tutte Terefie, • che
da’fegua* ci d’ Arinotele fono fiate indotte nell» Romana Chiefa
per tanti fecoli, e di giorno. in giorno van riforgendo. Baffi fol
dire, che da fei, o più. fecoli tut- ti gli errori fian venuti da oriondi
per così dire, e figliuoli del grande Aride* tele ... i ' «
• Ma fliafì pur colla fua pace Arido* tele, con quella pace, che
nel più cu- po dell’ Inferno, ov’egli fea.giace, dar > fi
può i6o fi può- Siali ' flato Arinotele non tan-
to federato ; anzi dirò più, fiati (tato uomo dabbene, avvegnaché gentile
ei lì (offe . Sianli Santi tutti gli Arifto- telici, i quali hanno
avuto, ed hanno il nome di Criltiano . Siali la lor dot- trina
ottima-, e di niun pregiudicio j non però avrà che far nulla colla
no- Itra l’anta' religione nè di buono, nè di malo . Siali io dico,
e ridico la lor dottrina profittevole in ifpiegare gli ar- cani
della natura, la natura delle pian- te » degli animali, e che lo io ;
non dovran perciò biafimare tutte 1’ altre Filofofie, eh’ eglino
non profèlTano, quando quelle niuna cola infegnano, che contraria
lia a’ buoni collumi, al- le leggi naturali, ed alle leggi di Cri-
Ho, e della Chiefa . Coloro, che rin- novate l’hanno tutti fon già morti
cat- tolici, ed in feno della Chiefa, lenza veruno fofpetto,
quantunque minimo d’ erefia . E* conceduto, che in qual- che Libro
d’ alcun Filofofo Criltiano vi folle qualche opinione » chiaramente
con- rii 'contraria alla verità della religione,
fenza dubbio 'veruno toccherebbe alla Chiefa di condannarla . Potrebbe!!
pe- rò ( parlo pieno di rifpetto, e di zelo, con quella riverenza
ed ubbidienza, che lì dee alla Santità* Vostra, ed alla Santa
Chiefa ) dìdimamente con- dannare quella opinione eretica, ovve- ro
fcandalofa > come fece per molte dichiarazioni AlelTandro VII. ed
altri Pontefici ; e non ributtarli tutto il cor- po d’un libro, il
quale lì compone d* infinite, e varie opinioni, delle quali la
maggior parte niuno attaccamento ha, ovvero dipendenza colla verità
del- la fede. Così leggiamo Origene, e Tertulliano lìcuramente,
avvegnaché ambedue in molte co fe lian traviati, come poco
ollervanti della nollra reli. gione . Così leggiamo ancora ' San
Ci-' priano Martire, quantunque folle fia- to d'opinione, che i
battezzati dagli eretici lì doveflero ribattezzare ; laqua- le poi
fu dannata dalla Santa Chiefa' per mezzo d’ un Concilio > come ancora
tanti altri errori di Lattanzio >d* Arnobio» e d’altri. Or fe ciò fia
lecir- to nelle cofe di tanta importanza » cioè nella Teologia,
potrà ancora efler-Te- / cito nelle Filosofie, le quali van de-
correndo femplicemente degli arcani della natura. Il
filosofare, Beatissimo Padre, fu Tempre mai, conforme s* è dimo-
ftrato, libero, e permefiò a chi che fia, purché contrario egli non fia
alla religione > alle leggi umane > ed a’ buo- ni coftumi.
Non han cofa gli uomini» che fia più lontana > e men foggetta
al- le poteftà terrene, che il loro Spirito. Nè v’ è cofa più intollerabile,
cl}e quando fi veggono rapire la libertà de* loro penfieri ;
perocché tanto è toglie- re la libertà del filosofare, quanto è
togliere la libertà dell’ opinare ftefTo, non effendo altro le Filofofie
che opi- nazioni * Quindi è, che coloro, i qua- li per dura legge
delle genti fono fchia- vi delle altrui volontà > pur fi riman-
gono liberi nelle loro opinioni, ed i lor pa- e
Digitized by Google padroni > i quali han poteftà della
lor vita, non poflòno difporre de’ loro li* beri fentimenti .
Solamente lo fpirita dell’ uomo a Dio è tenuto renderli avvinto, elfendo
egli folo la prima veri- tà per elfenza, la quale non può giam- mai
nè ingannarli, nè ingannare ; ed iòdi poi ancora la fua Chiefa > la
qua- le ci favella da fua parte, toccando a lei d’interpetrare gli
oracoli, ed arca- ni di Dio . Indi quella ubbidienza del- la nollra
ragione libera all* autorità Divina fu fempre giudicata da tutti la
prima, e più grata vittima, che noi dobbiamo offerire a Dio. Il
facrifizio certamente non è egli fanguinofo, è ben però il più
pregiato, e caro ; perocché conduce gli fpiriti nollri, na- turalmente di
ripofo impazienti a sì felice fervi tù, principio » e mezzo d* ogni
nollro bene, e falute • Perchè li dee in ciò ufare grandilfima
diligenza, nè legare sì llrettamente quello nollro libero arbitrio
in cofe, le quali poco, o nulla montano ; perocché potreb- Lz
beli befi temere di qualche rivolgimento, o per così dire temerità
dal vederli sì ftretto, e incatenato . Oltreché po- trebbeli da ciò
dar luogo di penfar malamente, che la noftra fede dipcn- deffe da’
principi delle Filofofie, e che la noftra religione » ed Arinotele
fot fero sì Erettamente uniti, e me (cola- ti, che 1' una fenza
l’altro non polla da noi crederli. Sarebbe ben tre volte incollante
la noftra fede, fe ftabilita folle fopra così balle, e poco (labili
fondamenta, ed andalfe dietro a’fogni, ed alle frafche de’ Filofofanti .
La ve- rità vien ricercata si dalla Filofofia,• ed è Hata ricercata
già per migliaia d* anni ; ma non giammai però è Hata ella
ritrovata ; perocché Iddio ha vo- luto lafciare il Mondo all’efercizio
in- nocente delle Filofolie, ed all’incerto inveftigamento delle
cole naturali, e però alle difpute . Mundum tradidit
difputation'tbus eorum. Conforme anco- ra va dimoftrando San Gregorio
Nazianzeno in un difeorfo, ch’egli detta delle dìfpute. La Teologia fola
ha ri- trovata la verità, perch’ella fola s’ ag- gira intorno alla
vera luce, e prima 1 ferità, eh’ è Iddio, principio d’ ogni j
noftro fapere; onde gloriavafi 1* Apo- flolo di non fapere altra
cofe, cheCri- tto crocifitto. Quefla verità ritrovata nella
Teologia altri non poffede, che 1 la noftra fanta religione, la
quale quan- tunque contrattata, ed afflitta da tan- ti e tanti
tiranni, pur fempre mai • vìttoriofa per tanti » e tanti fecoli
ha trionferò, e trionferà per fempre più gloriofa . Veritatem (
ditte un autore ) Pbilofopbia quper ciò fare ha volu- to
fervirfi ; perocché verfando quefte intorno ad una caufa, la quale al
prefente fi può dir prelfochè comune, di comune, ed univerlal
difefa ancora elleno pedono molto acconciamente fervire. Recando adunque le
molte parole fue m una, quella nella foftanza fembra edere fia- ta
T idea di lui . Egli ha come in due parti divifa tutta la Lettera, in una
delle quali s* è ingegnato di biafimare, e deprimere il pia che ha
potuto Ariftotile; e nell’altra lodare, e portare alle ftelle Renato
Defeartes. Egli ha depredo Ariftotile, comparandolo prima- mente
con Platone, e inoltrando, che il principato tra i filolòfi è di quello
fecondo; L 4 che da tutti i fanti Padri molto è flato cele*
brato: che la fua filofofìa è la più favorevo- le, ed acconcia alla
Chiefà cattolica ; e che quella d’ Ariftotile è la più contraria, e
pre- giudiziale . S’ e poi ingegnato di inoltrare, che Ariftotile è
flato 1* origine di tutte l’erefie.* eh’ è flato biafimato da tutti i fanti
Pa- dri, e finalmente tutto quello ha raccolto, che può fèrvire di
biafimo, e di vitupero di quello filolofo • Di qui è pallato a
glorifica- re il Defcartes . Ha mcftrato da quanti e quali uomini e
fiata la lita filofofìa appro- vata, e ricevuta : com’ ella s’ uniforma
a’fen- timenti de’ fanti Padri : come ferve molto per difi reggere
l’erefie, e così fatte altre cofe af- fai. Onde porta l’incertezza di
tutte le filo- fofie per cagione del corto intendimento u* mano, e
porta Umilmente la libertà di giu- dicare, eh’ hanno gl’ intelletti nelle
materie fìlofcfiche y ha concitilo, ellère molto da riprovare Tattaccarfi
fidamente ad Ariftotile . C jntra il quale molte colè di nuovo
adducen* do, e moltiflime altresì a favore di Renato, della filofofìa
di cui teffe un lungo panegiri- co ; finalmente conclude, effere forte da
ri- prendere coloro, che ardifeono biafimare la filofofìa moderna,
la quale non fido al paro coll’ Ariftotelica può andare; ma in oltre
ad erta dee ellère antiporta, come quella, che dalla Platonica fi
deriva, e per più altre lo* i6$ di, ch’egli affai
minutamente, e a lungo ya numerando. Ora volendo (opra cosi
fatta argomentazio- ne col medefimo fine dell* autor fuo, cioè a
prò della moderna filofòfia, alcuna colà of* fervare; dico in prima, non
effere molto da commendare Io ftabilire la difefa di effe mo- derna
filofòfia fopra la depreffione d’Arifto- tile, e fopra la deificazione,
per dir così, di Renato delle Carte . Quantunque volte un
eccellente fcrittore ha occupato un poftocon- fiderabile nella repubblica
delle lettere, non manca mai la fazione di quelli, che Pefàltano, e di
coloro, che lo deprimono fuori del dovere . Vero è, che ci fono ancora
difcreti eftimatori delle cole, i quali il buono dal reo feparando,
quel prudente mezzo eleggono nel dar giudicio, che fecondo dirittura di
ra* gione fi vuol tenere. Molti efèmpj io potrei addurre per
confermazione di ciò: ma perchè fopra Ariflotile procede ilnoftro
ragionamen- to, volentieri io non mi partirò da eflo. Per efempio
adunque de’ glorificatori affettati di quello filofofo fia Averroe, il
quale in que- llo modo lafciò fcritto di lui : j4riflotelir do *
Urina efl Stimma Veritas, quoniam ejus intei* lelhts fuit finis bumani
intclleftus ; quare bene dicitur de ilio, quod ipfe fnit creatus, et da*
tus nobis Divina providentia, ut non ignori mus Doffibilia feiri .
E nella Prefazione alla .. Fifica; Complevii ( Ix>gicam,
Ethicam -, óc Metaphyficam ) quia nullus eorum, qui fecu * ti funt
eum ufque ad hoc tcmpus, quod efl mille et . quingentorum annorum,
quidquam ad* didit, nec invenies in ejus verbi s errorem ali* cujus
quantitatis, # ta/ew £// per quan- to egli raedefimo ne dice, venti anni
interi fpefi avendo iti Squadernare i libri d* Ariflo- tile, anzi
oracolo, che giudicio è da repu- tarli . Così adunque egli fcrive nel
Prolago al libro JY. del fuo Examen vanitati* dottrir Tue gentium :
Multa apud Ariflotelem erudì . f > tio, multa eleganti a
fcribendi, inulta etiam, fcrtajfe verità* : fed certe non parva
vanita* * - JLo fcrutinio fin qui da noi fatto di varj, c
oppofti giudicj intorno al medefimo fog- getto formati, può fervir di
regola nel giudi- 1 care di. tutti gli eccellenti fcrittori. Noq
bifir gna nè alla bellezza della virtù, nè alia brut- tezza de’vizj
lafciarfi cosi rollo ingannare, nè fafcinare in modo la vi (la, che fi
travegga e fi finarrilca quel fenderò dì mezzo, per cui Tempre
colla (corta della ragione dobbiamo proccurare d* incamminarci . Ma egli
fi ritro- vano uomini d’ immaginazione tanto gagliar- da e forte,
che poiché hanno fidato la men- te nella qualità d’ un oggetto, non
(anno tanto o quanto fidarla per dominarne le al- tre - Conoro
confederano ' le colè (blamente per quel verfo, a cui dal moto de* (oro
fpi- riti fono portati, e di qui è, che o il bene folo, o il male
precifamente contemplano » Quello predominio dell’ immaginazione in
nelfun’ altra opera per mio avvilo meglio fi fcorge, quanto in quella de
veris principiis, et vera ratione pbilofopbaudi di Mario Nizo- iio.
Quello fcrietore avendo al principio con- ceputo della (lima verfo
Cicerone, e vdeldifi credito per • Ari dotile,‘a poco a poco s* è
lafeiato condurre a tale, che nuli*- altro che il lodevole in quello, e
in quello nuli* altro che il biafimevole egli vedeva . Gli è fi-
nalmente» paruto, eh’ ogni cofa, anche 1’ imperfezioni del primo roderò
divinità, e le cole anche buone del fecondo fodero vizj, e magagne
. Di qui è, che negli accennati li- bri, egli conculca ogni opinione, e
lèntenzia d’ Arillotile, e glorifica ogni detto di CICERONE (si veda);
per qualunque definizione anche de- bole, e imperfetta del quale, egli s’
ingegna di ritrovare principi, da cui fi deduce com*
ella è giuftiflima, e vera. Quella lòrta di li- bri può efler utile per
quelli, che all* oppo- fla parte fono dalla palfione portati /
perchè fcorgendo nella lettura di elfi il rovescio, co- me fi dice,
della medaglia, può avvenire, che s* inducano a dubitare di quello, che
fi- no allora aveano tenuto per fermo . Per al- tro e l’uno e 1*
altro di quelli eflremi merita grandilfimo biafimo, nè v’ ha colà,che più
i retti giudici impedifca quanto quello fv la- mento della ragione, a cui
la fantafia ha tolto la briglia di mano,. Intanto la vanità, e
lafu- perbia dell’ uomo fi palce molto di così fat- to cibo, perchè
o colla deificazione, o colla deprelfione altrui o coll’uno e l’altro
inlìeme, fi fpera di potere llabilire la propria fama « Egli
avviene nonpertanto, che la colà il più delle volte va tutt* all’ oppollo
. Nulla è che minor imprelfione faccia nelle menti de- gli uomini,
e che più agevolmente dimenti- chino, quanto quelli sforzi violenti :
degl’ intelletti da troppo gagliarda immaginazione trafportati :
non altrimenti appunto, che 1* azioni llravaganti, e inufitate de’ pazzi,
ap- pena s’oflèrvano . E chi è egli, che fìlolò- fando fi Ila
giammai attenuto a’ principj di- Mario Nizolio? lo non ritrovo appena
regi- flrato il filo nome tra i nemici d’Àrillotile. Ma ritornando
in via, dico, che l’autore di quella Lettera fembra effere (lato
alquan* to tocco dal prurito y di cui abbiamo fin qui favellato,
mentre con tutto lo sforzo dello fpirito s y è ingegnato di raccogliere
il polfibL. le con tra Ariftotile, e dall* altro canto por- tare
fino alle ftelle il Delcartes ; ogni prova facendo > e nulla intentato
lalciando per ap- pannare, e far violenza agl* intelletti de’luoi
leggitori . Per contraflegno della fila palilo* ne, anche dentro a*
cancelli di puro racco* glitore degli altrui giudicj, offervifi il modo,
eh* egli tiene alla pagina 34. in iftorcere vio- lentemente contra
Ariftotile alcune parole del P. Petavio, dette ad altro
intendimento, anzi in propofito tutto conti ario. Quello Pa- dre
nel capitolo III. numero V. dei Prolago alla fua Opera de* Dogmi
Teologici, dopo avere addotto un lungo palio di S. Bafiiio, nel
quale lèmbra, eh* e* rigetti in tutto la filolòfia Ariftotelica,
foggiunge al fine cobi: Ceterum iifdem in verbi * videtur Bafìlius
in totum abdicale, ac rejecijje ab fidei, Theo* hgiécque conjortio
univerfam Ariflotelis philofo* phiam tanquam Cbriflo irrvifam, et inimicami
atque ab bofle illius Diabolo proferì am . Quam uonmllorum opinionem
refellit Clemens Ale*an- drinus in primo Stromateon > ut alibi memini
- mus . Sed ab bujufmodi Jufpicione Bafilium paullo pofl purgabimus
. Ora il nollro autore prende da quello palio quelle lòie parole ;
Ari m Ari flotti is j>hilofophiam tanquam Chriflo invi,
fam, et inimicam i atque ab hofle illitis Dia. bolo profeti am ; e le
porta come un detto del P. Petavio contra la fìlolòfia d’ Ariftotile.
E chi non vede però che il prurito di conculcare quello filofofo ha
fuggerito all’autore della let- tera una sì aperta, e abominevole
ftorpiatura? E pure y fe per 1* altro verfo vogliamo ri-
guardare e Arillotile, e il Delcartes, non ci mancherà motivo, nè
fcrittori, i quali ci a- prirànno la ftrada a deificare il primo, ed
a deprimere, e conculcare ancora il fecondo, lènza nè pure aver
bifogno di ricorrere a tali artificj . Ogni volta che uno fcrittore s’ha
a. cquiftato un gran nome nella repubblica del- le lettere, e
mafTìme per lungo tratto di tem- po, ’è pazzia l’immaginarli, che tutte
le co- fe lue pollano eflère tee . Il buono làrà mi- fto col men
buono, come di tutte l’ umane cofe, che perfette giammai non li videro
j fiiole avvenire ; e però quelli, eh’ amano dì cogliere negli
eftremi, troveranno in amen. - due le parti da làttollarli . Il punto Uà,
che non lì lufinghino d’innalzare una fabbrica, che non polla
eflère da alcun altro colle ilei* fe forze diftrutta, per non ritrovarli
contra la loro efpettazione ingannati. Un altro, che riguardi lo
fteflò oggetto dal lato oppofto a quello, che 1’ hanno riguardato efli,
ritro- verà tolto gli liromenti da dilhuggere in quella fletta
fucina dov’eglinò gli avevano ri. trovati per fabbricare - Di quella
difputa d’ Ugone da Siena, al tempo del Concilio, che fi cominciò
in Ferrara, riferita dall* autor della Letteta, come cola
inftituitaperefalta- re Platone, e deprimere Ariftotile, così nel.,
la fua Cronaca lafciò fcritto Filippo da Ber- gamo : Cumque Nicolaus
Marchio, et multi in Synodo congregati pbilofophi excellentes ad -
venijfent, cuniios in medium philofophia jocos adduxit ( Ugo ) de quibus
inter fe Plato ± Arifloteles fuis in Operibus contendere, ac
magnopere dijfentire videntur, cdocens eamfe partem defenfurum y
quamGraci oppugnandam ducer ent, five Platone m y fi ve alium je fequen
- dum arbitrarentur . Lo fletto atteftano Enea Silvio nel capitolo
LI I. della Dedizione delF Europa, e Andrea. Tiraquello nel
capìtolo XXXI. del libro de Nobilitate . Ecco pertan- to, che il
fine d’ Ugone non fu V efaltazion di Platone, e Pabbaflàmento d*
Ariftotile, come vien fuppofta : ma fi profefsò di voler difputare
problematicamente, che vai a dire, difendere la parte impugnata, e per
confe- guenza difendere o l’uno, o l’altro di quelli due fUofofì .
Cosi il Concilio Lateranefe V. a torto vien portato alla facciuola 114.
come difàpprovatore, e condannatore della filofo- fia Peripatetica
nella Scffione Vili. Bafta fo- to leggere P accennato luogo per chiarirli,
che quello Concilio non condannò nè Anda- tile, nè Platone, nè alcun
altro filofofo in particolare : ma generalmente della filofòfia
ragionando, proibì primamente I* abufo a que’ tempi introdotto di
difendere nelle pub- bliche Tefi, che circa lo dello punto, quel-
lo era da dire fecondo la filofofia, e quefto fecondo la verità : ovvero
tal colà fecondo la filosofia e r a vera, che fecondo la fede
erafal- fa . In fecondo luogo ordinò a tutti i Lettori pubblici
delle Univerfità, chefpiegando i fìlofòfi, avvertilfero la gioventù degli
errori loro, alla fede noftra contrari, -confutando* gli, e
riprovandogli . E finalmente (labili, che niunCherico doveffe dopo io
ftudio della Grammatica appigliarli a quelloodeilaPoefia, o della
Filolòfia, lènza ftudiareinfieme Teolo- gia, e Canoni, acciocché,
foggiugne, In bis Janlìif, et utilibus profijfionibus Sacerdotes
Domini inveniant, unde infili a s Pbilofopbia, et Poe fi s r adice s
purgare, et fanare valeant. E tanto è lontano, che i Padri di
quefto Concilio abbiano avuto in animo d’oltraggia- re Ariftotile,
eh’ anzi lette le poco fa accen- nate cofe, e ricercato, fe alcuno avelTè
pun- to che dire in contrario, fi levò fufo Niccolò Lippomano
Vefcovo di Bergamo, e sì difle^ Quod non pìacebat fìbi, quod Tbeoìogi
impo - nerent Pbilofopbis difputantibus de veritate in - ielle fi
us tanquam de materia po/ita de mente M - Ariflotelis y quam [ibi
imponti Averroes : lieti fecundum verità rem tali* opimo e fi fai fa .
Si- milmente di queir Aezio Vefcovo * che dall* autor deir Epiftola
è rapportato come uno * che per troppo ftarfi attaccato alle
Categorie cT Ariftotile, cadeffe in erefia * e diventaflTe Ateifta,
Socrate nel libro II. capitolo XXXV- della Tua fteria Ecclefiafticacosl
ragion a: Hoc aiitem facit Cat egorii s Ariflotelis ( fic liber iU
le e fi ir.fcriptus ) fidem habens * ex quibus difputando * ac fe ipfum
fallendo y non int clie- nti y ncque a feientibus didicìty quis fìt Ari
fio - telis feopus . Ille namque propter fopbifias phi* lofoph'ue
lum illudentes id genus exerctiii con - fcripfit y et Di al etite en per
fophifmata novis fopbiflis dicavti. Itaque Academici * qui Pia-
toni* y ac Plotini fcripta e L 9 immaginazioni belle piut- rollo ad
udirli, che fiifliftenti e fode, le quali fono fparfe per tutto il corpo
del- la fua filolòfia y e che tinta di fanatifmo T hanno fatta
comparire . I Vortici, che da fonti torbidi Italiani, come fono
quel- li di Giordano Bruno Nolano, ha prefi il . Defcartes per far
girare la fila tripli- ce materia ; fono colori, che poffono fer-
vire a fare un ritratto di lui tutto diver. fo da quello, che ha fatto V
autor del- la Lettera * Il Padre Malebranche mede, fimo 5 uno de*
più acerrimi difenfòri, e approvatori della dottrina di Renato, co-
sì lafciò fcritto nel libro ili. patte L capitolo» IV. della ricerca
della Verità . Mortsù Defcartes era anch'egli uomo y fog - getto
all 9 errore, e all 9 illufione, come gli altri . Non v 9 ha alcuna delle
fue Ope- re y non eccettuando nè pure la fua Geome* * tri a y in
cui non fi a . qualche fegno della debolezza dello fpirito umano . Non
bifo- gna adunque fi are alla fua parola ; ma leggerlo cautamente,
com 9 egli ftejfo ci av~ vertijfe . Non fono anche mancati uomi- ni
dotti, i quali hanno fatto vedere, che Ja fua filofofia è di pregiudicio
alla fede, i8i cd è contrarla a molti dogmi cattolici
- AI- cuno ha pretefo, eh * ella rinnovi V ere- fie di Pelagio, e
di Neftorio : ed altri, eh* ella fia la firada allo Spinofifmo, e
all* Ateifmo * Io fò, eh 5 è flato rifpo- fto a quefli tali, e che vi fi
rifponde. rà : ^ma quello appunto è quello, che il di fopra da noi
detto conferma, e che moftra quanto agevol colà fia o, ecceder
nella lode, o ecceder nel biafimo, quan- do non s 9 ami di fidar V occhio
che o ne* fòli vizj, o nelle fole virtù . Non fem- bra adunque, com
> ho detto, degno di molta lode il difegno di ftabilire la
difefa della filofofia moderna fopra le lodi, el* efaltazione di
Renato Defcartes, e fopra i biafimi, e depreflione d * Ariftotile,
fic- oome fopra un fondamento, che fi può di- ftruggere con quella
fteflà facilità, con cui s è innalzato : e per mezzo del quale,
fermo e inconcuflò renando, fi verrebbe a flabilire quello, che V autor
filo medesi- mo in alcun luogo con molte parole s 9 e ingegnato di
diftruggere, cioè il farli fè- guace indivifibile d* alcun filofbfo
partico- lare . Ora diciamo alcuna cofa della principal
ra- gione, fopra cui Pautor della Lettera ha pian- tato la difefa
della filofofia modèrna ; la qua- le fi è, che derivando ella dal fonte
di Pia- rvi 3 «o* iS z tone, fìlofcfo
fupcrioread Ariftotile, appro- vato dagli antichi Padri, e riconofciuto
come molto vicino a’dogmi cattolici; ella non vuol eflere riprovata,
maflimamente in confronto dell* Ariftotelica, la quale, fecondo lui, è J
}a* fa V unica, e fola cagione, anzi l y orìgine JìcJfa di tutte V
erefie. E quanto al primo, cioè quanto al prin- cipato,tra
Platone, ed Ariftotile ; molto dif- ficile, molto dibattuta, e da niiino
per anche decite quiftione ha prefo a diterminare il no- Aro autore,
augnandolo al primo • La dif- ficoltà di tal decisione procede, che molti
ef- ffendo i pregj delfinio e dell* altro filofofo, amendue ancora
hanno le loro imperfezioni. Secondcchè pertanto fi vogliono riguardare
sì nell* uno, che nell* altro più quelli, che ques- te, fi ha campo
ancora di antiporre, o pote porre V uno all* altro. Ma per
quello, che riguarda il fecondo y cioè quanto al far ufo dell* uno, o
delP altro nella Teologia, e nelle cole della religione, non fono
pure ben d* accordo tra loro gli uo- mini dotti qual fia da preferirli .
Se per Pla- tone fta P ufo, che moftrano averne fatto i primi Padri
della Chiete: nè anche Ariftotile va privo in tutto di fimi! pregio,
mentre al riferire d’Eufebio nel libro VII. cap. XXXIL della Storia
Ecclefiaftica, in Aleftàndria, an- che al tempo, che i Dottori Apoftolici
rif- pJea« plendevano, l’Ariflotelica (cuoia fioriva.
Gle- mente Aleffandrino lib.V. Stromatam, riferita, che Ariltobolo
con molti libri provò, la (liofoba Peripatetica dalla legge di Mosè,e
dagli altri Profeti derivarli. E Gioleffo nel lib. I. contvaAp*
pìonem, infieme col mentovato Eufebio nel lib. IX. cap. V. de preparatane
Evangelica, recano un luogo di Clearco,ditapoIod’ Annotile, da cui
fi fcorge, come quello filofofo, eliendo m A- fia, tenne lunghi, e
fciendfici ragionamenti con un dotto, e favio Ebreo, da cui apparo
mol. te belle, ed eccellenti cofe ne’ Divini libri con* tenute .
Anzi fu opinione d’alcuni, che lo «el- fo filofofo, avendo avuti per
mezzo d Alelìan. dro i libri di Salamone, molte cofe da quelli rac-
coglielTe,e trafportalfene’ fuoi .Ne mancarono fra moderni ( lafciando
per ora da parteltare i libri de vietate Arijlotelis, de f alate
Anflotchs, ed altri limili dati fuori ) chi comparazioni tra la
Scrittura facra, ed Ariftotile facendo, s in- segnarono a tutta lor polla
di moftrarc, eh e- alino pattano d’accordo, come Giorgio
Trape- zonzio, Giovanni Zeifoldo, AgofiinoSteuco, ed altri . Sopra
così fatta lite pertanto a muno, s’ io non vado errato, difpiacerà il
prudente giudiciodi Melchior Cano, (limato meritamen- te
dall’autor del la Lettera il maggior ornamen- to della famiglia
Domenicana. Divo Augufli, wofdice quell’ autore nel lib. X- cap. V . de
loets Tbeologicis ) Pialo fummus efl : Divo Tbom Enea Gazeo, di
Teofìlo Patriarca d’ Antio- chia, di Lattanzio Firmiano, d’ Eufebio
Ce- fàrienfe, d’ Epifanio, di Gregorio Nazianze- [ no, di Girolamo,
di Crifoftomo, e di Teodoreto, ne’quali, tutti concordemente biafimano, e
{gridano Platone, e la sua fìlosòfia, come quella, ch’è fiata l’origine, ed da
palcolo e fomento ad infiniti errori ed eresie. Ecco adunque che IL LIZIO
non è fiata la sola pietra dello scandalo. Ecco ch’egli non è
l’unica cagione di tutte l’eresie. Ma L’ACCADEMIA senz’alcun dubbio, in quella
parte lo supera, ed è flato guardato di malocchio da Padri; e l’accollarli,
ch’egli fa in qualche modo più a noi, è ridondato in nollro maggior
pregiudicio. Di qui fu però, che negìi ultimi tempi, quando Gemillo,
il Cardinal BelTarione, Gufano, e FICINO (si veda) illullrarono, e
fecero rifiorire la Platonica limola, quali tutti non pertanto {limarono
miglior avvifo, o almeno minor pericolo, attenerli tuttavia ad
Ariflotile. Sen. tali lòpra ciò 1’ avvedutiflìmo Giovan Fran- celco
PICO (siveda) Mirandolano, il quale nel libro 1 V. capitolo IL del fuo Ex
amen vanìtatis dotivi, ttee gentium, in quello modo lafciò Icritto.
Alti nihilominus, Platone poflhabito, haferunt Arifloteli, exiflimantes
illum noflr et exatìe, fed in comuni defumta ) prxbere aditum faci
- lius po/fit, quam Arifloteles, qui rationibus, non fide, foleat
plurìmum et fere femper inni - ti . Ma il talento di avvallare
Ariflotile, e cacciamelo del mondo, e della memoria degli uomini; non ha
lalciato Icorgere all’ au- tor della Lettera, non dico le lodi fue ;
ma nè pure i biafimi, «Squali i medefimi Padri ne’medefimi luoghi,
in cui nello ripigliano, » anche il fuo maedro fogliono non punto
di- verfamente trattare . Per cagion d y efempio nel capitolo XJ.
del Libro intitolato Regala Monacharum, a Girolamo già attribuito,
fi leggono quelle parole ; Attende, et tu fatuorum fapientum princeps
Arifloteles . Elleno però fono Hate tolto notate dal nodro auto, re,
e nella lettera aliai avidamente inferite : ma queir altre: Verum non
fine labore didicu ) fii tuam Japientiam fatuam Plato y folamente
due verfi lontane, e quelle ancora aliai vicine; Non banv fatuitatem
doéìijjimam Athenis Plato didicit, non Arifloteles y non Anaxagoras >
non cete - rorum fiultorum mundi fapientum turba percepita non fono
Hate avvertite da lui, nè notate, non altrimenti, che feo non iforitte, o
rafe, e cancellate Hate li fodero. Ma che diremo, che dopo quel
detto da lui in difcredito d’Afrillotilc recato, immediatamente al
medefimo . filofofo quedo elogio è teduto, o leurato fi mil- mente,
non fo come, c tolto agli occhi del nollro autore? Et fi fueris abfque
dubitano, ne prfdigium, grandeque miraculum in tota na+ tura y cui
pene videtur infufum, quicquid naturai iter efl capax humanum genus,
43c. Le quali parole anzi della foiocca abbjezio- > ne, e viltà
del Chiofatore Arabo, che del- la gravità Geronimiana tenere mi
fcmbra- no r no
(*) Vero è però, che da tutti i Critici efl fendo coiai opera da quelle
di Girolamo fe pa- rata, e come lavoro di più baili tempi, non
fu Averroe nella Prefazione alla Fifica 4 parlando d’ Afiftotile difTe :
Talem ejfe virtutem in indi- viduo uno tniraculofum et extra neum exifiit
. A che pa- re, che corrifpondano qtìeft e parole : Si fuerir ab -
fque dubitation e prodigi um 3 grand eque mìraculurn in tota natura .
Averroe ancora fopra il libro JL della generazione degli animali, così
lafciò fcrirto : Lau* demur Deum, qui feparavit lune virum ab a li ir
in perfezione 5 appropriavitque ei vltimam dignità tem bumanam ò
quam non omnis homo pottft in quacumque £tote attingere . Alle quali parole s }
accofta- no ùmilmente quell* altre : Cui pene videtur infu - fum,
quicquid naturaliter efl capax bumanutn gsnut . Di qui fi può formar
conghiettura, che cotal Li- bro non fia flato feri ero prima del 1150, in
cui fio- rì Averroe . Oltre a moire voci de 9 tempi baffi, e
parecchj veftigj di fcolaftico, e Parigino idioma, che vi s* incontrano y
e che pofTono fervire per confermazione di quello 3 maggiormente
ancora tutto ciò fi ftabilifce dalle parole, che fi leggo* Do nel
capitolo X. Ut quafi quorundam pbilofo - pborum videretur in eis
verificavi opinio, qui unam ponunt in bominibur univerfir animar» folam .
La qual è opinione venuta fu ne* tempi baffi,dai rappor- tato
Averroe mefTa fuori e difefa, impugni 3 da S. Tommafo,e finalmente
condannata nel V. Con- cilio Lateranefe alla Seffione Vili. Ma perchè
per . altra parte dell* accennata opera fi fa menzione del
pranfodo- po nona ne’ dì di digiuno ; il qua! ufo s* è nella Chiefa
confervato fin verfo il fine del XIV. fecole 5 perciò potrebbe
argomentarli 3 che il Libro non fof9i fna giudicata non era da
farfi arma fuor di ragione contra lo Stajprita del nome d’un tanto
Padre . Ben piu vantag- giofo e per V autore della Lettera, e per
la verità flato farebbe, eh’ egli nelle vere ope- re i veri
'(entimemi di sì gran Santo intorno a ciò rintracciato, e quafi fpigolato
avefle, mentre in quella guifa il perfeguitato Arifto- tile dal
glorificato Platone non mai guari lon- tano ritrovato avrebbe - Come
(opra il capi- tolo X. v. XV. deir Ecclefiade. Lege Platone m: Arifloìdis
revolve verfutias y et proba - bis verum effe quod dicitar : labor
flaltoram affliget eos . Sopra il Salmo v. Vi. al- tresì. Nane ipji
hareticì licet per Arìftotelern y et Platonem videantar fimplicitatern
Ecdefi e fin dove fi debba fèguitargli • Poflòno è vero accodarli f
chi piu, e chi meno a* dogmi della noftra re- ligione, fecondo i
fonti da* quali attinie* ro le loro cognizioni ; ' ma non è però
giammai da fperare, che ferifcano il fe. gno, perchè le tenebre, nelle
quali viveano, loro non permettevano d y arrivare tant* alto . Altro
dunque non fi può in /quella parte, che com piagnere la mifèria, e
infelicità loro : per altro il biafimo, e la lode non ha propriamente
luogo fòpra elfi,?fe non quando fi confiderano • da fe, come puri
filofòfi, e fèparatamente da* do- gmi de* Criftiani. T Ora
palliamo a dilcorrere brevemente dell* idea generale, che P amore
della prefènte Lettera ha avuto ; il quale ha divifato > che la
difefà di Renato Defcar- tes fia la difefa della filofofia moderna,
e la condannagione d’Ariftotiie fia la con. dannagione cella
volgare. Incorno a ciò è da avvertire, che la mo- derna
filcfòfia non è in modoconftituita dalla filofofia del Defcartes, che
Cartellano, e N Mo' Moderno fìa la medefitrià cofa. E 1 ben
vero, che non fi può eflère Cartellano lènza eflère ancora Moderno;
ma non è vero, che non fi pofla eflère Moderno fenza eflère
Cartefia- no, Per la qual cofa la filolòfia Cartefiana fi ha alla
Moderna, come la fpezie al genere. Ancora è da notare, che avvegnacchè la
volgare fiJtfofia abbia voluto unicamente ac. taccarfi ad Ariftotile,
tuttavia eflèndofi ella lèrvira per intenderlo dell* ioterpetrazioni
de- gli Arabi, i quali per l’ignoranza delle lirt^ gue, e per
mancanza d’erudizione, peflima- mente 1’ hanno iotefo: nè lette avendo
gli Scolaflici quefte interpetrazioni nell’idioma, in cui da’ loro
autori erano fiate fcritte; ma dall’Arabico trafportate in LATINO, o
come alcun dice, in Ebreo dall’Arabico, e po. fcia dall’Ebreo in LATINO
trafvafate ; può et fere per ciò aflai facilmente avvenuto, che la
mente d’ AriflotiJe per lo diritto intendi- mento prefo, fia del. tutto
oppofta a quella degli Scolaflici, e cosi la mente degli Scola. Ilici a
quella d’Ariflotele. Ora di qui ne fé- gue, che come vituperandoli, e
condannan- doli i modei ni, per avventura nè fi vitupe- rerebbe,
.nè fi condannerebbe il Defcartes; ' così per l’oppoflo lodandoli, e
difendendoli il Defcartes, può eflère, che nè fi lodino, nè fi
difendano i moderni . Similmente fi c- come vituperandoli, e
condannandoli gli Sco- la- lattici, è facil cotti, che nè fi
vituperi, nè fi condanni Arittotile • cosi potrebbe dare il calo,
che vituperandoli, e condannandoli Ariftotele, nè fi vituperaflèro, nè li
con- dannaflèro gli Scolatici, eh’ è quanto dire la filolòfia
volgare. E* ben vero però, che quell’ ultima . eiTendo colà dilEcilittima,
e preffochè imponibile ; perchè non è da cre- dere, eh’ elfi
Scolatoci perverlàmente intendendo Arittotile 1’ abbiano migliorato : ma
piuttotto piggiorato affai ; cosi il vituperare, e il condannare
Arittotile pare, che provi molto quanto al vituperare, e condannare
la filolòfia volgare . Ma per 1’ oppofta {ra- gione il lodare, e il
difendere Renato Dett cartes non pare, che provi tanto per quello^
che fpetta al lodare, e difendere la filcfofia moderna; Perbene adunque,
e acconcia diente difen- dere, e lodare quella filofofia, {ómbra di
me* ftieri cercare il fuo verocottitutivo, dalla bon- tà ^.o
difetto del quale, la lode, e il bia* fimo ad eflà Umilmente fe ne
derivi. Ora quello, che fembra la filofofìa moderna conttituire, e
alla volgare degli Scolali ici immediatamente oppofta; renderla, fi è
lo lcotimento del giogo Peripatetico, e di qualunque altro
particolar filolòfo ; e la pura ricerca della verità. dove, e in
qua- lunque luogo ella fi fia . La ichiavitù nel. N *
la la quale, feguendo gli Arabi, gente d f ani* ino baffo, e fervile,
avevano pollo il loro intelletto gli Scolaftici, per ellere dapper-
tutto fparfi, e difufi, s’era ancora dapper^ tutto difufa, e inoltrata,
ed avevano cbbli* gato tutto il mondo a non filofofare con altra mente,
che con quella ' d* Ariflotile. Avvegnaché fopra infinite quiflioni di
filo- lofi a 7 col là pere* la mente di quello filofo- fo, non fi
fappia per anche nulla y tuttavia eglino s* erano immaginati di làper
tutto. Nequc erìnn- Philofophum ; ( cóme dice Giovan Francesco PICO (si veda) )
fed Pbìlofopbi* legem pkrique omnès arbitrobantur . Quella però è
la cagione, che fi fono veduti fopra tal qui. ftionepiù libri, deflinati
ad eliminar la men- te d’ Ariflotile,' che a ricercare la lidia
veri, tà della colà . Molti hanno incominciato a riflettere, che
quello era un travaglio molto penofò, e che il frutto non -iftance era
aliai tenue. Hanno offervato, che per quella via, al più non fi’
poteva venire in cognizione che di quanto fapeva Ariflotile, che vuol
dire di pochiflìme cofe, rifpetto a quelle, che s* avrebbono potute
fcoprire . Dove 1* altre ar- ti al tempo de* primi ritrovatori • fono
Tempre comparlè rozze tempi d’ A ri Rotile >' di Piatone, di Demo-
erito, e d’ Ippocrate, molto fi làpeva per squelPctà, allo ’ncontrocol
tratto del tempo era venuto anzi perdendo che no, e le fet- enze s*
erano piuttolìo abballate, e o Taira te, ^he illuflrate, e innalzateli,
com’era di ra- gione - Conchifero adunque, che quello modo di filofofare
degli Scolatici èra irragione- vole, e barbaro, e non tendeva ad altro,
che a coprire tutto il mondo d’ una miferabile i- gnoranza, mentre,
come avvertì anche Sene» .Qui aitimi fequtiur tiibil inventi, imo
ne* que quarti.. Valla Romano fu il pri-, che a’ adpprò a trarre la
filofofia del mi. fero fervaggio, in cui li giaceva, inoltrando
èllere lecito fentire diverfo da Ariftotile co* duci tre Libri Diale Elie
arum difputatwmm, che fcriflfe a ^quello fine . Anche .Giovati
Francei- co Pico Mirandolano ne’ tre .ultimi Libri del fuo E* amen
vanitati s dottrina gentium, molte colè difputò contra lo lìdio filofofo
; e mol- te altresì ; Lodovico iVives ne* fuoi Libri de cauffts
corrupanrm artium, per non dir nulla delTelefio, del Patrizio i e d’altri
fomiglian. ti,ii quali pure tennero la ll'eflà via . Die* tro le
velìigie di coltoro BONAIUTI (si veda) in Italia, e Barcone, in
Inghilterra inftituirono Un modo di frlólòfare libero, e del tutto
oppolto, all’ antico. Scola Iti co, e gittarono le prime fondamenta di
quella ft- r«o n ? •
io. lotcfia che fi chiama Moderna/ non perchè fidamente ora Ì
fuoi principi fieno /tari po. Iti in ufo; che Tempre, e in tutti i
fiecoli gli uomini ragionevoli altra via non hanno mai tenuto ne!
tilofcfare; ma perché dopo ? in. fezione orribile, e univerfale degii
Scolaftick iqtiali amava n meglio di fcioccheggiare coti
Ariftotile, che con altri tàggiameme'iditcop* rere, come alcun diffe j q
netti ottimi pria, eipj fono fiati felicemente richiamati, e pa.
fti in ufo da moderni . Aperta cosi Ja fi rada da queftì due nobili, e
valorófi ingegni . « primo de* quali fu il primo ancora, che chia.
mo in ajuto della filofofia le Matematiche, e che con profpero
avvenimento Je v’ intro- dufie; comparvero ben tofloCartefio, e Gali, do
?r, r £ na . altri ec. celienti filofofì, i quali t a n te ^ e sì
diverte ecfe e in cielo *, e in terra difcóprirono, e cosi
fatto utile recarono a tutte I» altre arti, e fpecialmente alla Medicina,
che ben fece, ro conofcere cogli effetti, quanto infelice, e
miterevole fia la condizione di qpefti aridi, f d, g' 1 ™ d*
Ariftotifc ; e quanta fia la necetfita di battere altra via per ben
fìioi babugemus in Italia Galil quotiefeumque ipfi permittitur
libere quo* cumque vagari. Verumenimvcro nec argumen - ta in
oppofitum defunty pracipue quantum ad pbilofopbiam. ^Ecce quanam plus
minufve . /. Ouod nonHdeo rerum fcìentia aequiritur y fla- tim ac
auttpfis innotefeit opimo 5 quacumque aliter fentiendi, aut fcribendi pr
aclu fa facuh tate . Ih Qupd fape fapius temporis multum fruflra
tranfigitur, germanum vefligando prò* prii auttoris fenfum > fpeciatim
in aliquibus con- troverfiis y quas ipfe fubobfcure refolvit. Hinc ea
penitus non declinari y qua timentur abfitrda, hoc efl circa opinandi
libcrtatem ; Magifler enim nonnibil acutuSy auttorem quem- piam ad
proprhtm fenfum jugiter potè fi expo - . i ntn - tot tendo
trabere, ita ut in eunlfis fihi patroci. nari videatur. IV. Quod in
pbilcfapbicis libe . rum unieuique effe debeat fuopte nutu de re.
.rum natura fentire, et quod fcrutanda veri, tati plurimum obefl ita jur
are in verba dolio, rum, ut borum auHoritatì, baudquaquam li. eeat
refragari.V-, Quod iflopotifftmum loco Divi Atfguftinì norma m fequi
cportet, adferen. tis, quantavis
auiloritate, ac fanlìitate fulge. fit aliquis aulior, ipfi tamen
indubitatum, fir. tnumque affenfum co folum effe prabendum,
? to rationes ejus illum a nobis extorqent . VI.
andem Deum onice. effe, cujus auHoritati, nipote maino infallibili,
fit tace fidendum. 4 t 1 »
i INE. 0 •* • :t \ ; u M s
i Delle cofe notabili, contenute nella preferite Lettera, . e
-nell’; ; ; Offervazione. M si pone in Dio. 84. gran fbfifta. 147.
148 AriflptplicìJ Vedi Perl pitici . Tjf J AriflotUe
rfòvetchia autorità dataglida alcuni 8 . * 1 ?4- condanna Platone, e n*è
riprefo. 1 j.fiioi * : ièguaeV eretici . 30Ì 38. 15 9. pròBaMJifti venerato
còme idolo. 30. i59.bia/tmatoda > fanti Padri .. da altri . 40.
41. 45. fuoi libri condannati . 35. 36. notato di gravi errori da’ Padri,
ed r, altri. 41. 4Z. 43.,'fu uno de 9 maggiori filo- . lòfi delia
Grècia 44. fu chiamato in giu- *5 ^icio . 44. fuoi principi bugiardi .
44.; infa- mato da 1 fuoi feguaci lteffi ., 45-46. fe ve- nifle ora
al mondo fi difdirebbe. 103. 104 c noniftimò di dover eflère norma
univerfà- le . 107. e 1 origine di tutti gli errori de interpetri.
i^.fwacrfcurità. 148. 149. è li ìóJò tra tanti filofofi,(:he fia
ftudiatq, fxid ila V n izio ne deIL*iTOii\c> biajtj ma|? - 1*
- immortaJi^delranima.24. 153. fua Logica T fofìftica . 154. lodato
affettatamente . flrabocchevolmente biafimato> 170.. 172 giudici retti
fopra il medefimo . 171. non •%• • C Ano ( Melchior ) ; Tuo
elogio •: 38. giu- ì dicio del medefimo intorno a Piatone e jAnilotile Capitone
: fct raggiante i, ; Caramuele ( Gio. ) : ilio prelag io intorno al-, la
filofofìa Cartefiana. . {, 120 Cartefto ( Renato ): lii che
fondamenti pian- « tane il fuo fiftema - 53.. fiioi principi giu*
ili y e buoni. 55* 114. fuoi fèguaci. 56. 57 «‘ fo*! fuoi protettori
converte la Regina di Svezia e altri lupi fentimenti fi conformano v
«> n que, de y Padri. n8. chiamato il
refu gio de J cartoli- onori fattigli. 65. calunniato dalle
univerfità Protettami . 70. fuoi nemici - fiioi difenlòri . pone per primo principio il dubitare .
87-fua prote- it azione, $7. a ma d’effère corretto. 88. per- chè
fine meditate una nuova, fflofofìa. 116 lodato dal P. .Merlènni .
118.119. s’uniforma fo’ftntimenti di Platone. 121. fuoi coltami.
iiz. giudicio fòpra il medefi. ino del Malebranche . 180. fua
filofofia -difefa dalle migliori univerfità d’Europa. 61.
ù »Ojr 61. fi dee antiporte a quella d* Ariftolile. 114.
è veramente Criltiana lodata.
prefagio del Caramuele intorno al* la medefima- 120. è tratta dalla
Genefi perchè contraddetta da alcuni ha dato motivo a molti di dar in pazzie
. ed empietà. 179. fuoi difetti U ha alla Moderna come la fpecie al
genere Cartellano, e Moderno non è lo fteflq. 19+ P. C
a fati: abbraccia la fìlolòfia Moderna. 66 Caffi ni: fila oflervazione .
ili Celfo: contrario a J a bolero. CeJ alpini ( Andrea ) .* fua.
(coperta. Charlet : amico del Cartello Cbiefa: fua dottrina è la vera fìlolòfia
. è interpetre degli arcani Divini . 163. Ve- di Teologia .
P. Cbirchero ( Atanafio ): proccura 1’ amici- zia del Cartello
Clemente ( AlefTandrino ): non iftimò, che i Greci fi giuftificafièro per
mezzo della fìlo- lòfia. Cicerone ( M. Tullio ) .* divinizzato dal
Nizo- Ito. 172 Cielo : (ita grandezza, materia, e moti
ignoti. • . . .• '• '>'••• ' Cipriano ( Martire ): fao errore . 16 1
P.Ciermans : loda il Cartello. Concilio Latermefe V. : filo luogo alla
Seflìone Tie 8. fplegato . D Daniel ( Niccola ) : impugna
Cartebracciata fua opinione intorno alla i . . • P-
Detei: Cartellano . Defcartes . Vedi Carte fio. Digiuno : fin
quanto abbia durato nella Chie- *'• là il pranlò dopo Nona. p. Di
net ( Giacomo )ì amico del Cartello . > Dio: è la prima verità.
. 163 Difpute : la verità fogge da eflè . 5. fono un
tormento degl’ingegni . 6 . hanno diftrut. * to la filolofìa
. altro lor pelfi- mo effètto.
137. Vedi Filofofi i Perìpate. E Berardo ( Gio. ) difende il
Cartello. 71 Epicuro : plagiario. 49- commendato da’ Padri. fua
filofofìa abbracciata. anche da’ Padri meri. •• tò della medesima . 49.
53. illultrata dal tiri) Sette. E Gal'
v ; G^irenaiv T " - ; ' 5 ° Erbe : non fi
fa la loro virtù Ereboore : ( Adriano ) : Cartellano. . 7 O Euclide: fuo
detto ’ ; \ r \ * : f ’ Eunomiam: giurano 4 filile parole d’Ariftotile.
- ^ 59 ., Etintìniicr: compagno d’ Aezio nell’erefia .
29 ‘ ^ fi vanta di conofcer Dio r . 7 6 : è riprefo da
’ Bafilio.'’" : i ! ', 7* Eurìpo : fuoi vortici non fi
fa donde derivi- ' • 81 no*. «, . • .op * u:- t \
r r *jLvì r r f r *• » /i # ' »IA «4 • al *,1 *l*v* • 1
I • # Fabbri i abbraccia la fìlofofia Moderna. p. Farvagtie :
difertfore del Cartefio. • 5^ Fede : 'richiede fommiffiorie. 34. Vedi
Chic. • *'/», ‘ : v>- ! v . Ecmrib( S. Vincenzo ) :
introduttore dell In. '• cfuifizione Fìlopono X Giovanni ) .*
eretico . ^ '2.9 Filosofare : è permeilo à tutti . -ir. liberta
di •' éffo . l 72. 97- 99: 1?8. die fine deb- : bà avere.' •
^ ^ Filofofi'r contrari a fe medefimi .' 74. ton- ’ dano i principi
del fi lofofare foli’ igno. •' ... .-L 'i. a_ . 1 14 fri-
• I • t “ «•. ?» tii.t 22.'fonó amanti delle favole
. • i-! o *J°» 1 ZIO dicono le maggiori
pazzie. *3 1. fé. ne - può trar bene, e male per la religione, 19^
non poflòno eflère biafimati di queftó • non bilbgna fperare, che parlino da
Cristìiani biasimo 1 e lode quando abbia, luogo lopra euì. ' Filofopa:
commendata’ da’ Gentili ) $ da^Pa- dii. 8. 9. io. 11. ip. non è
fapienza..rV7^ : non è altro che opi nazione non . ve n'ha al mondo. divife in
mille fette . 89. 90. 129. fua incertezza . 00. 91 130. non
abborrifce Je novità * 98. fogget- ta a nuove (coperte. 100. 101. ancella
del. . la Teologia. 127. 129. è (tata ritrovata per
efercitazion dell’ ingegno Jia avuto t. origine dajle fàvole de’ Poeti .
non è . contraria a tutte le. favole. 131.nan.haan. cor
trovato la verità. .,-y '^64 Filofofia Antica : fua / debolezza . j
Hj-è up • giuoco fanciulldco Vedi Àrtjlotùc ~ y .
'Peripatetici t Scelffiiai • Fihfofià, ' Moderna : malamente n; ’4 • v -
. ‘ " j; - :l ;;;;i 51 Gtfitttr:' hanno
partkolar irtftituto di feguita* c re Ariftotile. 65. molti hanno
abbracciato la fìlofofìa Moderna*. Gianfenifla : titolo proibito in
Francia. 93 G indie io : norma .da tenerli nel. dar gfridició. .cr
171. noti bifògna dar negli cftremi Giureconsulti : non fono così pertinaci,
come v : i iPcripa tctìdl*;! f: >\ fi j . vui !;; .1,06.107
Giuflino ( Martire ) : convertito per mezzo -ideila fìlofofìa Platonica i
\ :U iV *7 f. Grandamy : amico del Cartello . 68 O 2
Grandini: non fi fa cóme s’ingenerino. 8r S, 'Gregorio ( Nifleno ) fuo
elogio. 53. Epi- _ laureo. . .. 53- 54 P. Grimaldi :
abbraccia la filofofia Moderna. • L ^ • ^ ' t
\ * ;, M • - » . \ •
«•..*# t 4 ( / 1 »» M « ^ 1 f » V • * ' i »»•'
#..*•> « y i » ♦ • f . r I * *
% I Gnoranz* ì et uo panegirico. 1 -- : % V« % ’ Incendy:
ne* monti, non fi fa come fi i-ì facciano. . • *:,. ' \ r .
. » . ^ . »... » ir f-.' % » “ 1 . «ili i • » r -
• r » M ' • « 1 » t : i Lampi : non n fa come s’
ingenerino. . ci. ; P. Lupi : fi fa
Cartellano. 56. perchè. 57, ? . S . • Stoici : negano 1
* opinarionì lofpetti ap- po i Romani.
T Affitti - f Alefiàndro ^ : fuO prefagio in- torno ad Ariftotilc
verificato a Temiflio: eretico. ’ *9 Teologi: loro> difetti- • •
1 ^ 9 - * 4 ° Teologia : le novità in eflà fimo pericolofe .
98 ammeflè dagli Scolali ici. 164.133. è regina delle fcienze. 127.
non ha che fare colla fi-, lofofia.127. 128. ha ritrovato la verità. 165
Icolallica non fi dee riprovareperchè fa ufo . • d* Arittotile Terremoti
: non fi là come fi facciano Terra : ignoto fu qual baie fi libri, e
quanto Ila grande. "8* Tejt pubbliche : loro abufo al
tempo del V. Concilio Lateranelè . *77 Ticcùne: file
{coperte: • ” ^ S. Tommafo ( d’ Aquino ) : come, e a che
fine iludiafle Ariftotile . 46. fuo lamento . * . * » • •,,
47 - ' • - _ Digltized by Google iZlO
Tmricdli : .dio ritrovamento . . ' jio De Turne ( Simon ) :
perchè acculato d* ere- fia., ... 22 f • f
V ' “ f*** j »' i I V ' Alla ( Lorenzo .) r Tuo
penfiero appro- vato dalNizolio. 144. Fu il primo a li. re: nega Topinazioni.
83. fua fetta fofpetta appo i Romani. Giuseppe
Valletta. Valletta Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valletta.
Luigi Speranza -- Grice e Valore: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’inventario del
mondo – la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo Lombardo. Filosofo italiano.
Milano, Lombardia. Essential Italian philosopher. Grice:
“Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!” Si occupa di metafisica, di ontologia generale e
delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si interessa anche dei
progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Si laurea in filosofia
a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su riferimento,
rappresentazione e realta. Ricerca a Milano, dove insegna storia della
filosofia. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi
sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una
prospettiva trascendentalista soprattutto in metafisica. Partecipa al gruppo
fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato
caporedattore. Quando la Facoltà di ingegneria industriale del poli-tecnico
di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della
corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più
teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia
analitica. Organizza e cura il progetto. Diviene quindi professore aggregato di
storia della metafisica a Milano, di filosofia teoretica al poli-tecnico con
corsi dedicati all'ontologia formale e di filosofia degl’oggetti sociali
(ontologia sociale) a Milano. Fonda In Koj. Interlingvistikaj Kajeroj,
rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi
artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European collaborative research
finanziato dall'European science foundation e è il responsabile del
progetto per il programma Euro Scholars
USA European Under-graduates Research Opportunities. Lavora su un suo progetto
di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione
Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista
di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali
di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multi-linguismo e
società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata
(editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea
(editore Polimetrica di Monza). Saggi: “Trascendentale e idea di ragione.
Studio sulla fenomenologia di BANFI” (Firenze, Nuova Italia); “Rappresentazione,
riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo
studio dell'ontologia” (Torino, Pomba); “La sentenza di Isacco: come dire la
verità senza essere realisti” (Milano-Udine, Mimesis); Curatele BANFI, Platone.
Lezioni, (Valore), Milano, Unicopli, Forma
dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo Va Ars
experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un
punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (Milano, Cortina); Materiali per
lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica” (Milano,
Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato
anche come “Inter-linguistica e filosofia dei linguaggi artificiali”, come
numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue
InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, E di studio, Dispense universitarie La
categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito
sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di
ontologia (Milano, Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia di
HERBART (Milano, Cusl); Laboratorio di ontologia analitica (Milano, Cusl); Verità
e teoria della corrispondenza (Milano, Cusl); Philosophy of Social Objects
(Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate Ontologia, Milano, Unicopli, Verità,
Milano, Unicopli, Saggi e articoli Acme, "Idealizzazione della verità e
coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in
Iride. Filosofia e discussione pubblica, "La 'posizione' esistenziale e il
giudizio ipotetico nell'ontologia di HERBART: il caso degl’oggetti
inesistenti", in POGGI, Natura umana e individualità psichica. Scienza,
filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica
trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura
filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia
contemporanea più recente", in V.,
Forma dat esse rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e
l'ontologia del mondo reale in PRETI", in V., Forma dat esse rei..., "Il mestiere antico e nuovo del
filosofo", in la Repubblica, (Milano). "Fisica e geometria come modelli di
lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario
di PRETI a BANFI", Ad BANFI cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due
tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo
ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet. "Cosa
c'è che non va nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di
Freudenthal", in Multilingusimo e Società, "Nothing is part of everything", in
Giornale di filosofia, Ontologie, Milano, Volume recensito da Utri sulla
rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze,
saperi, forme di cultura, e da Marazzi
sulla Rivista di filosofia neoscolastica, Volume recensito da Gesner sulla
rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da Bianchetti, Chora.
Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, Volume recensito da Giardino sulla Rivista di
filosofia, nell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà" – cf. H.
P. Grice, “Pegasus is Pegasus” Nomi vacui, su Il manifesto, Armezzani su SWIF Volume
recensito da Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, recensito
da sulla rivista web Secretum. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di
un Book accessibile con password. Si tratta di una replica critica all'articolo
di Valduga "Filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica,
sezione Milano. Profilo accademico su immagini della mente. Elenco completo
delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Keywords:
Pegasus is Pegasus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – per il H. P.
Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Valore.
Luigi Speranza --
Grice e Vanghetti: implicature di Deutero-Esperanto – la scuola di Greve in
Chianti – la scuola di Firenze – filosofia fioretina – filosofia toscana -- filosofia
italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Greve
in Chianti). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Greve in
Chianti, Firenze, Toscana. I progetti e l'influsso del Latino sine flexione di PEANO
(si veda), interessante. Nonostante la fama inferiore rispetto ad altre
LAI, è innegabile che, in seguito alla pubblicazione dei lavori di PEANO (si
veda), si assisté a una proliferazione dei progetti di inter-lingua di base
latina, ispirati proprio a quella del matematico piemontese. I numerosi
tentativi sono testimoni del fatto che molti esponenti della comunità dei
filosofi italiani condivide il pensiero che la lingua latina, opportunamente
modificata, puo divenire il mezzo perfetto per la comunicazione. Per i
primi tentativi d’emulazione si devono aspettare a quando il filosofo italiano Vanghetti,
esperto di lingue moderne e internazionali, pubblica le sue proposte di
carattere esperantido, il Latin-Ido e il Latin-Esperanto. Con il termine “Esperantido”
si intendono quelle lingue inventate ad uso internazionale che presentano un
certo numero di caratteri tipici dell'Esperanto – cf. H. P. Grice,
“Deutero-Esperanto in One Easy Lesson” -- entrambe si configurano come
commistione delle idee di PEANO (si veda) e di altri sistemi, presentando un
vocabolario di base ispirato al Latino sine flexione accostato rispettivamente
alla struttura grammaticale dell'IDO (cf. Grice, Studies in the Way of IDO” -- e dell'Esperanto. A Empoli, mentre è membro
della commissione, nominata dalla Società Italiana per il Progresso delle
Scienze, che dove occuparsi della promozione dell'uso e dello studio delle
lingue internazionali, commissione di cui fa parte anche lo stesso PEANO (si
veda) - pubblica nella rivista “Riforma” anche un saggio intitolato «Questione
de lingua auxiliario internationale in Italia» a riprova del suo
particolare interesse per la materia. Giuliano Vanghetti Voce Discussione Leggi Modifica Modifica
wikitesto Cronologia Strumenti Giuliano Vanghetti Giuliano Vanghetti (Greve
in Chianti, 8 ottobre 1861 – Empoli, 4 maggio 1940) è stato un medico
ortopedico italiano, famoso per aver condotto innovative sperimentazioni di
protesi per arti amputati, in particolare quelli superiori. Di un certo rilievo
fu anche il suo interesse alla linguistica: conoscitore di molte lingue, si
occupò della promozione degli studi sulle lingue ausiliarie internazionali:
l'interlingua e il latino sine flexione di Giuseppe Peano. Biografia Giovinezza Dopo i primi studi a
Greve in Chianti, dove il padre Dario si era trasferito da Empoli per svolgere
l'incarico di pretore, conseguì la maturità a Siena e si iscrisse poi
all'Università di Bologna. Qui frequentò ben tre facoltà - fisica, matematica e
medicina - prima di optare per quest'ultima, in cui si laureò con un modesto
80/110 nel 1890. Iniziò la professione come assistente alla Clinica
Dermosifilopatica di Parma ma, quando il padre si ritirò in pensione, rientrò
con lui a Empoli accettando supplenze come medico condotto nei paesi
circostanti. L'esigenza di mantenere la
famiglia che si era intanto formato (la moglie e i due figli Dario e Flora) e
il desiderio di viaggiare e "conoscere il mondo", evadendo in qualche
modo dalla dimessa routine della sua vita, lo spinsero allora a imbarcarsi come
medico di bordo su navi in genere di emigranti italiani. Compì in quegli anni
numerose e lunghe traversate soprattutto alla volta di Australia, Stati Uniti,
Argentina e Brasile, imparando così l'inglese, il tedesco, il francese, lo
spagnolo e interessandosi anche ai primi studi sull'interlingua.[1] Protesi "cinematiche" Come un po'
tutti gli italiani, anche Vanghetti si crucciò alla notizia della disfatta di
Adua (1º marzo 1896), ma rimase pure angosciato nell'apprendere della doppia
mutilazione (mano destra e piede sinistro) inflitta a un migliaio di àscari fatti
prigionieri dagli abissini, ai quali poi il governo italiano aveva fornito
degli inerti "pezzi di legno" in sostituzione degli arti mancanti.
Riflettendo sul come dare "movimento" a tali protesi, in particolare
a quelle della mano, il "dottorino" toscano giunse alla semplice e
geniale conclusione che esse dovevano essere collegate proprio a quei muscoli e
tendini che erano stati recisi dall'amputazione: era il principio delle protesi
"cinematiche" (talora definita anche "cineplastica"[2][3][4]). Lasciate quindi navi e piroscafi, rientrò a
Empoli per rintanarsi nella casa paterna in frazione Villanova, suddividendo il
proprio tempo fra il pollaio e il laboratorio da lui improvvisato accanto allo
studio del primo piano, in cui sperimentò le sue teorie testandole su delle
galline[5] alle quali aveva amputato una zampa e applicato delle protesi
"mobili" in legno. Vanghetti e la sua domestica, promossa assistente,
le visitavano ogni giorno con la soddisfazione di vederle tornare a camminare
dopo qualche mese. Nell'aprile 1898 pubblicò a sue spese Amputazioni,
Disarticolazioni e Protesi, breve memoria illustrativa del suo metodo che
tuttavia non ebbe alcuna eco nel mondo medico e scientifico. Nel 1900 riuscì a compiere il passaggio
decisivo dalla teoria e dalla sperimentazione sugli animali alla pratica
chirurgica sull'uomo presentando direttamente le sue idee al professor Antonio
Ceci, direttore della Clinica chirurgica di Pisa, che le applicò in un
intervento di amputazione all'avambraccio destro utilizzando una protesi
realizzata dal rinomato ortopedico pisano Giuseppe Redini. L'operazione e il
paziente furono presentati nel 1905 a Pisa, al XVIII Congresso italiano di
chirurgia, suscitando i primi timidi interessi per la
"cinematizzazione" dei monconi d'amputazione (oltre allo stesso Ceci,
i chirurghi Roberto Alessandri di Roma, Riccardo Galeazzi di Milano e pochi
altri). Dal canto suo, Vanghetti cercò di dare forma organica alle proprie
concezioni in varie pubblicazioni, soprattutto nel saggio Plastica e protesi cinematiche
del 1906, che ottenne un premio d'incoraggiamento dall'Accademia Nazionale dei
Lincei. Solo dieci anni dopo, con lo
scoppio della prima guerra mondiale, tornarono di tragica attualità il problema
della funzionalità delle protesi e quello connesso della reintegrazione sociale
dei mutilati. Augusto Pellegrini, primario di chirurgia all'ospedale Melino
Mellini di Chiari, prese allora Vanghetti con sé e, con il grado di maggiore
della Croce Rossa, lo incaricò di organizzare e dirigervi un Centro per
mutilati.[6] Del resto, le necessità belliche incrementarono rapidamente e in
tutta Europa i progressi della tecnologia e dell'efficacia protesica e molti
chirurghi tradussero in pratica i principi di Vanghetti pur senza
riconoscergliene pubblicamente la paternità (non così il celebre Ernst
Ferdinand Sauerbruch, che attribuì al medico empolese la primogenitura
dell'idea)[7]. Allo stesso modo, anche i dispositivi ortopedici da lui
elaborati vennero utilizzati e brevettati da altri per produrre protesi funzionali;
è il caso ad esempio della "mano Marelli", di fabbricazione italiana,
in cui, in base ai principi di Vanghetti, due tiranti consentivano i piegamenti
delle dita e la chiusura del pollice sul palmo.[8] I riconoscimenti e gli ultimi anni Alla fine
arrivarono anche i riconoscimenti, seppur pochi e tardivi: dall'Accademia
Nazionale dei Lincei, come detto, dall'Accademia di Medicina di Torino con
l'assegnazione del premio Alessandro Riberi, e dalla Croce Rossa Italiana, che
gli conferì un diploma di benemerenza e la medaglia d'oro. La Società
Ortopedica Italiana lo accolse come socio onorario in occasione del congresso
nazionale del 1918, tenutosi a Milano sotto la direzione di Riccardo Galeazzi e
con tema "Sull'amputazione cinematica. Patologia e cura dei monconi
d'amputazione". Nello stesso anno gli giunse particolarmente gradito
l'invito a visitare l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, dove il chirurgo
Alessandro Codivilla era passato dall'iniziale diffidenza a un convinto
sostegno per le protesi cinematiche, così come il suo successore, Vittorio
Putti. Dopo la parentesi bellica,
comunque, Vanghetti tornò a isolarsi nella campagna empolese occupandosi da un
lato del figlio Dario, immobilizzato da una grave malattia, e dall'altro di
disegnare e costruire nuovi apparecchi meccanici (fra cui un corsetto
correttivo della scoliosi). Usciva di casa raramente, in genere il giovedì per
recarsi in città al mercato e poi dal farmacista, dal meccanico e dal
falegname: per l'abbigliamento un po' trasandato e per queste sue abitudini
poco socievoli, che gli facevano preferire i polli agli uomini, passava per un
eccentrico, uno strambo, un "matto" inoffensivo. Dopo la morte fu sepolto nella cappella di
fronte alla sua vecchia casa, sul cui portone d'ingresso il municipio di Empoli
fece affiggere nel 1942, nel secondo anniversario della sua scomparsa, una
lapide: «In questa casa degli avi suoi, schivo di onori, sdegnoso di lucro,
ricreò lo spirito curioso d'ogni cultura, Giuliano Vanghetti, riformatore della
tecnica delle amputazioni, ideatore geniale della vitalizzazione delle membra
artificiali, il cui nome l'Italia e il mondo hanno meritamente iscritto
nell'albo dei grandi benefattori dell'umanità».
Successivamente, l'officina-laboratorio-studio di Vanghetti è stata
ricostruita in due ampi locali nel sottotetto della Biblioteca Comunale
"Renato Fucini" di Empoli. Contiene tutti oggetti originali
dell'epoca, donati nel 1990 dalla figlia Flora, come attrezzi, libri, calendari
e protesi funzionanti.[9] Greve in
Chianti, suo paese natale, ha intitolato a Giuliano Vanghetti un viale. Empoli, sua città avita e di adozione, gli ha
dedicato una via, prossima al centro e, nel 1974, una delle scuole secondarie
di I grado, in Via Liguria.[10] Il 10
ottobre 2017, sulla rivista scientifica Neurology è apparso un articolo che
presenta Vanghetti come il pioniere della neuroprotesica.[11] La copertina
dello stesso numero è a lui dedicata.[12]
Note ^ Se ne occuperà soprattutto negli anni precedenti e in quelli
successivi alla prima guerra mondiale, entrando anche a far parte (1924-1925 e
1926-1928) del consiglio direttivo dell'Academia pro Interlingua di Giuseppe
Peano, votata alla promozione delle lingue ausiliarie internazionali e, in particolare,
del latino sine flexione di Peano. ^ cineplastica, in Treccani.it – Vocabolario
Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^
cinematizzazione, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. ^ Giuliano Vanghetti, in Treccani.it – Enciclopedie
on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ^ «L'animale più indicato
per questi studi sarebbe la scimmia, ma il prezzo d'essa, l'indisciplina e
l'ingombro sono tali da renderlo impossibile ad esperimentatori di mezzi
limitatissimi. I polli, dal pulcino al tacchino, sono gli animali che meglio si
prestano per la loro docilità, per il prezzo svariato e per avere i tendini del
tarso facilmente accessibili all'operatore.» Riportato da Nunzio Spina, op.
cit., p. 174. ^ (EN) Alessandro Porro e Lorenzo Lorusso, "Augusto
Pellegrini (1877–1958). Contributions to
surgery and prosthetic orthopaedics", in Journal of Medical Biography, n.
15 (2), maggio 2007, pp. 68-74. ^ (EN) Journal of the American Medical
Association del 25 dicembre 1920, p. 1811. Tuttavia, secondo Antonio Conti e Donatella Lippi,
"La formazione sanitaria ad Empoli da Vincenzio Chiarugi ad oggi", in
Alfiero Ciampolini (a cura di), L'innovazione per lo sviluppo locale.
L'università per il territorio (atti del convegno di studi, Empoli, 12 marzo
2004), Firenze, Firenze University Press, 2005, p. 70, ISBN 88-8453-362-7
(parzialmente disponibile su Google Libri), «Il chirurgo tedesco Sauerbruch,
dopo aver letto gli scritti di Vanghetti, se ne impossessò, iniziando ad
applicare a tappeto la sua cura. Forte della sua fama e delle evidenze raccolte
da Vanghetti, rivendicò a sé la paternità di queste scoperte.» ^ Francesco
Mattogno, Loredana Chiapparelli, Roberto Pellegrini e Marco Borzi, Manuale
dispositivi ortopedici e classificazione ISO, ITOP - Officine Ortopediche,
2001, p. 144 (consultabile on line Archiviato il 7 ottobre 2009 in Internet
Archive.). ^ Sul cosiddetto "Museo Vanghetti" si possono vedere:
Maria Stella Rasetti, "Il Museo Vanghetti nella biblioteca cittadina di
Empoli", in La Restitutio ad Integrum. Da Giuliano Vanghetti al Corso di
laurea in fisioterapia, seminario di studi, Empoli, 10 maggio 2004
(consultabile on line Archiviato il 21 luglio 2007 in Internet Archive.);
Ilenia Castaldi, "Il genio sperimentale del 'dottor' Giuliano
Vanghetti", sul quotidiano on line gonews Archiviato il 9 agosto 2010 in
Internet Archive. del 29 luglio 2010. ^ Cfr. il sito della scuola Archiviato il
18 giugno 2012 in Internet Archive.. ^ (EN) Peppino Tropea, Alberto Mazzoni,
Silvestro Micera, Massimo Corbo, Giuliano Vanghetti and the innovation of
“cineplastic operations”, in Neurology, vol. 89, n. 15, 10 ottobre 2017, pp.
1627–1632,. ^ Cover Neurology, su neurology.org. Bibliografia Giuliano
Vanghetti, Amputazioni, Disarticolazioni e Protesi, stampato in proprio, aprile
1898. Giuliano Vanghetti, Plastica e protesi cinematiche. Nuova teoria sulle
amputazioni e sulla protesi, Empoli, Traversari, 1906. Giovanni Franceschini,
La ricostruzione delle membra mutilate, Milano, Sonzogno, 1919. Augusto
Pellegrini, "Come Vanghetti preconizzava le trazioni sullo scheletro
mediante filo", in La chirurgia degli organi in movimento, n. 3, 1932, pp.
315–316. (FR) Augusto
Pellegrini, "Traitement des fractures des membres par l'archet de forgeron
et les tractions sur le squelette par fil métallique selon la méthode de
Vanghetti", in Bulletins et mémoires de la Société nationale de chirurgie,
n. 28, 1932. Giuseppe Maccaroni, "Giuliano
Vanghetti", in La riforma medica, n. 15, 1942. Città di Empoli, Le
onoranze a Giuliano Vanghetti nel X anniversario della morte (4 maggio-25
giugno 1950), Firenze, Noccioli, 1951. Francesca Landi, Mario Mannini e Pier
Luigi Niccolai (a cura di), Giuliano Vanghetti (8 ottobre 1861 - 4 maggio
1940). Mostra documentaria, Empoli, Comune, 1990. Francesca Vannozzi, "I
'ferri del mestiere' di Vanghetti: possibilità di una indagine storica",
in Giuliano Vanghetti: nascita, sviluppi e tendenze della chirurgia protesica
dei mutilati (atti del convegno di studio, Empoli, 26 ottobre 1991), Empoli,
1991. Antonia Francesca Franchini, "Empoli per Giuliano Vanghetti:
l'importante convegno di studio sulla nascita, sviluppi e tendenze della chirurgia
protesica dei mutilati", in Oris medicina, n. 7, 1991, pp. 36–38. Nunzio
Spina, "Giuliano Vanghetti e le mutilazioni degli ascari: quando
compassione e sensibilità scatenarono l'ingegno", in GIOT Giornale
Italiano di Ortopedia e Traumatologia[collegamento interrotto], n. 5, 2009, pp.
170–178. Peppino Tropea, Alberto Mazzoni, Silvestro Micera, Massimo Corbo,
Giuliano Vanghetti and the innovation of “cineplastic operations”, in
Neurology, vol. 89, nº 15, 10 ottobre 2017, pp. 1627–1632, DOI:10.1212/WNL.0000000000004488
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italianiMedici del XIX secoloMedici del XX secoloItaliani del XIX
secoloItaliani del XX secoloNati nel 1861Morti nel 1940Nati l'8 ottobreMorti il
4 maggioNati a Greve in ChiantiMorti a Empoli[altre] Il Latino sine flexione di
PEANO (si veda) ed altri, cioè l'Inter-Latino, o latino internazionale, è
già in uso vantaggiosamente in altre discipline, anche in forma ufficiale
(v. per es. le circolari dell'osservatorio di Cracovia). Il soggetto è
trattato in modo conciso, ma completo, dallo stesso O. sulla Riforma
Medica, in latino internazionale perfettamente intelligibile a prima
lettura da ogni persona colta di qualunque paese anche se conosce bene
solo l'inglese od una lingua neo-latina più specialmente ad un medico, ed
a chi ha studiato il latino. Lo scrivere in latino internazionale costa
poca fatica, senza necessità di studiare una grammatica e senza
possibilità d’errori. Del resto esi stono già dizionari appositi (BASSO (si
veda), PEANO (si veda), CANESI (si veda), Pinth) che lascian solo da
applicare s al plurale o poco più. L'Esperanto richiede studio di
grammatica e di vocabolario. Questo ultimo è in via di esser LATINIZZATO
per più facile comprensione. Ma la grammatica, per quanto ridotta
rispetto alle lingue naturali, è sempre un po'complicata rispetto
all'inter-latino che non ne ha affatto per il lettore, e quasi nessuna
per lo scrittore, e ad ogni modo non è obbligatoria. Anche astrazion fatta
da ragioni politiche *contro* l'esperanto, non è ammissibile
l'obbligatorietà dello studio di esso nelle pubbliche scuole, come neppure
quello di alcun altra delle lingue artificiali, nessuna delle quali è
ancora perfettissima. La Società delle Nazioni, respinse alla quasi
unanimità detta pretesa; e pur rimandando la questione generale allo
studio dell’Intesa Intellettuale, mostra propensione alla
base inter-latina. Intanto, oltre che a scopo di corrispondenza
scientifica praticamente già constatata facile e vantaggiosa, è nell'interesse
della scienza italiana della sua lingua spesso ignorata e spogliata
per scarsa diffusione anche in quanto riguarda l'ortopedia, che
gl’articoli originali dei nostri periodici scientifici portassero un
sommario in latino internazionale. La società internazionale per lo
studio del problema è attualmente in Italia, e presieduta da PEANO, via
Barbaroux, Torino, insegnante di calcolo in quella R. U. Giuliano Vanghetti.
Vanghetti. Keywords: Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vanghetti,”
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Vanini: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – la scuola di
Taurisano – filosofia leccese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Taurisano). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Taurisano, Lecce,
Puglia. Essential Italian philosopher. “If
you speak Italian, you should never confuse Vanini with Vannini” -- Grice. Fra i primi esponenti di rilievo del
libertinismo erudito. Nasce al casale di Terra d'Otranto, nella famiglia
che il padre, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce
sposando una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia appaltatrice delle
regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e
della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'srchivio segreto
vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si
attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione
del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del
figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun
cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di
ritenere che il padre sia ri-entrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza
economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si
trasfere a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della repubblica
di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall'interdetto di Paolo
V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con
il gruppo capeggiato da SARPI che, con l'appoggio dell'ambasciata inglese a
Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue a Napoli il titolo di
dottore in utroque iure, superando l'esame che gli consente di esercitare la
professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in
documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla assai bene il latino e
con una grande facilità, è alto di taglia e un po' magro, ha i capelli castani,
il naso aquilino, gl’occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa. Divenuto
maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan
Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili redatte a Napoli, inizia a
sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre. Vende una
casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri dal suo paese
d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello stesso tipo,
incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende alcuni beni
rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa alle
prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità religiose. In
conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato dal convento di
Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni disciplinari, al provinciale
di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine carmelitano, SILVIO,
ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello genovese GENOCCHI. Nel
viaggio, toccano Bologna, Milano, i grigioni svizzeri e discendono il corso del
Reno sino alla costa del mare del nord, attraversando la Germania, i paesi bassi,
il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth -- sede
arcivescovile del Primato d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi II
anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché
è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, ABBOT, li conosceva sotto un
nome diverso da quello reale. Nella chiesa londinese detta dei MERCIAI o
degl’italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, V. e il suo
compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica,
abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i
ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel GENOCCHI viene raggiunto
da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, SPINOLA. A
loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è
il nunzio a Parigi ad avvertire la segreteria di stato vaticana che due frati
veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti
ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso SARPI, morto
il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici,
è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia,
arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al
cardinale BORGHESE a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e
dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di V., di GENNOCHI, di SARPI,
e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla
ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già
operante nella repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio UBALDINI da
Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati
rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a
corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del
vescovo italiano. La segreteria di stato vaticana esorta il nunzio in Francia
ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del
vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale UBALDINI da Parigi assicura
alla segreteria di stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due
frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni
dettaglio anche il cardinale ARROGONI, che gli ha scritto in merito per conto
del papa e della congregazione del sant’uffizio. Evidentemente a quella data la
condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata
argomento di discussione dell'inquisizione romana. Un'altra lettera del
cardinale BORGHESE invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda
della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo
francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come
sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio UBALDINI invia da Parigi al
cardinale BORGHESE notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle
precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in
Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla chiesa di
Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'inquisizione romana
che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il
processo contro V.. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran
traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite
l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il ri-entro
nel cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente
informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due
frati. Tra la fine dele l'inizio del V. si reca in visita a Cambridge e
poi ad OXFORD (cf. H. P. GRICE). A OXFORD, V. confida ad alcuni conoscenti la
sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati
vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa
nella chiesa degli Italiani e rinchiusi in case di alcuni servi
dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati
il re e le massime autorità dello stato, in quanto nelle operazioni di recupero
appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle
ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la
vicenda e la favoriscono con grande calore. GENOCCHI, eludendo la
sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e
dall'Inghilterra. In conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e
rinchiuso nella carzel publica, ovvero nella gate-house adiacente all'abbazia
di Westminster. Dilaga lo scandalo. Volano le accuse di leggerezza nei
confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a
circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, MORAVO,
e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla curia
romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo. A
Londra viene intanto istruito il processo a V. Il frate rischia una severa
punizione, non il rogo come i martiri della fede -- come il carmelitano scrive con
enfasi poi nelle sue opera --, ma una lunga deportazione in desolate colonie
lontane, come l'arcivescovo ABBOT suggerisce al re. Anche V. riesce a
evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli
agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità
romane e del cappellano dell'ambasciata della repubblica veneta, che si avvale
anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di
questi. II anni dopo, durante il processo della repubblica veneta contro
l'ambasciatore FOSCARINI per spionaggio e per aver consentito ad ABBOT di
sottoporre ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce
anche dettagli sulla complicità della fuga di V. da Londra. V. e GENOCCHI arrivano
a Bruxelles e si presentano al nunzio di Fiandra, BENTIVOGLIO, che li attende
da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per
la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in
Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito
religioso, ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali
concessioni, alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per
Parigi, dove devono presentarsi al nunzio di quella città, UBALDINI. All'incirca
nello stesso periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate recuperato
dall'Inghilterra, MARCHETTI. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono
dalle autorità cattoliche. A Parigi, durante la permanenza presso la sede
del nunzio UBALDINI, V. si inserisce nella polemica relativa all'accettazione
dei principi del concilio di Trento in Francia, che tarda ad arrivare a causa
del rifiuto di parte del clero gallicano. Per orientare gl’animi nella
direzione voluta dalla santa sede, scrive i Commentari in difesa del concilio
di Trento, di cui egli poi intende avvalersi, come scrive UBALDINI ai suoi
superiori in Roma, per dimostrare la sincerità del suo ritorno nella fede
cattolica. Riprende quindi la strada per l'Italia, dirigendosi a Roma,
dove deve affrontare le difficili fasi finali del processo presso il tribunale
dell'inquisizione. Dimora per qualche mese a Genova, dove ritrova l'amico GENOCCHI
e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai figli di DORIA. Nonostante
le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo.
GENOCCHI viene inaspettatamente arrestato dall'inquisitore di Genova. A Ferrara
accade lo stesso all'altro frate "recuperato", MARCHETTI. V. teme che
gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione.
Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello
ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e
restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse V. esagera il
pericolo insito in queste operazioni di polizia dell'inquisizione. A
Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che egli intende esibire in sua difesa alle
autorità romane, come si legge in un dispaccio di UBALDINI alle autorità
romane. Esso è dedicato a CASTRO, ambasciatore spagnolo presso la santa sede,
già collegato con la famiglia V., da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto
nell'operazione della concessione del perdono da parte delle autorità
romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi
ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, V. ritorna a Parigi e
si ripresenta al nunzio UBALDINI, chiedendogli di intervenire in suo favore
presso le autorità di Roma. Il prelato scrive al cardinale BORGHESE, chiedendo
chiare indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta
del segretario di stato. V., comunque, non ritorna più in Italia e riesce
invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi
della nobiltà francese. V. completa un'altro suo saggio, il “De Admirandis
Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis” ed l'affida a due filosofi della
Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo
vigenti in Francia. Il saggio è pubblicato in settembre a Parigi. Esso è
dedicato a BASSOMPIERRE, uomo potente alla corte di Maria de' MEDICI, ma è
stampata da Perier, tipografo notoriamente PROTESTANTE. Il saggio vede la luce
in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono guardate con sospetto e che
provocano pesanti condanne. L'opera del V. ottiene un immediato successo presso
certi ambienti della nobiltà, popolati di spiriti che guardano con interesse
alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo
senso il “De Admirandis” costituisce una summa, esposta in modo vivace e
brillante, del nuovo sapere. Dà una risposta alle esigenze del momento di
questo settore della nobiltà. Diviene una specie di manifesto culturale di
questi esprits forts e rappresenta per V. una possibilità di stabile permanenza
negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la
pubblicazione del saggio, i due teologi della Sorbona che espressano la loro
approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della facoltà di teologia
in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi
scritti da V. Di non avervi trovato allora niente che contrastasse con il cattolicismo;
di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la
condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di
essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo
pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circola
invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente alcuni
errori contro la comune fede di tutti, per cui i due dottori avanzano la
supplica che il saggio non circoli più con la loro approvazione e che tale
richiesta venga trascritta nel libro delle conclusioni della facoltà stessa. La
Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un DIVIETO di
circolazione del testo. La Sorbona, però, sembra non occuparsi più del
saggio di V., non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne,
come da prassi, gl’errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il
suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, RUDÈLE,
a sottoscritta anche dall'inquisitore BILLY. Inoltre anche la congregazione
dell'indice pronuncia una condanna con la quale il “De admirandis” e condannato
con la formula del “donec corrigatur” -- in base alla quale il SOTOMAIOR colloca
V. nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La collectio judiciorum
de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, in
Ecclesia proscripti sunt et notati, di ARGENTRÉ, dottore della Sorbona e
vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le conclusioni espresse dalla facoltà
che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di KHUNRATH e la “De
Republica Ecclesiastica” di DOMINIS) non menziona invece provvedimenti contro V..
Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali
specifici di persecuzione contro V. da parte delle autorità parigine, né
religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti. Ma solo
proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori. Una condanna
del saggio di V. non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano
giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da
V. non costituivano una novità. Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra,
impossibilitato a ri-entrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici
francesi, V. vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le
possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura
che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla
capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon,
è abate commendatario il suo amico e protettore, SAINT-LUC. Ma intervengono
anche altri fattori di preoccupazione. Viene ucciso a Parigi CONCINI, favorito
di Maria de MEDICI, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio,
seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo
odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un
vasto movimento di ostilità nei confronti degl’italiani residenti a
corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso
italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto
passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca
ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia, il duca
di MONTMORENCY, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la
duchessa italiana ORSINI, è governatore di questa regione e sembra poter
accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi
prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio,
di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di
grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente e di affermazioni
non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i
sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo. Dopo averlo ricercato
per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo
sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano
le sue idee in materia di di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano
angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma
non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire. Il misterioso
personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo.
Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato
travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici
rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua
difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole
del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla
base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena
cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi FREMOND
e FONTANIER. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine
arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che fanno esplicitamente
il nome del V. e quindi nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto V.,
l'autore del “De Admirandis” che suscita i sospetti di alcuni settori cattolici
parigini. Comparvero le Histoires memorables di ROSSET, che, con la quinta
Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. RUDELE,
teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente
di aver esaminato le due saggi di V. insieme con BILLY e di averle trovate contrarie
al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo
ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella
diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza, La
Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo provvedimento. Saggi: “Amphitheatrum
Æternæ Providentiæ divino-magicum, christiano-physicum, necnon
astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos,
peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni, che
mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a descriverne la
provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora, Protagora, CICERONE
(vedi), BOEZIO (vedi), AQUINO (vedi), l’orto, Aristotele, Averroè, CARDANO, i
peripatetici dei LIZIO, il PORTICO, ecc., su questo argomento. “De Admirandis
Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il
saggio si divide in IV libri: un Liber I de Cœlo et Aëre; un Liber II de
Aqua et Terra; un Liber III de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un
Liber IV de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra lui,
nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si
presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un
atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e
ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il
suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea
che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di
rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di
divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del
lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del
cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri;
sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia;
sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e
delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta;
sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo;
sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul
moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della
causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle
macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla
forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli
terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della
vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la
respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla
generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie
contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della
femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva;
sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista;
sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti
dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille;
sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla
guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della
religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui
sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti
legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in
fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti
che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur
colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire
dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione
naturalistica dei fenomeni soprannaturali che POMPONAZZI (vedi) chiamato da V.
magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps
da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis
naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche a
CARDANO, a BORDONI e ad altri cinquecentisti. Dio agisce sugli esseri sub-lunari
(cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine
naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal
momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo,
quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai
sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei
presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a
volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle
religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che
impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti,
interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe,
come insegna già MACHIAVELLI, il principe degli atei per il quale tutte le cose
religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe
affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo
ancora POMPONAZZI e PORZIO nella loro interpretazione dei testi aristotelici,
mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima.
Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente
a BRUNO, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo
celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia
corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la
dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi a l’orto di LUCREZIO,
elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico.
Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo
universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici del LIZIO sull'eternità
del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi,
afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in
favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator CORVAGLIA e
lo storico RUGGIERO, ingiustamente, considerarono la sua filosofia
semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse,
ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica
la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli
ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla
critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche,
biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che
nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo
tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche
costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne,
nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del
suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della
filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo
(il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede
costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei
padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio
di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al
retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con
prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo
platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi
panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più
materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia,
sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che
la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine
spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel
titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae
providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum
adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos
dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti
elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre
impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni
monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In
“De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato
a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e
sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene
negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura
come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo
sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare
e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della
natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia
è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione.
E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un
mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose
originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria
dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie
animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo -- lo
pensa anche CARDANO -- pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle
altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il
macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del V.
ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di GARASSE e le
Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di MERSENNE. I
due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un
ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la
validità delle affermazioni. Il nome di V. viene nuovamente proiettato
all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene
celebrato contro VIAU. Il progetto di interrogatorio che il procuratore
generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui
interrogare VIAU, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana,
cui vien fatto esplicito riferimento mentre MERSENNE torna a martellare su V.,
analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et
Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons
tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio
concernente CARDANO e BRUNO. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del
libertinismo, si esprime duramente contro V., considerandolo un empio, un pazzo
e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de V., je ne pense pas qu'elle mérite fort
d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un
imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On
étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne -- Epist.
ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora la leggenda nera creata intorno alla figura di V. sopravvive al
passare del tempo, si espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano
alla sua filosofia e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura
inglese mostra interesse per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con BLOUNT
che V.entra nella filosofia inglese ed acquista una dimensione che non
abbandona mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo.
Un manoscritto inedito della biblioteca municipale di Avignone custodisce delle
Observations sur Lucilio V. redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte
notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene
effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot,
il quale la trasferisce poi nella biblioteca ducale del duca di Württemberg. Attualmente
essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra
copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di
Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per V. Viene data alle stampe
a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo
“The life of ‘Lucilio’, alias V., burnt for atheism at Toulouse, with an abstract
of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia
vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito
ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce
qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di V. e del suo
pensiero è ormai aperta. Saggi: “Amphitheatrum aeternae providentiae
divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus
veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio
Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud
Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (Galatina). “Iulii
Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris,
De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae,
Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (Galatina). Le opere di V. e le loro fonti,
Milano (Galatina,); “Opere” (Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna
Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei
mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna
Vasta, Catania, De Martinis et C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Bucciantini,
Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia
per il "compleanno" di V., Una lettera dell'ambasciatore inglese a
Venezia, Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. Raimondi, “V. e il
libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina, Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al
Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, Spini,
“Vaniniana” in «Rinascimento», Paola, “Il primo seicento anglo-veneto”
Cutrofiano; Paola, “V. da Taurisano filosofo europeo, Fasano); Paola,
“Documenti per una lettura di V., in «Bruniana et Campanelliana», Raimondi,
Documenti vaniniani nell'archivio segreto vaticano, in «Bollettino di Storia
della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, Il soggiorno
vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in
«Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi,
“La Santa Inquisizione, Taurisano, Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una
appendice documentaria, Pisa Roma. L'appendice contiene la più completa
documentazione sulla biografia vaniniana: documenti dalla nascita al rogo. Fasano,
Fazio, V. nella cultura filosofica (Galatina); Marcialis, “Natura e uomo in V.”
in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»; Marcialis, V. nell'Europa del
Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", Paganini, Le
Theophrastus redivivus et V., in «Kairos», Papuli, Le interpretazioni di V., Galatina, Perrino,
"V. nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della
Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», Raimondi, V. e il "De
tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei
libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano,
Roma, Firenze); Teofilato, V. nel III Centenario del suo martirio, Milano, Tip.
Ed. La Stampa d'Avanguardia. Teofilato, V., in The Connecticut Magazine,
articles in English and Italian, New Britain, Conn, C. Teofilato, Vaniniana, in
La puglia letteraria, mensile di storia, Roma; V., Riflessioni sul problema V.,
in Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Vasoli, V. e il suo
processo per ateismo, in Niewohner e Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der
Renaissance, Wiesbaden); V. in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni
documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate carmelitano
a Lambeth a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi
documenti sono disponibili. "V. e il primo seicento anglo-veneto" e
in "V. da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Brindisi.
Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla
Mercers' Chapel a Londra, dove V. sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari
sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani,
V. e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati
in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di
Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli
hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni
dai loro superiori. London
Public Record Office State Papers. V. a Carleton. Da Lambeth. V. manda a Carleton informazioni riguardanti
alla sua ricezione a Lambeth e la buona stima di cui gode lì. London Historical Manuscripts
Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte
Lisle. Flushing. Corrispondenza
tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di Florio, che forse
accompagnò V. e il suo compagno a Londra. London, Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull. Londra. Albery, un mercante inglese
e corrispondente di Trumbull, agente inglese a Bruxelles, manda informazioni
sull'arrivo di V. e le sue esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report
on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una copia
della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers Da
Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton.
Londra London Public
Record OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the
Marquess of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William
Trumbull the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg
(Middelburg) London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts
of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William
Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series
Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers
Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic
Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton
a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire
preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George
Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. London Historical Manuscripts Commission Report
of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth London Public Record OfficeState Papers Carleton
a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a
Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers
Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State
Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton.
Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley
Carleton. Venezia, giugno. London Historical Manuscripts Commission Report
Hastings, Notes of speeches and
proceedings in the House of Lords. London Historical Manuscripts Commission Hastings,
Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record
Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia
London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park
Berks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical
Manuscripts Commission Report of the Manuscripts of the Marquess of Downshire, IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo
di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth
Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Istruzioni degli Inquisitori
di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State Papers on English Affairs in
the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato,
busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di Stato a Gregorio Barbarigo, London Calendar of State Papers on English
Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori
di Stato, Venetian Archives. Examinations
for Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio
di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di V. da Lambeth. Archivio di
Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio
Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio
General de Simancas fondo Inglaterra Legajo foglio privo di indicazioni.
Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa
l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi
dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento.
Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che
Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato
a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei
documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de V. de Taurisano di
Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la
delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve
essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Carleton ad Abbot.
LondonForeign State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic.
James I. Carleton a Chamberlain.
Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State
Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers
Domestic. James I. 7 Chamberlain a
Carleton. London Foreign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State Papers Domestic.
James I. Carleton a Chamberlain. London State
Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo
di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. V. a Dudley
Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I. Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da
Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.
John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic.
James I. Abbot a Carleton. Lambeth London State Papers
Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State
Papers Domestic. James I. Biondi a Carleton.
Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. London State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Dudley Carleton. Da
Londra London State Papers Domestic. James I.
Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth. London State Papers Domestic. James I. Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London
State Papers Domestic. James I. John
Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da Londra London Foreign State Papers.
Venice Carleton a Abbot London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir
Thomas Lake. London State Papers Domestic. James I. Abbot
a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James
I. John Chamberlain a Dudley Carleton.
Londra, LondonForeign State Papers. Venice. Carleton a Abbot. Archivio de Simancas,
Estado, Cardinale Millino a Alonso de
Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Millino a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas,
Estado, Cardinal Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de
Simancas, Estado, Bentivoglio a Diego
Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,V. e
l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza
tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile
trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto
dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e
le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e
lettori in V. da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi),
Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente
della vicenda di V. con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e
Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla
sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo
cattolico. RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di
Francia, Ubaldini, Nunzio papale in Francia,
al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi. RomaA. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Fiandra, il Nuntio
alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese.
(Bruxelles) Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,
lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S.
Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse,
Francia, 293A, lettere scritte al Nuntio
in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato
Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghese
Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a
Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini
a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte
al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia, Registro
di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano
Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio
in Francia. Roma, RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,
Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia,
Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia
Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura
di Francia Registro Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature
diverse, Francia, lettere scritte al
Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma
A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di
Parigi. RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro
Ubaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria
di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British
Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card.
Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des
Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini
dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di
Stato Nunziature diverse, Francia, Lettere
del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del
Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini.
Vanini. Keywords: Vanini, Oxford. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,”
Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza,
“Il medaglione di Vanini a Roma.” Vanini.
Luigi Speranza -- Grice e Vanni: la
ragione conversazionale dell’azione e l’implicatura conversazionale dell’inter-azione
conversazionale – la scuola di Città della Pieve – filosofia perugin –
filosofia umbra -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Città della Pieve). Filosofo
perugino. Filosofo umbro. Filosofo italiano. Città della Pieve, Perugia, Umria.
Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Inizia la carriera a Perugia e
successivamente insegna a Parma, Bologna, e Roma. Tra i fondatori del positivismo soziale, la
sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo. A lui
si deve anche una originale lettura positivista della dottrina storicistica di VICO.
Il suo è stato definito un positivismo critico, che vuole distinguere cioè tra
la scienza dell’uomo dalla filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando
l'assimilazione positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia,
dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la quale V. ha un interesse
particolare cercando di teorizzarne il carattere scientifico differenziandola
però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia. V. considera essenziale
l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti
storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. V. è convinto che la filosofia,
come analisi concettuale, del diritto ha la funzione pratica di definire il ‘fine’
(métier) della inter-azione umana. In questo modo, V. ribade l'impostazione
criticista kantiana che acquista un tono metafisico criticato dai positivisti
ortodossi che lo accusano di eclettismo. Saggi: “Della consuetudine nei suoi
rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla
teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un
programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del
diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona);
“La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata
in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca
positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca
oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e
l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna);
“Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna). Biografia in Scuola normale
superiore, Pisa, su picus.unica. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, Cuculo,
La sociologia positivista di V., in A. Millefiorini, Fenomenologia del
disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana
(Nuova Cultura, Roma); Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in
I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», Pusceddu,
La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa. archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere u open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere. I. Vanni. Vanni.
Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivismo,
positivismo critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vanni.
Luigi Speranza -- Grice e Vannini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del mistico – scuola
di mistica -- di ‘Vitters’ – la scuola di Sa Piero a Sieve – la scuola di
Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (San Piero a Sieve). Filosofo Fiorentino.
Filosofo toscano. Filosofo italiano. San Piero a Sieve, Firenze, Toscana. Essential Italian philosopher. “Never
to be confused with the vain Vanini!” -- Grice. Dopo
gli studi al ginnasio Michelangiolo di Firenze, si laurea in filosofia a Firenze,
discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto nel convento
agostiniano di S. Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha compiuto viaggi e
soggiorni di studio in Europa. Insegna filosofia nei licei. Per un triennio storia
della filosofia a Firenze e storia della mistica all'Istituto di scienze religiose
a Trento. Ha tenuto seminari e conferenze in università ed accademie
italiane e straniere: Genova, Trento, Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa,
Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo, Chieti, Roma, Avila, Strasburgo,
Berlino. Considerato il maggior studioso di mistica o anche il più
importante studioso italiano di Eckhart e della mistica cristiana, ha curato
l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart, nonché quelle di altri
autori spirituali, come AGOSTINO, Gerson, Fénelon, Porete, Taulero, Anonimo
Francofortese, Lutero, SILESIO, Czepko, Franck, Weigel, ecc. Lungo un
percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato traduttore e curatore di importanti
testi della mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista
teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti
con la ragione e con la fede. V. legge il fenomeno mistico in maniera
innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed
esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza
diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità
e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose. Per V., la mistica
è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che è un
essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il vero
dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in senso
mistico della religione cristiana. La filosofia di V. si basa su una
esperienza spirituale, unitiva e teo-morfica. Centrali appaiono pertanto
concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis
theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del logos, complementarità tra
distacco ed amore. Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è
fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo
recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso
luce eterna. Al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza,
una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed
inesauribile. Il rapporto tra il divino e uomo non è quindi statico, di
mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione. La
“salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata
nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa
perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo
è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di
pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello
spazio, delle circostanze. Ma soprattutto uno spirito universale, eterno,
libero, uno nell'uno. L'attualità e l'originalità della posizione di V. ha
suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama
culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari
infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi
critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) BOZZO, BALDINI, BIANCHI,
CACCIARI, MONTICELLI, ESPOSITO, FORTE, GIVONE, MANCUSO, MUCCI, RAVASI, REALE, TORNO,
VATTIMO, e VOLPI. La particolare
rilevanza della filosofia di V. può trasparire anche, ad esempio, dalle
seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti
illustri filosofi. GIVONE: “A V., cui siamo debitori d'un lavoro filosofico
estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A V. dobbiamo non soltanto
edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche
il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la
mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro
“la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica
dell'essere e “la gioia dell'essere”. CACCIARI: “È un grosso debito quello che
la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti di V..
Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro paese può
oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart.
MUCCI: “In questi tempi di declino dell'ontologia, V. è certamente, in Italia,
fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” REALE: “L'esperienza
mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato
nella filosofia di V.i “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi
giorni in libreria. V., uno dei massimi esperti in materia a livello nazionale
e internazionale, analizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale
nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel
cristianesimo.” TORNO: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle
opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato
difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo
delizioso saggio di V. sulla grazia». FORTE: “L'ultimo bel libro di V. su “Mistica
e filosofia” rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico
e interprete della mistica.” Al pensiero di V. è stato dedicato “Mistica e
filosofia in V.” Saggi: “Lontano dal SEGNO. Saggio sul cristianesimo” (La
Nuova Italia, Firenze); “Esame della certezza” (Cenacolo, Firenze); “Eckhart.
Opere” (Nuova Italia, Firenze); “Dialettica della fede” (Marietti, Casale
Monferrato -- Le Lettere, Firenze); “L'esperienza dello spirito” (Augustinus,
Palermo); “Mistica e filosofia” (Piemme, Casale Monferrato -- prefazione di CACCIARI
-- Le Lettere, Firenze); “Il volto del Dio nascosto: l'esperienza mistica
dall'Iliade a Weil” (Mondadori, Milano); “Storia della mistica occidentale” (Mondadori,
Milano; Lettere, Firenze); “Introduzione alla mistica” (Morcelliana, Brescia);
“La morte dell'anima: dalla mistica alla psicologia” (Lettere, Firenze); “La
mistica delle grandi religioni” (Mondadori, Milano; Lettere, Firenze); Tesi per
una riforma religiosa (Lettere, Firenze); La religione della ragione” (Mondadori,
Milano); “Sulla grazia” (Lettere, Firenze); “Prego Dio che mi liberi da Dio: la
religione come verità e come menzogna” (Bompiani, Milano); “Lessico mistico: le
parole della saggezza” (Le Lettere, Firenze) – under M, ‘scuola di mistica fascista’;
“Il santo spirito fra religione e mistica” (Morcelliana Brescia); “Oltre il
cristianesimo: da Eckhart a Le Saux” (Bompiani, Milano); “Inchiesta su Maria: la
storia vera della fanciulla che divenne mito” (Rizzoli, Milano); “Indagine
sulla vita eterna” (Mondadori, Milano); “Introduzione a Eckhart -- profilo e
testi” (Lettere, Firenze); “L'Anti-Cristo: storia e mito” (Mondadori, Milano);
“All'ultimo papa: lettere sull'amore, la grazia, la libertà” (Saggiatore,
Milano); “VIO contro Lutero e il falso evangelo” (de' Medici, Firenze); “Il
muro del paradisoL dialoghi sulla religione” (Medici, Firenze); “Mistica,
psicologia, teologia” (Lettere, Firenze); liceo ginnasio Michelangiolo, Firenze.
Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Azzarà, su
Materialismo Storico Bio- Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias»,
in il manifesto Alias, V., Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le
Lettere, Mucci, Il pensiero di V., in «La Civiltà Cattolica»; Reale, Il
misticismo vive in tutte le culture. Il testo di V., le «Upanishad» riedite, su
corriere. Torno, Alla ricerca della grazia nel segno di Eckhart, «Corriere
della Sera», Cultura, Forte, Mistica, l’enigma dell’altro, in «Avvenire», Schiavolin,
Mistica e filosofia in V. (Nerbini, Firenze). Mistica Misticismo cristiano
Mistica renana Meister Eckhart Hadot Henri Le Saux. Marco Vannini. Vannini. Keywords:
the mystic, das mystische, la scuola di mistica fascista. Refs.: The H. P.
Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di
‘Vitters’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Luigi Speranza --
Grice e Vario: la ragione conversazionale della filosofia della vita a Roma – Philosophy
of Life -- filosofia italiana – by Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library
(Roma). Filosofo italiano.
L’orto. Friend of FILODEMO (vedi). A poet. One of his works, “On death,” was
doubtless shaped by L’Orto. He had a significant influence on VIRGILIO (vedi).
His tutor was SIRO (vedi). Lucio
Vario Rufo. Per H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza.
Luigi Speranza -- Grice e Varisco:
la ragione conversazionale, o l’implicatura conversazionale del sommario di criticismo
– la scuola di Chiari – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chiari). Filosofo lombardo.
Filosofo italiano. Chiari, Brescia, Lombardia. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “We
all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full
tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you
need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘knowest THYself” – although the oracular mystique
is still there!” – Insegna filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi
del positivismo. Si laurea a Pavia. Partendo da posizioni solidamente
scientifiche, V. avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia
essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante
componente fideistica di ogni affermazione di verità. Questo ricorso alla
fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da V. sia per affermare la
preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi
della scienza -- “I massimi problemi” (Milano, Libreria Editrice Milanese) -- sia
per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni
teistiche -- “Dall'uomo a Dio” (Padova, Milani). Altre saggi: “Scienza ed
opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te
stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee
di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti);
“Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli). Cavaliere dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dell'Ordine della corona
d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme
ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine
della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona
d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della
Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords:
know theyself, oracular implicature, Calogero. Refs.: The H. P. Grice Papers,
BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia
critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Varisco.
Luigi Speranza -- Grice e Varrone: LINGUISTICA
FILOSOFICA -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della semiotica
filosofica – la scuola di Rieti – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rieti). Filosofo lazio.
Filosofo italiano. Rieti, Lazio. Grice: “I count Varrone as the first language
philosopher. He woke up one day, and realised he was speaking ‘lingua latina,’
and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’ has a nice Roman
ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as in “Lazio, -- the calcio team from Latium – or a ‘d’ as
in ‘ladino.’” Grice: “I know
his Loeb edition by heart!” – Grice: “The Greeks never studied their lingo as
Varro studied his! Of this Austin always reminded me: ‘We should be like Varro,
analysing our tongue as a ‘fluid’ semiotic system!’”. Academic, Roman polymath,
author of essays on language, agriculture, history and philosophy, as well as satires, and principal
conversationalist in CICERONE’s "Academica.” Questore della repubblica romana. Gens: Terentia. Questura
in Illyricum. Pro-pretura in Spagna. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della
patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle
sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione
dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari,
sia divini che umani -- CICERONE, Academica Posteriora. Detto reatino, attributo
che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da
una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove
e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di
lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino. A Roma compe
studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone PRECONINO
(vedi) lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la
lingua italiana con Lucio ACCIO (vedi), a cui dedica “De antiquitate
litterarum.” Come molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta
filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce
una posizione filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri filosofi
del tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte
attivamente accostandosi agl’optimates, forse anche influenzato dall'estrazione
sociale. Dopo aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum – trium-viro
capitale, questore, e legato -- e vicino a POMPEO, per il quale ricopre incarichi
di grande importanza. Legato e pro-questore, combatte nella guerra contro i
pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della
guerra civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani,
tenta un’incerta difesa del suo territorio che si concluse in una resa che GIULIO
(vedi) CESARE (vedi), nei Commentarii de bello civili, define poco
gloriosa. Dopo la disfatta dei pompeiani, si avvicina, comunque, a GIULIO
CESARE, che apprezza il reatino soprattutto sul piano culturale, affidandogli
la costituzione di una biblioteca. Dopo l’assassinio di GIULIO CESARE, anzi, e
inserito nelle liste di proscrizione sia di MAR’ANTONIO che di OTTAVIANO -- interessati
più alle sue ricchezze che a punire i congiuranti -- da cui si salva grazie
all'intervento di Fufio CALENO (vedi) per poi avvicinarsi a OTTAVIANO a cui
dedica il “De vita populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di GIULIO
CESARE. Ha una produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta
opere. Saggi: “De re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina”. La sua vasta
produzione è suddivisa da Girolamo in un catalogo. Le sue opere di sono
verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi, sebbene stesso egli rifere di aver
scritto 490 saggi. I suoi saggi possono
essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia
del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle
opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e
agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e
diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme
produzione è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”. Del “De
lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del
quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta
parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per i
filosofi successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della
sua attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato
a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis
Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di
queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta (dette
"pseudo-varroniane”); le restanti, spurie.
Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo
capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua
di AGOSTINO nel “De civitate Dei.” Proprio d’AGOSTINO si evidenzia l'attenzione
di V. sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni,
pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia
naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De
bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario
affidategli da GIULIO CESARE. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano
essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri,
composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui
ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il
personaggio costituiva un modello, come il “Mario”, “de fortuna” o il “Cato”, “de
liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli
espositivi del “Lelio”; “de amicitia” e del “Catone maggiore”, “de senectute” di
CICERONE. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte
lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae
Menippeae”, che prendeno come modello Menippo, esponente della filosofia cinica
-- da cui il nome. Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa
e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di
argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con
rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente.
Ciascuna satira reca un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con
allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide”
contro la tesi stoico-cinica per cui gl’uomini sono folli, “Trikàranos”, il
mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirate, ed era
caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile
tragi-comico. Valerio Massimo, Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De
lingua latina”. Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili. Varrone,
De re rustica. Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum
Burdigalensium, Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi
nell’edizione di Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. Zucchelli, V.
logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il
Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga,
calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e,
davvero di rado, una tinozza".
Horsfall, V., in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. Salanitro,
Le Menippee di V.: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla
satira varroniana, cfr. Alfonsi, Le Menippee di V., in "ANRW". Atti
del Congresso di studi varroniani. Rieti, CENTRO DI STUDI VARRONIANI. Cenderelli,
“Varroniana” Istituti e terminologia giuridica nelle opere di V. (Milano,
Giuffrè); Dahlmann, “V. e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), Corte, “V.,
il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De
vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; Riposati, “V. De vita populi
Romani”. Fonti, esegesi, edizione critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero),
Riposati, “V.: l'uomo e il filosofo” (Roma Istituto di studi romani); Traglia,
Introduzione a V., “Opere” (Torino, POMBA), Zucchelli, “V. logistoricus:
prosopo-grafica”, Parma, Istituto di lingua e letteratura latina, Satira
menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani
Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. V. “De lingua Latina libri qui supersunt: cum
fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli
scrittori latini con traduzione e note: “V. quae supersunt opera” Venetiis,
excudit Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in
aedibus Teubneri. “M. Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur.
Riese, Lipsiae, in aedibus Teubneri. In passing from Rome to Rieti we enter a different
world. One rightly speaks of the Greco-Roman era as a period of unified
civilisation around the Mediterranean area, but the respective roles of the
Italotes and the Romns are dissimilar, if complementary. Without the
other, the contribution of either would have been less significant and less
productive. The Romans have for long enjoyed contact with Hellenic and
Etrurian material culture and intellectual ideas, and further through the Greek
settlements in the south of Italy: Sicily and Magna Grecia.The Romans learned to
write from the western Greeks. But the Hellenic world fell progressively
within the control of Rome, by now the mistress of the whole of Italia The
expansion of Roman rule becomes complete, and the Roman Empire, as it now is,
achieves a relatively permanent position, which, with fairly small-scale
changes in Britain and on the northern and eastern frontiers, remains free of
serious wars for years. The second half of this period earns Gibbon's
encomium, 'If a man were called to fix the period in the history of the
world during which the condition of the human race is most happy and
prosperous, he would, without hesitation, name that which elapsed from the
death of DOMIZIANO to the accession of COMMODO.' In taking over the Hellenic
world, the Romans bring within their sway whatever they find on the way.The intellectual
background of Etruria and the Hellenes and the polical unity and freedom of
intercourse provided by Roman stability are the conditions in which the Roman
Empire shines. To the Romans, Europe and much of the entire modern world owe
the origins of their intellectual, moral, political and religious civilisation. From
their earliest contacts, the Romans cheerfully acknowledge the superior
pompousness of the Greeks – by which they included the Etrurians. Linguistically,
this is reflected in the different languages of the eastern and the western
provinces. In the western half of the Roman empire, where no contact had
been made with a recognised civilization, Latin
-- which subsists in Italian – becomes he language of administration,
business, law, learning, and social advancement. Ultimately, Latin
displaces the former languages of most of the western provinces, and becomes in
the course of linguistic evolution the modern Romance, or Neo-Latin, languages
of contemporary Europe, notably French (Italian is no romance; Italian IS
Latin!). In the east, however, already largely under Hellenic administration
since the Hellenistic period, Greek retains the position it has already
reached. Roman officials often complain about having to learn and use Greek in
the course of their duties, and Hellenic philosophy was quite respected for its
eccentricity. Ultimately this linguistic division is politically recognized in
the splitting of the Roman Empire into the Western and the Eastern Empires,
with the new eastern capital at COSTANTINO’s Constantinople enduring as the
head of the Byzantine dominions through much trial and tribulation up to the
beginning of the western Renaissance. The accepted view of the relation
between Roman rule and Hellenic civilization is probably well represented in
Vergil's summary of Rome's place and duty: let others (i.e. the Greeks)
excel if they will in the arts, while Rome keeps the peace of the world. During
the years in which Rome rules the western civilised world, there must have been
contacts between speakers of Latin and speakers of other languages at all
levels and in all places. Interpreters must have been in great demand, and
the teaching and learning of Latin -- and, in the eastern provinces, of Greek
-- must have been a concern for all
manner of persons both in private households and in organized
schools. Translations are numerous. Greek literature is
systematically translated into Latin. So much did the prestige of Greek
writing prevail, that Latin poetry abandons its native metres and was composed
during the classical period and after in metres learned from the Greek
poets. This adaptation to Latin of Greek metres find its culmination in
the magnificent hexameters of VIRGILIO and the perfected elegiacs of OVIDIO. It
is surprising that we know so little of the details of all this linguistic
activity, and that so little writing on the various aspects of linguistic
contacts is either preserved for us or known to have existed. The Romans are
aware of multi-lingualism as an achievement. AULO GELLIO tells of the
remarkable king Mithridates of Ponto who was able to converse with any of his
subjects, who fell into more than twenty different speech communities. In linguistic
science, the Roman experience is no exception to the general condition of their
relations with Greek intellectual work. Roman linguistics is largely the
application of Greek philosophy, Greek controversies, and Greek categories to
the Latin language. The relatively similar basic structures of the two
languages, together with the unity of civilization achieved in the Greco-Roman
world, facilitate this meta-linguistic transfer. The introduction of
linguistic studies into Rome is credited to one of those picturesque anecdotes
that lighten the historian's narrative. CRATES, a philosopher of the Porch
and grammarian, comes to Rome on a political delegation, and while sightseeing,
falls on an open drain and is detained in bed with a broken leg. CRATES
passes the time while recovering in giving lectures on literary themes to an
appreciative audience. It is probable that Crates as a philosopher of the
PORCH introduces mainly that doctrine in his teaching. But Greek philosophers and
Greek philosophy enter the Roman world increasingly in this period, and by the
time of V., both Alexandrian and Stoic opinions on language are known and
discussed. V. is the first serious Latin philosopher on linguistic
questions of whom we have any records. V. is a polymath, ranging in his
interests through agriculture, senatorial procedure, and Roman
antiquities. The number of his writings is celebrated by his
contemporaries, and his "De lingua Latina", wherein he expounds his
linguistic opinions, comprise XXV volumes, of which books V and VI and some
fragments of the others survive. One major feature of V.’s linguistic philosophy
is his lengthy exposition and formalization of the opposing views in the
analogy-anomaly controversy, and a good deal of his description and analysis of
Latin appears in his treatment of this problem. He is, in fact, one of the
main sources for its details, and it has been claimed that he misrepresents it
as a matter of permanent academic attack and counter-attack, rather than as the
more probable co-existence of opposite tendencies or attitudes. V.'s style
is criticised as unattractive, but on linguistic questions he is probably the
most original of all the Latin philosophers. V. is much influenced by the
philosophy of the Porch, including that of his own teacher STILONE. But V. is
equally familiar with Alexandrian doctrine, and a fragment purporting to
preserve his definition of grammar, 'the systematic knowledge of the usage of
the majority of poets, historians, and orators' looks very much like a direct
copy of Thrax's definition. On the other hand, V. appears to use his Greek
predecessors and contemporaries rather than merely apply them with the minimum
of change to Latin. His statements and conclusions are supported by argument
and exposition, and by the independent investigation of earlier stages of the
Latin language. V. is much admired and quoted by later philosophers,
though in the main stream of linguistic theory his treatment of Latin grammar does
not bring to bear the influence on the successors to antiquity that more
derivative scholars such as PRISCIANO does, who set themselves to describe
Latin within the framework already fixed for Greek by Thrax's Techne and the
syntactic works of Apollonius. In the evaluation of V.'s work on language
we are hampered by the fact that only two of the XXV books of the “De lingua
Latina” survive. We have his threefold division of linguistic studies,
into etymology, morphology, and syntax, and the material to judge the first and
second.V. envisages language developing from an original set of primal words,
imposed on things so as to refer to them, and acting productively as the source
of large numbers of other words through subsequent changes in letters, or in
phonetic form -- the two modes of description comes to the same thing for him.. These
changes take place in the course of years. An earlier forms, such as
"duellum" for classical "bellum", V. cites as an instance. At
the same time, a *meaning* may change, as, for example, the meaning of “hostis”,
once 'stranger', but in V.'s time, 'enemy.' These etymologico-semantic
statements are supported by scholarship. But a great deal of V.’s etymology
suffers from the same weakness and lack of comprehension that characterizes Hellenic
work in this field. "Anas", from "nare", to swim, “vitis,”
from “vis;” “cilra, “care, from “cor iirere,” are sadly typical both of V.’s
philosophy and of Latin etymological studies in general. A fundamental
ignorance of linguistic history is seen in V.'s references to Hellenism. A
similarity in a form bearing comparable meanings in Latin and Greek is obvious.
Take the first personal pronoun: 'ego.' Some similarities are the produ.ct of
historical loans at various periods once the two communities made indirect and
then direct contact. Other similarities are the joint descendants of an earlier
common Aryan forms whose existence may be inferred and whose shape may to some
extent be reconstructed by the methods of comparative and historical
linguistics. But of this, V., like the rest of antiquity, has no
conception. All such bunch is jointly regarded by him as a direct loan
from the conquered Greek, whose place in the immediate history of Latin is
misrepresented and exaggerated as a result of the Romans’ consciousness of their
cultural debt to Greece and mythological associations of Greek heroes -- and
their enemies, like Aeneas! -- in the story of the founding of Rome. In his
conception of vocabulary growing from alterations made to the forms of primal
words, V. unites two separate considerations: historical etymology and the
synchronic formation of derivations and inflexions. Certain canonical
members of paradigmatically associated word series are said to be primal -- all
the others resulting from “declinatio”, the formal process of change. A derivational
prefix is given particular attention. One must regret V.’s failure to
distinguish two linguistic dimensions, because, as with other linguistic
philosophers in antiquity, V.’s synchronic descriptive observations are much
more informative and perceptive than his attempts at historical
etymology. As an example of an apparent awareness of the distinction, one
may note V.’s statement that, within Latin, "equitiittis" and
"eques" -- stem "equit-" – may be associated with and
descriptively referred back to "equus". But that no further
explanation on the same lines is possible for "equus". Within Latin, ‘equus’
is primal. Any explanation of its form and its meaning involves a dia-chronic
research into an earlier stages of the Indo-European family and cognate forms
in languages other than Latin. In the field of word form variations from a
single root, both derivational and inflexional, V. rehearses the arguments for
and against analogy and anomaly, citing Latin examples of regularity and of
irregularity. Sensibly enough, V. concludes that both the principle of
analogy and the principle of anomaly must be recognized and accepted in the
word formations of a language and in the meanings associated with them. In
discussing the limits of strict regularity in the formation of words V. notices
the pragmatic nature of language, with its vocabulary more differentiated in
culturally important areas than in others. Thus "equus" and
"equa" have separate forms for the male and female animal, because
the sex difference is important to the Romans. But "corvus" does not,
because in them the difference is not important to Romans. Once this is true of
"columba" -- formerly all designated by the feminine noun. But since
"columbae" are domesticated, a separate, analogical, masculine form
"columbUS" is ‘coined.’ V. further recognises the possibilities open
to the individual, particularly in poetic diction, of variations or anomalies
beyond those sanctioned by majority usage or 'ordinary language', a conception
not remote from the Saussurean interpretation of langue and parole. One of
V.'s most penetrating observations in this context is the distinction between
derivational and inflexional formation, a distinction not commonly made in
antiquity. One of the characteristic features of inflexions is their very
great generality. Inflexional paradigms contain few omissions and are mostly
the same for all speakers of a single dialect or of an acknowledged standard
language. This part of morphology V. calls 'declinatio naturalis’,
because, given a word and its inflexional class, we can infer its other forms. By
contrast, synchronic derivations vary in use and acceptability from person to
person and from one word root to another. From "ovis" and
"sus" are formed "ovile" and "suile.” But
"bovile" is *not* acceptable to V. from "bos" -- although
rustic CATONE is said to have used the form as opposed to the more standard
"bubile.” The facultative and less ordered state of this part of
morphology, which gives a language much of its flexibility, is distinguished by
V. in what he dubs ‘declinatio VOLUNTARIA.’ V. shows himself likewise original
in his proposed morphological classification of Latin words. His use in
this of the morphological categories shows how V. understands and makes use of
Greek sources without deliberately copying their conclusions. V. recognises,
as the Greeks do, case and tense as the primary distinguishing categories of
inflected words, and sets up a quadripartite system of FOUR inflexionally
contrasting classes. Those with case inflexion. Those with tense inflexion. Those
with case and tense inflexion. Those with neither. Noun (including Adjective).
Verbs. Participle. Adverb. These IV classes are further categorised as a forms
which, respectively, names, makes a statement, joins (i.e. shared in the syntax
of nouns and verbs), and supports (constructed with verbs as their subordinate
members). In the passages dealing with these IV classes, the adverbial examples
are all morphologically derived forms -- like "docte" and
"lecte". V.’s definition would apply equally well to the un-derived
and mono-morphemic adverbs of Latin -- like "mox" and
"eras". But these are referred to elsewhere among the uninflected,
invariable or 'barren,’ sterile, words. A full classification of the
invariable words of Latin would require the distinction of syntactically
defined sub-classes such as Thrax used for Greek and the later Latin
grammarians took over for Latin. But, from his examples, it seems clear that
what was of prime interest to V. is the range of grammatically different words
that may be formed on a single common root -- e.g. "lego" (VERB –
CLASS II), "lector" – NOUN, CLASS I --, "legens" –
PARTICIPLE, CLASS III -- and "lecte" – ADVERB – CLASS IV. In his
treatment of the verbal category of tense, Varro displays his sympathy with the
doctrine of the Porch, in which two semantic functions are distinguished within
the forms of the tense paradigms, time reference and ‘aspect.’ In his analysis
of the VI INDICATIVE indicative tenses, active and passive, the *aspectual* division,
incomplete-complete, is the more fundamental for V., as each aspect regularly
shares the same stem form, and, in the passive voice the *completive* aspect
tenses consists of *two* expressions, though V. claims that, erroneously, most
people only consider the time reference dimension. IS Active Time past present
future Aspect incomplete DISCIBAM I
was DISCO I learn DISCAM I shall learning learn complete DIDICERAM
I had DIDICI I have DIDICERII I shall learned learned have learned
Passive incomplete AMTIBAR I was AMOR I am AMITBOR I shall be loved loved loved complete AMTITUS
I had AMTITUS I have AMIITUS I
shall ERAM been sum been ERA have been loved loved loved The Latin future
perfect is in more common use than the corresponding Greek (Attic) future
perfect. V. puts the Latin perfect tense forms DIDICI, etc., in the present *completive*
place, corresponding to the place of the Greek perfect tense forms. In what we
have or know of his writings, V. does not appear to have allowed for one of the
major differences between the Greek and Latin tense paradigms -- viz. that, in
the Latin perfect tense, there is a syncretism of a simple past meaning ('I
did'), and a perfect meaning ('I have done') -- corresponding to the Greek
aorist and perfect respectively. The Latin perfect tense forms belong in *both*
completive and non-completive aspectual categories, a point clearly made later
by PRISCIANO in his exposition of a similar analysis of the Latin verbal
tenses. If the difference in use and meaning between the Greek and Latin
perfect tense forms seems to escape V.'s attention, the more obvious contrast
between the V-term case system of Greek and the *VI*-term system of Latin forces
itself on him, as it does on anyone else who learned both languages. Latin
formally distinguished an ABLATIVE CASE. 'By whom an action is performed' is
the gloss given by V.. THE ABLATIVE CASE shares a number of the meanings and
syntactic functions of both the Greek GENITIVE and DATIVE case forms. V. takes
the NOMINATIVE form not as a casus but as as the canonical word forms, from
which the oblique forms -- cases -- are developed. Like his Greek colleagues
across the pond, V. contents himself with fixing on one stereo-typical meaning
or relationship as definitive for each case. V., who was no Cicero – ‘he is a
Varro’ implicates ‘he is a know-it-all’ in Roman -- mistranslates ‘aitiatike
ptosis’ by ACCUSATIVUS rather than the more correct, CAUSATIVUS. V. is probably
the most independent and original philosopher on linguistic topics among the
Romans. After V. we can follow discussions of existing questions by several philosophers
with no great claim on our attention. Among others, GIULIO CESARE – the
well-known general assassinated by the senators -- is reported to have turned
his mind to the analogy-anomaly debate while crossing the Alps on a campaign. Thereafter,
the controversy gradually fades away. PRISCIANO uses ‘analogia’ to mean
the regular inflexion of an inflected word, without mentioning ‘anomalia’. ‘Anomalia’
appears occasionally among the late grammarians.V.'s ideas on the
classification of Latin words have been noticed. But the word class system that
is established in the Latin tradition enshrines in the ‘saggi’ of PRISCIANO and
the late Latin ‘philosophical’ grammarians – cf. CAMPANELLA, ‘Grammatica
filosofica’ -- is much closer to. the one given in Thrax's Techne. The
number of classes remains now at VIII, with one change. A class of words
corresponding to the Greek definite article ‘ho,’ ‘he,’ ‘to,’ does not exist
in Latin. The definite article of Italian
develops later from weakened forms of the demonstrative pronoun ‘ille’ (il) and
‘illa’ (la). The Greek *relative* pronoun is morphologically similar to the
article and classed with it by Thrax and Apollonius. In Latin, the
relative pronoun – ‘qui’, ‘quae’, and ‘quod’ -- is morphologically akin to the
interrogative pronoun – ‘quis’, ‘quid’ -- and both are classed together either
with the noun or the pronoun class. In place of the article, Latin
grammarians recognise the ‘interjection’ as a separate ‘pars orationis’,
instead of treating it as a subclass of adverbs as Thrax and Apollonius do. PRISCIAN
regards the separate status of the interjection as common practice among Latin
scholars. But the first philosopher who is known to have dealt with it in this
way is REMMIO PALEMONE, a grammatical and literary scholar who defines the
interjection as having no statable meaning but merely indicating – via natural
meaning, as H. P. Grice would have it – emotion, as in Aelfric he he versus ha
ha (Roman versus English laughter). PRISCIANO lays more stress on the syntactic
independence of the interjection in sentence structure. QUINTILIANO, a
Spaniard, not a Roma, is PALEMONE’s pupil. This Spaniard writes extensively on
education, and in his “Institutio aratoria”, wherein he expounds his opinions,
he dealt briefly with ‘GRAMMATICA’ – the first of the trivial arts --,
regarding it as a propaedeutic to the full and proper appreciation of
literature in a liberal education, in terms very similar to those used by Thrax
at the beginning of the Techne. In a matter of detail, QUINTILIANO discusses
the analysis of the Latin case system, a topic always prominent in the minds of
Latin scholars who knew Greek by default (Who didn’t have a Greek slave?). QUINTILIANO
suggests isolating the instrumental use of the ABLATIVE -- "gladiii"
-- as case VII, since, as he notes, this instrumental use of the ablative case has
nothing in common semantically with the other meanings of the ablative. A separate
‘instrumental’ case forms is found (but a Spaniard wouldn’t know) in Sanskrit,
and may be inferred for unitary Indo-european, though the Greeks and Romans
knew nothing of this. It was and is common practice to name the cases by reference
to one of their meanings – DATIVUS, 'giving', ABLATIVUS, 'taking away', etc. -- but
their formal identity as members of a VI-term paradigm rests on their meaning,
or more generally, their meanings, and their syntactic functions being
associated with a morphologically distinct form in at least some of the members
of the case inflected word classes. PRISCIAN and DONATO see this, and in
view of the absence of any morphological feature distinguishing an alleged instrumental
use of the ablative case forms from their other uses, PRISCIANO explicitly
reproves of such an addition to the descriptive grammar of Latin as redundant –
or “supervacuum,” as he said for ‘otiose.’ The work of V., QUINTILIANO, shows
the process of absorption of Greek linguistic theory, controversies, and
categories, in their application to the Latin language. But Latin
linguistic scholarship is best known for the formalization of descriptive Latin
grammar, to become the basis of all education in later antiquity and the
traditional schooling of the modern world. The Latin grammar of the
present day is the direct descendants of the compilations of the later Latin
grammarians, as the most cursory examination of PRISCIANO’s “Institutiones
grammaticae” will show. PRISCIANO’s grammar, comprising XVIII books and
running to nearly a thousand pages may be taken as representative of their
work. Quite a number of writers of Latin grammars, working in different
parts of the Roman Empire, are known to us. Of them DONATO and PRISCIANO are
the best known. Though they differ on several points of detail, on the
whole these philosopohical grammarians set out and follow the same basic system
of grammatical description. For the most part, Roman philosophical
grammarians show little originality, doing their best to apply the terminology
and categories of the Greek grammarians to the Latin language. The Greek
technical terms are given fixed translations with the nearest available Latin
word. ‘onoma’, ‘NOMEN’ ‘anto-nymia,’
‘PRO-NOMEN’ ‘syn-desmos,’ ‘CON-IUCTIO’ etc. In this procedure they had been encouraged by DIDIMO, a voluminous scholar, who states that every
feature of Greek grammar IS TO BE found in Latin. DIDIMO follows the word class
system of the PORCH, which included the article (absent in Latin) and the
personal pronouns in one class, so that the absence of a word form
corresponding to the Greek article does not upset him or his classification. Among
the Latin philosophical grammarians, MACROBIO gives an account of the
'differences and likenesses' of the Greek and the Latin verb, but it amounted
to little more than a parallel listing of the forms, without any penetrating
investigation of the verbal systems of the Latin language – his own, or Greek. The
succession of Latin philosophical grammarians through whom the accepted
grammatical description of the language is brought to completion and handed on
to the Middle Ages spanned the centuries until the foundation of Oxford. This
period covers the pax Romana and the unitary Greco-Roman civilization of the
Mediterranean that lasts during the first two centuries, the breaking of the
imperial peace in the third century, and the final shattering of the western
provinces, including Italy, by invasion from beyond the earlier frontiers of
the empire. Historically these centuries witness two events of permanent
significance in the life of the civilized world. In the first place,
Christianity – or the coming of the Galileans -- which, from a secular
standpoint, starts as the religion of a small deviant sect of Jewish zealots,
spread and extended its influence through the length and breadth of the empire,
until, in the fourth century, after surviving repeated persecutions and
attempts at its suppression, it is recognized as the official religion of the
state! (Except Giuliano). Its subsequent dominance of European thought (except
Luther) and of all branches of learning for the next thousand years is now
assured, and neither doctrinal schisms nor heresies, nor the lapse of an
emperor into apostasy could seriously check or halt its progress. As Christianity
gains the upper hand and attracts to itself men of learning, the scholarship of
the period shows the struggle between the old declining pagan standards of
classical antiquity and the rising generations of Christian apologists,
philosophers, and historians, interpreting and adapting the heritage of the
past in the light of their own conceptions and requirements. The second event is
a less gradual one, the splitting of the Roman world into two halves, east and
west. After a century of civil turmoil and barbarian pressure, Rome ceases
under DIOCLEZIANO to be the administrative capital of the empire, and his later
successor COSTANTINO transfers his government to a new city, built on the old
Byzantium and named Constantino-polis (literally: ‘my (kind of) town’). By the
end of the fourth century, the Roman empire is formally divided into an eastern
and a western realm, each governed by its own emperor (who often did not speak
to each other – and for whom there was no lingua franca to be found). This division
roughly corresponds to the separation of the old Hellenized area conquered by
Rome but remaining Greek in culture and language, and the provinces raised from
barbarism by Roman influence and Roman letters. Constantinople, assailed from
the west and from the east, continues for a thousand years as the head of the
Eastern Byzantine Empire, until it falls to the Turks. During and after the
break-up of the Western Empire, Rome endures as the capital city of the Roman
Church, while Christianity in the east gradually evolved in other directions to
become the Eastern Orthodox Church. Culturally one sees as the years pass on
from the so-called 'Silver Age' a decline in liberal attitudes, a gradual
exhaustion of older themes, and a loss of vigour in developing new ones. Save
only in the rising Christian communities, scholarship is backward-looking,
taking the form of erudition devoted to the acknowledged standards of the past.
This is an era of commentaries, epitomes, and dictionaries. The Latin
grammarians, whose oudook is similar to that of the Alexandrian Greek scholars,
like them directed their attention to the language of classical literature, for
the study of which grammar serves as the introduction and foundation. The
changes taking place in the spoken and the non-literary written Latin around them
arise VERY little interest – ‘the plebs use it!’ --; their works are liberally
exemplified with texts, all drawn from the prose and verse writers of classical
Latin and their ante-classical predecessors Plautus and Terence. How different
accepted written Latin is becoming may be seen by comparing the grammar and
style of GIROLAMO's fourth translation of the Bible (the Vulgate), wherein
several grammatical features of the Romance languages are anticipated, with the
Latin preserved and described by the grammarians, one of whom, DONATO, second
only to PRISCIANO in reputation, was in fact GIROLAMO’s teacher – and learned
from him that God could be allowed a solecism or two! The nature and the
achievement of the Latin philosophical grammarians can best be appreciated
through a consideration of the work of their greatest representative, PRISCIANO,
who teaches Latin grammar in Constantino-polis. Though PRISCIANO draws much
from his Latin predecessors, his aim, like theirs, is to transfer as far as he
could the grammatical system of Thrax's Techne and of Apollonius's writings to
Latin. PRISCIANO’s admiration for Greek linguistic scholarship and his
dependence on Apollonius and his son ERODIANO, in particular, 'the greatest
authorities on grammar', are made clear in his introductory paragraphs and
throughout his grammar. PRISCIANO works systematically through his subject, the
description of the language of classical Latin literature. Pronunciation and
syllable structure are covered by a description of the “littera’, defined as
the smallest part of articulate speech, of which the properties are “nomen”,
the name of the letter, “figura”, its written shape, and “potestas,” its
phonetic value. All this had already been set out for Greek, and the phonetic
descriptions of the letters as pronounced segments and of the syllable
structures carry little of linguistic interest except for their partial
evidence of the pronunciation of the Latin language. From phonetics PRISCIANO
passes to morphology, defining the “dictio” and the “oratio” in the same terms
that Thrax uses, as the minimum unit of sentence structure and the expression
of a complete thought, respectively. As with the rest of western antiquity, PRISCIANO’s
grammatical model is word and paradigm, and he expressly denies any linguistic
significance to a division, in what would now be called morphemic analysis, *below*
the word. On one of his rare entries into this field, PRISCIANO misrepresents
the morphemic composition of words containing the negative prefix “in-“ -- “indoctus”
-- by identifying it with the preposition “in.” These two morphemes, “in-“,
negative, and “in-”, the prefixal use of the preposition, are in contrast in “invisus”,
which may negate or strengthen the stem that follows (two words with two
meanings, not a polysemous expression). After a review of earlier theories of
Greek linguists, PRISCIANO sets out the classical system of VIII word classes
laid down by Thrax and Apollonius, with the omission of the article but the
separate recognition of the interjection. Each class of words is defined, and
described by reference to its relevant formal category and “accidentia,” whence
the later accidence for the morphology of a language, and all are copiously
illustrated with examples from classical texts. All this takes up XVI of the XVIII
books, the last II being devoted to syntax. PRISCIANO addresses himself (OBVIOUSLY)
to readers already knowing Greek, as Greek examples are widely used and
comparisons with Greek are drawn at various points, and the last hundred pages
are wholly taken up with the comparison of different constructions in the two
languages. Though Constantinopolis was a Greek-speaking city in a
Greek-speaking area, Latin is decreed the official language when the new city
was founded as the capital of the Eastern Empire. Great numbers of speakers of
Greek as a first language needed Latin teaching from then on. The VIII parts of
speech, or word classes, in PRISCIANO’s grammar may be compared with those in
Dionysius Thrax's Techne. Reference to extant definitions in Apollonius and PRISCIANO’s
expressed reliance on him allow us to infer that PRISICIANO’s definitions are
substantially those of Apollonius, as is his statement that each separate class
is known by its semantic content. “Nomen,” including adjectives. The property
of the noun is to indicate a substance and a quality, and it assigns a common
or a particular quality to every body or thing. The property of the VERBUM is
to indicate an action or a being acted on; it has tense and mood forms, but is
not case inflected. The PARTICIPIUM is a class of words always derivationally
referable to a VERBUM, sharing the categories of verbs and a NOMEN (tenses and
cases) -- and therefore distinct from both. This definition is in line with the
Greek treatment of these words. The property of the PRONOMEN is its
substitutability for a proper nouns and its specifiability as to person -- first,
second, or third. The limitation to proper nouns, at least as far as third
person pronouns are concerned, contradicts the facts of Latin. Elsewhere, PRISCIANO
repeats Apollonius's statement that a specific property of the PRONOMEN is to
indicate substance *without* quality, as a way of interpreting the lack of
lexical restriction on the NOMEN which may be referred to anaphorically by a
PRONOMEN. The property of the ADVERBIUM is to be used in construction with a VERBUM,
to which it is syntactically and semantically subordinate. The property of the PRAE-POSITIO
is to be used as a separate word before case inflected words and in composition
before both case-inflected and non-case-inflected words. PRISCIANO, like Thrax,
identifies the first part of words like “PRO-consul” and “INTER-currere”, as PRAE-POSITIO.
INTER-IECTIO is a class of words syntactically independent of a VERBUM, and
indicating a feeling or a state of mind. The property of the CON-IUCTIO is to
join syntactically two or more members of any other word class, indicating a
relationship between them. In reviewing PRISCIANO' s work as a whole, one
notices that in the context in which he is writing and in the form in which he
casts his description of Latin, no definition of grammar itself is found
necessary. Where other late Latin grammarians do define the term, they do no
more than abbreviate the definition given at the beginning of Thrax's Techne.
It is clear that the place of grammar, and of linguistic studies in general, in
education is the same as is precisely and deliberately set out by Thrax and
summarily repeated by QUINTILIANO. PRISCIANO's omission is an indication of the
long continuity of the conditions and objectives taken for granted during these
centuries. PRISCIANO organises the morphological description of the forms of
nouns and verbs, and of the other inflected words, by setting up canonical or
basic forms, in nouns the nominative singular and in verbs the first person
singular present indicative active. From these he proceeds to the other forms
by a series of letter changes, the letter being for him, as for the rest of
western antiquity, both the minimal graphic unit and the minimal phonological
unit. The steps involved in these changes bear no relation to morphemic
analysis, and are of the type that finds no favour at all in recent descriptive
linguistics, though under the influence of the generative grammarians somewhat
similar process terminologies are being suggested. The accidents or categories
in which PRISCIANO classes the formally different word shapes of the inflected
or variable words include both derivational and inflexional sets, PRISCIANO following
the practice of the Greeks in not distinguishing between them. V.’s important
insight is totally disregarded! But PRISCIANO is clearly informed on the theory
of the establishment of categories and of the use of semantic labels to
identify them. Verbs are defined by reference to action or being acted on. But
PRISCIANO points out that on a deeper consideration – SI QUIS ALTIUS CONSIDERET
-- such a definition would require
considerable qualification; and case names are taken, for the most part, from
just one relatively frequent use among a number of uses applicable to the
particular case named. This is probably more prudent, if less exciting, than
the insistent search for a common or basic meaning uniting all the semantic
functions associated with each single set of morphologically identified case
forms. The status of the VI cases of Latin nouns is shown to rest, not on the
actually different case forms of any one noun or one declension of nouns, but
on semantic and syntactic functions systematically correlated with differences
in morphological shape at some point in the declensional paradigms of the noun
class as a whole. The many-one relations found in Latin between forms and uses
and between uses and forms are properly allowed for in the analysis. In
describing the morphology of the Latin verb, PRISCIANO adopts the system set
out by Thrax for the Greek verb, distinguishing present, past, and future, with
a fourfold semantic division of the past into imperfect, perfect, plain past – aorist
-- and pluperfect, and recognizing the syncretism (as V. does not) of perfect
and aorist meanings in the Latin perfect tense forms. Except for the
recognition of the full grammatical status of the Latin perfect tense forms, PRISCIANO’s
analysis, based on that given in the Techne, is manifestly inferior to the one
set out by V. under the influence of THE PORCH. The distinction between
incomplete and complete aspect, correlating with differences in stem form, on
which V. lays great stress, is concealed, although PRISCIANO recognises the
morphological difference between the two stem forms underlying the VI tenses. Strangely,
PRISCIANO seems to have misunderstood the use and meaning of the Latin future
perfect, calling it the ‘future subjunctive’, though the first person singular
form by which he cited it – “scripsero” -- is precisely the form which
differentiates its paradigm from the perfect subjunctive paradigm – “scripserim”
-- and, indeed, from any subjunctive verb form, none of which show a first
person termination in -im. This seems all the more surprising because the
corresponding forms in Greek -- “tetypsomai”
-- are correctly identified. Possibly his reason was that his Greek
predecessors had excluded the future perfect from their schematization of the
tenses, in that this tense was not much used in Greek, and was felt to be an atticism.
A like dependence on the Greek categorial framework probably leads Priscian to
recognize both a subjunctive mood (subordinating) and an OPTATIVE mood
(independent, expressing a wish) in the Latin verb, although Latin -- unlike
Greek -- nowhere distinguishes these two mood forms morphologically, as PRISCIAN
in fact admits, thus confounding his earlier explicit recognition of the status
of a formal grammatical category. Despite such apparent misrepresentations, due
primarily to an excessive trust in a point for point applicability of Thrax's
and Apollonius's systematization of Greek to the Latin language, Priscian's
morphology is detailed, orderly, and in most places definitive. His treatment
of syntax in the last two books is much less so, and a number of the organizing
features that we find in modern grammars of Latin are lacking in his account.
They are added by later scholars on to the foundation of Priscianic morphology.
Confidence in PRISCIANO’s syntactic theory is hardly increased by reading his
assertion that the word order, most common in Latin, nominative case noun or
pronoun (subject) followed by verb is the NATURAL one, because the substance
(“homo”) is PRIOR to the action it performs (“currit”). Such are the dangers of
philosophising on an inadequate basis of empirical fact. In the syntactic
description of Latin, PRISCIANO classifies verbs on the same lines as had been
worked out for Greek by the Greek grammarians, into active (transitive),
passive, and neutral (intransitive), with due notice of the deponent verbs,
passive in morphological form but active or intransitive in meaning and syntax
and without corresponding passive tenses. Transitive verbs are those
colligating with an oblique case -- “laudo te”, “noceo tibi,” “ego miserantis”
-- and the absence of concord between oblique case forms and finite verbs is
noted. But the terms subject and object were not in use in PRISCIANO’s time as
grammatical terms, though the use of “subiectum” to designate the logical
subject of a proposition is common. PRISCIANO makes mention of the ablative
absolute construction, though the actual name of this construction is a later
invention. PRISCIANO gives an account and examples of exactly this use of the
ablative case -- me vidente puerum cecidisti -- and -- Augusto imperiitiire
Alexandria provincia facta est. Of the systematic analysis of Latin syntactic
structures PRISCIANO has little to say. The relation of subordination is
recognized as the primary syntactic function of the relative pronoun -- qui,
quae, quod -- and of similar words used to downgrade or relate a. verb or a
whole clause to another, main, verb or clause. The concept of subordination is
employed in distinguishing nouns (and pronouns used in their place) and verbs
from all other words, in that these latter were generally used only in
syntactically subordinate relations to nouns or verbs, these two classes of
word being able by themselves to constitute complete sentences of the
favourite, productive, type in Latin. But in the subclassification of the Latin
conjunctions, the primary grammatical distinction between subordinating and
coordinating conjunctions is left unmentioned, the co-ordinating “TAMEN”, being
classed with the sub-ordinating “QUAMQUAM” and “QUAMSI”. – cf. Grice on ‘if’ as
subordinating. Once again it must be said that it is all too easy to exercise
hindsight and to point out the errors and omissions of one's predecessors. It
is both more fair and more profitable to realise the extent of PRISCIANO’s
achievement in compiling his extensive, detailed, and comprehensive description
of the Latin language of the classical authors, which is to serve as the basis
of grammatical theory for centuries and as the foundation of Latin teaching up
to the present day. Such additions and corrections, particularly in the field
of syntax, as later generations need to make could lie incorporated in the
frame of reference that Priscian employs and expounds. Any division of
linguistics (or of any other science) into sharply differentiated periods is a
misrepresentation of the gradual passage of discoveries, theories, and
attitudes that characterizes the greater part of man's intellectual history.
But it is reasonable to close an account of Roman linguistic scholarship with PRISCIANO.
In his detailed -- if in places misguided -- fitting of Greek theory and
analysis to the Latin language he represents the culmination of the expressed
intentions of most Roman scholars once Greek linguistic work had come to their
notice. And this was wholly consonant with the general Roman attitude in
intellectual and artistic fields towards 'captive Greece' who 'made captive her
uncivilized captor and taught rustic Latium the finer arts. PRISCIANO’s work is
more than the end of an era. It is also the bridge between antiquity and the
Middle Ages in linguistic scholarship. By far the most widely used grammar, PRISCIANO’s
“Institutiones grammaticae” runs to no fewer than one thousand manuscripts, and
forms the basis of mediaeval Latin grammar and the foundation of mediaeval
linguistic philosophy – i modisti or philosophical grammarians. PRISCIANO’s grammar
is the fruit of a long period of Greco-Roman unity. This unity had already been
broken by the time he writes, and in the centuries following, the Latin west is
to be shattered beyond recognition. In the confusion of these times, the
philosophical grammarians, their studies and their teaching, have been
identified as one of the main defences of the classical heritage in the
darkness of the Dark Ages. ARENS, Sprachwissenschaft: der Gang ihrer
Entwicklung von der Antike bis zur Gegenwart, Freiburg. Bolgar, The classical
heritage and its beneficiaries, Cambridge. J. Collart, V. grammairien latin,
Paris. FEHLING, 'V. und die grammatische Lehre von der Analogie und der
Flexion', Glotta, LERSCH, Die Sprachphilosophie der Alten, Bonn, H. NETTLESHIP,
The study of grammar among the Romans, Journal of philology, ROBINS, Ancient
and mediaeval grammatical theory in Europe, London, JSANDYS, History of classical
scholarship, Cambridge, STEINTHAL, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den
Griechen und Romern, Berlin. GIBBON, The decline and fall of the Roman Empire
(ed. BURY), London, VERGIL, Aeneid 6, Ssi-3: Tu regere imperio populos, Romane,
memento (hae tibi erunt artes), pacisque imponere morem, parcere subiectis et
debellare superbos. Noctes Atticae GEHMAN, The interpreters of foreign
languages among the ancients, Lancaster, Pa., FEHLING, FUNAIOLI, Grammaticorum
Romanorum fragmenta, Leipzig. Ars
grammatica scientia est eorum quae a poetis historicis oratoribusque dicuntur
ex parte maiore. De lingua Latina CHARisrus, Ars grammaticae I (KEIL,
Grammatici, Leipzig). On Varro's
linguistic theory in relation to modern linguistics, cp. D. LANGENDOEN, 'A note
on the linguistic "theory of V.', Foundations of language 2, SUETONIUS,
Caesar, GELLIUS, Noctes Atticae PRISCIANO,
Institutio de nomine pronomine et verbo 38, Institutiones grammaticae PROBUS,
Instituta artium (H. KEIL, Grammatici Latini), DIONYSIUS-THRAX, Techne BEKKER,
Anecdota Graeca, Berlin, APOLLONIUS DYSCOLUS, Syntax As noun, PRISCIAN as
pronoun,- PROBUS, Instituta (KEIL, Grammatici APOLLONIUS, De adverbio, BEKKER,
Anecdota Graeca, CHARISIUS, Ars grammaticae KEIL, Grammatici -- Nihil docibile
habent, significant tamen adfectum animi. QUINTILIAN, Institutio aratoria Their
works are published in KEIL, Grammatici Latini, Leipzig, PRISCIAN De figuris
numerorum PRISCIAN De differentiis et
societatibus Graeci Latinique verbi, KEIL, Grammatici 5, Leipzig, Artis
grammaticae maximi auctores', dedicatory preface Dictio est pars minima
orationis constructae; Oratio est ordinatio dictionum congrua, sententiam
perfectam demonstrans. Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare; Nomen est pars
orationis, quae unicuique subiectorum corporum seu rerum communem vel propriam
qualitatem distribuit. Proprium est verbi actionem sive passionem significate;
Verbum est pars orationis cum temporibus et modis, sine casu, agendi vel
patiendi significativum. Participium iure separatur a verbo, quod et casus
habet, quibus caret verbum, et genera ad similitudinem nominum, nee modos
habet, quos continet verbum; Participium est pars orationis, quae pro verba
accipitur, ex quo et derivatur naturaliter, genus et casum habens ad
similitudinem nominis et accidentia verba absque discretione personarum et
modorum. The problems
arising from the peculiar position of the participle among the word classes,
under the classification system prevailing in antiquity, are discussed there. Proprium
est pronominis pro ali quo nomine proprio poni et certas significare personas; Pronomen
est pars orationis, quae pro nomine proprio uniuscuiusque accipitur personasque
finitas recipit. Substantiam significat sine aliqua certa qualitate. Proprium
est adverbii cum verbo poni nee s·ine eo perfectam significationem posse
habere; Adverbium est pars orationis indeclinabilis, cuius.significatio verbis
adicitur. Praepositionis proprium est separatim quidem per appositionem
casualibus praeponi coniun~tim vero per compositionem tam cum hahentibus casus
quam cum non habentibus; Est praepositio pars orationis indeclinabilis, quae
praeponitur aliis partibus vel appositione vel compositione. 48. IS-7·40:
Videtur affectum habere in se Yerbi et plenam motus animi significationem,
etiamsi non addatur verbum, demonstrare. Proprium est coniunctionis diversa
nomina vel quascumque dictiones casuales vel diversa verba vel adverbia
coniungere; Coniunctio est pars orationis indeclinabilis, coniunctiva aliarum
partium orationis, quibus consignificat, vim vel ordinationem demons trans. so.
cp. MATTHEWS, 'The inflectional component of a word-and-paradigm grammar',
:Journal of linguistics HORACE, Epistles 2.1.156-7: Graecia capta ferum
victorem cepit et artes Intulit agresti Latio. .LOT, La fin du monde antique et
le debut du moyen age, Paris. Marco Terenzio Varrone. He
led an active and sometimes risky political life. Although he backed the wrong
side in the civil war, he survived. He was a pupil of Posidonio at Rome. He was
influenced by Antioco d’Ascalon. He wrote hundreds of works, most of which have
since been lost. Amongst them was an extended series of fictional philosophical
dialgoues, the Logistorici, in wich assorted Romans debated a variety of
toipics, illustrating the arguments with examples from history. Tertulliano
calls him the Roman Cynargo, perhaps because of some satires he wrote but it is
highly unlikely that he was a Cinargo. Better attested is his interest in
Pythagoreanism, whose cult he followed to the letter. THE LOEB CLASSICAL LIBRARY
FOUXDED BY JAMES LOEB, LL.D. EDITED BY t T. E. PAGE,
C.H., UTT.D. E. CAPPS, ph.d., ll.d. W. H. D. ROUSE, utt.d.
VAERO ON THE LATIN LANGUAGE I
VARRO ON THE LATIN LANGUAGE WITH AN ENGLISH
TRANSLATION BY ROLAND G. KENT, Ph.D. PROFESSOR OF
COMPARATIVE PHILOLOGY IN THE UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA IN
TWO VOLUMES I BOOKS V.- VII. LONDON
WILLIAM HEINEM ANN LTD CAMBRIDGE, MASSACHUSETTS
HARVARD UNIVERSITY PRESS MCMXXXVIII
Printed in Great Britain CONTENTS
Introduction* page Varro's Life and Works vii
Varro's Grammatical Works . . . viii Varro's De Lingua Latina
ix The Manuscripts of the De Lingua Latina . xii The
Laurentian Manuscript F . xv The Orthography of the De Lingua
Latina . xvii The Editions of the De Lingua Latina . xxvii
Bibliography ..... .xxxiii Our Text of the De Lingua Latina
xliii The Critical Apparatus .... xliv The Translation of the
De Lingua Latina . xlv The Notes to the Translation . ., xlvi
Symbols and Abbreviations . . . xlix De Lingua
Latina, Teat and Translation Book V 2 Book VI.
172 Book VII 266 v
INTRODUCTION VARRO'S LIFE AND WORKS Marcus
Terextius Varro was born in 116 B.C., probably at Reate in the Sabine
country, where his family, which was of equestrian rank, possessed
large estates. He was a student under L. Aelius Stilo Praeconinus,
a scholar of the equestrian order, widely versed in Greek and Latin
literature and especially interested in the history and antiquities of
the Roman people. He studied philosophy at Athens, with Anti- ochus
of Ascalon. With his tastes thus formed for scholarship, he none the less
took part in public life, and was in the campaign against the rebel
Sertorius in Spain, in 76. He was an officer with Pompey in the war
with the Cilician pirates in 67, and presumably also in Pompey 's
campaign against Mithradates. In the Civil War he was on Pompey 's side,
first in Spain and then in Epirus and Thessaly. He was
pardoned by Caesar, and lived quietly at Rome, being appointed librarian
of the great collec- tion of Greek and Latin books which Caesar
planned to make. After Caesar's assassination, he was pro- scribed
by Antony, and his villa at Casinum, with his personal library, was
destroyed. But he himself escaped death by the devotion of friends, who
con- cealed him, and he secured the protection of Octavian.
vii INTRODUCTION He lived the
remainder of his life in peace and quiet, devoted to his -writings, and
died in 27 B.C., in his eighty-ninth year. Throughout his
life he wrote assiduously. His works number seventy-four, amounting to
about six hundred and twenty books ; they cover virtually all
fields of human thought : agriculture, grammar, the history and
antiquities of Rome, geography, law, rhetoric, philosophy, mathematics
and astronomy, education, the history of literature and the drama,
satires, poems, orations, letters. Of all these only one, his De Re
Rustica or Treatise on Agriculture, in three books, has reached us
complete. His De Lingua Latina or On the Latin Language, in
twenty-five books, has come down to us as a torso.; only Books V. to X.
are extant, and there are serious gaps in these. The other works are
represented by scattered fragments only. VARRO'S
GRAMMATICAL WORKS The grammatical works of Varro, so far as we
know them, were the following : De Lingua Latina, in
twenty-five books, a fuller account of which is given below.
De Antiquitate Litterarum, in two books, addressed to the tragic
poet L. Accius, who died about 86 b.c. ; it was therefore one of Varro 's
earliest writings. De Origine Linguae Latinae, in three books,
ad- dressed to Pompey. Ylzpl XapaKTrjpuv, in at least three
books, on the formation of words. Quaestiones Plautinae, in
five books, containing viii INTRODUCTION
interpretations of rare words found in the comedies of
Plautus. De Similitudine Verborum, in three books, on re-
gularity in forms and words. De Utilitate Sermonis, in at least
four books, in which he dealt with the principle of anomaly or
irregularity. De Sermone Latino, in five books or more,
addressed to Marcellus, which treats of orthography and the metres
of poetry. DiscipUnae, an encyclopaedia on the liberal arts,
in nine books, of which the first dealt with Grammatica. The extant
fragments of these works, apart from those of the De Lingua Latina, may
be found in the Goetz and Schoell edition of the De Lingua Latina,
pages 199-242 ; in the collection of Wilmanns, pages 170-223 ; and in
that of Funaioli, pages 179-371 (see the Bibliography).
VARRO'S DE LINGUA LATINA Varro's treatise On the Latin
Language was a work in twenty-five books, composed in 47 to 45 B.C.,
and published before the death of Cicero in 43. The first
book was an introduction, containing at the outset a dedication of the
entire work to Cicero. The remainder seems to have been divided into
four sections of six books each, each section being by its subject
matter further divisible into two halves of three books each. Books
II.-VII. dealt with the impositio vocabulorum, or how words were
originated and applied to things ix
INTRODUCTION and ideas. Of this portion, Books II.
-IV. were prob- ably an earlier smaller work entitled De Etymologia
or the like ; it was separately dedicated to one Septumius or Septimius,
who had at some time, which we cannot now identify, served Varro as
quaestor. Book II. presented the arguments which were advanced against
Etymology as a branch of learning ; Book III. presented those in its
favour as a branch of learning, and useful ; Book IV. discussed its
nature. Books V.- VI I. start with a new dedication to
Cicero. They treat of the origin of words, the sources from which
they come, and the manner in which new words develop. Book V. is devoted
to words which are the names of places, and to the objects which are in
the places under discussion ; VI. treats words denoting time-ideas,
and those which contain some time-idea, notably verbs ; VII. explains
rare and difficult words which are met in the writings of the
poets. Books VIII.-XIII. dealt with derivation of words from
other words, including stem-derivation, de- clension of nouns, and
conjugation of verbs. The first three treated especially the conflict
between the principle of Anomaly, or Irregularity, based on con-
suetude* ' popular usage,' and that of Analogy, or Regularity of a
proportional character, based on ratio ' relation ' of form to form.
VIII. gives the arguments against the existence of Analogy, IX. those in
favour of its existence, X. Varro 's own solution of the con-
flicting views, with his decision in favour of its exi- stence. XI.-XIII.
discussed Analogy in derivation, in the wide sense given above : probably
XI. dealt with nouns of place and associated terms, XII. with time-
ideas, notably verbs, XIII. with poetic words, x
INTRODUCTION Books XIV.-XIX. treated of syntax. Books
XX.- XXV. seem to have continued the same theme, but probably with
special attention to stylistic and rhetorical embellishments.
Of these twenty-five books, we have to-day, apart from a few brief
fragments, only Books V. to X., and in these there are several extensive
gaps where the manuscript tradition fails. The fragments of
the De Lingua Latina, that is, those quotations or paraphrases in other
authors which do not correspond to the extant text of Books V.-X.,
are not numerous nor long. The most considerable of them are passages in
the Nodes Atticae of Aulus Gellius ii. 25 and xvi. 8. They may be found
in the edition of Goetz and Schoell, pages 3, 146, 192-198, and in
the Collections of Wilmanns and Funaioli (see the Bibliography).
It is hardly possible to discuss here even summarily Varro's
linguistic theories, the sources upon which he drew, and his degree of
independence of thought and procedure. He owed much to his teacher
Aelius Stilo, to whom he refers frequently, and he draws heavily
upon Greek predecessors, of course, but his practice has much to commend
it : he followed neither the Anomalists nor the Analogists to the extreme
of their theories, and he preferred to derive Latin words from
Latin sources, rather than to refer practically all to Greek origins. On
such topics reference may be made to the works of Barwick, Kowalski,
Dam, Dahlmann, Kriegshammer, and Frederik Muller, and to the
articles of Wolfflin in the eighth volume of the Archiv fur lateinische
Lexikographie, all listed in our Bibliography.
INTRODUCTION THE MANUSCRIPTS OF THE DE LINGUA
LATIN A The text of the extant books of the De Lingua Latina
is believed by most scholars to rest on the manuscript here first listed,
from which (except for our No. 4) all other known manuscripts have been
copied, directly or indirectly. 1. Codex Laurentianus li. 10,
folios 2 to 34, parch- ment, written in Langobardic characters in
the eleventh century, and now in the Laurentian Library at
Florence. It is known as F. F was examined by Petrus Victorius and
Iacobus Diacetius in 1521 (see the next paragraph) ; by Hieronymus
Lagomarsini in 1740 ; by Heinrich Keil in 1851 ; by Adolf Groth in 1877 ;
by Georg Schoell in 1906. Little doubt can remain as to its actual
readings. 2. In 1521, Petrus Victorius and Iacobus Diacetius
collated F with a copy of the editio princeps of the De Lingua Latina, in
which they entered the differences which they observed. Their copy is
preserved in Munich, and despite demonstrable errors in other
portions, it has the value of a manuscript for v. 119 to vi. 61, where a
quaternion has since their time been lost in F. For this portion, their
recorded readings are known as Fv ; and the readings of the editio
princeps, where they have recorded no variation, are known as (Fv).
3. The Fragmentum Cassinense (called also Excerptum and Epitome),
one folio of Codex Cassinensis 361, parchment, containing v. 41
Capitolium dictum to the end of v. 56 ; of the eleventh century. It
was xii INTRODUCTION probably
copied direct from F soon after F was written, but may possibly have been
copied from the archetype of F. It is still at Monte Cassino, and
was transcribed by Keil in 1848. It was published in facsimile as
an appendix to Sexti Iulii Frontini de aquaeductu Urbis Romae, a
phototyped reproduction of the entire manuscript, Monte Cassino,
1930. 4. The grammarian Priscian, who flourished about a.d.
500, transcribed into his De Figuris Numerorum Yarro's passage on coined
money, beginning with multa, last word of v. 168, and ending with
Nummi denarii decuma libella, at the beginning of v. 174. The
passage is given in H. Keil's Grammatici Latini iii. 410-411. There are
many manuscripts, the oldest and most important being Codex Parisinus
7496, of the ninth century. 5. Codex Laurentianus li. 5,
written at Florence in 1427, where it still remains ; it was examined by
Keil. It is known as^*. 6. Codex Havniensis, of the fifteenth
century; on paper, small quarto, 108 folia ; now at Copenhagen. It
was examined by B. G. Niebuhr for Koeler, and his records came into the
hands of L. Spengel. It is known as H. 7. Codex Gothanus,
parchment, of the sixteenth century, now at Gotha ; it was examined by
Regel for K. O. Mueller, who published its important variants in
his edition, pages 270-298. It is known as G. 8. Codex Parisinus 7489,
paper, of the fifteenth century, now at Paris ; this and the next two
were examined by Donndorf for L. Spengel, who gives their different
readings in his edition, pages 661-718. It is known as a. 9-
Codex Parisinus 6142, paper, of the fifteenth xiii
INTRODUCTION century ; it goes only to viii. 7
declinarentur. It is known as b, 10. Codex Parisinus 7535,
paper, of the sixteenth century ; it contains only v. 1-122, ending with
dictae. It is known as c. 11. Codex Vindobonensis lxiii., of
the fifteenth century, at Vienna ; it was examined by L. Spengel in
1835, and its important variants are recorded in the apparatus of A.
Spengel's edition. It is known as V. 12. Codex Basiliensis F
iv. 13, at Basel; examined by L. Spengel in 1838. It is known as p.
13. Codex Guelferbytanus 896, of the sixteenth cen- tury, at
Wolfenbiittel ; examined by Schneidewin for K. O. Mueller, and afterwards
by L. Spengel. It is known as M. 14. Codex B, probably of the
fifteenth century, now not identifiable ; its variants were noted by
Petrus Victorius in a copy of the Editio Gryphiana, and either it
or a very similar manuscript was used by Antonius Augustinus in preparing
the so-called Editio Vulgata. These are the manuscripts to
which reference is made in our critical notes ; there are many
others, some of greater authority than those placed at the end of
our list, but their readings are mostly not available. In any case, as F
alone has prime value, the variants of other than the first four in our
list can be only the attempted improvements made by their copyists,
and have accordingly the same value as that which attaches to the
emendations of editors of printed editions. Fuller
information with regard to the manuscripts may be found in the following
: xiv INTRODUCTION Leonhard
Spengel, edition of the De Lingua Latina (1826), pages
v-xviii. K. O. Mueller,
edition (1833), pages xii-xxxi. Andreas Spengel, edition (1885), pages
ii-xxviii. Giulio Antonibon, Supplemento di Lezioni
Varianti ai libri de lingua Latina (1899) 3 pages 10-23. G. Goetz et F. Schoell,
edition (1910), pages xi-xxxv. THE LAURENTIAN MANUSCRIPT F
Manuscript F contains all the extant continuous text of the De
Lingua Latina, except v. 119 trua quod to vi. 61 dicendojinit ; this was
contained in the second quaternion, now lost, but still in place when the
other manuscripts were copied from it, and when Victorius and
Diacetius collated it in 1 521 . There are a number of important lacunae,
apart from omitted lines or single words ; these are due to losses in its
archetype. Leonhard Spengel, from the notations in the
manuscript and the amount of text between the gaps, calculated that the
archetype of F consisted of 16 quaternions, with these losses :
Quaternion 4 lacked folios 4 and 5, the gap after v. 162.
Quaternion 7 lacked folio 2, the end of vi. and the beginning of
vii., and folio 7, the gap after vii. 23. Quaternion 11 was missing
entire, the end of viii. and the beginning of ix. Quaternion
15 lacked folios 1 to 3, the gap after x. 23, and folios 6 to 8, the gap
after x. 34. The amount of text lost at each point can be
cal- ° tJber die Kritik der Varronischen Bucher de Lingua
Latina, pp. 5-12. VOL. I 6 XV INTRODUCTION
culated from the fact that one folio of the archetype held
about 50 lines of our text. There is a serious transposition in F,
in the text of Book V. In § 23, near the end, after qui ad humum,
there follows id Sabini, now in § 32, and so on to Septi- viontium, now
in § 41 ; then comes demissior, now in § 23 after humum, and so on to ab
hominibus, now in § 32, after which comes nominatum of § 41.
Mueller," who identified the transposition and restored the text
to its true order in his edition, showed that the altera- tion was due to
the wrong folding of folios 4 and 5 in the first quaternion of an
archetype of F ; though this was not the immediate archetype of F, since
the amount of text on each page was different. This
transposition is now always rectified in our printed texts ; but there is
probably another in the later part of Book V., which has not been
remedied because the breaks do not fall inside the sentences, thus
making the text unintelligible. The sequence of topics indicates that v.
115-128 should stand be- tween v. 140 and v. 141 6 ; there is then the
division by topics : General Heading v. 105 De
Victu v. 105-112 De Vestitu v. 113-114, 129-133 De
Instrument v. 134-140, 115-128, 141-183 a In the preface to his
edition, pp. xvii-xviii. The dis- order in the text had previously been
noticed by G. Buchanan, Turnebus, and Scaliger, and discussed by L.
Spengel, Emen- dationum Varronianarum Specimen I, pp. 17-19.
6 L. Spengel, Emendationum Varronianarum Specimen I, pp. 13-19,
identified this transposition, but considered the transpositions to be
much more complicated, with the follow- ing order: §§105-114, §§ 129-140,
§ 128, §§ 166-168, §§118- 127, §§ 115-117, §§ 141-165, § 169 on.
xvi INTRODUCTION Then also vi. 49 and vi.
45 may have changed places, but I have not introduced this into the
present text ; I have however adopted the transfer of x. 18 from its
manuscript position after x. 20, to the position before x. 19, which the
continuity of the thought clearly demands. The text of F is
unfortunately very corrupt, and while there are corrections both by the
first hand and by a second hand, it is not always certain that the corrections
are to be justified. THE ORTHOGRAPHY OF THE BE LINGUA
LATIN A The orthography of F contains not merely many
corrupted spellings which must be corrected, but also many variant
spellings which are within the range of recognized Latin orthography, and
these must mostly be retained in any edition. For there are many
points on which we are uncertain of Varro's own practice, and he even
speaks of certain per- missible variations : if we were to standardize
his orthography, we should do constant violence to the best
manuscript tradition, without any assurance that we were in all respects
restoring Varro's own spelling. Moreover, as this work is on
language, Varro has intentionally varied some spellings to suit his
etymological argument ; any extensive normal- ization might, and probably
would, do him injustice in some passages. Further, Varro quotes from
earlier authors who used an older orthography ; we do not know
whether Varro, in quoting from them, tried to xvii
INTRODUCTION use their original orthography, or merely
used the orthography which was his own habitual practice. I
have therefore retained for the most part the spellings of F, or of the
best authorities when F fails, replacing only a few of the more
misleading spellings by the familiar ones, and allowing other
variations to remain. These variations mostly fall within the
following categories : 1. EI : Varro wrote EI for the long vowel I
in the nom. pi. of Decl. II (ix. 80) ; but he was probably not consistent
in writing EI everywhere. The manuscript testifies to its use in the
following : plebei (gen. ; cf. plebis vi. 91> in a quotation) v. 40,
81, 158, vi. 87 ; eidem (nom. sing.) vii. 17 (eadem F), x. 10 ; scirpeis
vii. 44 ; Terentiei (nom.), vireis Terentieis (masc), Teren- tieis (fem.)
viii. 36 ; infeineiteis viii. 50 (changed to infiniteis in our text, cf.
(in)finitam viii. 52) ; i(e)is viii. 51 (his F), ix.
5 ; iei (nom.) ix. 2, 35 ; hei re(e)i fer(re)ei de(e)i viii. 70 ;
hinnulei ix. 28 ; utrei (nom. pi.) ix. 65 (utre.I. F ; cf. utri ix. 65) ;
(B)a(e)biei, B(a)ebieis x. 50 (alongside Caelii, Celiis). 2. AE and E : Varro, as a
countryman, may in some words have used E where residents of the city
of Rome used AE (cf. v. 97) ; but the standard ortho- graphy has
been introduced in our text, except that E has been retained in seculum
and sepio (and its compounds : v. 141, 150, 157, 162, vii. 7, 13),
which always appear in this form. 3. OE and U : The writing
OE is kept where it appears in the manuscript or is supported by
the context : moerus and derivatives v. 50, 141 bis, 143, vi. 87 ;
moenere, moenitius v. 141 ; Poenicum v. 113, viii. 65 bis ; poeniendo v.
177. OE in other words is the standard orthography.
xviii INTRODUCTION 4. VO UO and VU
UU : Varro certainly wrote only VO or UO, but the manuscript rarely
shows VO or UO in inflectional syllables. The examples are novom
ix. 20 (corrected from nouum in F) ; nomina- tuom ix. 95, x. 30 (both
-tiuom F) ; obliquom x. 50 ; loquontur vi. 1, ix. 85 ; sequontur x. 71 ;
clivos v. 158 ; perhaps amburvom v. 127 (impurro Fv). In initial
syllables VO is almost regular : volt vi. 47, etc. ; volpes v. 101 ;
volgus v. 58, etc., but vulgo viii. 66 ; Folcanus v. 70y etc. ; volsillis
ix. 33. Examples of the opposite practice are aequum vi. 71 ; duum x. 11
; antiquus vi. 68 ; sequuntur viii. 25 ; confiuunt x. 50. Our text
preserves the manuscript readings. 5. UV before a vowel : Varro
probably wrote U and not UV before a vowel, except initially, where
his practice may have been the other way. The examples are :
Pacuius v. 60, vi. 6 (catulus (Fv)), 94, vii. 18, 76, and Pacuvius v. 17,
24, vii. 59 ; gen. Pacui v. 7, vi. 6, vii. 22 ; Pacuium vii. 87,
88, 91, 102 ; compluium, impluium v. 161, and pluvia v. 161, compluvium
v. 125 ; simpuium v. 124 bis (simpulum codd.) ; cf. panuvellium v.
114. Initially : uvidus v. 24 ; uvae, uvore v. 104 ; uvidum v. 109-
6. U and I : Varro shows in medial syllables a variation between U
and I, before P or B or F or M plus a vowel. The orthography of the
manuscript has been retained in our text, though it is likely that
Varro regularly used U in these types : The superlative and similar
words : albissumum viii. 75 ; fnigalissumus viii. 77 ;
c{a)esi(s)sumus viii. 76; intumus v. 154; maritumae v. 113;
melissumum viii. 76 ; optumum vii. 51 ; pauperrumus viii. 77 ;
proxuma etc. v. 36, 93, ix. 115, x. 4, 26 ; septuma etc. ix. 30, x. 46 ler ; Septumio v. 1, vii. 109 5
superrumo xix INTRODUCTION
vii. 51 ; decuma vi. 54. Cf. proximo, optima maxima v. 102, minimum vii. 101, and many in
viii. 75-78. Compounds of -fex and derivatives : pontufex v.
83, pontufices v. 83 (F 2 for pontifices) ; artufices ix. 12 ;
sacrujiciis v. 98, 124. Cf. pontifices v. 23, vi. 54, etc. ; artifex v. 93, ix. Ill, etc. ;
sacrificium vii. 88, etc. Miscellaneous words : monumentum v. 148,
but monimentum etc. v. 41, vi. 49 bis ; mancupis v. 40, but
mancipium etc. v. 163, vi. 74, 85 ; quadrupes v. 34, but quadripedem etc.
vii. 39 bis, quadriplex etc. x. 46 etc., quadripertita etc. v. 12
etc. 7. LUBET and LIBET : Varro probably wrote lubet, lubido,
etc., but the orthography varies, and the manuscript tradition is kept in
our text : lubere lubendo vi. 47, lubenter vii. 89, lubitum ix. 34,
lubidine x. 56 ; and libido vi. 47, x. 60, libidinosus Libentina
Libitina vi. 47, libidine x. 61. 8. H : Whether Varro used the initial H
according to the standard practice at Rome, is uncertain. In the
country it was likely to be dropped in pronuncia- tion ; and the
manuscript shows variation in its use. We have restored the H in our text
according to the usual orthography, except that irpices, v. 136 bis,
has been left because of the attendant text. Examples of its omission
are Arpocrates v. 57 ; Ypsicrates v. 88 ; aedus ircus v. 97 ; olus olera
v. 108, x. 50 ; olitorium v. 146 ; olitores vi. 20 ; ortis v. 103,
ortorum v. 146 bis, orti vi. 20 ; aruspex vii. 88. These are normalized
in our text, along with certain other related spellings : sepulchrum
vii. 24 is made to conform to the usual sepulcrum, and the almost
invariable nichil and nichili have been changed to nihil and
nihili. 9. X and CS : There are traces of a writing CS for X,
which has in these instances been kept in the text : xx
INTRODUCTION arcs vii. 44 {ares F) ; acsitiosae (ac
sitiose F), acsitiosa (ac sitio a- F) vi. 66 ; dues (duces F) x.
57. 10. Doubled Consonants : Varro's practice in this matter
is uncertain, in some words. F regularly has littera (only Uteris v. 3
has one T), but obliterata (ix. 16, -atae ix. 21, -at-trf v. 52), and
these spellings are kept in our text. Communis has been made
regular, though F usually has one M ; casus is in- variable, except for
de cassu in cassum viii. 39, which has been retained as probably coming
from Varro himself. Iupiter, with one P, is retained, because
invariable in F ; the only exception is Iuppitri viii. 33 (iuppiti F),
which has also been kept. Numo vi. 61, for nummo, has been kept as
perhaps an archaic spelling. Decusis ix. 81 has for the same reason
been kept in the citation from Lucilius. In a few words the normal
orthography has been introduced in the text : grallator vii. 69 bis for
gralaior, grabatis viii. 32 for grabattis. For combinations resulting
from pre- fixes see the next paragraph. 11. Consonants of
Prefixes : Varro's usage here is quite uncertain, whether he kept the
unassimilated consonants in the compounds. Apparently in some
groups he made the assimilations, in others he did not. The evidence is
as follows, the variant orthography being retained in our text :
Ad-c- : always acc-, except possibly adcensos vii. 58 (F 2, for
acensos F 1 ). Ad-f- : always off-, except adfuerit vi. 40.
Ad-l- : always all-, except adlocutum vi. 57, adlucet vi. 79,
adlatis (ablatis F) ix. 21. Ad-m- : always adm-, except ammonendum
v. 6, amministrat vi. 78, amminicula vii. 2, amminister vii. 34
(F2, for adm- F*). xxi INTRODUCTION
Ad-s- : regularly ass-, but also adserere vi. 64, adsiet vi. 92,
adsimus vii. 99? adsequi viii. 8, x. 9> a^- significare often (always
except assignificant vii. 80), adsumi viii. 69, adsumat ix. 42, adsumere
x. 58. Ad-sc-, ad-sp-, ad-st- : always with loss of the D, as
in ascendere, ascribere, ascriptos (vii. 57), ascriptivi (vii. 56),
aspicere, aspectus, astans. Ad-t- : always a#-, except adtributa v.
48, and possibly adtinuit (F 1, but a^- F 2 ) ix. 59- Con-l-,
con-b-, con-m-, con-r-: always coll-, comb-, comm.-, corr-.
Con-p- : always comp-, except conpernis ix. 10. Ex-f- :
always eff-, except exfluit v. 29. Ex-s- : exsolveret v. 176,
exsuperet vi. 50, but exuperantum vii. 18 (normalized in our text
to exsuperantum). Ex-sc- : exculpserant v. 143. Ex-sp- : always
expecto etc. vi. 82, x. 40, etc. Ex-sq- : regularly Esquiliis ; but Exquilias v.
25, Exquiliis v. 159 (Fv)i normalized to Esq- in our text.
Ex-st : extol v. 8, vi. 78 ; but exstat v. 3, normalized to extat
in our text. In-l- : usually ill-, but inlicium vi. 88 bis, 93
(illici- tum F), 94, 95, inliceret vi. 90, inliciatur vi. 94 ; the
variation is kept in our text: In-m- : always imm-, except in
(i?i)mutatis vi. 38, where the restored addition is unassimilated to
indi- cate the negative prefix and not the local in. In-p- :
always imp-, except inpos v. 4 bis (once ineos F), inpotem v. 4
(inpotentem F), inplorat vi. 68. Ob-c-, ob-f-, ob-p- : always occ-,
off-, opp-. Ob-t- : always opt-, as in optineo etc. vii. 17, 91
> x. 19, optemperare ix. 6. Per-l- : pellexit vi. 94, but
perlucent v. 140. xxii INTRODUCTION
Sub-c-, sub-f-, sub-p- : always succ-, suff-, supp-, except
subcidit v. 116. Subs- and subs- + consonant : regularly sus- +
con- sonant, except subscribunt vii. 107. Sub-t- : only in
suptilius x. 40. Trans-l- : in tralatum vi. 77, vii. 23, 103, x. 71
; tralaticio vi. 55 (tranlatio Fv) and translaticio v. 32, vi. 64-
(translatio F, tranlatio Fv), translaticiis vi. 78. Trans-v- : in
travolat v. 118, and transversus vii. 81, x. 22, 23, 43. '
Trans-d- : in traducere. 12. DE and DI : The manuscript has
been followed in the orthography of the following : directo vii.
15, dirigi viii. 26, derecti x. 22 bis, deriguntur derectorum x. 22, derecta directis
x. 43, directas x. 44, derigitur x. 74 ; deiunctum x. 45, deiunctae x.
47. 13. Second
Declension : Nora. sing, and acc. sing, in -uom and -uum, see 5.
Gen. sing, of nouns in -ius : Varro used the form ending in a
single I (cf. viii. 36), and a few such forms stand in the manuscript :
Muci v. 5 (muti F) ; Pacui v. 7, vi. 6, vii. 22 ; Mani vi. 90 5 Quinti
vi. 92, Ephesi viii. 22 (ephesis F), Plauti et Marci viii. 36,
dispendi ix. 54 (quoted, metrical ; alongside dispendii ix.
54). The gen. in II is much commoner ; both forms are kept in our
text. Nom. pi., written by Varro with EI (cf. ix. 80) ;
examples are given in 1, above. Gen. pi. : The older form in -um
for certain words (denarium, centumvirum, etc.) is upheld viii. 71,
ix. 82, 85, and occurs occasionally elsewhere : Velabrum v. 44,
Querquetulanum v. 49, Sabinum v. 74, etc. Dat.-abl. pi.,
written by Varro with EIS (cf. ix. 80) ; xxiii
INTRODUCTION examples are given in 1, above, but the
manuscript regularly has IS. Dat.-abl. pi. of nouns ending in
-ius, -ia, -turn, are almost always written IIS ; there are a few for
which the manuscript has IS, which we have normalized to IIS :
Gabis v. 33, (Es)quilis v. 50, kostis v. 98, Publicis v. 158,
Faleris v. 162, praeverbis vi. 82 (cf. praeverbiis vi. 38 bis),
mysteris vii. 34- (cf. mysteriis vii. 19) 5 miliaris ix. 85 (inilitaris
F). Deus shows the following variations : Nom. pi. de{e)i
viii. 70, dei v. 57, 58 bis, 66, 71, vii. 36,
ix. 59, dii v. 58, 144, vii. 16 ; dat.-abl. pi. deis v. 122, vii.
45, diis v. 69, 71, 182, vi. 24, 34, vii. 34. 14. Third Declension : The
abl. sing, varies between E and I : supellectile viii. 30, 32, ix. 46,
and supellectili ix. 20 (-lis F) ; cf. also vesperi (uespert- F)
and vespere ix. 73. Nom. pi., where ending in IS in the manuscript,
is altered to ES ; the examples are mediocris v. 5 ; partis
v. 21, 56; ambonis v. 115; urbis v. 143; aedis v. 160; compluris
vi. 15 ; Novendialis vi. 26 ; auris vi. 83 ; dis- parilis viii. 67;
lentis'vs.. 34; omnis ix. 81; dissimilis ix. 92. Gen. pi. in
UM and IUM, see viii. 67. In view of dentum viii. 67, expressly
championed by Varro, Veientum v. 30 (uenientum F), caelestum vi. 53,
Quiritum vi. 68 have been kept in our text. Acc. pi. in
ES and IS, see viii. 67. Varro 's dis- tribution of the two endings seems
to have been purely empirical and arbitrary, and the manuscript
readings have been retained in our text. 15. Fourth Declension :
Gen. sing. : Gellius, Nodes Atticae iv. 16. 1, tells us that Varro always
used UIS in this form. Nonius Marcellus 483-494 M. cites xxiv
INTRODUCTION eleven such forms from Varro, but
also sumpti. The De Lingua Latina gives the following partial
examples of this ending : usuis ix. 4 (suis F), x. 73 (usui F), casuis
x. 50 {casuum F), x. 62 (casus his F). Examples of this form ending in US
are kept in our text : fructus v. 34, 134, senatus v. 87, exercitus
v. 88, panus v. 105, domus v. 162, census v. 181, mofws vi. 3, sonitus
vi. 67 sensus vi. 80, wjms viii. 28, 30 c, except as noted
below. Letters changed from the manuscript reading are
printed in italics. Some obvious additions, and the following
changes, are sometimes not further explained by critical notes :
ae with italic a, for manuscript e. oe, with italic o, for
manuscript ae or e. italic b and v, for manuscript u and b. italic
f andpA, for manuscript ph andf. italic i and y, for manuscript y and
i. italic h, for an h omitted in the manuscript. The manuscripts
are referred to as follows ; read- ings without specification of the
manuscript are from F : F=Laurentianus li. 10 ; No. 1 in our
list. F 1 or m 1, the original writer of F, or the first
hand. F 2 or m 2, the corrector of F, or the second hand. Fv
= readings from the lost quaternion of F, as recorded by Victorius ; our
No. 2. xlix INTRODUCTION
Frag. Cass. = Cassinensis 361 ; our No. 3. f= Laurentianus li. 5 ;
our No. 5. H= Havniensis ; our No. 6. G = Gothanus ; our No.
7. a = Parisinus 7489 ; our No. 8. 6 = Parisinus 6142 ;
our No. 9- c=Parisinus 7535 ; our No. 10. V= Vindobonensis
lxiii. ; our No. 1 1 . p = Basiliensis F iv. 13 ; our No. 12. M=
Guelferbytanus 896 ; our No. 13. B = that used by Augustinus ; our No.
14. The following abbreviations are used for editors and
editions (others are referred to by their full names) :
Laetus = editio princeps of Pomponius Laetus. Rhol. = Rholandellus,
whose first edition was in 1475. Pius = Baptista Pius, edition
of 1510. Aug. = Antonius Augustinus, editor of the Vul- gate
edition 1554, reprinted 1557. Sciop. = Gaspar Scioppius, edition of 1602,
re- printed 1605. L. Sp. = Leonhard Spengel, edition of 1826
(and articles). Mue. = Karl Ottfried Mueller, edition of
1833. A. Sp. = Andreas Spengel, edition of 1885 (and
articles). GS. = G. Goetz and F. Schoell, edition of 1910.
1 M. TERENTI VARRONIS DE LINGUA
LATINA De Disciplina Originum Verborum ad ClCERONEM
LIBER II1I EXPLICIT ; INCIPIT LIBER V I. 1. Quemadmodum vocabula essent imposita rebus in
lingua Latina, sex libris exponere institui. De his tris ante hunc feci
quos Septumio misi : in quibus est de disciplina, quam vocant
eri'/ioAoyi/ojv 1 : quae contra ea(m) 2 dicerentur, volumine primo, quae
pro ea, secundo, quae de ea, tertio. In his ad te scribam, a quibus
rebus vocabula imposita sint in lingua Latina, et ea quae sunt in
consuetudine apud (popu- lum et ea quae inveniuntur apud) 3 poetas.
2. Cuwz 1 unius
cuiusque verbi naturae sint duae, a qua re et in qua re vocabulum sit
impositum (itaque § 1. 1 For ethimologicen. 2 Rhol., for ea. 3 Added by
A. Sp. §2. 1 Rhol., for cui. §1. "Books II. -VII.
; Book I. was introductory. * Books II.-IV. e Quaestor to Varro, cf. vii.
109 ; but when or where is not known. Possibly he was the writer on
architecture mentioned by Vitruvius, de Arch. vii. praef. 1 4, and even
the composer of the Libri Observationttm men- 2
ON THE LATIN LANGUAGE Ox THE SciEXCE OF THE ORIGIN OF WORDS,
ADDRESSED TO ClCERO BOOK IV EXDS HERE, AND HERE BEGINS
BOOK V I. 1. In what way names were applied to things
in Latin, I have undertaken to expound, in six books." Of these, I
have already composed three b before this one, and have addressed them to
Septumius c ; in them I treat of the branch of learning which is
called Etymology. The considerations whichmight be raised against
it, I have put in the first book ; those adduced in its favour, in the
second ; those merely describing it, in the third. In the following
books, addressed to you, d I shall discuss the problem from what
things names were applied in Latin, both those which are habitual
with the ordinary folk, and those which are found in the poets.
2. Inasmuch as each and every word has two innate features, from
what thing and to what thing tioned by Quintilian, Inst. Orat. iv.
1. 19. d Cicero, to whom Varro addresses the balance of the work,
Books V.-XXV., written apparently in 47-45 b.c. 3
VARRO a qua re sit pertinacia cum requi(ri)tur,
2 ostenditur 3 esse a perten(den)do 4 ; in qua re sit impositum
dicitur cum demonstratur, in quo non debet pertendi et pertendit,
pertinaciam esse, quod in quo oporteat manere, si in eo perstet,
perseverantia sit), priorem illam partem, ubi cur et unde sint verba
scrutantur, Graeci vocant £Tu//oAoyiav, 5 illam alteram Trtp(}) °" r
l- /xcuvo/xevwi'. De quibus duabus rebus in his libris promiscue
dicam, sed exilius de posteriore. 3. Quae ideo sunt obscuriora,
quod neque omnis impositio verborum extat, 1 quod vetustas quasdam
delevit, nec quae extat sine mendo omnis imposita, nec quae recte est
imposita, cuncta manet (multa enim verba li(t)teris commutatis sunt
interpolata), neque omnis origo est nostrae linguae e vernaculis
verbis, et multa verba aliud nunc ostendunt, aliud ante significabant, ut
hostis : nam turn eo verbo dicebant peregrinum qui suis legibus uteretur,
nunc dicunt eum quern turn dicebant perduellem. 4. In quo genere verborum aut casu erit
illustrius unde videri possit origo, inde repetam. Ita fieri
oportere apparet, quod recto casu quom 1 dicimus inpos, 2 obscurius est
esse a potentia qua(m> 3 cum 2 OS., for sequitur. 3 For hostenditur. 4 Rhol.,
for pertendo. 5 For ethimologiam. § 3. 1 For exstat.
§ 4. 1 Aug., with B, for quem. 2 p, Laetus, for ineos. 3 For
qua. § 2. ° Properly an abstract formed from pertinax, itself
a compound of tenax ' tenacious,' derived from tenere ' to hold.' §
3. ° Cf. vii. 49. § 4. Not from potentia ; but both from radical
pot-. 4 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 2-4
the name is applied (therefore, when the question is raised
from what thing pertinacia ' obstinacy ' is,° it is shown to be from
pertendere ' to persist ' : to what thing it is applied, is told when it
is explained that it is pertinacia ' obstinacy ' in a matter in which
there ought not to be persistence but there is, because it is
perseverantia ' steadfastness ' if a person persists in that in which he
ought to hold firm), that former part, where they examine why and whence
words are, the Greeks call Etymology, that other part they call
Semantics. Of these two matters I shall speak in the following books, not
keeping them apart, but giving less attention to the second.
3. These relations are often rather obscure for the following
reasons : Not every word that has been applied, still exists, because
lapse of time has blotted out some. Not every word that is in use, has
been applied without inaccuracy of some kind, nor does every word
which has been applied correctly remain as it originally was ; for many
words are disguised by change of the letters. There are some whose
origin is not from native words of our own language. Many words
indicate one thing now, but formerly meant something else, as is the case
with hostis ' enemy ' : for in olden times by this word they meant a
foreigner from a country independent of Roman laws, but now they
give the name to him whom they then called perduellis ' enemy.' a
4. I shall take as starting-point of my discussion that derivative
or case-form of the words in which the origin can be more clearly seen.
It is evident that we ought to operate in this way, because when we
say inpos ' lacking power ' in the nominative, it is less clear
that it is from potentia a ' power ' than when we 5
VARRO dicimus inpotem 4 ; et eo obscurius fit, si
dicas pos quam 5 inpos : videtur enim pos significare potius pontem
quam potentem. 5. Vetustas pauca non depravat, multa tollit.
Quem puerum vidisti formosum, hunc vides defor- mem in senecta. Tertium
seculum non videt eum homincm quem vidit primum. Quare ilia quae
iam maioribus nostris ademit oblivio, fugitiva secuta sedulitas
Muci 1 et Bruti retrahere nequit. Non,
si non potuero indagare, eo ero tardior, sed velocior ideo, si
quivero. Non mediocres 2 enim tenebrae in silva ubi haec captanda neque
eo quo pervenire volumus semitae tritae, neque non in tramitibus
quaedam obz'ecta 3 quae euntem retinere possent. 6. Quorum verborum
novorum ac veterum dis- cordia omnis in consuetudine com(m)uni, quot
modis 1 commutatio sit facta qui animadverterit, facilius scrutari
origines patietur verborum : reperiet enim esse commutata, ut in
superioribus libris ostendi, maxime propter bis quaternas causas.
Litterarum enim fit demptione aut additione et propter earum
tra(ie)ctionem 2 aut commutationem, item syllabarum productione (aut
correptione, denique adiectione aut 4 Aug., for inpotentem. 5 Aug., with B, for
postquam. § 5. 1 For muti. 2 For mediocris. 3 For oblecta.
§ 6. 1 After modis, Fr. Fritzsche deleted litterarum. 2 Scaliger
and Popma,for tractationem. * Avoided in practice, in favour
of dissyllabic potis. " Be- cause the nasal was almost or quite lost
before s ; cf. the regular inscriptional spelling cosol= consul.
§ 5. ° P. Mucius Scaevola and M. Junius Brutus, distin- guished
jurists and writers on law in the period 150-130 b.c. Mucius, as pontifex
maximus, seems to have collected and 6 ON THE LATIN
LANGUAGE, V. e(n)ta'fodinae 2 et viocurus ? Secundus quo grammatica
escendit 3 antiqua, quae ostendit, quem- admodum quodque poeta finxerit
verbum, quod confinxerit, quod declinarit ; hie Pacui :
Rudentum sibilus, hie : Incwrvicervicum 4
pecus, hie : Clamide clupeat bacchium. s 8.
Tertius gradus, quo philosophia ascendens per- venit atque ea quae in
consuetudine communi essent aperire coepit, 1 ut a quo dictum esset
oppidum, vicus, via. Quartus, ubi est adytum 2 et initia regis :
quo si non perveniam (ad) 3 scientiam, at* opinionem aucupabor,
quod etiam in salute nostra nonnunquam facit 5 cum aegrotamus
medicus. 3 Added by Kent, after Scaliger, Mite., OS. ; cf.
Quintilian, hist. Orat. i. 6. 32. 4 After libris, Aug. deleted qui.
§7. 1 After infimus, Sciop. deleted in. 2 Canal, for aretofodine. 3
Sciop., for descendit. 4 O, Aldus, for inceruice ruicum. 8 For
bacchium. §8. 1 For caepit. 2 Sciop., for aditum. 3 Added by
L. Sp. 4 Sciop., for ad. 5 Aldus, with p, for fecit. § 7. °
Cf. viii. 62. 6 Teucer, Trag. Rom. Frag. 336 Ilibbeck 3 ; R.O.L. ii.
296-297 Warmington. c Ex inc. fab. xliv, verse 408, Trag. Rom. Frag.
Ribbeck 3, R.O.L. ii. 292-293 Warmington, referring to the dolphins of
Nereus ; the entire 8 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
&-8 by examples, in the preceding books, of what
sort these phenomena are, I have thought that here I need only set
a reminder of that previous discussion. 7. Now I shall set forth the
origins of the indivi- dual words, of which there are four levels of
explana- tion. The lowest is that to which even the common folk has
come ; who does not see the sources of argentifodinae a ' silver-mines '
and of viocurus ' road- overseer ' ? The second is that to which
old-time grammar has mounted, which shows how the poet has made
each word which he has fashioned and derived. Here belongs Pacuvius's
6 The whistling of the ropes, here his c
Incurvate-necked flock, here his d With his
mantle he beshields his arm. 8. The third level is that to which
philosophy ascended, and on arrival began to reveal the nature of
those words which are in common use, as, for example, from what oppidum '
town ' was named, and vicus ' row of houses,' a and via ' street.' The
fourth is that where the sanctuary is, and the mysteries of the
high- priest : if I shall not arrive at full knowledge there, at
any rate I shall cast about for a conjecture, which even in matters of
our health the physician sometimes does when we are ill.
verse in Quintilian, Inst. Orat. i. 5. 67, Nerei repandirostrum
incurvicervicum pecus. d Hermiona, Trag. Rom. Frag. 186 Ribbeck 3, R.O.L.
ii. 232-233 Warmington ; the entire verse in Nonius Marcellus, 87. 23 M.
: currum liquit, clamide contorta astu clipeat braccium. § 8.
° From this meaning, either an entire small ' village ' or a ' street '
in a large city. 9 VARRO 9.
Quodsi summum gradum non attigero, tamen secundum praeteribo, quod non
solum ad Aris- tophanis lucernam, sed etiam ad CleantAis lucubravi.
Volui praeterire eos, qui poetarum modo verba ut sint ficta expediunt.
Non enim videbatur consen- taneum qua(e>re 1 me in eo verbo quod
finxisset Ennius causam, neglegere quod ante rex Latinus finxisset,
cum poeticis multis verbis magis delecter quam utar, antiquis magis utar
quam delecter. An non potius mea verba ilia quae hereditate a
Romulo rege venerunt quam quae a poeta Livio relicta ? 10.
Igitur quoniam in haec sunt tripertita verba, quae sunt aut nostra aut
aliena aut oblivia, de nostris dicam cur sint, de alienis unde sint, de
obliviis re- linquam : quorum partim quid ta(men) invenerim aut
opiner 1 scribam. In hoc libro dicam de vocabulis locorum et quae in his
sunt, in secundo de temporum et quae in his fiunt, in tertio de utraque
re a poetis comprehensa. 11. Pythagoras Samius ait omnium
rerum initia esse bina ut finitum et infinitum, bonum et malum,
§9. 1 Aug., for
quare. § 10. 1 After A. Sp., with tamen from Fay's quo loco
tamen ; for quo ita inuenerim ita opiner. §9. Aristophanes of
Byzantium, 262-185 b.c, pupil of Zenodotus and Callimachus at Alexandria,
and himself one of the greatest of the Alexandrian grammarians, who
busied himself especially with the textual correction and editing
of the Greek authors, notably Homer, Hesiod, and the lyric poets. 6
Frag. 485 von Arnim ; Cleanthes of Assos, 331- 232 b.c, pupil and
successor of Zeno, founder of the Stoic school of philosophy (died 264),
as head of the school, at Athens, and author of many works on all phases
of the Stoic teaching. e L. Livius Andronicus, c. 284-202 b.c, born
at Tarentum ; first epic and dramatic poet of the Romans.
§11. Pythagoras, born probably in Samos about 567 b.c,
10 ON THE LATIN LANGUAGE, V. $-11
9. But if I have not reached the highest level, I shall none the
less go farther up than the second, because I have studied not only by
the lamp of Aris- tophanes, but also by that of Cleanthes. 6 I have
desired to go farther than those who expound only how the words of the
poets are made up. For it did not seem meet that I seek the source in the
case of the word which Ennius had made, and neglect that which long
before King Latinus had made, in view of the fact that I get pleasure
rather than utility from many words of the poets, and more utility
than pleasure from the ancient words. And in fact are not those
words mine which have come to me by inheritance from King Romulus, rather
than those which were left behind by the poet Livius ? c 10.
Therefore since words are divided into these three groups, those which
are our own, those which are of foreign origin, and those which are
obsolete and of forgotten sources, I shall set forth about our own
why they are, about those of foreign origin whence they are, and as to
the obsolete I shall let them alone : except that concerning some of them
I shall none the less write what I have found or myself conjecture.
In this book I shall tell about the words denoting places and those
things which are in them ; in the follow- ing book I shall tell of the
words denoting times and those things which take place in them : in the
third I shall tell of both these as expressed by the poets.
11. Pythagoras the Samian says that the primal elements of all
things are in pairs, as finite and infinite, removed to Croton in
South Italy about 529 and was there the founder of the
philosophic-political school of belief which attaches to his name. His
teachings were oral only, and were reduced to writing by his
followers. 11 VARRO vitam et mortem, diem et
noctem. Quare item duo status et motus, (utrumque quadripertitum) 1 :
quod stat aut agitatur, corpus, ubi agitatur, locus, dum agitatur,
tempus, quod est in agitatu, actio. Quadri- pertitio magis sic apparebit
: corpus est ut cursor, locus stadium qua currit, tempus hora qua
currit, actio cursio. 12. Quare fit, ut ideo fere omnia sint
quadri- pertita et ea aeterna, quod neque unquam tempus, quin
fuerit 1 motus : eius enim 2 intervallum tempus ; ncque motus, ubi non
locus et corpus, quod alterum est quod movetur, alterum ubi ; neque ubi
is agitatus, non actio ibi. Igitur initiorum quadrigae locus et
corpus, tempus et actio. 13. Quare quod quattuor genera prima
rerum, totidem verborum : e quis (de) locis et ns 1 rebus quae in
his videntur in hoc libro summatim ponam. Sed qua cognatio eius erit
verbi quae radices egerit extra fines suas, persequemur. Saepe enim ad
limitem arboris radices sub vicini prodierunt segetem. Quare non, cum de locis dicam, si ab agro ad
agrarium 2 hominem, ad agricolam pervenero, aberraro. Multa §11. 1
Added by L. Sp. §12. 1 For fuerint. 2 A ug., for animi.
§ 13. 1 L. Sp., for uerborum enim horum dequis locis et his.
2 L. Sp., for agrosium. § 13. ° Celebrated on April 23 and
August 19, when an offering of new wine was made to Jupiter ; cf. vi. 16
and vi. 20. 12 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
11-13 good and bad, life and death, day and night.
There- fore likewise there are the two fundamentals, station and
motion, each divided into four kinds : what is stationary or is in
motion, is body ; where it is in motion, is place ; while it is in
motion, is time ; what is inherent in the motion, is action. The
fourfold division will be clearer in this way : body is, so to
speak, the runner, place is the race-course where he runs, time is the
period during which he runs, action is the running. 12.
Therefore it comes about that for this reason all things, in general, are
divided into four phases, and these universal ; because there is never
time without there being motion — for even an intermission of
motion is time — ; nor is there motion where there is not place and body,
because the latter is that which is moved, and the former is where ;
nor where this motion is, does there fail to be action. Therefore
place and body, time and action are the four-horse team of the
elements. 13. Therefore because the primal classes of things
are four in number, so many are the primal classes of words. From among
these, concerning places and those things which are seen in them, I shall
put a summary account in this book ; but we shall follow them up
wherever the kin of the word under discus- sion is, even if it has driven
its roots beyond its own territory. For often the roots of a tree which
is close to the line of the property have gone out under the
neighbour's cornfield. Wherefore, when I speak of places, I shall not
have gone astray, if from ager ' field ' I pass to an agrarius ' agrarian
' man, and to an agricola ' farmer.' The partnership of words is
one of many members : the Wine Festival a cannot be set
13 VARRO societas verborum, nec
Vinalia sine vino expediri nec Curia Calabra sine calatione potest
aperiri. II. 14. Incipiam de locis ob 1 ipsius loci origine. Locus est, ubi
locatum quid esse potest, ut nunc dicunt, collocatum. Veteres id dicere
solitos apparet apud Plautum : Filiam habeo grandem dote
cassa(m> atque inlocabile 3 Neque earn queo locare
cuiquam. Apud Ennium
: O Terra T/jraeca, ubi Liberi fanum incZutfum 3 Maro 4
locavi. 5 15. Ubi quidque consistit, locus. Ab eo praeco
dicitur locare, quod usque idem it, 1 quoad in aliquo constitit pretium.
In(de) 2 locarium quod datur in stabulo et taberna, ubi consistant. Sic
loci muliebres, ubi nascendi initia consistunt. III. 16. Loca
natura(e) 1 secundum antiquam divisionem prima duo, terra et caelum,
deinde par- ticulatim utriusque multa. Caeli dicuntur loca su- § 14. 1 Sciop.,
for sub. 2 So Plautus, for cassa dote atque inlocabili F ; Plautus also
has virginem for filiam. 3 Wilhelm, for inciuium. 4 For miro F 2, maro F
1 . 6 Ribbeck, for locaui. § 15. 1 Turnebus, for id emit. 2
Laetus,for in. § 16. 1 Aug., for natura. 6 A
place on the Capitoline Hill, near the cottage of Romulus, and also the
meeting held there on the Kalends, when the priests announced the number
of days until the Nones ; cf. vi. 27, and Macrobius, Saturnalia, i. 15.
7. § 14. a Theuncompounded word; which, like its compound,
meant both ' established in a fixed position ' and ' established in a
marriage.' b Aulularia, 191-192. e That is, in marriage. d Trag. Rom.
Frag. 347-348 Ribbeck 3 ; R.O.L. 14 on its way
without wine, nor can the Curia Calabra ' Announcement Hall ' b be opened
without the calatio ' proclamation.' II. 14. Among places, I
shall begin with the origin of the word locus ' place ' itself. Locus is
where something can be locatum a ' placed,' or as they say
nowadays, colhcatum ' established.' That the ancients were wont to use
the word in this meaning, is clear in Plautus 6 : I have a
grown-up daughter, lacking dower, unplaceable,' Nor can I
place her now with anyone. In Ennius we find d : O
Thracian Land, where Bacchus' fane renowned Did Maro place.
15. Where anything comes to a standstill, is a locus ' place.' From
this the auctioneer is said locare 1 to place ' because he is all the
time likewise going on until the price comes to a standstill on
someone. Thence also is locarium ' place-rent,' which is given for
a lodging or a shop, where the payers take their stand. So also loci
muliebres ' woman's places,' where the beginnings of birth are
situated. III. 16. The primal places of the universe, accord-
ing to the ancient division, are two, terra ' earth ' and caelum ' sky,'
and then, according to the division into items, there are many places in
each. The places of the sky are called loca super a ' upper places,'
and i. 376-377 Warmington. Maro, son of Euanthes and priest
of Apollo in the Thracian Ismaros, in thanks for protection for himself
and his followers, gave Ulysses a present of excellent wine (Odyssey, ix.
197 ff.). Because of this, later legend drew him into the Dionysiac
circle, as son or grandson of Bacchus, or otherwise. There were even
cults of Maro himself in Maroneia, Samothrace, and elsewhere.
15 VARRO pera et ea deorum, terrae
loca infcra et ea hominum. Ut Asia sic caelum dicitur modis duobus. Nam
et Asia, quae non Europa, in quo etiam Syria, et Asia dicitur
prioris pars Asiae, in qua est Ionia ac provincia nostra. 17.
Sic caelum et pars eius, summum ubi stellae, et id quod Pacuvius cum
demonstrat dicit : Hoc vide circum supraque quod complexu
continet Terram. Cui subiungit : Id quod nostri
caelum memorant. A qua bipertita divisione Lua'Zius 1 suorum
un(i)us 2 et viginti librorum initium fecit hoc : Aetheris et
terrae genitabile quaerere tempus. 18. Caelum dictum scribit
Aelius, quod est ccelatum, aut contrario nomine, celatum quod aper-
tum est ; non male, quod (im)positor 1 multo potius (caelare) 2 a caelo
quam caelum a caelando. Sed non § 17. 1 Scaliger, for lucretius. 2
Laetus, for unum. § 18. 1 GS.,for posterior. 2 Added by Scaliger.
§ 16. ° Asia originally designated probably only a town or small
district in Lydia, and then came to be what we now call Asia Minor, and
finally the entire continent. 6 Ionia was a coastal region of Asia Minor,
including Smyrna, Ephesus, Miletus, etc., and was included within
provincia nostra. But ' our province ' ran much farther inland,
comprising Phrygia, Mysia, Lydia, Caria (Cicero, Pro Flacco, 27. 65),
which explains the ' and.' § 17. ° Chryses, Tray. Rom. Fray.
87-88 and 90 Ribbeck 3 ; R.O.L. 2. 202-203, lines 107-108, 1 1 1
Warmington. 6 Satirae, verse 1 Marx. As there were thirty books of
Lucilius's Satires, the limitation to twenty-one by Varro must be
based on another division (for which there is evidence), thus :
Books XXVI.-XXX. were written first, in various metres; I.-XXI.,
16 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 16-18 these
belong to the gods ; the places of the earth are loca infer a ' lower
places,' and these belong to man- kind. Caelum ' sky ' is used in two
ways, just as is Asia. For Asia means the Asia, which is not
Europe, wherein is even Syria ; and Asia means also that part a of
the aforementioned Asia, in which is Ionia 6 and our province.
17. So caelum ' sky ' is both a part of itself, the top where the
stars are, and that which Pacuvius means when he points it out :
See this around and above, which holds in its embrace The
earth. To which he adds : .That which the men of our
days call the sky. From this division into two, Lucilius set this
as the start of his twenty-one books 6 : Seeking the time
when the ether above and the earth were created. 18. Caelum,
Aelius writes," was so called because it is caelatum ' raised above
the surface,' or from the opposite of its idea, 6 celatum ' hidden '
because it is exposed ; not ill the remark, that the one who
applied the term took caelare ' to raise ' much rather from caelum
than caelum from caelare. But that second to which Varro here
alludes, were a second volume, in dactylic hexameters, which Lucilius had
found to be the best vehicle for his work; XXII.-XXV. were a third part,
in elegiacs, probably not published until after their author's
death. § 18. ° Page 59 Funaioli. Caelum is probably connected
with a root seen in German heiter ' bright,' and not with the words
mentioned by Varro. 6 Derivation by the contrary of the meaning, as in
ludus, in quo minime luditur ' school, in which there is very little
playing ' (Fesrus, 122. 16 M.). vol. I c 17
VARRO minus illud alterum de celando ab eo potuit
dici, quod interdiu celatur, quam quod noctu non celatur. 19.
Omnino epk(ap). 3 A puteis oppidum ut Puteoli, quod incircum eum
locum aquae frigidae et caldae multae, nisi a putore potius, quod
putidus odoribus soepe ex sulphure et alumine. Extra oppida a puteis
puticuli, quod ibi in puteis obruebantur homines, nisi potius, ut Aelius
scribit, puticuli 4 quod putescebant ibi cadavera proiecta, qui
locus publicus ultra Esquilias. 5
Itaque eum Afranius /mti/ucos 6 in Togata appellat, quod inde
suspiciunt per p?*teos 7 lumen. 26. Lacus lacuna magna, ubi
aqua contineri potest. Palus paululum aquae in altitudinem et palam
latius diffusae. Stagnum a Graeco, quod ii 1 o-reyvov quod non
habet rimam. 2 Hinc ad villas rutunda 3 stagna, quod rutundum facillime
continet, anguli maxime laborant. § 25. 1 For summi. 2
Buttmann, for potamon sic po tura potu. 3 Victorius, for pe. 4 Mue.,for puticulae. 5 For
exquilias. 6 Scaliger, for cuticulos. 7 Canal, for perpetuos.
§ 26. 1 For 11. 2 Scaliger, for nomen habet primam. 3 B, for
rutundas. § 25. Or ' pit ' ; derivative of root in pidare ' to
cut, think,' cf. amputare ' to cut off.' 6 Aeolis, nom. pi. = Greek
AloXeis. " This and ttvtcos are unknown in the extant remains of
Aeolic Greek, but a number of Aeolic words show the change : anv for
a-no, vfioCcos for ofiotcos. d The modern Pozzuoli, on the Bay of Naples,
in a locality characterized by volcanic springs and exhalations ; Varro's
derivation is correct. * Page 65 Funaioli. ' The Roman ' potters'
field,' for the poor and the slaves. * Com. Rom. Frag. 430 Ribbeck 3 ;
with a jesting transposition of the consonants. Cf. for a similar effect
' pit-lets ' and ' pit-lights.' The description suggests that they were
constructed like the Catacombs. 24-
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 25-26 25. If this moisture
is in the ground no matter how far down, in a place from which it pote '
can ' be taken, it is a puteus ' well ' ° ; unless rather because
the Aeolians 6 used to say, like 7ruTa/zos c for Trorafios ' river,' so
also Trvreos ' well ' for iroreos ' drinkable,' from pohis ' act of
drinking,' and not (f>peap ' well ' as they do now. From patei ' wells
' comes the town- name, such as Puteoli, d because around this place
there are many hot and cold spring-waters ; unless rather from
putor ' stench,' because the place is often putidus ' stinking ' with
smells of sulphur and alum. Outside the towns there are puticuli ' little
pits,' named from putei ' pits,' because there the people used to be
buried in putei ' pits ' ; unless rather, as Aelius e writes, the
puticuli are so called because the corpses which had been thrown out
putescebant ' used to rot ' there, in the public burial-place f which is
beyond the Esqui- line. This place Afranius 9 in a comedy of Roman
life calls the Putiluci ' pit-lights,' for the reason that from it
they look up through putei ' pits ' to the lumen ' light.*
26. A lacus ' lake ' is a large lacuna a ' hollow,' where water can
be confined. A palus b ' swamp ' is a paululum ' small amount ' of water
as to depth, but spread quite widely palam ' in plain sight.' A
stagnum c ' pool ' is from Greek, because they gave the name o-reyvos d '
waterproof ' to that which has no fissure. From this, at farmhouses the
stagna ' pools ' are round, because a round shape most easily holds
water in, but corners are extremely troublesome. §26. ° Lacuna is a
derivative of lacus. 6 Palus, paulu- lum, palam are all etymologically
distinct. e Properly, a pool without an outlet ; perhaps akin to Greek
arayuv ' drop (of liquid).' d Original meaning, ' covered.'
25 VARRO 27. Fluvius, quod fluit,
item flumen : a quo lege praediorum urbanorum scribitur 1 :
Stillicidia fluminaque 2 ut ita 3 cadant fluantque ;
inter haec hoc inter(est), quod stillicidium eo quod stillatim
cadit, 4 flumen quod fluit continue. 28. Amnis id flumen quod
circuit aliquod : nam ab ambitu amnis. Ab hoc qui circum Aternum 1
habitant, Amiternini appellati. Ab eo qui popu- lum candidatus circum it,
2 ambit, et qui aliter facit, indagabili ex ambitu causam dicit. Itaque
Tiberis amnis, quod ambit Martium Campum et urbem ; op- pidum
Interamna dictum, quod inter amnis est constitutum ; item Antemnae, quod
ante amnis, qu(a> Anto 3 influit in Tiberim, quod bello male ac-
ceptum consenuit. 29. Tiberis quod caput extra Latium, si
inde nomen quoque exfluit in linguam nostram, nihil (ad) 1
eTv/ioAoyov Latinum, ut, quod oritur ex Samnio, § 27. 1 For scribitur scribitur. 2
For flumina quae. 8 L. Sp., after Gothofredus, for ut ita. 4 a, Pape,
for cadet. §28. 1 Aug., with B, for alterunum. 2 For
id. 3 Canal, for quanto. § 29. 1 Added by Thiersch.
§ 27. a Cf. Digest, viii. 2. 17. * That is, rain-waters dripping
from roofs and streams resulting from rain shall in city properties not
be diverted from their present courses. Such supplies of water were in
early days a real asset. § 28. " Probably to be associated
with English Avon (from Celtic word for ' river '), and not with ambire '
to go around.' b Good etymology ; Amiternum was an old city in the
Sabine country, on the Aternus River ; with ambi- ' around ' in the
form am-, as in amicire ' to place (a garment) around.'
26 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 27-29
27. Fluvhis ' river ' is so named because it jiuit ' flows,' and
likewise jiumen ' river ' : from which is written, according to the law
of city estates," Stillicidia ' rain-waters ' and flumina ' rivers
' shall be allowed to fall and to flow without interference. 6
Between these there is this difference, that stillicidium '
rain-water ' is so named because it cadit ' falls ' stillatim ' drop by
drop,' and Jiumen ' river ' because it jiuit ' flows '
uninterruptedly. 28. An amnis a is that river which goes
around something ; for amnis is named from ambitus ' circuit.' From
this, those who dwell around the Aternus are called Amiternini ' men of
Amiternum.' 6 From this, he who circum it ' goes around ' the people as a
candi- date, ambit ' canvasses,' and he who does otherwise than he
should, pleads his case in court as a result of his investigable ambitus
' canvassing.'" Therefore the Tiber is called an amnis, because it
ambit ' goes around ' the Campus Martius and the City d ; the town
Interamna ' gets its name from its position inter amnis ' between rivers
' ; likewise Antemnae, because it lies ante amnis ' in front of the
rivers,' where the Anio flows into the Tiber — a town which suffered
in war and wasted away until it perished. 29. The Tiber, because
its source is outside Latium, if the name as well flows forth from
there into our language, does not concern the Latin ety- mologist ;
just as the Volturnus, because it starts from e That is, for
corrupt electioneering methods. d The Tiber swings to the west at Rome,
forming a virtual semicircle. * A city in Umbria, almost encircled by the
river Nar. § 29. Adjective from voltur ' vulture ' ; there was a
Mt. Voltur farther south, on the boundary between Samnium and
Apulia. 27 VARRO Volturnus
nihil ad Latinam linguam : at 2 quod proxi- mum oppidum ab eo secundum
mare Volturnum, ad nos, iam 3 Latinum vocabulum, ut Tiberinus
no(me)n.' Et colonia enim nostra Volturnu?/? 5 et deus Tiberinus.
30. Sed de Tiberis nomine anceps historia. Nam et suum Etruria et
Latium suum esse credit, quod fuerunt qui ab Thebri vicino regulo
Veientum 1 dixe- rint appellat?fimam 4 Novam Viam locus sacellum
(Ve>labrum. 5 44. Velabrum a vehendo.
Velaturam facere etiam nunc dicuntur qui id mercede faciunt. Merces (dicitur a mcrendo
et aere) huic vecturae qui ratibus transibant quadrans. Ab eo Lucilius
scripsit : Quadrantis ratiti. VIII. 45. Reliqua urbis loca
olim discreta, cum Argeorum sacraria septem et viginti in (quattuor)
§43. x Added by Laetus. 2 Mue., with M, for auen- tinum. 3 Added by L. Sp. 4 Turnebus, for
fimam. 5 Mue., for labrum. § 43. ° Page 115 Funaioli.
Etymologies of place-names are particularly treacherous ; none of those
given here ex- plains Aventinus. Varro elsewhere (de gente populi
Romani, quoted by Servius in Aen. vii. 657) says that some Sabines
established here by Romulus called it Aventinus from the Avens, a river
of the district from which they had come. 6 Frag. Poet. Rom. 27 Baehrens;
R.O.L. ii. 56-57 Warming- ton. c The spelling with d is required by the
sense. d Varro says that a ferry-raft was called a velabrum, and
that this name was transferred to the passage on which the rafts had
plied, when it was filled in and had become a street ; but that there
survived a chapel in honour of the ferry-rafts. § 44. ° Correct
etymology. 6 Incorrect etymology. 40 ON THE
LATIN LANGUAGE, V. 43-±5 several origins. Naevius b says
that it is from the aves ' birds,' because the birds went thither
from the Tiber ; others, that it is from King Aventinus the Alban,
because he is buried there ; others that it is the Adventine c Hill, from
the adventus ' coming ' of people, because there a temple of Diana was
estab- lished in which all the Latins had rights in common. I am
decidedly of the opinion, that it is from advectus ' transport by water '
; for of old the hill was cut off from everything else by swampy pools
and streams. Therefore they advehebaniur ' were conveyed ' thither
by rafts ; and traces of this survive, in that the way by which they were
then transported is now called Velabrum ' fern",' and the place from
which they landed at the bottom of New Street is a chapel of the
Velabra. " 44. Velabrum ° is from vehere ' to convey.'
Even now, those persons are said to do velatura ' ferrying,' who do
this for pay. The merces 6 ' pay ' (so called from merere ' to earn ' and
aes ' copper money ') for this ferrying of those who crossed by rafts was
a farthing. From this Lucilius wrote c : Of a raft-marked
farthing. 1 * VIII. 45. The remaining localities of the City
were long' ago divided off, when the twenty-seven c 1272 Marx. d
The quadrans or fourth of an as was marked with the figure of a
raft. § 45. ° It would seem simpler if the shrines numbered
twenty-four, six in each of the four sections of Rome. But both here and
in vii. 44 the number is driven as twenty-seven. It is hardly likely that
in both places XXUII ( =XXVII) has been miswritten for XXIIII ; yet this
supposition must be made by those who think that the correct number is
twenty- four. 41 VARRO
partis 1 urbi(s) 2 sunt disposita. Argeos dictos putant a
principibus, qui cum /fercule Argivo venerunt Romam et in Saturnia
subsederunt. E quis prima scripta est regio
Suburana, 3 secunda' Esquilina, tertia Collina, quarta Palatina.
46. In Suburanae 1 regionis parte princeps est Caelius mons a C#ele
Vibenna, 2 Tusco duce nobili, qui cum sua manu dicitur Romulo venisse
auxilio contra 7atium 3 regem. Hinc post Caelis 4 obitum, quod
nimis munita loca tenerent neque sine suspicione essent, deducti dicuntur
in planum. Ab eis dictus Vicus Tuscus, et ideo ibi Vortumnum stare, quod
is deus Etruriae princeps ; de Caelianis qui a suspicione liberi
essent, traductos in eum locum qui vocatur Cfleliolum. 4-7.
Cum Cflelio 1 coniunctum Carinae et inter eas quern locum Caer(i)o/ensem
2 appellatum apparet, § 45. 1 L. Sp., for sacraria in septem et uiginti
partis. 2 Ijaetus, for urbi. 3 Aug., for suburbana F 1, subura F 2
. § 46. 1 Aug., with B,for suburbanae. 2 Frag. Cass., for
uibenno / cf. Tacitus, Ann. iv. 65. 3 Puccius, \oith Servius in Aen. v.
560, for latinum. 4 Coelis Aug., for celii. § 47. 1 Laetus,
for celion. 2 Kent ; Caeliolensem ten Brink {and similarly through the
section) ; for ceroniensem. * Puppets or dolls made of
rushes, thrown into the Tiber from the Pons Sublicius every year on May
14, as a sacrifice of purification ; the distribution of the shrines from
which they were brought was to enable them to take up the pollu-
tion of the entire city. Possibly the dolls were a substitute for human
victims. The name Argei clearly indicates that the ceremony was brought
from Greece. § 46. Comparison with § 47, § 50, § 52, § 54, shows
that 42 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 45-47
shrines of the Argei 6 were distributed among the four
sections of the City. The Argei, they think, were named from the
chieftains who came to Rome with Hercules the Argive, and settled down in
Saturnia. Of these sections, the first is recorded as the Suburan
region, the second the Esquiline, the third the Colline, the fourth the
Palatine. 46. In the section of the Suburan region, the first
shrine ° is located on the Caelian Hill, named from Caeles Yibenna, a
Tuscan leader of distinction, who is said to have come with his followers
to help Romulus against King Tatius. From this hill the followers
of Caeles are said, after his death, to have been brought down into
the level ground, because they were in possession of a location which was
too strongly forti- fied and their loyalty was somewhat under
suspicion. From them was named the Vicus Tuscus ' Tuscan Row,' and
therefore, they say, the statue of Vertumnus stands there, because he is
the chief god of Etruria ; but those of the Caelians who were free
from suspicion were removed to that place which is called Caeliohim ' the
little Caelian.' 6 47. Joined to the Caelian is Cannae ' the Keels
' ; and between them is the place which is called Caerio- the
sacra Argeorum (§ 50) used princeps, terticeps, etc., to designate
numerically the shrines in each pars ; and that the place-name was set in
the nominative alongside the neuter numeral : therefore " the first
is the Caelian Hill " means that the first shrine is located on that
hill. Cf. K. O. Mueller, Zur Topographle Horns : ilber die Fragmenta der
Sacra Argeorum bei Varro, de Lingua Latlna,v. 8 (pp. 69-94 in C. A.
Bottiger, Archaohgle und Kunst, vol. i., Breslau, 1828). * The
Caeliolum, spoken of also as the Caeliculus (or -um) by Cicero, De liar.
Resp. 15. 32, and as the Caelius Minor by Martial, xii. 18. 6, seems to
have been a smaller and less im- portant section of the Caelian
Hill. 43 VARRO
quod primae regionis quartum sacrarium scriptum sic est :
Caer(i)olensis 3 : quarticeps 4 circa Minerviuin qua in
Caeli?/(m> monte(m) B itur : in tabernola est. Cflcrolensis s a
Carinarum 7 iunctu dictus ; Carinae pote a 8 caeri(m)onia, 9 quod hinc
oritur caput Sacrae Viae ab Streniae sacello quae pertinet in arce(m),
10 qua sacra quotquot mensibus feruntur in arcem et per quam
augures ex arce profecti solent inaugurare. Huius Sacrae Viae pars haec
sola volgo nota, quae est a Foro eunti primore 11 clivo. 48.
Eidem regioni adtributa Subura, quod sub muro terreo Carinarum ; in eo
est Argeorum sacel- lum sextum. Subura(m) 1 Iunius scribit ab eo,
quod fuerit sub antiqua urbc ; cui testimonium potest esse, quod
subest ei 2 loco qui terreus murus vocatur. Sed (ego a) 3 pago potius
Succusano dictam puto Suc- cusam : (quod in nota etiam) 4 nunc scribitur
(SVC) 5 3 Kent, for cerolienses. 4 Aug., for quae triceps. 5 Aug., for celio
monte. 6 Kent, for cerulensis. 7 For carinaernm. 8 Jordan, for postea. 9
cerimonia Bek- ker, for cerionia. 10 Aug., and Frag. Cass., for
arce. 11 Aldus, for primoro. § 48. 1 Wissowa, for subura. 2
Victorius, for et. 3 Added by Laetus (a Frag. Cass.). 4 Added by
Mae., after Quintilian, Inst. Orat. i. 7. 29. 5 Added by Merck-
lin, to fill a gap capable of holding three letters, in F ; cf.
Quintilian, loc. cit. § 47. ° That is, Caeliolensis '
pertaining to the Caeliolus.'' Through separation in meaning from the
primitive, the r has been subject to regular dissimilation as in caerulus
for *catlu- 44 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 47-48
lensis, a obviously because the fourth shrine of the first
region is thus written in the records : Coeriolensis : fourth 6
shrine, near the temple of Minerva, in the street by which you go up the
Caelian Hill ; it is in a booth.' Caeriolensis is so called
from the joining of the Carinae with the Caelian. Carinae is perhaps from
caerimonia ' ceremony,' because from here starts the beginning of
the Sacred Way, which extends from the Chapel of Strenia d to the
citadel, by which the offerings are brought ever)' year to the citadel,
and by which the augurs regularly set out from the citadel for the
observation of the birds. Of this Sacred Way, this is the only part
commonly known, namely the part which is at the beginning of the Ascent
as you go from the Forum. 48. To the same region is assigned
the Subura, which is beneath the earth-wall of the Cannae ; in it
is the sixth chapel of the Argei. Junius 6 writes that Subura is so named
because it was at the foot of the old city (sub urbe) ; proof of which
may be in the fact that it is under that place which is called the
earth- wall. But I rather think that from the Succusan dis- trict
it was called Succusa ; for even now when abbre- viated it is written
SVC, with C and not B as third his, Parilia for Palilia ; possibly
association with Carinae furthered the change. * Cf. § 46, note a. e The
words sinistra via or dexteriore via may have been lost before in
tabernola ; cf. ten Brink's note. d A goddess of health and physical
well-being. § 48. " Etymology entirely uncertain. The neuters
quod and in eo, referring to Subura, mutually support each other. 6
M. Junius Gracchanus, contemporary and partisan of the Gracchi ; page 1 1
Huschke. He wrote an antiquarian work Be Potestatibus.
45 VARRO tertia littera C, non B. Pagus
Succusanus, quod succurrit Carinis. 49. Sccundac rcgionis
Esquiliae. 1 Alii has scrip- serunt ab excubiis regis dictas, alii ab eo
quod (aes- culis} 2 excultae a rege Tullio essent. Huic origini
magis concinunt loca vicina, 3 quod ibi lucus dicitur Facutalis et Larum
Querquetulanum sacellum et l?*cus 4 Mefitis et Iunonis Lucinae, quorum
angusti fines. Non mirum : iam
diu enim late avaritia una (domina) 5 est. 50. Esquiliae duo
montes habiti, quod pars (Op- pius pars) 1 Cespzus 2 mons suo antiquo
nomine etiam nunc in sacris appellatur. In Sacris Argeorum scriptum
sic est : Oppius Mons : princeps quili(i>s 3 u/s 4 l?. 4 Sunt
qui, quod ibi vimineta 5 fuerint. Coin's 6 Quirinalis, (quod ibi) 7
Quirini fanum. Sunt qui a Quiritibus, qui cum Tatio Curibus venerunt ad
Roma(m), 8 quod ibi habuerint castra. 52. Quod vocabulum
coniunctarum regionum nomina obliteravit. Dictos enim collis pluris
apparet ex Argeorum Sacrificiis, in quibus scriptum sic est :
Collis Quirinalis : terticeps cis 1 aedem Quirini. Collis Salutaris : quarticeps
adversum est polinar cis 2 aedem Salutis. 13 Mue., for
sceptius. 14 Mue., for
quinticepsois. 15 Laetus, for lacum. 16 Scaliger, for esquilinis.
§ 51. 1 L. Sp., for colles. 2 Laetus, for uiminales. 3 Aug., with
B, for uimino / cf Festus, 376 a 10 M. 4 L. Sp., after ten Brink (arae
eius), for arae. 6 O, Aug., for uiminata. 6 Laetus, for colles. 7 Added
by L. Sp. 8 Ten Brink ; Romam Laetus ; for ab Roma. § 52. 1
Mue., for terticepsois. 2 Apollinar cis Mue., for pilonarois.
c Apparently to be associated with putidus ' stinking,'
because of the mention of Mefitis a few lines before ; but if so, the oe
is a false archaic spelling, out of place in putidus and its kin. Another
possibility is that it is to be connected with the plebeian gens Poetelia
; one of this name was a member of the Second Decemvirate, 450 b.c. d
That is, adjacent to the sacristan's dwelling. 48
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 50-52 Cespian Hill : fifth
shrine, this side of the Poetelian " Grove ; it is on the
Esquiline. Cespian Hill : sixth shrine, at the temple of Juno
Lucina, where the sacristan customarily dwells.* 51. To the
third region belong five hills, named from sanctuaries of gods ; among
these hills are two that are well-known. The .Viminal Hill got its
name from Jupiter Viminius ' of the Osiers,' because there was his
altar ; ■ but there are some a who assign its name to the fact that there
were vimineta ' willow- copses ' there. The Quirinal Hill was so
named because there was the sanctuary of Quirinus 6 ; others c say
that it is derived from the Quirites, who came with Tatius from Cures d
to the vicinity of Rome, because there they established their camp.
52. This name has caused the names of the adjacent localities to be
forgotten. For that there were other hills with their own names, is clear
from the Sacrifices of the Argei, in which there is a record to
this effect ° : Quirinal Hill : third shrine, this side of the
temple of Quirinus. Salutary Hill * : fourth shrine, opposite
the temple of Apollo, this side of the temple of Salus. §51.
"Page 118 Funaioli. b Quirinalis, Quirinus, Quirites belong together
; but Cures is probably to be kept apart. c Page 116 Funaioli. d An
ancient city of the Sabines, about twenty-four miles from Rome, the city
of Tatius and the birthplace of Xnma Pompilius, successor of
Romulus; cf. Livy, i. 13, 18. § 53. ° Page 6 Preibisch. 6 Sal u tar
is, from salus ' preservation ' ; the temple perhaps marked the place of
a victory in a critical battle, or commemorated the end of a
pestilence. We do not know whether this Salus was the same as Iuppiter
Salutaris. mentioned by Cicero, De Finibus, iii. 20. 66 ; cf. the Greek
Zevs aarrqp ' Zeus the Saviour.' vol. l E 49
VARRO Collis Mucialis : quinticeps apud aedem Dei Fidi 3 ;
in delubro, ubi aeditumus habere solet. Colli's 4 Latiaris 5
: sexticeps in Vico Instef'ano 6 summo, apud au(gu)raculum' ; aedificium
solum est. Horum deorum arae, a quibus cognomina habent, in
cius regionis partibus sunt. 53. Quartae regionis Palatium, quod
Pallantes cum Euandro venerunt, qui et Palatini ; (alii quod
Palatini), 1 aborigines ex agro Reatino, qui appeliatur Palatium, ibi
conse(de)runt 2 ; sed hoc alii a Palanto 3 uxore Latini putarunt. Eundem hunc locum a pecore
dictum putant quidam ; itaque Naevius Balatium appellat. 5 1.
Huic Cermalum et Velias 1 coniunxerunt, quod in hac rcgione 2 scriptum
est : Germalense : quinticeps apud aedem Romuli.
Et Veliense 3 : sexticeps in Velia apud aedem deum Penatium.
3 For de i de fidi. 4 For colles. 5 M, Laetus, for latioris. 6 Jordan, for instelano ; cf
Livy, xxiv. 10. 8, in vico Insteio. 7 Turtiebus,for auraculum.
§ 53. 1 Added by A. Sp. 2 Fray. Cass., M, Laetus, for conserunt. 3
Mite., (Palantho L. Sp.), for palantio / cf Fest. 220. 6 M. §
54. 1 For uellias. 2 M, Laetus, for religione. 3 Bentlnus, for
uelienses. c 3Ivcialis, apparently from the gens Mucia ; the first
known Mucius was the one who on failing to assassinate Porsenna,
the Etruscan king who was besieging Pome, burned his right hand over the
altar-fire and thus gained the cognomen Scae- vola ' Lefty.' Several
Mucii with the cognomen Scaevola were prominent in the political and
legal life of Rome from 215 to 82 b.c. d Detts Fidivs was an aspect of
Jupiter; cf. Greek Zev? marios. e Latiaris 'pertaining to Latium';
Iuppiter Latiaris was the guardian deity of the Latin Con- federation,
cf. Cicero, Pro Milone, 31. 85. Mucial Hill e : fifth shrine, at
the temple of the God of Faith, 4 in the chapel where the sacristan
customarily dwells. Latiary Hill * : sixth shrine, at the top of
Insteian Row, at the augurs' place of observation ; it is the only
building. The altars of these gods, from which they have
their surnames, are in the various parts of this region. 53.
To the fourth region belongs the Palatine, so called because the
Pallantes came there* with Evan- der, and they were called also Palatines
; others think that it was because Palatines, aboriginal
inhabitants of a Reatine district called Palatium, 6 settled there
; but others c thought that it was from Palanto, d wife of Latinus.
This same place certain authorities think was named from the pecus '
flocks ' ; therefore Naevius e calls it the Balalium f '
Bleat-ine.' 54. To this they joined the Cermalus ° and the
Veliae, 6 because in the account of this region it is thus recorded c
: Germalian : fifth shrine, at the temple of Romulus,
and Velian : sixth shrine, on the Velia, at the temple of
the deified Penates. § 53. ° For Palatium, there is no
convincing etymology. 6 An ancient city of the Sabines, on the Via
Salaria, forty- eight miles from Rome, on the banks of the river
Velinus. ' Page 116 Funaioli. 4 According to Festus, 220. 5 M.,
Palanto was the mother of Latinus ; she is called Pallantia by Servius in
Jen. viii. 51. e Frag. Poet. Rom. 28 Baeh- rens; R.O.L. ii. 56-57
Warmington. 'As though from balare ' to bleat.' § 54.
"There is no etymology for Cermalus ; the word began with C, but for
etymological purposes Varro begins it with G, relying on the fact that in
older Latin C represented two sounds, c and g. 6 Apparently used both in
the singular, Velia, and in the plural, Veliae; there is no ety-
mology. e Page 7 Preibisch. 51 VARRO
Germalum a germanis Romulo et Remo, quod ad ficum ruminalem,
et ii ibi inventi, quo aqua hiberna Tiberis eos detulerat in alveolo
expositos. Veliae unde essent plures accepi causas, in quis quod
ibi pastores Palatini ex ovibus 4 ante tonsuram inventam vellere
lanam sint soliti, a quo vellera 5 dieuntur. IX. 55. Ager Romanus
primum divisus in partis tris, a quo tribus appellata Tztiensium, 1
Ramnium, Lueerum. Nominatae, ut ait Ennius, Titienses ab Tatio,
Ramnenses ab Romulo, Lueeres, ut Iunius, ab Lueumone ; sed omnia haee
voeabula Tusca, ut Volnius, qui tragoedias 2 Tuscas seripsit,
dicebat. 56. Ab hoe partes 1 quoque quattuor urbis tribus
dietae,ab loeis Suburana, Palatina, Esquilina, Collina ; quinta, quod sub
Roma, Romilia ; sic reliquae 2 tri(gin)ta 3 ab his rebus quibus in
Tribu(u)m Libro 4 scripsi. X. 57. Quod ad loca quaeque his
coniuneta fuerunt, 4 Victorius, for quibus. 5 Laetvs, for
uelleinera (uellaera Frag. Cass.). § 55. 1 Groth, for
tatiensium. 2 For tragaedias. § 56. 1 For partis. 2 For reliqna,
altered from re- liquae. 3 Turnebus, for trita. 4 Frag. Cass., L.
Sp., for libros. d Page 118 Funaioli. §
55. ° Roman possessions in land, both state property and private estates
; as opposed to ager peregrinus ' foreign land.' 6 None of the
etymologies is probable, which is not surprising, as they were of
non-Latin origin, whether or not they were Etruscan. e Ann. i. frag. lix.
Vahlen 2 ; R.O.L. i. 38-39 Warmington. d Page 121 Funaioli ; page
11 Huschke. e Page 126 Funaioli ; Volnius is not mentioned
elsewhere. § 56. ° The four vrbanae tribus ' city tribes.' 6
The 52 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 5±-57
Germalus, they say, is from the germani ' brothers ' Romulus
and Remus, because it is beside the Fig-tree of the Suckling, and they
were found there, where the Tiber's winter flood had brought them when
they had been put out in a basket. For the source of the name
Veliae I have found several reasons/* among them, that there the
shepherds of the Palatine, before the invention of shearing, used to
vellere ' pluck ' the wool from the sheep, from which the vellera '
fleeces ' were named. IX. 55. The Roman field-land a was at
first divided into tris ' three ' parts, from which they called the
Titienses, the Ramnes, and the Luceres each a tribus ' tribe.' These
tribes were named, 6 as Ennius says," the Titienses from Tatius, the
Ramnenses from Romulus, the Luceres, according to Junius/* from
Lucumo ; but all these words are Etruscan, as Vol- nius, e who wrote
tragedies in Etruscan, stated. 56. From this, four parts of the
City also were used as names of tribes, the Suburan, the Palatine,
the Esquiline, the Colline, a from the places ; a fifth, because it was
sub Roma ' beneath the walls of Rome,' M as called Romilian 6 ; so also
the remaining thirty c from those causes which ris. 1 A qua vi natis
dicta vita et illud a Lucilio : Vis est vita, vides, vis nos
facere omnia cogit. 64. Quare quod caelum principium, ab satu
est dictus Saturnus, et quod ignis, Saturnalibus cerei superioribus
mittuntur. Terra Ops, quod hie omne opus et hac opus ad vivendum, et ideo
dicitur Ops mater, quod terra mater. Haec enim Terris gentis
omnis peperit et resumit denuo, quae Dat cibaria,
8 Sciop.,/or uiere est uincere. 4 Scaliger, for palmam. § 63.
1 L. Sp. ; significantes Veneris Laetus ; for signi- ficantes se
ueris. ' Vincire is in fact derived from an extension of the
root seen in viere. 3 25 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 404-405 Warming- ton.
h Palma and paria are etymologically separate. § 63. A Greek
legend, invented to connect the name of Aphrodite with dpos ' foam ' ;
cf. Hesiod, Theogony, 188- 198. The name Aphrodite is probably of Semitic
origin. 60 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
62-64- itself, from vinctura ' binding,' said vieri ' to be
plaited,' that is, vinciri ' to be bound ' f ; whence there is the
line in Ennius's Sota 9 : The lustful pair were going, to plait the
Love-god's garland. Palma ' palm ' is so named because, being
naturally bound on both sides, it has paria ' equal * leaves.^
63. The poets, in that they say that the fiery seed fell from the
Sky into the sea and Venus was born "from the foam-masses," °
through the conjunction of fire and moisture, are indicating that the vis
' force' which they have is that of Venus. Those born of this vis
have what is called vita 6 ' life,' and that was meant by Lucilius c
: Life is force, you see ; to do everything force doth compel
us. 64. Wherefore because the Sky is the beginning, Saturn
was named from satus a ' sowing ' ; and because fire is a beginning,
waxlights are presented to patrons at the Saturnalia. 6 Ops c is the
Earth, be- cause in it is every opus ' work ' and there is opus '
need ' of it for living, and therefore Ops is called mother, because the
Earth is the. mother. For she d All men hath produced in all the
lands, and takes them back again, she who Gives
the rations, * Vis and vita are not connected etymological ly. e
1340 Marx. § 64. ° This etymology is unlikely. * Confirmed
by Festus, 54. 16 M. e Ops and opus are connected ety- mologically.
d Ennius, Varia, 48 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 412- 413 Warmington.
61
VARRO ut ait Ennius, quae Quod gerit fruges,
Ceres ; antiquis enim quod nunc G C. 1 65. Idem hi dei
Caelum et Terra Iupiter et Iuno, quod ut ait Ennius : Istic
est is Iupiter quem dico, quern Grneci vocant Aerem, qui ventus est et
nubes, imber postea, Atque ex imbre frigus, verities 1 post fit, aer
denuo. Hacc(e) 2 propter Iupiter sunt ista quae dico tibi, Qui 3
mortalis, (arva) 4 atque urbes beluasque omnis iuvat. Quod
hi(n)c 5 omnes et sub hoc, eundem appellans dicit : Divumque
hominumque pater rex. Pater, quod patefacit semen : nam turn esse 8
con- ceptual (pat)et, 7 inde cum exit quod oritur. 66. Hoc
idem magis ostendit antiquius Iovis nomen : nam olim Diovis et
Di(e)spiter 1 dictus, id est dies pater ; a quo dei dicti qui inde, et
diws 2 et § 64. 1 Lachmann ; C quod nunc G Mite. ; for quod nunc et. §
65. 1 Laetus, for uentis. 2 Mor. Jlaupt ; haecce Mae. ; for haec. 3 Aug.,
with B, for qua. 4 Added by Schoell. 5 L. Sp., for hie. 6 Mue., for
est. 7 Mue., for et. § 66. 1 Laetus, for dispiter. 2
Bentinus, for dies. 'Varia, 49-50 Vahlen 2 ; R.O.L. i.
412-413 Warmington ; gerit and Ceres are not connected. / There was a
time when C had its original value g (as in Greek, where the third
letter is gamma) and had taken over also the value of K. The use of the
symbol G for the sound g was later. C in the value g survived in C. =
Gaius, Cn. = Gnaeus. § 65. Varia, 54-58 Vahlen 2 ; R.O.L. i.
414-415 Warm- ington. * Iupiter and iuvare are not related. c An-
62 OX THE LATIN LANGUAGE, V. 64-66 as
Ennius says, e who Is Ceres, since she brings (gerit) the
fruits. For with the ancients, what is now G, was written C/
65. These same gods Sky and Earth are Jupiter and Juno, because, as
Ennius says,° That one is the Jupiter of whom I speak, whom
Grecians call Air ; who is the windy blast and cloud, and
after- wards the rain ; After rain, the cold ; he then becomes
again the wind and air. This is why those things of which I
speak to you are Jupiter : Help he gives * to men, to fields
and cities, and to beasties all. Because all come from him
and are under him, he addresses him with the words c : O
father and king of the gods and the mortals. Pater ' father '
because he patefacit d ' makes evident ' the seed ; for then it patet '
is evident ' that concep- tion has taken place, when that which is born
comes out from it. 66. This same thing the more ancient name
of J upiter a shows even better : for of old he was called Diovis
and Diespiter, that is, dies pater ' Father Day " b ; from which
they who come from him are called dei ' deities,' and dius ' god ' and
divum ' sky,' whence sub divo ' under the sky,' and Dius Fidius ' god
of nates, 5S0 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 168-169 Warmington. d
Pater and patere are not related. § 66. ° Iu- in Iupiter, Diovis,
Dies, deus, Dius, divum belong together by etymology. b K. O. Mueller
thought that Yarro meant dies as the old genitive, ' father of the
day,' instead of as a nominative in apposition ; but this is hardly
likely. 63 VARRO divum, unde
sub divo, Dius Fidius. Itaque inde eius perforatum tectum, ut ea videatur
divum, id est caelum. Quidam negant sub tecto per hunc deierare
oportere. Aelius Dium Fid(i)um dicebat Diovis filium, ut Grceci
Aiocr/vopoi' Castorem, et putabat 3 hunc esse Sancum 4 ab Safeina lingua
et Herculem a Graeca. Idem hie Dis 5 pater dicitur infimus, qui est
coniunctus terrae, ubi omnia (ut) 6 oriuntur ita? abori- untur ; quorum
quod finis ortu(u)m, Orcus 8 dictus. 67. Quod Iovis Iuno coniunx et
is Caelum, haec Terra, quae eadem Tellus, et ca dicta, quod una
iuvat cum love, Iuno, et Regina, quod huius omnia ter-
restria. 68. Sol 1 vel quod ita Sa&ini, vel (quod) 2 solus 3
ita lucet, ut ex eo dco dies sit. Luna, vel quod sola lucet noctu.
Itaque ea dicta Noctiluca in Palatio : nam i.bi noctu lucet templum. Hanc
ut Solem Apollinem quidam Dianam vocant (Apollinis vocabulum Grae-
cum alterum, altcrum Latinum), et hinc quod luna in altitudinem et latitudinem
simul it, 4 Diviana appel- lata. Hinc Epicharmus Ennii Proserpinam
quoque 3 Puccius, for putabant. 4 Scaliger, for sanctum. 6
Mm., for dies. 6 Added by Miie. 7 Mue., for ui. 8 Tnrnebus, for
ortus. § 68. 1 Laetus, with M, for sola. 2 Added by Aug.,
with B. 3 Sclop., for solum. 4 L. Sp., for et. c Page 60
Funaioli. d Sabine Sancus and the Umbrian divine epithet Sangio- are
connected with Latin sanclre ' to make sacred,' sacer 'sacred.' ' Dis is
the short form of dives ' rich,' cf. the genitive divitis or ditis, and
is not con- nected with dies ; it is a translation of the Greek
ITAoutoji' ' Pluto,' as 'the rich one,' from -ttXoCtos 'wealth.' f
The Italic god of death, not connected with ortus, but perhaps with
arcere ' to hem in,' as ' the one who restrains the dead.' § 67. a Not
connected either with Iupiter or with iitvare. 64
OX THE LATIN LANGUAGE, V. 6&-68 faith.' Thus from
this reason the roof of his temple is pierced with holes, that in this
way the divum, which is the caelum ' sky,' may be seen. Some say
that it is improper to take an oath by his name, when you are under a
roof. Aelius c said that Dins Fidius was a son of Diovis, just as the
Greeks call Castor the son of Zeus, and he thought that he was Sancus in
the Sabine tongue, d and Hercules in Greek. He is like- wise called
Dispater e in his lowest capacity, when he is joined to the earth, where
all things vanish away even as they originate ; and because he is the end
of these ortus ' creations,' he is called OrcusJ 67. Because
Juno is Jupiter's wife, and he is Sky, she Terra ' Earth,' the same as
Tellus ' Earth,' she also, because she iuvat ' helps ' una ' along '
with Jupiter, is called Juno,° and Regina ' Queen,' because all
earthly things are hers. 68. Sol a ' Sun ' is so named either
because the Sabines called him thus, or because he solus ' alone '
shines in such a way that from this god there is the daylight. Luna '
Moon ' is so named certainly be- cause she alone ' lucet ' shines at night.
Therefore she is called Noctiluca ' Night-Shiner ' on the Pala-
tine ; for there her temple noctu lucet ' shines by night.' 6 Certain
persons call her Diana, just as they call the Sun Apollo (the one name,
that of Apollo, is Greek, the other Latin) ; and from the fact that
the Moon goes both high and widely, she is called Diviana. c From
the fact that the Moon is wont to be under the § 6S. " Not
connected with solus. * Either because the white marble gleams in the
moonlight, or because a light was kept burning there all night. 'An
artificially pro- longed form of Diana ; Varro seems to have had in
mind deviare ' to go aside ' as its basis. vol. if 65
VARRO appellat, quod solet esse sub terris.
Dicta Proserpina, quod haec ut serpens modo in dexteram modo in
sinisteram partem late movetur. Serpere et proser- pere idem dicebant, ut Plautus
quod scribit : Quasi proserpens bestia. 69. Quae ideo
quoque videtur ab Latinis Iuno Lucina dicta vel quod est e(t) 1 Terra, ut
physici dicunt, et lucet ; vel quod 2 ab luce eius qua quis
conceptus est usque ad earn, qua partus quis in lucem, (l)una 3 iuvat,
donee mensibus actis produxit in lucem, ficta ab iuvando et luce Iuno
Lucina. A quo parientes earn invocant : luna enim nascentium dux
quod menses huius. Hoc vidisse antiquas apparet, quod mulieres
potissimum supercilia sua attribuerunt ei deae. Hie enim debuit maxime
collocari Iuno Lucina, ubi ab diis lux datur oculis. 70.
Ignis a (g)nascendo, 1 quod hinc nascitur et omne quod nascitur ignis
s(uc)cendit 2 ; ideo calet, ut qui denascitur eum amittit ac frigescit.
Ab ignis iam maiore vi ac violentia Volcanus dictus. Ab eo quod
§ 69. 1 L. Sp., for e .
2 For quod uel. 3 Sciop., for una. § 70. 1 Mue., for
nascendo. 2 OS., for scindit. d Ennius, Varia, 59 Vahlen 2 .
Proserpina is really borrowed from Greek Hepoe6vri, but transformed in
popular speech into a word seemingly of Latin antecedents. e
Poenulus 1034, Stichus 724 ; in both passages meaning a snake.
§ 69. ° Lucina, from lux ' light,' indicates Juno as goddess of
child-birth. 6 Equal to ' full moon,' or ' month.' 66
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 68-70 lands as -well as over
them, Ennius's Epicharmus calls her Proserpina.* Proserpina received her
name because she, like a serpens ' creeper,' moves widely now to
the right, now to the left. Serpere ' to creep ' and proserpere ' to
creep forward ' meant the same thing, as Plautus means in what he writes
e : Like a forward-creeping beast. 69. She appears therefore
to be called by the Latins also Juno Lucina, either because she is
also the Earth, as the natural scientists say, and lucet ' shines '
; or because from that light of hers 6 in which a conception takes place
until that one in which there is a birth into the light, the Moon
continues to help, until she has brought it forth into the light
when the months are past, the name Juno Lucina was made from iuvare
' to help ' and lux ' light.' From this fact women in child-birth invoke
her ; for the Moon is the guide of those that are born, since the months
belong to her. It is clear that the women of olden times observed
this, because women have given this goddess credit notably for their
eyebrows." For Juno Lucina ought especially to be established in
places where the gods give light to our eyes. 70. Ignis '
fire ' is named from gnasci a 'to be born,' because from it there is
birth, and everything which is born the fire enkindles ; therefore it is
hot, just as he who dies loses the fire and becomes cold. From the
fire's vis ac violentia ' force and violence,' now in greater measure,
Vulcan was named." From the fact that fire on account of its
brightness fulget e Because the eyebrows protect the eyes by which
we enjoy the light (Festus, 305 b 10 M.). § 70. a False
etymologies. 67 VARRO ignis propter
splendoreni fulget, fulgwr 3 et fulmen, et fulgur(itum) 4 quod fulmine
ictum. 71. (In) 1 contrariis diis, ab aquae lapsu lubrico
lt/mpha. Lympha Iuturna quae iuvaret : itaque multi aegroti propter id
nomen hinc aquam petere solent. A fontibus et fluminibus ac ceteris aqm's
2 dei, ut Tiberinus ab Tiberi, et ab lacu Velini Velinia, et
Lymphae Com(m)otiZ(e)s 3 ad lacum Cutiliensem a commotu, quod ibi insula
in aqua commovetur. 72. Neptunus, quod mare terras obnubit ut
nubes caelum, ab nuptu, id est opertione, ut antiqui, a quo
nuptiae, nuptus dictus. Salacia Neptuni
ab salo. Vem'lia 1 a veniendo ac vento illo, quern Plautus dicit :
Quod ille 2 dixit qui secundo vento vectus est Tranquillo mari, 3
ventum gaudeo. 73. Bellona ab bello nunc, quae Duellona a duello. 3 Canal,
for fulgor. 4 Turnebus, for fulgur. § 71. 1 Added by Madvig, who
began the sentence here instead of after diis. 2 V, p,for ceteras aquas.
3 GS„ for comitiis. § 72. 1 Aug., for uenelia. 2 mss. of
Plautus, for ibi F. 3 mss. of Plautus have mare. 6 The
three words are from fulgere ' to flash ' ; but the -Hum of fulguritum is
suflixal only, and is not connected with ictum. § 71. °
Properly from the Greek vu^ij, with dissimilative change of the first
consonant. 6 The first part may be the same element seen in Iupiter, but
is certainly not connected with iuvare. e A lake in the Sabine country,
formed by the spreading out of the Avens River a few miles southeast
of Interamna. d A lake in the Sabine country, a few miles east of
Reate, in which there was a floating island which drifted with the
wind. § 72. ° Neptunus is not connected with the other words,
though nubes may perhaps be related to nubere and its 68
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 70-73 ' flashes,'
come fulgur ' lightning-flash ' and fulmen ' thunderbolt,' and what has
been fulmine ictum ' hit by a thunderbolt ' is catted fulguritum. b
71. Among deities of an opposite kind, Lympha a ' water-nymph ' is
derived from the water's lapsus lubricits ' slippery gliding.' Juturna 6
was a nymph whose function was ittvare ' to give help ' ; therefore
many sick persons, on account of this name, are wont to seek water from
her spring. From springs and rivers and the other waters gods are named,
as Tiberinus from the river Tiber, and Yelinia from the lake of the
Velinus, c and the Commotiles ' Restless ' Nymphs at the Cutilian Lake, d
from the commotus ' motion,' because there an island commovetar '
moves about ' in the water. 72. Neptune, because the sea
veils the lands as the clouds veil the sky, gets his name from
nuptus ' veiling,' that is, opertio ' covering,' as the ancients
said ; from which nupiiae ' wedding,' nuptus ' wed- lock ' are derived.
Salacia, 6 wife of Neptune, got her name from salum ' the surging sea.'
Venilia c was named from venire ' to come ' and that ventus ' wind
' which Plautus mentions d : As that one said who with a
favouring wind was borne Over a placid sea : I'm glad I went.*
73. Bellona ' Goddess of War ' is said now, from helium a ' war,'
which formerly was Duellona, from derivatives. 6 Almost certainly
an abstract substantive to salax ' fond of leaping, lustful, provoking
lust * ; though popularly associated with salum. c There is a Venilia
in the Aeneid, x. 76, a sea-nymph who is the mother of Turnns. d
Cistellaria, 14-15. * Punning on ventum. : the last phrase may mean also
" I'm glad there was a wind." § 73. ' Correct.
69 VARRO Mars ab eo quod maribus in
bello praeest, aut quod Sabinis acceptus ibi est Mamers. Quirinus a
Quiri- tibus. Virtus ut viri^us 1 a virilitate. Honos ab 2 onere :
itaque honestum dicitur quod oneratum, et dictum : Onus est
honos qui sustinet rem publicam. Castoris nomen Graecum, Pollucis a
Graecis ; in Latinis litteris veteribus nomen quod est, inscribitur
ut IloXvSevK-qs 3 Polluces, non ut nunc 4 Pollux. Con- cordia a corde congruente. 74.
Feronia, Minerva, Novensides a Sa&inis. Paulo aliter ab eisdem dicimus haec : Palem, 1
Vestam, Salutem, Fortunam, Fontem, Fidem. E(t> arae 2 Sabinum
linguam olent, quae Tati regis voto sunt Romae dedicatae : nam, ut
annales dicunt, vovit Opi, Florae, Vediovi 3 Saturnoque, Soli, Lunae, Volcano
ct Summano, itemque Larundae, Termino, Quirino, Vortumno, Laribus, Dianae
Lucinaeque ; e quis non- nulla nomina in utraque lingua habent radices,
ut arbores quae in confinio natae in utroque agro ser- § 73.
1 Scaliger, for uiri ius. 2 After ab, Woelfflin deleted honesto. 3 For
pollideuces. 4 For nuns. § 74. 1 Scaliger, for hecralem. 2 Mue.,
for ea re. 3 Mue., for floreue dioioui. 6 Mars and
Mamers go together, but mares ' males ' is quite distinct. c Virtus is in
fact from vir. d Honos and onus are quite distinct. * Com. Rom. Frag.,
page 147 Ribbeck 3 . 'As in inscriptions, where such spellings are
found. 9 Essentially correct. § 74. ° An old Italian goddess, later
identified with Juno. 6 Apparently ' new settlers,' from novus and
insidere, used of the gods brought from elsewhere as distinct from the
indigetes or native gods. c It is unlikely that all the deities of
the 70 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 73-74
duellum. Mars is named from the fact that he com- mands the mares '
males ' in war, or that he is called Mamers 6 among the Sabines, with
whom he is a favourite. Quirinus is from Quirites. Virtus '
valour,' as viritus, is from virilitas ' manhood.' e Honos '
honour, office ' is said from onus d ' burden ' ; therefore hones-
turn ' honourable ' is said of that which is oneratum ' loaded with
burdens,' and it has been said : Full onerous is the honour which
maintains the state/ The name of Castor is Greek, that of Pollux
likewise from the Greeks ; the form of the name which is found in
old Latin literature 1 is Polluces, like Greek lloXvSevKijs, not Pollux
as it is now. Concordia ' Con- cord ' is from the cor congruens '
harmonious heart.' 9 74. Feronia, a Minerva, the Novensides 6 are from
the Sabines. With slight changes, we say the follow- ing, also from the
same people c : Pales, d Vesta, Salus, Fortune, Fons, e Fides ' Faith.'
There is scent of the speech of the Sabines about the altars also, which
by the vow of King Tatius were dedicated at Rome : for, as the
Annals tell, he vowed altars to Ops, Flora, Vediovis and Saturn, Sun,
Moon, Vulcan and Summa- nus, f &nd likewise to Larunda, 9 Terminus,
Quirinus, V er- tumnus, the Lares, Diana and Lucina ; some of these
names have roots in both languages,* like trees which have sprung up on
the boundary line and creep about next two lists were brought in
from elsewhere ; many of the names are perfectly Roman. d Goddess of the
shepherds, who protected them and their flocks. ' God of Springs ;
cf. vi. 22. 1 A mysterious deity who was considered responsible for
lightning at night. * Called also Lara, a tale-bearing nymph whom Jupiter
deprived of the power of speech. * Quite possible, but very unlikely in
the cases of Saturn and Diana. 71
VARRO pwnt* : potest enim Saturnus hie de alia causa
esse dictus atque in Sabinis, et sic Diana, 5 de quibus supra
dictum est. XL 75. Quod ad immortalis attinet, haec ; de-
inceps quod ad mortalis attinet videamus. De his animalia in tribus locis
quod sunt, in aere, in aqua, in terra, a summa parte (ad) 1 infimam
descendam. Primum nomm(a) omm'wm 2 : alites (ab) alis, 3 volucres a
volatu. Deinde generatim : de his pleraeque ab suis vocibus ut haec :
upupa, cuculus, corvus, Airundo, ulula,bubo ; item haec : pavo,
anser,gallina,columba. 76. Sunt quae aliis de causis appellatae, ut
noctua, quod noctu canit et vigilat, lusci(ni)ola, 1 quod luctuose
canere existimatur atque esse ex Attica Progne in luctu facta avis. Sic
galeritfus 2 et motacilla, altera quod in capite habet plumam elatam,
altera quod semper movet caudam. Merula, quod mera, id est sola,
volitat ; contra ab eo graguli, quod gregatim, * For serpent. 5 Aldus, for dianae.
§75. 1 Added by O, II. 2 Fay ; nomen omnium Mite. ; for nomen
nominem. 3 Aug., for alii. §76. 1 Victorius, for lusciola. 2 Aug.,
with B, for galericus. * Saturn in § 64, Diana in §
68. §75. "The first six, except hirvndo (of unknown ety-
mology), are onomatopoeic. Of the last four, pavo is borrowed from an
Oriental language ; anser is an old Indo- European word ; gallina is '
the Gallic bird ' ; cohimba is named from its colour. §76.
"Perhaps correct, if from luges-cania 'sorrow- singer.' * Procne,
daughter of Pandion king of Athens and wife of Tereus king of Thrace,
killed her son Itys and served him to his father for food, in revenge for
his ill-treat- ment and infidelity ; see Ovid, Metamorphoses, vi.
424-674. c Literally ' hooded,' wearing a galerum or hood-like
helmet. d If not correct, then a very reasonable popular etymology.
72 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 7^-76
in both fields : for Saturn might be used as the god's name from
one source here, and from another among the Sabines, and so also Diana ;
these names I have discussed above.* XL 75. This is what has
to do with the immortals ; next let us look at that which has to do with
mortal creatures. Amongst these are the animals, and because they
abide in three places — in the air, in the water, and on the land — I
shall start from the highest place and come down to the lowest. First the
names of them all, collectively : alites ' winged birds ' from
their alae ' wings,' volucres ' fliers ' from volaius ' flight.' Next by
kinds : of these, very many are named from their cries, as are these :
upupa ' hoopoe,' cuculus ' cuckoo,' corvus ' raven,' hirundo ' swallow,'
ulula ' screech-owl,' bubo ' horned owl ' ; likewise these : pavo '
peacock,' anser ' goose,' gallina ' hen,' columba ' dove.' °
76. Some got their names from other reasons, such as the noctua '
night-owl,' because it stays awake and hoots noctu ' by night,' and the
lusciniola ' night- ingale,' because it is thought to canere ' sing '
luctuose ' sorrowfully ' ° and to have been transformed from the
Athenian Procne 6 in her luctus ' sorrow,' into a bird. Likewise the
galeritus c ' crested lark ' and the motacilla ' wagtail,' the one
because it has a feather standing up on its head, the other because it is
always moving its tail."* The merula ' blackbird ' is so named
because it flies mera ' unmixed,' that is, alone e ; on the other hand,
the graguli f 'jackdaws ' got their names because they fly gregatim ' in
flocks,' as certain e That is, without other birds, like wine without
water : an absurd etymology. f Properly graculi ; not connected
with greges. 73
VARRO ut quidam Graeci greges yepyepa.
Ficedula(e) 3 et miliariae a cibo, quod alterae fico, alterae milio
fiunt pingues. XII. 77. Aquatilium vocabula animalium
partim sunt vernacula, partim peregrina. Foris muraena, quod
p.vpa.iva Gracce, cybium 1 et thynnus, cuius item partes Graecis
vocabulis omnes, ut melander atque uraeon. Vocabula piscium pleraque
translata a ter- restribus ex aliqua parte similibus rebus, ut
anguilla, lingulaca, sudis 2 ; alia a coloribus, ut haec : asellus,
umbra, turdus ; alia a vi quadam, ut haec : lupus, canicula, torpedo.
Item in conchyliis aliqua ex Graecis, ut peloris, ostrea, echinus.
Vernacula ad similitudinem, ut surenae, 3 pectunculi, ungues.
XIII. 78. Sunt etiam animalia in aqua, quae in terram interdum
exeant : alia Graecis vocabulis, ut pohypus, hzppo(s) potamios, 1
crocodilos, 3 alia Latinis, 3 Ed. Veneta, for ficedula. §77. 1 Aldus, for
cytybium. 2 Aldus, for lingula casudis. 3 For syrenae. § 78.
1 L. Sp., for yppo potamios. 2 For crocodillos. 9 Correct ;
Varro, De Re Rustica, iii. 5. 2, speaks of miliariae as prized delicacies, raised and fattened
for the table. § 77. The identification of many animals and fishes
is quite uncertain, and the translation is therefore tentative. But
the etymological views in § 77 and § 78 are approximately correct. 6 More
precisely, the flesh of the young tunny salted in cubes. " Seemingly
a variant form for melan- dryon, Greek fie\dv8pvoi> ' slice of the
large tunny called He\dv8pvs or black-oak.' d From Greek ovpatos
'pertain- ing to the tail (oi)pa).' 'Diminutive of anguis 'snake.'
/ Because flat like a lingua ' tongue ' ; lingulaca means also
74 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 76-78
Greeks call greges ' flocks ' yepytpa. Ficedulae ' fig- peckers '
and miliariae ' ortolans ' are named from their food, 9 because the ones
become fat on the Jicus ' fig,' the others on milium ' millet.' XII.
77. The names of water animals are some native, some foreign." From
abroad come muraena ' moray,' because it is pvpaiva in Greek, cybium '
young tunny ' 6 and thunnus ' tunny,' all whose parts likewise go
by Greek names, as melander ' black-oak-piece ' and uraeon d '
tail-piece.' Very many names of fishes are transferred from land objects
which are like them in some respect, as anguilla e ' eel,' lingulaca f '
sole,' sudis 9 ' pike.' Others come from their colours, like these
: asellus ' cod,' umbra ' grayling,' turdus ' sea- carp.' h Others come
from some physical power, like these : lupus ' wolf-fish,' canicula '
dogfish,' torpedo 1 electric ray.' * Likewise among the shellfish
there are some from Greek, as peloris ' mussel,' ostrea ' oyster,'
echinus ' sea-urchin ' ; and also native words that point out a likeness,
as surenaej pectunculi k ' scallops,' ungues 1 ' razor-clams.'
XIII. 78. There are also animals in the water, which at times come
out on the land : some with Greek names, like the octopus, the
hippopotamus, the crocodile ; others with Latin names, like rana '
frog,' ' chatter-box, talkative woman.* ' On land, a '
stake.' * On land, respectively ' little ass,' ' shadow,' *
thrush.' ' On land, respectively ' wolf,' ' little dog,' '
numbness.' 1 Of unknown meaning, and perhaps a corrupt reading ;
Groth, De Codice Florentino, 27 (105), suggests pernae from Pliny, Nat.
Hist, xxxii. 11. 54. 154, who mentions the perna as a sea-mussel standing
on a high foot or stalk, like a haunch of ham with the leg. * On land, '
little combs,' diminutive of pecten. 1 ' Finger-nails ' ; perhaps not
the razor-clam, but a small clam shaped like the finger-nail.
75 VARRO
ut rana, (anas), 3 mergus ; a quo Graeci ea quae in aqua et terra
possunt vivere vocant dfufiifiia. E quis rana ab sua dicta voce, anas a
nando, mergus quod mergendo in aquam captat escam. 79. Item
alia 1 in hoc genere a Graecis, ut quer- quedula, (quod) 2 K€pK?yS?;s, 3
alcedo, 4 quod ea (xAkcwv; Latina, ut testudo, quod testa tectum hoc
animal, lolligo, quod subvolat, littera commutata, primo vol- ligo.
Ut ^4egypti in flumine quadrupes sic in Latio, nominati lw(t)ra 5 et
fiber. Lw(t)ra, 5 quod succidere dicitur arborum radices in ripa atque
eas dissolvere : ab (luere) ktra. 6 Fiber, ab extrema ora fluminis
dextra et sinistra maxime quod solet videri, et antiqui februm dicebant
extremum, a quo in sagis fimbr(i)ae ct in iecore extremum fibra, fiber
dictus. XIV. 80. De animalibus in locis terrestribus quae sunt hominum
propria primum, deinde de pecore, tertio de feris scribam. Incipiam ab honore
publico. 3 Added by Aug. § 79. 1 L. Sp., with B, for
aliae. 2 Added by Kent. 3 OS., for cerceris. 4 Groth ; halcedo Laettis ;
for algedo. 5 GS. ; lytra Turnebus ; for lira. 6 Stroux ; ab luere
Scaliger ; for ab litra. § 78. Of. § 77, note a. § 79.
Conjectural purely. * An absurd etymology. c Originally udra '
water-animal,' with I from association with lutum ' mud ' or lutor '
washer.' Varro attributes to the otter the tree-felling habit of the
beaver. d Properly ' the brown animal.' e Fiber, fimbriae, fibra have no
etymologi- cal connexion. 76 ON THE L ATI
NT LANGUAGE, V. 78-80 anas ' duck,' mergus ' diver.' Whence
the Greeks give the name amphibia to those which can live both in
the water and on the land. Of these, the rana is named from its voice,
the anas from nare ' to swim,' the mergus because it catches its food by
mergendo ' diving ' into the water. 79. Likewise there are
other names in this class, that are from the Greeks, as querquedula '
teal,' because it is Ke/DK/}S?;?,° and alcedo ' kingfisher,' because this
is olXkvcjv : and Latin names, such as testudo ' tortoise,' because
this animal is covered with a testa ' shell,' and lolligo ' cuttle-fish,'
because it volat ' flies ' up from under, 6 originally volligo, but now
with one letter changed. Just as in Egypt there is a quadruped
living in the river, so there are river quadrupeds in Latium, named Intra
' otter ' and fiber ' beaver.' The lutra c is so named because it is said
to cut off the roots of trees on the bank and set the trees loose :
from luere ' to loose,' lutra. The beaver d was called fiber
because it is usually seen very far off on the bank of the river to right
or to left, and the ancients called a thing that was very far off afebrum
; from which in blankets the last part is called fimbriae ' fringe '
and the last part in the liver is the fibra ' fibre.' 6 XIV.
80. Among the living beings on the land, I shall speak first of terms
which apply to human beings, then of domestic animals, third of wild
beasts. I shall start from the offices of the state. The Consul was
§ 80. Properly, consulere is derived from consul. Of consul, at
least four reasonable etymologies are proposed, the simplest being that
it is from com+sed ' those who sit to- gether,' as there were two consuls
from the beginning ; the I for d being a peculiarity taken from the
dialect of the Sabines (cf. lingua for older dingua). 77
VARRO Consu Jnominatus qui consuleret populum
et senatum, nisi illinc potius uiide Accius 1 ait in Bruto :
Qui recte consulat, consul /iat. 2 Praetor dictus qui praeiret iure
et exercitu ; a quo id Lucilius : Ergo praetorum est ante et
praeire. 81. Censor ad cuius censionem, id est arbitrium, censeretur populus.
Aedilis qui aedis sacras et privatas procuraret. Quaestores a quaerendo,
qui conquirerent publicas pecunias et maleficia, quae triumviri
capitales nunc conquirunt ; ab his postea qui quaestionum iudicia
exercent quaes^tores 1 dicti. Tribuni militum, quod terni tribus
tribubus Ramnium, Lucerum, Titium olim ad exercitum mitte- bantur.
Tribuni plebei, quod ex tribunis militum primum tribuni plebei facti, qui
plebem defenderent, in secessione Crustumerina. 82. Dictator,
quod a consule dicebatur, cui dicto audientes omnes essent. Magister
equitum, quod § 80. 1 Later codices, for tatius F 1, p*, taccius F
2, V, a. 2 Laetus, for
consulciat. § 81. 1 Mommsen, for quaestores. *
Trag. Rom. Frag. 39 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 561-565 War- mington. c lure
is dative. d 1160 Marx. § 81. ° The tribunus was by etymology
merely the ' man of the tribus or tribe,' and therefore did not derive
his name from the word for ' three,' except indirectly ; cf. § 55.
6 That is, elected by the plebeians from among their military tribunes
whom they had chosen to lead them in their Seces- sion to the Sacred
Mount (which may have lain in the terri- tory of Crustumerium), in 494
B.C. Their persons were 78 ON THE LATIN
LANGUAGE, V. 80-82 so named as the one who should consulere
' ask the advice of ' people and senate, unless rather from this
fact whence Accius takes it when he says in the Brutus b :
Let him who counsels right, become the Consul. The Praetor
was so named as the one who should praeire ' go before ' the law c and
the army ; whence Lucilius said this d : Then to go out in
front and before is the duty of praetors. 81. The Censor was
so named as the one at whose censio ' rating,' that is, arbitrium '
judgement,' the people should be rated. The Aedile, as the one who
was to look after aedes ' buildings ' sacred and private. The Quaestors,
from quaerere' to seek,' who conquirerent ' should seek into ' the public
moneys and illegal doings, which the triumviri capitales ' the prison
board ' now investigate ; from these, afterwards, those who
pronounce judgement on the matters of investigation were named
quaesitores ' inquisitors.' The Tribuni a Militum ' tribunes of the
soldiers,' because of old there were sent to the army three each on
behalf of the three tribes of Ramnes, Luceres, and Tities. The
Tribuni Plebei ' tribunes of the plebs,' because from among the
tribunes of the soldiers tribunes of the plebs were first created, 6 in
the Secession to Crustumerium, for the purpose of defending the plebs '
populace.' 82. The Dictator, because he was named by the
consul as the one to whose dictum ' order * all should be obedient. The
Magister Equitum ' master of the sacrosanct, enabling them to carry
out their duty of protect- ing the plebeians against the injustice of the
patrician officials. § 82. ° Rather, because he dictat ' gives
orders.' summa potestas huius in equites et acccnsos, ut est
summa populi dictator, a quo is quoque magister populi appellatus.
Reliqui, quod minorcs quam hi magistri, dicti magistratus, ut ab albo
albatus. XV. 83. Sacerdotes universi a sacris dicti. Pontu-
fices, ut 1 Scaevola Quintus pontufex maximus dicebat, a posse et facere,
ut po(te)ntifices. 2 Ego a ponte arbitror : nam ab his Sublicius est
factus primum ut restitutus saepe, cum ideo sacra et uls 3 et cis
Tiberim non mediocri ritu fiant. Curiones dicti a curiis, qui fiunt
ut in his sacra faciant. 84. Flamines, quod in Latio capite velato
erant semper ac caput cinctum habebant filo, flamines 1 dicti.
Horum singuli cognomina habent ab eo deo cui sacra faciunt ; sed partim
sunt aperta, partim obscura : aperta ut Martialis, Volcanalis ;
obscura Dialis et Furinalis, cum Dialis ab love sit (Diovis enim),
Furi(n)alis a Furriwa, 2 cuius etiam in fastis §83. 1 After ut, Ed.
Veneta deleted a. 2 OS., for pontifices, cf. v. 4. 3 For uis.
§ 84. 1 Canal, for flamines, cf. Festus, 87. 15 M. 2 L. Sp. ;
Furina Aldus ; for furrida. 6 Not quite ; for magistratus is
a fourth declension sub- stantive, ' office of magister,' then ' holder
of such an office,' while albatus is a second declension adjective.
§ 83. ° Q. Mucius Scaevola, consul 95 b.c, and subse- quently
Pontifex Maximus ; proscribed and killed by the Marian party in 82. He
was a man of the highest character and abilities, and made the first
systematic compilation of the ius civile ; see i. 1 9 Huschke. 6 Varro
may be right, though perhaps it was the ' bridges ' between this world
and the next which originally the pontifices were to keep in repair ;
cf. Class. Philol. viii. 317-326 (1913). "The wooden bridge on
piles, traditionally built by Ancns Marcius. d The curia 80
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 82-84 cavalry,'
because he has supreme power over the cavalry and the replacement troops,
just as the dictator is the highest authority over the people, from
which he also is called magister, but of the people and not of the
cavalry. The remaining officials, because they are inferior to these
magistri ' masters,' are called magistratus ' magistrates,' derived just
as albatus ' whitened, white-clad ' is derived from albus ' white.'
6 XV. 83. The sacerdotes ' priests ' collectively were named
from the sacra ' sacred rites.' The pontifices ' high-priests,' Quintus
Scaevola a the Pontifex Maxi- mus said, were 'named from posse ' to be
able ' and facet e ' to do,' as though potentifices. For my part I
think that the name comes from pons ' bridge ' 6 ; for by them the
Bridge-on-Piles c was made in the first place, and it was likewise
repeatedly repaired by them, since in that connexion rites are performed
on both sides of the Tiber with no small ceremony. The curiones
were named from the curiae ; they are created for conducting sacred rites
in the curiae.* 84. The jiamines a ' flamens,' because in
Latium they always kept their heads covered and had their hair girt
with a woollen filum ' band,' were originally called Jilamines.
Individually they have distinguish- ing epithets from that god whose
rites they perform ; but some are obvious, others obscure : obvious,
like Martialis and Volcanalis ; obscure are Dialis and Furinalis,
since Dialis is from Jove, for he is called also Diovis, and Furinalis
from Furrina, 6 who even has a was the fundamental political unit
in the early Roman state ; it was an organization of yentes, originally
ten to the curia, and ten curiae to each of the three tribes.
§ 84. ° Of uncertain etymology, but not from filamen. b A goddess,
practically unknown ; cf. vi. 19. VOL. I G 81
VARRO feriae Furinales sunt. Sic flamen Falacer a
divo patre Falacre. 85. Salii ab salitando, quod facere in
comitiis in sacris quotannis et solent et debent. Luperci, quod Lupercalibus
in Lupercali sacra faciunt. Fratres Arvales dicti qui sacra publica
faciunt propterea ut fruges ferant arva : a ferendo et arvis Fratres
Arvales dicti. Sunt qui a fratria dixerunt : fratria est Groe- cum
vocabulum partis 1 hominum, ut (Ne)apoli 2 etiam nunc. Sodales Titii pdrrjp '
clan brother ' ; any reference to it is here out of place. f Ac-
cording to Tacitus, Ann. i. 54, they were established by Titus Tatius for
the preservation of certain Sabine religious practices. § 86.
Perhaps from an old word meaning ' law,' from the root seen in feci ' I
made, established ' ; but without connexion with the words in the text.
Foedus, fides, fidus are closely connected with one another. 6 In the
early 82 OX THE LATIN LANGUAGE, V. 84-86
Furinal Festival in the calendar. So also the Flamen Falacer
from the divine father Falacer. 6 85. The Salii were named ° from
salitare ' to dance,' because they had the custom and the duty of
dancing yearly in the assembly-places, in their cere- monies. The Luperci
6 were so named because they make offerings in the Lupercal at the festival
of the Lupercalia. Fratres Arvales 1 Arval Brothers ' was the name
given to those who perform public rites to the end that the ploughlands
may bearfruits : from ferre ' to bear ' and arva ' ploughlands ' they are
called Fratres Arvales'. But some have said d that they were named
from fratria ' brotherhood ' : fratria is the Greek name of a part of the
people, e as at Naples even now. The Sodales Titii ' Titian Comrades '
are so named from the titiantes ' twittering ' birds which they are
accustomed to watch in some of their augural observations/
86. The Fetiales a ' herald-priests,' because they were in charge
of the state's word of honour in matters between peoples ; for by them it
was brought about that a war that was declared should be a just
war, and by them the war was stopped, that by a foedus ' treaty '
thejides ' honesty ' of the peace might be established. Some of them were
sent before war should be declared, to demand restitution of the
stolen property, 6 and by them even now is made the foedus ' treaty,'
which Ennius writes c was pronounced Jidus. days wars started
chiefly as the result of raids in which property, cattle, and persons had
been carried off. e Page 23S Vahlen* ; R.O.L. i. 5&4 Warmington ;
Ennius probably wished by a pun to indicate a relation between foedus and
the adjective Jidus which, in his opinion, did not really exist
(though it did). 83 VARRO
XVI. 87. In re militari praetor dictus qui praeiret exercitui.
Imperator, ab imperio populi qui eos, qui id attemptasse(n)t, oppressi(t)
1 hostis. Legati qui lecti publice, quorum opera consilioque
uteretur peregre magistratus, quive nuntii senatus aut populi
essent. Exercitus, quod exercitando fit melior. Legio, quod leguntur
milites in delectu. 88. Cohors, quod ut in villa ex pluribus tectis
coniungitur ac quiddam fit unum, sic hie 1 ex manipulis pluribus
copulatur 2 : cohors quae in villa, quod circa eum locum pecus
cooreretur, tametsi cohortem in villa /fypsicrates 3 dicit esse Graece
X!°P T0V * apud poetas dictam. Manipuhuo 4 canit, ut turn cum
classes comitiis ad comit(i)atum 5 vocant. XVII. 92. Quae a fortuna
vocabula, in his quae- dam minus aperta ut pauper, dives, miser, beatus,
sic alia. Pauper a paulo lare. Mendicus a minus, cui cum opus est minus nullo est.
Dives a divo qui ut deus nihil 1 indigere videtur. Opulentus ab ope,
cui eae opimae ; ab eadem inops qui eius indiget, et ab eodem fonte
copis 2 ac copiosus. Pecuniosus a pecunia magna, pecunia a pecu : a
pastoribus enim horum vocabulorum origo. XVIII. 93.
Artificibus maxima causa ars, id est, ab arte medicina ut sit medicus
dictus, a sutrina sutor, non a medendo ac suendo, quae omnino ultima
huic rei : (hae enim) 1 earum rerum radices, ut in proxumo
§91. 1 For caepti. 2
IihoL, for litigines. 3 A. Sp., for classicos. 4 A. Sp., for cornu no. 5
Ver- tranius, for comitatum. § 92. 1 For nichil. 2 Turnebiis,
for copiis. § 93. 1 Added by Reitzenstein. 6 That is, from
lituus ' cornet ' and canere. § 92. " Pau-per has the same
first element as pau-lus. b Derivative of mend um ' error, defect.' c
Quite possibly, since the gods were thought of as conferring wealth ;
dives is derived from divus as caeles is from caelum. d From co-
opts. * The earliest unit of value was a domestic animal ; cf. English
fee and German Viek ' cattle,' both cognate to Latin pecu. §
93. " Properly medicina from medicus, which is from mederi,
etc. 88 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 91-93
assistants, were at the start called optiones ' choices ' ;
but now the tribunes, to increase their influence, do the appointing of
them. Tubicines ' trumpeters,' from tuba ' trumpet ' and canere ' to sing
or play ' ; in like fashion liticines b ' cornetists.' The classicus '
class- musician ' is named from the classis ' class of citi- zens '
; he likewise plays on the horn or the cornet, for example when they call
the classes to gather for an assembly. XVII. 92. Among the
words which have to do with personal fortune, some are not very clear,
such as pauper ' poor,' dives ' rich,' miser ' wretched,' beatus '
blest,' and others as well. Pauper a is from paulus lar ' scantily
equipped home.' Mendicus b ' beggar ' is from minus ' less,' said of one
who, when there is a need, has minus ' less ' than nothing. Dives ' rich
' is from divus 6 ' godlike person,' who, as being a deus ' god,'
seems to lack nothing. Opulentus ' wealthy ' is from ops ' property,'
said of one who has it in abun- dance ; from the same, mops ' destitute '
is said of him who lacks ops, and from the same source copis d '
well supplied ' and copiosus ' abundantly furnished.' Pecuniosus '
moneyed ' is from a large amount of pecunia ' money ' ; pecunia is from
peca ' flock ' : for it was among keepers of flocks that these
words originated.' XVIII. 93. For artisans the chief cause of
the names is the art itself, that is, that from the ars viedi- cina
' medical art ' the medicus ' physician ' should be named, and from the
ars sutrina ' shoemaker's art ' the sutor ' shoemaker,' and not directly
from mederi ' to cure ' and suere ' to sew,' though these are the
absolutely final sources for such names. For these are the roots of these
things, as will be shown in the 89 VARRO
libro aperietur. Quare
quod ab arte artifex dicitur nec multa in eo obscura, relinquam.
94. Similis causa quae ab scientia voca 3 coactum in publicum, si
erat aversum. 96. Ex quo 1 fructus maior, hie 2 est qui
Graecis usus : (sus), quod vs, bos, quod j3ovs, taurus, quod
(Tavpos), item ovis, quod ots : ita enim antiqui dicebant, non ut nunc
-n-pofSarov. Possunt in Latio quoque ut in Graecia ab suis vocibus haec
eadem ficta. Armenta, quod boves ideo maxime parabant, ut inde
eligerent ad arandum ; inde arimenta dicta, postea 1 tertia littera
extrita. Vitulus, quod Greece
anti- quitus iVaAos, aut quod plerique vegeti, vegitulus. 3 Iuvencus, iuvare qui iam ad agrum colendum
posset. 97. Capra carpa, a quo scriptum Omnicarpae
caprae. //ircus, 1 quod Sa&ini fircus ; quod illic fedus, 2 in
Latio rure hedus, qui in urbc ut in multis A addito Aaedus. 3
Porcus, quod Saoini dicww^ 4 aprun«(m) porra(m) 5 ; proi(n)de 6 porcus,
nisi si a Graecis, quod Athenis in libris sacrorum scripta est iropK-q
e(t> 7to/3ko(s). 7 2 Fay, for ut. 3 Aug., for esse. § 96. 1 Mue., for qua. 2
Mue., for hinc. 3 Laetus, for uigitulus. § 97. 1 Aug., for
ircus. 2 For faedus. 3 Aug., for aedus. 4 Laetus, for dicto. 5 Kent ;
aprinum porcum L. Sp. ; aprum porcum Scaliger ; for apruno porco. 6
Turnebus, for poride. 7 Kent, for porcae porco. § 96.
Correct equations ; but the Latin words are not derived from the Greek :
the four pairs are from the ancestral language, and only sus is likely to
be onomatopoeic. 6 The Greek word is not the source of the Latin word,
but is borrowed from it ; there is no satisfactory etymology of
vitulus. c Really ' youthful,' a derivative of invents ' young man,' and
not from iuvare. §97. "Wrong. 6 An old inherited word. c
Iden- 92 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 95-97
a fine was imposed in pecus ' cattle ' and there was a collection
into the state treasury, of what had been diverted. 96.
Regarding cattle from which there is larger profit, there is the same use
of names here as among the Greeks : sus ' swine,' the same as vs ; bos '
cow,' the same as (3ov$ ; taurus ' bull,' the same as ravpos ;
likewise ovis ' sheep,' the same as 6is a : for thus the ancients
used to say, not irpoparov as they do now. This identity of the
names in Latium and in Greece may be the result of invention after the
natural utter- ances of the animals. Armenta ' plough-oxen,'
because they raised oxen especially that they might select some of
them for arandum ' ploughing ' ; thence they were called arimenta, from
which the third letter I was afterwards squeezed out. Vitulus ' calf,'
because in Greek it was anciently Itu\6 3 an's 4 ; veteres nostri
ariuga, hinc ariug?. 5 104. Vernacula : lact(u)c 1 a lacte, quod
Aolus id habet lact ; brassica 2 ut p(r)aesica, 3 quod ex eius
scapo minutatim praesicatur ; asparagi, quod ex asperis virgultis
leguntur et ipsi scapi asperi sunt, non leves ; nisi Graecum : illic
quoque enim dicitur dcnrdpayos.* Cucumeres dicuntur a curvore, ut
curvi- meres dicti. Fructus a ferundo, res eae quas 5 fundus et eae
(quas) quae 6 in fundo ferunt ut fruamur. §103. 1 For raphanum. 2
For malachen. 3 For lirio. 4 For malache. 6 A. Sp.,/or sysimbrio.
§ 104. 1 M, Laetus, for lacte. 2 Laetus, for blassica. 3 Turnebus ;
praeseca Aldus ; for passica. 4 For aspara- gus. 5 A. Sp., for ea cquas.
6 Mue., for ea eque. * Optima et maxima suggests Jupiter
Optimus Maximus. e The juice of the walnut-hull does make a very dark
stain. § 103. "All the examples in this section have come
into Latin from Greek, except radix, rosa, malva. Radix is native
Latin, and its Greek equivalent had a different mean- ing. Rosa and
malva, and their Greek equivalents, were separately derived from an
earlier language native in the 98 ON THE LATIN
LANGUAGE, V. 102-104 being best and biggest, 6 is called
ia-glans from 7«-piter and glans ' acorn.' The same word nux ' nut ' is
so called because its juice makes a person's skin black, just as
nox ' night ' makes the air black. 103. ° Of those which are grown
in gardens, some are called by foreign names, as, by Greek names,
ocimuvi ' basil,' menta ' mint,' rata ' rue,' which they now call
-rffavov ; likewise caulis ' cabbage,' lapathium ' sorrel,' radix '
radish ' : for thus the ancient Greeks called what they now call pdfavos
; likewise these from Greek names : serpyllum 6 ' thyme,' rosa '
rose,' each with one letter changed ; likewise Latin names from
these Greek names : KoXiavhpov c ' coriander,' fj.aXdxrj, nvfiivov '
cummin ' ; likewise lilium ' lily ' from Xeipiov and malva ' mallow '
from p.a\d%i] and sisym- brium ' thyme ' from cricrvpfipiov.
104. ° Native words : lactuca ' lettuce ' from lact ' milk,'
because this herb contains milk ; brassica ' cabbage ' as though
praesica, because from its stalk praesicatur ' leaves are cut off ' one
by one ; asparagi ' asparagus shoots,' because they are gathered
from aspera ' rough ' bushes and the stems themselves are rough,
not smooth : unless it is a Greek name, for in Greece also they say
da-Trdpayos. Cucumeres ' cucum- bers ' are named from their curvor '
curvature,' as though curvimeres. Fructus ' fruits ' are named from
ferre b ' to bear,' namely those things which the farm and those things
which are on the farm bear, that Mediterranean region. * With initial
* rather than h, by assimilation to Latin serpere. c Usually
KopiavSpov, but here with dissimilative change of the prior r to I.
§ 104. " Correct on lactuca, fructus, mola ; wrong on
brassica, cucumeres, itva ; asparagus Is from Greek. * Cf. v. 37, and note e.
99 VARRO I line declinatae fruges
et frumentuni, sed ea c terra ; etiam frumentum, quod rum
(m)acerare 3 cruda Solera. E quis ad coquendum quod e terra eru(itu)r, 4
ruapa, unde rapa. Olea ab
eAcua 5 ; olea grandis orchitis, quod earn Attid 6 opxw /xopa.'
109. Hinc ad pecudis carnem perventum est. \bv Zvrepov
appellasse. Ab eadem fartura farcimina (in) 6 extis appellata, a quo
(farticulum) 8 : in eo quod tenuissimum intestinum fartum, hila ab hilo
dicta i(l)lo 7 quod ait Ennius : Neque dispendi 8 facit
hilum. Quod in hoc farcimine summo quiddam eminet, ab eo quod
ut in capite apex, apexabo dicta. Tertium fartum est longavo, quod
longius quam duo ilia. 3 Added by GS. ; cf. Festus, 225. 15 M. 4
Laetus,for eo. 5 A. Sp.,for ad. §111. 1 Added by Mve. 2
Laetus, for lucanam. 3 Added by Aldus. 4 Fay, for partes. 5 Added
by Aug., with B. 6 Added by GS. 7 Lackmann, for hilo. 8 For
dispendii. e Perna has no connexion with pes ; but the
remaining etymologies of this section seem to be correct. d The
precise meaning of this word is unknown ; perhaps ' pork- chop,' cf. W.
Heraeus, Archiv f. ImL Lex. 14. 124-125. e Meaning assured by offulam cum
duobus costis, Varro, De Re Rustica, ii. 4." 11. 1 Page 345
Maurenbrecher ; page 3 Morel. §111. °The preceding etymologies
in this section are correct, but hila is properly hilla, diminutive of
hira ' empty 106 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
110-111 Perna c ' ham,' from pes ' foot.' Sueris, d from
the animal's name. Offula ' rib-roast,' e from offa, a very small
sueris. Insicia ' minced meat ' from this, that the meat is insecta ' cut
up,' just as in the Song of the Salii f the word prosicium ' slice ' is
used, for which, in the offering of the vitals, the word prosectum
is now used. Murtatum ' myrtle-pudding,' from murta '
myrtle-berry,' because this berry is added plentifully to its
stuffings. 111. An intestine of the thick sort that was
stuffed, they call a Lucanica ' Lucanian,' because the soldiers got
acquainted with it from the Lucanians, just as what they found at Falerii
they call a Faliscan haggis ; and they say fundolus ' bag-sausage ' from
fundus ' bottom,' because this is not like the other intestines,
but is open at only one end : from this, I think, the Greeks called it
the blind intestine. From the same fartura ' stuffing ' were called the
farcimina ' stuffies ' in the case of the vital organs for the sacrifice,
whence also farticulum ' stufflet ' ; in this case, because it is
the most slender intestine that is stuffed, it is called hila a from that
hilum ' whit ' which Ennius 6 uses : And of loss not a whit does
she suffer. Because at the top of this stuffy there is a little
projec- tion, it is called an apexabo, c because the projection is
like the apex ' pointed cap ' on a human head. The third kind of sausage
is the longavo, e because it is longer than those two others.
intestine ' ; cf. Festus, 101. 6 M. 6 Annales, 14 Yahlen 2 ;
li.O.L. i. 6-7 Warmington ; quoted also v. 60 and ix. 54. Apexabo and
longavo doubtless have the same suffix, differ- ing only through the late
Latin confusion of 6 and v; unless indeed both words are further
corrupt. 107
VARRO 112. Augmentum, quod ex immolata hostia dc-
sectum in iecore (imponitur) 1 in por(ric)iendo 2 a(u)gendi 3 causa.
Magraentum 4 a magis, quod ad religionem magis pertinet : itaque propter
hoc (mag)mentana 5 fana constituta locis certis quo id imponeretur.
Mattea 6 ab eo quod ea Graece /larrm]. Item (a) 7 Graecis . . .
singillatim haec 8 : . . . 9 ovum, bulbum. XXIII. 113. Lana Graecum, ut
Polt/bius et Calli- machus scribunt. Purpura a purpurae maritumae colore, wt 1
P(o)enicum, quod a Poenis primum dicitur allata. Stamen a stando, quod eo
stat omne in tela velamentum. Subtemen, quod subit stamini. Trama,
quod tram(e)at 2 frigus id genus vestimenti. Densum a dentibus pectinis
quibus feritur. Filum, quod minimum est hilum : id enim minimum est in
vesti- mento. § 112. 1 Added by A. Sp. 2 L. Sp., for im poriendo. 3 Turnebus,
for agendi. 4 B, M, Aug., for magnentum. 6 Tumebus, for mentarea. 6
Popma, for mattae. 7 Added by L. Sp. 8 For heae. 9 The lacuna was
noted by Scaliger ; the exact arrangement is by Kent, after Mue.'s
indication of the probable contents. §113. 1 Lachmann ; colore G,
Laetus ; for colerent. 2 Aug. {quoting a friend), for tramat.
§ 112. ° Correct, unless the purpose was to increase, that is,
glorify the god. 6 Properly connected with mactare ' to sacrifice,'
though popular association with magis affected its meaning. e A highly
seasoned dish of hashed meat, poultry, and herbs, served cold as a
dessert. 108 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 112-113
112. The augme/itum a ' increase-cake ' is so called because
a piece of it is cut out and put on the liver of the sacrificed victim at
the presentation to the deity, for the sake of augendi ' increasing ' it.
Magmentum b ' added offering,' from viagis ' more,' because it
attaches viagis ' more ' closely to the worshipper's piety : for this
reason magmentaria fana ' sanctuaries for the offering of magmenta ' have
been established in certain places, that the added offering may
there be laid on the original and offered with it. Mattea c ' cold
meat-pie ' is so named because in Greek it is /larrvij. Likewise from the
Greeks is another meat- dish called . . ., which contains item by item
the following : . . ., an egg, a truffle. XXIII. 113. Lana a
'wool' is a Greek word, as Polybius 6 and Callimachus c write. Purpura
d ' purple,' from the colour of the purpura ' purple-fish ' of the
sea : a Punic word, because it is said to have been first brought to
Italy by the Phoenicians. Stamen 1 warp,' from stare ' to stand,' because
by this the whole fabric on the loom stat ' stands ' up. Sub- temen
e ' woof,' because it subit ' goes under ' the stamen ' warp.' Trama * '
wide-meshed cloth,' be- cause the cold trameat ' goes through ' this kind
of garment. Densum B ' close-woven cloth,' from the denies ' dents
' of the sley with which it is beaten. Filum 9 ' thread,' because it is
the smallest hilum ' shred ' ; for this is the smallest thing in a
garment. § 1 13. ° An old Italic word cognate to English wool ;
cf. v. 130. b Frag. inc. 99 (101) Hultsch. e Fray. 408 Schneider. 4
Quite possibly a Phoenician w ord, but transmitted to Italj' by the
Greeks (irop^vpa). « From subtexere ' to weave underneath.' ' From
trahere ' to pull.' "
Wrong. 109 VARRO 114. Pannus
Graecuw, 1 ubi E A 2 fecit. Panu- vellium dictum a pano et volvendo filo.
Tunica ab tuendo corpore, tunica ut (tu)endica. 3 Toga a tegendo.
Cinctus et cingillum a cingendo, alterum viris, alterum mulieribus
attributum. XXIV. 115. Anna ab arcendo, quod his arcemus
hostem. Parma, quod e medio in omnis partis par. Conum, quod cogitur in
cacumen versus. Hasta, quod astans solet 1 ferri. Iaculum, quod ut
iaciatur fit. Tragula a traiciendo. Scutum (a) 2 sectura ut
secutum, quod a minute consectts 3 fit tabellis. Urn- bones 4 a Graeco, quod a/x/Swves. 5
116. Gladiu/M 1 C in G 2 commutato a clade, quod fit ad hostium
cladem gladium ; similiter ab omine 3 pilum, qui host«s periret, 4 ut
perilum. Lorica, quod e loris de corio crudo
pectoralia faciebant ; postea subcidit galli(ca) 5 e ferro sub id
vocabulum, ex anulis § 1 14. 1 Aug., with B, for greens. 2 Fay, for ea. 3
GS., for indica. §115. 1 For sollet. 2 Added by Laetus. 3
Aug., for consectum. 4 For umbonis. 5 Turnebus, for ambonis.
§ 1 16. 1 L. Sp., for gladius. 2 For G in C. 3 Aug., for homine. 4
Aug. (hostis B), for hostem feriret. 6 Mue.,for galli.
§ 1 14. ° Not pannus ' cloth,' but pannus ' bobbin,' in view of
what follows ; there is a Greek -nfjvos ' web,' and its diminutive
irqvlov ' bobbin,' which in the Doric form would have A and not E. 6
Possibly right, if, as A. Spengel thinks, the word is really panuvollium.
e From Semitic, either directly or through Etruscan. §115. °
Arma, parma, conum, hasta, tragula, scutum, umbones : all wrong
etymologies. 6 Not from traicere, but from trahere ' to pull, drag ' ;
perhaps because the thong wound round it for throwing (like the string
used in starting a peg-top) ' pulls ' the javelin. 114. Pannus ° '
bobbin,' is a Greek word, where E has become A. Panuvelliuin 6 ' bobbin
with thread ' was said from panus 4 bobbin ' and volvere 4 to wind
' the thread. Tunica c ' shirt,' from tuendo 4 protect- ing ' the
body : tunica as though it were tuendica. Toga 4 toga ' from tegere 4 to
cover.' Cincius ' belt ' and cingillum 4 girdle,' from cingere 4 to
gird,' the one assigned to men and the other to women. XXIV.
115. Arma ° ' arms,' from arcere 4 to ward off,' because with them we
arcemus 4 ward off' the enemy. Parma ' cavalry shield,' because from
the centre it is par * even ' in every direction. Conum 4 pointed
helmet,' because it cogitur 4 is narrowed ' toward the top. Hasta 4
spear,' because it is usually carried astajis' standing up.' Iaculum'
javelin,' because it is made that it may iaci ' be thrown.' Tragula
6 ' thong-javelin,' from traicere 4 to pierce.' Scutum 4 shield,'
from sectura 4 cutting,' as though secutum, because it is made of wood
cut into small pieces. Umbones 4 bosses ' from a Greek word, namely
116.° Gladium 4 sword,' from clades 4 slaughter,' with change of C
to G, because the gladium 6 is made for a slaughter of the enemy ;
likewise from its omen was said pilum, by which the enemy periret '
might perish,' as though perilum. Lorica ' corselet,' because they
made chest-protectors from lora 4 thongs ' of rawhide ; afterwards the
Gallic corselet of iron was § 1 16. ° All etymologies wrong except
those of lorica and (with reserves) of galea. b Varro prefers {cf. viii.
45, ix. 81, Be Re Rust. i. 48. 3) the unfamiliar neuter form, which
may be due to the influence of the associated words scutum, pilum,
telum. The word is of Celtic origin, but may have an ulti- mate connexion
with the root of clades. Ill VARRO
ferrea tunica. 6 Balteum, quod cingulum e corio habebant bullatum,
balteum dictum. Ocrea, quod opponebatur ob crus. Galea ab galero, quod
multi usi antiqui. 117. Tubae ab tubis, quos etiam nunc ita
appellant tubicines sacrorum. Cornua, quod ea quae nunc sunt ex
aere, tunc fiebant bubulo e cornu. Vallum vel quod ea varicare nemo
posset vel quod singula ibi extrema 6acilla furcillata habent figuram
litterae V. Cervi ab similitudine cornuum cervi ; item reliqua fere
ab similitudine ut vineae, testudo, aries. XXV. 118. Mensam
escariam cillibam appella- bant ; ea erat 1 quadrata ut etiam nunc in
castris est ; a cibo cilliba dicta ; postea rutunda facta, et quod
a nobis media et a Graecis fxecra, mensa dic^(a) 2 potest ; nisi
etiam quod ponebant pleraque in cibo mensa. Trulla a similitudine truae,
quae quod magna et haec 6 Turnebus, for ferream tunicam.
§ 1 18. 1 For erant. 2 Mue.,for dici. e Rather galerum from
galea, which looks like a borrowing from Greek yaAe'r; ' weasel ' ; the
objection is that caps of weasel-skin are nowhere attested.
§117. ° Wrong etymology. 6 Thrust into the embank- ment, to
increase its defensive strength ; can they be the stakes, pali or valli,
forming a fence along its top ? But these are not elsewhere spoken of as
forked. e Used by Caesar, who inserted such forked branches into the face
of his wall at Alesia, Bell. Gall. vii. 72. 4, 73. 2. d Otherwise '
grape-arbours ' ; in military use, sheds under the protection of which
soldiers could advance up to the enemy's fortifica- tions. " A close
formation of overlapping shields. §118. "Borrowed from Greek
KiXAlfias 'three-legged table,' a derivative of kIXXos ' ass.' 6 Or
perhaps mesa, since n was weak before s ; Priscian, i. 58. 17 Keil,
states that Varro used both spellings. Mensa seems to be the
112 OX THE LATIN LANGUAGE. V. 116-118
included under this name, an iron shirt made of links. Balteum '
sword-belt,' because they used to wear a leather belt bullatum ' with an
amulet attached,' was called balteum. Ocrea ' shin-guard' was so
called because it was set in the way ob crus ' before the shin.'
Galea c ' leather helmet,' from galerum ' leather bonnet,' because many
of the ancients used them. 117. Tubae ' trumpets,' from tubi
' tubes,' a name by which even now the trumpeters of the sacrifices
call them. Cornua ' horns,' because these, which are now of bronze,
were then made from the cornu ' horn ' of an ox. Vallum a ' camp wall,'
either because no one could varicare ' straddle ' over it, or because the
ends of the forked sticks 6 used there had individually the shape
of the letter V. Cervi c ' chevaux-de-frise,' from the likeness to the
horns of a cervus ' stag ' ; so the rest of the terms in general, from a
likeness, as vineae ' mantlets,' d testudo ' tortoise,' e aries '
ram.' XXV. 118. The eating-table they used to call a cilliba
° ; it was square, as even now it is in the camp ; the name cilliba came
from cibus ' victuals.' After- wards it M'as made round, and the fact
that it was media ' central ' with us and p-ka-a ' central ' with
the Greeks, is the probable reason for its being called a mensa 6 '
table ' ; unless indeed they used to put on, amongst the victuals, many
that were mensa ' measured out.' Trulla e ' ladle,' from its likeness to
a trua ' gutter,' but because this is big and the other is small,
they named it as if it were truella ' small triia ' ; this feminine
of mensus ' measured ' ; perhaps from tabula mensa ' measured board.' e
Trulta is of uncertain origin, and yielded trua by back-formation ; Greek
rpinJAij seems to have been borrowed from Latin, as Varro states.
VOL. I [
113 VARRO pusilla, ut tr«e 3 enim et
navovv* d(i)c(untur) 5 Graece. 6 Reliqua quod aperta sunt unde sint
relinquo. XXVI. 121. Mensa vinaria rotunda nominabatur
ci(l)liba (a)nte, 1 ut etiam nunc in castris. Id videtur declinatum a
Graeco kvAikcuo, 2 (id) 3 a poculo cylice qui (in) 3 ilia. Capk?(es) 4 et minores capulae
a capiendo, quod ansatae ut prehendi possent, id est capi. Harum
figuras in vasis sacris ligneas ac fictiles antiquas etiam nunc
videmus. 122. Praeterea in poculis erant paterae, ab eo quod
late (pate)nZ 1 ita 2 dictae. Hisce
etiam nunc in publico convivio antiquitatis retinendae causa, cum
magistri fiunt, potio circumfertur, et in sacrificando deis hoc poculo
magistratus dat deo vinum. Pocula a potione, unde potatio et etiam posca.
3 Haec possunt a 7roTa», 4 quod ttotos potio Graece. 2 Aug.,
with B, for triplia. 3 Aug., with B,
for triplion. 4 L. Sp.,for canunun Fv. 5 GS.,forde. 6 Canal, for
greca. § 121. 1 GS., for cilibantiim. 2 Turnebus, for
culiceo. 3 Added by Mue. 4 L. Sp. ; capis Turnebus ; for
capit. § 122. 1 GS. ; patent L. Sp. ; pateant latine Aldus ;
for latini. 2 After ita, Aldus deleted dicunt. 3 Turnebus, for
postea. 4 Mue., for poto. 6 From Greek fiayLs ' a round pan.'
" Better lancula, diminutive of lanx ' platter.' d Correct, except
that canis- trum is from Greek Kaviorpov 4 bread-basket,' made of
K&wai 'reeds ' ; page 117 Funaioli. § 121. ° Of. § 118,
where a different etymology is given. § 122. Not from Greek, but
from an Indo-European root inherited by Latin as well as by Greek. 6 The
Greek- word means properly not a ' draught,' but a '
drinking-bout.' 116 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
120-122 The magida 6 and the languid, both meaning ' platter,'
they named from the magnitudo ' size ' of the one and the latitudo '
width ' of the other. Patenae ' plates ' they called from patulum '
spreading,' and the little plates, with which they offered the gods a
preliminary sample of the dinner, they called patellae ' saucers.'
Tryblia ' bowls ' and canistra ' bread-baskets,' though people think that
they are Latin, are really Greek A : for rpvBkiov and Kavovv are said in
Greek. The remaining terms I pass by, since their sources are
obvious. XXVI. 121.' A round table for wine was formerly
called a cilliba, a as even now it is in the camp. This seems to be
derived from the Greek kvXikcIov ' buffet,' from the cup cylix which
stands on it. The capides ' bowls ' and smaller capulae ' cups '
were named from capere ' to seize,' because they have handles to
make it possible for them prehendi ' to be grasped,' that is, capi ' to
be seized.' Their shapes we even now see among the sacred vessels,
old-fashioned shapes in wood and earthenware. 122. In
addition there were among the drinking- cups the paterae '
libation-saucers,' named from this, that they patent ' are open ' wide.
For the sake of preserving the ancient practice, they use cups of
this kind even now for passing around the potio ' draught ' at the
public banquet, when the magistrates enter into their office ; and it is
this kind of cup that the magistrate uses in sacrificing to the gods,
when he gives the wine to the god. Pocula ' drinking-cups,' from
potio ' draught,' whence potatio ' drinking bout ' and also posca ' sour
wine.' ° These may however come from ttotos, because ttotos is the Greek
for potio. b 117 VARRO 123.
Origo potionis aqua, quod oequa summa. Fons unde funditur e terra aqua
viva, ut fistula a qua fusus aquae. Vas vinarium grandius sinum ab
sinu, quod sinum maiorem cavtur 2 urnarium, quod urnas cum aqua
positas ibi potissimum habebant in culina. Ab eo etiam nunc ante balineum
locus ubi poni solebat urnarium vocatur. Urnae dictae, quod urinant
in aqua Aaurienda ut smnator. C/rinare 3 est mergi in aquam.
127. .^m&un^m} 1 fictum ab uruo, 2 quod ita flexum ut redeat
sursum versus tit 3 in aratro quod est wrvum. 4 Calix a caldo, quod in eo
calda puis 5 appone- batur et caldum eo bibebant. Vas ubi coquebant
cibum, ab eo caccabum appellarunt. Vera 6 a ver- sando.
XXVIII. 128. Ab sedendo appellatae sedes, sedile, so/ium, 1 sellae,
siliquastrum ; deinde ab his subsellium : ut subsipere quod non plane
sapit, sic quod non plane erat sella, subsellium. Ubi in eius- modi
duo, bisellium dictum. Area, quod arcebantur § 126. 1 GS., for et.
2 uocabatur, tcith ba expunged, V ; nocatur other mss. 3 Bent huts, for
orinator orinare. §127. 1 Kent ; imburvom Mue. ; imburum Aldus,
with B; for impurro. 2 Mue., for urbo. 3 Aldus, for est. 4 B, for
aruum. 6 Laetus, for plus. 6 Aldus, for uera. § 128. 1 Aug., for
souum. § 126. ° Wrong etymology. 6 Derivative of vrina
at an early date when itrina still meant merely 4 water,' and not
specifically ' urine.' § 127. ° ' Bent about,' a vessel shaped like
a gravy-boat ; if my conjecture as to the spelling of the word is right,
there is basis for Varro's etymology. 6 Of uncertain etymology, but
popularly derived by the Romans from Greek icvXii; ' cup,' the normal
meaning also of Latin calix, but not the meaning in this passage. c From
Greek KaKKaftos, a pot with three legs, to stand over the fire. d
Wrong. 120 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
126-128 XXVII. 126. Besides there was a third kind of
table for vessels, rectangular like the second kind ; it was called an
urnarium, because it was the piece of furniture in the kitchen on which
by preference they set and kept the urnae ' urns ' filled with water.
From this even now the place in front of the bath where the
urn-table is wont to be placed, is called an urnarium. Urnae ' urns ' got
their name a from the fact that they urinant b ' dive ' in the drawing
of water, like an urinator ' diver.' Urinate means to be plunged
into water. 127. Amburvum, a a pot whose name is made from
urvum ' curved,' because it is so bent that it turns up again like the
part of the plough which is named the urvum ' beam.' Calix b '
cooking-pot,' from caldum ' hot,' because hot porridge was served up in
it, and they drank hot liquid from it. The vessel in which they
coquebant ' cooked ' their food, from that they called a caccabus. Feru '
spit,' from versare ' to turn.' d XXVIII. 128. From sedere '
to sit ' were named sedes ' seat,' sedile ' chair,' solium ' throne,'
sellae a ' stools,' siliquastrum 6 ' wicker chair ' ; then from these
subsellium ' bench ' : as subsipere is said a thing does not sapit '
taste ' clearly, so subsellium because it was not clearly c a sella '
stool.' Where two had room on a seat of this sort, it was called a
bisellium ' double seat.' An area ' strong-chest,' because thieves
arcebantur ' were kept away ' from it when it § 128. ° With M from
dl. b Probably seliquastrum (or selli-), as in Festus, 340 b 10, 341. 5 ;
Fay suggests ' seat- basket ' (sella + qualum + suffix), citing certain
types of Mexi- can chairs. e Rather ' under-seat,' that is, a seat
under the sitter. 121 VARRO
fures ab ea clausa. Armarium et armamentarium ab cadem origine, sed
declinata aliter. XXIX. 129. Mundus (ornatus) 1 muliebris
dictus a munditia. Ornatus quasi ab ore natus : hinc enim maxime
sumitur quod earn deceat, itaque id paratur speculo. 2 Calamistrum, quod
his calfactis in cinere capfillus ornatur. Qui ea ministrabat, a cinere
cinera- rius est appellatus. Discerniculum, quo discernitur
capillus. Pecten, quod per euro explicatur capillus. Speculum a
speciendo, 3 quod ibi (s)e spectant.* 130. Vestis a vellis vel 1 ab
eo quod vellus lana tonsa universa ovis : id dictum, quod
vellebant.2 Lan(e)a, 3 ex lana facta. Quod capillum contineret,
dictum a rete reticulum ; rete ab raritudine ; item texta fasciola,qua
capillum in capitealligarent, dictum capital a capite, quod sacerdotulae
in capite etiam nunc solent habere. Sic rica ab ritu, quod Romano ritu sacrificium
feminae cum faciunt, capita velant. § 129. 1 Added by GS. ; cf. Festus, 143. 1 M, 2
A. Sp., for speculum. 3 Laetus, for spiciendo. 4 a, b, Turnebus,
for espeetant. § 130. 1 Ixietus, for uela. 2 B, Laetus, for
uellabant. 3 Turnebus, for lana. d Both area and
arcere are derived from arx ' stronghold.' * Not connected with area ;
but belonging together. § 129. Munditia is derived from mundus. 6
Wrong etymologies. § 130. Both etymological suggestions for
vestis arc wrong ; for the meaning, see A. Spengel, Bemerkungen,
264. 122 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 128-130
was locked.** Armarium ' closet ' and armamentarium '
warehouse,' from the same source,' but with different suffixes.
XXIX. 129. Mundus is a woman's toilet set, named a from munditia '
neatness.' Ornatus ' toilet set,' as if natus ' born ' from the os ' face
' 6 : for from this especially is taken that which is to beautify a
woman, and therefore this is handled with the help of a mirror.
Calamistrum ' curling- iron,' because the hair is arranged with irons
when they have been calfacta ' heated ' in the embers. 6 The one
who attended to them was called a cinerarius ' ember-man,' from cinis '
embers.' Discerniculum ' bodkin,' with which the hair discernitur ' is
parted.' Pecten ' comb,' because by it the hair explicatur ' is
spread out.' b Speculum ' mirror,' from specere ' to look at,' because in
it they spectant ' look at ' them- selves. 130. Festis '
garment ' " from velli 6 ' shaggy hair,' or from the fact that the
shorn wool of a sheep, taken as a whole, is a vellus ' fleece ' : this
was said because they formerly vellebant ' plucked ' it. Lanea '
woollen headband,' c because made from lana ' wool.' That which was
to hold the hair, was called a reticulum ' net- cap,' from rete ' net ' ;
rete, from raritudo ' looseness of mesh.' d Likewise the woven band with
which they were to fasten the hair on the head, was called a
capital ' headband,' from caput ' head ' ; and this the sub-priestesses
are accustomed to wear on their heads even now. So rica ' veil,' from
ritus ' fashion,' d because according to the Roman ritus, when
women make a sacrifice, they veil their heads. The mitra 6
Yellis, dialectal for villis. e For meaning, see A. Spen- gel,
Bemerkungen, 264. d Wrong etymologies. 123 VARRO Mitra et
reliqua fere in capite postea addita cum vocabulis Graecis.
XXX. 131. Prius deinde (ind)utui, 1 turn amictui quae sunt tangam.
Capitium ab eo quod capit pec- tus, id est, ut antiqui dicebant,
comprehendit. In- dutui alterum quod subtus, a quo subucula ;
alterum quod supra, a quo supparus, nisi id quod item dicunt Osce.
Alterius generis item duo, unum quod foris ac palam, palla ; alterum quod
intus, a quo (indusium, ut) 2 intusium, id quod Plautus dicit :
Indusiatam 3 patagiatam caltulam* ac crocotulam. Multa post luxuria attulit,
quorum vocabula apparet esse Graeca, ut asbest(in)on. 5 132.
Amictui dictum quod abiectum 1 est, id est circumiectum, 2 a quo etiam
quo 3 vestitas se invol- vunt, circumiectui appellant, et quod amictui
habet purpuram circum, vocant circumtextum. Antiquis- simi amictui
ricinium ; id quod eo utebantur duplici, § 131. 1 B, Turnebus, for
deinde utui Fv, f. 2 Added by GS. 3 GS., for intusiatam ; after the text
of Plautus. * Laetus, for
caltulum/ after the text of Plautus. 6 GS., for asbeston ; cf. Pliny,
jVat. Hist. xix. 4. 20. §132. 1 Mue., for abiectum. 2
^w#.,/o?-circumlectum. 3 G, Aug., for quod. § 131 .
The datives indutui, amictui, and circumiectui, are used in § 131 and § 132
as indeclinables, like frugi ' thrifty,' cordi ' pleasant,' original
datives of purpose that have become stereotyped. 6 From caput ' head,'
because it was put on over the head like a sweater. c From sub and the
verb in ind-tiere, ' to put on,' ex-uere ' to take off.' d Probably
Oscan. * Of unknown etymology. ' From induere 'to put on.' 9 Epidicus,
231. h The Latin words are adjectives modifying tunicam in the preceding
line. ' Made of a mineral substance called aofieoTos. 124.
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 130-132 ' turban '
and in general the other things that go on the head, -were later
importations, along -with their Greek names. XXX. 131. Next I
shall first touch upon those things which are for putting on,° then those
which are for wrapping about the person. Capitium 6 ' vest,' from
the fact that it capii ' holds ' the chest, that is, as the ancients
said, it comprehendit ' includes ' it. One kind of put-on goes subtus '
below,' from which it is called subucula c ' underskirt ' ; a second kind
goes supra 1 above,' from which it is called supparus d ' dress,'
unless, this is so called because they say it in the same way in Oscan.
Of the second sort there are likewise two varieties, one called palla e '
outer dress,' because it is outside and palam ' openly ' visible ;
the other is intus ' inside,' from which it is called indusium * '
under-dress,' as though intusium, of which Plautus speaks 9 :
Under-dress, a bordered dress, of marigold and saffron hue.*
There are many garments which extravagance brought at later times,
whose names are clearly Greek, such as asbestinon i ' fire-proof.'
132. Atnictui ' wrap ' is thus named because it is ambiectum '
thrown about,' that is, circumiectum ' thrown around,' from which
moreover they gave the name of circumiectui ' throw-around ' to that with
which women envelop themselves after they are dressed ; and any
wrap that has a purple edge around it, they call circumtextum '
edge-weave.' Those of very long ago called a wrap a ricinium ' mantilla '
; it was called ricinium from reicere ' to throw back,' ° because
they § 133. ° Properly from rica (§ 130) ; it was a square
piece of cloth worn folded over the head in sign of mourning.
125 VARRO ab eo quod dimidiam partem
retrorsum zaciebant, 4 ab reiciendo ricinium dictum. 133.
(Pallia) 1 hinc, quod facta duo simplicia paria, parilia primo dicta, R
exclusum 2 propter levitatem. Parapechia, 3 cAlarmydes, 4 sic multa,
Graeca. Loena, 5 quod de lana multa, duarum etiam togarum instar ;
ut antiquissimum mulierum ricinium, sic hoc duplex virorum.
XXXI. 134. Instrumenta rustica quae serendi aut colendi fructus
causa facta. Sarculum ab serendo ae sanendo. 1 Ligo, quod eo propter
latitudinem quod sub terra facilius legitur. Pala a pangendo, 2 GL quod fuit. Rutrum
ruitrum a ruendo. 135. Aratrum, quod aruit 1 terram. Eius
fer- rum vomer, quod vomit eo plus terram. Dens, quod eo mordetur
terra ; super id regula quae stat, stiva ab stando, et in ea transversa
regula manicula, quod manu bubulci tenetur. Qui quasi temo est
inter 4 Ixietus, for faciebant. § 133. 1 Added by
Canal. 2 Mue. ; R esclusum Turnebus ; for resclusum /, resculum Fv. 3 For
para- pecchia Fv. 4 Ed. Veneta, for clamides. 5 Aldus, for lena.
§ 134. 1 Aldus, for sarcendo. 2 Added by Ellis. § 135. 1 Turnebus,
for aruit ; cf. Varro, De Re Rustica, i. 35, terra adruenda.
§ 133. ° Probably of Greek origin. 6 Greek irapam)xvs ' beside the
elbow,' also ' woman's garment with purple border on each side.' The
Latin word seems to come from the diminutive irapaTrrjxtov ' radius,
small bone below the elbow,' which however may also have denoted the
woman's garment, though this is not attested. c Probably from Greek
^Acum, perhaps with an Etruscan intermediary. 126
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 132-135 wore it doubled,
throwing back one half of it over the other. 133. Pallia ° '
cloaks ' from this, that they con- sisted of two single paria ' equal '
pieces of cloth, called parilia at first, from which R was eliminated
for smoothness of sound. Parapechia b ' elbow-stripes,' chlamydes '
mantles,' and many others, are Greek. Laena 6 ' overcoat,' because they
contained much lana ' wool,' even like two togas : as the ricinium was
the most ancient garment of the women, so this double garment is
the most ancient garment of the men. XXXI. 134. Farming tools which
were made for planting or cultivating the crops. Sarculum ° ' hoe,'
from serere ' to plant ' and sarire ' to weed.' Ligo 6 ' mattock,'
because with this, on account of its width, what is under the ground
legitur ' is gathered ' more easily. Pala c ' spade ' from pangere ' to
fix in the earth ' ; the L was originally GL. Rutrum ' shovel,'
previously ruitrum, from mere ' to fall in a heap.' 135.° Aratrum '
plough,' because it arruit b ' piles up ' the earth. Its iron part is
called vomer ' plough- share,' because with its help it the more vomit '
spews up ' the earth. The dens ' colter,' because by this the earth
is bit ; the straight piece of wood which stands above this is called the
stiva ' handle,' from stare ' to stand,' and the wooden cross-piece on it
is the mani- cula ' hand-grip,' because it is held by the manns '
hand ' of the ploughman. That which is so to speak a wagon-tongue between
the oxen, is called a bura § 134. From sarire. b Of uncertain
origin. c Cor- rect ; but from pag+ sla, with loss of the extra
consonants in the group. § 135. ° Wrong on aratrum, vomer,
stiva, bura, urvum. b Really from arat ' it ploughs.'
127 VARRO boves, bura a bubus ;
alii hoc a curvo urvum 2 appel- lant. Sub iugo medio cavum, quod bura
extrema addita oppilatur, vocatur coum 3 a cavo. 4 Iugum et iumentum
ab iunctu. 136. Irpices regula compluribus dentibus, quam
item ut plaustrum boves trahunt, ut eruant quae in terra ser(p>unt 1 ;
sirpices, postea (irpices) 2 S detrito.. a quibusdam dicti. Rastelli ut
irpices serrae leves ; itaque 3 homo in pratis per fenisecza 4 eo
festucas corradit, quo ab rasu rastelli dicti. Rastri, quibus
dentaiis 5 penitus eradunt terram atque cruunt, a quo rutu n*a(s)tri 6
dicti. 137. Falces a farre littera 1 commutata ; hae in
Campania seculae a secando ; a quadam similitudine harum aliae, ut quod
apertum unde, falces fenariae et arbor(ar)iae 2 et, quod non apertum
unde, falces lumaria(e) 3 et sirpiculae. Lumariae sunt quibus
secant lumecta, id est cum in agris serpunt spinae ; quas quod ab terra
agricolae solvunt, id est luunt, lumecta. Falces sirpiculae vocatae ab sirpando,
id 2 Turnebus, for curuum. 3 Aug., with B, for cous Fv. 4
Rhol., for couo. § 136. 1 Turnebus, for serunt. 2 Added by
Mue. 3 Aug., with B, for ita qua. 4 Aug., for fenisecta. 6
Turnebus, for dentalis. 6 Kent ; rutu rastri Scaliger : erutu rastri
Turnebus ; for ruturbatri Fv. § 137. 1 For litera in Fv, as often.
2 Georges, for arboriae ; cf. Varro, Be Re Rust. i. 22. 5, and Cato, De
Agric. 10. 3. 3 For lumaria. " The earlier form
of cavus ' hollow ' was in fact covos. § 136. ° Properly hirpices,
from hirpus, the Samnite word for ' wolf.' b Roots of weeds and grasses.
" Diminu- tive of rostrum ; therefore ultimately from radere. d
Mas- culine plural of neuter singular rastrum, from radere ' to
scrape.' 128 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 135-137
' beam,' from botes ' oxen ' ; others call this an urvum,
from the curvuvi ' curve.' The hole under the middle of the yoke, which
is stopped up by inserting the end of the beam, is called coum, from
cavum ' hole.' Iugum ' yoke ' and iumentum ' yoke-animal/ from
iunctus ' joining or yoking.' 136. Irpices a 'harrows' are a
straight piece of wood with many teeth, which oxen draw just like a
wagon, that they may pull up the things 6 that serpunt ' creep ' in the
earth ; they were called sir- pices and afterwards, by some persons,
irpices, with the S worn off. Rastelli c ' hay-rakes,' like
harrows, are saw-toothed instruments, but light in weight ;
therefore a man in the meadows at haying time corradit ' scrapes together
' with this the stalks, from which rasns ' scraping ' they are called
rastelli. Rastri d ' rakes ' are sharp-toothed instruments by which
they scratch the earth deep, and eruunt ' dig it up,' from which rutus '
digging ' they are called ruastri. 137. Falces ' sickles,'
from far ' spelt,' a with the change of a letter ; in Campania, these are
called seculae, from secare ' to cut ' ; from a certain likeness to
these are named others, the falces fenariae ' hay scythes ' and
arborariae ' tree pruning-hooks,' of obvious origin, and falces lumariae
and sirpiculae, whose source is obscure. Lumariae 6 are those with
which lumecta are cut, that is when thorns grow up in the fields ;
because the farmers solvunt ' loosen,' that is, luunt ' loose,' them from
the earth, they are called lumecta ' thorn-thickets.' Falces sirpiculae c
are named §137. "Wrong. 6 Possibly for dumariae and
dumecta, with Sabine I for d ; cf. Festiis, 67. 10 M. 'Apparently from
sirpus ' rush,' collateral form of scirpus. VOL. I K 129 VARRO
est ab alligando ; sic sirpata 4 dolia quassa, cum alligata his,
dicta. Utuntur in vinea alligando fasces, incisos fustes, faculas. Has
xranclas 5 Cherso(ne)sice. 6 138. Pilum, quod eo far pisunt, a quo
ubi id fit dictum pistrinum (L 1 et S inter se saepe locum corn-
mutant), inde post in Urbe Lucili pistrina et pistrix. Trapetes 2 molae
oleariae ; vocant trapetes a terendo, nisi Graecum est ; ac molae a mol(l)iendo
3 : harum enim motu eo coniecta mol(l)iuntur. 4 Vallum a volatu,
quod cum id iactant volant inde levia. Ven- tilabrum, quod ventilatur in
aere frumentum. 139- Quibus conportatur fructus ac necessariae res
: de his fiscina a ferendo dicta. Corbes ab eo quod eo spicas aliudve
quid corruebant ; hinc minores corbulae dictae. De his quae iumenta
ducunt, tragula, quod ab eo trahitur per terram ; sirpea, quae
virgis sirpatur, id est colligando implicatur, in qua stercus aliudve
quid vehitur. 4 Aug., with B,
for sirpita. 5 Mue., for phanclas /, G, fanclas H, V, p. 6 Aug., with B,
for chermosie /, chermosioe G, a. § 138. 1 Aug., for R. 2 For
trapetas Fv. 3 Scaliger, for moliendo. 4 Scaliger, for moliuntnr.
d Cf. the fiaschi vestiti or ' clothed wine-flasks ' of
modern Italy. * Messana in Sicily was before the Greek coloniza-
tion named Zancle ' sickle,' from the shape of the cape on which it
stood. There is no other evidence that this cape was called a
Chersonesus, but as over twenty peninsulas are referred to by this name,
it is possible that the name was applied here also. § 138. a
Varro's basis for this statement is not apparent. 6 Cf. 521 and 1250 Marx
; one must assume that one of the Satires of Lucilius was entitled Urbs.
c From Greek. d From molere ' to grind.' e Diminutive of vannvs '
fan.' §139. "Wrong on fiscina and corbes. b Cf. § 137,
note c. 130 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 137-139
from sirpare ' to plait of rushes,' that is, alligare ' to
fasten ' ; thus broken jars are said to have been sirpata '
rush-covered,' when they are fastened to- gether with rushes.* 1 They use
rushes in the vine- yard for tying up bundles of fuel, cut stakes,
and kindling. These sickles they call zanclae in the peninsular
dialect." 138. The pi lum ' pestle ' is so named because
with it they pisunt ' pound ' the spelt, from which the place where
this is done is called a pistrinum ' mill ' — L and S often change places
with each other" — and from that afterwards pistrina ' bakery ' and
pistrix ' woman baker,' words used in Lucilius's Cityfi Trapetes c
are the mill-stones of the olive-mill : they call them trapetes
from terere ' to rub to pieces,' unless the word is Greek ; and molae d
from mollire ' to soften,' for what is thrown in there is softened by
their motion. Vallum * ' small win no wing-fan,' from volatus '
flight,' because when they swing this to and fro the light
particles volant ' fly ' away from there. Ventilabrum ' winnowing-fork,'
because with this the grain venti- latur ' is tossed ' in the air.
139. Those means with which field produce and necessary things are
transported. Of these, fiscina a rush-basket ' was named from ferre
' to carry ' ; corbes ' baskets,' from the fact that into them they
corrue- bant ' piled up ' corn-ears or something else ; from this
the smaller ones were called corbulae. Of those which animals draw, the
tragula ' sledge,' because it trahitur ' is dragged ' along the ground
by the animal ; sirpea 6 ' wicker wagon,' which sirpatur ' is
plaited ' of osiers, that is, is woven by binding them together, in which
dung or something else is conveyed. 131
VARRO 140. Vehiculum, in quo faba aliudve quid
vehitur, quod e 1 viminibus vietur 2 aut eo vehitur. Breviws 3
vehiculum dictum est aliis ut* arcera, quae etiam in Duodecim Tabulis
appellatur ; quod ex tabulis vehiculum erat factum ut area, 5 arcera
dictum. Plaus- trum ab eo quod non ut in his quae supra dixi (ex
quadam parte), 6 sed ex omni parte palam est, quae in eo vehuntur quod
perluce(n)t, 7 ut lapides, asseres, tignum. XXXII. 141.
Aedificia nominata a parte ut multa : ab aedibus et faciendo maxime
aedificium. Et oppidum ab opi dictum, quod munitur opis causa ubi
sint et quod opus est ad vitam gerendam ubi habeant tuto. Oppida quod opere
1 muniebant, moenia ; quo moenitius esset quod exaggerabant,
aggeres dicti, et qui aggerem contineret, moerus. 2 Quod muniendi causa
portabatur, mwnus 3 ; quod sepiebant oppidum co moenere, 4 momis. 5
142. Eius summa pinnae ab his quas insigniti §140. 1 GS. ; ex
Laetus ; for est. 2 Tvrnebus, for utetur. 3 A. Sp., for breui est. 4 A.
Sp., for uel. 5 Laetus, for arcar Fv. 6 Added by L. Sp. 7 Aug., for
perlucet. §141. 1 Aug., for operi. 2 Sciop., for moerum Fv. 3
Laetus, for manus. 4 Turnebus, for eae omoenere Fv. 5 Sciop., for
murus. § 140. ° From vehere ' to carry.' 6 Page 116
Schoell. c From plaudere ' to creak.' § 141. ° Whence '
temple ' in the singular, ' house ' in the plural. * From prefix ob +
pedom ' place ' ; cf. irihov, San- skrit padam. c Munire, moenia, murus,
munus all belong together ; oe is the older spelling, preserved in moenia
in classical Latin. It is a question how far we ought to restore
moe- for mu- in this passage ; possibly in all the 132
ON THE LATIN LANGUAGE, V. 140-142 140. Vehiculum ° '
wagon,' in which beans or some- thing else is conveyed, because it vietur
' is plaited ' or because vehitur ' carrying is done ' by it. A
shorter kind of wagon is called by others, as it were, an arcera '
covered wagon,' which is named even in the Twelve Tables b ; because the
wagon was made of boards like an area ' strong box,' it was called an
arcera. Plaus- trum e ' cart,' from the fact that unlike those which
I have mentioned above it is palam ' open ' not to a certain degree
but everywhere, for the objects which are conveyed in it perlucent '
shine forth to view,' such as stone slabs, wooden beams, and building
material. XXXII. 141. Aedificia ' buildings ' are, like many things,
named from a part : from aedes a ' hearths ' andjacere ' to make ' comes
certainly aedificium. Op- pidum 6 ' town ' also is named from ops '
strength,' because it is fortified for ops ' strength,' as a place
where the people may be, and because for spending their lives there is
opus ' need ' of place where they may be in safety. Moenia c ' walls '
were so named because they muniebant ' fortified ' the towns with
opus ' work.' What they exaggerabant ' heaped up ' that it might be
moenitius ' better fortified,' was called aggeres d ' dikes,' and that
which was to support the dike was called a moerus ' wall.' Because
carrying was done for the sake of muniendi ' fortifying,' the work
was a munus ' duty ' ; because they enclosed the town by this moenus, it
was a moerus ' wall.' 142. Its top was called pinnae a '
pinnacles,' from those feathers which distinguished soldiers are
accus- words, since Varro had a fondness for archaic
spellings. d Exaggerare is from agger, which is from ad ' to ' and
gerere ' to carry.' § 142. ° Literally, ' feathers.'
133 VARRO milites in galeis habere
solent et in gladiatoribus Samnites. Turres a torvis, quod eae proiciunt
ante alios. Qua viam relinquebant in muro, qua in op- pidum
portarent, portas. 143. Oppida condebant in Latio Etrusco
ritu multi, id est iunctis bobus, tauro ct vacca interiore, aratro
circumagebant sulcum (hoc faciebant religionis causa die auspicato), ut
fossa et muro essent muniti. Terram unde exculpserant, fossam vocabant et
intror- sum i'actam 1 murum. Post ea 2 qui fiebat orbis, urbis
principium ; qui quod erat post murum, postmoerium dictum, eo usque 3
auspicia urbana finiuntur. Cippi pomeri stant et circum Arcciam et 4
circum 5 Romam. Quare et oppida quae prius erant circumducta aratro
ab orbe 6 et urvo urb 2 postilionem postulare, id est civem fortissimum
eo demitti. 3 Turn quendam Curtium virum fortem
armatum ascendisse in equum et a Con- cordia versum cum equo eo 4
praecipitatum ; eo facto 2 macella Scaliger, for macelli. 3 Jordan, for iunium. 4
Added by 08., from Plautus, Cure. 474. 5 Added by GS. 6 Laetus, for
quern. 7 For cuppedinis. § 147. 1 Stowasser, for fuerit; cf.
Festus, 125. 7 M. § 148. 1 After Cornelius, Mue. deleted Stilo. 2
Laetus, for manio. 3 Turnebus, for eodem mitti. 4 A. Sp., with II,
for eum. 6 Curculio, 474. c Page 115 Funaioli. § 147.
"Page 116 Funaioli. 6 Seemingly only an aetiological story ;
the cognomen is not otherwise known. Could it here be a corruption of
Marcellus ? § 148. a A writer on historical topics, possibly the
Pro- cilius who was tribune of the plebs in 56 u.c. 6 L. Cal-
purnius Piso Frugi, consul 133 B.C., adversary of the Gracchi ;
138 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 146-148
small fortified villages. Along the Tiber, at the sanctuary of
Portunus, they call it the Forum Pis- carium ' Fish Market ' ; therefore
Plautus says 6 : Down at the Market that sells the fish.
Where things of various kinds are sold, at the Cornel- Cherry .
Groves, is the Forum Cuppedinis ' Luxury Market,' from cuppedium '
delicacy,' that is, from fastidium ' fastidiousness ' ; many c call it
the Forum Cupidinis ' Greed Market,' from cupiditas ' greed.'
147. After all these things which pertain to human sustenance had
been brought into one place, and the place had been built upon, it was
called a Macellum, as certain writers say, a because there was a
garden there ; others say that it was because there had been there
a house of a thief with the cognomen Macellus, 6 which had been
demolished by the state, and from which this building has been
constructed which is called from him a Macellum. 148. In the
Forum is the Lacus Curtius ' Pool of Curtius ' ; it is quite certain that
it is named from Curtius, but the story about it has three versions :
for Procilius a does not tell the same story as Piso, 6 nor did
Cornelius c follow the story given by Procilius. Procilius states d that
in this place the earth yawned open, and the matter was by decree of the senate
referred to the haruspices ; they gave the answer that the God of the
Dead demanded the fulfilment of a forgotten vow, namely that the bravest
citizen be sent down to him. Then a certain Curtius, a brave man,
put on his war-gear, mounted his horse, and turning away from the Temple
of Concord, plunged into the author of a work on Roman history. e
Identity quite uncertain. 6 Hist. Rom. Frag., page 198 Peter. 139
VARRO locum coisse atque eius corpus divinitus
humasse ac reliquisse genti suae monumentum. 149- Piso in
Annalibus scribit Sabino bello, quod fuit Romulo et Tatio, virum
fortissimum Met(t)ium Curiium 1 Sabinum, cum Romulus cum suis ex
su- periore parte impressionem fecisset, 2 in locum 3 palus- trem,
qui turn fuit in Foro antequam cloacae sunt factae, secessisse atque ad
suos in Capitolium re- cepisse ; ab eo lacum (Curtium) 4 invenisse
nomen. 150. Cornelius et Lutatius 1 scribunt eum locum esse
fulguritum et ex S. C. septum esse : id quod factum es(se)t 2 a Curtio
consule, cui M. Genucius 3 fuit collega, Curtium appellatum.
151. Arx ab arcendo, quod is locus munitissimus Urbis, a quo
facillime possit hostis prohiberi. Career a coercendo, quod exire
prohibentur. In hoc pars quae sub terra Tullianum, ideo quod additum
a Tullio rege. Quod Syracusis, ubi de(licti) 1 causa custodiuntur,
vocantur latomiae, (in)de 2 lautumia § 149. 1 For curcium Fv. 2 After
fecisset, Popma de- leted curtium. 3 Laetus, for lacum. 4 Added by
GS. § 150. 1 Aug., with B, for luctatius. 2 Mue., for est. 3
For genutius. § 151. 1 Bergmann, for de. 2 Mue. ; exinde Turnebus
; for et de. § 149. Hist. Rom. Frag., page 79 Peter. 6
Tradition- ally built by the first Tarquin ; cf. Livv, i. 38. 6. c
Cf. Livy, i. 10-13, especially i. 12. 9-10 and! 13. 5. § 150.
Q. Lutatius Catulus, 152-87 b.c, consul 102 as colleague of Marius in the
victory over the Cimbri at Ver- cellae ; a writer on etymology and
antiquities. b Hist. Rom. Frag., page 126 Peter ; Gram. Rom. Frag., page
105 Funaioli. c C. Curtius Chilo and M. Genucius Augurinus were
colleagues in the consulship in 445 b.c. 140 ON THE
LATIN LANGUAGE, V. 148-151 gap, horse and all ; upon which
the place closed up and gave his body a burial divinely approved,
and left to his clan a lasting memorial. 149. Piso in his
Annals writes that in the Sabine War between Romulus and Tatius, a Sabine
hero named Mettius Curtius, when Romulus with his men had charged
down from higher ground and driven in the Sabines, got away into a swampy
spot which at that time was in the Forum, before the sewers b had
been made, and escaped from there to his own men on the Capitoline c ;
and from this the pool found its name. 150. Cornelius and
Lutatius a write b that this place was struck by lightning, and by decree
of the senate was fenced in : because this was done by the consul
Curtius, 6 who had M. Genucius as his colleague, it was called the Lacus
Curtius. 151. The arx ' citadel,' from arcere ' to keep off,'
because this is the most strongly fortified place in the City, from which
the enemy can most easily be kept away. The career 6 ' prison,' from
coercere ' to con- fine,' because those who are in it are prevented
from going out. In this prison, the part which is under the ground
is called the Tullianum, because it was added by King Tullius. Because at
Syracuse the place where men are kept under guard on account of
transgressions is called the Latomiae c ' quarries,' from § 151.
"The northern summit of the Capitoline, on which stood the temple of
Juno Moneta. * Beneath the Arx, at the corner of the Forum ; etymology
wrong. e Greek XoLTOfuai, contracted from XaoTOfuai, which gave the
Latin word ; there were old tufa-quarries on the slopes of the
Capitoline, and the excavation which formed the dungeon was probably a
part of the quarry. 141
VARRO translatum, quod hie quoque in eo loco
lapidicinae fuerunt. 152. In (Aventi)no 1 Lauretum ab eo quod
ibi sepultus est Tatius rex, qui ab Laurentibus inter- fectus est,
(aut) 2 ab silva laurea, quod ea ibi excisa et aedificatus vicus : ut
inter Sacram Viam et Macellum editum Corneta (a cornis), 3 quae abscisae
loco re- liquerunt nomen, ut ^esculetum ab aesculo 4 dictum et
Fagutal a fago, unde etiam Iovis Fagutalis, quod ibi saeellum.
153. Armilustr(i)um 1 ab ambitu lustri : locus idem Circus Maximus
2 dictus, quod circum spectaculis aedificatus wbi 3 ludi fiunt, et quod
ibi circum metas fertur pompa et equi currunt. Itaque dictum in
Cornicula(ria) 4 militi's 5 adventu, quern circumeunt ludentes :
Quid cessamus ludos facere ? Circus noster ecce adest.
§152. 1 Groth, for in eo. 2 Added by Sciop. 3 Added by Aug., with
B. 4 Laetus, for escula. § 153. 1 For armilustrum. 2 Laetus, for
mecinus. 3 Aug., with B, for ibi. 4 Vertranius, for cornicula. 6
Tumebas, for milites. § 152. There is here a lacuna, or else
the in eo of the manuscripts stands for in Aventino ; for the Lauretum
was on the Aventine. § 153. The word denotes both the
ceremony, held on October 19, and the place where it was performed,
which seems originally to have been on the Aventine ; according to
Varro, it was later held in the Circus, in the valley between the
Aventine and the Palatine. According to Servius, in Aen. i. 283, the name
was ambilustrum, so called because the ceremony was not legal unless
performed by both (ambo) censors jointly ; it is possible that the word
should be so emended here and at vi. 22. " Circum is merely the
ac- that the word was taken over as lautumia, because
here also in this place there were formerly stone- quarries.
1 52. On the Aventine a is the Lauretum ' Laurel- Grove,' called
from the fact that King Tatius was buried there, who was killed by the
Laurentes ' Lauren- tines,' or else from the laurea ' laurel ' wood,
because there was one there which was cut down and a street run
through with houses on both sides : just as between the Sacred Way and I
lie higher part of the Macellum are the Corneta ' Cornel-Cherry
Groves,' from corni 'cornel-cherry trees,' which though cut away
left their name to the place ; just as the Aescu- letum ' Oak-Grove' is
named from aesculus ' oak-tree,' and the Fagutal ' Beech-tree Shrine '
from fagus ' beech-tree,' whence also Jupiter Fagutalis ' of the
Beech-tree,' because his shrine is there. 153. Armilustrium a '
purification of the arms,' from the going around of the lustrum '
purificatory offering'; and the same place is called the Circus
Maximus, because, being the place where the games arc performed, it
is built up circum 6 ' round about ' for the shows, and because there the
procession goes and the horses race circum ' around ' the
turning-posts. Thus in The Story of the Helmet-Horn c the following
is said at the coming of the soldier, whom they en- circle and make fun
of : Why do we refrain from making sport ? See, here's our
circus-ring. cusative of circus. e Frag. I of Plautus's Cornicularia,
which may be taken as the Story of the Corniculum, a horn- shaped
ornament on the helmet, bestowed for bravery ; here apparently assumed by
a braggart soldier, the miles of the text. 143 VARRO In
circo primum unde mittuntur equi, nunc dicuntur carceres, Naevius oppidum
appellat. Carceres dicti, quod coercentur 6 equi, ne inde exeant
antequam magistratus signum misit. Quod a(d) muri spm'em' pmnis 8
turribusque 9 carceres olim fuerunt, scripsit poeta :
Dictator ubi currum insidit, pervehitur usque ad oppidum.
154. Intumus circus ad Murcice 1 vocatur, 4 ut Procilius aiebat, ab
urceis, quod is locus esset inter figulos ; alii dicunt a murteto
declinatum, quod ibi id fuerit ; cuius vestigium manet, quod ibi est
sacellum etiam nunc Murteae Veneris. Item simili de causa
Circus Flaminius dicitur, qui circum aedificatus est Flaminium Campum, et
quod ibi quoque Ludis Tauriis equi circum metas currunt. 155.
Comitium ab eo quod coibant eo comitiis curiatis et litium causa. 1
Curiae duorum generum : nam et ubi curarent sacerdotes res divinas, ut 2
curiae 6 p, Ed. Veneta (cohercentur Laetus), for coercuntur. 7 Mue., for a
muris partem. 8 Laetus, for pennis. 9 Aug., for turribus qui.
§ 154. 1 L. Sp.,for murcim Fv. 2 Sciop.,/or uocatum. § 155. 1 Mue.
; caussa Aug., with B ; causae Fv. 2 For et. d
Merely the plural of career ' prison ' ; not related to coercere. e
Naevius, Comic. Rom. Frag., inc. fab. II Rib- beck 3 ; R.O.L. ii. 148-149
Warmington. § 154. ° Hist. Rom. Frag., page 3 Peter. " Page
116 Funaioli. c In the level ground of the Campus Martius, through
which C. Flaminius Nepos as censor in 220 b.c. built the Via Flaminia,
the great highway from Rome to the north, and near it the Circus
Flaminius ; he was consul in 217 and was killed in the battle with
Hannibal at Lake 144 ON THE LATIN
LANGUAGE, V. 15S-155 In the Circus, the place from which the
horses are let go at the start, is now called the Carceres '
Prison- stalls,' but Naevius called it the Town. Carceres d was
said, because the horses coercentur ' are held in check,' that they may
not go out from there before the official has given the sign. Because the
Stalls were formerly adorned with pinnacles and towers like a wall,
the poet wrote e : When the Dictator mounts his car, he rides the
whole way to the Town. 1 54. The very centre of the Circus is
called ad Murciae ' at Murcia's,' as Procilius ° said, from the
urcei ' pitchers,' because this spot was in the potters' quarter ; others
6 say that it is derived from murtetum ' myrtle-grove,' because that was
there : of which a trace remains in that the chapel of Venus Muriea 4
of the Myrtle ' is there even to this day. Likewise for a similar
reason the Circus Flaminius ' Flaminian Circus ' got its name, for it is
built c circum ' around ' the Flaminian Plain, and there also the horses
race circum ' around ' the turning-posts at the Taurian Games.
d 155. The Comitium ' Assembly-Place ' was named from this,
that to it they coibant ' came together ' for the comitia curiata a ' curiate
meetings ' and for law- suits. The curiae 6 ' meeting-houses ' are of
two kinds : for there are those where the priests were to attend to
affairs of the gods, like the old meeting- Trasumennus. d Games in
honour of the deities of the netherworld. § 155. ° Long
before Varro's time, practically replaced by the comitia centuriata. *
Curia denoted first a group of gentes ; then a meeting-place for such
groups ; then any meeting-place. vol. i L 145
VARRO veteres, et ubi senatus humanas, ut Curia
Hostilia, quod primus aedificavit Hostilius rex. Ante hanc Rostra ;
cuius id vocabulum, ex hostibus capta fixa sunt rostra ; sub dextra huius
a Comitio locus sub- structus, ubi nationum subsisterent legati qui
ad senatum essent missi ; is Graecostasis appellatus a parte, ut
multa. 156. Senaculum supra Graecostasim, ubi Aedis
Concordiae et Basilica Opimia ; Senaculum vocatum, ubi senatus aut ubi
seniores consisterent, dictum ut yepoverta 1 apud Graecos. Lautolae ab
lavando, quod ibi ad Ianum Geminum aquae caldae fuerunt. Ab his
palus fuit in Minore Velabro, a quo, quod ibi vehebantur lintribus, 2
velabrum, ut illud de quo supra dictum est. 157.
Aequimaelium,quod a€p€Tpoi>. 167. Posteaquam transierunt ad
culcitas, quod in eas acus 1 aut tomentum aliudve quid calcabant,
ab inculcando culcita dicta. Hoc quicquid insternebant ab sternendo
stragulum appellabant. Pulvinar vel a plumbs vel a pellulis 2
declinarunt. Quibus operiban- tur, operimenta, et pallia opercula
dixerunt. In his multa peregrina, ut sagum, reno Gallica, ut 3 gaunaca
4 et amphimallum Graeca ; contra Latinum toral, 5 ante torum, et
torus a torto, 6 quod is in promptu. 2 Aug., for terras. 3 Ed.
Veneta, for quam. 4 L. Sp., for ubi. 5 Added by L. Sp. §167.
1 Turnebus, for ea sagus. 2 Aldus, for a pluribus uel a pollulis. 3 GS. ;
gallica Turnebus ; for galli quid. 4 GS. ; gaunacum Scaliger, for
gaunacuma. 5 A. Sp. ; toral quod Aug.; torale quod Aldus ; for tore
uel. 6 Meursius, for toruo. 6 That is, on additional straw
and grass (if the text be correct). e From the Greek, with dissimilative
loss of the prior t. d The standing grain ; then, the stems of the
grain-plants, not merely of wheat. * From the Greek word, which is from epa>
' I bear.' §167. "Wrong. 6 Hoc = hue 'into this.' c From
156 ON THE LATIN LANGUAGE, V. 166-167 '
gathered ' the straw-coverings and the grass with which to make them, as
even now is done in camp ; these couches, that they might not be on the
earth, they raised up on these materials 6 ; — unless rather from
the fact that the ancient Greeks called a bed a \tK-pov. Those who
covered up a couch, called the coverings segestria, c because the
coverings in general were made from the seges d ' wheat-stalks,' as
even now is done in the camp ; unless the word is from the Greeks,
for there it is o-rkyao-rpov. Because the bed of a dead man fertur ' is
carried,' our ancestors called it a feretrum e ' bier,' and the Greeks called
it a 3 quod olim v(i)num 4 dicebant multa?« 5 : itaque cum
(in) 8 dolium aut culleum vinum addunt rustici, prima urna addita
dicunt etiam nunc. Poena a poeniendo aut quod post peccatum sequitur.
Pretium, quod emptionis aesti- mationisve causa constituitur, dictum a
peritis, quod hi soli facere possunt recte id. § 175. 1
Bergk,for issedonion. § 176. 1 L. Sp., for ceptum. 2 A. Sp., for ab
eadem mente. 3 Bentinus, for intrigo (intrigo dicta et
intertrigo B and Aug.). § 177. 1 Groth, for a. 2 Aug., for
multas. 3 Added by Mue. 4 B, Laetus, for unum. 5 Goeschen,
for multae. 6 Added by Aug., with B. §176.
"Wrong. § 177. ° Multa 'fine,' possibly taken from Sabine,
but probably from the root in mulcare ' to beat.' Varro seems to identify
it with multae ' many,' supply perhaps pecuniae : the magistrate imposed
one multa after another, just as the countrymen poured one multa of wine
after another into 164 ON THE LATIN LANGUAGE, V.
175-177 is Sdi'ciov with the Aeolians, and 86p.a as others
say it, and ooo-is of the Athenians. Arrabo ' earnest-money,' when
money is given on this stipulation, that a balance is to be paid : this
word likewise is from the Greek, where it is dppafiwv. Reliquum '
balance,' because it is the reliquum ' remainder ' of what is owed.
176. Damnum ' loss,' from demptio ' taking away,' a when less is
brought in by the sale of the object than it cost. Lucrum ' profit ' from
luere ' to set free,' if more is taken in than will exsolvere ' release '
the price at which it was acquired. Detrimenium ' damage,' from
detritus ' rubbing off,' because those things which are trita ' rubbed '
are of less value. From the same trimentum comes intertrimentum ' loss by
attrition,' because two things which have been trita ' rubbed '
inter se ' against each other ' are also diminished ; from which moreover
intertrigo ' chafing of the skin ' is said. 177. A multa '
fine ' is that money named by a magistrate, that it might be exacted on
account of a transgression ; because the fines are named one at a
time, they are called midtae as though ' many,' and because of old they
called wine multa : thus when the countrymen put wine into a large jar or
wine-skin, they even now call it a multa after the first pitcherful
has been put in. a Poena ' penalty,' from poenire 6 ' to punish ' or
because it follows post ' after ' a transgres- sion. Pretium ' price ' is
that which is fixed for the purpose of purchase or of evaluation ; it is
named from the periti d ' experts,' because these alone can set a
price correctly. the storage jars or skins. 6 Poena from Greek :
poenire (classical punire) from poena. * As though from pone '
behind,' =post. d Wrong etymology. 165 VARRO 178.
Si quid datum pro opera aut opere, merces, a merendo. Quod manu factum erat et datum
pro eo, manupretium, a manibus et pretio. Corollarium, si additum
praeter quam quod debitum ; eius voca- bulum fictum a corollis, quod eae,
cum placuerant actores, in scaena dari solitae. Praeda est ab hosti- bus
capta, quod manu parta, ut parida praeda. Prae- mium a praeda, quod ob
recte quid factum concessum. 179- Si datum quod reddatur, mutuum,
quod Siculi [xoItov : itaque scribit Sophron Moitov arri/xo.
1 Et munus quod mutuo animo qui sunt dant officii causa ;
alterum munus, quod muniendi causa impera- tum, a quo etiam municipes,
qui una munus fungi debent, dicti. 180. Si es{ty ea pecunia
quae in h/dicium 2 venit in litibus, sacramentum a sacro ; qui 3 petebat
et qui infiiiabatur, 4 de aliis rebus ut(e)rque 5 quingenos aeris
ad ponte Re liustica, iii. 5. 3, who says that the entrance to a bird-cote is called a coclia '
snail-shell,' being intended to admit air and some light, but not to
permit direct vision from the interior to the outside. ' Varro had
a friend Q. Lucienn% a Roman senator, well versed in Greek; he
appears as a speaker in Varro's De Re Rustica, ii. (5. 1, 174
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 2-i in turdarium '
thrush-cote ' and turdelix e ' spiral en- trance for thrushes.' Thus the
Greeks, in adapting our names, make Aeivuqi'ds of Lucienns * and
Koii'-ios of Quinctius, and we make Aristarcfius of their'Aptcr-ap-
Xos and Z)/o of their Attov. In just this way, I say, our practice has
altered many from the old form, as solum 9 ' soil ' from solu, hiberum h
' God of Wine ' from hoe- besom, hares i ' Hearth-Gods ' from hases :
these words, covered up as they are by lapse of time, I shall try
to dig out as best I can. II. 3. First we shall speak of the
time-names, then of those things which take place through them, but
in such a way that first Ave shall speak of their essential nature
: for nature was man's guide to the imposition of names. Time, they say,
is an interval in the motion of the world. This is divided into a
number of parts, especially from the course of the sun and the
moon. Therefore from their temperatus ' moderated ' career, tempus ' time
' is named," and from this comes tempestiva ' timely things ' ; and
from their motus ' motion,' the mundus b ' world,' which is joined
with the sky as a whole. 4. There are two motions of the sun
: one with the sky, in that the moving is impelled by Jupiter as
ruler, who in Greek is called ii'a, when it comes from east to west
° ; wherefore this time is from this god called a etc). ' With
change from the fourth declension to the second (if the text is correct).
* With change of the vowel as well as rhotacism ; the accusative form
must be kept in the translation, to show this clearly. * With
rhotacism (change of intervocalic s to r). § 3. * The
converse is true : temperare is from tempus. b Wrong. § 4. °
This insertion in the text gives the needed sense : the second motus is
in § 8. 175 VARRO ab hoc deo
dies appellatur. Meridies ab eo quod mcdius dies. D antiqui, non R in hoc
dicebant, ut Praeneste incisum in solario vidi. Solarium dictum id,
in quo horae in sole inspiciebantur, (vel horologium ex aqua), 2 quod Cornelius
in Basilica Aemilia et Fulvia inumbravit. Diei principium mane,
quod turn 3 manat dies ab oriente, nisi potius quod bonum antiqui
dicebant manum, ad cuiusmodi religionem Graeci quoque cum lumen affcrtur,
solent dicere dyudov. 5. Suprema summum diei, id ab
superrimo. Hoc tempus XII Tabulae dicunt occasum esse solis ; sed
postea lex P/aetoria 1 id quoque tempus esse iubet supremum quo praetor
in Comitio supremam pronun- tiavit populo. Secundum hoc dicitur
crepusculum a crepero : id vocabulum sumpserunt a Safiinis, unde
veniunt Crepusci nominati Amiterno, qui eo tempore erant nati, ut Luci(i)
2 prima luce in Reatino 3 ; cre- pusculum significat dubium ; ab eo res
dictae dubiae creperae, quod crepusculum dies etiam nunc sit an iam
nox multis dubium. 2 Added by GS. 3 For cum. §5. 1
Aug., for praetoria. 2 Laehis,for luci. 3 Mue., for reatione or
creatione. * Dies is cognate with Greek Ala, but not derived
from it. " P. Cornelius Scipio Nasica Corculum, when censor in
159 b.c. with M. Popilius Laenas, setup the first water-clock in Rome in
this Basilica, which was erected in 179 on the north side of the Forum by
the censors M. Aemilius Lepidus and M. Fulvius Nobilior, from whom it was
named. d Both etymologies wrong. §5. "Approximately
correct. * Page 119 Schoell. 176 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 4-5 dies ' day.' 6 Meridies ' noon,' from the
fact that it is the medius ' middle ' of the dies ' day.' The
ancients said D in this word, and not R, as I have seen at Prae-
neste, cut on a sun-dial. Solarium ' sun-dial ' was the name used for
that on which the hours were seen in the sol ' sunlight ' ; or also there
is the water-clock, which Cornelius* set up in the shade in the Basilica
of Aemilius and Fulvius. The beginning of the day is mane ' early
morning,' because then the day manat ' trickles ' from the east, unless
rather because the ancients called the good manum d : from a
supersti- tious belief of the same kind as influences the Greeks,
who, when a light is brought, make a practice of saying, " Goodly
light ! " 5. Suprema means the last part of the day ; it
is from superrimum. a This time, the Twelve Tables say, 6 is sunset
; but afterwards the Plaetorian Law c de- clares that this time also
should be ' last ' at which the praetor in the Comitium has announced to
the people the suprema ' end of the session.' In line with this,
crepusculum ' dusk ' is said from creperum ' obscure ' ; this word they
took from the Sabines, from whom come those who were named Crepusci, from
Amiter- num, who had been born at that time of day, just like the
Lucii, who were those born at dawn (prima luce) in the Reatine country.
Crepusculum means doubtful : from this doubtful matters are called
creperae ' ob- scure,' d because dusk is a time when to many it is
doubtful whether it is even yet day or is already night. e A
law for the protection of minors, named from Plaetorius, a tribune of the
people. d All etymologically sound, but a meaning 4 doubtful ' must have
proceeded from a word crepus ' dusk.' VOL. I X 177
VARRO 6. Nox, quod, ut Pacm'us 1 ait,
Omnia nisi interveniat sol pruina obriguerint, quod nocet,
nox, nisi quod Graecc vv^ nox. Cum Stella prima exorta (eum Graeci vocant
ea-irepov, nostri Vesperuginem ut Plautus : Neqne Vesperugo
neque Vergiliae occidunt), id tempus dictum a Graecis kcnrkpa,
Latine vesper ; ut ante solem ortum quod eadem Stella vocatur
iubar, quod iubata, Pacui dicit pastor : Exorto iubare,
noctis decurso itinere ; Enni* Aiax : Lumen — iubarne ? — in
caelo cerno. 7.
Inter vesperuginem et iubar dicta nox intem- pesta, ut in Bruto Cassii
quod dicit Lucretia : Nocte intempesta nostram devenit domum.
Intempestam Aelius dicebat cum tempus agendi est nullum, quod alii
concubium 1 appellarunt, quod omnes fere tunc cubarent ; alii ab eo quod
sileretur § 6. 1 Ribbeck ; Pacuvius Scaliger ; for catulus. 2 GS. ; Ennii Laetus
; for ennius. § 7. 1 Laetus, for inconcubium. §6. °
Antiopa, Trag. Rom. Frag. 14 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 170-171 Warmington;
cf. Funaioli, page 123. Ribbeck 's nocti ni for nisi is probably
Pacuvius's wording; Varro, as often, paraphrases the quotation. * Nox and
vv£ come from the same source; connexion with nocere is dubious. e
Amphitruo,275. d Correct etymologies. " Iubar and tuba ' mane ' are
not related, despite vii. 76. f Trag. Rom. Frag. 347 Ribbeck 3 ; R.O.L.
ii. 320-321 Warmington. » Trag. Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L. i.
226-227 Warmington; cf. vi. 81 and vii. 76. § 7 ° A writer of
praetextae, otherwise unknown : the name recurs at vii. 72 ; possibly
Victorius's emendation to 178 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 6-7 6. Nox ' night ' is called nox, because, as
Pacuvius says," All will be stiff with frost unless the
sun break in, because it nocet ' harms ' ; unless it is because
in Greek night is vv£. b When the first star has come out (the
Greeks call it Hesperus, and our people call it Vesperugo, as Plautus
does c : The evening star sets not, nor yet the Pleiades),
this time is by the Greeks called lter (ac> caeli, 1 quod
movetur a bruma ad solstitium. Dicta bruma, quod brevissimus tunc dies
est ; solstitium, quod sol eo die sistere videbatur, quo 2 ad nos versum
proximus est. Sol 3 cum venit in medium spatium inter brumam et
solstitium, quod dies aequus fit ac nox, aequinoctium dictum. Tempus a
bruma ad brumam dum sol redit, vocatur annus, quod ut parvi circuli
anuli, sic magni dicebantur circites ani, unde annus. 9-
Huius temporis pars prima hiems, quod turn multi imbres ; hinc hibernacula,
hibernum ; vel, quod turn anima quae flatur omnium apparet, ab
hiatu hiems. Tempus secundum ver, quod turn virere 1 incipiunt
virgulta ac vertere se tempus anni ; nisi quod Iones dicunt r;p 2 ver.
Tertium ab aestu aestas ; hinc aestivum ; nisi forte a Graeco aWecr9ai. Quar- tum autumnus, (ab
augendis hominum opibus dictus frugibusque coactis, quasi auctumnus). 3 2 For
conticinnium /. 3 uidebitur Plautus. 4 redito hue Plautus. 6 For
conticinnio /. § 8. 1 Mue.,for alter caeli. 2 quo A. Sp. ; quod
Mue. ; for aut quod. 3 A. Sp. ; proximus est sol, solstitium L. Sp.
; for proximum est solstitium. § 9. 1 Aldus, for uiuere. 2 L. Sp. ;
eap Victorius ; for et. 3 Added by GS., after Krieg shammer, and
Fest. 23. 11 If. d Asinaria, 685. § 8. For the
first motion, see § 4. 6 The winter and the summer solstices. e Annus is
not connected with anus or anulus ' ring.' § 9. Wrong. *
Cognate with the Greek, not derived from it. 180
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 7-9 the time which Plautus
likewise calls the conticinium ' general silence ' : for he writes d
: We'll see, I want it done. At general-silence time come
back. 8. There is a second motion of the suri, a differing
from that of the sky, in that the motion is from bruma ' winter's day '
to sohtitium ' solstice.' 6 Bruma is so named, because then the day is
brevissimus ' shortest ' : the sohtitium, because on that day the sol '
sun ' seems sister e ' to halt,' on which it is nearest to us. When
the sun has arrived midway between the bruma and the sohtitium, it is
called the aequinoctium ' equinox,' because the day becomes aequus '
equal ' to the nox ' night.' The time from the bruma until the sun
re- turns to the bruma, is called an annus ' year,' because just as
little circles are anuli ' rings,' so big circuits were called ani,
whence comes annus ' year.' c 9. The first part of this time is the
hiems ' winter,' so called because then there are many imbres '
showers ' a ; hence hibernacula ' winter encamp- ment,' hibernum ' winter
time ' ; or because then everybody's breath which is breathed out is
visible, hiems is from hiatus ' open mouth.' a The second season is
the ver b * spring,' so called because then the virgulta ' bushes ' begin
virere ' to become green ' and the time of year begins vertere ' to turn
or change ' itself" ; unless it is because the Ionians say rjp
for spring. The third season is the aestas ' summer,' from aestus '
heat ' ; from this, aestivum ' summer pas- ture ' ; unless perhaps it is
from the Greek aWetrdai ' to blaze.' 6 The fourth is the autumnus '
autumn,' named from augere ' to increase ' the possessions of men
and the gathered fruits, as if auctumnus. a 181
VARRO 10. endo 5 sub/iga&ulum. 6 Vo/turnalia
7 a deo Vo/turno, 8 cuius feriae turn. Octo- bri mense Meditrinalia dies
dictus a medendo, quod Flaccus flamen Martialis dicebat hoc die
solitum vinum (novum) 1 et vetus libari et degustari medica- menti
causa ; quod facere solent etiam nunc multi cum dicttnt 10 :
Novum vetus vinum bibo : novo veteri 11 morbo medeor. 22.
Fontanalia a Fonte, quod is dies feriae eius ; ab eo turn et in fontes
coronas iaciunt et puteos coronant. Armilustrium ab eo quod in
Armilustrio armati sacra faciunt, nisi locus potius dictus ab his ;
sed quod de his prius, id ab luendo 1 aut lustro, id est quod circumibant
ludentes ancilibus armati. 3 L. Sp., for aut. 4 Aldus, for
diciturne. 6 Skutsch, for suffiendo. * Kent, for subligaculum. 7 For
uor- turnalia ; cf. volturn. in the Fasti. 8 For uorturno / cf.
preceding note. 9 Added by Laetus. 10 L. Sp., for dicant. 11 After
veteri, G, V,f, Aldus deleted uino; cf. Festus, 123. 16 M. §
22. 1 Vertranius, for luendo. c An oblong piece of white
cloth with a coloured border, which the Vestal Virgins fastened over
their heads with a fibula ' clasp ' when they offered sacrifice ; cf.
Festus, 348 a 25 and 3*9. 8 M. d On August 27; the god Volturnus
cannot be identified unless he is identical with Vortumnus (Vertumnus), since
he can hardly be the deity of the river Volturnus in Campania or of the
mountain Voltur, in Apulia, near Horace's birthplace. « On October 3 ;
Meditrina, 194 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
21-22 may enter it except the Vestal Virgins and the
state priest. " When he goes there, let him wear a white
veil," is the direction ; this suffibuluni e ' white veil ' is named
as if sub-Jigabulum from sujfigere ' to fasten down.' The Volturnalia '
Festival of Volturnus,' from the god Volturnus, 41 whose feast takes
place then. In the month of October, the MeditrinaUa e ' Festival
of Meditrina ' was named from mederi ' to be healed,' because Flaccus the
special priest of Mars used to say that on this day it was the practice
to pour an offering of new and old wine to the god, and to taste of
the same/ for the purpose of being healed ; which many are
accustomed to do even now, when they say : Wine new and old I
drink, of illness new and old I'm cured.* 22. The Fontanalia
' Festival of the Springs,' from Fons ' God of Springs,' because that day
° is his holi- day ; on his account they then throw garlands into
the springs and place them on the well- tops. The Armilustrium 6 '
Purification of the Arms,' from the fact that armed men perform the
ceremony in the Armilustrium, unless the place c is rather named
from the men ; but as I said of them previously, this word comes
from ludere ' to play ' or from lustrum ' puri- fication,' that is,
because armed men went around ludentes ' making sport ' with the sacred
shields. d Goddess of Healing. 'The ceremonial first drinking
of the new wine. ' Frag. Poet. Lat., page 31 Morel. § 22. »
October 13. » October 13. e The place was named from the ceremony ; cf.
v. 153. d The first ancile is said to have fallen from heaven in the reign
of Numa, who had eleven others made exactly like it, to prevent its
loss or to prevent knowledge of its loss ; for the safety of the
City depended on the preservation of that shield which fell from
heaven. 195 VARRO Saturnalia
dicta ab Saturno, quod eo die feriae eius, ut post diem tertium Opalia
Opis. 23. Angeronalia ab Angerona, cui sacrificium fit in
Curia Acculeia et cuius feriae publicae is dies. Larentinae, quem diem quidam in scribendo
Laren- talia appellant, ab Acca Larentia nominatus, cui sacerdotes
nostri publice parentant e sexto die, 1 qui a& ea* dicitur die* 3
Parent(ali)um 4 Accas Larentinas. 5 24. Hoc sacrificium fit in
Velabro, qua 1 in Novam Viam exitur, ut aiunt quidam ad sepulcrum Accae,
ut quod ibi prope faciunt diis Manibus servilibus sacer- dotes ;
qui uterque locus extra urbem antiquam fuit non longe a Porta Romanula,
de qua in priore libro dixi. Dies Septimontium nominatus ab his
septem montibus, in quis sita Urbs est ; feriae non populi, sed
montanorum modo, ut Paganalibus, qui sunt alicuius pagi. 25.
De statutis diebus dixi ; de anrialibus nec § 23. 1 parentant Aug.,
e sexto die Fay, for parent ante sexto die. 2 Mue., for atra. 3 L. Sp., for diem. 4
Mommsen, for tarentum. 6 L. Sp., for tarentinas. § 24. 1 Laetus,
for quia. ' December 17, and the following days. ' December
19. § 23. ° On December 21. * Goddess of Suffering and
Silence. c On December 23 ; supply feriae with Laren- tinae. d Wife of
Faustulus ; she nursed and brought up the twins Romulus and Remus. e
" Sixth " is wrong if the Saturnalia began on December 17,
unless in this instance both ends are counted, or the allusion is to an
earlier practice by which the Saturnalia began one day later. On the
phrase e sexto die, cf. Fay, Amer. Jmtrn. Phil. xxxv. 246. f
Archaic genitive singular ending in -as. 190 OX
THE LATIN LANGUAGE, VI. 22-25 The Saturnalia ' Festival of
Saturn ' was named from Saturn, because on this day * was his festival,
as on the second dav thereafter the Opalia/ the festival of
Ops. 23. The Angeronalia," from Angerona, 6 to
whom a sacrifice is made in the Acculeian Curia and of whom
this day is a state festival. The Larentine Festival, 6 which certain
writers call the Larentalia, was named from Acca Larentia, d to whom our
priests officially perform ancestor-worship on the sixth day after
the Saturnalia,' which day is from her called the Day of the
Parentalia of Larentine Acca/ 24. This sacrifice is made in the
Velabrum, where it ends in New Street, as certain authorities say, at
the tomb of Acca, because near there the priests make offering to
the departed spirits of the slaves ° : both these places b were outside
the ancient city, not far from the Little Roman Gate, of which I spoke in
the preceding book." Septimontium Day d was named from these
septem viontes ' seven hills,' ' on which the City is set ; it is a
holiday not of the people generally, but only of those who live on the
hills, as only those who are of some pagus ' country district ' have a
holi- day 1 at the Paganalia 3 ' Festival of the Country
Districts.' 25. The fixed days are those of which I have
spoken ; now I shall speak of the annual festivals § 24. °
Faustulus and Acca were, of course, slaves of the king. * The tomb of
Acca and the place of sacrifice to the Manes serciles. e v. 164. d On
December 11. * Not the usual later seven; Festus, 348 M., lists
Capitoline with Velia and Cermalus, three spurs of the Esquiline —
Oppius, Fagutal, Cispius — and the Subura valley between. ' Supply
feriantur. ' Early in January, but not on a fixed date.
197 VARRO de 1 statutis dicam.
Compitalia dies attributus Laribus viaUhus 2 : ideo ubi viae competunt
turn in competis sacrificatur. Quotannis is dies concipitur.
Similiter Latinae Feriae dies conceptivus 3 dictus a Latinis populis,
quibus ex Albano Monte ex sacris carnem 4 petere fuit ius cum Romanis, a
quibus Latinis Latinae dictae. 26. Sementivae 1 Feriae dies
is, qui a pontificibus dictus, appellatus a semente, quod sationis causa
sus- cepta(e). 2 Paganicae eiusdem agriculturae causa susceptae, ut
haberent in agris omn/s 3 pagus, unde Paganicae dictae. Sunt praeterea
feriae conceptivae quae non sunt annales, ut hae quae dicuntur sine
proprio vocabulo aut cum perspic?/o, 4 ut Novendiales 5 sunt.
IV. 27. De his
diebus (satis) 1 ; nunc iam, qui hominum causa constituti, videamus. Primi dies mensium
nominati ivalendae, 2 quod his diebus calan- § 25. 1 Mommsen, for
de. 2 Bongars, for ut alibi. 3 Laetus, for conseptivus. 4 Victorius, for
carmen. § 26. Vertranius, for sementinae. 2 Aldus, for
suscepta. 3 Aldus, for omnes. 4 Aug., for perspicio. 6 For
novendialis. § 27. 1 Added by Sciop. 2 Aug., with B, for caK
§ 25. ° That is, set by special proclamation, and not always
falling on the same date. b By the praetor, not far from January 1. e
Written competa in the text, to make the association with competunt. d
The festival of the league of the Latin cities; its date was set by the
Roman consuls (or by a consul) as soon as convenient after entry
into office. § 26. ° In January, on two days separated by a
space of seven days ; as they were days of sowing, the choice
depended upon the weather. * Collective singular with 198
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 25-27 which are not
fixed on a special day.° The Compitalia is a day assigned 6 to the Lares
of the highways ; therefore where the highways competunt ' meet,'
sacrifice is then made at the compita c ' crossroads.' This day is
appointed every year. Likewise the Latinae Feriae ' Latin Holiday ' d is
an appointed day, named from the peoples of Latium, who had equal
right with the Romans to get a share of the meat at the sacrifices on the
Alban Mount : from these Latin peoples it was called the Latin
Holiday. 26. The Sementivae Feriae ' Seed-time Holiday ' is
that day which is set by the pontiffs ; it was named from the sementis '
seeding,' because it is entered upon for the sake of the sowing. The
Paganicae ' Country-District Holiday ' was entered upon for the
sake of this same agriculture, that the whole pagus 6 ' country-district
' might hold it in the fields, whence it was called Paganicae. There are
also appointive holidays which are not annual, such as those which
are set without a special name of their own, c or with an obvious
one, such as is the Novendialis ' Ceremony of the Ninth Day.' d
IV. 27. About these days this is enough ° ; now let us see to the
days which are instituted for the interests of men. The first days of the
months are named the Kalendae, b because on these days the
plural verb. e Such as the supplicat tones voted for Caesar's
victories in Gaul ; cf. Bell. Gall. ii. 35. 4, iv. 38. 5, vii. 90. 8. d
The offerings and feasts for the dead on the ninth day after the funeral
; also, a festival of nine days proclaimed for the purpose of averting
misfortunes whose approach was indicated by omens and prodigies.
§ 27. ° The insertion of satis makes the chapter beginning conform
to those at v. 57, 75, 95, 184, vi. 35, etc. * The K in Kalendae and
halo, before A, is well attested. 199 VARRO tur
eius menszs 3 Nonae a pontificibus, quintanae an septimanae sint futurae,
in Capitolio in Curia Calabra sic : " Die te quin/z 4 ka\o 5 Iuno
Covella " (aut) 8 " Sep- tim(i) die te 7 ka\o 5 Iuno
Covella." 28. Nonae appellatae aut quod ante diem nonum
Idus semper, aut quod, ut novus annus Kalendae 1 Ianuariae ab novo sole
appellatae, novus mensis (ab) a nova luna Nonce 3 ; eodem die 4 in
Urbe(m) 5 (qui) 6 in agris ad regem conveniebat populus. Harum
rerum vestigia apparent in sacris Nonalibus in Arce, quod tunc
ferias primas menstruas, quae futurae sint eo mense, rex edicit populo.
Idus ab eo quod Tusci Itus, vel potius quod Sabini Idus dicunt.
29. Dies postridie Kalendas, Nonas, Idus appellati atri, quod per
eos dies (nihil) 1 novi inciperent. Dies fasti, per quos praetoribus
omnia verba sine piaculo licet fari ; comitiales dicti, quod turn ut (in
Comitio) 2 3 Aug., with B, for menses. 4 Mommsen ; die te V
Christ ; for dictae quinque. 5 See note 2, § 27. 6 Added by Zander. 7
Mommsen ; VII die te Christ ; for septem dictae. § 28. 1
Aug., with B,for calendae. 2 a added by Sciop. 3 Sciop., for nonis. 4 After
die, Mue. deleted enim. 8 Laetus,for urbe. 6 Added by L. Sp.
§29. 1 Added by Turnebus. 2 Added by Bergk. e See v.
13. d The statement of Macrobius, Sat. i. 15. 10, that kalo Iuno Covella
was repeated five or seven times re- spectively, may rest merely on a
corrupted form of this passage which was in the copy used by Macrobius. '
' Juno of the New Moon ' ; Covella, diminutive from covus '
hollow,' earlier form of cavus (cf. v. 19) — unless it be corrupt
for Novella, as Scaliger thought. For the New Moon has a concave
shape. § 28. The north-eastern summit of the Capitoline. 6
Origin uncertain ; perhaps from Etruscan, as Varro says. 200
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 27-29 Nones of this month
calantur ' are announced ' by the pontiffs on the Capitoline in
Announcement Hall, c whether they will be on the fifth or on the seventh,
in this way d : " Juno Covella, e I announce thee on the fifth
day " or " Juno Covella, I announce thee on the seventh
day." 28. The Nones are so called either because they
are always the nonus ' ninth ' day before the Ides, or because the Nones
are called the novus ' new ' month from the new moon, just as the Kalends
of January are called the new year from the new sun ; on the same
day the people who were in the fields used to flock into the City to the
King. Traces of this status are seen in the ceremonies held on the Nones,
on the Citadel," because at that time the high-priest
announces to the people the first monthly holidays which are to take
place in that month. The Idus b ' Ides,' from the fact that the Etruscans
called them the Itus, or rather because the Sabines call them the
Idus. 29. The days next after the Kalends, the Nones, and the
Ides, were called atri ' black,' because on these days they might not
start anything new. Dies fasti b ' righteous days, court days,' on which
the praetors c are permitted fart ' to say ' any and all words
without sin. Comitiales ' assembly days ' are so called because then it
is the established law that the § 29. a Gf. Macrobius, Sat. i. 15.
22 ; the use of ater was appropriate after the Ides, when the moon was
not visible in the day nor in the early evening, nor was it visible
immedi- ately after the Kalends. 6 That is, when it was fas to hold
court and make legal decisions; Varro connects with fari ' to say,' with
which the Romans associated fas etymologi- cally, but the connexion has
recently been questioned. e Who functioned as judges.
201 VARRO esset populus constitutum est ad
suffragium ferun- dum, nisi si quae feriae conceptae essent, propter
quas non liceret, (ut) 3 Compitalia et Latinae. 30. Contrarii horum vocantur dies nefasti, per
quos dies nefas fari praetorem " do," " dico," "
ad- dico " ; itaque non potest agi : necesse est aliquo
(eorum) 1 uti verbo, cum lege qui(d) 2 peragitur. Quod si turn imprudens
id verbum emisit ac quem manu- misit, ille nihilo minus est liber, sed
vitio, ut magi- stratus vitio creatus nihilo setf us 3 magistratus.
Praetor qui turn fatus 4 est, si imprudens fecit, piaculari hostia
facta piatur ; si prudens dixit, Quintus Mucius aiebat 5 eum expiari ut
impium non posse. 31. Interctsi 1 dies sunt per quos mane et
vesperi est nefas, medio tempore inter hostiam caesam e t exta
porrecta 2 fas ; a quo quod fas turn intercedit aut eo 3 intercisum
nefas, intercis?. 4 Dies qui
vocatur sic " Quando 5 rex comitiavit fas," is 6 dictus ab eo
quod 3 Added by Laetus. § 30. 1 Added by Laetus, with
B. 2 Laetus, for qui. 3 A. Sp. ; secius Victorius ; for sed ius. 4
Turnebus, for factus. 8 L. Sp., for abigebat. § 31. 1 Laetus,
for intercensi. 2 Aug., with B, for proiecta. 3 L. Sp. ; eo est Mue. ;
for eos. 4 A. Sp., for intercisum. 5 Before quando, B inserts Q R C F,
the abbreviation found in the Fasti. 6 fas is Victorius, for
fassis. § 30. ° For the meaning of vitio, see Dorothy
M. Paschall, " The Origin and Semantic Development of Latin
Vitium," Trans. Amer. Philol. Assn. lxvii. 219-231. * i. 19
Huschke. § 31. ° March 24 and May 24. * The caedere ' to cut
' in intercidere and the cedere ' to go on ' in intercedere are not
etymologically connected. 202 ON THE LATIN LANGUAGE,
VI. 29-31 people should be in the Comitium to cast their
votes — unless some holidays should have been proclaimed on account
of which this is not permissible, such as the Compitalia and the Latin
Holiday. 30. The opposite of these are called dies nefasti '
unrighteous days,' on which it is nefas ' unrighteous- ness ' for the
praetor to say do ' I give,' dico ' I pro- nounce,' addico ' I assign ' ;
therefore no action can be taken, for it is necessary to use some
one of these words, when anything is settled in due legal form. But
if at that time he has inadvert- ently uttered such a word and set somebody
free, the person is none the less free, but with a bad omen"
in the proceeding, just as a magistrate elected in spite of an
unfavourable omen is a magistrate just the same. The praetor who
has made a legal decision at such a time, is freed of his sin by
the sacrifice of an atonement victim, if he did it unintentionally ; but
if he made the pro- nouncement with a realization of what he was
doing, Quintus Mucius 6 said that he could not in any way atone for
his sin, as one who had failed in his duty to God and country.
31. The intercisi dies ' divided days ' are those a on which legal
business is wrong in the morning and in the evening, but right in the
time between the slaying of the sacrificial victim and the offering of
the vital organs ; whence they are intercisi because the fas '
right ' intercedit 6 ' comes in between ' at that time, or because the
nefas ' wrong ' is intercisum ' cut into * by the fas. The day which is
called thus : " When the high-priest has officiated in the Comitium,
Right," is named from the fact that on this day the
high-priest pronounces the proper formulas for the sacrifice in the
203 VARRO eo die rex sacrificio
ius' dicat ad Comitium, ad quod tempus est nefas, ab eo fas : itaque post
id tempus lege actum saepe. 32. Dies qui vocatur " Quando stercum
delatum fas," 1 ab eo appellatus, quod eo die ex Aede Vestae
stercus everritur et per Capitolinum Clivum in locum defertur certum. Dies Alliensis ab Allia 2
fluvio dictus : nam ibi exercitu nostro fugato Galli obse- derunt
Romam. 33. Quod ad singulorum dicrum vocabula pertinet dixi.
Mensium nomina fere sunt aperta, si a Martio, ut antiqui constituerunt,
numeres : nam primus a Marte. Secundus, ut Fulvius scribit et Iunius,
a Venere, quod ea sit ApArodite 1 ; cuius nomen ego antiquis
litteris quod nusquam inveni, magis puto dictum, quod ver omnia aperit,
Aprilem. Tertius a
maioribus Maius, quartus a iunioribus dictus Iunius. 34. Dehinc
quintus Quintilis et sic deinceps usque ad Decembrem a numero. Ad hos qui
additi, prior a principe deo Ianuarius appellatus ; posterior, ut
idem dicunt scriptores, ab diis inferis Februarius appellatus,
7 Other codices, for sacrificiolus Fv. § 32. 1 Before quando, B
inserts Q S D F, the abbrevia- tion found in the Fasti. 2 B, Laetus,for
allio (auio/). § 33. 1 For afrodite. § 32. a June 15. 6
July 18 ; anniversary of the battle of 390 b.c, at the place where the
Allia flows into the Tiber, eleven miles above Rome. § 33. °
Probably from an adjective apero- ' second,' not otherwise found in
Latin. 6 Servius Fulvius Flaccus, consul 135 b.c, skilled in law,
literature, and ancient history. "Page 121 Funaioli ; page 11
Huschke. d From Maia, mother of Mercury. * From the goddess Juno ; page
121 Funaioli. § 34. a Varro wrote before Quintilis was
renamed Iulius 204 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
31-34 presence of the assembly, up to which time legal
business is wrong, and from that time on it is right : therefore after
this time of day actions are often taken under the law. 32.
The day a which is called " When the dung has been carried out,
Right," is named from this, that on this day the dung is swept out
of the Temple of Vesta and is carried away along the Capitoline Incline
to a certain spot. The Dies Alliensis b ' Day of the Allia ' is
called from the Allia River ; for there our army was put to flight by the
Gauls just before they besieged Rome. 33. With this I have
finished my account of what pertains to the names of individual days. The
names of the months are in general obvious, if you count from
March, as the ancients arranged them ; for the first month, Martius, is
from Mars. The second, Aprilis, a as Fulvius 6 writes and Junius also, 6
is from Venus, because she is Aphrodite ; but I have nowhere found
her name in the old writings about the month, and so think that it was
called April rather because spring aperit ' opens ' everything. The third
was called Maius d ' May ' from the maiores ' elders,' the fourth
Iunius e ' June ' from the iuniores ' younger men.' 34.
Thence the fifth is Quintilis a ' July ' and so in succession to
December, named from the numeral. Of those which were added to these, the
prior was called Ianuarius ' January ' from the god b who is first
in order ; the latter, as the same writers say, 6 was called Februarius*
' February ' from the di inferi ' gods and Sextilis was renamed
Augustus. * Janus. 'Page 16 Funaioli ; page 11 Huschke. d From a lost
word feber ' sorrow.' 205 VARRO
quod turn his paren(te)tur x ; ego magis arbitror Februarium
a die februato, quod turn februatur populus, id est Lupercis nudis
lustratur antiquum oppidum Palatinum gregibus humanis cinctum.
V. 35. Quod ad temporum vocabula Latina attinet, hactenus sit satis
dictum ; nunc quod ad eas res attinet quae in tempore aliquo fieri
animadver- terentur, dicam, ut haec sunt : legisti, cumis, 1 ludens
; de quis duo praedicere volo, quanta sit multitudo eorum et quae
sint obscuriora quam alia. 36. Cum verborum declinatuum 1 genera
sint quat- tuor, unum quod tempora adsignificat neque habet casus,
ut ab lego leges, lege 2 ; alterum quod casus habet neque tempora
adsignificat, ut ab lego lectio et lector ; tertium quod habet utrunque
et tempora et casus, ut ab lego legens, lecturus ; quartum quod
neutrum habet, ut ab lego lecte ac lectissime : horum verborum si
primigenia sunt ad mi/fe, 3 ut Cosconius scribit, ex eorum
declinationibus verborum discrimina quingenta milia esse possunt ideo, quod
a* singulis verbis primigenii(s) 5 circiter quingentae species de-
clinationibus fiunt. § 34. 1 Aug. ; parentent Laetus ; for
parent. § 35. 1 Mue., with G, II, for currus. § 36. 1 B,
Laetus, for declinatiuum. 2 V, b, for lego Fv. 3 Victorius, for admitte.
4 L. Sp., for quia. 5 Aug., for primigenii. • Three
different ceremonies are confounded here : one of purification, one of
expiation to the gods of the Lower World, one of fertility ; cf. vi. 13,
note a. § 35. That is, all verbal forms, and the derivatives
from the verbal roots. § 36. The verb has both meanings ;
some of the deriva- tives have only one or the other. 6 Q. Cosconius,
orator 206 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
34-36 of the Lower World,' because at that time
expiatory sacrifices are made to them ; but I think that it was
called February rather from the dies februalus ' Puri- fication Day,'
because then the people februatur ' is purified,' that is, the old
Palatine town girt with flocks of people is passed around by the naked
Luperci.' V. 35. As to what pertains to Latin names of time
ideas, let that which has been said up to this point be enough. Now I
shall speak of what concerns those things which might be observed as
taking place at some special time a — such as the following :
legisti ' thou didst read,' cursus ' act of running,' ludens '
playing.' With regard to these there are two things which I wish to say
in advance : how great then- number is, and what features are less
perspicuous than others. 36. The inflections of words are of
four kinds : one which indicates the time and does not have case,
as leges ' thou wilt gather or read,' a lege ' read thou,' from
lego 1 I gather or read ' ; a second, which has case and does not
indicate time, as from lego lectio ' collection, act of reading,' lector
' reader'; the third, which has both, time and case, as from lego
legens ' reading,' ledums ' being about to read ' ; the third,
which has neither, as from lego lecte 'choicely,' lectis- sime ' most
choicely.' Therefore if the primitives of these words amount to one
thousand, as Cosconius 6 writes, then from the inflections of these words
the different forms can be five hundred thousand in number for the
reason that from each and every primitive word about five hundred forms
are made by derivation and inflection. and authority on
grammar and literature, who flourished about 100 b.c. ; page 109
Funaioli. 207
VARRO 37. Primigenia dicuntur verba ut lego, scribo,
sto, sedeo et cetera, quae non sunt ab ali(o) quo 1 verbo, sed suas
habent radices. Contra verba declinata sunt, quae ab ali(o) quo 2 oriuntur,
ut ab lego legis, legit, legam et sic 3 indidem hinc permulta. Quare si
quis primigeniorum verborum origines ostenderit, si ea mille sunt,
quingentum milium simplicium verborum causas aperuerit una ; sin 4
nullius, tamen qui ab his reliqua orta ostenderit, satis dixerit de
originibus verborum, cum unde nata sint, principia erunt pauca,
quae inde nata sint, innumerabilia. 38. A quibus iisdem principiis
antepositis prae- verbiis paucis immanis verborum accedit numerus,
quod praeverbiis (in)mutatis 1 additis atque commu- tatis aliud atque
aliud fit : ut enim (pro)cessit 2 et recessit, sic accessit et abscessit
; item incessit et ex- cessit,sic successit et decessit, (discessit) 3 et
concessit. Quod si haec decern sola praeverbia essent, quoniam ab
uno verbo declinationum quingenta discrimina fierent, his decemplicatis
coniuncto praeverbio ex uno quinque milia numero efficerent(ur), 4 ex
mille ad quinquagies centum milia discrimina fieri possunt. §37. 1 Mue. ; alio Aug., G ;
for aliquo. 2 Mue., for aliquo. 3 After sic, Laetus deleted in. 4
Turnebus, for unas in. § 38. 1 GS., for mutatis. 2 Fritzsche,
for cessit. 3 Added by GS (et discessit added by Vertranius). 4
Aldus, for efficerent. § 37. " That is, cannot be
referred to a simpler radical element. Primitive is the name
applied to words like lego ' I gather,' scribo ' I write,' sto ' I
stand,' sedeo ' I sit,' and the rest which are not from some other word,
a but have their own roots. On the other hand deriva- tive words
are those which do develop from some other word, as from lego come legis
' thou gatherest,' legit ' he gathers,' legam ' I shall gather,' and in
this fashion from this same word come a great number of words.
Therefore, if one has shown the origins of the primi- tive words, and if
these are one thousand in number, he will have revealed at the same time
the sources of five hundred thousand separate words ; but if
without showing the origin of a single primitive word he has shown
how the rest have developed from the primi- tives, he will have said
quite enough about the origins of words, since the original elements from
which the words are sprung are few and the words which have sprung
from them are countless. 38. There are besides an enormous number
of words derived from these same original elements by the addition
of a few prefixes, because by the addition of prefixes with or without
change a word is repeatedly transformed ; for as there is processit ' he
marched forward ' and recessit-' drew back,' so there is accessit '
approached ' and abscessit ' went off,' likewise incessit ' advanced '
and excessit ' withdrew,' so also successit ' went up ' and decessit '
went away,' discessit ' de- parted ' and concessit ' gave way.' But if
there were only these ten prefixes, from the thousand primitives
five million different forms can be made inasmuch as from one word there
are five hundred derivational forms and when these are multiplied by ten
through union with a prefix five thousand different forms are
produced out of one primitive. vol. i p 209
VARRO 39. Democritus, Ecurus, 1 item alii qui
infinita principia dixerunt, quae unde sint non dicunt, sed
cuiusmodi sint, tamen faciunt magnum : quae ex his constant in mundo,
ostendunt. Quare si etymologws 2
principia verborum postulet mille, de quibus ratio ab se non poscatur, et
reliqua ostendat, quod non pos- tulat, tamen immanem verborum expediat
numerum. 40. De multitudine quoniam quod satis esset admonui,
1 de obscuritate pauca dicam. Verborum quae tempora adsignificant ideo
locus 2 difficillimus (TVfj.a, 3 quod neque his fere societas cum
Graeca lingua, neque vernacula ea quorum in partum memoria adfuerit
nostra ; e 4 quibus, ut dixi, 5 quae poterimus. VI. 41. Incipiam
hinc primura 1 quod dicitur ago. Actio ab agitatu facta. Hinc dicimus
" agit gestum tragoedus," 2 et " agitantur quadrigae
" ; hinc " agi- tur pecus pastum." Qua 3 vix agi potest,
hinc angi- portum ; qua nil potest agi, hinc angulus, (vel) 4 quod
in eo locus angustissimus, cuius loci is angulus. 42. Actionum
trium primus agitatus mentis, quod § 39. 1 Turnebus, for secutus
Fv, securus G, II. 2 ety- mologos B, Rhol., for ethimologos Fv, ethimologus
G. § 40. 1 Laetus,
for admonuit. 2 f, Aldus, for locutus. 3 est Irv/xa Sciop. (L. Sp.
deleted est), for est TTMa Fv. 4 A. Sp.,for nostrae. 6 M, Laetus,
for dixit. §41. 1 Laetus, for primus. 2 For tragaedus. 3 Al-
dus, for quia. 4 Added by Mue., whose punctuation is here followed.
§ 39. Of Abdera (about 460-373 b.c), originator of the
atomic theory. * Of Athens (341-270 b.c), founder of the Epicurean school
of philosophy; Epic. 201. 33 Usener. e That is, that he should be excused
from interpreting them (quod for quot). § 40. For adfuerit
with the goal construction, cf. Vergil, Eel. 2. 45 hue ades, etc. 6 v.
10. 210 ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 39-42
39. Democritus, a Epicurus, 6 and likewise others who have
pronounced the original elements to be unlimited in number, though they
do not tell us whence the elements are, but only of what sort they
are, still perform a great service : they show us the things which in the
world consist of these elements. Therefore if the etymologist should
postulate one thousand original elements of words, about which an
interpretation is not to be asked of him, and show the nature of the
rest, about which he does not make the postulation, c the number of words
which he would explain would still be enormous. 40. Since I
have given a sufficient reminder of the number of existing words, I shall
speak briefly about their obscurity. Of the words which also
indicate time the most difficult feature is their radicals, for the
reason that these have in general no communion with the Greek language,
and those to whose birth a our memory reaches are not native Latin ; yet
of these, as I have said, 6 we shall say what we can. VI. 41.
I shall start first from the word ago ' I drive, effect, do.' Actio '
action ' is made from agitatus 1 motion.' a From this we say " The
tragic actor agit ' makes ' a gesture," and " The chariot-team
agitantur ' is driven ' " ; from this, " The flock agitur ' is
driven ' to pasture." Where it is hardly possible for anything
agi ' to be driven,' from this it is called an angiportum 6 1 alley ' ;
where nothing can agi ' be driven,' from this it is an angulus ' corner,'
or else because in it is a very narrow (angustus) place to which this
corner belongs. 42. There are three actiones ' actions,' and of
these § 41. All these words are derivatives of agere, except
angiportum and angulus ; but actio does not develop by loss of the »' in
agitatus. b Cf. v. 145. 211 VARRO
primum ea quae sumus acturi cogitare debemus, deinde turn dicere et
facere. De his tribus minime putat volgus esse actionem cogitationem ;
tertium, in quo quid facimus, id maximum. Sed et cum cogi- tamus 1
quid et earn rem ogitamus 2 in mente, agimus, et cum pronuntiamus,
agimus. Itaque ab eo orator agere dicitur causam et augures augurium
agere dicuntur, quom in eo plura dicant quam faciant. 43.
Cogitare a cogendo dictum : mens plura in unum cogit, unde eligere 1
possit. Sic e lacte coacto caseus nominatus ; sic ex hominibus contio
dicta, sic coemptio, sic compitum nominatum. A cogitatione concilium,
inde consilium ; quod ut vestimentum apud fullonem cum cogitur,
conciliari 2 dictum. 44.
Sic reminisci, cum ea quae tenuit mens ac memoria, cogitando repetuntur.
Hinc etiam com- minisci dictum, a con et mente, cum finguntur in
mente quae non sunt ; et ab hoc illud quod dicitur eminisci, 1 cum
commentum pronuntiatur. Ab eadem
§ 42. 1 Sciop., for hos agitamus Fv. 2 L. Sp., for cogitamus.
§ 43. 1 a, p, RhoL, for elicere. 2 Aug., for consiliari. § 44. 1
Heusinger, for reminisci. § 42. a Page 16 Regell. § 43.
a Here Varro gives a parenthetic list of words with the prefix co- or
com- ; though he is wrong in including caseus. b Cogitatio, concilium,
consilium have nothing in common except the prefix. 212
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 42-44 the first is
the agitatus ' motion ' of the mind, because we must first cogitare '
consider ' those things which we are acturi ' going to do,' and then
thereafter say them and do them. Of these three, the common folk
practically never thinks that cogitatio ' consideration ' is an action ;
but it thinks that the third, in which we do something, is the most
important. But also when we cogitamus ' consider ' something and
agitamus ' turn it over ' in mind, we agimus ' are acting,' and
when we make an utterance, we agimus ' are acting.' Therefore from this
the orator is said agere ' to plead ' the case, and the augurs are said a
agere ' to practice ' augury, although in it there is more saying than
doing. 43. Cogitare ' to consider ' is said from cogere ' to
bring together ' : the mind cogit ' brings together ' several things into
one place, from which it can choose. Thus a from milk that is coactum '
pressed,' caseus ' cheese ' was named ; thus from men brought
together was the contio ' mass meeting ' called, thus coemptio ' marriage
by mutual sale,' thus compitum ' cross-roads.' From cogitatio '
consideration ' came concilium ' council,' and from that came
consilium ' counsel ' ; 6 and the concilium is said conciliari ' to
be brought into unity ' like a garment when it cogitur ' is pressed
' at the cleaner's. 44. Thus reminisci ' to recall,' when those
things which have been held by mind and memory are fetched back
again by considering (cogitando). From this also comminisci ' to
fabricate a story ' is said, from con ' to- gether ' and mens ' mind,'
when things which are not, are devised in the mind ; and from that comes
the word eminisci ' to use the imagination,' when the commentum '
fabrication ' is uttered. From
the same 213 VARRO
mente meminisse dictum et amens, qui a mente sua cU'scedit. 2
45. Hinc etiam metus 1 (a) mente quodam modo mota, 2 ut 3 metuisti
(te> 4 amovisti ; sic, quod frigidus timor, tremuisti timuisti. Tremo
dictum a simili- tudine vocis, quae tunc cum valde tremunt apparet,
cum etiam in corpore pili, ut arista in spica ^ordei, horrent.
46. Curare a cura dictum. Cura, quod cor urat ; curiosus, quod hac
praeter modum utitur. Recor- dan, 1 rursus in cor revocare. Curiae, ubi senatus rempublicam
curat, et ilia ubi cura sacrorum publica ; ab his curiones.
47. Volo a voluntate dictum et a volatu, quod animus ita est, ut
puncto temporis pervolet quo volt. Lwbere 1 ab labendo dictum, quod
lubrica mens ac prolabitur, ut dicebant olim. Ab lubendo libido,
libidinosus ac Venus Libentina et Libitina, sic alia. 2 Aug., for
descendit. § 45. 1 GS., for metuo. 2 Canal, for mentem quodam modo motam. 3 L. Sp.,
for uel. 4 Added by Kent, after Fay. § 46. 1 Aug., with B,
for recordare. § 47. 1 L. Sp., for libere. § 45.
° According to Mueller, the sequence of the topics indicates that this
section and § 49 have been interchanged in the manuscripts. All
etymologies in this section are wrong. § 46. ° Three etymologically
distinct sets of words are here united : cura, curare, curiosus ; cor,
recordari ; curia, curio. § 47. ° Volo ' I wish ' is distinct
from volo 1 I fly.' 6 Ijubet, later libet, is distinct from labi and from
lubricus. e Either as a euphemism, or from the fact that the
funeral apparatus was kept in the storerooms of the Temple of
Venus, which caused the epithet to acquire a new meaning.
214 ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 44-47
word mens ' mind ' come meminisse ' to remember ' and amens ' mad,'
said of one who has departed a mente ' from his mind.' 45. °
From this moreover metus ' fear,' from the mens ' mind ' somehow mota '
moved,' as metuisti ' you feared,' equal to te amouisti ' you removed
yourself.' So, because timor ' fear ' is cold, tremuisti ' you
shivered ' is equal to timuisti ' you feared.' Tremo ' I shiver ' is said
from the similarity to the behaviour of the voice, which is evident then
when people shiver very much, when even the hairs on the body
bristle up like the beard on an ear of barley. 46. "
Curare ' to care for, look after ' is said from cur a ' care, attention.'
Cura, because it cor urat ' burns the heart ' ; curiosus ' inquisitive,'
because such a person indulges in cura beyond the proper measure.
Recordari ' to recall to mind,' is revocare ' to call back ' again into
the cor ' heart.' The curiae ' halls,' where the senate curat ' looks
after ' the interests of the state, and also there where there is the
cura ' care ' of the state sacrifices ; from these, the curiones '
priests of the curiae.' 47. Volo ' I wish ' is said from
voluntas ' free-will ' and from volatus ' flight,' because the spirit is
such that in an instant it pervolat ' flies through ' to any place
whither it volt ' wishes.' a Lubere 6 'to be pleasing ' is said from labi
' to slip,' because the mind is lubrica ' slippery ' and prolabitur '
slips forward,' as of old they used to say. From lubere 1 to be pleasing
' come libido ' lust,' libidinosus ' lustful,' and Venus Libentina
' goddess of sensual pleasure ' and Libitina c ' goddess of the funeral
equipment,' so also other words. 215
VARRO 48. Metuere a quodam motu animi, cum id quod
malum casurum putat refugit mens. Cum vehe- mentius in movendo ut ab se
abeat foras fertur, formido ; cum (parum movetur) 1 pavet, et ab eo
pavor. 49. Meminisse a
memoria, cum (in) id quod remansit in mente 1 rursus movetur ; quae a
manendo 2 ut manimoria 3 potest esse dicta. Itaque Salii quod
cantant : Mamuri Vetwn', 4 significant memoriam veterem. 5 Ab
eodem monere, 6 quod is qui monet, proinde sit ac memoria ; sic
monimenta quae in sepulcris, et ideo secundum viam, quo praetereuntis
admoneant 7 et se fuisse et illos esse mortalis. Ab eo cetera quae
scripta ac facta memoriae causa monimenta dieta. 50. Maerere
a marcere, quod etiam corpus mar- cescere(t) 1 ; hinc etiam macri dicti. Laetari ab eo §
48. 1 Added by L. Sp. § 49. 1 A. Sp., for id quod remansit in mente
in id quod/ the omission, with Sciop. 2 Rhol., for manando. 3 Other
codices, for maniomoria Fv. 4 Turnebus, for memurii ueterum or ueteri. 5
Maurenbrecher ; veterem memoriam Aug., with B ; where, according to
Victorius, F had memoriam followed by an illegible word. 6 For mo-
nerem. 7 For admoueant Fv, admoneat B. § 50. 1 L. Sp.,for
marcescere. § 48. All etymologies in the section are wrong.
§ 49. See note on § 45. Meminisse, mens, monere, monimentum (or
monumentum) are from the same root ; memoria is perhaps remotely
connected with them ; but manere is to be kept apart. 6 Frag. 8, page 339
Mauren- brecher; page 4 Morel. c The traditional smith who made the
best of the duplicate ancilia (see vi. 22, note d), and at his request
was rewarded by the insertion of his name in the Hymns of the Salii
(Festus, 131. 11 M.). But Varro seems 216 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 48-50 48. ° Metuere ' to fear,' from a certain
motus ' emotion ' of the spirit, when the mind shrinks back from
that misfortune which it thinks will fall upon it. When from excessive
violence of the emotion it is borne foras ' forth ' so as to go out of
itself, there is formido ' terror ' ; when parum movetur ' the
emotion is not very strong,' it pavet ' dreads,' and from this
comes pavor ' dread.' 49. ° Meminisse ' to remember,' from
memoria ' memory,' when there is again a motion toward that which
remansit 1 has remained ' in the mens ' mind ' : and this may have been
said from manere ' to remain,' as though manimoria. Therefore the Salii,
6 when they sing O Mamurius Veturius,' indicate a
memoria vetus ' memory of olden times.' From the same is monere ' to
remind,' because he who monet ' reminds,' is just like a memory. So also
the monimenta ' memorials ' which are on tombs, and in fact
alongside the highway, that they may admonere ' admonish ' the passers-by
that they themselves were mortal and that the readers are too. From this,
the other things that are written and done to preserve their
memoria ' memory ' are called monimenta ' monu- ments.' 50. °
Maerere ' to grieve,' was named from marcere ' to wither away,' because
the body too would marces- cere ' waste away ' ; from this moreover the
inacri ' lean ' were named. Laetari ' to be happy,' from this,
to feel an etymological connexion between Mamuri Veturi and
memoriam veterem. § 50. All etymologies wrong, except the
association of laetari, laetitia, laeta. 217
VARRO quod latius gaudium propter magni boni
opinionem diffusum. Itaque Iuventius ait : Gaudia
Sua si omnes homines conferant unum in locum, Tamen mea exsuperet
laetitia. Sic cum se habent, laeta. VII. 51. Narro, cum
alterum facio narum, 1 a quo narratio, per quam cognoscimus rem gesta(m).
2 Quae pars agendi est ab dicendo 3 ac sunt aut con- iuncta cum
temporibus aut ab his : eorum 4 hoc genus videntur ervfia.
52. Fatur is qui primum homo significabilem ore mittit vocem. Ab
eo, ante quam ita faciant, pueri dicuntur infantes ; cum id faciunt, iam
fari ; cum hoc vocabulum, 1 (turn) a similitudine vocis pueri
(fario- lus) ac fatuus dictum. 2 Ab hoc tempora 3 quod turn pueris constituant
Parcae fando, dictum fatum et res fatales. Ab hac eadem voce 4 qui facile fantur facundi
dicti, et qui futura praedivinando soleant fari fatidici ; dicti idem
vaticinari, quod vesana mente faciunt : §51. 1 Victorius, for narrum. 2
For gesta Fv. 3 L. Sp. ; a dicendo Ursinus ; for ab adiacendo Fv. *
Aug., for earum. § 52. 1 Aug., for uocabulorum. 2 OS., for a
simili- tudine uocis pueri ac fatuus fari id dictum. 3 Popma, for
tempore. 4 Canal, for ad haec eandem uocem. 6 Com. Rom.
Frag., verses 2-4 Ribbeck 3 . Juventius was a writer of comedies from the
Greek, in the second century b.c. § 51. ° Varro wrote naro, with
one R, according to Cas- siodorus, vii. 159. 8 Keil ; the etymology is
correct. 6 Cf. vi. 42. § 52. ° The etymologies in this
section are correct, except those of fariolus and vaticinari. 6 Dialectal
form, prob- 218 OX THE LATIN LANGUAGE, VI.
50-52 that joy is spread latius 'more widely' because of
the idea that it is a great blessing. Therefore Juventius says 6
: Should all men bring their joys into a single spot, My
happiness would yet surpass the total lot. When things are of this
nature, they are said to be laeta ' happy.' VII. 51. Narro a
'I narrate,' when I make a second person narus ' acquainted with '
something ; from which comes narratio ' narration,' by which we
make acquaintance with an occurrence. This part of acting is in the
section of saying, 6 and the words are united with time-ideas or are from
them : those of this sort seem to be radicals. 52.° That man
fatur ' speaks ' who first emits from his mouth an utterance which may
convey a meaning. From this, before they can do so, children are
called infantes ' non-speakers, infants ' ; when they do this, they
are said now fan ' to speak ' ; not only this word, but also, from
likeness to the utterance of a child, fariolus 6 ' soothsayer ' and
fatuus ' prophetic speaker ' are said. From the fact that the
Birth-Goddesses by fando ' speaking ' then set the life-periods for
the children, fatum ' fate ' is named, and the things that are
fatales ' fateful.' From this same word, those who fantur ' speak '
easily are called facundi ' eloquent,' and those who are accustomed fari
' to speak ' the future through presentiment, are called fatidici '
sayers of the fates ' ; they likewise are said vaticinari ' to prophesy,'
because they do this with frenzied ably Faliscan, for hariolus,
which is connected with haruspex. * As though fati- ; but properly from
the stems of rates ' bard ' and canere ' to sing.' 219
VARRO sed de hoc post erit usurpandum, cum de
poetis dicemus. 53. Hinc fasti dies, quibus verba certa
legitima sine piaculo praetoribus licet fari ; ab hoc nefasti,
quibus diebus ea fari ius non est et, si fati sunt, pia- culum faciunt.
Hinc efFata dicuntur, qui augures finem auspiciorum caelcstum extra urbem
agri(s) 1 sunt effati ut esset ; hinc effari templa dicuntur : ab auguribus
efFantur qui in his fines sunt. 54. Hinc fana nominata, quod 1
pontifices in sac- rando fati sint finem ; hinc profanum, quod est
ante fanum coniunctum fano ; hinc profanatum quid in sacrificio
aique 2 Herculi decuma appellata ab eo est quod sacrificio quodam
fanatur, id est ut fani lege^it. 3 Id dicitur pollu(c)tum, 4 quod a
porriciendo est fictum: cum enim ex mercibus libamenta porrecta 5
sunt Herculi in aram, turn pollu(c)tum 4 est, ut cum pro- fan(at)um
6 dicitur, id est proinde ut sit fani factum : itaque ibi 7 olim (in) 8
fano consumebatur omne quod § 53. 1 Laetus, for agri. §
54. 1 Laetus, for quae. 2 M, V, Laetus, for ad quae Fv. 3 Canal, for sit.
4 Aug. {quoting a friend), for pollutum. 5 Aug., with B, for proiecta. 6
Turnebus, for profanum. 7 Vertranius, for ubi. 8 Added by
Vertranius. d Cf. vii. 36. § 53. ° Fastus and nefastus,
from fas and nefas ; but whether fas and nefas are from the root of fari,
is question- able. 6 Cf. vi. 29-30. c Page 19 Regell. d Effari is
used both with active and with passive meaning. § 54. Fanum (whence
adj. profanus), from fas, not from fari. b Profanus was used also of
persons who remained ' before the sanctuary ' because they were not
entitled to go inside, or because admission was refused ; therefore ' un-
initiated ' or ' unholy,' respectively. " Wrong etymology. d Any
edibles or drinkables were appropriate offerings to 220
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 52-54 mind : but this will
have to be taken up later, when we speak about the poets. d
53. From this the dies fasti a ' righteous days, court days,' on
which the praetors are permitted fori ' to speak ' without sin certain
words of legal force ; from this the nefasti ' unrighteous days,' on
which it is not right for them to speak them, and if they have
spoken these words, they must make atonement. 6 From this those words are
called effata ' pronounced,' by which the augurs c have effati '
pronounced ' the limit that the fields outside the city are to have,
for the observance of signs in the sky ; from this, the areas of
observation are said effari d ' to be pro- nounced ' ; by the augurs, 6
the boundaries effantur ' are pronounced ' which are attached to
them. 54. From this the f ana ° ' sanctuaries ' are named,
because the pontiffs in consecrating them have fati ' spoken ' their
boundary ; from this, profanum ' being before the sanctuary,' b which
applies to something that is in front of the sanctuary and joined to it ;
from this, anything in the sacrifice, and especially Hercules 's
tithe, is called prqfanatum ' brought before the sanc-» tuary,
dedicated,' from this fact that it fanatur ' is consecrated ' by some
sacrifice, that is, that it becomes by law the property of the sanctuary.
This is called polluctum ' offered up,' a term which is shaped c
from porricere ' to lay before ' : for when from articles of
commerce first fruits d are laid before Hercules, on his altar, then
there is a polluctum ' offering-up,' just as, when prqfanatum is said, it
is as if the thing had be- come the sanctuary's property. So formerly all
that was profanatum e ' dedicated ' used to be consumed in
Hercules ; cf. Festus, 253 a 17-21 M. ' That is, so far as it was
not burned on the altar, in the god's honour. 221
VARRO profan(at)um 8 erat, ut etiam (nunc) 10 fit quod
praetor urb(an)ws u quotannis facit, cum Herculi immolat publice
iuvencam. 55. Ab eodem verbo fari fabulae, ut tragoediae et
comoediae, 1 dictae. Hinc fassi ac confessi, qui fati id quod ab is 2
quaesitum. Hinc professi ; hinc fama et famosi. Ab eodem falli, sed et
falsum et fallacia, quae propterea, quod fando quern decipit ac
contra quam dixit facit. Itaque
si quis re fallit, in hoc non proprio nomine fallacia, sed tralati(ci)o,
3 ut a pede nostro pes lecti ac betae. Hinc etiam famigerabile 4 et
sic compositicia 5 aha item ut declinata multa, in quo et Fatuus et
Fatuae. 6 56. Loqui ab loco dictum. 1 Quod qui primo dicitur
iam fari 2 vocabula et reliqua verba dicit ante quam suo quique 3 loco ea
dicere potest, 1 hunc CArys- ippus negat loqui, sed ut loqui : quare ut
imago hominis non sit homo, sic in corvis, cornicibus, pueris
primitus incipientibus fari verba non esse verba, quod 8 L. Sp.,
for profanum. 10 Added by L.
Sp. 11 Aug., with B, for P. R. urbis Fv. % 55. 1 For
tragaediae et comaediae. 2 For his. 3 A. Sp. ; tralatitio Sciop. ; for
tranlatio. 4 M, V, p, Aldus, for famiger fabile Fv. 5 A. Sp.,for
composititia Fv. « B, O, f, for fatue Fv. § 56. 1 Punctuation
by Stroux. 2 For farit Fv. 3 L. Sp. ; quidque Aug. ; for quisque.
§ 55. ° The preceding words all belong with fari ; but
falli, falsum, fallacia form a distinct group. 6 Instead of by speaking.
e That is, beet-root. d Faunus and the Nymphs. § 56. ° Wrong.
6 Page 143 von Arnim. " Ravens 222 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 54-56 the sanctuary, as even now is done
"with that which the City Praetor offers every year, when on
behalf of the state he sacrifices a heifer to Hercules. 55.
From the same word fan ' to speak,' the fabulae ' plays,' such as
tragedies and comedies, were named. From this word, those persons have
fassi ' admitted ' and confessi ' confessed,' who have fati 4
spoken ' that which was asked of them. From this, professi ' openly
declared ' ; from this, fama ' talk, rumour,' and famosi ' much talked
of, notorious.' a From the same,/affi ' to be deceived,' but also
falsum ' false ' and fallacia ' deceit,' which are so named on this
account, that by fando ' speaking ' one misleads someone and then does
the opposite of what he has said. Therefore if one fallit ' deceives ' by
an act, 6 in this there is not fallacia ' deceit ' in its own
proper meaning, but in a transferred sense, as from our pes ' foot
' the pes ' foot ' of a bed and of a beet c are spoken of. From this,
moreover, famigerabile ' worth being talked about,' and in this fashion
other com- pounded words, just as there are many derived -words,
among which are Fatuus ' god of prophetic speaking ' and the Fatuae '
women of prophecy.' d 56. Loqui 'to talk,' is said from locus
'place.' Because he who is said to speak now for the first time,
utters the names and other words before he can say them each in its own
locus ' place,' such a person Chrysippus says 6 does not loqui ' talk,'
but quasi- talks ; and that therefore, as a man's sculptured bust
is not the real man, so in the case of ravens, crows," and boys
making their first attempts to speak, their words are not real words,
because they are not talk- and crows were the chief speaking birds
of the Romans ; cf. Macrobius, Sat. ii. 4. 29-30. 223
VARRO non loquantur. 4 Igitur is loquitur, qui
suo loco quod- que verbum sciens ponit, et is turn 5 prolocutus, 6
quom in animo quod habuit extulit loquendo. 57. Hinc dicuntur eloqui ac reloqui 1 in fanis
Sabinis, e cella dei qui loquuntur. 2 Hinc dictus loquax, qui nimium
loqueretur ; hinc eloquens, qui copiose loquitur ; hinc colloquium, cum
veniunt in unum locum loquendi causa ; hinc adlocutum mulieres ire
aiunt, cum eunt ad aliquam locutum consolandi 3 causa ; hinc quidam
loquelam dixerunt verbum quod in loquendo efferimus. Concinne loqui
dictum a concinere, 4 ubi inter se conveniunt partes ita 3
novissimum, quod extremum. Sic ab eadem origine novitas et novicius et
novalis in agro et " sub No vis " dicta pars in Foro
aedificiorum, quod vocabulum ei pervetustww, 4 ut Novae Viae, quae via
iam diu vetus. 60. Ab eo quoque potest dictum nominare, quod
res novae in usum quom 1 additae erant, quibus ea(s) 2 novissent, nomina
ponebant. Ab eo nuncupare, quod tunc (pro) 3 civitate vota nova
suscipiuntur. Nuncu- pare nominare valere apparet in legibus, ubi "
nun- cupatae pecuniae " sunt scriptae ; item in Choro in quo
est : Aenea ! — Quis 4 est qui meum nomen nuncupat ?
§ 59. 1 Aug.,
from Gellius, x. 21. 2, for dico. 2 Ben- tinus, from Gellius, I.e., for
uetustus ac ueterrimus. 3 Added by Aug., from Gellius, I.e. 4 B, Laetus,
for peruetustas. § 60. 1 Aug. (quoting a friend), for
quomodo. 2 Ver- tranius,for ea. 3 Added by L. Sp. 4 Added by
Grotius. e Naples ; Nova-polis is a half-way translation
into Latin. § 59. ° Page 57 Funaioli. * The Tabernae Novae
were the shops on the north side of the Forum which replaced those
burned in the fire of 210 b.c. ; those on the south side, which escaped
the fire, were called the Tabernae Veteres. § 60. ° Nomen and
nominare are distinct from novus, and 226 ON THE LATIN
LANGUAGE, VI. 58-60 derived from a Greek word ; from this,
accordingly, their Neapolis e ' New City ' was called Nova-polis '
New-polis ' by the old-time Romans. 59. From this, moreover,
novissimum ' newest ' also began to be used popularly for extremum '
last,' a use which within my memory both Aelius and some elderly men
avoided, on the ground that the proper form of the superlative of this
word was nimium novum ; its origin is just like vetustius ' older ' and
veterrimum ' oldest ' from vetus ' old,' thus from novum were
derived novius ' newer ' and novissimum, which means ' last.' So,
from the same origin, novitas ' newness ' and novi- cius ' novice ' and
novalis ' ploughed anew ' in the case of a field, and a part of the
buildings in the Forum was called sub Xovis 6 ' by the New Shops ' ;
though it has had the name for a very long time, as has the Nova
Via New Street,' which has been an old street this long
while. 60. From this can be said also nominare ' to call by
name,' because when novae ' new ' things were brought into use, they set
nomina ' names ' on them, by which they novissent ' might know ' them.
From this, nuncupate* ' to pronounce vows publicly,' because then
nova ' new ' vows are undertaken for the state. That nuncupare is the
same as nominare, is evident in the laws, where sums of money are written
down as nuncupatae ' bequeathed by name ' ; likewise in the Chorus,
in which there is c : Aeneas ! — Who is this who calls me by my
name ? also from novisse ' to know.' * Containing the elements
of nomen and capere ' to take.' e Trag. Rom. Frag., page 272
Ribbeck 3 ; R O.L. ii. 608-609 Warmington ; possibly belonging to a play
entitled Proserpina, cf. vi. 9-1. But the title is perhaps hopelessly
corrupt. 227 VARRO Item in
Medo 5 : Quis tu es, mulier, quae me insueto nuncupasti nomine
? 61. Dico originem habet Graecam, quod Graeci SeiKvvw. 1
Hinc (etiam dicare, ut ait) 8 Ennius : Dico VI hunc dicare (circum
metulas). 3 Hinc iudicare, quod tunc ius dicatur ; hinc
iudex, quod iu(s> dicat 4 accepta potestate ; (hinc dedicat), 5
id est quibusdam verbis dicendo finit : sic 6 enim aedis sacra a
magistratu pontifice prae(e)unte 7 dicendo dedicatur. Hinc, ab dicendo, 8
indicium ; hinc ilia : indicit (b)ellum, 9 indixit funus, prodixit diem,
addixit iudicium ; hinc appellatum dictum in mimo, 10 ac dictiosus
; hinc in manipulis castrensibus (dicta 11 ab) 13 ducibus ; hinc dictata
in ludo ; hinc dictator magister populi, quod is a consule debet dici ;
hinc antiqua ilia (ad)dici 13 numo et dicis causa et addictus.
6 Aldus, for medio. §61. 1 L. Sp. ; SeiKvvvai Mue. ; SeiKco
Scaliger ; for NISIhce Fv. 2 Added by Kent. 3 Fay, for qui hunc
dicare; cf Festus, 153 a 15-21 M., and Livy, xli. 27. 6. 4 Aug., with B,for
iudicat. b Added by Stroux. 8 With sic enim, F resumes ; cf. v. 118,
crit. note 7. 7 Bcntinus (or earlier) ; praeunte /, Laetus ; for prae
unce F. 8 L. Sp.,for dicando. 9 Turnebus, for ilium. 10 B, Aldus,
for minimo. 11 Added by Aug., with B. 18 Added by Kent ; a added by Fay.
13 Budaeus, for dici. d Pacuvius, Trag. Rom. Frag. 239
Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 260- 261 Warmington ; the play was named from one
of Medea's sons. §61. ° All the words explained in this
section belong together ; but dicere is cognate with the Greek word,
not derived from it. 6 Inc. frag. 39 Vahlen 2 ; see critical note.
c Rather, because he dictat ' gives orders ' to the people. d Numo in the
text is the older spelling, in which consonants were never doubled. *
Applied to the fictitious sale of an 228 ON THE
LATIN LANGUAGE, VI. 60-61 And likewise in the Medus d
: Who are you, woman, who have called me by an unaccustomed
name ? 61. Dico ° ' I say ' has a Greek origin, that which
the Greeks call BeiKvi'm ' I show.' From this more- over comes dicare '
to show, dedicate,' as Ennius says b : I say this circus
shows six little turning-posts. From this, iudicare ' to judge,' because
then ius ' right ' dicitur ' is spoken ' ; from this, index ' judge,'
because he ius dicat ' speaks the decision ' after receiving the
power to do so ; from this, dedicat ' he dedicates,' that is, he finishes
the matter by dicendo ' saying ' certain fixed words : for thus a temple
of a god dedicatur ' is dedicated ' by the magistrate, by dicendo '
saying ' the formulas after the pontiff. From this, that is from
dicere, comes indicium ' information ' ; from this, the following :
indicit ' he declares ' war, indixit ' he has invited to ' a funeral,
prodixit ' he has postponed ' the day, addixit ' he has awarded ' the
decision ; from this was named a dictum ' bon mot ' in a farce, and
dic- tiosus ' witty person ' ; from this, in the companies of
soldiers in camp, the dicta ' orders ' of the leaders ; from this, the
dictata ' dictation exercises ' in the school ; from this, the dictator c
' dictator,' as master of the people, because he must did ' be appointed
' by the consul ; from this, those old phrases addict nummo d ' to
be made over to somebody for a shilling,' e and dicis causa ' for the
sake of judicial form,' and addictus " bound over f ' to
somebody. inheritance to the heir. ' Said of a defendant who
was unable to pay the amount of debt or damages, and was de-
livered to the custody of the plaintiff as a virtual slave until he could
arrange payment. 229 VARRO
62. Si dico quid (sciens 1 ne)scienti, 2 quod ei 3 quod ignoravit
trado, hinc doceo declinatum vel quod cum docemus 4 dicimus vel quod qui
docentur induczm- tur 5 in id quod docentur. Ab eo quod scit ducere 6
qui est dux aut ductor ; (hinc 7 doctor) 8 qui ita inducit, ut
doceat. Ab dwcendo 9 docere disciplina discere
litteris commutatis paucis. Ab eodcm principio documenta, quae
exempla docendi causa dicuntur. 63. Disputatio ct computatio e 1
propositione putandi, quod valet purum facere ; ideo antiqui purum
putum appellarunt ; ideo putator, quod arbores puras facit ; ideo ratio
putari dicitur, in qua summa fit pura : sic is sermo in quo pure
disponuntur verba, ne sit confusus atque ut diluceat, dicitur dis-
putare. 64. Quod dicimus disserit item translati(ci)o 1 aeque
2 ex agris verbo : nam ut //olitor disserit in areas sui cuiusque generis
res, sic in oratione qui facit, disertus. Sermo, opinor, est a serie,
unde serta ; ctiam in vestimento sartum, quod comprehensum :
§ 62. 1 Added by L. Sp.
2 Scaliger, for scienti. 3 Sciop., for det. 4 After docemus, Laetus
deleted ut. 6 Reiter, for inducantur. 6 M, Laetus, for
ducare. 7 Added by GS. 8 Added by L. Sp. 9 Fay, for docendo.
§ 63. 1 L. Sp., for et. §64. 1 A. Sp. ; translatitio Aug.;
for translatio. 2 Aug., for atque. § 62. ° Docere is quite
independent of dicere, and also of ducere. b Disciplina was popularly
associated with discere, but was really a derivative of discipulus, which
came from dis + capere 1 to take apart (for examination).' §
64. ° There are in Latin two verbs sero serere, distinct in etymology :
serere sevi satus 4 to sow, plant,' and serere serui sertus ' to join
together, intertwine.' The derivatives in this section are all from the
second verb, except sartum, the participle of sarcio, which is distinct
from both. 230 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
62-64 62. If I dico ' say ' something that I know to
one who does not know it, because I trado ' hand over ' to him what
he was ignorant of, from this is derived doceo a ' I teach,' or else
because when we docemus ' teach ' we dicivius ' say,' or else because
those who docentur ' are taught ' inducuntur ' are led on ' to that
which they docentur ' are taught.' From this fact, that he knows how
ducere ' to lead,' is named the one who is dux ' guide ' or ductor '
leader ' ; from this, doctor ' teacher,' who so inducit ' leads on ' that
he docet ' teaches.' From ducere ' to lead,' come docere ' to
teach,' disciplina b ' instruction,' discere ' to learn,' by the change
of a few letters. From the same original element comes documenta '
instructive ex- amples,' which are said as models for the purpose
of teaching. 63. Disputatio ' discussion ' and coniputatio '
reckon- ing,' from the general idea of putare, which means to make
purum ' clean ' ; for the ancients used putum to mean purum. Therefore
putator ' trimmer', because he makes trees clean ; therefore a business
account is said putari ' to be adjusted,' in which the sum is pura
' net.' So also that discourse in which the words are arranged pure '
neatly,' that it may not be confused and that it may be transparent of
meaning, is said disputare ' to discuss ' a problem or question.
64. Our word disserit a is used in a figurative mean- ing as well
as in relation to the fields : for as the kitchen-gardener disserit '
distributes ' the things of each kind upon his garden plots, so he who
does the like in speaking is disertus ' skilful.' Sermo ' conversa-
tion,' I think, is from series ' succession,' whence serta ' garlands ' ;
and moreover in the case of a garment sartum ' patched,' because it is
held together : for 231 VARRO sermo
enim non potest in uno homine esse solo, sed ubi (o)ratio 3 cum altero
coniuncta. Sic conserere manu(m) 4 dicimur cum
hoste ; sic ex iure manu(m) 5 consertum vocare ; hinc adserere manu 6 in
libertatem cum prendimus. Sic augures dicunt : Si mihi auctor es 7 verbenam 6 manu 9
asserere, dicit(o> 10 consortes. 65. Hinc etiam, a quo 1
ipsi consortes, sors ; hinc etiam sortes, quod in his iuncta tempora cum
homini- bus ac rebus ; ab his sortilegi ; ab hoc pecunia quae in
faenore sors est, impendium quod inter se iung^t. 2 66. Legere
dictum, quod leguntur ab oculis litterae ; ideo etiam legati, quod (ut) 1
publice mit- tantur leguntur. Item ab legendo leguli, qui oleam aut
qui uvas legunt ; hinc legumina in frugibus variis ; etiam leges, quae
lectae et ad populum latae quas observet. Hinc legitima et collegae, qui
una lecti, et qui in eorum locum suppositi, sublecti ; additi
allecti et collecta, quae ex pluribus locis in unum lecta. Ab
3 Aug., for ratio. 4 Other codd.,for manu F. 5 Sciop., for manu ;
cf. Gellius, xx. 10. 6 p, Aug., for manum. 7 Aug., for est. 8 Bergk, for
verbi nam. 9 Aug., for manum. 10 A. Sp.,for dicit. §65. 1 L.
Sp., for ad qui. 2 Groth, for iungat. § 66. 1 Added by B,
Aldus. b Genitive plural. e Page 18 Regell. § 65. °
These words belong to serere, but Varro's reason for the meaning of sors
may not be correct. 6 To Varro, the fundamental meaning in sors is one of
' joining ' : cf. v. 183. § 66. ° All words discussed in this
section are from various forms of the root seen in legere, which means '
to gather, pick, select, choose, read ' ; except legumen. * Properly
parti- ciple of legare ' to appoint,' a derivative of legere. e
More exactly, legumina are, according to Varro, fruits of various
kinds that have to be picked (rather than cut, like cabbage,
232 ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 64-66
sermo ' conversation ' cannot be where one man is alone, but where
his speech is joined with another's. So we are said conserere manum ' to
join hand-to-hand fight ' with an enemy ; so to call for vianum 6
consertum ' a laying on of hands' according to law ; from this,
adserere manu in libertatem ' to claim that so-and-so is free,' when we
lay hold of him. So the augurs say c : If you authorize me to take
in my hand the sacred "bough, then name my colleagues
(consortes). 65. From this, moreover, sors a ' lot,' from
which the consortes ' colleagues ' themselves are named ; from
this, further, sortes ' lots,' because in them time- ideas are joined
with men and things ; from these, the sortilegi ' lot-pickers,
fortune-tellers ' ; from this, the money which is at interest is the sors
1 principal,' because it joins 6 one expense to another. 66.
° Legere ' to pick or read,' because the letters leguntur ' are picked '
with the eyes ; therefore also legati 6 ' envoys,' because they leguntur
' are chosen ' to be sent on behalf of the state. Likewise, from
legere ' to pick,' the leguli ' pickers,' who legunt ' gather ' the
olives or the grapes ; from this, the legumina e ' beans ' of various
kinds ; moreover, the leges ' laws,' which are lectae ' chosen ' and
brought before the people for them to observe. From this, legitima '
law- ful things ' ; and collegae ' colleagues,' who have been lecti
' chosen ' together, and those who have been put into their places, are
sublecti ' substitutes ' ; those added are allecti ' chosen in addition,'
and things which have been lecta ' gathered ' from several places
into one, are collecta ' collected.' From legere ' to gather '
or mowed, like wheat) ; but the resemblance to legere seems to be
only accidental. 233
VARRO legendo ligna quoque, quod ea caduca
legebantur in agro quibus in focum uterentur. Indidem ab legendo
legio et diligens et dilectus. 67. Murmuran' 1 a similitudiae
sonitus dictus, qui ita leviter loquitur, ut magis e sono id faccre quam
ut intellegatur videatur. Hinc etiam poctae Murmurantia
litora. Similiter fremere, gemere, clamare, crepare ab
similitudine vocis sonitus dicta. Hinc ilia Arma sonant, fremor oritur
; hinc Nihil 2 me increpitando commoves.
68. Vicina horum quiritarc, iubilare. Quiritare dicitur is qui
Quiritum fidem clamans inplorat. Qui- rites a Curensibus ; ab his cum
Tatio rege in socie- tatem venerunt civitatz's. 1 Ut quiritare
urbanorum, sic iubilare rusticorum : itaquc hos imitans Aprissius
ait : Io bucco ! — Quis me iubilat ? — Vicinns tuus
antiquus. Sic triumphare
appellatum, quod cum imperatore § 67. 1 L. Sp.,for murmuratur
dictum. 2 For nichil. § 68. 1 Sciop., for civitates. d Better
spelling, delectus. § 67. ° Some, but not all, of the words
discussed in this section are onomatopoeic. b Lh-iter ' lightly.' e
Trag. Rom. Frag., page 314 Ribbeck 3 ; but the words look like part
of a dactylic hexameter, in which case it should read Arma sonant, oritur
fremor. d Trag. Rom. Frag., page 314 Ribbeck 3 . § 68. a
Frequentative of queri ' to complain,' and not connected with Quirites. b
Cures, ancient capital city of the Sabines. c The name is corrupt, but no
probable comes also ligna ' firewood,' because the wood that
had fallen was gathered in the field, to be used on the fireplace. From
the same source, legere ' to gather,' came legio ' legion,' and diligens
' careful,' and dilectus A ' military levy.' 67. ° From
likeness to the sound, he is said mur- murari ' to murmur,' who speaks so
softly b that he seems more as the result of the sound to be doing
it, than to be doing it for the purpose of being understood. From this,
moreover, the poets say Murmuring sea-shore. Likewise,
fremere ' to roar,' gemere ' to groan,' clamare ' to shout,' crepare ' to
rattle ' are said from the likeness of the sound of the word to that
which it denotes. From this, that passage c : Arms are
resounding, a roar doth arise. From this, also, d By your
rebuking you alarm me not. 68. Close to these are quiritare a ' to
shriek,' iubilare ' to call joyfully.' He is said quiritare, who
shouts and implores the protection of the Quirites. The Quirites were
named from the Curenses ' men of Cures ' b ; from that place they came
with King Tatius to receive a share in the Roman state. As
quiritare is a word of city people, so iubilare is a word of the
countrymen ; thus in imitation of them Apris- sius c says :
Oho, Fat-Face ! — Who is calling rne ? — Your neighbour of long
standing. So triumpkare ' to triumph ' was said, because the
emendation has been suggested ; Com. Rom. Frag., page 332 Ribbeck 3 .
235 VARRO milites redeuntes clamitant per
Urbem in Capitolium eunti " (I)o 2 triumphe " ; id a dpidfifiu)
3 ac Graeco Liberi cognomento potest dictum. 69- Spondere est
dicere spondee-, a sponte : nam id (idem) 1 valet et a voluntate. Itaque
Lucilius scribit de Cretcea, 2 cum ad se cubitum venerit sua
voluntate, sponte ipsam suapte adductam, ut tunicam et cetera 3
reiceret. Eandem voluntatem Terentius significat, cum ait satius
esse Sua sponte recte facere quam alieno metu. Ab eadem
sponte, a qua dictum spondere, declinatum (de)spondet 4 et respondet et
desponsor et sponsa, item sic alia. Spondet enim qui dicit a sua
sponte " spondeo " ; (qui) spo(po)ndit, 5 est sponsor ;
qui (i)dem« (ut) 7 faciat obligatur sponsu, 8 consponsus. 70. Hoc Naevius significat
cum ait " consponsi." (Si) 1 spondebatur pecunia aut filia
nuptiarum causa, 2 Laetus, for o. 3 Aldus, for triambo.
§ 69. 1 Added by Fay. 2 For Gretea. 3 For ceterae. 4 GS, after Lachmann,
for spondit. 8 L. Sp., for spondit. 6 B, Ed. Veneta, for quidem. 7 Added
by Aug., with B. 8 L. Sp.,for sponsus. § 70. 1 Added by
Fay. d From the Greek, through the Etruscan. e Ac, intro-
ducing an appositive. § 69. ° Verses 925-927 Marx. Cretaea was a
meretrix, named from the country of her origin. Varro has para-
phrased the quotation, which was thus restored to metrical form by
Lachmann, the first two words being added by Marx : Cretaea nuper,
cum ad me cubitum venerat, Sponte ipsa suapte adducta ut tunicam et
cetera Reiceret. 236 ON THE LATINS
LANGUAGE, VI. 68-70 soldiers shout " Oho, triumph !
" as they come back with the general through the City and he is
going up to the Capitol; this is perhaps derived** from dpiafifios,
as * a Greek surname of Liber. 69« Spondere is to say spondeo ' I
solemnly promise,' from sponte ' of one's own inclination ' : for this
has the same meaning as from voluntas ' personal desire.' Therefore
Lucilius writes of the Cretan woman, that when she had come of her own
desire to his house to lie with him, she was of her own sponte '
inclination ' led to throw back her tunic and other garments. The
same voluntas ' personal desire ' is what Terence means 6 when he says
that it is better Of one's own inclination right to do, Than
merely by the fear of other folk. From the same sponte from which
spondere is said, are derived despondet ' he pledges ' and respondet '
he promises in return, answers,' and desponsor ' promiser ' and
sponsa ' promised brides' and likewise others in the same fashion. For he
spondet ' solemnly promises ' who says of his own sponte ' inclination '
spondeo ' I promise ' ; he who spopondit ' has promised ' is a
sponsor ' surety ' ; he who is by sponsus ' formal promise ' bound to do
the same thing as the other party, is a consponsus ' co-surety.'
70. This is what Naevius means" when he says consponsi. If
money 6 or a daughter spondebatur ' was promised ' in connexion with a
marriage, both the While this might accord with the Lucilian
prototype of Horace, Sat. i. 5. 82-85, the meter forbids, and because of
the subject matter A. Spengel proposed Licinius, writer of
comedies, for Lucilius. b Adelphoe, 75. §70. " Com. Rom.
Frag., page 34 Ribbeck*; R.O.L. ii. 598 Warmington. * As dower. 237
VARRO appellabatur etpecunia et quae desponsa erat
sponsa ; quae pecunia inter se contra sponsu 2 rogata erat, dicta
sponsio ; cui desponsa quae 3 erat, sponsus ; quo die sponsum erat,
sponsalis. 71. Qui 1 spoponderat filiam, despondisse 2 dice-
bant, quod de sponte eius, id est de voluntate, exierat : non enim si
volebat, dabat, quod sponsu erat alligatus : nam ut in com(o)ediis vides
dici : Sponde(n) 3 tuam gnatam 4 filio uxorem meo ? Quod turn et praetorium ius
ad legem et censorium iudicium ad aequum existimabatur. Sic despondisse animum
quoque dicitur, ut despondisse filiam, quod suae spontis statuerat
finem. 72. A sua sponte
dicere cum spondere, (respon- dere) 1 quoque dixerunt, cum a(d) sponte(m)
2 re- sponderent, id est ad voluntatem rogatoris. 3 Itaque qui ad
id quod rogatur non dicit, non respondet, ut non spondet ille statim qui dixit
spondeo, si iocandi 2 L. Sp., for sponsum. 3 Hue., for quo.
§ 71. 1 G, B, Laetus, for quo. 2 B, Aldus, for dispon- disse. 3
Aug. ; spondem Rhol. ; for sponde. 4 Rhol., for agnatam. §
72. 1 Lachmann, for a qua sponte dicere cumspondere. 2 Turnebus, for a sponte.
3 L. Sp.,for rogationis. c To be forfeited to the other
party as damages by that party which might break the agreement.
§ 71. ° Com, Rom. Frag., page 134 Ribbeck 3 . 238
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 70-72 money and the
girl who had been desponsa ' pledged ' were called sponsa ' promised,
pledged * ; the money which had been asked under the sponsus ' engagement
' for their mutual protection against the breaking of the
agreement,* was called a sponsio ' guarantee de- posit ' ; the man to whom
the money or the girl was desponsa ' pledged,' was called sponsus '
betrothed ' ; the day on which the engagement was made, was called
sponsalis ' betrothal day.' 71. He who spoponderat ' had promised '
his daughter, they said, despondisse ' had promised her away,'
because she had gone out of the power of his sponte ' inclination,' that
is, from the control of his voluntas ' desire ' : for even if he wished
not to give her, still he gave her, because he was bound by his
sponsus ' formal promise ' : for you see it said, as in comedies a
: Do you now promise your daughter to my son as wife ?
This was at that time considered a principle estab- lished by the
praetors to supplement the statutes, and a decision of the censors for
the sake of fairness. So a person is said despondisse animum ' to have
promised his spirit away, to have become despondent,' just as he is
said despondisse Jiliam ' to have promised his daughter away,' because he
had fixed an end of the power of his sponte ' inclination.'
72. Since spondere was said from sua sponte dicere ' to say of
one's own inclination,' they said also re- spondere ' to answer,' when
they responderunt ' promised in return ' to the other party's spontem '
inclination,' that is, to the desire of the asker. Therefore he who
says " no " to that which is asked, does not respondere, just
as he does not spondere who has immediately said 239
VARRO causa dixit, neque agi potest cum eo ex sponsu. Itaqu(e) is 4 qu(o)i dicit(ur) 5 in co?«oedia 6
: Meministin 7 te spondere 8 mihi gnatam 9 tuam ? quod
sine sponte sua dixit, cum eo non potest agi ex sponsu. 73.
Etiam spes a sponte potest esse declinata, quod turn sperat cum quod 1
volt fieri putat : nam quod non volt si putat, metuit, non sperat.
Itaque hi 2 quoque qui dicunt in Astraba Plauti : Nwwc 3
sequere adseque, Polybadisce, meam spem cupio consequi. —
Sequor hercle (e)quidem, 4 nam libenter mea(m) sperata(m) 5
consequor : quod sine sponte dicunt, vere neque ille sperat qui
dicit adolescens neque ilia (quae) 6 sperata est. 74. Sponsor et praes et vas
neque ide/w, 1 neque res a quibus hi, sed e re simili. 2 Itaque praes
qui a magistratu interrogatus, in publicum ut praestet ; a quo et
cum respondet, dicit " praes." Vas appel- 4 L. Sp., for itaquis. 5 Kent,
for qui dicit F (d'r a = dici- tur). 6 L. Sp.,for tragoedia. 7 Aug., for
meministine. 8 Lachmann, metri gratia, for despondere. 9 Rhol., for
agnatam. § 73. 1 Aug., for quod cum. 2 L. Sp., for hie. 3 L.
Sp., for ne. 4 L. Sp., for quidem. 6 Ritschl, for mea sperata. 6 Added by
Kent. §74. 1 Laetus, for ideo. 2 Sciop., for simile.
§ 72. Hanging nominative, resumed by cum eo after the quotation. b
Trag. Rom. Frag., page 305 Ribbeck 3 ; but as the content indicates that
it came from a comedy rather than from a tragedy, I have accepted L.
Spengel's emenda- tion comoedia for the. manuscript tragoedia.
§ 73. a Wrong. * Frag. I Ritschl. c A dseque, active imperative
form ; cf. Neue-Wagener, Formenlehre der lat. 240
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 72-74 spondeo, if he said
it for a joke, nor can legal action be taken against him as a result of
such a sponsus 'promise.' Thus he" to whom someone says in a
comedy, 6 Do you recall you pledged your daughter unto me ?
which he had said without his sponte ' inclination,' cannot be
proceeded against under his sponsus. 73. Spes ' hope ' is perhaps
also derived a from sponte ' inclination,' because a person then
sperat ' hopes,' M'hen he thinks that what he wishes is coming true
; for if he thinks that what he does not wish is coming true, he fears,
not hopes. Therefore these also who speak in the Astraba of Plautus 6
: Follow now closely,' Polybadiscus, I wish to overtake my
hope. — Heavens I surely do : I'm glad to overtake her whom I
hope : because they speak without sponte ' feeling of
success,' the youth who speaks does not truly ' hope,' nor does the
girl who is ' hoped for.' d 74. Sponsor and praes and vas are not
the same thing, nor are the matters identical from which these
terms come ; but they develop out of similar situa- tions. Thus a praes
is one who is asked by the magistrate that he praestat 1 make a guarantee
' to the state ; from which, also when he answers, he says, "
I am your praes." He was called a vas Spr. 3 iii. 89. d
Sperata, a regular term for the object of a young man's love.
§ 7i. " Varro apparently says that a sponsor is one who
undertakes an engagement toward an individual or indivi- duals ; a praes
is one who undertakes an engagement on his own behalf, toward the state ;
a vas is one who guarantees another person's engagement toward the
state. VOL. I r
2-H VARRO latus, qui pro altero vadimonium
promittebat. Con- suetudo erat, cum re?/s 3 parum esset idoneus
inceptis rebus, ut pro se alium daret ; a quo caveri 4 postea lege
coeptum 5 est ab his, qui praedia venderent, vadem ne darent ; ab eo
ascribi coeptum 5 in lege mancipiorum: Vadem ne poscerent nec
dabitur. 75. Canere, 1 accanit et succanit ut canto et can-
tatio ex Camena permutato pro M N. 2 Ab eo quod semel, canit, si saepius,
cantat. Hinc cantitat, item alia ; nec sine canendo (tubicines,
liticines, corni- cines), 3 tibicines dicti : omnium enim horum
quo- da^) 4 canere ; etiam bucinator a vocis similitudine et cantu
dictus. 76. Oro ab ore et perorat et exorat et oratio et orator et osculum
dictum. Indidem omen, orna- mentum ; alterum quod ex ore primum elatum
est, osmen dictum ; alterum nunc cum propositione dici- tur vulgo
ornamentum, quod sicut olim ornamenta 1 3 For reos. 4 For cavari. 6 For
caeptum. §75. 1 For canerae. 2 Mue., for N.M. 8 Added by L.
Sp., after Mue. recognized the lacuna and its contents, but set it after
tibicines; cf v. 91. 4 Kent ; quoddam Canal ; for quod a. §76.
1 OS., for ornamentum. §75. ° The words explained in this
section belong to- gether, except Camena, which stands apart. 6
Either ' sing ' or ' play on an instrument.' c Usually in the
plural ; Italian goddesses of springs and waters, regularly identified
with the Greek Muses. d The insertion in the text is rendered necessary
by omnium horum ; cf. also critical note. e Quodam, ablative with
canere. § 76. ° These words are from os, except omen,
ornamen- tum, oscines. 242 OX THE LATIN
LANGUAGE, VI. 74-76 ' bondsman ' who promised bond for
another. It was the custom, that when a part}' in a suit was not
considered capable of fulfilling his engagements, he should give another
as bondsman for him : from which they later began to provide by law
against those who should sell their real estate, that they should
not offer themselves as bondsmen. From this, they began to add the
provision in the law about the transfer of properties, that
" they should not demand a bondsman, nor will a bondsman be
given." 7o. a Canere 6 ' to sing,' accanit ' he sings to '
some- thing, and succanit ' he sings a second part,' like canto ' I
sing ' and cantatio ' song,' from Camena c ' Muse,' with N substituted
for M. From the fact that a person sings once, he canit : if he sings
more often, he cantat. From this, cantitat ' he sings repeatedly,'
and likewise other words ; nor without canere ' singing, playing '
are the tubicines ' trumpeters,' named, and the liticines ' cornetists,'
cornicines ' horn-blowers,' d iibicines ' pipes-players ' : for canere '
playing ' on some special instrument * belongs to all these. The
bucinator ' trumpeter ' also was named from the like- ness of the sound
and the cantus ' playing.' 76. a Oro ' I beseech ' was so called
from os ' mouth,' and so were perorat ' he ends his speech ' and
exorat ' he gains by pleading,' and oratio ' speech ' and orator '
speaker ' and osculum ' kiss.' From the same, omen ' presage ' and
ornamentum ' ornament ' : because the former was first uttered from the
os ' mouth,' it was called osmen ; the latter is now commonly used
in the singular with the general idea of ornament, but as formerly most
of the play-actors use it in 24-3 VARRO
scoenici plerique dicunt. Hinc oscines dicuntur apud
augures, quae ore faciunt auspicium. VIII. 77. Tertium gradum
agcndi esse dicunt, ubi quid faciant ; in eo propter similitudinem agendi
et faciendi et gerendi quidam error his qui putant esse unum. Potest enim aliquid facere et
non agere, ut poeta facit fabulam et non agit, contra actor agit et
(non) 1 facit, et sic a poeta fabula fit, non agitur, ab actore agitur,
non fit. Contra imperator quod dicitur res gerere, in eo neque facit
neque agit, sed gerit, id est sustinet, tralatum ab his qui onera 2
gerunt, quod hi sustinent. 78. Proprio nomine dicitur facere
a facie, qui rci quam facit imponit faciem. Ut fictor cum dicit
fingo, figuram imponit, quom dicit formo, 1 formam, sic cum dicit
facio, faciem imponit ; a qua facie discernitur, ut dici possit aliud
esse vestimentum, aliud vas, sic item quae fiunt apud fabros, fictores,
item alios alia. Qui quid 2
amministrat, cuius opus non extat quod sub § 77. 1 Omitted in F. 2
G, H, for honera F. § 78. 1 L. Sp„ for informo. 2 Aug., for
quicquid. 6 Found only in the plural in the scenic poets,
who used it of ornaments for the head and face (os) ; it is a
derivative of ornare ' to adorn,' which comes from ordo ordinis. c
From prefix ops + can- ' sing ' : cf. o(p)s-tendere ' to show.' §
77. Cf vi. 41-42. 6 The distinction is almost impossible to imitate in
translation, but the argument is good so far as the examples in the text
are concerned. § 78. a Fades is from facere. 244
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 76-78 the plural. 6 From
this, oscines c ' singing birds ' are spoken of among the augurs, which
indicate their pre- monitions by the os ' mouth.' VIII. 77.
The third stage of action ° is, they say, that in -which they fadunt '
make ' something : in this, on account of the likeness among agere ' to
act ' and facere ' to make ' and gerere ' to carry or carry
on,' a certain error is committed by those •who think that it is
only one thing. 6 For a person can facere something and not agere it, as
a poet fadt ' makes ' a play and does not act it, and on the other hand
the actor agit ' acts ' it and does not make it, and so a play
ft ' is made ' by the poet, not acted, and agitur ' is acted ' by the
actor, not made. On the other hand, the general, in that he is said to
gerere ' carry on ' affairs, in this neither fadt ' makes ' nor agit '
acts,' but gerit ' carries on,' that is, supports, a meaning
transferred from those who gerunt ' carry ' burdens, because they support
them. 78. In its literal sense facere ' to make ' is from
fades ° ' external appearance ' : he is said facere ( to make ' a
thing, who puts a fades ' external appear- ance ' on the thing which he
facit ' makes.' As the fetor ' image-maker,' when he says "
Fingo ' I shape,' " puts a figura ' shape ' on the object, and when
he says " Formo ' I form,' " puts a. forma ' form ' on it, so
when he says " Fado ' I make,' " he puts a fades '
external appearance ' on it ; by this external appearance there
comes a distinction, so that one thing can be said to be a garment,
another a dish, and likewise the various things that are made by the
carpenters, the image- makers, and other workers. He who furnishes
a service, whose work does not stand out in concrete form so as to
come under the observation of our 245
VARRO sensu(m) 3 veniat, ab agitatu, ut dixi, magis
agere quam facere putatur ; sed quod his magis promiscue quam
diligenter eonsuetudo est usa, translations utimur verbis : nam et qui
dieit, faeere verba dieimus, et qui aliquid agit, non esse
inficientem. 79- (Et facere lumen, 1 faculam) 2 qui adlueet,
dieitur. Lucere ab luere, (quod) et 3 luce dissolvun- tur tenebrae ; ab
luce Noctiluea, 4 quod propter lueem amissam is eultus institutus.
Aequirere est ad et quaerere ; ipsum quaerere ab eo quod quae res
ut reeiperetur datur opera ; a quoerendo quaestio, ab his turn
quaestor. 5 80. Video a visu, (id a vi) 1 : qui(n)que 2 enim
sensuum maximus in oeulis : nam cum sensus nullus quod abest mille passus
sentire possit, oculorum sensus vis usque pervenit ad stellas. Hinc : Visenda
vigilant, vigilium invident. Et Acci 3 : 3 //, Aldus,
for sensu. § 79. 1 Added by
GS. 2 Added by Fay, from Plautus, Persa, 515. 3 quod et Kent; quod A. Sp.
; for et. 4 After Noctiluea, L. Sp. deleted lucere item ab luce, a
mar- ginal gloss that had crept into the text. 6 Kent, for con- qucstor.
§80. 1 Added by L. Sp. 2 For qui que. 3 Kent, for atti.
6 vi. 41-42. § 79. " Wrong etymology. 6 This
sentence, if properly reconstructed, goes with the preceding section. c
Wrong. d As dis-so-luuntur, which is in fact its origin. * This
sentence is out of place, but its proper place cannot be deter- mined ;
cf. v. 81. f Correct etymologies, except that of qnaerere itself.
§ 80. " Video is to be kept distinct from vis and from
vigilium. 6 Part of a verse from an unknown play, in 246
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 78-80 physical
senses, is, from his agitatus ' action, motion,' as I have said, 6
thought rather agere ' to act ' than facere ' to make ' something ; but
because general practice has used these words indiscriminately
rather than with care, we use them in transferred meanings ; for he
who dicit ' says ' something, we say facere ' makes ' words, and he who
agit ' acts ' something, we say is not inficiens ' failing to do '
something. 79. And he who lights a faculam a ' torch,' is
said to facere ' make ' a light. 6 Lucere ' to shine,' from luere c
' to loose,' because it is also by the light that the shades of night
dissohuntur d ' are loosed apart ' ; from lux ' light ' comes Noctiluca '
Shiner of the Night,' because this worship was instituted on account of
the loss of the daylight. Acquirere e ' to acquire ' is ad' in
addition ' and quaerere ' to seek ' ; quaerere itself is from this, that
attention is given to quae res ' what thing ' is to be got back ; from
quaerere comes quaestio ' question ' ; then from these, quaestor '
in- vestigator, treasurer.' * 80. Video a ' I see,' from
visus ' sight,' this from vis ' strength ' ; for the greatest of the five
senses is in the eyes. For while no one of the senses can feel that
which is a mile away, the strength of the sense of the eyes reaches even
to the stars. From this 6 : They watch for what is to be seen, but
hate to stay awake.' Also the verse of Accius d :
which the persons are watching the night sky for omens. e Invidere
4 to look at with dislike ' originally took a direct object, as here ;
cf. Cicero, Tusc. iii. 9. 20. d If properly reconstituted, an iambic
tetrameter catalectic, referring to Actaeon,_who inadvertently beheld
Artemis bathing with the nymphs. 247
VARRO Cum illud o(c)wli(s) violavit 4 (is), 5 qui inmdit
6 invidendum. A quo etiam violavit virginem pro vit(i)avit
dicebant ; acque eadem modestia potius cum muliere fuisse quam
concubuisse dicebant. 81. Cerno idem valet : itaque pro video ait
En- nius : Lumen — iubarne ? — in caelo cerno.
Cawius 1 : Sensumque inesse et motum in membris cerno.
Dictum cerno a cereo, id est a creando ; dictum ab eo quod cum quid
creatum est, tunc denique videtur. Hinc fines capilli d^scripti, 2 quod
finis videtur, dis- crimen ; et quod 3 in testamento (cernito), 4 id
est facito videant te esse heredem : itaque in cretione adhibere
iubent testes. Ab eodem est quod ait Medea : Ter sub armis
malim vz'tam 5 cernere, Quam semel modo parere ; quod, ut decernunt
de vita eo tempore, multorum videtur vitae finis. 4 Mue., for
obliuio lavet (obviolavit Aug., with B). 5 Added by Kent, metri
gratia. 6 Kent ; vidit Mue. ; for incidit. §81. 1 Schoell,
marginal note in his copy of A. Sp.'s edition,for canius. 2 A. Sp., for
descripti. 3 Turnebus, for qui id. 4 Added by Turnebus. 5 Bentinus,
from Nonius Marc. 261. 22 M.,for multa. e See note c.
f Invidendum with negative prefix in-, unlike the preceding word; cf.
infectum meaning both ' stained ' and ' not done.' §81.
"Literally 'separate'; hence 'distinguish, see,' and also '
discriminate, decide.' Cerno has no connexion 248
ON THE LATIN LANGUAGE, VI. 80-81 When that he
violated with his eyes, Who looked upon • what ought not to be
seen.' From which moreover they used to say violavit ' he did
violence to ' a girl instead of vitiavit ' ruined ' her ; and similarly,
with the same modesty, thev used to say rather that a man fult ' was '
with a woman, than that he concubuit ' lay ' with her. 81.
Cerno a has the same meaning; therefore Ennius b uses it for video
: I see light in the sky — can it be dawn ? Cassius c
says : I see that in her limbs there's feeling still and
motion. Cerno ' I see ' is said from cereo, that is, creo ' I
create ' ; it is said from this fact, that when something has been
created, then finally it is seen. From this, the bound- ary-lines of the
parted hair, d because a boundary- line is seen, got the name discrimen '
separation ' ; and the cernito ' let him decide,' e which is in a will,
that is, make them see that you are heir : therefore in the cretio
' decision ' they direct that the heir bring wit- nesses. From the same
is that which Medea says / : I'd rather thrice decide, in battle
wild, My life or death, than bear but once a child.
Because, when they decernunt ' decide ' about life at that time,
the end of many persons' lives is seen. with creo. 6 Trag. Rom.
Frag., verse 338 Ribbeck* ; R.O.L. i. 226-227 Warmington ; from the Ajar
; cf. vi. 6 and vii. 76. e Fitting Cassius's play Lucretia ; cf. vi.
7 and vii. 72. * Capittus in the singular was used as a collective
by Varro, according to Charisius, i. 104. 20 Keil. • Cf. Gams, Institut.
ii. 1 74. ' Ennius, Medea, 222-223 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 316-317
Warmington; translated from Euripides, Medea, 250-251.
249 VARRO 82. Spectare dictum ab
(specio) 1 antiquo, quo etiam Ennius usus : uos 2 Epulo
postquam spexit, et quod in auspiciis distributum est qui habent
spec- tionem, qui non habeant, et quod in auguriis etiam nunc
augurcs dicunt avem specere. Consuetudo com(m)unis quae cum praeverbi(i)s
coniun(c)ta fuerunt etiam nunc servat, ut aspicio, conspicio,
respicio, suspicio, despicio, 3 sic alia ; in quo etiam expecto quod
spectare volo. Hinc speculo(r), 4 hinc speculum, quod in eo specimus
imaginem. Specula, de quo prospicimus. Speculator, quern mittimus
ante, ut respiciat quae volumus. Hinc qui oculos inunguimus quibus
specimus, specillum. 83. Ab auribus verba videntur dicta audio
et ausculto ; aures 1 ab aveo, 2 quod his avemus di(s)cere 3
semper, quod Ennius videtur ervfiov ostendere velle in Alexandro cum ait
: lam dudum ab ludis animus atque aures avent, Avide
expectantes nuntium. Propter hanc aurium aviditatem theatra replentur.
Ab audiendo etiam auscultare declinatum, quod hi § 82. 1 Added bp
Aug. 2 A. Sp., from Festus, 330 b 32 31., for uos. 3 31, Jxietus, for
didestspicio. 4 Canal, for specula. § 83. 1 3Iue., for audio.
2 Laetus, for abaucto. 3 Aug., for dicere. § 82. ° Annales,
421 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 148-149 Warm- ington ; given in better form by
Festus, 330 b 32 M. : Quos ubi rex (Ep)ulo spexit de cotibus (=cautibus)
celsis. Epulo was a king of the Istrians, who fought against the
Romans in 178-177 b.c. ; cf. Livy,xli. 1,4, 11. 6 Page 20 Regell. c
Page 17 Regell. § 83. Auris, audio, ausculto belong ultimately
together, 250 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
82-83 82. Spectare ' to see ' is said from the old word
specere, which in fact Ennius used a : After Epulo saw them,
and because in the taking of the auspices 6 there is a division into
those who have the spectio ' watch-duty ' and those who have not ; and
because in the taking of the auguries even now the augurs say c specere '
to watch ' a bird. Gammon practice even now keeps the compounds
made with prefixes, as aspicio ' I look at,' conspicio ' I observe,'
respicio ' I look back at,' suspicio ' I look up at,' despicio ' I look
down upon,' and similarly others ; in which group is also expecto '
I look for, expect ' that which I wish spectare ' to see.' From
this, speculor ' I watch ' ; from this, speculum ' mirror,' because in it
we specimus ' see ' our image. Specula ' look-out,' that from which we
prospicimus ' look forth.' Speculator ' scout,' whom we send ahead,
that he respiciat 1 may look attentively ' at what we wish. From this,
the instrument with which we anoint our eyes by which we specimus '
see,' is called a specillum ' eye-spatula.' 83. From the aures
' ears ' seem to have been said the words audio ' I hear ' and ausculto '
I listen, heed ' ; aures ' ears ' from aveo a ' I am eager,' because
with these we are ever eager to learn, which Ennius seems to wish
to show as the radical in his Alexander, 1 * when he says : A
long time eager have been my spirit and my ears, Awaiting eagerly some
message from the games. It is on account of this eagerness of the
ears that the theatres are filled. From audire ' to hear ' is
derived also auscultare ' to listen, heed,' because they are said
but are not to be connected with aveo. 6 Trag. Rom. Frag. 34-35
Ribbeck'; R.O.L. i. 236-237 Warmington. 251
VARRO auscultare dicuntur qui auditis parent, a quo
dictum poetae : Audio, . 7 84. Ore edo, sorbeo,
bibo, poto. Edo a Graeco low, 1 hinc esculentum et esca edulia 2 ;
et quod Graece yei'eTcu, 3 Latine gustat. Sorbere, item bi- bere a vocis sono, ut fervere
aquam ab eius rei simili sonitu. Ab eadem lingua, quod irorov, potio,
unde poculum, potatio, repotia. 4 Indidem puteus, quod sic Graecum
antiquum, non ut nunc (f>peap dictum. 85. A manu manupretium 1 ;
mancipium, quod manu capitur ; (quod) 2 coniungit plures manus,
manipulus ; manipularis, manica. Manubrium, quod manu tenetur. Mantelium, ubi
manus terguntur. . . . 3 4 Aug. {quoting a friend), for aut. 5 B,
Laetus, for ob- scnlto. 6 L. Sp., for odoratur. 7 sic alia ab ore A.
Sp., for sic ab ore (Mue. deleted sic, and set ab ore at the begin-
ning of the next section). §84. 1 A Idus, for edon. 2 Canal; escae
edulia Aldus; for escaedulia. 3 Victorias, for geuete. 4 Aug.
(quot- ing a friend), for repotatio. § 85. 1 Victorius, for
mantur praetium. 2 Added by G, H. 3 Lacuna recognized by Aug.
e That is, with an changed to o, as if audor were the origin
of odor ; olor, with the well-known change of d to I, is not attested
elsewhere in Latin literature, but is found in the glosses and survives
in the Romance languages. These words belong together, but are not to be
grouped with audio. § 84. ° The etymological connexions are correct
(except for puteus ; cf. v. 25 note a), but the Latin words are
cognate auscultare who obey what they have heard ; from
which comes the poet's saying : I hear, but do not heed.
With the change of a letter are formed odor c or olor ' smell ' ;
from this, olet ' it emits an odour,' and odorari ' to detect by the
odour,' and odoratus ' perfumed,' and an odora ' fragrant ' thing, and
similarly other words. 84. a With the mouth edo ' I eat,' sorbeo '
I suck in,' 6160 ' I drink,' poto ' I drink.' Edo from Greek eSto '
I eat ' ; from this, esculentum ' edible ' and esca ' food ' and
edulia ' eatables ' ; and because in Greek it is yevtrat ' he tastes,' in
Latin it is gustat. Sorbere ' to suck in,' and likewise bibere ' to
drink,' from the sound 6 of the word, as for water fervere ' to boil ' is
from the sound like the action. From the same language, because
there it is — 6-ov ' drink,' is potio ' drink,' whence poculum ' cup,'
potatio ' drinking-bout,' repotia ' next day's drinking.' From the same
comes puteus ' well,' because the old Greek word was like this, and
not pcap as it is now. 80. From manus ' hand ' comes
manupretium ' workman's wages ' ; mancipium ' possession of pro-
perty,' because it capitur ' is taken ' mann ' in hand ' ; manipulus '
maniple,' because it unites several manus ' hands ' ; manipularis '
soldier of a maniple,' manica ' sleeve.' Manubrium ' handle,' because it
is grasped by the manus ' hand.' Mantelium ' towel,' on which the
manus ' hands ' terguniur ' are wiped.' . . . a with the Greek, not
derived from it. 6 These words are not onomatopoeic § 85. The
gap is serious : the subject matter shifts abruptly, and many appropriate
topics are missed, such as the actions of the feet, and some further
discussion of the distinctions among agere, facere, gerere, cf. §
77. 253 VARRO IX. 86. Nunc
primum ponam (de) 1 Censoriis Tabulis : Ubi noctu in templum
censor 2 auspicaverit atque de caelo nuntium erit, praeconi 3 sic
imperato 4 ut viros vocet : " Quod bonum fortunatum felix
salutareque siet 5 populo Ro- mano Quiritiiw* 6 reique publicae populi
Romani Quiritium mihique collegaeque meo, fidei magistratuique nostro
: omnes Quirites pedites armatos, privatosque, curatores omnium
tribuum, si quis pro se sive pro 1 altero rationem dari volet, voca 8
inlicium hue ad me." 87. Praeco in templo primum vocat, postea
de moeris 1 item vocat. Ubi ht 12 ex(qua)0ra(s>, 13 consules
praetores tribunosque plebis collegasque uos, 14 et in templo adesse
iubeas omnes 15 ; ac cum mittas, contionem avoces. 18 92. In
eodem Commentario Awquisitionis 1 ad ex- tremum scriptum caput edicti hoc
est : Item quod attingat qui de censoribus 2 classicum ad
comitia centuriata redemptum habent, uti curent eo die quo die comitia
erunt, in Arce classicus canat 3 circumque muros et ante privati huiusce
T. Quinti Trogi scelerosi ostium 4 canat, et ut in Campo cum primo luci
adsiet. 5 93. Inter id cum circum muros mittitur et cum
contio advocatur, interesse tempus apparet ex his quae interea fieri
mlicium 1 scriptum est ; sed ad comitiatum 2 vocatur populus ideo, quod
alia de causa hie magistratus non potest exercitum urbanum con-
§ 91. 1 Bergk, for orande sed. 2 Mommsen, for au- spiciis. 3 L.
Sp., for dum. 4 Sciop., for commeatum. 5 Kent ; praeco reum Aug. ;
for praetores. 6 Laetus, for portet. 7 Aug., with B, for cornicem. 8
Aldus, for cannat. ' Rhol., for colligam. 10 Mue., for rogis. 11
Victorius, for comitiae dicat. 12 Mue., for censeat. 13 Bergk ; exquiras
Mue.; for extra. 14 Sciop., for uos. 15 Sciop., for homines. 16 B, G,
Aug., for auoces. § 92. 1 Aug., with B, for acquisitionis. 2 Aug.,
with B, for decessoribus. 3 Victorius, for cannatum. 4 Sciop., for
hostium. 5 Sciop., for adsit et. § 93. 1 Aldus, for illicitum F 1
(illicium F 2 ). 2 Sciop., for comitia turn. § 91. a The
document is addressed to Sergius as quaestor. 6 Page 21 Regell.
"The northern summit of the Capito- 258 ON
THE LATIN LANGUAGE, VI. 91-93 91. You° shall give your
attention to the auspices, 4 and take the auspices in the sacred precinct
; then you shall send to the praetor or to the consul the favourable
presage which has been sought. The praetor shall call the accused
to appear in the assembly before you, and the herald shall call him
from the walls : it is proper to give this command. A horn-blower you
shall send to the doorway of the private individual and to the
Citadel," where the signal is to sound. Your colleague you shall
request that from the speaker's stand he proclaim an assembly, and that
the bankers shut up their shops.* You shall seek that the senators
express their opinion, and bid them be present ; you shall seek that
the magistrates express their opinion, the consuls, the praetors,
the tribunes of the people, and your colleagues, and you shall bid them
all be present in the temple ; and when you send the request, you shall
summon the gathering. 92. In the same Commentary on the Indictment,
at the end, this summing up of the edict is written : Likewise
in what pertains to those who have received from the censors the contract
for the trumpeter who gives the summons to the centuriate assembly, they
shall see to it that on that day, on which the assembly shall take place,
the trumpeter shall sound the trumpet on the Citadel and around the
walls, and shall sound it before the house-entrance of this accursed
Titus Quintius Trogus, and that he be present in the Campus Martius at
daybreak." 93. That between the sending around the walls
and the calling of the gathering some time elapses, is clear from those
things the doing of which in the meantime is written down as the inlicium
' imitation ' ; but the people is called to appear in the assembly
because for any other reason this magistrate cannot call together the
citizen-army of the City. The line. * These shops (c/. § 59 and
note), on both sides of the Forum, were to be closed during the trial of
Trogus. § 92. In early Latin, lux was normally masculine, as
in Plautus, Aul. 7-lS,Cist. 525, Capt. 1008 ; Terence, Adel. 841.
§ 93. a The praetor. 259 VARRO
vocare ; censor, consul, dictator, interrex potest, quod
censor 3 exercitum centuriato constituit quinquen- nalem, cum lustrare 4
et in urbem ad vexillum ducere debet ; dictator et consul in singulos
annos, quod hie exercitui imperare potest quo eat, id quod propter
centuriata comitia imperare solent. 94. Quare non est dubium, quin
1 hoc inlicium sit, cum circum muros itur, ut populus inliciatur ad
magis- tratus conspectum, qui (vi)ros 2 vocare 3 potest, in eum
locum unde vox ad contionem vocantis exaudiri possit. Quare una origine
illici et inlicis quod in Choro Pro- serpinae est, et pellexit, quod in
//ermiona est, cum ait Pacuius : Regni alieni cupiditas
Pellexit. Sic Elicii Iovis ara 4 in Aventino, ab
eliciendo. 95. Hoc nunc aliter fit atque olim, quod augur
consuli adest turn cum exercitus imperatur ac praeit quid eum dicere
oporteat. Consul augur(i) 1 imperare solet,
ut iralicium 2 vocet, non accenso aut praeconi. Id inceptum credo, cum non
adesset accensus ; et nihil intererat cui imperaret, et dicis causa
fieba(n)t 3 3 Laetus, for censorem. 4 Scaliger, for lustraret. § 94. 1
Vertranvus, for cum. 2 L. Sp., for qui ros. 3 Aldus, for uocari. 4 Victor
-ins, for iobis uisa ara. §95. 1 Victorius, for augur. 2 B, Laetus,
for is licium. 3 Aug., with B, for fiebat. 6 This
statement refers to the consul only ; the part de- fining the dictator's
powers seems to have fallen out of the text. § 94. "
Trag. Rom. Frag., page 272 Ribbeck 3, of an un- known poet ; unless
Chorus Proserpinae is a substitute name for Eumenides, a tragedy of
Ennius. " Trag. Rom. Frag., verses 170-171 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii.
226-227 Warmington. c A popular etymology only, since Jupiter could
hardly be 260 ON THE LATIN LANGUAGE, VI.
93-95 censor, the consul, the dictator, the interrex
can, because the censor arranges in centuries the citizen- army for
a period of five years, when he must cere- monially purify it and lead it
to the city under its standards ; the dictator and the consul do so
every year, 6 because the latter can order the citizen-army where
it is to go, a thing which they are accustomed to order on account of the
centuriate assembly. 91. Therefore there is no doubt that this is
the inUcium, when they go around the walls that the people may
inlici 1 be enticed ' before the eyes of the magistrate who has the
authority to call the men into that place from which the voice of the one
who is calling them to the gathering can be heard. There- fore there
come from the same source also illici 1 to be enticed ' and inlicis '
thou enticest,' which are in the Chorus of Proserpina, a and pellexit '
lured,' which is in the Hermiona, when Pacuvius says 6 :
Desire for another's kingdom lured him on. So also the altar
of Jupiter Elicius ' the Elicited ' on the Aventine, from elicere ' to
lure forth.' c 95. This is now done otherwise than it was of
old, because the augur is present with the consul when the
citizen-army is summoned, and says in advance the formulas which he is to
say. The consul regularly gives order to the augur, not to the assistant
nor to the herald, that he shall call the inlicium ' invitation.' I
believe that this was begun on an occasion when the assistant was not
present ; it really made no difference to whom he gave the order, and it
was for form's sake ' tricked ' ; according to G. S. Hopkins,
Indo-European deiwos and Related Words, 27-32, Elicius is a derivative of
liquere ' to be liquid,' and Jupiter Elicius is a rain-god.
261 VARRO quaedam neque item facta
neque item dicta semper. Hoc ipsum inlieium scriptum inveni in M. Iunii
Com- mentariis ; quod tamen (inlex apud Plautum in Persa est qui
legi non paret), 4 ibidem est quod illicit illex, (f)it quod 5 (I) 6 cum
E et C cum G magnam habet co(m)munitatem. X. 96. Sed quoniam
in hoe de paucis rebus verba feci plura, de pluribus rebus verba faciam
pauca, et potissimum quae in Graeea lingua putant Latina, ut
sealpere a o-KaAeveiv, 1 sternere a a-rpwvvf.iv, 2 lingere a Xixfiaadai?
i ab W(t), i ite ab Ttc, 5 gignitur toris. 6 Non reprehendendum igitur in
illis qui in scrutando verbo litteram adiciunt aut demunt, quo 7
facilius quid sub ea voce subsit viden' 8 possit : ut* enim facilius
obscuram operam (M)yrmecidw 10 ex 1 The lost heading is restored
after that of Book VI. 2 F contains this statement of loss; B and the
Leipzig codex contain an interpolated beginning : Temporum vocabula
et eorum quae coniuncta sunt, aut in agendo fiunt, aut cum tempore
aliquo enuntiantur, priore libro dixi. In hoc dicam de poeticis vocabulis
et eorum originibus, in quis multa difficilia : nam, after which comes
repens ruina aperuit. 266 MARCUS TERENTIUS
VARRO'S ON THE LATIN LANGUAGE BOOK VI ENDS, AND HERE
BEGINS BOOK VII AT THIS POINT, IN THE MODEL COPY, ONE LEAF
IS LACKING, ON WHICH IS THE BEGINNING OF BOOK VII I. 1. The
words of the poets are hard to expound. For often some meaning that was
fixed in olden times has been buried by a sudden catastrophe, or in a
word whose proper make-up of letters is hidden after some elements
have been taken away from it, the intent of him who applied the word
becomes in this fashion quite obscure. There should be no rebuking then
of those who in examining a word add a letter or take one away,
that what underlies this expression may be more easily perceived : just
as, for instance, that the eyes may more easily see Myrmecides'
indistinct § 1. 1 Proposed by A. Sp., as the most probable
indication of what immediately preceded. * Turnebus, for aperuit. s
A. Sp., for ut. * Turnebus, for sit. 5 Aldus, 11, for obscurius. 6
Victorius, for in posterioris. 7 Turnebus, for quid. 8 L. Sp., for
uidere. ' Victorius, for et. 10 L. Sp. ; Myrmetidis Aldus ; for yrmeci
dum. 267 VARRO ebore oculi
videant, extrinsecus admovent nigras setas. 2. Cum haec
amminicula addas ad eruendum voluntatem impositoris, tamen latent multa.
Quod si poetice (quae) 1 in carminibus servant 2 multa prisca quae
essent,sic etiam cur essent posuisset^yecundius 4 poemata ferrent fructum
; sed ut in soluta oratione sic in poematis verba (non) 5 omnia quae
habent 8 ervfxa possunt dici, neque multa ab eo, quern non erunt in
lucubratione litterae prosecutae, multum licet legeret. AeliV hominis in primo in litteris Latinis
exercitati interpretationem Carminum Salio- rum videbis et exili littera
expedita(m) 8 et praeterita obscura 9 multa. 3. Nec mirum,
cum non modo Epemenides 1 (s)opor(e) 2 post annos L experrectus a multis
non cognoscatur, sed etiam Teucer Livii post XV annos ab suis qui
sit ignoretur. At 3 hoc quid ad verborum poeticorum aetatem ? Quorum si
Pompili regnum fons in Carminibus Saliorum neque ea ab superioribus
§ 2. 1 Added by L. Sp.
2 Victorius, for servabit. 3 Victorius, for posuissent. 4 Laetns, for
secundius. 6 Added by line. 6 For haberent. 7 H, B, Ed. Veneta, for
helii. 8 Laetus, for expedita. 9 For praeteritam obscuram.
§3. 1 Aug., icith B, for Epamenidis. 2 GS., for opos. 3 Victorius,
for ad. § 1. ° Cf. ix. 108 ; his carvings were so tiny that
the detail in the white ivory could be seen only against a black
background. §3. ° A Cretan poet and prophet, reputed to have
cleansed Athens of a plague in 596 b.c According to one story, in
his boyhood he went into a cave to escape the noonday sun, and fell
into a sleep that lasted fifty-seven years. When he awoke,
268 OX THE LATIN LANGUAGE, VII. 1-3
handiwork in ivory, men put black hairs behind the objects.
2. Even though you employ these tools to unearth the intent of him
who applied the word, much remains hidden. But if the art of poesy, which
has in the verses preserved many words that are early, had in the
same fashion also set down why and how they came to be, the poems would
bear fruit in more pro- lific measure ; unfortunately, in poems as in
prose, not all the words can be assigned to their primitive
radicals, and there are many which cannot be so assigned by him whom
learning does not attend with favour in his nocturnal studies, though he
read pro- digiously. In the interpretation of the Hymns of the
Saltans, which was made by Aelius, an outstanding scholar in Latin
literature, you will see that the inter- pretation is greatly furthered
by attention to a single poor letter, and that much is obscured if such a
letter is passed by. 3. Nor is this astonishing : for not
only were there many who failed to recognize Epimenides ° when he
awoke from sleep after fifty years, but even Teucer's own family, in the
play of Livius Andronicus, 6 do not know who he is after his absence of
fifteen years. But what has this to do with the age of poetic words
? If the reign of Numa Pompilius c is the source of those in the
Hymns of the Saltans and those words were not received from earlier
hymn-makers, they are none the everything was changed ; his younger
brother had become an old man. * Livius Andronicus, T rag. Rom. Frag.,
page 7 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 14-15 Warmington. Teucer, son of
Telamon king of Salamis, was absent from home during the Trojan War, and
again during his exile after his return from that war. e Second king of
Rome, founder of the Salian priesthood. 269
VARRO accepta, tamen habent DCC annos. Quare cur
scriptoris industriam reprehendas qui herois tritavum, atavum non
potuerit reperire, cum ipse tui tritavi matrem dicere non possis ? Quod intervallum multo tanto propius nos, quam
hinc ad initium Saliorum, quo Romanorum prima verba poetica dicunt
Latina. 4. Igitur de originibus verborum qui multa dix- erit
commode, potius boni consulendum, quam qui aliquid nequierit
reprehendendum, praesertim quom dicat etymologice 1 non omnium verborum
posse dici causa 2 natura in caelo, ab auspiciis in terra, a
similitudine sub terra. In caelo te(m)plum dicitur, ut in .Hecuba :
O magna templa caelitum, commixta stellis splendidis. In
terra, ut in Periboea : Scrupea saxea Ba(c)chi Templa prope
aggreditur. Sub terra, ut in Andromacha : Acherusia
templa alta Orci, salvete, infera. 7. Quaqua 1 initi erat 2 oculi,
a tuendo primo templum dictum : quocirca caelum qua attui- mur
dictum templum ; sic : Contremuit templum magnum Iovis
altitonantis, 2 Sciop., for excidit. § 6. 1 Groth, with V, p, for
auspicendo. 2 Added by L. Sp. % 7. 1 Aug., for quaquia. 2
Sciop., for initium erat. § 6. ° Said of Romulus, by Ennius,
Ann. 65-66 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 22-23 Warmington ; quoted without templa
by Ovid, Met. xiv. 814 and Fast. ii. 487. » Properly a ' limited
space,' for divination or otherwise ; from the root tern- 'cut.' c Page
18 Regell. d That is, likeness to a templum in the sky or on the earth. '
Ennius, Trag. Rom. Frag. 163 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 292-293
Warmington. 272 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
5-7 that if any word lies outside this fourfold division, I
shall still include it in the account. 6. I shall begin from this
: One there shall be, whom thou shalt raise up to sky's azure
temples." Templum 6 ' temple ' is used in three ways, of
nature, of taking the auspices, 6 from likeness d : of nature, in
the sky ; of taking the auspices, on the earth ; from likeness, under the
earth. In the sky, templum is used as in the Hecuba e : O
great temples of the gods, united with the shining stars. On
the earth, as in the Periboea f : To Bacchus' temples aloft
On sharp jagged rocks it draws near. Under the earth, as in
the Andromacha : Be greeted, great temples of Orcus, By
Acheron's waters, in Hades. 7. Whatever place the eyes had iniuiti
' gazed on,' was originally called a templum ' temple,' from tueri
' to gaze ' ; therefore the sky, where we attuimur ' gaze at ' it, got
the name templum, as in this ° : Trembled the mighty temple
of Jove who thunders in heaven, ' Pacuvius, Tray. Rom. Frag.
310 Ribbeck*; R.O.L. ii. 278- 279 Warmington ; anapaestic; said of a
Bacchic rout. ' Ennius, Trag. Rom. Frag. 70-71 Ribbeck*; R.O.L. i.
254- 255 Warmington ; anapaestic ; quoted more fully by Cicero,
Tusc. Disp. i. 21. 48. §7. "Ennius, Ann. 541 Vahlen*; R.O.L.
i. 450-451 Warmington. vol. i T 273
VARRO id est, ut ait Naevius,
HemispAaerium 3 ubi conca* Caerulo 6 septum stat. Eius templi partes quattuor dicuntur, sinistra
ab oriente, dextra ab occasu, antica ad meridiem, postica ad
septemtrionem. 8. In terris dictum templum locus augurii aut
auspicii causa quibusdam conceptis verbis finitus. Concipitur verbis non
isdem 1 usque quaque ; in Arce sic : Tem tescaque 2 me ita
sunto, quoad ego- ea rite 3 lingua 4 nuncupavero. Olla t'er(a) 6 arbos quirquir
est, quam me sentio dixisse, templum tescumque me esto 6 in
sinistrum. Olla ver(&} 7 arbos quirquir est, quam 6 me
sentio dixisse, te(m)plum tescumque me esto 6 (in) 9 dextrum.
Inter ea conregione conspicione
cortumione, utique ea (rit)e dixisse me 10 sensi. 9. In hoc
templo faciundo arbores constitui fines apparet et intra eas regiones qua
oculi conspiciant, id 3 Turnebns, B, for hiemisferium. 4 Mue., for conca. 6
For cherulo. §8. 1 Mue., for hisdem. 2 Turnebus,for item
testaque. 3 ea rite L. Sp., for eas te. 4 Victorius, p, for
linquam. 6 Kent, for ullaber. 6 tescum Turnebus, -que me Fay, esto
Scaliger and Turnebns, for tectum quern festo. 7 Kent, for ollaner. 6
Mue., for quod. . 9 Added by B, Laetus. 10 L. Sp., ; ea dixisse me Sciop.
; for ea erectissime. b An uncertain fragment, not listed in
the collections of the fragments of Naevius. c Cf. p. 18 Regell.
§ 8. Page 18 Regell. 6 Text and translation both very problematic.
I take me as dative (cf Fest. 160. 2) ; regard quirquir as equal to
quisquis, either by manuscript corruption or with rhotacism in the phrase
quisquis est, 274 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
7-9 that is, as Naevius says, 6 Where land's
semicircle lies, Fenced by the azure vault. Of this temple c
the four quarters are named thus : the left quarter, to the east ; the
right quarter, to the west ; the front quarter, to the south ; the
back quarter, to the north. 8. On the earth, templum is the
name given to a place set aside and limited by certain formulaic
words for the purpose of augury a or the taking of the auspices. The
words of the ceremony are not the same everywhere ; on the Citadel, they
are as follows 6 : Temples and wild lands be mine in this
manner, up to where I have named them with my tongue in proper
fashion. Of whatever kind that truthful' tree is, which I
con- sider that I have mentioned, temple and wild land be mine to
that point on the left. Of whatever kind that truthful tree is,
which I consider that I have mentioned, temple and wild land be mine
to that point on the right. Between these points, temples and
wild lands be mine for direction, for viewing, and for interpreting, and
just as I have felt assured that I have mentioned them in proper
fashion. 9. In making this temple, it is evident that the
trees are set as boundaries, and that within them the regions are set
where the eyes are to view, that is we becoming quisquir est (so
Fay, Amur. Journ. Phil. xxxv. 253) ; take as datives the three words in
-one in the last sentence (meanings, vii. 9), supplying after them
templa tescaque me sunto. For meaning of tescum, cf. vii. 10-11. '
That is, lending itself to true predictions through the auspices.
275 VARRO est tueamur, a quo
templum dictum, et contemplare, ut apud Ennium in Medea :
Contempla et templum Cereris ad laevam aspice. Contempla et
conspicare id(em) 1 esse apparet, ideo dicere turn, cum te(m)plum 2
facit, augurem con- spicione, qua oculorum conspectum fmiat. Quod
cum dicunt conspicionem, addunt cortumionem, dicitur a cordis visu : cor
enim cortumionis origo. 10. Quod addit templa ut si(n)t 1 tesca, 2
aiunt sancta esse qui glossas scripserunt. Id est falsum : nam
Curia Hostilia templum est et sanctum non est ; sed hoc ut putarent aedem
sacram esse templum, . 14 Quare haec quo(d) tesca dixit, non
erravit, neque ideo quod sancta, sed quod ubi mysteria fiunt
at- tuentur, 15 tuesca dicta. 12. Tueri duo significat, unum
ab aspectu ut dixi, unde est Ennii 1 illud : Tueor te, senex
? Pro Iupiter
! § 11. 1 Laetus, for ut. 2 Aldus, for philocto etatem.
3 Aldus, for appones (cf. adportas Festus, 356 a 26 31.). 4
Added by Mue. 6 Aug., with B, for prest olitor a rarat. 6 For teues. 7
Aldus, for castris. 8 For uolgania. 9 Added by Ribbeck. 10 Aug., with B,
for lumine. 11 Vertranius {from Cicero, Tusc. ii. 10. .23), for
ignes. 12 Aldus, for clauet. 13 Added by Victorius (from
Cicero, I.e.). 14 Turnebus (from Cicero, I.e.), for diuis. 15 Mue..
for aut tuentur. § 12. 1 Sciop., for enim. § 11.
» Trag. Bom. Frag. 554 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 514- 515 Warmington. 6
Trag. Bom. Frag. 525-534 Ribbeck 3 ; 278 ON THE LATIN
LANGUAGE, VII. 11-12 11. For there is the following in
Accius, in the Philoctetes of Lemnos a : What man are thou,
who dost advance To places desert, places waste ? What sort
of places these are, he indicates when he says 6 : Around you
you have the Lemnian shores, Apart from the world, and the high-seated
shrines Of Cabirian Gods, and the mysteries which Of old were
expressed with sacrifice pure. Then : You see now the
temples of Vulcan, close by Those very same hills, upon which he is
said To have fallen when thrown from the sky's lofty sill. e
And : The wood here you see with the smoke gushing
forth, Whence the fire — so they say — was secretly brought To
mankind.* Therefore he made no mistake in calling these lands
tesca, and yet he did not do so because they were con- secrated ; but
because men attuentur ' gaze at ' places where mysteries take place, they
were called tuesca. 6 12. Tueri has two meanings, one of ' seeing '
as I have said, whence that verse of Ennius ° : I really see
thee, sire? Oh Jupiter ! R.O.L. ii. 506-507 Warmington ;
anapaestic. e He fell on Lemnos, as related in Iliad, i. 590-594. d This
last portion is quoted by Cicero, Tusc. Disp. ii. 10. 23, who
continues with a summary of the story of Prometheus. * Varro means
that tesca is for tuesca, waste or wild land where men may look at
(attueri) celebrations of religious mysteries : an incorrect
etymology. § 12. ° Trag. Rom. Frag. 335 Ribbeck 8 ; R.O.L. i. 290- 291
Warmington. 279 VARRO Et
: Quis pater aut cognatus volet vos 2 contra tueri ?
Alterum a curando ac tutela, ut cum dicimus " vellet 3 tueri
villain," a quo etiam quidam dicunt ilium qui curat aedes sacras
cedituum, non aeditamuiw ; sed tamen hoc ipsum ab eadem est profectum
origine, quod quern volumus domum curare dicimus " tu domi
videbis," ut Plautus cum ait : Intus para, cura, vide. Quod opus(t> 5 flat.
Sic dicta vestis(pi)ca,* quae vestem spiceret, id est videret
vestem ac tueretur. Quare a tuendo et templa et tesca dicta cum
discrimine eo quod dixi. 13. Etiam indidem illud EnmV 1 :
Extemplo acceptam 2 me necato 3 et filiam. 4 Extemplo enim est
continuo, quod omne te(m)plum esse debet conti(nu)o septum nec plus unum
in- troitum habere. 2 Aug., with B, for nos. 3 Ellis, for
bell . . et {vacant space for two letters). 4 For aeditomum. 6 From
Plautus, Men. 352, for quid opus. 6 Aldus, for vestisca. § 13. 1
Scaliger, for enim. 2 Voss, for acceptum. 3 Scaliger, for negato. 4
Bothe,for filium / cf. Euripides, Hecuba, 391. » Ann.
463 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 172-173 Warmington. * Aeditumus is original,
with the second part of uncertain origin. d Varro compares the two
meanings of tueri with the two meanings of videre, ' to see ' and ' to
see after, care for.' * Men. 352. And 6 : Who
will now wish, though father or kinsman, to look on your faces ?
The other meaning is of ' caring for ' and tutela ' guardianship,'
as when we say " I wish he were will- ing tueri ' to care for ' the
farmhouse," from which some indeed say that the man who attends to
con- secrated buildings is an aedituus and not an aedi- tumus c ;
but still this other form itself proceeded from the same source, because
when we want some one to take care of the house we say " You will
see to d matters at home," as Plautus does when he says * :
Inside prepare, take pains, see to 't ; Let that be done, that's
needed. In this way the vestispica ' wardrobe maid ' was
named, who was spicere ' to see ' the vestis ' clothing,' that is,
was to see to the clothing and tueri 1 guard ' it. There- fore, both
temples and tesca ' wastes ' were named from tueri, with that difference
of meaning which I have mentioned. 13. Moreover, from the
same source comes the word in Ennius a : Extemplo take me,
kill me, kill my daughter too. For extemplo 6 ' on the spot ' is
continuo ' without in- terval,' because every templum ought to be
fenced in uninterruptedly and have not more than one
entrance. § 13. a Trag. Rom. Frag. 355 Ribbeck 3 ; R.O.L. i.
380- 381 Warmington; perhaps spoken by the captive Hecuba, who gave
her name to a tragedy by Ennius. 6 Templum denotes a limited portion of
time as well as of space ; in extemplo the application is to time.
281 VARRO 14. Quod est apud Accium :
Pervade polum, splendida mundi Sidera, bigis, (bis) 1 continues
) Se(x ex)pkti $ign\s,* polus Graecum, id significat circum
caeli : quare quod est pervade polum valet 3 vade irepl ttoXov.
Signa dicuntur eadem et sidera. Signa quod aliquid significent, ut
libra aequinoctium ; sidera, quae (qua)si 4 insidunt atque ita
significant aliquid in terris perurendo aliave 5 qua re : ut signum
candens in pecore. 15. Quod est : Terrarum anfracta
revisam, 1 anfractum est flexum, ab origine duplici dictum,
ab ambitu et frangendo : ab eo leges iubent in directo pedum VIII
esse (viam), 2 in anfracto XVI, id est in flexu. 16. Ennius : Ut tibi Titanis
Trivia dederit stirpem liberum. Titanis Trivia Diana est, ab eo dicta
Trivia, quod in § 14. 1 Added by Kent ; cf. GS., note. 2 Continui se
cepit spoliis F ; continuis sex apti signis Scaliger ; picti Ribbeck,
exceptis Fay, expicti Kent. 3 Victoritis, for valde. 4 quae quasi GS. ; quod quasi L. Sp. ; for quae
si. 5 A. Sp., for aliudue. § 15. 1 Aug., with B, for anfractare visum. 2
Added by GS ; following Sciop., who added viam after iubent.
§ 14. ° Trag. Rom. Frag. 678-680 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 572-573
Warmington ; anapaestic. The passage is appar- ently addressed to
Phaethon, but possibly to the Sun-God or to the Moon-God. The twelve
signs of the zodiac are con- ceived as taken by the Universe and worn by
it as a girdle. 6 Properly 1 white-hot ' ; the Roman poets often speak
of 282 ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 14-16
14. As for what is in Accius,° With thy team do thou
go through the sky, through the bright Constellations aloft,
which the universe holds, Adorned with its twice six continuous
signs, the word polus ' sky ' is Greek, it means the circle
of the sky : therefore the expression pervade polum ' traverse the sky '
means ' go around the -oAos.' Signa 1 signs of the zodiac ' means the
same as sidera ' constellations.' Signa are so called because they significant
' indicate ' something, as the Balance marks the equinox ; those are
sidera which so to speak in- sidunt ' settle down ' and thus indicate
something on earth by burning or otherwise : as for example a
signum candens ' scorching sign,' 6 in the matter of the flocks.
15. In the phrase Again of the land I shall see the
anfracta," anfractum means ' bent or curved,' being formed
from a double source, from ambitus ' circuit ' and frangere ' to
break.' Concerning this the laws 6 bid that a road shall be eight feet
wide where it is straight, and six- teen at an anfractum, that is, at a
curve. 16. Ennius says ° : As surely as to thee
Titan's daughter Trivia shall grant a line of sons. The Trivian
Titaness is Diana, called Trivia from the the flocks as being
burned by the heat of Canicula ' the Dog-star,' which is visible while
the sun is in the sign of Leo. § 15. • Accius, Trag. Rom. Frag. 336
Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 440-141 Warmington. 6 Cf. XII Tabulae, page
138 Schoell. § 16. ■ Trag. Rom. Frag. 362 Ribbeck*; R.O.L. i.
260- 261 Warmington. 283
VARRO trivio ponitur fere in oppidis Graecis, vel quod
luna dicitur esse, quae in caelo tribus viis movetur, in
altitudinem et latitudinem et longitudinem. Titanis dicta, quod earn
genuit, ut ai(t) 1 Plautus, Lato ; ea, ut scribit Manilius,
Est Coe(o> creata 2 Titano. Ut idem scribit :
Latona pari(e)t 3 casta complexu Iovis Deliadas 4 geminos,
id est Apollinem et Dianam. Dii, quod Titanis aX6si 1 :
/iellespontum et claustra. (Claustra), 2 quod Xerxes 3
quondam eum locum clausit : nam, ut Ennius ait, Isque
Hellespont*) pontem contendit in alto. Nisi potius ab eo quod Asia
et Europa ibi cow(c)ludi- t(ur> 4 mare ; inter angustias facit
Propontidis fauces. §19. 1 Ribbeck, for quid. 2 Ribbeck ; aequam pugnam Mue. ; aequom
palam Bothe ; for quam pudam. 3 Laetus, for his locis. § 20.
1 For piple. ide ( = id est) espiades, with h above the e of esp-.
§ 21. 1 Mue. ; Cassius Sciop. ; for quasi. 2 Added by Scaliger. 3
Bentinus, for exerses. 4 A. Sp. ; con- clude Ijaetus ; for
colludit. c Trag. Rom. Frag. 349 Ribbeck 3 ; R.O.L. i.
272-273 Warmington. d At the trial of Orestes for the murder of his
mother. §20. "Ennius, Ann. 1 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 2-3
War- mington ; opening the poem. * As home of the gods. c That is,
not merely the Greeks. a Pipleides or Pim- 288
OX THE LATIN LANGUAGE, VII. 19-21 In the verse of
Ennius, c Since the Areopagites have cast an equal vote,*
Areopagitae ' Areopagites ' is from Areopagus ; this is a place at
Athens. 20. Muses, ye who with dancing feet beat mighty
Olympus." Olympus is the name which the Greeks give to
the sky, b and all peoples c give to a mountain in Mace- donia ; it
is from the latter, I am inclined to think, that the Muses are spoken of
as the Olympiads : for they are called in the same way from other places
on earth the Libethrids, the Pipleids, d the Thespiads, the
Heliconids. e 21. In this phrase of Cassius, The Hellespont
and its barriers, claustra ' barriers ' is used because once on a time
Xerxes clausit ' closed ' the place by barriers b : for, as Ennius says,
c He, and none other, on Hellespont deep did fasten a
bridgeway. Unless it is said rather from the fact that at this
place the sea concluditur ' is hemmed in ' by Asia and Europe ; in
the narrows it forms the entrance to the Propontis. pleides. e
Respectively from Libethra, a fountain sacred to the Muses, near Libethmm
and Magnesia, in Mace- donia ; Pimpla, a place and fountain in Pieria, in
Mace- donia ; Thespiae, a town of Boeotia at the foot of Helicon ;
and Helicon, a mountain-range in Boeotia. §21. 8 Trag. Rom. Frag.
inc. inc. 106 Ribbeck* ; with the text as here emended, it belongs to
Cassius. * Cf. Herodotus, vii. 33-36. e Ann. 378 Vahlen*; R.O.L. i.
136-137 Warming-ton. vol. I U
289 VARRO 22. Pacui : Li 2
nos esse (Camenas). 2 Ca(s)menarum 3 priscum vocabulum ita natum ac
scriptum est alibi ; Carmenae ad eadem origine sunt declinatae. In multis
verbis in quo 4 antiqui dicebant S, postea dicunt R, ut in Carmine
Saliorum sunt haec : 10 This statement is in the margin of F,
opposite a blank space which amounts to one and one half pages.
§ 24. 1 Added by L. Sp. and by Bergk. 2 Mue., for infulas hostiis.
3 For sepulchrum. 4 L. Sp. and Rib- beck, for lanas. 6 L. Sp. and
Ribbeck, for frondentis comas. § 25. 1 GS. (cornutam umbram
L. Sp. ; cornutarum umbram Victor hi s ; iacit Scaliger), for cornua
taurum umbram iaci. § 26. 1 Scaliger, for curuamus ac (which
includes the last word of § 25). 2 Additions by Jordan. 3 Laetus,
for camenarum. 4 Later codd.,for quod F. § 24. a Trag.
Rom. Frag. inc. inc. 220-221 Ribbeck 3 . § 25. ° Trag. Rom. Frag.
inc. inc. 222 Ribbeck 3 . 6 Cornu and curvus are not connected
etymologically. § 26. a Ennius, Ann. 2 Vahlen 2 . 6 Perhaps of
Etruscan origin ; at any rate, not connected with canere ' to
sing.' c A spelling caused by association with carmen and Car-
292 ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 23-26
HERE OXE LEAF IS LACKING IX THE MODEL COPY III. 2 k ... it is
clear that agrestes ' rural ' sacrificial victims were so called from
ager ' field- land ' ; that infulatae ' filleted ' victims were so
called, because the head-adornments of wool which are put on them,
are infulae ' fillets ' : therefore then, with reference to the carrying
of leafy branches and flowers to the burial-place, he added a :
Decked not with wool, but with a hair-like shock of leaves.
25. The horned shadow lures the bull to fight. It is clear
that cornuta ' horned ' is said from cormia ' horns ' ; cornua is said
from curvor ' curvature,' because most horns are curva ' curved.' 6
26. Learn that we, the Camenae, are those whom they tell of
as Muses. Casmenae b is the early form of the name, when it
originated, and it is so written in other places ; the name Carmenae c is
derived from the same origin. In many words, at the point where the
ancients said S, the later pronunciation is R, d as the following in
the Hymn of the Saltans e : menta ; though no etymological
connexion with them exists. d The well-known phenomenon of rhotacism, the
change of intervocalic S to R. • Fragy. 2-3, pp. 332-335 Mauren-
brecher ; page 1 Morel. It is hazardous in the extreme to attempt to restore
and interpret the text of the Hymn. These sentences seem to invoke Mars
not as God of War, but in his old Italic capacity of God of Agriculture,
spoken of in several functions. It was the view of L. Spengel, approved
by A. Spengel, that this verbatim text of the Hymn was an inter-
polation, and that foedesum foederum of § 27 immediately followed in
Carmine Saliorum sunt haec. 293
VARRO Cozevi o6orieso. Omnia vero ad
Patulc(ium) co»imisse. Ianeus iam es, duonus Cerus es, du(o)nus Ianus.
Ven(i)es po(tissimu)m melios eum recum . . . 5 IIIC SPATIUM X
LINEARUM RELICTUM ERAT IN EXEMPLARI 6 27. . . . f(o)edesum
foederum, 1 plusima plu- rima, meliosem meliorem, asenam arenam,
ianitos ianitor. Quare e 2 Casmena
Carmena, 3 Carmena 4 R extrito Camena factum. Ab eadem voce
canite, pro quo in Saliari versu scriptum est cante, hoc versu
: Divum em pa 5 cante, divum deo supplicate. 6 28. In
Carmine Priami 1 quod est : Veteres Casmenas cascam rem volo profarier,
2 5 F has : Cozeulodori eso. Omnia uero adpatula coemisse.
ian cusianes duonus ceruses, dunus ianusue uet pom melios eum recum. This is here emended as
follows : Cozevi Havet ; oborieso Kent; Patulcium Kent, after Bergk ;
commissei Kent; Ianeus GS., cf Festus, 103. 11 31.; iam es Kent;
duonus Cerus es, duonus Ianus Bergk; ueniet V, venies Kent ; potissimum,
cf Festus, 205 all 31. 6 At this point, the remainder of the line and the
next four lines are vacant in F, with traces of writing in the last empty
line, which must have given the data for this statement, found in II and
a. §27. 1 For faederum. 2 A. Sp. ; ex Ursinus ; for e (=est).
3 Added by A. Sp. * A. Sp., for carmina carmen. 5 Bergk, for empta. 6
Grotefend, for sup- plicante. § 28. 1 At this point, the rest
of the page (three and one- third lines) remains vacant in F, but there
is no gap in the text. 2 Scaliger,for profari et. ' Cozevi,
voc. of Consivius (epithet of Janus, in Macrobius, Sat. i. 9. 15), with
NS developing to NTS as in Umbrian, the N not written before the
consonants (cf. Latin cosol for consul), and z having the value of ts, as
in the Umbrian 294 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
2&-28 O Planter God/ arise. Everything indeed have
I committed unto (thee as) the Opener." Now art thou the
Doorkeeper, thou art the Good Creator, the Good God of Beginnings.
Thou'lt come especi- ally, thou the superior of these kings * . . .
HERE A SPACE OF TEX LIXES WAS LEFT VACANT IX THE MODEL COPY *
27. . . . (In the Hymn of the Saltans are found such old forms as)
foedesum for foederum ' of treaties,' plusima for plurima ' most,'
meliosem for meliorem ' better,' asenam for arenam ' sand,' ianitos for
ianitor ° ' doorkeeper.' Therefore from Casmena came Car- viena,
and from Carmena, with loss of the R, came Camena. b From the same
radical came canite ' sing ye,' for which in a Salian verse c is written
cante, and this is the verse : Sing ye to the Father d of the
Gods, entreat the God of Gods.* 28. In The Song of Priam
there is the following ° : I wish the ancient Muses to tell a story
old. alphabet. 9 Epithet of Janus, in Macrobius, Sat. i. 9.
15. * The god is addressed as more powerful than all earthly lords,
whether kings or (perhaps) priests. The gen. plural eum, equal to eorum.
is elsewhere attested. ' The vacant lines in the model copy may have
represented more of the text of the Hymn, too illegible to copy.
§ 27. a Fragg. 4, 7, 20, 26, 27, pages 335, 339, 347, 349
Maurenbrecher. Ianitos is an incorrect form, since the word had an
original R ; but all the other words have R from earlier S. » Cf. § 26,
note 6. e Frag. 1, page 331 Maurenbrecher ; page 1 Morel. * Here em pa
stands for in patrem ; so Th. Bergk, Zts.f. Altertumswiss. xiv. 138 =
Kleine Philol. Schriften, i. 505, relying on Festus, 205 all M., pa pro
parte (read patre) et po pro potissimum positum est in Saliari Carmine. *
Equal to ' father of the gods.' § 28. a Frag. Poet. Lat., page 29
Morel. 295 VARRO primum cascum
significat vetus ; secundo eius origo Safeina, quae usque radices in
Oscam linguam egit. Cascum vetus esse significat Ennius quod ait :
Quam Prisci casci populi tenuere 3 Latini. Eo magis Manilius quod
ait : Cascum duxisse cascam non mirabile est, Quoniam
cariosas 4 conficiebat nuptias. Item ostendit Papini epigrammation,
quod in adole- scentem fecerat Cascam : Ridiculum est, cum te
Cascam tua dicit arnica, 5 Fili(a> 6 Potoni, sesquisenex'
puerum. Die tu illam 8 pusam : sic net " mutua 9 muli "
: Nam vere pusns tu, tua arnica senex. 29. Idem ostendit quod
oppidum vocatur Casinum (hoc enim ab Sabinis orti Samnites tenuerunt) et
1 nostri etiam nunc Forum Vetus appellant. Item significat 2 in
Atellanis aliquot Pappum, senem quod Osci 3 casnar appellant.
3 Columna, for genuere. 4 L. Sp. and Lachmann, for carioras. 6
Laetus, B, for amici. 6 Popma, for fili. 7 Turnebus, for potonis es qui
senex. 8 Turnebus, for dicit pusum puellam. 9 Pantagatkus, for
mutuam. § 29. 1 L. Sp. deleted nunc after et. 2 For significant.
3 For ostii. * The native Latin word was canus 1
grey-haired,' from casnos, with the same root as in cascus, but a
different suffix. e Sabine was not a dialect of Oscan, but stood on an
equal footing with it. d Ann. 24 Vahlen 2 ; B.O.L. i. 12-13
Warmington. ' Frag. Poet. Lat., page 52 Morel. 1 Frag. Poet. Lat., page
42 Morel ; the poet's name is doubtful : Priscian, ii. 90. 2 K., calls
him Pomponius, and Bergk, Opusc. i. 88, proposes Pompilius. 9 Casca
was a male cognomen in the Servilian gens only ; for this reason
Potonius is rather to be taken as a jesting family name of the arnica. h
Pusum puellam (see crit. note) was origin- 296
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 28-29 First, cascum means ' old '
; secondly, it has its origin from the Sabine language, 6 which ran its
roots back into Oscan. c That cascum is ' old,' is indicated by the
phrase of Ennius a : Land that the Early Latins then held, the
long-ago peoples. It is even better shown in Manilius's
utterance e : That Whitehead married Oldie is surely no surprise
: The marriage, when he made it, was aged and decayed. It is
shown likewise in the epigram of Papinius/ which he made with reference
to the youth Casca : Funny it is, when your mistress tenderly calls
you her " Casca " 3 : Daughter of Rummy she, old
and a half — you a boy. Call her your " laddie " A ; for thus
there will be the mule's trade of favours ' : You're but a
lad, to be sure ; Oldie's the name for your girl. 29.
The same is shown by the fact that there is a town named Casinum, a which
was inhabited by the Samnites, who originated from the Sabines, 6 and
we Romans even now call it Old Market. Likewise in several Atellan
farces c the word denotes Pappus, an old man's character, because the
Oscans call an old man casnar. ally a marginal gloss to
pusam, since pusus had no normal feminine form ; cf. French la garqonne.
But the gloss crept into the text. ' Proverbial phrase, equal to ' tit
for tat,' or ' an eye for an eye.' § 29. A town of
southeastern Latium, on the borders of Samnium. b The Samnites and the
Sabines were separate peoples, but their names are etymologically
related, and so presumably were the two peoples. e Com. Rom. Frag,
inc. nom. vii. p. 334 Ribbeck 3 ; these farces were named from Atella, an
Oscan town in Campania a few miles north of Naples. 297
VARRO 30. Apud Lucilium : Quid tibi ego
ambages Ambiv(i) 1 scribere coner ? Profectum a verbo ambe, quod
inest in ambitu et ambitioso. 31. Apud Valerium Soranura
: Vetus adagio est, O Publi 1 Scipio, quod verbum usque eo
evanuit, ut Graecum pro eo positum magis sit apertum : nam id(em) est 2
quod Trapoi/xiav vocant Graeci, ut est : Auribus lupum teneo
; Canis caninam non est. Adagio est littera commutata a(m)bagio, 3 dicta
ab eo quod ambit orationem, neque in aliqua una re consistit sola.
(Amb)agio 4 dicta ut a(m)6ustum, 5 quo(d) 6 circum ustum est, ut ambegna
7 bos apud augures, quam circum aliae hostiae constituuntur.
32. Cum tria sint coniuncta in origine verborum quae sint
animadvertenda, a quo sit impositum et in quo et quid, saepe non minus de
tertio quam de primo dubitatur, ut in hoc, utrum primum una canis
§ 30. 1 Laetus, for
ambiu. § 31. 1 Abbreviated to P in F. 2 idem est Mve. ; idem
early edd., with later codd. ; for id est F. 3 Tvrnebus, for abagio. 4 L.
Sp. ; adagio Laetus ; for agio. 8 Aug., for adustum. 6 Laetus, M, for
quo. 7 Tvrnebus, with Festus, 4. 16 M., for ambiegna.
§ 30. ° 1281 Marx. 6 If the text is correctly restored, this is L.
Ambivius Turpio, famous stage director and actor of Caecilius Statius and
of Terence ; Lucilius puns on his name. c Equal to Greek a^i, and found
in Latin only as a prefix. § 31. "A little-known writer
of the second century b.c. ; Frag. Poet, Lat., page 40 Morel. b Adagio,
gen. -onis ; not 298 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
30-32 30. In Lucilius ° : Why should I try to
tell to you Roundway's * round- about speeches ? The word
ambages ' circumlocutions ' comes from the word ambe c ' round about,'
which is present in ambitus ' circuit ' and in ambitiosus ' going around
(for votes), ambitious.' 31. In Valerius of Sora a is the
following : It is an old adagio, 1 * Publius Scipio.
This word has gone out of use to such a,point that the Greek word
put for it is more easily understood : for it is the same as that which
the Greeks call Trapoifita ' proverb,' as for example : I'm
holding a wolf by the ears, c Dog doesn't eat dog-flesh. Now
adagio d is only ambagio with a letter changed, which is said because it
ambit ' goes around ' the dis- course and does not stop at some one thing
only." Ambagio resembles ambustum, which is ' burnt around,'
and an ambegna cow f in the augural speech, 9 which is a cow around which
other victims are arranged. 32. Whereas there are three things
combined which must be observed in the origin of words, namely from
what the word is applied, and to what, and what it is, often there is
doubt about the third no less than about the first, as in this case,
whether the word for dog in the singular was at first canis or canes
: the more usual adagium. e Terence, Phor. 506, etc. 4 Really
from ad ' thereto ' and the root of aio 'I say.' e That is, it applies
also to other things than that which it specifically mentions. ' ' Having
a lamb {agna) on each side.' 8 Page 17 Regell. 299
VARRO aut canes si^ 1 appellata : dicta enim apud
veteres una canes. Itaque Ennius scribit : Tantidem quasi
feta 2 canes sine dentibus latrat. Lucilius : Nequam et
magnus homo, laniorum immams 3 canes ut. Impositio unius debuit
esse canis, plurium canes ; sed neque Ennius consuetudinem illam sequens
repre- hendendus, nec is qui nunc dicit : Canis canina(m>
4 non est. Sed canes quod latratu 5 signum dant, ut signa canunt, canes
appellatae, et quod ea voce indicant noctu quae latent, latratus
appellatus. 33. Sic dictum a quibusdam ut una canes, una trabes :
(Trabes) 1 remis rostrata per altum. Ennius :
Utinam ne in nemore Pelio 2 securibiis Caesa accidisset abiegna ad
terram trabes, cuius verbi singularis casus rect«s 3 correptus 4 ac
facta trabs. § 32. 1 For sic. 2 For faeta. 3 Aug., with B, for immanes. 4
Laetus, for canina. 6 M, V,p, Laetus,for latratus. § 33. 1
Added by Colnmnn. 2 For polio. 3 Sciop., for recte. 4 Laetus, for
correctus. §32. ° Ann. 528 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 432-433
Warming- ton. 6 Her bark is worse than her bite, as a pregnant
bitch was proverbially harmless ; cf. Plautus, Most. 852, Tarn placidast
{ilia canis) quam feta quaevis. e 1221 300 ON
THE LATIN LANGUAGE, VII. 32-33 for in the older writers the
expression is one canes. Therefore Ennius writes the following, using
canes a : Barks just as loud as a pregnant bitch : but she's
toothless. 6 Lucilius also uses canes : Worthless man
and huge, like the monstrous dog of the butchers. When
applied to one, the word should have been cams, and when applied to
several it should have been canes ; but Ennius ought not to be blamed for
follow- ing the earlier custom, nor should he who now says :
Canis ' dog ' doesn't eat dog-flesh. But because dogs by
their barking give the signal, as it were, canunt ' sound ' the signals,
they are called canes ; and because by this noise they make known
the things which latent ' are hidden ' in the night, their barking is
called latratus. d 33. As some have said canes in the singular,
so others have said trabes ' beam, ship ' in the singular :
The beaked trabes is driven by oars through the waters.
Ennius used trabes in the following 6 : I would the trabes of
the fir-tree ne'er had fall'n To earth, in Pelion's forest, by the axes
cut ! But now the nominative singular of this word has lost a
vowel and become trabs. Marx. d Canis is not etymologically
connected with canere, nor tat rat us with latere. §33. °
Ennius, Ann. 616 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 458-459 Warmington. * Medea Exul,
Trag. Rom. Frag. 205- 206 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 312-313 Warmington; that
is, " would that the ship Argo had never been built."
301 VARRO 34. In Medo :
Caelitum Camilla, expectata advenis : salve, Aospita. Camilla(m) 1
qui glos(s)emata interpretati dixerunt administram ; addi oportet, in his
quae occultiora : itaque dicitur nuptiis camillus 2 qui cumerum 3 fert,
in quo quid sit, in ministerio plerique extrinsecus neim 1 :
Subulo quondam marinas propter astabat plagas. 2 Subulo dictus,
quod ita dicunt tibicines Tusci : quo- circa radices eius in Etr(ur)ia,
non Latio quaerundae. 3 36. Versibus quo(s) 1 olim Fauni 2 vatesque
canebant. Fauni dei Latinorum, ita ut et Faunus et Fauna sit
; hos versibus quos vocant Saturnios in silvestribus locis traditum
est solitos fari (futura, 3 a) 4 quo fando § 34.. 1 Mue., for
Camilla. 2 Turnebus, for scamillus. 3 Turnebus, for quicum merum. 4
Turnebus, for nectunc. 6 For casmillus. § 35. 1 Laetus, for
enim. 2 Mue., from Fest. 309 a 5 M., for aquas. 3 Victorius, for querunda
e. §36. 1 Aldus, for quo. 2 Laetus deleted et after Fauni,
following Cicero, Div. i. 50. 114, Brut. 18. 71, Orator, 51. 171. 3 Added
by Mue., from Serv. Dan. in Georg. i. 11. 4 Added by Aug.
§34. "Pacuvius, Trag. Rom. Frag. 232 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii.
256-257 Warmington. 6 Page 112 Funaioli. c Probably certain belongings of
the bride. d Identified with Hermes, the messenger of the gods, according
to Ma- crobius, Sat. iii. 8. 6. ' More probably Etruscan than Greek
: there were Etruscans on Lemnos, not far from Samothrace, which may
explain the use of the similar word 302 ON THE
LATIN LANGUAGE, VII. 34-36 34. In the Medus a :
Long awaited, Camilla of the gods, thou comest ; guest, all hail
! A Camilla, according to those who have interpreted 6
difficult words, is a handmaid assistant ; one ought to add, in matters
of a more secret nature : therefore at a marriage he is called a camillus
who carries the box the contents of which c are unknown to most of
the uninitiated persons who perform the service. From this, the
name Casmilus is given, in the Samothracian mysteries, to a certain
divine personage who attends upon the Great Gods. 6 poematis cum scribam ostendam.
37. Corpore Tartarino prognata Pallida virago. Tartarino dictj^m) 1
a Tartaro. Plato in IIII de fluminibus apud inferos quae sint in his unum
Tar- tarum appellat : quare Tartari origo Graeca. Paluda a
paludamentis. Haec insignia atque ornamenta militaria : ideo ad bellum
cum exit imperator ac lictores mutarunt vestem et signa incinuerunt,
palu- datus dicitur proficisci ; quae propter quod con- spiciuntur
qui ea habent ac fiunt palam, paludamenta dicta. 38. Plautus
: Epeum fumificum, qui legioni nostrae habet Coctum
cibum. Epeum fumificum cocum, ab Epeo illo qui dicitur ad
Troiam fecisse Equum Troianum et Argivis cibum curasse. 39.
Apud Naevium : Atque 1 prius pariet lucusta 2 Lucam bovem.
Luca bos elepAans ; cur ita sit dicta, duobus modis 5 Canal
and L. Sp., for antiquos. 6 Added by L.
Sp., cf. vi. 52. § 37. 1 Laetus, for dicta. § 39.
1 For at quae. 2 For lucustam. c This applies both to words and to
music. d Page 213 Funaioli. §37. "Ennius, Ann. 521
Vahlen 2 ; R.O.L. i. 96-97 Warmington; referring to Discordia, an
incarnation of chaos. b Phaedo, 112-113; in Thrasyllus' numbering of
Plato's dialogues, the Phaedo was the fourth in the first
tetralogy. But in Plato's account, Tartarus is not a river of Hades,
but the abyss beneath, into which all the rivers of Hades empty. c
Of unknown etymology ; not from palam. 304.
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 36-39 rates ' poets,' the
old writers used to give this name to poets from viere ' to plait ' c
verses, as I shall show when I write about poems. d 37. Born
of a Tartarine body, the w arrior maiden Paluda.
Tartarinum ' Tartarine ' is derived from Tartarus. Plato in his
Fourth Dialogue,* speaking of the rivers which are in the world of the
dead, gives Tartarus as the name of one of them ; therefore the origin
of Tartarus is Greek. Paluda c is from paludamenta, which are
distinguishing garments and adornments in the army ; therefore when the
general goes forth to war and the lictors have changed their garb
and have sounded the signals, he is said to set forth palu- datus '
wearing the pahdamentum.' The reason why these garments are called
paludamenta is that those who wear them are on account of them
conspicuous and are made palam ' plainly * visible. 38.
Plautus has this a : Epeus the maker of smoke, who for our army
gets The well-cooked food. Epeus fumificus ' the smoke-maker
' was a cook, named from that Epeus who is said to have made the
Trojan Horse at Troy and to have looked after the food of the Greeks.
6 39. In Naevius is the verse a : And sooner will a
lobster give birth to a Luca bos. Luca bos is an elephant ; why it is
thus called, I have § 38. Fab. inc. frag. 1 Ritschl. * Epeus is not
else- where said to have been a cook, though he is said to have
furnished the Atridae with their water supply. § 39. « Frag. Poet.
Jxit., page 28 Morel; R.O.L. ii. 72-73 Warmington. vol. I x
305 VARRO inveni scriptum. Nam et in
Cornelii Commentario erat ab Libycis Lucas, et in Vergilu 3 ab
Lucanis Lucas ; ab co quod nostri, cum maximam quadri- pedem quam
ipsi habercnt vocarent bovem et in Lucanis PyrrAi bello primum vidissent
apud hostis elep^antos, id est 4 item quadripedes cornutas (nam
quos dentes multi dicunt sunt cornua), Lucanam bovem quod putabant, Lucam
bovem appellasse(nt). 5 40. Si ab Libya dictae essent Lucae,
fortasse an pantherae quoque et leones non Africae bestiae
dicerentur, sed Lucae ; neque ursi potius Lucani quam Luci. Quare ego 1
arbitror potius Lucas ab luce, quod longe relucebant propter inauratos
regios clupeos, quibus eorum turn ornatae erant turres. 41.
Apud Ennium : Orator sine pace redit regique refert rem.
Orator dictus ab oratione : qui enim verba 1 haberet publice adversus eum
quo legabatur, 2 ab oratione orator dictus ; cum res maior erat
(act)iom', 3 lege- 3 For uirgilius. 4 Aug. deleted non after est. 5
O, H, Mue., for appellasse. § 40. 1 G, H, M, for ergo.
§41. 1 Sciop. deleted orationum after verba. 2 Seal i- ger, for
legebatur. 3 GS. (maior erat Turn.), for maiore ratione.
6 Cf. v. 150. " An otherwise unknown author; page 106
Funaioli. a Varro is wrong ; elephants' tusks are teeth. * Apparently
correct ; iAicanus was in Oscan Jsucans, pro- nounced Lucas by the
Romans, to which a feminine form Lnica was made. 306
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 39-41 found set forth by
the authors hi two ways. For in the Commentary of Cornelius 6 was the
statement that Lucas is from Libyci ' the Libyans,' and in that of
Ver- gilius, c that Lucas was from Lucani ' the Lucanians ' : from
the fact that our compatriots used to call the largest quadruped that they
themselves had, a bos ' cow ' ; and so, when among the Lucanians, in
the war with Pyrrhus, they first saw elephants in the ranks of the
enemy — that is, horned quadrupeds like- wise (for what many call teeth
are really horns riai. 1 Olli valet dictum illi ab olla et olio, quod
alterum comitiis cum recitatur a praecone dicitur olla centuria,
non ilia ; alterum apparet in funeribus indictivis, quo dicitur
Ollus leto 2 datus est, quod Graecus dicit ^jOy, id est
oblivioni. 43. Apud Ennium : Mensas constituit idemque
ancilia (primus. 1 Ancilia) 2 dicta ab ambecisu, quod ea arma ab
utraquc parte ut TTzracum incisa. 44. Libaque, 1 fictores, Argeos
et tutulatos. Liba, quod libandi causa fiunt. Fictores dicti a fin-
gendis libis. Argei ab Argis ; Argei fiunt e scir- peis, simulacra
hominum XXVII ; ea quotannis de § 42. 1 Victor his, for egria i. 2
For laeto. § 43. 1 Added by Scaliger. 2 Added by B, Laetns. § 44. 1
Victorius, for incisa saliba quae {which includes the end of § 43).
c Ann. 582 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 438-439 Warmington. § 42. °
Ann. 119 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43 Warmington ; a conversation between
Numa Pompilius and his adviser, the nymph Egeria. 6 Fest. 254 a 34 M.
inserts Quirts in this formula after ollus. c Of uncertain
etymology, but not from the Greek. § 43. ° Ann. 120 Vahlen 2
; R.O.L. i. 42-43 Warmington ; enumerating the institutions of Numa
Pompilius. 6 Of the priests ; cf. Livy, i. 20. e Cf vi. 22.
§44. "Ennius, Ann. 121 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 42-43 308
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 41-44 port, those
were selected for the pleading who could plead the case most skilfully.
Therefore Ennius says c : Spokesmen, learnedly
speaking. 42. In Ennius is this a : Olli answered
Egeria's voice, speaking softly and sweetly. Olli ' to him ' is the
same as Mi, dative to feminine olla and to mascuhne ollus. The one of
these is said by the herald when he announces at the elections "
Olla ' that ' century," and not Ma. The other is heard in the
case of funerals of which announcement is made, wherein is said
Ollus h ' that man ' has been given to letum e ' death,' which the
Greek calls XrjOrj, that is, oblivion. 43. In Ennius this verse is
found a : Banquets 6 he first did establish, and likewise the
shields c that are holy The ancilia ' shields ' were named from
their ambe- cisus ' incision on both sides,' because these arms
were incised at right and left like those of the Thracians.
44. Cakes and their bakers, Argei and priests with conical
topknots." Liba ' cakes,' so named because they are made
libare ' to offer ' to the gods. 6 Fictores ' bakers ' were so called
irom Jingere ' to shape ' the liba. Argei from the city Argos c : the
Argei are made of rushes, human figures twenty-seven d in number ; these
are each Warmington; continuing the list of Numa's
institutions. * Libare is derived from liba I c Etymology of Argei
and of tutulus quite uncertain. * On the number, see v. 45, note
a. 309 VARRO Ponte Sublicio a sacerdotibus
publice dezci 2 solent in Tiberim. Tutulati dicti hi, qui in sacris in
capitibus habere solent ut metam ; id tutulus appellatus ab eo quod
matres familias crines convolutos ad verticem capitis quos habent vit(ta}
3 velatos 4 dicebantur tutuli, sive ab eo quod id tuendi causa capilli
fiebat, sive ab eo quod altissimum in urbe quod est, Arcs, 5 tutis-
simum vocatur. 45. Eundem Pompilium ait fecisse flamines, qui
cum omnes sunt a singulis deis cognominati, in qui- busdam apparent
erv/xa, ut cur sit Martialis et Quiri- nalis ; sunt in quibus flaminum
cognominibus latent origines, ut in his qui sunt versibus plerique
: Volturnalem, Palatualem, Furinalem, Floralemqu^ 1 Falacrem
et PomonaJem fecit Hie idem, quae o(b>scura sunt ; eorum
origo Volturnus, diva Palatua, Furrina, Flora, Falacer pater, Pomona. 2 46. Apud Ennium : lam cata
signa ferae 1 sonitum dare voce parabant. Cata acuta : hoc enim
verbo dicunt Sa&ini : quare Catus Melius Sextus 2
Rhoh, for duci. 3 Mue. ; vittis
Popma ; for uti. 4 Laetus, for velatas. 5 For ares. § 45. 1
Mue., for floralem qui. 2 Turnebus, for pomo- rum nam. § 46.
1 So F ; but fera {agreeing with voce) Mue. " See § 44
note c. §45. "Ennius, Ann. 122-124 Vahlen 2 ; R.O.L. i.
44-45 Warmington. 6 The protecting spirit of the Palatine.
§46. Ann. 459 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 182-183 "Warming- ton.
"Ennius, Ann. 331 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 120-121 310
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 44-46 year thrown
into the Tiber from the Bridge-on-Piles, by the priests, acting on behalf
of the state. These are called tutulati ' provided with tutuli,' since
they at the sacrifices are accustomed to have on their heads
something like a conical marker ; this is called a tutulus from the fact
e that the twisted locks of hair which the matrons wear on the tops of
their heads wrapped with a woollen band, used to be called tutuli,
whether named from the fact that this was done for the purpose of tueri '
protecting ' the hair, or because that which is highest in the city,
namely the Citadel, was called tutissimum ' safest.' 45. He
says ° that this same Pompilius created the flamens or special priests,
every one of whom gets a distinguishing name from one special god : in
cer- tain cases the sources are clear, for example, why one is
called Martial and another Quirinal ; but there are others who have
titles of quite hidden origin, as most of those in these verses :
The Volturnal, Palatual, the Furinal, and Floral, Falacrine and
Pomonal this ruler likewise created ; and these are obscure. Their
origins are Volturnus, the divine Palatua, 6 Furrina, Flora, Father
Falacer, Pomona. 46. In Ennius is this verse ° :
Now the beasts were about to give cry, their shrill-toned
signals. In this, cata ' shrill-toned ' is acuta ' sharp or
pointed,' for the Sabines use the word in this meaning ; there-
fore Keen Aelius Sextus * Warmington ; Sextus Aelius
Paetus, consul 198, censor 194, a distinguished writer on Roman
law. 311 VARRO non, ut aiunt,
sapiens, sed acutus, et quod est : Tunc cepit memorare simul cata 2
dicta, accipienda acuta dicta. 47. Apud Lucilium :
Quid est P 1 Thynno capto co&ium 2 excludunt foras,
et Occidunt, Lupe, saperdae te 3 et iura siluri
et Sumere te atque amian. Piscium nomina sunt eorumque in Groecia origo.
48. Apud Ennium : Quae cava corpore caeruleo (c)orh'na
receptat. 1 Cava cortina dicta, quod est inter terram et caelum ad
similitudinem cortinae Apollinis ; ea a eorde, quod inde sortes primae
existimatae. 49. Apud Ennium
: Quin inde invitis sumpserwnt 1 perduellibus. 2 Bergk
filled out the verse by reading simul stulta et cata, Vahlen, by
proposing simul lacrimans cata. § 47. 1 L. Sp., for quidem. 2 Mue.,
for corium. 3 Turnebus, for lupes aper de te. § 48. 1
Mue. (following Turnebus in cava and cortina receptat, and Scaliger in deleting
in and caelo; he himself deleted que and transposed corpore cava), for
quaeque in corpore causa ceruleo caelo orta nare ceptat. §
49. 1 M, Laetus, for sumpserint. "Page 115 Funaioli. d
Ennius, Ann. 529 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 458-459 Warmington. §
47. a Respectively 938, 54, 1304 Marx. 6 Lucilius puns on iura, 'sauces '
and ' rights, justice,' and on Lupe, a man's name and also a kind of
fish. Respectively Ovwos ' tunny,' called horse-mackerel and tuna in
America ; Kw&og ' sand-goby,' a worthless fish ; o. 3
Roram 1 dicti ab rore qui bellum committebant, ideo quod ante rorat
quam plu«7. 4 Accensos 5 ministra- tores Cato esse scribit ; potest id
(ab censione, id est) 6 ab arbitrio : nam ide(m) 7 ad arbitrium
eius cuius minister. 59-
Pacuvius : Cum deum triportenta . . 60. In Mercatore :
Non tibi 1 istuc magis dividiaest 2 quam mihi hodie fuit.
(Eadem (vi) 3 hoc est in Corollaria Naevius (usus). 4 ) Dividia ab
dividendo dicta, quod divisio distractio est doloris : itaque idem in
Curculione ait : Sed quid tibi est ? — Lien enecat, 5 renes
dolent, Pulmones distrahuntur. § 58. 1 RhoL, for rorani. 2 F 2, for an F 1 . 3 Added
by Kent, to complete verse metrically. 4 H 2 and p, for plusti. 5 For
acensos F 1, adcensos F 2 . 6 Added by GS. 7 Brakmann, for inde.
§ 59. 1 Lacuna marked by Scaliger. § 60. 1 L. Sp. deleted in
mercatore non tibi, here repeated in F. 2 Aug., for diuidia est, from the
text of Plautus. 3 Added by GS. 4 Added by L. Sp. 5 b, for liene
negat. b That is, not to be retained in the hand during
use. § 58. a Plautus, Friv. frag. IV Ritschl. 6 Page 81. 14
Jordan. e For correct etymology, see vi. 89, note a. §59. a Trag.
Rom. Frag. 381 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 304- 320
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 57-60 empty and profitless
; or because those were called ferentarii cavalrymen who had only weapons
which ferrentur ' were to be thrown,' 6 such as a javelin.
Cavalrymen of this kind I have seen in a painting in the old temple of
Aesculapius, with the label "feren- tarii." 58. In
The Story of the Trifles a : Where are you, rorarii ? Behold,
they're here. Where are the accensi ? See, they're here.
Rorarii ' skirmishers ' were those who started the battle, named
from the ros ' dew-drops,' because it rorat ' sprinkles ' before it
really rains. The accensi, Cato writes, 6 were attendants ; the word may
be from censio ' opinion,' that is, from arbitrium ' de- cision,'
for the accensus c is present to do the arbitrium of him whose attendant
he is. 59- Pacuvius says a : When the gods' portents
triply strong . . . 60. In The Trader a : That's no more a
dividia to you than 'twas to me to-day. (This word was used by Naevius in
The Story of the Garland, b in the same meaning.) Dividia ' vexation
' is said from dividere ' to divide,' because the distractio '
pulling asunder ' caused by pain is a division ; therefore the same
author says in the Curculio e : But what's the matter ? — Stitch in
the side, an aching back, And my lungs are torn
asunder. 305 Warmington ; perhaps referring to portents of the
in- fernal deities. § 60. Plautus, Merc. 619. " Cam.
Rom. Frag. IX Ribbeck*. e Plautus, Cure. 236-237 ; literally, ' my
spleen kills me, my kidneys hurt me.' vol. 1 Y 321 VARRO 61.
In Pagone : Honos syncerasto peri(i>t, x pernis, gla stribula 1
(a)ut 2 de lumbo obscena viscera. 3 Stribula, ut Opil/us 4 scribit, circum
coxendices 5 sunt bovis e ; id Graecum est ab eius loci versura.
68. In (N)ervolaria 1 : Scobina 2 ego illu?i(c) 3 actutum
adrasi (s)enem. 4 Scobinam a scobe : lima enim
materia(e) 5 fabrilis est. 69. In Penulo : Vinceretis
cerium curs?* 1 vel gralatorem 2
gradu. 3 Gral(l)ator 2 a gradu 3 magno dictus. 70. In Truculento : Sine virtute argutum
civem mihi habeam pro praefica. (Praefica) 1 dicta, ut Aurelius scribit, mulier ab
luco quae conduceretur quae ante domum mortui laudis ' Added
by Mue., whose et was changed to ut by GS. § 67. 1 Buecheler, for
distribute. 2 Sciop., for ut. 3 Mue., for obscenabis cera, with o above
first e and v above second b, F 1 . 4 GS. (cf. vii. 50), for opilius. 5
Aldus, for coxa indices. 6 Sciop., for uobis. § 68. 1 Aldus,
for eruolaria. 2 Sciop., for scobinam. 3 A. Sp., metri gratia, for ilium.
4 Lachmann, for enim. 5 Canal, for materia. §69. 1 Aldus,
from Plautus, for circumcurso. 2 -1I-, from Festns, 97. 12 M. 3 Aldus,
from Plautus, for gradum. § 70. 1 Added by B, Aldus. c
Page 97 Funaioli. § 67. ° Plautus, Frag. 52 Ritschl. 6 Page 92
Funaioli. c Of uncertain etymology ; Festus, 313 a 34 M ., has
strebula, and calls it an Umbrian word. d Varro perhaps derived it
from Greek orpefiXos ' twisted.' 326 ON THE LATIN
LANGUAGE, VII. 66-70 Claudius c writes that women who make joint
en- treaties are clearly shown to be axitiosae ' united, unionist.'
Axitiosae is from agere ' to act ' : as fac- tiosae ' partisan women '
are named from facere ' doing ' something in unison, so axitiosae are
named from agere ' acting ' together, as though actiosae. 67.
In the Cesistio a : For the gods the thigh-meats or the lewd parts
from the loins. Stribula ' thigh-meats,' as Opillus 6 -
writes, are the fleshy parts of cattle around the hips ; the word c
is Greek, derived from the fact that in this place there is a
socket-joint. d 68. In The Story of the Prison Ropes a :
At once I with my rasp did scrape the old fellow clean.
Scobina ' rasp,' from scobis ' sawdust ' ; for a file belongs to a
carpenter's equipment. 69- In The Little Man from Carthage a
: You'd outdo the stag in running or the stilt-walker in
stride. Grallator ' stilt-walker ' is said from his great
gradus ' stride.' 70. In The Rough Customer a :
Although without a deed of bravery I may have A clear-toned citizen
as leader of my praise. Praefica ' praise-leader,' as Aurelius 6
writes, is a name applied to a woman from the grove of Libitina, 6
who was to be hired to sing the praises of a dead man in §
68. ° Plautus, Frag. 94 Ritschl. § 69. ° Plautus, Poen. 530.
§ 70. ° Plautus. True. 495. " Page 90 Funaioli. c Where the
wailing-women had their stand ; cf. Dionysius Halic iv. 15.
327 VARRO eius caneret. Hoc factitatum
Aristoteles scribit in libro qui (in)scribitur 2 No/xi/m (3apj3apiKa, 3
quibus testimonium est, quod (in) Freto est 4 Noevii : Haec
quidem hercle, opinor, praefica est : nam mortuum collaudat.
Claudius scribit : Quae praeficeretur ancillis,
quemadmodum lamentarentur, praefica est dicta. Utrumque
ostendit a praefectione praeficam dictam. 71. Apud Ennium :
Decern Coclites quas montibus summis Ripaeis fodere. 1
Ab oculo codes, ut ocles, dictus, qui unum haberet oculum :
quocirca in Curculione est : De Coclitum prosapia 2 esse
arbitror : Nam hi sunt unoculi. IV. 72. Nunc de temporibus
dicam. Quod est apud Cassium : Nocte intempesta nostram
devenit domum, intempesta nox dicta ab tempestate, tempestas
ab 2 Aug., with B, for scribitur. 3 Turnebus, for nomina
barbarica. 4 GS. ; Freto inest Canal ; for f return est. § 71. 1 a,
Ttirnebvs,for federe. 2 Added by Aug., from Plautus. d
Frag. 604, page 367 Rose. " Coin. Rom. Frag. 129 Ribbeck 3 ; R.O.L.
ii. 142-143 Warmington. 'Page 98 Funaioli. § 71. ° Sat. 67-68
Vahlen 2 ; R.O.L. i. 392-393 Warming- ton. The one-eyed Arimaspi of
northern Scythia (where the Rhipaean or Rhiphaean mountains were located)
were said to have taken much gold from their neighbours the Grypes
(or Griffins); cf. Herodotus, iii. 116, iv. 13, iv. 27, who
328 ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 70-72
front of his house. That this was regularly done, is stated by
Aristotle in his book entitled Customs of Foreign Nations d ; whereto
there is the testimony which is in The Strait of Naevius e :
Dear me, I think, the woman's a praefica : it's a dead man she is
praising. Claudius writes f : A woman who praeficeret
ur ' was to be put in charge ' of the maids as to how they should perform
their lamentations, was called a praefica. Both passages show
that the praefica was named from praefectio ' appointment as
leader.' 71. In Ennius we find ° : Treasures which ten of the
Coclites buried, High on the tops of Rhiphaean mountains. Codes
' one-eyed ' was derived from ociilus ' eye,' as though ocles, b and
denoted a person who had only one eye ; therefore in the Curculio c there
is this : I think that you are from the race of Coclites ;
For they are one-eyed. IV. 72. Now I shall speak of terms denoting
time. In the phrase of Cassius," By dead of night he
came unto our home, intempesta nox ' dead of night ' is derived
from tem- pestas, and tempestas from tempus ' time ' : a nox
quotes (with incredulity) from a poem by Aristeas of Procon- nesus.
Fodere = infodere. * Varro means, from co-ocles ' with an eye ' ; but the
word is derived from Greek kvkXcdi/i, through the Etruscan. e Plantus,
Cure. 393-394. § 72. ° Accius, Com. Rom. Frag. Praet. V, verse 41
Rib- beck 8 ; R.O.L. ii. 562-563 Warmington ; repeated from vi. 7,
where see note a on authorship. 329 VARRO
tempore ; nox intempesta, quo tempore nihil 1 agitur.
73. Quid noctis videtur ? — In altisono Caeli clipeo temo
superat Stellas sublime(n) 1 agens etiam Atque etiam noctis
iter. Hie multam noctem ostendere volt a temonis motu ; sed
temo unde et cur dicatur latet. Arbitror antiques rusticos primum notasse
quaedam in caelo signa, quae praeter alia erant insignia atque ad aliquem
usum, (ut) 2 culturae tempus, designandum convenire
animadvertebantur. 74. Eius signa sunt, quod has septem
Stellas Graeci ut Homcrus voca(n)t a/jui^ar 1 et propinquum eius
signum {3qwti)v, nostri eas septem Stellas (t)r(i)o«es 2 et temonem et
prope eas axem : triones enim et boves appellantur a bubulcis etiam
nunc, maxime cum arant terra??* 3 ; e quis ut dicti Valentes
glebarii, qui facile proscindunt glebas, sic omnes qui terram
arabant a terra terriones, unde triones ut dicerentur detrito.
4 75. Temo dictus a tenendo : is enim continet § 72. 1 For
nichil. §73. 1 Skutsch, after Buecheler, for sublime. 2 Added
by Mue. §74. 1 For AMA2AN. 2 L. Sp.,/or boues. 3 For terras.
4 A tig., for de tritu. §73. "Ennius, Trag. Rom. Frag. 177-180
Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 300-301 Warmington; freely adapted from Euri-
pides, Iphig. in Aid. 6-8; anapaestic. Cf. v. 19, above. 6 Signa in this
and the following seems to vary in meaning between ' signs = marks ' and
' signs = constellations.' § 74. " E.g., Od. v. 272-273. 6
Charles' Wain, or the Great Dipper ; and other parts of the constellation
Ursa 330 ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 72-75
intempesta ' un-timely night ' is a time at which no
activity goes on. 73. What time of the night doth it seem ? — In
the shield Of the sky, that soundeth aloft, lo the Pole Of
the Wain outstrippeth the stars as on high More and more it driveth its
journey of night." Here the author -wishes to indicate that
the night is advanced, from the motion of the Temo ' Wagon- Pole '
; but the origin of Temo and the reason for its use, are hidden. My
opinion is that in old times the farmers first noticed certain signs 6 in
the sky which were more conspicuous than the rest, and w T hich
were observed as suitable to indicate some profitable use, such as
the time for tilling the fields. 74. The marks of this one are,
that the Greeks, for example Homer, call these seven stars the Wagon
6 and the sign that is next to it the Ploughman, while our
countrymen call these seven stars the Triones ' Plough-Oxen ' and the
Temo ' Wagon-Pole ' and near them the Axis ' axle of the earth, north
pole * c : for indeed oxen are called triones by the ploughmen even
now, especially when they are ploughing the land ; just as those of them
which easily cleave the glebae ' clods of earth ' are called
Mighty glebarii ' clod-breakers,' so all that ploughed the
land were from terra ' land ' called terriones, so that from this they
were called triones, d with loss of the E. 75. Temo is
derived from tenere ' to hold ' ° : for it Major. e Or perhaps even
the Pole-Star itself. d Trio is a derivative of terere ' to tread,' cf.
perf. trivi and ptc. tritus. § 75. ° Wrong etymology.
331 VARRO iugum et plaustrum, appellatum a
parte 1 totum, ut multa. Possunt triones dicti, VII quod ita sitae
stellae, ut ternae trigona faciant. 76. Aliquod lumen — iubarne ? — in caelo cerno.
Iubar dicitur stella Lucifer, quae in summo quod habet lumen
diffusum, ut leo in capite iubam. Huius ortus significat circiter esse
extremam noctem. Itaque ait Pacuius : Exorto iubare, noctis
decurso itinere. 77. Apud Plautum in Parasito Pigro :
Inde hie bene potus 1 primo 2 crepusculo. Crepusculum ab
Saftinis, et id dubium tempus noctis an diei sit. Itaque in Condalio est :
Tarn crepusculo, ferae 3 ut amant, lampades accendite. Ideo
(d)ubiae res 4 creperae dictae. 78. In Trinummo :
Concubium sit noctis priusquam (ad) 1 postremum perveneris.
Concubium a concubitu dormiendi causa dictum. § 75. 1 B, Laetus,for
aperte. § 77. 1 Pius, for de nepotus. 2 Scaliger, for primo.
3 Buecheler, for fere. 4 Laetus, for ubi heres. § 78. 1 Added by Aug.,
from Plautus. 6 Wrong etymology. § 76. ° Ennius, Trag.
Rom. Frag. 336 Ribbeck 3 ; R.O.L. i. 226-227 Warmington; cf. vi. 6 and
vi. 81. 6 Iubar and iuba are not etymologically connected. c That is,
shortly before sunrise, when it is visible in the eastern sky. d
Trag. Rom. Frag. 347 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 320-321 Warmington : cf. vi.
6. 332 ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 75-78
continet ' holds together ' the yoke and the cart, the whole being
named from a part, as is true of many things. The name triones may
perhaps have been given because the seven stars are so placed that
the sets of three stars make triangles. 1 * 76. I see some
light in the sky — can it be dawn ? ° The morning-star is called
iubar, because it has at the top a diffused light, just as a lion has on
his head a tuba ' mane.' 6 Its rising c indicates that it is about
the end of the night. Therefore Pacuvius says d : When morning-star
appears and night has run her course. 77. Plautus has this in
The Lazy Hanger-on a : From there to here, right drunk, he came, at
early dusk. Crepusculum ' dusk ' is a word taken from the
Sabines, and it is the time when there is doubt whether it belongs
to the night or to the day. 6 Therefore in The Finger-Ring there is this
c : So at dusk, the time when wild beasts make their love,
light up your lamps. Therefore doubtful matters were called
creperae. b 78. In The Three Shillings ° : General
resting time of night 'twould be, before you reached its end.
Concubium ' general rest ' is said from concubitus ' general
lying-down ' for the purpose of sleeping. 6 § 77. ° Frag. I, verse
107 Ritschl. * Cf. vi. 5 and notes. e Plautus, Frag. 60 Ritschl.
§ 78. a Plautus, Trin. 8S6 ; that is, " if I should try to
tell you my name." * Cf. vi. 7 and
note c. 333 VARRO 79. In
Asinaria : Videbitur, factum volo : redito 1 conticim'o. 2 Putem a
conticiscendo conticinn/m 3 sive, ut Opil/us 4 scribit, ab eo cum
conticuerunt homines. V. 80. Nunc de his rebus quae assignificant ali-
quod tempus, cum dicuntur aut fiunt, dicam. Apud Accium :
Reciproca tendens nervo equino concita Tela. Reciproca
est cum unde quid profectum redit eo ; ab recipere reciprocare Actum, aut
quod poscere procare 1 dictum. 81. Apud Plautum :
Ut 1 transversus, 2 non proversus cedit quasi cancer solet.
(Proversus) 3 dicitur ab eo qui in id quod est (ante, est) 4
versus, et ideo qui exit in vestibulum, quod est ante domum, prodire et
procedere ; quod cum lerao 5 non faceret, sed secundum parietem
transversus iret, § 79. 1 A. Sp. ; redito hue Vertranius, from Plautus ;
at redito Rhol. ; for ad reditum. 2 Laetus, for conticinno. 3
Laetus, for conticinnam. 4 GS.,for o pilius ; cf. vii. 50, vii. 67.
§ 80. 1 B, Aldus, for prorogare. § 81. 1 Bentinus,for aut. 2
Aug., for transuersum ; the mss. of Plautus have non prorsus uerum ex
transuerso cedit ... 3 Added by L. Sp. 4 Added by Christ. 5 Aldus,
for lemo. § 79. Plautus, Asin. 685 ; where the text is
redito hue. Cf. vi. 7. 6 Page 88 Funaioli. § 80. a That is,
words of actions, whether or not they are verbs. 6 Philoctetes, Trag.
Rom. Frag. 545-546 Ribbeck 3 ; Ji.O.L. ii. 512-513 Warmington. Reciproca
tela is properly 334 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
79-81 79- In The Story of the Ass there is this verse a
: I'll see to it, I wish it done ; come back at conticinium.
I rather think that conticinium ' general silence ' is from
conticiscere ' to become silent,' or else, as Opillus 6 writes, from that
time when men conticuerunt ' have become silent.' V. 80. Now
I shall speak of those things which have an added meaning of occurrence
at some special time, when they are said or done. In Accius b
: The elastic weapon bring into action, bending it With
horse-hair string. Reciproca ' elastic ' is a condition which is
present when a thing returns to the position from which it has
started. Reciprocare ' to move to and fro ' is made c from recipere ' to
take back,' or else because procare was said for poscere ' to demand.'
d 81. InPlautus : How sidewise, as a crab is wont, he
moves, Not straight ahead. Proversus ' straight ahead ' is
said of a man who is turned toward that which is in front of him ;
and therefore he who is going out into the vestibule, which is at
the front of the house, is said prodire ' to go forth ' or procedere ' to
proceed.' But since the brothel-keeper was not doing this, but was going
sidewise along the wall, Plautus said " How sidewise only the
Homeric (Iliad, viii. 266, x. 459) iraAlmova t6£cl ' backward-stretched
bow,' and not as Varro interprets it. e Probably from reque proque '
backward and forward ' ; not as Varro interprets it. d That is, ' demand
return.' §81. " Pseud. 955; said of the brothel-keeper as
he enters. 335 VARRO
dixit " ut transversus cedit quasi cancer, non pro- versus ut
homo." 82. Apud Ennium : Andromachae nomen qui
indidit, recte 1 indidit. Item : Quapropter Parim pastores
nunc Alexandrum vocant. Imitari dum volm't* Eurip/den 3 et ponere
ervfiov, est lapsus ; nam Euripides quod Graeca posuit, eTv/ia sunt
aperta. Ille ait ideo nomen additum Andro- machae, quod ai'S/yt ^a^eTca 4
: hoc Enni?/(m) 5 quis potest intellegere in versu 6 significare
Andromachae nomen qui indidit, recte indidit, aut Alexandrum ab eo
appellatum in Graecia qui Paris fuisset, a quo Herculem quoque
cognominatum aX^iKaKov, ab eo quod defensor esset hominum ?
83. Apud Accium : Iamque Auroram rutilare procul
Cerno. Aurora dicitur ante solis ortum, ab eo quod ab igni
solis turn aureo aer aurescit. Quod addit rutilare, est ab eodem colore :
aurei enim rutili, et inde equam 1 lymphata (aut Bacchi sacris
Commota. Lymphata) 2 dicta a hympha ; (lympha) 3 a Nympha, ut
quod apud Graecos 9eT 5 spe quidem id successor* tibi ; apud Pompilium
: Heu, qua me causa, Fortuna, infeste premis 7 ? Quod
ait iurgio, id est litibus : itaque quibus res erat in controversia, ea
vocabatur lis : ideo in actionibus videmus dici quam rem sive
litem 8 dicere oportet. Ex quo licet vidcre iurgare esse ab iure
dictum, cum quis iure litigaret ; ab quo obiurgat is qui id facit
iuste. 94. Apud LuczVium 1 : Atque aliquo(t) sibi 2, 8
osmen, e quo S 9 extritum. 98. Apud Plautum :
Quia ego antehac te amavi o 5 quidem nos pretio (facile 8
0>ptanti est 7 frequentare : Ita in prandio nos lepide ac
nitide Accepisti, apparet dicere : facile est curare ut
(adsidue) 8 adsi- mus, cum tarn 9 bene nos accipias. 100.
Apud Ennium : Decretum est stare i muset 1 obrutum.
§99. 1 Aug., for quo desimi. 2 Ellis ; fere quom Canal; for ferret
quern. 3 Aug., with B, for his. 4 Added by L. Sp. 5 GS. (pol istoc Aug.,
from Plautus), for dicunto. 8 Added by Aug., from Plautus. 7
Schoell (after A. Sp., icho proposed and rejected optanti), for
ptanti F, with p deleted by cross-lines. 8 Added by GS. ' Aug., for
iam. § 100. 1 GS., after Fest. 84. 7 M. ; est stare et
fossari Bergk ; est fossare B, Vertranius ; for est stare. § 101. 1 L. Sp. ; fac is
musset Mue. ; face musset Turne- bus ; for facimus et.
§ 99 ° Plautus, Cist. 6. b Frequens usually means ' in numbers '
(that is, many at one place at the same time) 352 ON THE
LATIN LANGUAGE, VII. 99-101 99- In the same author, the word
frequentem b frequent ' in Frequent aid you gave me
means assiduam ' busily present ' : therefore he who is at hand
assiduus ' constantly present ' fere et quom ' generally and when ' he
ought to be, he is frequens, as the opposite of which infrequens c is
wont to be used. Therefore that which these same girls say d :
Dear me, at that price that you say it is easy For one who desires
it to be frequently with us ; So nicely and elegantly you received
us At luncheon, clearly means : it is easy to get us to be
constantly present at your house, since you entertain us so well.
100. In Ennius ° : Resolved are they to stand and be dug
through their bodies with javelins. This verb Jbdare ' to dig
' which Ennius used, was made from fodere ' to dig,' from which comes
fossa ' ditch.' 101. In Ennius ° : With words destroy
him, crush him if he make a sound. and not ' frequent ' (that is,
one in the same place at many different times), which is why the word
here needs explana- tion. Varro takes it as a shortening of the phrase
fere et quom=f, r, e'qu(ym+s, which needs no refutation. "
Used especially of a soldier qui abest afuitve a signis ' who is or
has been absent from his place in the ranks ' (Festus, 112. 7 M.).
d Cist. 8-11, with omissions ; anapaestic and bacchiac verses
alternately. §100. 'Ann. 571 Vahlen*; B.O.L. i. 190-191 Warm-
ington. § 101. » Trag. Rom. Frag. 393 Ribbeck 8 ; R.O.L. i.
378- 379 Warmington. VOL. I 2 A 353
VARRO Mussare dictum, quod muti non amplius quam fxv
dicunt ; a quo idem dicit id quod minimum est : Neque, ut aiunt,
(iD facere audent. 102. Apud Pacuium : Di 1 monerint meliora
atque amentiam averruncassint (tuam. 2 Ab) 3 avertendo
averruncare, ut deus qui in eis rebus praeest Averruncus. Itaque ab eo
precari solent, ut pericula avertat. 103. In Aulularia
: Pipulo te 1 differam ante aedis, id est convicio,
declinatum a pi(p)atu 2 pullorum. Multa ab animalium vocibus tralata in
homines, partim quae sunt aperta, partim obscura ; perspicua, ut
Ennii : Animus cum pectore latrat. Plauti :
Gannit odiosus omni totae familiae. (Cae)cilii 3 :
Tantum rem dibalare ut pro nilo habuerit. § 102. 1 For dim. 2
Added from Festus, 373. 4 M. 3 Added by Turnebus. § 103. 1 So
F ; but pipulo te hie Nonius, 152. 5 31., pipulo hie Plautus. 2 Aldus,
for piatu. 3 Laetus, for cilii. 6 Onomatopoeic, as Varro
indicates. c Ennius, Inc. 10 Vahlen 2 ; R.O.L. i. 438-439
Warmington. §102. a Trag. Rom. Frag. 112 Ribbeck 3 ; R.O.L.
ii. 206-207 Warmington; quoted by Festus, 373. 4 M., with tuam, and
by Nonius, 74. 22 M. (who assigns it to Lucilius, Bk. XXVI.) with meam. b
Monerint is perf. subj. of monere, a form known from other sources also.
e The word combines averrere ' to sweep away ' with runcare ' to
remove weeds.' d Mentioned elsewhere only by 354 ON
THE LATIN LANGUAGE, VII. 101-103 Mussare 6 ' to make a sound ' is
said because the muti ' mute ' say nothing more than mu ; from which
the same poet uses this for that which is least c : And, as they
say, not even a mu dare they utter. 102. In Pacuvius a :
May the gods advise * thee of better things to do, and thy madness
sweep away ! Averruncare e ' to sweep away ' is from avertere '
to avert,' just as the god who presides over such matters is called
Averruncus. neque 12 in Iudicium ^4esopi nec
theatri trittiles. 105. In Colace : Nexum . . .
(Nexum) 1 Mawilius 2 scribit omne quod per libram et aes geritur,
in quo sint mancipia ; Mucius, quae per aes et libram fiant ut
obligentur, praeter quom 3 mancipio detur. Hoc verius esse ipsum
verbum ostendit, de quo quaerit(ur) 4 : nam id aes 5 quod obligatur
per libram neque suum fit, inde nexum dictum. Liber qui suas operas in
servitutem pro pecunia quam debebat (nectebat), 6 dum solveret,
nexus vocatur, ut ab aere obaeratus. Hoc C. Poetelio 9 GS., after Mati Mue.,
for Maccius. 10 Baehrens, for sues. 11 Mue. ; a volucri L. Sp. ; for
auoluerat. 12 Kent, for tradedeque inreneque. § 105. 1 Added
by L. Sp., who recognized the lacuna. 2 Laetus, for mamilius. 3 Huschke,
for quam. 4 Aug., for querit. 5 Mommsen, for est. 6 debebat
nectebat Kent ; debeat dat Aug. ; for debebat. '
Plautus, Cas. 267 ; the more common orthography is fringilla and
friguttis. k Frag. Poet. Lat., page 54 Morel ; wrongly listed by Ribbeck
3 as Juventius, Com. Rom. Frag. IV. 1 Trit, the sound made by the
crushing or breaking of a hard grain or seed, as by the
strong-beaked birds. If the text is correctly restored, the passage
refers to a complaint against trittiles, that is, persons who made
similar noises and thereby disturbed a theatrical perform- ance ; the
poet says that he will refer the complaint to a regular law-court, and
not to the prejudiced decision of the 358 ON THE
LATIN LANGUAGE, VII. 10Jr-105 That of Maccius in the Casina,
from finches 3 : What do you twitter for ? What's that you wish
so eagerly ? That of Sueius, from birds * : So
he'll bring the snappers 1 fairly into court and not To the judgement of
Aesopus m and the audience. 105. In The Flatterer a : A
bound obligation . . . Xexum ' bound obligation,' Manilius 6
writes, is every- thing which is transacted by cash and balance-scale,
c including rights of ownership ; but Mucius d defines it as those
things which are done by copper ingot and balance-scale in such a way
that they rest under formal obligation, except when delivery of property
is made under formal taking of possession. That the latter is the
truer interpretation, is shown by the very word about which the inquiry
is made : for that copper which is placed under obligation according to
the balance-scale and does not again become independent (nec suum)
of this obligation, is from that fact said to be nexum ' bound.' A free
man who, for money which he owed, nectebat ' bound ' his labour in
slavery until he should pay, is called a nexus ' bondslave,' just as
a man is called obaeratus ' indebted,' from aes ' money- debt.'
When Gaius Poetelius Libo Visulus * was offended actor and of the
annoyed fellow - spectators. m Famous tragic actor of Cicero's
time. § 105. ° Plautus, Frag. IV Ritschl ; but possibly from
the Colax of Naevius. 6 Page 6 Huschke. e That is, by agreement to pay a
sum of money, measured by weight. * Page 18 Huschke. • Consul in 346, 333
(?), 326 (Liyy, viii. 23. 17), and dictator in 313 (Livy, ix. 28. 2), in
which Varro sets the abolition of slavery for debt, though Livy,
viii. 28, sets it in his third consulship. 359
VARRO (Li)bone Ftsolo 7 dictatore sublatum ne fieret,
et omnes qui Bonam Copiam iurarunt, ne essent nexi dissoluti.
106. In Ca(sina) : Sine ame^,
1 sine quod lubet id facial, 2 Quando tibi domi nihil 3 delicuum
est. Dictum ab eo, quod (ad) deliquandum non sunt, ut turbida
quae sunt deliquantur, ut liquida fiant. Aurelius scribit delicuum esse 1
ab liquido ; Cla(u)dius ab eliquato. Si quis alterutrum sequi malet, 5
habebit auctorem. Apud Atilium : Per laetitiam
liquitur Animus. Ab liquando liquitur fictum. VI. 107.
Multa apud poetas reliqua esse verba quorum origines possint dici, non
dubito, ut apud Naevium in ^4esiona mucro 1 gladii " lingula "
a lingua ; in Clastidio " vitulantes " a Vitula ; in Dolo
7 Poetelio Libone Visolo Lachmann ; Poetelio Visolo Aug. ; for
popillio vocare sillo. § 106. 1 In CasinaiW^M*, sine a.met Aldus (from
Plautus), for in casineam esses. 2 Aug. (from Plautus), for facias.
3 Plautus has nihil domi. 4 For est. 5 Laetus, for mallet. §
107. 1 Aesiona Buecheler, mucro Groth, for esionam uero.
' That is, swore that they were not regular slaves, but were held
in slavery for debt only. 9 Mentioned also by Ovid, Met. ix. 88.
§ 106. ° Plautus, Cas. 206-207 ; anapaestic. * Appar- ently meant
by Plautus as ' lacking,' from delinquere ' to lack,' and so understood
by Festus, 73. 10 M., who glosses it with minus. Varro has taken it as '
strainable, subject to straining (for purification),' and has connected
it with liquare and liquere ' to strain, purify,' also ' to melt.' c
Page 360 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
105-107 dictator, this method of dealing with, debtors
was done away with, and all who took oath f by the Good Goddess of
Plenty 3 were freed from being bond- slaves. 106. In the
Casino. a : Let him go and make love, let him do what he
will, As long as at home you have nothing amiss. Nihil
delicuum 6 ' nothing amiss ' is said from this, that things are not ad
deliquandum ' in need of straining out ' the admixtures, as those which
are turbid are strained, that they may become liqvida ' clear.'
Aurelius c writes that delicuum is from liquidum ' clear ' ; Claudius, 4
* that it is from eliquatum ' strained.' Any- one who prefers to follow
either of them will have an authority to back him up. In
Atilius e : With joy his mind is melted. Liquitur ' is melted
' is formed from liquare ' to melt.' VI. 107. I am quite aware °
that there are many words still remaining in the poets, whose
origins could be set forth ; as in Naevius, 6 in the Hesione, 6 the
tip of a sword is called lingula, from lingua ' tongue ' ; in the
Clastidium, d vitulantes ' singing songs 89 Funaioli. d Page 97
Funaioli. • Com. Rom. Frag., inc. fab. frag. II, page 37 Ribbeck*.
§ 107. » Cf the beginning of § 109. * All the citations in § 107
and § 108 are from Naevius; R.O.L. ii. 88-89, 92-93, 96-97, 104-105,
136-137, 597-598 Warmington. c Trag. Rom. Frag. 1 Ribbeck 8 ; for the
spelling of the title, cf Buecheler, Rh. Mus. xxvii. 475. d Trag. Rom.
Frag., Praet. I Ribbeck* ; vitulari was glossed by Varro with
TrauwC- £«v, according to Macrobius, Sat. iii. 2. 11. It is
difficult to connect the two words with Latin rictus and victoria, so
that the resemblance may be fortuitous — unless Vitula be a dialectal
word, with CT reduced to T. 361
VARRO " caperrata fronte " a caprae fronte ;
in Demetrio " persibus " a perite : itaque sub hoc
glossema ' callide ' subscribunt ; in Lampadione " protinam a
protinus, continuitatem significans ; in Nagidone " c/u(ci)datfus
" 3 suavis, tametsi a magistris accepi- mus mansuetum ; in Romulo
" (con)sponsus " 3 contra sponsum rogatus ; in Stigmatia "
praebia " a prae- bendo, ut sit tutus, quod si(n)t 4 remedia in
collo pueris ; in Technico 5 " confidant" 6 a conficto
con- venire dictum ; 108. In Tarentilla "
p(r)ae(l)u(c)idum Ml a luce, illustre ; in Tunicularia :
ecbolas 2 aulas quassant quae eiciuntur, a Graeco verbo
ck/JoA?? 3 dictum ; in Bello Punico : nec satis sardare
4 2 Scallger, for caudacus. 3 JYeukirch, with Popma, for sponsus. 4 Laetus,
for sit. 5 For thechnico. 6 Turne- bus, for conficiant. §
108. 1 Mue., for pacui dum. 2 Kent, for exbolas, metri gratia. 3 Aldus,
for exbole. 4 A. Sp. {from Festus, 323. 6 M.), for sarrare.
* Com. Rom. Frag, after 49 Ribbeck 3 ; caperrata may be related to
capra only by popular etymology. ' Com. Rom. Frag, after 49 Ribbeck 3 ;
persibus is seemingly an Oscan perfect participle active, cf. Oscan sipus,
from which perhaps it is to be corrected to persipus. 9 Page 113
Funaioli. h Com. Rom. Frag, after 60 Ribbeck 3 . * Com. Rom. Frag,
after 60 Ribbeck 3 ; clucidatus is a participle to a Latin verb borrowed
from Greek yAu/a'£eiv ' to sweeten.' ' Trag. Rom. Frag., Praet. IT
Ribbeck 3 ; for consponsus, cf. vi. 70. * Com. Rom. Frag. 71
Ribbeck 3 . 1 Com. Rom. Frag, after 93 Ribbeck 3 ; confidant, derived
from confingere. 362 ON THE LATIN LANGUAGE, VII.
107-108 of victory,' from Vitula 'Goddess of Joy and Victory '
; in The Artificer caperrata f route ' with wrinkled fore- head,'
from the forehead of a capra ' she-goat ' ; in the Demetrius/ persibus '
very knowing,' from perite ' learnedly ' : therefore under this rare word
they write 9 collide' shrewdly ' ; in the Lampadio, h protinam '
forthwith ' from protinus (of the same meaning), indicating lack of
interruption in time or place ; in the Nagido,* clucidatus ' sweetened,'
although we have been told by the teachers that it means ' tame ' ;
in the Romulus,' consponsus, meaning a person who has been asked to
make a counter-promise ; in The Branded Slave, k praebia ' amulets,' from
praebere ' pro- viding ' that he may be safe, because they are
prophy- lactics to be hung on boys' necks ; in The Craftsman, 1
confidant ' they unite on a tale,' said from agreeing on a confictum '
fabrication.' 108. Also, in The Girl of Tarentum, a
praelucidum ' very brilliant,' from lux ' light,' meaning ' shining '
: in The Story of the Shirt, b They shake the jars that make
the lots jump out, ecbolicas ' causing to jump out,' because of the
lots which are cast out, is said from the Greek word eK/SoXi] ; and
in The Punic War c Not even quite sardare ' to understand like a
Sardinian,' § 108. ° Com. Rom. Frag, after 93 Ribbeck 3 . h
Com. Rom. Frag. 103 Ribbeck 3 ; R.O.L. ii. 106-107 Warming- ton
(with different interpretation). e Frag. Poet. Rom. 53-54 Baehrens; R.O.L.
ii. 72-73 Warmington. According to Festus, 322 a 24 and 323. 6 M.,
sardare means intel- legere, perhaps 'to understand like a Sardinian,'
that is, very poorly, for the Sardinians had in antiquity a bad re-
putation in various lines. The verse of Naevius runs : Quod bruti nec
satis sardare queunt. 363
VARRO ab serare dictum, id est aperire ; hinc
etiam sera, 5 qua remota fores panduntur. VII. 109. Sed quod
vereor ne plures sint futuri qui de hoc genere me quod nimium multa
scripseriwz 1 reprehendant quam quod 2 reliquerim 3 quaedam
accusent, ideo potius iam reprimendum quam pro- cudendum puto esse
volumen : nemo reprensus qui e segete ad spicilegium reliquit stipulam.
Quare in- stitutis sex libris, quemadmodum rebus Latina nomina
essent imposita ad usum nostrum : e quis tn's 4 scripsi Po. 5 Septumio
qui mihi fuit quaestor, tris tibi, quorum hie est tertius, prior es de
disciplina verborum originis, posterior es de verborum originibus. In
illis, qui ante sunt, in primo volumine est quae dicantur, cur
ervfj-oXoyiKr) 6 neque ar(s> sit 7 neque ea utilis sit, in secundo
quae sint, cur et ars ea sit et (ut)ilis 8 sit, in tertio quae forma
etymologiae. 9 110. In secundis tribus quos ad te misi item
generatim discretis, primum in quo sunt origines verborum 1 locorum et
earum rerum quae in locis esse solent, secundum quibus vocabulis
te(m)pora sint notata et eae res quae in temporibus hunt, tertius
5 Ed. Veneta, for
serae. §109. 1 Laetus,for rescripserint. 2 quam quod A Idus,
for quamquam. 3 For reliquerint. 4 Laetus, for tres. 5 po stands here
in F, but with lines drawn through the letters. 6 L. Sp.,for
ethimologice. 7 ars sit V, p, L. Sp.,for ansit. 8 et utilis Turnebus; et illis
utilis V; for et illis F. 9 For ethimologiae. § 110. 1 Crossed out by F 1,
but required by the meaning. d In such an etymology, Varro is
operating on the basis that things may be named from their opposites; cf.
Festus, 122. 16 M., ludum dicimus, in quo minime luditur. § 109. °
A liber or ' book ' was calculated to fill a volumen 364
ON THE LATIN LANGUAGE, VII. 108-110 where
sardare is said from serare ' to bolt,' d that is, sardare means ' to
open ' ; from this also sera ' bolt,' on the removal of which the doors
are opened. VII. 109- But because I fear that there will be
more who will blame me for writing too much of this sort than will accuse
me of omitting certain items, I think that this roll must now rather be
compressed than hammered out to greater length a : no one is blamed
who in the cornfield has left the stems for the gleaning. 6 Therefore as
I had arranged six books c on how Latin names were set upon things for
our use d : of these I dedicated three to Publius Septumius who was
my quaestor," and three to you, of which this is the third — the
first three on the doctrine of the origin of words, the second three f on
the origins of words. Of those which precede, the first roll con-
tains the arguments which are offered as to why Etymology is not a branch
of learning and is not useful ; the second contains the arguments why it
is a branch of learning and is useful ; the third states what the
nature of etymology is. 110. In the second three which I sent to
you, the subjects are likewise divided off: first, that in which
the origins of words for places are set forth, and for those things which
are wont to be in places ; second, with what words times are designated
and those things which are done in times ; third, the present
or ' roll ' of convenient size for handling. * That is, who has cut
off the ears of standing grain and left the stalks. e Books II.-VII. ;
cf. v. 1. d This sentence is resumed at Quocirca, in the middle of § 1
10. * Varro held office in the war against the pirates and Mithridates in
67-66, under Pompey, and again in Pompey's forces in Spain in 49
and at Pharsalus in 48 ; but it is unknown in which of these he had
Septumius as quaestor. ' Books V.-VII. 365
VARRO hie, in quo a poetis item sumpta ut il/a 2 quae dixi
in duobus libris solwta 3 oratione. Quocirca quoniam omnis operis de
Lingua Latina tris feci partis, primo quemadmodum vocabula imposita
essent rebus, secundo quemadmodum ea in casus declinarentur, tertio
quemadmodum coniungerentur, prima parte perpetrata, ut secundam ordiri
possim, huic libro faciam finem. 8 Victorius, for utilia. 3
Sciop., for solita. 366 ON THE LATIN
LANGUAGE, VII. 110 book, in which words are taken from the
poets in the same way as those which I have mentioned in the other
two books were taken from prose writings. Therefore," since I have
made three parts of the whole work On the Latin Language, first how
names were set upon things, second how the words are declined in
cases, third how they are combined into sentences — as the first part is
now finished, I shall make an end to this book, that I may be able
to commence the second part. §110. "This resumes the
sentence interrupted at the middle of § 109. 367
Printed in Great Britain by R. et R. Clark, Limited, Edinbu,
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PETRONIUS. SENECA : EPISTULAE MORALES. R. M. Gummere. 3 Vols. (Vol. I. 3rd Imp.,
Vol. II. 2nd Imp. revised.) SENECA : MORAL ESSAYS. J. W. Basore. 3
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Vols. II., III. and IV. 2nd Imp.) ARATUS. Cf. CALLIMACHUS.
ARISTOPHANES. Benjamin Bickiey Rogers. 3 Vols. (Vols. I. and
II. Uh Imp., Vol. III. 3rd Imp/) Verse trans. ARISTOTLE : ART OF RHETORIC.
J. H. Freese. ARISTOTLE: ATHENIAN CONSTITUTION, EUDE- MIAN
ETHICS, VIRTUES and VICES. H. Rackham. (2nd Imp.)
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Physio gnomics, On Plants, On Marvellous Things Heard, Mechanical
Problems, On Indivisible Lines, Situations and Names of Winds, On
Melissus, Xenopiianes, and Gorgias. ARISTOTLE: NICOMACHEAN ETHICS.
H. Rack- ham. (2nd Imp. revised.) ARISTOTLE: OECONOMICA and
MAGNA MOR- ALIA. G. C. Armstrong ; with Vol. II. Metaphysics. (2nd
Imp.) ARISTOTLE: ORGANON. H. P. Cooke and H. Tre- dennick. 3
Vols. Vol. I. ARISTOTLE : ON THE SOUL, PARVA NATURALIA, ON
BREATH. W. S. Hett. ARISTOTLE: PARTS OF ANIMALS. A. L. Peck;
MOTION AND PROGRESSION OF ANIMALS, E S. Forster. ARISTOTLE :'
PHYSICS. Rev. P. Wicksteed and F. M. Cornford. 2 Vols. (Vol. II. 2nd
Imp.) ARISTOTLE : POETICS and LONGINUS. W. Hamil- ton Fyfe;
DEMETRIUS ON STYLE. W. Rhys Roberts., (2nd Imp. revised.)
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Deferrari. 4Vols. CALLIMACHUS and LYCOPHRON. A. W. Mair ;
ARATUS. G. R. Mair. CLEMENT OF ALEXANDRIA. Rev. G. W.
Butterworth. COLLUTHUS. Cf. OPPIAN. DAPHNIS and CHLOE.
Thornley's Translation revised by J. M. Edmonds; and PARTHENIUS. S. Gaselee. (3rd
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TIMOCRATES, ARISTOGEITON. J. H. Vince. DEMOSTHENES:
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(Vol. II. 2nd Imp.) DIO CHRYSOSTOM. J. W. Cohoon. 6 Vols. Vol.
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3rd Imp.) DIONYSIUS OF HALICARNASSUS : ROMAN ANTI- QUITIES.
Spelman's translation revised by E. Cary. 7 Vols. Vol. I. EPICTETUS.
W. A. Oldfather. 2 Vols. EURIPIDES. A. S. Way. 4 Vols. (Vols. L,
II., IV. Sth Imp., Vol. III. 3rd Imp.) Verse trans. EUSEBIUS:
ECCLESIASTICAL HISTORY. Kirsopp Lake and J. E. L. Oulton. 2 Vols.
GALEN: ON THE NATURAL FACULTIES. A. J. Brock. (2nd Imp.)
THE GREEK ANTHOLOGY. W. R. Paton. 5 Vols. (Vol. I. 3rd Imp., Vols.
II. and III. 2«d Imp.) GREEK ELEGY AND IAMBUS with the
ANACRE- ONTEA. J. M. Edmonds. 2 Vols. 5
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(THEOCRITUS, BION, MOSCHUS). J. M. Edmonds. (6th Imp.
revised.) GREEK MATHEMATICAL WORKS. Ivor Thomas. 2 Vols. Vol.
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A.T.Murray. 2 Vols. (4th Imp.) ISAEUS. E. S. Forster.
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(2nd Imp. JOSEPH US. H. St. J. Thackeray and Ralph Marcus.
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Wright. 3 Vols. (Vols. I. and II. 2nd Imp.) LUCIAN. A.
M. .Harmon. 8 Vols. Vols. I.-V. (Vols. I. and II. 3rd Imp.)
LYCOPHRON. Gf. CALLIMACHUS. LYRA GRAECA. J. M. Edmonds. 3 Vols. (Vol.
I. 3rd Imp., Vol. II. 2nd Ed. revised and enlarged.) LYSIAS.
W. R. M. Lamb. MARCUS AURELIUS. C.R.Haines. (3rd Imp.
revised.) MENANDER. F. G. Allinson. (2nd Imp. revised.) MINOR ATTIC
ORATORS (ANTIPHON, ANDOCIDES, DEMADES, DEINARCHUS, HYPEREIDES). K.
J. Maidment. 2 Vols. Vol. I. OPPIAN, COLLUTHUS, TRYPHIODORUS.
A. W. Mair. PAPYRI (SELECTIONS). A. S. Hunt and C. C. Edgar.
4 Vols. Vols. I. and II. PARTHENIUS. Cf. DAPHNIS and CHLOE.
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Vol. (Vol. I. 2nd Imp.) PHILO. 10 Vols. Vols. I.-V. F. H. Colson and Rev.
G. H. Whitaker; Vols. VI. and VII. F. H. Colson. PHILOSTRATUS
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I. 3rd Imp., Vol. II. 2nd Imp.) THE LOEB
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Sandys. (6th Imp. revised.) PLATO : CHARMIDES, ALCIBIADES, HIPPARCHUS,
THE LOVERS, THEAGES, MINOS and EPINOMIS. W. R. M. Lamb.
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H. N. Fowler. (7th Imp.) PLATO : LACHES, PROTAGORAS MENO, EUTHY-
DEMUS. W. R. M. Lamb. (2nd Imp. revised.) PLATO : LAWS. Rev. R. G.
Bury. 2 Vols. PLATO : LYSIS, SYMPOSIUM, GORGIAS. W. R. M.
Lamb. (2nd Imp. revised.) PLATO: REPUBLIC. Paul Shorey. 2 Vols.
(Vol.1. 2nd Imp. revised.) PLATO: STATESMAN, PHILEBUS. H. N
Fowler; ION. W. R. M. Lamb. PLATO : THEAETETUS and SOPHIST.
H. N. Fowler. (2nd Imp.) PLATO : TIMAEUS, CRITIAS,
CLITOPHO, MENEXE- NUS, EPISTULAE. Rev. R. G. Bury. PLUTARCH :
MORALIA. 14 Vols. Vols. I.-V. F. C. Babbitt ; Vol. X. H. N.
Fowler. PLUTARCH: THE PARALLEL LIVES. B. Perrin. 11 Vols.
(Vols. I., II., III. and VII. 2nd Imp.) POLYBIUS. W. R. Paton. 6
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Vols. I.-VI. (Vol. I. 2nd Imp.) QUINTUS SMYRNAEUS. A. S. Way. Verse trans. SEXTUS
EMPIRICUS. Rev. R. G. Bury. 3 Vols. SOPHOCLES. F. Storr. 2 Vols. (Vol. I.
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Horace L. Jones. 8 Vols. (Vols. I and VIII. 2nd Imp.)
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II., III. and IV. 2nd Imp. revised.) TRYPHIODORUS. Cf. OPPIAN.
THE LOEB CLASSICAL LIBRARY XENOPHON :
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AUTHORS ARISTOTLE: DE CAELO. W. K. C. Guthrie.
ARISTOTLE: HISTORY AND GENERATION OF ANIMALS. A. L. Peck.
ARISTOTLE: METEOROLOGICA. H.P.Lee. MANETHO. W. G. Waddell. NONNUS.
W. H. D. Rouse. PAPYRI: LITERARY PAPYRI. Selected and trans-
lated by C. H. Roberts. PTOLEMY: TETRAB1BLUS. F. C. Robbins.
LATIN AUTHORS S. AUGUSTINE : CITY OF GOD. J. H.
Baxter. CICERO : AD HERENNIUM. H. Caplan. CICERO : DE ORATORE.
Charles Stuttaford and W. E. Sutton. CICERO : BRUTUS, ORATOR.
G. L. Hendrickson and H. M. Hubbell. CICERO: PRO SESTIO, IN VATINIUM, PRO
CAELIO, DE PROVINCIIS CONSULARIBUS, PRO BALBO. J. H. Freese. COLUMELLA :
DE RE RUSTICA. H. B. Ash. PRUDENTIUS. J. H. Baxter. QUINTUS CURTIUS : HISTORY OF
ALEXANDER. J. C. Rolfe. DESCRIPTIVE PROSPECTUS ON
APPLICATION London . WILLIAM HEINEMANN LTD
Cambridge; Mass. . HARVARD UNIVERSITY PRESS 8
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m THE LIBRARY of VICTORIA UNIVERSITY
Toronto THE LOEB CLASSICAL LIBRARY FOUNDED BV
JAMES I,OEB, IX. D. EDITED BY fT. E. PAGE, C.H.,
LITT.D. E. CAPPS, ph.d., ll.d. W. H. D. ROUSE, litt.d.
VARRO ON THE LATIN LANGUAGE II
VAKRO ON THE LATIN LANGUAGE WITH AN
ENGLISH TRANSLATION BY ROLAND G. KENT, Ph.D. PROFESSOR OF
COMPARATIVE PHILOLOGY IX THE UNIVERSITY OF PENNSYLVANIA IN
TWO VOLUMES II BOOKS VIII.- X. FRAGMENTS
CAMBRIDGE, MASSACHUSETTS HARVARD UNIVERSITY PRESS
LONDON WILLIAM HEINEMANN LTD MCMXXXV1II
v.i. V ^>0 Printed in
Great Britain CONTENTS PAGE De
Lingua Latina, Text and Translation Book VIII 370 Book
IX. ....... 440 Book X 534 Fragments 5gg
Comparative Table of the Fragment Numbers 630 Indexes
Index of Authors and Works . . .631 Index of Latin Words and
Phrases . . 634 Index of Greek Words .... 675 M.
TERENTI VARRONIS DE LINGUA LATINA LIBER VII EXPLICIT ;
INCIPIT LIBER VIII QUAE DICANTUR CUR NON SIT ANALOGIA
LIBER I I. 1. Quom oratio natura tripertita esset, ut su-
perioribus libris ostendi, cuius prima pars, quemad- modum vocabula rebus
essent imposita, secunda, quo pacto de his declinata in discrimina iermt,
1 tertia, ut ea inter se ratione coniuncta sententiam efferant,
prima parte exposita de secunda incipiam hinc. Ut propago omnis natura
secunda, quod prius illud rectum, unde ea, sic declinata : itaque
declinatur in verbis : rectum homo, obliquum hominis, quod de-
clinatum a recto. § 1. 1 Sciop.,for ierunt. § 1. a That
is, bent aside and downward, from the vertical. The Greeks conceived the
paradigm of the noun as the upper right quadrant of a circle : the
nominative was the vertical radius, and the other cases were radii which
4 declined 1 to the right, and were therefore called m-coous 'fallings,'
which the Romans translated literally by casus. The casus rectus is
therefore a contradiction in itself. The Latin verb de- 370
MARCUS TERENTIUS VARRCTS ON THE LATIN LANGUAGE BOOK VII
ENDS HERE, AND HERE BEGINS BOOK VIII One Book of
Arguments which are ad- vanced AGAINST THE EXISTENCE OF THE
Principle of Analogy I. 1. Speech is naturally divided into
three parts, as I have shown in the previous books : its first part
is how names were imposed upon things ; its second, in what way the
derivatives of these names have arrived at their differences ; its third,
how the words, when united with one another reasoningly, express an
idea. Having set forth the first part, I shall from here begin upon the
second. As every offshoot is secondary by nature, because that vertical
trunk from which it comes is primary, and it is therefore declined
a : so there is declension in words : homo 1 man * is the vertical, kominis
* man's ' is the oblique, because it is declined from the vertical.
clinare is used in the meanings * to decline (a noun)/ * to
conjugate (a verb),' and * to derive ' in general, as well as * to bend
aside and down * in a literal physical sense : it therefore offers great
difficulties in translating. 371 VARRO
2. De huiusce(modi) 1 multiplici natura discrimi- num
(ca)wsae 2 sunt hae, cur et quo et quemadmodum in loquendo declinata sunt
verba. De quibus duo prima duabus causis percurram breviter, quod et
turn, cum de copia verborum scribam, erit retractandum et quod de
tribus tertium quod est habet suas permultas ac magnas partes.
II. 3. Declinatio inducta in sermones non solum Latinos, sed omnium
hominum utili et necessaria de causa : nisi enim ita esset factum, neque
di(s)cere 1 tantum numerum verborum possemus (infinitae enim sunt
naturae in quas ea declinantur) neque quae didicissemus, ex his, quae
inter se rerum cognatio esset, appareret. At nunc ideo videmus, quod simile
est, quod propagatum : legi (c)um (de lego) 2 de- clinatum est, duo simul
apparent, quodam modo eadem dici et non eodem tempore factum ; at 3
si verbi gratia alterum horum diceretur Priamus, alterum fiecuba,
nullam unitatem adsigniflcaret, quae ap- paret in lego et legi et in
Priamus Priamo. 4. Ut in hominibus quaedam sunt agnationes ac
1 gentilitates, sic in verbis : ut enim ab AemiMo homines orti
^emilii ac gentiles, sic ab ^emilii nomine de- clinatae voces in
gentilitate nominali : ab eo enim, § 2. 1 Added by L. Sp. 2 L. Sp.,
for orae. § 3. 1 Mue. t for dicere ; cf, § 5. 2 GS.,for legium F
; cf. declinatum est ab lego Aug. from B, and last sentence of this
section. 3 Mue., for ut. §4. 1 L. Sp. t for ad.
§ 2. a Cf. viii. 9 in quas. b That is, the collective
vocabulary;. § 3. a The term ' inflection ' will be convenient
oftentimes to express declinatio, including both declension of nouns
and conjugation of verbs. 372 ON THE LATIN
LANGUAGE, VIII. 2-i 2. From the manifold nature of this sort
there are these causes of the differences : for what reason, and to
what product, a and in what way, in speaking, the words are declined. The
first two of these I shall pass over briefly, for two reasons : because
there will have to be a rehandling of the topics when I write of
the stock of words, 6 and because the third of them has numerous and
extensive subdivisions of its own. II. 3. Inflection a has been
introduced not only into Latin speech, but into the speech of all men,
because it is useful and necessary ; for if this system had not
developed, we could not learn such a great number of words as we should
have— for the possible forms into which they are inflected are
numerically unlimited — nor from those which we should have learned
would it be clear what relationship existed between them so far as their
meanings were con- cerned. But as it is, we do see, for the reason
that that which is the offshoot bears a similarity to the original
: when legi ' I have gathered ' is inflected from lego ' I gather,' two
things are clear at the same time, namely that in some fashion the acts
are said to be the same, and yet that their doing did not take
place at the same time. But if, for the sake of a word, one of these two
related ideas was called Priamus and the other Hecuba, there would be
no indication of the unity of idea which is clear in lego and legi,
and in nominative Priamus, dative Priamo. 4. As among men there are
certain kinships, either through the males or through the clan, so there
are among words. For as from an Aemilius were sprung the men named
Aemilius, and the clan-mcmbers of the name, so from the name of Aemilius
were inflected the words in the noun-clan : for from that name
which 373 VARRO quod
est impositum recto casu ^emilius, orta ^emilii, ^emilium, ^emilios,
^4emiliorum et sic reliquae eius- dem quae sunt*stirpis. 5.
Duo igitur omnino verborum principia 3 im- positio (et declinatio), 1
alterum ut fons, alterum ut rivus. Impositicia nomina esse voluerunt
quam paucissima, quo citius ediscere possent, declinata quam
plurima, quo facilius omncs quibus ad usum opus esset 2 dicerent. 3
6. Ad illud genus, quod prius, historia opus est : nisi dzscendo 1
enim aliter id non* pervenit ad nos ; ad reliquum genus, quod posterius.
ars : ad quam opus est paucis praeceptis quae sunt brevia. Qua enim
ratione in uno vocabulo declinare didiceris, in infinito numero nominum
uti possis : itaque novis nominibus allatis 3 (in) 4 consuetudinem sine
dubitatione eorum declinatus statim omnis dicit populus ; etiam
novicii servi empti in magna familia cito omnium conser- vorum
(n)om{i)na 5 recto casu accepto in reliquos obliquos declinant.
7. Qui s(i) 1 non numquam offendunt, non est mirum : et enim ille 2
qui primi nomina imposuerunt rebus fortasse an in quibusdam sint lapsi :
voluis(se) enim putant(ur) 3 singularis res notarc, ut ex his in
multitudine(m) 4 declinaretur, ab homine homines ; § 5. 1 Added by
L. Sp., V, p. 2 Canal, for essent. 3 Ed. Veneta, for dicerentur.
§ 6. 1 Stephanus, for descendendo. 2 For idum. 3 For allatius. 4
Added by Aug. 6 Aug., for omnes. § 7. 1 Aldus, for quid. 2 Aldus,
for ilia. 3 Ellis, for putant. % 4 -dinem H, for -dine F and other
codd. § 7. ° That is, in the singular. 374
ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 4r-7 was imposed
in the nominative case as Aemilius were made Aemilii, Aemilium, Aemilios,
Aemiliorum, and in this way also all the other words which are of
this same line. 5. The origins of words are therefore two in
num- ber, and no more : imposition and inflection ; the one is as
it were the spring, the other the brook. Men have wished that imposed
nouns should be as few as possible, that they might be able to learn them
more quickly ; but derivative nouns they have wished to be as
numerous as possible, that all might the more easily say those nouns
which they needed to use. 6. In connexion with the first class, a
historical narrative is necessary, for except by outright learning
such words do not reach us ; for the other class, the second, a
grammatical treatment is necessary, and for this there is need of a few
brief maxims. For the scheme by which you have learned to inflect in the
instance of one noun, you can employ in a countless number of nouns :
therefore when new nouns have been brought into common use, the whole
people at once utters their declined forms without any hesita-
tion. Moreover, those who have freshly become slaves and on purchase become
members of a large house- hold, quickly inflect the names of all their
fellow- slaves in the oblique cases, provided only they have heard
the nominative. 7. If they sometimes make mistakes, it is not
astonishing. Even those who first imposed names upon things perhaps made
some slips in some in- stances : for they are supposed to have desired
to designate things individually, that from these inflec- tion
might be made to indicate plurality, as homines ' men * from homo ' man.'
They are supposed to have 375 VARRO
sic mares liberos voluisse notari, ut ex his feminae declinarentur,
ut est ab Terentio Terentia ; sic in recto casu quas imponerent voces, ut
illinc e sent futurae quo declinarentur : sed haec in omnibus
tenere nequisse, quod et una(e) et (binae) 5 dicuntur scopae, et mas et
femina aquila, et recto et obliquo vocabulo vis. 8. Cur haec
non tarn si(n)t x in culpa quam putant, pleraque solvere non difficile,
sed nunc non necesse : non enim qui potuerint adsequi sed qui voluerint,
ad hoc quod propositum refert, quod nihilo minus 2 de- clinari
potest ab eo quod imposuerunt 3 scopae scopa- (rum), 4 quam si
imposuissent scopa, ab eo scopae, sic alia. III. 9. Causa,
inquam, cur eas 1 ab impositis nominibus declinarint, quam ostendi ;
sequitur, in quas voluerint 2 declinari aut noluerint, ut generatim
ac summatim item informem. Duo enim genera verborum, unum fecundum, 3
quod declinando multas ex se parit disparilis formas, ut est lego legi 4
legam, 5 Mette ; unae et duae A. Sp. ; unae Mue. ; for una
et. § 8. 1 Aug.) with for sit. 2 For nichiloniinus. 3 For
imposiuerunt. 4 Reitzenstein, for scopa. § 9. 1 Laetus, M,for earn.
2 Laetits deleted declinarint after voluerint. 3 JlhoL, for fcmndum. 4 L.
Sp., for legis ; cf. § 3, end. 1 The genitive.
376 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 7-9
desired that male children be designated in such a way that from
these the females might be indicated by inflection, as the feminine
Terentia from the masculine Terentivs ; and that similarly from the
names which they set in the nominative case, there might be other forms
to which they could arrive by inflection. But they are supposed to have
been unable to hold fast to these principles in every- thing,
because the plural form scopae denotes either one or two brooms, and
aquila ' eagle ' denotes both the male and the female, and vis * force '
is used for the nominative and for an oblique case b of the
word. 8. Why such words are not so much at fault as men
think, it is in most instances not hard to explain, but it is not
necessary to do so at this time ; for it is not how they have been able
to arrive at the words, but how they wished to express themselves, that
is of import for the subject which is before us : inasmuch as
genitive scoparum can be no less easily derived from the plural scopae
which they did impose on the object as its name, than if they had given
it the name scopa in the singular, and made the genitive scopae
from this — and other words likewise. III. 9- The reason, I
say, why they made these inflected forms a from the names which they had
set upon things, is that which I have shown ; the next point is for
me to sketch by classes, but briefly, the forms a at which they have
wished to arrive by inflec- tion, or have not wished to arrive. For there
are two classes of words, one fruitful, which by inflection pro-
duces from itself many different forms, as for example lego ' I gather/
legi * I have gathered,' legam * I shall § 9. a Understand voces
with eas and with quas. 377 VARRO sic alia,
alterum genus sterile, quod ex se parit nihil, 5 ut est et iam 6 vix eras
7 magis cur. 10. Quarum rerum usus erat simplex, (simplex) 1
ibi etiam vocabuli declinatus, ut in qua domo unus servus, uno servili
opwst 2 nomine, in qua 3 multi, pluri- bus. Igitur et in his rebus quae 4
sunt nomina, quod discrimina vocis plura, propagines plures, et in
his rebus quae copulae sunt ac iungunt 5 verba, quod non opus fuit
declinari in plura, fere singula sunt : uno enim loro alligare possis vel
hominem vel equum vel aliud quod, quicquid est quod cum altero
potest colligari. Sic quod dicimus in loquendo " Consul fuit
Tullius et Antonius," eodem illo ' et ' omnis binos consules
colligtfre 6 possumus, vel dicam amplius, omnia nomina, atque «deo 7
etiam omnia verba, cum fulmentuw 8 ex una syllaba illud ' et ' maneat
unum. Quare duce natura (factum)s/,* quae imposita essent vocabula rebus,
ne ab omnibus his declina/us 10 puta- r emus. 11 IV. 11.
Quorum 1 generum declinationes oriantur, partes orationis sunt duae,
(ni)si 2 item ut Dzon in tris diviserimus partes res quae verbis
significantur : 6 For nichil. 6 GS., for etiam. 7 L. Sp., for vixerat ; cf.
vix magis eras Aug., with B. § 10. 1 Added by Sciop. 2 servili L.
Sp., opust Sciop., for seruilio post. 3 B, for quam. 4 L. Sp.^for
quorum. 6 Mue. f for hmguntur. 6 Aug., for colligere. 7 Sciop., for
ideo. 6 Mue., for fulmen tunc. 9 L. Sp., for si. 10 Laetus, for
declinandus. 11 Fay, for putarent. § 11. 1 Laetus, for quarum. 2
Roehrscheidt, for si. 6 The invariable and indeclinable
words. § 10. a ~Cf. the Marcipor ' Marcus' boy,' of earlier
times. 6 In 63 b.c. ; the example compliments Cicero, to whom the
work is addressed. c That is, we should expect some words to be
invariable and uninflected. 378 ON THE
LATIN LANGUAGE, VIII. 9-11 gather/ and similarly other words
; and a second class which is barren, 5 which produces nothing from
itself, as for example et * and/ tarn * now/ vix ' hardly/ eras '
to-morrow/ magis * more/ cur 'why/ 10. In those things whose use
was simple, the inflection of the name also was simple ; just as in
a house where there is only one slave there is need of only one
slave-name, a but in a house where there are many slaves there is need of
many such names. There- fore also in those things which are names,
because the differentiations of the word are several, there are
more offshoots, and in those things which are connectives and join
words, because there was no need for them to be inflected into several
forms, the words generally have but one form : for with one and the same
thong you can fasten a man or a horse or anything else, whatever it
is, which can be fastened to something else. Thus, for example, we say in
our talking, " Tullius et * and ' Antonius were consuls " 6 :
with that same et we can link together any set of two con- suls, or
— to put it more strongly — any and all names, and even all words, while
all the time that one-syllabled prop-word et remains unchanged. Therefore
under nature s guidance it has come about that we should not think
that there are inflected forms from all these names which have been set
upon things. IV. 11. In the word-classes in which inflections
may develop, the parts of speech are two, unless, following Dion, a we
divide into three divisions the ideas which are indicated by words : one
division §11. ° An Academic philosopher of Alexandria, who
headed an embassy to Rome in 56 to seek help against the exiled king
Ptolemy Auletes, and was there poisoned by the king's agents.
379 VARRO
unam 3 quae adsignificat casus, 4 alteram 5 quae tem- pora,
tertia(m) 6 quae neutrum. De his Aristoteles orationis duas partes esse dicit
: vocabula et verba, ut homo et equus, et legit et currit.
12. Utriusque generis, et vocabuli et verbi, quae- dam priora,
quaedam posteriora ; priora ut homo, scribit, posteriora ut doctus et
docte : dicitur enim homo doctus et scribit docte. Haec sequitur locus
et tempus, quod neque homo nec scribi(t) 1 potest sine loco et
tempore esse, ita ut magis sit locus homini coniunctus, tempus
scriptioni. 13. Cum de his nomen sit primum (prius enim nomen
est quam verbum temporale et reliqua pos- terius quam nomen et verbum),
prima igitur nomina : quare de eorum declinatione quam de verborum
ante dicam. V. 14. Nomina declinantur aut in earum
rerum discrimina, quarum nomina sunt, ut ab Terentius Terenti(a), 1
aut in ea(s) 2 res extrinsecus, quarum ea nomina non sunt, ut ab equo
equiso. In sua dis-
crimina declinantur aut propter ipsius rei naturam de 3 i?, for
unum. 4 Laetus, for capus. 5 Laetus, B, for alterum. 6 Mue.^for
tertia. § 12. 1 B, II, Laetus, for scribi. § 14. 1
Reitzenstein, for Tcrenti; cf. ix. 55, 59. 2 V, p, Laetus^ for ea.
b A division into nouns, verbs, and convinct tones went back
to Aristotle, according to Quintilian, Inst, Oral. i. 4. 18 {cf also
Priscian, ii. 54. 5 Keil) ; but more detailed classifications of the
parts - of speech had also been made before Varro's time. e Rhet. iii. 2
; but cf. preceding note. § 19. ° That is, grammatically
subordinate in the phrase. § 13. ° Since verbum means both ' word '
in general, and 380 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII.
11-14 which indicates also case, a second which
indicates also time, a third which indicates neither. 6 Of these,
Aristotle c says that there are two parts of speech ; nouns, like homo *
man * and equus ' horse/ and verbs, like legit * gathers ' and currit '
runs.* 12. Of the two kinds, noun and verb, certain words are
primary and certain are secondary a : primary like homo ' man * and
scribit * writes/ and secondary like doctus * learned * and docie *
learnedly/ for we say homo doctus ' a learned man * and scribit
docie * writes learnedly.* These ideas are attended by those of place and
time, because neither homo nor scribit can be asserted without the
presupposition of place and of time — yet in such a way that place
is more closely associated with the idea of the noun homo, and time
more closely with the act of writing. 13. Since among these the
noun is first — for the noun comes ahead of the verb, a and the other
words stand later relatively to the noun and the verl> — the
nouns are accordingly first. Therefore I shall speak of the
form-variations b of nouns before I take up those of verbs.
V. 14. Nouns are varied in form either to show differences in those
things of which they are the names, as the woman's name Terentia from the
man's name Tereniius, or to denote those things outside, of which
they are not the names, as equiso ' stable-boy * from equus * horse.* To
show differences in them- selves they are varied in form either on
account of the nature of the thing itself about which mention is
' verb * specifically, Varro here writes verbum temporale to avoid
any ambiguity. * Declinatio denotes not only de- clension, but
conjugation of verbs, derivation by prefixes and suffixes, and
composition. 381 VARRO qua 3
dicitur aut -propter illius (usum) 4 qui dicit. Propter ipsius rei
discrimina, aut ab toto (aut a parte. Quae a toto, declinata sunt aut
propter multitudinem aut propter exiguitatem. Propter exiguitatem), 5 ut
ab homine homunculus, ab capite capitulum ; propter multitudinem, ut ab
homine homines ; ab eo (abeo)* quod alii dicunt cervices et id Hortensius
in poematis cervix. 15. Quae a parte 1 declinata, aut a
corpore, ut a mamma mammosae, a manu manubria, aut ab animo, ut a
prudentia pruden(te)s, 2 ab ingenio ingeniosi. Haec sine agitationibus ; at ubi
motus maiores, item ab animo (aut a corpore), 3 ut ab strenuitate et
nobili- tate strenui et nobiles, sic a pugnando et currendo pugiles
et cursores. Ut aliae dechnationes ab animo, aliae a corpore, sic aliae
quae extra hominem, ut pecimiosi, agrarii, quod foris pecunia et
ager. VI. 16. Propter
eorum qui dicunt usum 1 declinati casus, uti is qui de altero diceret,
distinguere posset, 3 Vert ran ius, for quo. 4 Added by GS., following
Reitzen- stein, who added it after dicit. 5 Added by Reitzenstein ;
aut a parte, ab toto added by L. Sp., after Aug.* who added aut a parte,
a toto, suggested to him by B aut a parte aut ab animo. a toto. • Added
by Fay. § 15. 1 For aperte. 1 L. Sp. t for prudens. 3 Added
by L. Sp. § 16. 1 Vert ranius, for dicuntur sum.
§ 14. a That is, syntactical variations, indicated by the
case-forms. b Other categories resulting in variations might have been
listed. e Frag. Poet. Lat.^ page 91 Morel. d As did also Ennius and
Pacuvius, before Hortensius ; the plural was the only regularly used
form, outside the poets. § 15. ° We expect rather a plural
adjective meaning * big- handed.* 6 The long abstract nouns are of course
derived from the adjectives. e Or perhaps in the original meaning *
farmers.* 332 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 14-16
made, or on account of the use to which the speaker puts the
word. a On account of differences in the thing itself, the variation is
made either with reference to the whole thing, or with reference to a
part of it. Those forms which concern the whole are derived either
on account of plurality or on account of small- ness. 6 On account of
smallness, homunculus * mani- kin ' is formed from homo * man/ and
capitulum * little head ' from caput 4 head.' On account of
plurality, homines 4 men ' is made from homo 4 man ' ; I pass by
the fact that others use cervices 4 back of the neck ' in the plural, and
Hortensius c in his poems uses it in the singular cervix. d
15. Those which are derived from a part, come either from the body,
as mammosae * big-breasted women ' from mamma * breast ' and manubria
a * handles ' from manus * hand/ or from the mind, as prudentes
4 prudent men * from prudentia * prudence ' and ingeniosi * men of
talent ' from ingenium 4 innate .... . ability.' The
preceding are quite apart from move- ments ; but where there are
important motions, the derivatives are similarly from the mind or from
the body, as strenui 4 the quick ' and nobiles * the noble/ from
strenuitas 4 quickness ' and nobilitas 4 nobility/ b and in this way also
pugiles 4 boxers * and cursores * runners * from pugnare 4 to fight
' and currere 4 to run.' As some derivations are from the mind and
others from the body, so also there are others which refer to external
things, as pecuniosi 4 moneyed men ' and agrarii c 4 advocates of
agrarian laws/ because pecunia * money * and ager * field-land ' are
exterior to the men to whom the derivatives are applied. VI.
16. It was for the use of the speakers that the case-forms were derived,
that he who spoke of another 383 VARRO
cum vocaret, cum daret, cum accusaret, sic alia eiusdem
(modi) 2 discrimina, quae nos et Graecos ad declinandum duxerunt. Sine 3 controversia (sunt
obliqui, qui nascuntur a recto : unde rectus an sit casus) 4 sunt qui
quae(rant. Nos vero sex habemus, Graeci quinque) 4 : quis vocetur, ut
7/ercules ; quem- admodum vocetur, ut 7/ercule ; quo vocetur, ut ad
7/crculem ; a quo vocetur, ut ab 7/ercule ; cui voce- tur, ut 7/erculi ;
cuius vocetur, ut 7/erculis. VII. 17. Propter ea verba quae erant
proinde ac cognomina, ut prudens, candidus, strenuus, quod in his
praeterea sunt discrimina propter incrementum, quod maius aut minus in
his esse potest, accessit declinationum genus, ut a candido candidius
candi- dissimum sic a longo, divite, id genus aliis ut fieret.
18. Quae in eas res quae extrinsecus declinantur, sunt ab equo
equile, ab ovibus ovile, sic alia : haec contraria illis quae supra
dicta, ut a pecunia pecunio- 2 Added by Mue. 3 For sinae. 4 Added by Schoell apud
GS. ; cf. note b. § 16. ° Vocative, dative, accusative cases ; the
accusative was in Latin a poorly named case, through a
mistranslation of its Greek name. b The only controversy was
whether or not the nominative was to be called a case, and the text
must be expanded to conform to this basic fact ; cf. Charisius, i. 154.
6-8 Keil, Priscian, ii. 185. 12-14 Keil, etc. Cf. viii. 1 note a, above.
c The Greeks had no ablative case. § 17. a Nowhere recorded
as a cognomen, despite Varro. b Recorded as a cognomen in the Claudian
and the Julian gentes, and in several others. c Not recorded as a
cog- nomen. d Namely, comparison of adjectives. * For such
cognomina, c/. Fulvius Nobilior and Fabius Maximus. f i.e.,
adjectives. 384 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII.
16-18 might be able to make a distinction when he was
calling, when he was giving, when he was accusing," and other differences
of this same sort, which led us as well as the Greeks to the declension
of nouns. The oblique forms which develop from the nominative are
without dispute to be called cases ; but there are those who question
whether the nominative is properly a case. 6 At any rate, we have six
forms, and the Greeks five e : he who is called, as (nominative)
Her- cules ; how the calling is done, as (vocative) Hercule ;
whither there is a calling, as to (accusative) Herculem ; by whom the
calling is done, as by (ablative) Hercule ; to or for whom there is a
calling, as to or for (dative) Herculi ; of whom the calling or called
object is, as of (genitive) Herculis. VII. 17. There are
certain words which are like added family names, such as Prudens ° *
prudent,* Cajididus b * frank/ Strenuus e * brisk,* and in them
differences may be shown by a suffix, since the quality may be present in
them to a greater or a smaller degree : therefore to these words a kind
of inflection d is attached, so that from candidum 1 shining white
' comes the comparative candidius and the superlative
candidissimumf formed in the same way as similar forms from longum *
long,' dives 1 rich,' and other words of this kind/ 18. The
terms which are derived for application to exterior objects, are for
example equile ' horse- stable ' from equus ' horse,' ovile ' sheepfold *
from oves 1 sheep,' and others in this same way ; these are the
opposite of those which I mentioned above, such § 18. ° Here,
objects named by derivation from living beings ; in § 15, living beings
named by derivation from inanimate objects. vol. ti c
385 VARRO sus, ab urbe urbanus, ab atro
atratus : ut nonnunquam ab homine locus, ab eo loco homo, ut ab
Romulo Roma, ab Roma Romanus. 19. Aliquot modis declinata ea
quae foris : nam aliter qui a maioribus suis, Laton{i)us 1 et
Priamidae, aliter quae (a) 2 facto, ut a praedando praeda, a
merendo merces ; sic alia sunt, quae circum ire non difficile ; sed quod
genus iam videtur et alia urgent, omitto. VIII. 20. In
verborum genere quae tempora ad- significant, quod ea erant tria,
praeteritum, praesens, futurum, declinatio facienda fuit triplex, ut ab
saluto salutabam, salutabo ; cum item personarum natura triplex
esset, qui loqueretur, (ad quern), 1 de quo, haec ab eodem verbo
declinata, quae in copia verborum explicabuntur. IX. 21. Quoniam dictum de
duobus, declinatio 1 cur et in qua(s) 2 sit facta, 3 tertium quod
relinquitur, § 19. 1 p, Laetus, for latonus F. 2 Added by Aug., with B. %
20. 1 Added by Laetus after de quo, and transferred to this position by
Mue. § 21. 1 Mue., for duabus declinationibus. 2 KenU for qua
; cf in quas viii. 9. 3 A. Sp.,for fama. b Romulus is derived
from Roma, not the reverse, as Varro has it. § 19. Apollo ;
but oftener Latonia (fern.), Diana. b Especially Hector, Paris, Helenus,
Deiphobus. e Cf v. 44. § 20. a That is, verbs. 386
ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 18-21 as
pecuniosus ' moneyed man * from pecunia 1 money/ urbanus 1 city man '
from urbs 1 city/ atraius * clad in mourning ' from atrum ' black.' Thus
sometimes a place is named from a man, and then a man from this
place, as Rome from Romulus b and then Roman from Rome. 19.
The nouns which relate to exterior objects are derived in sundry ways :
those like Latonias ' Latona's child * a and Priamidae ' Priam's sons/ b
which are derived from the names of their progenitors, are formed
in one way, and those which come from an action are made in another way,
such as praeda ' booty ' from praedari * to pillage * and merces ' wages
' c from mereri ' to earn. 1 In the same way there are still
others, which can be enumerated without diffi- culty ; but because this
category of words is now clear to the understanding and other matters
press for attention, I pass them by. VIII. 20. Inasmuch as in
the class of words which indicate also time-ideas a there were these
three time-ideas, past, present, and future, there had to be three
sets of derived forms, as from the present saluto ' I salute ' there are
the past salutabam and the future salutabo. Since the persons of the verb
were likewise of three natures, the one who was speaking, the one
to whom the speaking was done, and the one about whom the speaking took
place, there are these deriva- tive forms of each and every verb ; and
these forms will be expounded in the account of the stock of verbs
which is in use. IX. 21 . Since two points have been discussed,
why derivation exists and to what products it eventuates, the
remaining third point shall now be spoken of, namely, how and in what
manner derivation takes 387 VARRO
quemadmodum, nunc dicetur.* Declinationum genera sunt duo, voluntarium et
naturale ; voluntarium est, quo ut cuiusque tulit voluntas declinavit.
Sic tres cum emerunt Ephesi singulos servos, nonnunquam alius
declinat nomen ab eo qui vendit Artemidorus, atque Artemam appellat,
alius a regione quod ibi emit, ab Ion(i)a 5 Iona,* alius quod Ephesi
Ephesium, sic alius ab alia aliqua re, ut visum est. 22. Contra naturalem declinationem dico, quae
non a singulorum oritur voluntate, sed a com(m)uni consensu. Itaque omnes
impositis nominibus eorum item declinant casus atque eodem modo dicunt
huius Artemidori 1 et huius Ionis et huius Ephesi, 2 sic in casibus
aliis. 23. Cum utrumque nonnunquam accidat, et ut in
voluntaria declinatione animadvertatur natura et in naturali voluntas,
quae, cuiusmodi sint, aperientur infra ; quod utraque declinatione alia
fiunt similia, alia dissimilia, de eo Graeci Latinique libros
fecerunt multos, partim cum alii putarent in loquendo ea verba
sequi oportere, quae ab similibus similiter essent declinata, quas
appellarunt dvaXoylas, 1 alii cum id 4 Aitg., for dicitur. 5 Laetus, for Iona. 6 Mue.,
for Ionam. §22. 1 Apparently Varro^s own slip for
Artemae. 2 Rhol.,for Ephesis. § 23. 1 For analogiias.
§ 21. a This term includes both word-formation and word- inflection.
6 Practically equal to subjective and objective. C A common type of
hypocoristic or nickname, cf. Demas from Demvcritus and similar names,
Hippias from Hip- parchus, etc. § 22. a This is inflection. b
Specifically, declension. §23. a Cf. viii. 15-16, 51. b Cf. page 118
Funaioli. 388 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 21-23
place. There are two kinds of derivation, voluntary and
natural. b Voluntary derivation is that which is the product of the
individual person's volition, direct- ing itself apart from control by
others. So, when three men have bought a slave apiece at Ephesus,
sometimes one derives his slave's name from that of the seller
Artemidorus and calls him Artemas c ; another names his slave Ion, from
Ionia the district, because he has bought him there ; the third calls his
slave Ephesius, because he has bought him at Ephesus. In this way each
derives the name from a different source, as he preferred.
22. On the other hand I call that derivation natural, which is
based not on the volition of indivi- duals acting singly, but on general
agreement. So, when the names have been fixed, they derive the
case-forms of them in like fashion, 5 and in one and the same way they
all say in the genitive case Artemidori, Ionis, Ephesi ; and so on in the
other cases. 23. Sometimes both are found together, and in
such a way that in the voluntary derivation the pro- cesses of nature are
noted, and in the natural deriva- tion the effects of volition ; of what
sort these are, will be recounted below. Since in the two kinds of
derivation some things approach likeness and others become unlike, the
Greeks and the Latins b have written many books on the subject : in some
of them certain writers express the idea that in speaking men ought
to follow those words and forms which are derived in similar fashion from
like starting-points— which they called the products of Analogy c ;
and e The regularizing principle which tends to eliminate
irre- gular forms of less frequent occurrence, still called Analogy,
by scientific linguists. 389 VARRO
ncglegendum putarent ac potius sequendam (dis)- similitudinem, 2
quae in consuetudine est, quam vocaruwtf 3 d(v)o)fxakiav, 4 cum, ut ego
arbitror, utrum- que sit nobis sequendum, quod (in) 5 declinatione
voluntaria sit anomalia, in naturali magis analogia. 24. De quibus
utriusque generis declinationibus libros faciam bis ternos, prioris tris
de earum declina- tionum disciplina, posteriores de 1 eius
disciplinae propaginibus. De prioribus primus erit hie, quae contra
similitudinem declinationum dicantur, secun- dus, quae contra
dissimilitudinem, tertius de simili- tudinum forma ; de quibus quae
expediero 2 singulis tribus, turn de alteris totidem scribere ac dividere
3 incipiam. X. 25. Quod huiusce 1 libri est dicere contra
eos qui similitudinem sequuntur, quae est ut in aetate puer ad
senem, (puella) 2 ad anum, in verbis ut est scribo scribam, 3 dicam prius
contra universam ana- logiam, dein turn de singulis partibus. A
natura sermo(nis) 4 incipiam. XI. 26. Omnis oratio cum debeat
dirigi ad utili- tatem, ad quam turn denique pervenit, si est
aperta 2 Aug., with B t for similitudinem. 3 For vocarum. 4
Aldus* for AtoM AeNAN. 5 Added by Aug. § 24. 1 L. Sp.,for ex. 2
Mue. ; expedierint Aug. ; for experiero. 3 L. Sp. deleted incipimus after
dividere. g 25. 1 For huiuscae. 2 Added by Aldus. 3 L. Sp.
deleted dico after scribam. 4 Aug., for sermo. d The
irregularities summed up in this term are the products of the regular
working of ' phonetic law,' unrestrained by the operation of Analogy ;
the term Anomaly names it from the product rather than from the working
process. e It seems better henceforth to translate analogia by
Regularity or the like, rather than to keep the word Analogy.
390 OX THE LATIN LANGUAGE, VIII. 23-26
others are of opinion that this should be disregarded and rather
men should follow the dissimilar and irregular, which is found in
ordinary habitual speech — which they called the product of Anomaly.*
But in my opinion we ought to follow both, because in voluntary
derivation there is Anomaly, and in the natural derivation there is even
more strikingly Regularity.* 24. About these two kinds of
derivation I shall write two sets of three books each : the first three
about the principles of these derivations, and the latter set about the
products of these principles. In the former set the first book will
contain the views which may be offered against likeness in
derivation and declension ; the second will contain the argu- ments
against unlikeness ; the third will be about the shape and manner of the
likenesses. What I have set in order on these topics, I shall write in
the three separate books ; then on the second set of topics I shall
begin to write, with due division into the same number of books.
X. 25. Inasmuch as it is the task of this book to speak against
those who follow likeness a — which is like the relation of boy to old
man in the matter of human life, and like that of girl to old woman, and
in verbs is the relation of scribo * I write * and scribam ' I
shall write * — I shall speak first against Regularity in general, and
then thereafter concerning its several subdivisions. I shall begin with
the nature of human speech. XI. 26. All speaking ought to be
aimed at practical utility, and it attains this only if it is clear
§ 25. ° That is, regularity of paradigms resulting from the process
of Analogy. 391 VARRO et brevis,
quae petimus, quod obscurus 1 et longi(or) 2 orator est odio ; et cum
efficiat aperta, ut intellegatur, brevis, ut 3 cito intellegatur, et
aperta(m) 4 consuetudo, brevem temperantia loquentis, et utrumque
fieri possit sine analogia, nihil 5 ea opus est. Neque enim, utrum
Herculi an Herculis clavam dici oporteat, si doceat analogia, cum
utrumque sit in consuetudine, non neglegendum, 6 quod aeque sunt et
brevi(a) et aperta. XII. 27. Praeterea quoius 1 utilitatis
causa quae- que res sit inventa, si ex ea quis id sit consecutus,
amplius ea(m) 2 scrutari cum sit nimium otiosi, et cum utilitatis causa
verba ideo sint imposita rebus ut ea(s) 3 significent, si id consequimur
una consuetudine, nihil 4 prodest analogia. XIII. 28. Accedit
1 quod quaecumque usus causa ad vitam sint assumpta, in his no(strumst) 2
utilitatem quaerere, non similitudinem : itaque in vestitu cum
dissimillima sit virilis toga tunica(e), 3 muliebri(s) 4 stola pallio,
tamen inaequabilitatem hanc sequiwur 5 nihilo 6 minus. XIV.
29. In tfedificiis, quo?n 1 non videamus habere § 26. 1 Aldus, for
obscurum. 2 GS., for longi (Aldus longus). 3 Aldus, for et. 4 Aug., for
aperta. 5 For nichiL 6 Aug. deleted sunt after neglegendum.
§27. 1 Mue. s for quod ius. 2 Aug., for ea. 3 Ver- tranius, for ea.
4 For nichil. § 28. 1 Aldus, for accidit. 2 Fay, for non. 3
Laetus, for tunica., 4 Cuper, for muliebri. 5 Aug., with B, for
sequitur. . 6 For nichilo. § 29. 1 Mue. ; quod quom L. Sp. ; for
quod. 392 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII.
2S-29 and brief : characteristics which we seek,
because an obscure and longish speaker is disliked. And since clear
speaking causes the utterance to be understood, and brief speaking causes
it to be under- stood quickly, and since also habitual use makes
the utterance clear and the speaker's self-restraint makes it
brief, and both these can be present without Regu- larity, there is no
need of this Regularity. For if Regularity should instruct us whether we
ought to say Herculi a or Hercitlis for the genitive, as in the
phrase * the club of Hercules,' we must not fail to disregard its
teaching, since both are in habitual use, and both forms are equally
short and clear. XII. 27. Besides, if from a thing one has
secured that useful service for which it was invented, it is the
act of a person with a great deal of idle time, to examine it further ;
and since the useful service for which names are set upon things is that
the names should designate the things, then if we secure this
result by habitual use alone, Regularity adds no gain. XIII. 28.
There is the additional fact that in those things which are taken into
our daily life for use, it is our practice to seek utility and not to
seek resemblance ; thus in the matter of clothing, although a man's
toga a is very unlike his tunic, et and a woman's stola c is very unlike
a. pallium? we make no objection to the difference. XIV. 29.
In the case of buildings, although we do § 26. This form occurs in
Plautus, Persa 2, Rudens 822, and in other authors. § 28. The
formal outer garment of a Roman man. * A shirt or undergarment. c The
dress of a Roman matron. d The long outer garment of the Greeks,
properly a man's garb only, but worn also by prostitutes both in
Greece and in Italy as a sign of their livelihood. 393
VARRO (ad) 2 atrium 7reptcrTv\.ov z similitudinem ct
cubiculum ad equile, 4 tamen propter utilitatcm in his dissimili-
tudines potius quam similitudines seqm'mur 5 : itaque et hiberna
triclinia et aestiva non item valvata ac fenestrata facimus.
XV. 30. Quare cum, ut 1 in vestitu aedificiis, sic in supellectile
cibo ceterisque omnibus quae usus (causa) 2 ad vitam sunt assumpta
dominetur inaequabilitas, in sermone quoquc, qui est usus causa
constitutus, ea non repudianda. XVI. 31. Quod si quis duplicem
putat esse sum- mam, ad quas metas 1 naturae sit perveniendumin
usu, utilitatis et elegantiae, quod non solum vestiti esse vol umus
ut vitcmus frigus, sed etiam ut videamur vestiti esse honeste, non domum
habere ut simus in tecto et tuto solum, quo 2 necessitas contruserit, sed
etiam ubi voluptas retineri possit, non solum vasa ad victum
habilia,sed etiam figura bella atqueab artifice (ficta), 3 quod aliud
homini, aliud humanitati satis est ; quod- vis sitienti homini poculum
idoneum, humanitati (ni)si 4 bellum parum ; sed cum discessum e(s)t
5 ab utilitate ad voluptatem, tamen in eo ex dissimilitudine plus
voluptatis quam ex similitudine saepe capitur. 32. Quo nomine et
gemina conclavia dissimiliter 2 Added by L. Sp. 3 For ITePHCThAON.
4 Hue. deleted quod after equile. 5 F, Mue., for sequamur. §
30. 1 Stephanus, for et. 2 Added by L. Sp. §31. 1 For maetas. 2
Aug. (quoting a friend), for quod. 3 Fay ; facta L. Sp. ; to fill a blank
space in F of about 4 letters. 4 Aldus, for si. 5 Aug., with B,for
et. § 29. a Jhe garden in the rear part of the house,
surrounded by colonnaded porticos. 6 The main hall in the front of
the house, with a central opening to the sky under which there was a
rectangular water-basin built in the floor. 394. ON
THE LATIN LANGUAGE, VIII. 29-32 not see the persistyle a
bearing resemblance to the atrium 6 nor the sleeping-room bearing
resemblance to the horse-stable, still, on account of the utility
in them we seek for unlikenesses rather than likenesses ; so also
we provide winter dining-rooms and summer dining-rooms with a different
equipment of doors and windows. XV. 30. Therefore, since
difference prevails not only in clothing and in buildings, but also in
furniture, in food, and in all the other things which have been
taken into our daily life for use, the principle of difference should not
be rejected in human speech either, which has been framed for the purpose
of use. XVI. 31. But if one should think that the sum of
those natural goals to which we ought to attain in actual use consists of
two items, that of utility and that of refinement, because we wish to be
clothed not only to avoid cold but also to appear to be honourably
clothed ; and we wish to have a house not merely that we may be under a
roof and in a safe place into which necessity has crowded us together,
but also that we may be where we may continue to experience the
pleasures of life ; and we wish to have table- vessels that are not
merely suitable to hold our food, but also beautiful in form and shaped
by an artist — for one thing is enough for the human animal, and
quite another thing satisfies human refinement : any cup at all is
satisfactory to a man parched with thirst, but any cup is inferior to the
demands of refinement unless it is artistically beautiful : — but as we
have digressed from the matter of utility to that of pleasure, it is
a fact that in such a case greater pleasure is often got from
difference of appearance than from likeness. 32. On this account,
identical rooms are often 395 VARRO
pohwnt 1 et leetos non omnis paris magnitudine ae figura faeiunt.
Quod (si) 2 esset 3 analogia petenda supelleetili, omnis leetos haberemus
domi ad unam formam et aut eum fulcro aut sine eo, nee eum ad
trieliniarem gradum, non item ad cubicularem ; neque potius delectaremur
supellectile distincta quae esset ex ebore (aliisve) 4 rebus disparibus
figuris quam grabatis, 5 qui dva koyov* ad similem formam plerum-
que eadem materia fiunt. Quare
aut negandum nobis disparia esse iucunda aut, quoniam necesse est
confiteri, dicendum verborum dissimilitudine(m), quae sit in
eonsuetudine, 7 non esse vitandam. XVII. 33. Quod si analogia
sequenda est nobis, aut ea observanda est quae est in eonsuetudine
aut quae non est. Si ea quae est sequenda est, prae- ceptis nihil 1
opus est, quod, eum eonsuetudinem sequemur, ea nos sequetur ; si quae non
est in eon- suetudine, quflteremus : ut quisque duo verba in
quattuor formis finxen't 2 similiter, quamvis haee nolemus, tamen erunt
sequenda, ut Iuppit(r)i, 3 Marspitrem ? Quas si quis servet analogias,
pro insano sit reprehendendus. Non ergo ea est se- quenda.
§ 32. 1 Koeler, for pollent. 2 Added by Laetus. 3 Laetus, for essent. 4 Fay ;
aliisque Laetus ; to fill a blank space of about 4 letters in F ; cf ix.
47. 5 For grabattis. 6 Mue., for analogon ; cf x. 2. 7 For
eonsuetudinem. §33. 1 For nichil. 2 Vert ran ius, for finxerunt. 3
L. Sp., for Iuppiti. § 33. a Namely, genitive, dative,
accusative, ablative, from the nominative as starting-point. 6 Such
forms, retaining and inflecting the pater which forms the second
396 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 32-33
ornamented in unlike manner, and couches are not all made the same
in size and shape. But if Regularity were to be sought in furniture, we
should have all the couches in the house made in one fashion, and
either with posts or without them, and when we had a couch suited
for use beside the dining-table, we should not fail to have just the same
for bedroom use ; nor should we rather be delighted with furniture which
was decorated with varying figures of ivory or other materials, any
more than in camp-beds, which with regularity are almost always made of
the same material and in the same shape. Therefore either we must
deny that differences give pleasure, or, since we must admit that they
do, we must say that the un- likeness in words which is found in habitual
usage, is not something to be avoided. XVII. 33. But if we
must follow Regularity, either we must observe that Regularity which
is present in ordinary usage, or we must observe also that which is
not found there. If we must follow that which is present, there is no
need of rules, because when we follow usage, Regularity attends us. But
if we ought to follow the Regularity which is not present in
ordinary usage, then we shall ask, When any one has made two words in
four forms ° according to the same pattern, must we employ them just the
same, even though we do not wish to — as for example a dative
Iuppitri and an accusative Marspiirem ? b If any one should persist in
using such * regular forms,* he ought to be rebuked as crazy. This kind
of Regularity, therefore, is not to be followed. part of
Iuppiter and Marspiter, are quite abnormal, and are found chiefly in the
grammarians as examples of forms which are not to be used.
397 VARRO XVIII. 34. Quod si
oportet id es(se), 1 ut a simili- bus similiter omnia declinentur verba,
sequitur, ut ab dissimilibus 2 dissimilia debeant fingi, quod non fit
: nam et (ab) 3 similibus alia fiunt similia, alia dis- similia, et
ab dissimilibus partim similia partim dis- similia. Ab similibus similia,
ut a bono et malo bonum malum ; ab similibus dissimilia, ut ab
lupus lepus lupo lepori. Contra 4 ab dissimilibus dissimilia, ut
Priamus Paris, Priamo Pari ; ab dissimilibus similia, ut Iupiter ovis,
lovi ovi. 35. Eo iam magis
analogias (esse negandum, 1 quod non modo ab similibus) 2 dissimilia
finguntur, sed etiam ab isdem 3 vocabulis dissimilia neque a dis-
similibus similia, sed etiam eadem. Ab isdem 4 voca- bulis dissimilia
fingi apparet, quod, cum duae sint Al&ae, ab una dicuntur Albani, ab
altera Albenses ; cum trinae fuerint Athenae, ab una dicti Athenae(i),
5 ab altera Athenaiis, a tertia Athenaeopolitae. 36. Sic ex
diversis verbis multa facta in declinando inveniuntur eadem, ut cum dico
ab Saturni Lua Luam, § 34. 1 id esse Canal ; ita esse Hue., for id est. 2
L. Sp.,for his similibus. 3 Added by L. Sp. ; a Aug., with B. 4
Aug., for contraria. § 35. 1 Added by L. Sp. 2 Added by Christ, who
has non solum a., for which Groth, citing L. Sp., gives non modo
ab. 3 Mae. ; iisdem Laetus ; for hisdem. 4 For hisdem. 8 Laetus, for
Athenae. § 34. a Or accusative masculine. § 35.
° Inhabitants of Alba Longa. h Inhabitants of Alba Fucens or Fucentia,
among the Aequi on the borders of the Marsi. c There were several cities
named Athens, only that in Attica being important ; the forms of the
names are uncertain, especially that of the second, which may
however stand for 'Adyvateis like Aeolis v. 25 for AtoXeis. There were
many ethnics in -tvs, plural -e?s. 398 ON THE LATIN
LANGUAGE, VIII. 3^36 XVI II. 34-. But if the proper thing is
that all words that start from similar forms should be inflected
similarly, it follows that from dissimilar starting forms dissimilar
forme should be made by inflection ; and this is not what is found. For
from like forms some like forms are made, and other unlike forms, and
from unlike forms also come some like forms and some unlike forms.
For instance, from likes cume likes, as from bonus * good ' and malus *
bad * come the neuter a forms bonum and malum ; also from likes come
unlikes, as from lupus * wolf * and lepus ' hare ' come the unlike
datives lupo and lepori. On the other hand, from unlikes there are
unlikes, as from the nominatives Priamus and Paris come the datives
Priamo and Pari ; also from unlikes there are likes, as nominatives
Iupiter * Jupiter,* avis * sheep,' and datives Iovi and aw.
35. So much the more now must it be denied that Regularities exist,
because not only are un- likes made from likes, but also from
identical words unlikes are made, and not merely likes, but
identicals are made from unlikes. From identical names unlikes, it is
clear, are made, because while there are two towns named Alba, the people
of the one are called Albani a and those of the other are called
Albenses b ; while there are three cities named Athens, the people of the
one are called Athenaei, those of the second are Athenaiis, those of the
third A thenaeopolitae. c 36. Similarly, many words made in
derivation from different words are found to be identical, as when
I say accusative Luam from Saturn s Lua, a and § 36. ° An old
Italic goddess who expiated the blood shed in battle ; her formulaic
connexion with Saturn is uncertain. 399
VARRO et ab solvendo luo 1 luam. 2 Omnia 3 fere
nostra (n)omina 4 wrilia 5 et muliebria multitudinis cum recto casu
fiunt dissimilia, e#(de)m (in) 6 danc?(i) 7 : dis- similia, ut mares
Terentiei, feminae Terentia(e), 8 eadem in dandi, vireis Terentieis et
mulieribus Terentieis. Dissimile Plautus et Plautius, (Marcus et Marcius)
8 ; et co(m)mune, ut huius Plauti et Marci. XIX. 37. Denique si est
analogia, quod in multis verbis e(s)t x similitudo verborum, sequitur,
quod in pluribus est dissimilitudo, ut non sit in sermone sequenda
analogia. XX. 38. Postremo, si est in oratione, aut in
omnibus eius partibus est aut in aliqua 1 : at 2 in omni- bus non est, in
aliqua esse parum est, ut album esse ^ethiopa 3 non satis est quod habet
candidos dentes : non est ergo analogia. XXI. 39- Cum ab
similibus verbis quae declinan- tur similia fore polliceantur qui
analogias esse dicunt, et cum simile turn 1 denique dicant esse 2 verbo
ver- bum, ex eodem si 3 genere eadem figura transitum de cassu in
cassum similiter ostendi possit, qui haec dicunt utrumque ignorant, et in
quo loco similitudo debeat esse, et quemadmodum spectari soleat,
simile § 36. 1 Suerdsioeus,
for abluo. 2 Aug.,, for abluam. 3 For omina. 4 JO. Sp.^for omina. 5
Scaliger, for libe- ralia. * L. Sp.,for eum. 7 Laetus,for dant. 8
Ixietus, for femina e terentia. 9 Added by Groth. §37. x
Aug., for ^t. § 38. 1 Aug., with B, deleted esse parum after
aliqua. 2 Canal, for et. 3 Mue.,for ethiopam. § 39. 1 Aug.,
with B, for simili laetum. 2 L. Sp., for dicantes se. 3 L. Sp., for
sit. b Solvendo is here attached to luo as a grloss, just as
Saturni is attached to Lua. c The older spelling -EI, historically
correct in these forms, was normal after I until the end of the 400
ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 35-39 also luam as
future of luo 1 loosing.' b Almost all our names of men and women are
unlike in the nomina- tive case of the plural, but are identical in the
dative : unlike, as the men Terentu, c the women Terentiae, but
identical in the dative, men Terentiis c and women Terentiis. Unlike are Plautus
and Plautius, Marcus and Marcius ; and yet there is a form common
to both, namely the genitive Plauti and Marci. d XIX. 37.
Finally, if Regularity does exist for the reason that in many words there
is a likeness of the word-forms, it follows that because there is unlikeness
in a greater number of words the principle of Regu- larity ought not to
be followed in actual talking. XX. 38. In the last place, if
Regularity does exist in speech, it exists either in all its parts or
in some one part ; but it does not exist in all, and it is not
enough that it exists in some one part, just as the fact that an
Ethiopian has white teeth Is not enough to justify us in saying that an
Ethiopian is white : therefore Regularity does not exist.
XXI. 39. Since those who declare that Regulari- ties exist, promise
that the inflected forms from like words will be alike, and since they
then say that a word is like another word only if it can be shown
that starting from the same gender and the same inflectional form it
passes in like fashion from case to case, those who make these assertions
show their ignorance both of that in which the likeness must be
found and of how the presence or absence of the like- Republic, and was
therefore Varro's regular orthography. In the translation the
standardized Latin forms are used. d The contracted form ending in -I was
practically the exclu- sive form used as genitive of nouns ending in -I
US in the nominative, until the end of the Republic. vol. 11
D 401 VARRO sit necne. Quae cum ignorant,
sequitur ut, cum (de) analogia 4 dicere non possint, sequi (non) 6
de- beamus. 40. Quaero enim, verbum utrum dicant vocem
quae ex syllabis est ficta, earn quam audimus, an quod ea significat,
quam intellegimus, an utrumque. Si vox voci esse debet similis, nihil 1
refert, quod significat mas an femina sit, et utrum nomen an vocabulum
sit, quod ilk' 2 interesse dicunt. 41. Sin illud quod
significatur debet esse simile, Diona et Theona quos dicunt esse paene
ipsi geminos, inveniuntur esse dissimiles, si alter erit puer,
alter senex, aut unus albus et alter ^ethiops, item aliqua re alia
dissimile(s). 1 Sin ex 2 utraque parte debet verbum esse simile, non cito
invenietur qui(n) 3 in altera utra re claudicet, nec Perpenna et Alfen(a)
4 erit simile, quod alterum nomen virum, alterum mulierem
significat. Quare quoniam ubi similitudo esse debeat nequeunt ostendere,
impudentes sunt qui dicunt esse analogias. XXII. 42. Alterum
illud quod dixi, quemad- modum simile (s)pectari 1 oporteret, ignorare
apparet ex eorum praecepto, quod dicunt, cum transient e 4
GS.,for analogiam ; cf. viii. 43. 5 Added by Vertranius. % 40. 1
For nichil. 2 Laetus, for illae. §41. 1 Aug., for dissimile. 2 For
ex ex. 3 Ed. Veneta, for qui. 4 GS. ; Alphena L. Sp. ; Alphaena
Rhol. ; Alfaena Laetus ; for Alfaen. § 42. 1 Victorias, for
expectari. § 41. ° These names were often used by the
philosophers as a typical pair in their discussions ; the accusatives
Diona and Theona in the text, instead of the nominative, are
assimil- 402 ON THE LATIN LANGUAGE, VIIL 39-42
ness is wont to be recognized. Since they are ignorant of
these matters, it follows that we ought not to follow them, inasmuch as
they are unable to pro- nounce with authority on the subject of
Regularity. 4-0. For I ask whether by a * word ' they mean
the spoken word which consists of syllables, that word which we hear, or
that which the spoken word indi- cates, which we understand, or both. If
the spoken word must be like another spoken word, it makes no
difference whether what it indicates is male or female, and whether it is
a proper name or a common noun ; and yet the supporters of Regularity say
that these factors do make a difference. 41. But if that
which is denoted by like words ought to be like, then Dion and Tkeon, a
which they themselves say are almost identical, are found to be
unlike, if the one is a boy and the other an old man, or one is white and
the other an Ethiopian 6 ; and likewise if they are unlike in some other
respect. But if the word must be like in both directions, there
will not quickly be found one that is not defective in one respect
or the other, nor will Perpenna and Alfena prove to be alike, because the
one name denotes a man and the other a woman. Therefore, since they
are unable to show wherein the likeness must exist, those who assert that
Regularities exist are utterly shameless. XXII. 42. The other
matter that I have men- tioned, how the likeness is to be recognized,
they clearly fail to appreciate in that they set up a precept that
only when the passage is made from the nomina- ated to the
immediately following relative. b For the same contrast, yatic. et XXXII. 57. The words which are made
from verbs are such as scriptor ' writer ' from scribere 1 to write
* and lector ' read er * from legere ' to read * ; that those also
do not preserve a likeness can be seen from the following : although
amator * lover ' from amare * to love ' and salutator * saluter * from
salutare ' to salute * are formed in like manner, there is no
cantator ° ' singer * from cantare * to sing * ; and § 56. a Wrong
forms, formed for purposes of argument. * Not Libyatici, but Libyci was
the form in use. § 57. a Up to Varro's time, only cantor was used ;
can- tator is a later word. 415 VARRO cum
dicatur lassus sum metendo ferendo, ex his voca- bula non reddunt
proportionem, quo(niam) 2 non fit ut messor fertor. Multa sunt item in
hac specie in quibus potius consuetudinem sequimur quam ra- tionem
verborum. 58. Pr^eterea cum sint ab eadem origine ver- borum
vocabula dissimilia superiorum, quod simul habent casus et tempora, quo
vocantur participia, et multa sint contraria ut amo amor, lego legor, 1
ab amo et eiusmodi omnibus verbis oriuntur praesens et futurum ut 2
amans et amaturus, 3 ab eis verbis tertium quod debet fingi praeteriti,
in lingua Latina reperiri non potest : non ergo est analogia. Sic ab awor
4 legor et eiusmodi verbis 5 vocabulum eius generis praeteriti
te(m)poris fit, ut amatus, 6 neque praesentis et futuri ab his fit.
59. Non est ergo analogia, praesertim cum tantus numerus
vocabulorum in eo genere interierit 1 quod dicimus. In his verbis quae contraria non
habent, (ut) 2 loquor et venor, tamen dicimus loquens et venans,
locuturus (et venaturus, 3 locutus et venatus), 4 quod secundum analogias
non est, quoniam dicimus 2 L. Sp., for quo. § 58. 1 L. Sp. t /or amor amo
seco secor. 2 Bentinus,for et. 3 H, B, Ixzetus, for ueta maturus. 4
Aug., for amabor. 5 Aug.> for uerbi est. 6 L. Sp.,for amaturus eram
sum ero. § 59. 1 Laetus, for inter orierit. 2 Added by L. Sp.
3 Added by Laetus. 4 Added by Fay. b The corresponding noun
of agency is lator. § 58. a,That is, active and passive voices. 6
Of the active voice. c Of the passive voice. d Varro does not
consider the gerundive amandus to be a future passive par- ticiple.
416 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 57-59
though we say " I am tired with metendo * reaping ' and
ferendo * carrying,' " the words from these do not represent a like
relation, since there is no fertor b * carrier ' made like messor '
reaper.' There are like- wise many others of this class in which we
follow usage rather than conformity to the verbs. 58. Besides
these there are other words which also originate from verbs but are
unlike those of which we have already spoken, because they have both
cases and tenses, whence they are called participles. And as many
verbs have opposite forms, such as amo ' I love,' amor * I am loved,*
lego ' I read,' legor * I am read,' from amo and all verbs of this kind 6
there develop present and future participles, such as amans *
loving ' and amaturus * about to love,' but from these verbs the third
form which ought to be made, namely the past participle, cannot be found
in the Latin language : therefore there is no Regularity. So also
from amor * I am loved,' legor * I am read,' and verbs of this kind c the
word of this class is made for past time, as amatus ' loved,' but from
them none is made for the present and the future.* 59.
Therefore there is no Regularity, especially since such a great number of
words has perished in this class which we are mentioning. In these
verbs which have not both voices, such as loquor ' I speak ' and
venor 1 I hunt,' b we none the less say loquens 1 speaking ' and venans '
hunting,' locutarus * about to speak ' and venaturus * about to hunt,'
locutus ' having spoken ' and venatus * having hunted.' This is not
according to the Regularities, since we say § 59. That is, many
verbs lack a complete paradigm that includes both active and passive
forms. b Deponent verbs. VOL. 11 E
417 VARRO loquor et venor,
(non loquo et veno), 5 unde 8 ilia erant superiora ; e(o) minus 7
servantur, quod 8 ex his quae contraria verba non habent* alia efficiunt
tenia, ut ea quae dixi, alia bina, ut ea quae dicam : currens
ambulans, cursurus ambulaturus : tertia enim prae- teriti non sunt, ut
cursus sum, ambulatus sum. 60. Ne in his quidem, quae saepius quid
fieri ostendunt, servatur analogia : nam ut est a cantando
cantitans, ab amando amitans non est et sic multa. Ut in his
singularibus, sic in multitudinis : sicut enim cantitantes seditantes 1
non dicuntur. XXXIII. 61. Quoniam est vocabulorum genus quod
appellant compositicium et negant conferri id oportere cum simplicibus de
quibus adhuc dixi, de compositis separatim dicam. Cum ab tibiis et
canendo tibicines dicantur, quaerunt, si analogias sequi opor-
teat, cur non a cithara et psalterio et pandura dicamus citharicen et sic
alia ; si ab aede et tuendo (aeditumus 5 Added by L. Sp. 6 venor
unde Laetus, for uenerunt de. 7 L. Sp., for eminus. 8 Mue. deleted cum
after quod. 9 Aug., with B,for habentur. § 60. 1 M, Laetus, for sed
ettitantes. c That is, the deponent verbs, since they lack
the active forms otherwise, should not have the active participles
which actually they have. d Deponent verbs. e In- transitive verbs of
active form, which naturally have no passive, and consequently no passive
participle. / Varro's logic here deserts him, since the deponent
verbs have a perfect participle of passive form and active mean-
ing, and there is no reason why intransitive verbs of active form should
not have a perfect participle passive in form and active in meaning : in
fact, such a participle is sometimes found, like adultus * grown up,*
from adoJescere 1 to grow up.' 418 ON THE LATIN
LANGUAGE, VIII. 59-61 loquor and venor, not loquo and veno,
whence came the forms given above. c The Regularities are the less
preserved, because some of the verbs which have not both voices, make
three participles each, like those which I have named, d and other make
only two each,* such as those which I shall now name : currens
* running * and ambulans 1 walking,' cursurus ' about to run ' and
ambulaturus ' about to walk ' ; for the third forms, those of the past,
do not exist/ as in cursus sum * I am run/ ambulatus sum 1 I am
walked.' 60. But Regularity is not preserved even in those
which indicate that something is done with greater frequency ; for though
there is a cantitans ' repeatedly singing * from caniare 1 to sing,'
there is no amiians 1 repeatedly loving ' from amare * to love/ and
simi- larly with many others. The situation is the same in the
forms of the plural as in those of the singular : though the plural
caniitantes is used, seditantes* 1 sitting ' is not.
XXXIII. 61. Since there is a class of words which they call
compositional, saying that they ought not to be grouped in the same
category with the simple words of which I have so far spoken, I shall
deal separately with these compounds. Since from tibiae * pipes *
and canere * to play * the tibicines 1 pipers ' are named, they
ask, If we ought to follow the Regularities, why then from cithara * lute
* and psalterium 1 psaltery ' and pandura * Pans strings * should we not
say citharicen a * lute-player * and the rest in the same way ?
If from aedes * temple ' and tueri ' to guard * the aedi- §
60. a The singular seditans also is not used, which is implied by Varro,
but not stated. §61. • Citharista^ fern, citharistria, are used,
both taken from Greek. 419
VARRO dicatur, cur non ab atrio et tuendo) 1 potius
atritumus sit quam atriensis ; si ab avibus capiendis auceps
dicatur, debuisse aiunt a piscibus capiendis ut aucu- pem sic
pisci(cu)pem 2 dici. 62. Ubi lavctur aes aerarias, non
aerelavinas nominari ; et ubi fodiatur argentum argentifodinas
dici, neque (ubi) 1 fodiatur ferrum ferrifodinas ; qui lapides caedunt
lapicidas, qui ligna, lignicidas non dici ; neque ut aurificem sic
argentificem ; non doctum dici indoctum, non salsum insulsum. Sic
ab hoc quoque fonte quae profluant, (analogiam non servare) 2
animadvertere est facile. XXXIV. 63. Reliquitur de casibus, in quo
Aris- tarchei suos contendunt nervos. XXXV. Primum si in his esset
1 analogia, dicunt de&ttisse 2 omnis nomi- natus 3 et articulos
habere totidem casus : nunc alios habere unum solum, ut litteras singulas
omnes, alios tris, ut praedium praedii praedio, alios quattuor, ut
§61. 1 The omission in F (and all codd.) was filled by Laetus with
edituus est cur ab atrio et tuendo / Aldus inserted non after tuendo ;
Mue. wrote aeditumus and (with B) set non after cur; A. Sp. proposed
dicatur for sit. 2 Aug., with Btfor piscipem. §62. 1 Added by
Laetus. 2 Added by Christ. § 63. 1 For essent. 2 Aldus, for de
risse. 3 L. Sp. 9 for nominatiuos. b The regular word
is piscator ; one inscription has piscicapus. §62. ° Regularly
ferrariae * iron-mines.' b Regularly lignatores 4 wood-cutters.' c
Regularly argentarius 4 silver- smith.' d The difference here consists in
the change of the radical vowel of salsus, when it comes to stand in a
medial syllable ; the process is called Vowel Weakening. §
63. n Aristarchus, of Samothrace, famous grammarian of Alexandria, lived
about 216-144 b.c. He wrote many commentaries on Greek authors, and many
works on gram- mar, in which he defended the principle of
Regularity. 420 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII.
61-63 tumus * sacristan * is named, why from atrium '
main hall * and tueri ' to guard ' is it not atriiumus ' butler '
rather than atriensis ? And if from avis caper e 4 to catch birds * the
auceps 4 fowler * is named, they say, from pisds capere 4 to catch fish '
there ought to be a pisciceps b * fisherman ' named like the
auceps. 62. They remark also that establishments where aes *
copper * lavatur * is refined ' are called aerariae 4 smelters ' and not
aerelavinae 4 copper-washery ' ; and places where argentum 4 silver 1
foditur 4 is mined ' are called argentifodinae ' silver-mines,* but that
places where ferrum 4 iron ' is mined are not called ferrifodinae a ;
that those who caedunt 4 cut * lapides * stones ' are called lapicidae *
stone-cutters,' but that those who cut lign a * firewood ' are not called
ligni- cidae b ; that there is no term argentifex e * silver- smith
' like aurifex * goldsmith ' ; that a person who is not doctus * learned
' is called indoctus, but one who is not salsus * witty ' is called
insulsus. d Thus the words which come from this source also, it is easy
to see, do not observe Regularity. XXXIV. 63. It remains to
consider the problem of the cases, on which the Aristarcheans a
especially exert their energies. XXXV. First, if in these there
were Regularity, they b say that all names and articles ought to have the
same number of cases ; but that as things are some have one only, c like
all individual letters, others have three/ 1 like praedium praedii
Among his pupils were important scholars of the next genera- tion.
h Those who do not believe in the principle of Regu- larity. c These are
the indeclinable nouns. d Varro counts only different case-forms : where
he finds three, the nom., acc., and voc. are identical, and the dat. and
abl. are identical ; etc. 421 VARRO mel
mellis melli melle, alios quinque, nt quintus quinti quinto quintum
quinte, alios sex, ut unus unius uni unum line uno : non esse ergo in
casibus analogias. XXXVI. 64. Secundo quod Crates, 1 cur quae
singulos habent casus, ut litterae Graecae, non dican- tur alpha alphati
alphatos, si idem mihi respondebitur quod Crateti, 2 non esse 3 vocabula
nostra, sed penitus barbara, qucreram, cur idem nostra nomina et
Per- sarum et ceterorum quos voeant barbaros cum easibus dica(n)t.
4 65. Quare si essent in analogia, aut ut Poenicum et ^/eg^ptiorum
vocabula singulis easibus dicerent, aut pluribus ut Gallorum ae eeterorum
; nam dicunt alavda alauefcs 1 et sie alia. Sin 2 quod scrib?mt 3
dicent, quod Poenicum si(n)t, 4 singulis casibus ideo eas lit-
teras Graecas nominari : sie Graeci nostra senis easibus non quinis 5 dicere
debebant ; quod eum non faciunt, non est analogia. XXXVII. 66. Quae si esset, 1
negant ullum casum duobus modis debuisse dici ; quod fit contra. Nam sine reprehensione
vulgo alii dicunt in singulari hae § 64. 1 Laetus, for grates. 2
Laetus, for grateti. 3 Aug., with B, for essent. 4 Laetus, for
dicat. § 65. 1 Scaliger, for alacco alaucus. 2 Popma, for
alias in. 3 Popma, M, for scribent. 4 lihol., for sit. 6 Laetus
transposed quinis non. § 66. 1 Laetus, for essent. §
64. ° Crates of Mallos, head of the Pergamene school of scholarship, was
a contemporary and opponent of Aris- tarchus, and championed the
principle of Anomaly. b Names of letters were indeclinable both in Greek
and in Latin. § 65. a Not the Carthaginians, but the
Phoenicians. 6 Varro knew that neither language had a case system.
422 ON THE LATIN LANGUAGE, VIII. 63-66
praedio * farm,' others four, like mel mellis melli melle ' honey/
others five, like qidntus quinti quinto quintum quinie ' fifth,' others
six, like units unius uni umim une uno * one ' ; therefore in cases there
are no Regularities. XXXVI. 64. Second, in reference to what
Crates ° said as to why those which have only one case-form each
are not used in the forms alpha, dat. alphati, gen. alphaios, because
they are Greek letters b — if the same answer is given to me as to
Crates, that they are not our words at all, but utterly foreign words,
then I shall ask why the same persons use a full set of case- forms
not only for our own personal names, but also for those of the Persians
and of the others whom they call barbarians. 65. Wherefore,
if these proper names were in a state of Regularity, either they would
use them with a single case-form each, like the words of the
Phoeni- cians a and the Egyptians, b or with several, like those of
the Gauls and of the rest : for they say nom. alauda c * lark,' gen.
alaudas, and similarly other words. But if, as they write, they say that
the Greek letters received names with but one case-form each for
the reason that they really belong to the Phoeni- cians, then in this way
the Greeks ought to speak our words in six cases d each, not in five :
inasmuch as they do not do this, there is no Regularity.
XXXVII. 66. If Regularity existed, they say, no case ought to be
used in two forms ; but the opposite is found to occur. For without
censure quite com- monly some say in the ablative singular ovi * sheep
' e The text is desperate here ; but at any rate alauda is
Celtic. d Greek had no form by which it might represent the Latin
ablative. 423 VARRO ovi et
avi, alii hac ove et ave ; in multitudinis hae puppis restis et hae
puppes restes ; item quod in patrico 2 casu hoc genus dispariliter
dicuntur civitatum parentum et civitatium parentium, in accusandi
hos montes fontes et hos montis fontis. XXXVIII. 67. Item
cum, si sit analogia, debeant ab similibus verbis similiter declinatis
sirnilia fieri et id non fieri ostendi possit, despiciendam earn
esse rationem. Atqui ostenditur : nam qui potest similius esse quam gens, mens, 1
dens ? Cum horum casus patricus et accusativus in multitudine sint
dispariles 2 : nam a primo fit gentium et gentis, utrubique ut sit
{I), 3 ab secundo mentium et mentes, 4 ut in priore solo sit I, ab tertio
dentum et dentes, ut in neutro sit. 68. Sic item quoniam simile est
recto casu surus lupus lepus, rogant, quor non dicatur proportione
1 suro lupo lepo. Sin respondeatur sirnilia non esse, quod ea
vocemus dissimiliter sure lupe lepus (sic enim respondere voluit
Aristarc^us Crateti : nam cum scripsisset sirnilia esse Philomedes
Heraclides Meli- certes, dixit non esse sirnilia : in vocando enim
cum — and that both kinds are present in our language also ?
32. For my part I
have no doubt that you have observed the countless number of likenesses
in speech, such as those of the three tenses of the verb, or its
three persons. XXV. Who indeed can have failed to join you in observing
that in all speech there are the three tenses lego 1 I read/ legebam ' I
was reading/ legam * I shall read/ and similarly the three persons
lego 1 I read/ legis * thou readest/ legit ' he reads/ though these same
forms may be spoken in such a way that sometimes one only is meant,
at other times more ? Who is so slow-witted that he has not observed also
those likenesses which we use in commands, those which we use in
wishes, those in questions, those in the case of matters not
peratives and subjunctives) exhibit certain regular resem- blances
; and so do those used in wishes, etc. in interrogando, quibus in
infectis rebus, quibus in perfectis, sic in aliis discriminibus ?
XXVI. 33. Quare qui negant esse rationem 1 analogiae, non vide(n)t
2 naturam non solum ora- tionis, sed etiam mundi ; qui autem vident et
sequi negant oportere, pugnant contra naturam, non contra
analogian, et pugnant volsillis, non gladio, cum pauca excepta verba ex
pelago sermonis (po)puli 3 minus (usu) 4 trita afferant, cum dicant
propterea analogias non esse, similiter ut, si quis viderit mutilum bovem
aut luscum hominem claudicantemque equum, neget in 5 bovum hominum et
equorum natura similitudines proportione constare. XXVII. 34.
Qui autem duo genera esse dicunt analogiae, unum naturale, quod ut ex
satis 1 nascuntur (lentibus) 2 lentes 3 sic e.r (lupino) 4 lupinum,
alterum voluntarium, ut in fabrica, cum vident sctfenam ut in
dexteriore parte sint ostia, sic esse in sinisteriore simili ratione
factam, de his duobus generibus naturalcm esse analogian, ut sit in
motibus caeli, voluntariam non esse, quod ut quo(i)que 5 fabro
lubitum sit possit facere partis scaenae : sic in homi- num partibus esse
analogias, quod ea(s) 6 natura faciat, in verbis non esse, quod ea
homines ad suam quisque voluntatem fingat, itaque de eisdem rebus
alia verba habere Graecos, alia S?/ros, alia Latinos : ego declinatus
verbornm et voluntarios et naturalis § 33. 1 For orationem. 2 For
uidet. 3 Canal, for puli. 4 Transferred to this place by Fay ; added by
GS. before populi. 5 Sciop, deleted cornibus after in. §34. 1
Vertranius, after Aug., for natis. 2 Added by L. Sp. 3 For lentis. 4 L.
Sp. ; ex lupinis Aug., with B ; for et. 5 B, for quoque. 6 Laetus, for
ea. § 34. a The expected continuation is, " They are in error."
462 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 32-34
completed and those for matters completed, and similarly in other
differentiations ? XXVI. 33. Therefore those who say that there
is no logical system of Regularity, fail to see the nature not only
of speech, but also of the world. Those who see it and say that it ought
not to be followed, are fighting against nature, not against the
principle of Regularity, and they are fighting with pincers, not
with a sword, since out of the great sea of speech they select and offer
in evidence a few words not very familiar in popular use, saying that for
this reason the Regularities do not exist : just as if one should
have seen a dehorned ox or a one-eyed man and a lame horse, and should
say that the likenesses do not exist with regularity in the nature of
cattle, men, and horses. XXVII. 34. Those moreover who say
that there are two kinds of Regularity, one natural, namely that
lentils grow from planted lentils, and so does lupine from lupine, and
the other voluntary, as in the workshop, when they see the stage as
"having an entrance on the right and think that it has for a
like reason been made with an entrance on the left ; and say
further, that of these two kinds the natural Regularity really exists, as
in the motions of the heavenly bodies, but the voluntary Regularity is
not real, because each craftsman can make the parts of the stage as
he pleases : that thus in the parts of men there are Regularities,
because nature makes them, but there is none in words, because men
shape them each as he wills, and therefore as names for the same
things the Greeks have one set of words, the Syrians another, the Latins
still another a — I firmly think that there are both voluntary and
natural esse puto, voluntarios quibus homines vocabula
imposwerint 7 rebus quaedam, ut ab Romulo Roma, ab Tibure* TVburtes,
naturales ut ab impositis vo- cabulis quae inclinantur in tempore* aut in
casus, ut ab Romulo Romuli Romulum et ab dico dicebam
dixeram. 35. Itaque in voluntariis declinationibus incon-
stantia est, in naturalibus constantia ; quae utrasque quoniam iei non
debeant negare esse in oratione, quom 1 in mundi partibus omnibus sint,
et declina- tiones verborum innumerabilcs, dicendum est esse in his
analogias. Neque ideo statim ea in omnibus verbis est sequenda : nam si
qua perperam declinavit verba consuetudo, ut ea aliter (non possint
efferri) 2 sine offensione multorum, hinc rationem 3 verborum
praetermittendam ostendit loquendi ratio. XXVIII. 36. Quod ad universam
pertinet cau- sam, cur similitudo et sit in oratione et debeat
observari et quam ad finem quoque, satis dictum. Quare quod sequitur de
partibus singulis deinceps expediemus ac singula crimina quae dicunt
(contra) 1 analogias solvemus. 37. In quo animadvertito
natura quadruplicem esse formam, ad quam in declinando accommodari
debeant verba : quod debeat subesse res quae 1 7 For imposierint 8
For tybere. 9 For
tempore. § 35. 1 Mtie., with a, for quam. 2 Added by GS.,
after Aldus efferri non possit (Aug., possint). 3 Sciop., a, for
orationem. § 36. 1 Added by L. Sp. ; cf ix. 7. §37. 1
RhoL, for resque. § 35. ° That is, a regular form must be
discarded in derivations of words, voluntary for the things on
which men have imposed certain names, as Rome from Romulus and the
Tiburfes ' men of Tibur ' from Tibur, and natural as those which are
inflected for tenses or for cases from the imposed names, as
genitive Romuli and accusative Eomulum from Romulus, and from dico ' I
say ' the imperfect dicebam and the pluperfect dixeram. 35.
Therefore in the voluntary derivations there is inconsistency, and in the
natural derivations there is consistency. Inasmuch as they ought not to
deny the presence of both of these in speech, since they are in all
parts of the world, and the derivative forms of words are countless, we
must say that in words also the Regularities are present. And yet Regularity
does not for this reason have to be followed in all words ; for if usage
has inflected or derived any words wrongly, so that they cannot be
uttered without giving offence to many persons, the logic of
speaking shows us that because of this offence the logic of the
words must be set aside. XXVIII. 36. As far as concerns the
general cause why likeness is present in speech and ought to be
observed, and also to what extent this should be done, enough has now
been said. Therefore in the following we shall set forth its several
parts item by item, and refute the individual charges which they
bring against the Regularities. 37. In this matter, you should take
notice that by nature there are four elements in the basic
situation to which words must be adjusted in inflection : there
must be an underlying object or idea to be de- favour of an irregular
form if the feeling (Sprachge/uhl) of the speakers rebels against
it. vol. ii h 465 VARRO designetur,
2 et ut sit ea res 3 in usu, et ut vocis natura ea sit quae significavit,
ut declinari possit, et simili- tude* figura(e) 4 verbi ut sit ea quae ex
se declinatw 5 genus prodere certum posset. 6 38. Quo neque a
terra terrus ut dicatur postu- landum est, quod natura non subest, ut in
hoc alterum maris, alterum feminae debeat esse ; sic neque propter
usum, ut Terentius significat unum, plures Terentii, postulandum est, ut
sic dicamus faba et fabae : non enim in simili us(u) 1 utrumque ;
neque ut dicimus ab Terentius Terentium, sic postulandum ut
inclinemus ab A et B, quod non omnis vox natura habet declinatus.
39. Neque in forma collata quaerendum
solum, quid habeat in figura simile, sed etiam nonnunquam in eo
quern habeat effectum. Sic enim lana Gallicana et Apula videtur imperito
similis propter speciem, cum peritus Apulam emat pluris, quod in usu
firmior sit. Haec nunc strictim dicta apertiora fient infra.
Incipiam hinc. XXIX. 40. Quod rogant ex qua parte oporteat
simile esse verbum, a voce an a 1 significatione, re- spondemus a voce ;
scd tamen nonnunquam quaerimus genere similiane sint quae significantur
ac nomen 2 Laetus, for design entur. 3 G, IJ, a, Laetus^ for cares. 4 Mite., for
figura. 5 L. Sp.,for declinata. 6 Aug for passu nt. § 38. 1
L. Sp., for similius. § 40. 1 After J^aetus, ab voce an, for
aboceana. § 38. a The singular faba was used also
collectively for the plural or mass idea ; cf. Priscian, ii. 176 Keil. b
Names of letters. § 39. a Cf. § 92. § 40. ° Cf
viii. 40. signated ; this object or idea must be in use ;
the nature of the utterance which has designated it, must be such
that it can be inflected ; and the re- semblance of the word s form to
other words must be such that of itself it can reveal a definite class
in respect to inflection. 38. Therefore it is not to be
demanded that from terra * earth * there should be also a terms,
because there is no natural basis that in this object there ought
to be one word for the male and another for the female. Similarly, with
respect to usage, while Terentius designates one person of the name
and Terentii designates several, it is not to be demanded that in
this way we should say faba * bean ' and Jabae ' beans/ for the two are
not subject to the same use. a Nor is it to be demanded that as we
say acc. Tereniium from nom. Terentius, we should make case-forms
from A and B, b because not every utter- ance is naturally fitted for
declensional forms. 39. The likeness which the word has in its
shape must be investigated not in the comparison of the basis
merely, but also sometimes in the effect which it has. For thus the
Gallic wool and the Apulian wool seem alike to the inexperienced on
account of their appearance, though the expert buys the Apulian at
a higher price because in use it lasts better. These matters, which
have been touched upon hastily here, will become clearer in a later
discussion. Now I shall start. XXIX. 40. To their question in
what respect a word ought to be similar, sound or meaning, we
answer that it should be so in sound. But yet some- times we ask whether
the objects designated are like in kind, and compare a man's name with a
man's, 467 VARRO virile cum
virili conferimus, feminae cum muliebri : non quod id quod significant
vocem commoveat, sed quod nonnunquam in re dissim(ili par)ilis 2
figurae formas in simile' 3 imponunt dispariles, 4 ut calcei mulie-
bres sint an viriles dicimus ad similitudinem figurae, cum tamen sciamus
nonnunquam et mulierem habere calceos viriles et virum muliebris.
41. Sic dici virum Perpennam ut AZ/enam 1 muliebri forma 2 et
contra parietem ut abietem esse forma 8 similem, quo(m) 4 alterum
vocabulum dicatur virile, alterum muliebre et utrumque natura neutrum
sit. 5 Itaque ea virilia dicimus non quae virum' significant, sed quibus
proponimus hie et hi, et sic muliebria in quibus dicere posswmus 7 haec
aut hae. XXX. 42. Quare nihil 1 est, quod dicunt Theona et
Diona non esse similis, si alter est Jethiops, alter al6us, 2 si analogia
rerum dissimilitudines adsumat ad discernendum vocis verbi figuras.
XXXI. 43. Quod dicunt simile sit necne nomen nomini impudenter
AristarcAum praecipere opor- tere spectare non solum ex recto, sed etiam
ex eorum vocandi casu, esse 1 enim deridiculum, si similes 2
GS. ; dissimilis Mue. ; for dissimilis. 3 GS. ; §41. 1 ut
Alfenam Mue., for aut plenam ; cf viii. 41. 2 Laetus, for formam. 3
Aldus, for formam. 4 Mue. ; cum Aug.; for quo. 5 Ant. Miller and Reiter,
for sic. 6 Aldus, for utrum. 7 M, Laetus,for possimus. § 42.
1 For nichil. 2 Mue., for galhis / cf viii. 41. § 43. 1 L. Sp., C. F. W.
Mueller, Madvig, for esset. § 41. a Cf viii. 41. 6 The forms
of hie haec hoc are regularly used by the grammarians to indicate the
case, number, and gender of a word. in simili
Mue. ; for indissimiles. 468 ON THE
LATIN LANGUAGE, IX. 40-43 a woman's name with a woman's :
not because that which they designate affects the word, but because
sometimes in case of an unlike thing they set upon it forms of an
equivalent appearance, and on a like thing they set unequal forms, as we
call shoes women's shoes or men's shoes by the likeness of the
shape, although we know that sometimes a woman wears men's shoes
and a man wears women's shoes. 41. In like fashion, we say, a man
is called Perpe?ina f like Alfena, with a feminine form ° ; and on
the other hand paries ' house-wall ' is like abies ' fir-tree ' in form,
although the former word is used as a masculine, the latter as a
feminine, and both are naturally neuter. Therefore those which we
use as masculines are not those which denote a male being, but
those before which we employ hie and hi, and those are feminines with
reference to which we can say haec or hae. b XXX. 42. For
this reason it amounts to nothing, that on the premise that Regularity
adopts the unlikenesses of the objects as a criterion for
difference in the forms a of the spoken word, 6 they say that Theon
and Dion are not alike if the one is an Ethiopian and the other is a
white man. c XXXI. 43. As to what they say, a that
Aristarchus was shameless in his instructions that to see whether
one name was like another you should view it not only from the
nominative, but also from the vocative — for the same persons say that it
is absurd to judge § 42. ° One of the rare examples of the
accusative of the gerund with an object. b The word as sound is vox,
while the word as symbol of meaning is verbum ; the vox verbi is
therefore the sound, or series of sounds, which represent the symbol of
meaning. Cf. viii. 40. e Cf. viii. 41. § 43. a Cf. viii. 42.
469 VARRO inter se parentes sint,
de filiis iudicare 2 : errant, quod non ab eo(rum) 3 obliquis casibus
fit, ut recti simih' 4 facie ostendantur, sed propter eos facilius
perspici similitudo potest eorum quam vim habeat, 5 ut lucerna in
tenebris allata non facit (ut) 6 quae ibi sunt posita similia sint, sed
ut videantur, quae sunt quoius (mo)di sint. 7 44. Quid
similius videtur quam in his est extrema littera crux Phryx 1 ? Quas, qui
audit voces, auribus discernere potest nemo, cum easdem non esse
similes ex (declin)atfs 2 verbis intellegamus, quod cum sit cruces
et Phryges* et de his extremis syllabis exemp- tum* sit E, ex altero fit
ut ex C et S crux, ex altero G et S Phryx, 1 Quod item apparet, cum est
demp- tum S : nam fit unum cruce, 5 alterum Phryge* XXXII.
45. Quod aiunt, cum in maiore parte orationis non sit similitudo, non
esse analogian, dupliciter stulte dicunt, quod et in maiore parte
est et si in minore parte 1 sit, tamen sit, 2 nisi etiam nos
calceos negabunt habere, quod in maiore parte corporis calceos non
habeamus. 2 L. Sp. deleted qui after iudicare. 3 L. Sp., for
eo. 4 Laetus, for simile. 5 Laetus, for habeant. 6 Added by L. Sp.
1 L. Sp., for dissint. §44. 1 Aldus, for frix. 2 GS„ for aliis. 3
Aldus, for friges. 4 Aldus, for exemplum. 6 L. Sp., for cruci. 6
Phruge L. Sp., Phrj'gi Aldus ; for frigi. § 45. 1 Here L. Sp.,
following other slightly different deletions, deleted a repeated est et
si in minore. 2 After sit, L. Sp. deleted in maiore. .
§ 44. a For Phryx and its forms, Augustinus (with B) read frux, etc. ;
but nom. frux was no longer used in Varro's 470 ON THE
LATIN LANGUAGE, IX. 43-45 from the children whether the
parents are alike : those who say this are mistaken, for it does not
come about from their oblique cases that the nominatives are shown
to be of like appearance, but through the oblique cases can be more easily
seen what evidential force lies in the likeness of the nominatives — even
as a lamp in the dark, when brought, does not cause that the things
which are there should be "alike, but that they should be seen in
their real character. 44. What seems more closely alike than the
last letter in the words crux ' cross ' and Phryx * Phry- gian ' ?
a No one who hears the spoken words can by his ears distinguish the
letters, 6 although we know from the declined forms of the words
that though alike they are not identical ; because M'hen the
plurals cruces and Phryges are taken and E is removed from the last
syllables, from the one there results crux, with X from C and S, and from
the other comes Phryx, from G and S. And the difference
is likewise clear, when S is removed ; for the one be- comes
cruce, the other Pkryge. c XXXII. 45. As to what they say, a that
since likeness does not exist in the greater part of speech,
Regularity does not exist, they speak foolishly in two ways, because
Regularity is present in the greater part of speech, and even if it
should exist only in the smaller part, still it is there : unless they
will say that we do not wear any shoes, because on the greater part
of our body we do not wear any. time, cf. ix. 75-76. b The usual
confusion of letters and sounds. * Abl. sing. ; the manuscript has forms
ending in -i, which are datives, but the removal of s from cruces
and Phryges leaves forms ending in e, not in i. § 45. a Cf viii.
37. 471 VARRO XXXIII. 46. Quod
dicunt nos dissimilitudinem (potius gratam aceeptamque habere quam
simili- tudinem) 1 : itaque in vestitu in supellectile delectari
varietate, non paribus subuculis uxoris, respondeo, si varietas
iucunditas, magis varium esse in quo alia sunt similia, alia non sunt :
itaque sicut abacum argento ornari, ut alia (paria sint, alia) 2
disparia, sic orationem. 47. Rogant, si similitudo sit
sequenda, cur malimus habere lectos alios ex ebore, alios ex testudine,
sie item genere aliquo alio. Ad
quae dico non dis(simili- tudines solum nos, sed) 1 similitudines quoque
sequi saepe. Itaque ex eadem supellectili licet videre : nam nemo facit triclinii
lectos nisi paris et materia et altitudine et figura. Qui(s) 2 facit
mappas trielinaris non similis inter se ? Quis pulvinos ? Quis
denique eetera, quae unius generis sint plura ? 48. Cum,
inqui(un)t, 1 utilitatis causa introducta sit oratio, sequendum non quae
habebit similitudinem, sed quae utilitatem. Ego utilitatis causa
orationem factam coneedo, sed ut vestimenta : quare ut hie
similitudines seqm'mur, 2 ut virilis tunica sit virili similis, item toga
togae, sic mulierum stola ut sit stola(e) 3 proportione et pallium pallio
simile, sie § 46. 1 Added by GS., following other attempts {Aug., with B, inserted
sequi after nos / but cf. § 47, where sequi is actually found). 2 Added
by Aug., with B. § 47. 1 Added by Mve. 2 Aldus, for qui.
§ 48. 1 Vertranius, for in quit. 2 Sciop., for sequere- mur. 3
Aug., for stola. 472 ON THE LATIN LANGUAGE,
IX. 46-4S XXXIII. 46. As to what they say, a that we
find unlikeness pleasing and acceptable rather than likeness, and
therefore in clothing and in furniture we take pleasure in variety, and
not in having our wives* undertunics all identical : I answer, that
if variety is pleasure, then there is greater variety in that in which
some things are alike and others are not ; and just as a side-table is
adorned with silver in such a way that some ornaments are alike and
others are unlike, so also is speech adorned. 47. They ask
why, if likeness is to be followed, we prefer to have some couches inlaid
with ivory, others with tortoise-shell, and so on with some other
kind of material. To which I say that unlikenesses are not the only thing
which we follow, but often we follow likenesses. And this may be seen
from the same piece of furniture ; for no one makes the three
couches of the dining-room other than alike in material and in height and
in shape. Who makes the table- napkins not like each other ? Or the
cushions ? And finally the other things which are several in number
but of one sort ? 48. Since speech, they say,° was introduced for
the sake of utility, we should follow not that kind of speech which
has likeness, but that which has utility. I grant that speech has been
produced for utility's sake, but in the same way as garments have :
there- fore as in the latter we follow the likenesses, so that a
man's tunic is like a man's, and a toga like a -toga, and a woman's dress
is like a dress regularly and a cloak like a cloak, so also, as words
that are names § 46. a Cf. viii. 31-32. § 48. • C/. viu.
28-29. 473 VARRO cum sint
nomina utilitatis causa, tamen virilia inter se similia, item muliebria
inter se sequi debemus. XXXIV. 49. Quod aiunt ut persedit et
perstitit sic (periacuit et) 1 percubuit quoniam non si(n)t, 2 non
esse analogian, et 3 in hoc e(r)rant 4 : quod duo posteriora ex prioribus
declinata non sunt, cum analogia polliceatur ex duobus similibus
similiter declinatis similia fore. XXXV. 50. Qui dicunt quod
sit ab Romulo Roma et non Romula neque ut ab ove ovih'a 1 sic a
bove bovih'a, 2 (non) 3 esse analogias, errant, quod nemo
pollicetur e vocabulo vocabulum declinari recto casu singulari in rectum
singularem, sed ex duobus vocabulis similibus casus similiter declinatos
similes fieri. XXXVI.
51. Dicunt, quod vocabula litterarum Latinarum non declinentur in casus,
non esse analo- gias. Hi ea quae natura declinari non possunt, eorum
declinatus requirunt, 1 proinde et non eo(rum) 2 dicatur esse analogia
quae ab similibus verbis simili- ter esse(nt) 3 declinata. Quare non
solum in vocabu- lis litterarum haec non requirenda analogia, sed (ne)
4 in syllaba quidem ulla, quod dicimus hoc BA, huius BA, sic
alia. §49. 1 Added by
Canal. 2 Kent, for sit. 3 Aug., for ut. 4 B, Bhol.,for erant.
§ 50. 1 Aug., for ovilla. 2 Aug., for bovilla. 3 Added by
Stephanus. § 51. 1 B, G, II, a, Aug., for sequirunt. 2 L. Sp.,
for eo F 1, ea F 2 . 3 L. Sp. ; esset M, a, Aug. ; for esse. 4
Added by Aldus. § 49. Referring to a passage now lost. b The
two verbs are not attested in any form. § 50. Cf. viii. 54
and 80. 474 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 48-51
of persons exist for the purpose of utility, ue ought still
to employ men's names that are like one another, and women's names that
also have mutual resem- blances. XXXIV. 49. As to the fact
that they say a that Regularity does not exist because there are no
perfects periacuit ' remained lying ' .and percubuit ' remained lying,'
like persedit 1 remained sitting ' and perstitit ' remained standing,' in
this also they are mistaken : for the two perfects have no presents
6 from which to be inflected, whereas Regularity promises only that
from two like words inflected in like manner there will be like
forms. XXXV. 50. Those who say that there are no Regularities
because from Romulus there is Roma and not Romala and there is no bovilia
' cow-stables ' from bos * cow ' as there is ovilia * she epf olds '
from ovis * sheep,' are in error ; because nobody professes that
one word is derived from another word, from nominative singular to
nominative singular, but only that from two like words like case-forms
develop when they are inflected in like manner. XXXVI. 51.
They say that because the words denoting the Latin letters are not
inflected into case-forms the Regularities do not exist. Such
persons are demanding the declension of those words which by nature
cannot be inflected ; just as if Regularity were not said b to belong
merely to those forms which had already been inflected in like
fashion from like words. Therefore not only in the names of the
letters must this kind of Regularity not be sought, but not even in any
syllable, because we say nomina- tive ba, genitive ba, and so on.
§ 51. a Of. viii. 64. 6 Cf. viii. 23. 475
VARRO 52. Quod si quis in hoc quoque velit dicere
esse analogias rerum, tenere potest : lit eni(m) 1 dicunt ipsi alia
nomina, quod quinque habeant figuras, habere quinque casus, alia
quattuor, sic minus alia, dicere poterunt esse litteras ac syllabas in
voce quae singulos habeant casus, in rebus pluris 2 ; quemad- modum
inter se conferent ea quae quaternos habe- bunt vocabulis casus, item ea
inter se qua(e) ternos, 3 sic quae* singulos habebunt, ut conferant inter
se dicentes, ut sit hoc A, huic A, esse hoc E, 5 huic E.
XXXVII. 53. Quod dicunt esse quaedam verba quae habeant declinatus,
ut caput (capitis, nihil nihili), 1 quorum par reperiri quod non possit,
non esse analogias, respondendum sine dubio, si quod est singulare
verbum, id non habere analogias : minimum duo esse debent verba, in
quibus sit similitudo. Quare in hoc tollunt esse analogias.
54. Sed nikilum 1 vocabulum recto casu apparet in hoc :
Quae dedit ipsa, 2 cap/t 3 neque dispendi facit hilum, § 52.
1 For eni. 2 GS. ; plureis Canal ; for plurimis. 3 Koeler, for quaternos.
4 For sicque. 5 After hoc E, L, Sp. deleted huiusce E. § 53.
1 Added by Reitzenstein. § 54. 1 Lachmann ; in nihil Sciop. ; for
initium. 2 Sciop., for ira. 3 Seal ig er t for caput.
§ 52. a Cf. viii. 63. 6 That is, words indeclinable in form have
only one case-form, but still have all the case-uses. § 53. There
is no corresponding passage in Book VIII. 6 That is, when they select a
unique word as basis for argu- ment. 476
ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 52-54 52. But if any one
should wish to say that in this also there are Regularities in the
things, he can maintain it. For as they themselves say a that some
nouns, because they have five forms, have five cases, and others have
four, and others fewer in like manner, they will be able to say that the
letters and syllables which have one case-form apiece in sound,
have several in connexion with the things h ; as they will compare
only with each other those which have four case-forms for the words, and
likewise those which have three apiece, so let them compare with
each other those which have only one form each, saying that nominative E,
dative E is like nominative A, dative A. XXXVII. 53. As to
the fact that they say a that there are certain words which have
declensional forms, like caput ' head,* genitive capitis, and nihil *
nothing,* genitive nihili, a match for which cannot be found, and
therefore the Regularities do not exist, answer must be made that
unquestionably any word which is the only one of its kind is outside the
systems of Regularity ; there must be at least two words for a likeness
to be existent therein. Therefore, in this case, et they eliminate the
possible existence of the Regularities. 54. But the word
nihilum * nothing ' is found in the nominative in the following a :
The body she's given Earth doth herself take back, and of loss not
a whit does she suffer, §54. ° Ennuis, Ann. 14 Vahlen 2 ;
R.O.L. i. 6-7 War- mington ; cf. v. 60 and 111. The neuter accusative,
having the same form as the nominative, is used as a proof of the
nominative form. 477 VARRO
quod valet nec dispendii facit quicquam. Idem hoc obliquo apud
Plautum : Video enim 4 te nihili 5 pendere prae Philolacho*
omnis homines, quod est ex ne et hili : quare dictus est
nihili 5 qui non hili erat. Casus tautum 1 commutantur de quo dici- tur, (ut) 8
de homine : clicimus cnim hie homo nihili 9 et huius hominis nihili et
hunc hominem nihili. Si in
illo commutaremus, dicercmus ut hoc linum et li£>um, 10 sic nihilum,
non hie nihili, et (ut) 11 huic lino et li&o 12, sic nihilo, non huic
nihili. Potest dici patricus casus, ut ei praeponantur 13 nomina 14
plura, ut hie casus Terentii, hunc casum Terentii, hie miles legionis,
huius militis legionis, hunc militem legionis. XXXVIII. 55.
Negant, cum omnis natura sit aut mas aut femina aut neutrum, (non) 1
debuisse ex singulis vocibus ternas figuras vocabulorum fieri, ut
albus alba album ; nunc fieri in multis rebus binas, ut Metellus Metella,
2 Aemi(]\)us ^e?wt(li)a, 3 nonnulla singula, ut tragoedws, com(o)edtt$ 4
; sic esse Marcum, Numerium, at Marcam, at Numeriam 4 Enim is
Varro's addition; it is not found in the manu- scripts of Plautus. 5 For nichili. 6 The
manuscripts of Plautus have Philolache. 7 Fay, for turn cum. 8
Added by GS. 9 After nihili, L. Sp. deleted est. 10 Mue., for limum, 11
et ut Mue. ; ut L. Sp. ; for et. 12 Mue., for Hmo. 13 Mue., for
praeponuntur. 14 Kent, for praenomina. § 55. 1 Added by Mue.
2 Ixietus, for metelle. 3 Wackernagel ; Ennius Ennia Laetus ; for
enuus enua. 4 Christ, for tragoedia comedia. 478
ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 54-55 which is the same as
' nor of loss does she suffer anything/ This same word is found in an
oblique case in Plautus 6 : I see, beside Philolaches you
count all men as nothing. The word is from ne 1 not ' and genitive
hilt ' whit ' ; therefore he has been called nihili ' of naught '
who was not kill * of a whit ' in value. Change is made only in the
case-forms of that about w hich the speak- ing is done, as about a man ;
for we say a man nihili ' of no account ' in nominative, in genitive, in
accusa- tive, changing the forms of homo but not changing the form
nihili. If we were to make changes in it, then we should say not hie
nihili c but nihilum as the nominative, like linum ' flax * and libum '
cake,' and dative not huic nihili d but nihilo like lino and libo.
The genitive case * can however be said with various nouns set before it,
like nominative casus ' mishap ' Terentii ' of Terence,' accusative casum
Terentii, and nominative miles 'soldier* legionis 1 of the legion/
genitive militis legionis, accusative militem legionis. XXXVIII.
55. They say a that since every nature is either male or female or
neuter, from the individual spoken words there should not fail to
be forms of the words in sets of three, like albus, alba, album '
white ' ; that now in many things there are only two, like Metellus and
Metella, Aemilius and Aetnilia, and some with only one, like
tragoedus * tragic actor ' and comoedus ' comic actor ' ;
that there are the names Marcus and Numerius, but no *
Plautus, Most. 245. c The genitive nihili depending on a nominative. d
The genitive nihili depending on a dative. * Such as the form
nihili. § 55. a Cf. viii. 47. 479
VARRO non esse ; dici coruum, 5 turdum, non 6 dici
coruam, 5 turdam ; contra dici pantherarn, merulam, non dici
pantherum, merulum ; nullius nostrum 7 filium et filiam non apte 8
discerni marem ac feminam, ut Terentium 9 et Terentiam, contra deorum
liberos et servorum non i/idem, 10 ut Iovis filium et filiam, Iovem
11 et Iovam ; item magnum numerum vocabu- lorum in hoc genere non servare
analogias. 56. Ad haec dicimus, omnis orationis quamvis res
naturae subsit, tamen si ea in usu(m) 1 non pervenerit, eo non pervenire
verba : ideo equus dicitur et equa : in usu enim horum discrimina 2 ;
corvus et corva non, quod sine usu id, quod dissimilis natura(e). 3
Itaque quaedam al(i)ter ohm ac nunc : nam et turn omnes mares et
feminae dicebantur columbae, quod non erant in eo usu domestico quo nunc,
(ct nunc) 4 contra, propter domesticos usus quod internovimus,
appellatur mas columbus, femina columba. 57. Natura cum tria genera
transit et id est in usu discriminat*/(m), turn 1 denique apparet, ut est
in doctus 2 et docta et doctum : doctrina enim per tria haec
transire potest et usus docuit discriminare doctam rem ab hominibus et in
his marem ac feminam. In mare et femina et neutro neque natura mans 3 6 Aldus, for
corbum and corbam. * Aldus, for non non. 7 Aug., for neutros. 8
Aug., with B, for apta. 9 For terentium et terentium. 10 Ed. Veneta, for
ididem. 11 For iouem iouem. § 56. 1 Aug., with B, for usu. 2
Aug., for discrimine. 3 Vertranius, for natura. * Added by L. Sp.
§ 57. 1 Reiter, for discrimina totum. 2 Aug., with B, for docto. 3
L. Sp., for mares. b Numeria is in fact found, but as a divine
name. c Cf. §59. § 56. a For the expression, cf. ix.
37. 480 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 55-57
Marca and Numeria 6 ; that corvus ' raven ' and turdus * thrush '
are said, but the feminines corva and turda are not said ; that on the
other hand pantkera * panther * and merula 1 blackbird ' are used,
but the masculines pantherus and merulus are not ; that there is no
one of us whose son and daughter are not suit- ably distinguished as male
and female^ as Terentius and Terentia ; that on the other hand the
children of gods and slaves are not distinguished in the same way,
c as by Iovis and Iova for the son and the daughter of Jupiter ; that
likewise a great number of common nouns do not in this respect preserve
the Regularities. 56. To this we say that although the object
is basic a for the character of all speech, the words do not
succeed in reaching the object if it has not come into our use ;
therefore equus ' stallion ' and equa * mare ' are said, but not
corva beside corvtts, because in that case the factor of unlike nature is
without use to us. But for this reason some things were for- merly
named otherwise than they are now : for then all doves, male and female,
were called columbae, because they were not in that domestic use in
which they are now, and now, on the other hand, because we have
come to make a distinction on account of their uses as domestic fowl, the
male is called colnmbus and the female columba. 57. When the
nature goes through the three genders and this distinction is made in
use, then finally it is seen, as it is in doctus 4 learned man ' and
docta * learned woman ' and doctum 4 learned thing ' ; for learning
can go across through these three, and use has taught us to differentiate
a learned thing from human beings, and among the latter to
distinguish the male and the female. But in a male or a female
transit neque feminae neque neutra, et ideo non dicitur
fcminus femina feminum, sic reliqua : itaque singularibus ac secretis
vocabulis appellati sunt. 58. Quare in quibus rebus non subest
similis natura aut usus,in his vocabulis huiusce modi ratio quaeri
non debet : ergo dicitur ut surdus vir, surda mulier, sic surdum
theatrum, quod omnes tres (res) 1 ad auditum sunt comparatae ; contra
nemo dicit cubiculum surdum, (quod) 2 ad silentium, non ad auditum
; at si fenestram non habet, dicitur caecum, ut coccus et caeca, quod
omnia (non) 3 habent (quod) 3 lumen habere debent. 59. Mas et
femina habent inter se natura quandam societatem, (nullam societatem) 1
neutra cum his, quod sunt diversa ; inter se 2 quoque de his
perpauca sunt quae habeant quandam co(m)munitatem. Dei et servi
nomina quod non item ut libera nostra trans- eunt, eadem e(s)t 3 causa,
quod ad usum attinct (et) 4 institui opus fuit de liberis, de reliquis
nihil attinuit, quod in servis gentilicia natura non subest in usu,
in nostri(s) nominibus qui sumus in Latio et liberi, necessaria.
Itaque ibi apparet analogia ac dicitur Tcrentius vir, Terentia femina,
Terentium genus. § 58. 1 tres res Mve. ; res Bentinus ; for tres. 2
Added by Canal ; quod id Mae. ; quod sit Sciop. 3 Added by
Fay. § 59. 1 Added by A. Sp., after L. Sp. and Mue. 2 B, G,
II, Aug., for interest. 3 L. Sp., for et. 4 Added by L. Sp.
' § 58. a Varro means a theatre in which it is difficult to hear ;
but the term is applicable also to an audience which is inattentive. b
Rather, things are called 4 blind ' because they hinder vision by
darkness or by walls without openings, such as windows and doors.
482 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 57-59 or what
is neither, the nature of the male does not shift, nor that of the
female, nor the neuter nature, and for this reason there is no saying of
feminus, femina.) Jemirrum, and so with the rest. Therefore they
are called by special and separate words. 58. Wherefore in the
names of those things in which there is no likeness of nature or of use
as the basis, a relation of this sort ought not to be sought.
Accordingly, as a surdus * deaf * man is a current term, and a surda
woman, so also is a surdum theatre,* 1 because all three things are
equally intended for the act of hearing. On the other hand, nobody says
a surdum sleeping-room, because it is intended for silence and not
for hearing ; but if it has no window, it is called caecum 1 blind/ as a
man is called caecus and a woman caeca, because not all
sleeping-rooms have the light which they ought to have. b 59.
The male and the female have by nature a certain association with each
other ; but the neuters have no association with them, because they
are different from them in kind, and even of these neuters there
are very few which have any elements in common with other neuters. As for
the fact that the names of a god and of a slave do not vary like
our free names, there is the same reason, namely that the variation
is connected with use, and had to be established with reference to free
persons, but as to the rest had no consequence, because among
slaves the clan quality has no foundation in practice, but it is
necessary in the names of us who are in Latium and are free. Therefore in
that class Regularity makes its appearance, and we say Terentius for
a man, Terentia for a woman, and Terentium for the genus *
stock.' 483 VARRO 60. In
praenominibus ideo non fit item, quod haec instituta ad usum singularia,
quibus discernerentur nomina gentilicia, ut ab numero Secunda,
Tertia, Quarta (in mulieribus), 1 in viris ut Quintus, Sextus,
Decimus, sic ab aliis rebus. Cum essent duo Terentii aut plures,
discernendi causa, ut aliquid singulare haberent, notabant, forsitan ab
eo, qui mane natus diceretur, ut is Manius esset, qui luci, Lucius,
2 qui post patris mortem, Postumus. 61 . E quibus (ae)que 1 cum
item accidisset feminis, proportione ita appellata declinarant praenomina
mulierum antiqua, Mania, Lucia, Postuma : videmus enim Maniam matrem
Larum dici, Luciam Voht- mniam 2 Saliorum Carminibus appellari, Postumam
a multis post patris mortem etiam nunc appellari. 62. Quare
quocumque progressa est natura cum usu vocabul?, 1 similiter proportione
propagata est analogia, cum in quibus declinatus voluntarii 2 maris
et feminae et neutri, quae voluntaria, non debeant similiter declinari,
sed in quibus naturales, sint de- § 60. 1 Placed here by GS. ;
added before Secunda by L. Sp. 2 p t Aldus^for lucilius. §
61. 1 A. for que. 2 Aug., for Volaminiam. § 62. 1 Aug. y with i?,
for vocabula. 2 L. Sp., for declinationibus voluntariis. §
60. a Seemingly a contamination of ab eo quod with sic . . . ut. b
Properly, as the * last ' child ; but not to be associated with post kit
mum * after (burial in the) earth,' though this popular etymology gave a
later spelling post- humus and the English posthumous, § 61.
a Mania is perhaps not related etymologieally to Manius ; see Marbach in
Pauly-Wissowa's Encyc. d. cl. Alt.- wiss, xiv. 1110. b More probable than
the Volaminia of F, 484 ON THE LATIN LANGUAGE, IX.
60-62 60. In first names the situation is not the
same, because these were in practice established as in- dividual
names, by which the clan names might be differentiated ; from the
numerals came Secunda, Tertia, Quarta for women, Quintus, Sextus,
Decimus for men. and similarly other names from other things. When
there were two or more persons of the name Terentius, then that they
might liave something individual to distinguish them they marked
them perhaps in this way,° that he should be Manius who was said to
have been born mane ' in the morning,' and he who has been born luci * at
dawn ' should be Lucius, and he who was born post ' after ' his
father's death should be Postumus. 6 61. When any of these
things happened to females as well, they derived the first names of
women regularly in this manner — that is, in former times — and called them
by them, for example, Mania, Lucia, Postuma : for we see that the
mother of the Lares is called Mania, a that Lucia Volumnia b is
addressed in the Hymns of the Salians, c and that even now many give the
name Postuma to a daughter born after the death of her father.
62. Therefore as far as the nature and the use of a word have
jointly advanced, so far has Regularity been extended in like manner by a
corresponding relationship, since of the words in which there are
voluntary inflections of male and female and neuter, those which are
voluntary in inflection ought not to be inflected in similar manner, but
in those in which there are natural inflections there are those
regular not found elsewhere ; several members of the gens
Volumnia are mentioned at Rome during Varro's time. e Frag. 5, page
336 Maurenbrecher ; page 4 Morel. clinatus hi qui esse reperiuntur. Quocirca in
tribus generibus nominum in(i)que 3 tollunt analogias. XXXIX.
63. Qui autem eas reprehendunt, quod alia vocabula singularia sint solum,
ut cicer, alia multi- tudinis solum, ut scalae, cum debuerint omnia
esse duplicia, ut equus equi, analogiae fundamentum esse
obliviscuntur naturam et usu(m). 1 Singulare est quod natura unum
significat, ut equus, aut quod coniuncta quodammodo ad unum usu, 2 ut
bigae : itaque (ut) 3 dicimus una Musa, sic dicimus unae bigae.
64«. Multitudinis vocabula sunt unum infinitum, ut Musae, alterum
finitum, ut duae, tres, quattuor : dicimus enim ut hae Musae sic unae
bigae et binae et trinae bigae, sic deinceps. Quare tarn unae et
uni et una quodammodo singularia sunt quam unus et una et unum ;
hoc modo mutat, quod altera in singu- laribus, altera in coniunctis rebus
; et ut duo tria sunt multitudinis, sic bina trina. 65. Est tertium quoque genus
singulare ut in multitudine, uter, in quo multitudinis ut utrei 1 ;
uter 3 Aldus, for inquae. §63. 1 p t Mue., for usu. 2
A. Sp., for usum. 3 Added by h. Sp. §65. 1 A. Sp.,for
utre § 62. a Crates and his followers, who uphold Anomaly. §
63. ° Cf. viii. 48. b Cf. x. 54. § 64. B The first is the generic
or collective, without speci- fication of the number or of the
individuals ; the second is numerical, in which the number of the
individuals is given or their identity is clearly implied. 6 A word like
bigae, 486 ON THE LATIN LANGUAGE, IX.
62-65 inflections which are actually found to exist.
There- fore in the matter of the three genders they a are unfair in
setting aside the Regularities. XXXIX. 63. Moreover those who find
fault a with the Regularities, because some words are singulars
only, like cicer ' chickpea,' and others are plural only, like scalae '
stairs,' et although all ought to have the two forms, like equus ' horse
' and equi ' horses,' forget that the foundation of Regularity is
nature and use taken in combination. That is singular which by nature
denotes one thing, like equus ' horse/ or which denotes things that by
use are joined together in some way, like bigae * two-horse team.'
Therefore just as we say una Musa * one Muse,' we say unae bigae * one
two-horse team/ 64. Plural words are of two sorts, a the one
in- definite, like Musae * Muses/ the other definite, like duae '
two/ tres * three/ quattuor 1 four ' ; for as we say Musae in the plural,
so also we say unae bigae ' one two-horse team/ and binae ' two ' and
trinae b bigae 1 three two-horse teams/ and so on. Wherefore unae
and the masc. uni and the neut. una are in a certain manner as much
singulars as unus and una and unum : the word changes in this way
because the one set of forms is said of individual things, the
other of things joined together in sets ; and just as duo and tria are
plurals, so also are bina and trina. 65. There is also a third
class which is singular though expressed by a plural form, namely
uter 1 which of two,' in which the plural form is for ex-
already plural in form, can be pluralized in meaning only by the
use of a numerical modifier ; for this purpose, distribu- tive numerals
such as bini are used. For the singular idea, the plural form of unus is
used. 487 VARRO poeta
singulari, utri poetae multitudinis est. Qua explicata natura apparet non
debere omnia vocabula multitudinis habere par singulare : omnes
enim numeri ab duobus susum versus multitudinis sunt neque eorum
quisquam habere potest singulare compar. Iniuria igitur postulant, si qua sint singu-
laria, oportere habere multitudinis. XL. 66. Item qui reprehendunt,
quod non dicatur ut unguentum unguenta vinum vina sic acetum aceta
garum gara, faciunt imperite : qui ibi desidcrant multitudinis vocabulum,
quae sub mensuram ac pon- dcra potius quam sub numerum succedunt : nam
in plumbo, 1 a(r)ge(n)to, a cum incrementum accessit, dicimus 3
multum, 4 sic multum plumbum, argentum ; non 5 plumba, argenta, cum quae
ex hisce fiant, dica- mus plumbea et argentea (aliud enim cum argenteum
: nam id turn cum iam vas : argent(e)um 6 enim, si pocillum aut
quid item) : quod pocilla argentea multa, non quod argentum multum.
67. Ea, natura in quibus est mensura, non numerus, si genera in se
habe(n)t 1 plura et ea in usum venerunt, a genere multo, sic vina et
unguenta, dicta : alii generis enim vinum quod Chio, aliuc? 2 § 66. 1 After
phimbo, L. Sp. deleted oleo. 2 Aug., for aceto. 3 After dicimus, Aldus
deleted enim. 4 After rnultum, L. Sp. deleted oleum. 5 After non, L. Sp.
deleted multa olea. 6 Aug., with B t for argentum. § 67. 1
Laetus, for habet. 2 For aliut. § 65. ° The old spelling of
the nominative plural, still more or less in use in Varro's time, though
rarely attested in the manuscripts. § 66. a Cf § 67. b
Derivative adjectives, ' made of lead ' and * made of silver * ; supply
vasa 4 utensils.' 488 ON THE LATIN LANGUAGE, IX.
65-67 ample utrei ° : uter poeta ' which of two poets ' in
the singular, utri poetae 4 which of two sets of poets ' in the
plural. Now that the nature of this has been explained it is clear that
plural nouns are not all under obligations to have a like singular form ;
for all the numerals from two upwards are plural, and no one of
them can have a singular to match it. Therefore it is quite wrongly that
they demand that all singulars that there are, must have a
correspond- ing plural form. XL. 66. Likewise those who find
fault because there are no plurals aceta and gara to acetum ' vinegar
' and garum * fish-sauce ' like unguenia to unguentum ' perfume '
and vtna to vinum ' wine/ a act ignorantly ; they are looking for a
plural name in connexion with things which come under the categories
of quantity and weight rather than under that of number. For in
plumbum 4 lead ' and argentum * sil- ver,' when there has been added an
increase, we say multum * much ' : thus multum plumbum or argentum,
not plumba ' leads ' and argenta ' silvers/ since articles made of these
we call plumbea and argentea b (silver is something else when it is
argenteum, for that is what it is when it has now become a utensil ;
thus argenteum if it is a small cup or the like), because in this
case we speak of many argentea ' silver ' cups, and not of much argentum
' silver/ 67. But if those things which have by nature the
idea of quantity rather than that of number, exist in several kinds and
these kinds have come into use, then from the plurality of kinds they are
spoken of in the plural, as for example vina 1 wines ' and un-
guenia ' perfumes.' For there is wine of one kind, which comes from
Chios, another wine which is from 489
VARRO quod Lesbo, 3 sic ex regionibus aliis. (Ae)que 4 ipsa dicuntur nunc melius unguenta, 5
cui nunc genera aliquot. Si item discrimina magna essent olei et
aceti et sic ceterarum rerum eiusmodi in usu co(m)- muni, dicerentur sic
olea et (aceta ut) 6 vina. Quare in titraque re (i)nique 7 rescindere
conantur analogias, et 8 cum in dissimili usu similia vocabula quaerant*
et cum item ea quae metimur atque ea quae numcramus dici putent
oportere. XLI. 68. Item reprehendunt analogias, quod dicantur
multitudinis nomine publicae balneae, non balnea, contra quod privati
dicant unum balneum, quo?/* 1 plura balnea (non) 2 dicant. Quibus
respon- ded' 3 potest non esse reprehendendum, quod scalae et aquae
caldae, pleraque* cum causa, multitudinis vocabulis sint appellata neque
eorum singularia in usum venerint ; idemque item contra. Primum
balneum (nomen e(s)t 5 Graecum), (cum) 6 introiit in urbem, publice ibi
consedit, ubi bina essent con- iuncta aedificia lavandi causa, unum ubi
viri, alterum ubi mulieres lavarentur ; ab eadem ratione domi suae
quisque ubi lavatur balneum dixcrunt et, quod non erant duo, balnea
dicere non consuerunt, cum 3 V, p, Aldus, for Lesbio. 4 A. Sp., for quae. 5
For unguentia. 6 Added by L. Sp. 7 Canal, for denique. 8 Aug., for
analogiam set. * L. Sp.,for querunt. §68. 1 Canal, for quod. 2
Added by Popma. 3 Al- dus, for respondere. 4 After pleraque, L. Sp.
deleted quae. 6 GS., for et. 6 Added by GS. §68. ° The
word is a heteroclite in form, with a different 490 ON
THE LATIN LANGUAGE, IX. 67-68 Lesbos, and so on from other
localities. Likewise unguenta 1 perfumes ' themselves are now
properly spoken of in the plural, for of perfume there are now a
number of kinds. If in like fashion there were great differences in
olive-oil and vinegar and the other articles of this sort, in common use,
then we should employ the plurals olea and aceta, like vina. There-
fore in both these matters their attempt to destroy the Regularities is
unfair, since they expect that the words will be alike though their uses
are different, and since they think that articles which we measure
and objects which we count should be spoken of in the same way.
XLI. 68. Likewise they find fault with the Regu- larities, because
public baths are spoken of as balneae, with the form in the plural, and not
as balnea, in the singular ; and on the other hand they speak of one
bal- neum of a private individual, though they do not use the
plural balneal To them answer can be made, that fault ought not to be
found because scalae * stairs ' and aquae caldae ' hot springs/ mostly
with good reason, have been called by plural names and the
corresponding singulars have not come into use : and vice versa* The
first balneuvi * bath-room ' (the name is Greek), when it was brought
into the city of Rome, was as a public establishment set in a place
where two connected buildings might be used for the bathing, in one of
which the men should bathe and in the other the women. From the same
logical reasoning each person called the place in his own house
where baths were taken, a balneum ; and they were not accustomed to speak
of balnea in the plural, meaning in the two numbers. But the plural
balnea began to be used in the time of Augustus. 6 C/. § 69. 491
VARRO hoc antiqui non balneum, sed lavatrinam 7
appellare consuessent. 8 69- Sic aquae caldae ab loco et
aqua, quae ibi scateret, cum ut colerentur venissent in usum
nostris, cum aliae ad alium morbum idoneae essent, eae cum plures
essent, ut Puteolis ct in Tuscis, quibus uteban- tur, multitudinis potius
quam singulari vocabulo appellarunt. Sic scalas, quod ab scandendo
dicuntur et singulos gradus scanderent, magis erat quaeren- dum, si
appellassent singulari vocabulo scalam, cum origo nominatus ostcnderet
contra. XLII. 70. Item reprehendunt de casibus, quod quidam
nominatus habent rectos, quidam obliquos, quod dicunt utrosque in vocibus
oportere. Quibus idem responderi potest, in quibus usus aut natura
non subsit, ibi non esse analogiam. . . . 71. Sed ne in his
(quidem) 1 vocabulis quae declinantur, si transeunt e recto casu in
rectum casum : quae tamcn fere non discedunt ab ratione sine iusta
causa, ut hi qui gladiatores Faustina* : nam quod plerique dicuntur, ut
tris extremas syllabas 7 Aug., with B, for lauiatrinam. 8 2?, Ed. Veneta,for
consuescent. § 71. 1 Added here by L. Sp. ; added after
vocabulis by Madvig. 2 Mtie. t for faustinos. c More
commonly in the contracted form latrina, and in Varro's time meaning '
water-closet, privy.' § 69. ° At least nine places in Etruria bore
the name Aquae. % 70. ° Cf. viii. 49. b There seems to be a
lacuna here, as examples illustrating this point of the refutation are
lack- ing. § 71. c That is, by derivation with suffixes, not
merely by because they did not have two in one house — though our
forbears were accustomed to call this not a balneum, but a lavatrina c '
wash-room.* 69. So also, the hot springs, on account of the
locality and the water which gushed out there, came to be frequented for
our use, since some of the springs were beneficial to one disease and
others to another ; and because those which they used were several
in number, as at Puteoli and in Etruria, they called them by a plural
word rather than by a singular. So also with the scalae ' stairs ' ;
because they are named from scandere ' to mount ' and there were
separate steps to be mounted, it would be a more difficult problem to
answer if they had called them scala, in the singular, inasmuch as the
origin of the name shows their plural nature. XLII. 70.
Likewise they find fault a about the cases, because some nouns have
nominative forms only, and others have only oblique forms :
whereupon they say that all words ought to have both the nominative
and the oblique forms. To them the same answer can be given, that there
is no Regularity in those instances which lack a relationship in
use or in nature. . . . b 71. But they should not look for
complete Regu- larity even in these names which are derived by
passage from one nominative form to another. Still, such words do not in
general depart from the path of logic without valid reason, such as there
is for those gladiators who are called Faustini b ; for though most
gladiators are spoken of in such a way that they case-inflection. b
The troops of gladiators were designated by adjectives of this sort which
were derived from the names of the owners. 493
VARRO habeant easdem, Cascelliani,
(Caeciliani), 3 Aquiliani, animadvertant, 4 unde oriuntur, nomina
dissimilia Cascellius, 5 Cflecilius, Aquilius, (Faustus : quod si
esset) 8 Faustius, recte dicerent Faustianos ; si(c) 7 a Scipione quidam
male dicunt Scipioninos : nam est Scipionarios. Sed, ut dixi, quod ab
huiuscemodi cognominibus raro declinantur cognomina neque in usum
etiam perducta, natant quaedam. XLIIL 72. Item dicunt, cum sit
simile stultus luscus et dicatur stultus stultior stultissimus, non
dici luscus luscior luscissimus, sic in hoc genere multa. Ad quae dico ideo fieri, quod natura nemo lusco
magis sit luscus, cum stultior fieri videatur. XLIV. 73. Quod rogant, cur (non)
1 dicamus mane manius manissimc, item de vesperi : in 2 tempore
vere magis et minus esse non potest, ante et post potest. Itaque prius est hora prima quam
secunda, non magis hora. Sed magis mane surgere tamen dicitur : qui
primo mane surgit, (magis mane surgit) 3 quam qui non pri(m)o 4 : ut enim
dies non potest esse magis quam (dies, sic mane non magis quam) 5 mane ;
3 Placed here by L. Sp. ; added after Aquiliani by Aug. 4 Aug., for animaduertunt. 5
Cascelius Aug., for Cas- sellius F. 6 Added by Mue. 7 M 9 Laetus.for
si. § 73. 1 Added by Aug. 2 Popma, for uespertino. 3 Added by
GS. 4 Stephanus, for prior. 5 Added by L. Sp. § 72. a
Cf viii. 75. § 73. a Cf. viii. 76. b The usual phrase is multo mane
; evidently, to the Romans, mane was not completely an adverb like
English* early. e The Latin corresponding to this (English) sentence
should perhaps, as GS. suggest, be placed before the sentence beginning
Itaque prlus ; the argument then develops more logically. have
the last three syllables alike, Cascelliani, Cae- ciliani, AquilianiJ*
let them take note that the names from which these come, Cascellius,
Caecilius, Aquilius on the one hand, and Faustus on the other, are unlike
: if the name were Faustius, they would be right in saying
Faustiani. In the same way, from Scipio some make the bad formation
Scipionini ; it is prop- erly Scipionarii. But, as I have said, since
appella- tions are rarely derived from surnames of this kind and
they are not fully at home in use, some such formations fluctuate in
form. XLIII. 72. Likewise they say,° that although stultus *
stupid ' and luscus * one-eyed * are like words, and stultus is compared
with stultior and stultissimus, the forms lusrior and luscissimus are not
used with luscus, and similarly with many words of this class. To
which I say that this happens for the reason that by nature no one is
more one-eyed than a one- eyed man, whereas he may seem to become
more stupid. XLIV. 73. To their question a why we do not
say mane ' in the morning/ comparative manius, super- lative
manissime. with a similar question about vesperi * in the evening/ I
reply that in matters of time there is properly no ' more ' and ' less/
but there can be before and after. Therefore the first hour is
earlier than the second, but not ' more hour/ But nevertheless to rise
magis mane ' more in the morning * is an expression in use ; he who rises
in the first part of the morning rises magis mane 6 * more in the
morning ' than he who does not rise in that first part. For as the day
cannot be said to be more than day, so mane cannot be said to be
more than mane* Therefore that very magis ' more ' 495
VARRO itaque ipsum hoc quod dicitur magis sibi non
constat, quod magis mane significat primum mane, magis vespere
novissimum vesper. XLV. 74. Item ab huiuscemodi
(dis)similitu- dinibus 1 reprehenditur analogia, quod cum sit anus
cadus simile et sit ab anu aniculaanicilla, a cado duo reliqua quod non
sint propagata, sic non dicatur a piscina piscinula piscinilla. Ad (haec
respondeo) 2 huiuscemodi vocabuh's 3 analogias esse, ut dixi, ubi
magnitudo animadvertenda sit in unoquoque gradu eaquc 4 sit in usu
co(m)muni, ut est cista cistula cistella et canis catulus catellus, quod
in pecoris usu non est. Itaque consuetudo frequentius res in binas dividi
partis ut maius et minus, ut lectus et lectulus, area et arcula, sic
alia. XLVI. 75. Quod dicunt casus alia non habere rectos,
alia obliquos et idco non esse analogias, falsum est. Negant habere
rectos ut in hoc frugis frugi frugem, item cole(m) colis cole, 1 obliquos
non habere ut in hoc Diespiter Diespitri Diespitrem, Maspiter
Maspitri Maspitrem. § 74. 1 L. Sp., for similitudinibus. 2 Added by L. Sp. 3 L. Sp.,
for vocabula. 4 Mite., for ea quae. §75. 1 A. Sp. ; colis coli
colem Mue. ; for role rolis role. § 74. a Cf viii. 79. b The
diminutives are not ety- mological derivatives of cants, but are of quite
distinct origin. e Curiously, none of the Latin words denoting sheep
and goats, cattle and horses, had a diminutive in regular use in
Varro's time or earlier, except that Varro himself used equulus and
equula. Plautus, Asin. 667, coined the words agnellns ' little lamb,' haedillus
4 little kid,' vitellus 4 little calf,' as terms of endearment, but they
do not appear again. d The normal, undiminished object. § 75.
° Cf. viii. 49 ; the subject-matter of § 75 seems to come closely after
that of § 70, but there seems to be no sure 496
ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 73-75 which is commonly
said is not consistent with itself, because magis mane means the first
part of the mane, and magis vespere the last part of the evening.
XLV. 74. Similarly, Regularity is found fault with on account of
unlikenesses of this sort," that although anus * old woman ' and
cadus * cask ' are like words, and from anus there are the
diminutives aniatla and anicilla, the other two are not formed from
cadus, nor from piscina ' fish-pond * are piscinula and piscinilla made.
To this I answer that words of this kind have the Regularities, as I have
said, only when the size must be noted in each separate stage, and
this is in common use, as is cista * box/ cistula, cistella, and canis b
1 dog,' catulus * puppy,' catellus * little puppy ' ; this is not
indicated in the usage connected with flocks.* Therefore the usage is
more often that things be divided into two sets, as larger d and
smaller, like lectus * couch * and lectulus, area ' strong-box * and arcula,
and other such words. XLVL 75. As to their saying a that some
words lack the nominative and others lack the oblique cases, and
that therefore the Regularities do not exist, this is an error. For they
say that the nomina- tive is lacking in such words as frugis frugi frugem
b * fruit of the earth * and colem colis cole c 1 plant-
stalk/ and the oblique cases are lacking in such as Diespiter * Jupiter,'
dat. Diespitri, acc. Diespitrem, and Maspiter ' Mars,' Maspitri,
Maspitrem* way of rearranging the order of the text. * Gen., dat.,
acc. c Acc, gen., abL, unless the manuscript readings are to be
more seriously altered ; the word is more properly caul- % but Cato and
Varro prefer the country forms, with o from au. d For Dies pater and Mars
pater ; the addition of pater is found only in nom. and voc. (Iuppiter,
older Iuplter % is a voc. form). VOL. II K 497
VARRO 76. Ad haec respondeo et priora habere nominandi
et posteriora obliquos. Nam et frugi rectus est natura frux, at secundum
consuetudinem dicimus ut haec avis, haec ovis, sic haec frugis ; sic
secundum naturam nominandi est casus cols, 1 secundum con-
suetudinem colis, 2 cum utrumque conveniat ad analo- gian, quod et id
quod in consuetudine non est cuius modi debeat esse apparet, et quod est
in consuetu- dine nunc in recto casu, eadem est analogia ac plera-
que, quae ex multitudine cum transeunt in singulare, difficulter
efFeruntur ore. Sic cum transiretur ex eo quod dicebatur haec oves, una
non est dicta ovs sine J, 3 sed additum I ac factum ambiguum verbum
nominandi an patrici esse(t) 4 casus. Ut ovis, et avis. 77. Sic in obliquis casibus
cur negent esse Diespitri Diespitrem non video, nisi quod minus est
tritum in consuetudine quam Diespiter ; quod in nihil argumentum est :
nam tarn casus qui non tritus est quam qui est. Sed est(o) 1 in casuum
serie alia vocabula non habere nominandi, alia de obliquis aliquem:
nihil enim ideo quo minus siet 2 ratio per- cellere poterit hoc
crimen. § 76. 1 Mi*e., for
rois. 2 Hue., for rolis. 3 L. &/>., for una. 4 L, Sp., for
esse. § 77. 1 L. Sp., for est. 2 Mue., for si et ; on the
possi- bility of the use of siet in Varro's time, cf Cicero, Orator
47. 157. § 76. ° Frux is found in Ennius, Ann. 314 (' honest
man ') and 431 Vahlen 2 = R.O.L. i. 1 16-1 17 and 150-151 Warming-
ton ; but nom. frugis is not quotable from a text. b Colis may be cited
from Lucilius, 135 Marx, and Varro, R. R. i. 41 . 6. 4 c Varro is
speaking on the basis that the relation is nom. sing, ending in -s, nom.
pi. in -es, as in dux^ pi. duces. d Haec before oves is the sign of the
nom. pi. fern. ; Varro appears to use hae before consonants, haec
498 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 76-77
76. To this I answer that the former have nomina- tives and the
latter have oblique case-forms. For the nominative of fntgi is by nature
frux, but by usage we say fntgis, a like avis * bird * and ovis ' sheep *
; so also, the nominative of the other word is by nature cols and
by usage colis. b Both of these agree with the principle of Regularity,
because it is perfectly clear of what sort that form ought to be which is
not in use, and in that which is now in use in the nominative there
is the same kind of Regularity as most words have that are hard to
pronounce when they pass from the plural to the singular. So when
the passage was made from the spoken plural oves, d the form which
was pronounced was not ovs without I, but an I was added and the word
became ambiguous as to whether the case was nominative or
genitive.* Like the nominative ovis is also the nominative amis.
77. Thus I do not see why they say that in the oblique cases
Diespitri and Diespitrem are lacking, except because they are less common
in use than Diespiter. But the argument amounts to nothing ; for
the case-form which is uncommon is just as much a case-form as that which
is common. But let us grant that in the list of case-forms some words
lack the nominative and others lack some one of the oblique cases ;
for this charge will not for that reason be able in any way to destroy
the existence of a logical relationship a among the forms.
before vowels as here (and at the sentence-end, as at v. 75). *
Varro is of course unaware of the fact that some nouns of the third
declension had stems ending in i and therefore had a right to nominatives
in is, while others had stems ending in consonants and could have the
ending is only by analogy with the «-stems. § 77. ° That is,
Regularity. 499 VARRO 78. Nam
ut signa quae non habent caput 1 aut aliquam aliam partem, nihilo minus 2
in reliquis mem- bris eorum esse possunt analogiae, sic in
vocabulis casuum possunt item fieri (iacturae. Potest etiam
refingi) 3 ac reponi quod aberit, ubi patietur natura et consuetudo :
quod nonnunquam apud poetas invenimus factum, ut in hoc apud Naevium in
Clas- tidio : Vita insepulta laetus in patriam redux.
XLVII. 79. Itemreprehendunt,quoddicaturhaec strues, hie Hercules, 1
hie homo : debuisset enim dici, si esset analogia, hie Hercul, haec
strus, hie hom(en. N)on
2 haec ostendunt no(mi)?*a 3 non analogian esse, sed obliquos casus non
habere caput ex sua analogia. Non, ut si in Alexandri statua imposueris
caput Philippi, membra conveniant ad rationem, sic* et Alexandri
membrorum simulacro 5 caput quod re- spondeat item sit ? Non, si quis
tunicam in usu ita consult, ut altera plagula 6 sit angustis clavis,
altera latis, utraque pars in suo genere caret analogia. XLVIII. 80. Item negant esse
analogias, quod § 78. 1 After caput, M and Laetus deleted et. 2
For nihil hominus. 3 Added by GS. ; but the lost part may be some
what longer. % 79. 1 p, Laetus, for Herculis. 2 GS. ; homen Canal
; for homon. 3 Kent, for noua. 4 G, H, Aug., for sit. 5 A. Sp.yfor
simulacrum. 6 Aldus, for placula. § 78. a By regular formation. b
Tray. Rom. Frag., Praet. II Ribbeck 3 . c Redux, not elsewhere found in
the nom. sing. § 79. If the nominatives were of the usual
types, which replace the .genitive ending -IS by -S or by nothing at
all, like $11$, animal, nomen, genitives suis, animalis, nominis. b
That is, the nominatives are not formed ' regularly ' from the oblique
cases, but from these nominatives of variant types For as some statues
lack the head or some other part without destroying the Regularities
in their other limbs, so in words certain losses of cases can take
place, with as little result. Besides, what is lacking can be remade a
and put back into its place, where nature and usage permit ; which we
sometimes find done by the poets, as in this verse of Naevius, in
the Clastidium b : With life unburied, glad, to fatherland
restored.* XLVII. 79. Likewise they find fault with the
nominatives strues 1 heap,' Hercules, homo * man ' ; for if Regularity
actually existed, they say, these forms should have been strus, Hercul,
homen. a These nouns do not show that Regularity is non-existent,
but that the oblique cases do not have a head or starting-point according
to their type of Regularity. b Is it not a fact that, if you should put a
head of Philip on a statue of Alexander and the limbs should be
proportionately symmetrical, then the head which does correspond to the
statue of Alexander's limbs c would likewise be symmetrical ? And it
is not a fact that if one should in practice sew together a tunic
in such a way that one breadth of the cloth has narrow border-stripes and
the other has broad stripes, each part lacks regular conformity within
its own class. d XLVIII. 80. Likewise they say that the
Regu- the oblique cases are formed regularly. c That is, the
heads or nominatives may be varied, but the limbs or oblique cases are of
uniform type. d For there are tunics with the broad stripe, worn by
senators, and tunics with the narrow stripe, worn by knights ; therefore,
though the two halves in the example do not belong together, each has its
regular precedent. 501 VARRO
alii dicunt cupressus, alii cupressi, item dc ficis platanis et
plerisque arboribus, dc quibus alii ex- tremum US, alii EI faciunt. Id
est falsum : nam debent dici E et I, fici ut nummi, quod est ut
num- mi^) fici(s), 1 ut nummorum ficorum. Si essent plures ficus,
essent ut manus ; diceremus ut manibus, sic ficibus, et ut manuum, sic
ficuum, neque has ficos diceremus, sed ficus, ut non manos appellamus,
sed (manus, nec) 2 consuetude* diceret singularis obliquos casus
huius fici neque hac fico, ut non dici(t) 3 huius mani, 4 sed huius
manus, (n)ec 5 hac mano, sed hac manu. XLIX. 81. Etiam illud
putant esse causae, cur non sit 1 analogia, quod Lucilius scribit :
Dccuis, 2 Sive decusibus est. Qui errant, quod
Lucilius non debuit dubitare, quod utrumque : nam in aere usque ab asse
ad centussis numerus aes significat, et eius numero finiti casus
omnes 3 ab dupondio sunt, quod dicitur a multis duobus modis hie
dupondius et hoc dupondium, ut § 80. 1 L. Sp., for nummi fici. 2
Added by Mue. ; manus neque L. Sp. 3 Aug., for dici. 4 M,
Laetus,for manui. 5 L. Sp., for et. §81. 1 After sit, Aldus
deleted in. 2 Lachmann ; decussi Mue. ; for decuis. 3 For omnis.
§ 80. ° As belonging to the fourth and the second de-
clensions respectively. b This shows that Varro wrote the nominative
plural of the second declension with EI, and not with I ; but it would be
pedantic to substitute such spellings throughout 4 his works, or even
merely in this section. c As type of the second declension. d As type of
the fourth declension. 502 ON THE LATIN
LANGUAGE, IX. 80-81 larities do not exist, because some say
cupressus ' cypress-trees ' in the plural and others say cupressif
and similarly with fig-trees, plane-trees, and most other trees, to which
some give the ending US and others give EI. This is wrong ; for the
tree-names ought to be spoken with E and l 9 b Jici like nummi c '
sesterces,* because the ablative is jicis like nummis, and the genitive
is ficorum like nummorum. If the plural were Jicus, then it would be like
mantis d * hand ' ; we should say ablative Jicibus like manibus,
and genitive jicuum like manuum 9 and we should not say accusative Jicos,
but Jicus, just as we do not say accusative vianos but manus ; nor would
usage speak the oblique cases of the singular genitive Jici and
ablative Jico, just as it does not say genitive mani but manus, nor
ablative mono but manu. XLIX. 81. Moreover, they think that there
is proof of the non-existence of Regularity, in the fact that
Lucilius writes a ; Priced a teiww, or else we may say at
ten-asses. b They are in error, because Lucilius should not
have been uncertain as to the form, since both are right. For in
copper money, from the as to the hundred-a-y, the number adds to itself
the meaning of the copper coin, and all its case-forms are limited by its
numerical value, starting from the dupondius * two-as piece,' which
is used by many in two ways, masculine dupondius and neuter dupondium,
like gladius and §81. ° Lucilius, 1153-4 Marx. "Or decussis,
decus- sibus; but the single S is elsewhere attested in these
words, and Lucilius may well have followed the older orthography,
which doubled no consonants. On the as, cf. v. 169* c As first element in
the compound. hoc gladium et hie gladius ; ab tressibus virilia
multi- tudinis hi tresses et " his tressibus confido,"
singulare " hoc tressis habeo " et " hoc tres(s)is 4
confido," sic deinceps a(d) 5 centussis. Deinde numerus aes
non significatf. 6 82. Numeri qui aes non significant, usque
a quat- tuor ad centum, triplicis habent formas, quod dicun- tur hi
quattuor, hae quattuor, haec quattuor ; cum perventum est ad mille,
quartum assumit singulare neutrum, quod dicitur hoc mille denarium, a
quo multitudinis fit milia denarii. 1 S3. Quare gwo(nia)m 1
ad analogias quod pertineat non (opus) 2 est ut omnia similia dicantur,
sed ut in suo quaeque genere similiter declinentur, stulte
quaerunt, cur as et dupondius et tressis non dicantur proportione, cum as
3 sit simple^, 4 d?*pondius 5 fictus, quod duo asses pendebat, 6 tressis
ex tribus aeris quod sit. Pro assibus nonnunquam aes dicebant antiqui,
a 4 For tresis. 5 Aug., for a. 6 Aug., for significans. § 82.
1 Aug.) for denaria. § 83. 1 Mue., for cum. 2 Added by GS. 3 as
sit Aldus, for adsit. 4 For simples. 5 For dipondius. 6 Aug., for
pendebant. d Cf. v. 116 and viii. 45. "The value-names tressis
to centussis were invariable in the singular, but had a full set of
cases in the plural, without multiplying the value of the term ; thus
tresses in the plural still means ' three asses ' precisely like the
singular. § 82. ° One invariable form serves for three
genders. b Mille is not only an indeclinable plural adjective, of
three genders, but also a neuter noun in the singular, upon which a
genitive depends ; and in this last capacity it has a plural, which is
declinable. c The denarius was a Roman silver coin, equivalent to the
Greek drachma, and in modern times gladium* From tressis 4 three-as
' there is a mascu- line plural 3 tresses in the nominative and tressibus
in the ablative, as in "I trust in these three asses,"
singular tressis as in " I have this three-flj " and " I
trust in this three-as." The same usage is followed all the way to
centussis 4 hundred-^. ' e From here on, the numeral does not denote
money any more than other things. 82. The numerals which do
not signify money, from quaiiuor 4 four ' to centum 4 hundred/ have
forms of triple function, because quaituor is masculine, feminine,
and neuter. When mille 4 thousand ' is reached, it takes on a fourth
function, 6 that of a singular neuter, because the expression in use
is mille 4 thousand * of denarii, c from which is made a * plural,
milia 1 thousands * of denarii. 83. Since therefore so far as
concerns the Regu- larities it is not essential that all words that
are spoken should be alike in their systems, but only that they
should be inflected alike each in its own class, those persons are stupid
who ask why as and dupondius and tressis are not spoken according to a
regular scheme ; for the as is a single unit, the dupondius is a
compound term indicating that it pendebat 1 weighed ' duo 1 two ' asses, and
the tressis is so called a because it is composed of tres 4 three ' units
of aes 4 copper.' Instead of asses, the ancients used sometimes to
say aes 6 ; a usage which survives when we hold an as in to
the Swiss franc (about Is. 4d. English, or 32 cents U.S.A., in 1936).
§ 83. ° From tres and as, not from tres and aes. b But in the
genitive, if with a numeral ; just as we say " four o'clock," =
" four (hours) of the clock " ; in the singular, aes might mean
* money ' collectively, like the French argent, and sometimes even a *
copper piece.' 505 VARRO quo
dicimus assem tenentes " hoc 7 aere aeneaque libra " et "
mille aeris legasse." 84. Quare quod ab tressis usque ad
centussis 1 numeri ex (partibus) 2 eiusdem modi sunt compositi,
eiusdem modi habent similitudinem : dupondius, quod dissimilis est, ut
debuit, dissimilem habet rationem. Sic as, quoniam simplex est ac principium, et unum
significat et multitudinis habet suum in- finitum : dicimus enim asses,
quos cum finimus, dicimus dupondius et tressis et sic porro.
85. Sic videtur mihi, quoniam finitum et infinitum habeat
dissimilitudinem, non debere utrumque item dici, eo magis quod in ipsis
vocabulis 1 ubi additur certus numerus miliar(i)is 2 aliter atque in
reliquis dicitur : nam sic loquontur, hoc mille denarium, non hoc
mille denari(orum), 3 et haec duo milia denarn/m, 4 non duo milia
denari(orum). 5 Si esset denarii in recto casu atque infinitam
multitudinem significaret, tunc in patrico denariorum dici oportebat ; et
non solum in denariis, victoriatis, drachmis,* nummis, sed etiam in
viris idem servari oportere, cum dicimus 7 After hoc, Brissonius
deleted ab. § 84. 1 Aug., for
ducentussis. 2 Added by GS. % 85. 1 M 9 Laetus, for vocalibus. 2
Miie. ; milliards L. Sp. ; for militaris. 3 L. Sp.,for denarii. 4 Aug.,
for denaria. 5 Christ, for denarii. 6 Rhol^for et rachmis.
c A legal survival used in symbolic sales, cf. v. 163; for the
ancient as UbraUs (cf v. 169) had long since been decreased in weight and
was not coined after 74 b.c. § 84. ° Even as dies and annus were
not modified by the lower numerals ; for such phrases the Romans
substituted biduum, triduum, biennium, triennium> etc. So for
sums the hand and say " with this aes * copper piece '
and aenea libra ' pound of copper/ " c and also in the legal
formula " to have bequeathed a thousand (asses) of aes * copper.*
'* 84. Therefore, because the numerals from tressis to
centussis are compounded of parts of the same kind, they have a likeness
of the same kind ; but the word dupondius, because it is different in
formation, has a different system of declension, as it should have.
So also the as, because it is a single unit and is the beginning, means
one and has its own in- definite plural, for we say asses ; but when we
limit them numerically, we say dupondius and tressis and so on.
a . 85. Thus it seems to me that since the definite and the
indefinite have an inherent difference, the two ought not to be spoken in
the same fashion, the more so because in the words themselves, when
they are attached to a definite number in the thousands, a form is
used which is not the same as that used in other expressions. For they
speak thus : mille dena- rium a * thousand of denarii,' not denariorum,
and two milia denarium ' thousands of denarii,* not denariorum. If
it were denarii in the nominative and it denoted an indefinite quantity,
then it ought to be denariorum in the genitive ; and the same distinction
must be pre- served, it seems to me, not only in denarii, victoriati,
h drachmae, and nummi, but also in viri, when we say from 2
to 100 asses, the compound words were used, and not asses with the
numeral. § 85. a For names of weights and measures, and for
some other words, the old genitive in -um continued in use long
after the new form in -onim had been generalized. 6 The vktoriatus was a
silver coin stamped with a figure of Victory, and worth half a
denarius. 507 VARRO iudicium
fuisse triumvirum, decem(virum, centum)- wum, 7 non (triumvirorum,
decemvirorum), 8 centum- virorum. 86. Numeri antiqui habent
analogias, quod omni- bus est una 1 regula, duo actus, tres gradus, sex
de- curiae, qua(e) 1 omnia similiter inter se respondent. Regula 3
est numerus novenarius, quod, ab uno ad novem cum pervenimus, rursus
redimus ad unum et V(IIII) 4 ; hinc et LX(XXX) 6 et nongenta 6 ab
una sunt natura novenaria ; sic ab octonaria, et deo(r)sum versus
ad singularia perveniunt. 87. Actus primus est ab uno (ad) 1 DCCCC,
se- cundus a mille ad nongenta* milia ; quod idem valebat unum et
mille, utrumque singulari nomine appellatur : nam ut dicitur hoc unum,
haec duo, (sic hoc mille, haec duo) 3 milia et sic deinceps multitudinis
in duobus actibus reliqui omnes item numeri. Gradus singu- laris
est in utroque actu ab uno ad novem, denariws 4 gradus (a) 5 decern ad
LX(XXX), 6 centenarius a cen- tum (ad) 7 DCCCC. Ita tribus gradibus sex
decuriae fiunt, tres miliariae, tres 8 minores. Antiqui his numeris
fuerunt contenti. 7 Added by L. Sp. 8 Added by A. Sp., after
Aldus. §86. 1 After una, L. Sp. deleted non novenaria (Aug.
deleted non). 2 Rhol., for qua. 3 Sciop., for regulae. 4 novem L. Sp., for
V. 5 nonaginta Aldus, for LX. 6 L. Sp. ; nongenti G, H ; for
nungenti. § 87. 1 Added by Aug. 2 For nungenta. 3 Added by
Gronov. 4 Aug., for denarios. 5 Added by Aug. 6 nonaginta Aug., for LX. 7
Added by Aug. 6 L. Sp., for miliaria etres. c The
tresviri or triumviri capitales, in charge of prisons and 508
ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 85-87 that there has
been a decision of the triumvirs, c the decemvirs, d the centum virs, e
all of which have the genitive virum and not virorum. 86. The
old numbers have their Regularities, because they all have one rule, two
acts, three grades, and six decades, all of which show regular
internal correspondences. The rule is the number nine, because,
when we have gone from one to nine, we return again to one and nine ° ;
hence both ninety and nine hundred are of that one and the same
nine- containing nature. So there are numbers of eight- containing
nature, 6 and going downwards they arrive at those which are merely
ones. 87. The first act ° is from one to nine hundred, the
second from one thousand to nine hundred thousand. Because one and
thousand are alike unities, both are called by a name in the singular
; for as we say 1 this one ' and ' these two,* so we say 1 this
thousand ' and ' these two thousands/ and after that all the other
numbers in the two acts are likewise plural. The unitary grade is found
in both acts, from one to nine ; the denary grade extends from ten
to ninety ; the centenary grade from hundred to nine hundred. Thus from
the three grades, six decades are made, three in the thousands, and
three in the smaller numbers. The ancients were satisfied with these
numerals. executions. *The decemviri stlitibus iudicandis, a
per- manent board with jurisdiction over cases involving liberty or
citizenship. * The centumviri or board of judges with jurisdiction over
civil suits, especially those involving in- heritances. § 86.
As multiples of ten ; and then as multiples of one hundred. 6 But these
do not constitute the 4 rule.* § 87. Technical term, taken from the
drama. 509 VARRO 88. Ad 1 hos
tertium et quartum actum (addcntes) 2 ab decie(n)s (et ab deciens
miliens) 2 minores im- posuerunt vocabula, neque rationc, sed tamen
non contra est earn de qua scribimus analogiam. Nam 3 deciens 4 cum
dicatur hoc deciens ut mille hoc mille, ut sit utrumque sine casibus
vocis, dicemus ut hoc mille, huius mille, sic hoc deciens, huius
deciens, neque eo minus in altero, quod est mille, praeponemus hi
mille, horum mille, (sic hi deciens, horum deciens). 5 L. 89.
Quoniam in eo est nomen co(m)mune, quam vocant ofnovvfuav, 1 obliqui
casus ab eodem capite, ubi erit ofuavvfiia, 2 quo minus dissimiles
fiant, analogia non prohibet. Itaque dicimus hie Argus, cum hominem
dicimus, cum oppidum, Graec(e Graec)an(i)ceve 3 hoc Argos, cum Latine
(hi) 4 Argi. Item faciemus, si eadem vox nomen et 5 verbum
significant, 6 ut et in casus et in tempora dispariliter declinetur, ut
faciemus a Meto quod nomen est Metonis Metonem, quod verbum estmetammetebam.
§ 88. 1 For ab. 2 Added by Kent, after Mue. (actum ab deciens
minorem, (a deciens miliens maiorem addentes), imposuerunt). 3 A fter
nam, L. Sp. deleted ut. 4 Aug., for decienis. 6 Added by L. Sp. ; there
may have been other text also in the lacuna. § 89. 1 For
omonimyan. 2 For omonimya / after which Aug. deleted obliqui casus. 3
Fay, cf. x. 71 ; graecanice Pius ; for graecancaene. 4 Added by
Vertranius ; (hei) Aug. 6 Pius, for nominet. 6 Pius, for
significavit. § 88. ° Elliptic for decies centena milia '
ten times a hundred thousands.* b Similarly elliptic for decies
milies centena milia. c Varro seems not to know the abl. sing.
milll, found in Plautus, Bac. 928 (assured by the metre), and in
Lucilius, 327 and 506 Marx (assured by Gellius, i. 10. 10-13).
510 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 88-89 88.
To these, their descendants added a third and a fourth act, imposing
names which started from deciens a ' million ' and deciens miliens b '
thousand million ' ; and though the names were not formed by
logical relation with the lower numerals, still their for- mation is not
in conflict with the Regularity about which we are writing. For inasmuch
as deciens is used as a neuter singular like mille, so that both words
are without change of form for the various cases, 6 we shall use
deciens unchanged as nominative and as genitive, even as we do mille ;
and none the less shall we set before mille the signs of nominative
and of genitive plural, because mille is also in the other number —
and so also shall we speak of* these deciens ' in the same cases.
L. 89. When a noun is the same in the nomina- tive though it has
more than one meaning, in which instance they call it a homonymy,
Regularity does not prevent the oblique cases from the same
starting form in which the homonymy is, from being dis- similar.
Therefore we say Argus in the masculine, when we mean the man, but when
we mean the town we say, in Greek or in the Greek fashion, Argos a
in the neuter, though in Latin it is Argi, masculine plural. Likewise, if
the same word de- notes both a noun and a verb, we shall cause it
to be inflected both for cases and for tenses, with different
inflection for noun and verb, so that from Melo as a noun, a man's name,
we form gen. Metonis, acc. Metonem, but from meto as a verb, * I reap/
we form the future metam and the imperfect metebam. § 89. °
The homonymy is not perfect, since the forms are Argus and Argos ; the
neuter Argos is found in Latin only in nom. and acc.
511 VARRO LI. 90. Reprehendunt, cum
ab eadem voce plura sunt vocabula declinata, quas a-vvtawfitas 1
appellant, ut 2 Alc(m)#eus 3 et Alc(m)«eo, 3 sic Gen/on, Ger?/o-
n(e)us, 4 Ger^ones. In hoc genere quod casus per- peram permutant quidam,
non reprehendunt ana- logiam, sed qui eis utuntur imperite ; quod
quisque caput prenderit, sequi debet eius consequenti(s) 5 casus in
declinando ac non facere, cum dixerit recto casu Alc(m)aeus, 6 in
obliquis 7 Alc(m)«eoni 6 et Alc(m)aeonem 6 ; quod si miscuerit et non
secutus erit analogias, reprehendendum. LII. 91.
(Reprehendunt) 1 Aristarchum, quod haec nomina Melicertes et Philomedes
similia neget esse, quod vocandi casus habet alter Melicerta, alter
Philomede(s), 2 sic qui dicat lepus et lupus non esse simile, quod
alterius vocandi casus sit lupe, alterius lepus, sic socer, macer, quod
in transitu fiat ab altero triss/llabum soceri, ab altero bisyllabum
macri. 92. De hoc etsi supra responsum est, cum dixi de lana,
hie quoque 1 amplius adiciam similia non solum §90. 1 For
synonimyas. 2 After ut, Aug. deleted sapho et. 3 Kent, for alceus and
alceo, usually corrected to Alcaeus, Alcaeo, though a variant nominative
Alcaeo is unknown ; whereas Alcumeus occurs in Plant us* Capt. 562,
and Alcmaeo in Cicero, Acad. Priora ii. 28. 89, and else- where. 4 Mue.,
for gerionus. 6 L. Sp.,for consequenti. • Kent, for alceus, alceoni,
alceonem ; cf. crit. note 3. 7 After obliquis, Mue. deleted dicere.
§91. 1 Added by L. Sp„ after Aug. 2 Mue., for philomede.
§ 92. 1 For hie hie quoque. § 90. Son of Amphiaraus
and Eriphyle, who killed his mother at the command of his father, because
she tricked him into going to a war in which he was destined to die ; cf.
also the critical note. b The three-bodied giant whom Hercules
512 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 90-92
LI. 90. They find fault when from the same utterance two or more
word-forms are derived, which they call synonymns, such as Alcmaeus and
Alanaeo, a and also Geryon, Geryoneus, GeryonesS* As to the fact
that in this class certain speakers interchange the case-forms wrongly —
they are not finding fault with Regularity, but with the speakers who use
those case- forms unskillfully : each speaker ought to follow, in
his inflection, the case-forms which attend upon the nominative which he
has taken as his start, and he ought not to make a dative Alcmaeoni and
an accusative Alcmaeonem when he has said Alcmaeus in the nominative
; if he has mixed his declensions and has not followed the Regularities,
blame must be laid upon him. LII. 91. They find fault a with
Aristarchus for saying that the names Meliceries and Pkilomedes are
not alike, because one has as its vocative Melicerta, and the other has
Pkilomedes b ; and likewise with those who say that lepus * hare ' and
lupus ' wolf * are not alike, because the vocative case of one is
lupe and of the other is lepus, and with those who say the same of socer
' father-in-law * and macer ' lean/ because in the declensional change
there comes from the one the three-syllabled genitive soceri and
from the other the two-syllabled genitive macri. 92. Although the
answer to this was given above when I spoke about the kinds of wool, I
shall make here some further statements : the likenesses of
overpowered and robbed of his cattle ; all three forms are known in
Greek, but only Geryon and Geryones in Latin. §91. a Cf. viii. 68.
b The Greek nominatives end in -17s, but the vocatives end in -a and -€s
respectivelv. § 92. a C/. ix. 39. VOL. II L 513
VARRO a facie dici, sed etiam ab aliqua
coniuncta vi et potestate, quae et oculis et auribus latere soleant
: itaque saepe gemina facie mala negamus esse similia, si sapore
sunt alio ; sic equos eadem facie nonnullos negamus esse similis, (s)i 2
natione s(unt) 3 ex procreante dissimiles. 4 93. Itaque in
hominibus emendis, si natione alter est melior, emimus pluris. Atque in hisce omnibus
similitudines non sumimus tantum a figura, sed etiam aliu for
externi. §101. ° Present imperative, future imperative,
present subjunctive. b The indicative mood. c Varro dis- regards
the, plural forms in this calculation. § 102. ° Meaning 1 mood ' ;
cf. § 95, note a. b Cf ix. 75-79. used to say present esum es est,
imperfect eram eras erat, future ero eris erit. In this same fashion
you will see that the other verbs of this kind preserve the
principle of Regularity. LVIII. 101. Besides, they find fault with
Regu- larity in this matter, that certain verbs have not the three
persons, nor the three tenses ; but it is with lack of insight that they
find this fault, as if one should blame Nature because she has not shaped
all living creatures after the same mould. For if by nature not all
forms of the verbs have three tenses and three persons, then the
divisions of the verbs do not all have this same number. Therefore when
we give a com- mand, a form which only the verbs of uncompleted
time have — when we give a command to a person present or not actually
present, three verb-forms a are made, like lege ' read (thou)/ legito '
read (thou) * or ' let him read/ legal ' let him read 1 : for
nobody gives a command with a form denoting action already
completed. On the other hand, in the forms which denote declaration, 6
like lego ' I read/ legis * thou readest/ legit ' he reads/ there are
nine verb-forms of uncompleted action and nine of completed
action. LIX. 102. For this and similar reasons the question
that should be asked is not whether one kind ° disagrees with another
kind, but whether there is anything lacking in each kind. If to
these there is added what I said above b about nouns, all
difficulties will be easily resolved. For as the nomina- tive case-form
is in them the source for the derivative cases, so in verbs the source
for other forms is in the form which expresses the person of the speaker
and the present tense : like scribo * I write/ lego ' I read.'
521 VARRO 103. Quare ut illic fit,
si 1 hie item acciderit, in formula ut aut caput non sit aut ex alieno
genere sit, proportione eadem quae illic dicimus, cur nihilominus 2
servctur analogia. Item, sicut illic caput suum habebit et in obliquis
casibus transitio erit in ali(am) quam 3 formulam, qua assumpta reliqua
facilius possint videri verba, unde sint declinata (fit enim, ut
rectus casus nonnunquam sit ambiguus), ut in hoc verbo volo, quod id duo
significat, unum a voluntate, alterum a volando ; itaque a volo intellegimus
et volare et velle. LX. 101. Quidam reprehendunt, quod pluit et luit
dicamus in praeterito et praesenti tempore, cum analogize sui cuiusque
temporis verba debeant dis- criminare. Falluntur : nam est ac putant
aliter, quod in praeteritis U dicimus longum pluit (luit), 1 in
praesenti breve pluit luit : ideoque in lege vendi- tions fundi "
ruta caesa " ita dicimus, ut U produ- camus. LXI. 105.
Item reprehendunt quidam, quod putant idem esse sacrifico 1 et sacrificor,
lavat 2 et lavatur ; quod sit an non, nihil commovet analogian, dum
sacrifico 3 qui dicat servet sacrificabo et sic per § 103. 1 Mite.,, for sic. 2 For
nichilominus. 3 Mue., for aliquam. § 104. 1 Added by
Aug. § 105. 1 Aug.> for sacrificio. 2 L. Sp. ; sacrificor
et lavat Aug. ; for sacrifico relauat. 3 Aug,) for sacrifici.
§ 103. ° Cf ix. 76. § 104. a Found in older Latin, but
seemingly shortened by about Varro's time. 6 One might exempt from
inclu- sion in the sale of a property all things dug up (sand,
chalk, ete.) and ail things cut down (timber, etc.), even though
they were still unwrought materials. c The u is short in the
compounds erutus^ obrutus, etc. Wherefore, if it has happened in verbs as
it does happen in nouns, that in the pattern the starting- point is
lacking or belongs to a different kind, we give the same arguments here
which we gave there, with suitable changes in application, as to why and
how Regularity is none the less preserved. And as in nouns the word
will have its own peculiar starting- point and in the oblique cases there
will be a change to some other pattern, on the assumption of which
it can be more easily seen from what the word-forms are derived
(for it happens that the nominative case-form is sometimes ambiguous), so
it is in verbs, as in this verb volo, because it has two meanings, one
from wishing and the other from flying ; therefore from volo we
appreciate that there are both volare ' to fly ' and velle * to
wish/ LX. 104. Certain critics find fault, because we say
pluit * rains ' and luit * looses ' both in the past tense and in the
present, although the Regularities ought to make a distinction between
the verb-forms of the two tenses. But they are mistaken ; for it is
otherwise than they think, because in the past tense we say pluit and
luit with a long U, a and in the present with a short U ; and therefore
in the law about the sale of farms we say rata caesa ' things dug up
and things cut,' 6 with a lengthened u. c LXI. 105. Likewise
certain persons find fault, because they think that active sacrifico ' I
sacrifice ' and passive sacrificor, active lav at * he bathes ' and
passive lavatur, are the same ° : but whether this is so or not, has no
effect on the principle of Regularity, provided that he who says
sacrifico sticks to the future § 105. ° With the same meaning ; but
the passive of these verbs sometimes has true passive meaning. totam
formam, ne dicat sacrificatur 4 aut sacrificatus sum : haec cnim inter se
non conveniunt. 106. Apud Plautum, cum dicit : Piscis
ego credo qui usque dum vivunt lavant Diu minus lavari 1 quam haec lavat
Phronesium, ad lavant lavari non convenit, ut I 2 sit
postremum, sed E ; ad lavantur analogia lavari reddit : quod Plauti
aut librarii mendum si est, non ideo analogia, sed qui scripsit est
reprehendendus. Omnino et
lavat 3 et lavatur dicitur separatimrecte in rebus certis, quod puerum
nutrix lava(t), 4 puer a nutrice lavatur, nos in 6alneis et lavamus et
lavamur. 107. Sed consuetudo alterum utrum cum satis haberet,
in toto corpore potius utitur lavamur, in partibus lavamus, quod dicimus
lavo manus, sic pedes et cetera. Quare
e balneis non recte dicunt lavi, lavi manus recte. Sed quoniam in balneis
lavor lautus sum, scquitur, ut contra, quoniam est soleo,
oporte(a)ti dici solui, ut Cato et Ennius scribit, non ut dicit
volgus, solitus sum, debere dici ; neque propter haec, quod discrepant in
sermone pauca, minus est analogia, ut supra dictum est. 4 L. Sp. f /or
sacrificaturus. § 106. 1 Plautus has minus diu lavare. 2 II, for
T. 3 II, for lauant. 4 For laua. § 107. 1 Mue.,for
oportet. § 106. ° True. 322-323. § 107. °\The passive
form as a middle or reflexive, but the active form as a transitive
requiring an object. b Frag, inc. 54 Jordan. e Frag. inc. 26 Vahlen 2 .'
* Cf. ix. 33. 524 ON THE LATIN LANGUAGE, IX.
105-107 sacrificabo and so on in the active, through the
whole paradigm, avoiding the passive sacrificatur and sacrificatus
sum : for these two sets do not harmonize with each other.
106. In Plautus, when he says a : The fish, I really think,
that bathe through all their life, Are in the bath less time than this
Phronesium, lavari * are in the bath/ with final I instead of E,
does not attach to lavant * bathe ' : Regularity refers lavari to
lavantur, and whether the error belongs to Plautus or to the copyist, it
is not Regularity, but the writer that is to be blamed. At any rate,
lavat and lavatur are used with a difference of meaning in certain
matters, because a nurse lavat 1 bathes ' a child, the child lavatur ' is
bathed ' by the nurse, and in the bathing establishments we both lavamus
* bathe * and lavamur ' are bathed.' 107. But since usage
approves both, in the case of the whole body one uses rather lavamur * we
bathe ourselves,' and in the case of portions of the body lavamus *
we wash,' in that we say lavo * I wash ' my hands, my feet, and so on.°
Therefore with reference to the bathing establishments they are wrong
in saying lavi * I have bathed,' but right in saying lavi * I have
M ashed * my hands. But since in the bathing establishments lavor * I bathe
' and lauius sum * I have bathed,' it follows that on the other hand
from soleo 1 I am wont,' which is in the active, one ought to say
solui 4 I have been wont,' as Cato 6 and Ennius c write, and that solitus
sum, as the people in general say, ought not to be used. But as I have
said above,** Regularity exists none the less for these few in-
consistencies which occur in speech. 525
VARRO LXII. 108. Item cur non sit analogia, a^erunt,
1 quod ab similibus similia non declinentur, ut ab dolo et colo :
ab altero enim dicitur dolavi, ab altero colui ; in quibus assumi solet
aliquid, quo facilius reliqua dicantur, ut i(n) 2 M^rmecidis 3 operibus
minutis solet fieri : igitur in verbis temporalibus, quo(m) 4
simili- tudo saepe sit confusa, ut discerni nequeat, nisi trans-
ieris in aliam personam aut in tempus, quae pro- posita sunt no(n e)sse 5
similia intellegitur, cum trans- itum est in secundam personam, quod
alterum est dolas, alterum colis. 109. Itaque in reliqua forma verborum suam
utr(um)que 1 sequitur formam. Utrum in secunda (persona) 2 forma verborum
temporalz(um) 3 habeat in extrema syllaba AS (an ES) an IS a(u)t IS, 4
ad discernendas similitudines interest : quocirca ibi potius index
analogiae quam in prima, quod ibi abstrusa est dissimilitudo, ut apparet
in his meo, neo, ruo : ab his enim dissimilia fiunt transitu, quod
sic dicuntur meo meas, neo nes, ruo ruis, quorum unumquodque suam
conservat similitudinis formam. LXIII. 110. Analogiam item de his
quae appel- lantur participia reprehendunt multz 1 ; iniuria : nam
non debent dici terna ab singulis verbis amaturus amans amatus, quod est
ab amo amans et amaturus, § 108. 1 adferunt Aug., for asserunt. 2 Aug., for uti.
3 Plus, for murmecidis. 4 Aug., for quo. 5 Vertranius, for nosse.
§ 109. 1 Schp.,for uterque. 2 Added by L. Sp. 3 h. Bp., for
temporale. 4 L. Sp. (aut ES Canal), for as anis at si. § 110.
1 GS.,for multa. § 108. Just as we nowadays take the infinitive to
show the conjugation, adding the perfect active and the passive
526 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 108-110
LXII. 108. Likewise, they present as an argument against the
existence of Regularity the fact that like forms are not derived from
likes, as from dolo 4 1 chop ' and colo 4 I till ' ; for one forms the
perfect dolavi and the other forms colui. In such instances some-
thing additional is wont to be taken to aid in the making of the other
forms, a just as we do in the tiny art-works of Myrmecides b : therefore
in verbs, since the likeness is often so confusing that the
distinction cannot be made unless you pass to another person or
tense, you become aware that the words before you are not alike when
passage is made to the second person, which is dolas in the one verb and
colis in the other. 109. Thus in the rest of the paradigm of
the verbs each follows its own special type. Whether in the second
person the paradigm of verbs has in the final syllable AS or ES or IS or
IS, is of importance for distinguishing the likenesses. Wherefore the
mark of Regularity is in the second person rather than in the
first, because in the first the unlikeness is concealed, as appears in
meo 4 I go/ neo 4 I sew,' ruo 4 1 fall ' ; for from these there develop
unlike forms by the change from first to second person, because they are
spoken thus : meo meas, neo nes, ruo rids, each one of which
preserves its own type of likeness. LXIII. 110. Likewise, many find
fault with Regularity in connexion with the so-called parti- ciples
; wrongly : for it should not be said that the set of three participles
comes from each individual verb, like amaturus 4 about to love,' amans '
loving,' amaius 4 loved,' because amans and amaturus are from
participle to make up the "principal parts" which are our
guide. » Cf. vii. 1. 527 VARRO
ab amor 2 amatus. Illud analogia quod praestare debet, in
suo quicque genere habet, casus, ut amatus amato et amati amatis ; et sic
in muliebribus amata et amatae ; item amaturus eiusdem modi habet
declinationes, amans paulo aliter ; quod hoc genus omnia sunt in suo
genere similia proportione, sic virilia et muliebria sunt eadem.
LXIV. 111. De eo quod in priore libro extremum est, ideo non es(se)
analogia(m), 1 quod qui de ea scripserint aut inter se non conveniant aut
in quibus conveniant ea cum consuetudinis discrepant 2 verbis,
utrumque (est leve) 3 : sic enim omnis repudiandum erit artis, quod et in
medicina et in musica et in aliis multis discrepant scriptores ; item in
quibus conveniunt m 4 scriptis, si e(a) tam(en) 5 repudiat 6 natura
: quod ita ut dicitur non sit ars, sed artifex reprehendendus, qui (dici)
7 debet in scribendo non vidisse verum, non ideo non posse scribi
verum. 112. Qui dicit hoc monti et hoc fonti, cum alii dicant
hoc monte et hoc fonte, sic alia quae duobus modis dicuntur, cum alterum
sit verum, alterum falsum, non uter peccat tollit analogias, sed
uter recte dicit confirmat ; et quemadmodum is qui 1 peccat in his
verbis, ubi duobus modis dicuntur, non 2 Aug. ; amaturus ab amabar
Rhol. ; for ab amaturus amabar. §111. 1 Mue. 9 for est
analogia. 2 Mue., for dis- crepant. 3 Added by GS. ; falsum A, Sp. ;
falsum est Popma. 4 A. Sp., for ut. 5 GS., for etiam. 6 For
repudiant. 7 Added by GS. § 112. 1 L. Sp.,for quicum. §112.
fl C/. viii. 66. 528 ON THE LATIN LANGUAGE, IX.
110-112 the active amo, and amatus is from the passive
amor. But that which Regularity can offer, which the parti- ciples
have, each in its own class, is case-forms, as amatus, dative amato, and
plural amati, dative amatis ; and so in the feminine, amata and plural
amatae. Likewise amaturus has a declension of the same kind. Amans
has a somewhat different declension ; because all words of this kind have
a regular likeness in their own class, amans, like others of its class,
uses the same forms for masculine and for feminine. LXIV.
111. About the last argument in the pre- ceding book, that Regularity
does not exist for the reason that those who have written about it do
not agree with one another, or else the points on which they agree
are at variance with the words of actual usage, both reasons are of
little weight. For in this fashion you will have to reject all the arts,
because in medicine and in music and in many other arts the writers
do not agree ; you must take the same attitude in the matters in which
they agree in their writings, if none the less nature rejects their
conclusions. For in this way, as is often said, it is not the art but
the artist that is to be found fault with, who, it must be said,
has in his writing failed to see the correct view ; we should not for
this reason say that the correct view cannot be formulated in
writing. 112. As to the man who uses as ablatives monti '
hill ' and fonti * spring ' while others say monie and fontef along with
other words which are used in two forms, one form is correct and the
other is wrong, yet the person who errs is not destroying the Regu-
larities, but the one who speaks correctly is strength- ening it ; and as
he who errs in these words where they are used in two forms is not
destroying logical vol. n m 529 VARRO
tollit rationem cum sequitur falsum, sic etiam in his (quae) 2 non
3 duobus dicuntur, si quis aliter putat dici oportere atque oportet, non
scientiam tollit orationis, sed suam inscientiam denudat. LXV. 113. Quibus rebus solvi arbitraremur posse
quae dicta sunt priori libro contra analogian, ut potui brevi percucurri.
Ex quibus si id confecissent 1 quod volunt, ut in lingua Latina esset
anomalia, tamen nihil egissent 2 ideo, quod in omnibus partibus
mundi utraque natura inest, quod alia inter se (similia), 3 alia
(dissimilia) 3 sunt, sicut in animalibus dissimilia sunt, ut equus bos
ovis homo, item alia, et in uno quoque horum genere inter se similia
innumerabilia. Item in piscibus dissimilis murctena lupo, is 4
soleae, haec muraenae 5 et mustelae, sic aliis, ut maior ille
numerus sit similitudinum earum quae sunt separatim in muraenis,
separatim in asellis, sic in generibus aliis. 114. Quare cum in
inclinationibus verborum numerus sit magnus a dissimilibus verbis ortus,
quod etiam vel maior est in quibus similitudines reperiun- tur,
confYtendum 1 est esse analogias. Itemque 2 cum ea non multo minus quam
in omnibus verbis patiatur uti consuetudo co(m)munis, fatendum illud
quoquo 2 Added by Aug. 3 After non, Aug. deleted in. §113. 1 For conficissent. 2
Aug., for legissent. 3 Added by Mue. 4 L. Sp.,for his. 5 G, II,
Aldus, for nerene. §114. 1 Aug., for conferendum. 2 Aug., for
item quae. 6 That is, wrong forms not recognized as having a
limited currency, but practically individual with the speaker.
§ 113. a The identification of the various kinds of fish is
530 ON THE LATIN LANGUAGE, IX. 112-114
system when he follows the wrong form, so even in those words which
are not spoken in two ways, a person who thinks they ought to be spoken
otherwise than they ought, b is not destroying the science of
speech, but exposing his own lack of knowledge. LXV. 113. The
considerations by which we might think that the arguments could be
refuted which were presented against Regularity in the preceding
book, I have touched upon briefly, as best I could. Even if by their
arguments they had achieved what they wish, namely that in the Latin
language there should be Anomaly, still they would have accom-
plished nothing, for the reason that in all parts of the world both
natures are present : because some things are like, and others are
unlike, just as in animals there are unlikes such as horse, ox,
sheep, man, and others, and yet in each kind there are countless
individuals that are like one another. In the same way, among fishes, the
moray is unlike the wolf-fish, the wolf-fish is unlike the sole, and this
is unlike the moray and the lamprey, and others also ; though the
number of those resemblances is still greater, which exist separately
among morays, among codfish, and in other kinds of fish, class by
class.* 1 114. Now although in the derivations of words a
great number develop from unlike words, still the number of those in
which likenesses are found is even greater, and therefore it must be
admitted that the Regularities do exist. And likewise, since general
usage permits us to follow the principle of Regularity in almost all
words, it must be admitted that we ought in some instances
uncertain, but is not important for Varro's argument.
531 VARRO 7w{o)do* analogian sequi
nos debere universos, singulos autem praeterquam in quibus verbis
ofFen- sura sit consuetudo co(m)munis, quod ut dixi aliud debet
praestare populus, aliud e populo singuli homines. 115. Ncque
id mirum est, cum singuli quoque non sint eodem hire : nam liberius
potest poeta quam orator sequi analogias. Quare cum hie liber id
quod pollicitus est demonstraturum absolved/, 1 faciam finem ; proxumo
deinceps de dcclinatorum verborum forma 2 scribam. 3 Canal ; quoque modo Mue. ;
quodammodo Aug, ; for quo quando. § 115. 1 Aldus, for absoluerim.
2 Pius, for
firma. 532 ON THE LATIN LANGUAGE, IX.
114-115 as a body to follow Regularity in every way,
and individually also except in words the general use of which will
give offence ; because, as I have said, a the people ought to follow one
standard, the in- dividual persons ought to follow another.
115. And this is not astonishing, since not all individuals have
the same privileges and rights ; for the poet can follow the Regularities
more freely than can the orator. Therefore, since this book has
completed the exposition of what it promised to set forth, I shall bring
it to a close ; and then in the next book I shall write about the form of
inflected words. §114.
°C/. ix. 5. DE LINGUA LATINA AD
CICERONEM LIBER Villi EXPLICIT ; INCIPIT X I. 1. In
verborum declmationibus disciplinaloquendi dissimilitudinem an
similitudinem sequi deberet, multi quaesierunt. Cum ab his ratio quae ab
simili- tudine oriretur vocaretur analogia, reliqua pars
appellaretur anomalia : de qua re primo libro quae dicerentur cur
dissimilitudinem ducem haberi opor- teret, dixi, secundo contra quae
dic(er)entur J 1 cur potius similitudinem 2 eonveniret praeponi :
quarum rerum quod nee fundamenta, ut deb(u)it, 3 posita ab ullo
neque ordo ae natura, ut res postulat, explicita, ipse eius rei formam
exponam. 2. Dieam de quattuor rebus, quae continent
deelinationes 1 verborum : quid sit simile ac dissimile, quid ratio quam
appellant \6yov, quid pro portione 2 §1. 1 Aldus, for dicentur. 2
Aldus, for dissimili- tudinem. 3 Aug., for debita. § 2. 1 L.
Sp., for declinationibus. 2 Plasberg* for pro- portione.
§ 1. ° Book VIII., which begins a fresh section of the entire work.
b Book IX. ON THE LATIN LANGUAGE Addressed to
Cicero book ix ends, and here begins BOOK X I. 1.
Many have raised the question whether in the inflections of words the art
of speaking ought to follow the principle of unlikeness or that of
likeness. This is important, since from these develop the two
systems of relationship : that which develops from likeness is called
Regularity, and its counterpart is called Anomaly. Of this, in the first
book, I gave the arguments which are advanced in favour of con-
sidering unlikeness as the proper guide ; in the second, 6 those advanced
to show that it is proper rather to prefer likeness. Therefore, as their
founda- * tions have not been laid by anyone, as should have been
done, nor have their order and nature been set forth as the matter
demands, I shall myself sketch an outline of the subject. 2.
I shall speak of four factors which limit the inflections of words : what
likeness and unlikeness are ; what the relationship is which they call
logos ; what " by comparative likeness "is, which they
call 53$ VARRO quod 3 dicunt
dva Aoyov, 4 quid consuetudo ; quae explicatae declarabunt analogiam et
anomalia(m), 5 unde sit, quid sit, cuius modi sit. II. 3. De similitudine et
dissimilitudine ideo primum dicendum, quod ea res est fundamentum
omnium declinationum ac continet rationem ver- borum. Simile est quod res
plerasque habere videtur easdem quas illud cuiusque simile : dissimile
est quod videtur esse contrarium huius. Minimum ex duobus constat
omne simile, item dissimile, quod nihil potest esse simile, quin alicuius
sit simile, item nihil dicitur dissimile, quin addatur quoius sit
dis- simile. 4. Sic dicitur similis homo homini, equus
equo, et dissimilis homo equo : nam similis est homo homini ideo,
quod easdem figuras membrorum habent, quae eos dividunt ab reliquorum
animalium specie. In ipsis hominibus simili de causa vir viro similior
quam vir mulieri, quod plures habent easdem partis ; et sic senior
seni similior quam puero. Eo porro similiores sunt qui facie quoque paene
eadem, habitu corporis, filo : itaque qui plura habent eadem,
dicuntur similiores ; qui proxume accedunt ad id, ut omnia habeant eadem,
vocantur gemini, simillimi. 5. Sunt qui tris naturas rerum putent
esse, simile, dissimile, neutrum, quod alias vocant non simile,
alias 3 Aug., for quid. 4 Plasberg, for analogon. 6 Pius, for
anomalia. § 2. Cf. x. 37. 536 ON
THE LATIN LANGUAGE, X. 2-5 " according to logos "
a ; what usage is. The explana- tion of these matters will make clear the
problems connected with Regularity and Anomaly : whence they come,
what they are, of what sort they are. II. 3. The first topic to be
discussed must be like- ness and unlikeness, because this matter is
the foundation of all inflections and set limits to the
relationship of words. That is like which is seen to have several
features identical with those of that which is like it, in each case :
that is unlike, which is seen to be the opposite of what has just been
said. Every like or unlike consists of two units at least, because
nothing can be like without being like some- thing else, and nothing can
be unlike without associa- tion with something to which it is
unlike. 4. Thus a human being is said to be like a human
being, and a horse to be like a horse, and a human being to be unlike a
horse ; for a human being is like a human being because they have limbs
of the same shape, which separate human beings from the cate- gory
of the other animals. Among human beings themselves, for a like reason a
man is more like a man than a man is like a woman, because men have
more physical parts the same ; and so an elderly man is more like
an old man than he is like a boy. Further, they are more like who are of
almost the same features, the same bearing of person, the same
shape of body ; therefore those who have more points of identity,
are said to be more like ; and those who come nearest to having them all
alike, are called most like, as it were, twins. 5. There are
those M*ho think that things have three natures, like, unlike, and
neutral, which last they sometimes call the not like, and sometimes
the 537 VARRO non dissimile (sed
quamvis tria sint simile dissimile neutrum, tamen potest dividi etiam in
duas partes sic, quodcumque conferas aut simile esse aut non esse)
; simile esse et dissimile, si videatur esse ut dixi, neu- trum, si
in neutram partem praeponderet, ut si duae res quae conferuntur vicenas
habent partes et in his denas habeant easdem, denas alias ad
similitudinem et dissimilitudinem aeque animadvertendas : hanc
naturam plerique subiciunt sub dissimilitudinis nomen. 6\
Quare quoniam fit 1 ut potius de vocabulo quam de re controversia esse
videatur, illud est potius advertendum, quom simile quid esse dicitur,
cui 2 parti simile dicatur esse (in hoc enim solet esse error),
quod potest fieri ut homo homini simih's 3 non sit, 4 ut multas
partis habeat similis et ideo dici possit similis habere oculos, nianus,
pedes, sic alias res separatim et una plures. 7. Itaque quod diligentcr
videndum est in verbis, quas partis et quot modis oporteat similis
habere (quae similitudinem habere) 1 dicuntur, ut infra apparebit,
is locus maxime lubricus est. Quid enim similius potest videri indiligenti
quam duo verba haec suis et suis ? Quae
non sunt, quod alterum 2 sig- nificat suere, alterum suem. Itaque similia
vocibus § 6. 1 Aug., for fuit. 2 quoi L. Sp., for quin cui. 3
V 9 p, C. F. W. Mueller, for simile. 4 non sit Rhol.,for sit non sit. §
7. 1 Added by GS., cf § 12 end ; quae similia esse, added by L\ Sp. ; ut
similia, by Canal. 2 After alterum, p and Aug. deleted non.
538 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 5-7 not
unlike ; but although there are the three, like, unlike, neutral, there
can also be a division into two parts only, in such a way that whatever
you compare with something else either is like or is not. They
think that a thing is like and is unlike if it is seen to be of such a
kind as I have described, and neutral, if it does not have greater weight
on one side than on the other ; as if the two things which are being
com- pared have twenty parts each, and among these should have ten
to be noted as identical and ten likewise to be noted as different, in
respect to likeness and unlikeness. This nature most scholars include
under the name of unlikeness. 6. Therefore since it happens
that the question in dispute seems rather to be about the name than
about the thing, attention must rather be directed, when something is
said to be like, to the problem to what part it is said to be like ; for
it is in this that any mistake ordinarily rests. This must be noted, I
say, because it can happen that a man may not be like another man
even though he has many parts like the other's, and can be said therefore
to have like eyes, hands, feet, and other physical features in
consider- able number, separately and taken together, like the
other man's. 7. Therefore because careful watch must be kept
in words to see what parts those words which are said to show likeness
ought to have alike, and in what ways, the inquirer is on this topic
especially likely to slip into error, as will appear below. For to the
careless person what can seem more alike than the two words suis
and suis ? But they are not alike, because one is from suere 1 to sew '
and means ' thou sewest,' and the other is from sus and means * of a
swine.' There- 539 VARRO esse
ac syllabis confitemur, dissimilia esse partibus orationis videmus, quod
alterum habet tempora, alterum casus, quae duae res vel maxime
discernunt analogias. 8. Item propinquiora genere inter se
verba similem s^epe pariunt errorem, ut in hoc, quod nemus 1 et lepus
videtur esse simile, quom 2 utrumque habeat eundem casum rectum ; sed non
est simile, quod eis 3 certae similitudines opus sunt, in quo est ut in
genere nominum sint eodem, quod in his non est : nam in virili
genere 4 est lepus, ex neutro nemus ; dicitur enim hie lepus et hoc nemus.
Si eiusdem generis esse(n)t, 5 utrique praeponeretur idem ac diceretur
aut hie lepus et hie nemus aut hoc nemus, hoc lepus. 9. Quare
quae et cuius modi sunt genera simili- tudinum ad hanc rem, perspiciendum
ei qui declina- tiones verborum proportione sintne quaeret, Quern 1
locum, quod est difficilis, qui de his rebus scripserunt aut vitaverunt
aut inceperunt neque adsequi potu- erunt. 10. Itaque in eo
dissensio neque ea unius modi apparet : nam alii de omnibus universis
discriminibus posuerunt numerum, ut D/onysius S/donius, qui
scripsit ea 1 esse septuaginta unwm, 2 alii parti's 3 eius quae habet 4
casus, cuius eidem hie cum dicat esse § 8. 1 H 9 JthoL, for
numerus. 2 Mue., for quod cum. 3 Aug., for eas. 4 After genere, Aug,
deleted nominum sint eodem, repeated from the previous line, 5 Aug.,
for esset. § 9. 1 Mue^for quod. § 10. 1 L.
Sp.,for eas. 2 L. Sp.,for unam. 3 Mue. y for partes. 4 Mue.,for
habent. § 8. a That is, so far as the termination is
concerned. § 10. a That is, schemes of inflection. b A pupil
of Aristarchus. 540 ON THE LATIN
LANGUAGE, X. 7-10 fore we admit that they are alike as
spoken words and in their separate syllables, but we see that they
are unlike in their parts of speech, because one has tenses and the other
has cases ; and tenses and cases are the two features which in the
highest degree serve to distinguish the different systems of
Regularity. 8. Likewise, words that are even nearer alike in
kind often cause a similar mistake, as in the fact that nemus ' grove '
and lepus * hare ' seem to be alike since both have the same nominative a
; but it is not an instance of likeness, because they stand in need
of certain factors of likeness, among which is that they should be
in the same noun-gender. But these two words are not, for lepus is
masculine and nemus is neuter ; for we say hie * this ' with lepus and
hoc with nemus. If they were of the same gender, the same form
would be set before both, and we should say either hie lepus and hie
nemus, or hoc nemus and hoc lepus. 9. Therefore he who asks
whether the inflections of words stand in a regular relation, must
examine to see what kinds of likenesses there are and of what sort
they are, which pertain to this matter. And just because this topic is
difficult, those who have written of these subjects either have avoided
it or have begun it without being able to complete their treatment of
it. 10. Therefore in this there is seen a lack of agree-
ment, and not merely of one kind. For some have fixed the number of all
the distinctions a as a whole, as did Dionysius of Sidon, 6 who wrote
that there were seventy-one of them ; and others set the number of
those distinctions which apply to the words which have cases : the same
writer says that of these there are 541
VARRO discrimina quadnzginta 5 septem, Aristocles
re/tulit 6 in litteras XII II, Parmeniscus VIII, sic alii pauciora
aut plura. 11. Quarum similitudinum si esset origo recte capta et inde orsa
ratio, minus erraret(ur) 1 in de- clinationibus v(er)borum. 2 Quarum ego principia prima duum generum sola
arbitror esse, ad quae 3 similitudines exigi 4 oporteat : e quis unum
positum in verborum materia, alterum ut in materiac figura, quae ex
declinatione fit. 12. Nam debet esse unum, ut verbum verbo,
unde declinetur, sit simile ; alterum, ut e verbo in verbum
declinatio, ad quam conferetur, eiusdem modi sit : alias enim ab
similibus verbis similiter declinantur, ut ab erus 1 ferus, ero 2 fero,
alias dissimiliter erus 1 ferus, eri 3 ferum. Cum utrumque et verbum
verbo erit simile et declinatio declinationi, turn denique dicam
esse simile 4 ac duplicem et perfectam simili- tudinem habere, id quod
postulat analogia. 5 13. Sed ne astutius videar posuisse duo
genera esse similitudinum sola, cum utriusque inferiores species
sint plures, si de his reticuero, ut mihi relin- 5 My Laetus, for
quadringenta. 6 Mue. ; retulit
Laetus ; for rutulit. §11. 1 Vertranius, for erraret. 2 For
ubo rum. 3 Al- dus, for atque. 4 For exegi. § 12. 1 For
herus. 2 For hero. 3 For heri. 4 L. Sp. t for similem. 5 For
analogiam. Probably Aristocles of Rhodes, a contemporary of
Varro. d A pupil of Aristarchus. 542
ON THE LATIN LANGUAGE, X. 10-13 forty-seven,
Aristocles c reduced them to fourteen headings, Parmeniscus d to eight,
and others made the number smaller or larger. 11. If the
origin of these likenesses had been correctly grasped and their logical
explanation had proceeded from that as a beginning, there would be
less error in regard to the inflections of words. Of these likenesses
there are, I think, first principles of two kinds only, by which the
likenesses ought to be tested ; of which one lies in the substance of
the words, the other lies, so to speak, in the form 6 of that
substance, which comes from inflection. 12. For there must be one,
that the word be like the word from which it is inflected, and two, that
in comparison from word to word the inflectional form with which the
comparison is made should be of the same kind. * For sometimes there are
like forms reached by inflection from like words, such as datives
ero and fero from eras ' master * and Jerus ' wild,* and sometimes unlike
forms, such as genitive eri and accusative Jerum, from erus and Jerus.
When both principles are fulfilled and word is like word and
inflectional form like inflectional form, then and not before will I
pronounce that the word is like, and has a twofold and perfect likeness
to the other — which is what Regularity demands. 13. But I
wish to avoid the appearance of tricki- ness in having declared that
there are only two kinds of likenesses when both have a number of
sub-forms — if I say nothing about these, you may think that I am
intentionally leaving myself a place of refuge ; I §11. a That is,
its form and ending, in the form which is the starting point for
inflection. 6 The inflectional form ; cf. § 12. 543
VARRO quam latebras, repetam ab origine
similitudinum quae in conferendis verbis et inclinandis sequendae
aut vitandae sint. 14. Prima divisio in oratione, quod alia
verba nusquam declmantur, 1 ut haec vix mox, alia decli- nantur, ut
ab lima limae, 2 a fero ferebam, et cum nisi in his verbis quae
dcclinantur non possit esse analogia, qui dicit simile esse mox et nox
errat, quod non est eiusdem generis utrumque verbum, cum nox suc-
cedere debeat sub casuum ratione(m), 3 mox neque debeat neque possit.
15. Secunda divisio est de his verbis quae de- clinari possunt,
quod alia sunt a voluntate, alia a natura. Voluntatem appello, cum unus
quivis a nomine aliae (rei) 1 imponit nomen, ut Romulus Romae ;
naturam dico, cum universi acceptum nomen ab eo qui imposuit non
requirimus quemadmodum is velit declinari, sed ipsi declinamus, ut huius
Romae, hanc Romam, hac Roma. De his duabus partibus voluntaria
declinatio refertur ad consuetudinem, naturalis ad rationem. 2
16. Quare proinde ac simile conferre 1 non oportet ac dicere, ut
sit ab Roma Romanus, sic ex Capua dici oportere Capuanus, quod in
consuetudine vehementer natat, quod declinantes imperite rebus nomina
im- ponunt, a quibus cum accepit consuetudo, turbulenta § 14.
1 For declimantur. 2 OS., for limabo. 3 Lach- mann y for ratione.
§ 15. 1 Added by GS. 2 Aug., for orationem. §16. 1 Stephanus,
for conferri. 544 OX THE LATIN LANGUAGE, X.
13-16 shall therefore go back and start from the origin of
the likenesses which must be followed or avoided in the comparison of
words and in their inflections. 14. The first division in speech is
that some words are not changed into any other form whatsoever,
like vix ' hardly ' and mox * soon/ and others are in- flected, like
genitive limae from lima * file,' imperfect ferebam from fero * I bear '
; and since Regularity cannot be present except in words which are
inflected, he who says that mox and nox * night * are alike, is
mistaken, because the two words are not of the same kind, since nox must
come under the system of case- forms, but mox must not and cannot.
1 5. The second division is that, of the words which can be changed
by derivation and inflection, some are changed in accordance with will,
and others in accordance with nature. I call it will, when from a
name a person sets a name on something else, as Romulus gave a name to
Roma ; I call it nature, when we all accept a name but do not ask of the
one who set it how he wishes it to be inflected, but our- selves
inflect it, as genitive Romae } accusative Romam, ablative Roma. Of these
two parts, voluntary deriva- tion goes back to usage, and natural goes
back to logical system. 16. For this reason we ought not to
compare Romanus * Roman ' and Capuanus ' Capuan ' as alike, and to
say that Capuanus ought to be said from Capua just as Romanus is from
Roma ; for in such there is in actual usage an extreme fluctuation,
since those who derive the words set the names on the things with
utter lack of skill, and when usage has accepted the words from them, it
must of necessity speak confused names variously derived. Therefore
vol. ii n 545 VARRO necesse est
dicere. Itaque neque Aristarchd 2 neque alii in analogiis defendendam
eius susceperunt cau- sam, sed, ut dixi, hoc genere declinatio in
co(m)- muni consuetudine verborum aegrotat, quod oritur e populo
multiplici (et) 3 imperito : itaque in hoc genere in loquendo 4 magis
anomalia quam analogia. 17. Tertia divisio est : quae verba
declinata natura ; ea dividwntur 1 in partis quattuor : in unam
quae habet casus neque tempora, ut docilis et facilis ; in alteram quae
tempora neque casus, ut docet facit ; in tertiam quae utraque, ut doccns
faciens ; in quartam quae neutra, ut docte et facete. Ex hac divisione singulis partibus tres
reliquae 2 dissimiles. Quare nisi in sua parte inter se collata erunt
verba, si 3 conveniunt, non erit ita simile, ut debeat facere
idem. 18. Unius cuiusque
part/s 1 quoniam species plures, de singulis dicam. Prima pars casualis
dividitur in partis duas, in nominatus scilicet 2 (et articulos), 3
quod aeque 4 finitum (et infinitum) 5 est ut hie et quis ; de his
generibus duobus utrum sumpseris, cum 2 Kent, for Aristarchii ; cf.
viii. 63. 3 Added by
Groth. 4 For loquenda. §17. 1 L. Sp., for dividitur. 2 Mve. %
for reliquere. 3 After si, Canal deleted non. § 18. The
text of this § stands in the manuscripts between § 90 and § 21 ; the shift
of position was made by Mueller \ who left unius cuiusque partis at the
end of § 20 ; A. Spengel transferred these words also. 1 Sciop., for
partes. 2 Laetus^for s ( =sunt). 3 Added by Mue* 4 L. Sp.,
for neque. 6 Added by L. Sp. ; cf. viii. 45. § 1 6.
This is shown even to-day in the new technical terminology of some
near-sciences. b Varro is somewhat 546 ON THE
LATIN LANGUAGE, X. 16-18 neither the followers of
Aristarchus nor any others have undertaken to defend the cause of
voluntary derivation as among the Regularities ; but, as I have
said, this kind of derivation of words in common usage is an ill thing,
because it springs from the people, which is without uniformity and
without skill. Therefore, in speaking, there is in this kind of
derivation rather Anomaly than Regularity. 6 17. There is a third
division, the words which are by their nature inflected. These are
divided into four subdivisions : one which has cases but not
tenses, like docilis ' docile ' and facilis ' easy ' ; a second, which
has tenses but not cases, 6 like docet * teaches/ facit * makes ' ;
a third which has both, c like docens 1 teaching/ faciens * making ' ; a
fourth which has neither,*" like docte * learnedly * and
facete * wittily.' The individual parts of this division are
each unlike the three remaining parts. Therefore, unless the words are
compared with one another in their own subdivision, even if they do agree
the one word will not be so like the other that it ought to make
the same inflectional scheme. 18. Since there are several species
in each part, I shall speak of them one by one. The first sub- division,
characterized by the possession of cases, is divided into two parts,
namely into nouns and articles, which latter class is both definite and
in- definite, as for example hie * this ' and quis 4 who.'
Whichever of these two kinds you have taken, it must not be compared with
the other, because they belong unfair here, since derivation by
suffixes, though varied, is not without its regular principles.
§ 17. a Nouns,
pronouns, adjectives (except participles). 6 Finite verbs. e Participles.
d Adverbs. 547
VARRO reliquo non conferendum, quod inter se
dissimiles habent analogias. 19. In articulis vix adumbrata
est analogia et magis rerum quam vocum ; in nomin(at)ibus 1 magis
expressa ac plus etiam in vocibus ac (syllabarum) 2 similitudinibus quam
in rebus suam optinet rationem. Etiam illud accedit ut in articulis
habere analogias ostendere sit difficile, quod singula sint verba,
hie contra facile, quod magna sit copia similium nomina- tuum.
Quare non tarn hanc partem ab ilia 8 dividen- dum quam illud videndum, ut
satis sit verecundi(ae) 4 etiam illam in eandem arenam vocare
pugnatum. 20. Ut in articulis duae partes, finitae et
infinitae, sic in noyninaitibus 1 duae, vocabulum et nomen : non
enim idem oppidum et Roma, cum oppidum sit vocabulum, Roma nomen, quorum
discrimen in his reddendis rationibus alii discernunt, alii non ;
nos sicubi opus fuerit, quid sit et cur, ascribemus. 2 21.
Nominatm' 1 ut similis sit nominatus, habere debet ut sit eodem genere,
specie eadem, sic casu, exitu eodem 2 : specie, 8 ut si nomen est quod
conferas, cum quo conferas sit nomen ; genere, 4 ut non solum (unum
sed) 5 utrumque sit virile ; casu, 6 ut si alterum sit dandi, item
alterum sit dandi ; exitu, ut quas § 19. 1 L. Sp., for nominibus. 2
Added by GS. 3 After ilia, Aug. deleted ab. 4 Kent, for uerecundi.
§ 20. 1 L. Sp., for uocabulis. 2 Sciop., for ascribimus. §
21. 1 Mve., for nominatus (Sciop. changed the second nominatus to -tui).
2 Mue., for eius. 8 Liibbert, for genere, transposing with specie (note
4). 4 Liibbert, for specie (cf preceding note) ; after this, L. Sp.
deleted simile. fi Added by Mite. ; sed added by Aug. 6 After casu,
L. Sp. deleted simile. § 21. Here, as often in Varro,
including adjective as well as substantive. 548
ON THE LATIN LANGUAGE, X. 18-21 to schemes of
Regularity which are different from each other. 19. In the
articles, Regularity is hardly even a shadow, and more a Regularity of
things than of spoken words ; in nouns, it comes out better, and
consummates itself rather in the spoken words and the likeness of the
syllables than in the things named. There is also the additional fact
that it is difficult to show that Regularities reside in the articles,
because they are single words ; but in nouns it is easy, because there is
a great abundance of like name-words. Therefore it is not so much a
matter of dividing this part from that other part, as of see- ing
to it that the investigator should be too much ashamed even to call that
other part into the same arena to do battle. 20. As there are
two groups in the articles, the definite and the indefinite, so there are
in the nouns, the common nouns and the proper names ; for oppidum '
town ' and Roma * Rome * are not the same, since oppidum is a common
noun, and Roma is a proper name. In their account of the systems,
some make this distinction, and others do not ; but we shall enter in our
account, at the proper place, what this difference is and why it has
come to be. 21 . That noun a may be like noun, it ought to
have the qualities of being of the same gender, of the same kind,
also in the same case and with the same ending : kind, that if it is a
proper name which you are com- paring, it be a proper name with which you
compare it ; gender, that not merely one, but both words be
masculine ; case, that if one is in the dative, the other likewise be in
the dative ; ending, that what- 549 VARRO
unum habeat extremas littcras, easdem alterum habcat.
22. Ad hunc quadruplicem fontem ordines
derigun- tur bini, uni transversi, alteri derecti, ut in tabula
solet in qua latrunculzs 1 ludunt. Transversi sunt qui ab recto casu
obliqui declinantur, ut albus albi albo ; dcrecti sunt qui ab recto casu
in rectos declinantur, ut albus alba album ; utrique sunt parti-
bus senis. Transversorum ordinum partes appellan- tur 2 casus, derectorum
genera, 3 utrisque inter se implicatis forma. 4 23. Dicam
prius de transversis. Casuum voca- bula alius alio modo appellavit ; nos
dicemus, qui nominandi causa dicitur, nominandi vel nomina- tivum.
. . . l HIC DESUNT TRIA FOLIA IN EXEMPLARI 2 24. . . .
(dicuntur una)e 1 scopae, non dicitur una scopa : alia enim natura, quod
priora simplicibus, § 22. 1 Bentinus, for latrunculus. 2 Aldus, for expel-
lantur. 3 Aug., for genere. 4 Aug., for formam. § 23. 1 There is
blank space here in F, for the rest of the page (18 lines), all the next
page (39 lines), and the first part of the following (8 lines). 2 F 2, in
margin. § 24. 1 Added and altered by Kent, for et ; cf viii.
7. § 22. ° The * men ' in a game like draughts or
checkers were called latrunctdi ' brigands ' by the Romans. 6 Varro
did not arrange his paradigm of adjectives as we do, but set the cases of
the same number and gender in one line across the page, while the other
genders followed in the next two lines, and then the three genders of the
plural in the succeed- ing lines. - c Varro counts his six genders by
considering the genders of the plural as additional genders.
§ 23. ° The cases. b Varro's names for the remaining
550 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 21-24
ever last letters the one has, the other also have the same.
22. To this fourfold spring two sets of lines are drawn up, the
ones crosswise and the others vertical, as is the regular arrangement on
a board on which they play with movable pieces. Those are cross-
wise which are the oblique cases formed from a nomi- native, et like
albus ' white,' genitive albi, dative albo ; those are vertical which are
inflected from one nominative to other nominatives, as masculine
albus, feminine alba, neuter album. Both sets of lines are of six
members. 6 Each member of the crosswise lines is called a case ; each
member of the vertical lines is a gender ; that which belongs to both in
their crossed arrangement, is a form. 23. I shall speak first
of the crosswise lines. Scholars have given various sets of names to the
cases ; we shall call that case which is spoken for the purpose of
naming, the case of naming or nomina- tive ... 6 HERE THREE
LEAVES ARE LACKING Iff THE MODEL COPY c 24-. . . . To
indicate one * broom * the plural scopae is used, not the singular scopa.
a For they b are different by nature, because the names first men-
cases, Ayhich were listed in the lost text, are : casus patriots or pat
ri us, casus dandi, casus accusandi or accusativus, casus vocandi, casus
sextus. The names genetivus, dativus, voca- tivus, ablativus appear in
Quintilian and Gellius. e In the lost text stood the remainder of the
discussion of cases, a U the discussion of gender, and almost all
concerning number, which is concluded in § 30. § 24. 8 Cf.
viii. 7. 5 The nouns in the preceding dis- cussion, of which scopae alone
is preserved in the text. 551
VARRO posteriora in coniunctis rebus vocabula
ponuntur, sic bigae, sic quadrigae a coniunctu dictae. Itaque non
dicitur, ut haec una lata ct alba, sic una biga, sed unae bigae, neque 2
dicitur ut hae duae latae, albae, sic hae duae bigae et quadrigae, (sed
hae binae bigae et quadrigae). 3 25. Item figura verbi qualis
sit rcfert, quod in figura vocis alias commutatio fit in primo 1 verbo
suit 2 modo suit, 2 alias in medio, ut curso 3 cursito, alias in
extrcnio, ut docco docui, alias co(m)munis, ut lego legs'. 4 Refert igitur ex quibus
litteris quodque verbum constet, maxime extrema, quod ea in
plerisque commutatur. 5 26. Quare in his quoque partibus
similitudines ab aliis male, ab aliis bene quod solent sumi in
casibus conferendis, recte an perperam videndum ; sed ubicumque
commoventur litterae, non solum eae sunt animadvertendae, sed etiam quae
proxumae sunt neque moventur : haec enim vicinitas aliquan- tum
potes(t) 1 in verborum declinationibus. 27. In quis figuris non ea
similia dicemus quae 2 After neque, p and Sciop. deleted ut. 3
Added by L. Sp., cf. ix. 64. § 25. 1 Mue., for uno. 2 Mue.
added the signs of quantity ; cf. ix. 104. 3 Aug., for cursu. 4 Aug.,
for lege. 5 L. Sp. for commutantur. § 26. 1 Aldus, for
potes. c These are all lost. d Scopae, as * twigs ' done in
a bundle ; bigae and quadrigae, because of the number of horses in-
volved. e The distributive numeral is used to multiply ideas whose
singular is denoted by a plural form: cf. ix. 64. § 25. ° I have
added the signs of quantity in lego and legi, to make clear Varro's
point. 552 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 24-27
tioned c are set upon simple objects, and those men- tioned
later apply to compounded objects d ; thus bigae ' two-horse team ' and
quadrigae ' four-horse team ' are employed in the plural because they
denote a union of objects. Therefore we do not say one biga, like
one lata 1 broad 1 and alba ' white,' but one bigae, with the numeral
also in the plural ; nor do Ave say duae ' two ' with reference to bigae
and quadrigae, as we say duae ' two ' with application to the
plural forms laiae and albae, but we say binae * two sets ' of
bigae and quadrigae. 6 25. Likewise the character of the form of a
word is important, because in the form of the spoken word a change
is sometimes made in the first part of the word, as in suit ' sews ' and
suit ' sewed ' ; some- times in the middle, as in curso ' I run to and
fro/ and cursito, of the same meaning ; sometimes at the end, as in
doceo 1 I teach ' and docui * I have taught ' ; sometimes the change is
common to two parts, as in Ugo ' I read,' legi 1 I have read.' a It is
important therefore to observe of what letters each word con- sists
; and the last letter is especially important, because it is changed in
the greatest number of in- stances. 26. Because of this,
since the likenesses in these parts also are wont to be used in the
comparison of case-forms, and this is done ill by some and well by
others, we must see whether this has been done rightly or wrongly. Yet
wherever the letters are altered, not only the altered letters must be
noted, but also those which are next to them and are not affected ;
for this proximity has considerable influence in the inflections of
words. 27. Among these forms we shall not call those
55S VARRO similis res significant,
sed quae ea forma sint, ut eius modi res similis 1 ex instituto
significare plerum- que sole(a)nt, 2 ut tunicam virilem et
muliebrem dicimus non earn quam habet vir aut mulier, sed quam
habere ex instituto debet : potest enim mulie- brem vir, virilem mulier
habere, ut in scaena ab actoribus haberi videmus, sed earn dicimus
muliebrem, quae de eo genere est quo indutui mulieres ut uteren-
tur est institutum. Ut actor stolam muliebrem sic Perpenna et Ctfecina et
(S)purinna 3 figura muliebria dicuntur habere nomina, non mulierum.
28. Flexurae quoque similitudo videnda ideo quod alia verba quam
vi(a)m x habeant ex ipsis verbis, unde declinantur, apparet, 2 ut
quemadmodum oporteat ute 3 praetor consul, praetori consuli ; alia
ex transitu intelleguntur, ut socer macer, quod alterum fit socerum,
alterum macrum, quorum utrum- que in reliquis a transitu suam viam sequitur
et in singularibus et in multitudinis declinationibus. Hoc fit ideo
quod naturarum genera sunt duo quae inter se conferri possunt, unum quod
per se videri potest, ut homo et equus, alterum sine assumpta aliqua
re § 27. 1 Mite., for similia. 2 Aldus, for solent. 3 Aug.,
for purinna. § 28. 1 Schoell (marginal note in his copy of A. SpSs
ed.), for uim. 2 Pius, for appellant. 3 A. Sp.,for ut a.
§ 27. ° With eius modi, understand figurae ; cf in eius modi, v.
128. b Cf ix. 48. c Cf viii. 41, 81, ix. 41. § 28. a That is, the
nominative is the stem to which the case-endings are added. 6 That is,
the stem is seen in an 554 ON THE LATIN
LANGUAGE, X. 27-28 words like which denote like things, but
those which are of such a stamp that such forms a are in most
instances wont by custom to denote like things, as by a man's tunic or a
woman's tunic we mean not a tunic that a man or a woman is wearing, but one
which by custom a man or a woman ought to wear. 6 For a man can wear a
woman's tunic, and a woman can wear a man's, as we see done on the stage
by actors ; but we say that that is a woman's tunic, which is of
the kind that women customarily use to dress themselves in. As an actor
may wear a woman's dress, so Perpenna and Caecina and Spurinna are
said to have names that are feminine in form ; they are not said to have
women's names. c 28. The likeness of the inflection also must
be watched, because the way which some words take is clear from the
very words from which their inflection starts, as how it is proper to use
praetor and consul, dative praetori and considi. Others are
properly appreciated only as a result of the change seen in the
inflections, as in socer 1 father-in-law ' and macer 1 lean,' because the
one becomes socerum in the accusative, and the other macrum ; after
making this change, each of them follows its own way in the
remaining forms, 6 both in the inflections of the singular and in those
of the plural. This method is employed c because in the inflections there
are two kinds of natures which can be compared with each other, one
which can be seen in the word itself, such as homo 1 man ' and equus '
horse,' but the second cannot be seen through without bringing in some-
oblique case rather than in the nominative; cf. ix. 91-94. e Varro's
logical sequence is here at fault, for he brings in derivative stems,
after speaking only of noun declensions. 555
VARRO extrinsecus perspici non possit, ut eques et
equiso : uterque enim dicitur ab equo. 29. Quare hominem
homini similem esse aut non esse, si contuleris, ex ipsis homini(bus) 1
animadversis scies ; at duo inter se similiterne sint longiores
quam sint eorum fratres, dicere non possis, si illos breviores cum
quibus conferuntur quam longi sint ignores 2 ; si(c) 3 latiorum atque
altiorum, item cetera eiusdem generis sine assumpto extrinsecus aliquo
perspici similitudines non possunt. Sic igitur quidam casus quod ex
hoc genere sunt, non facile est dicere similis esse, si eorum singulorum
solum animadvertas voces, nisi assumpseris alterum, quo flectitur in
trans- eundo 4 vox. 30. Quod ad nominatuom 1 similitudines
animad- vertendas arbitratus sum satis es(se) tangere, 2 hctec
sunt. Relinquitur de articulis, in quibus quaedam eadem, quaedam alia. De
quinque enim generibus duo prima habent eadem, quod sunt et virilia
et muliebria et neutra, et quod alia sunt ut significent unum,
(alia) 3 ut plura, et de casibus quod habent quinos : nam vocandi voce
notatus non est. Pro- prium illud habent, quod partim sunt finita, et
hie haec, partim infinita, ut quis et quae, 4 quorum quod adumbrata
et tenuis analogia, in hoc libro plura dicere (non) 5 necesse est.
§29. 1 Canal, for homini. 2 Aldus, for ignorent. 3 Aug., for si. 4
Aug., for transeundum. §30. 1 L.. Sp. ; -tuum Aug., for
nominatiuom. 2 Aug., for est angere. 3 Added by Aug. 4 After quae,
Aug. deleted et. 5 Added by Aug. 556 ON THE
LATIN LANGUAGE, X. 28-30 thing from outside, as in eques '
horseman ' and equiso 1 stable-boy * — for both are derived from
equus 1 horse. ' d 29. By this method, you will, on making a
compari- son, know that of men observed in person one is or is not
like the other; but you could not say that the two are in like fashion
taller than their brothers, if you should not know how tall those shorter
brothers are with whom they are compared. In this way the
likenesses of things broader and higher, and others of the same kind,
cannot be examined without bringing in some help from outside. So
therefore, inasmuch as certain case-forms are of this kind, it is not
easy to say that they are like, if you observe the spoken words in
one case only ; to make a correct judgement, you will have to bring in
another case-form to which the spoken word passes as it is
inflected. 30. These considerations are what I have thought
enough to touch upon, for observing the likenesses of nouns. It remains
to speak of the articles, of which some are like nouns and others are
different. For of the five classes the first two have the same
properties, because they have forms for masculine, feminine, and
neuter, they have some forms to denote the singular and others to denote
the plural, and they have five cases ; the vocative is not indicated by a
separate spoken form. They have this of their own, that some are
definite, like hie ' this/ feminine haec, and others are indefinite, like
quis 4 which,' feminine quae. But since their system of Regularity
is shadowy and thin, it is not necessary to speak further of it in
this book. a d Cf. viii. 14. § 30. • Cf. x.
19-20. 31. Secundum genus quae verba tempora
habent neque casus, sec? 1 habent personas. Eorum declina- tuum
species sunt sex : una quae dicitur temporalis, ut legebam gemebam, lego
2 gemo ; altera perso- narum, ut sero meto, seris metis ; tertia rogandi,
ut scribone legone, scribisne legisne. Quarta respon- dendi, ut fingo pingo, fingis
pingis ; quinta optandi, ut dicerem facerem, dicam faciam ; sexta
imperandi, ut cape rape, capito rapito. 32. Item sunt
declinatuum species quattuor quae tempora habent sine personis : in
rogando, ut fodi- turne seriturne, et fodieturne sereturne. Ab re-
spondendi specie eaedem figurae fiunt extremis syllabis demptis ;
op(t)andi species, ut vivatur ametur, viveretur amaretur. Imperandi
declinatus sz'ntne habet 1 dubitationem et eorum sitne 2 haec ratio
: paretur pugnetur, parafor pugna/or. 3 33. Accedunt ad has species
a copulis divisionum quadrinis : ab infecti et perfecti, (ut) 1 emo edo,
emi § 31. 1 Aug., for si. 2
For logo. § 32. 1 Aug., for sum ne habent. 2 Aug.,, for sint
ne. 3 Canal, for parari pugnari. § 33. * x Added by L. Sp.
§31. ° Cf. x. 17. 6 Respectively tense, person, inter-
rogative (indicative), declarative indicative, subjunctive, imperative ;
the technical vocabulary was not fully developed in Varro's time.
§ 32. ° Corresponding to the last four of the categories in § 31 ;
Varro shows a good understanding of the impersonal passive.
§33. a C/.x. 14-17. 558 ON THE LATIN
LANGUAGE, X. 31-33 31. The second subdivision a consists of
those words which have tenses but not cases, and have persons. The
categories of their inflections are six et : one which is that of the
tenses, as legebam 1 I was reading,' gemebam * I was groaning,' lego ' I
read,' gemo * I groan ' ; the second is that of the persons, as sero
* I sow,' meto ' I reap,' seris ' thou sowest,' metis ' thou reapest ' ;
the third is the interrogative, as scribone 1 do I write ? ', legone * do
I read ? ', scribisne, legisne ; the fourth is that of the answer, as
Jingo * I form,' pingo * I paint, ' Jingis, pingis ; the fifth that
of the wish, as dicerem * would I were saying,' facerem * would I
were making,* dicam * may I say,' faciam ' may I make * ; the sixth that
of the command, as cape ' take,' rape ' seize,' capito, rapito.
32. Likewise there are four categories of inflec- tions which have
tenses without persons a : in the interrogative, as foditume ' is digging
going on ? ', seriturne ' is sowing going on ? ' and fodieturne 4
will digging be done ? ', sereiurne ' will sowing be done ? * ; of
the category for the answer the same forms are used, but without the last
syllable ne ; the category for the wish, as vivatur * may there be
living,' ameiur ' may there be loving,* viveretur * would there
were living,' amaretur * would there were loving.* Whether the
inflections for the impersonal command exist, is somewhat doubtful ;
there is also doubt about the scheme of the forms, which is given as
parehir * let there be preparation,' pugneiur * let there be fight-
ing,' or parator, pugnator. 33. There are added to these categories
those which proceed from the four sets of pairs a consisting of the
divisions : from that of the incomplete and the completed, as emo ' I buy
' and edo * I eat,' emi * I 559 VARRO
edi ; ab semel et saepius, ut scribo lego, scriptito lectito
2 ; (a) 3 faciendi et patiendi, ut uro ungo, uror ungor ; a singulari et
multitudinis, ut laudo culpo, laudamus culpamus. Huius generis verborum
cuius species exposui quam late quidque pateat et cuius modi
efficiat figuras, in libris qui de formulis verborum erunt diligentius
expedietur. 34. Tertii generis, quae declinantur cum tem-
poribus ac casibus ac vocantur a multis ideo partici- palia, sunt hoc
ge(nere) 1 . . . HIC DESUNT FOLIA III IN EXEMPLARI 2
35. ... quemadmodum declinemus, 1 quaerimus casus eius, etiamsi
siqui 2 finxit poeta aliquod vocabu- lum et ab eo casu(m) 3 ipse aliquem
perperam de- clinavit, potius eum reprehendimus quam sequimur.
Igitur ratio quam dico utrubique, et in his verbis quae imponuntur et in
his quae declinantur, neque non etiam tertia ilia, quae ex utroque
miscetur genere. 36.
Quarum una quaeque ratio collata cum altera 2 L. Sp.,for
scriptitaui lectitaui. 3 Added by L.
Sp. § 34. 1 Added by Rhol. ; F here leaves blank the rest of
the page (a little more than 28 lines) and all the next page (39 lines).
2 F 1, in margin. § 35. 1 L. Sp., for declinamus. 2 L. Sp., for is
qui. 3 L. Sp., for casu. b Verbs. c Not
extant. § 34. a Adjective to the more common term participia
or participles ; both meaning * taking part ' in the features of
two sets of words (nouns and verbs). For the form partki- palia (in F)
rather than -pialia (in p), cf. M. Niedermann, Mnemosyne, lxiii. 267-268
(1936). b The lost text contained the discussion of participles, that of
adverbs, and the be- ginning of that on ratio. § 35. ° This
is perhaps the simplest way of giving a mean- ing to the incomplete
sentence. h Referring to the previous discussion, now almost entirely
lost. c The independent 560 ON THE LATIN
LANGUAGE, X. 33-36 have bought * and edi * I have eaten ' ;
from that of the act done once and the act done more often, as
scribo * I write ' and lego * I read/ scriptito 1 I am busy with
writing,' and lectito * I read and reread ' ; from that of active and
passive, as uro 1 I burn ' and ango ' I anoint,' uror * I am burned ' and
ungor * I am anointed ' ; from that of singular and plural, as
laudo ' I praise ' and culpo * I blame,' laudamus ' we praise * and
culpamus ' we blame. ' With regard to the words of this class 6 whose
categories I have described, the matter of how full an equipment of forms
each has, and what sort of forms it makes, will be set forth with
more attention to detail in the books c which are to be on the paradigms
of verbs. 34. The words of the third subdivision, which are
inflected with tenses and cases and are by many therefore called
participials, a are of this kind ... 6 HERE THREE LEAVES ARE
LACKING IN THE MODEL COPY 35. ... When w T e meet a new word,
a we ask about its case-forms, as to how we shall inflect them ;
and yet if some poet has made up some word and has himself formed from it
some case-form in an incorrect way, we blame him rather than follow his
example. Therefore Ratio or Relation, of which I am speaking, is
present in both 6 : in the words which are imposed upon things, 6 and in
those which are formed by in- flection d ; and then also there is that
third kind of Relation, which combines the characteristics of the
two.* 36. Among these, each and every relation, when
words. d The paradigms. e In derivatives formed by suffixes. aut
similis aut dissimilis, aut saepe verba alia, ratio eadem, et nonnunquam
ratio alia, verba eadem. Quae ratio in amor amori, eadem in dolor
dolori, neque eadem in dolor dolorem, et cum eadem ratio quae est
in amor et 1 amoris sit in amores et amorum, tamen ea, quod non in ea qua
oportet confertur 2 materia, per se solum efficere non potest
analogias propter disparilitatem vocis figurarum, quod verbum
copulatum singulare 3 cum multitudine : ita cum est pro portione, ut
candem habeat rationem, turn denique ea ratio conficit id quod postulat
analogia ; de qua deinceps dicam. III. 37. Sequitur tertius locus, quae sit ratio
pro portione ; (e)a Greece 1 vocatur 2 dva Xoyov ; ab analogo dicta
analogia. Ex eodem genere quae res inter se aliqua parte dissimiles
rationem habent aliquam, si ad eas duas alterae duae res allatae
sunt, quae rationem habeant eandem, quod ea verba bina habent
eundem Xoyov, dicitur utrumque separatim dvdXoyov, simul collata quattuor
dvaXoy(t)a. z 38. Nam ut in geminis, cum simile(m) 1 dicimus
esse Menaechmum Menaechmo, de uno dicimus ; cum similitudine(m) 2 esse in
his, de utroque : sic cum dicimus eandem rationem habere assem ad
§ 36. 1 After et, a
repeated amor et has been deleted. 2 After confertur, Aug, deleted
a. 3 Aug., for singularem. § 37. 1 L. Sp., for agrece. 2 Aug., for
uocantur. 3 OS. ; analogia Mue., with G ; for analoga.
§38. 1 C. F. W. Mueller, for simile. 2 Aug., for
similitudine. § 36. a Because of the difference in
number. § 37. a As in mathematics, two ratios of equal value
make a proportion. § 38. a In the comedy of Plautus.
562 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 36-38
compared with another, is either like or unlike ; and often the
words are different but the relation is the same, and sometimes the
relation is different but the words are the same. The same relation which
is in amor ' love * and dative amort is in dolor 1 pain ' and
dative dolori, but not in dolor and accusative dolorem. The same relation
which is in amor and genitive amoris is in plural amores and genitive
amorum ; and yet, because the subject-matter in it is not compared
as it should be, a this relation cannot of itself effect Regularities, on
account of the differences in the forms of the spoken word, because a
singular word has been associated with a plural. So, when it is by
a proportionate likeness that the word has the same relation, then and
not until then does this relation achieve what is demanded by Analogia or
Regularity ; of which I shall speak next. III. 37. There
follows the third topic : What is Ratio or Relation that is pro portione
' by proportionate likeness ' ? This is in Greek called 4 according
to logos * ; and from analogue the term Analogia or Regularity is
derived. If there are two things of the same class which belong to some
relation though in some respect unlike each other, and if alongside
these two things two other things which have the same relation are placed,
then because the two sets of words belong to the same logos each one is
said separately to be an analogue and the comparison of the four
constitutes an Analogia, 38. For it is as in a matter of twins :
when we say that the one Menaechmus is like the other Menaech- mus,
a we are speaking of one only ; but when we say that a likeness is
present in them, we are speaking of both. So, when we say that a copper
as has the same 563 VARRO
semissem quam habet in argento 3 libella ad simbeli&mf quid sit
dvdXoyov ostendimus ; cum utrubique dici- mus et in aere et in argento
esse eandem rationem, turn dicimus de analogia. 39. Ut
sodalis et sodalitas, civis et civitas non est idem, sed utrumque ab
eodem ac coniunctum, sic dvdXoyov et dvakoyta idem non est, sed item est
con- generatum. Quare si homines sustuleris, sodalis sustuleris ;
si sodalis, sodalitatem : sic item si sus- tuleris Xoyov, sustuleris
dvdXoyov ; si id, dvaXoytav. 40. Quae cum inter se tanta sint
cognatione, de- bebis suptilius audire quam dici expectare, id est
cum dixero quid de utroque et erit co(m)mune, (ne) 1 expectes, dum
ego in scribendo transferam in re- liquum, sed ut potius tu persequare
ammo. 41. Haec fiunt in dissimilibus rebus, ut in numeris si
contuleris cum uno duo, sic cum decern viginti : nam (quam) 1 rationem
duo ad unum habent, eandem habent viginti ad decern ; in nummis in
similibus sic est ad unum victoriatum denarius, si(cut) 2 ad
alterum victoriatum alter denarius ; sic item in aliis rebus omnibus
pro portione dicuntur ea, in quo est sic quadruplex natura, ut in
progenie vois ' nature ' as an originating or moving power. * Properly,
of sounds. § 56. ° Principia are the singular forms, in
whichever direction the argument is carried ; but perhaps quam in
singular} should be inserted between ordiri and quod. b Because the B and
the C ending the stems can be seen in the deleted
repeated from above. to two, should the conclusion be drawn
that in teach- ing the later thing cannot be the clearer, for the
purpose of beginning from it, to show what the prior thing is. Therefore
even those who deal with the nature of the universe and are on this
account called physici a ' natural philosophers,' proceed from
nature as a whole and show by backward reasoning from the later
things, what the beginnings of the world were. Though speech consists of
letters, 6 it is nevertheless from speech that the grammarians start in
order to show the nature of the letters. 56. Therefore in the
explanation, since one ought rather to set out from that which is clearer
than from that which is prior, and rather from the un- corrupted than
from a corrupt original, from the nature of things rather than from the
fancy of men, and since these three factors which are more to be
followed are less present in the singulars than in the plurals, one can
more easily commence from the plural than from the singular, because in
the latter as starting-points ° there is less of a basis for
relation- ship in the forming of words. That the singular forms of
words can be more easily interpreted from plural forms than plural forms
from the singular, is shown by these words 6 : plural trabes * beams,*
singular trabs ; plural duces * leaders,' singular dux. 57.
For we see that from the plural nominatives trabes and duces the letter E
of the last syllable has been eliminated and thereby in the singular have
been plural, but cannot be inferred with certainty from the
nomi- native singular, especially if we read not trabs but traps
(Roth, Philol. xvii. 176, and Mueller's note to § 57), which represents
the actual pronunciation. Yet Varro wrote trabs and not traps, according
to Cassiodorus, Gram. Lat. vii. 159. 23 Keil. lari factum esse trabs dux. Contra ex
singularibus non tam videmus quemadmodum facta sint ex B et S trabs
1 et ex C et S du#. 2 58. Si mwl(t)itudinis 1 rectus casus forte
figura corrupta erit, id quod accidit raro, prius id corrigemus
quam inde ordiemur ; (ab) 2 obliquis adsumere oportetf 3 figuras eas quae
non erunt ambiguae, sive singulares sive multitudims, 4 ex quibus id,
cuius modi debent esse, perspici possit. 5 59. Nam nonnunquam
alterum ex altero videtur, ut Chn/sippus scribit, quemadmodum pater ex
filio et filius ex patre, neque minus in fornicibus propter
sinistram dextra stat quam propter dextraw 1 sinistra. Quapropter et ex
rectis casibus obliqui et ex obliquis recti et ex singularibus
multitudims 2 et ex multi- tudinis singulares nonnunquam recuperari
possunt. 60. Principium id potissimum sequi debemus, ut in eo
fundamentum sit 1 natura, quod in declina- tionibus ibi facilior ratio.
Facile est enim animad- vertere, peccatum magis cadere posse in
impositiones eas quae fiunt plerumque in rectis casibus singulari-
bus, quod homines imperiti et dispersi vocabula rebus imponunt, quocumque
eos libido invitavit : natura § 57. 1 Aug.,, for trabes. 2 Aug., for duces. §
58. 1 si multitudinis Mue.,for similitudinis. 2 Added by Canal. 3 L. Sp.,
for oportere. 4 Aug., for multi- tudines. 5 Sciop.,for possint.
§59. 1 Laetu s, for dextras. 2 Vertranhis, for multitu-
dines. § 60. 1 After sit, L. Sp. deleted in. §
59. a Frag. 1 55 von Arnim. made the nominatives trabs and dux. But on
the other hand, if we start from the singulars we do not so easily
see how they have become trabs, from B and S, and dux, from C and
S. 58. If the nominative plural is by any chance a corrupted
form, which rarely occurs, we shall correct this before we make it our
starting-point ; it is proper to take from the oblique cases, either
singular or plural, some forms which are not ambiguous, from which
can be seen the make-up which the other forms ought to have.
59- For sometimes the one is seen from the other and at other times
the other is seen from the one, as Chrysippus writes, as the father s
qualities may be seen from the son, and the son's from the father,
and in arches the right-hand side stands on account of the
left-hand side, no less than the left on account of theright. Therefore
the oblique forms can sometimes be regained from the nominatives, and
sometimes the nominatives from the oblique forms ; sometimes the
plural from the singular forms, and sometimes the singular forms from the
plural. 60. The principle that we should most of all follow,
is that in this the foundation be nature, because in nature a there is
the easier relationship in inflections. For it is easy to note that error
can more easily make its way into those impositions b which are
mostly made in the nominative singular, because men, being
unskilled and scattered/ set names on things just as their fancy has
impelled them ; but nature d is of § 60. a Rather than in voluntas.
b Or imposed word- names, characterized by voluntas, e For this point of
the Stoic philosophy, cf. Cicero, de Inventione, i. 2. d The
quality underlying the paradigms. incorrupta plerumque est suapte sponte,
nisi qui earn usu inscio deprava&it. 61. Quarc si quis
principium analogiae potius posuerit in naturalibus casibus quam in
(im)positiciis, 1 non multa 2 (inconcinna) 3 in consuetudine
occurrent et a natura libido humana corrigetur, non a libidine
natura, quod qui impositionem sequi voluerint facient contra. 4
62. Sin ab singulari quis potius proficisci volet, inift'um 1
facere oportebit ab sexto casu, qui est pro- prius Latinus : nam eius
casuis 2 litterarum dis- criminibus facilius reliquorum varietate(m) 3
discer- nere poterit, quod ei habent exitus aut in A, ut hac terra,
aut in E, ut hac lance, aut in I, ut hac (c)lavi, 4 aut in O, ut hoc
caelo, aut in U, ut hoc versu. Igitur ad demonstrandas declinationes
biceps v?a 5 haec. 63. Sed quoniam ubi analogia, tria, 1 unum
quod in rebus, alterum 2 quod in vocibus, tertium quod in utroque,
duo priora simplicia, tertium duplex, ani- madvertendum haec quam inter
se habeant rationem. 64-. Primum ea quae sunt discrimina in
rebus, partim sunt quae ad orationem non attineant, partim quae
pertineant. Non pertinent ut ea quae obser- vant in aedificiis et signis
faciendis ceterisque rebus §61. 1 L. Sp. ; in impositivis Aug.; for
in positiciis. 2 Aug., for multae. 3 Added by Christ. 4 Aug., for
contraria. § 62. 1 Groth, for inillum. 2 A. Sp. ; cassuis Mue.
; for casus his. 3 Aug., for uarietate. 4 Groth^for leui; cf Varro,
R. R. i. 22. 6. 5 Canal, for una. § 63. 1 Aldus, for atria. 2
alterum is repeated in F. e By making wrongly inflected
forms. § 62. a The name 4 ablative ' had not come into use in
580 ON THE LATIN LANGUAGE, X. 60-64
itself for the most part uncorrupted, unless somebody perverts it
by ignorant use.* 61. Therefore, if one has founded the
principle of Regularity on the natural cases rather than on the
imposed case-forms, not many awkwardnesses will be his to face in usage ;
human fancifulness will be cor- rected by nature, and not nature by
fancy, because those who have wished to follow imposition will in
reality act in the opposite way. 62. But if one should prefer to
start from the singular, he ought to start from the sixth case, a
which is a case peculiar to Latin ; for by the differences in the
letters b of this case-form he will be more easily able to discern the
variation in the remaining cases, because the ablative forms end either
in A, like terra * earth,* or in E, c like lance ' platter,' or in I, like
clavi ' key/ or in O, like caelo * sky,' or in U, like versu '
verse.' Therefore, for the explaining of the declensions, there is
this way, which may proceed from either of two starting-points.
63. But where there is Regularity, there are three factors, one
which is in the things, a second which is in the spoken words, a third
which is in both ; the first two are simple, the third is twofold. In
view of this, attention must be given to the relation which they
have to one another. 64% First, of the differences which exist in
the things, there are some which have no bearing on speech, others
which are connected with it. Those which are not connected with it are
like those which the artificers observe in making buildings and
statues Varro's time. b That is, the endings. e Varro does
not list separately the ablative of the fifth declension, ending in
long E. 581 VARRO artifices,
e quis vocantur aliac Aarmonicae, sic item aliae nominibus aliis : scd
nulla harum fit (in) 1 loquendo pars. 2 65. Ad orationem quae
pertinent, res eae sunt quae verbis dicuntur pro portione neque a
similitudine quoque vocum declinatus habent, ut Iupiter Mars-
piter, Iovi Marti. Haec enim genere 1 nominum et numero et casibus similia sunt inter
se, quod utraque et nomina sunt et virilia sunt et singularia et
casu nominandi et dandi. 66. Alterum genus vocale est, in quo
voces modo sunt pro portione similes, non res, ut biga bigae,
nuptia nuptiae : neque enim in his res singularis subest una, cum dicitur
biga quadriga, neque ab his vocibus quae declinata sunt, multitudinis
significant quicquam, id 1 quod omnia multitudinis quae decli-
nantur ab uno, ut a merula merulae : sunt (enim) 2 eius modi, ut
singulari subiungatur, sic merulae duae, catulae tres, faculae quattuor.
67. Quare cum idem non possit subiungi, quod 1 (non) 2 dicimus biga
una, 3 quadrigae duae, nuptiae tres, scd pro eo unae bigae, binae
quadrigae, trinae nuptiae, apparet non esse a biga et quadriga 4
bigae et quadrigae, sed ut est huius ordinis una 5 duae tres
§ 64. 1 Added by L. Sp.
2 Sentence division of Boot. § 65. 1 Mue.,for genera. §
66. 1 Fay, for ideo. 2 Added by Fay, §67. 1 Sciop., for cum. 2
Added by Sciop. 3 L. Sp. ; una b\g&Sciop. ; for bigae unae. 4 After
quadriga, L. Sp. deleted et. 5 Aug., for unae. § 65. ° The
unlikeness is in the forms of the nominative ; but both words denote male
deities. § 66. a The two words belong to the same declension
and both lack the singular forms ; but the objects denoted are
entirely unlike. 582 ON THE LATIN LANGUAGE, X.
64-67 and other things, of which some are called
harmonic, and others are called by other names ; but no one of
these becomes an element in speaking. 65. The differences which
pertain to speech, consist of those things which are expressed by
the words in a proportionate way, and yet do not have a likeness of
the spoken words also to help in forming the inflections : such as
nominative Iupiter and Marspiter, dative Iovi and Marti. a For these are
like one another in the gender of the nouns, and in the number, and
in the cases ; because both are nouns, and are masculine, and singular,
and nominative and dative in case. 66. The second kind has to
do with the sounds, in which the spoken words only are similar in a
proportionate way — and not the things — as in biga and bigae, nuptia and
nuptiae. a For in these there is no underlying unit thing expressed
by the singular when we say biga or quadriga, nor have the plural
forms which are derived from these words any plural meaning. Yet all
plurals which are derived from a unit singular, like merulae from
merula ' blackbird,' do have such plural meaning ; for they are of such a
sort that there is subordina- tion to a singular form : thus two merulae *
black- birds,' three catulae 1 female puppies,' four Jaculae '
torches/ 67. Therefore since there cannot be the same sub-
ordinating relation because we do not say una biga, duae quadrigae, ires
nuptiae, but instead unae bigae ' one two-horse team/ binae quadrigae '
two teams of four horses/ trinae nuptiae ' three sets of nuptials,' it
is clear that bigae and quadrigae are not from biga and quadriga,
but belong to another series : the usual 583
VARRO princip(i)um una, sic in hoc ordine altero unae
binae trinae principium est unae. 68. Tertium genus est illud
duplex quod dixi, in quo ct res et voces similiter pro portione dicuntur
ut bonus malus, boni mali, de quorum analogia et Ari- stophanes et
alii scripserunt. Etenim haec denique perfecta ut in oratione, illae duac
simplices inchoatae analogiae, de quibus tamen separatim dicam,
quod his quoque utimur in loquendo. 69- Sed prius de
perfecta, in qua et res et voces quadam similitudine continentur, cuius
genera sunt tria : unum vernaculum ac domi natum, alterum
adventicium, tertium nothum ex peregrino hie natum. Vernaculum est ut
sutor et pistor, sutori pistori ; adventicium est ut Hectores Nes tores,
Hectoras Nestoras ; tertium ilium nothum ut Achilles et Peles.
70. De (his primo) 1 genere multi utuntur
non modo poetae, sed etiam plerique omnes qui soluta oratione
loquuntur. Haec primo 2 dicebant ut quaes- torem praetorem, sic Hectorem
Nestorem : itaque Ennius ait : Hectoris natum de mnro iactari
and lavo ' I wash,' perf. lavi, d pungo ' I prick/ perf. pupugi, tundo 1 1 pound/
perf. tutudi t e and pingo * I paint/ perf. pinxi. (7) And although/' he
con- tinues, " from ceno ' I dine * and prandeo ' I lunch '
and poto * I drink * we form the perfects cenatus sum, pransus sum, and
potus sum, f yet from destringor * I scrape myself and extergeor * I wipe
myself dry * and lavor ' I bathe myself we make the perfects
destrinxi * I am scraped * and extersi ' I am dried * and lavi ' I have
had a bath.'* 7 (8) " Furthermore, although from Oscus '
Oscan/ Tuscus * Etruscan/ and Graecus ' Greek ' we derive the
adverbs Osce ' in Oscan/ Tusce * in Etruscan/ 9 Active perfects of
passive verbs, yet with passive (intransi- tive, reflexive) meaning :
this meaning of the perfect lavi is regular in Plautus, but is nowhere
attested for destrinxi and extersi. 601 VARRO Osce
Tusce Graece, a Gallo tamen et Mauro Gallice et Maurice dicimus ; item a
probus probe, a doctus docte, sed a rarus non dicitur rare, sed alii raro
dicunt, alii rarenter." (9) Idem M. Varro in eodem libro
: " Sentior," inquit, " nemo dicit et id per se nihil est,
adsentior tamen fere omnes dicunt. Sisenna unus adsentio in senatu
dicebat et eum postea multi secuti, neque tamen vincere consuetudinem
potuerunt." (10) Sed idem Varro in aliis libris multa pro
dva- Xoyia. tuenda scribit. Librorum XI-XXIV Fragmenta
XI Fr. 6. 1 Et ubi auctoritas maiorum genus tibi non de-
monstraverit, quid ibi faciendum est ? Scripsit Varro ad Ciceronem :
" Potestatis nostrae est illis rebus dare genera, quae ex natura
genus non habent." Fr. 7a. 1 Nunc de generibus dicamus. Varro
dicit " genera dicta a generando. Quicquid enim gignit aut
gignitur, hoc potest genus dici et genus facere." Fr. 6. 1
Julianus Toletanus, Commentarius in Donatum> v. 318. 31-34 Keil. Fr.
7. 1 [Sergii] Explanat. in Donation, iv. 492. 37-493. 3 Keil.
h Charisius, i. 217. 8 Keil, cites rare as used by Cicero,
Cato, and Plautus (Budens 995) ; but editors usually replace it by raro.
* That is, not a deponent unless compounded ; even in a passive meaning,
the passive form of the un- compounded verb is rare, though occasionally
found, as in Caesar, Bellum Civile i. 67 (sentiretur), where it is
however impersonal. > Notably in ix. and Graece * in Greek/ yet
from G alius ' Gaul * and Maurus * Moor ' we have Gallice 1 in Gallic '
and Maurice ' in Moorish ' ; also from probus * honest ' comes
probe ' honestly/ from doctus * learned ' docte ' learnedly/ but from
rarus * rare ' there is no adverb rare, but some say raro, others
rarenter" h (9) In the same book Varro goes on to say : "
No one uses the passive sentior* and that form by itself is naught,
but almost every one says adsentior 1 1 agree/ Sisenna alone used to say
adsentio in the senate, and later many followed his example, yet could
not prevail over usage." (10) But this same Varro in
other books 3 wrote a great deal in defence of Regularity.
Fragments of Books XI -XX IV a XI Fr. 6. Where the
authority of our ancestors has not shown you the gender of a word, what
in this instance must be done ? Varro wrote, in the treatise
addressed to Cicero : " We men have the right and power to
give genders to the names of those things which by nature have no
gender." ° Fr. 7a. Now let us speak of genders. Varro says
: " Genera * genders ' are named from generare 1 to generate.'
For whatever gignit * begets * or gignitur * is begotten/ that can be
called a genus and can XI.-XXIV. a On Books XI.-XIIL, see also vii.
110, viii.2, 20, 34, x. 33 ; and on Books XIV.-XXV., see vii. 110.
Fr. 6. ° Varro uses genus both for grammatical gender and for
natural sex ; each is a * kind ' or 4 class/ cf. Frag. 7, note a.
603
VARRO Quod si verum est, nulla potest res integrum
genus habere nisi masculinum et femininum. Fr. 7b. 2 Tractat de generibus. Varro ait "
genera tantum ilia esse quae generant : ilia proprie dicuntur
genera." Quodsi sequemur
auctoritatem ipsius, non erunt genera nisi duo, masculinum et
femininum. Nulla enim genera creare possunt nisi haec duo.
Fr. 8. 1 Ostrea 2 si primae declinationis fuerit, sicut Musa,
feminino genere declinabitur, ut ad animaZ 3 referamus ; si 4 ad testam,
ostreum 5 dicendum est neutro genere et ad secundam declinationem, ut
sit huius ostrei, huic ostreo, 6 quia dicit 7 Varro " nullam
rem animalem neutro genere declinari." Fr. 9- 1 Ait Plinius
Secundus secutus Varronem : " Quando dubitamus principale genus,
redeamus ad diminutionem, et ex diminutivo cognoscimus princi- pale
genus. Puta arbor ignoro cuius generis sit : fac diminutivum arbuscula,
ecce hinc intellegis et principale genus quale sit. Item si dicas
columna, 2 Pompeius, Commentum Artis Donati, v. 159. 23-26 Keil. Fr.
8. 1 Cledonius, Ars Grammatica, v. 41. 24-28 Keil. 2 For ostria. 3 Keil,
for animam. 4 For sic. 5 For ostrium. 6 Keil, for sicui ostri. 7 For
dicitur. Fr. 9. 1 Pompeius, Commentum Artis Donati, v. 164.
13- 18 Keil. Fr. 7. The root gen- lies at the basis of
all these words ; but genus has the weakened meaning * kind, class,*
from which the idea of * begetting ' has faded out. 6 Donatus, the
eminent grammarian who flourished about 350 a.d. c That is, ' kinds ' ;
cf Frag. 6, note a. Ft. 8. This distinction is not borne out by the
use of the words in the Latin authors. 6 Almost precisely true for
Latin, though there are many exceptions in Greek and in the Germanic
languages (cf tIkvov, German das Kind, and the neuter diminutives in
-iqv, -chen, -lein). , 7a-9 produce a genus" a If
this is true, then the genus that a thing has is not perfect unless it is
masculine or feminine. Fr. 7b. He 6 treats of genders. Varro
says : " Only those are genera * genders ' which generant ' generate
' ; those are properly called genera.* 1 But if we follow his
authority, there will be only two genders, mascu- line and feminine. For
no genders e can procreate except these two. Fr. 8. If ostrea
'oyster* is of the first declension, like Musa 4 Muse,* it will be
declined in the feminine gender, so that we refer the word to the liying
being ; if we use it for the shell, then the word must be ostreum,
inflected in the neuter and according to the second declension, so that
it is genitive ostrei, dative ostreo a : because Varro says : " No
living creature has a name which is inflected in the neuter
gender." 6 Fr. 9- Plinius Secundus a says, following Varro
: " When we are in doubt about the gender of a main word, let
us turn to the diminutive form, and from the diminutive we learn the
gender of the main word. 6 Suppose that I do not know the gender of
arbor 1 tree ' ; form the diminutive arbuscula, and lo ! from this
you observe as well the gender of the word from which it comes. Again, if
you say, What is the Fr. 9. a This and subsequent citations from
Pliny are taken from the Elder Pliny's Dubitts Sermo, a work in
eight books, mentioned by the Younger Pliny, Epist. Ui. 5. 5. 6
Diminutives have in Latin the gender of the words from which they are derived;
the exceptions are very few. In Greek and in the Germanic languages,
however, diminutives are commonly neuter without regard to their
primitives ; cf. Frag. 8, note 6. 605
VARRO cuius generis est ? facis inde diminutivum, id
est columella, et inde intellegis quoniam principale feminini
generis est." Fr. 10. 1 " Jiypocorismata semper generibus
suis und(e oriuntur consonant, pauca dissonant, velut haec rana)
hie ranunculus, hie ung(u)is haec ungula, h(oc glandium haec glandula, hie
panis hie pastillus et) hoc pastillum," ut Varro dixit : " haec
beta hie betace(us, haec malva hie malvaceus), hoc pistrinum haec
pistrilla, ut Terentius in Ad(elphis, hie ensis haec ensicula et hie
ensiculus) : sic in Rudente Plautus." Fr. II. 1 Dies
communis generis est. Qui mascu- lino genere dicendum putaverunt, has
causas reddi- derunt, quod dies festos auctores dixerunt, non
festas, et 2 quartum et quintum Kalendas, non quartam nec quintam,
et cum hodie dicimus, nihil aliud quam hoc die intelligstur. 3 Qui vero feminino, catholico utun- tur, quod
ablativo casu E non nisi producta finiatur, Fr. 10. 1 Charisius, Instit, Gram, i.
37. 13-18 Keil, The right-hand edge of the manuscript is destroyed, but
the restora- tions are made with certainty from almost verbatim
repetitions Charisius i. 90. 10-12, 155. 14-17, 535. 21-25, 551. 36-38
Keil, in which Varro is not mentioned as the source. Hie pastillus,
required by the space, was added by Keil from i. 90. 11, i. 94. 4.
Fr. 11. 1 Charisius, Instit, Gram, i. 110. 8-16 KeiL 2 For ut. 3
For intellegatur. Fr. 10. ° As substantive, for pes betaceus
: but betaceus is an adjective, not a diminutive. 6 Also an adjective ;
its application as substantive is not known. c Adelphoe 584.
«Rudens 1156-1157. Fr. 11. a Dies was by origin a masculine; in
Latin, because it was declined like the feminines of the fifth de-
clension, possibly also because its counterpart nox was 606
FRAGMENTS, 9-H gender of columna ' column * ?,
make from it the diminutive, that is, columella, and therefrom you
understand that the word from which it comes is of the feminine
gender." Fr. 10. " Diminutives always agree in
gender with the words from which they come : a few differ, such as
fern, rana ' frog,' diminutive masc. ranunculus 'tadpole'; masc. unguis
'nail (of finger or toe), 1 fern. ungula ' hoof, talon ' ; neut. glandium
' kernel of pork fem. glandula * tonsil * ; masc. panis 4 loaf of
bread,' masc. pastillus and neut. pastillum ' roll,' " as Varro said
; " fem. beta ' beet,' masc. betaceus ° * beet-root'; fem.
malva 'mallow,' masc. malvaceus h * mallow-like vegetable ' ; neut.
pistrinum ' pound- ing-mill,' fem. pistrilla ' small mill,* as Terence
says in The Brothers e ; masc. ensis ' sword,' fem. ensicula and
masc. ensiculus ' toy-sword ' : so Plautus in The Rope* "
Fr. 1 1 . Dies ' day * is of common gender. Those who thought that
it must be used as a masculine, offered these reasons : that their
authorities said dies festi 'holidays,* with the masculine adjective, not
the fem. festae ; that they said the fourth and the fifth day
before the Kalends, 6 with the masculine and not the feminine form of the
adjective ; and that when we say hodie * to-day,' it is understood as hoc
die 'on this day,' with the masculine article,* 5 and nothing else.
On the other hand, those who regard dies as feminine, use the general
argument, that in the ablative the feminine, it acquired use as a
feminine in some meanings. 6 Full phrase : ante diem quartum (quintum)
Kalendas. e The demonstrative was an * article/ in the grammatical
terminology of the Romans ; cf. viii. 45. 607 VARRO
et quod deminutio eius diecula sit, non dieculus, ut ait
Terentius : Quod tibi addo dieculam. Varro autem distinxit, ut A masculino genere
unius diei cursum significare(t), feminino autem temporis spatium ;
quod nemo servavit. Fr. 12. A Catinus masculino genere dicitur . . . et
hinc deminutive catillus fit. . . . Sed
Varro ad Ciceroncm XI " catinuli " dixit, non catilli.
Fr. 13. 1 Naevus generis neutri, sed Varro ad Ciceronem " hie
naevus." Fr. 14a. 1 Antiquissimi tamen et hie gausapes
et haec gausapa et hoc gausape et plurale neutri haec gausapa quasi
a nominativo hoc gausapum protulisse inveniuntur, . . . Varro vero de Lingua
Latina-ait, " talia ex Graeco sumpta ex masculino in femininum
transire et A litera finiri : 6 Ko\^ta unless the genitive is identical with
the nomina- tive, when the ablative ends in i ; an adjective also has
the ablative in i if it stands before a noun which it modifies.
The scientific formulation is that consonant-stems should have
short e in the ablative, and t-stems should have long % : a status much
disturbed by the encroachment of the ^-ending on the t-ending. c Not all
these should, by the ' rule,' end in i ; for carbo, falx, mons,fons t
pons, teges do not have identical nom. and gen. ; and the nom. of asse is
as, very rarely assis. As to the actual forms of the ablative, igni
is commoner than igne ; orbi, turri,frni, strigili, avi, axi, navi\
said and wrote senatuis, domuis, and jluctuis as the genitive case of the
words senatus ' senate,' domus ' house,' and Jluctus * wave,* and used
senatui, domui, fiuctui as the dative ; and that they used other
simi- lar words with the corresponding endings. Fr. 18. Amni
was used by Vergil a as ablative of amnis * river,* as in He
drifts with the stream of the river. On this point, Pliny in the
same book says : " By the old writers, whom Varro criticizes
adversely, all observance of the rule 6 is disregarded, yet not
utterly. For we still say," says he, " canali ' canal,* stti '
thirst,' tussi * cough,' febri ' fever * as the abla- tive forms. But in
most words the form has been changed, and uses the ablative which ends in
E : cane ' dog,' orbe 1 circle,' carbone ' charcoal,* iurre *
tower,' falce ' sickle,' igne ' fire,' teste * garment,' fine * limit,'
monte * mountain,* fonie * spring,* ponte * bridge,* sirigile *
scraper,* tegeie ' mat,' ave ' bird,' asse ' as,' axe * axle,' nave ' ship,'
classe * fleet.' " c Fr. 19. Varro, whom Pliny mentions as
having said, in the eleventh book of his treatise addressed to
Cicero " a plantation of trees set in rows rare a 1 in the country.'
" Fr. 20. Fonteis * springs,' accusative plural spelled
with EIS : " The nouns which gain an I in the genitive plural before
the ending UM," says Pliny, " have the classi are found
in authors of the first century b.c, but are less common than the forms
with e, or are used to satisfy metrical requirements ; ponti is found
once in older Latin ; monti and fonti are cited by Varro, ix. 112.
Fr. 19. Instead of the usual locative form ruri. accusativus,"
inquit Plinius, " per EIS loquetur, montium monteis ; licet
Varro," inquit, " exemplis hanc regulam confutare temptarit
istius modi, falcium falces, non falceis facit, nec has merceis, nec hos
axeis lmtreis ventreis stirpeis urbeis cor&eis 3 vecteis men-
teis. 4 Et tamen manus dat praemissae regulae ridicule, ut exceptis his
nominibus valeat regula." Fr. 21. 1 Poematorum et in II et in
III idem Varro adsidue dicit et his poematis, tarn quam nominativo
hoc poematum sit et non hoc poema. Nam et ad Ciceronem XI, horum
poematorum et his poematis oportere dici. Fr. 22. 1 Git :
Varro ad Ciceronem XI per omnes casus id nomen ire dcberc conmeminit ;
vulgo autem hoc gitti dicunt. XIII Fr. 23. 1 Palpetras per T Varro ad
Ciceronem XIII dixit. Sed Fabianus de Animalibus primo pal- pebras per B.
Alii dicunt palpetras genas, palpebras autem ipsos pilos. 3 For curueis. 4 GS. t for
inepteis, cf. viii. 67. Fr. 21. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 141.
29-31 Keil. Fr. 22. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 131. 7-8 Keil. Fr.
23. 1 Ckarishts, Inst. Gram. i. 105. 14-16 Keil. Fr. 20. °
This EI does not represent an earlier diphthong, but was often written
for a long i after the original diphthong had become identical in sound
with the long i. There are scattered examples of the ending EIS in the
accusative, found in inscriptions and manuscripts. 614
FRAGMENTS, 20-23 accusative in EIS, a like genitive
montium * mountains,' accusative monteis ; although Varro," he
continues, " tried to refute this rule by examples of the
following sort : to the genitive fold urn ' sickles * the
accusative is folces and not folceis, nor is the proper spelling
merceis 1 wares,* nor axeis * axles/ lintreis ' skiffs,* ventreis * bellies/
stirpeis * stocks/ urbeis ' cities/ corbeis * baskets/ vecteis * levers/
menteis * minds.' And yet he gives up the fight against the
aforesaid rule in a ridiculous fashion, saying that apart from
these nouns the rule holds." Fr. 21. In the second and the
third books Varro constantly uses the genitive poematorum * poems *
and the dative poematis, as though the word were poema- tum in the
nominative and not poema. For in the eleventh book of the treatise
addressed to Cicero he says that genitive poematorum and dative poematis
are the proper forms to be used. Fr. 22. Git * fennel ' a :
Varro in the eleventh book of the treatise addressed to Cicero states
that this form ought to be used in all the cases ; but people quite
commonly say gitti in the ablative. XIII Fr. 23. Varro
in the thirteenth book of the treatise addressed to Cicero used
palpetrae, with T. But Fabianus, a in the first book On Animals, wrote
palpe- brae with B. Others say that palpetrae means the eyelids,
and palpebrae the eyelashes. Fr. 22. a Xigella sativa.
Fr. 23. ° Papirius Fabianus, who wrote on philosophy and on natural
history in the time of Augustus. 615 VARRO Fr.
24. 1 Oxo : " Varro ad Ciceronem XIII olivo et oxo putat fieri/'
inquit Plinius Sermonis Dubii libro VI. XVIII Fr.
25. 1 Indiscriminatim, indiflferenter. Varro de Lingua Latina lib. XVIII
: " Quibus nos in hoc libro, proinde ut nihil intersit, utemur
indiscriminatim, promisee." XXII Fr. 26. 1
Rure Terentius in Eunucho : Ex meo propinquo rure hoc capio
commodi. Itaque et Varro ad Ciceronem XXII " rure veni."
XXIII Fr. 27. 1 Varro ad Ciceronem in libro XXIII :
" ingluvies tori," inquit, " sunt circa gulam, qui propter
pinguedinem fiunt atque interiectas habent rugas." Sed nunc pro gula
positum. Fr. 24. 1 Charisins, Inst. Gram. i. 139. 15-16 Keil. Fr. 25. 1
Nonius Marcellus, de Compendiosa Doctrina, 127. 24-26 M. Fr.
26. 1 Charisius, Inst. Gram. i. 142. 18-20 Keil, Fr. 27. 1 Serv. Dan, in Georg. iii.
431. Fr. 24. a Antecedent unknown. b Greek 6£os
(neuter, third decl.), denoting sour wine, and vinegar made
therefrom. Fr. 25. Antecedent unknown. Fr. 26. a 971. b These
are examples of rure as a pure ablative. The continuation is our Fragment
19, in which examples of rure as a locative are discussed.
Fr. 27. « That is, double chins. 616 FRAGMENTS,
24-27 Fr. 24. Ojco, ablative : " Varro, in the
thirteenth book of the treatise addressed to Cicero, expresses the
opinion that it a is composed of olive-oil and oxos b * vinegar/ "
says Pliny in the sixth book of the treatise entitled Variations in
Speech. XVIII Fr. 25. Indiscriminaiim means '
without differ- ence.' Varro in the eighteenth book of the treatise
On the Latin Language says : " Which a in this book we shall use
indiscriminatim 1 without distinction/ promiscuously, just as if there
were no difference between them." XXII Fr.
26. The ablative rure is used by Terence in the Eunuchus a : I
get this comfort from my near-by country-seat. So also Varro, in
the twenty-second book of the treatise addressed to Cicero, says : "
I have come rure * from the country/ " 6 XXIII
Fr. 27. Varro, in the twenty- third book of the treatise addressed
to Cicero, says : " The ingluvies is the bulging muscles around the
throat, which are produced by fatness and have creases between
them/* a But now the word is used merely for the throat.
617 VARRO Fr. 28. 1 (1) Cum in
disciplinas dialecticas induci atque imbui vellemus, necessus fuit adire
atque cognoscere quas vocant dialectici €itrayu>yas. (2) Turn,
quia in primo 7repl a^tw/xarwv discendum, quae M. Varro alias profata,
alias proloquia appellat, Com- mentarium de Proloquiis L. Aelii, docti
hominis, qui magister Varronis fuit, studiose quaesivimus eumque in
Pacis Bibliotheca repertum legimus. (3) Sed in eo nihil edocenter neque
ad instituendum explanate scriptum est, fecisseque videtur eum librum
Aelius sui magis admonendi quam aliorum docendi gratia. (4)
Redimus igitur necessario ad Graecos libros. Ex quibus accepimus
a£ta>/jta esse his verbis (defini- tum) : XtKTuv avroreXh diro^avTov
ovov etf> avra>. (5) Hoc ego supersedi vertere, quia no vis et
incon- ditis vocibus ntendum fuit, quas pati aures per inso-
lentiam vix possent. (6) Sed M. Varro
in libro de Lingua Latina ad Ciceronem quarto vicesimo ex-
peditissime ita finit : " Proloquium est sententia in qua nihil
desideratur." (7) Erit autem planius quid istud sit, si exemplum
eius dixerimus. 'A^tw/xa igitur, sive id proloquium dicere placet,
huiuscemodi est : Hannibal Poenus fuit ; Scipio Numantiam delevit ; Milo
caedis damnatus est ; Neque bonum est voluptas neque malum ; (8) et
omnino quicquid ita dicitur plena atque perfecta verborum sententia, ut
id necesse sit aut verum aut falsum esse, id a dialecticis d£«o/m
Fr. 28. 1 Aulas Gellius,
Nodes Atticae, xvi. 8. 1-14 ; Rolfe's text, in the Loeb Classical
Library, Fr. 28. a Rolfe's translation, in the Loeb
Classical Library, with modifications. b In Vespasian's Temple of Peace,
in the Forum Pacis. c Page 75 Funaioli. 618
FRAGMENTS, 28 Fr. 28. a (1) When I wished to be
introduced to the science of logic and instructed in it, it was
neces- sary to take up and learn what the logicians call curaycoyac,
or ' introductory exercises.' (2) Then because at first I had to learn
about axioms, which Marcus Varro calls, now prof ata or ' propositions,'
and now proloqitia or ' forthright statements,' I sought diligently
for the Commentary on Proloquia of Lucius Aelius, a learned man, who was
the teacher of Varro ; and finding it in the Library of Peace, 5 I read
it. (3) But I found in it nothing that was written to instruct or
to make the matter clear ; Aelius c seems to have made that book rather
as suggestions for his own use than for the purpose of teaching
others. (4) I therefore of necessity returned to my Greek
books. From these I obtained this definition of an axiom : " a
proposition complete in itself, declared with reference to itself
only." (5) This I have for- borne to turn into Latin, since it would
have been necessary to use new and as yet uncoined words, such as,
from their strangeness, the ear could hardly endure. (6) But Marcus
Varro, in the twenty-fourth book of his treatise On the Latin Language,
dedicated to Cicero, thus defines the word very briefly : "A
proloquium is a statement in which nothing is lacking." (7)
But his definition will be clearer if I give an example. An axiom, then, or
a forthright state- ment, if you prefer, is of this kind : "
Hannibal was a Carthaginian " ; 11 Scipio destroyed Numantia "
; '* Milo was found guilty of murder " : " Pleasure is
neither a good nor an evil " ; (8) and in general any saying which
is a full and perfect thought, so expressed in words that it is
necessarily either true or false, is called by the logicians an axiom ;
by Marcus Varro, appellatum est, a M. Varrone, sicuti dixi,
proloquium, a M. autem Cicerone pronuntiatum, quo ille tamen
vocabulo tantisper uti se adtestatus est, " quoad melius,"
inquit, " invenero." (9) Sed quod Graeci crvvrjfxfxevov
aftw^ta dicunt, id alii nostrorum adiunctum, alii conexum dixerunt.
Id conexum tale est
: Si Plato ambulat, Plato move- tur ; Si dies est, sol super terras est.
(10) Item quod illi o-vfjLTreTrXeyfiei'ov, nos vel coniunctum vel
copu- latum dicimus, quod est eiusdemmodi : P. Scipio, Pauli
filius, et bis consul fuit et triumphavit et censura functus est et
collega in censura L. Mummi fuit. (1
1) In omni autem coniuncto si unum est mendacium, etiamsi cetera vera
sunt, totum esse mendacium dicitur. Nam si ad ea omnia quae de Scipione
illo vera dixi addidero Et Hannibalem in Africa superavit, quod est
falsum, universa quoque ilia quae coniuncte dicta sunt, propter hoc unum
quod falsum accesserit, quia simul dicentur, vera non erunt.
(12) Est item aliud quod Graeci Siefrvy/itvov a£iw/xa, nos
disiunctum dicimus. Id huiuscemodi est : Aut malum est voluptas aut bonum, aut neque
bonum neque malum est. (13)
Omnia autem quae disiun- guntur pugnantia esse inter sese oportet,
eorumquc opposita, quae dvriKd^va Graeci dicunt, ea quoque ipsa
inter se adversa esse. Ex omnibus quae
dis- d Tusc. Disp. i. 7. 14. * Two connected statements, of
which the second follows as the result of the first. f This is the
younger Africanus, who destroyed Carthage in 146 b.c; it was the older
Africanus who defeated Hannibal at Zama. FRAGMENTS as I have said, a proloquium
or ' forthright state- ment ' ; but by Marcus Cicero d a
pronuntiatum or * pronouncement/ a word however which he declared
that he used " only until I can find a better one."
(9) But what the Greeks call a i- charmus), S6 ; vi. 61 ; viL
35, 71, 101, 104 ; ix. 107 Epicurus, vi. 39
Euripides, vii. 82 Fasti, v. 84 Flaccus flamen
Martialis, vi. 21 Fulvius, vi. 33 Glossae, Glossemata, vii.
10, 34, 107 Grammatici et similes, sine nomine citati, v. 30,
34, 43, 49, 51, 53, 85, 120, 146, 147, 154, 157 ; vi.
7, 34, 96 ; vii. 10, 17, 34, 36, 46, 107 ; viii. 23, 44
llesiodus, v. 20 (Theogonia) Homerus, vii. 74, 85 Hortensius,
viii. 14 ; x. 78 Hypsicrates, v. SS Iunius Brutus, v. 5, 42,
48, 55 ; vi. 33 bis, 95 (commentaria) Iuventius, vi. 50 ;
vii. 65, 104 note Leges, vi. 60 ; v. Duodecim Tabulae Leges
privatae aedificiorum, v. 42 Lex mancipiorum, v. 163 ; vi. 74 Lex
Plaetoria, vi. 5 Lex praediorum urbanorum, v. 27 Lex venditioni*
fundi, ix. 104 Litterae antiquae, v. 143 ; vi. 33 Livius (poeta).
v. 9 ; vii. 3 Lucilius, v. 17, 24, 44, 63, SO, 138 (Urbs); vi. 69;
vii. 30, 32, 47 ter, 94, 96, 103 bis ; ix. 81 Lutatius, v.
150 Maccius, vii. 104 ; see Plautus Manilius, vii. 10 bis,
17, 2S, 105 Manlius, v. 31 Matius, vii. 95, 96 Mimus, vi.
61 632 Mucius Scaevola pontifex, v. 5, 83
; vi. 30 ; vii. 105 Naevius, v. 43, 53, 153; vi. 70;
vii. 7, 23, 39, 51, 53 bis, 54 bis (Cemetria, Romulus), 60
(Corol- laria), 70 (Fretum), 92, 107 novies (Aesiona,
Clastidium, Dolus, Demetrius, Lampadio, Xagido, Romulus,
Stigmatias, Technicus), 108 ter (Tarentilla, Tunicularia, Bellum
Punicum) ; ix. 78 (Clastidium) Nelei Carmen, v. Carmen
Nelei Opillus, v. Aurelius Pacuvius, v. 7 Ur, 17 bis,
24, 60; vi. 6 bis, 60 (Medus), 94 (Her- miona) ; vii. 6 (Pertboea),
18, 22, 34 (Medus), 59, 76, 87, 88, 91, 102
Papinius(?), vii. 28(Epigrammation) Parmeniscus, x. 10
Physici, v. 69 ; x. 55 Piso, v. 148, 149 (Annales), 165
(Annates) Plato, vii. 37 Plautus : Amph. vi. 6 ;
vii. 50 Asin. vi. 7 ; vii. 79 Aid. v. 14, 108, 181 ;
vii. 103 Bae. vii. 16 Cos. vii. 104, 106
Cist. v. 72 ; vii. 64 bis, 98, 99 bis Cure. v. 146 ; vii. 60,
71 Epid. v. 131 Men. vii. 12, 54, 56, 93
Merc. vii. 60 Miles, v. 108 ; vii. 52, 86 Most.
ix. 54 Persa, vl. 95 ; vii. 55 Poen. v. 6S ; vii. 52,
69, 8S note Pseud, v. 10S ; vii. 81 Rud. F. 10
Stick, v. 68 Trin. vii. 57, 78 True vi. 11 ; vii.
70 ; ix. 106 Lost plays : Astraba, vi. 73 ; vii. 66
Boeotia, vi. 89 Cesistio, vii. 67 Colax, vii.
105 Condalium, vii. 77 INDEX
Cornicuiaria, v. 153 ; vii. 52 Faenerairix, vii. 96
FrivoJaria, v. 80 ; vii 58 Fugitivi, vii 63 Aerro/aria, vii. 65,
68 Pagon, vii. 61 Parasitus piger, vii, 62, 77 SiteUUergus,
vii. 66 Unnamed : vii. 38, 91, 103 Poetae sine nomine citati, v. 1,
88 ; vi. 11, 60, 67, S3; vii. 52; v. Comici, Mimus,
Scaenici, Tra- gici Polybius, v. 113
Pompilius, vii. 93 Pontifices, v. 23, 9S Porcius,
v. 163 ; vii. 104 Priami Carmen, v. Carmen Priam i
Procilius, v. 148, 154 Pythagoras, v. 11 ; viL 17
Sacra vel Saerijicia Argeorum, v. 47-54 ; in aliquot sacris et
sacel- lis scriptum, vii 84 ; v. Athenis Saliorum carmina, v.
110; vL 14, 49 ; vii. 2, 3 bis, 26, 27 ; ix. 61 Saturnii
versus, vii. 36 Scaenici, vi 76 Scaevola, v.
Mucins Scenici, v. Scaenici Scriptores antiqui Graeci, v. 123
Sergius, v. Commentarium SibylHni libri, vi. 15 Sisenna, viii. 73,
F. 5. 9 Sophron, v. 179 Sueius, vii 104 bis Sulpicius, v.
40 Terentius: AdeL vi. 69; vii. 84, F. 10
Tragici, vi. 67 bis, 72 ; vii. 23, 24, 25
Valerius So ran as, vii. 31, 65 ; x. 70 Varro :
Antiquitatum libri, vi 13, IS De Aestuariis, ix. 26
De Poematis, vii 36; De Poet is, vi 52 Epistulae, F. 14
c Tribuum liber, v. 56 Vergilii commentarium Xaevi, vii
39 Volnius, v. 55 Zenon Citieus A, viii. 68 ; ix. 3S, 52 ; A additum, v. 97 ; A exitus,
x. 62 ; A littera finita, F. 14 a, F v 14 b ; A : E, vii. 94 ; AS :
ES : IS : IS, ix. 109 ; cf. E abacus, ix. 46
abies, ix. 41 aborigines, v. 53 aboriuntur, v.
66 abrogatae, v. vetus abscessit, vi. 3S
Acca Larentia, vi. 23 ; sepulcruin Accae, vi. 24
accanit, vi. 75 accensus, v. 82 ; vi. 88, 89, 95 ; vii.
58 accessit, vi. 38 accipe, vii. 90
Acculeia, v. Curia accusandi casus, viii. 66 ;
accusati- ve, viii. 67 ; v. casus acetum (non aceta), ix. 66,
67 Acherusia templa, vii. 6 Achilles, x. 69
acquirere, vi. 79 acsitiosae, v. axitiosae actio,
v. 11, 12 ; vi. 41 ; actiones tres, vi. 42 ; in actionibus, vi. 89,
vii. 93 actor, vi. 77; actores, v. 178, vi. 58, x. 27
actus, v. 22, % 34, 35 ; actus numero- rum, ix. 86-88
adagio, vii. 31 addici numo, vi. 61 addico, vi. 30
634 add ictus, vi. 61 additio litterarum,
v. 6 ; v. I addixit iudicium, vi. 61 adicere, v.
litterae adiectio (syllabarum), v. 6 adiunctum, F. 28.
9 artlocutum ire, vi. 57 adlucet, vi. 79
adminiculandi pars, viii. 44 administra, vii. 34 ;
administros, v. 91 ; cf. amminister ad ilurciae, v.
Circus adsentior adsentio, F. 5. 9 adseque, vi. 73 adserere
manu, vi. 64 adsiet, vi. 92 adventicium (genus
similitudinis), x. 69 ; adventicia (verba), x. 70 advocare,
v. contio adytum, v. 8 aedificia, v. 42, 141 ; viii. 29, 30 ;
ix. 20 ; x. 64 aedilis, v. 81 ; v. Publicius
aedis aedes, v. 80, 160 ; vL 61 ; vii.UO, 12 ; v. Aesculapii,
cavum aedium, Concordia, deus, Dius Fidius, Iuno, Iupiter,
Minerva, Portunus, Quirinus, Romulus, sacrae, Salus, Saturnus,
Venus, Vesta aeditumus, v. 50, 52 ; viii. 61 ; aedi-
tuum non aeditumum, vii. 12 aedus, v. haedus aeges, vii.
21 Aegeum fretum, vii. 22 aegrotus, v. 71 ; x. 46
INDEX Aegyptiomm vocabula, viii 65
Aegyptus, v. 57, 79 Aelia, viii. SI Aelius
Sextus, vii 46 Aemilius -lii, etc., viii. 4 ; Aemilius
-ia, ix. 55 ; p. Basilica aenea, v. vas Aeneas, v. 144 ; vi
60 Aeolis, v. 25, 175; Aeolis Graeci, v. 101, 102
aeqnabilitas, ix. 1, etc. Aequimaelium, v. 157 aequinoctium, vi. 8
; vii 14 ; ix. 25 ; v. circulus aequor, vii. 23 aequum,
vi. 71 ; v. pila aer, v. 65 ; cf. animalia aerariae (non
aerelavinae), viii. 6*2 aerarii, v. milites, tribuni aerarium, v.
180, 1S3 aes, v. 169-171, 173, 180-1S3 ; ix. 81- S3 ; x. 3S ;
aes et libra, vii. 105, ix. 83 ; r. militare, mille, raudus
Aesculapii aedes vetus, vii 57 aesculetum, v. 152 aestas, v. 61 ;
vi 9 aestivum, vi 9 ; aestiva triclinia, viii. 29
aestus, vii. 22 ; ix. 26 aetas, vi. 11 ; ix. 93 aeternum, vi.
11 Aethiops, viii. 38, 41 ; ix. 42 Aetolia, vii. 18
aeviternum aeternum, vi. 11 aevum, vi. 11 Africa, v. 159
Africae bestiae, vii. 40 Africus vicus, v. 159 Agamemno, v.
19 Agenor, v. 31 ager, v. 13, 34, 37 ; cultus,
incultus, v. 36 ; Roma mis, v. 33, 55 ; agro- rum genera quinque,
v. 33 ; v. Aricimis, Calydonitis, Gabinus, hosticus, incertus,
Latius, nova- Ms, peregrinns, Praenestinus, Reatinus, restibilis,
Romanus, Sabinus, Tusculanus, uliginosus agger, v. 141
agitantnr quadrigae, vi. 41, 42 agitatus, v. 11, 12 ; vi. 41, 78 ;
men- tis; vi. 42 agnus, v. 99 ago, v. 34 ; vi. 41, 42,
77, 78 ; agit gestuni tragoedus, vi. 41 ; agitur pecus
pastum, vL 41 ; agitur fabula, vi. 77 ; agere causam, augurium, vi
42 ; agere ex sponsu, vi 72 ; v. facio, gerit, gradus agonales,
v. dies Agonenses, vi. 14 Agonia, vi. 14
agrarius, v. 13; agrarii, viii. 15 agrestis hostias, vii 24 ; p. loca
agricola, v. 13 agroshis, v. agmrtus aio, F. 36 ala, v.
33 alauda alaudas (GalL), viii. 65 Alba, v, 144 ; viii 35 ; Alba Longa,
v. 144 Albani Albenses, viii 35 ; r. Aven- tinus
Albanus mons, vi. 25 ; rex, v. 43 albatus, v. 82
Albius, viii. 80 ; x. 44 ; Albia, x. 44 Albula, v. 30
albus -a -um, etc., viii. 38, 41, 80; ix. 42, 55; x. 22, 24,
44, 73; album albius albissimum, viii. 52, 75
alcedo, v. 79 ; vii. 88 Alcmaeus Alcmaeo, ix. 90 alcyonia, vii
83 Alcyonis ritn, vii 88 Alexander (Magnus), ix. 79 ; eius
statua, ix. 79 Alexander (Paris), vii 82 Alexandres, v.
100 Alfena, viii 41 ; ix. 41 altena verba, v. 10 alienigenae,
v. 90 alites, v. 75 allecti, vi 66 Allia, Alliensis dies, vi.
32 alpha, viii. 64 altiores, x. 29 altisono caeli
clipeo, v. 19 ; vii. 73 altitonantis Iovis, vii. 7
amator, viii 57 ambages, vii. 30 ambagio, vii.
31 am be, vii 30 ambecisns, vii 43 ambegna
bos, vii. 31 ambiectum, v. 132 ambiguus rectus casus,
ix. 103 ambit, v. 23 635 INDEX
ambitiosus, vii. 30 ambitus, v. 22, 28 ; vii. 30 ; v.
in- dagabilis Ambivius, vii. 30 ambulatur, vi. 1
; ambulans, am- bulaturus, viii. 59 amburvom, v. 127
ambustum, vii. 31 amens, vi. 44 amia, vii. 47 amicitia -am,
x. 73 amictui, v. 131, 132 amiectum, v. ambiectum amitans
(non est), viii. 60 Amiternini, v. 28 Amiternum, vi. 5
amminister, vii. 34 ; cf. administra amnis, v. 2S amo
amor, etc., viii. 58, 60; ix. 97, 110 ; x. 32, 48, 78 ; amans ama-
turus amatus, viii. 58, ix. 110 amoramorem, etc., x. 36, 42
amphimallum, v. 167 analogia, viii. 23, 25-27, etc ; ix.
1, 2, 7, 74, etc ; x. 1, 36-38, 43, 44, 51, 52, 63, 70, 72, 74, 79,
83, etc, F. 34; perfecta, inchoata analogia, x. 68, 69 ; index
analogiae, ix. 109 ; analogiae genus deiunctum, coniunctum, x.
45-47 ; poetica analogia, x. 74 ; v. genus, poetica, principium,
proportione, ratio, similitudo anas, v. 78
ancilia, vi. 22 ; vii. 43 Andrius ab Andro, viii. 81
Andromacha, vii. 82 anfractum, vii. 15 Angerona, Angeronalia, vi.
23 angiportum, v. 145 ; vi. 41 anguilla, v. 77 angulus, vi.
41 ani, vi. 8 anicula anicilla, v. anus anima, v. 59,
60 ; animae hominum, ix. 30 animalia, v. 75, 102 ; ix. 113 ;
aqua- tilia, v. 77 ; in aere, v. 75 ; in aqua, v. 78 ; in locis
terrestribus, v. 80 ; animalium semen, v. 59 ; species, x. 4';
voces, vii. 103 animalis res, F. 8 animantium
(animalium) voces, v. 75, 78, 96, 100 ; vii. 103 636
animum, v. despondisse Anio, v. 23 annales, v.
74, 101 ; (feriae), vi. 25, 26 annus, vi. 8 ; v. novus
anomalia, viii. 23; ix. 1, 3, 113; x. 1, 2, 16; v.
dissimilitudo anquisitio, vi. 90, 92 anser, v. 75 Antemnae,
v. 28 antiqua, vi. 61, cf. vi. 82 ; antiqui, v. 34, 71, 79,
96(Graeci), 131, vi. 19, 33, 58 (nostriX 63, vii. 26, 36, 73
(rustici), 84, ix. 17, 68, 83, 87, x. 73, F. 1 ; antiquissimum, v. 133
; antiquissimi, v. 132 ; antiqui Graeci, v. 103, 166 ;
antiquae mulieres, v. 69; antiquum oppi- dum Palatinum, v. 164, vi.
34 ; antiquum Graecum, vi, 84 ; anti- quum nomen, v. 50 ;
antiquis litteris, v. 143, vi. 33 ; v. Graecus, grammatica,
Iupiter, numerus, urbs, verbum Antonius, v. Tullius
anuli, vi. 8 anus, viii. 25 ; anicula anicilla, ix.
74 ; v. Liber a parte totum, v. 155 ; vii. 18, 75 Apelles,
ix. 12 aper, v. 101 ; viii. 47 apexabo, v. Ill Aphrodite, vi.
33 Apollinar, v. 52 Apollinares ludi, vi. 18 Apollo, v. 68 ;
vii. 16, 17 ; cortina Apollinis, vii. 48 ; v. Sol appellandi
pars, viii. 44 ; partes quattuor, viii. 45 Aprilis, vi.
33 aprunum (Sab.), v. 97 Apula, v. lana Apulia, v. 32
aqua, v. 61, 122, 123 ; v. animalia, ignis aquae
caldae, v. 25, 156 ; ix. 68, 69 aquae frigidae, v.
25 aqualis, v. 119 aquarium, v. vas aquatilia, v.
animalia aquila, viii. 7 ; ix. 28 * Aquiliani gladiatores ab
Aquilio, ix. 71 INDEX Aquilo, ix.
25 ara, v. 33 ; arae, v. 74 ; v. Consus, deus, Elicii,
Hercules, Iupiter, Lavernae, Tatius arationes, v. 39
aratrum, v. 135 Arbernus -na, v. Arveraus
arbitrium (=censio), vii. 53 arbor arbuscula, F. 9 ; arbores,
vii. S, 9, ix. SO arborariae falces, v. 137 area,
v. 128 ; ix. 74 Areas, v. 21 arcera, v. 140 arcs,
v. Arc arcula, ix. 74 ardor, v. 38, 61 area
areae, v. 38 arefcicit, v. 33 arena, tr. asena
Areopagus, Areopagitae, vii. 19 Argei, v. 45 ; viL 44 ;
Argeorum sacrificia, v. 52 ; sacra, v. 50 ; sacellum
quartum, v. 47 ; sex- tum, v. 48 ; sacra ria septem et
viginti, v. 45, e/. 47 argentarii, vi. 91 argenteum argentea,
be 66 argentifex non dicitur, viiL 62 argentifodinae, v. 7 ; viiL
62 argentum, v. 169, 173, 174 ; ix. 66 (non argenta) ; x.
33 Argi, vii. 44 ; ix. S9 Argiletum, v. 157 Argivi, vii. 33 ;
v. Hercules Argos, ix. 89 Argus, ix. 89 ; Argus Larisaeus,
v. 157 Aricia, v. 32, 143 Aricinus ager, v. 32
aries, v. 98, 117 ariga, v. ariuga Arimnias, ix. 12 arista,
vi. 49 Aristarchum, vi. 2 ariuga ariugus, v. 9S anna, v. 115
; v. sonant armamentarium, v, 128 armarium, v. 128 Armenia
(lingua), v. 100 armenta, v. 96 Armilustrinm, v. 153 ; vi. 22
arrabo, v. 175 arruit, v. 135 ars, v. 93 ; viiL 6 ; v.
medicina, mnsica, sntrina Arte mas, viii. 21
Artemidorus, viii 21, 22 articuli, viiL 45, 51, 52, 63 ; x, 1S-
20, 30, 50 ; v. genus, infiniti artifex artufex, v. 93; ix. 12,
18, 111; X. 64; artincum vocabula, v. 93
aruspex, v. haruspex Arvales (Fratres), v. 85 Arvernus
-na/Viii. SI arviga, v. ariuga arvus, v. 39 Arx, v. 47,
151 ; vL 2S, 91, 92 ; vii. S, 44 (arcs) as, v. 169, 171, 174
; ix. 81, 83, S4 ; x. 33 ; asses, v. 170, 182 ; as assem
asses, x. 83 ; asse, F. 18 asbestinon, v. 131 ascriptivi,
vii. 56 asellus, v. 77 ; ix. 113 asena (= arena), vii. 27
Asia, v. 16, 31 ; viL 21 ; viii. 56 ; ix. 27 Asiatici, viiL
56 asinus -a, ix. 28 ; asini, ix. 93 asparagi, v. 104
aspicio, vi. S2 assarius assarium, viiL 71 asserere, v.
adserere asseres, vii. 23 assiduus, viL 99 assipondium, v.
169 assuetudo, ix. 20 assum, v. 109, etitum, vi. 91 ; au- spicia,
v. 33, 143 (urbana), vi. 53 (caelestia), vii. 8, 97 (sinistra); v.
Index of Authors, s.v. Augures Auster, ix. 25 autumnus,
vi. 9 auxilium, v. 90 Aventinus (mons), v. 43, 152 ;
vi. 94 ; rex Albanus, v.
43 avermncassint, vii. 102 Averruncus, vii. 102 aviarium (non
avile), viii. 54 avicula, v. avis aviditas, v. aures
avis, viii. 54 ; ix. 76 ; avi et ave, viii. 66 ; ave, F. 18 ; aves
avium, viii. 70 ; avis avicula aucella, viii. 79 ; avem specere,
vi, 82 axis, vii. 74 ; axe, F. 18 ; axes non axeis, F.
20 axitiosae, acsitiosae, vii. 66 B, ix. 38 ; BA*, ix.
51 ; BS, x. 57 bacca in Hispania vinum, vii. 87 Bacchae, vii.
87 Bacchides Baccliidas, x. 71 638 Bacclms,
vii. 6; Bacchi sacra, vii. 87 ; Bacchi templa, vii. 6 Baebii
-iae -iis, x. 50 Balatium ( = Palatium), v. 53 balneae (non
balnea), viii. 48, 53 ; ix. 68, 106, 107 ; balneum, viii.
48, ix. 68 balneator, viii. 53 balteum, v. 116
barbara (vocabula), barbari, viii. 64 barbatus, v. 119 ; ix.
15 Basilica Aemilia et Fulvia, vi. 4 ; Opimia, v.
156 beatus, v. 92 Bellona, v. Duellona bellum, v.
Carthaginiense, duellum, indicit, Punicum, Pyrrbi, Sabi-
num bes olim des, v. 172 bestiae, v.
Africae beta betaceus, F. 10 ; v. pes bibo, vi.
84 bicessis, v. vicessis bigae, viii. 55 (non duigae), ix. 63 64 ; x, 24, 66
(non biga), 67 binaria, v. formula bini (non duini), viii. 55 ;
binae bina, ix. 64. x. 24, 67 ; v. nnus bisellinm, v.
128 bonus boni, x. 68 ; bonum malum, v. 11, viii. 34 ; melius
optimum (non bonius bonissimum), viii. 75, 76 (optnm optius,
melum melissimum desunt) ; v. Copia, dea, duonus, melioseni, quod
bo- num, scaeva bos boves, etc., v. 96 ; vii. 74 ;
viii. 54, 74 (bos non bous ; bourn et boverum) ; ix. 28, 113 ;
bovis vox, vii. 104 ; v. ambegna, Luca bovantes, vii.
104 Bovarium Forum, v. 146 bovile (non dicitur), viii.
54 ; ix. 50 brassica, v. 104 breviores, x. 29
bruma, vi. 8 ; ix. 24, 25 Bruti, v. Mucius bubo, v. 75 bncco,
vi. 68 bucinator, vi. 75 bulbum, v. 112 bura, v. 135
Busta Gallica, v. 157 INDEX C: G, v. 64,
101, 116; vi. 95; CS: X, ix. 44, x. 57 Gabirum delubra, vii.
11 caccabus. v. 127 cad us, ix. 74 Caeciliani
gladiatores a Caecilio, ix. 71 Caecilms Cecilius, vii.
96 Caecina, x. 27 caecus -a -urn, ix. 5S ; r. cubi-
cnliim caelare, v. 13 Caeles Vibenna, v. 46
caelestia, v. auspicium Caeliani, v. 46
eaeligeua, v. 02 ; r. Venus Caelii -iae -iis, x. 50
Caeliolum, v. 46 caelites, vii. 5, 34 Caelius mons,
v. 46, 47 Caelum, v. 57-60, 63, 65, 67 ; caelum, v. 16-18,
20, 31, viL 20; hoc caelo, x. 62; caeli loca supera, v. 16 ; caelum
principium, v. 64 ; caeli regiones, v. 31 ; v. signuni
Caeriolensis (locus), v. 47 caesa, v. exta, ruta
caesius (caesior non diciturj caesis- simus, viiL 76
Calabra, r. curia calamLstrum, v. 129 calatio, v.
13 calcearia taberna non dicitur, viii. 55
calcei, viii. 55 ; ix. 40 caldor, v. 59 caldus caldo,
x. 73 ; caldum caldius caldissimum, viii. 75 ; v. aquae
Calendae, v. lanuariae, Kalendae calix, v. 127 calo (kaloX vi. 16,
27 calor, v. 60 Calpurnins, C, vi. S3 Calydon, vii. 18
Calydonius ager, non terra, vii. IS camelopardalis, v. 100
came las, v. 100 Camena, vi. 75 ; vii. 27 ; Camena- rum
priscuni vocabulum, \iL 26 ; r. Casmena camillns Camilla,
vii. 34 Campania, v. 137 campus, v. 36 ; vi. 92
(Martius) ; r. Flaminras, Martius canali, F. 18
cancer, viL SI candelabrum, v. 119 candens, v.
siguum candid us -nm candid ins candidis- simum, viii. 17 ;
Candidas -a can- did issimus -a, viiL 77 canes, vii. 32
(canes laniorum), 33 (caninam non est); canis, v. 99, vii. 32 ;
canis catulns cateilus, ix. 74 ; caue, F. IS canicula (piscis),
v. 77 canistra, v. 120 canit can ere, vi. 75 ; canite
cante, vii. 27 cantatio, vi. 75 cantator non dicitur,
viiL 57 cantitat, vi. 75 ; cantitans, viii. CO (cantitantes
non dicitur) canto cantat, vi. 75 cape, viL 90 ; cape capito, x.
31 caperrata fronte, viL 107 capides, v. 121 capilli (gen.
sing.), vii. 44 capital, v. 130 capitales, v. triumviri
capiteUum, r. caput capitium, v. 131 Capitol in us, v. 41 ;
Capitolinus clivus, vL 32 Capitolium, v. 149, 15S ; vL 27, 63
; Capitolium vetus, v. 153 capitulum, v. caput capra,
v. 97 caprea, v. 101 capriticns, vL 18 Caprotina
(iuno), vi 18; Capro- tinae Xonae, vL 18 Capua Capuanus, x.
16 capulae, v. 121 ; ix. 21 caput capitis, etc, ix. 53
; x. 82, F. 32 ; caput capitulum, viii. 14 ; capitellum(deest),
viiL 79; caput Sacrae viae, v. 47 ; caput unde declinatur, x. 50,
ef. ix. 102, 103, x. 50 carbone, F. 13 career, v.
151 ; carceres, v. 153 care re (la nam), viL 54 Carinae, v. 47,
48 cariosas, vii. 23 Cannena -ae, vii. 26, 27 Carmentalia,
vi, 12 Carmen tis feriae, vi. 12 639
INDEX carminari, vii. 54 carnaria taberna
non dicitnr, viii. 55 caro, viii. 55 ; carnem petere
(ex Albano nionte ex sacris), vi. 25 ; v. pecus
Carrinas (non Carrinius), viii. 84 Carthaginien.se bellum, v.
165 cartibulum, v. 125 Cascelliani gladiatores a
Cascellio, ix. 71 cascus -i, x. 73 ; cascns -a, vii. 28
; Casca, vii. 28 caseus, v. 106, 108 ; vi. 43 Casinum,
vii. 29 Casmena -ae, vii. 26-28 Casmilus, vii. 34 casnar
(Osc), vii. 29 cassabundus, vii. 53 Castor, v. 58, 66, 73
castra, v. 121, 162, 166 casuale (genus declinationis), viii.
52 ; oration is prima pars casualis, x. 18 casus de
cassu in cassum, viii. 39 ; casuum vocabula, x. 23 ; casuum
iacturae, ix. 78 ; (casus) quis, quemadmo- dum, quo, a quo, cui,
cuius vocetur, viii. 16; cum vocaret, cum daret, cum accusaret,
viii. 16; secundum naturam nomi- nandi est casus, ix. 76 ; casus
com- munis, viii. 46 ; casus singuli, terni, etc., ix. 52 ; casus
naturales etimpositicii, x. 61 ; v. accusandi, dandi, declinatio,
exitus, nomi- nandi, obliqui, patricus, patrius, ratio, rectus,
series, sextus, trans- itus, vocandi eatellus, v. canes
Catinia -ae, viii. 73 catinus, v. 120 ; catinuli, F. 12
Cato Catulus, v. 99 catulae, x. 66 catulus, v. 99
v ; p. canes catus -a, vii. 46 caulis, v. 103
caullae, v. 20 causam orare, vii. 41 ; causae ver-
640 bornm, vi. 37; v. ago, dicis,
nascendi cava, v. 19 ; cava cortina, vii. 48 cavatio, v. 19,
20 cavea, v. 20 cavernae, v. 20 cavum, v. 19, 20, 135;
cavum caelum, v. 19, 20 ; cavum clipeum, v. 19 ; v. cava,
chaos, couin cavum aedium, v. 161, 162 Cecilins, v. Caecilius
celare, v. 18 cella, v. 162 cenaculum, v. 162
ceno cenatus sum, F. 5. 7 censio ( = arbitrium), v. 81 ; vii.
58 censor, v. 81 ; vi. 86, 93 ; censores, vi. 11, 87,
90, 92 censorium iudicium, vi. 71 ; cen- soriae
tabulae, vi. 86 centenarius, v. gradus, numerus centum, ix. 82, 87
; x. 43 centumvirum (non -virorum), ix. 85 centuria, v. 35, 88 ; v.
ollus centuriato constituit, vi. 93 ; v. comitium
centurio, v. 88 centussis, v. 169, 170; ix. 81, 84 cerei, v.
64 cereo, vi. 81 Ceres, v.' 64; vi. 15; templum
Cereris, vii. 9 Cerialia, vi. 15 Cermalus, Germalus,
Germalense, v. 54 cerno, cernito, cernere vitam, vi.
81 ; cernere crevi,
vii. 98 Ceroliensis, v. Caeriolensis cerus, vii. 26
cervices cervix, viii. 14 ; x. 78 cervns cerva, viii. 47 ; cervus
cerve, x. 51 ; cervi, v. 101, 117 Cespius Mons, v. 50
chaos, v. 19, 20 charta, F. 14 a, F. 14 b Chersonesice, v.
137 Chio mum, ix. 67 chlamydes, v. 133 ; clamide, v. 7 chorda
citharae, x. 46 choum, v. 19 Chrysides Chrysidas, x. 71
Chrysion, F. 38 cibaria, v. 64, 90 cibus, viii. 30
INDEX ciccum, vii. 91 cicer, viii. 48, 63
; cicer ciceri ciceris, x. 54 cicur cicurare, vii. 91
Cicurini, v. Veturii cilibantum, v. cilliba cilliba, v. 11S,
121 cinctus, v. 114 cinerarius, v. 129 cingillum, v.
114 cippi pomeri, v. 143 Ciprius, v. Cyprius ciprum, v.
cyprum circulus aequinoctialis, solstitialis,
septemtrionalis, brumalis, ix. 24, 25 ; circuli, v. 106
circumiectui, v. 132 circum muros, vi. 90, 92, 93 eircumtextum, v.
132 Circus, v. 153 ; vi. 20 ; Flaminius, v. 154 ; Maximns, v.
153 ; ad Murciae, v. 154 ; v. oppidum cista cistula, viii. 52 ; cista ci.stnla cistella, viii. 79,
ix. 74 cis Tiberim, v. 83 cistula, v. cista cithara, viii. 61
; x. 46 civilia vocabula dierum, vi. 12 civis, x. 39
civitas, x. 39 ; civitatum -ium, viii. 66 clam, vii.
94 c lama re, vi. 67 clamide, v. chlamydes classes, v. 91 ;
classe, F. 18 classicus, v. 91 ; vi. 92 claustra, vii. 21
clavi, x. 62 clepere clepsere, vii. 94 clipeus, v. 19
Clivos, v. Capitolinus, Cosconius, proximus, Publicius,
Pullius cloacae, v. 149 Cloaca Maxuma, v. 157 clucidatus,
vii. 107 clupeat, v. 7 cobius, vii. 47 cochlea, F. 14 a, F.
14 b Cocles, vii. 71 cocus, vii. 38 coemptio, vi. 43
Coeus Titan, vii 16 cogitare, vi. 42, 43 cogitatio, vi. 42
VOL. II cognatio verbonim, v. verbum cognomina,
viiL 17 ; ix. 71, cohors, v. 88 colem colis cole, ix. 75 ;
colis non cols, ix. 76 collatio verborum, vin. 78
collecta, vL 66 collega collegae, vi. 66, 91 colles (Romae), v. 36,
51, 52; v. Latiaris, ilucialis, QuirinalLs, Salutaris,
Viminalis Collina tribus, VT 56 ; regio, v. 45 col loca turn, v. 14
colloquium, vi. 57 colo colis colui, ix. 108 colonia nostra, v. 29
; coloniae nos- trae, v. 143 columba, v. 75 ; ix. 56 ;
columbus, ix. 56 columna columella, F. 9
coma, v. frondenti comissatio, vii. 89 comiter,
vii. 89 comitiales (dies), vi. 29 comitiatum (ad c.
vocare), v. 91 ; vi 93 ; c/. vi 91 comitiavit, r. quando
rex comitium, v. 155 ; vi 5, 29, 31 ; comitia, v, 85, 91,
155, vi 91, 92, vii 42, 97 ; comitia centuriata, vi 88, 92,
93 ; comitia curiata, v. 155 commentum, comminisci, vi.
44 commode, viii 44 Commotiles Lymphae, v. 71 communis, v.
casus, consensus, con- suetudo, nomen conunutatio
(syllabarum, littera- rumX v. 3, 6, 79, 103, 137 ; vi. 2,
62, 83; vii. 31 ; ix. 99 ; x. 25 ; commutatio vocis, x.
77 comoedia comoediae, vi 55, 71, 73 comoedus, ix. 55
comparativi, F. 31 a compendium, v. 183 competa, v. compitum
compitalia, vi 25, 29 compitum, vi. 43 ; competa, vi. 25 eompluium,
v. 161 ; compluvium, v. 125 composita, viii 61 ;
compositi numeri, ix. 84 compositicium genus, viii 61 ;
com- positicia (verba), vi. 55 T 641
INDEX computatio, vi. 63 conceptis verbis, vii.
8 conceptivns, v. dies, feriae concessit, vi. 38 concliae,
ix. 28 conchylia, v. 77 conciliari, vi. 43 concilium, vi.
43 concinne loqui, vi. 57 conclavia, viii. 32
Concordia, v. 73; (=templum), v. 148 ; aedis Concordiae, v.
15G concubitus, vii. 78 concubium, vi. 7 ; vii. 78 condere,
v. lustrum, oppidum, urbs conexum, F. 28. 9 confessi, vi. 55
contictant, vii. 107 confingere, v. 7 congerro, vii. 55
coniugationes qnattuor, F. 34 coniunctae res, x. 24 ; v. analogia
coniunctio (ignis et humoris), v. 03; (verborum), vii. 110,
cf. viii. 1 coniunctum, F. 28. 10, 11
conpernis, ix. 10 conquaestor, v. quaestor, vi. 79
conregio, vii. 8 consensus communis, viii. 22
Consentes, v. deus conserere manum, vi. G4 ; con-
sertuui mamim, vi. 04 consilium, vi. 43 Consiva, v. Ops
consortes, vi. 65 conspicare, vii. 9 conspicio, vi. 82 ; vii. 9
conspicio -nis, vii. 8, 9 consponsus, vi. 69 ; vii. 107 ; con-
sponsi, vi, 70 constantia, ix. 35 Consualia, vi. 20
consuetudo (communis), v. 1, 0, 8 ; vi. 78, 82 ; vii. 32 ; viii. 6,
23, 26, 27, 32, 74, etc. ; ix. 1, 2, 8, 74, 76, 78, etc., 114; x.
2, 15, 16, 73, etc. ; F. 5. 9 ; non repugnante consuetudine
communi, x. 74, 76, 73 ; consuetudo nostra, veterum, vi. 2 ;
consuetudo vetns, haec, x. 73 ; v. prisca consul, v. 80, 82;
vi. 61, 88, 91, 93, 95 ; x. 28 ; con.sules, vi. 91, 99,
642 viii. 10; v. Curtius, Manlius, Tullius Consus
(et eius ara), vi. 20 contemplare contempla, vii. 9 contentiones,
viii. 75 conticinium, vi. 7 ; vii.
79 contio, vi. 43, 90 ; contionem advo- care, vi. 91,
93 contraria (verba), viii. 58, 59 ; v. deus
convallis cavata vallis, v. 20 convivium, v. 124, 168 ;
convivium publicum, v. 122 conum, v. 115 Copia
Bona, vii. 105; copia ver- bomm, viii. 2, 20 copis copiosus,
v. 92 copulae, viii. 10 ; trinae copulae, naturae et usuis
(cf. viii. 14), per- sonarum multitudinis ac finis, ix. 4 ;
divisionis quadrinae copulae, x. 33 ; v. faciendi copulatum,
F. 28. 10 cor, vii. 9, 48 corbes corbulae, v. 139 ;
corbes non corbeis, F. 20 corda, v. chorda Corduba, v.
102 Cornelius, vi. 4 Corneta, v. 140, 152 cornicen, vi. 91 ;
cornicines, vi. 75 cornices, vi. 56 cornua, v. 117 ; vii. 25
cornutus, vii. 25, 39 corolla Veneria, v. 62 ; corollae in
scaena datae, v. 178 corollarinm, v. 175, 178 corona, v. 62 ;
coronas iaciunt in fontes, puteos coronant, vi. 22 corpus, v.
11, 12, 59-61 ; a corpore declinata, viii. 15 correptio
(syllabarum), v. 6 cortina, v. Apollo, cava cortumio, vii. 8,
9 corvus, v. 75 ; ix. 55, 56 (non corva) ; corvi, vi. 56
Cosconius (Clivus), v. 158 ; vio- curus, v. 15S coum a cavo,
v. 135 ; v. chouni Covella, v. Tuno coxendices, vii. 67
Cozevi, vii. 26 eras, viii. 9 cratis creatus, v. vitio ere pa
re, vi. 67 crepe rum, creperae res, vi. 5; vii. 77
Crepusci, vi. 5 crepusculum, vi. 5 ; vii. 77
Cretaea, vi 69 cretaria taberna, viii. 55 cretio,
vi. 81 crocodilos, v. 78 cnula holera, v. 108
crusta, v. 107 crustulmn, v. 107 Crustumerina
secessio, v. 81 crux cruce cruces, ix. 44 cubicularis
gradus, viii. 32 cubiculum, v. 162 ; viii. 29, 54 ;
cubiculum caecum, ix. 58 cuculus, v. 75 cucumeres, v.
104 culcita, v. 167 culmen, v. 37 culmi, v. 37 culpo
culpamus, x. 33 cultus, r. ager cumerus, vii. 34 cum muliere
fuisse, vi. SO Cupidini.s Fomm, Forum Cuppe- dinis, v.
146 cuppedium, v. 146 cupressi cupressus, ix, 80 cur, viii.
9 cura, vi. 46 curare, vi. 46 cura tores omnium
tribuum, vi. 86 Cu reuses, vi. 86 Cures, v. 51 Curia
Acculeia, vi. 23 ; Calabra, v. 13, vi. 27; Hostilia, v. 155,
vii. 10 ; curiae, v. 83, 155, vL 15, 46 ; curiae
veteres, v. 155 curiata, v. comitinm curiones, v. 83 ; vi 46
curiosus, vi. 46 currit, viii. 11, 53; currens cur-
surus, viii. 59 cursio, v. 11 curso cursito, x. 25
cursor, v. 11, 94; viii. 15, 53 cursus, vi 35 Curtius, v. 148
; Curtius lacus, v. 148-150 ; Mettius Curtius Sabinus, v. 149; Curtius,
consul, v. 150 curvor, vii. 25 ; cf. v. 104
Cutiliensis lacus, v. 71 cyathus, v. 124 cybium, v. 77
Cyprius Vicus, v. 159 cyprum (Sab.) bonum, v. 159 Cyzicenus (non
Cyzicius) a Cyzico, viii 81 D : R, vi. 4, cf. vi. S3
damnum, v. 176 dandi casus, viii. 36 ; x. 21, 65 ; v.
casus ; cf. viii/ 16 dea bona, r. quis decern, x. 41, 43,
45 December, vi. 34 decemplex, v. logoe decemvirum (non
-virorum) iudi- cium, ix. 85 decernunt de vita, vi. 81
decessit, vL 38 decessus, v. Galli deciens, hoc deciens,
huius deciens, ix. 88 Decimns, ix. 60 ; r. decuma
declinata verba vel vocabula, v. 7 ; vi. 37; viii. 1, 2, 9; ix. 115;
de- clinata nomina, viii. 5 declinatio -ones, viii. 3, 5, 11,
13, 15, 20, 21, 24 ; ix. 10, 17 (novae), 110; x. 3, 11, 12, 16, 2S,
44, 51, 53, 60, 62, 74, 76 (verbi), 77; declinatio in casus, vii.
110 ; de- clinatio naturalis et voluntaria, viii. 21-23, ix.
35, x. 15 (volun- tas), 17, 51, 77, 83; declinatio- num genus, viiL
17, 21 ; declina- tionum genera quattuor, viiL 52 ; declinationes
verborum, vi. 2, 36, 3S, ix. 3, x. 1, 2, 9, 11, 26, 44 ; r.
declinatus, derectae, iuniores, nothus, priscum, recentes, simili-
tndo, transitus declinatus, viii. 6, 10; ix. 37, 38, 51, 53;
x. 51, 76; declinatus voluntarius, naturalis, ix. 34, 62, x.
77, 83; vocum declinatus, x. 65; verborum declinatuum genera
quattuor, vi. 36; declinatuum species quattuor, x. 32 ; sex, x. 31
; imperandi declinatus, x. 32, cf. ix. 32, 101 ; v. ordo
declinatuum decuma, v. Hercules decuriae numerorum, ix. 86,
87 ; cf. v. 34, 91 643 INDEX
decuriones, v. 91 decussis, v. 170 ; ix. 81
dedicat dedicatur, vi. 61 definitiones grammaticorum, x.
75 deierare sub tecto, v. 66 Dei Penates, v. dens
deiunctum, v. analogia Deli, vii. 16 Deliadae,
vii. 16 delicuum, deliquare, vii. 106 Delphi, vii.
17 delubra, v. Cabirum Demetrius rex, vii. 52
demptio litterarum, v. 6 ; vii. 1 denarius denarii, v. 170,
173, 174; viii. 71 ;
ix. 85 ; x. 41 ; denarinm (non -oruin), viii. 71, ix. 82, 85 ; v.
formula, gradus, numeri denasci, v. 70 dens, v. 135 ;
viii. 67 ; dentuin dentes, viii. 67 densum, v. 113
deorsum, v. 101 ; deorsum versus, ix. 86 depsere, vi.
96 derectae declinationes, x. 44 derectus, v. ordo,
ratio des, v. bes despicio, vi. 82 despondet, vi. 69 ;
desponsa, vi. 70 ; despondisse, vi. 71 ; despondisse
animum, filiam, vi. 71 desponsor, vi. 69 destringor
destrinxi, F. 5. 7 detrectio (syllabarum), v. 6 detrimentum, v.
176 detritum, v. E, S deunx, v. 172 dens deei, viii. 70
; del, v. 57, 65, 66, 71 ; deos, F. 1 ; dei contrarii, v. 71
; deo principe, vi. 34 ; dei principes, v. 57 ; Dei Consentes,
viii. 70 ; Deum (non Deorumj Consentium aedem, viii. 71 ; dei
magni, v. 58, vii. 34 ; diis inferis, vi. 34 ; Dii Penates nostri,
v. 144 ; Dei Penates, viii. 70 ; aedes Deum Penatium, v. 54 ; Di
Manes ser- viles, vi. 24 ; ara deum, v. 3S ; arae deorum, v. 62 ;
liberorum dei nomina, ix. 55, 59 ; v. Samo- thraces ; cf.
Novensides dextans, v. 172 dextra, v. propter
644. diabathra, vii. 53 Dialis flamen, v.
84 ; vi. 16 Diana, v. 68 (Diviana), 74; vii. 16;
Dianaetemplum, v. 43; v. Titanis, Trivia dibalare, vii.
103 dicare, vi. 61 dicendi pars, viii. 44 dicis causa, vi.
61, 95 dico, vi. 30, 61, 62; dicit, vi. 78; dicere, vi. 42 ;
dico dicebam dixe- ram, ix. 34 ; dicerem dicam, x. 31 ;
v. do dictata in ludo, vi. 61 dictator, v. 82 ; vi. 61, 93 ; v.
Poe- telius dictiosus, vi. 61 dictum in mimo, vi.
61 ; dicta in manipulis castrensibus, vi. 61 dies, v. 68 ;
vi. 4 ; ix. 73 ; x. 41 ; F. 11; Dies Agonales, vi. 12; die
auspicate, v. 143 ; dies concepti- vus, vi. 25 ; dies fasti, vi. 29, 53 ;
dies Fortis Fortunae, vi. 17 ; dies nefasti, vi. 30, 53 ; dies
sacri Sabini, v. 123 ; dies et nox, v. 11 ; diemm nomiua, vi. 10-32
; dierum singulorum vocabula, vi. 33 ; v. Alliensis, atri, civilia,
comitiales, februatus, intercisi, lupiter, Larentinae, prodixit,
quando, quartus, septumus, statuti, Venus Diespiter, v. 66;
Diespiter Dies- pitri Diespitrem, ix. 75, 77 dilectus, vi.
65 diligens, vi. 65; diligentior dili- gentissimus -ma,
viii. 78 Di Manes, v. deus, Manes diminntio, F. 9
diminutivum, F. 9 diobolares, vii. 64 Diomedes -di -dis, x.
49 Dionem, vi. 2 ; Diona, viii. 41, ix. 42 Diores, ix. 12
Diovis, v. 66, 84 directus, v. derectus discere, vi. 62 ; discebam
disco dis- cam, didiceram didici didicero, ix. 96
discerniculuni, v. 129 discessit, vi. 3S disciplina, vi. 62 ;
loqnendi, x. 1 discordia verborum novorum ac veterum discrimen, vi.
12 (naturale), 81 ; ix. 56 ; x- 20, 77 (verbi); discrimina
verborum, re rum, vi. 36, 38, viii. 1, 2, 10, 14, 16, 17 (cf. 51), ix.
32, x. 64 (in rebus); discrimina lit- terarum, x. 62 ;
discriminum numerus, x. 10 disertus, vL 64
disparilitas vocis figuranim, x. 36 Dis pater, v. 66
dispendiura, v. 183 ; ix. 54 dispensator, v. 1S3 dispntare,
disputatio, ri. 63 disserit, vi 64 dissimilia, viii. 34, etc. ; v. simile
dissimilitude), viii. 23, 24, 29, 31, 32, etc ; ix. 46, etc. ; x.
1, 3, etc. distractio doloris, vii. 60 distrabuntur, viL 60
dius, v. 66 ; vii. 34 Dius Fidius, v. 66 ; aedes Dei Fidi, v.
52 diva, v. Palatua dives, v. 92 ; viii. 17 Diviana, r. Diana dividia, viL
60 divisio, vii. 60 ; ix. 97 ; x. 14, 15, 17, 33;
divisiones, viii. 44, ix. 95, 101 ; ex eodem genere et ex
divisione, ix. 96, 97 divum, v. 66; viL 27, 50; diva;,
F. 1 ; sub divo, v. 66 ; divi potes, v. 58 ; v. deus do
dico addico, vi 30 do, r. ollus doceo, vL 62 ; docet, x. 17 ;
doceo docui, x. 25 ; docentur inducun- tur, vi. 62 ; docens, x. 17
; doctus, F. 5. S docilis, x. 17 docte, viii. 12, 44 ; x. 17 ; F.
5. S doctiloqui, vii. 41 doctor, vi. 62 doctus -a -tun,
viii. 46; ix. 57; doctus -a doctissimus -a, viii. 77 ;
doctus docte, viii. 12 documenta, vi 62 dodrans, v. 172
dolla, v. sirpata doliola, v. 157 dolo dolas dolavi, ix. 10S
dolor dolori dolorem, x. 36, 42 ; r. distractio dolus mains,
dolo malo, x. 51 domare, vi. 96 domus, v. 160;
domus domuis domui, F. 17 ; v. hibernum, Mae- lius, video
donum, v. 175 dos, v. 175 Dossennus, viL 95
drachmae, ix. 85 dncenti, v. 170; x. 43 ducere
ductor, vL 62 Duellona Bellona, v. 73, vii. 49 duellum,
v. 73 pvii. 49 duigae, v. bigae duini, v. bini
dulcis dulcior dulcissimus, viii. 76 duo duae, ix. 64, 65, 87 ; x.
24, 41, 43, 45, 49, 67, S3 duode nanus numerus, v. 34
duonus, vii. 26 duplex verbum, ix. 97 ; duplicia
vocabula, ix. 63 ; v. logoe duplicarii, v. 90 dupondium
dupondius, v. 169, 173 ; ix. SI
(-um), S3, 84 dux, vi. 62 ; duces dux, x. 56, 57 E, viii. 68;
ix. 52; E : AE. v. 97, vii. 96; SI: US, ix. SO; E : A, v. 114, vii.
94; 1:1, vi 95; E:U, v. 91 ; E detritum, vii. 74 ; E ex- clusum, x.
57 ; E exemptum, ix. 44 ; E exitus, x. 62 ecbolicas aulas, v.
108 echinus, v. 77 ecurria, vi. 13 edictum,
vi. 92 edo, vi. S4 ; edo edi, x. 33 edulium, viL 61 ; edulia, vL 84
edus, t?. hedus effari, templa effantur, fines effan-
tur, vL 53 effata, vL 53 efiFutitum, vii. 93 Egeria,
vii. 42 elegantia, viiL 31 elephans, elephantos, viL 39
Elicii Iovis ara, vL 94 eliquatum, viL 106 elixum, v. 109
eloquens, \i. 57 eloqui, vi. 57 eminisci, vi. 44 emo emi, x.
33 ; v. homo em pa, viL 27 645 INDEX
ensis ensiculus ensicula, F. 10 eo, v. i, ite Epeus,
vii. 38 Ephesi (loc.), viii. 21 Ephesius, viii. 21, 22
epiphysis, v. 124 epicrocum, vii. 52 epigrammation, vii. 28
Epimenides, vii. 3 epityrum, vii. 85 Epulo, vi. 82 equa, v.
eqtras eqnes equites, vii. 4 ; x. 28 ; v.
ferentarius, magister equile, viii. 18, 20, 52 equirria, v.
ecurria equiso, viii. 14 ; x. 28 equitatum, vii. 4, 103
equus, vii. 4; viii. 11, 14, 52; ix. 113 ; x. 4, 28 ; cquus equi,
ix. 63 ; equoequum, viii. 52 ; equus equa, ix. 28, 56 ;
equus publicus, viii. 71 ; equi dissimiles eadem facie,
ix. 92, 93 ; v. Troianus errare, vi. 96 erus eri ero,
x. 12 esca, vi. 84 escaria mensa, v. 118, 120
esculentum, vi. 84 escnletum, v. aesculetum Esquiliae, v. 25
(Exq-), 49, 50, 159 (Exq-) Esquilina (regio), v. 45 ;
(tribus), v. 56; Esquilinus lucus, v. 50 esum es est, v.
sum et, viii. 9, 10 Etruria, v. 30, 32, 46 ; vii. 35
Etrusco ritu, v. 143 etymologia, vii. 109
etymologice, vii. 3 etymologus, vi. 39 eu, vii.
93 Euander, v. 21, 53 euax, vii. 93 eum
{gen. pi.), vii. 26 Europa, v. 16, 31, 32 ; vii. 21 ; ix. 27
exbolas, v. ecbolicas exceptum, v. os excessit,
vi. 38 exercitus, v. 87 ; v. urbanus exiguitas, viii.
14 exitium, v. 60 exitus v. 60 ; exitus
nominatuum, x, 21 ; exitus casus sexti, x. 62 646
ex hire (coctum), v. 109 ex iurc raanum consertum
vocare, vi. 64 exorat, vi. 76 ex parte, x. 84
explanandi, v. gradus expecto, vi. 82 cxpensum, v. 183 ex
quadam parte, x. 74, 76, 78 exquaeras, vi. 91 Exquiliae, v.
25, 159 ; v. Esquiliae exta ollicofiua, v. 104, cf. v. 98 ; exta
caesa et povrecta, vi. 16, 31 extern plo, vii. 13 extergeor
extersi, F. 5. 7 extermcntarium, v. 21 externa, ix. 102
extremum, vi. 59 ; v. littera, syllaba extrita, v. syllaba, I, R,
S F : H, v. 97 faba, ix. 38 ; x. 84 fabri, vi. 78
fabulae, vi. 55 ; nova fabula, vi. 58 ; v. ago facete,
x. 17 faciendi et patiendi copulae, x. 33 facies, vi. 78 ;
ix. 92 facilis, x. 17 facio facere, vi. 42, 77, 78 ; facit,
x. 17 ; poeta facit fabulam (non agit), vi. 77 {v. ago,
gerit) ; facerem faciam, x. 31 ; faciens, x. 17 ;
facere verba, vi. 78 ; v. lumen, lustrum, velatura factiosae,
vii. 66 faculam, vi. 79; faculae, v. 137, x. 66
facundi, vi. 52 Facutalis lucus, v. 49, 50; v. Fagutal
Faeneratricem Feneratricem, vii. 96 faenisicia fenisicia, vii.
96 faenus, vi. 65 Fagutal, Iovis Fagutalis, v. 152 ; v.
Facutalis Falacer flamen, pater, v.
84 ; vii. 45 falces, v. 137 ; falce, F. 18 ; falcium falces,
non falceis, F. 20; v. arborariae, fenariae, lumariae,
sirpiculae falera, v. phalera Falerii, v. Ill, 162
Faliscus venter, v. Ill INDEX fallacia,
vi. 55 falli, vi. 55 falsum, vi. 55 falx,
v. falces fama, vi 55 famigerabile, vi. 55
familia, v. funesta, mater, pater, purgare famosi, vi.
55 fana, v. 51 ; vL 54 ; fanorum servi, viii, 23 ; v. Fortis
Fortunae, Liber, magmentaria, Quirinus, Sabinus, Saturnus
fanatur, vi. 54 far, v, 106 ; v. mola farcimina,
v. Ill fari fatur, vi. 52, 56 ; vii. 36 farina, v. 106,
107 fariolus, vi 52 farticulum, v. Ill
fartum, v. Ill fartura, v. Ill fas, vi 31 ; v.
quando fasces, v. 137 fasciola, v. texta
fassi, vi 55 fasti, v. dies fastidium, v.
146 fateles res, vi 52 fatidici, vi 52
Fatuae, vi. 55 fat am, vi. 52 fatuus, v4. 52 ;
Fatuus, vi. 55 fauces, v. 42 ; vii. 21 ; (non faux), x. 78
Fauni (Faunus, Fauna), vii. 36 Faustiani glad ia tores a Faustio,
ix. 71 Faustini gladiatores a Fausto, ix. 71
Faventinus a Faventia, viii 83 febri, F. 18 Februarius,
vi. 13 (Nonae), 34 februatio, vi. 13 februatur, vi. 34
februatus dies, vi 13, 34 februm (— extremum), v. 79 februm
(Sabini, purgamentum), vi. 13 fed us, v. 97 felix, v.
quod bonum femina, ix. 57 ; feminae, v. 130, ix. 67 ;
feminae nomen, ix. 40 ; v. mas femininum, F. 14
a, F. 14 b; femi- ninum genus, F. 9, F. 11 fenariae falces,
v. 137 Feneratricem, v. Faeneratricem fenestrate, viii
29 fenisicia, v. faenisicia ferae, v. 80; ferarum
vocabula, v. 100
feralia, vi 13 fere, vii. 92 ferentarins, ferentarii
equites, \*ii. 57 feretrum, v. 166 feriae
voncepti^'ae, vi. 26 ; con- ceptae, vi 29 ; menstruae, vi. 13 ; v.
annales, Carmentis, Furi- nales, Latinae, paganicae, rex,
sementivae ferio, F. 36; ferio feriam percussi, feriam ferio
feriebam, ix. 98 ferme, vii. 92 fero, F. 36 ; fero
ferebam, x. 14 ; ferte, vi 96 ; ferendo, viii. 57 ;
ferundo, v. 104 Feronia, v. 74 ferreus ferreei, viii 70
ferrifodinae non dicitur, viii. 62 fertor non dicitur, viii. 57
ferns fero ferum, x. 12 fervere, vi 84 fetiales, v. 86 fetus,
v. 61 fiber, v. 79 fibra, v. 79 ficedulae, v. 76 ficta
(verba), v. 9 fictor, vi. 78 ; fictores, vi, 78, vii.
44 Ficuleates, vi. 18 ficus, v. 76; ficus fici, ix. 80;
v. ruminalis Fidenates, vi. 18 Fides, v. 74
Fidius, v. Dius fidus, v. foedus figlinae, v. 50
figuli : inter figulos, v. 154 figura figurae, vi. 78 ; viii.
39, 71 ; ix. 39, 40, 42, 52, 93 ; x. 4, 11, 27, 32, 33, 58, 77 ;
figura vocis, r, 25, 36, 51 ; figura verbi, viii 39, ix.
37, x. 11, 25; figurae vocabu- lorum, ix. 55; v. Graecus, ob-
liqui, singularis 647 INDEX
filius, x. 59 ; filius -a, ix. 55, x. 41 filum, v. 113
fimbriae, v. 79 fingo, v. 7 ; vi. 78 ; flngo fingis, x.
31 finis fine, F. 18 ; v. copulae, effari finitum ct
infinitum, v. 11 ; viii. 45 ; ix. 31, 64, 85 ; x. 18, 20, 30
; v. infinitei, nmnerus ; c/. templum fircus, v. 97
fiscina, v. 139 fistula, v. 123 fixum, F. 2 Flaccus
flamen Partialis, vi. 21 flamen vinnm legit, vi. 16 ;
flamines, v. 84, vii. 45 ; v. Pialis, Falacer, Flaccus, Floralis,
Furinalis, JIartialis, Palatualis, Pomonalis, Quirinalis,
Volcanalis, Volturnalis Flaminius circus, campus, v. 154
flexura, x. 28 Flora, v. 74, 158 ; viU 45
Floralis flamen, vii. 45 flnctus fluctuis fluctui, F.
17 flumen, v. 27, 28 fluvius, v. 27 fodari,
vii. 100 foditurne fodieturne, x. 32 foedus fidus, v.
86 ; foede- sum, vii. 27 Fons, v. 74; vi. 22; fons, v.
123; fonte, F. 18 ; fonti et fonte, ix. 112; fontis fontes, viii.
66; v. corona Fontanalia, vi. 22 forda (quae fert
in ventre), vi. 15 Fordicidia, vi. 15 forma, vi. 78;
viii. 9, 47; ix. 21, 39-41, 82 ; x. 1 (vocabulorum), 22, 27, 49 ;
forma etymologiae, vii. 109 ; formain declinando, ix. 37 ; formae
verborum, ix. 101, 102, 109, 115, x. 56 ; formae Graecae verborum,
x. 70 ; v. similitudi- num formido, vi. 48 formo,
vi. 78 formula, ix. 103 ; x. 44 ; formula numerornm, x. 43 ;
formulae ver- borum, x. 33 ; analogiarum for- mula binaria,
denaria, x. 44 fornices, v. 19 (caeli) ; x. 59 Fortis Fortunae
fanum, vi. 17 ; v. dies 648 Fortuna, v. 74
; vii. 93 ; u. vocabula fortunatum, v. quod bonum forum, v. 47,
145, 148, 149 ; vi. 59 ; vii. 94; ix. 17; t>. Bovariuin,
Cupidinis, Holitorium, Pis- carium, vetus fossa, v. 143
; vii. 100 Fratres, v. Arvales fratria, v. 85 fremere, vi. 67
; vii. 104 fremor oritur, vi. 67 frendit, vii. 104 frequens,
vii. 99 frequentare, vii. 99 fretum fretu, vii. 22 frigidum,
v. 59 ; v. aquae frigus, v. 60 fringuillae vox, vii. 104
fringuttis, vii. 104 fritinnit, vii. 104 frondenti coma, vii.
24 fructus, v. 37, 40, 104 fruges, v. 37, 104 ; frugis frux
(haec), ix. 76; frugis -i -em, ix. 75 frugi (non
frugalus -a) frugalissumus -ima, viii. 77 frumentum, v.
104 fruor, v. 37, 104 fugitiva, v. 5 fulgur, v. 70
fulguritum, v. 70, 150 fullo, vL 43 fulmen, v. 70 fulmentum,
viii. 10 Fulvia, v. Basilica fumificus, vii. 38 fundolus, v.
Ill fundula, v. 145 fundus, v. 37 funesta familia, v.
23 funus, v. indicit, indictivum Furinalis flamen, v. 84 ; vi. 19
; vii. 45 ; Furinales feriae, v. 84 Furnacalia, vi. 13
furo, F. 36 Furrina, v. 84 ; vi. 19 ; vii. 45 Furrinalia, vi.
19 fustes, v. 137 futis, v. 119 futurum, viii. 20, 58
G, v. C ; GL, v. 134 ; GS : X, ix. 44 Gabii, v. 33
INDEX Gabinus ager, v. 33 galea, v. 116
galeritus, v. "6 Galli obsederunt Romam, vi. 32;
decessus Gallorum, vL 18 ; Gallo rum ossa, v. 157 ; vocabula, viii.
65 Gallica (lorica), t. 116 ; (vocabula), v. 167 ; v.
Busta Gallicana, v. lana Gal lice, F. 5. 8 gallina, v.
75 Gallus Gallice, F. 5. 8 ; r. Galli gannit, vii. 103
gargarissare, vi 96 gartibulum, v. cartibulum garum (non gara), ix.
66 gaunaca, v. 167 gausapa, F. 14 a, F. 14 b gemere, vi. 67 ;
gemebam gemo, x. 31 gemini simillimi, x. 4; v. Ianus,
Menaechmi geniculis, ix. 11 gens gentium gentis, viiL
67 gentilicia natura, ix. 59; nomina, ix. 60 Genucins,
M., v. 150 genus, ix- 40, 110 ; x. 8, 16, 21, 29, 31, 33-35,
37, 65; genera, ix. 55- 57, 67, 68, x. 11, IS, 22, 79, F. 10 ;
genus vocale, x. 66; ex eodem genere, viii. 39, ix. 96, x. 37 ;
analogiae genus naturale, volun- tarium, ix. 33 ; genus (vet
genera) nominatus (rel nominnm), ix. 62, x. 8, 21, 65 ;
genera articulorum, x. 30 ; re rum, v. 13 ; verborum, v. 4, 13,
viii. 9, ix. 95, 102; genera a generando, F. 7 a, F. 7 b ; genera
rebus dare, F. 6 ; r. ana- logia, augendi, declinatio, de-
clinatus, femininum, mas, mascu- linum, minnendi, muliebre, natura,
neutrum, principale, virile ; ef mas, neutrum, simili- tudo,
virile geometrae, x. 42 gerit (id est sustinet), vi. 77
; res gerere (non agere, facere), vi 77 Germalus Germalense,
r. Cermalus gerra, viL 55 Geryon Geryoneus Geryones, ix.
90 gignitur, vi 96 git, F. 22 gladiatores,
ix. 71 ; Samnites, v. 142 gladium, v. 116 ; viii. 45 ;
gladium gladius, ix. 81 glandio, vii. 61 ;
glandiumglandula, F. 10 gleba abiecta in sepulcrum, v.
23 glebarii valentes, vii. 74 globi, v. 107 glossae, vii.
10 glossema gloss^mata, vii. 34, 107 grabatis, viii. 32
gradus in lectum, v. 168; gradns agendi, vi. 77, ef. vi. 41,
51; gradus analogiae, x. 83, 84 ; gradus explanandi, v. 7-9 ;
gradus nnme- rorum, ix. 86; gradus singularis denarius centenarins,
ix. 87 Graecanica, x. 71 ; Graecanici nomi- natus, x.
70 Graecanice, ix. S9 Graece, v. 77, 88, 96, 112, 120,
122, 175 ; vi. 4, 6, 10, 84 ; vii. 52, SS ; ix. 89 ; x. 37 ; F. 5.
8 Graecia, v. 21, 96, 124; viL 47, 82. 87, S9 ; ix. 21
Graecostasis, v. 155, 156 Graecus, viL 42 ; Graeca, v. 100
; Graeci 61, vii. 20, 31, 50, 74, 87, 96, viii. 16, 23, 65, ix. 31, 34 ; Graeci antiqui, v.
103, 166; Graeco ritu, viL S8; Graeca figura, v. 119; Graeca
lingua, v. 66, vi. 12, 40, 96, ef. vi 84; Graeca origo, vi 61, 96,
vii. 37, 88, 89 ; Graecus Graece, F. 5. S ; Graecum verbum
rel vocabulum, Graeca verba vtl vocabula, v. 6S, 77, 78, 85,
96, 103, 104, 106, 107, 113-115, 120, 121, 130, 131, 133, 138, 160,
167, 168, 175, 1S2, vi 9, 58, S4 (antiquum), vii 14, 31, 34, 53,
55, 61 (antiquum), 67, 82, 94, 97, 108, x. 70, 71, F. 14 a, F. 14 b
; Graecum nomen, v. 73, 119, ix. 68 ; Graecum cognomentum,
vi. 6S; Graeca oppida, vii 16; r. Aeolis, forma
graguli, v. 76 grallator, vii. 69 649
INDEX grammatica antiqua, v. 7 grammatici, x.
55, 75 granarium, v. 105 grandis olea, v. 108 gran uni, v.
106 greges, v. 76 gubernator, ix. 6 gustat, vi. 84
guttus, v. 124 haedus, v. 97 ; haedi vox, vii. 104 hahac,
vii. 93 harmonicae res, x. 64 Ilarpocrates, v. 57
haruspex, vii. 88 ; haruspices, v. 14S hasta, v. 115
hastati, v. 89 haurierint, F. 29 Hectorem, viii. 72 ; Hectorem -is -a,
x. 71 ; Hectores Hectoras, x. 69 Hecuba, viii. 3 hedus, v.
97 hehae, v. hahae heiulitabit, vii. 103 Helena, viii.
SO Helicon ides, vii. 20 Hellespoutus, vii. 21 hemisphaerium,
vii. 7 Ileraclides Heraclide, viii. 68 Hercules, v. 66 ; vii. 82 ;
viii. 16 (-les -lis, etc.), 26 (-li an -lis) ; ix. 79
(non Hercul) ; Hercules -li -lis, x. 49 ; Herculi immolata
iuvenca, vi. 54 ; Herculi in aram, vi. 54 ; Herculi
decuma, vi. 54 ; Hercules Argivus, v. 45 herma, F. 14 b
herois tritavus atavus, vii. 3 heu, vii. 93 hibernacula, vi.
9 hibernum, vi. 9 ; hibernum domus, v. 162 ; hiberna
triclinia, viii. 29 hie, viii. 22 ; x. 18 ; hi his hibus,
viii. 72 ; hie haec, viii. 45, x. 30 ; hie hi haec hae, viii.
46; hie
hunc, x. 50 hiems, v. 61 ; vi. 9 hilum hila, v. Ill ; hilum
hili, ix. 54 hinnitus, vii. 103 hinnulei, ix.
28 hippos potamios, v. 77 hircus, v. 97 hirpices, v.
irpices 650 hinindo, v. 75 Hispania,
vii. 87 historia (vcrborum), viii. 6 holitor, vi. 64 ;
holitores, vi. 20 Holitorium Forum, v. 146 holus
holera, v. 104, 108, 146 ; x. 50 homo, viii. 11, 12, 14, 44, 52,
79 (non homen) ; ix. 113 ; x. 4, 6, 28, 29 ; hominis, viii. 1 ;
homines, viii. 7, 14 ; homines imperiti et dispersi vocabnla
rebus im- ponunt, x. 60 ; homines emendi, ix. 93 ; hominum
vocabula, v. 80 ; v. nihil, senescendi homunculus, viii.
14 honestum, v. 73 honor publicus, v. 80 ; honos, v. 73
hora, v. 11 ; hora prima, secunda, ix. 73 ; horae lunares, ix.
26 hordeum, v. 106 ; vi. 45 ; ix. 27 horologium ex aqua, vi.
4 horrent, vi. 45 horti, vi. 20 ; hortorum, vi. 146 ;
quae in hortis nascuntur, v. 103 hostia, vii. 31 ; v. agrestis,
infulatae, piacularis hosticus ager, v. 33 Hostilia, v.
Oiiria Hostilius rex, v. 155 hostis, v. 3 humanitas, viii.
31 humanus -a -nm, viii. 47 humatus, v. 23 humectus, v. 24
humidus, v. 24 ; humidum, v. 59 ; humidissimus, v. 24
humilior humillimus, v. 23 humor humores, v. 24, 59-61, 63 humus,
v. 23, 59 hypocorismata, F. 10 I, viii. 67 ; I littera extrita, v. 96 ; I : E,
ix. 106 ; I additum, ix. 76 ; I exitus, x. 62 ; v. E i
(imperative), vi. 96 ; v. ite Iapetus, v. 31 Idus, vi. 14,
28, 29 ; v. Itus, Iuniae ignis, v. 59, 61, 63, 70 ; igne, F. 18 ;
ignis et aqua in nuptiis, v. 61 Ilium, viii. 56, 80
Ilius (non Ilienns), viii. 56 t 80 ; ab Ho, viii. 80 ; Ilia, viii.
56, 80 illex inlex, vi. 95 ; inlicis, vi. 94 ; illici, vi. 94
INDEX illicit, vi. 95 ; v. inlicere
immortales, v. 75 ; immortalia in locis, v. 57 impendium, v.
1S3 ; vL 65 imperandi (facie.s), x. 31, 32 ; in im- perando,
x. 32 ; cum impe ramus, ix. 101 ; r. declinatus imperator, v.
87 ; vi. 77 ; vii 37 impius, vi. 30 impluium, v. 161
imponenda (vocabula), vi 3 impos, r. inpos impositicia
nomina, viii. 5 ; imposi- ticii casus, x. 61 impositio
verborum (vocabulorum), v. 1,3; vi. 3 ; vii. 32, 100, 110 ;
viii. 5, 7; x. 15, 16, 34, 51, 53, 60, 61 impositor, v. IS ;
vii. 1, 2 impositum (verbum, vocabulum, nomenX v. 1-3 ; viii.
1, 9, 10, 22, 27 ; ix. 34, 52 impurro, v. amburvom
inaequabilitas, viii. 28, 30; ix. 1 incertus ager, v. 33 in cess
it, vi. 38 inchoata (=infecta) res, ix. 96; v.
analogia incircum, v. 25 inclinanda verba, x. 13
inclinatio inclinationes, ix. 1, 113 ; c/. x. 13
incommntabilia, ix. 99 incrementum, viii. 17 increpitare, vi.
67 incultus, t\ ager incurvicervicuin, v. 7 indagabilis
ambitus, v. 28 indagare, v. 5 indeclinabilia, x. 14, 79, SO,
S2 ; viii. 9 indicandi, ix. 101 indicit belhun,
vi. 61 ; indixit funus, vi. 61 indicium, vi. 61
indictivum funus, v. 160 ; vii. 42 indiscriminatim, F. 25
indoctus, viii. 62 ; indocti, ix. 22 indusiatam, v. 131 indusium,
v. 131 indutui, v. 131 ; x. 27 infantes, vi. 52 infecta
(verba), ix. 97, 100, 101 ; x. 4S ; infecti verba, ix. 99, 101, x.
33, 4S; infecti tempora, ix. 96; infectae res, ix. 32
; cf. in- choata infeineitei, r. infinite! inferi, vii. 37,
r. deus ; infera loca, v. terra inficientem esse, vi.
7S infima Nova Via, v. 43 infinite* articuli, viiL 50;
infinita natura articulorum, viiL 52 ; in- finitae
naturae verborum, viii. 3 ; infinitum, v.ll, viii. 45, ix. S4
; v. finitum infrequens, 99 infulae, vii. 24
infulatae hostiae, vii. 24 ingeniosi, viii. 15 ingluvies, F.
27 inhumatus, v. 23 inimicitia -am, x. 73 initia, v. 60;
rerum initia, v. 11 ; initiorum quadrigae, v. 12 ; initia
regis, v. S ; initia analogiae, x. 53 ; v. nascendi Sam oth
races inlex inlicis, u. Ulex inlicere populum, vi 90 ;
inliciatur ad magistratus cons pec turn, vi 94
inlicium vocare, visere, vi. S6-S8, 93-95 ; v. illicit
inlocabilem, v. 14 inminutio, F. 31 a inops, v. 92 inpos, v.
4 insane, vii. 86 insicia, v. 110 insidiae, v. 90
insignia militaria, vii. 37 insipitur, v. 105 Insteianns Vicns, v.
52 institutum, x. 27 instrumentum, v, 105 ; instrumen-
tum mulieris, ix. 22 ; v. rustica instil sus, viiL 62
intempesta nox, vi. 7 ; vii 72 Interamna, v. 28 intercisi dies, vi
31 interduo, vii 91 intennestris, vi. 10 interpolate (verba),
v. 3 interrex, vi. 93 interrogando, ix. 32 intertrigo, v.
176 intertrimentum, v. 176 651 INDEX
intervallum mundi motus, vi. 3, cf v. 12
intuiti, vii. 7 intusium, v. indusium inumbravit, vi. 4
invident, vi. 80; invidit inviden- dum, vi. 80 Ion,
viii. 21, 22 Iones, v. 146 ; vi. 9 Ionia, v. 16 ; viii,
21 ircus, v. hircus irpices, v. 136 irundo,
v. hirundo is ea id, ea eae, eius eaius, ei eae, ieis eais,
viii. 51 ; eius viri, eius mulieris, eius pabuli, viii. 51
Isis, v. 57 iste istunc, x. 50 Italia, vii.
86 ite (imperat.), vi. 96 iter, v. 22, 35 Itus
(Tuscorum), vi. 28 iactarier, x. 70 iaculum, v.
115 iam, viii. 9 ianeus, vii. 26 ianitor
ianitos, vii. 27 Ianualis Porta, v. 165 Ianuarius, vi.
34; Kalendae Ianu- ariae, vi. 28 Ianus, v. 165 ; Ianus
geminus, v. 156, cf vii. 26; Iani signum, v. 165
Ioum Ioverum, v. lupiter iuba, vii. 76, cf. vi. 6 iubar, vi.
6, 7 ; vii. 76 iubilare, vi. 68 iucunditas, ix. 46 iudex, vi.
61 ; iudices, vi. 88 iudicare, vi. 61 iudicium, v. addixit,
censorium, decern virum iugerum, v. 35 iuglans, v. 102
Iugula, vii. 50 iugum, v. 135 iumentum, v. 135 iungendi pars,
viii. 44 Iuniae Idus, yi. 17 ; lunius mensis, vi. 17,
33 iuniores, vi. 33, (declinationes) x. 71 ; v. iuvenis
Iuno, v. 65, 67 ; Iunonis, viii. 49 ; 652
IunoCovella, vi. 27 ;aedes Iunonis Lanuvi, v. 162 ; Iuno Lucina,
v. 69, 74 ; aedes Iunonis Lucinae, v. 50 ; Iucus Iunonis Lucinae,
v. 49 ; Iuno Regina, v. 67 ; v. Caprotina, lupiter, terra
lupiter, v. 65, 67, 84 ; vi. 4 ; vii. 12, 16, 85 ; lupiter non
lous, viii. 74 ; lupiter Iovi, viii. 34, x. 65 ; Inppitri, viii. 33
; lupiter Iovis Iovem, viii. 49 ; Iovis Iovem Iovi, viii. 74 ; Ioum
Ioverum, viii. 74 ; aedes Iovis, v. 41 ; aedes (Iovis) in
Capitolio, v. 158 ; ara Iovis Vimini, v. 51 ; sacellum Iovis Iunonis
Minervae, v. 158 ; dies Iovis non Veneris, vi. 16 ; Iovis Iuno
coniunx, v. 67 ; Iovis filium et filiam (non) Iovem et Iovam, ix.
55 ; antiquius Iovis nomen, v. 66 ; v. Elicii, Fagutal iurgare,
inrgium, vii. 93 ius, v. ex hire, praetorium Iuturna lympha, v.
71 iuvencus, v. 96 ; v. Hercules iuvenis iunior, F. 31 a, F. 31
b Kalendae, vi. 20, 27-29 ; v. lanuariae kalo, vi. 16,
27 L, v. G ; L : S, v. 79 Lacedaemonii, v. 146 lact, v.
104 lactuca, v. 104 lacus, v. 26 ; v. Curtius,
Cutiliensis, Velini laena, v. 133 laeta, vi. 50
laetari, vi. 50 laetitia, vi. 50 Iana, v. 113, 130, cf. 133 ;
vii. 24 ; ix. 92 ; lana Gallicana et Apula, ix. 39 ; v.
carere, vellere lanea, v. 130 Iangula, v. 120 laniena, viii.
55 Lanuvium, v. 162 lanx lance, x. 62 lapathium, v. 103
lapicidae, viii. 62 lapidicinae, v. 151 Larentalia, vi. 23
Larentia, v. Acca INDEX Larentinae dies,
vL 23 Lares, v. 74 ; Lares Lasibus, vi. 2 ; Lares
viales, vi. 25 ; La rum Quer- quetulanum sacellum, v. 49 ; v.
Mania Larisaeus, v. Argus Larunda, v. 74 Lasibus, v.
Lares lata latae, x. 24 Latiaris Collis, v. 52 Latinae
feriae, vi. 25, 29 Latine, vL 6, 84 ; vii S9 ; ix. 89 Latinus
(rex), v. 9, 32, 53, 144; Latinos (adj.\ v. 29, passim;
Latinus casus sextus, x. 62 ; La t inum vocabulum, Latina
vo- cabula, v. 29, 68, 78, 79, 103, 167, vi. 35; Latini
populi, vi. 25; Latini, v. 30, 43, 69, vi 25, vii. 23, 36,
viii. 23, ix. 34; r. lingua, litterae, nomen, sermo, verbum
latiores, x. 29 Latium, v. 21, 29, 30, 32, 42, 57, 79,
S4, 96, 97, 100, 143, 144, 162; vi 16, 18 ; vii. 35 ; ix. 34, 59
Latius ager, v. 32 La to, vii. 16 latomiae
lautumia, v. 151 Latona, vii. 16 Latonius, viii. 19 latrat,
vii 103 latratus, vii. 32 latrocinatus, vii 52 latrones, vii
52 latrunculis ludere, x. 22 laudo laudamns, x, 33 Laurentes,
v. 152 Lauretum, v. 152 lautolae, v. 156 lautumia, v.
latomiae lavatrina, v. 118 ; ix. 68 J^avemae ara, v. 163 La
vernal is Porta, v. 163 Lavinia, v. 144 Lavinium, v. 144
lavo lavor lavat lavator lavare lavari tautus sum, ix. 105-107
; lavo lavi, F. 5. 6; lavor lavi, F. 5. 7 lea, F.
3 leaena Leaena, v. 100 lecte lectissime, vi 36
lectica, v. 166 lectio, vi 36 lectito, x. 33
lector, vi. 36 ; viii 57 lectus lectulus, ix. 74 ; lecti, viii 32 ;
ix. 47 ; lectulorum vocabula, v. 166 ; lectus mortui, v. 166 ;
v. pes legasse mille aeris, ix. 83 legati, v. 87
; vi. 66 legio, v. 87, 89; vi 66; miles legionis,
militis militem legionis, ix. 54 legitima, vi 66
lego, vi 36, 37 ; viii. 44 (lego legens), ix. 102 ; x. 33 ;
lego legis, x. 4S ; lego legis legit, ix. 32, 101 ; lego legis
legit legam, vi. 37 ; lego legam, ix. 96 ; lego legi x. 25, 48 ;
legi lego legam, viii 3, 9, ix. 96 ; lege bam lego legam, ix. 32, x.
31, 47, 48; legit, viii 11 ; leges lege, vi 36 ; lege legito legat,
ix. 101 ; legere, vi. 66 ; legisti, vi 35 ; legi legisti, x. 48 ;
legor, viii. 53 ; legone legisne, x. 31 ; legens lec- turus, vi 36
; v. flamen legulus, v. 94 ; leguli, vi 66 leguruina, vi.
66 Lemnia litora, vii 11 ; Lemnius Philoctetes, vii
11 lentes, ix. 34 leo, v. 100; vii. 76; leones,,vii
40 ; leonis vox, vii. 104 Leontion, F. 38 lepestae, v.
123 lepus, v. 101 ; viii. 68 ; ix. 91, 94 ; x. 8 ;
lepus leporis, F. 5. 6 ; lepus lepori, viii 34 ; le pores, ix. 94
Lesas non Lesius, viii 84 Lesbo vinum, ix. 67
letum, vii 42 ; v. ollus lex, vi 71 ; lex legi, x. 47 ;
leges, vi. 60, 66, vii 15, ix. 20; v. poetica, vetus
libella, v. 174 ; x. 38 Libentina, v. Venus
Liber, vii. 87 ; Liberi cognomentum Graecum, vi 68; Liberi
fannm, v. 14 ; sacerdotes Liberi anus, vi. 14 ; v. Loebeso
Liberalia, vi. 14 liberi, ix. 59 ; v. deus, servus
liberti, v. Romanus libertini a mnnicipio mannmissi,
653 INDEX viii. 83 ; orti a
publicis servis Romani, viii. 83 Libethrides, vii. 20
libidinosus, vi. 47 libido, vi. 47 ; x. 60, 61 ; v. lubido
Libitina, v. Venus Libo, v. Poetelius libra, v. 169, 174, 182 ;
vii. 14 ; v. aes librarii, viii. 51 ; ix. 106 libum, v. 106; libum
libo, ix. 54; liba, vii. 44 Libya, vii. 40 ; viii. 56
Libyatici non dicitur, viii. 56 Libyci, vii. 39 lictores, vii.
37 ligna, vi. 66 lignicidae non dicitur, viii. 62
ligo, v. 134 lilium, v. 103 lima, vii. 68 ;
limae, x. 14 limax, vii. 64 lingere, vi. 90
lingua Latina, v. 1, 29 ; vii. 55, 110 ; viii. 58 ; ix. 113 ;
lingua nostra, v. 3, 29 ; v. Armenia, Graecus, Osca,
Sabinus lingula, vii. 107 lingulaca, v. 77 lintres non
lintreis, F. 20 linum lino, ix. 54 liquidum, vii. 106
liquitur, vii. 106 lis, vii. 93 liticines, v. 91 ; vi.
75 litora, v. Lemnia litterae, v. 30; vi. 2, 66; vii.
2; viii. 63 ; ix. 52 ; x. 25, 26, 55, 82 ; antiqnae litterae, v.
143, vi. 33 ; litterae Latinae, v. 73, vii. 2, ix. 51 ; litterae
Graecae, viii. 64, 65 ; interpretationein exili littera ex-
peditam, vii. 2 ; littera praeterita, vii. 2 ; littera extrema, ix. 44,
x. 21, 25; littera extrita, v. 96; litteram adicere, vii. 1 ;
litteras assumere, vi. 2 ; litteras mittere, vi. 2 ;
litteraruin vocabula, ix. 51 ; v. additio, commntatio, demptio,
discrimina, productio, traiectio lixulae, v. 107
locare, v. 14, 15 locarium, v. 15 locatum, v, 14
654 locus, v. 11-15, 57; viii. 12; loca,
vi. 97, vii. 5 ; loca agrestia, vii. 10 ; loca Europae, v. 32 ;
loci muliebres, v. 15 ; loca naturae, v. 16 ; loca urbis, v. 45 ;
origines locorum, vii. 110 ; vocabula vel verba locorum, v. 10,
184, vi. 1 ; v, animalia, caelum, Caeriolensis, terra, Tutilinae,
urbs Loebeso (=Libero), vi. 2 logoe, x. 43 (duplex,
decemplex), cf. x. 2, 37, 39 lolligo, v. 79 longavo, v.
Ill longus, viii. 17; longiores, x. 29 loquax, vi. 57
loquela, vi. 57 loquor, viii. 59 ; loquontur, vi. 1 ; loqui,
vi. 56 ; loquens locuturus locutus, viii. 59 ; v. concinne,
disciplina lorica, v. 116 Lua Saturni, viii. 36
Lubentina, v. Venus lubere, vi. 47 lubido
hominum, x. 56 ; lubidinem, F. 4 ; v. libido Luca bos, vii.
39, 40; Lucana bos, vii. 39 Lucani, v. 32, 111; vii.
39, 40 ; Lucana origo, v. 100 Lucanica, v. Ill lucere,
vi. 79 Luceres, v. 55, 81, S9, 91 lucerna, v. 9, 119
Lucia, ix. 61 ; Lucia Volumnia, ix. 61 Lucienus, vi.
2 Lucina, v. Iuno lucifer (stella), vii. 76
Lucius, ix. 60 ; Lucii, vi. 5 ; v. Aelius ; cf. Lucia
Lucretia, vi. 7 lucrum, v. 176 Lucumo, v. 55 lucns, v.
Esquilina, Facntalis, Iuno, Mentis, Poetelius, Venus ludens,
vi. 35 ludus, ix. 15 ; ludi qnibus virgines Sabinae raptae,
vi. 20; v. Apol- linares, dicta ta, Taurii lumariae falces,
v. 137 lumecta, v. 137 lumen facere, vi. 79
INDEX Luna, luna, v. 68, 69, 74 ; vi. 10
; vii. 16 ; is. 25 ; v. hora, nova lunaris, t*. hora
luo luam, viii. 36; luit, ix. 104; luendo (id est solvendo),
vi. 11 ; v. sol vii nt Lupe (voc.), vii. 47 Lupercal,
v. 85; vi. 13; Luper- calia, vi. 13 ; Lupercalibus, v. 85
Luperci, v. 85; vL 13; Luperci nudi, vi. 34 lupinum, ix.
34 lupus, v. 77 (piscis) ; ix. 28 ; lupus lupi, F. 5. 6 ;
lupus lupo lupe, viii. 34, 68, ix. 91, 113 (piscis) ; lupi
vox, vii 104 lusciniola, v. 76 luscus (non luscior
luscissimus), ix. 72 lustra re, vi. 93 lustrum,
vi. 11, 22 ; lustrum facere, condere, vi. 87 Intra, v.
79 lux, vii. 40 ; v. primo Lyde, vii. 90 lympha, v. 71
; vii. 87 (a Nympha) ; v. Commotiles, Iuturna lymphata,
lymphatos, vii. S7 Lysippus, ix. 18 M : N, vi. 75
Macedonia, vii. 20 Macellnm, v. 14C, 147, 152 Macellus, v. 147
macer macri mac nun, ix. 91 ; x. 28 ; macer macricolus
macellus, viii. 79 ; macri, vi. 50 ; macrior inacer-
rimus, viii. 77 Maecenas (non Maecenius), viii. 84 Maelius
(et eius domus), v. 157 maerere, vi. 50 Maesinm, v. Mesium
niagida, v. 120 magis, viii. 9 ; ix. 73 magister equitum, populi,
v. 82 ; vi 61 magistratus, v. 82 ; vi. 87, 91 ;
viii. 83 ; v. vitio magmentaria fana, v. 112 magmentum,
v. 112 magnetae lapides, ix. 94 magnitude ix. 74 ;
magnitudinis vocabula, viii. 79 magnus, v. deus, pes
maiores, v. 5 ; vi. 17, 33 ; ix. 16 Mains (mensis), vi.
33 malaxare, vi. 96 malum, v. 102; mala, ix. 92; v. Punicum malus mali,
x. 68 ; malum peius pessimum (non malius malis- simum), viii. 75,
76 (peium non dicitur) ; v. bonum, dolus malva, v. 103 ;
malva malvaceus, F. 10 Mamers (Sab.), 73 mammosae,
viii. 15 Mamuri Veturi, vi.
49 mancipium, vi. 85 ; vii. 105 mandier, vii. 95
manducari, vii. 95 Manducus, vii. 95 mane, vi. 4
; (manius manissirae non dicuntur) viii. 76, ix. 73;
magis mane surgere, ix. 73 ; primo mane, ix. 73 Manes,
v. 148 ; v. dens Mania mater Larum, ix. 61 manica, vi. 85
manicula, v. 135 Manilius Maniliorum, viii. 71 manipularis, vi.
85 manipulus, v. 88; vi. 61, 85 Manius, ix. 60 Manlius, T.,
consul, v. 165 mantel ium, vi. 85 manubrium, vi. 85 ; manubria,
viii. 15, cf. v. 118 manum ( = bonum), vi. 4 manumissi,
viii. 83 ; v. vitio manupretium, v. 178 ; vi 85 manus, vi. 85 ; ix.
80 ; quae manu lacta, v. 105 ; v. adserere, con- serere
mappae tricliniares, ix. 47 mareescere, vi 50
Marcius Marci, viii. 36 Marcus Marci, viii. 36 ; Marcus
Marco, viii. 46, x. 51 ; Marcus non Marca, ix. 55 ; v. Perpenna
margaritum margarita margiiri- tarum, F. 14 c. Maro, v.
14 Mars, v. 73 ; vi. 33 ; Mars Martes, x. 54 ; Marspiter
Marti, x. 65 ; Maspiter, viii. 49 ; Maspiter sed non Maspitri
Maspitrem, ix. 75 ; Marspitrem, viii. 33 655
INDEX Martialis (fiamen), v. 84 ; vii. 45 ;
v. Flaccus Martius (mensis), vi. 33 ; Martius campus,
v. 28, vi. 13, 92 mas femina, v. 5S, 61 ; viii. 7, 40 ; ix.
38 ; mas femina neutrum, ix. 55, 57, 59, 62, c/. viii. 36, 47, 78,
x. 22 ; v. genus ; c/. virilia masculinum, F. 14 a, F. 14 b ;
mas- culino genere, F. 11 Maspiter, v. Mars matellio,
v. 119 mater, x. 41 ; matres familias, vii. 44 ; v.
Mania, Ops, terra materia, x. 11, 36 Matralia, v. 106 mattea,
v. 112 matula, v. 119 Maurus Maurice, F. 5. 8 maximus, v. Circus,
Cluaca Mecinus, v. maximus media, v. 118 ; media nox, x. 41 ;
media vocabula, viii. 79
medicina ars, v. 93 ; vii. 4 ; ix. Ill medicus, v. 8, 93 ; ix. 11 ; x.
46 Meditrinalia, vi. 21 Mefitis lucus, v. 49 Megalesion, vi.
15 ; Megalesia, vi. 15 mel mellis melli melle, viii. 63 melander,
v. 76 Melicertes Melicerta, viii. 68 ; ix. 91 melios, vii.
26; meliosem, vii. 27; v. bonus melius, v. bonus
Melius, v. Maelius meminisse, vi. 44, 49 memoria, vi. 44, 49
Menaechmum -mo, x. 38 ; Me- naechmi gemini, viii. 43
mendicus, v. 92 mens, v. 59 ; vi. 43-45, 48, 49 ; mens
mentium mentes, viii. 67 ; mentes non menteis, F. 20 ; v. agitatus
mensa, v. 118; vii. 43; v. escaria, urnarium, vasaria,
vinaria mensis, v. 69 ; vi. 10, 33 ; mensium nomina, vi. 33 ;
v. novus, lanu- arius, Februarius, Martius, Aprilis, Maius, lunius,
Quintilis, Septembres, October, December menstruae, v.
feriae mensura, ix. 67 ; mensura ac pon- dera, ix. 66
menta, v. 103 656 meo meas, ix. 109
mera ( = sola), v. 76 merces, v. 44, 175, 178 ; .vii. 52 ;
viii. 19 ; merces non merceis, F. 20 mergus, v.
78 meridies, vi. 4 ; vii. 7 ; x. 41 merula, v. 76 ; ix. 28,
55 (non meru- lus) ; merula merulae, x. 66 ; merulae
vox, vii. 104 Mesium rnstici, non Maesium, vii. 96
messor, viii. 57 Metellus Metella, ix. 55 meto
metis, x. 31 ; meto me tarn metebam, ix. 89 ; metendo, viii.
57 Meto Metonis Metonem, ix. 89 Mettius, v.
Curtius metuere, vi. 48 ; metuit (non sperat), vi. 73 ;
metuisti, vi. 45 metus, vi. 45 Mico, ix. 12 miliariae (aves),
v. 76 miliariae (decuriae numerorum), ix. 87 ; miliaria
(vocabula), ix. 85 miliens, ix. 88 militare aes, v. 181 ; v.
raudus ; militaria, v. insignia, ornamenta milites, v. 89 ;
milites aerarii, v. 181 ; militis stipend ia, v. 182 ; v.
legio, tribuni milium, v. 76, 106 mille milia, ix. 82, 85, 88
; mille aeris, ix. 83 ; hi, hoc, hums, horum mille, ix.
S7, 88 ; haec duo milia, ix. 87 Minervae, v. 74 ; aedes
Minervae, vi. 17 ; v. Iupiter Minervium, v. 47 minima
vocabula, viii. 79 minores, ix. 87 minuendi (genus
declinationis), vii. 52 minusculae, v.
Quinquatrus minuta opera, v. Myrmecidis miraculae, vii. 64
miriones,' vii. 64 miser, v. 92 mitra, v. 130 moenere, v.
141 moenia, v. 141 nioeras, v. 141; mocri, vi. 87; v.
mums INDEX mola (sale et farre), v. 104 ;
molae, v. 13S monere, vi. 49 ; monerint, vii. 102
monimenta, vi. 49 monitor, v. 94 montes (Romae), v. 41 ; vi.
24 ; monte, F. 18 ; monti monte, ix. 112 ; montes
montis, viii. 66 ; v. Albanus, Caelius, Cespius, Op-
pius, Ripaei, Saturnius, Tarpeius morbus, v. quartus,
septumus mors, v. vita mortales, v. 75 ; mortalia in
locis, v. 57 morticinum, vii. 84 mortui lectus, v.
lectus motacilla, v. 76 motus, v. 11, 12 ; vL 3, 4, 8 ; ix.
34 (caeli) ; motus in mari, ix. 25 ; v. sol mox, x. 14, 79,
80 Mucialis collis, v. 52 Mucionis porta, v. 164 Mucins, Q.,
vL 30; viii. 81; Muci et Bruti sedulitas, v. 5 ; Mucia, viii.
81 Mugionis, t?. Mucionis mugit, vii. 104 mulgere, vi.
96 muliebre, viii. 46, 51 ; muliebria, ix. 41, 48, 110,
x. 30; nomina muliebria, viii. 36 ; v. locus, mun- dus, stola,
tunica mulier, viii. SO ; x. 4 ; mulieris, mulieribus, viii.
51 ; praenomina mulierum antiqua, ix. 61 ; v. antiqua, cum
muliere multa, v. 95, 177 multitudo multitudinLs, viii.
7, 14, 36, 46, 4S, 60, 66, 67 ; ix. 64-66, 68, 69, 76, 81, 82, 84,
85, 87 ; x. 28, 33, 36, 54, 56, 58, 59, 66, 83 ; multitudinis
solum, ix. 63, x. 54, 66; multitudinis vocabula, ix. 64, 65 ;
multitudo verborum, vi. 35, 40 ; v. copulae miilas mula, ix.
28 ; v. mutunm mundus, vi. 3; (=ornatus mulie- bris), v. 129
; v. iutervallum, terra municipes, v. 179 municipium,
viii. 83 munus, v. 141, 179 muraena, v. 77 ; ix. 2S,
113 Murciae, v. Circus VOL. II
Murmecidis, v. Myrmecidis murmurantia litora, vi. 67
murmurari, vi. 67 murtatum, v. 110 Murteae
Veneris sacellum, v. 154 murtetum, v. 154 murus, v. 143
; v. circum, moerus, postici, Saturnii, terreus Musa, ix. 63;
Musae, vii. 20, 26, ix. 64 musica, ix. Ill mussare, viL 101"
mustela, ix. 113 muti, vii. 101 Muti, v.
Mucins mutuum, v. 179 ; mutua muli, vii. 23
Myrmecidis opera minuta, ix. 108 ; obscuram ope ram
Myrmecidis, viL 1 mysteria, vii. 11, 19, 34 mystica
vada, vii. 19 X, cf. M Naevia Porta, v. 163; Naevia
nemora, v. 163 naevus, F. 13 nanus, v. 119; narratio,
vi. 51 narro, vi. 51 narus, vi. 51 nascendi initia, v.
15 *, causa, v. 61 ; cf. v. 60, 70 natare, viii. 74 ; ix.
71 natator, v. 94 natura, ix. 37, 38, 58, 62, 63, 70,
72, 76, 78, 94, 101 ; x. 15, 17, 24, 41 (quadruplex), 51-53, 55,
56, 60, 61, 83, 84, F. 6 ; natura novenaria, octonaria, ix. 86;
natura ser- monis, viiL 25 ; natura verborum, viii. 43, x. 51, 74 ;
naturae verbi naturarum genera, x. 28 ; v. copulae, gentilicia,
infinitei, locus uatvLralis, v, casus, declinatio, dis-
crimen, genus naviculae ratariae, vii. 23 na\is longa, viL 23
; nave, F. 18 Xeapolis (Novapolis), v. 85 ; vi. 58 necatus sum
necor necabor, x. 48 necessitas, viii. 31 nefas, vi. 30, 31
nefasti, v. dies u nemus nemora, v. 36 ; ix. 94 ; x. 8,
50 ; v. Naevia neo nes, ix. 109 Neptunalia, vi. 19
Neptunus, v. 72 ; vi. 19 ; v. Salacia nequam, x. 79-81
Nestor, viii. 44; Nest6rem Nestoris, viii. 72, x. 70 ; Nestores
Nestoras, x. 69 neutrum, viii. 46, 51 ; ix. 41 ; x. 8,
31 (neutra) ; F. 8 (genus) ; v. mas, simile nexus,
nexum, vii. 105 niger nigricolus nigellus, viii. 79 nihil nihili,
ix. 53 ; nihili nihilum, homo nihili (non hili), ix. 54,
x. 81 nobiles nobilitas, viii. 15 Noctiluca, v. 68 (et
eius templum) ; vi. 79 noctua, v. 76 noctulucus, v.
99 Nola, Nolani, viii. 56 nolo, x. 81 nomen nomina,
viii. 13, 14, 40, 45, 53, 56, 80 ; ix. 40, 43, 52, 54, 89, 91 ; x.
20, 21, 27, 53, 54, 65, 80 ; nomen an vocabulum, viii. 40 ; nomen
commune, ix. 89 ; nomen Lati- num, v. 30, 119 ; Latina nomina,
vii. 109 ; nomina nostra, vi. 2, viii. 64, 84 ; v. deus,
dies, Graecus, impositicia, Iupiter, mensis, muliebre, Persarum,
pisces, pro- prio, servile, servus, Syriacum, tralaticio, translaticium,
virile nomenclator, v. 94 nominandi casus, viii. 42 ;
ix. 76, 77 ; x. 23, 65 ; nominandi genus declinationis,
viii. 52 ; v. casus nominare, vi. 60 nominativus, x. 23
nominatus, viii. 45, 52, 63 ; ix. 69, 70, 95, 102; x. 18, 20, 21,
30; v. exitus, Graecanica, species Nonae, vi. 27-29; v.
Caprotina, Februarius nonaginta, ix. 86, 87 Nonalia
sacra, vi. 28 nongenta, ix. 86, 87 non hili, v. nihil
nonussis, v. 169 nostri, v. 36, 100, 166 ; vi. 2, 6 ; vii.
39, S7, 83 ; ix. 69 ; x. 71 ; nostra 658
memoria, vi. 40 ; v. antiqua, colonia, consuetudo, deus, no-
mina, provincia, sacerdotes, sacra, verba, vetus, vocabulum
nothum (genus similitudinis), x. 69 ; notha (verba), x. 70 ;
nothae declinationes, x. 71 novalis (ager), v. 39 ; vi.
59 nova luna, vi. 28 Nova Via, v. 43, 164; vi. 2t,
59; v. infima Novapolis, v. Neapolis novem, ix. 86,
87 novenarius, v. natura, numerus Novendiales, vi. 26
Novensides, v. 74 novicius, vi. 59 ; novicii servi, viii. 6
novitas, vi. 59 no\iis annus, mensis, sol, vi. 28 ; sub
Novis, vi. 59 ; novius novis- simum, vi. 59 ; novissimum ves- per,
ix. 73 ; v. fabulae, nova luna, Nova Via, senex, verbum nox,
vi. 6 ; x. 14, 41 ; v. dies, in- tempesta, silentium Numa, v.
Pompilius numen, vii. 85 Nuraerius (non Numeria), ix.
55 numerus, ix. 66, 67, 81, 85 ; x. 65 ; numeri, ix. 65, 84, 87, x.
41, 43 ; numerus novenarius, ix. 86 ; de- narius, v. 170 ;
duodenarius, v. 34 ; centenarius, v. SS ; numerus singularis, v. 169 ; numerus
ver- borum, vi. 38, 39, viii. 3 ; numeri antiqui, ix. 86 ; finiti,
x. 83 ; v. actus, decuriae, formula, gradus, regula
nummi, v, 173, 174 ; ix. 80, 85 ; x. 41 ; v. addici
nuncupare, vi. 60 nuncupatae pecuniae, vi. 60 nuntium, vi. 86
nuntius, vi. 58 nuptiae, v. 72; vi. 70; vii. 28, 34; x.
66, 67 (non imptia) ; v. ignis nuptu ( = opertione), v. 72 nuptus,
v. 72 nutus, vii. 85 mix, v. 102 Nympha, v. lympha
O exitus, x. 62 obaeratus, vii. 105 INDEX
obiurgat, vii. 93 obliqui casus, viii. 1, 2, 6, 7, 16,
46, 49, 51, 69, 7-t ; ix. 43, 54, 70, 75- 77, 79, 80, 89, 90, 103 ;
x. 22, 44, 50-52, 58, 59 ; obliquae figurae, x. 53 ; obliquae
declinationes, x. 44 ; obliqui versus, x. 43 obi i via verba,
v. 10 oblivio, v. 5 ; vii. 42 obscaenum obscenum, vii.
96, 97 obscuritas verborum, vi. 35, 40 ; obscuritates
grammatieorum, x. 75
obsidium, v. 90 occasus (solis), vi. 4, 5 ; vii. 7, 51
ocimum, v. 103 ocrea, v. 116 October mensis, vi.
21 octonaria, v. natura odor olor, vi. 83
odora res, vi. 83 odorari, vi. S3 odoratus, vi.
83 offula, v. 110 olea, v. 108 olet, vi.
83 oleum (non olea), ix. 67 olitores, v. hoi i tores
olitorum, v. Holitorium ollaner, v. olla vera olla vera arbos, vii.
8 ollicoqua, t>. exta ollus olla, vii. 42 ; olla centuria,
vii. 42 ; ollus leto datus est, vii. 42 olor, v. odor
olus olera, v. holus Olympiades, vii. 20 Olympus,
vii. 20 omen, vi. 76 ; vii. 97 omnicarpa, v. 97
Opalia, vi. 22 Opeconsiva, vi. 21 opercula, v.
167 operimenta, v. 167 Opimia, v. Basilica
opinio, v. 8 oppidum, v. 8, 141 ; x. 20 ; oppidum in
circo, v. 153 ; oppida condere, v. 143 ; v. antiqua, Graecus
Oppius Mons, v. 50 Ops, v. 57, 64 (mater), 74 ; vi 22 ; Ops
Consiva (et eius sacrarium), vi. 21 ; v. terra
optandi species, x. 31, 32 ; in op- tando, ix. 32
optimum, v. bonus optiones, v. 91 opulentus, v. 92 opus, v.
64 oratio, vi. 64, 76 ; vii. 41 ; viii. 1 (tripertita), 38,
44 ; ix. 9, 11, 30, 32, 33, 35, 36, 45, 46, 48, 56, 112 ; x. 14,
42, 49, 55, 64, 65, 6S, 77 (vocalis), 79; oratio poetica, vi. 97 ;
oratio soiuta, vi. 97, vii. 2, 110, x. 70 ; v. partes, scientia
orator, vi. 42, 76 ; vii. 41 ; viii. 26 ; ix. 5, 115
orbis, v. 143 ; orbe, F. 18 orchitis, v. 108
Orcus, v. 66 ; vii. 6 ordo, x. 67; ordo declinatuum, x.
54 ; ordines transversi et derecti (vel directi), x. 22, 23, 43
oriens, vi. 4 ; vii. 7 origo, origines verborum, v. 3, 4,
6, 7, 92, 166; vi. 1, 37, 97; vii. 4, 47, 107, 109 ; viii. 58 ;
origo duplex, vii. 15 ; origo nominatus, ix. 69 ; v. Graecus,
locus, Lucana, poetica, Sabinns, similitudo Orion, vii.
50 ornamentum, vi. 76 ; ornamenta militaria, vii.
37 ornatus (muliebris), v. 129, c/. v. 167 oro,
vi. 76 ; v. causam ortus, v. hortus ortus (solis), vi, 6 ;
vii. S3 ; (Luci- feri), vii. 76 os exceptum, v. 23 ; ossa, v.
Galli Osce, v. 131, F. 5. 8 Osci, vii. 29, 54 ; Osca lingua,
vii. 28 ; Oscus Osce, F. 5. 8 oscines, vi. 76 osculum,
vi. 76 osmen (=omen), vi. 76 ; vii. 97 ostrea, v. 77
ovile, viii. 18, (non ovarium)
54 ; ovilia, ix. 50 ovillum pecus, v. 99 ovis, v. 96 ;
viii. 46, 54 ; ix. 76 (non ovs), 113 ; ovis ovi, viii. 34 ;
ovi ove, viii. 66 ; oves ovium, viii. 70, ix. 26 ; v.
peculiariae ovum, v. 112 oxo, F. 24 C59
INDEX pa (=patrem), vii. 27 pabulum, viii. 51 Paganalia, vi. 24 paganicae (feriae),
vi. 26 pagus, vi. 26 ; v. Succusanus pala, v. 134 Palanto, v.
53 Palatina tribus, v. 56 ; regio, v. 45 ; Palatini, v. 53,
54 ; Palatinum, t>. antiqua Palatium, v. 21, 53, 68
(Bal-), 164 Palatua diva, vii. 45 Palatualis flamen, vii. 45
Pales, v. 74 ; vi. 15 Palilia, vi. 15 palla, v. 131
Pallantes, v. 53 pallium, v. 133, 167 ; viii. 28 ; ix. 48
palma, v. 62 palpetras, non palpebras, F. 23 Paluda,
vii. 37 paludamenta, vii. 37 paludatus, vii. 37
palus, v. 26 panarium, v. 105 Pandana Porta, v.
42 pandura, viiL 61 panificium, v. 105
panis, v. 105 ; panis pastillus pas- tillum, F. 10
pannus, v. 114 panther, v. 100 ; panthera, v, 100, (non
pantherus) ix. 55, F. 3 ; pantherae, vii. 40 Pantheris, v.
100 panuvellium, v. 114 Pappus, vii. 29, 96
parapechia, v. 133 Parcae, vi. 52 Parentalia, vi.
23 parentant, vi. 23 ; parentare, vi. 13, 34 parentum
parentium, viii. 66 paries, ix. 41 Paris, vii. 82 ; viii. 80
; Paris Pari, viii. 34 parma, v. 115 Parma (urbs),
viii. 56 Parmenses (non Parmani), viii. 56 paro paretur parator, x.
32 ; paro paravi, F.*5. 6 partes animae, ix. 30; partes
ora- tionis, viii. 11,
38, 44, 53, x. 7, c/. vi. 36, viii. 48, ix. 31, x. 17 ;
660 v. casuale, ex quadam, scaena,
templum, urbs participalia, x. 34 participia, viii. 5S ; ix. 110 patella, v.
120 patena, v. 120 pater, v. 65 ; x. 41, 59 ; pater
patres, viii. 48 ; pater familias, patres familias familiarum,
viii. 73; patres ( = sena tores), vi. 91; v. Dis, Falacer paterae,
v. 122 patiendi, v. faciendi patricus (casus), viii.
66, 67 ; ix. 54, 76, 85 ; ef. viii. 16 patrius casus, F.
17 Patulcium, vii. 26 pauper, v. 92 ; pauper (sed
non paupera) pauperrumus pauper- rima, viii. 77 ; pauper
pauperior, F. 31 a pavet, vi. 48 pavo, v.
75 pavor, vi. 48 pec ten, v. 129 pectere,
vi. 96 pectunculi, v. 77 peculatus, v. 95
peculiariae oves, v. 95 peculium, v. 95 pecunia,
v. 92, 95, 175, 177, 180, 1S1 ; vi. 65, 70 ; pecunia debita, vii.
105 ; pecuniae signatae voca* bula, v. 169 ; v. nuncupatae
pecuniosus, v. 92 ; viii. 15, 18 pecus (pecoris), v. 80, 95,
110 ; vii. 14 ; ix. 74 ; pecudem, v. 95 ; peendis caro, v. 109 ;
pecus ovil- lum, v. 99 ; v. ago pedem posuisse, v. 96
pedica, v. 96 pediseqnus, v. 96 peius, v.
malum pelagus sermonis, ix. 33 Peles, x. 69
Pelium, vii. 33 pellesuina, viii. 55 pellexit,
vi. 94 pelliaria taberna non dicitur, viii. 55
pellicula, vii. 84 peloris, v. 77 pelvis, v.
119 penaria, v. 162 Penates, v. deus
INDEX pensio prima, secunda, etc, v. 183
Percelnus Percelna, viii. SI percubuit, ix. 49 percutio
percussi percutiara, ix. 9S perdnellis, v. 3 ; vii. 49
peregrinus, v. 3; peregrinus ager, v. 33 ; peregrina vocabula, v.
77, 100, 103, 167 perfectum, ix. 100, 101; x. 43;
perfecti (verba), ix. 96, 101, x. 33, 4S; perfecta, ix. 97, 99, x. 4S ;
perfectae res, ix. 32, 96 ; v. analogia, similit\ido Pergama,
vi. 15; Pergamum, viii. 56 Pergamenns (non Pergamns
-a), viii. 56 pergendo (=progrediendo), v. 33
periacuit, ix. 49 peripetasinata, v. 168 peristromata, v. 16S
peraa, v. 110 perorat, vi. 76 Perpenna, viii. 41, SI (non
Per- pennus), ix, 41 ; x. 27 ; Marcus Perpenna, viii. SI
Persarum nomina, viii. 64 persedit, ix. 49
perseverantia, v. 2 persibus, viL 107 personae,
verbi, viii. 20 (qui loqueretur, ad qnem, de quo) ; ix.
32, 95, 100-102, 108, 109; x. 31, 32 ; v. copulae,
secunda perstitit, ix. 49 pertinacia, v. 2 pervade, v.
polum pes, v. 95 ; pes lecti ac betae, vi. 55 ; pes magnus,
v. 95 ; v. pedem pessinium, v. malus phalera -am, x. 74
phanclas, v. zanclas Phanion, F. 3S Philippi caput, ix. 79
Philolacho, ix. 54 Philomedes -des, viii. 68 ; ix. 91 philosophia,
v. 8 Phoenice, v. 31 Phoenicum, v. Poenicum Phryx Phryge
Phryges, ix. 44 physici, v. 69 ; x. 55 piacularis hostia, vi.
30 piaculum, vL 29, 53 pila terrae, vii. 17; pila
aequa, vii. 19 pilani, v. 89 pill in corpore, vi.
45 pilum, v. 116, 138 pingo pingis, x. 31 ; pingo
pinxi, F. 5. 6 pinnae, v. 142 pinus, v. 102
pipatus pullorum, vii. 103 Pipleides, vii. 20
pipulo, vii. 103 Piscarium Forum, v. 146 pisces,
viii. 61 ; ix. 28, 113 ; piscium nomina, vii. 47 ; piscium voca-
bnla, v. 77 pisciceps non dicitur, viii. 61 piscina
(non dicuntur piscinula pis- cinilla), ix. 74 pistor pistori,
x. 69 pistrinum pistrina, v. 138 ; pis- trinum pistrilla, F.
10 pistrix, v. 138 placenta, v. 107
platanus platani, ix. 80 plaustrum, v. 140
Plautius Plauti, viii. 36 Plautus Plauti, viii. 36
plebs, v. tribuni pluit, ix. 104 plombea, ix.
66 plumbum (non plumba), ix. 66 plura, ix. 32 ; x.
31 plusima, xii. 27 poeillum, ix. 66
poculum, vL 84 ; viii. 31 ; pocula, v. 122 poem a non
poo ma turn, F. 21 ; poe- mata, vii. 2 ; poematorum, F. 21 ;
poematis, vii. 2, 36, viii. 14, F. 21 ; poematibus, vii. 34
poena, v. 177 Poeni, v. 113, 182 Poenicum, v.
113; Poenicum voca- bula, viii. 65 poeta poetae, v. 22, 88 ;
vi. 52, 58, 67, 77, 83 ; vii. 36, 110 ; ix. 5, 17, 65, 78, 115 ; x.
35, 42, 70, 73, 74 ; vocabula apud poetas, v. 1 ; vocabula a poetis
comprehensa, v. 10 ; vocabula,j>etarum, vii. 1 ; poetarum verba,
v. 7, 9 ; verba a poetis posita, vii. 5 ; verba apud poetas, vii.
107 ; cf. poetica, vetus Poetelius lucus, v. 50 ; C. Poetelius
Libo Yisolus dictator, vii. 105 poetica verba, v. 9 ; vii. 3 ;
poetica analogia, x. 74 ; de pocticis ver- bomm
originibxis, vi. 97 ; lege poetica, vii. IS poetice, vii.
2 polluctnm, vi. 54 Pollux, v. 58, 73 ; Pol luces, v. 73
polus, vii. 14 ; ix. 24 ; pervade polum, vii. 14 Polybadisce,
vi. 73 polypus, v. 78 pom ( = potissimum), vii. 26 poma, ix.
93, cf. v. 10S pomerium, v. 143 Pomona, vii. 45 Pomonalis
flamen, vii. 45 Pompilius (Xuma), v. 157 ; vii. 45 ; Pompili
regnnm, viL 3; Pompilio rege, v. 165 pondera, v.
mensura pons, v. 4, S3 ; ponte, F. IS ; Pons Sublicius, v.
S3, vii. 44 pontifex, v. 180 ; vi. 61 ; pontifices, vi. 26,
27, 54 ; pontufices, v. S3, vi. 61 Poplifugia, vi. 18
populns, v. 1, 35 ; via. 6 ; ix. 5, 6, 18, 114 ; x. 16, 74 ; v.
inlicere, Latimis, magister, rex, Romanus porca, v. 39
porcus, v. 97 porrecta, v. exta porta, v. 142 ;
v. lanualis, Laver- nalis, Mucionis, Xaevia, Pandana, Rauduscula,
Romanula, Saturnia, Tusculanus Portnnalia, vi. 19
Portunium, v. 146 Portumis (et eius aedes), vi. 19
portus, v. Tiberinus pos, v. 4 ; potes, v. 58 ; v. pons
posca, v. 122 positivus, F. 31 b posteriora
(vocabxila et verba), viii. 12 postici muri, v. 42
postilionem postulare, v. 14S postmoerium, v. 143
Postumus, ix. Postuma, ix. 61 potatio, v. 122 ; vi. 84
potens, v. 4 potio, v. 122; vi. S4 662
poto, vi. 84 ; poto potu.s sum, F. 5. 7 Potoni filia, vii.
2S praebia, vii. 107 praeco, v. 15, 160; vi. 86, 87,
89, 91, 95 ; vii. 42 praeda, v. 178 ; viii. 19
praedium, viii. 4S ; praedium -ii -io, viii. 63 ; praedia, v. 40,
vi. 74, viii. 4S praeftca, vii. 70 praelucidum, vii. 10S
praemium, v. 17S Praeneste, v. 32 ; vi. 4 Praenestinns (ager), v.
32 praenomina, ix. 60 praes, vi. 74 ; praedes, v. 40
praesens, viii. 20, 5S ; ix. 102,
104 praesidium, v. 90 praestigiator, v. 94 praeteritum, viii.
20, 5S ; ix. 104 praetor, v. SO, S7 ; vi. 5, 30, 89, 91, cf.
93 ; viii. 72 (-toris -torem) ; x. 70 (-torem) ; praetores, vi. 29,
53, 87, 91 ; praetor -tori, x. 2S ; prae- tor in Comitio supremam
pro- nun tiat, vi. 5 ; praetor urbanus, vi. 54 ; cf. pretor
praetorium ins, vi. 71 praeverbia, vi. 38, S2
prandeo pransus sum, F. 5. 7
prata, v. 40 pretium, v. 177 pretor (rusticus),
vii. 96 Priamidae, viii. 19 Priamus Priamo, viii. 3,
34 prima pars casualis, v. casuale primigenia verba,
vi. 36, 37 primo luci, vi. 92 primo mane, v. mane
principale genus, F. 9 principes, v. 89 ; v. deus
principium, x. 56, 60, 67 ; principia, vi. 38 ; x. 56 ; principium
analo- giae, x. 61 ; principia verborum, vi. 37, 39, viii. 5,
ix. 99; prin- cipia (declinationum), x. 11 ; principia mundi, x. 55
; v. caelum ; cf initia priora (vocabula et verba), viii.
12 priscum vocabuhim, vii. 26 ; prisca consuetudo, x. 70 ; Prisci
Latini, vii. 28 ; priscae declinationes, x. 71 ; prisca
nomina, ix. 22 ; prisca, vii. 2 INDEX
pro (=anteX vL 5S probus probi, F. 5. 6; probus
probe, F. 5. S procare, viL 80 procedere, viL SI ;
processit, vi. 38 proceres, F. 30 a, F. 30 b prodire,
viL 81 prodixit diem, vi. 61 productio syllabarum (rtl
littera- rum), v. 6 ; ix. 104 profanatum, vL 54
profanum, vi. 54 profeta, F. 2S. 2 professi, vL 55 Progne, v.
76 proiecta, v. porrecta prolabitur, vi. 47 prolocutus, vi.
56 proloquram proloquia, F. 2S. 2, 6, 7, 8
prolubium, F. 4 proludit, vi. 5S Prometheus, v. 31
promisee, F. 25 pronomen, viiL 45 ; ix. 94 pronuntiare, vi. 42,
5S Propontis, vii. 21 proportione vol pro portione, v.
170, 1S1 ; viiL 50, 68, 78, SO, 83 ; ix. 27, 29, 30, 33, 4S, 61, 62,
S3, 103, 110 ; x. 2, 9, 36, 37, 41, 42, 47, 51, 65, 66, 63 ;
proportionem, viii. 57 ; cf. ratio propositio, vi. 63, 76 ;
v. putari proprio nomine, vi. 55, 7S propter dextram
sinistra, propter sinistram dextra, x. 59 prosapia, vii.
71 proscaenium, vL 53 prosectum, v. 110
proserpere, v. 68 Proserpina, v. 6S prosicixun,
v. 110 pros us et rusus, x. 52 protinam, vii. 107
Protogenes, ix. 12 p rovers us, viL SI providere,
vL 96 provincia nostra, v. 16 provocabula, viii.
45 proximus a Flora clivus, v. 158 prudens, viii. 15,
17 psalterium, viii. 61 publici servi, v.
libertini Publicius Clivos, v.M58; Publicii
aediles, v. 15S publicus, r. honor Publius, v. Scipio
puer, vii 28 ; viii 41 ; x. 4 ; puer puella, viii. 25, ix. 29 ;
puen, vi. 56, ix. 10, 11, 15, 16 puera, F. 37
pugil, v. 94 ; pngiles, viiL 15 pugnetur pugnator, x. 32; v.
vol- sillis pulli, ix. 93 ;r.- pi pat us Pullius
Clivus, v. 15S; Pullius vioenrus, v. 158 pulmentarium, v.
10S pulmentum, v. 108 puis, v. 105, 107, 103, 127 pulvinar,
v. 167 pulvini, ix. 43 pun go pupugi ptmgam, ix. 99; x.
4S ; pungo pupugi, F. 5. 6 ; pun- gebam pungo pungam, pupuge- ram
pupugi pupugero, ix. 99 Punicttm bellum, v. 159 ; Punicum
malum, viL 91 puppis puppes, viiL 66 purgamentum, p.
februm purgare (familiam), v. 23 purpura, v. 113
pusus pusa, viL 28 putari, propositio putandi, vL 63
putator, vi. 63 Puteoli, v. 25 ; Puteolis, ix. 69
putere, vL 96 putens, v. 25 ; vL S4 ; r. corona puticuli, v.
25 pntidus, v. 25 putihici, v. 25 putor, v. 25 putum,
vi. 63 Pyrrhi bellum, vii. 39 Pythagoras (artifex), v. 31
Pythonos tumulus, viL 17 quadra gin ta, x. 43 quadra ns, v.
44, 171, 172, 174 quadrigae, viiL 55 ; x. 24, 67 ; quad- riga, i.
66 ; v. agitantur, initia quadringenti, x. 43 quadrini, viiL
55 quadripertitio, v. 11 ; vii. 5 ; c/. v. 6, 12, viiL
5U, ix. 31, x. 49 quadruple! fons, x. 22 ; natura, x. 41 ;
analogia, x. 47, 4S 663 INDEX
quadrupes, v. 34, 79 ; quadripedem -des, vii. 39 quaerere,
vi. 79 quaesitores, v. SI quaestio, vi. 79 quaestor, vL
79, 90 ; viii. 72 (-toris -torem), x. 70 (-torem); quaes- tores, v.
SI, vi. 90; v. Septu- mius, Sergius quando rex comitiavit
fas, dies, vi. 31 quando'stercum delatum fas, dies,
vi. 32 Quarta, ix. 60 quarta chorda citharae, x.
46 quarticeps, v. 50, 52 quartus dies morbi, x.
46 quattuor, ix. 64, S2 ; x. 43, 45, 49, 66
querquedula, v. 79 Querquetulanum, v. Lares qui,
v. quis quinarii, v. 173 Quinctius, vi. 2 ; v.
Quintius quindecimviri, vii. SS Quinquatrus, vi. 14 ;
minusculac, vi. 17 quintanae (Nonae), vi. 27
quinticeps, v. 50, 52, 54 Quintilis, vi. 34 Qu in this Trogus, T.,
vi. 90, 92 Quintus, ix. 60 ; Quintus -to, x. 51 ; v.
Mucius quintus -ti -to -turn -te, viii. 63 Quirinalia, vi. 13
Quirinalis collis, v. 51, 52 ; flamen, vii. 45
Quirinus, v. 73, 74 ; vi. 13 ; Quirini aedes, v. 52 ; Quirini
fanum, v. 51 quiritare, vi. 68 Quirites, v. 51, 73; vi. 68,
S6 ; omnes Quirites, vi. 88 quirquir, vii. 8 quis
quae, viii. 45 ; x. 18, 30 ;
quis quoius quae quaius, quis quoi qua quae, quern quis quos
ques, viii. 50 ; qui quis quibus, viii. 72 ; qui homines,
oportuit ques, viii. 50 ; deae bonae quae, dea bona qua, viii.
50 quod bonum fortunatum felix salu- tareque siet, vi,
86 R exclusum, v. 133 ; R extrito, vii. . 27 ; R et D, vi. 4
; c/. S 664 radix, v. 103 ; radices (nominum
et verborum), v. 74, 93, 123, vi. 37, vii. 4, 28, 35, viii. 53 ;
c/. v. 13 Ramnenses, v. 55 ; Ranines, v. 55, 81, 89, 91
rana, v. 78 ; rana ranunculus, F. 10 rapa, v. 10S
rape rapito, x. 31 rams raro rarenter, sed non rare,
F. 5. 8 rastelli, rastri, v. 136 ratariae naviculae, vii.
23 ratio, vi. 39, 63 ; viii. 57, 67, 72, 79, 83 ; ix. 2, 6,
S, 9, 13, 15, 16, etc. ; x. 1-3, 15, 36, 37, 41, 43, 82, etc.
; ratio analogiae, x. 54 ; ratio casuum, x. 14 ; ratio
derecta, transversa, x. 43 ratis, vii. 23 ratiti
quadrantis, v. 44 raudus, aes, v. 163 Rauduscula (Porta), v.
163 raudusculum, v. 163 Reatinus ab Reate, viii. 83 ; ager Reatimis, v. 53 ; Reatinum, vi.
5 recentes (declinationes), x. 71 recessit, vi. 38 reciproca,
vii. SO reciprocare, vii. SO recordari, vi. 46 rectus
casus, v. 4; vii. 33; viii. 1, 4, 6, 7, 16, 36, 42, 46, 49, 51, 53,
63, 69, 74 ; ix. 43, 50, 54, 70, 71, 75, 76, 85, 90, 102, 103 ; x. S,
22, 44, 50-52, 58-60; v. casus, nomi- nandi recum, vii.
26 redux, ix. 78 regia, vi. 12, 21 Regina,
v. Iuno regio regiones (Romae), v. 45-54 ; v. caelum,
Collina, Esquilina, Pala- tina, Suburana regula, F. 20 ;
regula numerorum, ix. 86 reliquum, v. 175 reloqui, vi.
57 reminisci, vi. 44 Remus, v. 54 ; viii. 45 ; v.
Romulus reno (Gall.), v. 167 repotia, vi. 84 res, v.
animalis, creperae, discrimen, fatales, genus, homo, initia
respicio, vi. 82 INDEX respondendi, x. 31,
32 ; (species), x. 31, 32 respondet, vi. 69; respondere,
vi. 72 ; respondere ad spontem, vi. 72 ; r.
species restibilis ager, v. 39 restipulari, v. 1S2 restis
restes, viii. 66 rete, v. 130 reticulum, v. 130 reus, vi. 90
; reus reei, viii. 70 rex regi, vL 12, 13, 28, 31 ; x. 47 ;
ad regem conveniebat populus, vi. 2S ; ferias rex edicit
populo, vi. 2S ; v. Attalus, Aventinus, Demetrius, Hostilius,
initia, Latinus, Pompilius, quando, re- cum, Romulus, Tatius,
Tiberinus, Tullius Rhea, v. 144 Rhodius ab Rhodo,
viii 81 rica, v. 130 ricinium, v. 132, 133 Ripaei monies,
vii. 71 rite, vii. SS ritu, vii. 88 ; v. Alcyonis,
Etrusco, Graecus, Romanus Robigalia, vi. 16 Robigo, vi.
16 rogandi (species), x. 31, 32 Roma, v. 33, 41, 45, 51, 56, 74,
101, 143, 144, 157, 164 ; vi. 15-17, 32 ; vii. 10 ;
viii. 18, 56, 83 ; ix. 34 ; x. 15, 16, 20; Roma non Romula,
viii. 80, ix. 50 ; Romae -am -a, x. 15 Romanula Porta, v. 164 ; vi.
24 Romanus, viii. 18, 83; x. 16; Romanus ager, v. 33, 55,
123; Romanus populus, vi 86 ; Romano ritu, v. 130, vii. 88 ;
Romani, vi. 25, vii. 3, viii. 56 (non Ro- me uses), 83 ; Romanorum
liberti, viii. 83 ; Romana stirps, v. 144 Romilia tribus, v.
56 Romulus, v. 9, 33, 46, 54, 55, 144, 149 ; viii. 18, 45, SO
; ix. 34, 50 ; x. 15 ; Romulo -i -am, ix. 34 ; Romulus et Remus, v.
54 ; aedes Romuli, v. 54 Romus, v. Romulus, v. 33
rorarii, vii. 5S rosa, v. 103 Rostra, v. 155 ;
vi. 91 rosus, v. rusus rudentum sibilus, v.
7 nidet, vii 103 rufae (mnlieres), vii. S3 ruminalis ficus,
v. 54 runcina, vi. 96 runcinare, vi. 96 ruo ruis, ix.
109 rura, v. 40 ; rure, (Zoc.) F. 19, (aM.) F. 26 rustici, v.
177 ; vL 6S ; vii. 73, 84, 96 ; rustica instmmenta, v. 134 ; v. pre
tor, Vfamlia rusus, v. pros us ruta, v. 103
ruta caesa, ix. 104 rutilare, vii. S3 rutili
rutilae, vii. S3 nit rum, v. 134 rutunda stagna, v.
26 S: R, vii. 26; S demptum, ix. 44 ; S detritum, v.
136 ; S extritum, vii. 97 ; v. C, G, L Sabine, v. 159
Sabinus (ager), v. 123; Sabina lingua, v. 66, cf. 74 ; origo
Sabina, vii. 2S ; Sabinum bellum, v. 149 ; Sabinum vocabulum, v.
107 ; Sabini cives, v. 159 ; Sabini, v. 32, 41, 6S, 73, 74, 97,
107, vi 5, 13, 28, vii. 29, 46, 77; Sabinae virgines, vi. 20 ; fana
Sabina, vi. 57 ; v. Curtins, dies sacellum, v. 152 ; v.
Argei, Iupiter, Lares, Murtea, Strenia, Vela- brum, Volupia;
aliqnot sacra et sacella, vii. 84 sacer, vii. 10 ; v. dies,
sacra, vas sacerdos, sacerdotes, v. S3 ; vL 16, 20, 21, 23 (nostri),
24 ; vii. 44 ; v. Liber sacerdotulae, v. 130
sacra nostra, vi 13 ; v. Argei, Bacchus, carnem, Xonalia,
sacel- lum, tubae, tubicines Sacra Via, v. 47, 152 ; r.
caput sacrae aedes, vii 10 sacramentum, v. ISO
sac ram, v. Argei, Ops Consiva sacrificia, v. 9S, 124 ; v.
Argei sacrifico sacrificor, sacrificabo, sa- crificaturus aut
sacrificatus sum, ix. 105 ; in sacrificando deis v. 122 665 INDEX
saepius, v. seniel sagum (Gall.), v. 167 sal, v.
mola Salacia Neptuni, v. 72 Salii, v. 85 ; vi. 49 salinae,
viii. 43 sallere, v. 110 salsnm salsius salsissimum, viii.
75 saltus, v. 36 Salus, v. 74 ; aedes Salutis, v. 52
Salutaris collis, v. 52 ; salutare, v. quod bonum salutator,
viii. 57 saluto salutabam salutabo, viii. 20 Samnites, v. 142
; vii. 29 Samnium, v. 29 Samothraces, v. 58 ; dii, v. 58
; Samothracum iuitia, v. 58 Samothracia, v. 58 ; Samothrece,
vii. 34 sanctum sancta, vii. 10, 11 Sancus, v. 66
saperda, vii. 47 sapiens sapientior sapientissimus •ma,
viii. 78 sapio sapivi et sapii, F. 35 sarculum, v. 134
sardare, vii. 108 sartum, vi. 64 satio, vi. 26 ; sationes,
ix. 27 Saturnalia Saturnia antiquum oppidum Saturnia Porta Saturnia
terra Saturnii muri, v. 42 ; Saturnii ver- sus, vii. 36
Saturnius mons, v. 42 Saturnus, v. 57, 64, 74 ; vi. 22
; Saturni aedes, v. 42, 183 ; Saturni fanum, v. 42 ; v. Lua
satus, v. 37 saxum, v. Tarpeius scabellum, v.
168 scaena scena, vii. 96 ; x. 27 ; partes scaenae, ix. 34 ;
v. corollae scaenici, vi. 76 ; scaenioi poetae, ix. 17
scaeptrum, v. sceptrum scaeva, vii. 97 ; scaeva avi, vii. 97
; bonae scaevae causa, vii. 97 Scaevola, vif. 97
scalae, ix. 63, G8, 69 (non scala), x. 54 ; scalae -is -as, x. 54 ;
scala -am, x. 73 666 scalpere, vi.
96 scamnum, v. 168 scauripeda, vii. 65
Sceleratus Vicus, v. 159 scena, v. scaena
scenici, v. scaenici sceptrum, vii. 96
sclioenicolae scientia scientiam orationis, ix. 112
Scipio, P., vii. 31 ; ix. 71 Scipionarii gladiatores a Scipione
(potius quam Scipionini), ix. 72 scirpeis, vii. 44 scobina,
vii. 68 scopae, viii. 7, 8 ; x. 24 scortari, vii. 84
scorteuin scortea, vii. 84 scortum, vii. 84 scratiae, vii. 65
scribae, vi. 87 scribo, vi. 37 ; viii. 12, 25, 44 (scribo
scribens); ix. 102 ; x. 33 ; scribone scribisne, x. 31
scriptito, x. 33 scriptor, viii. 57 ; scriptores, ix.
Ill scrupea, vii. 6, 65 scrupipedae, vii. 65 scutum, v. 115 ;
viii. 45 se ( = dimidium), v. 171 secessio, v. Crustumerina
seclum, vi. 11 ; seculum, v. 5 seculae, v. 137 Secanda, ix.
00 secunda persona, ix. 10S sedeo, vi. 37 ; sedetur, vi. 1
sedes, v. 128 sedile, v. 128; (non sediculum), viii. 54
seditantes (non dicitur), viii. 60 sedulitas Mnci et Bruti, v.
5 seges, v. 37 ; vi. 16 ; ix. 28 segestria, v. 166 selibra,
v. 171 sellae, v. 128 semel et saepius, vi. 75 ; x. 33
semen, v. 37 sementis, vi. 26 ; sementes, v. 37
sementivae feriae, vi. 26 seminaria, v. 37 semis,
v. 171, 173, 174; x. 38 semis tertius, etc., v. 173
semita, v. 35 semodius, v. 171 INDEX
semuncia, v. 171 senaculum, v. 156
senatus, F. 5. 9 ; senatus senatuis senatui, F. 17
senecta, v. 5 senescendi homines, vi. 11 senex, viii.
25, 41 ; x. 4 ; F. 31 a, F. 31 b ; senes nimium novum
verbnm vitabant, vi. 59 senior, x. 4, F. 31 a, F. 31 b
sentior nemo dicit, F. 5. 9 septem chordae citharae, x. 46 septem
raontes, vi. 24 septem stellae triones, vii. 74 ; cf.
circulus Septembres Kalendae, vi. 20 septemtrio, vii. 7 ; v.
circulus septimanae (Xonae), vi. 27 Septimatrus, vi. 14
Septimontium, v. 41 ; vi. 14 Septumius quaestor, v. 1 ; vii. 109 septumus
dies morbi, x. 46 septunx, v. 171 sepulcrum, v. Acca, gleba,
Tiber- inus ; ad sepulcrum ferunt fron- deni et flores, vii
24 sera, vii. 108 Sera pis, v. 57 sera re,
vii. 108 Sergius, M'., M'. f. quaestor, vi. 90 series, ix.
97, 100 ; series casuum, ix. 77 ; series perfecti, ix. 100 ;
series vocabuli, x. 82 senno, vi. 63 ; viii. 25, 37 ; ix. 1,
19, 107 ; sermones Latini, viii. 3, 30 ; v. natura,
pelagus sero seris, x. 31 ; seriturne sere- turne, x.
32 serpens, v. 68 serperastra, ix. 11 serpere, v. 68
serpyllum, v. 103 serta, vi. 64 servile nomen, viii. 10 ; v.
deus Servius, v. Tullius servus, viii. 10 ; servus
serve, x. 51 ; servorum nomina liberorum servi nomina, ix. 22, 55,
59 ; v. fana, novicius, publici, societas sesquiseuex, vii.
23 sessio, viii. 54 sestertius, v. 173 sex,
x. 49 Sexatrus, vi. 14 sextans, v. 171, 172
' sexticeps, v. 50, 52, 54 sextula, v. 171
Sextns, ix. 60 ; v. Aelius sextus casus, qui est
proprius Latinus, x. 62 ; cf. viii. 16 sexus, viii. 46
sibilus, v. rudentiun Sicilia, \-fi. 86 Siculi, v. 101, 120,
173, 175, 179 sidera, vii. 14 significatio, ix. 40 ; cf. vii.
1 signum candens, \ii. 14 ; signa, 14, 50, 73 (in caelo), 74,
ix. 24, 78, x 46 (morbi), 64 ; v. Ianus silentium noctis, vi.
7 siliquastrum, v. 12S silurus, vii. 47
simbella, v. 174 ; x. 38 simile similia, vvi. 34, etc. ; ix.
92, etc. ; x. 1, etc. ; simile dissimile neutruni, x. 5
simillimi, v. gemini similitudo, viii. 25, 28, 29, 31,
37, 39, etc. ; ix. 1, 26, 46, 53, etc. ; x. 1, 72, etc. ;
similitudo perfecta, x. 12 ; similitudo declinationis, x. 76, 77 ;
declinationum, viii. 24 ; verbi, x. 76 ; vocis vtl sonitus, vi. 45,
52, 67, 75, 84, etc. ; simili- tudo confusa in verbis tempo rali-
bus, ix, 108 ; similitudo verborum, ix. 1 ; similitudinum forma,
viii. 24 ; genera, x. 9, 13, 69 ; origo, x. 11, 13 ; ratio, ix. 8,
x. 11 ; species, x. 13 ; v. adventicium, animan- tium voces,
nothum, vernaculum similia, ix. 92, etc. similixulae,
v. 107 simplicia (verba), vi. 37 ; viii. 61 ; ix. 97 ;
simplices analogiae, x. 68 ; res, x. 24 simpuium, v.
124 sine sponte sua, vi. 72 singularis -re -res -ria,
vii 33 ; viii. 60, 66 ; ix. 50, 60, 63-65, 68, 69, 80-82, 86, 87;
x. 28, 33, 36, 54, 56, 57-60, 62, 65, S3; singularis natura, x. 83
; res, x. 66 ; voca- buli series, x, 82 ; singula res figurae, x.
58 ; casus, x. 59, 60 ; singularia solum, viii. 48, ix. 63 ;
singula re verbnm, ix. 53 ; singu- 667
INDEX lare vocabulum, ix. 57, 69 ; v.
gracilis singuli (homines), ix. 5, 6, 18, 114, 115; x. 74;
singula, ix. 32 sinistra, v. auspicinm, propter sinnm,
v. 123 ; ix. 21 sirpando (=alligando), v. 137 ; sir- pa tur,
v. 139 sirpata dolia, v. 137 sirpea, v. 139
sirpices, v. 136 sirpiculae, v. 137 siser, viii.
48 sisto, F. 36 sisymbrium, v. 103 siti, F.
18 socer soceri, ix. 91 ; socer socerum, x. 28 ; socer
socrus soceros so- crus, x. 82 societas verborum, v. 13 ; vi.
40 ; societatmn servi, viii. 83 sodalis et sodalitas Sodales,
v. Titii Sol, v. 68 ( = Apollo), 74 ; ix. 24, 25;
de sole, v. 59 ; solis motus, vi. 4, 8 ; v. novus,
occasus sola terrae, v. 22 solarium, vu 4 solea, ix.
113 soleo solitns sum solni, ix. 107 solium, v. 12S
solstitium, vi. 8 ; ix. 24, 25 ; cf. cir- culus solu
solum, vi. 2 soluta, v. oratio solvunt ( = luunt), v. 137; v.
luo, trutina sonant (arma), vi. 67 sonitus, vi. 84 ; v.
similitudo sonus vocis, vi. S4 sorbeo, vi. 84 sors, v.
183 ; vi. 65 ; sortes, vi. 65, vii. 48 sortilegi, vi.
65 species, vi. 36 ; viii. 57 ; x. 13, 18, 79 ; species
animalinm, x. 4 ; nominatus, x. 21 ; usuis, x. 73 ; declinatnum
(imperandi, optandi, personarum, respondendi, ro- gandi,
temporalis), x. 31-33, cf. ix. 32 ; v. declinatus specillum,
vi. 82 specio, vi. 82 ; x. 18, 21, 79 ; specere, v. 129, vi.
82, v. avis 668 spectare, vi. 82
spectio, vi. 82 specula, vi. 82 speculator, vi.
82 speculor, vi. 82 speculum, v. 129 ; vi. 82
sperat, vi. 73 ; sperata, vi. 73 spes, vi. 73 ; cf. v.
37 spica, vi. 45 ; spicae, v. 37 spiceret, vii.
12 spondere, vi. 69-72 sponsa, vi. 69, 70
sponsalis, vi. 70 sponsio, vi. 70 sponsor, vi.
69, 74 sponsu, vi. 69, 70, 73; v. ago; sponsu
alligatus, vi. 71 sponsus, vl 70 ; vii. 107 sponte, vi. 69, 71-73 ;
v. respondere, sine sponte spumae, v. 63 Spurinna, x,
27 stadium, v. 11 stagnum, v. 26 stamen, v. 113 status,
y. 11 statuti dies, vi. 25 stercum stercus, vi. 32 sternere,
vi. 96 stillicidium, v. 27 stipare, v. 182 stipatores, vii.
52 stipendium, v. 182 ; v. milites stips, v. 182 stipulari,
v. 182 stirps, v. Romanus ; stirpes non stirpeis, F.
20 stiva, v. 135 sto, vi. 37 stola muliebris, viii. 28
; x. 27 ; cf. ix. 48 stragulum, v. 167 strangulare, vi.
96 Streniae sacellum, v. 47 strenuitas, viii. 15 strenuus,
viii. 17; strenui, viii. 15 strettillare, vii. 65 stribula, vii.
67 strigile, F. 18 stringere, vi. 96 strittabillae, vii.
65 strittare, vii, 65 strues (non strus), struis -em
-i, viii. 74 ; ix. 79 INDEX stultus
stultior stultissimns, ix. 72 sub divo, v. divum
sublecti, vi. 66 sublicitis, v. pons sub Xovis,
v. novus subselliuna, v. 12S subsidium, v. 89
subsipere, v. 128 sub tecto, v. 66 subtemen, v.
113 subucula, v. 131 ; ix. 46 subulo, viL 35
Subura, v. 4S Suburana regio, v. 45, 46 ; tribus,
v. 56 succanit, vL 75 succes.sit, vi. 33 succidia, v.
110 Succusa, v. 43 Succusanus pagus, v. 43 sucus, v. 102, 109
; ix. 93 sudis, v. 77 sudor, v. 24 sueris, v. 110
suffibulum, vi. 21 suite, viii. 54 suilla, v. 109 sulcus, v.
39 sum fui ero, ix. 100 ; esum es est eram eras erat
ero eris erit, ix. 100; fueram fui fuero, ix. 100; siet,
vi. 86, vii. 66, ix. 77, cf. adsiet ; v. cum muliere
Summanus, v. 74 summum (contentions), viii. 78 suo suis, x. 7 ;
suit suit, x. 25 supellex, \iii. 30, 32 ; ix. 20, 21, 46,
47 supera loca, v. caelum supercilia, v. 69
supparus, v. 131 suprema, vi. 5; supremum, vi. 5, vii.
51 surdus, -a, ix. 58; surdum thea- trum, ix. 58
surenae, v. 77 surge re, r. mane surus -o -e, viii. 68 ;
suras *i, x. 73 sus, v. 96 ; snis, x. 7 ; sue, viii. 54 ;
sues sed non suium, viii. 70 suspicio, vi. 82 susnm
versus, ix. 65 ; susus versus, v. 158 sutor, v. 93 ; sutor
sutori, x. 69 sutorium, v. atnum sutrina (ars), v. 93
; (taberua), viii. 55 syllaba, viii. 72 ; ix. 51, 52, 71 ;
x. 7, 19, 57, 81 (extrita); syllaba ex- trema, ix. 44,
109, x. 32, 57; v. adiectio, commutatio, correptio,
detrectio, productio syncerastum, vii. 61 Syracusis, v.
151 Syri, ix. 34 Syria, v. 16 — Syriacum nomen, v. 100
taberna, xm. 55 tabernola, v. 47, 50 tabulae, v.
censorium Tarenti, v. 31 Tarpeius mons, v. 41 ; Tarpeia
(virgo), v. 41 ; Tarpeium saxum, v. 41 Tarquinius Superbus,
v. 159 Tartarinus, vii. 37 Tartarus, vii. 37 Tatius
rex, v. 46, 51, 55, 74, 149, 152 ; vi. 68 ; arae Tati regis voto
dedicatee, v. 74 Taurii ludi, v. 154 taurus, v.
96 tectum, v. deierai-e tegete, F. 18
tegus, v. 110 Tellus, v. 62, 67 temo, vii.
73-75 tempestas, vii. 51 (suprema), 72 tempestiva, vi.
3 tempestutem, vii. 51 templura, vii. 6-10, 12, 13 ;
templi partes, vii. 7 ; r. Acherusia, Ceres, Diana,
effari, Xoctiluca, Volcania templum tescumque, templa tea-
caque, \ii. 8 temporals (species), x. 31 ; v. ver-
bum tempus, v. 11, 12; vi. 3; vii. 80; viii. 12 ; ix. 73,
108 ; tempore, v. 184, vi. 1, 3, 36, 40, 51, 52, 65, 97, vii. 5,
72, 110, viii. 11, 20, 44, 5S, ix. temporum vocabula, v. 10, vi. 1,
35; v. futurum, praesens, praeteritam tener tenerior,
tenerrimus, viii. 77 669 INDEX
tera, v. 21, 22 ; v. terra Terentius Terentii (pi), ix. 38,
60 ; Terentius Terentium, ix. 38 ; Terentius Terentia,
viii. 7, 14, ix. 55, 59 ; Terentium genus, ix. 59 ;
Terentii casus, ix. 54 ; Terentiei Terentiae Terentieis,
viii. 36 tergus, v. tegus terimen, v. 21 tentorium, v.
21 termen, v. terimen Terminal ia, vi. 13 Terminus, v. 74 ;
termini, v. 21 terra, v. 16, 17, 21-25, 31, 34, 36, 39, 66 ;
vii. 17 ; ix. 38 ; terra, x. 62 ; Terra, v. 57-60, 64 ( = Ops),
65 ( = Iuno), 67, 69 ; terra mater, v. 64 ; terrae loca
infera, v. 16 ; terra mundi media, vii. 17 ; v.
Calydonius, pila, Saturnia, Thraeca ; cf. tera
terrestris, v. animalia terreus murus, v. 48 terruncius, v.
174 Tertia, ix. 60 terticeps, v. 50, 52 tesca, vii. 8,
10-12 testuacium, v. 106 testudo, v. 79, 117, 161
tetraehorda, x. 46 Teucer, vii. 3 texta fasciola, v. 130
theatra, vi. 83 ; v. surdus Thebris (=Tiberis), v. 30 Thelis
(=Thetis), vii. 87 Theona, viii. 41 ; ix. 42 thesaurus, vii.
17 Thespiades, vii. 20 Thraces, vii. 43 Thraeca terra, v.
14 thrion, v. 107 thynnus, v. 77 ; vii. 47 Tiberinus (deus),
v. 29, 71 ; Tibe- rinus rex Latinorum, v. 30 ; Tibe- rini
sepulcrum, v. 30 ; Tiberinus portus, vi. 19 Tiberis, v.
28-30, 43, 54, 71, S3, 146 ; vi. 17 ; vii. 44 ; v. Tliebris,
eis Tiberim, uls Tiberim tibiae, viii. 61
tibicines, vi.\L7, 75 ; vii. 35 (Tusci) ; viii. 61
Tibur, viii. 53 ; ix. 34 Tiburs, viii. 53 ; Tiburtes, ix. 34
670 tigris, v. 100 Tigris (flumen), v.
100 t»tmor, vi. 45 tinguere, vi. 96
Titanis, vii. 16 Titan, v. Coeus Titienses, v.
55, 89, 91 Titii sodales, v. 85 Titium tribus, v.
81 toga, v. 114; viii. 28; ix. 48; toga praetexta, vi.
18 toral, v. 167 torpedo (piscis), v. 77 torus torulus, v.
167 trabes trabs, vii. 33 ; x. 56, 57 tragoediae, vi. 55 ; x. 70 ;
v. Tuscus tragoedus, ix. 55 ; v. ago tragula, v. 115, 139
traiectio litterarmn, v. 6 tralaticio nomine, vi. 55 ; cf. trans-
laticium tralatum, vi. 77 ; vii. 23, 103 ; x. 71 trama,
v. 113 trames, vii. 61 transitus de casu in casum, viii. 39
; x. 28,- 51-53, 77, cf. x. 29; trans- itus declinationis, x.
77 translaticium nomen, v. 32 ; trans- laticium verbum, vi.
64 ; trans- laticia verba, vi. 78 ; cf. tralaticio
transversus, vii. SI ; v. ordo trapetes, v. 138
tremo, vi. 45 ; tremuisti timnisti, vi. 45 tres tria,
ix. 64 ; x. 49, 67, 83 tressis, v. 169; ix. 81, S3, 84; hi
tresses, hoc tressis, ix. 81 triarii, v. 89 tribulum, v.
21 tribuni aerarii, v. 181 ; militum, v. 81, 91 ;
plebei, v. 81, vi. 87 ; plebis, vi. 91 tribus, v. 35, 55, 56,
SI, 91 ; v. Col- lina, curatores, Esquilina, Pala-
tina, Rom ilia, Suburana, Titium tributum, v. 181 trice.ssis,
v. 170 tricliniaris gradu.s, viii. 32; tri- cliniares
mappae, ix. 47 triclinium, ix. 9, 47; v. aestivum,
hibernutn triens, v. 171 trigae, viii. 55 trigona, vii.
75 INDEX trini, viii 55 ; trinae trina,
ix. 64 ; trinae, x. 67 ; tf. copulae triones, vii 74,
75 tripertita, v. 10 ; tripartito, v. 35 ; r. oratio
triplicia, viii. 46 triportenta, vii. 59 tritavus, vii. 3
triticum, v. 106 ; Lx. 27 trittiles, vii. 104 tritura, v. 21
triumpliare, vi 63 triumviri capitales, v. 81 ; indicium
triumvirum (non -viroram), ix. 85 Trivia, vii. 16 trivium,
vii. 16 trivolum, v. tribulum Trogus, r. Quinthis Troia, vii.
38 Troianus equus, vii. 38 trua, v. 118 truleum, v. US
tnilla, v. 118 trutina (per trutinam sohi), v. 183 tryblia,
v. 120 tubae tubi, v. 117 ; tubae sacrorum, vL 14
tubicines, v. 91 ; vi. 75 ; ttxbicines sacrorum, v. 117
Tubulustrium, vi. 14 tueri, tueri villam, vii. 12 Tullia Tarquini
Superbi uxor, v. 159 Tullianum, v. 151 Tulkus rex,
v. 49, 151 ; Servius Tullius rex, vi. 17 Tullius et Antonius
consules, viii. 10 tumulus, r. Pytbonos
tundo tundam tutudi, ix. 99 ; tun- debam tundo tundam,
tutuderam tutudi tutudero, tutudi tundo tundam, x. 48; tundo
tutudi, F. 5. 6 tunica, v. 114; viii. 2S; ix. 79;
tunica ferrea ex anulis, v. 116; tunica virilis et muliebris,
ix. 4S, x. 27 turdarium, vi. 2 turdelix, vi. 2
turdus, v. 77 ; xi. 2 ; ix. 28, 55 (non turda) turma,
v. 91 turres, v. 142 ; turre, F. 18 Tuscanicum,
v. 161 Tusce, F. 5. S Tusculanus ager, viL 18 ; Tuscn-
lani, yL 14 ; Tusculanae portae, vt 16 Tuscns dux, v. 46;
Tusci, v. 32, 161, vi 2S, 35, ix. 69; Tuscus Tusce, F. 5. 8 ;
tragoediae Tuscae, v. 55 ; vocabula Tusca, v. 55 ; Vicus Tuscus, v.
46 tussi, F. IS Tutilinae loca, vr>163
tutulati, viL 44 tutulus, vii. 44 U producere,
ix. 104 ; U longum, breve, ix. 104 ; U exitus, x. 62 ; US : El, ix.
SO; r. E udor, v. 24 udus u\idus, v. 24
Ufenas (non Ufenius), viii. 84 uliginosus (ager), v. 24
ullaber, v. olla vera uls Tiberim, v. S3 ulula,
v. 75 ululantis (luporum vox), viL 104 umbilicus, vii
17 umbones, v. 115 umbra (piscis), v. 77
Umeri, vii. 50 uncia, v. 171, 172, 174 ungo
ungor, x. 33 unguentaria taberna, viii 55 unguentum ta,
Lx. 66, 67 unguis ungula, F. 10 ; ungues, v. 77 uni
versa, x. 84 unocuU, vu. 71 unns -ius -i -um -e -o,
viii. 63 ; unus -a -um, ix. 64, x. 24 ; uni -ae -a, ix. 64 ; una
-ae, x. 24, 67 ; unum, ix. 87, x. 30, 41, 43, 45, 49; uni (pZ.),
viii 55 ; unaeet binae, viiL 7 upupa, v. 75 uraeon, v.
76 urbanus, \iii. IS; urbanus exer- citus, vi. 93; urbani,
\i. 68; v. auspicium, praetor Urbinas, viii. 84
Urbinius, viii. S4 urbs, v. 28, 41, 43, 97, 151, 15S ;
vi. 17, 18, 24, 28, 68, 93 ; vii 44 ; ix. 6S ; urbes non urbeis, F.
20 ; antiqua urbs, v. 48, vi 24 ; urbis loca, v. 45; urbis partes,
v. 56; 671 INDEX urbes, v.
143 ; urbes condere, v. 143 ; in Urbe Lucili, v. 138 urinare,
v, 126 urinator, v. 1*26 urnae, v. 126 nrnarium (genus
mensae), v. 126 nro uror, x. 33 ursi, v. 100 ; vii. 40 urvum,
v. 127, 135 usura, v. 183 usus (communis), viii. 28, 30, 31
; ix. 7, 20, 37, 38, 56-60, 62, 63, 67- 71, 74; x. 72, 73,
83, 84; usus loqnendi, ix. 6, x. 74 ; usus vetus, x. 78 ; v.
copulae, species uter utrei, ix. 65 utilitas, viii. 26-20, 31
; ix. 48 uvae, v. 104 uvidus, v. 24, 109 uvor, v. 104
V, v. 117 vagit (haedi vox), vii. 104 valentes
glebarii, vii. 74 vallum ( = murus), v. 117; ( = van-
nus), v. 13S valvata, viii. 29 varietas, ix. 46 ; (casuum), x. 62
vas vadis, vi. 74, F. 15 vas vasis, F. 15 ; vas aquarium,
v. 119 ; vas argenteum, ix. 66 ; vas vinarium, v. 123 ; vasa, viii.
31, ix. 21 ; vasa aenea, v. 125 ; vasa in mensa escaria, v. 120 ;
vasa sacra, v. 121 vasaria mensa, v. 125 vates,
vii. 36 vatia, ix. 10 vaticinari, vi. 52
Vatinius Vatiniorum, viii. 71 vectes non vecteis, F. 20
Vediovis, v. 74 vehiculum, v. 140 Veientes, v.
30 Velabrum, v. 43, 44 ; vi. 24 ; minus et maius, v. 156 ;
Velabrum sacel- lum, v. 43 velaturam facere, v. 44
Velia, Veliae, Veliense, v. 54 Velinia, v. 71
Velini lacufi, v. 71 vellere lanam, v. 54 velli (
= villi), v. 130 vellus, v. 130 ; vellera, v. 54
672 venabulum, viii. 53 venator, v. 94 ; viii.
53 Veneria, v. corolla Venilia, v. 72 venor venans
venaturus venatus, viii. 59 venter, v. Faliscns ; ventres
non ventreis, F. 20 ventilabrum, v. 138 Venus
caeligena, v. 62 ; Libentina, Libitina, vi. 47 ; victrix, v. 62 ;
Veneris vis, v. 61, 63 ; dies Iovis non Veneris, vi. 16 ; e spumis
Venus, v. 63 ; Aprilis a Venere, vi. 33 ; Veneri dedicata aedes,
vi. 20; lucus Veneris Lubentinae, F. 4 ; v. Murteae
ver, v. 61 ; vi. 9 verberatus sum verberor verbera-
bor, x. 4S verbex, v. 98 verbum, x. 77, etc. ; verba,
viii. 11, 12, 53, 57, etc., ix. 56,
89, etc., F. 34 ; verbum temporale, viii. 13, 20, 53, ix. 95,
108, 109 ; verba quae tempora adsignificant, vi. 40 ; verba aliena,
v. 10 ; antiqua, v. 9 ; concepta, vii. 8 ; declinata,
vi. 37, ix. 115 ; verba facere, vi. 78 ; verba ficta, v. 9 ;
inclinanda, x. 13 ; interpolata, v. 3 ; Latina, v. 120, vi. 96,
vii. 3 ; verba nostra, v. 10, x. 71 ; verba ob- livia, v. 10 ;
primigenia, vi. ; verborum novorum et ve- ternm discordia, v. 6 ;
verborum cognatio, v. 13, vi. 1 ; collatio, viii. 78 ; copia, viii.
2 ; formulae, x. 33 ; materia, x. 11 ; societas, v. 13 ; v.
discrimen, duplex, figura, forma, genus, Graecus, impositio,
infecta, multitudo, natura, mirneras, obscuritas, origines,
perfectum, personae, poeta, poetica, principium, radix, similitudo,
simplicia, transla- ticium, vernacula Vergiliae, vi. 6 ; vii.
50 vernacula verba vel vocabula, v. 3, 77, 104 ; vi. 40
; similitudinis genus vernaculum, x. 69 versu, x. 62 ; versus
obliqui, x. 43 ; v. Saturnii, vieri veru, v. 127 ; cf. v.
9S vesper, vi. 6 ; vii. 50 ; vesperi, ix. 73 ; vespere, ix.
73 ; v. novus Vesperugo, vi 6, 7 ; vii. 50 Vesta, v. 74 ; vi 17 ;
Vestae aedes, vi. 32 Vestales virgines, vi. 17, 21 ;
virgo Vestalis Tarpeia, v. 41 Vestalia, vi. 17
vestibulum, vii 81 vestigator, v. 94 vestimentum -ta, ix. 20,
4S ; x. 72 vestis, v. 130 ; veste, F. 18 vestispica, vii. 12
vestitus, v. 105; viii. 28, 30; cf. viii. 31, ix. 45
Veturi, v. Mamuri Veturii Cicurini, vii. 91 vetus
vetiLstius veterrimum, vi. 59 ; vetus consuetudo, v. 2, ix. 13, 20,
21, x. 73 ; Forum Vetus, vii. 29 ; veteres leges abrogatae, ix. 20
; veteres, v. 14, 52 (poetae), 98 (nostri), vii. 32 ; Vetera, x. 73
; vetera vocabula, ix. 20 ; v. Aescu- lapii, Capitoliom, Curia,
verbum vetustas, v. 3, 5 ; vi. 2 vexillum, vi. 93
via, v. 8, 22, 35 ; vii. 15 ; v. nova, sacra viales, v.
Lares Vibenna, v. Caeles vibices, vii. 63 vicessis, v. 170
Victoria, v. 62 ; caeligena, v. 62 victoriatus, ix. 85 ; x.
41 victrix Venus, v. 62 victus, v. 105 vicus, v. 8, 160
; vici, v, 145 ; r. Africus, Cyprius, Insteianus,
Sceleratus, Tuscus video, vi. SO ; tu domi videbis, vii
12 ; vide, vii. 12 vieri ( = vinciri), v. 62; versibus viendis,
vii. 36 vigilant vigilimn, vi. SO viginti, x. 41, 43, 45
viilae, v, 35 villi, r. velli Viminalis Collis, v. 51
Viminius lupiter, v. 51 Vinalia, v. 13 ; vi. 16 ; rustica,
vi. 20 vinaria mensa, v. 121 ; taberna, VOL. II
viii 55 ; vasa, v. 123 ; vinarium truleum, v.
118 vinciri, v. 62 vinclum, v. 62 vinctio, v. 61
vinctnra, v. 62 vindemia, v. 37 ; vi. 16 vindemiator, v. 94
vineae, v. 37, 117 vineta, v. 37 vinum, v. 13, 37- ; vi. 16 ;
vinum vina, ix. 66, 67 ; v. Chio, flamen, Lesbo
viocurus, v, 7, 158 violavit virginem, vi. SO
violentia, v. 70 vir, viii. SO; ix. 85; x. 4; vireis,
viii. 36 ; v. centnmvirum, decem- virum, quindecimviri, triumviri
virago, vii. virgo virgines, r. Sabinus, Tarpeius, Vestales,
violavit virgultum, v. 102 \iride, v. 102 virile
virilia, \iii. 46, 51 ; ix. 41, 48, SI, 110; x. 8, 21, 30; nomina
virilia, viii. 36, x. 65;
nomen virile, viii SI, ix. 40, x. 65 ; v. tunica ; cf. genus
virtus, v. 73 vis, v. 37, 61, 63, 70, 102; vi. 80;
viii. 7 ; haec vis, hums vis, hae vis, F. 16 ; v. Venus, vita
visenda, vi. 82 visere, v. inlicium Visolus, v.
Poetelins visus, vi. SO vita a vi, v. 63 ; vita et
mors, v 11 ; v. decernunt vitio mannmissus, creatus
magis- tratus, vi. 30 vitis, v. 37, 102 Vitula, vii.
107 vitularttes, vii. 107 vitulus, v. 96 ; vituli, ix. 28 ;
vituli vox, vii. 104 vi rices, r. vibices vivo
non vivor, x. 78 ; vivatur vive- retur, x. 32 vix, viii. 9 ;
x. 14, 79, SO vocabulum vocabula 66-68, 71, 74, 77, 78, 85, 88, 00
; x. 6, 20, 23, 24, 35, 47, 51, 54, 81-83 ; vocabulum Latinum, v.
29, 68 ; priscum, vii. 26 ; vocabula a For- tuna, v. 91 ;
Aegyptiorum, viii. 65 ; aquatilium animalium, v. 77 ; artificum, v.
93 ; barbara, viii. 64 ;
dierum, vi. 12 (civilia), 33 ; vocabula ex Graeco sumpta, F. 14 a,
F. 14 b; vocabula ferarum, v. 100; Gallica Gallorum vocabula im- ponenda,
vi. 3 ; lectulorum, v. 166 ; litterarum Latinarum, ix. 51 ;
locorura, v. 10 ; magnitu- dinis, viii. 79 ; mensium, vi. 33 ;
miliaria, ix. 85 ; multitudinis, ix. 64-66, 68, 09 ; vocabula nostra,
viii. 65 ; pecuniae piscium Poenicum temporum vocabula Tnsca, v. 55 ; vetera,
ix. 22 ; v. casus, figura, Graecus, homo, impositio, peregrinus,
poeta, Sabinus, series, singularis, vernacula vocalis, v.
oratio vocandi casus, viii. 42, 6S ; ix. 43, 91 ; x. 31
; cf. viii. 16 vocare, v. comitiatum, inlieium Volaminia, v.
Volumnia Volcanalia, vi. 20 Yolcanalis flamen, v. 84
Volcania templa, vii. 11 Volcanus, v. 70, 74 ; vi. 20 volgus,
v. 58 volo (vis et volas), vi. 47 ; ix. 103 ; x.
81 volpes, v. 101 volsillis pugnare, non gladio, ix. 33
Volturnalia, vi. 21 Volturnalis flamen, vii. 45 Volturnum
(oppidum), v. 29 Volturnus (amnis), v. 29 ; vi. 21 ; vii. 45
volucres, v. 75; ix. 28; volucrum vox, vii. 104
Volumnia, v. Lucia voluntarius -a -um, v. declinatio,
declinatus, genus voluntas hominum, ix. 34 ; x. 15, 51
; cf. voluntarius Volupiae sacellum, v. 104 voluptas, viii. 31 vomer, v. 135
Vortumnus, v. 46, 74 vox voces v. animantium, declinatus,
tigura, lupus, similitudo, sonus X, cf. CS, GS
Xerxes, vii. 21 zanclas, v. 137 674
References are to Book (Roman numeral) and Section (Arabic
number), and to Fragment (F.) and serial number (Arabic), with
subdivisions. ayaBov,
V. dypof, v. 34 ayiov., vi. 12 act ov y vi. 11
ai8(a9ai, vi. 9 acura, vi. 11 aA«f uccucoe, vii. 82
aAjcvwv, v. 79 ; vii. SS atia£av t vii. 74
a/x^Wef, V. 115 AfLckyeiv, VI. 90 ajju^t/ita, v.
78 avayapyapi^ecrdcu., vi. 96 ayaAoyta, X. 37, 39 ;
apuAoytar, x. 39 ; ayaAtryta?, viii. 23 ava Xoyov, viiL 32,
55 ; x. 2, 37 aFoAoyoi' x. 37, 3$, 39 av&pi fiax^rai, vii.
82 a*TopjeT»Kd»', ix. 24 avnKCifteva, F. 28. 13
&VTl)lOVj V. fLOtTOV avrixOwv Ilvflayopa, vii, 17
av*ifLaAta.v t vii. 23 ; r. wept ay- aStvuay F. 2S. 2, 4, 7, 8, 9, 12
ippafiiav, V. 175 amrapayof, v. 104 0ap£ap€py r *
di'8pt /ULeAuoj, V. 10G /Accra, V. 118 /xipes, vi. 10
/xiJjtj, vi. 10 /XOlTOf aVTtjlOV, V, 179 fioptav, V.
opxtv fiv, vii. 101 fivpatva, v. 77 reap-, t7.
errji' pe'/xi), v. 3G vajxifxa /SapjSapiKa, vii. 70
ia/M,\bv evTepov, V. Ill 5?, v. 9G Xapn)?, F. 14 a, F.
14 b ^dpT-ov, v. SS e'peTe, vi. 90 ipeperpov, v.
1GG (/>pe'ap, v. 25, 81 tpws ayafldi/, vi. 4
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II. 2nd Imp. revised.) SENECA: TRAGEDIES. F. J. Miller. 2 Vols.
{2nd Imp. revised.) SIDONIUS: POEMS AND LETTERS. W. B.
Anderson. 2 Vols. Vol. I. SILIUS ITALICUS. J. D. Duff. 2
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(Vol. I. 3rd Imp.) DIONYSIUS OF HALICARNASSUS : ROMAN
ANTI- QUITIES. Spelman's translation revised by E. Cary. 7 Vols.
Vol. I. EPICTETUS. W. A. Oldfather. 2 Vols. EURIPIDES.
A. S. Way. 4 Vols. (Vols. I., II., IV. tth Imp., Vol. III. 3rd Imp.)
Verse trans. EUSEBIUS: ECCLESIASTICAL HISTORY. Kirsopp Lake
and J. E. L. Oulton. 2 Vols. (Vol. II. 2nd Imp.) GALEN: ON THE
NATURAL FACULTIES. A. J. Brock. (2nd Imp.) THE GREEK
ANTHOLOGY. W. R. Paton. 5 Vols. (Vol. I. 3rd Imp., Vols. II. and III. 2nd
Imp.) GREEK ELEGY AND IAMBUS with the ANACRE- ONTEA. J. M.
Edmonds. THE LOEB CLASSICAL LIBRARY THE GREEK BUCOLIC
POETS (THEOCRITUS, BION, MOSCHUS). J. M. Edmonds. (6th Imp.
revised.) GREEK MATHEMATICAL WORKS. Ivor Thomas. 2 Vols. Vol.
I. HERODES. Of. THEOPHRASTUS : CHARACTERS. HERODOTUS. A. D. Godley.
4 Vols. (Vol. I. 3rd Imp., Vols. II.-IV. 2nd Imp.) HESIOD and
THE HOMERIC HYMNS. H. G. Evelyn White. (5th Imp. revised and
enlarged.) HIPPOCRATES and the FRAGMENTS OF HERA- CLEITUS. W.
H.S.Jones and E.T.Withington. 4 Vols. HOMER : ILIAD. A. T. Murray. 2 Vols.
(Vol. I. Uh Imp., Vol. II. 3rd Imp.) HOMER : ODYSSEY.
A.T.Murray. 2 Vols. (4th Imp.) ISAEUS. E. S. Forster.
ISOCRATES. George Norlin. 3 Vols. Vols. I. and II. ST. JOHN
DAMASCENE: BARLAAM AND IOASAPH. Rev. G. R. Woodward and Harold
Mattingly. (2nd Imp. revised.) JOSEPHUS. H. St. J.
Thackeray and Ralph Marcus. 9 Vols. Vols. I.-VI. (Vol. V. 2nd
Imp.) JULIAN. Wilmer Cave Wright. 3 Vols. (Vols. I. and II.
2nd Imp.) LUCIAN. A. M. Harmon. 8 Vols. Vols. I.-V.
(Vols. I. and II. 3rd Imp.) LYCOPHRON. Of CALLIMACHUS.
LYRA GRAECA. J. M. Edmonds. 3rd Imp., Vol. II. 2nd Ed. revised and
enlarged.) LYSIAS. W. R. M.
Lamb. MARCUS AURELIUS. C.R.Haines. (3rd Imp. revised.) MENANDER. F. G. Allinson.
(2nd Imp. revised.) MINOR ATTIC ORATORS (ANTIPHON, ANDOCIDES,
DEMADES, DEINARCHUS, HYPEREIDES). K. J. Maidment. 2 Vols.
Vol. I. OPPIAN, COLLUTHUS, TRYPHIODORUS. A. W. Mair. PAPYRI (SELECTIONS).
A. S. Hunt and C. C. Edgar. PARTHENIUS. Of. DAPHNIS and
CHLOE. PAUSANIAS : DESCRIPTION OF GREECE. W. H. S. Jones. 5
Vols, and Companion Vol. (Vol. I. 2nd Imp.) PHILO. * 10 Vols. Vols.
I.-.V. F. H. Colson and Rev. G. H. Whitaker; Vols. VI. and VII. F.
H. Colson. PHILOSTRATUS : THE LIFE OF APOLLONIUS OF TYANA. F.
C. Conybeare. 2 Vols. (Vol. I. 3rd Imp., Vol. II. 2nd Imp.)
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EUNAPIUS: LIVES OF THE SOPHISTS. Wilmer Cave Wright. PINDAR.
Sir J. E. Sandys. (6th Imp. revised.) PLATO : CHARMIDES, ALCIBIADES,
HIPPARCHUS, THE LOVERS, THEAGES, MINOS axd EPINOMIS. W.
R. M. Lamb. PLATO: CRATYLUS, PARMENIDES, GREATER HIPPIAS,
LESSER HIPPIAS. H. N. Fowler. PLATO: EUTHYPHRO, APOLOGY, CRITO,
PHAE DO, PHAEDRUS. H. N. Fowler. (7th Imp.) PLATO : LACHES,
PROTAGORAS MENO, EUTHY- DEMUS. W. R. M. Lamb. (2nd Imp.
revised.) PLATO : LAWS. Rev. R. G. Bury. PLATO : LYSIS, SYMPOSIUM,
GORGIAS. Lamb. (2nd Imp. revised.) PLATO: REPUBLIC. PaulShorey. 2 Vols.
(Vol.1. 2nd Imp. revised.) PLATO: STATESMAN, PHILEBUS. H. N
Fowler; ION. W. R. M. Lamb. PLATO : THEAETETUS and SOPHIST.
H. N. Fowler. (2nd Imp.) PLATO : TIMAEUS, CRITIAS,
CLITOPHO, MENEXE- NUS, EPISTULAE. Rev. R. G. Bury. PLUTARCH:
MORALIA. 14, Vols. Vols. I.- V. F. C. Babbitt; Vol. X. H. N.
Fowler. PLUTARCH: THE PARALLEL LIVES. B. Perrin. 11 Vols.
(Vols. I., II., III. and VII. 2nd Imp.) POLYBIUS. W. R. Paton. 6
Vols. PROCOPIUS: HISTORY OF THE WARS. H. B. Dewing. 7 Vols.
Vols. I.-VI. (Vol. I. 2nd Imp.) QUINTUS SMYRNAEUS. A. S. Way. Verse trans. SEXTUS
EMPIRICUS. Rev. R. G. Bury. 3 Vols. SOPHOCLES. F. Storr. 2 Vols. (Vol. I.
6th Imp., Vol II. 4th Imp.) Verse trans. STRABO: GEOGRAPHY.
Horace L. Jones. 8 Vols. (Vols. I and VIII. 2nd Imp.)
THEOPHRASTUS : CHARACTERS. J. M. Edmonds ; HERODES, etc A. D. Knox.
THEOPHRASTUS: ENQUIRY INTO PLANTS. Sir Arthur Hort, Bart 2
Vols. THUCYDIDES. C. F. Smith. 4 Vols. (Vol. I. 3rd Imp.,
Vols. II., III. and IV. 2nd Imp. revised.) TRYPHIODORUS. Cf.
OPPIAN. 7 THE LOEB CLASSICAL LIBRARY
XENOPHON : CYROPAEDIA. Walter Miller. 2 Vols. (2nd Imp.)
XENOPHON : HELLENICA, ANABASIS, APOLOGY, and SYMPOSIUM. C. L.
Brownson and O. J. Todd. 3 Vols. (2nd Imp.) XENOPHON :
MEMORABILIA and OECONOMICUS. E. C. Marchant. (2nd Imp.)
XENOPHON : SCRIPTA MINORA. E. C. Marchanb. VOLUMES IN
PREPARATION GREEK AUTHORS ARISTOTLE: DE
CAELO. W. K. C. Guthrie. ARISTOTLE: HISTORY AND GENERATION OF
ANIMALS. A. L. Peck. ARISTOTLE: METEOROLOGICA. H. P. Lee.
MANETHO. W. G. Waddell. NONNUS. W. H. D. Rouse. PAPYRI:
LITERARY PAPYRI. Selected and trans- lated by C. H. Roberts.
PTOLEMY: TETRAB1BLUS. F. E. Robbins. LATIN AUTHORS
S. AUGUSTINE : CITY OF GOD. J. H. Baxter. CICERO : AD HERENNIUM. H.
Caplan. CICERO : DE ORATORE. Charles Stuttaford and W. E.
Sutton. CICERO : BRUTUS, ORATOR. G. L. Hendrickson and
H. M. Hubbell. CICERO:
PRO SESTIO, IN VATINIUM, PRO CAELIO, DE PROVINCIIS CONSULARIBUS,
PRO BALBO. J. H. Freese. COLUMELLA : DE RE RUSTICA. II. B.
Ash. PRUDENTIUS. J. H. Baxter. QUINTUS CURTIUS: HISTORY OF
ALEXANDER. J. C. Rolfe. DESCRIPTIVE PROSPECTUS ON APPLICATION
Cambridge, Mass. . HARVARD UNIVERSITY PRESS London . . WILLIAM HE1NEMANN LTD 8 Marco Terenzio
Varrone. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma, idiom, lingua
latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio, Varrone, Prisciano,
Donato, Girolamo, Giulio Cesare – Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS –
Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica filosofica” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria. Varrone.
Luigi Speranza -- Grice e Varzi: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale delle parole, degl’oggetti, e degl’eventi – la
scuola di Galliate – filosofia piemontese -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Galliate). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Galliate, Novara,
Piemonte. Essential Italian philosopher. Some
Italians do not consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal
degree was earned elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres,
part of Varzi’s essays belong in English literature. He has written on
‘universal semantics.’ All'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in
‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged
universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Grice: “Some Italians
consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal
degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus
the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia analitica, è noto
principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla
rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Laureatosi a
Trento con una tesi, “La logica libera” stato insignito della Targa Piazzi per
la ricerca scientifica e del Premio Bozzi per l'Ontologia. Dopo un periodo
dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso
comune, si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista
e convenzionalista, nella convinzione che buona parte della struttura che siamo
soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa,
nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e
categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al
nostro bisogno di rappresentarla in quel modo. Noto anche per la sua attività
divulgativa, spesso in collaborazione con Casati, ispirata al principio secondo
cui la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle
cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità. Saggi: “Semplicemente
diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza
elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la
quale si tratta de li errori et de le pene de l’Infero (Laterza); Il mondo
messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di
immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità
insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri
argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia, Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi:
Casetta e Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla
filosofia di V., Isonomia Epistemologica,
Calemi, V.. Logica, semantica, metafisica (Albo Versorio, Milano); Il mondo
messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili,
Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable
Simplicities, per la regia di Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company
all'edizione del New York International
Fringe Festival. Biografia "negativa" di V., su columbia. Intervista
ad V. di Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Achille Varzi. Varzi. Keywords:
‘universal’. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Varzi:
semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Vasa: all’isola
-- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della RAGIONE E LA
LIBERTÀ – filosofia sarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Aggius). Flosofo sardo. Aggius,
Sassari, Sardegna. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Società
Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Nacque al paese della Gallura
di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli
studi secondari, anda a studiare filosofia a Milano dove si laurea. Insegna nel
liceo ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dove interrompere l’insegnamento a causa
della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che fa capo a Parri.
Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel liceo classico
Carducci nel liceo ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Assistente
volontario e poi incaricato di filosofia, Milano. Vincitore di un concorso a
cattedre di filosofia teoretica, chiamato a Cagliari e Firenze. Rimase sempre fortemente
legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria. Negli anni di formazione, si trova a
partecipare al tentativo condotto da BONTADINI, di cui era allievo e amico, di
superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e
assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo
indirizzo. In questa operazione prende una sua via personale. Abbandona
l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di GENTILE (vedi) per
quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia
in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini
sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo
all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte
trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo vienne a cadere per V.
l’opposizione di immanenza e trascendenza.
Nella comune partecipazione alla Resistenza si lega di amicizia con PRA
(vedi), filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della
storiografia filosofica. Tramite PRA, V. entra in contatto con BANFI, che
rappresenta la scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo
critico di BANFI, che mira a chiarire una struttura della ragione nel solco
della tradizione kantiana, V. pensa ad un razionalismo che anda oltre ogni
struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non
ancora prevedibili. Questo comporta l’idea della ricerca di una logica della
possibilità. Si pone così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo
della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne
difesa da PRA e Vn, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da PRA,
sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” ri-nata dopo lo
scioglimento imposto dall’autorità del FASCISMO. Il “trascendentalismo della
prassi” è contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di
tutta filosofia che presuppone un principio di datità del reale e del valore,
cioè di tutta filosofia metafisica. Il trascendentalismo della prassi non vuole
essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che
riconosce la temporalità della prassi e ne rivendica la libertà e la
responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che è
immediatamente critica del pensiero di CROCE e GENTILE, ma che investiva tutti
gli indirizzi contemporanei, è il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra,
sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto
con il “neo-illuminismo”, che, animato da ABBAGNANO (vedi), avendo come centro
Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi
metodologici e anti-metafisici. Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia
trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo. Con il suo metodo,
caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar
oltre”, V. da di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari.
La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continua a
mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona.
Conferma così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti
in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella
prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra
parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la
realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove,
risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità
proprie. Per influenza dell’amico GEYMONAT,
e in discussione con lui, V. vide concretamente nelle scienze in sviluppo
l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella
comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Esamina il moderno
formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario)
di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva
nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso
svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col circolo di Vienna ai successivi
sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Sono
tutti problemi che hanno all’origine e segnalano una crisi del fondamento. V. vuole
chiarirli leggendovi la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a
variare all’infinito ogni “conoscenza, di spazi e tempi, di atomi, masse e
cause naturali. La sua ricerca mantene così l’etica dei fini umani. La logica è
anche logica della Speranza. La filosofia ritrova il senso originario di “amore
della saggezza”. Saggi: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche
sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi”
(Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Angeli, Milano); “Logica,
scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius.
Michele Andrea Tortu, Pisanu (Antologia di Lepori con prefazione, traduzione e
note di V.), Nota introduttiva di Pirodda, Istituto Superiore Regionale
Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della
Resistenza. Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. In
memoria di V., filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: V. Ragione
e libertà. Saggio sul pensiero di V. V., Una discussione con Bontadini su
metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di Bontadini, Vita e
Pensiero, Milano I saggi di V. sono raccolti in “Logica, religione e filosofia:
Scritti filosofiici”. Memoria di Gentile, in Giornale critico della filosofia
italiana, Vedi Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare
di quella hegeliana, a proposito del saggio di V. su RUGGIERO (vedi) -- Quaderni
della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari. Pra, La filosofia
italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo
della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale
di Filosofia (Bologna, promosso dalla
SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. Di Husserl,
L’idea della fenomenologia (Rosso), Il Saggiatore, Milano, Logica e religione di fronte al compito di una
possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di
Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le
lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita. V.,
Logica, scienze della natura e mondo della vita. La frase (di V.) compare nella presentazione
editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra,
Geymonat, Marinotti, Ricordo di V.. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, Natale,
Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra
filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e
didattica (Dedalo, Bar). Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica,
Milano. Marinotti, Handjaras, “Ragione e
libertà: la filosofia di V., Prefazione di Pra (Angeli, Milano); Pra, Filosofi
del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di V.
(Olschki, Firenze); Monti, Religione e prassi in V., in «La Fortezza. Rivista
di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche in V., Etica e
scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Sandrini e Al., V. uomo e filosofo
(Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di Sandrini, “L’eredità
vasiana”. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili
di V.; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana.
Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di V.; E. Palombi,
Sul senso dell’uomo nel pensiero di V.; alcuni brevi Scritti e testi
inediti, Minazzi e Sandrini, in «Il
Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria. Marinotti,
Ragione e prassi in V. e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e
di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il
partigiano e il docente, Minazzi, Unicopli, Milano; Rambaldi, La formazione di V.,
in Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, Maiorca,
Cuec, Cagliari, Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e anti-fascismo
in V.. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia».
Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers,
Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The
Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vasa.
Luigi
Speranza -- Grice e Vasoli: la ragione conversazionale e l’implicatura a MERTON
ecc – la scuola di Firenze – filosofia fioretina – filosofia toscana --
filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo
toscano. Firenze, Toscana. m. Firenze. Storico della filosofia italiano. Si
formato con GARIN (si veda) e si laurea a Firenze con un saggio di filosofia
morale. Al suo maestro è rimasto sempre profondamente legato, riprendendo e
sviluppandone in modo originale temi e motivi. Assistente e libero
docente e incaricato di Storia della FILOSOFIA MEDIEVALE fnella facoltà di filosofia
a Firenze. È stato professore ordinario di storia della FILOSOFIA MEDIEVALE a Cagliari,
Bari e Genova, poi a Firenze di filosofia morale, di storia della filosofia,
quindi di storia della FILOSOFIA DEL RINASCIMENTO. Dottore honoris causa
della Sorbona e del Centro studi sul Rinascimento di Tours. Presidente
dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, di cui è consigliere, e dei
Lincei. Autore di una vasta bibliografia, tra i suoi saggi si
ricordano: La filosofia medievale (Feltrinell), La dialettica e la
retorica dell'Umanesimo: "Invenzione" e "Metodo" (Feltrinelli; Città del sole) Umanesimo e
Rinascimento (Palumbo) Magia e scienza nella civiltà umanistica (Il Mulino) La
filosofia moderna (Vallardi) La cultura delle corti (Cappelli) Filosofia nel Rinascimento
(Guida) Tra maestri, umanisti e teologi: studi (Le Lettere) Civitas mundi:
studi sulla cultura (Storia e letteratura) Le filosofie del Rinascimento
(Mondadori) L'enciclopedismo
(Bibliopolis) Ha inoltre tradotto in italiano il Defensor Pacis e il
Defensor minor di Marsilio da PADOVA (si veda) ed ha curato, con Robertis,
l'edizione critica del Convivio d’ALIGHIERI (Ricciardi). Si è poi
dedicato allo studio delle idee filosofiche (FICINO (si veda), SAVONAROLA (si
veda) ed i suoi seguaci, SALVIATI (si veda), Postel, Patrizi da Cherso, Bodin,
Marsilio da Padova), e, in particolare, al ritorno della tradizione dell’ACCADEMIA
ed al rapporto tra le varie filosofie del Rinascimento e la diffusione delle
nuove concezioni rconnesse alla Riforma protestante o alle particolari
esperienze etico-politiche dell'età della Contro-riforma. Treccani -- Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Stabile, V. Enciclopedia Italiana, V Appendice,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario bio-bibliografico dei bibliotecari
italiani, Associazione Italiana Biblioteche. Registrazioni di V. su
RadioRadicale.it, Radio Radicale. Portale Biografie: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di biografie Categorie: Storici della filosofia
italianiItaliani del XX secoloItaliani del XXI secoloNati nel 1924Morti nel
2013Nati il 12 gennaioMorti il 16 aprileNati a FirenzeMorti a Firenze[altre]. La
filosofia medioevale Storia della Filosofia La filosofia
medioevale Il pensiero filosofico del Medioevo, dai mani- chei ai
nominalisti, da Ockham a Maestro Eckhart, da S. Ag ostino a S.
Tommaso, visto in continuo, costante riferimento con l’am- biente
culturale, politico e sociale. Gli aspetti ideologici delle dottrine e il
loro peso effettivo ‘nella società medioevale — sulla teologia,
sul- le concezioni della politica e dello stato — vengono
ampiamente analizzati e portati in primo piano, offrendo al lettore un
panorama quanto mai affascinante dello sviluppo storico e del
significato culturale e politico delle varie filosofie. In questo quadro
denso di fatti, di notizie, di osservazioni, di riferimenti, una
speciale attenzione è rivolta dall’autore alla organizzazione della
cultura, al formarsi delle università, alla nascita degli ordini
mendican- ti, insomma a tutte le forme di vita teorica e pratica
del Medioevo, in cui si è riflessa in maniera decisiva l’attività
filosofica. La filosofia medioevale di Cesare Vasoli è il
primo, in ordine di pubblicazione, di una se- rie di volumi affidati a
diversi studiosi, che costituiranno un’organica storia della
filosofia. Seguiranno a questo i volumi dedicati alla Filosofia
antica, alla Filosofia nell'età del Ri- nascimento, alla Filosofia
moderna e alla Filo- sofia contemporanea. Quest'opera
intende offrire a un pubblico colto, ma non necessariamente specializzato,
un ampio e documentato panorama dello svilup- po storico del
pensiero filosofico. Nella ste- sura del lavoro i collaboratori si sono
soprat- segue seguito tutto preoccupati di
evitare due opposti peri- coli: un troppo rigoroso tecnicismo con
una conseguente terminologia da iniziati e una sommarietà di
trattazione adatta a manuali di uso scolastico. La filosofia antica La
filosofia medioevale La filosofia nell’età del Rinascimento -
La filosofia moderna La filosofia contemporanea Di imminente
pubblicazione: Francesco Adorno, La filosofia antica, vol. I
Cesare Vasoli, nato a Firenze nel 1924, è professo- re di storia
della filosofia medioevale nell’Università di Firenze. È autore di un
volume su Guglielmo di Ockham e di numerosi studi sulla filosofia dei
secoli XV e XVI. Ha raccolto i risultati delle sue ricerche sul
pensiero contemporaneo nel volume, di recente pubblicazione, Tra cultura
e ideologia. Collabora al- la “Rivista critica di storia della
filosofia,” di cui è redattore, a “Il Ponte,” a “Inventario,” a
“Paragone” e ad altre riviste filosofiche e di cultura.
Sovracoperta: Albe Steiner Feltrinelli Milano Storia della
Filosofia Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Cesare
Vasoli La filosofia medioevale k4
Feltrinelli Editore Milano A mia moglie, compagna carissima
Il 28 agosto 430 Aurelio Agostino, vescovo di Ippona, si
spegneva nella sua sede episcopale, assediata dalle milizie dei vandali.
Nella sua lunga esistenza di intellettuale pagano e poi cristiano, di
retore e di teologo, di elegante letterato e di Padre della cristianità
occiden- tale, Agostino aveva assistito al lungo sfacelo della società
romana corrosa da un’insanabile crisi economica e politica, minacciata
dalla crescente pressione delle gentes germaniche e dall’esplodere sempre
più frequente di drammatiche rivolte contadine; ma adesso, nei suoi
ul- timi giorni, egli assisteva all’estrema rovina di quello Stato che si
era ormai intimamente compenetrato con la Chiesa di Cristo, e, dal-
l’età costantiniana, aveva associato i vescovi e il clero romano alla
guida dell’Impero. Sorto per volere di una provvidenza misteriosa e
inaccessibile, che dispone dei troni e dei poteri, secondo l’esigenza di
un suo segreto disegno, l’Impero di Roma andava adesso dissolven- dosi
per una legge ugualmente necessaria e provvidenziale; ma nella estrema
confusione del secolo, nell’anarchia di tutte le autorità e di tutti i
poteri, il vescovo africano vedeva solo il segno dell’avvento di una
nuova società integralmente religiosa, capace di assorbire nella sua più
alta finalità cristiana l’ordinamento mondano, conservandolo per i suoi
scopi superiori. Se la città terrena scontava nella sua morte la propria
origine di violenza e di frode, la città di Dio poteva sor- gere a
imporre nel nome della sua destinazione ultraterrena la pace e
l'universale concordia, sotto il segno dell’alta guida della potestas Ecclesiae.
La dottrina che Agostino aveva elaborato nel De civitate Dei,
scritto tra il 416 e il 426, in anni trai più tragici della storia
dell’Im- pero, era certamente un tentativo coerente di sottrarre la
comunità cristiana all'imminente catastrofe, riaffermando che il suo
destino ol- Introduzione trepassa sempre la storia e
il mondo presente, che la sua verità tra- scendente è al di là di ogni
fortuna o sventura storica. Ma il suo richiamo alla superiorità di un
destino celeste, estraneo alla misura mondana degli uomini “carnali,” non
diminuiva la gravità di una crisi che incideva sugli stessi fondamenti
della situazione civile e intellet- tuale in cui era maturato il trionfo
politico del cristianesimo. In Gal- lia e in Iberia le sanguinose
dagaude, ribellioni delle gentes non romane contro l’aristocrazia latina
e quella indigena latinizzata, se- gnavano irrevocabilmente la fine
dell’unità romana. E mentre, nel pre- cipitare della dissoluzione militare
e amministrativa dell’Impero, si spezzavano anche i legami culturali che
avevano tenuto unite le più diverse regioni d’Europa, i popoli germanici
si installavano già pe- santemente nel cuore dell'Impero, portando a
contatto con la mille- naria esperienza di una società economica evoluta
la loro organizza- zione ancora tribale, i loro culti della forza e del
sangue. Certo, ad Oriente, nella recente capitale di
Costantinopoli, conti- nuava la stessa tradizione romana che avrebbe più
tardi trovato le basi di una nuova ripresa politica e intellettuale nel
difficile connubio. dell’ellenismo e del cristianesimo. Ma nell’Occidente
devastato dalle invasioni e dalle insurrezioni contadine e militari,
l’autorità e il potere dell’Impero erano ormai soltanto un nome ed una finzione
giuridica. E presto i capi germanici avrebbero potuto imporre il loro
sostanziale do- minio a tutte le classi e i ceti dell’antica società
romana. Cosî il potere mi- litare e politico sarebbe passato
definitivamente dalle mani dell’aristo- crazia senatoria e latifondistica
e della burocrazia imperiale in quelle di una ristretta casta militare
germanica, pronta però ad accettare la collaborazione dei vinti e a
riconoscere la loro superiorità intellettuale. Questa dissoluzione
dell’Impero e, con essa, la crisi della stessa struttura organizzativa
della cultura romana, non fu però, certamente, un evento improvviso, né
ebbe quel carattere catastrofico che gli è stato cosî a lungo attribuito
dalla storiografia romantica. Anzi, anche quando tra la fine del IV e gli
inizi del V secolo l'emigrazione delle gentes germaniche si trasformò in
vera e propria invasione, lo stan- ziamento delle loro tribi
nell’Occidente romano avvenne ancora, in generale, nel quadro degli
ordinamenti romani. I capi barbarici che occuparono con i loro exercitus
l’Italia e le province più latinizzate dell'Europa occidentale e
dell’Africa, tennero spesso a comportarsi: pit come mandatari
dell’autorità imperiale che non come veri e propri so- vrani, senza
mutare la struttura organizzativa dello stato romano. Né le condizioni
politiche e sociali delle élites subirono, almeno nei primi tempi, un mutamento
radicale, o venne trasformata la struttura sociale del Basso Impero, che
restò di fatto immutata, anche se alle aristocrazie latifondistiche
romane o provinciali si sostitui, in gran parte, la nuova aristocrazia militare
germanica. È vero che le inva- sioni barbariche, nelle regioni pid
lontane o periferiche, ebbero tal- volta come immediata conseguenza la
rottura della recente tradizione romana. Ma è altrettanto certo che lo
stanziamento delle gentes ger- maniche nelle vecchie terre latine, lì
dove esisteva un forte tessuto urbano e solide istituzioni culturali, non
ebbe affatto un simile effetto. Anzi, gli storici del Medioevo sono
concordi nel contrapporre il rapido regresso della cultura nelle regioni
di recente latinizzazione alla ro- busta e vitale continuità di
tradizioni intellettuali che si ebbe invece in Italia, in Gallia, in
Spagna e nell’Africa romana. Tuttavia, se pure le invasioni non
distrussero volontariamente la base della cultura romana, che negli
ultimi secoli dell’Impero aveva raggiunto un notevole grado di uniformità
e di “stilizzazione” scolastica, la dissoluzione dell’unità imperiale non
fu certo priva di gravi conseguenze. Già i grandi spostamenti etnici dei
secoli III e IV e le invasioni avevano cominciato ad infrangere quel
comune tessuto giuridico e amministrativo che aveva unito per secoli le
re- gioni dell’Occidente. Adesso, il costituirsi di regni barbarici
sepa- rati ed autonomi in Italia, in Spagna, nelle Gallie e nell’Africa
ro- mana, rese permanente quella rottura ed approfondi gli elementi
di divisione, anche sul piano della vita intellettuale. Per prima cosa,
in- fatti, l'Occidente fu separato dalle regioni dell'Oriente
mediterraneo, che seguirono di fatto uno sviluppo economico, politico e
intellettuale completamente diverso e nelle quali fiori una cultura con
caratteri assai distinti da quelli che si delinearono nelle terre
occidentali. Ma un’altra barriera venne pure a cadere tra l’Italia
— che era stata il maggiore centro della vita politica e amministrativa
dell’Impero e do- ve l'elemento romano restò sempre prevalente — e le
altre regioni dell'Europa centrale, ove i germani condizionarono in
maniera assai più netta la graduale formazione delle nuove unità
nazionali. Il for- marsi di diversi regni; la fine dell’unità giuridica e
statale romana, presto polverizzata nel particolarismo istituzionale
dell'Alto Medioevo; il sovrapporsi delle nuove aristocrazie militari
germaniche alle vecchie classi dominanti dell’età imperiale, ebbero
quindi come naturale esito storico il progressivo frazionamento della cultura
e della vita intellet- tuale, la cui unità fu però salvaguardata dalla
dominante influenza della gerarchia e delle istituzioni ecclesiastiche. E
tale frazionamento fu poi accentuato dal costante spostamento dell’asse
economico-so- ciale della civiltà europea dalla città verso la campagna e
dalle atti- vità mercantili e artigiane a quelle rurali, dal
rallentamento dei rapporti economici e politici con l'Impero d’Oriente e
dalla naturale diminuzione degli scambi tra le varie regioni. Ciò spiega
anche il progressivo differenziarsi delle caratteristiche culturali di
popolazioni che erano pure rimaste per secoli nell’ambito della tradizione
romana, nonché l’effettivo regresso di molti aspetti della vita sociale,
sui quali, del resto, si rifletterono anche le condizioni di arretratezza
proprie delle aristocrazie barbariche. Certo, l’ossatura amministrativa
-sulla quale si ressero i regni romano-barbarici restò numana; e i
romani poterono spesso esercitare liberamente funzioni anche di notevole
ri- lievo politico e continuare a trasmettere il proprio patrimonio
cultu- rale. Ma questo non toglie che la scomparsa o l’indebolimento di
un saldo potere centrale, e il lento disgregarsi dei ceci sociali che
avevano avuto per secoli il pieno monopolio della cultura, non influisse
deci- samente. nelle condizioni “di base” della vita intellettuale. Da
un lato, infatti, si accentuò quel processo di riduzione “scolastica”
della cultura che era, del resto, già caratteristica dell'uitima età
imperiale, e la prevalenza di un criterio “utilitario” che legava lo
svolgimento dell’attività intellettuale alla formazione di un personale
giuridico e amministrativo, e, soprattutto, della gerarchia
ecctesiastica. D'altro can- to, la forza politica e amministrativa della
Chiesa. unico corpo unitario e saldamente organizzato nell’Europa
frazionata. contribuf a dare alla cultura un’impronta sempre più
ecclesiastica, sostituendo all’organizza- zione scolastica romana una
nuova efficiente rete di scuole religiose. Ma, soprattutto, il patrimonio
di cultura greco-romana si sempli- ficò e schematizzò, secondo le
esigenze di una società sempre più disorganica, e la riflessione filosofica
venne ormai strettamente le- gata alla tematica religiosa cristiana e
quindi naturalmente esposta agli interventi e al controllo della potente
gerarchia vescovile. Cost, mentre a Costantinopoli la direttiva
cesaro-papistica degli Imperatori conduceva a una stretta intrinsecazione
tra dogma religioso e autorità politica, preludendo alla definitiva
liquidazione delle ultime scuole filo- sofiche non cristiane operata da
Giustiniano nel 529, anche in Occi- dente il primato intellettuale della
Chiesa pose di fatto le condizioni del suo monopolio quasi esclusivo
dell’educazione e della cultura. È appunto da questo momento storico, che
conclude la lunga crisi dell'Impero e inizia la lenta formazione della
nuova società europea, che deve muovere lo studio storico del pensiero
medioevale. Poiché, se è vero che il passaggio tra la civiltà
greco-romana del tardo Impero e quella dell’Alto Medioevo fu lento e
graduale, è però altrettanto evi- dente che la cultura di Boezio e di
Cassiodoro, per non dir poi di quella di Isidoro di Siviglia, presenta
già dei caratteri ben definiti, i quali la distaccano nettamente dagli
ultimi sviluppi contemporanei del- la filosofia classica che hanno luogo
ad Atene o ad Alessandria. E chi guardi alle radici concrete dei fatti
intellettuali e all’ambiente storico in cui essi si svolgono, non ha difficoltà
a riconoscere che proprio in- torno alla metà del V secolo passa il
grande spartiacque tra la cultura del mondo antico e quella dell’età
medioevale. Con questo, non si vuol certo dire che il carattere
iniziale della civiltà del Medioevo sia dato da un “profondo
imbarbarimento,” o tanto meno che la riflessione medioevale sia
condizionata, fin. dalle sue origini, da una esclusiva direttiva
“scolastica” e “dogmatica.” Al contrario, la vicenda della cultura
dell’Alto Medioevo è anzi la testi- monianza di vitali esigenze
spirituali che, al di là di tutti gli ostacoli posti dalle avverse
condizioni politiche, mantengono le fila di una gran- de tradizione e
preparano la lontana. ripresa del IX secolo, Ed è pure, a ben guardare,
la testimonianza di quella costante differenziazione di atteggiamenti
intellettuali, nei confronti delle tradizioni fornite dal pensiero
classico che, fin dall’inizio dell’età medioevale, si delineò nel-
l’unità religioso-filosofica instaurata ben presto dalla Chiesa romana.
Ciò spiega, tra l’altro, perché la cultura medioevale occidentale — della
quale ci occuperemo in modo prevalente — abbia avuto risultati più ricchi
e fecondi della stessa civiltà bizantina, che pure era privi- legiata sia
dalla continuità dei suoi rapporti con i grandi centri intel- lettuali
della Grecia e dell’Oriente ellenistico, che dalle migliori condi- zioni
di convivenza civile e religiosa. Senza diminuire l’importanza sto- rica
della filosofia e della cultura bizantina, che pure ha avuto persona-
lità e momenti di singolare prestigio, non v’è dubbio che dei due “set-
tori” che dopo il V secolo si sostituiscono allo sviluppo sostanzial-
mente unitario della tarda antichità, quello occidentale fu nettamente
superiore nella capacità di tentare o suggerire nuove soluzioni teoriche
e speculative. Mentre in Oriente prevalse ben presto una rigida schema-
tizzazione di moduli scolastici e di atteggiamenti intellettuali che non
Introduzione consentirono progressi di grante portata, la
cultura dell’Occidente cristiano svolse invece una funzione indubbiamente
più positiva e costruttiva nei confronti della società in cui operava,
favorita in ciò dalla stessa posizione particolare della Chiesa romana
non legata, come quella di Bisanzio, a una rigida subordinazione
all’assoluta au- tocrazia del Basileus. L’indubbia
superiorità dell'incidenza storica della cultura me- dioevale occidentale
nei confronti della tradizione bizantina, giusti- fica poi il punto di
vista che terremo nelle pagine seguenti, e l’atten- zione prevalente, se
non certo esclusiva, che porteremo alle dottrine ed alle personalità
della filosofia, della teologia, del pensiero politico e della scienza
occidentale. Certo, ci accadrà spesso di riferirci anche al corso diverso
e distinto della cultura greco-bizantina (basti pensare al- l'influenza
dello Pseudo-Dionigi e di Massimo il Confessore, e quindi alla fortuna di
Psello) e, più tardi, allorché diremo della svolta sto- rica del XII e
XIII secolo, dovremo trattare, con particolare ampiezza, le dottrine dei
filosofi arabi ed ebrei che esercitarono un’influenza cosi decisiva
nell’evoluzione intellettuale dell’Occidente. Nondimeno, per quanto
concerne la linea principale della nostra trattazione, essa verterà
soprattutto su quelle personalità e correnti di pensiero che si muovono
nell’ambito delle grandi scuole occidentali, dal primo grande tenta- tivo
compiuto da Boezio per assicurare alla civiltà latina medioevale un ricco
patrimonio filosofico e scientifico, alla “rinascita” carolingia, dal- Ja
grande ripresa dei secoli XI e XII alla eccezionale fioritura specu-
lativa del Duecento, e dalla crisi della tradizione filosofica medioevale
denunciata dalle correnti di pensiero trecentesco fino alle ultime mani-
‘festazioni critiche del pensiero scolastico. Perciò, alla luce di questo
lungo e complesso processo storico, saranno pure valutati gli apporti
delle altre grandi tradizioni di pensiero e di cultura che agirono in
questi dieci secoli nel mondo mediterraneo. Tale prospettiva, che è del
resto comune a tutte le trattazioni ge- nerali di storia della filosofia
medioevale, non deve però indurre a pensare che dieci secoli di sviluppo
storico e intellettuale possano sem- plicemente ridursi sotto la consunta
etichetta di una “storia della sco- lastica.”” È vero che nella civiltà
latina medioevale la schola esercita una funzione difficilmente
paragonabile a quella delle istituzioni sco- lastiche moderne, accentra
intorno a sé quasi tutto il lavoro intellet- 14
Introduzione tuale, controlla, insieme alla Chiesa, l’elaborazione
delle idee direttive di tutta la civiltà. Ma questo dato di fatto, di cui
è facile render ragione, analizzando le condizioni sociali di base che
determinano la fortuna e lo sviluppo delle scholae, non significa affatto
che la cultura filosofica medioevale sia un chiuso regno di teologi e di
magistri, in- differenti al volgersi storico delle vicende umane,
estranei alla società ‘in cui vivono ed operano. Né tanto meno il
cosiddetto “mondo me- dioevale” è certo quell’unità uniforme, statica,
esclusa da ogni pro- gresso, immutabile nei suoi principi dominanti, che
è stata spesso descritta dagli avversari, come dagli apologeti di un tipo
di civiltà e di vita sociale che non è mai esistita, né poteva esistere.
Al con- trario, il Medioevo europeo è invece una lunga età della storia
umana estremamente complessa, ricca di eventi e di processi storici che
sono stati decisivi per l’evoluzione di tutta la civiltà occidentale. In
mille anni, non solo si è compiuto quel processo di trasformazione
econo- mico-sociale che ha portato gran parte d’Europa dalla economia
lati- fondistica del tardo Impero al feudalesimo, e, quindi, al primo
sviluppo precapitalistico del XIV secolo, ma si sono realizzate
esperienze intel- lettuali, religiose, politiche e scientifiche, di cui
non occorre neppure ricordare l’eccezionale significato storico. Sicché
giustamente si possono ripetere anche oggi le parole che lo Haskins
scrisse più di trent'anni fa, quando la disputa sui caratteri storici del
Medioevo era ancora pienamente in corso e le polemiche sulla continuità e
discontinuità del- la sua cultura con la civiltà classica e l’età del
Rinascimento erano ‘al centro delle discussioni storiografiche:
“Contrasti tra Oriente e Occi- dente, tra Settentrione e Mediterraneo,
tra vecchio e nuovo, sacro e profano, ideale e attuale, danno vita e
colore e movimento a questo periodo, mentre la sua stretta relazione sia
con l'antichità che con il mondo moderno gli assicurano un posto nella
continua storia dello sviluppo umano. Tanto la continuità che il
mutamento sono caratte- ristiche del Medioevo, come di tutte le grandi
epoche storiche” Chi studi la storia del pensiero medioevale, non come un
astratto museo scolastico di dottrine “superate,” un arsenale di apparati
teologici, o una raccolta di “bizzarrie” o di “errori” scientifici, bensi
come la ri- sposta data da una particolare società ai problemi storici
del suo tempo, non può che condividere queste idee. Né gli è difficile
riconoscere il nesso tra la lucida elaborazione delle idee al livello
teologico e filo- sofico, la pugnace polemica della riflessione politica
e i grandi muta- menti economici e sociali che. si verificano nell’Europa
medioevale, 15 Introduzione determinando
una serie di trasformazioni che ha sempre il suo ri- flesso anche nell’
impassibile meditazione di metafisici o teologi. Da questo punto di
vista, anche la diversità e il mutamento di orizzonti e prospettive intellettuali
che si verificano nei diversi mo- menti della cultura medioevale riceve
una compiuta spiegazione solo quando le varie dottrine sono immerse nel
compiuto contesto storico in cui si formarono e si diffusero. Non v’è
dubbio infatti che sarebbe ben difficile spiegare fuori dal complesso di
una radicale trasforma- zione economica e sociale il rinascimento
intellettuale del XII secolo, comprendere l’evoluzione della teologia e
della filosofia duecentesca fuori della grande fioritura della civiltà
comunale, o intendere la crisi speculativa del XIV secolo separatamente
da una più profonda tra- sformazione che coinvolge tutte le strutture
della società medioevale. Non solo; ma i caratteri peculiari e distintivi
dei vari momenti in cui si scandisce lo sviluppo storico della
riflessione medioevale, risulta- no sicuramente definiti solo se,
prescindendo da ogni astratto riferi- mento a “correnti” o “linee”
ideali, sono riconosciuti come espres- sioni di un mondo storico ben pi
vasto e complesso di quello rappre- sentato dalla esclusiva portata dei
singoli temi filosofici o teologici tradizionali. *
A questo proposito — e per chiarire un’altra direttiva alla quale
ci siamo tenuti nella stesura di questa storia — è bene anche aggiun-
gere che il carattere particolare della filosofia medioevale costringe lo
studioso ad affrontare assai spesso una complessa tematica teologica, la
quale è anzi cosi intrinsecata con lo sviluppo della riflessione fi-
losofica, da rendere impossibile qualunque arbitraria distinzione. In una
società in cui la Chiesa mantiene per almeno otto secoli il mo- nopolio
effettivo della cultura, e in cui la figura dell’intellettuale si
identifica con quella del clericus, sarebbe infatti del tutto assurdo
pre- tendere di tracciare una “linea rigorosa di demarcazione” tra la
storia della filosofia e quella della teologia. E certamente, come lo
studioso del pensiero moderno non può prescindere nella valutazione dello
svi- luppo filosofico dalla concomitante incidenza della storia delle
scien- ze, a più forte ragione lo storico del pensiero medioevale deve
tener presente, per prima cosa, che proprio la teologia, con i suoi
problemi e i suoi dogmi, fu l’ambito ideologico in cui si sviluppò, per
quasi un millennio, la discussione filosofica, condizionandone
naturalmente 16 Introduzione i
particolari svolgimenti. Ma questo non significa che si possa cata logare
mille anni di evoluzione storica del pensiero umano sotto l’eti- chetta
di comodo della “vocazione trascendente,” o dello “spirito asce- tico” o
ridurre la riflessione medioevale all’unico problema del rap- porto
fede-ragione. Che tale problema sia stato largamente presente ai filosofi
del Medioevo, che ‘abbia acquistato un'importanza dramma- tica via via
che tornavano a circolare le grandi testimonianze del pensiero classico,
è cosa evidente. Però, nulla sarebbe pit falso che ri- durre questo
problema, che fu anch’esso squisitamente storico e ri- fletté atteggiamenti
e soluzioni ben radicate nell’evoluzione della so- cietà medioevale, ad
una sorta di rigida disputa controversistica; tanto più che è cosi facile
cedere alla tentazione di introdurre in una cul- tura e in una fase della
storia della Chiesa che le ignoravano, certe nozioni di “ortodossia” o
“eterodossia” tipiche dell’età post-tridentina; e ben lontane dalla
mentalità e dai gusti speculativi dei magistri me- dioevali,
D'altro canto, la prevalente natura teologica del pensiero medio-
evale (prevalente, ma non esclusiva, perché il Medioevo ebbe pure i suoi
grandi medici, giuristi e scienziati che influirono non poco anche nella
storia della filosofia propriamente detta) non deve indurre ad accettare
per la filosofia medioevale la definizione esclusiva di “filo- sofia
cristiana.” A parte il fatto che la cultura filosofica medioevale è
frutto dell’opera di Avicenna, di Averroè, di Avicebron e del Mai-
monide, certo non meno di quella di Bonaventura, di Tommaso o di Duns
Scoto, la sua “eredità” classica è sempre cosf attiva, da ren- dere assai
difficile stabilire quanto ogni singolo pensatore e il suo ambiente
intellettuale debbano al “messaggio” cristiano, e quanto in- vece alla
presenza di Platone, di Aristotele, di Cicerone e di Proclo. Il caso della
scuola di Chartres (per citare uno degli argomerti che ha pit offerto
occasioni per discutere l’ispirazione “cristiana” o “pa- gana” di taluni
pensatori di alto rilievo) insegna quanto sia fallace e pericolosa
l'applicazione di simili “parametri” alla storia della filosofia
medioevale. Perciò, senza entrare nei particolari di una discussione che
ha impegnato, trent'anni fa, alcuni dei maggiori studiosi cattolici e
laici, ci limiteremo a sottolineare che la nostra voluta astensione da
ogni giu- dizio di tal genere dipende dalla certezza che l’opera dello
storico, qualunque sia la direzione o i “livelli” in cui si svolge, non
ha nulla da guadagnare da simili atteggiamenti strettamente
ideologici. Naturalmente, non si vuol mettere in dubbio che la
cultura me- dioevale sia profondamente permeata di spirito cristiano e
che, anzi, proprio la tematica teologica e religiosa rappresenti
la sua più imme- diata espressione ideologica. Nondimeno è pur lecito
ricordare che an- che le credenze religiose assumono continuamente
significati ed e- spressioni sempre nuove, secondo le esigenze e i
bisogni di quei ceti o ambienti in cui si articola il grande corpo della
C4ristianitas me- dioevale, e secondo l’incidenza di idee, dottrine e
atteggiamenti in- tellettuali che venivano da ambienti e tradizioni “laiche.”
Accanto al- la dominante “facoltà” teologica, accanto ai commentatori
della Bibbia e delle Sentenze e agli autori delle grandi Summae, v'è
infatti, e ac- quisterà sempre più peso e influenza nella storia della
cultura me- dioevale, il mondo dei medici e dei giuristi, dei magistri
artium e degli spetiales, lettori spregiudicati degli scienziati e dei
filosofi greci e arabi, spesso osservatori acuti delle res nazurales e
già abituati a pensare il cosmo fisico come un complesso di fatti e di
fenomeni “autonomi.” Non solo; ma più procederà l’evoluzione della
società me- diosvale, e più questi ceti di intellettuali, estranei al
tessuto “cleri- cale” della cultura teologica, si trasformeranno in
portatori di idee e concezioni che minano profondamente l’antico ideale
unitario e ca- rismatico della Ckristianitas, per avanzare e difendere le
nuove ragioni degli stati cittadini e delle monarchie nazionali, o le
radicali esigenze laiche delle classi emerse dallo sfacelo del mondo
feudale. Né questo spirito resterà estraneo anche alla problematica
teologica o all'ambiente clericalis dei magistri Sacrae Theologiae, se è
vero che, a Parigi come ad Oxford, la scolastica del XIV secolo saprà
esprimere in forma esem- plare la crisi di una società e di una cultura
che stavano profonda- mente mutando. Il fatto che i medesimi
maestri che hanno criticato i fondamenti della fisica e della metafisica
“scolastica” siano, al tempo stesso, i li- quidatori della scientia
teologica medioevale e, non di rado, anche audaci osservatori e teorici
degli eventi politici e dei comportamenti economici contemporanei
dovrebbe cosî indurre a una maggiore cau- tela nel giudicare i rapporti
che la matura cultura medioevale istituî tra le scienze sacre e profane,
tra la teologia e la conoscenza critica della realtà. Poiché la vicenda
della tarda scolastica dimostra, nel modo più chiaro e inequivocabile,
che se la teologia offrf spesso il quadro universale di una “visione del
mondo” in cui si riconobbe tanta parte della società medioevale, questa
“visione” subî però sempre la stessa sorte della realtà da cui nasceva,
ed espresse nei suoi concetti più “universali,” “trascendenti” quello
stesso faticoso processo di evolu- zione che si definiva concretamente
nel progresso delle scienze e delle 18
Introduzione tecniche, come nell’affermazione sempre più sicura di
nuovi tipi di organizzazione sociale e politica. A queste
considerazioni dobbiamo poi aggiungerne un’altra, non meno importante; e,
cioè che se l’autorità e le gerarchie della Chiesa condizionarono in
larga parte, e in senso positivo, come in senso ne- gativo l’evoluzione
del pensiero medioevale, pure non poterono mai im- pedire che le ragioni
della storia avessero il sopravvento. Le condanne, i divieti, le ammonizioni
di cui è pure straordinariamente ricca la storia della cultura medioevale
non hanno mai arrestato quelle idee o dottrine che rispondevano ai
bisogni più profondi e necessari di una società in movimento; e, certo,
chi rifletta alla storia dei ripetuti e costanti divieti all'insegnamento
di Aristotele, alla condanna del ve- scovo Tempier, che colpì talune tesi
tomiste, o alla lunga lotta con- tro i teorici dell'autonomia della
ricerca scientifica o filosofica, ha larga materia di meditazione sull’estrema
relatività di una vicenda che doveva concludersi proprio con
l'accettazione dell’aristotelismo co- me strumento filosofico della
teologia cattolica e con l’assunzione del tomismo a filosofia ufficiale
della Chiesa. Comunque, al di là dei con- flitti che spesso opposero le
correnti più avanzate della rifl-ssione me- dioevale alla forza frenante
di una tradizione sempre ancorata al pas- sato, anche il mondo delle
scholae fu protagonista e, insieme, testi- mone dell’evoluzione storica
che conduceva i popoli dell’Europa occi- dentale verso l'avvento di un
nuovo mondo storico fondato sui valori umani della scienza, della tecnica
e del lavoro. Tra il cristianesimo monastico e ascetico di Pier Damiani e
la lucida mentalità scientifica di Ruggero Bacone che affida il trionfo
della sua fede nel mondo alla meravigliosa potenza di invenzioni e
tecniche umane; tra la rigida teo- crazia di Papa Gregorio e la teorica
di Marsilio da Padova, che studia con rigore razionale le strutture e le
finalità dello stato “umano,” si muove la lunga, umile fatica di
commentatori e di maestri, di tra- duttori e compilatori indaffarati a
riconquistare e restituire ai propri contemporanei il sapere degli
antichi, a dare piena cittadinanza nella Europa cristiana al “gran
pagano” Aristotele, o ai nuovi strumenti e ritrovati della scienza araba.
Ma quest’opera che fornisce gli stru- menti alla nuova scienza come ai
prestigiosi edifici delle grandi Sum- mae, dove la cultura del tempo
celebra la propria “visione del mondo,” ha significato e valore solo
quando è calata nella vivente unità del mondo storico, nella feconda
fatica di una lunga giornata umana. 19 Parte
prima L'Alto Medioevo Capitolo primo
Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici I. Marco
Anicio Severino Boezio I regni romano-barbarici furono
l’espressione politica di un lento e complesso processo di assimilazione
tra il tessuto tradizionale della società romana e i nuovi elementi
etnici e politici recati in Occidente dagli invasori germanici. Nuovi ad
una forma di vita organizzata en- tro stabili ordinamenti politici ed
amministrativi, ed anzi avvezzi ad una forma di convivenza civile ancora
rudimentale, i germani si tro- varono infatti dinanzi al grave problema
di dar vita ad un tipo di stato che, pur assicurando il predominio
militare e politico dell’aristocrazia teutonica, permettesse però la
convivenza con le élites romane, avvez- ze da secoli a maneggiare i
delicati strumenti amministrativi di una grande società a struttura
urbana. Cosf, pur essendo giunti nelle terre dell’Impero con tradizioni
assai diverse, i germani costituirono in Ita- lia, in Spagna e nelle
varie regioni della Gallia, un tipo di stato assai simile che univa a istituzioni
romane consuetudini e ordinamenti ca- ratteristici delle diverse stirpi
germaniche. E, mentre il potere politico restava concentrato nelle mani
del “kònig” germanico e degli “ariman- ni” che costituivano l’exercitus
barbarico, l’ossatura amministrativa del- le singole regioni restò
integralmente romana. E romana fu la cultura e la forma di organizzazione
della vita intellettuale che continuò a do- minare i vari regni sorti
dalla rovina dell'Impero. In un tipo di stato cosî ordinato, era
ben naturale che l’elemento latino mantenesse immutata la propria
supremazia intellettuale e che tutte le forme di elaborazione ideologica
fossero patrimonio particolare dell’aristocrazia romana che aveva dovuto
cedere ai germani la sua tradizionale supremazia politica ed anche gran
parte del suo potere economico. Agli intellettuali formatisi nella pura
tradizione della cul- tura classica resta affidato il difficile compito
storico di continuare la esperienza giuridica-filosofica-teologica
maturata dall’incontro delle con- 23 L'Alto Medioevo
cezioni filosofiche greche, della problematica dei Padri e
dell’elabora- zione secolare del diritto romano. Ma questa esperienza non
venne semplicemente trasmessa dai suoi naturali depositari alla nuova
aristo- crazia intellettuale che si formava soprattutto nell’ambito delle
istitu- zioni ecclesiastiche; fu invece profodamente trasformata
attraverso una complessa opera di adattamento cui parteciperanno ben
presto an- che intellettuali di origine barbarica, rapidamente assimilati
dal tes- suto vitale della Chiesa. I risultati e le conseguenze di questo
pro- cesso saranno ben visibili nelle condizioni della cultura europea
tra il V e il VII secolo, che rappresentano chiaramente una confusa e
dramma- tica età di transizione tra gli ultimi sviluppi della cultura
greco-romana e un nuovo ambiente intellettuale dominato dalla tematica
religiosa cristiana. Però il declino dell’alta cultura filosofica e la
relativa povertà anche delle espressioni più significative di questo
periodo non può far dimenticare la preziosa funzione esercitata da
Boezio, da Cassiodoro e da Isidoro di Siviglia nel periodo in cui si
viene preparando la nuova struttura sociale dell'Europa medioevale. È per
loro merito che le pur decadute istituzioni culturali dei regni
romano-barbarici potranno continuare a tramandare per due secoli, di
generazione in generazione, alcuni dei motivi dominanti della
speculazione classica e della scienza antica. Ed è pure sulla traccia
segnata dalle loro opere che comincia a prender corpo tutto un nuovo tipo
d’insegnamento saldamente conte- nuto nell’unità filosofica e religiosa
della cultura ecclesiastica e perfet- tamente adeguato alle esigenze del
tempo. Certo, a parte il caso parti- colare di Boezio la cui originalità
filosofica è fuor di dubbio, l’opera di questi intellettuali è volta
principalmente all’utilizzazione del patri- monio fornito dal pensiero
classico ed alla sua riduzione in sintetiche enciclopedie o manuali di
facile uso scolastico, adatti al compito fonda- mentale della formazione
dei chierici che costituiscono adesso la prin- cipale classe colta della
società romano-barbarica. Eppure è proprio attraverso questa attività
apparentemente cosi umile che si cominciano a predisporre le basi intellettuali
per la futura rinascita carolingia e per il primo grande tentativo di
elaborazione culturale conforme ai carat- teri sociali e politici
dell'Europa medioevale. Tra i pensatori che segnano il graduale
passaggio tra la tarda cultura classica e la nuova temperie spirituale
dell’età romano-barbarica, la figura di maggior rilievo è certo quella di
Marco Anicio Severino Boezio. Nato a Roma da famiglia senatoriale intorno
al 470 d.C., egli segui il normale corso di studi di un giovane
aristocratico dei suoi tempi, destinato ad alte funzioni politiche ed
amministrative, e, in par- 24 Filosofia e cultura
nell'età dei regni romano-barbarici ticolare, studiò filosofia
nelle scuole di Roma e di Alessandria. Ancora fanciullo allorché venne
deposto l’ultimo imperatore d’Occidente, Boe- zio era nella prima
maturità quando la politica conciliante e filoromana di Teodorico, re
degli Ostrogoti, lo chiamò a far parte del concistorium regio con il
titolo di console e poi di magister palatit. In tale qualità
l’aristocratico romano visse alla corte del re barbaro per oltre un de-
cennio, vi esercitò delicati uffici e fu ascoltato consigliere di Teodo-
rico. Ma il profilarsi della minaccia bizantina e la violenta opposizione
della aristocrazia ostrogota, che si riteneva sacrificata all’elemento
ro- mano, indusse Teodorico a mutare politica e a liquidare gli
aristocratici romani di cui temeva i rapporti palesi ed occulti con il
Basileus di Co- stantinopoli. Cosi nel 524 Boezio, accusato di tradimento,
fu imprigio- nato nel carcere di Pavia ove scrisse la sua opera pit nota,
il De conso- latione philosophiae. Condannato a morte, fu ucciso poco
dopo; e la sua morte, attribuita a ragioni di persecuzione religiosa,
fece fiorire per tutto il Medioevo la leggenda del suo martirio che la
critica storica ha completamente dissolto. Anzi, in tempi non molto
lontani, sono stati sollevati addirittura dei dubbi sulla appartenenza di
Boezio alla religione cristiana, dubbi fondati, del resto, sull’assenza
di qualsiasi specifica allusione a dottrine cristiane nei suoi scritti di
sicura attri- buzione. La testimonianza di un frammento di Cassiodoro in
cui si cita un Liber de Sancta trinitate et capita quaedam theologica di
Boezio, ha permesso la sicura attribuzione almeno di alcuni scritti
teologici che andavano già tradizionalmente sotto il suo nome; e quindi
anche di accettare, con sicurezza, la sua appartenenza alla Chiesa
cristiana. Comunque, la civiltà medioevale deve assai più all’opera
filosofica di Boezio che non alla sua riflessione teologica direttamente
esemplata sui modelli agostiniani. Autore di un celebre commento
all’Isagoge di Porfirio (nella traduzione di Mario Vittorino), di un
secondo com- mento allo stesso testo da lui nuovamente tradotto, di vari
altri trat- tati e commenti logici (Introductio ad categoricos
syllogismos, De syllo- gismo categorico, De syllogismo hypotetico, De
divisione, De differe- tiis topicis) di un commento ai Topica
ciceroniani, di un commento alle Caregoriae e di due al De
interpretatione, egli è l’effettivo fon- datore della tradizione logica
medioevale e l’ordinatore di quel com- plesso di testi e di problemi che
saranno al centro dell’insegnamento dialettico dell'Alto Medioevo. Ma
altrettanto importante è la sua atti- vità di traduttore che gli permise
di consegnare alla cultura occidentale una parte notevole dell’Orgaron
aristotelico, in versioni che hanno cir- colato per secoli in tutte le
scuole di Europa. Sue sono infatti le tradu- zioni delle
Categoriae, del De interpretatione, degli Analytici priores e
posteriores, degli Elenchi sophistici e dei Topici, ossia di quei testi
che furono fino al XIII secolo l’unica fonte essenziale dell’insegnamento
di Aristotele. Però il programma di Boezio era, a quanto sembra,
assai più ambizioso, se è vero che si era proposto di tradurre
integralmente tutti i dialoghi di Platone e tutto il corpus aristotelico,
allo scopo di mostrare il profondo, sostanziale accordo tra le due
dottrine. Né il fatto che il suo progetto non sia mai stato realizzato
toglie importanza a questo aspetto dell’opera di Boezio, prezioso
intermediario tra i maggiori documenti del pensiero greco e la cultura
latina medioevale. Anche un esame superficiale degli scritti logici
basta, d’altra parte, a mostrare la sua larga conoscenza della tradizione
filosofica classica e la sua familiarità con i problemi già dibattuti
dagli interpreti alessan- drini. Ed anzi, come è stato concordemente
rilevato dalla maggior parte degli studiosi, è sempre evidente nella
logica di Boezio la tenden- za ad interpretare le dottrine dell’Organon
secondo una direttiva so- stanzialmente platonica, perfettamente
plausibile ove si pensi che egli sente fortemente l’influsso dei commenti
di Porfirio e della sua discus- sione intorno al significato ed alla
natura degli universali. Quale sia stata l’origine di questo
problema — che per una signi- ficativa distorsione storiografica è stato
considerato cosî a lungo come il problema essenziale, per non dire
addirittura l’unico, della filosofia me- dioevale — è cosa ben nota. In
un passo dell’]sagoge Porfirio, dopo aver definito i termini logici di
“genere” e di “specie,” aveva infatti aggiunto che avrebbe rinviato ad
altro luogo la decisione sull’effettiva natura di questi concetti; e cioè
se i “generi” e le “sp'cie” fossero delle realtà sussi- stenti di per sé
o, invece, delle semplici categorie mentali; se, nel caso che fossero
delle realtà, avessero una natura corporea o incorporea; e se, infine,
supponendole incorporee, esistess:ro separatamente dalle cose sensibili o
vi fossero invece intrinsecamente unite. Ora, sappiamo benis- simo che di
fronte a queste ipotesi Porfirio aderiva ad una soluzione di schietto
carattere platonico. Ma poiché l’Isagoge era semplicemente uf testo
elementare, scritto per avviare i giovani alla lettura dell’Orga- non,
era naturale che egli soprassedesse ad una discussione di carattere
metafisico, risolta, del resto, altrove in piena coerenza con la sua ispi-
razione metafisica. La questione lasciata così in sospeso dall'Isagoge è
invece affrontata da Boezio, il quale si rende perfettamente conto della
netta divergenza tra una soluzione fedele alla dottrina aristotelica e
quella che si può dedurre dalla concezione platonica delle idee. Così
26 Filosofia e cultura nell'età dei regni
romano-barbarici nei suoi Commenti dell’Isagoge, egli espone, in
sostanza, la tesi aristo- telica, mostrando l’impossibilità di attribuire
una realtà sostanziale alle idee di genere e di specie che, appunto
perché sono comuni ad interi gruppi di individui, non possono essere esse
stesse degli individui, e tanto meno delle sostanze sensibili. D'altra
parte, Boezio rileva che se gli “universali” fossero soltanto delle
semplici nozioni mentali e non avessero alcun riferimento alle cose
esistenti, il nostro pensiero non avrebbe in tal caso nessun oggetto
reale e, quindi, pensandoli, non pen- serebbe nulla. Sicché è evidente che
gli universali debbono essere sem- pre dei termini di pensiero
corrispondenti a delle realtà e che quindi il problema della loro natura
coinvolge tutto quanto il significato ed il valore della conoscenza
umana. Per risolvere questo problema — che si sarebbe pi tardi
ripre- sentato a tanti logici medioevali costringendoli sempre a precise
scelte di ordine metafisico — Boezio si richiama poi ad una dottrina,
non nuova e già svolta ampiamente da alcuni interpreti greci. Egli
nota infatti che il nostro intelletto è capace di astrarre dalla visione
confusa delle cose particolari, presentate dai sensi, talune proprietà
fondamentali comuni ad un'intera classe o gruppo d’individui. Ma le
specie ed i ge- neri sono appunto delle qualità “comuni” che sussistono,
in certo sen- so, in ognuna delle cose individuali e materiali, pur
essendo pensate dal- l'intelletto come forme pure ed immateriali. La
facoltà astrattiva del- l’intelletto umano è, insomma, capace di estrarre
dagli individui con- creti le forme o nozioni astratte definite nei concetti
universali. O, come scrive appunto Boezio in un passo che ha goduto di
un’eccezio- nale fortuna storica, gli universali subsistunt ergo circa
sensibilia, intel- liguntur autem praeter corpora. È chiaro
che una soluzione di questo genere è assai vicina alla classica dottrina
aristotelica dell’astrazione di cui ricalca le linee gene- rali. Ma
sarebbe erroneo credere che Boezio, pur presentando come “commentatore”
la dottrina di Aristotele, vi aderisse pienamente, sen- za dubbi o
riserve. Intanto, di fronte al “testo” dell’Orgazon, egli non manca anche
di presentare l’opposta opinione platonica, ossia la dot- trina
“realistica” delle idee considerata come pienamente sostenibile e
legittima. Inoltre Boezio, che non cita mai la dottrina aristotelica del-
l'intelletto agente, inseparabile dalla concezione peripatetica
dell’astra- zione, presenta in un testo del V libro del De consolatione
una dottrina gnoseologica del tutto diversa, fondata sulla considerazione
gerarchica delle varie “facoltà” o “funzioni” dell'anima umana.
Certamente an- che qui Boezio muove dalle prime impressioni sensibili
indispensabili 27 L’Alto Medioevo a
mettere in moto tutto il processo della conoscenza, per passare poi
all’analisi della facoltà immaginativa capace di cogliere nella ma- teria
sensibile le immagini e i segni. Ma al di sopra di queste facoltà
originarie, ma inferiori, egli pone l’attività della ragione capace di
af- ferrare la specie intelligibile presente nell’individuo e finalmente
la pura “virti” dell’intelligenza che perviene a cogliere le forme di
per se stesse, nella loro eterna unità, separate da ogni legame o
connessione sensibile. Ciò spiega naturalmente le diverse e
contrastanti interpretazioni che vennero date durante tutto il Medioevo
agli scritti di Boezio, non- ché la ragione per cui tanti maestri di
logica dell'Alto Medioevo pote- rono pervenire a conclusioni
schiettamente platoniche, pur movendo dall’analisi delle dottrine aristoteliche.
In realtà, tutta la meditazione filosofica di Boezio è profondamente
legata alla tradizione platonica e neoplatonica, e tende a concludersi
nella suprema scienza delle Idee e nella contemplazione della Mente
divina che reca già in se stessa gli archetipi o rationes universali di
tutte le cose. Bene supremo ed assoluto, eterno oggetto di pensiero
di cui ogni mente umana possiede una conoscenza innata e indelebile, Dio
è infatti l’Essere perfettissimo, fonte di ogni esistenza, la causa prima
di cui è impossibile concepire qualcosa di più perfetto. Per questo, la
sua esi- stenza è cosi certa ed evidente da escludere ogni dubbio o
incertezza; poiché, se è vero che l’esistenza di tutto ciò che è
imperfetto presuppone sempre quella del perfetto, e se è evidente che esistono
molteplici esseri imperfetti, limitati e contingenti, dev’essere
necessario che esista un Essere perfettissimo, donde dipendano tutte le
cose imperfette. In tal modo, in uno schema dimostrativo sviluppato più
tardi dalla teologia dell'XI secolo, Boezio lega indissolubilmente la
dimostrazione dell’esi- stenza divina al postulato insieme logico e
metafisico di un unico fon- damento di tutte le esistenze e realtà
particolari, culmine dell’ordine ge- rarchico dell’universo e, al tempo
stesso, unità eterna ed immutabile, assolutamente superiore ad ogni
categoria o determinazione logica. Questa concezione di Dio (che
non è necessariamente cristiana, ma fondata su di un’argomentazione di
carattere platonico) domina tut- to il De consolatione, uno dei testi più
fortunati di tutta la letteratura filosofica medioevale. Identificando la
filosofia con l’amore della sag- gezza eterna, pensiero vivente e causa
prima di tutte le cose, Boezio ne considera infatti tutte le diverse
funzioni secondo una precisa gerar- chia che muove dalla considerazione
delle cose naturali, per salire quindi a quella degli “intelligibili” e
affisarsi infine nella pura contem- 28 Filosofia e
cultura nell'età dei regni romano-barbarici plazione degli
inzellectibilia, sostanze separate da ogni corporeità o ca- rattere
materiale. Perciò, se la scienza dei corpi naturali è la “fisica”
(distinta nelle quattro arti del “quadrivio”: aritmetica, astronomia,
geo- metria e musica), e quella degli “intelligibili” svela invece le
funzioni pro- prie dell’anima nell’atto d’apprendere, la scienza degli
inzellectibilia (la teologia) ha per oggetto la dottrina di Dio e degli
angeli. Ma la cono- scenza teologica ci rivela come da Dio scaturiscano
tutti gli esseri in- telligibili, tra i quali è appunto l’anima umana
concepita da Boezio, platonicamente, come una pura essenza affine alle
sostanze angeliche, “degenerata” al contatto con il suo corpo, ma pur
sempre mirante alla conoscenza delle idee e di Dio. Come tutti gli esseri
naturali che ten- dono sempre al proprio scopo, l’uomo è volto al fine
intrinseco della conoscenza filosofica e teologica che coincide con la
perfetta beatitu- dine; però, mentre negli altri individui naturali
questo moto è un pro- cesso necessario e meccanico dominato dal ritmo
fatale della Fortuna, nell’uomo il tendere verso il Bene e la beatitudine
spirituale è invece un atto volontario e libero, non soggetto ad alcuna
fatalità. Questo non vuol dire, naturalmente, che non esista al di sopra
e al di là di ogni volontà particolare, la suprema legge della divina
provvidenza che ha regolato e disposto tutto il corso dell’universo
secondo una norma di assoluta perfezione. Ma il contrasto apparente tra
il libero arbitrio della volontà umana e l’ordine necessario della
Provvidenza viene spiegato da Boe- zio — che ha forse presente la
classica problematica agostiniana — affer- mando che la libertà
dell’anima consiste nel volere ciò che Dio vuole e nell’amare ciò che
Egli ama. Per questo, anche di fronte al grande problema teologico di
come possa conciliarsi quella previsione infalli- bile di ogni evento che
Dio possiede 45 aeterzo e la libertà della scelta umana, egli può
sostenere che tale previsione non distrugge affatto l’“arbitrio” dei
singoli atti che sono appunto previsti da Dio nella loro integrale
libertà. E proprio nel De consolazione questa dot- trina è confermata
mediante la netta separazione tra il piano tempo- rale, dove gli eventi
mondani accadono nella successione del “prima” e del “poi,” e
l’immutabile eternità di Dio, “possesso totale, simultaneo di una vita
senza fine,” in cui ogni fatto presente, passato o futuro esiste in una
perenne eternità. La conoscenza eterna che Boezio attri- buisce a Dio non
è tanto una “previdenza” quanto piuttosto una “prov- videnza,” né la sua
prescienza degli atti volontari nega o diminuisce la loro contingenza.
Come l'occhio umano che scorge il sorgere del so- le non è affatto la
causa necessaria per cui esso si leva, cos anche la 29
L'Alto Medioevo prescienza di Dio non impone affatto una
condizione fatale alle libere decisioni che ogni individuo può
scegliere. Simili motivi — presenti, del resto, anche in altri
scritti boeziani — sono probabilmente legati ad un filone di discussioni
di chiara ascen- denza patristica. Ma insieme a questa tematica
teologico-metafisica, è però presente nel De consolazione tutta una
dottrina dell’origine e della struttura del mondo, il cui influsso sarà
poi costante per gran parte del pensiero medioevale. Infatti, nel m. 9
del L. III, egli si accosta a! contenuto del Timeo platonico (di cui
conosce anche il commento di Calcidio) per descrivere l’azione
ordinatrice che Dio svolge nell’universo, quando adorna la materia caotica
secondo i modelli ideali, disponendo- ne dapprima le forme
matematico-geometriche e poi imponendo entro questa materia già definita
e determinata la luce degli archetipi eterni. Tutte le idee fondamentali
della tradizione platonica e neoplatonica (co- me, ad esempio, la
dottrina dei numeri e degli elementi e la teoria del- l’anima del mondo,
intermediaria tra la natura e il mondo ideale) sono cosi risolte nel
quadro di una grande visione cosmica, già del resto resa familiare alla
cultura filosofica classica dall’ecc:zionale fortuna del Ti- meo
platonico. Ma Boezio non si limita soltanto a trasmettere alla
riflessione medioevale dei temi cosi caratteristici e destinati a
costituire per secoli il fulcro delle concezioni cosmologiche, bensf si
preoccupa di armonizzare l’idea di un destino necessariamente immanente
al- l’ordine della natura, come la legge interna che regola il
movimento di tutte le cose, con la concezione provvidenziale dell’attiva
presenza divina. In questo tentativo — che costituisce uno degli aspetti
più interessanti del De consolatione — il filosofio romano subisce
forte- mente l’influenza di Calcidio donde trae la miglior parte dei suoi
ar- gomenti. E come nel commento di Calcidio al Timeo, cosi anche
qui l’ordine della natura assume un significato diverso secondo che lo
si consideri alla luce del pensiero divino che guida e muove tutta
la realtà per il suo alto disegno, o invece come una legge rigorosa e
ne- cessaria che agendo all’interno dei processi e fenomeni naturali ne
costi- tuisce la causa ineluttabile. Certo, si tratta di due
considerazioni ben diverse e distinte, giacché la provvidenza persiste
eternamente nella sua perfetta eternità, mentre il destino è invece la
stessa successione degli eventi temporali, il loro corso determinato e
fatale. Eppure, né il desti- no contrasta, per Boezio, con la
provvidenza, né tanto meno la legge di natura sopprime la responsabilità
e la autonomia degli individui. Tanto pid l’uomo si avvicina e si adegua
a Dio, tanto meno è sotto- posto alla forza del fato e gode di una
libertà sempre pit compiuta 30 Filosofia e cultura
nell'età des regni romano-barbarici e perfetta. La concezione
stoicheggiante del destino che sta alla base della cosmologia boeziana
può in tal modo coesistere con una solu- zione di tono schiettamente
platonico; la cert:zza dell’assoluta ne- cessità che è pure presente in
ogni aspetto o momento della natura sembra cedere di nuovo ad un’immagine
dell’universo non troppo di- versa da quella di Agostino e dominata
anch’essa dalla perfezione di un disegno provvidenziale. In
un universo cosi concepito, nessuna delle cose esistenti può es- ser
quindi estranea all’ordine ed alla volontà d:1 Bene supremo. Ogni ente
reale, ogni individuo particolare, dal più umile al più eccelso, con-
tribuisce difatti a realizzare un disegno eterno che non ammette, nella
sua norma, né il male, né l’imperfezione. Ma il fatto che tutte le cose
siano sostanzialmente buone — in quanto partecipanti tutte dello stes- so
Bene — non implica, per Boezio, che esse s’identifichino con l’essere
supremo e non siano realmente diverse da Dio. Ciascun individuo pos-
siede un insieme di caratteri unico ed irrepetibile, ed è costituito da
una collectio di elementi e di principi da cui non potrebbe mai
disgiun- gersi senza distruggere la propria individualità. Se è vero che
ogni composto è distinguibile in una materia determinata e in una
forma determinante, la sua realtà effettiva è tuttavia sempre
strettamente di- pendente dalla indissolubilità del “composto.” Per
questo, in ogni so- stanza composta possiamo sempre scorgere la
necessaria diversità tra l’esse e l’id quod est, e cioè tra la sua
essenza e l’esistenza di fatto determinata. Tale diversità non potrebbe
però mai verificarsi in Dio che, per essere una sostanza assolutamente
semplice, esclude da sé ogni distinzione di elementi o principi
costitutivi. Tra la natura delle cose che da Lui dipendono e la sua
propria realtà, v'è dunque un criterio distintivo indiscutibile, la cui
validità non potrebbe essere impu- gnata se non rovesciando tutto
l’ordine metafisico dell’universo. Nondimeno, l’ordine delle cose
naturali è tutto volto all’essere divino, e ad esso aspira nelle più
intime strutture. Ché tutti gli es- seri, qualunque sia la loro dignità e
la loro perfezione, partecipano alle Idee divine o meglio a quelle forme
con cui Dio ha determinato la materia informe e che sono come il riflesso
terreno degli archetipi pre- senti nella mente divina. Queste forme o
immagini — che Boezio pen- sa in modo non lontano dalla dottrina delle
species nazivae di Calcidio o dalla dottrina stoica delle raziones
seminales — sono i principi at- tivi, le cause interne dei processi
corporei e di tutte le operazioni biolo- giche. Attraverso di esse e
nella loro stretta, organica connessione, l’ani- ZI
L'Alto Medioevo ma del mondo attua infatti l’eterno disegno
pensato da Dio e traduce nel mondo della materia le divine essenze
ideali. L’interesse di Boezio per i motivi cosmologici della
tradizione pla- tonica e stoica, non è però soltanto attestato dalla sua
riflessione filo- sofica; ma è confermato dalle opere di carattere
scientifico, dedicate a ciascuna delle scienze del guadrivium, che
comprende l’aritmetica, la musica, la geometria e l’astronomia. Noi non
possediamo il cor- so completo degli scritti, destinati appunto a fornire
un curriculum com- pleto per gli studi superiori; ma ci sono giunti il De
institutione musica, il De institutione arithmetica, assai interessanti
per la cono- scenza delle fonti e dei materiali adoperati da Boezio. Non
è difficile scorgere che la sua Arithmetica è un adattamento e compendio
della classica trattazione di Nicomaco, o che la sua Musica si richiama
al- l’antica tradizione pitagorica. Il valore di questi trattati non sta
quin- di nell’originalità delle dottrine, bensi nel fatto che attraverso
di essi la cultura medioevale è entrata in possesso di un complesso di
cogni- zioni o ipotesi scientifiche destinato a guidare, per secoli, la
cono- scenza della natura. Né va dimenticato che l’influenza di Boezio
sul- l'ordinamento degli studi e delle scuole medioevali fu addirittura
de- cisivo, e che a lui si deve il quadro tradizionale entro cui verrà
poi organizzata per gran parte del Medioevo la trasmissione e la
conti- nuità della vita intellettuale. 2. Da Cassiodoro a
Gregorio Magno Il pensiero di Boezio di cui abbiamo soltanto
enunciato i motivi più interessanti e più attivi nella storia del pensiero
medioevale, è certo il frutto di una cultura maturata nell’ambito
dell’ultima filosofia elle- nistica, fondato su di un impianto metafisico
platonico e stoicheggiante, eppur già caratterizzato dalle esigenze della
religiosità cristiana. Ma le stesse caratteristichè della sua cultura
sono ravvisabili anche nel suo collega ed amico Cassiodoro
(480/490-575/585), proveniente come Boe- zio dall’aristocrazia romana, e
come lui alto dignitario della corte teodo- riciana. Più fortunato di
Boezio, Cassiodoro, dopo una brillante carrie- ra, poté ritirarsi intorno
al 540 nel monastero calabrese di Vivarium ove costitui una delle
maggiori biblioteche del suo tempo e compose due opere, il De anima e le
Institutiones divinarum ct saecularium littera- rum, che ebbero entrambe
una larga fortuna nella letteratura scolastica. La prima, ispirata
al De anima e al De origine animae di Agostino, 32
Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici nonché al
De statu animae di Claudiano Mamerto. è un trattato in di- fesa della
pura spiritualità dell'anima e in aperta polemica contro i resi- dui di
una certa mentalità stoicheggiante, ancora non poco diffusa tra gli
stessi ambienti cristiani. Cosi, l’anima vi è concepita come una so-
stanza finita, creata, presente internamente al nostro corpo, ma imma-
teriale e immortale, semplice e puramente spirituale, secondo, del resto,
una dottrina ormai saldamente affermata nella teologia ortodossa. Più
importante è però l’altra operetta, usata a lungo come manuale nelle
scuole monastiche e citata frequentemente con il titolo De artibus ac di-
sciplinis litterarum. Il brillante cancelliere di Teodorico, autore di
epi- stole tra le più eleganti e raffinate dell’ultima latinità, traccia
il piano di un corso completo di studi liberali ad uso dei religiosi. E
richia- mandosi ad una divisione che risaliva attraverso Marciano Capella
alla costante tradizione pedagogica greco-romana, distingue le arti del
£rs- vium (grammatica, dialettica, retorica) da quelle del quadrivium
(arit- metica, geometria, astronomia e musica), ossia tra quelle arti che
ci offrono i mezzi per esprimere quanto comprendiamo e quelle che
con- ducono ad una effettiva conoscenza dell’ordine naturale e morale. La
di- stinzione, già adombrata anche da Boezio, non ha in sé molto di
nuovo e di originale. Eppure nella forma che le diede Cassiodoro,
essa formò la base dell’insegnamento per gran parte del Medioevo, e
di- venne un modello costantemente seguito nell’organizzazione
fondamen- tale degli studi. Per il resto l’aspetto più significativo
dell’operetta è dato dalla sistematica riduzione dei materiali elementari
della cultura classica al servizio delle esigenze ecclesiastiche e della
conoscenza della Scrittura. Che le arti liberali debbano diventare parte integrante
delle discipline cristiane e della stessa cultura monastica è infatti
ferma convinzione di Cassiodoro che ritiene indispensabile alla
formazione dei “clerici” una buona conoscenza degli scrittori antichi e
una discreta peritia littera- rum. Certo, le dottrine dei “Gentili” vanno
spogliate del loro antico significato peccaminoso e delle suggestioni
demoniache che derivano dalle loro origini pagane. Però la conoscenza
delle lettere divine e la loro giusta interpretazione sarebbe impossibile
se mancasse la cogni- zione dei mezzi di espressione e di pensiero o se
non si conoscessero almeno i fondamenti della scienza mondana. Le
litterae humanae e le litterae divinae non sono tra loro incompatibili e
necessariamente av- verse, tanto più che l’esatta comprensione e
intelligenza della Scrittura è condizionata dal possesso dei rudimenti
essenziali del sapere. Proprio per questo Cassiodoro, riprendendo la
soluzione già posta da Agostino al problema del rapporto tra la cultura
profana e la tradizione cristia- na, delinea una soluzione
perfettamente conforme ai caratteri storici di una società in cui
l’elaborazione intellettuale sta diventando funzione esclusiva degli
uomini di Chiesa. Boezio e Cassiodoro, con la loro raffinata
cultura classica e la lar- ga conoscenza della tradizione filosofica
greco-romana, sono certo gli ultimi rappresentanti dell’aristocrazia
romana che ancora riesce ad im- porre la propria supremazia intellettuale
ai barbari e a legare alle isti- tuzioni pedagogiche della Chiesa il proprio
indirizzo filosofico e ideo- logico. La fine della collaborazione tra i
goti e i latini, la disastrosa guerra greco-gotica che desolò per quasi
venti anni le terre italiane e, poi, la rovinosa invasione longobarda,
dovevano però rendere sempre più precaria quell’opera di mediazione tra
la cultura classica e la nuova società che nasceva faticosamente dai
quadri rudimentali dei regni bar- bari, sotto la crescente autorità
politica e intellettuale della Chiesa. Ma se l’Italia vide rapidamente
imbarbarire le istituzioni culturali anco- ra sopravvissute al crollo
dell’Impero, se le dure condizioni del domi- nio longobardo resero quanto
mai labili le tracce di una continuità af- fidata principalmente alle
scuole monastiche o alla cultura burocratica e giuridica che pure
fiorisce nelle terre bizantine, non mancarono altrove nuove testimonianze
del progressivo processo di adattamento della tra- dizione classica alle
nuove esigenze storiche. È infatti nella relativa stabilità del
regno visigotico di Spagna, largamente influenzato dagli elementi
giuridici ed amministrativi del- l'ordinamento romano, e dominato dalla
crescente potenza dell’autorità ecclesiastica, che opera il più tipico
rappresentante della cultura del VII secolo, il vescovo di Siviglia
Isidoro (ca. 570-636). Autore di vari scritti dottrinali e teologici, la
sua opera più importante sono però gli Etymologiarum libri (622-633),
destinati ad una eccezionale fortuna sto- rica. Quest'opera — tra le pil
lette e diffuse in tutto il Medioevo — ci mostra in modo esemplare come
avvenga la riduzione del patrimonio intellettuale della antichità in una
sintetica enciclopedia di nozioni, utile sia per chi si volge allo studio
delle varie artes che per chi voglia dedi- carsi alle cure del magistero
ecclesiastico. Muovendo dall’idea che è pos- sibile sempre rintracciare
il principio e il significato di ogni cosa attraver- so l'etimologia del
suo nome, Isidoro ordina sulla base di questo singo- lare criterio una
grande massa di nozioni scientifiche, filosofiche e teo- logiche, spesso
trattate con grande ingenuità, ma sempre fondate sulle testimonianze di
molti autori classici. Ma l’importanza delle Origines non sta certo nella
ricchezza dei suoi riferimenti, quanto piuttosto nel- l'interesse vivace
e vitale per molti aspetti della cultura e della tradi- 34
l’ilosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici
zione classica. Infatti, nei primi tre libri, i più celebrati e
conosciuti, Isidoro traccia un piano compiuto dello studio delle sette
arti liberali, cui aggiunge poi negli altri 17 libri un complesso
ordinato di nozioni che toccano tutti gli aspetti dello scibile, dalla
medicina alla storia, dalla Sacra Scrittura alla teologia ed alla
ecclesiologia, dalla cosmografia al- l’arte della guerra, dalla geografia
alle arti meccaniche, ecc. La evidente modestia delle dottrine
esposte da Isidoro, la sua as- senza di spirito critico o di attitudine
filosofica, non toglie nulla alla importanza storica di quest'opera che salvò
dalla dimenticanza alcune nozioni e idee fondamentali destinate ad esser
tramandate, di genera- zione in generazione, nella scuola medioevale. NÉ,
del resto, è estranea al suo autore una discreta conoscenza della scienza
medica e naturale del suo tempo che va posta forse in rapporto con la
fioritura delle scuole ebraiche spagnole, eredi di tanti aspetti e motivi
della tradizione plato- nica. Anche le altre opere di Isidoro — il De
fide catholica, i Sententia- rium libri tres, il De ordine creaturarum,
il Chronicon e la Historia re- gum Gothorum et Vandalorum — testimoniano,
del resto, la notevole larghezza della sua cultura teologica, dominata
naturalmente dall’ispi- razione agostiniana, delle sue conoscenze
naturali e delle sue nozioni storiche, fornendo altre preziose
indicazioni sulle tonti filosofiche e letterarie di cui poteva servirsi
un uomo di cultura in pieno VII secolo. Ora, è vero che nel corso
di un secolo, il cerchio delle conoscenze e delle letture si è fortemente
ristretto, e che Isidoro mostra, nei confronti di Boezio e di Cassiodoro,
una conoscenza assai minore dei classici e un uso molto più rozzo degli
stessi strumenti linguistici. Eppure, nella sua opera, come in quella di
un altro minore contemporaneo, Martino di Bracara, lettore ed espositore
di Seneca, si realizza la continuità della cultura classica e si compie
il difficile salvataggio degli ultimi resti di una civiltà ormai in
rovina. Raccogliendo nozioni e dottrine, ordinan- dole nell’ambito di una
concezione educativa strettamente legata alla finalità ecclesiastica,
Isidoro lascia in eredità agli uomini della rinascen- za carolingia un
prezioso patrimonio sopravvissuto ai periodi più oscuri della crisi del
mondo classico. La vita intellettuale dell’Europa occidentale
continua a decadere progressivamente nel corso del VII secolo sotto il
peso di molteplici fat- tori storici che fanno di questo periodo uno dei
momenti più dramma- tici e oscuri di tutta l’età medioevale. Mentre i
regni romano-barbarici si disgregano, svelando le loro profonde tare
costituzionali (quando ad- dirittura non scompaiono, stroncati
dall’efimera ripresa bizantina), si L'Alto Medioevo
cristallizza la struttura latifondistica della società europea, gravata dal
pe- sante predominio delle nuove aristocrazie germaniche, ancora
estranee alla cultura ed alla tradizione greco-romana. L'attività
economica ral- lenta adesso il ritmo, si attenuano, quando addirittura
non si spezzano, gli ultimi legami politici con l'Impero d’Oriente, che
le invasioni isla- miche stanno privando dei suoi territori africani e
del Medio e Vicino Oriente. E, intanto, il progressivo esaurimento delle
classi dirigenti ro- mane, l’avanzata di popolazioni più barbare e
arretrate, rendono an- cora più precaria la sorte della tradizione
intellettuale greco-romana, le- gata tradizionalmente alla continuità
delle istituzioni urbane. Quel filone di solida dottrina che scorre
ancora per buona parte del VI secolo, sembra adesso esaurirsi, oppure si
fissa definitivamente nei canoni stilizzati dell’insegnamento
ecclesiastico, nelle formule spes- so assai elementari e sommarie che
guidano l’insegnamento dei maestri delle scuole vescovili o monastiche.
In luogo della ricca esperienza filo- sofica, testimoniata ancora
dall’opera di Boezio, si realizza ora il mo- nopolio della vita
intellettuale da parte della Chiesa, l’unica istituzione che continui, al
di là del crescente frazionamento dei poteri politici ed amministrativi,
la funzione unificatrice già esercitata dall’Impero, e che imponga, in
una società disorganica e disgregata, un’ideologia unitaria e organica.
Certo, anche la cultura ecclesiastica accusa gravemente le conseguenze
dello sfacelo della società romana e non è esente da un processo di
progressivo imbarbarimento e di netto regresso intellettuale. Il
tentativo di risolvere le idee dominanti nell’alta cultura greco-roma- na
entro il tessuto religioso del Cristianesimo si è ormai trasformato nella
passiva acquisizione di un complesso di nozioni dottrinali soprav-
vissute al dissolvimento della società che le aveva prodotte. Ma se il
crollo dell’Impero ha segnato la fine dell'ambiente storico in cui erano
maturate le prime esperienze decisive della filosofia “cristiana,” non
scompaiono le direttive intellettuali che la Chiesa ha ormai elaborato,
nell’età patristica, ed ha posto alla base della formazione delle sue
nuove élites sacerdotali. Queste dottrine sono poi strettamente
legate a un tipo di forma- zione e di tirocinio ancora esemplato, in gran
parte, sui modelli tradi- zionali dell’età classica. Ed è appunto per
questo che una personalità come Gregorio Magno (540 ca. 604), interprete
esemplare delle esigenze politiche e organizzative della Chiesa romana, ha
potuto esser consi- derato come l’ultimo difensore di una tradizione
romana trasferita integralmente nell'ordinamento disciplinare della
Chiesa, o come il pri- mo vero rappresentante della cultura cristiana
medioevale. Filosofia e cultura nell'età dei regni romano-barbarici
La sua personalità e la sua azione storica giustificano, del resto,
que- sta apparente differenza di giudizio; perché Gregorio, discendente
da una famiglia dell’alto patriziato romano, educato al tirocinio
intellet- tuale proprio della sua stirpe e della sua classe, fu il vero
creatore della Chiesa dell’Alto Medioevo, la cui organizzazione venne
completamente trasformata dalle sue riforme. Dall’ordinamento economico e
giuridico dei grandi feudi della Chiesa, alle forme rituali e liturgiche,
non vi fu campo della vita ecclesiastica che non recasse l'impronta di
questa ecce- zionale tempra di pontefice e di uomo di governo, abilissimo
diplomatico e politico raffinato. Ma la cristianità medioevale non venerò
nel pon- tefice romano solo l’uomo che aveva portato la Chiesa ad una
effettiva supremazia ideologica nell'Europa barbarica; bensi ammirò i
suoi scritti il cui successo eccezionale corrispose giustamente ai
bisogni della cul- tura ecclesiastica dei suoi tempi. Il Liber regulae
pastoralis, che defi- niva i compiti e le funzioni del clero romano,
restò infatti, per secoli, il libro fondamentale per la formazione della
gerarchia cattolica; Dialoghi (che sono una raccolta di leggende
agiografiche) e i Moralia in Job furono tra i libri più letti per tutto
il Medioevo e tenuti a mo- dello del metodo di commento allegorico della
Scrittura. Eppure, no- nostante la sua formazione e l’evidente influsso
agostiniano, gli scritti di Gregorio sono già ben lontani dalla mentalità
e dalla ispirazione clas- sica dominante dei grandi autori patristici. Ed
anzi, la sua diffidenza verso lo studio dei classici, la sua ostilità nei
confronti dell’insegna- mento grammaticale e letterario, sono drastiche e
rigorose. In una famosa lettera a Didiero, vescovo di Vienne nel
Delfinato, che s’era dedicato personalmente a insegnare la grammatica e a
leggere i poeti latini ai suoi chierici per impedire che la loro
ignoranza della lingua li rendesse incapaci d’intendere la' Sacra
Scrittura, Gregorio con- danna aspramente qualsiasi tentativo di
associare l’insegnamento delle litterae sacrae a quello delle Aumanae
litterae, e di legare le parole di Dio all’uso delle arti profane. Il suo
atteggiamento nei confronti della cultura classica è ancor meglio
chiarito nel suo Commento al I libro dei Re, ove si ammette che si possa
conoscere la lingua latina e le arti libe- rali, ma solo per quanto può
giovare all’intendimento della Scrittura, e senza alcuna pretesa di considerare
lo studio delle lettere come fine a se stesso. Ecco perché, anche di
fronte al problema dell’uso retto della lingua latina (e cioè se si debba
prender come norma la lingua dei clas- sici o quella della Bibbia),
Gregorio afferma rigorosamente l’assoluta preminenza del latino biblico,
le cui pretese interpretazioni grammati- cali e sintattiche sono ben
superiori alle regole di Donato. Non solo; 37 L'Alto
Medioevo ma Gregorio — la cui prosa è ben lontana dalla misura
ancora classica di Boezio o di Cassiodoro — è il difensore e il teorico
della nuova lingua ecclesiastica, forgiata nel latino scritturale, e
nettamente distinta dalla lingua profana dei classici. Il
distacco tra le fonti della tradizione non potrebbe essere più re- ciso.
Né meraviglia che Gregorio, pur cosi latino nel suo spirito orga-
nizzativo e nella sua azione ecclesiastica e politica, concepisca lo
studio delle lettere solo come un mezzo per il magistero pastorale, e
cioè per ben intendere e spiegare la Bibbia. Nondimeno la sua opera di
evange- lizzatore doveva lasciare una grande traccia nella storia della
cultura e della filosofia medioevale. Perché fu proprio questo Papa, così
scarso ammiratore delle lettere, che promosse la cristianizzazione della
Britan- nia e di una vasta parte della Germania, diffondendo in quelle
regioni la lingua e la cultura latina della Chiesa. I risultati di tale
impor- tante evento storico saranno ben chiari già nella seconda metà del
se- colo, quando l’opera dei missionari e dei monaci delle abbazie
britan- niche e irlandesi avranno già costituito dei solidi centri di
vita intellet- tuale, al riparo dal marasma politico dell'Europa
continentale, dove si conserverà un ricco patrimonio di cognizioni
teologiche, e fiorirà una eccezionale cultura umanistica, destinata ben
presto a rifluire nelle scuole dell'impero carolingio. Mentre
in Occidente si consuma cosi la crisi della cultura antica e si delineano
le prime linee fondamentali della cultura medioevale, nell’Impero
bizantino continua la tradizione della filosofia classica ed ellenistica
e dei grandi padri greci. Chiusa la Scuola di Atene con un decreto di
Giustiniano (529) la vita filosofica prosegue a Bisanzio sotto la
predominante influenza della tematica neoplatonica. L'interesse per gli
scritti attribuiti a Dionigi Areopagita, che sarà cosî forte poi anche
‘in Occidente, e per tutta la tradizione che va da Plotino a Porfirio a
Proclo è la caratteristica dominante delle scuole bizantine. Ma il neo-
platonismo nelle sue varie forme e sfumature si unisce anche a una so-
lida tendenza aristotelica, sviluppata soprattutto sul piano della logica
e delle scienze. Di questa cultura è tipico esponente Giovanni
Damasceno (+ 750) vissuto nel pieno delle lotte iconoclastiche e della
prima grande crisi nei rapporti tra la cristianità occidentale e
orientale. La sua opera principale IMInyhyv6oewg è una grande raccolta di
materiali filosofici e teologici ordinati sistematicamente e con un
evidente scopo apologetico e scolastico. Tuttavia nella sua introduzione
a carattere filosofico, Kepa- rasa piaoropixà, il Damasceno svolge
un'interessante trattazione della logica e metafisica di Aristotele
nonché di dottrine derivate da Porfirio 38 Filosofia
e cultura nell'età dei regni romano-barbarici e da Ammonio. A
questo prologo filosofico segue un ampio catalogo storico delle eresie e
quindi, nella terza parte, una classificazione siste- matica di testi
patristici, unita ad una esposizione organica della teolo- gia dogmatica.
Proprio quest’ultima parte, che tradotta nel 1151 da Burgundio Pisano
influì sull’evoluzione dei Libri sententiarum, venne largamente usata
anche da Pietro Lombardo e fu sempre presente ai teologi occidentali
della seconda metà del XII e XIII secolo. La tradizione platonica e
aristotelica delle scuole bizantine continua poi ancora per tutto il IX
secolo per opera del patriarca Fozio (820- 897 ca.), commentatore di
alcuni scritti logici di Aristotele e sostenitore della superiorità di
Aristotele di fronte a Platone. Ma con Fozio, la cui grande Bibliotheca
offriva amplissimi materiali sulla cultura filosofica classica, siamo già
al punto di massima rottura tra il mondo bizantino e la Chiesa romana. Lo
scisma dell’858 doveva rendere presto ben dif- ficili i rapporti
intellettuali tra Bisanzio e l'Occidente che, del resto, le invasioni
islamiche avevano già gravemente minacciato, spezzando la unità
“imperiale” del bacino mediterraneo. 39 Capitolo
secondo L'età carolingia I. I presupposti storici e
culturali I due secoli che trascorrono dalla morte di Gregorio
Magno all’in- coronazione romana di Carlo segnano una svolta decisiva
nella storia dell'Europa medioevale. In questo periodo — che è pure uno
dei pit oscuri e drammatici della storia occidentale — si viene infatti
compien- do il lento passaggio dalla struttura sociale del tardo Impero
alle for- me di organizzazione economica e politica proprie della società
feu- dale; si opera la compiuta assimilazione tra gli ultimi residui
delle ari- stocrazie romane e provinciali e la nobiltà germanica; e si
afferma definitivamente la supremazia spirituale della Chiesa romana che
costi- tuisce il saldo tessuto ideologico e dottrinale della nuova
società. Natu- ralmente un simile processo si svolge in tempi e in modi
assai diversi a seconda che si compia nell'ambiente particolarmente
propizio del re- gno franco, ove si verifica una rapida e facile
assimilazione tra la vec- chia classe senatoriale gallo-romana e
l’aristocrazia franca, oppure nel- l’ambiente più arretrato e barbarico
dell’Italia longobarda. Tuttavia il suo ciclo può già considerarsi
compiuto intorno alla metà dell’VIII se- colo, quando l’alleanza tra la
più forte monarchia germanica, quella dei Franchi, e la crescente potenza
spirituale e mondana del Vescovo di Roma pone la condizione storica
essenziale per la formazione del- l'Impero carolingio.
All’avvento di questo nuovo ordinamento che interesserà ben pre-
sto la maggior parte dell'Europa occidentale cooperano molti e diversi
fattori di ordine economico e sociale che sarebbe impossibile illustrare
in questa sede in modo compiuto ed organico. Ma se anche non affron-
teremo i numerosi e gravi problemi relativi alla genesi dell'Impero caro-
lingio, all’origine ed alla funzione storica del feudalesimo, non si
potrà trascurare di indicare, per quanto sommariamente, quei caratteri
storici essenziali che sono propri di questo periodo. L'età
carolingia Il primo e, certo, il più importante, è appunto la
profonda trasfor- mazione che hanno ormai subîto le strutture
fondamentali della vita economica e sociale dell'Europa occidentale che
presenta adesso un aspet- to profondamente diverso da quello dell’età
delle grandi invasioni. An- cora nel corso del VII secolo, i regni
romano-barbarici avevano infatti continuato a dominare su di una società,
già in via di mutamento, ma che non era ancora lontana dalle
caratteristiche assunte durante gli ultimi tempi del Basso Impero. La
continuità di un'intensa vita econo- mica in gran parte del bacino del
Mediterraneo e soprattutto in Gallia, in Africa e in Spagna, la
persistenza di rapporti marittimi e di discreti scambi commerciali con
Bisanzio, la relativa, ma ancora notevole, flori- dezza dei centri urbani
e mercantili, testimoniano l’assenza di una vera e propria cesura con la
vita economica, sociale e intellettuale del mondo romano. Se si assiste
all’evidente imbarbarimento delle istituzioni e dei costumi, gli
ordinamenti amministrativi sono ancora in gran parte quelli romani e la supremazia
degli invasori germanici non ha ancora totalmente distrutto le solide
basi di strutture statali ancora improntate al modello latino.
Naturalmente, le stesse conclusioni valgono per la cultura e gli
isti- tuti che permettono la continuità e lo sviluppo della vita
intellettuale. La cultura di tipo schiettamente classico decade — è vero
— progressi- vamente, via via che peggiorano le condizioni sociali e
politiche, ma continua ancora a muoversi sulla scia delle concezioni
romane e gre- che; né la tradizione bizantina cessa di esercitare il suo
influsso, ancora particolarmente forte intorno alla metà del VI
secolo. Che tale condizione di cose muti nel corso dell’VIII
secolo, è invece constatazione evidente, anche se si può discutere sulle
ragioni e le cause di questo mutamento, nonché sulla sua relativa
profondità e portata. Ma anche riconoscendo i limiti di una tesi troppo
radicale co- me quella del Pirenne (che ha indicato nella “svolta
dell'VIII secolo” l’inizio di un’età storica dominata dalla scomparsa
dell’attività commer- ciale e da una economia strutturale rigorosamente
chiusa e rurale), è certo che l’ambiente storico della civiltà carolingia
non ha più molti tratti in comune con la società in cui si erano mossi
gli ultimi grandi rap- presentanti della cultura classica, come Boezio e
Cassiodoro. I terri- tori mediterranei, un tempo al centro dell’attività
economica e della vita civile, sono adesso gravemente impoveriti per
l’effetto congiunto delle continue invasioni, delle carestie e delle
guerre o della costante diminuzione del traffico, insidiato dalla potenza
marittima dell’Islam. Le istituzioni urbane, anche se non scompaiono e
non decadono in pro- 4I L'Alto Medicevo porzioni
catastrofiche, sono però indubbiamente in forte declino; ed alla loro
decadenza corrisponde un notevole prevalere dell’economia rurale, e la
conseguente egemonia politica dell’aristocrazia militare e fondiaria che
detiene, in gran parte, il monopolio della terra. In tal modo il carattere
prevalentemente urbano e mercantile della società romana cede adesso il
suo posto ad un assetto economico e sociale fon- dato prevalentemente
sull’unità della vile e su un circuito di scam- bi a breve raggio. Mentre
si disgregano gli ultimi resti delle istitu- zioni romane, mentre
scompare il secolare ordinamento amministra- tivo che era sopravvissuto
anche alle invasioni, si delineano i nuovi lineamenti di un ordine
politico che non ha certo un diretto rapporto con la tradizione
romana. L’impronta fortemente germanico-cristiana, che sarà propria
del- l’Impero carolingio, lo spostarsi verso il Nord dell’asse politico
dell'Eu- ropa cristiana, sono i segni più evidenti ed eloquenti del
grande muta- mento storico. Ma ancora più importante è la trasformazione
che si è verificata nei quadri dirigenti della società europea e, quindi,
nei ceti che elaborano e diffondono anche le nuove direttive
intellettuali. La base storica concreta su cui si fonda questo Impero
è difatti la grande aristocrazia fondiaria che è venuta lentamente
costituendosi nel secolo V e VI in tutti gli stati romano-germanici. Il
perno della com- plessa macchina amministrativa carolingia è costituito
da una fitta rete di poteri locali, nominati dall’Imperatore che essi
rappresentano in tutte le più delicate funzioni politiche ed
amministrative, di una ge- rarchia ben diversa dalla vecchia burocrazia
imperiale romana, per- ché vive del provento delle imposte o delle
concessioni di terre lar- gite dal sovrano ed è legata al proprio compito
solo dal vincolo di fe- deltà stretto “personalmente” con l'Imperatore.
Questa aristocrazia, prodotto naturale delle condizioni economiche e
politiche maturate dal- lo sfacelo dell’ordine politico romano e dalla
sostituzione della nobiltà germanica alla vecchia classe latifondista del
Basso Impero, è insieme la forza armata dell’Impero e il suo corpo
amministrativo, ne rappre- senta la salvaguardia militare e la classe
politica dominante. Ma essa non è certamente l’unico elemento della
costruzione politica di Carlo Magno che, sebbene strettamente plasmata
sulla struttura sociale del- l’Europa romano-barbarica, trova la propria
giustificazione ideale nel carattere religioso del potere e nella propria
funzione mediatrice tra il crescente particolarismo delle istituzioni
politiche e la forza di un prin- cipio universale che si richiama alla
salda tradizione unitaria della Chiesa romana. 42
L'età carolingia Nell’immane mosaico di popoli e di genti
ancora scarsamente amal- gamate che ubbidiscono all’autorità di Carlo,
l’unico vincolo unitario è infatti rappresentato dalla radicale
compenetrazione tra l’Impero e la Chiesa. E quanto questa compenetrazione
caratterizzi la struttura politica della società carolingia, lo dimostra
appunto la preoccupazio- ne di Carlo di presentarsi sempre come
l’advocatus ecclesiae, difen- sore della cristianità, e di far coincidere
la legittima estensione dei suoi poteri con il corpo vivente della Chiesa
che non ha mai confini ma si estende su tutto l’orbe “ovunque si
pronunzia il nome di Cri- sto.” Convinto sinceramente che la sua autorità
gli discenda dalla natura di capo divinamente eletto del popolo
cristiano, ispirato da consiglieri che fondano la legittimità dell’Impero
sull’i insegnamento della Bibbia e sulle parole di Agostino, il monarca
franco si presenta con un carattere del tutto diverso da quello che era
stato proprio an- che degli ultimi imperatori cristiani, come sovrano e
guida del po- polo di Dio. Legislatore della comunità civile, supremo
principio di autorità e di diritto, egli è anche il legislatore della
Chiesa pronto ad impugnare le due “spade” dell’autorità spirituale e di
quella tempo- rale. Ma proprio perché l’Imperatore è reggitore della Chiesa
oltre che dello Stato, la sua autorità penetra ovunque, e come detta
nei capitolari le norme per la tenuta delle villze e l’amministrazione
dei demani imperiali, cosî fissa le regole più particolari e minute per
la condotta del clero e la disciplina rituale e canonica. “L'osservanza
del- la domenica, l'esecuzione del canto ecclesiastico e le condizioni
per l'ammissione dei novizi nei monasteri,” scrive giustamente il
Dawson, “sono punti fissati nei capitolari, altrettanto come la difesa
delle fron- liere e l'amministrazione dei beni della corona.” Ciò spiega
un altro carattere tipico dell'ordinamento carolingio, e cioè l’esistenza
di una potente aristocrazia ecclesiastica, non meno influente di quella
mili- tare e fondiaria, che partecipa all’amministrazione delle trecento
contee in cui si divide l’Impero, e ha una propria funzione politica e
persino militare. Il governo centrale è poi addirittura nelle mani degli
eccle- siastici della cancelleria e della cappella reale. Non solo;
l’autorità di questa aristocrazia ecclesiastica è ben rappresentata anche
nella tipica istituzione carolingia dei missi dominici, deputati alla
sorveglianza ed al controllo sull’amministrazione locale, costituiti in
gran parte da ve- scovi ed abati, sempre pronti ad informare minutamente
il sovrano dell'andamento della vita economica, civile e religiosa dei
più lon- tani territori della Christianitas. Lo spirito
profondamente teocratico che anima l’Impero, espresso drasticamente
in tanti ‘atteggiamenti e detti di Carlo, è perfettamente definito nella
identificazione dell’autorità sacramentale e carismatica del clero e
quella non meno sacrale che discende dalla volontà del so- vrano. Ed è
appunto nel quadro di questa concezione, destinata a con- tinuare ben
oltre lo stesso sfacelo dell’Impero, che la società carolingia elabora i
propri ideali e le proprie istituzioni culturali, strettamente legate
alle nuove esigenze politiche. La rinascita culturale che va sotto
il nome di “rinascenza caro- lingia” è quindi il prodotto storico
naturale dello spirito teologico che permea tutta l’organizzazione
carolingia, della necessità impellente di formare un corpo di funzionari
colti e competenti e di preparare una larga élite del clero a compiti e
funzioni che richiedevano un tipo di cultura pid raffinata e mondana.
Però la riforma perseouita da Carlo non si limita solo a rinnovare la
tradizione deoli studia Auma- nitatis o a rinortare nelle istituzioni
scolastiche dell’Occidente la lin- fa vitale dell’insernamento delle
“arti liberali” ma è addirittura il primo tentativo di ricostituire
l’unità intellettuale della società euro- pea, edificata sui resti della
cultura classica. la cui influenza continua, del resto, a dominare anche
i maestri delle “scuole palatine.” Natu- ralmente, rroprio perché è
legata cosî strettamente al particolare ca-rattere politico e organizzativo
dell'Impero, la cultura del TX secolo ne rispecchia fedelmente anche i
tipici caratteri dominanti. Nonostante tutti i tentativi di riconnettere
la “rinascenza carolincia” alla grande fioritura intellet tuale del
XII secolo, o, addirittura, all’umanesimo quat- trocentesco, pesano
infatti su questa cultura i limiti storici di una so- cietà che non
riusci mai a darsi una vera struttura statale organica e che nella sua
rigida divisione di caste realizzò la piti compiuta sepa- razione tra il
ristretto ceto dei “clerici” monopolizzatori della cultura e la gran
massa dei fedeli. Non a caso, quindi, la rinascenza caro- lingia ha come
suo precipuo ideale l’elaborazione di una cultura di carattere
esclusivamente ecclesiastico — 0, meglio, ecclesiastico-ammi- nistrativo,
— capace di garantire l’unità religiosa e ideologica della Christianitas
e di subordinare la stessa validità delle discipline classiche alle
esigenze dogmatiche predominanti della ortodossia cattolica. E non per
nulla gli stessi teologi e i maestri della scuola palatina, strenui
difensori di una concezione unitaria dell’autorità imperiale che è di
schietta impronta romana, sono, al tempo stesso, anche i tenaci so-
stenitori del fondamento sacrale del potere civile e della sua piena
coesione con l’immutabile ordine della gerarchia ecclesiastica. Del
resto, quant'è diversa la finalità e la destinazione ideologica
44 L'età carolingia della civiltà carolingia nei
confronti della tarda cultura romana, è al- trettanto profondamente
mutato l’ambiente in cui essa maggiormente fiorisce. I cenui della
“rinascenza” non sono ora le città del vecchio mondo romano, né le terre
dell’Italia, della Francia meridionale o della Spagna, bensi la stessa
corte imperiale, le innumerevoli abba- zie e scuole monastiche
disseminate nel vasto dominio franco e so- prattutto nelle regioni
settentrionali chiuse tra la Loira e il Weser. I maestri, i chierici che
la propagano non sono grandi aristocratici romani, come Boezio o
Cassiodoro, o eredi della tradizione latina come Gregorio Magno, bensi
degli intellettuali di origine barbari- ca che hanno però profondamente
assimilato quanto si è salvato della tradizione classica. Da Fulda a S.
Gallo, da Tours a Reichenau, tutta l'Europa carolingia è percorsa da una
potente corrente di nuova vita intellettuale, che non si svolge soltanto
nel campo limitato delle lettere e della teologia, ma ha i suoi diretti
riflessi anche nell’ambito delle arti e della tecnica scrittoria che i
monaci carolingi portano ad una perfezione prima ignorata. Così, sebbene
l’Impero, minato dal- la sua debole struttura, si avvii rapidamente alla
fine, le grandi abba- zie benedettine diventano gli unici centri
intellettuali dell'Europa, tor- mentata dall’erompere dell’anarchia
feudale, di una società sconvolta e lacerata da nuove ondate d’invasione.
2. La cultura monastica anglosassone All’adempimento di un
tale compito storico, l’abbazia benedettina era stata del resto già
preparata da due secoli di oscura e paziente elaborazione di nuove élises
intellettuali. Da quando la regola di Benedetto aveva creato, agli inizi
del VI secolo, un nuovo tipo di monachesimo, operoso e attivo, ispirato
alla norma della preghiera e del lavoro collettivo e fraterno, l’antico
ideale dell’ascesi individuale era stato sostituito da una nuova
direttiva spirituale di contenuto so- ciale. Nel monastero benedettino,
costituito in una salda unità ammi- nistrativa e disciplinare, il lavoro
manuale e la pura ricerca contempla- tiva avevano ritrovato una profonda
unità del tutto ignota alla so- cietà del tempo, costituita da una ristretta
aristocrazia militare e fon- diaria e da enormi masse di contadini-servi.
Ma, soprattutto (in una età in cui l’economia era prevalentemente
agricola e gli ordinamenti politici si sfasciavano sotto il peso
crescente delle tendenze particola- ristiche), la diffusione delle
istituzioni benedettine aveva permesso la 45 L'Alto
Medioevo formazione di numerosi centri d’intensa vita produttiva,
dove la colti- vazione delle grandi proprietà abbaziali si alternava allo
studio ed all’apprendimento dei primi rudimenti delle arti liberali.
Tutto ciò spiega e giustifica la grande fortuna dell’ordine benedettino
in tutta la Cristianità occidentale, e soprattutto nelle regioni
dell'Europa conti- nentale ove si erano già delineati i caratteri
incipienti della civiltà feu- dale. Poiché fu soprattutto in Svizzera, in
Francia e nella Germania meridionale che il sistema delle abbazie, spesso
unite da stretti vincoli economici e amministrativi, pose fin dal VII
secolo i presupposti della diffusione organica di una ricca cultura di
carattere ecclesiastico e mo- nastico, ma largamente permeata di motivi e
temi della tradizione classica. All’elaborazione della
cultura carolingia dettero però un contri- buto ancor più importante e
decisivo le istituzioni monastiche dei paesi anglosassoni, sorte fin
dall’inizio del VI secolo, indipendentemente dalla diffusione
benedettina. Il carattere peculiare di questo monache- simo, che in un
periodo tra i più oscuri della storia occidentale fece delle isole britanniche
una vera oasi di civiltà, fu di non aver adottato la gerarchia episcopale
della chiesa, ma di aver organizzato la propria vita entro la cornice
esclusiva delle “regole” monastiche. E tale ca- rattere è certo ben
comprensibile, se si pensa che il monachesimo an- glosassone sorse in un
paese quasi completamente pagano, ove soltanto nel 596 era ripresa la
tradizione episcopale, sotto l’impulso diretto di Gregorio Magno.
Il successo della predicazione del monaco Agostino, primo vescovo
di Canterbury, e dei suoi seguaci, era stato però assai rapido: già nel
644 l’East Anglia aveva un proprio vescovo anglosassone, e dieci anni
dopo anche il seggio primaziale di Canterbury era stato occupato dal
sassone Deusdedit cui: doveva succedere il monaco greco Teodoro, dotto
nelle lettere greche e latine. Teodoro e l’abate africano Adriano furono
gli iniziatori di una fortunata opera di riforma intellettuale che aveva
naturalmente uno scopo e una finalità essenzialmente devota, ma che non
trascurava neppure l’insegnamento delle lingue classiche e la lettura
degli auctores. Liberi da ogni stretto vincolo disciplinare e dogmatico,
animati da uno spirito di tenace e vivace proselitismo, i monaci da loro
educati ne diffusero l'insegnamento e la pratica in una fitta rete di
istituzioni monastiche che coprì rapidamente tutte le regio- ni delle
isole britanniche, dalla Britannia al Galles, alla pagana Cale-
donia. Da Canterbury a Malmesbury, dall’Irlanda, già convertita
da L'età carolingia S. Patrizio, ai grandi monasteri
di Bangor Iscoed e di Clonard, fino al lontano monastero scozzese di
Jona, flui cosi un filone costante e ricco di «cultura classica, che le
particolari condizioni geografiche e storiche posero al riparo dalle
drammatiche crisi di tutti i paesi dell'Europa continentale. E quale
fosse il carattere di questa cultura ci è appunto noto dalla
testimonianza di Adelmo di Malmesbury, che ci ricorda di aver appreso
alla sua scuola monastica i rudimenti essenziali del di- ritto romano, i
principi della metrica e della prosodia, le figure prin- cipali dell’arte
retorica, e, ancora, la matematica e l’astronomia. Certo, a
giudicare dalla notevole “barbarie” della prosa di Adelmo e dalla sua
ingenuità e rozzezza, si potrebbero avanzare non pochi dubbi sul valore
della tradizione classica diffusa negli ambienti mo- nastici
anglosassoni. Eppure si tratta dei primi timidi frutti di una cultura che
non ignora né Virgilio, né Terenzio, né Orazio, né Gio- venale, e che
continua, in sostanza, un tipo d’insegnamento non trop- po dissimile da
quello praticato nelle scuole del Basso Impero. Né i risultati di questo
insegnamento sono da disprezzare, se è vero che a poco più di un secolo
dalla loro evangelizzazione i monasteri anglo- sassoni inviavano sul
continente i loro primi missionari. Del resto, già dal 590
l’irlandese Colombano aveva fondato in Francia il monastero di Luxeuil,
donde mosse una larga diffusione mo- nastica in Francia, nelle Fiandre,
in Svizzera e in Germania, e in Italia, ove l’abbazia di Bobbio fu un
tipico prodotto del monachesimo anglosassone. Ma ancora più importante fu
l’opera di un monaco an- glosassone, Wynfrith, l’evangelizzatore dei
sassoni, e primo vescovo di Magonza sotto il nome di Bonifacio. Questo
monaco non fu soltanto “l’apostolo della Germania,” da lui evangelizzata
mercé la protezione della monarchia franca e nel quadro della direttiva
episcopale romana, bensi l’uomo di Chiesa che seppe operare la saldatura
storica tra la tra- dizione benedettina e romana e quella anglosassone,
diventando cost il diretto intermediario tra la cultura dei monasteri
irlandesi e britannici e la ripresa intellettuale che cominciava a
delinearsi nel continente. Chiamato, nel 742, da Carlomanno, fratello e
collega di Pipino il Breve, perché provvedesse a riordinare lo stato
della Chiesa nel suo du- cato di Neustria, ove il clero era profondamente
decaduto dal punto di vista disciplinare e privo di ogni cultura,
Bonifacio compì in breve tempo una riforma radicale. Nel suo periodo di
governo, durato dal ‘42 al °47, non solo provvide ad eliminare gli abusi
più gravi, e a sotto- porre l’episcopato franco all’autorità apostolica
romana, ma trapiantò nelle scuole e nelle istituzioni espiscopali e
abbaziali la cultura che fio- 47 L'Alto
Medioevo riva in Britannia nei nuovi monasteri sorti nel VII
secolo, come quello di S. Pietro di Wearmouth, fondato nel 674 da
Benedetto Biscop. In questo ambiente colto ed erudito, sui testi
devoti e profani che il Biscop aveva portato dall’Italia e dalla Gallia,
si era, del resto, già formato, negli ultimi decenni del VII secolo, un
monaco anglosassone, che aveva scritto la storia ecclesiastica del suo
popolo in un latino ecce- zionalmente limpido e puro. Nato nel 673, nel
momento di massima fortuna della cultura monastica anglosassone, il
monaco Beda (t 735), che i medioevali chiameranno il “Venerabile,” non si
era limitato a com- piere la sua opera di storiografo guidata da una
fondamentale ispira- zione romana, ma aveva illustrato la sua cultura
letteraria nel De orthographia e nel trattatello De schematibus et
tropis, e definito i principi e metodi della cronologia nel De
temporibus, De temporum ratione, De ratione computi. Però la sua opera pi
fortunata, che godé per tutto il Medioevo di una eccezionale fortuna, fu
il De rerum natura, costruito sul modello dell’enciclopedia di Isidoro,
ove si esprime già una cultura più raffinata e scaltrita. Scrittore
limpido, il suo stile non diffe- risce troppo da quello degli autori
della bassa latinità; né a leggere le sue opere si direbbe che Beda
scriva verso la fine dell’VIII secolo, in un ambiente sociale e
intellettuale cosi profondamente mutato, e, ad- dirittura, in un Paese
che aveva conosciuto solo brevemente la civiltà romana. Eppure, è proprio
in Inghilterra e in Irlanda che la cultura classica riprese a fiorire con
forme ed intenti ancora ignoti agli altri paesi dell'Occidente; né è
certo un caso che le prime forme di prosa d’arte, atteggiate sul modello
della tradizione letteraria latina, nasces- sero nei conventi di
Inghilterra, di Scozia e d'Irlanda. Quando poi, agli inizi del IX secolo,
re Alfredo tradusse la Cura pastoralis di Gre- gorio Magno, l’Historia di
Paolo Orosio e la Consolatio di Boezio, non creò soltanto i primi modelli
letterari della prosa anglosassone, ma offri una nuova prova del
carattere squisitamente classico della ma- tura civiltà
anglosassone. 3. Alcuino e la “rinascita” carolingia
Questa ricca cultura di origine e ispirazione classica, non avrebbe però
avuto una effettiva incidenza storica, se non si fosse presto diffusa
nell'Europa continentale, improntando di sé la vita intellettuale del-
l’Impero carolingio. Abbiamo già accennato alla missione di Bonifacio ed
al suo tentativo di migliorare la formazione intellettuale del clero
48 L'età carolingia franco mediante lo studio
dei rudimenta letterari necessari per l’inse- gnamento della Scrittura.
Ma l’uomo che seppe trapiantare in Oc- cidente i frutti più maturi della
cultura anglosassone e servirsene co- me fondamento di una vasta riforma
intellettuale, fu un monaco irlan- dese, Alcuino di York. Formatosi in
una scuola largamente aperta alle influenze classiche, Alcuino aveva
percorso sotto la guida di Egberto, discepolo di Beda, il corso normale
del “trivio” e del “qua- drivio.” Maestro a York nel 778, la sua fama di
grande cultore della humanitas si era presto diffusa anche nel
continente: e Carlo, che già in quegli anni progettava di organizzare
nuove istituzioni scolastiche per la formazione dei suoi dignitari
chierici e laici, lo chiamò alla sua corte, affidandogli la guida della
riforma scolastica. Già presente alla corte carolingia dal 781 al ’90,
Alcuino, dopo un breve soggiorno britannico, vi tornò stabilmente nel
’93, per restarvi fino alla morte e per quasi vent’anni il monaco
irlandese mirò — come disse — a tra- sformare l’Impero di Carlo in una
“nuova Atene,” “superiore anzi al- l'antica Atene perché dotata dei doni
sovrannaturali dello Spirito Santo.” In realtà, il maggiore
merito storico di Alcuino fu quello d’in- tendere perfettamente quale
fosse il tipo di cultura necessario per la società carolingia, e di
trasformare la tradizione classica dei monasteri e delle scuole
anglosassoni in una organica direttiva intellettuale stret- tamente
associata all’ideale teocratico dell'Impero e legata alla gigan- tesca
macchina politica e amministrativa costruita da Carlo. Tutti i risultati
più positivi di due secoli di lenta maturazione intellettuale; furono
cosî posti al servizio della società rigorosamente gerarchica su cui si
fondava l’impero, e divennero i criteri formativi di una nuova élite
intellettuale, emersa dalla confusa vicenda di due secoli di crisi. Ma
l’opera di Alcuino non si limitò soltanto a questo compito di
organizzazione del nuovo sistema delle scholae imperiali, o alla trasmissione
della esperienza anglosassone; egli stesso elaborò la di- stinzione
organica e sistematica delle sette arti liberali, trasformando la pratica
tradizionale della cultura classica in un complesso ragionato c ordinato
di nozioni e di tecniche. I frutti della sua attività furono cer- tamente
tali da influenzare per quasi tre secoli gli sviluppi essenziali della
cultura europea; gli uomini educati alla sua scuola poterono giu-
stamente vantarsi di aver restaurato un solido legame con la cultura
classica, e di aver, per cosi dire, riannodato quel filo sottile della
tra- dizione che sembrava essersi spezzato con la crisi dell'unità
romana. Certo, il tipo di cultura instaurato da Alcuino rispecchiò
anche 49 L'Alto Medioevo tutti i limiti
storici dell'ambiente da cui nasceva e per la sua imposta- zione
esclusivamente ecclesiastica fu lo specchio di una società divisa in
caste, e che affidava al dominio spirituale della Chiesa l’assoluto
monopolio della formazione delle id:e. Ma anche entro questi limiti,
l’opera di Alcuino fu eccezionalmente fruttuosa; si può dire che si debba
alla sua direttiva la prima organizzazione di un sistema di isti- tuzioni
scolastiche comune a gran parte dell'Europa carolingia e la formazione di
un tipo di cultura raffinata, non più limitata al chiuso mondo
anglosassone, bensi diffusa in Francia come nella Germania meridionale,
in Italia come nelle isole britanniche. Da questa cultura — destinata a
sopravvivere al crollo dell’Impero e al pid torbido pe- riodo di anarchia
feudale — muoveranno poi nell'XI secolo le nuove correnti di pensiero
che, parallelamente’ alla grande trasformazione economica della società
medioevale, guideranno la rinascita intellet- tuale dell’Europa.
A spiegare il successo dell’opera di Alcuino può contribuire la
considerazione che la Gallia era stata influenzata dalla cultura latina
assai più dei territori britannici, e che il ricordo della lingua e della
civiltà non vi si era mai perduto. Però lo stato di miseria intellet- tuale
del clero franco — deprecato dal dotto Bonifacio — e i lamenti che
Gregorio di Tours o Fortunato di Poitiers avevano elevato sulle
condizioni della cultura nella vecchia Gallia romana, testimoniano una
profonda decadenza, che si era sempre più accentuata dopo che si erano
allentati i vincoli con l’Italia e con le altre regioni pi progredite del
vecchio Impero. Proprio la constatazione che gran parte dei suoi uffi-
ciali laici o ecclesiastici non sapeva neppure intendere la lingua
latina, aveva indotto Carlo Magno a ordinare nel 789 l’apertura di
scuole vescovili e monastiche, ove si insegnassero, oltre al canto, al
solfeggio e le salmodie, anche gli elementi fondamentali del compito
ecclesia- stico e della grammatica. Ma i suoi progetti di
riorganizzazione delle istituzioni scolastiche erano assai più ambiziosi,
cosî com'era impel- lente la necessità di organizzare in breve tempo un
vero e proprio corpo di dignitari e di amministratori, capace di
adempiere al grave compito del governo dell’Impero. Proprio per questo
Carlo si era ri- volto dapprima in Italia, donde era venuto alla sua
corte il dotto longobardo Paolo Diacono (725-797) che per cinque anni vi
aveva in- segnato il greco, prima di ritirarsi nell’abbazia di
Montecassino. Durante il suo breve soggiorno, Paolo aveva rivisto e
corretto una collezione di Omelie, pubblicate da Carlo, come incitamento
alla ri- presa degli studi. Più tardi il suo insegnamento era stato
continuato 50 L'età carolingia da Pietro
di Pisa, già maestro a Pavia, e da Paolino di Aquileia, pre- senti alla
corte carolingia dal 772 al 787. Questi maestri erano però ben lontani
dal livello intellettuale e dalla preparazione dei monaci irlandesi e
britannici; e la loro cultura era forse anche inferiore a quella di due
dotti ecclesiastici ispano-gallici, come Agobardo (769- + 840), che fu
poi vescovo di Lione, e Teodolfo (t821) vescovo di Orléans, vomini di
larga cultura teologica e letteraria, conoscitori ed ammiratori di
Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano e Cicerone. Nondimeno, quei mae- stri
italici furono il primo nucleo della élite intellettuale raccolta da
Carlo intorno alla sua corte; e fu sul terreno preparato da questi
modesti professori che si maturò la riforma di Alcuino, guidata da una
lucida consapevolezza della continuità della cultura classica e dalla
eccezio- nale capacità di ridurre i suoi elementi essenziali a componenti
di una ruova direttiva ideologica e dottrinale. Il rapporto
che Alcuino volle porre tra la nuova cultura di cui era- ispiratore e la
tradizione classica, è infatti espresso chiaramente in più di un testo.
Il suo dialogo De virtutibus ci insegna che la scien- za, la virti e la
verità valgono di per se stesse, e che i cristiani, lungi dal condannare
le verità e le virti degli antichi, debbono anzi accet- tarle e
coltivarle. I poeti, i grammatici, i retori ed anche gli stessi filosofi,
spesso oggetto di timori e di condanne, hanno infatti inse- gnato delle
dottrine intrinsecamente utili e vere che costituiscono un prezioso
patrimonio umano. Perciò, al discepolo che gli chiede quale sia la
differenza tra i filosofi antichi e i cristiani, Alcuino può rispon- dere
che solo il battesimo e la fede li distinguono, e che la saggezza antica,
che ha compreso la natura e la ragione delle cose, può costi- tuire il
migliore accesso alla suprema sapienza cristiana. “I filosofi,” egli
scrive, “non hanno creato, ma solo scoperto quelle arti”; poiché Dio
stesso le ha poste nella realtà e nella natura, lasciando che gli uomini
più dotti le scoprissero con le loro forze. Come non ricono- scere,
perciò, la necessità dello studio delle arti liberali, necessarie, del
resto, anche ai teologi e a tutti i maestri della Sacra Pagina? E come
non scorgere in questo studio un alto dono di Dio, e un com- pito
meritorio per ogni cristiano? Ecco perché, nel tracciare il suo
piano di insegnamento, Alcuino affermò cosi recisamente la funzione
propedeutica delle arti liberali che costituiscono la solida base della
cultura, e perché costrui la scuola carolingia sul modello delle scuole
monastiche ed episcopali anglosas- soni, cercando di raccogliere
organicamente le testimonianze e le fonti essenziali delle antiche
“discipline.” Mediocre poeta, teologo di scarso SI
L'Alto Medioevo rilievo (il suo De ratione animae non è che una
esposizione debole e generica di motivi agostiniani e vagamente
neoplatonici), egli ebbe pe- rò, in sommo grado, il senso della
organizzazione della cultura.E lo testimoniano i suoi manuali, dalla Grammatica
ricavata dagli scritti di Prisciano, Donato e Isidoro, al De orthographia
che ricalca Beda, al Dialogus de rhetorica costruito su materiali
ciceroniani, al De dialectica ove utili zza Boezio, Isidoro e le
pseudoagostiniane Categoriae decem. 4. Gli sviluppi della cultura
carolingia La nuova organizzazione degli studi promossa da Alcuino
non tardò a dare i suoi frutti. Già durante il regno di Carlo le
regioni centrali'dell’Impero vedono aumentare rapidamente le istituzioni
sco- lastiche, affidate in gran parte ai monaci benedettini. Le abbazie
di S. Martino di Tours, Fulda, Fleury, Reichenau, sono i centri
della cultura carolingia, di cui trasmetteranno, per tre secoli, le
direttive essenziali, mediante un tipo d'insegnamento letterario che ha
non po- chi punti di contatto con la tradizione grammaticale del tardo
Impero. Se infatti il carattere delle scuole resta sempre essenzialmente
ecclesia- stico e chiuso nell’ambito delle dottrine scritturali e
patristiche, la base su cui si fonda l’istruzione dei chierici è
squisitamente classica e le- gata alla lettura e al commento dei classici
latini. Ciò spiega il molti- plicarsi dei codici, copiati nei centri
scrittori delle maggiori abbazie e rapidamente diffusi nelle varie scuole
di Europa. Ma la lettura di questi testi e il commento grammaticale non
sono certo l’unica atti- vità dei dotti carolingi, né la loro cultura si
esaurisce — come è stato pur detto da taluni storici — in una
esercitazione grammaticale. La partecipazione commossa alla cultura
classica, l’amore per gli antiqui considerati come maestri di umanità, la
familiarità con le lo- ro opere, implicano infatti tutto un modo di
concepire il rapporto tra la sapientia cristiana e il pensiero degli antichi,
ben lontano dalla intransigente repulsa di un Gregorio Magno. Né
meraviglia che i di- scepoli di Alcuino possano addirittura usare i nomi
e gli aggettivi del- le divinità antiche per alludere agli attributi del
Dio cristiano, o para- gonare, quasi inconsapevolmente, le beatitudini
paradisiache alle gioie sensibili dell'Olimpo classico.
D'altra parte, accanto a questa formazione prevalentemente lette-
raria e umanistica, la cultura carolingia non manca già d’interessi più
nettamente filosofici, ereditati indirettamente dalla vicina tradizione
L'età carolingia della filosofia classica. Studi recenti
hanno appunto accentuato, ma- gari attribuendole un significato superiore
al suo vero carattere, l’Épi- stola de nihilo et tenebris di un discepolo
di Alcuino, Fredegiso di Tours, maestro di notevole influenza durante il
regno di Ludovi- co il Pio e di Carlo il Calvo. Fredegiso muove
dall’interpretazione lette- rale del testo scritturale ove è scritto che
Dio ha creato il mondo dal nulla (er rikilo), per concludere che il nulla
è qualcosa di reale. Que- sta idea induce poi, come naturale conseguenza,
ad affermare che il nulla non è affatto semplicemente l’assenza o
negazione dell'essere; nerché — come argomenta il monaco — ogni nome deve
avere un sionificato esatto e determinato, e quindi indicare qualcosa. di
po- sitivo e di reale; perciò se, dicendo uomo, pietra, ecc..
indichiamo sempre una cosa reale, anche pronunziando il nome niki!
dovremo indicare una res. Nel caso contrario non sarebbe possibile stabilire
un significato per il termine nihil, siacché “ogni significazione è
signifi- cazione di quello che c'è, ossia di qualcosa di esistente”; e se
questo è vero, e se il termine nihil è significativo, vuol dire che esso
indica un ente reale ed evidente. L’argomento di Fredegiso
può sembrare, e forse era, almeno nella sua forma scolastica, un puro
esercizio di abilità dialettica simile a ouelli attribuiti a un îonoto
“Atheniensis Sophicta” che sarebbe vissuto alla corte di Carlo Magno; ma
assume un sicnificato ben diverso, se si riflette che la sua discussione
finisce con l’implicare lo stesso concetto doematico della creazione er
nikilo e con l’ammettere l’esistenza di una entità comune e indefinita di
cui Dio si sarebbe servito come di una materia indispensabile per creare
il mondo. Una simile idea — che rispecchia orobabilmente una precisa
influenza platonica — spiega assai hene le polemiche e le accuse
sollevate contro Fredegiso da altri maestri, come Agobardo che nel Liber
contra Fredegisum gli contestò anche di credere alla preesistenza delle
anime. Agobardo, critico insistente delle superstizioni popolari e delle
pratiche magiche che stigmatizzò più volte nei suoi scritti, riteneva
pericolose le dottrine di Fredegiso, di cui non gli sfuggiva il sostanziale
contrasto con i dati della rive- lazione. Eppure, anche la sua cultura,
la sua familiarità con gli an- tichi, la sua fiducia nell’accordo tra la
ragione e la religione e la sua avversione per la misura irrazionale
delle oscure credenze superstizio- se, sono i frutti della rinascita
intellettuale carolingia di cui rispec- chiano alcune delle componenti
essenziali. Fredegiso ed Agobardo sono due personalità strettamente
legate alla diffusione della nuova cultura, mei principali centri
scolastici della Francia carolingia. Ma negli stessi anni anche la
Germania meridio- nale conobbe gli effetti della rinascita intellettuale
promossa da Carlo e da Alcuino, soprattutto per merito della scuola
benedettina di Fulda. Principale protagonista di questa diffusione fu,
del resto, un altro di- scepolo di Alcuino, Rabano Mauro (748-856) che,
dopo aver iniziato i suoi studi a Fulda, era passato alla grande scuola
di S. Martino di Tours, per tornare di nuovo a Fulda, arricchito dell’esperienza
di un ambiente intellettuale cos superiore alla rozzezza delle scuole
tede- sche. Maestro ed abate di Fulda, e poi arcivescovo di Magonza,
Ra- bano esercitò una influenza determinante nell’organizzazione
della vita culturale ed ecclestiastica della Germania. Ma soprattutto
egli diede alle scuole medioevali un complesso di scritti e di
manuali particolarmente adatti alle condizioni della cultura del tempo,
come la Grammatica, redatta sui modelli cari ad Alcuino, e un trattato
sul “computo” ecclesiastico. Al nome di Rabano sono, pure attribuite,
ma senza gran fondamento, anche delle glosse a Porfirio e al De
inter- pretatione di Aristotele che, se fossero realmente sue,
testimoniereb- bero un vigore dialettico davvero eccezionale per i suoi
tempi. Ma la sua opera più importante fu il trattato De clericorum
institutione, un vero e proprio corso di studi ecclesiastici per la
formazione e l’in- civilimento del clero germanico. Il
programma che Rabano vi propone non è sostanzialmente di- verso da quello
di Alcuino, da cui riprende l’ordinamento sistematico delle arti del
“trivio” e del “quadrivio,” e lo studio degli autori clas- sici come
“maestri di eloquenza.” Certo, questo studio va condotto secondo
l’esempio dei Padri, con la stessa discrezione e prudenza di un Agostino
o di un Gerolamo, e senza cedere alle lusinghe mondane che sono celate
nelle parole degli scrittori pagani. Però i! loro sapere non deve essere
respinto o condannato: anzi Rabano si serve larga- mente di materiali
classici anche nel suo ampio scritto enciclopedico De rerum naturis et
verborum proprietatibus et de mystica rerum significatione, ove la natura
e i suoi fenomeni sono interpretati in senso allegorico, mistico e
morale, secondo un procedimento non dissi- mile da quello di Beda e di
Isidoro. L’opera educativa di Rabano fu continuata in Germania da
Can- dido di Fulda, autore dei Dicta Candidi, modesto opuscolo
intessuto di citazioni agostiniane, che ha però interessato gli storici
perché con- tiene già alcuni elementi di una prova dialettica
dell’esistenza di Dio, fondata sul rapporto tra l’imperfezione umana e
l’assoluta perfezione divina. L'influenza di Rabano non si limitò però
all'ambiente di Ful- 54 L'età carolingia
da, ma si estese anche al monastero benedettino di Reichenau, con l’in-
segnamento di Walfrido di Strabo, e in Francia, ove l’opera di Servato
Lupo di Ferrières s’ispira spesso ai canoni ermeneutici di Rabano, con-
tinuandone la direttiva umanistica con sottile sagacia filologica.
La vivace ripresa culturale della fine dell’VIII secolo e della
prima metà del IX, non poteva naturalmente restare estranea all’ambito
del- le discussioni teologiche, e difatti nella seconda metà del
IX secolo si svolgono nuove controversie che riflettono la presenza di
tendenze dottrinali divergenti e rivelano un uso già scaltrito degli
strumenti dialettici. Le controversie investono i temi più delicati della
riflessione teologica dalla natura del rapporto trinitario al modo onde è
avvenuta la generazione di Cristo, sul carattere della visione beatifica,
sul rap- porto tra l’anima e il corpo e, ancora e soprattutto, sulla
presenza del Cristo nelle specie eucaristiche. E se pure nascono
nell’ambito di una scuola o di una abbazia, divengono presto cosa
pubblica, provocano l'intervento delle gerarchie ecclesiastiche, e, molto
spesso, anche quello dell’Imperatore che, come advocatus ecclesiae,
investe della lo- rc soluzione i sinodi e i concili. Ciò spiega la rapida
fioritura di una vasta letteratura controversistica, nella quale vengono
largamente usati i metodi acquisiti attraverso la pratica delle arti
liberali. Cosi Pascasio Radberto, abate di Corbie (t 860) affronterà nel
suo trattato De cor- pore et sanguine Christi il problema della presenza
del Cristo nel- l’eucarestia, dibattuto dalle opposte dottrine di chi
afferma la presenza divina “in veritate,” e cioè come una
realtà fisica e sensibile, e coloro che sostengono la presenza in
mysterio o in similitudine e quindi attribuiscono all’eucarestia un carattere
puramente mistico e simbolico. D’altra parte, Ratramno di Corbie, non
solo tornerà su questo tema in polemica con Pascasio nel De corpore et
sanguine Christi, ma scrive- rà un trattato De quantitate animae e un De
anima assai interessanti, poiché rivelano la presenza, nella cultura
teologica del IX secolo, di dot- trine attribuite a un Macario Scotto,
che affermano l’esistenza di una anima universale comune a tutti gli
uomini. Queste discussioni — come quella assai più importante sulla
pre- destinazione che coinvolgerà intorno all’848 Ratramno di Corbie,
Gott- schalco di Orbais, Rabano Mauro, Incmaro di Reims e Giovanni
Scoto Eriugena — sono l’ultimo frutto della civiltà carolingia già
avviata al suo rapido declino. Ma prima che l’Europa, devastata da nuove
on- date d’invasione e travolta dall’anarchia feudale, conosca una
nuova età di regresso intellettuale, la cultura cafolingia toccherà il
suo pit alto livello filosofico nelle speculazioni di Giovanni Scoto
Eriugena. 55 Capitolo terzo Il IX e il X
secolo I. Il “Corpus arcopagiticum” e la sua penetrazione in
Occidente La cultura carolingia attinse principalmente le sue
dottrine teo- logiche dalla tradizione patristica latina e soprattutto da
Agostino; ma non le furono però neppure estranee le dottrine dei Padri
greci che i monaci britannici avevano spesso letto direttamente nella
loro lingua, né le tesi platoniche esposte e commentate nelle opere di
Boe- zio. D'altra parte, i monaci dell’Irlanda, ove già al tempo di
Teodo- ro di Canterbury si erano rifugiati dei dotti religiosi britanni
desi- derosi di dedicarsi liberamente alla vita contemplativa,
perfezionarono la conoscenza del greco al diretto confronto di testi e
tradizioni ignote, in quel momento, nelle scuole continentali. Sicché il
vivo interesse per il mondo antico e per i suoi grandi awctores poté
essere mantenuto e coltivato, nel corso del IX secolo, dalla larga
emigrazione di maestri irlandesi che passarono nelle scuole della
Francia, soprattutto a Reims e a Laon, portando spesso, insieme alla loro
perizia nelle arti liberali, anche la testimonianza e la diretta
influenza di una generica ispira- zione platonica. Ma le loro modeste
conoscenze filosofiche non potreb- bero spiegare la maturazione di
un'eccezionale personalità filosofica co- me Giovanni Scoto Eriugena,
destinata a imporre una netta caratte- ristica platonica e neoplatonica a
tutta la riflessione filosofica dell’Alto Medioevo. Né questa rinascita
speculativa sarebbe storicamente com- prensibile ove non ricordassimo la
funzione determinante esercitata nella tarda cultura carolingia dai
trattati teologici attribuiti n Dio- nigi l’Areopagita..
Questo Corpus dovuto probabilmente all’anonima fatica di uno
scrittore cristiano vissuto in Siria tra la fine del IV e l’inizio del V
secolo, incontrò subito una larga fortuna nell'ambiente intellettuale ca-
rolingio, già predisposto singolarmente a subire le suggestioni delle
dottrine neoplatoniche. Inviati in dono a Ludovico il Pio dal Basileus
56 Il IX e il X secolo bizantino Michele il
Balbo, gli scritti dionisiani furono infatti solen- nemente custoditi fin
dall’827 nell’abbazia di S. Dionigi presso Pa- rigi, ove fiori
rapidamente la leggenda che accompagnò poi costante- mente la loro
diffusione. Ma l’interesse che essi suscitarono tra i dotti del tempo, e
che continuarono poi ad esercitare per secoli, va indicato proprio nel
singolare carattere filosofico e storico dei quattro trattati (De
coelesti hierarchia, de ecclesiastica hierarchia, de divinis nominibus,
de mystica theologia) e delle dieci lettere, che rappresenta, in realtà,
il tentativo più compiuto ed organico di risolvere le dottrine essen-
ziali del neoplatonismo nel quadro di una concezione sostanzialmente
cristiana. Nel Corpus areopagiticum, in cui rivive lo spirito di
Plotino, ma più ancora di Proclo (la cui Elementatio theologica ispirò
largamente l'ignoto autore), è delineato tutto un modo di considerare il
sistema della realtà, il suo rapporto con Dio, e l’essenza stessa della
divina natura e dei suoi attributi, che si accorda perfettamente alla
menta- lità di uomini educati al platonismo dei Padri e di Boezio.
Applicando alla conoscenza di Dio due metodi d’indagine, l’uno positivo e
l’altro negativo, lo Pseudo-Dionigi attribuisce a Dio tutte le perfezioni
che la mente umana coglie nelle creature e che nella divinità sono
esaltate al loro grado supremo; ma, sulla linea di Plotino e di Proclo,
nega tutto ciò che v’è di limitato e di definito in questi attributi
umana- mente apposti alla sostanza divina. Per questo, specialmente nel
De divinis nominibus, Dio è definito come “bontà,” “essere,” “luce,”
“uni- tà”; eppure viene insieme affermata la sua assoluta
“impredicabilità,” perché anche il più eccelso attributo è sempre
inadeguato, e la più alta conoscenza di Dio è data soltanto dall’oscurità
tenebrosa del sa- pere mistico. La Theologia mystica accentua
insomma radicalmente l’assoluta trascendenza divina, che è al di là di
ogni possibile definizione, per- sino dello stesso “nome” di Essere e di
Uno. Il sapere mistico che è ol- tre ogni affermazione ed ogni negazione,
che ignora sapendo d’ignorare e rifiuta qualsiasi determinazione
concettuale, è l’unico grado supremo di conoscenza, smarrimento totale in
cui si compone la assoluta fusione della mente con Dio, nell'oblio
assoluto di tutto ciò che è creato, limi- tato e temporale. Ma ciò non
toglie che, per lo Pseudo-Dionigi, tutta la realtà partecipi in certo
modo della realtà divina, sia insomma una celeste processione di forme
che Dio trae dalla sua perfetta “superni- tà,” distinguendole da sé,
nell’infinita diffusione della sua eterna luce. Con lo stesso
linguaggio immaginoso di Plotino e di Proclo, u- L'Alto
Medioevo sando le loro stesse analogie luminose, cariche di
reminiscenze pla- toniche, l’ignoto autore descrive il diffondersi di Dio
di grado in gra- do, il suo generare un mondo scandito in successivi
gradi di perfe- zioni gerarchiche, il suo rivelarsi attraverso le proprie
opere nella per- fetta “teofania” dell’universo. Tutto, infatti, dagli
esseri intelligibili e intelligenti alle anime irrazionali degli animali,
alla vita torpida delle piante, alle cose che non hanno né anima né vita,
è “parola” di Dio, espressione compiuta della eterna illuminazione con
cui Egli esprime il suo Essere. E se è vero che infinita e incolmabile è
la diffe- renza e la distanza tra Dio e le creature, pure ogni aspetto e
forma della realtà è un grado dell’ascesa verso Dio, fino all’ultimo
“salto” della unione mistica. Naturalmente, la presenza divina si
dispiega poi in sommo grado nella gerarchia degli spiriti puri (trattato
De coelesti hierarchia), che muovono le sfere celesti e costituiscono gli
interme- diari tra Dio e la natura terrena, cosîf come la gerarchia
ecclesiastica è intermediaria tra l’uomo e la grazia divina. Cosi Dio,
fine ultimo e supremo, attira a sé tutte le cose create attraverso il
moto d’amore che ispira alle celesti intelligenze e che da queste si propaga
di grado in grado, fino a confluire nella perfetta mobilità della monade
divina. Per un duplice processo, la cui descrizione risolve in sé tutte
le vi- cende delle cose, il mondo esce eternamente da Dio ed
eternamente vi ritorna, come il raggio riflesso torna alla sua sorgente e
le onde del mare fluiscono e rifluiscono sempre dalla medesima
riva. Non occorre — credo — insistere ulteriormente sul carattere
della speculazione dionisiana, per ricordare come essa offrisse al
pensiero medioevale un immenso perfetto quadro dell’universo, in cui la
tradi- zione platonica pareva accordarsi con le parole della Bibbia e del
Van- gelo. Né è difficile mostrare come questa visione cosf gerarchica
della realtà potesse rispondere all’esigenza di una cultura fondata
sull’or- dine gerarchico della vita ecclesiastica e feudale dominata da
un ideale teocratico che pervadeva tutte le funzioni della vita civile.
L’analogia dionisiana tra la gerarchia celeste e la gerarchia ecclesiastica,
l’inter- pretazione allegorica e mistica di qualsiasi momento della
realtà, l’in- sistenza sulla trama di rapporti mistici e segreti che
unisce all’unità divina le molteplici, transitorie manifestazioni
dell’ordine temporale e mondano, furono infatti i caratteri della mistica
dionisiana che do- minarono tanti aspetti della cultura medioevale
ispirando con uguale fervore la fantasia dei poeti e l’esaltata visione
dei santi. Ma se l’in- fluenza del Corpus areopagiticum è presente in
tutta la storia della mi- stica medioevale, che di qui trasse la sua
tipica descrizione dell’ascesa dell'anima a Dio e il suo
linguaggio speculativo, non fu però inferiore anche nell’ambito
strettamente filosofico. Ed è anzi proprio attraverso gli scritti
dionisiani che entrarono in circolazione molte dottrine e moti- vi
platonici e neoplatonici, presto associati alle testimonianze di
Macro- bio, alle dottrine del Timeo “fisico” e del commento
necplatonico di Calcidio. Di questa influenza è prova
eloquente la naturale diffusione del Corpus artopagiticum nel corso del
IX secolo e l’interesse che lo ac- compagnò fin dalla sua prima comparsa.
Tradotti, tra 1°828 e 1’830, da Ilduino, abate di S. Dionigi, che non
ebbe alcun dubbio nell’accet- tare l’attribuzione al supposto discepolo
di S. Paolo, questi scritti furono infatti subito conosciuti
nell’ambiente delle scuole palatine. Ma ben più che alla rozza e infelice
traduzione di Ilduino, essi dovettero la loro rapida fortuna alla più
tarda traduzione di un filosofo irlandese, professore alla scuola
palatina di Parigi durante il regno di Carlo il Calvo: Giovanni Scoto
Eriugena (800/815 + 870 ca.). 2. La filosofia di Giovanni Scoto
Friugena Dotto di latino e di greco (anche se sembra che abbia
studiato questa lingua solo durante il suo soggiorno parigino), questo monaco
si era rapidamente segnalato tra i suoi colleghi francesi e irlandesi.
Cosî, quando i vescovi Pardulo di Laon e Incmaro di Reims avevano voluto
confutare le tesi di Gottschalco che sosteneva l’assoluta prede-
stinazione sia alla dannazione che alla salvazione eterna, ne avevano
affidato l’incarico all’Eriugena già noto per la sua larga conoscenza dei
Padri e della letteratura teologica. Nell’opuscolo De
praedestinatione, Giovanni affrontò le tesi di Gottschalco, negando
recisamente qualsiasi forma di predestinazione al peccato; ma il modo con
cui trattò il delicato problema teologico alla luce delle idee che furono
poi al centro della sua meditazione, gli valse la severa censura dei due
vescovi e quindi le prime condanne com- minategli dai Concili di Valenza
e di Langres (855- 859). La tradu- zione del Corpus arcopagiticum, cui
attese intorno all’858, confermò poi la sostanziale ispirazione
neoplatonica che si era già manifestata nel corso di quella polemica;
tanto più che egli vi aggiunse anche la ver- sione del De hominis
opificio di Gregorio di Nissa e gli Ambigua di Massimo il Confessore, due
operette di schietta impronta platonica. Non a caso, infatti, proprio
Massimo (580-662) si era sforzato di vol- 59 L'Alto
Medioevo gere in un senso pienamente cristiano le dottrine più
ambigue del corpo dionisiano, identificando le forme divine con gli
archetipi im- mutabili che Dio immette nella realtà mondana come segni
della pro- pria perfezione e della propria bontà, mentre Gregorio di Nissa
aveva accentuato il significato “mediano” dell’uomo, posto come
intermedia- rio tra Dio e il mondo, partecipe di due diverse nature e di
due oppo- sti destini, Queste fonti sono, del resto, sempre
presenti in tutte le opere di Scoto Eriugena, dal vasto dialogo metafisico
De divisione naturae, al commento alla Hierarchia coelestis, al commento,
pervenutoci fram- mentario, al Vancelo secondo Giovanni, all’Omelia sul
prologo dello stesso Vangelo. Ma tali scritti testimoniano principalmente
la conti- nuità di una corrente ispirazione platonica, nutrita sf da una
larga familiarità con l’opera agostiniana, ma soprattutto dalla puntuale
co- noscenza della prima parte del Timeo, noto attraverso le due
versioni di Calcidio e di Cicerone. A questa base dottrinale schiettamente
pla- tonica si accompagna però un metodo argomentativo che
presuppone una notevole conoscenza dei testi logici aristotelici e, in
particolare, delle Categoriae e del De interpretatione. Ed è anzi proprio
la ridu- zione degli strumenti logici aristotelici in funzione di una
concezione metafisica. platonica cosf operata dallo Scoto, che influirà,
pid tardi, profondamente sugli scritti dell'insegnamento logico dei
secoli X e XI, determinandone talune direttive essenziali. La
concezione dottrinale esposta principalmente nel dialogo De divisione
naturae è, certo, tra le pi audaci che siano state formulate nell’età
medioevale, anche se è vero che talune interpretazioni ne han- no spesso
deformato gli effettivi lineamenti storici, attribuendo al monaco
irlandese opinioni e atteggiamenti del tutto estranei al suo ambiente ed
alla sua formazione. Le tesi cosi care agli storici otto- centeschi, che
scorgevano nell’Eriugena una specie di libero pensa- tore avant lettre e
un filosofo decisamente orientato verso posizioni panteistiche o
immanentistiche sono state infatti smentite da analisi pi approfondite ed
aderenti alla reale posizione filosofica dello Scoto. Ep- pure, anche se
non è più possibile aderire ai giudizi del Cousin o dello Hauréau, è
ugualmente certo che la sua opera raporesenta un punto di riferimento
fondamentale nella storia della filosofia medioevale, ed è la fonte e il
principale veicolo di idee destinate ad influenzare fecon- damente la
cultura filosofica e teologica dell’Occidente. Tutta
l’argomentazione del De divisione si fonda sul principio dell’assoluta
unità tra fede e ragione, o, ‘meglio, della perfetta coinci- IX e
il X secolo denza della verità filosofica raggiunta per la via del
ragionamento lo- gico, e la verità rilevata direttamente da Dio.
Filosofia e teologia han- no in comune la stessa origine divina, sono
entrambe espressione della medesima eterna Sapienza; e quindi non può
esservi tra loro mai contraddizione o opposizione perché è impossibile che
due doni di- vini siano contradditori ed avversi. Anche la stessa
riflessione filoso- fica è per Giovanni una forma di esposizione delle
verità affermate dalla fede, cosi come, d’altra parte, la vera autorità
rivelata contiene in se stessa tutte le possibili verità di ragione. O,
come afferma ap- punto l’Eriugena in un passo che è stato spesso citato
come prova della sua ortodossia: “la vera filosofia è la vera religione
e, viceversa, la vera religione è la vera filosofia.” Tale
principio, più volte affermato dallo Scoto, sembra presen- tare una
soluzione quanto mai coerente del problema dei rapporti tra la ricerca
razionale e i contenuti dogmatici della fede ortodossa legata
all'accettazione di un complesso ben definito di verità rivelate. E, in
realtà, egli ritiene fermamente che la “certezza salvatrice” della rive-
lazione debba essere sempre illuminata dalla ragione che ne permette
l'effettiva comprensione e la piena consapevolezza. Se la rivelazione ci
indica qual è la verità cui si deve credere a proposito della natura
divina, della natura della nostra anima e del suo destino oltremondano,
non è meno necessaria la ricerca sistematica della ragione che si sfor-
za di interpretare le parole della Scrittura e di renderle evidenti e
comprensibili. Non solo; non si potrebbe neppure intendere cosa si-
gnifichi, ad esempio, la dottrina biblica della creazione, o quale sia il
senso degli attributi divini, senza una oculata interpretazione, svolta per
via puramente razionale. Naturalmente, quest'opera interpretativa,
sottile e difficile, richiede l’ausilio dell’autorità dei Padri, che
racco- glie quanto è stato pensato da menti illuminate intorno ai
massimi problemi della teologia. Ma le autorità umane non possono mai es-
ser poste sullo stesso piano della rivelazione, né godono della infal-
libilità della parola divina. Perciò, ogni volta che vi sia un contra-
sto tra la “giusta ragione” e l’autorità dei Padri, l’Eriugena ritiene
che si debba scegliere la verità della ragione ben motivata e definita.
Ogni autorità è valida ed inoppugnabile solo se si fonda su di un
ragionamento evidente e rispondente ai requisiti della verità logica. Né
credere alla rivelazione o all'autorità divina significa accettare cieca-
mente i suoi interpreti, sia pure accreditati e ortodossi; la loro auto-
rità deve essere sempre confrontata con l’autorità più alta della ra-
gione cui spetta in ultima analisi il giudizio definitivo.
6I L’Alto Medioevo È appunto fondandosi su questa
piena fiducia nel valore dell’in- terpretazione razionale dei dati della
rivelazione, che Eriugena traccia un grande quadro della creazione e
della realtà costruita mediante l’uso sistematico e costante di un
procedimento razionale che si ri- chiama ai modelli della dialettica
platonica. Se da un lato egli muo- ve dalla considerazione dei generi
supremi per distinguere analitica- mente entro queste unità razionali i
generi e le specie sempre meno universali che vi sono contenuti, d’altra
parte risale anche in sen so inverso l’ordito della realtà, muovendo
dall’individuo alla specie ed al genere, e percorrendo cosî in un duplice
movimento l’eterno pro- cesso dialettico della creazione. La “divisione”
della natura esposta nel grande dialogo è pertanto un continuo discendere
dalla unità immu- tabile del sommo, unico principio divino alla infinita
molteplicità delle sue determinazioni successive che però, a loro volta,
sono razionalmen- te ricondotte all’unità che le genera
e considerate nell’ambito assolute dell’essere cui tutte
partecipano. Il ritmo dialettico, definito da Plu- tone nelle pagine del
Parmenide, e riaffermato da Plotino e da Proclo, è cosi posto a
fondamento del rapporto tra Dio e il mondo, tra l’onni- potenza
creatrice, sottratta al tempo e al mutamento, e la realtà fluente e
mutevole delle cose sensibili. Ed ecco perché la comprensione del-
l'ordine e della struttura gerarchica dell’universo, già definita dallo
Pseudo-Dionigi, si risolve nell’intelligenza di come si generino dal- la
Sapienza divina le idee, i generi, le specie e gli individui che lo
costituiscono secondo la legge immutabile di un processo logico inter- no
ad ogni realtà. Se l’universo è — per l’Eriugena, come per lo Pseu-
do-Dionigi — il puro specchio di Dio in cui si riflettono le forme e le
immagini delle idee eterne, il movimento razionale per cui si risale
dalle cose alle idee, e dalle idee all’unità di Dio, è il ritorno della
realtà alla sua fonte ed alla perfezione originaria. Tutto
questo spiega perché la natura sia considerata nel De divi- sione entro
una quadruplice distinzione che segna appunto i momenti essenziali del
suo interno processo dialettico. Cosi, in primo luogo, “natura non creata
e creante” è l’unità divina donde tutto si genera. “Natura creata e
creante” sono le idee eterne presenti nel suo intellet- to come archetipi
eterni delle cose, mentre sono “natura creata e non creante” le realtà
molteplici e mutevoli, l’universo generato e definito nella misura della
temporalità. Infine Dio stesso, considerato come ultimo fine e supremo
scopo della realtà, è la “natura non creata e non creante,”
perfettamente, assolutamente conclusa nella sua eterna perfezione. Ora è
subito evidente che queste distinzioni si risolvono sostanzialmente
nell’unica distinzione fondamentale tra il creatore e le creature, tra
l’unico principio e la sua esplicazione nel molteplice. Ma proprio perché
Dio — secondo la definizione dionisiana — è al di là di tutte le
determinazioni possibili e trascende ogni forma, aspetto o “nome”
definito, anche l’Eriugena può riprendere la tematica della teologia
negativa applicandola con logico rigore. In tal modo, se per “via
positiva” si può affermare di Dio tutto ciò che esiste e attribuirgli
tutte le possibili perfezioni, occorre però ricordare che tale afferma-
zione è solo “simbolica” e che la si può riferire a Dio non perché egli
sia realmente questa o quella realtà determinante, ma perché è la causa e
il fondamento assoluto del suo essere. Definire Dio con un nome o con un
concetto, chiuderlo entro un “termine” particolare, significherebbe
negare la sua realtà “superessenziale”; perciò, ogni volta che si predica
di Dio qualcosa, occorre insieme affermare e ne- gare, “attribuire” e
“non attribuire.” Dio è infatti al di là di ogni “essenza,” com'è al di
là della verità e dell’eternità, oltre ogni catego- ria logica e ogni
perfezione attribuibile. Ma ciò non toglie che egli sia però una
“superessenza,” una “superbontà” e “sovraeternità,” e che il linguaggio
umano non abbia altra via che quella di alludere al suo essere con
l’artificio di negare la stessa affermazione. Che simili temi,
ripresi direttamente dalla tematica dionisiana, derivino dalla tradizione
di Plotino e di Proclo, è cosa ben evidente. Ma la conseguenza più
importante è la compresenza nel pensiero dell’Eriugena di una profonda
esigenza mistica che mira a risol- vere la conoscenza di Dio’ nell’oscura
trascendenza dell’“ignoran- za,” e di una considerazione positiva della
realtà mondana, colta nel suo indissolubile nesso dialettico con l’Uno
creatore. Tutto ciò che esiste, ogni sostanza individuale, esprime
infatti nella sua limitazione la potenza della bontà divina che l’ha
tratta dal non essere per con- durla alla realtà. Ma nello stesso atto
creativo è a sua volta implicita l’eterna distinzione delle persone
trinitarie che pone una intima rela- zione dialettica tra il Padre, il
Figlio e lo Spirito, e che, nel linguag- gio platonizzante dell’Eriugena,
assume una caratterizzazione non molto lontana dalla successione
emanatistica delle ipostasi plotiniane. Certo, il processo che entro
l’immutabile unità divina distingue il Padre, il Figlio e lo Spirito, non
è una divisione come quella che distingue le varie specie entro lo stesso
genere, o le varie parti nel tutto, né è paragonabile alla generazione di
una “forma” dall’altra “forma.” Eppure, è proprio mediante questa
distinzione che l’Eriu- gena può pensare il moltiplicarsi dell’Unità
divina nella molteplicità 63 L'Alto Medioevo
delle Idee, “prototipi,” “predestinazioni,” “volontà divine” e,
insom- ma, archetipi di tutte le cose create che il Padre “preforma” o
“sta- bilisce” nel Verbo. Tali Idee sono coeterne a Dio, e quindi non
hanno né origine né fine nel tempo, anche se il Padre è l’assoluto
princi- pio del loro essere. Pur diverse e molteplici, esse costituiscono
nel Verbo un’unica semplice realtà, ove è già eternamente contenuto
tutto ciò che potrà poi esistere e svilupparsi nel tempo. Ma benché
siano identiche e “identificate” nel Verbo divino, esse sono però già
delle creature, “teofanie” che svelano l’ineffabile superessenza divina,
con- servandone l’assoluta e immutabile perfezione. Nelle Idee la natura
divina può quindi apparire, al tempo stesso, come creatrice e come
creata. O meglio: Dio si autocrea nelle Idee per emergere dal segreto
della sua natura e rivelarsi a se stesso e a tutta la realtà che ne è,
per altro, l’effettiva e necessaria rivelazione. Le Idee o
specie eterne considerate nella loro molteplicità sono però, al tempo
stesso, anche quelle essenze e forme immutabili secon- do le quali è
costruito tutto l’“opificio” del mondo sensibile. Come Dio crea le Idee
distinguendole nella sua unità, cosî le Idee si moltipli- cano nella
produzione degli individui, secondo un ordine gerarchico perfettamente
logico e dialettico. Dalle Idee derivano infatti diretta- mente i
“generi,” dai “generi” le “specie” e da queste le sostanze individuali;
ma questo processo è pur sempre opera divina, anzi parti- colare
attribuzione della terza persona trinitaria, lo Spirito Santo, che
l’Eriugena concepisce come un principio fecondatore che distribuisce
nella natura le forme o essenze divine. Cosi ogni creatura che ripro-
duce a suo modo l’immagine di Dio resta definita in una sua intima
trinità che riflette la trinità divina; poiché, se l’essenza corrisponde
al Padre, la sua virtus attiva corrisponde al Verbo e la sua propria
“ope- razione” allo Spirito Santo. Le serie delle “teofanie”
che discendono dalle Idee agli individui costituiscono l’ordine e la
trama metafisica della natura. Ma questa concezione è ulteriormente
chiarita e sviluppata dall’Eriugena, me- diante la ripresa della dottrina
di origine neoplatonica e agostiniana dell’illuminazione divina, che gli
serve per definire il rapporto tra Dio e la realtà. Tutti gli esseri
creati costituiscono infatti altrettante de- terminazioni particolari e
singole dell’unica luce divina, il cui splen- dore si manifesta in grado
diverso secondo la maggiore o minore per- fezione dei singoli individui.
Ogni cosa determinata e particolare è, a suo modo, segno e simbolo della
divinità, “rivelazione” ed “espres- 64 Ml 1X e il X
secolo sione” dell’infinita potenza divina. Dalle sostanze
immateriali come le gerarchie angeliche, all'uomo che partecipa insieme
dell’ordine spiri- tuale e della natura materiale, alle cose puramente
materiali e sensibili, si svolge un continuo processo di “rivelazione,”
un espandersi e defi- nirsi della luminosità divina, in forme sempre pid
limitate e lontane dalla sua fonte originaria. Tutto ciò che
v'è di reale e di esistente deriva infatti necessaria- mente dalla
sostanza divina, il cui essere è pertanto l’essere di tutte le cose.
Eppure proprio perché ogni realtà individuale partecipa del- l’Essere
divino, ma senza potervisi identificare pienamente, ecco delinear- si tra
Dio e le creature un distacco e una diversità irriducibile che nessun
intermediario potrebbe mai colmare. Il diffondersi della luce
divina nei suoi diversi gradi di luminosità e di chiarezza segue
infatti un preciso ordine gerarchico, in cui ogni grado definisce dei
rapporti di analogia e significazione pifi o meno adeguati, ma pur sempre
incapaci di restituire compiutamente la fondamentale natura divina; e la
gerarchia presente in ogni grado e forma della realtà, mentre esprime
l’ordinata partecipazione di tutti gli esseri all’essere divino, accentua
però e definisce la distinzione tra il Dio-uno e la natura limitata e
molteplice. Così gli angeli, che occupano il primo rango nell’ordine
delle creature, sono sf intelligenze perfette in cui la divinità si
rispecchia nella sua più alta espressione; ma sono anch’es- si distinti
dalle idee divine perché possiedono un corpo spirituale, sen- za
dimensioni o forme sensibili, eppure ben diverso dall’assoluta sem-
plicità della natura creata e creante. Agli angeli spetta però il privi-
legio di conoscere direttamente la realtà divina, quasi per mezzo di
un’esperienza sovrarazionale che coglie Dio nella sua prima manife-
stazione del Verbo, nelle idee ed eterne cause di tutte le cose. Ma anche
questa conoscenza viene partecipata agli angeli, in linea gerar- chica, a
seconda della loro maggiore o minore perfezione, sino all’ul- timo grado
della gerarchia angelica che, a sua volta, la trasmette ai supremi
fastigi della gerarchia ecclesiastica, destinata a diffonderla tra la
massa oscura e “inferiore” dei fedeli, Difatti l’uomo, per quanto
sia posto per sua natura al confine tra il mondo spirituale e quello
naturale, non sarebbe mai capace di affer- rare liberamente, con le sue
forze naturali, la luce della rivelazione di- vina. Situata nell’ordine
cosmico, in un grado ben inferiore a quello delle nature angeliche,
limitata dalla sua esistenza corporea e dai bi- sogni e dalle necessità
che ne derivano, la natura umana è profonda- mente decaduta e corrotta,
né possiede di per se stessa i mezzi e il 65 L'Alto
Medioevo potere per liberarsi dalle proprie colpe. Eppure il suo
fondamento eterno è posto in primo luogo nell’Idea pura dell'uomo sempre
pre- sente nella mente divina e nella conoscenza che Dio ne possiede
eterna- mente. Per questo, appunto, l’uomo è capace di riunire in sé
quanto v'è di più eccelso e di più basso nella realtà e di presentarsi
come la sintesi vivente di tutta la creazione, il “microcosmo” che
riflette e ri- solve in sé l’ordine e l’infinita ricchezza del
“macrocosmo.” Da un lato, la parte più nobile della nostra natura, che è
l’intelletto e l’es- senza, c'induce a volgerci direttamente a Dio, con
un atto di desiderio che mira all’“essere eccellentissimo,” al di là di
ogni essenza parti- colare, o di ogni definizione o limite. Ma d’altra
parte, l’uomo è pure “ragione” discorsiva, e cioè capacità di definire
l’essenza ignota e infinita di Dio come causa di tutte le cose, di
contemplare le Idee o archetipi presenti in Dio, senza alcun bisogno
dell’aiuto del- l'esperienza sensibile. Certo, anche l'intelligenza di
queste idee è compito arduo, né la nostra mente sembra sempre capace di
af- ferrare direttamente e in modo compiuto l’essenza pura e
ineffabile. Ma se le Idee possono apparire irraggiungibili e troppo
lontane dai li- miti della ragione umana, è sempre possibile afferrare le
loro “teofa- nie” che si presentano nelle nature angeliche come nelle
anime umane. In tal modo attraverso la contemplazione delle “teofanie” la
mente può pervenire ad una conoscenza delle cause prime che se anche
non ci rivela le loro essenze, ci lascia però comprendere la loro
effettiva azione e la loro presenza nelle cose. Oltre a
queste due facoltà v’è poi, nell'anima umana, una terza attività che mira
a comprendere l’essenza delle singole cose create dalle cause prime o
archetipe e conoscibili dai sensi esterni. Tale cono- . scenza è
de*erminata dalle immagini sensibili che sono di diversa natura a seconda
che siano prodotte direttamente nei sensi sotto l’azione degli oggetti
esterni o che si tratti invece di immagini formate dall’anima in
dipendenza dell’esperienza sensibile. Nondimeno esse rappresentano il
diretto rapporto con il mondo molteplice degli iridividui in cui si
scandisce l’ordine naturale. E come il processo della creazione muove
dall’unità per generare l’infinita molteplicità della natura, cosi anche
la conoscenza umana viene determinandosi e distinguendosi di grado in
grado, via via che discende dalla contemplazione dell’uno all’intel-
lezione dei generi e delle specie, e quindi all’esperienza sensibile
delle cose determinate e individue. A questo processo di divisione,
svolto secondo la tecnica della dialettica platonica, corrisponde però un
iden- tico processo di ritorno all’unità. Poiché il pensiero umano è
capace di 66 Ù Ml IX e il X secolo muovere
dalla molteplicità degli individui conosciuti per via sensi- bile per
passare discorsivamente all’intelligenza delle loro specie e dei loro
generi, e da questi alla contemplazione delle Idee ed alla contem-
plazione dell’Uno. 3. ll “ritorno” all'unità divina
Che questo processo di “ritorno” sia possibile è dimostrato per Gio-
vanni Scoto Eriugena, da un'analisi più profonda della natura uma” na. Se
l’uomo, originariamente dotato di un corpo incorruttibile come quello
angelico, ha perso con il peccato originale questo’ dono ed è stato
soggetto alla corruttela ed alla morte, non ha però perduto la
possibilità di salvarsi e di trovare nel Verbo divino un prin- cipio di
redenzione che riabiliti, attraverso la restaurazione della natura umana,
l’intero ordine della natura fisica. È infatti solo nell’unità idea- le
del Verbo che il mondo molteplice e transitorio, la matura creata e non
creante può tornare nuovamente alla sua fonte e compiere quel processo di
unificazione cui tende fatalmente ogni individuo creato. Cosi l’uomo,
creato simile a Dio, ma divenuto dissimile per il peccato e la
conseguente corruttela, può sforzarsi di identificare il suo essere con
la perfezione creatrice, risalendo di grado in grado lungo la scala delle
realtà. Per giungere a questo scopo supremo è necessario un lungo
pro- cesso di “ritorni” successivi e parziali, attraverso il quale la
mente umana ripercorra esattamente tutti i gradi o momenti con cui si
è scandita l’opera della creazione. E se l’anima razionale si è prima
come dispersa e moltiplicata nell’infinita distinzione degli atti e dei
desideri fisici, occorre che adesso essa muova da questa dispersione per
tor- nare all’unità originaria e rispondere al richiamo irresistibile
della di- vinità. La morte fisica che disperde e dissocia al massimo gli
elementi costitutivi dell’uomo è quindi quel punto solutivo in cui la
caduta dell'anima dall’umanità divina nel mondo sensibile si arresta
brusca- mente ed ha termine. Una seconda fase del ritorno avrà
luogo nel momento della resurrezione, quando ogni anima riprenderà
il suo corpo e ricostituirà l’unità dei propri elementi; ad essa
seguirà una terza fase consistente nella progressiva trasfigurazione del
corpo nel- lo spirito, attraverso i vari gradi di vita spirituale, dal
senso alla ra- gione allo spirito o intelletto che è lo scopo e la
tensione di ogni crea- tura razionale. Infine, nella quarta fase, la
natura umana nella sua L'Alto Medioevo »
totalità potrà tornare alle Idee o cause prime eternamente sussistenti in
Dio; cosi essa attingerà dapprima in Dio la conoscenza di tutte le
creature, per elevarsi, poi, alla Sapienza o contemplazione assoluta
della verità, almeno per quanto è possibile a un intelletto creato. Ma
anche al di là di questa fase, sarà possibile un ultimo più alto grado di
ritorno; e l’anima umana, in cui si compendia tutto l’universo creato,
sarà pro- fondamente penetrata da Dio e si risolverà nella sua
“superessenza,” termine ultimo, definitivo della perfetta unificazione.
Un tale processo di “ritorno” — che ricorda con impressionante pa-
rallelismo certe famose pagine neoplatoniche — non è però soltanto un
movimento intellettivo o un’ascesa a Dio della ragione naturale. Gio- vanni
Scoto Eriugena afferma che senza l’intervento della grazia di- vina e
senza la morte e la resurrezione di Cristo, non sarebbe mai possibile
restaurare la natura umana decaduta e corrotta. Né, d’altra parte, quando
parla dell’unità dell'anima con Dio o addirittura di “deificazione,” egli
intende teorizzare una totale risoluzione della na- tura umana in quella
divina o accedere ad una possibile soluzione panteistica. Al contrario —
come è scritto in un passo, del resto, ben noto del De divisione — si
tratta di una adunatio sine confusione, vel iunctura, vel compositione,
che non dovrebbe affatto negare la diver- sità radicale tra la sostanza
umana e la sovraessenza divina, pur rea- lizzando la profonda unità
spirituale tra l’anima contemplante e l’og- getto supremo della sua
contemplazione. Ma sebbene l’Eriugena pro- fessi di restare fedele al suo
compito di interprete della verità rivelata e riaffermi costantemente il
suo pieno ossequio alla dottrina cattolica, la stessa forza delle formule
neoplatoniche continuamente usate spinge la sua riflessione a conseguenze
difficilmente compatibili con l’orto- dossia. In questo universo cosi
profondamente unito all’unità creatrice, in questa cosmologia che si
sforza di conciliare il racconto biblico della creazione con le dottrine
del Timeo e di Calcidio, non è facile’ co- gliere il punto di distinzione
tra l’infinità assoluta di Dio e l’infi- nita generazione delle creature
prodotte dalla sua stessa essenza. E certo, nonostante che l’Eriugena si
richiami spesso anche ad Ago- stino, e non perda occasione per temperare
la sua ispirazione filoso- fica con le dottrine dei Padri, egli è
soprattutto un filosofo di forma- zione e mentalità neoplatonica
preoccupato profondamente di dare al proprio pensiero un esito teologale
e Ortodosso, sempre minacciato però dal carattere schiettamente platonico
delle sue dottrine fonda- mentali. Ecco perché le idee
escatologiche di Giovanni Scoto Eriugena han- no un significato
cosi vicino a quelle di Origene, donde riprendono del resto alcuni motivi
fondamentali. In questo universo in cui la stessa materia fisica si
riduce ai propri elementi intelligibili non v'è natu- ralmente posto per
un male irriducibile o per la dannazione eterna, né, tanto meno, per la
concezione tradizionale delle pene oltramondane. Certo, il filosofo
irlandese non vuole con questo negare la distinzione teologica tra i
reprobi e gli eletti, né impugnare in tal modo uno dei più saldi
fondamenti del dogma cristiano. Ma basta leggere talune pagine
significative del De divisione o del commento al De coelesti hie- rarchia
per intendere come elezione e condanna, beatitudine e soffe- renza eterna
siano identificate dall’Eriugena con la vera conoscenza o con l’assoluta
ignoranza della verità divina, senza che vi sia più alcuna allusione alle
sofferenze o godimenti sensibili. La vera beati- tudine della vita eterna
è dunque la visione limpida e perfetta della divinità, l’intima comunione
col suo essere. La natura riscattata e sal- vata dal sacrificio di Cristo
e dall’ascesa dell'anima non reca più nes- sun segno del male, né
potrebbe mai ammettere nell’eternità dell’in- ferno le vittorie del male
e di Satana, la loro eterna ribellione all’in- vincibile richiamo
dell’Uno. A motivi cosî speculativi e “filosofici” va poi connesso
l’atteggiamen- to di notevole libertà che Giovanni Scoto assume di fronte
agli stessi contenuti della rivelazione scritturale, nonché il suo
costante uso di un metodo di interpretazione allegorica che piega i testi
biblici ed evan- gelici ad esigenze schiettamente filosofiche. È vero che
nel De divi- sione l’uso di un linguaggio dedotto da fonti e tradizioni
neoplatoni- che può talvolta ingannare, inducendo a dar peso piuttosto
alla forma di espressione ardita e inattesa che non al significato
effettivo delle parole dell’Eriugena. Ma la sua sicura certezza nella
capacità della ragione d’interpretare perfettamente anche i sensi più
riposti della Scrittura, e il costante intreccio tra i tempi
caratteristici della tra- dizione filosofica classica e il contesto
teologico cristiano, segnano co- munque l’inizio di una lunga e duratura
esperienza filosofica destinata agli esiti più lontani e diversi. Il
costante appello alle autorità di Dio- nigi, di Massimo, di Gregorio, di
Agostino e di tanti altri Padri e Dottori chiamati a garantire le sue
idee e il suo linguaggio cosî nuovo e inquietante, non valse però ad
evitare le condanne che le autorità ecclesiastiche espressero e
ripeterono con sintomatica frequenza nei confronti della filosofia
eriugeniana. Condannate e destinate alla di- struzione dai teologi del
suo tempo colpiti dalla sconcertante novità di una riflessione che
reintroduceva in Occidente dottrine ormai di- L’Also
Medioevo menticate o risolte nel tradizionale contesto
agostiniano, le opere del- l’Eriugena continueranno però a diffondersi
per tutto il X e XI secolo fino alla rinascita del XII. E nonostante le
nuove condanne e le più aspre polemiche, l'immenso quadro cosmico
tracciato dal mo- naco irlandese rappresenterà il naturale presupposto
della prima gran- de cultura filosofica elaborata dall'Europa medioevale.
Già del resto, l'influsso della riflessione dello Scoto è chiaramente
riconoscibile in una lettera filosofica di Alamanno di Hautvillers a
Sigibod, arcivescovo di Narbona (879-885), ove si trovano larghe tracce
della sua dottrina della theoria e dell'anima e delle sue parti. Ma la fortuna
dello Scoto Eriu gena, nei suoi diretti riflessi su l’evoluzione del
“platonismo” medioe- vale, è un capitolo della storia della cultura
ancora non del tutto chia- rito. 4. La cultura
postcarolingia Il De divisione naturae è certo l’opera filosofica
che conclude e riassume l'ambizioso tentativo della rinascita carolingia,
nata da un tentativo di riorganizzazione politica dell'Europa e legata,
natural- mente, alla sorte delle istituzioni imperiali. Già intorno
all’877, data presumibile della morte dell’Eriugena, l’Impero carolingio
sta infatti avviandosi alla sua definitiva dissoluzione sotto la spinta
convergente di una nuova ondata d’invasioni barbariche, dell’evoluzione
particola- ristica dei poteri feudali e delle tendenze teocratiche del
pontificato ro- mano. La forza dominante dell’aristocrazia militare,
arbitra di fatto del potere e della forza armata, l’immobilità e la
maggiore carenza della vita economica e dei rapporti sociali, le
crescenti difficoltà delle comunicazioni con il mondo bizantino e tra le
stesse regioni dell’Im- pero aggravano le condizioni di isolamento in cui
è immersa la na- scente società feudale, corrosa dalla generale anarchia
e da continui insanabili conflitti dinastici. Ma a questa disgregazione —
che è la diretta conseguenza della debolezza originaria delle istituzioni
caro- linge — corrisponde il progressivo dissolversi del vincolo unitario
che durante il dominio di Carlo, aveva unito latini, germani e celti,
per- mettendo l’instaurazione di un tipo di cultura comune alle diverse
terre dominate dal monarca franco. Non a caso quindi, proprio tra la metà
del IX secolo e la metà del X secolo, giunge a compimento quel processo
di differenziazione linguistica delle maggiori naziona- lità europee che
già si distinguono nella formazione, sia pure ancora 70
IL IX e ti X secolo soltanto nominale, dei regni d’Italia,
di Francia e di Germania. E se è vero che gran parte d’Europa è
sottoposta a istituzioni non dissi- mili, alle forme d’organizzazione
politica e sociale del feudalesimo, dietro questa uniformità apparente
predominano ormai le tendenze e le forze particolaristiche che mirano a
trasformare i più importanti centri feudali in altrettanti nuclei
direttivi ed autonomi della vita eco- nomica, sociale e politica.
Indubbiamente questa società “immobile”, abitudinaria e uniforme,” divisa
in centinaia di centri, e frazionata nei suoi poteri politici, è ancora
percorsa da correnti di traffici ridotte ma persistenti, e non ignora la
continuità di ricche oasi di vita citta- dina e mercantile. Però ove si
eccettui l’Italia, le cui condizioni sto- riche sono ben diverse da
quelle delle altre regioni dell’Europa occi- dentale, le città francesi e
tedesche sono, per cosî dire, altrettante isole all’interno di una
società a struttura rurale che ha il suo centro nel castello feudale e il
suo fondamento nel sistema delle wvillae carolinge. Ciò spiega il
notevole regresso della cultura e l’inaridirsi della vita intellettuale
che continua a tramandare in forme sempre pid stan- che ed esauste i
modelli elaborati della riforma carolingia; e spiega, altresi, perché il
X secolo, nonostante la presenza di alcuni grandi centri culturali e la
continuità di talune esperienze letterarie non prive di eleganza e misura
classica, sia stato considerato come uno dei secoli più infecondi e
poveri della cultura europea. Eppure, anche nel colmo dell'anarchia
feudale e nel periodo di maggiore disgregazione poli- tica è possibile
intravedere la lenta evoluzione di nuove forze e condi- . zioni storiche
che permetteranno, a distanza di un secolo, un’ecce- zionale ripresa
economica e sociale. Le istituzioni feudali che si sosti- tuiscono al
vuoto creato dallo sfacelo dell’ordinamento carolingio rap- presentano
infatti un solido baluardo contro le rinnovate invasioni e rendono
possibile il costituirsi di un nuovo tipo di comunità produt- tiva
naturalmente volta a riallacciare stabili legami con i centri ur- bani.
Nelle città — che conservano almeno in parte gli ultimi resti della loro
autonomia tradizionale — l’autorità preminente del vescovo permette che
continui una tradizione scolastica affidata quasi sempre alle scuole del
clero, ma anche, come a Verona o a Pavia, alle scuo- le “regie” dove si
formano notai o giudici. Certo la cultura che si tramanda in queste
scuole di prevalente carattere ecclesiastico o giu- ridico, risente
profondamente le conseguenze della grave crisi politi- ca e sociale, né è
capace di produrre concezioni intellettuali degne di particolare
attenzione. Ma la continuità dell’insegnamento delle arti 7!
L'Alto Medioevo liberali e della tradizione scolastica di
origine carolingia è tuttavia un carattere tipico della cultura del X
secolo di cui occorre riconoscere la indubbia funzione storica.
A questa società cosi “disgregata” e “particolaristica” non manca
del resto un’unità ideologica fondamentale che è rappresentata dalla
continuità e dalla nuova evoluzione storica dell’ideale teocratico caro-
lingio. Nonostante la dissoluzione dell’unità imperiale e la scomparsa
dello stretto vincolo politico che aveva unito sotto Carlo le regioni
centrali dell'Europa, l’ideale concezione della Christianitas raccolta
sot- to un'unica guida e un unico potere continua ad ispirare anche i chie-
rici del X secolo depositari della cultura e di ogni attività magistrale.
Ma alla figura dell’Imperatore sotto il cui dominio deve svolgersi an-
che la vita disciplinare della Chiesa, si sostituisce il potere sacrale
del Papa-re, cui spetta, per decisione divina, ogni autorità spirituale
e terrena e da cui dipende l’autorità dell’Imperatore e del re. La
pro- gressiva carenza del potere imperiale e le lunghe lotte di
successione che travagliano la monarchia carolingia fino alla sua
definitiva depo- sizione, spierano facilmente come il concetto della
Christianitas si trasformi nell’idea di un'assoluta teocrazia pontificia
capace di disporre di tutti i troni e di tutte le autorità. Ed è
significativo che questa idea si affermi proprio ad opera del primo
pontefice, Giovanni VIII (872- 882), che decide di fatto
dell’attribuzione della corona imperiale. La definizione che Giovanni
VIII diede della Chiesa come “quella che ha autorità su tutti i popoli ed
alla quale sono unite le nazioni di tutto il mondo come ad una sola madre
e ad una sola testa” è già elo- quente testimonianza di un'assoluta
supremazia che ha il suo fonda- mento nel pieno monopolio della vita
intellettuale e che rappresenta l’unico saldo legame sopravvissuto al
crollo dell’unità carolingia. La aristocrazia ecclesiastica che governa
le sedi cattedrali e abbaziali è in- fatti la sola forza organica e
organizzata che, pur nell’età della mas- sima anarchia feudale, continui
ad esercitare una funzione unitaria, nonostante le crisi interne della
vita ecclesiastica e la profonda de- cadenza del pontificato presto
dominato dalla nobiltà romana. Ma ap- punto perché la fede cattolica, e
la gerarchia che la difende e la diffonde, costituisce l’elemento comune
a tutte le classi e a tutti i ceti della società feudale, è naturale che
questo legame spirituale venga transvalutato alla luce del concetto
agostiniano della Civitas Dei e della Respublica Christianorum. Il
termine Christianitas che comincia cosi frequentemente a ricorrere nella
seconda metà del IX secolo, indica appunto questa comunità di tutti i
cristiani in quanto tali che ha 72 Il IX e il X
secolo una propria sostanza e struttura politica ed una finalità
oltremonda- na, ma agisce però anche sul piano mondano, nell’ambito della
vita civile. Ora, questa comunità — così come l’intende Giovanni VIII
— implica appunto un ordine politico e sociale pit vasto e superiore
a quello dell’Impero, nonché una gerarchia e un’autorità suprema
di- nanzi alla quale i poteri civili e la sovranità dei re o
dell’Imperatore so- no soltanto degli strumenti subordinati e inferiori.
Sicché il pontefice romano, che della Chiesa è il capo designato dal
Cristo, è perciò stes- so la suprema autorità della C4ristiaritas,
l’unica legittima fonte di qualsiasi potere legale. Il rovesciamento del
rapporto tra l’autorità imperiale e l’autorità pontificia non potrebbe
essere più netto e radicale. Se pure il papato, travagliato anch'esso per
gran parte del X secolo da una profonda decadenza, non farà ancora valere
praticamente il suo primato cosî teorizzato, sono già posti però i
presupposti delle dottrine teocratiche destinate a dominare le polemiche
e le lotte politi- che dell’età gresoriana. Ne offre un esempio assai chiaro
Giona di Orléans (780 + 842/43), il quale nella sua Admonitio a Pipino di
Aqui- tania (nota col titolo di De Institutione regia) afferma che il
potere regio è concesso da Dio solo perché il sovrano miri alla
giustizia, al benessere del popolo e, soprattutto, alla protezione della
Chiesa. Ove il re non adempia a questa missione il suo potere è
illegittimo e “ti- rannico.” La supremazia e il completo
monopolio intellettuale esercitati dal- le gerarchie ecclesiastiche nel
corso del X secolo, si riflettono natural- mente sul carattere della
cultura che accentua e rende definitiva la ti- pica impronta
ecclesiastica della riforma carolingia. Soprattutto in Francia e in
Inghilterra, travagliate da gravi crisi politiche, le scuole episcopali
sono infatti, insieme alle abbazie benedettine, gli unici cen- tri attivi
di cultura ove si continua l'insegnamento del “trivio” e tal- volta anche
del “quadrivio,” e dove si leggono e si commentano i testi restituiti
alla cultura occidentale dalla paziente attività dei mo- naci britanni e
irlandesi. Un dotto ecclesiastico come Servato Lupo di Ferrières, che
vive in Francia tra l’inizio del IX secolo e 1°862. è ap- punto il
maggiore esponente di questa cultura che si fonda sul gusto elegante di
una raffinata latinità, sull’ammirazione per la splendida eloquenza
ciceroniana, e sulla ricerca appassionata delle grandi testi- monianze
classiche, poste però al servizio di un tipo di insegnamento che ha come
proprio fine la formazione del perfetto uomo di chiesa. Anche il suo
contemporaneo Smaragde, abate di St. Michel sur Meuse (n. 819), si rivela
nel suo Liber in partibus Donati l’atteggiamento in- 73
L'Alto Medioevo tellettuale dei maestri del suo tempo,
spesso divisi tra l’ammirato amo- re dei classici e l’ossequio alla
pagina sacra, scritto in una lingua cosi lontana dall’eleganza
ciceroniana. Ed è pure alla fine del IX secolo che risalgono
probabilmente anche gli Exempla diversorum auctorum di Micone di St. Riquier
e l’attività di un certo Adoardo, prete e bi- bliotecario di un ignoto
monastero francese che, nonostante i suoi dubbi e scrupoli teologici,
conosceva ed usava gran parte degli scritti ciceroniani di cui si serviva
largamente nel compilare una sua raccolta di esempi di autori
classici. Questa opera modesta e paziente di grammatici e di
maestri, che operano dispersi nei vari centri scolastici della
CAristianitas, non si limita però soltanto all’insegnamento letterario ed
all’uso di un di- screto latino di lontana impronta ciceroniana, ma
travalica molto spes- sc nell’ambito delle discipline filosofiche e
teologiche. Già infatti nella seconda metà del IX secolo Eirico di
Auxerre(841-876), fondatore del- l'omonima scuola benedettina e buon
poeta e letterato, unisce all’insegna- mento della grammatica anche
quello della logica, commentando gli scritti pseudoagostiniani Categoriae
decem e De dialectica secondo le discusse attribuzioni dello Hauréau, il
De interpretatione di Aristotele e l’Isagoge porfiriana. In tutte queste
glosse dialettiche e, soprattutto, nel commento alle Categoriae decem di
più sicura attribuzion e, è evi- dente la forte influenza
dell’Eriugena che si rivela particolarmente nell’uso del concetto di
“natura” e nella definizione dell’“essere” iden- tificato con ogni
essenza semplice e immutabile direttamente creata da Dio. Tuttavia Eirico
non spinge il suo platonismo fino ad affermare la realtà oggettiva delle
specie e dei generi, ed afferma anzi che l’unica realtà concreta è
costituita dalle sostanze individuali e che, pertanto, le idee di specie
e di genere non hanno altro significato se non quello d’indicare la
natura comune ai singoli individui. Gli universali sono, in- somma, come
dei segni che servono alla ragione umana per orientarsi nella “gran
selva” degli individui e raccogliere ordinatamente entro idee sempre più
generali le caratteristiche che denotano la specie e poi il genere, fino
alla caratteristica dell'essere comune e fondamentale per tutti gli
individui. La soluzione di Eirico — che è stata avvicinata, benché
impro- priamente, alla genuina nozione aristotelica dell’universale — è
pro- babilmente il risultato di un insegnamento dialettico ‘piuttosto
ele- mentare e legato strettamente all’analisi grammaticale del
discorso. Ma è certo significativo che proprio alla sua scuola si
formasse una delle maggiori personalità intellettuali del X secolo, il
grammatico e dialettico Remigio di Auxerre (841-908 ca.), autore
di fortunati com- menti alle grammaziche di Donato, di Prisciano, di
Eutiche, conoscitore di Persio, di Giovenale, di Macrobio e
dell’Eriugena. Remigio non è pe- rò soltanto un uomo di lettere e un
abile maestro di grammatica, perché l’analisi delle glosse alla
Dialettica pseudoagostiniana attribuitegli recen- temente dal Courcelle,
mostra chiaramente una larga conoscenza delle fonti patristiche e un
notevole acume logico. Del resto, anche i suoi com- menti a Marciano
Capella, agli opuscoli teologici ed alla Consolazio boeziana, offrono
altri elementi per giudicare il carattere del suo pen- siero che si
distingue da quello del maestro, per una concezione netta- mente realistica
degli universali, considerati come pure essenze, immu- tabili ed
eternamente presenti nella mente divina. È questa la soluzione che
influenzerà largamente i dibattiti dialettici dell'XI secolo e che ri-
vela, però, fin da adesso, quale sia il reale significato metafisico della
discussione sull’essenza degli universali, svolta in un ambiente
intellet- tuale che aveva assimilato da tante fonti una costante
direttiva platonica. E naturalmente anche in questa dottrina è presente
l’influsso dell’opera dell’Eriugena di cui Remigio ha una precisa e
diretta conoscenza. Remigio di Auxerre mori probabilmente agli inizi del
X secolo, allorché la cultura carolingia cominciava la sua parabola
discendente e si inaridivano i migliori frutti della riforma di Alcuino.
La crisi delle istituzioni scolastiche e la loro decadenza è infatti
testimoniata dalla scarsità della documentazione, dalla povertà degli
scritti elaborati in questo secolo, nonché dalla generale decadenza delle
attività intellet- tuali e dei metodi di insegnamento. Eppure tra gli
scrittori del X se- colo non si possono dimenticare Raterio di Verona,
Notkero Labeone di S. Gallo (t 1022), autore di scritti sulla dialettica
e Oddone di Clu- ny, uno degli iniziatori del movimento riformatore che
dominerà la vita religiosa ed ecclesiastica del secolo successivo; o
l’attività ma- gistrale di Abbone, monaco di Cluny, che nella scuola
claustrale di Fleu- ry sur Loire organizzò un corso organico di studi
fondato sulla lettura sistematica dei Padri, ma anche sull’insegnamento
della grammatica, del- la dialettica e della retorica. Non abbiamo però
elementi sufficienti per stabilire se si debba proprio ad Abbone un breve
trattato sui Sillogismi categorici di notevole interesse storico, perché
ci permette di stabilire il punto cronologico della costituzione del
corpus dei testi logici usati nell’insegnamento scolastico. Ma chiunque
sia l’autore dello scrit- to, è certo che intorno alla metà del secolo
non si usano più soltanto i trattati di Aristotele, già noti nel IX
secolo (Categoriae e De interpre- tatione), ma anche i trattati di Boezio
sugli Analytici priores e poste- riores, che solo assai più tardi
verranno sostituiti dagli scritti originali di Aristotele. D'altra parte
i commenti alla Consolatio di Bovo di Cor- vey e di Adaboldo di Utrecht
(t 1026) testimoniano la continuità della tradizione boeziana che avrà
tanta influenza sulla cultura dell’XI e e del XII secolo.
Assai pid importante di Abbone è però la personalità di Gerberto di
Aurillac (t 1003), l’uomo pit dotto del suo tempo. Formatosi anch egli
nell'ambiente monastico di Cluny, soggiornò a lungo in Spagna dove en-
trò in contatto con la grande tradizione scientifica araba e, più tardi,
maestro a Reims, abate di Bobbio e arcivescovo di Reims e di Ravenna,
diffuse le sue cognizioni nelle scuole francesi e italiane. Asceso nel 999 al
soglio pontificio col nome di Silvestro II, egli esercitò una notevole
influenza sul giovane Imperatore Ottone III e sul suo singolare e sfor-
tunato tentativo di restaurazione imperiale romana; ma se l’attività di
Papa Silvestro II interessa la storia ecclesiastica e politica, lo
studioso della cultura medioevale considera piuttosto la sua figura di
maestro, conoscitore perfetto del “trivio” e del “quadrivio,” e di
scienziato dotato di discrete conoscenze matematiche, geometriche e
astronomiche. Let- tore degli antichi, i cui testi fece ricercare e
raccogliere in tutto l’Oc- cidente cristiano (e, anzi, si deve proprio
alla sua iniziativa la conser- vazione di un certo numero di orazioni
ciceroniane), Gerberto era infatti sicuramente convinto che l’eloquenza e
l’esatto raziocinio non contrastano affatto con la fede, e che anzi la
formazione del buon chie- rico non può prescindere dall’apprendimento
organico e sistematico delle arti liberali. Per questo, nella sua scuola
s’insegnava la retorica sul- l'esempio degli scrittori classici e si
usavano correntemente, oltre ai soliti testi aristotelici, anche tutti i
commenti logici di Boezio e i Topica di Cicerone. E quale fosse, del
resto, la tendenza di Gerberto dinanzi ai problemi dell’insegnamento
logico risulta chiaramente dal suo libretto De rationale et ratione uti,
ove prendendo a pretesto il caso di una pro- posizione in cui il
predicato sembra meno universale del soggetto, egli analizzava le
funzioni e il significato logico dei vari termini della pro- posizione.
Tuttavia l’attività più costante ed originale di Gerberto fi: de- dicata
allo studio della geometria e dell’astronomia. E se la Geometria che gli
è attribuita è opera scientifica di non gran valore e i suoi scritti
sulla tecnica del calcolo rispondono piuttosto ad esigenze pratiche, il
Liber de astrolabio mostra già una notevole influenza della scienza
araba. Questo risveglio di un discreto interesse scientifico ed
enciclopedico, questi primi rapporti con la tradizione scientifica araba
sono però fat- ti storici di notevole importanza, e rappresentano
il primo segno di una netta ripresa della vita intellettuale che comincia
a delinearsi fino dagli ultimi decenni del X secolo. Già, del resto, la
cultura di tono e di ispirazione classica non è più soltanto la
caratteristica di poche scuo- le umanistiche e dei maestri educati nella
nuova temperie spirituale di Cluny, ma tende anzi a informare strati
sempre più vasti della gerar- chia ecclesiastica quando non penetra addirittura
anche negli ambienti femminili delle corti e dei monasteri. È ben nota ad
esempio, la figu- ra della badessa Hrosvita, autrice di commedie
edificanti e di poemi latini, discepola di altre monache dotte come suor
Rikkardis o l’ahba- dessa Gerberga, ma i cronisti medioevali ricordano
pure Edvige di Ba- viera, una principessa che conosceva il latino e il
greco e leggeva con entusiasmo Orazio e Virgilio. Del resto, la costante
ammirazione per gli antichi e l’amore per le lettere non è certo solo la
caratteristica della cultura delle scuole francesi, germaniche o
anglosassoni; anche l’Italia, anzi particolarmente l’Italia, possiede
importanti istituzioni scolastiche dove si continua l’insegnamento della
grammatica e della lingua lati- na, anteponendolo addirittura a quello di
tutte le altre discipline. E, se è vera, è certo particolarmente
significativa la storia di quel maestro Vilgardo di Ravenna che sarebbe
stato condotto dal suo entusiasmo di grammatico a preferire i poeti
antichi alla verità della Scrittura e che avrebbe cosi iniziato un
singolare movimento ereticale. È un racconto questo che — come ha
giustamente notato il Gilson — va accettato con un largo beneficio
d’inventario. Ma il solo fatto che si potesse diffon- dere una storia di
questo genere è già una testimonianza abbastanza importante delle
tendenze della cultura scolastica verso la fine del X
secolo. 77 Parte seconda L’XI e sl XII
secolo Capitolo primo La “rinascita” ottoniana e la
ripresa intellettuale dell'XI secolo I. Le condizioni
storiche Il 2 febbraio del 962 Ottone I di Sassonia cingeva in
Roma dalle mani di Giovanni XII la corona imperiale. Con questa
incoronazione che concludeva la fortunata vicenda di un sovrano
eccezionalmente abile e risoluto, si chiudeva l’età pifi fosca
dell’anarchia feudale e risorgeva, quasi a distanza di due secoli, una
salda unità politica comune a una vasta parte dell’Europa occidentale.
Erede della tradizione carolin- gia, restauratore del potere imperiale
ridotto ad un puro simbolo dalla potenza della grande aristocrazia
militare e fondiaria, Ottone si pre- sentava all’Europa con lo stesso
carattere carismatico che aveva as- sunto il suo predecessore franco.
Eppure, nonostante la finzione di una continuità storica, la nuova
costruzione politica ottoniana era profon- damente diversa dall’Impero di
Carlo, rispecchiava condizioni stori- che affatto nuove, e costituiva,
essa stessa, un ulteriore fattore di svi- luppo della società europea e
della progressiva trasformazione delle sue basi economiche e
politiche. Questi caratteri storici peculiari del nuovo Impero
ottoniano sono del resto evidenti nella sua stessa struttura geografica e
politica. Per la prima volta nella storia dell'Europa, l’asse del potere
politico tende a spostarsi verso l’Europa nord-occidentale in una
direzione diver- sa da quella in cui si era orientata la struttura
amministrativa del- l’Impero carolingio; inoltre il Sacrum Romanum
Imperium Teutonico- rum ha adesso un ambito territoriale ben definito,
limitato ai due antichi regni di Germania e d’Italia, e rinunzia alla
pretesa di esten- dersi sull’intera cristianità e di coincidere con il
corpo visibile della Chiesa militante. Fondato saldamente sulla
supremazia militare che Ot- tone ha conquistato prima in Germania e poi
in Italia, chiudendo la via alle ultime invasioni e sconfiggendo la
riottosa ostilità dei duchi di stirpe e dei grandi feudatari, l’Impero
mira a riassumere tutti i po- teri e le prerogative che erano
state assunte di fatto dalle grandi dinastie feudali e dall’alto
predominio spirituale della Chiesa romana. E proprio per porre termine al
periodo di disgregrazione sociale e politica se- guito alla caduta delle
istituzioni carolinge, la politica di Ottone deve assumere un
atteggiamento di rigida ostilità sia nei confronti della feudalità che
verso il papato accentuando tendenze, direttive e atteggia- menti che
nell’Impero carolingio erano stati assai meno radicali. Con
l’avvento di Ottone la feudalità laica si troverà cosî a fronteg- giare
la rinnovata supremazia del potere imperiale che comincia ad avvalersi
del prezioso ausilio di una vasta aristocrazia ecclesiastica,
completamente controllata dal sovrano che le attribuisce poteri e fun-
zioni feudali sempre più vasti. Anche la gerarchia ecclesiastica è però
sottoposta all’assoluta autorità dell’Imperatore che dispone, di fatto,
dell’elezione dei vescovi e della designazione del Pontefice. Il giura-
mento di fedeltà che Papa Giovanni XII è stata costretto a prestargli e
le rigide clausole del Privilegium Othonis permettono infatti all’Impe-
ratore germanico di esercitare sul pontefice romano un’autorità e un
potere che neppure Carlo Magno aveva mai posseduto, almeno in una forma
cosi totale ed esplicita. Ma come si preoccupa di controllare, in tutti i
suoi gradi più elevati, la élite dirigente della Chiesa, Ottone raf-
forza in Germania e in Italia le attribuzioni dei conti palatini,
gettando i presupposti di un rigido controllo dell’aristocrazia laica la
cui lenta decadenza economica e politica andrà progressivamente
aggravandosi nel corso dell’XI secolo, sotto la spinta di circostanze e
di eventi in gran parte impliciti nelle contraddizioni interne della
società feudale. In tal modo, mentre chiude ad Oriente la via
tradizionale delle gran- di invasioni, l’Imperatore sassone può adesso
tentare di restituire al potere imperiale una vera funzione dominante, e
sostituire alla lunga fase di anarchia feudale che si era aperta con la
crisi della dinastia ca- rolingia una nuova direttiva unitaria.
La rinascita di un più saldo potere politico centrale non è però,
nel corso del X secolo, un fenomeno tipico solo del mondo tedesco o ita-
lico; ma si verifica anche nelle altre terre di Europa ormai sottratte di
fatto alla teorica giurisdizione imperiale. In Francia, le lunghe lotte
tra 1 discendenti carolingi e i capetingi e l’assenza di un’autorità
dominante rendono infatti estremamente precaria la ricostruzione di uno
stabile or- dinamento politico. In Inghilterra, le ripetute incursioni
vichinghe e la debolezza dei piccoli regni anglosassoni creano una
confusa situazione di crisi permanente di cui sapranno presto
approfittare gli invasori norman- 82 La “rinascita”
ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo ni. Altrove,
nelle regioni dell’Italia meridionale, estranee all’Impero, le forze
opposte dei bizantini, delle signorie longobarde, dei saraceni e dei
poteri feudali e cittadini locali, continuano a combattersi in una
perenne e confusa guerriglia. Tuttavia, già verso la metà dell'XI secolo,
anche la condizione politica della Francia e dell’Inghilterra comincia a
su- bire un mutamento di portata decisiva. E mentre l’Impero,
minaccia- to da una rinnovata crisi dinastica, attraversa un nuovo
periodo di «eca- d:nza la monarchia francese inizia quel suo lento ma
costante raffor- zamento, che permetterà più tardi a Luigi VI (1108-1137)
di riaffermare vigorosamente la supremazia regia, e l'Inghilterra,
dominata e unifi- cata dai normanni, assume sotto gli Angiò-Plantageneti
una solida struttura dinastica. Un tale processo di profonda
trasformazione delle istituzioni e delle forze politiche dominanti è però
soltanto l’espressione, al livello politico, di un mutamento ancor più
radicale che investe tutte le strut- ture economiche e sociali
dell'Europa feudale. Senza dubbio, non si tratta di un’improvvisa
esplosione di forze economiche prive di radici nella storia passata; al contrario,
è proprio la rapida maturazione di energi: già esistenti in seno alla
società feudale che imprime adessc una svolta decisiva al processo
storico. Il ritorno ad una condizione di vita civile più pacifica e
sicura e il ripristino di un’autorità centrale capace di frenare le
tendenze centrifughe dei poteri locali, rende poi naturalmente più rapido
e facile l'avviamento di nuove forme di or- ganizzazione economica e di
ordinamento politico. Se nei seccli pre- cedenti il regime feudale aveva
permesso la continuità della vita pro- duttiva, difendendo cittadini e
coloni dalle invasioni e dalle guerre, e mantenendo in vita un filone pur
esile di scambi e di attività urbane, adesso l’ago dell'economia europea
tend: a riportarsi nuovamente ver- so le città che vedono incrementarsi i
loro traffici, accrescersi l’attività artigiana e aumentare costantemente
il ritmo della vita civile. Ccssa cosi quel lento, costante decrescere
della popolazione soprattutto ur- bana, che in certe zone d:ll’Europa centrale
aveva raggiunto un pun- to impressionante. Popolazioni, un tempo nomadi e
pr:datrici, s’in- stallano definitivamente in vaste contrade dell’Ori:nte
europeo, dan- do vita a nuovi organismi statali come la Bo:-mia,
l'Ungheria e la Polonia, ed entrano in stretti rapporti economici e
sociali con i paesi dell'Europa occidentale. Ma il fenomeno di ripresa
demografica non si limita solo a queste zone; ché, anzi, esso si
manifesta principal- mente nelle regioni dell’Europa mediterranea, nelle
campagne come nelle città, ove esso produrrà una serie di conseguenze
economiche e 83 L'XI e il XII secolo
politiche di eccezionale rilevanza storica. Ecco infatti nelle zone ru-
rali i castelli che si trasformano in borghi, centri di attività artigiane
e mercantili; mentre nelle città, sotto l’autorità dei vescovi-conti,
la popolazione rapidamente accresciuta dà luogo a un tessuto sociale
già differenziato ed organico. Naturalmente, questo processo di
ripresa demografica si traduce, poi, ben presto, in un rapido incremento
del- l’attività produttiva. I boschi, abbandonati da secoli o sfruttati
soltanto nelle zone delle grandi abbazie benedettine, cedono il posto
alla terra coltivabile; nelle zone paludose vengono operati i primi tentativi
di bonifica; i pascoli diminuiscono di estensione trasformandosi
anch'essi in terreni produttivi. Anche le terre dell’Est, aperte alla
colonizzazio- ne germanica dalle vittorie di Ottone I, vengono adesso
dissodate e coltivate da larghe masse di popolazione rurale che si
spingono pro- fondamente nei territori abitati dagli slavi.
L’esigenza di un forte aumento dei mezzi di vita agisce, d’altra
parte, anche come incentivo all’acquisizione di conoscenze tecniche più
evolute ed alla scoperta ed all’uso di strumenti e di mezzi che contri-
buiscono, a loro volta, a modificare le condizioni economiche. Ma tra-
sformazioni ancor più decisive si verificano nell’ambito delle attività
commerciali, il cui sviluppo è continuo e costante, grazie anche alla
maggior sicurezza delle grandi vie di comunicazione ed alla crescen- te
intensità dei rapporti economici tra le varie regioni dell'Europa feu-
dale. In tal modo, le città, che pure erano sopravvissute anche ai pe-
riodi di pil grave stasi economica, riprendono rapidamente a svilup-
parsi; e divengono sedi di mercati o di fiere, centri di produzione ar-
tigiana, nell’ambito di un movimento economico caratterizzato da una
accresciuta circolazione monetaria e dalla tendenza a costituire una
fitta rete di scambi dalle terre dell'Est germanico al Mediterraneo, dal
Baltico alle regioni balcaniche ed alle terre bizantine. Il sorgere delle
nuove attività produttive specializzate causerà poi, nel corso del XII
secolo, un ulteriore imponente sviluppo dell’economia cittadina; e ne
risulteranno i primi lineamenti di una società nuova, dominata dal-
l’iniziativa delle classi mercantili ed artigiane, già capaci di porre le
prime basi della loro futura potenza finanziaria. È quindi naturale
che una trasformazione demografica ed econo- mica incida profondamente
anche sulle condizioni sociali ed econo- miche delle varie classi che
avevano costituito i quadri della società feudale. Già infatti nel corso
dell’XI secolo, la serviti della gleba comincia ad essere sostituita da
un tipo di organizzazione colonica assai più libera, mentre precise norme
giuridiche stabiliscono ora più 84 La “rinascita”
ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secolo esattamente i
rapporti tra il proprietario, gli affittuari e i coloni. Ma il mutamento
è ancor pi decisivo nell’ambito cittadino, dove la no- biltà di origine
feudale deve cedere le sue posizioni dominanti alle nuove classi
produttrici che s’avviano rapidamente ad acquisire una prima consapevolezza
dei propri interessi e scopi economici e poli- tici. In
questa società, già in preda ad un profondo fermento inno- vatore,
continuano ancora a dominare gli ideali ideologici elaborati nell’età
carolingia e difesi dalla “restaurazione” ottoniana. Il mito uni- tario
dell’autorità assoluta e divina dell’unico Imperatore, pastore e guida
del popolo cristiano, è ancora un’idea attiva ed operante che trova
sostenitori e teorici tra i giuristi che illustrano i testi giusti-
nianei come tra i dotti ecclesiastici delle corti sassoni e francone.
Certo, la crisi che segue alla estinzione della monarchia sassone, il
definitivo rafforzamento della grande feudalità tedesca, e, d’altra
parte, gli inizi dei primi ordinamenti autonomi cittadini, sono
altrettanti eventi che mostrano la reale debolezza dell’autorità
imperiale e la sua incapacità a far fronte al nuovo corso storico. Ma il
regno di Enrico III, che re- staurerà la supremazia imperiale sulla
Chiesa, sembrerà segnare il ri- torno alla tradizione carolingia e
ottoniana. Il legame tra il sovra- no e le correnti di riforma
ecclesiastica — testimoniato dalle radica- li risoluzioni dei sinodi di
Sutri e di Roma (1046) — rafforzerà nei nuo- vi ceti popolari la fiducia
nella funzione carismatica e sacrale dell’Im- perium, custode della
giustizia e dell’ordine cristiano. 2. Il movimento cluniacense e
gli inizi della riforma gregoriana Alla continuità e al rinnovato
prestigio della tradizione imperiale corrisponde però, da parte della Chiesa,
un profondo processo di rin- novamento e di riforma suscitato e guidato
dall’ascetismo monastico, ma che trova larga partecipazione e consenso
proprio nell’ambiente cittadino e tra le nuove forze sociali. La
decadenza della disciplina e del costume ecclesiastico divenuta gravissima
e generale nell’età post- carolingia suscita non solo l’indignata
protesta di uomini votati alla severa disciplina benedettina o dediti ad
una vita di contemplazione e di preghiera, ma anche la rivolta di quei
ceti di varia origine e con- dizione sociale sui quali pesava il dominio
della feudalità ecclesia- stica. Contro il papato romano, ormai ridotto a
oggetto di contesa tra le pif potenti famiglie romane, contro
l’aristocrazia episcopale trasfor- L'’XI e il XII secolo
mata in un vero e proprio corpo politico di elezione imperiale, si
svol- ge infatti l’aspra polemica dei riformatori che, con toni e parole
apo- calittiche, denunziano la carenza morale e intell:ttuale della
gerarchia, la sua cupidigia di potere mondano e di ricchezza, gli
scandali della simonia e del concubinato, il tradimento e il ripudio
della parola evan- gelica. Sono motivi, questi, che tornano con costante
violenza nella predicazione dei monaci come nelle invettive di cronisti
popolari o ecclesiastici, ugualmente schierati contro la potenza e
l’oppressione ter- rena esercitata da grossi potentati ecclesiastici; e
dalla loro condanna emerge un quadro profondamente pessimistico della
vita ecclesiastica del tempo, e l'immagine eloquente di una decadenza che
sembra aver raggiunto uno dei livelli più bassi e pericolosi di tutta la
storia della Chiesa. La ribellione morale contro la
corruzione della gerarchia e il fer- mento antiecclesiastico che
serpeggiavano tra le masse devote, furono pe- rò presto organizzati e
guidati dalla nuova élite intellettuale che si era formata verso la fine
del X secolo nell’ambiente “purificato” delle abbazie riformate. Già nel
910 il duca Guglielmo di Aquitania aveva fondato a Cluny un monastero
ispirato al rispetto integrale della re- gola benedettina, in netto
contrasto con la rilassat:zza delle antiche abbazie trasformate da tempo
in ricche signorie feudali. Sotto la gui- da di grandi abati, come Oddone
e Ugo, Cluny si era trasformato in un centro d’intensa vita spirituale e
di alta esperienza mistica. Ma l'ispirazione ascetica dei cluniacensi era
subito passata sul terreno della lotta riformatrice, con la sua recisa
condanna dei costumi corrot- ti del clero feudale e il ripudio di ogni
forma di compromissione con i poteri mondani. La predicazione dei
cluniacensi, già particolarmente diffusa verso la fine del X secolo, ebbe
presto una grande influenza in tutta l'Europa cristiana. In Francia, in
Italia, in Germania, nume- rose abbazie tornarono alla “regola”; altri
monasteri, come quelli ita- liani di Camaldoli (fondato nel 1012) e di
Vallombrosa, originarono nuovi ordini monastici affini all’esperienza
cluniacense; infine, il nuo- vo spirito riformatore penetrò in un vasto
settore della stessa gerarchia ecclesiastica, già da tempo preoccupato
della decadenza delle istituzio- ni. Il favore di alcuni vescovi e,
soprattutto, dei Pontefici tedeschi elet- ti dopo il concilio di Sutri,
favori poi un ulteriore sviluppo della rifor- ma cluniacense, che già
nella seconda metà dell’XI secolo contava circa duemila monasteri. Né la
forza dei cluniacensi fu soltanto spirituale, bensi anche politica;
poiché la concessione papale della cosiddetta Com- mendatio Sancti Petri,
che rese immuni i loro monasteri dalla giuri- 86 La
“rinascita” ottoniana e la ripresu intellettuale dell'XI secolo
PE sdizione dei vescovi, ruppe a loro vantaggio il vincolo di
dipendenza gerarchica che aveva ormai assunto un carattere schiettamente
feudale. Ora, è chiaro che una tale prerogativa implicava non solo un
profondo mutamento nella struttura della Chiesa, ma la trasformazione
della ri- forma cluniacense in un potente strumento del rinnovamento
ecclesiastico e della restaurazione dell’autorità pontificia. Il che
giova a compren- dere perché il movimento di Cluny potesse assumere una
parte deci- siva nella lotta contro l’autorità mondana dei vescovi
feudatari e nel- l'avvento delle nuove direttive spirituali e pratiche
che guidarono la vita della Chiesa nell’età gregoriana. Pi
tardi anche Cluny perderà la sua originaria vocazione rifor- matrice e
subirà lo stesso processo di decadenza che aveva esaurito la originaria
tradizione benedettina. Ma il risveglio spirituale — che è espressione
delle nuove forze storiche maturate nel corso del X se- colo — troverà
ancora interpreti nell’ascetismo di altre regole monasti- che, come i
certosini e i cistercensi, e nella continuità di un moto ri- formatore
popolare e laico. Sotto l'impulso di queste correnti, l’ideale della
riforma si diffonderà e si estenderà penetrando profondamente gli
ambienti sociali più sensibili alle sue immediate implicazioni poli-
tiche e sociali. E, mentre si rinnovano in Europa eresie che forse si
colle- gano ad antiche tradizioni manichee, nell’Italia settentrionale
sorge il movimento dei Patari, campioni zelanti della lotta contro la
corruttela morale e disciplinare dell’alto clero. Nelle città, già centri
attivi di vita mercantile e di attività produttrici, il potere del
vescovo-conte diviene cosi sempre più precario e soggetto al minaccioso
intervento delle for- ze politiche organizzate nelle quali si specchiano
gli interessi e le aspi- razioni dei ceti mercantili e artigiani. I
frequenti tumulti contro i vescovi simoniaci, le ribellioni e i conflitti
che dominano attorno alla metà dell’XI secolo la vita delle città
italiane, sono appunto la testimo- nianza storica dello stretto legame
che si è già stabilito tra le esigenze religiose e le particolari aspirazioni
politiche dei ceti sociali emersi dal- l’incipiente crisi della
feudalità. Non è qui certo possibile seguire le fasi della
progressiva riforma delle istituzioni ecclesiastiche compiuta sotto
l’ispirazione dei cluniacensi e culminata con i decreti di Niccolò II e
con i drastici provvedimenti di Alessandro II contro l’influenza laica
nelle cose ecclesiastiche. Ma non sa- rebbe possibile intendere tanti
aspetti della riflessione filosofica dell’XI e XII secolo, senza
ricordare che la riforma mossa da una profonda esigenza di rinnovamento
evangelico finî col concludersi nell’affermazio- ne di un ideale
teocratico fondato sul principio di un unico potere L’XI e il XII
secolo supremo, quello papale, principio e fonte di ogni autorità
e potestà tem- porale e spirituale. Questa dottrina,
formulata con estremo rigore negli scritti di Gre- gorio VII e
soprattutto nel famoso Dictatus papae, implicava natural- mente
l’accentramento di tutta la vita della Chiesa nelle mani del Papa e la
sua piena potestas sopra ogni aspetto dell’organizzazione socia- le e
politica della Cristianità. Né Gregorio doveva esitare dinanzi al-
l'applicazione integrale di questo principio anche nei confronti della
autorità imperiale già direttamente colpita da un complesso di riforme
che abbattevano la sua supremazia sulla gerarchia ecclesiastica e le
toglievano praticamente ogni diritto di controllo sulla feudalità eccle-
siastica. La lunga lotta tra Gregorio ed Enrico IV, che divise gran parte
d’Europa in due campi avversi, fu quindi l’epilogo naturale di un
contrasto inconciliabile: che traeva origine dallo stesso carattere so-
ciale dell’Imperium e dalla sostanziale diarchia costituita dalla strut-
tura burocratico-ecclesiastica della società carolingia. Ma questa contesa
— che ebbe la sua espressione ideologica in una vasta letteratura contro-
versista — rappresentò anche una favorevole occasione per lo sviluppo
delle nuove forze sociali e politiche che proprio nel corso della guerra
del- le investiture acquistarono una precisa coscienza del loro peso e
dei loro interessi. Non a caso le origini delle istituzioni comunali sono
spesso strettamente intrecciate ai conflitti tra l'Impero e il papato che
causaro- no la rapida crisi della feudalità ecclesiastica; e, d’altro canto,
è proprio nel corso dell’XI secolo che si ricostituiscono e si rafforzano
le monar- chie nazionali destinate a svolgere una funzione politica
decisiva per tut- to il Basso Medioevo. 3. La ripresa
intellettuale dell'XI secolo. Dialettica e antidialettica È appunto
entro questa prospettiva storica che occorre valutare il rapido processo
di ripresa intellettuale che s’inizia già alla fine del X secolo in
stretta connessione con la rinascita economica e sociale dell'Europa
occidentale. A tale ripresa contribuiscono infatti — sia pure in grado e
misura diversi — tanto la rinnovata prevalenza delle istituzioni urbane e
il tono più elevato e raffinato della vita civile, quan- to l’impetuosa
predicazione dei riformatori e l’esigenza di elaborare nuovi “strumenti”
intellettuali per le continue controversie tra il po- tere ecclesiastico
e quello civile o tra i diversi gradi della stessa gerar- chia clericale.
Ma vi contribuisce altresi — e in maniera spesso assai rilevante —
anche l’aprirsi delle civiltà europee a più stretti e continui contatti
con il mondo arabo e bizantino sia per l'incremento degli scam- bi sia
attraverso le guerre di riconquista in Sicilia e in Spagna e infine,
negli ultimi anni del secolo, l'iniziativa espansionistica della I Cro-
ciata. Questi rapporti, la cui influenza sarà cosi forte già nella
seconda metà del XII secolo, non esercitano però ancora un influsso
decisivo sulla cultura dell’XI che continua a svolgersi prevalentemente sul-
la via tracciata dall’ordinamento scolastico carolingio. Però le an-
tiche scuole monastiche non sono più gli unici grandi centri di una
cultura di carattere letterario-ecclesiastico, ma cedono anzi lentamente
il passo a un largo processo di rinnovamento intellettuale esteso a gran
parte dell'Europa occidentale, indipendentemente dalle particolari
distinzioni di carattere nazionale. Da Parigi a Orléans, da Chartres a
Tours, è tutto un fiorire di scuole sorte spesso all’ombra delle cattedre
vescovili e dove le arti del “trivio” e del “quadrivio” vengono traman-
date alle nuove generazioni di chierici, mentre in Italia si assiste
invece al sorgere di scuole cittadine, dipendenti solo in parte dalle
autorità eccle- siastiche e dedicate principalmente agli studi di
diritto, cosî necessari ad una società fondata sulla pratica del
commercio e sullo sviluppo delle attività artigiane. Cosî, accanto alla
tradizione teologica che si continua nelle istituzioni scolastiche,
monastiche e cattedrali, si affermano nuovi campi di ricerca
intellettuale; lo stesso apprendimento delle arti libe- rali è
condizionato a nuove finalità e interessi diversi, come mostra lo stretto
nesso tra lo studio approfondito della dialettica e il suo uso nella
pratica giuridica e forense. Questo nuovo indirizzo di studi si
manifestò dapprima in Italia, soprattutto in quelle regioni meridionali o
adriatiche dove il diritto romano legato alla tradizione bizantina aveva
sempre conservato la sua influenza e dove erano stati sempre pit stretti
i rapporti con Bi- sanzio e col mondo arabo. Specialmente nella Calabria
e nelle Puglie — che fino all’XI secolo erano state parti integranti
dell’Impero bizanti- no, e dove la conquista normanna non eliminò il
carattere ormai acqui- sito della cultura cittadina e della stessa vita
ecclesiastica — la con- tinuità della tradizione giuridica romana non
venne mai spezzata. Nel- la Sicilia, riacquistata dai Normanni nella
seconda metà del secolo, con- tinuò invece a fiorire una ricca cultura
d’impronta greca ed araba desti- nata a costituire uno dei maggiori punti
d’incontro tra la civiltà europea e le tecniche e le dottrine assimilate
dall'esperienza della scienza isla- ‘mica. Ma l’interesse scientifico e i
rapporti con la cultura greco-araba furono particolarmente intensi
nella scuola medica di Salerno, già attiva nel corso del X secolo e
rimasta sempre fedele ai dettami classici della medicina greca. Cosi,
quando nel 1056 Costantino Africano, un medico cartaginese formatosi
nella scuola araba, passò in Italia e costitui a Montecassino un vero e
proprio centro di traduzioni delle opere fonda- mentali della cultura
scientifica greca e mussulmana, la sua attività tro- vò un terreno
particolarmente fecondo. La ricca biblioteca di testi greci ed arabi, che
venne ad arricchire le conoscenze dei medici salernitani, contribuî a
sollevare un rinnovato interesse per la ricerca scientifica e far
conoscere i primi fecondi risultati di una civiltà tecnicamente più pro-
gredita come quella araba. L’influenza che la scuola salernitana
esercitò in tutta Europa, spin- gendo numerosi dotti a coltivare insieme
agli studi medici anche quelli scientifici e filosofici, fu un fattore di
notevole importanza per lo svi- luppo di una cultura di carattere assai
diverso da quella tramandata dalle scuole monastiche, e già profondamente
permeata di motivi filo- sofici e scientifici propri della tradizione
oreca ed araba. EA è certo ben simnificativo che proprio un vescovo di
Salerno, Alfano (1058-1085), traducesse il De natura hominis di Nemesio,
ove è chiaramente defi- nita l’idea dell’uomo come “microcosmo,” sintesi
di tutti i caratteri e di tutte le forme dell’universo. Un
indirizzo prevalentemente giuridico ebbe invece la cultura del- l’Italia
settentrionale, pit legata alla rapida evoluzione politica dei rapporti
economici e sociali che richiedeva nuove istituzioni giuridiche capaci di
rispondere alle esigenze di una civiltà urbana e mercantile. E poiché il
diritto romano rappresentava la tradizione giuridica mag- giormente
affine al nuovo tipo di società e di organizzazione sociale, lo studio
del Corpus iuris attrasse le migliori energie intellettuali. Lo
sviluppo, prima della scuola ravennate e poi della grande scuo- la
bolornese da Pepo all’Accursio, non è certo arsomento che possa
interessare questo rapido schizzo della cultura filosofica medioevale. Ma
bisogna pur ricordare che lo studio e l’esposizione del Digesto o del
Codice richiedevano un solido corredo di nozioni srammaticali e
dialettiche; e che d'altra parte il largo incremento della pratica fo-
rense comportava uno studio ancora più accurato dell’arte retorica.
Il naturale interesse per le arti del “trivio” non fu però
esclusivo delle scuole giuridiche frequentate da laici e volte agli scopi
mondani della vita civile. Anche la cultura ecclesiastica, sia in Italia
che in Francia, conobbe infatti un’importante ripresa dello studio ‘della
dialet- tica, la cui fortuna è certo da porre in rapporto anche con l’evoluzione
parallela delle istituzioni giuridiche ecclesiastiche e con la
formazione di tipo giuridico propria anche di molti uomini di chiesa.
Inoltre la lunga contesa tra l’Impero e la Chiesa, e il fiorire di una
vasta let- teratura controversista, favori indubbiamente la tendenza
all’uso si- stematico degli strumenti dialettici forniti
dall’insegnamento delle scho- lae. Né meraviglia che l’impiego di metodi
di discussione dialettica si spostasse sempre più dal piano giuridico e
dalle dispute su argomenti di immediata incidenza ecclesiastico-politica
alla stessa elaborazione teologica. Ecco perché le soluzioni
dei probl:mi logici cui si dedicarono tan- ti maestri di questo secolo,
dettero luogo cosf spesso a gravi conse- guenze metafisiche e teologiche
dalle quali non furono esenti neppure i temi più gelosi della tradizione
ortodossa. Non solo; la maturazione di una mentalità più critica, nutrita
di studi profani e di solide cogni- zioni dialettiche, ebbe certo una
notevole influenza anche sull’evolu- zione delle correnti riformatrici e,
in generale, nell’atteggiamento in- tellettuale dell’élize
ecclesiastica. Gli storici del pensiero medioevale sogliono sempre
ricordare, a questo proposito, le pagine veementi ed espressive che un
tipico espo- nente della riforma, come Pier Damiani, scrisse contro i
chierici del suo tempo più avvezzi a studiare i principi della dialettica
aristotelica o della retorica ciceroniana che non a meditare le Sacre
Scritture. Ed è anzi un luogo comune presentare la filosofia dell’XI
secolo sotto il segno della lotta tra i dialettici che miravano a
spiegare con i loro sil- logismi anche il dogma e le verità rivelate e i
rigidi difensori del- l’ortodossia che consideravano l’uso di argomenti
razionali nell’ambito teologico come una violazione delle verità di
fede. Tale contrasto è stato certo troppo esagerato da una
storiografia che non teneva forse nel dovuto conto il caratt:re comune
della cul- tura di cui partecipavano entrambi gli avversari e che spesso
traspare anche dietro la polemica più irruente. Ma ciò non toglie che
l’inseri-” mento dei metodi dialettici nel campo degli studi sacri segni
una tap- pa fondamentale nell’evoluzione della teologia cristiana, e che
l’impor- tante ripresa di studi logici dell’XI secolo prepari già
l’ambiente storico in cui maturerà la grande esperienza di
Abelardo. ‘Tra i maestri che diedero un notevole impulso allo
sviluppo della dialettica vanno quindi particolarmente ricordati Berengario
di Tours (t 1088) e Anselmo di Besate (n. 1000 ca.) detto il
Peripatetico, entrambi tipici esponenti delle nuove tendenze
intellettuali. Discepolo di Ful- berto di Chartres e organizzatore a sua
volta della scuola cattedrale di 9I L’XI e il XII
secolo Tours, Berengario spinse l’uso degli argomenti dialettici
fino al tenta- tivo di ridurre in puri termini razionali anche i principi
di fede. Come scrive nel De sacra coena — che è appunto un tentativo
d’interpretazione “dialettica” del dogma dell’eucarestia — egli ritiene
infatti che la rinun- zia all’esercizio della ragione significhi
disprezzare uno dei pit alti doni divini e rinunziare a quella nostra
facoltà che ci rende maggiormente si- mili alla natura di Dio. Perciò,
alle autorità ed alla stessa tradizione dei Padri, Berengario può opporre
la superiorità della ricerca razionale il cui campo di azione non deve
arrestarsi neppure dinanzi ai misteri della transustanziazione o della
presenza reale. Il modo in cui procede questa discussione
dialettica del tema trini- tario, è poi una testimonianza caratteristica
della mentalità di Beren- gario. In qualsiasi composto di materia e forma
— egli argomenta — è impossibile che permangano inalterati gli accidenti,
se si verifica un effettivo mutamento della sostanza. Sicché il fatto che
anche dopo la consacrazione permangono nel pane e nel vino i medesimi
accidenti, dimostra che non si è mai verificato l’annullamento della loro
forma e la trasformazione nel corpo e nel sangue di Cristo, ma che si è
rea- lizzata soltanto l’unione di queste forme con quelle preesistenti
del pa- ne e del vino. Simili argomenti, che Berengario
continuò a sostenere nonostante l’abiura cui fu costretto nel 1050 dal
sinodo di Vercelli, mostrano as- sai bene quali fossero i possibili
sviluppi della trattazione dialettica della “materia” teologica. E si può
ben comprendere perché molti dei suoi contemporanei fossero concordi nel
condannarlo e nel guardare con forte diffidenza anche l’attività di Anselmo
di Besate, che intorno alla metà del secolo viaggiava instancabilmente
tra le scuole d’Italia, di Francia e di Germania, insegnando
particolarmente l’uso delle ar- gomentazioni contraddittorie. Certo, la
sua RAetorimachia non è dav- vero un gran monumento filosofico, né mostra
l’intenzione di esten- dere la sua rudimentale tecnica dialettica
nell’ambito della teologia. Ma il suo insegnamento doveva influenzare
profondamente la menta- lità dei giovani chierici con conseguenze forse
non troppo diverse da quelle indicate da Berengario, e costituiva
comunque un pericoloso pre- cedente per i sostenitori dell’integrale
rispetto delle pure “norme di fede.” Ecco perché negli
ambienti della ritorma cluniacense, e, più tardi, della riforma
cistercense e certosina, si delineò una cosî violenta rea- zione contro
la “puerilità” e l’“empietà” dei dialettici, e una condan- na delle
scienze profane considerate inutili se non addirittura temi- bili
per la salvezza del cristiano. Le dure parole con cui il vescovo Ge-
rardo di Czanard vieta l’uso delle argomentazioni filosofiche nell’am-
bito teologico, i rimproveri di Otloh di S. Emmeran contro gli “stol- ti”
e gli “ingenui” che credono di dover sottomettere la verità della
Scrittura all’autorità della dialettica, sono espressioni caratteristiche
di un atteggiamento che ha profonde radici nella temperie spirituale
degli erdini riformatori. E ad essi fa eco un tipico rappresentante
dell’età giegoriana, Manegoldo di Lautenbach (t 1103) il quale,
polemizzando contro Wolfemo di Colonia (noto come sostenitore della
concordanza tra le dottrine di Macrobio e la “verità” cristiana),
ammette, st, l’utilità della filosofia nei limiti delle scienze mondane,
ma sottolinea il radicale contrasto tra le spiegazioni filosofiche e la
rivelazione, tra le falsità dei pagani Platone ed Aristotele e l’unica
verità cristiana. Il teologo che spinge, fino alle sue estreme
conseguenze la pole- mica contro i dialettici e la filosofia, è però uno
dei maggiori espo- nenti della riforma, un monaco che prima di
sottomettersi alla severa regola monastica ha anch’egli insegnato
dialettica nella scuola di Ra- venna: Pier Damiani (1007-1072). Nei suoi
scritti, cosi spesso cita- ti come esempi del medioevale contemptus
mundi, le più oscure de- nunzie della miseria invincibile della natura
umana si alternano al- la condanna di ogni forma di sapere mondano e di
ogni scienza o “ar- te” che non abbia come fine la glorificazione
dell’onnipotenza divina. Ai chierici lettori di Cicerone e di Aristotele
egli propone l’esercizio esclusivo della contemplazione mistica, unico
cibo degno di una mente cristiana. La grammatica, la dialettica, le
regole di Donato o i sillo- gismi di Aristotele, sono invece altrettanti
allettamenti demoniaci che minacciano la purezza dottrinale del clero. E
nella sua dura polemica (che non a caso si giova però di tutti gli
strumenti retorici e letterari propri della cultura di un uomo di lettere)
Pier Damiani giunge a bandire la filosofia dallo scibile cristiano, o,
almeno, a ridurla al rango di una “schiava prigioniera” destinata a
servire alla suprema verità teologale. Il rifiuto del sapere
pagano, l’avversione per le “lettere” fomentatri- ci di dubbi e di
errori, non potrebbero essere più radicali e più netti. Eppure Pier
Damiani mostra di saper ben usare nei suoi scritti i metodi di
argomentazione dialettica che non esita ad applicare anche in quel-
l'opuscolo De divina omnipotentia, giustamente considerato come la
espressione più eloquente del suo puro fideismo. Lo scopo che egli vi si
propone è certo del tutto opposto a quello dei dialettici nel loro
tentativo di dare una veste argomentativa anche ai contenuti dogma-
93 L'XI e il XII secolo tici; perché consiste
nell’affermare l’assoluta incommensurabilità del volere divino, che
possiede il potere di far si che “ciò che è stato non sia mai stato.”
Dio, la cui potenza è totale e illimitata, è infatti al di là di qualsiasi
condizione o norma che possa apparire contraddittoria agli occhi umani. E
quindi per lui non costituisce alcun limite il fluire irre- vocabile del
tempo, cosi come la sua volontà non è affatto tenuta a ri- spettare quei
vincoli e quelle necessità cui è invece sottoposta la ra- gione umana.
Ora, è evidente che, se la volontà divina possiede una tale prerogativa,
anche tutti i tentativi di applicare nei suoi riguardi dei ragionamenti
umani sono perfettamente vani ed inadeguati. Di- nanzi al mistero
insondabile della natura di Dio, dinanzi all’infinità ed al segreto del
suo volere, non v’è altra via che la umile preghizra e la
adorazione. È chiaro che, accentuando cosi nettamente il rifiuto
delle norme dei principi razionali, in nome della trascend:nza divina,
Pier Da- miani ha di mira molti chierici e maestri contemporanei, e che
intende estirpare radicalmente le “male piante” della dialettica
cresciute inde- bitamente nel “giardino” della teologia. Ma
l’affermazione dell’onni- potenza divina spinta fino alle sue estr:me
conclusioni è anch’essa foriera di gravi conseguenze; e la sua influenza
maturerà nei secoli seguenti fino a costituire una delle pi pericolose
minacce p:r la teo- logia delle scholae. L'uso che Guglielmo d’Ockham e i
suoi seguaci faranno del medesimo argomento per p:rvenire alla radicale
negazione del valore scientifico della teologia, è una testimonianza
assai elo- quente dell’esito di un atteggiamento polemico che era nato
proprio per restaurare la supremazia degli studia divinitatis. Né
meraviglia che la polemica antifilosofica di Pier Damiani o di Manegoldo
di Lau- tenbach preannunzi già temi e motivi che avranno più tardi
tanto peso nella crisi della cultura medioevale, contribuendo alla caduta
del tentativo tomista di una mediazione positiva tra la ricerca
filosofica e il “sacro” dominio della teologia. La posizione
teologica di Pier Damiani, cosi intransigente e radi- cale si accorda,
del resto, perfettamente con la sua mentalità di rifor- matore gregoriano
e di teorico della teocrazia. Nella Disceptatio sino- dalis egli non solo
afferma la supremazia dell’ordine spirituale su quel- lo temporale (con
argomenti del tutto simili a quelli adoperati per ce- lebrare la
supremazia della teologia dinanzi ad ogni altro tipo di sapere
“ancillare”) ma ne deduce anche l’assoluto primato del potere papale su
quello mondano e civile dell’Imperatore. L’idea che l’autorità im-
periale dipenda essenzialmente dall’approvazione papale e che il suo
94 La “rinasata” ottoniana e la ripresa intellettuale
dell'XI secolo scopo debba consistere soltanto nel guidare il
popolo cristiano verso i fini voluti dalla legge divina e dalla gerarchia
ecclesiastica diviene cosi il punto di forza di una dottrina destinata a
larghi sviluppi negli scrittori “papalisti” del XII e XIII secolo. Anche
se Pier Damiani rico- nosce che l'Imperatore è stato delegato
dall’autorità papale all’esercizio dell’amministrazione temporale della
cristianità, non per questo am- mette che possa avere un fine diverso o
distinto da quello della Chie- sa o, tanto meno, che possa conservare
legittimamente il suo potere quando cessi d’operare secondo la guida o la
volontà del Pontefic:. Co- me l’unione della natura umana e di quella
divina costituisce la realtà vivente del Cristo, cosi l'unione del Papa e
dell’Imperatore costituisce, per una specie di divino mistero, la vivente
unità della Christianitas. Destinato a reggere il “corpo” e a guidare la
vita mondana della so- cietà cristiana l’Imperatore deve perciò
sollecitare la guida del Pon- tefice che è rex animarum e, pertanto,
signore dell’“interiore” real- tà spirituale. Per questo il dominio
imperiale non può vantare una propria giurisdizione particolare, se non
in via del tutto subordinata e sotto il controllo dell’autorità
pontificia. In realtà, per Pier Damiani, il popolo cristiano costituisce
soprattutto e in primo luogo una pura mistica unione sotto la sovranità
spirituale del Papa, e da essa dipende anche ogni forma di ordinamento
temporale e mondano. Il fatto che i cristiani vivano però anche nel
tempo e siano sot- toposti alla necessità di un potere e di una
coercizione mondana, non significa quindi che la loro società temporale
si possa confondere con nessuno degli stati esistenti o con qualsiasi
corpo politico. I rapporti che vigono nella Christianitas sono infatti
puramente spirituali, le sue finalità del tutto oltramondane; anche l’uso
di mezzi temporali da parte dell’autorità civile vale solo in quanto può
servire per rag- giungere dei fini spirituali o comunque indicati dalla
gerarchia eccle- siastica. Ecco perché, nella prospettiva teologica di
Pier Damiani, l’Im- pero è soltanto uno strumento della Chiesa, limitato
nelle sue fun- zioni e destinato esclusivamente alla difesa ed
all'incremento della fe- de e dell’ordine cristiano. Lungi dall’accettare
la dottrina carolingia che riconosceva nell’Imperatore l’advocatus
Ecclesiae, capo tempora- le di tutto l’orbe cristiano, egli lo considera
infatti solo come uno dei tanti principi (anche se il più potente) ai
quali spetta il compito di rea- lizzare neil’ordine mondano le supreme
direttive del potere spirituale. Il che implica, naturalmente, la sua più
stretta e totale subordinazio- ne ai dettami dell’autorità pontificia;
subordinazione da cui dipende la stessa legittimità del potere
imperiale, sempre condizionata alla fi- liale ubbidienza alla volontà del
Papa. Il rovesciamento della dottrina carolingia non potrebbe certo
es- sere più radicale, né pit decisa l’affermazione della suprema
sovranità della gerarchia ecclesiastica e monastica su ogni aspetto della
vita civile. Ma questa tesi — di cui è evidente lo stretto nesso con la
polemica an- tidialettica e la difesa dell’assoluto primato della fede —
non è l’espres- sione isolata di un grande spirito mistico, difensore
della riforma e del radicale rinnovamento della Chiesa. Le stesse idee
animano infatti anche un vivace polemista come Manegoldo di Lautenbach,
deciso assertore della concezione teocratica della Christiana respublica,
i cui scritti forniranno una precisa linea ideologica ai teorici della
plezi- tudo potestatis pontificia. E idee non dissimili, anzi
sostanzialmen- te identiche, ispirano il famoso Dictatus Papae,
attribuito allo stesso Pa- pa Gregorio, dove il riconoscimento al
Pontefice di ogni potere e diritto mondano, incluso quello di deporre gli
imperatori e di sciogliere i sud- diti dal giuramento di fedeltà,
costituisce il fondamento dell’assoluta monarchia pontificia.
Le dottrine teologiche e politiche di Pier Damiani rappresentano
senza dubbio la posizione più radicale ed estrema maturata negli am-
bienti della riforma ed esasperata dagli aspri conflitti ecclesiastici e
po- litici dell’età gregoriana. Ma sarebbe di grave omissione
dimenticare che, insieme a queste dottrine, si sviluppano nell’XI secolo
anche altre posizioni intellettuali assai più caute e moderate
soprattutto nei con- fronti dell’uso dei metodi dialettici e della loro
possibile applicazione nell’ambito dell’insegnamento teologico. La stessa
necessità pratica di formare degli uomini di chiesa, capaci di difendere
l’ortodossia dal- le minacce ereticali con l’uso di tecniche
argomentative accettabili anche da chi ignorasse le autorità dei Padri
(e, d’altra parte, il timore che le soluzioni radicalmente fideistiche
conducessero a pericolose con- seguenze sui temi della grazia e della
predestinazione) induce proba- bilmente molti maestri ad assumere un
atteggiamento ugualmente di- stante dalle audaci conclusioni teologiche
di Berengario e dalla inso- lenza polemica di Pier Damiani e di
Manegoldo. E sebbene i teologi ortodossi che accettano l’inserimento
dello studio della filosofia nelle “discipline clericali” distinguano
nettamente l’uso lecito della dialet- tica dalle sue degenerazioni, non
per questo negano l’utilità e la im- portanza di una solida preparazione
filosofica e logica. Come sostie- ne Lanfranco di Pavia, abate
dell’abbazia bretone di Bec e quindi arcivescovo di Canterbury, non è
infatti lecito condannare il 96 La “rinascita”
ottoniana e la ripresa intellettuale dell'XI secoto legittimo
desiderio di confermare gli insegnamenti della fede con gli ar- gomenti
della ragione. Avversario deciso di Berengario, di cui confutò le
argomentazio- ni “sofistiche,” Lanfranco crede che anche gli errori del
maestro di Tours non derivino dall’uso dei metodi di dialettica, bensi
dal loro abuso e dalle indebite deduzioni di conseguenze contrastanti con
le loro premesse. Appunto per questo, l'apprendimento di questi
meto- di di ragionamento potrebbe chiarire l’origine di quegli errori e
con- fermare i misteri divini la cui verità non contraddice affatto
l’uso moderato della ragione filosofica. Una dottrina filosofica conscia
dei propri limiti e fondata su di una buona conoscenza della
dialettica può anzi giovare alla causa della fede assai più di quanto non
possa nuocere la cattiva e falsa scienza di pochi “indotti.”
Simili idee attuate nella pratica quotidiana della scuola ebbero
na- turalmente un’influenza decisiva sullo sviluppo degli studi
filosofici e teologici e sulla legittima accettazione delle tecniche
filosofiche nel- l'ambito della cultura ecclesiastica. Ma il loro trionfo
fu dovuto prin- cipalmente all’opera di un discepolo di Lanfranco,
Anselmo d’Aosta, la più grande personalità filosofica del suo tempo e il
vero iniziatore di una nuova tradizione della teologia occidentale.
97 Capitolo secondo Anselmo d'Aosta e la
cultura teologica del suo tempo I. 1 metodo teologico di
Anselmo Nato ad Aosta nel 1033, scolaro di Lanfranco nell’abbazia
di Bec, poi suo successore nella scuola abbaziale e quindi sulla cattedra
ar- civescovile di Canterbury, Anselmo fu la figura pit alta e
sigpifica- tiva della cultura dell’XI secolo. Ma i motivi fondamentali
del suo pensiero erano destinati ad esercitare un'influenza assai vasta e
pro- fonda su tutto il successivo svolgimento della riflessione
filosofica e teologica; ed anzi, superando la crisi della scolastica,
avrebbero conti- nuato ad agire anche su alcuni pensatori che
consideriamo tra i rappre- sentanti più cospicui della filosofia moderna.
La ragione di questa ecce- zionale influenza sta certo nel rigore e nella
rara acutezza di questo monaco che profondamente nutrito dalla
riflessione agostiniana e gui- dato da una conoscenza della dialettica,
seppe accogliere in un sistema organico di idee le tendenze più attive e
vitali del suo tempo. E se la sua posizione intellettuale e le sue
dottrine furono spesso nei secoli successivi oggetto di critica severa da
parte di grandi maestri della sco- lastica, è certo che Anselmo diede per
primo un metodo razionale alla disciplina teologica, sostituendo al
costante richiamo dell’auctoritas una via argomentativa basata unicamente
sull’uso oculato e guardingo del ragionamento dialettico. Il
fatto che Anselmo si sia occupato esclusivamente di temi teolo- gici
(dall’esistenza di Dio alla Trinità, dall’Incarnazione al peccato ori-
ginale) non toglie nulla alla novità del suo metodo che egli estese, del
resto, ad ogni aspetto del dogma. Però il fondamento della sua dot- trina
rimase sempre strettamente agostiniano; e da Agostino egli de- rivò gran
parte delle sue premesse sviluppate però secondo una lucida tecnica
dialettica e condotte a conclusioni che innovavano la dottrina teologica
dei suoi tempi. 98 Anselmo d'Aosti e la cultura
teologica del suo tempo La pid intensa attività filosofica di
Anselmo si svolse in un pe- riodo di tempo relativamente breve, dal .1070
al 1080, nell’ambiente del- l'abbazia di Bec già predisposto
dall’insegnamento di Lanfranco ad accogliere una diversa impostazione
degli studi teologici. Fu appun- to in questi anni che Anselmo elaborò i
suoi scritti fondamen- tali, tutti dominati dalla certezza dell’intimo
accordo tra i me- todi di argomentazione razionale e i dati essenziali
della fede; per dir meglio, dalla necessità che i principi della rivelazione
siano illuminati dalla ragione e che, d’altra parte, la ricerca razionale
si muova sempre entro i limiti e presupposti della fede. Questa
posizio- ne, che Anselmo espresse nella formula credo ut intelligam,
implica naturalmente una concezione strumentale della ragione il cui
compito consiste nel meditare i dati della fede già accennati nella loro
indiscu- tibile verità. Perciò anche quando Anselmo applica i metodi
dinlettici anche ai contenuti più gelosi del dogma e fonda su di essi la
dimostra- zione dell’esistenza di Dio, egli è fermamente convinto che
tali pro- cedimenti valgono solo come chiarimento e delucidazione di una
ve- rità che la ragione umana può cercare di rendere più evidente,
pur riconoscendo i propri limiti e la sua radicale incapacità a penetrare
in- timamente nei misteri divini. Ecco perché nel -Mozologion — che
è appunto un’operetta scritta a richiesta dei suoi monaci come
modello di meditazione sull’esistenza e gli attributi di Dio — egli
afferma di voler procedere solo “per via di ragione,” senza ricorrere ai
riferimenti ed alle autorità scritturali o patristiche. Ma al tempo
stesso, in polemi- ca coi dialettici, Anselmo riafferma sempre l’assoluta
superiorità della fede, principio unico. ed essenziale donde procede lo
stesso “intellet- to.” La fede è, dunque, il fondamento e la
ragione prima della cono- scenza umana; giacché non “s'intende per
credere” ma bensi “si cre- de per intendere.” Eppure chi crede con
certezza e fervore può usare legittimamente anche i metodi della
dialettica e i puri procedimenti razionali che sono anch’essi un dono
divino. È chiaro che un simile atteggiamento presuppone una fiducia
com- pleta nella ragione come “strumento” che non arretra neppure dinanzi
al tentativo di spiegare con procedimenti analogici anche i “sacri mi-
steri.” Il modo in cui Anselmo affronta la tematica teologica tradizio-
nale, cercando di mostrare l’intima necessità razionale della trinità e
dell’incarnazione, ne è appunto una prova assai chiara. Ma, d’altra
parte, egli è ugualmente convinto che il potere illuminante dell’intel-
letto dinanzi agli “abissi della rivelazione” è ben limitato, perché la
verità della fede è cosi vasta e profonda che nessuna mente mortale
99 i L’RI e il XII secolo potrà mai possederla
compiutamente. Neppure lo sforzo concorde di tutti i Santi e dei Padri e
dei Dottori della Chiesa ha quindi potuto penetrare 11 mistero della
rivelazione. Ma, proprio per questo, niente è più erroneo che opporre
all’uso legittimo della ragione l’autorità esclu- siva degli Apostou e
dei Padri, dimenticandosi che anch'essi erano uomini e conobbero la
verità con mente umana e che Dio non ha mai cessato e mai cesserà
d’illuminare la Chiesa e di permettere ai fedeli una comprensione sempre
più profonda della sua parola. D'altra par- te se è vero che la visione
beatiticante della verità divina è esclusa da questo stato mondano, ciò
non signitica che la ragione umana non possa ampliare la sua intelligenza
della fede. Comprendere la propria fede signitica appunto avvicinarsi
alla visione di Dio, e rendersi piî degno dei suoi aoni. Se è cosa empia
pretendere di scoprire o di discutere ciò che Dio ha celato nella
protondità insindacabile del mistero, esi- stono però problemi e temi
teologici che non sono affatto incompren- sibui ala ragione, ma che anzi
essa deve speculare e chiarire. Dimostra- re che Dio esiste è appunto uno
di questi compiti che la ragione deve perseguire con propri mezzi e senza
aicun ricorso ad autorità o “fonda- menu estranei a1 suoi poteri”; ed
anzi dalla validità intrinseca di questa dimostrazione dipende la
possibilità di costruire una scienza dotata de- gli stessi strumenti
argomentativi propri delle altre “arti.” La dimostrazione
dell’esistenza di Dio rappresenta ovviamente uno dei temi centrali del
pensiero di Anselmo, destinato, peraltro, a costituire un termine di
confronto obbligato per tutte le correnti e tendenze teologiche del Basso
Medioevo. Ma le prove che egli presen- ta, compenetrate di spirito
agostiniano, sono formulate con un rigore e una coerenza dialettica
ancora estranea al pensiero di Agostino e se- condo una direttiva
metafisica di carattere squisitamente platonico. Ciò è evidente
soprattutto nelle pagine del Monologion ove tutta la dimo- strazione
poggia sul presupposto dell’ordine gerarchico di perfezione presente
nell’universo e sull’idea che tutto ciò che gode di un grado maggiore o
minore di perfezione deve partecipare necessariamente del- la perfezione
assoluta. Ora l’esperienza sensibile e la riflessione razio- nale ci
mostrano che esistono innumerevoli beni, più o meno perfetti, e che tutto
quanto esiste ha sempre una sua causa particolare. Ma la serie delle
perfezioni particolari e contingenti ci rinvia per necessità ad una causa
unica e prima, cosi com’è evidente che quanto è perfetto in un grado
minore o maggiore, lo è soltanto perché deriva da un su- premo ed unico
principio di perfezione. Naturalmente questo bene, del 100
Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo quale
partecipa tutto ciò che è bene. non può essere che il bene mas- simo ed
assoluto, superiore ad ogni altro bene e ad ogni altra perfe- zione. Ma
ciò significa che quanto è assolutamente buono è anche infi- nitamente
grande e che quindi esiste un rrimo essere superiore ad ogni realtà
esistente limitata, e questo essere è Dio. Un tale argomento — di
cui è inutile sottolineare l’intrinseco carattere platonico-agostiniano —
può essere ugualmente svolto muo- vendo da quella perfezione dell’essere
che tutte le cose hanno in comune, sia pure in grado e misura diversi.
Ogni ente esistente ha in- fatti una propria causa; ma la moltevlicità
delle canse particolari pre- senti nell’universo può essere considerata
come riducibile ad una cau-, sa, oppure come fine a se stessa, o ancora
come costituita da una serie di cause che si causino reciprocamente. Se
però esaminiamo la seconda ipotesi, è subito evidente che le sinvole
cause esistenti per se stesse hanno almeno in comune questo “essere per
sé” che costituisce il prin- cinio della loro esistenza e quindi la loro
unica causa comune. Né è diversa la conclusione cui si giunce esaminando
anche la terza ipotesi, perché supporre che una cosa esista a cansa di
ciò cui essa stessa dì l’essere, è ipotesi assurda e contraddittoria. Non
resta perciò valida che la prima ipotesi: tutto ananto è, esiste per una
causa unica éd assoluta, necessariamente identificabile con Dio.
Ma non basta. L’ardine dell'universo è costitnito — come s'è cià
visto — da una gerarchia di esseri alcuni dei quali sono pii perfetti ed
altri meno perfetti. Ma una volta accettata questa verità inonnu- gnabile
è anche necessario ammettere o che questa gerarchia di perfe- zione non
abbia mai fine e quindi che ogni essere postuli sempre, al di sopra di
sé, un altro essere pit perfetto, onvnre che l’universo sia ‘costituito
da un numero definito di esseri. uno dei quali sunera tutti gli altri per
la sua assoluta perfezione. L'esclusione della prima ipo- tesi che
Anselmo ciudica assurda e irrazionale. conduce necessariamente ad
ammettere l’esistenza di un essere perfettissimo superiore a tutti gli
altri e a nessuno inferiore. Ed a chi obbietta che si potrebhero am-
mettere al sommo della gerarchia due enti forniti di uguale perfe- zione,
è facile rispondere che questi due esseri sono uguali o perché la loro
essenza è comune e quindi sono in realtà un solo essere, op- pure perché
partecipano entrambi ad un essere superiore che li tra- scende tutti e
due e che, pertanto, è l’unico essere perfettissimo. Dio è dunque il
termine unico e assoluto che conclude la serie finita de- gli esseri; e
ne è al tempo stesso il culmine, la ragione e la causa. OI
L’XI e il XII secolo Un simile tipo di argomentazione, cosi
legato ad una visione gerarchica della realtà di schietto senso
platonico, si fonda evidente- mente sul passaggio dialettico dal limitato
all’assoluto e dall’essere particolare al suo fondamento universale. Ed è
chiaro che Anselmo introduce in tal modo nella storia della teologia un
metodo specu- lativo che era già implicito nelle dottrine dell’Areopagita
e nella sua immagine di un universo ascendente di grado in grado, di
perfezione in perfezione verso il suptemo approdo dell’unica esistenza
divina. Anselmo però non si arresta a questò procedimento che, almeno
in apparenza, muove dall’esperienza e dalla realtà definita dei
singoli enti esistenti. Proprio perché vuol dare alla riflessione
teologica una base schiettamente speculativa, egli si sforza di portare
altre prove che s'impongano per pura evidenza logica, prescindendo dalla
cor- siderazione sensibile della realtà. Ma -coronando le prove
precedenti con l’argomento ontologico del Proslogion egli spinge alle estreme
con- clusioni il suo procedimento dialettico, e ripropone, per altra via,
la stessa considerazione di Dio e dell’essere che era già implicita
nel Monologion. 2. L'argomento del “Proslogion”
Certo, proprio all’inizio del Proslogion, Anselmo dichiarava di
voler muovere dal puro dato di fede, e cioè dall’idea di Dio che ci è
fornita dalla fede e dalla quale è però possibile trarre per evidenza
interna anche la necessità logica della sua esistenza reale. Noi cre-
diamo infatti che Dio esista e che sia l’essere di cui non è possibile
concepire niente di maggiore; ma anche l’insipiens che nega Dio,
comprende ciò che affermiamo con queste proposizioni, e deve quindi
ammettere che tale concetto possiede un'esistenza mentale, in quanto
è attualmente presente negli intelletti che lo pensano. Una cosa può
infatti esistere nell’intelletto senza che questo ne ammetta l’esistenza
esteriore: quando un pittore si rappresenta l’immagine che vuole di-
pingere, egli possiede in sé il quadro già esistente nel suo intelletto,
ma non ne conosce affatto l’esistenza esteriore perché non lo ha an- cora
dipinto. Ecco, dunque, che anche l’insipiens è costretto a rico- noscere
che almeno nel suo pensiero esiste l’essere perfettissimu di cui è
impossibile concepire niente di maggiore. Però una volta accet- tata
questa premessa non gli è più possibile negare che l’ente per- fettissimo
esiste anche nella realtà, poiché questa esistenza possiede
102 Anselmo d'Aosta e lu cultura teologica del suo tempo
un grado di perfezione superiore a quello dell’altra. Difatti se
l’es- sere di cui non è possibile concepire uno maggiore esistesse
unica- mente nell’intelletto, si potrebbe facilmente pensare anche un
essere dotato di tutte le sue perfezioni e, in pit, della perfezione che
è data dall’esistenza reale. Ma una tale conclusione è evidentemente
contrad- detta dalla stessa definizione iniziale dell’ens perfectissimum,
e quindi l’essere di cui non si può pensare uno maggiore deve esistere
sia nel- l'intelletto che nella realtà. Non occorre
un’analisi troppo approfondita per intendere come questa argomentazione
si fondi sulla certezza interiore della fede e sulla opinione
“platonica,” che esistere nel pensiero è già esistere nel- la realtà e
che quindi la nozione di Dio, data dalla fede, ha una realtà di fatto
indubitabile e assoluta. Anche qui, come già nelle prove del Monologion,
Anselmo muove dunque dalla certezza preliminare di una realtà, di ordine
e grado particolare, per concludere alla necessità logica dell’esistenza
reale dell’ens perfectissimum; ed anche qui, pur nell’indubbia novità del
suo metodo di argomentazione, il processo anselmiano muove dall’idea
gerarchica di un diverso grado di perfe- zione ontologica che subordina
l’essere “pensato” alla superiore perfe- zione dell’essere reale. In tal
modo il passaggio dal dato originario della fede alla prova o conclusione
razionale, è reso possibile proprio me- diante il confronto tra l’esserte
pensato e l’essere reale, tra l’idea di Dio esistente nel pensiero e la
certezza logica che questa esistenza mentale, che è anche essa reale,
sarebbe certamente impossibile se Dio non esistesse anche nella realtà.
Sicché la vera differenza tra le argo- mentazioni del Monologion e quelle
del Proslogion consiste solo nel diverso punto di partenza, e nel
carattere della realtà che è posta come termine di paragone con la
perfezione assoluta e necessaria del supre- mo ente reale. Solo in Dio
l’esistenza mentale e l’esistenza reale deb- bono coincidere per
intrinseca necessità logica; mentre, in ogni altro caso, l’esistenza
reale può essere verificata solo se l’Essere sommo, principio e causa
prima, l’ha effettivamente creata. Cosf Anselmo con- duce fino alle sue
logiche conseguenze quelle fondamentali caratte- ristiche platoniche che
erano già evidentissime nella dottrina agosti- niana; e mentre si appella
alla fede come primo fondamento di cer- tezza, vuol trovare nel suo
contenuto intellettivo quella ragione dialettica che la rende
perfettamente comprensibile anche all’intelletto. L’im- piego cosi
coerente del procedimento dial:ttico si risolve in un nuovo metodo
apologetico, o meglio, nella conferma del primato assoluto della
fede, i cui principi costituiscono in ogni caso il presupposto indi-
scutibile e necessario di qualsiasi prova o dimostrazione. Non v’è
quindi da meravigliarsi se già taluni dei contempora- nei di Anselmo
contestarono il valore e la fondatezza dell’argomento del Proslogion che
fu più tardi rifiutato dallo stesso Tommaso d’Aqui- no. Ed è noto che,
vivente ancora Anselmo, un monaco del monastero di Marmontier, Gaunilone,
scrisse un Liber pro insipiente che è una acuta critica del procedimento
anselmiano. Il punto su cui si fonda l’obiezione di Gaunilone è
l’impossibilità di concludere dall’esistenza del pensiero all’esistenza
esteriore, di fatto. Il pio monaco non vuol certo difendere l’ateismo
dell’insipiens; al contrario egli riafferma che la certezza
dell’esistenza di Dio è un principio di pura fede e che il passaggio
arbitrario dalla parola al concetto e dal concetto alla realtà, compiuto
da Anselmo, è non solo invalido, ma anche sofistico e peri- coloso. Le
parole che udiamo — argomenta infatti Gaunilone — pos- sono avere o non
avere un loro significato; ma se l’hanno è solo perché sono connesse a
certe esperienze o percezioni che esse richia- mano alla nostra mente.
Ora è proprio l’esperienza dei singoli indi- vidui dotati di caratteri
particolari che ci permette di formare dei concetti di specie e di genere
ben distinti per mezzo di parole corri- spondenti; ma quando ciò non
accade, quando le parole che pronun- ciamo non hanno un nesso mentale
corrispettivo, esse restano prive di significato come se fossero scritte
o pronunziate in una lingua ignota. Difatti chi, non conoscendo il
latino, sente pronunziare la parola avis, non può connetterla a nessuna
rappresentazione particolare o ge- nerale, ma può soltanto percepirne il
suono “fisico.” Ebbene: per Gaunilone la stessa cosa accade anche quando
sentiamo pronunziare la parola “Dio” e la frase “l’essere di cui non si
può pensarne uno maggiore,” espressioni che non hanno nessun fondamento
nell’espe- rienza. Dio infatti non è pensabile in rapporto alle altre
cose che ci sono note attraverso i sensi; e poiché non è oggetto della
nostra espe- rienza non esiste neppure un concetto che stia in rapporto a
Dio co- me il concetto di uomo sta in rapporto con l’individuo Socrate.
Per questo udendo la parola “Dio” noi sentiamo solo dei suoni e non
riusciamo, per quanti sforzi facciamo, ad attribuirle un esatto signi-
ficato. Ed anche se vogliamo dire, con Anselmo, che il concetto di Dio è
presente nell’intelletto dell’insipiens dobbiamo però ammettere che
costui possiede nel suo intelletto solo delle parole incomprensibili e
dei nomi privi di significato. Non solo: esistono anche
errori e idee false che non hanno al. 104 Anselmo d'Aosta
e la cultura teologica del suo tempo cuna esistenza fuori del
pensiero, immaginazioni e fantasie ben pre- senti all’intelletto ma del
tutto estranee alla realtà. Chi concepisce l’idea delle isole Fortunate,
sparse in una parte dell'Oceano, colme di ricchezze e di beni, non può
certo pretendere che queste isole, pur concepite come le più perfette tra
tutte esistano anche nella realtà. Ma lo stesso argomento vale anche
contro la prova di Anselmo che compie lo stesso indebito passaggio
dall’esistenza nel pensiero alla esistenza nella realtà: “Come infatti si
potrebbe dimostrare maggiore di tutti, se io nego 0 dubito ancora che
esso esiste anche nel pensiero? Dovrei prima sapere che quell’ente esiste
realmente da qualche parte; e quindi trarrei dal fatto che è il maggiore
di tutti la certezza che esiste anche in realtà.” A tali
obiezioni, che si fondano su di una considerazione del- l’idea e del suo
rapporto con gli enti reali ben diversa da quella ac- cettata da Anselmo,
questi rispose ‘che il passaggio dell’esistenza nel pensiero
all’esistenza nella realtà è valido unicamente nel caso del- l'ens
perfectissimum la cui certezza è fondata sulla fede; e, in secondo luogo,
che questo concetto può essere dedotto dalla consi- derazione della
realtà finita che, in base agli argomenti del Mono- logion, ci conduce a
riconoscere l’esistenza di un essere assoluto supe-* riore a tutti gli
enti finiti. Il che implicava però il sionificativo ricono- scimento di
un fondamento fideistico del concetto di Dio, estraneo al suo tentativo
di pura deduzione concettuale. 3. Gli attributi divini e il
rapporto di Dio con la realtà La dimostrazione dell’esistenza di
Dio non è però il solo tema affrontato dalla teologia anselmiana; ché
anzi, in tutti i suoi scritti, sono discussi con particolare insistenza
anche il prob'ema degli attri- buti divini e quello del rapporto tra Dio
e la realtà da lui creata. A questo proposito Anselmo afferma — con un
evidente richiamo alla dottrina agostiniana — che solo Dio esiste di per
se stesso e che quindi solo in lui essenza ed esistenza s’identificano
perfettamente, cosî come la luce s’identifica con lo splendore che emana.
Tutti gli ‘altri esseri possiedono, invece, un’essenza che non implica
necessaria- mente l’esistenza, che può essere tratta ad esistere solo per
opera di- vina; il che significa che Dio è la materia costitutiva
dell’universo o ne è la causa produttrice. La prima ipotesi viene però
subito respinta per la sua evidente conseguenza panteistica; e
quindi Anselmo accetta il principio della creazione ex nikilo, come
l’unica soluzione che sod- disfi al tempo stesso l’esigenza della fede e
della ragione. L'universo viene, dunque, all’esistenza senza che esista
alcuna materia preesistente rappresentata da Dio o da qualsiasi altro
principio; poiché il nulla da cui il mondo proviene non è una realtà
positiva, bensf semplice- mente l’assenza totale di realtà. Il passaggio
dal non essere all’essere è causato da un libero decreto della volontà
divina, decreto che non conosce nessun presupposto metafisico n
ontologico. Con questo non si deve però credere che Anselmo neghi ogni
forma di esistenza o di realtà precedente all’atto con cui Dio ha creato
il mondo. Ripren- dendo un motivo fondamentale della tradizione
platonico-agostinia- na, anche Anselmo ammette infatti l’esistenza di
forme ideali della realtà logicamente precedenti all'emergere della
realtà dal nulla. Tali idee presenti 25 aeterro nel pensiero divino e ad
esse consustanziali sono appunto “espresse” e “realizzate” dall’atto che
modella sui loro esemplari le singole cose create. Affermare che il mondo
è stato creato dal nulla significa quindi, semplicemente, che le cose non
erano prima ciò che sono attualmente, né esisteva, prima di esse, una
qualsiasi mate- ria da cui potessero essere formate. Ma considerate dal
punto di vista del sapere divino esse sono già tutte presenti nel
pensiero eterno e ne escono in virtà della Parola creatrice che non ha
alcuna somiglianza col par- lare umano, bensi rassomiglia alla nostra
conoscenza dell’essenza uni- versale ed alla parola interiore con cui le
definiamo nel nostro più segreto pensiero. Come la nostra parola
interiore non conosce dif- ferenza di tempo e di luogo, di povolo o di
nazione, cosf la parola o verbo che è nella mente divina è il puro
prototipo immutabile delle cose create e il mezzo con cui Dio crea e
conosce attualmente, nella sua identica perfezione, il mondo molteplice e
transitorio degli enti. Tutto ciò che è estraneo alla pura essenza divina
è stato creato dal Verbo che lo conserva e lo mantiene, permettendo cosf
alle sin- gole creature di permanere nel loro essere. Ma ciò significa
che Dio è presente dovunque e tuttavia eccede con la perfezione
ogni luogo determinato, che è ogni tempo e, insieme, al di là di tutto
il tempo, immanente nell’atto con cui dà vita a tutte le realtà,
eppure trascendente nella sua essenza infinita ed eterna. Nondimeno, se
cer- chiamo di esprimere da un punto di vista umano la realtà di un
es- sere che trascende tutto il Creato e non ha nulla in comune con le
altre cose, è necessario affermare di Dio tutti quegli attributi che
designano uno stato di perfezione positiva. E perché tali attributi siano
vera- 106 Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del
suo tempo mente legittimi occorre che gli siano riferiti in un
senso assoluto e che si predichino di lui solo quelle perfezioni che
superano in valore tutto il resto della realtà. Ecco perché non si può
mai dire di Dio che è corpo, bensi soltanto che è spirito, poiché lo
spirito è superiore e più perfetto del corpo; similmente, per
attribuirgli tutte le perfe- zioni che gli sono più vicine e più degne lo
si dirà “vivente,” “sapien- te,” “onnipotente,” “vero,” “giusto,”
“beato,” ed “eterno,” pur com- prendendo che anche questi attributi sono
ben lungi dal cogliere l’in- finita perfezione divina. D'altra parte,
queste molteplici perfezioni non significano affatto che in Dio esista
realmente molteplicità o di- stinzione né che la sua natura abbia dei
caratteri essenziali insieme ad altri caratteri accidentali, 0, tanto
meno, che vi siano in lui cangia- menti o “processi.” Al contrario la sua
essenza, del tutto coinciden- te con l’esistenza, è sempre assolutamente
una, identica e immuta- bile; né Dio, che è in tutti i luoghi e in tutti
i tempi pur essendo al di là di ogni luogo e di ogni tempo, può mai
ammettere inizio e fine. Anche il suo atto creatore non comporta infatti
alcun muta- riento nella sua essenza, cosîf come i decreti della sua
volontà non tollerano alcun limite estraneo. Cosf se Anselmo, moderando
la tesi radicale di Pier Damiani ritiene che la volontà divina non
potrebbe mai giungere a far si che ciò che è stato non sia stato,
tuttavia insiste sulla piena libertà del suo atto, incommensurabile ad
ogni norma umana. Tra le creature che Dio ha creato e che
sono state espresse dal suo Verbo, l’uomo è poi quello che rispecchia in
maggior misura l’immagine e il segno della divinità. Capace di conoscere
se stessa, di ricordarsi di se stessa e di amare se stessa, l’anima umana
rispecchia infatti nella sua natura limitata l’ineffabile ed eterna
trinità divina. E tutta la sua conoscenza deriva appunto direttamente da
Dio che illumina costantemente l’anima rendendo cosf possibile la
perfetta cooperazione tra il senso e l’intelletto attraverso
l’intermediario delle eterne idee, divinamente irraggiate. Naturalmente,
alla luce di questa impostazione di schietto carattere agostiniano, non è
neppure difficile intendere perché Anselmo sia intransigente partigiano
della realtà ideale dei generi e delle specie e perché faccia di questa
soluzione rea- listica del problema degli universali un presupposto
essenziale della sua ontologia. Tanto più che non sarebbe possibile
intendere comple- tamente l’intimo meccanismo delle sue argomentazioni
ontologiche se non si pensasse che egli muove sempre dalla certezza della
realtà delle idee, dal principio che ogni determinazione particolare ha
significato e 107 L’XI e il XII secolo
valore solo in quanto partecipa a un fondamento universale. Solo così
ogni perfezione individua trova la propria realtà nella partecipazione alla
perfezione assoluta; sicché l’identità necessaria tra l’esistenza pen-
sata dell'Ente perfettissimo e la sua esistenza reale può rendere possi-
bile l’argomentazione del Proslogion. In un caso come nell’altro il pro-
cedimento dialettico di Anselmo muove da un presupposto “realista” e da
una premessa speculativa schiettamente platonico-agostiniana. 4.
La scuola di Laon; Roscellino L’opera di Anselmo, tutta incentrata
sui grandi temi teologici che abbiamo esposto, segna una tappa
d’importanza decisiva nella sto- ria del pensiero medioevale e pone già
in chiara luce le esigenze fonda- mentali che guideranno poi per più di
tre secoli lo svolgimento della cultura scolastica. Fu infatti
all'esempio di Anselmo che si richiama- rono assai spesso i maestri del
XII secolo ben decisi a far valere sul piano della riflessione teologica
— che non si distingweva ancora dalla meditazione filosofica autonoma — i
metodi della dialettica, oppure a risolvere nell’ambito di grandiose
concezioni cosmolociche gli stessi temi capitali della tradizione
agostiniana e boeziana. Ma il suo pen- siero doveva ancora costituire per
lungo tempo un necessario termine di riferimento nella lunga discussione
sul reciproco rapporto tra la ragione e la fede, e stimolare, sia pure
attraverso atteggiamenti e tendenze di carattere assai diverso, la
progressiva trasformazione del- la teologia in una scienza speculativa
dotata di metodi e strumenti logici non diversi da quelli delle altre
scienze. Questa tendenza, che porterà ben presto ai primi tentativi
di or- ganizzare tutta la “materia” teologica in vaste sintesi
sistematiche, è del resto già ben visibile nell'opera di alcuni scrittori
contemporanei che cooperano a elaborare i “quadri” concettuali della
scientia Dei. I Libri Sententiarum attribuiti ad Anselmo di Laon (+ 1117)
forniscono già l’esempio di una raccolta organica dei testi dei Padri
della Chiesa, ordinati secondo i problemi e i temi teologici
fondamentali, ed offrono cosi un modello che sarà poi ripreso e
sviluppato da Guglielmo di Cham- peaux, Pietro Abelardo, Roberto di Melun
e, con particolare fortuna, da Pietro Lombardo. Ma l’importanza di questa
raccolta, compilata allo sco- po di fornire argomenti di prova nelle
discussioni teologiche, non con- siste soltanto nella preparazione di un
cospicuo materiale selezionato dalla gran selva della letteratura
patristica, bensf nella cornice organica e t08
Anselmo d'Aosta e la cultura teologica del suo tempo ©ompiuta
entro cui viene inserita la trattazione teologale. L'esistenza, la
natura, gli attributi di Dio, il significato e il modo della creazione,
l’esistenza e il destino dell'uomo dalla sua caduta alla redenzione, la
via di salute indicata dalla natura e dalla grazia, la funzione carisma-
tica della Chiesa e dei suoi sacramenti, divengono adesso gli oggetti ben
definiti della speculazione filosofica, i temi intorno ai quali si
dispiegherà la vigorosa analisi intellettuale dei grandi maesti scola-
stici. Ma questo quadro che raccoglie in sé tutri i principi ideologici
di una società in cui la Chiesa è l’unica produttrice di idee, questa
cornice stabile e definita entro cui deve procedere la riflessione filo-
sofica e la suprema conoscenza della realtà e dell’uomo, offrono ad ogni
passo problemi aperti e insolubili, temi suscettibili di discussioni e di
analisi che pur senza negare il primato della fede, lasciano libero passo
alla indagine della ragione. Certo gli autori delle sentenze, e
Anselmo di Laon per primo, insistono sempre sui dati di fede e sulla
gelosa custodia della pura verità rivelata. Ma, in realtà, essi preparano
un metodo di studio e di riflessione teologica che impone un più ampio
sviluppo della dialet- tica e una capacità di critica razionale destinata
a dar presto i suoi frutti nella temperie storica del XII e del XIII
secolo. La grande fio- ritura dei Commenti alle Sentenze e lo sviluppo di
una caratteristica letteratura teologica sempre più raffinata e
intellettualmente scaltrita, sono la diretta conseguenza del nuovo corso
impresso alla cultura sco- lastica dell’XI secolo, da Anselmo di Aosta e
dai suoi contemporanei. E non a caso sarà proprio dalla lunga esperienza
dei Libri Sententiarum e dei loro commenti che nasceranno le grandi
Summzae del XIII secolo. Quale fosse però la funzione innovatrice
esercitata dalla diffusione degli studi dialettici nell’ambito della
cultura teologica, e quali potes- sero essere le sue conseguenze più
estreme, è ben dimostrato dalla personalità, ancora non molto nota, di
Roscellino di Compiègne. Sui suoi studi e la sua formazione non
possediamo purtroppo testimonian- ze sicure e precise, ma sappiamo che
ebbe come maestro Giovanni il Sofista, noto per la sua abilità di
dialettico, e che, più tardi, mentre era maestro e canonico a Compiègne,
fu accusato formalmente di- nanzi al concilio di Soissons d’insegnare che
“vi sono tre dii.” Abiurò e gli fu concesso di riprendere il suo
insegnamento a Tours e a Lo- ches, dove fu maestro di Abelardo, e a
Besangon ove sembra morisse intorno al 1120. La scarsità di notizie e di
testimonianze non polemi- che sul suo insegnamento, rendono certo molto
difficile una valutazio- ne della sua dottrina, probabilmente assai
deformata dagli attacchi 109 L’XI e il XII
secoto dei suoi avversari. Ma ciò non toglie che Roscellino sia
stato consi- derato dai contemporanei e dai posteri come il principale
sostenitore di una concezione degli universali che identificava l’idea
generale con la parola che la definisce. In aperta polemica
con la soluzione realista che attribuisce una realtà ai termini astratti
del pensiero, Roscellino sembra negare qual- siasi realtà che non sia
strettamente individuale; e per questo affer- ma che il termine uomo,
come tutti gli altri che indicano una specie o un genere, corrisponde soltanto
o alla realtà fisica della parola “uomo” (cioè a un flatus vocis, o
emissione di suono) oppure a degli individui particolari e concreti che
quel termine può semplicemente “esprimere.” Come si vede il rifiuto
della dottrina realista, cosi connaturata al fondo agostiniano-platonico
della cultura filosofica dell’Alto Me- dioevo, non potrebbe essere pi
netto. Ma proprio perché era maestro di “arte dialettica” e quindi di una
scienza che si applica principal- mente ai termini del discorso umano, Roscellino
non solo negò il loro fondamento reale, metafisico, ma sembra che
estendesse la sua conclu- sione dal piano della pura analisi dialettica
alle sue conseguenze teo- logiche. Certo, è probabile che Roscellino non
intendesse affatto affer- mare l’esistenza di tre distinte divinità;
eppure, coerentemente al suo assunto logico, egli sostenne che anche
nella trinità le tre persone hanno una loro distinta realtà individuale e
che ognuno dei loro nomi (Padre, Figlio, Spirito) indica indubbiamente “una
cosa unica e singola” In tal modo la trinità è costituita, per
Roscellino, da tre sostanze distinte che pure possiedono un’unica potenza
ed una sola volontà; perciò egli affermò, identificando il concetto
teologico tra- dizionale di persona con quello di sostanza, che soltanto
a causa di una particolare abitudine linguistica i teologi possono
triplicare le persone senza triplicare le sostanze. Non v’è
quindi da meravigliarsi se i teologi contemporanei con- siderassero con
estremo sospetto le sue dottrine fino ad accusarlo, forzando il senso
delle sue espressioni, di “triteismo.” La sua traspo sizione dell'ipotesi
nominalistica dal piano dialettico a quello teolo- gico e l’uso. di una
terminologia cosi insolita spiegano le preoccupa. zioni e i timori di
devoti teologi come Anselmo. Indubbiamente la mentalità del “dialettico”
Roscellino con la sua rigida coerenza tra l’atteggiamento di logico e le
sue conseguenze teologiche, è già il se- gno di una profonda incidenza
delle nuove tecniche logico-gramma- ticali nell’ambito “sacrale” della
scientia de divinis. Capitolo terzo Caratteri,
tendenze ed ambiente storico della cultura del XII secolo I.
Le condizioni storiche Gli eventi storici dell’XI secolo e in
particolare la lunga lotta per le investiture e i violenti contrasti tra
l’aristocrazia ecclesiastica e laica e la feudalità maggiore e minore,
accelerarono la crisi della società feudale, favorendo il progressivo
sviluppo delle forze econo- miche e sociali che erano lentamente
maturate. Nell’Italia settentrio- nale e centrale, nelle Fiandre, ed
anche nei maggiori centri urbani della Francia e dell’Inghilterra, si
assiste adesso a un impetuoso svi- luppo di tutte le attività, e a un
incremento delle forze produttive e degli scambi commerciali assai
maggiore di quello che si era già delineato nel corso del secolo
precedente. Nelle città che sono al cen- tro del nuovo corso economico
fondato sull'economia mercantile. ai poteri feudali si sostituiscono gli
ordinamenti comunali che assicurano una sostanziale supremazia politica
ai ceti della borghesia mercantile e artigiana. Sulle coste mediterranee
si vengono formando nuovi stati, tra i quali eccelle per il carattere
accentratore ed assolutistico, il re- gno normanno di Sicilia destinato a
svolgere la sua direttiva espan- sionistica verso i territori dei Balcani
e del Vicino Oriente. Allo sforzo militare dei Normanni, corrisponde, su
più vasta scala, l’attività delle Repubbliche marinare che incrementano
costantemente i loro traffici raggiungendo l’effettivo controllo delle
grandi vie di commercio che congiungono il bacino mediterraneo ai lontani
mercati asiatici. Infine, negli ultimi anni del secolo, la rinascita
economica e sociale dà luogo ad un grande movimento di espansione armata
verso i paesi del Me- dio Oriente, che è insieme la conseguenza del
profondo risveglio re- ligioso operato dalla riforma gregoriana e
patarina, e il risultato del- l'alleanza tra le declinanti classi feudali
spinte dalla necessità di con- quistare nuove terre e la borghesia
mercantile e marittima di Genova, di Venezia, di Amalfi e di Pisa.
Le conquiste degli eserciti crociati guidati dalla predicazione
dei missionari riformatori, non furono però tanto importanti nei loro
a- spetti religiosi e politici, quanto piuttosto per gli effetti sulla
vita eco- nomica e intellettuale dell'Europa occidentale. Ché se l’innata
debo- lezza degli stati crociati fece fallire il tentativo di
colonizzazione feu- dale delle terre siriache e palestinesi, gli
stabilimenti commerciali creati dai genovesi e dai veneziani, sopravvissero
anche alla caduta del Regno di Gerusalemme, permettendo la formazione di
stabili rap- porti commerciali con i grandi mercati asiatici ed
un'eccezionale ri- presa dell’attività mercantile nel bacino
mediterraneo. Ai rapporti eco- nomici seguirono poi, naturalmente, anche
più stretti rapporti intel- lettuali con la civiltà islamica, molto piti
avanzata dell’Europa occidentale nel campo degli studi scientifici e del
progresso tecnico. Pro- prio il diretto contatto con i maggiori centri
culturali dell’Impero arabo permise che circolassero rapidamente anche in
Occidente, dottrine, idee e conoscenze scientifiche e tecniche
particolarmente necessarie per una società a base urbana e
mercantile. All’acquisizione di questa cultura di carattere molto
diverso da quella che aveva dominato le scuole occidentali dall’epoca
della rifor- ma carolingia, contribuirono in larga misura sia la
conquista norman- na della Sicilia che pose a disposizione dei dotti
occidentali un gran numero di testi arabi, sia la reconquista cristiana
dei territori mu- sulmani di Spagna ove sorgevano fiorenti istituzioni
culturali e si era affermata una grande tradizione di studi filosofici e
scientifici. La presenza, a Palermo come a Toledo, di un ceto di dotti
arabi ed ebrei, rese più rapida e pit facile l’acquisizione da parte
della cul- tura occidentale di quei testi ai quali era affidata tanta
parte della tradizione filosofica greca e della scienza ellenistica ed
araba. Ma, nello stesso tempo, divennero anche pit stretti i rapporti con
la tradizione teologica e filosofica greco-bizantina, le cui opere e
dottrine più signifi- cative furono ripresentate nelle scuole occidentali
dalle traduzioni di Burgundio Pisano, di Leone Toscano, Ugo Eteriano,
Giacomo da Vene- zia, ecc., tutti presenti ed operanti in
Costantinopoli. Questo vigoroso sviluppo economico e intellettuale
che è comu- ne a gran parte dell'Europa occidentale, non fu naturalmente
privo di conseguenze anche nei confronti delle istituzioni politiche e
reli- giose. Già si è accennato alla nascita delle forme di
organizzazione co- munale ed alla ascesa di quei ceti commerciali e
artigiani che dominano adesso la vita dei centri urbani, ma con questa
evoluzione politica s’intreccia spesso lo svolgimento di nuovi movimenti
e tendenze ri- Caratteri, tendenze ed ambiente storico della
cultura del XII secolo formatrici, più radicali di quelle che
avevano caratterizzato la vi- ta religiosa dell’XI secolo. In una società
che non conosceva altra forma di espressione ideologica che non fosse
quella religiosa, le esi- genze e le polemiche riformatrici sottintendono
infatti, assai spesso, una prima, oscura coscienza di interessi
squisitamente politici. E l’esi- genza di un profondo rinnovamento delle
istituzioni ecclesiastiche, che la riforma gregoriana non è riuscita a
realizzare compiutamente, muove adesso nuove forze monastiche e laiche
che esprimono ideali e speranze non solo proprie di una limitata
élite ecclesiastica, ma di grandi masse di artigiani, mercanti e
popolani. Cosî, la decadenza dei monasteri cluniacensi, che a causa delle
grandi ricchezze accumu- late si distinguono ormai solo per la
rilassatezza dei costumi e la po- vertà della vita religiosa, provoca la
reazione dei nuovi ordini rifor- matori dei Certosini, dei
Premonstratensi e dei Cistercensi, che richia- mano monaci e fedeli al
rigore della pratica ascetica, respingendo ogni compromissione mondana
per salvaguardare l’intimità e la segreta purezza dell’esperienza
mistica. Ma la riforma monastica, chiusa nei limiti dell’ascetismo
claustrale, non può più esprimere il moto di ri- volta che matura negli
ambienti cittadini, tra le continue lotte di consorterie e di classi e
attraverso la lotta contro gli ultimi residui della feudalità
ecclesiastica e laica. Ed ecco nascere movimenti reli- giosi di schietto
carattere cittadino e spesso popolare, i cui aderenti sono quasi sempre
mercanti, artigiani o addirittura contadini che esprimono in forma
religiosa e spirituale le loro esigenze politiche ed economiche e tendono
a configurare liberamente il loro rapporto con la gerarchia e le
istituzioni ecclesiastiche. In un prossimo capitolo esamineremo in
modo pit particolareg- giato le dottrine ereticali che si diffusero nel
corso dell’XI e XII se- colo in tutte le regioni dell’Europa occidentale
come espressione di una profonda crisi politica e ideologica. Ma non
sarebbe possibile in- tendere compiutamente anche la grande fioritura
filosofica e teologica del XII secolo, se non si ricordasse che la
presenza dei movimenti ere- ticali (dalle comunità catare alla chiesa
valdese ed altre correnti rifor- matrici e ribelli) costituisce una
componente storica di grande im- portanza, i cui riflessi sono spesso
facilmente avvertibili anche nella più vasta letteratura teologale, e che
costituisce, comunque, un co- stante termine di riferimento per
l’atteggiamento ufficiale della ge- rarchia ecclesiastica di fronte alle
varie correnti filosofiche e specu- lative. La
trasformazione della’ cultura ecclesiastica e le scuole cattedrali. Il
carattere storico della “Rinascita” del XII secolo Alla polemica
ereticale la gerarchia ecclesiastica risponde infatti con i mezzi
coercitivi che le sono assicurati dalla sua stretta connes- sione col
potere civile ma, al tempo stesso, preparando nuove gene- razioni di
teologi e predicatori abituati ad un metodo di discussione e di
esposizione della dottrina ortodossa, ben più organico e sistema- tico di
quello in uso nelle scuole ecclesiastiche. I missionari che armati delle
prime summae percorrono le città e le campagne della Fran- cia
meridionale, centro dell’eresia catara e valdese; i maestri che nel-
l'ambito delle nuove istituzioni cittadine preparano gli strumenti lo-
gici e i testi necessari alla formazione di un clero pi colto e più
“dotto,” sono appunto i primi artefici di un imponente processo di
riforma della teologia. Ma la loro attività non si limita alla lotta
contro l’eresia, ma assai spesso è rivolta a controbattere le dottrine
politiche che i sostenitori delle monarchie nazionali e dell’Impero
contrappongono alle tesi teocratiche di Gregorio VII. Ciò implica na-
turalmente una sempre maggiore penetrazione di metodi e dottrine filosofiche
nell’ambito degli studi teologici, una costante attenzione per i nuovi e
vecchi strumenti della logica aristotelica di cui ora si possiede, del
resto, una conoscenza assai più ampia e precisa. Non solo: insieme alla
dialettica ed alla logica entra a far parte della natura ecclesiastica
anche una solida formazione giuridica, necessaria per affrontare le
polemiche teologico-politiche e per dare una definita consistenza
all'ordinamento interno della Chiesa minacciata dalla cre- scente
fioritura dei movimenti riformatori ed ereticali. È chiaro che
questa trasformazione della cultura ecclesiastica com- porta però anche
un mutamento sostanziale nelle istituzioni che fino ad ora avevano
provveduto alla formazione del clero e delle sue ge- rarchie. Lo sviluppo
della vita cittadina, e l’importanza acquisita dai centri urbani
dell’Italia e della Francia, aveva tolto alle scuole mona- stiche il
tradizionale monopolio dell’attività intellettuale, mentre si era invece
accresciuta l’influenza delle scuole vescovili e capitolari po- ste quasi
sempre nelle città e direttamente influenzate dal nuovo am- biente
sociale, politico e religioso. Già fin dal X secolo il clero dell*
cattedrali era stato infatti sottoposto a un regime di vita comune di
tipo monastico, soggetto ad una particolare regola o “canone” (donde
appunto il nome di “canonici”); più tardi sotto l’impulso delle cor-
renti riformatrici e della crisi della feudalità ecclesiastica, i “canonici”
avevano ottenuto il diritto di eleggere i vescovi e di organizzarsi in
capitoli con gerarchie interne e con l’attribuzione di cariche ben
definite, come quella dello scholasticus incaricato di dirigere le scuole
annesse alle cattedrali. L'evoluzione del clero era poi continuata su
queste linee, ed alla metà dell’XI secolo i capitoli avevano ormai
l'aspetto di comunità monastiche, con caratteri distinti e differenziali
nei confronti degli ordini abbaziali, e una particolare specializzazione
di carattere giuridico e teologico. È quindi ben comprensibile che
l’accesso ai titoli canonicali venisse riservato ai chierici, dotti nel
diritto canonico e nelle scienze teologiche, che fossero capaci di
coadiuvare il vescovo nell’amministrazione delle diocesi, e nel corso
delle fre- quenti contese civili e religiose con le autorità laiche e la
curia roma- na, e nelle lotte contro la diffusione delle dottrine
ereticali. La pre- senza di questi elementi dotti — che spesso esercitavano
al tempo stesso funzioni curiali ed ecclesiastiche — favori poi la
formazione nelle maggiori sedi vescovili di veri e propri centri di vita
intellettuale, do- tati di grandi biblioteche, e di adeguati organismi
scolastici. Ed è appunto nell’ambiente delle scuole “cattedrali” che
fiori una ricca cul- tura filosofica e letteraria, caratterizzata insieme
da un notevole svi- luppo degli studi giuridici, da una lunga pratica
delle “arti sermo- cinali” (grammatica, dialettica e retorica), e da un
grande impulso alla riflessione teologica ed alla conoscenza filosofica e
scientifica. Lo sviluppo delle scuole cattedrali cittadine è un
fenomeno che interessa già buona parte dell’XI secolo, ma i suoi frutti
matureranno nel secolo successivo in concomitanza con una generale
rinascita cul- turale che non interessa però soltanto il campo degli
studi filosofici e teologici, bensi tutti gli aspetti della vita
intellettuale, dalla lette- ratura alla medicina, dal diritto alle
scienze astronomiche e mediche. Il cosiddetto “rinascimento del XII
secolo” — che taluni storici hanno voluto porre unilateralmente sotto il
segno di un ambiguo umanesimo di tono letterario e devoto — ebbe anzi
all’inizio un carattere giuridico e scientifico e diede comunque i suoi
primi frutti nel campo di questi studi e non in quello letterario o
filosofico. Anche gli ambienti in cui fu più fervido l’amore per le
“lettere antiche” e più viva l’imi- tazione e la venerazione dei poeti e
dei filosofi classici, furono spesso ervasi da un uguale entusiasmo
per le nuove cognizioni scientifiche che si diffondevano in Occidente
attraverso il tramite prezioso degli inter- preti arabi. Né si comprende,
ad esempio, il significato e la funzione storica dell’“umanesimo” di
Chartres, se si dimentica che quei raffi- nati maestri, cosî amanti degli
studia litteraria e dei grandi miti platonici, sono acuti interpreti del Timeo
“fisico,” lettori di Calcidio e di Macrobio, e ricercano con grande
curiosità e interesse i testi di carattere astrologico, medico e
addirittura magico. Del resto, il notevole progresso compiuto, già
alla fine dell'XI secolo, dal sapere giuridico e medico-scientifico, è
particolarmente vi- sibile per chi studi l’ambiente intellettuale delle
città italiane dove le nascenti istituzioni comunali favoriscono
naturalmente il costituirsi di un tipo di scuola svincolato dall'ambito
ecclesiastico e caratterizzato dalla sua natura laicale. Proprio negli
ultimi anni dell'XI secolo, Affla- cio, Nicola e Bartolomeo di Salerno
compongono i primi trattati di anatomia e di terapia; mentre a Bologna,
tra gli ultimi anni del secolo e l’inizio del XII, sorgono quelle scuole
di giurisprudenza che avranno tanto peso anche sugli sviluppi della
riflessione politica, e contribuiranno, fin dalla loro origine, alla
formazione di un nuovo metodo di interpretazione e di analisi dei testi
del Corpus juris. Que- sti studi giuridici — i cui metodi influiranno non
poco anche sul- l'evoluzione parallela degli studi teologici e filosofici
— ebbero in primo luogo il grande merito storico di restaurare in
Occidente una tradizione giuridica, come quella romana, particolarmente
consona al- le nuove istituzioni sociali e politiche delle città comunali
e delle na- scenti monarchie nazionali. Però la loro metodologia e i
principi cui erano ispirati influenzarono profondamente anche l’ordinamento
in- terno della Chiesa, che proprio agli inizi del XII secolo — dopo i
primi tentativi di raccolte canoniche di Burchardo di Worms, Deusdedit
e Ivo di Chartres (t 1117) — definisce il proprio diritto autonomo,
san- cito nel 1139 dal cosiddetto Decretum di Graziano. La fioritura di
una vasta letteratura “canonistica” che riprende gli stessi metodi
esegetici delle scuole giuridiche laiche contribuisce poi, naturalmente,
alla tra- sformazione della cultura delle scuole ecclesiastiche, sempre
più per- meata da atteggiamenti e motivi “profani” e da nozioni
“tecniche” di squisito carattere grammaticale e logico. Adottando il
metodo di espo- sizione dialettica, tipico delle scuole giuridiche
laiche, anche i canonisti debbono acquistare e sviluppare una
problematica concettuale, fondata sui testi aristotelici, e, certo, ancor
più avanzata di quella già affrontata da Anselmo di Besate e dallo stesso
Berengario. Allo sviluppo degli studi giuridici e di quelli medici,
sollecitati dal crescente afflusso di testi greco-arabi, corrisponde
quindi assai presto anche la tendenza della speculazione teologica a
organizzarsi definitivamente secondo metodi espositivi e critici non
molto lontani da quelli invalsi nell’insegnamento giuridico e, quindi, un
crescente 116 Caratteri, tendenze ed ambiente storico
della cultura del XII secolo uso delle tecniche razionali
applicate, spesso, con una precisa consa- pevolezza delle loro
implicazioni speculative. Non solo; ma la discus- sione dei più grandi temi
teologici implica subito anche la trattazione delle dottrine
schiettamente filosofiche che hanno una stretta attinen- za con tali
argomenti, e, quindi, una più chiara coscienza dei gravi problemi che
sorgono dal rapporto tra teologia e filosofia, o, per me- glio dire, tra
l'accettazione di una serie di postulati dogmatici e una analisi della
realtà condotta sulla linea della filosofia classica, rappre- sentata
soprattutto dalle sue componenti platoniche. La cultura delle più
importanti scuole cattedrali — che sono i centri principali della
rinascita filosofica — è, non a caso, caratteriz- zata da una larga
familiarità con quei testi cui è affidata in Oc- cidente la sopravvivenza
della tradizione platonica e neoplatonica, nonché dalla conoscenza sempre
più vasta e approfondita dell’Orga- non aristotelico. Ma accanto a questi
documenti di schietto carattere filosofico, gli “scolastici” di Chartres
o di Parigi pongono anche le grandi “reliquie” letterarie della civiltà
romana, ammirano la castità dei puri modelli ciceroniani e si sforzano di
imitare quella forma di eleganza e di stile che è fissata dalla
tradizione retorica classica. Lettori nostalgici di Virgilio e di
Stazio, di Ovidio e di Lucano, ammiratori di Seneca e di Cicerone, essi
difendono contro i rigidi ri- formatori certosini il valore di una
formazione letteraria ed umanistica che perfeziona e porta alla sua
massima fioritura i caratteri più validi della cultura di origine carolingia.
Ma il loro amore per gli exempla degli antichi, il loro entusiasmo per
l’eloquentia, anzi il “miele soa- vissimo,” che sgorga dalle pagine di
Cicerone o di Seneca, o per la poesia di Ovidio, è certo cosa ben più
seria e profonda che la fredda imitazione di modelli retorici o la
ripetizione di vecchi moduli lette- rari mai dimenticati dalla cultura
scolastica occidentale. I chierici del XII secolo che vivono
nell’ambiente fecondo e vi- tale della città, a contatto con il corso
tumultuoso degli eventi politici, delle passioni di parte e delle contese
ecclesiastiche e sociali, ritrovano infatti in quegli scrittori esempi e
forme di “umanità” che sembrano esattamente celate nelle vicende di una
società e di una cultura pur cosi lontana e diversa. Ecco perché uno
“scolastico” — come Ber- nardo di Chartres — può porre a fondamento di
tutti gli studi la lettura e lo studio devoto degli antichi che non
minaccia o contamina affatto la purezza della fede; ed ecco perché in
tutti gli ambienti di alta cultura, da Parigi a Chartres, da Orléans a
Reims, la ricerca teo- 117 L’XI e il XII secolo
logica e filosofica si accompagna cosf spesso all’insistente
richiamo alla lezione dei classici, esaltata talvolta con accenti cosi
eloquenti da indurre taluni studiosi a supporre addirittura una ipotetica
continuità storica tra la cultura del XII secolo e l’umanesimo
rinascimentale. Non è questa l’occasione per discutere l’ipotesi
filosofico-storio- grafica di un’unica tradizione umanistica che dall’età
carolingia e dal “rinascimento” del XII secolo si spingerebbe fino
all’umanesimo “cri- stiano” del Quattrocento, interrotta, ma non spenta,
da secoli di “barbarie ritornata” e dalla deviazione scientifica e
“arabizzante” del XIII secolo. Né si può, tanto meno, illustrare le
complesse componenti ideologiche e confessionali che hanno ispirato
questo atteggiamento cosf poco rispettoso della verità oggettiva dei
processi storici. Ma nep- pure l’alto grado di gusto letterario e di
spirito umanistico, che rico- nosciamo nei versi di Ildeberto di
Lavardin, o nella spregiudicata coerenza etica delle lettere di Abelardo
e di Eloisa, può ingannare sull’effettivo carattere di una cultura che
rimane pur sempre nell’am- bito della vita e della tradizione medioevale;
ed alla quale manca pro- prio quella essenziale componente storica e
critica che sarà tipica del- l’umanesimo quattrocentesco. Che
i dotti del XII secolo conoscano perfettamente i grandi scrit- tori
latini e li leggano con assiduità ed amore; che uomini come Gu- glielmo
di Conches, Abelardo e Giovanni di Salisbury, abbiano inte- ressi
filosofici e atteggiamenti dottrinali di cui stupisce la libera spre-
giudicatezza, sono verità indubbie ormai ben accertate dalla comune
esperienza degli studiosi. E certamente, chi pensi alla eccezionale fio-
ritura letteraria del XII secolo, che ha in Francia la sua più alta
espressione, non può negare la presenza di una vocazione classica che
ispira tanto i Romans che i Fabliaux o i grandi poemi didascalici, quanto
le grandi cosmologie chartriane. Eppure, quando si approfondisce bene il
significato dello stretto rapporto che sembra unire taluni ambienti o
personalità di questa cultura alle loro “fonti” antiche e, in generale,
al mondo classico, non è difficile intendere che la “classicità” del XII
secolo è in sostanza un prolungamento o addirittura il raffinato esau-
rimento della civiltà antica. E il classicismo dei letterati o dei poeti
del XII secolo ci appare piuttosto come la nostalgia di un passato di cui
si avverte il fatale decadimento piuttosto che l’inizio di un nuovo modo
di sentire e di vivere. Ciò non toglie, naturalmente, che la
cultura di questo secolo segni un grande e fecondo progresso nei
confronti dei secoli prece- denti, e rappresenti il frutto di una società
in movimento, che muove 118 Caratteri, tendenze ed
ambiente storico della cultura del XII secolo verso una crescente
espansione economica e civile. Questo carattere è del resto confermato,
forse, più che dalla rinascita letteraria e poetica del secolo, dal forte
interesse per tutte le nuove forme di sapere, cosi vivo in tutti gli
ambienti più avanzati intellettualmente. L'eleganza letteraria, la
formazione umanistica e la dottrina teologale non con- trastano, in molti
pensatori del tempo, con un vivace spirito natura- listico che si nutre
spesso degli apporti decisivi delle scienze greco- arabe rientrate adesso
nel circolo della cultura occidentale. I maestri di Chartres, educati dal
gusto raffinato di un insigne grammatico co- me Bernardo, non esitano
infatti a dare al loro platonismo un’im- pronta schiettamente cosmologica
e inserire nel loro contesto dottri- nale le novità filosofiche che
vengono dai centri della Spagna o della Si- cilia ove si traducono i
testi arabi. È certo significativo che numerosi te- sti scientifici e
filosofici tradotti in latino siano subito largamente usati nelle scuole
francesi più importanti e assorbiti nell’ambito di una cultu- ra che si
fonda tuttavia sulle costanti della tradizione platonica e della riflessione
agostiniana. La fortuna delle traduzioni di Adelardo di Bath (che, venuto
a contatto con la cultura araba attraverso l’Italia meridionale e la
Sicilia, fa conoscere in Occidente numerosi testi arabi di astronomia, di
ottica, di aritmetica e di trigonometria) e di Ermanno il Dalmatico,
autore tra l’altro della versione del Plarisfero di Tolo- meo; la rapida
diffusione delle versioni affrontate dalle scuole di To- ledo negli
ultimi decenni del secolo, offrono una precisa testimonianza degli interessi
e delle tendenze che cominciano già a profilarsi nell’am- biente
scolastico e del nuovo corso che viene assumendo lo svolgimento del
pensiero medioevale. 3. 1 centri della nuova vita
intellettuale L’importanza che ebbero le varie scuole e il loro
rapporto con i successivi sviluppi della cultura medioevale saranno
esaminati parti- colarmente nelle pagine seguenti. Ma, per meglio
definire e limitare il carattere della “rinascita” del XII secolo, sarà
bene osservare che essa ebbe il suo centro in un’area geografica ben
delimitata che com- prende principalmente le città dell’Italia
settentrionale, le città del centro e dell’ovest della Francia, alcune
sedi episcopali inglesi e spa- gnole e la corte normanna in Sicilia.
Però, lo sviluppo della vita intel- lettuale fu diverso secondo i vari
ambienti; se la cultura delle città italiane fu eminentemente giuridica e
medica, le scuole cattedrali di 119 L'XI e il XII
secolo Chartres e di Orléans furono invece i centri della
rinascita letteraria e filosofica, Reims e Laon ebbero piuttosto una
solida tradizione scien- tifica, mentre le scuole parigine assunsero fin
dall’inizio una precisa caratterizzazione teologico-filosofica.
Alla testa di questo movimento sono poi (e con la sola eccezione
delle scuole giuridiche e mediche) ancora uomini di chiesa, formatisi
nelle scuole cattedrali e spesso, a loro volta, maestri e cancellieri di
queste stesse istituzioni. Non a caso, alcuni tra i più interessanti
scrit- tori del XII secolo sono dei vescovi, come Ildeberto di Lavardin
(sco- lastico di Tours), Gilberto de la Porrée (maestro a Poitiers),
Pietro Lombardo (uno degli iniziatori della tradizione scolastica
parigina) e Giovanni di Salisbury (vescovo della stessa sede di Chartres
ove si era formato), oppure dei canonisti come Ugo di Orléans, mentre
altri provengono direttamente dalle scuole cattedrali francesi come
Roberto di Melun, Guglielmo di Conches e Bernardo Silvestre. Né è
diversa la situazione in Inghilterra, ove le muove esperienze
intellettuali si svolgeranno appunto nella maggiore sede vescovile, a
Canterbury. Qui avrà la sua prima formazione uno squisito letterato e
acuto filosofo come Giovanni di Salisbury. Qui un gruppo di giuristi e
canonisti di origine italiana darà un impulso eccezionale agli studi
giuridici. E sempre a Canterbury Tomaso Becket, arcivescovo e cancelliere
d’In- ghilterra, curerà la formazione di una dotta élite ecclesiastica,
pari- menti educata alla dottrina teologica ed alla pratica delle arti liberali.
Ben presto anche le città spagnole riconquistate ai mussulmani,
vedranno sorgere e prosperare scuole cattedrali non dissimili da
quelle francesi e inglesi che, soprattutto a Barcellona c a Toledo,
saranno il tramite diretto tra la cultura latina dell'Occidente e la
grande espe- rienza della civiltà classica. Proprio il vescovo di Toledo,
Raimondo, provvederà infatti a istituire quel “collegio” di traduttori
donde usci- ranno tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo le
fortunate versioni di tanti testi arabi ed ebraici. Queste
scuole e istituzioni ecclesiastiche, di cui abbiamo parlato,
eserciteranno, dunque, una funzione dominante nella cosiddetta “rina-
scita” del XII secolo. Ma accanto ad esse, e spesso anzi in potenziale
concorrenza, si sviluppano altri centri di attività intellettualé posti
sotto il patrocinio di sovrani e di altre autorità laiche. Già abbiamo
accennato alle scuole giuridiche e mediche italiane di carattere lai- co
che. godono o della protezione dell’Imperatore, o dei Comuni, o dei
sovrani normanni di Sicilia. Anche le corti francese e anglonor- manna,
che tendono però già a trasformarsi in organismi politici e am-
120 C..ratteri, tendenze ed ambiente storico della cultura del XH
secolo ministrativi, attraggono spesso intellettuali ecclesiastici
e laici, assurti talvolta ad alte funzioni; e lo stesso accade anche
nelle brillanti corti della Francia meridionale, dei Pirenei francesi e
dell’Aquitania, o nella corte di Palermo, che gareggia con le scuole
episcopali spagnole nella rapida assimilazione della cultura araba e
bizantina. Proprio a Palermo, durante il felice regno di Ruggero II
(1166-1189), l’incontro tra gli influssi arabi e bizantini e i motivi
tradizionali della cultura filosofica occidentale e della tradizione
medica meridionale sarà anzi particolarmente fecondo. Scienziati arabi,
come al-Idrisi, il maggiore geografo mussulmano, vivono alla corte del
sovrano normanno, in- sieme a traduttori e studiosi di dottrine
filosofiche come il vescovo Enrico Aristippo di Catania (autore delle
notissime traduzioni del Fe- done e del Menone [t 1162]) e l'ammiraglio
Eugenio di Palermo, o a dotti medici e astrologhi attratti dalle
munificenze del sovrano norman- no. Alla fine del secolo, la cultura
della corte siciliana sarà certo tra le pifi avanzate e moderne di
tutt'Europa; pochi decenni dopo, durante il regno di Federico II, la
magna curia palermitana costituirà un gran- de centro di attrazione per i
dotti di ogni parte di Europa, e avrà parte notevolissima nella
diffusione dell’opera di Averroè e di altri grandi maestri
mussulmani. La crescente influenza di vari centri intellettuali
ecclesiastici e laici, la raffinatezza e la civile misura delle principali
corti vescovili o signorili, cosî contrastanti con la povertà e la
rozzezza del X secolo o della prima metà dell’XI, non costituiscono però
un fenomeno iso- lato o caratteristico soltanto di alcuni ambienti di
particolare prestigio religioso o civile. L'incremento costante dell’attività
economica, la minore incidenza delle antiche barriere geografiche e
politiche sugli scambi e sui rapporti umani, favoriscono infatti una più
rapida cir- colazione delle idee e più feconde relazioni tra le diverse
regioni del- l'Europa occidentale. Lungo i grandi itinerari
commerciali continuamente battuti dai mercanti, lungo le strade percorse
dai pellegrini che accorrono ai gran- di santuari di Francia e di Spagna
o a venerare la tomba di S. Pietro, fluisce anche il rapido corso delle
nuove dottrine che raggiunge spesso, con impressionante rapidità, anche
gli ambienti più lontani e diversi. Come viaggiano mercanti e pellegrini,
che riportano in patria l’am- mirato ricordo delle città e delle scuole
ove è più viva l’attività intel- lettuale, cosî si muovono anche i
maestri e gli uomini di cultura spesso presenti, a breve distanza di
tempo, nei maggiori centri scolastici della Francia, dell’Inghilterra e
dell’Italia; e con loro circolano i codici co- 121
L'X! e su XII secolo piati da abili scrivani che giungono anche.
nelle pit lontane con- trade dell’Europa e si diffondono ovunque è vivo
l’interesse per le nuove esperienze intellettuali. Rompendo l’isolamento
in cui era ca- duta nel lungo periodo dell’anarchia feudale, la società
medioevale si avvia cosi a ricostruire un solido tessuto di istituzioni e
organismi di cultura, ancora dominato dall’egemonia della Chiesa, ma già
aperto a nuove prospettive filosofiche e scientifiche. Nel rapido fiorire
della civiltà comunale, mentre sorgono le grandi cattedrali romaniche
di Francia, delle Fiandre e d’Italia, i broletti cittadini e gli Studia,
an- che la vita intellettuale partecipa del nuovo corso storico e
collabora ad immettere nella rinascente civiltà europea forze ed energie
rimaste fino- ra soffocate dalle rigide strutture feudali. La
scuola di Chartres I. Bernardo di Chartres e Gilberto de la
Porrée Tra i centri di studi filosofici, già fioriti nella prima
metà dell’XI secolo, il più interessante e fecondo fu indubbiamente la
scuola catte- drale di Chartres, vicina a Parigi. La sua fama
risaliva già al tempo del vescovo Fulberto che vi aveva insegnato tra la
fine del X e l’inizio dell’XI secolo, e che non solo aveva dato
grande impulso allo studio delle arti del “trivio,” ma anche alla pratica
del “quadrivio” studiato sulla scorta delle tradu- zioni di Costantino
Africano. Più tardi, durante l’episcopato di Ivo, il prestigio della
scuola era stato accresciuto dall’autorità e dalla dot- trina di questo
vescovo; ma il predominio di Chartres nella cultura teologica e
filosofica della prima metà del secolo fu stabilito dall’ecce- zionale
personalità del bretone Bernardo, cancelliere della cattedrale, che
v'insegnò ininterrottamente dal 1114 al 1124. Il fatto che non possediamo
delle opere di sicura attribuzione rende certo difficile un esatto
apprezzamento dei suoi metodi pedagogici e della sua forma- zione
culturale; ma Giovanni di Salisbury che lo considerava “Ia pit ricca
fonte di cultura letteraria dei nostri tempi” ci ha lasciato una descrizione
quanto mai eloquente della personalità di Bernardo e del- la sua
particolare “professione” scolastica. Professore di retorica, ispi- rato
dalla tradizione di Cicerone e di Quintiliano, egli insegnava a Chartres
“le figure grammaticali,” i “colori retorici,” i “cavilli” dia- lettici,
e, insieme, esaltava le bellezze e l'ordine del discorso che deri- vano o
dalla “proprietà” (che si dà quando l’aggettivo o il verbu sono uniti
elegantemente al sostantivo) o dalle metafore per cui una parola può essere
traslata ad un altro significato. Questo insegnamento uma: nistico e
letterario non era però condotto da Bernardo in modo pe- dante e frusto:
ché anzi egli formava il gusto degli scolari presentando l'esempio dei
poeti e degli oratori classici; incitandoli a leggere e me- ditare
le pagine pit esemplari dell’antichità. Tuttavia la sua ammira- zione per
gli antichi non disconosceva neppure il valore dei “moderni” che hanno il
privilegio di conoscere “piu cose e pid lontane,” proprio perché, come
“nani assisi sulle spalle dei giganti,” possono valersi sia delle loro
nuove esperienze che dell’insegnamento degli antichi. Platonico in
filosofia — anche se è certo che conoscesse ben poco della genuina
tradizione platonica — Bernardo accettava i temi tradi- zionali del Timeo
e del commento di Calcidio; e cosf distingueva nettamente la materia
(Ayle) dall'idea che considerava come coincidente assolutamente con
l’essere. La materia era quindi per lui un elemento secondario, creato
da-Dio per imprimervi il suggello delle proprie idee eterne, e pertanto
assolutamente non coevo all’eternità divina. Di conseguenza Bernardo
distingueva anche le idee presenti nella mente di Dio come pure forme,
dalle idee presenti nelle cose e immanenti alla materia come riflesso e
ombre della suprema verità. Queste idee erano solo l’intermediario tra
Dio e il mondo, tra la perfezione della ragione eterna e la confusa
molteplicità della natura contingente e mortale. Il platonismo di
Bernardo, probabilmente ancora assai som- mario e generico, fondato su
dottrine e idee già espresse con ben mag- giore vigore dallo Scoto
Eriugena, influenzò tutto lo svolgimento della scuola che mantenne sempre
nei suoi maggiori esponenti la linea umani- stica e platonica. Ma
nell’insegnamento di Bernardo questa posizione fi- losofica era però
connessa allo studio della dialettica e della grammatica, due discipline
che avevano in comune il problema del significato del nome e del verbo e
della natura della posizione. Ora sebbene fosse lontano dal considerare
la grammatica come un semplice ramo della logica e s’ispirasse piuttosto
alla distinzione posta da Quintiliano tra grammatica e dialettica,
Bernardo non esitava ad attribuire un signi- ficato filosofico anche alle
questioni grammaticali. Da buon lettore di Macrobio e di Boezio aderiva
ad una concezione strettamente plato- nica dei termini di specie e di
genere, considerati come pure idee, mentre affermava che la natura degli
individui non merita, neppure grammaticalmente, di essere designata da
nomi sostantivi. Perciò, nel trattare, sulle tracce di Prisciano, il
problema squisitamente gramma- ticale della derivazione dei vari nomi da
una radice comune, Bernardo affermava che tutti i “derivati” significano
in primo luogo ciò che significa la loro radice, sia pure sotto relazioni
e accidenti diversi. Sicché il rapporto tra il nome primitivo e il
derivato si risolveva in una specie di partecipazione ideale
sostanzialmente analoga a quella posta dai platonici tra le idee e le
loro determinazioni individuali, La scuola di Chartres
Il maestro che continuò l'insegnamento di Bernardo succedendo- gli
nel cancellierato fu Gilberto de la Porrée (1076-1154) che, più tar- di,
passò alla scuola di Parigi influendo largamente sul suo sviluppo. Di-
fensore anch’egli dell'importanza formativa degli studi letterari, contro
la polemica dei riformatori certosini ostili alla diffusione del sapere
pro- fano, Gilberto fu uno dei suoi maggiori promotori della cultura
filosofi- ca della prima metà del secolo. E fu per suo merito che il
platonismo an- cora generico di Bernardo di Chartres si trasformò in una
coerente dot- trina gnoseologica e metafisica. La sua opera filosofica e
teologica con- siste principalmente in alcuni importanti commenti agli
scritti teo- logici di Boezio ma il suo nome fu legato per tutto il
Medioevo al- l’eccezionale fortuna di un breve commento delle Categorie
di Aristo- tele, il Lider sex principiorum, che fu iscritto nel programma
della Fa- coltà delle arti e studiato insieme ai testi di Aristotele, di
Boezio e di Porfirio. Questo scritto — che con ogni probabilità non è
opera di Gilberto — è comunque un documento tra i più interessanti del
pen- siero logico del XII secolo e, in particolare, delle tendenze
platoniche che esprime con notevole chiarezza. Muovendo dalla distinzione
delle categorie stabilite da Aristotele, l’autore del Liber le divide in
due gruppi, l’uno comprendente la sostanza e la qualità, la quantità e
la relazione che sono i suoi necessari attributi, e l’altro
comprendente invece le ultime sei categorie (luogo, tempo, situazione,
possesso, azio- ne, passione), e mentre attribuisce alle categorie del
primo gruppo la funzione di “forme inerenti” considera le altre come semplici
“for- me assistenti o accessorie.” Ora è chiaro che tale distinzione
stabilisce in realtà una vera e propria gerarchia metafisica delle
categorie che muovendo dal supremo “predicamento” della sostanza e dalle
altre categorie ad essa inerenti discende poi di grado in grado per
conclu- dersi con la categoria più intrinseca alla sostanza. Ma è appunto
in funzione di questo ordinamento che il Liber può risolvere in
senso perfettamente platonico e realistico la dottrina aristotelica delle
cate- gorie, concepite adesso non tanto come distinzioni logiche,
natural- mente distinte ma equivalenti in quanto termini della
predicazione, quanto piuttosto come entità metafisiche corrispondenti
alla struttura ideale dell’Essere. Non deve quindi
meravigliare che il platonismo del Liber avesse delle dirette incidenze
anche nell’ambito della riflessione teologica; ed è stato giustamente
rilevato che l’inclusione della categoria della “re- lazione” tra le
forme inerenti alimentò una lunga discussione sul si- gnificato
metafisico di questo concetto sempre connessa al problema teologico del
rapporto tra le persone trinitarie. Se il Liber non è certamente
opera di Gilberto, i suoi commenti agli opuscoli teologici di Boezio
bastano però ad assicurargli un posto di primo piano tra i maestri di
Chartres. In questi scritti Gilberto pone infatti una netta distinzione
tra la “sostanza” intesa come l’indi- viduo esistente in atto con le sue
qualità peculiari, e la “sussistenza” che è invece la proprietà o essenza
universale considerata in sé, indi- pendentemente dagli accidenti; sicché
ogni individuo risulta dall’unio- ne della propria sussistenza, senza la
quale non potrebbe mai essere se stesso, con quegli accidenti che gli
assicurano la propria determi- nata concretezza. Mentre i generi e le
specie sono pure “sussistenze,” prive come tali di una realtà sostanziale
e di determinazioni acciden- tali, gli individui sono pertanto dei
composti la cui sostanza deve necessariamente sottostare (sub-stare) a un
certo numero di accidenti. Una tale concezione implica,
naturalmente, che all’origine di ogni realtà siano delle idee o forme
sostanziali pure (substantiae sincerae), archetipi la cui realtà è
indipendente dall’esistenza delle singole co- se materiali e sensibili.
Però Gilberto chiarisce subito che queste pu- re idee non si uniscono
direttamente alla materia per creare gli in- dividui, ma che da esse
derivano delle forme distinte e separate le qua- li sono semplicemente
copie (exempla) delle idee divine. Tali forme nativae unendosi
alla materia danno appuato luogo alle sostanze in- dividuali; considerate
in se stesse, nella loro conformità all’idea divina sono invece principi
universali e costituiscono il fondamento dell’uni- tà delle specie e dei
generi. Per questo la mente umana può giungere a comprendere per
astrazione quelle forme nazivae che sono presenti ed unite
intrinsecamente agli accidenti nei singoli individui; il movimento del
pensiero dal particolare all’universale consiste appunto nel consi-
derare la forma nell’individuo, nel confrontarla con le altre che le so-
no simili, nel raccoglierle in un unico gruppo o collectio e nel giun-
gere, cosi, alla comprensione delle pure “sussistenze” (le specie). Na-
turalmente questo processo compiuto all’interno della specie può es- sere
ripetuto per risalire dalle varie specie al genere comune e di qui alla
visione dei modelli ideali che esistono eternamente nella mente
divina. Che una simile dottrina rappresenti il trionfo del pit classico
realismo platonico è cosa evidente. Ma Gilberto accentua ancor pit questo
carattere della sua filosofia quando affronta il problema del rap- porto
tra Dio e le creature che già lo stesso Boezio aveva definito in
La scuola di Chartres un senso schiettamente platonico. Il maestro
di Chartres respinge in- fatti la spiegazione tradizionale che faceva
direttamente dipendere da Dio l’esistenza e la realtà di tutti gli esseri
creati, per porre tra Dio e le cose concrete e individuali gli intermediari
metafisici delle forme o essenze. Ciò per cui esiste ogni singolo
individuo corporeo è l’essen- za universale della corporeità, cosi come
la ragione immediata d’esiste- re di ogni uomo è data dalla sua comune
Aumanitas: il che significa, secondo i termini boeziani ripresi da
Gilberto, che ogni realtà indivi- duale è determinata ad essere ciò che è
(14 quod est) da quel principio universale (gwo est) per cui essa
possizde la propria realtà. La funzione determinante di questo
principio nella costituzione dell’essere è quindi tale che si può ben
dire che il quo est è l’essere (esse) stesso di ciò che esiste; ed anzi
la verità di questa tesi è dimo- strata dalla stessa natura dell’essere
divino assolutamente semplice in cui l’id quod est e il quo est
coincidono necessariamente. Negli altri individui composti ha luogo
invece sempre la composizione dei due termini e quindi in certo senso una
imperfetta e limitata realizzazione del principio universale. Cosi un
individuo non è mai interamente ciò che è, proprio perché il fatto di
essere composto di un corpo e di un’anima che è la forma, gli impedisce
di identificarsi pienamente con questa stessa forma universale che pure
gli attribuisce il suo essere. La natura radicalmente platonica di
questa concezione non ha certo bisogno di essere sottolineata. Né occorre
notare che essa dà luo- go a una dottrina dell’essere per cui Dio, realtà
essenziale per eccel- lenza (essentia), da cui trae la propria essenza ogni
altro essere deter- minato, diviene in effetti l’essere e la forma di
tutte le creature. La sua attività creatrice consiste quindi
sostanzialmente nel produrre le forme o esse delle cose particolari ad
immagine e somiglianza delle Idee divine eternamente presenti nella sua
mente. E, quindi, questa forma generica o essenza determina la
connessione di una certa materia con la sua forma particolare, generando
cosi l’individualità concreta. In tal modo l’essenza divina sembra
comunicarsi di grado in grado alle altre creature alle quali conferisce
l’essere mediante la loro propria es- senza generica; mentre d’altra
parte, i singoli individui costituiti nel- l’essere dall’essenza o forma
che li fa esistere giungono tutti a parte- cipare dell’essere (o
generalissima subsistentia) attraverso una trama di essenze e di forme
(com: ad esempio la “corporeità” e “umanità”) il cui fondamento riposa in
ultima analisi sulla perfezione immutabile dell’essere divino.
Questa meditazione sull’essere di schietta misura platonica ha poi
naturalmente dei riflessi immediati e diretti anche sulla dottrina
teo- logica di Gilberto. È vero che egli definisce Dio come una realtà
es- senziale assoluta, semplice e indistinguibile in cui la diviritas si
iden- tifica con l’essertia. Ma la fedeltà ai suoi presupposti dottrinali
lo in- duce a ripetere spesso che ciò che Dio è (id quod est Deus), è Dio
a causa del proprio quo est (la divinitas). Ecco perché
Gilberto fu cosi duramente attaccato da Bernardo di Clairvaux e accusato
di sostenere tesi pericolose ed erronee; ma di- nanzi al concilio di
Reims egli seppe abilmente difendere la sua dot- trina, negando che la
distinzione metafisica tra substantia e subsisten- tia potesse valere
anche sul piano teologico. Del resto, nonostante le accuse e le polemiche
i temi centrali della sua speculazione, derivati per originale
elaborazione da Boezio, Dionigi, e lo Scoto Eriugena si ritroveranno in
scrittori del XII secolo; si da formare una vera e pro- pria scuola
teologica che, sull’inizio del XIII, s’incontrerà poi facil- mente con
gli esiti platonici dell’avicennismo latino (Liber de diversitate naturae
et personae; Sententiae divinitatis, ecc.). 2. Teodorico di
Chartres e Bernardo Silvestre Se Gilberto Porrettano indirizza il
platonismo di Chartres verso uno sviluppo schiettamente speculativo e
teologico, ‘Teodorico fratello minore di Bernardo (t 1154 ca.) riprese
invece dall’insegnamento del fra- tello il culto degli studi letterari e
l’interesse per le arti del “quadrivio.” Il suo Heptateuchon, prezioso
documento sull’insegnamento e la vita culturale di Chartres, è
un’illuminante testimonianza sulle conoscenze e gli interessi di un
intellettuale del XII secolo che divide la sua attenzio- ne tra la
lettura dei classici e lo studio delle scienze della natura con- dotte
non solo sulle fonti ormai tradizionali ma anche sui nuovi ma- teriali
greci e arabi. Cosi per l’insegnamento grammaticale Teodo- rico si giova
dei classici manuali di Donato e di Prisciano, per lo studio della logica
ricorre a Boezio ed ai testi aristotelici (ivi compresi i Primi
Analitici, i Topici e gli Elenchi sofistici) mentre svolge le sue lezioni
di retorica sulla scorta di Cicerone e di Marciano Capella. Ma più
interes- sante è l’elenco degli autori di cui si serve per l’insegnamento
delle arti del “quadrivio,” elenco che comprende i nomi di Boezio, di
Marcia- no Capella, di Isidoro, di Columella, di Gerberto di Aurillac e
di Igi- no, considerati gli autori più accreditati nei campi
dell’aritmetica, del- la geometria, dell’astronomia e della musica. E non
basta; Teodorico 128 La scuola di Chartres
conosce già anche le traduzioni di alcuni testi astronomici greci ed
ara- bi, come prova, tra l’altro, la dedica a suo nome della versione
del Planispherum di Tolomeo, compiuta dal suo discepolo Ermanno il
Dal- mata. Questi interessi scientifici, perfettamente
accordati cogli ideali uma- nisti dell'ambiente chartriano risultano ancor
pit evidenti nell’altra ope- ra maggiore di Teodorico l’Hexaemeron o De
septem diebus et sex ope- rum distinctione, un commento alla narrazione
della Genesi con- dotto principalmente sulla linea delle dottrine
platoniche del Timeo, ma con probabile riferimento anche ad altri testi
di origine medioe- vale come il De compositione mundi dello Pseudo-Beda.
Qui, lascian- do da parte l’interpretazione allegorica del testo biblico,
Teodorico si propone di svolgere un commento secundum physicam e ad
litteram, cioè d’interpretare in modo razionale e sulla base delle nozioni
fisi- che del suo tempo, “le cause da cui il mondo trae l'essere e
l'ordine dei tempi in cui fu creato e ordinato.” Perciò, convinto che
l’universo presenti un ordine perfettamente logico e struttura
matematica, si sfor- za di riconoscere un’intima necessità in tutti gli
aspetti della “fabbri- ca mondana” e di considerarli come le parti
indispensabili di un gran- de meccanismo formato con la massima
perfezione. Nell’ordine di produzione della realtà, egli riconosce
una causa efficiente che è Dio stesso, una causa formale (la saggezza
divina) che determina le essenze o le forme, una causa finale (la bontà
divina) verso cui tende tutta la creazione, e una causa materiale che è
invece costi- tuita dai quattro elementi tradizionali creati primamente
da Dio. Ma posti cosi questi principi, Teodorico tende però a spiegare la
forma- zione della natura e delle sue parti ricorrendo a considerazioni
mate- matiche ed all’analisi interna dei singoli movimenti che permettono
il rapido passaggio tra le particelle elementari. Tali particelle non
sono concepite come dotate di qualità fisse e neppure come poste in
luoghi fissi; ché anzi tutti gli elementi sono sottoposti ad una sorta di
reci- proca compenetrazione, si che la terra può passare, ad esempio,
dallo stato di solidità a quelli di liquefazione e di combustione.
D’altra parte, anche le qualità fondamentali come la durezza o la
leggerezza proprie dei singoli elementi sono soltanto il risultato del
movimento generale degli altri elementi che preme da ogni parte l’acqua e
la ter- ra. Quindi egli può spiegare la creazione biblica della terra e
del cielo, semplicemente come la produzione delle particelle elementari
mobili, il cui movimento richiede appunto l’esistenza di un centro
immobile (la terra) attorno al quale rotano le particelle dell’aria e del
fuoco. L'importanza storica di tale concezione fisica — che il
Gilson, for- zandone il significato, ha avvicinato addirittura alle
dottrine dei fisici parigini del XIV secolo — consiste principalmente nel
tentativo di spiegare le trasposizioni interne e le relazioni reciproche
degli ele- menti con un’analisi schiettamente fisica e meccanica che ha i
suoi fondamenti nel commento al Timeo di Calcidio. Ma questo
atteggia- mento (che è perfettamente coerente con la mentalità matematizzan-
te propria del platonismo chartriano) è ancor più interessante se si pen-
sa che Teodorico, ignorando la Fisica di Aristotele e le sue teorie del
movimento, avanza già la teoria dell’impetus, come spiegazione natu- rale
dei processi di moto e cosi adombra un'ipotesi fisica destinata a lunghi
sviluppi nella storia della tarda scolastica. Sarebbe certo assai
‘interessante seguire Teodorico nello svolgi- mento particolareggiato
della sua cosmologia platonica. Ma più che la lunga descrizione del modo
in cui ha creato successivamente tutte le forme e i momenti della natura
(e, in particolare, l’armonia perfetta degli astri e del firmamento)
gioverà osservare che nell’Hexaemeron, an- che l’esistenza di Dio e la
sua relazione e distinzione dal mondo, vie- ne dimostrata con un
procedimento argomentativo di schietto impianto matematico che implica a
sua volta la credenza in un ordine “pitago- rico” dell’universo. Come
aveva già fatto Scoto Eriugena, anche Teo- dorico afferma infatti che Dio
è unità e che tale unità è la forma es- sendi di tutto ciò che esiste.
Sicché si può ben dire che tutte le cose sono in Dio perché Egli ne è la
forma essenziale e l’unico fonda- mento. Ciò non significa
però che Dio sia presente nella materia di ogni essere, ma bensi che la
“presenza della divinità in tutte le creature è il loro essere totale ed
unico” si che “la stessa natura deve la sua esi- stenza alla presenza
della divinità» Ma se è vero che il mondo delle creature si presenta all’esperienza
umana come il regno della molte- plicità e del divenire, laddove Dio è
invece l’unità immobile e im- mutabile, non sarà difficile comprendere
che il molteplice e il muta- bile presuppongono sempre l’unità e che, al
di là di ogni distinzione o mutamento, deve sempre esistere l’uno
immutabile. Come la serie dei numeri presuppone sempre l’unità da cui
deriva, cosî l’universo trae origine in ogni sua molteplice
manifestazione dalla semplice unità di- vina; e tutte le unità di cui è
composto non sono che partecipazioni alla vera unità, la cui esistenza è
anzi determinata proprio dal grado e dalla continuità di questa
partecipazione. Per questo i teologi insi- stono sempre sull’unità
essenziale di Dio, pur distinguendo in que- sta unità la diversità
delle persone; e difatti lo st:sso termine “perso na vuole appunto
indicare che l’unità di Dio permane sempre iden- tica sia nel generante
(Padre) che nel g nerato (Verbo). Anche i filo- sofi pagani, che
definiscono Dio come Pensiero, Provvidenza o Sag- gezza hanno sempre
considerato questi caratteri come det.rminazioni dell’Uno, sussistenti e
presenti entro l’unità divina. Né sarebbe possi- bile intendere o pensar:
Dio prescindendo dal principio dell’unità che ne costituisce il carattere
dominante e consustanziale. Ecco perché Teodorico, pur tenendo
fermo alla distinzione cri- stiana tra Dio e il mondo e sforzandosi anzi
di evitare ogni accento panteistico, accetta il principio neoplatonico
della generazione della unità dall’altra unità e lo applica anche in
campo teologico secondo il principio della processione del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo. Non solo: il filosofo chartriano non esita
ad identificare la terza per- sona trinitaria con l’anima del mondo platonica,
concepita come prin- cipio formatore ed agente che dà ordine e
disposizione alla materia creata. . L’influ:nza di queste
dottrine filosofiche e teologiche, sostenute da un notevole corredo di
nozioni matematiche, fisiche ed astronomi- che, è assai larga e duratura
anche al di là dell'ambiente di Chartres o delle correnti platoniche
ancora dominanti nel XII secolo. Né si deve dimenticare che la loro
diffusione contribuisce a creare quel particolare humus filosofico cui si
deve la particolare fortuna del Liber de causis e quindi il rifuire di
alcuni dei più tipici motivi neoplatonici, nella cul- tura filosofica
dell’Occidente. La tendenza ad accordare in un unico contesto
intellettuale la tra- ‘ dizione ntoplatonica e i nuovi interessi
scientifici, lo studio dei clas- sici e l’interpretazione filosofica del
testo biblico, è propria anche di Bernardo Silvestre, uno scrittore e
poeta legato evidentemente all’am- biente di Chartres. Nel suo poema De
mundi universitate sive Mega- cosmus et microcosmus ritroviamo la stessa
influenza dominante del Timeo platonico e del commento di Calcidio, la
stessa presenza di mo- tivi tratti da Macrobio e dall’Asclepius e insomma
le stesse predile- zioni l:tterarie e filosofiche proprie dei maestri
chartriani. Composto sul modello tradizionale del De consolatione
boeziano, scritto in di- stici elegiaci alternati a brevi passi di prosa,
il De mundi universitate si presenta come un lungo dialogo tra la Natura
e la Provvidenza che offre il pret:sto per narrare la formazione
dell’universo e la sua costru- zione secondo le norme e gli archetipi
ideali della mente divina. Nel I libro la Natura si lamenta con la
Provvidenza per lo stato di caos e di confusa mescolanza in cui si
trova la materia prima, e la prega di dare ordine all’universo e di
ordinarlo secondo misura e bellezza. La Prov- videnza acconsente éd
inizia a distinguere la materia nei quattro ele- menti e a disporli nell'ordine
e nelle connessioni dovute. Dopo aver eseguito questa prima opera la
Provvidenza si rivolge alla Natura, le celebra l’ordine e l'armonia che
ha introdotto nelle cose, la perfezione delle forme universali (libro
II). Ma l’opera non è terminata; e di- fatti la Provvidenza promette di
formare l’uomo come coronamento e culmine dell’ordine mondano. Alla
promessa segue l’adempimento; cosi l’uomo viene formato con quanto resta
d:i quattro elementi e co- stituito come sintesi (microcosmo) di tutta l’immane
“fabbrica” del- l'universo (macrocosmo) di cui ripete e raccoglie tutte
le più alte per- fezioni. Questo tessuto poetico e
dottrinale, in cui s'intrecciano i temi più cari ai pensatori chartriani,
le probabili reminiscenze di antichi motivi ereticali e la diretta
influenza degli scritti di Tolomeo e di Albumasar (da poco noti agli
occidentali) è però solo uno schema letterario parti- colarmente adatto
per svolgere in forma allegorica una vasta concezione cosmogonica, il cui
carattere è ben espresso dalla figura del vecchio de- miurgo Pantomorfo
che forma e modella le creature naturali secondo i terreni esempi delle
idee. Poiché se da Dio emana il Logos che con- tiene in sé tutte le
eterne forme delle cose, dal Logos procede a sua volta l’Anima del mondo,
principio plasmatore della materia monda- na, alla quale imprime il
suggello delle forme. Essa, agendo entro la hyle informe, costituisce
perennemente il cosmo nella sua armonia razionale. Particolare e insieme
universale, l’Anima mundi è il com- plesso delle cause seminali sempre
presenti dal momento in cui è stato generato il mondo. Per essa ogni cosa
creata ha il suo giusto stato e per sua opera l’armonia regna sovrana
nella natura. Di fronte alla perfezione archetipa delle forme e
dell’anima ordi- natrice sta però, nel grande quadro cosmologico del De
wuriversitate mundi, una materia puramente informe (4yle), condizione
fondamen- tale dell’esistenza del cosmo. Questa informità primordiale,
quest’or- rida sylva caratterizzata dalla confusione e dal male, è
concepita da Bernardo con una singolare oscillazione che rivela, da un
lato, l’esi- genza di evitare una possibile conclusione dualistica, ma
anche la per- sistenza di suggestioni e reminiscenze di antica ascendenza
stoica. La insistenza sul carattere negativo della materia, sulla sua
irriducibile “malignità” è infatti un aspetto particolarmente
significativo del poe- ma di Bernardo, anche se non mancano accanto a
passi di netto sa- 133 La scuola di Chastres
pore dualistico, altri testi che testimoniano lo sforzo di accordare
l’idea platonica di un “non essere” posto a fondamento dell’essere o
l’im- magine stoica del caos primordiale con Ja tradizionale nozione
bi- blica della creazione ex mnihilo. Sono questi, del resto, atteggiamenti
facilmente comprensibili nell’ambito di una composizione poetica che non
mira tanto ad una salda unità dottrinale quanto all’uso fantasioso di un
ricco materiale filosofico suscettibile delle più lontane e diverse interpretazioni.
In realtà, il merito storico pit importante dell’ope- ra di Bernardo
Silvestre sembra consistere nella diffusione di motivi destinati, con
alterna fortuna, a comparire spesso nella cultura filosofica medioevale e
a fornire argomenti per le interpretazioni più lontane ed avverse. Per
questo, mentre v’è stato chi ha voluto avvicinare la conce- zione di
Bernardo Silvestre a dottrine tipicamente dualistiche, come la eresia
amalriciana, altri, e particolarmente il Gilson, hanno invece for- zato
il significato del suo poema in un senso decisamente ortodosso. Né
stupisce che l’interpretazione degli storici sia spesso rimasta incerta
dinanzi all’aspetto bifronte di un poema che raccoglie nel suo ordito
vario e fantasioso i motivi e le idee più diffuse nella cultura filosofica
del suo tempo. Per il resto, l’opera di Bernardo è un documento
assai interessan- te sulla diffusione di quelle dottrine astrologiche e
geomantiche che gli ambienti intellettuali dell'Occidente venivano
rapidamente assimilan- do dai testi arabi. Un’operetta come il
Mathematicus, tutta impostata su di un tipico topos della tradizione
astrologica, e la traduzione del- lo Experimentarius, trattatello
g-omantico rielaborato da Bernardo, ba- stano a mostrare la larga
familiarità di questo poeta con i tempi più caratteristici della
tradizione magico-astrologica. 3. Guglielmo di Conches
L’opera di Bernardo Silvestre rappresenta certamente un singo-
lare tentativo di tradurre nel quadro allegorico di un mito cosmolo- gico
idee e dottrine che circolavano largamente nell’ambiente di Char- tres.
Ma chi dette a queste dottrine una formazione addirittura clas- sica,
destinata a influenzare durevolmente il pensiero del XII secolo, fu il maestro
Guglielmo di Conches (1080-1145), sulla cui filosofia gio- va soffermarsi
con particolare attenzione. Discepolo di Bernardo di Chartres e quindi
maestro egli stesso per circa vent'anni, Guglielmo fu anche un
grammatico, lettore dei classici, e difese contro i “cornificia- ni”
nemici delle l-ttere l'ideale chartriano di una cultura fondata sul co-
stante colloquio con gli antichi e la raffinata conoscenza di tutte le
“ar- ti” liberali. Autore tra l’altro di un Commento al Timeo di grande
im- portanza filosofica e storica, di glosse alla Consolazio, e di
scritti mo- rali ispirati a Cicerone ed a Seneca, le sue opere principali
furono però la Philosophia mundi, una vasta enciclopedia filosofica e
scientifica, c il Dragmaticon Philosophiae in forma di dialogo col duca
di Norman- dia, Goffredo Plantageneto, ove Guglielmo riespone
soprattutto, svi- luppandoli con grande ampiezza, i problemi fisici già
discussi nella Phi- losovhia alla luce di opere conosciute già vent'anni
prima dai maestri dell'Occidente. Gli studi più recenti sulla
scuola di Chartres e il platonismo me- dioevale hanno giustamente
attribuito un particolare valore a questi scritti ed hanno posto in
esatto rilievo la robusta e lucida ispirazione scientifica e filosofica
del loro autore che si fonda, naturalmente, sulla tradizione del Timeo e
del commento di Calcidio, ma mostra anche una notevole conoscenza di
altri filoni sp*culativi (ad esempio, la tra- dizione ermetica) e una
evidente familiarità con le nuove dottrine scientifiche di origine araba.
Come filosofo e scienziato anche Gu- glielmo si sforza di perseguire
l’accordo tra l’ispirazione platonica del suo pensiero e il testo
scritturale, e mira a rendere possibile una du- plice coesistenza tra la
rivelazione biblica e dottrine filosofiche e scien- tifiche che gli.
vengono da tradizioni assai lontane e diverse. Ma seb- bene nella sua
concezione dell’universo domini la figura del Dio cri- stiano, la cui
esistenza è proprio accertata dall’ordine e dalla perfetta disposizione
della natura, pure Guglielmo applica anche alla dottrina della creazione,
motivi dedotti sostanzialmente dal Timeo platoni- co. Cosi mentr:
afferma, da un lato, che l’atto creatore di Dio ha di- rettamente
prodotto la materia traendola dal nulla, le Idee, concepite come causa
formale dell’universo, rappr:sentano i modelli e gli arche- tipi eterni
sui quali sono plasmate le singole cose sensibili. L’“anima del mondo,”
che Guglielmo, nella PAslosophia, identifica anch’egli con lo Spirito
Santo, è quindi l’intermediario divino che traduce nella real- tà
l’ordine ideale, conducendo a perfezione l’opera mondana. Ma, a
diff:renza di Teodorico, Guglielmo non si limita solo a risolvere que-
sto tipico motivo platonico e stoico nella trattazione del dogma trini-
tario (ed anzi nel Dragmaticon questa identificazione è chiaramente
ripudiata); bensi la presenta come una forza infusa intrinsecamente alla
natura, o, per usare le sue stesse parole, come il principio vitale “che
dà l'essere alle piante, la vita alle erbe ed agli alberi, il sentire
agli animali e la ragione agli uomini.” È vero che tale
principio è anche “la divina disposizione degli clementi”; ma il fatto
che in Dio siano eternamente presenti l’ar- chetipo della realtà e la
precognizione di tutti gli eventi, non toglie che nell’ordine mondano
esista una disposizione o processo naturale delle cose che se pur
risponde all’eterno disegno divino, si svolge per una intrinseca
necessità razionale. Quest’ordine che coincide con l’opera “industre”
dell'anima del mondo ha anzi una struttura schiettamente matematica. Ed è
naturale che Guglielmo voglia spiegare la forma- zione dell’universo
ricorrendo a ipotesi matematiche e a procedimenti meccanici e accettando,
insieme alla teoria degli elementi primi, anche le tesi atomistiche che
erano state ripresentate in Occidente dalla tradu- zione di Costantino
africano e di Adelardo di Bath. Questo atteggiamento si riflette anche
sulla sua concezione della natura che riprende e svolge motivi già
parzialmente presenti anche nel pensiero di Teodorico. Tra questi il più
interessante è certo la caratteristica distinzione tra il momento della
creazio mundi e quello del perfezionamento o exornazio della “fabbrica
mondana” dovuto alle tendenze intrinseche all’ordine naturale e ai
principi immanenti alla stessa natura. Perciò Guglielmo (i cui interessi
scientifici sono testimo- niati da una larga e significativa conoscenza
delle principali opere e no- zioni scientifiche note al suo tempo) dà
particolare importanza alle arti del “quadrivio” che indagano la
struttura e i processi della natura e ne rivelano i fondamenti matematici
e la costituzione atomistica. Matema- tica e geometria, astronomia e
musica sono pertanto gli strumenti ne- cessari “per le vere conoscenze
della realtà» Ed è alle loro leggi che de- ve ispirarsi anche la dottrina
del filosofo e la sua indagine della “dispo- sizione o ordine naturale
delle cose.” All’ambiente di Chartres, agli interessi ed alla
cultura scientifica di Guglielmo di Conches, può essere giustamente
avvicinato anche il singolare quadro della natura tracciato nel De
imagine mundi da un maestro della prima metà del XII secolo, Onorio di
Autun, la cui per- sonalità resta peraltro assai incerta ed enigmatica,
ed al quale sono state attribuite, con eccessiva liberalità, opere e
dottrine troppo diverse e di- scordi. Il De imagine — che non possiamo
qui analizzare minutamente — è certo un documento d’estremo interesse
sulle cognizioni scientifi- che del XII secolo; ma pit che le singole
nozioni che costituiscono una vera e propria enciclopedia della Natura
(il De imagine tratta infatti del cosmo fisico e della sua composizione
elementare, delle terre poste al L'XI e il XII secolo
centro del mondo, delle zone in cui esso si divide, della sua fauna e
flora, e quindi del cielo e degli astri, nonché della storia del mondo
dal tempo della creazione) l’attenzione dello studioso è attratta
dall’evi- dente familiarità di Onorio con un largo materiale attinto
anche al di fuori dei testi tradizionali di Beda e di Rabano, e,
soprattutto, dal suo largo interesse per la conoscenza della realtà
naturale considerata nella sua unità vivente e feconda. La scarsa originalità
di Onorio e l’assenza di una approfondita elaborazione filosofica non
toglie che il De imagine rappresenti, pur nella sua forma di enciclopedia
volgarizzata, uno spec- chio fedele di quella cultura in cui maturarono
le opere dei maestri di Chartres e la grande esperienza di
Abelardo. Comunque, anche la rapida analisi dei suoi principali
maestri ba- sta a mostrare che la scuola di Chartres fu un centro vitale
di cultu- ra, legato allo spirito umanistico, al gusto di un risorgente
classicismo, e alle controversie teologiche del tempo, ma profondamente
interessa- to a problemi filosofici e scientifici affrontati alla luce di
un'ispirazione plitonica che non ignorava però né la tecnica logica
aristotelica né i nuovi contributi: del sapere arabo. Scuola cattedrale,
e come tale pre- valentemente dedicata allo studio della teologia, essa
fu però uno dei più vivaci focolari di resistenza contro le polemiche di
Bernardo di Clairvaux e le correnti mistiche cistercensi che condannavano
aspra- mente lo sviluppo e l’incremento degli studi “liberali” e del
sapere naturale mondano. Né si deve dimenticare che furono proprio i
mae- stri di Chartres o uomini formatisi in quell’ambiente coloro che
lot- tarono contro le estreme degenerazioni della dialettica e il
pericolo che la grande ripresa degli studi del trivio e, in particolare,
della dia- lettica e delle retorica, si risolvesse in un vano giuoco di
schermaglie astratte o di eleganze formali. Le pagine che lo
stesso Guglielmo di Conches scrive contro l’inu- tilità delle vane
dispute o lo studio dell’eloquenza fine a se stessa, sono tra le
testimonianze più utili per chi vuole intendere il vero carattere degli
studi di Chartres. La sua polemica contro coloro che svuotando il sapere
di ogni contenuto spirituale lo riducono a un mero gioco ver- bale, è
infatti perfettamente situata nel quadro di una meditazione che scorge
tanto nella ricerca filosofico-scientifica che in quella teologica la via
diretta per elevarsi alla comprensione dei più alti misteri. Ecco per-
ché i filosofi di Chartres e il loro più geniale discepolo, Giovanni di
Salisbury, si opposero con irriducibile rigore ai sostenitori di un tipo
di cultura più elementare e pratica ridotta all’apprendimento delle so-
le cognizioni utili per le varie attività o professioni. Contro i
“cornifi- ciani” che cercavano il sapere e disprezzavano lo studio
disinteressato del “trivio” e del “quadrivio,” l’umanesimo chartriano
difese ed esaltò l'ideale di una formazione armoniosa e compiuta,
ugualmente volta al. mondo delle lettere ed alle ardite conoscenze
dell’ordine naturale. Il suo platonismo, in cui erano filtrati i motivi
più fecondi della nuova espe- rienza scientifica attinta alle fonti
greco-arabe (rese note dalle versioni contemporanee di Adelardo di Bath,
e, quindi, di Gerardo da Cremo- na, Ugo di Santalla, Platone di Tivoli,
Ruggero di Hereford, ecc.) è la espressione più compiuta del moto di
rinnovamento che domina tutta la cultura filosofica del XII
secolo, preparando la grande fioritura della riflessione duecentesca.
Capitolo quinto Lo sviluppo della logica e l'opera di
Pietro Abelardo V. Caratteri e aspetti della logica
abelurdiana Il raffinato platonismo e il vivace spirito
scientifico dell’ambiente di Chartres, è però solo uno degli aspetti
dominanti della rinascita fi- losofica del XII secolo. Mentre a Chartres
maturano le grandi cosmo- gonie e le enciclopedie politiche, è infatti
già in corso una profonda trasformazione degli studi logici, destinata ad
esercitare una vasta in- fluenza nella storia della cultura filosofica
medioevale. Già parlando delle predilezioni intellettuali di Teodorico di
Chartres, s'è visto qua- le importanza aveva per lui l’insegnamento
dialettico fondato sulle opere di Boezio e sulla conoscenza quasi totale
dell’Organon aristote- lico. Ma le testimonianze contemporanee sono anche
ricche di notizie e di accenni polemici sugli sviluppi della scuola di
Petit-Pont, nelle vi- cinanze di Parigi, dove Adamo Parvipontano avrebbe
stupito i suoi scolari proponendo e discutendo delle quaestiones
insolubiles, ossia alcuni di quei problemi sofistici entrati da tempo
nella pratica del- l'insegnamento dialettico. La cavillosa ingenuità di
molti dei problemi riferiti da queste testimonianze, non deve però ingannarci,
inducen- doci a credere che gli studiosi medioevali non si rendessero
conto della loro futilità. Esercizi di scuola, adoperati dai maestri per
affinare le capacità dei loro allievi, simili discussioni valevano
soprattutto a sti- molare l’interesse per un tipo di analisi dialettica
particolarmente utile per gli studiosi di diritto e di teologia. E chi
tien conto che l’insegna- mento della dialettica era propedeutico a
quello delle quattro arti maggiori, non trova difficoltà a consid:rare
anche questi esercizi come una manifestazione del vivace interesse per la
disciplina logica che sa- rà presto un carattere peculiare della
scuola parigina. È appunto in questo ambiente, dove erano
pen-trate anche le dot- trine di Berengario e di Roscellino, che si formò
la personalità più emi- nente della prima metà del XII secolo, Pietro
Abelardo. Nato a Pel- let, vicino a Nantes nel 1079, egli si
dedicò fin da giovanissimo allo studio delle arti liberali e specialmente
della dialettica di cui pare gli fosse maestro lo stesso Roscellino. Piti
tardi recatosi a Parigi, che era il centro più vivace di studi
dialettici, fu scolaro di un maestro come Guglielmo di Champeaux
(1070-1120) che godeva in quel momento di larghissima fama. Ma neppure la
dottrina di Guglielmo soddisfece il giovane studioso, che iniziò fin da
allora a combattere le dottrine del maestro con estrema vivacità.
La ragione di tale polemica è, del resto, perfettamente chiara ed
evidente.Discepolo di Manegoldo di Lautenbach e poi di Anselmo di Laon,
amico di Bernardo di Clairvaux e fondatore della Abbazia di S. Vittore,
che sarà poi uno dei maggiori centri del pensiero mistico me- dioevale,
Guglielmo di Champeaux era un deciso sostenitore delle con- cezioni
agostiniane e platoniche. Cosf, a proposito del significato dei concetti
di genere e di specie, si atteneva alla soluzione realistica che ab-
biamo già visto affermata dallo Scoto Eriugena e da Anselmo da Aosta.
Secondo la testimonianza di Abelardo, egli avr-bbe infatti sostenuto “che
la medesima realtà è tutta presente essenzialmente nei singoli indivi-
dui, tra i quali non vi sarebbe alcuna diversità essenziale, ma bensi una
distinzione causata dalla molteplicità degli accidenti” Il che spiega
perché Guglielmo ritenesse che in tutti gli uomini numericamente di-
versi v'è sempre una identica sostanza umana, che si determina e si
concreta variamente ora in Socrate ed ora in Platone, secondo partico-
lari determinazioni accidentali. Contro questa dottrina, che
rispecchia fedelmente un atteggia- mento metafisico platonicamente
fondato sull’ordine gerarchico di es- senze e categorie universali,
Abelardo non tardò ad opporre argomen- ti che gli venivano almeno in
parte dall’esperienza nominalistica di Roscellino. Convinto che la logica
sia una pura ars sermocinalis, scien- za e arte del discorso, totalmente
distinta dalla metafisica o dalla teo- logia, egli respinse recisamente
il realismo delle essenze logiche, sotto lincando che la stessa essenza,
se sussistesse tutta nei singoli individui, pur con forme e accidenti
diversi, si troverebbe spesso a dover soste- nere attributi e accidenti
contraddittori. Inoltre, ammessa la realtà delle essenze, le dieci
categorie aristoteliche diverrebbero necessaria- mente le dieci essenze
reali più generali di tutte le cose; e ne segui- rebbe che ogni categoria
è essenza e che quindi tutte le sostanze sono, in realtà, sostanza, tutte
le qualità una sola qualità. Perciò, la sostanza di Socrate sarebbe la
stessa sostanza di Platone, e le qualità dell’uno quelle dell’altro,
ecc.; ma in tal modo la realtà individuale e distinta di Platone e
di Socrate sarebbero totalmente perdute perché i due in- dividui
sarebbero di fatto una sola unità indistinguibile. Tali obiezioni —
racconta Abelardo — avrebbero subito smantel- lato la dottrina realistica
di Guglielmo di Champeaux; e il maestro parigino avrebbe ripiegato sulla
tesi della “indifferenza” degli univer- sali, sostenendo che la realtà
dei generi e delle specie è identica nei diversi individui, non quanto
all’essenza ma bensi nell’*indifferenza,” giacché, ad esempio, i singoli
uomini, distinti di per sé gli uni dagli altri, costituiscono pur sempre
l’identica realtà umana e, quindi, non differiscono nella loro comune
natura. Abelardo criticò, però, con non minore intransigenza, anche
questa dottrina che non era sostanzial- mente diversa da quella
precedente, e dimostrò che se la sola indiffe- renza positiva è
quella che intercorre tra gli individui che possie- dono una stessa
natura, si ripresentano di nuovo le medesime difficoltà già rilevate a
proposito della concezione realistica. Il successo riportato nella
disputa con un maestro cosi famoso non giovò ad Abelardo, che fu
costretto dalle violente inimicizie dei condiscepoli ad abbandonare
Parigi e a rifugiarsi a Melun, dove apri una sua scuola. Però ben presto
si trasferi a Corbeil, più vicina alla capitale, e di lîf a poco tornò
nuovamente a Parigi per studiare retorica, sempre alla scuola di
Guglielmo. Non sembra però che i suoi rapporti co] maestro migliorassero;
anzi, proprio in questa occasione, Guglielmo sarebbe stato costretto da
Abelardo a riconoscere aperta- mente la fondatezza e la superiorità delle
sue critiche. Tuttavia Abe- lardo, ormai padrone delle “arti
sermocinali,” lasciò di nuovo la scuo- la parigina per dedicarsi allo studio
della teologia, sotto la guida di Anselmo di Laon. Polemico e
innovatore come sempre, il filosofo bretone non restò però a lungo
neppure nella scuola di Laon; poco dopo, nel 1114, era di nuovo a Parigi,
ove tenne scuola di dialettica e di teologia, riscuo- tendo un successo
clamoroso. Studenti di ogni parte di Francia e di Europa (e tra essi fu
anche Arnaldo da Brescia, che nel 1155 sarebbe stato arso in Roma, come
capo di un movimento riformatore violen- temente avverso al potere
mondano della gerarchia ecclesiastica) accor- sero a udire le sue
lezioni, divulgarono la dottrina del Peripateticus Palatinus in tutti gli
ambienti colti del tempo; e intorno alla sua scuola cominciò a
costituirsi la futura università parigina, luogo di attrazione per i
teologi e i filosofi di tutta la Cristianità occidentale.
L'episodio del suo amore per Eloisa, donna eccezionalmente dotta e
partecipe degli stessi problemi teologici e morali, la vendetta del
canonico Fulberto, e la vergognosa mutilazione che costrinse
Abelardo ad abbandonare l’insegnamento parigino, sono episodi fin troppo
noti perché occorra ricordarli. Colpito nella sua dignità di clericus e
di maestro, Abelardo prese l’abito monastico e prese a vagare di
mona- stero in monastero, di abbazia in abbazia, portando dovunque la
sua umana inquietudine e la sua polemica filosofica, caldeggiando la
for- mazione di una comunità puramente speculativa dedicata al
Paracleto. La fortuna e l’efficacia del suo insegnamento non ne riusci
però dimi- nuita, se è vero che folle di studenti lo seguivano nei suoi
spostamenti, e che la sua fama continuava a diffondersi per tutta Europa.
Del resto, gli anni che vanno da quando abbandonò Parigi, e il 1142,
quando mori a Chalon-sur-Sagne, sono anni di grande operosità e di
costante, approfondita riflessione sui temi più ardui della logica, della
metafi- sica, della teologia e della morale. E pure in questo periodo si
svolge tra lui ed Eloisa quella mirabile relazione epistolare che è
veramente uno dei capolavori della letteratura mediocvale. La
lucidità e la spregiudicatezza di molte pagine dell’epistolario, e
soprattutto di quelle in cui Eloisa difende con estrema decisione la
nobiltà e la purezza della sua passione, hanno spesso indotto gli sto-
rici ad accentuare la “modernità” dell’atteggiamento morale dei due
celebri amanti. Ma non è certo un buon criterio storico giudicare tut- ta
la personalità e l’opera filosofica di Abelardo alla luce di questa ap-
passionata testimonianza umana, per tentare magari confronti arditi e
poco plausibili con la mentalità e il costume morale degli intellettuali
del Rinascimento. Anche il tono e il contenuto delle lettere di Abe-
lardo e di Eloisa sono infatti veramente comprensibili solo nell’ambito
di una vicenda che si svolse nell'ambiente scolastico della Parigi me-
dioevale, entro il chiuso mondo dei clercs, dominati dai propri pre-
giudizi etici e professionali, e tra due persone drammaticamente con- sapevoli
del conflitto tra la loro condizione e le idee e le norme pro- prie della
loro casta. D'altra parte non conviene all’intelligenza storica
dell’opera di Abelardo, presentarlo come un puro razionalista o, an- cor
peggio, come un precursore del “libero pensiero,” inteso a rove- sciare
il principio dell’“autorità” e ad instaurare contro il fideismo di
Bernardo di Clairvaux i sovrani diritti della ragione. Questa imma- gine
di Abzlardo, che pure piacque alla vecchia storiografia dell’età romantica,
è certo del tutto antistorica e deforma, fino a ridurli cari- caturali, i
veri caratteri del suo pensiero. Ma ciò non toglie che que- sto filosofo
cosi combattivo e polemico, questo dialettico rigoroso e teologo
spregiudicato, sia stato veramente l’interprete più originale ed
acuto della rinascita filosofica del XII secolo. Alieno dal costruire un
compiuto sistema cosmologico come quelli elaborati dai Maestri di
Chartres, egli fu infatti autore di opere di logica, di teologia e di mo-
rale che hanno avuto una influenza decisiva su molti aspetti della ri-
flessione del suo tempo, e che segnano un progresso decisivo nei con-
fronti delle concezioni filosofiche precedenti. Già abbiamo visto,
del resto, quale fosse stato il suo atteggia- mento di fronte al realismo
logico di Guglielmo di Champeaux; ma è bene aggiungere che la sua
polemica fu altreitanto rigorosa anche nei riguardi di tutte le altre
forme di realismo, iv comprese quelle che identificavano l’universale con
l’intera “collezione” degli individui cui esso si riferisce. Per Abelardo
l’universale è invece semplicem.nte un dato del linguaggio, “un vocabolo
trovato in modo che si possa pre- dicare singolarmente di molti”; e
quindi “il termine ‘uomo’ che usia- mo tanto per indicare Socrate che
Platone non differisce dal nome proprio con cui indichiamo questo o
quell'individuo se non perché è atto a far da predicato di proposizioni
che hanno per soggetto il nome proprio di molti individui.” Una volta
definito il significato “sermo- cinale” del termine universale, Abelardo
afferma poi rigorosamente che i nomi universali non indicano affatto
un’essenza o realtà comune a vari individui, e che occorre quindi
respingere l’idea che essi impli- chino qualcosa di reale sia di per se
stessi sia nella natura degli indi- vidui. La conoscenza ha come punto di
partenza l’individuale e il sensibile, la cui caratteristica è data
proprio dalla sua diversità e di- stinzione nei confronti di ogni altra
cosa individuale. Perciò il ter- mine universale deve unicamente valere
come un segno logico, neces- sario per assolvere una particolare funzione
nella costruzione dei di- scorsi umani. Dopo aver cosi
definita la funzione del “termine” universale, Abe- lardo cerca però di
analizzarne anche le proprietà logiche. La consta- tazione che i nomi
universali non indicano delle essenze o entità co- muni, potrebbe infatti
indurre a concludere che essi non abbiano al- cun riferimento effettivo
con le cose e che non permettano di inten- dere effettivamente nessuna
realtà esistente e concreta. Ma Abelardo è un logico troppo sottile per
poter accettare semplicemente la dottrina di Roscellino e ridurre cosî
gli universali a puri e semplici flatus vocis. Intanto, per prima cosa,
egli osserva che sebb:ne i singoli indi- vidui, ad esempio i vari uomini,
differiscano tra loro in molti caratteri ed attributi, hanno però
qualcosa di comune e cioè il loro stazus e la loro comune condizione di
“essere uomini.” L'errore di chi attribuisce 142 Lo sviluppo
della logica e l'opera di Pietro Abelardo una realtà oggettiva
agli universali indipendentemente dall’esistenza individuale, consiste
dunque nel confond.re un'ipotetica essenza del- l'*uomo,” che non esiste,
con l’“essere uomo” che è invece una condi- zione reale particolare e
concreta. Sicché, dire che questo o quell’in- dividuo “convengono” nello
status di uomo, cioè “nell’essere uomo,” significa riconoscere che esiste
una causa comune per cui s'impone ai singoli individui il termine o nome
universale di uomo. Questi stars sono dunque “le cose stesse costituite
in questa o quella natura”; e dunque, per giungere alla formulazione del
termine universale, ba- sta raccogliere la somiglianza comune d.gli
individui che sono effetti- vamente nello stesso status e designarla con
un nome. Quale sia poi il contenuto che questi universali assumono
nel no- stro pensiero, è indicato chiaramente da Abelardo n:llo
svolgimento della sua teoria gnoseologica. All’origine dell’attività
conoscitiva sta infatti la percezione sensibile che ci permette di
percepire questo o quell’individuo particolare; ma l’intelletto è capace
di formarsi una immagine di ogni oggetto percepito che esiste ormai
indipendente- mente dall’oggetto stesso e persiste nella mente anche dopo
la scom- parsa dell’individuo che l’ha provocata. Queste immagini
presenti nel- la mente si distinguono però dalle immagini fittizie
composte libera- mente dalla fantasia senza alcun riferimento ad una
realtà effettiva; ma si distinguono altresi anche da quelle che si
presentano all’intellet- to quando pensiamo all’“uomo” o alla “torre” in
generale. “L’intelli- genza del nome universale”. scrive Abelardo in un
testo particolar- mente importante, “concepisce un'immagine comune e
confusa di mol- te cose, laddove l'intellezione prodotta dalla parola
singolare com- prende la forma di una sola cosa.” Il nome di Socrate o di
Platone, individui concreti e particolari, farà quindi sorg:re nella
mente un’im- magine che esprime la figura e la somiglianza di una
determinata per- sona; mentre invece il termine “uomo” potrà dar luogo
soltanto ad un’immagine scialba e relativamente ind:terminata, costituita
soltanto dai caratteri comuni degli individui da cui è tratta.
L’universale è dunque soltanto una parola che designa l’immagine confusa
di una collettività d’individui di natura simile, o, per usare le parole
stesse di Abelardo, che possiedono il medesimo status. È
chiaro che da queste premesse deriva subito un complesso di conseguenze
logiche e gnoseologiche di estrema importanza. Per pri- ma cosa, le sole
conoscenze chiare e connesse ad oggetti reali sono quelle degli individui
particolari, uniche realtà di cui si dia diretta intellezione umana;
mentre invece i termini universali ci permettono semplicemente di
acquistare un’opinione limitata sempre suscettibile di mutamento.
Tuttavia sarebbe erroneo credere che Abelardo non riconosca il fondamento
reale dell'immagine comune. Il fatto che, considerando molti individui,
la nostra mente fermi la sua attenzione su ciò in cui convengono, sui
loro aspetti simili o identici, è anzi per- fettamente naturale; cosi
com'è del tutto legittima la formazione del- l'immagine comune, prodotta
da un’attività dell’intelletto che separa e distingue per via di
riflessione ciò che è unito e coesiste ‘realmente nell’identità
inscindibile dell'individuo. A questa determinazione a- stratta della
forma o immagine comune, corrisponde poi naturalmente una vox o termine
che, di per se stesso, è cosa particolare del tutto distinta dall’altra
realtà che significa. Ma affinché questa significatio sia legittima ed
effettiva occorre che la vox venga strettamente con- nessa all'immagine
mentale e sia capace “per comune istituzione uma- na” di farla subito
sorgere nella mente di chi l’ascolta. Solo cosi la vox può diventare un
elemento del discorso umano, e può adem- piere al suo compito logico che
consiste soltanto nel rappresentare o significare le diverse res.
Non credo occorra insistere più a lungo su di una dottrina di per
se stessa tanto chiara ed evidente. Ma prima di chiudere questa breve
trattazione della logica abelardiana, sarà utile ricordare che il “Pe-
ripatetico Palatino” può rispondere in modo profondamente nuovo ed
originale alle questioni poste da Porfirio. Cosî, alla domanda se i
generi e le specie designino cose realmente esistenti, o siano semplici
oggetti d’intellezione, egli risponde che essi esistono “nel solo
intelletto nudo e puro,” ma che però indicano sempre esseri reali che
sono gli stessi già afferrati dall’esperienza sensibile. Inoltre, questi
“universali” sono indubbiamente corporei in quanto sono delle voci
pronunziate con mezzi fisici; però la loro capacità di designare una
pluralità d’indi- vidui è invece incorporea. E se è vero che i generi e
le specie sussistono nella realtà sensibile in quanto designano forme e
qualità proprie degli individui, sono però al di là delle cose sensibili
proprio perché le desi- gnano per astrazione. Non solo; Abelardo afferma
che questi termini non potrebbero mai esistere senza gli oggetti da essi
significati; il che non toglie però che i loro significati possano
sussistere anche se sono legati semplicemente ad un'immagine mentale e
non ad un oggetto sensibile, come nel caso della proposizione “la rosa
non esiste,” il cui significato è pienamente legittimo. Tali
soluzioni, avanzate in una forma cosî rigorosa, rappresentano
indubbiamente una tappa fondamentale nella storia della logica e della
144 Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro
Abelardo riflessione filosofica medioevale. Da un lato, infatti,
Abelardo tenta, per primo, un’analisi dei problemi logici condotta in
assoluta indipendenza da ogni presupposto metafisico e teologico, come
scienza autonoma dei modi e delle forme del discorso umano. Ma, d’altra
parte, la negazione di ogni tipo di realismo logico e la polemica contro
la persistente ispirazione platonica dei suoi predecessori, lo pone già
sulla via che sarà battuta dalle tendenze più avanzate del pensiero
scolastico, fino alla soluzione drastica del nominalismo occamista. Tali
posizioni sono ancora lontane dalle intenzioni di Abelardo che, partecipe
delle metafisiche platoniche del suo tempo, non negava affatto la possibilità
dell’esistenza nella mente divina di eterne idee archetipe, modello e
forma delle cose reali. Non- dimeno, il valore preminente che egli
attribuisce alla conoscenza del- l’individuale, e la sua insistenza sulla
funzione preliminare ed essenzia- le dell’esperienza sensibile, sono
altrettanti motivi di grande rilievo storico, destinati a influire
profondamente sulle dispute logiche e meta- fisiche del XIII
secolo. 2. La teologia di Abelardo AI significato
critico della dottrina logica di Abelardo corrisponde, del resto, anche
la novità e l’arditezza di talune tesi teologiche espo- ste, oltre che
nel Sic et Non, anche nel De wnitate et trinitate divina (dopo il 1118),
nella Theologia Christiana (dopo il 1123-24), nella Intro- ductio in
theologiam, nonché nel Dialogus inter Hebracum, Philoso- phum et
Christianum, composto intorno al 1141. Tra queste opere il Sic et Non è
certo particolarmente importante per il metodo con cui Abelardo procede
alla presentazione ed al vaglio delle auctoritates scritturali e pa-
tristiche, opponendo tra di loro quelle che appaiono contrastanti o con-
traddittorie. È vero — come è stato sottolineato anche recentemente — che
Abelardo non intende servirsi di questo metodo per scalzare il principio
dell’auctoritas, del cui valore egli è pienamente convinto. Ma, sebbene
dichiari spesso che il fondamento della verità e della salvezza consiste
nelle nude parole della Scrittura, e ribadisca che la dialettica deve
semplicemente servire all’intelligenza della Fede, è evidente che
Abelardo procede anche nella sua indagine teologica con il preciso
intento di chiarire le difficoltà e le aporie interne alle argomentazioni
tradizionali. D'altra parte, come dice egli stesso parlando del metodo
seguito nel De unitaze et trinitate divina, la spiegazione del teologo
non può procedere che per mezzo di analogie tratte dal ragionamento umano;
e poiché questo procedimento analogico è usato da Abelardo an- che per
spiegare il rapporto trinitario delle persone divine, non mera- viglia
che, come i maestri di Chartres, egli si serva del motivo platoni-
co-stoico dell'anima mundi per illustrare analogicamente la terza per-
sona trinitaria. È vero che per Abelardo si tratta soltanto di un’ana-
logia incapace di spiegare fino in fondo la misteriosa verità d:1 dogma;
però egli non esita ad usare anche in altri casi dottrine filosofiche,
so- prattutto di origine platonica, per illuminare il contenuto della
teolo- gia cristiana, affermando implicitamente una continuità ed un
accordo sostanziale tra la riflessione classica e la dottrina
cristiana. Ecco perché Bernardo di Clairvaux, mistico cistercense
ed intran- sigente difensore del primato sovrarazionale della fede
cristiana, fu cosi avverso al Peripateticus Palatinus considerato come il
più temibile nemico della ortodossia teologica. In effetti, nella
prospettiva teoriz- zata da Abelardo, la teologia cristiana non solo è
strettamente legata alla ricerca della ragione, ma si può dire che la
stessa rivelazione si esprima anche nelle forme del ragionamento
razionale, e che le verità filosofiche degli antichi siano anticipazioni
o premesse di una verità più alta, ma non avversa alla ragione. Come
Abelardo scrive nel Dia/o- gus, il Cristianesimo è certamente la verità
assoluta che accoglie e ri- solve in sé tutte le altre verità parziali ed
imperfette; però anche la di- mostrazione dei suoi principi può procedere
per via dimostrativo-ana- litica; quindi il metodo razionale può essere
applicato anche alla ricerca teologica, senza temere di cadere per questo
nell’empietà o nell’eresia. La polemica di Bernardo e il severo
giudizio del Concilio di Sens, che nel 1141 condannò alcune sue
proposizioni teologiche, non valsero ad impedire che il metodo
abelardiano influisse largamente anche sugli sviluppi della riflessione
teologica. Né stupisce che il suo tentativo di elaborazione dialettica
della “materia” teologica potesse contribuire in maniera decisiva alla
formazione di un vero metodo della scienza teolo- gica, già chiaramente
delineato nelle prime Summae o nel crescente suc- cesso dei Libri
sententiarum. Solo per restare nell’ambito della sua scuo- la, opere come
l’Epitome theologiae di Maestro Ermanno, le Sententiae Parisienses,
l'Ysagoge in Theologiam e le Sententiae di Rolando Bandi- nelli (il
futuro Alessandro III), sono eloquenti testimonianze del pro- gresso
compiuto nella prima metà del XII secolo dalla cultura scolastica
parigina. Tra le dottrine di Abelardo condannate al concilio di
Sens spiccano anche talune tesi di morale definite nello Scito te ipsum.
Avverso alle concezioni ascetiche tradizionali che ponevano tra i peccati
anche le Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro
Abelardo inclinazioni più naturali dell’uomo, ostile ad una morale
che defini- sce rigidamente il ben: ed il male identificandoli con un
certo modo astratto di comportamento, Abelardo tende infatti a
identificare il valore dell’atto con l’abito interiore che lo accompagna.
Cosi, egli distingue net- tamente il “vizio dell'anima” dal “piccato”; e
se il “vizio” che dipende spesso dalla natura e dalla complessione fisica
ci rende soltanto inclini ad acconsentire all’illecito, il peccato
consiste invece nel consenso volontario al male, in una scelta lib:ra e
consapevole. Certo, anche le inclinazio- ni radicate profondamente nella
natura particolare di ciascun individuo possono spingere a desiderare ciò
che è contrario alla legge divina; ma tali inclinazioni, che non
potrebbero mai esser: eliminate, non sono di per sé male o peccato. Al
contrario, Abelardo insiste sul fatto che solo l'intenzione può
costituire il vero contenuto del bene e del male, indipendentemente dalla
determinazione effettiva dell’azione. “L'in- tenzione” — scrive infatti
Ab:lardo in una pagina dello Scito te ipsum di particolare rilevanza
teorica “è di per se stessa buona o
cattiva; ma l'azione è detta buona o cattiva non perché implichi in se
stessa un elemento di bontà o di malizia, ma perché deriva da
un'intenzione buona 0 cattiva.” La medesima azione può essere dunque
positiva se deriva da una buona intenzione, o cattiva se deriva da
un’intenzione malvagia; cosi Abelardo prende decisamente posizione contro
le con- cezioni etiche che fanno dipendere il valore morale dell’azione
dalla adesione astratta a uno schema costituito secondo una norma del
tutto estranea alla volontà. Tale concezione che è certo uno dei motivi più moderni e
originali del pensiero abelardiano — è poi spesso congiunta con una
insist-nie critica della considerazione meramente carismatica dei po-
teri sacerdotali, che egli vuole invece siano fondati sulla pratica at-
tiva ed esemplare delle virti. La successione apostolica vantata dai
sacerdoti e dai vescovi ha, per lui, significato e valore solo quando
essa si accompagni all’oss:rvanza dell’esempio religioso e morale
degli apostoli, e non quando si risolva semplicemente nella cerimonia
del- l'imposizione delle mani o nell’osservanza esteriore e farisaica
delle norme canoniche. Proprio pr questo sono cosi frequenti negli
scritti morali e teologici di Abelardo la denuncia della corruzione del
clero, la condanna dell’eccessiva potenza e ricchezza della gerarchia e
la ripulsa di un rigido, astratto legalismo morale © religioso che è
del tutto contrastante con il carattere della missione della Chiesa.
Né manca nella riflessione di Ab-lardo l’insistente richiamo a quei
puri valori di interiorità su cui dovrebbe fondarsi tutta la vita
cristiana. 147 L'XI e il XII secolo La
vicinanza di alcuni dei suoi motivi polemici con le idee larga- mente
diffuse nei movimenti popolari di riforma o in talune sètte ere- ticali,
è stata quindi giustamente sottolineata dagli storici che hanno posto in
rilievo i rapporti tra Abelardo e Arnaldo da Brescia, teorico del Comune
popolare e avversario d:l potere pontificio. Ma più che la ricerca di
possibili filiazioni o influenze, interessa qui sottolineare come sia sul
piano teologico e morale, sia su quello logico e gnoseologi- co, il
pensiero di Abelardo è veramente l’espressione più matura di un comune
fermento critico che pervade tutti gli strati e gli ambienti del- la
società del suo tempo e che tende a corrodere i capisaldi d:Ila cultura
tradizionale. Altre posizioni logiche dell'età di Abelardo : Josselino di
Soissons e Adelardo di Bath L’influenza di Abelardo fu
veramente eccezionale. Dalla logica al- la teologia, dalle discussioni
puramente filosofiche alla casistica etica, tutta la riflessione del suo
tempo e dei decenni successivi reca il segno della sua personalità e
delle sue idee. Ma la superiorità teorica di molte posizioni abelardiane,
soprattutto nel campo della logica, non deve in- durci a trascurare
l’apporto degli altri logici contemporanei, ispirati a concezioni e
dottrine spesso diametralmente opposte. Già s'è detto di Guglielmo di
Champeaux e delle successive dottrine che egli avrebbe avanzato
discutendo il problema degli universali; ma dobbiamo qui ugualmente
ricordare Josselino di Soissons cui Giovanni di Salisbury attribuisce nel
Meealogicon una singolare dottrina che, pur rifiutando la universalità
agli individui considerati nella loro singolarità, la concedeva però alla
“condizione collettiva” della specie o del genere. Questa tesi, che
compare anche nel trattato anonimo De generibus et speciebus (già
attribuito dal Cousin ad Abelardo, ma che evidentemente non può es- ser
suo), deve aver avuto una discreta diffusione proprio per la sua ten- denza
a conciliare le opposte tesi dei “realisti” e dei “nominali.” Secon- do
la concezione di Josselino la specie si presenta infatti in ogni indivi-
duo come una sorta di materia comune la cui forma è costituita dalle
singole determinazioni particolari; e perciò nell’individuo Socrate coe-
siste l’“umanità” (materia comune) con la “socrateità” che ne è la forma,
e quindi Socrate possiede una sua umanità particolare distinta da quella
di Platone o di Aristotele. Il fatto che il termine “uomo” sia comune ad
un intero gruppo di individui non significa che l’umanità di So-
Lo sviluppo della logica e l'opera di Pietro Abelardo crate o di
Platone costituisca una realtà unica, identica e comune nei vari
individui. Al contrario, questo fondamento comune è profondamen- te differenziato
dai caratteri peculiari e dalla struttura propria di ogni
individuo. Come si vede, la soluzione di Josselino può sembrare
assai vicina alla tesi abelardiana degli status; ma lo &tesso
Abelardo ne sottolineò nettamente la diversità quando obiettò che il
“gruppo” è sempre po- steriore agli individui che lo costituiscono,
laddove invece la dottrina della collectio sembra far precedere l’unità
indifferenziata della “ma- teria comune” dalla concreta esistenza dzi
singoli. La difesa della priorità dell'individuo anche nei
confronti della posizione moderata di Josselino ribadisce la radicale
vocazione nomina- listica della logica di Abelardo. Però il problema di
rapporti tra r0- men e res, tra la determinazione concettuale e la
struttura reale de- gli individui, doveva essere ulteriormente dibattuto
nel trattato De codem et de diverso di Adelardo di Bath. Questo maestro,
formatosi nell'ambiente teologico di Laon e di Tours, e quindi per molti
anni pellegrino in Italia, in Sicilia e nell’Asia Minore alla ricerca di
testi arabi e greci di cui fu uno dei primi traduttori, ha un posto di
primo piano nella storia della scienza medioevale. Nelle sue traduzioni
dei testi astronomici arabi e degli Elementa di Euclide e nelle sue
Quae- stiones naturales, ricche di temi della tradizione araba, egli si
rivela uno degli uomini più colti del suo tempo. Ma anche il De eodem
et de diverso mostra una mentalità dialettica rigorosa ed esatta,
perfet- tamente consapevole dei gravi problemi filosofici che si
agitavano die- tro le modeste apparenze del problema degli universali.
Cosî egli ac- cetta la definizione abelardiana degli universali come nomi
delle cose che contengono (rerum subiectorum nomina) e la dottrina
aristotelica che esclude ogni loro realtà al di fuori dell’esistenza
individuale con- creta. Però osserva “che i nomi del genere, della specie
e dell’in- dividuo vengono imposti alla stessa essenza sotto diversi
rispetti? e che se i filosofi, “quando vogliono parlare delle cose come
si presen- tano ai sensi le chiamarono individui,” definendole con il
loro nome proprio e particolare, tuttavia, quando le considerano “pid
profonda- mente,” le chiamano anche specie o generi, senza negare la loro
real- tà individuale, ma riferendosi a quei caratteri universali che vi
sono impliciti. Perciò i generi e le specie sono per Adelardo “le stesse
cose sensibili considerate in modo più acuto,” e queste sp:cie e generi
nel- la loro funzione di termini o modi universali vengono distinti per
im- maginazione dalla stessa realtà sensibile e considerati come forme astratte.
Non v’è quindi da meravigliarsi se Adelardo, fedele a questa dottrina,
possa poi considerare sostanzialmente concordanti le dottrine di Platone
e di Aristotele, i quali hanno soltanto accentuato i due di- versi
aspetti del problema. E una dottrina non diversa viene pure attri- buita
al maestro parigino Gualtiero di Mortagne (t 1174), il quale, se- condo
la testimonianza di Giovanni di Salisbury, avrebbe insegnato che Platone,
secondo “status” diversi, è individuo, specie e genere subalterno o
supremo. Certamente e
Adelardo insiste particolarmente su questo punto — alwra è la conoscenza
legata all’esperienza immediata e quasi co- stretta dal “tumulto
esteriore” dei sensi, ed altra la conoscenza intelli- gibile estesa alle
Cause supreme delle cose naturali e addirittura alla previsione della
realtà futura. Ma non per questo Adelardo respinge quel sapere che la
mente umana può raggiungere anche quando è serrata nel “carcere” del
corpo e si muove soltanto tra le forme sensi- bili delle cose. Anche
questo sapere, quando è capace di giungere agli elementi permanenti,
costitutivi della realtà, è valido e nec zo P z po
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Parte prima Capitolo primo Boezio Opere:
a) Opere scientifiche: De institutione arithmetica; De institutione
musica; uno scritto di astronomia perduto; uno scritto di geometria an-
ch'esso perduto. b) Opere filosofiche: traduzione delle Categorie;
Commento alle Cate- gorie; traduzione del De interpretatione; primo
Commento al De inter- pretatione; secondo Commento al De interpretatione;
traduzione degli Analytici primi e secondi; traduzione dei Topici (non è
certo, però, se la traduzione che va oggi sotto il suo nome sia
autentica); traduzione della Isagoge di Porfirio; primo Commento
all'Isagoge; secondo Commento alla Isagoge; commento ai Topici di
Cicerone; De syllogismo categorico; Intro- ductio in syllogismos
categoricos; De syllogismo hypotetico; De divisione; De differeptiis
topicis; Consolatio philosophiae. È discussa l’attribuzione della
versione degli Elenchi sofistici. c) Opere teologiche: De
Trinitate; Ad Iohannem diaconum utrum Pater et Filius et Spiritus Sanctus
de divinitate substantialiter praedicentur; Ad cundem quomodo substantiae
in co quod sint bonae sint, cum non sint substantialia bona; Liber contra
Eutychen et Nestorium. Non è invece auten- tico il De fide catholica
attribuito tradizionalmente a Boezio. Edizioni: Le opere in P. L.,
63-64, nel “Corpus” di Vienna 48 e 67. I trattati teologici si vedano
nell’ed. StewartT-RanD, Londra, 1918 (u.e. 1953), la Consolatio nell’ed.
BreLer, in “Corpus Christianorum” 94; del De inter- pretatione cfr. l’ed.
Meiser, Lipsia, 1877-1880. Delle traduzioni italiane della Consolatio
ricordiamo quelle del Moricca (Firenze, 1921, 1942) e del Cappa (Milano,
1940). Gli Opuscola theologica sono stati tradotti dal RAPISARDA,
Catania, 1947; i Pensieri sulla musica (testo e trad.) dal Damermni,
Firen- ze, 1949. Bibliografia: La bibl. generale in GEYER,
pp. 669-670; De Barr, nn. 4393- 4443; De Wutr, I, pp. 127-128. V. inoltre
tra le opere pit importanti e recenti: I. Brnez, Boèce et
Porphyre, “Rev. Belge Philol. Hist.,” 1923. 516
Bibliografia K. Bruprr, Die philosophischen Elemente in den
Opuscula Sacra des Boethius, Lipsia, 1928. L. A. Cooper, A concordance of Boethius, Cambridge,
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soluzione cristiana del problema del “summum bonum,” in Philosophiae
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Institutiones. Edizioni: Oltre l’ed. in P. L., 69-70 si vedano le
Opera in “Corpus Christianorum,” 97-98; le Institutiones nella
fondamentale ed. R.A.B. My- nors, Oxford, 1937.
Bibliografia: La bibl. generale in GeyER, pp. 671; De Brie, nn.
4383-4392; De WuLr, I, p. 128. Tra la produzione più
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ocuvre, “Spec.,” 1931. H. TuÙiece, Cassiodor, seine
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ordine creaturarum; Diffe- rentiarum libri duo. Edizioni: in
P. L., 81-84; le Etymologiae, a cura di W. M. Linpsar, Ox- ford,
1911. Bibliografia: La bibl. generale in GevER, pp. 671-72; De
Brie, nn. 4493- 4518; De WutrFr, I, p. 129. 518
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Stand der Isidorforschung, Roma, 1936. J. Pérez pe UrBet, S. Isidor de Sevilla, Barcellona,
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Magno Opere: Homiliae in Evangelium; Homiliae in Ezechielem; Liber
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Epistolae. Edizioni: in P. L., 75-79. Dei Dialoghi cfr. l’ed.
crit. di U. Moricca, Roma, 1924. Bibliografia: Tra le opere
pi recenti e interessanti cfr.: G. LiesLanc, Grundfragen der
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Capitolo secondo Sulla civiltà
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dargestellt, Friburgo, 1929. L. HimxecLer, Vom Mònchtum des
hl. Benedikt. Gedanken iiber bene dektinische Wesenart, Geschichte
und Kultur, Basilea, 1947. Cfr. inoltre il “Bulletin d’histoire
benédéctine” nella “Revue bénédictine.” Beda il Venerabile
Opere: Historia ecclesiastica gentis Anglorum; De natura rerum; De
temporibus; De temporum ratione; Quaestiones super Genesim. Edizioni:
Le opere si vedano in P. L. 90-95, e in corso di pubbli cazione in
“Corpus Christianorum,” Turnholt, Parigi, 1955; l'Opera historica
nell’ed. L. E. Kinc, Londra, 1931; l'Opera de temporibus nell'ed. C.
520 Bibliografia W. Jones, Cambridge (Mass.),
1943 e l’Expositio actuum apostolorum nel- l’ed. M. L. W. LarstwEr,
Cambridge (Mass.), 1935. Bibliografia: La bibl. generale in GEyER, p.
672; De Brie, nn. 4532-4550; De Wutr, I, p. 129. Tra le opere piti
importanti e pi recenti si veda: A. Hamirton THompson, Beda. His life, times and writings, Oxford, 1935. H.
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Alcuino Opere: Grammatica; De orthographia; Dialectica; Dialogus
de rhetorica et de virtutibus; De fide sanctae et individuae Trinitatis;
De animae ratione; De virtutibus et vitiis; Epistolae. Edizioni:
Le opere in P. L., 100-101. L’ed. crit. delle Epistolae in Episto- lae
Karolini aevi (M. G. H., II, pp. 18-481). Cfr. inoltre i Monumenta Alcui-
niana, Berlino, 1873. Bibliografia: La bibl. generale in GryER, p.
691; De Base, nn. 5105-5109; De Wutr, I, p. 129. Tra gli
studi pifi importanti e recenti cfr.: P. MonceLLE, Alcuin, in DHGE,
II M. Rocer, L’enseignement des lettres classiques d'Ausone è
Alcuin, Parigi, 1905. E. M.
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Alcuin, Princeton, 1941. P. Hapor, Marius Victorinus et Alcuin,
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Liturgist, New York, 1956. L. WattacH, Alcuin and Charlemagne.
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1959. Fredegiso di Tours Opere: De nihilo
et de tenebris. Edizioni: P.L., 105, 751-756. Bibliografia:
La bibl. generale in GevER, p. 691-692; DE Wutr, I, 158. Tra gli studi
più importanti e recenti cfr.: M. Auner, F. von Tours, Lipsia, 1878 (con
ed. crit. del De nihilo); J. A. Enpres, Forschung z. Gesch. der
friihmittclalt. Philos., Miinster i. W.,. Germonar, I problemi del nulla
e delle tenebre in Fredegiso di Tours, in Saggi di filosofia
neorazionalistica, Torino, 1953, pp. 101-111. Agobardo
Opere: Le numerose opere teologiche, che non occorre qui enumerare
particolarmente in P.L., 104. Bibliografia: Oltre alle opere
indicate in GevER, pp. 691-692; cfr. par- ticolarmente: J. B.
Martin, s.v. in DTHC, I, 613-615. M. Bresson, s.v. in DHGE, I,
958-1001. Rabano Mauro Opere: De institutione
clericorum; De rerum naturis; De computo; Gram- matica.
Edizioni: in P.L., 107-112. Bibliografia: La bibl. generale in
GevER, p. 692; De Brie, n. 5110; De Wutr, I, p. 129. In particolare cfr.: J. ScHumipt, Rebanus
Maurus, cin Zeit-und Lebensbild, “Der Katholik,” 1906. J. B. HasitzeL,
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1906, 1917. B. BLumenKranz, Raban Maur et St. Augustin, “Rev. m. à.
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Candido è espresso nei Dicta Candidi (ed. Hau- réau, Parigi, 1872).
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 692; DE Wutr, I, p. 129. In
particolare vedi: F. Zimmermann, Candidus. Ein Beitrag zur
Geschichte der Friihscholastik, “Div. Th.” (F.), 1929. A.
KLeIncLausz, Eginhard, Parigi, 1942, pp. 165-168. .Servato Lupo di
Ferrières Opere: Epistolae; Liber de tribus quaestionibus;
Collectaneum. Edizioni: Le opere nell’ed. BaLuze, Parigi, 1664 e
1710; in P.L., 119. Per le Epistolae cfr. l’ed. L. LeviLLann, Parigi,
1927. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 692-693; De Brie, n. 5135; DE
WuLF, ‘p. 129. 522 Bibliografia In
particolare cfr.: Sprotte, Biographie de Servatus Lupus,
1880. U. BerLièrEe, Un bibliophile du IX siècle,
Loup de Ferrières, Mons, 1912. E. Amann, in DThC, IX,
963-967. Pascasio Radberto Opere: Tra le numerose
opere teologiche, che qui non enumeriamo, ri- cordiamo soprattutto il
Liber de corpore et sanguine Christi (831). Edizioni: le opere in P.L.,
120. Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 693; De Brie, n. 5136. In particolare: J. Ernst, Die Lehre des hl.
Paschasius Radbertus von der Eucharistie, 1897. J. Jacquin, Le De
corpore et sanguine de Pascase Radbert, “Rev. sc. philos. théol.,”
1914. H. PeLtier, Pascase Radbert abbé de Corbie, Amiens,
1932. IpeM, s.v., in DThC, XIII, 1628-1639. C.
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Ratramno, monaci di Corbia, Palermo, 1945. H. WerisweiLEr,
Paschasius Radbertus als Vermittler des Gedankengutes der karolingischen
Renaissance in der Matthiuskommentaren des Kreises um Anselm von Laon,
“Schol.,” 1960. Ratramno di Corbie Opere: Le numerose
opere teologiche in P.L., 121; il De corpore et sanguine domini nell’ed.
crit. di J. BAKHUIZEN van DEN BrinK, Amsterdam, 1954.
Bibliografia: Cfr. GeyERr, p. 693; DE Wutr, I, pp. 165-166. In
particolare cfr.: A. NaEcLe, Ratramnus und die hl. Eucharistie, 1903. M. ManitIUs, Gesch. d.
latein. Lit. des Mittelalters, I, Monaco, 1923, pp. 412-17.
A. Wiumart, L'opuscule inédit de Ratramne sur la nature de l'ime, “Rev.
bénédict.,” 1931. C. GLiozzo, La dottrina della
convers. eucarist. in Pasc. Radberto e R. mo- naci di Corbia, Palermo,
1945. J. De GHÙeLLINcK, Le mouvement théolog. au
XII° s., Bruges, 1948?, p. 27 e passim. Cfr. inoltre: J. JoLiver,
Godescale d'Orbais et la Trinité. La méthode de la
théologie a l'époque carolingienne, Paris, 1958. 933
Bibliografia Capitolo terzo Il “Corpus” dello
Pseudo-Dionigi. Massimo il Confessore Edizioni: Per le edd. del
Corpus cfr. P.G., 3-4. La raccolta delle tradu- zioni latine dei testi
dionisiani e la fonte delle citazioni in PH. CHEVALLIER, Dionysiaca,
Parigi, 1937-1950; e l’ed. crit. del De coelesti hierarchia, a cura di R.
Roques e G. Hait, con trad. fr. di M. De Ganpittac nelle “Sources
chrétiennes,” n. 58, Parigi, 1958. Si veda inoltre la trad. delle Oeuvres
com- plètes du Pseudo-Denys l'Aréopagite, a cura del De Ganpittac,
Parigi, 1943. Per le traduzioni italiane cfr. Le gerarchie celesti,
Firenze, 1921; e, a cura del Turotta, le Opere, Padova, 1956.
Bibliografia: Sulla vasta letteratura sul Corpus ci limitiamo, in
questa sede, ad indicare oltre gli scritti di J. Stic.marr (Feldkirch,
1895; “Hist. Jahrbuch. d. Gérregesellschaft,” 1895; “Zeitsch. f. die
kathol. Theologie,” 1899; “Schol.,” 1927, 1928) e alle indicazioni
generali in GevER, pp. 667- 668; De Brie, nn. 4455-4481; De Wutr, I, p.
112, i seguenti studi: G. Tufry, Scot Erigène traducteur de Denis,
“Arch. latin. Med. Aev.,” 1931. E. StePHANOU,
Les derniers essais d’identification du pseudo-Denys, “Echos d’Orient,”
1932. G. Tufry, Études dionysiennes, Parigi, 1932, 1937.
M. BucHner, Die Areopagitica des Abtes Hilduin von St. Denys und
ihr Kirchenpolitischer Hintergrund, “Hist. Jahrb.,” 1938. V.
Lossky, La théologie négative dans la doctrine de Denis l’Aréopagite,
“Rev. sc. philos. théol.,” 1939. E. Von IvAnka, Der Aufbau der
Schrift “De divinis nominibus” des Pseudo- Dionysius, “Schol.,”
1940. G. DeLLa VoLpe, La dottrina dell’Arcopagita e i suoi presupposti
neoplato- nici, Roma, 1941 (e cfr. La mistica da Plotino a S. Agostino,
Messina 1951). È R.
Roques, La notion de Hiérarchie selon le Ps--Denis, “Arch. Hist. doctr.
litt. m. A.,” 1950-1951. H. F. Donpaine, Le Corpus dionysien de
l'Université de Paris au XIII siè- cle, Roma, 1953. R.
Roques, L'univers dionysien, Parigi, 1954. E. Turotta, Introduzione
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Von IvAnxka, Ps. Dionisius und Julian, “Wiener Stud.,” 1957. R. Roques, Symbolisme et théologie négative chez le Ps.
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Scazzoso, Note sulla tradizione manoscritta della “Theologia mystica”
dello Pseudo Dionigi, “Aevum,” 1958. J. VANNESTE, Le mystère de
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Pseudo-Dénys l'Aréopagite, Parigi, 1959. 524
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Conwibuto alla cronologia dello Pseudo-Dionigi, “Atti Acc. Sc. Torino,”
1959. E. Von IvAnka, Das “Corpus arcopagiticum” bei Gerhard von
Csanad, “Traditio,” 1959. L. H. Gronpiys, Sur l2 terminologie dyonisienne, “Bull.
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Per gli scritti di Massimo cfr. P.G., 90-91. Trad. it. La
Mistagogia e altri scritti a cura di R. CanrareLLA, Firenze, 1931; 12
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1958. Scoto Eriugena Opere: De
praedestinatione; Versio operum S. Dionyssi Arcopagitac; Versio
Ambiguorum S. Maximi; De divisione naturae; Expositiones super Jerarchiam
coelestem S. Dionysi; Commentarius in S. Evangelium secun- dum Johannem;
Homilia in prologum S. Evangelii secundum Johannem; Carmina; Commentarius
ad opuscola sacra Boethii; Annotationes in Marcia- num. Edizioni:
in P.L., 122; per il De divisione naturae l’ed. C. B. Scunùrer, Miinster,
1938; per il Commentarius ad opuscola Boethii l'ed. E. K. Ranp, Monaco,
1906; gli Autographa a cura di E. K. Ranp, Monaco, 1912, e “Univ. Calif.
closs. philol.,” 1920; per le Annotationes in Marcianum cfr. C. E. Lutz,
Johannis Scottii Adnotationes in Marcianum, Cambridge (Mass.), 1939.
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di Auxerre Opere: Commenti al De Interpretatione, alle Categoriae,
all’ Isagoge, e a testi boeziani. Ma è dubbio se questi Comment: gli si
possano attribuire. Bibliografia: Gever, pp. 694-695.
Remigio di Auxerre Opere: Commenti all’Ars minor di Donato, agli
Opuscola sacra di Boezio e al De Consolatione philosophiae, a Prisciano e
a Marciano Capella (e cfr. M. Manitius, Gesch. d. lat. Lit. d. Mittalt.,
I, pp. 504-519). Edizioni: in P.L., 131; In artem Donati, ed. W. Fox, Lipsia, 1902, in Seduli opera (ed. ].
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anonyme sur Prudence d'après le ms. 413 de Valencien- nes, Parigi,
1910. Bibliografia: La bibl. generale in GevERr,
pp. 695; DE Wutr, I, pp. 158- 159. In
particolare cfr.: H. F. Stewart, A Commentary by Remigius
Antissioderensis on the De Consolatione philosophiae of Boethius,
“Journal of Theol. Studies,” 1916.
M. Cappuyns, Le plus anciens commentaire des “Opuscula sacra” et son
origine, “Rech. théol. anc. méd.,” 1931. C.
E. Lutz, The Commentary of Remigius of Auxerre on Martianus Capella,
“Med. Stud.,” 1957. Raterio di Verona Opere:
Tra le numerose opere, interessano particolarmente oltre alle Epistolae i
Praeloquiorum libri VI. Edizioni: in P.L., 136 e le Epistolae
nell’ed. F. WercLe M.G.H., Wei- mar, 1949. Bibliografia: E.
Amann, in DThC, XIII, 1679-1688. G. MontICELLI, Reterio, vescovo di
Verona, Milano, 1938. F. WeicLE, Zur Geschichte des Bischofs Ratero von
Verona, “Deutsch. Arch.,” 1942. G. Tampieri, I! doveri morali di
ciascuno stato di vita secondo i “Praeloquia” di Raterio da Verona,
Bagnacavallo, 1943. 527 Bibliografia
Gerberto d’Aurillac (Silvestro II papa) Opere: De rationali et ratione;
Geometria; Liber de astrolabio. Edizioni: in P.L., 139; a cura di
A. OLLERIS, Clermont-Ferrand - Parigi, 1867; Epistolae a cura di J.
Haver, Parigi, 1889; Opera Mathematica, a cura di N. Busnov, Berlino, 1899.
Bibliografia: F. Picaver, Gerbert ou le pape
philosophe, Parigi, 1897. H. Brémonp, Gerbdert, Parigi, 1906. F.
DeLzancLES, Gerbert, Aurillac, 1932. J.
LEFLON, Gerbert, Parigi, 1946. 528 Parte
seconda Capitolo primo Sui caratteri generali dell'età
ottoniana P. E. ScHramm, Kaiser, Rom und Renovatio, “Stud. Bibl. Warburg,” 1929. A. CarteLLIERI, Die
Westellung des deutsche Reiches, 911-1047, Monaco Berlino, 1932.
R. Forz, Le souvenir et la légende de Charlemagne dans l'Empire
germa- nique médiéval, Parigi, 1951. Su
Cluny e la sua riforma: L. M. SmitH, The early history of Cluny,
Oxford, 1920. J. Spor, Grundformen hochmittelalt.
Geschichtanschauung, Monaco, 1935. A. Brackmann, Die politische
Wirkung der cluniazensischen Bewegung, “Hist. Zeitschr.,” 1929. P. Borssosape, Cluny et la
papauté et la I grande Croisade internationale contre les Sarrazins
d’Espagne, “Rev. quest. hist.,” 1932. G. De VaLons, Le monachisme
cluniasien des origines au XV siècle (Archive de la France monastique),
Liguegé, 1935. K. Harincer,
Gorze-Cluny, Studien zu den monastischen Lebensformen und Gegensitzen im
Hochmittelalt., Roma, 1948. A.
Chagny, Cluny et son empire, Parigi, 19494. J. LecLERCO, Les études
universitaires dans l'ordre de Cluny, Saint-Waudrille, 1947. Spiritualità
cluniacense (Convegni del centro di studi sulla spiritualità me-
dioevale, II), Todi, 1960. Costantino Africano Opere:
il Wiistenfeld gli attribuisce le seguenti traduzioni: Liber com- pletus
artis medicinae qui dicitur regalis dispositio o Pantegni, di Ali Ibn
‘Abbas; Viazicum, di Abù ba ‘far Ahmad Ibn al-Gazzar; Liber divisionum e
Liber experimentorum dell’arabo ar-Rari; Liber dietarum universalium es
particuliarium, Liber urinarum, Liber febrium, Liber de gradibus, di
Ishiq al-Isra'ili. Tradusse inoltre opere di Ippocrate e di Galeno.
529 Bibliografia Bibliografia: cfr. Gever, pp.
703-704. In particolare v.: M. SreEInscHNEMDER, C. A. und seine
arabischen Quellen, “Archiv. f. pathol. Anatomie u. Phisiol.,” 37 (1866),
pp. 351-410. F. M. WisrenreLD, Die Ubersetzungen arabischer Werke
ins Lateinische seit dem II Jahrh., in Abhand!, d. K. Gesellsch. d. Wiss.
2. Gòttingen, 22 (1877), pp. 10-20.
M. CLervaL, Les écoles de Chartres au moyen dge du V° au XVI?
siècle, Parigi, 1895. L.
THornpIiKE, A history of magic and experimental science, cit., I, pp. 742-759.
Alfano di Salerno e l'ambiente salernitano Opere: Vita et
passio s. Christinae; Sermone; De unione Verbi Dei et hominis (smarrito);
Vita di s. Sabina (si ritiene perduto.); traduzione del trattato di
Nemesio: Sulla natura dell'uomo; Prologus alla suddetta tra- duzione;
Tractatus de pulsibus; De quattuor humoribus corporis humani
(framm.). Bibliografia: in particolare v.:
M. ScHIPA, Alfano 1., arciv. di Salerno, Salerno, 1880. Inem,
Storia del Principato longobardo di Salerno, “Arch. Stor. per le
provincie napoletane,” 12 (1887), passim. U. Ronca, Cultura
medievale e Poesia Latina in Italia nei sec. XI e XII, II, Roma, 1892,
pp. 14-20. A. AmetLI, La basilica di Montecassino e la Lateranense
nel sec. XI, “Misc. Cassinese,” I (1897), pp. 16-20. G.
FaLco, Un Vescovo poeta ‘nel sec. XI, Alfano di Salerno, “Arch. Soc.
Romana di Storia Patria,” 35 (1912), pp. 439-82. B. ALsers, Verse
des Erzbischofs Alfanus von Salerno fiir Monte Cassino, “N. Arch.,” 39
(1913), pp. 667-669. M. Manitius, Geschichte der lateinischen
Literatur des Mittelalters, II, cit., pp. 618-37. P. O. KrisreLLer, The school of Salerno, “Bull. Hist.
of Med.,” 1945. Inem, Nuove fonti per la
medicina salernitana, “Rass. stor. salernitana,” 1957. Pier
Damiani Opere: Gratissimus; Gomorrhianus; Disceptatio Synodalis;
De Gallica profectione; Vitae Sanctorum; Carmina et Preces; Sermones
(l'attribuzione di molti dei quali è assai discussa).
Edizioni: P.L. 144-45 (è la ristampa dell’ed. di C. GaeranI del 1606 con
l'aggiunta di vari opuscoli scoperti da AnceLo Mar e apparsi in
“Scriptorum 530 Bibliografia veterum
nova collectio,” VI, Roma, 1832, pp. 193-244); manca una edizione critica
completa, esistono solo edizioni parziali; tra le più recenti citiamo: L.
De HeineMmann, in MGH, Libelli, 1, Hannover, 1891; G. Warrz, ibidem,
Scriptores, IV.; P. Brezzi - B. Narpi, S. Pier Damiani, De Divina
omnipoten- tia, ed altri opuscoli (con trad. it.), Firenze, 1943; A.
KoLprnc, Petrus D. Das Biichlein vom Dominus Vobiscum, Diisseldorf,
1949. Bibliografia: cfr. GevER, pp. 696-697; De Brie, n. 5160; in
particolare v.: J. A. Enpres, P. Damiani und die weliliche Wissenschaft
(“Beitrage,” VIII, 3), Miinster, 1910. L. KùHN, Petrus Damianus und scine Anschauungen iiber
Staat und Kirche, Karlsruhe, 1913. J. A. Enpres, Forschungen
zur Gesch. der friihmittelalterl. Philosophie, (“Beitrige,” XVII, 2-3),
Miinster, 1915. ]. Rmère, S.
Pierre Damien et les droits politiques du Pape, “Bull. litt. eccl.,”
1923. M. Losacco, Dialettici e antidialettici nei secc. IX, X, XI,
“Sophia,” 1933, pp. 525-29. V. Poretti, Il vero atteggiamento
antidialettico di S. P. Damiani, Faenza, 1953. F. DriessLEr,
P. Damiani, Roma 1954. J. GonsetTE, P. Damien et la culture
profane, Lovanio, 1956. Berengario di Tour Opere: De sacra
coena. Edizioni: P.L., 150; B. T. De sacra coena adversus
Lanfraneum, ed. A. F. e F. T. ViscHER, Berlino, 1834; una nuova ed., di
W. H. BeEKEN- rAMp, L’Aja, 1941; G. Morin, Lettre inédite de B. de T. à
Parchev. Joscelin de Bordeaux, “Rev. Bénédict.,” 1932, pp. 220-26.
Bibliografia: Cfr. GevER, pp. 696; De Brie, n. 5146; DE Wutr, I, pp.
166; in particolare v.: C. PrantI, II, pp. 73-76.
I. ScHmITzER, B. v. Tours und seine Lehre,
1890. T. Herrz, Essai historique sur les rapports entre la
philosophie et la foi de Bérenger de Tours è st. Thomas d'Aquin, Parigi, 1909. A. J.
Macponacp, Berengar and the reform of sacramental doctrine, Landra,
1930. G. Mor, Bérenger contre Bérenger, “Rech. théol. anc. méd.,”
1932, pp. 109-33; M. Marronota, Un testo inedito di
Berengario di Tours e il Concilio ro mano del 1079, Milano, 1936.
531 Bibliografia L.
C. Ramirez, La controversia eucaristica del siglo XI: B. de T. a la luz
de sus contemporéneos, Bogotà, 1940. F.
Verne, in DThC, II, 722-42. M. Cappuvns, in DHGE, VIII, 385-407.
Anselmo di Besate Opere: Rhetorimachia.
Edizioni: cfr. E. DimMEER in dibdl. e l’ed. crit. di K. ManItIUs, in
M.G.H. Quellen zu Geistesgeschichte des Mittelalters, 2, Weimar,
1958. Bibliografia: cfr. GevER, p. 696. E. DummLeER, A. d. Peripatetiker, Halle, 1872.
J. A. Enpres, Die Dialektiker und ihre Gegner in 11 Jahrhundert,
“Philos. Jahrb.,” 1906, pp. 23-24; 1913, pp. 85-93. Manegoldo
di Lautenbach Opere: Liber ad Gebehardum; Opusculum contra
Wolfelmum Colonien- sem. Edizioni: P.L., 155; il Liber in
M.G.H., Libelli, I (1891), pp. 308-490. Bibliografia: cfr. Gever, pp.
166; De Wutr, I, pp. 166; in particolare v.: J. A.
Enpres, Die Dialektiker und ihre Gegner im 11 Jahrhundert, cit, pp.
25-27; 1913, pp. 160-69. Ipem,
Manegold von Lautenbach, “Hist. Pol. Blitter,” 1901. Inem, Manegold
von Lautenbach, “Modernarum magister magistrorum,” Hist. Jahrb.,”
1904. M. T. Streap, Manegold of Lautenbach, “Engl. Hist. Rev.,”
1914. E. Woosen, Papauté et pouvoir civil à
l'époque de Grégoire VII, Lovanio, 1927. E.
Garin, Contributi alla storia del platonismo medievale, cit. (ora, con
aggiornata bibliografia, in Studi sul platonismo medievale, cit.).
Lanfranco di Pavia Opere: De corpore et sanguine Domini. Edizioni:
P. L., 150. Bibliografia: cfr. Gever, pp. 697-698; DE WuLF, I, p.
166; in particolare v.: A. J. MacponaLp, Lranfranc. A Study of his life, works and writings, Oxford,
1926, Londra, 19442. 532
Bibliografia Capitolo secondo Anselmo d'Aosta Opere:
Monologion o Exemplum meditandi de ratione fidei (1076); Proslogion o
Fides quacrens intellectum (1077-1078); De grammatico; De veritate; De
libertate arbitri (cadono tutte e tre tra il 1080 e il 1085); De casu
diaboli (1085-1090); Epistola de incarnatione Verbi (1 red. 1092, I red.
1094) o De mysterio Trinitatis; Cur Deus homo (1098); De conceptu virgi-
rali (1099-1100); De processione Spiritus Sancti (1102); Epistola de
sacrificio azymi; Epistola de sacramentis Ecclesiae (entrambe tra il 1106
e il 1107); De concordia praescientiae et praedestinatione et gratiae Dei
cum libero arbitrio (1108); Epistolae; Orationes sive meditationes
(1070-1104). Edizioni: in P.L., 158-159; ma si veda l’ed. crit. a
cura di F. S. ScHMITT, Leckau-Roma, 1938, Lipsia-Roma, I, 194 (i primi
due voll.), Edimburgo- Londra, 1943-1951 (i restanti tre voll.) e,
inoltre, il Monologion e.il Proslo- gion, Padova, 1951, con un testo che
riproduce l’ed. ScHMitT, e del Cur Deus homo l'ed. fotomecc. (Schmitt)
con trad. ted., Darmstadt, 1958. Delle trad. italiane ricordiamo le Opere
filosofiche a cura di C. Orraviano (escluso il Monologior), Lanciano,
1928; per il Monologion, quella sempre .a. cura dell’Ortaviano, Palermo,
1932; di A. Beccari, Torino, 1930; di A. LANTRUA, Firenze, 1934. Cfr.
inoltre: S. AnseLMo d'Aosta, /! Proslogion, le Orazioni, e le
meditazioni, testo lat. (Schmitt), trad. intr. a cura di G. Sanpri,
Padova, 1959. Bibliografia: La bibl. generale in GeveRr, pp.
698-700; De Brie, nn. 5161- 5205; De Wutr, I, pp. 174-176. Tra le
opere più interessanti e più recenti cfr.: a) Sull'ordinamento delle
opere e sul pensiero in generale: A. Koyré, L'idée de Dieu dans la
philosophie de St. Anselme, Parigi, 1923. H. OstLENDER, Anselm von
Canterbury, der Vater der Scholastik, Diissel- dorf, 1927. A.
Levasti, S. Anselmo, vita e pensiero, Bari, 1929. A. M. Jacquin, Les “rationes necessariae” de St. Ansélme,
“Mél. Man- donnet,” II, Parigi, 1930. K. BartH, Fides quaerens
intellectum. Anselms Beweis der Existenz Gottes im Zusammenhang seines
theolog. Programms, Monaco, 1931, 1958. W.
BerzenpòRFER, Giauben und Wissen bei den grossen Denkern des Mit
telalters, Gotha, 1931. A.
Wimart, Le premier ouvrage de St. Anselme contre le trittisme de
Roscelin, “Rech. théol. anc. méd.,” 1931. F. S. ScHMITT, Zur Ueberlieferung der Korrespondenz
Anselms von Can- terbury, “Rev. Bénédict.,” 1931. IpeMm, Zur Chronologie der werke des hl. Anselm, “Rev.
Bénédict.,” 1932. C. Orraviano, Le “rationes necessariae” in S.
Anselmo, “Sophia,” 1933. 533 Bibliografia
E. Giuson, Sens et nature de Pargument de St. Anselme, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1934. R.
ALcers, Anselm von Canterbury. Leben, Lehre, Werk... Vienna, 1936. F. S.
ScHMITT, Eine neues unvollendetes Werk des Hl. Anselme von Can- terbury.
De potestate et impotentia, necessitate et libertate, (“Beitrige,” XXXIII,
3), Miinster, 1936. A. StoLz, Anselm von Canterbury. Sein Leben, seine
Bedeutung, seine Haupt- werke, Monaco, 1937. L.
Baupry, La préscience divine chez St. Anselme, “Arch. Hist. doctr. litt.
m. &.” 1940-42. G. Ceriani, S. Anselmo, Brescia, 1947. S.
Vanni-RovicHi, S. Anselmo e la filos. del secolo XI, Milano, 1949. T.
Moretti-Costanzi, L'ascesi di coscienza e l'argomento di S. Anselmo,
Roma, 1951. H. G.. Wourz, The Empirical Basis of
Anselms Arguments, “Philos. Rev.,” 1951. S. A. Grave, The ontological
Argument of St. Anselm, “Philos.,” 1952. R,
Perino, La dottrina trinitaria di S. Anselmo, Roma, 1952. J. Kopper, Der
Ontologiche Gottesbeweis Anselmus und der moralische Gottesbeweis Kants,
“Ann. Univ. Saraviensis, Philos. Lett.,”
1953. F. S. ScHMmITT, Die Chronologie des Briefe des Anselm von
Canterbury, “Rev. Bénédict.,” 1954. R.
G. Mitcer, The ontological argument in St. Anselm and Descartes, “Mod.
School.,” 1955. F. S. ScHMitT, Die echten und unechten Stiicke der
Korrespondenz des hl. Anselm
von Canterbury, “Rev. Bénédict.,” 1955. M. Garripo, E! supuesto
racionalismo de S. Anselmo, “Verdad y vita,” 1955. H. Ort, Anselms Vorsbhungslehre, “Theol. Zeitschr.,”
1957. G. H. Wixiams, The sacramental presuppositions of Anselm’s “Cur
Deus homo,” “Church Hist.,” 1957. J. Mac Inrrre, St. Anselm and his
critics. A re-interpretation of the “Cur Deus homo,” New York,
1958. . Rousseau, Notes sur la connaissance de Dieu
selon St. Anselme, in De la connaissance de Dieu (vol. misc.), Parigi-Bruges,
1959. S. Scumitt, Intorno alla “Opera omnia” di S. Anselmo d'Aosta,
“Sophia,” 1959. . Henry, The scope
of the logic of st. Anselm, in L'homme et son destin, cit., pp.
373-383. . R. FarrwEaTHER, Truth, justice and moral responsibility in the
thought of St. Anselm, ibidem, pp. 385-391. 3) Sul Monologion: P. Vicnaux, Structure et sens du
Monologio, “Rev. sc. philos. théol.,” 1947. c) Sul
Proslogion: MO v n 534
Bibliografia K. BartH, Fides quarens intellectum, Monaco,
1931. A. Stotz, Zur Theologie Anselms in Proslogion, “Catholica,”
1933. Ipem, “Vere esse” im Proslogion des hl. Anselm, “Schol.,”
1934. IpeM, Das Proslogion des hl. Anselm, “Rev. Bénédict,”
1935. M. Cappurns, L'argument de st. Anselme, “Rech. théol. anc.
méd.,” 1934. A. Kotpinc, Anselms Proslogion-Beweis des Existenz
Gottes, Bonn, 1939. F. BeRcENTHAL, Ist
der ontologische Gottesbeweis Anselms von Canterbury cin Trugschluss?,
“Philos. Jahrb.,” 1948. Tu. A. AupeT, Une
source augustinienne de l'argument de St. Anselme, in “E. Gilson
philosophe de la Chrétienté,” Parigi, 1949. M. T.
AntoneLLI, Il significato del Proslogion di Anselmo d'Aosta, “Riv. rosminiana,” 1951. H. HocHserc, St. Anselm
’s ontological argument and Russel’s theory of description, “N. Schol.,”
1959. Anselmo di Lzon Opere: I
molti scritti che furono opera della scuola di Anselmo si con- fusero con
quelli della scuola di Guglielmo di Champeaux, allievo di Anselmo, per
cui resta difficile farne una sicura distinzione; ad Anselmo vengono
attribuite: Sentenziae Anselmi, Sententiae divinae paginae, Glossa
interlinearis; ma le attribuzioni non sono del tutto sicure. Edizioni e bibliografia: cfr. Gever, pp. 700; De Brie,
5299-5314; De Wuctr, I, pp. 250-251; in particolare v.:
J. De GHELLINCK, The Sentences of Anselm of Laon and their place in
the codification of theology during the XIII century, “Irish theol. Quart.,” 1911. F. BLIEMETZRIEDER,
Anselm von Laons systematische Sentenzen... I, Texte (Beitrige, XVIII,
2-3), Miinster, 1919. Ip., L'ocuvre d'Anselme de Laon et la
littérature théologique contemporaine, “Rech. Théol. anc. méd.,” 1933,
1934, 1935. H. WriswriLeR, Das Schriftum der Schule A. von Laon und
Wilhems vom Champeaux in deutschen Biblioteken, (“Beitrige,” XXXIII,
1-2), Miinster, 1936. A.
Lanperar, Werke aus dem Bereich der Summa Sententiarum und Anselm von
Laon, “Div. Th.” (F.), 1936. O. Lortin, Aux
ornigines de l'école d'A. de Laon, “Rech. théol. anc. méd.,” 1938, pp.
101-22. IpeM, Nouveaux fragments théologiques de Pécole d'A. de
Laon, ibidem, 1939, pp. 252-59, 309-23; 1940, pp. 53-77; 1946, pp.
185-221, 162-81; 1947, pp. 8-31 e bibl. 165-70. Ipem,
Psychol. et morale au XII* e XIII* siècles, cit., 1, pp. 15-18; II, pp. 71-72,
105-106, 422; VI, pp. 445-477. 535
Bibliografia F. Cavarcera, D'Anselme de Laon è Pierre
Lombard, “Bull. litt. ecclés.,” 1940. B. Smatrey, The study of the Bible in the Middle Ages,
Oxford, 1941, pp. 33-35, 40-43, 45-46. H. WrisweILER, Die
dltesten scholastischen Gesamt-Darstellungen der Theo- logie. Ein Beitrag
zur chronologie der Sentenzen werke der Schule Anselm von Laon und
Wilhelms von Champeaux, “Schol.,” 1941. O. Lortm, La doctrine d'Anselme de Laon sur les dons du
Saint-Esprit et son influence, “Rech. théol. anc. méd.,” 1957.
H. WerrsweiLER, Die Arbeitweise der sogenanten Sententiae Anselmi.
Ein Beitrag zum Entstehen der systematischen Werke der Theologie,
“Schol.,” 1959. Y. Lerèvre, Le “De conditione angelica et
humana” et les “Sententiae Anselmi” (con testo), “Arch. Hist. doctr.
litt. m. &.,7 1959. O. Lorin, A propos de la date de deux
florilèges concernant Anselme de Laon, “Rech. théol. ‘anc.
méd.,” 1959. Roscellino Opere: si veda di Roscellino
la Lettera ad Abelardo, in P.L., 178, e in J. Remers, Der Nominalismus in
der Friihscholastik (“Beitrige,” VIII, 5). Miinster, 1907.
Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 701; De Wutr, I, 159. In particolare
v.: E. Buonaruti, Un filosofo della contingenza nel sec. XI: Roscellino da Compiègne, “Riv. stor. crit.
scien. rel.,” 1908. F. Picaver, Roscellin, philosophe et théologien
d'après la légende et d'après l’histoire, Parigi, 1911? (con
testi e documenti in app.). M. Gorce, in DThC, XIII,
2911-2915. Capitolo terzo Sulla cultura del XII secolo e il
suo “rinascimento” A. CLervar, Les écoles de Chartres au Moyen Age
du V au XVI siècle, Parigi, 1895. M. GraBMann, Die Geschichte d. scholast. Methode,
Monaco, 1911. Cu. H. Haskins, The Renaissance of the 12*% century,
Cambridge (Mass.), 1927. G. Paré - A. Bruner - P. TremsLay, La Renaissance du XII*
siècle, Parigi- Ottawa, 1933. 536
Bibliografia M. De Wutr, Le panthéisme Chartruin, in Aus der
Geisteswelt des mittel- alters (“Beitrige,” suppl. III), Miinster,
1935. J. M. Parent, La doctrine de la création dans l'’école de
Chastres, Parigi- Ottawa, 1938. J. De GHELLINCK, L'essor de
la littérature latine au XII° siècle, Bruxelles, 1946, 1954?.
Pu. DeLHAyE, L'organisation scolaire au XII' siècle, “Tradiwio”
1947. G. Paré, Les idées et les lettres au XII° siècle. Le Roman de
la Rose, Mon- tréal, 1947. E. R. Curtius, Ewropdische
Literatur und lateinisches Mittelalter, cit. J. De GHELLINcK, Le
mouvement théologique au XII° siècle, cit. T.
Grecory, L'idea della natura nella scuola di Chartres, “Gior. crit.
filos. ital,” 1952. Ipem, Anima mundi. La filosofia di
Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Firenze, 1955.
M.-D. CHÒenu, La théologie au douzième siècle, Parigi, 1957.
E. Garin, Di alcuni aspetti del Platonismo medievale, in particolare nel
XII secolo, in Studi sul Platonismo medievale, cit. Cfr.
inoltre, riguardo all’organizzazione degli studi, specialmente in
Francia: E. Lesne, Les écoles de la fin du VIII* siècle è la
fin du XII° siècle, +. V della
Histoire de la propriété ecclésiastique en France, Lilla, 1940. U.
Guatazzini, Ricerche sulle scuole preuniversitarie del Medioevo. Con-
tributo di indagini sul sorgere delle Università, Milano, 1943. H. I. Marrou, Histoire de l'éducation dans l’antiquité,
Parigi, 1948, pp. 416-461. Pu. DeLHAYE, L'enseignement de la
philosophie morale au XII° siècle, “Med. Stud.,”
1947, 1949. A. L. Gasriet, English Masters and Students in Paris
during the XII! Century, “Anal. Praemonstr.,” 25, 1949. P. S.
Boskorr, Quintilian in the Latin Middle Ages, “Spec.” 1952. Capitolo quarto Scuola di Chartres
Bibliografia: A. Cerva, Les écoles de Chartres au Moyen Age... cit.
R. L. PooLe, The Master of the Schools of
Paris and Chartres, in John of Salisbury's time, “Engl. Hist. Rev.,” 1920. J. M. Parent, La doctrine de la
Création dans l'École de Chartres, cit. 537
Bibliografia S. Vanni-RovicHi, La prima scolastica, “Grande
Antologia Filosofica,” IV, Milano, 1954. T. Grecory, Anima
mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres,
cit. E. Garin, Studi sul platonismo medioevale, cit., pp.
13-87. .Fulberto Opere: Sermoni, poesie, agiografie e
lettere in P.L., 141. Bibliografia: C. Prister, De Fulberti
Carnotensis episcopi vita et operibus, Nancy, 1885; s.v. in DThC, VI,
964-967. .Bernardo Opere: Fonti e frammenti in P.L.,
199, 666 e 938; e cfr. P. TrHomas, in “Mel. Graux,” Parigi, 1884, dove
pubblica alcuni estratti del De invenzione .rhetorica.
Gilberto de la Porrée Opere: Commenti agli Opuscola sacra di
Boezio; scritti esegetici tra i quali particolarmente importanti i
Commenti ai salmi ed all’Epistola at «Romani. Edizioni: I
Commenti a Boezio insieme agli stessi Opuscola sacra, in P.L., 64 (ma
cfr. R. SrLvann, Le texte des Commentaires sur Boèce de Gilbert -de la
Porrée, “Arch. Hist. doctr. m. à.,” 1946); ed. crit. dei Commenti: al De
Hebdomadibus, “Traditio,” 1953, ai. due Opuscoli sulla Trinità, “Studies
and Textes,” I, Toronto, 1955; al Contra Eutychen et Nestorium (De duabus
naturis), “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1954. Le opere esegetiche
bibliche «sono ancora inedite, salvo una parte del Commento ai Salmi. Per
il Liber «de sex principiis, che non è probabilmente di Gilberto, cfr.
P.L., 188, 1255- 1270; ed. crit. A. Hevsse, Miinster, 19532.
Bibliografia: La bibl. generale in Grever, pp. 704-705; De Brie, nn.
‘5208-5211; De Wutr, I, pp. 213-214. In particolare cfr.: A.
Lanpcrar, Untersuch. zu den Eigenlehren Gilberts de la Porrée, “Zeitschr.
Kathol. Theol.,” 1930. Ipem,
Mitteil. 2. Schule Gilbert Porreta-s, “Collect. franc.,” 1933. A. Forest, Le réalisme de Gilbert de la Porrée dans les
commentaire du “De hebdomadibus}” “Rev. néosc. philos.,” 1934.
Ipem, Gilbert de la Porrée et les écoles du XII° siècle, “Rev. cours et
confér.,” 1934. .A. Haven, Le concile de Reims et l'erreur
théologique de Gilbert de la Porrée, “Arch. Hist. doctr. litt. m.
&.,” 1935-1936. Bibliografia M. H. Vicarre, Les
Porretains et l'avicennisme avant 1215, “Rev. sc. philos. théol.,” 1937. M. Harinc, The case of
Gilbert de la Porrée, “Med. Stud.,” 1951. E. Wicciams, The Teaching
of Gilbert Porretta on the Trinity, Roma, 1951. Miano,
Il commento alle Lettere di S. Paolo di Gilberto Porrettano, in
Scholastica ratione hist-crit. instauranda, Roma, 1951, pp. 171-199.
M. Harinc, The Commentary of Gilbert
bishop of Poitiers on Boethius “Contra Euthychen et Nestorium” (con
testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1954. A. M.
Lanperar, Zur Lehre des Gilbert Porretta, “Zeitschr. f. kathol. Theol.,”
1955. Vanni-RovicHI, La filosofia di Gilberto Porrettano, “Misc.
del centro di studi med. dell’Univ. catt. di Milano,” Milano, 1956.
M. Harinc, Sprachlogische und philosophische Voraussetzungen zum
Verstindnis der Christologie Gilberts von Poitiers, “Schol.,” 1957.
Simon, La glose è l'épftre aux Romains de Gilbert de la Porrée, “Rev.
Hist. ecclés.,” 1957. J.
WestLEY, A philosophy of the concreted and the concrete. The con-
stitution of creature according to Gilbert de la Porrée, “Schol.,”
1959-1960. Z_S RZ DO zz
Teodorico di Chartres Opere: De sex dierum operibus; Heptateucon;
Commento al De Trini- tate di Boezio (Librum hunc).
Edizioni: De sex dierum operibus in Haurfau, Notices et extraits...,
1893, pp. 52 sgg. e in W. Jansen, Der Kommentar d. Clarembaldus v.
Arras zu Boethius De Trinitate, Breslavia, 1926; Heptateucon, scoperto e
presentato da A. CLervar in “Congrès scient. int. d. Cathol.,” II,
Parigi, 1889, pp. 277 sgg., ed. del prologo a cura dello JeaunEAU in
“Méd. Stud.,” 1954; Librum hunc in JAnSEN,
op. cit., e cfr. N. M. Harinc, A Commentary on Boethius “De Trinitate” by
Thierry of Chartres, “Arch. Hist.
doctr. litt. m. 4.” 1956. La bibl. generale in Gever, p. 704;
De Bue, n. 5352; DE Wutr, I, pp. 192-193. Bibliografia: P.
DuneM, Le système du monde, cit., III, pp. 184-193; J. M. Parent,
La doctrine de la création dans l'école de Chartres, cit. E.
JEaunEAU, Quelques aspects du platonisme de Thierry de Chartres, “Con-
grès de Tours et Poitiers,” 1954. Ipem, Un représentant du
platonisme au XII° siècle: Thierry de Chartres, “Mém. Soc. archéol.
d’Eure-et-Loire,” 1954. Ipem,
Simples notes sur la cosmogonie de Thierry de Chartres, “Sophia,”
1955 539 Bibliografia N. M. Harinc, A
short treatise on the Trinity from the School of Thierry of Chartres,
“Med. Stud.,” 1957. Inem, The lectures of Thierry of Chartres on
Boethius “De Trinitate” “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1958.
IpeMm, Two Commentaries on Boethius (“De Trinitate” and “De Hebdo-
madibus”) by Thierry of Chartres, ibidem, 1960. Guglielmo
di Conches Opere: Philosophia mundi (in varie red.); Dragmaticon
philosophiae; Glosse alla Consolatio boeziana; Glosse al Timeo di
Platone. Assai probabile anche l’attribuzione del Moralium dogma
philosophorum, opera eccezional- mente fortunata. Edizioni:
La Philosophia mundi, in P.L., 90 (tra le opere di Beda) e 172 (tra le
opere di Onorio di Autun); il Dragmation, ed. C. Parra, Parigi, 1943;
frammenti della Secunda e Tertia Philosophia in V. Cousin, Ouvrages
inédits d’Abélard, Parigi, 1936, pp. 669-677, ove si trovano pure alcuni
fram- menti del Commento al Timeo, pp. 648-657. Per la Glosse aBoezio e
al Timeo cfr. CH. Journary, Notices et extraits..., XX, 2, Parigi, 1862,
e, par- ticolarmente T. Grecory, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo
di Conches e la scuola di Chartres, Firenze, 1955, ed E. Garin, Studi sul
platonismo medievale, Firenze, 1958. Per il Moralium dogma philosophorum
cfr. l’ed. J. HoLmserc, Upsala, 1929. Bibliografia: Cfr.
Gever, p. 704; De Brie, nn. 5245-5248, 5352; DE Wutr, I, pp.
192-193. In parti colare
cfr.: H. FLATTEN, Die philosophie des Wilhelm von Conches,
Coblenza, 1929. C. Ortaviano,
Willelmi a Conchis philosophia seu Summa philosophiae, “Arch. st.
filos.,” 1932, n. 2; 1933, n. 1. IpeM,
Un brano inedito della Philosophia di Guglielmo di Conches, Napoli,
1935. J. M. Parent, La doctrine de la création dans
l'école de Chartres, cit. (con brani delle glosse a Boezio e al
Timeo). Pu. DeLHave, Une adaptation du “De Officiis” au XII°
siècle, le “Moralium dogma philosophorum, “Rech. théol. anc. méd.,”
1949. T. Grecory, Sull'attribuzione a Guglielmo di Conches di un
rimaneggiamen- to della “Philosophia mundi) “Gior. crit. filos. ital.”
1951. Ipem, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la
scuola di Chartres, cit. E. Garin, Studi sul platonismo medioevale, cit.
B. OprrerNAM, L'usage de la notion d'“Integumentum” à
travers les gloses de Guillaume de Conches, “Arch. Hist. doctr. litt. m.
£. 7 19597. 540 Bibliografia
J. Hanticnars, Points de vue sur la volonté et le jugement dans
l'ocuvre d'un humaniste chartrain, in L'homme et son destin, cit., pp.
417-429. E. JeaunEAU, Gloses de Guillaume de Conches sur Macrobe.
Notes sur les manuscrits, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 2.,” 1960.
Ipem, Deux rédactions des gloses de Guillaume de Conches sur
Priscien, “Rech. théol. anc. méd.,” 1960. Bernardo
Silvestre Opere: De mundi universitate sive Megacosmus et
Microcosmus; Com- mentum in VI Aeneidos Libros; Mathematicus; De
gemellis; De paupere ingrato; Experimentarius. Edizioni:
Vari frammenti ed estratti delle opere in V. Cousin, Ouvrages inédits
d'Abélard, Parigi, 1836 e 1855; per il De mundi universitate, cfr. l'ed.
S. BaracH - J. WrosEt, Innsbruck, 1876; per il Commentum l’ed. RiepEL,
Gryphisvaldae, 1924; per il Mazhematicus vedi P.L., 171 dove si trova
l’ed. J. Bourassé, tra le opere di Ildeberto di Lavardin; per
l'Experimentarius cfr. M. Brini-SavoreLLI, Un manuale di geomanzia
presentato da Bernardo Silvestre di Tours (XII secolo):
L’“Experimentarius” “Riv. crit. st. filos.,” 1959.
Bibliografia: La bibl. generale inGeyeR, p. 704; De Wutr, I, p. 192.
In particolare cfr.: E. Girson,
La cosmogonie de Bernard de Sylvestris, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.7
1928. L. THornpIKE, An History of magic and
experimental science, II, New York, 1929, c. 39. Tu.
Silverste, The fabulous Cosmogony of Bernard Silvestris, “Modern
Philol.,” 1948. Capitolo quinto Pietro
Abelardo Opere: a) logica: 1) Glosse letterali: Editio super
Porphyrium; Glossae in Categorias; Editio super Aristotelem de
interpretatione; De divisionibus; 2) Logica “Ingredientibus”; 3) Logica
“Nostrorum petitioni sociorum” (Glos- se a Porfirio); 4) Dialectica (pit
volte rimaneggiata tra il 1118 e il 1137). 6) teologia: 1) De
wnitate et trinitate divina (1118-1121); 2) TAeologia christiana
(1123-1124); 3) Theologia (1125-1138); 4) Sic et Non (1121-1123?); 5)
Commenti esegetici ai testi biblici (dopo il 1125); 6) Sermones; 7) Dia-
logus inter iudacum, philosophum et christianum. c) etica: Ethica,
seu liber Scito te ipsum. 541 Bibliografia
Inoltre le Epistole (tra le quali particolarmente importanti il
carteggio con Eloisa e la Historia calamitatum). Edizioni:
Tutte le opere, escluse quelle logiche, in P.L., 178; gli scritti fino ad
allora inediti di Abelardo furono editi da V. Cousin, Ouvrages iné- dits
d'Abélard, Parigi, 1836, che fece poi seguire la nuova edizione delle
opere già edite: Petri Abaclardi opera hactenus scorsin edita, a cura di
V. Cousin e Cu. Journain, Parigi, 1849-1859. Altre ed. che
completano il Corpus abelardiano: P. AsaELARDI, De uni- tate et trinitate
divina, ed. R. SròLzLE, Friburgo, 1891; Peter Abaclards Philo- sophische
Schriften (1. Die Logica “Ingredientibus” 1; Die Glossen zu Porphy- rius;
Die Logica “Ingredientibus” 2; Die Glossen zu den Kategorien; Die Logica
“Nostrorum petitioni sociorum”; Die Glossen zu Porphyrius), a cura di B.
GEvER, in “Beitrige,” XXI, 1, 1919; XXI, 2, 1921; XXI, 3, 1927; XXI, 4,
1933; Peter Abaelards Theologia “Summi Boni” zum ersten Male volistindig
herausgegeben (“Beitrige,” XXV), Miinster, 1939; Abaelard's Letter of
Con- solation to a Friend (Historia calamitatum), a cura di J. T.
MuckLeE, “Med. Stud.,” Toronto, 1950, ed ora nell’ed. crit. d i J.
Monratn: ABfLarp, Historia calamitatum, Parigi, 1959; Pretro ABELARDO,
Scritti filosofici (Editio super Porphyrium, Glossae in Categorias, Super
Aristotelem de Interpretatione, De divisionibus, Super Topica glossae),
editi per la prima volta da M. Dar Pra, Milano-Roma, 1954; Twelfth
century logic. Texts and Studies, a cura di L. Minio-ParueLLo, Roma,
1956-1958 (vi sono alcuni testi di Abelardo); P. AsaeLarpus, Diglectica,
First complete edition of the Parisian manuscript, a cura di L. M. De
Rijx, Assen, 1956, Utile l'antologia a cura di M. De Gan- piLLac, Ocuvres
Choisies d' Abélard, Parigi, 1945. Il Conosci te stesso è stato tradotto
in italiano da M. Dar Pra, Vicenza, 1941, l’Epistolario da C. Or- Taviano,
Palermo, 1934. Bibliografia: La bibl. generale in Gever, pp.
702-703; De Brie, nn. 5212-5244;
De Wutr, I, pp. 208-209. CH. De Rémusar, Abélard. Sa vie, sa
pensée, sa théologie, Parigi, 1845; 2. ed.
1855. L. Tosti, Storia di Abelardo e dei suoi tempi, Napoli, 1851;
Roma, 1887. E. Kaiser, Pierre Abélard critique,
Friburgo, 1901. J. Mc Case, Peter Abelard, New York, 1901.
J. Reiners, Der Nominalismus in der Frihscholastik (“Beitràge,” VIII,
5), Miinster, 1910. B. GevER, Die Stellung Abàlards in der
Universalienfrage... (“Beitràge,” suppl. I), Miinster, 1913.
H. OsrLenper, P. Abelards Theologia und die Sentenzenbiicher seiner
Schule, Breslavia, 1926. C. Ottaviano, Pietro
Abelardo, La vita, le opere, il pensiero, Roma, 1931. J. Cortiaux, La conception de la théologie chez Abélard,
“Rev. hist. ec- clés.,” 1932. 542
Bibliografia J. G. Sikes, Peter Abaelard, Cambridge, 1932.
Cu. CHarrier, Héloise dans l'histoire et dans la légende, Parigi, 1933.
]. Rivière, Les “capitula” d’Abélard condamnés au concile de Sens,
“Rech.. théol. anc. méd.,” 1933. H. OstLenper, Die Theologia
“Scholarium” des Peter Abaelard, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters
(“Beitràge,” Suppl. III), Miinster, 1935. Pu. S.
Moore, Reason in the Theology of Peter Abelard, “Proceed. Cathol. Philos.
Ass.,” 1937. R. J. TrÒompson, The role of dialectical Reason in the
Ethics of Abelard, “Proceed. Cathol.
Philos. Ass.” 1937. E. Girson, Héloise et Abélard, Parigi, 1938,
1948? (trad. it., Torino, 1950). J. RoHMERr, La finalité morale
chez les théologiens de S. Augustin è Duns Scot; Parigi, 1939.
H. Wappett, Peter Abelard, Londra, 1939. L. Nicorau DOLMmEr,
Sur la date de la Dialectica d'Abélard, “Rev. m. a. lat.,” 1945. R. LLoyp, Peter
Abelard: the Orthodox Rebel, Londra, 1947. J.
R. Mc Catcum, Abelard's Christian Theology, Londra, 1948. M. Dar
Pra, Idee morali nelle lettere di Eloisa, “Riv. st. filos.,” 1948. Inem, Motivi dello “Scito te ipsum” di Abelardo, “Acme,”
1948. J. De GHELLINcK, Le mouvement théologique du XII° siècle,
cit. E. ArnoLp, Z. Geschichte der
Suppositionstheorie, “Symposion,” 1952. L. Minio PaLvetto, Twelfth
century Logic, cit. J. T. MuckLe, The letter of Heloise on
religious life and Abelard's first reply, “Med. Stud.,” 1955. N.
M. Harinc, A third manuscript of Peter Abelard's “Theologia summi boni,”
“Med. Stud.,” 1956. T. P. LaucHLin, Abelard's Rule for religious
women, “Med. Stud.,” 1956. R. BLomme, A propos
de la définition du péché chez Pierre Abélard, “Ephem. theol. Lovan.,”
1957. B. Smaccey, Prima. clavis sapientiae: Augustin and Abelard,
in F. Saxl memorial Essays, Londra, 1957, pp. 93-100. C.
MazzantinI, “Cosmo turbato” e “pluralità di mondo” nell’etica di Abe-
lardo, “Atti Acc. Sc. di Torino,” 1957-58. N. A. Siropova, Abélard et son epoque, “Cahiers d’hist.
mond.” 1958. A. Borst, Abélard und Bernhard, “Hist.
Zeitschr.,” 1958. M. T. Fumacatti, Note sulla logica di Abelardo,
“Riv. crit. st. filos.,” 1958, 1960 E. BertoLa, Le critiche
di Abelardo ad Anselmo di Laon e a Guglielmo di Conches, “Riv. filos.
neosc.,” 1960. La questione degli Universali J. H.
Loewe, Der Kampf zwischen Realismus und Nominalismus im Mittel.,. Praga, 1876. 543
Bibliografia M. De Wutr, Le problème des universaux dans son
évolution historique du IX? au XIII* siècle, “Archiv. fiir Gesch. der
Philos.,” 1896. J. ReinErs, Der
aristotelische Realismus in der Friihscholastik (“Beitrige,” VIII, 5),
Miinster, 1910. R. L. PootLe, The Masters of the Schools at Paris
and Chartres in John of Salisbury's Time, “Engl. Hist. Rev.,” 1920. ]. PauLus, Sur les
origines du nominalisme, “Rev. Philos.,” 1937. L. Mino PaLuecto, The “Ars disserendi of Adam of
Belsham Parvipon- tanus” “Med. Ren. Stud.,”
1954. Guglielmo di Champeaux Opere: Le Opere
(frammenti) di Guglielmo di Champeaux, in P.L., 163; le Sententiae vel
quaestiones XLVII, a cura di G. Lerèvre, Lilla, 1898; De generibus et
speciebus, a cura di V. Cousin, in Oeuvres inédites d' Abé- lard,
1836. Bibliografia: G.
Lerèvre, Les variations de Guillaume de Champeaux sur la question des
universaux. Etude suivie de documents originaux, Lilla, 1898.
E. MicHaup, G. de Champeaux et les écoles de Paris au XII* siècle,
Pa- rigi, 1867. G. Lerèvre, Les variations de G. d. Champ. et
la question des universauz, Lilla, 1898. F. Picavet, Note sur
l’enseignement de Guill. de Champeaux d'après l'‘Historia calamitatum’
d'Abélard, “Rev. intern. de l’enseignement,” 1910. P. Gopet,
Guillaume de Champeaux, in DThC. H. WrisweILER, Die Schriften der
Schule Anselms von Laon und W. von Champeaux, “Deutsch. Bibl.”
1936. La bibl. generale in GeyER, pp. 701-702; De Brie, nn. 5299,
5306, 5313; De WuLr, I, p. 178. Per Adelardo di Bath cfr. la
relativa bibl. al capitolo I della P. IV. Sugli sviluppi della
scuola abelardiana nella sua componente teologica «fr. particolarmente A.
Lanpcrar, Finfishrung in die Geschichte der theolo- gischen Literatur der
Friihscholastik, Regensburg, 1948; e dello stesso: Écrits théologiques de
l'École d’Abélard, Textes inédits (Sententiae parisienses e Ysagoge in
theologiam), Lovanio, 1934. 544 Bibliografia
Capitolo sesto Pietro Lombardo Opere: Commenti
scritturali; Sermones; Libri IV Sententiarum. Edizioni: Le Opere
in P.L., 191-192; i Libri quattuor sententiarum, nel- l'edizione critica
dei Francescani di Quaracchi, Quaracchi (Firenze), 1916. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 710-711; De Brie, nn.
5369-5378; De WuLF, I, pp. 250-251. J. EspensERGER, Die
Philosophie des Petrus Lombardus (“Beitrige,” III, 5), Miinster,
1901. F. Cavarcera, S. Augustin et le Livre des sentences de Pierre
Lombard, “Arch. Philos.,” 1930. J. De GHeELLINCK, Pierre
Lombard, in DThC, XII, 1941-2019. H. Weriswerer, La “Summa
sententiarum,” source de Pierre Lombard, “Rech. théol. anc. méd.,”
1934. Pietro Lombardo, Novara, 1953 (con la bibl. lombardiana di J. de
Ghellinck, pp. 24-25). S. Vanni-RovicHi, Pier Lombardo e la
filosofia medievale, “Sapienza,” 1954. Miscellanea Lombardiana (in
occasione delle celebrazioni organizzate in Novara per onorare Pietro
Lombardo), Novara, 1957. Sul movimento che ha portato all'elaborazione
dei Libri Sententiarum e delle Summe cfr.: sopratutto M. GrasMmann,
Geschichte der Katolischen Theologie, Friburgo (Br), 1933, pp. 286-9; F.
StecmùLLER, Repertorium comment. in Sent. Petri Lombardi, Wiirzburg,
1947, con le aggiunte di M. Gotoszewska, J}. B. Kororec, A. PoLtAWwSKI,
Z. K. SIEMIATKOWSKA, J. Tarnowska, Z. WLopEk, in “Miscellanea philosophica
Polonorum,” Varsavia, 1958. Vedi
inoltre: J. Stmer, Des Sommes de théol., Parigi, 1871.
M. Grasmann, Gesch. d. schol. Meth., cit., II, cit., pp. 3-25,
476-563. G. Paré, A. Brunet, P. TreMBLAY, La renaissance du XII s.
Les écoles et l'enscignement, cit. G. EncLHarpr, Die
Entwicklung der dogmatischen Glaubenpsychologie vom Abaelardstreit bis
Philipp den Kanzler, (“Beitrige,” XIII), 1933. P. GLorieux, Sommes
théologiques, in DThC, XIV, 2341-64. J. De GHELLINcK, Le mouvement
théologique du XII s., cit., passim. M.-D. ChÒenu, La théologie au
douzième siècle, Parigi, 1957, passim. O. LortIn, Psychologie et
morale..., cit., VI, pp. 9-18, 119-124, 137-148. Giovanni di
Salisbury Opere: Entheticus, sive de dogmate philosophorum;
Polycraticus, sive 545 Bibliografia de
nugis curialium et vestigiis philosophorum; Metalogicon; Historia pon-
tificalis. Edizioni: Le Opere in P.L., 199. Il
Polycraticus è edito a cura di C. C. J. Wes8, Oxford, 1909; il
Metalogicon sempre a cura del Wes, Oxford, 1929; la Historia pontificalis
a cura di R. L. Poote, Oxford, 1927; a cura dello stesso anche le
Epistolae. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 705; De Brig, nn.
5384-5390; De WuLF, I, p. 234. In particolare v.:
C. C. J. WeB8, John of Salisbury, Londra, 1932. J. Huizinca,
Een proegothieke geest, Johannes van Salisbury, “Tijdschrift voor
geschiedenis,” 1933, ed ora in Verzamelde Werken, IV, Haarlem,
1949. C. C. J. Wess, Joannis Sarisberiensis
Metalogicon. Addenda et corrigenda, “Med. Ren. Stud.,” 1941-43.
L. Denis, Un humaniste au moyen dge: Jean de Salisbury, 1120?- -1180, “Nova et Vetera,” 1940, 1941. H.
LiesescHirz, Mediaeval Humanism in the life and writings of John of
Salisbury, Londra, 1950. M. Dar Pra, Giovanni di Salisbury, Milano,
1951. D. D. Mc Garry, The Metalogicon of John of Salisbury: A
Twelfth Cen- tury Defense of the Verbal and Logical Arts of the Trivium,
Berkeley- Los Angeles, 1955. G. AspeLIN, John of
Salisbury"s Metalogicon, “Bibl. Soc. Royal des Lettres de Lund,”
1951-1952. B. HetsLinc-GLoor, Natur und Aberglaube im
“Policraticus” des Johann von Salisbury, Zurigo, 1956. H.
HoHENLEUTNER, Johannes von Salisbury in der Literatur der letzen zehn
Jahre, “Hist. Jahrb.,” 1958. M. A. Brown, John of Salisbury, “Franc.
Stud.” 1959. Alano di Lilla Opere: Regulae de Sacra
theologia; Summa quoniam homines; Tracta- tus de virtutibus, de vitiis et
de donis Spiritus Sancti; De Planctu Naturac; Anticlaudianus; Ars
Praedicandi; Summa quot modis; Contra Haereticos; Liber Paenitentialis;
Rythmus. Edizioni: In P.L.,
210, ad eccezione della Summa quoniam homines e del Liber de virtutibus
per i quali v.: O. LortIN, Le traité d'Alein de Lille sur les virtus, les
vices et les dons du Saint Esprit, “Med. Stud.,” 1950 ed
ora in Psychologie et morale... cit., VI; Summa quoniam homines, a cura
di P. GLorreux, “Arch. Hist. litt. doctr. m. à.,” 1954; Anticlaudianus,
testo critico e introd., a cura di R. Bossuar, Parigi, 1955.
546 Bibliografia Bibliografia: Cfr. Gever, p. 706; De
Brie, n. 5352; De Wutr, I, p. 228. In particolare v.: M. BaumcartneR, Die
Philosophie des Alanus de Insulis, (“Beitrage,” II, 4), Miinster,
1896. J. Huizinca, Veber die Verkniipfung des poetischen mit dem
Theologischen bei Alanus de Insulis, “Mededeel d.k. Akad. Afd.
Letterkunde,” LXXVI, B, 6, Amsterdam, 1924 (con in app. un’altra red. del
De virtutibus) [ed ora in Verzamelde Werken, IV, Haarlem, 1949, pp.
3-84]. M.-D. ChÙenu, Un essai de méthode théologique au XII*
siècle, “Rev. sc. philos. théol,” 1935. J. M. Parent, Un
nouveau témoin de la théologie dionysienne au XII° siècle, in Aus der
Geisteswelt des Mittelalters (“Beitrige,” Suppl. III), Miinster,
1935. P. GLorieux, L'iauteur de la Somme “Quoniam homines” “Rech.
théol. anc. méd.,” 1950., G. Rarmaup pe Lace, Alain de Lille,
poète du XII° siècle, Parigi, 1951. R.
H. Green, Alan of Lille's “De planctu naturae” “Spec.,” 1956. V.
CienTo, Alano di Lilla poeta e teologo del sec. XII, Napoli, 1958. M.-D. CHenu, Une théologie
axiomatique au XII° siècle. Alain de Lille, “Cîteaux
Nederl.,” 1958. A. Ciorti, Alano e Dente “Convivium,” 1960.
O. Lortin, Alein de Lille une des sources des
“Disputationes” di Simon de Tournai, in Psychologie et morale..., cit.,
VI, pp. 93-106. C. VasoLi, Due studi per Alano
di Lilla, “Bull. Ist. st. it. m. e.,” 1961. Ipem, La teologia
“apothetica” di Alano di Lilla, “Riv. crit. st. filos.,” 1961.
Ipem, Le idee filosofiche di Alano di Lilla nel “De Planctu” e
nell“Anti- claudianus” “Gior. crit. filos. ital.” 1961.
Nicola di Amiens Opere: De aste catholicae fidei Edizioni:
In P.L., 210, sotto il nome di Alano di Lilla. Bibliografia: Cfr. Gever,
pp. 706; DE Wutr, I, p. 250. Clarembaldo di Arras Opere:
Commento al De Trinitate di Boezio. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 704; DE Wutr, I, pp.
192-193. W. Jansen, Der Kommentar des Cl. v. Arras 2. Boethius
De Trinitate, Breslavia, 1926. 547
Bibliografia Capitolo settimo Sulle eresie cfr. in
generale: F. Tocco, L'eresia nel medioevo, Firenze, 1884 (cfr.
anche Albori della vita italiana, Milano, 1913). G. Vorpe,
Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italia. na:
sec. XI-XIV, Firenze, 1926, 19612. H. Grunpmann, Religiose
Bewegungen im Mittelalter, Berlino, 1935. A. De Srerano,
Riformatori ed eretici nel medioevo, Palermo, 1938. R. MansELLI,
Profilo dell'eresia medioevale, “Humanitas,” 1950. R. MorcHEN,
Medioevo Cristiano, Bari, 1951 (L'eresia del medioevo). A. Donparne, L'origine de l'hérésie médiévale, “Riv. st.
d. Chiesa in Ital.,” 1952. L.
Sommariva, Studi recenti sulle eresie medioevali (1939-1952), “Riv. st.
ital.” 1952. A. Borst, Die Katharer, Stoccarda, 1953.
R. ManseLLI, Studi sulle eresie del sec. XII, Roma, 1993. Per il
Francescanesimo rinviamo alla voce Ordini Mendicanti del capitolo 2 della
Parte IV. Gioacchino da Fiore ‘Opere: Concordia
veteris et novi Testamenti; Tractatus super IV _Evan- gelia; Expositio in
Apocalypsim; Psalterium decem chordarum; Adversus ludaeos; De articulis
fidei. Edizioni: Concordia, Venezia, 1519; Expositio, ivi, 1627;
Psalterium, Venezia, 1957. Edizioni recenti: Joachim de
Fiore. Tractatus super quatuor Evangelia, a cura di E. Buonaruti, Roma,
1930; Joachimi Albertis Liber contra Lombar- dum (Scuola di Gioacchino da
Fiore), a cura di C. OrrAviano, Roma, 1934; Joachim de Flore. Scritti
minori. De articulis fidei, a cura di E. BuonaIUTI, Roma, 1936. Si cfr.
anche L. TonpeLLI, Il libro delle figure di Gioacchino da Fiore, Torino,
1939-1940. Bibliografia: Ci limitiamo ad opere di carattere
generale: E. Buonaruti, G. da Fiore. I tempi. La vita. Il messaggio, Roma,
1931. E. Benz, Joechim-Studien, “Zeitschr. f. Kirchengesch.,” 1931, 1932,
1934. J. Ca. Huck, Joachim von Floris und die
joachitische Literatur, Friburgo, 1938. F.
Foserti, Gioaecch. da Fiore e il Giovacchinismo antico e moderno, Pa-
dova, 1942. M. Reeves, The “Liber figurarum” of |. of
Fiore, “Med. Ren. Stud., 1950. H. Grunpmann, Neue Forschungen iiber ]. von
Flora, Marburgo, 1950. F. Russo, Bibliografia gioachinita, Firenze,
1954. 548 Bibliografia A. Crocco, La
teologia triniteria di Gioachino da Fiore, “Sophia;” 1957. M. W. BLoomriEL©, Joachin von Flora. A critical survey
of his canon, teachings, sources, biography and influence, “Traditio,”
1957. E. Mrxxer, Neuere Literatur siber Joachin von Fiore, “Cîteaux
Nederl.,” 1958. Bernardo di Clairvaux Opere:
Epistolae, in P.L., 182; Sermones LKXXVI, in P.L., 183 (nuova ed. a cura
di B. GseLL-L. JANAUSCHEK, Xenia bernardina, Vienna, 1891); Tractatus: 1)
ascetico-mistici, in P.L., 182; 2) monastici, in P.L., 182; 3) liturgici,
in P.L., 182-183; 4) dogmatici ed apologetici, in P.L., 182; 5) agio-
grafici, in P.L., 182. L’ed. critica delle opere, a cura di J. LecLERO, C.
H. TaLBor, H. M. RocHars, è in corso a Roma, 1957 sgg. Cfr.
inoltre: Sr. Bernarp, Oeuvres (voll. 2) a cura di M. M. Davr, Parigi,
1945 e l’ed. spagnola in corso a Madrid, 1953 sgg.
Bibliografia: Cfr. GevEr, pp. 707-708; De Brie, nn. 5263-5284; De WuLF,
I, pp. 255-256. Per la bibl. generale completa fino al 1891
cfr. G. Hurrer, Die Wunder des Al. Bernard, “Hist. Jahrb.,” 1889 e
in L. JAanAUSCHEK, Xenia bernardina, Vienna, 1891, rist anast.,
Hildersheim, 1959; C. H. TaLsor, Bibliografia di S. Bernardo, “Riv.
st. d. Chiesa in Ital.,” 1954; J. DE LA Crorx Bourton,
Biblioeraphie bernardinienne, Parigi, 1958. Tra gli studi generali
e i più recenti v.: E. Vacanparp, Vie de S. Bernard abbé de
Clairvauz, Parigi, 1910. J.
Bernuart, Eckhartistische und bernhardische Mystik in ihren Beziehun- gen
und Gegensitzen, Kempten, 1912. S. Bernard et son temps, Dijon, 1928. P.
LasERRE, Un conflit religieux politique au XII° siècle: S. Bernard et
Abé- lerd, Parigi, 1930. P. MirERRE, St. Bernard. Un moine
arbitre de l'Europe au XII° siècle, Gen- val, 1929. Ipem, La
doctrine de S. Bernard, Bruxelles, 1932. A. FescHNER, Die Politische
Theorie des Abbas Bernards von Clairvaux in seinen Briefen, Bonn,
1933. E. Gitson, La :héologie mystique de S. Bernard, Parigi, 1934,
19472. W. Wicciams, St. Bernard of Clairvaux, Manchester,
1936. O. Castren, Bernhard von Clairvaux. Zur Typologie des
mittelalterlischen Menschen, Lund, 1938. J. Baupry, Saint
Bernard, Parigi, 1946. J. LecLERco, St. Bernard mystique, Bruges,
1948, Parigi, 1958. E. Gitson, S. Bernard. Textes choisies et
présentées, Parigi, 1949. C. Despinay, L'ime embrasée de St.
Bernard, Parigi, 1950. Ipem, Textes sur St. Bernard et Gilbert de
la Porrée, “Med. Stud.,” 1952. 549 Bibliografia
P. DoumontIgr, St. Bernard et la Bible, Bruges, 1953. M. T.
AntonELLI, Bernardo di Chiaravalle, Milano, 1953. J. LecLerco,
Études sur S. Bernard et le texte de ses écrits, Roma, 1953. S.
Vanni-RovicHI, S. Bernardo e la filosofia, “Riv. filos. neosc.,” 1954.
L. Sartori, Natura e grazia nella dottrina di S. Bernardo, “Studia
pata- vina,” 1954. Saint
Bernard théologien, Actes du congrès de Dijon, 1953, Roma, 1955.
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Magonza - Wiesbaden, 1955. J. LecLerco, Recherches sur les “Sermons
sur les Cantiques” de St. Bernard, “Rev. Bénédict.,” 1955, 1959,
1960. E. KLEInEIDAM, Wissen, Wissenschaft,
Theologie bei Bernhard von Clairvaux, Lipsia, 1955. J. LecLerco, L'archétype clairvallien des traités de St.
Bernard, “Scriptorium,” 1956. Z. ALszecny, Contributo alla
teologia bernardiana, “Greg.,” 1957, Pu. DeLHave, Le problème de la
conscience morale chez S. Bernard, Namur, 1957. Bruno of Sr.
James, Saint Bernard of Clairvaux: An Essay in Biography, Nuova York,
1957. A. Van DEN BoscH, L'intelligence de la foi chez St. Bernard,
“Cîteaux Nederl.,” 1957. IneM,
The christology of St. Bernard: a review of recent works, ibidem,
1957. Inem, Presupposé è la christologie bernardine, “Cîteaux Nederl.,”
1958. R. Assunto, Sulle idee estetiche di Bernardo da Chiaravalle,
“Riv. estet.,” 1959. E.
Borssazp, St. Bernard et le Pseudo-Aréopagite, “Rech. théol. anc. méd.,”
1959. A. Van DEN BoscH, Le mystère de l'incarnation chez St.
Bernard, “Cîteaux,” 1959. W.
ULLMANN, St. Bernard and the nascent international low, ibidem, 1959.
A. Fiske, Sf. Bernard of Clairvaux and friendship, ibidem, 1960.
Guglielmo di St. Thierry Opere principali: Epistola ad
Fratres de monte Dei; De contemplando Deo; De natura et dignitate amoris;
Adversus Abaclardum; Speculum fidei; Aenigma fidei; De natura corporis et
animae, ecc. Edizioni: Le Opere in P.L., 180; le Meditativae
orationes a cura di M. M. Davv, Parigi, 1934; L’Epistola ad Fratres de
Monte Dei, ed. crit. e tr. a cura di M. M. Davy,
Parigi, 1940; il Commentario al Cantico dei cantici sempre a cura di M.
M. Davy, Parigi, 1958; lo Speculum e l’Aenigma, 550
Bibliografia sempre ed. Davy, Parigi, 1959; il De contemplando
Deo, ed J. HourLieR, Parigi, 1959; cfr. anche Oeuvres choisies (ed. J. M. DecHanET) Parigi, 1944. Bibliografia:
Cfr. Gever, p. 708; De Brie, nn. 5250-5262; De Wutr, I, pp.
255-256. In particolare si veda: A. Apam, Guillaume de S.
Thierry, sa vie et ses oeuvres, Bourg-en-Bresse, 1923. L.
Matevez, La doctrine de lime et de la connaissance mystique chez G. de
S-Thierry, “Rech. sc. relig.,” 1932. M. M. Davy, La connaissance de
Dieu d'après Guill. de St. Th., “Rech. sc. relig.,” 1938. J.
M. DécHanet, Guill. d. St. Thierry. L’homme et son oeuvre, Bruges-
Parigi, 1942. Ipem, La doctrine de l'amour-intellection chez G. de
St. TÀ., e Guill. d. St. Thierry et Plotin, “Rev. m. à lat.,” 1945,
1946. E. Girson, Notes sur Guillaume de St. Thierry, in La
théologie mystique de S. Bernard, cit., pp. 216-232. L. DE
Simone, Gugl. di S. Thierry, “Sapienza,” 1949. M. M. Davy,
Théologie et mystique de Guill. de St. Thierry, I, La con- naissance de
Dieu, Parigi, 1954. L. DE Simone, Gli aspetti
filosofici della mistica di Guglielmo di St. Thierry, “Doctor communis,”
1957. R. De Gancx, Petits travaux sur Guillaume de
St. Thierry, “Cîteaux Nederl.,” 1958. E.
Garin, Guglielmo di Conches e Guglielmo di Saint-Thierry, in Studi sul
Platonismo medievale, cit., pp. 62-68. O. Brooke, The trinitarian aspect of the ascent of the
soul to God in the theology of William of St. Thierry, “Rech. théol. anc.
méd.,” 1959. IpeM, The speculative development of the trinitarian
theology of William of St. Thierry, ibidem, 1960. Isacco
di Stella Opere: Sermones; Epistola de anima ad Alcherum Edizioni:
Opera, in P.L., 194. Bibliografia:
F. BLieMETZRIEDER, Isaac de Stella. Sa spéculation théolo- gique, “Rech.
théol. anc. méd.,” 1932. W. Meuser, Die Erkenninislehre
d. Isaac v. Stella, Bottropp i. w., 1934. M. A. FracHeBouD, Le Pseudo-Denys l'Aréopagite parmi les
sources du cistercien Isaac de l’Etoile, “Collect. Ord. Cister.,”
1947. IpeM, L'inffuence de St. Augustin sur le cistercens Isaac de
l’Etoile, “Coll. Ord. Cister.,” 1949, E.
BertoLA, La dottrina psicologica di Isacco di Stella, “Riv. filos.
neosc.,” 1953. 55! Bibliografia La
bibl. generale in Gerer, p. 708; De Brie, n. 5480; De Wutr, I, p.
228. Alchero di Clairvaux Opera: Liber de spiritu et
anima Edizioni: in P.L., 40, 773-832 sotto il nome di Agostino.
Bibliografia: G. Tuery, L'authenticité du “De
spiritu et anima” dans St. Thomas et Albert le Grand, “Rev. sc. philos.
théol.,” 1921. P. FourNIER, s.v., in DHGE, II,
14-15. Ugo di S. Vittore Opere: Filosofiche:
Didascalion; Epitome in Philosophiam; De unione corporis et spiritus;
Mistiche: De arca Noe morali; De arca Noe mystica; Soliloguium de arrha
animac; Commentarium in Hierarchiam caelestem S. Dionysii, l. X.,
ecc. Edizioni: Le Opere in P.L., 175-177. Cfr. inoltre: Epitome in philoso- phiam, ed.
Haurfau, in H. de St. Victor. Nouvel examen de ses ocuvres, Parigi 1859;
Hugonis a S. Victore Didascalion. De Studio legendi, ed. cri- tica a cura
di C. H. Burrimer, Washington, 1939; Hugues de St. Victor, La
contemplation et ses espèces (testo e intr.) ed. R. Baron, Parigi, 1958.
Si cfr. J. De GHeLLINcK, La tables de matières de la première édition des
ocuvres de Hugues de St. Victor, “Rech. sc. relig.,” 1910; e Un catalogue
des oeuvres de H. de S. V., “Rev. néoscol. philos.,” 1913.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 709; De Brig, nn. 5287-5295; De WutLr,
I, pp. 221-222. In particolare v.: A. Mignon, Les origines de
la scolastique et Hugues de S. Victor, Parigi, 1895. F. VERNET, Hugues de S. V., in DThC, V, 240-308.
W. A. ScHNEMER, Geschichte und Geschichtsphilosophie bei Hugo von
St. Victor, “Miinsterische Beitrige zur Geschichtsforschung,” 3,
Miinster, 1933. B. BiscHorr, Aus der Schule H. v. St. V., in
Aus der Geisteswelt des Mittel alters, (“Beitrige,” suppl. III),
Miinster, 1935. F. E. Crorpon, Notes on the Life of Hugh de S.
Victor, “Journ. theol. Stud.,” 1939. ). LecLERco, Le De
Grammatica de Hugues de S. Victor, “Arch. Hist. doctr. litt. m. d.,”
1943-1945. J. KLEInz, The theory of knowledge of Hugh of S. V., Washington,
1944. H. WerswetLER, Die Arbeitsmethode Hugos v. S. Victor
“Schol.,” 1949. Ipem, Zur Einflussphaere der “Vorlesungen” H.s von
St. Viktor, in “Mél. J. De
Ghellink,” Gembloux, 1951. 552 Bibliografia
J. CrÒatiLLon, De Guillaume de Champeaur è Thomas Gallus.
Chronique d'histoire littéraire et doctrinale de l'école de Saint-Victor,
“Rev. m. È. lat.,” 1952. R. Baron, L'influence de Hughes de
Saint-Victor, “Rech. théol. anc. méd.,” 1955 { Ipem, É:ude
sur l'authenticité de l'ocuvre de Hugues de St. Victor..., “Scrip
torium,” 1956. Ipem, Science et sagesse chez Hugues de
Saint-Victor, Parigi, 1957. D. Van pEN EynpE, Les Commentaires sur
Joèl, Abdias et Nahum attribués à Hugues de St. Victor, “Franc. Stud.,”
1957. H. WeriswetLer, Sacramentum fidei, Augustinische und Pseudodionysische
Gedanken in der Glaubensauffassung Hugos von St. Viktor, “Misc. Schmaus,”
1957. L. CaLoncuHI, Le scienze e la classificazione delle scienze
in Ugo di S. Vit- tore, Torino, 1956. F. W. Wirre, Die Staats-und Rechtsphilosophie des Hugo
von St. Viktor, “Arch. Recht-Sozialphilosophie,” 1957. R.
Roques, Connaissance de Dieu et théologie symbolique d'après l“In
Hierarchiam coelestem” de Hugues de St. Victor, in De la connaissance de
Dieu, cit., pp. 187-266. H. R.
ScHLeTTE, Die Eucharistielehre Hugos von St. Viktor. “Z. kathol. Theol.,”
1959. R. Baron, Un point de philosophie et de
mystique comparée, “Rev. hist. philos. relig.,”
1959. E. BertoLa, Di alcuni trattati psicologici attribuiti a Ugo
di S. Vittore, “Riv. filos. neoscol.,” 1959. J. A. RosiLLIARD, Hugues de Saint-Victor a-t-il écrit le
“De contemplatione et cius speciebus”? “Rev. sc. philos. théol.,”
1959. R. Baron, Hugues de St. Victor: contribution è un nouvel
examen de son oeuvre, “Traditio”” 1959. InpeMm, Rapports
entre St. Augustin et Hugues de St. Victor, trois opuscules de Hugues de
St. Victor, “Rev. Etud. Aug.,” 1959. D. Van pEN Evnpe, Deux traités
faussement attributs è Hugues de St. Viktor, “Franc. Stud.,” 1959. O.
Lortin, Questions inédites de Hugues de St. Victor, “Rech. théol. anc.
méd.,” 1959-1960. R. JaveLET, Les origines de Hugues de St. Victor,
“Rev. sc. relig.;” 1960. D. Van pEN Evnpe, Les notules in Genesim
de Hugues de St. Victor, source litteraire de la “Summa Sententiarum,” “Ant.,”
1960. Inem, Essai sur la succesion et la date des écrits de Hugues
de St. Victor, Roma, 1960. 553 Riccardo di S.
Vittore Opere: Tractatus de gradibus charitatis; Beniamin minor;
Beniamin ma- ior; De Trinitate; Quomodo Spiritus Sanctus est amor Patris
et Filii; Liber exceptionum; Epistolae. Edizioni:
I testi in P.L., 196; 177 coll. 193 sgg. Cfr. inoltre: Richard de S. V.
Les quatre degrés, testo critico, trad. e note, a cura di G. DUuMEIGE,
Parigi, 1955; De Trinitate, ed. e note di J. RisarLLier, Parigi, 1958;
Liber exceptionum ed. e note di J. CratiLLON, Parigi, 1958, e ancora il
De Trinitate con trad. franc. a cura di G. SaLET, Parigi, 1960 e R. de
St. Victor, Sermons et opuscules inédits tr. fr. Pragi, 1951.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 710; DE Bn, nn. 5496, 5550; De WuLr, I, p.
222. In particolare: C. Ortaviano, Riccardo di S. Vittore. La vita,
le opere, il pensiero, “Mem. R. Accad., Naz. Lincei,” 1933. A. M. EtHIER, Le “ De Trinitate” de
Rich. de S. Victor, Parigi-Ottawa, 1939. J. A. Rosi.LIARD, Les six genres
de contemplation chez Rich. d. S. Victor et leur origine platonicienne,
“Rev. sc. philos. théol.,” 1939. I. Guimet, “Caritas ordinata” et “amor
discretus” dans la théologie trini- taire de R. de S. V., “Rev. m. 8.
lat.” 1948. G. DumeIGe, Richard de Saint Victor et l'idée chrétienne de
l'amour, Parigi, 1952. J.
BeaUMER, R. v. S. Viktor Theologe und Mystiker, “Schol.,” 1956. R. Baron, Richard de St. Victor est-il l'auteur des
Commentaires de Nahum, Joél, Abdias?, “Rev. bénédict.,” 1958.
Goffredo di S. Vittore Opere: In P. L., 196. Cfr.
inoltre: Godefroy de Saint Victor. Fons
Philosophiae, a cura di A. CHarma, Caen, 1869; Godefroy de Saint-Victor.
Microcosmus, ediz. a cura di PH. DeLHAYE, Lilla-Gembloux, 1951; Godefroy
de Saint Victor. Fons Philosophiae, ed. a cura di P. MicHaup-Quantin,
Namur-Lovanio, 1956. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 710; De WuLF, I,
p. 222. In particolare: Pu. DeLHave, Nature et grice chez Geoffroy de S.Victor, “Rev.
m. &. lat.,” 1947. IpeM, Le “Microcosmus” de Godefroy de
Saint-Victor. Étude théologique, Lilla-Gembloux, 1951. Ildegarda
di Bingen Opera: Scivias, Liber divinorum operum simplicis
hominis, ecc. 554 Bibliografia Edizioni:
in P.L., 197, 145-1038; in J. B. Prrra, Analecta sacra spicilegio
Solesmensi parata, VIII, Montecassino, 1882; in A. Damorseau, Novae edit.
opp. omn. S. Hildegardis experimentum, Sampierdarena, 1893-1899.
Bibliografia: cfr. De Wutr, I, p. 255. In particolare: CH. Sincer, The scientific views and visions of S.
Hildegard, in Studies in the history and methods of science, I, Oxford,
1917. H. Fiscrer, Die Al. Hildegard, die erste deutsche
Naturforscherin und Aerz®n, Monaco, 1927. H. LiesescHurz, Das
allegorische Weltbild der hl. Hildegard von Bingen, Lipsia, 1930.
M. Uncrunp, Die metaphysische Anthropologie der hl. Hildegard von
Bingen, Miinster, 1938. D. Baumcarpr, The concept of
mysticism, “Rev. of. relig.,” 1948. Capitolo
ottavo Per la bibliografia relativa al pensiero politico ed alle
controversie teo- logico-politiche del XII secolo, rinviamo direttamente
alla ricca bibliografia di L. Firpo, in app. alla tr. ital. di R.
W. e A. J. CaruxLe, Il pensiero politico medioevale, vol. II, Bari, 1959,
pp. 607-681. 555 Parte terza Capitolo
primo Tra la vastissima bibliografia sulla filosofia araba (e cfr.
GEvER, pp: 716- 720; De Brie, nn. 21819-21923) citiamo soltanto i
seguenti studi di carat- tere generale. Bibliografia: V. CHÙauvin, Bibliographie des
ouvrages arabes ou relatifs aux Arabes pu- bliés dans l'Europe chrétienne
de 1810 à 1885, Liegi, 1892-1922. D.
PranmuLcer, Handbuch der Islam-Literatur, Berlino, 1923. E.
Carverev, A brief bibliography of arabic philosophy, “The Moslen World,”
1942. ° ]. Sauvacet, Introduction è
l'histoire de l’Orient musulman: éléments de bibliographie, 1943;
Corrections et suppléments, 1946. P. J. De Menasce, Arabische
Philosophie, fasc. 6 di “Bibliographische Ein- fihrungen in das Studium
der Philosophie,” Berna, 1948. G. C. Anzwart; Le Philosophie en
Islam au Moyen-Age, in Philosophy in the Mid-Century, a cura di R.
KLisansKy, vol. IV, Firenze, 1959. Index Isiamicus, 1906-1955,
Cambridge, 1958. Opere generali: S. Munx, Mélanges de
philosophie juive et arabe, Parigi, 1859, 19272. T. J. DE Borr,
Geschichte der Philosophie im Islam, Stoccarda, 1901. B. Carra DE
Vaux, Les penseurs de l'Islam, Parigi, 1921, 1926. E. De Lacy O’Leary, Arabic thought and his place in
history, Londra, 1922, 19572. L. GaurtHIER, Introduction è l'étude de la philosophie
musulmane, Parigi, 1923. M. Horten, Die Philosophie des
Islams, in KAFKA, Geschichte der Philos. in Einzeldarstellungen, Monaco,
1923. E. Girson, L’étude des philosophes arabes et son réle dans
linterprétation de la scolastigue, “Proceed. of the sixth internat. Congress of Philos.,” 1927. M.
Horten, /Islamische Philosophie (Die Religion in Geschichte und Gegen-
wart, t. III, 2° ed.), Tubinga, 1930. 556
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fiore, Firenze, 1939. G. FurLaniI, La filosofia araba, “Conferenze Centro
Studi Vicino Oriente,” Roma 1943. G. E. V. GruneBaUM, Medieval Islam, Chicago,
1946. A. S. Trirton, Muslim Theology, Londra, 1947. J.
W. SweEETMAN, Zslam and Christian theology, a study of interpretation of
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1954. Anprae, Les origines de l'Islam et le christianisme, Parigi,
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medieval Islam: an introductory outrline, New York, 1958.
. C. AnawAtI, Philosophie médiévale en terre
d'Islam, “Mél. Inst. domi- nicain Etud. Orient.,”
1958. o mar r Leonardo Fibonacci Opere:
Liber abbaci (1202); Flos; Practica Geometriae (1220); Liber quadratorum
(1225). Edizioni: Scritti di Leonardo Pisano, a cura di B.
Boncompagni, Roma, 1857-1872. Bibliografia: Cfr. E.
BortoLotTI, Storia della matematica elementare, in Enciclopedia della
matematica elementare, Milano, 1950. al-Kindi Opere:
De intellectu; De somno et visione; De somno et vigilia; De quinque
essentiis; Liber introductorius in artem logicae demonstrationis;
Epistola sull'acquisto della filosofia solo mediante le matematiche;
Trattato circa il numero dei libri di Aristotele e circa ciò che è
necessario per rag- giungere la filosofia; Sull'anima; Epistola intorno
all'arte di allontanare la tristezza. Inoltre un famoso trattato di Ortica,
tradotto da Gerardo da Cre- mona e diffusissimo nel XIII e XIV sec.
Edizioni: Numerosi scritti sono stati pubblicati da ‘Abd al-Hadi
Abi Ridah, sotto il titolo Rasa'il al-Kindi alfalasafiyyah, il Cairo,
1950. Cfr. inoltre Una risalah di al-Kindi sull'anima, a cura di G.
Furtani, “Riv. trimestr. di studi fil. e relig.,” 1922.
Bibliografia: Cfr. Geyer, p. 726; De Brie, nn. 21931-21932a; DE WuLF, I,
p. 305. In particolare vedi: A. Nacy, Die philosophischen
Abhandlungen des Ja qub ben Ishaq al-Kin- di (“Beitrige,” II, 5),
Miinster, 1897. 557 Bibliografia G.
FLucer, Al-Kindi genannt der “Philosoph der Araber” “Abhdig. f. d. Kunde
Morgenlandes,” 1854. H. Matter, Al-Kindi, “Hebrew Union College
Annual,” Cincinnati, 1904. G. Furtani, Una riszlah di al-Kindi
sull'anima, cit. M. Gui: - R. Warzer, Studi su Al-Kindi: I. Uno
studio introduttivo allo studio su Aristotele; II. Uno scritto morale
inedito di Al-Kindi (Temistio “peri aliplas”), “Mem. Acc. Lincei.,” serie
7, v. 4, 1938, serie 7, v. 8, 1940. F. RosentHAL, Al-Kindi als
Literat, “Orientalia,” 1942. A.
Cortazarrfa, La obras y las doctrinas del filosofo Al Kindi en los
escritos de S. Alberto Magno, “Estud. filos.,” 1951-1952 (e cfr. anche
“Ciencia tomista, 1952). al-Farabi Opere principali:
De intellectu; De scientiis; De ortu scientiarum; De Platonis
Philosophia; Compendium legum Platonis; Idee degli abitanti della città
virtuosa; Liber exercitationis ad viam felicitatis. Edizioni:
Alfarabis Philosophische Abhandlungen (testo arabo), a cura di F.
Diererici, Leida, 1890 (trad. ted., Leida, 1892); Der Musterstaat von
Alfarabi, a cura di F. Drererici, Leida, 1895 (trad. ted., Leida, 1904);
Die Staatsleitung von Alfarabi, trad. ted. a cura di F. Dreterici, Leida,
1904; Das Buch der Ringsteine Farabis mit dem Kommentar des Emir Ismail
el Hoscini el Farani, trad. ted. a cura di M. Horten, Miinster, 1906;
A/fa- rabi. De Intellectu et intellectus, trad. ‘lat.
medievale, a cura di E. Gitson, “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,”
1929-1930; Alfarabius, De Arte Poetica, ediz. e trad. inglese a cura di
A. J. Arserry, “Riv. stud. orient.,” 1930; Alfarabius, Catélogo de las
ciencias, ediz. a cura di A. GonzaLes PALENCIA, Madrid, 1932; Alfarabius,
De Platonis philosophia, a cura di F. RosENTHAL- R. Watzer, Londra, 1943;
Alfarabius, Compendium Legum Platonis, testo arabo e trad. lat. a cura di
F. GagriELI (Corpus platonicum medii aevi), Londra, 1952; Al Farabi's
Arabic-Latin Writings on Music... “De scientiis” and “De ortu scientiarum,”
testo tr. ingl. a cura di H. Harmer, Glasgow, 1934; Idées des habitants
de la cité vertueuse, tr. fr., Il Cairo, 1949. Bibliografia:
Cfr. Gever, pp. 720 sgg.; De Brie, nn. 21938-21943b; DE Wutr, Ì, p.
305. In particolare vedi: R. Hamui, La filosofia di
Alfarabi, “Riv. filos. neoscol.,” 1928. E. Girson, Les sources greco-arabes de l'augustinisme
avicennisant, “ Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.,” 1930. I.
Mapkour, Le place d'al Farabi dans l'école philosophique musulmane,
Parigi, 1934. 558 Bibliografia Strauss,
Quelques remarques sur la science politique de Maimonide et de
Farabi, “Rev. étud. juives,” 1936. J. ArserrY, Farabis Canons of
Poetry, “Riv. stud. orient.” 1937. Karam, “La Ciudad virtuosa” de
Alfarabi, “Ciencia tomista,” 1939. BéporeT, Les premières
traductions tolédanes de philosophie. Oeuvres d'Alfarabi, “Rev.
néosc. philos.,” 1938. H. Sarman, Le “Liber exescitationis ad viam
felicitatis” d’Alfarabi, “Rech. théol. anc. méd.,” 1940.
H. SaLman, The Mediaeval Latin
Translations of Alfarabi's Works, “N. Schol.,” 1939.
Strauss, Farabi's Plato, “L. Ginzeberg Jubilee Volume,” New York,
1945 pp. 257-294. Corrasarria,
Las obras y la filoséfia de Alfarabi en los escritos de Alberto
Magno, “Ciencia tomista,” 1951. IneM, Doctrinas psicologicas
de Alfarabi en los escritos de Alberto Magno, ibidem, 1952.
Ipem, Tabla general de las citas de Alkindi y de Alfarabi en las obras
de Alberto Magno, “Est. filos.,” 1953. D. CasaneLAas,
Alfarabi y su “Libro de la concordancia” entre Platon y
Aristoteles, “Verdad y Vita,” 1950. p_TODO
SD Ta F F. Rassmann, L'“Intellectus acquisitus” in Alfarabi,
“Gior. crit. filos. ital.,” 1953. E. BertoLa, Commento al
“Dell'essenza dell'anima” di al-Farabi, “Misc. Centro di studi mediev.
dell’Un. catt. di Milano,” Milano, 1956. R. Waczer, al-Farabi's
theory of profecy and divination, “Jour. hellen. Stud.,” 1957. L. Strauss, How Farabi read
Plato's Laws, “Mél. L. Massignon,” 1959. Avicenna
Opere: Della vastissima produzione (la bibl. critica di Mahdavi
cita 131 opere autentiche e 110 dubbie, e il P. Anawati 276 di cui
parecchie dubbie ed apocrife) citiamo soltanto oltre al celebre Canone
della medicina (al-Oanuùn fi-t-tibb) i seguenti scritti di carattere
propriamente filosofico: il Kitàb ash-Shifa (Libro della guarigione); il
Kitab-an-Nagiah [Libro della salvezza (dall'errore)], estratto dello
Skifz; il perduto Libro del giudizio imparziale tra occidentali e
orientali (Kitàb-al-'Jus3f); una ventina di Opw- scoli filosofici; alcuni
frammenti pubblicati da A. BapHawi; il Kit20 al'-Isharat wa't-tanbihat
[Libro delle direttive e annotazioni]; il Daneshnameh i-Alè'i [Libro
della sapienza per ’Aal); una parte della Logica della sua Filosofia
orientale nota sotto il nome di al-Hikmah al-mashrigiyyah; inoltre la
Epistola sull'amore (Risala f''l-Isq). Edizioni: il Canone,
pit volte stampato in Occidente, è stato adattato e riassunto in ingl. da
O. A. Cameron GruNER, A Treatise on she Canon of 559
Bibliografia Medicine of Avicenna. Incorporating a Translation of
the First Book, Londra, 1930; le parti della 4/-Sifa tradotte nel
Medioevo furono pubblicate a Ve- nezia nel 1495 (rist. anast.,
Heverlee-Lovanio, 1960) e 1508; tr. ted. «della Metafisica, M. Horten,
Die Metaphysik Avicenna's: das Buch der Genesung der Seele,
Lentiis” and “De ortu scientiarum,” testo tr. ingl. a cura di H. Harmer,
Glasgow, 1934; Idées des habitants de la cité vertueuse, tr. fr., Il
Cairo, 1949. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 720 sgg.; De Brie, nn.
21938-21943b; DE Wutr, Ì, p. 305. In particolare vedi:
R. Hamui, La filosofia di Alfarabi, “Riv. filos. neoscol.,” 1928.
E. Girson, Les sources greco-arabes de
l'augustinisme avicennisant, “ Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.,”
1930. I. Mapkour, Le place d'al Farabi dans l'école philosophique
musulmane, Parigi, 1934. 558 Bibliografia
Strauss, Quelques remarques sur la science politique de Maimonide
et de Farabi, “Rev. étud. juives,” 1936. J. ArserrY, Farabis
Canons of Poetry, “Riv. stud. orient.” 1937. Karam, “La Ciudad
virtuosa” de Alfarabi, “Ciencia tomista,” 1939. BéporeT, Les
premières traductions tolédanes de philosophie. Oeuvres d'Alfarabi,
“Rev. néosc. philos.,” 1938. H. Sarman, Le “Liber exescitationis ad
viam felicitatis” d’Alfarabi, “Rech. théol. anc. méd.,” 1940.
H. SaLman, The Mediaeval Latin
Translations of Alfarabi's Works, “N. Schol.,” 1939.
Strauss, Farabi's Plato, “L. Ginzeberg Jubilee Volume,” New York,
1945 pp. 257-294. Corrasarria,
Las obras y la filoséfia de Alfarabi en los escritos de Alberto
Magno, “Ciencia tomista,” 1951. IneM, Doctrinas psicologicas
de Alfarabi en los escritos de Alberto Magno, ibidem, 1952.
Ipem, Tabla general de las citas de Alkindi y de Alfarabi en las obras
de Alberto Magno, “Est. filos.,” 1953. D. CasaneLAas,
Alfarabi y su “Libro de la concordancia” entre Platon y
Aristoteles, “Verdad y Vita,” 1950. p_TODO
SD Ta F F. Rassmann, L'“Intellectus acquisitus” in Alfarabi,
“Gior. crit. filos. ital.,” 1953. E. BertoLa, Commento al
“Dell'essenza dell'anima” di al-Farabi, “Misc. Centro di studi mediev.
dell’Un. catt. di Milano,” Milano, 1956. R. Waczer, al-Farabi's
theory of profecy and divination, “Jour. hellen. Stud.,” 1957. L. Strauss, How Farabi read
Plato's Laws, “Mél. L. Massignon,” 1959. Avicenna
Opere: Della vastissima produzione (la bibl. critica di Mahdavi
cita 131 opere autentiche e 110 dubbie, e il P. Anawati 276 di cui
parecchie dubbie ed apocrife) citiamo soltanto oltre al celebre Canone
della medicina (al-Oanuùn fi-t-tibb) i seguenti scritti di carattere
propriamente filosofico: il Kitàb ash-Shifa (Libro della guarigione); il
Kitab-an-Nagiah [Libro della salvezza (dall'errore)], estratto dello
Skifz; il perduto Libro del giudizio imparziale tra occidentali e
orientali (Kitàb-al-'Jus3f); una ventina di Opw- scoli filosofici; alcuni
frammenti pubblicati da A. BapHawi; il Kit20 al'-Isharat wa't-tanbihat
[Libro delle direttive e annotazioni]; il Daneshnameh i-Alè'i [Libro
della sapienza per ’Aal); una parte della Logica della sua Filosofia
orientale nota sotto il nome di al-Hikmah al-mashrigiyyah; inoltre la
Epistola sull'amore (Risala f''l-Isq). Edizioni: il Canone,
pit volte stampato in Occidente, è stato adattato e riassunto in ingl. da
O. A. Cameron GruNER, A Treatise on she Canon of 559
Bibliografia Medicine of Avicenna. Incorporating a Translation of
the First Book, Londra, 1930; le parti della 4/-Sifa tradotte nel
Medioevo furono pubblicate a Ve- nezia nel 1495 (rist. anast.,
Heverlee-Lovanio, 1960) e 1508; tr. ted. «della Metafisica, M. Horten,
Die Metaphysik Avicenna's: das Buch der Genesung der Seele, Lipsia, 1913;
tr. lat. della Metafisica del Nagat: A. Carame, Avicennae Metaphysicae
compendium, Roma, 1926; ed. crit. dell'originale: ash-Shifa, I, a cura di
I. Mapkour, M. EL KHoprirr, G. C. Anawati, F. eL-AÒw£nI, 1952; il De
Anima (la parte psicologica delle Kitab-al-Shifa) nell’ed. F. Ranman,
Londra, 1959. Gli scritti mistici (Trastés mystiques) in tr. fr. a cura
di M. A. MEHREN, Leida, 1889-1899; La Logica orientale, ed. sotto il
titolo Mantig al-mashrigiyyah, Il Cairo, 1910; Cfr. inol- tre:
Introduction è Avicenne, son Epitre des définitions, tr. con note di A. M. GorcHon, Parigi, 1933; I. Mapkour, L'Organon
d'Aristote dans le monde arabe... quelques pensées à un commentaire inédi
di'Ibn Sina, Parigi, 1934; Livre des Directives et Remarques, tr. con
intr. e note di A. M. GorcHon, Beyrut-Parigi, 1951; Le livre de Science
(Dane3nameh) tr. fr. di H. Massé e M. AcHENA, Parigi, 1955-1958; Poème de
la médecine, a cura di A. JAHIER e A. NovrEDDINE, Parigi, 1956. Inoltre
tutte le opere persiane di Avicenna sono state edite a Teheran in
occasione del millenario (cfr. E. Rossi, 12 millenario di Avicenna a
Teheran e Hamadan, in “Oriente moderno,” 1954). Per i testi di Avicenna
che correvano nel medioevo cfr. oltre alle citate ed. della Me-
taphysica: Opera omnia, Venezia, 1495, 1508 (rist. anast.
Heverlee-Lovanio, 1960); 1546; De Anima, Pavia, 1485, 1493; De
animalibus, Venezia, 1500; Canon, Strasburgo, 1473.
Bibliografia avicennista: C. A. NaLLINO, s.v., in “Enc. Ital,” V,
638-639. T. J. De Borr, /bn
Sinz, “Encycl. de l'Islam,” II, 446. O. Ercin, /brni Sinami
eserleri, “Biiyik tirk filosof.,” 1937. G. C. Anawati, Mw’ allafat
Ibn Sinà, Il Cairo, 1950, riass. fr. in “Rev. Thom.,” 1951.
A. A. HekMmaT, Les oeuvres persanes d'Avicenne, “Congrès de
Bagdad,” 1952, pp. 84-97. Sa‘tn Naricy, Bibliographie des
principaux travaux européens sur Avicenne, Teheran, 1953. Inem, Pare Sina (Avicenne, his Life, Works, Thought
and Time), Teheran, 1954. YauHyva
Maunpavi, Bibliographie d'Ibn Sina, Teheran, 1954. O. Ercin, /bin
Sina bibliografyasi, Instanbul, 1956. G. C. Anawati, Chronique Avicénienne 1951-1960, “Rev.
thom.,” 1960. Volumi commemorativi: Millénaire d'Avicenne, “Rev.
du Caire,” giugno 1951; Millénaire d'Avicenne (Congrès de Bagdad), Il
Cairo, 1952; Mémorial d'Avicenne, Il Cairo, 1952 sgg.; Avicenne, Scientist
and Philosopher, a 560 Bibliografia
Millenary Symposium, Londra, 1952; Z. Sara, Le livre du Millénaire d'Avi-
cenne, Teheran, 1954; “Rev. Thom.,” 1951, n. 2. Cfr.
inoltre Gever, pp. 721-722; De Brie, nn. 21945-21965b; De Wutr, I,
pp. 305-306. Tra gli studi più recenti e significativi, ci limitiamo a
indicare: B. Carra pe Vaux, Avicenne, Parigi, 1900. G. GagrieLI, Avicenna, “Arch. st. scien.,” 1923.
D. Sacisa, Études sur la métaphysique d'Avicenne, Parigi, 1926.
E. Gitson, Pourquoi St. Thomas a critiqué St. Augustin, “Arch. Hist.
doctr. litt. m. 8.” 1926. Ipem, Avicenne et le point de
départ de Duns Scoto, Ibidem, 1927. G.
FurLani, Avicenna e il “Cogito ergo sum” di Cartesio, “Islamica,” 1927.
IpeMm, Avicenna, Barhebreo, Cartesio, “Riv.
stud. orient.,” 1933. E. Gitson, Les sources gréco-arabes de
l'augustinisme avicennisant, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.,”
1929. M. D. RoLanp-GosseLin, Sur les relations de l'ime et du corp
d’après Avicenne, “Mél. Mandonnet,” II, 1930.
A. M. GorcHon, Introduction è Avicenne..., Parigi, 1933. C.
Fasro, Avicenna e la conoscenza divina dei particolari, “Bull. filos.,”
1935. A. Sougziran, Avicenne, Parigi, 1935.
A. M. GoicHon, La distinction de l'essence et de l'existence d'après
Ibn Sinà, Parigi, 1937. Ipem, Lexique de la langue
philosophique d'Ibn Sina, Parigi, 1939. Ipem, Vocabulaire comparé
d'Aristote e d’Ibn Sina, Parigi, 1939. IpeM, La philosophie
d'Avicenne et son influence en Europe médiévale, Parigi, 1944, 195122
M. Cruz HernAnpez, La metafisica de Avicenna, Granada, 1949.
L. GarpeT, La pensée religieuse d’Avicenne, Parigi, 1951.
Avicenna: Scientist and Philosopher. Millenary Symposium, a cura di
G. M. Wickens, Londra, 1952. E. BLocH, Avicenna und die
aristotelische Linke, Berlino, 1952. L. Garper, La connaissance
mystique chez Ibn Sinà, et ses présupposés phi- losophiques, Il Cairo,
1952. Moxammap Yusur Musa, La sociologie et la politique dans la
philosophie d'Avicenne, Il Cairo, 1952. F. Ranman, Avicenna's
Psychologie, Oxford, 1952. P. Mesnarp, Le millénaire d'Avicenne et
ses répercussions sur l’histoire de la philosophie, “Ann. Inst. Etud. orien. Alger,” 1953. M. Cruz
HernAnpez, La distincion aviceniana de la esencia y la existencia y su
interpretacion en la filosofia occidental, “Misc. Millés-Vallicrosa,”
1954. s61 Bibliografia H. A. Wotrson,
Avicenna, Algazali and Averroes on divine attributes, ibidem.
Avicenna nella storia della cultura medioevale, Acc. Naz. Lincei, anno CCCLIV, 1957, Q.40, Roma,
1957. S. M. Arnan, Avicenna, his life and works, Londra-New York,
1958. J. CHaix-Ruv, La sagesse orientale d'Avicenne
et les mythes platoniciens, “Rev. d. la Mediterr.,” 1958. M. Atonso, La “Alanniyya” de Avicenna y el problema de la
esencia y existencia, “Pens.,” 1958. I. Mapkour, Le traité des categories du Shifa, “Mél.
Inst. dominicain Etud. orient.,” 1958. F.
RAHMAN, Essence and Existence in Avicenna, “Med. Renaiss. Stud.,” 1959.
E. BertoLa, Studi e problemi di filosofia avicenniana, “Sophia,”
1959. P. M. De Conrenson, Avicennisme latin et
vision de Dieu au début du XIII siècle, “Arch. Hist. doctr. litt. m.
&.,” 1959. ). CÙranx-Ruy, Du pythagorisme d’Avicenne au
soufisme d'al-Ghazali, “Rev. d. la Mediterr.,” 1959. M. Cruz HernAnpez, La nocion de “ser” en Avicenna,
“Pens.,” 1959. G. C.
Anawati, La destinée de l'homme dans la philosophie d’ Avicenne, in
L'homme et son destin, cit., pp. 257-266. ). Craix-Ruv, L’homme
selon Avicenne, ibidem, pp. 243-255. A. M. GoicHon, Selon Avicenne
l'ame humaine est-elle créatrice de son corps?, ibidem, pp.
267-276. G. JaLsErT, Le nécessaire et le possible dans la
philosophie d'Avicenne, “Rev. de l’Univ. d’Ottawa,” 1960. M. E. Marmura, Avicenna and the Problem of the
Infinite Number of Souls, “Med. Stud.,” 1960. Sull’influenza di
Avicenna in Occidente: G. Sarton, Introduction to the History of
Science, Baltimora, 1927-1950, sub ind. M. De Wutr,
L'augustinisme avicennisant, “Rev. néosc. philos.,” 1931. R. De Vaux, Notes et textes sur l'avicennisme latin aux
confins des XII- XII siècles, Parigi, 1934. ]J. TeicHER,
Gundissalino e l'agostinismo avicennizzante, “Riv. filos. neosc.,”
1934. A. M. GoicHon, La philosophie d'Avicenne et son influence en
Europe mÉ diévale, Parigi, 1944 e 19512. Ipem, in “Encycl.
mensuelle d'Outre-mer,” 1952. A. C. CromBie, Avicenna's influence
on the Medieval Scientific Tradition, in Avicenna Scientist... cit.
M. T. D'ALverny, L'introduction d’Avicenne en Occident, “Rev. du
Caire,” 1951. Ipem, Notes sur les traductions médiévales
d'Avicenne, “Arch. Hist. doar. litt. m. 4.,”
1952. 562 Bibliografia al-Gazzali
Opere principali: Vivificazione delle scienze della religione (Ihyd'
‘ulam ad-din); Destructio philosophorum (Tahafut al-falasifah); Il
salvante dall'er- rore (al-Mungidh min ad-dalal); La moderazione nella
credenza. Edizioni: Logica et philosophia, Venezia, 1506;
Tendentiae philosopho- rum, Leida, 1888; Destructio philosophorum, Il
Cairo, 1888; Algazel's Me- taphysic. A mediaeval translation, a cura di
J. T. Mucxkte, Toronto, 1933; Al-Ghazali, O disciple!, trad. di G. H.
ScHeRER, Beirut, 1951; 1ky2' ‘ulam ad-din, ou Vivifications des sciences
de la foi, ed. trad. G. H. Bouscuer, Parigi, 1955; d/-Munquid min adalal,
testo arabo e trad. di C. M. Farm JaBre, Beirut, 1959.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 722; De Brie, nn. 21968-21991a; De Wutr, I,
p. 305. In particolare v.: M. Asfn Patacios, Algazel:
dogmdtica, moral, ascética, Saragozza, 1901. B. Carra pe Vaux,
Gazali, Parigi, 1902. H. Bauer, Die dogmatik al-Gazzalis, Halle,
1912. Inem, Uber Intention, reine Absicht und
Wahrhaftigkeit, Halle, 1916. IpeM, Von der Ehe, Halle, 1917.
J. Osermann, Der philosophische und religiose Subjektivismus
Ghazalis, Vienna-Lipsia, 1921. M Bouuyces, Algazeliana, “Mél.
Fac. Orient.,” 1922. H. Bauer, Erlaubtes und verbotenes Gut, Halle,
1922. M. Asfn Patacios, Un compendio musulmano de
pedagogia, el libre de la introducion a las ciencias de al-Gazali,
Saragozza, 1924. Ipem, La espiritualidad de Algazel y su sentido
cristiano, Madrid-Granada, 1934-1941. D. H. SaLman, Algazel et les Latins, “Arch. Hist. doctr.
Hitt. m. 4.,” 1936. A. J. Wensinck, La pensée de Ghazali, Parigi,
1940. A. WeEHR, Al-Gazzalis Buch vom
Gottvertrauen, Halle, 1940. M. SmitH, Al Gazali, the Mystic,
Londra, 1944. W. M. Warr, The Authenticity of the Works Attributed
to al-Gazali, “Jour. R. Asiatic Soc.,” 1952. Ipem, The Faith
and Practice of al-Gazali, Londra, 1953. C. M. Farip Jagre,
Biographie et Oecuvres de Ghazali, “Mél. Ideo,” 1954. V. CÒÙistHor, Al-Oistas al Mustagim et connaissance
rationelle chea Gazali, “Bull. Etud. orient.,” 1955-1957. C.
M. Farip JaBrE, La certitude de Ghazali dans ses origines et son
histoire, Parigi, 1956. S. De Braurecuen-G. C. Anawati, Une
preuve de lexistence de Dieu chez Ghazzali et St. Thomas, “Mél. Inst.
dominicain Etud. orient.” 1956. 563
Bibliografia C. M. Faxip Jasre, La notion de certitude selon
Ghazali dans ses origines psychologiques et historiques, Parigi,
1958. M. Aronso, Influencia de Algazel en el mundo
latino, “al-Andalus,” 1958. G. F.
Hourani, The dialogue between al-Ghazzali and the philosophers on the
origin of the world, “The Muslim World,” 1958. Avempace
Opere: Della sua vasta produzione sono pervenuti una Epistola
expedi- tionis (Lettera d'addio); il riassunto ebraico della sua opera
principale Il regime del solitario (Tadbir al-mutawahkid); un trattato De
anima e un trattatello: Continuatio o Copulatio intellectus cum homine,
entrambi il- lustrati da Averroè; un De plantis. Edizioni: I
testi arabi, con tr. sp. del De plantis, della Continuatio, del Regime e
dell’Epistola in “al-Andalus,” 1940, 1942 1943, a cura di M. Asîn
Patacios. Il testo e tr. del Regime, sempre a cura di Asin PaLacios,
Madrid, 1948. Bibliografia: cfr. Gevea, p. 722; De Brie, nn.
22010a-22011e; De WuLF, II, p. 305. In particolare
cfr.: M. Asîn Patacios, E! filbsofo zaragozano Avempace, “Rev. de
Aragon,” 1900-1901. Inem,
Un texto de Al-Farabi atribuido a Avempace por Moisés de Narbona, ibidem,
1942. U. A. FarrukH, [bn Bajja (Avempace) and
the philosophy in the Moslem West, Beirut, 1945. D. M.
Duntop, Ibn Bajjah's “Tadbir'! Mutawahhid” (Rule of Solitary), “Jour. R.
Asiatic Soc.,” 1945. S. Munk,
Mélanges de philosophie juive et arabe, cit., pp. 386-410. Aba
Bekr Ibn Tufal Opere: Ci rimane soltanto il trattatello filosofico
Hayy ibn Yagzan (dal nome del protagonista). Edizioni: Ed. e
tr. fr. di L. GaurHieR, Beirut, 1936; tr. ingl. di S. Orcey, Il Cairo,
1905; di P. BrénnLE, Londra, 1904; tr. sp. di F. Pons Borcnes, Saragozza,
1900; di A. GonziLes Parencia, Madrid, 1934, 19482. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 722; De Brie, nn.
21993-21994. M. Asîn Patacios, E! filosofo autodidacto, “Rev. de Aragon,”
1901. L. GautHIER, [bn Tufail. Sa vie, ses oeuvres, Parigi, 1909.
C. A. Naztino, Filosofia “orientale” od “illuminativa” di Avicenna?,
564 Bibliografia “Riv. stud. orient.” 1925.,
ora in: Raccolta di scritti editi e inediti, VI, Roma, 1948, pp.
218-256. F. Garcia G6mez, Un
cuento drabe fuente comin de Aben Tofail y de Gracidn, “Rev. Arch. Bibl.
y Museos,” 1926 . Ipem, Una Oasida politica inédita de Ibn Tufail,
“Rev. Inst. Egipcio de Est. islamicos,” 1953.
Averroè Opere: L'elenco particolareggiato degli scritti in
M. Bouvees, Notes sur les philosophes arabes connus des Latins au Moyen
Age. V. Inventaires des textes arabes d'Averroès, “Mél. de l’Univ. St.
Joseph,” Beirut, 1922-1923. Tra le opere scientifiche ricordiamo
principalmente il Kulliyyat al-tibb [Prin- cipî generali di medicina].
Per gli scritti di filosofia distinguiamo: a) Trattati e scritti
separati: 1) Fals al-magal watagrir ma bayna al- shasî wa al-higma min
al-'ittisal [Sentenza risolutiva dichiarante il modo in cui -la filosofia
è unita alla religione]; 2) al-Kashfan manahig aladillah fi‘aqaid
al-milla wa ta'arif ma waqa'a fiha bishasb al-ta'wil min al-shubah wa al
bida' al-mudhila [Svelamento del metodo di argomentare sui principî della
religione e indicazione sull'ambiguità ed errori eretici dovuti
all'interpreta- zione del testo sacro); 3) Damimat al mas'alat al-il
algadim [Aggiunta al problema della conoscenza eternal; 4) Tahafut al
Tahafut [L'incoerenza dell'incoerenza, confutazione di Algazali]; 5)
Sulla possibilità della congiun- zione fra l'intelletto materiale e
l'intelletto separato, conosciuto solo nella vers. ebraica medievale; 6)
Soluzione del problema: eternità o creazione del mondo, conosciuto solo
nella versione ebraica medioevale; b) Commenti aristotelici: 1)
Commento Grande (shark o tasfir); 2) Commento media (talkhis); 3:
Compendi o perifrasi (gavami' o mukhtasar) (Commenti a tutte le opere
aristoteliche, eccettuata la Politica sostituita dalla Repubblica di
Platone). c) Opere spurie: Tractatus de animae beatitudine, la cui
prima parte esiste anche separatamente col titolo: Libellus seu epistola
de connexione intellectus abstracti cum homine (e cfr. |. TeicHer, L'origine
del “Tracta- tus De animae beatitudine” “Atti del XIX Cong. int. degli
Orientalisti,” Roma). Edizioni: Ed. di a 1, 2, 3 a cura di
M. J. Miner, Monaco, 1858 (e quindi le edd. Il Cairo, 1895-1896, 1910);
ed. di 4 1, 3 con tr. fr. a cura di L. GaurHieR, Ibn Rochd (Averroès,
Traité décisif [Fagl el-magal) sur lac cord de la religion et de la
philosophie, suivi de l'Appendice [Dhamina], Algeri, 19483); ed. di a 3
con la tr. lat. di Raimondo Martin (sec. XIII) a cura di M. Asfn
Patacios, in “Homenaje a Codera,” Saragozza, 1904; tr. integrali di 4 1,
2, 3: ted. di M. J. MùtLER, Philosophie und Theologie von Averroés
(“Monumenta Saecularia” Bayer Akad. d. Wiss.), Minaco, 1875, ingl. di M.
Jama-ur-REHMAN, The philosophy and theology of Averroes, 565
Bibliografia Baroda, 1921, sp. di M. ALonso, Teologia de
Averroes, Madrid-Granada, 1947; Ed. crit. di a 4 di M. Bouxces in “Bibl.
arab. Scholasticorum,” S. Arabe, III, Beirut, 1930; tr. ingl. di S. Van
pen BercH, Londra, 1954; tr. spagn. parziale di C. Qurés, in “Pens.,”
1960; ed. di a 5 parziale con tr. ted. in'L. Hannes, Des Averroés Abhandlung:
“Ueber die Mòoglichkeit der Conjunktion,” Halle, 1892; ed. di 4 6 in app.
a M. Worms, Die Lehre von der Anfangslosigkeit der Welt bei den
mittelalterlichen arabischen Philosophen (“Beitrige,” III, 4), Miinster,
1900. Ed. di et 1: Commento alla Metaphysica ed. crit. testo arabo,
Tafsil ma ba'ad at-tabi'at di M. Bouxrces, in “Bibl. arab.
Scholasticorum,” S. Araba, V-VII, Beirut, 1938-1948; De anima, ed. crit.
tr. lat. medioevale, Commentarium magnum in “De anima” di F. Stuart
Crawrorp; “Corpus Commentariorum Averrois in Aristotelem” della Mediaeval
Academy of America, Vers. lat., VI, 1, Cambridge (Mass.), 1953.
Ed. di © 2 Commento alle Categoriae, ed. crit. testo arabo, Talkhis kitab
al-maqulat di M. Bouyces, in “Bibl. Arab. Scholasticorum,” S. Araba, III,
Beirut, 1932; alla RAetorica, testo arabo a cura di F. Lasinio, Il
Commento medio della Retorica di Aristotele, Firenze, 1875-1878
(incompiuta); alla Poetica, testo arabo a cura di F. Lasinio, Pisa, 1872
e ripubbl. da ’Aspuz- RAHAMAN BapHawi, Aristoteles, De Poetica, Il Cairo,
1953; al De generatione et corruptione, trad. dall’or. arabo e dal testo
ebreo e versioni latine di S. KueLanp (“Corpus Comm. Averrois in
Aristotelem,” Vers. anglica, IV, 1-2), Cambridge (Mass.), 1958; l’ed. del
testo ebraico, sempre a cura del Kurtanp (“Corpus Comm. Averrois in
Aristotelem,” Vers hebraic., N. 1-2), ibid., 1958. i . Ed. di
5 3: compendio di Physica, De caelo; De generatione, Meteorologi- ca, De
anima, Metafisica nel testo arabo sotto il titolo: Rasa'il Ibn Rushd,
Haiderabad, 1947; De anima (solo) in A. Faup AHwani, Talkhis, kitàb al-
nafs, Il Cairo, 1950; Metafisica (soltanto) in M. aL-Qassani, Fiil tigat
al- aquwail..., Il Cairo, 1903-1907 e con tr. sp. da C. Quiroz RopricuEz,
AvERr- roes, Compendio de Metafisica, Madrid, 1919; tr. ted. di S. Van
DEN BERGH, Leida, 1924; De sensu, testo arabo in A. BapHawt, Aristutalis
fi al-nafs, Il Cairo, 1954, pp. 191-239; Parva naturalia, ed. crit. trad.
lat. med. di A. L. SHieps (“Corpus Comm. Averrois in Aristotelem,” Vers.
lat., VII), Cambridge (Mass.), 1949; ed. crit. tr. ebraica di H. BLumBerc
(ibidem, Vers. hebraic., VII), ivi, 1954; Repubblica di Platone, ed crit.
tr. ebr. med. di E. T. J. RosentHAL, Cambridge (Mass.), 1956; commpendio
del De gencra- tione et corruptione in trad. ingl. insieme alla versione
del “Commento me- dio,” cit. Ed. di c: la versione ebraica
con tr. ted. in J. Hercz, Drei Abhandlun- gen tiber die Conjunktion des
separaten Intellekts mit dem Menschen von Auverroés, Berlino, 1869.
‘Il Kelliyyat al-tib5 è stato pubblicato sotto il titolo Quitab e?
Culliat, Larache, 1939. 566 Bibliografia
Per le ed. medioevali latine dei commenti e delle opere filosofiche
cfr. l’editio princeps delle Opera di Aristotele con i Commenti di
Averroè: Aristotelis opera omnia, Averrois in ca opera commentarii,
Padova, 1472, 1473, 1474, e in seguito le varie edd. cinquecentesche tra
le quali le più complete sono quelle di Venezia, 1552 e quindi 1560 in 11
volumi. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 722-723; De Brie, nn.
21995-22009a; DE Wutr, l, pp. 306-307. In particolare
si veda: E. RENAN, Averroès et l’averroisme, Parigi, 1852,
18612. F. Lasinio, Studi sopra Averroè, “Ann. Soc. ital. per gli
Studi Orient.,” 1873, 1874; “Gior. Soc. Asiatica italiana,” 1897-1898, 1899. L.
GauTHIER, La théorie d'Ibn Rochd (Averroès) sur les rapports de la reli-
gion et de la philosophie, Parigi, 1909. P. Doncoeur, La religion
et les maftres de l’Averroisme, “Rev. sc. philos. théol.,” 1911. P. S. Curist, The
psychology of the active intellect of Averroes, Filadelfia, 1926.
H. A. WotLrson, Plan of a Corpus Commentariorum Averrois in
Aristotelem, “Speculum,” 1931. A. Mansion, La théorie aristotélicienne du temps chez les
peripatéticiens médiévaux, Averroès, Albert, Thomas, “Rev. néosc. phil.,”
1934. J. TercHEr, Alberto Magno e il commento medio di Averroè sulla
“Metafi- sica” “Studi ital. filol. class.,” 1934. M. Atonso, La cronologia en las obras de Averroes, “Misc.
Comillas,” 1943. S. C. Tornay,
Averroe's doctrine of the mind, “Philos. Rev.,” 1943.
M. Atonso, Teologia de Averroes, Madrid-Granata, 1947. L.
GautHIER, Ibn Rochd, Parigi, 1948. B. H. ZepLer, Averroes and immortality, “N. Schol.,”
1954. T. AtLarp, Le rationalisme d'Averroès d’après une étude sur
la création, Parigi, 1955. R. Arnacpez, La pensée religieuse
d’Averroès, “Stud. Islam.,” 1956-1957. R. AnceLIsanTI, Problema Dei
existentiae in systemate Ibn Rusd, Gerusa- lemme, 1956. J. J.
Housen, Ibn Rushd (Averroes) as a muslim philosopher, “Bijdragen,”
1958. C. J. DE Vocet, Averroés als verklaarder van Aristoteles en
zijn invloed op het West-Europese denken, “Alg. Nederl. Tijdschr. Wissh. PsychoL,” 1957-1958.
N. RescHER, Three commentaries of Averroes, “Rev. met.,” 1958-1959.
S. Gomez Nocates, La immortalidad del alma a
la luz de la noética de Averroes, “Pens.,” 1959. È Inem, El
destino del hombre a la luz de la noética de Averroes, in L'homme et son
destin, cit., pp. 285-304. 567 Bibliografia
M. Cruz Hfrnannez, La libertad y la naturaleza social del hombre
segùn Averroes, Ibidem, pp. 277-283. PH. MERLAN, Averroes iiber die Unsterblichkeit des
Menschengeschlechtes, ibidem, pp. 305-311. Su Averroè scienziato cfr.:
L. GaurtHiEr, Une réforme du système astronomique de Ptolomée,
tentée par les philosophes arabes du XII siècle, “Jour. Asiatique,” 1909. G. GaBrIELI, Averroè
come scienziato, “Arch. stor. sc.,” 1924. G. Sarton, Introduction
to the History of Sciences, II, Baltimora, 1931, pp. 355-361. L. GaurHnIER, Antécédents
gréco-arabes de la psycho-physique, Beirut, 1938. M.
Atonso, Averroes observador de la naturaleza, “al-Andalus,” 1940.
Capitolo secondo Filosofia ebraica Tra l'ampia bibliografia
sull'argomento (cfr. Gerer, pp. 723-725; DE Brie, nn. 21613-21694; De
Wutr, I, p. 307) citiamo solo i seguenti studi di carattere
generale: D. NEUMAREK, Geschichte der jiidischen Philosophie des
Mittelalters, Berlino, 1907-1928. I. Husrk, A History of Medieval Jewish Philosophy,
Filadelfia, 1916, u. e. 1958. J. GurtMann, Die
Philosophie des Judentums, Monaco, 1933. E. MitLer, History of
Jewish Mysticism, Londra, 1946. E.
BertoLA, La filosofia ebraica, Milano, 1947. G. Vagpa, Introduction
è la pensée juive du moyen dge, Parigi, 1947. G. ScHoLEeM, Les grands courants de la mystique juive,
tr. da l’ebr., Parigi, 1950. E. FLec, Anthologie juive,
Parigi, 1953. T. Bomann, Das Hebraische Denken im Vergleich mit dem
Griechischen, Gottinga, 19542. J.
ApLer, Philosophy of Judaism, New York, 1960. Cfr. inoltre:
S. Siunami, Bibliography of Jewish Bibliographies, Gerusalemme,
1936. G. Vaypa, Jidische Philosophie, fasc. 19, “Bibliographische
Einfùhrungen in das Studium der Philos.,” Berna, 1950.
Isacco Giudeo Opere: Si conservano nella tr. ebraica e latina il
Liber definitionum (Sefer ha-Yèsod5t); il Liber Elementorum (Sefer
ha-Hibbar) i trattati di 568 Bibliografia
medicina; un Commento al Sefer Yèsiràh; due frammenti d’interpretazione
biblica e un frammento del testo arabo del Liber definitionis.
Edizioni: La versione latina in Opera Omnia Ysaac, Lione, 1515; ed. crit.
a cura di J. T. Mucxte, in “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1937-1938;
la versione ebraica del Sefer ha-Hibbar, a cura di H. HirscHreeLD, in
“Fest- gabe Steinschneider,” Lipsia, 1894; del Sefer ha-Yèsodat, a cura
di S. FrieD, Drohobycz, 1900; il frammento arabo nell’ed. H. HrrscHreLp,
in “Jewish Quart. Rev.,” 1903. Inoltre la trad. inglese delle opere a
cura di A. ALTMANN e S. M. STERN, in Zsaac Israeli a neoplatonic
philosopher of carly Xth cent., Fair Lawn (N. J.) - Londra, 1958.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 725; De Brie, nn. 21698-21699. J.
Gurrtmann, Die philosophischen Lehren des Isaak ben Salomon Isracli,
Miinster, 1911. G. Sarton,
Introduction to the History of Science, I, Baltimora, 1927, pp. 639-640
(ampia bibl.). H. A. Wotrson, Isaac Israeli on the Internal Senses,
in Jewish studies in Memory of. G. Kohut, New York, 1935, pp.
583-598. Sa'adyah ben Yosef Opere: Kitab al’Amanat
Wa'll'tigadat (Libro delle credenze religiose e dei dogmi); Commento al
Sefer Yesiràh; Sefer ha-Émunot wè ha-Dot [Libro della credenza e delle
opinioni], scritto in arabo. Edizioni:
Les oeuvres complètes de Saadia, a cura di J. DERENBOURG, 6 voll. Parigi,
1893-1896; Commento al Sefer Yèsiràh, testo e tr. fr. di M. LAMBERT,
Parigi, 1891; Sefer ha-Emzanot, testo arabo a cura di S. LaNDAUER, Leida,
1880; testo ebraico, ed. D. SLucki, Lipsia, 1864; tr. ingl. di R. Ro-
SENBLATT, New Haven, 1948. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 725-726;
De Brie, nn. 21700-21705; DE Wutr, I, p. 307. H. MALTER, Saadia Gaon. His life and Works,
Filadelfia, 1921 (con bibl. fina al 1920). D. Neumark,
Saadia's Philosophy. Sources Characters, in Essays in Jewisk Philosophy,
1929. M. Ventura, La philosophie de Saadia Gaon,
Parigi, 1934. A. FreImann, Saadia's Bibliography, New York,
1943. A. Neuman-S. ZerrLin, Saadia Studies,
Filadelfia, 1943. H. A. Wotrson, in “Jewish Quart. Rev.,”
1946-1947. Avicebron Opere: Anaq (Collana), poema
quasi totalmente perduto: Zsl44 al Aklaq (Miglioramento dei caratteri
morali); Mutkhar al-Giawahir (Scelta di perle, raccolta di sentenze di
autori antichi); AzarotA (Prescrizioni, 613 norme
Bibliografia riguardanti il codice biblico); Mégor Hayyim (Fonte
della vita, secondo il titolo della tr. ebraica); Poesie. Si ricordano
inoltre un Tractatus de esse e un Tractatus de scientia voluntatis,
perduti, e il Keter Malkat (Corona re- gale), poema filosofico
particolarmente importante. Non sicura l'autenticità di un De anima (solo
in tr. lat.). Edizioni: Fons vitae: parafrasi ebraica in S. Munx,
Mélanges de philos. juive et arabe, nuova ed., Parigi, 1955; tr. lat. in
CL. BAEUMKER, Avencem- brolis Fons vitae (“Beitrige,” I, 24); Miinster,
1892-1895; Isleh: testo arabo e tr. ingl. a cura di S. Wise, New York,
1901; Scelta di perle, tr. ingl. di A. CoÙen, ivi, 1925; Poesie, la
raccolta più completa a cura di Ch. N. Bratik-J. Ch. Rawnrrzkr, 3 voll.,
Berlino-Tel Aviv, 1924-1929; nuova ed. int. di cui è uscito solo il I
vol.: H. ScHmmann, Sirim nibhrim S. |. Gaon, Tel Aviv, 1944; antologia
con tr. ingl. in J. Davipson, Selected Re- ligious Poems of S. I.
Gebirol, Filadelfia, 1923; nuova ed., 1944; Corona reale, in Davipson,
cit., e testo e intr. a cura di A. CHouraou, in “Rev. thom.,” 1952; tr.
fr. di P. Vuirtaro, Parigi, 1953; De anima in A. LoEWENTHAL,
Pscudo-Aristoteles îiber die Scele. Ein
psichol. Schrift d. XI ]ahrh. u. ihre Beziechung zu S. i. Gebirol,
Berlino, 1891. Bibliografia:
Cfr. Gerer, p. 726; DE Brie, nn. 21708; DE WutrF, I, p. 307.
J. GurtMann, Die philosophie des S. I. Gebirol, Gottinga, 1889.
D. Rosin, The Ethics of S. I. Gebirol,
“Jewish Quart. Rev.,” 1891. D. KaurMmann, Studien iiber S. I.
Gebirol, Budapest, 1899. S. Horowirz, Die Psychologie I. Gebirols,
“Jah.ber. des Jiid. in Theol. Seminars,” Breslavia, 1900. M.
Wirrmann, Die Stellung d. hl. Thomas von Aquin zu Avencebrol, (“Bci-
trige,” III, 3), Miinster, 1900. Ipem, Zur Stellung Avencebrols (Ib
Gebirols) im Entwicklungsgang der arabischen Philosophie (“Beitrige,” V,
1), Miinster, 1905. K. DrevEr, Die religiose Gedankenwelt des
Salomo ibn Gabirol, Berlino, 1930. M. BieLEr, Der gotiliche
Wille bei Gabirol, Wiirzburg, 1933. A. HerscHet, Der Begriff der
Einheit in der Philosophie Gabirols, “Monat- schrift f. Gesch. u. Wiss.
des Judentums,” 1938. J. M.
MitLàs Vatticrosa, Selomo ibn Gabirol como poeta y filésofo, Madrid-
Barcellona, 1945. E. BertoLa, Il Keter Malkut di
S. i. Gebirol, in Saggi e studi di filosofia medioevale, Padova, 1951,
pp. 107-117. Ipem, S. i. Gebirol (Avicebron). Vita, opere e
pensiero, Padova, 1953. F. Brunner, Str l'Aylémorphisme d'Ibn Gebirol,
“Étud. philos.,” 1953. H. Simon, Das Weltbild Gabirols. Seine
Bedeutung fiir die Geschichte der Philosophie, “Zeitschr. Humboldt Univ.
z. Berlin,” 1956-1957. 570 Bibliografia
Maimonide Opere: Tra le numerose opere religiose, giuridiche,
scientifiche ricordia- mo: un Trattato di terminologia logica; una
Parafrasi del Talmud; un Trattato sul calendario ebraico; la Lettera di
consolazione agli Ebrei lapsi, vari scritti di medicina. Ma gli scritti
pil interessanti dal punto di vista filosofico sono: il Maor (Luce,
commento alla Mishnah, scritto in arabo nel 1168; Mishneh Torah (La
tradizione della Legge); un Codice di prescri- zioni, scritto intorno al
1180 e il Morzh Nèbzkim (La guida dei dubbiosi), scritto in arabo nel
1170. Edizioni: Morzh nèbakim, ed. di S. Munk (testo arabo in
caratteri ebraici), Le guide des égarés (con tr. fr. e note), Parigi,
1865-1866, nuova ed., Gerusalemme, 1931; tr. it. di D. J. Maroni,
Livorno, 1871 (incompiuta); tr. ingl. di M. FriepLANDER, Londra, 1881-1885,
2. ed., New York, 1925 e di J. GurTMANN, ivi, 1952; trad. ted. di A.
WrIss, Lipsia, 1923-1924; trad. sp. di J. Suarez, Madrid, 1935. Per le
altre tr. e edd. cfr. U. Cassuto, s.v., in “Enc. Ital.,” XXI, 951-952.
Ricordiamo inoltre la tr. fr. della Terminologia logica, Parigi, 1935; e
quella ingl. del Codice, New Haven, 1951 sgg. Bibliografia: Cfr.
Gever, pp. 727-728; De Brie, nn. 21713-21807; Ds Wutr, I, pp.
307-308. D. YeLcin - I. AsraHams, Maimonides, Londra, 1903, rist.
1935, tr. it. Firenze, 1923. W. BacHeEr, M. Brann, D.
Simonsen, Moses ben Maimon, Francoforte, 1908- 1914. L. G. Levy, Maimonide, Parigi, 1911, rist., 1931.
J. Minz, Moses ben Maimon (Maimonides). Sein Leben und seine Werke,
Francoforte s. M., 1912. . M. T. Penipo, Les attributs de Dieu
d'aprèòs Maimonide, “Rev. néosc. philos.,”
1924. L. GutkowrrscH, Das Wesen des maimonichschen Lehre, Tartu,
1935. A. HescHeL, Maimonides. Eine Biographie, Berlino, 1935.
L. Strauss, Philosophie und Gesetz. Beitràge zum Verstindnis
Maimunis und seiner Vorliufer, Berlino, 1935. F. Bamgercer,
Das System des Maimonides..., Berlino, 1935. L. Rota, The Guide for
the perplexed. Moses Maimonide, Londra, 1948. H. Sfrouya, Maimonide. Sa vie, son ocuvre, avec un exposé
de sa philoso- phie, Parigi, 1951. IpeM, La obra filosbfica de Maimonides, “Rev. filos.,”
1956. A. ALTMANN, Essence and existence in Maimonides, “Bull. J.
Rylands Libr.,” 1953. M. FakHry, The “Antinomy” of the
Eternity of World in Averroes, Maimo- nides und Aquinas, “Muséon,”
1953. W. KLuxEn, Literargesch. zum lat. M.
Maimonide, “Rech. théol. anc. méd.,” 1954. 57!
Bibliografia Inem, Maimonides und die Hochscholastik, “Philos.
Jahrb.,” 1954. L. Baeck, Maimonides, Diisseldorf, 1954.
S. Zerrin, Maimonides, New York,
19552, L. H. KenpziersKI, Maimonides Interpretation of the VIII
Book of Ari- stotle's “Physics” “N. Schol.,” 1956. J. S. Munkin, World of Moses Maimonides, New York,
1957. A. Zaovi, Maimonide: Le livre de la Connaissance, (Frammenti
tradotti e commentati), “Mé€I. philos. litt. juives,” I-II, 1957.
C. KLEIN, The Credo of Maimonides, New
York, 1958. Sugli aspetti più spiccatamente teologici cfr.
inoltre: H. A. WoLrson, in “Essays and Studies in Mem. of L. R.
Miller, New York, 1938, pp. 201-234; “Harvard Theol. Rev.,” 1938; “L.
Giurberg Jubilee Volume Engl. Sect.,” New York, 1945, pp. 411-446.
Una bibliografia completa in lingua inglese in: I.
EpstEIN, Moses Maimonides, in VIII Centenary Memorial Volume, Lon- dra, 1935.
Sulla Cabbala Oltre alle numerose indicazioni contenute nei
volumi già cit. dello ScHoLem e del Vagpa si veda: E. Zoni,
Profetismo e misticismo, nel vol. Israele,
Udine, 1935. F. WarRraIN, La théodicée de la Kabbale, Parigi, 1952.
R. B. Z. Bosker, From the World of the Cabbalah, New York, 1954. F.
Barpon, Der Schiissel zur wahren Quabbalah. Der Quabbalist als voll
Kommener Herrscher in Mikro- und Makrokosmos, Friburgo, 1957. A.
Sarran, La Cabale, Parigi, 1960. 572 Parte
quarta Capitolo primo Sulle versioni latine delle
opere greche, arabe ed ebraiche cfr. in gene- rale: De Wutr, I, pp.
81-83; II, pp. 55-60. In
particolare cfr.: A. Jourpain, Recherches critiques sur l'dge et
l'origine des traductions latines d' Aristote, Parigi, 1819, n. ed.
ibidem, 1843. V. Rose, Die Liicke im Diogenes Laertius
und der alte Uebersetzer, “Her- mes,” 1866. Ipem, Ptolomacus
und die Schule von Toledo, Ibidem, 1874. F. WisrenFELD, Die
Uebersetzungen Arab. Werke in das Lateinische seit die XI Jahrb.,
“*Abhandl. Kgl. Gesellschaft d. Wissenschaften zu Got tingen,” Bd. 22,
Gottinga, 1877. M. Sreinscunemer, Die hebraischen Uebersetzungen d.
Mittelalters und die ]uden als Dolmetscher, Berlino, 1893. IpeMm,
Die arabischen Uebersetzungen aus d. Griechischen, “Zentralblatt fir
Bibliothekswesen,” Beiheft V, 2; XII, Lipsia 1889, 1893. Ipem, Die
europiischen Uebers. aus d. arabischen bis mitte d. XVII Jahrk. “Sitzber.
K. Akad. d. Wissen. Philos.-hist. K1.,” Vienna, 1905-1906. M. Grasmann,
Forschungen tiber die lat. Aristoteles-ibersetzungen d. XIII
Jahrh., (“Beitrige, XVII, 5-6), Miinster, 1916. S. D.
Wincate, The Medioeval Latin Versions of the Aristotelian Scientific
Corpus, with special reference to the biological Works, Londra, 1931. H. BéporeT, Les premiòres traductions tolédanes de
philosophie, “Rev. néosc. philos.,” 1938. G. TuÙry,
Tolède, ville de la renaissance médiévale, point de jonction entre la
philosophie musulmane et la pensée chrétienne, Orano, 1944. U.
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des ouvrages de morale conservées sous le nom d'Aristote en usage au XIII
siècle, “Rev. néosc. philos.,” 1921. A. BirKENMAJER, Le réle joué par les
médicins et les naturalistes dans la réception d'Aristote aux XII et XIII
siècles, in La Pologne au VI Congrès international des sciences
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des sciences et lettres pour la publi- cation d'un Corpus philosophorum
medii aevi, Bruxelles, 1930. Ipem, Classement des ouvrages
attributs à Aristote par le moyen dge latin, (Prolegomena in Aristotelem
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“Rev. philos. Louvain,” 1946. tapal M. Grasmann, Aristoteles
im zwéòlften Jahrh., “Med. Stud.,” 1950. L. Minio-PaLueLto, Note
sull’ Aristotele latino medioevale, “Riv. filos. neosc.,” 1950, 1951,
1954, 1958, 1960. A.
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médiévales d'Aristote. “ME. J. De Ghellinck,” II, 1951.
"I Adelardo di Bath Opere: Perdifficiles
quaestiones naturales; De codem et diverso (ed. H. Wiccner, in
“Beitrige,y” IV, I, Miinster, 1903); traduzioni dall'arabo (Eu- clide,
a-Khuwarizmi). Bibliografia: M. Mutter, Die
“Quaestiones” des A. v. Bath (“Beitrigey” XXI, 1), Miin- ster,
1934. F. BLIEMETZRIEDER, A. v. Bath, Monaco, 1935. M.
CLacett, The mediev. lat. transl. from the arabic». with special emphasis
on the versions of A. of Bath, “Isis,” 1953. Domenico
Gundissalvi Opere: De anima; De Unitate; De processione mundi; De
divisione phi- losophiae. Gli è attribuito anche un De immortalitate
animae. Traduzioni: La Kitàb ash-Sifa di Avicenna; le Intenzioni
dei filosofi di aL-GAzzaLI; il De ortu scientiarum di A-raraBi; il Fons
vitae di AviceBRON. 574 Bibliografia
Fdizioni: De anima (parziale) a cura di A. LoewentHAL, Kònigsberg,
Berlino, 1890, e in Pseudo-Aristoteles iber die Seele, cine
psychologische Schrift d. XII Jahrh. u. ihre Beziehungen 2. Salomon ibn
Gebirol, Berlino, 1891; il De divisione philosophiae, a cura di L. Baur
(“Beitrige,” IV, 2-3), Miinster, 1903; il De divisione scientiarum, a
cura di S. H. THomson, “Schol.,” 1933; ed. A. ALonso, Madrid-Granada,
1954; il De unitate, a cura di P. Correns, (“Beitrige,” I, 1), Miinster,
1891, rist. in A. BoniLLa y San MaR- tIN, Hist. de la filos. espatiola,
I, pp. 450-456; il De processione mundi, ed. MenenpEz y Petavo, in Hist. de los heterodoxos
espafioles, I, Madrid, 1880 pp. 691-711 e a cura di G. BiiLow
(“Beitrige,” II, 3), Miinster, 1897. Bibliografia: cfr. Gerer, pp. 729-730; De Brie, nn.
5472-5476; De WutF, II, p. 74. CL. BAEUMKER, Les éerits
philosophiques de D. Gundissalinus, “Rev. thom.,” 1897. Inem,
D. Gundissal. als philosophischer Schriftsteller, Friburgo 1898 e
Miinster 1899, A. Levi, La partizione della filosofia pratica in un
trattato medioevale, “Atti R. Ist. Veneto,”
t. LXVII, P. II, 1908. L. Garcia Favos, E! Colegio de traductores
de Tolego y Domingo Gun- disaluo, “Rev. de la Biblioteca... de Madrid,”
1932. ). TercHER, Gundissalino
e l'agostinismo avicennizzante, “Riv. filos. neosc.,” 1934.
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philos.,” 1938. D. A.
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Gundiss., “Med. Stud.,” 1940. M. Atonso,
Notas sobre los traductores toledanos. D. Gundiss. y Juan Hi- spano,
“al-Andalus,” 1943. IpeM, Las fuentes litérarias de D. Gundiss.,
ibidem, 1946. IpeMm, Traducciones del arcediano D. Gundiss.,
ibidem, 1947. Ipem, Domingo Gundissalvi y el “De causis primis et
secundis” “Est. Eccl.,” 1947. Inpem, Gundissalvo y el
Tractatus de anima, “Pensam.,” 1948. A.
H. CHroust, The Definitions of Philosophy in the “De divisione phi-
losophiae” of Dominicus Gundissalinus, “N. Schol.,” 1951. Alfredo
di Sareshel Opere: De motu cordis; traduzione del De vegetalibus
(falsamente attribuito ad Aristotele), e del Liber de congelatis di
Avicenna. Bibliografia: Cfr.
GevER, p. 731; De Brie, n. 5467; DE Wutr, II, p. 74.
Bibliografia In particolare v.: A. PeLzER, Une source
inconnue de Roger Bacon, A. de Sareshel commen- tateur des
Méttorologiques d'Aristote, “Arch. franc. hist.,” 1919, pp. 44-67.
CL. BaeuMKER, Die Stellung des A. von Sareshel und seiner Schrift
“De motu cordis” in der Wissenschaft des beginnenden XIll ]ahrh.,
“Sitzber. Bayer Akad. Philos. Hist. Kl.,” 1913. Ipem, Des A.
von Sareshel (Alfredus Anglicus) Schrift “De motu cordis,” (“Beitrige,”
XXIII, 1-2), Miinster, 1923 (con ed.) G. LacomBe, A. Anglicus in Metheora, in Aus der
Geisteswelt des Mittel- alters, Miinster, 1935, pp. 463-71. Giovanni
Ibn Dahut (di Spagna). Traduzioni: Fons vitae di AviceBRoN; De
anima di Avicenna; De dif- ferentia animae di Qusta IBN Luca (la prima in
coll. con il Gundissalvi). Bibliografia:
cfr Gever, p. 724; De Brie, n. 5481; De Wutr, II, p. 59. M.
SreiscHNEMER, Die hebriischen Ubersetzungen, cit. M. Atonso, Notas
sobre los traductores toledanos..., cit. J. M. MîfLLas Vatticrosa,
Una obra astronémica disconocida de Johannes Avendaut Hispanus, in
Estudios sobre la historia de la ciencia espafiola, Barcellona, 1949, pp.
263-288. M. Atonso, Traducciones del drabe al latin por Juan
Hispano (Ibn Dawînd), “al-Andalus,” 1952. M.
T. p'ALverny, Avendauth, “Misc. Millis Vallicrosa” Barcellona, 1954.
Gerardo da Cremona Traduzioni: Da AristotELE: la Fisica,
Secondi Analitici col Commento di Temistio, De Caelo et mundo; Metcor. I-III; De generatione et corruptio- ne; Testi
pseudarist.: Liber de causis, De intellectu, De quinque essentiis. Opere
di ALEssanDRO DI Arropisia, aL-FARABI, Isacco Giupeo. Tradusse inol- tre
numerosi scritti scientifici: Canone di Avicenna; Elementi di EucLIDE;
Almagesto di Tolomeo, ecc. Bibliografia: cfr. Gever, p. 728; De
Brie, n. 5478; DE WutF, II, p. 56. In particolare cfr.:
A. BrrkenMmaJer, Eine wiedergefundene Ucbersetzung Gerhards von
Cre- mona, in Aus der Geisteswelt des Mittelalters, cit.. H.
Béporet, Les premières versions tolédanes, cit. Inem, L'auteur et
le traducteur du Liber de causis, “Rev. néosc. philos.,” 1938
E. FrancescHINI, /) contributo dell'Italia alla trasmissione del
pensiero greco in Occidente nei secc. XII e XIII e la questione di
Giacomo Chie- rico da Venezia, “Atti Soc. ital. progr. sc.,” Roma,
1938. 576 Bibliografia
Themistius parafrasis of the Posterior Analytics in Gerardo of Cremona's
translation, ed. ]}. R. O°DonnEL, “Med. Stud.,” 1958. O
Sull’attività scientifica di Gerardo cfr. inoltre: B. Boncompacni,
Della vita e delle opere di Gerardo cremonese, Roma, 1851; U. T. HoLmEs,
G. the naturalist, “Spec.,” 1936. Michele Scoto
Traduzioni: De Sphaera di ALpetRAcio (Bologna, 1495, Venezia, 1631); i
XIX libri De animalibus di AristorELE; De caelo et mundo; De anima e,
probabilmente, anche la PAysica e la Metaphysica con i commenti di
AverRoÈ che egli fece conoscere per primo in Occidente (ed. Venezia,
1550-1552). Opere: a) filosofiche: Divisio philosophiae
(frammenti); Quaestiones Nicolai peripatetici. 6) astrologiche:
Liber introductorius; Liber de particularibus; Physio- nomta (in
Scriptores Physiognomici, I, Lipsia, 1893). Bibliografia: cfr.
Gever, p. 731; De Wutr, II, p. 56. W.
J. Brown, An Enquire into the Life and Legend of M. Scottus, Edim- burgo,
1897. R. Rupserc, Textstudien zur Tiergeschichte d. Aristoteles,
Upsala, 1908. Ipem, Kleinere Aristoteles Fragen, “Eranos,” 1908,
1909, 1912. P. DuHEM, Le système du monde, cit., III, pp. 241-249,
344-347. Cu. H. Haskins, Studies in the History of Medievale
Science, Cambridge (Mass.), 19272, pp. 272-298. L. THornpiKE,
A History of magic and experimental science, II, cit., pp. 307-337. i R. pe Vaux, La première entrée
d’Averroès chez les latins, “Rev. sc. philos. théol.,” 1933.
M. KurpziaLeK, Quaestiones Nicolai peripatetici, “Maed. Philos.
Polonorum” (Varsavia), 1958. Enrico
Aristippo Traduzioni: Tutte le Opere di Gregorio NazianzeNO;
DiocENE, LAERZIO; il IV dei Meteorol. e forse anche il De generatione et
corruptione e gli Ana- lytici secondi; il Menone e il Fedone di PLatone.
Tradusse inoltre la Sin- tassi matematica e, con l’aiuto di Eugenio di
Palermo, l’Almagesto. Edd.: V. KorpentER-C. Lasowsky, Meno interprete
Henrico Aristippo, Londra, 1940; L. Minto-PaLueLLo-H. J. Drossaart
LuLors, Phaedro interprete Henrico Aristippo, Londra, 1950.
Bibliografia: De Wutr, II, pp. 58. Cu.
H. Haskins, Studies in the History of Medieval Science, cit. pp. 87-123. M.
T. Manpatari, Enrico Aristippo Arcidiacono di Catania nella vita cultu-
rale e politica del XII sec., “Bull. stor. catanese,” 1939. 577 Bibliografia L.
Minio-PaLuetto, Henry Aristippo, Guillaume de Moerbeke et les tra-
ductions latines médiévales de “Méséréologiques” et du “De generatione et
corruptione,” “Rev. philos. Louvain,” 1947. Ipem, Les “trois
redactions” de la traduction médievale greco-latine du “De Generatione et
corruptione” d'Aristote, “Rev. philos. Louvain,” 1950.
Amalrico di Bène e David di Dinant Bibliografia: cfr.
Gever, pp. 706-707; De Wutr, I, p. 242. V. P. DuHEM, Le système du monde, cit., V, pp.
244-249. G. THiéry, Essai sur David de Dinant d'après Albert le
Grand et St. Thomas, “ME. thom.,” 1923. Ipem, Autour du
décret de 1210: I. David de Dinant. Étude sur son panthéisme
maiérialiste, Parigi, 1925. G. C. CaretLe, Autour du décret de
1210; III. Amaury de Bène. Étude sur. son panthéisme formel, Parigi,
1932. CL. BAEUMKER, Contra Amaurianos (“Beitrige,” XXIV, 5-6)
Miinster, 1926. A. BirRKENMAJER, Découverte de fragments mss. de
David de Dinant, “Rev. néosc. philos.,” 1933. R. Arnou,
Quelques idées néoplatoniciennes de David de Dinant, in “Festgabe J.
Geyser,” 1930. M. Dar Pra, Amalrico di Bène, Milano, 1951.
M. T. p'ALverny, Un fragment du procès des Amauriciens, “Arch.
Hist. doctr. litt. m. à.,” 1953. M. KurpziaLEK, Fragments des
“Quaestiones naturales” de David de Dinant, “Mediaevalia Philosophica
Polonorum” (Varsavia), 1958. Sulla
reazione all’entrata dei testi aristotelici ed arabi cfr.: M.
GRABMANN, / divieti ecclesiastici di Aristotele sotto Innocenzo III e
Gre- gorio IX (“Miscell. hist. pontif.,” V, 7) Roma, 1941.
Guglielmo di Moerbecke Traduzioni: dal greco: De coelo et mundo
(Il. III-IV, 1260); Meseoro- logica (Il. I-III, 1260 ca.); Mesaphysica
(1. XI); Politica (Il. III-VIII, forse 1260); R&etorica; De
animalibus (21 1l.); Poetica (1278). Tradusse inoltre i sottoelencati
commenti ad Aristotele coi relativi testi aristotelici; Periherme- neias
(Ammonio, 1268); Praedicamenta (Simplicio, 1266); De caelo et mundo
(Simplicio, 1271); De sensu er sensato (Alessandro di Afrodisia, 1269);
Meta- physica (Alessandro, 1260); De anima (Temistio, 1268); L. III De
anima (Gio- vanni Filopono). Rivide inoltre molte tradd. già esistenti di
testi aristotelici: De anima (prima del 1268); De memoria et
reminiscentia; Physica (1260- 1270); IV Metseorol.; Metaphysica (eccetto
il 1. XI tradotto da lui per la prima volta); Ezhica Nic. (1260 ca.);
I-II Politicorum; Analytica posteriora; 578 Bibliografia
Elenchi sophystici; probabilmente anche il De generazione et corruptione
€ i Parva naturalia. Tradusse inoltre l’Elementatio theologica e altri
opuscoli di ProcLo. Bibliografia: cfr. Gever, p. 728; De
Brie, nn. 2453, 3601, 4986, 4988, 5005, 57135; DE Wute, II, p.
290. E. FrancESscHINI, Aristotele nel M. E. latino, cit.
G. Lacomse, in “Corpus philosophorum Medii Aevi. Aristoteles
latinus,” Roma, 1939. M. GraBMann, Guglielmo di Moerbecke, il
traduttore delle opere di Aristo- tele, (“Miscell. hist. pontif.,” XI,
20), Roma, 1546 (con bibl.). L. Minio PaLuvetto, Guglielmo di
Moerbecke, traduttore della Poetica di Aristotele, “Riv. filos. neosc.,”
1947. IpeMm, Note sull’Aristotele latino medioevale cit., ibidem,
1952. CL. VANSTEENKISTE, Procli elementatio theologica translata a
G. de Moer- becke (con testo), “Tijdschr. Philos.,” 1951, 1952. G. VERBEKE, G. de
Moerbecke traducteur de Jean Philoponus, “Rev. philos Louvain,”
1951. Ipem, G. de Moerbecke traducteur de Proclus, “Rev. philos.
Louvain,” 1953. Capitolo secondo
Sulle Università H. DenirLEe, Die Entstehung der Universitàten des
Mittelalters bis 1400, Berlino, 1885; rist., 1956. Ipem, Die Universitàten des Mittelalters, Berlino,
1885. Ipem, Les Universités frangaises au moyen dge, Parigi,
1892. H. DenieLE - A. CHATELAIN, Charsiularium Universitatis
parisiensis, Parigi, 1889-1897. Actuarium Chartularii
Universitatis parisiensis, voll. I e II a cura di De- NIFLE © CHATELAIN,
Parigi, 1894-1897; voli. IV e V a cura di CH. Sa-
MARAN e E. A. Van Moè, Parigi, 1935-1942. A. CLERVAL, Les écoles de Chartres au moyen-dge,
cit. H. RasHparc, The universities of Europe in
the middle ages, Oxford, 1895, 1936 (ediz. a cura di F. M. Powicke e A.
B. Enpen). M. GruBMann, Geschichte der scholastischen Methode,
cit., passim. L. I. Paetow, The Arts course of mediaeval
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Illinois Bull., 1910. R. S. RaiT, Life in the mediaeval university,
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Weltanschauung, Monaco, 1925. P. Giorieux, La litiérature
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au XIII siècle, “Rev. hist.,” 1930, 1931. Statuta antiqua
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1931. F. ExrLE, / più antichi statuti della facoltà teologica
dell'università di Bologna, Bologna, 1932. P. GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris
au XIII* siècle, cit. Parigi, 1933-34. S. D’Irsao, Histoire
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1950. F. Bertoni, Lo spunto della filosofia francescana, “Stud.
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l'ordre des Frères Pre., in DThC., IV, 863-924. P.
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Parigi, 1903-1911. P. ManponneT, S. Dominique. L'idée,
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ExrLE, S. Domenico, le origini del primo Studio generale, “Miscell.
domenicana,” Roma, 1923. A. Watz, Studi domenicani, Roma,
1939. M. H. Vicarre, S. Dominique de Calarnega, Parigi, 1955.
580 Bibliografia Su tutto il movimento
scolastico del XIII sec. M. D. CÒÙenu, La théologie comme science
au XIII siècle, Parigi, 1957}. A. Forest, F. van STEENBERGHEN, M. DE GanpiLLac, Le
mouvement doctri- nal du IX au XIV siècle, vol. XIII dell’Histoire de
l'Église, di A. FLicHE, e E. Jarry, Parigi, 1951. Cfr.
inoltre, in generale, la documentazione raccolta in: P. GLorieux,
Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIII‘ siècle, cit.
Capitolo terzo Pietro di Poitiers Opere: Libri
quinque Sententiarum Edizioni: P.L. 211; PH. S. Moore, J. N.
Garin, M. DuLonc, Sententiae Petri Pictaviensis ll. I et II,
“Pubblications in Med. Stud.,” 7 e 11, Notre Dame (Ind.), 1943-50;
Allegoriae super tabernaculum Moysi, ibidem, 1938. Bibliografia:
Cfr. GevER, pp. 711-712; De Brie, nn. 5488-5492; De WuLP, I. pp
250-251. in particolare v.: M. GrABMANN, Gesch. d. schol.
Methode, cit., I e II. P.
GiLorieux, Répertoire des maîtres en théol. de Paris au XIII siècle, cit.
N. June, in DThC, XII, 2038-40. PH.
S. Moore, The Works of P. of Poitiers, Washington, 1936. A. Lanperar, P. v. Poitiers und die Quaestionenliteratur
des 12 Jahrh., “Philos. Jahrb., 1939, pp. 202-22,
348-58. ° Guglielmo di Auxerre Opere: Summa
theologica: incerta l'attribuzione di un commento al- l’Anticlaudianus di
Alano di Lilla. Edd.: Parigi, 1500, 1518, Venezia 1591.
Bibliografia: cfr. Gever, pp. 730-731; De Brie, nn. 5519-5521, 5574; DE
Wutr, II, pp. 78-79. In particolare v.: A. Lanpcrar,
Beobachtungen zur Einflusssphire Wilhelms von Auxerre, “Zeitsch. f. ath.
Theol.,” 1928. G. Ottaviano, Guglielmo d'Auzxerre. La vita, le
opere, il pensiero, Roma, 1929 (con bibl.). P. Grorieux, Répertoire des maftres en théologie de Paris
au XIII“ siècle, cit. 581 Bibliografia
P. Lackas, Die Ethik des W. v. Auxerre. Beitrige zu ihrer Wiirdigung,
Ahrweiler, 1939. N. Fries,
Urgerechtigkeit, Fall und Erbsunde nach Pripositin von Cremona und
Wilhelm von Auxerre, Friburgo, 1940. O. LottIn, Psychologie et morale aux XII et XIII°
siècles, cit., I, pp. 63-69. A. Masnovo, Da Guglielmo
d'Auvergne a s. Tommaso d'Aquino, I, Milano, 19452, c. 2. J.
VanwiysnBERGHE, De biechtleer van Wilhelm van Auxerre in het licht der
vroegscholastiek, “Stud. Cath.,” 1952. Guglielmo di Alvernia
Opere: Magisterium divinale; De immortalitate animae; De bono et
malo e altri piccoli trattati. Edizioni: Opera omnia,
Norimberga, 1496, Venezia 1591, ed. B. LeFERON, ? voll., Orleans,
1674-75; De immortalitate animae. ed. G. BiLow (“Beitrige,” "I. 3,
append.), Miinster, 1897, 19252, Tractatus de bono et malo, ed. J. R.
O'DonneL, “Med. Stud.” 1946, pp. 245-99; Tractatus secundus de bono et
malo (ed. O'DonneL, ibidem, 1954, pp. 219-271.
Biblioerafia: cfr. Gever, pp. 730-731; De Brie, nn. 5459-4563; De
WuLE, II, pp. 87-88. In particolare v.: N.
Vators, G. d'Auvergne. Sa vie et ses oeuvres, Parigi, 1880. M.
Baumcartner, Die Erkenntnislehre des W. v. A. (“Beitrige,” II, 1),
Miinster, 1893. S. ScHINDELE, Beitrige zur Metaphysik des W. v. A.,
Monaco, 1900. P. Duxem. Le svstème du monde, cit., III, pp.
249-250: V, pp. 262-264, 266-285. 337-340; VII, pp. 576-577; IX, pp.
7-13, 15-18, 109-110; X, pp. 27, 186. T. Kramp, Des W. von
Auvergne Magisterium divinale, “Greg.” 1920, 1921. E. Loneprt, G.
d’Auvergne et l'école franciscaine de Paris, “France franc.,” 1922.
E. Girson, Pourquoi st. Thomas a critiqué st. Augustin, “Arch. Hist.
doct. litt. m. 4.,” 1946. B. Lanpry, L'originalité de G.
d'Auvergne, “Rev. hist. philos.,” 1929. A.
Masnovo, Da Guglielmo d'Auxerre a s. Tommaso d'Aquino, Milano,
1930-46. E. Girson, La notion
d'existence chez G. d'Auvergne, “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,”
1946. Ipem, “Magisterium divinale” de G. d'Auvergne, “Rev. m.
&. lat.,” 1947. P. Grorieux, Le Tractatus novus de Poenitentia
de G. d'Auvergne, “Misc. Moralia Janssen,” 1949. A. Forest,
G. d’A. critique d'Aristote, “Étud. méd. offertes è A. Fliche,” Parigi,
1952, pp. 67-79. 582 Bartolomeo da
Bologna Opere: Tractatus de Luce, numerosi sermoni e questioni
disputate. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 732; De Brie, nn. 5459-4463; DE
WuLF, Il, p. 269. In particolare: E. Loncpré,
Bartolomeo da Bologna, un maestro francescano del sec. XIII, “Stud.
franc.” 1923, pp. 365-84. 1. Souaprani, Tractatus de Luce fr. B. da
B., “Ant.,” 1932, pp. 201-38, 337-76, 465-94 (ed.). M.
Micxsorr, “Quaestiones disputatae de Fide” de Bartolomeo v. Bologna, O,
F. M. (“Beitrige,” XXIV, 4), Miinster, 1940 (ed.). Alessandro di
Hales Opere: Exoticon, alcuni Sermones, Glossa in quatuor libros
Sententia- rum, Quaestiones et quodlibeta, alle quali vanno aggiunte le
seguenti opere scritte in collaborazione: Expositio regulae, e
Summa. Edizioni: oltre le ediz. di Venezia (1576) e di Colonia
(1622), cfr. della Summa Theologica l'ediz. critica, a cura dei
Francescani di Quaracchi, in 4 voll., Quaracchi (Firenze), 1924-1948;
Alexander de Hales, Quaestio de Fato, a cura di J. Goercen, “Franz.
Stud.,” 1932; Alexandri de Hales Glossa în quattuor libros sententiarum
Petri Lombardi, Quaracchi (Firenze), 1951-1954; Alerandri de Hales
Quaestiones disputatae “antequam esset frater)” Quaracchi (Firenze),
1960. Bibliografia: per la vita: Prolegomena alla Glossa in
quatuor libros sententiarum, I, Quaracchi, 1951, pp. 7-75. Quanto
agli ultimi risultati della critica sugli scritti cfr.: V. Doucer, s.v.,
in “Enciclopedia Cattolica,” I, 784-787. Per altre notizie: A.
Vacant, in DThC, I, 772-84. W. Lampen, in “Lexicon fiir Theol. u.
Kirche,” I, 249-50. Bibliografia generale in GeveRr, pp. 734-735;
De Brie, nn. 5421-5435; DE Woutr, II, pp. 117-120. Per
il pensiero filosofico: P. Dunem, Le système du monde, cit., III,
pp. 399-407, 316-41; V, pp. 317-319, 322-332, 334-341; VIII, pp.
350-352. P. Mrxces, Philosophiegeschichtliche Bemerkungen iber die
dem Al. ». Hal. zugeschriebene Summa de virtutibus, (“Beitrige,” suppl.
I), Miinster, 1913 (vedi anche in “Franz. Stud.” 1914, 1915, 1916; in “Theol. Quart.,” 1915;
in “Riv. filos. neosc.,” 1915). 583
Bibliografia ]. RoHMER, La théorie de labstraction dans l'école
franciscaine d'Al. de Hales à Jean Peckam, “Arch. Hist. doctr. litt. m.
à.,” 1928. B. Geyer, Zur Frage nach der Echtheit der “Summa” des
Alex. Hal., “Franz. Stud.,” 1929. O. Lortin, Alex. de Hales
et la “Summa de vitiis” de Jean de la Rochelle, e Al. d. Hal. et la
“Summa de anima” de Jean de la Roch., “Rech. théol. anc. méd.,” 1929,
1930. J. FucHs, Die Proprietiten des Seins bei Alexander von Hales,
Monaco, 1930. ]. Brsson, Die Willensfreiheit bei A. v. Hales,
Fulda, 1931. M. Gorce, La Somme théol. d'Alex. est-elle authentique?,
“N. Schol.," 1931. F.
PeLster, Zum Problem der ‘Summa’ des Alex. v. Hales, “Greg.,” 1931.
Inem, Intorno all'origine e all'autenticità della ‘Summa’ di A. di
Hales, “Civ. Catt.” 1930-1931,
- Ipem, Die Quaestionen des Al. von Hales, “Greg.,” 1933.
P. GLorieux, D'Alex. de Hales à Pierre Auriol, “Arch. franc. hist.,”
1933. I. GorLani, La conoscenza naturale di Dio secondo la “Somma
teologica” di Aless. di Hales, Milano, 1933. B. Pergamo, De
quaestionibus ineditis Fr. Odonis Rigaldi, Fr. G. de Meli- tona et cod.
vat. lat. 782 circa naturam theologiae deque carum relatione ad Summam
theol. Fr. Alex. d. Hales, “Arch. franc. hist.,”
1936. F. M. HenquineT, Autour des écrits de Alex. de Halès et de
Richard Rufus, “Ant.,” 1936 (e cfr. anche “Rech. théol. anc. méd.,” 1938;
“Ant.,” 1938; “Franz. Stud.,” 1939;
“Arch. francisc. hist.,” 1940). E. ScHLenKER, Die Lehre von den
gottlichen Namen in der Summe Alex. von Hales, Friburgo, 1938.
Pu. BòHnEr, The System of Metaphysics of Al. of Hal., “Franc.
Stud.,” 1945-1946. J. HerscHer, A Bibliography of Al. of
Hales, “Franc. Stud.,” 1945-1946, F. M.
HenquineT, Le commentaire d'Alex. de Halès sur les Sentences enfin
retrouvé, “Misc. Mercati,” II, 1946. V. Doucet,
The History of the Problem of the Authenticity of the Summa Fratris
Alexandri, “Franc. Stud.,” 1947 (e cfr. anche “Riv. filos.
néosc.,” 1948; “Arch. francisc. hist.,” 1950). L. Di Fonzo,
less. di Hales e il ritrovato suo commento alle Sentenze del Lombardo,
“Misc. franc.,” 1947. F.
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Philos. Assoc.,” 1950. B. WincenreLD, Die Verbindung von Leib und
Seele in ihren Bedeutung fiir den sittlichen Akt nach der Lehre des Al. v
on Hales, in Aus Theologie u. Philos. Festschrift
F. Tillmann, Diisseldorf, 1950. E. Bertoni, Il problema filosofico
della conoscibilità di Dio nella scuola francescana, Padova, 1950.
U. Berti, Pro edit. cri. quaestionum A. Halensis, “Ant.,” 1951, pp.
83-98. 584 Bibliografia A. Pompei, A.
Alensis e le dottrine creazionistiche nel medioevo, “Misc. franc.,” 1953,
pp. 289-350. E. BertoLA, La dottrina dello “spirito” in A. di
Hales, in “Sophia,” 1955, pp. 84-91. K. LvncH, The Quaestio de sacramentis in genere
attributed to Alexandre of Hales, “Franc. Stud.” 1951. Ipem,
Texts from the “Quaestiones antequam esset frater” attributed to
Alexander of Hales, “Franc. Stud.,” 1951. W. E. Goessmann, Die
Methode der Trinitatslehre in der Summa Halensis, “Miinch theol.
Zeitschr.,” 1955. K. Lyncn, The doctrine of Alex. of Hales on the
nature of sacramental grace, “Franc. Stud.”
1959, Giovanni della Rochelle Opere: Le sue idee si
trovano probabilmente esposte nella Summa fratris Alexandri. Le sue opere
a carattere prevalentemente filosofico comnrendono: Tractatus de
multiplici divisione potentiarum animae, Summa de anima, De cognitione
animae separatae, De immortalitate animae sensibilis, si sa inoltre che
scrisse un Commento sopra le Sentenze, finora però non è stato ritrovato.
Edd.: La Summa de anima di Fr. Giovanni della Rochelle (ed. T.
DomenicHELLI - M. Da Civezza). Prato, 1882. Bibliografia: cfr.
Gever, p. 735; De Brie, nn. 5432, 7407-7408; DE Wutr, II, p. 120.
In particolare v.: G. Manser, Johann von Rupella, “Jahrb.
Philos. u. spek. Theol.,” 1912. P. Mrnces, De scriptis quibusdam
fr. loannis de Ruvella, “Arch. franc. Hist.,” 1913, pp. 597-622 (e cfr.
anche “Phil. Jahrb.,” 1914). IpeM, Zur Erkenntnislehre des Franz.
]. de Ruvella, “Philos. Jahrb.,” 1914.
P. GLorieux, Répertoire des maîtres en théologie de Paris au XIII*
siècle, cit. Lortin, Les traités sur l'îme et les
vertus de ]. de R.. “Rev. néosc. philos.,”
1930. Fagro, La distinzione tra “quod est” e “quo est” nella “Summa
de anima” di Giovanni della Rochelle “Div. Th.” (P), 1938, pp. 208-52. BucceLLato, De
quaestionibus quibusdam ad “Summam de anima” Ioannis de Rupella
pertinentibus, “Sophia,” 1940. M. HenquineT, Fr. Considérans, l'un
des auteurs jumeaux de la “Summa fratri Alexandrî? primitive,
“Rech. théol. anc. méd.,” 1948. pn. 76-96. Doucet,
Prolegomena in Librum II necnon in Libros l et Il Summae fra- tris
Alexandri, Quaracchi, 1948, pp. cexi-cexxvwn. MrcHaun-Quantin, Les puissances de l'îme chez Jean de la
R., “Ant.” 1949, pp. 489-505. LottIN, A propos de Jean
de la Rochelle, in Psychologie et morale..., cit., VI, pp.
181-223. mM zo o o 3
585 Bibkogrefia Bonaventura da Bagnorea
Opere: Tra gli scritti d'importanza filosofica ricordiamo: Commentarii in
IV libros Sententiarum Petri Lombardi (1250-1254): Bre- viloquium (1257
ca.); Itinerarium mentis in Deum (1259); De reductione artium ad
theologiam; De donis Spiritus Sancti (1268); De scientia Christi; In
Hexaemeron. Cai Edd.: Tutti gli scritti di San Bonaventura sono
raccolti nell'ottima ediz. critica a cura dei padri francescani di
Quaracchi: Osera omnia, 10 voll, Quaracchi (Firenze), 1882-1902. Si veda
inoltre: De Aumanae coeni- tionis ratione Anecdota qauaedam Seravhici
Doctoris S. Bonav. et nonnullorum ipsius discibulorum, Quaracchi, 1883;
S. Bon. Seravh. Doctoris tria obuscola: Breviviloauium, Itinerarium
mentis in Deum et De reductione artium ad Theolociam, notis illustrata,
Quaracchi. 1911, 19385; S. B. Collationes in He- xaémeron et
Bonaventuriana quaedam selecta, a cura di F. M. DELORME, Quaracchi, 1934;
S. B. opera thenlocica selecta. Editio minor (1. Liber 1 sententiarum;
II. Liber II sent.; INI. Liber Il sent.; IV. Liber II sent.; V. Liber IV
sent.\. Quaracchi, 1934-1949: Questions disvuttes “De caritate. De
novissimis” ediz. crit.. a cura di P. Girorievx. Parigi. 1950. Cfr.
inoltre l'antologia: Philosovhia S. Bonaventurae textibus ex eius
operibus selectis illustrata, a cura di B. RosenMoELLER, Miinster, 1933.
Utile ancora ooci il Lexicon bonaventurianum di Toz4nnes A Ruino E
Antonius Marta A Vice- tia, Venezia, 1880. In tr. it. si veda: Riduzione
delle arti, a cura di A. Her- MET, Lanciano, 1923 (insieme alla tr.
dell’Itinerario\: Vita di S. Francesco, a cura di G. BatteLLI. S.
Casciano Val di Pesa, 1926: Il Brevilonuio, a cura di G. Piccioni. Siena,
1931: di T. M. BarsaLiscra. Pomnei. 1934: Itinerario della mente a Dio, a
cura di A. HermeT, Firenze. 1919: di G. Dar Monte. Boloona, 1926; di C.
Ottaviano. Palermo. 1933; di G. Sanvinno. Roma. 1942; di D. Scaramtizzi,
Padova. 1943: di F. Macconn Torino, 1947: di G. BonarepE, Roma, 1951; I)
principio della conoscenza (De humanae cognitionis suprema ratione), a
cura di G. Marino, Milano, 1925. Bibliografia: La bibl. generale
in Gever, pp. 735-738; De Brie, nn. 5720- 5811; De Wutr, II, pp.
133-137. Una ricca biblioorafia in L. VeurHEY, S. Bonaventurae
philosophia chri- stiana, Roma, 1943. In particolare, tra la
vastissima bibliografia, si veda: K. ZiescHf. Die Lehre von Materie
und Form; Die Naturlehre Bonaven- turas, “Philos. Jahrb.,” 1900,
1908. E. Lutz. Die Psychologie Bonaventuras nach den Quellen
dargestellt, Miinster, 1909. P. DuHeMm, Le système du monde, cit., III, pp. 497-511;
VI, pp. 82-88, 102-106; VII, pp. 198-199; X, pp. 33-34.
586 Bibliogrefia B. A. Luvcxx, Die Erkenntnislehre
Bonaventuras (“Beitrige,” XXIII, 3-4). Miinster, 1923. A.
Stonr, Die Trinititslehre des hl. Bonaventura, Miinster, 1923. E.
Gitson, La philosophie de St. Bonaventure, Parigi, 1924, 19533 (con
ottima bibliografia). P. Grorreux, Essai sur la chronologie de S.
Bon., “Arch. franc. hist.,” 1926. F.
ScHwenpincer, Die Erkenntnis in den ewicen Ideen nach der Lehre des hl. Bonaventura, “Franz. Stud.,” 1928, 192% . J.
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1930. C. J. O’'Lrary, The substantial composition of man according
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besonderer Beriichsichticune des hl. Bonaventura, Monaco, 1931.
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Weish..” 1934. Tu. Sorron, Vom Geist der Theologie
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S. Bonaventurae de deiformitate, Mundelein. 1936.
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1936 S. Vanni-Rovieni, L'immortalità dell'anima nei maestri
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di S. Bonaventura nella storia del pensiero medioevale, Napoli,
1941. V. Bretox, St. Bonaventure, Parigi, 1943. pua 6
M o mo 587 E. Ip:
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illuminazione intellettuale, “Riv. filos. neosc.,” 1944. EM, S.
Bonaventura, Brescia, ArszecHy, Grundformen der Liebe. Die Theorie der
Gottesliebe bei dem hl. Bonav., Roma, 1946 (e cfr. anche “Greg.,”
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expérience religieuse et formation du concept, “Etud. franc.,”
1958. . Bici, Concezione bonaventuriana della
sostanza e concezione aristotelica, “Stud. franc.,” 1958. homme et son destin..., cit., pp. 473-519 (saggi di J.
RarzinceR, CH. WeNIN, J. P. MiLLer, M. ScHMAUS).
588 Bibliografia PH. Bonner, Eramination of
conscience according to St. Bonaventure, St Bonaventure (N. Y.),
1959. S. CLasen, Zur Geschichtstheologie Bonaventuras, “Wiss. Weis.,”
1960. Capitolo quarto Per la bibl. relativa alla
scuola domenicana cfr. sotto la voce Domeni- cani. Alberto
Magno Opere: a) “Philosophia rationalis” o “Logica”: De
praedicabilibus (Super Isagogen Porphyrii); De Praedicamentis (In
categorias Aristotelis): De sex frincipiis (commento al testo
pseudoporrettiano); Zn Boétii de di- visione; In duos Peri hermeneias; In
Boétii de syllogismis categoricis; In duos Priorum Analyticorum; In
Boétii de syllogismis hypoteticis (inedito); In duos Posteriorum
analyticorum; In octo Topicorum; In duos Elenchorum. b) “Philosophia realis”: 1) “Physica sive
naturalis”: De audito physico (In octo libros Physycorum); In duos libros
de generatione et corruptione; In quattuor libros de caelo et mundo; De
natura locorum; De causis proprietatum elementorum; In quat- tuor libros
Metereorum; De mineralibus; In tres libros de anima; De nutri- mento; De
sensu et sensato; De memoria et reminiscentia; De intellectu et
intelligibili; De natura et origine animae (De natura intellectualis
animae et contemplatione); De quindecim problematibus; De unitate
intellectus contra averroistas; De somno et vigilia; De spiritu et
respiratione; De mo- tibus progressivis (De principiis motus
progressivi); De aetate (De iuventute et seneciute); De morte et vita; De
animalibus libri XXVI; Quaestiones super libros de animalibus; De
vegetalibus et plantis libri VII; Sul De fato (De sensu communi) cfr.: G.
MEERSEMANN, /ntroductio in Opera omnia, citata più oltre, p. 138. La
Summa naturalium o philosophia pauperum già attri- buita ad Alberto Magno
dal Birkenmayer, dal Pelster, dal Mandonnet, è adesso attribuita ad
Alberto di Orlamiinde, un discepolo di Alberto Magno che la compose
ispirandosi pienamente al maestro. Tale Summa naturalium fu compendiata
da Pietro di Dresda nel Parvus philosophiae naturalis, che circolò a
lungo nelle scuole sotto il nome di Alberto Magno (cfr. M. Gras- MANN,
Die Philosophia pauperum und ihr Verfasser Albert von Orlamiinde,
(*Beitràge," XX, 2), Miinster, 1918; P. ManponneT, Sr. Albert le Grand
et la philosophia pauperum, “Rev. néosc. Philos.,” 1934; B. GevERr, Die
Albert d. Grossen zugeschribene Summa naturalium (“Beitrige,” XXV, 1),
Munster, 1938). 589 Bibliografia
2) “Mathematica”: Super geometriam Euclidis. 3) “Metaphysica”: Metaphysicorum libri XIII; De causis et
processu uni- versitatis (In librum de causis); De natura deorum
(perduto). c) “Phulosophia moralis”: In decem libros Ethicorum; In
octo libros Poli- ticorum; Scripium super Ethicam Nicomacheam
(inedito). d) “Exegesis”: Super Job; Super Psalmos; In ca. XI
Proverbiorum; In Je- remiam; In Threnos Jeremiae; In Baruch; In duodecim
Prophetas minores; in Mattheum; In Marcum; In Lucam; In Joannem (non si
conosce la trad. manoscritta di: /n Canticum Canticorum; In
Isaiam; In Ezechielem; In epistutas S. Pauli). e) “Theologia
systematica”: In Dionysii De divinis nominibus (ined.); In Dionysii Le
cactesti hierarchia; In Dionysii de ecclesiastica hierarchia; In Dionysii
De mystica theotogia; In Dionysu undecim Epistulas; Scriptum super
quattuor libros Sententiarum; Summa theologica (pror.): 1) De crea- tone
et creatura; 2) De bono et virtutibus (Summa de bono et virtutibus,
ined.); De resurretione (ined.); Tractatus de natura boni (ined.); Summa
theotogica (altera); De sacrificio missae; De eucharistiae sacramento;
Sermo- nes XXAII de sacramento Eucharisttae; Marsale, sive quaestiones
super: Missus est. f)
“Parenetica”: De forma orandi (Pater Noster); Sermones LXXVIII de
tempore; Sermones LIX de sanctis; Homilia in Luc. XI, 27;
Sermones lingua theutonica habiti; Orationes LIII super evangelia
dominicalia totius anni; Orationes super Sententias.
Edizioni: L'Opera omnia di Alberto, comprendente tutti i testi allora
conosciuti, fu pubblicata da P. JamMy a Lione, 1651; da A. Borcnet,
Parigi, 1890-1899; inoltre si vedano le seguenti altre edizioni di testi
compresi o non compresi nelle Opera omnia: De vegetalibus, a cura di C.
JessEN, Ber- lino, 186/; il De guindecim problematibus, in MANDONNET,
Siger de Brabant, II, (1908); Commentarii in librum Boethii de Divisione,
a cura di P. DE Loé, Bonn, 1913; De animalibus libri XXVI, a cura di
SrapLer (“Beitrige,” XV-XVI), Miinster, 1916-1920. Si veda inoltre la
Philosophia pauperum, a cura del GRABMANN, cit; Summa de creaturis, a
cura del GraBMANN, “Quellen Gesch. Dominik.” Lipsia, 1919; il De
antecedentibus ad logicam a cura di J. BLarer, “Teoresi,” 1954; Albertus
Magnus, Liber sex principiorum, a cura di S. SuLzsacHer, Vienna, 1955; Il
De occultis naturac, ed. P. KiBRE, “Osiris,” 1958 (trattato alchimistico
di assai dubbia attrbuzione). Ad un'ed. critica completa di tutte
le opere di Alberto lavorano da pa- recchi anni appositi Istituti
domenicani a Colonia ed a Roma. Dei 40 volu- mi previsti dal piano di ed.
sono usciti: XXVIII, De Bono; XII, Liber de natura et origine animae;
Liber de principiis motus processivi; Quaestiones de animalibus; XIX,
Postilla supra Isaiam, Postillae super Ezechielem frag- menta; XXVI, De
Sacramentis, De Incarnatione, De Resurrectione; XVI, Metaphysica, ll.
I-V, Miinster, 1951 sgg. Cfr. inoltre l’ed. dell’Ausographum
590 Bibliografia upsalense (Ii Sent. d. 3. a 6. - d.
4 a 1) a cura di F. StecmiùLLER, Uppsala, 1953. Per il
catalogo generale degli scritti cfr. C. H. ScHEEBEN, Les écrits d'Albert
le Grand d'après les catalogues, in Maître Albert, n. spec. della “Rev.
thom.,” 1931, pp. 36-38; G. MEERSEMANN, Introductio in Opera omnia B.
Alberti Magni, Bruges, 1931. Bibliografia: Per la bibl. generale e
speciale cfr.: M.-H. LaureNT, M. Y. Concar, Essai de bibliographie
albertienne, in Maitre Albert, cit., pp. 422- 468; A. Watz - A. Perzer,
Bibliografia S. Alberti Magni indagatoris re- rum naturalium, n. unic. di
“Ang.” 1944, pp. 13-40. Ma vedi anche: P. CasrtacnoLI, La vita e gli
scritti di S. Alberto Magno, Piacenza, 1934; F. VAN STEENBERGHEN, La littérature albertino-thomiste
(1930-1931), in “Rev. néosc. philos.,” 1938; M. ScHoovans, Bibliographie
philosophique de St. Albert le Grand (1931-1960), San Paolo, 1961. Inoltre:
GEvER, pp. 739-742; De BRIE, nn. 5612-5618, 3601, 3663, 4607, 5619-5687,
6197, 6198; De Wute, Il, pp. 157-162. / Tra la vasta e, più
recente, bibliografia si indicano: P. DuHEM, Le système du monde,
cit., III, pp. 243-245, 248-252, 327-352, 482-484; IV, pp. 330-333; V,
pp. 411-473, 573-576; VI, pp. 13-19; VII, pp. 168-174, 208-209; VIII, pp.
17-18, 130-133, 243-245, 352-355, 416-418; IX, pp. 13-19, 21-22, 113-122,
135-136, 194-196, 257-262, 271-279, 281-284, 290-294, 370-371,
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Bibliografia Tra gli scritti su problemi particolari citiamo tra i
più recenti: H. Barss, Albert M. als Biolog, Stoccarda, 1947.
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abstraction, “Thomist,” 1954. CortaBarrfa, Las obras y la doctrina
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Geschichte des Albertismus, Roma, 1933-1935. PX_P_NS
si pini Ugo Ripelin di Strasburgo Opere: Compendium
theologicae veritatis; incerta è l’attribuzione di un Commentarium in IV
libros Sententiarum e di alcuni Quodlibeta e Quae- stiones.
Bibliografia: cfr. GevER, pp. 742-743; De Brie, n. 7404; DE WuLr, II, p.
162. Bibliografia In particolare v.: M.
Grasmann, Mittelalterl. geistesleben, Ì, cit., pp. 147 sgg., 174-85.
K. Scumitt, Die Gotteslehre des “Compendium theologicae veritatis”
des Hugo Ripelin von Strassburg, Miinster - Regensburg, 1940.
Ulrico Engelbrech di Strasburgo Opere: Gli vengono
attribuiti comment ad Aristotele (Meteorologica, De anima) e un Commento
alle Sentenze, opere perdute. È rimasta la Summa de bono. Ed.: 1.
Il (par.) a cura di M. GrABMANN, in “Sitz. ber. Bayer. Akad. d. Wissens.
Philos. Hist. KI.” Monaco, 1928; I. I a cura di J. Dacuiton, Parigi,
1930. Bibliografia: cfr. Gever, p. 743; De Brie, nn. 7485-7487; DE
Wutr, II, p. 162. In particolare v.: M.
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Geistesleben, cit. I, pp. 147-221., P. GLorievx, in DThC, XV,
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Miinster, 1928. J. KocxH, Neue Literatur tiber Ulrich von
Strassburg, “Theol. Rev.,” 1930. H. WeriswriLer, Eine neue Ueberlieferung
aus der “Summa de bono” Ulrichs von Strassburg, “Zeitschr. f. kathol.
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Engelbersi O. P., “Rech. théol. anc. méd.,” 1950, pp. 328-3I.
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monde, cit., VI, pp. 29-43, 537-539; VIII, pp. 17-18. Teodorico
di Vriberg Opere: Fra i suoi trattati scientifici si ricordano: De
iride et radialibus impressionibus, De tempore, De mensura durationis, De
coloribus; tra le sue opere a carattere filosofico vanno particolarmente
ricordate: De intellectu et intelligibili, De habitibus, De esse et
essentia, De intelligentiis et motibus coelorum. De universitate entium,
De causis, De efficientia Dei, De theo- logia. Bibliografia:
cfr. GevER, p. 778; De Brie, n. 6881; De WutF, II, p. 162. In particolare v.: M. De Wutr, Un scolastique
inconnue de la fin du XIII° siècle (Thierry de Fribourg), “Rev.
néosc. philos.,” 1906, pp. 43441. E. Kress, Meister Dietrich, sein
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Bibliografia (“Beitrige,” V, 5-6), Miinster, 1906 (con ed. del
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psychologue de la fin du XIII° siècle: Thierry de Fri- bourg, “Rev.
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Meisters Dietrich (“Beitràge,” XX, 5), Miinster, 1922. F.
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tiber den Ursprung der Kategorie A (con testo),
“Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1957. um
Bertoldo di Mosburg Opere: Expositio in Elementationem theologicam
Procli, Commenti sui Meteorologici di Aristotele.
Bibliografia: cfr. Gever, pp. 778-779; De Wutr, II, p. 350. In
particolare v.: M. Grasmann, Der Neuplatonismus in der deutschen
Hochscholastik, “Philos. Jahrb.,” 1910, pp. 53-54. IpeM,
Mittelalterliches Geistesleben, cit. II, pp. 312, 366, 384, 390, 421-22.
W. EckErt, Berthold von Moosburg O. P. Ein Vertreter der
Einheitsmeta- physik im Spétmittelalter, “Philos. Jahrb.,” 1956.
Capitolo quinto Tommaso d'Aquino Opere: a) commenti
aristotelici: /n Perihermeneiam (fino a II, 2 com.); In posteriores
Analyticorum; In VIII libros Physicorum; In III libros de Caelo et mundo
(fino a III, 8); In II libros de Generatione et Corruptione (fino a I,
17); Zn IV libros Meteorum (fino a II, 10); In III libros de anima; In
librum de sensu et de sensato; In librum de memoria et reminiscentia; .
In XII libros Metaphysicorum; In X libros Ethicorum; In libros Politico
rum (fino a III, 6). 594 Bibliografia è)
altri commenti: In librum de Causis; al De Hebdomadibus di Boe- zio; agli
scritti dello Pseudo-Dionigi. c) commenti biblici: Expositio super
Isaiam; Expositio super Jeremiam; Lectura super psalmos; Expositio super
Job; Lectura super S. ]Johannem; Lectura super S. Matheum; Super
kpistolas S. Pauli; Catena aurea, sive Expositio continua. d)
opere teologiche: Super IV libros Sententiarum; Commento al De Trinitate
di Boezio; Quaestiones disputatae: 1) De veritate; 2) De potentia; 3) De
malo; 4) De spiritualibus creaturis; 5) De anima; 6) De virtutibus; 7) De
unione verbi incarnati; Quodlibeta XII; Summa contra gentes; Summa
Theologica. e) opuscoli: De principiss naturae; De ente et
essentia; De operationibus occultis naturae; De mixtione elementorum; De
motu cordis; De unitate intellectus; De aeternitate mundi; De regno (De
regimine principum); De regimine Judacorum; Compendium theologiae;
Declaratio XXXVI quae suonum ad lectorem Venetum; Declaratto XLII
quaestionum ad magistrum Ordinis; Declaratio CVIII dubiorum; Declaratio
VI quaestionum ad lecto- rem Bisuntinum; Contra impugnantes Dei cultum et
religionem; De perfectione vitae spiritualis; Contra doctrinam
retrahentium a religione; Conwa errores Graecorum; De articulis fidei et
sacramentis Ecclesiae; De rationibus fidei; Responsio super materiam
venditionis; Responsio ad Ber- nardum abbatem Casinensem; De forma
absolutionis paenitentiae sacra- mentalis; De sortibus; In quibus potest
homo licite uti judicio astrorum; Expositio super secundam decretalem;
Expositio circa primam decretalem; Collatsones de Credo in Deum;
Collatione de Pater Noster; Collationes de Ave Marta; Collationes de
decem praeceptis; Ufficium corporis Christi; Sermo de festo corporis
Christi; Duo principia de commendatione sacrae scripturae; De secreto; De
propositionibus modalibus; De fallaciis; Epistola de modo studendi; Piae
preces; De differentia verbi divini et humani; De demonstra- tione; De
instantibus; De natura verbi intellectus; De principio individua- tionis;
De natura generis; De natura accidentis; De natura materiae; De quattuor
oppositis. Sull’autenticità dei vari scritti tomisti cfr. P.
MANDoNNET, Des écrits authentiques de S. Thomas, Friburgo, 1910? e M.
GraBmann, Die Werke des hl. Thomas von Aquino (“Beitrige)” XXII, 1-2),
Miinster, 1931. Edizioni: Piana, ordinata da Pio V, Roma, 1570-71;
PaRMENSIS, 25 voll., Fiaccadori, Parma, 1852-73; rist. fotolitogr. a cura
di V. J. Bourke, New York, 1948; Vivès, 34 voll., Parigi, 1871-80; 2 ed.,
ivi, 1889-90; LEoNINA, ordinata da Leone XIII, finora 16 voll., Roma,
1882 sgg. (voli. 1V-X1I: Sum. theol.; XII-XV: C. Gent.; XVI: Indices); la
recensione leonina della Sum. theol. nella n. ed. MARIETTI; della C.
Gent. e degli indici esiste l’ed. LEONINA ManuaLe, 1934, 1948; TaurINENSIS,
(manuale) finora 37 voll., Marietti, To- rino, 1845 sgg.; n. ed., 1946
sgg.; ParisiensIs (manuale), Lethielleux, Parigi, 1925 sgg. (con intr.
del ManponnET). Opere singole: Commento alle Senten- 595
Bibliografia ze ed. P. Manponner e F. Moos, n. ed., 4
voll., Parigi, 1929-47; rist., tomo III, vol. I-II, ivi, 1956; De ente et
essentia, ed. M. D. RoLanp-GossELIN, Parigi, 1926; ed. L. Baur, Miinster,
1926; ed. CH. Bover (“Textus et documenta”), Roma, 1933; 3 ed., 1950; De
spiritualibus creaturis, ed. KEELER, ivi, 1938; rist. 1946; De unitate
intellectus contra averroistas, ed. L. W. KEELER, ivi, 1946; 2 ed. 1957;
De principio naturae, ed. L. Pauson, Friburgo-Lovanio, 1950; De natura
materiae, ed. J. M. Wyss, ivi, 1953; Contra errores Graeco- rum ed. P. GLorieux, Tournai, 1957; Expositio super librum
Boéthii De unitate, ed. B. Decker, Leida 1959.
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1947-48; it., con testo latino della Leorina, a cura dei Domenicani,
Firenze, 1949 sgg.; sp., a cura di CastELLANI-QuILER, Buenos-Aires, 1940
sgg.; a cura dei Domenicani, Madrid, 1947 sgg.; portoghese, a cura di A.
CorreIra, 4 voll., San Paolo, 1934-37; 2 ed., ivi, 1946; olandese, 21 voll.,
Anversa, 1927-43; greca, a cura di I. N. KamirEs, Atene, 1935; araba, a
cura di P. Awarp, 4 voll., Beyruth, 1887-98; 5) della Summa contra
Gentiles: it., a cura di A. PuccetTI, 2 voll., Torino, 1930; ingl., a
cura dei Domenicani, 5 voll., Londra, 1928-29; tr. A. C. Peeis, New York, 1955 sgg.; ted., a cura
di H. NacHoo-P. STERN, 3 voll., Lipsia, 1935-37; araba, Djounich (Libano),
1931; c) del De ente et essentia: fr., a cura di E. BrurENAU, Parigi,
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Opere: Commenti alle opere aristoteliche: De caelo et mundo, Meteore,
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cfr. De Brie, nn. 3601, 7331-7335, 7461; DE WuLF, II, p. 93. In
particolare v.: M. GraBmann, MittelalterI. Geistesleben, cit., Il, pp.
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Magister A. of Bocfeld, “Medievalia, et Humanistica,” 1945.
Ipem, A further note on Master A. of Bocfeld, ibidem, 1958. Adamo
di Bouchermefort adi Opere: Commenti al De anima, alla
Phisyca, al Liber de causis, e al De generatione et corruptione.
Alcuni studiosi l’hanno identificato con Apamo di BocreLp.
Alessandro Neckam Opere: De naturis rerum, De laudibus divinae
sapientiae; De nominibus utensilium. Edd.: I primi due
scritti a cura di M. T. WaxicHT, in Rerum Britan- nicarum Medi Aevi
Scriptores, XXXIV, Londra, 1863; il terzo in A volume of vocabularies,
1857. Bibliografia: cfr. Gever, p. 731; De Brie,
n. 5352; DE WuLF, Il, p. 74. In particolare v.: CH. H.
Haskins, Studies in the history of mediaeval science, cit., pp. 356-376.
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Sulla logica parigina: M. Grasmann, Mitielari. lateinische
Aristotelesiibersetzungen und Aristo teleskommentare aus Handscriften
spanischer Bibliotheken, “Sitzber. Bayer. Akad. der Wissensch. Philos.
philol. Kl.,” 1928. Ipem, Bearbeitungen und Auslegungen der
aristotelischen Logik aus der Zeit von Peter Abaelard bis Petrus
Hispanus... “Abhandl. Preuss. Akad. der Wissensch. Phil. Hist. Kl.,”
1927. Ipem, Kommentare zur Aristotelischen Logik aus dem 12 und 13
Jahrun- dert im Ms. lat. fol. 624 der Preussischen Staatsbibliothek in
Berlin. Ein Bejstrag zur Abaelardforschung, ibidem, 1938.
606 Bibliografia IpeMm, Eine fiir Examinazwecke
abgefasste Qudestionensammlung der Pa- riser Artistenfoakultit aus der
ersten hilfte des 13 ]ahrunderts, in Mittel alterl. Gesstesleben, II, cit., pp. 183-189 IpeM,
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Nicola di Parigi Opere: Un notevole gruppo di testi
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N. von P. und ihre Stellung in der aristotelischen Bewegung des XIII.
jahrh., in Mittelalterl. Geistes- leben, cit., I, pp. 22-48; Il, pp.
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logicae. Bibliografia: Cfr. GEYER, p. 758. In particolare
v.: C. PRANTL, Geschichte der Logik im Abendlande, III, Lipsia, 1865, pp.
25-32. K. MicHaLski, Les courants philosophiques è
Oxford et à Paris pendant le XIV® siècle, “Bull. crit. Acad.
Polonaise scienc. lettres,” Cracovia, 1922, p. 61. Pietro Ispano
(Giovanni XXI) Opere: Summulae logicales; De anima; Commento al De
anima di Ari- stotele; De morte et vita et de causis longitudinis et
brevitatis vitae; Liber naturalis de rebus principalibus; Expositio
librorum B. Dionysti. Edizioni: Obras filoséficas, a
cura di M. ALonso, 3 voll., Madrid, 1941-52 (il I vol. contiene il
Scienzia libri de anima; il II il commento al De anima; il III
l’Expositio libri de anima, il De morte et vita e il Liber naturalis);
Summulae logicales, ed. }. P. MurtaLty
(“Publ. in Med. Stud.,” 8), Notre Dame, Ind. 1945; ed. I. M. BocHensxI,
1947; l’Expositio librorum B. Dionysii, ed. M. ALonso, Lisbona,
1957. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 758; De Brie, nn. 7439-750; DE
WuLF, II, pp. 92-43; e la Bibliografia sobre Pedro Hispano, “Riv.
portuguesa filos.,” 1952. 607
Bibliografia In particolare cfr.: L. THorNDIRE, A
History of magic and experimental Science, cit., Il, pp. 488-516.
H. D. Simonin, Les Summulae de P. Hispanus, “Arch. Hist. doctr.
litt. m. à.,” 1930 (e cfr. anche “Arch. fratr. praed.,” 1935).
M. Grasmann, Handschriftliche Forsch. u. Funde zu den philos.
Schriften des Petrus Hispanus, “Sitz.ber. Bayer. Akad. der Wissensch.”
Philos. hist. Abt., 9, Monaco, 1936. Invem, Die Lehre vom
Intellecius possibilis und Intellectus agens in “Liber de anima” des
Petrus Hispanus... “Arch. Hist. doctr. m. à.,” 1937-1938. B. Gever,
Zu den “Summulae logicales” des Petrus Hispanus und Lambert von Auxerre,
“Philos. Jahrb.,” 1937. Tu. J.
Carreras v Artau, Historia de la Filosofia espatiola, 1, Madrid, 1939,
pp. 101-144. J. P. Muttaity, The Summulae Logicales of
Peter of Spain, Notre Dame, 19i45 (intr.). Pedro Hispano no
675 aniversério de sua morte, 1277-1952, “Riv. portu- guesa filos.,”
1952. A. N. Prior, The “Parva logicalia” in Modern Dress, “Domin. Stud.,” 1952. 1952. ; : pi J. FerreIRA,
As “Stmulas logicas” de Pedro Hispano e os seus comenta- tores,
“Colectanea de Estudos” (Braga), 1953. Inem, Introd. ao estudo do
“Liber de anima” de Pedro Hispano, “Riv. Filos6fica” (Coimbra),
1953. Ipem, Os estudos de Pedro Hispano, “Colect. de Estudos,”
1954. . IpeM, Presenga do augustinismo avicenizante na teoria dos
intellectos de Pedro Hispano, “Itinerarium,” 1959. Per
la bibliografia relativa’ allo sviluppo delle scienze cfr. le opere ge-
nerali elencate a pp. 505-506. Per la bibliografia relativa a
Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Giovanni Peckam, Pietro
d’Abano; cfr. rispettivamente la bibl. relativa ai capitoli 8 di
questa parte e 5 della V Parte. Witelio ‘Opere: Perspectiva
o Optica; De natura demonum; De prima causa paenitentiae.
Edizioni: Perspectiva, Norimberga, 1535, 1555; Basilea, 1572; e vedi ora
numerosi estratti in CL. Baeumxer, Witelo ein Philosoph und
Natur- forscher des XIII Jah.” (“Beitrige,”
III, 8), Miinster, 1908. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 761; DE Wutr,
II, p. 290. P. Dunem, Le systome du monde, cit., III, pp. 508-511,
514-516; V, pp. 369-373. 608 Bibliografia
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se. et des lettres, 1920. Ipem, Witelo e lo Studio di
Padova, in “Omaggio dell’Acc. polacca all’Univ. di Padova,” Cracovia,
1922. C. BaeuMKER, Zur Frage nach Abfassungszeit u. Verfasser des
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1924. A. BEDNARSKI, Die anatom. Augenbilder in den Handschriften
des R. Ba- con, J. Peckham und Wit., “Arch. f. Gesch. d. Medizin,”
1931. L. THornpIiKE, A History of magic and
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213-232. Pietro di Maricouri Opera:
Epistola de magnete; Nova compositio astrolabii particularis.
Edizioni: Epistola de magnete, in G. Hermann, Neudrucke von Schriften
tiber Meteorologie und Erdmagnetismus, 10: Rara magnetica 1269- 1599,
Berlino, 1898; cfr. E. ScHLunD, Petrus Peregrinus..., cit. sotto.
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 760; De WutF, pp. 301-302. Inoltre in:
E. ScHLunp, Petrus Peregrinus von Maricourt, Sein Leben und seine Schrif-
ten, “Arch. franc. hist.,” 1911-1912. Tra gli studi particolari v.: F. Picavet, Le maftre des
expériences, Pierre de Maricourt, l'exégète et le théologien vanté par R.
Bacon, in Essais sur l’histoire générale et comparée des théologies et
des philosophies mé- diévales, Parigi, 1913, pp. 232-254. P.
DuHem, Le système du monde, cit., III, pp. 237, 238, 266, 440-41. L.
THornpike, A History of magic and experimental science, cit., II,
p. 791 sgg. Sugli sviluppi della geologia
cfr. le opere generali sulla scienza me- dioevale. Per Alberto Magno la
bibl. relativa al c. IV. Bartolomeo Anglico Opere: De
proprietatibus rerum. Edizioni: Basilea, 1470 ca.; Francoforte, 1601,
ecc. Bibliografia: Cfr. Gever, pp. 732-733; De Brie, nn.
7342-7343; DE Wutr, II, p. 104. In particolare v.: J.
Gorens, in DHGE, VI, 975-977. A. ScHnemER, Metaphysische Begriffe
des Bartholomaeus Anglicus (“Bei- trige,” Suppl. I), Miinster,
1913. T. PLassmann, Barthol. Anglicus, “Arch.
franc. hist.,” 1919. G. E. S. Boyarp, Barth. Anglicus and his
Encyclopaedia, “The Journ. English and Germanic Philol.,” 1920.
Bibliografia H. Lùssinc, Zur Biography des B. Anglicus,
“Franz. Stud.,” 1925. J. G. Mirne-J. Sweetino, Marginalia in a Copy
of Bartholomaeus Anglicu's “De proprietatibus rerum.” A new Version of
the Nine Worthies, “The Modern Language Rev.,” 1945. Ipem,
Further Marginalia from a copy of Bartholomacus Anglicus, ibidem,
1945. Vincenzo di Beauvais Opere:
De eruditione filiorum regalium (1248-1250); De morali principis
institutione (1260-1263); Speculum quadruplex. Edizioni: Il De
eruditione nell’ed. A. Steiner, Cambridge (Mass.), 1938; lo Speculum
nell’ed. di Duai, 1624. Bibliografia:
Cfr. Gever, p. 733; De Brie, n. 5464; De Wutr, II, p. 236.
In particolare v.: P. Minces, Exzerpte aus Ales. von Hales bei
Vincenz von Beauvais, “Franz. Stud.,”
1914, L. Lieser, V. von Beauwais als Kompilator und Philosoph. Eine
Untersu- chung seiner Scelenlehre in “Speculum maius,” “Forsch. z. Gesch.
d. Philos u. Paedag.,” III, 1, Lipsia, 1928. L. THornpige, A
History of magic and experimental science, II, cit., pp. 1457-76.
H. Pettier, in DThC, XV, 3026-3033.
Pu. DeLHave, Un dictionnaire d'éthique attribué à Vincent de
Beauwais dans le ms. Béle B XI 3,
“Mélang. sc. rélig.,” 1951. A. L. GasrieL, The educational ideas of
Vincent of Beauvais, Notre-Dame (In.), 1950. Alessandro
Neckam: v. Bibliografia del capitolo VI. Tommaso di Cantimpré
Opere: Bonum universale de apibus; De rerum naturis o Liber de na-
tura rerum. Edizioni: Il Bonum universale de apibus, L’Aja, 1902. Il De
rerum è ancora inedito. Bibliografia:
Gever, p. 732; DE WutF, II, p. 140. H. SrapLer, Albertus Magnus, Thomas
von Cantimpré und Vincenz von Beauvais, *Natur und Kultur,” 1906.‘ L. TÒÙornpikE, A History of magic and experimental
science, Il, cit., pp. 372-398. G. MEERSEMANN,
Intr. in Opera Omnia b. Alberti Magni, Bruges, 1931, p. 144. Per lo
sviluppo delle scienze nel XIII sec. cfr. gli studi generali già citati a
pp. 513-515. 610 P7 bliografia Capitolo
settimo Averroismo latino Sulla vasta letteratura relativa a
questo soggetto cfr. l’accurata biblio- grafia di M. Gorce, L'essor de la
pensée au moyen age, Parigi, 1933 e IpeMm, in DHGE, V, 1032-1092. Cfr.
inoltre De Wutr, II, pp. 218-222; III, pp. 152, 175-176. In
particolare vedi: K. Werner, Der Averroismus in der christl. -
peripatet. Psychol. d. spit. Mittelalt., in
“Sitz.ber. Wien. Akad. d. Wissensch.,” 1891. P. ManponneT, Siger de Brabant et l'averroisme latin au
XIII siècle, 1 ed., Friburgo, 1899; 2 ed., Lovanio, 1908-1911 (“Les
philosophes belges,” VI, VII) M. Grasmann, in
Maitterlalterliches Gesstesleben, II, cit, pp. 103-197. IpeM, Der
lateinische Averroismus des XIII Jahrts. und seine Stellung zur
christliche Weltanschauung, Monaco, 1931. R. De Vaux, La première
entrée d'Averroès chez les Latin, “Rev. sc. philos.
théol.,” 1933. M. Grapmann, L'averroismo-italiano al tempo di Dante
con particolare riguardo all’Università di Bologna, “Riv. filos. neosc.,”
1946. Tx. GreENwooD, L’humanisme averroiste en
France et les sources du ratio- . malisme,
“Rev. Univ. Ottawa,” 1946. B. NarpI, Note per una storia
dell'averroismo latino, “Riv. Stor. Filos.,” 1947, 1948, 1949.
F. ALessio, Aspetti moderni nel pensiero degli averroisti latini del
XIII sec., “Rend. Ist. Lomb. Sc. Lett.,” 1953. Sui rapporti
tra la scuola francescana e l’averroismo cfr.: C. Krzanic, La scuola
francescana e l'averroismo, “Riv. filos. neosc.,” 1929. IpeM,
Grandi lottatori contro l'averroismo, ibidem, 1930. Sigieri di
Brabante Opere: a) autentiche: 1) Quaestio utrum haec sit vera:
homo est ani- mal, nullo homine existente (1268 ca.): 2) Sophisma: omnis
homo de neces- sitate est animal (1268); 3) Compendium super librum de
generatione et corruptione (1268 ca.); 4) Quaestiones in librum tertium
de anima (1268 ca.); 5) Quaestiones logicales (dopo 1268); 6) Quaestiones
supra secundum Phisicae (1270); 7) Impossibilia (1271-1272); 8)
Quaestiones naturales (Ms. Parigi Naz. lat. 16.133 (1271); 9) De
aerernitate mundi (1271); 10) Tractatus de anima intellectiva
(1272-1273); 11) De necessitate et contingentia causarum (1272 ca.); 12)
Quaestiones naturales (Ms. Lisbona, Fondo general 2299) (1273 ca.); 13)
Quaestiones super II-VII Metaphysicorum (1272-1274); 14) Quaestio- nes
morales (dopo 1273). 6II Bibliografia b)
attribuite: 1) Quaestiones in libros I, II, III, IV, physicorum; 2)
Quaestiones in librum 1, II, Il, IV et VII physicorum; 3) De I, II, III,
IV physicorum; 4) De VIII physicorum; 5) Commenium in I physicorum; 6) De
libro IV physicorum; 7) Quaestiones in librum I, II et IV meteororum; 8)
Quaestiones in libros de generatione et corruptione; 9) Quae- stiones in
librum de somno et vigilia; 10) Quaestiones in librum de iuven- tute; 11)
Quaestiones in libros tres de anima; 12) De V metaphysicae. c)
perdute: 1) Tractatus de intellectu; 2) Liber de felicitate; 3) De mo- tore
primo; 4) Rescriptum: significatum est; 5) Super politica Aristotelis; 6)
Utrum principia prima sint nobis ignota; 7) De caelo et mundo I et Il; 8)
Posteriorum analiticorum I. Edizioni: a) 1) in MAnDONNET,
Sigier.., cit., 1 ed., pp. 47-54; 2 ed, pp. 65-70; 2) inedito, riassunto
da Van STEENBERGHEN, in Siger de Brabant d’après ses oeuvres inédites,
“Le Philosophes Belges,” XII-XIII, Lovanio, 1931-1942, pp. 333-334; 3)
Inedito, riassunto da VAN STEENBERGHEN, ibidem, pp. 291-294; 4) Inedito,
riassunto da VAN STEENBERGHEN, ibidem, pp. 164-177; 5) ed. MANDONNET, op. cit., 1 ed., pp. 37-45; 2 ed., pp. 55-61;
6) Inedito; estratti in A. Maier, Nouvelles questions de Siger de
‘Brabant sur la physi- que d’ Aristote, in “Riv. Philos. Louvain,” 1946 e
in J. J. Dun, La Doctrine de la Providence dans les écrits de Siger de
Brabant, “Les philosophes mé- diévaux,” III, Lovanio, 1954, pp. 60-62; 7)
ed. in CL. BaEUMKER, Die “im- possibilia” des Siger von Brabant,
(“Beitrige,” II, 6), Miinster, 1898; Man- DONNET, op. cit., 2 ed., pp.
73-94; 8) ed. MAnDONNET, ibidem, 1 cd., pp. 57-67; 2 ed., pp. 97-107; 9)
Le edizioni con i confronti tra i vari cocci in Man- DONNET, op. cit., 1
ed., pp. 71-83, 2 ed., pp. 131-142; R. Barsori, S. de Brabante de
aeternitate mundi, Miinster, 1933; J. Dwyer, L'opuscule de Siger de
Brabant “De aeternitate mundi,” Lovanio, 1937; 10) ed ManpoNNET, op.
cit., 1 ed., pp. 87-115, 2 ed., pp. 145-172; 11) ed. ManpoNNET,
op. cit., 2 ed., pp. 111-128; Dun, op. cit, pp. 14-50; 12) ed. F. SrEGMULLER, in “Rech. Théol. anc. méd.,”
1931, pp. 177-182; 13) ed. C. A. GrAIFF, S. d. B. Questions sur la
Métaphysique, “Les Philosophes médiévaux,” I, Lovanio, 1948; alcuni passi
da altri mss. a cura di A. MaurER, in “Med. Stud.,”
1949, 1950. Altre qq. sono state pubblicate dal Duin, op. cit., pp.
71-111; 14) ed. STEGMULLER, op. cit., pp. 172-177. 6) Per la
attribuzione sono il DeLHAYE, il GRarrr, il DE Wutr, il LorTIN, il
PeLsTER, il Dun, contro GiLson e Narpi. 1) ed. parziale del Dun, op.
cit., pp. 51-57; 2) ed. Pu. DeLHave in “Les philosophes belges,” Lovanio,
1941; 3) ed. parziale Dun, op. cit., pp. 63-67; 4) ed. parziale Duin, pp.
67-71; 5) inedito; 6) inedito; 7) riassunto da Van STEENBERGHEN, op.
cif., pp. 233-263; ed. parziale Dun, op. cit., pp. 111-118; 8) riassunto
da Van STEENBERGHEN, Op. cit., pp. 268-291; 9) riassunto da VAN
STEENBERCHEN, op. cit., pp. 223-233; 10) riassunto da Van STEENBERGHEN,
0). cif., pp. 263-267; 11) ed. Van SreENBERGHEN, in “Les
philosophes belges,” XII, pp. 21-160; 12) cfr. Dun, op. cit., pp.
235-241. 612 Bibliografia
Bibliografia: Oltre le opere fondamentali del ManpoNNET, del VAN STEEN-
BERGHEN, del Dun, cfr.: CL. BaEuMKER, Zur Beurteilung
Sigers von Brabant, “Philos. Jahrb., 1911. IpeMm, Um Siger von Brabant,
ibidem. M. F. F. G.
L. = PI [ec] A A.
B A. Grasmann, Neu aufgefundene Werke des S. von
Brabant und Boetius von Dacien, “Sitz.ber. Bayer. Akad. d. Wissensch. Philos.-Hist. K1.,” 1924.
Sassen, Um Siger de Brabant et la double vérité, “Rev. néosc. philos.,”
1931. Van STEENBERGHEN, Siger de Brabant d’après ses oeuvres
inédites, ibidem, 1930. BuswetLI,
L'accordo di Sig. di Brab. e Tommaso d'Aquino, “Civ. Catt.” 1932.
Perucini, Il tomismo di Sigieri di Brab. e l'elogio dantesco,
“Giorn. dantesco,” 1933. . Narpi, Il preteso tomismo di
Sigieri di Brab., “Giorn. crit. filos. ital.” 1936, 1937. Gison, Dante et la Philosophie, Parigi,
1939, passim. . GraBMAnN, Sigier von Brabant und Dante, “Deutsches
Dante Jahrb.,” 1939. . Vanni-RovicHi,
Sigieri di Brabante nella storia dell'aristotelismo, “Riv. filos.
neoscol.,” 1944. . Narpi, Sigieri di Brabante nel pensiero del
Rinascimento italiano, Roma, 1945. . Marer, Nouvelles Questions de Siger de Brabant sur la
Physique d' Aris- tote, “Rev. Philos. Louvain,” 1945. MaureER, “Esse” and “Essentia”
in the Methaphysics of Siger of Brabant, “Med. Stud.,”
1946. . Narpi, Individualità e immortalità nell’averroismo e nel
tomismo, “Arch. filos.,”
1946. Maier, Les commentaires sur la Physique d'Aristote attribués
à Siger de Brabant, “Rev. philos. Louvain,” 1949. Ipem, Die
Vorlàufer Galileis..., cit, pp. 184 sgg., 237 sgg. A.
Op pu MauRER, Siger of Brab.
and an Averroistic Commentary on the Metaphy- sics, in Cambridge
Peterhouse ms. 152, “Med. Stud.,” 1950.
Narpi, L'anima umana secondo Sigieri, “Giorn. crit. filos. ital.” 1950. Van SrEENBERGHEN, Siger of Brabant, “Mod.
School.,” 1951-1952. . Maurer, Siger of Brabant's “De necessitate
et contingentia causarum” and Ms. Peterhouse 152, “Med. Stud.,”
1952. . MaIER, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 97 sgg.,
159 sgg. De Parma, La dottrina dell'unità
dell'intelletto in Sigieri di Brabante, Padova, 1954. IpeM,
L'immaterialità dell'anima intellettiva in Sigieri di Brabante, “Collect.
franc.,” 1954, 613 Bibliografia
0. DuneM, Le système du monde, cit., V, pp.
574-577; VI, pp. 13-15, 394-395. S. Mac CLInTOcK, Heresy and Epithet. An Approach to
the Problem of Latin Averroism, “Rev. Metaph.,” 1954, 1955.
MAauRER, Between reason and faith: Siger of Brabant and Pomponazzi
on the magic arts, “Med. Stud.,”
1956. van STEENBERGHEN, Nouvelles recherches sur Siger de Brabant
et son école, “Rev. philos. Louvain,” 1956. . Zimmermann, Die
Questionen der Siger von Brabant zur Physik des Aristoteles,
Colonia, 1956. . De Parma, La conoscenza
intellettuale del singolare corporeo secondo Sigieri di Brabante,
“Sophia,” 1958. . Narpi, L'anima umana secondo Sigieri, in Studi di
filosofia medioevale, cit., pp. 151-161. Cfr. inoltre le
indicazioni bibl. generali in GeyER, pp. 757-758; DE Brie, nn. 6798-6818;
De Wutr, II, pp. 220-222. DUO on > Boezio di
Dacia Opere: Commenti alle opere aristoteliche; De modis
significandi; De summo bono; De somno et vigilia; De mundi
aeternitate. Edizioni: Die “Op. De summo bono sive De vita
philosophi” und “De sompniis” des Boetius von Dacien, a cura di M.
GraBmann, “Arch. hist. doctr. litt. m.-à.,” 1932; 2 ed. in
Mittelalterliches Geistesleben, Il, cit., pp. 200-224; G. Sayo, Un traité récemment découvert de Boèce
de Dacie “De mundi acternitate” Texte inédite, avec une introduction
critique et en appendice un texte inédit de Siger de Brabant: “Super VI
Metaphysicaey” Budapest, GeyER, p. 758; De Brie; nn. 3601, 4831, 7352,
7415; De Wutr, Il, pp. 221-222. In particolare v.:
P. Doncoeur, Notes sur les averroistes latins: Boèce de Dace, “Rev.
scien. philos. théol.,” 1910. M.
Grapmann, Neu aufgefundene Werke des S. v. Br. und Boetius v. Dacien,
“Sitz.ber. Bayer. Akad. d. Wissens. Philos-Hist. KI.,” II, 1924. P. ManponnetT, Note complémentaire sur Boèce de Dace,
“Rev. sc. philos. théol.,” 1933. F. Van STEENBERGHEN, in
DHGE, IX, 381-389. M. Grasmann, Textes des Martinus von Dacien und
Boetius von Dacien zur Frage nach dem Unterschied von essentia und
existentia, “Miscell. Gredt,”
1938. A. Maurer, Boetius of Dacia and the Double Truth, “Med. Stud.,” 1955, 014
Bibliografia F. Sassen, Boéthius van Dacie en de theorie van de
dubbele Waarheid, “Stud. cath.,” 1955. A. Hurnacet, Zum Lehre
von der doppelten Wahrheit, “Theol. Quart.,” 1956. Capitolo
ottavo Roberto Grossatesta Opere: a) propedeutiche:
De arzibus liberalibus; De generatione sono rum; b) astronomiche: De
sphaera; De generatione stellarum; De cometis; c) cosmologiche: De luce
seu de incoatione formarum; Quod homo sit mi- nor mundo; d) ottiche: De
lineis angulis et figuris, seu de fractionibus et reflexionibus radiorum;
De natura locorum; De iride; De colore; e) fisiche: De calore solis; De
differentiis localibus; De impressione elementorum; De motu corporali; De
motu supercaelestium; De finitate motus et temporis; De impressionibus
aèris, seu de prognosticatione; f) metafisiche: De unica forma omnium; De
intelligentiis; De statu causarum; De potentia et actu; De veritate; De
veritate et propositionibus; De scientia Dei; De ordine enu- cleandi
causatorum a Deo; g) psicologiche: De libero arbitrio. Opere
dubbie: De anima. Opere non autentiche: Summa philosophiae;
Commento alla Consolatio boeziana. Commenti autentici: agli
Analytici posteriori; alla Physica di ArisTOTELE; agli Elenchi sofistici;
In Hexaemeron. Traduzioni: Ethica Nicomachea, con i commenti di
Eustrazio per il Il. I e VI, di anonimo per i Il. II, V, VII, di Michele
di Efeso per i Il. V, IX, X e di Aspasio per il l. VIII; De virtute et
vitiis; De lineis indivisibilibus; De coelo et mundo (solo un terzo del
c. 1 del 1. III); De passionibus dello Pseupo Anpronico; le Opere dello
Pseupo Dionici € di Giovanni Dama- sceno (con il Commento al De Mystica
theologia). Edizioni: L. Baur, Die philosophischen Werke des Robert
Grosseteste, (£“Beitrage,” IX), Miinster, 1912; il Commento agli
Analityci nell’ed. di Ve- nezia, 1514, quello al De Mystica theologia, a
cura di U. GamBa, Milano, 1942; per quello all’Hexaemeron v. J. T.
MuckLe, The Hexaemeron of R. G., in “Med. Stud.,”
1944; le Epistolae, ed. H. R. Luarp, Londra, 1861. V. inoltre: S. H.
THomson, The Notule of Grosseteste on the Nichomachean Ethics, Londra,
1934; D. A. CaLLus, The Summa theologiae 0} Robert Grosseteste, “Studies
in med. History presented to F. M. Powicke,” Ox- ford, 1948. Tr. del De
luce a cura di C. C. RiepL, Robert Grosseteste on the Light, Milwaukee,
1942, Bibliografia: La bibl. generale in GEvER, pp. 731-732; De
Brie, nn. 5436- 5450; De Wutr, II, pp. 102-103, 615
Bibliografia In particolare cfr.: F. S.
Stevenson, Robert Grosseteste Bishop of Lincoln, Londra, 1899. P. Dunem, Le svstème du monde, cit., II, pp. 277-288;
410-413; IV, pp. 13-15, 49-52; V, pp. 295-297, 340-345,
348-359; VI, pp. 112-119; VII, pp. 176-177, VIII, pp. 67-68, 257-258; IX,
pp. 31-36. L. Baur, Die
Philosophie des Robert Grosseteste (“Beitrige,” XVIII, 4-6), Munster,
1917. F. Perster, Zwei unbekannte Traktate des Robert Grosseteste,
“Schol.,” 1926. S. H. TuÙomson, The “De anima” of Robert
Grosseteste, “N. Schol.,” 1933. IpeM,
The Text of Grosseteste's de cometis, “Isis” 1933. Ipem, The Summa
in VIII libros Physicorum of Grosseteste, Ibidem, 1934. E.
FrancescHINI, /ntorno ad alcune opere di Roberto Grossatesta, vescovo di
Lincoln, “Aevum,” 1934. S. H.
Tuomson, The Writings of Robert Grosseteste, Bishop of Lincoln,
Cambridge, 1940. L. E. LyxcH, The doctrine of Divine Ideas and
Illumination in Robert Grosseteste, “Med. Stud.” 1941. D. A.
CaLcus, Philip the Chancelor and the “De anima” ascribed to Robert
Grosseteste, “Med. Stud.,” 1941-43. IpeM, The Summa Duacensis and
the Pseudo Grosseteste's “De Anima,” “Rech. théol. anc. méd.,”
1946. lInoeMm, The Oxford Career of Robert Grosseteste,
“Oxoniensia,” 1949. ). C. Russet, Phases of Grosseteste’s
intellectual life, “The Harvard Theol. Rev.,” 1950. Ipem,
Some Notes upon the Career of Robert Grosseteste, ibidem, 1955. E.
FrancescHINI, Un inedito di Roberto Grossatesta: la “Quaestio de accessu
et recessu maris,” “Riv. filos. neosc.,” 1952. Ipem, Sulla presunta
datazione del “De impressionibus aèris” di Roberto Grossatesta, ibidem,
1952. V. Miano, La teoria della conoscenza in Roberto Grossatesta,
“Gior. Met.,” 1954. S. Girsen, Le potenze naturali dell'anima
secondo alcuni testi inediti di Roberto Grossatesta, in L'homme et son
destin... cit., pp. 437-443. Cfr. inoltre nella sua attività di
traduttore: F. M. PowickE, Robert Grosseteste and Nicomachean
Ethics, “The Proceed. of Arist. Acad.,”
1930. S. H. THÒomson, A note on Grosseteste's Work of Translation,
“Jour. of theol. Stud.,” 1933. E. FrancescHINI, Grosseteste's
Translation of the “Prologus” and the “Scho- lia” of Maximus to the Writings
of the Pseudo-Dionysius Arcopagita, “Jour. theol. stud.,” 1933.
Ipem, Roberto Grossatesta vescovo di Lincoln e le sue traduzioni
latine, “Atti Ist. Ven.,” 1933-1934, 616
Bibliografia Ipem, Una nuova testimonianza su Roberto Grossatesta
traduttore dell’Eti- ca Nicomachea, “Aevum,” 1953. Sul pensiero e sull’attività scientifica:
L. THornpike, 4 History of magic and experimental Science, Il, cit., pp.
436-353. D. E. SHiarp, Franciscan philosophy at Oxford in XIII th.
Century, Oxford, 1930. i al A. C. CromBie, Robert Grosseteste and
the Origins of Experimental Science. Oxford, 1953. F. M. PowicxkE,
Robert Grosseteste, “Bull. J. Rylands Libr.,” 1953. D. A. Catrus, Robert
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int. d. Philos.,” XII, Amsterdam-Lovanio, 1953. P. MicHauD-QuantIN, La rnotion de loi naturelle chez
Robert Grosse- teste, ibidem. A. C.
CromBie, Robert Grosseteste on the Logic of Science, ibidem. Robert
Grosseteste Scholar and Bishop. Essays in Commemoration of the Seventh
Century of his Death, ed. D. A. Callus - F. M.
Powicke, Oxford. 1955. F. Atessio, Studi e richerche su Roberto di
Lincoln (Grossatesta), “Riv. crit. stor. filos.,” 1957. IpeM,
Storia e teoria nel pensiero scientifico di Roberto Grossatesta, “Riv.
crit. stor. filos.,” 1957. S. H. THomson, Grosseteste's “Quaestio de
calore” “De cometis” and “De operacionibus Solis,” “Medievalia et
Humanistica,” 1957. R. C. Daces, Robert Grosseteste's “Commentarius in
Octo libros Physicorum Aristotelis” ibidem, 1957. C. M. TuRBAYNE,
Grosseteste and an ancient optical principle, “Isis” 1959. Adamo
di Marsh Opere: Numerose composizioni di carattere teologico ed
esegetico an- cora inedite: Le Epistolae (247) in Monumenta franciscana
historica, I, Lon- dra, 1858, pp. 77-489 (ed. J. S. BrEWER).
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 738; De Brie, n. 3633; DE WuLF, II, p.
103. Cfr. inoltre: A. De SéRENT, in DHGE, I, 482
sgg. H. Fetper, Storia degli studi scientifici nell'Ordine
francescano (tr. it.), Siena, 1911, pp. 285-31I. G. Contini, Adamus de Marsico O.F.M. auctor
spiritualis, “Ant.,” 1948. R. W. Hunt, Chapter headings of
Augustine “De Trinitate” ascribed to Adam Marsh, “The Bodleian Library
Record,” 1957. 617
Bibliografia Riccardo di Cornovaglia Bibliografia:
Cfr. GevEr, p. 733; De Brie, nn. 5425, 7333, 7458-7462; De Wucr,
II, pp. 103-104. In particclare
cfr.: A. G. LirtLe, Franciscan School at Oxford, “Arch. franc.
hist.,” 1926. F.
Pelster, Neue Schriften des englischen Franziskaners Richardus Rufus von
Cornwal, “Schol.,” 1933, 1934. F. M. HenquineT, Autour des écrits
d’Alexandre de Halès et de Richard Rufus, “Ant.,” 1936. F.
PerstEr, Die dlteste Abkiirzung u. Kritik vom Sentenzenkommentar des hl.
Bonaventura im Werk des Ricardo Rufus de Cornubia, “Greg.,” 1936. D. A. CaLLus, Two Early Oxford Master on the Problem
of Plurality of Forms Adam of Buckfield, Richard Rufus of Cornwall, “Rev.
néosc. philos.,” 1939. F. Pelster, Richardus Rufus Anglicus,
cin Vorliufer des Duns Skotus in der Lehre von der Wirkung der
priesterlichen Lossprechung, “Schol.,” 1950. G. Gar, Comment.
in Metaphys. Aristotelis cod. Vat. lat. 4538 fons doctri- nae Richardi
Rufi, “Arch. franc. hist.,” 1950. Ipem, Viae ad existentiam Dei
probandam in doctrina Richardi Rufi, “Franz. Stud.,”
1956. Tomaso di York Opere: Manus quae contra
Omnipotentem tenditur; Sapientiale; Com- paratio sensibilium. Alcune
pagine del Sapientiale sono state edite da E. Loncpré in “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1926.
Bibliografia: M. Grasmann, Die metaphysik des Thomas von York
(“Beitrige,” Suppl. I), Miinster, 1913. F. PeLstEer, Thomas
von York o.f.m. als Verfasser des Traktats “Manus...,” “Arch. franc.
hist.,” 1922. E.
Loncpré, Fr. T. d'York. La première somme métaphysique du XIII° s.,
ibidem, 1926. Ipem, Thomas d’York et Matthieu d'Acquasparta (Textes
inédits sur le pro- blème de la Création) “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.” 1926. F. Treserra,
Entorn del Sapientiale de Thomas de York, “Criterion,” 1929. IpeM,
De doctrinis metaphysicis fr. Thomae de Eboraco, “Anal. Sacra Tarrac.,”
1929. D. E. SWÙiarp, Franciscan philosophy at Oxford, Oxford, 1930,
pp. 49-112. E. Amann, in DThC, XV, 781-787.
G. BonarepE, Il pensiero francescano nel sec. XIII, Palermo, 1952. J. P. ReiLLy, Thomas
de York on the efficacy of secondary causes, “Med. Stud.,”
1953. La bibliografia generale in GevEr, p. 738; DE Wutr, II, p.
104, 618 Bibliografia Ruggero
Bacone Opere: Opus Maius; Opus minus; Opus tertium; Compendium
studii philosophiae; De secretis operibus artis et naturac et de
nullitate magiae; Compendium studii theologiae; Moralis philosophia;
inoltre un cospicuo numero di opere minori, commenti aristotelici,
opuscoli, ecc., tra i quali ricordiamo particolarmente i Communia
mathematica e il Liber commu- nium naturalium. Edizioni:
Opus Majus, ed. S. JeBB, Londra, 1733 (rist. Venezia, 1750); ed. J. H.
Bripces, Oxford, 1897-1900; tr. ingl. di R. B. Burke, Filadelfia, 1928;
Opus minus et Opus tertium, a cura di J. S. BreweR (R. Bacon, “opera
quaedam hactenus inedita” Rerum Britannicarum M. A. Scriptores). Lon-
dra, 1859. (Nuovi frammenti dell'Opus Tertium sono editi da P. DuneM, Un
frag. inédit de l'opus tertium de R. B., Firenze, 1909; e da A. G. LirtLE, Part of the Opus Tertium of R. B. including a
fragment, Aberdeen, 1912); la lettera di dedica dell'Opus maius a cura di
F. A. Gasquer, An unpublished fragment of a Work of Roger Bacon, “Engl. Hist. Rev.” 1897; Compendium studii philosophiae e
De Secretis operibus artis et na- turae et de nullitate magiae, in ediz. BrewER
(cit.). (Il De Secretis ecc., è tradotto in italiano, a cura di G. DEE,
collez. “I tesw classici dell’esoterismo tradizionale e del simbolismo
religioso,” Milano, 1945); The Greek Gram- mar of R. B. and a Fragment of
his Hebrew Grammar, a cura di E. No- Lan e S. HirscH, Cambridge, 1902;
Compendium studii theologiae, a cura di H. RasHpatt, Aberdeen, 1911.
' Le opere già inedite in: Opera hactenus inedita R.
Baconi, a cura di LirtLE e R. STEELE, Oxford, 1905 sgg.; Rog. Baconi
Moralis Philosophia, a cura di F. M. DeLorME-E. Massa, Zurigo-Verona,
1953. Bibliografia: La bibl. generale in GeveR, pp. 760-761; De
Brie, nn. 4622, 4971, 5688-5709, 7388; De Wutr, II, pp. 302-304.
Come indicazioni bibliografiche sommarie
‘cfr.: E. CÙartes, Rog. Baon, sa vie, ses oeuvres, ses doctrines,
Parigi, 1861. H. HorrMmans, La synthèse doctrinale de Rog. Bac.,
“Archiv. f. Gesch. d. Phil.,” 1907 (vedi anche in “Rev. néosc. philos.,”
1906, 1908, 1909). P. ManponneT, Rog. Bac. et le “Speculum
astronomiae” e Rog. Bac. et la composition des trois “Opus,}” “Rev.
néosc. philos.,” 1910, 1913. H.
Héover, Rog. Bacons Hylomorphismus als Grundlage seiner philosophi- schen
Anschauung, “)ahrb. Philos. u. spek. Theol.,” 1911. A. G. LirtLEe,
Roger Bacon. Essays contributed by various Writers, Oxford, 1914.
P. Dunem, Le système du monde, cit., III, p.
237-239, 397-400, 410-442, 446-455, 461-464, 471-477, 499-519; V,
375-380, 384-402, 404-415; VI, pp. 619
Bibliografia 106-111, 270-272, 394-397; VII, 20-21, 56-58, 163-168,
193-197, 577-579; VIII, pp. 22-25, 31-34, 64-75, 133-149, 158-160,
176-181, 226-229, 239-240, 245-CL. BaeuMKER, Rog. Bac. Naturphilosophie,
“Franz. Stud.,” 1916. R. Carton, L'expérience physique chez Rog.
Bac. Contribution è l'étude de la méthode et de la science expérimentale
au XIII° siècle, Parigi, 1924. IpeM, L'expérience mystique de
l'illumination intérieure chez Rog. Bacon, Parigi, 1924.
IpEM, La synthèse doctrinale de Rog. Bac., Parigi, 1924. R.
Wacz, Das Verhiltnis von Glauben und Wissen bei Roger Bac., Fri- burgo,
1928. CH. VanpervaLLe, Rog. Bacon dans l'histoire de la philologie,
Parigi, 1929. F. PeLstER, Rog. Bacons Compendium studii theologiae
und der Senten- zenkommentar des Richard Rufus, “Schol.,” 1929.
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Divine infinity according to Richard Fi- shacre, “Mod. School.,”
1957-1958. Roberto Kilwardby Opere: a) commenti:
all’'Isagoge; a vari testi dell’Organon, alla Physica, al De coelo et
mundo; al De generatione et corruptione; ai Matercologica; al De anima;
alla Metaphysica, e ad alcuni testi boeziani; b) trattati:
Commento alle Sentenze; De unitate formarum; De ortu et divisione
scientiarum; De tempore; De conscientia; De spiritu imaginativo.
Edizioni: Estratti dal De orsu et divisione philosophiae, in B. Haurfau,
Notices et extraits, V; la lettera a Pietro di Conflans in E. Enrte, Der
Augustinismus und der Avristotelismus in der Scholastik gegen Ende des 13
Jhts., “Arch. f. Lett. u. Kirchengesch. d. Mittelalt.,” 1889. Il prologo
del Commento: De natura Theologiae, ed. F. StecmuLLER, in “Opuscula
et textus,” S. schol., 17, Miinster, 1935; il De Imagine et vestigio
Trinitatis, in “Arch. Hist.
doctr. litt. m. à.,” 1935-36; Tabulae super originalia Patrum (ed. D. A.
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R. Kilwardby's an Peter von Konflans und die Streitschrift des Aegidius
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Kilwardby, “Rev. sc. philos. théol.,” 1926. IpeM, Le “De
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de St. Thomas et de Kilwardby è la consultation de Jean de Verceil, 1271,
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Giovanni Peckam Opere: Tra le numerose opere teologiche,
filosofiche scientifiche ricor- diamo particolarmente: Quaestiones
tractantes de anima; Summa de esse et essentia; Quodlibet romanum;
Tractatus de anima; Perspectiva communis; Tractatus sphaerae; Teorica
planetarum; Mathematicae rudimenta. Edizioni: Registrum
epistularum f. ]. Peckam, ed. C. T. MartIn, Lon- dra, 1882-1885.
Quaestiones de anima, ed. H. SpettMANN (“Beitrige,” XIX, 5-6), Miinster,
1918; Summa de esse et essentia, ed. F. M. DeLORME, Firenze, 1928;
Quodlibet romanum, ed. F. M. DeLORME, Roma, 1938; Tractatus de anima, ed.
G. Mrtani, Firenze, 1948; Canticum pauperis, ed. G. MELANI, Quaracchi,
1949. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 762; De Brie, nn. 5710-5712; De
Wutr, II, pp. 268-269. In particolare cfr.: F.
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des ]. Peckam, “Franz. Stud.,” 1915, Ipem, Die Psychologie
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Der Sentenzenkommentar des Franz. Erzbischrofs ]. Peckam, “Div. Th.
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francescano nel sec. XIII, cit. D. L. Dowie, Archbishop Peckam,
Oxford, 1952. Capitolo nono Ubertino da Casale
Opere: Arbor vitae crucifixae Jesu; scritti in difesa dell’Olieu e della
povertà francescana. : Edizioni: Arbor..., Venezia, 1485; le opere
di polemica francescana edite da F. Ente, in “Arch. Lit. u. Kirchengesch.
d. Mittelalt.” Berlino, 1886, 1887; e da A. Heysse, in “Arch. franc.
hist.,” 1917. Inoltre cfr. la Responsio f. Ubertini circa quaestionem de
paupertate Christi nella Miscel- lanea sacra di E. BaLuze-M.Mansi, Lucca,
1761; il Frazicelli cuiusdam decalogus evangelicae paupertatis, ed. M. Bir, “Arch. franc. hist.,” 1939 ed F. M.
DeLorME, Notice ei extraits d'un manuscrit franciscain..., “Collect.
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Casale und dessen Ideenkreis, Friburgo, 1903. F. CaLLary,
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Ubertino, “Rev. hist. éccl.,” 1921. P. Goperroy, in DThC, XV,
2121-2134. Eustachio di Arras Opere: Quaestiones disputatae;
Quaestiones quodlibetales; Sermoni. Edizioni: Cfr. De humanae
cognitionis ratione anedocta quaedam, Qua- racchi, 1883.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 762; De Brie, n. 6694; De Wutr, II, p.
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Arras, “Collect. franc.” 1931. ri
V. Doucet, Quaestiones centum ad scholam franciscanam spectantes,
“Arch. franc. hist.,” 1933. G. Bonarepe, /l pensiero
francescano, cit. Gualtiero di Bruges Opere: Quaestiones
disputatae; Commento alle Sentenze. Edizioni: Le Quaestiones, ed.
E. Loncpré, Lovanio, 1928; del Commen- to, saggi del Loncpré in “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1933. x
Bibliografia: cfr. Gever, p. 762; De Brie, 6694; De Wute, Il, p. 268.
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étud. méd. d’Ottawa,” 1932. A. PeLzer, Le Commentaire de Gauthier
de Bruges sur le IV L. des. Sen- tences, “Rech. théol. anc méd.,”
1930. S. BeLmonp, La preuve de l'existence en théodicée d'après
Gauthier de Bru ges, “Riv. filos. neosc.,” 1933. O. Lottin,
La liberté selon Gauthier, “Rech. théol. anc. méd.,” 1935. R. Hormann, Die Gewissenslehre des Walters v. Briigge
und die Entwic- Klung der Gewissenslehre in der Hochscholastik
(“Beitrige,” XXXVI, 5-6), Miinster, 1941. G. Bonarepe, Il
pensiero francescano, cit. J. BeumER, Die vier Ursachen der
Theologie nach dem unedierten Senten- zenkommentar des Walter von
Briigge, “Franz. Stud.,” 1958. Matteo d'Acquasparta
Opere: Tra la numerosa produzione teologica e filosofica dell’Acqua-
sparta (cfr. Enc. Catt., s.v.) ricordiamo particolarmente le Quaestiones
dispu- tatac. Edizioni: Antologia in De humanae cognitionis
ratione, Quaracchi, 1883; Quaestiones disputatae selectae, 2 voll.,
ibidem, 1903-1914, 19572; Quaestiones disputatae de gratia con intr. e
note di V. Doucer, ibid., 1935. De pro- ductione rerum et de providentia,
a cura di G. Gar, ibidem, 1956; Quae- stibnes disputatae de anima
separata, de anima beata, de icunio et de le- gibus, Quaracchi, 1959.
Estratti dal Comm. alle Sentenze a cura di A. Da- nieLs, in (“Beitrige,”
VIII, 1-2), Miinster, 1909; in E. Loncpré, Thomas d'York et M.
d'Acquasparta. Textes inédits sur le problème de la
création, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1926-1927, e da S.
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O pP_pO_OTI HU OoOO0{, Hi 643
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théologien du pouvoir pontifical au XIV siècle, Alvaro Pelayo, évéque et
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Cremona, “Giornale Dantesco,” 1935. N.
IsacH, Leben und Schriften des Konrad von Megenburg, Berlino, 1938.
644 Bibliografia N. MATTEI, /) più
antico compositore politico di Dante: Guido Vernani da Rimini. Testo
critico del “De reprobatione Monarchiae,” Padova, 1958. Sulla crisi
storica tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo cfr. inoltre in
particolare gli studi di G. De Lacarpe, La naissance de Pesprit laique
au déclin du M.À,, cit. Sugli “Spirituali” cfr.
soprattutto: F. Exte, Die Spiritualen, ihr Verhiltnis zum
Franziskevenorden und zu den Fraticellen, in “Arch. f. Litt. u.
Kirchengeschichte,” 1886. F.
Caccary, L'idéalisme franciscain spirituel du XIV siècle, cit. K.
BattHasar, Geschichte des Armutsstreites in Franziskanenorden bis zum
Konzil von Vienne, Miinster, 1911. Capitolo
secondo Giovanni Duns Scoto Opere: L'elenco
definitivo delle opere autentiche sarà possibile stenderlo solo quando
sarà compiuta l’ed. critica in preparazione e di cui sono ap- parsi solo
i primi volumi (Opera omnia, studio et cura Commissionis scotisticae ad
fidem codicum edita, Città del Vaticano, 1950 sgg.) che reca .nel I vol.
una Disquisitio critica di particolare valore. Tra le opere già contenute
nell’ed. Vivès si possono però considerare autentiche sicuramente le
seguenti: Quaestiones super universalia; Super praedicamenta; Super Ì. I
Periermencias, In Il librum Periermencias; Secundi operis Periermeneias;
Super libros Elenchorum Aristotelis; Super l. I Priorum; Super l. II
Prio- rum; Super l I Posteriorum; Super l. Il Posteriorum; Quaestiones
in libros Aristotelis de anima; De primo principio; Collationes
Oxonienses; Collationes parisienses; Quaestiones subtilissimae in
Metaphysicam Aristo- telis; Opus Oxoniense (Ordinatio o Liber Scoti);
Reportata Parisiensia; Quaestiones quodlibetales XXI. È in discussione
l'autenticità del Tracsazus imperfectus de cognitione Dei, del De
perfectione statuum e dei Theoremata. Sono stati inoltre scoperti
recentemente altri scritti contenenti ampi resoconti dei corsi scolastici
tenuti dallo Scoto a Oxford, a Cambridge e a Parigi; i più importanti
sono noti col nome di Lectura Oxroniensis o Lectura prima e di Reportatio
magna. Edizioni: Opera omnia, a cura di L. Wapprnc, 12 voll.,
Lione, 1639; Opera omnia, a cura di Vivès, 26 voll., Parigi, 1891-1895;
Opera omnia, a cura della Commissione scotista, presieduta dal P. C.
BaLiz, Roma, 1950 segg. (e cfr.
del Bari&, Zur Kritische Edition der Werke ]. Duns Skotus,
“Scriptorium,” 1954, e Au sujet de l'édition critique des oeuvres de ].
Duns Scot, in L'homme et son destin... cit., pp. 229-239). Opus
Oxoniense, a cura di M. FernAnpez Garcfa, Quaracchi (Firenze), 1912,
1914; I. D. Scoti doctrina 645 Bibliografia
philosophica et theologica quo ad res praecipuas, Quaracchi, 1908,
1930?; Quaestiones et Collationes, inediti, a cura di C. R. S. Harris,
1927; Tractatus de primo principio, a cura di M. MitLER, Friburgo, 1941
(ed. crit.); DEODAT De Basty, Capitalia opera collecta (I. Praeparatio philosophica;
I. Synthesis theologica), Le Havre, 1908-1911 (vedi anche Scozus docens,
Le Havre, 1934). È in corso (Madrid, 1960 sgg.) un'edizione
bilingue spagnola. Si cfr. anche con trad. it. a fronte, l'antologia a
cura di P. D. Scaramuzzi: Duns Scoro, Summula (scelta di scritto
coordinati in dottrina). Firenze, 1932 e l'antologia a cura di P. Minces,
Joh. Duns Scoti doctrina philosophica et theologica quoad res praecipuas
proposita et exposita, Quaracchi (Firenze). Bibliografia: Per la
bibl. generale cfr. P. Minces, Die skotische Lite- ratur des 20
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philosophico-theologicum, in quo termini... philosophiam... spectantes a
B. |. Duns Scoto exponuntur, Quaracchi, 1910. Tra gli
studi generali e tra i pid recenti ci limitiamo a segnalare: P.
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positiones fundamentales ]. Duns Scoti, “Ant.” 1953. G.
Carota, Studi su Duns Scoto, in Scritti, cit. pp. 160-256. A. Haven, Deux théologiens: ]. Duns Scot et Th. d'Aquin,
“Rev. philos. Louvain,” 1953. E. Bertoni, De argumentatione
Doctoris subtilis quoad existentiam Dei, “Ant.,” 1953. N. Mickten, Reason and Revelation: a Question from
Duns Scotus, Londra, 1953. T. BartH, Individualitàt und
Allgemeinheit bei Duns Skotus, “Wiss. Weish.,” 1953-1957. J.
Owens, The special characteristic of the scotistic proof that God exists,
in Studi filosofici intorno all'esistenza di Dio, Roma, 1954. W.
DertLoFF, Die Lehre von der acceptatio divina bei Johannes Duns Sco- tus
mit besonderer Beriicksichtigung der Rechtfertigungslehre, Werl, 1954.
H. Mùnien, Sein und Person nach Johannes Duns Scotus, Werl/Westf.,
1954. W. PannenBERG, Die Pridestinationslehre des Duns Skotus im
Zusammen- hang der scholastischen Lehrentwicklung, Gottinga, 1954.
P. SteLLA, L'ilemorfismo di Duns Scoto, Torino, 1955.
C. Bai&, J. Duns Scotus et historia Immaculatae conceptionis, “Ant.”
1955. M. ScHmaus, Zur Diskussion tiber das Problem
des Univozitàt im Umkreis des |. Duns
Skotus, “Sitz.ber. d. Bayer. Akad. d. Wiss.,” Philos. hist. KI.,
1957. T. BartH, Zur “univocatio entis” bei ]. Duns Skotus, “Wiss.
Weish.,” 1958. Ipem, Das weltliche Sein u. seine inneren Griinde
bei Thomas von Aquin u. I. Duns Skotus. Vergleich u. Versuch ciner neuen
Synthese, “Wiss. Weish.,” 1958. S. Y. Watson, Univocity and
analogy of being in the philosophy of Duns Scotus, “Proc. Amer. cathol. philos. Ass.,” 1958. M. Oromîf,
Duns Escoto y el objeto de la metafisica, “Rev. Filos.,” 1958. A.
De Postioma, I) volontarismo in G. Duns Scoto, “Stud. Patavina,” 1958. T. BartTH, Duns Scotus
und die Notwendigkeit ciner tibernatitrlichen Offen- barung, “Franz. Stud.,” 1958-1960. M. Frertas, A causalidade
do conhecimiento em Duns Escoto, “Itinerarium,” 1958. T.
BartH, Der Hylemorphismus des ]. Duns Scotus, “Wiss. Weish.,” 1959.
F. ALLuntIs, El “Tratado del primier principio” de Escoto “Verdad y
Vita,” 1960. Inem, Del Ser de Dios y de su unidad,
ibidem. M. Oromi, E! gran “Prélogo” de Duns Escoto, ibidem.
I De Guerra, De la persona y producciones en Dios, ibidem. P. MicHeL, The primum cognitum of Duns Scotus, “Duns
Scotus,” 1960. 648 Bibliografia J.
FinkenzeLLER, Offenbarung und Theologie nach der Lehre des ]. Duns
Skotus. Eine Historische und systematische Untersuchung, (“Bceitrige,”
XXXVIII, 5), Miinster, 1961. Sugli influssi di Duns Scoto sul
pensiero scientifico cfr. soprattutto: P. DuHEMm, Le système du
monde, cit., INI, pp. 491-498; VII, pp. 20-24, 58-59, 108-109, 119-120,
207-213, 224-233, 235-236, 244-245, 249-250, 252-254, 256-260, 273-274,
303-304, 307-308, 313-314, 329-331, 363-368, 405-406, 445-446, 451-452,
454, 455, 505-506, 527-528; VIII, pp. 45-48, 77-85, 88-90, 99-100,
432-434; IX, pp. 36-39, 73-76; X, pp. 27-28, 47-52, 63-64, 72-73, 97-99,
101-102, 105-106, 190-191. A. Marr, Zwei Grundprobleme..., cit.,
pp. 30 sgg., 50 sgg., 61 sgg. Ipem, An der Grenze von Scholastik,
cit., pp. 105 sgg., 164 sgg., 229 sgg. Cfr.
inoltre: C. BaLiè, Giovanni Duns Scoto, in Grande Antologia Fi-
losofica, IV, pp. 1335-54 (testi in tr. it. pp. 1355-1409) e O. ScHaEFER,
John. D. Scot, fasc. 22 dei “Bibliographische
Einfiihrungen in das Studium der Philosophie,” Berna, 1953. E v.
GEyER, p. 765-768; DE Brie, nn. 438, 2648, 2649, 3652, 4622, 5527,
7104-7246, 7496; De Wutr, II, pp. 371-377. Sulla
scuola scotista in generale: P. De Marticne, La Scolastique et les
traditions franciscaines, Parigi, 1888. F. GranninI, Studi sulla
scuola francescana, Siena, 1895. A. Bertoni, Le B. Jean Duns Scot. Sa vie, sa doctrine,
ses disciples, cit. D. ScaraMUZZI, Il pensiero di
Giovanni Duns Scoto nel Mezzogiorno d'Italia, Roma, 1927. E.
Girson, Jean Duns Scot, cit. Francesco di Meyronnes
Opere: tra le principali: Esposizione sulle Categorie di Aristotele, Com-
ment. in Physic., Commentario alle Sentenze, Quodlibeta: De primo princi
pio, De univocatione entis, De esse essentiae et existentiae,
Explanationes divinorum terminorum. Infondata l'attribuzione di un
Tractatus de for- malitatibus. Edizioni: Una collezione pubblicata
a Venezia nel 1517 contiene: le Sentenze, i Quodlibeta, De primo
principio, Explanationes divinorum ter- minorum, Tractatus de
formalitatibus. Bibliografia: cfr. Gever, p. 787; De Brie, nn.
7359, 7363; DE WuLE, II, p.9l. In particolare v.:
W. Lampen, F. de Meyronnes, “France francisc.,” 1926, pp. 215 sgg.
E. D'ALENgon, DThC, X, coll. 1634-45.
CH. V. LancLo1s, Fr. de Meyronnes, frère mineur, in Histoire litiér. de
la France, 36, Parigi 1927, pp. 305-42. Bibliografia x
B. RorH, Franz von Meyronnes und der Augustinismus seiner Zeit,
“Franz. Stud.,” 1935, pp. 44-75. IneMm, Franz von Meyronnes:
sein Leben, seine Werke, seine Lehre vom Formalunterschied in Gott, Werl
i. W., 1936. P. DE LAPPARENT, L'oeuvre politique de F. de
Meyronnes, ses rapports avec celle de Dante, “Arch. Hist. doctr. litt. m.
à.,” 1942. J. Barset, Le prologue du commentaire dionysien de
Frangois de Mayronnes (con testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.,”
1954. P. DuneM, Le système du monde, cit., VI, pp. 451-474, VII,
pp. 113-116, 120-122, 290-294, 314-315, 318-319, 42042], 451-452,
512-517; VIII, pp. 88-89, 197-199; IX, pp.
148-149, 327-328. Giovanni di Bassoles Opere:
Commentario alle Sentenze (1313). Edizioni: a cura di F. RernauLt-J. F.
FreLLON, Parigi, 1516-1517. Bibliografia: Cfr. GevEr, p. 787; De Brie, n.
7655; De Wutr, III, p. 91. In particolare v.: P.
Dunem, Études sur Léonard de Vinci, II, Parigi, 1909, pp. 373-78;
416-417; III, ivi, 1913, passim. IpEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 438-450; VII,
pp. 108-109, 116-120, 131-132, 233-235, 311-315; IX, pp. 384-385.
CH. V. LancLo1s, in Mist. litt. de la France, 36, Parigi, 1924-27, pp.
349-355. E. D’ALENGON, in DThC, II, 475. V. HerNnck,
Die Reuelehre des Skotusschiilers ]. de Bassoles, “Franz. Stud.,”
1941. N. PasieczNIK, John de Bassoles, “Franc. Stud.,” 1953,
1954. Ugo di Novo Castro Opere: Commentario alle Sentenze
(prima del 1323). Inedito. Bibliografia: Cfr.
GevER, p. 787; De Brie, n. 7403; DE Wutr, III, p. 90. K. MickaLsKI,
Le criticisme et le scepticisme dans la philosophie du XIV° siècle,
“Bull. Acad. polonaise sc. lett.” 1925. Cu. V. LancLors, in Hist.
litt. de la France, 36, cit. L. Amorés, Hugo von Novo Castro,
O.FM., und sein Kommentar zum ersten Buch der Sentenzen, “Franz. Stud.,”
1933. E. AuwriLer, De codice Commentarii in IV librum Sententiarum
Fr. Hugonis de Novo Castro, O.FM., Washingtonii servato, “Arch.
franc. hist.,” 1935. O. Lornn, Les
vertus morales infuses dans l'école franciscaine au début du XIV siècle,
“Rech. théol. anc. méd.,” 1951. 650
Bibliografia Francesco De Marchia Opere:
Commentario alle Sentenze; Quaestiones super I et II librum Metaphysicae
(Inedite). Bibliografia: Cfr. GeveR, p. 787; De Wutr, III, p. 91. .
EnrLE, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia... (“Franz. Stud.
Beihefte”), Miinster, 1925, pp. 253-260. Lanc, Die Wege der
Glaubensbegriindung bei den Scholastikern des XIV Jahrhunderts
(“Beitrige,” XXX, 1-2), Miinster, 1931. . TEETAERT, Pignano (Frangois de); in DThC, XII,
2104-2109. . De SoLano AcuirrE, Fray Francisco de la Marca y la
contribucibn fran- ciscano-medieval al progreso de la ciencias, “Etud.
Franc.,” 1950. A. Mater, Die Volaufer Galileis..., cit., pp. 133 sgg.,
241 sgg. Ipem, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 158 sgg. Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 82
sgg. P. DuHEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 387-389, VII, pp.
227-229, 453-464, 500-501, 517-520; VIII, pp. 325-328. mp
Guglielmo di Alnwick Da Opere: Commento alle Sentenze;
Quodlibeta; Quaestiones de esse in- telligibili. Edizioni:
Quaestiones disputatae de esse intelligibili et de quolibet, a cura di A.
Lepoux (con pref. bibliografica), Quaracchi, 1937.
Bibliografia: Cfr. GeveR, p. 787; DE Wutr, III, p. 90. In
particolare cfr.: M. Brin, in DHGE, II, 662. M.
ScHmaus, Guillelmi de Alnwich doctrina de medio quo Deus cogno- scit
futura contingentia (con ed. di una quaestio), “Bogoslavni Vestnik,”
1932. A. Marer, Wilhelm von Alnwick Bologneser quaestionem gegen
den Aver- roismus, “Greg.” 1949. Giovanni da
Ripatransone Opere: Commento al I delle Sentenze; Determinationes;
Conclusiones. Edizioni: Determinationes e Conclusiones, ed. A. ComBESs,
Parigi, 1957. Bibliografia: cfr. GevERr, p. 783; De Brie, nn.
5170-7653; DE Wutr, III, p. 91. F. EunrLe, Sentenzkommentar
Peters von Candia, cit., pp. 268-277. H. ScHwamm, Magistri Joannis
de Ripa, O.FM., doctrina de praescientia divina, Inquisitio historica,
Roma, A. Comes, Jean de Vippa, Jean de Rupa, ou Jean de Ripa?, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4.,” 1939. Inem,
Jean Gerson commentateur dionysien, Parigi, 1940, pp. 608-687.
Inem, Un inédit de St. Anselme? Le traité “De unitate divinae essentiae
et pluralitate creaturarum” d’après Jean de Ripa, Parigi, 1944.
Inem, Présentation de Jean de Ripa, “Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,”
1956. InpeM, Les références de Jean de Ripa aux livres perdus (II,
III, IV) de son Commentaire des Sentences, ibidem, 1958.
Ugolino d'Orvieto Opere: Commentaria in IV libros Sententiarum (1348);
Sermones de tem- pore; Sermones de Sanctis; De Deo uno et trino
(1372). Edizioni: A. Zumxercer ha pubblicato il
Prologo del Commentario in Hugolinus von Orvieto und seine. theologische
Erkenninislehre, Wiirz- burg, 1941, pp. 267-391; F. Corvino, una quaestio
del L. I. in 7 “De perfec- tione specierum” di Ugolino d’Orvieto, in
“Acme,” 1954, pp. 73-105; 1955, pp. 119-204; ed. F. SrecmùLLer il De
Deo..., in “Annali della Bibl. gov. e libr. civ. di Cremona,” 1954.
Bibliografia: cfr. De Brie, n. 7651; De Wutr,
III, p. 102. In particolare: J. Rousset, H. d’Orvieto.
Une controverse à la faculté de théologie de Bo- logne au XIV® siècle,
“Mél. d’arch. et hist. de l’École frang. de Rome,” 1930. | A. Zum€etter, Hugolin von Orvieto und
seine theologische Erkenntnis- lehre, cit.. Ipem, H. von
Orvieto tiber Urstand und Erbstinde, “Augustiniana,” 1953. IpeM,
Hugolinus von Orvieto tiber Pridestination, Rechtfertigung und Ver-
dienst, ibidem, 1954-1955. Capitolo terzo
Jacopo di Metz Opere: Commento alle Sentenze (due red.: 1295,
1302). Bibliografia: cfr. Gever, p. 768; De Wutr, III, p. 28. In
particolare v.: ‘ M. Grasmann, Mittelalterliches Geistesleben, 1, Monaco,
1926, pp. 404-410. J. Kocx, /. von
Metz, O. P., “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1929. P. Fournier, Jacques de Metz, in Hist. litt., de la
France, 37, Parigi, 1938. 652
Bibliografia Herveo di Nédellec Opere: 1) Quaestiones
super Sententias; 2) Quodlibeta I-IV (discussa l'autenticità di V-X); 3)
Quaestiones disputatae; 4) Commento In librum periermencias; 5)
Quaestiones de praedicamentis; 6) De cognitione primi prin- cipii; 7) De
secundis intentionibus; 8) Scritti polemici contro Jacopo di Metz,
Durando di St. Pourgain, Enrico di Gand. Edizioni: 1) Venezia,
1505; Parigi, 1647; 2) Venezia, 1486; 3) Venezia, 1513; 4, 5, 6, 7,)
Parigi, 1489; Venezia, 1513; cfr. inoltre J. G. Sikes, Hervaci Natalis
liber de paupertate Christi et Apostolorum, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1938 e L. Hou, Die
“Quodlibeta minora” des H. Natalis, “Miinch. theol. Zeitschr.,”
1955, Bibliografia: cfr. Gever, p. 771; DE Brie, nn. 7400-7402; De
Wutr, III, p. 69. In particolare v.: C. JELLouscHEK,
Verteitigung der Moglichkeit einer anfangslosen Weltschòp- fung bei E.
Nédellec, “Jahrb. Philos. spek. Theol.,” 1912.
E. Kress, Theol. und Wissensch.... an der Hand der Defensa doctrinae
D. Thomae des H. Nédellec, (“Beitrage,” XI, 3-4), Miinster, 1912.
W. ScHoeLLcen, Das Problem des Willensfreiheit b. H. von Gent und
H. Nédellec, Diisse!dorf, 1927. J. SanteLER, Der Kausale
Gottesbeweis b. H. Nédellec..., Innsbruck, 1930. A. Fries, Quaest.
super IV libros Sententiarum H. Nédellec vindicatae, “Aug.” 1936. .
A. De GuimarAes, H. Noel. Étude biographique,
“Arch. frat. praed.,” 1938. E. B.
ALLen, H. Natalis, an early “thomist” on the notion of being, “Med. Stud.,”
1960. Durando di St. Pourgain Opere: 1) Commento alle
Sentenze (in we red.; 1303-1312, 1317, 1327); 2) Quaestiones
disputatac; 3) Quaestiones quodlibetales; 4) Tractatus de ha-
ditibus; 5) Quaestiones de libero arbitrio; 6) Additiones al I delle
Sentenze. Edizioni: 1) numerose edd. della III red. dal 1508 in poi; 2)
la Quae- stio de natura cognitionis, ed. J. KocH, in “Op. et Tex.,” VI, Miinster, 1929,
1935; 4) (Quaestio IV) ibidem, VIII, Miinster, 1930.
Bibliografia: cfr. Gever, pp. 768-769; De Brie, nn. 7247-7248; DE
WutF, III, p. 28. In particolare vedi: J.
KocH, D. de S. Porciano, O. P., Forschungen zur Streit um Thomas von
Aquin zu Beginn des 14 Jahrh. 1: Literargeschichtliche Grundlegung,
(*Beitrige,” XXVI, 1), Miinster, 1927. 3. SturLEr, Bemerkungen zur
Konkurslehre des Durand von St. Pourgain, Aus des Geisteswelt des
Mittelalters, cit. 653
Bibliografia P. Fournier, Durand de St. Purcain, in Hist.
litt. de la France, 37, Parigi, 1938, pp. 1-38. J. MùLLER,
Quaestionen der ersten Redaktion von I und Il Sent. des Durand de S.
Porciano în einer Hs. der Bibl. Antoniana in Padua, “Div. Th.” (F.),
1941. J. KocH, Zur der Durandus - Hs. der Bibl. Antoniana von
Padua, ibidem, 1942. A. Mar, Zwei Grundprobleme..., cit., pp.
70 sgg. Ipem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 186
sgg. P. DunHEMm, Le système du monde, cit., VII, pp. 27-30,
107-108, 492-493, 498-500; VIII, pp. 265-266. Pietro
Aureolo Opere: Tractatus de principiis naturae; Commento alle
Sentenze in due red.; XVI Quaestiones quodlibetales.
Edizioni: Commento (II red.) e Quodlibeta, Roma, 1596, 1605.
Bibliografia: cfr. GevER, p. 769; DE Brie, nn. 7429-7430, 7496; De WutF,
III, pp. 28-29. In particolare v.: R. Drerino, Konzeptualismus in
der Universalienlehre des Franziskanererz- bischofs Petrus Aureulus
(“Beitrige,” XI, 6), Miinster, 1913. B. Lannry, Pierre d’Auréole. Sa doctrine et son réle,
“Rev. Hist. Philos.,” 1928. P. Vicnaux, Justification et
prédestination au XIV® siècle, Parigi, 1934, pp. 43-95. IpeM,
Notes sur la rélation de Pierre d'Auréole à la theologie trinitaire,
“Ann. École prat. hautes étud. Sc. relig.,” 1935. A. Teeraert, in
DThC, XII, 1018-1081. R. ScHMUcKER, Propositio per se nota.
Gottesbeweis und ihr Verhaltnis nach P. Aureulus (“Franz. Forsch.,”) Werl
i. W., 1941. A. Mater, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 202,
207, 211, 262, 267. Inem, Zwei Grundprobleme..., cit., 55 sgg., 62
sgg., 165 sgg. Inpem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 70
sgg. P. Dunem, Le système du monde, cit., VI, pp. 390-425, 444-446;
VII, pp. 99-101, 224-226, 315-317, 327-331, 368-374, 509-512.
S. Vanm RovicHi, L'intenzionalità della coscienza secondo Pietro
Aureolo, in L'homme et son destin..., cit., pp. 673-680.
Enrico di Harclay Opere: Commento alle Sentenze; Quaestiones
disputatae. Bibliografia: cfr. Gever, p. 769; De WutF, III, p.
167. Bibliografia In particolare vedi: F.
PeLster, Heinrich v. Harclay, Kanzler von Oxford und seine Quaestio- nen,
“Misc. Ehrle,” I, Roma, 1924, pp. 307-355. J. Kraus, Die
Universalienlehre des Oxforders Kanzler Heinrich von Har- clay in ihrer
Mittelstellung zwischen skotistischem und ockamistischem Nominalismus,
“Div. Th.” (F.), 1932, 1933. A. Ma:er, Die Vorliufer Galileis...,
cit., pp. 161 sgg., 201 sgg. F.
PeLster, Theologisch-philos. bedeutsame Quaestionen des W. von Mac-
clesfield, H. von Harclay, und anonymer Autoren der englischen Hoch-
scholastik, cod. 501 Troyes, “Schol.,” 1953. A. Maurer, H. of
Harclay's Questions on immortality, “Med. Stud.” 1957. Gerardo
da Bologna Opere: Commento alle sentenze; Quodlibeta; Quaestiones
ordinariae; Summa theologica (incompleta). Edizioni: Commento, Venezia, 1622; Summa, le prime 12
quaest. in P. De VoocHt, Les sources de la doctrine chrétienne d’après la
théologie du XIV siècle, Bruges-Parigi, 1954. Bibliografia:
cfr. GevER, p. 775; P. Fournier, in DThC, VI, 1289 sgg. In
particolare v.: B. Xiserta, De “Summa theologiae” magistri Gerardi
Bononiensis O. Carm. “Anal. O. Carm.,” 1923. Ipem, De
scriptoribus scholasticis saec. XIV ex Ord. carmelitarum, Lovanio,
1931. A. Maier, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 161 sgg., 168
sg., 201 sgg. B. Xiserra, Mag. Gerardus Bononiensis. Quaestio de
Dei cognoscibilitate (Sum. theol. q. 13), in Medioevo e Rinascimento
(Studi Nardi) Firenze, 1955, pp. 829-870. B. Smattey, Ger. of Bononia and Henry of Ghent, “Rech.
théol. anc. méd.,” 1955. Guido Terrena Opera:
Commento alle Sentenze (framm.); Quodlibeta; Quaestiones ordinariae;
Quaestiones disputatae; Commenti al De anima, Metaphysica, Physica,
Ethica. Bibliografia: cfr. Geyer, p. 775; P. FourMER, in Hist.
litt. de la France, 36, Parigi, 1927. B. XisertA, De mag.
Guidone Terreni, “Anal. O. Carm.,” 1924. Ipem, De doctrinis theologicis mag. Guidonis Terreni,
“Anal. O. Carm.,” 1925. % Ipem, Guiu Terrana carmelita
de Perpinyà, Barcellona, 1932. 655 Bibliografia
Capitolo quarto Guglielmo d'Occam Opere: a) filosofiche e
teologiche: 1) Commentarii (sive Quaestiones) in IV sententiarum libros;
2) De sacramento altaris; 3) Quodlibeta VII; 4) Tractatus de
praedestinatione et praescientia Dei; 5) Expositio aurea super «eriem
veterem; 6) Summa totius logicae; 7) Summulae in libros physicales; 8)
Tractatus super libros elenchorum; 9) De relatione; 10) Quaestiones in
libros physicorum; 11) De quantitate. b) teologico- politiche: 1)
Allegaziones religiosorum virorum; 2) Opus nonaginta dierum; 3) Dialogus
inter magistrum et discipulum de potestate papae et imperatoris; 4)
Epistula ad fratres minores in capitulo apud Assi- sium congregatos; 5)
De dogmatibus ]ohannis XXII papae; 6) Tractatus contra Johannem XXII; 7)
Tractatus contra Benedictum XII; 8) Com pendium errorum papae Johannis
XXII; 9) Allegationes de potestate im- periali; 10) An rex Angliae; 11)
Brevilogium de principatu tyrannico (dub- bio); 12) Octo quaestiones; 13)
Tractatus de jurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus; 14) De
imperatoris et pontificum potestate; 15) De clectione Caroli IV.
c) attribuito “di scuola”: 1) Cenziloqguium theologicum (molto
dubbio); 2) Tractatus de successivis; 3) De puncto et negatione; 4) De
principiis theo- logiae; 5) Compendium logicae; 6) Quaestio de
universali; 7) Quaestio de selatione; 8) Breviloquium de potestate
papae. Edizioni: critiche: a, 1): Quaestio I principalis; ed. PH.
BoHNER, Pader- born, 1939 e I dist. II, 8 in “The new Schol.,” 1942; I
dist. III, 9, 14-15, in “Traditio,” 1943; «, 2) a cura di B. BrrcH,
Burlington (Iowa), 1930; 2, 4) «ed. PH. BòHNER, S. Bonaventure (N. Y.),
1945; 4, 5) PH. BOHNER, Periher- geneias, in “Traditio,” 1946; «, 6) a
cura di PH. B6HNER, S. Bonaventure (New York), 1951-1954 (I vol. rist.
1957); è, 2) ed. E. R. BENNET e J. G. SikEs, in GuiLeLmi De OckHam, Opera
politica, I, Manchester, 1940 (cc. I-VI); 5, 4) ed. L. Baupry, in “Rev.
hist. francis,” 1926; ed. C. K. BrampPtoNn, Oxford, 1929; ed. H. S.
OrrLER, in Opera politica, III, Manchester, 1956; 5, 6), ed. H. S.
OrrLER, in Opera politica, III, cit. (estratti e analisi in R. ScHoLz,
Unbekannte kirchenpolitische Streitschriften aus der Zeit Ludwigs des
Bayern, Roma, 1914, pp. 403-417); è, 7) ed. H. S. OrrLER, in Opera po-
ditica, III, cit. (analisi ed estratti in R. ScHotz, op. cit., pp. 403-417; è,
9) (estratti in R. ScHoLz, op. cit., pp. 417-431); 5, 10) ed. H. S.
OFFLER, in Opera politica, I, cit. (estratti in R. ScHoLz, op. cit., pp.
432-453); 5, 11), ed R. ScHotz, Lipsia, 1944; è, 12) ed. J. Sikes, in
Opera politica, I, cit.; è, 13) ed. H. S. OrrLER, in Opera politica, I,
cit.; è, 14) R. ScHoLz, op. cit., pp. 453- 480; ed. C. K. Brampron, Oxford, 1027; ed. W. Mutper, in
“Arch. franc. Hist.,” XVI-XVII; 5, 15) ed. K. MiLLer, Traktat gegen
Unterwer- 656 Bibliografia
fungsformel..., Giessen, 1888; R. ScHoLz, Conradus de Megenberg. Trak-
tatus contra Wilhelmum Occam, in op. cit., 11, pp. 347-363; c, 2) ed. Pu. BoHNER, S. Bonaventure (N. Y.), 1944; c, 4) L.
Baupry, Le “Tractatus de principiis theologiae” attribut è Guillaume
d'Ockham, Parigi, 1936; c, 6) M. GraBMANN, Quaestio de universali
secundum viam et docirinam Guillelmi de Ockam (“Op. et Tex.,” X) Miinster,
1930; c, 7) G. E. MoHan, The Quaestio de relatione attributed to William
Ockam, in “Franc. Stud.,” 1951; c, 8) L. Baupry, Parigi, 1937. Inoltre F.
Corvino ha pubblicato: Sette que- stioni inedite di Ockham sul concetto,
in “Riv. crit. st. filos.,” 1955; Questioni di Ockham sul tempo, ibidem,
1956; Questioni inedite sul continuo, ibidem, 1958. Altre
edizioni: a, 1) Lione, 1495; a, 2) Parigi s.d., Parigi s.d., Parigi,
1490, Strasburgo, 1491, Venezia, 1504, 1516; a, 3) Parigi, 1487,
Oudendlich, s.d., Parigi s.d., Parigi 1488; Strasburgo, 1491 (rist.
anast. Lovanio, 1961); 4, 4) Bologna, 1496 (insieme ad @, 5) Bologna
1946; «, 6) Parigi, 1488, Bologna, 1498, Venezia, 1508, 1522, 1591,
Oxford, 1665; «, 7) Bologna, 1494, Venezia, 1506, Roma, 1637; è, 1)
BaLuze-Mansi, Miscellanea, III, pp. 315-325; EuBEL, Bullarium
franciscanum, V, pp. 388-396; è, 2) Lovanio, 1481, Lione, 1495, in M.
Gotpast, Monarchia Romani imperii, Amsterdam, 1631, Il, Fran- coforte, 1668,
III; è, 3) Parigi, 1476, Lione, 1494, in GoLpast, op. cit.; in R. ScHoLz,
op. cit., la parte finale assente nel Goldast (l’ed. GoLpast è ora stata
ristampata fotostaticamente a cura di L. Firpo, Torino, 1959); 6, 5)
Parigi, 1476, Lione, 1495; GoLpast, op. cit.; b, 8) Parigi, 1476, Lo-
vanio, 1481, Lione, 1495; GoLpast, op. cit.; è, 12) Lione, 1496; Gopast,
op. cit.; b, 13) in M. FrEHER, /mperatoris Ludowici III... sententia
dispen- sationis, Heidelberg, 1598; GoLpast, op. cit.; c, 1) Lione, 1495
(insieme al Commento alle Sentenze). Utile
l'antologia a cura di PH. BoHNER (Oc- kham, Philosophical Writings, a
selection edited and translated by Pu. Bonner),
Edimburgo, 1957. Bibliografia: Ricche bibliografie generali in V.
HevncH, in “Franz. Stud.,” 1950, pp. 164-183; L. Baupry, Guillaume
d’Ockham, Parigi, 1950, pp. 273-294. Per il lessico occamista v.: L.
Baupry, Lerigue philosophique de Guillaume d'Ockham. Etude des notions fondamentales, Parigi, 1958. Cfr.
inoltre Gever, pp. 781-782; De Brie, nn. 7237, 7290-7330, 7496, 7507, 7542,
7566; De Wutr, III, pp. 4951. In
particolare vedi: F. BruckMmùLLER, Die Gotteslehre W. v. Ockham,
Monaco, 1911. J. Horer, Biographische Studien iiber W.
von Ockham, “Arch. franc. hist.,” 1913. L. Kuccer, Der
Begriff der Erkenninis bei W. von Ockham, Breslau, 1913. P. Doncoeur, Le nominalisme de G. d'Oc. La théorie de la
relation in “Rev. néos. philos.,” 1921 e Le mouvement, temps et lieux
d'après Oc., “Rev. philos.,” A. Perzer, Les 51 articles de G. Oc.
censurés en Avignon en 1326, “Rev. hist. ecclés.,” 1922. F.
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Ockham, “Philos. Jahrb.,” 1925. Inem, Die philosophie des W. von
Oc. in Rahmen seiner Zeit, “Franz. Stud.,” 1925. Ipem, Die
Psychologie und die psychologischen Grundlagen der Erkenntnis- lehre des
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Metaphysik und Erkenntnislehre des W. v. Oc., Berlino, 1927.
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pp. 23-30, 103-108, 213-214, 235-252, 256-257,
281-282, 285-286, 288-290, 338-351, 374-392, 394-395, 402-403, 448-457,
462-465, 511-512; VIII, pp. 85-88, 189-197, 323-325; IX, pp. 188-190,
389-392; X, pp. 27-29, 72-73, 174-178, 184-185, 189-192, 202-204,
209-210, 412-415. . Garcia, Alvaro Pelayo y G. de Ockam y la teorfa de
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1958. D. Duncan, Occam'’s razor, 1958.
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“Thomist,” 1960. P. Chojnack1, Les facteurs et les limites de la
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d'Autrecouri, in L'homme et son destin..., cit, pp. 681-687.
nmo_Om pi 659
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the tract “Quia saepe iuris,” “Arch. franc. hist.,” 1960. IpeM,
Traditions relating to the death of W. of Ockham, ibidem, 1960. Gualtiero
Chatton Opere: Commento alle Sentenze; Adversus Astrologos;
Resolutiones questionum; De indivisibilibus (perduto).
Bibliografia: Cfr. Gever, p. 783; De WuLr, III, p. 91.
In particolare vedi: E. Loncpré, Gualtiero di Chatton, un
maestro francescano di Oxford, “Studi franc.,” 1923. L. Baupry, G. de Chatton et son Commentaire des Sentences,
“Arch. Hist. doctr. litt. m. &.,” 1943-1945. Gualtiero
Burleigh Opere: 1) De vita et moribus philosophorum; 2) De materia
et forma; 3) Commenti ad Aristotele (Etica, Logica, Fsica); 4) Summa
totius logi- tae; 5) Questiones metaphysicales et defensiones Thomae
Aquinatis; 6) In Isagogen Porphyrii; 7) De intentione et remissione
formarum; 8) Super libros politicorum; 9) De substantia orbis; 10) De
intellectu agente; 11) In Sent. ll. IV; 12)
De Caelo et mundo; 13) In Aristotelem de Anima; 14) De puritate artis
logicae. Edizioni: 1) Colonia, 1472; ed. crit., Tubinga, 1886; 2)
Oxford, 1500; 4) Venezia, 1508; 5) Venezia, 1494; 6) Venezia, 1481; 7)
Venezia, 1496; 14) ed. Pu.
BéHnER, S. Bonaventure (New York), 1951. Bibliografia: Cfr.
Gever, p. 788; De Wutr, III, p. 168. In particolare v.: P.
Dunem, Études sur Léonard de Vinci, Parigi, 1906-1913, II, pp. 414 sgg.
K. MicÙarski, Les courants philosophique è Oxford et à Paris
pendant le XIV siecle, “Bull. Acad. Polonaise Sc. Lett.,” 1920. IpeM,
Les courants critiques et sceptiques dans la philosophie du XIV° siècle
(“Bull. Acad. Polonaise Sc. Lett.,” Cracovia, 1927). IpeMm, La
physique nouvelle et les différents courants philosophiques au XIV*
siècle, ibidem, 1928. L. Baupry, Les rapports de Guillaume d'Ockham
et Walter Burleigh, “Riv. bist. francis.” 1934. A. Marer, Zu
W. Burleighs Politik-Kommentar, “Rech. théol. anc. méd.,” 1947.
660 Bibliografia Inpem, Die Vorlàufer
Galileis..., cit., pp. 98 sg., 257 sg. Ipem, Zwei Grundprobleme...,
cit., pp. 66 sgg., 232 sgg. Ipem,
An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 113 sgg., 196 sgg., 202 sgg.,
242 sgg. S. H. TuÒomson, Unnoticed Questiones of Walter Burley on
the Physics, “Mitt. Inst.
oesterreich. Geschichtforsch.,” 1954. P. DuHem, Le systòme du
monde, cit., VI, pp. 620-622, 671-686; VII, pp. 29-30, 58-59, 90-91, 214-215, 249-259, 287-289,
395-398, 402-403, 499-532; VIII, pp. 50-54, 98-99, 104-106, 188-189,
266-272, 278-279; IX, pp. 187-188; X, pp. 398-404. J. O.
SricaLr, The manuscript tradition of “De vita et moribus philoso phorum®
of Walter Burley, “Medievalia et Humanistica,” 1957. È
PERO i Adamo Woodham (o Goddam) Opere: Commento alle
Sentenze; Quaestiones; Commenti ad Aristotele. Edizioni: Il
Commento, abbreviato “per magistrum Henricum de Hoyta,” Parigi,
1512. Bibliografia: Cfr. GeveRr, pp. 782-783; DE Wutr, III, p.
91. G. LirtLe, Tra Grey Friars in Oxford, Oxford, 1892, pp. 172
sgg. F. EÒÙrte, Das Sentenzenkommentar Peters von Candia..., cit.,
pp. 96-103. K. MicHaLSsKI, Le
criticisme et le scepticisme dans la philosophie du XIV* siècle, cit.
ii Roberto Holkot Opere: Quaestiones super IV libros
Sententiarum; Quodlibeta; Commenti scritturali. Edizioni:
Quaestiones super IV ll. Sent., Lione, 1947, 1505, 1518; Utrum theologia
sit scientia a quodlibet question, ed. J. T. Mucxie, “Med. Stud.,”
1958. Bibliografia: Cfr. GevER, p. 783. In
particolare: P. Dunem, Études sur Léonard de Vinci, cit., II, pp. 399-403. K. MickÒats€i, Les courants
philosophiques è Oxford et è Paris pendant le XIV? siècle, cit.
Inem, La physique nouvelle et les différents courants philosophiques
en XIV° siècle, cit. Ipem, Le problème de la volonté è Oxford
et à Paris au XIV® siècle, in Commentariorum Societatis philos. Polon. t.
II, pp. 233-265, Leopoli, 1937. 661
Bibliografia P. GLomeux, La litterature quodlibétique, cit, II,
pp. 258-261. A. Meissner, Gotteserkenntnis und Gotteslehre nach dem
englischen Do- minikanertheologen R. Holkot, Limburgo-Lahn, 1953.
P. DuHEM, Le système du monde, cit., VII, pp. 121-124, 530-532;
VIII, pp- 49-50; IX, pp. 389-394. L. THorwnpike, A new Work by R. Holkot, “Arch. int. Hist. sc.” 1957. Tommaso Buckingham
Opere: Quaestiones sulle Sentenze; Quaestiones disputatae;
Tractatus de infinito. Bibliografia: K.
MicHaLski, Les courants philosophiques è Oxford et è Paris pendant le XIV
siècle, cit. Inem, Le problème de la volonté è Oxford et è Paris au
XIV® siècle, cit. M.-D. CHenu, Les “Quaestiones” de Thomas de
Buchingam, “Stud. med. in honorem R. I. Martin,” Bruges, 1948.
Tommaso Bradwardine Opere: 1) De causa Dei contra Pelagium
et de virtute causarum; 2) Arithmetica speculativa; 3) Geometria speculativa;
4) Tractatus de pro- portione motuum; Incerta l’esistenza di un Commento
alle Sentenze. Edizioni: 1) ed. E. Savire,
Londra, 1618; 2) Parigi, 1495, 1530; 3) Parigi, 1495, 1516; 4) Parigi,
1495, Venezia, 1505, Vienna, 1505; e in H. L. Crosry, 'Th. of
Bradwardine. His tractatus de proportionibus. Its
significance for the development of mathematical physics, University of
Wisconsin, 1955. Bibliografia: Cfr. Gever, p.
788; De Brie, n. 7252-7253; De Wutr, III, p. 168. In
particolare v.: S. Haxn, TA. Bradwardinus
und seine Lehre von der menschlichen Wil- lensfreiheit (*Beitrige,” V,
2), Miinster, 1905. P. DuHem, Études sur Léonard de Vinci, cit.,
III, pp. 296-300. K. MicHats€i, Les courants philosophiques è
Oxford et è Paris..., cit. Inpem, Le problème de la volonté è
Oxford et è Paris au XIV® siècle, cit. F. Laun, TA. von Bradwardin,
der Schiiler Augustins und Lehrer Wiclifs, “Zeitschr. f. Kirchengesch.,”
1928. Inpem, Recherches sur Th. Bradwardine, précurseur de Wicliff,
“Rev. hist. philos. relig.,” 1929. Inem, Die Praedestination
bei Wicliff und Bradwardine, in Imago Dei, Giessen, 1932. B.
M. Xiserta, Fragments d'una qiiestio inédita de T. Bradwardine, in Aus
der Geisteswelt des Mittelalters, cit., pp. 1169-1180. 662
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Bradwardine, “Isis” 1936. A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit.,
pp. 88 sgg. InpeM, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 185
sgg., 240 sgg., 284 sgg. P. Dunem, Le système du monde, cit., VII,
pp. 467-472, 474-475; IX, pp. 74-75,
164-165. G. Lerr, TA. Bradwardine's “De causa Dei)” “Jour. eccl.
hist.,” 1956. H. A. Osermann, Archbishop Th. Bradwardine. A
fourtheenth Century augustinian. A study of his theology in its
historical context, Utrecht, 1957. H. A. Osermann]. A.
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(con testo), “Arch. Hist. doctr. litt. m. 4,” 1958. Gregorio da
Rimini Opere: Commento alle Sentenze; De usuris, ed altri numerosi
scritti inediti, Edizioni: Commento, Parigi, 1482, 1487,
1494, 1647, Venezia, 1532; (rist. St. Bonaventure, Lovanio, Paderborn,
1955); De wswuris, Rimini, 1622. Bibliografia: Cfr. Gever, p. 783;
De Brie, nn. 7379, 7496; DE WuLF, III, p. 102. In particolare
v.: J. WirsoòrrEr, Erkennen und Wissen nach G. von Rimini
(“Beitrige,” XX, 1), Miinster, 1917. P. Dunem, Études sur Lfonard de Vinci, cit., 1I, pp.
385-390. P. Vicnaux, Justification et prédestinamon au XIV® siècle,
Parigi, 1934. M. ScuùLer, Pridestination, Stinde und Freiheit bei
Gregor von Rimini, “Forsch. z. Geistesgesch.,” III, Stoccarda,
1934. H. ELie, Le “complexe significabile” Parigi, 1937.
A. Mar, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 172 sgg., 176 sgg.,
210-214. Inem, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 112
sgg. P. DuHEem, Le système du monde, cit., VII, pp. 21-22, 30-34,
62-63, 65-67, 121-122, 124-126, 131-144, 146-148, 150-152, 155-157,
330-338; VIII, pp. 111-112, 276-278; X, pp.
71-73, 175-179. Giovanni di Mirecourt Opere: Comment.
alle Sentenze; due Apologiac; Quaesiones. Edizioni: Cfr. C. Du
PLEssIS D'ARGENTRE, Collectio iudiciorum, 1, Parigi, 1724, pp. 343-345;
H. DenirLe, Chartularium Universitatis Pari siensis, II, Parigi, 1891,
pp. 610-614 (con il testo delle proposizioni con- dannate nel 1347);
Apologiae, ed. F. SrecmùLLER, in “Rech. théol. anc. méd.,” 1933; Giovanni
di Mirecourt, Questioni inedite sulla conoscenza, a cura di A.
FranzineLLI, “Riv. crit. st. filos.,” 1958. 663
Bibliografia Bibliografia: Cfr. Gever, p. 783; De Wutr, III, p.
117. In particolare v.: S. Haun, TA. Bradwardinus und seine
Lehre von der menschlichen Wil- lensfreiheit, cit., pp. 50 sgg.
A. Birkenmayer, Ein Rechifertigungsschreiben ]. von Mirecourt
(“Bei- trige,” XX, 5), Miinster, 1922. J. Horer, Biographische Studien iiber Wilhelm von
Ockham, cit., pp. 230 sgg.
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cit., pp. 78-81. IpeM, Les sources du criticisme et du
scepticisme dans la philosophie du XIV® siècle, in La Pologne au Congrès
int. de Bruxelles, Cracovia, 1924. Ipem, Le criticisme et le
scepticisme..., cit. IpeM, Le problème de la volonté..., cit.
F. Ere, Der Sentenzekommentar Peters von Candia, cit., pp. 103-106,
273. Su Pietro di Ceffons cfr.: D. Trapp, Peter Ceffons of Clairvaux,
“Rech. théol. anc. méd.,” 1957.
Nicola d'Autrecouri Opere: Commento al I delle Sentenze; Commento
alla Politica; Epi- stole a Bernardo d'Arezzo; Exigit ordo
executionis. Edizioni: Epistole in J. Lappe, N. von
Autrecourt... (cfr. bibl.); Exigit ordo executionis, in }. R.
O°DonneL, Nicholas oj Autrecourt... (cfr. bibl.). Bibliografia: Atti del
processo in DENIFLE, Chartularium, cit., II, pp. 756-787. J. Lappe, N. von Autrecourt. Sein
Leben, seine Philosophie, seine Schrif- ten (“Beitrage,” VI, 1),
Miinster, 1908. H. Rasupatt, N. de
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Vorliufer Galileis..., cit., pp. 163 sgg., 178 sgg. M. Dac Pra,
Nicola di Autrecourt, Milano, 1951. Ipem,
La fondazione dell'empirismo e le sue aporie nel pensiero di Nicola di
Autrecourt, “Riv. crit. st. filos.;”? 1952. 664
Bibliografia E. Maccacnoro, Metafisica e gnoseologia in Nicola di
Autrecourt, “Riv. filos. neosc.,”
1953. P. DuHEM, Le système du monde, cit., VI, pp. 655-670,
713-715; VII, pp. 20-23. La bibl. generale in GeyER, p. 783; De
Brie, nn. 7660-7661; De Wutr, III, p. 154, Giovanni
Buridano Opere: 1) Summulae o Compendium Logicae; 2) Quaestiones in
libros Politicorum Aristotelis; 3) Quaestiones super octo physicorum
libros; 4) Quaestiones in libros Politicorum Aristotelis; 5) Quaestiones
in libros de gnima; 6) In metaphysicam Aristotelis quaestiones; 7) In
Ethicum quae stiones. Edizioni: 1) Parigi,
1487; 2) Parigi, 1500; 3) Parigi, 1509; 4) Parigi, 1516; 5) Parigi, 1518;
il Tractatus de suppositionibus a cura di M. E. Reina, in “ Riv. crit.
st. filos.,” 1957. Bibliografia:
cfr. Gever, pp. 783-784; De Brie, n. 7640; De Wutr, III, p. 152.
P. DuHEm, Ézudes sur Léonard de Vinci, cit., II, pp. 379-384, 420-423;
III, pp. 1-259, 279-286; 350-360. IpeM, Le système du monde,
cit., IV, pp. 124-142, 151-153, 163-165; VI, pp. 697-729; VIII, pp.
54-56, 99-104, 108-112, 126-127, 200-218, 224-225, 278-288, 290-293,
307-309, 313-314, 318-342; IX, pp. 56-71, 76-77, 188-199, 201-205,
209-210, 218-219, 225-226, 230-231, 293-300, 305-309, 311-314, 320-323,
349-356, 394-395, 420-421; X, K. MicHaLsKi, Les courants philosophiques...,
cit. IpeM, Le criticisme et le scepticisme...,
cit. E. A. Moopy, John Buridan on the habitability of the Earth,
“Spec.” 1941. Ipem, /.
Buridan, Quaestiones super libros IV de coelo et mundo, Cam- bridge
(Mass.), 1942. E. Fara,
/. Buridan, notes sur les manuscrits, les éditions te le contenu de ses
ocuvres, “Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.” 1946. Ipem, Jean Buridan,
in Histoire litt. de la France, 28, 1949, pp. 462-605. A.
Marer, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 19 sgg., 99-104, 135-137.
IpeM, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 201-239. IpeM, An der
Grenze von Scholastik..., cit, pp. 118-128, 199-203, 235-240. M. E.
Reina, // problema del linguaggio in Buridano, “Riv. crit. st. filos.,”
1959-1960. Ipem, Note sulla psicologia di Buridano, Milano,
1959. L. N. Roserts, A chimera is a chimera, a medieval tautology,
“Journ. Hist. Ideas,” 1960. 665
Bibliografia Gerardo di Odone Opere: varie
Quaestiones in logicam, un Commentario în libros decem Ethicorum, e un
Commento alle Sentenze. Edizioni: Il Commentario all’Ethica, Venezia, 1500.
Bibliografia: L. BartoLoMÉ, Fr. Ger. de Odon, Murcia, 1928. P. DuHem, Le système du monde, cit., VI, pp. 479, 667;
VII, pp. 403-407; VIII, pp. 89, 107; X, pp. 272-273. A. Marer, Die
Vorliufer Galileis..., cit., pp. 161 sgg., 166. IpeM, Zwei
Grundprobleme..., cit., pp. 69 sgg. Giovanni
Marbres Opere: Quaestiones sulla Fisica (1329-1342).
Edizioni: Padova, 1475; Venezia, 1492, 1516, 1520. Bibliografia:
L. Baupry, En lisant Jean le Chanosne, “Arch. hist. doctr. litt. m. 4.”
1934. A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 23, 135, 163,
166, 187, 214, 245. IpeMm, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 69
sgg., 199 sgg. lpem, An
der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 86 sgg., 109. P. DuHem, Le
système du monde, cit., VI, pp. 386-390, 400-402, 427-429; VII, pp.
200-201, 225-229, 231-234, 239-240, 251-254, 290-291, 317-323, 327-328,
334-335, 350-351, 395-396, 404-405, 414-415; VIII, pp. 157-158, 199-200;
X, pp. 205-206. Nicola Bonet
Opere: Commenti alla Metafisica, alla Fisica, alle Categorie, una Theo-
logia naturalis, Formalitates in via Scoti. Edizioni: Venezia,
1485, 1505, 1515. Bibliografia: M. De BarceLonE, N.
Bonet Tourangeau, doctor proficuus, “Etud. Franc.,” 1925. F.
O'Brian, in DHGE, IX, 849-852. V. Doucer, in “Arch. franc. hist.,”
1933-1934. A. Maier, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 177 sgg.,
207 sgg. IpeMm, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 198 sgg.
P. Dunem, Le système du monde, cit., VI, pp.
474-509, 645-655; VII, pp. 126-130, 259-268, 293-297, 308-311,
403-436, 438-440, 452-453, 456-457; VIII, pp. 89-92, 129-130, 198-199,
275-279; IX, pp. 174-178, 194-216; X, pp. 240, 373, 388.
666 Bibliografia Capitolo quinto Riccardo Fitz
Ralph Opere: Commento alle Sentenze; Sermones; Summa contra
Armenos. Bibliografia: Cfr. De
Wutr, III, p. 168. K. MicHALSRI, Le criticisme et le
scepticisme..., cit. Ipem, Le problème de la volonté..., cit.
A. Gwwnn, Richard Fitz Ralph, Archbishop of Armagh, “Studies,”
1933, 1934, 1935, 1936, 1937. A. Maier,
Die Vorldufer Galileis..., cit., pp. 174 sgg. Giovanni
Baconthorpe Opere: Commento alle Sentenze; vari Commenti
scritturali; Commenti al De anima, alla Metaphysica, all'Ethica di
AristorELE; Commenti al De trinitate e al De civitate Dei di Acostino;
Commento agli scritti di Anselmo di Aosta; Quodlibeta; Sermoni
spirituali. Edizioni: Il Commento alle Sentenze nelle edizioni di
Lione, 1484; Pa- rigi 1484-1485; Milano, 1520; Venezia, 1525-1527;
Cremona, 1618; Madrid, 1754. I Quodlibeta nell'ed. di Cremona t. 2 inf. e
Venezia, 1527. Bibliografia: cfr. GEvER, p. 787. In
particolare: B. Xiserta, De magistro |. Baconthorpe, “Anal. Ord.
Carm.,” 1927. Ipem, Joan Baconthorpe Averroista?, “Criterion,” 1927.
Ipem, De scriptoribus scholasticis s. XIV ex Ordine Carmelitarum,
Lovanio, 1931, pp. 167-240. Crisocone du Saint-SacraMENT,
Maftre Jean Baconthorpe, “Rev. néosc. philos.,” 1932. K. LyncHn, De distinctione
intentionali apud |. Baconthorpe, “Anal. Ord. Carm.,”
1932. Nico di S. Brocarpo, I! profilo storico di Giovanni
Baconthorpe, “Epheme- rides Carmeliticae,” 1948. A. Marer,
Zwei Grundprobleme.., cit., pp. 57 sgg., 191 sgg. Anastasio di S.
Paoro, in DHGE, VI, 87-90. B.
Smattey, /. Baconthorpe's postill on St. Matthew, “Med. Ren. Stud.,”
1958. Giovanni di ]andun Opere: De
laudibus Parisius; Commento all'Expositio problematum Aristotelis di
Pietro d’Abano; Commentari al De anima, De coelo et mundo, Physica,
Metaphysica di Aristotele e al De substantia orbis di Averroà. Avrebbe
inoltre scritto le seguenti opere di cui non è rimasta traccia:
667 Bibliografia Quaestiones de formatione foetus;
Quaestiones de gradibus et pluralitate formarum; Tractatus de specie
intelligibili; Duo tractatus de sensu agente. Edizioni: De anima,
Venezia, 1473; Physica, ivi, 1488; De Caelo et mundo, ivi, 1501; Parva
naturalia, ivi, 1505; Metaphysica, ivi, 1525; tutte più volte ristampate;
De substantia orbis, ivi, 1481; De laudibus Parisius, ed. Le Roux pe Lincy e TissERanT, in Paris et ses historiens
au XIV® et XV* siècles, Parigi, 1868, pp. 1-79. Bibliografia:
Cfr. Geyer, p. 786; De Wutr, III, p. 152. In particolare v.:
N. Vators, Jean de ]Jandun, in Histoire litt. de France, 33, Parigi,
1906, pp. 528-623. P. Dunem, Le système du monde, cit.,
IV, pp. 96-104; V, pp. 571-580; VI, pp. 534-536, 543-575.
E. Girson, É:udes de philosophie médiévale, Parigi, 1921, pp.
51-75. J. Rivière, in DThC, VIII, 764-765. M. Grasmann,
Mittelalterliches Geistesleben, cit., II. A. Marr, Die Vorliufer
Galileis..., cit., pp. 185 sgg. Ipem, An der Grenze von
Scholastik..., cit., pp. 42 sgg. . Dunem, Le système du monde,
cit., VIII, pp. 93-99, 104-106, 155-157, 263-265; IX, pp. 173-177,
387-389, 395-396; X, pp. 391-392. . Maurer,
John of Jandun and the Divine Causality, “Med. Stud.,” 1955. . THornpIKE,
Jean de Jandun on Gravitation, “Jour. Hist. Ideas,” 1958. .
GricnascHI, Il pensiero politico e religioso di Giovanni di ]andun,
“Bull. Ist. stor. ital. m. e.,” 1958. + PaccHi, Note sul Commento
al “De anima” di Giovanni di ]andun, “Riv. crit. st. filos.,”
1958-1959. lac] > zrp Taddeo da
Parma Opere: Commento al De anima; due Quaestiones disputatae;
Quaestio de augmento; Quaestio de elementis; Expositio sulla Theorica
planetarum di Gerardo da Cremona. Edizioni: Le “Quaestiones
de anima” di Taddeo da Parma, a cura di S. Vanni-RovicHi, Milano,
1951. Bibliografia: De Brie, n. 7672; De Wutr, III, p. 175.
In particolare v.: M. Grasmann, Mittelalt. Geistesleben,
cit., II, pp. 239-60. S. Vanni-RovicHi, La psicologia averroistica
di T. da P., “Riv. filos. neoscol.,” 1931, A. Marr, Ein
Beitrag zur Gesch. des italienischen Averroismus im XIV., Jahrh.,
“Quellen und Forsch. aus ital. Arch. u. Bibl.,” 1944, pp. 141 e
145. 668 Bibliografia Ipem, Die
Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 259-269. Ipem, An der Grenze von
Scholastik..., cit., pp. 103 sgg. Angelo d'Arezzo
Opere: Commento all'Isagoge; Commento alle Categorie (inediti).
Bibliografia: M. Grasmann, Mittelalt. Geistesleben, cit., II, pp.
261-271. Matteo da Gubbio Opere: Quaestiones;
Commento alle Meteore; Quaestiones de anima? (inedite).
Bibliografia: C. Piana, Contributo allo studio delle correnti dottrinali
nell'Univ. di Bo- logna nel sec. XIV,
“Ant.” 1948. A. Marr, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 257 sgg.
Urbano da Bologna Opere: Trattato sui Commenti
averroistici alla Physica. Edizioni: Venezia, 1492, con prefazione di
Nicoletto Vernia. Bibliografia: De Wutr, III, p. 172.
A. SorsetLI, Storia dell'Università di Bologna, 1, Bologna, 1940, p.
143. Pietro d’' Abano Opere: Conciliator
differentiarum phylosophorum et praecipue medi- corum; Liber
compilationis physonomiae; Expositio problematum Aristo- telis; Lucidator
astronomiae, ed altre inedite. Edizioni: Conciliator, Venezia,
1476; Liber.., ivi, 1482; Expositio, Padova. 1482; Lucidator, frammenti
in P. DuHEM, Le système du monde, IV, Pa- rigi, 1913, pp. 229-263.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 786; De Brie, nn. 6882-6883; De WuLF,
III, p. 175. S. FerrarI, / tempi, la vita, le dottrine di Pietro
d’Abano, Genova, 1900. Ipem, Per la biografia e per gli scritti di Pietro
d'Abano, “Mem. R. Accad. dei Lincei,” S. V, v. XV, 8, 1918.
B. Narpi, La teoria dell'anima e la generazione delle forme secondo
Pietro d'Abano, “Riv. filos. neosc.,” 1912. P. DuHem, Le système du monde, cit., IV, pp. 229-263;
VIII, pp. 164-166; IX, pp. 29-30, 150-155, 283-290; X, pp.
327-329. B. Narpi, Intorno alle dottrine
filosofiche di Pietro d’Abano, “N. Riv. stor.” 1920-1921.
669 Bibliografia Ipem, Dante e Pietro d'Abano,
in Saggi di filosofia dantesca, cit., pp. 43-65. L. THÒornpikE, A History of magic and experimental
Science, cit., Il, pp. 874-947 (con Bibl. completa
degli scritti). C. Gucon, Pietro d'Abano e l'averroismo padovano,
“Atti XXVI riunione Soc. ital. progr. sc.” Roma, 1938, pp. 334-339.
E. Troito, Averroismo e aristotelismo padovano, Padova, 1939.
Inem, Per l'averroismo padovano o veneto, “Atti R..Ist. Veneto,”
1939-1940. B. Narpi, Studi sull’aristotelismo padovano dal secolo
XIV al XVI, Firenze, 1958, pp. 1-74 (i due primi saggi, rivisti e
rielaborati). Cecco d'Ascoli Opere: L’Acerba; De
principiis astrologiae; De eccentricis et de epyciclis; Tractatus in
sphaeram. Edizioni: L’Acerba, a cura di P. Rosario, Lanciano, 1913;
di A. Crespi, Ascoli Piceno, 1927; De principiis..., ed. G. Borriro,
Firenze, 1905; De eccentricis..., ed. BorFITO, ibid., 1905.
Bibliografia: C. Casretti, La vita e le opere di Cecco
d'Ascoli, Bologna, 1892. V. PaoLETTI, Cecco d’Ascoli, Bologna,
1905. A. Beccaria, / biografi di Cecco d'Ascoli e le fonti per la sua
storia e la sua leggenda, “Mem. Acc. sc. di Torino,” S. II,
1915. Capitolo sesto Maestro Eckhart Opere:
"Tra le mumerose opere in latino e in volgare citiamo: Reden der
Unterscheidung; Collatio in librum Sententiarum; Tractatus super Oratione
dominica (tutti intorno al 1298); Quaestiones: Utrum in Deo, Utrum intel-
ligere Angeli; Utrum laus Dei (1302-1304); Quaestiones: Aliquem motum,
Utrum in corpore Christi (1311-1314); Buch der gottlichen Trostung; Ser-
mone vom dem edlen Menschen (1310-1313); Opus tripartitum; Opus expositionum
(Prologi, In Genesim 1) (I forma); In Exodum (I forma); In Eccl. c. XXIV,
In Sapientiam, In Genesim I (II forma); In Exodum (Il forma); In Genesim
Il; Liber parabolarum Genesis, In Johannem; Sermoni lat. e ted.
Edizioni: Le Opere latine a cura del DenirLE in “Arch. f. Liter.
und Kirchengesch. d. Mittelalters,” II, 1886; le Opere tedesche, già
edite a cura di F. PreiFrFer (in Deutsche Mystiker des-XIV Jahrh., II,
Gottinga, 1857), sono ora edite insieme alle latine da W. KoHLHAMMER, a
cura di K. Werss, J. Kock, K. Christ, E. Benz, J. Quint,
Stoccarda-Berlino, 1936 sgg. Un’al- 670
Bibliografia tra ed. delle op. latine a cura di G. THfry e di R.
KLIBANSKI, Lipsia, 1934- 1936 si è fermata al f. III. Tra le tradd. it.
ricordiamo: Prediche e trattati, a cura di G. C. con intr. di E.
Buonaruti, Bologna, 1928 e l’ant. La nascita eterna (con testi a fronte)
a cura di G. Faccin, Firenze, 1953. Per altre edizioni particolari
di testi e documenti cfr.: G. Tufry, Édition critique des pièces
relatives au procès d'Eckhart, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,” 1926-1927; Le Commentaire de
M. E. sur le livre de la Sagesse, ibidem, 1928-1929. E.
Loncpré, Questions inédites de M. E., “Rev. Néoscol. Philos.,” 1927.
Neuaufgefundene Pariser Questionen M. E. und ihre Stellung in
seinem geistigen Entwicklungsgange, a cura di E. LoncpPré e di M.
GRABMANN, “Abhandl. Bayer. Akad. Philos. Kl.,” XXXII, 7, Monaco,
1927. B. GevER, Quaestiones et sermo parisienses, Bonn, 1931.
Bibliografia: Per l’amplissima bibl. cfr. Gever, pp. 779-780; De
BRIE, nn. 3661, 6885-6987, 7406, 7553, 9477, 22216; De Wutr, II, pp.
350-352. Cfr. anche G. Faccin, M. E. e la mistica preprotestante, Milano,
1946. Ci limitiamo qui a citare:
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1922. V. LeHMmann, Meist. Eckhart, Jena, 1919. O. Karrer,
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nuova ediz. a cura di O. Spiess, Friburgo, 1951. 671
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cura di R. Sparni-PisanEscHI, Torino, 1936; Il libro della saggezza
eterna, Milano, -1942. Cfr. inoltre: D. Pranzer, Der Textgeschichte und
Textkritik des Horologium Sapientiae des sel. Heinrich Seuse, “Div. Th.”
(F.), 1934. Bibliografia: cfr. G. Faccin, Meister Eckhart e la
mistica tedesca prepro- testante, cit., pp. 386-389. E cfr. Geyer, p.
790; De Brie, nn. 7284-7289; De Wutr, Til, p. 196. In
particolare: S. HaHn, H. Susos Bedeutung als Philosoph, “Beitrige,
Suppl. 1,” Miinster, 1913.
X. De Hornstern, Les grands mystiques allemands..., cit.
Ipem, Le b. Henri Suse, “Rev. tom.,” 1922. E. Levasti, Enrico
Seuse, “Riv. filos. neosc.,” 1923. R. ScHwarz, Das Christusbild des
deutsch. mystikers H. Suso, Bamberga, 1934. U. Wermann, Die Seusesche Mystik und ihre Wirkung auf
die bildende Kunst, Berlino, 1938. C. Gròser, Der Mystiker Hein. Seuse, Friburgo,
1941. J. AnceLET-HusracHe, Le 5. H. Suse, Parigi, 1943. J. A.
Bizet, Henry Suso et le déclin de la Scholastique, Parigi, 1946.
673 43. Bibliografia M. De Ganpittac, De
Johann Tauler è Heinrich Sceuse..., cit., “Étud. Germaniques,”
1950. Cfr. inoltre: J. H. NicoLas, Études sur Susé, “Rev. thom.,”
1949. Giovanni Ruysbroeck Opere:
Trattati in dialetto fiammingo tra i quali particolarmente impor- tanti:
// regno degli amanti di Dio; Le nozze spirituali; Lo specchio della
salute eterna; Il libro della più alta verità; Il libro dei dodici
beghini. Edizioni: Werken, ed. compl., Anversa, 1944-1948?; tr.
it. Lo specchio dell'eterna salute, in F. Fori, Vita e dottrina del b.
Giovanni Ruysbroeck, Roma, 1909; L'ornamento delle nozze spirituali, tr.
D. GruLiorti, Lanciano, 1916; Pagine scelte, tr. di G. Mariani, Milano,
1929; Gradi dell'amore spi- rituale (col titolo Vita e dottrina del b. G.
Ruisbrochio), tr. F. N., To rino, 1930; tr. franc.:
Oeuvres de Ruysbroeck l’Admirable, Bruxelles, 1915- 1938. Bibliografia:
La bibl. completa fino al 1931 in: Jan van Ruysbroeck. Leven, Werken, Malines-Amsterdam, 1931; cfr.
GEYER, pp. 790-791; Dr Brie, nn. 7277-7283; De Wutr, III p. 196.
Cfr. inoltre: G. DoLezicH, Die Mystik J. v. Ruysbroeck de:
Wunderbaren, “Breslauer Stud. z. hist. Theol.,” 1926. V. Van De Voorne, Ruusbroec en
de geest der mystick, Anversa, 1934. L. Bricuf, in DHhC, XIV,
408-420. A. Comes, Essai sur la critique de Ruysbroeck par Gerson,
Parigi, 1945- 1948. A. Ampe, Kernproblemen uit de leer van
Ruysbroeck, Tielt, 1950-52. P. Henry, La mistique trinitaire du
Bienheureux Jean Ruusbroec, “Rech. sc. relig.,” 1952.
Per Gerardo di Groot vedasi: Gerardi Magni Epistolae, a cura di W.
MurLper, Anversa, 1933; Chronica Montis Sanctae Agnesis, a cura di M. J.
Pont, Opere di Tommaso da Kempis, VII, Friburgo, 1922; R. D. Post,
De Moderne Devotie, Geert Groote en zijne stithtingen, Amsterdam,
1940. Per il Francofortese o Deutsche Theologie cfr. l’ed.
Un, Berlino, 1926 (tr. ital. a cura di G. Prezzolini). La bibl., in
Faccin, Giovanni Eckhart e la mistica preprotestante..., cit; e cfr. C.
VasoLi, La “Teologia tedesca” in “Riv. crit. st. filos,” 1953.
674 Bibliografia Capitolo settimo Giovanni
Wycliff d Opere: De ideis; Tractatus de logica; Summa de ente
(tutti prima del 1374); De dominio divino (1375); De civili dominio
(1376); De veritate Scrip- turae; De Ecclesia; De officio regis (tutte
intorno al 1378); De potestate Papae; De ordine christiano; De apostasia;
De eucharestia (1379); Trialogus (1382), ed altri scritti minori
filosofici e teologico-politici. Edizioni: La Opera a cura della
“Wycliff Society” di Londra in 36 voll., 1883 sgg.; il Trialogus anche
nell’ed. LecHLER, Oxford, 1869; la Summa de ente (L. 1, tr. 1-2), Londra,
Sul significato e l’opera storica di W. cfr. soprattutto B. L. Mannino,
in Cambridge medieval History, VII, Cambridge, 1932, c. 16 e ampia bibl.
a pp. 900-907. Inoltre cfr.: R. L. Poore,
Wicliff and the movements for Reform, Londra, 1889. J. GarronER, Lollardy
and the Reformation in England, Londra, 1908. J. LosertH, Wiclif und der
Wiclifismus, “Realencycl. f. prot. Theol. u. Kirche,”
XXI, 225-244 (con ampia bibl.). H. B. Workman, /. Wiclif. A Study of the English medieval Church,
Oxford, 1926. S. H. TÒÙomson, A /ost chapter of Wiclif “Summa
de ente” Cambridge, 1929. Inpem, The philosophical
basis of Wiclif theology, “Jour. of relig.,” 1931. I. H. STEIN,
Another “lost” chapter of Wiclif “Summa de ente” Spec.” 1933. L. Baupry, A propos de Guillaume d'Ockham et de Wiclif,
“Arch. Hist. doctr. litt. m.-.,”
1939. L. Cristiani, in DThC, XV, 3585-614. W. Lanc,
Glauben und Wissen bei Pecok und Wicliff, Diesdorf, 1940. J. B. Mc
Fartane, Wiclif and the Beginnings of English nonconformity, Londra,
1952. Giovanni Huss Opere: Cfr.
l'Opera Omnia, ed. V. FLAsJHANS - M. KominskovA, Praga, 1903-1908; v.
anche: /. Hus et Hieronimi Pragensis martyrum Christi historia et
monumenta, a cura di FLacio ILLiRIco, Norimberga, 1589. L. KruMmmEL, Geschichte der bbemischer Reformation,
Gotha, 1866. J. LoserTH, Hus und Wicliff zur Genesis des husitisch.
Lehre, Praga, 1884, Monaco, 1952.? G. LecHier, Johannes Huss,
Halle, 1890. 675 Bibliografia F. Lirzow,
Life and times of master J. Huss, 1909. D. S. ScHarr, /. Huss. His
Life, Teaching and Death after five hundred years, New York, 1915.
A. Haucx, Srudien zu J. Huss, Lipsia, 1916. F. EurLE, Der
Sentenzekommentar Peters von Candia, cit., pp. 20, 146, 182. P.
MoncetLe, in DThC, VII, 333-346. F. Srrunz, /. Hus, sein leben und
sein Werk, Monaco, 1927. H. ZarscHEK, Studien z. Gesch. der Prager
Universitàt, “Mitt. des Vereins f. Gesch. deutsch. Sudetenlinders,”
1940. D. Trapp, Clem. 27034. Unchiristened Nominalism and
Wycliffite realism at Prague um 1381, “Rech. théol. anc. méd.,”
1957. Capitolo ottavo Nicola
Oresme Opere: 1) Commento alle Sentenze (perduto, tranne il De
communica- tione idiomatum (Il. III);
2) Quaestiones su Euclide; 3) Tractatus de configu- rationibus formarum;
4) Parafrasi francesi di Politica, Economica, Etica di AristotELE; 5)
Livre du ciel et du monde; 6) Traicté de la prémière in- vention de la
monnaie; 7) Traicté de la sphère; 8) Commentaire aux livres du ciel et du
monde; 8) Commenti alla Physica ed ai Metereologica. Edizioni:
4) Parigi 1486 (Politica ed Economica), Parigi, 1488 (Etica); della
parafrasi all’Etica cfr. ed. A. D. MenuT, New York, 1940 e dell’Econo-
mica l’ed. A. D. MEnUT, Filadelfia, 1957; 5) ed. A.
D. MenUT - A. J. DenoMy, in “Med. Stud.,” IIL-V, 1941-43; 6) ed. L.
Wotowsxi, Parigi, 1864; ed. C. Jonnson, Edimburgo, 1956; 7) Parigi,
1508. Bibliografia: La bibl. generale in GEveR, p. 784; De Brie,
nn. 7558-7563; De Wuctr, III, pp. 152-153. In particolare v.: E. Bripey, N. Oresme. La
théorie de la monnaie au XIV siècle, Parigi, 1906. P. Dunem, Études
sur Léonard, cit., III, pp. 346-405; 481-492. Inem, Le système du
monde, cit. IV, pp. 157-164; VI, pp. 698-729; VII, pp. 86-87, 152-154,
297-301, 534-569, 583-586, 600-602, 614-615, 624-626, 637-640; VII, pp.
215-216, 219-220, 299-305, 318-319, 341-345, 448-454, ° 461-484,
489-491, 499.500; IX, pp. 202-205, 209-210, 306-309, 326-327, 341-345,
350-356, 359-408; X, pp. 44-45, 93-95, 111-112, 319-323, 333-337. H. WiecertNnEr, N. Oresme und die graphische
Darstellung der Spàtscho- lastik, “Natur u. Kultur,” 1916-1917.
H. DincLer, Ueber die Stellung von N.s Oresme in der Geschichte der
Wissenschaften, “Philos. Jahrb.,” 1932. THorNDIKE, History of
magic and experimental Science, III, New York, 1934, pp. 398-471. .
BorcHerRT, Die Lehre von der Bewegung bei N. Oresme (“Beitrige,” XXXI,
3), Miinster, 1934. . THoRrNDIKE, Celestinus, Summary of Nicols Oresme,
“Osiris,” 1936. . G. Kaiser, Before Copernicus, Nicolaus of Oresme,
“America,” t. 69, n. 7. . BocHERT, in (“Beitrige,y” XXXV, 4-5), Miinster,
1940 (con led. del De communicatione idiomatum). A. Mar, Die
Vorliufer Galileis..., cit, pp. 21-24, 101-103, 123-131. IneMm, Zwei
Grundprobleme.., cit., pp. 81-87, 89-109, 236-258, 264-276. Ipem, An der
Grenze von Scholastik..., cit, pp. 122-125, 129-IpeM, Metaphys. Hintergriinde
der spatscholastischen Naturphilosophie, Ro- ma, }955, pp. 27 sgg.
L. THoRrNpIKE, Oresme and XIV Century commentaries on “Metereologica,”
“Isis,” 1954. O. PepersEN, Nicole
Oresme og hans naturfilosofiste system, Copenhagen, 1956. R.
MarzHIEU, dd la recherche du “De Anima” de Nic. Oresme, “Arch. Hist.
doct. litt. m. à.,”° 1956. V. Zousov, Sur un écrit faussement attribué a
N. Oresme, [De instan- tibus)ì, “Arch. Hist. doctr. litt. m. à.,°
1958. Ipem, L'“inter omnes impressiones” de Nicole d'Oresme, (con testo)
“Arch. Hist. doct. litt. m. d.,” 1959. ore mm
ce Alberto di Sassonia Opere: Tractatus logicace;
Quaestiones in logicam Guill. Occam; So- phismata; Tractatus
proportionum; Tractatus de quadratura circuli; Quaestio de proportione
diametri quadrati ad costam ciusdem; Post. Analyticos; Quaestiones super
octo ll. Physicorum; In libros de coelo et mundo; De generatione et
corruptione; Ezxpositio super decem ll. Ethicorum
Aristotelis; De sensu et de sensato. Edd. v. GEvER, p. 596.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 784; De Wutr, III, p. 153. Vedi in
particolare: M. JuLLian, Un scolastique de la décadence, Albert de
Sore, “Rev. August,” 1910. P. Dunem, Ezudes sur Léonard,
cit., pp. 334-338, 341-344; II e III, passim. Ipem, Le système du
monde, cit., IV, -pp. 151-157, 167-171, 284-286; VII, pp. 80-88, 148-152,
155-157, 279-290, 356-362, 399-403, 474-488, 531-532, 550-552, 565-569,
580-581; VIII, pp. 56-57, 102-110, 158-160, 215-225, 287-299, 308-309,
313-314, 318-319, 341-342; IX, pp. 205-223, 233-234, 309-314, 325-327,
355-362, 394-399, 426-430; X, pp. 67-73, 77-81, 85-89, 103-105, 111-112,
206-209, 228-229, 395-399, 434-438. 677
Bibliografia G. Hripinesrerper, Albert von S.; ein Lebensgang und
sein Kommentar z. Nikom. Ethik Aristot. (“Beitrige,” XXII, 3-4),
Miinster, 1921 2 ed., 1927. K. MicHatski, Le criticisme et le
scepticisme dans la philosophie du XIV° stècle, cit. IneM, La
physique nouvelle et les différents courants philosophiques.., cit.
A. Mar, Die Vorlaufer Galileis..., cit., passim. Inem, Zwei
Grundprobleme..., cit., passim. Inem, An der Grenze von
Scholastik..., cit., passim. Per gli scritti
matematici: B. Boncompacni, Intorno al “Tractatus proportionum” di
Alberto di Sas- sonia, “Bull. di bibl. stor. scienze nat. fis.,”
1871. H. Sutez, Der “Tractatus de quadratura
circuli” des Albert d. S., “Zeitschr. f.
Mathem. u. Phys.” 1884. IneMm, Die Quaestio de proportione diametri
quadrati ad costam eiusdem, ibidem, 1887. Marsilio di
Inghen Opere: 1) Textus dialectices de suppositionibus; 2)
Expositio super Analyt. post.; 3) Abbreviationes libri Physicorum
Aristotelis; 4) Quaestiones subti- lissimae super VIII libros physicorum
secundum nominalium viam; 5) Quaestiones de gencratione et corruptione;
6) Quaestiones super IV. Il. Sententiarum. Edizioni: 1)
Vienna, 1512, 1516; 2) Venezia, 1516; 3) s. l., 1490 ca.; 4) Lione,
1518; Venezia, 1617 (sotto il nome di Duns Scoto, c quindi
inserite, nel 1639 nella ed. delle sue opere); 5) Venezia, 1518;
Strasbur- go, 1501: Bibliografia: cfr. Gever, p. 785;
De BRIE, n. 7647. P. Dunem,
Érudes sur Léonard, cit., II, pp. 403-405. Ipem, Le système du
monde, cit., IV, pp. 164-168; VII, pp. 40-41, 87-88, 154-157, 285-290,
361-362, 400-401, 565-569; VIII, pp. 56-57, 83-84, 102-104, 126-129,
155-156, 215-216, 220-225, 307-316; IX, pp. 223-227; X, pp. 104-105,
136-137, 142-147, 215-216. K. MicHasri, Les courants
philosophiques..., cit. Inem, Le criticisme et le scepticisme...,
cit. F. EHnLE, Der Sentenzentommentar Peters von Candia, cit.,
passim. G. Ritter, Studien 2. Spétscholastik, I. M. von Inghen und
die Okkam Schule in Deutschland, Vienna, 1940. A.
Ma:ER, Die Vorlàufer Galileis..., cit., passim. Iper, Zwei
Grundprobleme..., cit., p. 275 sgg. Iprm, An der Grenze von
Scholastik..., cit., passim. 678 Bibliografia
Enrico di Hainbuch Opere: Fil. teol: De reductione
effectuum; De habitudine causarum; Contra astrologos; Commento alle
Sentenze; Commentario alla Genesi. Ca-
nonistiche: Tractatus de contractibus emptionis et venditionis; Epistula
de contractibus emptionis et venditionis ad consules viennenses. Politico
religiose: Epistula pacis; Consilium pacis. Ascetiche: Speculum animae;
De contempu mundi. Edd., trad. v. GEYER, p. 604.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 785; DE Wes, III, p. 188. In particolare v.: O. Harrwic, Leben und
Schriften des H. von Langestein, 1858. J. AscHsacH, Geschichte der
Wiener Universitàt, Vienna, 1865, pp. 366-402. F. W. Rorx, Zur
Bibliographie des H. Hainbuch de Hassia dictus de Langestein, “Beihefte
zum Zentralblatt fiir Bibliothekswesen,” I, 1888- 1889. H.
Pruckner, Studien zu den astrologischen Schriften des H. von Lang-
estein, Lipsia, 1933. A. Maier, Zwei Gundprobleme..., cit., pp. 288
sgg. P. Dunem, Le système du monde, cit., VII, pp.
569-575, 585-599; VIII, pp. 160-161, 223-224, 489-491; X, pp. 138-141,
352-353. Enrico Totting di Oyta Opere: 1) Commentario
alle Sentenze; 2) Tractatus moralis de contrac- tibus reddituum annuorum;
3) Quaestiones logicae super Porphyrium; Tres libri philosophici de
anima, o Magistrales tractatus de anima et potentiis eius. Edizioni:
2) Parigi, 1506; la Quaestio de Sacra Scriptura nell’ed. crit. di A.
Lanc, Miinster, 1953. Bibliografia: J. AscHsacH, Geschichte
d. Wiener Universitàt, cit., pp. 402-407. G. SoMMERFELDT, in “Mitt. d.
Institut f. Gsterreis. Geschichtsforsch.,” 1904, pp. 376-604. P.
Dunem, Le système du monde, cit., IV, pp. 132-133; X, pp. 134, 139, 141. K. MicHar.sKi, Le criticisme et le scepticisme...,
cit. . EnrLE, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia, cit., . Lane, H. Totting von Oyta, (“Beitrige,” XXXIII, 4-5),
Miinster, 1937. . Rucker, Zum Problematik der Spatscholastik, “Theol.
Rev.,” 1938. . Decker, Ein fundamentaltheologischer Traktat des
mittelalters CH. Totting v. Oyta, “Quaestiones super libros
Sententiarum”], “Wiss. Weish,” 1955. La
bibl. generale, in GevER, p. 786; De Brie, nn. 7527, 7649.
Dv» 679 Bibliografia Guglielmo
Heytesbury Opere: Le sue numerose opere di logica sono pubblicate
sotto il titolo: Tractatus Guillelmi Heutisberi de sensu, composito et
diviso; Regulae ciusdem cum sophismatibus (con una Declaratio e Expositio
litteralis di Gaetano da Tiene); Tractatus Heutisberi de veritate et
falsitate proposi- tionis, Venezia, 1494, Bibliografia:
C. PrantL, Gesch. d. Logik., cit., IV, pp. 83-93. P. DuHem, Études sur Léonard, III, pp. 406-408;
468-471. A. Marr, Die Vorliufer Galileis..., cit., pp. 4, 75, 96,
114, 192. Inpem, An der Grenze von Scholastik...,
cit., pp. 265 sgg., 286 sgg. C.
Wison, W. Heitesbury..., Madison, 1956. P. DuHEMm, Le système du
monde, cit., VII, pp. 84-87, 602-604, 614-615, 620-645.
Riccardo Swineshead i Opere: Commento alle Sentenze; De
insolubilibus; Obligationes; De motibus naturalibus; Calculationes.
Edizioni: Calculationes, Padova, 1480, ecc.
Bibliografia: P. DuHem, Études sur Léonard, cit., III, pp. 406-408,
413-420, 468-474. K. MicHaLsxki, Le criticisme et le scepticisme..,
cit. A. Maier, Die Vorlaufer Galileis..., cit., pp. 49 sgg., 99
sgg. IneMm, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 234 sgg.
InpeM, An der Grenze von Scholastik..., cit., pp. 268 sgg., 281
sgg. M. CLacett, R. Swineshead and late medieval physic, “Osiris,”
1951. P. DuHEm, Le système du monde, cit., VII, pp. 76-80, 608-615,
621-622, 627-631, 643-645. Sui Calculatores di Merton
College cfr. inoltre sotto la bibl. generale alla voce “Scienze,” in
particolare il testo di A. C. CromBIE, Augustine t0 Galileo, cit. pp. ed.
L. THornpikE, A History of magic and
experimental science, cit., III, pp. 370-385. Biagio
Pelacani Opere: Quaestiones de latitudinibus formarum; Quaestio de
tactu cor- porum durorum; Quaestiones sull’ottica. Edizioni:
Padova 1482, 1486, Venezia 1505 insieme alla Quaestio de modalibus di
Bassano Potito; in F. Amopro, Riproduzione delle Quaestio- nes de
latitudinibus formarum, in “Annali Ist. tecn. G. B. Della Porta,”
680 Bibliografia 1907, Napoli, 1909. Per le
Quaestiones sull’ottica v.: Questioni inedite di ottica di Biagio
Pelacani a cura di F. ALessio, “Riv. crit. st. filos.,” 1961.
Bibliografia: F. Amopro, Appunti su Biagio Pelacani da Parma, in
“Atti del IV Congr. dei Matematici,” III, Roma, 1909.
L. THorNDIKE, A History of magic and experimental science, cit., IV,
pp. 65 sgg. P. DuHem, Le système du
monde, cit., IV, pp. 278-280, 289-290; VIII, p. 213; IX, p. 185; X, p.
200. A. Mater, Die Vorliufer Galileis..., cit, pp. 5, 75, 104 sgg.,
176, 279 sgg. Ipem, Zwei Grundprobleme..., cit., pp. 270 sgg.
Ipem, An der Grenze von Scholastik...,
cit., pp. 263, 275 sgg., 383. E. A. Moopy-M. CLacett, The mediaeval
science of weights (Scientia de ponderibusì..., cit. M.
CLacett, The science of mechanics in the middle age, cit. G.
Feperici-VescoviNI, Problemi di fisica aristotelica in un maestro del
sec. XIV: Biagio Pelacani da Parma “Riv. filos.,” 1960.
Conclusione Pietro d' Ailly Opere: Scrisse 174 opere
solo in parte edite. Alcune tra le minori sono state pubblicate da L.
DupPin nell’ed. delle Opera di Giovanni Gerson, e talune addirittura
attribuite allo stesso Gerson (Opera, voll. 5, Anversa, 1705); altre
opere minori sono state pubblicate da L. SaLeMBIER in “Rev. des Scien.
ecclés.,” 1889. Delle opere scientifiche, filosofiche e religiose del
d’Ailly alcune hanno avuto numerose edd. nei secc. XV e XVI (cfr. L. SaLEMBIER, Bibliographie des
Oeuvres du cardinal P. d'Ailly, évéque de Cambrai (1350-1420), Compiègne,
1909 e Les oeuvres francaises du card. Pierre
d’Ailly, Arras, 1908. L’opera filosofica più importante è costituita dal-
le Quaestiones super I, IIl, IV Sententiarum, Bruxelles, 1474, 1500.
Altri scritti di notevole interesse filosofico: De anima, De legibus et
sectis contra superstitiosos astronomos (in Gerson, Opera, ed. cit., 1);
Viginti- loquium de concordia astronomiae cum theologia (Venezia, 14%); e
l’Imago mundi (ed. E. Buron, Gembloux-Parigi, 1930). ‘
Bibliografia: cfr. GeyER, pp. 184-185; De Brie, nn. 7582-7583; DE WuLF,
HI, p. 154. : 681 Bibliografia In
particolare vedi: L. SaLEMBIER, Le Card. Pierre d'Ailly, Mons-en-Barouel, 1932. Ipem,
in DThC, I, 642-654. Ioem, in DHGE, I, 1154-1165. M. De
Ganpittac, Usage et valeurs des arguments probables chez Pierre d'Ailly,
“Arch. Hist. doctr. litt. m. 8.” 1933.
A. E. Roserts, The theories of Pierre d'Ailly concerning forms of govern-
ment in Church and State, “Bull. Inst. hist. research,” 1932. Ipem,
Pierre d’Ailly and the Council of Constance: A study in “Ockamiste theory
and practice” “Trans. R. Hist. Soc.,” 1935. ]. P. Mc Gowan, Pierre
d'Ailly and the council of Constance, Washington, 1936. P. DuHEM, Le système du monde, cit., pp. 168-183; VII,
pp. 197-202; VIII, pp. 454-455, 493-495; IX, pp. 76-78, 231-234, 357-359;
X, pp. 7-8, 27-30, 39-40, 49-50, 87-90, 349-350. Pietro
Di Candia Opera: Commento alle Sentenze (inedito).
Bibliografia: F. Exte, Der Sentenzkommentar Peters von Candia, des
Pisaner Papstes Alexander V, “Franz. Stud.,”
Beiheft IX, 1925. A. Maier, An der Grenze von Scholastik..., cit.,
pp. 209 sgg. P. Dunem, Le système du monde,
cit., VIII, pp. 113-120. Giovanni Gerson Opere: Tra
le sue numerose opere ricordiamo qui particolarmente: Centiloquium de
conceptibus; Centiloquium de causa finali; De concor- dantia metaphysicae
cum logica (1426); De modis significandis; De parvulis ad Christum
trahendis; Lectiones duae contra vanam curiositatem; Super canticum
canticorum; Commento alle Sentenze (ancora inedito). Edizioni:
Opera omnia, ed. E..Dupin, voll. 5, Anversa, 1706, rist. L’Aja, 1727; le
Notulae super quaedam verba Dionysi, in A. ComBes, ]. Gerson Commentateur
dionysien, Parigi, 1940. È ora in corso l’ed. crit. dell'Opera Omnia a
cura di P. GLorieux, Parigi, 1961 sgg. Cfr. inoltre l’ed. del De Mystica
Theologia, sempre a cura del Comes, nel “Tesaurus mundi,” 1958.
Bibliografia: cfr. Gever, p. 791; De Brie, nn. 7589-7601; DE WuLr, III,
p. 154. In particolare si veda: J. B. ScHwag, Johannes
Gerson, Wiirzburg, 1858. A. J.
Masson, /. Gerson, sa vie, son temps, ses ocuvres, Lione, 1894. J.
STELZENBERGER, Die mystik des J. Gerson, Breslavia, 1928.
682 Bibliografia L. SaLemBier, in DHhC, VI,
1313-1330. J. L. Connoiy, John Gerson, Reformator and Mystic,
Lovanio, 1928 (con ricca bibl.). W. Dress, De theologia
Gersoni, Giitersloh, 1931. C. ScHnàrer, Die Staatslehre, de Jean
Gerson, Colonia, 1935. A. Comes, Études Gersoniennes, “Arch. Hist.
doctr. litt. m. 8.,” 1939, 1943-45 (con particolare riferimento al
Commento alle sentenze). J.
ScHnEMER, Die Verpflichtung des menschliches Gesetzes nach ]. Gerson,
“Zeitschr. f. kathol. Theol.,” 1953. L. VerEECKE, Droit et morale chez Jean Gerson, “Rev.
hist. droit. frane. et étran.,” 1954. P. GLorieux, Autour de
la liste des ocuvres de Gerson, “Rech. théol. anc. méd.,” 1955.
P. DuHem, Le système du monde, cit., VI, pp. 225-227; VII, pp.
495-500; X, pp. 11-12, 33-41, 178-179. Sulla
crisi della cultura medioevale alla fine del XIV secolo cfr. inoltre
particolarmente: E. Garin, La crisi del pensiero medioevale, in Medioevo
e Rinascimento. Studi e ricerche, Bari, 1954, pp. 13-47.
683 Indice delle sigle delle riviste maggiormente citate
Ang. = Angelicum Ant. = Antonianum Arch. fratr.
praed. = Archivum Fratrum Praedicatorum Arch. Hist. doctr. litt. m.
à. = Archives d’Histoire doctrinale et lit- téraire du moyen
fge. Arch. st. filo... = Archivio di storia della filosofia.
Aug. = Augustiniana. Cîteaux
Nederl. = Cîteaux in de Nederlanden Collect. franc. = Collectanea
franciscana Div. Th. (F...
= Divus Thomas (Friburgo) Div. Th. (P.) = Divus Thomas
(Piacenza) Engl. Hist. Rev. = English Historical Review
Est. eccles. = Estudios ecclesiasticos France franc. = France
franciscaine Franc. stud. = Franciscan Studies Franz.
stud. = Franziskanische Studien Gior. crit. filos. ital = Giornale
critico della filosofia italiana Greg. = Gregorianum Hist.
Jahrb. = Historisches Jahrbuch Jour. theol. stud. = Journal of
theological Studies Italia franc. = Italia francescana Med.
ren. stud. = Mediaeval and Renaissance Studies Med. stud. =
ediaeval Studies Misc. franc. = Miscellanea francescana
Mod. school. = The Modern Schoolman 685 Indice
delle sigle delle riviste maggiormente citate N. Arch. = Neues Archiv N. Scholl. = The new
Scholasticism Philos. Jahrb. = The Philosophical Review
Rech. théol. anc. méd. =
Recherches de théologie ancienne et médiévale. Rech. sc. relig. =
Recherches de sciences réligieuses Rev. august. = Revue
augustinienne Rev. bénédict. = Revue bénédictine Rev.
hist. ecclés. Rev. hist. Philos. Revue d’histoire
ecclésiastique Revue d’histoire de la philosophie Rev.
metaph. = Revue de metaphysique Rev. m. à. lat. = Revue du moyen fge
latin Rev. néosc. philos. = Revue néoscolastique de philosophie
Rev. philos. Louvain = Revue philosophique de Louvain Rev.
sc. philos. théol. = Revue des sciences philosophiques et théologiques
Rev. thom. = Revue thomiste Riv. crit. st. filos. =
Rivista critica di storia della filosofia Riv. filos. = Rivista di
filosofia Riv. filos. neosc. = Rivista di filosofia
neoscolastica Riv. st. ita. = Rivista storica italiana
Riv. stud. orient. = Rivista di studi orientali Schol. =
Scholastik Spec. = Speculum Stud. franc. = Studi francescani Theol. Quart. = The
theological Quarterly Theol. Rev. = The theological Review Theol.
Zeitschr. = Theologische Zeitschrift Wiss. Weiss = Wissenschaft
und Weisheit Zeitschr. f. kathol. Theol. = Zeitschrift fir
katholische Theologie Zeitsch. f. Kirchengesch. = Zeitschrift fir
Kirchengeschichte Cesare Vasoli. Vasoli.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vasoli,” pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Vasoli.
Luigi
Speranza -- Grice e Vatinio: la ragione conversazionale a Roma – l’implictaura
conversazionale della setta di Crotone -- filosofia italiana – By Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo
italiano. A politician, supporter of GIULIO (vedi) CESARE and a friend of CICERONE,
who at different times, attacks and defends him. V. calls himself a
Pythagorean, but Cicerone questions V’s right to do so on account of his
dubious behaviour. Publio Vatinio. Keywords: Roma antica. Per H. P. Grice’s
Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Luigi Speranza: Grice e Vattimo: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’implicatvm o
impiegato come comunicatvm debole – la scuola di Torino – filosofia torinese –
filosofia piemontese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese.
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Essential Italian
philosopher. Grice:
“It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’
and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’
is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ –
Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima della forza
conversazionale” – Filosofo italiano. -- not one that provinicial Beaney would
include in his handbooks and dictionaries. Vattimo’s philosophy shares quite a
bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and Grice may
testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and one of his
essays is on the subject and the maskanother on reality. There is a
volume in his honour. Participante del Foro Internacional por la Emancipación y la Igualdad. Partito Comunista. In precedenza: DS PdCI IdV
Indipendente. Laurea in Filosofia. Torino. Filosofo, professore universitario. Tra
i massimi esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore della filosofia
debole. Il padre è un poliziotto calabrese, che muore quando V. ha I anno
e mezzo. La madre è una sarta. Ha una sorella di otto anni più grande. Durante
la guerra si trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per II anni e
ritornando a Torino. Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella
Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del
movimento diretta da Straniero. Si autodefine come un cattolico militante,
influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos,
portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico,
l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx. Allievo di PAREYSON (vedi)
assieme a ECO (vedi) con cui ha condiviso amicizia e interessi, si laurea in
filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Consegue la
specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto la
filosofia in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica a Torino,
nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. Ordinario di
filosofia teoretica presso la stessa università. Professore emerito, titolo che
non gli precluse lo svolgimento d’eventuali attività didattiche presso la suddetta
università. Idea e condotto su Raitre il programma di divulgazione filosofica “La
clessidra.” Insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto
seminari in diversi atenei del mondo. Direttore della Rivista di estetica,
membro di comitati scientifici di varie riviste, socio corrispondente
dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani
La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Dirige la rivista
Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica edita da Aracne Editrice.
Per i suoi saggi riceve lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e
Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Svolge attività
politica in diverse formazioni: nel Partito Radicale, Alleanza per Torino, Democratici
di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei
Comunisti Italiani. Candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina
calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la degenerazione
intellettuale che affligge quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo
turno. Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste
dell'Italia dei Valori di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini
comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest. Nel giorno
dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al
Partito Comunista. Il suo ideale politico-religioso si riassume in una
forma da lui definita comunismo cristiano e comunismo ermeneutico, un' ideale
anti-dogmatico di comunismo debole nel pensiero e nell'essere, che si ispira
alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone
alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in
genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore
di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza. Accusato
di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di
banche. "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild.
Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusa di
anti-semitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che
non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione
squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in
Italia, corrobora queste accuse, tacciando V. di antisemitismo. Rilascia
un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele
«bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù». La
dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha
suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di
posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con
l’anti-semitismo. In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha
espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una
montatura. Afferma inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del
male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una
statuetta. Si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una
propria interpretazione, che chiama “debolita”, in contrapposizione con le
diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'hegelismo con la sua
dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo.
Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni
filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore
consiste proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore
consiste proprio nella volontà di rifondare fundamenta inconcussa che non vi possono
essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il
peso dell'errore, ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e
umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non
viceversa. La debolita è la chiave per la democratizzazione della società,
la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della
tolleranza. In questa maniera deve essere almeno segnalata la grande e decisiva
importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette
all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani
(dall'etica, alla politica, dalla religione -- l'indebolimento del divino alla
teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con i suoi saggi
come “Credere di credere” rivendica alla
proprio filosofia anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la
postmodernità. Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro PAREYSON
e di Quinzio, V. rifiuta l'identificazione del divino nell'essere razionale,
così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di PAREYSON e Quinzio, però, non condivide la visione
religiosa tragica. Suggestionato da Girard, V. legge la vicenda di Cristo come
rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis -- lett.
svuotamento -- divina è a vantaggio della libertà e della pace umana. Le posizioni
di V. rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica
dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona
il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone
positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un
ritorno al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli
sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare
dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le
precedenti posizioni, V. rivendica la continuità delle nuove scelte con il
processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di
"molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un
"Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare
la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni
tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una
tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una
prospettiva politica concreta. V. ha anche espresso posizioni
ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. In un'epoca
in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari
possibilità di sopravvivenza -- la fame, la morte atomica, l'inquinamento -- la
nostra radicale fratellanza con gl’animali si presenta in una luce più
immediata ed evidente. Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro,
contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali
negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa
una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non
necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia
sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per V. il non
riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva,
porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.
Il compagno di V., Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai
polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo portan nei Paesi Bassi per
effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso
V. Collabora con vari quotidiani (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il
Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di
attualità, politica e cultura. Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele”
(Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger” (Filosofia, Torino);
“Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia,
Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano); “Introduzione
ad Heidegger” (Laterza, Roma); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano);
“Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli,
Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); Vattimo e Rovatti); “La
fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche (Laterza,
Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica
dell'interpretazione” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Filosofia al presente”
(Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di
credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo”
(Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed
esistenza: una mappa filosofica” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per
un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed
emancipazione. Etica, politica e diritto, Zabala” (Garzanti, Milano); “Il
socialismo ossia l'Europa” (Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala,
Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e
relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio.
Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu.
Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, Introduzione
all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della
realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a
carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio
Brancati. V. a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo",
Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, V..
Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, V..
Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di V..
L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli,
Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), dedicato a V.. Pensare
l'attualità, cambiare il mondo, Chiurazzi, Mondadori, Milano); Redaelli, Il
nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in V., Vitiello, Sini, Ets, Pisa L'apertura del presente. Sull'ontologia
ermeneutica di V., L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica
filosofica. Kopić, V. Čitanka, V. Reader. Zagabria, Antibarbarus. Gutiérrez,
Leiro, Rivera. Fondazione verano centini/images/
allegati Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su
movi100.azione Gallo, V. Interview, su
public seminar.; V.: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. Rizzo
con GRAMSCI alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo V., nuovi iscritti al
Partito Comunista. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartito comunista, Angus,
Interview with V.: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian
philosopher politician slammed as anti-Semite, su la gazzetta delmezzogiorno. 'Shoot those bastard Zionists': Italian
scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su
archivio storico.corriere. Repubblica -V.: "Non sono un antisemita. Solo
anti-israeliano", su torino repubblica. A Radio Radicale Il delirio di V.:
«Per fargli male doveva sparare» Il
Giornale, In questo senso Cfr, tra
molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e
diritto, dello stesso V. e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Pecoraro,
libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo. Da Animali quarto mondo, in, I diritti degl’animali,
Battaglia e Castignone, Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul
riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale
nell'UE, su gianni vattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul
benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma
io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere. «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì
in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro
premio Brancati, su comune. zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog su Gianni
vattimo blog spot V., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su open MLOL,
Horizons Unlimited srl. V. su europarl. europa.eu,
Parlamento europeo. Registrazioni su Radio
Radicale. Revista A parte rei, su personales. ya.com. Dicussion e sul Pensiero
Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento:
dal dialogo al conflitto, su teologiae liberazione. blogspot.com. Credere di
credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia
della religione V. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Gianteresio “Gianni” Vattimo. Gianteresio Vattimo Gianni
Vattimo. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo,"
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Vattimo.
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