Grice
e Calabresi: il deutero-esperanto – la scuola di Montepulciano – filosofia
sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Montepulciano).
Filosofo italiano. Montepulciano, Siena, Toscana. Muore a Sarteano. Filosofo, medievista,
paleografo e linguista italiano. Un appassionato studioso d'istituzioni del
basso Medioevo, con particolare riguardo a Montepulciano e alla Valdichiana in
generale. La sua opera principale è
sicuramente il glossario giuridico dei testi in volgare di Montepulciano. Tale
lavoro e realizzato per conto dell'Istituto per la documentazione giuridica del
Consiglio nazionale delle ricerche, oggi Istituto di teoria e tecniche
dell'informazione giuridica. Come
linguista, correda, con Fiorelli (vedasi), co-autore del Dizionario
d'ortografia e di pronunzia della RAI, della trascrizione fonematica tutti gl’esponenti
di Zingarelli. La trascrizione usa l'alfabeto fonetico, ed è il primo esempio
d'applicazione su larga scala di quel sistema alla lingua italiana. Altri
saggi: El breve de la Conpagnia de' chalçolari di Monte Pulciano, Firenze,
Istituto per la documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle
ricerche. Il Chiaro o Lago di Montepulciano: appunti storici con documenti
inediti e riproduzioni di carte antiche, Acquaviva o Montepulciano,
Cartolibreria P. Pellegrini; Cenni sulla storia di Chianciano Terme e sull'arme
del Comune, Chianciano Terme, Amministrazione comunale; Contributi alla
conoscenza delle arti e delle corporazioni nei secoli 17°-18°. Dalle fonti
documentarie degli archivi privati e delle persone giuridiche minori
(specialmente della Toscana orientale e meridionale), Firenze, Istituto per la
documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle ricerche; Un vocabolario
della lingua parlata in un codice della Magliabechiana, Firenze, La Crusca; Strade,
storia e tradizioni popolari nella Valdichiana senese: archeologia e storia del
territorio nei nomi delle vie d'Acquaviva. Il folklore della strada, Acquaviva;
Montepulciano: contributi per la storia giuridica e istituzionale. Edizione
delle quattro riforme maggiori dello Statuto, Siena, Consorzio universitario
della Toscana meridionale; Glossario giuridico dei testi in volgare di
Montepulciano: saggio d'un lessico della lingua giuridica italiana, Firenze,
Pacini. Biografie Per il Dizionario biografico degli italiani della Treccani, C.
inoltre cura le biografie di Buonmattei, Cenni (vedasi), e Cenni Fondazione In
suo onore è stata istituita la Fondazione C., con sede nella frazione di
Acquaviva, suo paese natale. La scomparsa di C., su
biblioteca.montepulciano.si.it. In memoria di C., su ittig.cnr.it. Cataloghi e
collezioni digitali delle biblioteche italiane, su internetculturale.it.
Portale Biografie Portale Medioevo
Portale Storia Categorie: Medievisti italiani Paleografi italiani Linguisti
italiani Italiani Nati a Montepulciano Morti a Sarteano Biografi italiani [altre]
Il senese C., dipendente del C.N.R., inventa una lingua ausiliaria
internazionale che chiama Omnlingua, caratterizzata sul piano morfologico dal
recupero della declinazione, con sette casi nella declinazione primaria
(nominativo, genitivo, dativo, relativo statico, relativo dinamico o
accusativo, vocativo, locativo statico) e sei in quella secondaria (derivativo,
fautivo, strumentale, locativo dinamico, invocativo, locativo stabile), dall'adozione di cinque
generi grammaticali, di dieci coniugazioni, di tre tipi di preposizioni semplici
e di prefissi ottenuti con tre diverse vocali finali, ecc., e dall'uso di
alcuni segni particolari, come il segno «"» che indica aspirazione; «-»
rafforzamento o raddoppiamento non
enfatico sulle consonanti e allungamento sulle vocali; «^» addolcimento di
certe consonanti, ecc. La molla che
spinge Calabresi a creare l'Omnilingua è, da un lato, la constatazione del
fallimento del Volapük e dell'Esperanto, dall'altro il desiderio di
«affratellare i popoli di tutto il mondo», dopo le orrende devastazioni della
seconda guerra mondiale, in cui per altro C. perde il padre. Omni-lingua. Ilio
Calabresi. Calabresi. Keywords: omnlingua. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Calabresi”. Calabresi.
Grice
e Calais: la setta di Reggio – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano.
Giamblico di Calcide, a Pythagorean.
Grice e Calboli: l’implicatura
conversazionale della langue e la parole – Grice e Gardiner -- de parabola –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo Italiano.
Grice: “I like Calboli – he philosophised on much the same subjects I did –
colour words (‘that tie seems/is light blue’) – the philosophy of perception,
and parabola, i.e. expression. If I use ‘utterance’ broadly so does Calboli
with his ‘parabola.’ One big difference is that he is a nobleman, who owned a
castle that he ceded to Firenze – I did not!” Altre opere: “Exercitatio philosophica” (Romae, Giovanni Zempel). Étymol.
et Hist.I. Faculté d'exprimer la pensée par le langage articulé -- «expression
verbale de la pensée» (Roland, éd. J. Bédier: De sa parole ne fut mie hastifs,
Sa custume est qu'il parolet a leisir); spéc. ling. distingué de langue (Sauss.).
action de parler» metre a parole «faire parler» (Wace, Conception N.-D., éd.
Ashford). C. Le langage oral considéré par rapport à l'élocution, au ton de la
voix cde sa pleine parole «à haute voix» (Pèlerinage de Charlemagne, éd. G.
Favati); parole basse (Benoît de Ste-Maure, Troie, ds T.-L.);(Wace, Rou, éd. Holden: Sa voiz e
sa parole mue). D. ca «faculté
d'exprimer sa pensée par le langage articulé» (Guillaume d'Angleterre, éd. M.
Wilmotte, De joie li faut la parole). «art de parler, éloquence» employer sa
parole à gagner argent (Nicot); (Boileau, Art poétique, chant IV ds OEuvre, éd.
F. Escal); avoir le don de la parole (Ac.). F.
«droit de parler» (Bruyère, Caractères, De la Cour, OEuvre, éd. J.
Benda: Ils ont la parole, président au cercle). II. Son articulé exprimant la
pensée A. Suite de mots, message, discours, propos exprimant une pensée
(Roland: De cez paroles que vous avez ci dit...;: Bon sunt li cunte e lur
paroles haltes); (Wace, Rou: [Li evesque] Ne fist pas grant parole ne ne fist
grant sermon). B. spéc. «discussion,
dispute» (Wace, Brut, éd. I. Arnold); avoir des paroles ensemble (Perceforest) «promesse» doner parole (Benoît de Ste-Maure);
prisonniers pour la parole (E. Pasquier, lettre 21 août, ds Lettres hist., éd.
D. Thickett); (croire) sur vostre parole (Guez de Balzac, lettre 11 déc. ds
OEuvres); homme de parole (Id., lettre).
«expression verbale d'une pensée remarquable» (Thomas, Tristan, éd.
Wind, fragm. Douce: Oïstes uncs la parole).
«belle, vague promesse» (Proverbe au vilain, T.-L.: De bele parole [var.
promesse] se fait fous tout lié); paroles sourdes «paroles en l'air, mensonges»
(Gace de La Buigne, Deduis.);«phrase creuse, vide» paroles pleines de vent (Chastellain,
Chron., éd. Kervyn de Lettenhove). «enseignement» (Aimon de Varennes,
Florimont, ds T.-L.); spéc. 1ertiers xiiies. (Vie de St Jean l'Évangéliste,
567, ibid.: avint ke li ewangelistes en une chité vint, Où il dist la parole
[Luc]) la parole de Dieu «l'Écriture sainte» (Pascal, Pensées, OEuvres, éd. J.
Chevalier: Quand la parole de Dieu... est fausse littéralement, elle est vraie
spirituellement); 2. fin xiies. la parole «le Verbe, la Parole faite chair»
(Sermons de St Bernard, éd. W. Foerster,: cil [li troi roi el staule]
reconurent la parole de deu lai ou il estoit enfes). Issu du lat. chrét.
parabola (devenu *paraula par chute de la constrictive bilabiale issue de -b-
devant voy. homorgane) «comparaison, similitude», terme de rhét. (Sénèque, Quintillien);
puis, chez les aut. chrét.: 1. «parabole» (Tertullien, St Jérôme); 2. «discours
grave, inspiré; parole», ce double sens étant dû à l'hébreu pārehāl (Job, 1:
assumens parabolam suam«reprenant son discours»; Num.: assumptaque parabola
sua, dixit; par la suite: Gloss. Remigianae: in rustica parabola «en lang.
vulg.»), v. Ern.-Meillet, Blaise, Vaan., Löfstedt, Late Latin, pp.81 sqq. Le
lat. est empr. au gr. παραβολη «comparaison [par juxtaposition],
illustration» empl. dans les Septante au sens de «parabole» (Marc). Parabola a
supplanté verbum dans l'ensemble des lang. rom. (sauf le roum.) grâce à la
fréq. de son empl. dans la lang. relig., verbum étant spéc. utilisé dans cette
même lang. pour traduire le gr. λογος, v. verbe. Marchese.
De Calboli. Paulucci. Paolucci. Francesco Giuseppe Paulucci di Calboli.
Francesco Paulucci di Calboli. Keywords: de parabola, parabola, parola,
parlare, hyperbola, cyclo, ellipsis. exercitatio philosophica. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Calboli” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Calcidio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. (Roma). Filosofo
italiano. Commenta il "Timeo" di Platone. Per impulso di un OSIO
al quale con una lettera CALCIDIO dedica l’opera sua, è un platonico con
forti tendenze eclettiche o dilettanti.Secondo la tradizione manoscritta, C. si
dove identificare il dedicatorio del lavoro a quell’Osius o Hosius di Cordova
che prende parte ai concili di Nicea e di Sardica.Nella stessa epoca e vissuto
C., che viene detto diacono o arcidiacono della stessa diocesi. In ogni
modo, nel Commento del Timeo, C. mostra di conoscere bene il Testameno ebreo,
che ritiene ispirata da Dio, cita Origene e accenna a credenze dei galilei.Il
Commento al Timeo di C. deriva in ultimo da quello di Posidonio, mediato però
da uno del liceale Adrasto d’Afrodisia per la parte matematica, astronomica e
musicale e da uno di seguace del Platonismo dal quale sembra provenire anche lo
pseudo-plutarcheo "De fato."Non è escluso, anzi, che il secondo
commento sia stato l’unica fonte di C.. C. sopra tutti i filosofi
ammira Platone, di cui cita passi di diversi dialoghi.Inoltre, C. menziona
molti altri autori (stoici, neo-pitagorici, Filone d'Alessandria, Numenio), che
probabilmente conosce soltanto indirettamente. Queste citazioni svariate
sono l’espressione estrema del suo eclettismo o dilettantesimo a base
platonica. Con Platone, C. parla di tre principi delle cose, Dio, il
modello (cioè la idea) e la materia.In ciò si accorda con Albino, col quale
riduce la idea a un pensiero divino.Con lo Stoicismo, C. identifica il divino
al principio attivo, la materia al principio passivo. Però, mentre fa
della materia un principio originario e sostiene che il mondo non è stato
creato nel tempo, C. si sforza di affermare che in questi argomenti l'origine
di cui si parla non ha carattere cronologico, ma designa una dipendenza. C.
si esprime quindi in modo improprio quando ammette l'eternità dell’origine
delle cose e della materia. Dalla materia, in cui Dio impone le immagini
dell'idea, e provenuto il corpo. Mentre in questa parte, in complesso, predomina
il pensiero di Platone, nello studio delle potenze divine si presentano
dottrine del Platonismo, che preparano quelle neo-platoniche, ma in alcuni
punti essenziali ne differiscono fortemente. Al vertice sta il divino
supremo o il sommo bene, che, con Platone, è posto sopra ogni sostanza e
dichiarato superiore all’intelletto e ineffabile. Al disotto di esso sta
un secondo divino, la provvidenza, identificata al vobis, che è la volontà e
insieme l'eterno atto della mente divina. Le cose divine intelligibili
e quelle prossime ad esse, sottostanno soltanto alla provvidenza, le naturali e
corporee sono soggette al fato, o serie delle cause, che deriva dalla prima ed
è una legge divina promulgata per reggere ogni cosa. Di questa legge è
custode un terzo divinito, l'anima cosmica, che C. chiama la seconda mente o il
secondo intelletto. Questa tri-partizione del divino riprende uno schema
di Albino e si allontana dal neo-Platonismo perchè non denomina Uno il primo
principio, gli attribuisce la volontà che Plotino gli nega e non parla della
derivazione della materia nei termini caratteristici di quel sistema. La
teoria della provvidenza e del fato (affine a quella dell’opera
pseudo-plutarchea) sembra pure attinta a una fonte platonica. Le teorie sui
demoni e sul destino delle anime dopo la morte concordano con quelle della
scuola platonica e di Posidonio. In complesso C. giustappone teorie
svariate senza ri-organizzarle.La filosofia di C., però, sebbene priva di ogni
originalità, e l’unica via di accesso alla filosofia platonica di cui potè
disporre la civilizazione occidentale e costituì per esso una delle fonti
maggiori della storia del pensiero romano antico. Calcidio Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Manoscritto medievale del Timeo di
Platone, tradotto da C. Filosofo romano. Della vita di C. sappiamo pochissimo.
C. traduce il Timeo di Platone in LATINO, corredandola di un ampio Commento. La
datazione della traduzione è dibattuta. Tra gli elementi più importanti
utilizzati per collocare C. nel tempo e nello spazio c'è la lettera
introduttiva all'opera, dedicata ad OSIO, al quale egli fa riferimento più
volte nel suo Commento. Nella lettera C. racconta come OSIO gli abbia affidato
un incarico tanto arduo come la traduzione e il commento del Timeo al LATINO,
impresa, secondo C., mai tentata fino a quel momento (operis intemptati ad hoc
tempus). Una subscriptio trovata in alcuni manoscritti fa luce sul problema
della datazione dell'opera: "Osio Calcidius ". Dalla subscriptio si
evince, quindi, che Ca. era l'arcidiacono di un vescovo Osio. Nel periodo tardo
imperiale è noto un Osio, diocesi di Cordova, figura importante del
cristianesimo occidentale. Nei Concili di Nicea e Sardica, Osio giocò un ruolo
decisivo nella difesa dell'ortodossia contro l'arianesimo. Se si tratta di
questo Osio, Calcidio avrebbe realizzato la sua traduzione del Timeo. Waszink,
l'editore di C. si oppone a questa ipotesi, che è sempre stata quella
tradizionalmente più accettata, e ritiene che C. debba essere collocato intorno
alla fine del IV secolo o all'inizio del V. Secondo Waszink, l'ambiente in cui
sarebbe stato redatto questo trattato neoplatonico e cristiano sarebbe quello
della Milano della fine del IV secolo, quando la città italiana era un fiorente
centro di platonismo sia pagano che cristiano, e l'Osio cui si fa riferimento
nella lettera introduttiva potrebbe essere un alto funzionario imperiale attivo
a MILANO. Tuttavia non esistono prove dell'esistenza dell'Osio ipotizzato da
Waszink. La teoria di Waszink è stata respinta da Dillon, che ha ripreso la
datazione tradizionale dell'opera, ed è oggi generalmente abbandonata dagli
studiosi. Il “Timeo” era già stato tradotto in latino da CICERONE. La
traduzione di C. differisce notevolmente da quella di CICERONE, che forse C.
non conosce. Il Commento – L’UNICO COMMENTARIO LATINO ad un'opera di Platone
pervenutoci - riguarda solo il testo da 31c4 a 53c3. Per il suo commentario C.
fa abbondante uso di fonti greche antiche. Si basa probabilmente sul Commento
al Timeo di Adrasto e sulle opere di Albino, Numenio, Porfirio e Filone. Il suo
Commento riporta gran parte del capitolo sull'Astronomia della Matematica utile
per comprendere Platone di Teone di Smirne. C. vi espone le conoscenze
astronomiche del primo secolo e, accanto ai modelli di Eudosso e Ipparco,
descrive anche il modello attribuito a Eraclide Pontico, che sostiene che
Venere e Mercurio ruotano intorno al Sole. C. concepisce la materia come
sostanza pura e vuota, o anche come l'essenza priva di qualità (in greco: apoios
ousìa) del PORTICO, che con l'Ápeiron di Anassimadro condivide l'essere
infinita e illimitata, priva delle determinazioni qualitative e quantitative
che invece caratterizzano gli enti che si muovono al suo interno. Tale materia
primordiale è necessaria per spiegare il molteplice colto dai sensi, che è
mobile e divisibile, ma essa in sé e per sé non può essere oggetto di
percezione sensibile; al contrario, gli organi di senso possono percepire
soltanto la materia unita a una qualche forma intellegibile, ed è poi compito
dell'analisi delle mente astrarre la materia pura dalle forme che sono
congiunte ad essa dal Demiurgo artefice del mondo. La sintesi della mente
umana giunge così a identificare i tre principi primi: Dio assimilato al
Demiurgo platonico, l'idea (exemplum) e la materia (in latino: silva,che rende
il greco antico ulē), da non confondersi con i quattro elementi, che sono
qualitativamente determinati[6] e nemmeno con la loro unità primitiva, come
Diogene Laerzio aveva inteso la materia prima. Il Timeo nella traduzione
di C. è l'*unica* opera di Platone nota agli studiosi dell'Occidente latino
fino a quando Aristippo traduce in latino il “Menone” e il “Fedone”. Traduzione
e Commento furono molto diffusi durante tutto il Medioevo, al punto che se ne
sono conservate più di cento copie manoscritte. Furono realizzati vari commenti
alla traduzione di C. tra i quali quello di Isdoso e quelli dei teologi della
scuola di Chartres, come Bernardo di Chartres e Guglielmo di Conches. I maestri
di Chartres danno al fatto della creazione un'interpretazione filosofica.
Partendo dagli assunti di base del platonismo, cercano di dimostrare
l'esistenza di una corrispondenza tra la visione del mondo espressa nel Timeo e
quella descritta nel racconto biblico della creazione. Bernardo è considerato
l'autore delle Glosae super Platonem, un anonimo commentario al Timeo nella
versione di C. sotto forma di glosse.[10] Il filosofo e poeta Bernardo
Silvestre fu una delle personalità di questo periodo che furono maggiormente
influenzate dalla filosofia platonica. La sua cosmologia e antropologia
rivelano la profonda influenza del pensiero di Calcidio. Anche il poema De
planctu Naturae di Alano di Lilla contiene idee tratte dal Timeo e dal
commentario calcidiano. L'opera di C. fu molto apprezzata anche nel
periodo rinascimentale, iniziato in Italia alla fine del XIV secolo.
L'interesse per C. è testimoniato dalle numerose copie manoscritte dell'opera
risalenti a quest'epoca - almeno 40, 28 delle quali provengono dall'Italia. Una
parte dei manoscritti contiene solo la traduzione del Timeo, una parte solo il
commento, una parte traduzione e commento insieme. La maggior parte delle
principali biblioteche pubbliche e principesche d'Italia e numerosi umanisti ne
avevano una copia. PETRARCA (si veda) annota la sua copia dell'opera, oggi
conservata presso la Bibliothèque Nationale a Parigi. L'umanista FICINO (si
veda), più tardi divenuto famoso come traduttore e interprete dei dialoghi
platonici, fa una copia manoscritta del commento, corredandola di un gran
numero di note sulla lingua, sui contenuti e sulle fonti. Più tardi, quando
realizzò una nuova traduzione latina del Timeo, fece solo occasionalmente
ricorso a Calcidio, perché il suo latino non soddisfaceva gli elevati standard
degli umanisti. Anche l'amico di Ficino PICO (si veda) ha una copia dell'opera
di C., annotata di suo pugno. L'editio princeps della traduzione e del commento
del Timeo fu pubblicata a cura dell'umanista GIUSTINIANI, vescovo di Nebbio.
Nella lettera di dedica, Giustiniani esprime il suo entusiasmo per la cultura e
l'imparzialità di C.. Secondo Giustiniani, infatti, C. scrive in un modo così
oggettivo che dalle sue parole non si poteva evincere nemmeno se fosse attamente
romano pagano. Più tardi, alcuni studiosi considerarono C. ebreo, altri - come
il filosofo Cudworth e il filologo Fabricius
- lo ritennero, al contrario, cristiano. Un'altra ipotesi fu avanzata
dallo storico Mosheim che giunse alla conclusione che C. non è né un cristiano
né un ebreo, né un platonico puro, MA UN ROMANO pagano che ha arricchito la sua
filosofia platonica con altri concetti. Fabricius pubblicò una nuova edizione
della traduzione e del commento del Timeo ad Amburgo. La filosofia antica, Adorno, Feltrinelli; Moreschini (ed.): C.: Commentario
al “Timeo” di Platone, Milano; Bakhouche (ed.): Calcidius: Commentaire au Timée
de Platon, Parigi; Dupuis : Préface à la traduction de Théon de Smyrne,
Exposition des connaissances mathématiques utiles pour la lecture de Platon,
Hachette, 1892. ^
Pierre Duhem, Le système du monde; Moro, Francesca Menegoni e Giovanni
Catapano, Il concetto di materia nei commentari alla Genesi di Agostino;
Università di Padova-FISSPA; Caiazzo, La materia nei commenti al Timeo, in
Quaestio. Annuario di storia della metafisica; Grant, Science and Religion, Greenwood;
Waszink, (ed), Timaeus, a Calcidio translatus commentarioque instructus; Warburg
Institute et Brill, Londres-Leiden, 1962: Secondo Waszink, il periodo in cui
l'opera fu maggiormente copiata fu tra il XII e il XV secolo. Secondo Raymond Klibansky: This dialogue [Timaeus], or rather its first
part, was studied and quoted throughout the Middle Ages, and there was hardly a
mediaeval library of any standing which had not a copy of Chalcidius’ version
and sometimes also a copy of the fragment translated by Cicero. ^ Terence Irwin;
Classical philosophy: collected papers, Taylor et Francis. Sulla questione
della paternità si veda Béatrice Bakhouche (ed.): Calcidius: Commentaire au
Timée de Platon, Vol. 1, Parigi; Dronke: The Spell of C., Firenze; L'adorabile
vescovo di Ippona": atti del Convegno di Paola, Franca Ela Consolino,
Rubbettino; Hankins: The Study of the Timaeus in Early Renaissance Italy. In Hankins:
Humanism and Platonism in the Italian Renaissance, Bd. 2, Rom; Hankins: Plato
in the Italian Renaissance, Leiden; Wrobel: Platonis Timaeus interprete
Chalcidio, Frankfurt (Ristampa dell'edizione Leipzig); Bronislaus W. Switalski:
Des Chalcidius Kommentar zu Plato’s Timaeus, Münster; Wrobel: Platonis Timaeus
interprete Chalcidio, Frankfurt
(Leipzig); Bronislaus W. Switalski: Des C. Kommentar zu Plato’s Timaeus,
Münster; Vgl. Jan Hendrik Waszink: Calcidius. In: Reallexikon für Antike und
Christentum, Supplement-Lieferung, Stuttgart; Vedi Eginhard P. Meijering:
Mosheim on the Difference between Christianity and Platonism. In:
Vigiliae Christianae; Commentario al «Timeo» di Platone, a cura di Moreschini,
con la collaborazione di Bertolini, Nicolini,
Ramelli, Bompiani, Il Pensiero Occidentale, Milano; Commentaire au Timée
de Platon, Parigi, Traducción y Comentario del Timeo de Platón, Zaragoza; Magee
(ed.), Calcidius. On Plato's' Timaeus, Cambridge (Mass.) - London,
Harvard; Studi BOEFT, J. DEN, Calcidius on fate. His doctrine and sources, Leiden,
1970. BOEFT, J. DEN, Calcidius on demons (Commentarius), Leiden, CICERÓN, Sobre
la adivinación, Sobre el destino, Timeo, introd., trad. y notas de Ángel
Escobar, Biblioteca Clásica Gredos, nº 271, Madrid, GERSH, Stephen, Middle
Platonism and Neoplatonism: The Latin Tradition, Publications in Medieval
Studies, vol. 23. University of Notre Dame Press, 1986. MACÍAS VILLALOBOS, C.,
"La influencia de C. en la obra y el pensamiento de Ficino", Crítica
Hispánica; WASZINK, J. H., Studien zum Timaioskommentar des Calcidius, I. Die
erste Hälfte des Kommentars (mit Ausnahme der Kapitel über die Weltseele),
Leiden, Brill, WINDEN, Calcidius on Matter. His doctrine and sources. A chapter
in the history of Platonism, Leiden, Brill, Donato Tamilia, De C. aetate, in
Studi italiani di filologia classica, Bronislaus Wladislaus Switalski, Des C. Kommentar Zu Plato's Timaeus, Münster, Steinheimer,
Untersuchungen über die Quellen des C., Aschaffenburg 1912. C., su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Calogero,
C., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C., in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C., su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. C., su ALCUIN, Università
di Ratisbona. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Calcidio, su Musisque Deoque.
Opere di C., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di C., su
digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere
di C., su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di C., su Open Library,
Internet Archive. su V · D · M Platonici
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Romani Filosofi cristiani Neoplatonici Traduttori dal greco al latino Commentatori
di Platone [altre] Calcidio or Chalcidius translated the Timeo, and produced a
commentary on it that still survies. In his
understanding of matter and form, he appears to have borrowed substantially
from Aristotle. His commentary is also a valuable source of information on the
Porch physics as he makes several references to what Zeno of Citium, Crisippo
di Soli and Cleante thought about such issues as fate and substance. He may
also have been familiar with the works of Giamblico and Porfirio. Calcidio.
Keywords: Cicerone. Calcidio.
Grice e Calderoni: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del bene comune, bene summon –
Remigio di Gerolami e il bono comune (koinon agathon) di Aristotele—scuola di
Ferrara – filosofia ferrarese – filosofia emiliana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Ferrara). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Ferrara, Emilia-Romagna. Grice:”Calderoni
knew everything – he corresponded with Lady Viola, as I didn’t – and he pleased
the lady, because the lady knew that Calderoni was using all the right words –
none of the heathen ‘mean,’ but all about ‘segno’ and ‘segnare’ and ‘intenso,’
– It is drawing from the Calderoni tradition that I arrive at the
meaning-as-intention paradigm I’m identified with! And note that sous-entendue
is Millian for implicatura!” -- Grice: “Calderoni is a genius; he is, like me,
a verificationist – I mean, read my ‘Negation’: the two examples I give relate
to sense data: “I’m not hearing a noise,’ and ‘That is not red.’ Calderoni
tries the SAME! He founded a verificationist (or ‘pragmatist’ club at Firenze),
and he corresponded with Peirce when I only decades later, tutored my tutees on him!” -- Grice: “Calderoni is serious about
truth-conditivions having to be understaood as ‘assertability’ conditions – and
these assertability conditions providing much of the ‘sense;’ admittedly, he
uses ‘sense’ more loosely than I do – but on the good side, he uses ‘nonsense’
in a tigher way than I do!” Teorico del diritto italiano (pragmatismo
analitico italiano). Studia a Firenze e si laurea a Pisa, con “I
postulati della scienza positiva ed il diritto penale”. Collabora alle riviste
Il Regno e Leonardo, su cui scrive una serie di saggi, in autonomia o in
collaborazione col maestro Vailati. Presenta comunicazioni in diversi Congressi
internazionali: Monaco, Parigi, e
Ginevra. Mantiene contatti e scambi con Halévy, Boutroux, Russell, Couturat,
Brentano, Ferrari, Pikler, Mosca, Pareto, Croce, Juvalta, Peirce e molti altri.
Il saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali”. Successivamente ottiene
una libera docenza a Bologna, dove tiene
un corso sul pragmatismo dal titolo “L’assiologia, ossia, la Teoria Generale
dei valori”. Scrive in collaborazione con Vailati “Il Pragmatismo” raccolta di
tre articoli introdotti nella Rivista di Psicologia applicata (“Le origini e
l'idea fondamentale del Pragmatismo”; “Il Pragmatismo ed i vari modi di non dir
niente” – “L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica”. Trascorsa
l'estate a Rimini a curare i sintomi d'una bruttissima depressione, ritorna a Firenze,
dove inizia nuovamente il corso universitario su Teoria Generale dei valori
all'Istituto di Studi Superiori, senza riuscire a terminarlo, dal momento che,
a causa di un aggravamento repentino dell'esaurimento mentale, abbandona la
docenza. Muore in una casa di salute ad Imola. Mette sotto analisi e in
correlazione senso comune e scienza attraverso lo strumento meta-discorsivo
della filosofia, intendendo costruire conoscenza e scienza coi mattoni della
teoria della mente, e usando come riferimenti culturali analisi brentaniana di
stati mentali e teoria dinamico-funzionale della mente di James e di Pikler.
Saggi di riferimento sono due: è con “La Previsione nella teoria della
conoscenza” che intende analizzare
condizioni di verità e condizioni di validità della conoscenza, sia discernendo
enunciazioni sensate da non-sensi sia indicando un metodo di verificazione,
nell'istanza verificazionista di illustrare a fondo i meccanismi della
conoscenza (verificazione e verità), oltre all'obiettivocome accade anche nel
Peirce di avvicinare teoria della conoscenza e semantica dei discorsi (verità e
senso); ed è col successivo saggio, “L'arbitrario nel funzionamento della vita
psichica” che, accettata l'eredità vailatiana, intende mostrare l'esistenza di
una stretta connessione tra attività conoscitive dell'uomo comune ed attività
conoscitive dello scienziato, accostando tale saggio teoria della mente e
teoria della scienza. La lettura sinottica dei due testi conduce a riconoscere la
tendenza a costruire una teoria dell’animo caratterizzata da riferimenti
costanti alla teoria della conoscenza e alla teoria della scienza.
Precorrendo semiotica moderna e verificazionismo schlickiano, costuisulla scia
di una certa tradizione continentale e americana indicata dal maestro Vailati-
riconosce nei discorsi umani un trait d'union irresistibile tra senso e verità,
e ri-definisce la norma di Peirce come norma di senso e norma di verificazione
[articoli di riferimento sono due: col breve Il senso dei non sensi, intende esaminare cosa sia senso di una
enunciazione e se esista un unico criterio idoneo a differenziare enunciazioni
sensate da non-sensi o a costruire un concreto metodo di verificazione, unendo
all'istanza semantica di attribuire un senso ai vari modelli di mezzo comunicativo
inter-individuale (intersoggetivo) il sincero desiderio analitico di rinvenire
rimedi sicuri contro l'indeterminatezza naturale di termini, enunciazioni e
discorsi e la conversazione umana, ed essendo cassa di risonanza all'obiezione
contestualistica vailatiana contro l'atomismo semiotico dominante. Nel
successivo saggio Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente totalmente
debitore alla prolusione vailatiana al corso di Storia della meccanica “Alcune
osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della
cultura”, mostra di essere abile concretizzatore dell'eredità vailatiana
tentando di mettere in stretta combinazione intuizione dell'artificialità della
conversazione umana e nozione di analisi semantica come rimedio all'indeterminatezza
dei mezzi di comunicazione. La lettura sinottica dei due saggi conduce a
riconoscere in Calderoni tendenze a costruire una teoria della conversazione
umana caratterizzata da riferimenti a convenzionalismo e contestualismo, a
rifiutare derive essenzialistiche nell'uso di termini ed enunciazioni e a
sottolineare la valenza farmaceutica o terapeutica dell'analisi
semantica. Nella posizione giusfilosofica, l'etica, nella sua dimensione
totale, è tematica centrale nella sua filosofia, introducendo costui una
modalità rivoluzionaria di considerare tale materia; In lui e in altri autori
d'ambiente simile come Juvalta e Limentanila tradizionale distinzione tra etica
normativa o prescrittiva ed etica descrittiva o meta-etica è considerata
insufficiente. Si mostra sostenitore di un orientamento innovativo in merito al
discorso sullo statuto dell'etica. Se l'etica normativa o materiale domina
l'intero corso della storia dell'etica umana, il riconoscimento della valenza
descrittiva o metaetica o formale dell'etica è ricorrenza teoretica dell'intero
ottocento, avendo effetto sulla cultura ottocentesca la tendenza rinascimentale
a considerare l'etica come una scienza o un calcolo more geometrico.
L'Ottocento concretizza antecedenti tendenze ad estendere all'ambito dell'etica
i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali. Questa intuizione e il
riconoscimento della centralità dell'analisi lo conducono ad introdurre e
sostenere un nuovo modello di statuto dell'etica: etica è una scienza
costituita dai tre rami della meta-etica, dell'etica descrittiva e dell'etica
normativa. Più che al discorso meta-etico, si orienta verso l'etica descrittiva
e normative. In merito alla meta-etica non esiste un discorso diretto dei
nostri due autori, laddove invece etica descrittiva e etica normativa sono
esaminate coàn riferimenti diretti ed attraverso articoli mirati. Saggi a cui
si rinviasenza tener conto della tesi di laurea I Postulati della Scienza
Positiva ed il Diritto Penale dove è comunicata una visione immatura e non
ancora coerente dell'etica- sono: con Du role de l'évidence en morale, del Calderoni
introduce una coerente critica dell'etica normativa tradizionale mettendo sotto
esame utilitarismo e kantismo etici, e con il saggio successivo “De l'utilité “marginale”
dans les questions d'etìque, introduce un tentativo di indicare un'etica
descrittiva che si serva dello strumentario dell'economia; tali tentativi si
concretizzano nel saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali” contenente
estesi accenni a tutti i rami della nuova scienza e mirando ad estendere in
maniera definitiva all'etica lo strumentario della recente scienza economica;.
In “L'imperativo categorico” c'è la reazione al neokantismo etico e ad un
saggio di Croce in cui si recensiva, con molte riserve, Disarmonie; con i brevi
La filosofia dei valori ed Il filosofo di fronte alla vita morale, ci si limita
a riassumere tematiche e discussioni antecedenti, introducendo chiarimenti ed
attuando delucidazioni. La lettura sinottica dei testi di Calderoni e Vailati
conduce ad indicare l'esistenza di tre aree tematiche essenziali: un discorso
sulle funzioni e sullo statuto dell'etica (meta-teoria etica); un dibattito sul senso di termini, enunciazioni
e discorsi morali e; una discussione su funzionamento effettivo ed ideale di un
sistema morale (etica descrittiva e normativa). Ssi chiede cosa sia l'etica,
che senso abbiano i suoi discorsi e che modello di normatività essa abbia, e si
domanda come descrivere in maniera esauriente i cosiddetti mercati etici o come
massimizzare l'incidenza dello scienziato della morale nella modificazione
delle scelte sociali. Più che Vailati, è lui ad estrinsecare
l'«atteggiamento» giuridico del Pragmatismo italiano, nella sua riflessione
ius-criminalistica sulle nozioni di volizione, libertà e responsabilità. La
discussione in merito alle relazioni tra volizione e diritto è fervente
all'interno della cultura italiana dell'Ottocento. Secondo Scuola Classica del
diritto criminale, volizione umana è base del momento d'attribuzione della
sanzione, in connessione al libero arbitrio. Secondo la Scuola Positiva del
diritto criminale è necessario sconnettere tale nozione dal concetto di libero
arbitrio, non esistendo azioni incausate (scevre da co-azione) e cadendo
volizione insieme a libero arbitrio. Affronta il dilemma della volizione
(distinzione tra atto volontario e involontario) all'interno del suo cammino di
chiarimento e ridiscussione dei termini di discorso ordinario e discorsi
tecnici, stimolato da alcune antecedenti intuizioni di Vailati; e analizza tale
dilemma in due diversi momenti della vita, in I Postulati della Scienza
Positiva ed il Diritto Penale, e sia nel saggio leonardiano Credenza e volontà.
Intorno alla distinzione fra atti volontari ed involontari, sia in un
successivo contributo su altra rivista La volontarietà degli atti e la sua
importanza sociale. Il saggio introduce un'analisi culturale ricchissima di
riferimenti al diritto e immersa nello scenario storico del conflitto
ottocentesco tra determinismi ed indeterminismi. Il dibattito tra scuola
classica italiana (classici) e Positivisti sulle condizioni teoretiche del
diritto criminale evidenzia il suo tentativo conciliazionista di mediare tra
due diversi modi di intendere libertà, sanzione e metodo scientifico,
ricorrendo ad un uso attento della ri-definizione tanto caro a Vailati e
all'intera analitica novecentesca. Pescando dalla metodica analitica lo
strumento della ri-definizionemutuato dal maestro Vailati e riassunto con
estrema abilità nella recensione al volume I presupposti filosofici della
nazione del diritto di Del Vecchio -, avvia un tentativo di «conciliazione» tra
scuola classica e positivisti, in cui, la riflessione sul libero arbitrio e il
diritto di punire costituisce la premessa per affrontare con un chiaro apparato
concettuale l'ulteriore questione dei metodi di studio del diritto penale, attraverso
un'esaustiva ridiscussione dei binomi libertà/ causazione (momento di
attribuzione del delitto), tutela/ difesa (momento di esecuzione della
sanzione) e metodo astratto/ concreto (momento di determinazione del delitto).
Rconosce due sono i punti teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si
pone come avversaria alla classica. L'uno è rappresentato dalla questione del
libero arbitrio, l'esistenza del quale la scuola classica postula come
fondamento della imputabilità, mentre è dall'altra scuola negata. L'altro punto
è la gius-tificazione del diritto di punire, che l'una pone nella giustizia,
l'altra nell'utilità, nella necessità in cui si trova la società di difendersi
dai suoi nemici. Per misurare la nozione di responsabilità introdotta
nell'orizzonte culturale italiano d'inizio secolo scorso da lui è necessario
muoversi tra i sue due contribute scarsamente esaminati dalla dottrina moderna
(I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale e Forme e criteri di
responsabilità, senza trascurare come tale concetto mai si distacchi dalla
distinzione vailatiana tra atto volontario e atto involontario o dal binomio
libertà/causazione, tanto cari al dibattito ottocentesco tra Positivisti e
scuola classica italiana del diritto criminale. Gli accenni vailatiani e
calderoniani ai temi della volizione, causazione, libertà confluiscono alla
luce di suo attento ed autonomo esame in
un'assai moderna definizione del concetto di responsabilità, in cui il negatore
del libero arbitrio che non sia vittima di equivoci sul valore di tal
negazione, sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità, qualità
esistenti nell'uomo, ma analoghe alle altre, atte cioè ad essere studiate nella
loro genesi e nella loro evoluzione, suscettibili di gradazioni infinite, e
subordinate alla presenza di certe condizioni e concomitanti, a concepire in
altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed evoluzionisticamente,
che staticamente. Pur se tale concetto sottenda contaminazioni etiche
d'inaudita modernità e benché in Forme e criteri di responsabilità sia
delineata l'idea dell'esistenza di un confine sottile tra morale e diritto, nascendo
come teorico del diritto- si mantiene saldo nel declinare come il termine
“responsabilità” si usi all'interno dell'universo di diritto criminale e
diritto civile; nella trattazione calderoniana «responsabilità» si immettecome
in Hegel/Weber nel contesto della vita statale o sociale e si smarcacome nel
«marxismo occidentale» moderno e in Lévinasdai risvolti individualistici
dell'etica antica. C. nell'incipit di Forme e criteri di responsabilità-
scrive: Pochi termini trovano, in ogni campo della vita sociale, così
larga applicazione come il termine responsabilità. L'andar soggetto a
responsabilità è la sorte, spiacevole o piacevole, di chiunque vive nella
compagnia dei propri simili e si trovi in una data compagnia di dati suoi
simili. Nulla potrebbe meglio servire a distinguere l'uomo vivente in società
da un ipotetico uomo vivente in stato di natura” che l'essere il primo avvolto
in una fitta rete di responsabilità. Responsabilità se ne trovano dovunque gli
uomini vengano in urto o in conflitto fra di loro. La riflessione calderoniana
incentrata sulla strada della critica sia nei confronti del nazionalismo
corradiniano sia nei confronti del socialismo rivoluzionario si innesta su un
contesto storico e culturale come l'Italia di Giolitti d'inizio Novecento caratterizzato
dalla intensa dialettica civile tra nazionalismi e socialismi, e, all'interno
di essa, tra visioni moderate (nazionalismo liberale e socialismo riformista) e
concezioni estreme (nazionalismo estremo e socialismo rivoluzionario). Gli auoi
interventi di pubblicati sulla rivista di Corradini scrive M. Toraldo di
Francia- possono distinguersi dal punto di vista dei contenuti e cronologicamente
in due gruppi. Del primo fanno parte gli articoli polemici nei confronti del
nazionalismo propagandato dalla rivista, nel secondo invece si collocano gli
ultimi due scritti, di impronta nettamente “anti-socialista”. La via
dell'analisi sul nazionalismo moderato (liberale e liberista) sondata nelle
recensioni vailatiane a Pareto, Dumont, Trivero, Tombesi, Pierson, Einaudi, Rignano
e Landryè battuta da lui in maniera minuziosa alla luce dei due saggi “Nazionalismo
antiprotezionista? e Nazionalismo borghese e protezionista” nella direzione
d'una estesa accusa al nazionalismo di Corradinia. Moderati dall'interesse
vailatiano verso il socialismo riformista, internazionalista, e non
materialista di darwinismo sociale kiddiano e anti-materialismo effertziano, I
suoi moniti critici nei confronti del socialismo rivoluzionario si estrinsecano
invece con consueta chiarezza nei due contribute, “La questione degli scioperi
ferroviari” “e La necessità del capitale”. Dalle colonne della rivista
corradiniana Il Regno, isulla scia del moderatismo del maestro Vailatitenta di
maturare una concezione intermedia tra estremismi di destra e di sinistra,
idonea a sacrificare valori e ideali della borghesia italiana alla tutela del
bene comune dell'intera nazione e stato italiano, in nome della necessaria
vitalità di un'industria e di un'economia in inarrestabile ascesa internazionale;
a dettacontra Prezzolini- si deve sacrificare il “bene comune” dei ceti sociali
abbienti sull'altare del bene nazionale: Per me personalmente, che mi
sento anzitutto italiano e poi borghese, mi auguro che l'Italia sappia
sbarazzarsi di tutti gli elementi dannosi ed infecondi che la dissanguano e la
opprimono. Dovesse anche, in questo processo di eliminazione, andar sacrificata
buona parte della borghesia attuale, per essere sostituita (attraverso il
meccanismo democratico) da elementi più vitali e più utili che sono veramente
gli interessi della Patria. Scritti, Firenze, La Voce. voll. I e II M. Toraldo di Francia,
Pragmatismo e disarmonie sociali. Scritti sul Pragmatismo (Roma) Pragmatismo
analitico. Dizionario biografico degli italiani. Il riferimento esordiale
alle tragiche contingenze politiche è per il G. ponte logico ai fondamenti
filosofici del trattato: in Firenze sprovvista di giustizia e onestà, i
cittadini sono come oggetti inanimati esteriormente simili, ma la cui essenza,
isolata nella propria individualità, non stabilisce tra loro alcun legame
sostanziale. Essi sono semplici simulacri di cittadini, poiché non sono in
grado di percepire l'altro e percepirsi collettivamente, dunque di amare il
bene comune più del proprio. Quest'ultimo tema ("bonum commune preferendum
est bono particulari et bonum multitudinis"), motivo fondamentale del
trattato remigiano, e argomento comunissimo nelle coeve trattazioni di filosofia
morale e politica, discende dall'Ethica Nicomachea aristotelica. Il tema ha in
Aristotele, come nel G. e nei filosofi medievali che da Aristotele dipendono,
una dimensione ontologica - l'intero ha più essere della parte, la quale esiste
solo in subordine a esso - che è stata sviluppata in direzioni alquanto
diverse: la realizzazione d'una potenzialità intellettiva comune a tutto il
genere umano, che sembra asservire all'argomento politico l'interpretazione
monopsichistica dell'intelletto attivo, è per esempio la via percorsa d’ALIGHIERI
(si veda) in Monarchia. Nel G. quest'idea ha una decisa impronta dionisiana -
l'amore del singolo verso il tutto è mezzo di superamento dei limiti
dell'individualità, uscita da sé (extasis) e congiungimento con Dio (Dionigi,
De divinis nominibus) - e agostiniana - la congruenza della parte col tutto
coincide con la bellezza dell'universo (Agostino, Confessiones) -. Tuttavia,
come è merito del Panella aver chiarito, questo organon filosofico, applicato
alla realtà comunale, determina nell'opera il passaggio dal concetto di bene
comune alla concreta formulazione del bene del Comune, ch'è il tratto più
originale del pensiero politico remigiano.Totalitas Ante Partes ovvero sul
Bene Comune: spunti aristotelici, tomistici, marxiani,
senesi e dal secondo emendamento della Costituzione
americana Materiali di studio per Master Class Morigi Guercino, AQUINO
(si veda) scrive assistito dagli angeli, Basilica S. Domenico, Bologna, Aristotele,
Politica: sulla naturalità della famiglia: «La comunità che si
costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia, icui membri
Caronda chiama «compagni di tavola», Epimenide cretese «compagni di
mensa», mentre la prima comunità che risulta da più famiglie in vista di
bisogni non quotidiani è il villaggio. Nella forma più naturale il
villaggio par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli che alcuni
chiamano «fratelli di latte», «figli» e «figli di figli». Per questo gli
stati in un primo tempo erano retti da re, come ancor oggi i popoli barbari:
in realtà erano formati da individui posti sotto il governo regale - e,
infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano, e lo
stesso, quindi, le colonie per l’affinità d’origine.»: pp. 2-3 di
Aristotele, Politica, documento caricato per Master Class su
Internet Archive agli URL archive.org/ details/ politica-aristotele-
file-creato-da-massimo-morigi-per-master-class-13-f1 e //ia601403 Aristotele,
Politica: Lo stato è un dato di natura, ma un dato di natura generato
dall’aggregarsi di altre subunità sociali, la famiglia e poi il
villaggio, anch’esse naturali e che lo precedono. Inoltre, lo stato, come
queste subunità, esiste non solo per rendere possibile la vita ma una
vita felice, intendendo per felice non dal punto di vista meramente
edonistico ma per realizzare in ogni uomo la sua entelechia che è il
vivere associati e in armonia, cioè di realizzare la propria
totalità umana nella totalità sociale: «La comunità che risulta di
più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il
limite dell’autosufficienza completa: formato bensì per rendere possibile
la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Quindi
ogni stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime
comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il fine,: per esempio quel
che ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua
natura, sia d’un uomo, d’un cavallo, d’una casa. Inoltre, ciò per cui una
cosa esiste, il fine, è il meglio e l'autosufficienza è il fine e il
meglio. Da queste considerazioni è evidente che lo stato è un prodotto
naturale e che l'uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori
della comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o
è superiore all'uomo, proprio come quello biasimato da Omero «privo di
fratria, di leggi, di focolare»: tale è per natura costui e, insieme,
anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi:
p. 3 di Aristotele, Politica, Aristotele, Politica: La chiusura di quanto
sopra affermato con un assai attuale insegnamento intorno alla retorica
dei diritti (individuali, politici e/o sociali). Per Aristotele è
evidente che quanti cercano di far prevalere i propri diritti a
discapito dell’interesse comune, dell’interesse cioè della totalità
sociale (che lo stagirita definisce come bene assoluto) sono pervasi
da spirito di dispotismo, vogliono fare di sé stessi despota che
comanda e/o ignora ogni altra istanza e necessità sociale. In realtà, ci
dice Aristotele, il despota politico, altro non è che un despota privato
che ha avuto maggior successo degli altri. Un grande ed attualissimo
insegnamento riguardo a coloro che si piegano o praticano l’attuale
retorica su una democrazia basata sulla dirittoidolatria a discapito
della totalità sociale. Tutto ciò altro non fa che a pavimentare le strade
del dispotismo e della morte, prima solo morale e poi anche ocrazia.
Il bene comune è sempre in antitesi a tutte le forme di demagogia:
«È evidente quindi che quante costituzioni mirano all'interesse
comune sono giuste in rapporto al giusto in assoluto, quante, invece,
mirano solo all'interesse personale dei capi sono sbagliate tutte e
rappresentano una deviazione dalle rette costituzioni: sono pervase da
spirito di despotismo, mentre lo stato è comunità di liberi: p. di
Aristotele, Politica, documento caricato per Aristotele, Politica. Qui si
ribadisce che lo stato è un fatto totale che presuppone dei dati
fisico-geografici e/o economico- militari (scambi commerciali e difesa
comune) ma che in questi non si esaurisce perché esso esprime una
totalità sociale il cui fine è vivere felici, non però attraverso una
felicità egoistica ed edonistica ma una felicità che solo si può
realizzare realizzando sia a livello individuale che sociale attraverso
una vita libera e una vita dedita alla realizzazione di opere buone e
della amicizia fra tutti i membri della società. Siamo distanti milioni
di anni luce dall’homo homini lupus di hobbessiana memoria e
dall’individualismo metodologico e dalla socievole insocievolezza (Smith,
Locke, Kant) di liberalistica memoria: «È chiaro perciò che lo stato non
è comunanza di luogo né esiste per evitare eventuali aggressioni e
in vista di scambi: tutto questo necessariamente c’è, se deve esserci uno
stato, però non basta perché ci sia uno stato: lo stato è comunanza di
famiglie e di stirpi nel viver bene: il suo oggetto è una esistenza pienamente
realizzata e indipendente. Certo non si giungerà a tanto senza abitare lo
stesso e unico luogo e godere il diritto di connubio. Per questo sorsero
nelle città rapporti di parentela e fratrie e sacrifici e passatempi
della vita comune. Questo è opera dell’amicizia, perché l’amicizia è
scelta deliberata di vita comune. Dunque, fine dello stato è il vivere
bene e tutte queste cose sono in vista del fine. Lo stato è comunanza di
stirpi e di villaggi in una vita pienamente realizzata e indipendente: è
questo, come diciamo, il vivere in modo felice e bello. E proprio in grazia
delle opere belle e non della vita associata si deve ammettere l'esistenza
della comunità politica. Perciò uanti giovano sommamente a siffatta
comunità hanno nello stato una parte più grande di coloro che sono ad
essi uguali o superiori per la libertà e per la nascita ma non uguali per la virtù
politica, e di coloro che li superano in ricchezza e ne sono superati in
virtù.»: Aristotele, Politica, documento caricato per Master Class su Internet
E che Aristotele fosse agli antipodi della concezione liberale
dell’individualismo metodologico lo vediamo dal seguente passa della
Politica dove il concetto di economia, che nella semantica dei moderni ha
solo l’accezione del metodo su come accrescere la ricchezza, viene scisso
fra oikonomé techné e kremastiché techné, la prima dedita a procurare
alla casa e alla propria famiglia tutte le risorse per vivere bene ed in
armonia col resto della società mentre la seconda, la kremastiché
techné, è animata dal desiderio smodato dell’arricchimento personale e
senza limiti. Per Aristotele, concludendo, la oikonomé techné è naturale
e contribuisce al miglioramento della società contribuendo al
miglioramento del suo telos olistico e volto al bene mentre la seconda è
innaturale configurandosi piuttosto come un vizio che corrode le
basi olistiche del vivere associato. Nulla di più distante dalla
visione liberale e smithiana dove il macellaio non mi fornisce la
carne per benevolenza nei miei confronti ma solo ed unicamente per
averne un tornaconto personale: «Per ciò cercano una ricchezza e una
crematistica che sia qualcosa di diverso, ed è ricerca giusta: in realtà
la crematistica e la ricchezza, naturale sono diverse perché l'una
rientra nell’amministrazione della casa, l’altra nel commercio e produce
ricchezza, ma non comunque, bensì mediante lo scambio di beni: ed è
questa che, come sembra, ha da fare col denaro perché il denaro è principio e
fine dello scambio. Ora, questa ricchezza, derivante da tale forma di
crematistica, non ha limiti e, invero, come la medicina è senza limiti
nel guarire, e le singole arti sono senza limiti nel produrre il loro
fine, (perché è proprio questo che vogliono raggiungere soprattutto)
mentre non sono senza limiti riguardo ai mezzi per raggiungerlo (perché
il fine costituisce per tutte il limite), allo stesso modo questa forma
di crematistica non ha limiti rispetto al fine e il fine è precisamente
la ricchezza di tal genere e l’acquisto dei beni. Ma della crematistica che
rientra nell’amministrazione della casa, si da un limite giacché non è compito
dell’amministrazione della casa quel genere di ricchezze. Sicché da
questo punto di vista appare necessario che ci sia un limite a ogni
ricchezza, mentre vediamo che nella realtà avviene il contrario: infatti
tutti quelli che esercitano la crematistica accrescono illimitatamente
il denaro. Il motivo di questo è la stretta affinità tra le due forme di
crematistica: e infatti l’uso che esse fanno della stessa cosa le
confonde l’una con l’altra. In entrambe si fa uso degli stessi beni, ma non
allo stesso modo, che l’una tende a un altro fine, l’altra
all'accrescimento. Di conseguenza taluni suppongono che proprio questa
sia la funzione dell’amministrazione domestica e_vivono continuamente
nell’idea di dovere o mantenere o accrescere la loro sostanza in denaro
all'infinito. Causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma
non di vivere bene e siccome i loro desideri si stendono all’infinito,
pure all'infinito bramano mezzi per appagarli. Quanti poi tendono a vivere
bene, cercano quel che contribuisce ai godimenti del corpo e poiché anche
questo pare che dipenda dal possesso di proprietà, tutta la loro energia si
spende nel procurarsi ricchezze, ed è per tale motivo che è sorta la
seconda forma di crematistica. Ora, siccome per loro il godimento
consiste nell’eccesso, essi cercano l’arte che produce quell’eccesso di
godimento e se non riescono a procurarselo con la crematistica ci provano per
altra via, sfruttando ciascuna facoltà in maniera non naturale. Così non
s’addice al coraggio produrre ricchezze ma ispirare fiducia, e
neppure s’addice all'arte dello stratego o del medico, che proprio della
prima è procurare la vittoria, dell’altra la salute. Eppure essi fanno di
tutte queste facoltà mezzi per procurarsi ricchezze, nella convinzione
che sia questo il fine e che a questo fine deve convergere ogni cosa.»: Aristotele,
Politica, documento caricato per Master Class su Internet Archive agli
URL archive.org/details/politica-aristotele-file- creato-da-massimo. Passiamo
ora ad AQUINO (si veda), dove sulla scorta dell’insegnamento aristotelico
la legge deve essere gerarchicamente sottoposta al concetto di bene
comune, bene comune che cristianamente (ed olisticamente secondo
l’insegnamento di Aristotele) si deve risolvere nella ricerca del bene
della società e non nella soddisfazione degli egoismi individuali:
«Lex est quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui
curam communitatis habet promulgata»: Summa Theologica, Prima Secundae, q.
90, art. 4 [La legge è un ordinamento di ragione volto al bene comune,
promulgata da chi abbia la cura della comunità]. Citazione riassuntiva
da: http://www.unife.it/giurisprudenza/giurisprudenza-
magistrale-rovigo/studiare/storia-del-diritto-medievale-e-moderno/materiale-
didattico/sovranita-moderna, Wayback nza-magistrale-rovigo/ studiare/storia-del-diritto-
medievale-e-moderno/materiale-didattico/sovranita-moderna ma che con citazione
completa: «Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, lex imponitur aliis
per modum regulae et mensurae. Regula autem et mensura imponitur per hoc
quod applicatur his quae regulantur et mensurantur. Unde ad hoc quod lex
virtutem obligandi obtineat, quod est proprium legis, oportet quod
applicetur hominibus qui secundum eam regulari debent. Talis autem
applicatio fit per hoc quod in notitiam eorum deducitur ex ipsa
promulgatione. Unde promulgatio necessaria est ad hoc quod lex habeat
suam virtutem. Et sic ex quatuor praedictis potest colligi definitio legis,
quae nihil est aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab
eo qui curam communitatis habet, promulgata.»: CORPUS THOMISTICUM AQUINO
(si veda) Opera Omnia, opera omnia dell’Aquinata on line all’URL E che AQUINO
(si veda) fosse totalmente compreso nell’olismo di stampo aristotelico
non lo dobbiamo certo noi scoprire ma giova forse leggere il seguente
passo, dal Dionysii De divinis nominibus expositio, Caput II, Lectio I,
dove Tommaso arrischiando una definizione di Dio, arriva a
definirlo “Totalitas ante partes ?: «Totum autem hic non accipitur
secundum quod ex partibus componitur, sic enim deitati congruere non
posset, utpote eius simplicitati repugnans, sed prout secundum Platonicos
totalitas quaedam dicitur ante partes, quae est ante totalitatem quae est
ex partibus; utpote si dicamus quod domus, quae est in materia, est totum
ex partibus et quae praeexistit in arte aedificatoris, est totum ante partes».
Alla stessa stregua di Dio come “Totalitas ante partes”, per
Tommaso anche la società deve essere considerata come “Totalitas ante
partes” (Summa Thologiae), una Totalitas che non deve schiacciare
l’individuo ma che lo precede consentendogli, appunto, alla fine del
processo dialettico della sua paideia culturale e sociale che si svolge e
si deve svolgere sempre in società, di essere un individuo libero e
non soggiacente ai più bassi istinti egoistici e distruggenti il
bene comune. Tema da sviluppare: Tommaso erede di Aristotele
sia nelle categorie più prettamente teologico-filosofico-teoretiche
sia nelle categorie sociali, economiche e politiche, categorie in
entrambi i casi dominate dal primato della Totalità sulfinitiitane
atomistico avverso al bene comune e rifiutante questo individualismo sul piano
filosofico-teologico il concetto di totalità-Dio (e quindi di Dio tout
court) e su quello socio-economico il concetto, altrettanto totale — o se
ci fa paura il totalitario lemma ‘totale’, impieghiamo il termine
‘olistico’ — di bene comune che deve soggiacere all’atomismo filosofico e
socio-economico (individualismo metodologico. Campioni di questa
Weltanschauung: Adam Smith Hobbes, Locke, Kant). Altro tema: Marx e i suo
libro primo del Capitale come controcanto materialistico-dialettico (ma
in realtà alla fine di un assai ingenuo materialismo e assai poco
dialettico, facendo Marx la stessa fine e epi ingenui materialisti illuministi
che egli tanto giustamente critica) sul piano filosofico all’olismo
idealistico della Du hegeliana e sul piano socio-economico alla Politica
di Aristotele, nel senso della sottolineatura marxiana della società
vista come una totalità e nell’adozione della critica aristotelica alla
crematistica (Denaro Merce Denaro della società capitalistica mentre lo
schema economico della Politica aristotelica era Merce Denaro
Merce, cioè lo sviluppo ed il rafforzamento della oikonomé techné). Fallimento
del marxismo perché ’ricaduto proprio nell’atomismo filosofico e
socioeconomico degli economisti classici che voleva criticare (Marx,
cioè, alla ricerca di una totalità che viene trovata nell’economia ma
siccome l'economia marxiana dal punto di vista analitico si riduce
sempre e solo nella critica alla crematistica, cioè alla critica agli
economisti classici (Smith, Ricardo, Malthus), cioè alla critica della moderna
Kremastiché techné e non sviluppa sufficientemente (o meglio per niente)
dal punto di vista teorico la portata olistica e volta al bene comune
della oikonomé techné tutto il suo progetto frana miseramente. Ora tema
iconologico: Gli affreschi allegorici diLorenzetti del Buon Governo, conservati
nel Palazzo Pubblico di Siena. In realtà gli affreschi
originariamente erano intitolati al Bene comune od anche della Pace e
della guerra e solo in seguito all’illuminismo presero il nome di
Affreschi del buon governo: Riflettere non solo sull’allegoria in
questione ma anche sugli slittamenti semantici delle varie epoche.
Infine sul Secondo emendamento della Costituzione degli Stati
uniti, un saggio che compie una traslazione del concetto di bene comune
dai “buoni” dei mass media nazionali ed internazionali che situano i
desiderosi del rafforzamento dei vincoli comunitari in coloro che
combattono in quel paese il libero possesso delle armi (in realtà secondo
l’ autore questi non fanno altro che voler accelerare i processi di
globalizzazione e di disintegrazione dei vincoli comunitari) ai “cattivi”
che vogliono mantenere la vigenza del secondo emendamento che garantisce
tale diritto, dove però il portare le armi non rappresenta un diritto ad
uccidere ma è il simbolo del diritto di opporsi ad uno stato dispotico e
che vuole eliminare i vincoli comunitari, uno stato, quindi, che va
contro il bene comune, se per bene comune intendiamo il mantenimento di
un concetto olistico del vivere associato. Il saggio in questione è Campa,
Verso la guera civile. Il tramonto dell’impero USA, e rinviamo
infine alla riflessione del secondo emendamento recita come segue.
A well regulated Militia, being necessary to the
security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms
shall not be infringed.» (Esortazione certamente non applicabile
alla situazione italiana ed anche europea, tutte nazioni-stato che,
comunque, nella loro travagliata mai videro il sorgere di un
federalismo conflittuale, molto conflittuale, come negli Stati uniti,
ma ricordiamo che AQUINO (si veda), proprio perché intriso
dell’aristotelico concetto di bene comune e di prevalenza della
totalità sull’individuo egoista affermava che il tiranno che andava
contro le leggi di Dio poteva anche essere ucciso. Colui che allo scopo di
liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il
tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi,
oppure quando i sudditi sono costretti al consenso. E tutto ciò, quando non
è possibile il ricorso a un’istanza superiore, costituisce una
lode per colui che uccide il tiranno»: AQUINO, Commento alle
sentenze E, il tiranno per Aristotele come per Tommaso era colui
che aveva fatto prevalere la legge del suo egoismo particolare
sulle leggi naturali che regolano la vita della comunità (quando
“non è possibile il ricorso ad un’istanza superiore”: cioè quando il
tiranno non rispetta la legge degli uomini che è stata data ed ispirata
da Dio). Il tiranno quindi non come un mostro che non ha nulla in comune
con noi, ma come un egoista che ha avuto maggiore successo degli altri
nella pratica della kantiana socievole insocievolezza. Il tirranno
pubblico o privato che sia, quindi, nella nostra situazione originata
non dalla nascita violenta di una federazione come negli Stati
uniti ma da un passato poco glorioso di altrettanto sanguinari
totalitarismi politici, non certo un nemico da abbattere fisicamente
(coloro che vogliono compiere violenza in realtà altro non mirano che a
sostituirsi, peggiorandolo, all’abbattuto, lo si vede nella grande storia
delle rivoluzioni moderne e contemporanee ed anche nella piccola,
piccolissima storia o cronaca politica di questi giorni, per farla breve
dalle stelle alle stalle...) ma un modello psicologico prima ancora
che sociale dal quale affermare interiormente e pubblicamente la siderale
distanza.) Quelibet enim pars id quod est totius est, cum extra totum non
sit pars nisi equivoce, sicut diffusius ostenidums in tractatu DE BONO COMUNII.
Quilibet autem homo particularis est PARS COMUNITATIS. Unde in hoc quod se
ipsum interficit iuniuriam comunitati facit ut Pptet per Philosophum in V
Ethicorum qui dubdit, ‘Propter quod CIVITAS dampnificat scilicet sicut potest
et quedam inhonoratio adest se ipsum corrumpenti ut civitati iniustum faciendi’
idest quasi ipse faciat iniuriam civitati puta quia fact trahi cadaver eius vel
iubet quod non sepeliatur vel aliquid tale. Citato da Alighieri C cc 278r-b
–va. Il comune di Firenze – studeat ergo civis quantumcumque sit miser in se ut
comune suum FLOREAT quia ex hopc ipso et ipse FLOREBIT – l’impiego di FLOREO
allude al gioco etimologico FLOS FLORENTIA di guittoniana memoria. Dal bene
comune al bene del comune – del bono comune al bono del comune – Qualem enim
delectationem poterit haberet CIVIS FLORENTINUS videns status civitatis sue
trisabilet et summon plenum merore? Nam plate sun explatiiate idest evacuate
domus exdomificate, casata sun cassata … poderia videntus expoderat quia ARBORE
EVOLUSE vine precise palatia destructa et non est iam poderne, idest posse ut
in eis habietus vel eatur ad ea nisi cum timore et tremore. Firenze e come un
albero fiorito – aria di tenore con interpolazione di o mio babbino caro -- Incerta
è la data della fondazione della colonia di Florentia che nel tempo è stata
variamente attribuita, a parte riferimenti mitologici, a Silla, a Gaio Giulio
Cesare o a Ottaviano. Gli storici sono concordi nel datare la fondazione della
colonia romana di Florentia. Il Liber Coloniarum attribuisce ad una lex Iulia
agris limitandis metiundis, voluta da Gaio Giulio Cesare, la volontà di far
nascere un nuovo impianto urbano in questo tratto della valle dell'Arno, là
dove traversava il fiume all'altezza di Ponte Vecchio. Al secondo
triumvirato risale invece l'effettivo impianto della città e la centuriazione
del suo territorio, per poter sistemare i veterani per mezzo dell'assegnazione
di terreni. Come consueto nella fondazione di nuovi insediamenti, la
città ed i suoi dintorni vennero definiti secondo un preciso piano che
coinvolgeva l'impianto urbano ed in territorio agricolo. Per la città fu
seguita la regola ideale dell'orientamento secondo gli assi cardinali, mentre
il territorio circostante fu sistemato tenendo conto della conformazione
idraulica, ruotando gli assi secondo quanto conveniente. Dalle foto aeree,
ancora oggi, si possono distinguere il cardo massimoorientato Nord-Sud (da Via
Roma all'Arno), e il decumano massimo orientato Est-Ovest (l'attuale percorso
di Via Strozzi e Via del Corso) che si incrociavano all'altezza dell'attuale
Piazza della Repubblica sede del Foro della città e del Campidoglio, circondati
dai principali edifici pubblici e templi. Durante i secoli dell'Impero infatti,
la città si arricchi di tutti quegli edifici ed infrastrutture che
caratterizzano le città romane: un acquedotto (dal Monte Morello), due terme,
un teatro e un anfiteatro, sorto fuori dalle mura, come era consueto.Mario
Calderoni. Keywords: fascismo, politica italiana, stato italiano, comunita,
bene comune, bene, bene superiore, bene summo, summum bonum, superior bonum, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Calderoni” –
The Swimming-Pool Library. Calderoni.
Grice
e Callescro: gl’accademici di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademia. He was the unclde of Tito
Flavio Glauco. Tito
Flavio Callescro. Callescro.
Grice
e Callia: la setta di Velia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia).
Filosofo italiano. Callia was a pupil of Zenone di VELIA (si veda) – another
Velino (si veda). Callia.
Grice
e Callicratida: la setta di Girgenti. Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza
(Girgenti). Filosofo italiano. The brother of Empedocle di GIRGENTI (si veda). His name is attached to some fragments of Pythagorean writings preserved
by Stobeo. Callicratida.
Grice
e Callifonte: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone).
Filosofi italiano. A pupil of Pythagoras. Callifonte.
Grice e Calò (Francavilla Fontana). Filosofo italiano.
Lecce. è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi di Firenze. Rivolse la
sua attenzione dapprima ai problemi morali, ma con preferenza a quelli che più
direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale e
metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al
Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che
contiene un’analisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del contingentismo
e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il neo-criticismo
renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà come attitudine
propria dello spirito individuale, presup¬ posto indispensabile della libertà
etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della coscienza di
porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e irreducibiie
d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia produttrice di fatti.
Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari tendenze dell’etica
moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX, premiato
dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle varie forme
d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche nella letteratura
del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma l’obiettività e
universalità dei valori mo¬ rali, riconosce insieme che questi non hanno
esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente della
personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la sola
realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati
lavori, costituiscono la conclu¬ sione o i principii ispiratori dell’esame
critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e
sistemate, in forma di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume
Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron), preparato insieme col De Sarlo e
scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immedia¬ tezza
dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i principii etici
fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a
necessità d’altro genere — al che C. dedica anche altri scritti minori, tra cui
notevole il saggio su L’in- terpretàzione psicologica dei concetti etici (in «
Atti del V Congresso Internazionale di psicologia » Roma). Vi sono inoltre
definiti nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va-
ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine
particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la quale si
fa consistere da C. come, l’abbiamo
visto, dal De S. nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da
elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente espli¬
cazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e della
discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella suc¬ cessiva
soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e nello
sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in va¬ lutazioni sintetiche;
nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più
larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il
suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (no¬ tevoli, p. es., i
suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giu¬ dizio tetico e intorno
alla classificazione dei processi psichici, e pa¬ recchi saggi storici e
critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.).
Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico,
e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra
esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime
basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia del¬
l'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Coope¬ rativa);
Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema
della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri);
L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla
scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie
di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau,
premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca
pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere
dell’opera pedagogica del Calò furono rilevati, con giudizio non sospetto, dal
Codignola, che nel 1916 afermò essere C.
« il più serio avversario della pedagogia idealistica in Italia » (1). Invero, C.,
mentre ammette una filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la fecondità,'
non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione
si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività
psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non
possono non essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica
e delle sue leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi
sono norme educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici
dell’attività umana, considerati in rap¬ porto al progressivo potere
d’attuazione del fanciullo; vi sono infine tipi e norme didattiche che si
ricavano dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la
pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di
vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e
integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche
in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto
essenzialmente spirituale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o
di perfezio¬ namento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto
edu¬ cando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e
all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che
il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e
sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia
svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto,
si ha l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per
la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un
processo di formazione nel quale le attività del sog¬ getto e la forma valgono
anche più dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o
dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si
tratta di nutrire e di promuovere in (1) Kant nella storia della pedagogia e
dell'etica, Napoli 1916, p. 31. — Nonostante ciò o forse appunto per ciò — il Codignola,
facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe
Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze,
p. 284), si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M.
Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo
raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta
nel suo Disegno storico della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la
personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui
diritti della cultura Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli
acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo
formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva
necessità e in¬ sostituibilità della cultura umana e storica e di quella
realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa,
elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale
nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale
dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello
spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non
essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità
traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo
forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di
vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto
quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istru¬ zione,
l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello
Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia
conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha
discusso — e non sol¬ tanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove
egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello del¬
l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma
universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc.,
mostrando sempre lucidità e prontezza di visio¬ ne dei termini essenziali di
ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali,
calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Calò. Calò. Grice e Calò
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