Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Wednesday, January 8, 2025

GRICE ITALO A-Z C CAL

 

Grice e Calabresi: il deutero-esperanto – la scuola di Montepulciano – filosofia sienese – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Montepulciano). Filosofo italiano. Montepulciano, Siena, Toscana. Muore a Sarteano. Filosofo, medievista, paleografo e linguista italiano. Un appassionato studioso d'istituzioni del basso Medioevo, con particolare riguardo a Montepulciano e alla Valdichiana in generale.  La sua opera principale è sicuramente il glossario giuridico dei testi in volgare di Montepulciano. Tale lavoro e realizzato per conto dell'Istituto per la documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle ricerche, oggi Istituto di teoria e tecniche dell'informazione giuridica.  Come linguista, correda, con Fiorelli (vedasi), co-autore del Dizionario d'ortografia e di pronunzia della RAI, della trascrizione fonematica tutti gl’esponenti di Zingarelli. La trascrizione usa l'alfabeto fonetico, ed è il primo esempio d'applicazione su larga scala di quel sistema alla lingua italiana. Altri saggi: El breve de la Conpagnia de' chalçolari di Monte Pulciano, Firenze, Istituto per la documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle ricerche. Il Chiaro o Lago di Montepulciano: appunti storici con documenti inediti e riproduzioni di carte antiche, Acquaviva o Montepulciano, Cartolibreria P. Pellegrini; Cenni sulla storia di Chianciano Terme e sull'arme del Comune, Chianciano Terme, Amministrazione comunale; Contributi alla conoscenza delle arti e delle corporazioni nei secoli 17°-18°. Dalle fonti documentarie degli archivi privati e delle persone giuridiche minori (specialmente della Toscana orientale e meridionale), Firenze, Istituto per la documentazione giuridica del Consiglio nazionale delle ricerche; Un vocabolario della lingua parlata in un codice della Magliabechiana, Firenze, La Crusca; Strade, storia e tradizioni popolari nella Valdichiana senese: archeologia e storia del territorio nei nomi delle vie d'Acquaviva. Il folklore della strada, Acquaviva; Montepulciano: contributi per la storia giuridica e istituzionale. Edizione delle quattro riforme maggiori dello Statuto, Siena, Consorzio universitario della Toscana meridionale; Glossario giuridico dei testi in volgare di Montepulciano: saggio d'un lessico della lingua giuridica italiana, Firenze, Pacini. Biografie Per il Dizionario biografico degli italiani della Treccani, C. inoltre cura le biografie di Buonmattei, Cenni (vedasi), e Cenni Fondazione In suo onore è stata istituita la Fondazione C., con sede nella frazione di Acquaviva, suo paese natale. La scomparsa di C., su biblioteca.montepulciano.si.it. In memoria di C., su ittig.cnr.it. Cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche italiane, su internetculturale.it. Portale Biografie   Portale Medioevo Portale Storia Categorie: Medievisti italiani Paleografi italiani Linguisti italiani Italiani Nati a Montepulciano Morti a Sarteano Biografi italiani [altre] Il senese C., dipendente del C.N.R., inventa una lingua ausiliaria internazionale che chiama Omnlingua, caratterizzata sul piano morfologico dal recupero della declinazione, con sette casi nella declinazione primaria (nominativo, genitivo, dativo, relativo statico, relativo dinamico o accusativo, vocativo, locativo statico) e sei in quella secondaria (derivativo, fautivo, strumentale, locativo dinamico, invocativo,  locativo stabile), dall'adozione di cinque generi grammaticali, di dieci coniugazioni, di tre tipi di preposizioni semplici e di prefissi ottenuti con tre diverse vocali finali, ecc., e dall'uso di alcuni segni particolari, come il segno «"» che indica aspirazione; «-» rafforzamento o  raddoppiamento non enfatico sulle consonanti e allungamento sulle vocali; «^» addolcimento di certe consonanti, ecc.  La molla che spinge Calabresi a creare l'Omnilingua è, da un lato, la constatazione del fallimento del Volapük e dell'Esperanto, dall'altro il desiderio di «affratellare i popoli di tutto il mondo», dopo le orrende devastazioni della seconda guerra mondiale, in cui per altro C. perde il padre. Omni-lingua. Ilio Calabresi. Calabresi. Keywords: omnlingua. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Calabresi”. Calabresi.

 

Grice e Calais: la setta di Reggio  – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Giamblico di Calcide, a Pythagorean.

 

Grice e Calboli: l’implicatura conversazionale della langue e la parole – Grice e Gardiner -- de parabola – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo Italiano. Grice: “I like Calboli – he philosophised on much the same subjects I did – colour words (‘that tie seems/is light blue’) – the philosophy of perception, and parabola, i.e. expression. If I use ‘utterance’ broadly so does Calboli with his ‘parabola.’ One big difference is that he is a nobleman, who owned a castle that he ceded to Firenze – I did not!” Altre opere: “Exercitatio philosophica” (Romae, Giovanni Zempel). Étymol. et Hist.I. Faculté d'exprimer la pensée par le langage articulé -- «expression verbale de la pensée» (Roland, éd. J. Bédier: De sa parole ne fut mie hastifs, Sa custume est qu'il parolet a leisir); spéc. ling. distingué de langue (Sauss.). action de parler» metre a parole «faire parler» (Wace, Conception N.-D., éd. Ashford). C. Le langage oral considéré par rapport à l'élocution, au ton de la voix cde sa pleine parole «à haute voix» (Pèlerinage de Charlemagne, éd. G. Favati); parole basse (Benoît de Ste-Maure, Troie,  ds T.-L.);(Wace, Rou, éd. Holden: Sa voiz e sa parole mue). D. ca  «faculté d'exprimer sa pensée par le langage articulé» (Guillaume d'Angleterre, éd. M. Wilmotte, De joie li faut la parole). «art de parler, éloquence» employer sa parole à gagner argent (Nicot); (Boileau, Art poétique, chant IV ds OEuvre, éd. F. Escal); avoir le don de la parole (Ac.). F.  «droit de parler» (Bruyère, Caractères, De la Cour, OEuvre, éd. J. Benda: Ils ont la parole, président au cercle). II. Son articulé exprimant la pensée A. Suite de mots, message, discours, propos exprimant une pensée (Roland: De cez paroles que vous avez ci dit...;: Bon sunt li cunte e lur paroles haltes); (Wace, Rou: [Li evesque] Ne fist pas grant parole ne ne fist grant sermon). B. spéc.  «discussion, dispute» (Wace, Brut, éd. I. Arnold); avoir des paroles ensemble (Perceforest)  «promesse» doner parole (Benoît de Ste-Maure); prisonniers pour la parole (E. Pasquier, lettre 21 août, ds Lettres hist., éd. D. Thickett); (croire) sur vostre parole (Guez de Balzac, lettre 11 déc. ds OEuvres); homme de parole (Id., lettre).  «expression verbale d'une pensée remarquable» (Thomas, Tristan, éd. Wind, fragm. Douce: Oïstes uncs la parole).  «belle, vague promesse» (Proverbe au vilain, T.-L.: De bele parole [var. promesse] se fait fous tout lié); paroles sourdes «paroles en l'air, mensonges» (Gace de La Buigne, Deduis.);«phrase creuse, vide» paroles pleines de vent (Chastellain, Chron., éd. Kervyn de Lettenhove). «enseignement» (Aimon de Varennes, Florimont, ds T.-L.); spéc. 1ertiers xiiies. (Vie de St Jean l'Évangéliste, 567, ibid.: avint ke li ewangelistes en une chité vint, Où il dist la parole [Luc]) la parole de Dieu «l'Écriture sainte» (Pascal, Pensées, OEuvres, éd. J. Chevalier: Quand la parole de Dieu... est fausse littéralement, elle est vraie spirituellement); 2. fin xiies. la parole «le Verbe, la Parole faite chair» (Sermons de St Bernard, éd. W. Foerster,: cil [li troi roi el staule] reconurent la parole de deu lai ou il estoit enfes). Issu du lat. chrét. parabola (devenu *paraula par chute de la constrictive bilabiale issue de -b- devant voy. homorgane) «comparaison, similitude», terme de rhét. (Sénèque, Quintillien); puis, chez les aut. chrét.: 1. «parabole» (Tertullien, St Jérôme); 2. «discours grave, inspiré; parole», ce double sens étant dû à l'hébreu pārehāl (Job, 1: assumens parabolam suam«reprenant son discours»; Num.: assumptaque parabola sua, dixit; par la suite: Gloss. Remigianae: in rustica parabola «en lang. vulg.»), v. Ern.-Meillet, Blaise, Vaan., Löfstedt, Late Latin, pp.81 sqq. Le lat. est empr. au gr. παραβολη  «comparaison [par juxtaposition], illustration» empl. dans les Septante au sens de «parabole» (Marc). Parabola a supplanté verbum dans l'ensemble des lang. rom. (sauf le roum.) grâce à la fréq. de son empl. dans la lang. relig., verbum étant spéc. utilisé dans cette même lang. pour traduire le gr. λογος, v. verbe. Marchese. De Calboli. Paulucci. Paolucci. Francesco Giuseppe Paulucci di Calboli. Francesco Paulucci di Calboli. Keywords: de parabola, parabola, parola, parlare, hyperbola, cyclo, ellipsis. exercitatio philosophica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Calboli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Calcidio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. (Roma). Filosofo italiano. Commenta il "Timeo" di Platone. Per impulso di un OSIO al quale con una lettera CALCIDIO dedica l’opera sua, è un platonico con forti tendenze eclettiche o dilettanti.Secondo la tradizione manoscritta, C. si dove identificare il dedicatorio del lavoro a quell’Osius o Hosius di Cordova che prende parte ai concili di Nicea e di Sardica.Nella stessa epoca e vissuto C., che viene detto diacono o arcidiacono della stessa diocesi. In ogni modo, nel Commento del Timeo, C. mostra di conoscere bene il Testameno ebreo, che ritiene ispirata da Dio, cita Origene e accenna a credenze dei galilei.Il Commento al Timeo di C. deriva in ultimo da quello di Posidonio, mediato però da uno del liceale Adrasto d’Afrodisia per la parte matematica, astronomica e musicale e da uno di seguace del Platonismo dal quale sembra provenire anche lo pseudo-plutarcheo "De fato."Non è escluso, anzi, che il secondo commento sia stato l’unica fonte di C.. C. sopra tutti i filosofi ammira Platone, di cui cita passi di diversi dialoghi.Inoltre, C. menziona molti altri autori (stoici, neo-pitagorici, Filone d'Alessandria, Numenio), che probabilmente conosce soltanto indirettamente. Queste citazioni svariate sono l’espressione estrema del suo eclettismo o dilettantesimo a base platonica. Con Platone, C. parla di tre principi delle cose, Dio, il modello (cioè la idea) e la materia.In ciò si accorda con Albino, col quale riduce la idea a un pensiero divino.Con lo Stoicismo, C. identifica il divino al principio attivo, la materia al principio passivo. Però, mentre fa della materia un principio originario e sostiene che il mondo non è stato creato nel tempo, C. si sforza di affermare che in questi argomenti l'origine di cui si parla non ha carattere cronologico, ma designa una dipendenza. C. si esprime quindi in modo improprio quando ammette l'eternità dell’origine delle cose e della materia. Dalla materia, in cui Dio impone le immagini dell'idea, e provenuto il corpo. Mentre in questa parte, in complesso, predomina il pensiero di Platone, nello studio delle potenze divine si presentano dottrine del Platonismo, che preparano quelle neo-platoniche, ma in alcuni punti essenziali ne differiscono fortemente. Al vertice sta il divino supremo o il sommo bene, che, con Platone, è posto sopra ogni sostanza e dichiarato superiore all’intelletto e ineffabile. Al disotto di esso sta un secondo divino, la provvidenza, identificata al vobis, che è la volontà e insieme l'eterno atto della mente divina. Le cose divine intelligibili e quelle prossime ad esse, sottostanno soltanto alla provvidenza, le naturali e corporee sono soggette al fato, o serie delle cause, che deriva dalla prima ed è una legge divina promulgata per reggere ogni cosa. Di questa legge è custode un terzo divinito, l'anima cosmica, che C. chiama la seconda mente o il secondo intelletto. Questa tri-partizione del divino riprende uno schema di Albino e si allontana dal neo-Platonismo perchè non denomina Uno il primo principio, gli attribuisce la volontà che Plotino gli nega e non parla della derivazione della materia nei termini caratteristici di quel sistema. La teoria della provvidenza e del fato (affine a quella dell’opera pseudo-plutarchea) sembra pure attinta a una fonte platonica. Le teorie sui demoni e sul destino delle anime dopo la morte concordano con quelle della scuola platonica e di Posidonio. In complesso C. giustappone teorie svariate senza ri-organizzarle.La filosofia di C., però, sebbene priva di ogni originalità, e l’unica via di accesso alla filosofia platonica di cui potè disporre la civilizazione occidentale e costituì per esso una delle fonti maggiori della storia del pensiero romano antico.   Calcidio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.  Manoscritto medievale del Timeo di Platone, tradotto da C. Filosofo romano. Della vita di C. sappiamo pochissimo. C. traduce il Timeo di Platone in LATINO, corredandola di un ampio Commento. La datazione della traduzione è dibattuta. Tra gli elementi più importanti utilizzati per collocare C. nel tempo e nello spazio c'è la lettera introduttiva all'opera, dedicata ad OSIO, al quale egli fa riferimento più volte nel suo Commento. Nella lettera C. racconta come OSIO gli abbia affidato un incarico tanto arduo come la traduzione e il commento del Timeo al LATINO, impresa, secondo C., mai tentata fino a quel momento (operis intemptati ad hoc tempus). Una subscriptio trovata in alcuni manoscritti fa luce sul problema della datazione dell'opera: "Osio Calcidius ". Dalla subscriptio si evince, quindi, che Ca. era l'arcidiacono di un vescovo Osio. Nel periodo tardo imperiale è noto un Osio, diocesi di Cordova, figura importante del cristianesimo occidentale. Nei Concili di Nicea e Sardica, Osio giocò un ruolo decisivo nella difesa dell'ortodossia contro l'arianesimo. Se si tratta di questo Osio, Calcidio avrebbe realizzato la sua traduzione del Timeo. Waszink, l'editore di C. si oppone a questa ipotesi, che è sempre stata quella tradizionalmente più accettata, e ritiene che C. debba essere collocato intorno alla fine del IV secolo o all'inizio del V. Secondo Waszink, l'ambiente in cui sarebbe stato redatto questo trattato neoplatonico e cristiano sarebbe quello della Milano della fine del IV secolo, quando la città italiana era un fiorente centro di platonismo sia pagano che cristiano, e l'Osio cui si fa riferimento nella lettera introduttiva potrebbe essere un alto funzionario imperiale attivo a MILANO. Tuttavia non esistono prove dell'esistenza dell'Osio ipotizzato da Waszink. La teoria di Waszink è stata respinta da Dillon, che ha ripreso la datazione tradizionale dell'opera, ed è oggi generalmente abbandonata dagli studiosi.  Il “Timeo” era già stato tradotto in latino da CICERONE. La traduzione di C. differisce notevolmente da quella di CICERONE, che forse C. non conosce. Il Commento – L’UNICO COMMENTARIO LATINO ad un'opera di Platone pervenutoci - riguarda solo il testo da 31c4 a 53c3. Per il suo commentario C. fa abbondante uso di fonti greche antiche. Si basa probabilmente sul Commento al Timeo di Adrasto e sulle opere di Albino, Numenio, Porfirio e Filone. Il suo Commento riporta gran parte del capitolo sull'Astronomia della Matematica utile per comprendere Platone di Teone di Smirne. C. vi espone le conoscenze astronomiche del primo secolo e, accanto ai modelli di Eudosso e Ipparco, descrive anche il modello attribuito a Eraclide Pontico, che sostiene che Venere e Mercurio ruotano intorno al Sole. C. concepisce la materia come sostanza pura e vuota, o anche come l'essenza priva di qualità (in greco: apoios ousìa) del PORTICO, che con l'Ápeiron di Anassimadro condivide l'essere infinita e illimitata, priva delle determinazioni qualitative e quantitative che invece caratterizzano gli enti che si muovono al suo interno. Tale materia primordiale è necessaria per spiegare il molteplice colto dai sensi, che è mobile e divisibile, ma essa in sé e per sé non può essere oggetto di percezione sensibile; al contrario, gli organi di senso possono percepire soltanto la materia unita a una qualche forma intellegibile, ed è poi compito dell'analisi delle mente astrarre la materia pura dalle forme che sono congiunte ad essa dal Demiurgo artefice del mondo.  La sintesi della mente umana giunge così a identificare i tre principi primi: Dio assimilato al Demiurgo platonico, l'idea (exemplum) e la materia (in latino: silva,che rende il greco antico ulē), da non confondersi con i quattro elementi, che sono qualitativamente determinati[6] e nemmeno con la loro unità primitiva, come Diogene Laerzio aveva inteso la materia prima.  Il Timeo nella traduzione di C. è l'*unica* opera di Platone nota agli studiosi dell'Occidente latino fino a quando Aristippo traduce in latino il “Menone” e il “Fedone”. Traduzione e Commento furono molto diffusi durante tutto il Medioevo, al punto che se ne sono conservate più di cento copie manoscritte. Furono realizzati vari commenti alla traduzione di C. tra i quali quello di Isdoso e quelli dei teologi della scuola di Chartres, come Bernardo di Chartres e Guglielmo di Conches. I maestri di Chartres danno al fatto della creazione un'interpretazione filosofica. Partendo dagli assunti di base del platonismo, cercano di dimostrare l'esistenza di una corrispondenza tra la visione del mondo espressa nel Timeo e quella descritta nel racconto biblico della creazione. Bernardo è considerato l'autore delle Glosae super Platonem, un anonimo commentario al Timeo nella versione di C. sotto forma di glosse.[10]  Il filosofo e poeta Bernardo Silvestre fu una delle personalità di questo periodo che furono maggiormente influenzate dalla filosofia platonica. La sua cosmologia e antropologia rivelano la profonda influenza del pensiero di Calcidio. Anche il poema De planctu Naturae di Alano di Lilla contiene idee tratte dal Timeo e dal commentario calcidiano.  L'opera di C. fu molto apprezzata anche nel periodo rinascimentale, iniziato in Italia alla fine del XIV secolo. L'interesse per C. è testimoniato dalle numerose copie manoscritte dell'opera risalenti a quest'epoca - almeno 40, 28 delle quali provengono dall'Italia. Una parte dei manoscritti contiene solo la traduzione del Timeo, una parte solo il commento, una parte traduzione e commento insieme. La maggior parte delle principali biblioteche pubbliche e principesche d'Italia e numerosi umanisti ne avevano una copia. PETRARCA (si veda)  annota la sua copia dell'opera, oggi conservata presso la Bibliothèque Nationale a Parigi. L'umanista FICINO (si veda), più tardi divenuto famoso come traduttore e interprete dei dialoghi platonici, fa una copia manoscritta del commento, corredandola di un gran numero di note sulla lingua, sui contenuti e sulle fonti. Più tardi, quando realizzò una nuova traduzione latina del Timeo, fece solo occasionalmente ricorso a Calcidio, perché il suo latino non soddisfaceva gli elevati standard degli umanisti. Anche l'amico di Ficino PICO (si veda) ha una copia dell'opera di C., annotata di suo pugno. L'editio princeps della traduzione e del commento del Timeo fu pubblicata a cura dell'umanista GIUSTINIANI, vescovo di Nebbio. Nella lettera di dedica, Giustiniani esprime il suo entusiasmo per la cultura e l'imparzialità di C.. Secondo Giustiniani, infatti, C. scrive in un modo così oggettivo che dalle sue parole non si poteva evincere nemmeno se fosse attamente romano pagano. Più tardi, alcuni studiosi considerarono C. ebreo, altri - come il filosofo Cudworth e il filologo Fabricius  - lo ritennero, al contrario, cristiano. Un'altra ipotesi fu avanzata dallo storico Mosheim che giunse alla conclusione che C. non è né un cristiano né un ebreo, né un platonico puro, MA UN ROMANO pagano che ha arricchito la sua filosofia platonica con altri concetti. Fabricius pubblicò una nuova edizione della traduzione e del commento del Timeo ad Amburgo. La filosofia antica, Adorno, Feltrinelli; Moreschini (ed.): C.: Commentario al “Timeo” di Platone, Milano; Bakhouche (ed.): Calcidius: Commentaire au Timée de Platon, Parigi; Dupuis : Préface à la traduction de Théon de Smyrne, Exposition des connaissances mathématiques utiles pour la lecture de Platon, Hachette, 1892. ^ Pierre Duhem, Le système du monde; Moro, Francesca Menegoni e Giovanni Catapano, Il concetto di materia nei commentari alla Genesi di Agostino; Università di Padova-FISSPA; Caiazzo, La materia nei commenti al Timeo, in Quaestio. Annuario di storia della metafisica; Grant, Science and Religion, Greenwood; Waszink, (ed), Timaeus, a Calcidio translatus commentarioque instructus; Warburg Institute et Brill, Londres-Leiden, 1962: Secondo Waszink, il periodo in cui l'opera fu maggiormente copiata fu tra il XII e il XV secolo. Secondo Raymond Klibansky: This dialogue [Timaeus], or rather its first part, was studied and quoted throughout the Middle Ages, and there was hardly a mediaeval library of any standing which had not a copy of Chalcidius’ version and sometimes also a copy of the fragment translated by Cicero. ^ Terence Irwin; Classical philosophy: collected papers, Taylor et Francis. Sulla questione della paternità si veda Béatrice Bakhouche (ed.): Calcidius: Commentaire au Timée de Platon, Vol. 1, Parigi; Dronke: The Spell of C., Firenze; L'adorabile vescovo di Ippona": atti del Convegno di Paola, Franca Ela Consolino, Rubbettino; Hankins: The Study of the Timaeus in Early Renaissance Italy. In Hankins: Humanism and Platonism in the Italian Renaissance, Bd. 2, Rom; Hankins: Plato in the Italian Renaissance, Leiden; Wrobel: Platonis Timaeus interprete Chalcidio, Frankfurt (Ristampa dell'edizione Leipzig); Bronislaus W. Switalski: Des Chalcidius Kommentar zu Plato’s Timaeus, Münster; Wrobel: Platonis Timaeus interprete Chalcidio, Frankfurt  (Leipzig); Bronislaus W. Switalski: Des C. Kommentar zu Plato’s Timaeus, Münster; Vgl. Jan Hendrik Waszink: Calcidius. In: Reallexikon für Antike und Christentum, Supplement-Lieferung, Stuttgart; Vedi Eginhard P. Meijering: Mosheim on the Difference between Christianity and Platonism. In: Vigiliae Christianae; Commentario al «Timeo» di Platone, a cura di Moreschini, con la collaborazione di Bertolini, Nicolini,  Ramelli, Bompiani, Il Pensiero Occidentale, Milano; Commentaire au Timée de Platon, Parigi, Traducción y Comentario del Timeo de Platón, Zaragoza; Magee (ed.), Calcidius. On Plato's' Timaeus, Cambridge (Mass.) - London, Harvard; Studi BOEFT, J. DEN, Calcidius on fate. His doctrine and sources, Leiden, 1970. BOEFT, J. DEN, Calcidius on demons (Commentarius), Leiden, CICERÓN, Sobre la adivinación, Sobre el destino, Timeo, introd., trad. y notas de Ángel Escobar, Biblioteca Clásica Gredos, nº 271, Madrid, GERSH, Stephen, Middle Platonism and Neoplatonism: The Latin Tradition, Publications in Medieval Studies, vol. 23. University of Notre Dame Press, 1986. MACÍAS VILLALOBOS, C., "La influencia de C. en la obra y el pensamiento de Ficino", Crítica Hispánica; WASZINK, J. H., Studien zum Timaioskommentar des Calcidius, I. Die erste Hälfte des Kommentars (mit Ausnahme der Kapitel über die Weltseele), Leiden, Brill, WINDEN, Calcidius on Matter. His doctrine and sources. A chapter in the history of Platonism, Leiden, Brill, Donato Tamilia, De C. aetate, in Studi italiani di filologia classica, Bronislaus Wladislaus Switalski, Des C.  Kommentar Zu Plato's Timaeus, Münster, Steinheimer, Untersuchungen über die Quellen des C., Aschaffenburg 1912. C., su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Calogero, C., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C., in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. C., su ALCUIN, Università di Ratisbona. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Calcidio, su Musisque Deoque. Opere di C., su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di C., su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere di C., su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di C., su Open Library, Internet Archive. su  V · D · M Platonici Portale Biografie   Portale Filosofia Categorie: Filosofi romani Filosofi Romani Filosofi cristiani Neoplatonici Traduttori dal greco al latino Commentatori di Platone [altre] Calcidio or Chalcidius translated the Timeo, and produced a commentary on it that still survies. In his understanding of matter and form, he appears to have borrowed substantially from Aristotle. His commentary is also a valuable source of information on the Porch physics as he makes several references to what Zeno of Citium, Crisippo di Soli and Cleante thought about such issues as fate and substance. He may also have been familiar with the works of Giamblico and Porfirio. Calcidio. Keywords: Cicerone. Calcidio.

 

Grice e Calderoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bene comune, bene summon – Remigio di Gerolami e il bono comune (koinon agathon) di Aristotele—scuola di Ferrara – filosofia ferrarese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Ferrara). Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Ferrara, Emilia-Romagna. Grice:”Calderoni knew everything – he corresponded with Lady Viola, as I didn’t – and he pleased the lady, because the lady knew that Calderoni was using all the right words – none of the heathen ‘mean,’ but all about ‘segno’ and ‘segnare’ and ‘intenso,’ – It is drawing from the Calderoni tradition that I arrive at the meaning-as-intention paradigm I’m identified with! And note that sous-entendue is Millian for implicatura!” -- Grice: “Calderoni is a genius; he is, like me, a verificationist – I mean, read my ‘Negation’: the two examples I give relate to sense data: “I’m not hearing a noise,’ and ‘That is not red.’ Calderoni tries the SAME! He founded a verificationist (or ‘pragmatist’ club at Firenze), and he corresponded with Peirce when I only decades later,  tutored my tutees on him!” --  Grice: “Calderoni is serious about truth-conditivions having to be understaood as ‘assertability’ conditions – and these assertability conditions providing much of the ‘sense;’ admittedly, he uses ‘sense’ more loosely than I do – but on the good side, he uses ‘nonsense’ in a tigher way than I do!” Teorico del diritto italiano (pragmatismo analitico italiano).  Studia a Firenze e si laurea a Pisa, con “I postulati della scienza positiva ed il diritto penale”. Collabora alle riviste Il Regno e Leonardo, su cui scrive una serie di saggi, in autonomia o in collaborazione col maestro Vailati. Presenta comunicazioni in diversi Congressi internazionali: Monaco, Parigi,  e Ginevra. Mantiene contatti e scambi con Halévy, Boutroux, Russell, Couturat, Brentano, Ferrari, Pikler, Mosca, Pareto, Croce, Juvalta, Peirce e molti altri. Il saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali”. Successivamente ottiene una libera docenza a Bologna, dove  tiene un corso sul pragmatismo dal titolo “L’assiologia, ossia, la Teoria Generale dei valori”. Scrive in collaborazione con Vailati “Il Pragmatismo” raccolta di tre articoli introdotti nella Rivista di Psicologia applicata (“Le origini e l'idea fondamentale del Pragmatismo”; “Il Pragmatismo ed i vari modi di non dir niente” – “L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica”. Trascorsa l'estate a Rimini a curare i sintomi d'una bruttissima depressione, ritorna a Firenze, dove inizia nuovamente il corso universitario su Teoria Generale dei valori all'Istituto di Studi Superiori, senza riuscire a terminarlo, dal momento che, a causa di un aggravamento repentino dell'esaurimento mentale, abbandona la docenza. Muore in una casa di salute ad Imola. Mette sotto analisi e in correlazione senso comune e scienza attraverso lo strumento meta-discorsivo della filosofia, intendendo costruire conoscenza e scienza coi mattoni della teoria della mente, e usando come riferimenti culturali analisi brentaniana di stati mentali e teoria dinamico-funzionale della mente di James e di Pikler. Saggi di riferimento sono due: è con “La Previsione nella teoria della conoscenza” che  intende analizzare condizioni di verità e condizioni di validità della conoscenza, sia discernendo enunciazioni sensate da non-sensi sia indicando un metodo di verificazione, nell'istanza verificazionista di illustrare a fondo i meccanismi della conoscenza (verificazione e verità), oltre all'obiettivocome accade anche nel Peirce di avvicinare teoria della conoscenza e semantica dei discorsi (verità e senso); ed è col successivo saggio, “L'arbitrario nel funzionamento della vita psichica” che, accettata l'eredità vailatiana, intende mostrare l'esistenza di una stretta connessione tra attività conoscitive dell'uomo comune ed attività conoscitive dello scienziato, accostando tale saggio teoria della mente e teoria della scienza. La lettura sinottica dei due testi conduce a riconoscere la tendenza a costruire una teoria dell’animo caratterizzata da riferimenti costanti alla teoria della conoscenza e alla teoria della scienza.  Precorrendo semiotica moderna e verificazionismo schlickiano, costuisulla scia di una certa tradizione continentale e americana indicata dal maestro Vailati- riconosce nei discorsi umani un trait d'union irresistibile tra senso e verità, e ri-definisce la norma di Peirce come norma di senso e norma di verificazione [articoli di riferimento sono due: col breve Il senso dei non sensi,  intende esaminare cosa sia senso di una enunciazione e se esista un unico criterio idoneo a differenziare enunciazioni sensate da non-sensi o a costruire un concreto metodo di verificazione, unendo all'istanza semantica di attribuire un senso ai vari modelli di mezzo comunicativo inter-individuale (intersoggetivo) il sincero desiderio analitico di rinvenire rimedi sicuri contro l'indeterminatezza naturale di termini, enunciazioni e discorsi e la conversazione umana, ed essendo cassa di risonanza all'obiezione contestualistica vailatiana contro l'atomismo semiotico dominante. Nel successivo saggio Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente totalmente debitore alla prolusione vailatiana al corso di Storia della meccanica “Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura”, mostra di essere abile concretizzatore dell'eredità vailatiana tentando di mettere in stretta combinazione intuizione dell'artificialità della conversazione umana e nozione di analisi semantica come rimedio all'indeterminatezza dei mezzi di comunicazione. La lettura sinottica dei due saggi conduce a riconoscere in Calderoni tendenze a costruire una teoria della conversazione umana caratterizzata da riferimenti a convenzionalismo e contestualismo, a rifiutare derive essenzialistiche nell'uso di termini ed enunciazioni e a sottolineare la valenza farmaceutica o terapeutica dell'analisi semantica.  Nella posizione giusfilosofica, l'etica, nella sua dimensione totale, è tematica centrale nella sua filosofia, introducendo costui una modalità rivoluzionaria di considerare tale materia; In lui e in altri autori d'ambiente simile come Juvalta e Limentanila tradizionale distinzione tra etica normativa o prescrittiva ed etica descrittiva o meta-etica è considerata insufficiente. Si mostra sostenitore di un orientamento innovativo in merito al discorso sullo statuto dell'etica. Se l'etica normativa o materiale domina l'intero corso della storia dell'etica umana, il riconoscimento della valenza descrittiva o metaetica o formale dell'etica è ricorrenza teoretica dell'intero ottocento, avendo effetto sulla cultura ottocentesca la tendenza rinascimentale a considerare l'etica come una scienza o un calcolo more geometrico. L'Ottocento concretizza antecedenti tendenze ad estendere all'ambito dell'etica i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali. Questa intuizione e il riconoscimento della centralità dell'analisi lo conducono ad introdurre e sostenere un nuovo modello di statuto dell'etica: etica è una scienza costituita dai tre rami della meta-etica, dell'etica descrittiva e dell'etica normativa. Più che al discorso meta-etico, si orienta verso l'etica descrittiva e normative. In merito alla meta-etica non esiste un discorso diretto dei nostri due autori, laddove invece etica descrittiva e etica normativa sono esaminate coàn riferimenti diretti ed attraverso articoli mirati. Saggi a cui si rinviasenza tener conto della tesi di laurea I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale dove è comunicata una visione immatura e non ancora coerente dell'etica- sono: con Du role de l'évidence en morale, del Calderoni introduce una coerente critica dell'etica normativa tradizionale mettendo sotto esame utilitarismo e kantismo etici, e con il saggio successivo “De l'utilité “marginale” dans les questions d'etìque, introduce un tentativo di indicare un'etica descrittiva che si serva dello strumentario dell'economia; tali tentativi si concretizzano nel saggio “Disarmonie economiche e disarmonie morali” contenente estesi accenni a tutti i rami della nuova scienza e mirando ad estendere in maniera definitiva all'etica lo strumentario della recente scienza economica;. In “L'imperativo categorico” c'è la reazione al neokantismo etico e ad un saggio di Croce in cui si recensiva, con molte riserve, Disarmonie; con i brevi La filosofia dei valori ed Il filosofo di fronte alla vita morale, ci si limita a riassumere tematiche e discussioni antecedenti, introducendo chiarimenti ed attuando delucidazioni. La lettura sinottica dei testi di Calderoni e Vailati conduce ad indicare l'esistenza di tre aree tematiche essenziali: un discorso sulle funzioni e sullo statuto dell'etica (meta-teoria etica);  un dibattito sul senso di termini, enunciazioni e discorsi morali e; una discussione su funzionamento effettivo ed ideale di un sistema morale (etica descrittiva e normativa). Ssi chiede cosa sia l'etica, che senso abbiano i suoi discorsi e che modello di normatività essa abbia, e si domanda come descrivere in maniera esauriente i cosiddetti mercati etici o come massimizzare l'incidenza dello scienziato della morale nella modificazione delle scelte sociali.  Più che Vailati, è lui ad estrinsecare l'«atteggiamento» giuridico del Pragmatismo italiano, nella sua riflessione ius-criminalistica sulle nozioni di volizione, libertà e responsabilità. La discussione in merito alle relazioni tra volizione e diritto è fervente all'interno della cultura italiana dell'Ottocento. Secondo Scuola Classica del diritto criminale, volizione umana è base del momento d'attribuzione della sanzione, in connessione al libero arbitrio. Secondo la Scuola Positiva del diritto criminale è necessario sconnettere tale nozione dal concetto di libero arbitrio, non esistendo azioni incausate (scevre da co-azione) e cadendo volizione insieme a libero arbitrio. Affronta il dilemma della volizione (distinzione tra atto volontario e involontario) all'interno del suo cammino di chiarimento e ridiscussione dei termini di discorso ordinario e discorsi tecnici, stimolato da alcune antecedenti intuizioni di Vailati; e analizza tale dilemma in due diversi momenti della vita, in I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale, e sia nel saggio leonardiano Credenza e volontà. Intorno alla distinzione fra atti volontari ed involontari, sia in un successivo contributo su altra rivista La volontarietà degli atti e la sua importanza sociale. Il saggio introduce un'analisi culturale ricchissima di riferimenti al diritto e immersa nello scenario storico del conflitto ottocentesco tra determinismi ed indeterminismi. Il dibattito tra scuola classica italiana (classici) e Positivisti sulle condizioni teoretiche del diritto criminale evidenzia il suo tentativo conciliazionista di mediare tra due diversi modi di intendere libertà, sanzione e metodo scientifico, ricorrendo ad un uso attento della ri-definizione tanto caro a Vailati e all'intera analitica novecentesca. Pescando dalla metodica analitica lo strumento della ri-definizionemutuato dal maestro Vailati e riassunto con estrema abilità nella recensione al volume I presupposti filosofici della nazione del diritto di Del Vecchio -, avvia un tentativo di «conciliazione» tra scuola classica e positivisti, in cui, la riflessione sul libero arbitrio e il diritto di punire costituisce la premessa per affrontare con un chiaro apparato concettuale l'ulteriore questione dei metodi di studio del diritto penale, attraverso un'esaustiva ridiscussione dei binomi libertà/ causazione (momento di attribuzione del delitto), tutela/ difesa (momento di esecuzione della sanzione) e metodo astratto/ concreto (momento di determinazione del delitto). Rconosce due sono i punti teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si pone come avversaria alla classica. L'uno è rappresentato dalla questione del libero arbitrio, l'esistenza del quale la scuola classica postula come fondamento della imputabilità, mentre è dall'altra scuola negata. L'altro punto è la gius-tificazione del diritto di punire, che l'una pone nella giustizia, l'altra nell'utilità, nella necessità in cui si trova la società di difendersi dai suoi nemici.  Per misurare la nozione di responsabilità introdotta nell'orizzonte culturale italiano d'inizio secolo scorso da lui è necessario muoversi tra i sue due contribute scarsamente esaminati dalla dottrina moderna (I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale e Forme e criteri di responsabilità, senza trascurare come tale concetto mai si distacchi dalla distinzione vailatiana tra atto volontario e atto involontario o dal binomio libertà/causazione, tanto cari al dibattito ottocentesco tra Positivisti e scuola classica italiana del diritto criminale. Gli accenni vailatiani e calderoniani ai temi della volizione, causazione, libertà confluiscono alla luce di suo attento ed autonomo esame  in un'assai moderna definizione del concetto di responsabilità, in cui il negatore del libero arbitrio che non sia vittima di equivoci sul valore di tal negazione, sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità, qualità esistenti nell'uomo, ma analoghe alle altre, atte cioè ad essere studiate nella loro genesi e nella loro evoluzione, suscettibili di gradazioni infinite, e subordinate alla presenza di certe condizioni e concomitanti, a concepire in altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed evoluzionisticamente, che staticamente. Pur se tale concetto sottenda contaminazioni etiche d'inaudita modernità e benché in Forme e criteri di responsabilità sia delineata l'idea dell'esistenza di un confine sottile tra morale e diritto, nascendo come teorico del diritto- si mantiene saldo nel declinare come il termine “responsabilità” si usi all'interno dell'universo di diritto criminale e diritto civile; nella trattazione calderoniana «responsabilità» si immettecome in Hegel/Weber nel contesto della vita statale o sociale e si smarcacome nel «marxismo occidentale» moderno e in Lévinasdai risvolti individualistici dell'etica antica. C. nell'incipit di Forme e criteri di responsabilità- scrive:  Pochi termini trovano, in ogni campo della vita sociale, così larga applicazione come il termine responsabilità. L'andar soggetto a responsabilità è la sorte, spiacevole o piacevole, di chiunque vive nella compagnia dei propri simili e si trovi in una data compagnia di dati suoi simili. Nulla potrebbe meglio servire a distinguere l'uomo vivente in società da un ipotetico uomo vivente in stato di natura” che l'essere il primo avvolto in una fitta rete di responsabilità. Responsabilità se ne trovano dovunque gli uomini vengano in urto o in conflitto fra di loro. La riflessione calderoniana incentrata sulla strada della critica sia nei confronti del nazionalismo corradiniano sia nei confronti del socialismo rivoluzionario si innesta su un contesto storico e culturale come l'Italia di Giolitti d'inizio Novecento caratterizzato dalla intensa dialettica civile tra nazionalismi e socialismi, e, all'interno di essa, tra visioni moderate (nazionalismo liberale e socialismo riformista) e concezioni estreme (nazionalismo estremo e socialismo rivoluzionario). Gli auoi interventi di pubblicati sulla rivista di Corradini scrive M. Toraldo di Francia- possono distinguersi dal punto di vista dei contenuti e cronologicamente in due gruppi. Del primo fanno parte gli articoli polemici nei confronti del nazionalismo propagandato dalla rivista, nel secondo invece si collocano gli ultimi due scritti, di impronta nettamente “anti-socialista”. La via dell'analisi sul nazionalismo moderato (liberale e liberista) sondata nelle recensioni vailatiane a Pareto, Dumont, Trivero, Tombesi, Pierson, Einaudi, Rignano e Landryè battuta da lui in maniera minuziosa alla luce dei due saggi “Nazionalismo antiprotezionista? e Nazionalismo borghese e protezionista” nella direzione d'una estesa accusa al nazionalismo di Corradinia. Moderati dall'interesse vailatiano verso il socialismo riformista, internazionalista, e non materialista di darwinismo sociale kiddiano e anti-materialismo effertziano, I suoi moniti critici nei confronti del socialismo rivoluzionario si estrinsecano invece con consueta chiarezza nei due contribute, “La questione degli scioperi ferroviari” “e La necessità del capitale”. Dalle colonne della rivista corradiniana Il Regno, isulla scia del moderatismo del maestro Vailatitenta di maturare una concezione intermedia tra estremismi di destra e di sinistra, idonea a sacrificare valori e ideali della borghesia italiana alla tutela del bene comune dell'intera nazione e stato italiano, in nome della necessaria vitalità di un'industria e di un'economia in inarrestabile ascesa internazionale; a dettacontra Prezzolini- si deve sacrificare il “bene comune” dei ceti sociali abbienti sull'altare del bene nazionale:  Per me personalmente, che mi sento anzitutto italiano e poi borghese, mi auguro che l'Italia sappia sbarazzarsi di tutti gli elementi dannosi ed infecondi che la dissanguano e la opprimono. Dovesse anche, in questo processo di eliminazione, andar sacrificata buona parte della borghesia attuale, per essere sostituita (attraverso il meccanismo democratico) da elementi più vitali e più utili che sono veramente gli interessi della Patria.  Scritti, Firenze, La Voce.  voll. I e II M. Toraldo di Francia, Pragmatismo e disarmonie sociali. Scritti sul Pragmatismo (Roma) Pragmatismo analitico. Dizionario biografico degli italiani.  Il riferimento esordiale alle tragiche contingenze politiche è per il G. ponte logico ai fondamenti filosofici del trattato: in Firenze sprovvista di giustizia e onestà, i cittadini sono come oggetti inanimati esteriormente simili, ma la cui essenza, isolata nella propria individualità, non stabilisce tra loro alcun legame sostanziale. Essi sono semplici simulacri di cittadini, poiché non sono in grado di percepire l'altro e percepirsi collettivamente, dunque di amare il bene comune più del proprio. Quest'ultimo tema ("bonum commune preferendum est bono particulari et bonum multitudinis"), motivo fondamentale del trattato remigiano, e argomento comunissimo nelle coeve trattazioni di filosofia morale e politica, discende dall'Ethica Nicomachea aristotelica. Il tema ha in Aristotele, come nel G. e nei filosofi medievali che da Aristotele dipendono, una dimensione ontologica - l'intero ha più essere della parte, la quale esiste solo in subordine a esso - che è stata sviluppata in direzioni alquanto diverse: la realizzazione d'una potenzialità intellettiva comune a tutto il genere umano, che sembra asservire all'argomento politico l'interpretazione monopsichistica dell'intelletto attivo, è per esempio la via percorsa d’ALIGHIERI (si veda) in Monarchia. Nel G. quest'idea ha una decisa impronta dionisiana - l'amore del singolo verso il tutto è mezzo di superamento dei limiti dell'individualità, uscita da sé (extasis) e congiungimento con Dio (Dionigi, De divinis nominibus) - e agostiniana - la congruenza della parte col tutto coincide con la bellezza dell'universo (Agostino, Confessiones) -. Tuttavia, come è merito del Panella aver chiarito, questo organon filosofico, applicato alla realtà comunale, determina nell'opera il passaggio dal concetto di bene comune alla concreta formulazione del bene del Comune, ch'è il tratto più originale del pensiero politico remigiano.Totalitas Ante Partes ovvero sul Bene   Comune: spunti aristotelici, tomistici,   marxiani, senesi e dal secondo emendamento  della Costituzione americana Materiali di studio per Master Class Morigi Guercino, AQUINO (si veda) scrive assistito dagli angeli, Basilica S. Domenico, Bologna, Aristotele, Politica: sulla naturalità della famiglia: «La comunità che    si costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia, icui membri Caronda chiama «compagni di tavola», Epimenide cretese «compagni di mensa», mentre la prima comunità che  risulta da più famiglie in vista di bisogni non quotidiani è il villaggio. Nella forma più naturale    il villaggio par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli che alcuni chiamano  «fratelli di latte», «figli» e «figli di figli». Per questo gli stati in un primo tempo erano retti da  re, come ancor oggi i popoli barbari: in realtà erano formati da individui posti sotto il governo  regale - e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il potere regale del più anziano, e lo stesso,  quindi, le colonie per l’affinità d’origine.»: pp. 2-3 di Aristotele, Politica, documento caricato    per Master Class su Internet Archive agli URL archive.org/ details/ politica-aristotele-  file-creato-da-massimo-morigi-per-master-class-13-f1 e  //ia601403 Aristotele, Politica: Lo stato è un dato di natura, ma un dato di  natura generato dall’aggregarsi di altre subunità sociali, la  famiglia e poi il villaggio, anch’esse naturali e che lo  precedono. Inoltre, lo stato, come queste subunità, esiste non  solo per rendere possibile la vita ma una vita felice,  intendendo per felice non dal punto di vista meramente  edonistico ma per realizzare in ogni uomo la sua entelechia  che è il vivere associati e in armonia, cioè di realizzare la    propria totalità umana nella totalità sociale: «La comunità che risulta    di più villaggi è lo stato, perfetto, che raggiunge ormai, per così dire, il limite  dell’autosufficienza completa: formato bensì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per  render possibile una vita felice. Quindi ogni stato esiste per natura, se per natura esistono  anche le prime comunità: infatti esso è il loro fine e la natura è il fine,: per esempio quel che  ogni cosa è quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia d’un uomo,  d’un cavallo, d’una casa. Inoltre, ciò per cui una cosa esiste, il fine, è il meglio e  l'autosufficienza è il fine e il meglio. Da queste considerazioni è evidente che lo stato è un  prodotto naturale e che l'uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori della  comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o è superiore all'uomo, proprio come quello biasimato da Omero «privo di fratria, di leggi, di focolare»: tale è per natura costui e, insieme, anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi: p. 3  di Aristotele, Politica, Aristotele, Politica: La chiusura di quanto sopra affermato con  un assai attuale insegnamento intorno alla retorica dei diritti  (individuali, politici e/o sociali). Per Aristotele è evidente che  quanti cercano di far prevalere i propri diritti a discapito  dell’interesse comune, dell’interesse cioè della totalità sociale  (che lo stagirita definisce come bene assoluto) sono pervasi da  spirito di dispotismo, vogliono fare di sé stessi despota che  comanda e/o ignora ogni altra istanza e necessità sociale. In  realtà, ci dice Aristotele, il despota politico, altro non è che un  despota privato che ha avuto maggior successo degli altri. Un  grande ed attualissimo insegnamento riguardo a coloro che si  piegano o praticano l’attuale retorica su una democrazia  basata sulla dirittoidolatria a discapito della totalità sociale.  Tutto ciò altro non fa che a pavimentare le strade del  dispotismo e della morte, prima solo morale e poi anche ocrazia. Il bene comune è sempre in antitesi    a tutte le forme di demagogia: «È evidente quindi che quante costituzioni    mirano all'interesse comune sono giuste in rapporto al giusto in assoluto, quante, invece, mirano solo all'interesse personale dei capi sono sbagliate tutte e rappresentano una deviazione dalle  rette costituzioni: sono pervase da spirito di despotismo, mentre lo stato è comunità di liberi: p.   di Aristotele, Politica, documento caricato per Aristotele, Politica. Qui si ribadisce che lo stato è un fatto  totale che presuppone dei dati fisico-geografici e/o economico-  militari (scambi commerciali e difesa comune) ma che in  questi non si esaurisce perché esso esprime una totalità sociale  il cui fine è vivere felici, non però attraverso una felicità  egoistica ed edonistica ma una felicità che solo si può  realizzare realizzando sia a livello individuale che sociale  attraverso una vita libera e una vita dedita alla realizzazione  di opere buone e della amicizia fra tutti i membri della società.  Siamo distanti milioni di anni luce dall’homo homini lupus di  hobbessiana memoria e dall’individualismo metodologico e  dalla socievole insocievolezza (Smith, Locke, Kant) di  liberalistica memoria: «È chiaro perciò che lo stato non è comunanza di luogo né    esiste per evitare eventuali aggressioni e in vista di scambi: tutto questo necessariamente c’è,  se deve esserci uno stato, però non basta perché ci sia uno stato: lo stato è comunanza di  famiglie e di stirpi nel viver bene: il suo oggetto è una esistenza pienamente realizzata e  indipendente. Certo non si giungerà a tanto senza abitare lo stesso e unico luogo e godere il  diritto di connubio. Per questo sorsero nelle città rapporti di parentela e fratrie e sacrifici e  passatempi della vita comune. Questo è opera dell’amicizia, perché l’amicizia è scelta  deliberata di vita comune. Dunque, fine dello stato è il vivere bene e tutte queste cose sono in vista del fine. Lo stato è comunanza di stirpi e di villaggi in una vita pienamente realizzata e  indipendente: è questo, come diciamo, il vivere in modo felice e bello. E proprio in grazia delle opere belle e non della vita associata si deve ammettere l'esistenza della comunità politica. Perciò  uanti giovano sommamente a siffatta comunità hanno nello stato una parte più grande di  coloro che sono ad essi uguali o superiori per la libertà e per la nascita ma non uguali per la virtù politica, e di coloro che li superano in ricchezza e ne sono superati in virtù.»: Aristotele, Politica, documento caricato per Master Class su Internet E che Aristotele fosse agli antipodi della concezione liberale  dell’individualismo metodologico lo vediamo dal seguente  passa della Politica dove il concetto di economia, che nella  semantica dei moderni ha solo l’accezione del metodo su come  accrescere la ricchezza, viene scisso fra oikonomé techné e  kremastiché techné, la prima dedita a procurare alla casa e alla  propria famiglia tutte le risorse per vivere bene ed in armonia  col resto della società mentre la seconda, la kremastiché  techné, è animata dal desiderio smodato dell’arricchimento  personale e senza limiti. Per Aristotele, concludendo, la  oikonomé techné è naturale e contribuisce al miglioramento  della società contribuendo al miglioramento del suo telos  olistico e volto al bene mentre la seconda è innaturale  configurandosi piuttosto come un vizio che corrode le basi  olistiche del vivere associato. Nulla di più distante dalla visione  liberale e smithiana dove il macellaio non mi fornisce la carne  per benevolenza nei miei confronti ma solo ed unicamente per  averne un tornaconto personale: «Per ciò cercano una ricchezza e una    crematistica che sia qualcosa di diverso, ed è ricerca giusta: in realtà la crematistica e la  ricchezza, naturale sono diverse perché l'una rientra nell’amministrazione della casa, l’altra  nel commercio e produce ricchezza, ma non comunque, bensì mediante lo scambio di beni: ed  è questa che, come sembra, ha da fare col denaro perché il denaro è principio e fine dello  scambio. Ora, questa ricchezza, derivante da tale forma di crematistica, non ha limiti e,  invero, come la medicina è senza limiti nel guarire, e le singole arti sono senza limiti nel  produrre il loro fine, (perché è proprio questo che vogliono raggiungere soprattutto) mentre  non sono senza limiti riguardo ai mezzi per raggiungerlo (perché il fine costituisce per tutte il  limite), allo stesso modo questa forma di crematistica non ha limiti rispetto al fine e il fine è  precisamente la ricchezza di tal genere e l’acquisto dei beni. Ma della crematistica che rientra  nell’amministrazione della casa, si da un limite giacché non è compito dell’amministrazione  della casa quel genere di ricchezze. Sicché da questo punto di vista appare necessario che ci  sia un limite a ogni ricchezza, mentre vediamo che nella realtà avviene il contrario: infatti    tutti quelli che esercitano la crematistica accrescono illimitatamente il denaro. Il motivo di  questo è la stretta affinità tra le due forme di crematistica: e infatti l’uso che esse fanno della  stessa cosa le confonde l’una con l’altra. In entrambe si fa uso degli stessi beni, ma non allo  stesso modo, che l’una tende a un altro fine, l’altra all'accrescimento. Di conseguenza taluni  suppongono che proprio questa sia la funzione dell’amministrazione domestica e_vivono  continuamente nell’idea di dovere o mantenere o accrescere la loro sostanza in denaro  all'infinito. Causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma non di vivere bene  e siccome i loro desideri si stendono all’infinito, pure all'infinito bramano mezzi per appagarli. Quanti poi tendono a vivere bene, cercano quel che contribuisce ai godimenti del corpo e poiché  anche questo pare che dipenda dal possesso di proprietà, tutta la loro energia si spende nel  procurarsi ricchezze, ed è per tale motivo che è sorta la seconda forma di crematistica. Ora,  siccome per loro il godimento consiste nell’eccesso, essi cercano l’arte che produce quell’eccesso  di godimento e se non riescono a procurarselo con la crematistica ci provano per altra via,  sfruttando ciascuna facoltà in maniera non naturale. Così non s’addice al coraggio produrre    ricchezze ma ispirare fiducia, e neppure s’addice all'arte dello stratego o del medico, che  proprio della prima è procurare la vittoria, dell’altra la salute. Eppure essi fanno di tutte  queste facoltà mezzi per procurarsi ricchezze, nella convinzione che sia questo il fine e che a  questo fine deve convergere ogni cosa.»: Aristotele, Politica, documento caricato per  Master Class su Internet Archive agli URL archive.org/details/politica-aristotele-file- creato-da-massimo. Passiamo ora ad AQUINO (si veda), dove sulla scorta  dell’insegnamento aristotelico la legge deve essere  gerarchicamente sottoposta al concetto di bene comune, bene  comune che cristianamente (ed olisticamente secondo  l’insegnamento di Aristotele) si deve risolvere nella ricerca del  bene della società e non nella soddisfazione degli egoismi    individuali: «Lex est quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata»: Summa Theologica, Prima Secundae, q. 90, art. 4 [La legge  è un ordinamento di ragione volto al bene comune, promulgata da chi abbia la cura della  comunità]. Citazione riassuntiva da: http://www.unife.it/giurisprudenza/giurisprudenza-  magistrale-rovigo/studiare/storia-del-diritto-medievale-e-moderno/materiale-  didattico/sovranita-moderna, Wayback nza-magistrale-rovigo/ studiare/storia-del-diritto- medievale-e-moderno/materiale-didattico/sovranita-moderna ma che con citazione completa: «Respondeo dicendum quod,  sicut dictum est, lex imponitur aliis per modum regulae et mensurae. Regula autem et  mensura imponitur per hoc quod applicatur his quae regulantur et mensurantur. Unde ad  hoc quod lex virtutem obligandi obtineat, quod est proprium legis, oportet quod applicetur  hominibus qui secundum eam regulari debent. Talis autem applicatio fit per hoc quod in  notitiam eorum deducitur ex ipsa promulgatione. Unde promulgatio necessaria est ad hoc  quod lex habeat suam virtutem. Et sic ex quatuor praedictis potest colligi definitio legis, quae  nihil est aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam  communitatis habet, promulgata.»: CORPUS THOMISTICUM AQUINO (si veda) Opera Omnia, opera  omnia dell’Aquinata on line all’URL E che AQUINO (si veda) fosse totalmente compreso nell’olismo di  stampo aristotelico non lo dobbiamo certo noi scoprire ma  giova forse leggere il seguente passo, dal Dionysii De divinis  nominibus expositio, Caput II, Lectio I, dove Tommaso  arrischiando una definizione di Dio, arriva a definirlo  “Totalitas ante partes ?: «Totum autem hic non accipitur secundum quod ex  partibus componitur, sic enim deitati congruere non posset, utpote eius simplicitati  repugnans, sed prout secundum Platonicos totalitas quaedam dicitur ante partes, quae est  ante totalitatem quae est ex partibus; utpote si dicamus quod domus, quae est in materia, est  totum ex partibus et quae praeexistit in arte aedificatoris, est totum ante partes».  Alla stessa stregua di Dio come “Totalitas ante partes”, per  Tommaso anche la società deve essere considerata come  “Totalitas ante partes” (Summa Thologiae), una Totalitas che  non deve schiacciare l’individuo ma che lo precede  consentendogli, appunto, alla fine del processo dialettico della  sua paideia culturale e sociale che si svolge e si deve svolgere  sempre in società, di essere un individuo libero e non    soggiacente ai più bassi istinti egoistici e distruggenti il bene  comune.    Tema da sviluppare: Tommaso erede di Aristotele sia nelle  categorie più prettamente teologico-filosofico-teoretiche sia  nelle categorie sociali, economiche e politiche, categorie in  entrambi i casi dominate dal primato della Totalità  sulfinitiitane atomistico avverso al bene comune e  rifiutante questo individualismo sul piano filosofico-teologico  il concetto di totalità-Dio (e quindi di Dio tout court) e su  quello socio-economico il concetto, altrettanto totale — o se ci  fa paura il totalitario lemma ‘totale’, impieghiamo il termine  ‘olistico’ — di bene comune che deve soggiacere all’atomismo  filosofico e socio-economico (individualismo metodologico.  Campioni di questa Weltanschauung: Adam Smith Hobbes, Locke, Kant). Altro tema: Marx e i suo libro primo del Capitale come  controcanto materialistico-dialettico (ma in realtà alla fine di  un assai ingenuo materialismo e assai poco dialettico, facendo  Marx la stessa fine e epi ingenui materialisti illuministi che  egli tanto giustamente critica) sul piano filosofico all’olismo  idealistico della Du hegeliana e sul piano socio-economico  alla Politica di Aristotele, nel senso della sottolineatura  marxiana della società vista come una totalità e nell’adozione  della critica aristotelica alla crematistica (Denaro Merce  Denaro della società capitalistica mentre lo schema economico    della Politica aristotelica era Merce Denaro Merce, cioè lo  sviluppo ed il rafforzamento della oikonomé techné). Fallimento del marxismo perché ’ricaduto proprio  nell’atomismo filosofico e socioeconomico degli economisti  classici che voleva criticare (Marx, cioè, alla ricerca di una  totalità che viene trovata nell’economia ma siccome  l'economia marxiana dal punto di vista analitico si riduce  sempre e solo nella critica alla crematistica, cioè alla critica  agli economisti classici (Smith, Ricardo, Malthus), cioè alla critica della moderna Kremastiché techné e  non sviluppa sufficientemente (o meglio per niente) dal punto  di vista teorico la portata olistica e volta al bene comune della  oikonomé techné tutto il suo progetto frana miseramente. Ora tema iconologico: Gli affreschi allegorici diLorenzetti del Buon Governo, conservati nel  Palazzo Pubblico di Siena. In realtà gli  affreschi originariamente erano intitolati al Bene comune od  anche della Pace e della guerra e solo in seguito  all’illuminismo presero il nome di Affreschi del buon governo:  Riflettere non solo sull’allegoria in  questione ma anche sugli slittamenti semantici delle varie  epoche.    Infine sul Secondo emendamento della Costituzione degli Stati  uniti, un saggio che compie una traslazione del concetto di  bene comune dai “buoni” dei mass media nazionali ed  internazionali che situano i desiderosi del rafforzamento dei    vincoli comunitari in coloro che combattono in quel paese il  libero possesso delle armi (in realtà secondo l’ autore questi  non fanno altro che voler accelerare i processi di  globalizzazione e di disintegrazione dei vincoli comunitari) ai  “cattivi” che vogliono mantenere la vigenza del secondo  emendamento che garantisce tale diritto, dove però il portare  le armi non rappresenta un diritto ad uccidere ma è il simbolo  del diritto di opporsi ad uno stato dispotico e che vuole  eliminare i vincoli comunitari, uno stato, quindi, che va  contro il bene comune, se per bene comune intendiamo il  mantenimento di un concetto olistico del vivere associato. Il saggio in questione è Campa, Verso la guera  civile. Il tramonto dell’impero USA, e rinviamo  infine alla riflessione del secondo emendamento recita come    segue. A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the  people to keep and bear Arms shall not be infringed.» (Esortazione certamente non applicabile alla situazione  italiana ed anche europea, tutte nazioni-stato che, comunque,  nella loro travagliata mai videro il sorgere di un federalismo  conflittuale, molto conflittuale, come negli Stati uniti, ma  ricordiamo che AQUINO (si veda), proprio perché intriso  dell’aristotelico concetto di bene comune e di prevalenza della    totalità sull’individuo egoista affermava che il tiranno che  andava contro le leggi di Dio poteva anche essere ucciso. Colui che allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il  tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi, oppure quando i  sudditi sono costretti al consenso. E tutto ciò, quando non è possibile il ricorso a un’istanza    superiore, costituisce una lode per colui che uccide il tiranno»: AQUINO, Commento alle  sentenze    E, il tiranno per Aristotele come per Tommaso era colui che  aveva fatto prevalere la legge del suo egoismo particolare sulle  leggi naturali che regolano la vita della comunità (quando  “non è possibile il ricorso ad un’istanza superiore”: cioè  quando il tiranno non rispetta la legge degli uomini che è stata  data ed ispirata da Dio). Il tiranno quindi non come un mostro  che non ha nulla in comune con noi, ma come un egoista che  ha avuto maggiore successo degli altri nella pratica della  kantiana socievole insocievolezza. Il tirranno pubblico o  privato che sia, quindi, nella nostra situazione originata non  dalla nascita violenta di una federazione come negli Stati  uniti ma da un passato poco glorioso di altrettanto sanguinari  totalitarismi politici, non certo un nemico da abbattere  fisicamente (coloro che vogliono compiere violenza in realtà  altro non mirano che a sostituirsi, peggiorandolo,  all’abbattuto, lo si vede nella grande storia delle rivoluzioni  moderne e contemporanee ed anche nella piccola, piccolissima  storia o cronaca politica di questi giorni, per farla breve dalle  stelle alle stalle...) ma un modello psicologico prima ancora  che sociale dal quale affermare interiormente e  pubblicamente la siderale distanza.) Quelibet enim pars id quod est totius est, cum extra totum non sit pars nisi equivoce, sicut diffusius ostenidums in tractatu DE BONO COMUNII. Quilibet autem homo particularis est PARS COMUNITATIS. Unde in hoc quod se ipsum interficit iuniuriam comunitati facit ut Pptet per Philosophum in V Ethicorum qui dubdit, ‘Propter quod CIVITAS dampnificat scilicet sicut potest et quedam inhonoratio adest se ipsum corrumpenti ut civitati iniustum faciendi’ idest quasi ipse faciat iniuriam civitati puta quia fact trahi cadaver eius vel iubet quod non sepeliatur vel aliquid tale. Citato da Alighieri C cc 278r-b –va. Il comune di Firenze – studeat ergo civis quantumcumque sit miser in se ut comune suum FLOREAT quia ex hopc ipso et ipse FLOREBIT – l’impiego di FLOREO allude al gioco etimologico FLOS FLORENTIA di guittoniana memoria. Dal bene comune al bene del comune – del bono comune al bono del comune – Qualem enim delectationem poterit haberet CIVIS FLORENTINUS videns status civitatis sue trisabilet et summon plenum merore? Nam plate sun explatiiate idest evacuate domus exdomificate, casata sun cassata … poderia videntus expoderat quia ARBORE EVOLUSE vine precise palatia destructa et non est iam poderne, idest posse ut in eis habietus vel eatur ad ea nisi cum timore et tremore. Firenze e come un albero fiorito – aria di tenore con interpolazione di o mio babbino caro --  Incerta è la data della fondazione della colonia di Florentia che nel tempo è stata variamente attribuita, a parte riferimenti mitologici, a Silla, a Gaio Giulio Cesare o a Ottaviano. Gli storici sono concordi nel datare la fondazione della colonia romana di Florentia. Il Liber Coloniarum attribuisce ad una lex Iulia agris limitandis metiundis, voluta da Gaio Giulio Cesare, la volontà di far nascere un nuovo impianto urbano in questo tratto della valle dell'Arno, là dove traversava il fiume all'altezza di Ponte Vecchio.  Al secondo triumvirato risale invece l'effettivo impianto della città e la centuriazione del suo territorio, per poter sistemare i veterani per mezzo dell'assegnazione di terreni.  Come consueto nella fondazione di nuovi insediamenti, la città ed i suoi dintorni vennero definiti secondo un preciso piano che coinvolgeva l'impianto urbano ed in territorio agricolo. Per la città fu seguita la regola ideale dell'orientamento secondo gli assi cardinali, mentre il territorio circostante fu sistemato tenendo conto della conformazione idraulica, ruotando gli assi secondo quanto conveniente. Dalle foto aeree, ancora oggi, si possono distinguere il cardo massimoorientato Nord-Sud (da Via Roma all'Arno), e il decumano massimo orientato Est-Ovest (l'attuale percorso di Via Strozzi e Via del Corso) che si incrociavano all'altezza dell'attuale Piazza della Repubblica sede del Foro della città e del Campidoglio, circondati dai principali edifici pubblici e templi. Durante i secoli dell'Impero infatti, la città si arricchi di tutti quegli edifici ed infrastrutture che caratterizzano le città romane: un acquedotto (dal Monte Morello), due terme, un teatro e un anfiteatro, sorto fuori dalle mura, come era consueto.Mario Calderoni. Keywords: fascismo, politica italiana, stato italiano, comunita, bene comune, bene, bene superiore, bene summo, summum bonum, superior bonum,  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Calderoni” – The Swimming-Pool Library. Calderoni.

 

Grice e Callescro: gl’accademici di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademia. He was the unclde of Tito Flavio Glauco. Tito Flavio Callescro. Callescro.

 

Grice e Callia: la setta di Velia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Callia was a pupil of Zenone di VELIA (si veda) – another Velino (si veda). Callia.

 

Grice e Callicratida: la setta di Girgenti. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. The brother of Empedocle di GIRGENTI (si veda). His name is attached to some fragments of Pythagorean writings preserved by Stobeo. Callicratida.

 

Grice e Callifonte: la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofi italiano. A pupil of Pythagoras. Callifonte.

 

Grice e Calò (Francavilla Fontana). Filosofo italiano. Lecce. è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi morali, ma con preferenza a quelli che più direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che contiene un’analisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del contingentismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà come attitudine propria dello spirito individuale, presup¬ posto indispensabile della libertà etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma l’obiettività e universalità dei valori mo¬ rali, riconosce insieme che questi non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati lavori, costituiscono la conclu¬ sione o i principii ispiratori dell’esame critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e sistemate, in forma di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron), preparato insieme col De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immedia¬ tezza dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i principii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a necessità d’altro genere — al che C. dedica anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in- terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del V Congresso Internazionale di psicologia » Roma). Vi sono inoltre definiti nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la quale si fa consistere da C.  come, l’abbiamo visto, dal De S. nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente espli¬ cazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella suc¬ cessiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in va¬ lutazioni sintetiche; nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (no¬ tevoli, p. es., i suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giu¬ dizio tetico e intorno alla classificazione dei processi psichici, e pa¬ recchi saggi storici e critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico, e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia del¬ l'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Coope¬ rativa); Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri); L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau, premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere dell’opera pedagogica del Calò furono rilevati, con giudizio non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 afermò essere  C. « il più serio avversario della pedagogia idealistica in Italia » (1). Invero, C., mentre ammette una filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non possono non essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rap¬ porto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono infine tipi e norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto essenzialmente spirituale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o di perfezio¬ namento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto edu¬ cando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto, si ha l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un processo di formazione nel quale le attività del sog¬ getto e la forma valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e di promuovere in (1) Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli 1916, p. 31. — Nonostante ciò  o forse appunto per ciò — il Codignola, facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze, p. 284), si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e in¬ sostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istru¬ zione, l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha discusso — e non sol¬ tanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello del¬ l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc., mostrando sempre lucidità e prontezza di visio¬ ne dei termini essenziali di ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali, calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Calò. Calò. Grice e Calò

 

No comments:

Post a Comment