Grice e Caluso: la ragione conversazionale, la grammatica
universale e l’implicatura conversazionale degl’initiati e gl’initiante –
initians, initiatum – inizianti – scuola di Torino – filosofia torinese –
filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese.
Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Valperga: essential
italain philosopher. Grice:
“Noble Italians love a long surname, so this is Valperge-Di-Caluso,” and so
Ryle had in under the “C””. Tommaso Valperga di Caluso. Discendente
dai Valperga, nobile famiglia piemontese, nei primi anni della giovinezza si
sentì attratto dalla carriera delle armi. A Malta, ospite del governatore
dell'isola, si addestra alla vita marinara imparando le dottrine nautiche e fu
capitano sulle galee del re di Sardegna. Entrato poi a Napoli nella
congregazione dei padri filippini fu professore di teologia. Tornato a Torino studia fisica e matematica
sotto la guida del BECCARIA, con Lagrange, Saluzzo e Cigna. Frequentatore delle
riunioni culturali sampaoline nelle sale della casa di Gaetano Emanuele a di
San Paolo ritrova l'Alfieri, che aveva conosciuto a Lisbona. Scopre in lui il
futuro poeta e tra loro nacque una profonda amicizia. Eccelse negli studi filosofici e apprese
l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo e conobbe con sicurezza il
latino, il greco, il copto e l'ebraico. Insegna a Torino. Fu direttore
dell'osservatorio astronomico di palazzo Madama, incarico che cede al Vassalli
Eandi. Membro della Massoneria. "Le
veglie di Torino, Joseph de Maistre", in: Storia d'Italia, Annali,
Esoterismo, Gian Mario Cazzaniga, Einaudi, Torino. Fratello del viceré di
Sardegna. Altre
opere: “Literaturae Copticae rudimentum” Parmae, Ex regio typographaeo); “La
Cantica ed il Salmo secondo il testo ebreo tradotti in versi” (Parma, tipi bodoniani);
“Prime lezioni di gramatica Ebraica” (Torino, Stamperia della corte d'Appello,
Tommaso Valperga di C., Thomae Valpergae inter Arcades Euphorbi Melesigenii
latina carmina cum specimine graecorum, Augustae Taurinorum, in typographaeo
supremae curiae appellationis; Principes de philosophie pour des initiés aux
mathématiques, Turin, Bianco. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Renzo Rossotti, Le strade di Torino.L'‘Orlando
Innamorato' in «Giornale storico della letteratura italiana», Milena Contini,
La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di C., Alessandria,
Edizioni dell'Orso. Traduttore in piemontese dell'incipit dell'Iliade, in
«Studi Piemontesi», Milena Contini, Le riflessioni di Tommaso Valperga di
Caluso sulla lingua italiana, in La letteratura degli italiani. Centri e
periferie, Atti del Congresso Adi, Pugnochiuso D. Cofano e S. Valerio, Foggia,
Edizione del Rosone. Ugolini mors. Traduzioni latine di Inferno XXXIII, in
«Dante. Rivista internazionale di studi su Alighieri», Poetica teatrale: traduzioni ed esperimenti,
in La letteratura degli italiani II. Rotte, confini, passaggi, Atti del
Congresso Adi, Genova A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, DIRAS, Università
degli Studi di Genova. Il corpo martoriato. L'interesse di Caluso per quattro
atroci fatti di sangue, in Metamorfosi dei lumi 7: il corpo, l'ombra, l'eco,
Clara Leri, Torino, aAccademia university press, Versione latina di Inferno, in
«Lo Stracciafoglio». Plagio dal Villebrune apposto al Petrarca: un'appassionata
confutazione di “meschine, arroganti e scortesi” calunnie sull’Africa, in «Sinestesie»,
Un maestro da ricordare, in «Rivista di Storia dell'Torino.” Principi di
Filosofia per gl' Iniziati nelle matematiche di Tommaso Valperga-C.
volgarizzati dal Conte con Annotazioni di Rosmini-Serbati (Turin). See also Cerruti's
La Ragione Felice e altri miti (Florence). C.: motivi prerosminiani del sentimento
fondamentale corporeo. demiurgo piemontese.
L’interesse del C. per l’omicidio e il “lato oscuro” non è mai stato
indagato, perché la critica, nella rappresentazione dell’abate, ha sempre
privilegiato l’immagine severa e inflessibile di maestro onnisciente e di
saggio imperturbabile, scolpita dai biografi ottocenteschi. Questo ritratto
idealizzato e deformato dell’abate ha generato non pochi equivoci
interpretativi: se si studia la sua vita attraverso i suoi diari e il suo ricco
epistolario e si analizzano con attenzione le sue opere tanto edite quanto
inedite, ci si accorge, infatti, che la sua personalità è tutt’altro che
granitica. Prima di accingersi a esaminare la sua figura è necessario quindi
liberarsi di questi stereotipi: il fatto che l’ottimista abate, come lo definì
il Foscolo, avesse dedicato molti scritti allo studio della ragione non esclude
affatto che egli fosse incuriosito anche dalla parte irrazionale dei uomini,
anzi le sue considerazioni sui “limiti della ragione” si collocano
perfettamente all’interno delle sue riflessioni sulle facoltà
intellettive. L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso
l’Archivio Peyron della Biblioteca Naziona. Gli studi calusiani sulla ragione,
e in particolar modo sul rapporto tra ragione e virtù, sono inseriti nelle
opere dedicate alla felicità, tema particolarmente caro a lui, che si impegnò
nell’indagine di questo complesso concetto dalla gioventù fino all’estrema
vecchiaia: è possibile, infatti, seguire l’evoluzione della riflessione del
Caluso sulla felicità dalle lettere al nipote degli anni Sessanta del
Settecento fino al Della felicità de’ governati. Il tema della felicità pervade
tutta la produzione dell’autore; esso non è affrontato solo nella saggistica
filosofica, nelle lettere intime ad amici e parenti e nelle poesie, ma si
ritrova anche nei trattati didattici e in alcune opere erudite, perché e convinto
che il fine di ogni studio fosse la felicità, la quale puo essere conquistata
solo attraverso una profonda passione per le lettere e per le scienze. A
proposito del concetto calusiano di “rassegnazione” si legga il seguente passo,
tratto della lette. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot constata
che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tu… L’indagine
sulla felicità porta inevitabilmente il Caluso a scontrarsi con lo studio della
ragione. Secondo C., la ragione ha un duplice ruolo: da un lato ci fornisce gli
strumenti adatti a conquistare la felicità, dall’altro ci fa acquisire la
coscienza di non avere sempre il dominio su ciò che accade. La consapevolezza
porta alla rassegnazione, questa rassegnazione però aiuta sì a sopportare i
casi della vita, ma non dona la felicità, come teorizzavano gli stoici. C.
pensa, quindi, che i poteri della ragione siano limitati. Questa presa di
coscienza però non lo porta a meditare sul fatto che la felicità possa essere
disgiunta dalla ragione. Infatti, se da un lato ammette che anche il più saggio
tra gli uomini è vittima della sofferenza («né sognai che ad uom concesso viver
fosse ognor lieto, o ne’ tormenti sdegnerò dir misero il Saggio stesso»), dall’altro
non arriva a constatare, come avevano fatto, per esempio, Diderot e Voltaire,
che spesso nella vita reale gli uomini privi di ragione e di virtù sono felici.
Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni
fossero necessarie all’uo... Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso
la Biblioteca Reale di Torino (Varia). I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia)
e di Les aventures du Marquis de Bel. La ragione ha anche il fondamentale
compito di dominare le passioni. Ripropone la celebre esortazione platonica
alla misura, ripresa da molti autori, tra i quali Rousseau, che in più luoghi
sottolineò come la ragione avesse la funzione di equilibrare i moti violenti
dell’animo. E convinto che i sentimenti estremi causassero soltanto sofferenza.
Non invita certo ad anestetizzare gli affetti, anzi pensava che non vi fosse nulla
di peggio che una vita senza passioni ed emozioni («Che un dolce pianto è più
felice molto / Non delle noie sol, ma dell’inerte Ghiaccio d’un cor, cui ogni
affetto è tolto»), ma crede che la morbosità fosse una pericolosa malattia.
Nella Ragione felice egli porta l’esempio della follia amorosa di Polifemo per
Galatea. Il poeta descrive la corruzione del corpo del ciclope, consumato dal
desiderio ed incapace di dominarsi («Odil che fischia, livido qual angue / Le
spumeggianti labbra, e l’occhio in foco / Vedil cerchiato di vermiglio
sangue»). L’autore crede che solo i casti amori, congiunti a «l’arti e gli
studi, possano regalare la felicità. Questo riferimento all’amore platonico è
un omaggio alla principessa di Carignano, dedicataria del poemetto, che
teorizza come la felicità si fonda sulla rinuncia alla passione sia nel saggio
filosofico inedito Sur l’amour platonique sia nei due romanzi, anch’essi
inediti, L’Amour vaincu e Les nouveaux malheurs de l’amour. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani. La follia amorosa non è l’unica passione
condannata da C.. Infatti deplora ogni sentimento capace di far perdere il
controllo delle proprie azioni. Nel poemetto La Tigrina o sia la Gatta di S. E.
la madre donna Emilia, composto a Napoli, descrive le funeste conseguenze della
gelosia, mentre nei “Varia Philosophica” presenta l’esempio della
vendetta: L’inedito VARIA PHILOSOPHICA, ritrovato presso l’Archivio Peyron
della Biblioteca Nazionale Univers. Onde sono le passioni uno scaldamento di
fantasia, una specie di pazzia, che perverte il giudicio, e ne fa credere che
in quella tal cosa passionatamente voluta vi sia per noi un bene, un piacere,
una soddisfazione che veramente non vi è né la ragione per tanto ve la può
trovare. Tale è per esempio la vendetta. T. Valperga di C., Di Livia Colonna
del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie. La raccolta fu
pubblicata a Roma da Antonio Barre15 Id, Di Livia Colonna. Si dedicò allo
studio dei limiti della ragione in una serie di scritti e appunti su fatti di
sangue; nell’articolo Di Livia Colonna, per esempio, ricostruisce la tragica
fine della nobildonna romana basandosi sulla raccolta di poesie Rimedi diversi
autori, in vita, e in morte dell’ill. s. Livia Colonna («Da parecchi versi per
la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554, al più tardi, e certamente
non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente» Quest’opera comprende
numerosi componimenti dedicati a Livia Colonna, scritti da trentuno poeti, tra
i quali anche il Caro e il Della Casa. In un brano del Della certezza
morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminar. Cita le seguenti
fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani genti. Ricorda
che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un
pass. Sottolinea che la raccolta, non essendo dotata né di prefazione né di
note, non permette di contestualizzare i fatti ai quali si allude nelle rime,
ma aggiunge che, vista la notorietà del casato di Livia, non gli è stato
difficile identificare la donna e reperire informazioni in merito alla sua
vita17: Livia nacque da Marcantonio Colonna e Lucrezia della Rovere; è rapita
da Marzio Colonna duca di Zagarolo, che in questo modo riuscì a sposare la
bellissima e ricchissima giovinetta; qualche anno dopo perse, e di lì a poco
riacquistò, la vista 18, nel 1551 rimase vedova. Dopo aver elargito queste
informazioni, C. passa a parlare del tema che lo ha maggiormente
interessato: Valperga di C., Di Livia Colonna. Ma qui veniamo al punto,
che ha stimolata la mia curiosità, e richiede più diligenti ricerche. Da
parecchj versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554 al più
tardi, e certamente non prima del 1550, e Livia trucidata barbaramente. L’abate
fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra
Livia da Dom. Egli deduce da alcune evidenti allusioni presenti nelle rime
della raccolta che Livia fu uccisa dal proprio genero Pompeo Colonna, che aveva
sposato la figlia Orinzia20 poco tempo prima. Rivolta la carta 87 delle
mentovate rime si legge, che l’uccisore l’empio ferro tinse nel proprio sangue,
e alla carta si fa dire a Livia già ferita, che fai figliuol crudele? Pompeo
suo genero aveva tratto il sangue dallo stesso casato, non che da Camillo suo
padre, da Vittoria sua madre, anch’essa Colonna. E qual altro assassino, che un
genero, poteva chiamarsi figliuolo da una donna giovine, che non avea prole
maschile? Identificato l’assassino, passa a esaminare i possibili moventi
dell’omicidio: Pompeo fu spinto a uccidere la suocera dall’avidità, dall’ira o
dal senso dell’onore. L’autore sembra propendere per il primo movente:
nelle rime, infatti, si legge che la nobildonna fu uccisa «sol per far ricco un
uomo; l’abate riflette inoltre sul fatto che, con la morte di Livia, Orinzia
avrebbe ereditato numerosi poderi, sui quali avrebbe poi messo le mani Pompeo,
dato che «ognun sa quanto facilmente dell’aver della moglie sia più ch’essa
padrone un marito fiero e imperioso». Per quanto concerne invece il movente
dell’ira, suggerito dal fatto che «la mano del parricida vien detta forse di
sangue ingorda più che di vero onor, C. non si profonde in ipotesi specifiche,
ma si limita a osservare che i motivi di astio tra persone «che hanno a fare
insieme» sono innumerevoli. Questo movente può essere collegato con quello
dell’onore: la collera di Pompeo, infatti, potrebbe essere stata causata dalla
scoperta o dal sospetto che la suocera si fosse sposata segretamente con un
servo. L’autore trae questa idea da un verso del Dardano, nel quale si fa
riferimento alla mano mozzata di Livia -- E la recisa man, l’aperto lato -- l’abate
immagina che Pompeo avesse mutilato la suocera per punirla d’aver concesso la
propria mano a un servitore. C. riflette inoltre sul fatto che questo terzo movente
può essere collegato anche col primo, dato che il matrimonio di Livia avrebbe
ridotto l’eredità di Pompeo: ogni matrimonio della suocera dovea
spiacergli per lo pensiero che in conseguenza n’andrebbe ad altri gran parte di
quello che aspettava dover dalla suocera, quando che fosse, venir a lui. Zannini,
Livia Colonna tra storia e lettere in
Studi offerti a Giovanni. L’interpretazione calusiana del verso del Dardano è
criticata da Zannini nel saggio Livia Colonna tra storia e lettere, nel quale
egli fa numerosi riferimenti al “cittadino” Tommaso Valperga di C., che
centosettant’anni prima, «imbastì su fragilissime basi la trama di un
romanzetto che avrebbe potuto incontrare fortuna, come altri fatti di sangue
del secolo xvi, presso fantasiosi lettori. Archivio di Stato di Roma, Tribunale
del Governatore, Processi, I responsabili furono condannati grazie alle
deposizioni di testimoni oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella,
per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla... Chiodo, Di alcune
curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel F.
Zannini ricava dai documenti processuali, trascritti in appendice al saggio,
che Livia fu uccisa da due sicari assoldati da Pompeo, che non partecipò
attivamente all’omicidio della suocera, ma si limitò ad assistere. I giudici
stabilirono che il movente del crimine fu il denaro; nelle carte del processo e
nel documento di condanna contro il mandante Pompeo Colonna e gli esecutori
Paciacca di Terni e Filippo di Metelica, non vi è alcun accenno né alla
mutilazione della mano né al matrimonio di Livia con un domestico. Lo studioso
riflette inoltre sul fatto che nel xvi secolo difficilmente sarebbero stati
scritti e pubblicati tutti quegli elogi» su Livia, se quest’ultima avesse
«abbandonato la castità vedovile per unirsi a un servitore. Egli quindi ritiene
che C. abbia mal inteso il verso del Dardano, che doveva invece essere
interpretato in un altro modo: «dando a “mano” il senso di “fianco”, avremmo
una plausibile spiegazione del sogno. Infatti Livia scopertosi il “lacero
petto” non poteva in tal guisa mostrare una “mano”, ma un fianco con una
profonda lacerazione». Contro questa interpretazione polemizza, giustamente,
Domenico Chiodo, che difende le ragioni del C.: «le sue [dell’abate] capacità
di lettura erano infinitamente superiori alle ‘ragionevoli’ supposizioni del
nostro contemporaneo. L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su
5 carte scritte sia sul recto ... È bene
precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di
commentare il ... Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.:
Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-ago ... Anche ai tempi del C. era stata
sollevata una critica alla ricostruzione dell’abate; nel manoscritto inedito Di
Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso
Verani Ex-agostiniano, conservato presso il Castello di Masino, Verani dichiara
di non fidarsi delle parole dei poeti della raccolta, perché: «la maggior parte
di essi soggiornavano lontano dalla Capitale del Mondo Cattolico e perciò
soggetti a ricevere da’ loro corrispondenti varie o false o almen dubbiose
relazioni. Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro
uccisore di Livia, non vi è a ... Egli spiegava diversamente il significato dei
versi citati da C. e in questo modo metteva in discussione sia la colpevolezza
di Pompeo sia l’interpretazione del verso del Dardano. Altrettanta fede merita
il sogno del Dardano, a cui non comparve Livia con la recisa man, l’aperto
lato, sembrandomi assai più probabile che al primo colpo ella cercasse di
ripararsi colla mano, ed anche al secondo, onde la mano venisse gravemente
ferita, ma non recisa. L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali
calusiani della Biblioteca Reale di Torino (La sua spiegazione ha invece
persuaso il Vice Bibliotecario di Mantova Negri, che in una lettera scrive a
Napione di aver trovato un epigramma latino che confermava le ipotesi d’C.; nel
componimento però non vi è un riferimento esplicito alla mutilazione della
mano. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato
anche A. Ferrero Ponziglione, che n ... Il manoscritto è vergato su 6 carte,
compilate sia sul recto sia sul ... C. si occupa anche di un altro fatto di
cronaca nera dai risvolti torbidi e brutali: l’assassinio di una contessa da
parte di un ufficiale francese40. Presso il Fondo Peyron sono conservati due
documenti, scritti da mani diverse41, concernenti la vicenda del delitto della
Contessa Aureli della Torricella; le prime due carte contengono una raccolta di
cinque testimonianze intorno a Monsù, ovvero Monsieur, Bresse («Memorie intorno
Monsù Bresse che uccise la Contessa Aureli della Torricella, nata Colli,
famiglia patrizia della Presente Città di Cherasco»), mentre le successive
quattro carte contengono un racconto particolareggiato dei fatti. Il
narratore formula varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei
diversi indizi, può ... Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La
presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’al ... La vicenda esposta nel
secondo documento è la seguente: l’ufficiale francese Monsieur Bresse42 è
follemente innamorato della Contessa Aureli della Torricella che però, pur
apprezzando la sua compagnia, non vuole concedersi all’amico. Dopo un anno di
incessanti nonché vani corteggiamenti, Bresse sale a casa della donna e,
approfittando di un momento di intimità, tenta per l’ennesima volta di sedurla;
la Contessa Aureli però si nega in modo risoluto e la fermezza del suo rifiuto
umilia a tal punto il Bresse da farlo cadere in preda a un raptus omicida: egli
brandisce la spada e sferra sei colpi nel petto della donna. La vittima, nel
tentativo di difendersi, si taglia di netto un dito della mano e il suo
disperato schermirsi eccita ancor più il furore sadico del Bresse, che la
colpisce sul volto con pugni e con l’elsa della spada. Finito il massacro,
l’assassino chiude la porta a chiave e torna a casa, dove, colto dal rimorso e
dall’orrore delle proprie azioni, si toglie la vita con un colpo di baionetta
in mezzo agli occhi. La Contessa intanto, non ancora sopraffatta dalla morte,
striscia in un lago di sangue e tenta di alzarsi aggrappandosi alla
tappezzeria, che cede per il peso del corpo e fa ricadere a terra la donna
ormai agonizzante. L’Aureli viene ritrovata qualche ora dopo col volto
tumefatto, il petto squarciato dalle ferite e un orecchio aperto in due. Più
tardi viene rinvenuto anche il cadavere del Bresse, che dopo essere stato
conservato tre giorni nella sabbia, viene seppellito, secondo un ordine giunto
da Torino, come si farebbe con «dei cani o degli asini morti». Il racconto si
conclude con una tirata moraleggiante contro la pratica del cicisbeismo, ormai
diffusasi anche presso le «petecchie di Cherasco» che fanno carte false per
procurarsi un «damerino». Il suo comment si trova nella parte inferiore del
recto dell’ultima carta. È da segnalare i ... C. scrisse alcune considerazioni
in merito al secondo documento del manoscritto. Questa non è relazione, ma
novella, a imitazione di quelle del Boccaccio, benché non molto felicemente
lavorata. Le ultime parole sono d’un impostore, che le ha aggiunte a disegno di
far credere che fosse questo un ragguaglio fatto a un Cardinale. Ma oltre che
vi stanno appiccicate collo sputo, e non sono dello stile del rimanente, non si
confanno in modo alcuno col titolo e cominciamento. Senza dubbio l’autore finì
ove ha posta la stelletta. È qui del rimanente questa novella molto mal concia
del suo copista. L’abate quindi commenta il manoscritto da due diversi punti di
vista: da un lato dimostra la falsità delle dichiarazioni che chiudono il
racconto e dall’altro critica i contenuti e lo stile della narrazione. Per
quanto concerne il primo aspetto, C. fa riferimento all’ultima frase del testo,
scritta dopo un asterisco: «E con questa scrizione sonomi ingegnato di
contentare l’eminenza vostra, alla quale contarlo profondissime riverenze
divotamente mi raccomando. Lo scritto ricalca la struttura tipica della
novella; il racconto infatti è preceduto da un breve r ... Le argomentazioni
addotte dall’abate per smascherare la contraffazione sono convincenti: lo stile
dell’ultima frase non si sposa con quello del racconto e anche il contenuto di
questa presunta aggiunta è svincolato dalle altre parti del testo. La nostra analisi
grafologica ha stabilito che l’ultima frase fu scritta dalla stessa mano del
resto del testo; questo dimostra che il documento posseduto dal Caluso non è
l’originale, ma è una trascrizione realizzata da un copista inesperto, che non
si era accorto della falsificazione. Per quanto riguarda invece il secondo
aspetto, l’abate sottolinea che il testo del secondo documento non possiede né
lo stile né la struttura di un resoconto rigoroso e oggettivo, ma somiglia a
una novella di poco valore47. Questo giudizio è dovuto allo stile lambiccato e
ridondante del narratore, che in diversi punti cade nel comico involontario.
16Questo caso di omicidio-suicidio avvenuto nella provincia cuneese del
Settecento stimolò la curiosità del Caluso, che, come abbiamo visto, si era già
interessato al delitto di Livia Colonna. Molti sono i punti di contatto tra i
due fatti di cronaca: in entrambi i casi si ha una bellissima nobildonna
massacrata e mutilata (a Livia, secondo la ricostruzione dell’abate, viene
tagliata la mano, mentre alla Contessa vengono recisi un dito e parte di un
orecchio) da una persona apparentemente fidata e intima (Livia è trucidata dal
genero, mentre la Contessa è uccisa dal proprio cavalier servente). T. Valperga
di C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de
Castro e il melodramma ita-liano: un incontro. Si ricordi, per esempio, l’Inês
de Castro di Antoine Houdar de La Motte, che ebbe uno straor ... C. si era interessato
anche a un terzo caso riguardante una bella e sfortunata vittima di un efferato
omicidio dalle conseguenze raccapriccianti: il sonetto Agnese io son, che in
freddo marmo, e spenta dei Versi italiani, infatti, è dedicato a Inês de
Castro, che, come ricorda l’abate nell’intestazione, fu «fatta uccidere da
Alfonso VI re di Portogallo, perché sposa di Pietro suo figlio, poi successore,
che la fece dissotterrare e coronare». Le notizie indicate dall’autore sono
corrette: Inês de Castro è l’amante del principe Pietro di Portogallo al giorno
nel quale fu pugnalata barbaramente di fronte ai propri figlioletti da due
sicari mandati dal re Alfonso VI, che era stato indotto ad autorizzare questo
gesto sanguinoso da tre consiglieri, preoccupati dalla crescente prepotenza dei
fratelli della donna, che si erano conquistati la fiducia e l’appoggio del
principe. Pedro perdette il senno per lo shock e, raggruppate alcune milizie,
mosse guerra contro il proprio padre, con il quale stipulò una tregua solo
grazie all’intercessione della madre. Una volta divenuto re, Pedro diede sfogo
alle proprie vendette e ai propri deliri: condannò a morte due dei consiglieri
del padre, ai quali venne strappato il cuore di fronte ai cortigiani e ai
militari d’alto rango, costretti ad assistere a questa atroce punizione, e fece
disseppellire e ricomporre il cadavere di Inês, affinché la salma della propria
amata fosse incoronata dal vescovo “regina di Portogallo”. Questo fatto
sanguinoso ispirò molti autori, primo tra tutti Camões, che cantò le lacrime di
Inês nei Lusiadi; nel Settecento e nell’Ottocento la dolorosa vicenda di Inês
ebbe ampia fortuna sia nel mondo del teatro musicale sia in ambito tragico. Nel
sonetto calusiano, Inês ricorda la propria triste vicenda terrena e la propria
incoronazione post mortem e sottolinea la crudeltà del re e l’efferatezza
dell’omicidio: Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta Ebbi scettro
e corona, in vita affanni; Benché pur di pensar foss’io contenta Fra gli
opposti furor di due tiranni. Amando me, cagion de’ nostri danni L’un, di
me privo Re crudel diventa; Sdegnando, credé l’altro i miei verd’anni Ragion di
Re troncar con man cruenta. Ahi suocero spietato! e in che t’offese Beltà
modesta, umil, se de’ suoi rai Perdutamente il tuo figliuol s’accese? C.,
Versi italiani. Io vinta, mal mio grado il riamai. E se incolpi Imeneo, che a
noi discese, Mio bel fallo sarà che non peccai. C. si dilungò nella descrizione
di un macabro fatto di cronaca anche nella lettera al nipote Giovanni
Alessandro Valperga marchese di Albery nella quale viene narrato
l’agghiacciante suicidio del giovane professore torinese Don Casasopra, che,
caduto in un profondissima depressione, si era tolto la vita in quella notte. Cipriani,
Le lettere inedite d’C. al nipote Giovanni Alessandro si trovò il letto
imbrattato copiosamente di sangue ed egli con un laccio al collo, soffocato
presso a una scanzia, ed era lacerato di colpi di temperino, che alcuni dicono
giungere al numero di vent’otto. Se ne poté conchiudere che egli cominciò per
tentar d’uccidersi sul letto con volersi tagliare i polsi alle mani e alle
tempia e poi si dié tre colpi di punta verso il cuore, e tardando forse la
morte, o che immediatamente egli siasi anche a ciò trasportato, egli passò a
impicarsi. La cagione si può credere una frenesia nata di malinconia e
d’accension di sangue. Se indaghiamo in modo approfondito i quattro casi che
attirarono la curiosità dell’abate, ci accorgiamo subito che l’elemento che li
accomuna è la brutalizzazione del corpo. Livia e la Contessa Aureli non sono
semplicemente uccise con violenza; i loro corpi sono massacrati in modo
gratuito, perché la maggior parte delle ferite inferte non sono funzionali alla
morte delle donne, ma sono frutto della rabbia e del sadismo degli assassini
(la criminologia contemporanea cataloga questi atti come overkilling,
considerandoli una importante aggravante in sede processuale). In questo modo
gli omicidi privano le donne non solo della vita, ma anche della bellezza e,
quel che è peggio, della dignità: lo spettacolo che si apre a coloro che
trovano i cadaveri infatti è indecente. L’insistere sull’avvenenza delle due
donne quindi è funzionale per creare il contrasto tra ante e post flagitium; il
potere deturpante della follia colpisce la sensibilità del lettore, che
inevitabilmente resta più impressionato di fronte al corpo straziato di due
belle e giovani donne rispetto a quello, per esempio, di uomini adulti.
L’assassino di Livia – anzi, stando alle carte processuali, i due killer
assoldati da Pompeo – mutila la donna per lanciare un messaggio, mentre Bresse
stacca un dito e parte di un orecchio alla Contessa perché non sa dominare la
propria furia. Tanto i primi quanto il secondo non portano con loro le parti
mozzate per farne un trofeo o una macabra reliquia, perché non sono mitomani o
psicopatici, i primi, infatti, lavorano “su commissione”, mentre il secondo
agisce in preda a un raptus. A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del
corpo dopo la morte, Bari, Laterza. Nel terzo caso, quello di Inês, si assiste
a un ribaltamento di prospettiva: all’amputazione si sostituisce la
ricomposizione del cadavere; opposto è anche il tipo di follia che provoca il
“gesto”, si passa dal furore omicida al furore amoroso, che sembra essere
ancora più sconcertante. Anche in questo caso il contrasto tra la «beltà
onesta, umil» di Inês e la sua salma ricomposta – o meglio quello che resta
della sua salma dopo oltre due anni di decomposizione – è molto forte;
l’incapacità di dominare il desiderio di vedere riconosciuto il ruolo di regina
all’amatissima defunta porta Pedro a spalancarne la bara (la cui chiusura, ci
insegnano gli antropologi, segna «la fine di ogni possibilità di intervento sociale,
culturale e affettivo sul corpo») e a plasmare una creatura mostruosa. Nel
quarto caso è l’accumulo verticale di violenze autoinflitte a creare ribrezzo:
la mente allo stesso tempo si serve del corpo e lotta contro esso, che da un
lato si fa strumento di tortura e dall’altro si ribella, resistendo alla morte
il più possibile. Ciò che sconvolge è la frenetica impazienza del Casasopra,
che desidera a tal punto annullare la propria esistenza da suicidarsi, potremmo
dire, tre volte contemporaneamente. L’abate quindi osserva una terza tipologia
di follia, quella suicida. C.. si concentra tanto sul corpo mutilato delle
vittime quanto sul corpo mutilante dei carnefici, che possono trasformarsi a
loro volta in vittime di se stessi; in Don Casasopra carnefice e vittima
coesistono, mentre Bresse, spinto dal rimorso, decide di togliersi la vita in
modo razionale, per quanto è possibile, contrariamente al professore torinese
che cede invece alla «frenesia». Negli occhi di C. è assente la pietà
cristiana, non perché egli fosse insensibile alle sciagure, ma perché
l’interesse che lo spinge a osservare questi fatti di sangue è di tipo
scientifico; egli, in generale nei suoi scritti filosofici, evita di introdurre
considerazioni di carattere teologico o semplicemente religioso, perché non
sente l’esigenza, provata da molti suoi contemporanei, di conciliare il
cristianesimo con la filosofia dei lumi o con le correnti filosofiche antiche,
i concetti di virtù o di colpa vanno intesi sempre in senso laico. Lo sguardo
scientifico è evidente, per esempio, nella descrizione del terrificante suicidio
del professore torinese. L’abate non spende parole di pietà per il Casasopra,
ma presenta subito le proprie ipotesi in merito alle cause di un gesto così
estremo: egli suppone che la follia suicida sia stata scatenata dalla
combinazione di una causa psicologica («malinconia») e una organica («accension
di sangue»). Senza la sentenza scientifica finale, la descrizione del suicidio
del Casasopra potrebbe avere anche un che di farsesco (un farsesco funereo, ma
pur sempre farsesco): l’immagine di un uomo che con ventotto coltellate e i
polsi tagliati tenta di impiccarsi però non fa sorridere cinicamente, perché C.
descrive il tutto come un caso clinico e non come una scena, mi si passi il
termine, splatter, anzi comic splatter. C. visse a Lisbona, ospite del
fratello Carlo Francesco. L’abate non sovrappone la fiction agl’oggetti della
propria RIFLESSIONE FILOSOFICA. La componente orrorifica, per esempio, è molto
presente nel Masino, poemetto popolato da mostri, diavoli, folletti malvagi e
morti resuscitati; questo testimonia che egli non fu immune all’influenza
dell’Arcadia lugubre, ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con i quattro casi
dei quali ci stiamo occupando, che non sono trattati come storie, come
racconti, ma come fatti di cronaca, recente o lontana, da esaminare. La
terrificante incoronazione di Inês è sviluppata sì in un sonetto, ma la
prefazione in prosa che illustra la vicenda storica testimonia che l’autore
aveva compiuto studi approfonditi sull’episodio, forse durante il suo soggiorno
lusitano. Il corpo smembrato viene “osservato” non con compiacimento morboso,
ma con l’occhio attento del filosofo, che, studiando il potere della ragione, è
costretto a indagarne anche i limiti e le ombre. C. in verità non censura in
alcun modo i particolari più macabri delle vicende, come l’arto mozzato di
Livia, la pozza di sangue nella quale striscia la Contessa, il foro in mezzo
alle ciglia di Bresse (poi sotterrato come la carogna di un animale), lo
scettro ricevuto da Inês «in freddo marmo», le ventotto ferite del Casasopra;
questo sguardo fisso sui dettagli più agghiaccianti però non è fine a se
stesso, ma serve a “toccare con mano” quanto orrore generi la follia. Così
nella vicenda di Inês, ciò che disgusta maggiormente il lettore non è il
ripugnante cadavere ricomposto, ma la pazzia di Pedro: insomma il mostro non è
lo scheletro di Inês, ma Pedro stesso. L’interesse per i fatti di sangue
dimostra come sia fuorviante e falsa la rappresentazione di C. come saggio
rintanato nel proprio rassicurante romitorio, dal quale contempla con
indifferenza il mondo e le sue passioni; egli, al contrario, era attaccato alla
“vita reale” (ne è una riprova il fatto che nelle sue opere preferisce sempre
offrire esempi tangibili, senza abbandonarsi a teorie fumose o ad astratte
elucubrazioni) ed era desideroso di studiare l’uomo “vero” – quello che, a
volte, cede alla brutalità e alla follia più nera – e non l’uomo ideale. Il
Caluso crede che ogni progresso sia possibile solo partendo dall’analisi di
«ciò che esiste», egli non vuole proporre un modello utopistico di uomo
perfetto, ma desidera ragionare concretamente sulla natura umana, sulle sue
luci e sui suoi spettri. Sulla figura dell’abate di C. si vedano gli studi
del Calcaterra e, soprattutto, del Cerruti (M. Cerruti, La ragione felice e
altri miti del Settecento, Firenze, Olschki, Le buie tracce: intelligenza
subalpina al tramonto dei lumi; con tre lettere inedite di Tommaso Valperga di
C. a Bodoni, Torino, Centro studi piemontesi; Un inedito di Masino all’origine
dell’opuscolo dibremiano ‘Degli studi e delle virtù di C.’, «Studi piemontesi»,
Inoltre mi permetto di rinviare anche alla mia monografia:Contini, La felicità
del savio. Ricerche su C., Alessandria, Edizioni dell’Orso. Si legga il
seguente passo, tratto da una lettera del Foscolo alla Contessa d’Albany: «e io
lasciai l’ordine ch’ella, e il pittore egregio, e l’ottimista abate di Caluso
avessero l’edizione in carta velina» (Foscolo, Epistolario, a cura di Carli,
Firenze, Monnier). Questo appellativo si riferisce, ovviamente, alla più famosa
composizione dell’abate, il poemetto in terza rima La Ragione felice, composto
a Firenze, come precisa l’abate stesso nell’introduzione alla raccolta Versi
italiani (Euforbo Melesigenio, Versi italiani di Tommaso Valperga Caluso fra
gli Arcadi Euforbo Melesigenio, Torino, Barberis. L’inedito Della felicità de’
governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca di Torino, ora
pubblicato in Contini, La felicità. A proposito del concetto calusiano di
rassegnazione, si legga il seguente passo, tratto della lettera alla Contessa
d’Albany. De’ cardinali Doria lodo la rassegnazione, virtù troppo necessaria
alla felicità, o per parlare più esattamente a scemare l’infelicità nostra,
onde io ne fo uno de’ punti precipui della mia filosofia, d’acquetarsi alla
necessità» Pélissier, Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris,
Fontemoing, Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot aveva constatato che nella
pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tutt’altro che
virtuosi, e lo stesso ragionamento era stato presentato da Voltaire a proposito
della razionalità. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il
fatto che le passioni fossero necessarie all’uomo per sfuggire la noia era
stato sottolineato con forza dall’abate Du Bos nel primo capitolo delle
Réflexions critiques sur la poésie et la peinture (1718), opera che eserciterà
una grande influenza sull’estetica settecentesca. In questi versi il Caluso non
fa riferimento alla noia, ma descrive uno stato d’animo ancora peggiore:
l’apatia. Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la
Biblioteca Reale di Torino (Varia). 10 I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les aventures du Marquis de
Belmont écrites par lui même ou les nouveaux malheurs de l’amour (Varia) sono
conservati presso la Biblioteca Reale di Torino. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani. L’inedito “Varia Philosophica”, ritrovato presso
l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è
riprodotto in CONTINI “L’attività filosofica di C.”, Mattioda, Torino, C., Di
Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie des
sciences littérature et beaux-arts de Turin, X-XI, Torino, Imprimerie des
sciences et des arts. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel
1555. 15 Id, Di Livia Colonna. C. in un brano del “DELLA CERTEZZA MORALE
ED ISTORICA” sottolinea come sia importante esaminare le notizie riferite dai
poeti. Diciamone adunque partitamente vediamo prima qual sia L’ESAME DEL FATTO per
trarne i precetti per questa prima parte anche per la critica degli avvenimenti
che ci siano tramandati dagli scrittori di qualche genere, e partitamente da’
Poeti. (“DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” Fondo Peyron). L’abate cita le
seguenti fonti. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani
gentilhuomo fiorentino. Divisa in libri XXII, Firenze, Giunti, e Santis,
Columnensium procerum imagines, et memorias nonnullas hactenus in vnum redactas,
Roma, Bernabo. C. ricorda che vari poeti avevano scritto molte dolenti rime su
questo tema e cita un passo di un madrigale del Caro. Presso la Biblioteca
Apostolica Vaticana è conservato il manoscritto Composizioni latine et volgari
di diversi eccellenti authori sovra gli occhi della Ill. Signora Livia Colonna
(Capponi). C., Di Livia Colonna. L’abate fa una precisazione sul nome
della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Domenico Santi
chiamata Orintia, Oritia, trovisi altrove chiamata Ortenzia”. Zannini, Livia
Colonna tra storia e lettere in Studi offerti a Giovanni Incisa della
Rocchetta, Roma, Società romana di storia patria, Archivio di Stato di Roma,
Tribunale del Governatore, Processi.
I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni
oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò
che Livia fu ferita due volte alla gola e molteplici volte ai fianchi, ma non
fece alcun riferimento alla mutilazione di arti. Chiodo, Di alcune curiose
chiose a un esemplare delle “Rime” di Porrino custodito nel Fondo Cian,
«Giornale storico della letteratura italiana», L’opera è scritta con inchiostro
nero e grafia minuta su V carte scritte sia sul recto sia sul verso, a parte
l’ultima, scritta solo sul recto. È bene precisare che Verani si rivolge
a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il saggio del C..
Probabilmente questo anonimo amico aveva poi consegnato all’abate lo scritto
del Verani. Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.:
Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano (Fondo Masino).
Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di
Livia, non vi è altro documento, ch’io sappia, se non la semplice osservazione
del Sansovino, di cui non possiamo fidarci, poiché non Livia, ma Lucia donna di
Marzio Colonna, la quale fu morta da Pompeo suo genero. Quindi è che non so
indurmi a credere Pompeo capace di sì orrido fatto, e molto meno per un vile
interesse o di eredità o di dote o di qualunque altro motivo o di odio e
vendetta a noi ignoto». Egli in un passo successivo sottolinea anche che Livia
chiamò “figliuolo” il proprio uccisore non perché era suo genero, ma per
intenerirlo e indurlo a desistere dal gesto delittuoso. L’articolo di lettera è
conservato presso gl’Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (St.
Patria). Non si tratta della lettera originale del Negri al Napione, ma di una
copia dello stesso Napione, che, su richiesta del Balbo, trascrisse la parte
della lettera che riguardava C. Il caso dell’assassinio della Contessa
Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che nell’adunanza della
Patria Società letteraria propose la composizione di una novella su questo
argomento (C. Calcaterra, Le adunanze della ‘Patria Società Letteraria’,
Torino, SEI). Non era presente a questa adunanza, in quanto entrerà nella
Filopatria ; sappiamo però che egli intervenne a qualche assemblea anche prima
di questa data e che intrattenne stretti rapporti coi Filopatridi.
Probabilmente quindi l’abate si interessò alla vicenda di Bresse grazie a
qualche conversazione con gli amici e colleghi torinesi. Il manoscritto è
vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul verso: le prime due sono
scritte da una mano, mentre le altre 4 da un’altra. Entrambe le grafie non sono
riconducibili a quella di C.. Il narratore formula varie ipotesi sulle
origini di Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può essere identificato
con un ugonotto, un massone o un ex chierico. Sotto il racconto si legge
la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’allora
profess. di Retorica D. Castellani, ed è questa in data 9 giorni dopo
l’avvenimento». Annotazione scritta dalla stessa mano che aveva compilato il
primo dei due documenti (Memoria intorno a Bresse; Fondo Peyron). Il
commento del C. si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È
da segnalare inoltre che nel verso dell’ultima carta si leggono alcune prove di
firma del C. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto
infatti è preceduto da un breve riassunto: «Un’ufficiale di Francia ama una
Donna Piemontese per lo spazio di più di un anno, e perché da lei gli è vietato
il venir ad ottenere qualche suo fine poco onesto, la uccide, e ultimamente
pentito di tanta atrocità usata, da se medesimo si dà la morte. C., Versi
italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il
melodramma italiano: un incontro obbligato, in Inês de Castro: studi, a cura di
P. Botta, Ravenna, Longo. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine
Houdar de La Motte, che ebbe uno straordinario successo di pubblico e venne
tradotta dall’Albergati (Albergati Capacelli, Paradisi, Scelta di alcune
eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano, Liegi ma
Modena. C., Versi italiani. Cipriani, Le lettere inedite di C.al nipote, marchese
di Albery conservate nei fondi del castello di Masino, tesi di laurea, relatore
Marco Cerruti, Torino, Università degli Studi,
A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari,
Laterza. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco, ambasciatore
in Portogallo e futuro viceré di Sardegna. In questo periodo venne a contatto
con la cultura portoghese, spagnola e inglese e, come tutti sanno, conobbe e
“iniziò alla poesia” l’amico Alfieri. Declension Edit First/second-declension
adjective. Number Singular Plural Case / Gender Masculine FeminineNeuter Masculine
Feminine Neuter Nominative initiātus initiāta initiātum initiātī initiātae initiāta
Genitive initiātī initiātae initiātī initiātōrum initiātārum initiātōrum Dative
initiātō initiātōinitiātīs Accusative initiātum initiātam initiātum initiātōs initiātās
initiāta Ablative initiātō initiātāinitiātō initiātīs Vocative initiate initiāta
initiātum initiātīinitiātae initiāta References Edit initiatus in Charles du
Fresne du Cange’s Glossarium Mediæ et Infimæ Latinitatis (augmented edition
with additions by D. P. Carpenterius, Adelungius and others, edited by Favre)
Warburton. DISSERTAZIONE SULL’INIZIAZIONE A’MISTERII ELEUSINI;
OVVERO, NUOVA SPIEGAZIONE DEL LIBRO VI DI VIRGILIO, tratta dalla sessione
della Divinici della Mistione di Mose MOSTI ATA DA WARBURTON
Stenda Sdiva VENEZIA Curii. Al NOBILE SIGNOR BARONE
GIROLAMO TREVISAN VICE-PRESIDENTE AL TRIBUNAL D'APPELLÒ
ìli VENEZIA bLÌ EDITORI, Non il paiavinó nobile sangue j che nelle
vene vi scorre, non l'antichità de’ vostr’avi 3 non gli onori e le cariche eh
tra gli altr’uomini vi distinguono j furonoj Egregio Signore le cagioni che
ci spinsero a umiliarvi rispettosi la presente dissertazione:
cerchino altri sì fatte cose o per vite adulazione bassissima, o per
mercarsi non mentati favori o per altr’indiretti fini del generoso animo
vostro onninamente indegni ma sì bene ci mossero e i rari vostri talenti
che fecervi un giorno brillare guai lucidissima stella nel veneto
foro, e il genio che nutrite verace per ogni sorta di letteratura. Possian
dunque dire che vi appartenga questa operetta come a quelt esimio personaggio
che di vera FILOSOFIA lo spirito fornito e di fino critico gusto le
bellezze ammirare sapete della veneranda antichità. Accogliete pertanto di buon
cuore quelh che offerir vi possiamo e siate certo che cm- ptiratorì
ognora de’ vostri pregii e delle virtù vostre conserveremo per voi
quella stima, venerazione e rispetto con cui di essere ci
protestiamo, là zs. X inalrtiente comparisce alla veduta del dotto
mondo il vero VIRGILIO: il suo poema veste le ingenue sembianze, di cui lo
adorna il suo autore: quello che finora hanno gl’amatori della sapienza,
i filosofi. In esso riconosciuto di bello ora di nuova luce rifulge; e
quanto a’ critici è parato di riscontrarvi dì assurdo e sconcio, e al rigore
dell’epiche leggi incoerente ad un tratto dileguasi. Cosi felici effetti ha
prodotti la presente dissertazione. Il giudizioso inglese che l'ha scritta
facendosi a contemplar di pie fermo quel filo segreto che l’Omero latino
condusse in questo divino poema, colpi nell'intimo sno spirito, scoperse le
ragioni, di tutto ciò, che introduce nell'ENEIDE VIRGILIO, e l'ipotesi
sua co quella vasta erudizione che possede, colle cose, costumi, e
opinioni dell'antichità raffrontando, comprese ch’ella regge con
mirabile armonia e alle idee dell'autore e alla natura dell' epica poesia
ed alla sapienza degl’antichi FILOSOFI. Se ciò sia vero, lo scorge il
leggitore leggendo l’opera presente, e dopo letta, a
rileggere ponendosi, e studiare VIRGILIO attentamente, L'Autore
della Disseriazione non ebbe in vista che d'illustrare il VI Libro dell'ENEIDE.
Ma la sua scoperta è di un uso universale per l’intero poema virgiliano,
che pell’intelligenza d’ogn’altro, e spezialmente di quello d' Omero .
Quindi è che noi creduto abbiamo di fare cosa graia alla letteraria
repubblica nel dare alla luce quest’opera dall’inglese nell’italico idioma
rrcala-, e vi- viamo colla fiducia, che i leggitori ci sajjra,n, po
grado di sì utile impresa. Per solo bene e vantaggio della società
letteraria ci siam noi mossi a riprodurre U presente Dissertazione; e
come sapevamo esser rarissima e ricercata, abbiamo tostamente procurato dì
ripiegarla e correggerla; di note fornirla e d'illustrare con alcuni
cenni la vita del suo Autor valoroso, e farne così al collo
pubblico un dono, Di quanto pregb ella sia, quanta contenga erudizione
non è a dire; sarebbe desiderabil cosa che tutti ì italiani delle lettere
amanti, i quali Unto vanno affaticandosi per isludiare l’epico latino,
prima attentamente leggessero questa dissertazione che porge la chiave a
bene, eziandio comprenderne tutto il poema. Non dubitiamo pertanto,
che gl’eruditi non ci appiani grado di questa, benché leggiera,
fatica j e il lor favore in adesso ci serve di sprone, onde farsi strada ad
imprese maggiori. Ha l’uomo collo ed erudito noniolo, ma piu audio
l'imperito e l'indotto un desiderio pressoché costante, una voglia direi
qnati innata di voler investigar n conoscere in azioni e le gesta,
di que' tra suoi simili, che sugli altri emersero t p er gebio peti
tiratore e sagace, o per talenti letterari e politici, o per dignità
ragguardevoli, o per onori non comuni, o per altra mai dote, la quale
tulio scioperato vulgo distinguere ne li faccia, fi da questo desiderio, è
da questa voglia che riconoscer debbe la repubblica letteraria e scientifica
quei lumi tutti, che (les- sa per opera de' suoi membri possiede in
riguar- do alla virtù, e al merito de' più chiari eroi, che ognora
illustre la resero. È perciò eh' ab- biamo creduto noi opportuno il dar
qui in ri- stretto (come la parvità del volume lo esige) alcuni
cenni sulla vita del chiarissimo autore della presente Dissertazione. Warburton
nacque nel Dicembre del ni Ì 11 effe ì ce n tono van torto il
vigesimoqnarto giorno a Nevarck sul fiume Trent nella gran
Brettagna, nella qual città occupava suo padre il posto di Procuratore.
Warburton di perspicace acume dotato e non vulgare talento nelle
principali Università l' ordinario corio degli stadi! a percorrer lì diede, e
riportatane laurea nelle teologiche discipline colla fama di
letterato ed erudito quegli sturili a ricominciar ritiro»;, che più alla
naturale sua inclinazione si confacevano ; ben persuaso che le scuole
non additino che i mezzi, onde fare di vera sapien- za l'acquisto.
Si applicò quindi alla erudizione sacra e profana, non che all' amena
letteratura, e ben presto mature fratta produsse . Tardi pe- rò
agli onori ed alle dignità elevato il volle for- long^-iaa jamfls
tardi altrettanto più sublime- mente innalzollo. Aveva egli trascorsi
cinquan- tasei anni dell'età sua, quando Giorgio II. che allor
l'Inghilterra reggeva con suo grazioso decreto il fece sno Cappellano., e in
breve forni- re di un canonicato in Durbatn ne lo volle. Proseguiva
frattanto le sue erudite fatiche iti nostro Guglielmo, quando l'anno
correndo niil- Jesettecen sessanta videsi egli al decanato di Bristol
inopinatamente eletto, la qual dignità non fece che servirgli di scala
all' onor vescovile, di cui tra non molto con soddisfazione e con-
tentamento di que' tutti, che le di lui virtù, conoscevano, fu
giustamente insignito. Fugli a sua sede destinata Gloceiter, che a
reggere cominciò con non ordinaria: moderazione e prudenza da meritarne de'
suoi connazionali gli applau- si . Ognor vigilante, sobrio, amico dì
tutti, vero filantropo degno stato sarebbe (se altronde 1* provvidenza
non avesse rettissim amente disposto) d'essere ortodosso, e di possedere
diocesi orto- dossa . Tra le cure però di suo vescovato tener
godeva in casa letteraria conrersazione e giocon- ila, onde il ma
affaticato spirito alquanto ri- crearsi potesse ; e come dotato era dal
Cielo di eccellente memoria, e per meno de' suoi travi., gli di
vasta erudizione, così sapea talmente a lempo con istradivi aneddoti la
compagnia rav. vivaio, ch'era egli della società chiamato l'ido- lo
e la delizia. Fra tante virtù aveva tuttavia il difetto a' suoi patrioti
universalmente comu- ne, quello cioè, di essere nell'odio terribile,
quanto nell'amicizia tenero e dolce: a sua lau- de per altro riflettali
die una legg'"^ «mpen- aazione, una minima protesta discuta era a
cai- marlo sufficiente. Sin qui il Warburton non ci i prelenta che
personaggio di rare qualità, di cariche e di onori fornito ; ma è tempo
che renda di pubblico diritto le immense fatiche, che per naturale suo
genio a sostenere ai accinse. Sempre amico delle lettere, e della gloria
de' auoi cittadini volle egli darne un saggio col pre- siedere all'
impressioni! delle opere del grande Shakespear, la quale più nitida rese
per nota- bili correzioni, ed illustrò con crìtiche note, dove
tutto it giudicio risplende, che tanto i ve- ri dai troppo creduli
critici distingue. L'amici- zia stretta .col Pope lo indusse pure a,
sopran ten- dere alla stampa de' di lui lavori, che colla usa- ta
sua diligenza presto trasse a line. Persuaso che allora camminarebbe
meglio la società, quan- do la religione e la politica si congi
ungessero insieme a formarne i reali vantaggi, diede alla luce
delle sode dissertazioni sulla unione appunto della Religione, della Morale, e
della Politi- ca, le quali poi trasportò in gallica lingua Stefano di
Silhouette, e in due voltimi di vite. Per porgere, dirà coi), pascolo
alla sua estcìis. «ima erudizione scrisse auche un discorso intorno al
terremoto, e all'eruzione ignea, che im- pedirono all' Apostata
Imperatore la restaurazio- ne del Tempio santo, Ma tntto questo
sapere diWarburton è nn nulla in paragone della critica, del genio, della
erudizione, che dispiegò in un'opera, la quale nei fasti delle
scienze renderlo doveva immortale, e cui, come osser- Vano
-d«» JrttWMti " ili maaturl delle rìcer- che antiche
leggeranno sempre con -piacere, ed anche con frutto e vale a dire la di-
vina legazione di Masè dimostrata in quattro volumi distribuita. II
filosofo di Farne/ cerco tosto di accreditare coli' autorità di
Warbnrton tutte le imposture, gli errori, le follie, le men- zogne,
che sacrilegamente «parie aveva nel Li- bro dei Libri; quindi è che
astenere non si potò dal non tributare in larga copia all'Anglo Prelato
gli encomii li più seducenti e lusinghieri . Guglielmo pero che aveva nel petto
nn fon- do di virtù bastante a far argine a coteste vi- lissime
adulazioni, e che l'empietà appieno conosceva dell' autore della Pulcella d'
Orleans, in una seconda edizione a provare si fece che il aig. di
Voltaire non solo non avea l'opera inte- sa, ma che l' avea falsamente
citata, peggio in- terpretata, e impudentemente calunniato Tanto-
re di essa. L'Oracolo della Francia allora canto Dóion. degli Uom. Ili,
v. gli nelle più amate invettive, nei sarcasmi più «cuti, nelle
ingiurie più maldicenti gli clogii che aveva al Vescovo di Glocesttr
prodigalizza- to, a cu! non degnò egli rispondere mostrando colla
sua grandetta d'animo di quelle ingiurie la insussistenza, e procacciando
così alla sua opera più durevole fama. Osservan nullameno ì Critici
che più perfetto ne sarebbe il lavora t so ognor vi rispondesse il lucido
ordine di Orazio, « se più digerita la erudizione ne fosse. Chec-
ché peto sia, resr eterno il nome del celebre Inglese, e dì questo
n'hanno un bel saggio i leggitori nella presente disseriazione » di' è
da quello ricavata - Una vita sobria e morigerata fece trarre
al Warborton pacifici giorni e tranquilli da nessun malore sturbati
; sicché carico d'anni in Glocetcr ai siile Gingno del niilles ettecen setlantanove
compi sua mortale carriera da tutti ì suoi, non monodie dalia letteraria
repubblica meritamente compianto, lira egli di statura alta, grosso
e corpulento anzicheno, di carnagione rubicondo, di temperamento
forte e robusto. Questo è quanto abbiamo di lui potuto rac-
cogliere, e succintamente esporli benevolo leg- gitore ; Vive
; Vali : si quid navìitì reHiut istis Candidai imperli: li »m, bit Mere
memi». Virgilio nel libro Yl.;"cfi*r fl "Capo 3'opera
dell'Eneide, ha per dileguo di descrivere l'iniziazione del suo eroe ne'
misterii, e di mettere lotto l'occhio de' suoi leggitori almeno ima parte
dello Spettacolo Eleusino, in cui tutto face- vasi per mezzo di
decorazioni e macchine, e in cui la rappresentazione della storia di
Cerere da- va occasione di far comparire tal Teatro il Cielo, l'Inforno,
i Campi Élisii, il Purgatorio, tutto ciò che ha relazione eoa lo stato avvenire
degli uomini. Ma acciocché il lettore non si offenda di questta
proposizione che può sembrare nti paradosso, sarà cosa utile l'esaminare
qual sia il carattere dell' ENEIDE. Tutti e due i Poemi di Omero
contengono la narrazione di un'azione semplici; ed unica, de-
tonata ad insegnare un punto di morale egual- mente semplice, ed in
questo genere ammirasi con tutta la ragione questo filosofo. E
impossibile che in ciò VIRGILIO lo superasse. Il suo vero modello e
perfetto; niente mancatagli, ii maniera che i maggiori partitami del FILOSOFO
LATINO, senza eccettuarne Scalugero', ridotti si no a (allenare, eh' e FILOSOFO
LATINO, e lo Scaligero stessa ha sostenuta, clic lutto il vantaggia di Virgilio
aopra Ornerò consiste negli Episodi i j nelle descrizioni, comparazioni, nella
netiena, e purità dello stile, è nella aggiustateza dei pensieri ; ma ninno ha
conosciuto a mio credere il principal vantaggioeli' égli ha sopra
il Poeta Greco: Egli trovò il Poetila Epico mesto già nel primo ordine di tutte
l'opere dello spirito umano; ni* ciò non ancora soddisfaceva a'suoi
alti disegni. Non bastavagli | clip l' istrui- te gli uomini nella morale
fosse il fine del Poe- Ina Kpico; neppure l'insegnare la Fisica j
come ridi col oiam ente s'immaginarono alcuni antichi. Egli è vero,
ch'ei compiaceva^' di queste due •otta d» studii; ma voleva comporre un
Poema, che fosse un sistema di politica. In fatti ì ta- le la ina
Eneide in versi, come in prosi sono i sistemi politici, e le Repubbliche
di Platone, e di CICERONE; e quegli insegna con l'esempio e con le
azioni di un eroe ciò, che questi insegnano coi precetti . Cosi Virgilio portò
il poema epico ad nn nuovo grado di perfezione, e come di Menandio disse
Vellejo Pater colo inve- niebat, neque imitandum rclinquebat .
Benché possa ognun vedere facilmente t che sotto il carattere di ENEA
rappresenta: i OTTAVIANO; pure siccome credevasi^ che questi
ammaestramenti politici destinati veramente per utile di tutto il
genere umano riguardassero il solo principe; così niuno ha compresa la
natura dell' “Eneide”. la questa ignoranza i Poeti, che vennero
dopo, volendo imitare questo Poema, dì cai non conoscevano il vero genio,
riuscirono ancora peg- gio di quello,- che sarebbero riusciti, se si
fos- sero contentati di prendere per modello il semplice piano di Omero.
M. Pope gran Poeta de nostri tempi, é giudice competente in tali materie, dice
nella prefazione all' Ilìade spiegando- ne la cagione. Gli altri Poeti
Epici, dice egli, banco seguito Io stesso metodo ; ( ciò* quel di VIRGILIO,
che unisce due Favole insieme, n t jj- 'A una sola ) ma- in ciir st-som»
tanto avanzati, che hanno introdotta una inokipli- „ cita di favole,
con cui hanno interamente „ distratta l'unità dell'azione, e l'iianprolungata
in ana maniera del lotto irragionevole, cosicché i lettori più non sanno
dove sieno -, .Tale fu la rivoluzione, che cagiona Virgilio in questo
nobil genere dì poesia. Egli lo porto ad un punto di perfezione, a cui
non sarebbe mai giunti) con tutta la sublimità del suo genio ira*
za l'assistenza del più gran Poeta . Egli non eb- be se non il soccorso
della unione dell' Iliade e dell'Odissea, che potesse fargli eseguire il
bel progetto, che si aveva formato. Imperciocchi pel dare un
sistema di politica nella condotta di un gran Principe bisogna fargli
comparire ed osservare tutte le situazioni, e tutte le circo-
stanze, in cui no Principe come tale può ritrovarsi . Quindi bisogno, che
rappresentasse Enea in viaggio come Ulisse, in battaglia come
Achil- le ; ed in ciò non dubito * che questo grand* ammirator di
Virgilio di sopra citato, e che cosi bene ha imitata la purità del suo itile
si compiaccia di vede re, clic questi è la vera iti gìone
della condotta del suo Maestro, piuttosto che l'altra da lui rapportata. VIRGILIO
non avendo un genio ooil Tiro, e cosi feconda j, come Omero, vi
supplì con la «celta di ari oggetto più esteso, e di una più lunga durata
dì tempo, epilogando in un solo Poema il disegno dei due poemi del Greco
Poeta. Ma se avendo scelto lo «tesso soggetto di Oncia, fu obbligato a
trascrivere quella semplicità della favola, clic Aristotele, ed il Bosiù
di luì interprete trovano divina io Omero, questo stesso gli ha prodotti
altri considerabili vantaggi Dell' esecuzione del suo Poema; poiché
questi ornamenti, e queste decorazioni, di cui non han saputo i
Crìtici rendere altra ragione se non di sostenere la dignità del Poema,
diventano, secondo il fine del Poema, punti essenziali del suo soggetto.
Cosi i Principi e GL’EROI scelti per attori, che paiono a prima vista un
semplice ornamento, diventano la essenza medesima del Poema j e i
prodigi! e le interposizioni degli Dei destinati solo a produr maraviglie
diventano con questo nuovo disegno del Poeta una parte essenziale
dell'azione. Qui vedesi lo spi- rito medesimo degli antichi Legislatori,
i quali pensavano sopra tutto a riempire lo spìrito delle idee
della Provvidenza. Questa è dunque la vera ragione di tante maraviglie e
funzioni, che incontransi nell’ENEIDE, per cui alcuni Critici
moderni accusano il nostro Poeta di poco giu- dicio, imitando Omero di
una maniera troppo fervile nel suo Poema, composto nel secolo di ROMA
il più ili um'Bato e il pili polito . 11. Adis- >0D, di cui non devesi
parlare, se non con termini di estimazione, eoa) parla in proposito del
maraviglialo in VIRGILIO. Se qualche paisà dell' Eneide può
criticarti per questo titolo, egli è il principio del terzo libro,
in cui „ rappresentasi Enea, che lacera un mirto, da cui sgorga
sangue. Questa circostanza sembra,, avere il mirabile senza il probabile;
perch' è descritta come prodotta da cagion naturala senza J'
auìtóox* di, alcun» Dtilà., a. d' alcuna "sovrannaturale potenza capace di
produrla. Ma l'Autore non si è ricordato in que- sta osservazione delle
parole dette d’ENEA in questa occasione; Nympbas -ùtntTabaT
agrtsirt Gradi-vamquc Pattern, qui prieiidet Bruii Rite steundartnt
visus, omtnqut levarcnr. I presagii di questa specie poiché ve n' erana
di due sorta sono sempre considerati conte prodotti da una potenza
sovrannaturale. Cosi quando gli Storici ROMANI raccontano una piog-
gia di sangue, egli era un presagio simile a quello del nostro Poeta, il
quale si è certame»- te contenuto dentro i confini del probabile,
asserendo ciò che gii storici pia gravi riferiscono ad ogni pagina de'
loro annali . Questo prodigio non era destinato a sorprendere il lettore.
VIRGILIO, come si è detto, Teste i caratteri di un (0 lib. m.J+ »-
J<-i9 ledisi atore, e vuole eoi prodigi! e cui prestigi!
persuadere il popolo che iddio s'interpone negli affari di questo mondo;
e questo era il metodo degli Antichi . Plutarco adv. CoieC- c'
insegna, die Licurgo co) meno di divinazioni e di pre- «agii
santificò gli Spartani, NUMI I ROMANI, Solone gli Ateniesi, e Deucalione
tutti i Greci 10 generale, e col mezzo delta speranza e del timore
mantennero nello spirito di questi popoli 11 rispetto alla
Religione. Cosi molto a proposi- to colloca VIRGILIO U scena di
<)m-*to accidente tra i popoli barbari e grossolani della Tracia
per ispirare dell'orrore a'coslumi selvaggi e crudeli, e desiderio
di nno stato civile e polito. L'ignoranza del vero fine dell'Eneide
Ila fat- to cadere i Critici in diversi errori poco onore- voli a VIRGILIO,
non solo intorno al piano ed al lavoro del silo Poema, nia intorno al
carattere venerazione profonda agii Dei hanno tanto offe- so
r Ememont scrittore celebre Francese, che b& detto essere questo
Ero e più proprio a fondare una Religione, che uoa Monarchia, Ma non
ha saputo, che nel carattere di ENEA Ila voluto rappresentare
un perfetto legislatore ebbe saputo ancora che ufficio de'
legislatori era non meno stabilire una Religione, che
fondare uno Stato. E sott» qaeita doppia idea VIRGILIO rappresenta
ENEA InferTtttjue Dras Lalla Eoe"!- Uh I. veri. j>.
io. ti «ostro Critico egualmente li offende dell' umanità di ENEA,
dia della tua pietà. Elift consiile, secondo lui, in una grande facilità
piangere, ma egli non ha intesa la Ltlk-zzatì questa parte del suo
carattere. Per dare l'idea ài un legislatore perfetto, bisogna
rappresentarlo penetrato da sentimenti di umanità. Era tanto piil
necessario dare un simile «empio, quanto vediamo per isperienza, che i
politici del comune sono troppo spogliati .di qaciti untimi:!!- ti.
Questo punto di vista, lotto coi rappresentiamo L’ENEIDE serve a giustificare
gli altri caratteri, che metti! in iscena il Poeta. Il dotto Autor delle
ricerche sulla vita» e sugli acrlr- tì di Omero mi permetterà di avere
una opinion ne diversa dalla sua riguardo alla uniformità de caratteri,
che regna nell'ENEIDE. Io la tengo per effetto di un premeditato disegno,
non già di costume e di abito. VIRGILIO, dio' egli, era avvezzo allo
splendor della corte, alla magnificenza di un palazzo, alla pompa di un equi-,,
paggio reale .rizioni di que- „ ala aorte di vita io» più magnifiche e
più nobili di quelle di Omero. Egli osserva già la decenza, e
quelle maniere polite, che reit- „ dono un uomo tempre eguale a se stesso,
e „ rappresenta tutti i personaggi, che si rasromigliano nella loro
condotta, e nelle loro maniere. Ma poiché l'Eneide è un sistema di
politica, e che la dui azione eterna di uno Stato, la forma della magistratura,
ed il piano del governo erano, come lenimmo osserva questa
bi |9 giudicioso «rittore, con famigliari al fotta, niente più
conveniva al suo disegno, quanto descrivere costumi politici.
Imperciocché ufficio di un legislatore È rendere gli uomini dolci
ed umani i e se non pub obbligarli a rinunciare inera mente a' loro
selvaggi costumi, impiegarli al* nieno a coprirli. Questa chiave dell'
Eneide non solo serve 1 piegare molli passi, che pajono soggetti
alla Critica, ma a discoprir la bellezza di un gran numero
d'incidenti, che nel corso del Poema s'incontrano. Prima di finire questo
articolo mi si permetta di osservare, che questa è la seconda specie (Jet
Poema Ippico. Il nostro compatriota il gran Milton ha prodotta la terza,
perchè, come VIRGILIO tenta di sorpassare Omero, Milton volle sorpassar
tutti e due . Egli trovò Omero in pos- sesso della morale, e VIRGILIO
della politica. A (ui restava, solo la Religione . figli prese
questo oggetto, come se avesse voluto con (oro dividere il governo dei mondo poetico, e per mezzo
della dignità, e della eccellenza del suo soggetto si mise alla testa di questo
triumvirato, prr formare il quale vi vollero tanti secoli. Ecco Ì tre
°eneri del Poema epico il soggetto generalm-'te parlando è la condotta
dell'uomo, che si può considerare riguardo alla Morale, alla Politira, e
alla Religione. Omero, Virgilio, « Milton hanno ciascun di loro inventata
la specie . eh - è sua particolare e l'hanno portata dal primo saggio
alla perfezione, cosiceli* è irapoi. Il libile inventare altro
di nuoro nel genere Epico. Supposto adunque, die l'Eneide rappresenti la
condotta degli antichi legislatori, non può credersi che un maestro così
perito, corno VIRGILIO, potesse dimenticarsi un dogma, eli' era il
fondamento ed il sostegno della politica, Cioè il dogma de' premìi e
delle pene nell'altra Vita. Quindi veggiamo, eli' egli ce he ha dato
uh completo sistema ad imitazione di quelli, ch'egli h» presi per
esemplari i come Platone: nella »U alone di Ero, e CICERONE NEL SOGNO DI
SCIPIONE. E come il legislatore cercava di dar [teso a questo dogma con
una istituzione affatto straor- dinaria, in cui rappresentati lo stato
de' morti in uno spettacolo pieno di pompa; cosi la de- tenzione di
tale spettacolo poteva dare molta grazia e bellezza al Poema. La pompa e
la se lennità di queste rappresentazioni doveva natii* ralulente
invitare il Poeta a descrìverle, trovan* do in ciò occasione di mettere
in opera tut- ti gli ornamenti della poesia. Io dico dunque t
Senteii 1» spirilo di pitti» che pirli i un Iniiino non pu- tirebbe al Warburton
per buone rune quello proposi noni riguirl do al Milena ; direbbe egli
quindi, col cometuo de' piti meni fiati Critici, il rrtxo bega lil
immuriate suo Taiio, che n-olio primi del Milton prese a soggetto il
vcrti Religione ; ne dlipiiindo le posta rigore) intente il Poeta In^lett tra
gli Epici tlii- •ificarsi, iccorderebbegli di buon cuore il quarto luugu
come a quellu, il quale secondo che ilice Ugone Bliir " ha calcita
una «rida del culto nuova a straordinaria N. D. E. ch'egli la ha
fatto, « che la distesa di Ehm all' Inferno non e altro, che una
rappresenta- jione enigmatica della sua iniziazione a' miste-
ri» Eia disegno di VIRGILIO dare nella persona di ENEA l'
idea di un legislatore perfetto. L' iniziazioni' a' mUterij rendeva sacro il
carattere di un legislatore, e ne santificava le funzioni. Non è da
stupirli ebe dì proprio tuo esempio volete nobilitare una istituzione, di cui
egli stesso era l' autore i e perciò sono «tati iniziati tutti gli
antichi Eroi e Legislatori. Fintantoché i miiterìi non aveano
passato an- noia l'Egitto, dove erano nati, e che cola andavano per
essere iniziati i Greci legislatori, è cosa naturale, che di questa
cerimonia non li parlasse, se non in termini pomposi ed allegorici. A Ciò
contribuiva parte la natura dei costumi degli Egiziani, parte il
carattere dei viaggiatori j ma sopra tutto la politica de 1 legislativi,
i quali ritornando al paese volevano infivilii e un popolo selvatico, e
giudicavano per se «tessi vantaggioso, e necessario pel popolo
parlare della loro iniziazione, in cui lo stato de' morti era stato Joro
rappresentato in Spetta- tolo, come di una vera discesa all'Inferno. Cosi
fecero Orfeo, Bacco, ed altri. Continuò a praticarsi questa maniera di
parlare anche dap- poiché furono introdotti in Grecia i mìsterii»
come vedesi nelle /avole di Ercole, di Tese* discesi aiT Inferno . Ma
peli' allegoria eravi sem- pre qualche cosa, che discopriva ]a verità
na- ccsitt (otta gli emblemi. Così per esempio di. cerati di Orfeo,
che disceso era ali 1 Inferno pei meno della sua cetra:
Tbrticta frctus cythara, fidì&utJUI Cancri s Il clie moitra ad
evidenza, ch'era in qualità di legislatore, perchè si sa che li cetra È
il tirar bolo delle leggi, per meno delle quali rese cir lite un
popolo grossolano e barbaro . Nella fa- vola di Ercole reggiamo la storia
vera unita al- la favola nata da quella, e intendiamo ch'egli
veramente fu iniziato ne' mister» Eleusini im- mediata Diente prima della
sua undecima fatica, clic fu il levare Cerbero dall' inferno; e lo
Scoliate di Omero ci espone, che il fine di questa iniziazione era
preservarlo da disgrazia in questi impresa pericolosa. Pare, che Euripide
ed Aristofane confermino la nostra, opinione della di- scesa all' Inferno.
Euripide Bel suo Ercole Furioso rappresenta questo Eroe di ritorno
dall'In- ferno per soccorrere la sui famiglia : eslermina il
tiranno Leuco; Giunone per vendicarsi lo fi perseguitar dalle furie, e
nei suo furore egri uccide sua moglie, ed i suoi figliuoli presili
per nemici. Ritornato in se stesso, Tese suo amico lo consola, e lo scusa
cogli «empii scellera- ti degli Dei, il che incoraggi va gli uomini
a commettere i più gravi eccessi ; e questa opi- nioni: cercatati
di abolire ne' misteri), scoprendo la falsità del Politeismo. Ora egli è
chiaro Eoeiu. Lib. VI. vcrs.uo. 6 i abbastanza, eh'
Euripide ha rollilo farci sapere coia egli pensasse della favolosa
discesa all' In- ferno, quando fa risponder Ercole, come un nomo
die ritorna dalla celebrazione de' misteri!, a cai sicnsi confidati i
segreti. " Gl’esempii degli Dei, che voi mi citate, egli dice, niente
significano: io non saprei crederli rei delle 4> colpe, che loro
vengono imputate . Non potso intendere come un Dio sia sopra un altro Dio.
Rigettiamo adunque le favole ridicole, „ che ci raccontano i Poeti itegli
Dei „Aristofane nelle Rane apertamente palesa ciò, che intendeva per la
discesa degli antichi all' Infer- no nell'equipaggio, che da a Bacco,
quando lo introduce a ricercare della strada tenuta da Ercole: sul qnal
fatto lo Scoliaste c' insegna, che cel celebrarti i mister» Eleusini usavasi
di far portare dagli asini le cose bisognevoli per que- sta
cerimonia. Quindi nacqne il proverbio: dsi- nus portat mysteria. Il poeta
dunque introduce fiacco col suo bastone seguitato da Janzio mon-
tato sul!' asino con nn fardello ; e perche non si dubiti del suo disegno,
avendo Ercole a Bacco detto che gli abitatori dei campi Elisiì son
gli iniziati, Janzto risponde: " Io fono 1' asino, che porta i
misterii Ecco dunque come riguardo a molte favole antiche l'espressioni
sublimi e magnifiche nel parlar de' misteri! hanno persuaso alla
credula posterità, che là dentro vi fosse un non so che di
miracoloso . Nè dee maravigliarsi, che ne' tem- pi antichi n
compiacessero d'esprimere con uno stile il più straordinario le cose più.
ordinarie; a5 poiché un Autor moderno, come Apukjo,
6 per imitar gli antichi, o per accomodarsi allo itile solito de 1
misterii descrive nel fine del Li- tro II. la sua iniziazione: decessi
confittium mortis, t> calcato Proserpina limine per omnia veSus
dementa remeavi . NoSe media vidi So~ lem candido coruscantem lamine,
Dcos Inferos é> lieos supero:, accessi corani t> adoravi de
proLìmo. Enea non avrebbe potuto descrivere con altri termini il ino
viaggio notturno dopo che fu fatto uscire per la porta a Avorio. È
•tato dunque obbligato VIRGILIO a fare iniziare il suo Eroe," e la
favolosa, antichità gli sugge- riva di chiamare distesa all'Inferno
questa ini- ziazione . Di questo vantaggio ha saputo profit- tale
con molto giudicio, poiché questa funzione anima tutta la sua favola, che
seni» questa al- legoria sarebbe troppo fredda per un Poema
Epico. Se avessimo ancora un antico poema attribui- to ad Orfeo, e
intitolato discesa all' Inferno t forse vedremmo clic il soggetto di esso
era sem- plicemente l'iniziazione di Orfeo, e che il (let- to ha
somministrata a VIRGILIO l'idea del VI. libro della sua ENEIDE. Checchi;
ne sia, Servio ha ben compreso il fine di questo Poeta, osser-
vando contenti-visi molte cose prese dalla pro- fonda scienza de' Teologi
d'Egitto: Multa per altam scientiam Theologicorum jEgyptiorum j ì
quali hanno inventati i dogmi, die insegnavan- i ne' misterii . Con dire
che questo era il dise- gno principale del Poeta, io non pretendo
assi- curare, ch'egli abbia avuta altra guida, fuor che se
medesimo. Egli ha presi da Omero mot- ti ile' suoi Episodi!, t da
Piatane, «me ce- drassi. L' iniziato aveva un conduttore
chiamato Jc- tofanta Mistagogo, il quale uomo o donna che fosse,
gì' insegnava le ceremonie preparatorie, lo conduceva allo spettacolo
misterioso, e glie- ne spiegava le parti diverse. VIRGILIO ha data
ad ENEA la Sibilla per conduttrice, e la chiama Vatet, magna Sacerdos,
edoàa carnet; e sic. come il Mistagogo doveva viver celibe come Girolamo
ossei va de Monogamìa Sierophanta «pud Alkenas evitat i-irum, t>
sterna debilita- te fit costui ; cosi la Sibilla Cu man a non era
maritata . Il primo comando, che ad Enea dà la Pro- fetessa è
di cercare IL RAMO D’ORO: 1 Annui et folth, et lento vimini ramiti
Junanì ìnferne di&ut tactr. Di questa particolarità Servio non sa come
ren- dere ragione, c s'immagina che forse il poeta alluda ad un
albero, eh' era in mezzo al sacro bosco del Tempio dì Diana in Grecia.
Quando un fuggitivo si era colà ricoverato, e poteva svellere un
ramo di quel!' albero gelosamente cu- stodito da' Sacerdoti, egli aveva
l'onore di bat- tersi con un di loro a colpi di pugno, e le gli
riusciva di superarlo, veniva ad occupare il su* posto . Questa
spiegazione, quantunque troppo lontana dal soggetto, fu dopo Servio
ammessa di emìa Uh «Lvm.fj7.iit. 10 mancanza d'altra
migliora dall'Abate Banier 11 migliore interprete delle favole
antiche. Ma io penso che questo ramo rappresenti la corona di mirti,
di cui, secondo lo Scoliaste d' Aristo, fané nelle Rane, ornavansi gì'
iniziati nella celebraiion de' misteri!. Primieramente perchè di- ce, che
il ramo d'oro è consecrato a Proserpi» ni, «da lei era pure consecrato il
mirto. In tutta questa favola si parla solo di Proserpina, e niente
di Cerere, e perchè si descrive V iniziazione come un'attuale discesa
all'Inferno, e perchè quantunque nella celebrazione delle Cere*
uionie misteriose s'invocasse anzi Cerere, eh Proierpina, questa però
sola presiedeva agli spet- tacoli, ed il libro VI. dell' Eneide non
contie- ne, se non la descrizione degli spettacoli rap- presentati
ne' misterii . In secondo luogo la qua- lità pieghevole di questo ramo d
1 oro, lento vi- mine, rappresenta benissimo i teneri rami del
mirto. In terzo luogo sono le colombe di Venere quelle, che dirigono Enea verso
1' albero : dum maxima] ècroi Matctnas agnoicit avei .
. Esse volano verso l'albero, vi si fermano corner se fossero avvezzate.
L'albero apparteneva alla famiglia, questo era il sito, ove posavano
eoa piacere, perchè il mirto era consecrato a Venere :
Sedìbut optati s gemina mfer arbore sederti (r) Eneid. Lib. VI. veri. (») 1. e.
ver». *oj. Ma iti qtleHo passo trovasi ancor più di lellez- ?a e di
aggi urtai ez za di quello elle a prima vi- sta apparisca . Imperciocché
non solamente il mirto era sacro a Proserpina, come insegna Por-
firio lib. IV. de abstinentia, egualmente che a Venere; ma le colombe
erano sacre ancora a Proserpina . Preso eh' ebbe il ramo e
coronatosi di mir- to, Enea entra nella grotta della Sibilla : Et
vath portai sub nBa Syèìllé (t). E ciò dinotava l'iniziazione a 1
piccioli ttìttèruf poiché nella Orazione XII. insegna Dico Grisotomo, che
facevasi in una . piccioli e stretta cappella come può supporti la grotta
della Si- lilla. GH iniziati he' piccioli misteri! cViiamavansi
Misi ce . Poscia la Sibilla conduce linea al sito d'onde doveva scendere
all'Inferno: Hit iBìs propen extquhuT practpta SyBilla (ij.
Ciò significa l'iniziazione he' gran misteri i, pi" iniziati
de' quali chiamavansi Epopta . Questa iniziazione fassi di notte . Il
luogo simile a quel- lo, dove Dione dice, che celebravansi t gran
disteni, è un Duomo mistico di una grandez- za e di una magnificenza
maravigli osa : Spttttnca alia fuìt, vasloqut immotili blatH
Scrupia, tuia iecu nigre nmorkmqtu ttntbrit (j) Ecco come descrive)!
l'accoglimento fatto ai ENEA {Sub pedièus mugire niam, et fuga tapt*
moviji Silvarum, vistque canti ululare per umbram, Adottami* Dia .
Procul o procul M profani, Conclamai Vaiti, loloquc abiliti" 'uro
(l) . Claudiano fa un» descrizione semplice t senza artificio
del principio di queste formidabili ce-> remonie, da cui apparisce,
questa di Virgilio essere un'esatta descrizione dell'aprirti U
scena de' misteri! E-li sul principio del Libro I. del
rapimento di Proserpina imita la sorpresa e lo stordimento di nn
iniziato, e gettasi, per eoli dire, corno U Sibilla in mezzo alla
scena: furint aniro je imnhtit, aperto Grtssui ttmiruttt profani..
Egli sgrida come estatico ; Jam furor bumanos nostro de
pt8ere reiuut Expulit Jam mibi ctrminiur (rtpidit delubro
movirt Sedibts, O elaram dispergere fulmina tutti*, .y Adoemum
testala Dei.- fam maga*! ab imìi Auditur fremitus Irrris templumque
remugit Cecropidum; sanBasque faets extdlit Eleusu, pingue,
Triptotemi stridunt et squammea curva {il Enrid. lib. VI. mi». >5i>
e segg. <>) l «• »** <(J Cluni, lib. L vets. 4. Colla
kvma.. (l) Ecce frocul ternij Utente variata figuri? Ex»h*r
(1) Molto lene s* accordano queste dae descrizioni con
Je relazioni degli antichi Greci autori in tal propolito, se considerali
l'idea generale da- taci da Dione nell'orazione XII. cori queste
pa- role : " Coi) succede allorché conducesi un Gre*,, co od un
Barbaro per essere iniziato in un certo Duomo mistico di grandezza
e di mignificenza mirabile, dov' egli vede varii spettacoli mistici, e lente
nello stesso tempo una „ moltitudine di voci, dove la luce e le
tene- „ bre alternativamente appariscono ad eccitare vajii
movimenti ne' sensi di lui, c dove gli „ si presentano dinanzi mille
altre cose atraor- Quelle parole viso canes ululare per
umbram fono chiaramente spiegate da Platone ne' suoi acolii sopra
gli oracoli di Zoroaitro. Questo è „ l'uso, dic'egli, nella celebrazione
de' misterii, di presentare dinanzi gli Iniziati de' fati- „ tasmi sotto
la figura di cani e d' altre Torme e visioni mostruose. Le parole procul o
procul este profani della Sibilla sono una ietterai traduzione del
formolafio uiitàto dal Mlstagogo nell'apertura de'tniiterìi ;,'s-ti
Bt'faha e!«d. rie lUp. Prwnp. Hb. L Vm.
J. fte. (i) lo iteti, v. if. L* Sibilla dice ad ENEA, che «'armi di
tutto il suo coraggio per avere a muoversi a combat- tere contro i
più spaventevoli ©Igeili ; Tuqtu invidi vtam, -uagindqu,,rip t
fammi JVW aaìmh opus, Mm«, nunc pefore firmo (i). E infatti
troviamo ben presto l'Eroe impegnato in un combattimento: Carripit
bic tubila inpidus fm-mìdine firmm JEnts, tniSamque acitm wniintib** ofcn
(2). . Tale appunto ci rappresentano gli Anticlù l'ini- ziato nel
principio deJle ceremonie . " Entrando „ net Duomo mistico, dice
Témistio Oration. in. „ Pattern, si riempie di spavento e di
orrore, „ ed il suo animo ha occupato daila inquietu- „ dine e dal
timore. Egli non può avamara „ un sol passo, e non «a come entrare nel
di- „ ritto cammino che lo conduce al luogo, dc-i „ ve vuol
arrivare finoattantocliè il Profeta '(Vaies) 0 il condottiero apra il vestibolo
del „ Tempio,,. Proclo sovra Platone PhxA. libr. III. e XVIII.
dice; " Come ne* santissimi misterii „ prima che si apra la scena
delle mistiche fun- « lioni, l'anima déH'iniiiato I .orpreaa da
spa- „ vento } eoil ec. t j Poco dopo si spiega la cagione dello
spaven- to di Enea, e lo vediamo involto fra tanti ma- li reali e
immaginari» di questi vita, e di tut- te le malattie dello spirito e del
corpo e dì (> E«i4 Lib. VL vtrs. >*•. Ut. (», L a *n. „ 0.
«1. tutte le terribile! visu forma de' Centauri, del* ]e
Sciite, delle Chimere, delle Gorgoni e delle Arpie- Ecco ciò che Platone
chiama nel luogo eitato c'Mo'kot* t»'( fiopeaV e«^t«V(/«t* forme e
vi- (ioni mostruose, che vedevansi peli' i egre sjo de* ju i steri
i . Celso, come nel vero libro IV. scrive pcntro di lui Origine, dice,
che i fantasmi me- desimi si presentavano nelle cerimonie di Bac-
co. Secondo Virgilio incontravansi nell'entrata Vestibulum ante ìpmm, e
c'insegna Temistio che il vestibolo del Tempio era il Teatro di
fante visioni orribili vi tì?*t* Teff ««off. Interrom- pe il Poeta la sua
narrazione nel)' aprirsi di que- sta scena, e quasi volesse fare
solennemente la propria apologia, grida; Di, quibus imperium
est animrrum umbraque siteniei Et ebani et pbiegetbon teca noEle liltntia
tate, Sh mibì fas nudità hquì, ih nuvnìnt vtitro Pandcre rei alta
ttrra et rsligine menai Egli sapeva d'impiegarsi in una impresa empia,
poiché tale credevasi la rivelazion de'misterìi. Ciaudiano nel «ovracìlato
Poema dove apertamen- te confessa di trattare de' mister» Eleusini
in tempo, in cui più non erano in venerazione, fegue perù l'uso
antico, e cosi si scusa; Di quib«, ìmmnm (*) Voi mibi sacrarum
penetrati* paudìte rerum, Et vestii secreta pali, qua lampade
Dìtem FU- (i) Elisili. Lib. VI. v«n. :Ó4. c segg, IO Ciani Lib.
J. veri. »g, Fitti t amor, quo duBa ftroV Prostrpina taptu Peiltdit
dolale cbaos, quantasqu* per oras Sollicito gtrtttrì» erraverit ansia
turiu, linde dai* papali s fruga, et glandi TtliSa Ceutrit invintii
Dodonia qusrcui ariitii (l) . Se in Roma con tanta severità si fosse
punita la rivelazion de' misteri!, come facevaai in Gre- cia, non
avrebbe oiato Virgilio scrivere questa portimi di Poema. Come per6
trattavasì da em- pio, al dir di Svetonìo nella vita di Augu- sto
C. xeni., quello ebe rivelava i misterii, Vir- gilio lo fa di nascosto e
nel tempo stesso si giù- sii Rea presso coloro che potessero penetrare
il suo disegno. Intanto l'Eroe e la guida conti- ptiano il loro
viaggio: l lbant obscuri sala sub naBt per umbram Perque demos
Ditis vacuas et inania regna; Quale per ìnctrtam luna-m sub luce
maligna Est iier in lilvis, ubi ectlum condidìt umbra Jupiier, et rebus
nox abslulit atra colorem (2). Questa descrizione mi fa sovvenire
dì un passo di Luciano nel suo dialogo n/pivw. e del Tiranno. Andando
insieme all' altro mondo una compagnia dì persone di condizioni diverse,
Mi- cillo grida: " Ah! come qui e oscuro I Dov'à il bel
Nagillo! Chi distingue adesso la belleiza di Simiche e di Prine? Tntto qui
ras- „ somigliasi: tutto è dello stesso colore, non li possono fare
confronti. Lo stesso mio vecchia Citai. 1, c veti. 1;. te. Eneìd. lib. VI.
veri. mantello, che si Imito tra a vedere, adesso „ è tanto bello,
quarto la porpora di sua Maetà, eh' è qui in nostra compagnia. In verità
„ 1" un e l'altra tono svaniti ai nostri occhi, e,, nascosi sotto lo
stesso velo. Ma amico Cinico dove sei? Dammi la mano. Tu che sei iniziato
ne' misterii Eleusini, dimmi un poco: non rassomiglia questo al viaggio,
che facesti all'oscuro? Cìnico: Oh affatto affatto . Guarda una delle
furie che -viene dal di lui seguito con le torcia accese in mano e col
suo terribile sguardo. Giunto linea in sulle rive di Cocito stupisco
in vedere tante ombre erranti intorno di questo £ume, è in atto d'
impazientarsi perchè non vengono tragittate, e intende dalla sua
condut- trice, esser quelle ombre di persone insepolte, e perciò
condannate a errar qua e là sulle spon- de del nume per lo spazio di
cent'anni prima di poterlo passare: H*C cmnis i guani cernili
inopi inhumataqul turba m Portitor Hit Ciana; hi, quo: tithit unda,
irpulii, Net rlpai dal tir horrtndas, ntc rauca fiutila
Transportart prius, quam ssdibui oisa quierunt; Ctmsm trranr annui,
volitantqui hxc litiora circitm, Tum demum admìiii stagna txopiata
revhunt. Ni crediamo, che quest'antica nozione sia sta- ta del volgo
superstizioso: ella è una delle in- venzioni più serie defili antichi
Legislatori dì W EneiA Lib, VL vus. jjj. « ssg^. «ver saputo
imprimere qnesta idea nello spirito dei popolo. Ma può dubitarli, .che
loro non debba attribuirsi, poiché viene dagli Egiziani. Questi gran
maestri di sapienza pensarono, dia mollo giovasse alla sicurezza de' loro
cittadini la pubblica e solenne sepoltura de' morti, senza di che
facilmente e impunemente si potevano rem' mettere mille secreti omioidii
. Quindi introdussero il costarne de' pubblici funerali e pomposi C'insegnano
Erodoto e Disdoro di Sicilia, che l'esequie si facevano presso gli
Egiziani con più ceremonie di quello che si masse da altri popoli. Ma per
più assicurarne l'usanza con un mo- tivo di Religione oltre quel del
costume, inse- gnavano al popolo, che i morti non potevano giungere
al luogo del loro riposo nel!' altro mon- do prima-che in questo non
fosseio. loro fatti gli onori del funerale j la qual condizione
deva per necessità aver portati gli uomini ad osser- vare
seriamente tutte le ceremonie dei funerali. Con che il legislatore
otteneva il- ano intento, ch'era la sicurezza del suo popolo. Questa
no- zione si sparse tanto e tanto profondamente s'im- presse nello
spirito degli uomini, che queJtoj che di essenziale vi era in questa
sop^tizione si conservato sino al presente nella maggior parte
delle genti colte . Se ben si ridette, ì) avvi una cosa, la quale ben dimostra
di quanta importanza credevano gli antichi che fosse ìa se- poltura
de'morti. Omero, 5ofocle ed Euripide sono senza dubbio i più gran Poeti
tra Greei. Ora, secondo l' osservazione de'C/itici, nell'Iliade, nell'
Ajace, e ne' Fonici I trovasi una viaio sa crjnlinnazion della favoli, e le
vien retta I' uniti dell'azione colla celebrazione dt' funerali ài
Patroclo, di Ajace, e di Polinice . Ma non rifl: -l'ino questi Critici
elle gli antichi risguar. davano l'isequie. come una parte
inseparabile delia tocidì, e della morte di un uomo. Quin- di
qu'.aii gran Maestri, dell'unità e del dovere non potevano erodere finita
l'azione, prima che non si l'ossero compiuti gli ultimi doveri
verso oVmnrti 11 legislatore degli Egiziani trovò un altra
vantaggio in questa opinione dtl popolo sulla, necessità de' funerali pel
riposo de' morti, ed era di dare un castigo a' debitori, che non
pa- gavano, da cui nasceva alla società un consi- derabile
vantaggio. Imperciorrhe invece di seppellir vivi i debitori che non pagavano,
come generalmente si usava tra barbari, gli Egizii, popolo colto ed
umano, fecero una legge, che comandava di lasciare insepolti i cadaveri
di questi debitori, Si noi sappiamo dalla storia che il terrore di
questo castigo produsse l'effetto, che bramavano. Pare elle siasi ingannato
il Mar- sliani nella sess. IV. §. III. del suo Catone Cronico, supponendo
che questo divieto di seppellire avesse dato luogo alla opinione de' Greci,
i quali credevano ch'errassero qua e là gli spiriti degli insepolti
mila terra. Laddove la natura stessa della cosa dimostra chiaramente la
legge essere fondata su questa opinione, ch'ebbe la sua origine
dall'Egitto, e non l'opinione sulla, legge, essendo questa opinione la
cosa sola, chej alla legge dai- potesse qualche autorità. Ché Se il
Poeta non avesse creduta la cosa tanto importante, egli non vi si sarebbe
coti lungo tempo fermato, non l'avrebbe di poi ri- petuta, non
l'avrebbe espressa con tanta fot**) nè avrebbe rappresentato il suo Eroe
pensoso « sommamente attento alla medesima: Cunstitit Aitcèisa
satuj, Gf vestigi» pressi: Multa putans, (aggiunge) sarttmquc animo
miseratiti iniquam. Il pass» è commentato da SERVIO: Iniqua enini
sors est puniri propter alteriut negligentiam ; nequé enim juìs culpa sua
caret sepulcto Qua 1 le ingiustizia-' dice qui Mr. Bayle. Jn una risposta
alle ricerche di un Provinciale toni. IV. Gap. KXir. Era forse colpa di
quelle anime ella non fossero sotterrati i loro corpi? Ma non sa'
pendo l'origine di questa opinione, non ne ba saputo l'uso, e perciò egli
attribuisce a super- stizione 1' effetto di una savia politica. VIRGILIO colle
pai-ole Sortem itllquatn intende, che in que-» sta civile istituzione,
come in molte altre, un bene generale sovente diventa un male per
un particolare. Alle rive di Cucilo vedevasi Carolile con la sua
barca. Sono persuasi tutti i dotti, che costui era veramente un Egiziano
esistente in car- ne ed ossa. Gli Egiziani non men degli altri
popoli nelle descrizioni delle cose . dell' altro mon- do prendevano
l'idea delle eose di questo fami. £0 Mi Lib. VI. TOt.|ii.jia. jlìari .
Nelle fero funebri ccteinonie, che pres- so loro erano *di maggiore
importanza che pres- so le altre nazioni, come osservammo, usavano
ai trasportare i corpi dall'altra parte del Nilo per la palude, ossia
lago Acberonzio, e niettevansi incerte, volte sotterranee. Nella loro
lin- gua il barcaiuolo chiamaTaii Caronte. Ora nel- le descrizioni
dell' altro mondo, clic facevano ne' loro miiterii, era cosa molto
naturale prender l'idea da ciò, che faceva*! nelle ceremonie fu-
nerali . Sarebbe facile il provare, quando bisognane, clie gli Egiziani
cambiarono in favole queste cose reali, e non già i Gxeci, come ta-
luni hanno pensato. Passato ch'ebbe il fiume, Enea si trova nel- la
regione de' morti : il primo incontro spaven-toso se e il Cerbero : Hit
ingens latrata regna tri tauri Personal, adversa ricuBans immani s in
entro. Questo veramente è \\ fantasma dei misteri!, che sotto il detto
del sovrastato Catane appari- va sotto la figura di un catte kWì* ; e
nella fa- vola di Ercole sceso all'Inferno, che altro non
significa, se non la tua iniziazione a' ni i steri i, si dice ch'egli
andò all'Inferno per di là con- durne Cerbero. La region dell'Inferno era
divi- sa in tre parti secondo Virgilio: il Purgatorio, l'Inferno, e
i Campi Eliti i . Dcifobo, ch'era nel Purgatorio dice ;
Ditcedam, txpltèo numeram ttddaraue ìimbris (l) . (i) Eneid lib.
VI. veri. 417. 4l 8. L e. T«t. j«- Di Teseo ch'i nel fecondo si
dice: itdit alirrji<mqiit stdtbit Infcl.x TitJtUt
(l). Nei misteri! queste regioni erano precisamente divise
nella stessa maniera. Platone nel Fedone parla delle anime, che sono
sepolte nel fango e nelle sozzure, e che devono stare nel fan-o e
nelle tenebre fino a che si purificano per un lungo corso di anni, come
qui insegna Virgilio . E Celso, come nel libro Vili, riferisce
Orio- ne, dice che ne' misterii inseguavasi la eternità delle
pene. Ciò, che qui merita osservazione e che mol- to serve al
disegno presente si È che le virtù e i vizj annoverati dal Poeta, e che
popolano que- ste tre regioni sona precisamente quelli, ch« hanno
più relazione alla società. Quindi bene scorgesi che Virgilio aveva le
stesse mire, eh' eh- bero ne' mìsterii gli institntorì. Il
Purgatorio, eh' è la prima, divisione è po- polato da quelli, che hanno
uccisi se «essi, dagli stravaganti innamorati, da' viziosi guerrie-
ri, in una parola da quelli, che lasciato libero il corso alle loro
violenti passioni erano piutto- sto infelici, che sfortunati. E notisi
che tra questi trovasi un iniziato. Ctrtrìqut sacrum Volybettn
Insegnavasi pubblicamente ne' misteri;, che sen- za la virtù,
l'iniziazione a nulla serviva; lad- EmiA lib. vL tot. t,j. <„ 1.
e. dove gli iniziati, che attaccatami alla pratica delle virtù
avevano nell 1 altra vita molti vantag- gi sopra gli altri. Di tutti i
disordini, che li puniscono nel Purgatorio, niuno più pernicioso
alla società dell'omicidio di se medesimo. Quindi la condizione infelice di
tutti questi omicidi si nota più distesamente di tutte le altre:
Prima dande trneni matti (net, qui liii Ittbum liticarti peperere
menu, iucemqia pittisi Projicirt animai . Quam vtllenc ctètre in
alta Nunc et paupiriem, et dumi per/erre- labore: Prosegue esattamente il
Poeta cib, che insegna- tasi ne' mister», dove -non solo proibì vasi il
dar la morte a «e stesso, ma spiegatasi ancora la cagione di questa
colpa . I discorsi, che ci ven- gono fatti continuamente nelle ceremonie,
e uè 1 tuisterii, dtCe Platone nel Fedone, che Iddio ci ha messi in
questa vita, come in un posto, che senza di fui permissione non dobbiamo
giammai abbandonare, possono essere troppo difficili per noi a sorpassare
la nostra capacità. Tutto va bene sin qui. Ma che diremo dei
fanciulli e degli uomini condannati ingiustamen- te, che il Poeta mette
nel Purgatorio T Non è così facile Io spiegare, perchè colà sieno
queste due sorta dì persone, e lì commentatori taciotio al solito
su questo soggetto. Se consideriamo il caso de' fanciulli vedremo
impossibile renderne la ragione, se non con questo sistema. Eneid. Lib.
VX Tcn, 414. e «gg- il Contìnua anditi vocei, vagilài et ingerii
Infamumque anime fieniej in limine primo ; Quqi dulcit vile exorlis, et ali
ubere rapini Abstulh atra dies, et funere menit acerba. Queste par
che {onero le grida e le lamentazio- ni che Procolo nel Litro X. della
Repubblica di Fiatone, dice che sentivansi ne' misteri! Bisogna solamente
indagare l'origine di una si straordinaria opinione. Io credo, che questa sia
un’altra institniione elei legislatore destinata alla conservazione de’ fanciulli,
come 1’institurioni de’ funerali è destinata alla conservazione de’ padri-
Niuna cosa poteva più impegnare i pa. dii nella cura della vita de* loro
figliuoli, <ju au- to questa terribile dottrina. Né si dica, che
l'amore de'padrì è per se stesso bastevolmente possente, e non ha bisogno
di nuovi motivi, che loro suggeriscano di conservare ì loro figliuoli. Si
sa che l'uso orribile e contro natura di esporre ì figliuoli era tra gli
antichi universalmente stabilito, ed aveva questo del tatto svelti dal
cuore i sentimenti di natura, e quel- li ancora della morale. Bisognava a
questo disordine opporre un forte riparo ed io nino persuaso che i magistrati
abbiano usato questo artificio di far credere nel Purgatorio i fanciulli
jnortì in tenera età per islabilire l' instiluto e ravvivare ì naturali
sentimenti, ch'erano quasi «tìnti . In fatti niuna cosa era più degna
della (ij Eneìi Lib. VL Ven, ^t, e Kg*. vigilanza de'
t»agistr*ti ; poiché, cerne saggia- jneuta dice Pericle della
gioventù " distruggere i fanciulli è lo stesso che togliere
dall'anno la primavera. Qui pure scandalezzas'i Mr. Bayle nel luogo
addotto di sopra La prima cosa, die* egli, die incontratasi
nell'ingresso dell'Inferno era il luogo de'fancinlli elle continuaniente
piangevano, e poi quello delle persone ingiustamente condannate a morte. Clic
liawi di più. irragionevole e scandaloso, s, quanto la pena di queste
picciole creature, che non avevano commesso ancora peccato alcuno, e la
pena di quelli, l'innocenza dei quali era stata oppressa dalla calunnia ?
Ab- biamo spiegato ciò die risguarda i fanciulli, esamineremo il.
restante dell'obbiezione . Ma non è da stupirsi che il Bayle non abbia
potuto digerire questa dottrina intorno a' fanciulli, imperciocché forse il
gran Platone medesimo se n'è scandaleizato. Riferendo *gli nel X.
della Repubblica la visione di Ero di Panfili* intorno la
distribuzione de' castighi e de' prernii dell'air tra vita, quando arriva
a parlare de'Ia condir zione de' fanciulli j s'esprime in questa
maniera ben degna da osservarsi : " Ma riguardo a quel?,, li, cha
rouojono in tenera età, Ero diceva cose che non meritavano d'essere
ricordale. Il racconto di quanto tiro vide nel]' altro mon- do è un
compendio di quanto gli Egiziani insegnano in questo proposito, a non
dui»'» punto che la dottrina de' fanciulli nel Purgatorio fosse ciò che
non meritasse essere ricordato . Piatone se ne offese, perchè non
riflettè sulla •ligio*, sull'uso «ti questa dottrina, come lo
abbiamo «piegato. Bisogna cercare un'altra soluzioni; per quelli
clic ingiustamente erano condannati, a questa k la Maggior difficolta
dall'Eneide.- lini juxia falso damnati crimine morti i . JW
viro bit line soni d*t*, irne judiee icdts : Quciitor Mimi uraam tnmet :
Me sihntum 'Concilittmque -uoeat, vitaique et elimina discìt. Sembra
queata essa una gran confusione ed una grande ingiustizia. Quelli che
sono ingiustamen- te condannati non solo trovatisi in un luogo di
pene, ma dopo essere tutti rappreientati «otto la medesima idea sono
poscia distinti in due classi, 1' una da' colpevoli e l'altra d'innocen-
ti. Per inviluppare questa difficoltà bisogna ri- cordarsi la vecchia
storia riportata da Platone nel Gorgia. Al tempo di Saturno aravi
una legge intorno agli nomini, e sempre osservata dagli Dei, che quando un
uomo fosse vissiuto secondo le regole della giustizia e della,, pietà, era dopo
morte trasportato nei!' isola de' Beati, dove godeva di tutte le felicità,,
senza una di que' mali, che tormentano gli „ uomini : ma quegli eh' era
ingiusto ed empio era gettato in un lago di pene, prigione dcl-,, la
divina giustizia chiamato il Tartaro. Ora „ al tempo di Saturno e sul
principio del regno di Giove, i giudici, cui era commesso (»J Eneid.
Lib. VI. veri. 43I. < ttgg.,, 1' eseguir questa légge, erano semplice
mente „ uomini, che giudicavano i vivi e stabilìvan» „ a ciascuno
il luogo e il giorno, in cui do-,, ve vano morire. Quindi nascevano molti
giu- tt dìcii ingrusti e mal fondati: perciò Plutone, „ e quei
ch'erano alla custodia delle Isole Bea- te andarono a trovar Giove,
e gli lappresen- „ taro no che gli uomini discendevano ali' Inlev-
„ no mal giudicati, non meno quando venivano assolti, che condannali. Allora il
padre M degli Dei rispose : io liuiedierò a questo dìsordine. I falsi
giurflciì nascono in parte dal corpo, onde sono involti i giudicati,
perchè ti giudicano ancor viventi. Malti di essi sot-
to una bella apparenza nascondono un cuora „ corrotto, la lor
nascita, le lor ricchezze in- „ gannano, e quando vengono per essere
giudi- cali, trovano facilmente i falsi testimoni!
della loro vita e de' loro costumi . Questo è ciò, che
rovescia la giustizia, ed accieca i „ giudici. Un' altra cagione di
questo disordine si è che i giudici medesimi sono imbarazzati,, da
questa massa corporea. L' intelletto na- „ scondesi sotto il manto degli
occhi e della I, orecchie, e sotto l'iutpenetrabil velo della
carne: ostacoli tutti, che impediscono ai giu- dici di
giudicar rettamente. In primo luogo,, adunque io farò, che i giudici non
sappiano H preventivamente il giorno della morte, e or-
dinerò a Prometeo di loro togliere questa prescienza. In secondo luogo
poi farò sì, che t, quelli, i quali verranno ad essere giudicati, „
flieno spogliali di tutto ciò che li cuopre, e t, in avvenire saranno
giudicati Bell' altro moa- do. fcl cnuie saranno eiii totalmente
spogliati è ben conveniente che tali sieno i loto gin» „ dici,
perchè all' arrivo di ogni novello abi- „ tante, che viene libero di
tutto ciò die circondollo sulla terra, e lascia addietro tutti 1 suoi
ornamenti, possa l'anima vedere ed ei« sere cosi in istato di pronunciare
nn giusto „ giudicio . Quindi comecché io non aveva pre-r t, veduto
tutte queste cose, prima ohe voi ve ne accorgeste, ho pensato di metter
per gìu-,, dici i miei proprii figliuoli . Due di questi „ Minoase e
Radamanto sono Asiatici, Europeo „ è il terzo Baco. Quando morranno
avranno i loro tribunali nell'Inferno, appunto nel mezzo del aito, che si
divide in due strade, 1’una delle quali conduce all' Isole Beate, l'altra
al Tartaro. Radamento giudichi gli,, Asiatici. ttaco gli Europei, ma a Minosse
io „ db una suprema autorità ; egli sarà giudice di appellazione,
quando gl’altri saranno dui»- Luisi in qualche caso oscuro e difficile,
affinehè con tutta equità possa a ciascuno assegnar- „ 9i il luogo dovuto
„ . La materia comincia cos'i a dilucidarsi. Egli e chiaro, che
parlando il Poeta dei falsamente condannati, allude * quest' antica
favola . Quindi per le parole falsa damnati crimine mortis Virgilio non
intende, come potrebbe immaginarsi, innocente! addirli ob infetta*
calumnias, ma homines indigne et perperam adjudicali, assolti o condannati
che fieno . imperciocché pronunciando i giudici più sovente
sentenza di condanna, ebe dì assoluzione mentii per figura la maggior parte pri
tutto . Forse Virgilio aveva scritto: Hos juxta fal- so damnati tempore
mortis; onde segue: tftc viro. h<e line sarte data, sìne /«die*
stdes (i), Vitaiqye et crimine discit. Accordandosi con questa spiegazione
{ la qual suppone una mal data sentenza sia di assoluzione o di condanna
) la conferma nel tempo stesi so, e tutto ciò è ben legato con una serie
con- tinuata. Resta una sola difficoltà, e,' per dire il vero, ella
nasce piuttosto ila una negligenza di Virgilio, die di chi lo legge.
Troviamo que- ste persone mal giudicate messe di g.à con altri
colpevoli in un luogo destinato per essi, vale a dire nel Purgatorio. Ma
per inavvertenza del Poeta sono mal collocati ; poiché vedesi dalla
favola, che dovrebbero essere messi sul confine delle tre divisioni, dove
la grande strada si par- te in duo l'una che conduce al Tartaro e
l'al- tra agli Elisir, che Virgilio descrive cosi: Bit focus
est, parti; ubi se via findir in améas, Desterà qua D 'ilis magni sub
mania tendi! : lìec iter Elysium nobis : et ini* mahrum Exercet
panar, et ad ìmpia Tartara mietil Ricercando il principio e l'origine della
favola io penso così. C insegna Diodoro di Sicilia, che usavano gli
Egizii di stabilire alcuni giudici al- la sepoltura di tutti i
particolari, per esanima- to Eneid. Lib-VI. ras. 4 ;i. (.) j. c . T
er<-4!i- (j) t c. i4 a. t «g E . re la loro vita e condotta,
-onde sì assolvessero o co ad annaserò secóndo le favorevoli o toni
ra- ri u testimoniarne ctie. avessero. Questi giudici erano
Sacerdoti, e pretendevano che le loro sentente fossero ratificate nel soggiorno
delle om- bre. La parzialità e i regali forse ottennero col tempo
ingiuste sentenze, e il favore particolare vinse la giustizia. Di che
potendosi scandalezza- re il popolo, fu creduto a proposito dare ad
in- tendere ch'era riserbata al Tribunale dell'altro mondo la
sentenza, che doveva decidere della sorte di ciascuno, se io non
m'inganno; quin- di ebbe origine la favola generale . Havvi però
una circostanza, di cui norr si pub rendere pie- namente ragione, cioè
" de' giudici che in que-,, sto mondo pronuncian sentenza, predicono
il „ giorno della morte del colpevole, dell* ordine,1 dato a Prometeo di
abolire la loro giurisdizio-,> ne, e privarli di questa prescienza. Per
la che intendere, supponiamo ciò eh' è probabile, che il postume
riferito da Diodoro fosse nato da un altro mo più antico, cioè, che i
Sacer- doti giudicavano i colpevoli in vita per delitti, di cui il
tribunale civile non poteva rilevare la verità. Se cos'i è, ne nasceri
che per la predi- zione della morte del colpevole a' intenderà la
pena della morte, a cui veniva condannato; e Prometeo che toglie loro il
dono della prescien- za vorrà dire, che il magistrato civile abolì
la loro giurisdizione. Questo nome di Prometeo ben conviene al
magistrato, il quale forma lo spirito ed i costumi del popclo colie arti
neces- sarie alla pubblica felicità . Ecco secondo il mio
48 parete, l'orìgine della favola di Platone ; e pa- re
infanti ch'egli intendesse cosi, poiché facen- dola/accontare da Socrate,
gli (a dire : " Ascòl- „ late un famoso racconto, clic voi forse
tratterrete da favola; ma per me la chiamo una il vera storia. Io spero
di avere con questa spiegazione sod- disfatto, la quale era necessaria
per le osserva- lioni fatte in tal proposito da Mr. Addisson Voi.
II. in un discorso espressamente composto per ispiogare la discesa di
Enea all'Inferno. " Veggonsi, dice questo celebre autore, i
caratterì di tre sorta di persone situate a'eon- ni: ni saprei dire la
cagione, perchè cosi particolarmente collocate in questo aito: se „
non fosse, perchè non pare ch'alcun di loro „ dovesse essere collocato
tra morti, non aven- „ do ancora compiuto il corso degli anni asse-
D 8 nat 'S'> sulla terra . I primi sona le anime,i de' fanciulli levati dal
mondo con una morte „ immatura : i secondi sono gli uccisi
ingiusta- „ mente con una iniqua sentenza: in teno Ino- „ go quei,
che lassi dì vìvere, sì sono da se „ medesimi uccisi ma Trovami poscia due episodii 1' nn sopra
Didone, e l'altro sopra Deifobo, ad imitazione di Omero, ne' quali non
evvi alcuna cosa al mio proposito, se non fosse l' orribile descrizione
di Deifobo, il cui fantasma rappresentato mutilato ci dimostra,
secondo la filosofia di Platone,, che i morti non solo conservano tutte
le passioni dell' anima, ma i segni ancora e i difetti del corpo
.Passata eh' ebbe Enea la prima divisione, ar» riva si confini del
Tartaro, dove gli viene di- spiegato tutto ciò che riguarda le colpe e
le pene degli abitanti in questi luoghi terrìbili. La sua
conduttrice lo instruiice di tutto, e per fargli intendere l'ufficio del
Jerofanta» onta in- terprete dei misteri!, co»l gli dice i
«•' Dm intlytt Ttucrmn t . Nulli fai. casta tceltratum iati
litri .limta i Std mi, tura luci! Uicati prarfteit Avermi » Ipsa
Dtum panai datai t, perqm omnia duxìt (i) Osservisi che ENEA vien condotto per
le regioni del Purgatorio, e dei Campi filili!, ma che il Tartaro
gli ri fa vedere da lungi, e ne dice la cagione la sua condottrice
t Ti.m dimum borritone,tridtntei eardine iter*
Panduntstr porte . Cernii custodia qualij V estibulo stdeat?
fatiti que Unum* itrvtt? (i) Negli spettacoli e nelle
rappresentazioni de' mi- sterii non poteva essere difesamente . I
colpevoli condannati alle pene eterne iono primiera- mente coloro, che
per ischi vare il castigo de' ma- gistrati avevano peccato
aegretamente: Gnotsius htc Rhadamantui baiti durissima tigna,
Cairigatqui, aud'stqui dolci, tuéigitqui fami, Qua; quii «pud Superai
farlo Ulatui inani. Distaili in itram commina piacula mortem. Endd. lib.
VI. re» jfc. c"il^ {,) 1. £ . T(n . K . (3; L e. ma. j«.
tt. d Appunto per quelle colpe e«e»«o i legiilatori
d'inculcare il dogma delle pene dell'altra vita; In scendo luogo
fili Atei, che prendevano a icheruo la Religione e gli Dei :
Bit 8W **ti9**f urr*Titdnià fui" (i). Il die era conforme alle
leggi di Caronda, che al riferir di St-bro strili. XLU. dice; Il
disprez- zo degli Dei ita una, delle colpe pili grandi. Il Pu- ta
pailicolarnirnlv insiste, su quella specie d'empirti, perei gli uomini
pretendevo.» gli onori dovuti agli Dei t V 'idi et erudita dansim
Salmaaia panar, fìum Ji«mma,-Jbvii, et -tmitut imitttur Oìymfi (l) Sema
dubbiò egli voleva censurare l'Apoteosi, che già incorni oci ava ad
introdurli in Roma ; ed io credo che nella Ode III. del Libro!.,
del- la quale il «oggetto «.Virgilio, abbia voluto Orario rimproverare
questa MB* a' mai ..citta- dini: . Calum ipsxm pitimus stùtiitìa
Wtfw Tir nostrum paiimur stilili Iraconda Jbvtm ponete
fulmina (j) - In quarto luogo" i traditori, e -gli adulteri,
che duo perturbatori dell* salute pubblica e pri- vata i
Quiqut ab kMteriltm erti, quiqut arma secati Impia ; nec viriti
àomm-runi fallire Uixsr. s, M tntid. lìb vi- mi. s ao. u) L c wn. jij.
j«- (riHorit.ivivttnl.ee. lucimi panarti euptclant (i) Vendidit hic
aura patri ani, daminumquC pitentem
ImpOfuit, fixit legai prstio a'tque rtfixir, Hic thtlamum
invaili.,., velitojqw hymenxos.(& . È degna di osserva/ione non dirsi
solamente gli adulteri, ma ancora gli uccisi per cagion di.
adulterio; per far intondere che dinanzi, al tri- bunale della giustìzia
divina -non bastano a punir questa colpa i castighi umani anidra i jiiù
-severi. La ijMott*-ed uitira»-«p»cie tn-cqlpewiiii sano Vi
intrusi ne' misteri!, e i violatori di e ni, rappresentati tutti e due
sotto il carattere di Teseo :1 s
Sedet <eftrnUmqùl sed&iir \ '
" Infelix Thtsexi, PblttyajqHe rniterrimus orma ' Mmonet
et magna itstsiur voce per umbra: ; Discile jitiiiiiam moniti, et non
lemiere D/oe'j (;).. Secondo la favola Teseo e Piritoo
disegnarono di rapire Proserpina dall' Inferno, ma colti sul latto,
Piritoo fu gettato a Cerbero, « T«eo incatenato, finche da Ercole fu
liberato. Con che ci s» diedi; ad intendere, che clandestina- mente
si, erano, instrutli dei misteri i, e puniti . A questo proposito mi
sovviene una Storia rac- contata da Livio nel Libro X.X.XI, Gli Ateniesi
impegnarono in una guerra, contra Filippo per un motivo dì poca
importanza, in tempo, in,cui altro non restava loro dell' antico
splen- dore, che la. fierezza . .JSV giorni dell' iuiziazio.
(0 tfc'd. Lib. VI.' tu. <sij. ftfe M L o. ttiMM. *«• *»!• (j» I.
e. * 7 . e »fg. d i „ da, glor.ni MT-i*«W.
>«>• L,„.«:,., . ™» .•p<«™ k Si ?™"*
culto segreta, entrarono con 1. ™rb. nel leu,- 2 di ferm. «
—ita»—"•>"• «uri .1 Presidente de' miste,,,, e benché
tale chiaro che innocentemente, e per fello era», entrati nel
tempio, furono '•"> m °""' ™" = rei di un enorme
delitto . Forse per Fregi» intendono i popoli deil. Beo-. a
ì, dì cui riferisce Paosania, 1 queir perrron tntt'i dal fulmine, dal
terremoto e dalla peate. Quindi generalmente Fregia »o» dire •£
e.pr. 3 i „crMe S M. L'officio dato qui • Te.» i. ..orlare alla
pietà, a nino megli», «M onmeni.a nello spettacolo, de' mr.ter,,,
rapp.e- ienl.ndo egli on. persona, che fjli««« P™'« tìii. Co.1
l'idea noitr. intorno la drsces» d’ENEA all'Inferno toglie un» difficolti non
m», .piegai» da' Critici. Non et» .(* no officio »~ «1, e r.r«r di
propello gridar conimnamen . air orecchio de' coodaun.ti, che Imparasse™
la pietà e la ri.ercnra »er,o gli Dei! Qoantonqu. Lesta sentenza
insegni una importanti,....» re. A.', era peri inolile predicarla a
peranno, eh. più n»n potevano sperare il perdono. Scarrone, che ha
impiegato il suo poco «lento per me*- fere in ridicolo il pii util'Po. ma,
che ma, st» .fato composto, non ha mancato di far. guest» flessa
obbietione : Li itnlmxn i eviene e btlla, Ma all' Infima non
Val *iU Infitti, secondo l’idea comune della discesa d’ENEA all'Inferno, VIRGILIO
fa rappresentare a Teseo un personaggio fuori di proposito. Ma
questo continuo avvertimento diviene il più ra- gionevole ed il più
utile, quando suppongasi (come è di fatto) die VIRGILIO faccia nna
rap- presentazione di cià die facevasi e dicevasi nel celebrare gli
spettacoli de' ìnisterii, poiché in questo caso serviva d' avvertimento
ad una mol- titudine di spettatori viventi Aristide negli Bicaimi dice,
che non mai cantavanii parole più proprie a spaventare, qnanto in questi
misterii^ perchè le voci e gli spettacoli insieme uniti, dovevano
fare una più profonda impressione sul- lo spirito degli iniziati".
Ma da un passo ili Pin- daro io conchiudo, elle ne' spettacoli dei
miste* rii (donde gli uomini han prese tutte le idee delle regioni
Infernali ) nsavasì, che ogni col- pevole rappresentato nel ano attuale
castigo fa-' cesse agli assistenti una esortazione contro la colpa
da lui commessa; " Volgendosi, son parole di Pindaro, a. Pyth., volgendosi
conti- n nuamente sulla sua rapida-ruota, grida a' mor- ii 'ali )
che sempre situo disposti s confessare la loro gratitudine verso a'
benefattori per le », grazie da loro ricevute „ . La parola mortali
fa chiaramente «edere, che questo discorso fa* «evali agli uomini di
questo mondo. II Poeta cosi finisce il catalogo de' dannati :
Ami amati immane ntfns ausoqne patiti (l) . «) Sncid. ta.VI. ver»,
fi*. d 3 Erìit"~~ a,s,i C,, :,!',i •t™/a e
dell' appro^aiione degli Un. ma era un traodo, che sono estn.lmmt,
"SS"". Punto il Tartaro g™to • «o» 1 "" "S" l
'" tìl, ENEA si purifica: - ... 0,, r J«« "*'». IW
'««"' Entra dopo nel soggiorno de' Beati: Dtvvttrt
Ivor «W» ^ fl "" r '''' T " Vff4 Fun'uw°r«'" nìmotvw,
irdtiqac itti al : Lvgì°* bic campo, etitr, O '«•»'»' " T U,purta:
lOÌemqM luam, s«n Wrr-r nonno" (a) . Cosi precisamente
Temistlo, Orolion. jnPniranj ocsc.iv. P Iniriato nel momento the i. apre
» ecena r " Essendosi purificato, scuopresi ali mi- „ ilato
una legione tutta illuminala e rtsplen- „ dente di una ohiareaaa divina.
Son dissipate „ in un tempo le nuvole e le false tenebre, e „
l'anima trovasi, per cosi dire, dalla piUter- „ libile oscuriti nel piii
chiaro e sereno g.or- „ no „ . Questo passaggio dal Tartaro agli
Elia* fa dire ad Aristide negli Eleusini, die da one- ste ceremonie
nasce nel tempo stesso ed onoro e piacer., che sorprende . Qui Virgilio
abban- l.jlasld. Lib.V».,.n. «i>. ijsì «>' "" '1*'
« '' IS ' donando Omero, eseguendo la dilettevole de- crÌzioDe« die
nella rappresentazione rie' niisterìi faceva»! ne'Cauìpi Elisii, schivi»
un gran 'difet- to, nel -quale era caduto il' ano mae>tro, che
Ila fatta una pittura sì poco gradevole de' to- schi fortunati, che non
faceva alcuna voglia di vivere in quel luogo : onde ha rovinato il
dise- gno de' legislatori, che mlrvano i popoli per- suaiì dell'
tsistcniS di quel felice soggiorno. Egli introduce il suo Eroe e
favorito, e gli fa aire ad Ulisse, eh' ei vorrebbe essere piuttosto
un semplice artigiano sulla terra, di quello che comandare nella regione
de' morti ; e tutti i suoi Eroi sono egualmente rappresentati in uno
stata infelice. Oltre di che per togliere agli uomini tutti gli
stimoli delle grandi e belle azioni, rap- presenta la Tama e la gloria,
come cose imperi, tinenti e ridicole r quando erano i più ponenti
motivi della virtù nel mondo Pagano, e di cui non mai bisogna privare gli
nomini interamen- te i laddove Virgilio, che nel tuo Poema non '
avea altro 'fine, che procurare il bene della -so- cietà, rappresenta
l'amore della fama e della gloria, come tini possente paciose ancora
Dell' altro mondo . La semplice promessa fatta dalla Sibilla a
Palinuro di eternare il suo nome, con- sola la di lui ombra, hanclrt ti
tm>HM»!W (?' infelici: Mtirnumqm lecui Pali nari nomtn èaèiéit .
ììis diciis cura tuoi», puhnsque'parump»r Corde dolor iriiti : gauJtt cognomini
urrà (l) 0) Enrid. llfc. VI, va*. H» !*»• ì*)- d 4 Queste
dispiacevc-li descrizioni dell'altro auindo, e le porie licenziose degli
Dei, It une e le al- tre tanto dannose alla società, persuasero
Plato- ne a bandire dalla Repubblica Omero. Io queste beate
regioni il Poeta, assegna, il primo luogo a' legislatori e a quei, che
trassero gH uomini dallo stato di semplice natura, « gli ridussero
a vivere io società: Magnanimi Hercu, natii mtliorièus annìs
(i). Capo di questi è Orfeo, il più celebre legislatori d’Europa,
ma più conosciuto in qualità di Poeta . Imperciocché essendo scritte in
versi le prime leggi, onde fossero più facili a rite- nersi a
memorie, la favola ci ha .supposto Or- .feo colla forza della sua armonìa
raddolcite i costumi selvaggi di Tracia: ; Tbrticius lunga
cum utìtr Sacndos Oil'/^uirur nxmtrii septem discrimina veeitm (i)
. Egli fu il primo, che dall'Egitto portò i mi- steri in
quella parte d' Europa. Il secondo luo- ^o è assegnato a' buoni cittadini
e a quei, che •i sono sacrificati per la patria: Hit nfanus
ub patriam pugnando vulnera passi (3). .Trovami in terzo luogo i
sacerdoti pieni di vir- tù e dì pietà; Quiqut Sucrrdmis casti, dum
vita mantbat ; Quiaut pìi vaifs, O" fiaia digna lucuti
(4>- (1) Eneid. Lib. VL ras. (i) 1 e. veri. f*s- «4<-
(j) L c. ra. Kb. (4, J. C vers. c fri. (tu *?
Essendo necessario il bene della società, ohe coloro i quali
presiedevano alla Religione vivi-s- iero santamente, e non insegnassero'
degli Dei, le non cose convenienti alta loro natura. L'ul- timo
luogo è assegnato agli inventori delle arti liberali e. meccaniche:
Inventai aut qui viram excoluere per ariti f Quiqut mi mimarti
alio! fecere merendo (l). In tntto questo Virgilio ha esattamente
spiegata quanto iniegnavasi nella celebrazione de' miste* rìi, ne'
quali continuamente i oca! cavasi, clic la VÌrtil sola pub rendere gli
uomini felici : le ce- remonie, le lustrazioni, i sacrifìci] niente
vale* yano senza della virtù . Passa trinami Enea uà gran numero di
persone dalle due parti di Stige : Malrei atque viri
defun&aque carperà vita Magnsnimum herount, patri inuptieqai parila'
(l). Sane circum innumere gemei papali qa; valabant (j ) Aristide
c'insegna, che negli spettacoli de' mi- aterii apparivano agli iniziati
truppe in numera, bili d'uomini e di donne. Per convincere
interamente . il lettore della verità drlla nostra interpretazione, VIRGILIO
nota una particolarità, malgrado questa conformità perfetta tra Io
spettacolo da lui rappresentato e qurllo dV mistcrii . Questo è il famoso
segreto àv misteriì, il quale era il domata della unità (i) E«id. LiU VI. vtrt. Étfj. («4. tu L e. ver*. jo*.
(jtJ.cvert.7c5. (**> fli Dio, particolarità,
clie se avesse tralasciala Virgili» bisognerebbe confessare, che
quantum quo avesse per fine di rappresentare V iniziazio- ne a'
misterri, non 1' avesse rappresentata perfet- tamente- Ma egli era troppo
eccellente pittore per non lasciare qualche equivoco nel suo qua-
dro. Quindi copchiucie l'iniziazione del -suo Eroe con fida'n Jogli, come
solevasi, i secreti e il dogma dell'unità. Senza di questo l'iniziato non
era arrivato ancora al grado più alto di perfezione, -e non
potevasi chiamarlo già Tf.iìhoths nel si- gnificato tutto esteso di
questa parola. Quindi -il Poeta- introduce Museo', ch'era stato
Jerofan- t» in Atene, e che qui conduce Enea verso il luogo, -dove
apparitagli l'ombra di sno Padre, * gii insegna' la' secreta dottrina
sublime della . perfelione con queste .sublimi
espressioni: Principiti cmlmn ac tèrra! eamposque
liquentts, Lucintemque glohiim Lunr Titnnìaqtte astra' 'Spirilui rteMrr
ai'tt ; TÒtumqitr infitta p'rV àrtui 'Mtnt agitai materni et magno s: forfore
miictti Txtle bominum ptcudùmqite gtitur vititqut velatlnn, Et qu/e
marmoreo feri mostra sub aquari pontus CO - Segue Anchise «piegando )a
natura e l'uso del Purgatorio, il elle non era» fatto -nel passare
di Knea per quella regione. Viene poi alla dot- Irina della Metempsicosi
o trasmigrazione: do^ trina che insegnavasi ne'niistem per
gimlificare gli. attributi morali della divinità. Quest' OSS* 1 Uf Eatid. Ub.VI. vtts.,714. e
tegg. I J N:l'"J il': L.l »9 (o sv^gwwce al Poeta
l'episodio il più belio ci)* immaginarsi potesse, facendogli passare
'dìnan-, come in rassegna la sua posterità, e' cosi fi- Bisce lo
spettacolo \-' '(' I» questo viaggio che fa' l'Eroe per le
tré regioni de' morti, abbiamo dimostrato di uianò ' in mano con
l'-atrtorift- di' qnalelfd 'autore' la conformità de' suoi avvenimenti a
quelli' degli iniziati. Ora tinnendo in.urr putito' solò di vi- sta
le cose' qua * là disperse, diverrà cosi lu- minosa U nostra spiegazione,
elle non potrà pifi dubitarsene; perciò rapporterò un passo consere
vatoci dallo Stobeo nel sermone CXIX., il qua- le contiene una
descrizione degli spettacoli de' misterii, che 'Si accorda affano cogli
avvenimen- ti di Enca> L'anima prova' nella morte' le pas- sioni
medesime, «he sente nell' iniziazione a' ini- iterii; ed osservisi che le
parole corrispondono alle cose ; Poiché rrttu;^ significa morire, e
essere iniziato.- Nella prima scena altro non vi è, «he errori,
incertezze, viaggi fatico- si e penosi, e spettacoli fra le tenebre
folte nella notte. Arrivati a' confini della morte, e della
iniziazione tutto appariva sotto un terribi- le aspetto ; " tutto *
Órrortf, ' timore, ' tremore 'e spavento . Ma ' passati' questi' spaventi
sopravvie- ne una luce miracolosa e divina: vaglie piana- re e
prati smaltati di fiori sì presentano loro da ogni parte: inni e cori di
musica dilettano le orecchie loro: sentono le stìblimi dottrine
della sacra scienza, ed hanno visioni sante e veneran- de .. Cosi,
veri,. perfetti, iniziati, dimeni*"» ione- più ristretti; ma coronati
e trionfanti pai- «o reggia? per le regioni de'Beati, MmttHli
con uomini canti e virtuosi, ed a loro talento ede- Finito il
viaggio torna ENEA con la condotw trice rielle regioni superne per la
porta d' avo- rio . C* insegna esserci due porte, I 1 una di cor-
no, per cui escono le vere visioni, V altra di avorio, per cui escono le
false : Sunigimine tornili pan* : quorum altèri fenar ite. (i) E
termina t Froiequiiur ditti s (i) . A questo passo
freddamente osserva Servio, stm- plice grammatico, voler significare il
Poeta, che il tutto da lui detto «falso, e nenia fondamen- to:
Vu.lt autem intelligi, falsa <«c omnia qua dixìt. Questa pure è la
spiegaiione di tatti i Critici. Il P. U Rue, che per altro è uno
de' valenti, dice quasi lo stesso; C.um igiturFirgi- lius&nearn
eburnea porta emiitit, indicai pro- feSoj quidquid a se de ilio inferorum
adita. diSum est, in fabulis esse numerandum . PER SIGNIFICARE LA QUALE
OPINIONE SI DICE CHE VIRGILIO ERA EPICUREO, e che nelle sue Georgiche
tratta da favola tutto ciò, che dicesi Jdl' Inferno ! Felix, qui
potui, rerum eognueert c«u !!as, \ Atqut moi UI Bm „ fI et InnorìSift
fatum Sabfidi ptdièut, urephumqu! Mehcrenth nari (;). (0 E« c
id. tib. Vi. veri. B,j. {1) I. e. veri. tft. ti) Graie. lib.II.
virilo, 491,49», Se li* vuol dar fede a coloro, avrà dunque il
divino Virgilio terminata la più Leila delle sue opere in una maniera
ridicola. Egli ha scritto Don per dilettare l'orecchio, ed i fanciulli
nel- le lunghe iceie dell'Inferno con racconti simili alle favole
Milrsiaue ; ma per ì ostruire degli no- cini e de' cittadini, c per
insegnar loro r do- veri della umanità c delta società. Dunque do-
veva essere il fine di questo VI. litro, in pri- jno luogo d' insegnare
la dotlrina di una vita avvenire, utile in questo mondo ; e ciò ha
fat- to il Poeta, rappresentando con qnal regolato- no distribuiti
i premi! e le pene : io secondo luogo d'impegnare gli Eroi in imprese
degna di loro. Ma le crediamo a questi Critici, dopo' d' aver
impiegate tutte le forze del sno spirito' in questo libro per giungere a
questo fine, arrivato alla conclusione, con un sol tratto dì penna
distrugge tutto, come *e avesse detto: Ascoltate, miei cittadini, io ho
procurato d’insinuarvi la virtù, dì allontanarvi dal vizio per rendere felice
tutta intera la società, e procurare il bene di ognuno in particolare
. li par imprimale nel vnslro spirito queste,j verità, che voleva
insegnarvi, vi ho proposto,, nn grand' esemplare, vi ho descritti gli av-
„ veni menti del famoso vostro antenato, del „ fondatore del vostro
impero; e per maggior „ vostro onore l'ho rappresentato, come un
Eroe „ perfetto, gli ho fatta eseguire 1* azione più „ ardita, ma
insieme la più divina, vale a di- „ re lo stabilimento della polizia
civile : anzi t, per rendere il suo carattere piti rispettabile! 6=
e date alle sue ..leggi maggior- »m*irt,- gli „ ho, fatto
intraprendere, il viaggio^ di cui . c -, f dete la relazione .- Ma. per paura,,
elle toì ne „ riportiate qualche vantaggio, ed il mio Emo „ qualche
giuria, vi, avverto * che tutto questo lunghissima discorso di uria vita,
avvenire al- „ tio non\ è.,, che va* Ridicola e puerile finrio-
»> ? e » < d »' personaggio rappresentato dei dd- „ sito Eroe è un,
sogno vano. In somma tutto „ c(ò che avete inteso, dovete riputarlo,
come y scherzo, che niente significa, e da cui non v dovete cavare
conseguenza jlcunj., e» Boa, t ch'il Poeta aveva, voglia dì ridere,, e di
hur- g larsi delle vostrr; superstizioni „ . Cosi, si fa- rebbe
parlare Virgilio, seguitando Ja interpreta- zione de' critici antichi e-
moderni» La writàui è, che non si potrebbe iciogliere .questa
terribi- le difficoltà senza, questo, nuovo aisteina, . secondo il quale
aititi non intende VIRGILIO per.que- ?* *-?!!?.* della discesa all'
Inferno, the . Ja ini- ziazione a' misterii . Ciò spiega, l' enigma, PJ 1
as-solve, il Pj^taj. Jaiperciocclià,.^tslf «M» dise- gno di descriyer.e,.
qu L ^ta. iniiiazioae., come è credibile, avrà senza, dubbio scoperta
con. qual- che segno, fa, «qa, interuiono. secreta) ma dovu poteva
palesarla, meglio,. c l>e » thiudemle il suo libro? Kgli f, a j uuque
^iv-pna bellissima invenzione migliorato ciò, «li*» Omero, racconta
delle due.porte, quella di corno destinata alle visioni vere, e. quella di
avorio, alie.fali. . Per la puma dimostra Virgilio la realità di una
vi- ta avvenire; ma in questo ciò ch'egli vide non era all' lni
eino, ( „, a, nel tempio di Cerere. O.,— sta rappresent.izionc
chiamasi MÙàoe, o la favo- la per eccellenza. Questo è secondo il staso
ve- lo ^ queste parole : Mitra canihali pnftBa nitet Eltphnnta ;
Sud Uba ad calum mìttum insomma mamffi. ÌA* quantunque non avessero
niente di reale i sogni, che uscivano per questa porti,So- non
dubito, di' ella ir» /atti, non vi- latte-. Questa era la. »tasni&cai
porta del tempio, onde usciva- no gl'iniziati, quando era compita la
ceremo- uia. Questo tempio era di una numeri-- gran-* dezia,. come
lo descrive Apulejo lilr. II. Senws duxit me protinus ad forcs adìs
amplissima. È» curiosa . la descrizione, che ne fa Vìrruvio da
antiquitate nella prefazione del lì tir. VII. Eleusince- Cereris, (a Praserpina
celiata immani ma- gnitudine.,. Dorico ordine, sine exterioribus
co- tumnii. ad laxamentum usui sacrificiorum per- r.exit. Eum autem
postea, cum Bememus Pha- lera-u? Athenis rerum potiretyr, • Philon.
mite templum. in. fronte columms constilutis Prosty- lum fecit- auéìo
vestibolo, laxnmentum initian- libus r . operisque Aummain adjecil
autloritatem • Eravi dunque- uno spazio assai lungo capace di tutti
questi ipettacoU* e, dì tutte le rappiesen- tazioni. K. poiché ne.
abbiamo tanto parlato, a riferitene alcune varie particolarità c/na e là:
di- sperse, non sarà cosa imitile, prima di finire, darne in poche
parole: una idea generale. M Intii^Ub. Vt. Ì9S, Ijrd.
To credo adunque, che la celebrazioni' Jé' tnl- sttrii
consi.ieise principalmente io una specie di rappresentazione drammatica
della stona dì Cerere, la quale dava occasione di esporre agli
occhi de*apettarori queste tre cose, che sopra tulio inspgnavansi ne'
murarli . I.", l'origine o l’istituzione della società : IT. la
dottrina do* pniiiii e delle pene di un'altra vita': ' fi f.' Ir
falsiti del Politeismo, e la dottrina della unità' di Dio. Apollodoro nel
Libr. I. Cap V. della sua Biblioteca c'insegna, che come Cerere avera stabilite
leggi nella Sicilia e nell'etica, e,,eCondo la tradizione, aveva incivHili gli
abt-' tanti di que'due paesi, e raddolciti i loro co- stumi
selvaggi, ciò diede luogo alla rappresen- tazione del primo degli
artìcoli' sopradetti . Bio» doro di Sicilia dice, che nel tempo della
festa di Cerere, che durava dieci giorni in Sicilia,
rappresentavano 1' antica maniera di vìvere, pri- ma die gli uomini
avessero imparato a lemìua- re, e a servirsi delle biade. 11 secondo
articolo nasceva dalla cara, ebe Cerere si prese di an- dare all'
Inferno a cercare sua figliuola Proser- pina, e finalmente il tino ' dal
rapimento della fgliuola . Queste sono le osservazioni, che
io ha fatte iti questo famoso viaggio di Enea, e (se non m'
inganno) questa mia idea non solo illustra e toglie molte difficoltà in
ogni altro sistema in- tollerabili; ma sparge copiosa grazia sopra
tutto il Poema. Imperciocché questo famoso Episodio Conviene
perfettamente bene al «oggetto genera- la dell' Banda, eh' è lo
stabilimento di onesta- to» «8 lo, e di nna
Religione, poiché, secondo ti co- t'Aiv.ic degli antichi, chiunque
intraprendeva un cosi difficile disegno era obbligato
nidisptnsabit- uiente di preparatisi colla iniziazione ai mifterii .
Multa eximia t dice M. Tullio, divinaque videntur Athence tua peperisse,
atque in vitaru Jiominum attutisse t tum nihilmelius illit myste-
fili, quibus ex. agresti immanique vita exculti, ad humanitqteni
istituti. et mingali sumus ; jnitiaque, ut appeilanlur, et vera principia
vi- fa> cognop'uns . Neque salum cum Imtitia vi- vendi rationem
occepimus, at alani cum sp$ mfiiiori moriendi (i). £] M- X.
Ci.tq. dci«gi. Ubi. II. Clf.KlV-. -=» JftllM qu*lt si
<t> U tptigt%ìw di Dkrìl ttìiSfznwi appwni***ti d'Miittrii
Sfattoti. I Sacerdoti primari! ne'mbterìi, che chiama- vansi
Hierophanta: } per conservare la castità i' ungevano di cicuta • Un
antico interprete A Senio, alla jatif* V. -dice: Cicuta colorem i*
notti frigorit sui vi extinguit} unde Sacerdòti» Cereri* Eleusina liquore
ejtu ùngebantur, ut concubiti* abstiner^nt. Altri vogliono che
beve» •ero la cicuta. S. Girolamo Lìbr. V. cont. Jovin. ba coti :
Bierophantct Athenìensium cicuta sor~ bilioni castrati, et pouquam in
Pontificatavi fuerìnt eleSi, viro* esse desivere. latitati
Inter mortuos honoratioret foie ere- debantur. Scholiattes Ariitophanii
in Ranis art: ConspeBiores mnf apud inferni initiati- Diogene» Lantius in
vita Diogeni* Cenici : Jpud ìn- fero! priori loco initiati honoratUur
. (Tantaìo all'inferita.) Né i Sacerdoti, né gli
assistenti nell'antico Egitto palesarono giammai ciò, che «veano
ve- duto nello spettacolo: né vi é esempio, eh* qnantunque ne] fine
d e ' sacrifici, le obbiezioni fossero portate da dieciottò femmine
figlinolo de' Sacerdoti, alcun mai siasi attutato di queito
spettacolo, Orfeo Ita espressa la riterva, ali* quale sopra quoto punto
erano obbligati dalla ttiaoti del loogo, «aito I 1 immagine di
Tantalo in meno alle acque senza poterne bevete. ' 1 Quelli j che
andarono per J' iniziazione ne'ino- ghi sotterrane» dell'Egitto,
sentirono ntl primo ingresso vagiti di bambini. Qtlelti erano i fi.
gliuoli de' Sacerdoti, che colà vanivano partoriti ed educati. Orfeo a questa
verità suppose ttaa dottrina, che i bambini di latte defunti
/ussero collocati nel]' mgreiso dell'Infero. Ne'soUeranei luoghi dell' Egitto
e.avi un luo- go chiamato il campp delle, lagrime ìugens som- pur.
Era uno spailo largo tre giugeii, ltrng» nove circondato da quattro
strade. Ivi si casti- gavano sopra il Sudicio di tre Sacerdoti gli
er- rori degli ufficiali di secondo ordine, con castighi proporzionati, i
più umani, come per aver mancato più volte «Haipontntlìtà de' loro
ufi» cii. Là castigavano gli uomini, facendo loro voltare un
cilindro di sasso nulla cima di oli collina, che andava dalla parte
opposta. Le donne attingevano, acqua da profondi pozzi per versarla in un
canale, che scorreva per questo earr£> po di lagrime. Quindi e facile
riconoscere l'ori- gine del sasso di Sisifo, del vaso delle Danaidi
presso Orfeo. In caso di viola zion di secreto, erano tanto i Sacerdoti,
che gl'iniziati e gli ufficiali destinali ad essere loro aperto il
petto, strappato il cuore, e dato a divorarlo agli il Celli di rapina .
Quindi Orfeo immagino la per» di, Prometeo e. di Tizio. Ami dalla
grandezza del campo è tram ia grandezza gigantesca di Tizio, che
steso a terra occupa ls spazio di no. « giugeri. Eravi pure' un giardino
chiamato Eliso . L( luce del iole, che si ammirava era indebolita,
.perchè cadeva dall'altezza di dieciotto piedi. Ciò fece nascere ad
Orfeo, il pensiero di dare all' Elifo un iole particolare ed astri
particola- ri. Nel fondo settentrionale' dell' eliso era vi il
Tartaro, in cai face vanii le rapprese stazio ci da Sacerdoti e dalle
Sacerdotesse. Facevar»i' vedere in lontananza grandissima molte persone,
cha per la distanza e per la poca luce, non potcva- no essere
distinte . In fatti gli iniziati e i con- sultanti credevano: veramente
rTedefe trasportati nel toggiòrfao dell'altra vita J e non
credevano veramente vivi, se non quelli, che gli accom» pago a vano
. Salendo per ima scala sontuosa all'Edificio del Teatro,
vedevano a traverso de' giardini, come in un vasto sotterraneo, un' canale
diacqUe spiritose e sulfuree accese, che parevano uri na- rne di
fiamme . Un uomo, che torni alla Ida elsa, dice il P. Bossù,
la contesa di due altri nori'ha' in w niente di grande; ma diventano
azióni illustri, quando è Ulisse, che ritorna in Itaca, Achille ed
Agamemnone, che contrastano. Vi sono del- le azioni per se stesse
importanti, come lo sta- bilimento ( o la rovina di ano Stato, o di
una Religione; e tutt'è l'azione dell’ENEIDE. Egli ha conosciuta la
gran differenza tra i Poemi di Omero e di VIRGILIO. È mirabile che da ciò
non abbia compreso di una specie differente essrre l'Eneide
dall'Odissea, e dallMliade. Una delle ragioni ancora per cui vieppiù
SÌ manifesta la falliti della glosa dì Servio e Jt" moi seguaci
nell' asserire, che Virgilio [scendo uscire dall' In Temo il im Eroe per
la porla di Avorio abbia voluto sigili (icari* mere stato simi- le
a un sogna tutto il precidente. racconto, udì delle ragioni, dico, è che
dentro il racconto VIRGILIO fa profetare Anchise di cose già succedute, ma
succedute di Catto. Dunque come poteva far passare per falso quello» oh'
«0, verissimo Quindi le sue descI Questo sapiente Dottor Inglese Warburton
e quegli) clic ha preso a difendere altamente nelle sue Dissertazioni, o
Lettere filosofiche e morali (tradotte in Francese, conte li
osservo nei cenni mila vita del Warburton premesti a questa
edizione, dal Sig. di Silhouette, e im- presse in Londra nel 1742 colla
traduzione de' aggi lulla Mitica e sull'uomo, e di-IP epistole
morali entro una raccolta intitolata Melange da Litteraiure. et de
Philotophieì Pope il quale fu acerbamente attaccato dal Sig. di Crousaz e
da molti altri scrittori, e fra questi dal Ratina, a cui rispose
addi aS Aprile 1741 il Sig. di Kamseais, cosi pure al Sig. Montesquieu
autore delle 'lettere Fiamminghe e delle Persiane. 10 Warburton
raccolse ed impresse in IX. volti- mi tutte le varie opere del Pape, che
ave va- gliene data l'incombenza col lasciargli tatti »
Cicerone parla de' mister» Eleusini, ne' quali pretende il Sig. di
Middeleton nella sua vita, essersi fatto egli iniziare nel primo suo
viaggio in Atene 1' anno di Roma 67Ì, e di sua et* XXVIII., ne
parla, dico, Tisi c. Quasi. i>3,, e 3 ed «pressa ni enti: ilice de Legìbus I.
sopracit; Initiaguc, ut appellatiti, (s vera principia uè- Ite
cognovimut : neque soliim cum Imiti» vivendi rationem ticcepimus, sed etiam cum
spe me- liori moriendi. Questi m uteri i si celebravano in
determinate stagioni dell'anno con inoltre solen- ni, e con una gran
pompa di macchine : il che tirava un concorso di popolo frequentissimo
da tutti i paesi. L. Crasso giunse per sorte in Ate- ne due giorni
dopo, ch'erano stati celebrali, ed avendo invano desiderato che si
replicassero, non si volle più fermare, e partì corrucciato da
quella città (CICERONE, DE OR. de Ora*. 5. io. ) . Ciò fa Tevere quanto i
magistrati Ateniesi fossero guar- dinghi nel rendere que' misterii troppo
familia- ri, » tu ire non vollero permetterne la vista fuo- ri di
i. mpo ad uno de' primi Oratori e Senato- ri di Roma. Stimati che nella
decorazione fol- lerò i appiè sentati il Cielo, l'Inferno, il
Purga- torio e tutto quello che -si riferiva allo «tato futuro de'
molti, a bella posta per inculcare sen- iibilmente, ed esemplificare le
iiotljine promul- gate ayli iniziati : e siccome erano un argomen-
to accomodato alla poesia però cosi frequente- mente vi alludono i poeti
antichi. Cicerone in una sua lettera ad Attico il prega a richiesto,
di Chilio poeta eccellente di quel secolo, che trasmettagli una relazione
de 1 riti Eleusini, che probabilmente destinatasi per un Episodio,
o abbellimento a qualche opera di Chilio. ' I miiterìì della
Dea Cerere, ossia le ceremo- nie religiose, che facevausi in di lei
onore, chiamavano Eleutinia dalia città dell' Attica det- ta da
alcuni Elettiti; ma da altri con più fon- daon-nto Eleusine, oggi
Leptiaa. Le ceremonio Eleusine piano presso i Citici le feste più
toJ leoni e sacrosante, onde per eccellenza furori dette i Misteri!
senz'altro aggiunto. La città di Eleusina era così gelosa di questo
privilegio di celebrare i misterii, che ridotta dagli Ateniesi agli
estremi, si arrese con questa sola condizio- ne, che non le si levassero
le feste Eleusine. Contuttociò le stesse feste divennero comuni a
tutta la Grecia. Le crremonie al dir di Arnobio, e di Late
lamio, erano una imitazione, o rappresentazio- ne di ciò, che i Mitologi
c'insegnano della Dea Cerere . Esce duravan più giorni, ne' quali
si correva con torcie accese in mano, si sacrificavano vittime a Cerere e
a Giove, ai facevano delle libazioni con due vasi, uno dei quali sì
versava air Oriente e l'altro all'Occidente. I festeggiami si portavano in
pompa alta città di Eleusi, e sulla strada di tratto in tratto si
fa- ceva alto, e ti cantavano inni, e l'immolava- no vìttime ; e
tutto questo face va lì non solo andando da Atene ìn Eleusi, ma nel
ritorno ancora. Del resto si era obbligato ad un invio- labil
secreto, e la legge condannava a morte chiunque aveste ardito di
pubblicare i misterii, Anzi la slessa pana incorrevano quelli ancora,
che avessero data retta a' violatori del segreto . I Candiotti erano i
soli, cui si potevano sco- prire . Le feste Eleusine nominavangi pure
EVi- xpuW cioè abscondita poste sotto chiave. Onde ebbe a dir
Sofocle aell' Edipo Coloneo, che la Nngtia de'Saeirdoti Ettmoìpidi era serrata con
chiavi d'oro. Non ostante un %\ severo decreto Tertulliano, Teddofeto,
Aruobio, Clemente Ale*, mandrino affermano, che nelle feste Eleusine
si mostrava una parte oicena. Ma questa impart- itone potrebbe
essere mal fondata; poiché ia tjuesti in iste ni nulla v'era di scritto,
v'era la Ifìtì grave di torte le pene per chi violava il Je- eretó
4 n* v'ha esempio ch'alcuno l'abbia mai violato, V erano due
sorta di feste Elusine le grandi e le picciole. Il detto fin ora riguarda
le gran- di . Le picciolo' erano state instìtuìte in grazia di
ErcoW. Qoesto Eroe avendo chiesto di essere iniziato a* mi iteri i Eleusini,
e gli Ateniesi non potendo compiacerlo, perchè la legge vietava che
't'ammettesse alcnn forastiere, ne volendo con- -tnttociò contristarlo,
initituirono altre fe*te; Elea* line, coi poteste egli assistere . Le
grandi si ce- lebravano nel radi e di Roedromìone, che corri-
(ponile al nostro Agosto, e le picciole nel me» /Intheucrione, che
corrisponde al mese di Gen- naio secondo Scaligero, al mese di Mano
secon- do Xilaadro . Non veniva alcuno ammesso alla
partecipazio- ni; di questi miiterii, se non per gradi. Prima
bisognava purificarsi: dipoi si era ricevuto agli Eleusini minori] in
fine li era ammesso ed ini- ziato ai grandi, o aia maggiori . Que' eh'
erano ascrini, a' piccioli, ehiamavanii Mysti, * que' ch'erano
iniziati ai grandi, Epopti ed Efori, TÀeh a dire Inspmori . Ed
ordinariamente dovc^ *ari sostenere una prova di cinque anni
per passare da* piccioli Eleo» ini 'a' grandi . Qualche volta un
anno bastava,' dopo il' quale- spaziò di tempo si era immediatamente
ammuso a quanta Véra di più secreto in quelle religione ceremo*
aiti. Giovanni Menrsio ha composto un trattata sugli Eleusini, nel quale
prora la maggior par- te de' fatti j che noi qui sopra abbiamo narrati La
cognizione e par coti dire, la chiara con- templazione de" miiterii
Eleusini, chiamossi Au- lópsto. In che consistesse non ai sa. Solo
si legge negli antichi scrittori, che un Sacrificato- re detto
Midranes immolava a Giove una troja, pregna ; : e dopo avere ite ta la di
lei pelle in terra, su quella li faceva stare chi doveva es- sere
purificato . Questa ceremonìa era accompa- gnata da preghiere, le quali
un austero digiuna doveva aver preceduto . Di poi dopo qualche
ablazione fatta coli' acque del mare, si corona? va l'iniziando con nn
cappello di fiori . Dopo queste prove il candidato poteva aspirare
alla qualità di Itiysta, o d' Infoiato a' misteri! . Quanto
raccontano gli antichi de' mostri e delle terribili apparizioni,
ch'avevano gì* inizia* ti ai misterii Eleusini si può provare . con
quan- -trizio, ch'è una grotta piccìola cavata nel sasso di
una isoletta del lago d'Erma nel li Contea di Pungali nell'Irlanda. Tutti
i pellegrini ch'an- davano a visitar il Purgatorio di S. Patrizio
non' potevano entrare, se prima non vi si erano pre- parati con
lunghe vigilie e con rigorosi digiuni j nel qnal tempo v'era chi loro
empiva la testa di terribili racconti? La prensione, i raccon-
ti, la deboteeza, le Miche operavano in guiia nella
immaginazione di qui;' malconci pellegrini, ch'entrati nella; picciola
caverna in meno a quelle angusìic, ove regnava, una osciiriiiini»
notxe, credevano divedere realmente lutto quel- lo, che avevano sentito
narrarli; onde usciti tutto ipacciavan per vero e reale, sebbene
non fosse rtato tale, che nella loro riicaldata e tur- bata
nfcntUt*; Seneca nelle questioni naturali Lìbr. Vili. Gap.
XXXI. fa menzione di qoeito proverbio; Eleusina servai, quod ostendai
revisentibus . Sì dice contro chi vuol dire, e inoltrare tutto ciò
che fa, od ha tenia frapponi dimora, tigli è preso di qui, che i ebbe ni
nel tempio di Cererà vi foriero molli ornamenti sacri, su' quali
cade- va r Auptosla, pure non li inoltravano ohe, *e- paraUmcnte,
ed in diversi tempi. Fine delle Osservotiorti . A. Cuti. The belief in
an underworld is very old, and most peoples imagine the dead as going
somewhere. Yet they each have their own elaboration of these beliefs, which can
run from extremely detailed, to a rather hazy idea. The Romans belong to the
latter category. They do not seem to have paid much attention to the afterlife.
Thus, Virgil, when working on his “Aeneid”, had a little problem. How should he
describe the underworld where Aeneas was going? To solve this problem, VIRGILIO
draws on three important sources, as Norden argues in his commentary: Homer’s
Nekuia, which is by far the most influential intertext, and two lost poems
about descents into the underworld by Heracles and Orpheus. Norden is fascinated
by the publication of the Apocalypse of Peter, but he is not the only one: this
intriguing text appeared in, immediately, three edition. Moreover, it also
inspires the still useful study of the underworld by Dieterich. When Norden
published his commentary on Aeneid, and he continued working on it, his essay
still impresses by its stupendous erudition, impressive feeling for style, [In general,
see Bremmer, The Rise and Fall of the Afterlife (London). 2 For Homer’s influence,
see Knauer, “Die Aeneis und Homer” (Göttingen). Norden, KleineSchriften zum klassischenAltertum
(Berlin), ‘Die Petrusapokalypse und ihre antiken Vorbilder’. In his monumental
commentary, Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6. A Commentary” (Berlin) mistakenly
states it was 1 Enoch. For the bibliography, see the most recent edition: Kraus
and T. Nicklas, “Das Petrusevangelium und die Petrusapokalypse (Berlin).
Dieterich, “Nekyia” (Leipzig and Berlin). For Dieterich, see most recently
H.-D. Betz, The “Mithras” Liturgy (Tübingen) Wessels, Ursprungszauber. Zur
Rezeption von Hermann Useners Lehre von der religiösen Begriffsbildung
(London); H. Treiber, ‘Der “Eranos” – Das Glanzstück im Heidelberger
Mythenkranz?’, in W. Schluchter and F.W. Graf (eds), Asketischer
Protestantismus und der ‘Geist’ des modernen Kapitalismus, Tübingen, many
interesting glimpses of Dieterich’s influence in Heidelberg; Tommasi, Albrecht
Dieterich’s Pulcinella: some considerations a century later, St. Class. e Or.
F. Graf, ‘Mithras Liturgy and Religionsgeschichtliche Schule, MHNH Norden, P.
Vergilius Maro AeneisVI (Leipzig) 5 (sources). ingenious reconstructions of
lost sources and all-encompassing mastery of Roman literature. It is, arguably,
the finest commentary of the golden age of German Classics.7 Norden’s
reconstructions of Virgil’s sources for the underworld in Aeneid VI have
largely gone unchallenged, and the next worthwhile commentary, that by Austin clearly
did not feel at home in this area. Now the past century has seen a number of
new papyri of literature as well as new Orphic texts, and, accordingly, a
renewed interest in Orphic traditions. Moreover, our understanding of Virgil as
a philosophical bricoleur or mosaicist, as Horsfall calls him, has much
increased in recent decades. It may therefore pay to take a fresh look at
Virgil’s underworld and try to determine to what extent these new discoveries
enrich and/or correct Norden’s picture. We will especially concentrate on the
Orphic, Eleusinian, and Hellenistic backgrounds of Aeneas’s descent. Yet a
Roman philosopher may hardly avoid his *own* Roman tradition, and, in a few
instances, we will also comment on these aspects. As Norden observes, Virgil
divides his picture of the underworld into six parts, and we will follow these
in our argument. For Norden, see most recently E. Mensching, Nugae zur
Philologie-Geschichte, 14 vols (Berlin). Rüpke, “Römische Religion” (Marburg);
B. Kytzler et al., Norden (Stuttgart); W.M. Calder III and B. Huss, “Sed
serviendum officio...” The Correspondence between Wilamowitz-Moellendorff and
Eduard Norden (Berlin); W.A. Schröder, Der Altertumswissenschaftler Eduard
Norden. Das Schicksal eines deutschen Gelehrten Abkunft (Hildesheim); A.
Baumgarten, ‘Eduard Norden and His Students: a Contribution to a Portrait.
Based on Three Archival Finds’, Scripta Class. Israel; Horsfall, Virgil,
“Aeneid”, with additional bibliography, although overlooking Neuhausen, ‘Aus
dem wissenschaftlichen Nachlass Franz Bücheler’s (I): Eduard Nordens Briefe an
Bücheler’, in Clausen (ed.), Iubilet cum Bonna Rhenus. Festschrift zum 150 jährigen
Bestehen des Bonner Kreises (Berlin) (important for the early history of the
commentary) and -- Rüpke, ‘Dal seminario
all’esilio: Norden e Jaeger,’ Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia
(Siena). See now also O. Schlunke, ‘Der Geist der lateinischen
Literatursprache. Eduard Nordens verloren geglaubter Genfer Vortrag’, A&A 8
For a good survey of the status quo, seeA. Setaioli,‘Inferi’,inEVII,
Austin, P. Vergili Maronis Aeneidos liber sextus (Oxford, 1977). For Austin see, in his inimitable
and hardly to be imitated manner, J. Henderson, ‘Oxford Reds’ (London)
Horsfall(ed.), A Companion to the Study of Virgil (Leiden) See especiallyN.
Horsfall, VIRGILIO: l’epopea in alambicco (Napoli). Norden, AeneisVI,208 (sixparts).
As Horsfall,Virgil,“Aeneid”6, has used my previous articles for his commentary,
I will refer Horsfall only in cases of substantial disagreements or
improvements of my analysis. I freely make use of]. Before we start with the
underworld proper, we have to note an important verse. At the very moment that
Hecate is approaching and Aeneas will leave the Sybil’s cave to start his entry
into the underworld, at this emotionally charged moment, the Sibyl calls out.
“Procul, o procul este, profani.” Austin just notes: ‘a religious formula’,
whereas Norden comments. “Der Bannruf der Mysterien ἑκὰς ἑκάς.” However, such a cry is not attested for the Mysteries in Greece but
occurs only in Callimachus. In Eleusis it is *not* the ‘uninitiated’ but those
who cannot speak proper Greek or had blood on their hands that are excluded. But
Norden is on the right track. The formula alludes to the beginning of the,
probably, oldest Orphic theogony which has now turned up in the Derveni papyrus
(Col, ed. Kouremenos et al.), but allusions to which can already be found in
Pindar, the Italic philosopher Empedocles of Girgenti -- who was heavily
influenced by the Orphics -- and Plato. “I will sing to those who understand:
close the doors, you uninitiated.” A further reference to the Mysteries can
probably be found in Virgil’s subsequent words. “Sit mihi fas audita loqui” --
as it was forbidden to speak about the content of the Mysteries to the
non-initiated. my ‘The Roman Tour of
Hell’, in T. Nicklas et al. (eds), Other Worlds and their Relation to this
World (Leiden); ‘Roman Tours of Hell: in W. Ameling (ed.), Topographie des
Jenseits (Stuttgart) 13–34 (somewhat revised and abbreviated as ‘De katabasis
van Aeneas’ Lampas) and ‘Descents to Hell and Ascents to Heaven’, in Collins, Oxford
Handbook of Apocalyptic Literature (Oxford). For the entry, see H. Cancik,
Verse und Sachen (Würzbur) (‘Der Eingang in die Unterwelt. Ein
religionswissenschaftlicher Versuch zu Vergil, Aeneis VI, fi). For further
versions of this highly popular opening formula, see Weinreich, Ausgewählte
Schriften II (Amsterdam); Ried- weg, Hellenistische Imitation eines orphischen
Hieros Logos (Munich); A. Bernabé, ‘La fórmula órfica “Cerrad las puertas,
profanos”. Del profano religioso al profano en la materia’, ‘Ilu and on OF 1;
Beatrice, ‘On the Meaning of “Profane” in Antiquity. The Fathers,
Firmicus Maternus and Porphyry before the Orphic “Prorrhesis” (OF 245.1 Kern)’,
Ill. Class. Stud., who at p. 137 also observes the connection with Aen. 6.258. In
addition to the opening formula, see also Hom. H. Dem.; Eur. Ba.; Diod. Sic.; Cat.
- “orgia quae frustra cupiunt audire profane”; Philo, Somn.; Horsfall on Aen.
For the secrecy of the Mysteries, see Horsfall on Aen. The ritual cry, then, is
an important signal for our understanding of the text, as it suggests the theme
of the Orphic Mysteries and indicates that the Sibyl acts as a kind of
mystagogue for Aeneas. After a sacrifice to the chthonic powers and a prayer, Aeneas
walks in the ‘loneliness of the night’ to the very beginning of the entrance of
the underworld, which is described as “in faucibus Orci” -- an expression that
also occurs elsewhere in Virgil and other Latin philosophers. Similar passages
suggest that the Roman philosophers imagine the ‘underworld’ as a vast hollow
space with a comparatively narrow opening. “Orcus” can hardly be separated from
Latin “orca,” -- and we find here an ancient idea of the underworld as an
enormous pitcher with a narrow opening. This opening must have been proverbial,
as in Seneca’s Hercules Oetaeus. Alcmene refers to fauces only as the entry of
the underworld. All kinds of ‘haunting abstractions’ (Austin), such as War,
Illness and avenging Eumenides, live here. In its middle, there is a dark elm
of enormous size, which houses the dreams. The elm is a kind of arbor infelix, as
it does not bear fruit (Theophr. HP Norden), which partially explains why Virgilio
chose this tree, a typical arboreal Einzelgän- ger, for the underworld. Another
reason must have been its size, “ingens”, as the enormous size of the
underworld is frequently mentioned in Roman philosophy. In the tree the empty
dreams dwell. There is no equivalent for this idea, but Homer (Od.) situates
the dreams at the beginning of the underworld. Virgil places here all kinds of
hybrids and monsters, some of whom are also found in the Greek underworld, such
as Briareos (Il.). Others, though, are just frightening figures from mythology,
such as the often closely associated Harpies and Gorgons, or hybrids like the
Centaurs and Scyllae. According to Norden ‘alles ist griechisch gedacht’, For similar ‘signs’, see Horsfall,Virgilio (‘I
segnali per strada’). Verg. Aen. with Horsfall ad loc.; Val. Flacc.; Apul. Met.
7.7; Gellius; Arnob.; Anth. Lat. Wagenvoort, Studies in Roman Philosophy (Leiden)
102–131 (‘Orcus’); for a possibly, similar idea in ancient Greece, see West on
Hes. Th. See also ThLL. For a possible echo of the Italic philosopher Empedocles
of Girgenti B121DK, see Gallavotti,‘Empedocle’, EVII. For a possible source,see
Horsfall, Virgilio. Most important evidence: Macr. Sat., cf. J. André, ‘Arbor
felix, arbor infelix’, in Hommages à Jean Bayet (Brussels); J. Bayet, “Croyances
et rites dans la Rome antique” (Paris) Lucrezop; Verg.Aen. (ingens!); Sen.Tro. Horsfallon
Aen.; Bernabéon OF717 (=P. Bonon.4).33. but that is perhaps not quite true. The
presence of Geryon (“forma tricorporis umbrae”) with Persephone in an Etruscan
tomb as Cerun points to at least one Etruscan-Roman tradition. From this entry,
Aeneas proceeds along a road to the river that is clearly the border to the
underworld. In passing, we note here a certain tension between the Roman idea
of “fauces” and a conception of the underworld separated from the upperworld by
a river. Virgil keeps the traditional names of the rivers as known from Homer’s
underworld, such as Acheron, Cocytus, Styx, and Pyriphlegethon, but, in his
usual manner, changes their mutual relationship and importance. Not
surprisingly, we also find there the ferryman of the dead, Charon. Such a
ferryman is a traditional feature of many underworlds, but iCharon is mentioned
in the late archaic Minyas (fr. 1 Davies/Bernabé), a lost Boeotian epic. The
growing monetization of Athens also affects belief in the ferryman, and the
custom of burying a deceased with an obol, a small coin, for Charon becomes
visible on vases, just as it is mentioned first in Aristophanes’ Frogs. Austin
(ad loc.) thinks of a picture in the background of Virgil’s description, as is
perhaps possible. The date of Charon’s emergence probably precludes his appear-
[See Nisbet and Hubbard on Hor. C. 2.14.8; P. Brize, ‘Geryoneus’, in LIMC at
no. 25. 28 A. Henrichs, ‘Zur Perhorreszierung des Wassers der Styx bei
Aischylos und Vergil’, ZPE. Pelliccia, ‘Aeschylean ἀμέγαρτος and Virgilian inamabilis’, ZPE. Horsfall on Aen. Note its mention also inOF717.42.
30 L.V. Grinsell, ‘The Ferryman and His Fee: A Study in Ethnology, Archaeology,
and Tradition’, Folklore; Lincoln, ‘The Ferryman of the Dead’, J. Indo-European
Stud.; Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death to the End of the Classical
Period (Oxford); Oakley, Picturing Death (Cambridge); J. Boardman, ‘Charon I’,
in LIMC, Debiasi, ‘Orcomeno, Ascra e l’epopea regionale minore’, in E. Cingano
(ed.), Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e stroriografia
(Alessandria), Oakley, Picturing Death, with bibliography; add R. Schmitt,
‘Eine kleine persische Münze als Charonsgeld’, in Palaeograeca et Mycenaea
Antonino Bartonĕk quinque et sexagenario oblata (Brno); Gorecki, ‘Die
Münzbeigabe, eine mediterrane Grabsitte. Nur Fahrlohn für Charon?’, in M.
Witteger and P. Fasold, “Des Lichtes beraubt. Totenehrung in der römischen
Gräberstrasse von Mainz-Weisenau (Wiesbaden); G. Thüry, ‘Charon und die
Funktionen der Münzen in römischen Gräbern der Kaiserzeit’, in O. Dubuis and S.
Frey-Kupper, Fundmünzen aus Gräbern (Lausanne)] ance in the poem on Heracles’
descent, although he seems to have been present already in the poem on Orpheus’
descent. Finally, on the bank of the river, Aeneas sees a number of souls and
he asks the Sibyl who they are. The Sibyl, thus, is his ‘travel guide’. Such a
guide is not a fixed figure in Orphic descriptions of the underworld, but a
recurring feature of later tours of hell and going back to 1 Enoch. This was
already seen, and noted for Virgil, by Radermacher, who had collaborated on an
edition with translation of 1 Enoch. Moreover, another formal marker in later tours
of hell is that the visionary often asks: ‘Who are these?’, and is answered by
the guide of the vision with ‘these are those who...’, a phenomenon that can be
traced back equally to Enoch’s cosmic tour in 1 Enoch. Such demonstrative
pronouns also occur in the Aeneid, as Aeneas’ questions can be seen as
rhetorical variations on the question ‘who are these?’, and the Sibyl’s replies
contains “haec”, “ille” and “hi”. In other words, Virgil uses this tradition to
shape his narrative, and he may have used some other Hellenistic motifs as well.
Leaving aside Aeneas’s encounter with different souls and with Charon, we
continue our journey on the other side of the Styx. Here Aeneas; Contra Norden,
Aeneis; Stuckenbruck, ‘The Book of Enoch: Its Reception in Second Temple Jewish
and in Christian Tradition’, Early Christianity; Radermacher, Das Jenseits im
Mythos der Hellenen (Bonn) 14–15, overlooked by M. Himmelfarb, Tours of Hell, Philadelphia,
and wrongly disputed by H. Lloyd-Jones, Greek Epic, Lyric and Tragedy (Oxford)
183, cf. J. Flemming and L. Radermacher, Das Buch Henoch (Leipzig). For
Radermacher, see A. Lesky, Gesammelte Schriften (Munich); Wessels,
Ursprungszauber. As was first pointed out by Himmelfarb, Tours of Hell, Himmelfarb,
Tours of Hell; J. Lightfoot, The Sibylline Oracles (Oxford), who also notes the
passage “contains three instances each of “hic” as adverb and demonstrative
pronoun - a rhetorical question answered by the Sibyl herself, and several
relative clauses identifying individual sinners or groups’. Add Aeneas’s questions
in the Heldenschau especially, – “quis”, “pater”, “ille” -- ), and further
demonstrative pronouns. 39 Differently, Horsfallon Aen. and the Sibyl are immediately welcomed by
Cerberus who first occurs in Hesiod’s Theogony but must be a very old feature
of the underworld, as a dog already guards the road to the underworld in
ancient mythology. After Cerberus is drugged, Aeneas proceeds and hears the
sounds of a number of souls. Babies are the first category mentioned. The
expression “ab ubere raptos” suggests infanticide, which is also condemned in
the Bologna papyrus, a katabasis in a papyrus from Bologna, the text of which
seems to date from early imperial times and is generally accepted to be Orphic
in character. This papyrus, as has often been seen, contains several close
parallels to Virgil, and both must have used the same identifiably Orphic
source. Now ‘blanket condemnation of abortion and infanticide reflects a moral
perspective. As we have already noted moral influence, we may perhaps assume it
here too, as abortion and infanticide in fact occurs almost exclusively in ‘moralistic’
tours of hell’. Indeed, the origin of the Bologna papyrus should probably be
looked for in Alexandria in a milieu that underwent moral influences. We may
add that the so-called Testament of Orpheus is a revision of an Orphic poem and
thus clear proof of the influence of Orphism on Egyptian (Alexandrian?) moralism.
Yet some of the Orphic material of Virgil’s and the papyrus’ source must be
older than the Hellenistic period. M.L. West, Indo-European Poetry and Myth (Oxford).
For the text, with extensive bibliography and commentary, see Bernabé,
Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta. (OF), who notes: ‘omnia quae in papyro
leguntur cum Orphica doctrina recentioris aetatis congruunt’. This has been
established by N. Horsfall, ‘P. Bonon.4 and Virgil, Aen.6, yet again’, ZPE; See
also Horsfall on Aen. Lightfoot, Sibylline Oracles, 513 (quotes), who compares
1 Enoch 99.5; see also Himmelfarb, Tours of Hell; D. Schwartz, ‘Did People
Practice Infant Exposure and Infanticide in Antiquity?’, Studia Philonica
Annual; Stuckenbruck, 1 Enoch (Berlin and New York, Shanzer, ‘Voices and
Bodies: The Afterlife of the Unborn’, Numen, with a new discussion of the
beginning of the Bologna papyrus, in which she argues that the papyrus mentions
abortion, not infanticide. 44 A. Setaioli, ‘Nuove osservazioni sulla
“descrizione dell’oltretomba” nel papiro di Bologna’, Studi Ital. Filol. Class.
Riedweg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos and ‘Literatura
órfica’, in A. Bernabé and F. Casadesus (eds), Orfeo y la tradicion órfica
(Madrid); F. Jourdan, Poème judéo-hellénistique attribué à Orphée: production
juive et réception chrétienne (Paris). After the babies
we hear of those who were condemned innocently, suicides, famous mythological
women such as Euadne, Laodamia, and, hardly surprisingly, Dido, Aeneas’
abandoned beloved. In this way Virgil follows the traditional combination of
ahôroi and biaiothanatoi. The last category that Aeneas meets at the furthest
point of this region between the Acheron and the Tartarus/Elysium are war
heroes. When we compare these categories with Virgil’s intertext, Odysseus’
meeting with ghosts in the Odyssey, we note that, before crossing Acheron,
Aeneas first meets the souls of those recently departed and those unburied,
just as in Homer Odysseus first meets the unburied Elpenor. The last category
enumerated in Homer are the warriors, who here too appear last. Thus, Homeric
inspiration is clear, even though Virgil greatly elaborates his model, not
least with material taken from Orphic katabaseis. Aeneas then reaches a fork in
the road, where the right-hand way leads to Elysium, but the left one to
Tartarus. The fork and the preference for the right are standard elements in
eschatological myths, which suggests a traditional motif. Once again, we are
led to the Orphic milieu, as the Orphic Gold Leaves regularly instruct the soul
‘go to the right’ or ‘bear to the right’ after its arrival in the underworld, thus
varying Pythagorean usage for the upper world. Virgil’s description of Tartarus
is mostly taken from the Odyssey. Grisé, Le suicide dans la Rome antique (Paris).
These two heroines are popular in funereal poetry in Hellenistic-Roman times:
SEG 52.942, 1672. For the place of Dido in Book VI and her connection with
Heracles’ katabasis, see R. Nauta, ‘Dido en Aeneas in de onderwereld’, Lampas
See, passim, S.I. Johnston, Restless Dead (Berkeley, Los Angeles, London,
1999); Horsfall on Aen. 6.426–547. 50 Norden, AeneisVI,238–239. 51 Pl.Grg. 524a,
Phd.108a; Resp.10.614cd; Porph.fr. 382;Corn.Labeofr. 7. 52 A. Bernabé and A.I.
Jiménez San Cristóbal, Instructions for the Netherworld (Leiden) 22–24 (who
also connect 6.540–543 with Orphism); F. Graf and S.I. Johnston, Ritual Texts
for the Afterlife: Orpheus and the Bacchic Gold Tablets (London) no. 3.2
(Thurii) = OF 487.2, 8.4 (Entella) = OF 475.4, 25.1 (Pharsalos) = OF 477.1. For
the exceptions, preference for the left in the Leaves from Petelia (no. 2.1 =
OF 476.1) and Rhethymnon (no. 18.2 = OF 484a.2), see the discussion by Graf and
Johnston, Ritual Texts. The two roads also occur in the Bologna papyrus, cf. OF
717.77 with Setaioli, ‘Sulla descrizione’. Smith,‘The Pythagorean Letter and Virgil’s
GoldenBough’, Dionysius -- but the picture is complemented by references to
other descriptions of Tartarus and to contemporary Roman villas. What does our
visitor see? Under a rock there are “moenia” encircled by a threefold wall. The
idea of the mansion is perhaps inspired by the Homeric expression ‘house of
Hades’, which must be very old as it has Hittite, Indian and Irish parallels, but
in the oldest Orphic Gold Leaf, the one from Hipponion, the soul also has to
travel to the ‘well-built house of Hades’. On the other hand, Hesiod’s
description of the entry of Tartarus as surrounded three times by night seems
to be the source of the three-fold wall. Around Tartarus there flows the river
Phlegethon, which comes straight from the Odyssey, where, however, despite the
name Pyriphlegethon, the fiery character is not thematized. In fact, fire only later
became important in ancient underworlds. The size of the Tartarus is again
stressed by the mention of an “ingens” gate that is strengthened by columns of
adamant, the legendary, hardest metal of antiquity, and the use of special
metal in the architecture of the Tartarus is also mentioned in the Iliad (‘iron
gates and bronze threshold’) and Hesiod (‘bronze fence’). Finally, there is a
tall iron tower, which according to Norden and Austin is inspired by the Pindaric
‘tower of Kronos’. However, although Kronos is traditionally locked up in
Tartarus, Pindar situates his tower on one of the Isles of the Blessed. As the
tower is also not associated with Kronos here, Pindar, whose influence on
Virgil was not very profound, will hardly be its source. Given that the
Tartarus is depicted like some kind of building with a gate, “vestibulum” and
threshold, it is perhaps better to think of the towers that form part of Roman
villas. The
“turris aenea” in 54 Cf.A. Fo,‘Moenia’,in E VIII.557–558. 55 Il. VII.131,
XI.263, XIV.457, XX. 366; Emp. B 142 DK, cf. A. Martin, ‘Empédocle, Fr. 142
D.-K. Nouveau regard sur un papyrus d’Herculaneum’, Cronache Ercolanesi 33
(2003) 43–52; M. Janda, Eleusis. Das
indogermanische Erbe der Mysterien (Innsbruck, 2000) 69–71; West, Indo-European
Poetry, Note also Aen.: domos Ditis. 56 Grafand Johnston, RitualTexts,no.
1.2=OF474.2. 57 For Hesiod’sinfluence on Virgil, see A. LaPenna, ‘Esiodo’, in EVII,386–388;HorsfallonAen.
7.808. 58 Lightfoot, Sibylline Oracles, 514. 59 Lexikon des frühgriechischen
Epos I (Göttingen) s.v.; West on Hesiod, Th. 161; Lightfoot, Sibylline Oracles,
494f. 60 On Kronos and his Titans, see Bremmer, Greek Religion and Culture, the
Bible, and the Ancient Near East (Leiden). For rather different positions, see
Thomas, “Reading Virgil and His Texts” (Ann Arbor) and Horsfall on Aen.
3.570–587. 62 Norden, Aeneis VI, 274 rightly compares Aen. 2.460 (now with
Horsfall ad loc.), although 3 pages later he compares Pindar; E. Wistrand, ‘Om
romarnas hus’, Eranos 37 which Danae is locked up according to ORAZIO may be
another exam-ple, as before Virgil she is always locked up in a bronze chamber
(Nisbet and Rudd ad loc.). Traditionally, Tartarus was the deepest part of the
Greek underworld, and this is also the case in Virgil. Here, according to the
Sibyl, we find the famous sinners of mythology, especially those that revolted
against the gods, such as the Titans, the sons of Aloeus, Salmoneus, and Tityos.
However, Virgil concentrates not on the most famous cases but on some of the
lesser-known ones, such as the myth of Salmoneus, the king of Elis, who
pretended to be Zeus. His description is closely inspired by Hesiod, who in
turn is followed by later authors, although these seem to have some additional
details. Salmoneus drove around on a chariot with four horses, while
brandishing a torch and rattling bronze cauldrons on dried hides, pretending to
be Zeus with his thunder and lightning, and wanting to be worshipped like Zeus.
However, Zeus flung him headlong into Tartarus and destroyed his whole town. Receiving
nine lines, Salmoneus clearly is the focus of this catalogue, as the penalty of
Tityos, an “alumnus” of Terra, is related in 6 lines, and other sinners, such
as the Lapiths, Ixion, and Pirithous, are; Opera selecta (Stockholm). For anachronisms
in the Aeneid, see Horsfall, Virgilio, Il., 478; Hes. Th. 119 with West ad
loc.; G. Cerri, ‘Cosmologia dell’Ade in Omero, Esiodo e Parmenide’, Parola del
Passato; D.M. Johnson, ‘Hesiod’s Descriptions of Tartarus (Theogony 721–819)’,
Phoenix; Except for Salmoneus, they are als opresent in ORAZIO’s s underworld: Nisbet
and Ruddon Hor. Compare Soph. fr10c6 (makingnoisewithhides, cf. Apollod.1.9.7, to
be read with Smith and Trzaskoma, ‘Apollodorus: Salmoneus’ Thunder-Machine’,
Philologus and Griffith, ‘Salmoneus’ Thunder-Machine again’); Man. (bronze
bridge); Greg. Naz. Or. 5.8; Servius and Horsfall on Aen. (bridge). 66 In line 591, aere, which is left
unexplained by Norden, hardly refers to a bronze bridge (previous note: so
Austin) but to the ‘bronze cauldrons’ of Hes. fr. 30.5, 7. 67 For the myth, see
Hes. fr. 15, 30; Soph. fr. 537–541a; Diod. Sic.; Hyg. Fab. 61, 250; Plut. Mor.
780f; Anth. Pal. 16.30; Eust. on Od. Hardie, Virgil’s Aeneid: cosmos and
imperium (Oxford); D. Curiazi, ‘Note a Virgilio’, Musem Criticum; A. Mestuzini,
‘Salmoneo’, in EV IV, 663–666; E. Simon, ‘Salmoneus’, in LIMC; Austint ranslates
‘son’, as Homer (Od.) calls him a son of Gaia, but Tityos being a foster son is
hardly ‘nach der jungen Sagenform’ (Norden), cf. Hes. fr. 78; Pherec. F 55
Fowler; Apoll. Rhod.; Apollod. 1.4.1. For alumnus meaning ‘son’, see ThLL s.v.
69 Ixion appears in the underworld as early as Ap. Rhod. 3.62, cf. Lightfoot,
Sibylline Oracles, 517] mentioned only in passing. It is rather striking, then,
that Virgil spends such great length on Salmoneus, but the reason for this
attention remains obscure. Moreover, the latter sinners are connected with
penalties, an overhanging rock and a feast that cannot be tasted, which in
mythology are normally connected with Tantalus We find the same ‘dissociation’
of traditional sinners and penalties in later works. Apparently, specific
punishments gradually stopped being linked to specific sinners. Finally, it is
noteworthy that the furniture of the feast with its golden beds points to the
luxury-loving rulers of the East rather than to contemporary Roman magnates. After
these mythological exempla there follow a series of mortal sinners against the
family and familia, then a brief list of their punishments, and then more
sinners, mythological and historical. In the Bologna papyrus, we find a list of
sinners, then the Erinyes and Harpies as agents of their punishments, and
subsequently again sinners. Both Virgil and the papyrus must therefore go back
here to their older source, which seems to have contained separate catalogues
of nameless sinners and their punishments. But what is this source and when was
it composed? Here we run into highly contested territory. Norden identifies
three katabaseis as important sources for Virgil, the ones by Odysseus in the
Homeric Nekuia, by Heracles, and by Orpheus. Unfortunately, Norden does not
date the last two katabaseis, but thanks to subsequent findings of 70 J.
Zetzel, ‘Romane Memento: Justice and Judgment in Aeneid 6’, Tr. Am. Philol.
Ass. Bremmer,‘Orphic,Roman, Jewish and ChristianToursofHell’. 72 Note also
Dido’s aurea sponda (Aen.); Sen. Thy. 909: purpurae atque auro incubat.
Originally, golden couches were a Persian feature, cf. Hdt.; Esther 1.6; Plut.
Luc. 37.5; Athenaeus 5.197a. 73 P. Salat, ‘Phlégyas et Tantale aux Enfers. À
propos des vers 601–627 du sixième livre de l’Énéide’, in Études de littérature
ancienne, Questions de sens (Paris, 1982) 13–29; F. Della Corte, ‘Il catalogo
dei grandi dannati’, Vichiana, Opuscula IX (Genova) Powell, ‘The Peopling of
the Underworld: Aeneid, in Stahl (ed.), Vergil’s Aeneid: Augustan Epic and
Political Context, London; Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence of
Heracles’ katabasis -- with Lloyd-Jones, Greek Epic, on Bacch. and F. Graf,
Eleusis und die orphische Dichtung Athens in vorhellenistischer Zeit (Berlin)
on Ar. Ra. 291, where Dionysus wants to attack Empusa), 309–312 (see also
Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes
influence of Orpheus’ katabasis on lines 120 (see also Norden, Kleine
Schriften, Horsfall on Aen. 6.120. papyri we can make some progress here. On
the basis of a probable fragment of Pindar, Bacchylides, Aristophanes’ Frogs,
and the mythological handbook of Apollodorus, Hugh Lloyd-Jones reconstructs an
epic katabasis of Heracles, in which he was initiated by Eumolpus in Eleusis
before starting his descent at Laconian Taenarum. Lloyd- Jones dated this poem
to the middle of the sixth century, and the date is now supported by a shard in
the manner of Exekias that shows Heracles amidst Eleusinian gods and heroes. The
Eleusinian initiation makes Eleusinian or Athenian influence not implausible,
but as Parker comments, once the (Eleusinian) cult had achieved fame, a hero
could be sent to Eleusis by a non-Eleusinian poet, as to Delphi by a
non-Delphian. However, as we will see in a moment, Athenian influence on the
epic is certainly likely. Given the date of this epic we would still expect its
main emphasis to be on the more heroic inhabitants of the underworld, rather
than the nameless categories we find in Orphic poetry. And in fact, in none of
our literary sources for Heracles’s descent do we find any reference to
nameless humans or initiates seen by him in the underworld, but we hear of his
meeting with MELEAGRO and his liberation of Theseus. Given the prominence of
nameless, human sinners in this part of Virgil’s text, the main influence seems
to be the katabasis of Orpheus rather than the one of Heracles. There is
another argument as well to suppose here use of the katabasis of Orpheus.
Norden notes that both Rhadamanthys and Tisiphone recur in Lucian’s Cataplus in an Eleusinian
context. Similarly, he observed that the question of the Sibyl to Musaeus about
Anchises can be paralleled by the question of the Aristophanic Dionysos to the
Eleusinian initiated where Pluto lives [The commentary of W. Stanford on the Frogs (London) is more
helpful in detecting Orphic influence in the play than that by K.J. Dover
(Oxford). Lloyd-Jones, ‘Heracles at Eleusis: P. Oxy. 2622 and P.S.I. 1391’,
Maia = Greek Epic; see also R. Parker, Athenian Religion (Oxford) Boardman et al.,‘Herakles’,inLIMCIV. Parker, Athenian
Religion, Graf, Eleusis, 146 n. 22, who compares Apollod., cf. 1.5.3 (see also
Ov. Met.; P. Mich. Inv., re-edited by M. van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’
Digests? (Leiden); Servius on Aen.), argues that the presence of the Eleusinian
Askalaphos in Apollodorus also suggests a larger Eleusinian influence. This may
well be true, but his earliest Eleusinian mention is Euphorion and he is absent
from Virgil. Did Apollodorus perhaps add him to his account of Heracles’s katabasis
from another source? Contra Graf, Eleusis, 145–146. Note also the doubts of R.
Parker, Polytheism and Society at Athens (Oxford, 2005) 363 n. 159. Meleager:
Bacch., with Cairns ad loc. Norden, AeneisVI, 274f. Frogs 161ff, 431ff). Norden
ascribes the first case to the katabasis of Orpheus and the second one to that
of Heracles. His first case seems unassailable, as the passage about Tisiphone
has strong connections with that of the Bologna papyrus, as do the sounds of
groans and floggings heard by Aeneas and the Sibyl (cf. OF 717.25; Luc. VH.).
Musaeus, however, is mentioned first in connection with Onomacritus’ forgery of
his oracles in the late sixth century and remained associated with oracles by
Herodotus, Sophocles and even Aristophanes in the Frogs. His connection with
Eleusis does not appear on vases before the end of the fifth century and in
texts before Plato. In other words, it seems likely that both these passages
ultimately derive from the katabasis of Orpheus, and that Aristophanes, like
Virgil, had made use of both the katabaseis of Heracles and Orpheus. To make
things even more complicated, the descent of both Heracles and Orpheus at
Laconian Taenarum shows that the author himself of Orpheus’s katabasis also
used the epic of Heracles’s katabasis. We have one more indication left for the
place of origin of the Heracles epic. After the nameless sinners we now see
more famous mythological ones. Theseus, as Virgil stresses, sedet aeternumque
sedebit. The passage deserves more attention than it has received in the
commentaries. In the Odyssey, Theseus and Pirithous are the last heroes seen by
Odysseus in the underworld, just as in Virgil Aeneas sees Theseus last in
Tartarus, even though Pirithous has been replaced by Phlegyas. Originally,
Theseus and Pirithous are condemned to an eternal stay in the underworld,
either fettered or grown to a rock. This is not only the picture in the
Odyssey, but seemingly also in the Minyas (Paus., cf. fr. dub. 7 = Hes. fr.
280), and certainly so on Polygnotos’ painting in the Cnidian lesche (Paus.)
and in Panyassis (fr. 9 Davies = fr. 14 Bernabé). This clearly is the older
situation, which is still referred to in the hypothesis of Critias’ Pirithous
(cf. fr. 6). The situation must have changed through the katabasis of Heracles,
in which Heracles liberates Theseus but, at least in some sources, left
Pirithous where he was.87 This liberation is most likely another testimony for
an Athenian connection of the katabasis of Heracles, as Theseus was Athens’ na-
[83 Norden, Aeneis; Hdt.7.6.3 (forgery: OF 1109 = Musaeus, fr. 68),8.96.2 (=OF69),
9.43.2 (=OF70); Soph.fr. 1116 (= OF 30); Ar. Ra. 1033 (= OF 63). 85 Pl. Prot.
316d = Musaeus fr. 52; Graf, Eleusis, 9–21; Lloyd-Jones, Greek Epic, 182–183;
A. Kauf- mann-Samaras, ‘Mousaios’, in LIMC, no. 3. 86 As is also observed by
Norden, Aeneis VI, 237 (on the basis of Servius on Aen. 6.392) and Kleine
Schriften, 508–509 nos 77 and 79. 87 Hypothesis Critias’ Pirithous (cf. fr. 6);
Philochoros FGr H 328 F 18; Diod. Sic. 4.26.1, 63.4; Hor. C.; Hyg. Fab. 79;
Apollod. 2.5.12, Ep. 1.23f. ] tional hero. The connection of Heracles, Eleusis
and Theseus points to the time of the Pisistratids, although we cannot be much
more precise than we have already been. In any case, the stress by Virgil on
Theseus’s eternal imprisonment in the underworld shows that he sometimes opts
for a version different from the katabaseis he in general followed. Rather
striking is the combination of the famous Theseus with the obscure Phlegyas who
warns everybody to be just and not to scorn the gods. Norden unconvincingly
tries to reconstruct Delphic influence here, but also, and perhaps rightly,
posits Orphic origins. His oldest testimony is Pindar’s Second Pythian Ode, where
Ixion warns people in the underworld. Now Strabo calls Phlegyas the brother of
Ixion, whereas Servius calls him Ixion’s father. Can it be that this
relationship plays a role in this wonderful confusion of sources,
relationships, crimes and punishments? We will probably never know, as Virgil
often selects and alters at random. After another series of nameless human
sinners, among whom the sin of incest is clearly shared with the Bologna
papyrus, the Sibyl urges Aeneas on and points to the mansion of the rulers of
the underworld, which is built by the Cyclopes – “Cyclopum educta caminis
moenia.” Norden calls the idea of an iron building ‘singulär’ but it fits other
descriptions of the underworld as containing iron or bronze elements. Austin
compares Callimachus, for the Cyclopes as smiths using bronze or iron, but it
has escaped him that Virgil combines here two traditional activities of the
Cyclopes. On the one hand, they are smiths and as such forged Zeus’s thunder,
flash and lightning-bolt, a helmet of invisibility for Hades, the trident for
Poseidon and a shield for Aeneas For this case, see also Horsfall,Virgilio,49.
89 D. Kuijper,‘Phlegyas admonitor’, Mnemosyne; Garbugino,‘Flegias’,in EV II,
539–540 notes his late appearance in our texts. Even though it is a different
Phlegyas, one may wonder whether Statius, Thebais 6.706 et casus Phlegyae monet
does not allude to his words here: admonet ... “discite iustitiam moniti...”?
The passage is not discussed by R. Ganiban, Statius and Virgil (Cambridge,
2007). 91 Norden, Aeneis, compares, in addition to Pindar (see the main text),
Pl. Grg. 525c, Phaedo 114a, Resp. 10.616a. 92 To be addedt o Austin. Berry, “Criminals
in Virgil’s Tartarus: Contemporary Allusions in Aeneid” – CQ; Cf.Horsfall,‘P.
Bonon.4andVirgil,Aen.6’. Aen. 8.447).95 Consequently, they were known as the
inventors of weapons in bronze and the first to make weapons in the Euboean
cave Teuchion. On the other hand, early traditions also ascribed imposing
constructions to the Cyclopes, such as the walls of Mycene and Tiryns, and as
builders they remained famous all through antiquity. Iron buildings thus
perfectly fit the Cyclopes. In front of the threshold of the building, Aeneas
sprinkles himself with fresh water and fixes the golden bough to the lintel
above the entrance. Norden and Austin understand the expression “ramumque
adverso in limine figit” as the laying of the bough on the threshold, but “figit”
seems to fit the lintel better. One may also wonder from where Aeneas suddenly
got his water. Had he carried it with him all along? Macrobius (Sat. 3.1.6)
tells us that washing is necessary when performing religious rites for the
heavenly gods, but that a sprinkling is enough for those of the underworld.
There certainly is some truth in this observation. However, as the chthonian
gods are especially important during magical rites, it is not surprising that
people did not go to a public bath first. It is thus a matter of convenience
rather than principle. But to properly understand its function here, we should
look at the golden bough first. The Sibyl tells Aeneas to find the golden bough
and to give it to Proserpina as her due tribute. The meaning of the golden bough
has gradually become clearer.Whereas Norden rightly rejects the interpretation
of Frazer’s Golden Bough, he clearly was still influenced by his Zeitgeist with
its fascination with fertility and death and thus spends much attention on the
comparison of the bough with mistletoe. Yet by pointing to the Mysteries he
already came close to an important aspect of the bough.103 95 Hes. Theog.;
Apollod. 1.1.2 and 2.1, 3.10.4 (which may well go back to an ancient
Titanomachy); see also Pindar fr. 266. 96 Istros FGrH 334 F 71 (inventors);
POxy. 10.1241, re-edited by Van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Teuchion).
97 Pin d. fr. 169a.7; Bacch. 11.77; Soph.; Hellanicus FGrH 4 F 87 = F 88
Fowler; Eur. HF 15, IA 1499; Eratosth. Cat. 39 (altar); Strabo; Apollod.;
Paus.; Anth. Pal. 7.748; schol. on Eur. Or. 965; Et. Magnum 213.29. 98 As is argued
by Wagenvoort, Pietas (Leiden) (‘TheGoldenBough’); Eitrem, Opferritus und
Voropfer der Griechen und Römer (Kristiania, 1915) 126–131; Pease on Verg. Aen.
4.635. 100 For Aeneas picking the bough on a mosaic, see D. Perring,
‘“Gnosticism” in Fourth-Century Britain: The Frampton Mosaics Reconsidered’,
Britannia -- Compare J.G. Frazer, Balder the Beautiful = The Golden Bough VII.2
(London) 284 n. 3 and Norden, Aeneis VI, 164 n. 1. 102 As observed by Wagenvoort,Pietas,
Norden,Aeneis. Combining three recent analyses, which have all contributed to a
better understanding, we may summarize our present knowledge as follows. When
searching for the golden bough, Aeneas is guided by two doves, the birds of his
*mother* Aphrodite. The motif of birds leading the way derives from
colonisation legends, as Norden and Horsfall have noted, and the fact that
there are two of them may well have been influenced by the age-old traditions
of two leaders of colonising groups. The doves, as Nelis has argued, can be
paralleled with the dove that led the Argonauts through the clashing rocks in
Apollonius of Rhodes’ epic. Moreover, as Nelis notes, the golden bough is part
of an oak tree, just like the golden fleece, both are located in a gloomy
forest and both shine in the darkness. In other words, it seems a plausible
idea that Virgil also had the golden fleece of the Argonautica in mind when
composing the episode of the golden bough. This is not wholly surprising. The
expedition of Jason and his Argonauts also was a kind of quest, in which the golden
fleece and the golden bough are clearly comparable. In addition, Colchis was
situated at the edge of Greek civilisation so that the journey to it might not
have been a katabasis but certainly had something of a Jenseitsfahrt. Admittedly,
the Argonautic epic does not contain a golden bough, but Michels points out
that in the introductory poem to his Garland MELEAGRO mentions ‘the ever golden
branch of divine Plato shining all round with virtue’ (Anth. Pal. = Meleager; Gow-Page,
West). Virgil certainly knows Meleager, as Horsfall notes, and he also observes
that the allusion to Plato prepares us for the use Virgil makes of eschatological
myths in his description of the underworld, those of the Phaedo, Gorgias and Er
in the Republic. In this section on the Golden Bough, I refer just by name to
West, ‘The Bough and the Gate’, in S.J. Harrison, Oxford Readings in Vergil’s
Aeneid (Oxford); Horsfall, Virgilio (with a detailed commentary) and D. Nelis,
Vergil’s Aeneid and the Argonautica of Apollonius Rhodius (Leeds). The first
two seem to have escaped Turcan, ‘Le laurier d’Apollon (en marge de Porphyre)’,
in A. Haltenhoff and F.-H. Mutschler (eds), Hortus Litterarum Antiquarum.
Festschrift H.A. Gärtner (Heidelberg), West, Indo-EuropeanPoetry; Bremmer, Greek
Religion and Culture. For the myth of the Golden Fleece, see Bremmer, Religion
and Culture. For the expedition of the Argonauts as Jenseitsfahrt, see K.
Meuli, Gesammelte Schriften (Basel); Hunter, The Argonautica of Apollonius:
literary studies (Cambridge) Michels, ‘The Golden Bough of Plato’, Am. J.
Philol. For Michels, see J. Linderski, ‘Agnes Kirsopp Michels and the Religio’,
Class. However, there is another, even more important bough. SERVIO tells us
that those who have written about the rites of Proserpina assert that there is “quiddam
mysticum” about the golden bough and that people could not participate in the
rites of Proserpina unless they carried the golden bough. Now we know that the
future initiates of Eleusis carried a kind of pilgrim’s staff consisting of a
single branch of myrtle or several held together by rings. In other words, by
carrying the bough and offering it to Proserpina, queen of the underworld,
Aeneas also acts as an Eleusinian initiate, who of course had to bathe before
initiation. Virgil will have written this all with one eye on OTTAVIANO, who
was an initiate himself of the Eleusinian Mysteries. Yet it seems equally
important that Heracles too had to be initiated into the Eleusinian Mysteries
before entering the underworld. In the end, the golden bough is also an oblique
reference to that elusive epic, the Descent of Heracles. Having offered the
golden bough to Proserpina, Aeneas may now enter Elysium, where he now comes to
“locos laetos” (cf. “laeta arva”) of “fortunatorum nemorum.” The stress on joy
is rather striking, but on a Orphic Gold Leaf from Thurii we read, “Χαῖρε, χαῖρε.” Journey on the right-hand road to holy meadows and groves of
Persephone’. Moreover, we find joy also in
prophecies of the Golden Age, which certainly overlap in their motifs
with life in Elysium. Once again Virgil’s description taps Orphic poetry, as “lux
perpetua” is also a typically Orphic motif, which we already find in Pindar and
which surely must [Servius, Aen. 6.136: licet de hoc ramo hi qui de sacris
Proserpinae scripsisse dicuntur, quiddam esse mysticum adfirment ad sacra
Proserpinae accedere nisi sublato ramo non poterat. inferos autem subire hoc
dicit, sacra celebrare Proserpinae. The connection with Eleusis is also
stressed by G. Luck, Ancient Pathways and Hidden Pursuits (Ann Arbor) (‘Virgil
and the Mystery Religions’. R. Parker,Miasma (Oxford,); Suet. Aug.; Dio Cassius;
Bowersock, “Augustus” (Oxford) 68. 112
For woods in the underworld, see Od.; Graf and Johnston, Ritual Texts for the
Afterlife (Thurii) = OF 487.5–6; Verg. Aen.; Nonnos, D. 19.191. 113
GrafandJohnston, RitualTexts for the Afterlife, no. 3.5–6=OF487 Oracula
Sibyllina: ‘Rejoice, maiden’, cf. E. Norden, Die Geburt des Kindes (Stuttgart)
have had a place in the katabasis of Orpheus, just as the gymnastic activities,
dancing and singing almost certainly come from the same source, even though OTTAVIANO
must have been pleased with the athletics which he encouraged. The Orphic
character of these lines is confirmed by the mention of the Threicius sacerdos
(with Horsfall), obviously Orpheus himself. After this general view, we are
told about the individual inhabitants of Elysium, starting with genus antiquum
Teucri, which recalls, as Austin sees, “genus antiquum Terrae, Titania pubes” opening
the list of sinners in Tartarus. It is a wonderfully peaceful spectacle that we
see through the eyes of Aeneas. Some of the heroes are even “vescentis”, on the
grass, and we may wonder if this is not also a reference to the Orphic
‘symposium of the just’, as that also takes place on a meadow. Its importance
was already known from Orphic literary descriptions, but a meadow in the
underworld has also emerged on the Orphic Gold Leaves. The description of the
landscape is concluded with the picture of the river Eridanus that flows from a
forest, smelling of laurels. Neither Norden nor Austin explains the presence of
the laurels, but Virgil’s first readership will have had several associations
with these trees. Some may have remembered that the laurel is the highest level
of re-incarnation among plants in the Italic philosopher Empedocles of
Girgenti, whereas others will have realised the poetic and Apolline
connotations of the laurel. After Trojan and nameless Roman heroes, priests, and
poets, Aeneas sees those who found out knowledge and used it for the betterment
of life – “inventas aut qui vitam excoluere per artis” tr. 115 Pind. fr. 129; Ar. Ra.; Plut. frr. 178,211;
Visio Pauli21, cf.Graf, Eleusis, Horsfall, Virgilio, For the Titans being the ‘olden
gods’, see Bremmer, Greek Religion and Culture,78. 118 Graf, Eleusis, Pind. fr.
129; Ar. Ra.326; Pl. Grg. 524a, Resp.; Diod. Sic.; Bernabéon OF61. 120 Graf and
Johnston, Ritual Texts for the Afterlife, no. 3.5–6 (Thurii) = OF 487.5–6, no.
27.4 (Pherae) = OF. The Eridanus also appears in Apollonius Rhodius as a kind
of otherwordly river, but there it is connected with the myth of Phaethon and
the poplars, and resembles more Virgil’s Avernus with its sulphur smell than
the forest smelling of laurels in the underworld. For the name of the river,
see Delamarre, ‘ Ἠριδανός, le “fleuve de
l’ouest”,’ Etudes Celtiques. Horsfall, ‘Odoratum lauris nemus – Aeneid” Scripta
Class. Perhaps, readers may have also thought of the laurel trees that stand in
front of OTTAVIANO’s domus on the Palatine, given the importance of OTTAVIANO
in this book, cf. A. Alföldi, Die zwei Lorbeerbäume des Augustus (Bonn); M.
Flory, ‘The Symbolism of Laurel in Cameo Portraits of Livia’, Mem. Am. Ac. Rel.
Austin). As has long been seen, this line closely corresponds to a line from a
cultural-historical passage in the Bologna papyrus where we find an enumeration
of five groups in Elysium that have made life livable. The first are mentioned
in general as those who embellish life with their skills – “αἱ δε βίον σ[οφί]ῃσιν ἐκόσμεον” -- to be followed by the poets, ‘those who cut roots’ for medicinal
purposes, and two more groups which we cannot identify because of the bad state
of the papyrus. Inventions that both improve life and bring culture are
typically sophistic themes, and the mention of the archaic ‘root cutters’
instead of the more modern ‘doctors’ implies an older stage in the sophistic
movement. The convergence between Virgil and the Bologna papyrus suggests that
we have here a category of people seen by Orpheus in his katabasis. How- ever,
as Virgil sometimes comes very close to the list of sinners in Aristophanes’
Frogs, both poets must, directly or indirectly, go back to a common source, as
must, by implication, the Bologna papyrus. This Orphic source apparently was
influenced by the cultural theories of the Sophists. Now the poets occur in
Aristophanes’ Frogs too in a passage that is heavily influenced by the cultural
theories of the Sophists, a passage that
Graf connects with Orphic influence. Are we going too far when we see
here also the shadow of Orpheus’s katabasis? Having seen part of the
inhabitants of Elysium, the Sibyl asks Musaeus where Anchises is. Norden
persuasively compares the question of Dionysus to the Eleusinian initiates
where Pluto lives in Aristophanes’ Frogs. In support of his argument Norden
observes that, normally, the Sibyl is omniscient, but only here asks for
advice, which suggests a different source rather than an intentional poetic
variation. Naturally, Norden infers from the comparison that both go back to
the katabasis of Heracles. In line with our investigation so far, however, we
rather ascribe the question to Orpheus’s katabasis, given the later prominence
of Musaeus and the meeting with Eleusinian initiates. Highly interesting is
also another observation by Norden. Norden notes that Musaeus shows them the
valley where Anchises lives from a height – “desuper ostentat” -- and compares
a [Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung und Vergil’, Hermes ‘die
primitiven Wurzelsucher’. 124 Norden, Aeneis VI,287–288; Graf, Eleusis,146n.
21compares Aen.6.609 with Ar. Ra.149–150 (violence against parents), with Ra. (violence
against strangers) and 6.612–613 with Ra. 150 (perjurers). Note also the
resemblance of 6.608, OF 717.47 and Pl. Resp. 10.615c regarding fratricides,
which also points to an older Orphic source, as Norden already saw, without
knowing the Bologna papyrus. Graf,Eleusis,34–37. 126 Neither Stanford nor Dover
refers to Virgil. number of Greek, Roman and Christian Apocalypses. Yet his
comparison confuses two different motifs, even though they are related. In the
cases of Plato’s Republic and Timaeus as well as in CICERONE’S “IL SOGNO DI
SCIPIONE” (Mozart) (Rep.) souls see the other world, but they do not have a
proper tour of hell (or heaven) in which a *supernatural* person (Musaeus, il
divino, [arch]angel, Devil) provides a view from a height or a mountain. That
is what we find in 1 Enoch (17–18), Philo (SpecLeg 3.2), Matthew (4.8),
Revelation (21.10), the Testament of Abraham, the Apocalypse of Abraham (21),
the Apocalypse of Peter, which was still heavily influenced by traditions, and
even the late Apocalypse of Paul (13), which drew on earlier sources. In other
words, it is hard to escape the conclusion that Virgil draws here too, directly
or indirectly, on this very old sources. With this quest for Anchises we have
reached the climax of LIBER VI. It would take us much too far to present a
detailed analysis of these lines but, in line with our investigation, we will
concentrate on Orphic and Orphic-related (Orphoid) sources. Aeneas meets his
father, when the latter has just finished reviewing the souls of his line who
are destined to ascend ‘to the upper light’. They are in a valley, of which the
secluded character is heavily stressed, while the river Lethe gently streams
through the woods. The Romans paid much attention to this river. Those souls
that are to be reincarnated drink the water of forgetfulness. After Aeneas
wonders why some would want to return to the upper world, Anchises launches
into a detailed cosmology and anthropology drawn straight from The Porch – IL
PORTICO -- before we again find Orphic material. The soul locks up in the body
as in a prison, which Vergil derived almost certainly straight from Plato, just
like the idea of engrafted -- concreta –
evil [Contra Horsfallon Aen.6.792. 128 For the reference to metempsychosis, see
Horsfallon Aen.6.724–751.129679–680 penitus convallevirenti inclusas animas; 703:
vallereducta; 704: seclusumnemus. Theognis 1216 (plain of Lethe); Simon. Anth.Pal.7.25.6(house
of Lethe); Ar.Ra.186(plain of Lethe); Pl. Resp. 10.621ac (plain and river);
TrGF Adesp. fr. 372 (house of Lethe); SEG (curse tablet: Lethe as a personal
power). For its occurrence in the Gold Leaves, see Riedweg,
Mysterienterminologie, 40. 131 Soul: Pl. Crat. 400c (= OF 430), Phd. 62b (= OF
429), 67d, 81be, 92a; [Plato], Axioch.; G. Rehrenbock, ‘Die orphische
Seelenlehre in Platons Kratylos’, Wiener Stud. The penalties the souls have to
suffer to become pure may well derive from an Orphic source too, as the Bologna
papyrus mentions clouds and hail, but it is too fragmentary to be of any use
here.On the other hand, the idea that soul has to pay a penalty for the deeds
in the upperworld twice occurs in the Orphic Gold Leaves. Orphic is also the
idea of the “rota” through which the soul has to pass during its Orphic
reincarnation. But why does the cycle last a thousand years before the soul can
come back to life – “mille rotam volvere per annos --? Unfortunately, we are
badly informed by the relevant authors about the precise length of the
reincarnation. The Italic philosopher Empedocles of Girgenti mentions ‘thrice
ten thousand seasons’ and Plato mentions ‘ten thousand years’ and, for a PHILOSOPHICAL
life, ‘three times thousand years’. But the myth of Er mentions a period of
thousand years. This will be Virgil’s source here, as also the idea that the
soul has to drink from the river Lethe is directly inspired by the myth of Er
where the soul drinks from the River of Forgetfulness and forgets about their
stay in the other world before returning to earth (Resp. 10.621a). It will
hardly be chance that with the references to the end of the myth of Er, we have
also reached the end of the main description of the underworld. In the
following Heldenschau, we find only one more intriguing reference to the
eschatological beliefs of Virgil’s time. At the end, father and son wander in
the wide fields of air – “aëris in campis latis” -- surveying everything. In one
of his characteristically wide-ranging and incisive discussions, Norden argues
that Virgil alludes here to the belief that the soul ascends to the moon as
their final abode. This belief is as old, as Norden argues, as the Homeric Hymn
to Demeter, where we already find ‘die Identifikation der Mondgöttin Hekate mit
Hekate als Königin der Geister und des Hades’. However, it must be objected
that verifiable associations between the two (i.e. Hecate and the moon) do not
survive from Bernabé, ‘Una etimología Platónica: Sôma – Sêma’, Philologus -- For
the afterlife of the idea, Courcelle, Connais-toi toi-même de Socrate à Saint
Bernard, 3 vols (Paris) 2.345–380. Engrafted evil: Pl. Phd. 81c, Resp., Tim.
42ac. Plato and Orphism: A. Masaracchia, ‘Orfeo e gli “Orfici” in Platone’, in
idem (ed.), Orfeo e l’Orfismo (Rome), reprinted in his Riflessioni sull’antico
(Pisa); Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung’, 38 compares OF
717.130–132; see also Perrone, ‘Virgilio Aen. VI 740–742’, Civ. Class.Crist.;
Horsfall on Aen. 6.739. 133 Graf and Johnston, Ritual Texts 6.4 (Thurii) = OF
490.4; Graf and Johnston 27.4 (Pherae) = OF 493.4. 134 OF338,467,Graf and Johnston,
Ritual Texts, 5. 5 (Thurii) = OF 488.5, withBernabéadloc. 135 Pl. Resp.
10.615b, 621a. Curiously, Norden does not refer to this passage in his
commentary on this line, but at p. 10–11 of his commentary. 136 Norden, AeneisVI,23–26,
also comparing Servius; Ps. Probusp. 333–334. [Moreover, the identification of
the moon with Hades, the Elysian Fields or the Isles of the Blessed is
relatively late. It is only later that we start to find this tradition among
pupils of Plato, such as, probably, Xenocrates, Crantor and Heraclides
Ponticus, who clearly want to elaborate their master’s eschatological teachings
in this respect. Consequently, the reference does indeed allude to the soul’s ascent
to the moon, but not to the ‘orphisch-pythagoreische Theologie’ (Norden). In
fact, it is clearly part of the Platonic framework of Virgil. In the same
century Plato is the first to mention Selene as the mother of the Eleusinian
Musaeus, but he will hardly have been the inventor of the idea. Did the
officials of the Eleusinian Mysteries want to keep up with contemporary
eschatological developments, which increasingly stressed that the soul goes up
into the aether, not down into the subterranean Hades? We do not have enough
material to trace exactly the initial developments of the idea, but it was
already popular enough for Antonius Diogenes to parody the belief in his “Wonders
Beyond Thule”, a parody taken to even greater length by Lucian in his True
Histories. Virgil’s allusion, therefore, must have been clear to his
contemporaries. S.I. Johnston,Hekate Soteira (Atlanta)31. 138 W. Burkert, LoreandSciencein
AncientPythagoreanism (CambridgeMA,1972) 366–368,who also points out that there
is no pre-Platonic Pythagorean evidence for this belief; see also Cumont, Lux
perpetua (Paris) Gottschalk, Heraclides of Pontus, Oxford, Wilamowitz rejects the‘Mondgöttin
Heleneoder Hekate’ already in his letter thanking Norden for his commentary,
cf. Calder III and Huss, “Sed serviendum officio...”, 18–21 at 20. 140 Pl. Resp.
2.364e; Philochoros F Gr H328 F208, cf. Bernabéon Musaeus 10–14T. 141 A.
Henrichs,‘ Zur Genealogiedes Musaios’, ZPE 58(1985)1–8. 142 IG I3 1179.6–7;
Eur. Erechth. fr. 370.71, Suppl., Hel. 1013–1016. Or. 1086–1087, frr. 839.10f,
908b, 971; P. Hansen, Carmina epigraphica Graeca saeculi IV a. Chr. n. (Berlin
and New York, 1989). For Antonius’ date, see Bowersock, “Fiction as History:
Nero to Julian” (London), whose identification of the Faustinus addressed by
Antonius with Martial’s Faustinus is far from compelling, cf. R. Nauta, “Poetry
for Patron”s (Leiden). Bowersock has been overlooked by Möllendorff, Auf der
Suche nach der verlogenen Wahrheit. Lukians Wahre Geschichten (Tübingen) whose
discussion also sup- ports an earlier date for ANTONIO against the traditional
one. When we now look back, we can see that Virgil has divided his underworld
into several compartments. His division contaminates Homer with later
developments. In Homer, virtually everybody goes toHades, of which the Tartarus
is the deepest part, reserved for the greatest e Titans. A few special heroes,
such as Menelaus and Rhadamanthys, go to a separate place, the Elysian Fields,
which is mentioned only once in Homer. When the afterlife became more
important, the idea of a special place for the elite, which resembles the
Hesiodic Isles of the Blessed, must have looked attractive to a number of
people. However, the notion of re-incarnation poses a special problem. Where do
those stay who have completed their cycle and those who are still in process of
doing so? It may now be seen that Virgil follows a traditional Orphic solution
in this respect, a solution that had progressed beyond Homer in that MORAL
criteria had become important. In his Second Olympian Ode Pindar pictures a
tripartite afterlife in which a sinner is sentenced by a judge below the earth
to endure terrible pains. He who is a good man spends a pleasant time with ‘il
divino.’ He who has completed the cycle of reincarnation and has led a
blameless life joins the heroes on the Isles of the Blessed. A tripartite
structure can also be noticed in the Italic philosopher Empedocles of Girgenti,
who speaks about the place where the great sinners are, a place for those who
are in the process of purificaton. For Hades, Elysium and the Isles of the
Blessed, see Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death, Mace, ‘Utopian and Erotic
Fusion in a New Elegy by Simonides (West2)’, ZPE. For the etymology of “Elysium”,
see R. Beekes, ‘Hades and Elysion’, in J. Jasanoff (ed.), Mír curad: studies in
honor of Calvert Watkins (Innsbruck) 17–28 at 19–23. Stephanie West (on Od.
4.563) well observes that Elysium is not mentioned again before Apollonius’
Argonautica. For good observations, see Molyviati-Toptsis, ‘Vergil’s Elysium
and the Orphic-Pythagor- ean Ideas of After-Life’, Mnemosyne. However, some
would now replaced Molyviati’s terminology of ‘Orphic-Pythagorean’, which Molyviati
inherits from Dieterich and Norden, with ‘Orphic-Bacchic’, due to new
discoveries of Orphic Gold Leaves. Moreover, Molyviati overlooks the important
discussion by Graf, Eleusis, 84–87; see also Graf and Johnston, Ritual Texts,
For the reflection of this scheme in Pindar’s threnos fr. 129–131a, see Graf, Eleusis,
84f. Given the absence of Mysteries in Pindar, O. 2 and Mysteries being out of
place in Plutarch’s Consolatio one wonders with Graf if τελετᾶν in fr. 131a should not be replaced by τελευτάν. 147 For the identification of this place with Hades, see A. Martin and
O. Primavesi, L’Empédocle de Strasbourg (Berlin). Alfonso, ‘La Terra Desolata.
Osservazioni sul destino di Bellerofonte (Il.)’, MH and a place for those who have led a virtuous
life on earth: they will join the tables of the gods. The same division between
the effects of a good and a bad life appears in Plato’s Jenseitsmythen. In the
Republic the serious sinners are hurled into Tartarus, as they are in the
Phaedo, where the less serious ones may be still saved, whereas those who seem
to have lived exceptionally into the direction of living virtuously pass upward
to a pure abode. But those who have purified themselves sufficiently with
philosophy will reach an area even more beautiful, presumably that of the gods.
The upward movement for the elite, pure souls, also occurs in the Phaedrus and
the Republic whereas in the Gorgias they go to the Isles of the Blessed. All
these three dialogues display the same tripartite structure, if with some
variations, as the one of the Phaedo, although the description in the Republic
is greatly elaborated with all kinds of details in the tale of Er. Finally, in
the Orphic Gold Leaves the stay in Tartarus is clearly presupposed but not
mentioned, due to the function of the Gold Leaves as passport to the underworld
for the Orphic devotees. Yet the fact that in a Leaf from Thurii the soul says:
‘I have flown out of the heavy, difficult cycle of reincarnations’ suggests a
second stage in which the souls still have to return to life, and the same
stage is presupposed by a Leaf from Pharsalos where the soul says: ‘Tell
Persephone that Bakchios himself has released you from the cycle.’ The final
stage will be like in Pindar, as the soul, whose purity is regularly stressed,
will rule among the other heroes or has become a god instead of a mortal. When
taking these tripartite structures into account, we can also better understand
Virgil’s Elysium. It is clear that we have here also the same distinction
between the good soul and the super-good soul. The good soul has to return to
earth. The super-good soul can stay forever in Elysium. Moreover, the place of
the super-good soul is higher than the one of a soul who has to return. That is
why a soul that will return is in a valley BELOW the area where Musaeus is. Once
again, Virgil looks at Plato for the construction of his underworld. Graf and
Johnston, Ritual Texts, 5.5 = OF 488.5; Graf and Johnston 26a.2 = OF .485.2.
Dionysos Bakchios has now also turned up on a Leaf from Amphipolis: Graf and
Johnston, Ritual Texts, 30.1–2 = OF 496n.1–2.5. 150 Graf and Johnston, Ritual
Texts, (all Thurii), 9.1 (Rome) = OF 488.1, 490.1, 489.1, 491.1. 151 Graf and
Johnston, Ritual Texts (Petelia) = OF
476.11; Graf and Johnston, Ritual Texts, 3.4 (Thurii) = OF 487.4 and ibidem 5.9
(Thurii) = OF 488.9, respectively.This was also seen by Molyviati-Toptsis,‘Vergil’s
Elysium’,43, ifnotveryclearly explained. But as we have seen, it is not only
Plato that is an important source for Virgil. In addition to a few traditional autochtonous
indigenous *Roman* details, such as the fauces Orci, we have also called
attention to Orphic and Eleusinian beliefs. Moreover, and this is really new,
we have pointed to several possible borrowings from 1 Enoch. Norden rejects
virtually all Jewish influence on Virgil in his commentary, and one can only
wonder to what extent his own Jewish origin played a role in this judgement. More
recent discussions have been more generous in allowing the possibility of
Jewish-Sibylline influence on Virgil and Horace. And indeed, Alexander
Polyhistor, who works in Rome during Virgil’s lifetime and writes a book On the
Jews, knows the Old Testament and was demonstrably acquainted with
Egyptian-Jewish Sibylline literature. Thus it seems not impossible or even
implausible that among the Orphic literature that Virgil had read, there also
were (Egyptian- Jewish?) Orphic katabaseis with Enochic influence.
Unfortunately, we have so little left of that literature that all too certain
conclusions would be misleading. In the end, it is still not easy to see light
in the darkness of Virgil’s underworld. For the Orphic influence, see also the summary
by Horsfall,Virgil,“Aeneid” Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6, 2.650 is completely
mistaken in mentioning Norden’s ‘pressing and arguably misleading, belief in
the importance of Jewish texts for the understanding of Aen.6’: Norden, Aeneis
Buch VI, 6 actually argued that from the ‘jüdische Apokalyptik ... kaum ein
Motiv angeführt werden kann, das sich mit einem vergilischen berührte’.For
Norden’s attitude towards Judaism, see J.E. Bauer, ‘Eduard Norden:
Wahrheitsliebe und Judentum’, in B. Kytzler et al (eds), Norden (Stuttgart); Nisbet,
Collected Papers on Latin Literature (Oxford); Bremmer, ‘The Apocalypse of
Peter: Greek or Jewish?’, in idem and I. Czachesz (eds), The Apocalypse of
Peter (Leuven) at 3f. 156 C. Macleod,
Collected Essays (Oxford) (on Horace’s Epode 16.2); Nisbet, Collected Papers,
Watson, A Commentary on Horace’s Epodes (Oxford) (on Horace’s Epode 16); L.
Feldman, ‘Biblical Influence on Vergil’, in S. Secunda and S. Fine (eds),
Shoshannat Yaakov (Leiden) Alexander Polyhistor FGr H 273 F 19ab (OT), F quotes
Or. Sib., cf. Norden, Kleine Schriften; Lightfoot, Sibylline Oracles; Horsfall,
‘Virgil and the Jews’, Vergilius has contested my views in this respect, but
his arguments are partly demonstrably wrong and partly unpersuasive, see
my ‘Vergil and Jewish Literature’, Vergilius –Various parts of this paper
profited from lectures in Liège and Harvard in 2008. For comments and
corrections of my English I am most grateful to Annemarie Ambühl, Danuta
Shanzer and, especially, Nicholas Horsfall and Ruurd Nauta. Abt, J., American
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contro Cerbero – fatica 10 – statuaria – statua di Antino a Eleusi. L’iniziazione
come contemplazne, il role dell’iniziato, iniziato e inizianti --. La radice
indo-germanica di Eleusi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caluso” – The
Swimming-Pool Library.
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