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Wednesday, January 8, 2025

GRICE E CALUSO

 

Grice e Caluso: la ragione conversazionale, la grammatica universale e l’implicatura conversazionale degl’initiati e gl’initiante – initians, initiatum – inizianti – scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Valperga: essential italain philosopher. Grice: “Noble Italians love a long surname, so this is Valperge-Di-Caluso,” and so Ryle had in under the “C””.  Tommaso Valperga di Caluso. Discendente dai Valperga, nobile famiglia piemontese, nei primi anni della giovinezza si sentì attratto dalla carriera delle armi. A Malta, ospite del governatore dell'isola, si addestra alla vita marinara imparando le dottrine nautiche e fu capitano sulle galee del re di Sardegna. Entrato poi a Napoli nella congregazione dei padri filippini fu professore di teologia.  Tornato a Torino studia fisica e matematica sotto la guida del BECCARIA, con Lagrange, Saluzzo e Cigna. Frequentatore delle riunioni culturali sampaoline nelle sale della casa di Gaetano Emanuele a di San Paolo ritrova l'Alfieri, che aveva conosciuto a Lisbona. Scopre in lui il futuro poeta e tra loro nacque una profonda amicizia.  Eccelse negli studi filosofici e apprese l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo e conobbe con sicurezza il latino, il greco, il copto e l'ebraico. Insegna a Torino. Fu direttore dell'osservatorio astronomico di palazzo Madama, incarico che cede al Vassalli Eandi.  Membro della Massoneria. "Le veglie di Torino, Joseph de Maistre", in: Storia d'Italia, Annali, Esoterismo, Gian Mario Cazzaniga, Einaudi, Torino. Fratello del viceré di Sardegna. Altre opere: “Literaturae Copticae rudimentum” Parmae, Ex regio typographaeo); “La Cantica ed il Salmo secondo il testo ebreo tradotti in versi” (Parma, tipi bodoniani); “Prime lezioni di gramatica Ebraica” (Torino, Stamperia della corte d'Appello, Tommaso Valperga di C., Thomae Valpergae inter Arcades Euphorbi Melesigenii latina carmina cum specimine graecorum, Augustae Taurinorum, in typographaeo supremae curiae appellationis; Principes de philosophie pour des initiés aux mathématiques, Turin, Bianco. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Renzo Rossotti, Le strade di Torino.L'‘Orlando Innamorato' in «Giornale storico della letteratura italiana», Milena Contini, La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di C., Alessandria, Edizioni dell'Orso. Traduttore in piemontese dell'incipit dell'Iliade, in «Studi Piemontesi», Milena Contini, Le riflessioni di Tommaso Valperga di Caluso sulla lingua italiana, in La letteratura degli italiani. Centri e periferie, Atti del Congresso Adi, Pugnochiuso D. Cofano e S. Valerio, Foggia, Edizione del Rosone. Ugolini mors. Traduzioni latine di Inferno XXXIII, in «Dante. Rivista internazionale di studi su Alighieri»,  Poetica teatrale: traduzioni ed esperimenti, in La letteratura degli italiani II. Rotte, confini, passaggi, Atti del Congresso Adi, Genova A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, DIRAS, Università degli Studi di Genova. Il corpo martoriato. L'interesse di Caluso per quattro atroci fatti di sangue, in Metamorfosi dei lumi 7: il corpo, l'ombra, l'eco, Clara Leri, Torino, aAccademia university press, Versione latina di Inferno, in «Lo Stracciafoglio». Plagio dal Villebrune apposto al Petrarca: un'appassionata confutazione di “meschine, arroganti e scortesi” calunnie sull’Africa, in «Sinestesie», Un maestro da ricordare, in «Rivista di Storia dell'Torino.” Principi di Filosofia per gl' Iniziati nelle matematiche di Tommaso Valperga-C. volgarizzati dal Conte con Annotazioni di Rosmini-Serbati (Turin). See also Cerruti's La Ragione Felice e altri miti (Florence). C.: motivi prerosminiani del sentimento   fondamentale   corporeo. demiurgo  piemontese.  L’interesse del C. per l’omicidio e il “lato oscuro” non è mai stato indagato, perché la critica, nella rappresentazione dell’abate, ha sempre privilegiato l’immagine severa e inflessibile di maestro onnisciente e di saggio imperturbabile, scolpita dai biografi ottocenteschi. Questo ritratto idealizzato e deformato dell’abate ha generato non pochi equivoci interpretativi: se si studia la sua vita attraverso i suoi diari e il suo ricco epistolario e si analizzano con attenzione le sue opere tanto edite quanto inedite, ci si accorge, infatti, che la sua personalità è tutt’altro che granitica. Prima di accingersi a esaminare la sua figura è necessario quindi liberarsi di questi stereotipi: il fatto che l’ottimista abate, come lo definì il Foscolo, avesse dedicato molti scritti allo studio della ragione non esclude affatto che egli fosse incuriosito anche dalla parte irrazionale dei uomini, anzi le sue considerazioni sui “limiti della ragione” si collocano perfettamente all’interno delle sue riflessioni sulle facoltà intellettive. L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Naziona. Gli studi calusiani sulla ragione, e in particolar modo sul rapporto tra ragione e virtù, sono inseriti nelle opere dedicate alla felicità, tema particolarmente caro a lui, che si impegnò nell’indagine di questo complesso concetto dalla gioventù fino all’estrema vecchiaia: è possibile, infatti, seguire l’evoluzione della riflessione del Caluso sulla felicità dalle lettere al nipote degli anni Sessanta del Settecento fino al Della felicità de’ governati. Il tema della felicità pervade tutta la produzione dell’autore; esso non è affrontato solo nella saggistica filosofica, nelle lettere intime ad amici e parenti e nelle poesie, ma si ritrova anche nei trattati didattici e in alcune opere erudite, perché e convinto che il fine di ogni studio fosse la felicità, la quale puo essere conquistata solo attraverso una profonda passione per le lettere e per le scienze.  A proposito del concetto calusiano di “rassegnazione” si legga il seguente passo, tratto della lette. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot constata che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tu… L’indagine sulla felicità porta inevitabilmente il Caluso a scontrarsi con lo studio della ragione. Secondo C., la ragione ha un duplice ruolo: da un lato ci fornisce gli strumenti adatti a conquistare la felicità, dall’altro ci fa acquisire la coscienza di non avere sempre il dominio su ciò che accade. La consapevolezza porta alla rassegnazione, questa rassegnazione però aiuta sì a sopportare i casi della vita, ma non dona la felicità, come teorizzavano gli stoici. C. pensa, quindi, che i poteri della ragione siano limitati. Questa presa di coscienza però non lo porta a meditare sul fatto che la felicità possa essere disgiunta dalla ragione. Infatti, se da un lato ammette che anche il più saggio tra gli uomini è vittima della sofferenza («né sognai che ad uom concesso viver fosse ognor lieto, o ne’ tormenti sdegnerò dir misero il Saggio stesso»), dall’altro non arriva a constatare, come avevano fatto, per esempio, Diderot e Voltaire, che spesso nella vita reale gli uomini privi di ragione e di virtù sono felici. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero necessarie all’uo... Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino (Varia). I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les aventures du Marquis de Bel. La ragione ha anche il fondamentale compito di dominare le passioni. Ripropone la celebre esortazione platonica alla misura, ripresa da molti autori, tra i quali Rousseau, che in più luoghi sottolineò come la ragione avesse la funzione di equilibrare i moti violenti dell’animo. E convinto che i sentimenti estremi causassero soltanto sofferenza. Non invita certo ad anestetizzare gli affetti, anzi pensava che non vi fosse nulla di peggio che una vita senza passioni ed emozioni («Che un dolce pianto è più felice molto / Non delle noie sol, ma dell’inerte Ghiaccio d’un cor, cui ogni affetto è tolto»), ma crede che la morbosità fosse una pericolosa malattia. Nella Ragione felice egli porta l’esempio della follia amorosa di Polifemo per Galatea. Il poeta descrive la corruzione del corpo del ciclope, consumato dal desiderio ed incapace di dominarsi («Odil che fischia, livido qual angue / Le spumeggianti labbra, e l’occhio in foco / Vedil cerchiato di vermiglio sangue»). L’autore crede che solo i casti amori, congiunti a «l’arti e gli studi, possano regalare la felicità. Questo riferimento all’amore platonico è un omaggio alla principessa di Carignano, dedicataria del poemetto, che teorizza come la felicità si fonda sulla rinuncia alla passione sia nel saggio filosofico inedito Sur l’amour platonique sia nei due romanzi, anch’essi inediti, L’Amour vaincu e Les nouveaux malheurs de l’amour. Euforbo Melesigenio, Versi italiani. La follia amorosa non è l’unica passione condannata da C.. Infatti deplora ogni sentimento capace di far perdere il controllo delle proprie azioni. Nel poemetto La Tigrina o sia la Gatta di S. E. la madre donna Emilia, composto a Napoli, descrive le funeste conseguenze della gelosia, mentre nei “Varia Philosophica” presenta l’esempio della vendetta: L’inedito VARIA PHILOSOPHICA, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Univers. Onde sono le passioni uno scaldamento di fantasia, una specie di pazzia, che perverte il giudicio, e ne fa credere che in quella tal cosa passionatamente voluta vi sia per noi un bene, un piacere, una soddisfazione che veramente non vi è né la ragione per tanto ve la può trovare. Tale è per esempio la vendetta. T. Valperga di C., Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre15 Id, Di Livia Colonna. Si dedicò allo studio dei limiti della ragione in una serie di scritti e appunti su fatti di sangue; nell’articolo Di Livia Colonna, per esempio, ricostruisce la tragica fine della nobildonna romana basandosi sulla raccolta di poesie Rimedi diversi autori, in vita, e in morte dell’ill. s. Livia Colonna («Da parecchi versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554, al più tardi, e certamente non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente» Quest’opera comprende numerosi componimenti dedicati a Livia Colonna, scritti da trentuno poeti, tra i quali anche il Caro e il Della Casa.  In un brano del Della certezza morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminar. Cita le seguenti fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani genti. Ricorda che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un pass. Sottolinea che la raccolta, non essendo dotata né di prefazione né di note, non permette di contestualizzare i fatti ai quali si allude nelle rime, ma aggiunge che, vista la notorietà del casato di Livia, non gli è stato difficile identificare la donna e reperire informazioni in merito alla sua vita17: Livia nacque da Marcantonio Colonna e Lucrezia della Rovere; è rapita da Marzio Colonna duca di Zagarolo, che in questo modo riuscì a sposare la bellissima e ricchissima giovinetta; qualche anno dopo perse, e di lì a poco riacquistò, la vista 18, nel 1551 rimase vedova. Dopo aver elargito queste informazioni, C. passa a parlare del tema che lo ha maggiormente interessato:  Valperga di C., Di Livia Colonna. Ma qui veniamo al punto, che ha stimolata la mia curiosità, e richiede più diligenti ricerche. Da parecchj versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554 al più tardi, e certamente non prima del 1550, e Livia trucidata barbaramente. L’abate fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Dom. Egli deduce da alcune evidenti allusioni presenti nelle rime della raccolta che Livia fu uccisa dal proprio genero Pompeo Colonna, che aveva sposato la figlia Orinzia20 poco tempo prima. Rivolta la carta 87 delle mentovate rime si legge, che l’uccisore l’empio ferro tinse nel proprio sangue, e alla carta si fa dire a Livia già ferita, che fai figliuol crudele? Pompeo suo genero aveva tratto il sangue dallo stesso casato, non che da Camillo suo padre, da Vittoria sua madre, anch’essa Colonna. E qual altro assassino, che un genero, poteva chiamarsi figliuolo da una donna giovine, che non avea prole maschile? Identificato l’assassino, passa a esaminare i possibili moventi dell’omicidio: Pompeo fu spinto a uccidere la suocera dall’avidità, dall’ira o dal senso dell’onore. L’autore sembra propendere per il primo movente: nelle rime, infatti, si legge che la nobildonna fu uccisa «sol per far ricco un uomo; l’abate riflette inoltre sul fatto che, con la morte di Livia, Orinzia avrebbe ereditato numerosi poderi, sui quali avrebbe poi messo le mani Pompeo, dato che «ognun sa quanto facilmente dell’aver della moglie sia più ch’essa padrone un marito fiero e imperioso». Per quanto concerne invece il movente dell’ira, suggerito dal fatto che «la mano del parricida vien detta forse di sangue ingorda più che di vero onor, C. non si profonde in ipotesi specifiche, ma si limita a osservare che i motivi di astio tra persone «che hanno a fare insieme» sono innumerevoli. Questo movente può essere collegato con quello dell’onore: la collera di Pompeo, infatti, potrebbe essere stata causata dalla scoperta o dal sospetto che la suocera si fosse sposata segretamente con un servo. L’autore trae questa idea da un verso del Dardano, nel quale si fa riferimento alla mano mozzata di Livia -- E la recisa man, l’aperto lato -- l’abate immagina che Pompeo avesse mutilato la suocera per punirla d’aver concesso la propria mano a un servitore. C. riflette inoltre sul fatto che questo terzo movente può essere collegato anche col primo, dato che il matrimonio di Livia avrebbe ridotto l’eredità di Pompeo: ogni matrimonio della suocera dovea spiacergli per lo pensiero che in conseguenza n’andrebbe ad altri gran parte di quello che aspettava dover dalla suocera, quando che fosse, venir a lui. Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere  in Studi offerti a Giovanni. L’interpretazione calusiana del verso del Dardano è criticata da Zannini nel saggio Livia Colonna tra storia e lettere, nel quale egli fa numerosi riferimenti al “cittadino” Tommaso Valperga di C., che centosettant’anni prima, «imbastì su fragilissime basi la trama di un romanzetto che avrebbe potuto incontrare fortuna, come altri fatti di sangue del secolo xvi, presso fantasiosi lettori. Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Processi, I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla... Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel F. Zannini ricava dai documenti processuali, trascritti in appendice al saggio, che Livia fu uccisa da due sicari assoldati da Pompeo, che non partecipò attivamente all’omicidio della suocera, ma si limitò ad assistere. I giudici stabilirono che il movente del crimine fu il denaro; nelle carte del processo e nel documento di condanna contro il mandante Pompeo Colonna e gli esecutori Paciacca di Terni e Filippo di Metelica, non vi è alcun accenno né alla mutilazione della mano né al matrimonio di Livia con un domestico. Lo studioso riflette inoltre sul fatto che nel xvi secolo difficilmente sarebbero stati scritti e pubblicati tutti quegli elogi» su Livia, se quest’ultima avesse «abbandonato la castità vedovile per unirsi a un servitore. Egli quindi ritiene che C. abbia mal inteso il verso del Dardano, che doveva invece essere interpretato in un altro modo: «dando a “mano” il senso di “fianco”, avremmo una plausibile spiegazione del sogno. Infatti Livia scopertosi il “lacero petto” non poteva in tal guisa mostrare una “mano”, ma un fianco con una profonda lacerazione». Contro questa interpretazione polemizza, giustamente, Domenico Chiodo, che difende le ragioni del C.: «le sue [dell’abate] capacità di lettura erano infinitamente superiori alle ‘ragionevoli’ supposizioni del nostro contemporaneo. L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su 5 carte scritte sia sul recto ...  È bene precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il ... Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-ago ... Anche ai tempi del C. era stata sollevata una critica alla ricostruzione dell’abate; nel manoscritto inedito Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano, conservato presso il Castello di Masino, Verani dichiara di non fidarsi delle parole dei poeti della raccolta, perché: «la maggior parte di essi soggiornavano lontano dalla Capitale del Mondo Cattolico e perciò soggetti a ricevere da’ loro corrispondenti varie o false o almen dubbiose relazioni. Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di Livia, non vi è a ... Egli spiegava diversamente il significato dei versi citati da C. e in questo modo metteva in discussione sia la colpevolezza di Pompeo sia l’interpretazione del verso del Dardano. Altrettanta fede merita il sogno del Dardano, a cui non comparve Livia con la recisa man, l’aperto lato, sembrandomi assai più probabile che al primo colpo ella cercasse di ripararsi colla mano, ed anche al secondo, onde la mano venisse gravemente ferita, ma non recisa. L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (La sua spiegazione ha invece persuaso il Vice Bibliotecario di Mantova Negri, che in una lettera scrive a Napione di aver trovato un epigramma latino che confermava le ipotesi d’C.; nel componimento però non vi è un riferimento esplicito alla mutilazione della mano. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che n ... Il manoscritto è vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul ... C. si occupa anche di un altro fatto di cronaca nera dai risvolti torbidi e brutali: l’assassinio di una contessa da parte di un ufficiale francese40. Presso il Fondo Peyron sono conservati due documenti, scritti da mani diverse41, concernenti la vicenda del delitto della Contessa Aureli della Torricella; le prime due carte contengono una raccolta di cinque testimonianze intorno a Monsù, ovvero Monsieur, Bresse («Memorie intorno Monsù Bresse che uccise la Contessa Aureli della Torricella, nata Colli, famiglia patrizia della Presente Città di Cherasco»), mentre le successive quattro carte contengono un racconto particolareggiato dei fatti. Il narratore formula varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può ... Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’al ... La vicenda esposta nel secondo documento è la seguente: l’ufficiale francese Monsieur Bresse42 è follemente innamorato della Contessa Aureli della Torricella che però, pur apprezzando la sua compagnia, non vuole concedersi all’amico. Dopo un anno di incessanti nonché vani corteggiamenti, Bresse sale a casa della donna e, approfittando di un momento di intimità, tenta per l’ennesima volta di sedurla; la Contessa Aureli però si nega in modo risoluto e la fermezza del suo rifiuto umilia a tal punto il Bresse da farlo cadere in preda a un raptus omicida: egli brandisce la spada e sferra sei colpi nel petto della donna. La vittima, nel tentativo di difendersi, si taglia di netto un dito della mano e il suo disperato schermirsi eccita ancor più il furore sadico del Bresse, che la colpisce sul volto con pugni e con l’elsa della spada. Finito il massacro, l’assassino chiude la porta a chiave e torna a casa, dove, colto dal rimorso e dall’orrore delle proprie azioni, si toglie la vita con un colpo di baionetta in mezzo agli occhi. La Contessa intanto, non ancora sopraffatta dalla morte, striscia in un lago di sangue e tenta di alzarsi aggrappandosi alla tappezzeria, che cede per il peso del corpo e fa ricadere a terra la donna ormai agonizzante. L’Aureli viene ritrovata qualche ora dopo col volto tumefatto, il petto squarciato dalle ferite e un orecchio aperto in due. Più tardi viene rinvenuto anche il cadavere del Bresse, che dopo essere stato conservato tre giorni nella sabbia, viene seppellito, secondo un ordine giunto da Torino, come si farebbe con «dei cani o degli asini morti». Il racconto si conclude con una tirata moraleggiante contro la pratica del cicisbeismo, ormai diffusasi anche presso le «petecchie di Cherasco» che fanno carte false per procurarsi un «damerino». Il suo comment si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare i ... C. scrisse alcune considerazioni in merito al secondo documento del manoscritto. Questa non è relazione, ma novella, a imitazione di quelle del Boccaccio, benché non molto felicemente lavorata. Le ultime parole sono d’un impostore, che le ha aggiunte a disegno di far credere che fosse questo un ragguaglio fatto a un Cardinale. Ma oltre che vi stanno appiccicate collo sputo, e non sono dello stile del rimanente, non si confanno in modo alcuno col titolo e cominciamento. Senza dubbio l’autore finì ove ha posta la stelletta. È qui del rimanente questa novella molto mal concia del suo copista. L’abate quindi commenta il manoscritto da due diversi punti di vista: da un lato dimostra la falsità delle dichiarazioni che chiudono il racconto e dall’altro critica i contenuti e lo stile della narrazione. Per quanto concerne il primo aspetto, C. fa riferimento all’ultima frase del testo, scritta dopo un asterisco: «E con questa scrizione sonomi ingegnato di contentare l’eminenza vostra, alla quale contarlo profondissime riverenze divotamente mi raccomando. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve r ... Le argomentazioni addotte dall’abate per smascherare la contraffazione sono convincenti: lo stile dell’ultima frase non si sposa con quello del racconto e anche il contenuto di questa presunta aggiunta è svincolato dalle altre parti del testo. La nostra analisi grafologica ha stabilito che l’ultima frase fu scritta dalla stessa mano del resto del testo; questo dimostra che il documento posseduto dal Caluso non è l’originale, ma è una trascrizione realizzata da un copista inesperto, che non si era accorto della falsificazione. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, l’abate sottolinea che il testo del secondo documento non possiede né lo stile né la struttura di un resoconto rigoroso e oggettivo, ma somiglia a una novella di poco valore47. Questo giudizio è dovuto allo stile lambiccato e ridondante del narratore, che in diversi punti cade nel comico involontario.  16Questo caso di omicidio-suicidio avvenuto nella provincia cuneese del Settecento stimolò la curiosità del Caluso, che, come abbiamo visto, si era già interessato al delitto di Livia Colonna. Molti sono i punti di contatto tra i due fatti di cronaca: in entrambi i casi si ha una bellissima nobildonna massacrata e mutilata (a Livia, secondo la ricostruzione dell’abate, viene tagliata la mano, mentre alla Contessa vengono recisi un dito e parte di un orecchio) da una persona apparentemente fidata e intima (Livia è trucidata dal genero, mentre la Contessa è uccisa dal proprio cavalier servente). T. Valperga di C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il melodramma ita-liano: un incontro. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine Houdar de La Motte,  che ebbe uno straor ... C. si era interessato anche a un terzo caso riguardante una bella e sfortunata vittima di un efferato omicidio dalle conseguenze raccapriccianti: il sonetto Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta dei Versi italiani, infatti, è dedicato a Inês de Castro, che, come ricorda l’abate nell’intestazione, fu «fatta uccidere da Alfonso VI re di Portogallo, perché sposa di Pietro suo figlio, poi successore, che la fece dissotterrare e coronare». Le notizie indicate dall’autore sono corrette: Inês de Castro è l’amante del principe Pietro di Portogallo al giorno nel quale fu pugnalata barbaramente di fronte ai propri figlioletti da due sicari mandati dal re Alfonso VI, che era stato indotto ad autorizzare questo gesto sanguinoso da tre consiglieri, preoccupati dalla crescente prepotenza dei fratelli della donna, che si erano conquistati la fiducia e l’appoggio del principe. Pedro perdette il senno per lo shock e, raggruppate alcune milizie, mosse guerra contro il proprio padre, con il quale stipulò una tregua solo grazie all’intercessione della madre. Una volta divenuto re, Pedro diede sfogo alle proprie vendette e ai propri deliri: condannò a morte due dei consiglieri del padre, ai quali venne strappato il cuore di fronte ai cortigiani e ai militari d’alto rango, costretti ad assistere a questa atroce punizione, e fece disseppellire e ricomporre il cadavere di Inês, affinché la salma della propria amata fosse incoronata dal vescovo “regina di Portogallo”. Questo fatto sanguinoso ispirò molti autori, primo tra tutti Camões, che cantò le lacrime di Inês nei Lusiadi; nel Settecento e nell’Ottocento la dolorosa vicenda di Inês ebbe ampia fortuna sia nel mondo del teatro musicale sia in ambito tragico. Nel sonetto calusiano, Inês ricorda la propria triste vicenda terrena e la propria incoronazione post mortem e sottolinea la crudeltà del re e l’efferatezza dell’omicidio:  Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta Ebbi scettro e corona, in vita affanni; Benché pur di pensar foss’io contenta Fra gli opposti furor di due tiranni.  Amando me, cagion de’ nostri danni L’un, di me privo Re crudel diventa; Sdegnando, credé l’altro i miei verd’anni Ragion di Re troncar con man cruenta.  Ahi suocero spietato! e in che t’offese Beltà modesta, umil, se de’ suoi rai Perdutamente il tuo figliuol s’accese?  C., Versi italiani. Io vinta, mal mio grado il riamai. E se incolpi Imeneo, che a noi discese, Mio bel fallo sarà che non peccai. C. si dilungò nella descrizione di un macabro fatto di cronaca anche nella lettera al nipote Giovanni Alessandro Valperga marchese di Albery nella quale viene narrato l’agghiacciante suicidio del giovane professore torinese Don Casasopra, che, caduto in un profondissima depressione, si era tolto la vita in quella notte. Cipriani, Le lettere inedite d’C. al nipote Giovanni Alessandro si trovò il letto imbrattato copiosamente di sangue ed egli con un laccio al collo, soffocato presso a una scanzia, ed era lacerato di colpi di temperino, che alcuni dicono giungere al numero di vent’otto. Se ne poté conchiudere che egli cominciò per tentar d’uccidersi sul letto con volersi tagliare i polsi alle mani e alle tempia e poi si dié tre colpi di punta verso il cuore, e tardando forse la morte, o che immediatamente egli siasi anche a ciò trasportato, egli passò a impicarsi. La cagione si può credere una frenesia nata di malinconia e d’accension di sangue. Se indaghiamo in modo approfondito i quattro casi che attirarono la curiosità dell’abate, ci accorgiamo subito che l’elemento che li accomuna è la brutalizzazione del corpo. Livia e la Contessa Aureli non sono semplicemente uccise con violenza; i loro corpi sono massacrati in modo gratuito, perché la maggior parte delle ferite inferte non sono funzionali alla morte delle donne, ma sono frutto della rabbia e del sadismo degli assassini (la criminologia contemporanea cataloga questi atti come overkilling, considerandoli una importante aggravante in sede processuale). In questo modo gli omicidi privano le donne non solo della vita, ma anche della bellezza e, quel che è peggio, della dignità: lo spettacolo che si apre a coloro che trovano i cadaveri infatti è indecente. L’insistere sull’avvenenza delle due donne quindi è funzionale per creare il contrasto tra ante e post flagitium; il potere deturpante della follia colpisce la sensibilità del lettore, che inevitabilmente resta più impressionato di fronte al corpo straziato di due belle e giovani donne rispetto a quello, per esempio, di uomini adulti. L’assassino di Livia – anzi, stando alle carte processuali, i due killer assoldati da Pompeo – mutila la donna per lanciare un messaggio, mentre Bresse stacca un dito e parte di un orecchio alla Contessa perché non sa dominare la propria furia. Tanto i primi quanto il secondo non portano con loro le parti mozzate per farne un trofeo o una macabra reliquia, perché non sono mitomani o psicopatici, i primi, infatti, lavorano “su commissione”, mentre il secondo agisce in preda a un raptus. A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza. Nel terzo caso, quello di Inês, si assiste a un ribaltamento di prospettiva: all’amputazione si sostituisce la ricomposizione del cadavere; opposto è anche il tipo di follia che provoca il “gesto”, si passa dal furore omicida al furore amoroso, che sembra essere ancora più sconcertante. Anche in questo caso il contrasto tra la «beltà onesta, umil» di Inês e la sua salma ricomposta – o meglio quello che resta della sua salma dopo oltre due anni di decomposizione – è molto forte; l’incapacità di dominare il desiderio di vedere riconosciuto il ruolo di regina all’amatissima defunta porta Pedro a spalancarne la bara (la cui chiusura, ci insegnano gli antropologi, segna «la fine di ogni possibilità di intervento sociale, culturale e affettivo sul corpo») e a plasmare una creatura mostruosa. Nel quarto caso è l’accumulo verticale di violenze autoinflitte a creare ribrezzo: la mente allo stesso tempo si serve del corpo e lotta contro esso, che da un lato si fa strumento di tortura e dall’altro si ribella, resistendo alla morte il più possibile. Ciò che sconvolge è la frenetica impazienza del Casasopra, che desidera a tal punto annullare la propria esistenza da suicidarsi, potremmo dire, tre volte contemporaneamente. L’abate quindi osserva una terza tipologia di follia, quella suicida. C.. si concentra tanto sul corpo mutilato delle vittime quanto sul corpo mutilante dei carnefici, che possono trasformarsi a loro volta in vittime di se stessi; in Don Casasopra carnefice e vittima coesistono, mentre Bresse, spinto dal rimorso, decide di togliersi la vita in modo razionale, per quanto è possibile, contrariamente al professore torinese che cede invece alla «frenesia». Negli occhi di C. è assente la pietà cristiana, non perché egli fosse insensibile alle sciagure, ma perché l’interesse che lo spinge a osservare questi fatti di sangue è di tipo scientifico; egli, in generale nei suoi scritti filosofici, evita di introdurre considerazioni di carattere teologico o semplicemente religioso, perché non sente l’esigenza, provata da molti suoi contemporanei, di conciliare il cristianesimo con la filosofia dei lumi o con le correnti filosofiche antiche, i concetti di virtù o di colpa vanno intesi sempre in senso laico. Lo sguardo scientifico è evidente, per esempio, nella descrizione del terrificante suicidio del professore torinese. L’abate non spende parole di pietà per il Casasopra, ma presenta subito le proprie ipotesi in merito alle cause di un gesto così estremo: egli suppone che la follia suicida sia stata scatenata dalla combinazione di una causa psicologica («malinconia») e una organica («accension di sangue»). Senza la sentenza scientifica finale, la descrizione del suicidio del Casasopra potrebbe avere anche un che di farsesco (un farsesco funereo, ma pur sempre farsesco): l’immagine di un uomo che con ventotto coltellate e i polsi tagliati tenta di impiccarsi però non fa sorridere cinicamente, perché C. descrive il tutto come un caso clinico e non come una scena, mi si passi il termine, splatter, anzi comic splatter.  C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco. L’abate non sovrappone la fiction agl’oggetti della propria RIFLESSIONE FILOSOFICA. La componente orrorifica, per esempio, è molto presente nel Masino, poemetto popolato da mostri, diavoli, folletti malvagi e morti resuscitati; questo testimonia che egli non fu immune all’influenza dell’Arcadia lugubre, ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con i quattro casi dei quali ci stiamo occupando, che non sono trattati come storie, come racconti, ma come fatti di cronaca, recente o lontana, da esaminare. La terrificante incoronazione di Inês è sviluppata sì in un sonetto, ma la prefazione in prosa che illustra la vicenda storica testimonia che l’autore aveva compiuto studi approfonditi sull’episodio, forse durante il suo soggiorno lusitano. Il corpo smembrato viene “osservato” non con compiacimento morboso, ma con l’occhio attento del filosofo, che, studiando il potere della ragione, è costretto a indagarne anche i limiti e le ombre. C. in verità non censura in alcun modo i particolari più macabri delle vicende, come l’arto mozzato di Livia, la pozza di sangue nella quale striscia la Contessa, il foro in mezzo alle ciglia di Bresse (poi sotterrato come la carogna di un animale), lo scettro ricevuto da Inês «in freddo marmo», le ventotto ferite del Casasopra; questo sguardo fisso sui dettagli più agghiaccianti però non è fine a se stesso, ma serve a “toccare con mano” quanto orrore generi la follia. Così nella vicenda di Inês, ciò che disgusta maggiormente il lettore non è il ripugnante cadavere ricomposto, ma la pazzia di Pedro: insomma il mostro non è lo scheletro di Inês, ma Pedro stesso.  L’interesse per i fatti di sangue dimostra come sia fuorviante e falsa la rappresentazione di C. come saggio rintanato nel proprio rassicurante romitorio, dal quale contempla con indifferenza il mondo e le sue passioni; egli, al contrario, era attaccato alla “vita reale” (ne è una riprova il fatto che nelle sue opere preferisce sempre offrire esempi tangibili, senza abbandonarsi a teorie fumose o ad astratte elucubrazioni) ed era desideroso di studiare l’uomo “vero” – quello che, a volte, cede alla brutalità e alla follia più nera – e non l’uomo ideale. Il Caluso crede che ogni progresso sia possibile solo partendo dall’analisi di «ciò che esiste», egli non vuole proporre un modello utopistico di uomo perfetto, ma desidera ragionare concretamente sulla natura umana, sulle sue luci e sui suoi spettri. Sulla figura dell’abate di C. si vedano gli studi del Calcaterra e, soprattutto, del Cerruti (M. Cerruti, La ragione felice e altri miti del Settecento, Firenze, Olschki, Le buie tracce: intelligenza subalpina al tramonto dei lumi; con tre lettere inedite di Tommaso Valperga di C. a Bodoni, Torino, Centro studi piemontesi; Un inedito di Masino all’origine dell’opuscolo dibremiano ‘Degli studi e delle virtù di C.’, «Studi piemontesi», Inoltre mi permetto di rinviare anche alla mia monografia:Contini, La felicità del savio. Ricerche su C., Alessandria, Edizioni dell’Orso. Si legga il seguente passo, tratto da una lettera del Foscolo alla Contessa d’Albany: «e io lasciai l’ordine ch’ella, e il pittore egregio, e l’ottimista abate di Caluso avessero l’edizione in carta velina» (Foscolo, Epistolario, a cura di Carli, Firenze, Monnier). Questo appellativo si riferisce, ovviamente, alla più famosa composizione dell’abate, il poemetto in terza rima La Ragione felice, composto a Firenze, come precisa l’abate stesso nell’introduzione alla raccolta Versi italiani (Euforbo Melesigenio, Versi italiani di Tommaso Valperga Caluso fra gli Arcadi Euforbo Melesigenio, Torino, Barberis. L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca di Torino, ora pubblicato in Contini, La felicità. A proposito del concetto calusiano di rassegnazione, si legga il seguente passo, tratto della lettera alla Contessa d’Albany. De’ cardinali Doria lodo la rassegnazione, virtù troppo necessaria alla felicità, o per parlare più esattamente a scemare l’infelicità nostra, onde io ne fo uno de’ punti precipui della mia filosofia, d’acquetarsi alla necessità» Pélissier, Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris, Fontemoing, Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot aveva constatato che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tutt’altro che virtuosi, e lo stesso ragionamento era stato presentato da Voltaire a proposito della razionalità. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero necessarie all’uomo per sfuggire la noia era stato sottolineato con forza dall’abate Du Bos nel primo capitolo delle Réflexions critiques sur la poésie et la peinture (1718), opera che eserciterà una grande influenza sull’estetica settecentesca. In questi versi il Caluso non fa riferimento alla noia, ma descrive uno stato d’animo ancora peggiore: l’apatia.  Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino (Varia).  10 I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les aventures du Marquis de Belmont écrites par lui même ou les nouveaux malheurs de l’amour (Varia) sono conservati presso la Biblioteca Reale di Torino. Euforbo Melesigenio, Versi italiani. L’inedito “Varia Philosophica”, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è riprodotto in CONTINI “L’attività filosofica di C.”, Mattioda, Torino, C., Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie des sciences littérature et beaux-arts de Turin, X-XI, Torino, Imprimerie des sciences et des arts. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel 1555.  15 Id, Di Livia Colonna. C. in un brano del “DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” sottolinea come sia importante esaminare le notizie riferite dai poeti. Diciamone adunque partitamente vediamo prima qual sia L’ESAME DEL FATTO per trarne i precetti per questa prima parte anche per la critica degli avvenimenti che ci siano tramandati dagli scrittori di qualche genere, e partitamente da’ Poeti. (“DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” Fondo Peyron). L’abate cita le seguenti fonti. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani gentilhuomo fiorentino. Divisa in libri XXII, Firenze, Giunti, e Santis, Columnensium procerum imagines, et memorias nonnullas hactenus in vnum redactas, Roma, Bernabo. C. ricorda che vari poeti avevano scritto molte dolenti rime su questo tema e cita un passo di un madrigale del Caro. Presso la Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato il manoscritto Composizioni latine et volgari di diversi eccellenti authori sovra gli occhi della Ill. Signora Livia Colonna (Capponi).  C., Di Livia Colonna. L’abate fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Domenico Santi chiamata Orintia, Oritia, trovisi altrove chiamata Ortenzia”. Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere in Studi offerti a Giovanni Incisa della Rocchetta, Roma, Società romana di storia patria, Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Processi.   I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni oculari.  La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla gola e molteplici volte ai fianchi, ma non fece alcun riferimento alla mutilazione di arti. Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Porrino custodito nel Fondo Cian, «Giornale storico della letteratura italiana», L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su V carte scritte sia sul recto sia sul verso, a parte l’ultima, scritta solo sul recto.  È bene precisare che Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il saggio del C.. Probabilmente questo anonimo amico aveva poi consegnato all’abate lo scritto del Verani. Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano (Fondo Masino).  Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di Livia, non vi è altro documento, ch’io sappia, se non la semplice osservazione del Sansovino, di cui non possiamo fidarci, poiché non Livia, ma Lucia donna di Marzio Colonna, la quale fu morta da Pompeo suo genero. Quindi è che non so indurmi a credere Pompeo capace di sì orrido fatto, e molto meno per un vile interesse o di eredità o di dote o di qualunque altro motivo o di odio e vendetta a noi ignoto». Egli in un passo successivo sottolinea anche che Livia chiamò “figliuolo” il proprio uccisore non perché era suo genero, ma per intenerirlo e indurlo a desistere dal gesto delittuoso. L’articolo di lettera è conservato presso gl’Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (St. Patria). Non si tratta della lettera originale del Negri al Napione, ma di una copia dello stesso Napione, che, su richiesta del Balbo, trascrisse la parte della lettera che riguardava C. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che nell’adunanza della Patria Società letteraria propose la composizione di una novella su questo argomento (C. Calcaterra, Le adunanze della ‘Patria Società Letteraria’, Torino, SEI). Non era presente a questa adunanza, in quanto entrerà nella Filopatria ; sappiamo però che egli intervenne a qualche assemblea anche prima di questa data e che intrattenne stretti rapporti coi Filopatridi. Probabilmente quindi l’abate si interessò alla vicenda di Bresse grazie a qualche conversazione con gli amici e colleghi torinesi. Il manoscritto è vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul verso: le prime due sono scritte da una mano, mentre le altre 4 da un’altra. Entrambe le grafie non sono riconducibili a quella di C.. Il narratore formula varie ipotesi sulle origini di Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può essere identificato con un ugonotto, un massone o un ex chierico. Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’allora profess. di Retorica D. Castellani, ed è questa in data 9 giorni dopo l’avvenimento». Annotazione scritta dalla stessa mano che aveva compilato il primo dei due documenti (Memoria intorno a Bresse; Fondo Peyron). Il commento del C. si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare inoltre che nel verso dell’ultima carta si leggono alcune prove di firma del C. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve riassunto: «Un’ufficiale di Francia ama una Donna Piemontese per lo spazio di più di un anno, e perché da lei gli è vietato il venir ad ottenere qualche suo fine poco onesto, la uccide, e ultimamente pentito di tanta atrocità usata, da se medesimo si dà la morte. C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il melodramma italiano: un incontro obbligato, in Inês de Castro: studi, a cura di P. Botta, Ravenna, Longo. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine Houdar de La Motte, che ebbe uno straordinario successo di pubblico e venne tradotta dall’Albergati (Albergati Capacelli, Paradisi, Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano, Liegi ma Modena. C., Versi italiani. Cipriani, Le lettere inedite di C.al nipote, marchese di Albery conservate nei fondi del castello di Masino, tesi di laurea, relatore Marco Cerruti, Torino, Università degli Studi,  A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco, ambasciatore in Portogallo e futuro viceré di Sardegna. In questo periodo venne a contatto con la cultura portoghese, spagnola e inglese e, come tutti sanno, conobbe e “iniziò alla poesia” l’amico Alfieri. Declension Edit First/second-declension adjective.  Number Singular Plural Case / Gender Masculine FeminineNeuter Masculine Feminine Neuter Nominative initiātus initiāta initiātum initiātī initiātae initiāta Genitive initiātī initiātae initiātī initiātōrum initiātārum initiātōrum Dative initiātō initiātōinitiātīs Accusative initiātum initiātam initiātum initiātōs initiātās initiāta Ablative initiātō initiātāinitiātō initiātīs Vocative initiate initiāta initiātum initiātīinitiātae initiāta References Edit initiatus in Charles du Fresne du Cange’s Glossarium Mediæ et Infimæ Latinitatis (augmented edition with additions by D. P. Carpenterius, Adelungius and others, edited by Favre)  Warburton. DISSERTAZIONE   SULL’INIZIAZIONE A’MISTERII ELEUSINI; OVVERO, NUOVA SPIEGAZIONE DEL LIBRO VI  DI VIRGILIO, tratta dalla sessione della Divinici  della Mistione di Mose  MOSTI ATA  DA WARBURTON  Stenda Sdiva VENEZIA  Curii. Al NOBILE SIGNOR BARONE   GIROLAMO TREVISAN   VICE-PRESIDENTE AL TRIBUNAL D'APPELLÒ  ìli VENEZIA bLÌ EDITORI, Non il paiavinó nobile sangue j che nelle vene vi scorre, non l'antichità de’ vostr’avi 3 non gli onori e le cariche eh  tra gli altr’uomini vi distinguono j furonoj Egregio Signore le cagioni che ci  spinsero a umiliarvi rispettosi la presente dissertazione: cerchino altri sì fatte cose o per vite adulazione bassissima, o per  mercarsi non mentati favori o per altr’indiretti fini del generoso animo vostro  onninamente indegni ma sì bene ci mossero e i rari vostri talenti che fecervi un  giorno brillare guai lucidissima stella nel veneto foro, e il genio che nutrite verace per ogni sorta di letteratura. Possian  dunque dire che vi appartenga questa operetta come a quelt esimio personaggio che di vera FILOSOFIA lo spirito fornito e  di fino critico gusto le bellezze ammirare sapete della veneranda antichità. Accogliete pertanto di buon cuore quelh che  offerir vi possiamo e siate certo che cm-  ptiratorì ognora de’ vostri pregii e delle  virtù vostre conserveremo per voi quella  stima, venerazione e rispetto con cui di  essere ci protestiamo,   là zs. X inalrtiente comparisce alla veduta del dotto mondo il vero VIRGILIO: il suo poema veste le ingenue sembianze, di cui lo adorna  il suo autore: quello che finora hanno gl’amatori della sapienza, i filosofi. In esso riconosciuto  di bello ora di nuova luce rifulge; e quanto a’ critici è parato di riscontrarvi dì assurdo e sconcio, e al rigore dell’epiche leggi incoerente ad un tratto dileguasi. Cosi felici effetti ha prodotti la presente dissertazione. Il giudizioso inglese che l'ha scritta facendosi a contemplar di pie fermo quel filo  segreto che l’Omero latino condusse in questo divino poema, colpi nell'intimo sno spirito, scoperse le ragioni, di tutto ciò, che  introduce nell'ENEIDE VIRGILIO, e l'ipotesi sua co quella vasta erudizione che possede,  colle cose, costumi, e opinioni dell'antichità  raffrontando, comprese ch’ella regge con  mirabile armonia e alle idee dell'autore e  alla natura dell' epica poesia ed alla sapienza degl’antichi FILOSOFI. Se ciò  sia vero, lo scorge il leggitore leggendo l’opera presente, e dopo letta, a rileggere ponendosi, e studiare VIRGILIO attentamente,  L'Autore della Disseriazione non ebbe in vista che d'illustrare il VI Libro dell'ENEIDE. Ma la sua scoperta è di un uso universale per l’intero poema virgiliano, che pell’intelligenza d’ogn’altro, e spezialmente di  quello d' Omero . Quindi è che noi creduto abbiamo di fare cosa graia alla letteraria  repubblica nel dare alla luce quest’opera  dall’inglese nell’italico idioma rrcala-, e vi-  viamo colla fiducia, che i leggitori ci sajjra,n,  po grado di sì utile impresa. Per solo bene e vantaggio della società letteraria ci siam noi mossi a riprodurre U  presente Dissertazione; e come sapevamo esser rarissima e ricercata, abbiamo tostamente procurato dì ripiegarla e correggerla; di  note fornirla e d'illustrare con alcuni cenni la  vita del suo Autor valoroso, e farne così al  collo pubblico un dono, Di quanto pregb  ella sia, quanta contenga erudizione non è  a dire; sarebbe desiderabil cosa che tutti ì italiani delle lettere amanti, i quali Unto vanno affaticandosi per isludiare l’epico latino, prima attentamente leggessero questa  dissertazione che porge la chiave a bene,  eziandio comprenderne tutto il poema. Non  dubitiamo pertanto, che gl’eruditi non ci appiani grado di questa, benché leggiera,  fatica j e il lor favore in adesso ci serve di sprone, onde farsi strada ad imprese maggiori. Ha l’uomo collo ed erudito noniolo, ma piu audio l'imperito e l'indotto un desiderio pressoché costante, una voglia direi qnati innata di voler investigar n conoscere in azioni e le gesta, di  que' tra suoi simili, che sugli altri emersero t p er gebio peti tiratore e sagace, o per talenti  letterari e politici, o per dignità ragguardevoli, o per onori non comuni, o per altra mai  dote, la quale tulio scioperato vulgo distinguere ne li faccia, fi da questo desiderio, è da  questa voglia che riconoscer debbe la repubblica  letteraria e scientifica quei lumi tutti, che (les-  sa per opera de' suoi membri possiede in riguar-  do alla virtù, e al merito de' più chiari eroi,  che ognora illustre la resero. È perciò eh' ab-  biamo creduto noi opportuno il dar qui in ri-  stretto (come la parvità del volume lo esige)  alcuni cenni sulla vita del chiarissimo autore  della presente Dissertazione. Warburton nacque nel Dicembre  del ni Ì 11 effe ì ce n tono van torto il vigesimoqnarto giorno a Nevarck sul fiume Trent nella gran  Brettagna, nella qual città occupava suo padre  il posto di Procuratore. Warburton di perspicace acume dotato e non vulgare  talento nelle principali Università l' ordinario corio degli stadi! a percorrer lì diede, e riportatane  laurea nelle teologiche discipline colla fama di  letterato ed erudito quegli sturili a ricominciar  ritiro»;, che più alla naturale sua inclinazione  si confacevano ; ben persuaso che le scuole non  additino che i mezzi, onde fare di vera sapien-  za l'acquisto. Si applicò quindi alla erudizione  sacra e profana, non che all' amena letteratura,  e ben presto mature fratta produsse . Tardi pe-  rò agli onori ed alle dignità elevato il volle for-   long^-iaa jamfls tardi altrettanto più sublime-  mente innalzollo. Aveva egli trascorsi cinquan-  tasei anni dell'età sua, quando Giorgio II. che  allor l'Inghilterra reggeva con suo grazioso decreto il fece sno Cappellano., e in breve forni-  re di un canonicato in Durbatn ne lo volle.  Proseguiva frattanto le sue erudite fatiche iti  nostro Guglielmo, quando l'anno correndo niil-  Jesettecen sessanta videsi egli al decanato di Bristol inopinatamente eletto, la qual dignità non  fece che servirgli di scala all' onor vescovile,  di cui tra non molto con soddisfazione e con-  tentamento di que' tutti, che le di lui virtù,  conoscevano, fu giustamente insignito. Fugli a  sua sede destinata Gloceiter, che a reggere cominciò con non ordinaria: moderazione e prudenza da meritarne de' suoi connazionali gli applau-  si . Ognor vigilante, sobrio, amico dì tutti, vero filantropo degno stato sarebbe (se altronde 1*  provvidenza non avesse rettissim amente disposto)  d'essere ortodosso, e di possedere diocesi orto-  dossa . Tra le cure però di suo vescovato tener  godeva in casa letteraria conrersazione e giocon- ila, onde il ma affaticato spirito alquanto ri-  crearsi potesse ; e come dotato era dal Cielo di  eccellente memoria, e per meno de' suoi travi.,  gli di vasta erudizione, così sapea talmente a  lempo con istradivi aneddoti la compagnia rav.  vivaio, ch'era egli della società chiamato l'ido-  lo e la delizia. Fra tante virtù aveva tuttavia  il difetto a' suoi patrioti universalmente comu-  ne, quello cioè, di essere nell'odio terribile,  quanto nell'amicizia tenero e dolce: a sua lau-  de per altro riflettali die una legg'"^ «mpen-  aazione, una minima protesta discuta era a cai-  marlo sufficiente. Sin qui il Warburton non ci  i prelenta che personaggio di rare qualità, di  cariche e di onori fornito ; ma è tempo che renda di pubblico diritto le immense fatiche, che  per naturale suo genio a sostenere ai accinse. Sempre amico delle lettere, e della gloria de'  auoi cittadini volle egli darne un saggio col pre-  siedere all' impressioni! delle opere del grande  Shakespear, la quale più nitida rese per nota-  bili correzioni, ed illustrò con crìtiche note,  dove tutto it giudicio risplende, che tanto i ve-  ri dai troppo creduli critici distingue. L'amici-  zia stretta .col Pope lo indusse pure a, sopran ten-  dere alla stampa de' di lui lavori, che colla usa-  ta sua diligenza presto trasse a line. Persuaso  che allora camminarebbe meglio la società, quan-  do la religione e la politica si congi ungessero  insieme a formarne i reali vantaggi, diede alla  luce delle sode dissertazioni sulla unione appunto della Religione, della Morale, e della Politi-  ca, le quali poi trasportò in gallica lingua Stefano di Silhouette, e in due voltimi di vite.  Per porgere, dirà coi), pascolo alla sua estcìis.  «ima erudizione scrisse auche un discorso intorno al terremoto, e all'eruzione ignea, che im-  pedirono all' Apostata Imperatore la restaurazio-  ne del Tempio santo, Ma tntto questo sapere  diWarburton è nn nulla in paragone della critica, del genio, della erudizione, che dispiegò  in un'opera, la quale nei fasti delle scienze  renderlo doveva immortale, e cui, come osser-   Vano -d«» JrttWMti " ili maaturl delle rìcer-   che antiche leggeranno sempre con -piacere,  ed anche con frutto e vale a dire la di-  vina legazione di Masè dimostrata in quattro  volumi distribuita. II filosofo di Farne/ cerco  tosto di accreditare coli' autorità di Warbnrton  tutte le imposture, gli errori, le follie, le men-  zogne, che sacrilegamente «parie aveva nel Li-  bro dei Libri; quindi è che astenere non si potò dal non tributare in larga copia all'Anglo  Prelato gli encomii li più seducenti e lusinghieri . Guglielmo pero che aveva nel petto nn fon-  do di virtù bastante a far argine a coteste vi-  lissime adulazioni, e che l'empietà appieno conosceva dell' autore della Pulcella d' Orleans, in  una seconda edizione a provare si fece che il  aig. di Voltaire non solo non avea l'opera inte-  sa, ma che l' avea falsamente citata, peggio in-  terpretata, e impudentemente calunniato Tanto-  re di essa. L'Oracolo della Francia allora canto Dóion. degli Uom. Ili, v. gli nelle più amate invettive, nei sarcasmi più  «cuti, nelle ingiurie più maldicenti gli clogii  che aveva al Vescovo di Glocesttr prodigalizza-  to, a cu! non degnò egli rispondere mostrando  colla sua grandetta d'animo di quelle ingiurie  la insussistenza, e procacciando così alla sua  opera più durevole fama. Osservan nullameno ì  Critici che più perfetto ne sarebbe il lavora t so  ognor vi rispondesse il lucido ordine di Orazio,  « se più digerita la erudizione ne fosse. Chec-  ché peto sia, resr eterno il nome del celebre  Inglese, e dì questo n'hanno un bel saggio i  leggitori nella presente disseriazione » di' è da  quello ricavata -   Una vita sobria e morigerata fece trarre al  Warborton pacifici giorni e tranquilli da nessun  malore sturbati ; sicché carico d'anni in Glocetcr ai siile Gingno del niilles ettecen setlantanove  compi sua mortale carriera da tutti ì suoi, non  monodie dalia letteraria repubblica meritamente  compianto, lira egli di statura alta, grosso e  corpulento anzicheno, di carnagione rubicondo,  di temperamento forte e robusto.   Questo è quanto abbiamo di lui potuto rac-  cogliere, e succintamente esporli benevolo leg-  gitore ;   Vive ; Vali : si quid navìitì reHiut istis  Candidai imperli: li »m, bit Mere memi». Virgilio nel libro Yl.;"cfi*r fl "Capo 3'opera  dell'Eneide, ha per dileguo di descrivere l'iniziazione del suo eroe ne' misterii, e di mettere  lotto l'occhio de' suoi leggitori almeno ima parte dello Spettacolo Eleusino, in cui tutto face-  vasi per mezzo di decorazioni e macchine, e in  cui la rappresentazione della storia di Cerere da-  va occasione di far comparire tal Teatro il Cielo, l'Inforno, i Campi Élisii, il Purgatorio, tutto ciò che ha relazione eoa lo stato avvenire degli uomini.   Ma acciocché il lettore non si offenda di questta proposizione che può sembrare nti paradosso,  sarà cosa utile l'esaminare qual sia il carattere  dell' ENEIDE. Tutti e due i Poemi di Omero contengono la  narrazione di un'azione semplici; ed unica, de-  tonata ad insegnare un punto di morale egual-  mente semplice, ed in questo genere ammirasi  con tutta la ragione questo filosofo. E impossibile che in ciò VIRGILIO lo superasse. Il suo  vero modello e perfetto; niente mancatagli,  ii maniera che i maggiori partitami del FILOSOFO LATINO, senza eccettuarne Scalugero', ridotti si no a (allenare, eh' e FILOSOFO LATINO, e lo Scaligero stessa ha sostenuta, clic lutto il vantaggia di Virgilio aopra Ornerò consiste negli Episodi i j nelle descrizioni, comparazioni, nella netiena, e purità dello stile, è nella aggiustateza dei pensieri ; ma ninno ha conosciuto a mio  credere il principal vantaggioeli' égli ha sopra  il Poeta Greco: Egli trovò il Poetila Epico mesto già nel primo ordine di tutte l'opere dello  spirito umano; ni* ciò non ancora soddisfaceva  a'suoi alti disegni. Non bastavagli | clip l' istrui-  te gli uomini nella morale fosse il fine del Poe-  Ina Kpico; neppure l'insegnare la Fisica j come  ridi col oiam ente s'immaginarono alcuni antichi.  Egli è vero, ch'ei compiaceva^' di queste due  •otta d» studii; ma voleva comporre un Poema,  che fosse un sistema di politica. In fatti ì ta-  le la ina Eneide in versi, come in prosi sono  i sistemi politici, e le Repubbliche di Platone,  e di CICERONE; e quegli insegna con l'esempio  e con le azioni di un eroe ciò, che questi insegnano coi precetti . Cosi Virgilio portò il poema epico ad nn nuovo grado di perfezione, e  come di Menandio disse Vellejo Pater colo inve-  niebat, neque imitandum rclinquebat . Benché  possa ognun vedere facilmente t che sotto il carattere di ENEA rappresenta: i OTTAVIANO; pure  siccome credevasi^ che questi ammaestramenti  politici destinati veramente per utile di tutto il  genere umano riguardassero il solo principe;  così niuno ha compresa la natura dell' “Eneide”.  la questa ignoranza i Poeti, che vennero dopo, volendo imitare questo Poema, dì cai non conoscevano il vero genio, riuscirono ancora peg-  gio di quello,- che sarebbero riusciti, se si fos-  sero contentati di prendere per modello il semplice piano di Omero. M. Pope gran Poeta de nostri tempi, é giudice competente in tali materie, dice nella prefazione all' Ilìade spiegando-  ne la cagione. Gli altri Poeti Epici, dice egli, banco seguito Io stesso metodo ; ( ciò* quel  di VIRGILIO, che unisce due Favole insieme,  n t jj- 'A una sola ) ma- in ciir st-som» tanto avanzati, che hanno introdotta una inokipli-  „ cita di favole, con cui hanno interamente  „ distratta l'unità dell'azione, e l'iianprolungata in ana maniera del lotto irragionevole, cosicché i lettori più non sanno dove sieno -, .Tale fu la rivoluzione, che cagiona Virgilio in  questo nobil genere dì poesia. Egli lo porto ad  un punto di perfezione, a cui non sarebbe mai  giunti) con tutta la sublimità del suo genio ira*  za l'assistenza del più gran Poeta . Egli non eb-  be se non il soccorso della unione dell' Iliade e dell'Odissea, che potesse fargli eseguire il bel  progetto, che si aveva formato. Imperciocchi  pel dare un sistema di politica nella condotta  di un gran Principe bisogna fargli comparire ed  osservare tutte le situazioni, e tutte le circo-  stanze, in cui no Principe come tale può ritrovarsi . Quindi bisogno, che rappresentasse Enea  in viaggio come Ulisse, in battaglia come Achil-  le ; ed in ciò non dubito * che questo grand*  ammirator di Virgilio di sopra citato, e che cosi bene ha imitata la purità del suo itile si compiaccia di vede re, clic questi è la vera iti   gìone della condotta del suo Maestro, piuttosto  che l'altra da lui rapportata. VIRGILIO non  avendo un genio ooil Tiro, e cosi feconda  j, come Omero, vi supplì con la «celta di ari oggetto più esteso, e di una più lunga durata dì tempo, epilogando in un solo Poema il disegno dei due poemi del Greco Poeta. Ma se avendo scelto lo «tesso soggetto di Oncia, fu obbligato a trascrivere quella semplicità  della favola, clic Aristotele, ed il Bosiù di luì  interprete trovano divina io Omero, questo stesso gli ha prodotti altri considerabili vantaggi  Dell' esecuzione del suo Poema; poiché questi  ornamenti, e queste decorazioni, di cui non han  saputo i Crìtici rendere altra ragione se non di  sostenere la dignità del Poema, diventano, secondo il fine del Poema, punti essenziali del  suo soggetto. Cosi i Principi e GL’EROI scelti  per attori, che paiono a prima vista un semplice ornamento, diventano la essenza medesima  del Poema j e i prodigi! e le interposizioni degli Dei destinati solo a produr maraviglie diventano con questo nuovo disegno del Poeta una  parte essenziale dell'azione. Qui vedesi lo spi-  rito medesimo degli antichi Legislatori, i quali  pensavano sopra tutto a riempire lo spìrito delle  idee della Provvidenza. Questa è dunque la vera ragione di tante maraviglie e funzioni, che  incontransi nell’ENEIDE, per cui alcuni Critici  moderni accusano il nostro Poeta di poco giu-  dicio, imitando Omero di una maniera troppo  fervile nel suo Poema, composto nel secolo di ROMA il più ili um'Bato e il pili polito . 11. Adis-  >0D, di cui non devesi parlare, se non con termini di estimazione, eoa) parla in proposito del  maraviglialo in VIRGILIO. Se qualche paisà   dell' Eneide può criticarti per questo titolo,   egli è il principio del terzo libro, in cui  „ rappresentasi Enea, che lacera un mirto, da cui sgorga sangue. Questa circostanza sembra,, avere il mirabile senza il probabile; perch' è   descritta come prodotta da cagion naturala  senza J' auìtóox* di, alcun» Dtilà., a. d' alcuna "sovrannaturale potenza capace di produrla. Ma l'Autore non si è ricordato in que-  sta osservazione delle parole dette d’ENEA in  questa occasione; Nympbas -ùtntTabaT agrtsirt Gradi-vamquc Pattern, qui prieiidet Bruii  Rite steundartnt visus, omtnqut levarcnr. I presagii di questa specie poiché ve n' erana  di due sorta sono sempre considerati conte  prodotti da una potenza sovrannaturale. Cosi  quando gli Storici ROMANI raccontano una piog-  gia di sangue, egli era un presagio simile a  quello del nostro Poeta, il quale si è certame»-  te contenuto dentro i confini del probabile, asserendo ciò che gii storici pia gravi riferiscono  ad ogni pagina de' loro annali . Questo prodigio  non era destinato a sorprendere il lettore. VIRGILIO, come si è detto, Teste i caratteri di un (0 lib. m.J+ »- J<-i9 ledisi atore, e vuole eoi prodigi! e cui prestigi!  persuadere il popolo che iddio s'interpone negli  affari di questo mondo; e questo era il metodo  degli Antichi . Plutarco adv. CoieC- c' insegna,  die Licurgo co) meno di divinazioni e di pre-  «agii santificò gli Spartani, NUMI I ROMANI,  Solone gli Ateniesi, e Deucalione tutti i Greci 10 generale, e col mezzo delta speranza e del  timore mantennero nello spirito di questi popoli   11 rispetto alla Religione. Cosi molto a proposi-  to colloca VIRGILIO U scena di <)m-*to accidente  tra i popoli barbari e grossolani della Tracia per  ispirare dell'orrore a'coslumi selvaggi e crudeli,  e desiderio di nno stato civile e polito.   L'ignoranza del vero fine dell'Eneide Ila fat-  to cadere i Critici in diversi errori poco onore-  voli a VIRGILIO, non solo intorno al piano ed al  lavoro del silo Poema, nia intorno al carattere   venerazione profonda agii Dei hanno tanto offe-  so r Ememont scrittore celebre Francese, che b& detto essere questo Ero e più proprio a fondare una Religione, che uoa Monarchia, Ma non ha saputo, che nel carattere di ENEA Ila voluto rappresentare un perfetto legislatore ebbe saputo ancora che ufficio de' legislatori era  non meno stabilire una Religione, che fondare uno Stato. E sott» qaeita doppia idea VIRGILIO rappresenta ENEA  InferTtttjue Dras Lalla  Eoe"!- Uh I. veri. j>. io. ti «ostro Critico egualmente li offende dell'  umanità di ENEA, dia della tua pietà. Elift  consiile, secondo lui, in una grande facilità piangere, ma egli non ha intesa la Ltlk-zzatì  questa parte del suo carattere. Per dare l'idea  ài un legislatore perfetto, bisogna rappresentarlo penetrato da sentimenti di umanità. Era tanto  piil necessario dare un simile «empio, quanto  vediamo per isperienza, che i politici del comune sono troppo spogliati .di qaciti untimi:!!-  ti. Questo punto di vista, lotto coi rappresentiamo L’ENEIDE serve a giustificare gli altri  caratteri, che metti! in iscena il Poeta. Il dotto Autor delle ricerche sulla vita» e sugli acrlr-  tì di Omero mi permetterà di avere una opinion  ne diversa dalla sua riguardo alla uniformità de caratteri, che regna nell'ENEIDE. Io la tengo  per effetto di un premeditato disegno, non già  di costume e di abito. VIRGILIO, dio' egli, era avvezzo allo splendor della corte, alla magnificenza di un palazzo, alla pompa di un equi-,, paggio reale .rizioni di que-  „ ala aorte di vita io» più magnifiche e più nobili di quelle di Omero. Egli osserva già   la decenza, e quelle maniere polite, che reit-  „ dono un uomo tempre eguale a se stesso, e  „ rappresenta tutti i personaggi, che si rasromigliano nella loro condotta, e nelle loro maniere. Ma poiché l'Eneide è un sistema di  politica, e che la dui azione eterna di uno Stato, la forma della magistratura, ed il piano del  governo erano, come lenimmo osserva questa  bi |9 giudicioso «rittore, con famigliari al fotta,  niente più conveniva al suo disegno, quanto  descrivere costumi politici. Imperciocché ufficio  di un legislatore È rendere gli uomini dolci ed  umani i e se non pub obbligarli a rinunciare inera mente a' loro selvaggi costumi, impiegarli al*  nieno a coprirli. Questa chiave dell' Eneide non solo serve 1  piegare molli passi, che pajono soggetti alla  Critica, ma a discoprir la bellezza di un gran  numero d'incidenti, che nel corso del Poema  s'incontrano. Prima di finire questo articolo mi si permetta di osservare, che questa è la seconda specie  (Jet Poema Ippico. Il nostro compatriota il gran  Milton ha prodotta la terza, perchè, come VIRGILIO tenta di sorpassare Omero, Milton volle  sorpassar tutti e due . Egli trovò Omero in pos-  sesso della morale, e VIRGILIO della politica. A  (ui restava, solo la Religione . figli prese questo oggetto, come se avesse voluto con (oro dividere  il governo dei mondo poetico, e per mezzo della dignità, e della eccellenza del suo soggetto si mise alla testa di questo triumvirato,  prr formare il quale vi vollero tanti secoli. Ecco Ì tre °eneri del Poema epico il soggetto  generalm-'te parlando è la condotta dell'uomo,  che si può considerare riguardo alla Morale, alla Politira, e alla Religione. Omero, Virgilio,  « Milton hanno ciascun di loro inventata la specie . eh - è sua particolare e l'hanno portata dal  primo saggio alla perfezione, cosiceli* è irapoi. Il   libile inventare altro di nuoro nel genere Epico. Supposto adunque, die l'Eneide rappresenti  la condotta degli antichi legislatori, non può  credersi che un maestro così perito, corno VIRGILIO, potesse dimenticarsi un dogma, eli' era il  fondamento ed il sostegno della politica, Cioè il  dogma de' premìi e delle pene nell'altra Vita.  Quindi veggiamo, eli' egli ce he ha dato uh  completo sistema ad imitazione di quelli, ch'egli  h» presi per esemplari i come Platone: nella »U  alone di Ero, e CICERONE NEL SOGNO DI SCIPIONE. E come il legislatore cercava di dar [teso a  questo dogma con una istituzione affatto straor-  dinaria, in cui rappresentati lo stato de' morti  in uno spettacolo pieno di pompa; cosi la de-  tenzione di tale spettacolo poteva dare molta  grazia e bellezza al Poema. La pompa e la se  lennità di queste rappresentazioni doveva natii*  ralulente invitare il Poeta a descrìverle, trovan*  do in ciò occasione di mettere in opera tut-  ti gli ornamenti della poesia. Io dico dunque t  Senteii 1» spirilo di pitti» che pirli i un Iniiino non pu-  tirebbe al Warburton per buone rune quello proposi noni riguirl  do al Milena ; direbbe egli quindi, col cometuo de' piti meni  fiati Critici, il rrtxo bega lil immuriate suo Taiio, che n-olio  primi del Milton prese a soggetto il vcrti Religione ; ne dlipiiindo le posta rigore) intente il Poeta In^lett tra gli Epici tlii-  •ificarsi, iccorderebbegli di buon cuore il quarto luugu come a  quellu, il quale secondo che ilice Ugone Bliir " ha calcita una  «rida del culto nuova a straordinaria N. D. E. ch'egli la ha fatto, « che la distesa di Ehm   all' Inferno non e altro, che una rappresenta-  jione enigmatica della sua iniziazione a' miste-  ri»   Eia disegno di VIRGILIO dare nella persona di  ENEA l' idea di un legislatore perfetto. L' iniziazioni' a' mUterij rendeva sacro il carattere di  un legislatore, e ne santificava le funzioni. Non  è da stupirli ebe dì proprio tuo esempio volete nobilitare una istituzione, di cui egli stesso  era l' autore i e perciò sono «tati iniziati tutti  gli antichi Eroi e Legislatori.   Fintantoché i miiterìi non aveano passato an-  noia l'Egitto, dove erano nati, e che cola  andavano per essere iniziati i Greci legislatori,  è cosa naturale, che di questa cerimonia non  li parlasse, se non in termini pomposi ed allegorici. A Ciò contribuiva parte la natura dei  costumi degli Egiziani, parte il carattere dei  viaggiatori j ma sopra tutto la politica de 1 legislativi, i quali ritornando al paese volevano infivilii e un popolo selvatico, e giudicavano per  se «tessi vantaggioso, e necessario pel popolo  parlare della loro iniziazione, in cui lo stato  de' morti era stato Joro rappresentato in Spetta-  tolo, come di una vera discesa all'Inferno. Cosi fecero Orfeo, Bacco, ed altri. Continuò a  praticarsi questa maniera di parlare anche dap-  poiché furono introdotti in Grecia i mìsterii»  come vedesi nelle /avole di Ercole, di Tese*  discesi aiT Inferno . Ma peli' allegoria eravi sem-  pre qualche cosa, che discopriva ]a verità na- ccsitt (otta gli emblemi. Così per esempio di.  cerati di Orfeo, che disceso era ali 1 Inferno pei  meno della sua cetra:   Tbrticta frctus cythara, fidì&utJUI Cancri s  Il clie moitra ad evidenza, ch'era in qualità di  legislatore, perchè si sa che li cetra È il tirar  bolo delle leggi, per meno delle quali rese cir  lite un popolo grossolano e barbaro . Nella fa-  vola di Ercole reggiamo la storia vera unita al-  la favola nata da quella, e intendiamo ch'egli  veramente fu iniziato ne' mister» Eleusini im-  mediata Diente prima della sua undecima fatica,  clic fu il levare Cerbero dall' inferno; e lo Scoliate di Omero ci espone, che il fine di questa  iniziazione era preservarlo da disgrazia in questi  impresa pericolosa. Pare, che Euripide ed Aristofane confermino la nostra, opinione della di-  scesa all' Inferno. Euripide Bel suo Ercole Furioso rappresenta questo Eroe di ritorno dall'In-  ferno per soccorrere la sui famiglia : eslermina  il tiranno Leuco; Giunone per vendicarsi lo fi  perseguitar dalle furie, e nei suo furore egri  uccide sua moglie, ed i suoi figliuoli presili per  nemici. Ritornato in se stesso, Tese suo amico lo consola, e lo scusa cogli «empii scellera-  ti degli Dei, il che incoraggi va gli uomini a  commettere i più gravi eccessi ; e questa opi-  nioni: cercatati di abolire ne' misteri), scoprendo la falsità del Politeismo. Ora egli è chiaro  Eoeiu. Lib. VI. vcrs.uo.  6 i  abbastanza, eh' Euripide ha rollilo farci sapere  coia egli pensasse della favolosa discesa all' In-  ferno, quando fa risponder Ercole, come un  nomo die ritorna dalla celebrazione de' misteri!,  a cai sicnsi confidati i segreti. " Gl’esempii degli Dei, che voi mi citate, egli dice, niente significano: io non saprei crederli rei delle  4> colpe, che loro vengono imputate . Non potso intendere come un Dio sia sopra un altro Dio. Rigettiamo adunque le favole ridicole,  „ che ci raccontano i Poeti itegli Dei „Aristofane nelle Rane apertamente palesa ciò, che  intendeva per la discesa degli antichi all' Infer-  no nell'equipaggio, che da a Bacco, quando lo  introduce a ricercare della strada tenuta da Ercole: sul qnal fatto lo Scoliaste c' insegna, che cel celebrarti i mister» Eleusini usavasi di far  portare dagli asini le cose bisognevoli per que-  sta cerimonia. Quindi nacqne il proverbio: dsi-  nus portat mysteria. Il poeta dunque introduce  fiacco col suo bastone seguitato da Janzio mon-  tato sul!' asino con nn fardello ; e perche non si  dubiti del suo disegno, avendo Ercole a Bacco  detto che gli abitatori dei campi Elisiì son gli  iniziati, Janzto risponde: " Io fono 1' asino, che  porta i misterii Ecco dunque come riguardo a molte favole  antiche l'espressioni sublimi e magnifiche nel  parlar de' misteri! hanno persuaso alla credula  posterità, che là dentro vi fosse un non so che  di miracoloso . Nè dee maravigliarsi, che ne' tem-  pi antichi n compiacessero d'esprimere con uno  stile il più straordinario le cose più. ordinarie;  a5   poiché un Autor moderno, come Apukjo, 6  per imitar gli antichi, o per accomodarsi allo  itile solito de 1 misterii descrive nel fine del Li-  tro II. la sua iniziazione: decessi confittium  mortis, t> calcato Proserpina limine per omnia  veSus dementa remeavi . NoSe media vidi So~  lem candido coruscantem lamine, Dcos Inferos  é> lieos supero:, accessi corani t> adoravi de  proLìmo. Enea non avrebbe potuto descrivere  con altri termini il ino viaggio notturno dopo  che fu fatto uscire per la porta a Avorio. È  •tato dunque obbligato VIRGILIO a fare iniziare  il suo Eroe," e la favolosa, antichità gli sugge-  riva di chiamare distesa all'Inferno questa ini-  ziazione . Di questo vantaggio ha saputo profit-  tale con molto giudicio, poiché questa funzione  anima tutta la sua favola, che seni» questa al-  legoria sarebbe troppo fredda per un Poema Epico. Se avessimo ancora un antico poema attribui-  to ad Orfeo, e intitolato discesa all' Inferno t  forse vedremmo clic il soggetto di esso era sem-  plicemente l'iniziazione di Orfeo, e che il (let-  to ha somministrata a VIRGILIO l'idea del VI.  libro della sua ENEIDE. Checchi; ne sia, Servio  ha ben compreso il fine di questo Poeta, osser-  vando contenti-visi molte cose prese dalla pro-  fonda scienza de' Teologi d'Egitto: Multa per  altam scientiam Theologicorum jEgyptiorum j ì  quali hanno inventati i dogmi, die insegnavan-  i ne' misterii . Con dire che questo era il dise-  gno principale del Poeta, io non pretendo assi-  curare, ch'egli abbia avuta altra guida, fuor  che se medesimo. Egli ha presi da Omero mot-  ti ile' suoi Episodi!, t da Piatane, «me ce-  drassi.   L' iniziato aveva un conduttore chiamato Jc-  tofanta Mistagogo, il quale uomo o donna che  fosse, gì' insegnava le ceremonie preparatorie,  lo conduceva allo spettacolo misterioso, e glie-  ne spiegava le parti diverse. VIRGILIO ha data  ad ENEA la Sibilla per conduttrice, e la chiama  Vatet, magna Sacerdos, edoàa carnet; e sic.  come il Mistagogo doveva viver celibe come Girolamo ossei va de Monogamìa Sierophanta  «pud Alkenas evitat i-irum, t> sterna debilita-  te fit costui ; cosi la Sibilla Cu man a non era  maritata .   Il primo comando, che ad Enea dà la Pro-  fetessa è di cercare IL RAMO D’ORO:  1 Annui et folth, et lento vimini ramiti  Junanì ìnferne di&ut tactr. Di questa particolarità Servio non sa come ren-  dere ragione, c s'immagina che forse il poeta  alluda ad un albero, eh' era in mezzo al sacro  bosco del Tempio dì Diana in Grecia. Quando  un fuggitivo si era colà ricoverato, e poteva  svellere un ramo di quel!' albero gelosamente cu-  stodito da' Sacerdoti, egli aveva l'onore di bat-  tersi con un di loro a colpi di pugno, e le gli  riusciva di superarlo, veniva ad occupare il su*  posto . Questa spiegazione, quantunque troppo  lontana dal soggetto, fu dopo Servio ammessa     di emìa Uh «Lvm.fj7.iit. 10 mancanza d'altra migliora dall'Abate Banier   11 migliore interprete delle favole antiche. Ma  io penso che questo ramo rappresenti la corona  di mirti, di cui, secondo lo Scoliaste d' Aristo,  fané nelle Rane, ornavansi gì' iniziati nella celebraiion de' misteri!. Primieramente perchè di-  ce, che il ramo d'oro è consecrato a Proserpi»  ni, «da lei era pure consecrato il mirto. In  tutta questa favola si parla solo di Proserpina,  e niente di Cerere, e perchè si descrive V iniziazione come un'attuale discesa all'Inferno, e  perchè quantunque nella celebrazione delle Cere*  uionie misteriose s'invocasse anzi Cerere, eh  Proierpina, questa però sola presiedeva agli spet-  tacoli, ed il libro VI. dell' Eneide non contie-  ne, se non la descrizione degli spettacoli rap-  presentati ne' misterii . In secondo luogo la qua-  lità pieghevole di questo ramo d 1 oro, lento vi-  mine, rappresenta benissimo i teneri rami del  mirto. In terzo luogo sono le colombe di Venere quelle, che dirigono Enea verso 1' albero :   dum maxima] ècroi   Matctnas agnoicit avei . . Esse volano verso l'albero, vi si fermano corner  se fossero avvezzate. L'albero apparteneva alla  famiglia, questo era il sito, ove posavano eoa  piacere, perchè il mirto era consecrato a Venere :   Sedìbut optati s gemina mfer arbore sederti   (r) Eneid. Lib. VI. veri. (») 1. e. ver». *oj.  Ma iti qtleHo passo trovasi ancor più di lellez-  ?a e di aggi urtai ez za di quello elle a prima vi-  sta apparisca . Imperciocché non solamente il  mirto era sacro a Proserpina, come insegna Por-  firio lib. IV. de abstinentia, egualmente che a  Venere; ma le colombe erano sacre ancora a  Proserpina .   Preso eh' ebbe il ramo e coronatosi di mir-  to, Enea entra nella grotta della Sibilla : Et vath portai sub nBa Syèìllé (t).   E ciò dinotava l'iniziazione a 1 piccioli ttìttèruf  poiché nella Orazione XII. insegna Dico Grisotomo, che facevasi in una . piccioli e stretta  cappella come può supporti la grotta della Si-  lilla. GH iniziati he' piccioli misteri! cViiamavansi  Misi ce . Poscia la Sibilla conduce linea al sito  d'onde doveva scendere all'Inferno:  Hit iBìs propen extquhuT practpta SyBilla (ij.   Ciò significa l'iniziazione he' gran misteri i, pi"  iniziati de' quali chiamavansi Epopta . Questa  iniziazione fassi di notte . Il luogo simile a quel-  lo, dove Dione dice, che celebravansi t gran  disteni, è un Duomo mistico di una grandez-  za e di una magnificenza maravigli osa :   Spttttnca alia fuìt, vasloqut immotili blatH  Scrupia, tuia iecu nigre nmorkmqtu ttntbrit (j)  Ecco come descrive)! l'accoglimento fatto ai  ENEA {Sub pedièus mugire niam, et fuga tapt* moviji  Silvarum, vistque canti ululare per umbram,  Adottami* Dia . Procul o procul M profani,  Conclamai Vaiti, loloquc abiliti" 'uro (l) .   Claudiano fa un» descrizione semplice t senza  artificio del principio di queste formidabili ce->  remonie, da cui apparisce, questa di Virgilio  essere un'esatta descrizione dell'aprirti U scena  de' misteri! E-li sul principio del Libro I. del rapimento  di Proserpina imita la sorpresa e lo stordimento  di nn iniziato, e gettasi, per eoli dire, corno  U Sibilla in mezzo alla scena:   furint aniro je imnhtit, aperto Grtssui ttmiruttt profani..   Egli sgrida come estatico ;   Jam furor bumanos nostro de pt8ere reiuut  Expulit  Jam mibi ctrminiur (rtpidit delubro movirt  Sedibts, O elaram dispergere fulmina tutti*, .y  Adoemum testala Dei.- fam maga*! ab imìi  Auditur fremitus Irrris templumque remugit  Cecropidum; sanBasque faets extdlit Eleusu,  pingue, Triptotemi stridunt et squammea curva  {il Enrid. lib. VI. mi». >5i> e segg. <>) l «• »**  <(J Cluni, lib. L vets. 4. Colla kvma.. (l)   Ecce frocul ternij Utente variata figuri?  Ex»h*r (1)     Molto lene s* accordano queste dae descrizioni  con Je relazioni degli antichi Greci autori in  tal propolito, se considerali l'idea generale da-  taci da Dione nell'orazione XII. cori queste pa-  role : " Coi) succede allorché conducesi un Gre*,, co od un Barbaro per essere iniziato in un   certo Duomo mistico di grandezza e di mignificenza mirabile, dov' egli vede varii spettacoli mistici, e lente nello stesso tempo una  „ moltitudine di voci, dove la luce e le tene-  „ bre alternativamente appariscono ad eccitare   vajii movimenti ne' sensi di lui, c dove gli  „ si presentano dinanzi mille altre cose atraor-   Quelle parole viso canes ululare per umbram  fono chiaramente spiegate da Platone ne' suoi  acolii sopra gli oracoli di Zoroaitro. Questo è  „ l'uso, dic'egli, nella celebrazione de' misterii, di presentare dinanzi gli Iniziati de' fati-  „ tasmi sotto la figura di cani e d' altre Torme e visioni mostruose. Le parole procul o procul este profani della Sibilla sono una ietterai  traduzione del formolafio uiitàto dal Mlstagogo  nell'apertura de'tniiterìi ;,'s-ti Bt'faha  e!«d. rie lUp. Prwnp. Hb. L Vm. J. fte.  (i) lo iteti, v. if. L* Sibilla dice ad ENEA, che «'armi di tutto  il suo coraggio per avere a muoversi a combat-  tere contro i più spaventevoli ©Igeili ;   Tuqtu invidi vtam, -uagindqu,,rip t fammi  JVW aaìmh opus, Mm«, nunc pefore firmo (i).   E infatti troviamo ben presto l'Eroe impegnato  in un combattimento: Carripit bic tubila inpidus fm-mìdine firmm  JEnts, tniSamque acitm wniintib** ofcn (2). .  Tale appunto ci rappresentano gli Anticlù l'ini-  ziato nel principio deJle ceremonie . " Entrando  „ net Duomo mistico, dice Témistio Oration. in.  „ Pattern, si riempie di spavento e di orrore,  „ ed il suo animo ha occupato daila inquietu-  „ dine e dal timore. Egli non può avamara  „ un sol passo, e non «a come entrare nel di-  „ ritto cammino che lo conduce al luogo, dc-i  „ ve vuol arrivare finoattantocliè il Profeta '(Vaies) 0 il condottiero apra il vestibolo del  „ Tempio,,. Proclo sovra Platone PhxA. libr. III.  e XVIII. dice; " Come ne* santissimi misterii  „ prima che si apra la scena delle mistiche fun-  « lioni, l'anima déH'iniiiato I .orpreaa da spa-  „ vento } eoil ec. t j Poco dopo si spiega la cagione dello spaven-  to di Enea, e lo vediamo involto fra tanti ma-  li reali e immaginari» di questi vita, e di tut-  te le malattie dello spirito e del corpo e dì  (> E«i4 Lib. VL vtrs. >*•. Ut. (», L a *n. „ 0. «1.  tutte le terribile! visu forma de' Centauri, del*  ]e Sciite, delle Chimere, delle Gorgoni e delle  Arpie- Ecco ciò che Platone chiama nel luogo  eitato c'Mo'kot* t»'( fiopeaV e«^t«V(/«t* forme e vi-  (ioni mostruose, che vedevansi peli' i egre sjo de*  ju i steri i . Celso, come nel vero libro IV. scrive  pcntro di lui Origine, dice, che i fantasmi me-  desimi si presentavano nelle cerimonie di Bac-  co. Secondo Virgilio incontravansi nell'entrata  Vestibulum ante ìpmm, e c'insegna Temistio  che il vestibolo del Tempio era il Teatro di  fante visioni orribili vi tì?*t* Teff ««off. Interrom-  pe il Poeta la sua narrazione nel)' aprirsi di que-  sta scena, e quasi volesse fare solennemente la  propria apologia, grida;   Di, quibus imperium est animrrum umbraque siteniei  Et ebani et pbiegetbon teca noEle liltntia tate,  Sh mibì fas nudità hquì, ih nuvnìnt vtitro  Pandcre rei alta ttrra et rsligine menai Egli sapeva d'impiegarsi in una impresa empia,  poiché tale credevasi la rivelazion de'misterìi. Ciaudiano nel «ovracìlato Poema dove apertamen-  te confessa di trattare de' mister» Eleusini in  tempo, in cui più non erano in venerazione,  fegue perù l'uso antico, e cosi si scusa;   Di quib«, ìmmnm (*)   Voi mibi sacrarum penetrati* paudìte rerum,  Et vestii secreta pali, qua lampade Dìtem FU- (i) Elisili. Lib. VI. v«n. :Ó4. c segg,  IO Ciani Lib. J. veri. »g, Fitti t amor, quo duBa ftroV Prostrpina taptu  Peiltdit dolale cbaos, quantasqu* per oras  Sollicito gtrtttrì» erraverit ansia turiu,  linde dai* papali s fruga, et glandi TtliSa  Ceutrit invintii Dodonia qusrcui ariitii (l) .  Se in Roma con tanta severità si fosse punita  la rivelazion de' misteri!, come facevaai in Gre-  cia, non avrebbe oiato Virgilio scrivere questa  portimi di Poema. Come per6 trattavasì da em-  pio, al dir di Svetonìo nella vita di Augu-  sto C. xeni., quello ebe rivelava i misterii, Vir-  gilio lo fa di nascosto e nel tempo stesso si giù-  sii Rea presso coloro che potessero penetrare il  suo disegno. Intanto l'Eroe e la guida conti-  ptiano il loro viaggio:   l lbant obscuri sala sub naBt per umbram Perque demos Ditis vacuas et inania regna;  Quale per ìnctrtam luna-m sub luce maligna  Est iier in lilvis, ubi ectlum condidìt umbra  Jupiier, et rebus nox abslulit atra colorem (2).   Questa descrizione mi fa sovvenire dì un passo  di Luciano nel suo dialogo n/pivw. e del Tiranno. Andando insieme all' altro mondo una  compagnia dì persone di condizioni diverse, Mi-  cillo grida: " Ah! come qui e oscuro I Dov'à  il bel Nagillo! Chi distingue adesso la belleiza di Simiche e di Prine? Tntto qui ras-  „ somigliasi: tutto è dello stesso colore, non li possono fare confronti. Lo stesso mio vecchia Citai. 1, c veti. 1;. te. Eneìd. lib. VI. veri.  mantello, che si Imito tra a vedere, adesso  „ è tanto bello, quarto la porpora di sua Maetà, eh' è qui in nostra compagnia. In verità  „ 1" un e l'altra tono svaniti ai nostri occhi, e,, nascosi sotto lo stesso velo. Ma amico Cinico dove sei? Dammi la mano. Tu che sei iniziato ne' misterii Eleusini, dimmi un poco: non rassomiglia questo al viaggio, che facesti all'oscuro? Cìnico: Oh affatto affatto . Guarda una delle furie che -viene dal di lui seguito con le torcia accese in mano e col suo terribile sguardo. Giunto linea in sulle rive di Cocito stupisco  in vedere tante ombre erranti intorno di questo  £ume, è in atto d' impazientarsi perchè non  vengono tragittate, e intende dalla sua condut-  trice, esser quelle ombre di persone insepolte,  e perciò condannate a errar qua e là sulle spon-  de del nume per lo spazio di cent'anni prima  di poterlo passare:   H*C cmnis i guani cernili inopi inhumataqul turba m  Portitor Hit Ciana; hi, quo: tithit unda, irpulii,  Net rlpai dal tir horrtndas, ntc rauca fiutila  Transportart prius, quam ssdibui oisa quierunt;  Ctmsm trranr annui, volitantqui hxc litiora circitm,  Tum demum admìiii stagna txopiata revhunt. Ni crediamo, che quest'antica nozione sia sta-  ta del volgo superstizioso: ella è una delle in-  venzioni più serie defili antichi Legislatori dì W EneiA Lib, VL vus. jjj. « ssg^.  «ver saputo imprimere qnesta idea nello spirito  dei popolo. Ma può dubitarli, .che loro non  debba attribuirsi, poiché viene dagli Egiziani. Questi gran maestri di sapienza pensarono, dia  mollo giovasse alla sicurezza de' loro cittadini la  pubblica e solenne sepoltura de' morti, senza di  che facilmente e impunemente si potevano rem'  mettere mille secreti omioidii . Quindi introdussero il costarne de' pubblici funerali e pomposi C'insegnano Erodoto e Disdoro di Sicilia, che  l'esequie si facevano presso gli Egiziani con più  ceremonie di quello che si masse da altri popoli. Ma per più assicurarne l'usanza con un mo-  tivo di Religione oltre quel del costume, inse-  gnavano al popolo, che i morti non potevano  giungere al luogo del loro riposo nel!' altro mon-  do prima-che in questo non fosseio. loro fatti  gli onori del funerale j la qual condizione deva  per necessità aver portati gli uomini ad osser-  vare seriamente tutte le ceremonie dei funerali.  Con che il legislatore otteneva il- ano intento,  ch'era la sicurezza del suo popolo. Questa no-  zione si sparse tanto e tanto profondamente s'im-  presse nello spirito degli uomini, che queJtoj  che di essenziale vi era in questa sop^tizione  si conservato sino al presente nella maggior  parte delle genti colte . Se ben si ridette, ì) avvi una cosa, la quale ben dimostra di quanta  importanza credevano gli antichi che fosse ìa se-  poltura de'morti. Omero, 5ofocle ed Euripide  sono senza dubbio i più gran Poeti tra Greei. Ora, secondo l' osservazione de'C/itici, nell'Iliade, nell' Ajace, e ne' Fonici I trovasi una viaio sa crjnlinnazion della favoli, e le vien retta  I' uniti dell'azione colla celebrazione dt' funerali ài Patroclo, di Ajace, e di Polinice . Ma non  rifl: -l'ino questi Critici elle gli antichi risguar.  davano l'isequie. come una parte inseparabile  delia tocidì, e della morte di un uomo. Quin-  di qu'.aii gran Maestri, dell'unità e del dovere  non potevano erodere finita l'azione, prima che  non si l'ossero compiuti gli ultimi doveri verso  oVmnrti 11 legislatore degli Egiziani trovò un altra  vantaggio in questa opinione dtl popolo sulla,  necessità de' funerali pel riposo de' morti, ed  era di dare un castigo a' debitori, che non pa-  gavano, da cui nasceva alla società un consi-  derabile vantaggio. Imperciorrhe invece di seppellir vivi i debitori che non pagavano, come  generalmente si usava tra barbari, gli Egizii,  popolo colto ed umano, fecero una legge, che  comandava di lasciare insepolti i cadaveri di  questi debitori, Si noi sappiamo dalla storia che  il terrore di questo castigo produsse l'effetto,  che bramavano. Pare elle siasi ingannato il Mar-  sliani nella sess. IV. §. III. del suo Catone Cronico, supponendo che questo divieto di seppellire avesse dato luogo alla opinione de' Greci, i  quali credevano ch'errassero qua e là gli spiriti  degli insepolti mila terra. Laddove la natura  stessa della cosa dimostra chiaramente la legge  essere fondata su questa opinione, ch'ebbe la  sua origine dall'Egitto, e non l'opinione sulla,  legge, essendo questa opinione la cosa sola, chej  alla legge dai- potesse qualche autorità. Ché Se il Poeta non avesse creduta la cosa  tanto importante, egli non vi si sarebbe coti  lungo tempo fermato, non l'avrebbe di poi ri-  petuta, non l'avrebbe espressa con tanta fot**)  nè avrebbe rappresentato il suo Eroe pensoso «  sommamente attento alla medesima: Cunstitit Aitcèisa satuj, Gf vestigi» pressi:  Multa putans, (aggiunge) sarttmquc animo miseratiti  iniquam. Il pass» è commentato da SERVIO: Iniqua enini  sors est puniri propter alteriut negligentiam ;  nequé enim juìs culpa sua caret sepulcto Qua 1  le ingiustizia-' dice qui Mr. Bayle. Jn una risposta alle ricerche di un Provinciale toni. IV.  Gap. KXir. Era forse colpa di quelle anime ella  non fossero sotterrati i loro corpi? Ma non sa'  pendo l'origine di questa opinione, non ne ba  saputo l'uso, e perciò egli attribuisce a super-  stizione 1' effetto di una savia politica. VIRGILIO colle pai-ole Sortem itllquatn intende, che in que-»  sta civile istituzione, come in molte altre, un  bene generale sovente diventa un male per un  particolare. Alle rive di Cucilo vedevasi Carolile con la  sua barca. Sono persuasi tutti i dotti, che costui era veramente un Egiziano esistente in car-  ne ed ossa. Gli Egiziani non men degli altri  popoli nelle descrizioni delle cose . dell' altro mon-  do prendevano l'idea delle eose di questo fami. £0 Mi Lib. VI. TOt.|ii.jia. jlìari . Nelle fero funebri ccteinonie, che pres-  so loro erano *di maggiore importanza che pres-  so le altre nazioni, come osservammo, usavano  ai trasportare i corpi dall'altra parte del Nilo  per la palude, ossia lago Acberonzio, e niettevansi incerte, volte sotterranee. Nella loro lin-  gua il barcaiuolo chiamaTaii Caronte. Ora nel-  le descrizioni dell' altro mondo, clic facevano ne'  loro miiterii, era cosa molto naturale prender  l'idea da ciò, che faceva*! nelle ceremonie fu-  nerali . Sarebbe facile il provare, quando bisognane, clie gli Egiziani cambiarono in favole  queste cose reali, e non già i Gxeci, come ta-  luni hanno pensato. Passato ch'ebbe il fiume, Enea si trova nel-  la regione de' morti : il primo incontro spaven-toso se e il Cerbero : Hit ingens latrata regna tri tauri  Personal, adversa ricuBans immani s in entro. Questo veramente è \\ fantasma dei misteri!,  che sotto il detto del sovrastato Catane appari-  va sotto la figura di un catte kWì* ; e nella fa-  vola di Ercole sceso all'Inferno, che altro non  significa, se non la tua iniziazione a' ni i steri i,  si dice ch'egli andò all'Inferno per di là con-  durne Cerbero. La region dell'Inferno era divi-  sa in tre parti secondo Virgilio: il Purgatorio,  l'Inferno, e i Campi Eliti i . Dcifobo, ch'era  nel Purgatorio dice ;   Ditcedam, txpltèo numeram ttddaraue ìimbris (l) .  (i) Eneid lib. VI. veri. 417. 4l 8. L e. T«t. j«- Di Teseo ch'i nel fecondo si dice:   itdit alirrji<mqiit stdtbit   Infcl.x TitJtUt (l).   Nei misteri! queste regioni erano precisamente  divise nella stessa maniera. Platone nel Fedone  parla delle anime, che sono sepolte nel fango e  nelle sozzure, e che devono stare nel fan-o e  nelle tenebre fino a che si purificano per un  lungo corso di anni, come qui insegna Virgilio .  E Celso, come nel libro Vili, riferisce Orio-  ne, dice che ne' misterii inseguavasi la eternità  delle pene.   Ciò, che qui merita osservazione e che mol-  to serve al disegno presente si È che le virtù e  i vizj annoverati dal Poeta, e che popolano que-  ste tre regioni sona precisamente quelli, ch«  hanno più relazione alla società. Quindi bene  scorgesi che Virgilio aveva le stesse mire, eh' eh-  bero ne' mìsterii gli institntorì. Il Purgatorio, eh' è la prima, divisione è po-  polato da quelli, che hanno uccisi se «essi,  dagli stravaganti innamorati, da' viziosi guerrie-  ri, in una parola da quelli, che lasciato libero  il corso alle loro violenti passioni erano piutto-  sto infelici, che sfortunati. E notisi che tra  questi trovasi un iniziato. Ctrtrìqut sacrum Volybettn Insegnavasi pubblicamente ne' misteri;, che sen-  za la virtù, l'iniziazione a nulla serviva; lad- EmiA lib. vL tot. t,j. <„ 1. e.  dove gli iniziati, che attaccatami alla pratica  delle virtù avevano nell 1 altra vita molti vantag-  gi sopra gli altri. Di tutti i disordini, che li  puniscono nel Purgatorio, niuno più pernicioso  alla società dell'omicidio di se medesimo. Quindi la condizione infelice di tutti questi omicidi  si nota più distesamente di tutte le altre:   Prima dande trneni matti (net, qui liii Ittbum  liticarti peperere menu, iucemqia pittisi  Projicirt animai . Quam vtllenc ctètre in alta  Nunc et paupiriem, et dumi per/erre- labore: Prosegue esattamente il Poeta cib, che insegna-  tasi ne' mister», dove -non solo proibì vasi il dar  la morte a «e stesso, ma spiegatasi ancora la  cagione di questa colpa . I discorsi, che ci ven-  gono fatti continuamente nelle ceremonie, e uè 1  tuisterii, dtCe Platone nel Fedone, che Iddio ci  ha messi in questa vita, come in un posto,  che senza di fui permissione non dobbiamo giammai abbandonare, possono essere troppo difficili  per noi a sorpassare la nostra capacità.   Tutto va bene sin qui. Ma che diremo dei  fanciulli e degli uomini condannati ingiustamen-  te, che il Poeta mette nel Purgatorio T Non è  così facile Io spiegare, perchè colà sieno queste  due sorta dì persone, e lì commentatori taciotio  al solito su questo soggetto. Se consideriamo il  caso de' fanciulli vedremo impossibile renderne  la ragione, se non con questo sistema. Eneid. Lib. VX Tcn, 414. e «gg-  il  Contìnua anditi vocei, vagilài et ingerii  Infamumque anime fieniej in limine primo ;  Quqi dulcit vile exorlis, et ali ubere rapini  Abstulh atra dies, et funere menit acerba. Queste par che {onero le grida e le lamentazio-  ni che Procolo nel Litro X. della Repubblica di  Fiatone, dice che sentivansi ne' misteri! Bisogna solamente indagare l'origine di una si straordinaria opinione. Io credo, che questa sia un’altra institniione elei legislatore destinata alla conservazione de’ fanciulli, come 1’institurioni de’ funerali è destinata alla conservazione de’ padri- Niuna cosa poteva più impegnare i pa.  dii nella cura della vita de* loro figliuoli, <ju au-  to questa terribile dottrina. Né si dica, che  l'amore de'padrì è per se stesso bastevolmente  possente, e non ha bisogno di nuovi motivi,  che loro suggeriscano di conservare ì loro figliuoli. Si sa che l'uso orribile e contro natura di esporre ì figliuoli era tra gli antichi universalmente stabilito, ed aveva questo del tatto  svelti dal cuore i sentimenti di natura, e quel-  li ancora della morale. Bisognava a questo disordine opporre un forte riparo ed io nino persuaso che i magistrati abbiano usato questo artificio di far credere nel Purgatorio i fanciulli  jnortì in tenera età per islabilire l' instiluto e  ravvivare ì naturali sentimenti, ch'erano quasi  «tìnti . In fatti niuna cosa era più degna della  (ij Eneìi Lib. VL Ven, ^t, e Kg*.   vigilanza de' t»agistr*ti ; poiché, cerne saggia-   jneuta dice Pericle della gioventù " distruggere i fanciulli è lo stesso che togliere dall'anno  la primavera. Qui pure scandalezzas'i Mr.  Bayle nel luogo addotto di sopra La prima cosa, die* egli, die incontratasi nell'ingresso dell'Inferno era il luogo de'fancinlli elle continuaniente piangevano, e poi quello delle persone ingiustamente condannate a morte. Clic liawi di più. irragionevole e scandaloso,  s, quanto la pena di queste picciole creature,  che non avevano commesso ancora peccato alcuno, e la pena di quelli, l'innocenza dei  quali era stata oppressa dalla calunnia ? Ab-  biamo spiegato ciò die risguarda i fanciulli,  esamineremo il. restante dell'obbiezione . Ma non  è da stupirsi che il Bayle non abbia potuto digerire questa dottrina intorno a' fanciulli, imperciocché forse il gran Platone medesimo se n'è scandaleizato. Riferendo *gli nel X. della  Repubblica la visione di Ero di Panfili* intorno  la distribuzione de' castighi e de' prernii dell'air  tra vita, quando arriva a parlare de'Ia condir  zione de' fanciulli j s'esprime in questa maniera  ben degna da osservarsi : " Ma riguardo a quel?,, li, cha rouojono in tenera età, Ero diceva  cose che non meritavano d'essere ricordale. Il racconto di quanto tiro vide nel]' altro mon-  do è un compendio di quanto gli Egiziani insegnano in questo proposito, a non dui»'»  punto che la dottrina de' fanciulli nel Purgatorio fosse ciò che non meritasse essere ricordato .  Piatone se ne offese, perchè non riflettè sulla   •ligio*, sull'uso «ti questa dottrina, come lo  abbiamo «piegato. Bisogna cercare un'altra soluzioni; per quelli  clic ingiustamente erano condannati, a questa k  la Maggior difficolta dall'Eneide.-   lini juxia falso damnati crimine morti i .  JW viro bit line soni d*t*, irne judiee icdts :  Quciitor Mimi uraam tnmet : Me sihntum  'Concilittmque -uoeat, vitaique et elimina discìt. Sembra queata essa una gran confusione ed una  grande ingiustizia. Quelli che sono ingiustamen-  te condannati non solo trovatisi in un luogo di  pene, ma dopo essere tutti rappreientati «otto  la medesima idea sono poscia distinti in due  classi, 1' una da' colpevoli e l'altra d'innocen-  ti. Per inviluppare questa difficoltà bisogna ri-  cordarsi la vecchia storia riportata da Platone  nel Gorgia. Al tempo di Saturno aravi una legge intorno agli nomini, e sempre osservata dagli Dei, che quando un uomo fosse vissiuto secondo le regole della giustizia e della,, pietà, era dopo morte trasportato nei!' isola  de' Beati, dove godeva di tutte le felicità,, senza una di que' mali, che tormentano gli  „ uomini : ma quegli eh' era ingiusto ed empio  era gettato in un lago di pene, prigione dcl-,, la divina giustizia chiamato il Tartaro. Ora  „ al tempo di Saturno e sul principio del regno di Giove, i giudici, cui era commesso  (»J Eneid. Lib. VI. veri. 43I. < ttgg.,, 1' eseguir questa légge, erano semplice mente  „ uomini, che giudicavano i vivi e stabilìvan»  „ a ciascuno il luogo e il giorno, in cui do-,, ve vano morire. Quindi nascevano molti giu-  tt dìcii ingrusti e mal fondati: perciò Plutone,  „ e quei ch'erano alla custodia delle Isole Bea-   te andarono a trovar Giove, e gli lappresen-  „ taro no che gli uomini discendevano ali' Inlev-  „ no mal giudicati, non meno quando venivano assolti, che condannali. Allora il padre  M degli Dei rispose : io liuiedierò a questo dìsordine. I falsi giurflciì nascono in parte dal corpo, onde sono involti i giudicati, perchè   ti giudicano ancor viventi. Malti di essi sot-   to una bella apparenza nascondono un cuora  „ corrotto, la lor nascita, le lor ricchezze in-  „ gannano, e quando vengono per essere giudi-   cali, trovano facilmente i falsi testimoni!   della loro vita e de' loro costumi . Questo è   ciò, che rovescia la giustizia, ed accieca i  „ giudici. Un' altra cagione di questo disordine   si è che i giudici medesimi sono imbarazzati,, da questa massa corporea. L' intelletto na-  „ scondesi sotto il manto degli occhi e della  I, orecchie, e sotto l'iutpenetrabil velo della   carne: ostacoli tutti, che impediscono ai giu-   dici di giudicar rettamente. In primo luogo,, adunque io farò, che i giudici non sappiano  H preventivamente il giorno della morte, e or-   dinerò a Prometeo di loro togliere questa prescienza. In secondo luogo poi farò sì, che  t, quelli, i quali verranno ad essere giudicati,  „ flieno spogliali di tutto ciò che li cuopre, e t, in avvenire saranno giudicati Bell' altro moa-  do. fcl cnuie saranno eiii totalmente spogliati è ben conveniente che tali sieno i loto gin»  „ dici, perchè all' arrivo di ogni novello abi-  „ tante, che viene libero di tutto ciò die circondollo sulla terra, e lascia addietro tutti 1  suoi ornamenti, possa l'anima vedere ed ei«  sere cosi in istato di pronunciare nn giusto  „ giudicio . Quindi comecché io non aveva pre-r  t, veduto tutte queste cose, prima ohe voi ve  ne accorgeste, ho pensato di metter per gìu-,, dici i miei proprii figliuoli . Due di questi  „ Minoase e Radamanto sono Asiatici, Europeo  „ è il terzo Baco. Quando morranno avranno i  loro tribunali nell'Inferno, appunto nel mezzo del aito, che si divide in due strade,  1’una delle quali conduce all' Isole Beate, l'altra al Tartaro. Radamento giudichi gli,, Asiatici. ttaco gli Europei, ma a Minosse io  „ db una suprema autorità ; egli sarà giudice  di appellazione, quando gl’altri saranno dui»-  Luisi in qualche caso oscuro e difficile, affinehè con tutta equità possa a ciascuno assegnar-  „ 9i il luogo dovuto „ . La materia comincia  cos'i a dilucidarsi. Egli e chiaro, che parlando  il Poeta dei falsamente condannati, allude *  quest' antica favola . Quindi per le parole falsa  damnati crimine mortis Virgilio non intende,  come potrebbe immaginarsi, innocente! addirli  ob infetta* calumnias, ma homines indigne et perperam adjudicali, assolti o condannati che  fieno . imperciocché pronunciando i giudici più  sovente sentenza di condanna, ebe dì assoluzione mentii per figura la maggior parte pri tutto . Forse Virgilio aveva scritto: Hos juxta fal-  so damnati tempore mortis; onde segue:   tftc viro. h<e line sarte data, sìne /«die* stdes (i),  Vitaiqye et crimine discit. Accordandosi con questa spiegazione { la qual  suppone una mal data sentenza sia di assoluzione o di condanna ) la conferma nel tempo stesi  so, e tutto ciò è ben legato con una serie con-  tinuata. Resta una sola difficoltà, e,' per dire  il vero, ella nasce piuttosto ila una negligenza  di Virgilio, die di chi lo legge. Troviamo que-  ste persone mal giudicate messe di g.à con altri  colpevoli in un luogo destinato per essi, vale a  dire nel Purgatorio. Ma per inavvertenza del  Poeta sono mal collocati ; poiché vedesi dalla favola, che dovrebbero essere messi sul confine  delle tre divisioni, dove la grande strada si par-  te in duo l'una che conduce al Tartaro e l'al-  tra agli Elisir, che Virgilio descrive cosi:   Bit focus est, parti; ubi se via findir in améas,  Desterà qua D 'ilis magni sub mania tendi! :  lìec iter Elysium nobis : et ini* mahrum  Exercet panar, et ad ìmpia Tartara mietil Ricercando il principio e l'origine della favola  io penso così. C insegna Diodoro di Sicilia, che  usavano gli Egizii di stabilire alcuni giudici al-  la sepoltura di tutti i particolari, per esanima- to Eneid. Lib-VI. ras. 4 ;i. (.) j. c . T er<-4!i-  (j) t c. i4 a. t «g E . re la loro vita e condotta, -onde sì assolvessero  o co ad annaserò secóndo le favorevoli o toni ra-  ri u testimoniarne ctie. avessero. Questi giudici  erano Sacerdoti, e pretendevano che le loro sentente fossero ratificate nel soggiorno delle om-  bre. La parzialità e i regali forse ottennero col  tempo ingiuste sentenze, e il favore particolare  vinse la giustizia. Di che potendosi scandalezza-  re il popolo, fu creduto a proposito dare ad in-  tendere ch'era riserbata al Tribunale dell'altro  mondo la sentenza, che doveva decidere della  sorte di ciascuno, se io non m'inganno; quin-  di ebbe origine la favola generale . Havvi però  una circostanza, di cui norr si pub rendere pie-  namente ragione, cioè " de' giudici che in que-,, sto mondo pronuncian sentenza, predicono il  „ giorno della morte del colpevole, dell* ordine,1 dato a Prometeo di abolire la loro giurisdizio-,> ne, e privarli di questa prescienza. Per la  che intendere, supponiamo ciò eh' è probabile,  che il postume riferito da Diodoro fosse nato  da un altro mo più antico, cioè, che i Sacer-  doti giudicavano i colpevoli in vita per delitti,  di cui il tribunale civile non poteva rilevare la  verità. Se cos'i è, ne nasceri che per la predi-  zione della morte del colpevole a' intenderà la  pena della morte, a cui veniva condannato; e  Prometeo che toglie loro il dono della prescien-  za vorrà dire, che il magistrato civile abolì la  loro giurisdizione. Questo nome di Prometeo  ben conviene al magistrato, il quale forma lo  spirito ed i costumi del popclo colie arti neces-  sarie alla pubblica felicità . Ecco secondo il mio     48   parete, l'orìgine della favola di Platone ; e pa-  re infanti ch'egli intendesse cosi, poiché facen-  dola/accontare da Socrate, gli (a dire : " Ascòl-  „ late un famoso racconto, clic voi forse tratterrete da favola; ma per me la chiamo una  il vera storia. Io spero di avere con questa spiegazione sod-  disfatto, la quale era necessaria per le osserva-  lioni fatte in tal proposito da Mr. Addisson  Voi. II. in un discorso espressamente composto  per ispiogare la discesa di Enea all'Inferno.  " Veggonsi, dice questo celebre autore, i caratterì di tre sorta di persone situate a'eon- ni: ni saprei dire la cagione, perchè cosi particolarmente collocate in questo aito: se  „ non fosse, perchè non pare ch'alcun di loro  „ dovesse essere collocato tra morti, non aven-  „ do ancora compiuto il corso degli anni asse-  D 8 nat 'S'> sulla terra . I primi sona le anime,i de' fanciulli levati dal mondo con una morte  „ immatura : i secondi sono gli uccisi ingiusta-  „ mente con una iniqua sentenza: in teno Ino-  „ go quei, che lassi dì vìvere, sì sono da se  „ medesimi uccisi ma  Trovami poscia due episodii 1' nn sopra Didone, e l'altro sopra Deifobo, ad imitazione di  Omero, ne' quali non evvi alcuna cosa al mio  proposito, se non fosse l' orribile descrizione di  Deifobo, il cui fantasma rappresentato mutilato  ci dimostra, secondo la filosofia di Platone,, che  i morti non solo conservano tutte le passioni  dell' anima, ma i segni ancora e i difetti del  corpo .Passata eh' ebbe Enea la prima divisione, ar»  riva si confini del Tartaro, dove gli viene di-  spiegato tutto ciò che riguarda le colpe e le  pene degli abitanti in questi luoghi terrìbili.  La sua conduttrice lo instruiice di tutto, e per  fargli intendere l'ufficio del Jerofanta» onta in-  terprete dei misteri!, co»l gli dice i   «•' Dm intlytt Ttucrmn t .   Nulli fai. casta tceltratum iati litri .limta i  Std mi, tura luci! Uicati prarfteit Avermi »  Ipsa Dtum panai datai t, perqm omnia duxìt (i) Osservisi che ENEA vien condotto per le regioni  del Purgatorio, e dei Campi filili!, ma che il  Tartaro gli ri fa vedere da lungi, e ne dice la  cagione la sua condottrice t   Ti.m dimum borritone,tridtntei eardine iter*   Panduntstr porte . Cernii custodia qualij   V estibulo stdeat? fatiti que Unum* itrvtt? (i)   Negli spettacoli e nelle rappresentazioni de' mi-  sterii non poteva essere difesamente . I colpevoli condannati alle pene eterne iono primiera-  mente coloro, che per ischi vare il castigo de' ma-  gistrati avevano peccato aegretamente:   Gnotsius htc Rhadamantui baiti durissima tigna,  Cairigatqui, aud'stqui dolci, tuéigitqui fami,  Qua; quii «pud Superai farlo Ulatui inani.  Distaili in itram commina piacula mortem. Endd. lib. VI. re» jfc. c"il^ {,) 1. £ . T(n . K .   (3; L e. ma. j«. tt.   d  Appunto per quelle colpe e«e»«o i legiilatori   d'inculcare il dogma delle pene dell'altra vita;  In scendo luogo fili Atei, che prendevano a  icheruo la Religione e gli Dei :   Bit 8W **ti9**f urr*Titdnià fui" (i).  Il die era conforme alle leggi di Caronda, che  al riferir di St-bro strili. XLU. dice; Il disprez-  zo degli Dei ita una, delle colpe pili grandi.  Il Pu- ta pailicolarnirnlv insiste, su quella specie  d'empirti, perei gli uomini pretendevo.» gli  onori dovuti agli Dei t  V 'idi et erudita dansim Salmaaia panar,  fìum Ji«mma,-Jbvii, et -tmitut imitttur Oìymfi (l) Sema dubbiò egli voleva censurare l'Apoteosi,  che già incorni oci ava ad introdurli in Roma ;  ed io credo che nella Ode III. del Libro!., del-  la quale il «oggetto «.Virgilio, abbia voluto  Orario rimproverare questa MB* a' mai ..citta-  dini: . Calum ipsxm pitimus stùtiitìa Wtfw  Tir nostrum paiimur stilili   Iraconda Jbvtm ponete fulmina (j) -   In quarto luogo" i traditori, e -gli adulteri, che  duo perturbatori dell* salute pubblica e pri-  vata i   Quiqut ab kMteriltm erti, quiqut arma secati  Impia ; nec viriti àomm-runi fallire Uixsr. s,  M tntid. lìb vi- mi. s ao. u) L c wn. jij. j«-   (riHorit.ivivttnl.ee. lucimi panarti euptclant (i) Vendidit hic aura patri ani, daminumquC pitentem   ImpOfuit, fixit legai prstio a'tque rtfixir,   Hic thtlamum invaili.,., velitojqw hymenxos.(& .  È degna di osserva/ione non dirsi solamente gli  adulteri, ma ancora gli uccisi per cagion di.  adulterio; per far intondere che dinanzi, al tri-  bunale della giustìzia divina -non bastano a punir  questa colpa i castighi umani anidra i jiiù -severi.   La ijMott*-ed uitira»-«p»cie tn-cqlpewiiii sano  Vi intrusi ne' misteri!, e i violatori di e ni,  rappresentati tutti e due sotto il carattere di  Teseo :1  s Sedet <eftrnUmqùl sed&iir  \ ' "  Infelix Thtsexi, PblttyajqHe rniterrimus orma   ' Mmonet et magna itstsiur voce per umbra: ;  Discile jitiiiiiam moniti, et non lemiere D/oe'j (;)..   Secondo la favola Teseo e Piritoo disegnarono  di rapire Proserpina dall' Inferno, ma colti sul  latto, Piritoo fu gettato a Cerbero, « T«eo  incatenato, finche da Ercole fu liberato. Con  che ci s» diedi; ad intendere, che clandestina-  mente si, erano, instrutli dei misteri i, e puniti .  A questo proposito mi sovviene una Storia rac-  contata da Livio nel Libro X.X.XI, Gli Ateniesi impegnarono in una guerra, contra Filippo  per un motivo dì poca importanza, in tempo,  in,cui altro non restava loro dell' antico splen-  dore, che la. fierezza . .JSV giorni dell' iuiziazio.   (0 tfc'd. Lib. VI.' tu. <sij. ftfe M L o. ttiMM. *«• *»!•  (j» I. e. * 7 . e »fg.   d i     „ da, glor.ni MT-i*«W. >«>•   L,„.«:,., . ™» .•p<«™ k Si ?™"*   culto segreta, entrarono con 1. ™rb. nel leu,-  2 di ferm. « —ita»—"•>"•   «uri .1 Presidente de' miste,,,, e benché tale  chiaro che innocentemente, e per fello era»,  entrati nel tempio, furono '•"> m °""' ™" =  rei di un enorme delitto .   Forse per Fregi» intendono i popoli deil. Beo-.  a ì, dì cui riferisce Paosania, 1 queir perrron  tntt'i dal fulmine, dal terremoto e dalla peate.  Quindi generalmente Fregia »o» dire •£ e.pr.  3 i „crMe S M. L'officio dato qui • Te.» i.  ..orlare alla pietà, a nino megli», «M  onmeni.a nello spettacolo, de' mr.ter,,, rapp.e-  ienl.ndo egli on. persona, che fjli««« P™'«  tìii. Co.1 l'idea noitr. intorno la drsces» d’ENEA all'Inferno toglie un» difficolti non m»,  .piegai» da' Critici. Non et» .(* no officio »~  «1, e r.r«r di propello gridar conimnamen .  air orecchio de' coodaun.ti, che Imparasse™ la  pietà e la ri.ercnra »er,o gli Dei! Qoantonqu.  Lesta sentenza insegni una importanti,....» re.  A.', era peri inolile predicarla a peranno, eh.  più n»n potevano sperare il perdono. Scarrone,  che ha impiegato il suo poco «lento per me*-  fere in ridicolo il pii util'Po. ma, che ma, st»  .fato composto, non ha mancato di far. guest»  flessa obbietione :  Li itnlmxn i eviene e btlla,   Ma all' Infima non Val *iU Infitti, secondo l’idea comune della discesa d’ENEA all'Inferno, VIRGILIO fa rappresentare a  Teseo un personaggio fuori di proposito. Ma  questo continuo avvertimento diviene il più ra-  gionevole ed il più utile, quando suppongasi  (come è di fatto) die VIRGILIO faccia nna rap-  presentazione di cià die facevasi e dicevasi nel celebrare gli spettacoli de' ìnisterii, poiché in  questo caso serviva d' avvertimento ad una mol-  titudine di spettatori viventi Aristide negli Bicaimi dice, che non mai cantavanii parole più  proprie a spaventare, qnanto in questi misterii^  perchè le voci e gli spettacoli insieme uniti,  dovevano fare una più profonda impressione sul-  lo spirito degli iniziati". Ma da un passo ili Pin-  daro io conchiudo, elle ne' spettacoli dei miste*  rii (donde gli uomini han prese tutte le idee  delle regioni Infernali ) nsavasì, che ogni col-  pevole rappresentato nel ano attuale castigo fa-'  cesse agli assistenti una esortazione contro la  colpa da lui commessa; " Volgendosi, son parole di Pindaro, a. Pyth., volgendosi conti-  n nuamente sulla sua rapida-ruota, grida a' mor-  ii 'ali ) che sempre situo disposti s confessare   la loro gratitudine verso a' benefattori per le  », grazie da loro ricevute „ . La parola mortali  fa chiaramente «edere, che questo discorso fa*  «evali agli uomini di questo mondo.   II Poeta cosi finisce il catalogo de' dannati :   Ami amati immane ntfns ausoqne patiti (l) . «) Sncid. ta.VI. ver», fi*.   d 3 Erìit"~~ a,s,i C,, :,!',i   •t™/a e dell' appro^aiione degli Un. ma era un  traodo, che sono estn.lmmt, "SS"".   Punto il Tartaro  g™to • «o» 1 "" "S" l '"  tìl, ENEA si purifica: - ... 0,, r J«« "*'». IW '««"'   Entra dopo nel soggiorno de' Beati:   Dtvvttrt Ivor «W» ^ fl "" r '''' T " Vff4  Fun'uw°r«'" nìmotvw, irdtiqac itti al :  Lvgì°* bic campo, etitr, O '«•»'»' "  T U,purta: lOÌemqM luam, s«n Wrr-r nonno" (a) .   Cosi precisamente Temistlo, Orolion. jnPniranj  ocsc.iv. P Iniriato nel momento the i. apre »  ecena r " Essendosi purificato, scuopresi ali mi-  „ ilato una legione tutta illuminala e rtsplen-  „ dente di una ohiareaaa divina. Son dissipate  „ in un tempo le nuvole e le false tenebre, e  „ l'anima trovasi, per cosi dire, dalla piUter-  „ libile oscuriti nel piii chiaro e sereno g.or-  „ no „ . Questo passaggio dal Tartaro agli Elia*  fa dire ad Aristide negli Eleusini, die da one-  ste ceremonie nasce nel tempo stesso ed onoro  e piacer., che sorprende . Qui Virgilio abban-   l.jlasld. Lib.V».,.n. «i>. ijsì «>' "" '1*' « '' IS ' donando Omero, eseguendo la dilettevole de-  crÌzioDe« die nella rappresentazione rie' niisterìi  faceva»! ne'Cauìpi Elisii, schivi» un gran 'difet-  to, nel -quale era caduto il' ano mae>tro, che  Ila fatta una pittura sì poco gradevole de' to-  schi fortunati, che non faceva alcuna voglia di  vivere in quel luogo : onde ha rovinato il dise-  gno de' legislatori, che mlrvano i popoli per-  suaiì dell' tsistcniS di quel felice soggiorno.  Egli introduce il suo Eroe e favorito, e gli fa  aire ad Ulisse, eh' ei vorrebbe essere piuttosto  un semplice artigiano sulla terra, di quello che  comandare nella regione de' morti ; e tutti i suoi  Eroi sono egualmente rappresentati in uno stata  infelice. Oltre di che per togliere agli uomini  tutti gli stimoli delle grandi e belle azioni, rap-  presenta la Tama e la gloria, come cose imperi,  tinenti e ridicole r quando erano i più ponenti  motivi della virtù nel mondo Pagano, e di cui  non mai bisogna privare gli nomini interamen-  te i laddove Virgilio, che nel tuo Poema non '  avea altro 'fine, che procurare il bene della -so-  cietà, rappresenta l'amore della fama e della  gloria, come tini possente paciose ancora Dell'  altro mondo . La semplice promessa fatta dalla  Sibilla a Palinuro di eternare il suo nome, con-  sola la di lui ombra, hanclrt ti tm>HM»!W (?'  infelici: Mtirnumqm lecui Pali nari nomtn èaèiéit .  ììis diciis cura tuoi», puhnsque'parump»r Corde dolor iriiti : gauJtt cognomini urrà (l) 0) Enrid. llfc. VI, va*. H» !*»• ì*)-   d 4  Queste dispiacevc-li descrizioni dell'altro auindo,  e le porie licenziose degli Dei, It une e le al-  tre tanto dannose alla società, persuasero Plato-  ne a bandire dalla Repubblica Omero.   Io queste beate regioni il Poeta, assegna, il  primo luogo a' legislatori e a quei, che trassero  gH uomini dallo stato di semplice natura, « gli  ridussero a vivere io società:   Magnanimi Hercu, natii mtliorièus annìs (i).   Capo di questi è Orfeo, il più celebre legislatori d’Europa, ma più conosciuto in qualità  di Poeta . Imperciocché essendo scritte in versi  le prime leggi, onde fossero più facili a rite-  nersi a memorie, la favola ci ha .supposto Or-  .feo colla forza della sua armonìa raddolcite i  costumi selvaggi di Tracia: ;   Tbrticius lunga cum utìtr Sacndos   Oil'/^uirur nxmtrii septem discrimina veeitm (i) .    Egli fu il primo, che dall'Egitto portò i mi-  steri in quella parte d' Europa. Il secondo luo-  ^o è assegnato a' buoni cittadini e a quei, che  •i sono sacrificati per la patria:   Hit nfanus ub patriam pugnando vulnera passi (3).   .Trovami in terzo luogo i sacerdoti pieni di vir-  tù e dì pietà;  Quiqut Sucrrdmis casti, dum vita mantbat ;  Quiaut pìi vaifs, O" fiaia digna lucuti (4>- (1) Eneid. Lib. VL ras. (i) 1 e. veri. f*s- «4<-   (j) L c. ra. Kb. (4, J. C vers. c fri. (tu   *?   Essendo necessario il bene della società, ohe   coloro i quali presiedevano alla Religione vivi-s-  iero santamente, e non insegnassero' degli Dei,  le non cose convenienti alta loro natura. L'ul-  timo luogo è assegnato agli inventori delle arti  liberali e. meccaniche:   Inventai aut qui viram excoluere per ariti f  Quiqut mi mimarti alio! fecere merendo (l).   In tntto questo Virgilio ha esattamente spiegata  quanto iniegnavasi nella celebrazione de' miste*  rìi, ne' quali continuamente i oca! cavasi, clic la  VÌrtil sola pub rendere gli uomini felici : le ce-  remonie, le lustrazioni, i sacrifìci] niente vale*  yano senza della virtù . Passa trinami Enea uà  gran numero di persone dalle due parti di  Stige :   Malrei atque viri defun&aque carperà vita  Magnsnimum herount, patri inuptieqai parila' (l).  Sane circum innumere gemei papali qa; valabant (j ) Aristide c'insegna, che negli spettacoli de' mi-  aterii apparivano agli iniziati truppe in numera,  bili d'uomini e di donne.   Per convincere interamente . il lettore della  verità drlla nostra interpretazione, VIRGILIO nota  una particolarità, malgrado questa conformità  perfetta tra Io spettacolo da lui rappresentato e  qurllo dV mistcrii . Questo è il famoso segreto  àv misteriì, il quale era il domata della unità (i) E«id. LiU VI. vtrt. Étfj. («4. tu L e. ver*. jo*.  (jtJ.cvert.7c5.  (**>  fli Dio, particolarità, clie se avesse tralasciala  Virgili» bisognerebbe confessare, che quantum  quo avesse per fine di rappresentare V iniziazio-  ne a' misterri, non 1' avesse rappresentata perfet-  tamente- Ma egli era troppo eccellente pittore  per non lasciare qualche equivoco nel suo qua-  dro. Quindi copchiucie l'iniziazione del -suo Eroe  con fida'n Jogli, come solevasi, i secreti e il dogma  dell'unità. Senza di questo l'iniziato non era  arrivato ancora al grado più alto di perfezione,  -e non potevasi chiamarlo già Tf.iìhoths nel si-  gnificato tutto esteso di questa parola. Quindi  -il Poeta- introduce Museo', ch'era stato Jerofan-  t» in Atene, e che qui conduce Enea verso il  luogo, -dove apparitagli l'ombra di sno Padre,  * gii insegna' la' secreta dottrina sublime della .  perfelione con queste .sublimi espressioni: Principiti cmlmn ac tèrra! eamposque liquentts, Lucintemque glohiim Lunr Titnnìaqtte astra' 'Spirilui rteMrr ai'tt ; TÒtumqitr infitta p'rV àrtui 'Mtnt agitai materni et magno s: forfore miictti  Txtle bominum ptcudùmqite gtitur vititqut velatlnn,  Et qu/e marmoreo feri mostra sub aquari pontus CO - Segue Anchise «piegando )a natura e l'uso del  Purgatorio, il elle non era» fatto -nel passare  di Knea per quella regione. Viene poi alla dot-  Irina della Metempsicosi o trasmigrazione: do^  trina che insegnavasi ne'niistem per gimlificare  gli. attributi morali della divinità. Quest' OSS* 1   Uf Eatid. Ub.VI. vtts.,714. e tegg. I J N:l'"J il': L.l  »9  (o sv^gwwce al Poeta l'episodio il più belio ci)*  immaginarsi potesse, facendogli passare 'dìnan-, come in rassegna la sua posterità, e' cosi fi-  Bisce lo spettacolo \-' '('   I» questo viaggio che fa' l'Eroe per le tré  regioni de' morti, abbiamo dimostrato di uianò '  in mano con l'-atrtorift- di' qnalelfd 'autore' la  conformità de' suoi avvenimenti a quelli' degli  iniziati. Ora tinnendo in.urr putito' solò di vi-  sta le cose' qua * là disperse, diverrà cosi lu-  minosa U nostra spiegazione, elle non potrà pifi  dubitarsene; perciò rapporterò un passo consere  vatoci dallo Stobeo nel sermone CXIX., il qua-  le contiene una descrizione degli spettacoli de'  misterii, che 'Si accorda affano cogli avvenimen-  ti di Enca> L'anima prova' nella morte' le pas-  sioni medesime, «he sente nell' iniziazione a' ini-  iterii; ed osservisi che le parole corrispondono  alle cose ; Poiché rrttu;^ significa morire, e  essere iniziato.- Nella prima scena altro  non vi è, «he errori, incertezze, viaggi fatico-  si e penosi, e spettacoli fra le tenebre folte  nella notte. Arrivati a' confini della morte, e  della iniziazione tutto appariva sotto un terribi-  le aspetto ; " tutto * Órrortf, ' timore, ' tremore 'e  spavento . Ma ' passati' questi' spaventi sopravvie-  ne una luce miracolosa e divina: vaglie piana-  re e prati smaltati di fiori sì presentano loro da  ogni parte: inni e cori di musica dilettano le  orecchie loro: sentono le stìblimi dottrine della  sacra scienza, ed hanno visioni sante e veneran-  de .. Cosi, veri,. perfetti, iniziati, dimeni*"»  ione- più ristretti; ma coronati e trionfanti pai- «o   reggia? per le regioni de'Beati, MmttHli con  uomini canti e virtuosi, ed a loro talento ede-   Finito il viaggio torna ENEA con la condotw  trice rielle regioni superne per la porta d' avo-  rio . C* insegna esserci due porte, I 1 una di cor-  no, per cui escono le vere visioni, V altra di  avorio, per cui escono le false :  Sunigimine tornili pan* : quorum altèri fenar ite. (i)  E termina t   Froiequiiur ditti s (i) .   A questo passo freddamente osserva Servio, stm-  plice grammatico, voler significare il Poeta, che  il tutto da lui detto «falso, e nenia fondamen-  to: Vu.lt autem intelligi, falsa <«c omnia qua  dixìt. Questa pure è la spiegaiione di tatti i  Critici. Il P. U Rue, che per altro è uno de'  valenti, dice quasi lo stesso; C.um igiturFirgi-  lius&nearn eburnea porta emiitit, indicai pro-  feSoj quidquid a se de ilio inferorum adita.  diSum est, in fabulis esse numerandum . PER SIGNIFICARE LA QUALE OPINIONE SI DICE CHE VIRGILIO ERA EPICUREO, e che nelle sue Georgiche  tratta da favola tutto ciò, che dicesi Jdl' Inferno !   Felix, qui potui, rerum eognueert c«u !!as, \ Atqut moi UI Bm „ fI et InnorìSift fatum   Sabfidi ptdièut, urephumqu! Mehcrenth nari (;). (0 E« c id. tib. Vi. veri. B,j. {1) I. e. veri. tft.   ti) Graie. lib.II. virilo, 491,49», Se li* vuol dar fede a coloro, avrà dunque il  divino Virgilio terminata la più Leila delle sue  opere in una maniera ridicola. Egli ha scritto  Don per dilettare l'orecchio, ed i fanciulli nel-  le lunghe iceie dell'Inferno con racconti simili  alle favole Milrsiaue ; ma per ì ostruire degli no-  cini e de' cittadini, c per insegnar loro r do-  veri della umanità c delta società. Dunque do-  veva essere il fine di questo VI. litro, in pri-  jno luogo d' insegnare la dotlrina di una vita  avvenire, utile in questo mondo ; e ciò ha fat-  to il Poeta, rappresentando con qnal regolato-  no distribuiti i premi! e le pene : io secondo  luogo d'impegnare gli Eroi in imprese degna  di loro. Ma le crediamo a questi Critici, dopo'  d' aver impiegate tutte le forze del sno spirito'  in questo libro per giungere a questo fine, arrivato alla conclusione, con un sol tratto dì  penna distrugge tutto, come *e avesse detto: Ascoltate, miei cittadini, io ho procurato d’insinuarvi la virtù, dì allontanarvi dal vizio per rendere felice tutta intera la società, e procurare il bene di ognuno in particolare . li par imprimale nel vnslro spirito queste,j verità, che voleva insegnarvi, vi ho proposto,, nn grand' esemplare, vi ho descritti gli av-  „ veni menti del famoso vostro antenato, del  „ fondatore del vostro impero; e per maggior  „ vostro onore l'ho rappresentato, come un Eroe  „ perfetto, gli ho fatta eseguire 1* azione più  „ ardita, ma insieme la più divina, vale a di-  „ re lo stabilimento della polizia civile : anzi  t, per rendere il suo carattere piti rispettabile! 6=  e date alle sue ..leggi maggior- »m*irt,- gli   „ ho, fatto intraprendere, il viaggio^ di cui . c -, f dete la relazione .- Ma. per paura,, elle toì ne  „ riportiate qualche vantaggio, ed il mio Emo  „ qualche giuria, vi, avverto * che tutto questo  lunghissima discorso di uria vita, avvenire al-  „ tio non\ è.,, che va* Ridicola e puerile finrio-  »> ? e » < d »' personaggio rappresentato dei dd-  „ sito Eroe è un, sogno vano. In somma tutto  „ c(ò che avete inteso, dovete riputarlo, come  y scherzo, che niente significa, e da cui non  v dovete cavare conseguenza jlcunj., e» Boa, t ch'il Poeta aveva, voglia dì ridere,, e di hur-  g larsi delle vostrr; superstizioni „ . Cosi, si fa-  rebbe parlare Virgilio, seguitando Ja interpreta-  zione de' critici antichi e- moderni» La writàui  è, che non si potrebbe iciogliere .questa terribi-  le difficoltà senza, questo, nuovo aisteina, . secondo il quale aititi non intende VIRGILIO per.que-  ?* *-?!!?.* della discesa all' Inferno, the . Ja ini-  ziazione a' misterii . Ciò spiega, l' enigma, PJ 1 as-solve, il Pj^taj. Jaiperciocclià,.^tslf «M» dise-  gno di descriyer.e,. qu L ^ta. iniiiazioae., come è  credibile, avrà senza, dubbio scoperta con. qual-  che segno, fa, «qa, interuiono. secreta) ma dovu  poteva palesarla, meglio,. c l>e » thiudemle il  suo libro? Kgli f, a j uuque ^iv-pna bellissima  invenzione migliorato ciò, «li*» Omero, racconta  delle due.porte, quella di corno destinata alle visioni vere, e. quella di avorio, alie.fali. . Per  la puma dimostra Virgilio la realità di una vi-  ta avvenire; ma in questo ciò ch'egli vide non  era all' lni eino, ( „, a, nel tempio di Cerere. O.,—  sta rappresent.izionc chiamasi MÙàoe, o la favo-  la per eccellenza. Questo è secondo il staso ve-  lo ^ queste parole : Mitra canihali pnftBa nitet Eltphnnta ;  Sud Uba ad calum mìttum insomma mamffi.   ÌA* quantunque non avessero niente di reale i  sogni, che uscivano per questa porti,So- non  dubito, di' ella ir» /atti, non vi- latte-. Questa  era la. »tasni&cai porta del tempio, onde usciva-  no gl'iniziati, quando era compita la ceremo-  uia. Questo tempio era di una numeri-- gran-*  dezia,. come lo descrive Apulejo lilr. II. Senws  duxit me protinus ad forcs adìs amplissima.  È» curiosa . la descrizione, che ne fa Vìrruvio da  antiquitate nella prefazione del lì tir. VII. Eleusince- Cereris, (a Praserpina celiata immani ma-  gnitudine.,. Dorico ordine, sine exterioribus co-  tumnii. ad laxamentum usui sacrificiorum per-  r.exit. Eum autem postea, cum Bememus Pha-  lera-u? Athenis rerum potiretyr, • Philon. mite  templum. in. fronte columms constilutis Prosty-  lum fecit- auéìo vestibolo, laxnmentum initian-  libus r . operisque Aummain adjecil autloritatem •  Eravi dunque- uno spazio assai lungo capace di  tutti questi ipettacoU* e, dì tutte le rappiesen-  tazioni. K. poiché ne. abbiamo tanto parlato, a  riferitene alcune varie particolarità c/na e là: di-  sperse, non sarà cosa imitile, prima di finire,  darne in poche parole: una idea generale.     M Intii^Ub. Vt. Ì9S, Ijrd.     To credo adunque, che la celebrazioni' Jé' tnl-  sttrii consi.ieise principalmente io una specie  di rappresentazione drammatica della stona dì  Cerere, la quale dava occasione di esporre agli  occhi de*apettarori queste tre cose, che sopra  tulio inspgnavansi ne' murarli . I.", l'origine o  l’istituzione della società : IT. la dottrina do*  pniiiii e delle pene di un'altra vita': ' fi f.' Ir  falsiti del Politeismo, e la dottrina della unità'  di Dio. Apollodoro nel Libr. I. Cap V. della  sua Biblioteca c'insegna, che come Cerere avera stabilite leggi nella Sicilia e nell'etica, e,,eCondo la tradizione, aveva incivHili gli abt-'  tanti di que'due paesi, e raddolciti i loro co-  stumi selvaggi, ciò diede luogo alla rappresen-  tazione del primo degli artìcoli' sopradetti . Bio»  doro di Sicilia dice, che nel tempo della festa  di Cerere, che durava dieci giorni in Sicilia,  rappresentavano 1' antica maniera di vìvere, pri-  ma die gli uomini avessero imparato a lemìua-  re, e a servirsi delle biade. 11 secondo articolo  nasceva dalla cara, ebe Cerere si prese di an-  dare all' Inferno a cercare sua figliuola Proser-  pina, e finalmente il tino ' dal rapimento della  fgliuola .   Queste sono le osservazioni, che io ha fatte  iti questo famoso viaggio di Enea, e (se non  m' inganno) questa mia idea non solo illustra e  toglie molte difficoltà in ogni altro sistema in-  tollerabili; ma sparge copiosa grazia sopra tutto  il Poema. Imperciocché questo famoso Episodio  Conviene perfettamente bene al «oggetto genera-  la dell' Banda, eh' è lo stabilimento di onesta-  to»  «8   lo, e di nna Religione, poiché, secondo ti co-  t'Aiv.ic degli antichi, chiunque intraprendeva un  cosi difficile disegno era obbligato nidisptnsabit-  uiente di preparatisi colla iniziazione ai mifterii . Multa eximia t dice M. Tullio, divinaque  videntur Athence tua peperisse, atque in vitaru  Jiominum attutisse t tum nihilmelius illit myste-  fili, quibus ex. agresti immanique vita exculti,  ad humanitqteni istituti. et mingali sumus ;  jnitiaque, ut appeilanlur, et vera principia vi-  fa> cognop'uns . Neque salum cum Imtitia vi-  vendi rationem occepimus, at alani cum sp$  mfiiiori moriendi (i).  £] M- X. Ci.tq. dci«gi. Ubi. II. Clf.KlV-.  -=»   JftllM qu*lt si <t> U tptigt%ìw di Dkrìl ttìiSfznwi appwni***ti d'Miittrii Sfattoti.   I Sacerdoti primari! ne'mbterìi, che chiama-  vansi Hierophanta: } per conservare la castità  i' ungevano di cicuta • Un antico interprete A  Senio, alla jatif* V. -dice: Cicuta colorem i*  notti frigorit sui vi extinguit} unde Sacerdòti»  Cereri* Eleusina liquore ejtu ùngebantur, ut  concubiti* abstiner^nt. Altri vogliono che beve»  •ero la cicuta. S. Girolamo Lìbr. V. cont. Jovin.  ba coti : Bierophantct Athenìensium cicuta sor~  bilioni castrati, et pouquam in Pontificatavi  fuerìnt eleSi, viro* esse desivere.   latitati Inter mortuos honoratioret foie ere-  debantur. Scholiattes Ariitophanii in Ranis art:  ConspeBiores mnf apud inferni initiati- Diogene» Lantius in vita Diogeni* Cenici : Jpud ìn-  fero! priori loco initiati honoratUur .   (Tantaìo all'inferita.)   Né i Sacerdoti, né gli assistenti nell'antico  Egitto palesarono giammai ciò, che «veano ve-  duto nello spettacolo: né vi é esempio, eh*  qnantunque ne] fine d e ' sacrifici, le obbiezioni  fossero portate da dieciottò femmine figlinolo  de' Sacerdoti, alcun mai siasi attutato di queito  spettacolo, Orfeo Ita espressa la riterva, ali*  quale sopra quoto punto erano obbligati dalla  ttiaoti del loogo, «aito I 1 immagine di Tantalo  in meno alle acque senza poterne bevete. ' 1  Quelli j che andarono per J' iniziazione ne'ino-  ghi sotterrane» dell'Egitto, sentirono ntl primo  ingresso vagiti di bambini. Qtlelti erano i fi.  gliuoli de' Sacerdoti, che colà vanivano partoriti ed educati. Orfeo a questa verità suppose  ttaa dottrina, che i bambini di latte defunti  /ussero collocati nel]' mgreiso dell'Infero. Ne'soUeranei luoghi dell' Egitto e.avi un luo-  go chiamato il campp delle, lagrime ìugens som-  pur. Era uno spailo largo tre giugeii, ltrng»  nove circondato da quattro strade. Ivi si casti-  gavano sopra il Sudicio di tre Sacerdoti gli er-  rori degli ufficiali di secondo ordine, con castighi proporzionati, i più umani, come per aver  mancato più volte «Haipontntlìtà de' loro ufi»  cii. Là castigavano gli uomini, facendo loro  voltare un cilindro di sasso nulla cima di oli  collina, che andava dalla parte opposta. Le donne attingevano, acqua da profondi pozzi per versarla in un canale, che scorreva per questo earr£>  po di lagrime. Quindi e facile riconoscere l'ori-  gine del sasso di Sisifo, del vaso delle Danaidi  presso Orfeo. In caso di viola zion di secreto,  erano tanto i Sacerdoti, che gl'iniziati e gli  ufficiali destinali ad essere loro aperto il petto,  strappato il cuore, e dato a divorarlo agli il Celli di rapina . Quindi Orfeo immagino la per»  di, Prometeo e. di Tizio. Ami dalla grandezza  del campo è tram ia grandezza gigantesca di  Tizio, che steso a terra occupa ls spazio di no.  « giugeri. Eravi pure' un giardino chiamato Eliso . L(  luce del iole, che si ammirava era indebolita,  .perchè cadeva dall'altezza di dieciotto piedi.  Ciò fece nascere ad Orfeo, il pensiero di dare  all' Elifo un iole particolare ed astri particola-  ri. Nel fondo settentrionale' dell' eliso era vi il  Tartaro, in cai face vanii le rapprese stazio ci da Sacerdoti e dalle Sacerdotesse. Facevar»i' vedere  in lontananza grandissima molte persone, cha  per la distanza e per la poca luce, non potcva-  no essere distinte . In fatti gli iniziati e i con-  sultanti credevano: veramente rTedefe trasportati  nel toggiòrfao dell'altra vita J e non credevano  veramente vivi, se non quelli, che gli accom»  pago a vano .   Salendo per ima scala sontuosa all'Edificio  del Teatro, vedevano a traverso de' giardini, come in un vasto sotterraneo, un' canale diacqUe  spiritose e sulfuree accese, che parevano uri na-  rne di fiamme .   Un uomo, che torni alla Ida elsa, dice il  P. Bossù, la contesa di due altri nori'ha' in w  niente di grande; ma diventano azióni illustri,  quando è Ulisse, che ritorna in Itaca, Achille  ed Agamemnone, che contrastano. Vi sono del-  le azioni per se stesse importanti, come lo sta-  bilimento ( o la rovina di ano Stato, o di una  Religione; e tutt'è l'azione dell’ENEIDE. Egli  ha conosciuta la gran differenza tra i Poemi di  Omero e di VIRGILIO. È mirabile che da ciò non  abbia compreso di una specie differente essrre  l'Eneide dall'Odissea, e dallMliade. Una delle ragioni ancora per cui vieppiù SÌ manifesta la falliti della glosa dì Servio e Jt"  moi seguaci nell' asserire, che Virgilio [scendo  uscire dall' In Temo il im Eroe per la porla di  Avorio abbia voluto sigili (icari* mere stato simi-  le a un sogna tutto il precidente. racconto, udì  delle ragioni, dico, è che dentro il racconto VIRGILIO fa profetare Anchise di cose già succedute, ma succedute di Catto. Dunque come poteva  far passare per falso quello» oh' «0, verissimo Quindi le sue descI  Questo sapiente Dottor Inglese Warburton  e quegli) clic ha preso a difendere altamente  nelle sue Dissertazioni, o Lettere filosofiche e  morali (tradotte in Francese, conte li osservo  nei cenni mila vita del Warburton premesti a  questa edizione, dal Sig. di Silhouette, e im-  presse in Londra nel 1742 colla traduzione de'  aggi lulla Mitica e sull'uomo, e di-IP epistole  morali entro una raccolta intitolata Melange da  Litteraiure. et de Philotophieì Pope il quale fu  acerbamente attaccato dal Sig. di Crousaz e da  molti altri scrittori, e fra questi dal Ratina, a  cui rispose addi aS Aprile 1741 il Sig. di  Kamseais, cosi pure al Sig. Montesquieu autore  delle 'lettere Fiamminghe e delle Persiane.  10 Warburton raccolse ed impresse in IX. volti-  mi tutte le varie opere del Pape, che ave va-  gliene data l'incombenza col lasciargli tatti »   Cicerone parla de' mister» Eleusini, ne' quali  pretende il Sig. di Middeleton nella sua vita,  essersi fatto egli iniziare nel primo suo viaggio  in Atene 1' anno di Roma 67Ì, e di sua  et* XXVIII., ne parla, dico, Tisi c. Quasi. i>3,,  e 3 ed  «pressa ni enti: ilice de Legìbus I. sopracit;  Initiaguc, ut appellatiti, (s vera principia uè-  Ite cognovimut : neque soliim cum Imiti» vivendi rationem ticcepimus, sed etiam cum spe me-  liori moriendi. Questi m uteri i si celebravano in  determinate stagioni dell'anno con inoltre solen-  ni, e con una gran pompa di macchine : il che  tirava un concorso di popolo frequentissimo da  tutti i paesi. L. Crasso giunse per sorte in Ate-  ne due giorni dopo, ch'erano stati celebrali,  ed avendo invano desiderato che si replicassero,  non si volle più fermare, e partì corrucciato da  quella città (CICERONE, DE OR. de Ora*. 5. io. ) . Ciò fa  Tevere quanto i magistrati Ateniesi fossero guar-  dinghi nel rendere que' misterii troppo familia-  ri, » tu ire non vollero permetterne la vista fuo-  ri di i. mpo ad uno de' primi Oratori e Senato-  ri di Roma. Stimati che nella decorazione fol-  lerò i appiè sentati il Cielo, l'Inferno, il Purga-  torio e tutto quello che -si riferiva allo «tato  futuro de' molti, a bella posta per inculcare sen-  iibilmente, ed esemplificare le iiotljine promul-  gate ayli iniziati : e siccome erano un argomen-  to accomodato alla poesia però cosi frequente-  mente vi alludono i poeti antichi. Cicerone in  una sua lettera ad Attico il prega a richiesto,  di Chilio poeta eccellente di quel secolo, che  trasmettagli una relazione de 1 riti Eleusini, che  probabilmente destinatasi per un Episodio, o  abbellimento a qualche opera di Chilio. '   I miiterìì della Dea Cerere, ossia le ceremo-  nie religiose, che facevausi in di lei onore,  chiamavano Eleutinia dalia città dell' Attica det- ta da alcuni Elettiti; ma da altri con più fon-  daon-nto Eleusine, oggi Leptiaa. Le ceremonio  Eleusine piano presso i Citici le feste più toJ  leoni e sacrosante, onde per eccellenza furori  dette i Misteri! senz'altro aggiunto. La città di  Eleusina era così gelosa di questo privilegio di  celebrare i misterii, che ridotta dagli Ateniesi  agli estremi, si arrese con questa sola condizio-  ne, che non le si levassero le feste Eleusine. Contuttociò le stesse feste divennero comuni a  tutta la Grecia.   Le crremonie al dir di Arnobio, e di Late  lamio, erano una imitazione, o rappresentazio-  ne di ciò, che i Mitologi c'insegnano della Dea  Cerere . Esce duravan più giorni, ne' quali si  correva con torcie accese in mano, si sacrificavano vittime a Cerere e a Giove, ai facevano  delle libazioni con due vasi, uno dei quali sì  versava air Oriente e l'altro all'Occidente. I festeggiami si portavano in pompa alta città di  Eleusi, e sulla strada di tratto in tratto si fa-  ceva alto, e ti cantavano inni, e l'immolava-  no vìttime ; e tutto questo face va lì non solo  andando da Atene ìn Eleusi, ma nel ritorno  ancora. Del resto si era obbligato ad un invio-  labil secreto, e la legge condannava a morte  chiunque aveste ardito di pubblicare i misterii,  Anzi la slessa pana incorrevano quelli ancora,  che avessero data retta a' violatori del segreto .  I Candiotti erano i soli, cui si potevano sco-  prire . Le feste Eleusine nominavangi pure EVi-  xpuW cioè abscondita poste sotto chiave. Onde  ebbe a dir Sofocle aell' Edipo Coloneo, che la     Nngtia  de'Saeirdoti Ettmoìpidi era serrata con  chiavi d'oro. Non ostante un %\ severo decreto  Tertulliano, Teddofeto, Aruobio, Clemente Ale*,  mandrino affermano, che nelle feste Eleusine si  mostrava una parte oicena. Ma questa impart-  itone potrebbe essere mal fondata; poiché ia  tjuesti in iste ni nulla v'era di scritto, v'era la  Ifìtì grave di torte le pene per chi violava il Je-  eretó 4 n* v'ha esempio ch'alcuno l'abbia mai  violato,    V erano due sorta di feste Elusine le grandi  e le picciole. Il detto fin ora riguarda le gran-  di . Le picciolo' erano state instìtuìte in grazia  di ErcoW. Qoesto Eroe avendo chiesto di essere  iniziato a* mi iteri i Eleusini, e gli Ateniesi non  potendo compiacerlo, perchè la legge vietava che  't'ammettesse alcnn forastiere, ne volendo con-  -tnttociò contristarlo, initituirono altre fe*te; Elea*  line, coi poteste egli assistere . Le grandi si ce-  lebravano nel radi e di Roedromìone, che corri-  (ponile al nostro Agosto, e le picciole nel me»  /Intheucrione, che corrisponde al mese di Gen-  naio secondo Scaligero, al mese di Mano secon-  do Xilaadro . Non veniva alcuno ammesso alla partecipazio-  ni; di questi miiterii, se non per gradi. Prima  bisognava purificarsi: dipoi si era ricevuto agli  Eleusini minori] in fine li era ammesso ed ini-  ziato ai grandi, o aia maggiori . Que' eh' erano  ascrini, a' piccioli, ehiamavanii Mysti, * que'  ch'erano iniziati ai grandi, Epopti ed Efori,  TÀeh a dire Inspmori . Ed ordinariamente dovc^  *ari sostenere una prova di cinque anni per passare da* piccioli Eleo» ini 'a' grandi . Qualche  volta un anno bastava,' dopo il' quale- spaziò di  tempo si era immediatamente ammuso a quanta  Véra di più secreto in quelle religione ceremo*  aiti. Giovanni Menrsio ha composto un trattata  sugli Eleusini, nel quale prora la maggior par-  te de' fatti j che noi qui sopra abbiamo narrati La cognizione e par coti dire, la chiara con-  templazione de" miiterii Eleusini, chiamossi Au-  lópsto. In che consistesse non ai sa. Solo si  legge negli antichi scrittori, che un Sacrificato-  re detto Midranes immolava a Giove una troja,  pregna ; : e dopo avere ite ta la di lei pelle in  terra, su quella li faceva stare chi doveva es-  sere purificato . Questa ceremonìa era accompa-  gnata da preghiere, le quali un austero digiuna  doveva aver preceduto . Di poi dopo qualche  ablazione fatta coli' acque del mare, si corona?  va l'iniziando con nn cappello di fiori . Dopo  queste prove il candidato poteva aspirare alla  qualità di Itiysta, o d' Infoiato a' misteri! .   Quanto raccontano gli antichi de' mostri e  delle terribili apparizioni, ch'avevano gì* inizia*  ti ai misterii Eleusini si può provare . con quan-   -trizio, ch'è una grotta piccìola cavata nel sasso  di una isoletta del lago d'Erma nel li Contea di  Pungali nell'Irlanda. Tutti i pellegrini ch'an-  davano a visitar il Purgatorio di S. Patrizio non'  potevano entrare, se prima non vi si erano pre-  parati con lunghe vigilie e con rigorosi digiuni j  nel qnal tempo v'era chi loro empiva la testa  di terribili racconti? La prensione, i raccon-     ti, la deboteeza, le Miche operavano in guiia   nella immaginazione di qui;' malconci pellegrini,  ch'entrati nella; picciola caverna in meno a  quelle angusìic, ove regnava, una osciiriiiini»  notxe, credevano divedere realmente lutto quel-  lo, che avevano sentito narrarli; onde usciti  tutto ipacciavan per vero e reale, sebbene non  fosse rtato tale, che nella loro riicaldata e tur-  bata nfcntUt*;   Seneca nelle questioni naturali Lìbr. Vili.  Gap. XXXI. fa menzione di qoeito proverbio;  Eleusina servai, quod ostendai revisentibus . Sì  dice contro chi vuol dire, e inoltrare tutto ciò  che fa, od ha tenia frapponi dimora, tigli è  preso di qui, che i ebbe ni nel tempio di Cererà  vi foriero molli ornamenti sacri, su' quali cade-  va r Auptosla, pure non li inoltravano ohe, *e-  paraUmcnte, ed in diversi tempi. Fine delle Osservotiorti . A. Cuti. The belief in an underworld is very old, and most peoples imagine the dead as going somewhere. Yet they each have their own elaboration of these beliefs, which can run from extremely detailed, to a rather hazy idea. The Romans belong to the latter category. They do not seem to have paid much attention to the afterlife. Thus, Virgil, when working on his “Aeneid”, had a little problem. How should he describe the underworld where Aeneas was going? To solve this problem, VIRGILIO draws on three important sources, as Norden argues in his commentary: Homer’s Nekuia, which is by far the most influential intertext, and two lost poems about descents into the underworld by Heracles and Orpheus. Norden is fascinated by the publication of the Apocalypse of Peter, but he is not the only one: this intriguing text appeared in, immediately, three edition. Moreover, it also inspires the still useful study of the underworld by Dieterich. When Norden published his commentary on Aeneid, and he continued working on it, his essay still impresses by its stupendous erudition, impressive feeling for style, [In general, see Bremmer, The Rise and Fall of the Afterlife (London). 2 For Homer’s influence, see Knauer, “Die Aeneis und Homer” (Göttingen). Norden, KleineSchriften zum klassischenAltertum (Berlin), ‘Die Petrusapokalypse und ihre antiken Vorbilder’. In his monumental commentary, Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6. A Commentary” (Berlin) mistakenly states it was 1 Enoch. For the bibliography, see the most recent edition: Kraus and T. Nicklas, “Das Petrusevangelium und die Petrusapokalypse (Berlin). Dieterich, “Nekyia” (Leipzig and Berlin). For Dieterich, see most recently H.-D. Betz, The “Mithras” Liturgy (Tübingen) Wessels, Ursprungszauber. Zur Rezeption von Hermann Useners Lehre von der religiösen Begriffsbildung (London); H. Treiber, ‘Der “Eranos” – Das Glanzstück im Heidelberger Mythenkranz?’, in W. Schluchter and F.W. Graf (eds), Asketischer Protestantismus und der ‘Geist’ des modernen Kapitalismus, Tübingen, many interesting glimpses of Dieterich’s influence in Heidelberg; Tommasi, Albrecht Dieterich’s Pulcinella: some considerations a century later, St. Class. e Or. F. Graf, ‘Mithras Liturgy and Religionsgeschichtliche Schule, MHNH Norden, P. Vergilius Maro AeneisVI (Leipzig) 5 (sources). ingenious reconstructions of lost sources and all-encompassing mastery of Roman literature. It is, arguably, the finest commentary of the golden age of German Classics.7 Norden’s reconstructions of Virgil’s sources for the underworld in Aeneid VI have largely gone unchallenged, and the next worthwhile commentary, that by Austin clearly did not feel at home in this area. Now the past century has seen a number of new papyri of literature as well as new Orphic texts, and, accordingly, a renewed interest in Orphic traditions. Moreover, our understanding of Virgil as a philosophical bricoleur or mosaicist, as Horsfall calls him, has much increased in recent decades. It may therefore pay to take a fresh look at Virgil’s underworld and try to determine to what extent these new discoveries enrich and/or correct Norden’s picture. We will especially concentrate on the Orphic, Eleusinian, and Hellenistic backgrounds of Aeneas’s descent. Yet a Roman philosopher may hardly avoid his *own* Roman tradition, and, in a few instances, we will also comment on these aspects. As Norden observes, Virgil divides his picture of the underworld into six parts, and we will follow these in our argument. For Norden, see most recently E. Mensching, Nugae zur Philologie-Geschichte, 14 vols (Berlin). Rüpke, “Römische Religion” (Marburg); B. Kytzler et al., Norden (Stuttgart); W.M. Calder III and B. Huss, “Sed serviendum officio...” The Correspondence between Wilamowitz-Moellendorff and Eduard Norden (Berlin); W.A. Schröder, Der Altertumswissenschaftler Eduard Norden. Das Schicksal eines deutschen Gelehrten Abkunft (Hildesheim); A. Baumgarten, ‘Eduard Norden and His Students: a Contribution to a Portrait. Based on Three Archival Finds’, Scripta Class. Israel; Horsfall, Virgil, “Aeneid”, with additional bibliography, although overlooking Neuhausen, ‘Aus dem wissenschaftlichen Nachlass Franz Bücheler’s (I): Eduard Nordens Briefe an Bücheler’, in Clausen (ed.), Iubilet cum Bonna Rhenus. Festschrift zum 150 jährigen Bestehen des Bonner Kreises (Berlin) (important for the early history of the commentary) and --  Rüpke, ‘Dal seminario all’esilio: Norden e Jaeger,’ Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia (Siena). See now also O. Schlunke, ‘Der Geist der lateinischen Literatursprache. Eduard Nordens verloren geglaubter Genfer Vortrag’, A&A 8 For a good survey of the status quo, seeA. Setaioli,‘Inferi’,inEVII, Austin, P. Vergili Maronis Aeneidos liber sextus (Oxford, 1977). For Austin  see, in his inimitable and hardly to be imitated manner, J. Henderson, ‘Oxford Reds’ (London) Horsfall(ed.), A Companion to the Study of Virgil (Leiden) See especiallyN. Horsfall, VIRGILIO: l’epopea in alambicco (Napoli). Norden, AeneisVI,208 (sixparts). As Horsfall,Virgil,“Aeneid”6, has used my previous articles for his commentary, I will refer Horsfall only in cases of substantial disagreements or improvements of my analysis. I freely make use of]. Before we start with the underworld proper, we have to note an important verse. At the very moment that Hecate is approaching and Aeneas will leave the Sybil’s cave to start his entry into the underworld, at this emotionally charged moment, the Sibyl calls out. “Procul, o procul este, profani.” Austin just notes: ‘a religious formula’, whereas Norden comments. “Der Bannruf der Mysterien ἑκὰς ἑκάς.” However, such a cry is not attested for the Mysteries in Greece but occurs only in Callimachus. In Eleusis it is *not* the ‘uninitiated’ but those who cannot speak proper Greek or had blood on their hands that are excluded. But Norden is on the right track. The formula alludes to the beginning of the, probably, oldest Orphic theogony which has now turned up in the Derveni papyrus (Col, ed. Kouremenos et al.), but allusions to which can already be found in Pindar, the Italic philosopher Empedocles of Girgenti -- who was heavily influenced by the Orphics -- and Plato. “I will sing to those who understand: close the doors, you uninitiated.” A further reference to the Mysteries can probably be found in Virgil’s subsequent words. “Sit mihi fas audita loqui” -- as it was forbidden to speak about the content of the Mysteries to the non-initiated.  my ‘The Roman Tour of Hell’, in T. Nicklas et al. (eds), Other Worlds and their Relation to this World (Leiden); ‘Roman Tours of Hell: in W. Ameling (ed.), Topographie des Jenseits (Stuttgart) 13–34 (somewhat revised and abbreviated as ‘De katabasis van Aeneas’ Lampas) and ‘Descents to Hell and Ascents to Heaven’, in Collins, Oxford Handbook of Apocalyptic Literature (Oxford). For the entry, see H. Cancik, Verse und Sachen (Würzbur) (‘Der Eingang in die Unterwelt. Ein religionswissenschaftlicher Versuch zu Vergil, Aeneis VI, fi). For further versions of this highly popular opening formula, see Weinreich, Ausgewählte Schriften II (Amsterdam); Ried- weg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos (Munich); A. Bernabé, ‘La fórmula órfica “Cerrad las puertas, profanos”. Del profano religioso al profano en la materia’, ‘Ilu  and on OF 1;  Beatrice, ‘On the Meaning of “Profane” in Antiquity. The Fathers, Firmicus Maternus and Porphyry before the Orphic “Prorrhesis” (OF 245.1 Kern)’, Ill. Class. Stud., who at p. 137 also observes the connection with Aen. 6.258. In addition to the opening formula, see also Hom. H. Dem.; Eur. Ba.; Diod. Sic.; Cat. - “orgia quae frustra cupiunt audire profane”; Philo, Somn.; Horsfall on Aen. For the secrecy of the Mysteries, see Horsfall on Aen. The ritual cry, then, is an important signal for our understanding of the text, as it suggests the theme of the Orphic Mysteries and indicates that the Sibyl acts as a kind of mystagogue for Aeneas. After a sacrifice to the chthonic powers and a prayer, Aeneas walks in the ‘loneliness of the night’ to the very beginning of the entrance of the underworld, which is described as “in faucibus Orci” -- an expression that also occurs elsewhere in Virgil and other Latin philosophers. Similar passages suggest that the Roman philosophers imagine the ‘underworld’ as a vast hollow space with a comparatively narrow opening. “Orcus” can hardly be separated from Latin “orca,” -- and we find here an ancient idea of the underworld as an enormous pitcher with a narrow opening. This opening must have been proverbial, as in Seneca’s Hercules Oetaeus. Alcmene refers to fauces only as the entry of the underworld. All kinds of ‘haunting abstractions’ (Austin), such as War, Illness and avenging Eumenides, live here. In its middle, there is a dark elm of enormous size, which houses the dreams. The elm is a kind of arbor infelix, as it does not bear fruit (Theophr. HP Norden), which partially explains why Virgilio chose this tree, a typical arboreal Einzelgän- ger, for the underworld. Another reason must have been its size, “ingens”, as the enormous size of the underworld is frequently mentioned in Roman philosophy. In the tree the empty dreams dwell. There is no equivalent for this idea, but Homer (Od.) situates the dreams at the beginning of the underworld. Virgil places here all kinds of hybrids and monsters, some of whom are also found in the Greek underworld, such as Briareos (Il.). Others, though, are just frightening figures from mythology, such as the often closely associated Harpies and Gorgons, or hybrids like the Centaurs and Scyllae. According to Norden ‘alles ist griechisch gedacht’,  For similar ‘signs’, see Horsfall,Virgilio (‘I segnali per strada’). Verg. Aen. with Horsfall ad loc.; Val. Flacc.; Apul. Met. 7.7; Gellius; Arnob.; Anth. Lat. Wagenvoort, Studies in Roman Philosophy (Leiden) 102–131 (‘Orcus’); for a possibly, similar idea in ancient Greece, see West on Hes. Th. See also ThLL. For a possible echo of the Italic philosopher Empedocles of Girgenti B121DK, see Gallavotti,‘Empedocle’, EVII. For a possible source,see Horsfall, Virgilio. Most important evidence: Macr. Sat., cf. J. André, ‘Arbor felix, arbor infelix’, in Hommages à Jean Bayet (Brussels); J. Bayet, “Croyances et rites dans la Rome antique” (Paris) Lucrezop; Verg.Aen. (ingens!); Sen.Tro. Horsfallon Aen.; Bernabéon OF717 (=P. Bonon.4).33. but that is perhaps not quite true. The presence of Geryon (“forma tricorporis umbrae”) with Persephone in an Etruscan tomb as Cerun points to at least one Etruscan-Roman tradition. From this entry, Aeneas proceeds along a road to the river that is clearly the border to the underworld. In passing, we note here a certain tension between the Roman idea of “fauces” and a conception of the underworld separated from the upperworld by a river. Virgil keeps the traditional names of the rivers as known from Homer’s underworld, such as Acheron, Cocytus, Styx, and Pyriphlegethon, but, in his usual manner, changes their mutual relationship and importance. Not surprisingly, we also find there the ferryman of the dead, Charon. Such a ferryman is a traditional feature of many underworlds, but iCharon is mentioned in the late archaic Minyas (fr. 1 Davies/Bernabé), a lost Boeotian epic. The growing monetization of Athens also affects belief in the ferryman, and the custom of burying a deceased with an obol, a small coin, for Charon becomes visible on vases, just as it is mentioned first in Aristophanes’ Frogs. Austin (ad loc.) thinks of a picture in the background of Virgil’s description, as is perhaps possible. The date of Charon’s emergence probably precludes his appear- [See Nisbet and Hubbard on Hor. C. 2.14.8; P. Brize, ‘Geryoneus’, in LIMC at no. 25. 28 A. Henrichs, ‘Zur Perhorreszierung des Wassers der Styx bei Aischylos und Vergil’, ZPE. Pelliccia, ‘Aeschylean ἀμέγαρτος and Virgilian inamabilis’, ZPE. Horsfall on Aen. Note its mention also inOF717.42. 30 L.V. Grinsell, ‘The Ferryman and His Fee: A Study in Ethnology, Archaeology, and Tradition’, Folklore; Lincoln, ‘The Ferryman of the Dead’, J. Indo-European Stud.; Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death to the End of the Classical Period (Oxford); Oakley, Picturing Death (Cambridge); J. Boardman, ‘Charon I’, in LIMC, Debiasi, ‘Orcomeno, Ascra e l’epopea regionale minore’, in E. Cingano (ed.), Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e stroriografia (Alessandria), Oakley, Picturing Death, with bibliography; add R. Schmitt, ‘Eine kleine persische Münze als Charonsgeld’, in Palaeograeca et Mycenaea Antonino Bartonĕk quinque et sexagenario oblata (Brno); Gorecki, ‘Die Münzbeigabe, eine mediterrane Grabsitte. Nur Fahrlohn für Charon?’, in M. Witteger and P. Fasold, “Des Lichtes beraubt. Totenehrung in der römischen Gräberstrasse von Mainz-Weisenau (Wiesbaden); G. Thüry, ‘Charon und die Funktionen der Münzen in römischen Gräbern der Kaiserzeit’, in O. Dubuis and S. Frey-Kupper, Fundmünzen aus Gräbern (Lausanne)] ance in the poem on Heracles’ descent, although he seems to have been present already in the poem on Orpheus’ descent. Finally, on the bank of the river, Aeneas sees a number of souls and he asks the Sibyl who they are. The Sibyl, thus, is his ‘travel guide’. Such a guide is not a fixed figure in Orphic descriptions of the underworld, but a recurring feature of later tours of hell and going back to 1 Enoch. This was already seen, and noted for Virgil, by Radermacher, who had collaborated on an edition with translation of 1 Enoch. Moreover, another formal marker in later tours of hell is that the visionary often asks: ‘Who are these?’, and is answered by the guide of the vision with ‘these are those who...’, a phenomenon that can be traced back equally to Enoch’s cosmic tour in 1 Enoch. Such demonstrative pronouns also occur in the Aeneid, as Aeneas’ questions can be seen as rhetorical variations on the question ‘who are these?’, and the Sibyl’s replies contains “haec”, “ille” and “hi”. In other words, Virgil uses this tradition to shape his narrative, and he may have used some other Hellenistic motifs as well. Leaving aside Aeneas’s encounter with different souls and with Charon, we continue our journey on the other side of the Styx. Here Aeneas; Contra Norden, Aeneis; Stuckenbruck, ‘The Book of Enoch: Its Reception in Second Temple Jewish and in Christian Tradition’, Early Christianity; Radermacher, Das Jenseits im Mythos der Hellenen (Bonn) 14–15, overlooked by M. Himmelfarb, Tours of Hell, Philadelphia, and wrongly disputed by H. Lloyd-Jones, Greek Epic, Lyric and Tragedy (Oxford) 183, cf. J. Flemming and L. Radermacher, Das Buch Henoch (Leipzig). For Radermacher, see A. Lesky, Gesammelte Schriften (Munich); Wessels, Ursprungszauber. As was first pointed out by Himmelfarb, Tours of Hell, Himmelfarb, Tours of Hell; J. Lightfoot, The Sibylline Oracles (Oxford), who also notes the passage “contains three instances each of “hic” as adverb and demonstrative pronoun - a rhetorical question answered by the Sibyl herself, and several relative clauses identifying individual sinners or groups’. Add Aeneas’s questions in the Heldenschau especially, – “quis”, “pater”, “ille” -- ), and further demonstrative pronouns. 39 Differently, Horsfallon Aen.  and the Sibyl are immediately welcomed by Cerberus who first occurs in Hesiod’s Theogony but must be a very old feature of the underworld, as a dog already guards the road to the underworld in ancient mythology. After Cerberus is drugged, Aeneas proceeds and hears the sounds of a number of souls. Babies are the first category mentioned. The expression “ab ubere raptos” suggests infanticide, which is also condemned in the Bologna papyrus, a katabasis in a papyrus from Bologna, the text of which seems to date from early imperial times and is generally accepted to be Orphic in character. This papyrus, as has often been seen, contains several close parallels to Virgil, and both must have used the same identifiably Orphic source. Now ‘blanket condemnation of abortion and infanticide reflects a moral perspective. As we have already noted moral influence, we may perhaps assume it here too, as abortion and infanticide in fact occurs almost exclusively in ‘moralistic’ tours of hell’. Indeed, the origin of the Bologna papyrus should probably be looked for in Alexandria in a milieu that underwent moral influences. We may add that the so-called Testament of Orpheus is a revision of an Orphic poem and thus clear proof of the influence of Orphism on Egyptian (Alexandrian?) moralism. Yet some of the Orphic material of Virgil’s and the papyrus’ source must be older than the Hellenistic period. M.L. West, Indo-European Poetry and Myth (Oxford). For the text, with extensive bibliography and commentary, see Bernabé, Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta.  (OF), who notes: ‘omnia quae in papyro leguntur cum Orphica doctrina recentioris aetatis congruunt’. This has been established by N. Horsfall, ‘P. Bonon.4 and Virgil, Aen.6, yet again’, ZPE; See also Horsfall on Aen. Lightfoot, Sibylline Oracles, 513 (quotes), who compares 1 Enoch 99.5; see also Himmelfarb, Tours of Hell; D. Schwartz, ‘Did People Practice Infant Exposure and Infanticide in Antiquity?’, Studia Philonica Annual; Stuckenbruck, 1 Enoch (Berlin and New York, Shanzer, ‘Voices and Bodies: The Afterlife of the Unborn’, Numen, with a new discussion of the beginning of the Bologna papyrus, in which she argues that the papyrus mentions abortion, not infanticide. 44 A. Setaioli, ‘Nuove osservazioni sulla “descrizione dell’oltretomba” nel papiro di Bologna’, Studi Ital. Filol. Class. Riedweg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos and ‘Literatura órfica’, in A. Bernabé and F. Casadesus (eds), Orfeo y la tradicion órfica (Madrid); F. Jourdan, Poème judéo-hellénistique attribué à Orphée: production juive et réception chrétienne (Paris). After the babies we hear of those who were condemned innocently, suicides, famous mythological women such as Euadne, Laodamia, and, hardly surprisingly, Dido, Aeneas’ abandoned beloved. In this way Virgil follows the traditional combination of ahôroi and biaiothanatoi. The last category that Aeneas meets at the furthest point of this region between the Acheron and the Tartarus/Elysium are war heroes. When we compare these categories with Virgil’s intertext, Odysseus’ meeting with ghosts in the Odyssey, we note that, before crossing Acheron, Aeneas first meets the souls of those recently departed and those unburied, just as in Homer Odysseus first meets the unburied Elpenor. The last category enumerated in Homer are the warriors, who here too appear last. Thus, Homeric inspiration is clear, even though Virgil greatly elaborates his model, not least with material taken from Orphic katabaseis. Aeneas then reaches a fork in the road, where the right-hand way leads to Elysium, but the left one to Tartarus. The fork and the preference for the right are standard elements in eschatological myths, which suggests a traditional motif. Once again, we are led to the Orphic milieu, as the Orphic Gold Leaves regularly instruct the soul ‘go to the right’ or ‘bear to the right’ after its arrival in the underworld, thus varying Pythagorean usage for the upper world. Virgil’s description of Tartarus is mostly taken from the Odyssey. Grisé, Le suicide dans la Rome antique (Paris). These two heroines are popular in funereal poetry in Hellenistic-Roman times: SEG 52.942, 1672. For the place of Dido in Book VI and her connection with Heracles’ katabasis, see R. Nauta, ‘Dido en Aeneas in de onderwereld’, Lampas See, passim, S.I. Johnston, Restless Dead (Berkeley, Los Angeles, London, 1999); Horsfall on Aen. 6.426–547. 50 Norden, AeneisVI,238–239. 51 Pl.Grg. 524a, Phd.108a; Resp.10.614cd; Porph.fr. 382;Corn.Labeofr. 7. 52 A. Bernabé and A.I. Jiménez San Cristóbal, Instructions for the Netherworld (Leiden) 22–24 (who also connect 6.540–543 with Orphism); F. Graf and S.I. Johnston, Ritual Texts for the Afterlife: Orpheus and the Bacchic Gold Tablets (London) no. 3.2 (Thurii) = OF 487.2, 8.4 (Entella) = OF 475.4, 25.1 (Pharsalos) = OF 477.1. For the exceptions, preference for the left in the Leaves from Petelia (no. 2.1 = OF 476.1) and Rhethymnon (no. 18.2 = OF 484a.2), see the discussion by Graf and Johnston, Ritual Texts. The two roads also occur in the Bologna papyrus, cf. OF 717.77 with Setaioli, ‘Sulla descrizione’. Smith,‘The Pythagorean Letter and Virgil’s GoldenBough’, Dionysius -- but the picture is complemented by references to other descriptions of Tartarus and to contemporary Roman villas. What does our visitor see? Under a rock there are “moenia” encircled by a threefold wall. The idea of the mansion is perhaps inspired by the Homeric expression ‘house of Hades’, which must be very old as it has Hittite, Indian and Irish parallels, but in the oldest Orphic Gold Leaf, the one from Hipponion, the soul also has to travel to the ‘well-built house of Hades’. On the other hand, Hesiod’s description of the entry of Tartarus as surrounded three times by night seems to be the source of the three-fold wall. Around Tartarus there flows the river Phlegethon, which comes straight from the Odyssey, where, however, despite the name Pyriphlegethon, the fiery character is not thematized. In fact, fire only later became important in ancient underworlds. The size of the Tartarus is again stressed by the mention of an “ingens” gate that is strengthened by columns of adamant, the legendary, hardest metal of antiquity, and the use of special metal in the architecture of the Tartarus is also mentioned in the Iliad (‘iron gates and bronze threshold’) and Hesiod (‘bronze fence’). Finally, there is a tall iron tower, which according to Norden and Austin is inspired by the Pindaric ‘tower of Kronos’. However, although Kronos is traditionally locked up in Tartarus, Pindar situates his tower on one of the Isles of the Blessed. As the tower is also not associated with Kronos here, Pindar, whose influence on Virgil was not very profound, will hardly be its source. Given that the Tartarus is depicted like some kind of building with a gate, “vestibulum” and threshold, it is perhaps better to think of the towers that form part of Roman villas. The “turris aenea” in 54 Cf.A. Fo,‘Moenia’,in E VIII.557–558. 55 Il. VII.131, XI.263, XIV.457, XX. 366; Emp. B 142 DK, cf. A. Martin, ‘Empédocle, Fr. 142 D.-K. Nouveau regard sur un papyrus d’Herculaneum’, Cronache Ercolanesi 33 (2003) 43–52; M. Janda, Eleusis. Das indogermanische Erbe der Mysterien (Innsbruck, 2000) 69–71; West, Indo-European Poetry, Note also Aen.: domos Ditis. 56 Grafand Johnston, RitualTexts,no. 1.2=OF474.2. 57 For Hesiod’sinfluence on Virgil, see A. LaPenna, ‘Esiodo’, in EVII,386–388;HorsfallonAen. 7.808. 58 Lightfoot, Sibylline Oracles, 514. 59 Lexikon des frühgriechischen Epos I (Göttingen) s.v.; West on Hesiod, Th. 161; Lightfoot, Sibylline Oracles, 494f. 60 On Kronos and his Titans, see Bremmer, Greek Religion and Culture, the Bible, and the Ancient Near East (Leiden). For rather different positions, see Thomas, “Reading Virgil and His Texts” (Ann Arbor) and Horsfall on Aen. 3.570–587. 62 Norden, Aeneis VI, 274 rightly compares Aen. 2.460 (now with Horsfall ad loc.), although 3 pages later he compares Pindar; E. Wistrand, ‘Om romarnas hus’, Eranos 37 which Danae is locked up according to ORAZIO may be another exam-ple, as before Virgil she is always locked up in a bronze chamber (Nisbet and Rudd ad loc.). Traditionally, Tartarus was the deepest part of the Greek underworld, and this is also the case in Virgil. Here, according to the Sibyl, we find the famous sinners of mythology, especially those that revolted against the gods, such as the Titans, the sons of Aloeus, Salmoneus, and Tityos. However, Virgil concentrates not on the most famous cases but on some of the lesser-known ones, such as the myth of Salmoneus, the king of Elis, who pretended to be Zeus. His description is closely inspired by Hesiod, who in turn is followed by later authors, although these seem to have some additional details. Salmoneus drove around on a chariot with four horses, while brandishing a torch and rattling bronze cauldrons on dried hides, pretending to be Zeus with his thunder and lightning, and wanting to be worshipped like Zeus. However, Zeus flung him headlong into Tartarus and destroyed his whole town. Receiving nine lines, Salmoneus clearly is the focus of this catalogue, as the penalty of Tityos, an “alumnus” of Terra, is related in 6 lines, and other sinners, such as the Lapiths, Ixion, and Pirithous, are; Opera selecta (Stockholm). For anachronisms in the Aeneid, see Horsfall, Virgilio, Il., 478; Hes. Th. 119 with West ad loc.; G. Cerri, ‘Cosmologia dell’Ade in Omero, Esiodo e Parmenide’, Parola del Passato; D.M. Johnson, ‘Hesiod’s Descriptions of Tartarus (Theogony 721–819)’, Phoenix; Except for Salmoneus, they are als opresent in ORAZIO’s s underworld: Nisbet and Ruddon Hor. Compare Soph. fr10c6 (makingnoisewithhides, cf. Apollod.1.9.7, to be read with Smith and Trzaskoma, ‘Apollodorus: Salmoneus’ Thunder-Machine’, Philologus and Griffith, ‘Salmoneus’ Thunder-Machine again’); Man. (bronze bridge); Greg. Naz. Or. 5.8; Servius and Horsfall on Aen.  (bridge). 66 In line 591, aere, which is left unexplained by Norden, hardly refers to a bronze bridge (previous note: so Austin) but to the ‘bronze cauldrons’ of Hes. fr. 30.5, 7. 67 For the myth, see Hes. fr. 15, 30; Soph. fr. 537–541a; Diod. Sic.; Hyg. Fab. 61, 250; Plut. Mor. 780f; Anth. Pal. 16.30; Eust. on Od. Hardie, Virgil’s Aeneid: cosmos and imperium (Oxford); D. Curiazi, ‘Note a Virgilio’, Musem Criticum; A. Mestuzini, ‘Salmoneo’, in EV IV, 663–666; E. Simon, ‘Salmoneus’, in LIMC; Austint ranslates ‘son’, as Homer (Od.) calls him a son of Gaia, but Tityos being a foster son is hardly ‘nach der jungen Sagenform’ (Norden), cf. Hes. fr. 78; Pherec. F 55 Fowler; Apoll. Rhod.; Apollod. 1.4.1. For alumnus meaning ‘son’, see ThLL s.v. 69 Ixion appears in the underworld as early as Ap. Rhod. 3.62, cf. Lightfoot, Sibylline Oracles, 517] mentioned only in passing. It is rather striking, then, that Virgil spends such great length on Salmoneus, but the reason for this attention remains obscure. Moreover, the latter sinners are connected with penalties, an overhanging rock and a feast that cannot be tasted, which in mythology are normally connected with Tantalus We find the same ‘dissociation’ of traditional sinners and penalties in later works. Apparently, specific punishments gradually stopped being linked to specific sinners. Finally, it is noteworthy that the furniture of the feast with its golden beds points to the luxury-loving rulers of the East rather than to contemporary Roman magnates. After these mythological exempla there follow a series of mortal sinners against the family and familia, then a brief list of their punishments, and then more sinners, mythological and historical. In the Bologna papyrus, we find a list of sinners, then the Erinyes and Harpies as agents of their punishments, and subsequently again sinners. Both Virgil and the papyrus must therefore go back here to their older source, which seems to have contained separate catalogues of nameless sinners and their punishments. But what is this source and when was it composed? Here we run into highly contested territory. Norden identifies three katabaseis as important sources for Virgil, the ones by Odysseus in the Homeric Nekuia, by Heracles, and by Orpheus. Unfortunately, Norden does not date the last two katabaseis, but thanks to subsequent findings of 70 J. Zetzel, ‘Romane Memento: Justice and Judgment in Aeneid 6’, Tr. Am. Philol. Ass. Bremmer,‘Orphic,Roman, Jewish and ChristianToursofHell’. 72 Note also Dido’s aurea sponda (Aen.); Sen. Thy. 909: purpurae atque auro incubat. Originally, golden couches were a Persian feature, cf. Hdt.; Esther 1.6; Plut. Luc. 37.5; Athenaeus 5.197a. 73 P. Salat, ‘Phlégyas et Tantale aux Enfers. À propos des vers 601–627 du sixième livre de l’Énéide’, in Études de littérature ancienne, Questions de sens (Paris, 1982) 13–29; F. Della Corte, ‘Il catalogo dei grandi dannati’, Vichiana, Opuscula IX (Genova) Powell, ‘The Peopling of the Underworld: Aeneid, in Stahl (ed.), Vergil’s Aeneid: Augustan Epic and Political Context, London; Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence of Heracles’ katabasis -- with Lloyd-Jones, Greek Epic, on Bacch. and F. Graf, Eleusis und die orphische Dichtung Athens in vorhellenistischer Zeit (Berlin) on Ar. Ra. 291, where Dionysus wants to attack Empusa), 309–312 (see also Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence of Orpheus’ katabasis on lines 120 (see also Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. 6.120. papyri we can make some progress here. On the basis of a probable fragment of Pindar, Bacchylides, Aristophanes’ Frogs, and the mythological handbook of Apollodorus, Hugh Lloyd-Jones reconstructs an epic katabasis of Heracles, in which he was initiated by Eumolpus in Eleusis before starting his descent at Laconian Taenarum. Lloyd- Jones dated this poem to the middle of the sixth century, and the date is now supported by a shard in the manner of Exekias that shows Heracles amidst Eleusinian gods and heroes. The Eleusinian initiation makes Eleusinian or Athenian influence not implausible, but as Parker comments, once the (Eleusinian) cult had achieved fame, a hero could be sent to Eleusis by a non-Eleusinian poet, as to Delphi by a non-Delphian. However, as we will see in a moment, Athenian influence on the epic is certainly likely. Given the date of this epic we would still expect its main emphasis to be on the more heroic inhabitants of the underworld, rather than the nameless categories we find in Orphic poetry. And in fact, in none of our literary sources for Heracles’s descent do we find any reference to nameless humans or initiates seen by him in the underworld, but we hear of his meeting with MELEAGRO and his liberation of Theseus. Given the prominence of nameless, human sinners in this part of Virgil’s text, the main influence seems to be the katabasis of Orpheus rather than the one of Heracles. There is another argument as well to suppose here use of the katabasis of Orpheus. Norden notes that both Rhadamanthys and Tisiphone  recur in Lucian’s Cataplus in an Eleusinian context. Similarly, he observed that the question of the Sibyl to Musaeus about Anchises can be paralleled by the question of the Aristophanic Dionysos to the Eleusinian initiated where Pluto lives [The commentary of  W. Stanford on the Frogs (London) is more helpful in detecting Orphic influence in the play than that by K.J. Dover (Oxford). Lloyd-Jones, ‘Heracles at Eleusis: P. Oxy. 2622 and P.S.I. 1391’, Maia = Greek Epic; see also R. Parker, Athenian Religion (Oxford)  Boardman et al.,‘Herakles’,inLIMCIV. Parker, Athenian Religion, Graf, Eleusis, 146 n. 22, who compares Apollod., cf. 1.5.3 (see also Ov. Met.; P. Mich. Inv., re-edited by M. van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Leiden); Servius on Aen.), argues that the presence of the Eleusinian Askalaphos in Apollodorus also suggests a larger Eleusinian influence. This may well be true, but his earliest Eleusinian mention is Euphorion and he is absent from Virgil. Did Apollodorus perhaps add him to his account of Heracles’s katabasis from another source? Contra Graf, Eleusis, 145–146. Note also the doubts of R. Parker, Polytheism and Society at Athens (Oxford, 2005) 363 n. 159. Meleager: Bacch., with Cairns ad loc. Norden, AeneisVI, 274f. Frogs 161ff, 431ff). Norden ascribes the first case to the katabasis of Orpheus and the second one to that of Heracles. His first case seems unassailable, as the passage about Tisiphone has strong connections with that of the Bologna papyrus, as do the sounds of groans and floggings heard by Aeneas and the Sibyl (cf. OF 717.25; Luc. VH.). Musaeus, however, is mentioned first in connection with Onomacritus’ forgery of his oracles in the late sixth century and remained associated with oracles by Herodotus, Sophocles and even Aristophanes in the Frogs. His connection with Eleusis does not appear on vases before the end of the fifth century and in texts before Plato. In other words, it seems likely that both these passages ultimately derive from the katabasis of Orpheus, and that Aristophanes, like Virgil, had made use of both the katabaseis of Heracles and Orpheus. To make things even more complicated, the descent of both Heracles and Orpheus at Laconian Taenarum shows that the author himself of Orpheus’s katabasis also used the epic of Heracles’s katabasis. We have one more indication left for the place of origin of the Heracles epic. After the nameless sinners we now see more famous mythological ones. Theseus, as Virgil stresses, sedet aeternumque sedebit. The passage deserves more attention than it has received in the commentaries. In the Odyssey, Theseus and Pirithous are the last heroes seen by Odysseus in the underworld, just as in Virgil Aeneas sees Theseus last in Tartarus, even though Pirithous has been replaced by Phlegyas. Originally, Theseus and Pirithous are condemned to an eternal stay in the underworld, either fettered or grown to a rock. This is not only the picture in the Odyssey, but seemingly also in the Minyas (Paus., cf. fr. dub. 7 = Hes. fr. 280), and certainly so on Polygnotos’ painting in the Cnidian lesche (Paus.) and in Panyassis (fr. 9 Davies = fr. 14 Bernabé). This clearly is the older situation, which is still referred to in the hypothesis of Critias’ Pirithous (cf. fr. 6). The situation must have changed through the katabasis of Heracles, in which Heracles liberates Theseus but, at least in some sources, left Pirithous where he was.87 This liberation is most likely another testimony for an Athenian connection of the katabasis of Heracles, as Theseus was Athens’ na- [83 Norden, Aeneis; Hdt.7.6.3 (forgery: OF 1109 = Musaeus, fr. 68),8.96.2 (=OF69), 9.43.2 (=OF70); Soph.fr. 1116 (= OF 30); Ar. Ra. 1033 (= OF 63). 85 Pl. Prot. 316d = Musaeus fr. 52; Graf, Eleusis, 9–21; Lloyd-Jones, Greek Epic, 182–183; A. Kauf- mann-Samaras, ‘Mousaios’, in LIMC, no. 3. 86 As is also observed by Norden, Aeneis VI, 237 (on the basis of Servius on Aen. 6.392) and Kleine Schriften, 508–509 nos 77 and 79. 87 Hypothesis Critias’ Pirithous (cf. fr. 6); Philochoros FGr H 328 F 18; Diod. Sic. 4.26.1, 63.4; Hor. C.; Hyg. Fab. 79; Apollod. 2.5.12, Ep. 1.23f. ] tional hero. The connection of Heracles, Eleusis and Theseus points to the time of the Pisistratids, although we cannot be much more precise than we have already been. In any case, the stress by Virgil on Theseus’s eternal imprisonment in the underworld shows that he sometimes opts for a version different from the katabaseis he in general followed. Rather striking is the combination of the famous Theseus with the obscure Phlegyas who warns everybody to be just and not to scorn the gods. Norden unconvincingly tries to reconstruct Delphic influence here, but also, and perhaps rightly, posits Orphic origins. His oldest testimony is Pindar’s Second Pythian Ode, where Ixion warns people in the underworld. Now Strabo calls Phlegyas the brother of Ixion, whereas Servius calls him Ixion’s father. Can it be that this relationship plays a role in this wonderful confusion of sources, relationships, crimes and punishments? We will probably never know, as Virgil often selects and alters at random. After another series of nameless human sinners, among whom the sin of incest is clearly shared with the Bologna papyrus, the Sibyl urges Aeneas on and points to the mansion of the rulers of the underworld, which is built by the Cyclopes – “Cyclopum educta caminis moenia.” Norden calls the idea of an iron building ‘singulär’ but it fits other descriptions of the underworld as containing iron or bronze elements. Austin compares Callimachus, for the Cyclopes as smiths using bronze or iron, but it has escaped him that Virgil combines here two traditional activities of the Cyclopes. On the one hand, they are smiths and as such forged Zeus’s thunder, flash and lightning-bolt, a helmet of invisibility for Hades, the trident for Poseidon and a shield for Aeneas For this case, see also Horsfall,Virgilio,49. 89 D. Kuijper,‘Phlegyas admonitor’, Mnemosyne; Garbugino,‘Flegias’,in EV II, 539–540 notes his late appearance in our texts. Even though it is a different Phlegyas, one may wonder whether Statius, Thebais 6.706 et casus Phlegyae monet does not allude to his words here: admonet ... “discite iustitiam moniti...”? The passage is not discussed by R. Ganiban, Statius and Virgil (Cambridge, 2007). 91 Norden, Aeneis, compares, in addition to Pindar (see the main text), Pl. Grg. 525c, Phaedo 114a, Resp. 10.616a. 92 To be addedt o Austin. Berry, “Criminals in Virgil’s Tartarus: Contemporary Allusions in Aeneid” – CQ; Cf.Horsfall,‘P. Bonon.4andVirgil,Aen.6’. Aen. 8.447).95 Consequently, they were known as the inventors of weapons in bronze and the first to make weapons in the Euboean cave Teuchion. On the other hand, early traditions also ascribed imposing constructions to the Cyclopes, such as the walls of Mycene and Tiryns, and as builders they remained famous all through antiquity. Iron buildings thus perfectly fit the Cyclopes. In front of the threshold of the building, Aeneas sprinkles himself with fresh water and fixes the golden bough to the lintel above the entrance. Norden and Austin understand the expression “ramumque adverso in limine figit” as the laying of the bough on the threshold, but “figit” seems to fit the lintel better. One may also wonder from where Aeneas suddenly got his water. Had he carried it with him all along? Macrobius (Sat. 3.1.6) tells us that washing is necessary when performing religious rites for the heavenly gods, but that a sprinkling is enough for those of the underworld. There certainly is some truth in this observation. However, as the chthonian gods are especially important during magical rites, it is not surprising that people did not go to a public bath first. It is thus a matter of convenience rather than principle. But to properly understand its function here, we should look at the golden bough first. The Sibyl tells Aeneas to find the golden bough and to give it to Proserpina as her due tribute. The meaning of the golden bough has gradually become clearer.Whereas Norden rightly rejects the interpretation of Frazer’s Golden Bough, he clearly was still influenced by his Zeitgeist with its fascination with fertility and death and thus spends much attention on the comparison of the bough with mistletoe. Yet by pointing to the Mysteries he already came close to an important aspect of the bough.103 95 Hes. Theog.; Apollod. 1.1.2 and 2.1, 3.10.4 (which may well go back to an ancient Titanomachy); see also Pindar fr. 266. 96 Istros FGrH 334 F 71 (inventors); POxy. 10.1241, re-edited by Van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Teuchion). 97 Pin d. fr. 169a.7; Bacch. 11.77; Soph.; Hellanicus FGrH 4 F 87 = F 88 Fowler; Eur. HF 15, IA 1499; Eratosth. Cat. 39 (altar); Strabo; Apollod.; Paus.; Anth. Pal. 7.748; schol. on Eur. Or. 965; Et. Magnum 213.29. 98 As is argued by Wagenvoort, Pietas (Leiden) (‘TheGoldenBough’); Eitrem, Opferritus und Voropfer der Griechen und Römer (Kristiania, 1915) 126–131; Pease on Verg. Aen. 4.635. 100 For Aeneas picking the bough on a mosaic, see D. Perring, ‘“Gnosticism” in Fourth-Century Britain: The Frampton Mosaics Reconsidered’, Britannia -- Compare J.G. Frazer, Balder the Beautiful = The Golden Bough VII.2 (London) 284 n. 3 and Norden, Aeneis VI, 164 n. 1. 102 As observed by Wagenvoort,Pietas, Norden,Aeneis. Combining three recent analyses, which have all contributed to a better understanding, we may summarize our present knowledge as follows. When searching for the golden bough, Aeneas is guided by two doves, the birds of his *mother* Aphrodite. The motif of birds leading the way derives from colonisation legends, as Norden and Horsfall have noted, and the fact that there are two of them may well have been influenced by the age-old traditions of two leaders of colonising groups. The doves, as Nelis has argued, can be paralleled with the dove that led the Argonauts through the clashing rocks in Apollonius of Rhodes’ epic. Moreover, as Nelis notes, the golden bough is part of an oak tree, just like the golden fleece, both are located in a gloomy forest and both shine in the darkness. In other words, it seems a plausible idea that Virgil also had the golden fleece of the Argonautica in mind when composing the episode of the golden bough. This is not wholly surprising. The expedition of Jason and his Argonauts also was a kind of quest, in which the golden fleece and the golden bough are clearly comparable. In addition, Colchis was situated at the edge of Greek civilisation so that the journey to it might not have been a katabasis but certainly had something of a Jenseitsfahrt. Admittedly, the Argonautic epic does not contain a golden bough, but Michels points out that in the introductory poem to his Garland MELEAGRO mentions ‘the ever golden branch of divine Plato shining all round with virtue’ (Anth. Pal. = Meleager; Gow-Page, West). Virgil certainly knows Meleager, as Horsfall notes, and he also observes that the allusion to Plato prepares us for the use Virgil makes of eschatological myths in his description of the underworld, those of the Phaedo, Gorgias and Er in the Republic. In this section on the Golden Bough, I refer just by name to West, ‘The Bough and the Gate’, in S.J. Harrison, Oxford Readings in Vergil’s Aeneid (Oxford); Horsfall, Virgilio (with a detailed commentary) and D. Nelis, Vergil’s Aeneid and the Argonautica of Apollonius Rhodius (Leeds). The first two seem to have escaped Turcan, ‘Le laurier d’Apollon (en marge de Porphyre)’, in A. Haltenhoff and F.-H. Mutschler (eds), Hortus Litterarum Antiquarum. Festschrift H.A. Gärtner (Heidelberg), West, Indo-EuropeanPoetry; Bremmer, Greek Religion and Culture. For the myth of the Golden Fleece, see Bremmer, Religion and Culture. For the expedition of the Argonauts as Jenseitsfahrt, see K. Meuli, Gesammelte Schriften (Basel); Hunter, The Argonautica of Apollonius: literary studies (Cambridge) Michels, ‘The Golden Bough of Plato’, Am. J. Philol. For Michels, see J. Linderski, ‘Agnes Kirsopp Michels and the Religio’, Class. However, there is another, even more important bough. SERVIO tells us that those who have written about the rites of Proserpina assert that there is “quiddam mysticum” about the golden bough and that people could not participate in the rites of Proserpina unless they carried the golden bough. Now we know that the future initiates of Eleusis carried a kind of pilgrim’s staff consisting of a single branch of myrtle or several held together by rings. In other words, by carrying the bough and offering it to Proserpina, queen of the underworld, Aeneas also acts as an Eleusinian initiate, who of course had to bathe before initiation. Virgil will have written this all with one eye on OTTAVIANO, who was an initiate himself of the Eleusinian Mysteries. Yet it seems equally important that Heracles too had to be initiated into the Eleusinian Mysteries before entering the underworld. In the end, the golden bough is also an oblique reference to that elusive epic, the Descent of Heracles. Having offered the golden bough to Proserpina, Aeneas may now enter Elysium, where he now comes to “locos laetos” (cf. “laeta arva”) of “fortunatorum nemorum.” The stress on joy is rather striking, but on a Orphic Gold Leaf from Thurii we read, “Χαῖρε, χαῖρε.” Journey on the right-hand road to holy meadows and groves of Persephone’. Moreover, we find joy also in  prophecies of the Golden Age, which certainly overlap in their motifs with life in Elysium. Once again Virgil’s description taps Orphic poetry, as “lux perpetua” is also a typically Orphic motif, which we already find in Pindar and which surely must [Servius, Aen. 6.136: licet de hoc ramo hi qui de sacris Proserpinae scripsisse dicuntur, quiddam esse mysticum adfirment ad sacra Proserpinae accedere nisi sublato ramo non poterat. inferos autem subire hoc dicit, sacra celebrare Proserpinae. The connection with Eleusis is also stressed by G. Luck, Ancient Pathways and Hidden Pursuits (Ann Arbor) (‘Virgil and the Mystery Religions’. R. Parker,Miasma (Oxford,); Suet. Aug.; Dio Cassius;  Bowersock, “Augustus” (Oxford) 68. 112 For woods in the underworld, see Od.; Graf and Johnston, Ritual Texts for the Afterlife (Thurii) = OF 487.5–6; Verg. Aen.; Nonnos, D. 19.191. 113 GrafandJohnston, RitualTexts for the Afterlife, no. 3.5–6=OF487 Oracula Sibyllina: ‘Rejoice, maiden’, cf. E. Norden, Die Geburt des Kindes (Stuttgart) have had a place in the katabasis of Orpheus, just as the gymnastic activities, dancing and singing almost certainly come from the same source, even though OTTAVIANO must have been pleased with the athletics which he encouraged. The Orphic character of these lines is confirmed by the mention of the Threicius sacerdos (with Horsfall), obviously Orpheus himself. After this general view, we are told about the individual inhabitants of Elysium, starting with genus antiquum Teucri, which recalls, as Austin sees, “genus antiquum Terrae, Titania pubes” opening the list of sinners in Tartarus. It is a wonderfully peaceful spectacle that we see through the eyes of Aeneas. Some of the heroes are even “vescentis”, on the grass, and we may wonder if this is not also a reference to the Orphic ‘symposium of the just’, as that also takes place on a meadow. Its importance was already known from Orphic literary descriptions, but a meadow in the underworld has also emerged on the Orphic Gold Leaves. The description of the landscape is concluded with the picture of the river Eridanus that flows from a forest, smelling of laurels. Neither Norden nor Austin explains the presence of the laurels, but Virgil’s first readership will have had several associations with these trees. Some may have remembered that the laurel is the highest level of re-incarnation among plants in the Italic philosopher Empedocles of Girgenti, whereas others will have realised the poetic and Apolline connotations of the laurel. After Trojan and nameless Roman heroes, priests, and poets, Aeneas sees those who found out knowledge and used it for the betterment of life – “inventas aut qui vitam excoluere per artis”  tr. 115 Pind. fr. 129; Ar. Ra.; Plut. frr. 178,211; Visio Pauli21, cf.Graf, Eleusis, Horsfall, Virgilio, For the Titans being the ‘olden gods’, see Bremmer, Greek Religion and Culture,78. 118 Graf, Eleusis, Pind. fr. 129; Ar. Ra.326; Pl. Grg. 524a, Resp.; Diod. Sic.; Bernabéon OF61. 120 Graf and Johnston, Ritual Texts for the Afterlife, no. 3.5–6 (Thurii) = OF 487.5–6, no. 27.4 (Pherae) = OF. The Eridanus also appears in Apollonius Rhodius as a kind of otherwordly river, but there it is connected with the myth of Phaethon and the poplars, and resembles more Virgil’s Avernus with its sulphur smell than the forest smelling of laurels in the underworld. For the name of the river, see Delamarre, ‘  Ἠριδανός, le “fleuve de l’ouest”,’ Etudes Celtiques. Horsfall, ‘Odoratum lauris nemus – Aeneid” Scripta Class. Perhaps, readers may have also thought of the laurel trees that stand in front of OTTAVIANO’s domus on the Palatine, given the importance of OTTAVIANO in this book, cf. A. Alföldi, Die zwei Lorbeerbäume des Augustus (Bonn); M. Flory, ‘The Symbolism of Laurel in Cameo Portraits of Livia’, Mem. Am. Ac. Rel. Austin). As has long been seen, this line closely corresponds to a line from a cultural-historical passage in the Bologna papyrus where we find an enumeration of five groups in Elysium that have made life livable. The first are mentioned in general as those who embellish life with their skills – “αἱ δε βίον σ[οφί]ῃσιν ἐκόσμεον” -- to be followed by the poets, ‘those who cut roots’ for medicinal purposes, and two more groups which we cannot identify because of the bad state of the papyrus. Inventions that both improve life and bring culture are typically sophistic themes, and the mention of the archaic ‘root cutters’ instead of the more modern ‘doctors’ implies an older stage in the sophistic movement. The convergence between Virgil and the Bologna papyrus suggests that we have here a category of people seen by Orpheus in his katabasis. How- ever, as Virgil sometimes comes very close to the list of sinners in Aristophanes’ Frogs, both poets must, directly or indirectly, go back to a common source, as must, by implication, the Bologna papyrus. This Orphic source apparently was influenced by the cultural theories of the Sophists. Now the poets occur in Aristophanes’ Frogs too in a passage that is heavily influenced by the cultural theories of the Sophists, a passage that  Graf connects with Orphic influence. Are we going too far when we see here also the shadow of Orpheus’s katabasis? Having seen part of the inhabitants of Elysium, the Sibyl asks Musaeus where Anchises is. Norden persuasively compares the question of Dionysus to the Eleusinian initiates where Pluto lives in Aristophanes’ Frogs. In support of his argument Norden observes that, normally, the Sibyl is omniscient, but only here asks for advice, which suggests a different source rather than an intentional poetic variation. Naturally, Norden infers from the comparison that both go back to the katabasis of Heracles. In line with our investigation so far, however, we rather ascribe the question to Orpheus’s katabasis, given the later prominence of Musaeus and the meeting with Eleusinian initiates. Highly interesting is also another observation by Norden. Norden notes that Musaeus shows them the valley where Anchises lives from a height – “desuper ostentat” -- and compares a [Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung und Vergil’, Hermes ‘die primitiven Wurzelsucher’. 124 Norden, Aeneis VI,287–288; Graf, Eleusis,146n. 21compares Aen.6.609 with Ar. Ra.149–150 (violence against parents), with Ra. (violence against strangers) and 6.612–613 with Ra. 150 (perjurers). Note also the resemblance of 6.608, OF 717.47 and Pl. Resp. 10.615c regarding fratricides, which also points to an older Orphic source, as Norden already saw, without knowing the Bologna papyrus. Graf,Eleusis,34–37. 126 Neither Stanford nor Dover refers to Virgil. number of Greek, Roman and Christian Apocalypses. Yet his comparison confuses two different motifs, even though they are related. In the cases of Plato’s Republic and Timaeus as well as in CICERONE’S “IL SOGNO DI SCIPIONE” (Mozart) (Rep.) souls see the other world, but they do not have a proper tour of hell (or heaven) in which a *supernatural* person (Musaeus, il divino, [arch]angel, Devil) provides a view from a height or a mountain. That is what we find in 1 Enoch (17–18), Philo (SpecLeg 3.2), Matthew (4.8), Revelation (21.10), the Testament of Abraham, the Apocalypse of Abraham (21), the Apocalypse of Peter, which was still heavily influenced by traditions, and even the late Apocalypse of Paul (13), which drew on earlier sources. In other words, it is hard to escape the conclusion that Virgil draws here too, directly or indirectly, on this very old sources. With this quest for Anchises we have reached the climax of LIBER VI. It would take us much too far to present a detailed analysis of these lines but, in line with our investigation, we will concentrate on Orphic and Orphic-related (Orphoid) sources. Aeneas meets his father, when the latter has just finished reviewing the souls of his line who are destined to ascend ‘to the upper light’. They are in a valley, of which the secluded character is heavily stressed, while the river Lethe gently streams through the woods. The Romans paid much attention to this river. Those souls that are to be reincarnated drink the water of forgetfulness. After Aeneas wonders why some would want to return to the upper world, Anchises launches into a detailed cosmology and anthropology drawn straight from The Porch – IL PORTICO -- before we again find Orphic material. The soul locks up in the body as in a prison, which Vergil derived almost certainly straight from Plato, just like the idea of engrafted --  concreta – evil [Contra Horsfallon Aen.6.792. 128 For the reference to metempsychosis, see Horsfallon Aen.6.724–751.129679–680 penitus convallevirenti inclusas animas; 703: vallereducta; 704: seclusumnemus. Theognis 1216 (plain of Lethe); Simon. Anth.Pal.7.25.6(house of Lethe); Ar.Ra.186(plain of Lethe); Pl. Resp. 10.621ac (plain and river); TrGF Adesp. fr. 372 (house of Lethe); SEG (curse tablet: Lethe as a personal power). For its occurrence in the Gold Leaves, see Riedweg, Mysterienterminologie, 40. 131 Soul: Pl. Crat. 400c (= OF 430), Phd. 62b (= OF 429), 67d, 81be, 92a; [Plato], Axioch.; G. Rehrenbock, ‘Die orphische Seelenlehre in Platons Kratylos’, Wiener Stud. The penalties the souls have to suffer to become pure may well derive from an Orphic source too, as the Bologna papyrus mentions clouds and hail, but it is too fragmentary to be of any use here.On the other hand, the idea that soul has to pay a penalty for the deeds in the upperworld twice occurs in the Orphic Gold Leaves. Orphic is also the idea of the “rota” through which the soul has to pass during its Orphic reincarnation. But why does the cycle last a thousand years before the soul can come back to life – “mille rotam volvere per annos --? Unfortunately, we are badly informed by the relevant authors about the precise length of the reincarnation. The Italic philosopher Empedocles of Girgenti mentions ‘thrice ten thousand seasons’ and Plato mentions ‘ten thousand years’ and, for a PHILOSOPHICAL life, ‘three times thousand years’. But the myth of Er mentions a period of thousand years. This will be Virgil’s source here, as also the idea that the soul has to drink from the river Lethe is directly inspired by the myth of Er where the soul drinks from the River of Forgetfulness and forgets about their stay in the other world before returning to earth (Resp. 10.621a). It will hardly be chance that with the references to the end of the myth of Er, we have also reached the end of the main description of the underworld. In the following Heldenschau, we find only one more intriguing reference to the eschatological beliefs of Virgil’s time. At the end, father and son wander in the wide fields of air – “aëris in campis latis” -- surveying everything. In one of his characteristically wide-ranging and incisive discussions, Norden argues that Virgil alludes here to the belief that the soul ascends to the moon as their final abode. This belief is as old, as Norden argues, as the Homeric Hymn to Demeter, where we already find ‘die Identifikation der Mondgöttin Hekate mit Hekate als Königin der Geister und des Hades’. However, it must be objected that verifiable associations between the two (i.e. Hecate and the moon) do not survive from Bernabé, ‘Una etimología Platónica: Sôma – Sêma’, Philologus -- For the afterlife of the idea, Courcelle, Connais-toi toi-même de Socrate à Saint Bernard, 3 vols (Paris) 2.345–380. Engrafted evil: Pl. Phd. 81c, Resp., Tim. 42ac. Plato and Orphism: A. Masaracchia, ‘Orfeo e gli “Orfici” in Platone’, in idem (ed.), Orfeo e l’Orfismo (Rome), reprinted in his Riflessioni sull’antico (Pisa); Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung’, 38 compares OF 717.130–132; see also Perrone, ‘Virgilio Aen. VI 740–742’, Civ. Class.Crist.; Horsfall on Aen. 6.739. 133 Graf and Johnston, Ritual Texts 6.4 (Thurii) = OF 490.4; Graf and Johnston 27.4 (Pherae) = OF 493.4. 134 OF338,467,Graf and Johnston, Ritual Texts, 5. 5 (Thurii) = OF 488.5, withBernabéadloc. 135 Pl. Resp. 10.615b, 621a. Curiously, Norden does not refer to this passage in his commentary on this line, but at p. 10–11 of his commentary. 136 Norden, AeneisVI,23–26, also comparing Servius; Ps. Probusp. 333–334. [Moreover, the identification of the moon with Hades, the Elysian Fields or the Isles of the Blessed is relatively late. It is only later that we start to find this tradition among pupils of Plato, such as, probably, Xenocrates, Crantor and Heraclides Ponticus, who clearly want to elaborate their master’s eschatological teachings in this respect. Consequently, the reference does indeed allude to the soul’s ascent to the moon, but not to the ‘orphisch-pythagoreische Theologie’ (Norden). In fact, it is clearly part of the Platonic framework of Virgil. In the same century Plato is the first to mention Selene as the mother of the Eleusinian Musaeus, but he will hardly have been the inventor of the idea. Did the officials of the Eleusinian Mysteries want to keep up with contemporary eschatological developments, which increasingly stressed that the soul goes up into the aether, not down into the subterranean Hades? We do not have enough material to trace exactly the initial developments of the idea, but it was already popular enough for Antonius Diogenes to parody the belief in his “Wonders Beyond Thule”, a parody taken to even greater length by Lucian in his True Histories. Virgil’s allusion, therefore, must have been clear to his contemporaries. S.I. Johnston,Hekate Soteira (Atlanta)31. 138 W. Burkert, LoreandSciencein AncientPythagoreanism (CambridgeMA,1972) 366–368,who also points out that there is no pre-Platonic Pythagorean evidence for this belief; see also Cumont, Lux perpetua (Paris) Gottschalk, Heraclides of Pontus, Oxford, Wilamowitz rejects the‘Mondgöttin Heleneoder Hekate’ already in his letter thanking Norden for his commentary, cf. Calder III and Huss, “Sed serviendum officio...”, 18–21 at 20. 140 Pl. Resp. 2.364e; Philochoros F Gr H328 F208, cf. Bernabéon Musaeus 10–14T. 141 A. Henrichs,‘ Zur Genealogiedes Musaios’, ZPE 58(1985)1–8. 142 IG I3 1179.6–7; Eur. Erechth. fr. 370.71, Suppl., Hel. 1013–1016. Or. 1086–1087, frr. 839.10f, 908b, 971; P. Hansen, Carmina epigraphica Graeca saeculi IV a. Chr. n. (Berlin and New York, 1989). For Antonius’ date, see Bowersock, “Fiction as History: Nero to Julian” (London), whose identification of the Faustinus addressed by Antonius with Martial’s Faustinus is far from compelling, cf. R. Nauta, “Poetry for Patron”s (Leiden). Bowersock has been overlooked by Möllendorff, Auf der Suche nach der verlogenen Wahrheit. Lukians Wahre Geschichten (Tübingen) whose discussion also sup- ports an earlier date for ANTONIO against the traditional one. When we now look back, we can see that Virgil has divided his underworld into several compartments. His division contaminates Homer with later developments. In Homer, virtually everybody goes toHades, of which the Tartarus is the deepest part, reserved for the greatest e Titans. A few special heroes, such as Menelaus and Rhadamanthys, go to a separate place, the Elysian Fields, which is mentioned only once in Homer. When the afterlife became more important, the idea of a special place for the elite, which resembles the Hesiodic Isles of the Blessed, must have looked attractive to a number of people. However, the notion of re-incarnation poses a special problem. Where do those stay who have completed their cycle and those who are still in process of doing so? It may now be seen that Virgil follows a traditional Orphic solution in this respect, a solution that had progressed beyond Homer in that MORAL criteria had become important. In his Second Olympian Ode Pindar pictures a tripartite afterlife in which a sinner is sentenced by a judge below the earth to endure terrible pains. He who is a good man spends a pleasant time with ‘il divino.’ He who has completed the cycle of reincarnation and has led a blameless life joins the heroes on the Isles of the Blessed. A tripartite structure can also be noticed in the Italic philosopher Empedocles of Girgenti, who speaks about the place where the great sinners are, a place for those who are in the process of purificaton. For Hades, Elysium and the Isles of the Blessed, see Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death, Mace, ‘Utopian and Erotic Fusion in a New Elegy by Simonides (West2)’, ZPE. For the etymology of “Elysium”, see R. Beekes, ‘Hades and Elysion’, in J. Jasanoff (ed.), Mír curad: studies in honor of Calvert Watkins (Innsbruck) 17–28 at 19–23. Stephanie West (on Od. 4.563) well observes that Elysium is not mentioned again before Apollonius’ Argonautica. For good observations, see Molyviati-Toptsis, ‘Vergil’s Elysium and the Orphic-Pythagor- ean Ideas of After-Life’, Mnemosyne. However, some would now replaced Molyviati’s terminology of ‘Orphic-Pythagorean’, which Molyviati inherits from Dieterich and Norden, with ‘Orphic-Bacchic’, due to new discoveries of Orphic Gold Leaves. Moreover, Molyviati overlooks the important discussion by Graf, Eleusis, 84–87; see also Graf and Johnston, Ritual Texts, For the reflection of this scheme in Pindar’s threnos fr. 129–131a, see Graf, Eleusis, 84f. Given the absence of Mysteries in Pindar, O. 2 and Mysteries being out of place in Plutarch’s Consolatio one wonders with Graf if τελετᾶν in fr. 131a should not be replaced by τελευτάν. 147 For the identification of this place with Hades, see A. Martin and O. Primavesi, L’Empédocle de Strasbourg (Berlin). Alfonso, ‘La Terra Desolata. Osservazioni sul destino di Bellerofonte (Il.)’, MH  and a place for those who have led a virtuous life on earth: they will join the tables of the gods. The same division between the effects of a good and a bad life appears in Plato’s Jenseitsmythen. In the Republic the serious sinners are hurled into Tartarus, as they are in the Phaedo, where the less serious ones may be still saved, whereas those who seem to have lived exceptionally into the direction of living virtuously pass upward to a pure abode. But those who have purified themselves sufficiently with philosophy will reach an area even more beautiful, presumably that of the gods. The upward movement for the elite, pure souls, also occurs in the Phaedrus and the Republic whereas in the Gorgias they go to the Isles of the Blessed. All these three dialogues display the same tripartite structure, if with some variations, as the one of the Phaedo, although the description in the Republic is greatly elaborated with all kinds of details in the tale of Er. Finally, in the Orphic Gold Leaves the stay in Tartarus is clearly presupposed but not mentioned, due to the function of the Gold Leaves as passport to the underworld for the Orphic devotees. Yet the fact that in a Leaf from Thurii the soul says: ‘I have flown out of the heavy, difficult cycle of reincarnations’ suggests a second stage in which the souls still have to return to life, and the same stage is presupposed by a Leaf from Pharsalos where the soul says: ‘Tell Persephone that Bakchios himself has released you from the cycle.’ The final stage will be like in Pindar, as the soul, whose purity is regularly stressed, will rule among the other heroes or has become a god instead of a mortal. When taking these tripartite structures into account, we can also better understand Virgil’s Elysium. It is clear that we have here also the same distinction between the good soul and the super-good soul. The good soul has to return to earth. The super-good soul can stay forever in Elysium. Moreover, the place of the super-good soul is higher than the one of a soul who has to return. That is why a soul that will return is in a valley BELOW the area where Musaeus is. Once again, Virgil looks at Plato for the construction of his underworld. Graf and Johnston, Ritual Texts, 5.5 = OF 488.5; Graf and Johnston 26a.2 = OF .485.2. Dionysos Bakchios has now also turned up on a Leaf from Amphipolis: Graf and Johnston, Ritual Texts, 30.1–2 = OF 496n.1–2.5. 150 Graf and Johnston, Ritual Texts, (all Thurii), 9.1 (Rome) = OF 488.1, 490.1, 489.1, 491.1. 151 Graf and Johnston, Ritual Texts  (Petelia) = OF 476.11; Graf and Johnston, Ritual Texts, 3.4 (Thurii) = OF 487.4 and ibidem 5.9 (Thurii) = OF 488.9, respectively.This was also seen by Molyviati-Toptsis,‘Vergil’s Elysium’,43, ifnotveryclearly explained. But as we have seen, it is not only Plato that is an important source for Virgil. In addition to a few traditional autochtonous indigenous *Roman* details, such as the fauces Orci, we have also called attention to Orphic and Eleusinian beliefs. Moreover, and this is really new, we have pointed to several possible borrowings from 1 Enoch. Norden rejects virtually all Jewish influence on Virgil in his commentary, and one can only wonder to what extent his own Jewish origin played a role in this judgement. More recent discussions have been more generous in allowing the possibility of Jewish-Sibylline influence on Virgil and Horace. And indeed, Alexander Polyhistor, who works in Rome during Virgil’s lifetime and writes a book On the Jews, knows the Old Testament and was demonstrably acquainted with Egyptian-Jewish Sibylline literature. Thus it seems not impossible or even implausible that among the Orphic literature that Virgil had read, there also were (Egyptian- Jewish?) Orphic katabaseis with Enochic influence. Unfortunately, we have so little left of that literature that all too certain conclusions would be misleading. In the end, it is still not easy to see light in the darkness of Virgil’s underworld. For the Orphic influence, see also the summary by Horsfall,Virgil,“Aeneid” Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6, 2.650 is completely mistaken in mentioning Norden’s ‘pressing and arguably misleading, belief in the importance of Jewish texts for the understanding of Aen.6’: Norden, Aeneis Buch VI, 6 actually argued that from the ‘jüdische Apokalyptik ... kaum ein Motiv angeführt werden kann, das sich mit einem vergilischen berührte’.For Norden’s attitude towards Judaism, see J.E. Bauer, ‘Eduard Norden: Wahrheitsliebe und Judentum’, in B. Kytzler et al (eds), Norden (Stuttgart); Nisbet, Collected Papers on Latin Literature (Oxford); Bremmer, ‘The Apocalypse of Peter: Greek or Jewish?’, in idem and I. Czachesz (eds), The Apocalypse of Peter (Leuven)  at 3f. 156 C. Macleod, Collected Essays (Oxford) (on Horace’s Epode 16.2); Nisbet, Collected Papers, Watson, A Commentary on Horace’s Epodes (Oxford) (on Horace’s Epode 16); L. Feldman, ‘Biblical Influence on Vergil’, in S. Secunda and S. 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