Grice e Carace – Roma – filosofia italiana –
Claudio Carace – Charax – Much admired by Antonino.
Grice e Carchia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ars amandi – signi d’amore
– erotico del bello – comunicazione degl’amanti primitive – scuola di Torino –
filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia romana – filosofia
italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo
torinese. Filosfo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I
once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth
century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with
Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives
aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication (“nome e immagine”, “interpretazione ed
emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth
value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my
favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as
representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino
sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso
di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed
erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e
bellezza; L'estetica antica, ecc. Si è
anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti
contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet
raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in
immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima
immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano:
L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg et Sellier); prefazione
e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo
e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte
e comunicazione dei primitivi, Torino: Rosemberg et Sellier); Erotica. Saggio
sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida);
Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in
pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen,
Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica
del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione
ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl
Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola
dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari:
Laterza); L'estetica antica, Roma-Bari:
Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin,
Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica
Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura,
Kant e la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, introduzione a Walter Friedrich Otto, Il
poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione come orizzonte
nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità dell’immaginazione
nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini. La notte delle
immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come autotrasparire dell’apparenza
rappresentativa. Naturalismo simbolico e simbolica naturale. Angelologia.
Alighieri: spiritus phantasticus e alta fantasia. Gemellarità dell’immaginazione
gnostica. L’immaginazione speculativa. Simbolismo e imagismo. Il fantastico
come ideologia. Il romantico. L’immaginazione come dimora del padre. Demone e
allegoria. La forza del nome. Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e
metessi. La nuova accademia: l’estetico. Paradigma, schema, immagine. 1 Ovidio.
Arte amatoria. Chi peregrin nell’amorosa scuola Entra, me legga, se vuol
esser dotto. Non usansi senz’arte e vele e remi; Non
senz’arte guidar si puote il cocchio; Non senz' arte si può reggere
Amore. Ben sapeva condurre Automedonte Co’ focosi, destrieri
il caiiro, e Tifi r Sedea maestro \sair emonia poppa. Ne’ mister} d’
Àmot me fece esjperto V enere bella, e ben dirmi poss’ io D’Aniore
un altro Tifi e Automedonte. Ch^ ei sia crude!, noi niego » e spesse
volte Contro me stesso si rivolta ; pure Egli è fiinciullo, e
l’immatuTa' etàde Atta si rende al fren. Docile e mite Rese Chiron
l’ impetuoso^ Achilie (2) (i) Automédonte, figlio di Dioreo,fu il
Cocchierò d*lAchille, Tifi condusse gli Argonauti in Coleo sul- la
nave Argo, che qui dicesi emonia, perchè era su <mella Giasone figlio
del Re di Tessaglia, e perchè la Tessaglia si chiamala Emonia dal monte
Emo. (a) Chirone figliuol di Fillira fu il Precettore d’A’^
chille^il qual nen chiamato ^acides fia Eaep suo Avo, Col dolde suon
della canora cetra^ Ed ei, che fu il terrore e lo spavento
De^suoi compagni spessore de’nemici. Dicesi che temesse il vecchio
annoso; E quelle mani, che dovean un giorno Gettare a terra
il forte Ettor, porgea, Quando Chirone le chiedea,alla sferza. Ei
fu d’ Achille, io son d’ Amor maestro; L’uno e 1^ altro è fanoiul feroce,
e traggo L’ un e r altro da Diva i suoi natali • (4) Come r aratro
il toro, e come il freno Doma il cavai focoso ; io cosi Amore
Render placido voglio ancor che il petto Con r arco mi ferisca, e con la
face Tutte ro’ abbruci le midolle e T ossa. Quanto più Amore hammi
ferito ed arso. Tanto più voglio vendicarmi . Apollo, Non io,
ché mentirei, dirò che appresi < Da tl» quest’ arte, o che fui reso
dotto Dal canto degli .augelli A me non Clio, Né le Sorelle sue,
come al Pastore Della valle d’ Ascrea, compatver mai ; Me un lung’ uso
feMstrutto ; e fè pròstate Air esperto Poeta . <Ió cose vere
Canto:Madre d* Amor.^, siimi propizia. Gite lungi j o Vestali., e voi
Matrone, Che i piè celaté sotto lunga veste. J3Ì
Achilie uccise Ettore al assedio di Troja Achille nacque dalla Dea Tetide,
Amore dalla Dea Venere, a Mentre Esiodo, cugino e quasi
contemporaneo nero, pascolava in Elicona le pecore di suo pa* dre ^
fu dalle Muse condotto al fonte Ippocrene, e Col hefer 4i quell* acqua
divenne Poeta, Come seguir sensa periglio Amore Si possa, eA i
concessi furti io canto; Nullo i miei carmi chiuderan delitto.
Tu, che novel nell’ amorosa schiera Entri soldato, le tue cure
volgi Prima a trovar de’ voti tuoi 1’ oggetto. Indi a farlo per te
amoroso, e infine Onde lunga stagìon 1’ amor si serbi. È
questo il modo, è questo il campo, in cui Scorrere il nostro cocchio
debbo ; è questa Del corso nostro la prescritta meta. Or che
il tempo è propizio, or che si puote Andare a briglia sciolta, una ne
scegli, Cui dir tu possa ; a me tu sola piaci. Questa dal Ciel non
già pensar che scenda. Ma qui trovar la dei con gli occhi tuoi.
Onde tender le reti al cervo debba. Sa bene il caccìator, e non
ignora La valle, ove il cignal s’asconde: i rami L’ UGcellator
conosce, onde si gettano 61 ’incauti augelli, e al pescator son
note L’acque, che maggior copia hanno di pesci. Tu, che d^on lungo
amor cerchi materia. Impara i luoghi, ove frequenti veggonsi Le
vezzose donzelle . Io non ti dico, Che dar le vele ti fia duopo al
vento. Né córrer lunga e faticosa strada. Perseo
dall’Indie ne condusse Andromeda, E .Paride rapì di Grecia Eléna. Ma in
Roma, in Roma ritrovar potrai Fanciulle, che in beltà portino il
vanto Più che del Mondo in altra parte . Come Gargaro, Castello sul monte
Ida era celebre V abbondanza delle sue biade, e Metinna, Città
nek» V Isola di Lesbo, per V abbondanza d^ suoi vini. La
gargara contrada abbonda in biade» In uve la metinnia » in pesci U
mare» In augei il bosco s e còme nell* Olimpo Splendono
stelle; così in Roma ammiransi Amabili Fanciulle: qui sua sede Pose
del grand’ Enea la bella Madre. Se a nascente beltà ti porta il genio»
Tenera donzelletta eccoti innante; Se già formata giovine
desideri» Mille ti piaceranno » e fian costretti A rimaner
sospesi i voti tuoi; Che se a te figlia più matura e saggia
Piaccia » ne avrai, mel credi, un folto stuolo. De’ portici pompeii all’
ombra i lenti Pàssi rivolgi, allor che Febo i campi Dall’erculeo Leon
saetta ed arde, O a quel che adorno de’ più scelti marmi Da
lontani paesi a noi venuti, LaMadre aggiunseindonoa’don
delFigHo.(8) Nè quello lascerai » ohe tragge il nome Da Livia,
ornato delle pinte tele De’Pittori più celebri ed antichi; Uno
de'piU dtliziosi Portici di Roma ora cer^ tornente ^uet di Pompeo .
Giaceva questo in vicinanza dtl suo Veatro, « i Romani lo frequentavano
moltis'^ simo in tempo d* estate, OTTAVIANO (si veda) sotto il nome
d’Ottavia fabbrica un portico in vicinanza del Teatro da lui dedicato a
Marcello figlio della medesirrsa e però
dice il Poeta, che la Madre, cioè Ottavia, a^iunse il dono del
portico al don d^figlio, cioè al Teatro a lui innalzato d’OTTAVIANO,
R questo il portico che Livia moglie d* Augusto fabbricò nella Via sacra
; ne fa menzione Svetonio, e vien riputato da Strabono uno d^più be*
monumenti di Roma, Visiterai pnr anco i Inoghi, dove (io)
In atto di far strage de’ Consorti Effigiate son P empie
Danàidi; E il lor Padre crudel, che nudo tiene L’acciajo
micidial nell’ empia destra; Nè il Tempio oblia, u’ Venere la
morte Plora del caro Adon, nò il giorno Sabbato Sacro al culto
giudeo • Sarà tua cura A’xneiifitìcì templi esser presente Della
liniger’ Iside ; seconda I voti questa Dea delle fanciulle»
Che desian donne diventar, coni’ essa Lo fu di Giove ^ Fra i
clamori alterni Del Foro strepitoso ( e chi mai fede Prestar ci
puote ? ) Amor rivolta trova Atto alle fiamme sue pascolo ed esca.
In quella parte ove s’innalza al cielo (la) L’ onda d’Appio » che
giace appiè del Tempio Di ricchi marmi adorno, a Vener sacro^
Prigioniero d’ Amore è 1 ’ Avvocato, (10) Il portico d*Apollo
palatino fabbricato da Au^ gusto in una parte della sua casa era adornato
di fiin^ ts immagini rappresentanti la strage^ che de*pro-
prj Mariti fecero le Danaidi per comando di Danna loro padre. Si
adorala Iside figlinola d*Inaco in Menfi Città d^Egitto, donde furono
trasportati in Roma i suoi sacrificj . Fu questa amata impudicamente
da Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in una Giovenca j
e poi la restitm agli Egiziani nella sua pri^ stina forma . B^la e i suoi
sacerdoti andavano coperti di lino e però si chiamava linigera. APPIO
– il primo filosofo romano -- Censore conduce V acqua nel Foro di Cesare;
e d* architettura d* Archelao fu ivi innalzato a Venere un Tempio, che
per somma fretta poi rimase imperfetto. Che attento alla difesa
altrui, se stesso Guardar non sa • Oh quante volte, oh quante In
quel loco gli manca la favella, E deir amor che V agita
ripieno, Non della caiìsa altrui, ma della propria S’occupa
solo ! Dal propinquo Tempio Ride la Dea di Pafo, e il difensore
Trasformato veder gode in cliente. Ma più che. altrove ne'curvi
Teatri Troverai da far paghi i voti tuoi: Ivi mille bellezze
lusinghiere Si oifrìranno al tuo sguardo, e tal potrai Per stabile
passion scegliere, e tale Onde Tore passare in gioco e in festa.
Come frequente la formica in schiera Vanne al granajo a far preda di
cibo; E come Papi in olezzante suolo Volan sul timo e sopra i
fior ; le culte Donne in tal modo in folto stuolo assistono Agli
scenici ludi * È cosi grande 11 numero di questo, cho sospeso Mille
volte rimase il mio giudizio. Non a’ Teatri per mirar,
soltanto, Come per far di lor superila mosffa Vanno non senza
del pudor periglio. Tu questi giochi strepitosi il primo, ROMOLO,
instituisti; allor che il ratto NeW anno del mondo 3a3i. fabbricò Romolo
nei monte Palatino una Città o sia Fortezza, che dal suo nome chiamò
Roma. Per accrescere il numero dei Cittadini ^ aprì un asilo fra il
Palatino e il Campi* doglio, in cui si ricevevano i Servi fuggitivi^, i
De* hitori y i Malefici . Siccome i Popoli confinanti, e per
conseguenza i Sabini nor volevano con tal gente col* Segui delle Sabine Ancor
non marmi^ E non tappeti ornavano i Teatri, Nè il palco
vago era per piote tele; Ivi semplicemente allor far posti
I virgulti eie foglie, che recava II bosco palatino, e non si
vide Decorata la scena allor con V arte* Sopra i sedili di
cespugli infesti Assistea il popol folto, uhe all’irsuta Chioma di
fronde sol cingea corona Col cupid’occhio ognuno intanto nota
Quella, che far desia sua preda, e molti Pensieri nel suo cor tacito
volge. Mentre d’agreste flauto il suono muove Grottesca
danza, ed il confuso plauso Ferisce il ciel, ecco che il Re dà
segno Onde alla preda sua ciascun sì volga. Rapido il proprio loco
ognuno lascia, Fanne co’ gridi il suo desio palese, E le
cupide mani addosso slancia Sulle Vergin d’insidie ignare, come
Fogge la timidissima Colomba Dall’ Aquila, e de’ Lupi il fiero
aspetto Agna novella ; di spavento piene Volean cosi le misere
Sabine De’ rapitori lor schivar gli amplessi;* Ma da Ogni
patte senza legge inondano^ Ninna serba il color, che aveva
innante; ' ' a z lòcar U lor Donne, Romito gli ' inoitò
insieme con Ì 0 sorelle,'7e moglie e le figlie a unof spettacolo, che
fe^ce* ìebrare in onore del Dio Conso, ossia di Nettuno^ € comandò
d* suoi Romani che cigscun ri rapiste fr0 quelle femmine una
Consòrte. Tutte assale il timore ^ e in Tarj modi: Questa il petto
peroote^ il crin si straccia; Quella riman priva di sensi ; alcuna
Non {>er il duol fa proferir parola; Altra la cara madre appella
invano; Chi quale statua immobile rimane; Chi fugge, e
chi di grida il cielo assorda. Ma le rapite Oiovani condotte Son
via, qual preda geniale e cara. Dì pudico rossoj tinsero
molte Le delicate guance, e vìe più piacquero. Se troppa ripugnanza
alcuna mostra, £ seguir nega il suo compagno, questi La porta
fra le sue cupide braccia, E si le dice: a che d’amaro pianto
Da begli occhj tu versi un fiume? teco Sarò come alla Madre è il
Genitore. Romolo, fu il primiero a’tuoi soldati Vera recar felicità
sapesti; Se tal sorte goder potessi anch’io, > Io
pur non sdegnerei esser soldato. Però da quell’esempio anco a’dì
nostri Trovan le Belle ne’Teatri insidie.. D’esser presente
ognor cerca e procura ^ Alle corse de’rapidi destrieri. Di
gran popol capace il ;Circo augusto Molti a te rechei!à comodi ; d’ uopo
^ Onde spiegare i tuoi pensieri arcani Non avrai delle dita ;
nè co* cenni Intendere dovrai. Franco t’assidi, Che ninno il vieta, alla*
tua donna accanto. Quanto più puòi t’accosta al di lei fiaheo\ lE
procura che il loco a.nzi ti sforzi A toccarla, quand’eUa ancor non !
voglia. Onde seco parlar cerca materia, E da’ discorsi pubblici
incomincia. Quando i cavalli appariranno, tosto Di chi sieno
richiedi, e quello, a cui Dirige i voti suoi, tu favorisci;
Macon frequente pompaallor che giungono Le statue degli Dei, fa
plauso a Venere Quale a tua Diva tutelar. Se mai Della tua bella sulla
veste cada Polve, la scoti con la mano, e fingi * Scoterla quando
pur netta si serbi; E sollecito ognor prandi motivo Da
leggiere cagion d’esserle grato. Se la sua veste strascinasse,
pronto Sii tosto a tòrla dalP immonda terra; Per cosi tenui
cure avrai in mercede, Ch^ ella poi soffrirà, che le sue
gambe Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero, Che quei, che
sono assisì al vostro tergo, ^ ginocchi al di lei dosso, Non le
rechin molestia. I lievi ufBcj L^alme fiscili adescano: fu a molti
Util Fa ver con destra man composto Il coscino, agitar con piccol
foglio Il volubile vento, e saper porre Sotto tenero piè concavo
scanno. Farà la strada al nuovo amore il Circo, Solevano I
ROMANI portar per ih Circo le Statue degli Dei e degli Uomini sommi, quando ivi
davano lo spettacolo della corsa de^ Cavalli 0 d^ altri giochi'. V* era
fra aueste Statue ancor quella di Venere, cui vuole il Poeta che si faccia un
gran plauso* Si veda la seconda Elegia del Libro III, degli amori
scritti dgl modesimo Autore^ E la sparsa nel foro infausta
arena* Ivi pugnò spesso il Fanciul di Venere, £ chi
andò per mirar altri piagato, Ferito pur rimase. Ah quante
volte Mentre un la lingua a ragionar discioglie^ HoWà. la mano,
tiene il libro, e cerca II; vincitore del proposto premio. Il
.volatile strai senti nel seno, Gemè piagato, e accrebbe pregio al
gioco! fu bello il mirar quando con pompa Solenne Cesare
introdissse il primo (i 5 ) Non avvezze a pugnar in finta guerra E
le persiche navi e le cecropie! Da questo e da quel mar vennero allora
Giovani vaghi, amabili donzelle, E la Città racchiuse immenso
mondo. Fra tanta turba di leggiadri oggetti Chi non tigvò da
far paghi i suoi voti? Oh quanti e quanti a forestiero laccio
Porsero il piè! Ma Cesar s’apparecchia (Cesare Augusto fece presso il Tevere
rappre^ sentore una battaglia navale detta Ncumachia. Intro^ dusse
in questa a combattere le flotte che Marc* An-^ ionio aveva raccolte
contro di lui nell* Oriente ^e le navi ateniesi denominate Cecropie da
Gecrope primo Re d* Atene y che seguirono il partito di M. Antonio^
Furono queste armate navali vinte tutte da Azio, e servirono nella
Neumachia d* un brillante spettacelo a futta Roma. OTTAVIANO destinò
una spedi^àon per V Oriente contro Frante, e vi mandò il suo Nipote
Cajo nato da Agrippa e da Giulia. Marco Crasso e Publio suo figlio
avidi delle ricchezze de* Parti intrapresero contro i medesimi una guerra, in
cui furono poi essi miseramente trucidati con undici Legioni . Per far
a Cesare un encomio, dice ora il Poeta, che deve Cajo riportar
vittoria di que* popoli, e riacquistar la ^ne romane da loro tolte Crassi.
Già il restò a sog^ogar del Mondo inter#^ E già Taltiino Oriente è nostro
ancora. La pena avrai dovuta, o Parto audace, £ voi
godete, ombre deaerassi estinti, E con voi godan le romane
insegne Di barbarica destra a ragion schive. Ecco il vindice
vostro, ognun racclama Invitto Duce nelle schiere prime;
Giovin sostiene perigliose guerre Quasi invecchiato fra le stragi e
Parmi. Deh non vogliate, o timidi, il valore Dagli anni loro
argomentar de’Numi; E la virtù ne’Cesari preepee. Degli
anni Suoi più assai rapido sorge Celeste ingegno, e mal tollera
Ponte D’una pigra dimora. Era bambino Ercole allor che ì due serpenti
oppresse. Ed èra in fasce pur degno di Giove. O Bacco^otu che
ancor fanciullo sei, (18) Essendosi Giove innamorato perdutamente
d^Alc^ mena, si presentò a lei vestito delle sembianze d*An^
fitrione suo maritoy quando questi trovavasi alla guerra di Tehe.Da Giove e da
Alcména nacque Ercole, che fu allevato in Tirinta Città in Marea vicina
ad Argo, e però fu detto Tirinzto . Intenta per ciò la gelosa Giunone a
vendicarsi delP infedeltà di Giove, suscitò contro d* Ercole due serpenti
; ma egli li uccise valorosamente, benché fosse di tenera età, (18)
Bacco armato, d^ una lung^ asta, e seguito da Ufi esercito d* Uomini e di
Donne, corse intrepido nel* VOriente,e soggiogò quVpaesi che allor
tutti,si comprendevano sotto il nome d* India . Essendo quelV asta così
acuta, che imitava la conica figurai del Pino, fu detta dagli antichi
Poeti il Tirso, giacché Thirza ià lingua ebraica nuW altro significa, se
non se un ramo di Pino^ •Intrecciavano le Baccanti sul tirso V uve
e i pampini cotk P edera p perché Bacco insegnò affli Qoanto fosti
mai grande allor che i tuoi Tirsi dovè temer l’India domata!'
E tu prode Garzon sotto gli auspiej (ly) Del Padre, Tarmi tratterai
vincendo. Sotto un nome sì chiaro aver tu dei I primi erudì menti,
e come il Prence (ao) uomini la maniera di coltivar la vite .
Alcuni Eruditi poi fChe ricercan la moralità nelle favole ^
pretendono che dipìngasi sempre giovine questo divino coltivator
della vigna ^perche gli uomini si rendon col vino in lor vecchiezza
amorosi e lascivi, come lo furono in gioventù,. Mons„ de Lavaur con molti
altri, i quali hanno^ attentamente 'considerato le imprese di Bacco
e l* etimologia stessa del Tirso, porta verisimilmente opinione y che sia
questa favola tratta in origine da que^libri della sacra Scrittura, che
parlano di Mosè. e di JVoè, (19) Si rivolge il Poeta a
Cajo,che fu adottatò figlio da Cesare Augusto. Romolo dalle tre Tribù, nelle quali aveva
di^ stribaito il popolo romano y raccolse per ciascheduna
cento uomini, che fer nascita, per ricchezze, e per altri pregi ^^^no i
più riguardevoli. Furono questi chiamati Cavalieri y perchè trascélse
quésoli, che fesser meritevoli d* un Cavallo, su cui dovean combattere in
difesa di lui ; e si distribuirono in tre Ceti* turie, che conservando il
nome delle Tribù, dov*erano sfate raccolte, si chiamavano é/e^Rammensi da
Romolo, dei Tasienzi da Tazio Re dé Sabini, e dei Laceri Lucomone JRe d'Etruria,
che fu, come dicono., il fondatore della Città di Lueca . Da
Tarquinio Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accresciati di
numero y senza mutar però il nome di Cen* iurte ; esercitarono poi varie
luminose incombenze ; e JU'denominato il loro ordine Senatus
Seminarium, perchè in esso scieglievansi i Senatori • i 5 . Lu*
Jglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente in lor
rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che era situato fuori della città,
andavano al campìdo* coronati d* ulivo, cinti d^ una purpurea veste
det- Or de’Giorani sei, sarai col tempo L’oroamento miglior
do'rccchj Padri. Vendica ofFesi i tuoi fratelli, e i dritti (ai)
Del Genitor sostieni: della Patria £ Padre 6 Dlfensor Parcne ti
cìnse; Ed or che l’inimico i regni invola, Cruccioso alla vendetta egli t’invita.
Scellerati di lor saran gli strali. Pietà e Giustizia i tuoi
vessilli, e Parrni Della causa miglior sostenitrici. ' ta
trabea, t assisi sopra i loro cavalli . 0 §ni cinque anni poi appena
giunti al Campidoglio, scendevano da Cavallo, e presolo per mano lo
guidavano avanti al Censore ivi assiso sopra una sedia curale ; ed
egli comandava di ritenere il Cavallo, se bene aveva il Cavaliero
adempiuto a* suoi doveri ^e di venderlo, se aveva malamente eseguito le
sue incombenze. Leg^ geva il Censore in tale occasione il catalogo de^
Cavalieri yC si chiamava il Principe de* Giovani o della Gioventù quello
che era da lui nominato il primo ; e ciò non perchè fossero attualmente
tutti gióvani, ma perchè lo fàrono nella prima istituzione^ e perchè
Veta giovanile si estendeva pressò i Romani fino a quarantacinque
anni. Principe de’Senatori o del Senato ne*primi tempi della
Repubblica si chiamava quello che il primo tra*Sena- tori viventi era
stdto Censorey poi quel che dal Censore fosse stato nominato ili primo
nel leggere il catalogo d^ Senatori y e nell\ anno dalla fondazione
di Roma quel, che dal Censore era riputato degnissimo.
(al) Pompeo y domato il Re Tigrane y costrinse gli Armeni a
ricevere da* Romani in segno di servitù i Rettori. Si liberarono essi da
un tal giogo y ma Cajo li obbligò nuovamente a soffrirlo, e vendicò in
tal guisa i dritti d*Augusto y che dal Senato e dal Po^ polo romano
fu per mezzo di Valerio onorato del luminoso titolo di Padre della pAt<‘ia,
^ (^a) I Parti tentavano di farsi padroni delV Ar- mersia Ora
il mio Duce alle latine aggiunga L*eoe ricchezze. E voi j Cesare e
Marte, Entrambe Padri soccorrete il Figlio, Che in difesa di
Roma espon sua vita; Come già Marte^or tu, Cesar, sei nunie Ecco raugurio
mio; tu vìncerai; Sciorrò co’ carmi allora il voto ; degno*
Tu allor fatto sarai d’alto poema. Porrai le squadre in
ordinanza, e all’ armi Co’ versi miei 1 ’ esorterai: tenaci Di me
nel tuo pensiero i detti imprimi. 11 petto forte de’ Romani, il tergo
(24) Io canterò de’ Parti, e l’inimico Telo, che vibran dal
cavallo in fuga. Mentre tu fuggi, o Parto, e cosa al vinto, Oude
sia vincitor, tu lasci ? Il tuo .Marte recò finora infausto
augurio. Dunque quel dì verrà, Cesare, in cui Tu di natura la piò
amabìl opra Di lucìd’ oro adorno andrai tirato Da quattro^
candidissimi cavalli ? Or mal sicuri nella fuga i Regi
Partici andranno innanzi, il collo carco Dì pesante catena • Insiem
confusi Giovani lieti e tenere Donzelle, D* un’insòlita gioja
il cor ripieno, Mireran lo spettacolo gradito. "
Se una di quelle a te richiegga i nomi Di que’ Re, di que’ monti,
di que’ fiumi, (a3) Fu Cesare Augusto ascritto in aita fra i Dei,
$d ebbe perciò onori diHni. ’ (a4) Avevano i Parti in ' costume di
guerreggiar fuggendo, ed anzi si rendevano formidàbili, mentre
^ibravan le lor saette^ da wjt cavalle rivoltp in fuga. Di que* paesi 9 a
tatto ciò' rispóndi; £ non richiesto ancora il; tutto narra,
E le cose puf anco a te mal note. Cinto di canna il crin
l’Eufrate è questo, (aS) 11 Tigri è quel colla cerulea chioma.
Ecco gli Armeni^, e Perside che tragge (a6) Da Perseo il nome suo ;
nell’ achemenie Valli questa Città si giacque . Il nome Dirai di
questi e di que’Re, se il sai, O almen 1 ’ adatta . L’imbandite
mense Facile danno ed i conviti accesso, Ove da far contenti
i tuoi desiri V’ è cosa anc’ oltre i vini: ivi sovente Calcò di
Bacco l’orgogliose corna Con le tenere mani il bel Cupido, Di
cui se intrise sien 1 ’ ali nel vino Più non puote fuggir: grave s^
asside; Tu umide penne, è ver, veloce Scote. Ma non
vola per questo, anzi novelli Desta incendj nelP alme, che dal vino
Sono disposte e rese atte al calore. Ogni atra cura e molce e fuga
il vino; Allora il riso ha loco ; allor l’abietta Mendica gente
pure il capo innalza; Fuggon le cure, il duci ; le crespe fronti
Vengono liete ; e la si rara in questi Tempi semplicitade i più
secreti Pensier dell’alma svela, che il Dio Bacco UEufrate ed il
Tigri, avendo, secondo Vo^ pinione d*alcuni, la lor sorgente nei Monti
armenii si prendono qui dal poeta per li principali fiumi del» V
Armenia, (a6) Persìde è una famosa città, che vuoisi fab.-»
bracata da Perseo figlio di Danae nelle valli persiar ne, dette
achemtiiie dal Re Achemene Ogni mistero svela e l’arte infrange De’ Giovanetti
il cor ivi ben spesso Rapiron le Fanciulle ; Amor nel vino Fu foco
a foco unito • Ma non troppo A lucerna ti fida ingannatrice;
Mal nella notte, e fra i bicchier ricolmi Della beltade si può far
giudizio. Allo splendor del giorno, a cielo aperto Paride
rimirò le Dive allora Che alla Madre d* Amor disse: tu vinci L’ una
e 1 ’ altra in beltà, Venere bella. S’ asconde nella notte ogni
difetto; Ad ogni vizio si perdona, e allora Ogni donna
sembrare alPuom può bella; Consulta il di guai gemme e quali lane,
Tinte di tìria porpora, sien atte A fsLjp bella la faccia e il corpo ^
Come Io delle Donne numerare il ceto Di non ardua conquista ? E
assai maggiore Dell’ arene del mar . Come di veli Di Baja. i lidi
narrerò coperti. E per calido zolfo acque fumanti? Riportando
talun ferito il petto Da queir.onde, non son, ( come racconta La
fama ) dice, salutari ognora. Ecco di Cinzia suburbana il
tempio Ì ayl Alludesi al
pros^erhio latino in vino veritas. Baja in Campania, o com'oggi dicesi in
ter-^ ra di Lavoro i era un amenissimo Castello^ che con- teneva
entro di se degli ottimi bagni caldi, e alcuni laghi in cui rrnvigavan
gli antichi con diverse barche variamente dipinte, sulle quali facevano ancora
de^ gli allegri conviti. Questa Dea, che si chiama Lucina in
Cielo, Eeate neW inferno, e Diana in terra, ha ancor fra Silvestre»
ed ecco ì conquistati Regni. Perchè vergifte ella è » perchè ella in
odio Ave d’Amor gli 8tijali,.al popol diede» £ mai sempre
darà mille ferUè. Fin qui Talia
sopra ineguali rote Come tu debba scer T amato oggetto» E dove
tender t’insegnò le reti. Della tua Bella onde adescare il
cére Preparo or io delF arte opra speciale. Uomini» voi chiunque »
e donde siate, Porgete al mio parlar docili menti» E le
promesse mie ptopizj udite. Tosto nell’ alma tua scenda la speme Di
conquistarle» e vincitor sarai; gli altri nomi quello di Cinzia »
perchè essa ed Apoi* lo nacquer nelVIsola di Deio » ov^ è il Monte
Cinto. I popoli del Chersoneso » o com* ora chiamansi » della
Crimea » le immolavano gli ospiti ivi spinti dalle tempeste, he femmine
romane » dopo Vavere ottérsuto ciò che htamavun co" voti, andavano
a* d*Agosto con le. faci ardenti in mano, e la corona eul
capo\ al Tempio suhurbano di questa Dea situato in Arì^ eia. Quivi
frequentemente i Sacerdoti succedevano gli uni agli altri » mentre, non
godevano di questa di* gnità solamente gV ingenui, ma se la
contrastavano anche i servi e i fuggitivi in una guerra particola*
re » in cui chi riportava la vittoria, otteneva a un tempo stesso il
Sacerdozio » che apprezzavano come un Kegno. Una tal Dea peraltro y
quantunque sten* desse dal cielo per godere del suo Pastorèllo Endimione
» fu sommamente gelosa della propria pudici* zia, giacché trasformò in
Cervo Atteone \ perchè osò di guardarla quando era nuda in un
bagno. (3o) Talia è quella Musa » che presiede principale
mente a* Canti piacevoli e amorosi. Dice OVIDIO che dia insegnò sopra
inegnali rote ec. alludendo al diè stico latino » il di cui Esametro ha »
com* è noto ^ sA piedi, e cinque il Pentametro^ Ma intanto
tender dei T insidie: prima Gli augelli taceran di primavera,
Le cicale in estate, e il can d^Arcadia Incontro a lepre prenderà
la fuga, Che dolcemente Femmina tentata A Giovine resista ; e
quella ancora Tu vincerai, che ti parrà ritrosa. Come il
piacer furtivo è grato alF Uomo, £ grato alla Donzella . Asconde
questa Le brame sue, T nomo le cela invano; Ma se tu possa*
vincerla una volta, Preverrà con le sue le tue preghiere. Ne’
molli prati al suo Torello accanto La giovenca muggisce ; e la Cavalla
Col suo nitrir fa lusinghiero invito Al cornipede maschio . In noi pkt
forti^ Ma non però cosi furiosi, sono Gli stimoli d’ amor i lodevol
fine Ha la fiamma delP Uomo. A che di Biblì Ricorderò, che d’ un vietato
amore Arse pel suo Fratello, e pon un laccio Vendicò da se stessa
il suo misfatto? Non, come Figlia dee,Mirra amò il Padre,( a^ BiUi nata da Mileto e dalla
Ninfa. Gianczf, amò perdutamente Canno suo fratello. Siccome non Ve
riuscì di renderlo à sitò riguardo amoroso ^ si die in preda a un pianto
così dirotto ( se si presti je e al libro IX. delle Metamorfosi ) che fu
convertita VI un fonte yo( se si crede al libro presente ) si prò--
curò ella etessa con un laccio la morte. Avendo Mirra concepito un immenso
amore per Cinìra suo padre, gli fu posta in letto da me nutrice in
luogo della consorte. Accortosi Cinira del fallo, tentò di uccìderla } ma
essa fuggì bay ove fu cangiata in albero, e diede alla luce il
bellissimo Adone, che fU V ‘unico frutto d un st fu nesto incestuoso
accoppiamento. E oppressa ora si cela in chiasa scorza: Delle
lagrime poi, che dal suo tronco Odoroso essa elice ^ ungiam le
membra. Che s^ban quteste stille il primo nome, Del frondos’Ida
nelVombròse valli. Era forse la gloria e
la delizia Deir armento un Torel candido, solo Negro segnale avea
fra corno e corno: Una sol f^u la maccbìa, e latteo il resto.
Questo bramaron sostener sul tergo Le giovenche ginosie e di
Canea. Oodea di farsi adultera Pasifae (34) Del Toro., e'nel
ano ooj geloso sdegno Nutria contro le amabili giovenche: Io
cose note canto; e ciò non punte Creta negar, quantunque
siai*iqendace. Creta, cui son cpnto Città soggette. Con r
inesperta man ; Pasifae ali Totro Dicesi recideste or verdi frondey S
1 Or r erbe tenerissime de’ prati.2 Erra compagna
dèli’st>nentOì,;e invano- Del maiitoy pensier T arresta j vinto.
Era Minos da-un hove ^ A rche* tu vesti, . Donna, preziose spoglie
? Il tuo Diletto Mà è un mont 0 ^ Creta ; nè deéù qui còn^ fondere
cpl Monta, Ida^ pqiaao, ope seguii la famgsa lite fra Venere y Pallade e
Óit^none. (34) Sdegnata Venere contro il Sole y perchè Vavea
fatta sorprèndete da^*Numi det letto con Marte ffe* à che Pasifae figlia
del .medesimo, e moglie di Mi-» nos Re di Creta, ^ innamorasse
ardentemente d* un Toro. Essendosi questa racchiusa in una Giovenca
di legno coitmtta da Dedìdà y si congiunse col Toro diletto, e
diede al Sole, in nipote il celebre Minotaio- To, che fu ucciso da Teseo
nel famoso làbcrkito» Di tai ricchezze non conósce il pregio.
Mentre vai di montano armento io traccia, A che giova lo specchio, a che
le chiome. Lassa, adornar si spesso ? Ah I presta fede Pare allo
specchio 4 che bovina forma Ti nega ; invan veder sulla tua fronte
Desideri le cornac Se ti piace ' Minos, a che un adultero ricerchi
P E se brami ingannarlo, a ché noi fai Con un Uomo? Per boschi e
per foreste Oià la Regina, il talamo lasciato, ^ Vanne quasi
fiaccante, a cui furore Spiri P aonio Dio . Oh quante volte La
giovènca «rivai con volto iniquo Mirò, e fra se, perchè tu piaci,
disse, Al mio Signor ? Ve^com^* in
facciala lai* Scherza sull’erbe tenere, ed esulta,, E tài
fóIlié/-non dubito non credai ^ Per lei decenti: mentre in suo
pensiero: Volge tai còse, ordina che sia tolta* Dal gregge immenso, è
immeritevol venga Al curvo giogo strascinata, o vuole Di
snperstizion sacrai * fra-l’are Vittima cada;!e nella fi^ta dtwtr^
Gode tener .le.:.viscero fumanti -Dell’uccisa rivai. AHI quante voke ?
Gon le uccise rivaV placando i NUìiii, ^ Disse, tenendo'visceri\-'piacete
' Al mio Dilettov e quante volte ancora Chiese in Europa
èsserconversa e in Io, Europa figlia di Agenorg Re di Fenicia, ^ éorella
di Cadmo, era dotata di^ sorprendente^ bellezza. Aree Giòvo per Ui. di un amore
così violento, aS Che questa è una Giovenca, e quella
ìMotso' Premè d’ un Bovo . Fè le strane voglie Paghe Pasifae ascosa
in lignea vacca, Onde il parto alla luce uscì biforme.
Se sapeva piacere ad un sol uomo^ (36) E foggia di Tieste il
turpe amore D’ Atreo la Sposa, non avrebbe Febo Il cammino sospeso
in mezzo al corso, E rivoltato il carro, i suoi destrieri
Mossi incontroairAurora. Anco la Figlia, Che i purpurei capelli involò a
Niso, Coprì del corpo suo le parti estreme Con la sembianza de’
rabbiosi cani. thè trasformatosi in Toro, la portò sul suo dorso
in quella parte di Mondo, che dal nome della medesu ma si chiama
Europa. Io y o Iside fu, come Si è detto al numerò ii.
epnoertita dallo stesso Giove in una Giovenca. Erope moglie d* Atreo
giacque con Tieste fra^ tello del medesimo, e nacquer da essi due figlj,
che avendo Atreo dati a mangiare al lor padre medesimo in un
convito, il Sole per celare un tanto misfattò tornò indietro, e corse
incontro aWAurora. Scilla, figlia di Niso Re di Megara s^ inva^ ghì
di Minos Re di Creta, che le assediava la pa^* trìa, e a lui recò il
purpureo capello del padre, dal qual dipendevano i fati di quella Città.
Essa fu jj^i disprezzata harharamente dalV ingrato Minos, e fu,
secondo le metamorfosi, cangiata in uccello. Vi fu però un^altra Scilla
figlia di Eorci, la quale, avendo bevuto un^acqua per lei avvelenata da
Circe, venne subito trasformata in un mostro, la di ciS parte
inferire era simile a quella di un Cane. Con-^ eepì la medesima tanto
orror di sé stessa, che si get>» tò in un golfo del mar di Sicilia,
che ha preso da ^ella il suo nome» Ovidio ha qui confuso fseste due Il
Figliuolo d^Atieo, che in terra e in mare Di Marte e di Nettuno evitò V
ira. Cadde vìttima poi della Consorte. Chi di Creusa
sull’inìqua hamma (Sq) Non sparse il pianto, e sulla Strage orrenda
Che fe* de’proprj figli un* empia Madre ? Frivo degli occhi pur pianse
Fenicio, (4o) E voi, oarallì spaventati, il vostro Agamennone è veramente
figlio di Filistene, ma da Ornerò^ e da tutti gli antichi poeti gli vien
dato per padre Aireo suo aco come un personaggio più celebre» Fu
dichiarato Agamennone per le sue mira^ bili imprese il Re deTle di
Grecia, e per tradimento di Clìtennestra sua moglie ucciso da Egisto,
dal quale era ella amata impudicamente, Giasone j abbandonata Medea,
sposò Creusa figlia di Creonte Re di Corinto, Medea per vendicarsi
di tafe infedeltà, f^ strage di due teneri fanciulli nati da lei 4 da
Giasone, e ridusse con fuoco ariifi- doso in cenere ì* infelice Creusa e
tutta la famiglia e la Reggia di Cleonte, (40) Furono tratti
gli occhi a Fenicio figliuol d^A^ mintore, perchè una concubina del padre
Vaccusò falsamente d'acerle tolto Vonore, Ricuperò egli la vista per i
farmaci a lui apprestati da Chirone, il qual gli die poi in custodia il
giovine Achille, con cui andò aWassedio d,i Troja, Ippolito figlio
di Teseo disprezzo Vamorosa corrispondenza che gli esibì Fedra sua
matrigna, Sdegnata ella fieramene di ciò, disse al padre, che le aveva il
medesima insidiato V onestà ^ e Teseo lo abbandonò al furor di Nettuno, Essendo
per ciò comparso un orribil mostro marino^ mentre Ippolito se ne andava
sul suo, carro lungo la spiaggia del mare, i cavalli per lo spavento
preser la fuga, marciarono il legno in pezzi ^ e trucidarono miseramente
il lor Cgxìdottii^o, > Condottier tracidaste.E perchè» o
Pinco, Gli occhi tu togli agPinnpcenti figlj ? Ah che la atessa
^eaa. il tuo delitto Un dì vendicherà. Tali infortunj ^ Da uno
sfrenato aq^or trasse sorgente Delle lubriche donpe . Ornai t’
affretta, £ non temer di ritrovar contrasto Nelle Donzelle ;
appena, una fra molte * Ne incontreraiepe. a te neghi vittoria. E r
indulgènti e, le ritrose pure lì Goì^qu esser pregata; pna ripulsa
I Non ti spaventi ^ è questa ingannatrice. iMa perchè ingannatrice Y
ognor pip grata INuova per esse voluttà riesce. |E l’alma
loro adescan facilmente |l novelli amatori ..'Il vici^ campp Ci
sembra più .ijber^^so,^0 il gregge altrui Vedi che a parte sia della
Padroni Ov, Arte (Tarn. b (4a) Fineo figlimi Agenore Re
Arcadia yO come ad altri piaqe, di Tracia, o di Paflagonia y sposò Cleopafi^a
figlia di Bqrea, e‘. n*ehbe due figli. O sia che questa morissero che
fosse da lui ripudiata y prese il medesimo in moglie Arpài ice, e cornane
dò, che fossero ioltìr gli occhi a* due figlj della sua prima eoniorte,
perché temè che aiiesjser avuto un illecito commercio con Ija novella sua
sposa. Fu da Borea vendicata V innocenza do* nipoti con Vacciecof-
mento di Fineo, e Giunone e Nettuno gli mandarono sulle mense le Arpie y che a
lui macchiavano turpemente quelle ‘ vivandé y che non mangiavano essa
stesse De’ nascosti consiglj, e de’ piaceri Suoi più segreti. Con
promesse e prieghi Corrompi la sua fi; tutto otterrai, Quand’
ella voglia, e non ti sia contraria, Dalla facil. tua Bella • Il tèmpo
scelga. Come i Medici sogliono, propìzio. Onde il tuo amor
nel dodi cor le infonda. Ella il tuo amor le infonderà nel core,
Quando per lieti eventi andrà giuliva Come lussureggiare in pìngue campo
' Suole la biada. Quando r alma è scarca Dalle pallide cure, e
lieta esulta. Si spande allora, e dà facile accesso ÀH’arti
lusinghevoli d’amore. Mentre fra i neri affanni involta visse
" Troja, con V armi si difese ; e lieta (43) Il cavai di
soldati e insìdie pieno Àccolèe entro le mòra. Ancor si tenti,
£ non rimanga inyendicata, quando Si dorrà, chè riceve ingiuria e
scorno Dall* impudica Amante del Marito. La punga a sdegno la fedele
Ancella, Quando col pettin mattutin compone Gl* indocili capelli,
ed alle vele. L’ ajuto aggiùnga anco de’ remi, e dica, Sospir
seco tràehdo, in bassa vocè: Tu noli potrai, cred’io » come si
merta. Rendergli la pariglia. Allor le parli Di te con detti
insinuanti, e.giuri Che tu brugi per lei d’immenso amore. Mentre il
tempo è propizio, ella s’ affretti ( 43 ) Alludesi al cavallo di
Ugno ^cht il perfido Sinone introdusse pien di soldati in Troja,
quando tra assediata da* Greci» Virgilio Endde IÀh»lÌ»v» Che non
cadan le vele, e cessi il vento. Come sì scioglie il gel, V ira,
indugiando^ Si dilegua così. Forse mi chiedi. Se la servente
innamorar ti giovi ? Tai cose ammesse, il rischio é
manifesto^ Una rende V amor più diligente, L’ altra più tarda
e meno attenta: questa Alla Padrona sua ti serba in dono,
Quella a se stessa • esito dipende Dalla fortuna, che quantunque
arrichì Agli audaci ^ a te do fedel consiglio. Che d’ un’
impresa tal lasci il pensiero. Non per scoscese perigliose strade
Andrò, nè, duce me, verrà ingannato Alcun Giovine amante * Ma se
poi, Mentre riceve e assiduamente porta L’innamorate cifrerà te non
solo Per la sua fedeltà piaccia, com’ anco Per la beltà del corpo ;
allor procura Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi Questa
la segua: l’amoroso gaudio Non dall’ Ancella incominciar tu dei*
Se all’arte mia si crede, e i detti miei Non portano pel mar rapaci
i venti, Questo consìglio mìo nell’alma imprimi: Non mai tentar 9
se non compisci l’opra» Se a parte ella verrà del tuo delitto. Non
la temere accusatrìce • Invano Invischiato l’angel tenta la fuga.
Nè riesce già uscir dalle allentate Reti al cinghiale • Il pesce
all’ amo colto Si scota invano ; tu la premi e assedia. Nè la
lasciar, se vincitor non sei. Se a una colpa comune ella
soggiace, Non temer tradimenti ; a te saranno Note della Padrona
opre e parole. Se cauto celerai 1’ accusatrice. Sempre,
contezza avrai della tua Amica. Folle è colui che in suo pensier si
crede òhe sol debban del cielo osservar gli astri Della terra il
cultore ed i nocchieri. Non a’ campi fallaci ognor sì debbe
Cerere abbandonar, nè alle tranquille*^ Cerulee onde del mar la curva
prora. Ah 1 che non sempre assicurar ti puoi Il cor di vincer
delle Belle; spesso Ciò s’otterrà, se il tempo sìa propìzio.
Se deir Amica il natalizio giorno (44) (44) Era presso gli
Antichi in gran venerazione il giorno natalizio: e gli Amanti celebravano
‘ con feste e con doni quello^ in cui eran nate le Donne che ama^
vano . Si dee preferir certamente questa lieta costui manza a quella che
hanno adottato i Messicani e i Cinesi, i quali riguardano un tal giorno
come infausto e doloroso . Alcuni di essi invece di ricevere con acclamazioni
di gioja la nascita d^ un figlio, gli rispondono ai suoi primi singulti, mio
figlio tu sei venuto al mondo per soffrire \ soffri ^ e t’acquieta . Si
fab- hrican altri di buon^ ora la tomba, e vanno ogni giorno a
renderle omaggio come al termine consolator é d^.lor giorni . Non poco
influisce, a dir vero, un tal uso a fomentare il barbaro costume d^
uccidere i proprp figli in un popola ^ il guala non gli Ottimi suoi
libri classici illustrati dall* immortai Confueio e con le savissime
leggi, su cui ha stabilito il suo pacifico Impero, cerca di rendersi
virtuoso ed illuminato. Èra presso i Romani nel suo pieno vigore P
uso delle visite e de* doni nel principio dell* anno, il qua- le
incominciava anticamente col mese di Marzo, le di cui Colende eran
consacrate al Dio Marte . Cele- hravand in Roma nel primo giorno d*un tal
mese alcune feste dette matronali in memoria della pace Ricorra, o
le Calende che seguito Abbiaa quelle di Marte, a Vener piace,
O sia che il Circo sì rimiri adorno, Non come in altre età, di statue
lievi. Ma per le spoglie ivi de i Re deposte, L’ opra
differirai: sovrasta allora Con le piovose Plejadi P inverno;
Allor nella marina onda s’immerge Il Capro tenerello ; allora
giova Deporre ogni pensier . Chi al mar s’afSda Del lacero naviglio
appena puote 1 miseri campar naufraghi avanzi. Tu se in quel
dì incominci, in cui si vide che le Sabine avevano appunto in tal
di stabilita fra i loro SpoH, ed i loro Padri, i quali volevano con
V armi vendicare il ratto delle medesime . Le persone maritate avevano
solamente diritto a queste feste / ed OraT^io nell* Ode ottava del Libro
III. si scusa, perchè vi prende parte anch? egli, essendo celibe.
Siccome il mese d* Aprile è sacro a Venere, e suc^ cede a quello di
Marzo dedicato a Marte, dice il Poeta che Venere gode che abhian le sv^e
Calende seguito quelle di Marte per alludere alVamorosa cor^
rispondenza che ella aveva coi Dio della guerra . Le Ihnne e le Matrone
romane facevan nelle Calende d*Aprile gran festa a questa lor Pea
tutelare ; e gH Amanti contribuivano alle medesime con le
donazioni. Non vuole il Poeta, che si studino i Giovani per adescar
le Donne nel lor giorno natalizio, nel principio dell* anno, e in
occasione de^trionfi celebrati nel Circo, perchè essendo le medesime
allora occupate in adornarsi, incontrerebbono qiiP gravi pericoli,
che sono qui espressi con l* allegoria dell* Inverno, e con quella
delle Plejadi e del Capro, le quali stelle sorgon sull* orizzonte nel
mese d* Ottobre, che è un tempo pieno di pioggia e di tempeste, e perciò
non propizia a* Naviganti.. Scorrer sanguigno umor la flébìl Allia
Per le piaghe latine, o in quello in cui Torna la festa settima, che è
sacra Al Palestin siriaco, e in cui s’ astiene Ognun dalla fatica,
avrai mai sempre Culto superstizioso al di natale Delia tua Bella ;
pur funesto giorno Sia quello, in cui tu offrir dono le debba; Ma a
te lo rapirà, se tu gliel nieghi, Che a Femina mancar non puote 1’
arte Per carpir le ricchezze a Giovin caldo. Del Mercante il Garzon
verrà discinto Alla vogliosa ed avida Padrona, E porrà le sue
metti in vaga mostra, Mentre tu giungi, e al fianco suo t’assidi.
Essa ti pregherà, che tu le osservi Per additarne il prezzo ^ e
liberale Ti sarà di preghiere e ancor di baci, Perchè le compri, e
giurerà contenta D’ esserne per molt’ anni, e che non puoi
Comprarle cosa che le sia più accetta. Se poi ti scusi che non hai
denaro, Ti chiederà il tuo nome, e turpe fia Per scusa addur,
che tu firmar noi sai. Rinasce poi, quando le fa bisogno, A ih.
Agosto ebbero i Romani una sconfitta da* Galli sul fiume Allia non
lontano da Roma, onde come infausto e di pessimo nome fu condannato
un tal giorno . Crede il Poeta, che debbano i Giovani onorare il dì
natalizio delle lor Belle, e vuole che intraprendano V amorose loro
conquiste 0 in que malinconici tempi qui figurati sotto il giorno
alliense, CUI aman le Donne d* esser rallegrate, o in que^giorni
festivi simili a* sabbati giudaici, ne* quali non è alle medesime
permesso 4 * occuparsi in alcun lavoro. Che dell* offerte natalizie il
giorno Rìeda y e di pianto sa bagnare il volto Per la supposta
perdita di pietra. Che le orna 1’ orecchio . D’altre cose L’ uso ti
chiedrà, che date poi Renderle nega ; tu le perdi, e invano Speri
per ciò che grata ti si mostri. No, quando avessi dieci lìngue e
dieci Bocche, io già non potrei dell’ impudiche Donne n^^rare le
sacrìleghe arti, li guado tenti un ben vergato foglio; E
della mente tua la prima volta Sia nunzio ; le carezze, e le
parole, Che imitino il linguaggio d’ un Aliante Rechi, e
fervide aggiungi anco preghiere. Donò da’prieghi mosso a
PriamoAchille Di Ettor l’esangue spoglia; e Iddio sdegnato A voci
supplichevoli si piega. Prometti pur, che nuocer già non ponno Mai le
prorjaesse ; ognun può farai ricco Con semplici parole. La speraD 2
$a Data una volta, lungo tempo dura: C' inganna, è ver, ma
Diva utile è a noi. Se liberal con lei fosti di doni, Avrà
ragion d* abbandonarti ; quello, Che già le desti, è suo, nò può
timore Di perdita nutrir . Ognor tu devi Achille dc^ aper
ttraseinato tre volte intorno alle mura di Troja il corpo d* Ettore da
lui ucciso alV assedio di quella Città y lo rese finalmente y 0 a
dir meglio, lo vendè\ a- ^Priamo Padre del, medesimOy che prostrato
a* suoi pièdi > lo pregava di ciò caldamente^ Exanimumaue amo oorpns
vendebat Achillea. 1 Virgil Finger di dar quel che non desti;
spesso Fu deluso così di steril campo II credulo Padron • Così,
perdendo A perder segue il giocator, nè lascia Per questo il gioco
; e il lusinghiero dado Nelle cupide mani agita ognora.
Questa è Tiinpresa, e qui il Valore è posto; Ascolta ; senza doni
il suo cor tenta La prima-volta, ancor che ì doni apprezzi; Se lor
liberal ti sia, 8«^rallo Ognora. Vada dunque il tuo foglio, ma
vergato Con detti lusinghieri ; della Bella La mente esplori,*e
primo il caihmin tenti. Cidippe ingannò un pomo, in bui rincue Note
leggendo, fu di queste preda. O Giovani romani, io vel
consiglio. Deh coltivate le bell’ arti ; solo Non utili Saran
per la difesa ' De^ paurosi Rei ; ma dalla forza Del facondo
parlar, vinta la mano A voi daran col Giudice severo. Con lo
scelto Senato, e ilPopol folto Ancor le culte amabili Donzelle. Da
Zea una delle Isole Clclàdì andò Acanzio in Deio per assistere a*
sacrifici di- Diana, che là si celebravano splendidamente. Ivi ei concepì
uìà^ immenso amore per Cidippe, ma non ardiva di chiederla in is-
posa . Stette molto tempo dubbioso nello scegliere lin mezzo per appagare
la sua passione ^ ma in lui ces^ sarono i dubbj quando intese che vigeva
in Deio una legge, per cui restava concluso tutto ciò che si diceva
nel tempio di Diana ; è però gettò a* jùedi della sita Bella un pomo y in
cui erano scritti i versi seguenti* Juro tibi sane per mystica sacra
Dianae He Ubi venturam comitem sponsamque futuram: Ascosa V arte
resti, e da principio Non sii eloquente. Da’vergati, foglj Vadan
lungi parole aspre e ricerche. Chi mai, se non. di senno affatto
privo» In tuono volgerà declamatorio . < ; Alla
tenera Amica il suo discorso? Oh quante volte fu giusta
cagione Di grave sdegno un foglio ! 1 detti tuoi Meritin fede, e
adopra usati accenti» Ma sempre, lusinghieri » onde l,e
sembri^ D’udirti ragionare . Se ricusa, Di ricevere il foglio, e
sena’ averlo, . Letto a te lo rimandi » |a speranza Però non
t’abbandoni » e,il mio consiglio, Serba in memoria, II. collo al giogo
piega Il Giovenco difficile col tempo» E a soffrir
s’ammaestra il lento freno Col tempo anco il Cavallo. Un ferjreo
anello Dal cootinao nso si consuma » e il vomere* Dal continuo
rivolgere la terra Che del sasso è più duro? e che più molle ' Avvi
dell’ onda ? eppure il duco sasso Dall’ onda molle vieu scavato .
Ancora» Se sii costante» vincerai col tempo Penelope med^sma:
» A vero»,, Caddero al suolo le trojatie.^muri^» Ma pur
caddero alfin 1 ìtiglj tuoi, Leggerà anch’ oasa » e non darà
risposta» Cui tu non debbi violentarla: solo Fa che ognor
legga lusinghieri accenti» £ di risposta alba sarà cortese A
ciò che l^sse ; a gradi e con misura Succedefansi questi ufficj ; Forse
/ Verrà da. prima A tc foglio dolente», à a Con
cui ti pregherà, che r amoroso Linguaggio cessi ; nia desia il
contrario Entro il suo core, e vuol che tu prosegua. Continua
danque;e alfin resi contenti Saranno ì voti tuoi . Quando supina
Vien trasportata sulle molli piume. Fingendo indifferenza, ti
presenta Della Padrona alla lettiga ; e canto, E in cifre
ambigue quanto puoi favella. Onde qualchfe importuno udir non possa
Il vostro ragionar 7 Sé’ volge il piede Negli spaziosi portici, tu
quivi Trattienti fin eh* ella^ vi fa dimora. Or la precedi ed
or la segui a tergo: Or lento movi il passo, ed or t*
affretta. Nè d^ inoltrarti iU ntezzb alle colonne Abbi rossor, nè
di sederle al fianco. Non ne’ Teatri senza te si trovi,
E segnai póVti al teigo, onde la vegga. Giacch* ivi il puoi,
contemplala, e le dici Quanto brami co’segni è con lo sguardo. Alla
saltante applaudisci l e sii Favoirevole a quei che rappresenta
Personaggio amoroso . S* ella sorge, Sorgi ; e ti assidi pur, s’
ella s’assida; £ a suo ^piacere il tèmpo tuo consuma.
Ma non volere innanelìare il crine Coiì’càldo ferro, e con lUordacè
pomice ' Stropicciarti le gambe ; il che tu lascia A’molli
Sacerdoti di Cibale. Oj9e, o Vesta, che ancor dicevi Rea yC la Dea Buona,
è Madre degli Dei, e si chiama Cibale ; perche nel monte Gibele dU Frigia U
furono la prima Beltà negletta agli uomini conviene: Vinse
Teseo; Afianna » e la rapio Disa.doroo le<t;onipie, il cria
scompQsto;( So) Arse pe}*:FiglÌQ:Fe.drtt., ed era incolto; Cura e
deli^^ia. della Dea ;d’. Amore . Fu Adon,:che fra le selve i di
traeva. S’ann^grin pur le membra al marzio Campo, Ma si^o monde, e
monda sia la ve8te.(Si) Aspra non sia la lingua, e netti sieno.i
Dalla lug^e i denti; il mobil».piede . > Non nuoti ih larga pollo ;^*ed
ìne6perta i>olta kelel^ati i sacrificj » T suoi Sacerdòti"
éràtio ew.- nuchi, e ogni giorno,ger comparir moftdi, si raschia^
van membra, t Ari^nay figlia del
Re Minos, s’innamorò perdutamente di Teseo, che fu da* Greci mandato con
al- tri giovani in Creta per esser divorato dal Ii/Iinotauro~, Etsa
gV insegnò la maniera d*'uscir dal làbérinto quàn^ do avesse ucciso quel
mostroe in compagnia di dra sua sorella s*.iifcamminò con. VAmante^ che
dpmato il Minofauro y tornava in Grecia vittorioso . Teseo chi nel
viaggio orasi gik invaghito di Fedra ^ lasciò bar-' Caramente in Nasso
Arianna, .e andò con la sorella Ì2i Atene sua patria . Ivi questa dioonne,
come si è detto, amante d*Ippplito nato da Tesele da Ippolita Regina
duello Amaz%oni. Venere amò ardehtemente Adone ^figlio di
Cinirq, e di Mirra, quantunque vivesse continuamente né^ boschi intento a
caccksre le fiere. Pianse ella amaramert’^ te perchè questo giovinetto fu
ucciso da un cinghiale^ e nony avrebbe mai reso a Proserpina, se Giove
non comandava', che per otto mesi avesse Venere il possesso d* Adone, e
per gli altri quattro sei godesse Proserpina. Nel Campo martió d facevano
in Roma alcuni giochi, pe*quali i giocatori si snudavano interamente, « si
dngevan le membra con degli unguenti, che rendeano a* medesimi nera la
pelle Forbice non ti renda il crin deforme t Ma da maestra iuan^ ti sia
recisa E la chioma e la barba i $enza macchie Sian r unghie, nè
soverchinoi le dita; Nelle concave nari non si scorga
Alcun pelo; nè esali nn tris^to fiato* - ' La bocca; e il naso non
rimanga olfeilO „ Da che il fetido becco ognora sape^ ' A
lasciva Fanciulla il resto lascia, £ alla bardassa . Ma già Bacco
òhiama Il vate suo: soccorre ei pur gli amanti; E, la fiamma
che learde ei favorisce. Furente errava la creten.^ Ppnna Pcjr di
Nasso ignota arena, Che flagellano ognor T onde dei mare» Ella
coperta con discinta veste Come nel sonno, nudo il pjede e sciolte
Le crocee chiome, al sordo mar si volge;. E bagnando di lagrime le
gote, Teseo chiama in alto suòli: grida, E in un piangea la
mìsera, ma in lei Era tutto decente ; nè men bella Fu di lagrime
aspersa « di dolore. Mentre di nuovo con le man fa ingiuria
Al delicato petto, a che fuggisti t É cosa fia.di me, perfido?
dice^ Di me che fia, ripete ; e intanto il lido De* cìtnbali
e de’timpani p^cossi' Da un* attonita mano il suono assorda.
Quando Arianna si vide aèhandonata nell* sola di Dfasso^si diede in preda
all* ultima dispera^ sùone . Bacco ivi accorso con le Baeeànti e Cón
Sileno, sfio pedagogo, la prpse in sposa y e collocò la. di hi
chioma in Cieìp prenQ ad 4 rtur ^t \ v.t Ca<l’ ella al suolo 4a timor
sorpresa; Le mbucaa le iparole ; e piik pon scorro Per
le;geliAe} oppresse membra il sangue. S’ appreesan ile ^eoauti^ U<cfia
disciulto^ Ed opQO;i liéyl 3iltiri soiio Previa turbo del
DiOi*;£coo sul dorso D* uo< pasciuto asinel V ebrio Sileno
Carico d’ anoi.y^^che :si reggo appena, E profiumo aspirare>i
)brevi crini. Meiìftr eglit seguei'le! Saeeanti, e queste Lo
cfaiadianp /oggende ; l’inesperto . Cavaliere il qjUadrtipedo, suo
si^za. Deir aaiào orecchiuto al capo scorre, E a terra
cade: i Satiri griderò; Sorgi V deh sorgi y o Padre . Intanto
giunge 11 Dio ^ che d’ uva al carro adorno accoppia Le tigri, a
ouircoh le dorate briglie 11 freno regge, • Partì: Teseo, e insieme
D’ Arianna, fa voce ed il dolore. Tentò tre volte di fuggir, ma
invanoy Chè il timor la trattenne, e inorridita Tremò qUal steril
spiga al vento,e com# Leggiera canna in umida palude; Allora
il Dio le disse: * ogni timore, Cretease 'Donna, dal tuo cer
disgombra; In me tu* vedi un più fedele amante; Di Baceo anzi
sarai la dolce sposa. Tu spazierai nel ciel ; la tua corona
Lucida stella in ciel sarà di scorta Air incerto Nocchiero in suo
cammino. Di^se, e dal carro scese, onde non debba Seatir paura
delle tigri, e il piede Sulla docil arena impresse Torme.
Eapilla poscia, e se la strinse al seno> Chè tentato avria id
van forgi! contralto^ Mentre fonile a un Dio tutto si rende. De’suoi
segnacr imen cantd una parte, L’altra ripetè in alto snon gli
evviva. Cosi al letto nuziale il 0io 4 la Sposa ' Furon guidati^ e
s’annoSdaro insieme. Quando tu sederai con donna a mensa, E
di Bacco a te offerti i doiii siedo, > Tu a Bacco,èa‘*NunJi
che^han fa cena in euri Porgerai voti, onde (dal Vrn non venga
Offeso il capo ’ tuo ; Quivi* tu puoi ‘ ‘ Con ambigue parole a lèi
far iloti’ " ; I segreti del cor, ma per6^in modo ' Che ben s’
accorga esser a lei dirette. Potrai tu ancor con gocmole di vino
Teneri accenti esporre, onde conosca, Ch’ ella assolnto ha nel tuo
core impero. Co’ tuoi s’incontrin jgli oocbi suoi,<ed il fòco
Che t’arde il sené, a lei foccian palese; Parla talora col silenzio il
volto. Procura il primo di rapir la tazza. In cni bevv’
ella, e dove i labbri impresse. Bevi tn pur: qualunque il cibo sia
Bichieder dei, che tocco avrà col dito; E mentre il chiedi, a lei strìngi
la mano. Volgi i tuoi voti pure, onde tu piaccia Della Bella, al
Marito . Assai ti puoto * Util recar, se a te sia fatto
amìcoi Se dai la legge al bere, a lui la mano Solevano i Rfìmarù appena
posti a mensa eleg^, gere il maestro della cena y che da Orazio {lib.
i.od^ 9. ) li chiama il Taliarco\ Prescriveva il medesimo U leggi
del convito e la manieM di^ becere y'e ordi^ Ce^i, e riponi dal tuo
capo tolta La corona sul suo. Sia a te inferiore, Egual sia pur, si
serva in tutto il primo; E seconda parlando il suo linguaggio.
Col Telo d’amistà tessere inganno È vìa sicura e frequentata,
pure Non è senza delitto. 11 Talìarco Ancor che troppo generoso
appresti I moltiplici vini e le vivande; £ benché creda di
dover più assai Veder di quel che fu ordinato, certa Avrai nel ber
da noi legge e misura. Onde la mente e il piè si serbin atti A’
loro ufficj: d’ evitar procura Gli alterni detti e gV ingiuriosi
accenti, £ vìe più ancor se sien dal vin prodotti; E troppo
faeil non indur la mano napa alle Polte Commensali che ognuno,
bevuto il suo bicchiere di pino, proponesse qualche amena que^
stione . Auguravansi spesso tanti anni quanti bicchieri di vino bevevano,
e spesso ne bevean tanti quante e- ran le lettere che formapano il nome
della Beliamo deW Uomo insigne, a cui facevano un tale onore . Se
molti erano gli anrd augurati, o se molte erari le leU tere componenti il
nome della persona in onore di cui heveano ; mescepano allora il vino in
una tazza assai grande, e compensavan così i molti bicchieri che
apreb’^ ber doputo puotare . Era poi in uso al termine della mensa
il vibrare in aria con le due prime dita i semi d* una mela fresca: si
credepano fortunati in amore quando toccapan con quelli il soffitto della
camera ov*era apparecchiata la tavola^ e si riputavano infe* ìici
quegli amanti, che non li facean sorgere a queU V altezza, De^moÙi altri
giochi ^ che i Romani usa^ vano in queste circostanze, non ne è a noi
perve^ nuta che un* oscura notizia A perigliosa rissa. Al suol trafitto
(54) Euritone cadéo, perchè soverchio Bebbe i vini apprestati. A*
dolci scherzi Atta è la mensa e il vìu: 8*hai bella voce^ Non
ricusa cantar ; salta s’ hai molli E pieghevoli braccia ; e
finalmeute S’hai doti onde piacer, piaci. La vera Ebrietà nuoce ^
può giovar la finta. Balbetti in tronco suon l’astuta lingua^ Onde
di ciò che tu ragioni, o fai Oltra ’l dovere, il vino sol s'incolpu
Augura alla Padrona ed al Marito Una notte felice ; ma per questo
Fa tacito nel core opposto voto^ Tolta la mensa, allor che i
Convitati Saranno per partir, tra lor ti mischia ; ( La turba
e il loco ti daran T accesso ) A lei che fogge t’ avvicina, e il
fianco Le premi dolcemente, e il piè col piede •. Abbia ora il
conversar libero campo, E tu lungi, o pudor rustico, vanne.
Che la fortuna e Venere propizj Sono agli audaci. De’ precetti
nostri Or r eloquenza tua non abbisogna; Principia pur che ben
sarai facondo. Imitare il linguaggio dell’ amante Debbi, e mostrar
d’ aver ferito il core; E onde ti presti fede ogni arte
adopra.. Ardua impresa non è 1’esser creduto. {Sii^ ElurUone
è quel Centauro^ che reso caldo dab vino y tentò nelle nozze dì Piritoo
di rapire Ippoda»^ mia: Teseo lo percosse perciò così fortemente, che
fw costretto y.come dice Ovidio nelle Metamorfosi, cu vo^ nàtar V
anima e il vino Mentre Donna non v’ha, che sè non stìmi^ Sia, quanto
imn^agìhar ài può, deforme. Atta a piacer ; e aémprè inver non
epiace. Quante vòlte in^amor chi sol fingendo Incominciò, d’ un
vera amòr fu preda! Siate indulgenti pur, vezzose Donne, «Con
questi menzogner, se voi bramate Che in sincerò si cambi un falso
amore. Con accorte lusinghe ora si tenti Di guadagnar le Belle,
come Tacque Sa penetrar la sottoposta riva. Deh non
t’incresca ora lodar la faccia, Ora i capelli, i lunghi è ì
rotondetti Diti, ed il breve piè. Le più ritrose E le più caste
godono alle lodi Della loro bellezza ; e son pur grate ^T innocenti
Vergini i anzi il primo È la beltà d* ogni lor cura oggetto.
Percliè tuttora di rossor la faccia Tingon Palla c Giunca volgendo
iti mente Le frigie selve ed il fatai giudìzio f L’augel sacro a
Gìunon le penne ostenta (56; Se tu le lodi ; e le nasconde allora
Che tacito le miri» Anco il destriero. Quando contrasta il rapido
cammino. Péllade e Giunone ^vergognandosi d^essere stc^ te da Paride
giudicate .met^ belle di Venere, tentare Tono di ripagare una tate
infamia col ^ procurare n questa Dea vincitrice del Pomo tutti que*danni,
eh% sono resi ormai cèlebri' da' Virgilio e da Omero z Manet i^ha
Bueat# repo^tuiu' Judicium Faridis spretaeqtte ipjuria
fbrmae. VIRGILIO (si veda), Eneid. I Paooni ^(hrisi ^li at^elH di
Giunone, pospr che solcpano'essLHinàfe ibìqarroidi fonta Dea*,
Digitized by Google 4» Gode vedersi il
crine adorno, e il collo Accarezzato. Franco pur prometti, E
tutti chiama in testimonio i Numi, Che alle promesse pedon
facilmente Le tenere Donzelle. Su dal Paltò D*un spergiuro amator
Giove si ride, £ comanda che sien per l’aria spersi I
giuramenti dagli eolii venti. Solea per l’onda stigia a Giuno il
falso Giove giurar ; utile è un tale esempio. Giova de^ Numi
resistenza e giova Che noi pur la crediamo ; incenso e vino Lor su
gli antichi focolari offriamo: No, non è ver che una secura
quiete! A letargo simil gli occupi; i Numi Veggon r opere
nostre. Innocua vita Si tragga adunque ; ad altri il suo si renda;
Sii religioso in consesrYar la fede, Stia la frode lontana, ed abbi
ognora Vacua la dostra* dalle stragi. Solo È permesso ingannar, se
siete saggi, Le donne impunemente. Abbi rossore D’ogni altra
frode pur, ma non di questa. Le ingannatrici inganninsi, che sono
La maggior parte di profana stirpe; Cadan ne* lacci, cbt^ da lor
far tesi, l^àrrasi che restasse un di l’Egitto ^ DelFacqua a* campi
salntevol privo Per ben nov*anni ; allor che al Re Busiri Trasio si
fece innante, e mostrò come Possa Pira placar di Giove il sangue
D^un ospite; la vittima tù il primo Sarai di Giove, a lui disse
Busiri, Ed ospite darai Pacqua all’ Egitto. Falarìde cosi
nell’ infocato Toro arder fè le membra di Perillo, E T infelice autore il
primo empiéo L’opera sua. Fu 1’uno e l’altro giusto^ Nè vi
puote esser mai legge più equa Di quella y che a morir l’autor condanna
Del tormento inventato. La tradita Donna si dolga che col proprio
esempio Spergiurando s’ingannan lé spergiuro Meritamente. Utili a
te saranno Le lagrime; con queste anco il diamante Ti ha dato
ammollir. Fa, se lo puoi^ Che di pianto bagnate ella rimiri
Le guancie tue; se il pianto a te non scende, Che non si versa sempre a
grado nostro^ Tu con la mano inumidisci il cìglio. Chi mai
alle dolci parolette i baci Saggio non mischierà ? S’ ella ricusa
Darli, tu li rapisci,In prima forse Combatterà ; di scellerato il
nome Avrai da lei; ma pur ella desia Pugnando che la vinca. Sìa tua
cura, Che da' rapiti baci i tenerelli Labbri non sian offesi,
o non si dolga Che furon duri. Quei che i baci tolse. Se il
resto non procura, è degno invero Di perder ciò che a lui fu dato.
Quanto Perillo fabbricò un Toro di bronzo, e lo dor nò a Falaride
crudelissimo Tiranno de'Grigeati in Si cilia, perchè collocandolo pieno
di rei sopra il fuo* co ) potesse intendere d^ lamenti simili a'
muggiti de'booì. Falaride accettò il dono y e volle che subito w
entrasse Perillo per incominciar da lui il proposto esperimento» Mancò
a far paghi dopo i baci i voti! Ciò non pador, rusticità
s’appella. Benché si chiami forza, è questa grata Alle
donzelle ) che amano sovente Esser forzate a dar quello che giova.
1 piaceri d’amor, se sian rapiti, Gode la Donna, e la
franchezza ha il premio. Ma quella che poteva esser forzata.
Ed intatta rimase, ancor che in volto Mostri allegrezza, ha mesto
in seno il core. Soffrir violenza Febe e la sorella, Ma fu grato ad
entrambe il rapitore. La donzella di Sciro ìnsiem congiunta Con
l’emonio Guerrier, favola è invero Nota, ma degna pur d’esser
narrata. Dopo la lite della valle Idea Per la lodata sua
bellezza il premio Già la Diva avea dato. A Priamo giunta Dall’
opposta regio Deaera la nuova, E già viveva nell’ iliache mura Come
un’argiva sposa. I Greci”tutti Castore e Pollice rapirono le due sorelle
Febe e ilavra, che Leucippo padre delle medesime aoea date in spose a Ida
e Linceo, Venere per premio del Pomo da lei ottenuto, promise a
Paride Èlena moglie di Menelao ^ e Pa^ rìde la rapì, e la condusse in
Troja sua Patria. Siacome i TVojani ricusarono di render Piena Greci ^
che la richiescr più volte, questi intrapresero contro quelli un
formidabU assedio. Tetide adendo inteso, che il suo figlio Achille
sarebbe morto se andava al* la guerra di Troja, per assicurargli la vita
lo mandò in abiti femminili a Licomede Re di Sciro. Ivi s’innamorò
perdutamente di Deidamia Princi* possa reale, ed ebbe dalla medesima in
figlio il ce* Icóre Pirro. Deir offeso marito avean giurato Di
vendicar V oltraggio, e fero allora D^'un sol uomo il dolor causa
comune. Se noi forzava^ le materne preci. Eterna infamia coprirebbe
Achille, Perchè con lunga veste ascose Tuomo., Che fai, nipote d^Eaco ?
Non sono Atte a filar le mani tue la lana. Con arte ben
diversa ora tu dei Volger la mente alla palladia gloria. A
che questi cestelli ? Il braccio tuo Deve portar lo scudo; e in quella destra.
Per cui un giorno cadrà Ettore, io veggo Or la conocchia ? Del filato
stame I fusi carchi getta, e Pasta impugna. Un letto sol la Vergine
reale E Achille accolse ; ed ivi ella conobbe Che di femmina avea
solo la gonna. Con la forza fa vìnta ; almen sì crede;
Soggiacere alla forza a lei fu dolce. Quando soverchio s’affrettava Achille,
Che altr’armi avea che la deposta rocca. Spesso gli disse: per pietà t’
arresta. Qual valore or dov’è ? Perchè trattieni Con lusinghiera
supplichevol voce Li’autore,o Deidamia,di tua sconfitta? Di pudico
rossor copre la gota. Se dee la donna far la prima offerta, lilla Tè
grato il soffrirs*altri incomincia. Ah I nella sua beltà troppo si
fida Quel giovine, che aspetta che primiera Ella lo preghi. Deve
sempre 1* uomo Essere il primo ad accostarsi a lei; Ju uom le
sue preci esponga, e le sue r Riceverà cortesemente. Fréga
Che ti voglia accordare il suo possesso; Ella ha piacer d’
esser di ciò pregata. Fa lor palese il tuo desio, che Giove
Supplichevol si fece ognora innanzi AlF antiche Eroine, e non
fanciulla Offrì preghiere, benché grande, a Giove. Ma se t’ accorgi
che alle tue preghiere Si fa vie più superba, allora l'opra
Abbandona, ed il piè rivolgi altrove. Molte amano chi fugge ^ ed odian
quello Che troppo le frequenta; impara dunque A non tediarle. Nè
chi prega sempre Dee del delitto palesar la speme, Ma sotto
il manto d’ amistà velato insinui Amor. Con questo mezzo vidi
Deluse rimaner ritrose e fiere Donzelle, e divenir T amico amante.
Non dee il nocchier, che le marine spume Solca soggetto alla solare
sferza, Candido avere il volto, e pur disdice Al cultore de*
campi, chfe rivolge Col vomer curvo, e con pesanti rastri Le dure
zolle, e per te turpe fia Candide aver le membra, che il tuo crine
Cerchi adornare del palladio ulivo. Sia pallido ogni amante ; è
questo il suo Proprio color ; tinto di questo il volto Sarai
creduto infermo. Fra le selve Pallido errò per Lirice Orione,
Giops, Mercurio, e Nettuno furono henisd* mo accolti in casa d*
Iréo uomo assai povero* Avendo questi domandato medesimi un figlio, che
non dovesse ad alcuna donna la nascita, i tre Ospiti di- E per ritrosa
Najado fu Dafni Pallido L^almà discopra il volto Estenuato ; nè a schifo;
avrai di pórre Sulla nitida ^chioma un pìcòiol manto. Le cure ^ il
duolo ^ le vegliate notti. Che origin traggon dà nn Violento
amore, I Giovanetti estenuai! ; non tf incresca Comparire infelice,
se tu brami Di far paghi-ì tuoi voti,'onde ognun dica Che ti rimirà:
è (Questi unWeto amante. Mi dorrò fbrsè, 0 pur' ti farò dk>ttò A
usar rarti pt^rmessé e le vietate? Ah che amicizia è fè^^on^nòmf vani
i Lodar quella, che adori, al tuo ^compagno, E perigliosa imprésa,
ché se crede Alle tue Iodi, gli verrà vaghezza D'entrar nél posto
tuo. L'atto rea prole Non cercò profanai* d-Achillé 11 letto vini hagnàti^no
della ptopHa ofina la pelle del Toro da lui ucciso per Viàrio loro in
cidoy é assicurarono che da mtella nascerebbe un fanciullo: JVé
nacque infatti Orione ^ che fu un ottime Cacciatore. Non si sa chi
sia Lirico da lui: amata Vedansi le note faU te a questo libro dal Ckier
Néiruio.^ Dafni figlmel di Merèurio rtacque in Sicilia, ed k
VAutore de^virsi buìieeliei. Amando egli una' Ninfa, da cui era ^matà
egualmente, ottenne dal Cielo, che divenisse cieco chi di loro oiolasse
il primo la fede giùtata,Immemore Dafni del voto fatto, j* mnémo rò
d^ uha ritrosa Nomade, e divenne cieco. Quando i Romard soffrivano qualche
incorno^ do di sai ute, si coprivano il capo con un piccol maa- to
da loro iifè/to Piu li alani. Patroclo nipote d^Attore € figlio di
Mentàpo fu amicissimo Achille. Non cercò Fedr^ di sedar T amico (64)
. Di Teseo Piritoo ;aè in altra guisai [ Pilade la consorto af«(ò
à' Oreste, Che come Fcho Palla ^ od il tuo O Tindaro,gemeUo amò ia suora^
Ma non sperato rionofvatì spesson J Sìmili esempi, se non spe^ri
ancora ; Veder spuntar dal tramarisco i pomi, E in mezzo al
huine ritroTare,il mele. . Quello che è turpe :giova > e ognun ricerca
Il piacer proprio > che divien più grato. Se altrui costa dolor
. Do^e, 8 !:intese Scelleraggin piA grande ? Pel nemico Non debhi
.amante: paventar .soltanto, Ma fuggir dei, se vuoi viver, sicuro,;
. Quei che credi fedeli, e siimi amici. Il Fratello, il Cognato,, ed il
diletto ; Compagno temi ; questa tufba tutta;, ; Vera ti
recherà cagion d^ angoscia. Già toccavo la meta ; ma diversi.
Sono cosi delle Fanciulle^ \i i ^ ^ ’u Che varj mezzi ancora
usar si 4enno, Piritoo e Teseo concepirono V uno per Poltro
una stima si f^rànde, ohe giurarono di non àhhan^\ donarsi giammai,
o itifMi si prestarono vicendevole mente soccorso in tutte U
occtìrrettoo^ Pirotop ^ querie tunque frequentasse taaasa di Teseo,
limita sèmpre la sua beneoolenaa per Fedra a* sentimenti d*
amìci"\ aia e di stima.Pilade figliuolo di. Strofa ^ ehbé per
Oreste un*amicizia con sincera^ ^le.nonjo abbandonò nel- le più
pericolose circostanze a rischio di perder anche la vita. Castore e
Polluce figli di Tindaro amaron la lor sorella Elena con quell* amore,
con cui debbono i fratelli amare le sorelle. Per adescarle. Non la
stessa terra Ogni cosa produce ; atta alle viti £ questa ; quella
vuol gli olivi ; e in altra Lussureggian le biade. I nostri affetti
Varian come nel mondo le figure. Piegar si sa chi ha senno ad ogni
umore; E come Proteo, si farà nell’ onde ( 67 ) Sottile ; ed or
sarà leone, ed ora Àlbero 9 ed or cinghiale irsuto. I pesci Altri
si piglieran col dardo, ed altri Con r amo ^ e alcuni ancor saranno
tratti Àir ampie reti con la corda tesa. Nè giova ad ogni età
lo stesso modo; La vecchia cerva scorgerà da lungi Le insidie
. Se s’accorge l’ignorante Che tu sii dotto, e ardito una modesta,
Si porranno in difesa, onde avvien spesso Che quella che di darsi a
un uom d’ onore Ebbe temenza, fra gli amplessi vili Giaccia d’ un
servo . Parte avanza ancora. Parte ebbe fin dell’ opra intrapresa ;
Fermo qui tenga l’ancora il naviglio. Arte ^am. c Proteo figliuol di
Nettuno era un Dio mari-^ no, che si solwa cangiare in ^alsivoglia forma
y e di qui ha origine il proverbio: Proteo mutabilior. I3ite
e ridite lodi al delio Nome: La desiata preda è alfin caduta
In queste reti. A’versi miei ramante Lieto conceda rigogliosa
palma; Al Vale ascreo ed al meonio Omero (i) Son Dreferito.
Tal di Priamo il figlio (a) Con la rapita^ a Menelao consorte
Trionfante spiegò le bianche vele Dair armifera Amìcla, e tal pur
era Il Vate ascreò è Esiodo ^ e ph si è veduto al» V annotazione 5
del Lib, /. perchè gli venga dato uts tal nome. Critei de, ad onta della
custodia che ne aveva Vargivo Creonte^ senza divenir moglie d*alcuno^
divenne madre d^un figlio, che chiamò Meletigene dal jwmt Me]e«^ in
vicinanza del quale parton. Si sa, che essendo Melesigene accieeato, fu
soprannominato Omero, perchè i Cumani chiamavan con tal nome tutti i
ciechi ; ma non si sa se questo inimita» ìfil Poeta dicasi meonio perchè
Meone fosse suo pa» dre, o perchè da Meone Re de^Lidj fu poscia
adot» tato in suo figlio. Paride figlio di Priamo rapì Elena moglie
di Menelao nella Città d*Amicla, donde la condusse trionfante in
T^oja sua patria Pelope allox che te vinta traeva Sul carro peregrino, o Ippodamia:
Perchè, o giovin t’afFretti ? in mezzo alPonde Naviga il tuo
naviglio, e lungi è,il poxto Più dt quello ché bramo* A te
non’basta Che tratta t’abbia la fanciulla innanzi Io tuo poeta:
presa fu con l’arte; Con l’arte ancora conservar si debbe.
Non vi bisogna già niìnor virtude Perchè non fu^gan^ritroVatè: è
quella Opra del caso, e questa sol delParte. Siimi propizio, o
Amore, e Citerea; E tu, Er^tp pur V qhe* il ncfme pqrti ': D’Àmor, m’assisti» pra a cantar
m’accipgo Enomao Re Elìde e^ di Pisa senti coloy, ohe sarebbe
eglt-uodid nel ygiorno^ da avesse presoi in isposa la sua figlia
Ippodan^a^ Per allontanare dalla medesima à molti giovani, che
ambivano d'acquistarsi una 5 I belici fttnóiulia in con^ sorte, gV invitò
tutti un giorno a far ^secè il gioco d'una corsa, col patto che. sarebbe^
irpmancabilmente trucidato chi fosse rimasto vinto da lui, e che
do-^ vesse > chi aveva la fortuna di vincerlo^ sposare Ip->
podamia. Pelope fu vincitore con Vajnto di bfirtilo, a cui promise, che.
nella prima notte de^ suoi sponsali gli avrebbe in ricompensa accordato }L
dolce possesso 4dla sposa novella. Immernorè egli però della data parola,
e del segnalato servigio a lui reso ^ con^ dusse sul carro vincitore in
trionfo la bellissima Ip- podamia, e quando Mirtilo gli richiese
Vadempirnento delle sue lusinghiere promesse, lo gettò barbaramente
in .mare. Da EpMT«, che in greco idioma significa Amo-, re, ha preso il
suo nome la Musa Erato. Fu essa, madre di Tamita ^ che cantò il primo di
tutti i versi^ amorosi, ed a lei si attribuisce da alcuni greci
ùom-^ mentatòri V invenzion della Éiusica c del BaUf^ Cose stupende:
con qual arte Amore Tener si possa io vi dirò, bench’ abbia In
Vasto mondo ei di vagar diletto. Egli è leggiero, © doppio p^rta al
tergo * OrdÌB‘'*di'jpènbo, Onde' riniporgli legge È difiScfr
impresa. Àvea'aMa fuga DelP ospito Mibos ckiusa Ogni via, (5)
Ma ntì'àmdace sentier trovò con Tali. Poiché Dedalo chiuse il
Minotauro, Giustissimo Minos, disse, abbia £ne Ora'il’mio esilio,
ed il paterno suolo 11 ceder mio riceva. Io non potei. Perseguitato
ogUór da iniqui fati, Vivore in patria, almen morir vi possa.
Se a me ricusi un tal favor, che sono Carico d*anni ^ lo concedi al
figlio, E se al figlio .noL vuoi ^ lo dona al padre. Queste e
molt^ altre ancor cose dicea, • Ma a lui Minos hón permettea il
ritorno. Di sua eVentura cèrto», a se medesmo Allor Dedalo disse,
hai tu materia Onde mostrar Pingegno; e terra e mare È in poter di
Minos: e mare e terra Or ci vieta la foga ; a me rimane Il cammino
del ciel ; questo si tenti l^tdato, come già si è accennato, fabbricò irs
Creta il celebre Labirinto, in cui fu racchiuso il Sfinoiaiiro.
A^endògli' Minos vietato d* uscir da quel^ ' io' f non trovò altro
mezzo per ritornare alla patria y se non se di fabbricar dell* ali
congiungendo insieme varie penne d* aòcelii, ed accingersi in tal guisa
a ' 'Volar per il cielo in compagnia d'Icaro suo figlio. Questi per
altro innalzò troppo il suo volo, e preci^ pkò miseramente in quel mare,
che prese da lui ii nome Icario. Sommo Giove, perdona ^ questa
impresa: DelP Empireo stellato non aspiro Già le sedi a toccar ;
sol questa strada Onde fuggir dal mio Signor mi resta* Se Io
stìgio sentiero a me si mostri, 10 r onde stigie varcherò • Debh’ ora
I dritti rinnovar di mia natura. I mali aguzzan 1* intelletto. E
quando Si avrebbe dato fà che un uom potesse Premer le vie del
cielo.? In ordìn vario Dispon le penne, che per V aria sono
11 remo degli augelli ; e unisce insieme Con del ritorto Un 1’
opera lieve. Con cera al foco sciolta insieme accoppia Le
parti estreme ; e già della nuov’ arte Era venuta la fatica a fine;
Ma intanto che trattava e penne e cera. Rideva il figlio, ignaro
che quell* armi Sarian la sua difesa al tergo unite. Con tal
naviglio, a lai diceva il Padre, Si può alla Patria far ritorno ;
in questa Guisa fuggir Minos, che ogni altra chiude Fuor che T
aerea via « Tq che lo pupi, Con questa ch’io inventai arte novella^
Fendi gli aerei spazj ; ma la vista Della Vergin tegea, e del compagno
(6) (6) Calisto i Licaone Ra d* Arcadia ^ è
soprannominata Tegea, da una Città di tal nome soggetta alV impero
del padre della medesima. DaU V illecito commercio, che ebbe essa con
Giope, diede alla luce un figlio chiamato Arcade, e fu da Giunone per ciò
tra^ormata in Orsa ad oggetto di ven* dicarst deW infedele suo sposo ^ il
quale la collocò in oielo fra le stelle col nome, che ancor oggi
conserta, d’Orsa Maggiore. Di Boote Orion cinto di spada Tu dei
fuggir • Con V apprestate penne Mi segui ; io ti precedo, e sia tua
cara Batter^ V isteasa via ; da rae guidato Incolume sarai,
li’aeree strade Se calcherem troppo vicini al Sole, Al suo
caler si scioglierà la oera; Se al mar propinqui batterem le
pennei Da’ vapori del mar saran bagnate. Spiega il tuo voi
fra ^1 Sole e il mare; i venti Pur anco temi, o figlio ; e all’ aure in
preda Dà le tue vele allor che sian propizie. Mentre in tal modo V
istruisce ^ ài figlio Il lavoro dispone, e mostra come Muover lo
debba: in guisa tal la madre La pennuta ammaestra inferma prole.
L’àJe poi di sua man per se costrutte Accomoda al suo tergo, e nel
novello Cammin timido libra, in aria il - corpo.. Allor che al volo
si accingeva, al figlfo Diò molti baci, e le paterne gnauce Furon
di calde lagrime bagnate. Sorgea sul piano un colle assai
minore Del monte, e quivi V uno e l’altro corpo Si diede in preda a
perigliosa fuga. Mentre le penne sne Dedalo move. Quelle osserva del
figlio, e ognor sostiene In aria il corso
Icaro si diletta Del novello sentiero, e ornai deposto Orione
figlio Ireo ( annot.) Untò di dare un disonesto assalto alla casta Diana
; ma essa lo fece uccìdere da uno scorpione, e poi mossa a pietà lo
trasmutò presso a Boote in una costellazione fatta a guisa di
spada Ogni timor con arte audace vola Più ibrtemente. Un che
insidiava a’ pesci Con la tremula canna, alzato il guardo, Li
vide in ariane abbandonò P impresa. Già da sinistra avean passato
Samo, E Nasso e Paro e Delio al clario Dio Sommamente gradita ^ ed
alla destra Si lasciar dietro Labioto, e Calìnna Per selve ombrosa,
e Stampaglia di guadi Feraci in pesci cinta, allor che il figlio
Temerario con troppo incauto ardire Spiegò senza ìL suo duce in alto il volo*
S’allentano i legami ; al Sol vicina Liquefassi la cera, e i .tenui
venti Male sostengon le commosse braccia. Dal sommo cielo
spaventato il guardo Rivolse al mare, e dal timor già sorta Si
offro al suo sguardo tenebrosa notte. Si liquefò la cera, e i nudi
braco! Dibatte ; trema ; e ìnvan ricerca il modo Di
sostenersi *« Cadde, e o padre, o padre Gridò cadendo, via son tratto, e
T onda Cerulea chiuse al suo parlare il varco. Ma Pinfeiice
Padre.(ah non più padre!) Icaro, grida, Icaro, dove sei?
Sotto qual asse voli ? Icaro grida, £ nuotanti sul mar mira
le penne Copre P ossa la terra, è prende il mare Il nome suo
• Minos già non poteo D’ un uoni frenarle penne,ed io m’accingo Un
Nume alato a trattener? S* inganna Cfii fa ricorso all’ arti emonie, e
appresta Dalla tenera fronte del cavallo Lo svelto a
forzalppomane. Non Verbe ( 7 ) Pon di Medéa far viv*?re l’amore;
Non 1 Tharsfejj^ncàntesmi . Se potesse Una tal'arte ptolàligàrto,
avria ' Medea Giasbn', Cfrcfe teénto Ulisse . ( 8 ^ Nè
i pallidi apprestati* éill%*dónzelle F'iTtri* Valséro { aU’alrne Son
nòcivi, Ed inspirai) farot .'Ogni delitto Vada put lungi ; se attti
essere amato, Amabile ti- ttióstraf I a: ciò^ nTort giova *
Solo’ le^ menibtk àlve'r’by^^ e là-faècia. ^ Sii pur Nireó tfaro^
^11’ aiitibd^ Omero ; ' ^. t L ;
>(Q^^àevano gli an tichi, e fra questi ancora Pii- nio ea
Aristotile, che si potesse còncìliar l*amore per mezzo éAl^lppòinsLne,
cioè di qtàel pézzetté rotondo di carrie .nera ^ che han\ sulla, fronte
iì cavalli nati di fres^qp, Jfa Mars^ figlio^^efia/venefica Circe^^
t^aj- ser l a lo ro orig ine i M ar si. Abitarono questi popoli m
lidlia non fontani,àa Uòma ^e Jfùrorio~reputati, èc- celleràPneWarte
dellc^ ' niagìq:,iÌÌe«/èa \e Circe fdronp dii^ ihsiAni Ma^he ^ je insieme
due a^passioriaté 'mài. cohisposte dmànii\ poicHè 'fiorì pótérono có'loro
magici incanti trattenere Ùiasoné\d Utisse i che amavano
tèneramente, t Filtri preparati dalle
Maghe, eran composti di fichi salvatici ^ éP uòva e di penne di civetta,
di * sangue e di. pòlfnone di ranocchie, e d*os5Ì di cani e 'di
serpenti'Sventrati. Lèggasi ài Libro quinto V Ode 'd*Orazio cprìlró
Canidia. Nireo], nafo dd Aglajd e dal Re Cecrope, andò alt*assedio di
Trojq ; e vien da Omero nel Li-* hro secondo dell*Iliade lodato per la
sua sorprenden^ te bellezza. Ercole amò sommamente Ila figliuol di
‘Teodamahte, c lo condusse con se, quando navigò alla volta di Coléo.
MetltP era iri viaggio lo mandò un giórno ad attinger Vacq.ua dal fiume
Ascanio nel’» la Misià ma essendo ivi disgraziatarkente caduto^ han
finto i poeti, che fosse rapito dalle Nufadi Dea de*fiumu O il tenerello
un giorno Ila rapito Dalle callide Najadì: se brami Conservarti Y
amor della toA donna, E non vederti abbandonato, aggiogni
Deir alma i preg) alla beltà del corpo. È la beltade un ben caduco
e frale, Che con gli anni decresce, e a un fisso tempo Fugge
mai seiupre • Le violette^ e i gigij Non fioriscono ognor;Ia spina, ^
cui Colta la rosa sìa, rigida viena*,^ ^ ' Vago garzon, i tuoi
capelli un giorno Verranno bianchi, e il corpo tuo le rughe Ti
solcheranno . Formati ed aggiungi Alla beltade un animo che ^uri:
Sol ei riman fino agli estremi roghi* Ni sia rultima ina cura
con Farti Ingenuo Padornarlo ^ e di due lingua Renderlo dotto . Non
fu bello Dlisso, Colisse t figlia, come credono alcuni, delVO* etano e dì
TeHde, accolse cortesemente il naufrago Ulisse nell* ìsola Ogigia, ov*
essa regnala. Dimorò questi per sette anni con la Ninfa suddetta, da
cui ebbe varj figli, e poi fu costretto a dividersi da lei per
comando de*Numi, quantunque non lasciasse elìa alcun mezzo intentato per
ritenerlo sempre appresso di se. Reso Re dei Traci detto odrisio perchè
cornane dava alla Traqia nazione degli Odrini, e sitonio^ perchè
anticamente la Tracia ^si chiamava Sithon, fu ucciso da Ulisse e da
Diomede, mentre andava con un esercito in soccorso di Troja. D* ordine
de*suoi Troiani si portò Dolone ad osservar gli andamenti
dell*armata de* Greci ; ma incontratosi con Diomede td Ulisse, che pure
osservavano la condotta del cam^ po Trojano, svelò a*meiesimi, dopo
d*aver preso Vim^ punita y tutte le più segrete determinazioni de*
suoi concittadini. Volendo egli poi per premio i cavalli emonj
d*Achille, fu ba^aramente trucidato da Ulio^ se e Diomede uccisori di
Reso Ma facondo ; c per lui ferito H petto Portar* r equoree Dive. Oh
quante volte Di sua partenza si lagnò Calisso^ E dicea che
non atte erano a* remi L’onde del mar! Oh quante volte udire Bramò
di Troja i casi, ed ei sovente Narrò lo stesso con diversi modi I
Stavan sul lido insiem, quando la bella Calisso ehiese la dolente
istoria Del Duce odrisio; ed ei con tenue verga ( Mentre a caso la
verga in man teqea ) Finge Popra richiesta in sull’arena. Questa»
le^disse, è Troja (e fe’sul lido I muri) . È questo il Simoe,e queste
fingi Che« sieno le mie tende . Il campo osserva (E intanto lo
disegna) che col sangue Sì sparse di Dolon, quando gli emonj Cavalli
scaltro d’ involar procura. Fur del sìtenio Reso ivi le
tende; In questa uotte da i deitrier rapiti ^ Fui strascinato
. Dipingea più cose, Ma improvvisa del mar onda furiosa Via
trasse Troja, e col suo Duce ancora . Le trinciere di Reso. Allor la
Diva, Vedi quai nomi s’inghiottiron Ponde^ £ vuoi che
al tuo cammiò sieno propizie? Ardirai dunque di fissar tua speme In
fallace fij^ura? e più del corpo Altro tu non avrai solido e degno?
L’accorta compiacenza a noi concilia Gl’ animi, ma l’asprezza e le
severe Parole contro noi muovon lo sdegno. Si ha in edio lo sparvier,
perchè tra V armi Traggo sua jriU, e i lupi che assalire Hanno in
costume il timoroso gregge. Mite è la rondinella, e innocua
vive Dall’insidie dell’uomo ; e l’alte torri Abita là colomba a lei
gradite. Vadali lungi le liti e i detti amari; Con
soavi parole amor si nutre. Stia la discordia tra marito e
moglie; Si faggan questi, e credano a vicenda Di difender lor
dritti • Ciò conviene Alle tnògli/che ognor funesta dote Recan di
lìti . Il dolce suono ascolti Degli • accenti bramati ognor V
amica; Legge non havvi per gli amanti ; in loro^ Ìj amore è legge •
Parolette grate Reca, e dolce lusinga à lei 1’ orecchio. Onde alla
vista tua lieta si faccia. Non io d^ Amor maestro a’ ricohì parlo.
Che chi pnote donar > dell’ arte mia Non abbisogna • Chi quando a lui
piace, Prendi j può dir, non manca mai d’ingegno. Cedere a Ini
dobbiam, che più gradito Sarà dell’opra nostra. Il vate io sono
J>e’ poveri, dhe ognor povero amai. Dar doni non poteva, e diei
parole. Cauto ognor sìa povero amante, e tenga La lìngua a
freno, e soffra quel che un ricco Non soifrirebbe . l^el ponsier mìo
torna, Che irato aia di delia mia Bella feci Al crine oltraggio .
Un tale sdegno ah quanti Giorni mi fe’ passar pallidi e tristi I
Noi credo, e noi compresi, che la vesta Io le stracciassi allor, ma lo
diss’ ella, £ comprarne altra a me fu d’ uopo. O voij Che
avete ingegno, del Maestro vostro Fuggite il fallo, e né temete i
danni. J8ia la guerra co’ Parti, e ognor la pace Con l’Amica
diletta'. Usa gli scherzi, E tutto quel che favorisce Amore.
Se a te che l’ami, docil non si mostra Qual vorresti e cortese, il
suo rigore So^ri costante, e diverrà benigna. La forza
usando, il curvo ramo frangi, Che con dolcezza addirizzar potevi.
Varcasi 1’ acqua cón pazienza, e malo Vìnconsi i fiumi, se pigliar tu
tenti Contrarie Tonde rapitrici k nuoto. I numidi leon, le fiere
tigri Pan le lusinghe mansuete e miti; Ed al rustico aratro
la cervice / A poco a poco sottopone iJ toro. Dell'arcade
Atalanta e chi più fiera. Mostrossi mài? Eppur quella crudele Soggiacque
anch’essa al mèrito d* un uomo, Narra la fama, Melamon piangesse,
Sotto un arbor giacente all’ombra, spesso Suoi tristi casi e la crudel
Fanciulla. Spesso* portò le ingannatrici reti Sul vinto collo, e
con spietato ferro L’arcade Atalanta, figlia di Jasio o d’Aban^ te,
fu un.’eccellente cacciatrice,e si fe* compagna di Diana per consertare
illibato il candore della sun verginità, Finta essa p<ù dalla fedele e
lunga servitù prestatale da Meleagro o da Melanione, si abbando^ nò
finalmente in braccio ni medesimo, ed ebbe in fi^ glio il celebre
Partenopeo, Sono tra loro cod diverse le memorie .a- noi lasciate
dagli antichi scrittori riguardo a Melanione 0 aid Atalanta, che è
impossibile il dar de’ medesimi «Hit distìnta notizia Uccise spesso i
barbari cinghiali. L’arco teso d’Ileo soffri piagato, Ma
conoscea più ancor 1’ arco d’ Amore. Non vo’che armato le menalie
selve Tu salga, e che le reti al collo porti; Hò già
t’impongo il petto alle vibrate Saette espor • Dolci più assai
saranno, Se udir mi vuoi, dell’ arte mia le leggi. A
lei che è ripugnante, ognora cedi; E vincitore partirai
cedendo. Eseguisci fedel ciò eh’ ella impone: Biasma Quello
che biasima, ed approva Quel che le piace, e il suo parlar seconda.
Di rider ti ricordo al riso suo. Di piangere al suo pianto, e i
moti ancora A suo piacer del vento tuo componi. Se giocale
nella man P eburneo dado Agita, tu ancor l’agita, e lo getta (14)
Oltre il gioco de* dadi era presso i Romani in uso quello dclVAlìosso
detto da loro Talut, che con^ sistema in piccoli quadrati d*osso j ne*
quattro lati de* quali erano notati separatamente i numeri uno,
tre, quattro, sette. Doleva pagar senza lucr^o una mone^ ta chi
avesse gettato l* uno, che chiamatasi Ganis o Òanicula. Guadagnata sei
monete e ciò che ateta perduto nel gettare il Cane chi scoprita la parte
op* posta all* uno ^ cioè il sette che ateta il nome di * Yenns o
Gons,* ne guadagnata tre chi gettata il Seniofper cui intendetasi il tre,
e quattro chi ates^ se rappresentato U Ghio, che esprimeva il
numero quattro. Si rileva da**latini Scrittori che fu VAliosso
giocato anche ditersamente ; ma basta per la chiara intelligenza di
questi versi U sapere che erano i Cani dannosi ^ mentre esprimevano l*
ano ^per cui si dote^ va senza lucro pagare una moneta. Il Gioco,
ohe rasfvmbra a guerra, è, come facilmente ri QQtnprew* dp ^ qugllo
degli Scacchi, In modo cV«lIa vinca. L’Àliosso Se trae, farai in
maniera cbe la pena Non soffra d’ ^sser vinta, e tuoi saranno
Sempre i dannosi cani ; e s’ ella' pone Opera a gioco « che rassembri a
guerra, Fa cbo perisca dal nemico vinto Il tno soldato. Sulle
verghe steso Tieni r ombrello, e, nella densa folla Per dove idee
passare, il varco l’apri; Vicino al letto non t’incresca porre Lo
scanno, e fai piede dilioato togli E riponi la scarpa .iDei sovente. Benché
ti prenda orror, della Padrona L’algente,mano riscaldare al seno.
Non creder turpe, henchè a te rassembri. Con destra ingenna
sostener lo specchio, Se a lei ciò piacerà. Chi ’l fiero sdegna
Otaneb.della matrigna in domar mostri. Che ora è nel Ciel, ohe
primo egli sostenne. Si crede, tra Ife joniche Fanciulle Che
tenesse il cestello, e che filasse Rnstiche lane . Si l’Eroe
tirinzio Servi all’impero d'una Bella ; or dnnqne Dubiti di
soffrir ciò eh’ei sofferse? Se ti comanda esser presente al
Foro -Previeni 1’ ora del comando, e sempre ^eoU ' mnst
valorosamente ( Annoi.) tutu s mostriyche contro di lui suscitò la tua
rnatngna Giunone, e sostenne sulle sue spai- ad Atlante affa-
incarico. Innamoratosi egli poi dH)n- '‘iff reale della Lidia, vestì
abiti femi- mh, e m qualità d’ancella iella medesima filò vilmente
l»inne con quella man valorosa, con cui per le rmrabilt sue gesta s’ era
colmato di gloria. Ne partirai più tardi • Se ^t* impoiàfe Di gire in
altro loco’, ogni altra cura Lascia da parte, corri ^ uè la turba
'' LMutrapreso cammìti trattenga, e còma ‘ Servo, sé vuol, tu
Taccompagna a Casa^- Tolte le mense, e^già sorta^ la liOtte; >
Se fosse in villa,*e tf dicesse: vr<eni> ^ ^ Col piè premi la
via, se manca il eocebiò, Che Amor odia gl’inerti . Il btiitasoosò
Tempo nè la Canicola assetàtai ^ ' n / Nè per scaduta nòve il sentìev
biénco - ^ p’ ostacolò ti aien ^ Simile a gòfei/ra * ^ E r amore,
da cui vadano lungi ' I codardi . Nò, sotéo tali itìsegné* II
timid’ uòmo guerreggiar tiòu' debbe* La notte, il verno, disastrose
strade, ' ’ Dolor cocenti, e ogni altr’aspra fatica Racchiudono
que’mòlli ttccampaihetttli* Di pioggik dalle untole tìiscioitu'^ Ben
spesso intrisa avrai la -veste,-è‘Spesso Gelato giacerai sul nudo
suolo." ^ Dicesi che dì Cinto il'Nume' nu giorno (i 6)
Pascesse le ierée vacche d’ Admeto, £ s’ascondesse in umil
capanna.' A chi non converrà ciò che coriTenné ‘ Apollo, che
dicesi i/-Nuine- 4 ì'Cinto fper^hè ( Ànrvot. 1^9. del Lib, /. ) nacqueove
giace 4 in tal monte y sentì il pin, intenso, dolere ^ quanda Giove
fulminò Esculapio di, lui figlio, perchè faceva rivivere i morti con V
ajuto della -Medicina. Per veti^ dicenrA pertanto in qualche maniera d*
una tale ingiur- ria, egli uccise i. Ciclopi y che fabbricavano le
saette a quel Nume supremo, il quale lo spogliò per ques to della
divinità, e lo costrinse a pascolar le vacithe 4 * Admeto Re de* Ferei in
te staglia^ A Febo ? O ta, che in lungo amor ^impegni, Il
fasto lascia • Se un cammiii seeuro £ facil ti si nega, e se alla
porta Ritrovi impedimento, allor t’insinua Dal precipizio d’ùn
aperto tetto, O da ascoso sentier d’ alta finestra.
Lieta ne fia, quando del tuo periglio Intenda la cagion ; di certo
amore Sarà per la tua Bella un grato pegno. Spesso potevi dalla tua
Diletta Star lontanerò Leandro, ma varcavi ( L’ onda del roar, perchè le
fosse noto L’ amante core • Guadagnar l’ancelle Non abbi a vile, e
in special modo quella. Che sarà favorita, e ancora i servi.
Non temer d’ avvilirti: ognun saluta Col proprio nome, e alle lor
destre umili, Ambizioso, d'unir cerca la tua; Ma al servo che
ti prega ( è lieve spesa) Porgi piccoli doni, ed in quel giorno
Pure air ancella, in cui restò ingannata Leandro amò Con tal forza Ero
Sacerdotessa di venere, che spesse volte varcò VEllesponto per
visi^ tarla. Essa accendeva Una fiaccola sopra una torre, affinchè
potesse il suo Amante camminar piu sicura^ mente, e quando intese, che
era il medesimo misera^ mente annegato, si diede in preda aW ultima
dispe-* razione, e slanciossi intrepida nel mare, {ìÒ) Ai q
di Luglio celebravasi in Roma splendi--^ damente una festa, a cui
concorrevano le Servé‘ ve^ stile a Matrone romane, in memoria delV util
servii gio che avevano esse in tal giorno prestato alla Pu^ tria.
Ecco ciò che ne dice il Macrohio, Post Urbe in captam, cum aedatus esset
gallicus motus, res vero publica esset ad tenue reducta, Finìtimi
opportuni- Da veste maritai gallica truppa, E che pagò d’ un
folle ardire il fio. Ti fida a me ; fa tua la plebe, e sempre
Sia fra (juesta V ascierò, e quel che giace Sulla porta del Talamo . Io
non voglio Che ricchi doni appresti alla Padrona; Piccioli sian, ma
convenienti e accorti. Mentre è ferace il campo, e mentre i rami
Piegan pel peso di mature frutta. Porti fanciullo in un cestel gli
agresti Doni, e dir ben potrai che da una villa Suburbana ti
vengano, quantunque tatem invadendi romani nominis aucupati
praeferant sibi Postlmmium Livium, Fideoatiam Dictatorem, qui,
mandatis ad Senatum misis, postalayit, nt si yelleut reliquias suae
ciyitatis manere, matres fa* Hiilias sibi et yirgines dederentur . Cumque
Patres esseat in ancipiti deliberatione suspensi, ancilla nomine Phìlotib
teu/ Tutela, poilicita est se cum cae- teris ancillis sub nomine
Dominarum ad hostes ita- ram: habituqae matrnm familiat et yirginum
sumpto, hostibas cum prosequeatium lacrjmis ad iidem dolorii iogestae
sunt. Quae cum a Livio in castris di- stributae faissent, viros plurimo
vino proyocarunt, diem fbstum apud se esse simulantes. Quibus sopo-
ratis, ex arbore caprifico, quae castris erat proxima, signum Romania
dederunt, qni oum repentina incursione snperassent ; memor beneficii Senatus,
omnet ancillas manu jùssit emitti, dotemque eis ex publico fecit,
et ornatum quo tunc erant usae, gestare cou- cesfit, diemque ìpsum Nonas
Gaprotinas nuncupa- yit ab illa Caprifico, ex qua signum yictoriae
coe- perunt, sacrificiumque statuit annua solemnitate ce<-
lebrandum, cui lac, quod ex Caprifico manat, propter memoriam facti
praecedentis adhibetur. Questa è la fedele esposizione del fatto, d cui
non pare che si uniformi il Poeta Tu gli abbi compri nella laera via. (
19 ) Rechi pur Tu ve » e le aastagne care Un giorno ad Amafilli, e
che ora a vile Parehè dono legger avrebbe anch* esso, Co’t^rdi pure
e con ghirlanda mostra Che memor vivi della tna padrona. Si compra
turpemente con tai mezzi D’orbo vecchio l’affetto, e la speranza Di
godere i suoi beni. Ahìperan qnelli Che Così vii disegno a donar
move. E che ! t’insegnerò teneri versi Io diluviar Fa me lo
credi, i carmi Non ton molto graditi ; e benché Iodi Ottengano
talor, maggior lusinga Han gli splendidi doni: Un ricco piace Ancor
che nato in barbara contrada. Questa è per vero dir l’età
dell’oro^ Giacché con Voto compransi gli onori, Criacchè con V oro
piegatisi le Belle. Se tu medesmo con le Mute, Omero, Venga privo
di doni, ab ! tu seaeciato Sarai di casa. Di fanciulle dotte ^
Havvi turba rarissima, ed un’altra. Che sé reputa tal benché
ignorante, L’une e l’altre s’encomino co’versi^ Che
ottengan dal lettor lodo pel suono Facile e lusinghiero \ a queste e a
quelle Tenue e da aVersi a vii sembrerà dono In loro onore vigilato
carme. ^ Usa in maniera ché V amica ognora VendéQasim Ronia
ogni torta di frutti e d*al^ tri generi nella Via sacra, che acquistotti
un tal nóme, perchè furono ivi conclusi con gran^ sagrifizf i patti fra
Romolo e Tazior A far ti preghi quel che util ti sembra, E che
far già volevi. Se promessa Abbi ad alcun de’ Cuoi' la li ber Cade,
(ao) Fa pur elisegli la chiegga alla padrona. Se ta rimetti
al servo il suo delitto,^ Se le catene sue dure disciogU, ;
Te ne sia debitrice. ^ A lei la •gloria> A tediatile
venga. Sul:tuo eore Mostra ohe elFabbia un prepotènte impèro^ Ma
illesi serba ognora i dritti tuoi. Tu che nutrì desio della tua
cara ' ^ ^ Consfetvarti V amor, fà oh’ ella pensi Che tu
getonito sei di sua Heltade.* Se le sue menàbra in vtiria veste
avvolga, Le sii largo (U lodi, e se le doe ' . Cinge, dirai che
accrescono i suoi Veazi. Se poi s* adorna con aurata veste, *
Dille che più splendente èli’è dell’ oro. Se prende la
pelUcela, e tu T approva; * Se la tomita lieve, allora, esclama '
Che, desta incendj, e con ièmmes^a voce Pregala che schivar proeuii
il. freddo. Sia il orine in duo diviso, oppur da oaldo Ferro
ritorta, tu dirai: mi piace. Di lèi, se.danai, ammirerai
le,braccia, Di lei, ^ canta, 1* armoniosa voce,. ' E a lei
dimostra con dolèntii note^ Perchè fpresto diè fine, il tuo
scontento. Loda gli abbmcciamenti,:e in suon piètoso E querulo ie
mostra con KJUéiI foraa ..Presso i Homani eruno cortamente i servi in una
condizione sì miserache (^iputavansi fortuna^- a, quando i padroni per un
effetto di^somma cUmon^n accordavano loro la liberty, ^
-, D’insolita jilaowrfe: il. cor t’inonda. Gon questi-
un4incoc che-|}iù. violenta Foss’ ella di Medusa ^ e indite: e giusta
(ai) Dìvetrài.co», l’ ansante,* Sia .tua cura - Di non sembrane
-iagantiatore ; e il volto Kon distrugga i tnoi> detti. Ascosa
Térte Giova j e svelata la vergogna apporta, E Ii^ tfe. 00»
ragiOp j toglie per. sempre. Spesso Sotba l’ÌAu)tjnA0tì,( iiti quella
bella Parte dall’sanitOf,-^ cui vosaeggia Priva Del purpureo, lioór
; rieolnta » quando Il freddo,«cura la?f»reiuej ed era il «aldo La
soioglie,). Pìncostante. aere d cagione Di languore, alle-metubra,*
Elhi^pur viva Sana, masO'.inat giaceja-in, letto in ferma.
Soffrendo. ..drd tmaligqogciol V Infinstoi La tua pìetade:;ecP
AQt^ctW> palese Sia alloca .alla fanqiullaj^ fi getta il aenae
Di ciO .cbe mieter, debbi, a larga falce.' Nè del liingaauo mal poja',ti,
prenda^, E faccia» le tue man cid che permette. Te rimiri
piangente, ed i .tuoi baci: Non
r.inore«qa;S<^l-Ìr,;'flon arse labbia, Beva il tàO ;piantp,. 4 Ì»
.ciel voti farai. Ma ognor,.palesi,,e di narmr: ti .piaccia
Be» spesso,fausti' sogni..:Àn| sua'magione Guida la-ivacohiarella, che
con ?ìolfo iaa) (ai) ]ffedasa figlia di Forci^'ed ufl'a delle tre
Gorgoni, incontrò-lo tdogn» di Minerva, perché à prestò all’ impudiche
iooglie, di Nettuno • nel Tempio della medesima* Questa Dea le trasformò^
pertanto i capelli in serpenti, e fece si che fosse convertito in
-sasso chiunque ardiva di riguardarla. (ìa) ponducivàn gli
antichi le vecchiarelle nello àuse d^gV frifermi, affinché con le lor
preghiere di Purifichi la stanza e insieme il letto, E con tremola
man T ova le rechi. Di tua premura avrà cosi 1* amica Kon
dubbj segni, e con tai mezzi molti Far dalle Belle istituiti eredi.
Ma deir inferma per soverchia cura Deh non volerti procacciar
lo/sdegno; Àbbian tuoi dolci uffioj il lor confinej Non le vietare
il cibo ; il tuo rivale, • E non la destra tua* pòrga la
tazaa Colma de* succhi amari. Or che n^ll* alto ^ Del mar solca la
nave, usar non dei Lo stesso vento, con cui già dal lido Le vele
hai sciolto. Mentre Amor va errando Novello ancor, con Taso forza
acquisti; Stabil verrà, se lo saprai ' nutrire. Ebbe vitel le
tue carezze il toro, Che or è de'tuoi timori oggetto, e Talbore,
Sotto cui posi, un di fu tenue ^etga. Nasce povero d'acque il fittnré, e
forza Acquista nel suo corso, e dà Ogni parte Gli vien tributo di
novello umore. S’accostumi con te, che nulla puote Più di tal
cosuetudiue giovarti. Mentre l’adeschi, a te grave* non sia
Di soffrire ogni tedio • Abbia te sempre Dinanzi al guardò ; ognor tuoi
détti ascólti; La notte e il di le pinga il volto tuo* Ma
quando poi sicura avrai fiducia Di poter esser ricercato, allora
Scacciassero Sa quelle, gli spettri. Epicuro deve soffrire i
rimproveri degli Stoici, e VOratore Eschino quei di Demostene, perchè
avevano le lor madri Ulk simile impiego che riputavasi vile Vanne
pur lungi, che la cura sua Sarai benché lontan . Prendi riposo;
Ciò che s’afBda al campo riposato Bende ei ben generoso e l’arsa
terra Bey e l’acqua del ciel. Finché pxesente Fa a Filli Demofonte, il di
lei seno Senti mediocre amor, ma in vasto incendio Arse allor che
le vele ci diede^’ venti. Mentre vivea lontan l’astuto UÌìsse (a 4
) Penelope soffriva cura mordaeCr Tu ti dolesti pur, Laodamla, Lontan
Protesilao. Brieve tardanza £ mai sempre sicara. Allevia il tempo
11 dolor dell’assenza ^ e dal pensiero e dà loco a nuovo amor 1’
assente* Mentre tu, Menelao, stavi lontano Fillidt, figlia di lÀcurgo He
di 'Tracia, rice* Vè cortesemente nella Reggia e nel letto il
naufrago Demofoonte figlw di Teseo. Quandi egli partì per % Città
d* Atene ., colera chiamato dalla cupidigia di regnare, le diede parola
di ritornarsene a lei dentro un mese . Aspettò Fillide lungo tempo il suo
caro sposo, e poi afflitta e disperata per la tardanza di lui, si
tolse da se stessa crudelmente la vita. È noto il verace affetto
che aoea Penelope pet Ulisse suo spesole però si può facilmente comprendere
quanto fosse vivo il suo dolore per la lunga dimora che fece fi medesimo alV
assedio di Troja. ^uS^ Laodamia amo sì ardentemente Protesilao
detto in latino Phyllacides daFilaco.4uo avo, che fu sempre occupata dal
più vivo dolore mentre era esso al- V assedio di Troja, e fece far del
medesimo dopo la sua morte, una statua di cera, che ogni notte
pone- vasi nel letto quando vi andava a dormire. Menelao
trovavasi in Vreta, ove .l* aveano richiamato i suoi affari, quando Paride di
lui confi- mcpte gli rapì la bellissima E.lena pia consorte Sulle piume
giacer sole non volle Siena, e nella notte al caldo seno l)eir
ospite fu striata. E chi mai puote Di ciò nutriremo Menelao,
stupore? Solo partivi, e nel medesmo tetto Era la moglie e T
ospite. In custodia T,ii folle le colombe al. falco fidi, Ed
al montano lupo il pieno ovile? Siena non ha colpa, e non
commise L’adultero delitto ; ei fece quello Che tu faresti, e che
farebbe ognuno. Ad esserti iiifedel la donna sfórzi^.j
Se il tempo e il loco a lei concedi. Quale Oonsiglio ella usò
mai se non il tuo? Che dovea far ? Il suo marito è lungi,
Ed un amabil ospite presente, E giacer sola teme in vacuo
letto. Ciò a Menelao era noto. Io dal delitto Siena assolvo ;
usar volle di quella Libertà, che il marito a lei concesse Cortese
c umano. Non così feroce Flavo cinghiai si mostra in mezzo all’ira
Contro i rabidi cani, allorché il dente Fulmineo rota, nè così
lionessa Che a’cari figli suoi porga le mamme, Nè da piè
ignaro vipera calcata ; Coni’ àrde e mostra 1 ’ agitata mente
Donna che la rivai trovi nel letto Del suo consorte: e corre, e dà di
piglio Al ferrò e al foco, e ogni decor deposto, Rassembrà una
Baccante. La spietata Medea nel sangue vendicò de’figlj fay) Vedaii V
annotaz. del Lib Del marito il misfatto
^ ed i violati Dritti di sposa. Àltr^empia genitrice, Mirala in
rondinella trasformata. Or di sangue macchiato il petto
porta. Tali delitti sciolgono V amore Meglio composto e più
costante ; e cauto Gli dee r uomo fuggir, gli dee temere. Nè
ad una sola donna io ti condanno; Portin migliore augurio i sommi Dei
! Così rigida legge appena puote Seguir sposa novella.
Abbiano pure Loco gli scherzi, ma celar ti piaccia Sotto furto
modesto il fallo tuo. Da cui già non voler cercar la gloria.
Altra non mai conosca i doni tuoi; Nè prefigger tu dei 1 * ora
medesma Agli amori furtivi, e in un sol loco Condur le belle, onde
non le sorprenda La donna tua ne’ noti nascohdiglj ; E quante
volte scrìvi, i fogli osserva; Che molte leggeran più assai di
quello Che tu loro scrivesti. Amante offesa Move bene a ragion
Tarmi, e sovente Come a lei desti, a te di duol dà causa. Mentre il
figlio d'Atréo fu d’ una sola (29) Ov. Arte d^am. d Progne figlia
di Pandìone, e moglie di Teseo ^ fu dagli Dei cangiata in Rondine, perchè
vendicane dosi deW ingiuria recata da Teseo a Filomena di lei
sorella, uccise Iti suo figlio ^e lo apprestò al Padre barbaramente per
cibo, (39) Agamennone rapì Criseide figlia di Crise cerdote
d*Apollo, il quale in abiti sacerdotali si portò inutilmente dal medesimo
per ricuperarla j tolse Bri* seide ai Achille ; e condusse poi in Grecia
Cassandra Contentò e pago, quella visse casta. Ma per i vìej
del marito poi Divenne infame. Inteso avèa che Crise, Le fasce in
capo e il lauro in man portando, Ottener non potè 1* amata figlia.
Inteso avea il tuo ratto, il tuo rossore, O Briseide, e per
quai turpi dimore Fosse la guerra prolungata. Queste Cose la fama a
lei narrava. Vide Con gli occhi prhprj poi la figlia stessa Di
Priamo: vincitor fosti ad un tempo E preda, o Agamennon, della tua
preda. Nel cor, nel letto ricevè ella poscia Il figlio di Tieste, e
vendicossi Così de’falli del marito infido. Gli amori tuoi
tener cerca nascosti. Ma se fian noti e manifesti, sempre
Però li nega, nè ti mostra allora Nè più sommesso o più giocondo: reo
Ti fa ria ciò scoprir. Novelle prove Le dà deir amor tuo. Queste il
sostegno Son della pace. La tua prima amante Fa che di ciò non
abbia unqua contezza. Havvi chi la nociva erba consiglia
Santoreggia di prender; ma ciò stimò Atro veleno. Mischian altri il
pepe Nel seme dell’ortica, e nell’ annoso Vino tritano il callido
pilatro., figlia di Priamo, la qual fu a luì concassa nella
di* Vision della preda. Clitennestra sua moglie, e figlia di
Tindaro non potè reggere a tanta infedeltà, e /?«- rò accolse nel letto
Egisto figlio^ di Tieste, da cui ' { Annotaz.) uccidere il suo
marito. La Dea che sul ombroso Érice monte ( 3 o) Ave il suo
tempio, no, soffrir non puote Che siau forzati i suoi piacer. Si
prenda Pure il candido Bulbo che a noi manda La Città di Megara, e
la salace Erba che cresce ne’giardini. L’ova, L’imetto mel,
del pin le acute noci Si prendan pur. Perchè alla medie’ arte,
Erato, or tu ti volgi f II cocchio nostro Debbe più da vicin toccar la
meta. Tu che celavi per consiglio mio Poc* anzi i tuoi
delitti, or altra strada Batti, e per mio consiglio i furti scopri.
Nè di volubil già merto la taccia: Non col medesmo vento i
passeggieri Porta la curva nave ; ora si corre Col tracioBorea, ed
or con Euro, e spesso Dal Zeffiro si fan goiihe le vele,
Talor da Noto. Osserva come in cocchio L’auriga ora le brìglie
allenta, ed ora Frena con l’arte i rapidi cavalli. Compiacenza
servii le rende ingrate, E amor senza rivale illanguidisce.
Se la fortuna sia propizia, Talme Divengono lascive, e faci!
cosa Venere aveva un magnifico Tempio in Sicilia sul monte Erice,
donde fu detta firicina., Sotto il nome di Bulbo iniendonsi tutte^
le radici rotonde come agl) e cipolle, che i Romani facevan venire
dalla Città di Megara fabbricata da Alcatoo figlio di Pelope.
{jòi) Il vento Borea f spirando a Settentrione, vien qià dette
treicio perchè la Tracia è più settentrional della Grecia y e dell*
Italia, Euro spira da Levante [ Zeffiro da ponente, e Noto da
Mezzogiorno, Non è serbare in mezzo allieti eventi IL cor
tranquillo. Come lieve foco, Che perduto abbia a gradi il suo
vigore, Ascpndesi, e nell’ ultime faville La cenere biancheggiale
se v’unisci Zolfo, Testinta fiamma manifesta, E a splender
torna il consueto lume; Così ove pigra e torpida si giaccia
L’alma, destar cop forti e lusinghieri Stimoli è d’uopo in essa allor
Tamore. Fa che di te paventi: ognor riscalda L’intiepidito
core, e impallidisca Al, solo udir che tu infedel le sia. Oh
quattro volte e quante io non so dire Felice quei, di cui si lagna
offesa La sua fanciulla, e che giugnendo annunzio D’un tal delitto
alle sue triste orecchie Cade, e il color le manca e la favellai Ah
foss’io quello, a cui furente straccia Il crine ! ah foss’ io quello a
cui con l’unghie Sgraffia le gote, che or piangente mira Or con
bieco ciglio, e senza cui Vorria, ma non può vivere ! Se chièdi Il
tempo, onde di te la lasci offesa Lagnarsi, io ti dirò: sia questo
breve. Perchè lo sdegno suo forza maggiore Con dimora soverchia non
acquisti. Con le tue braccia il bianco collo cingi^ E
piangente nel tuo seno l’accogli; Asciuga co* tuoi baci il . pianto
suo, E i piaceri di Venere concedi A lei che piange. Già la
pace è fatta; Con questo mezzo sol cessa lo sdegne. Se feroce
divenga, e a te rassembri Veramente nemica » allor le chiedi Un
dolce amplesso, e la vedrai placata. Ivi déposte Varmi è la
concordia^ £d in qael loco » a me lo credi, nacque La tenera
amistade. Le colombe. Che già fecero guerra, i rostri insieme
Dolcemente congiungono ; di quelle 11 mormorio son voci, e son
carezze. Fu il mondo in prima una confusa mole; Non ordine
regnò, non vi fu legge ; £ stelle e terra e mar solo una
faccia Mostravan ; sulla terra il ciel fu posto E fu dal mar la
terra circondata, £ diviso cessò l’inane caos. Presero
ad abitar le fiere allora Entro le selve ; a star gli augelli la
aria; £ s’ascosero i pesci entro dell* onde. L’uomo errò allor
ne^aoUtarj campi. Ma rozao 9 inerte corpo, e senza genio*
T'u il bosco la sua casa ; il cibo l* erba; Lie frondi il letto ; e
già per lungo tempo Visser fra loro sconosciuti. Dicesi, Che
le feroci loro alme piegasse La dolce voluttà. Lo steiso loco
Abitarono insiem Tuoibo e la donna; Non da maestro furon fatti
dotti Di ciò che dovean far ; Venere loia La dolce opra compì
senz’arte alcuna. Trova da amar Paugel dolce compagna, E in
mezzo all’acqae pur con chi s’accoppj Non manca al pesce. Il maschio
ainato segue La cerva, ed il serpente a’dolci inviti. Della femmina
cede. Insiem congiunta La cagna al can s’annoda. Il suo montone
Soffre lieta Tagnella; la giovenca Gialiva è col torello, e la
stizzosa Capra 1’immondo becco non disdegna. Parenti le cavalle i
maschj segnono Per lungo spazio, e varcan fino i fiumi Che li
tengon divisi. A che più tardi ? T’affretta dunque, e alla sdegnata
porgi Il bramato sollievo; questo calma L’atroce suo dolore, e
questo vince I succhi d’Esculapio • Il fallo tuo Dei con ciò
cancellar, tornarle in grazia. Mentr’ io cantava queste cose,
Apollo apparve » e mosse dell’ aurata lira Col pollice le corde •
In man tenea L’ alloro, di cui cinta avea la chioma; ^Queir
ammirando vate allor mi disse: O de’ lascivi amor maestro,
guida 1 tuoi scolari alfine al tempio mio; Ivi sta incisa la famosa
legge, Che conoscer se stesso a ognuno impone. Amar solo
potrà prudentemente Quegli che se medesmo appien conosce, E
alle sne forze sa adattar Tìmprese. Procuri che la Bella ognor Io
guardi Quel cui Natura diè leggiadra faccia. Si mostri spesso
con le spalle ìgnude Chi candide ha le membra ; parli pure Quei che
lo fa soavemente, e canti, E beva quel che a bevere e a
cantare Con arte apprese, ma non mai interrompa Alludtd al Tempia
consacrato in Delfo ad Apollo ove era scritta a caratteri à* oro qaest^
aurea legge: nosco te ipiam L’altrui discorw P eloquente, e in
mezzo Al ragionar non reciti importuno I suoi carmi il Poeta
. In questa guisa Febo i^egnomnii, e. voi di Febo adesso Seguit^e i
precetti. Ah no ! non ponno Mancar di fe gli oracoli d’ Apollo.
Or son chiamato a più'vicini oggetti. Chi sagace amerà ; chi
la nostr’ arte In uso saprà porre f avrà vittoria. Non sempre
i campì rendon con usura Le biade seminate, e a dubbia n^ve,
Non sempre fausto è il vento. Ah! sono brevi I piaceri d’
amor, lunghe le pene. Onde Amante a soffrire il cor disponga:
Quante in Ato son lepri, e quante in Ibla Pascolan api, quante olive accoglie
II verd' arbor di Palla, • quante il lido Del mat conchiglie ;
tanti son gli affanni Che soffrenti in amor, tanti gli strali Jlal
felo intrisi che ci passan V alma. A te diran che usci fuora di
casa Quando con gli occhi tuoi forse la vedi. Ma creder dei che
uscì, che vedi il faUo. Mella notte promessa a te la porta Forse
chiusa sarà ; soffri, e le membra Riposa e adagia sull’immonda
terra. Mendace ancella forse in tuon superbo Dirà; perchè le nostre
porte assedjf Cortese e supplichevole stropiccia Il limitar della
crudel Fanciulla, ^ E al capo tolte ivi le rose appendi.
Quando vorrà, t'appressa, e quando il vieta Tu vanne lungi. Uomo non dee
sincero Di sua presenza far soffrir la noja. Digitized by
Google 8o Non sempre con ragion ti potrà
Jirer A me fuggir costui non è permesso* Non creder turpe di
soffrir ingiurie, Nè d* esser dalla tua Bella battuto,
Nè sul tenero piè d’imprimer baci. Ma a che mi fermo nelle
tenui cosef Or subietto maggior m’agita l’alma. Io canterò
prodigj ; il volgo attonito Ascolti i detti miei, mi sia propizio.
A difficile impresa ora m’accingo. Che nel difficil sol glòria si
merca. Dall’arte una si chiede ardua fatica. Soffri il
rivai pazientemente ; teco Starà vittoria, e n’otterrai trionfo.
Non già un mortai, male pelasghe querce(33) Ti dieron tai precetti
. Ah i iio, non puote Dir r artè mia di ciò cosa maggiore.
Farà un cenno amoroso al tuo rivale, E tu lo soffri ; sctiverà,
e t’ astieni Dal toccar le sue carte ; e venga e tomi Senza le tue
doglianze ove le piace Con legittima moglie usi il marito
Quest’indulgenza pure, alior che notte Le tenebre distende, e il sonno
regna. Non io, Io debbo confessar, non sono In quest’arte perfetto.
E che far deggiof Io de’ precetti miei minor mi trovo. Io
soffrirò che, me presente, un segno Si faccia alla mia Bella, e il freno
all’ira Io potrò por ? Ah mi ricordo ancora ^3) Fabbricarono
i Pelasgi un Tempio dedicalo a Giovò, in vicinanza del quale era situato
un bosco di querce, da cui davano le colomba risposta umana Che il suo
marito nn di le diede un bacio, Ed io del bacio a lei feci querela;
Abbonda il nostro amor di crudeltade. Non una volta sol mi fu
nocivo Un vizio tal ; piti dotto invero è quello Per cui, lieto il
marito, in casa ingresso Hanno altri amanti. Ma saria più grato
L’esser di questo ignari. Ah lascia dunque D’amore i furti ascosi, onde
non fugga Dal vinto labro, confessando i fallì, Lungi il
pudor. Deh risparmiate, o amanti. Di sorprender colpevoli le amate.
Schetzino pur, ma almeno a se medesme Perauadan che il fer’ solo in
parole. Sorprese, in esse pel rivai maggiore Si fa r affetto ; e
dove egual la sorte Fa di due, 1* uno e Paltro son costanti La
causa in sostener del danno loro. Favola iu tutto il elei nota si
narra: Venere e Marte dagP inganni presi Pur di Vulcan. Ferito il
petto avea Marte per Vener da un apaore insano, E divenuto di
guerriero amante. Nè rustica o difficile mostroàsi (Non
v’è di questa Diva altra jpiù molle) Venere al suppliéhevole
Gradivo (34). Oh quante voltè la lasciva risé ^
da Marte si Marna Gradivo da apa/vav, ehe si^ grufiea in
greco linguaggio vtbraziorfe d'AVta. Aven^ do Giooo preeijntaio Vulcano
in Lenno 'per 1 la defar-^ mità del suo corpo, si tuppè questo misero
Diojin tal caduta una gamba ^ e così divenendo zoppo ^ di^ canne
ancorst mSgiortncnU deforme. Sa ^ Di Valcano pei piedi e per le
mani Nere e incallite pel lavoro e il foco. Contraffaceva pur di
Marte in faccia Sempre piena dì grazie il suo marito^ Ma
solean ben celare i primi amplessi, E coprian col pudore il fallo
loro; Ma il Sol che tutto vede ( e chi ingannare 11 Sol può
maif ) fece a Vulcan palesi L’ opre della Consorte • Ah quai ne
porgi Funesti e perigliosi, o Sole, esetuplit Perchè del tuo tacere
a lei non chiedi Un dono, eh* avrebb* ella il tuo silenzio Potuto
compensare in mille modi. Vulcan sopra e d’intorno adatta al
letto Un* invisìbil rete, e finge a Lenno Di far viaggio: a’ noti
abbracciamenti Tornan gli amanti, e nudi entrambe sono Ne^ lacci
avvinti. Quegli i sonimi Dei Convoca, e fanno L prìgiohier di loro
Vago spettacol. Potè appena il pianto Venere allora trattener sul
ciglio; Non alla loro nudità potere Oppor la mano, e
non coprir la faccia* Uno de’ numi allor ridendo disse: O fortissimo Marte, in me que’
lacci Deh trasferisci pur^ se ti son gravi. Nettuno, appena per le
tue preghiere Ebbero i prigionier le membra sciolte. Chela Dea in
Pafo, e Marte andonne in tracia. £cco,o Vulcano, il tuo profitto: in
prima Celavano il Ipr fallo ; or senza freno Lo commetton, fuggito
ogni pudore. Sovente, o stolto, confessar dovrai Che tu dj^rasd da
pazzo, e già ( la fama Karra.) dell’ira tua ti aei pentito*
Quest’ io vietai. La 6glìa dionea (35) Or vieta a voi di
tender quelP insidie Ch’ ella stessa soffrì. Nè voi cercate Por ne’
lacci il rivai, nò legger quello Che vergato ha^la bella in cifre
arcane. Faccian questo (se lor piace) i mariti Che legittimi rese e
T onda e il foco. (36) Io'di nuovo, raffermo: in queste carte Nulla
vietato dalle leggi chiudo» Nè a pudica Matrona i nostri scherzi
Recano ingiuria. Chi a’profani i riti Osò di Cerere svelare, e i sacri
Misteri nati nella tracia Sanio f Non nel' silenzio per coprir gli
arcani Gran; virtude abbisogna è colpa grave Però dir'qnfello che
(tacer si dehbe^ t Ben a. ragion da Tantalo «loquace (38) Venere,
sepondo alcuni, eifbe in madre Dio^ ne 9 e però si chiama la Figlia
dionea. (36) Solevano i Romani nelle nozze solenni offerii
re alla Sposa V acqua ed il foco \ 'perchè pensavano che si
genesUts^ il tutto dall* umore -e dal icàhre ^ ed anzi lavatiri^ Inacqua
f stessa i piei^ Sposa ed alla Sposo^ ', I (87) I Sagrifiz)
di Cerere t)ea delle biade, ehe furono, secondò Dtodoro, ' inventati
Heltà' Samotrd» eia, si celelfravanà dagli aw^ìd con tal \ segretezza
g che acqmdurono il nome di mister Tqntalo, figlio della Ninfa Piote,
palesò agli uomini le' supreme, determinazioni, che si manìfesta^^
reno scambievolmente gli Dei in un Convito, cui fu ammesso
e^i*pare.da^Giolve.,peTiitaleiempH-^ tà joacpiatO riell^ infermo, iOfl^ à
cofitidftaeqMate,cfudar^ io da una barbara fape, e^ chè è,eireondatò
dàìVacqua e da diversi ' phmi, ékà fuggono àgnor shp'suòl Idìlli i^qmndo
*viol*pré*a'^ arsene Fuggono i pomi; o all*assetato labfo L'acqua
mai sempre. Citerea comanda In special modo di tener celate Le
sacre cerimonie. Io v’ammonisco Che alcun garrulo'a quelle non
s’accosti* Se sepolti non restano fra’cesti I mister] di Venere, se
i bronzi Per furiose percosse non risuonano, Usi abbiam noi
pih moderati, e in mòdo* Che si voglion però tenére ascosi. /
Quando le vesti Venere depone, La nudità con la sinistra
copre. Nella pubblica via spesso 1 * ugnella. Si unisce
al suo compagno, e la fanciulla^ Da tal oggetto altrove il guardo volgew
Atto è il talamo chiuso a’furti nostri E a non mirar ciò che la veste
> ascóndo* i Non le tenebre noi, ma nube opacUi ì; Cerchiamo, e
i luoghi ove 1’ aperta luce - Minor risplenda. Fin d’allor ché il
tetto Non difendea dal Sol, non dalla pioggia, £ dava il cibo e in
un la quercia albergò. Gli uomini non gustar’ palesemente. I
piaceri di' Venfet ma negli antri ^ ' • f i ne^bosqhi; cosi
dell’onestade * i preudea cura quella ro^sza gente** \ Ora
gli atti si celebraa notturni,, £ nulla più si compra a caro
prezzo Che di poter’ parlar: or le donzellò Ovniique cercherai solo
onde dica Qiinsla ancora fo. nostra, ed onde .posniA ^ Mòsttktla ò' dito,
e &r ohe sia deb vol^, ' Dc^^b li pòssèsso^tuòVfev;òIa ^
r.«r. poco «iwiihe ^ini «dolSP* aU>Ì, Òose che
nègherebbono accadute* £ di favori vantatisi non veri ;
E se invàn di toccar, cercare il corpo. Cercano àlmen d’offenderne
P onore, Che le accusi la fama ancor che caste. Chiudi, o custode
rigido, le porte ; Guarda la tua fanciulla, e cento spranghe
A’durissimi stipiti ora opponi. Cosa havvi di sicuro in faccia a
questi Adulteri di nome, che creduti Esser desian ciò che tentare
invano ? Parchi in parlar noi siam de’veri ainori^ E fedelmente
ognor tenghìam celati Col velo deP mistero 1 furti nostri.
Deh non voler rimproverar giammai Di nati^ra i difetti alle
donzelle. Che fù dissinìularli utile à molti. ^ Perseo
che al piè portò le gemìn’ ali (3g), Tlon del color d* Andromedà
lagnossi. Comparve a tutti Andromaca maggiore D’ uim giusta statura,
ed Ettor solo iXèrcurió adatfò *U idi Ud ambedue i piedi di
J^érseo^ iluo amiiéo y e fi^ió di Danae e di Giope, de qu§$iix
AndrovaeduslegaiOKyad uno scoglio per ra'deillcNeTcìdi,^e,\c]^pe, che
dovea^esser dioorata da Ceto mastro marin^,,perchè Cassìope, madre
della medesima ebèè la vanagloria di dire ^ che la sua fi-* glia
vinceva > ir^ bellezza le stesse Nereidi, Mosso Perseo a pietà, della'
sventurata donzella, uccise il mostro col jmrgli. davanti agli cicchi la
testa di Me^ dusa f è dopo d^aveHa in tal guisa saLveta da un tanto
pericolo y V ottenne in isposa, he mai le riìf fàpciÒ[ suo fosco colori,
essendo ella nata in Etiopia, " Andromaca è figlia di Elione .
Re di Tebe e mo* glià di Ettore j il qual chiamava medìo^e la sua
statura quantunque fosse veramente sproporziqnatq. Mediocre la dicea. Quel
che or ti lembra Darò a soffrir, deh soffri; e verrà uà giorno Che
lieve impresa ti sarà il soffrire^ Mentre ogni pena raddolcisce il
tempo. Nuoyo arboscel che in verde scorza cresce^ Cade, se vento
placido lo scote ; Ma indorato dal tempo arbor diviene.
Resiste a* fieri Noti ^ e alfin s’ adorna, Degl* innestati fratti. Un
giorno spio Paò la bruttezza cancellar del corpo,^, £ sempre
il tempo fa sembrar minore Ogni difetto. L* inesperte nari Mal da
principio pon soffrir 1* odore Della pelle del toro, ma dalTuso
Dome non più risentono mólestia. I vizj ricoprir con dolci nomi Fa
di mestier: bruna chiamar si debbo Quella che piùehe pece ha negro il
sangue» Se ha gli occhi loschi, a Vener l!as 8 omiglia^^ E se
bianchi, a Minerva. Sia 9 Ì scarna, Che appena in piedi sostener si
possa. Gracile la dirai. Nana rassembri, E tu svelta la
chiama, e piena quellf .,. Che è turgida oltremodo g, e asconder
tenta. Col bene non lontano il vizio ognora. Gli anni mai non
cercar, nè sotto quale \ Consol sia nata: al rigido Censore .
Tai cure lascierai. Maggior riguardo . Usa per quelle che
passate il fiore Hanno di giovinezze » e i più bei giorni,
(4.0) Non si sa paacepire corno Ooidio chiami loschi gli occhi di
Venere, quando essa fu lodata da Pari^ de. Dubitano alcuni pertanto y che
nelF originale la^, ' ripe si 4tiba leggere leu invece di
peU» Digitized by Google E cui incomincia a
incanutir la chioma* .Utile è questa o più matura etade, 0
giovani ; e aarà ferace in biade Questo campo » ed arar però si
debbe. Mentre gli anni il permettono e le forze, Soffrire la
fatica. Ah già la curva Vecchiezza con piè tacito s’accosta!
O il mar co’ remi solchisi, o la terra Col vomere, o s^impugnin
Tarmi fiere, O si usi il fianco, T opra, e la forza Con le
fanciulle^è questa una milizia, E con ciò pur s’ accumulan
ricchezze. S’ artoge a ciò che la prudenza in loro Maggior
sempre delT opere risiede, E l’esperienza sol può far
maestro. San compensare dell’ etade i danni Con la mondezza,
e in opra e studio ed arto Pongon per ricoprir la tarda etade.
Come più brami accarezzarti sanno In mille guise ; in più diversi
modi Pittor non puote colorir le tele. Non irritata voluttà
per loro Si gode, e danno e gustano il piacere; 10 se
non è scambievole Tho in odio, E però fuggo de’garzon P
amore. Odio il furor di quella che il concede. Perchè a darlo
è forzata, e pensa solo All’ ntil proprio. A me non è gradito
11 piacer che mi dan sol per dovere; Da questo io violentier
le donne assolvo. Godo ascoltar le voci che il diletto Mi palesin
di loro, e di frenarmi Mi preghino ora, ed or perchè mi affretti.
Godo di rimirai languidi gU dicchi . Della mìa bella, che mi dica: è
assai. Questi favor natura non concede Air inesperta gìoventCì ; si
godono Quando il settimo lustro ornai si compie. Chi soffre sete,
il nuovo mosto beva; Di vecchio vin ricolmo a me s’ appresti
Vaso che sotto i Consoli vetusti Sia fabbricato. Al sol resiste
vecchio Il platano, ed offesi i nudi piedi Sono da’nuovi prati; e
chi potria Ad Elena preporre Ermione? Altea (Era forse miglior della sua
madre ? Se tu t’ accosti a una noi^, giovin bella, £
sii costante, avrai degna mercede. Già riceve i dae.amanti il
conscio lètto; Fuof delle chiuse porte ora rimanti, O Musa ;
senaa te sapran ben essi Trovar di che occuparsi, chè lor porge
Amore i mezzi. Il valoroso Ettorre (4a) Di cui fu il brando a Troja
util cotanto, Giacque pur con Andromaca, ed Achille Con la
lirnessia giovine rapita, Allorché dal nemico affaticato
Prese ristoro sulle molli piume. Da quelle man di frigio sangue
tinte Ricevevi, o‘Brhcide, le carezze, E perciò forse à te
più assai gradito Fu alla vittfice destra unir tue meuibra.
(4 A Ermione è figlia della famosa Elena moglie di Menelao,
(4a) Achille # aseedìafa la Città di Lirnesso, uccise barbaramente Minete
marito della bella Briseide^ che si prese egli stesso in isposa, e che
dal noma 4 M(k iiMk Pàtria soprannominata iÀtuwia* Di Venéfe
i piaceri » a me lo credi, Non SI deniio affrettar; ma a lunghi
torsi Berli. La donnà, se vedrai diletto Che abbia d’èsser toccata,
a te non freni Pudore allora inopportuno. Gli occhi Suoi scintillar
d*'un tremulo splendore Mirerai, come dalle liquìd’ onde ^ Riflette
il Sole i suoi splendidi raggia. ^ Udrai nn lamento e uh dolce
mormorio^ Gemiti grati, ed amòtose note. Quando thtte le Vele
avrai spiegate, Tu abbandonar non dei la tua diletta.
Nè preceder ti debbe ella nel corso. Correte insieme alla
prescritta meta. Che il piacer vostro diverrà perfetto.
Se giacerete a un tempo stesso vinti. Queste leggi seguir dovete
quando A voi concessi siano 02 ] tranquilli, Nè ad iin
furtivo oprar timor v* astringa. Quando Tindugio è mal sicuro,
allora Tutti forzar si denno i remi, e il fianco Premere del cavai
d’acuto sprone. L’opra è condotta al fin. Giovani grati, A me
la palma concedete, e il crine Odoroso cìngetemi di mirto.
Non presso i Greci Podalirio tanto Fu per la medie’ arte in pregio,
Achille Per il valore, e Nestor per pi'udenza; Non fu Calcante così
esperto e grande Nel conoscer le viscere, nè Ajaco Nel maneggio
dell’armi, e Automedonte Nel condur cocchj ; compio sono espCito E
grande nell’amor. Me celebrate, Uomini tutti ; a me si dian le
lodi; Nel mondo intero il nome mio ti canti. L* armi io
vi porsi come già Vulcano Le diede a Achille. Or con tal doni voi
Vincete pur, com’egli vinse un giorno; Ma chi col brando mio potò le
fiere Amazzoni atterrar, sopra le vinte Spoglie scriva: Nason ci fa
Maestro. Le tenere fanciulle a m^ le preci Ecco che porgono, onde
lor cortese Sia de’ precetti miei. Ah t sì, sarete Cura primiera
de* futuri carmi porsi contro lo guerriere donne A’ Greci 1’ armi ;
or dare a te le deggìo^ Pentesilea, e alle Amazzoni seguaci. Ite
alla guerra uguali, e vincan quelle Cui son propizi Venere e il
Fanciullo, Che in tutto il mondo ha di volar diletto. Giusto non
era il combatter nude Contro gli armati ; e vincerle per voi.
Uomini, turpe mi sembrava. Alcuno Dirà fra molti: perchè aggiunger
cerchi 11 veleno alle serpi ? e perchè in preda Lasci alle
lupe rabide 1’ ovile? Di poche il fallo non vogliate in tutte
Diffonder ; pe’ suoi merti ogni Donzella Considerar si dee . Se Menelao
Ha di dolersi d’ Elena cagione^ Pentesilea Regina delle Amazzoni andò
contro i Greci in soccorso d^ Trojani,e fu dopo varie glo^ riose
azioni uccisa da Achille. Sotto il nome di Greci P intendono però- dal
Poeta quegli uomini, che cingono a conquistare le donne qui figurate sotto
il nome di Amazzoni. (n) Vedasi V Annotaz, 5 q del Lib. I. e
l*Annotaz, ueuSdelldb.If. Ved. Vannot. 38 del Lib. /.
eVannot. ao del Lib. II. £ se di Clitennestra i rei costami
SoQ gravi ad Agamennon ; se d’Ecleo
Il figlio scese co* cavalli vivi. Dalla spietata
Enfile^ tradito, Vivo egli stesso a Stige^havvi pur anco
Penelope che pia serbossi e fida (4) Al suo marito, benché senza
lei Due lustri errasse, e per due lustri ancora Passasse i giorni
suoi sempre alla guerra. Protesilao rimira e la consorte, Che, come
narran, pria degli anni suoi Vide Testremo fatele scese a Dite
Ombra indivisa del marito . Mira La Sposa pegasea dall’empia sorte Anfiarao figlio di EcUo ed eccellente
indovino ^ ascose in un luogo segreto per non esser costretto a
portarsi alla guerra di Tebe, in cui sapeva di do-* ver certamente
morire* Eri file sua moglie allettata da un aureo monile promessole, da
Polinice, insegnò a questo ov'egli sfava, celato* 4 n 4 à pertanto
Anfiarao forzatamente alla guerra^ ma appena giunse in Tebe, gli si
spalancò sotto i piedi la terra, e rimase in quella sepolto.Penelope è V
esempio deWamor con fugale* Si conservò essa sempre fedele al suo sposo
Ulisse, ben* che vivesse egli lontano da lei per lunghissimo spa*
zio di tempo, e benché fosse ella continuamente assediata da mille fervidi
amanti. Protesilao andò aneW egli all*assedio di Troja, e fu il
primo tra Greci, che vi perdesse la vita poi che Ettore lo ferì
mortalmente, nientre scendeva dal* la sua nave. Desolata Laodàmia sua
moglie da una tale sventura, ottenne con le sue lagrime da* Numi di
poter veder V ombra del suo amato consorte, e neWabbracciarla morì* Soffriva
Admeto una malattia coà grave, che secondo la risposta dell* oracolo ^
era necessario per salvargli la vita^ che un uomo o una donmft^
morisse Admeto liberare, onde famoso Rese il suo nome . Evadne a
Capaneo Disse: m* accogli ; il cener nostro insieme Si confonda ; e
slanciossi in mezzo al rogo; È la Virtude d’abito e di nome Femina, nè
stupore è, se propizia Si mostra e favorisce al sesso suo. La
nostr’arte però queste non chiede Alme sublimi 9 e con minori vele
Naviga il legno mio • Per me soltanto S’imparano a trattar amor
lascivi. Io insegnerò in qual modo amar si debba La donna,
che non face ed arco scote Sempre crudeli ; agli uomini quest’armi
Nuoccìon più parcamente 9 io ben lo vedo: Gli uomini più spesso ingannano
di quello^ Che ingannin noi le tenere fanciulle; E poche
troverai, se cerchi, xee Di perfido delitto. Il traditore Giason Medea lascia già madre 9 e in
braccio Gittossi ad altra sposa. Oh quante volte Per te 9 Teseo 9
Arianna abbandonata (io) per lui4 Alceste sua moglie^ che dicesi
sposa pagasea dalla città di Pagasa in Tessaglia, volle essa stessa
liberar gen^osamente il caro suo spoeo, ed incontrò con intrepidezza la
morte. Quando Eoadne intese che era stato ucciso a/« la guerra di Tebe il
caro suo sposo Capaneo ^ conce» pi nell*animo un dolor sì fiero ^ che
corse valorosor mente a morire sul rogo dell* estinto consorte.
(8) Adoravano i Romani la Dea Virtù vestita in abiti
femminili. Annotaz. 89 del Lih. /Arianna fu da Teseo abbandamata
{Annoi. So. del lÀb» I. ) nell*isola di Nasso j e però avrà te»
muto gli Augelli marini provenienti da quella pcffte di mare, in cui
viaggiava il suo perfido amante la solitaria t sconosciuta riva Temè gli
auge! marini ! E perchè Filli Calcò per nove volte il sentier
stesso. Cerca, e perchè, la chioma lor deposta, Piansero Filli le
dolenti selve. L’Ospite, che concetto ha di pietoso. Porse la
cauta e il ferro alla tua morte, Misera Elisa. E che I narrar vi deggio
Delle vostre sventure io la sorgente? Voi non sapeste amar ; mancò
in voi l’arte, Mentre con l’arte solo amor si eterna. Sariano
ignare ancor, ma Cìterea Vuol che per versi miei sien fatte dotte.
Mentr’ella stessa innanzi al mio cospetto Si fermò, e disse: di qual fallo
mai Si fecer ree le misere fanciulle. Che inermi si
abbandonano agli armati? Tu con gemini libri bai resi questi
Nell’arte esperti ; or co’ precetti tuoi Tu devi ancora ammaestrar le
donne. SteSicoro ohe in pria cantò i delitti (i3) Impaziente FUlide
per la lontananza del suo Demofoonte eorse per nooe volte al lido, dà cui
do^ vetfa egli passare nel ritorno ; e alfine disperata cd afflitta
per la tardanza di lui ( Annoi, a 3 del Lib, li.) si tolse da se stessa
crudelmente la vita. Le fabbricarono i suoi parenti un sepolcro, in
vicinanza di cui nacquer degli alberi, che in un certo tempo,
secondo quello che han scritto i poeti, deposte le lor foglie, piangevano
la morte della medesima. (la) Enea, che vien soprannominato il Pio,
di^ sprezzando Vamore, che è il nome proprio di Didone, fu
causa cVella si precipitasse sulle fiamme ohe ardevano la eittà e la
reggia di Cartagine. Stesicoro siciliano è un poeta lirico ^ che
doto-' Sto ne* suoi versi Elena detta tersnoea dal castello ìa D*
Elena, poi con più felice lira Disse le lodi sue. Se V indol bene
Io tua conobbi, no ^ non sei capace offender Tamorose e culle
donne. Per fin che vivi a te tal grazia chieggo. Disse, e di mirto
(poiché avea le chiome Di mirto ornate quando a me comparve ) A me
una foglia diede e poche bacche. Ricevuti i suoi doni, io mi sentii
Invaso dal suo nume, e Paer più puro Splendermi intorno, e facile
l’impresa Comparirmi al pensier. Mentre l’ingegno E desto, a me i
precetti richiedete, Che a voi, donne, ascoltarli ora è
permesso Dal pudor, dalle leggi e da ogni dritto. Siate memori
ognor della ventura Vecchiezza, e per voi il tempo ozioso mai Non
passerà. Scherzate ora che lice, Nè si consumi invano il fior degli
anni, Che come 1 onde fuggono veloci. Tornar non puote alla
sorgente il fiume. Tornar non puote la passata etade. Cadete
dunque, che trascorre il tempo Con frettoloso piè, nè lieto mai
Come il primiero siede. Or bianco miri Questo stelo, su cui già in prima
vidi Io rosseggiar le viole, e questa spina Grata al c^pe mi porse
un di corona. Stagion verrà che tu, che "fchivi adesso
L’amante, fredda e abbandonata in letto cui, nacque y perche^ da
essa ebbe erigine la rovina di Troja. Ma i fratelli della medesima,
Castore e Polluce Vacciecarono crudelmente ; ed ei per ricuperare
la sta, fu costretto a comporre un poema in sua lode»
Digitized by Google Giàf&ttsi vecchia giacerai.
Notturna Rifsa non fia che la tua porta atterri, Nè sul
mattino troverai di rose II limitar della tua casa asperso.
Misero me ! come corrotti presto VeggoDsi i corpi dalle rughe, e,
come ^ Langue ih nitido volto il color primo! Quei che sul capo tuo
bianchi capelli Si miran* or,che fin da’di più acerbi Giuri che
furon tali ; ah che ben tosto Si spargeran per tutto il capo. Méntre (i
4) La sua spoglia sottile il serpe lascia. Ringiovanisce ; e
rinnovando i cervi Le corna, non rassembrano^ mai vecchi. Fuggon
senza speranza i nostri beni; Cogliete il fior, che se non colto
vegna, Cadrà miseramente. A questo aggi ungi Che fan più breve
giovinezza i parti; Invecchia il campo per continua messe. Non di
vergogna a te, Cinzia, fu causa Il latmio Endimion, nè già doveo
Per il rapito Cefalo arrossire (i6) I Serpenti si spogliane ogni
anno della luto scorza* I Cervi cangiano ogni anno le qorna ; ma ne
* rimangono privi se sian castrati mentre le hanno de~ poste, e più
non le varifino, se soffrano una tale ope* razione phma di deporle.
Impiegano i medesimi cin^ que o sei anni nel crescere, e però tioono’
solamente circa trentacinque o quarànta anni, ttd ortta di tutte *
le fuoole, che gli antichi hanno scritte sulla lunga ìor vita. Buffon
nella sua Storia naturale. (15) Cinzia ( Annoi, del Lih, I. )
scendeva dal cielo per godersi Endimione, che qui dicesi latmio per^
chè s^ascondeva ifi Latmo spelonca del monte, di Caria. S* innamorò la rosea
Aurora di Cefalo figlio di Mercurio, e però lo rapì « Prgcri sua moglie La
rosea Diva. Adori si lasci a parte, Tuttor di pianto a Vetieré^
cagione, Com’ebb’olla Antonia, cotii* ébbe Enea ? Seguite" tiiir P
esémpid delle Dive, O bellezze tóót^aK, é a^ desiosi '
UomìAì noilitìegate il favor vostro.: Siano essi ingannatori
; e che perdete? Mille vi godan pur<;‘tutto rimane Nello stato
pritòiér. Gon Fuso il ferro* Si consuma e la‘ pietra ; in Vói non
pudte Cosa alcuna peirir, ricever danno. Chi ^vieterà cW dal
vicino lùme*^ Il lume non si prenda ? e chi nel vasto Seno
del mar V onde serbar procura? Tu mi dirai che non convien che a un
uomo Si dia la donna in preda ; ma che perdi Altro che l’acqua che
ricever puoi? Non vogliono i mìei carmi o la mia vocb» Al
libero dell* uom commercio esporvi^ Ma vietanvi temer le cose
inani; Non posson soffrir danno i doni vostri. Me un’aura
lieve, mentre siamo in porto» Spìnga, che,al soffio dì più forte
vento Sono per cominciar maggior viaggio. Dalla cnltura io do
princìpio. Il vino Ceneroso dan sol le calte vigne, £ sol
né’campiVcoltìvatì miri Lussureggiar le biade. £ la bellezza Dono
del cielo, e come ah vien superba OQ.Arteà'am. e La Dea Venere éhhe
à(jL Arichise il figlio Enea, e da Marte la figlia Anmónia, Bastano .
tàli esemp) per provare che ella permise a molti di possederla .
Digitized by Google pJbeU^z<i ogui danpa 1 1Ja
«ran parte Di voi prirs rù^.A quf»to 4ouo. . Con U coltura la beiti
ai 4CqWti Cile si perdo nfgfct^ ^ apci^r cjio eguale A gueili
fosse dpU'idalia Diy*., Se Io prische fasullo, il corpo Joì;a
Non coti custodirò ^ se gli autieri Uomini incolti vissero, se cinse; Pesante
gonna.AndroiMCjayìo non yeggo>(f 9 ) Bagjon 4i,,ayiglia^I es^SA d’un
rezzo, Guerrier fu^^mpgli^. Fprsé a Ajace incontro Adorna andap
dpvea la sua consorte, (ao) Se a Ini la^ pflle .poi di sette bovi
Servia di veste ? Ne^ primieri tempi Rozza regnò semplìcitade, e
immense Ricchezze Roma del soggetto mondo Ora possiede. Osserva
quale adesso ^ \ Sia,il
OampidogUo, e gual no’giorni andati^ E dovrai dir c]lie,fa d'un altro
Giove. Ventre dicesi idalia dal monte Idale in Cif^ro a lei
consagrato, Andromaca fa moglie A*Ettore Capitano deU VArmata
Uroijana, Annótàz, 89 del Lih, li. (ao) AJaae figli^di Telamone è
oelebràto daOm'e^' ro nella sua Iliade come uno piu valorosi Prine^
che andarono all*assedio di Trofa. Sposò egU an*an^ cella nominata
Teemessa; e però dice Or ozio Movit Ajacem Telamone natura ’
Fórina captiTflB Dominuin Teemessa. La Curia fu anticamente,
secóndo F’arrone, distribuita in due parti, in una delle quali
custodi^ vano i Sacerdoti le cose diwine, ’e neWaltra tratta^ vano
i Senatori le cose umane. TaaUr fu un Re de* Sabini così accorto 9 che
seppe ottener da Rpmelaiina parte del Regno dopo d*aver perduto un'atroce
bai» taglia. La Curia, che di tanto ora' rasaembra Concìlio degna,
fu di Tazio a’tempi Di rozza paglia intesta. Qoe'palagi- Ch# ora
risplendon sacri a Febo e a’Ooci; Che furon maì^ se non pascolo un
giorno Agli aratori buoi f Piacciano ad altri Le cose antiche ; io
meco stesso godo D* essere in questa età nato conrorme A’ miei
costumi, non perchè si tragga Dalle vìscere cieche della terra 11
dutil oro, o perchè venga a noi Scelta conchiglia da diverso lido; Nè
perchè i monti facciansi minori Per i marmi scavati ^ o perchè altere
* Sorgano moli ove giaceva il mare; Ma perchè regna or la
cultura, e a’nostri Tempi rusticitade agli avi antichi Cara non
giunse. non fate carchi 1 vostri orecchi di preziose pietre,
Che in mar lo scolorilo Indìan raccoglie; Nè comparite già gravi
per Toro Tessuto sulle vesti, onde ben spesso Le ricchezze cercate
e le rapite. Dalla mondezza noi sìam vinti. Il crine Si
disponga con legge; un pettin dotto R dona e toglie a suo piacer
bellezza. Non r ornamento stesso a tutte giova; Quello scelga
ciascuna, in cui più splende^ E si consigli col fedel suo specchio.
Chiede una lunga faccia che sul capo (za) OTTAVIANO (si veda) fabbrica nel
suo palazzo un Tempio consacrato ad Apollo Palatino. 1 Duci ^ a* quali ^
dim cesi sacro il palazzo medesimo, sono Augusto e Tim bario,
mentre quegli vi nacque, e questi vi abitò» loe Siati ben
divisi non velati i crini; Così avea Laodàmia le chiome
adorne* Voglion le piene e ritondette guance^ Che della
&onte sul confin vi lasci Piccol nodo onde veggansi, gli
orecchi, D’an*altra il orin flagelli ambe* le spalle,^ Quale
al canoro Apollo allor che in mano Piglia la lira. Come Pagi! Diana
Altra gli .abbia legati, alLor che al bosco Peiseguita le fiere
pau^ròse. Convien che questa abbia i capelli gonfj; £
strettamente quella il crine implichi* Altra s’adorni in guisa tal la
ehioma,^ Che alla cilleuia cetera assomigli; Questa V
increspi in modo ohe rassembri Onda marina. Numerar non puoi Quante
sulla ramosa elea sian ghiande. Quante in Ibla sian api, e quante
fiere S’ascondano nell’alpi, io pur non posso A te narrare le
diverse fogge Di dar la legge al crin, mentre ogni giorno Ne
sorgono novelle. A molte giova Che sia negletto: crederai che il
capo Quelle jerì s^ornasser, che con nuova Cura testé si
pettinar’la chioma. Studia con l’arte d’imitar Natura.
Era Jole così, quando la vide Mercurio inventò la Lira fatta a gedsa di
te» staggine, e questa dicesi cillenia ^ perchè egli nacque nel
monte Cillene in Arcadia, Se Ooìdio tornasse a vigere in questo secolo,
dorrebbe certamente veder con Rubilo che le nostre Dame seguono con la
massima esattezza i suoi proietti nell* adornarsi i capelli. Amò
Èrcole ardentemente Jole figlia di Eu» riio, il qual rìcue/ò di dargliela
in isposa, quoMtun» Ercole ; presa la cittade » e disse: lo ramo; e tal Pabbandonata ; donna
Quando sai carro sosteneala Bacco» E i Satiri gridare: evviva »
evviva. Quanto in favor della bellezza vostra Fu Natura
indulgente» o donne I Voi In mille modi ricoprir potete Z vostri
danni. Invan noi ci asix^ndiamò; Cadono per 1* etade i capei nostri
Come le foglie allor ebe Borea soffia. Con le germanicb’ erbe
asconder pnote (aS) La donna la canizie » e può con Parte Miglior
del vero altro cercar colore. Vanne la donna con la chioma folta
f 'glUVaotsu solennemente proméssa, frritmto gli pertanto da una
tal negativa, debellò la Città d^Occatia » 09 e questi regnava » e gli
rapì la sua diletta denteila. :(a&) si sa veramente auali si
fossero quell^er- he germaniche ^ del di egù amore eUrattivo
compone- vano gli antichi un medicamento » col quale i capelli bianchi si
riducevan neri o biondi. Si Sono però, trovate a’ nostri tempi molte
ricette, ohe compensano largamente una tal mancanza. Cosi se i capelli
sìan bianchi, si posson ridut neri col far uso d*una pomata, a cui siasi
aggiunto una piccola porzione di nero d*aoorio ben macinato » oooero di
sughero bru- glato unito all* azzurro di Berlino. Resta pm assai
difficile di ridurli biondi » se non si vogUono adoperar polveri d^amido
leggiermente torrefatte. La miglior ricetta che si può per quest* effetto
accennare » é la seguente: si faccia una forte liscioìa di cenere
di sarmenti ; vi si unisca una piccola quantità di radice di brionia e di
celidonia; si faccia il tutto bollire; ed in fine vi Raggiunga altra più
piccola pdtr- zione di zafferano dell* Indie, di fiorì di stecaae e
di ginestra. Si coli per tela, e si laoino con una tal acqua piu volte i
capélli. fOft Per i compri capelli, e col denaro In
mancanza de* saoi porta gK altrou Nò il coidprar ciò palesemente
teca Ve^ogna i noi vediam che son venduti D* Ercole in faccia e del
virgineo coro. (a6) Che dirò della veste f Oro ed argento 10
non ricerco ^ o che rosseggi tinta La lana in tiria porpora. Se
mille A prezzo più leggier vi son colori,,, É qual è dì follia segno piò
espresso Che di portar sul corpo i propr} censìf Ecco il color
delFaria allor che searca Si rimira di nubi, e il tepid*au8tro Non
apporta la pioggia: eccone un altro Simile a te che sostenesti nn
giorno Come si narra, e Frisse ed Elle quando (27) Fuggir* le frodi
d* Inoe. Imita questo 11 cernleA mare ^ da ciò traggo
Il proprio nome, e di tal veste 10 credo Si coprisser le Ninfe.
Altro è simile (28) Si rUeva di qui, che in faccia mi Tempia
fMrtcata in onore d'Èrcole e delie Muse, avevano i Romani una bottega 9
in cui vendei ansi i capelli. ' (a^) Frisso ed Elle figli dì
Adamante Re di Tebe fuggir dalle frodi d* Inoe loro matrigna,
salirò* no' sopra il montone ornato del Vello d^oro^ che Mercurio
diè in dono a Nefale madre d^ medesimi. Frisso fu da quello felicemente
portato in Coleo, ma Elle'precipitò in quel mare, che prese da lei il
nome d^ Ellesponto. Con ^esta favola vuol però dire il Poe* ta 9
che era presso i Romani in uso ( e lo è pure cd di nostri ) il colore che
si assomiglia a quello dell* oro^ -Essendo il giovinetto Croco impaziente
di poe* cedere Snùlaoe sua dUetta amante 9 fu trasformato in un
fiore che dicesi volgarmente ZefBivano, o che da lui Ica preso il nome di
Croco. £t Grocam ia parros yersam cum Smilace flore».
Ovid, Metam. TOS AI Croco, e qàaiido
accoppia i Ittraihbsi Destrier, con cròcea reste pur' si rela La
rugiadosa Dea. Di'Pafo a’mirti ' Questo assomiglia, e quello alle
purpuree Amariste, alle rose biancheggianti (29) Uno‘^ ed tin altro
aÈa'straniera grue. Le ghiande tuè ti sod pure, o Ainarilli,
Nè ri tnancanr le mandorle, e il suo nome Diede alle lane per la eera.
Quanti Fiori produce la norella terra ~ Allor che fugge
iUpìgro rCrnò, e stilla Gemme la rite ^ tanti beo la lana Color
dirersi, e quello scei tu dei> Che col tuo rolto Si confà. Ogni
reste Non conriene a ciascuna. I neri ammanti- Fan risplender le
bianche. Assai più. bella firiseide, allor che fu rapita, apparre,
Perchè le membra accolse in negra reste*. Odora alle brune donne il color
bianco: E tu piaceri, o di Oefeo, ( 5 o) In bianca
resta allor che di Serifo Passeggiar! le rie* Io diei consiglio Che
del capro il fetor sotto V ascelle Non passi, e che non sian per duri
peli Aspre le gambe,. Ma non io già deggio Delle caucasee rupi le
£snciulle Far dotte, o quelle che di Caico misio ÀmaUsta è una gemma, il
di. oui colore è- quasi simile a quel della porpora. (So) La
figlia di Cefeo à Andromaca: avrà essa probabilmente passeggiai per le
vie di Serifo > perchè è questa una piccola Isola del mare egeo, nella
quàU fu edueato Perseo suo liberatore. Gli abitatori del monte
Caucaso furore antica-- menteiCome lo sono tuttora, ferocissitni. FI
Caico-è unfiu^ me della Frigia e della Lidia ^ che proviene dalla
JS/Lsia. Bevano all*onde. Che non siano i denti V*ammonirò per
hidblenza foschi, E che si lavin sul mattin 1 ^ guanoe Con
man dell’onda aspersa. Voi sapete Pjocacciarvi il candor con
distemprata Cera; e con Parte divien rossa quella. Cui non colora
il sangue suo la. faccia: Voi con Parte il confin nudo del ciglio
Fate ripieno, e voi con tenue pelle Ricoprite talor |e vere gote.
Stropicciar gli occhi poi non è vergogna Con la cenere tepida „ o
col crocb Che nasce presso te, lucido . Cinno. (3a) Tengo un
libretto picciolo, ma grande ^ Opra per il pensiero, in cui i rimedj -
' Qià v’insegnai per la bellezza vòstra» ( 3 d) Con
felice successo adoperarono le Dame Ro^ mane la cera distemprata per far
fianca la peUe ; e con faUe^ ti Adopera ancora in questi tempi dalle
nostre Dame . Ecco il modo di prepararla: ad una parte di cera bianca di
Venezia si uniscono otto parti d* acqua, a cui si aggiunge una piccola
porzione d*alcali vegetale y e si di^cioglie il tutto finché non si
abbia una sostanza consimile al latte* he Dame ro^ mane solevano ancora
adornare co* colori, e riempire co*peli ben disposti quello spazio ài
pelle nuda che é fra il ciglio e il sopracciglio, s ! • Il le
•apercìlium magaa faligine tinctum « Obliqua producit acu.
Giovenale. Dalla Cilicia che è irrigata dal fasme Ciano
fa» cevano esse venire il zaffarono ed altre céneri atte a purgar
gli occhi dagli umori soverchp; e a renderli per cònseguenza
maggiormente^vivaci. Ha scritto Opì- dio un piccolo libro de medicamiue
faciei quale inségna alle Donne tutti i rimedj, che possono
contri» buire a far bella la lor faccia e le loro membra. Quindi
riparo alla figura offesa Cercate, che non è per gli usi Vostri
Inefficace Farte mia. L’apiaìite Non miri apertamente i vasi esposti.
Che Tarte ascosa giova alla beltade. A chi non spiaceria
mirar sul volto Stendere quella feccia, e lentamente' Cader pel
peso suo nel caldo seno? Quàl dall* immonda lana dell* agnella €2 Fahhricavasi in Atene
con In lana sudicia e molle un medicamento che i Greci chiamavano
Etipo. Le Donne facevano uso di questo per mollificare le ulceri di
qualche delicata lor parte. Vedasi Diosco* ride y Plinio il Mattioli nel
suo erbario ; che ne parlano a lungo, ed insegnano la maniera di
fabbri^ cario, ' Non d può accennare qui il modo, con cui
prepa^ radano gli antichi i midolli della Cerva yper averne un
composto atto a far bianchi i denti, era i molti medicamenti che hanno
per quesV effetto inventati i nostri Chinùci, ci piace di riportar qui la
polvere, V oppiata i e le spunghe ; di^ cui dà Mons, Beaumé la
ricetta nella sua Farmacia, Ad un*oncia di pomice, di terra
sigillata^ e di corallo rosso s*aggiunga mexz*oncia di sangue di
Dra^ go, un* oncia e mezza di cremar di tartaro^ se ne fac^ da una
polvere sottilissima, e vi si unisca una pie- cola porzione di garofani e
di cannella. Per compor quindi V oppiata > si prenda un*
oncia della polvere suddetta, due once di lacca rossa da Pittori,
quattro di mele di Narhonne, due di siroppo di more ; a queste ù uniscano
due gócce d* dio essen-- ziale di garofani, e si avràr un* oppiata, che
S4^à opportuna, come la polvere, a ripulire, imbianchire, e preservare i
denti da molti incomodi. Una stessa virtà hanno le spunghe
preparate, e intrise in una tintura fatta con lìfibre quattro a^ua,
in cui abbina hoUUo quattVonce di legno del Bras^* Daraiìne ing^rato
odòrè- il 'sugo estratta^ Benché da Atene a noi si mandi t Inverò^
Lodar non so cl^ alla presenza altrui Della cerva i midolli insìem
mischiati Piglinsi, e che palesemente i denti Si faccian netti*
Utili alla beltade Sono. tai cose, ma deformi troppa Agli occhi
nostri* Molte cose fatte Piacciono, e turpi son mentre si fanno» Le
statue di Mirone opre famose, Furono inerte peso e dura massa, Per
farsi anello, Toro in pria si frange, E quelle vestì, onde vi fate
adorne,, Furon. sordide lane* Era aspro marmo,. Mentre erano a
scolpirla intenti, quella Statua nobile in cui Venere nuda Trae
fuor dall* onde gli umidi capelli. (35)* Fa che pensar possìam che dormi
allora Che tu Vadornì, Io lusingl>ieTa forma Sarai mirata se
alla tua cultura le, tre dramme di cocciniglia soppesta, e quattri)
di alume di rocca . Quando queste spunghe si sono, imbevute d* una
sufficiente quantità d* una tal tintura, si fanno asciugare, si pongono
per alcune ore nello- spirito di vino, a cui siasi aggiunte una porzione
di- olio di cannella y di garofani,.e di spigo ec.; quindi si
spremono, e sì conservano per valersene al bisogno, ih vaso di Oetre ben
ehiuso. Mirone discepolo d^ Ageladé seppe formare in bronzo còsi
perfettamente le statue, che Petronio dite aver egli compreso nel bronzo
V anima degli uomini e delle bestie Alludesi alla famosa statua di
PrassiteU, che rappresenta Venere nuda neW atto d^ uscir dal
mora. Fu questa collocata in Roma nel Tempio di Bruto Callaico
insieme col Colosso di Marte pvesso - il Circeo ffaminio Diligente darai
T ultima mano. Del talamo le porte ben raccbiudi.
Perchè vuoi far^ palese un’opra rozaaf Molte COEC' ignorar gli
uomini danno. Di. cui gli ofiendón molte, se non copri Ciò,
che et d’uopor di tener, celato. Vedi quelle che pendono^ da un
culto> Teatro aurate statue, a osserva bene Qual lieve foglia il
legno lor ricopra.. Ma come quelle al popolo* non lice Veder
ae non sien poste in vaga mostra^ Così se non elea gli uomini
lontani, Non si procuri d’acquistar bellezza. Non
vieteiò cbe al pettine abbandoni Palesemente 1 tuoi capelli, quando
Scender potran per tutto il tergo aspersi. Di non esser procura allor
molesta, • Ne aciorre spesso le mal calte chiome. Sicura sìat
quella che il crin t’adorna; Odio colei che le ferisce il volto Con
l’un ghie liCi con rapito ago le punge 1 ( braccia Allor d’ancella là
detesta. Le tocca il capo, e sull’odiate trecce* Col
piaotn suo scende mischiato il sangue* Quella che il capo.ha.quaai calvo,ipoDga^
Sulla porta il oustode, o della Dea Gibele al ten^pio ad adornar si vada.
’ CibéU aveva in Roma un Tempio, in cui non potevano aver gli uomM V
accesso: 4 Sacra Bona maribas non
adeunda Des. Tibullo, Insinua pmttauio Ovidio con
questa frase Me Donne di non pettinarsi alla pretenza^ degli uomini^ se
non so» Mli i ìorq capelli fui annunziato airimprovviso un giorno
A una -donzalla; e torbida i non suoi Velò capelli. Uo tal ro 88 or
> ricopra La faccia alle nettiicbe, e questa^ infamia Fra le
particele Nuore abbia soggiorno. Turpe è Tarmento senza corna, e
turpe Senza gramigna è il campo, Tarboscello Senza le foglie, e
senza i crini il ^apb» Non-vennero ad udire i miei precetti Semele,
Leda ^ o la sidonia donna Che via portò pel tnar fallace Toro, O la
tua sposalo Menelao, cW chiedi Bene a ragione, e che a ragion si
tiene 11 Rapitor Trojano^Ecco una turba*' Di belle
donne e dì deformi a un tempo ( Ahi sèmpre il ben dal male è snperato !
) Che chiède i miei precetti, ma non tanto Cercan questi le belle,
e men dell^rfe Procurano rajoto. Han quelle in dota Beltade senza
Parte assai possente. Quando tranquillo è il mar, sicuro
bessa^ Il nocchier dal lavoro, e mentre è gonfio Si asside, e in
opra pone ogni socConk). Rara è beltà che senza macchie Sia; ^
Le cela, e i vizj del tuo jcorpo ascondi Semeie figlia di Cadmo He
di TeÒe e.madre^ di Bacco, Leda figlia di Tindaro, e sorella di Ca-
stare e Pollice, Buropa figlia di Agenore He di Fenicia ove giace la città di
Sidone, da cui élla vieti detta Sidonia, furono dotate d*una tal bellezza,
che innamorarono vivamente lo stesso Giove, il quale non^ ebbe à
vile di prender per esse le più strane sem^ hianze. Queste con Elena
mogUè 'di Menelaosi pro» ^ pongono qui dal Poeta, come eiélnpi troppe
rari dì: perfetta bellezza. Quanta più puoi'« Se di statura breve
Tu sei, t’assidi, onde seder non sembri Allor che in piedi stai. Se oltre
misura Però lo fo^si^ allor ti porca, e ascondi Con le vesti
su’piedi un tal difetto. Quelle che sono gracili e minute Debbon di
grossi drappi ornarsi, i quali Sciolti cader si lascin dalle
spallo. Tocchi il suo corpo con purpurea verga Chi è pallida ; e chi è nera abbia ricorso
Al fario, pesce. Un piò lungo e deforme Sottu candida alunda pgnor si
celi, ($9) Nè secche gambe .sciolgansi da* lacci. È certo, gU
onticfd aoéoano de* medica^ menti, co* quali ti coloravan la faccia ^,
benché non d sappia di qual natura^ quelli si fossero . Il belletto
> che si usa pretentemente è composto di rosso e di biancone
sarà forse pià efficace di quel che adopra* vano le Daàte romane. Si è
per qualche, tempo im-^ piegata Cernita il magistero di Bismuto^
detto altrimenti bianco di spanna com« quello, che avendo un leggiero
color d* incarnato, era pià analogo aHa pelle ; ma sì l* una che l* altro
anneriscono e guastano la carnagione, mentre tutte le calci metallici^ riprèndono
una parte del loro flogisto, e, si ripristinano* Si è pertanto sostituita
alla cerussa ed al bismuto la pomata di spermàceti^e l* olio di mandorle
dolci, unendovi una porziànè di falco'biancò finissimo. Col talco
bianco ùmilmente barico,della parte coloranto de* fiori di Cqrt^mfi j a,,cui
si aggiungono poche gocce di olio di Beri, per renderlo pastoso è molle,
si compone il roiso y che ancor chiamasi-rosso di porto- gallo o
roSso'vegetale. ‘ Il /arto pesce é il Coccodrillo y degl* interiori
e della sterco del quote sh servivano i Homani e(f i Greci per fare
un composto atto a render bianca e splendida, lo pellé. (39)
X’Alauda b una pelle moUissiuia, Tenue eoscm conviene ad alte
spalici E se il petto sìk turgida, il circondi Fascia, e lo stringa.
Se le dità pin^ui^ E scabre T ùnghie avrai, allor di rado
Accompagna congesti i detti tuoi. Chi grave dalla bocca esala oddte
' Digiuna mai non parli ^ e dalla bocca Deir uom stia lungi. Negri, e
troppo grandi Se i denti siéno, o in non belFordin natii Massimo il
«iso allora apporta danno. Chi ^1 crederiaMiC donne apprendon
pure Le. maniere del ti80,'e in qùesta parte Nuovo per lor
procacciano òtnatoeùto. Non troppo-larga apri la bocca, e brievi
Sian le pozzette in ambedne le. gote, E le radiche ognor copra
de’denti L’estremità de’labbri, e non bisogna. Affaticar con
smoderato riso . Il fianco, mentre deve ancor nel riso. - Dar
proprio, delle donne urf dolce sùono'. V’ è pur chi in mille guise il
volto- Con male acconce risa*, ed altra credi Piangere allor che
tutta allegra ride$ Quella tramanda un, rauco suono ; e stride Cosi
inamabilmente, che ^assembra ; Asìnella che ragli, allor che intorue s
5 Alla macina gira.^E'do Ve l’arte ^ Non giugno ? Coù decòro
itnpajfan ) A lacrimare, e come, e qhandò sembra, ^ Loro
opportune. E che dirò di quelle. Che niegano agli accenti intera
forma, E fan con studio balbettar la linguaf ^ Credon che sia
lìa grazia ancor nel viziò^. E pronunciano mal varie paròle^ rrii
E con arte studiata altre ne lasciano. A tutto ciò, che ben
giovar vi puote^ Ponete cura, e con femineo passo Imparate a
portare il corpo vostro^ Havvi nel portamento anco il decoro.
Con cui si fan fuggir, con cui si allettano^ Gii uomini ignoti.
Muove questa il fianco Con arte, ed ondeggiar lascia le gopne Air
aure in preda, e stesi i piedi porta Con maniera superba. Altra
cammina Qual deir umbro marito la consorte (4o). Rubiconda, e con
piede in dentro volto rapassi move smisurati •y in q^uesto Serbisi,
e in altro pur giusta misura» Rustici ha questa i moti, e troppo
quella^ E molli e ricercatk LMraa* parte Della spalla, e r estrema
ancor del braccio Di nuda, onde chi posto è al manco lato Veder la
possa. -Hi special modo a voi Gioverà che qual neve avete bianca
Ina pelle. Quando questa io mira, sem-pr^ Sulla spalla scoperta i bacci
imprimo. Col dolce suon della canora voce Fermàr le navi più spedite al
corso Le Sirene* del mare iniqui mostri.
Condanna OVIDIO (si veda) a ragione come rozze le mogli degli Ultori
popoli forti e a un tempo stesso /«- voci f che abitarono in Italia sul
monte Appennino, I>c Sìrerse sono tre barbari mostri che dimorarono nel mar
di Sicilia, Col suon lusinghiero deWarmoniosa lor voce'allettavano queste in
tal maniera i naviganti, che si lasciavano essi predar facilmente.
Ulisse per evitare un tanto pericolo, chiuse con la cera ^^^cchie suoi
compagni^ e si legò strettamente'^ M albero della na^e ^da cui si
disciolse dopo jia Udite qneste, se medesmo
sciolse DalParbor della nave, e con la cera Chiuse Ulisse accompagni
ambe le orecchie. È lusinghiero il canto . Le fanciulle Apprèndano
a cantar ; la voce a molte Senza bellezza conciliò gli
affetti. Cantino quel che udirò ne’ marmorei Teatri f ed or versi
costrutti in metro Niliaco; e culta femina tenere Sappia per mio giudizio
or nella destra 11 plettro, ed or con l’altra man la cetra. Il
tracio Orfeo con la sua lira mosse Le fiere, i sassi, le paludi stigie,
Ed il triforme Cane . O della madre Giusto vendicatore al canto
tuo Cortesi i sassi fabbricar’ le nlura. Benché sia muto, il
pesce ( è nota al mondo Favola) al suon del arionia lira sentito il
dolce cànto di quelle . Le donne imparino dunque a cantare,se ooglionsi
conciliare, come dice Otfidio, P qmore degli uomini, E!ran
famigliari a* Romani le canzonette ame^ rose, e spesso lascile, ahe si
cantavano in Egitto, ove scorre il celebre fiume Nilo, Orfeo nato in
Tracia da Apollo e da Calilo • pe col suono armonioso della sua Lira fece
sì che gli corressero dietro per ascoltarlo, gli alberi, i sassi, i
fiumi, e le beloe feroci: Quand* egli intese la morte d* Euridice sua
moglie, scese con la lira all* Infernot e con quella intenerì talmente
gli Dei infernali, che a lui la restituirono, purché non ardisse di
riguar-- darla prima d* uscir dall* Inferno, Non p9té l* amo^ toso
consorte obbedire a tal legge, e però ella dovè involarsi a* suoi sguardi
subito ch^ ei la mirò Anfione figlio di Giove e d*Antiope indusse le
pietre col suon della Lira a fabbricar le mura della città 4i Tebe.
Picesi vendicator della madre, perchè. Si fe* pietoso . Anco a toccare
impara Con Tana e l’altra man le dolci corde Del Salterio ; son
atte a* cari scherzi* Di Callimaco a te smn noti i carmi.
Quelli del eoo Poeta, e quei del tejo Vinoso Vecchio. A te Saffo sia
nota (Son più degli altri i carmi suoi lascivi) E quel per
cui viene ingannato il padre Del servo Oeta con la callid’ arte.
Del tenero Properzio i versi leggi, O quei di Gallo, o quei
del buon Tibullo, O i velli insigni per le bionde fila insieme fratello
Leto la vendicò dall* ingiurie, che recatale Ideo di lei marito y col
trucidarlo nel letto y ove lo sorprese con Dirce sua concubina y a
cui pure tolse la vita. Atwne nacque in Metinna, e fu im
eccellente Po&^ ta lirico, e nel tempo medesimo un ricco
mercante. Ufosid alcuni suoi comùttadini dal desiderio di godere
delle sue ricchezze fissarono di gettarlo in mare, men*^ tre egli se ne
tornala alla patria. Accortosi di ciò Arione cantò intrepidamente una
canzonetta, ed un-' Delfino, allettato da una sì dólce melodià, Vaccai^
se sulle sue spalle y e lo portò in Tanaro promontorio della Laconia, Accenna
ora Òoidio i Poeti che piacevano ai suoi tempi, e per lo stile e per le
materie galanti, come a* dì nostri piacciono Ariosto, Passo, Guaritù,
è Metastasio ec. Fiteta fiorì a* tempi d*Alessandro Magno per li
suoi' versi elio^afici, e dicesi eoo Poeta y perche Coo /if ia sua
patria. Anacreonte nacque in TeJo, e scrisse mol^ te canzoni veramente
leggiadre in onore del buon vino, delle donne y e del giovinetto Batillo. Terenùo
compose una commedia, in cui il padrone, ed il fratello sono ingannati da
Geta asti^^ to lor servitore. one Àttacino cantò ne* suoi versi la
spe^ dizione in Coleo degU Argonauti. Il vello d* oro, che
j ii 4 Che far fanesti, ó Prisso ^ alla tua
aaara Cantati da Varrone, q il pio Trojano Di coi non y’ha nel
Lazio opra più chiara. Ma forse un dì con 'questi andrà conginnto H
nome nostro, nè i miei scritti in Leta Saran dispersi/Dirà aldino: leggi,
I culti versi del maestro nostro^ Con cui poteo far dotti
uomini c donne.^ Fra’suoi tre libri che hanno infronte scritto
II titolo d* amor 9 scegli que^ verai t Che legger tu potrai con
docil bocca Più mollemente ; oppur con ferma voco, Canta P Eroìdi,
ignota opera agli altri Ch’egli compieo. Ahi cosi piaccia aFebo^
Pel corno a Bacco insigne/ ed allò Muse, Numi che son propizj a noi
Poeti. Chi dubitar potrà ch^ìo la fanciulla Non voglia al
ballo istrutta, onde poi toltq Il vino dalla mensa » ella le
braccia Volga in composte ed ordinato moto? Amansi i danzator che
della scena Sonò spettacol, perchè san con arte: V Saltare y e con decoro. Io mi
vergogno Di doverla ammonir di tenui cose, _ questi ivi
andarono a conquistare, fu funesto ai Elle sorella di Frisso y perchè
ella, come si è accennato y cadde miseramente in mare, mentre il Montone
ador^ no d* un tal vello la portava insiem col fratello ih Coleo,,
Tl pio Trojsno h, come è noto y Enea, sulle aùoni del quale ha scritto
Virgilio quell* aureo Poe» ma che porta il nome d* £aeidb. OVIDIO (si
veda) fra l*altre sue opere annovera ancora ire libri d* Elegie
intitolati gli Amori, ed un libro - intitolato V ^roidi, perchè comprende
ventuno lettere amorose y che fa scrioère scambievolmente dagli
Eroi all’Eroine^ e dalfEroioe agli £roi. P’istruirla a gettare or
l’aliosso, £ a conoscer de’ dadi anco il valore. Or tre
numeri getti, ed ora accorta Pensi qual parte segua acconciamente E qual
richieda. Canta in finta guerra (5o) Muova i soldati, che da duo
assalito Nemici uno perisce. Il Re sorpreso Senza la sua compagna ^
si difenda Da se medesmo, e f’emulo ritorni Per lo stesso seotier.'
La tasca è aperta^ E ornai son sparse le pulite palle; Quella che
prendi sol muover tn dei. Ravvi un: gioco diviso in tante parti
(Sai Quanti numera mesi il luhric^anno. Breve tabella prende
da ogni parte (S3)- Tre tenni pietre, e il vincere consiste Nel
disjpor queste in una dritta Mille giochi vi SOI» che turpe fia A
una donzella d* ignorar ; col gioco Si può l’amore conciliar.
Leggiera Fatica è appreodero a giocar ; maggiore Opra é il compmrre
allora i suoi costumi. Non sappum Diramente per qual ragione si~ éovesse
procurare tempi, in cui vivcóa Ovidio di gettar tre numeri nel gioco d^
Dadi. 5 •S£r»/erÌjco»o questi
versi al gioco degli Scacchi. (Si) questo un gioco, di cui non
possiam dare tucuna notula. Sembraci f che sia questo il
gioco, che r pure * dell» Dama. Alludeu (d gioco del Filetto, che .
or gioeano' nule campagne i ragazzi. Così b decaduto un gioco - 0^
formava la delizia delle Dame romane, e coi» aecaderanno ancor quelli che
si hanno in pregio a‘ dk nostri, ® ' Mentre s’applica al gioco,
incanti siamo, E i reconditi sensi alloc dell’ alma Facoiam
palesi. Ci deforma il volto ^ j Il cieco sdegno, e sono ognot col
gioco Il desio del guadagno, le .pontese, » 11 sollecito
duol, le stolte tìsse.^ j Rinfaccìansi i delitti ; di clamori
* V aere risuona, e in sno favor s’invocano Gl’ irati Dei.
Non v’ è fede nel gioco Il qual co’ voti non divìen secondo;
Vidi le gote ognor molli di pianto: Da voi che amate di
piacere all’uomo, Giove tenga lontan questo delitto. Diè la pigra
natura allo fanciulle Silaili giochi ; ad altri pii sublimi
S* applica l’ uom: per lui sono il paleo»
I dardi, 1 ’ armi, le veloci palle; E il cavallo
costretto a gire i^^no. Voi non acosf^il’-campo.o'ra gelata Vergin, nè voi
sulle sue placid’ onde j Porta il toscano fiume* Ah ! voi potete
Gire all’ ombre pompeje, anzi vi giova 1 Quando i destrier del Sole
ardono il capo H Paleo i urto strumento fatta a guisa Jt trottola,
eoi quale giocaoano i fanciulli romani fa- tendalo con una sferza girare
intorno. Nel Campo Marzio si esercitavano » romani in tutti
que’giuochi cU potevano «P^* renderli valorosi guerrien. Era ivi
ta Vergine dalla fanciulla che ne scopri la sorgente, ed in
quella si lavavano i giratori le di polvere e di sudore. Il Tevere
e qui detto fannie tascsno, perchè dall’Appennino la
Toscana nel f<u-t il siSo corso alla wta di tioma. Annoi, q. del fàh.
I, ^ Alla vergin celeste. I sacri a Febo (5^) i’alagi visitate ;
egli sommerse In alto mar le paretonie navi. I monumenti ancor»
che fur costrutti» Dovete frequentar, da Ottavia e Livia Una suora del
Ehjce, altra consòrte, E quelli pur del valoroso Agrippa,
Che ha cinto il capo di navale onore. Della menfitica Iside agli
altari Siate frequenti, ov^ ardesi P incenso, E ne’luoghi
cospicui a’tie teatri. Di caldo sangue le macchiate arene Ite
a mirare, e la prescritta meta. Rapido intorno a coi si volge il
cocchia. Quel che si cela ò ignoto, e ciò che è ignoto Nessun desio
risveglia ; è lungi il frutto Se manca il testimone a un bel
sembiante. Benché nel canto superi Tamira Dicé con OVIDIO (si veda) ancora
VIRGILIO (si veda), che Apollo nella guerra Azziaca prestò il suo
soccorso ad Augu^ sto y il quale aveoagli innalzato un ternpio nel
pro^ prio palazzo . Apollo in conseguenr^a, ^Hcondo questi poeti,
sommerse le navi egiziane deste paretonie da Paretonio città marittima
d*Egitto, che Pompeo avem va armate contro d*Augusto. Ved^i l*annot,
8 e g del Libro /. Augusto decorò A grippa suo generò della Corona navale
dopo d^aver debellato Pompeo ^ ed innalzò al medesimo un portico y
che fu chiamato il Portico d’A^rippa. Annoi, li del Lib, /. Dice Sirabone
che giacevano tre superbi Teatri in vicinanza del Campa Marzio. Fu
Tamira un poeta tragico che ardì con la sua lira di provocare le stesse
Muse ^ credendosi a quelle superiore nella dolcezza del
cantoma\dalle medesime fu vinto, ed in pena della' sua arrogwiza
gli furono tolti gli occhi. Ed Àmebeo, sarà priva d’ onor« L’ ignota
cetra» Se di Coo il Pittore Vener ritratta non avesse^ immersa
Sare^bbe ancor nelle mailne spume. £ che ricercan maggiormente i
sac^i Poeti che la fama ? E questo il fine Cui tendon tutte le
fatiche nostre. Fur de’Numi e de'Re delizia un giorno. 1
Poeti, ed immensi ottener premj I cori antichi* Venerando allora,
£ d’ una santa maestà ripieno Fu questo nome, ed ebbero
sovente Larghe ricchezze. Ennio che il suo natale Trasse ne’monti
calabresi, degno Si fé’ d’esser unito al gran Scipione. (6i) Or
giaccion senza onor Federe, e il nome Ha d’inerte colui, che i sacri
studj Cari alle Muse a coltivar s’accinge» Giova cercar la
fama, e chi d'Omero Contezza avrebbe, se in obblió sepolta
Ateneo^ Plutarco ed altri parlano con somma lo^ de d*Amebeo
ateniese, perchè sonava eccellentemen- te la cetra, Apelle nativo di Coo
dipinse Venere nel- ratto di uscire dalVonde marine \ ed Augusto
coliocè una tal pittura nel Tempio dì Cesare suo Padre, ÉrUiio è tra
i Latini un poeta che si può da- gV Italiani paragonare a Dante.
Ennius ingenio maximus, arte xudis. Owd. Trist, Ub. IL EL
I, Fu egli, nativo di Rudia in Calabria, e visse sommamente caro a
Scipione Affricano il vecchio, ed a molti altri insigni Cavalieri romani.
Morì in età di anni settanta, e dicevi che fu collocata la sua statua di
marmo nel sepolcro degli Scipioni. Cicerone ^ro Archia Peata, così parla
di ciò: Garas fuit Af- iiricano superiori ngster Ennius ; itaque in
tepulcro ScipioQum putatur is esse constitutus e marmore.
L'Iliade o^ra imxnortal foase rimasa? ^ Chi Danae conosoiata avr^a,
se ascosa (6a) Posse étata mai sempre^ e «e già vecchia' Si
fo8a''ella lacchiusa eptro la torre? Utile è a voi, bèllé e vezzose
donne, Di porre oltre le soglie il vago piede< La
lupa a molte agnello insidie tende Per predarne una, e sopra molti
augelli Vola 1 Augel dj Giove. Il volto mostri Sposa_ leggiadra ^1
P®poI<>> o fra molti Un solo appéna rimai^rà sua preda.
In ogni loco ove si tro^, attenda Sempre a piacere; ed abi>ia
special cura Di sua bellezza. Puote in ogni incontro Sempre molto
la sorte. Getta l’amo, Chè in quel gor^o, ovemen lo pensi, il
pé^co t alor SI trova . Erran sovente indarno Per boschi montuosi i
cani, e il cervo Cade fra’ lacci, mentre uinn l’insegne. D
Andromeda l^ata a un duro scoglio Il niT*** *Pf far, che a un uom
piacesse Il pianto sue ? ài cerca spesso un uomo Ne funerali
del marito ; i crini Sciolti portar conviene, e sian la gote
Di lagrime bagnate . Ma fuggite Gl, uomini che d’aver le
^mbra adorne hi fanno un pregio ; della lor beltade
Vanno superbi, e portano le chiome Con ricercata simmetria,
disposte. Ciò che dicono a vói, dissèro a m{llé; D’ uno
in un altro àmot Tàgando vanno, Senza restarsi in dmha "parte
mai. Che d’un tal uomo effemi,nato., a cui Forse molti non
mancano amatori. Dee fer la donna ? 11 crederete appena.
Ma credetelo'pur, Troja' àncor ferma Starebbé,se di Priamo avesse ih uso\
‘ Posto gl* insegnamenti . H'a^yi di quelli Che sotto il mantó di
fallate amore ^ V* assalgono, e tiòèrcan coh‘ tai mezzi Vergognosi guadagni
. Ntìn la chioma Per il liquido nardo nitidissima ^ V'inganni, o
breve fascia con cui stringa Le pieghe della veste ; nè v’ illuda
Toga che sia di tenue,fil tèssuta;^ O anel con cui s’adorni uno o
più. dita. Chi fra questi è più colto, è forse un ladro, E d’ amore
arde per la ricca veste. Gridano spesso le spogliate Donne;
Il mio a me rendi, e il suon per tutto il foro Rimbomba, e s’ode ;
a me deh rendi il mio. Tu da tuoi templi d’oro adorni miri Con le
femmine d’ Appia indifferente, Venere, queste lìti, Ancor vi sono Pessimi
nomi'pei^'non dubbia, fama-. Priamo iruinuava «’ tuoi Trojatti di
rtrtdtr àoeva nella via
appia tomo al quale abitarono molte donne sacrifici che
queste rendevano a quella lor lare, consistevano in prestar
liberante tl lor corpo alle voglie sfrtnatt desìi uomm
Iwrnnio E molte che rimasero ingjinnatp Da molti amanti, or d’ un
egual delitto Si trovan .ree. Dalle quetele altrui; Imparate a;
temer le^ vostre ; chiusa, Sia mai sempre la porta ad uom fi^lace.
Donne ateniesi, uon prestate fade (j66)‘ A Teseo ancor, che giuri •
In testimonio» Come invocolli nn giorno, i Numi invoca. Tu del
delitto, oJDemofonte, erede. Di Teseo più non meriti credenza,
Perchè ingannasti Fillide . Se molto A te pròmetteran, loro prometti j
* Con eguali parale . So di doni, Ti siano liberali, lor
concedi I promessi piacer, ma se gli nìeghi II dono
ricevuto, ancor potrai. La fiamma estinguer deUa vìgil Vesta, Rapir
da’templi dTside gli arredi, E air uom porger T. aconito
mischiato Con la trita cicuta«tll mio desire, Mi spinge ora a
;fcenarmi, e: tu ritieni. Musa, le brìglie: nè le mosse rote * Ti
dian.terror» Tentino in prima il guado Ov..Arte d-am. Teseo
abbandoni Arianna in Nassa, Demofe^nte non serbò a Fillide la
premesti^ di ritornarsene a lei dentro due mesi, Con questi versi
vuol significare il poeta che è capace di commettere ogni sceUeratezza
quella don~ na, che nega il favor suo a quegli uomini da* quali ha
ricevuto de^ doni, Riputavasi in fatti da* Romani un enorme delitto il
rapire il fuoco custodito dalle Vestali, o i .sacri arredi del tempio d*
Iside; e da ogni nazione si è creduto sempre colpevole colui che
porge alVuQmo /^aconito con la cicuta, cioè il vet^no. Xrli scritti fogli,
e T inviate cifre Riceva accorta ancella . Apprendi e vedi Dalle
stesse parole che tu leggi, Se finga, o par se son sinceri i
prieghi. Dopo breve dimora ognor rispondi^ Mentre, se è
bre;i^e, è stimolo agli amanti. Deh non prometti al giovin che ti
prega D’ esser docile mai, ma in duri accenti Non.gli negar ciò che
dimanda . Tema E speri a un tempo^ e ognor che tu il licenzi Sia
minore il timor, maggior la speme. Scrivi culto parole e consuete,
Che un famigliare stil più eh’ altro piace. Ah quante volte arse
per dólci note II cor di dubbio amante, e fu nociva Una barbara
lingua a bella Donna! Benché voi siate nell* ònor perdute.
Tutte le cure vostre or son dirette A ingannate i Mariti . Idonea
mano D’esperto giovin, di fidata ancella Rechi le dolci lettere, e
tai pegni Non sian fidati ad un novello amante. Vidi ben spesso
impallidir le donno Per tal timore, e vìvere i lor giorni
Miseramente in sehìavitudin dura. Perfido è quei ohe tali doni
serba. Che qual fulmine etnèo sono in sua mano. Si può tener,
se al vero io non m’appongo, Lungi la frode con la frode ognora;
Contro gli armati impugnar 1 ’ armi, logge Nissuna vieta . A imprimer
sulla carta S’accostumi la man diverse cifre. Ah ! peran
quelli contro cui vi deggio Avvertir di tal cose. In foglio mondo La
risposta si scriva, onde non sembri Da due mani vergato . Al suo
diletto Scriva la donna, .come un uòmo amante Scrive air amata » ed
usi V uom V opposto. Ma da lieve materia innalzar V alma Ora a me
piace a più sublimi cose, E le vele spiegar gonfie dal vento.
Opra è del volto i rabidi trasporti Saper frenar: candida pace all*
nonio Convien come alle belve ira crudele. Si fan per Tira
tumide le guancie; Vengpn nere le vene, e inocchio splende Più
truòemente del gorgòueo ‘fòco. (69) Vanne lungi da 'metromba
importuna^ Disse’Pallade ^ allór che il volto suo (*^0) Mirò )iel
fiume . Se voi iii mezzo all’ ira Riguardate lo specchio ^ alcuna appena
^ liistinguére pbtm W figura. ' Nè dannosa a Voi supérbr^^
facòià j TurgidJ il voltò ; có^ be^nigiii sguardi Deèsi a^es9ar 1 ’
amóre ‘J Odiahio ( e voi Già 1 fó^cre((efé che. ìie siete esperte)
‘ I fasti inambderatl^e spesso chiude Deir odio 1 sómi
taciturna faccia. / Guard^ ^uel che ii mira, e ùi olle mente
Sorrmi 'a^ueì cjhe rid^ e se à te un cenno §ia .
Gorgoni étart t^e mostri \^enimente orribili per ìaHesta
^circonddia di serpi, e per Vocchio spaven^ tegole che ateoanò in: mezzo
alla fronte . Chi fissava occhi in faccia*'alle medesime, rimaneva di
sasso, Pallàde / sécorido^alcuni y gettò via la tromba, perdhè
^s’accorse chè ih sonarla si faceva troppo gòHf^ la faccia. ‘ ' Con
tai preludj il favcitilletlo Amor» Pose i rozzi da parte, e diè di
piglio A! dardi acuti della sua faretra. Vadan lungi da noi
le donne meste; Ajace ami Tecmessa t noi sol puote Tener
ne’lacci suoi lemina allegra.Non fa giammai che a voi porgessi preci, O
Andromaca o Teome^sa, onde a me foste O r una o Valtra amiche. Appéna
posso Creder che in letto maritar giaceste, Quando, a crederlo
astretto io son da^iiglL Fprse ad Ajace la dolente sposa ‘ Avrà
detto: mia luce, e gli altri accenti, Cari agli uomin|^ tanto f £ chi mai
Vieta, Applicar gravi esempli a tenni cose, E di guerrier non
paventare il npmef Cento soldati a questo^ il Duce esperto Diè a
regger cop la vite,|è a quello cento Cavalieri, e lasciò'T altro in
custodia ^ Delle l^andiere A; qual vedete impresa Atti noi siamo ;
e^nel suo posto'o^gntipo ^ Venga locato. Un ricco a voi dia doni^ '
Vi sia propizi o, il Giudice, e ; il facondo ‘ Difenda i dritti vostri
.'|loi poeti, Donp possiam far solo di carmi. 3a più degli
altri amare il coro nostro; Andròniaca dopo ìa rnòrté ^&toré amato
sud sposo, r dopo V incendio di-Trofa-fpssssò for i rn i s uns nm
ti alle nozze di Pirro ^ e però vìsse con ^uosto/s^ssai malinconicà.
Teemessa, moglie di Ajace, er^ una schiava y e però, secondo Ovidio y.
doveva aver sempre Vanirne occupato da una grave, tristezza Da/ Comandante solevansi affidile^cento
sol- dati al Centurione il quale aveva per sua insegna U 9 ramo di
vite. Uua grata beltà cott ampie lodi Sappiamo celebirare, e va
fainoso Dì Nemesi per noi, di Cinzia il nome. E dove nasce, e dove muore
il Sole Conobbero Licori., e chieggon molti Chi sia Corinna nostra.
Aggiungi a questo Che son T insidie ignote a" sacri Vati,
Che giova V arte nostra a^ lor costumi. Kpa ambiziosa voglia, e non
desio D’aver ci punge. Noi sprezziamo il fòro E son graditi a noi V
ombra ed il letto. Facili amiamo ognor con certa fede, £ in
vasto incendio, il nostro core abbrucia. Con placid’arte docile T
ingegno Facciamo, e ben s’adattano co* nostri Studj i postumi. A*
Vati aonj, o donne. Siate indulgènti, che gl^inspira un Nume,. E
lor son fauste le pierie uive. Ci agita un Dio.; abbiam col Cièl
commercio;. Ci vien lo spirto dall* eteree sedi. Chiedere il pre^o è
scelléra^in grande Ad ottimo Poeta. Oh me infelice. Che scelle
raggio tal piti non si teme Dalle jauciulle • ALmen dissimulate,
Nè vi fate veder tosto rapaci. No, non cadrà nella prevista
rete Un novèllo amatore . Il Cav^aliero Nemesi è amata a celebrata
da Tibullo, Cia zìa da Properzio, tdcori da Gallo, a Ovidio ha^da^ to ne^
suoi versi alla propria amante il nome, di Corinna. Le Muse si
chiamavano le Dive pierie, 0 per^ chi abitarono nel monte Pierio in
Tessaglia, o perche vinsero e trasformarono in gazze le figlie di Pierio.Non
reggerà T indomito cavallo Al par di quello che già al freno è
avvezzo* Nè lo stesso sentier batter tu dei Per adescar la verde
gìoventude, E le menti già stabili per gli anni QuelP
inesperto, che la prima volta Sotto si pone all’amorose insegne.
Che preda nuova nel tuo letto giacque. Te sol conobbe, e a te sia
unito ognora; Si cìnga d’ alte siepi una tal messe. Schiva d’aver
rìvjaì;ta vincerai, S’ei r amor suo con altra non divide; 1
regni e amor non vogliono compagni. Quel che invecchiò nell’ amoroso
agone. Con prudenza amerà, saprà soffrire Ciò che invan soffrirla
guerrier novello. Non frangerà le porte, e non furente Fiamma v’
applicherà. Non dell’ amata Farà con 1’ unghie ingiuria al delicato
Volto ; e non straccerà della Fanciulla Le vesti, e non le proprie ; e
per dolore Non svellerassi i crini • Questi eccessi Convengon solo
a’ Giovanetti acerbi Caldi per poca età, per troppo amore.
Tranquillo ei soffrirà la cruda piaga; Qual face inumidita a foco
lento Abbrucìerassì, o quale in giogo alpestre Fresco ramo reciso: è
quest’amore Più certo, è quel più breve e più fecondo. Con
sollecita man cogliete i pomi Che fuggon. Tutto ormai s* insegni;
schiuse Son le porte al nemico ; e siate fide Mentre ingannate
altrui. Facil Donzella Puote mal conservare un lungo amore. Sla
la ripulsa rara » e venga sempre Da lieti scherzi accompagnata •
Giaccia Alla porta nrosteso, alto gridi: Porta crudele ; e
molte cose umile Faccia 9 e molt^ altre minaccioso. Il dolce Noi
mal soffriam ; ci sana il succo amaro; Pere spesso la nave » e fausto ha
il vento. Ecco perchè non amansi le mogli; Seco stanno i
mariti a grado loro. Chiudi la porta 9 e in aspro suon
TuBciero Gli dica f entrar non puoi ; escluso, in seno Di lui per
te si desterà l’amore. Deh riponete i rintuzzati brandi; Con
gli acuti si pugni, ch^ io con l’armi Mie già non temo d’ essere
assalito. Mentre ne^ lacci un amator novello Cade, gli fa sperar
xhe del tuo letto Solo godrà ; poscia il rivai conosca E i divisi
piacer ; senza quest’ arte Amor illanguidisce • Il generoso
Destrier,se venga dal suo career schiuso. Corre velocemente, se il
preceda Altri nel corso, o se lo segua . Estinto Ancor che sembri
l’amoroso foco Con nuova ingiuria si riaccende, ed io, Lo deggio
confessar, soltanto offeso Nutro r amor . Non troppo manifesta Sia
la causa del duolo ; e ansioso creda L’amante
che maggior fia ancor l’offesa Di quello che gli è noto ; ed or
l’inciti L’aspra custodia di fallace servo, n geloso rigore or del
marito; E men grato il piacer senza contrasto Èeiichè tu sii di
Taide più. }asciya, Fingi timpri ; e ancor che per la porta Meglio il
possa introdar, fa eh’egli venga Dalla finestra, e nel tuo volto i
segni Mostra di Donna da timor sorpresa» Venga l’ancella
frettolosa, e dica: Ah siam perduti 111 trepido Garzone
Allora ascondi; col timor si debbe Mischiar piacer sicuro, onde
1’apprezzi» Come il marito accorto e il vigli servo Si possano
ingannare i’avea taciuto* Tema una Sposa il suo Consorte^ e
viva Certa che altri la guarda ; è ciò decente; Vuol ciò il padoi:,
la legge, e F equitade. Chi soffrirà che custodita sii Tu, che or
la verga del Prétor redense? Odiose vuoi ingann^kT, miei sacri carmi» T’
osservio puro occhi miglior di quei Ch’ebbe il guardiano d’io, sii
risoluta, £ tesserai l’inganno • E puote invero Chi t’ ha in
custodia a te vietar che scriva Se non si vieta a te di gire al
bagno? E se potrà, de’tuoi segreti a parte, Terenzio da il nome di
Taide ad una donna lasciva, che forma la parte principale della sua
Commedia intitolata /^Eunuco. Parla qui il poeta delle donne schiave y
che divenivano libere quando il Pretore aveva toccato al» le
medesime il capo con una vèrga detta yindiqta, e che occupavano nelle
case delle Matrone Romane unposto corrispondente a quello delle nostre
Cameriere. (Giunone diede, cento occhi ad A^go custode d'io, perchè
potesse soddisfare esattamente al suo incarico, ma il Dio Mercurio
Pàìsdpì col suono del* la lira, e gli recise la testa Recar V ancella i
foglj ricoperti Nel caldo seno da una larga fascia^ O
nasconderli avvinti infra le gambe, O sotto i piedi f Se a tè ciò il
custode Vieti, P ancella porgerà le spalle Di carta invece, e
porterà su queste li^amorose tue cifre impresse. Un foglio Con
fresco latte scrìtto inganna 1’ occhio^ Con la polve l’aspergi del
carbone, £ legger lo potrai • Del paro inganna Lettera pura in cui sia
stato scritto Con la punta del lino inumidito, E le note
‘segrete incise porta . Intento Acrisie a custodir la Figlia, In opra pose ogni
più esatta cura: Eppur col suo delitto il fece eli’ avo.
E che farà il Custode, se cotanti Sono in Roma Teatri, e se a suo
grado Non mancano a^dì nostri degli inchiostri sìrw^ patiei y che
superano ne^loro effetti la virtù degli antichi. Con un^ oncia di Ut or
girlo y e cinque d^ace» to stillato si fa un composto, che chiamasi aceto
di Satarno. Con questo si scrioe sulla carta bianca, e quando è
asciutta non si scorgono in alcun modo i caratteri. Si sparge quindi
sopra la carta una piccola porzione d* un liquore fatto con un’oncia d’or pigmento
e due once di calce viva sciolta nell* acqua ; éd allora compariscono i
caratteri d*un coloraperfet’- tamente nero. Il calore e la
luce coloriscono altresì i caratteri scritti con alcune soluzioni
metalliche allungate con Vacqua, cioè con quella dell* oro, dell* argento,
e principalmenie del bismuto. La tintura di galla è pure ì^n
inchiostro simpatico, purché si faccia passar sopra di essa una qualunque
marziale dissoluzione, Annota (a del lÀb. Presente Può rimirar le corse
de* destrieri f Quando nel tempio d’Isi assister puote Al concerto de*
sistri, e p^pte in altri Lochi ella gire » ove l’ingresso poi È
vietato a’ compagni ? Se da’ templi Della Dea Buona può fuggir gli
sguardi D’ogni uom fuor di quel eh’ ella desia f lyientre il Custode fuor
del bagno serba Gli abbigliamenti della sua Padrona, Se può
mrtivo nel; sicuro bagno Celar 1* Aàotante ? Se ove 1’ uopo il
chiegga Per finto morbo giacerà 1’amica O se per vero, a lei cederà il
letto? Quando la chiave adultera col suo Medesmo nome cosa far
c’insegna^ Nè sol la porta dà il bramato ingresso?
S’inganna pur con molto vin la cura Di vigile Custode, ancor che
colte Vengan l’uve nell’aspro ispano giogo. Vi sono ancora i farmaci che
al sonno Aggravan le pupille quasi vinte Dalla notte letea • Nè mal
trattiene La non ignara ancella l’importuno Con le tarde delìzie,
end’ ella possa Star col suo vago quanto più le piace. Che far
tante parole, e cosi lievi .Gli uomini non potevano interpénire nel
Tenu» pio d'Iside, quando le donne celebravano le sue fo» ste col
serbarsi, almeno apparentemente, easte per molti giorni, Era agli
uomini vietato V ingresso nel Tem» pio della Dea Buona o sia di
Cibele. Denota il Poeta il vin poco generoso, che i Romani facevano
venire dalia Laleiania in gna provincia di Spagna Porger precetti, se con
picciol dono Si corrompe il Custode ? A me lo credi. Gli Uomini e i
Dei guadagnansi co’doni, £ i doni placan pur lo stesso Giove.
Che farà il saggio, se de’ doni ancora Gode lo stolto ? Ricevuti i
doni, Si farà muto anco il marito istesso. Per tutto Panno
guadagnar si debbo Una volta il Custode, e quelle mani Che un di vi
diede, vi darà sovente. Feci querela, e l’ho ferma in
pensiero Che temer si dovessero i compagni; Nè diretta soltanto all’
uomo è questa. Se credula sarai, carpirann’altre 1 tuoi
piaceri, e avrai cacciato il lepre Per esse. Quella, che t’appresta il
letto, E che officiósa a te concede il loco. Giacque più. volte, a
me lo credi, meco. Nè troppo bella sia l’ancella tua; Sovente
meco fe’della padrona Ella le veci. Ah ! dove ora mi lascio Io
stolto trasportar ? Perchè contrasto Col petto inerme contro il mio
nemico, Ed io da me medesmo mi tradiscof Come pigliar si
debba al cacciatore L’auge! non mostra y ed a’ nocivi cani Come
inseguirla non la cerva insegna. L’ utll vostro mi piace: io
fedelmente Vi spiegherò i precetti, ed alle donne Di Lenno io porgerò
contro il mio fato Lè Donne di Lenno in una notte, uccimo i loro
mariti, e però Ovidio sotto il nome di tende quelle che con gli uomini
sono troppo severe Sà Da me stesso il coltello. Ahi fate in
modo ( Ardua non è V impresa ) che crediamo D’ esser amati, mentre
ogutìno crede Farcii ciò che desia. La donna miri Con infocato
sguardo il fido amante, Tragga dal sen sospir profondo, e chiegga
Perchè sì tardi venne. Aggiunga il pianto, E finga gelosia della
rivale, £ gli percota con le mani il volto. Tosto vivrà
sicuro, e nel suo petto Facile nutrirà per te pietade, E dirà
fra se stesso: ah si consuma Questa per me d*amore i e specialmente
Se lo specchio consulta, e colto sia, D’innamorar ei penserà le
Dee. Ma a te chiunque sii, grave disturbo Non arrechin le
ingiurie, e sbigottita Non ti mostrar, della rivale il nome Allor
che ascolti, e facile credenza Non presta aMetti altrui. Ah quanto
nuoccia Il creder facilmente, a te lo dica Quello che adesso
narrerò di Proori. Scorre vicino del fiorito Imetto A’ be’ purpurei colli
un sacro fonte. Di cui le sponde ognor fan grate e molli
Verdi cespnglj . Ivi non alta selva Procri figlia d* Eretteo Re Atene per
sos- petto di gelosia si portò segretamente nelle selve e né*
boschi ad osservar Cefalo figlio di Mercurio, sua Sposo, ed ottimo
cacciatore . Mentre egli prendeva riposo in un ombroso colletto, essa celandosi
dietro alle siepi, mosse disgraziatamente le foghe degli alberi»
Credè Cefalo che s* ascondesse fra quelle una fiera y e però vi scagliò
una saetta che gli uccise la lua dì* letta consorte. Un l^co forma;
gli arboscelli l'erba Ricoprono, e un soave odore esalano II
rosmarin, l’alloro, il negro mirto. Non il tenne citiso, il colto
pino, E il fragil tamarisco ivi già manca^ E non folto
di foglie il busso. Scosse Da dolci aeffiretti « e da salubre Aura
treman le foglie mnltiformi, £ le cime dell^ erbe. Ama la
quiete Cefalo. Abbandonati i servi e i cani. Ivi stanco il Garaon
spesso s’adagia; Solea cantar: mobil auretta, vieni Onde t’accolga
nel mio seno, e allevj Il cocente càlor. Le intese voci Da un
malaccorto far recate intere Alle timide orecchie della moglie.
Tosto che Procri il nome adì dell’aura, Qnal fosse uua rivale, a
terra cadde; Ammutolissi pel dolor ; nel volto Impallidid^ come le
tarde foglie. Se colte sieno dalle viti l’uve. Sogliono
impallidir dal verno offese, O i maturi cotogni, i di cui
rami Piegansi, o le corniole ancor non atte A* cibi nostri. Tosto
che; rinvenne. Straccia dal petto suo le tenui vesti. Con V
unghie impiaga le innocenti guance. Jndugie non conosce, e qual
Baccante Mossa dal J'irso, furibonda vola Per le pubbliche vie,
sparsa i capelli. Ma già vicina, in una valle lascia I suoi
seguaci ; intrepida e furtiva Nel bosco con piè tacito s’innoltra.
QuaPera il tuo consiglio, allor che stolta O Procri, t’ascondeyi ; e quale
ardore NelPattonito séno allor ti corset Già tu pensavi di
sorprender l’aura Qualunque fosse, e di mirar co’proprj Occhj P
infedeltà del tuo Consorte. Quivi d’esser venuta ora
Rincresce; Or la rivale di mirar ti piace, Ed or ti
penti ^ opposti affetti in seno Destan tumulto. A creder la
costringe ( Che quel che tenie ognor crede l’amante ) L’accusatore,
il loco, il nome. Quando SulP erbe vide impresse Torme umane,
Balzolle il cor nel pauroso petto. Già T ombre brevi aVea il meriggio
strette, E in spazio egual giaceva l’Occaso e l’Orto, Allor che di
Mercurio il figlio Cefalo Dalle selve ritorna, e T innainmate
Guance delTacque di quel fonte asperge. O Procri, tu t’ascondi ansiosa ;
ei giace Sull’ erbe consuete, e vieni disse, ZefHro fucile, o
molle curetta vieni. Quando conobbe il dolce error del nome, AlT
infelice il cor tornò nel seno, E il primiero color sul volto
suo. S’alza, movendo il corpo e move ancora Le frondi circostanti ;
e fra le braccia Va per gittarsi del marito • Mosso Credendo quel
rumor da qualche belva, Imprudente la man slancia sull’arco.
Ed ave i dardi già nella sua destra. Infelice che fai? non è una
fiera, rw Deponi ì dardi.... Oimè la tua consorte Dalle saette tue
giace trafitta. Oh me infelice i eéclamà ; in petto amico
Vibri il tuo dardOi o sposo. Ah che fa sempre Da te questo
trafitto! Io pria del tempo La morte trovo « noa offesa almeno Da
un rivale .^h farà ciò la terra, Ov* io riposi, a nae cara e
leggiera. Fra quest’aure ^ che odiai sol per un nome. Già
spazierà il mipspirto.. oh Dio!•• vacillo. Mi chiuda i lumi quella destra
amata. Le membra moribonde egli sostiene Nel mèsto seno, e la
crudel ferita Con le lagrime asperge^ Ella già spira, E la
bocca del misero marito Lo spirto accoglie che dal petto incauto
Deir infelice, Porcri alfine eeala. Ma sul sentier si torni. lo
debbo adesso Agir palesemente, onde il naviglio Indebolito tocchi i
porti suoi. Ch’io ti scorga a conviti aspetti forse, e ch’io ti guidi
in questo pure attendi? Non t’affrettar; vien tardi, e già sia posta
La lacerna i e decente i passi volgi. Grato è a Vener Findugio, e molto
giova. Benché bratta tu sii, sembrerai bella, che coprirà la notte i
tuoi difetti. Prendi co’ diti il cibo; havvi pur l’arte nel modo di
cibarsi; con l’immonda mano cerca non ungerti la faccia; nò mangiar
prima in casa, ma t’astieni dal farlo allor che avrai mangiato meno di
quel che il ventre tuo capè, e tu brami. Paride, se veduto avesse
Elena cibarsi avidamente, avria per lei nutrito sdegno, e detto fra
se stesso: Ah fui ben stolto nel rapir costei! Meno disdice a donna
il ber, che Bacco £ di Venere il figlio uniti vanno. Sì beva pur fin
che il permetta il capo, E Talma e ì piè siaxi atti a* loro nfficj, nè
raddoppiati sembrinti gli oggetti. Donna che giaccia per soverchio
vino, £ turpe, e di soffrir merta ogni assalto. Sparecchiata la
mensa, è gran periglio cadervi per il sonno; in mezzo a quésto Molte
si soglìon far cose impudiche. Io di stender più innanzi i^niiei
precetti Sento rossor. La figlia dionea Mi disse: utile è a noi
quelPòpra ìstessa che in se desta vergogna. A voi si sveli. Donne,
ogni fatto. I varj atteggiamenti Noti vi sien, che a tutte non
conviene la medesma figura. Tu che sei pel volto insigne, giacerai
supina quella che ha bello il tergo, il tergo mostri. Recava Melanion
sulle sue spalle le gambe d’Atalanta; se sian belle. Si dee imitare
allora un tale esempio. Porti il cavai pìccola donna ; avéa statura
immensa la tebana sposa; Suirettoreo cavai però non giacque. Quella che
può mostrare un lungo fianco prema con le ginocchia il letto e alquante ritorca
la cervice chi le membra Ha giovanili, e senza macchie il seno mentre l’uomo
sta in piedi, ella corcata giaccia obliqua sul letto nè già turpe
Credete scioglier qual Baccante il crine. XeSpoifk tsUoa ^ 4fl4rQmcé mQglk
E ondeggiando i capei, piegate il collo. Tu pure, a cui la pronuba Lucana
macchiò il ventre di rugh, imita il l’arte Quando combatte sul cavai fugace,
Ben mille son di Venere le foggie, ma la piò facil, di minor fatica È
quella, in cui semisupina giace Sul destro fianco, I Tripodi febei, O il
cornigero Ammon cosa piò vera Non conteran di quel che or la mia Musa- se
Parte, che ci costa un lungo studio, merita fè, credete, ancor che i
carmi Nostri eccedano forse ogni credensà Venere abbrugi le'midolle
e l’ossa delle donne, e sia caro ad ambedue Lo scambievol piacer. Un
mormorio dolce, e parole lunsinghiere e grate non manchino, nè
tacita si stia in mezzo ascari scherzi unqua la donna, tu, cui d’amor negò
natura il gaudio, finger lo devi con mendace suono; Lucina è un nome
di Giunone, la quale presiede a matrìmon) ed apparti, i Greci dopo d^
a^er ointo i Persiani nella battaglia di Platea, levarono una decima suUe
spoglie per fare un Tripode d’oro eonsagrato ad Apollo, Ateneo lo chiama
il tripode della verità perchè si ritrovavano verissimi gl’oracoli di
questo dio, Ammone è un soprannome di Giove, Quinto Curzio fa menzione del
magnifico Tempio che gli fu edificato nella Libia, La sua statua avea la figura
d’a- liete, e però si chiama cornigero Ammone. Dava essa de certi
oracoli a chi la consultava, ed era a guisa d’un automa, che crollava la
testa per additare a sacerdoti la strada, che dovean fare quando la portavano
in processione. Ben infelice e miseranda donna È quella, che a sa
stessa ìnntil tragga unutile pèr l’uomo i giorni suoi. Mentre e#ò
fingerai, che non ti scofira Cerca, é col moto, fin con gl’occhi
stessi procura d’ingannar. Faccian palese un frequente respiro e
dolci accenti quello che giova. Termini novelli Sa la donna
inventare in quegristanti quella, che chiede dopo il gaudio i doni, non
sia molesta almen con le preghiere. Nè il pieno giorno introdurrai nel
talamo chè giova a voi tener del corpo vostro molte cose celate. Ha fine
il gioco. È tempo ornai di scendere da’Oigni che sul collo guidaro il nostro
cocchio, e come fero i giovanetti un giorno, così la turba delle donne
scrìva sulle spoglie, Nason ci fu maestro. Gianni Carchia. Keywords: ars
amandi, erotica, il bello, la comunicazione dei primitivi, Ovidio, arte
amatoria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Carchia” – The Swimming-Pool Library.
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