Grice e Cardano: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del valore civico di Melanippo --
Caritone -- the tasteful Milanese maschi – prospero – scuola di Pavia –
filosofia pavese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pavia). Filosofo
pavese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Pavia, Lombardia. Grice: “I’m
sure Cardano does not mean chance by aleae! It’s a Roman
notion, not an Arabic one!” Grice: “Cardano is a fascinating philosopher, but
then so is I [sic]!” Grice: “My faavourite philosophical topic by Cardano is
what he calls, well, his Italian translators call – recall that Italian
philosophy is written in the ‘learned’! – ‘gioco d’azzardo’, ludo alaea – which
is what conversation is – what is conversation is not a game of azzardo? But
Cardano also refutes all that Malcolm says about ‘dreaming,’ never mind Freud –
Italians are obsessed with a male sleeping: Rinaldo, Tasso, Botticelli
(“sleeping Mars”), not to mention the search for the Etruscan equivalent to
‘oneiron,’ the god – one of my most precious souvenirs is a little medal of
Cardano: not so much for his very Roman nose (charming as it is) but for the
backside, which represents Oneiron, indeed, aong the ladies!” Poliedrica
figura del Rinascimento. Riconosciuto come il fondatore della probabilità,
coefficiente binomiale e teorema binomial. A lui si deve anche la parziale
invenzione dell’ implicatura e della serratura, della sospensione cardanicache
permette il moto libero, ad esempio, delle bussole nautiche ed è alla base del
funzionamento del giroscopioe della riscoperta del giunto cardanico. Animos
scio esse immortales, modum nescio. So che l'anima è immortale, ma non ho capito
come funzioni la cosa. Figlio del nobile Fazio, un giurista esperto nella
matematica tanto da essere consultato da da Vinci su alcuni problemi di
geometria. Fazio conobbe a Milano la vedova, madre di tre figli, Chiara
Micheri (o de Micheriis) di cui s'innamora iniziando con questa, che vive con
la famiglia del defunto marito, una relazione clandestina che porta al
concepimento di un quarto figlio. Per non essere coinvolto nello scandalo prega
un suo amico di Pavia, il patrizio Isidoro Resta, affinché assumesse Chiara
come governante nella sua casa. Prima che lei partorisse, i suoi tre figli
morirono quasi contemporaneamente di peste e lei tenta allora di abortire,
senza riuscirci, del nascituro che ebbe il nome di Gerolamo e che lasciò scritto
nella sua autobiografia. Dopo che mia madre tenta senza risultato dei preparati
per abortire, vengo alla luce a Pavia. Come morto, infatti, sono nato, anzi
sono stato strappato al suo grembo, con i capelli neri e ricciuti. Il bambino contrasse
la peste dalla sua balia, che ne morì, e fu allevato da altre nutrici. E trasferito
a Milano dal padre che anda ad abitare con lui solo quando ha solo sette anni,
età in cui prese ad accompagnare il padre nei suoi viaggi d'affari. Essendo
delicato di salute, si ammala gravemente. Solo dopo una lunga convalescenza
poté riprendere a viaggiare con il padre dedicandosi nel frattempo agli studi
di filosofia, nei quali ha modo di eccedere per le sue doti quando puo
iscriversi a Pavia e Mantova per studiare filosofia, contrariamente ai desideri
del padre che avrebbe preferito avviarlo agli studi giuridici. Lasciata
Milano in preda alla peste e sconvolta dalla guerra francese, si trasfere a
Padova e si laurea a Venezia. E oggetto dell'astio che molti tutori hanno nei
confronti di quello tutee geniale ma dal carattere scontroso e talora
offensive. Sono poco rispettoso e non ho peli sulla lingua, soprattutto mi
lascio trascinare dall'ira, al punto che poi mi dispiace e me ne vergogno. Riconosco
che tra i miei vizi ce n'è uno molto grande e tutto particolare: quello di non
riuscire a trattenermianzi ne gododal dire a chi mi ascolta ciò che gli risulta
sgradevole udire. Persevero in questo difetto coscientemente e volontariamente,
pur sapendo quanti nemici da solo mi abbia procurator. Nel frattempo a Milano e
morto il padre che ha regolarizzato la sua convivenza sposando la madre del
filosofo. Non potendo tornare a Milano per l'epidemia e la guerra, prese
dimora a Piove di Sacco. Esercita la sua professione a Gallarate. Ottenne
la cattedra per l'insegnamento della filosofia presso le scuole Piattine di
Milano, dove aveva insegnato anche il padre. La sua fama di esperto dottore si
accrebbe per aver risanato alcuni membri della famiglia Borromeo. Dovette
rifiutare alcuni incarichi di prestigio perché non retribuiti fino a quando e ammesso
nel Collegio dei medici di Milano. Accetta di ricoprire la cattedra di
filosofia a Pavia, rifiutando le offerte che gli venivano reiterate dal papa Paolo
III. Cura, con esiti positivi, l'arcivescovo di Edimburgo John Hamilton, malato
d'asma. Intuì probabilmente la natura allergica della malattia proibendo a
Hamilton di usare cuscini e materassi di piume. Per aumentare la sua fama volle
fare l'oroscopo all'arcivescovo e al re, e lesse nelle stelle un futuro radioso
per entrambi. Hamilton fu impiccato quasi subito dai riformatori. Il re muore
di tubercolosi. Rifiuta le prestigiose e ben retribuite offerte del re di
Francia e della regina di Scozia. Colpito da un doloroso avvenimento
riguardante il figlio Giovanni Battista, medico anche lui, che, nonostante gli
avvertimenti del padre, aveva voluto sposare una donna povera e di cattivi
costume. Per necessità economiche il figlio coabita dai parenti della moglie
avviando una convivenza caratterizzata dalla nascita successiva di tre figli e
da continui litigi dovuti anche alle infedeltà della moglie che egli decise di
uccidere, con la complicità di una serva, facendole mangiare una focaccia
avvelenata con l'arsenico. Arrestato subito per uxoricidio, il figlio confessa
il delitto e dopo un veloce processo, nonostante la difesa con tutti i mezzi
messa in atto dal padre, fu condannato alla decapitazione. Gerolamo, convinto
che la durezza della condanna fosse dovuta all'invidia dei suoi colleghi, per
sfuggire alle malevole voci che lo accusavano di intrattenere rapporti illeciti
con i suoi tutee, si trasfere a Bologna. Venne ulteriormente amareggiato dalla
condotta scapestrata del figlio Aldo che lo diffama per tutta la città e che
arriva a derubarlo così che il padre dovette denunciarlo alle autorità che
espulsero il figlio dal territorio bolognese. A questa disgrazia si aggiunse
inaspettata la notizia che si stava preparando contro di lui un'accusa di
eresia tanto che il cardinale Giovanni Morone gli consigliò di lasciare il
pubblico insegnamento della filosofia. Questa misura prudenziale non valse però
a salvare Gerolamo che fu arrestato per eresia assieme al suo tutee Rodolfo
Silvestri che non volle abbandonare il tutore. Non si conoscono le accuse
che gli erano rivolte dall'Inquisizione. Tuttavia si era distinto per una certa
imprudenza nei confronti della Chiesa, governata dal severo Papa Pio V, per
aver compilato un oroscopo di Gesù, la cui vita così sarebbe stata decisa dalle
stelle, scritto l'encomio di Nerone, persecutore dei cristiani, e soprattutto
per i suoi confidenziali rapporti con i circoli protestanti frequentati dal suo
tuteei, dal genero e dall'editore e tipografo dei suoi libri. Nonostante le
testimonianze a suo favore di quasi tutti i suoi tutee, C. fu messo in carcere
e poi agli arresti domiciliari sino a quando la Sacra Congregazione tramite
l'inquisitore di Bologna gli impose la professione dell'abiura prima in forma
grave (de vehementi) coram populo e successivamente in forma meno infamante (coram
congregationem). Si sottopose docilmente alla abiura promettendo in una
lettera a papa Pio V di non insegnare più pubblicamente filosofia (la cattedra
all'università gli era stata intanto tolta) e di non pubblicare altre
opere. Lasciata Bologna Cardano si trasfere, sotto la diretta protezione
di Pio V, a Roma dove fu ben accolto ma gli fu negata una pensione che gli fu
invece assegnata da Gregorio XIII che era stato suo tutee a Bologna..E ammesso
al Collegio romano. Si dedica alla composizione della sua autobiografia De vita
propria. Il punto focale della sua filosofia è il concetto rinascimentale di “uomo
universale" che dà alla sua ricerca della verità un contenuto
enciclopedico. Scrive più di duecento opere che solo in parte furono pubblicate
nel XVI secolo e che, altrettanto parzialmente, confluirono nei dieci volumi della
monumentale “Opera omnia” dove si trattano temi di metafisica, omosessualita,
mascolinita, il machio, il maschile, la medicina, scienze naturali, matematica,
astronomia, scienze occulte, tecnologia. Egli, che si occupa anche della
interpretazione dei sogni, della chiromanzia, della numerologia, del
paranormale rende difficile distinguere nella sua filosofia il contenuti
moderno del sapere dalle tradizioni metafisiche e magiche del passato. Vuole
arrivare a una sistemazione unitaria della molteplicità dei saperi così che la
nostra incerta conoscenza eviterebbe la confusione se potesse discendere
dall'uno ai molti. Ma questo obiettivo, di origine neo-platonica, sfugge però
all'uomo il quale allora è preferibile che occupi il suo intelletto in quei
campi dove riesce, quasi come un dio creatore o ‘genitore’ – o ingegnero, a
fare le cose. Questo avviene nell’aritmetica che si incarna nell'esperienza in
un rapporto astratto-concreto la cui definizione ancora non è in grado di
elaborare Dopo aver analizzato nel “De subtilitate” i molteplici principi
delle cose naturali e artificiali, si rivolge allo studio di tutto l'universo e
delle sue parti (De rerum varietate), che concepisce come legate da sim-patia
(attrazione) e anti-patia (repulsione) fra gli astri e l'uomo) e connessioni
che consentono al filosofo, che conosce il linguaggio della natura e gli effetti
degli influssi astrali sulla vita sessuale umana, di compiere quei
"miracoli naturali" che sono le magie, di elaborare previsioni
astrologiche e di stendere gli oroscopi delle religioni come quello dedicato a
Cristo. Il contributo in matematica Noto soprattutto per i suoi
contributi all'aritmetica, pubblica le soluzioni dell'equazione cubica e
dell'equazione quartica nella sua “Ars magna”. Parte della soluzione
dell'equazione cubica gli era stata comunicata da Tartaglia. Successivamente
questi sostenne che C. aveva giurato di non renderla pubblica e di rispettarla
come di sua origine. Si avvia così una disputa che dura un decennio. C.
sostenne di averne pubblicato il testo solo quando era venuto a sapere che il
Tartaglia avrebbe appreso la soluzione dalla voce dal bolognese Scipione del
Ferro. La soluzione di Tartaglia, pur essendo successiva a quella di Scipione
Dal Ferro (comunque mai pubblicata), risulta essere indipendente da questa. La
soluzione della equazione cubica è detta comunque di C.-Tartaglia. L'equazione
quartica venne invece risolta da Lodovico Ferrari, un tutee di C.. Nella
prefazione dell'“Ars Magna” vengono accreditati sia Tartaglia che Ferrari. Nei
suoi sviluppi delle soluzioni occasionalmente si serve del concetto di numero
complesso, ma senza riconoscerne l'importanza come invece saprà fare Bombelli. Nell'ambito
della scienza medica, l'esempio di Vesalio, che negli stessi anni aveva
contestato l'anatomia galenica, spinse C. a definire Galeno un cattivo
interprete di Ippocrate. Le sue critiche a Galeno erano comunque presentate
come parte integrante di un tentativo di recuperare una tradizione ancora più
antica e, si presumeva, più autentica. Fu il primo a descrivere la febbre
tifoide. Venne invitato in Scozia a curare l'Arcivescovo di Sant'Andrea che
soffe di asma probabilmente d'origine allergica. Seguendo i precetti di
Maimonide riusce a guarirlo utilizzando delle cure modernissime per l'epoca:
eliminare piume e polvere e mantenere una dieta controllata. Al ritorno dalla
Scozia si ferma a Londra, dove incontrò il re d'Inghilterra per il quale
redasse un oroscopo secondo il quale prospetta Edoardo VI una lunga vita seppure
turbata da alcune malattie. La sua fama di si diffuse in Inghilterra tanto da
interessare Shakespeare che nella "Tempesta" rappresenta un
personaggio molto simile a C. ed inoltre una prova della sua perdurante
popolarità può essere vista nel fatto che un’edizione del suo ‘De Consolatione’
è proprio il libro che Amleto tiene in mano quando recita il suo celeberrimo
monologo ‘Essere o non essere’. De subtilitate e il libro che Amleto tiene in
mano all'inizio del secondo atto, quando Polonio gli domanda cosa stia leggendo
e lui risponde: "parole, parole, parole". Progetta inoltre svariati
meccanismi tra i quali: la serratura a combinazione; la sospensione
cardanica, consistente in tre anelli concentrici collegati da snodi, in grado
di ospitare una bussola o un giroscopio, garantendo la libertà di movimento
dello strumento; il giunto cardanico, dispositivo che consente di trasmettere
un moto rotatorio da un asse a un altro di diverso orientamento e viene tuttora
usato in milioni di veicoli. Ma pare fosse già conosciuto, anche se porta il
suo nome perché appare nella sua opera De Rerum Varietate in una illustrazione navale. L'invenzione di
questo tipo di giunto in realtà risale almeno al III secolo a.C., ad opera di
scienziati greci come Filone di Bisanzio, che nella sua opera Belopoiika lo
descrive chiaramente. Egli dette svariati contributi anche all'idrodinamica. Sostene
l'impossibilità del moto perpetuo, con l'eccezione dei corpi celesti. Pubblica
anche due opere enciclopediche di scienze naturali che contengono un'ampia
varietà di invenzioni, fatti ed enunciati afferenti all'occultismo e alla
superstizione: il De Subtilitate e successivamente il De Varietate. Introdusse
la griglia cardanica, un procedimento crittografico.A Cardano è attribuito
anche il gioco rompicapo descritto nel De subtilitate, ma probabilmente
risalente a un periodo più antico, chiamato Gli anelli di C.. Altre opere: Della
sua vita avventurosa e molto travagliata, rimane testimonianza nella sua
autobiografia. Ebbe spesso problemi di denaro e per cavarsela si dedicò ai giochi
d'azzardo per i quali ha una vera passione di cui si pente. Così ho dilapidato
contemporaneamente la mia reputazione, il mio tempo e il mio denaro. (zeugma –
segnato da ‘dilapidare’ – denaro, dilapidare il suo tempo, dilapidare la sua
reputazione. Pubblica un saggio sulle probabilità nel gioco, “De ludo aleae”
che contiene la prima trattazione sistematica della probabilità, insieme a una
sezione dedicata a metodi per barare efficacemente. Oltre alla produzione
dialettica, di carattere più strettamente filosofico sono invece il De
subtilitate e il De rerum varietate, ampie raccolte delle sue osservazioni
empiriche e delle sue speculazioni occultistiche. Della sua produzione
filosofica sterminata possono considerarsi come le opere più importanti:
De malo recentiorum medicorum usu libellus, Venezia (medicina). Practica
arithmetice et mensurandi singularis, Milano. Artis magnae sive de regulis
algebraicis liber unus (conosciuta anche come Ars magna), Nuremberg. De
immortalitate. Opus novum de proportionibus. Contradicentium medicorum. De
subtilitate rerum, Norimberga, editore Johann Petreius (fenomeni naturali). De
libris propriis, De restitutione temporum et motuum coelestium; De duodecim
geniturarum -- commento astrologico a dodici nascite illustri. De rerum
varietate, Basilea, editore Heinrich Petri. Fenomeni naturali. De signo. De
causis, signis, ac locis Morborum. Bologna. Opus novum de proportionibus
numerorum, motuum, ponderum, sonorum, aliarumque rerum mensurandarum. Item de
aliza regula, Basilea (matematica). De vita propria. Proxeneta (politica).
Metoscopia libris tredecim, et octingentis faciei humanae eiconibus
complexa, Liber de ludo aleae, postumo (probabilità). Le sue opere vennero
raccolte e pubblicate a Lione in 10
volumi. L’Encomio di Nerone. A lui è dedicato il cratere lunare Cardano e
un asteroide. È intitolato a lui l'Istituto "G. Cardano" della sua città natale,
nel cui cortile interno è posta una scultura che rappresenta il giunto
cardanico, nonché infine l'omonimo collegio universitario pavese. La
blockchain "Cardano" (ADA) prende il suo nome, in quanto basata su un
approccio scientifico e matematico. Della mia vita. Somniorum synesiorum omnis
generis insomnia explicantes (Basilea). tti del Convegno, Castello Visconti di
San Vito, Somma Lombardo, Varese ed. Cardano); Università Bocconi. Equazione di
terzo grado" Il Rinascimento. Omeopatia
e allergie, Tecniche Nuove); Cardano, Edizioni Cardano, Il Prospero della
"Tempesta” somiglia tanto a Cardano
in Corriere. La tecnologia scientifica, in La rivoluzione dimenticata: il
pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli Editore); Il libro
della mia vita, Cerebro editore); Della mia vita, Alfonso Ingegno, Serra e Riva
editori, Milano). La formula segreta. Il duello matematico che infiammò
l'Italia del Rinascimento. ileae, per Ludouicum Lucium); “De propria vita”
(Milano, Sonzogno). Lugduni, sumptibus Ioannis Antonii Huguetan et Marci
Antonii Ravaud. Aforismi (Milano, Xenia). Palingenesi. Dizionario biografico
degli italiani. Il filosofo quantistico. L’avventure di Cardano, filosofo e
giocatore d'azzardo (Bollati Boringhieri, Torino Edizione); “La mia vita” (Milano,
Luni). Che sfortuna essere un genio. Indice delle Opera omnia Volume
1 Frontespizio Lettera dedicatoria Praefatio Vita
C. per Gabrielem Naudaeum Testimonia Elenchus
generalis Index librorum tomi primi Previlege du roy 1De
vita propria. De libris propriis. De Socratis studio. Oratio ad I. Alciatum
Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut Cerberi canis. Actio in Thessalicum
medicum. Neronis encomium. Podagrae encomium. Mnemosynon. De
orthographia De ludo aleae De uno Hyperchen. Dialectica Contradictiones
logicae Norma vitae consarcinata, sacra vocata Proxeneta De
praeceptis ad filios De optimo vitae genere De sapientia De
summo bono De consolatione Dialogus Hieronymi Cardani et Facii C.
ipsius patris Dialogus Antigorgias seu de recta vivendi ratione Dialogus
Tetim seu de humanis consiliis Dialogus Guglielmus seu de morte De minimis
et propinquis Hymnus seu canticum ad Deum De utilitate ex adversis
capienda De natura Theonoston seu de tranquilitate Theonoston
seu de vita producenda Theonoston seu de animi
immortalitate Theonoston seu de contemplatione Theonoston seu
hyperboraeorum historia De immortalitate animorum De secretis De
gemmis et coloribus De aqua De vitali aqua seu de aethere De
aceti natura Problemata Se la qualità può trapassare di subbietto in
subbietto Discorso del vacuo De fulgure De rerum varietate De
subtilitate In calumniatorem librorum de subtilitate (Archivio) Indice
rerum De numerorum proprietatibus Practica arithmeticae Libellus qui
dicitur, Computus minor Ars magna Ars magna arithmeticae De
aliza regula Sermo de plus et minus Geometriae
encomium Exaereton mathematicorum De proportionibus Operatione
della linea Della natura de principii et regole musicali De
restitutione temporum et motuum coelestium De providentia ex anni
constitutione Aphorismorum astronomicorum segmenta septem In Cl.
Ptolemaei de astrorum iudiciis De septem erraticarum stellarum
qualitatibus atque viribus. De iudiciis geniturarum De exemplis centum
geniturarum Geniturarum exempla De interrogationibus De
revolutionibus De supplemento almanach Somniorum
synesiorum Astrologiae encomium Medicinae encomium De sanitate
tuenda Contradicentium medicorum De usu ciborum De causis,
signis ac locis morborum De urinis Ars curandi parva De methodo
medendi De cina radice De sarza parilia Disputationes per
epistolas liber unus De venenis In librum Hippocratis de alimento
commentaria In librum Hippocratis de aere, aquis et locis
commentaria In septem aphorismorum Hippocratis commentaria In Hippocratis
coi prognostica commentaria In librum Hippocratis de septimestri partu
commentaria Examen aegrorum Hippocratis Consilia De
dentibus De rationali curandi ratione De facultatibus
medicamentorum De morbo regio De morbis articularibus Floridorum
libri sive commentarii in Principem Hasen Avicenna Vita Ludovici
Ferrarii Vita Andreae Alciati De arcanis aeternitatis (Archivio)
10.2Politices seu Moralium liber unus Elementa Graeca inventione De
naturalibus viribus De musica Artis arithmeticae tractatus de
integris (Archivio) 10.8Expositio Anatomiae Mundini In libros Hippocratis
de victu in acutis commentariaIn libros epidemiorum Hippocratis
commentaria De epilepsia De apoplexia De humanis civilibus
successionibus (Paralipomena) De humana perfectione
(Paralipomena) Peri thaumason seu de admirandis Paralipomena De
dubiis naturalibus (Paralipomena) De rebus factis raris et artificiis humana compositione naturalium De mirabilibus
morbis et symptomatibus (Paralipomena) De astrorum et temporum ratione et
divisionibus Paralipomena De mathematicis quaesitis Paralipomena Historiae
lapidum, metallicorum et metallorum (Paralipomena) Historiae animalium
Historiae plantarum De anima De dubiis ex historiis (Paralipomena) De
clarorum virorum vita et libris (Paralipomena) De hominum antiquorum
illustrium iudicio. De usu hominum et dignotione
eorum, tum cura et errore. De sapiente (Paralipomena. De vita propria. De libris propriis. De
Socratis studio. Oratio ad I. Alciatum Cardinalem sive Tricipitis Geryonis aut
Cerberi canis. Actio in Thessalicum medicum. Neronis encomium. Podagrae
encomium. Mnemosynon. De orthographia. De ludo aleae. De uno. Hyperchen.
Dialectica. Contradictiones logicae. Norma vitae consarcinata, sacra vocata.
Proxeneta. De praeceptis ad filios. De optimo vitae genere. De sapientia. De summo bono. De consolatione. Dialogus Hieronymi Cardani et Facii Cardani
ipsius patris. Dialogus Antigorgias seu de recta vivendi ratione. Dialogus
Tetim seu de humanis consiliis. Dialogus Guglielmus seu de morte. De minimis et
propinquis. Hymnus seu canticum ad Deum. De utilitate ex adversis capienda. De
natura. Theonoston seu de tranquilitate. Theonoston seu de vita producenda.
Theonoston seu de animi immortalitate. Theonoston seu de contemplatione. Theonoston
seu hyperboraeorum historia. De immortalitate animorum. De secretis. De gemmis
et coloribus. De aqua. De vitali aqua seu de aethere. De aceti natura.
Problemata. Se
la qualità può trapassare di subbietto in subbietto. Del vacuo. De fulgure. De
rerum varietate. De subtilitate. In calumniatorem librorum de subtilitate. De
numerorum proprietatibus. Practica arithmeticae. Libellus qui dicitur, Computus
minor. Ars magna. Ars magna arithmeticae. De aliza regula. Sermo de plus et
minus. Geometriae encomium. Exaereton mathematicorum. De proportionibus.
Operatione della linea. Della natura de principii et regole musicali. De
restitutione temporum et motuum coelestium. De providentia ex anni
constitutione. Aphorismorum astronomicorum segmenta septem. In Cl. Ptolemaei de
astrorum iudiciis. De septem erraticarum stellarum qualitatibus atque viribus.
De iudiciis geniturarum. De exemplis centum geniturarum. Geniturarum exempla. De interrogationibus. De revolutionibus. De
supplemento almanach. Somniorum synesiorum. Astrologiae encomium. Medicinae
encomium. De sanitate tuenda. Contradicentium medicorum. De usu ciborum. De
causis, signis ac locis morborum. De urinis. Ars curandi parva. De methodo
medendi. De cina radice. De sarza parilia. Disputationes per epistolas. De
venenis. In librum Hippocratis de alimento commentaria. In librum Hippocratis
de aere, aquis et locis commentaria. In septem aphorismorum Hippocratis
commentaria. In
Hippocratis coi prognostica commentaria. In librum Hippocratis de septimestri
partu commentaria. Examen XXII. aegrorum Hippocratis. Consilia. De dentibus. De
rationali curandi ratione. De facultatibus medicamentorum. De morbo regio. De
morbis articularibus. Floridorum libri sive commentarii in Principem Hasen
(Avicenna). Vita Ludovici Ferrarii. Vita Andreae Alciati. De arcanis
aeternitatis. Politices seu Moralium. Elementa Graeca. De inventione. De
naturalibus viribus. De musica. Artis arithmeticae tractatus de integris. Expositio Anatomiae Mundini. In libros Hippocratis de victu in acutis
commentaria. In libros epidemiorum Hippocratis commentaria. De epilepsia. De
apoplexia. Paralipomena. De humanis civilibus successionibus. De
humana perfectione. Peri thaumason seu de admirandis. De dubiis naturalibus. De
rebus factis raris et artificiis. De humana compositione naturalium. De
mirabilibus morbis et symptomatibus. De astrorum et temporum ratione et
divisionibus. De mathematicis quaesitis. Historiae lapidum, metallicorum et
metallorum. Historiae animalium. Historiae plantarum. De anima. De dubiis ex
historiis. De clarorum virorum vita et libris. De hominum antiquorum illustrium
iudicio. De usu hominum et dignotione eorum, tum cura et errore. De sapiente. Melanippus
and Chariton Italy Greek athletes Lovers separator. Hieronymus the peripatetic says that the loves of youths used to be much
encouraged, for this reason, that the vigour of the young and their close
agreement in comradeship have led to the overthrow of many a tyranny. For in
the presence of his favorite a lover would rather endure anything than earn the
name of coward; a thing which was proved in practice by the Sacred Band,
established at Thebes under Epaminondas; as well as by the death of the
Pisistratid, which was brought about by Harmodius and Aristogeiton. "And
at Agrigentum in Sicily the same was shown by the mutual love of Chariton and
Melanippus - of whom Melanippus was the younger beloved, as Heraclides of
Pontus tells in his Treatise on Love. For these two having been accused of
plotting against Phalaris, and being put to torture in order to force them to
betray their accomplices, not only did not tell, but even compelled Phalaris to
such pity of their tortures that he released them with many words of
praise. "Whereupon Apollo, pleased at his conduct, granted to Phalaris
a respite from death; and declared the same to the men who inquired of the
Pythian priestess how they might best attack him. He also gave an oracular
saying concerning Chariton - 'Blessed indeed was Chariton and Melanippus,
Pioneers of Godhead, and of mortals the one most beloved. M/M: Chariton and
Melanippus, Blessed Pair: Athenaeus, Deipnosophistae. Like the Athenian couple
Harmodius and Aristogeiton, the couple Melanippus and Chariton are also seen as
symbols of political freedom. Felix et Chariton et Melanippus
erat, mortalium genti auctores coelestis amoris. εὐδαίμων Χαρίτων καὶ Μελάνιππος ἔφυ, θείας ἁγητῆρες ἐφαμερίοις φιλότατος. Athenaeus, Deipnosophistae; Tr. into Latin by Iohannes
Schweighaeuser Chariton et Melanippus were blessed; Pinnacle of holy love
on
earth. ATHENAEUS MAP: Name: Athenaeus Works: Deipnosophists
REGION 4 Region 1: Peninsular Italy; Region 2: Western
Europe; Region 3: Western Coast of Africa; Region 4: Egypt and Eastern
Mediterranean; Region 5: Greece and the Balkans BIO: Timeline:
Athenaeus was a scholar who lived in Naucratis (modern Egypt) during the
reign of the Antonines. His fifteen volume work, the Deipnosophists, are
invaluable for the amount of quotations they preserve of otherwise lost
authors, including the poetry of Sappho. ROMAN GREEK LITERATURE
ARCHAIC; GOLDEN AGE; HELLENISTIC; ROMAN; POST CONSTANTINOPLE; BYZANTINE:M/M:
Melanippus and Chariton, Two Lovers of Freedom Athenaeus, Deip. XIII.78 Like
the Athenian couple Harmodius and Aristogeiton, the couple Melanippus and
Chariton are also seen as symbols of political freedom. ut ait Heraclides
Ponticus in libro De Amatoriis. Hi [Melanippus et Chariton] igitur deprehensi
insidias struxisse Phalaridi, et tormentis subiecti quo coniuratos denunciare
cogerentur, non modo non denuntiarunt, sed etiam Phalarin ipsum ad
misericordiam tormentorum commoverunt, ut plurimum collaudatos
dimitteret. ὥς φησιν Ἡρακλείδης ὁ Ποντικὸς ἐν τῷ περὶ Ἐρωτικῶν, οὗτοι φανέντες ἐπιβουλεύοντες Φαλάριδι καὶ βασανιζόμεναι ἀναγκαζόμενοί τε λέγειν τοὺς συνειδότας οὐ μόνον οὐ κατεῖπον, ἀλλὰ καὶ τὸν Φάλαριν αὐτὸν εἰς ἔλεον τῶν βασάνων ἤγαγον, ὡς ἀπολῦσαι αὐτοὺς πολλὰ ἐπαινέσαντα. Athenaeus, Deipnosophistae; Tr. in to Latin by Iohannes
Schweighaeuser. According to The Lovers by Heraclides of Pontus, [Melanippus
and Chariton] were caught plotting against Phalaris. Even when they were
tortured to provide the names of their accomplices, they refused. Moreover,
their plight moved Phalaris’ sympathy to such an extent that he praised them
and released them. ATHENAEUS MAP: Name:
Athenaeus Works: Deipnosophists REGION
4 Region 1: Peninsular Italy; Region 2: Western Europe; Region 3: Western
Coast of Africa; Region 4: Egypt and Eastern Mediterranean; Region 5: Greece
and the Balkans BIO: Timeline: Athenaeus was a scholar who
lived in Naucratis (modern Egypt) during the reign of the Antonines. His
fifteen volume work, the Deipnosophists, are invaluable for the amount of
quotations they preserve of otherwise lost authors, including the poetry of Sappho.
ROMAN GREEK LITERATURE ARCHAIC; GOLDEN AGE; HELLENISTIC; ROMAN; POST
CONSTANTINOPLE; BYZANTINE. KrisArmodio, che viene riparato dal
braccio sinistro del compagno più adulto. Quel gesto inavvertito o solo
genericamente descritto dalle letture critiche, tese più che altro alla
considerazione dei principali contenuti politico-encomiastici del gruppo si fa
segno leggibile invece di una categoria interiore trasversale a tutte le epoche
e alle geografie e tanto presente nello spirito antico quanto nel nostro:
l'omoaffettività. Un uomo della fine del VI secolo a.C., chiamato Aristogitone,
che aveva affrontato un rivale, oggi potrebbe chiamarsi Marco, Francesco o
Giovanni, e compiere un medesimo atto, allungando poi un braccio come uno scudo
su altri Armodio, dai nomi di Mario, Alessandro e Franco, per la reciprocità,
l'attaccamento, il calore e il mutuo soccorso che il sentimento di essere in
due sempre realizza. Quel gesto del braccio, inventato da Nesiotes e Kritios,
fissa dentro un modello di valore civico per la retorica libertaria il segno di
un amore. Armodio e Aristogitone tirannicidi ateniesi Lingua Segui
Modifica Armodio e Aristogitone (in greco antico: Ἁρμόδιος, Harmódios e Ἀριστογείτων,
Aristoghéitōn) furono gli ateniesi tirannicidi che cercarono di porre termine
al potere personale della famiglia di Pisistrato. Statua di Armodio
e Aristogitone, Napoli. Copia romana di originale greco perduto Sono noti come
"i tirannicidi" per antonomasia, che assassinarono il tiranno di
Atene Ipparco, ma vennero a loro volta uccisi dal fratello di costui,
Ippia. AntefattoModifica Pisistrato riuscì nel 534 a.C., dopo vari
tentativi (meno riusciti) negli anni precedenti, approfittando delle tensioni
che laceravano la città di Atene, ad assumere su di essa un potere personale.
Pisistrato fu un tiranno,[1] prese il potere con la forza, ma, a giudizio
unanime degli storici, fra i quali Erodoto, Tucidide e Aristotele, non ne abusò
per modificare le istituzioni di cui la città disponeva e governò più da
cittadino che da tiranno. Quando morì, i suoi figli Ippia e Ipparco gli
succedettero. Ippia, il figlio maggiore, tese a continuare nella politica
paterna, mentre Ipparcoebbe un ruolo minore nella tirannide, ma l'atteggiamento
del regime mutò profondamente in seguito alla fallita cospirazione. I
fatti si svolsero a quattordici anni dalla morte di Pisistrato. Tucidide
racconta che a far scattare la messa in atto della congiura vi furono motivi
personali di tipo sentimentale. Ipparco s'invaghisce del giovane Armodio che,
secondo quanto racconta lo storico Tucidide, "era allora nel fiore della
bellezza giovanile", dal che si deduce che doveva avere 15 anni. Armodio
era l'eromenos(giovane amante) di Aristogitone, descritto da Tucidide come
"un cittadino di mezza età" - probabilmente aveva 35 anni - e
appartenente ad una delle vecchie famiglie aristocratiche. Le relazioni
sessuali fra un uomo più anziano (l'erastès) e un giovane non erano di costume
sanzionate ad Atene ed altre città greche, sebbene tali rapporti non fossero
omosessuali nel moderno senso della parola, ma pederastici. Certe relazioni
erano governate da severe convenzioni, e le azioni di Ipparco per cercare di
rubare l'eromenos di Aristogitone erano un deciso affronto alle regole
(Tucidide dice aspramente che Aristogitone "era il suo amante e lo
possedeva"). Armodio rifiutò Ipparco e raccontò ad Aristogitone
cos'era successo. Ipparco, rifiutato, si vendicò ottenendo che la giovane
sorella di Armodio fosse esclusa dalla cerimonia di offerta alle feste
Panateneeaccusandola di non essere sufficientemente nobile. Questa offesa fu
così grande per la famiglia di Armodio che egli decise di assassinare, con la
complicità di Aristogitone, sia Ippia che Ipparco e rovesciare la
tirannia. L'uccisione di IpparcoModifica Il piano - che doveva essere
portato a termine con pugnali nascosti nelle corone di mirto cerimoniali -
coinvolgeva anche un certo numero di cospiratori, ma vedendo uno di questi
salutare amichevolmente Ippia il giorno fissato, i Tirannicidi pensarono di
essere stati traditi ed entrarono subito in azione, senza rispettare l'ordine
che si erano dati. Riuscirono così ad uccidere Ipparco, pugnalandolo a morte
mentre stava organizzando le processioni delle Panatenee ai piedi
dell'Acropoli, ma perirono per mano delle guardie del tiranno senza scatenare
ribellioni. Aristotele, nella Costituzione degli Ateniesi, tramanda una
tradizione che vede la morte di Aristogitone avere luogo solo dopo una tortura
volta alla speranza che questi indicasse il nome degli altri cospiratori.
Durante la sua agonia, personalmente sovrintesa da Ippia, questi finse
benevolenza affinché egli tradisse i suoi cospiratori, sostenendo che la sola
stretta di mano del tiranno sarebbe bastata per garantirgli la salvezza. Nel
ricevere la mano di Ippia si dice che Aristogitone l'abbia criticato per aver
stretto la mano dell'assassino di suo fratello, al che il tiranno cambiò
immediatamente idea e lo uccise sul posto. Allo stesso modo, una
tradizione dice che Aristogitone fosse innamorato di una etera dal nome di
Leaena(leonessa) che era ugualmente tenuta in tortura da Ippia - in un vano
tentativo di costringerla a divulgare i nomi degli altri cospiratori - finché
questa morì. Si diceva che era in suo onore che le statue ateniesi di Afrodite
furono da allora accompagnate da leonesse [secondo Pausania].
L'assassinio del fratello portò Ippia a stabilire una dittatura ancora più
severa che fu molto impopolare e che venne rovesciata, con l'aiuto di un
esercito proveniente da Sparta, nel 510 a.C. Questi eventi furono seguiti dalle
riforme di Clistene, che stabilì in città la democrazia. La fama
successivaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Gruppo dei Tirannicidi. La mitologia successiva venne così ad identificare le
figure romantiche di Armodio e Aristogitone come martiri della causa della
libertà ateniese, e divennero noti come i Liberatori (eleutherioi) e
Tirannicidi (tyrannophonoi). Secondo scrittori successivi, ai discendenti di
Armodio e Aristogitone furono concessi privilegi ereditari come la sitesis (il
diritto di mangiare a spese pubbliche al palazzo del governo cittadino),
l'ateleia (esenzione da certi doveri religiosi), e la proedria (posti in prima
fila a teatro). Visto che non si sa se Armodio abbia avuto discendenti (è
inverosimile che li abbia avuti anche Aristogitone), questa potrebbe essere
un'invenzione seguente, ma illustra la loro fama postuma. La storia d’Armodio
e Aristogitone, e come venne trattata dai successivi scrittori greci, è
dimostrativa dell'attitudine nei confronti dell'omosessualità al tempo. Sia
Tucidide che Erodoto dicono che i due erano amanti senza commentare il fatto
presumendo la familiarità dei loro lettori con tale pratica sessuale
istituzionalizzata senza trovarvi stranezze. Per esempio, il politico
Timarco è perseguito per ragioni politiche per il fatto che si è prostituito.
L'oratore che lo difende, Demostene, cita Armodio e Aristogitone, così come Achille
e Patroclo, come esempi degl’effetti benefici delle relazioni omosessuali. Con
la celebre spiegazione di Cornelio Nepote, nel mondo greco vienne chiamato
tiranno chi è signore di una città precedentemente libera Voci correlate Omosessualità
militare nella Grecia antica Omosessualità nell'Antica Grecia Pederastia greca
Tirannide Aristogitone e Armodio, in Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Armodio e Aristogitone, su Enciclopedia Britannica.
La storia d’Armodio e Aristogitone. Da: Projet Androphile. Portale Antica
Grecia Portale Biografie Portale LGBT PAGINE CORRELATE Ipparco
(tiranno) tiranno di Atene, figlio di Pisistrato Ippia (tiranno) tiranno di Atene, figlio di
Pisistrato Leena di Atene etera ateniese --se Sive Œconomia omnium Operum
Hieronymi Cardam, forum. Signum t prifixum, ea denotat, qui modo in Iuccm
prodeunt. PHILOLOGICA, Logica, Moralia.Vita propria, Libet. Ephemerus, de
Libris proprii». SPe|[)K De Libris propriis, eoruaaquevfu.exeditRovilliji. ltMriijs De Libris
propriis et eorum usu, ex edit.
Henricpetr. V Aeca De Socratis (ludio. Oratio ad Cardinalem Alciatum, (ive
Tricipitis Geryonis, aut Canis
Cerberi. In Theffalum Medicum, Attio secunda. Encomium Neronis. Encomium Podagri.
Mneroofynon. De Orthographia. De
Ludo alel. DIALETTICA.
Contradictiones logici. De Vno.
Hyperchen. Norma viti confarcinata.facra
vocata. Proxeneta, feude Prudentia ciuili. De
Priceptis ad filios. De
Optimovitx genere, De Sapientia. De Summo bono. De Consolatione. Dialogus Hieton.
Cardani, et Facij Cardam patri».
Dialogus Antigorgias, feu De retta vivendi ratione. Diaiogus Tetim, feu
De humanis confiltii. Dialogus De morte, feo Guglielmus. De Minimis et propinquis.
Hymnus, feu Canticum ad Deum, Moralia quidam, Physica. Vtilitate ex adversis
capienda. De Natura, Thconofton de Tranquillitate. Dialogus de Vita producenda,
feu Thconofton Thconofton. dc Animi immortalitate. Thconofton feu de Contemplatione. MTheonofton
seu Hyperboreorum. De Immortalitate animorum. De Secretis. De Gemmis, et coloribus.
De
Aqua. Dc Vitali aqua, seu aethere. De
Aceti natura. Problematum
fc&ionesfcptcm. Discorso del Vacua. Se la qualita puo trapaliare di
subbietto in subbietto. Dc fulgure. Physica. De subtilitate. Aftio prima in
Calumniatorem librorum dc Subtilitate. DcKcrum varietate. Arithmetica,
Geometrica, Mufua. t 1 A E Numerorum proprietatibus, Pradtira Arithmetica. Computus minor. Artis magnx, sive de Regulis
Algebraicis. Liber Artis magnx,
five quadraginta capitulorum, Si quadraginta quxftionum. De
Aliza regula. Sermo de plus fcminus.
Exxreton mathematicorum. Encomium Geometnx. Operatione della linea, De Proportionibus
numerorum, motuum, ponderum, f onorurm, Delia natura deprincipij, e regolo Muficali. AJlronomica, AJlrologica,
Onirocritica, DE Reftitutione temporum et motuum cacleftium. De Prouidentia ex
anni conftitutionei Aphorifmotum Aftronomicorum fegmenta feptem. Commemarij in
Ptolcmxum, de Aftrorum judiciis. De
feptem Erraticarum ftellarum
viribus. De
Interrogationibus. De ludiciis geniturarum. De Exemplis cdhtum
geniturarum. Liber duodecim genurarum. De Revolutionibus. De fupplemento
Alraanach. Somniorum Synefiorum libri. Medicinalium primus. Ncomiutn Medicini, De Sanitate
tuenda. Contradicentium Medicorum Ubii duo, olim' impreffi, nunc audtiores.
Contradicentium Medicorum Libri
o&opofteriores, nunc primum in lucem emergentes. Medicinalium
fecundus. LVfu ciborum. De Causis,
Signis, ac locis morborum. De Vrinis. Ars curandi parva. De Methodo medendi,
fettiones tres priores.dempta quarta que Confilia quidam continebat, fuo loco redituta. De Radice Cina- De Cyna radice, seu de
Decodis magnis. De Sarza parilia. De
Oxyinelicis usu in plcuritide. De Venenis Commentarij in librum
Hippoc. de Alimento. Medicinalium
tertius. Commentarij in librum Hippocr. De Aere, aquis, et locis.
Commcntarij in Aphorismos Hippocratis. Conclufiones de Lapidibus Galeni in explicatione Aphorifmoru. Apologia ad Andream
Camutium. Commcncarij in lib. Prognofticorum Hippocrati. Medicinalium quartus et poliremus. Commentarij in
lib. Hippocr. De Septiroeftri partui
Examen agrorum Hippocr. in Epidem. Lonliha varia partim edita,
partimhaidenusanecdota. Opufcula
Medica lenii ia, (eu
de dentibus De
Dentibus, liber cjuintus, seu de morbis articularibus. Floridorum
s ive Comtnent. in Principem Hazen.Vita Ludovici Ferranj, et Alciaci. Miscellanea, ex Fragmentis, et
Paralipomenis: L fragmenta. EArcanis
xternitatis,tractatus. Politica, seu Moralium, Laber vnus. Elemehta lingua:
Grscx. De Inventione.V. t De Naturalibus
viribus, traftatus. De Musica. De Integris, traftatus
Arithmeticus. Expositio Anatomix Mundini-Commentarij in libros Hippocr. de
Viftu in acutis. Commentarij in duos libros priores Epidem.Hippocr. De
Epilcplia, traftatus. De Apoplexia. PARALlFOMENON
Itbri. De humanis ciuilibus fucceffiombus. De humana perfectione. HI. tn«o',
feude Admirandis.De dubiis naturalibus, De rebus faftis raris,
et artificits. M.S. De humana compolitione naturalium.
De mirabilibus morbis Stfymptomatibus. Deaftrorum et
temporum ratione et divisionibus. De mathematicis quxlitis. Historix
lapidum, metallicorum et metallorum. Hiftorix
animalium. Hiftorix plantarum. De anima. De dubiis ex hiftoris.
De clarorum virorum vita Selibris. De hominum antiquorum illuftrium judicio.
De vfu hominum, et dignotione eorum,
tum cura Sc errore. De sapiente. Hieronymus
Cardanus. Hieronimo Cardano. Gerolamo Cardano. Keywords: masculinity, machio –
maschile, Prospero, De signo, De signis, de Casis, signis, ac locis Morborum,
ten volumes of “Opera omnia” analytic index – he wrote about almost everything
– including logic, dialettica, metafisica, psicologia, anima, fisionomia,
same-sex, he criticised Galenus for not realizing the distinction that at 14, a
puer becomes an adolescent – his oeuvre is being examined in masculinity
studies – masculinity Italian, Bolognese masculinity. He claimed that Bolognese
males were ‘tasteful’ and underrated compared to Milaenese or Florentine males
– he lived all over the place – he had many tutees, whose names survive – he
was possibly paranoid – Silvestri was his best known tutee –analytic index of
“Opera Omnia” -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cardano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cardano: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale del Pietro della Lombardia – scuola di Lumellogno
– filosofia lombarda – filosofia novarese – filosofia piemontese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Lumellogno).
Filosofo lombardo. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Lumellogno, Novara,
Piemonte. lombardia -- Grice: “If William was called Ockham, I should be called
Harborne, and Petrus Lombardia!” --
Pietro Lombardo rappresentato in una miniatura a decorazione di una
littera notabilior di un manoscritto Pietro Lombardo o Pier Lombardo
(Lumellogno di Novara, 1100Parigi, 1160 circa) teologo e vescovo
italiano. Nacque a Novara o nei dintorni (a Lumellogno esiste una lapide
su di una casa che risorda il luogo della nascita), all'inizio del XII secolo.
Ricevette la sua prima formazione teologica a Bologna, dove acquisì una
perfetta conoscenza del Decretum Gratiani. Si recò a Reims e poi a Parigi, dove
fino alla sua elevazione alla sede vescovile di questa città insegnò teologia.
Almeno una volta in questo periodo si recò alla corte pontificia, dove venne a
conoscenza della traduzione del De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno,
compiuta da Burgundio Pisano per incarico di Eugenio III. Quasi certamente è uno
dei teologi che nel sinodo parigino presero posizione contro Porretano.
Dopo un breve episcopato morì. Il suo epitaffio si conservò nella chiesa di
Saint Marcel fino alla Rivoluzione francese. ALIGHIERI (si veda) lo nomina in
Paradiso. Oltre ai commenti all'opera di Paolo di Tarso e ai Salmi, la sua
opera maggiore rimane il Liber Sententiarum (Libro delle Sentenze), per la
quale ottenne l'appellativo di Magister Sententiarum. Sebbene il testo rientri
in un genere letterario tipico della teologia medievale, ossia l'esposizione
delle sentenze delle autorità di fede (i padri della chiesa ed i riferimenti
biblici) l'opera del Lombardo, per l'ampiezza delle fonti e la sua originalità,
diverrà il testo di riferimento per la didattica nelle facoltà di teologia e
l'elaborazione letteraria nello stesso campo. Egli infatti attinge ad una vasta
letteratura in merito, adottando anche testi che normalmente non erano
contemplati in queste composizioni, come Il De fide ortodoxa di
Damasceno. Con la sua opera il Lombardo tenta di sistematizzare e
armonizzare la disparità e le divergenze che la pluralità delle auctoritates
aveva generato, dando luogo ad un certo scompiglio ermeneutico e dottrinale. Riprendendo
la classica distinzione agostiniana tra signa e res, Lombardo afferma che il
motivo delle divergenze non appartiene alla natura delle cose trattate, bensì
alla metodologia esegetica. Il testo si divide in quattro parti: la
prima tratta di Dio, della sua natura e dei suoi attributi; la seconda delle
creazione degli angeli, del mondo e dell'uomo sino al peccato originale; la
terza dell'incarnazione cristica e della promessa della Grazia; la quarta dei
sacramenti. Anche lo sviluppo del testo mantiene la distinzione tra res (le
prime tre parti) e signa (l'ultima) Lo stile del Lombardo snoda l'esposizione
delle sentenze coll'eleganza dialettica di tipo anselmiano mantenendosi
aderente al rispetto delle varie auctoritates anche riguardo o stile letterario
col quale egli opera una volontaria mimesi. Il testo venne criticato sin
dalla sua prima uscita per via del cosiddetto nichilismo cristologico. Lombardo
descrive infatti l'incarnazione nei termini di assumptus homo, ossia la persona
divina del Cristo avrebbe assunto una natura umana (accessoriamente). Ciò
contrastava con la determinazione di origine boeziana per la quale la natura
cristologica traeva la sua forma da un sinolo unico di divino ed
umano. Note Per approfondimenti
vedere: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag.30 e seg. Novara, Istituto Geografico
de Agostini, per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I contenuti di questo
volume sono tratti da: Abbagnano, Storia della filosofia, Torino, Pomba, e
Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da
Giovanni Fornero, Torino, Pomba 1998)
Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag. 37 e seg. Novara, Istituto
Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I
contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della
filosofia I, II, III, quarta edizione,
Torino, Pomba, e Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata
ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Pomba); Colish, C., Leiden, Brill; C. Atti
del Convegno: Todi, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull'alto
Medioevo, Minuscule 714il manoscritto del Nuovo Testamento e di
"Sententiae". Libri Quattuor Sententiarum Scolastica (filosofia) C.
su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pelster, Pietro Lombardo, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su Enciclopedia
Britannica, Siri, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia; C., openMLOL, Horizons Unlimited, C., Les Archives de littérature du Moyen Âge; C. Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. Rovighi, C., in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, C., Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina con indici
analitici.Chisholm, C., in Enciclopedia Britannica, Cambridge; Illustrare 'k
iSlosofia di C. finora casi trascurata
dagli' storici della filosofia è im lavoro del tutto nuovo spedialmente
per lltalia. Protois affe!rim»a decisamente che C. non è un
filosofo, Thaureau ch'egli è il principe degl’indifferenti in materia fìlosofica.
Entrambe le asserzioni sono affrettate. Solo in Germania C. venne
studiato con maggior serietà e con particolare attenzione! Kogel pubblica a
Lipsia una monografia su C. Questa però parve confusa ed inesatta ad Espenberger
che intraprese un studio acuratissimo della filosofia di C. e della posizione
sua nel Beitràge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalter diretti
da BàumJcer e Herttìng. Di tale pubblicazione mi servii in special modo [Notre
auteur ne fui donc pas un philosophe.] De la philosophie scolastique Paris, [Cesi lui qua notes
reconnaissons corame le chef des indiffèrents en matière de philosophie. C. in s. Stellung z. Phil. d.
Mittelal, Leipzig. Die philosophie des C. und ihre Stellung im vwblften
Jahrhundert. Aschendorffschen Milnster] per questi
miei appunti sulla filosofìa di C. sebbene mi pervenisse al momento di
stenderli e troppo lardi per farne Fesaane minuto che essa si merita.
Poiché è veramente questo il primo saggio che si occupa con severa e
profonda indagine critioa della filosofia del Maestro delle Sentenze. L'autore dimostra
una profonda conoscenza delle opere patristiche e delle scritture sacre
colle quali esercita opportuni raffronti. Egli non si è poi solo limitato
all'esame del Libro delle Sentenze, ma ha giustamente esteso le sue
indagini alle altre opere meno conosciute di C. e pure ricche di
impvortanti digressioni filosofiche, quali il Commentano o Gloessa dei
Salmi detto anche Salterio, ed i Commentarli alle Epistole di S. Paolo. Solo
non ha tenuto conto dei Sermoni che sottio tra le cose più interessanti se
non più belle del Sentenz.iario, pur nel severo giudizio di Hanreau e
Bourgain, di cui Protois ha tratto dai mss. degli utili estratti mentre
se ne trova l'intero testo con poche varianti nelle Opere Omnia del
vescovo Ildeberto. Essi sono utili per completare la figura intellettuale
di C. Del quale a questo punto ripeleremo le parole: sed terrei
immensitas laboris. In verità quantunque grande sia la nostra buona
volontà non ci dissimuliamo la vastità del lavoro intrapreso: onde lo
restringeremo entro i limiti a noi concessi, raffigurandoci un poco a
quello spigolatore che move fidente sulle orme dei più abili mietitori
pago di fare un piccolo fascio delle spighe dimenticate. HAUREàU Not. et Extr. t. Ili p.
49. BouBGAiN. La chaire firancaisc au XII siede Paris, cfr. FjsBitT (La faculiè de Theol.). I Padri della Chiesa iniziarono la filosofia
oristiana, ma in forma espositiva, avendo ripugnanza a sottopome troppo
minute dimostrazioni le verità rivelate. È secondo il pensiero di Gregorio una
profanazione fassoggettare il verbo divino ALLE REGOLE DI DONATO. Ma quando, prima
chei si diffondessero per tutta Europa le opere di Aristotile, si attese
a studiare con amore i libri dell’Organum tradotti da BOEZIO, si accede quella
tendenza già iniziata nei secoli antecedenti a fortificare il dogma col
sillogismo e l'autorità della ragione. Da questo connubio della teologia
colla dialettica del LIZIO nasce la scolastica la quale se ha i suoi
precursoiri nei primi secoli del cristianesimo non riconosce i suoi
veri fondatori che nel secolo di Abelardo e di C. Essa nasceva per una
necessità di rendere più conformei la fede al sapere più progredito. E se
da una parte non cessa di fiorire la .scuola dei mistici con Bernardo e
gli Ai tempi di Abelardo e di C. non si possede altro d'Aristotile
che la logica, cioè ciò che si chiama l'Organum e comprende: le Categorie
coll'introduzione di Porfirio, l'Ermeneutica, gl’Analitici, i Topici, la
Sofistica nella traduzione di Boezio, (Cousm Fragments philosophiques
Paris) abati Ugo e Riccardo di S. Vittore, da un'altra il
mal compresso bisogno di libertà di pensiero apre la via ad
interminabili dispute quali giungevano talvolta ad intaccare il dogma, come
accadde per Abelardo. C. apparve come moderatore tra le due opposte
tendenze: la mistica e la speculativa, e valendosi dello stesso
metodo dialettico usato dagli avversarti eerli si propose di dimostrare
come le apparenti contraddizioni che si rileivano nelle Scritture sacre e
patristiche rischi'arate dalla ragione riconducono a rinvigorire maggiormente
te verità della fede. C. però nel Prologo delle Sentenze si scaglia
contro coloro qui non rationi voluntatem suhiiciunt, che la ragion
sommettono al talento, traduce ALIGHIERI, e vogliono fare credere per
verità, i sogni di lor mente inferma. Qui non irationi voluntatem subiiciunt,
nec doctrinae studium impendunt, sed his quae somniarunt sapientiae verba
coaptare nituntiu, non veri sed placiti etiam sectantes. C. è dunque
tenuto dallo stesso compito che egli si era pronosto, cioè di dimostrare
cHte nelle scritture sacre non v'ha vera sconcordanza e che ogni
ragionamento umano si riduce in ultima analisi a dimostrarne la veracità
assoluta, a non imporra egli stesso nuove e diverse dottrine le auala lo
avrebbero condotto fuori della sua serena imparzialità. Se ciò si possa
chiamare indifferentismo io non so, poiché il Maestro delle Sentenze non
sdegna di entrare e di approfondirsi nelle più minute distinzioni e
controversite fìlosofìche, cosi care ai suoi tempi, sforzandosi con passione
di ricavarne le verità da lui srià piresupposte. Nella sua umiltà che
diventò poi lefir-srendaria esrli preferisce lasciar la parola affli
altri, a Gerolamo, ad Ambrogio, e specialmente ad Agostino che è il stio
autore preferito come quello che suipera tutti srli altri padri per
profondità di vedute e copia d’argomenti nelle questioni fondamentali del
dogma. Ma non è vero che il Maestro rimanga empire nascosto e non
ap- [Questi ultimi conobbero oltre Aristotile anche Platone a cui
sembrano dare la preferenza e non furono del tutto stranieri alle vedute
dei neoplatonici. V. Bòbba La dottrina dell’intelletto in Aristotile e
nei 8140Ì pie illustri commentatori; paia di tratto in tratto a mostrarci
la via da seguire, per non perderci nel djedalo inestricabile delle
questioni. JJei «resto i più che hanno parlato di C. si sono
aoconlentati di scorrere i libri delle Sentenze: non hanno letto i suoi
lunghi e lucidi Commentarii alle Epistole di Paolo, e neppure quelli ai
Salmi che egli riunì sotto il titolo sintetico di Psaterium, nom^ i sjuoì
ispirati Sermoni che si trovano manoscritti alla Biblioteca Nazionale
di Parigi, e stampati tra quelli del vescovo Ildeberlo. In tutte
queste opere C. non è solo un puro e disadorno espositore di dottrine.
Certamente il Maestro va considerato precipuamente mei suo saggio delle
Sentenze, il quale lormò testo nelle scuole ed è letto e commentato più
della Bibbia mentre le altre opere vennero più presto dimenticate. Ma
anche qui se egli non espone dottrine nuove, ha però il merito grande e
riconosciuto da tutti gli storici della filosofia di distribuirle con
metodo razionale, cosi che esse ricevevano lume le une dalle
altre. Metodo già sperimentato con altro intento d’Abelardo, ma dal
Nostro condotto a singolare perfezione. Egli slesso sull'autorità d’Agostino,
espone l’ordine col quale si deve disputare. (Sent.): Gaeterum, ut in primo libro de
Trinitate Augustinus docet, primo secundum auctoritates Sanctarum
Scripturanim utrum fides ita ee habeat demonstrandum est. Deinde adversus
gamilos ratiocinatores elaliores magis quam capaciores, rationibus
catholicis et similitudinibus congniis ad defensdonem et assertioneim
fidei utendum est; ut eorum inquisitionibus satisf<icientes, mansuetos
plenius instruamus et illi si nequiverunt invenire quod quaerunt, de suis
menlibus polius quam de ipsa veritate vel de nostra assertione conquerantur. . Il
Deniflb in Carivi, Univer. Paris IntrodttcHo Methodus Abaelardi in IHo etiam
opere quod in schoh's Theologiae per aliquot saecula adhibebatur usurpata
est, dicimus Sententias Magistri C.Per queste come per le altre numerose
citazioni delle opere di C. ci serviamo della Patrologia dil Migne,
Paris. Fu in apecia»! modo ai metodo da mi usato che si deve J'eaiorme
diffusione del libro delle Sentenze nelle scuole. Esso nel mentre veniva a
soddisfare la naturiate curiosità del conoscere ed a dare la spiegazione
di molte credenze poneva dei limiti alla libertà del raziocinio. Ma
vienne sempre lasciato un cantuccio alle discussioni intermmabili sulle
questioni minori, dalla risoluzione delle quali in un senso o in un altro
poco aveva a soffrirne l'ortodossia. yui si esercitavano le intelligenze,
inquisitionibus satisfacientes, SMANIOSE DI SOTTILIZARE e di
sillogizzare, con tanta maggior sicurezza, quanto minore era il pericolo
di intaccare la fede. Lo stesso C. nel suo saggio non si trattiene
dal diffondersi nell'esame di questioni che a noi sembrano del tutto FUTILI e
vane come quelle ad esempio che riguardano la natura degli angeli. E non è raro anche il caso che le lasci
insolute. Cosi nel libro I, laddove domanda perchè mentre amare è
lo stesso che essere, si dice che il Padre ed il Figliuolo non sono
in essenza costituiti dell’amore col quale si amaaio scambievolmente, CONFESSA
MODESTAMENTE CHE LA QUESTIONE GLI SEMBRA TROPPO DIFFICILE e che egli si propone
più di riportare le dottrine dei Padri che di accrescerle: Diffìcile mihi
fateor hanc quaesti onem, praecipue cum ex praedictis oriatur quaei
siniilem videntur habere rationem quod meaei intelligentiae attendens
infirmitas turbatur, cupiens magis ea dictis sanctorum referre. Il De Vulf, Hist,
de la phil. Medievale, Louvain, come il Dknefle da un troppo reciso
apprezzamento. Ces sinthèses
thèologiquea, dont la premiere idee semble appartenir à Abelardo ètaient
appellées a un succès immense. Il faut en chercher le secret dans le besoins de
la classification et d' orgànisation qu^on eprouvait devant la masse des
materiaux rassemblès, bien plus que dans l’originante de ceux qui ont
appose leur signature a ce travail de mise en oeuvre. Cosicché il libro fatto per conciliare ogni
controversia sembrò sortire l'effetto contrario. Erasmits in Mattaei I,
iP (cit. Da Fabricius, Bib. m. aevi) e Siquidem apparet illum hoc egisse
ut semel collectis quae ad rem pertinpbant, questiones omnes excluderet.
Sed ea res in diversum exiit. Videmus enim ex eo opere nunquam
fìnìendarum quaestionum non exanima sed maria prorupisse. Flettrt,
Hist eccl. Paris] ri quam uff erre >k E limsce col
coaicmiDa^e. Eam
tameu quaestionjeon leolorum ddligentiae plenius dijudicandam atque
absolvendam ireiiinquimus ad hoc minus sufficientes. Perciò l'opera del
Sentenziario ha un intento assai modesto, né presume di sciogliere ogni
dubbio e di dirimere ogni questione. Qui il Maestro risentei della scuola
di Abelardo il quale (nel trattato Sic et non riconosceva ai pastori il
diritto di emendare le opere dei dottori della Chaesa (Migne) « Hoc et
ipsi eccleisiastici dactores attendentes et nonnulla in suis operibus
corrigenda esse credentes posteris suis emendaindi vel non sequendi licentiam
concesserunt ». E il nostro C. così dice di sé: (Sent. in prol.): In hoc aulem tractatu, non solum pium
leolorem, sed etiam correctionem desidero, maxime ubi prolunda versatur
veritatis quaestio, quae utinam tot haberet inventores quot habet
contradictores ! » Il libro delle Sentenze dove così riuscire più
accetto giacché il giogo del dogma era imposto alla libera riflessione
del pensiero con assai più illuminata larghezza che non fosse abitudine
del passato. Tanto che parve a più d'uno dei suoi contemporanei la sua
dottrina pericolosa e Giovanni di Goimovaglia potè chiamarlo uno dei
quattro labirinti della teologia ponendolo allo stesso livello di GijDerto
Porretano, Pietro di Podtiers, Abelardo. Scopo di C. è di fare un
trattato che risparmiasse al lettore tempo e fatica. È per rispetto
ai suoi tempi un volgarizzatore della scienza teologica dispersa ne^
libri canonici e negli scritti malagevoli dei Padri e incompiutamente
contenuta nei libri di Abelardo, PuUeyn, Ugo di S. Vittore. Egli compila una
specie di Enciclopedia teologica ove il lettore avesse a trovare senza
sforzo tutto quanto gli facesse al ciaso. Però avverte nel Prologo. «
JNon igitur debet hic labor cuiquam pigro vel multum docto videri
superfluus, cum multis impigris multisque indoctìs, inter quos etiam et
mihi, sàt necessarius: brevi volumine complicans Patrum sentias,
appositis eonim testimoniis ut non sit necesse quaerenti librorum numerositatem
evolvere, cui brevitas quod quaeiritur oBert sine labore». E
cosi nel distribuire la materia egli seguì un nuovo ordine sistematico e
compiuto non seguito né da Ugo di S. Vittore, né da Roberto PuUeyn, né da
Abelardo {Am quali pure trasse assai dalle sue doltrine) e pose a ciascun
capitolo un titolo per facilitare le ricerche (Sani, in prol.) Ut autem quod
quaeritur facilius occurrat, titulos quibus singnlarum capitula
dislingumitur praemisimus. Relijiiooe e scieoza.
Giovanni Scoto Erigena afferma che la teologia e la
filosofia sono una sola e una medesima scienza (1). Ma giustamente si
poa&ono fare a questo punto delle riserve perché la scuola e la
chiesa si accodano nel dire che l'ordine della ifede non é Tordine della
jnagione e che sia pei filosofi come per i teologi vi sono dei limita al
proprio dominio. Con lutto ciò la ragione e la fede non riusdroTio
mai a vivere completamente separate. Ed a torto credano alcuni che si
cominciò propriamente dalla scolastica a coffiy ciliare colla scienza la
religione. Anche ai primi Padri della Chiesa piacque di giovarsi di
entrambe e Clemente Dragone, Agostino, sono nello stesso tempo filosofi
e teologi. L'opposizione alla filosofìa come indegna di essere
applicata ai veri divini, non fu più propria e peculiare dell'età
patristica che della scolastica, le quali non sono già in opposizione, ma
Funa é naturale svolgimento dell'altra. Questo sforzo di comporre il dissidio
ira Taulorità e la speculazione filosofica si continuò per tutta i se^
coli fino al nostro SERBATI che parlando dell età dei Padri e dei
Dottotti scrive. L'uomo allora sentiva altamente che la teologia non era
divisa da luii, e che, sebbene ella travalicasse, per l'origine e la
sostanza, i limiti della natura, passava dal ragionevole al rivelato,
quasi ascendendo da un palco in* (1) De praedestinatione
(Collection de Mangin). Coniicitur inde veram esse philosophiam veram
religionem, conversimque veram religionem esse veram philosophiam, cit. in
Coasin Cours de la phU, I p. 344. feriare ad un altro superiore
dello slesso palagio delia mente, con un solo disegno da Dio
fabbricatogli. La teologia in quell'età era senza contrasto
la conduttrice e la custode di tutte le altre scienze, la signora delle
opinioni. Chi avrebbe allora pensato che sarebbe venuto un altro tempo in cui
alcuni pensassero doversd la teologia dividere interamente dalla FILOSOFIA?
Vediamo ora in quale rapporto si tirovassero le verità teosofiche colle
verità filosofiche nel pensiero di Lombardo. Il Maestro si attiene in
massima alle parole d’Agostino (sup. Joan). Credimus ut cognoscamus, non
cognoscimus ut credamus. E nella distinzione XXII del libro III, là dove
esaminia si Christus in morte fuit homo, e risponde che benché Pietro morì come
uomo, tuttavia era in morte Dio ed uomo, non mortale e non
immortale, e tuttavia vero uomo, dice a coloro che voglioo io
troppo sotìsticare sulla ragione di ciò. Illae enim et Jiujusmodi
argutiae in creaturis locum habent sed fidei sacramentum a philosophicis
est liber. linde Ambrosius (De. fide): Aufer argiimenta, ubi fides guaeritur.
In ipsis gymnasìis suis dam dialectica taceat, piscatoribus creditur, non
diaileoticis. Ma questa fede da pescatori però, C. aggiuge più oltre, non è
cosa a noi lutto affatto estranea, peirchè essa non può essere di ciò che
l'animo ignora. E qui egli sente rinllusso del misticismo del suo-
protettore. Bernardo e dei Vittorini che primi lo accolsero a Parigi (Sent. Ili
dist.). Cum fides sit ex auditu non modo exteriori sed etiam interiori,
non potest esse de eo quod animo ignoratur. Ancora è necessario fare con
Agostino una distinlone. Alcune cose non sono intese se prima non si credono. Ma
è pure vero che alcune cose non si possono credere se prima non sono intese, come
la fede in Dio che [Opere edite ed inedite di SERBATI Introd. alla
Filosofia Casale Tip. Casuccio p« 48 sgg. Per maggiori notizie sul teismo degli
scolastici vedi: ERCOLE (si veda), Il
teismo filosofico cristiano Torino
Pbantl - Geschicte d. Logik] viene dalla predicazione, e queste
pai per la fede intendono di più. Uoc. cil.). Ex his apparet quaedam
intelligi aliquando etiam antequam credanlur al nunc eliam per tldem ampiius
intelligìintur linde colligdtur quaedam non credi nisi prius intelligantur et
ipsa per fidem ampiius inleJlegi. Quanto poi alle cose che mima sono
credute che comprese esse non sd ignorano ael lutto perchè anche si
amano (Sen.). Nec ea quae prius creduntur penitus ignorantur tamen ex parte,
quia non sciumtur. Creditur ergo quod ignoratur non penitus sdcut
etiam amatur, quod ignoratur. Pensiero ripetuto in AQUINO ed in ALIGHIERI.
In conclusione C. si libra Ira un misticismo ed un razionalismo temperato
non sfuggendo alla contraddizione, ma affronlaaidola. Il suo concetto è
quello che informa in gran parte il cattolicismo. La fede non
distrugge la ragione ma al contrario le da ali più potenli per
sollevarsi. Ed è in questo senso che bisogna mtendere le parole d’Agostino:
Intellectum ualde cana, e quelle d’Anselmo: Fides quaerens
intellectum. Principia rerum inquirenda sunt prius ut earum notitia
plenior haberì possi t. (Prol. in Collectanea). Dell’arti e delle scienza del
trivio e del quadrivio, secondo la celebre classificazione data da
Marciano Capella e riprodotta da BRIUZI e da Isidoro, LA DIALETTICA ovverosia
la logica che da principio parve una scienza preparatoria avente per
ogge'tio più le parole che le cose, acquistò nelle scuole un tale
sviluppo che fini col proporsà i più alti problemi metafisici e diventare la
prima delle scienze. Tra questi problemi, il più importante, anzi il
fondamentale che sembra raggruppare sotto di sé tutti gl’altri, ed agitò
potentemente l'età di cui parliamo, è il problema degl’universali, quale LA
FILOSOFIA si è posto innanzi in tutti i tempi. Protois scrive che la
questione degl’universali ha a suo autore Roiscelino. Ma ciò è per lo meno
detto male. Già Aristotele nel LIZIO si è posto innanzi il problema
nelle “Categorie” ed in molti altri suoi libri; e nella prefazione
della Isagoge di Porfirio tradotta da BOEZIO, esso è pure [Haurbaux De la
philosophie scoi. Paris] enuniciato, ma non risolto, parendo esso al
commeintatore d’Aristotele di troppo grave importanza. Ecco le
parole Ui Porfirio. M Cosi tralascierò di dire SE I GENERI E LE SPECIA
SUSSISTONO o sono soltanto e puramente nei pensieii, se come bUSbisleaiti
sono corporei od incorpoi'ei, se sono fuori oppure entro le cose seìusibili e
con esse coeistenti: essendo troppo grave una tale impresa e rictiiedendo
maggiori ricerctxe Porfirio divide cosi il problema nelle sue III
questioni fondamentali e iu in tal modo che esso è segnalato ai
primi scolastici. I I generi e le specie sussistono per sé o
consistono semplicemente in puri pensieri ? II Come sussistenti, sono
essi corporei od mcorporei ? Ed infine: III sono essi separati dagl’oggetti
sensibili o sono contenuti negli oggetti stessi formando con essi qualche cosa
di coesistente? A ragione Porfirio reputa queste questioni di somma
difficoltà. Perchè comunque vi si risponda si è condotti nell'alto mare della
speculazione, ed ognuna di esse sembra pod risolversi nelle suprema
questione della quaile tutte dipendono: Che cosa è l’essere?
JNuUa di più naturale che gli scolastici inoltrandosi a disputare
di un tale argomento con molto ardire ed acutezza d mgegno, ma non con pari
preparazione filosofica sollevassero infinite e tempestose discussioni
che molto spesso non approdavano ad alcun risultato. Tre furono le
scuole principaU che si avviarono ad una diversa soluzione del problema:
quella dei REALISTI, dei NOMINALISTI, dei CONCETTUALISTI. Il nome di realisti è
dato a coloro che affermano che i
generi e le specie -- gli universali insomma -- sono una realtà sostanziale,
una vera entità distinta dall’altre. NOMINALISTI sono detti coloro che
negano la realtà di questi universali, e li ritenevano come semplici
concezioni astratte del soggetto ricondotte ad una idea comime per mezzo
della comparazione. Ma poiché questa conclusione, dovendo ammettere che
tutto ciò che v'ha di comune non è ohe im suono, un nome vuoto di
significato, flatus vocis, porta alla negazione di ogni scienza, sorsero
i CONCETTUALISTI i quali aggiungeno che un tale suono, im tal nome
rappresenta un pensiero, un concetto il quale proviene dalla
somiglianza delle cose diverse: il
che non è sostanziale ma è percepito dall’intelligenza umana come inerente a
una natura individualmente deiterminata. Dopo che Scoto porta agl;estremi
il realismo, venne Roscelino che parve dirigere la dottrina del
nominalismo contro lo stesso dogma sollevando un grave scalpore nelle
scuole. Poiché, se nulla esiste che non sia individuale, il dogma del
divino, uno in tre persone vienne dalla ragione ricalzato nelle sue basi.
È bensì un errore l'uso stesso d’armi dialettiche prò e contro i misteri della
fede, perchè l'ordine della fede non è quello della ragione, ma
d'altra parte è un errore rimediabile. Ed a difesa della realtà univereale
si leva AOSTA (si veda), prima abate di
Bec in Normandia poi arcivescovo di Cantorberv e Guglielmo di Chamoeaux, il
fiero avversario d’Abelardo. Ed è quella del primo propriamente un
realismo mistico, quello del secondo un realismo
scientifico. Abelardo poi è il capo riconosciuto, a volte vincitore,
a volle vinto, del CONCETTUALISMO, col anale si possono trovare molti riscontri
nella filosofìa moderna. Quale dove essere l'opinione dei Dottori
della Chiesa in tanto contrasto di idee? Evidentemente nessuna
delle suesposte- se e quando lo notevano. I realisti confondeno le cose con la
generalità delle idee, i concettualisti negano il reale fondamento delle idee
universali, i nominalisti le idee stesse. I dottori non possono appartenere a
nessuna di queste dottrine pericolose. Essi doveno essere tratti a trovare un
criterio conciliativo, né ciò è diffìcile, secondo l'avviso dellHaureau.
E quale è questo criterio? La specie non è solamente un concetto. Essa è
altresì una cosa, non una cosa in sé, a parte dell’oggetto sensibie, ma
nna cosa facente parte con essi, formante con essi qualche cosa di co-esistente.
Tale a un dipresso la posizione dei dottori tra le scuole che divideno i
logici disputanti, corrispondenti sotto altro nome alla scuola
dell'idealismo critico ed alla scuola dell’idealismo
trascendentale. Tra questi dottori concilianti che l'Haureau non
propriamente chiama indifferenti si trova il nostro Maestro delle sentenze,
il quale pero non si occupa espressamente della questione, ma solo ne
tratta per incidenza, ragionando della Trinità nel 1 libro delle Sentenze. Per C.,
l'universale non è come per Guglielmo di Champeaux un solo essere
dappertutto identico e però difficile a
comprendere, ma al contrario colla moltiplicazione numerica dell'individuo
diventa anche in essenza tante volle accresciuto. Se l’animale è il genere,
dice il Maestro, e IL CAVALLO la specie si avranno III CAVALLI ed anche tre
ammali (Sent. I d. XIX, 8) CVM SI ANIMAL GENVS ET EQVVS SPECIES APPELLANTUR III
EQVI IIDEMQVE ANIMALIA. Perciò, quando la specie può dirsi triplice
devono anche essere III gli individui. Tutto dunque si raccoglie
nell'individuo. Ma egli poi aggiunge : SMITH, JONES, WILLIAMS -- Abramo,
Isacco, Giacobbe sono tre individui. Ma, nello stesso tempo, anche tre
uomini e tre animali. Specie e genere non sono quindi forme soggettive,
ma un oggetto che è nelle cose poste al difuori di noi. Ma non si dirà
che l'essenza divina è una specie e le persone individui, come è specie
Tuomo e sono individui Àbramo, Isacco e Giacobbe. Poiché se l’essenza
divina fosse una specie come l’uomo, come non si direbbe che Abramo,
Isacco e Giacobbe sono un sol uomo cosi non si direbbe una essenza essere
tre persone (Sent.)..Sicut enim dicuntur Abraham, Isaac, lacob, TRIA
INDIVIDUA ITA TRES HOMINES ET TRIA ANIMALIA 10: Nec speoies est essentia divina
et persona individua, sicut homo species est, individua autem Abraham,
Isaac et lacob. Si enim essentia specìes est ut homo sicut non dicitur
unus homo esse Abraham, Isaac et lacob. ita non dicitur una essentia esse
tres personas. Il Maestro quindi, a mio parere, non nega all’universale un fondamento
reale in quanto però va unito all’oggetto sensibile, ma distingue
nettamente le cose temporali dalle cose divine alle quali NON convengono
i nomi di universale e di partìcdare e le distinzioni della
logica. Abael hist. cai.:Erat antem in ea sententia de communitate universaliam,
nt eandem essenti ali ter rem totam simtil singulis suis inesse astrueret
individuis. cfr. Espenberg Die phil. d C.
EsPENBEROER. « Art nnd Gattung sind demnach nicht subjektive Gebilde, sondern
objektiv in der una mngebenden Auszenwelt begrìindet », Teoria della
coi>osc^i>za. i\el Gommenlario delle Epistole di S. Paolo C.
-venendo a parlare delle visioni le distingue 'n tre generi: corporali,
spirituali, intellettuali. E le ultime sono le. più perfette perchè
vedono non cogli occhi corporali ó colla immaginazione, ma per sé stesse. Qui
il Maestro viene a toccare sebbene in modo indiretto della conoscenza che noi
abbiamo coi sensi corporali, ei di quella che acquistiamo colla memoria,
la quale ci ripresenta immagini vere quali abbiamo già apprese coi sensi o
finte quali rimmagin azione forma secondo il suo potere (Collectanea in
epist. ad Cor.). In bis tribus generibus
(scil. visionis) illud primum manifestum est omnibus quo vid'etur coelum et
omnia oculis conspicua. Nec illud
alterum quo absentia oorporalia cogitantur, insinuare difficile. Coelum enim et terram et quae in
eis videre possumus, etiam in eis constituti cogitamus. Et aliquaiido nihil
videntes oculis corporis* animo tamen corporales imagines intuemur vel veras
sicut ipsa corpora vidimus et memoria retinemus vel fictas sicut
cogitatio formare potuerit. Aliter
cogitamur quae novimus, aliter quae non «novimus w. Altrove
nel Commentario dei Salmi paragona la memoria al ventre che riceve i cibi :
(Comm.) Sicut enim venter escasi recipit ita memoria rerum tenet notitiam.
Nel libro III delle Scinlenze C. pariando della fede dice che essa si
riferisce soltanto alle cose che non ci appaiono è sostanza di cose
sperate come disse Paolo e ripetè poi ALIGHIERI (1), che conobbe il
Maestro forse più d’AQUINO. E qui contrappone la fede alla conoscenza che
si ha delle cose evidenti, tra te qiiali pone anche l'anima deiruomo che
sebbene non veduta, è da lui intuita cogitando. Concetto raccolto poi e
svilupipato da Cartesio, il quale prende la coscienza umana come il punto
di par [Paolo (Ep. ad Eb. XI\* « Est fides sperandanim snbstantia rerum,
argumentum non apparentinm. ALIGHIERI (Par.): Fede è siLStanzìa di cose
sperate - ed argomento dene non parventi. ieaia dì ogni indagiiie
filosofica ed argomenterà che IV sistenza ci è data dal pensiero: cogito
ergo sum. Sent.). c( Non sicul corpora quae videmus oculis corporeis, et
per ipsorum imagines quas memoria tenemus, etiam absentia cogitamus; nec sicut
ea quae non videmas et ex his quae videmus cogitalionem utromque
formamus, et memoriae commendamus, nec sicut hominem, cuius animam etsi non
videmus, ex nosbna coniicimus et ex motibus corporis hominem sicut videndo
didicimur, intuemur etiam cogitando: non sic vìdetur fides in corde in
quo est, .ab eo cuius est, sed eam tenel oerliseima scientia. CosH nel
capitolo già citato delle CoUectanea, il Maestro tocca della conoscenza che noi
abbiamo del nostro intelletto intellicfendo. E' insomma nella ragione
stessa la spiegazione della nostra ragione (In epist. ad Cor.) Hac
visione quae didtur intellectualis ea cemuntur, quae nec cemuntur
corporea, nec ullas gerunt formas similes corponim, velui ipsa mens
et omuis animae affectio bona. Quo enim alio modo nisi
intellisrendo intellectus consoicitur? Nullo. C. paragona l’intellieenza
ad una luce interiore che illumina res<=ere intelligente: (im
epist. ad Eph.). Omnis qui inteiligit quadam luce interi ore
illusfrRtiir». Ripete in sostanza il concetto già espresso da S.
Agostino: (in ps. 41 n. 2 Mierne) « omnis qui inteiligit luce
quadam non corporali, non carnali, non exteriore sed interiore
illustratur. Chiarito il modo di conoscere, resta a parlare dell'oggetto
della conoscenza. Che cosa è il vero? Tutto che è è vero, secondo il
concetto della filosofia patristica, come, e questo Io si vedrà in
appresso, tutto ciò che è è pure buono. Il falso va inteso in un sen®o
del tutto privativo, cioè non è sostanza di qualche cosa, non è ciò
che è, ma è ciò che non è. (In ps.). Veritas enim est de eo quod est. Mendacium vero
non est subslantia vel natura ìd est, non est de eo, quod est
natuiraliter, sed de eo, quod non est. Ed
in altro luogo dice il Maestro : la verità è ciò che è come vien detto :
(in ps.). Veritas est cum res ita est cum dicitur. Quia ip9e diodi ei
faeta suut Paolo Sostanza e^ accM^ote.
S. Agostino concepiva la sostanza come il concetto di
assenza o di naliu-a preso in senso generale da subsistere peirchè ogni
cosa sussiste a sé slessa : omn«is enim res ad se ipsam subsistil. Ma in
senso più particolare, s'intende di ciò che è soggetto d'altre cose come
del colore, delle forane corporee, ecc. J\on attrimenti Pier
Lombardo: (sent.; in ps.). Substanlia
intelligitur illud ouod sumus: homo, pecus, terra, sol; omnia ista
substantiae snnt : eo ipso quo sunt naturae, ipsae substantiae dicuntur. Nana et quod nulla est
substantia, nihil omnino est. Substantia enim est cdiquid esse ».
Ma in quest'ultima significazione, il
detto .^oncetto non appropriasi a Dio perchè Dio è semplice.
(Sent.) « Res ei^o anutabiles. . . proprie dicuntur substantiae, deus
autem, si subsistit, ut substantia proprie dici possit, inest in eo
aliquid in subiecto et non est simplex ». E' quindi a torto
che parlando di Dio si dice che è una sostanza, perchè non vi è nulla in
lui che non ©ia Dio, e la parola sostanza non si dice propriamente
che delle creature. Parlando di Dio è meglio servirsi della parola
essenza» Riguardo all'accidente il maestro delle Sentenze è
dello stesso avviso di BOEZIO che lo definisce: (in Porph. ed. Basii) Accidens est quod
adest et abest praeter subiecli corruptionem. (Sent.) a non sicut accidentia in subiéctis quaé
possunt abesse vel adesse ». S. Agostino e BOEZIO sono i due
filosofi ai quali iì nostro C. attinge con eguale misura. Nelle Sentenze
parla degli accidenti, cioè delle apparenze che gli sembrano piuttosto
esistere senza soggetto che essere nel soggetto, quali il sapore ed il
peso (accidenti) nel sacramento della Eucaristia, che sono senza soggetto, poiché
quivi non è altra sostanza che quella del sangue e del corpo del Signore,
che non soggiaciono a quelli accidenti. Perciò son quegli accidenti per
sé sussistenti. (Sent. IV d. XII, 1; in epist. ad Cor.). Si autem
quaeritur de acciflentibus quae remanent i. e. de speciebus et sapore et
pondere, in quo subiecto fundentur, potius mihi videtur fatendnm existere
sine subiecto quam esse in subiecto, quia ibi non est substantia nisi
corporis et sangumis dominici, quae non affìcitur illis
accidentibus... remanent ergo illa accidentia per se subsistentia ad myslerium
riti ». « Natura multiplex
nomen est. Nam et philosophi et ethici et theologi usu plurimo ponunt hoc
nomen». Cosi Porrelano (in Boet. ed. Basii).
Ma se molli sono i nuovi significati presso i filosofi, vediamo in quale
senso più propriamente l'adopera il nostro Pier Lombardo. Per lui natura
è ciò che é concreata colla sostanza. (Sent.). Substantiae nomine
atque naturae dicunt signifìcari substantias ipsas et ea quae
naturali ter habent scilioet quae concreata sunt eis sicut anima naturaliter
habet intellectum et imaginem et volnntatem et huiusmodi». Le €086 che
awemgano per causa seminale, si dice che aweaigono secondo natura, quelle
invece fuori natura avvengano soltanto per volontà divina. Ne viene che
ogni creatura obbedisce a leggi naturali. (Sent.). Et illa
quae secund'um causam seminalem fìunt, dicuntur naturaliter fieri, quia
ita cursus naturae hominibus innotuit. Alia vero praeter naturam, quorum
causae tantum suni in deo... omnis creaturae cursus habet naturales leges.
yuale sarà dunque la legge naturale ? Quella che ebbero anche i pagani (2), che
indica all'uomo ciò che è bene e ciò che è male e che si riassume nel non
fare agli altri ciò che non si vuole sia fatto a noi. (in
epist. ad Rom.). Etsi non habeat (s'cil. gentilis homo) scriptam legem,
habet tamen naturalem, qua intellexil et sibi conscius est, quid sit
bonum quidve malum; lex enim naturalis iniuriam nemini inferre,
nihil alienum praecipere, a fraude et penuria abstinere, alieno
coniugio non insidiari et caelera alia et ut breviter dicatur nolle aliis
facere auod tibi non vis fieri. Quanto poi alla persona, il Lombardo, parte dal
concetto ^ià enunciato da BOEZIO che la persona è la sostanza individuale
d'una natura ragionevole: (ed. Peiper). Persona est naturae rationalis
individua substantia. Ovunque noi troviamo una sostanza individuale nella
specie umana, ivi è una persona. Ma l'anima che è sostanza razionale, è dunque
una persona? C. risponde negativamente ricorrendo all'airtificio di
parole ^à adoperato da BOEZIO nel sfuo libro de duabus naturìs (ed.
Peiper). Cioè Tanima è sostanza razionale, ma non tuttavia persona,
perchè non è per se sormns^ cioè è congiunta ad altra cosa. Dio solo
può agire contro natura: (Sent. loc cit) super hunc naturalem cursum
Creator habet apud se posse de omnibus facere aliud, quam eorum naturalis
ratio habet; ut. scilicet, vir^a arida repente fioreat, et fructum ^^at. et in
juventute sterilis femina, in senectute pariat, ut asina loquatur et
huiusinodi. CICERONE, De leg.; Atque, si natura confirmatura ius non
erit, virtutes omnes toUentur Nam haec nascuntur ex eo, quia natura
propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum iuris est. (Sent.)
Nam et modo anima est substantia rationalis, non tamen persona, quia non est
per se sonans, imo alii rei comiuncta. Tuttavia l'anima è persona quando
per se est: onde quando è sciolta dal corpo è persona come è
Fangelo. (Sent.) « Anima, non est persona, quando alii rei
unita est personaliter absoluta enim a corpore persona est siculi angelus.
U^ià Agostino parla di una materia informe dalla quale
sarebbero derivate tulle lè cose che sono distinte e formate.
(de genes. contra Manich. Migne). Primo ergo materia facta est confusa et
informis unde omnia fìerenl quae distincta atqua formata sunt, quod
credo a graecis caos appellari). Così pure BOEZIO (edit Basii p. 1138)
parla di una materia informe e siemplice come la ale e di una materia
formata e non semplice come i corpi. Anche per C. le cose create
furono formate da una materia informe (I'n ps.). Quoniam ipse dixit, idest
voluit et facta sunt (scil. coelum et terra) id est formata de informi
materia. E cosi pure nel secondo libro delle
Sentenze : (dist.). Alii vero hoc magis probaverunt et asseruerunt, ut
prima materia rudis atque informis creata sii Postmodum vero ex illa materia
rerum corporalium genera sunt formata secundum species propria. D’Agostino
C. deriva pure il suo concetto della forma. (Sent.) Dicit Augustinus
causas primordiales omnium rerum in deo esse mducens simililudinem
artifìcis in cuius dispositione est qualis futura sii arca. Il Maestro
ripete a questo punto appoggiandosi intieramente ad Agostino quanto Abelardo e
Gilberto Prretano dicono con compiuto linguaggio scientifico
quando chiamaiio le idee forme esemplari della mente divina. Non
così chiara come in questi elementi platonici è l'idea della forma presso
i sentenziarii ai tempi aristotelici. Causalità. Qui il Maestro dà questa
definizione della idea di causa. Tutto ciò che in sé permanendo genera od opera
qualche cosa, è il principio, ossia la causa di ciò che genera od opera.
(Sent.). Si autem
quicquid in se manet et gignit vel operatur aliquid, principium est eius
rei quam gignit vel edus quam operatur. Dio però si dice eh fa ed opera qualche cosa, perchè
è la causa delle cose scientemente esistenti. (Sent.). Deus ergo aliquid
agere vel facere dicitur, quia causa est rerum noviter existentium. Con
ciò vien presupposto che tutto ciò che avviene, avviene per una causa
necessaria e che nulla nasce che non sia preceduto da una legittima
cagione. C. in seguito si domanda se nulla possa sfuggire o questa legge
di causalità e possa awemare per caso. Ma egli risponde : se qualche cosa
avviene nel mondo per caso, non tutto il mondo è regolato dalla divina pìnovvidenza.
Se non tutto il mondo è regolato dalla divina provvidenza, v'è qualche
natura o sostanza che non appartiene all'opera della Providenza. Ma tutto ciò
che è, è buono per la partecipazione di quel bene che noi chiamiamo
divina provvidenza. Nulla dunque può avvenire per caso. Inutile è il
notare che questo argomento si trova già in Agostino, Ugo di S. Vittore,
Abelairdo. (Sent.) Si ergo casu aliqua fiunt in mundo, non
providentia universus mundus administratur. Si non providentia universus
mundus administratur, ali- [Vedi EspuNBKBOBB] qua natura vel substanlia
est quod ad opus providentiae non pertinel. Omne autem quod est... boni
illius partecipatione... bonum est, quod divinum bonum provideoliam
vocamus. JNihil ergo casu flit in mundo. Le
nozioni di spazio e di misura, ci vengono date da C., laddove parla di
Dio che è immensurabile ed iniCBteso. (Sent.) Neque
dime(nsionem habet (sdì. deus) sicut corpus cui secundimi locum
assigmatur principium, medium et finis et ante et retro, dextera et
smistra, sursum et deorsum quod sui interpositione facit distantiam et
circumstantiam... dicitur in Scriptura aliquid locale sive circumscriplibile et
e converso, sci!, quia diimensionem (bapierus longiltudinis et
latitudinis distaailiam lacit in loco ut corpus. Più avanti definisce il
luogo nello spazio ciò che è occupato in lunghezza, altezza e larghezza
da un corpo (Sent.) « Locais in spatio est quod lopgiludine et altitudine et latitudine
corporis oocupatur)). Come
Dio neppure gli spiriti creati possono essere circonscritti nello spazio.
Essi però possono in certo modo essere locali perchè quando si trovano in
un luogo (non si trovano in un altro : però non hanno dimensioni e
per quanto siano numerosi, non possono riempirlo. (Sent.) «
Spiritus vero creatus quodammodo est localis, quodammodo non e®t localis.
Localis quidem dicitur, quia definitione loci terminatur, quoniam
cum alicubi praesens sit totus, alibi non invenitur. Non autem ita
localòs est ut dimensionem capiens distantiam in loco faciat. C. infine conclude che Dio non si muove né
nello spazio, né nel tempo, che Tanima si muove nel tempo, ed il corpo
nelo spazio e nel tempo. Di qui le loro diverse natuire. Ecce hic
aperte oistendilur, quodi nec locis aec temporibus mutatur vel movetur
Deus, spiritualis autem natura per tempus unovetur, corporalis vero etiam
per tempus et locmnn. Che cosa è il tempo ? Ad una tale
domanda cosi risponde S. Agostino nelle Confessioni: Se nessuno me lo
chiede lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chieda non lo so: con piena
fede dico tuttavia di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe un
tempo passato e se nulla dovesse avvenire^ non vi sarebbe un tempo
futuro, e se nulla fosse non vi sarebbe un teimpo presente. C. definisce
il tempo, la variazione delle qualità che sono nella stessa cosa che si
muta. (Sent. ) <( Mutari autem per tempus est variari
secundum qualitates quae sunt in ipsa re quae mutatur... Haec enim mutatio qua fìt
secundum tempus, vanatio est qualitalum et ideo vocatur tempus. L'eternità fa antilesi al tempo. Il Lombardo come Abelardo
ripete qui le parole di Boezio: Stabilisque manens das cuncta momri quando
dice: (In ps.) «Et video, id
est sciam, quoniam tu es proprie qui stabiEs manens das cuncta moveri. Garattei'a appunto dell'eternità è la stabilità, del
tempo la mutabilità (in epist. ad Hebr. I) « In aeternitate enim
stabilitas est, in tempoire autem varietas ; m aeternitate omnia stamit, in
tamporei alia aocedunt, alia sucfcedHint. Il problema cosmologico si presenta
al Maestro nel libro II delle Sentenze alla prima distinzione. Egli
dimostra sulla fede delle Sacre Scritture, che non vi è che un prinMiGNB ( Espenberger). Quid est tempus? Si nemo ex
me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim nescio: fidenter tamen dico
scire me, quod si nihil praeteriret, non esset praeteritum tempus ; etsinihil
adveniret, non esset fUtunim tempus, ei si nihil esset, non esset
praesens tempus, cipio solo di tulle le cose. Alcuni (ilosoli, come Platone
ed Anstolile, avevano pensalo che il mondo avesse molti principii,
che la materia che lo comipone fosse increata ed eterna, che Dio non ne
fosse punto il Greatore, ma semplicamente l' oa^ganizzatore. Ma la dottrina
cattolica al contrario ci insegna che Dio solo, principio di tutte le
cose, ha tutto crealo dal nulla, le cose visibili e le invisibili,
il cielo e la terra (Sent.). Creationem rerum insinuans Scriptura deum
esse creatorem initiumque temporis atque omnium visibilium ved invisibilium
creaturarum in primordio suo ostendìft dicens (g:en. I, 1) In principio
creavit deus caelum et terram. His enim verbis Moyses... in uno principio
a deo creatore mundum factum refert elidens errorem quorundam plura
sine principio fuisse opinantium. Plato namque tria inilia existimavit
deum scilicet exemplar et matenam et ipsam mcreatam sine principio et
deum quasi artificem non creatorem. E altrove conferma che il mondo non è
coetemo a Dio e senza alcun principio, ma creato da Dio come insegna la
scrittura. (in ps.) « Quia ipse dixit et faota sunt hoc dicit contra
illos qui dicunt mundum deo coateoiimn. Dio
creò ogni cosa dal nulla : creare è propriamente ricavare qualche cosa
dal nulla : onde a Dio solo compete il nome di creatore (Sent.). Creator
enim est, qui de nihilo aliquid facit. Et creare proprie est de nihilo aliquid
facere hoc nomen (scilicet creator) soli deo proprie congruit. Ipse est ergo
creator et opifex et factor. C. passa
poi ad esamina-re la creazione del mondo e specialmente .l'opera dei sei
giorni commentando il racconto della Genesi. Le spiegazioni ch'egli
offre, sono tolte ai padri antichi tra i quali S. Ambrogio,
Agostino, Gregorio, il venerabile Beda e Giovanni Grisostomo.
Insieme con vedute geniali e profonde, si trovano in quella parte dei
suoi libri ove si paria della creazione, alcune teorie che le scienze
naturali hanno poi definitivamente condannate. Basta ricordare la teoria
dei quattro elementi di cui si compone il cosmo, e quella che considera
il firmamento come una immensa volta solida alla quale sono attaccati gli
astri, e Topinione che i piccoli insetti nascano &6 dalla
corruzione dei carpi organici. Ma il Lombardo espone la scienza dal
secolo decimosecondo : d'altronde egli di tali cose sembra parlare in
forma dubitativa e come è suo costume non fa che esprimere le opinioni
che ai suoi tempi correvano. dell'uorpo
o^il'unlv^rso* Là dove parla della creazione, il Maestro pada anche
del fine per il quale l'uomo e l'angelo furono creati. La somma bontà
divina ha voluto far parte della sua felicità etema a due delle sue
creature, all'angelo ed all'uomo : perciò li creè ragionevoli affinchè
conoscessero il sommo bene, l'amassero, ed amandolo lo jK>ssedesseiro
e possedendolo fossero felici. L'angelo di natura incorporea e l'uomo
composto di anima e di corpo furono creati per lodare e per servire
Iddio; non già perchè questi abbia bisogno dei servigi umani, ma affinchè
l'uomo godesse nel servirlo, poiché in questo si giova chi serve e non
colui al quale si serve. (Sent.) Factus ergo... homo projter
deum dicitur esse, non quia creator deus et summe beatus alterutrius
indiguerit officio... sed ut servirei ei ac fruirelur.'.. in hoc ergo
proficit serviens... non ille cui servi tur. Pensiero che vien
perfezionato da S. Tommaso (Sum. contra gentes) e d'ALIGHIERI (Parad.):
Non per avere a sé di bene acquisto Ch'esser non può, ma perchè suo
splendore Potesse risplendendo, dir: Subsisto. In seguito
aggiunge che come l'uomo è stato fatto per Dio, così il mondo per l'uomo,
il quale si trova in un mezzo tra ciò che a lui serve e ciò a cui egli
stesso deve servire. (Sent.) « Et sicut factus est homo propter deum i.
e. ut ei serviret, ita mundus factus est propter é6
hominem, scil. ut ei servirei. Positus est ergo homo 'n medio ut et
ei servirelur et ipse serviret; ut acciperet utrumque et reflueret totum ad
bonum hominis et quod accepit obsequium et quod impeffidit. L uomo infine si distingue da tutti gli altri
animali per la sua aspirazione alle cose superne, ed è perciò che
egli ha il corpo eretto e quasi rivolto al cielo. (Sent.) « Ecce osl^isum est,
secundum quid sit homo similis dei. Sed in corpore quaaidam proprieitatem
habet quae haec indicat, quia §st erecta statura secundum quam corpus
ajiimae rationali congruit, quia a caelum erectum est ». È LO
STESSO CONCETTO DI CICERONE (De legibus). Nam quum caeteras animantes
abiecisset ad pastum, solum hominem erexit ad caelique quasi cognationis
domiciliique pristini conspectum excitavit. E non di CICERONE soltanto. Tra i gentili cf. OVIDIO
Metamorf. I, 84-86 SALLUSTIO Catil. Tra i filosofi cristiani Agostino (de
gen. centra Manich. I, XVII), BRUZI (de anima cap. IX) Beda (in hexaem I)
Abelardo (in hexaem). Tantum enim, ut tradit auctoritas, cognoscit ibi
quiHque quantum diligit. (Sent.) Foteoze
d^ll'anirpa. 11 problema psicologico veniva proposto da Ugo di S.
Vittore in queisti termini: (de sacram.) yuaerunlur autem quiam plurima
de origine animae, quando creata fuit et tolde creala fuit et qualis
creata fuit. (cfr. August. de quant. animæ). August. de quant. animæ). È questione tra i
filosofi secondo Giovanni di Salisbury (Mei.) se è una sola potenza la
quale ora sentisse, ora ricoondasse, ora immaginasse o se pur
rimanendo l'anima semplice, essa è dotata di molte potenze (MieNB) – H.
P. Grice, “The Power Structure of the Soul.”. Recolo enim fuisse philosophos,
quibus placuit, sicut incorpoream simplicem et individuam esse substantiam
animae, ita et unam esse potentiam, quam multipliciter prò rerum
diversitate exercet. Eorum ergo opinio
est, quod eadem potentia, nunc sentiat, nunc memoretur, nunc immaginetur; nunc
discemat investigando nunc investigata assequendo intelligat. Sed plures
sunt e contrario sentientes animam quidem quantitatem simplicem, sed
qualitatibus compositam et sicut multis obnoxiam passionibus, sic multis
potentiis utentem ». V. Espenberger. C. si attiene in ciò a S. Agostino e
definisce quei^le potenze come naturali proprietà dell'anima, yueste sono
una sola sostanza ed esistono nell'animo sostanzialmente; e noiii
accidentalmente : poiché sebbene relative tra di loro ciascuna è
sostanzialmente nella sostanza oell animo. (Sent.) « Hic
attendendum est ex quo sensu accipiendum sit quod supra dixit, illa tria,
scilicet memoriam, intelligentiam, voluntatem esse unum, imam mentem,
unani essentiam, quod utique non videtur esse venim juxta
»pix>piietatem sermonis... Illa vero tria, naturales proprietales seu
vii-es sunt ipsius mentis. Sed jam videndum est quoniodo liaec tria
dicantur una substantia. Ideo quia sciJicet in ipsa anima vel mente
substantialiter existunt, non sicut accideiitia in subiectis, quae
possunt adesse vel abesse uiide Augustinus in lib. IX de Trm. cap.
5 alt : Admonemur, si utcumque videre possumus, haec in animo existere
substantialiter, non tanquam in subiecto, ut color in corpore; quia etsi
relative dicuntur ad invincem, singula tamen substantialiter sunt in
substantia sua. Spiegata cosi coli autorità altrui la natura delle
potenze dell anima, il Lombardo distingue nella ragione due parti : la
parte superiore che si volge alle ragioni eteme delle cose, la inferiore
che si piega a osservare le cose temporali! (Sent.) « Ratio vero vis
animae est superior, quae, ut ita dicamus, duas habet partes vel
differentias, superiorem et inferiorem. Secundum superio«rem, supemis conspiciendis
vel consulendis intendit; secundum inferiorem, ad temporalium
dispositionem conspicit ». Da ciò deriva la distinzione ch'egli fa
della sapienza e della scienza. La definizione che diedero gli antichi
della sapienza, cioè : Sapientia est rerum divinarum humanarumque
scientia, va divisa cosi che sapienza si dica propriamente della conoscenza
delle cose divine, scienza della conoscenza delle cose umane.
(Sent.). Illa definitio dividenda est, ut rerum divinarum oognitio
sapientia proprie nuncupetur, hùmanarum vero rerum cognitio proprie
scientiae nomen obtineat. L'influsso mistico di S. Bernardo suo
protettore e dei suoi primi maestri di S. Vittore, si fa sentire in C. là
dove afferma che la maggiore o minore quantità di sapere deriva dalla
quantità di amore: (Sent.) Sed qui magis diligit plus coginioscit ». Abelardo
definisce Tanima come una certa essenza spirituale e semplice: (introd.
ad theol. Ili, 6) « Anima quippe spiritualis quaedam et simplex essentia
est ». Non diversamente la definisce il nostro C. là dove dice (sent.) « Mens enim i. e., spiritus
rationalis essentia est spiritualis et incorporea ». Così Abelardo come C., si riconnettono a
Agostino che in più luoghi dei libri tratta deU anima -n quanto spirituale
ed incorporea. L'anima si dice semplice perchè non si diffonde in estensione,
ma in qualunque corpo in tutto o in qualsivoglia paorte di essa è
intiera. Cosi quando avviene qualche cosa nella più piccola parte del
corpo, che sia avvertita dall'anima benché non avvenga in tutto il corpo, tutta
Tanima sente perchè non tutta si tien nascosta. (Sent.)
Simplex dicitur anima) quia mole non diffunditur per spatium loci sed in
unoquoque corpore et in toto tota est et in qualibet eius parte tota est.
Et ideo cum fit aliquid in quavis exigua particula corporis quod
sentiat anima, quamvis non fiat in toto corpore, illa tamen tota sentit
quia totam non latet. In ciò segue C. la dottrina professata da Agostino
e da Plotino, il primo nel libro di trinitate, de quantitate animae, de immut,
animae, il secondo in enn. (edit Volkmanm). Ma se l’anima è semplice,
dice il Lombardo nel luogo citato, in confronto del corpo, per sé stessa
non è semplice ma molteplice. Poiché altro è essere operoso, altro
Inerte, altro acuto, altro memore, altro è desiderio, altro è timore,
altro è letizia, altro è tristizia, e queste cose ed altre dello stesso
genere si possono trovare nella natura delVanima ed alcune senza le altre ed
alcune più ed altre meno, onde è manifesto che la natura dell'anima non é
semplice, ma molteplice « unde manifestum est animae non sim plicem
sed multiplicem esse naturam. In conclusione la natura dell’anima offre
due lati: è semplice da un lato se si paragona colla natura del
corpo molteplice se si paragona colle sue potenze Ma ranima è
altresì immortale. L'uomo è fatto a somiglianza di Dio e la somiglianza
nella essenza perchè essa è immortale ed indivisibile (Sent.) Factus est homo ad similitudinem
dei -- similitudo in essentia quia et immortalis eit indivisibilis est. linde
Augustinus, de quant, anim. Anima facta est similiter deo, quia immortalem et
indissolubilem fecit eam deus. Ma la
filosofia scolastica fedele al precetto: distingue prequenier^ come
limita e divide il concetto della semplicità deiranima cosi na limita e
divìde quello della immoortalilà, distinguendo il coooeilto della morte
intesa in senso assoluto di annientamento da quello della stessa intesa in
senso relativo di mutazione : ed in quest'ultimo senso l’anima non
è del tutto immortale (Sent.) In omni mutabili natura nonnulla mors est
ipsa mutatio quia fecit aliquid in ea non esse quod erat, unde et anima
humana quae ideo dicitur immortalis quia secundum modum suum nunquam
desinit vivere^ habet tamen quandam mortem suam. Riguardo all’origine dell’anima
si agitavano ai tempi di C. due diverse opinioni, l’una del traduzionismo
(1) che pretendeva che l’anima vienne generata come il corpo, l'altra del
creazionismo che pretendeva al contrario che è creata da Dio
direttamente. A quest ultima si attiene naturalmente C. con
Abelardo, Roberto PuUus, Ugo di S. Vittore. Dio creò ranima dal nulla
dice il Maestro: (Sent.) «Flatus factus est a deo, non de deo, non
dealiqua materia sed de Odo di Cambra!: (de pen. orig. II) « Sunt autem
multi qui volunt animam ex traduce fieri sicut corpus et cum corporis
semine vim etiam animae procedere » Vedi Espen. 6, I 101
nihilo ». Quindi cornhatte; ropinione di coloro che affermaaio con
Origene che le anime sono state tutte create al principio del mondo, e
quella di coloro che con i Lu^ciferiani e Cirillo ed alcuna dei Latini pensano
che Tanima si comunichi ai figli per generazione e nello stesso
modo che il corpo. Mentre Tanima non è infusa nel corpo che quando
esso è tonnato ed adatto a riceverla. (Sent.) Sed quicquìd de anima
primi hominis aestimeoitur, de alias certissime sentiendum est, quod in
corpore creentur; creando emim infundit eas deus et infundendo creat ». E più
avanti: (Sent.) e( Unde Augustiiniis in ecclesiast, dogm. animas hominum
di<rit non esse ab initio inter creaturas intellectuales natuT^as
nec simili creatas sicut Origenes fìngit necque in corporibtis per
coitum seminum sìcuT Luciferani et Cyrillns et quidam LatiinoiTum
praesuanptoìres affìrmant, sed dicimus corpus tantum per coniugii oopulam
seminari, creationem vero animae solum cneiatoirem nosse eiusque iudicio formato
iam corpore animam creavi atque infimdi ». E nel libro IV spiega
ancor meglio quest'ultimo pensiero ricorrendo all'esempio della casa e del suo
abitatore che vi entra soltaoito quando è ben costruita (Sent.). Sed
iam formato corpori anima datur, non ini conceptu corporis nascitur cum
semine derivata. Nam SI cum semina et
anima existit de anima, tunc et multae animae quotidie pereunt cum semen
fluxu non proficit Ti'ativitati. Primum
oportet domum compaginari et sic habitatorem induci». E qui è
opportu/no ricordare che questa teoria dell'anima si trova pure con poche
varianti nel canto del Purgatorio laddove il Poeta discorre della nascita
dell'uomo e spiega come (Tanimal divenga fante.
Relazione tra Fanirpa ed il corpo. . Seguendo il concetto
aristotelico dell'età di mezzo, il Lombardo ritiene Tanima come forma del
corpo. (Sent.) « Formatum vero intelligitur corpus propria anima
animatum et informe quod nondum Habet animam. Un tal concetto va
intimamente collegato con un passo della Bibbia: (Exod.) « Si quis
percusserit mulierem praegnantem et aborlivum fecerit, sì adhuc informalum
fuerit, multabitur pecunia; quod si formatmn fuerit, reddel animam prò
anima », C. deride le favole di coloro che immaginano che le anime siano
rinchiuse nel corpo, come in un carcere, per i peccati commessi in cielo (Sent.)
Multi in fabulas, vanitatis abierunt dicenls, quod animae sursum in caelo
pecoant, et secundum peccata sua ad corponia prò meritis diriguntur, et
dignis sibi guasi carceribus includuntur. lerunt hi tales post
cogilationes suas et versi sunt in profundum, dicentes animas in caelo ante
conversatas et ibi aliquid vel mali egisse et prò meritis ad corpora
terrena detrusas esse. Hoc autem respuit catholica fides ».
Ma invece Dio diede senso alla natura coirpoTea perchè l’uomo
capisse che se potè unire due cose cosi diverse, quali l'anima è il corpo
in una tale unità, non è impossibile ch'egli possa partecipare per quanto umile
alla sua gloria (Sent.) Lufeamque materiam fecit ad vitae
sensum vegetare, ut sciret homo, quia si potuit deus tam disparem naturam
corporis et animae in federationem unam et in amicitiam tantam coniungere,
nequaquam ei impossibile futurum rationalis creaturae humilitatem ad
sua Rloriae partecipationem sublimare. C. non crede che il corpo sia
carcere dell'anima nel senso che sopra si è detto, perchè f)er essere
opera di Dio è un bene: ma è pure un carcere nel senso che il corpo a
corrompe e corrompendosi aggrava l’anima (in ps.) «Vel potius corpus
est career non utique secundum id, quod deus fecit ipsum bonum est,
sed secundum id, quod comimpitur et aggravat animam i. e. oorruptio
eius quae venit ex peccali, career est. Altrove chiama il corpo quasi strumento
e servo delTanima : (in epist. ad Rom.) « Si corpus, quo inferiore
tamquam famulo vel instrumento utitur anima... ». E cosi pure si legge in
un suo sermone : (2P De codem die: In passione Domini seu in annuntiatione (Protois).
Dominus est spiritus
noster, anima tamquam domina, corpus tanquam servus. Hi tres ini domo una cooperantur et si
oonveniunt in bono, vdr bonus intelligilur ». Che cosa è infatti Tuoino se
non un'aniina fornita di corpo? si domanda Ugo di S. Vittore (1). Però a
questo riguardo il Lombardo usa di una certa moderazione; ed il suo modo
di pensare intomo alla persona deiruomo ci fa credere che egli dà un
posto importante anche alla vita. Il Maestro delle Sentenze sul finire
del suo libro principe, cioè alla distinzione, entra poi a
discorreire della morte e della risurrezione del corpo. E fu il padre
Michele da Carbonara il primo a far notare la conformità che vi è tra le
dottrine svolte da Pier Lombardo e i luoghi della Divina Commedia che parlano
della risurrezione, quantuncfue la ragione fondamentale di essa
data dal Maestro diversifichi in sostanza da quella data dal Poeta.
Nella risurrezione ciascuna anima separata riprenderà il
coqx), ripigtierà sua carne e sua figura (Inf.) quale
era nel fiore della età: e sarà mage^iore allora la sua beatitudine e la
sua cognizione : amplior erit eorum cognitio. Ciò è diffìcile a spiegarsi,
dice il Maestro. Ma è certo che nell'anima è un vivo desiderio di
ripigliare il corpo; riunita al corpo Tanima ha perfectum naturae
suae modum ed ha ampliorem cognitionem. Altri che verranno
poi, si spingeranno più addentro nella questione come farà S. Tommaso.
Ma, dice il Carbonara, il Maestro sta come colui che tira le linee più
larghe d'un quadro, in suU'indeterm inalo; e si legga at[Sent., Migm. Quid enim
est homo nisi anima habens corpus ? Nel sermone 11 (in die Cineris ad
poenitentes .Ms. lat. in Protois p.
138): «vita praesens messi comparatur et aestati, quia nunc inter ardores
tentationum colligenda sunt futurorum merita praemiorum. Carbonara, ALIGHIERI
(si veda e C. (Sent.) con prefazione e per cura di Murari 2 ediz. Città di Castello Collezione di
Opuscoli Danteschi inediti o rari diretti da Passerini. tentamente
questo tratto « ^f mmor sU healitudo sanctorum post iudicium; sì leig'gta
attentamente e si vedrà che se vi è trailo che specchi il canto del
Paradiso, questo tratto è desso. La slessa queslfone, gli stessi punti
determinali; ma Insieme rindeterminatezza, il vago, che neirinsieme
domina il Maestro, si risente nel Poeta. Come la carne gloriosa e santa
Pia rivestita, la nostra persona Più grata fia, per esser tutta quanta
: (cperfeobum natuirae suae modum habebit anima».Omne qaod est, in
quantum est, bonum est. Tutta TEtica scolastica è necessariamente
compenetrala della dogmatica teologica. Quella di C. non diversa in sostanza da
quella dei suoi maestri^ si riattaeca alle discussioni teologiche intorno alla
morale che ai suoi tempi si dibattevano. La prima questione che ci
conviene esaminare, è quella che riguarda il libero esercizio della
volontà. La libertà, pensa egli con Ugo di S. Vittore (Sent.), di
cui sente più volle l'influsso, chiede di poier compiere non solo il
male, ma anche il bene. (Sent.) « Verum nobis magis placet ut ipsa libertas
arbitrii sit et illa, qua magi® liber est malum, et alia qua quis liber
est ad bonum faciendum. Ex causis
enim variis sortitur diversa vocabula. Il Lombardie si chiede in
appresso quali fattori determinano la libertà umana e ne distingue due, cioè la
ragione e la volontà. La prima disceme tra il bene ed il male, la
seconda si muove con desiderio spontaneo ad effettuarlo. Ecco la
definizione e la spiegazione del libero arbitrio secondo C. (Sent.). Liberum verum arbitrium
est facultas rationis et voluntatis, qua bonum eligitur gratia
assistente, vel malum ea desistente. Et dicitur liberum, duantum ad
voluntatem quae ad utrumlibet flecti potest. Arbitrium vero, quantum ad
rationem, cuius est facultas et potentia illa, cuius etiam est discemere
inter bonum et malum et aliquando quidem discrelionem habens boni
et mali, quod malum est eligit, aliquando vero quod bonum est...,.»
e più avanti: (Sent.) Liberum
ergo dicitur arbitrium quantum ad voluntatem, quia voluntaTie moveri et
spontaneo appetitu ferri potest ad ea quae bona vel mala indicet vel
indicare potest. Il Lombardo si affretta poi a spiegare un passo
di S. Agostino, ove questi afferma che l'uomo perde il libero
arbitrio dopo il peccato, onde si legge nei Vangeli: (Pel.) A quo erdm devictus est, huic
servus est (Vedi August. enchirid. Migrie).
TIon ciò non si vuol dire che l'uomo perde intieramente la libertà, ma
solo quella che ci trattiene dalla miseria e dal peccato (Sent.) <( Ecce
liberum arbitrium dicit (scil. Augustinus) hominem amisisse; non
quia post peccatum non habuerit liberum arbitrium, sed quia libertatem
arbitrii perdidit non quidem a necessitate, sed libertatem a miseria et
peccati. Est namque lib^rtas
triplex, scilicet a necessitate, a peccato, a miseria. A necessitate et
ante peccatum et post aeque liberum est arbitrium. Sicut enim lune cogi non poterai, ila nec modo.
Ideoque voluntas merito apud deum indicalur, quae semper a necessitate
libera est *i iiiunquam cogi potest. Ubi necessitas, ibi non est
libertas; ubi non est libertas, nec volunlas et ideo nec merilum. Haec libertas in omnibus est tam in malis quam in
bonis. Il Sentenziario perciò nel suo Commentario nei Salmi (rimprovera
coloro che attribuiscono alle stelle ed al fato, la colpa dei loro
peccati facendone in certo modo responsabile Iddio, che è Tautoire del creato:
(in ps.) « Ila clamel aeger ad medicum, et dicat : Cum libero arbitrio
creavi! me Deus: ideoque si peccavi, ego peccavi non fatum, non fortuna,
non diabolus, me coegit : sed' ego persuadenti consensi ». io:
In conclusione, il maestro delle Sentenze^ come già si è veduto,
definisce il libero arbitrio un& facoltà della ragione' e della
vodontà colla quale si sceglie il bene col soccorso della grazia od il
male se la grazia ci manca. Ma questa definizione, aggiunge l'autore, non
conviene a Dio né ai santi che par essere incapaci di peccare,
hanno un libero arbitrio più perfetto. 11 libero arbitrio di Dio è
la sua volontà ònnisapiente ed onnipotente, che fa senza necessità e
liberamente tutto ciò che le piace. Quella degli angeh e dei santi non
può più portarsi verso il male, perchè essi sono coiiifermati neha
beatitudine e neilla grazia. L'uomo dopo il peccato ha pure conservato
il suo, ma perchè egli voglia il bene gli è necessaria la grazia
del Redentore. La teoria del libero arbitrio, che il Maestro professa,
intesa a conciliaire il dogma coi dettami della ragione, non sfugge, come
è ben naturale, a gravi difficoltà. Cosi egli è costretto per quaiinto si
sforzi di provare il contrario, a mettere l'uomo in una posizione non del
tutto giusta, rispetto alla sua libertà, poiché se egli fa il male, ne
è tutta sua colpa (ideoque si peccavi ego peccavi in ps. loc. cit.)
quantunqua non possa andare ^nte dal peccalo, mentre se fa il bene, il
merito è tutto di Dio. (Sent.) « Non tamen sine libero
arbitrio proveoiiunt merita nostra, scilicet boni effectus
eo-rumque progressus atque bona opera quae Deus remunerat in noDas et
haec ipsa sunt Dei dona. Unde Augustinus ad Sixtum presbyterum: Cum
coronat Deus merita nostra nihil aliud coronai quasn munera sua. Quamto
poi alla obbiezione che se Dio sa tutte le cose che debbono avvenire, noi
non possiamo fare in altro modo di quello che a lui è noto, dal che ne
verrebbe la negazione di ogni libertà umana, egli non oppone nulla in questo
punto dove espone la teorica del libero arbitrio. Ma noi possiamo
conoscere il suo parere in proposito, purché noi ci riportiamo a quel
punto del libro P, ove parla della prescienza di Dio, allora assai
dibattuta dalle sette scolastiche, come quella che sembrava condurre a
riconoscere il fatalismo. Il Maestro delle Sentenze per rispondere
a questo argomento, fa uso della distinzione così nota agli
scolastici del senso composto e del senso diviso, ovvero del senso
congiuntivo e del disgiuntivo; cioè che non si può dare che Dio abbia
preveduto una cosa e ch'essa non avvenga, ma è possibile che essa non
avvenga, e allora Dio non Tavrebbe preveduta. Sottigliezze a cui la
scuola dogmatica è costretta a ricorrere ogni qualvolta vien messa ale
strette. Ondie il Pomponnazzi nel suo libro: De Fato, libero (mbitrio et
providentia Dei (V lib. Bàie) ove si sforza egli pure si conciliare il
destino la provvidenza e la libertà deiruomo, finisce col non saper dare
altre soluzioni che quelle poste innanzi dalla scolastica, confessando
però che esse sono piuttosto delle illusioni che delle vere risposte:
Videntur potius esse illusiones islae quam respomiones. Fine a cui
tendiamo tutti é la felicità : (sent.) Beatos autem esse velie, omnium hominum
esl ». C. ricorda le parole di CICERONE: Beati certe omnes esse volufnus,
ed è lontano dal contraddirvi, ma anzi ne deduce che poiché tutti
desiderano la felicità, tutti ne hanno dentro di sé la conoscenza: sequitiu'
ut omnes beatam vitam sciant. Vediamo ora come procede il Lombardo
neiranalisi della felicità. Sul principio del primo libro egli
comincia dal distinguere la differenza che v*è tra usare di una
cosa e fruirne. Usare d'una cosa è adoperarla a compiere la nostra
volontà, fruirne è usarne con gioia, è aderirvi per amore e ciò non
avviene in questa vita. (Sent.) « Uti est assumere ali<juid! in
f acultateni voluntatìs. Frui autem est, uti cum gaudio, non adhuc
spei sed jam rei... et ita in hac vita non videmur frui sed tantum uti,
ubi gaudeamus in spe, cum supra dictum sit, frui esse amore dnhaerere
alieni rei propter se : qualiter etiam hic multi adhaerant De. ALIGHERI, Purgatorio: Ciascun
confusamente un bene apprende Nel qual si queti T animo, e desira:
Perchè di giugner lui ciascun contende. E poiché questo sembra far
iidsceire eontraddiàoni, egli la rivolse così chiarendo il suo concetto.
Tanto qui come nel futuro si può in certo modo fruire della beatitudine
eterna, ma mentre in cielo noi la godremo in modo perfetto perchè, come
dice S. Agostino, l'avremo vicina qui in terra, non la godiamo che per
riflesso ed è ciò che ci fa sopportare i travagli della vita.
(Sent.) « Haec ergo quae sibi contradicere videmtur, sic determinamus,
dioente», nos et hic et in futuro frui : sed ibi proprie et perfecle et
piene ubi per speciem videbimus quo fruemur, hic autem, dum in spe
ambulamus fruimur quidem sed non adfeo piene... Idem (scil. Augustinus) in Uh.
de Doc. christ. ail (lib. I, cap. 30) : Angeli ilio fruentas jam beati
sunt quo et nos frui desideramus; et quaai'timi in hac vita iam fruimur,
vel per speculum, vel din aenigmate, tanto nostram peregrinationem et
lolerabilius sustioemus et ardentius fruire cupimus ». In questa teorioa il Lombardo si liem stretto a
Agostino ed esprime 41 medesimo comcetto che più tardi sarà svolto da S.
Tommaso col fine mediato ed iumiediato. guanto alla questione, se
si possa gioire della virtù per sé stessa o solo come mezzo di acquistare
la vera felicità, egli si prova come è suo metodo di conciliare la prima
opinio*ne, che sembra confortata da un passo di Ambrogio, con la seconda
professata da S. Agostino, affermando che la virtù può essere amata per
sé slessa, ma che non dobbiamo fermarci lì, ma bisogna tendere ad
un fine più elevato e riferire la virtù a Dio come fine ultimo. Amoralità
d^Ue aztooi urpaoe* Quali sono le azio^ni umane che si debbono
chiamare buone secondo C. e quali
cattive ? Egli risponde suirautorità di S. Ambrogio e di S. Agostino, che
ciò che fa buona o cattiva una azione è Tintenzione. Ed in ciò non
discorda da Abelardo che afferma appunto nelFEtica: « Unde ab eodem homine cum
in diversis temporibus Ilo idem fiat, prò divemsitate tametn
inlentionis eius operatio modo bona modo mala dicitm* ». Infatti il
Maestro nel libro secondo d^e Sentenze (dist.) dice quasi allo
slesso modo : « Nam simpliciter ac vere sunt boni illi actus, qui
bonam causam et intentionem id est qui voluntatem bonam comitantur et ad
bonum finem tendunt: mali vero simpliciter dici debent qui perversam habent
causam et intentionem ». E cita a questo proposito le parole di S. Agostino :
(enarr. in ps.) « Bonum eriim opus intentio facitìK In
conseguenza è un'azióne buona confortare i poveri se si fa per compassione e
misericordia : ma la stessa azione diventa cattiva se la si fa per
ambizione. Vi sono tuttavia delle azioni le quali sono cattive per sé
stesse e che la intenzione non può rettificare: tali sono la menzogna e
la bestemmia. Ksse poi sono cattive in quanto sono privazioni
dell'essere, perchè ogni cosa, in quanto è, è buona : Omne quod est in
quantum est bonum. L.a le^^e fT)orale« Stabilito cosi guali sono le
azioni buone o cattive, et seconda
dell'intenzione, restava a determinare quale è il caratieire morale che
deve contraddistinguere le nostre azioni e qual norma si deve necessariamente
seguire per muovere al bene : dione insomma dove deve dirigersi- la buona
intenzione. In coerenza colle dottrine da lui professate, •il Maestro
pone la regola delle azioni umane nella legge divina : perciò il peccato
consiste in una infrazione alla legge divina. (Sent.) « Peocatum est omne
dictum vel factum vel concupitum quae fit contra legem Dei, . . Quid est ipeccatum nisi legis divanae
praevaricatio? ». n C. ammette altresì una legge naturale, lex natu^
raliSj la quale ebbero anche i Gentili, ma questa non basta a condurre a
salvamento. Ili Nofli è qui il luogo di indicare il difetto
originale d una tale dottrina che nel porre fuori di noi la legge del
nostro operare, si condanna alla, contraddizione. Mi basterà ricoirdare
che essa si presenta assai più sviluppata in AQUINO, il quale pone innanzi iJ
concetto aristotelico della ragione umana, la quale è la natura dell'uomo
in quanto è uomo: ondfe poiché ogni cosa è buona quando è conforme alla
sua propria natura, ogni cosa sarà buona rispetto airuomo quando sarà conforme
alla ragione. Ma questa stessa ragione e natura umana ripete il suo
potere regolativo dalla natura divina : « quod autem ratio umana
sit regula voluntatis humanae, ex qua eius bonitas mensuretur, habet ex lege
aeterrm quae est divina ». (Sum theol..). In conclusione la
filosofia patristica e scolastica, si accorda nel porre il principio
normativo dell'operare umano fuori aeiruomo stesso, cioè nella sapienza
divina identica essenzialmente col suo volere. Bei}e ^ n)ale.
Abbiaino veduto come Pier Lombardo affermi che tutto ciò che è, in quanto
è, è bene : « Omne quod est, in quantum est, est bonum » (Sent.). E poiché
l3io é d'autor© di tutto ciò che esiste Dio é rautore di ogni bene.
(Sent.) (Deus) omnium quae sunt auctor est, quae in quantum siuiif
bona sunt. Ma non viieme di conseguenza che Dio sia l'autore anche del
male, giacché il Lombardo come tutti gli Scolastici, concepisce il male come
gualche cosa di propriamente negativo, cioè come la privazione o la
corruzione del bene. (Sent.) « Malum enim est comiptio
yel privatio boni... Quid enim aliud quod malum dicitur nisi
privatio boni?». Anche Agostino nel libro De civitate Dei (Migne)
parla di causa deficiente e non efficiente del cattivo operare « Nemo
igilul* quaeral ellkientem causani malae volunfalis: non enim efficiens est,
sed deflciens, quia nec illa effectio est sed defeclio. E di qui trae buon
argomento il Maestro a confutare l'obbiezione di eoJoro che insinuano che
Dio essendo autore di tutto ciò che esiste, deve essere altresì autore
del peccato. (Sent.) « Quocirca mali auctor non ^t (scil. deus)
et ideo ipse summum bonum est, a quo ^n nullo delicere bonum est, et
malum est deflcere. Non est
ergo causa deficiendi id' est tendendi ad jion esse, qui, ut ita dicam,
essendi causa est, quia omnTum quae suoit, auctor est, quae in quantum
sunt, bona sunt... Ecce aperte habes quod deficere a deo... malum est
». L.oiT7bardo nel cielo del 5oIe. Entrato €on
Beatrice nella sfera del sole Dante, appreoide diairanima di S. Tommaso chi
essa sia e chi siano i fulgor vivi e vincenti Sella sua ghirlanda.
Se si di tutti gli altri esser vuoi certo, Di retro al mio parlar
ten vien col viso * Girando su per lo beato serto, QuelValtro
fiammeggiare esce dal riso Di Graziano, che Vano e l'altro foro
Alutò si che piace in Paradiso. L'altro ch'appresso adorna il
nostro coro Quel Pietro fu che con la poverella Offerse a Santa
Chiesa suo tesoro {Par.);. Qui Buti commenta :
con la poverella offerse fece la sua offerta della sua facilità, come la
po-verella della quale dice rEvangelio di Santo loanni, che offerse poco,
perchè «poco aveva, ma con buon cuore e peirò Iddio accettò più la sua
offerta che quella del ricco, che, benché offerisse molto, non offerse
con si buono animo. Commento di Buti sopra la Divina Commedia per cura di
C. Giannini Pisa I più dei oammentatapi ricordano le prime parole del
prologo del Liber Sententiarum : « Cupientas aJiquid de penuria a-c
temiitate nostra cum paupercula in gazophilacium Domini miUere
ardua scandere et opus supra vires nostras praesumpsimus». Le
parole di C. chiaramente fidludono al noto episodio della poverella,
riportato da San Luca e da S. Marco e
nooi da Giovanni come erroneamente riferisce il Buli. Dice
San Luca: « Respiciens autem vidit eos, qui mittebant munera
sua in gazophilacium diviles. Vidit autem et quamdam viduam pauperculam mittenlem aera
minuta duo. Et dixit: Vero dico vobis, quia vidua haec pauper, plus
quam omnes misit. Nam omnes hi ex abundantia siti miserunt in
munera Dei : haec autem et ex eo, quod deest illi, omoiem victum suum
quem habuit misit. Così
ad un dispreeso racconta San Marco con leggere vananti : solo è da
notarsi che egli chiama la donna uidua una pauper e vidua hxiec pauper e
non mai col diminutivo tanto affettuoso di paupercula che per essera
stJ^lo scelto da Pier Lombardo fa pensare ch'egli si sia riferito
in special modo al passo di San Luca della Volgata. Ma ciò poco importa :
importa invece assai il notare come l'umiltà della vidua paupercula
avesse toccato «profondamente il cuore di C. il quale nel vergare quelle
parole doveva forse ricordarsi con teneirezzìa di un'altra vedova
poverella di un lontano paese di Lombardia: e come ALIGHIERI che nei veirsi che
dedicava ai persooiaggi della sua^ Commedia soleva «per lo più
introduirre l’elemento soggettivo dei ricordi ed affetti personali non
senza ragione ricordò quel punto e quello solo dell'opera di C. L'influenza
che il ma^fister Petrus esercitò sul pensiero del Divino Poeta non è stata
ancora tutta quanta spiegata e compresa nella sua giusta entità. 11
tkeologus . Dantes nullius dogmatis expers dà a S<a«n Tommaso il
posto d'onore che gli conviene, ma ad AQUINO commentatore di C.. Se ALIGHERI ed
AQUINO non si possono ancor dire contemporaiiiei sono vissuti a
poca distanza di tempo e sono entrambi commentatori e perfezionatori
dell'opera ancora rozza si ma feconda di Pier Lombardo : l'uno raggiunge
finalmente colla sua maunifica somima quel connubium fidei ac rationis che
il Magister aveva solo tentato, Taltro ina canta il trionfo
glorioso. Che Dante avesse letto il Rbro delle Sentenze con mollo
amore ci è provato non solo dai versi succitati, ma da numeirosi passi
del Paradiso ove come diremo tosto rimitaziione risulta evidente : ed io
sarei anche propenso a credere che rAlighieri non si fosse Termato alla
lettura di quel libro solo ed a tutti noto di Pier Lombardo.
Qui sono tratto ad accennare fuggevolmente alla famosa questione
del viaggio di Dante a Parigi : questione ove troppo, eletti ingegni si
cimentarono perchè io presuma di recare qualche nuovo raggio di luce.
Dante zill'Uoiversiià di Parigi. Giovanni di Serravalle comme«ntatore
racconta. Anagogico dilexit Theojogiam sacram, in qua diu studuit tam in
Oxoniis in regno Angliae quam Parisius in regno Franciae : et fuit
Bachalarius in Universitate Parisiensi in qua legit Senlentias prò forma
magisterii : legit Biblia : respondit omnibus doctoribus, ut moris est,
et fecit omines actus qui fieri debent per doctorandum in Sacra
Theologia. Egli continua poi a dire che Dante non potè ottenere la laurea
perchè gli mancò il denaro per la licenza (deerat pecunia). Onde tornò in
Firenze per acquistarlo, optimus artista, perfectus Theologus e quivi
fatto «priore si diede ai pubblici uffici e più non si curò della
Università di Parigi. Il (racconto di Giovainni di Serravalle fu accolto
dairOzanam e dairArriviabene con maggior serietà che mm me(1) TiBABOSOBi, storia
della leti. Hai. Modena - Fratria F. de Serravalle Translatio et comentum
totius libri Dantis Aldighieri cum textu italico Fratria Da Colle, nunc
primum edito Prati - (Jiachetti in
fol. ritasse. Secondo un tale racconto ALIGHIERI (si veda) sarebbe andato
a Parigi contro raffestazione di Villani, di Boccaccio, di Benvenuto da IMOLA
(si veda) che fanno il viaggio degli ultimi anni. Ed il chiaro professor
Cipolla osserva che è appena credibile che ALIGHIERI (si veda) fossei in
cpiel tempo cosi spirovviiyto di credito da non potere ottenere la
somma che gli era necessaria: onde giudica il racconto di poca
probabilità. Ma TinverosimigHanza di lutto il racconto appare manifesta quando
un poco si pensi al modo come è organizzata la facoltà di FILOSOFIA di
Parigi ai tempi d’ALIGHIERI (si veda). Il buon vescovo di Fermo
volendo mostrarsi molto approfondito nella conoscenza dei gjradi accademici
commette degl’errori grossolani: et fuit Bacchalarius – cf. H. P. Grice, B. A.
Oxon. -- in vniversitate parisiensi in qua legit Sententias pro forma
Magisterii: legit Biblia. Ma si è veduto nella parte storica del lavoro
che l’anno in cui il baccelliere éiventsiV a Sententiarius cioè
commenta in pubblico il libro delle Sentenze non precede, ma segue la
spiegazione della Sacra scrittura. Dopo quell'anno, il baccelliere si chiama
baccalaureus FORMATVS, che risponde, mutatis mutandis al
nostro laureando a BOLOGNA. Perciò Giovanni di Serravalle per essere
esatto come vuol parerlo, avrebbe dovuto invertire l'ordine
delle parole. Ma non vogliaino essere molto esigenti su ciò: c'è ben
altro. Gli omnes aclus qui fieri dehent per doctorandum in sacra
Theologia sono e forse Giovanni di Serravalle lo ignora, i sermoni (sermones) e
le conferenze (controversiæ) che si dovevano tenere nei tre o
quattro anni che precedeno la licenza ed infine le tre
dispute pubbliche di cui la più solenne vienne chiamata sorbonica. Ma la
licenzia (LICENTIA) che vienne dopo tali prove accordata e che il Serravallei
chiama con termini vaghi inceptio, conventus non esige alcuna pecunia di
sorta. Il SerravaUe e tutti i Commentatori si riferivano all’accenno
Dantesco; si come il baccelUer s'arma e non paria, fin che il MAESTRO
(MAGISTER – H. P. Grice, M. A. Oxon) la question propone, per approvaria
e non per terminarla. Par. -
i8, Infatti già il concilio Lateranense proclama due punti fondamentali:
la necessità e la gratuità della licenza ed un tale decreto trova posto nelle
Definire di Gregorio IX. Solo per eccezione è eoncesso a Comestore, cancellario
di Nótre Dameij per i suoi pregi personali, da Alessandro III, di
prelevare uoiia piccola rimunerazione per la concessione della
licenza. Ed ancora il Regolamento di Courcon insiste sulla concessione gratuita
ed ìncondiziomita della licenza: ed una tale disposizione veniva
conifermata nelle reigole aggiunte dal papa Gregorio II di cui conosciamo
il benefico intervento nei dissensi tra rUniversità ed di Re di Francia.
Nella famosa bolla Parens scientiarum viene prescritto formalmente « che il
cancelliere non potrà esigere da coloro ai quali conferirà la licenza né
giunamento, né obbedienza, né denaro, né cauzione, né promessa ».
Ora è noto a tutti che lo statuto di Roberto di Courcon confermato
e completato dalla bolla di Gregorio IX, la quale fu pure rinnovata senza
modificazione da Urbano IV continua ad essere per tutto il secolo XIII
'a legge fondamentale deirUniversità e pertanto della facoltà
teologica di Parigi. Per il che sembra a me che il fondo storico del
racconto di Giovanni di Serravalle venga a mancare sempre più di
consistenza. Cipolla nel suo dotto ìavaro Sigieri nella Divina Commedia,
dopo avere ossei-vato che il Sigieri ricordato tra i beati del canto X deve
ritenersi come Sigieri di Brabante, e non va identificato col Sigieri de
Conrtrai {Le Clero) visisuto in epoca diversa, e neppure con quello
di cui si iparla nel sonetto del Fiore (Castets) avverso ad AQUINO, crede
probabile, che ALIGHIERI fn a Parigi negli ultimi anni di sua vita ed
airin e non vi ascoltò le lezioni di Sigieri di Brabante perché questi
era morto avanti il 1300 ( Feret tornando su questa questione nel volume
II deiropera cit. (Les Sorbonnistes) crede errat-ì così, l'opinione del
Le Clerc che del Castets, combatte ^e Giornale storico den« Lett.
It. Torino LoescUer] asserzioni di
Gaston Paris, ed airiimesso che il Sigieri d’ è il SigieriALIGHIERI (si veda)
di Brabante che quitla cette vie en reputation d'une orthodoxie parfaite, non
si discosta mollo dalle oonclusdoni del professor Cipolla che mostra di
mion conoscere. Questo sembrerebbe coaidurci assai fuori del nostro argomento
se una buòna osservazione del prof. Cipolla a questo proposito della
partecipazione dell'Alighieri alle lezioni dd Sigieri non mi facesse
tosto ritornarvi. Egli afferma che « per ciò che riguarda Sigieri,
altro è ammettere nel luogo Dantesco vm ricordo personale, ed altro
è credere che questo ricordo personale sia tale davvero da comprenderà poS la
partecipazione dell'Alighieri alla scuola di quel filosofo. Alle scuole
di Parigi i libri del Sigieri eratno rimasti auasi come lesti agli
scolari, tanta Sama le sue lezioni vi avevano lasciato. Cosi per ciò
che riguarda Pier Lombardo, io aggiungerò che oer spiegare la profonda
conoscenza che Dante ebbe del Libro delle sentenze, non è necessario
di credere col Serravalle che Damle abbia commentato le sentenze nella
scuola di Teologia perchè lo studio che in quei tempi se ne faceva in
Parigi, la fama che vi godeva e che già aveva provocato i lamenti di
Ruggero Bacone, certo potevano non poco contribuire a farglielo conoscer©
più in là del frontìsipizio e del prologo. Per fama egli
conobbe a Parigi Sigieri, per fama vi conosce C. ed entrambi egli ricordò
con particolar cura nei suoi versi ove palpita un affetto personale. Ma se
poca o nessuna influenza ha la filosofìa di Sigieri nell’opera d’ALIGHIERI;
molta invece ne ha in quella di C. Un esempio: Speme dissHo, è un
attender certo Della gloria futura, il qual produce Grazia divina e
precedente merlo. {Par.) P. Fkrkt La f acuite de Tkeol, de
Paris – Ricarcl] Pietro di Dante, TOttimo, la Chiosa Cassanese, ricordano la
definizione di Pier Lombardo: «est spes certa exjeiotatio futurae
beatitudinis veniens ex Dei gralia et mentis praecedentibus ». (Lib.
Seni. IH. dist.). Iacopo della Lama, rÀnonimo rioooimno assai
meno opportunamente a San Toit^màso: spes est motus appeWiiae virtutis
consequens apprehensione boni fulnri adnui possibilis adiptsci. Ho citato,
per ppoporre un esempio, uno dei tanti luoghi ove il Lombardo viene dal
poeta preferito all'Aquinale, o meglio dire ove cosi San Tommaso come
Dante attingono -alla medesima fonte: Pier Lombardo. Qui si ha una
traduzione letterale delle parole del Maestro che appaiono anche in San
Tommaso sotto una veste più filosofica. Ma non è questo il solo punto ove un
tale raffronto è possibile. Fu uno dei più assidui, il Senatore
Carlo Neg'-;ni, a far notare la ^ainde importanza che ebbe il libro
del Maestro nel pensiero di Dante. JNella prefa/jine al
volume. .V. della Bibbia volaare ri884), accennando a Pier Lombardo della
cui opera si giova Tespositore dei salmi di quella Bibbia, promise
di occuparsene : « In un altro mio scritto dove avrò Taiuto di un
teologo profondo, e mio buon amico, farò il confronto tra le
«proposizioni teologiche della Divina Commedia e quelle dei libri delle
Sentenze: ed il lettore vedrà che le prime non sono altro che
Tespressione poetica delle seconde, fedelissima e latta con invidiabile
precisione ». Disgraziatamente Negroni occupato in altri lavori, non potè
adempiere .alla sua promessa, ma dando esempio dì larghezza d'animo,
consigliò ed aiutò l’amico suo Carbone, (Carbonara), poi prefetto
Apostolico deirÉritrea, nell'opera a cui egH non poteva attendere,
e ne promosse la pubblicazione. Carbonara pubblica infatti Slcuni Studi
Danteschi e Tortona Tip. A.
Rossi Stttdi Danteschi; Dante e S. Francesco; ALIGHIERI e FIDANZA (si
veda) Nella Biblioteca Negroni si trovano nel carteggio privato le
lettere che il Carbone indirizzava a Carlo Negroni piene d'erudizione e
di affetto per l'illustre amico. Trov.ansi pure tra i copiosi ms. due fascicoli;
n. 26: Pier L. nel Paradiso; n. 27: Appunti Danteschi. Essi contengono
citazioni, note erudite che il Negroni veniva man mano scrivendo. La
malattia e la morte tolsero il modesto studioso e generoso filantropo aUa
tranquilla ed utile sua operositét letterarii^. nel volume I.
dedicato al Neuroni, prese in esame» il I\' Libro delle Sentenze collo
studio: Dante e C. Questo appunto- che è il migliore ed il più originale,
entrò poco dopo inella collezione di opuscoli inediti e rari
diretta da Passerini per cura di Murari. In esso il Carbone che si
limita «all'esame delle distinzioni delle Sentenze, conclude che il seme
che è nel libro delle Sentenze di Pier Lombardo mostra i suoi fiori
ed i suoi frutti ini Dante. Nella tornata del 19 Aprile 1891
airAccademia Pontaniana, il socio residente Alberto Agresti le^e una memoria
dal titolo: Eva in Dante ed in Pier Lombardo (1) ed anch'egli ricordò a
proposito di questi studi, Tamico Negroni e lo studio di frate Michele da CARBONARA
(si veda). Ponendo a raffronto i passi danteschi ove vien
citala Eva (tacendo di tre che non danno alcun ^udizio della sua
colpa : (Purg.) uno comune con Adamo (Purg.); gli altri (Purg.; Par.),
ove si dà un giudizio sfavorevole di Eva ed il passo del DeViilgari
Eloquio ove ALIGHERI chiama Eva praesumptuosissimam), cerca da
quali letture Dante ricavò il severo giudizio. Combatte To•pinione di V.
Imbriani, (Studi danteschi. Firenze, Sansoni) che coIFesempio del Boccaccio
vuol dimostrare 'i& scarsa erudizione teologica di Dante. Nella
testimonianza di San Tommaso {Summa) Isidoro {Sentent.), Sant'Anselmo {De
pec-orig.), Ugo da S. Vittore, FIDANZA non trova la ragione delli
eccessiva severità deirAlighieri, bemsì in Pier Lombardo (Lib. II. dist.
22) che così si esprime: Adamo non istimò vero ciò che il diavolo aveva
suggerito; stimò di peccare in maniera da esserne perdonato. Forse come
vide che la donna, gustato il frutto, non era peranco morta, prevaricò e
volle ainch^'egli fare esperimento del legno proibito. Più però Ta donna,
perchè volle usurpare l'eguaglianza della divinità e levata in
superbia nimia vraesumptione^ credette così doversi avverare. Adamo
non volle contristare la donna, ma certo non vinto da carnale
concupiscenza, non sentila peranco in Napoli, Tip. della R.
Università, lui, ma per una certa amichevole heoievotenza per la
quale il più delle volte avviene che si offende Dio per non offender
l'amico. In un certo modo Adamo fu anch'egli deceptus ! Nella donn<a /fu
majoris tumoris praesumptio : ella peccò in sé, nel prossimo, in Dio :
l'uomo solo ui sé ed in Dio. E l'Agresti finisce insomma col
concludere che « studiare la D. Commedia al lume dei libri delle Sentenze
è tutto un lavoro nuovo che manca alla letteratura danteca ». A me non
resta che augurarmi che un tale 1' si compia e che una feconda curiosità
subentri alla sterile dilRdenza nelFaprire il libro di P. L. che Dante
non certo per cura della rima chiamava il suo tesoro. I
ìinyiìì dell'erudizione. Ristrettezza di tempo mi ha impedito di dare,
com'era mio desiderio, maggior svolgimento a questi insufficienti
cenni sull'influenza esercitata dal maestro delle Sentenze sull'opera d’ALIGHIERI
(si veda) e non sulla Divina Commedia soltanto. Dell'utilità di una maggiore e
più profonda conoscenza di tali rapporti, è prov:a quanto si è venuto in
questi anni scrivendo dagli studiosii di Dante coll'intento in verità
non sempre raggiunto di recar "maggiore luce airinterpretazione' del
poema dantesco. Ancora in un recente fascicolo del Bollettino della
Società Dantesca Italiana. Parodi m una dotta recensione consacrata ad un
apprezzato studio del prof. Surra su La conoscenza del futuro e del presente
nei dannati danteschi (Novara, Tip. Guaglio), si vale del confronto colla
dottrina del Maestro delle Sentenze per meglio chiarire i dubbi che le parole
di Farinata non sciolgono sul modo di conosceniza dei dannati.
Contro la tesi del Surra, che fortificandosi del concetto delFìrrazionale
nell'arte, ampiaonente illustrato da Fracoaroli, vuol chiudere il passo
^ai diritti 3eireru3ìzioaie, Parodi dimostra, citando una distinzione del
IV delle Sentenze. Ve animabus damnatorum si qua habent notitican eorum
quae hic fiunt, come l’esposizione di Farinata cresce d'importanza venendo a
combaciare colla dotlrin<a professata dal Maestro. Ed è certo che se
la contraddizione non può essere evitata dal pensiero umano, specie
cpiando s'aderge sulle ali della poesia, tanto in Dante come in C.,
scola5?tóci entrambi, v'è Tidentioa «preoccupazioaiei di sfug^rle colla
cura più scrupolosa. Non si può riconoscere tuttavia all'erudizione il
diritto di andar troppo oltre, specie nelle sue conclusioni, perchè
Terudizioflie è alla poesia come la ragione è alla fede, che il sapere riconosce
potene illuminare senza spiegarla interamente. Se anche col
raffronto più minuto dei passi danteschi ooiropera di C. (non limitato
alle Semtenze) noi potremo trovare nuove e curiose rispondenze che ci
dimostreranno le fonti di sapere e d'inspirazione del Poeta divino, dovremo
limitarci a riconoscere nulla più che la materia preziosa, ma informe
trasportata e nobilitata dalFopera (in che è il fatto nuovo) dello
statuario. E\ per limitarmi ad un solo esempio, notevole il
modo onde mei Sermoni vengono disposti gli argomenti morali che il
Lombardo distilla da un qualunque versetto biblico: sono quasi sempre tre
i sensi che se ne ricadano ed il numero 3 entra con una particolare
predilezione ìiell armonica e spesso sin troppo misurata distribuzione delle
parti nei suoi discorsi. Queste ed altre minuzie di logica arTres igitur
tortae pani8 tres sunt modi dìvinam paginam intelligendi Triplex igitar pani8
eat intellectus: tropologicus, scilicet moralis vel historicus; mysticus,
idest allegoricus et anagogeticum Moralis mores componit, exhauriens
malos et confovens bonos; allegorìcufl mentis acuit oculos ut mysterioram
abdita penetrare valeant; anagogeticus mentes super se effundit ut in
voce exultationis et confessionis, constituto die, e condensis usque ad
domum Dei rapiatur; nam sicut allegoria alitar intellectus, ita anagoge
superior sermo vel sursum tendens interpretatur. Moralis, idest tropologicus, est
dulcior, historicus facilior, mysticus auctior. Historicus insipientibus, moralis
proficientibus, mxsticus perfìcientibus congruit.- Sermone: Convertimini fili
revertentes fine inedita riportata da
Haureau op. cit* chitettura oasi caire a Pier Loonbardo, come si
avverte nello slesso Prologo delle Sentenze', do ve vaino esercitare
il loro influsso nel poeta della Vita Nuova e del Paradiso.
Ma non dal solo Pier Lombardo, bensì da tutta 'a scienza teologica,
Dante raccolse mei grande specchio ustorio della sua mente, la luce che
brilla nel suo divino Poema. Né possiamo comprendere come uno
studiotso deìlla coltura del prof. Amaduocd, possa restringere nelrarido
opuscolo XXXII di San Pier Damiano, quasi l'unica tonte del poema
dantesco, lo schema dottrinale a cui Damte avrebbe informato, con
perfetta fusione della lettera coll'allegoria^ la Commedia, e annunciare
seriamente che distinguendo i 100 canti nelle 42 marcie e fermate {numsioni}
deirallegorico viaggio degli Ebrei contemplato dalla modesta fantasia di
San Pier Damiano, verrà sostituito nell'esame del poema ai fondamenti
ipotetici, il fondamento scientifico, gli enigmi di sei secoli,
troveranno fàcile spiegazione e sarà aperta la via ad una nuova
valutazione artistica. Ma tale via non Tha aperta Dante
stesso coU'opera sua? (1) Z/' opuscolo XXXII di S,
Pier Damiano fonte diretta della Divina Commedia? in Grùymaìe Dantesco
dir, da G. L. Passerini - Firenze, Dischi. cfr. Parodi La fonte diretta della divina Commedia
in Marzocco, Firenze. A questa trattazione epero far seguire
prosslntamefite un canltolo, su C. E LA SCUOLA. Ohe per l'economia
dei presente iavoro non potè essere inoluoo. Le origini oscure. La nascita
a Lumellogno. L'ambiente nativo. Dipendenza di Lmnelil^gno dal Capitolo
Novarese Stato delle scuole
novaresi. Pier Lombardo fu allo studio Bolog^nese? Gap. il Nell'ombra del cammino Alla scuola di
Leutaldo novarese a Reims. « ParisiUiSi »
La universitas scholarium. San Vittore. Santa Genoveffa. Nella luce
della fam^i. La scuoia di Nòtre Dame. L'episcopato. La morte. La tomba di
Marcello. Le onoranze. L'opera e la fortuna di Pier Lombardo. Le Sentenze. I
Sentenziarii. I detrattori. Il « tesoro ». Opere edite ed inedite. I
Seamoni. LA DOTTRINA FILOSOFICA. Posizione di C. nella filosofia.
Metodo. Religione e sciens&a. Problema metafisico e conoscitivo Teoria
degli universali. Teoria ctella oonoscenza. Problema ontologico e
cosmologico. Sostanza ed accidente. Natura e persona. Materia e forma. Causalità.
Spazio e tempo. CosmoJKJgia Posizione
dell'uomo neirunàverso. Cap. Problema psicologico. Potenzie dell'
aiiim.. Natura dell'ajiima. Origine dell'anima. Relazione tra l'anima e il
corpo. Problema morale. Libero arbitrio. Felicità. Moralità delle
azioni umane La legge morale Bene
e mailie. Lm dottrina scolastica in C. e ALIGHIERI (si veda) Pier
Lo!ml>ardo nel cielo del Sole. Dante adl'Università di Parigi. Influenza di
Pier Loonbardo sull'opera di Dante. Aggiunta necesaaria. I limiti
dell'erudizione. Ritratto di Pier Lombardo dall'incisione del Thevet
« Les vrais portraàts ecc. » Paris. Portico della Canonica di Novara da
un'incisione delle « Monografìe Novanesi » MigUo Vene de la VUle de Paris
du coté de Vlsle N. Dame
(antica incisione). A. Nótre Dame de Paris, (antdca incisione). Con
Agostino si opera, per la prima volta e in maniera esplicita, una completa
saldatura fra la teoria del SEGNO e quella del linguaggio. Per trovare una
altrettanto rigorosa presa di posizione teorica bisogna aspettare il Corso di
linguistica generale di Saussure, scritto quindici secoli dopo. La grande
importanza che la tematica semiolinguistica ha in Agostino deriva in gran parte
dal suo assorbimento della lezione stoica, come del resto testimonia il
trattato DE DIALECTICA De dialectica. In esso sono riassunti molti dei
principali temi stoici in materia semiotica, tra cui il princi pio che la
conoscenza è, in linea generale, conoscenza attra verso segni (Simone). Ma
vari elementi differenziano l'impostazione agostinia na da quella stoica. In
primo luogo, infatti, gli stoici, racco gliendo e formalizzando una lunga
tradizione di origine so prattutto medica e mantica, consideravano
propriamente segni (smeia) solo i segni non verbali, come il fumo che svela il
fuoco e la cicatrice che rinvia a una precedente feri ta. Agostino, invece,
per primo nell'antichità, include nella categoria dei signa non solo i segni
non verbali come i gesti, le insegne militari, le fanfare, la pantomima ecc.,
ma anche le espressioni del linguaggio parlato. Noi diciamo in generale segno
tutto ciò che significa qualche cosa, e fra questi abbiamo anche le parole -- De
Magistro. In secondo luogo, gli stoici avevano individuato nell'e
nunciato il punto di congiunzione tra il significante (semaf non) e il
significato (semain6menon), elemento che comun que non coincideva con il segno
(semefon). Agostino, inve ce, individua nella singola espressione linguistica,
cioè nel verbum (''parola"), l'elemento in cui significante e signifi
cato si fondono, e considera questa fusione un segno di qualcos'altro
("Quindi, dopo aver sufficientemente assoda to che le parole [verba] non
sono nient'altro che segni [signa] e che non può essere segno ciò che non
significhi [si gniflcet] qualcosa, tu hai proposto un verso di cui io mi
sforzassi di mostrare che cosa significhino le singole paro le", De
Mag.). In terzo luogo, gli stoici avevano elaborato una teoria del linguaggio
che aveva le due caratteristiche di essere formale (il lekt6n non coincideva
con alcuna sostanza) e centrata sulla significazione. Agostino, invece, elabora
una teoria del segno linguistico che ha un carattere psicologistico (i si
gnificati si trovano nell'animo) e comunicazionale (passano nell'animo
dell'ascoltatore) (Todorov; Markus). 10.1 n triangolo semiotico e la
stratificazione ter minologie& È del resto con l'analisi della nozione
stessa di parola (verbum simplex) che si apre il De dia/ectica ed è con questa
nozione che si inaugura una serie interessante di distinzioni terminologiche.
Al capitolo V, Agostino elabora una triplice distinzione che possiamo mettere
in corrispondenza con i moderni con cetti di significato, significante e
referente. Infatti individua in primo luogo la vox articu/ata (o il sonus)
della parola, cioè quello che è percepito dali'orecchio quando la parola viene
pronunciata. In secondo luogo individua il dicibi/e1 (corrispondente, anche dal
punto di vista della trasposizio ne linguistica, al /ekt6n stoico), definito
come ciò che viene avvertito dall'animo e che è in esso contenuto. In terzo
luogo, infine, distingue la res, che viene definita come un og getto
qualsiasi, percepibile con i sensi, o con l'intelletto, op pure che sfugge
alla percezione (De dialect.). È così possibile ricostruire il triangolo
semiotico nei se guenti termini: dicibile vox articulata (o sonus) res
Ma Agostino guarda ai segni anche dal punto di vista del loro potere di
designazione, oltre che da quello della signifi cazione. Questo lo spinge a
elaborare un'ulteriore suddivi sione terminologica in corrispondenza dei due
aspetti che può assumere il referente di una parola: può infatti avve nire che
la parola rimandi a se stessa come proprio referente (fatto che si verifica nel
caso della citazione, ovvero della designazione metalinguistica), e allora
prende il nome di verbum; oppure può avvenire che la parola, intesa co me
combinazione del significante e del significato, abbia come referente una cosa
diversa da se stessa (come avviene con l'uso denotativo del linguaggio), nel
qual caso prende il nome di dictio.3 È precisamente la nozione di dictio che,
come ha osserva to Baratin, costituisce l'elemento di congiunzione tra la
teoria del linguaggio e quella del segno. E ciò in virtù di uno sfasamento
semantico che la nozione stoica di léxis (si gnificante articolato, ma senza
essere necessariamente por tatore di significato) ha subìto nel corso degli
studi lingui stici antichi. Dictio è traduzione di léxis; ma non ha lo
stesso significa to che le attribuivano gli stoici, bensì quello che le davano
i grammatici alessandrini, in particolare Dionisio Trace, che definiva la léxis
come "la più piccola parte dell'enunciato costruito" (Grammatici
graeci), a metà strada tra le lettere e le sillabe, da una parte, e
l'enunciato, dall'al tra. Questa sua particolare posizione fa sì che la léxis
venga considerata come portatrice di un significato (in contrappo sizione alle
lettere e alle sillabe che non lo posseggono), ma incompleto (in opposizione
all'enunciato che porta un sen so completo). Lo spostamento di fuoco dalla
centralità stoica dell'e nunciato alla centralità alessandrina della singola
parola, fa sì che quest'ultima assuma al(\une delle funzioni prima spet tanti
solo all'enunciato. In particolare, quella di essere un segno.4 Agostino
definisce decisamente la parola come un segno al cap. V del De dialectica:
"La parola è, per ciascuna cosa, un segno che, enunciato dal locutore, può
essere compreso dall'ascoltatore". E, del resto, il segno viene definito
come "ciò che presentandosi in quanto tale alla percezione sensi bile,
presenta anche qualche cosa alla percezione intellet tuale (animus)"
(ibidem). Relazione di equivalenza e relazione di implicazione Ponendo
l'accento sulla parola, anziché sull'enunciato, Agostino ritrova l'opposizione
platonica tra parole e cose. Incontro non casuale, in quanto Platone è l'unico,
prima di Agostino, ad avere una concezione semiotica del linguag gio; per
Platone, infatti, il nome era d/Oma, svelamento di qualcosa che non è
direttamente percepibile, ovvero dell'es senza della cosa. Ma mentre nel
Crati/o platonico si discute se il rapporto tra nome e cosa sia un rapporto
iconico (pe raltro con la soluzione che conosciamo, cfr. cap. 4), in Agostino
tale rapporto - configura subito come una rela zione di significazione: il
nomt "significa" una cosa (nozione equivalente a quella di
"essere segno di" una cosa). Nel momento in cui Agostino propone la
sua concezione della parola come segno, si producono alcune modificazio ni
teoriche, conseguenti allo spostamento di prospettiva. In effetti nelle teorie
linguistiche precedenti a quella di Agosti no il rapporto tra le espressioni
linguistiche e i loro conte nuti era stato concepito come una relazione di
equivalenza. La ragione, come noto, era di carattere epistemologico e ri
guardava la possibilità di lavorare direttamente sul linguag gio, in
sostituzione degli oggetti della realtà, dato che il lin guaggio veniva
concepito come un sistema di rappresenta zione del reale (per quanto mediato
dall'anima). Al contrario, il rapporto tra un segno e ciò a cui esso rin via
era stato concepito come una relazione di implicazione, per cui il primo
termine permetteva, per lo stesso fatto di esistere, di arrivare alla
conoscenza del secondo. Eco (1984: 33) ha suggerito che, nell'enunciato stoico,
i rapporti tra la relazione segnica e quella linguistica possono essere
illustra ti da uno schema in cui il livello implicazionale si regge su quello
equazionale: onIE=>c m_E:! c dove E indica "espressione", C
"contenuto", ::J "implica" e == "è equivalente
a". In Agostino l'unificazione tra le due prospettive avviene a livello
della singola parola e senza chiamare in causa rapporti di equivalenza. Caso
mai la dic tio, che è rappresentabile con il livello i, è costituita dali'u
nione, o prodotto logico, di una vox (significante) e di un dicibile
(significato), unità che diviene segno di qualcos'al tro (livello ii).
Conseguenze dell'unificazione delle prospet tive La prima conseguenza
dell'unificazione agostiniana, co me sottolinea Eco, è che la lingua comincia
a tro varsi a disagio all'interno del quadro implicativo. Essa in fatti
costituisce un sistema troppo forte e troppo strutturato per sottomettersi a
una teoria dei segni nata per descrivere rapporti così elusivi e generici, come
quelli che si ritrovano, a esempio, nelle classificazioni della retorica greca
e roma na. Infatti l'implicazione semiotica era aperta alla possibili tà di
percorrere l'intero continuum dei rapporti di necessità e di debolezza. Inoltre
la lingua, come del resto Agostino mette in risalto nel De Magistro, possiede
un carattere peculiare rispetto agli altri sistemi di segni, corrispondente al
fatto di essere un "sistema modellizzante primario",5 cioè tale che
qualun que altro sistema semiotico può essere tradotto in esso. La forza e
l'importanza della lingua fanno sì che i rapporti con gli altri sistemi di
segni si rovescino, e che essa, da specie, divenga genere: a poco a poco, il
modello del segno lingui stico finirà per essere senz'altro il modello
semiotico per ec cellenza. Ma quando il processo evolutivo arriva a Saussure,
che ne rappresenta il punto culminante, si è ormai venuto a per dere il carattere
implicativo, e il segno linguistico si è cri stallizzato nella forma degradata
del modello dizionariale, in cui il rapporto tra la parola e il suo contenuto è
concepito come situazione sinonimica o definizione essenziale. La seconda
importante conseguenza dell'innovazione agostiniana riguarda il problema della
fondazione della dia lettica e della scienza (Baratin). Fintanto ché il
rapporto tra linguaggio e oggetto del reale era conce pito nei termini
dell'equivalenza, il primo non appariva di rettamente responsabile della
conoscenza del secondo. Ma nel momento in cui si attribuisce un carattere di
segno alle espressioni linguistiche, la conoscenza delle parole sembra
implicare, di per se stessa, e a priori, la conoscenza delle co se di cui esse
sono segno. Tutta la grande tradizione semiotica, del resto, convergeva nel
considerare il segno come il punto di accesso, senza ulteriori mediazioni, alla
conoscen za dell'oggetto di riferimento. Il problema che si pone ad Agostino è
allora quello di prendere una posizione rispetto alla questione se il linguag
gio fornisca o meno, di per se stesso, informazioni sulle co se che significa.
Agostino affronta la questione del carattere informativo dei segni linguistici
nel De Magistro. L'opera, in forma di dialogo tra Agostino e il figlio
Adeodato, inizia stabilendo due fondamentali funzioni del linguaggio: in·
segnare (docere) e richiamare alla memoria (commemo rare), sia propria sia
degli altri. Si tratta di funzioni con temporaneamente informative e
comunicative, in quanto coinvolgono in maniera centrale la presenza del
destinatario nel momento in cui forniscono informazione. La prima parte del
dialogo è tesa a dimostrare che queste funzioni, principalmente quella informativa,
sono svolte dal linguaggio in quanto sistema di segni. Sono le parole, infatti,
che, in qualità di segni, danno informazione sulle cose, senza che nient'altro
possa assolvere alla medesima funzione. Nella seconda parte del dialogo, però,
Agostino ritorna sull'argomento e cambia completamente la sua prospettiva.
Fondandosi ancora una volta sul fatto che la lingua è un in sieme di segni,
egli mostra che si possono presentare due ca si: il primo caso è quello in cui
il locutore produce un se gno che si riferisce a una cosa sconosciuta al
destinatario; in tale situazione il segno non è in grado, di per se stesso, di
fornire informazione, come dimostra l'esempio, riportato da Agostino,
dell'espressione saraballae, la quale, se non precedentemente nota, non
permetterà di comprendere il ri ferimento ai "copricapr', che essa
effettua; il secondo caso è quello in cui il locutore produce un segno che si
rife risce a qualcosa che è già noto al destinatario; e nemmeno in questa
evenienza si potrà parlare di un vero e proprio processo di conoscenza (De
Mag.). Alla fine Agostino conclude invertendo il rapporto cono scitivo tra
segno e oggetto, e stabilendo che è necessario co noscere preliminarmente
l'oggetto di riferimento per poter dire che una parola ne è un segno. È la
conoscenza della co sa che informa sulla presenza del segno e non viceversa.
La soluzione ha una ascendenza chiaramente platonica, e a es sa si collega
anche la presa di posizione, di marca ugual mente platonica, che la conoscenza
delle cose deve essere pregiata maggiormente della conoscenza dei segni, perché
"qualunque cosa sta per un'altra, è necessario che valga meno di quella
per cui essa sta" (De Mag.). Ma se per le cose sensibili (sensibilia) sono
gli oggetti esterni che ci permettono di arrivare alla conoscenza, non
altrettanto avviene nel caso delle cose puramente intelligibi li
(intelligibilia). Per queste ultime Agostino individua una soluzione
"teologica": la loro conoscenza deriva dalla rive lazione che viene
fatta dal Maestro interiore, il quale è ga ranzia tanto deli'informazione
quanto della verità (De Mag.). Ma anche con questa soluzione teologica del
problema linguistico, al linguaggio è lasciato uno spazio, che in parte
coincide con la funzione del segno rammemorativo, ma in parte la supera: quando
conosciamo già l'oggetto di riferi mento, le parole ci ricordano
l'informazione; quando non lo conosciamo, ci spingono a cercare (De Mag.). In
Agostino la soluzione teologica non è una scappatoia per uscire da un'impasse
teorica. Al contrario, essa mette capo a nuove problematiche. È nel De
Trinitate che viene affrontato il tema dell'espressione del verbo interiore,
una volta che sia stato concepito nella profondità dell'ani mo. In effetti,
per poter comunicare con gli altri, gli uomini si servono della parola o di un
segno sensibile, per poter 234 10. AGOSTINO provocare nell'anima
dell'interlocutore un verbo simile a quello che si trova nel loro animo mentre
parlano (De Trin., IX, VII, 12). D'altra parte Agostino sottolinea la natura
prelinguistica del verbo interiore, il quale non appartiene a nessuna delle
lingue naturali, ma deve essere codificato in un segno quan do ha bisogno di
essere espresso e portato alla comprensio ne dei destinatari. Il verbo
interiore ha, del resto, una duplice origine: da una parte esso costituisce una
conoscenza immanente, la cui sorgente è Dio stesso; dall'altra esso è
determinato dalle im pronte lasciate neli'anima dagli oggetti di conoscenza.
Ma anche in questo secondo caso esso è riconducibile a Dio, in quanto il mondo
è il linguaggio attraverso il quale Dio si esprime. Si trovano qui gli embrioni
del simbolismo univer sale, che tanta parte avrà nella cultura del Medioevo.
Quello che comunque emerge con sempre maggiore chia rezza è il carattere
comunicativo della semiologia agostinia na, che è individuabile anche nello
schema riassuntivo pro posto da Todorov: oggetti di conoscenza potenza
!Immanente verbo verbo verbo divina interiore - esteriore - esteriore pensato
proferito sa pere. È comunque innegabile che se la semiologia agostiniana
presenta un aspet to "teologico", connesso al problema del verbo
divino, tut tavia possiede anche un ben individuato e autonomo aspet to
laico, che prende in considerazione i caratteri che il segno ha di per se
stesso. Fanno parte di quest'ultimo aspetto le varie classificazioni dei segni,
alle quali Agostino si dedica soprattutto nel trattato De doctrina Christiana
secondo il modo di trasmissione: vista/udito secondo l'origine e l'uso: segni
naturali/segni intenzio nali secondo lo statuto sociale: segni naturali/segni
conven zionali secondo la natura del rapporto simbolico: proprio/tra slato
secondo la natura del designato: segno/cosa con aggiunte più tarde), ma che
ritorna anche in varie altre opere . Todorov individua e analizza cinque tipi
di classificazione a cui Agostino sottopone la nozione di se gno : Todorov
lamenta il fatto che Agostino giustappone quel lo che in realtà avrebbe potuto
articolare, in quanto gene ralmente queste opposizioni sono tra di loro
irrelate. Questo non è però del tutto vero, perché (soprattutto nel De
Magistro) c'è un tentativo di dare una classificazione combinata di alcuni
aspetti del segno. A questo proposito è possibile ricostruire tale classifica
zione ordinandola secondo uno schema arboriforme (Bernardelli), secondo il
modello dell'albero di Porfirio (Eco). La classificazione di Agostino non è
totalmente a inclu sione, come tende a essere quella porfiriana; e si può
osser vare che se venissero sviluppati i rami collaterali, si vedreb bero
comparire, una seconda volta, alcune categorie elenca te sotto il ramo
principale. Tuttavia è Agostino stesso a metterei sulla strada di una
classificazione inclusiva da ge nere a specie quando definisce la relazione
tra nome e paro la come "la stessa che c'è tra cavallo e animale" e
includen do la categoria delle parole in quella più ampia dei segni
(DeMag.). genen· e specie AES SEGNO PAROLA NOME --- segno udibile di cose
(funzione denotativa) res sensibili (Romulus, Roma, fluvius) differenze
significanti qualcosa verbale (voce articolata) differenze (significabilis,
non significanti nome in senso particolare non verbale
(gesti. insegne, lettere, tromba militare ecc.) altra parte del discorso (si,
ve/, ex, nsmque, neve, ergo, quonism ecc.) segno udibile di segni udibili
(funzione metalinguistìca) res intelligibili ( virtus) SIGNIFICANTE
delle .. AES" La prima relazione interessante è quella tra res e
signa. Per quanto il mondo sostanziahnente venga diviso in cose e segni,
tuttavia, Agostino non concepisce tale distinzione co me ontologica, bensì
come funzionale e relativa. Infatti anche i segni sono delle res e l'uomo è
libero di as sumere come segno una res che fino a quel momento era sprovvista
di quella dignità. Anzi, la stessa nozione di res viene definita in termini
rigorosamente semiologici (Simone): "In senso proprio ho chiamato cose
(res) quegli oggetti che non sono impiegati per essere segni di qualche cosa:
per esempio i legno, la pietra, il bestiame" (De doctr. Christ.). Ma,
immediatamente dopo, cosciente del la pervasività dei processi di semiosi,
aggiunge: "Ma non quel legno che, leggiamo, Mosè gettò nelle acque amare
per dissipare la loro amarezza (Esodo); né quella pietra sulla quale Giacobbe
riposò la sua testa, né quella pecora che Abramo immolò al posto di suo figlio.
L'articolazione che esiste tra segni e cose è analoga a quella dei due processi
essenziali: usare (ut1) e godere (jrul) (De doctr. Christ.). Le cose di cui si
usa sono tran sitive, come i segni, che sono strumenti per giungere a qual
cos'altro; le cose di cui si gode sono intransitive, cioè sono prese in
considerazione per se stesse. Nel De Magistro Agostino propone anche un nome
per le cose che non sono usate come segni, ma sono signifi cate attraverso
segni: significabilia. Niente toglie che in un secondo momento anche
quest'ultime possano essere assun te con funzione significante. Dopo aver così
articolato i rapporti tra segni e cose, Ago stino propone questa definizione
di segno nel De doctrina Christiana: "Il segno è una cosa (res) che, al di
là dell'impressione che produce sui sensi, di per se stessa, fa venire in mente
(in cogitationem) qualcos'altro". Nel nostro albero porfiriano
abbiamo deciso di ricostrui re la principale suddivisione agostiniana dei
segni secondo la dicotomia verbale/non verbale, anche se altre opzioni,
ugualmente esplicite nei testi di Agostino, erano disponibili. Questa decisione
è autorizzata da un passo del De doctrina Christiana in cui, a conclusione di
un'analisi dei vari tipi di segni, Agostino sostiene: "Infatti di tutti
quei se gni, di cui ho brevemente abbozzato la tipologia, ho potuto parlare
attraverso le parole; ma le parole in nessun modo avrei potuto enunciarle
attraverso quei segni". Viene esplicitamente fatto riferimento al
carattere, tipico del linguaggio verbale, di essere un sistema modellizzante
primario, e tale carattere viene assunto come criterio della divisione
fondamentale dei segni. I0.6.3 Segni classificati in base al canale di perce
zione Una classificazione incrociata rispetto alla precedente è quella
effettuata in base al canale di percezione. Agostino infatti sostiene che
"tra i segni di cui gli uomini si servono per comunicare tra di loro ciò
che provano, certi dipendono dalla vista, la maggior parte dali'udito,
pochissimi dagli al tri sensi" (De doctr. Christ.). Tra i segni che
vengono percepiti con l'udito ci sono quel li, fondamentalmente estetici,
emessi dagli strumenti musi cali, come il flauto e la cetra, o anche quelli
essenzialmente comunicativi emessi dalla tromba militare. Naturalmente,
ritroviamo tra i segni percepìbili con l'udito, in una posizio ne dominante,
anche le parole: "Le parole, in effetti, hanno ottenuto tra gli uomini il
primissimo posto per l'espressione dei pensieri di ogni genere, che ciascuno di
essi vuole ester nare" (Dedoctr. Christ.). Tra i segni percepibili con la
vista Agostino elenca i cenni della testa, i gesti, i movimenti corporei degli
attori, le ban diere e le insegne militari, le lettere. Infine vengono
presi in considerazione i segni che riguar dano altri sensi, come l'odorato
(l'odore dell'unguento sparso sui piedi di Cristo), il gusto (il sacramento
dell'euca ristia), il tatto (il gesto della donna che toccò la veste di Cristo
e fu guarita). "Signa naturalia" e "signa data" Sicuramente
fondamentale, anche se non direttamente integrabile al nostro albero inclusivo,
risulta lo schema di classificazione che oppone i signa naturalia ai signa
data. I primi sono "quelli che senza intenzione, né desiderio di si
gnificare, fanno conoscere qualcos'altro, oltre a se stessi, come il fumo
significa il fuoco" (De doctr. Christ.). Ne sono esempi anche le tracce
lasciate da un animale e le espressioni facciali che rivelano, inintenzionalmente,
irrita zione o gioia . Dopo averli definiti, Agostino dichiara di non volerli
trattare ulteriormente. È invece maggiormente interessato ai signa data, in
quan to a questa categoria appartengono anche i segni della Sa cra Scrittura.
Essi vengono definiti come "quelli che tutti gli esseri viventi si fanno,
gli uni agli altri, per mostrare, per quanto possono, i movimenti della loro
anima, cioè tutto ciò che essi sentono e pensano" (De doctr. Christ.). Gli
esempi sono soprattutto i segni linguistici umani (le pa role) . Ma Agostino,
curiosamente, include in questa classe an che i segni emessi dagli animali,
come quelli che si hanno quando il gallo segnala alla gallina di aver trovato
il cibo. Questo crea una marcata differenza rispetto ad Aristotele, che include
i gridi degli animali tra i segni naturali (De int.). Ma Aristotele opponeva
"naturale" a "convenzionale", mentre i signa data non sono
i "segni convenzionali", come Markus aveva suggerito (e come del
resto era sta to proposto dalla traduzione francese di Combès e Farges). I
signa data sono i "segni intenzionali" (Engels; Jackson), e
corrispondono a 1:1na AGOSTINO ben precisa intenzione comunicativa (De
doctr. Christ.). È del resto il carattere intenzionale che permette ad Agostino
di includere tra i signa data quelli emessi dagli animali, anche se egli non si
pronuncia sulla natura di que sta intenzionalità animale (Eco 1987: 78). Del
resto, come nota Todorov, porre l'accento sull'idea di intenzione corrisponde
al progetto semiologico generale di Agostino, orientato verso la comunicazione.
I segni intenzionali, o meglio, creati espressamente in vista della
comunicazione, possono essere messi in corrisponden za del syrnbolon di
Aristotele e della combinazione stoica di un significante con un significato;
quelli naturali, ovvero già esistenti come cose, corrispondono invece ai smeia,
sia aristotelici che stoici Uno dei punti fondamentali della semiologia
agostiniana è costituito dalla ricerca dei modi in cui si può stabi lire il
significato dei segni. Tale indagine è condotta soprat tutto nel De Magistro,
dove si può rintracciare una conce zione semantica che si avvicina al tipo
della "semiosi illimi tata" di Peirce. Come ha rilevato anche
Markus, il significato o segnato di un segno, per Agostino, può essere
stabilito o espresso mediante altri segni, per esempio: fornendo dei sinonimi;
attraverso l'indicazione con il dito puntato; per mezzo di gesti; tramite
astensione (De Mag.). Questa concezione del significato si rende possibile sol
tanto nel momento in cui viene abbandonato lo schema equazionale del simbolo,
per adottare, come fa Agostino, quello implicazionale del segno. La teoria
semiologica ago stiniana si apre così, come ha messo in evidenza Eco, verso un
modello "istruzionale" della descrizione semantica. Se ne può
cogliere un esempio neIl'analisi che Agostino conduce insieme ad Adeodato del
verso virgiliano "si nihil ex tanta superis placet urbe relinqui" (De
Mag.). Esso viene definito come composto di otto segni, dei quali, appunto si
cerca il significato. L'indagine comincia da l si l, di cui si riconosce
che espri me un significato di "dubbio", dopo aver tuttavia sottoli
neato che non si è trovato un altro termine da sostituire al primo per
illustrare lo stesso concetto. Si passa, poi, a lni hi/1, il cui significato
viene individuato come !'"affezione dell'animo" che si verifica
quando, non vedendo una cosa, se ne riconosce l'assenza. In seguito Agostino
chiede ad Adeodato il significato di lexl ed esso propone una definizione
sinonimica: lexl sa rebbe equivalente a l de l . Agostino non è soddisfatto di
questa soluzione e argomenta che il secondo termine è certo un'interpretazione
del primo, ma ha bisogno di essere a sua volta interpretato. La solu2ione
finale è che l ex l significa "una separazione" da un oggetto. A
questa conclusione, pe rò, viene aggiunta anche una successiva istruzione per
la sua decodifica contestuale: il termine può esprimere separa zione rispetto
a qualcosa che non esiste più, come nel caso della città di Troia a cui si
allude nel verso virgiliano; oppu re il termine può esprimere separazione da
qualcosa che è ancora esistente, come quando diciamo che in Africa ci so no
alcuni negozianti provenienti da Roma. Il significato di un termine, allora,
"è un blocco (una se rie, un sistema) di istruzioni per le sue possibili
inserzioni contestuali, e per i suoi diversi esiti semantici in contesti di
versi (ma tutti ugualmente registrabili in termini di codice).” La struttura
implicativa permette regole del tipo "Se A appare nei contesti x, y,
allora significa B; ma se B, allora C; ecc.", regole che sono comuni tanto
al modello istruzio nale quanto alla semiosi illimitata. In definitiva, è
proprio grazie ali'assunzione generalizza ta del modello implicazionale che la
semiologia agostiniana riesce a porsi sia come sintesi delle acquisizioni
semiolingui stiche del mondo antico (teoria della parola come segno), sia come
potente anticipazione di alcune delle più recenti tendenze della ricerca
attuale in campo semantico (modello istruzionale) . 1 In altre opere, al
posto di dicibile troviamo l'espressione significatio; a esempio in De Magistro.
Si deve notare che Agostino adopera l'espressione verbum in due sen si: uno
tecnico e specifico, che è quello dell'uso metalinguistico della pa rola; uno
generale, che corrisponde alla nozione ampia di "parola", co me
"segno di ciascuna cosa che, proferito dal parlante, possa essere inteso
dalJ'ascoltatore. La natura della nozione di dictio, come composizione di significante
e significato, è messa chiaramente in risalto dalla definizione del cap. V da
De dialectica. Quel che ho detto dictio è una parola, ma una parola che
significhi ormaj le due unità precedenti conten1poraneamente, la parola
(verbum) stessa e ciò che è prodotto nell'animo per mezzo della parola [di
cibile]". La dictio, inoltre, "non procede per se stessa, ma per
significare qualcosa d'altro. Si ricorderà che dagli stoici un segno era
concepito, in termini propo sizionali, come un antecedente che rimandava a un
conseguente; cfr. Sext. Emp., Adv. Math. Per questa nozione, cfr.
Lotman-Uspenskij. Refs.: Luigi Speranza, “Philosophical psychology in the
commentaries of Pietro Lombardo and Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Lombardia Grice: “It is
strange that he was called Piero da Lombardia; it would be like ‘a lad from
shropshire.’ ‘Lombardia,’ unlike Ockham, ain’t a townbut a full regionIt’s
different with ‘veneto,’ which is toponymic and metonymic for Venice. But if
Milano was the main ever settlement in Lombardia this would be “Peter, the one
from Milan.” Lombardo Pietro Lombardo Lumellogno Cardano – Grice: “It’s only
natural that he was Pietro Cardano – after the city in Lombardy, Cardano –
Plus, the implicature that he went by “Peter of Lombardy” having been born in
Piemonte, means that the locals never saw him as one of their own!” -- Pietro Cardano – la stirpe Cardano --. Familia patrizia di Novara. Pietro Cardano. Keywords: Cardano,
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardano” – The Swimming-Pool
Library. Cardano.
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