Grice e Cardia: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del culto del laico – scuola di Roma – filosofia romana –
filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di
H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma,
Lazio. Grice: “Cardia is what I would call the Italian Hart – with a tweak –
Italy and religion is Cardia’s forte – recall that the bishop of Rome has the
roots in the ‘pontifex’ of old Rome, so he knows what he’s talking about!” –
Grice: “Like me, Cardia has philosophised, as what the Italians call a
professore di filosofia del diritto, on the ethical versus legal implicatures
of the very idea of a ‘right’ (diritto). We don’t have that economy of
vocabulary in Engish – calling Hart the professor of right would be
unnacepptable at Oxford!”. Si laurea a Roma. Clifton has chapel services and a
focus on Christianity. This is the Chapel: here, my son, Your father thought
the thoughts of youth, And heard the words that one by one The touch of Life
has turn'd to truth. Here in a day that is not far, You too may speak with
noble ghosts Of manhood and the vows of war You made before the Lord of Hosts.
The magnificent Chapel sits at the heart of Clifton both spiritually and
physically and has played an important part of life. Topped by a striking copper-clad
lantern and built from soft red and honey-coloured stone, the Chapel provides
Christian calm, and forms a powerful link between past and present. It is a
place where the community come to mark milestones and celebrate successes, and
for quiet contemplation or spiritual guidance. Brass plates placed on the
back of the staff stalls mark the names of all those who have carved out a
reputation. High on the walls are memorials of pupils of another age who died
by accident or disease serving the Empire. One bears the moving epitaph ‘A good
life hath but few days but a good name endureth forever.’ The
Chapel was built to a design by C. Hansom. It is a narrow aisleless building. It
is the gift of the widow of W. J. Guthrie. Hansom is given permission to quarry
sufficient stone from the grounds of Clifton for the purposes of the Chapel
building". The Chapel building is licensed by the Bishop of Gloucester and
Bristol. Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista
telematica statoechiese.it) Colaianni (ordinario di Diritto ecclesiastico nella
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari) Quale laicità. Con
questo saggio C. si affaccia sul versante polemistico della letteratura
giuridica con la maestria affinata attraverso una copiosa produzione saggistica
e con la non comune versatilità che negli ultimi anni lo ha portato ad
occuparsi dei problemi di tutela non solo delle confessioni religiose ma anche
dei diritti umani. I bersagli della polemica sono indicati nel sottotitolo:
etica, multiculturalismo, islam, non in sé naturalmente ma in quanto declinati
in maniera rispettivamente relativistica, separatistica, fondamentalistica.
Capaci cioè di esaltare le identità oltre ogni limite e di attentare, quindi, a
quello “stato laico sociale” che, dopo secoli di storia travagliata e i
totalitarismi del secolo breve, a cavallo del nuovo millennio ha trionfato un
po’ dovunque in Europa e in tutto l’occidente. Questo carattere ben si coglie
secondo l’autore nella “rivincita dei concordati”. Un fenomeno effettivamente
impressionante, tanto più perché si inserisce in un trend favorevole alle
relazioni con le confessioni, da cui non prendono le distanze neanche l’Unione
europea, in base ad una dichiarazione allegata al trattato di Amsterdam, e la
Francia della Loi de séparation, secondo le proposte della commissione
governativa Machelon1. Da esso C. deduce che lo stato è ormai amico delle
religioni, che contribuisce attivamente a sottrarre all’irrilevanza degli
affari privati e a reimmettere nel circuito pubblico, relegando l’ostilità del
laicismo ottocentesco nel museo della memoria. C., Le sfide della laicità.
Etica, multiculturalismo, islam, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo,
destinata alla pubblicazione sulla rivista “Laicità”, Torino. Cfr. F. MARGIOTTA
BROGLIO, su Reset Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica Dal
quale non varranno a riesumarla le “guerricciole”, rinfocolate dal
“micro-massimalismo” di chi spera di “rivivere un po’ dell’epopea del passato”
e non si accorge che ormai lo stato italiano gli accordi li fa anche con
confessioni non cattoliche e, peraltro, non è l’unico ad integrare le scuole
private e confessionali nel sistema scolastico, ad assicurare l’insegnamento
religioso confessionale nelle scuole pubbliche, a finanziare lautamente la
chiesa cattolica ma anche le altre confessioni. L’agile sintesi
storico-politica, condotta nella prima metà del libro, consente a C. di
avallare questa laicità realistica, che ad altri è sembrata più propriamente
“praticistica”. A quella stregua l’autore tratta con sufficienza i rinnovati
contrasti tra stato e chiesa (che pure sono al centro delle preoccupazioni di
altri libri coevi3 ) tanto quanto con drammaticità le sfide suindicate. A
cominciare dal multiculturalismo, che in effetti nella versione spinta si
presenta sotto la forma di un comunitarismo senza coesione. Il “fascino
discreto” che in molti differenzialisti suscitano gli statuti personali, di
medioevale o ottomana memoria, è giustamente visto come una relativizzazione
della laicità: a vantaggio, in particolare, dell’islam. Ovviamente C. è severo
con la “partita giocata su due tavoli”: non si può invocare la laicità contro i
“simboli e la memoria del cristianesimo” e a favore di quelli dell’islam, per
cui “verrebbero estromessi i crocifissi, ma sarebbero ammessi il velo e la
preghiera degli islamici”. Ma i termini del paragone sono omogenei solo
apparentemente: il crocifisso fa problema per la laicità non se portato addosso
al corpo, se fa parte del libero abbigliamento dei cittadini (come il velo o
altri segni religiosi), ma in quanto esposto autoritativamente, cioè imposto,
negli spazi pubblici, scolastici, giudiziari. In effetti, è tutta la seconda
parte del libro a risentire di questa drammatizzazione impressa ai vari
scenari. Islam versus cristianesimo. Di là un sistema chiuso ad ogni
interpretazione evolutiva, un’identità fissa e immutabile, di qua una religione
tollerante, aperta all’interpretazione storico-critica dei testi sacri e alla
laicità, la quale in essa sarebbe addirittura “germinata”. La schematizzazione
diventa 2 Per esempio a BELLINI nel saggio coevo Il diritto
d’essere se stessi. Discorrendo dell’idea di laicità. Come quelli di
ZAGREBELSKY, Lo stato e la chiesa, o di BIANCHI, La differenza cristiana, o di
RUSCONI, Non abusare di Dio. Stato, Chiese e pluralismo confessionale
Rivista telematica inevitabile. In realtà, l’involuzione della seconda metà del
XX secolo, a parte i fanatismi e i terrorismi, non è riuscita a spegnere le
numerose voci laiche dell’islam moderno4 né, a livello istituzionale, ad
annullare, pur frenandola, l’applicazione negli stati islamici di una legge non
religiosa, il kanun, “nel senso laico di ‘legge di stato’in contrapposizione
alla sharī ‘a” 5. D’altro canto, bisogna riconoscere che abbiamo tutti
sovracaricato il detto evangelico “Quae sunt Caesaris Caesari, quae sunt Dei
Deo” di un significato improprio e anacronistico, in termini appunto di
laicità, che nessun biblista ha mai potuto avallare (vorrei ricordare qui
almeno Barbaglio, che ci ha lasciato pochi mesi fa: nel suo La laicità del
credente non cita mai il versetto di Matteo). Storicamente poi, anche a voler retrodatare
– seguendo Ernst-Wolfgang Böckenförde6 - alla lotta delle investiture l’inizio
del processo di secolarizzazione, non v’è dubbio che per secoli la chiesa ha
sostenuto la supremazia del potere spirituale ratione peccati o salutis anche
nella sfera mondana. E al giorno d’oggi la più netta distinzione degli ordini
formulata dal Concilio non sta impedendo il tentativo di informare la
legislazione italiana al magistero ecclesiastico: è la chiesa dei no alla
procreazione medica assistita (divieto dell’eterologa, della diagnosi
preimpianto dell’embrione), al testamento biologico, visto come anticamera di
pratiche eutanasiche, al riconoscimento pubblico di unioni civili in qualsiasi
forma (pacs, dico, cus, ecc.), emblematicamente (a luglio alla Camera) al
richiamo del principio di laicità come fondamento di una legge sulla libertà di
religione (che pur non tocca la chiesa cattolica). Neanche C. indulge su questi
punti. Il suo no è altrettanto netto. In nome della laicità e contro il
relativismo etico. Ma poiché su quei punti, con varie sfumature, il pensiero
laico (di non credenti e agnostici ma anche di credenti) è per il sì, è
evidente che ci si trova davanti ad una diversa concezione della laicità. Tanto
rispettabile nei suoi riferimenti eteronomi, divini o naturali e perciò antichi
o “ancestrali”, quanto incapace di far capire - per dirla con Habermas7 -
“quale ruolo e significato i fondamenti giuridici secolarizzati della
costituzione possono avere per una società [Cfr. l’antologia di BRANCA e
quelle più recenti di V. COLOMBO. 5 Così ne Il linguaggio politico
dell’Islam B. LEWIS, studioso fra i più citati nel libro. 6 Cfr.
BÖCKENFÖRDE, Diritto e secolarizzazione. HABERMAS, Il futuro della natura
umana. Stato, Chiese e pluralismo confessionale Rivista telematica (statoechiese postsecolare”, come la nostra. In una
democrazia necessariamente relativistica (se, al contrario, fosse assolutistica
non sarebbe democrazia, insegna Kelsen) la laicità alimenta norme non di
supremazia ma di compatibilità, espressive di una vocazione non paternalistica,
ma responsabilizzante, nei rapporti tra stato e cittadini: visti non come meri
educandi, da guidare nelle scelte etiche in base a valori esterni, ma come
persone responsabili delle loro scelte nella propria autonomia e capaci di
mediarle alla ricerca di quella “giusta”8. Una laicità pluralistica e perciò
non espressiva di una sola cultura ma interculturale (come dovrebbe porsi ormai
tutto il diritto secondo Otfried Höffe9 ). Le cui sfide, e il libro di Cardia
stimola ad intraprendere questo percorso di riflessione, non vengono da una
parte sola. 8 In questo senso rilegge il da mi factum, dabo tibi
ius RODOTÀ, La vita e le regole. 9 Cfr. O. HÖFFE, Globalizzazione e
diritto penale. LA LAICITA’ IN ITALIA (C.) (Convegno Giuristi) Sommario.
Premessa. 1. La laicità in Italia tra conflitto e moderazione. 2. Laicismo,
intransigenza cattolica, isolamento culturale. 3. Dai Patti Lateranensi al modello
costituzionale di respiro europeo. 4. La crisi della laicità. Laicità ed etica.
5. Cultura laica e questione islamica. Laicità e multiculturalismo. Ambiguità e
prospettive. Premessa. E’ mia intenzione soffermarmi sulle problematiche
attuali della laicità in Italia, anche perché sono diverse e complesse. Però,
penso sia necessario dare spazio a qualche riflessione storica che ci aiuti a
comprendere meglio le questioni che abbiamo di fronte nel tempo presente. Si
tratta, più che di una analisi organica, di spunti ricostruttivi utili a
cogliere alcune costanti della nostra tradizione. Ho avvertito questa esigenza
perché l’esperienza italiana ha un tratto caratteristico che non si rinviene
altrove, avendo dato vita nello spazio di poco più di un secolo a tre tipologie
diverse di relazioni ecclesiastiche: una laico-separatista, una di tipo
concordatario neo-confessionista, e quella costituzionale che poi si è evoluta
nel quadro di una Europa che ha finito per seguire il nostro modello. Infine,
l’Italia sta vivendo una vera crisi della laicità, in rapporto alla questione
etica, e al multiculturalismo, ed è entrata in quella globalizzazione dei
rapporti tra religione e società che riguarda l’Occidente nel suo complesso.
Quindi, l’esperienza italiana non è comprensibile all’interno di un solo
orizzonte storico-culturale, mentre l’analisi deve mantenere un respiro più
ampio e saper individuare delle linee trasversali di riflessione, dei fili
conduttori che chiariscano il percorso storico complessivo che si è compiuto.
La laicità in Italia tra conflitto e moderazione Il primo filo conduttore che
voglio privilegiare è il rapporto che si è determinato tra conflitto e
moderazione, tra correnti estreme del pensiero laico, e di quello cattolico, e
soluzioni storico- 2 normative che sono state adottate. La storiografia più
accreditata ci ha abituati a interpretare questo rapporto a tutto favore della
conflittualità e a discapito della moderazione. Ancora oggi il conflitto tra
Stato e Chiesa è considerato un tratto eminente della storia italiana, il punto
focale che illumina tutto il resto. Il processo di unificazione nazionale viene
letto alla luce del contrasto tra laici e cattolici, della fine del potere
temporale, della prevalenza della modernizzazione sul conservatorismo
cattolico. Anche l’epoca autoritaria che dà vita ai Patti Lateranensi è vista
in chiave di rivincita cattolica e di sconfitta laica, come un rovesciamento di
fronte rispetto all’epoca liberale. Questa interpretazione resta valida perché
permette di capire tante pagine della nostra storia nazionale, ma può essere
integrata con un’altra chiave di lettura che aiuti a vedere anche i
chiaro-scuri, i toni più morbidi, della storia italiana. Questa chiave di
lettura è quella della moderazione e dell’equilibrio che, pur nelle vicende
aspre che conosciamo, ha segnato la storia italiana. L’Italia è stata moderata
ed equilibrata nel separatismo, in parte nel sistema concordatario, in modo
speciale nella elaborazione della Costituzione. Quando parlo di moderazione non
intendo esaltare il carattere per così dire compromissorio generalmente
riconosciuto alla genti italiche. Mi riferisco ad un dato realmente presente
nelle nostre leggi, in ampi settori della cultura laica e di quella cattolica,
che ci aiuta a meglio comprendere la storia e l’evoluzione della laicità in
Italia. La moderazione del periodo separatista si manifesta in tanti modi, ma
nell’insieme consente all’Italia di operare un sottile, solido compromesso con
l’anima cattolica del paese su punti essenziali, ed evita l’affermazione di
tendenze francesizzanti che pure esistono in esponenti della classe dirigente
liberale. In Italia non si afferma mai l’idea della reformatio ecclesiae come
obiettivo proprio dello Stato. L’aspirazione ad una evoluzione della Chiesa è
parte integrante del pensiero laico e dei riformatori cattolici dell’Ottocento,
ma da noi non si trovano tracce significative di quel disegno (tipicamente
transalpino) che mira alla costituzione civile del clero, a stravolgere le
strutture ecclesiastiche, a creare una chiesa nazionale quieta e obbediente al
potere civile. La struttura della Chiesa, gli enti ecclesiastici mantenuti,
l’educazione e la disciplina del clero, non subiscono ingerenze o
stravolgimenti diretti a modificarne la natura. Nel dibattito sulle Facoltà di
teologia è il ministro Correnti che respinge le tentazioni giurisdizionaliste e
afferma che lo Stato non ha “né interesse, né volontà, né facoltà di creare
teologi”, che l’evoluzione della religione è compito della Chiesa, e la “Chiesa
troverà in sé stessa, e solo in se stessa può trovare, la volontà e la forza di
ravvicinarsi” alla modernità. L’unico intervento chirurgico è quello che
sopprime le corporazioni e le congregazioni religiose. Ma anche in questo
intervento, che storicamente si giustifica con la necessità di ridistribuire la
grande proprietà ecclesiastica, non mancano i segni di moderazione, se vogliamo
della dissimulazione. Come quando le comunità religiose si ricostituiscono
progressivamente al riparo delle c.d. frodi pie, che consentono l’utilizzazioni
di proprietà immobiliari messe a disposizione da veri prestanome. Comunque, a
nessuno in Italia è mai venuto in mente di adottare leggi draconiane come
quelle transalpine, la prima che vieta alle congregazioni religiose non
riconosciute l’insegnamento, la seconda che prevede multa e carcere per chi
apra una scuola nella quale insegni anche un solo religioso. Ho sfioato il
problema della scuola, perché su questo terreno si opera il più grande
compromesso italiano, sul quale storici e giuristi si soffermano poco. Alla
laicizzazione della scuola italiana, con la Legge Casati, non segue la
cancellazione della presenza cattolica nel corpo scolastico pubblico. Se
l’insegnamento religioso viene escluso nelle scuole superiori, rimane però in
quelle elementari. La Legge Coppino non dice nulla al riguardo, e questo
silenzio, con l’aiuto del Consiglio di Stato, consente di mantenere
l’insegnamento religioso che, ci dice Francesco Scaduto, viene attivato da
quasi tutti i Consigli comunali e seguito dalla totalità delle famiglie
italiane. Neanche si può dire che la questione passi sotto silenzio, perché un
Regolamento conferma l’insegnamento religioso, e la Camera respinge nello
stesso anno una mozione di Bissolati che chiede di vietare ogni presenza
religiosa nelle scuole. Molto chiaramente Minghetti compara gli inconvenienti
di una scuola che preveda l’insegnamento religioso a quelli di una scuola che
lo esclude, e afferma che “i primi saranno sempre minori di quelli di una
scuola che dovrebbe essere popolare, ma che senza Dio ripugna alla coscienza
popolare e addiviene atta a soddisfare soltanto una piccola minoranza”. Si può
dire che è poco, invece è moltissimo, perché la scuola elementare è l’unica
vera scuola di massa dell’epoca. Per questa ragione l’Italia separatista ha
operato le grandi riforme della modernità ma ha saputo mantenere un raccordo di
fondo tra il sentire comune della popolazione e una legislazione non aggressiva
e non punitiva. E’ l’Italia laica e separatista che affida ai maestri e alle
maestrine della letteratura dell’Ottocento l’onere di trasmettere elementari ma
importanti valori religiosi e morali nelle nuove generazioni. L’elogio della
moderazione non deve fare aggio sull’altro fattore endemico dell’esperienza italiana,
su quella arretratezza che, in modo diverso, caratterizza alcuni settori della
cultura laica, e della cultura cattolica, e che provoca per lungo tempo un
isolamento rispetto ad altre più avanzate esperienze europee e alla cultura
anglosassone, cioè rispetto al resto del mondo. Mi riferisco alle correnti
laiciste che animano la cultura politica, danno vita al pensiero più
autenticamente anticlericale, rendono la laicità ostile alla religione. Ma
anche all’arroccarsi di quell’intransigenza che frena la capacità di iniziativa
dei cattolici, li estranea a lungo dalla vita politica del Paese. Nel
conflitto, e nel corto circuito, tra intransigenza cattolica e correnti
laiciste sta la radice di una chiusura provinciale che in Italia condiziona a
lungo le relazioni ecclesiastiche. Il radicarsi di queste tendenze immette
nella cultura italiana semi che tornano a fiorire di tanto in tanto. Il
laicismo produce cultura, mentalità, costume, e fa sì che anche da noi come in
Francia, laicità voglia dire tante cose negative: estraniazione della religione
dalla società e dalla dimensione pubblica, ostilità alla scuola privata
nonostante il liberalismo sia altrove il difensore del pluralismo scolastico,
riduzione della Chiesa ad un ambito puramente cultuale. In Italia, come
oltr’Alpe, il termine laico è contrapposto a cattolico, e questa antitesi,
sconosciuta nei paesi anglosassoni, diviene da noi categoria del pensiero e del
linguaggio. Quando faccio riferimento alle tendenze laiciste mi riferisco sia
all’anticlericalismo di matrice ottocentesca che alle correnti culturali di
grande dignità che da Spaventa a Bissolati rivivono poi in Salvemini e in Rossi,
e che di più aspirano ad una Chiesa riformata, apparentemente tutta spirituale
ma muta sul piano civile e sociale. Queste correnti si ravvivano quando
l’accordo tra Chiesa e fascismo di fatto umilia la laicità, provocando una
frattura seria tra la cultura laica ed un cattolicesimo al quale viene
restituito un ruolo di primo piano, ma con il sacrificio di altre idealità e di
altri ruoli. Anche l’intransigenza cattolica riaffiora più volte nella
storia italiana, impedisce a tratti di cogliere le trasformazioni della
società, di discernere gli aspetti positivi dalle spinte disgreganti, porta
all’arroccamento su posizioni che potrebbero essere evitate. La critica più
autentica a questo corto circuito non è diretta alle singole posizioni radicali
che produce, quanto al fatto che da lì è derivato un certo isolamento rispetto
alla cultura anglosassone, rispetto ad altre esperienze europee, come quelle
dell’Olanda, del Belgio e della Germania, dove già nell’Ottocento maturano
equilibri più stabili tra religione e società. Una conferma di questo
provincialismo sta nell’incomunicabilità tra esperienza italiana ed esperienza
statunitense, alla quale pure molti laici si richiamano, senza mai averla
capita e forse conosciuta. Lo stesso Salvemini, che pure conosceva la società
americana, di quell’esperienza evoca sempre e soltanto la parola separatismo,
non i suoi contenuti, né la sua anima pregna di rispetto e di amicizia verso la
religione. Possiamo verificare questa lontananza della cultura laica rispetto
alle correnti del pensiero anglosassone su un particolare problema, quello
della scuola privata, nel quale il liberalismo italiano si è discostato dai
canoni del liberalismo classico per seguire un indirizzo statalistico destinato
a dominare a lungo. C’un dibattito di metà Ottocento (oggi dimenticato ma molto
importante all’epoca) nel quale BERTI (si veda) critica quei liberali che per
paura di monopolio combattono la libertà di insegnamento, e afferma che questa
trae il suo diritto dall’individuo medesimo, dalla sua libertà, ed è da
annoverarsi tra “gli altri diritti naturali”. È SPAVENTA (si veda) che si
oppone a BERTI (si veda) ed esplicita la vera ragione della contrarietà alla
scuola privata. La ragione sta nel fatto che “i paladini” del libero
insegnamento finiscono per portare acqua al mulino della “libertà del papa”,
perché in Italia dare via libera alle scuole private vuol dire favorire la
scuola cattolica. Quindi, con grande trasparenza si riconosce che il vero
liberalismo postula la libertà della scuola, ma in Italia questo liberalismo
non è praticabile perché se ne avvarrebbero i cattolici. Insomma, al
liberalismo si ricorre quando fa comodo, altrimenti lo si mette da parte. 3.
Dai Patti Lateranensi al modello costituzionale di respiro europeo In Italia,
però, si ritrova un altro elemento equilibratore che consente di attenuare le
asperità e finisce col favorire le soluzioni strategiche adottate in sede di
Costituente. Parlo di quella questione romana che nessun altro Paese conosce, e
che tocca all’Italia affrontare e risolvere in modo autonomo. Anche su questo
problema vorrei offrire uno spunto ricostruttivo diverso rispetto alla storiografia
prevalente. E’ vero che la questione romana ha costituito il punto di maggiore
attrito tra Stato e Chiesa, ed ha agito come coagulo dell’intransigenza
cattolica e come bersaglio dell’anticlericalismo. Tuttavia, pur nei termini del
conflitto che conosciamo, essa ha rappresentato anche un elemento equilibratore
nel periodo separatista, con la stipulazione dei Patti Lateranensi, soprattutto
all’atto della elaborazione della Costituzione democratica. Quando parlo di
elemento equilibratore intendo dire che la presenza della Santa Sede ha fatto
uscire il meglio di sé dalla classe dirigente liberale nell’Ottocento, ha
attenuato gli effetti che i Patti Lateranensi hanno avuto sulla società
italiana, ha favorito notevolmente il lavoro che ha portato alla formulazione
del disegno costituzionale complessivo dei rapporti tra Stato e Chiesa. Già
nell’Ottocento, la classe dirigente liberale conferma la propria lungimiranza
con quella Legge delle Guarentigie che, pur temporaneamente, risolve la più
grande questione storica europea, e, dovendo misurarsi con un evento che
interessa i cattolici di tutto il mondo, si rivela capace di ad attenuare,
smussare, equilibrare le asperità del separatismo. Anche quando il Concordato
ferisce duramente la laicità e la cultura laica italiana, la soluzione
definitiva del questione romana stempera il valore politico del patto con il FASCISMO.
Non a caso il giudizio delle forze politiche ANTI-fasciste sui Patti
Lateranensi si presenta come scisso in due: severo e aspro, anche da parte
cattolica, nei confronti dell’accordo politico tra Chiesa e fascismo e del
Concordato, ma positivo e accogliente nei confronti del Trattato del Laterano.
Sin dall’inizio Croce approva la soluzione della questione romana, riservando
le sue critiche al Concordato. Ma anche Salvemini, durissimo con il Concordato,
riconosce che la questione romana è ben risolta, anzi afferma che ciò che è
stato fatto avrebbero dovuto farlo i liberali. Infine, i programmi elaborati
dai leader dell’antifascismo durante la guerra in vista della ricostruzione del
Paese, concordano nel non voler rimettere in discussione i risultati del
Trattato del Laterano. Credo si possa dire che, senza una questione romana
risolta, forse non avremmo avuto quel tipo di rapporti con la Chiesa che
l’Italia elabora e che ha saputo anticipare un modello oggi utilizzato in un
numero considerevole di Paesi europei. Nell’incontro tra le correnti del
cattolicesimo democratico e la maggioranza della cultura laica, l’Italia trova
il modo di abbandonare un certo provincialismo e riesce a parlare un linguaggio
europeo, supera quel corto circuito che l’aveva appesantita a lungo. Le scelte
del costituente non sono riconducibili al solo articolo, quanto alla
maturazione di una laicità che è destinata a fare scuola, a prefigurare un
modello di Stato laico sociale che diverrà prevalente nell’Europa che si unisce
e conosce la fine dei totalitarismi. Si tratta di una laicità complessa dove
converge il meglio della tradizione separatista (in materia di libertà religiosa),
e dove il laicismo è superato dal riconoscimento pieno della presenza e del
ruolo sociale della religione. Si abbatte il muro della incomunicabilità tra
religione e società, si conferma e si estende il metodo della contrattazione e
dell’incontro, tra Stato e Chiese; si supera l’ultimo tabù dell’Ottocento, per
il quale nessun culto dovrebbe essere finanziato dallo Stato perché lo
impedirebbero le differenti opinioni religiose dei cittadini. Sul finire del
Novecento questo Stato laico sociale trionfa un po’ dovunque. Non si contano
più i concordati tra Santa Sede e Stati in Europa, che sono oltre 20, come non
si contano più intese, accordi, convenzioni tra Stato e confessioni religiose,
protestanti, ebraica, islamica, e altro ancora. Ma è nel merito delle relazioni
ecclesiastiche che il modello italiano fa scuola in Europa. Dall’Atlantico alla
Russia, ovunque troviamo una laicità fondata su principi comuni: libertà
religiosa, tutelata nel quadro dei diritti umani, riconoscimento delle Chiese
come entità impegnate in molteplici attività, sostegno pubblico alle
confessioni. Insomma, un mixer tra la tradizione nordamericana di amicizia
verso la religione, e la tradizione europea di contrattazione e reciproca
integrazione. Tanto solido è questo nuovo orizzonte di laicità sociale che
ormai in Europa si discute di riforma dei rapporti tra Stato e Chiesa soltanto
in Inghilterra e nei Paesi protestanti del nord, dove ancora esistono Chiese
ufficiali sottomesse e apparentate alle dinastie regnanti. La laicità torna
di attualità e vive una crisi di cui non siamo ancora pienamente consapevoli,
su terreni nuovi e in editi, come quelli dell’etica e del multiculturalismo. Si
tratta di fenomeni molto diversi, perché nel primo caso siamo di fronte ad un
uso indebito, quasi una strumentalizzazione, del concetto di laicità, nel
secondo assistiamo ad un pericoloso arretramento dei valori più intimi dello
Stato laico. Non entro nel merito del rapporto tra etica e diritto. Non è
oggetto della mia relazione, non è possibile neanche sfiorarlo nella sua
complessità. La mia attenzione è più ristretta, riguarda il rapporto che
esisterebbe tra laicità ed etica nel momento in cui un ordinamento è chiamato a
pronunciarsi su questioni decisive per la collettività, come la famiglia, l’ingegneria
genetica, l’eutanasia, e via di seguito. Alcune elaborazione teoriche danno per
scontato che il pluralismo etico non è che un altro aspetto del pluralismo
religioso, e “come oggi ammettiamo e rispettiamo le varie confessioni
religiose, così dobbiamo riconoscere le varie moralità che affiancano o
sostituiscono la fede religiosa”. D’altra parte, si aggiunge, come nella
religione non si dà verità oggettiva, ma solo opinioni, così in campo etico lo
Stato deve accettare tutte le convinzioni e le scelte che si contendono il
campo. Questa similitudine tra religione ed etica è accattivante, ma nasconde
un’insidia dialettica. In primo luogo perché la neutralità dello Stato riguarda
le convinzioni religiose, la sfera più intima della spiritualità e della coscienza,
non i comportamenti delle persone, tanto meno quelli che coinvolgono gli altri.
In questa materia la legge non pretende mai di definire qual è la verità, ma
sceglie sulla base di valori che hanno una loro validità nel tempo, nella
struttura sociale nella quale si incarnano, e che possono dar vita a equilibri
diversi tra etica e diritto. In secondo luogo, si trascura il fatto che una
neutralità dello Stato estesa a tutte le scelte etiche porterebbe alla paralisi
del legislatore e allo svuotamento della funzione della legge. L’ordinamento
non si interesserebbe più della procreazione, dei doveri verso i figli, non
potrebbe più disciplinare il matrimonio, dovrebbe consentire tutto in materia
di bioetica. Uno Stato eticamente neutrale dovrebbe disporre il “rompete le
righe” e preoccuparsi solo di regolare il traffico delle attività sociali. C’è,
poi, un corollario di questa impostazione che viene utilizzato frequentemente.
Si tratta di quel ritornello che in Italia viene ripetuto spesso, secondo il
quale in queste materie lo Stato deve permettere, non proibire. Infatti, se
permette non obbliga nessuno, ma se proibisce impedisce a qualcuno di
realizzarsi. Lo Stato che liberalizza l’eutanasia non obbliga nessuno a
praticarla, ma consente a chi vuole di scegliere un’altra opzione. Se permette
la fecondazione eterologa, non la impone, ma se la nega erode spazi
all’autonomia individuale. Io credo che ci troviamo di fronte ad un uso
improprio della laicità, e ad un vero sillogismo. Se applicata coerentemente,
questa logica porterebbe a risultati che ben pochi si sentirebbero di
sostenere. Si legittimerebbe la pratica della clonazione umana, perché una
legge che la liberalizzasse non costringerebbe nessuno a clonare cellule e
individui, mentre un divieto impedirebbe ad alcuni di seguire i propri
convincimenti. Dovrebbe essere permesso di intervenire sul genoma per
determinare alcune caratteristiche del nascituro, come il sesso, o il colore
della pelle o degli occhi, perché in ogni caso non si obbligherebbe nessuno a queste
operazioni, mentre vietandole si diminuirebbe l’autonomia individuale. Questa
impostazione dovrebbe indurre l’Authority inglese a rispondere positivamente al
recente quesito del King’s College, se sia lecito produrre ibridi di umanità e
animalità. Infatti, consentendo questa pratica non si impone a nessun
ricercatore di creare la chimera, ma proibendola si violerebbe la libertà di
quanti non hanno remore nel procedere su questa strada. Molti sostenitori del
relativismo si dichiarano contrari alla clonazione, alla chimera e ad altre
scelte estreme, ma spesso non sanno dire il perché. E non sanno dirlo perché
dovrebbero riconoscere che clonazione e chimera possono essere escluse soltanto
se si fa leva su valori antropologici primari, meritevoli di trovare spazio nel
mondo del diritto. Si dovrebbe allora riconoscere che la laicità dello Stato
non c’entra nulla quando la discussione riguarda questi valori. E che nel gioco
democratico della discussione, del convincimento, si determineranno gli
equilibri essenziali, modificabili nel tempo, sui confini del diritto, sul
rapporto tra autonomia e solidarietà. In questa discussione vi è spazio per
tutti, per le convinzioni religiose e per quelle filosofiche, per l’apporto
delle scienze e la mediazione della politica. Ma se il confronto viene
by-passato ricorrendo alla laicità per sbarrare la strada a determinate scelte,
vuol dire allora che c’è insicurezza in alcune posizioni relativistiche, le
quali non riescono ad elaborare valori convincenti, e utilizzano impropriamente
la laicità per dare alle proprie tesi una forza che probabilmente non hanno. 5.
Cultura laica e questione islamica L’analisi si fa più complessa se affrontiamo
il tema del multiculturalismo, perché questo fenomeno costituisce una grande
opportunità ma anche un grande rischio. Una opportunità per la laicità, che può
far risaltare il suo volto accogliente e il suo carattere universale di fronte
al mischiarsi delle popolazioni, delle pagine della storia, e della geografia.
Ma anche un rischio se con il multiculturalismo si vogliono reintrodurre nelle
nostre società antiche intolleranze, o costumi e tradizioni che evocano un
lontano passato. Le prime risposte a questo evento sono deludenti, alcune
preoccupanti, ma tutte riflettono un disorientamento generale. Vi sono a volte
reazioni di tipo islamofobico che fanno d’ogni erba un fascio, alimentano paure
e diffidenze, che vogliono negare all’islam ciò che la laicità deve garantire a
tutti. Mi sembra, però, che siano prevalenti le reazioni opposte, perché la cultura
laica sta rispondendo con uno spaesamento che tradisce incertezza e
insicurezza. Il multiculturalismo sta facendo emergere una insicurezza dei
valori della laicità, della loro validità e tendenziale universalità. Anche
quell’orgoglio che ha dato forza allo Stato laico, che ha prodotto diritto e
storia, sembra vacillare di fronte a chi appare più estraneo ai principi di
libertà ed eguaglianza. Potrei citare una pluralità di fatti, ed eventi, che
sembrano slegati tra di loro ma sono uniti da un robusto filo conduttore. Ne
indico alcuni per far riflettere sul loro significato complessivo. Pochi si
accorgono che si sta creando un divario crescente tra l’atteggiamento nei
confronti delle Chiese tradizionali e quello che si manifesta di fronte a
clamorose lesioni della laicità per motivi di multiculturalismo. Le prime
riflettono un’antica suscettibilità, quasi la memoria del conflitto, le altre
sono fatte di stupore e di silenzi. Se una Chiesa lucra ancora oggi qualche
favore giuridico, si reagisce con veemenza perché la laicità dello Stato
sarebbe in pericolo. Ma se vengono lanciate fatwe di morte contro letterati,
giornalisti o registi, per offese all’Islam, si tratta di episodi che non
riguardano lo Stato laico, non costituiscono istigazione all’omicidio. Se una
fatwa viene eseguita, l’omicidio è di competenza della cronaca nera. 8 Se
in un paese europeo si discute su temi etici, le prese di posizione delle
Chiese cristiane sono viste come espressioni di un nuovo temporalismo. Ma se,
in Europa o ai suoi confini, avvengono omicidi di donne che rifiutano regole
tribali, di derivazione islamica o meno, oppure se il diritto di cambiare
religione conduce ancora alla morte o all’emarginazione sociale, si considerano
questi eventi come frutto di arretratezza, anziché un salto indietro nella
storia della laicità. Nessun grido, nessun manifesto, nessun convegno è
dedicato loro. Uno strabismo particolare colpisce la cultura laica quando è in
gioco la questione femminile. Mentre gli ordinamenti europei adottano raffinati
strumenti per rendere effettiva la parità tra uomini e donne, normativa e
pratiche aliene che discriminano le donne, o le umiliano, non suscitano
ribellione o ripulsa. Un tempo la cultura laica reagiva con forza, definendole
oscurantiste e censorie, alle richieste di non eccedere nella liberalizzazione
dei costumi, e di frenare la licenziosità con cui veniva usata la figura
femminile. Oggi tace, quasi si nasconde, quando le donne vengono chiuse nel
burqa, o si chiedono classi separate nelle scuole, spiagge differenziate,
reparti ospedalieri distinti, o gli uomini rifiutano di essere subordinati sul
lavoro a dirigenti donne, e via di seguito. In diversi paesi occidentali,
dall’Inghilterra al Canada, dalla Germania al Belgio ai paesi del Nord Europa
si moltiplicano le proposte di introdurre la scharì’a, o suoi segmenti, senza
che suscitino scandalo per la ferita che porterebbero ai diritti umani
fondamentali. Soltanto il 24 ottobre corso, con grande ritardo, il Parlamento
europeo, ha approvato una risoluzione (peraltro molto positiva) sulla
condizione delle donne, sulla illegalità della poligamia, sulla lesione dei
diritti fondamentali. Le reazioni islamiche al discorso di Benedetto XVI a
Ratisbona sono ormai note, e non mi ci devo soffermare. Ma nessuno ha notato un
fatto che, in tema di laicità, ha sovrastato tutti gli altri. Il silenzio che i
più rigorosi laicisti hanno mantenuto nel difendere la libertà di parola e di
espressione contro minacce, violenze, ricatti. Eppure, per decenni questi
gruppi hanno ripetuto sino alla nausea il pensiero di Voltaire per il quale,
anche se non si condividono le idee di un altro, si è però pronti a spendere la
propria vita perché l’altro possa esprimere quelle idee. Ma dopo Ratisbona, non
si è spesa neanche una parola per difendere il diritto del Papa, come di
chiunque altro, ad esprimere le proprie valutazione sul rapporto tra fede e
violenza. A questi silenzi si aggiunge un fenomeno culturale meno appariscente
e più sotterraneo. Il cattolicesimo, e il cristianesimo, sono stati per due
secoli letteralmente vivisezionati per criticare e sradicare tutto ciò che
sapesse di temporalismo, di anti-modernità, per spezzare la loro alleanza con
il potere politico. Sull’intreccio tra altre religioni e sistemi politici
dittatoriali, oggi prevale l’afasia nella cultura liberale, in quella marxista
o anti-istituzionale. Sembra quasi che la critica illuministica e storicistica
che, pur con asprezze a faziosità, ha saputo fustigare, in certa misura ha
contribuito a rinnovare, le Chiese delle nostre società, scelga il silenzio di
fronte a ben più pesanti congiunzioni tra religione, violenza, dispotismi più o
meno teocratici. Tutto ciò apre degli interrogativi sul futuro della laicità in
Italia e in Europa; e li apre non su un punto o su un altro, ma sulla spinta
propulsiva che la laicità ha esercitato nel realizzare lo Stato moderno. Da
questi, e altri episodi, sta scaturendo una sorta di assuefazione rassegnata di
fronte alla mutazione genetica della laicità come la conosciamo in Occidente, che
può portare ad un esito paradossale: ad una laicità occhiuta e diffidente verso
le religioni tradizionali e ad un multiculturalismo disarmato e senza valori
verso altre religioni e tradizioni. Sarebbe la fine della neutralità dello
Stato. Laicità e multiculturalismo in Italia. Ambiguità e prospettive Per
meglio capire i rischi di questa frattura tra laicità e multiculturalismo
torniamo per un attimo all’esperienza italiana. L’Italia, ancora una volta, si
è dimostrata più di altri Paesi equilibrata e accogliente, non condizionata da
pregiudizi etnici o religiosi. L’Italia non ha fatto la guerra al velo, e a
nessun simbolo religioso, forse perché di simboli confessionali ne conosce
tanti da tanto tempo, dalle cattedrali alle chiese, dai conventi ai battisteri,
alle fogge vestiarie di religiosi e religiose d’ogni genere. Quindi non
avvertiamo disagio per un modesto velo che peraltro può appellarsi alla libertà
di abbigliamento. L’Italia ha predisposto una vasta rete di accoglienza e
sostegno sociale per l’immigrazione; sta cercando in tanti modi di soddisfare
le esigenze di culto dei soggetti dell’immigrazione; prevede nei contratti di
lavoro spazi per pratiche religiose, diversità alimentari, tradizioni come
quello del ramadan. Ma questo che può essere considerato legittimamente un
nostro vanto, si sta trasformando lentamente in qualcosa d’altro. Si sta
trasformando nell’oscuramento di principi e valori essenziali, e nella
accettazione di una cultura della separatezza che può colpire la laicità. Parlo
della tendenza a rimuovere il crocifisso dalle aule scolastiche, e più in
genere, tutta una simbologia e una tradizione di memorie del cristianesimo,
riprendendo concezioni laiciste superate. E’ di questi giorni la notizia che
nelle scuole, negli alberghi, in luoghi pubblici e privati diminuiscono i
presepi e gli alberi di natale per non urtare suscettibilità di persone
aderenti ad altri culti. Si realizza così quella che da tempo definisco una
partita giocata su due tavoli: quello della laicità che limita o cancella
simboli e presenze cristiane, e quello del multiculturalismo che legittima
altri simboli o presenze religiose. Sempre in Italia si manifestano i primi
sintomi di un cedimento multiculturale che mette a rischio i diritti
fondamentali dei cittadini, in primo luogo delle donne. Si accetta qua e là la
presenza del burqa, aumentano le voci favorevoli alla poligamia, si introducono
in qualche parte forme separate di vita collettiva, nelle scuole, nei luoghi
pubblici, si consente l’apertura di scuole islamiche fuori dei canoni previsti
dalle nostre leggi. Si tratta di primi sintomi, ma sono parecchi e di
significato univoco, e ci dicono che neanche noi siamo immuni dal rischio della
perdita di senso della laicità e dei suoi valori. Altra cosa sarebbe se della
laicità si offrisse il volto più maturo e accogliente, quello che sa
distinguere tra quanto di autenticamente religioso emerge da una tradizione, e
quanto appartiene ad arretratezza storica e culturale. Che sa rispettare e
tutelare il patrimonio spirituale di ciascuna religione ed etnia, ma sa
criticare e respingere ciò che collide con il sistema universale dei diritti
umani, con la libertà religiosa, con l’eguaglianza tra uomo e donna. Che sa,
cioè, promuovere il meglio della nostra e delle altrui tradizioni, ma si
impegna a far arretrare il resto. Sarebbe un’altra cosa, un’altra storia, e
potremmo dedicarvi un altro convegno. Trovare l’uomo capace, e
l’investirlo de’ simboli della capacità (culto, o com’altro sì chiami) così
ch’egli possa avere agio a governare secondo la propria facoltà, è l’officio di
ogni procedura sociale. A questo punto il Carlyle riscrive
‘worship’ WORTH-ship, per accentuarne l’etimologia da ‘worth,’ valore,
compincendosi che la ragione etimologica venga quasi ad attestare la nocessità
del fatto che gli sta tanto a cuore. Per mantenere questa relazione
logica Loubatières muta ‘worship’ nell’*équivalent adequat* di *élection* da
prima, e poi di *élite*. ‘Carlyle,’ soggiunge Loubatières, de son pergant et
rapide regard, dénude la racine des mots et des choses.’ Carlyle non è punto tenero degli studi
etimologici. Le parole gli si dischiudono ad un tratto come si
fendono le roccie allo sguardo diabolico del suo jötun Hymir. Ci fa ripensare a quello che
dice Daudet: ‘Il y a dans cortains mots que nous employons
ordinairement un ressort cachè qui tout à coup les ouvre jusqu’au fond, nous
les explique dans leur intimité exceptionelle.’ ‘Puis le mot se replie,
reprend sa forme banale et roule insignifiant, usé par l’habitude et le machinal.’Carlo
Cardia. Keywords: il laico, filosofia vs.
teologia, italia anti-papista, il filosofo italiano deve essere neutro in
questione di religione. Verdi – il papa – stati papali – repubblica italiana –
liberta di culto – giurisprudenza – religione dell’antica roma – il pontifice
nella religione romana antica – credenza religiosa – credenza naturale –
credenza super-naturale – il sovra-naturale – il naturale – l’idea di religione
nella antica Roma – il mito romano – la mitologia romana antica – il sacro – il
pagano – la filosofia della roma antica pagana – la critica dei antichi romani
al cristianesimo, il culto del laico, worship of the hero, il culto dell’eroe
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cardia” – The Swimming-Pool Library. Cardia.
Grice e Cardone: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- La nudita eroica di Napoleone -- Clark Kent; ovvero, sul
sovrumano – trasumanar – l’eroe di Vico – hero-worship -- Annunzio e il
fascismo – scuola di Palmi – scuola di Reggio Calabria – filosofia calabrese --
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Palmi).
Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Palmi, Reggio Calabria, Calabria. Grice:
“Cardone plays with a coinage, sobraumnao, in Dionigio e Luciano – it triggers
implicata: what’s wrong with ‘human’? One is reminded of Pico (‘dignita dell’uomo’) and
D’Annunzio – it is a problem of linguistic botanising for Italian phiosophers,
‘altreuomo’ being rendered as a translation of Emersen’s ‘plus man’ – and cf.
Carlyle – D’Annunzio, who should have known better, prefers ‘suPer,’ when we
know that in the ‘volgare,’ the ‘p’ becomes ‘v’, so Cardone has it just right!”
Si laurea a Roma. Membro de Partito
Socialista Unitario. Fonda "Ebe" e la rivista "Rivista".
Fonda “Ricerche filosofiche”. Fonda la Società Filosofica Calabrese. Aattività
deontologica per la realizzazione di un'etica sociale della Cultura, in difesa
e promozione della civiltà, onde onorarlo per le sue incessanti iniziative
anche in favore della fratellanza umana. Altre opere: Saggi di storia,
filosofia e diritto; Il relativismo gnoseologico” (Palmi, A.Genovesi et figli
ed); Reazione collettiva (Torino, Paravia et C); I filosofi calabresi nella
storia della filosofia, con appendice sui sociologi e gli psicologi, Palmi,
A.Genovesi et Figli ed., “La filosofia dello Stato” (Città di Castello, Casa
Editrice Il Solco); Filosofia della vita, Città di Castello, Casa Editrice Il
Solco); Umanismo (Messina); Cristianesimo, liberalismo e comunismo, Palmi, G.
Palermo ed); Il Divenire e l'Uomo, Palmi, Ricerche filosofiche, “Civiltà,
Palmi, G. Palermo ed); Vita di Gesù secondo il Vangelo incompiuto, Modena-Roma,
Guanda Editore); La filosofia di Gesù, Milano, Bocca ed); L'uomo nel cosmo.
Storia e prospettive, Palmi, Ricerche filosofiche ed); Bio critica, a cura
della sezione bibliografica della Società Filosofica Calabrese, Bologna,
Mareggiani ed); Seguito alla Bio critica, a cura della sezione bibliografica
della Società Filosofica Calabrese, Cosenza, MIT); La vita come esperienza inutile,
Cosenza, Pellegrini); L'ozio la contemplazione il gioco la tecnica l'anarchismo,
Roma, Ricerche). Ricerche filosofiche, Torino, Edizioni di Filosofia). Il
Divenire” (Padova, Rebellato Editore). Si vis pacem para pacem, Montepulciano,
Editori Del Grifo, Ludi. Bologna, Soc.
Tip. Mareggiani ed); I confini dell'anima, Palmi, Ed. Del Fondaco di Cultura); La
banca della carità” (Milano, M. Gastaldi ed., 1962 Terapia del tramonto (Milano,
M. Gastaldi); Il figlio del dittatore” (Milano, M. Gastaldi); Canti del
Sant'Elia, Poggibonsi, Lalli); L'assenza e la mancanza: meditazioni quasi
poetiche, Cosenza, MIT). Dialogo sulla solitudine. divenir e vita. Filosofo-poeta.
Un inattuale nella sua attualita. i Napoleone non mi sembra per nulla così
grande come il Cromwell. Le sue enormi vittorie, che s’ estesero A 1
«Napoleone fu l'idolo della comune degli " 3 i gli nomini,
perchè a le qualità e le facoltà degli Cn OI k Ni Chi co: i 0 fesso
moderno; auche quand'è all'apice della fortuna; “gli aleggia dentro lo
stesso spirito che troviamo nei giornali del tempo. da 7 si
limitò alla piccola Inghilte che gli alti trampoli ti la statura dell'uomo
per essi lui sincerità parl d'una specie molto inferiore: NOn quel
suo silenzioso. Per 1 L'universo; NOn il « cammino co lo
chiamava; ‘pensiero, il valore, che S1 co latenti, © 8°
accendono poi quasi amm Napoleone vive in un’ epoca che non avera
più este: ; fede in Dio; che considera non-entità jl significato ;
a d’ogni silenzio, d'ogni qualità latente: non PIù sulla |. È
Bibbia puritan& aveva egli et fondarsi, ì scettiche Enciclopedie.
Eppure, tanto ei giunse- ed
meritorio L essere arrivato così lontano. Tl suo carattere : compatto,
pronto ed articolato, in ogni Senso, è in sè - stesso piccolo; forse, a
paragone i quello del nostro i grande Cromwell, caotico ed inarticolato.
Non è « muto profeta che si sforza di parlare.; > ha piuttosto in
sè un portentoso miscuglio di ciarlataneria ! Il concetto dell’
Hume, d'una fanatica ipocrisia, Con quanto è in esso di vero, potrà
applicarsi molto meglio Napoleone che non s’ applicasse al Cromwell, Maometto od ai loro simili, per 1 quali
realmente, preso et tutto rigore, conte- neva a mala pena alcuna stilla
di verità. Sin da primcipio, appare in quest’ uomo un elemento di
riprovevole ambizione, che alla fine lo vince, trascina lui e l’opera sua in
ruma. a SE vi be divenne motto prover= era necessario di Ei a Se
ARen alto il coraggio de’ DARE bisognava tenere aggio de’ suol
uomini e così plesso, non ci son ; via. Fio Non è un santo, mon è
un cappuccino, per Usare la nemmeno un eroe, nell'alto signi \ x
guificato d al capo VI: Napoleone o l' uomo di pagata pa
tutta 1 Europa, mentre il e: o di et da espressione sua; È ; »
(Emerson, op. cita È dedi $ A. prrura SEST
è i eglio, lungo e stato ID o resse Ind so, se
non at i oleone ste55° ; atti, ba alcun proposito che sì ;
:orno; ch'è destinato e KI x . ‘no vantaggio può mal ve- anl
a dolo one? Le menzogne SI sco- ul a ruinos@ La prossima agi
‘ near È e prestar fe al bugiardo; quand an +1 della più alta
impor prono, © se nessuno VOST Da uand' anche s1a
che dica il vero» È ;l vecchio grido: < Al tei venga creduto.
A cr È Una bugia è nulla; al nulla, nom Potere lupo ‘> a farete,
e avrete vare qualch - alla fine, null er giunta
rimess Y x È Dare verain Napoleone una certa sincerità ; anche
è) nella insincerità, bisogna distinguere quanto è super:
ficiale da quanto è fondamentale. A traverso et que ste sue macchinazioni
esteriori, et queste ciarlatanerie, ch''erano molte e riprovevolissime,
vediamo pure nel- Jla realtà, istintivo e impossi-
l'uomo un certo senso de ) bile a sradicare; vediamo ch' el Sl fondò sul
fatto.... SI n lui l'istinto di na- tanto ch’ ebbe alcun
fondamento. I tura è superiore alla cultura. Il Bourrienne '
racconta che i suoi savants, in quel viaggio d’ Egitto, s' affanna=
vano una sera a dimostrare che non ci può essere Dio. Erano riusciti a
provarlo, a loro grande soddisfazione, con ogni maniera di logica.
Napoleone, guardando su, alle stelle, risponde : «La dimostrazione è
molto ingegnosa, messieurs ; ma chi ha fatto tutto ciò? » La dot-
trina atea gli passa sopra come un’ ondata ed egli rimane al
cospetto del grande fatto: « Chi f ti ci09 > Similm Ì | fece
utto ente nella pratica: come 0 possa essere grande e
trionfare i gni.u9Maro onfare in questo mondo, egli 1 Mémoires
de Mi de Rourri. i Villemarest, Paris, chez Tadrocat, lui-meme, rédigéa
par Mi de Fauyol Fauvolot do Bonrrionna, amico d'infanzia e
segretario timo di Napoleone, colui MA i, colui cho formulò,
d'accordo co diem nl DE Oi orrori contenuti ola COLI REA to I
‘ourrienne et nen erreura volontaires dI RT fontraverso tuttii viluppi,
il nocciolo pra vede, de
direttamente.! tione; ed a quello ten 9 2 bj pei driscalco del suo
palazzo delle Tuileries gli e tappezzerie, dimostrandogli ‘con
me fossero magnifiche, e DEF giunta @ He, mercato; Napoleone, Per
tutta risposta, hiese Sa Ni forbici, mozzò una napPInA dl oro dele
o finestra, se la messe in tasca, e tirò via. Qualche Hai : dopo,
la cavò fuori al momento buono, gran È SE rore del suo fornitore: non era
Oro, ma. orpello! ; notevole come anche a Sant' Elena, sempre; sino et #
ultimi giorni, egli insista sul pratico, sul reale: < A che parlare e
lamentare? et che, sopra tutto, leticare? Non ‘gi viene con ciò ad alcun
risultato; nulla si riesce, a far nulla. E se nulla potete fare; tacete!
> Parla ‘spesso così a’ suoi poveri seguaci malcontenti ; è come
una forza silenziosa tramezzo alle loro morbose querele. A E per
conseguenza, non possiamo dire che fosse in n lui pure una fede
genuina, Der quant’ era possibile? Ve- i deva in questa nuova enorme
democrazia, che s’ affer- n mava nella rivoluzione francese, un fatto che
non sì può - sopprimere, un fatto che il mondo intero, con tutte le
sue vecchie forze e le instituzioni, non può metter da parte: di ciò egli
aveva il vero intuito, e quell’ intuito trascinava seco la sua coscienza
ed il suo entusiasmo : era la sua fede. Forse che non ne interpetrò
bene l’oscura portata ? La carriòre ouverte auv talents gli
strumenti et chi sa maneggiarli: quest’ è effettivamente la verità, tutta
la verità anzi, e comprende tutto il si- : bo dell riluzione fece 0 i
a ix Ò n ‘ » al ieri i dda DE nidi pae CE cedono innanzi a
quest'uomo Dire ecm vr i rat dp degli soci dl diplomati e vugle cha
ogni ir facoltà di RIGA RARI HRolnio: egoista, prudente, psn se :
ale parvenza altrùi, uè da e sntisinne. 1a Siocniae da alcuna @ re, da
nessuna fretta. » (Emerson, loco cit, sì VI meg SaIoaaai Si ù Napoleone nel suo
primo periodo sie to “vero democratico ; nondimeno, Per sua natura,
QI ati ita mili sapeva che Ja democrazia, in quanto mai
fosse verità, non poteva essere: RIO ed odiava cordialmente P'anarchia.
T1 20 giugno 5 seduto col Bourrienne in un caflè, mentre la folla
Diso, schiamazzando, Napoleone esprime il più DIOCr, a 3 i- sprezzo
per le antorità che non reprimono que! dio dine. Il 10 agosto sì
meraviglia che nessuno prenda 1 o di que’ poveri Svizzeri : vincerebbero
Se uves: dante. Tanta fede nella democrazia, eP7 comand
sero un coman I I pure tant! odio dell’ anarchia sostengono
apoleone IM illanti campagne grande Opera. Nelle br
IO] d'Italia, via via sino alla pace di Léoben,' 81 direbbe che il
suo ideale sia questo: fatta trionfare la rivoluzione francese; affermarla
contro questi simulacri aus striaci che 0Sano dirla, un simulacro!
Nondimeno, egli sente pure; ed ha diritto di sentire, quanto neces?
siria sia una forte autorità; e come senz) essa l’opera della rivoluzione
non possa prosperare nè durare. Fre- nare quella granda rivoluzione
devastatrice, che divorava sè stessa ; domarla così, che, raggiunto il
suo intrinseco scopo, essa possa divenire organica, capace di vivere
tra gli altri organismi, tra le altre cose formate, e non sol-
tanto quale opera di devastazione, di distruzione : non mirava egliin
parte a questo come alla vera mèta della sua vita? non s'ingegnò, anzi,
effettivamente, di far IA A traverso Wagram ed Austerlitz, a traverso
Re. SOT aan Hg per osare ed operare, € s'inalzò ica IRE re. Tutti
gli uomini videro sione Cad Ro ioni soldati solevano dire ai dala
avvocati di Parigi, tutti ‘Bisogna che mettiamo là il Pan Diga
‘andarono, e lo messe ni nostro Petit Caporal!> E S ro là; essi, e
tutta la Trancia in tutta la sua DAI massa E poi il
consolato; 1° impero; la vittoria su tutta pEuropa {.. È abbastanza
naturale che il povero luogo- ” n 9 tenente del reggimento
La Fère, potesse apparire ai pro- i ‘n erande fra quanti nomini fossero
da 56 sto punto; quel fatale elem nto di ciarla- 0. Rinnegando la
sua vel chia fede nei fatti, cOn jò a credere nelle parvenze,
brigò per imparentarsì con le dinastie austriache, col papati, con le
vecchie false feudalità, che pure un tempo gli apparivano chiaramente
false; pensò et fondare una e così via come se la enorme
mirasse che @ dinastia Sua rivoluzione francese non
era dunque € dannato a zogna;> è terribile, m® il
vero dal falso quando v ventosa ammenda, questa, che 1 uomo paghi per
avere ceduto alla infedeltà del cuore. La falsa ambizione
ego stica era divenuta ora il suo dio: una volta scesi sino
all’inganno di sè stessi, tutti gli altri inganni seguono naturalmente, €
si cade sempre più e più basso. In quale gretta e rappezzata miseria, in
quale mascherata tea- trale di manti di carta e d'orpello, aveva ravvolta
que- st'uomO la propria grande realtà, immaginando cor ciò di farla
più reale! E quel vacuo Concordato col papa; che pretende ristabilire il
cattolicismo mentr' egli stesso 1 riconosce ch è il metodo di estirparlo,
la vaccine religioni e quelle cerimonie d’incoronazione, quelle
con- È sacrazioni nella chiesa di Notre-Dame per mezzo della Ai.
vecchia chimera italiana cui nulla mancava, come disse l’Augereau,' ca
completarne la pompa, Se non'quel mezzo milione d’uomini, morti per far
finire tutto ciò!...> + | RIA Ae di Cromwell fu con la spada e con la
ja, e dobbiamo dirla genuinamente vera. La spada \aneria
prese Da or Francesco Auger at Drama EETUIGIO), ANA onu,
duca di Castiglione, maresciallo e pari di | ‘che fu governatore a
Berlino nel 1818, è difese Tione nel 1814 18 fruttidoro (LT9T); ©
ne ESTA. i ETTURA SES ; lui senz alcuna chi- blemi del
purttatni Aveva usato en- ; I a et pretendev® ora
difenderle! bagliò credette troppo vide nell'uomo di
-]* i ta facilità... della fame © di questa 12 Siglo ta
(Lor che edificasse sulle nubi, e: SAR ina, e di arve dal mondo?
i ni Sì ‘gua casa IN confusa rund; | i DO art in ciascuno di
noi, esiste quest SE. e potrebbe svilupparsi ove la tenti ciarlataneria,
; fosse forte abbastanza. € on Ma il suo sviluppo; invero;
| come ingrediente riconoscibil e ie DE: Sa a di Napoleone, et stessa piccina. Che fu dunque 1 opere SI
i lpore? Uno sprazzo come di po malgrado di tanto sca p 3 Re
vere da fucile largamente sparsa; Una fiamma t) di eriche secche.
Per un'ora, | universo intero sembra avvolto dal fumo e dalle fiamme; ma
per un' ora sol- tanto. Poi svanisce, ed ecco riapparire Vl umiverso
CON le sue vecchie montagne ed i vecchi fiumi, con le stelle
nell'alto e giù sotto il benefico suolo. Il duca di Weimar diceva
sempre agli amici di farsi animo, chè questo Napoleonismo era ingiusto,
era men- zogna, e non poteva durare. La teoria è vera. Più questo
Napoleone calpestava il mondo, tenendolo tirannicamente + oppresso,
più fiera sarebbe un giorno la reazione del mondo contro di lui. L'
ingiustizia si ripaga da sè, e con uno spaventevole interesse composto.
Non so davvero a in dina pro alt OG Dio si ha risersata jar
lui Ladino Boo oi SA TmaSoni ne PESI Lira si, Sraianol: cho vuol gio del
HIFEMENE la la mila cl 1 ila son fumi tie tnio parere non
durabile perchè LARA RE LIE ICINLI cod’ artiglieria 0 veder affogare il
suo reg- jelior pal 7 ; cite rimento migliore, anzichè
fucilare quel povero libraio {edesco palm!? Fu un'aperta ingiustizia,
una, tirannia, un assassinio, che nessun uomo, la dipinga pure con
uno strato di colore alto un dito, potrà mai far apparire
altrimenti. Questa ed altre simili ingiustizie s' impres? sero profonde
nei cuori; un fuoco represso balenava dagli occhi degli uomini quando vi
ripensavano aspettando il giorno! Ed il giorno venne: € la Germania gli
si sollevò d’ intorno. L'opera di Napoleone sl ridurrà a lungo andare et quanto
egli compì giustamente, 2 quanto la natura sancirà con le sue leggi, a
quanto di realtà era in lui; ® tanto, e nulla più. Il resto fu tutto
fumo e sciupio. La carrière ouverte Aux talents: questo grande
messaggio di verità, che ha ancora da articolarsi e da adempiersi
dappertutto, ei lo lasciò in uno stato affatto inarticolato. Egli fu un
grande schema, un abbozzo, non mai completato: ed invero, forse che il
grand’ uomo è mai altro? Ma egli, ahimè, rimase in uno stato tr0ppo
rudimentale |... È quasi tragico il riflettere alle sue opinioni sul
mondo, quali le esprime là, a Sant'Elena. Sembra pro- vare la più sincera
meraviglia che tutto sia andato et quel
modo: ch’ egli sia stato gettato là, sulla rupe, e "che il mondo
ruoti ancora sul suo asse. La Francia. è ‘grande, anzi è sola
grande; ed in fondo Napoleone è la Francia. La stessa Inghilterra, egli
dice, non è per na- ura che un'appendice della Francia; < è per la
Francia n'altra isola d’Oleron. >» Così era per natura, per
l ‘Non può comprendere, non sa concepire che la realtà «ela
confederazione del Reno veniva formandosi, la polizia scoperse al Sci
librai furono arrestati ) ono per avervi avuto parte e Napol
Sa commissiono militare. Quattro degli Roca LARE oro
provincie: due, Schiderer e Palm, condannati a mi % 4 to Napoloone
fece grazia, una il libraio Palm di Norimberga vi atura di Napoleone.
Guardate, infatti : ECCOMI QUI da i 1 Nel 1806, mentre l’
esercito francese occupava ancora la Germania, cuni documenti, che
rivelavano i piani d'un comitato segreto d'insurre- e LEmTURÀ de
mma; che la Francia TR da ci c jeposto al suo P o, Ji non S1a
la Francia. 3 ‘n a credere ciù andezza, © dI DI ipbia
i nesta “iano, COSÌ compatta, così ana, ì g'è involuta;
s'è quasi sua N° 0 ante un temp: e a di fanfaronnadi da
tmosfer: torbida n'ai osto et lasciarsi calpe: LS contastare come
pla si tà alla Francia ed a sè; 0A it A mire! Napoleone
7 1 costene Ma, ahimè, OF he giov Le, ui ; e natura, anch’ ess% si
dia Essendosi UNA volta staccato 1) st e) scamp nel vuoto; è
Vv ebbe per o di rado tocco ad un uomo sorte tanto desolata: e
dovette morire; povero Napoleone!.. mento troppo presto sciupato, sino et "& ecco il nostro ultimo eroe!
A si er * * Sa Tiltimo in un doppio significato, poichè
debbono con ‘]ui terminare queste nostre peregrinazioni a traverso ‘tempi
e luoghi così diversi, cercando, studiando gli eroi. UR ME ne rinoresce:
era un piacere per me in quest’ occupazione, sebbene misto a molta pena. È un
grande s0g= 5 molto grave, molto vasto, questo che io, appunto
darmi tropp'aria di gravità, ho chiamato cult@ Esso penetra profondo
nelle secrete vie del- ‘e ne’ più vitali interessi di questo mondo;
tei ge bro ben degno di svolgimento. In sei Invece che sei giorni,
avremmo potuto far meglio. lo: chi sa se nemmeno vi sono riu- per
penetrarvi un poco, dovetti Dn DIRE Tronno spesso, con bru- uttate
là isolate, senza commento, ho ‘cortese benevolenza, non voglio ora
parlare. per saviezza e
leggiadria, ha ascoltato pazient pozze parole. Sentitamente,
cordialmente, vi rendo zie, ed a tutti dico: Dio sia con voil Precisely
a century and a year after this of Puritanism had got itself hushed-up
into decent composure, and its results made smooth, in 1688, there
broke-out a far deeper explosion, much more difficult to hush-up, known
to all mortals, and like to be long known, by the name of French
Revolution. It is properly the third and final act of Protestantism ; the
explosive confused return of mankind to Reality and Fact, now that they
were perishing of Semblance and Sham. We call our English Puri-
tanism the second act : “Well then, the Bible is true ; let ils go by the
Bible 1 ” “ In Church,” said Luther ; “ In Church and State,” said
Cromwell, “let us go by what actually God’s Truth.” Men have to return to
reality ; they cannot live on semblance. The French Revolution, or third
act, we may well call the final one ; for lower than that savage Sansculottism
men cannot go. They stand there on the nakedest haggard Fact,
undeniable in all seasons and circumstances ; and may and must begin
again confidently to build-up from that. The French explosion, like the
English one, got its King, who had
no Notary parchment to show for himself. We have still to glance
for a moment at Napoleon, our second modern King. Napoleon does by no
means seem to me so great a man as Cromwell. His enormous victories which
reached over all Europe, while Cromwell abode mainly in our little
England, are but as the high stilts on which the man is seen standing
; the stature of the man is not altered thereby. I find in him no
such sincerity as in Cromwell; only a far inferior sort. No silent
walking, through long years, with the Awful Unnamable of this Universe;
‘walking with God," as he called it; and faith and strength in that
alone : latent thought and valour, content to lie latent, then burst out
as in blaze of Heaven’s /lightning 1 Napoleon lived in an age when God
was no longer believed ; the meaning of all Silence, Latency, was thought
to 'be Nonentity : he had to begin not out of the Puritan Bible, but
out of poor Sceptical EncyclopMies, This was the length the man carried
it. Meritorious to get so far. His compact, prompt, everyway articulate
character is in itself perhaps small, compared with our great chaotic
/^articulate Cromwell’s. In- stead of 'dumb Prophet struggling to speak,'
we have a por- tentous mixture of the Quack withal I Hume’s notion of
the Fanatic-Hypocrite, with such truth as it has, will apply much
better to Napoleon than it did to Cromwell, to Mahomet or the like, where
indeed taken strictly it has hardly any truth at all. An element of
blamable ambition shows itself, from the first, in this man ; gets the
victory over him at last, and in- volves him and his work in ruin.
* False as a bulletin’ became a proverb in Napoleon’s time. He
makes what excuse he could for it : that it was necessary to mislead the
enemy, to keep-up his own men’s courage, and so forth. On the whole,
there are no excuses. A man in no case has liberty to tell lies. It had
been, in the long-run, better for Napoleon too if he had not told any. In
fact, if a man have any purpose reaching beyond the hour and day, meant
to be found extant next day, what good can it ever be to promul-
gate lies ? The lies are found-out ; ruinous penalty is exacted for them.
No man will believe the liar next time even when he speaks truth, when it
is of the last importance that he be believed. The old cry of wolf 1 K Lie is nMhing ; you can- not of
nothing make something ; you make nothing at last, and lose your labour
into the bargain. Yet Napoleon had a sincerity; we are to
distinguish be- tween what is superficial and what is fundamental in
insin- cerity. Across these outer manceuverings and quackeries of
his, which were many and most bian>able, let us discern withal that
the man had a certain instinctive ineradicable feeling for reality ; and
did base himself upon fact, so long as he had any basis. He has an
instinct of Nature better than his culture was. His savans, Bourrienne
tells us, in that voyage to Egypt were one evening busily occupied
arguing that there could be no God. They had proved it, to their
satisfaction, by all man- ner of logic. Napoleon looking up into the
stars, answers, “Very ingenious. Messieurs ; but who made all that?”
The Atheistic logic runs-off from him like water ; the great Fact
stares him in the face : “ Who made all that ?” So too in Practice : he,
as every man that can be great, or have victory in this world, sees,
through all entanglements, the practical heart of the matter ; drives
straight towards that. “N^en the steward of his Tuileries Palace was
exhibiting the new uphol- stery, with praises, and demonstration how
glorious it was, and how cheap withal, Napoleon, making little answer,
asked for a pair of scissors, dipt one of the gold tassels from a
window- curtain, put it in his pocket, and walked on. Some days afterwards,
he produced it at the right moment, to the horror of his upholstery
functionary ; it was not gold but tinsel I In Saint Helena, it is notable
how he still, to his last days, insists on the practical, the real. Why
talk and complain ; above all, why quarrel with one another? There is no
result in it ; it comes to nothing that one can do. Say nothing, if one
can do no- thing I” He speaks often so, to his poor discontented
follow- ers ; he is like a piece of silent strength in the middle of
their morbid querulousness there. And accordingly was there
not what we can call a faith in him, genuine so far as it went? That this
new enormous De- mocracy asserting itself here in the French Revolution
is an insuppressible Fact, which the whole world, with its old forces
and institutions, cannot put down ; this was a true insight of his, and
took his conscience and enthusiasm along with it, a faith. And did he not
interpret the dim purport of it well? La carriers ouverte aux ialens^ The
implements to him who ran handle them; this actually is the truth, and
even the whole truth ; it includes whatever the French Revolution, or any
Re- volution, could mean. Napoleon, in his first period, was a true
Democrat. And yet by the nature of him, fostered too by his military
trade, he knew that Democracy, if it were a true thing at all, could not
be an anarchy : the man had a heart-hatred for anarchy. On that Twentieth
of June (1792), Bourrienne and he sat in a coffee-house, as the mob
rolled by : Napoleon expresses the deepest contempt for persons in
authority that they do not restrain this rabble. On the Tenth of August
he wonders why there is no man to command these poor Swiss; they
would conquer if there were. Such a faith in Democracy, yet hatred of
anarchy, it is that carries Napoleon through all his great work. Through
his brilliant Italian Campaigns, onwards to the Peace of Leoben, one
would say, his inspir- ation is ; ‘Triumph to the French Revolution ;
assertion of it against these Austrian Simulacra that pretend to call
it ‘a simulacrum’ Withal, however, he feels, and has a right to
feel, how necessary a strong Authority is ; how the Revolution cannot prosper
or last without such. To bridleMn that great devouring, self-devouring
French Revolution ; to tameit, so that its intrinsic purpose can be made
good, that it may be- come organic, and be able to live among other
organisms and formed things, not as a wasting destruction alone : is not
this still what he partly aimed at, as the true purport of his life
; nay what he actually managed to do ? Through Wagrams,
Austerlitzes ; triumph after triumph, he triumphed so far. There was an
eye to see in this man, a soul to dare and do. He rose naturally to be the
King. All men saw that he was such. The common soldiers used to say on
the march. These babbling Avocats, up at Paris ; all talk and no work !
What wonder it runs all wrong ? We shall have to go and put our
Petit Caporal there I” They went, and put him there ; they and France at
large. Chief-consulship, Emperorship, victory over Europe ; till the poor
Lieutenant of La Fire, not unna- turally, might seem to himself the
greatest of all men that had been in the world for some ages.
But at this point, I think, the fatal charlatan-element got the
upper hand. He apostatised from his old faith in Facts, took to believing
in Semblances ; strove to connect himself with Austrian Dynasties,
Popedoms, with the old false Feud- alities which he once saw clearly to
be false ; considered that he
would found “ his Dynasty” and so forth ; that the enormous French
Revolution meant only that ! The man was ‘given-up ^ to strong delusion,
that he should believe a lie a fearful but j most sure thing. did not
knowJrue from false no\y.wheiLj he looked at them, — the fearfulest penalty
a man pays for yielding . to untruth of heart. Self and false ambition
had now become ^ his god : j^^deception once yielded to, all other
deceptions follow naturally more and more. What a paltry patchwork
of theatrical paper-mantles, tinsel and mummery, had this man wrapt
his own great reality in, thinking to make it more real thereby ! His
hollow ^-Concordat, pretending to be a re- establishment of Catholicism,
felt by himself to be the method of extirpating it, ^fa vaccine de la
religion his ceremonial Coronations, consecrations by the old Italian
Chimera in Notre- Dame, “wanting
nothing to complete the pomp of it,” as Augereau said, “nothing but the
half-million of men who had died to put an end to all that” ! Cromwell’s
Inauguration was by the Sword and Bible ; what we must call a
genuinely one. Sword and Bible were borne before him, without any
chi- mera : were not these the’’ r^a/ emblems of Puritanism ; its
true decoration and insignia ? It had used them both in a very real
manner, and pretended to stand by them now 1 But this poor Napoleon
mistook : he believed too much in the Dup^~ ability of men ; saw no fact
deeper in man than Hunger and this 1 He was mistaken. Like a man that
should build upon cloud ; his house and he fall down in confused wreck,
and de- part out of the world. Alas, in all of us this
charlatan-element exists ; and might be developed, were the temptation
strong enough. ‘ Lead us not into temptation’ I But it is fatal, I say,
that it be developed. The thing into which it enters as a cognisable
ingredient is doomed to be altogether transitory; and, however huge it
may look, is in itself small. Napoleon’s working, accordingly, what
was it with all the noise it made ? A flash as of gunpowder wide-spread ;
a blazing-up as of dry heath. For an hour the whole Universe seems wrapt
in smoke and flame ; but only ^for an hour. It goes out : the Universe
with its old mountains and streams, its stars above and kind soil
beneath, is still there. The Duke of Weimar told his friends always, To be
of courage ; this Napoleonism was unjust^ a falsehood, and could
not last. It is true dqctrine. The heavier this Napoleon tram- pled on
the world, holding it tyrannously down, the fiercer would the world’s
recoil against him be, one day. Injustice pays jt- self with frightful
compound-interest. I am not sure but he had better have lost his best
park of artillery, or had his best regiment drowned in the sea, than shot
that poor German Bookseller, Palm I It was a palpable tyrannous
murderous injustice, which no man, let him paint an inch thick,
could make-out to be other. It burnt deep into the hearts of men,
it and the like of it ; suppressed fire flashed in the eyes of men, as
they thought of it, waiting their day 1 Which day came : Germany rose
round him. What Napoleon did will in the long-run amount to what he did
justly j what Nature with her laws will sanction. To what of reality was
in him; to that and nothing more. The rest was all smoke and waste.
La carri^re ouverte aux talens : that great true Message, which has
yet to articulate and fulfil itself everywhere, he left in a most
inarticulate state. He was a great Sbatiche, a rude- draught never
completed ; as indeed what great man is other? Left in too rude a state,
alas 1 His notions of the world, as he expresses them there at
St. Helena, are almost tragical to consider. He seems to feel the
most unaffected surprise that it has all gone so ; that he is flung-out
on the rock here, and the World is still moving on its axis. France is
great, and all-great ; and at bottom, he is France. England itself, he
says, is by Nature only an ap- pendage of France ; “another Isle of
Oleron to France.” So it was by Nature, by Napoleon-Nature ; and yet look
how in fact — Here am I I He cannot understand it : inconceivable
that the reality has not corresponded to his program of it ; that France
was not all-great, that he was not France. ‘Strong delusion,’ that he
should believe the thing to be which is not I The compact, clear- seeing,
decisive Italian nature of him, strong, genuine, which he once had, has
enveloped itself, half- dissolved itself, in a turbid atmosphere of
French fanfaronade. The world was not disposed to be trodden-down
underfoot ; to be bound into masses, and built together, as he liked, for
a pedestal to France and him : the world had quite other pur- poses
in view! Napoleon's astonishment is extreme. But alas, what help now ? He
had gone that way of his ; and Nature also had gone her way. Having once
parted with Reality, he tumbles helpless in Vacuity; no rescue for him.
He had to sink there, mournfully as man seldom did ; and break his
great heart, and die, this poor Napoleon ; a great implement too
soon wasted, till it was useless : our last Great Man I Our last,
in a double sense. For here finally these wide roamings of ours through
so many times and places, in search and study of Heroes, are to
terminate. I am sorry for it: there was pleasure for me in this business,
if also much pain. It is a great subject, and a most grave and wide one,
this which, not to be too grave about it, I have named He?'o-worship.
It enters deeply, as I think, into the secret of Mankind’s ways and
vitalest interests in this world, and is well worth explaining at present.
With six months, instead of six days, we might have done better. I
promised to break-ground on it ; I know not whether I have even managed
to do that. I have had to tear it up in the rudest manner in order to get
into it at all. Often enough, with these abrupt utterances thrown-out
iso- lated, unexplained, has your tolerance been put to the trial.
Tolerance, patient candour, all-hoping favour and kindness, which I will
not speak of at present. The accomplished and distinguished, the
beautiful, the wise, something of what is best in England, have listened
patiently to my rude words. With many feelings, I heartily thank you all
; and say, Good be with you all ! Domenico Cardone. Domenico Antonio Cardone. Keywords:
Clark Kent; ovvero, sul sovrumano, “Ricerche filosofiche”; futilitarianism,
inutilitarianism, Grice, “The philosophy of life,” Grice, “Philosophy of life”,
essere e divenire – il sovraumano, Nietzsche, Bergson, D’Annunzio, sobra-uomo,
super-uomo. Jesus as a philosopher! Tommaso Carlyle, Il culto degl’eroi –
culto, worth-ship, valore, Napoleone, natura italiana -- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cardone” – The Swimming-Pool Library. Cardone.
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